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HARVARD UNIVERSITY.
LIBRARY
MUSEUM OF COMPARATIVE ZOOLOGY.
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ATTI
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R. ISTITUTO VENETO
SCIENZE. LETTERE ED ARTI
(TOMO LI)
SERIK SETTIMA - TOMO QUARTO
DISPENSA QUINTA
\ E X E Z I A
PRESSO LA SEGRETERIA DEL R. ISTITUTO
NIX PALAZZO LORrDA.S!
TIP. CARLO FERRARI
^ M 1892-93
Pubbl. il 23 Aprile 1893
INDICE
Atto verbale dell'Adunanza ordinaria del giorno 26 marzo
1893 pag. 699
Lavori letti per la pubblicazione negli Atti
A. De Giovanni, m. e., e P. Castellino. — Sulle modifi-
cazioni vasali durante il processo infiammato-
rio. Comunicazione pag. 703
A. Favaro, m. e. — Sopra un Capitolo attribuito a Ga-
lileo Galilei. Nota » 725
Detto — Gli oppositori di Galileo. Studi » 731
B. MoRSOLiN, m. e. — Delle Opere del dott. Pietro Er-
cole. Comunicazione » 746
G. De Leva, m. e. — Sull'Opera di Francesco Nitti :
«Leone X e la sua politica, secondo docu-
menti e carteggi inediti. Firenze 1892. » Nota. » 748
G. B. De Toni, s. c. — Sopra una Bacillariea (Suriraya
helvetica Brun) confermata propria della flo-
rula lacustre alpina. Nota » 754
E. Padova, s. c. — Sopra un problema di dinamica. Co-
municazione » 757
T. Martini, m. e. — Intorno ai fenomeni di soprasatu-
razione. Nota soconda » 761
E. Callecari. — L'assedio di Torino nel 1706, secondo
le raemoiie del tempo. Nota storica .... » 779
S. Lussana e G. Bozzola. — Relazione fra la temperatu-
ra di gelo e quella del massimo di densità
dell'acqua che contiene disciolti dei sali. Ri-
cerche sperimentali » 785
Elenco dei libri e delle opere periodiche, pervenute al R.
Istituto nell'aprile 1893
ANNO 1892-93 DISPENSA V.
ADUNANZA ORDINARIA
DEL G-IOR3SrO 36 Is/LJ^'RZO d.893
PRESIDENZA DEL COMM. NOB. EDOARDO DE BETTA
PRESIDENTE
Sono presenti i membri effettivi : Minich, vicepresidente,
Fambri, segretario, Berchet, vicesegretario, Pirona,
De Leva, Ylacovich, Lorenzoni, Trois, E. Bernardi,
Mons/ J. Bernardi, Beltraisie, Gloria, Marinelli, De
Giovanni, Fertile, Bellati, Deodati, Stefani, Teza,
MoRsoLiN, Veronese ; nonché i soci corrispondenti :
Occioni-Bonaffons, Cassani, Galanti, G. B. De Toni
e Padova.
Sono giustificati gli assenti membri effettivi : Lampertico,
Favaro, Keller, Tamassia ; ed il socio coi'rispondente
Bertolini.
Letto ed approvato l'Atto verbale della precedente
adunanza, il Presidente comunicò l' elenco dei libri ed
opuscoli pervenuti in dono, e delle 0})ere acquistate dopo
r adunanza del passato febbraio, in particolare accennando
al dono fatto dal Ministero della Pubblica Istruzione del
Iir volume parte P delle Opere di Galileo Galilei, edi-
zione nazionale sotto gli auspicii di S. M. il Re d'Italia;
ed al dono fatto dal socio corrispondente Ghicchi di una
T. IV, ò'. VJI 46
700
raccolta di fotografie eseguite in occasione delle feste del
Centenario Galileiano in Padova.
Dopo di che il segretario Conini. Paulo Farnbri diede
lettura della sua Commeuiorazione del membro effettivo
Aristide Gabelli, cui seguirono alcune parole in onore al
compianto collega, del membro effettivo Te za.
Si tennero quindi le letture e comunicazioni poste
all' ordine del giorno, cioè :
Dal m. e. G. De Leva. — SuW Opera di Francesco Nitti:
« Leone X e la sita politica. » Firenze, 1892.
Dal m. e. A. Favai^o. — Gli oppositori di GalUeo. - IL
Uberto Froidmont.
Dallo stesso. — Sopra un capitolo attribuito a Galileo
Galilei.
Dal s. e. G. B. De Toni. — Sopra una Bacillariea (Su-
riraya helvetica Brun) confennata propria della
florula lacustre alpina.
Dal s. e. E. Padova. — Sopra un problema di dinamica.
- Comunicazione.
Ed in conformità all'articolo 8° del Regolamento interno:
Dal m. e. Lorenzoni, una Nota del D."" A. Abetti, intito-
lata : — Osservazioni di comete e di pianetini fatte
a Padova dal marzo 189 i al marzo 1893.
Dal m. e. A. De Giovanni, due Note del D/ P. Castellino,
intitolate: — P Della fagocitosi durante V inanizione
lenta. - IP Alterazioni fisico - ci ri miche durante la
inanizione lenta.
Dal m. e. G. De Leva, una Nota del Prof. E. Callegari,
intitolata: — L'assedio di Torino nel 1706 secondo
le memorie del tempo.
Dal m. e. M. Bellati, una Nota dei Signori iS. Lussana
e G. Bozzola, intitolata : — Relazione fra l' abbas-
sarjìento della temperatura di gelo e quella del mas-
701
siiiHj di (ìcnsUà (Icir (ic<pt(i conlenerUe d/sviolli dei
sali. - Ricerche .sperimentali.
Terminate (jiie-ste letture e comunicazioni, 1' Istituto si
raccolse in adunanza segreta, nella (juale si occupò dei
projìri affari interni posti all'ordine del giorno.
SULLE MODIFICAZIONI VASALI
DURANTE IL PROCESSO INFIAMMATORIO
Coinuiiicazioiie
I) E r.
PROF. A. DE (IIOYAXXI e dott. P. CASTELLINO
Lo studio del })i*oces.so iutìaiaiuatorio, dalle prime ossev-
vazioni di Dutrochet e Wallez fino a quelle successive e
})iù precise di Bauer, Me^yer, Wirchow, Cohnlieim, Samuel,
A^^eigert, Granwitz e loro allievi, ed affatto recentemente
di Metclmikoff, vanta cosi tale una ricca e vasta letteratura
che si può sicuramente affermare che nessun altro argomento
nel campo delle dottrine biologiche è stato con più pre-
ferenza oggetto di ricerche le più delicate, sapienti e mi-
nuziose.
Eppure indagato con si rara insistenza perfino nei suoi
più dettagliati ed ascosi particolari, la sua perfetta nozione
(■' lungi ancora dallo appartenerci con sicurezza ed intera.
Ce lo prova la profonda e varia discrepanza che do-
mina in tutte queste osservazioni non solo nelle interpre-
tazioni, si bene anco nella descrizione stessa dei varj feno-
meni che lo accompagnano e per cui esso si estrinseca.
È pur vero che uno all' interesse rimarchevole della
sua conoscenza il suo studio è dei più difficili e profondi.
Se si tolgono alenili ])Ochi fatti oi-amai non ]iiù dubbj,
ed ali l'i che ^()no j»iìi per comodità che per intima e prò-
(704) [2]
fonda coiiviiizioiie iinivei-salineiitc (|nasi accettati, il pro-
1)lema della iiifianiniazione occuperà ancora almeno per
molto tempo le intelligenze dei patologi innanzi che la sua
soluzione venga dichiarata definitiva.
E se si pensa come bruscamente nella febl)rile gara di
ricerche vengono oggi radicalmente travolte le brillanti,
seducenti e facili teorie dell' ieri e d' un tratto mobile e
fallace il plauso di fatti che credevansi oramai diventati
indiscussi, riteniamo di non andare molto errati se almeno il
dubbio emettiamo che col perfezionarsi dei nostri mezzi, il
tempo che verrà, della teoria della infiammazione, come noi
attualmente la intendiamo, non poco avrà a cancellare.
Ma non è del processo flogistico considerato nel suo
ciclo classico e dottrinale che noi oggi vogliamo occuparci.
Scopo delle nostre modeste indagini fu quello sola-
mente di studiare le modificazioni che avvengono sulla strut-
tura dei vasi durante la reazione infiammatoria, studio que-
sto anch' esso di non poco interesse ed invece troppo
trascurato.
Non premettiamo a queste nostre osservazioni nessuna
recenzione bibliografica perchè ci troveremmo assai imba-
razzati nel riferire in che modo e fino a che punto simili
studj furono condotti. Gli A. A. che più meritamente hanno
trattato il nostro argomento verranno ricordati lungo la
esposizione di queste ricerche.
Uno di noi (De Giovanni) fino dal 1874 pubblicò, in una
Memoria che andò dimenticata, il frutto di indagini condotte
sopra tale argomento. Oggi insieme abbiamo voluto ripe-
terle più estesamente, per correggerle se errate, per ril)a-
dirle se conformi al vero.
Come materiale di studio scegliemmo la rana vlridis.
Siccome può avere interesse la descrizione del metodo di
preparazione eccolo brevemente. Immobilizzato 1' animale
sulla assicella di legno sottilissimo, o di robusto cartone, si
estrae con tutta delicatezza la estremità linguale stiran-
dola in modo lento ed uniforme. Fissati, mercè robusti spilli.
[8] (705)
j^ii osti-cnii (leiraiiipio e sottile ventaglio defila linfoma ai
iiuu'yiiii del l'oro praticato pcM- tutta la estensione opportuna
0(1 in modo che non avvengano lacerazioni ed emorragie
di entità, 1' animale viene sulìito sottoposto alla osserva-
zione. Volendo assistere alle primissime modificazioni che
avvengono nei vasi è necessario che tutta questa operazione
non occupi più di ? minuti. Si può anche, e questo è il
luotodo consigliarlo j»('i' i)oter con più celerità preparare la
lingua arrivando a distenderla in modo assolutamente sottile
uniforme e completo, procedere in quest'altro modo. Si
fissano mercè robustissimi spilli sulla assicella dove ri})osa
la rana dei quadrattini concentrici di sughero di cui il più
grande riposa ad incastro nel foro praticato sulla assicella
medesima.
Questo metodo ha il vantaggio di avere un foro con-
veniente alla estensione della lingua — di poterla disten-
dere in modo relativamente uniforme, poiché tale operazione
è possibile così parla in [)iù tempi. Quando la estensione
è finita si ritirano gli spilli laterali che tengono combac-
ciati i quadrati di sughero fra di loro, di tanto quanto è
sufficiente a rimuovere quelli sui quali la lingua non è
fissata. Appena ciò è ottenuto è bene subito, mediante un
robusto filo i)assa.to al di sopra, tenere abbassata la testa
della rana atìSncliè non possa cogli innalzamenti di essa
lacerare i lembi linguali.
Il batrace è vincolato nella assicella anziché da spilli,
con dei forti cordoncini i quali non gli permettono il mi-
nimo movimento. Precauzioni tutte necessarie per clii, come
noi, non voglia curarizzare l'animale.
11 curaro provoca una fortissima contrazione delle pic-
cole arteriole, sì che la lingua diventa fortissimamente ane-
mica, pallida, quasi di un colorito latteo, contrazione che,
a seconda della dose, del peso dell'animale, delle condizioni
di nutrizione e di stagione, dura un tempo relativamente
molto lungo.
Abitiamo provalo anche a soiimiinisti-ai-lo in (|m'lla dose
(706) [4]
da non avere tali inconvenienti : ma (osservammo che anche
a dose minima })i'0(hice ancora dei disordini vaso costrit-
tori mentre diventa affatto inutile per la immobilizzazione.
La dilatazione vasale successiva è cosi rilevante che in
taluni casi deforma addirittura il vaso, provoca emorra-
gie nei minimi capillari e, rallentando in modo cospicuo
il circolo, impedisce di seguire attentamente sino dal loro
primo inizio le modificazioni della nutrizione vasale. Inoltre
da studj fatti da Drosdoff sembrerebloe che il curaro deter-
mini una qualche alterazione sugli elementi morfologici del
sangue e particolarmente dei globuli bianchi.
Abbiamo quindi a ragione abbandonato questo proce-
dimento per attenerci a tale che eliminasse ogni artificio
e delle modificazioni non disprezzabili; ed infatti del nostro
sistema ce ne siamo trovati soddisfatti. Una buretta di Mohr
collocata al disopra della rana lascia cadere nel suo dorso
lentamente qualche goccia di acqua affine di impedire la
secchezza dell'animale. La temperatura è di -f- L5°. L' in-
grandimento è scelto a seconda se l'osservazione è diretta
allo studio delle condizioni grossolane del vaso e del tessuto
od a quella delle sue pareti e dei globuli circolanti. Nel V
caso adoperiamo 1' F di Zeis coll'oc. o, nel 2" 1' ocul. Vis
ad immersione omogenea.
La lingua è coperta da un sottilissimo coprioggetti do})o
averla largamente bagnata dalla soluzione salina indif-
ferente.
La glicerina anche purissima adoperata da ([ualche
autore non è senza influenza sui vasi. Assolutamente dan-
noso l'olio di oliva e di ricino.
Premesse queste brevi osservazioni eccoci ora alla de-
scrizione dei fenomeni che si osservano nel vaso.
Se la rana si esamina, come dicemmo, immediatamente,
in modo che pochissimi minuti sieno occorsi per la pre-
parazione, noi vediamo che le minime arteriole sono in uno
I-Vl (TOT)
stato (li e\i(UMite coiUi'a/.ioiu'. La coi-i-cnte è rapidissima,
cosi die appena e [ìossihilc seguii-e per hi'cve tratto j^li elc-
iiienti iiioi'tolo^ici che st.-oi'rono rololaiidosi denii-o ai tiihi
saii^iii};-ni. i (inali si presentano tinti in nn colorilo rosso-
i;-iallo \ivissiin(). Se venne appcjstata la lente micrometrica
siiirocnlare, si scorge però che via via in modo progressivo
ina inafferrahik^ perchè assohitamente uniforme, i vasi si
rilasciano ahiuanio dalla loro contrazione — si presentano
di \()linnc più ampio, di un colorito meno intenso e con
una cii-colazione meno precipitosa. Contempoi^aneamente il
tessuto della lingua osssrvato nel suo insieme ad occhio nudo
appare meno bianco e con una nuance rosea. Questo fa
supporre che la jìrima modilicazione che deve avvenire nei
vasi appena il tessuto si trovi a contatto coll'aria, ed a cui
naturalmente non fu possibile assistere, debba essere una
nuircata contrazione delle arteriole e non già come opina
il lieikert ad una dilatazione di esse. lieikert, ed inciden-
talmente pure il Winternitz, affermano che il primo feno-
meno della reazione vasale sia un certo stadio di rilascia-
mento a cui subentra un periodo progressivo di contra-
zione, poi di rilasciamento. Quest'ultimo poi sarebbe defini-
tivo. Le nostre osservazioni ci farebbero alquanto dissentire
da (juelle degli egregi A. A. Esaminando nell'apparecchio di
Iloemgren il polmone trasparente della rana è facile vedere
come primissimo fatto un aumento del tono vasale ed una
circolazione rapidissima.
Tutti gli osservatori che si sono occupati dello studio
della infiammazione hanno rilevato (juesto fatto grossolano
cioè dell'aumento della circolazione, del tono vasale, quindi
del rosseggiare e calorire quella parte.
L'unico interesse che ha quindi la n(jstra osser\azione
é ([lucila di dimosti^are che la contrazione vasale si inizia
immediatamente. Del resto (questo fatto oltre che nel pol-
mone della rana lo si scorge facilmente nei vasi se l'esame
lo si l'ipete sulle larve adulte dei tritoni e dei girini op-
}ioi-tunamen)e stinndati.
(708) [6]
Ritornate le pareti dei vasi alle loro condizioni nor-
mali noi assistiamo al passaggio di una corrente calma,
mediocremente veloce e che permette di poter attentamente
osservare quali sono e come disposti, gli elementi morfolo-
gici che la compongono.
Nella I. figura abbiamo disegnato un capillare sangui-
gno. In esso si scorge la disposizione dei globuli rossi e
bianchi e piastrine mescolati insieme sul centro del tubo — ai
lati il sottile strato trasparente di Girard e Poisseuille. 11
Lòwit ha negato la esistenza delle piastrine ritenendole
precipitazione di globulina, Wooldridge, Weigert a distru-
zione dei leucociti.
Non è qui il caso di occuparci della loro natura, te-
niamo solo a dire che nel vaso perfettamente normale e
che non ha subito modificazione sostanziale alcuna, esse vi
si trovano circolanti, commiste come dicemmo agli altri
elementi morfologici.
La parete del vaso è sottilissima, anista, diafana, per-
fettamente regolare ed uniforme. Se si recide di im tratto
la lingua e la si immerge, col suo quadratino a telaio di
sughero, in una soluzione di nitrato d'argento 0,50 % fin-
ché cominci a farsi opaca e di qui poi in acqua, quindi in
alcool a 60°, 80°, 95°, 80°, 60°, H^O e quindi in soluzione di
carminio ecc. noi vediamo che le cellule componenti la parete
del capillare sono foggiate in modo presso a poco fusiforme,
con un nucleo poco colorabile ed un protoplasma finissi-
mamente granuloso. Si veggono appena distinte qiui e là le
striature cementali-unitive, senza alcuna delle fenestrature
di Arnold.
Questo capillare minimo non presenta attorno alla sua
parete alcuna zona opaca, zona invece che presentano i
i capillari di calibrio più am})io.
Questo alone che circonda lungh'esso il tubo a mo' di
guaina non presenta nessuna granulazione né parvenze
cellulari; esso non ajìpartiene al vaso iiropi-iamente, ma al
tessuto in cui detto vaso si trova.
|T| (70!))
Dopo un poriodo di tciniìo, ora piti oi'a meno lungo, la
coi'rente comincia a farsi al(|iianto più lenta ed a presen-
tare ad intervalli delle brevi soste e persino dei ritorni
reflui. Queste soste qualche volta assumono nn carattere
ritmico. Il fatto dell' inciamparsi della corrente è dovuto a
delle contrazioni del tessuto basale. Infatti se si osserva
attentamente il blastema se ni' ha la })ro\a evidente. Men-
tre invece il progressivo rallentamento dei globuli nello
interno dei vasi è più complesso ed in istretto rapporto a
delle moditicazioni .sopravenute : I. sul vaso ; IL sui corpu-
scoli del sangue.
Se noi osserviamo colla lente micrometrica il volume
del vaso noi lo troviamo assai aumentato. Se [irinia il dia-
metro suo era di 9 a 10 |ji ora di 11 a 14 |x.
Inoltre .se prima fra la corrente degli elementi moi-
fologici e la parte interna rimaneva uno spazio libero ed
occupato da plasma ora invece tutto ciò è completamente
modificato, in quanto che tutto intiero il lume vasale è
zeppo di elementi, i (^uali .strisciando lungo l'endotelio af-
fettano con esso dei rapporti di adesione, quasi che le cel-
lule che lo compongono secernessero una sostanza vischiosa,
capace di trattenere con qualche aderenza i globuli san-
guigni.
Ma non è solo la parete endovasale che si presenta
fornita di tali proprietà, anche i globuli ste.ssi mo.strano
una nuxggiore coesione ed aderenza fra di loro.
Difatti se prima procedevano nei minimi capillari in
modo i-solato, ora invece non si abbandonano fra di hn*o e
])iuttosto si lasciano deformare per mantenersi in contatto
con dei sottili prolungamenti. Fatto que.sto che ci dimostra
anche una minore elasticità del protoplasma. Sommando
adunque (jue.sti due fatti : dilatazione del letto vasale, coe-
sione degli elementi morfologici, noi possiamo spiegai-e il
fatto del rallentamento e sofFermamento della corrente.
Se contemporaneamente a questo fatto si <'saminano atten-
tamente le condizioni della parete vasale un altro fenomeno
(710) [8]
attira il no.stro sguardo. E cioè quella parete che abbiamo
descritto ouie uniforme, liscia, anista comincia a presen-
tare delle appena sensibili rugosità e delle lievi ondula-
zioni.
Se l'osservatore assiste a questi fenomeni per la prima
volta egli non si avvede di un altro cambiamento pur esso
interessante perchè è il punto di partenza di modificazioni
che presto ricliiameranno la sua attenzione. Alludiamo allo
spessore della parete del vaso. Non è più anista, traspa-
rente, sottilissima — si è invece, diremmo, ispessita, rigon-
fiata ed alquanto opacata (fig. II). Questo ispessimento a che
cosa è dovuto ? Se la domanda è facile e spontanea non è
così altrettanto la risposta. Recidendo col metodo descritto
da Pohn la lingua ed immergendola nel nitrato di argento e
poi, se eccessivamente colorata, in una soluzione acetica
2 o/q e quindi di iposolfito sodico 10 % e colorata col car-
minio, nessuna convinzione possiamo ritrarre dallo studio
della parete. Se però questa stessa operazione attendiamo
a farla allora quando l' ispessimento della parete siasi reso
più evidente ed un po' più grossolano, nessun dubbio che
debba attribuirsi più specialmente all' endotelio vasale in
preda forse ad un rigonfiamento torbido dei suoi elementi.
L'alone di sostanza anista che a mo' di guaina abbiamo
detto circonda il vasellino, parteciperà esso pure alla de-
terminazione in parte di tale fenomeno, ma - secondo noi -
spetta ad esso una importanza molto secondaria.
È pur in questo frattempo che succede quel fatto che
supposto da Senac e da Bichat, intraveduto da Stricker negato
da Vulpian, da Bauer e recentissimamente da Ranvier ed
altri, fu pel primo (1874) da uno di noi (De Giovanni) accu-
ratamente descritto sotto il nome di viovimenti dei vasi
capillmn, fenomeno di una estrema delicatezza a rilevarsi
e la cui verità oggi, dopo varia fortuna, è stata confer-
mata da quasi tutti gli Autori che in qualche modo ebbero
ad occuparsi del nostro argomento. Solo per incidenza ci
spiace rilevare che quelle indagini, sebbene fossero state
|nj (711)
]ni))blic;itp ili varie liiij^iie, nessun autoi-e le aljhia ricordate
ed abbia avuto cura di rendere giustizia a chi le istituì,
le enunciò e coraggiosamente le difese quando pochi vi
credevano. Siii»})osta, questa contrattilità, a prioì-i perché
considerato (|uale fattore meccanico indispensabile alfinchò
il fluido sanguigno non mai interrompesse il suo corso e
giunto nel sistema capillare necessariamente venisse spinto
in (quello delle vene, fu negata allora quando lo studio
della tìne anatomia dei vasi dimostrò che i capillari non
contengono fibre muscolari. Ed è per una ragione consimile
che il Ctuv (Lione 1885. Movimenti propri dei vasi) trala-
scia di occuparsi nella sua bella tesi di questi infimi tubicini.
Si deve alla estrema finezza dell'osservazione il motivo
per cui questo fenomeno fu per tanto tempo posto in dubbio.
E necessario insistere pazientemente nella osservazione e
ripeterla magari tre o quattro volte perchè — per cause
che ora ci sfuggono — non in tutte le rane è dato osser-
varlo così distintamente. A noi fu solo concesso sorpren-
derlo in un modo splendido e meraviglioso nella quinta rana.
Bisogna che 1' animale sia nel più assoluto riposo e
colle contrazioni del tessuto della lingua non provochi dei
movimenti che sono affatto riflessi e che nulla hanno a
che fare con quelli che descriviamo. Inoltre che non si sieno
portate delle lacerazioni di entità nello spiegare e fissare
la lingua.
In quanto al tempo in cui essi si manifestano nulla si
può dire di preciso. In alcuni casi si osservano relati-
vamente presto, in alti-i assai più tardi. Per poterli seguire
noi non ci siamo un sol breve istante in tutto il giorno
distaccati dall'animale. Nel momento in cui è dato assistere
in tutta la sua meravigliosa evidenza a questo fenomeno,
ritorna alla mente la definizione data da Stricker a questi
capillari : « protoplasma in forma di tubi » tanto essa è
vera ed esatta. Stricker li ha osservati in modo evidentis-
simo nei girini giovani.
A chi li volesse osservare in modo distinto noi pos-
(71-) [10]
siamo raccomandare anche le larve degli assolotti e dei
tritoni (Triton taeniatus) allorquando sono provvedute di
vasi. La irritazione più opportuna è quella col nitrato di
argento. Rouger, Muller, Tarcanoff, Golubew li hanno stu-
diati nei mammiferi ed affermano di averli assai bene
constatati.
Ecco Ijrevemente in che consiste questo movimento.
Anzitutto dobbiamo distinguere nel vasellino due sorta di
movimenti, movimenti di totalità, e ìnovimenti di parzia-
lità. I primi sono movimenti che modificano esenzialmente
il lume capillare, ora restringendolo, ora dilatandolo. Si
ponno talora sorprendere eziandio dei leggeri movimenti
di incurvatura e di spostamento del capillare intero per un
certo spazio. Ma ciò è assai raro.
La figura 3 ci offre un esempio meraviglioso di quanto
abbiamo riferito. Mentre in a abì)iamo il capillare allo
stato, diremmo di riposo, nelle sue due successive modifi-
cazioni b, e sono disegnati dei movimenti di totalità (re-
stringimento del lume e spostamento del tubo).
Anche nella figura 4 abbiamo nella modificazione h, e
uno spostamento di totalità per quanto breve però.
Molti hanno confuso queste contrazioni con quelle che
si osservano negli altri vasi di calibro maggiore. Ciò non
è esatto. Onimus e Legros (De la circulation), le hanno de-
scritte col nome di peristaltismo capillare. Reuter, Speck le
hanno attribuite a movimenti ondulatorj comunicati dal
sangue. Burdach, Hunter a propagazione dei movimenti dei
vasi arteriosi. E tutto affatto differente il modo di contrat-
tilità di cui vogliamo parlare. Ziegler nelle sue belle ri-
cerche embriologiche ha dimostrato che sono le cellule
semoventi della superficie del sacco vitellino quelle che
vanno a formare le prime cellule endoteliali dei vasi.
Queste cellule conserverebbero ora più ora meno a lungo
le antiche proprietà. Stricker, Goloul)ew, Klebs, Metchni-
koff, in alcune loro ricerche sulla struttura dei vasi hanno
anch' essi dimostrato il fatto della loro contrattibilità, con-
[Ili (7i:>.)
ti'attihilità del i-i'sto [ìui-c aniiiuissa ^ià da Hovei*, Aiierhacli,
Ebei'tli, Aeby.
Non è a(liiii(|U(' da intoiidcM'si (ini la pi-o^i'essiva ondu-
lazione in i-aj)i(()i'to alla elasticità e nutriziono della parete
vasale, ma sil)))ene ([uella contrattibilità propria, sai-codica
del pi'oloplasnia. Tanto che Eherth, Lewschin ritenj^ono
([uesti va.sellini costituiti esclusivamente da una massa di
protoplasma. Cosichè, se ci fosse permesso di adoperare una
fase molto poco esatta ma assai esplicativa, secondo questi
AA. i capillari minimi non sarebbero che dei plasmodi,
cioè un ammasso grande di protoplasma con dei nuclei e
delle vaste ramificazioni, vuote però nel loro interno.
Arnold opina che dalle cellule endoteliali dei vasi si
formano dei cordoni protoplasmatici dapprima indifferen-
ziati, poscia provisti di nuclei. Nella loro ulteriore evolu-
zione si renderebbero cavi per costituirsi in tubi capillari.
Rouget nella larve di anfibio osservò che questi vasi sono
formati da cellule embrionali fornite di nucleo e presen-
tanti, nel loro protoplasma, dei piccoli spazi sferici perfet-
tamente vacui. 11 protoplasma di queste cellule invia delle
espansioni che unendosi ad altre, e a poco a poco subendo
la modificazione descritta da Arnold, formerebbero dei vasi.
Da tutto ciò adunque dobbiamo arguire che la contratti-
bilità di ([uesti tubi è la stessa che presentano le cellule
linfatiche nello stato ameboide.
Ed oi-a veniamo alla seconda maniera di espansione.
Il movimento di parzialità o, come meglio potrebbe
definirsi, di gemmazione è caratterizzato dal protendere
della parete esterna del capillare a mo' di ansa la quale, da
prima poco evidente ed a base larga, va facendosi succes-
sivamente più sporgente, sottile, a base molto più breve ;
può prolungarsi in maniera da assumere tutta la parvenza
di un sottile capillare. Nella figura 3* questo fatto è
illustrato nelle modificazioni è e e del capillare nei punti
d e d' ; nella figura 'ò'^ m d q d' e nella tìg. IV nelle mo-
dificazioni b e e in d e d\ Generalmente questa gemmazione
pl4) [12J
avviene in modo estremamente lento, però qualche volta
(nella rana 12^ del nostro protocollo) essa si formò e de-
lineò assai evidentemente in capo a circa 20^ E un fatto
questo passivo della parete del globulo e sotto la dipen-
denza della corrente sanguigna, come da qualcuno si volle,
oppure invece è un fatto attivo del protoplasma capillare ?
Sebbene altri ai'gomenti e di un certo valore non man-
chino per farci giudicare secondo questa ultima interpre-
tazione, il più decisivo naturalmente sarebbe stato quello
di osservarli nei capillari vuoti. Ora noi non neghiamo
che questo sia possibilissimo, ma a noi non fu possibile
osservarlo.
Vi ha un fatto però die dimostra la spontaneità di
tali movimenti. La figura 4 ce lo rende in un modo assai
chiaro.
Nella figura V sono disegnati ìtì a e b due capillari
abbastanza vicini 1' un F altro e che sono due ramifica-
zioni partitesi dallo stesso tronco. Nella stessa figura noi
vediamo come si comincino a disegnare molto marcata-
mente in de iV le due sporgenze nella parete dei capilla-
ri, a e b . Nella fig. VI queste sporgenze cominciano a
presentarsi nella modificazione b, ad aumentare in (juella
e , a fondersi in d , e di nuovo da dessa protunderne
un' altra in e . Certo, a rigor di termini chi volesse
sottilizzare sopra potrebbe obiettare che questo fatto non
dimostra in modo assoluto la modificazione autoctona del
capillare perchè la simultaneità e corrispondenza delle
due gemmazioni potrebbe sempre ripetersi dalla pressione
della corrente , pressione facile ad esercitarsi sul vaso
in questo periodo nel quale esso ha perduto molto del-
la elasticità sua, ed il tessuto ambiente molto della sua
tensione. Keller, Falk, Kus.s, Landererer, Bauer hanno di-
mostrato che nel i)ri)cesso infiammatorio anche nello stato
suo iniziale la tensione dei tessuti è d' assai infiacchita.
I vasellini capillari decorrenti lungo questi tessuti colpiti
dalla flogosi non essendo più sostenuti colla necessaria
[l.TI (715)
validità 0 la loro elasticità non essendo sufficiente a resi-
stere alla })réssionc della corrente, cedono, si deformano, si
sfiancano.
Però — come in seguito vedremo — le alterazioni
che avvengono nel vaso per effetto della pressione del
sangue non possono e non debbono esser confuse colle
moditìcazioni della gemmazione. La differenza è cosi gros-
solana che non ammette assolutamente nessun confronto.
Del resto i disegni tratti dal vero che noi riportiamo lo
provano in un modo indiscutibile (V. iìg. VII).
Vi sono poi altri esperimenti che permetterebbero a
l)arer nostro di dimostrare esser dovuti questi movimenti
all'attività spontanea del protoplasma. Uno di noi (Castellino)
ha studiato l' azione deprimente che hanno certe sostanze
sulla contrazione del protoplasma allo stato normale. Egli
ha dimostrato che la cocaina, l' idrato di cloralio, la paral-
deide, il cloroformio esercitano su di esso un'azione mar-
catamente paralizzante anche a dosi molto inferiori a quelle
trovate da Albertoni, Richard, Schurmaver, Cavazzani Al-
berto. Noi, col metodo di Bernard, abbiamo immerso delle
rane in soluzioni all' 1 : 200, 1 : 250, 1 : 300, 1 : 350, 1 : 400
di paraldeide e di triclorometano lasciandovele per 5^-10^-
15''-30'-40 -70^-90''. Cosi abbiamo potuto vedere che a se-
conda del titolo della soluzione e del tempo in cui le rane
rinuisero immerse, questa contrattibilità dei capillari è più
o meno affievolita e depressa. Le ultime soluzioni, quando
agiscano per circa 70^-90'' sono capaci di impedirle asso-
lutamente.
Ed ora ritorniamo alla descrizione delle modificazioni
che continuano a succedersi nella parete del vaso. Perchè
\)eì momento è questo il fatto più interessante cui ci è dato
assistere e che })er la sua importanza merita di essere de-
scritto con qualche lai^ghezza di dettaglio.
Mentre che la corrente sanguigna seguita a fluire
lentamente con un movimento quasi ritmico di va e vieni,
il fenomeno dello ispessimento si va facendo sempre più
T. IV, S. VII 47
(716) [14]
rilevante al punto che il lume vasale assume quasi l'aspetto
degli strangolamenti nervosi. Non è un ispessimento uni-
forme e continuo, presenta, come lo mostra la fig. V«, dei
rigonfiamenti e delle insenature, per cui la linea della
demarcazione della corrente può immaginarsi tracciata
come una linea variamente ondulata.
In uno di questi punti sinuosi dove la curva sporgente
è assai marcata e la parete più sottile, può esser concesso
di vedere il dipartirsi ed il protundere di una gobba che va
facendosi via via sempre più marcata sporgente e sottile di
maniera che lo spazio maggiore che collo spostamento in
quel punto della parete vasale essa determina può essere
assai ampio. Questa dilatazione vasale è evidentemente do-
vuta alla pressione del sangue, il quale continuando ad
affluire nel vaso e trovando probabilmente il suo passaggio
ostacolato in qualche porzione del territorio capillare suc-
cessivo, fa ernia sopra un punto più cedevole della parete del
tubo medesimo (V. fig. VII). Questa pressione può estrinse-
carsi pure in varj punti del vaso e, se non fosse per non mol-
tiplicare troppo le figure, noi vorremmo stralciare dai nostri
protocolli dei disegni molto interessanti. In un caso abbiamo
potuto assistere a questo grazioso fenomeno: cioè alla forma-
zione successiva di più ernie l'una all'altra contigua e tutte
dallo stesso lato della parete. Se il sangue continua ad af-
fluire e senza trovare una sufficiente libertà al suo pas-
saggio, allora la pressione sua non si limita ad allargarsi il
territorio del lume mercè queste insenature. Una di queste
ernie, od anche, naturalmente a seconda del caso, varie,
seguita a cedere sempre più assottigliandosi fino a che final-
mente la sua parete si lacera.
Questa rexin ed il modo in cui essa avviene rilevano
la sensibile alterazione patita e la diminuzione della ela-
sticità e resistenza delle cellule endoteliali.
Ma vi è ancora un altro fatto che col progredire dello
ispessimento della parete si accentua esso pure parallela-
mente. I limiti parietali esterni del capillare lisci, netti,
[15] (717)
distinti (hi prima, haiiiio adesso assunto una foi-nia rugosa
dentellata (tig. Vili).
Se la lingua della rana col metodo abituale, viene trat-
tata col nitrato di argento e colorita, le striature unitive
non presentano gran che di modificato. Esse non hanno
più la primitiva regolarità di demarcazione delle singole
cellule, perchè corrono lunghi tratti di tessuto endoteliale
in cui è possibile vederle separate le une dalle altre. Queste
cellule, di cui allo stato normale è molto difficile poterne
distinguere il protoplasma e che sono rilevabili quasi esen-
zialmente per il loro nucleo, ora invece appariscono assai
grandi, con contorni assai bene delineabili, con un proto-
plasma grossolanamente granuloso a fini e medj granuli.
Talvolta esse sono cosi grandi che per lunghi e ripetuti
tratti sembra che riempiano tutto il lume del vasellino.
E questo il periodo della diapedesi.
I globuli bianchi adossatisi alla parete e contratta con
essa quasi una aderenza, favoriti dalla scarsa corrente, si
dispongono con visibile preferenza nelle insenature del lu-
me, mentre che le emasie procedono, lungo le strozzature
della. parete, in numero scarsissimo a lasciarsi trascinare
dal plasma il quale scorre con sensibile lentezza (fig. IX,
X, XI). Cosicliè col sopragiungere sempre di nuovi leuco-
citi i quali hanno tutto l'agio di potersi disporre lungo le
pareti vasali la corrente ingombrata si fa sempre più dif-
cile al punto che cessa quasi assolutamente permettendo solo
il passaggio al plasma ed alle jìoche granulazioni che tra-
sporta sospese.
Tralasciamo di occuparci del fenomeno della diapedesi
il quale ci allontanerebbe dallo scopo prefissoci e sul quale
non abbiamo voluto istituire delle indagini.
Allontanatisi poco per volta la maggior parte dei leu-
cociti sia passando coi loro processi ameboidi attraverso le
pareti del vaso molli e cedevoli, sia seguendo 1' asse del
tubo noi veniamo così a trovarci d' innanzi ad un capillare
(ri8) [16]
ricco ancora di pochi elementi morfologici abbastanza ben
conformati.
Dopo un certo periodo, lentamente le emasie cadono in
uno stato di progressiva necrobiosi si che appena appena
r emoglobina discioltasi e la parete ispessita lasciano intra-
vederne in modo assai sfumato la loro forma. La fig. XII
ci presenta questo capillare in periodo di stasi completa.
II liquido sanguigno sembra composto di nuU'altro che
della sua sostanza colorante, attraverso cui emerge qua e là
aiicora qualche raro leucocita.
A poco per volta il contenuto endovasale si riduce
a nuli' altro che ad un po' di plasma colorito piuttosto
marcatamente di emoglobina ed assolutamente libero di cor-
puscoli.
In queste condizioni })uò rimanere il capillare per
molto tempo prima che in esso si appalesino delle modifi-
cazioni degne di essere rilevate.
Ed ecco in che cosa consistono queste modificazioni
sulla cui natura non avanziamo, con preferenza che ad altre,
alcuna ipotesi. — Per ora teniamo solo a riferire il feno-
meno come ci si appalesa. Più tardi forse ripigliando di
nuovo r argomento e studiandolo con più estensione e pro-
fondità di quello che ci venne permesso di fare in tali ri-
cerche, già per sé stesse non facili e non senza qualche
fatica, vedremo se ci sarà possibile formulare una opinione
nostra.
E bene scegliere a tal uopo possibilmente un capillare
privo assolutamente di elementi morfologici non solo, ma
anche di plasma carico di emoglobina. — E ciò non è molto
facile.
Mentre la parete interna del vaso ci si appalesa, nella
sua spessezza ed ondulazione, relativamente liscia ed uni-
forme cominciano a presentarsi alla sua superficie delle
piccolissime salienze che poco per volta gemmando si tra-
sformano in veri bottoncini rotondeggianti, i quali lenta-
mente crescendo ed aumentando di volume arrivano a rag-
[17] (710)
giunf]^ert> il diaiiietro di 4;4, 2; 4, 4 |x. Essi a (iiiesto punto
cominciano a distaccarsi dalla jìaivte onde son soi'ti e solo
vi rimangono aderenti per un sottile [ìi-olungamento molto
facile a spezzarsi. Rotto (jnesto cadono nel lume e non
presentano movimenti ameboidi. Dopo un certo temjìo (due
ore circa), sempre la superficie endoteliale continuando ([Vd
e là a gemmare, si può vedere il vaso costellato di questi
piccoli globetti (tìg. XIII).
Non sapendo se tale fatto sia stato descritto, e quasi
dubitando che quella osservazione continuata ed insistente
potesse per avventura farci supporre i)iù di quanto non
fosse, abbiamo voluto che altri colleghi assistessero al
fenomeno.
Lo stesso Egregio Dottore Signor Andrea Peggian che
volle con una rara abnegazione prestarsi a disegnarci dal
vero la maggior parte delle figure che abbiamo presentato,
fu pure colpito dal fatto senza che noi studiatamente gliene
avessimo parlato. La figura che egli ci disegnò rappre-
senta in modo, crediamo evidente, il fenomeno descritto.
Abbiamo a lungo continuata anche con fortissimi in-
grandimenti, la osservazione di questi corpuscoli ma nessun
fatto essi hanno presentato degno di nota. Sono essi dovuti
al nucleo che si distacca ed abbandona la cellula endo-
teliale ? Sono essi porzioni del protoplasma di questa cellula
medesima ? Sono là due ipotesi a cui non sappiamo che ri-
spondere di aff"ermativo.
Molto interessante sarebbe stato il poterli seguire a
lungo anche per varie ore, disgraziatamente avanti che
tutto questo tempo sia percorso la morte coglie il vaso e
vi jiorta delle profonde alterazioni.
L' endotelio si sfascia, il tubo si lacei-a e non riman-
gono che dei brandelli e monconi abbandonali sul blastcma
anch' esso gravemente leso.
[19] (721;
Il M. E. prof. De Giovanni, cliiosta la pai-ola, af^giurij^e:
Sento il dovere di ringi'aziare piiblicamente l' egregio
Dottor Castellino per due ragioni : — prima di tutto, per-
chè, colpito dalla importanza dei fatti da me pubblicati,
ha voluto constatarli con osservazioni proprie; — in se-
condo luogo, perchè ha reso di publica ragione i risultati
che ha raccolto, facendo giustizia dei fatti scientifici e di chi
per il primo avevali rilevati, apprezzati secondo i concetti
delle vigenti dottrine biologi clie ed anche applicati alla
patologia. Ed in vero, tutti i miei lavori sull' argomento
mirano a stabilire : che la parete del capillari è di natura
protoplasmatica; che i capillari possono presentare tutte
le proprietà del protoplasma, tosto che in essi si manifesti
rallentamento circolatorio, incipiente stasi, cioè: il moci-
menlo caratteristico, non che il fenomeno della produzione
di elementi embrionali; — che al moviìnento protopla-
smatico si devono le deformità vascolari, rdteriori alte-
razioni circolatorie nel vaso ed anche V emorragia per
rexin.
In questi tempi, nei quali si pronuncia e si agita la
lotta per la vita nel modo più acuto e precipitoso, anche
nel campo scientifico si portano le armi e si estende la
lattica per la lotta. — Un momento tattico è il silenzio e
la cospirazione del silenzio è delle più formidabili.
Non voglio muovere accuse, ma semi)licemente consta-
tare : che la mia i)riiiia memoria venne presentata al R.
Istituto lombardo di Scienze e Lettere nel 1875 e nello
stesso anno publicata sulla Rivista clinica di Bologna
e che nel 1881 ristampai le stesse cose, applicandole
allo studio del processo infiammatorio sulla Gazzetta me-
(722) [20]
dica italiana delle provincie venete e nel 1882 sul Bol-
lettino scientifico di Pavia col titolo : Cuntributo alla fisio
patologia dei capillari sanguigni. Della mia memoria scritta
sulla Gazzetta medica venne riportato un sunto completo
sul giornale medico di Breslavia — il Breslauer arztlicher
Zeitschrift. Era dunque ragionevole che attendessi il giu-
dizio degli studiosi sopra il fatto mio. Da quanto loro Si-
gnori hanno inteso dalla esposizione del D.'" Castellino, il
giudizio avrebbe dovuto essere favorevole, se dopo di me sono
stati osservati i fatti stessi che io aveva descritto ; ma il
giudizio suir opera e suU' autore dell' opera non si intese e
si lasciò neir oblio 1' uno e 1' altra. Faccio pure notare, che
tutte le memorie suricordate erano corredate da figure, le
quali ho il piacere di riprodurre, perchè si vegga se io
abbia realmente recato dei fatti e se questi abbiano la im-
portanza che ha loro attribuita.
Eppure, o Signori, io mi maraviglio che coloro i quali
coltivano studi biologici e del nome di biologisti fanno
quasi bandiera, non abbiano riconosciuto e non ancora tutti
egualmente riconoscano che cosa significa spingere l'osser-
vazione nel dominio dei vasi capillari sanguigni ; vale a dire
dove si osserva nel pili stretto convegno la funzione di tre
elementi — la cellula, il vaso, il nervo ; — dove quindi si
sorprendono processi morbosi nelle loro prime evoluzioni
morfologiche e si possono scorgere fenomeni che prestano
seri argomenti per discutere molte teorie e molte inco-
gnite. — Lo ripeto volentieri, clie non è lieve l' interesse
scientifico ripresentato oggi innanzi a noi dal D.'' Castellino.
E credo di bene appormi, se affermo, che anche questo
illustre Consesso sarà grato a lui ; perchè fra le circostanze
scientifiche e quelle di tempo e (juelle di persona, sorge
una questione di priorità intorno a fatti e principi scien-
tifici, il cui merito deve pur essere attribuito alla loro terra
natale. Imperocché, tosto che sieno esaurite le cure degli
studiosi intorno a particolari scientifici oggi, come suol
dirsi, all' ordine del giorno, torneranno ad argomenti la,-
[21] (721^)
sciati sospesi e vi toi'iieraniio con vedute nuove. E se la
Storia ufficiale non avi'à registrato ({uello che venne dianzi
annunziato al li. Istituto, si ripeterà il fenomeno già troppo
frequente nella storia delle scienze — V oblio per la ini-
ziativa italiana, tanto nell' osservare, quanto nell' intuire
il significato delle cose osservate.
Unicuique suicm.
Ecco intanto alcuno delle jìguì'e che stralcio dalle
mie memorie precedenti colle relative spiegazioni :
Fig.^ 1. — Vaso capillare normale a pareti aniste della
lingua della rana.
Fig.^ 2. — Alterazioni del contoi*no vasale osservate
nel tempo che si rallentava la corrente sanguigna.
Fig.^ 3. — In a mostra una produzione nucleare
osservata durante la stasi. E un esempio del fenomeno, il
quale si ripro luce con maggiore frequenza. Volli rappre-
sentarlo così isolato perchè è il risultato della mia prima
osservazione che per più ore diressi sul medesimo punto.
In h fa vedere una sporgenza vasale prodottasi durante la
stessa osservazione. In un punto si vede un cumulo di pro-
toplasma che pare interrompa la continuità del parete.
Fig.'^ 4. — In a un' altra sjìorgenza vasale, che in h
ed in e si vede mutare di forma.
Fig.'"' 5. — In a un vaso con due s})orgenze una svi-
luppatissima, 1' altra meno ; — in b un ansa vascolare ri-
sultante dall'incontro delle due prime avvenuto dopo diversi
mutamenti di forma.
F'ig.'^ 6. — Oltre ai fatti notati precedentemente, ho
veduto la parete vasale aumentare di spessore a, a ; in
(jualche punto più circoscritto l' aumento dello spessore
farsi d' assai maggiore, assumere aspetto visibilmente gra-
nuloso come in h e in mezzo alla massa granulosa compa-
rire piccoli globuli rotondeggianti.
(724) [22]
Fig.* 7. — Qui si osserva in a, a, a lo stesso feno-
meno che vedemmo nella figura precedente ma più evi-
dente, cosi che si venne assotigliando la colonna sanguigna.
La quale per effetto della maggiore produzione della parete
vasaio s' interompe completamente.
Fig.^ 8. — Nel modo dianzi ricordato si venne a pro-
durre r alterazione vasale che mostra questa figura — si
direbbe una stasi bianca a, a, a, a, a. Va rilevato quanto
osservasi nell' angolo formato dalla divisione dicotomica
del vaso, cioè una sostanza granulosa eguale a quella che
riempie il vase, in mezzo alla quale stanno elementi
embrionali.
Fig.* 9. — Dimostra come la parete vasale, mentre
subisce quei mutamenti di forma che vedemmo, possa inte-
rompersi e dar luogo a fuoriuscita di sangue — vera emor-
ragia per rexin.
Fig.^ 10. — E un capillare che rappresenta due fatti.
Mentre si sta osservando, massime in principio dell'esperi-
mento, si vedono delle contrazioni totali del vaso, che nel-
r istante rapidissimo nel quale dura la contrazione piglia
nel punto osservato la forma riprodotta nella figura. La
stessa alterazione di forma ho veduto, non fugace, ma per-
manente in altri vasi in fine dell'esperimento. Nel primo caso
non v' è interuzione della colonna sanguigna, che si osserva
invece nel secondo.
Tralascio di ricordare altre cose, delle quali non è
qui il luogo.
SOFIR-j^ XJISr GA.FIT01L.0
ATTTRIBUITO A
GALILEO GALILEI
NOTA DEL M. E. ANTONIO FA VARO
Sulla fede di un codice magliabechiano che, tra altri
componimenti poetici, dichiara contenere un « Capitolo del
Sig/ Galileo Galilei contro gli Aristotelici » del quale non
era menzione alcuna né appresso i biografi del sommo
filosofo, né in alcuna delle raccolte delle di lui opere, né
in altri manoscritti a me noti, confortato dal parere di
uomini competenti nelle cose letterarie, i quali con me vi
avevano trovato argomento per stimarlo effettivamente
galileiano, ho giudicato opportuno di pubblicarlo come tale
negli Aili di questo nostro Istituto (^). Ma eccf/ che l'amico
e collega prof. Guido Mazzoni mi avverte cV'e questo me-
desimo capitolo trovasi, quantunque con titolo alquanto
diverso, pubblicato tra le satire di Iacopo Soldani date
per la prima volta alla luce nel 1751 per cura di Anton-
francesco Gori (2). Mi affretto pertanto a denunziare l'equi-
(1) A. Fa VARO, — Capitolo inedito e sconosciuto di Galileo Galilei
contro gli Aristotelici. (Atti del R. Istituto Veneto di Scienze^ Lettere ed
Ani. Serie VII. Tomo III, pag. 1-12). Venezia, stab. di G. Antonelli,
1892.
(2) Satire del Senatore Jacopo Soldani patrizio fiorentino con
(726) [2]
voco nel quale sono caduto, il quale, spero, mi sarà per-
donato da' chi rifletta a quanti, e ben maggiori di me, anzi
maestri nelle cose letterarie, sono purtroppo occorsi di con-
simili errori. Per mia maggiore giustificazione aggiungerò
soltanto che, se ritorno sull' argomento, si è appunto per
porgere le prove che il capitolo in questione non sembra
essere di Galileo, e questo perchè il suo sapore galileiano è
tale da indurre studiosi peritissimi nel sospetto che sia stato
per errore al Soldani attribuito.
Poiché dunque le satire del Soldani vennero date alla
luce da Antonfrancesco Gori, abbiamo stimato opportuno di
cominciare dal prendere in esame i manoscritti di questo,
i quali trovansi presso la Biblioteca Marucelliana di Firen-
ze, e fra essi, e precisamente nel Cod. Maruc. A. CLXXVI,
trovammo il manoscritto che servi molto verosimilmente
alla stampa : in esso il capitolo « contro i peripatetici »
occupa le car. 18-25, e in dieci carte non numerate
seguono le note, ripetute poi anche in altre carte del co-
dice medesimo {^).
Per chi volesse istituire studi speciali sulle satire del
Soldani, il codice Magliabechiano, nel quale noi abbiamo
rinvenuto il capitolo attribuito a Galileo, offrirebbe alcune
notevoli varianti in confronto del codice Marucelliano e
annotazioni date ora in luce la prima volta. In Firenze, MDCCLI. Nella
stamperia di Gaetano Albizzini, pag. 49-57.
(1) Mi sembra di dover notare che in questo medesimo codice,
col titolo di « Abiurazione del Peripateticismo » trovasi un sonetto del-
l' Abg,te Falconieri, indirizzato al Conte Lorenzo Magalotti, sonetto
munito di lunga coda, nella quale, rivolgendosi ad Aristotile, scrivo :
« Il nostro OiUileo
« T' ha fatto, col suo Occhiai, chiaro vedere
« Che sogni son quelle tue salde sfere :
« E a dirti il mio parere,
« A me non quadra piii quella dottrina
« Di por pianeti e stelle in gelatina. »
[?.] (727)
(Iella stampa ; ma pci-clir di ciò non facciamo argomento
ai nostri studi ed alle nostre ricerche, ci contenteremo di
avervi richiamata 1' attenzione di chi potrebhe avervi
interesse.
L' esame poi delle annotazioni del Gori, per verità
soverchiamente copiose e prolisse, mette in chiaro che, an-
che per ciò che si riferisce alle illustrazioni concernenti i
varii personaggi nelle Satire menzionati, esse gli riuscivano
tutt' altro che facili ; e mentre nello stampato vi accenna
come a cose a tutti notissime, risulta dal manoscritto che
egli durò, e specialmente per alcuni, fatica grandissima a
procurarsi notizie, pur volgendosi da ogni parte e ricor-
rendo a letterati ed eruditi con i quali si trovava, come è
ben noto, in istretta relazione. Come a noi, anche al Gori
])orse motivo di lunghe ricerche il « Dottor Bozzio, » o
« Hozio », come leggiamo nella stampa, intorno al quale
egli ci avverte che il Menzini adoperò ancor egli questo
nome nelle Satire :
« Sei- Hozio, che non sa come si fare
Ad arricchir, facendo il Dottoraccio,
S' è messo a tentennar presso un Altare. »
ed aggiunge : « Bozio, nome finto, sotto cui intende alcuno
degli avversarli del Galileo, e forse parla del filosofo Ce-
sare Cremonino, il quale difendeva a tutto costo contro al
Galileo il Cielo del suo Aristotile inalterabile ed esente da
qualunque accidentale mutazione : ed il medesimo Galileo
nel suo Discorso intorno alle cose che stanno sull' acqua,
(lice al Granduca Cosimo II che gli Aristotelici suoi av-
versarli mettono in sospetto ciò che non esce dalle Scuole
Peripatetiche » (i).
Quanto agli altri personaggi de' quali è menzione o
(1) Satire del Senatore Jacopo Soi.dani, ecc. pag. 79.
(728) [4]
a' quali si accenna nella Satii'a, fui ben lieto di appren-
dere dalle note del Gori che io avevo imbroccato giusto,
indovinando rispetto ad uno di essi, (i) e forse giungendo
rispetto ad un altro più in là dei l'isultati da esso conse-
guiti ; almeno per ciò che consente di argomentare il con-
fronto fra le note stampate e le manoscritte {^).
E quantunque non abbia motivo di rallegrarmi per
l'equivoco nel quale sono caduto, pure non me ne rammarico
troppo, perchè la mia attenzione e quella pur d'altri vennero
per tal modo richiamate su questo Capitolo, il quale, se anche
non di Galileo, deve tuttavia risguardarsi come galileiano, e
notevole tanto per sé stesso, quanto per le relazioni nelle
quali trovavasi il riconosciuto autore di esso, Iacopo Sol-
dani, con Galileo, relazioni intorno alle quali, poiché ce
se ne porge 1' occasione, vogliamo soggiungere brevissime
parole.
Nacque Iacopo Soldani in Firenze l' anno 1579 di
Bernardo e di Ginevra di Francesco Aldobrandini, e si
dedicò allo studio delle leggi e delle belle lettere. Vogliamo
notare, poiché si tratta di cosa concernente un personaggio
galileiano, (3) che egli lesse 1' orazione funebre in lode di
Luigi di Piero Alamanni. Persona gratissima alla Corte
(1) Accenno al Paolsanti, rispetto al quale m' era sfuggito che il
Targioni-Tozzetti ne fa espressa menzione, scrivendo : « Antonio Pa-
olsanti, aiutante di camera del Serenissimo Gran Duca prese 1' appalto
del Diaccio per lir. 400 1' anno (che poi lo comprò da lui Madama Se-
renissima, e lo donò et applicò al mantenimento delle Monache Con-
vertite). » — Cfr. Notizie degli aggrandimenti delle scienze fìsiche ac-
caduti in Toscana nel corso di anni LX del secolo XVII raccolte dal
Dottor Gio. Targioni-Tozzetti. Tomo Terzo. In Firenze, MDCCLXXX,
pag. 223.
(2) Alludo al Broccardi, il quale mi sembra non risulti abbastanza
identificato dalla annotazione del Gori, per quanto scriva trattarsi di
persona notissima a' suoi tempi.
(3) Le Opere di Galileo Galilei. Edizione Nazionale sotto gli auspicii
di Sua Maestà il Re d' Italia. Volume Primo. Firenze, tip. di G. Barbèra,
1890, pag. 183.
[5] (729)
di Toscana, vi ebbe le cariche di Cameriere del Granduca,
e d'Aio e Maestro di Casa del Principe Leopoldo, ed agli
iifTici che in tal carica egli ebbe a disimpegnare dobbiamo
le due sole lettere a Galileo che di lui ci siano pervenute :
l'una di esse si ha già alle stampe, (i) l'altra, rimasta finora
inedita, ("^) stimiamo opportuno di (jui appresso pubblicare:
« Questa Serenissima Altezza (^) ha ricevuta quella
parte d' Archimede che VS.^ Ecc.'"^ le ha mandata, che è
stata opportuna, avendo in essa studiate quelle proposizioni,
elle appartengono alla materia delle galleggianti, che ulti-
mamente aveva alle mani nel suo trattato, e quando il Sig.
Viviani ara finito di studiare il restante, VS.^ Ecc.™* lo
potrà inviare all' Altezza Sua, la quale aspetta con deside-
rio la sua risposta al Sig. Liceti, (*) ed ha ammirato la
di lui intrepidità, che non si sbigottisca dalla moltiplicità
degli avversari, e la saluta caramente, ed io rappresen-
tando a YS.^ Ecc."* la mia osservanza le fo aff'ezzionatissima
reverenza.
Di Siena, 21 novembre 1640. »
Dalla lettera che si ha alle stampe risulta che al Sol-
dani furono anche indirizzate lettere dal nostro filosofo; ma
nessuna tra esse pervenne fino a noi, almeno per quanto
risulta dalle ricerche sino ad ora da noi istituite.
Scolaro di Galileo è detto Iacopo Soldani dal Sal-
{[) Le Opere di Galileo Galilei. Prima edizione completa, ecc. Tomo
X. Firenze, 1853, pag. 134.
(2) Biblioteca Nazionale di Firenze. — Mss. Galileiani. Parte I.
Tomo XII, car. 192.
(3) Il Principe Leopoldo, poi Cardinale, de' ^Iedici.
(4) Qui deve accennarsi alle aggiunte e modificazioni che Galileo
stava preparando, e per avere le quali ripetutamente insiste il Liceti
nel suo carteggio; giacché la risposta era stata dal nostro filosofo man-
data al Principe Leopoldo fin dall'aprile 1040.
(730) [61
vini, (1) dal Gori, ("^) dai Targioni - Tozzetti (•') e dai
Nelli ; (*) ma io non credo che come tale sia da risguar-
darsi nello stretto senso della parola : quando il sommo fi-
losofo e])l)o fatto ritorno in Firenze, il Soidani aveva già
varcato il sesto lustro, ed era tredicenne appena quando Ga-
lileo lasciò la cattedra di Pisa per quella di Padova, sicché il
periodo della di lui istruzione si coni})! mentre il nostro
filosofo era fuori della Toscana. Molti, che dai Ijiografi di
Galileo son detti suoi scolari, non fecero che seguirne le dot-
trine e schierarsi dalla sua parte nelle numerosissime lotte
eh' egli ehbe a sostenere contro i peripatetici ed i teologi;
e tra questi ai)punto noi pensiamo che debba annoverarsi
il Soidani, il quale perciò, ma impropriamente, venne detto
discepolo suo.
Iacopo Soidani mancò ai vivi addi 11 aprile 1641 e
fu sepolto in Santa Croce.
(1) Fasti Consolari fieli' Accademia FHorentina di Salvino Sal-
tini, Consolo della medesima e Rettore Generale dello Studio di Firenze.
In Firenze, M.DCC.XVII, nella stamperia di S. A. R. per Gio. Gaetano
Tartini e Santi Franchi, pag. 362.
(2) Satire del Senatore Jacopo Soldani, ecc. pag. 58.
(3) Notizie degli aggrandimenti delle scienze fisiche accaduti in
Toscana nel corso di am%i LX del secolo XVII raccolte dal Dottor Gio.
Targioni-Tozzettl Tomo Primo. In Firenze, MDCCLXXX, pag. 188.
(4) Vita e commercio letterario di {Galileo Galilei^ ecc. scritta da
Gio. Batista Clemente de' Nelli, ecc. Volume II. Losanna, 1793,
pag. 771.
GLI OPPOSITORI DI GALILEO
Stt DI DEL M. E. ANTONIO FAVARO
In un primo scritto da me presentato all'Istituto intorno
a questo argomento (i) ho già avuto 1' onore di chiarire
quali fossero i miei intendimenti nell'accingermi a dare in
luce questa nuova serie di studi galileiani. Imprendendone
pertanto la continuazione, mi preme di porre in evidenza
come nel far precedere gli uni agli altri questi saggi con-
cernenti gli studiosi, più 0 meno degni di questo nome, i
quali si levarono contro Galileo e contro le scoperte da lui
annunziate e dimostrate, non mi sono prefissato di seguire
alcun ordine né di tempo né di luogo, ma di seguire il
mio talento e le occasioni che dalla continuazione delle
mio indagini mi sarel)l)ero state offerte. Cosi, dopo aver in-
cominciato a trattare di uno che in ordine di tempo fu tra
gli ultimi oppositori di Galileo, rivolgo ora la mia attenzione
ad altro il quale non fu nemmeno egli de' primi e che il
sommo filosofo volle distinguerle dalla folla, esprimendosi a
di lui riguardo con singolare benevolenza.
E la occasione me ne é off'erta dalla pubblicazione di
un lavoro, che, per gentile e lusinghiero incarico avutone
dall'egregio autore, ebbi già l'onore di presentare all' Isti-
(1) A. Fa VARO. — Gli Oppositori di Galileo. — I. Antonio Rocco
(Atti fli'l R. fstituto Veneto dixcienze, lettere ed arti. Serio VII. Tomo III.
pag. «ìl5-():k)). Venezia, tip. Antonelli, 1892.
T. IV, S. VII 48
(732) [2]
tiito (*), lavoro ricco di molti pregi e che reca un contributo
notevole agii studi galileiani. Per fermo se in ogni paese
si trovassero studiosi i quali, approfittando della conoscenza
dei loro archivi e delle loro biblioteche, volessero mettere
in luce tutto ciò che risguarda le relazioni di Galileo con
i loro connazionali, singolarmente agevolato sarebbe il com-
pito di chi, ad edizione nazionale galileiana compiuta, vorrà
stendere intorno alla vita ed alle opere del sommo filosofo
quel lavoro sintetico, per il quale si sono già raccolti e si
vanno di continuo raccogliendo cosi numerosi e cospicui
materiali.
Che se anche di questo, del quale imprendo a trattare,
possa dirsi più giustamente che sia stato, non tanto un op-
positore di Galileo quanto del sistema copernicano, pure
mi parve ch'egli non si trovasse affatto fuori di luogo in
questa serie di studi, i quali più che ad altro tendono a
porgere un quadro esatto delle varie correnti di idee che
si sono manifestate, non già contro la persona del sommo
filosofo, ma contro le idee da lui bandite e propugnate.
(I) Galilèe et In Belgique. Essai historique sur les vicissitudes du
système de Copernic en Belgique pai' le docteup Georges Monchamp.
— Galilèe et la Belgique avant les condamnations de 1616 et 1633. —
Publication en Belgique de la condarnnation de 1633. — Les deux pro-
cès de van Velden. — Le système de Copernic au Séminaire de Liège.
— Saint-Trond, impr. libr. G. Moreau-Schouberechts, 1892.
Dichiaro una volta per sempre che a quest' opera ho largamente
attinto per tutte le notizie relative al Froidmont, procurando però
sempre, per quanto mi fu possibile, di risalire alle fonti citate dal
MONCH.'V^MP.
II
LIBERTO FROIDMONT.
Liberto Froidmont, che personifica, per così dire, l'in-
segnamento astronomico impartito a Lovanio nella prima
metà del decimosettimo secolo, nacque in Haccourt, presso
Visè nell'anno 1587 (i). Seguiti brillantemente gli studi di
umanità a Maestrich, prosegui quelli filosofici nel Collegio
del Falcone in Lovanio e vi fu proclamato terzo nella pro-
mozione in arti nel 1606. Chiamato jìoco appresso ad una
cattedra di filosofia nel Collegio stesso, fu nel 1615 incari-
cato di presiedere quei curiosi esercizi i conosciuti a Lovanio
sotto il nome di Saturnali o di Discussioni quodlibeticlie,
e de' quali abbiamo un saggio notevole nella pubblicazione
curatane dal Froidmont stesso e che ebbe l'onore di due
edizioni (-). L' esame di questa singolare scrittura non è
(1) Stimiamo opportuno avvertire che questi è lo stesso che fu uno
degli esecutori testatnentarii del Jansenius, ai quali questi ebbe a racco-
mandare il famoso « Augustinus » venuto alla luce nel 1640 dopo la
di lui morte : pare anzi che il Froidmont ne abbia alquanto ritoccata e
migliorata la forma. — Cfr. Histoire dii Cartèsianisme en Belgiqiie par
r abbe George Monchamp. Ouvrage couronné par V Académie Royale
de Belgi<iue (10 mai 1886). Bruxelles, 1886, pag. 99. — Cfr. anche
Histoire iles Sciences Matìtèmatiques et Pìiysiques cliez les Bek/es par
Ad. Quetelet. Bruxelles, Hayez, 1864, pag. 222.
(2) La prima intitolata ; « Liberti Froidmont paedag. Falconis in
Academia Lovaniensi philos. professoris Saturnalitiae Coenae, rariatae
Somnio sive Peregrinatione coelesti. Lovanii, 1616 » non abbiamo potuto
procurarci; ma ci sta sott' occhio la seconda che ha per titolo: Liberti
Fromondi in Academia Lovaniensi S. Th. Doctoris et Professoris Regii,
Satuynnlitine Coe»ae, vnrinlae somnio, sire peregrinatioìte caelesti. Ae-
ditio seciuida correctior. Lovanii, typis ac sumptibus Petri Sasseni et
(734) [4]
privo di interesse per lo scopo nostro, imperciocché, la
l)arte principale di essa essendo dedicata all'astronomia, ci
permette di conoscere qnali fossero intorno a questo tempo,
cioè poco prima del famoso decreto del 1616, le opinioni
del Froidmont intorno al sistema del mondo. E ad esporle
egli si giova di un ingegnoso artifizio : « Ut autem pulpa-
mentum etiam Coenis istis esset, quod philosophos meos du-
ceret, somniculoso prò eorum gustu papavere variavi. Som-
nio, dico, de i^e Pliilosopha et caelesti. Quae aliis mihive
per Dioptricam Arundinem in caelis arbitrata, iterum vul-
gare amor ex admiratione invasit. Ac utinam faberrima
Galilaei Arundo obtigisset, qua tricorporem Saturnum di-
stinxit, ut pluria et mage curiosiora potuissem ». Il sogno,
o peregrinazione celeste, incomincia a metà circa dell'opu-
H. Nempaei, 1665. — Per porgere una più esatta idea del contenuto
di quest' opera, stimiamo opportuno riprodurre qui appresso i titoli delle
varie questioni: I. An inaniter, aut stulte Roraanorum braccas, ut aiunt,
togas, penulas aliosque ritus hodie retractent Litterati. — II, Quid su-
per Eloquentia Fhilosophorum censes ? — III. Quae avium nostratiuni
Romani Turdi. — IV. Quid de matribus, an novercis dicas, quae In-
fantes tradunt nutrieibus ? — V. Quanto aevo uxorem ducas ^ — VI.
An mos bellus fabulandi inter epulas ? — VII. Quidni romano more In-
dex fercula ante mensam pronunciet convivii ? — Vili. Sine risu, aqua
forsitan in potu praestat vino. — IX. Nonne iure Praelatos laudem,
qui e grege suo Frocuratorem culinae et rationibus imponunt ? — X.
Famula, an famulo melius utatur Ecclesiasticum ? — XI. Quidni re-
oreatio honesta est, creatio avicularii Regis ? — XII. Adolescentes an
tri])udìa dooendi. — XIII. Utiliterne feminis in cultu fìgat Princeps
modum ? — XIV. Ad Nationes probas quae domestice semper habent
feininas. — XV. An non Principes, nobilitasque docendi Mathesin ? —
XVI. Tristisne gravitas, an familiaritas iucunda praeferenda in Prin-
cipe ? — XVII. Quid de Principibus, qui ignorati cura plebecula se,
fabulasque miscere solent ì — XVIII. An Principi musica sit addi.scenda.
— XIX. Quem militiae Principem habes ab omni aevo ? — XX. Cui pri-
ma bonitas inter stilos? — XXI. Pumilamno staturam praeferas procerae?
— XXII. Quae in Europa nationes et cui bello bonae ?
A metà circa dell' opuscolo (di pag. 78) incomincia il « Somnium,
sive peregrinatio caelestis. »
[5] (785)
scolo : il (xcnio ha iiifoi'cato Pcf^aso, jia preso in arcioni il
Froidnionl e lo j)orta seco nelle più alte regioni del cielo,
niostran(lo.i>li la falsità delle opinioni aristoteliche intorno
ai capitali ar^'onienti d(dla costituzione dcdl" uni\('i'so. Il
(lenio si lincia di tutto il sislenia dei ciidi planetarii solidi
con i loi'o eccentrici oa\ ei)ici(di, distendendosi pid a lun<^()
intoi'iio alla costituzione della Luna e traendone occasione
a manifestare le sue tendenze copernicane anche per ciò che
concerne il moto della terra. « Luna vero, scrive il Froid-
mont, ut distinctius ali([uid autumen, in j)raocipua fuit ad-
miratione : et dispereani, nisi pene erani ut Copei-nicanis
adesseni, uhi altissinios, (pia maculosa est et illunis, montcs
vidi, et incolaui inihi ali({ueni suspectarem, ut in Pianeta-
rum reliquis, quorum etiam unum (Terram) nos inliahita-
rcmus » ; ed un asterisco alla parola « Terram » richiama
ad uiui postilla marginale : « (-opernicanorum mente ».
Non si dichiara contrario all'esistenza di corsi d'acqua
nella Luna : « et quid si etiam hic fluant maria ? reputa-
hani mecum, et lunares istas olim cataractas Deus laxavit
ubi scelera mortalium Noachi diluvio vindicare placuit ?
Nec enim ut ibi jam sine labe sustineantur, valde Coperni-
cani sudant, qui prona Erronei cuiusque cum suo Pianeta
Mundi Elementa in unum sui sideris centrum, non aliorsum.
faciunt i)ropendere. Non erit igitur aqua illa àuTO[xa-w; et
spontali lapsu magis ad Planetae nostri (Telluris dico) cen-
trum ruat, quam liaec maria ad Lunam ». Di Venere vede
le fasi : nelle macchie del Sole ravvisa piuttosto delle masse
nebbiose che non ammassi di stelle, e lascia libero il varco
a tutto il suo entusiasmo alla vista di Giove e di Saturno.
« Circa .lovem, Jupiter, quam mira et hactenus incredula !
(juaternae Lunae germanissimae nostrae huius circumlu-
dunt. diebus solis 14 quae tardissima inter eas intelligitur.
Altum. Deus immortalis, naturae arcanum ». . . . « Satur-
nus. Saiurnus ainplius non est, sed (lervon tricorpor, Pala-
vinum Ai'gum melius audies, (pii i)i'incei)s oculis crystallinis
euni vidit » ; e ([ui riporta testualmente un lungo s(iuarcio
(736) [6]
di quella lettera di (ialileo a (xiuliano de' Medici, nella quale,
sotto il di 13 novembre 1610, gli svelava l'anag-ramma di Sa-
turno tricorporeo. Per il Froidmont in ciascheduna parte de-
gli astri risiede una forza motrice, quindi nessun bisogno di
angeli per determinarne il movimento. La Via Lattea è rive-
lata dal telescopio, altro non essere che un ammasso di stelle.
Le stelle fisse hanno luce propria. Il sogno si chiude con una
nuova allusione al sistema copernicano : « Quid ergo magni
mali, Christum ibi, Virginemque Matrem, aliosque tantisper
non incondito et turbulento raptu, sed compositissimo labi
cum siderali Mundi gestatio, aut alioqui sine labore, sensuve
motus, non detrectat Principum maiestatem : nec dehone-
stius ideo in Terra Christus habitavit, si Copernicana eam
vertigo cottidie in oi'bem rapii ».
Alle obiezioni, che si sarebbero sollevate contro le novità
contenute nel suo libro, risponde })reventivamente il Froid-
mont, chiudendone la prefazione al lettore con queste signi-
ficantissime parole : « Quae nove ibi et audacter ingenio
experiundo saltem dedi, tu recipe, si prolubium erit. Et
tamen etiam cur sic refutes ? Casci illi Naturae diligentes
oculos suos aestimarent, irrisis patrum caligini1)us: nos ve-
luti a fato caeci, aut in aevum Pyrrhonis delati, dubitamus
videre quae videmus : et nihil credere, nisi lippientibus ali-
quot e mucida Antiquitate senecionibus praevisum offìrma-
mus. Proficient nobiscum Artes, si sic pergimus. Sed in
expedito, dices, iam est via, trita arte nos tot Astronomo-
rum Clarissimis : quid in nova hac et difficili semita ultro
te impedias? matula Philosophi a me falcem capi. Sentium,
scio, spinaruraque aliqua caede 0})us, quas diu aluit opinio
communis, sed adhibe maiuim ; nec per Deum in te veret
illud Epicurei vatis.
Ardua cium inetuunt, amittunt vera viai. »
In ([uest'uomo pertanto, così ben preparato a seguire
e ad accompagnare le riforme che si andavano maturando
[7] (7:>>7)
ili ()f,nii ordine di scienze, do\eva pi'odnri-e l;i più penosa
ini})i'essione il decreto del KiUi col «[naie veniva condan-
nato il -si-stenia copernicano, decreto del qnalo soltanto circa
(Ine anni dopo gli giungeva la notizia. Nella lettera indi-
rizzata a Toininaso Feyens a proposito della cometa del no-
\enil»re KilS (i) leggiamo infatti: « Sed d(i ('o[)ernicanis
(juid ex te nuper intellexi, vir clarissime ? Ab uno aut al-
tero anno damnatos a Sanctissimo Domino Nostro Paulo ?
Hactenus mihi inauditum, inauditum tot hodie per Germa-
niam et Italiani doctissimis (>t catholicis, uti puto, viris, qui
terram cum Copei-nico volvunt. Tantum etiam temporis in-
terlapsum, niliil amplius rumoris sparsisse ? vix credani,
nisi certius (|uid nobis venerit ab Italia. Tales enim deiini-
tiones pul)licandae maxime per Academias, ubi viri docti,
(piibus talis opinionis forte periculum. » Ed è lo stesso
Froidmont, il quale, se nella Peregrinano Caelestis non
aderiva, certamente sembrava propendere verso il sistema
Copernicano, che, contro Giusto Lipsio, nega questa « eresia »
sepolta col suo banditore, affermando che « vivit et viget
etiam nunc apud niultos » e che })iir riconosceva non po-
tersi sollevare contro di esso alcuna seria obiezione scien-
tifica, pure non vuole allontanarsi dal senso proprio delle
Sacre Scritture, ed anzi più tardi recrimina fortemente con-
tro chi aveva sparsa voce che dell'incriminato sistema egli
pure fosse partigiano. « Fama etiam ibi, sci'ive egli, (sic
audio) apud quosdam temere vulgavit, me olim etiam in Co-
pernici sensu et Philosophia fuisse, sed Decreto Sacrae Con-
gretationis Cardinalium exterritum, in Aristotelis et Ptole-
maei castra refugisse. Quam errant ! Nimis enim magna
somper admiratione in Aristotele defixus fui, quam ut tra-
latitiis et ridiculis argumentis, levitateque desultoi-ia po-
tuerim unquani alio transfugisse. Sed hoc, o[)inor, volunt
(1) De Cometa anni 1618 disserta tiones, in quihiis timi istins motiis.
tì(m nliorum oniniiim essentin, e/fertus et praesiif/ie»'li fncullas decla-
rantur. Antverpiae, 1619,
(738) [8]
dicere : Me inter discipulornm scholas, ingenium Copernici
et terrae motum snljtilitatem (sed ut veteres quidam malas
feminas, aiit febrim quartanam) aliquando laudavisse, et ar-
gumenta Aristotelis ac Ptolemaei, ad exercitationem ingenii,
conatum in speciem soliira et dicis ergo dissolvere » (i). Ed
è lo stesso che argutamente annunziava essere la cometa
del 1618 avvisatrice della morte d'un principe, cioè d'Ari-
stotele : « Hic cometa certe Aristoteli nostro non minas so-
lum, sed exitium tulit. Ite, Peripatetici, et imaginarium fu-
nus facite vestro principi ! » {^).
E come dopo ciò potrà negarsi che, al tempo di Galileo
e prima della condanna, gran numero di cattolici erano co-
pernicani e che il decreto della Tongregazione dell'Indice
tarpò le ali di questi ingegni ? Noi stessi in altra occasione
ne abbiamo recato un esempio in Bartolomeo Sovero (3) ;
il Froidraont ce ne porge un'altro, nel che consente leal-
mente il Monchamp (^) che noi andiamo seguendo.
E a pronunziarsi apertamente contrario al sistema di
Copernico porgeva al Froidmont occasione la pubblicazione
dei suoi Meteorologici (•>). Imperciocché, mentre da una
(1) Liberti Fromondi in Academìa Lovanensi S. Th. Doct. et Prof.
Ord. Vesta, sive Ant- Aristar chi Vindex, adversus Jac. Lansbergium Phi~
lippi. F. Medicum Middelburgensem. In quo Decretuni S. Congregationis
S. R. E. Cardinalium anno M.DC.XVI et alterum anno M.DC.XXXIII
adversus Copernicanos terrae motores editiim, iternm defenditiir. Ant-
verpiae, ex officina Plantiniana Balthasaris Moreti , M DC.XXXIV ,
car. 8 =^.
(2) De Cometa anni 1618 Dimu-lntlnnes, ecc. pag. 79-80.
(3) Ricerche ulteriori intorno alla cita ed alle opere di Bartolomeo
Sooero matematico svizzero del secolo XVII per Antonio Favaro.
Roma, tipografia delle scienze matematiche e fisiche, 1886, pag. 6.
(4) Galilèe et la Belgique, ecc. pag. 48.
(5) Liberti Fromondi S. Th. D. Collegii Falconis in Academia
Lovaniensi Philosophiae Professoris Primarii Meteorologicoruìn Libri
sex, Antverpiae, ex officina Plantiniana, apud Balthasarem Moretum et
Viduam .Joannis Moreti et .Io. Meursiuni, M.DC.XXVIl. — Se ne ha
pure una seconda edizione intitolata : Liberti Fromondi in Collegio
l'.ij (7:;!i)
t'i'ciso (Iella iiiti'odii/ionc [loli'chhc indursi il jd-op, (si-
to suo (li astenersi dal tratlartie, iiixcxMiido l"es(Miij)i() di
Santo Agostino, al miale (lalileo stesso s' ei-a richiainato
nella famosa lettera a Cristina di Lorena (i), in effetto cen-
sura asi)raniente in Keplero il paradosso « de Telluris ani-
niatione et mota » ("^), e trae occasione dallo studio del
fenomeno delle maree per dire : « Maris aestum, terrae
motus Pythagorici et Copernicani effectum sentit. Sed non
jìotest, licet Solem stare et terrae motum istum diurnum
in orbem, et fabulosum, prò vero demus (^). Il libro terzo
«: De Cometis » off're al Froidmont frequenti occasioni di
menzionare Galileo a proposito delle opinioni da questo
avanzate in materia per bocca del (luiducci, soff'ermandosi
specialmente ad impugnare (quelle che si riferiscono alla
origine terrestre delle comete ed alla loro traiettoi'ia.
INIa a combattere ex-professo il sistema copernicano ed
a difendere espressamente il decreto del 1616 scese in campo
il Froidmont col suo Ant-Aristarchus (^) dato alla luce
nel 1631 e dedicato ad Andrea Trevisi, medico della corte
di Bruxelles col quale sembra che si fosse trattenuto ed
avessero insieme motteggiato intorno a questo argomento,
poiché gli scrive ; « Quae nuper corani in Copernicanos
Falconis Lovanii olim Philosophiae Professoris Priinarii Meterologico-
rmn Libri sfj-. Flditio altera auctior et emendatior. Lovanii, typis Hie-
ronymi Nempaoi, Anno M.On.XLVI. — Se ne lia infino una terza di
Londra, 1655.
(1) Le opere di Galileo Galilei. Prima edizione completa, ecc.
Tomo II. Firenze, 1843, pag. 35.
(z) Lucerti Fromondi, ecc. Meteoroloaiconoa. ecc. Antverpiae,
M.DC.XXVII, pag. 128.
(3) Ibidem, pag. 258.
(4) LujERTi Fromondi in .Vcadoruia Lovaniensi S. Th. Doct. et
]irof. ord. Ant- Aristar ci lus sice Orbis— Terrae immobilis. Libar unicus.
In quo decretum S. Congregationis S. R. E. Cardinal, an. CIO.IOC.XVI
adverdus Pythagorico-Copernicanos editum defenditur. Antverpiae. ex
otficina Plantiniana Balthasaris Moreti, M.DC.XXXI
('40) [10]
brevitep disseruimus, sparsa hic vides et diffusa in Libelli
molem. Ad te, inquam, noster Ant-Aristarchus venit: non
ut in partes trahat, sed ducera in hac pugna sequatur, qui
dudum Aristarchos rationes, visu et omni genere teli in-
cessere soles ». E questa intonazione di scherno dette il
Froidmont al suo lavoro, di che amaramente si dolse Ga-
lileo scrivendone al Diodati : « Quanto al Fromondo (che
pur si mostra uomo di grande ingegno) non avrei voluto
che egli fosse incorso in quello che a me pare grave er-
rore, benché assai comune, cioè che egli per confutare l'o-
pinione del Copernico prima cominciasse con punture di
scherno e di derisione verso quelli che la tengono vera, e
poi (che più mi pare inconveniente) volesse stabilirla princi-
palmente con la autorità della Scrittura, e finalmente con-
dursi a darle per tali rispetti titolo poco meno d' eretica.
Che il tenere questo stile non sia lodevole mi pare che
assai chiaramente si possa provare. Imperocché se io do-
manderò al Fromondo di chi sono opera il sole, la luna, la
terra, le stelle, le loro disposizioni e movimenti, penso che
mi risponderà essere fattura d'Iddio. E domandato di chi
sia dettatura la Scrittura Sacra, so che risponderà essere
dello Spirito Santo, cioè parimenti d'Iddio. Il mondo dun-
que sono le opere, e la Scrittura sono le parole del mede-
simo Iddio. Dimandato poi se lo Spirito Santo sia mai usato
nel suo parlare di pronunziare parole molto contrarie in
aspetto al vero e fatte cosi per accomodarsi alla capacità
del popolo, per lo più assai rozzo e incapace, sono ben
certo che mi risponderà, insieme con tutti i sacri scrittori,
tale essere il costume della Scrittura, la quale in cento luo-
ghi proferisce (per lo detto rispetto) proposizioni che prese
nel vero senso delle parole sarebbero non pure eresie ma
bestemmie gravissime, facendosi lo stesso Iddio soggetto a
ira, a pentimento, a dimenticanza ecc. » (i).
(1) Le Opere di Galileo Galilei. Prima edizione completa, ecc.
Tomo VII. Firenze, 1848, pag. 17.
Ili] ('11)
Impulso alla nuova |iul»Mi(\'i/ioiu' del iM-oidmont a>\,'-
\ano (lato <la uua irdvlc -li a|)[>i-('//aiucnli poco benevoli
(lei (juali (la [rAvio di alcuni scienziati cittolici ei'a stato
scopo il decreto del 1()1() e dall'alti-a le pubblicazioni d'un
niinisti'o protestante, Filippo van Lansberge (i) « quem, co-
m'ogli scriveva, vicini Hollandi tani alte et improbe extol-
lunt, ut supra Copernicum aliquid sapere videi'i possit » e
che s'era schierato coi sostenitoi'i della condannata teoria.
Le menzioni clie di Galileo si riscontrano in questo
li])ro del Froidmont non sono molto frequenti, ma (juasi tutte
imi)rontate ad una grande deferenza verso il nostro filosofo.
Ne dice da principio che esso ed il Foscarini sono 1 parti-
giani del Copernico in Italia, più innanzi scrive di avere
da lui e dal Keplero la conversione delle macchie solari,
cosa questa notata da ( ralileo con singoiar compiacenza ("^) ;
ne ricorda la comunicazione fatta a Giuliano de' Medici
circa il diametro apparente del Cane, e le osservazioni fatte
sulla Via Lattea, S()ffermandosi alquanto a lungo sulle que-
stioni passate col Grassi ed accennando finalmente al moto
di Venere e di Mercurio intorno al Sole (»). Ed altrettanto
benevoli può dirsi siano stati i giudizi che Galileo eb])e a
pronunziare intorno al Froidmont. Della pubblicazione del-
(1) Progymnasmatum astronomiae restitutae liber da Motu Solis.
Middelburgi, apud Zachariain Roinanum, M.DCXIX.
Philifpi Lansbergii Commentationes in motum Terme diurnum
et nnnuum et iti verum adspectnbilis Caeli typum, ecc. Ex belgico ser-
mone in latinum versae a Martino Hortensio delfensi una cum ipsius
praefatione, in qua astronomiae braheanae fundamenta examinantur ; et
cura Lansbergiana astronomiae restitutioni conferuntur. Middelburgi,
apud Zachariam Romanum, M.DC.XXX.
(2) Le aggiunte autografe di Galileo al Dialogo sopra i due mas-
simi sistemi neW esemplare posseduto dalla Biblioteca del Seminario di
Isadora, pubblicato ed illustrato da Antonio Favaro. Modena, Società
tipografica, 1880, pag. 17.
(o) LuiEUTi Fromonof, ecc. Ant—Aristarchus sive Orbis - Terrae
im.uiobilis, ecc. Antverpiae, M.UC.XXXI. Pag. 2, IO, 72, 8()-00, 92.
(^42) [12]
l'opera della quale ci andiamo occupando ^Vi aveva scritto
il Cavalieri, ma in termini i quali dimostrano che il cele-
l)re gesuato non l'aveva letta per intero (*), e d' altronde
quando Galileo riceveva questa comunicazione aveva già
da più settimane l'opera stessa fra le mani {^), intorno alla
quale scriveva al Diodati ed al Gassendi sotto il di 9 aprile
1632 : « Di già mi pervenne alle mani un mese fa il libro
del Lansbergio de 7notu terrae e l'altro del Fromondo in
contradizione ; ma l'infìrmità de' miei occhi non mi ha per-
messo di poterli continuamente leggere, ma, per quel poco
che ho potuto così alla spezzata comprendere, dubito che i
pensieri del Lansbergio e alcuni del Keplero siano piutto-
sto a diminuzione della dottrina del Copernico che a stabi-
limento, parendomi che questi (come si suol dire) ne ab-
biano voluto troppo. Onde molti nel ponderare certe lor
fantasie, e forse credendo che siano concetti dell' istesso
Copernico, mi pare che non senza ragione (come fa il
Fromondo) si burleranno di tal dottrina. Fra gli oppositori
del Copernico, il Fromondo mi pare il i)iù sensato e capace
di alcun altro che sin qui io abbia veduto. E veramente
se io avessi veduto questi libri a tempo, non avrei mancato
di avvertire il lettore che anco in dottrine salde e pro-
fonde possano da alcuni, o per troppa confidenza di sé stesso
0 per poca intelligenza, essere inserite cose leggere e stra-
vaganti, cosa che non fece mai il Copernico (^) ». Ed an-
cora, intorno a due anni più tardi, ne scriveva al Diodati :
« Fromondo il qual, tra i filosofi non assoluti matematici,
mi par dei nien duri » ('*).
(1) Le Opere dì Galileo Galilei. Prima edizione completa, ecc.
Tomo IX. Firenze, 1852, pag. 269.
(2) Carteggio Galileiano inedito con note ed appendici per cura
di Giuseppe Campori. Modena, coi tipi della società tipografica,
MDCCCLXXXI, pag. 330.
(3) Annali delle Università. Toscane. Parte Prima. Scienze Noolo-
(liclìc. Tomo ottavo. Pisa, tip. Nistri, 1866, pag. 50.
(4) Galilèe, Torricelli, Cavalieri, Castelli. Documenta nouveau.\
ri:!| (74:>.)
(,>iiati(l() Oalileo ("(sl scriveva era g-ià uscito alla luce
IMI alli'o lavoro (*) del Froidmoiit intorno alla disputata
dottrina del moto didla terra, lavoro al (|uale a\('\a data
occasione la difesa che in favore di Filippo van Lansberge
aveva pu})l)licato Giacomo suo figlio (2) ; ma, (inantun(|ue
siamo certi che il sommo filosofo possedette fra i suoi li-
bri (^) anche questa pubblicazione del Froidmont, non ci
risulta che intorno ad essa abbia espresso alcun giudizio,
al quale forse essa non avrebbe offerto matei'ia ed argo-
mento se non obiettivamente.
Vi ha tuttavia una circostanza che ci sembra degna
di nota ed è che 1' aggiunta del decreto dell'anno W.MÌ,
cioè della condanna di Galileo, fatta nel titolo, ebbe luogo
a pubblicazione compiuta, poiché, come apprendiamo da
una appendice alla prefazione, il Froidmont ne venne a co-
gnizione quando l'opera era in corso di stampa. Del grande
avvenimento dava notizia a Cornelio Giansenio, il Nunzio di
Bruxelles, Fabio di Lagonissa arcivescovo di Consa, scri-
vendogli che Galileo : « in S. Officio Inquisitioni exhibitus
carcerique. mancipatus, erronei dogmatis pravitatem peni-
ti rés des bibliothèques de Paris par Charles Henry. (Memorie della
('lasse di scienze morali, storiche e filologiche della R. Accademia dei
Lincei. Voi. V.). Roma, coi tipi del Salvincci, 1880, pag. 12.
(1) Liberti Fromondi in Academia Lovaniensi S. Th. Doct. et Prof,
ord. Vcstft, .s'ùv? Aìit-A)'istarc}ii vindex, adversus Jac. Lanxberyiura Phi-
lippi F. Medicmn Middelburgensem. In quo Decretum S. Conyi-erintionis
S. R. E. Cnrdinnlium M.DC.XVI et nltentm anno M.DC.XXXIII ad-
vcrnHs Copcnricnnos terrae motorex editum, iterum defenditur. Antver-
jìiae, ex officina Plantiniana Balthasaris Moreti, M.UC. XXXIV.
(2) Jacobi Lansbergi medicinae doctoris Apolo(jia prò cotninen-
tationibus Pìiilippi Lansbergi in viotum Terrae diurnum et annuiim,
adversus Libertum Fromondum tlieologum lovaniensem et Joan. Bapti-
stam Morinum doct. med. et Parisiis matlieniatum j)'>'ofessoreìn regium.
Middelburgi Zelandiae, apnd Zaccariam Romanum, anno cb he xxxiii.
(3) La Libreria di Galileo Galilei pubblicata ed illustrata da An-
tonio Favaro. Roma, tip. delle scienze matematiche e fisiche, 1887,
pag. 31.
(744) [14]
tilt!! abiurare coactus e«t ; in cu.st(j(lia illa eo usque deti-
nendiis, duin Eminentissiinis 1)1). (Jardinalibiis sufficientem
eg'isse poenitentiam videbitur. At(jue hoc Acadeiniis belgicis
significari S. Congregatio voliiit, ut buie veritati se confor-
mare onmes velint. Ideo caeteros quo.sque istius universita-
tis professores a Dominatione Tua de hoc admoneri cupi-
mus » (1).
A comprovare la diffusione data al decreto del 1633,
del quale il Froidmont s'era fatto })aladino, s'è aggiunto in
questi ultimi tempi un documento importante, dato altra
volta alla luce col mezzo della stampa, ma del quale sol-
tanto poche linee erano note agli studiosi : intendo con ciò
di alludere alla notificazione della condanna di Galileo data
da Liegi sotto il dì 20 settembre 1633, testé ripubblicata con
dottissime illustrazioni dal Monchamp {^).
Del resto, e in via di conchiusione, la Vesta del Froid-
mont, scritta, a quanto pare, senza aver avuta conoscenza
del Dialogo galileiano, non contiene alcun serio argomento
scientifico contro la tesi ch'egli si proponeva di combattere,
poiché, quivi ancora, come nelV Ant-AristarchUs, il solo
appoggio ch'egli dà alle sue opinioni anti-copernicane con-
siste in argomenti teologici e scritturali. Che se ancora
egli non sembra accusare il Copernico d' aperta eresia,
quando scrive indirizzandosi al van Lansberge : « Admones
tandem nos concionabundus, ne talibus Scripturae Sacrae,
quae Solem moveri, terram quiescere iubent, interpretatio-
nibus, abigamus a nobis Copernicanos, ne ad Ecclesiam et
(1) Il testo ne è dato dal Froidmont (Op. cit. car. 9^-10''^), ma più
esattamente trascrisse questa nota dai registri dell' Università il Mon-
champ fGnlilèe et la Belr/ique, ecc. Saint-Trond, 1892, pag, 116).
(2) Notification de la condamnation de Galilèe datèe de Liège, 20
septembre 1 633 puhlièe 2Mr le Nonce de Cologne dans les pays rhènans
et la Basse-Allemagne. Texte d' après une copie manuscrite avec re-
marques du docteur G. Monchamp. Saint-Trond, G. Moreau-Schoiibe-
rechts, 1893.
[15] (745)
iidi'Hi Noniaiit... Non solet Ecclesia, ta\tìiuio crrorihu.s et
Saci'ae Scripturae sensus in fal«as eoriim qui extra siint
opiniones depravando, in Petri navem pellicere. . . Verum-
taiuc'ii, si sohis iiietus desei-cndi Copei'nicum, te ab Ecclesia
Catholica alienai, niniio foi'te terrore, mi Lansbergi, a sum-
ino bono et spe aeternae felicitatis abstineris. Nam Catho-
licuni et Copernicanum esse fortassis adhuc licet » (i) —
(|uando cosi si esprimeva non era peranco uscito il decreto del
lOM'i, dopo il quale, riferito il testo della lettera al Nunzio
di Bruxelles, conchiudeva : « Yides igitur, iterum Romae
» per Eminentissimos Cardinales daninatam erroris hoc
» anno Pythagorae et Copernici sententiam, et omnes Sedis
» Apostolicae subditos ab ista doctrina iam arceri. Non au-
» dient tamen, scio, inobedientes Ecclesiae filli, adversus
» auctoritatem gravissiniam tam surdi et pervicaces, quam
» ad argumontorum clarissimam lucem caeci aut sponte
» conniventes. Nempe })udebit opinionem mutare quam iam
» editis Libris tam late vulgaverunt, aut repetita imagina-
» tione tara alte animo impresserunt, ut vertigine telluris
» cerebro penitus concepta, vei-ti se iam imaginentur : ut
» in morbo quibusdam evenire solet, qui omnia sub pedibus
» et circa se gyrari ac ambulare credunt, cum tamen, prae-
» ter mentem eorum sedibus suis emotam, universa con-
> quiescant. Quid facimus? Ego certo argumentis humanis
» diviuisque quod potui. Si a me sanari nolint, depono et
» trado Hipi)0crati ».
(1) Liberti Fromondi, ecc. Vesta, ecc. pag. 96-97.
DELLE OPERE DEL DOTT, PIETRO ERCOLE
Comunicazione
DEL M. E. B. MORSOLIN
Mi pregio di presentai-e le opere, a stampa, del Dott.
Pietro Ercole, professore di lettere latine e greche nel
Regio Liceo di Vicenza ; il cui nome non dee suonar nuovo
per una Memoria intorno a una « Quistione cronologica nel
Brulus di Cicerone », inserita sin dal 1888 negli Atti di
questo Istituto. Io non parlerò del « Primo passo negli studi
letterari », testo didattico, adottato in parecchie scuole e del
quale si fecero ben cinque edizioni. Mi piace, invece, se-
gnalare il volume su « Guido Cavalcanti e le sue Rime »,
ch'è uno Studio storico letterario, seguito dal testo critico
delle Rime con commento, uscito in Livorno nel 1885. I
pregi particolari furono già rilevati da' più riputati perio-
dici di Germania e d'Italia. Dello Studio, dove s'illustrano,
per quanto è concesso, i casi della vita, si son lodati, di
preferenza, i luoghi, ne' quali si mettono in evidenza le
corrispondenze di Guido con 1' Allighieri, si discorre del
carattere e dell' importanza delle rime e dà il testo critico
pelle stesse, tratto dall'esame e dal raffronto di ben sessanta-
tre codici, collazionati la prima volta dall'Ercole. Né si lasciò
in pari tempo di richiam ire l'attenzione degli studiosi sulla
introduzione bibliografica intorno ai manoscritti e alle edi-
zioni delle Rime, corredata di note storiche e critiche circa
le quistioni più diffìcili, alle quali porge argomento l'inter-
pretazione de' varii componimenti ; tanto che si conchiuse
che il libro dell' Ercole è il libro piìi compiuto intorno a
[■>] (747)
(luido ('.calcanti. 11 U'slo [toi (l(41e Rime è condotto con
tanto acume di critica da voloi-si i-iputare l'unico, di cui si
si valg-ano oj:;gidi i cultori delle lettere nostre.
L'altro volume, del quale non vuoisi tacere, è il « Unito
di Marco Tullio Cicerone, testo riveduto e illustrato, » e-
dito in Torino dal LckscIum' nel 1S91. Lo spirito, il metodo,
i j)regi e i difetti di questa a differenza delle altre opero
retoriche del grande scrittore, sono gli aspetti, sotto i quali
l'Ercole esamina il Brufus in una larga e dotta preftizione.
Uno studio di sì fatta natura non erasi fatto sino ad ora
da nessuno de' filologi tedeschi, benemeriti d'altra parte di
})arecchie pregiate edizioni. Al testo, tratto dal raffronto de'
codici e delle edizioni più notevoli, l'Ercole aggiunge un
Dizionarietto, in cui si danno tutte le notizie biografiche,
relative ai molti autori e oratori romani, ond'è parola nel-
r opera, e lo correda d'un prospetto generale degli oratori
romani sino a Cicerone, con giudizi, desunti da varii scrit-
tori e con ragguagli delle orazioni e de' frammenti, perve-
nuti sino a noi. Anche di questo come del volume su Guido
Cavalcanti si parlò con copia di lodi ne' })eriodici nostrali
e di Germania.
T. IV, S. VII 49
SULL* OPERA DI FRANCESCO NITTI
LEONE X E LA SUA POLITICA
SECONDO DOCUMENTI E CARTEGGI INEDITI
Firenze 1892
ITOTA.
DEL M. E. GIUSEPPE DE LEVA
È questa, divisa in due parti, un' opera di singolare
valore.
La prima parte, nella quale i fatti tutti attinenti alla
politica di Leone X rispetto a Giuliano e Lorenzo de' Me-
dici sono aggruppati e rappresentati nei loro tratti generali,
rifulge d' indagini e vedute nuove : vi è ridotta a giusti
termini l' influenza esercitata dagli interessi famigliari, e
Giuliano e Lorenzo appaiono quali erano effettivamente,
incapaci e per mente e per animo non pur a compiere, ma a
concepire le grandi cose che il Maccliiavelli avrebbe dovuto
aspettarsi da essi, se mai, dopo le considerazioni del mio
onorando amico E. Baumgarten, si potesse ancora ritenere
scritto per essi il libro del Principe, e col nobilissimo in-
tendimento che ne ispirò 1' ultimo capitolo. Maggiore an-
cora r importanza della seconda parte, in cui si esamina
ed espone analiticamente la politica di Leone X nella lotta
di rivalità tra Francesco I e Carlo V.
[2] (749)
Forso il voler determinare, o dii-ci [ìiuttosto soi'preiidere,
([ue-sta [ìolitica ne' particolari più minuti e nel loro quasi quo-
tidiano cambiamento, potrà sembrare tentativo im])ossibile ;
colpa appunto la natura di Leone X, maestro nell'arte d'in-
tìni^'ersi, elio nessuno meglio dell'Autori' ci lia messo in luce.
In ogni modo le sue indagini giungono ([ui pure a conclu-
sioni nuove e talmente convalidate, da indurre ({uelli co'
quali egli non si è trovato d' accordo a modificare e in
qualche punto anche a mutare i loro giudizii.
Uno di quelli son io, sul punto del contegno di Leone
nella contesa per la elezione all' impero. Nondimeno, ben
lontano dall'insana pretensione di giustificare una conget-
tura messa innanzi trent' anni circa addietro, quando non
erano noti i ISIanoscritti Torrigiani, ai quali attinse il
Baumgarten, e poi con maggior ampiezza l'Autore, voglio
soltanto esporre i dubbii che ancora mi restano sulle vere
intenzioni di Leone X ; non fosse altro, per procurarmi il
piacere di conversare, disputando, con un ingegno di primo
ordine, qual' è 1' Autore stesso, e a me cosi benevolo.
Tanto m' era apparso dai documenti, dei quali poteva
allora giovarmi, quanto l' Autore adesso, con maggiore
sviluppo di particolari ed apparato di prove, conferma :
essere, cioè, stato Leone X nella prima fase della contesa
favorevole a Carlo. Che lo fosse per semplice acquiescenza
ad un fatto creduto inevitabile, da non potersi impedire
per mancanza di tempo e di mezzi e per la gravissima
preoccupazione della crociata contro i turchi, non mi per-
suade ajìpieno. Leone X non ignorava certo la gara che
già da oltre un anno ferveva tra Carlo e Francesco. E
(juanto al resto, stento a supporre in lui una politica deter-
minata da considerazioni del momento in contrasto coi
[ìrincipii e coi fini tradizionali che la ispiravano, per quanto,
vivente Massimiliano, fosse lontano il pericolo che la ele-
zione di Carlo avrebbe cagionato alla indipendenza morale
e materiale della S. Sede, e a quella che chiamavasi libertà
(750) [3]
d' Italia ; ov' egli sin d' allora non avesse calcolato il frutto
che poteva trarne in avvenire, conforme a que' fini.
Vero è che, morto Massimiliano, Leone pare del tutto
mutato : con istruzioni del 23 gennajo 1519 al suo legato
in Germania, il cardinale di S. Sisto, egli raccomandava la
elezione di un principe tedesco che non fosse Carlo. Ma il
fatto che di queste istruzioni fu subito mandata copia al
nunzio Bibbiena in Francia mi fa pensare. E chieggo a me
stesso se, al par di esse, non si abbiano a ritenere di natura
puramente ostensibile anche le successive de' 26 gennajo, e
per conseguenza le une e le altre indirizzate al fine di vin-
cere r esitanze del re Francesco I a porre la sua firma sotto
i capitoli convenuti con lui per mezzo del Bibbiena, e a
questi spediti il 20 dicembre dell' anno decorso. Che non
intendesse per giunta Leone di sconfessare davanti a Fran-
cesco il trattato con Carlo de' 17 gennajo (che 1' Autore
trovò essere stato un atto compiuto, non rimasto sospeso,
come pensarono Gino Capponi e il Baumgarten) se mai
Carlo, com' era ben da aspettarsi, non ostante l' obbligo
esplicito della segretezza, se ne fosse giovato nelle sue pra-
tiche con gli elettori dell' impero, appunto per ciò com-
presi da lui nel trattato medesimo ? Altrimenti sarebbe
veramente strana l' ingiunzione fatta al legato nelle men-
tovate istruzioni' del 26, di non tener conto di qualunque
suo breve o lettera che gli commettesse il contrario; quasi
volesse cosi premunirsi contro ogni possibile sua debolezza
a favore di Carlo. Que' capitoli furono ratificati dal re
Francesco ai 20 gennajo. Manca ogni prova che ancora al
30 non ne fosse giunta notizia in Roma. Sia quel che vuoisi
di ciò, la lettera de' 30 gennajo dell' Ardinghelli al Bib-
biena, con la quale il papa sollecita Francesco a riproporre
la propria candidatura, può essere anche effetto dell'azione
esercitata dagli agenti francesi in Roma. Tanto è vero che,
quasi nel giorno stesso in cui 1' Ardinghelli la scriveva, il
re avvisava il papa della decisione da lui già presa nello
stesso senso. Possibile che Leone fosse cosi mal informato
[l] (751)
(l(>llo cose (li Germania da ij-noi-are 1' estonsione degli im-
pegni presi da cin({ue dei sette elettori a favore di Carlo,
se r ambasciatore del re di Polonia non gliela rivelava !
Vero e segreto pensiero di Leone era questo, di assi-
curarsi in ogni evento un alleato potente. A questo mira-
vano tanto i detti trattati con le due o})poste parti quasi
contemporaneamente sottoscritti, quanto i suoi portamenti
successivi rispetto al re di Francia nella seconda fase della
contesa.
In ciò conviene 1' Autore (p. loO e 171). E conviene
del pari nel ritenere che a Leone doveva ragionevolmente
ispirare un timore più forte la possibilità che sul trono
imperiale ascendesse il re di Francia piuttosto che quello di
Spagna. Ma ciò, soggiunge 1' Autore — e qui comincia il
divario fra la sua opinione e la mia congettura — non
liasta a distruggere tutte le manifestazioni papali di parole e
(li opere fatte da gennaio a giugno contro Carlo, ed anzi
francamente dichiarate a quésti. Siffatte manifestazioni di
Leone sono certamente incontestabili, uè io le ho mai revo-
cate in dubbio. Tuttavia non potrebbero aver avuto a scopo
sin da principio di rimuovere ogni causa di doglianza da
l)arte del re di Francia che non facesse il debito suo ?
Non ha egli, verso la metà di febbrajo, al primo annuncio
che Francesco ritirava la sua candidatura, spedite ai legati
in Germania istruzioni meno sfavorevoli a Carlo, le quali
furono poi trattenute a Firenze per essersi ivi saputo il
contrario? (pag. 172). E a quello scopo, a dimostrare, cioè,
a Francesco il delilterato i)r<)i)Osito di escludere Carlo, non
mirerebl)ero anche le dichiarazioni della concepita s})eranza
che, ov' egli non vedesse facile la i-iuscita sua, avrebbe
volte tutte le forze della sua azione in \)Vo di un terzo ?
Conosceva cosi poco il re Francesco da poter sperare die
lo facesse, se non all' ultima ora, quando non sarel)be più
tempo, come infatti avvenne? E tutte le dimostrazioni, cosi
scoperte a così accalorate, in favore di lui sarebbero vera-
mente conciliabili col maggior timore eh' esso gli ispirava
(752) [5]
in confronto di Carlo, ove non le avesse giudicate inefficaci
di fronte alla tendenza pubblica antifrancese, determinata
dalle condizioni politiche, militari e sociali d' Europa ? E
queste condizioni medesime potevano per un momento solo
fargli credere possibile la riuscita di qualche altro principe
tedesco ?
L' Autore stesso a pag. 230 riconosce che in quella
riuscita Leone non aveva mai avuta molta fiducia. Se in
luogo di non molta avesse detto nessuna, mi avrebbe data
vinta la causa. Perchè infine tutte le accennate manifesta-
zioni di parole e di opere hanno una solenne smentita nella
realtà del fatto scoperto dall' Autore stesso ; eh' è il nuovo
accordo di Leone con Carlo, conchiuso bensì soltanto ai 17
giugno, quaranta giorni innanzi alla elezione di Carlo, ma
preparato da negoziazioni segrete introdotte sin dall'aprile,
e da lui tirate in lungo con 1' abituale duplicità per il con-
sueto rispetto del re Francesco.
Anche dopo 1' elezione di Carlo continua Leone negli
stessi accorgimenti di prima. Noi lo vediamo — e qui com-
pendio le coso dette dall' Autore — conchiudere un nuovo
accordo con Francesco (in ottobre) per essere al bisogno
certo del suo aiuto contro il nuovo imperatore ; poi ondeg-
giare e destreggiarsi ancora per alcun tempo tra l'uno e
r altro, anzi far mostra di essersi legato o stare sul punto
di legarsi in modo più stretto col primo, evidentemente
per imporsi al secondo e costringerlo a condizioni che im-
pedissero il predominio spagnuolo ed imperiale in Italia ;
quali r ingrandimento dello Stato della Chiesa con Parma,
Piacenza, e il ducato di Ferrara, la restituzione del Mila-
nese agli Sforza, la protezione della Repubblica fiorentina
e della famiglia Medici. Il perchè, dato F acume indiscu-
tibile di Leone per cui gli era facile prevedere i prossimi
eff"etti di altre cause già sussistenti, le dottrine di Lutero e
le minacce de' turchi, dubito ancora se possa dirsi cam-
pata in aria la congettura che coordina tutta la sua politica
antecedente al pensiero della lega offensiva conchiusa poi
[6] (753)
tra lui 0 Carlo nel magfrio 1521. Tanto più che, fallito
essendo a Leone il disef^mo dell' arbitrato internazionale
attribuito a sé e al collegio de' cardinali nella bolla della
crociata, parnii naturai cosa abbia egli mirato all' altro a
non men alto fine di affermare ancora una volta il princi-
pio medievale delle due potestà supreme, istituite da Dio
per il governo del mondo, come si legge nel proemio della
detta lega.
Questi dubbii l' illustre Autore vorrà accogliere nel
senso che ho già dichiarato, e in prova dell' ammirazione
destatami dall' opera sua per la molta nuova luce che
porta sopra un periodo importantissimo di storia nostra nel
secolo decimosesto.
SOPRA UNA BAGILLARIEA
CSuriraya helvetica hvuwj
CONFERMATA PROPRIA DELLA FLORULA LACUSTRE ALPINA.
DEL 8. c. G. B. DE TONI
Neire.saininare una fanghiglia diatoniifera raccolta nel
lago di Fedaia (Trentino) da mio fratello jirof. Ettore, mi
avvenne di riscontrarvi con una certa frequenza ima cu-
riosa Suriraya che con gli opportuni confronti potei iden-
tificare con la Suriraya helvetica Brun (i).
Non credo fuor di proposito avvertire la presenza di
tale specie in un lago alpino che geograficamente appar-
tiene all' Italia, trattandosi di una Bacillariea che è indi-
cata per la prima volta nella regione trentina e riconfer-
mata nella florula diatomologica dei laghi italiani ("^), in-
quantochè la Suriraya helvetica Brun fino al I89I era
(1) J. Brun. Diatomèes des Alpes et rìv Jura et de la rtu/ion fran-
Qaise et suisse des environs de Genève, p. 100, pi. II, f. 4, pi. IX, f. 28.
Genève, 1880.
(2) E. Bonardi. Suìfe Dinlomee di tdcmn /nf/li.i Itnllniìi. «Bollettino
scientifico » Anno X, n. 2, png. 57-01. Pavia, 1888. — Cfr. anche D.
Levi-Morenos. Alcune ossei-cazioni e proposte sulla Diatomologia lacu-
stre italiana. « Notari.sia recf. da G. H. de Toni e D. Levi » Anno IV,
n. 15. Venezia, 1889. — Cfr. pure la citazione di Corti.
[2] (755)
.stata .scoperta nelle acque dei i'i\()li al[iiiii e nei laghi delle
regioni elevate della Svizzera (').
Più che tutto ])ei*alti*o, riguardo alla pre.senza della
Suriraya helcetica Brun, io richiamo l'attenzione di quelli
che si occupano della importante que.stione della diatomo-
logia lacu.stre, perchè si ha una nuova conferma che detta
specie forma parte di una serie di Diatomee le quali pos-
sono servire a caratterizzare i laghi situati a notevoli al-
tezze sul livello del mare ; dico nuova conferma essendomi
edotto dell'esistenza della Suriraya helvetica Brun nel lago
del Palù (Val Malenco, 1998 metri sul mare) da una Nota
del dottor Benedetto Corti ("^). Q,ue.st' ultimo trovò la Suri-
raya helvetica Brun anche allo stato fossile nelle sabbie
gialle plioceniche della Folla d'Induno presso Varese (^).
Senonchè, più che la coincidenza di detta specie nei
laghi alpini .svizzeri, in quello del Palù (1993 m. sul mare)
e di Fedaja (circa 2000 m. sul mare) sta in appoggio del
carattere alpino della Suriraya helvetica Brun la persi-
stenza della vegetazione della Suriraya stessa in confronto
alle altre specie della fanghiglia diatomifera di Fedaia e
ciò desunsi dal fatto che avendo lasciato esposto a basse
temperature il vasetto contenente, insieme a poca acqua del
lago di Fedaja, la fanghiglia diatomifera, solo si conservò
vivente e continuò a svilupparsi la specie in parola.
In confronto adunque delle altre specie che pur adat-
tandosi alle acque frigide vegetano anche nelle acque tem-
perate e non possono fornire alcun criterio nello studio com-
(1) .1. Brun, loc. cit.
J. B. de Toni. Syllor/e. Alr/anon oììiniiun. Voi. II. Bacill;irifi;<', pa-
gina 570. Patavii, 1892.
(2) R. Corti. Sulle IHatonìec (h-l Luf/n tir/ l'nlit iu Vnìh- Malenco.
« Bollettino scientifico » Anno XIII, n. ;M. l'avia, 1891.
(3) B. Corti. Poraminiferi e Diatomee fossili delle sabbie (jinlle
plioceniche ddla Folla il' fndi'nn. <,< Boll. Soc. geol. ital. » Voi. XI. f. 2,
I)ag. 225. Roma, 1893.
(756) [3]
parato delle florule diatomologiche lacustri, io ritengo ca-
ratteristica della florida alpina lacustre la Suriraya del
Brun, al pari di Odonlidium hiemale Lgb., Denlicula
frigida Ktz. etc.
È questo un nuovo dato per il diatomologo al quale non
riesce più tanto diflicile, coi materiali di cui oggidì dispone,
il classificare un lago col criterio della sua florula diato-
macea ; in un precedente lavoro {}) pubblicato negli Atti
di questo R. Istituto ho appunto procurato di disporre i
laghi italiani finora studiati sotto il punto di vista diato-
mologico in due serie a seconda della presenza o mancanza
di certi tipi diatoraacei e spero che ulteriori studi confer-
meranno l'esistenza di Suriraya helvetica Brun negli altri
laghi che si trovano nelle condizioni altimetriche del Lago
del Palli e di quello di P'edaja.
Venezia, 29 Gennaro 1893.
(1) G. B. de Toni, G. S. Rullo e G. Paoletti. Alcune notizie sul
Ingo di Arquà-Petrarca, con 1 tav. colorata. « Atti del R. Istituto Ven.
di scienze, lettere ed arti » Serie VII, Tomo III, pag. 1201. Venezia,
1892.
UN PROBLEMA DI DINAMICA
COMUNICAZIONE
DEL
s. c. ERNESTO PADOVA
Nella seduta del () con-ente dell' Accademia delle Scienze
di Parigi il sig. G. Darboux ha presentato una Nota del
sig. P. Staeckel col titolo : Sur une classe de problèmes
de dijnamique, nella quale è enunciato il seguente teo-
rema : Se ^kiiQk ) '^o^i^ ^^ funzioni dell'argomento indicato,
se O è il determinante formato colle funzioni cpik e ^ki l'e-
lemento reciproco a '^ki nel determinante O, ogniqualvolta
1 O ,
la forza viva possa assumere la forma — Hj^ ^k~^ ^k ^ ''^^^
vi sieno forze esterne, oltre all'integrale delle forze vive
esistono n — 1 integrali di primo ordine e di secondo grado
rispetto alle q, dati dalle equazioni
^2* ^ ^/''^ = «^ (/ = 2 , 3 , . . . n)
ove \v a/ sono delle costanti arbitrarie ed il problema è
conseguentemente riducibile a quadrature.
Senza nulla togliere all'importanza di questo notevole
teorema, mi permetto di fare rilevare che esso non è che
un caso particolare di un teorema già da me dimostrato in
una nota Sugli integrali cornimi a più problemi di dina-
(758) [2]
mica, inserita nel voi. I della sesta serie degli Atti di
questo Istituto (1883). In questa Nota infatti ho dimostrato
che, se si introducono nel calcolo le solite variabili p^ ,
uguali alle derivate prime della forza viva rapporto alle
q'fi , e la forza viva assume la forma — 2^ ArrP"\, quando
r^ sia la funzione potenziale, un integrale primo del pro-
blema dinamico è dato dall'equazione Sa^sPr Ps =^-\-^ìì,
rs
se sono soddisfatte le relazioni
(1)
dqi dq/i
(2)
dXss , dotss
dqi dqs
(3)
dkss . dcLss , .. dasn
^i j CCih — kjih j + 2Ass .
dqi dqh ' dqs
(4)
dqu dqs
. dy.sh
krr 7
dqr
nelle qi
lali gli indici prendono i valori 1,2,.,
, . . n, avver-
tendo però che devono avere valori diversi quegli indici
che nella stessa formula sono indicati con lettere differenti.
Nel teorema del sig. Staeckel si suppone che fJsia nullo,
che la forza viva, espressa per le p assuma la forma
^-^ S;^ ^/fiP\ e si asserisce che in tal caso sono integrali
del problema dinamico certe e({uazioni che, espresse per le
p, assumono la forma — 2/^ ^j^i p^^^ = ^'■i • Qi^ie^to equivale
al supporre nelle nostre formule
Ass = --r— , ass = ~— , oc/ik^O (j»cr //diverso da A',), ^ = 0
Le (1) e (4) sono allora identicamente verificate e lo sono
[3] (759)
pure, come si vede .subito, le (2) perchè <[>si , <1\7 sono in-
dipendenti da (/s , sicché esse si ri(hicono alle identità
dq, iD^dgs (^I>)' '^"''"^' "^^ ^•'^' ^^-^^^ I'^'^^'^"'» ^^'^'-
versi in questo caso sotto la forma
d d log O
—, — i^hhJ^ss — agsA/,/,) 4- (a;,/,Ass — ccss^hh) — , =0,
(ff/h ClC/h
-^ log [{y-hh^ss — assA/,/,)(l>]=:0 ,
ma, per una notissima proprietà dei determinanti, abbiamo
d'i^
<E> (a/j,A.,s — c(.ss>^hh)
r/cp^.f^j
e poiché in -. — mancano tutte le cp che hanno il pri-
d<^8i d^hi '
mo indice uguale ad h, cosi essa é indipendente da g;, e con-
seguentemente le nostre equazioni (3) sono verificate.
Questa dimostrazione mette in evidenza un modo sem-
plicissimo di estendere i risultati ottenuti dal sig. Staeckel.
Si può infatti asserire subito che se la forza viva di un si-
stema, per una conveniente scelta delle variabili, assume
la forma f ^r Ar p^r > 0"^'e f è una qualsiasi funzione delle
coordinate ^ e le ^4;. sono funzioni anch'esse arbitrarie delle
q, tali però che in Ar non apparisca ^r , e se sul sistema
non agiscono forze, sarà un integrale primo del problema
dinamico l'equazione f^r «r p^r = hi, ove hi è una co-
stante e le a^ , funzioni di tutte le q esclusa qr , sono tali
da soddisfare le equazioni
d {arAs — «.A^) /'
W ^^ = 0 (r,s==l,2,. . .n)
(760) [4]
E itossiamo anche dire che se il sistema è soggetto a
f A
forze che hanno per funzione potenziale U = — Y:^ — , sarà
pure integrale del problema, oltre a quello delle forze vive,
l'equazione /"S a^ pV = / "'s + ^'i' poiché le (1) si ridu-
cono allora a quella serie di equazioni, che si deducono
dalle (5) facendovi s = /i e che noi supponiamo soddisfatte.
Padova 18 Marzo 1893.
INTORNO
AI
FENOMENI DI SOPRASATURAZIONE
Nota Seconda
I) E L
M. E. TITO MARTINI
In una nota pubblicata negli Atti di questo R. Istituto (^)
prendemmo in particolare esame i fenomeni di soprasatura-
zione presentati dal solfato sodico ; e dopo aver riassunto
le opinioni di molti sperimentatori intorno alle cause che
pongono fine allo stato di soprasaturazione, si descrissero
varie esperienze che stavano a dimostrare che la teorica del
Selmi (2), emessa più tardi anche dal Grokinski (3), fosse la più
attendibile, vale a dire che la formazione del primo cristallo,
che deve imprimere il moto alla dissoluzione e precipitarla,
è dovuta, nel maggior numero dei casi, al fatto dell' eva-
porazione.
Contro r ipotesi del Selmi si sollevarono delle critiche,
e si obbiettò che facendo circolare nel matraccio, contenente
la soluzione, dell'aria stacciata a traverso al cotone puri-
ficato, il fatto della precipitazione non avviene. Da ciò se
(1) Intoì'no ai fenomeni di wprasnturnzione del solfato sodico.
Atti del R. Istituto Veneto», t. Ili, serie III, 1892.
(2) Annali di Fisica, Chimica e Scienze affini. Torino, 1850, n. 30.
(3) Coniptes-rendus de V Acadèmie des sciences, t. 32, 1851.
(762) [2]
ne inferi doversi cercare fuori della soluzione la causa im-
pellente il moto cristallino, d'onde la teorica del Gernez (i)
dove si ammette che i cristalli si troiano già formati nel-
l'aria, e che, alla loro caduta, si debba il fenomeno della
immediata precipitazione del sale.
A questa ipotesi opponemmo alcuni esperimenti i quali
starebbero a provare che anche 1' aria, benché con grande
cura stacciala, se si fa rientrare nel matraccio con una
certa violenza, in guisa da operare una rapida evapora-
zione, la precipitazione ha luogo lo stesso (^). D'altronde, se
anche fosse vera l'ipotesi del Gernez per il solfato di soda,
essa non vale a comprendere tutti i fenomeni di soprasa-
turazione, imperocché bisognerebbe ammettere che 1' aria
debba contenere i germi cristallini di tutti quei sali che si
soprasaturano nella propria acqua di cristallizzazione o nel-
l'acqua aggiunta.
NuUadiraeno, rispetto al solfato di soda, non si può
escludere che, specialmente nell' aria del laboratorio dove
si esperimenta, non sianvi natanti numerosi cristalli ; e
basta per convincersene di tenere un po' a lungo, sul for-
nello, il matraccio contenente la soluzione di solfato sodico,
per vedere tutto all'intorno una polverina bianca che cade
giù, mentre altra, più leggiera, sarà trascinata dalle cor-
renti d'aria e si diffonderà dappertutto.
La presenza di un siffatto pulviscolo, dovuto all'efflo-
rescenza del sale, può condurre chi esperimenta a dei facili
abbagli. Perciò convien meglio ricorrere a dei sali non efflo-
rescenti e per i quali non possa esservi dubbio che l'avvenuta
precipitazione sia unicamente dovuta al fenomeno che abbia-
mo provocato, e non all' indiscreta caduta di un qualche cri-
stallo vagante nell'ambiente. L' acetato di soda, sale delique-
(4) Comptes-rendus de l' Acadèmie des sciences, voi. 50 e 51
anno 1865.
(5) Cfr. Atti del R. Istituto Veneto, t. Ili, serie III, 1892.
[3] (703)
sconto, elio pi'osoiita in alto f^i-ado il Joiioiiioiio (lolla soprasa-
lui*azi()no,si prosta assai hono a siffatto sttidio; con questo sale
si l'ipposoi'o a(hin(|iie p;\\ osporimenti (*) i quali riconferma-
l'oiio, conio dii'Oino or ora, la opiiiioiio i;ià espressa intorno
air ipotesi del Selmi,
Coll'acetato, e anche col solfato di soda, si presei'O a
studiare quei fenomeni già segnalati dal Tomlinson {% cioè
che il variai'e della tensione superficiale è causa, talora
{lotonte, a por fine allo stato di soprasaturazione. Di cosi
tatti fenomeni, che pur sono di tanto interesse, non si fa
parola noi trattati più estesi e più recenti di Fisica; e dove
si accenna ai fenomeni di soprasaturazione si continua ad
appagare il lettore invocando la caduta del compiacente
cristallo.
Nuovi fatti che stanno in favore della teoria
del Selmi.
Ai fenomeni già descritti nella precedente Nota (•), nei
(juali la precipitazione in massa del solfato di soda ci sem-
brava unicamente dovuta ad un concentramento superfi-
ciale operato dall' evaporazione, si possono aggiungere i
seguenti :
1. Preparata una soluzione di acetato di soda nel rap-
porto di 1 d'acqua per 4 di sale, si filtrò in due matracci
i quali furono posti sopra una mensola presso ad una fi-
nestra. I matracci furono lasciati aperti, e dopo 24 ore si
trovò ancora liquida la soluzione. Schiusa la finestra, dopo
pochi minuti la soluzione cristallizzò in entrambi. Avver-
(1) Gli esperimenti furono ripresi nel maggio del 1892 e conti-
nuati fino ad oggi, approfittando cosi della naturai variazione della tem-
peratura deir ambiente, la quale oscillò da 29" a — 2'\ò in quelle ore
che si era soliti di sperimentare.
T. IV, S. VI] 50
(?64) [4-J
tiamo che l'aria era asciuttissima e il termoinetro segnava
28". Si ripetè l'esperimento più volte e sempre collo stesso
risultato. Notammo poi che la precipitazione avveniva più
prontamente se i matracci erano investiti dai raggi del sole.
2. Filtrata in un vaso da precipitati una soluzione di
acetato sjdico nel rapporto di 1 a 4, e coperto il vaso con
una campana affine di attenuare l'evaporazione, quando la
soluzione ebbe preso la temperatura dell'ambiente si avvi-
cinò alla superficie di livello un disco d' ottone scaldato
nell'acqua bollente, o anche sopra una fiamma ad alcool ;
dopo pochi secondi si videro formarsi sulla superficie del
liquido dei minuti cristalli i (juali determinarono la preci-
pitazione di tutta la massa disciolta. L'esperimento del disco
fu eseguito più volte nell'estate alla temperatura di 27° o
28*', e neir inverno a temperature inferiori ai 4°.
3. Nei mesi d' inverno abbiamo più volte eseguito il se-
guente esperimento ; abbiamo immerso il matraccio, conte-
nente la soluzione di acetato sodico, in un vaso d'acqua bollen-
te e dopo pochi istanti si sono formati alla superficie dei
lunghi cristalli che hanno determinato il moto cristallino
in tutta la massa.
4. L'aria asciutta facilita molto la rapida precipita-
zione del sale. Preparata in un matraccio la soluzione di
acetato di soda, si chiude il recipiente con un tappo a due
fori a traverso i quali passano due tubi di vetro che al-
l'esterno sono piegati ad U, e ciò per togliere ogni dubbio
sull'accidentale caduta di corpi estranei. Uno di questi tubi
si prolunga nell' interno fino ad 1 centimetro, circa, dal
livello del liquido. Quando la soluzione ha preso la tempe-
ratura dell'ambiente, si applica al cannello più lungo un
tubo di gomma, e con un mantice si soffia l'aria, sia diret-
tamente, sia facendola traversare per il cotone purificato.
In ogni caso si ottiene la precipitazione in massa del sale
quando l'aria è asciutta; stenta ad ottenersi quando l'aria
è umida, e allora se si fa passare il getto per un tubo
fr>] (705)
pieno (li cloruro di calcio ;>i è certi che il sale precipita
ini mediatamente.
5. La soluzione di acetato sodico, anche (|uando è molto
concentrata, i)uò travasarsi dal matraccio in un \ aso da
l)recii>itati senza che cristallizzi, i)urchè si abbia cura che
1(^ pareti d(d \aso sieno ben nette o catarizzate, })ei' usare
res[)ressioiu' del Tomlinson. In generale, dopo ([ualche mi-
nuto, la soluzioni' cosi travasata cristallizza perchè si è
resa più facile revaporazione; (|ualora non cristallizzi, ba-
sterà soffiare leggermente sul liquido per vederlo subito
ci-istallizzare.
fi. Anche coU'acetato di soda si provò più volte l'espe-
rimento eseguito dal Selnii col solfato sodico, il quale espe-
rimento consiste nell' inti'odurre nel matraccio un filo di
cotone che lambisca la superficie del liquido ; tosto che
il filo si è imbevuto della dissoluzione, si veggono formare
i cristalli sui filamenti i quali j)rovocano la precipitazione
in massa del sale.
Gli esperimenti descritti provano adunque che la for-
mazione dei primi cristalli, che determinano il precipitarsi
del sale, è dovuta all'evaporazione, la quale può essere più
o meno rapidamente attivata sia con un aumento di tem-
peratura, sia col cambiar l'aria che sovrasta al liquido, sia
coU'aumentare la superficie evaporante, ovvero coli' immer-
gervi un qualche corpo capace di imbeversi. Perchè dun-
(|ue negare che anche col solfato sodico non debba avvenire
(jualcuno di questi fatti ? Ammettiamo pure che nel solfato
di soda possa intervenire la caduta accidentale di qualche
cristallo dall' esterno ; non potremo per questo invocar la
caduta come la causa unica che mette fine allo stato di so-
l)rasaturazione, imperocché evvi una causa più generale, la
evaporazione, la quale abbraccia tanto le soluzioni dei
sali efUorescenti (juanto quelle dei deliquescenti ; bisognerà
almeno distinguere i fatti in due categorie, cioè quelli che
avvengono soltanto coi sali efflorescenti e quelli che avven-
gono tanto negli uni quanto negli altri.
(766) t:6]
Influenza della variazione della tensione superficiale
I fatti studiati dal Tomliiisou intorno alla l'elazione fra
la tensione superficiale delle soluzioni e quella dei liquidi
che vi si fanno cadere, possono i-iassuniersi nelle quattro
seguenti proposizioni (i) :
I. Una soluzione salina soprasatura, contenuta in un
matraccio ben netto, resta liquida fino a che la sua super-
ficie, ovvero quella che sta in contatto colle pareti del ma-
traccio, non subisce, sopra uno o parecchi punti, alcuna
diminuzione nella tensione superficiale.
IL Depositando sulla superficie di una soluzione una
goccia di un qualche liquido che abbia debole tensione su-
perficiale, essa si distende in pellicola e produce o subito,
0 dopo breve tempo, la cristallizzazione.
III. Un liquido che abbia una considerevole forza con-
trattile, il quale però non agisca chimicamente sulla solu-
zione, se viene con essa in contatto non vi opera alcun
cambiamento.
IV. Un corpo solido, ricoperto da una pellicola di uno
di quei liquidi che posseggono debole tensione superficiale,
immerso nella soluzione vi provoca la cristallizzazione im-
mediata o dopo un tempo brevissimo ("^).
II Tomlinson giunse alle conclusioni sopra indicate in
seguito a molti esperimenti eseguiti, generalmente, col sol-
fato di soda sciolto nell' acqua in proporzioni diverse. Il
fisico inglese soleva sperimentare in aperta campagna per
rendere più diffìcile la caduta accidentale delle polveri e
corpuscoli natanti nell' aria, e convalidò i fatti osservati
mediante le accurate misure della tensione superficiale delle
diverse soluzioni, nonché di quella dei liquidi che vi faceva
cadere.
(1) Sursaturation, par M. Ch. Tomlinson, Actualités scientifiques
publiées par T Abbé Moigno : I sèrie, n. 25. Paris, 1872.
(2) Cfr. Sursaturation, pag. 129.
[7] (TCT)
Spinti dal (losidoi-io di riconoscere la verità di quei
fatti dei ([uali tacciono i trattati, come f,nà .si ebbe a notare,
abbiamo ripetuto gli es[)erimenti del Tomlinson; ma in luogo
di adoperare una considerevole quantità di liquidi ci siamo
limitati a pochi e sempre della stessa qualità, ripetendo
moltissime volte gli esperimenti e variandone il modo; im-
perocché se, in massima, sono veri i fatti descritti dal Tom-
linson, nondimeno si presentano alcune eccezioni che me-
ritano di essere segnalate.
Che sia opportuno studiare i fenomeni all' infuoi-i di
(jualsiasi causa disturbatrice, lo dimostra il fatto che una
goccia di liquido se cade sopra una soluzione di solfato
sodico, generalmente la fa cristallizzare anche se il liquido
non si distende in pellicola. Non crediamo, peraltro, che
r operare in aperta campagna sia del tutto scevro di acci-
denti ; allorché si scoperchia il matraccio può intervenire il
fenomeno dell' evaporazione specialmente se l' aria è molto
asciutta ; ma di ciò non tenne conto il Tomlinson. Eppure
il fatto non si può negare; e tante volte ci è occorso di
togliere il coperchio di vetro ad un matraccio contenente
la soluzione di un sale deliquescente, come é appunto l'a-
cetato di soda, e di scoperchiarlo all' aria aperta, (e qui a
Venezia si è in ottime condizioni riguardo a polvere), e la
soluzione cristallizzò probabilmente per il subito attivarsi
di correnti d' aria ; invece una identica soluzione si man-
tenne liquida per 24 ore e più, avendo lasciato aperto il
matraccio.
Trovammo adunque necessario di metterci al co})erto
anche dalle correnti che possono agitare l'aria del matrac-
cio, affine di studiare unicamente l' effetto del liquido che
doveva cadere sulla soluzione. Per(MÒ ideammo di fai- goc-
ciolarti i lifjtiidi mediante una diiavelta simile a ([ucdla che
si adopera nel noto appai-ecchio di Dalton. Questa chia-
vetta, di bronzo, aveva nel cono una cavità capace di con-
tenere 4 0 5 goccie di quei li(|uidi che si volevano far di-
scendere nel matraccio ; un tubetto di bronzo, lungo mm. 50
(768) [8]
e largo mm. 7, circa, era saldato normalmente all'asse del
cono e veniva infilato in un tappo di gomma ; con questa di-
sposizione si poteva chiudere il matraccio, e girando la chia-
vetta di 180°, si potevano far discendere i liquidi, già in-
trodotti nella cavità, in un ambiente separato totalmente
dall' aria esterna.
Passiamo ora a descrivere gli effetti ottenuti coi vari
li(|uidi.
Etere. — In una soluzione di solfato di soda, nel rap-
})orto di 1 d' acqua per 3 di sale, filtrata in un matraccio
che poi si chiuse col tappo sopra descritto, si fecero cadere
una 0 due goccie d' etere e si ottenne l' immediata cristal-
lizzazione. L' esperimento fu ripetuto più volte tanto nell'e-
state che neir inverno col medesimo risultato.
Diverso fu il contegno dell' etere fatto gocciolare sopra
r acetato di soda disciolto nella proporzione di 4 parti di
sale per 1 d' acqua. Anche a basse temperature (3° e 4°) le
più favorevoli alla precipitazione del sale, 1' etere è stato
inattivo quando si è fatto cadere mediante la chìanetta.
Se invece si faceva gocciolare 1' etere sopra una soluzione
di acetato sodico conservata in un matraccio aperto, gene-
ralmente si otteneva la cristallizzazione, ma dopo parecchi
minuti che il liquido era caduto. La qual cosa può far
nascere il dubbio che non sia stato 1' azione dell' etere la
causa della precipitazione.
Benzina. — Nella soluzione di solfato sodico nel raj)-
})oi'to di 1 a 3, filtrata in un nuitraccio che si è chiuso
col tappo munito di chiavetta, si è fatta cadere una goccia
di benzina; il liquido si è espanso in sottilissimo velo, mo-
strando iridescenze, ma la soluzione non è cristallizzata. Si
è })ur riconosciuto che la benzina è inattiva anche quando
se ne fa cadere una goccia in un matraccio chiuso sempli-
cemente con un coperchio di vetro, j)urchè si abbia cura di
rimettere subito il coperchio. Gli esperimenti descritti fu-
rono eseguiti a temperature piuttosto basse (dai ^^ ai 7") e
anche a temperature alquanto elevate (dai 20" ai 24").
[!)| (760)
La lìonziiia che si è trovata inattiva sulle soluzioni di
solfato di soda, è invece attivissima su quelle di acetato
sodico. Infatti, sia direttamente, sia per mezzo della chia-
vetta, facendo cadere una o due goccie di benzina sopra
una soluzione di acetato di soda nel rapporto di 1 a '^ e
an(die di 1 a 4, nasce un fenomeno bellissimo e meritevole
d' essere ripetuto nei corsi di fisica. Appena la goccia viene
in contatto colla soluzione, è rimbalzata e sparpagliata
(jua e là, e con grandissima rapidità si veggono i cristalli
partire da tutti quei punti dove furono spruzzati i fi'am-
menti della goccia, e la soluzion(* rai)[)rendersi in un mo-
mento in massa compatta.
Dobbiamo notare un fatto, sul (juale ritorneremo, cioè
die facendo cadere una goccia di l)enzina da piccola altezza
(2 0 o mm.) sulla superfìcie della soluzione di acetato so-
dico, essa si espande regolarmente e non determina la
precipitazione del sale.
Olio essenziak di trementina. — Questo liquido fa cri-
stallizzare rapidamente !(' soluzioni soprasature di solfato so-
dico anche quando lo si fa gocciolare })er mezzo della chia-
vetta. Invece è inattivo sulle soluzioni di acetato di soda ;
sulla loro superfìcie si distende in pellicola sottilissima con
belle ii'idescenze ma senza provocare la precipitazione del
sale.
Talvolta, a dir vero, la soluzione cristallizzò in un ma-
traccio aperto dove si fece gocciolare l'acqua ragia; ma non
può affermarsi che la precipitazione sia proprio avvenuta per
r azione dell' olio essenziale. Potrebbe opporsi che in un
vaso chiuso, dove 1' atmosfera è in gran parte formala di
\ apore, mancando (juasi del tutto la presenza dell' aria
\ iene a mancare un importante fattoi-e nel conflitto fra le
tensioni superficiali dei due li{|uidi. Ma possiamo rispondere
che versata, a freddo, la soluzione di acetato sodico in una
lai'ga cassula, e fattavi cadere una goccia d'olio di tremen-
tina, essa si distese cii'colarmente con iridescenze bellissime
e la soluzione rimase liquida.
(770) [10]
Petrolio. — Il petrolio ha un' azione abbastanza ener-
gica quando la superfìcie della soluzione è stata imbrattata
con qualche altro liquido, come diremo fra poco. Ma
se il petrolio cade sopra una soluzione ben filtrata e
netta, è poco attivo. Cosi trovammo che fatta cadere, me-
diante la chiavetta, una goccia di petrolio sopra la soluzione
di solfato di soda, la goccia si distese in regolare pellicola
e non provocò la cristallizzazione ; la provocò invece se il
matraccio era aperto. Sulla soluzione di acetato di soda con-
centratissima (1 a 4) e a temperatura molto bassa (2°) il
petrolio fu inattivo, quando si fece gocciolare nel vaso
chiuso col tappo a chiavetta; e spesso, anche nel matraccio
aperto, il petrolio si distese in larga pellicola senza far
cristallizzare la soluzione.
Olii fissi. — L' olio d' oliva purissimo, e l'olio di man-
dorle, se si fanno gocciolare sulle soluzioni di acetato di
soda 0 di solfato di soda si distendono lentamente in pel-
licole iridescenti senza produrre alcuna cristallizzazione.
Nel matraccio aperto può avvenire che il solfato di soda cri-
stallizzi neir atto che vi cade la goccia ; e siccome essa
non ha avuto tempo di espandersi, perchè la troviamo tal
quale sulla superficie cristallizzata, il fatto deve attribuirsi
ad altre cause, le quali potrebbero essere o l'evaporazione,
0 piuttosto la caduta di qualche cristallino di solfato sodico.
Facciamo ora una breve discussione sui fatti osservati
e poniamoli a confronto colle proposizioni formulate dal
Tomlinson.
Per rendere })iu jtroficua una sifi'atta discussione sarchile
stato opportuno il determinare la tensione superficiale delle
dissoluzioni e dei li(iuidi che vi si facevano goc('iolare. Ma
essendo al presente privi di alcuni mezzi atti a misurare,
colla dovuta precisione, le altezze capillari affine di rica-
vare, dalla nota formola
rad
[11] (771)
l;i tensione supertìciale /, ci accontentei'emo di alcune mi-
sure approssimate le quali, peraltro, saranno sufficienti per
i confronti di cui si tratta.
In un tubo, del diametro di circa 0""",9 si misura-
rono le altezze capillari di due soluzioni che avevano ser-
vito in alcuni degli esperimenti descritti, cioè una soluzione
di solfato sodico nel rapporto di 1 a 3, ed altra di acetato
sodico nello stesso rapporto. Collo stesso tuljo, che volta
per volta era catarizzato nel miglior modo possibile, si
misurarono le altezze capillari degli altri liquidi sopra de-
scritti, e le misure furono fatte a temperature assai pros-
sime, cioè tra 12°,5 e 13'',2. Poiché per tutti i liquidi si
adoperò lo stesso tubo, l)asterà fare il confronto tra i di-
versi prodotti che si ottengono moltiplicando 1' altezza ca-
l)i Ilare a per la densità d.
Ecco i risultati.
LIQUIDI
Densità
d
Altezza capillare
a
Valori di e X ''
Etere solforico. .
0.730
cm. 1.01
7.373
benzina ....
0.890
» 1.14
10.140
Olio essenziale di
trementina . ,
0.8(34
» 1.27
10.973
Petrolio da lam-
pade ....
0.800
> 1.42
11.3()0
Olio d' oliva . .
0.913,
)> 1.49
1:5.(10:5
A<eT. sodico (1 a :{)
1.225
* l.so
22.( l.")! )
Solf. sodico (1 a 3)
1.305
» 2.50
: 52.02:)
(^'2) [12]
Apparisce adunque dalla tavola che il minor prodot-
to è quello che corrisponde all'etere, il quale ha quindi
la minor tensione superficiale. Parrebbe, stando alle
proposizioni del Tomlinson, che 1' etere dovesse essere il
liquido più energico a por fine allo stato di soprasatura-
zione ; invece se desso è energico colla soluzione di solfato
sodico non lo è con quella di acetato di soda benché la
differenza di tensione superficiale fra i due liquidi sia an-
cora considerevole.
Il prodotto corrispondente alla benzina è pur esso pic-
colo, perciò, dopo 1' etere, è il liquido, fra quelli da noi
adoperati, che ha minor tensione superficiale. Nulladimeno
è pochissimo attiva sulla soluzione di solfato sodico che ha
pure una forza contrattile considerevole. Non è qui il caso di
dire che un esperimento non riuscito non basta a infirmare
una regola ; 1' etere e la benzina furono i liquidi i più ado-
perati e coi quali facemmo parecchie diecine di esperimenti
perchè appunto ci colpi la curiosa anomalia. Potrebbe forse
spiegarsi il fenomeno dall' avere certi liquidi, e certe solu-
zioni, saline in particolare, una considerevole viscosità la
quale si oppone alla rapida espansione della goccia mal-
grado la diff'erenza notabile fra le tensioni superficiali, (i)
Un' altra considerazione è pure da farsi, cioè sul modo
col quale cade la goccia. Se si ha cura che la goccia cada
sulla superficie della soluzione da una breve altezza, e ciò
lo si ottiene facilmente adoperando una pipetta, vedremo
che la goccia si distende in cerchio e non provoca la cri-
stallizzazione. Abbiamo osservato il fenomeno parecchie
volte colle goccie di benzina e di petrolio deposte sulla
soluzione di solfato di soda, e la stessa benzina, cosi attiva
suir acetato di soda, è rimasta talvolta inattiva quando si
(1) Infatti l'etere, (juando cade «nlla superficie della soluzione di
acetato sodico, si espande nel pri jio momento e poi si contrae in una
lenticchia che sparisce per evaporazione.
[i;;j (778)
é i-iusciti a deporvela con pi-ccauzioiiiMii f-iiisa da ((tlctici-c
che si os}iande.sse roovjlai'iuente. Dobbiamo aggiiingei'c che
dopo deposta la goccia si rimetteva il coperchio sopra il
matraccio, perchè, lasciandolo scoperto, di solito avveniva,
(h>l)0 mezz'ora e più, la cristallizzazione. Ma non possiamo
l'i tenere che la precipitazione del sale fosse avvenuta per
r azione della goccia, imperocché se, contemporaneamente
alla caduta della goccia, si scopei-chiava un altro matraccio
con identica soluzione di acetato di soda, molte volte è* av-
venuto che il liquido cristallizzava più presto nel secondo
matraccio che nel primo.
Quando il liquido è attivo, nel senso cioè di determi-
nare la pronta precipitazione del sale, i cristalli partono
sempre dalla periferia della goccia la quale, in simiglianti
casi, si espande irregolarmente, vale adire che il suo con-
torno è frastagliato da sinuosità piìi o meno profonde. Non
è poi necessario che la superficie della soluzione sia net-
tissima, perchè qualche liquido poco attivo lo diviene assai
più quando la superficie della soluzione, su cui cade, è
iml)rattata di materie oleose. Ciò è provato dai seguenti
esperimenti.
In un matraccio si filtrò una soluzione di solfato di
soda (1 a .'^) e si chiuse col tappo a chiavetta, indi si fece
cadere una goccia d'olio d'oliva che si espanse, a i)OCO a
poco, in pellicole iridescenti. Fattavi cadere, dopo '^A ore,
una goccia di petrolio, nacque una viva lotta e la solu-
zione immediatamente cristallizzò. Lo stesso esperimento
fu ripetuto più volte con la soluzione di acetato di soda
contenuta in un matraccio coperto con un cappello di ve-
tro : fattavi cadere la goccia d'olio d'oliva, o di mandorle,
dopo alcune ore la goccia si eia distesa in ptdlicMlc, e la
caduta del petrolio precipitava la soluzione (').
(1) Anche colla benzina si è ottenuto lo stesso ri.siiltamento (piando
si ('• fatta gocciolare sulla superficie imbrattata «la un olio fisso od an-
che da essenza di trementina.
C^74) [14]
I fatti che abbiamo descritto .stanno a riprova di quelli
già osservati dal Tomlinson. Senonchè, alle proposizioni
formulate dal fisico inglese, crederemmo di dover aggiun-
gere una specie di emendamento affine di metterle in
piena armonia coi risultati dell'esperienza, e diremmo :
I. Se una goccia liquida si espande rapidamente, e
irregolarmente, sulla superficie di una soluzione, il brusco
turbarsi della tensione superficiale è causa sicura della
precipitazione del sale.
II. Se invece la goccia si espande con molta lentezza,
ovvero se, essendo di un liquido che si espande rapido,
venga deposta in guisa da espandersi regolarmente intorno
ad un centro, nel primo caso mancando un repentino mu-
tamento nella tensione superficiale mancherà la causa im-
pellente il moto cristallino ; e nel secondo avendo provo-
cato un aumento uniforme nella contrattilità superficiale
dell'anello che circonda la goccia, non avrà luogo la preci-
pitazione dei cristalli.
Effetti prodotti dagli urti. — Si dimostra come il moto cri-
stallino può propagarsi fra due parti di una stessa so-
luzione, separate da una membrana flessibile ed imper-
meabile.
Gli effetti prodotti dalle azioni meccaniche sulle solu-
zioni soprasature sono alquanto capricciosi. Per es. una
soluzione concentratissima di acetato sodico può essere tra-
vasata da un matraccio all'altro senza cristallizzare ; come
pure la stessa soluzione può essere violentemente scossa
nel matraccio e rimaner liquida ; lasciandola poi in quiete
non tarda a cristallizzare, ma i cristalli partono dalle pa-
reti che restarono bagnate nell'agitazione. — Un getto i)0-
deroso d'aria, che si fa gorgogliare a traverso la soluzione
di acetato di soda, è inattivo ; invece un lieve soffio sulla
[1-1 (77:,)
.siii)(M'Hci(\ (Ictenniiia, come già \('(UMniii(), l;i [>i'('ci|iila/-i()iii'
salina. — I.a ìiihikm-sÌohc ili una bacchetta di veti'O odi metallo,
noiiclu'' la cadiila di rraiiiiiienti solidi, determinano spesso
la lìircipitaziunc : ma ciò scmhi-a avvcnii'O non \)L'V l'azione
materiale dell'uflo, ma piuttosto per (juella dell' aria che
sta aderente a (jiiei corpi. Fu infatti provati», da molti spe-
rimentatori, che una liacclietta di \etro diviene inattiva
quando è stata riscaldata innanzi d'immergerla nella dis-
soluzione.
Noi pure abbiamo ripetuto il curioso esperimento sia
con bacchette, sia con aghi da cucire, i quali appena im-
mersi nella soluzione provocavano il precipitar dei cristalli, e
restavano inattivi se caldi. Abbiamo anche provato a rac-
cogliere la soluzione in un largo tubo il cui fondo era fatto
con una membrana di caucciù, e forando coli' ago la mem-
brana, subito partivano i cristalli dalla punta. Siffatte espe-
rienze hanno molta analogia con quelle classiche del Du-
four e del Donn}^ e forse allo stesso modo che si formano
le bolle di vapore in presenza dell'aria che sta aderente al
corpo che si pone in contatto col liquido soprascaldato, po-
tranno anche formarsi i cristalli in quella piccola atmosfera
che circonda l'ago o la bacchetta; siffatti fenomeni potreb-
bero adunque rientrare nella teorica del Selmi, piuttosto che
in quella dell'azione micleare invocata dal Tomlinson.
Nei molti esperimenti eseguiti non abbiamo mai ri-
scontrato che il semplice urto meccanico sia causa di pre-
cipitazione. Infatti, se nel tubo a fondo elastico descritto
di sopra, procuriamo di mantener liquida la soluzione di
acetato sodico coprendolo con un cappello di vetro, dando
dei colpi sulla membrana, con un piccolo martello, non si
giunse a farla cristallizzare. — Parimente, se un tubo ana-
logo al precedente, ma vuoto, s' immerge in un vaso da
precipitati contenente la soluzione, in guisa che la mem-
brana rimanga per 2 o 3 centimetri sotto il livello del li-
quido, facendo cadere, dentro il tubo, dei pallini di piombo
da un'altezza di 25 o 30 centimetri, malgrado che battano
{176) [16]
con qualche violenza sulla membrana, V urto non deter-
mina la precipitazione del sale.
L' esperimento dei pallini ci fece pensare che, forse,
sarebbe avvenuta la cristallizzazione , se in luogo di
far cadere un corpo amorfo il cui urto è innocuo, si
fossero fatti cadere dei cristalli della stessa sostanza di
quella disciolta ; imperocché la membrana avrebbe dovuto
piegarsi sotto l'urto e modellarsi sulle faccie dei cristalli
divenendo, in qualche guisa, un corpo isomorfo con quello
disciolto nel liquido. L'esperimento venne eseguito e, benché
avessimo adoperato una membrana sottilissima, non riuscì.
Forse avrebbe avuto luogo la riuscita se avessimo compresso
i cristalli sulla membrana ; ma siffatto esperimento pre-
sentando il pericolo di qualche lacerazione, si pensò di
modificarlo nel modo che ora diremo, e sorti esito feli-
cissimo.
In un vaso da precipitati, che chiameremo A, alto 17
centimetri e largo 8 V2 (ie dimensioni possono essere va-
riate a piacere di chi esperimenta) si filtrò una soluzione
concentrata di acetato di soda nel rapporto di 1 d' acqua
per 4 di sale, in modo da riempire il vaso fin circa a
metà. Ad un tubo di vetro B lungo 14 centimetri e largo
3 Va? si applicò alla bocca una sottilissima membrana di
caucciù che stava legata abbastanza alta sulla parete del
tubo, e per mezzo di tre appendici metalliche che parti-
vano dalla parete, si appoggiò il tubo B sulla bocca del
vaso A in modo che l'estremità chiusa dalla membrana si
immergesse di qualche centimetro sotto il livello del li-
quido, e la legatura emergesse sul detto livello. Ciò fatto
si copri il tutto con una campana tubulata, che nel nostro
esperimento era alta 26 centimetri e larga 13, e per la
tubulatura si passò un imbuto il cui collo discendeva fino
alla bocca superiore del tubo B. L' imbuto ha il doppio
vantaggio di togliere la diretta comunicazione fra la dis-
soluzione e l'ambiente esterno, ed offre il modo di ver-
sare nel tubo B quel liquido clie si vuole ; per es. una
[17] (777)
solii/ioiie idcMilica ;i (|iu'll;i cJk' sl;i nel \ ;iso A. Con iincsic
(lispojjizioiii si è cei'ti clic la (lissolu/ionc i-iiiiaiic li(|ui(la
anche por ]»iìi ^ioi'iii.
Allui%-li(' la (iissolii/.ioiic (lei MINO A dilic [iroso la tein-
poi-atura doli' anihioiite, si versò per V iiiihtito una cei'ta
(luaiiiità di identica soluzione })ui' ossa alla tenipoi-atura
deirami)iente. Di solito la soluzione versata nel tubo 1>
rimane liquida per un certo tempo, ed ecco perchè è da
preferirsi l' acciaio sodico al solfato il quale facilmente
cristallizza, nell' atto che si versa, e si agglomera nel-
l'imbuto. Fatto allora cadere un cristallo di acetato di
sofia nell'interno del tuho B, ovvero aspettando che cri-
stallizzasse il li(iUÌdo rimasto aderente alle pareti dell'im-
buto, si vide il moto cristallino propagarsi in basso nel-
l'interno di B, e quando la massa dei cristalli giunse alla
membrana, si videro, al di fuori, partire in tutte le di-
rezioni i cristalli che in breve rappresero in massa la so-
luzione contenuta nel vaso A.
L'esperimento può, a dir vero, esser reso più semplice,
e può eseguirsi, come abbiamo fatto più volte, versando
la soluzione di acetato sodico, alla temperatura dell' am-
biente, nel vaso da precipitati, e poi immergervi il tubo
a fondo elastico, già riempito della stessa soluzione. Ma
operando all'aria libera può sempre nascere il dubbio che
la precipitazione salina possa esser dovuta a cause diverse ;
perciò crediamo che il metodo sopra descritto sia il più
acconcio a dimostrare che il moto cr-istallino può propa-
garsi fra le due parti di una stessa soluzione, separate
da una membrana flessibile ed impermeabile.
All'esperimento descritto può farsi una seria obbie-
zione : le membrane adoperate erano veramente imper-
meabili ai solidi ed ai liquidi ? Trattandosi di un esperi-
mento assai delicato, di una qualche importanza nella
tìsica molecolare e, per quanto sappiamo, nuovo, non man-
cammo di prendere tutte le precauzioni per esser sicuri
che la membrana adoperata fosse impermeabile prima del-
(778) [18]
l'esperiinento, e tale restasse dopo avvenuta la cristallizza-
zione. Laonde, per rispondere ai dubbi che potessero essere
affacciati, citeremo le seguenti prove.
Dopo aver fissata la membrana sul tubo vi si versò
dell'acqua per 1' altezza di 10 o 12 centimetri, e tenuta
più giorni sotto quella pressione non si vide trapelare al
di fuori la più piccola traccia di umidità. Effettuato poscia
l'esperimento, prima ancora che tutta la soluzione esterna
si fosse precipitata in massa, cavammo il tubo e lo im-
mergemmo in una catinella piena d' acqua acciocché il
sale vi si sciogliesse lentamente ; poscia avendo bene asciu-
gato al sole la parte esteriore della membrana, si riempì
d'acqua il tubo e si tenne più giorni sotto pressione senza
che nulla trapelasse al di fuori rimanendo la membrana
asciuttissima. Ciò provava clie la formazione esterna dei
cristalli era avvenuta per moto trasmesso dalla flessibilità
della membrana e non per diretta comunicazione.
Venezia, Gennaio 1893.
L'ASSEDIO DI TORINO DEL 1106
SECONDO LE iMEMOlME DEL TEMPO (i)
Nota storica
DEL DOTT. E. CALLEGARI
L'assedio di Torino del 1706 è senza dubbio uno dei
l)iìi splendidi episodi della guerra di successione di Spagna
e della storia militare del Piemonte.
Tutte le Memorie del tempo sono concordi nell'affer-
mare, che pari alla gravità del pericolo fu la grandezza
d' animo, V eroismo, lo spirito di abnegazione degli as-
sediati.
Io ho condotta la mia narrazione sui documenti sin-
croni tratti dagli Archivi, specialmente, di Torino, Milano,
Venezia, Parigi e pubblicati in gran parte dal Manno nella
Miscellanea di Storia italiana ed ho tenuto conto degli
studi generali e parziali usciti alla luce qui ed altrove su
([uesto argomento.
^leiitre per differenti ragioni dinastiche mezza Europa
scendeva in armi contro la Francia, in Italia molti, in mezzo
a tanto strepito di guerra, sonnecchiavano indifferenti o si
sbizzarrivano a ridere di questo o di quello con un'aria di
(1) L'intera Memoria verrà pubblicata nel fascicolo III di quest'anno
della Rivista Storica Italiana.
T. IV, S. VII 51
(780) [2]
.scetticismo confacente ad un })opolo, che non sperava miglio-
ramento politico da (jiialunque parte si fosse volta la vit-
toria tinaie, ed esprimeva la propria opinione, prò o contro
l'uno 0 l'altro dei combattenti, con certe composizioni, che
mostrano di non avere alcuna pretesa letteraria. Fra gli
Stati della penisola taluni aderirono alla Francia, altri
vollero conservare la propria neutralità. Due soli miravano
più alto, il duca di Parma, che, secondo apparisce da se-
grete Memorie del tempo, vagheggiava la libertà d'Italia,
e il duca di Savoja, che avrebbe voluto sbarrazzar la peni-
sola dai Francesi, perchè intendeva che, ove Milano fosse
caduta in mano ad essi, il Piemonte avrebbe finito di esi-
stere politicamente, come quello che si trovava rinchiuso
da una parte e dall'altra fra gli artigli borbonici. Di qui quel
suo destreggiarsi fra i due belligeranti, volgendosi prima
dalla parte di Luigi XIV, quindi da quella dell' Austria
appena s'accorse quanto infida ed umiliante fosse l'alleanza
francese.
Nel mio studio ho accennato a tutti i principali fatti
d' armi compiutisi in Italia prima che Torino fosse stret-
ta d' assedio, e a tutte le misure prese da Vittorio Ame-
deo per preservare la capitale dei suoi stati dalla rovina
di un'occupazione straniera, sia col chiedere la neutralità
della Savoja, sia col richiamare ajuti dall' Austria, col
domandarne a Venezia, col pori'e sotto le armi persino i
disertori e col munire la città di tutte quelle opere di di-
fesa, che poteva consigliare l'arte strategica del tempo. Ap-
pena i nemici cominciarono a battere vigorosamente la
fortezza, Vittorio Amedeo s'accorse che la sua famiglia non
era sicura in Torino, poiché i francesi miravano a farla
prigioniera, perciò credette opportuno allontanarla dalla città
e porla sotto la protezione della repubblica ligure, finché
non fosse cessato ogni pericolo in Piemonte.
Egli stesso, giudicando che meglio avrebbe potuto aiu-
tare il suo popolo portandosi fuori delle mura e stancheg-
giando il nemico con finte mosse, era uscito di Torino, e
[3] (781)
dal la Foiiilladc, elio lo a\e\a iiis(-fi;iiito, ora stato chiuso in
coi'tc ^olc ali»iiu\ dalle (piali potò uscir salvo mediante la
l'ii^a l'alta, ali* insaputa di tutti, in un luiscosto villa|i-^io
alpino, che delf ospitalità concessa all'illustre fuggiasco
sei'ba ou^i aucoi'a nicnioria.
L'assedio fu (-(uidotto con energia da una parte e dal-
Talti-a. uni il la l-'euillade aveva fin da principio sbagliato il
l)iaMo di guci-i-a. Vauhan gliel'avea fatto sapere, ma egli
avea sci'itto al suo re, che c'e7yi da sia.)- ben più .sicuri
con lui, che iialendosi di iiUll quanti gli ingegneri. Sotto le
mura della città si combatterono brillanti fazioni di guerra,
e al soverchiante numero dei nemici Torino opponeva una
indomita resistenza, poiché tutti gli ordini dei cittadini
senza distinzione gareggiarono nel far mostra di eroismo,
abnegazione e carità di patria. Frequenti sortite militari,
lotte accanite sui baluardi, disperate battaglie combattute
corpo a corpo sopra o sotto terra con picche, spade e mine
tenevano incerto 1' esito della grande lotta ; ma mentre i
nomici avevano tutto il necessario per riparare alle per-
dite, gli assediati cominciavano a sentir pecunia di varie
cose, specie della polvere. V ebbe un momento in cui la
città stava per cader nelle mani dei francesi : la salvò l'e-
roismo d'un oscuro minatore, il Micca.
Fu vergogna del tempo, che un' azione cosi grande e
nobile, — perchè compiuta nell'oscurità d'un sotterraneo da
un povero contadino, — restasse per tanto tempo sepolta in
un' inescusabile dimenticanza ; colpa di tutti e particolar-
mente della Corte e dei Capi militari, cui spettava il dovere
di appurare la verità del fatto in mezzo alle differenti ver-
sioni, che di esso correvano, mentre ancora viveva il su-
perstite compagno del Micca.
Ma se l'eroismo del minatore d' Andorno avea salvato
la città da un grave })ericolo, non l'avea però liberata dal
nemico, che ingrossava sempre più, mentre in Torino an-
(782) [4]
dava as.sottigliandosi il numero di quelli, che erano pre-
l)Osti alla sua difesa. Occorreva un grande aiuto, che de-
cidesse^ finalmente delle sorti della guerra, e Torino l'ebbe
in Eugenio di Savoja. Con una marcia abilissima, e che
costituisce una delle più gloriose pagine della sua storia
militare, era sceso dalla valle dell'Adige in Italia e, attra-
verso una regione tutta seminata di truppe, di campi trin-
cerati, di forti e di piazze validamente munite, era abil-
mente passato sfuggendo insidie, attacchi, sorprese e riu-
scendo in brevissimo tempo a congiungersi con le armi di
Vittorio Amedeo, che ansioso l'aspettava poco lungi da
Torino.
La grande battaglia, che si combattè al 7 Settembre
1706 sotto la mura della città fra gli austro-piemontesi e i
francesi, decise delle sorti della guerra in Italia : la for-
tuna delle armi borboniche fu completamente annientata ;
Torino fu salva e il Piemonte e la Lombardia liberi del
tutto dalle armi francesi. Giustamente poteva scrivere il
poeta vernacolo :
« I Todisch e i Piemontes
Spiritos in mezz ai bott,
Col pett nud, senza diffes
Vaan innanz, se porten sott »
Poverett ! Con sta gran bòtta
Spenaccia resten i Gai,
Con l'esercit tutt in rotta
E perdun tutt el bagai. » (')
Il trionfo delle armi austro-piemontesi, che fu la più
severa lezione inflitta alla tracotanza del De la Feuillade,
(1) Cfr. G. De Castro Milano nel settecento giusta le poesie, le ca-
ricature e alcune testimonianze dei tempi. Milano, Dumolard 1887,
pag. 25.
[5] (783)
avea talmente accorata e avvilita la Coi-te e la nazione
tVancose da far smarrire ad entrambe il senso pi-aticjo nella
liinsta estimazione dei fatti.
Pareva impossibile, che un così fiorito esercito, i-icco
di tutto il necessario per far cadere una piazza ben {ìiìi
forte che non fosse stata (pudla di Torino, fosse dovuto
fu^-gire rovinosamente dalle sue trincee, lasciando sul campo
un generale morto, un altro ferito, e un ingente nu-
mero di soldati posti fuor di combattimento; pareva im-
possibile, che un' impresa tentata dalla Francia contro lo
spregiato Piemonte fosse potuta riuscire a vóto.
Non si volle riconoscere che la splendida vittoria fu
conseguenza di mal combinati piani militari, di false mosse
d'eserciti ; che fu effetto di eroismo, di abnegazione, virtù
guerresca degna di essere scritta a caratteri d' oro nella
storia d'un popolo.
Era troppo ignominioso riconoscere da cause proprie
tristi effetti ; la jattanza francese, offesa e tocca sul vivo,
non poteva abbassarsi al punto di riconoscere le vere cause
della sua sconfitta ; occorreva una vittima, a cui far risalire
intera ed odiosa la responsabilità della sventura. Fu detto
che il La Feuillade, innamorato di Maria Adelaide, gentile
figlia di Vittorio Amedeo e sposa al duca di Borgogna, non
avesse voluto condurre vigorosamente l'assedio per non re-
car alla Duchessa il dolore di sajìer rovinata dalle armi di
Francia la capitale degli stati di suo padre.
Questo è falso ; jìarlano conti'O la bassa e ignobile ac-
cusa gì' immensi danni arrecati a tutti gli edifici pubblici e
})rivati di Torino, a tutti i luoghi consacrati alla pietà ed
al culto ; parla il numero delle bombe lanciate, che fu
COSI grande da far dire ad un eronista del tempo, che coi
rottami di esse raccolti [)er le strade, i soldati ricavarono
per conto proprio un utile di otto lire per uno.
E quasi questa vittima non fosse bastata, se ne cercò
un'altra; e, non rispettando la (buina, si volle entrare nel
(784) [6]
segreto d'un cuore ingenuo e puro e macchiarlo col velenoso
dente d'un' atroce calunnia.
Fu detto che Maria Adelaide, che godeva la piena fi-
ducia del Gran Re, che l'amava teneramente, e non avea
segreti per lei, riferisse di nascosto al padre tutto quello
che alla Corte francese si stabiliva per la guerra italica ;
fu detto che a questo tradimento debba risalire il disastro
dei francesi sotto Torino.
Anche questo è falso. Tutti i documenti tratti alla luce
su questo argomento dalla Saredo e dal Boselli sono con-
cordi nello smentire recisamente la bugiarda insinuazione,
mentre attestano che nessun altro ne possa quando che sia
uscire alla luce, il quale infermi in qualche modo la recisa
testimonianza da loro offerta.
Narra l'anonimo autore del Giornale del famoso As-
sedio della Real Città di Torino che quando gli assediati
seppero dell'arrivo del principe Eugenio sotto le mura della
città esultarono, perchè speravano di veder fiaccato 1' or-
goglio e r insolenza del De la Feuillade, il cui comando
mal volentieri sapevano sopportare.
È a lui ed ai suoi capi militari, che bisogna far risa-
lire tanta parte della responsabilità del disastro di Torino ;
quella leggerezza e presunzione francese, che sdegnava
prender sul serio la vigorosa resistenza degli assediati, è
venuta meno ai propri doveri, è caduta in errori, in man-
canze, dei quali ha saputo trarre largo partito il nemico.
Il quale potè col proprio valore e fermezza fiaccare
d'un tratto la potenza borbonica in Italia e influire grande-
mente e far piegare dalla parte dei confederati la vittoria
finale, che pose un freno alla smodata e minacciante pre-
potenza della P'rancia a danno degli altri stati d'Europa.
RELAZIONE FR/ LA TEMPERylTURA DI GELO
E QUELLA DEL MASSIMO DI DENSITÀ DELL'ACQUA
CHE GOltTTIEiTE DISGIOXjTI IDEI SALI
Ricerche sperimentali
DEI
DOTTORI SILVIO LUSSANAe (HOVA.XM TOZZOLA (i)
1/ anomalia che presenta V acqua verso i 4° C. diede
origine a lunghe discussioni, specialmente per la relazione
che vi potrebbe essere fra la variazione della sua densità
e quella del calore specifico intorno a quel punto. — Se,
come venne dai più sostenuto, la vaiMazione di densità che
qui si osserva è dovuta ad un cangiamento nella struttura
molecolare, è naturale il pensare che anche qui si presen-
tino gli stessi fatti che si osservano ogniqualvolta si incon-
trano di tali modificazioni nella struttura dei corpi. Fu
questa l' idea che ci guidò nel presente lavoro.
(ria da molti fu studiata la temperatura alla ([uale
r acqua o le soluzioni acquose presentano la massima den-
sità. Cosi si trovano p. es. i lavori di Despretz, C'oppet
e Rossetti i di cui risultati potremo discutere in seguito.
Noi ci siamo daj)prima preoccu})ati di studiare la tempe-
ratura del massimo di densità dell' acqua distillata con
ogni cura, e quindi di alcune soluzioni saline.
(1) Questo lavoro fu eseguito nel Laboratorio dell' Istituto fisico
della R. Università di Padova diretto dal prof. Angelo Battelli.
(786) [2]
Il metodo da noi usato fu quello del dilatometro. Ave-
vamo a nostra disposizione sette dilatometri di Geissler di
cui abbiamo studiato con cura il coefficiente di dilatazione.
Questi dilatometri vennero perciò riempiti nel vuoto, sotto
la campana di una macchina pneumatica, con mercurio
preventivamente distillato e bollito, cercando di espellere
ogni bolla d' aria : la superficie speculare presentata dal
mercurio nel bulbo ci garantiva della buona riuscita della
operazione. A questo modo abbiamo evitato l'inconveniente
di far bollire il mercurio nel dilatometro, il che, come si
sa, produce delle variazioni nella capacità. Il coefficiente
di dilatazione venne determinato a più riprese fra le tem-
perature di 0° e 10° C. circa. Pei diversi dilatometri esso
era compreso fra 0,000022025 e 0,000028134.
I cannelli dei dilatometri erano divisi in millimetri
per una lunghezza di 10*"° ed avevano un diametro interno
di circa 1 mm. Per calibrarli abbiamo riempito ciascun
strumento con mercurio in modo che questo arrivasse fin
verso la divisione 100, e poi li abbiamo mantenuti a
temperatura costante, una volta ponendoli nel ghiaccio
fondente, ed una seconda volta in un bagno d' acqua, di
continuo agitata, alla temperatura ambiente. Questa tem-
peratura ci era data da un termometro Baudin da 0° a
40° C. diviso in decimi posto nello stesso bagno. Estra-
endo successivamente delle piccole quantità di mercurio si
leggeva con un cannocchiale la divisione alla quale arri-
vava il liquido rimasto, e nello stesso tempo si leggeva la
temperatura segnata dal termometro. Del mercurio levato
si determinava il peso con una piccola bilancia di Rue-
precht. Da questi dati abbiamo potuto dedurre la capacità
dei singoli tratti del cannello vuotati di volta in volta. —
Questi volumi, ridotti alla temperatura di 4° C, ci servi-
rono per costruire una curva per ciascun dilatometro. In
queste curve, la cui origine era posta al })rincipio della
graduazione, un millimetro nelle ascisse con'is})ondeva ad
(li ili\isioMe (lei cannello; menli-e un milliinetro nello
ordinate coiTispondeva ad j-rr di niillinicti'o cubico.
I volumi dei bulbi a 0°, che variavano pei diversi di-
latometri da 30 a 32 ce, si dedussei-o dal i)eso del mer-
cui'io che li riempiva fatta la correzione per la spinta del-
l'aria. Queste capacità, insieme ai coefficienti di dilatazione
ed alle curve di graduazione dei cannelli, servivano a darci
i volumi del liquido contenuto nei dilatometri alle diverse
temperature a cui venne portato.
Queste ricerche vennero eseguite in un ambiente la
cui temperatura nel periodo delle esperienze variò da
circa 2° a 5° C. I dilatometri venivano posti in un vaso
della capacità di circa 40 litri, riempito d' acqua che si
teneva continuamente agitata. Due termometri Baudin di-
visi in cinquantesimi di grado servivano a darci la tem-
peratura del bagno. Le letture vennero eseguite con un
cannocchiale a piccola distanza focale. L' ingrandimento
di quest' ultimo era tale che permetteva di leggere con
sicurezza i centesimi delle divisioni sul dilatometro, ed i
millesimi di grado sui termometri. Il riempimento dei dila-
tometri si fece introducendovi un lungo e sottile cannello di
vetro che penetrava nel bulbo, e quindi versando il liquido
nel biccliierino superiore del dilatometro. Prima di venire
l'iempiti i dilatometri furono lavati con acqua distillata e
(luindi rii)etutamente sciacquati con la soluzione che do-
veva essere studiata. I dilatometri che servirono per le
esperienze sull' acqua distillata furono riempiti nel vuoto.
L' aciiua di cui ablìiamo fatto uso la ottenemmo con
i'il)etute distillazioni : saggiata poi coi diversi reattivi in-
dicati dalla chimica non ci presentò traccia alcuna di im-
jìurità. Fin da principio ne abbiamo preparata una quantità
sufficiente per tutte le esperienze da eseguirsi. I sali usati
erano in pai-te forniti dal Trommschjrff ed in jiarto dal
Kahlbaum. La maggior parte di essi furono cristallizzati
(788) [4]
nuovamente prima di essere adoperati. Avvertiamo tìii d'oi-a
che nei calcoli eseguiti abbiamo ridotto il peso dei sali a
quello che sarebbe se i sali stessi fossero anidri.
Per ciascuna soluzione studiata abbiamo determinato il
volume neir intervallo di circa due gradi attorno alla tem-
peratura del massimo di densità, procedendo possibilmente
di decimo in decimo di grado : tra due successive determi-
nazioni si lasciava decorrere almeno un quarto d' ora du-
rante il qual tempo la temperatura si manteneva costante
e r acqua era agitata. Per ciascun dilatometro si fecero
almeno due serie di osservazioni. Si trovavano contempo-
raneamente nel bagno parecchi dilatometri con diverse so-
luzioni prese in modo da avere il massimo di densità presso
a poco alla stessa temperatura : si incominciava dal leggere
i termometri, quindi rilevate le posizioni dei liquidi nei
cannelli si ripeteva la lettura dei termometri. Nei pochi casi
nei quali le due letture furono differenti, prendevamo la
media se differivano meno di tre o quattro millesimi di gra-
do, altrimenti si scartavano le osservazioni corrispondenti.
Come temperatura dei dilatometri si assunse la media di
quelle lette sui due termometri : queste si trovavano in
sufficiente accordo, salendo la loro differenza a pochi mil-
lesimi di grado. La temperatura del massimo la deducemmo
dalla costruzione grafica dei volumi osservati alle diverse
temperature.
Per dare un'idea dell'attendibilità dei nostri risultati
riferiamo qui sotto due serie di osservazioni, limitandoci
a quelle vicine al massimo di densità. Crediamo inutile
riferire tutte le altre bastando pel nostro scopo di riportare
la temperatura del massimo e la densità a questa tem-
pei'atura.
La prima tabella si riferisce ad una soluzione acquosa
di nitrato di piombo. La quantità di sale contenuta nella
soluzione è di gr. 5.1603 su 100 gr. d'acqua. Il peso della
soluzione contenuta nel dilatometro è di gr. 131,7769.
ui ^)' ai ; > ) i i '. U i ;3Q>vi,i-L ^l) lUi qiiili
\onnero eseguite le osservazioni, la seconda il volume in
CUI. 3 (y) occupato dalla soluzione a ((uella tenipei-atui-a, la
terza dà la densità (d) :
Tabella 1.
t
r
<ì
/
'^
d
— 1°490
30'°'^4I240
1.044846
1J15
30"°!41174
1.044894
— 1 .350
41232
861
1 .325
41 170
896
- 1 .315
41228
878
1.405
41184
895
-0.912
41189
880
1 .523
41193
892
- 0 .748
41191
878
1.542
41184
884
-0.514
41182
886
1.723
41207
883
+ 0 .308
41165
883
1.753
41199
884
0.330
41157
886
1.756
41205
870
0.574
41154
888
2.237
41254
869
0.585
41160
889
2.438
41299
866
0 .766
41158
895
La seconda tabella presenta le osservazioni eseguite
su una soluzione acquosa di nitrato di sodio. In 100 gr.
di acqua vi erano gr. 0,5414 di sale. Il peso della soluzione
contenuta nel dilatometro è di gr. 32.6842. Le diverse co-
lonne hanno lo stesso significato che nella precedente.
(790)
P]
Tabella II.
t
7'
d
t
V
d
2°. 2 16
cm3
32 .55742
1.003894
0
3.230
cm3
32 .55721
1.003901
2.412
55733
897
3.337
55725
899
2.651
55729
898
3.391
55729
898
2.666
55725
899
3.441
55729
898
2.854
55717
902
3.460
55731
897
3.003
55716
902
3.549
55734
897
3.062
55715
903
3 .559
55735
■ 896
3.109
55719
901
3.698
55747
893
3.127
55721
901
Come si vede da queste tabelle la temperatura del
massimo è abbastanza bene determinata, di modo che pos-
siamo con sicurezza fissarla entro il centesimo di grado."
Per l'acqua da noi usata abbiamo determinato la tempe-
ratura del massimo di densità con tre differenti dilatometri
ed abbiamo creduto di poterla fissare a 4°,15 ; questa tem-
peratura è molto prossima a quella data dal Rossetti di 4°,12.
Ed ora diamo senz' altro i risultati ottenuti colle di-
verse soluzioni da noi studiate. Nella tabella qui sotto la
prima colonna indica il sale disciolto ; la seconda dà il nu-
mero di grammi (M) del sale anidro disciolto in 100 gr. di
acqua: la terza dà la temperatura {l) del massimo di den-
sità; la quarta dà il valore della densità {(ì) a questa tem-
peratura.
Ul
(791)
Tarella hi.
M
(
d
Ha (NOg)..
gr.
•ò ,3365
0°52
1.028029
»
0 ,8403
3,34
007223
»
0,4189
3,68
003699
KNO,
1 ,2942
2,06
008535
»
0 ,6404
3,08
004504
»
0,1640
3,94
000874
Pb (N0,)2
5,1603
0,42
044894
»
1 ,2873
3,24
011163
»
0 ,6457
3,72
005878
»
. 0,3243
3,90
002119
Na NO.
1 ,0868
1,86
007493
»
0,5414
3,00
003901
»
0.2717
3,66
001709
»
0,1391
3,94
000366
Si- (NO,).
2 ,6981
0,20
022551
»
0 ,6766
3 ,22
005430
»
0 ,3374
3,67
002794
Pt Cl^
1 ,2900
3,50
007816
Co CI,
0 ,5526
3,28
004951
»
0 ,2777
3,90
002366
Ni CI-.
0 ,5537
3,54
005099
»
0 ,2783
3,80
002223
Cd Bfg
0 ,8460
3,30
—
Srio
0 ,8798
3,40
—
Il Cd I (NH^)
1 ,9626
3,54
—
Il primo fatto che risulta dalla precedente tabella si è
3ho la temperatura del massimo di densità nelle soluzioni
(792) [8]
è più bassa che nell'acqua pura, e che va tanto più abbas-
sandosi quanto maggiore è la concentrazione. Questo fatto
era già stato constatato da diversi altri autori. Cosi il De-
spretz, (^) prendendo 4° C. come temperatura del massimo di
densità dell'acqua distillata, dà i seguenti risultati.
Tabella IV.
^I
t
M
t
ClNa
i'a3
16°.00
Ko SO4
3^71
2°.28
»
3.71
_
4.75
»
2.48
—
0.11
»
2.48
—
1.G9
»
1.24
+
1.91
»
1 24
+
1.19
»
0.62
+
2.92
CaClj
7.43
—
10.43
Nao SO4
7.43
—
12 .25
»
3.71
—
2.43
»
3.71
—
4.32
»
2.48
+
0.06
»
2.48
—
1 .51
»
1.24
4-
2.05
»
1.24
+
1.15
»
0.G2
+
3.24
»
0.62
-1-
2.52
KgCO,
7.43
—
12.41
Na. CO3
7.43
—
17.30
»
3.71
—
3.95
»
3.71
—
7.01
CUSO4
11.62
—
6.00
KHO
7.43
—
15.92
»
5.81
—
0.62
»
3.71
—
5.64
K,SO,
7.43
-
8.37
L'Erman {^) ed il Karsten (3) danno ciascuno una for-
mula differente che esprime la temperatura del massimo di
densità di soluzioni di cloruro di sodio in funzione della
(1) Ann. de Chimie et de Phijs. T. LXX, 1839.
(2) Pogg. Ann. XII, 463 ; XLI, 72.
(3) C. J. B. Karsten's, Archiv. XIX. 1 ; Fortsch. d. Phys. P, 43. 1845.
[9] (7i):\)
(luantità di ({uesto sale contenuto nelle soluzioni. Queste
formule ricavate, la prima da una formula analoga che dà
la densità delle soluzioni di cloruro di sodio in funzione
della temperatura e della quantità di sale, e la seconda
calcolata dai dati sperimentali, quantunque non siano fra
loro concordanti, pure mostrano evidentemente 1' abbassa-
mento della temperatura del massimo di densità dell'acqua,
e l'aumento di tale abbassamento coli' aumento della con-
centrazione.
Il Rossetti in due lavori (*) studiò pure la temperatura
del massimo di densità nelle soluzioni saline ed in (|uelle
alcooliche trovando i seguenti risultati :
Tabella Y.
G ramini di
sale su 100
gr. di soluz.
t
Grammi di
alcool su 100
gr. di soluz.
(
ClNa
tò
+ /,o
Alcool
5^85
0
+3,17
»
l
-t- 1,77
»
7,80
-fi ,82
»
2
- 0 ,58
»
9,75
-0,19
»
3
— 3,24
»
14,625
-8,48
»
4
- 5,63
»
6
-11 ,07
»
7
— 13,69
8
-16,62
Il Folgheraiter (-) eseguisce delle esperienze sulle so-
luzioni di acido gallico e salicilico : i valori da lui otte-
nuti si trovano nella seguente
(i) Atti del R. Ist. Ven. 3.* .serie, voi. 13 e voi. i5.
(2) Xiwi-o Cim. 27, p. 5-21, 1881.
(ÌM)
[10]
Tabella VI.
P- Vo
t
P-Vo
t
Acido gallico
»
0,774
1,000
1,297
3 "43
3,23
2,98
Acido salicilico
0f345
0,485
3:61
3,54
Finalmente il Coppet (*), raccogliendo più che altro le
osservazioni dei diversi autori, trova che le sostanze stu-
diate fin qui possono dividersi in tre gruppi avuto ri-
guardo al rapporto fra 1' abbassamento della temperatura
del massimo di densità e quello della temperatura di gelo.
In questi tre gruppi i valori di questo rapporto stanno
fra loro sensibilmente come 1:2:3. Fondandosi poi su ri-
cerche da lui eseguite, ma che non riporta perchè ancora
incomplete, e su quelle di Despretz, conchiude che « le so-
stanze di costituzione simile (e qualche volta le sostanze
di natura molto differente) hanno sensibilmente lo stesso
abbassamento molecolare della temperatura del massimo
di densità. »
Da ricerche eseguite sulle soluzioni alcooliche deduce
che l'abbassamento della temperatura del massimo di den-
sità non è niente affatto proporzionale alla quantità di al-
cool disciolto. Per deboli soluzioni non vi ha abbassamento,
ma al contrario aumento della temperatura del massimo
di densità. Quest' ultima conclusione sarebbe convalidata,
secondo il Coppet, anche dal Rossetti ; osserviamo però che
(1) Ann. de Chimie et de Phys. 4.« sèrie, t. XXV et XXVI, 1871,
1872; C. R. t. CXV, 606, 652.
[11] (705)
la toinperatiira di 4°. 12 C. che il (Joppet atti-ibiii.sco nelle
esperienze del Rossetti al massimo di densità di una so-
luzione alcoolica contenente 0,09 gr. di alcool su 100
j^i-aiiimi di ac(|ua, è in realtà la temperatura che il Kos-
setti assume come temperatura del massimo di densità del-
l'acqua distillata. Anzi il Rossetti stesso accenna a deter-
minazioni eseguite su una soluzione alcoolica conteuente
1,055 '^v. di alcool su 100 '^v. di soluzione che è la più
diluita da lui cimentata : [ler (juesta egli dice che la tem-
peratura d(d massimo di densità è nujlto prossima a quella
dell'acciua pura, ma non parla affatto di un massimo di
densità supei'iore a ({uello dell'acqua. Aggiungi poi che le
ultime conclusioni del Coppet perdono in gran pai'te del
loro valore, specialmente per soluzioni diluite, avendo egli
assunto provvisorimnente come ^temperatura del massimo
di densità dell'acqua distillata 4° C. Avremmo avuto inten-
zione di esaminare con cura sperimentalmente la questione,
ma essendosi nel frattempo innalzata la temperatura esterna
non ci parve conveniente continuare queste ricerche, po-
tendo andare incontro a cause di errore troppo gravi.
I risultati delle nostre esperienze ci possono guidare
ad ulteriori conclusioni. Si sa che il van"t Hoff appoggian-
dosi ai principi della termodinamica stabili una relazione
mediante la quale si può calcolare la temperatura (T^) a
cui si solidifica una soluzione, dalla temperatura (T) asso-
luta di gelo dell' acqua, dal peso molecolare (M) delle so-
stanze disciolte, dal calore di fusione (C) del ghiaccio, dal
peso (p) delle sostanze disciolte nel peso P d'acqua. Questa
relazione è espressa dalla formula :
2T2p
^ ^ ^ PMC
La stessa formula si può applicare al caso in cui il
cangiamento di struttura molecolare in luogo d'essere do-
vuto al passaggio dallo stato solido al liquido è determi-
T. IV, S. YII 52
(796) [12]
nato dal cangiamento nel sistema cristallino delle particelle
che costituiscono il corpo (i). In quest'ultimo caso il calore
di fusione deve essere sostituito dal calore di trasformazione.
Non è quindi improbabile che, se l'anomalia presentata
dall'acqua intorno a 4° C. è dovuta ad un cangiamento di
struttura, si possa applicare questa formula anche all'ab-
bassamento del massimo di densità dell'acqua per V introdu-
zione di sostanze estranee. Ed anzi se realmente questa
formula è applicabile dovremo conchiudere che il fenomeno
in questione è di natura molecolare. Del resto l'esistenza
di un cangiamento di struttura nell' acqua in prossimità
di 4° C. sarebbe stata constatata anche dal H. M. Vernon {^).
Questo autore osservò che a partire da 16° C. circa la
curva che rappresenta la velocità con cui una massa
d'acqua si raffredda, si allontana un poco da quella normale,
accennando ad uno sviluppo di calore. La divergenza sa-
rebbe massima verso i 4° C. ; al di sotto di questa tempera-
tura le due curve vanno sempre più ravvicinandosi. Anche
il Regnault (3) accenna ad esperienze di simil genere fatte
allo stesso scopo, con le quali non potè sicuramente stabilire
se vi sia o meno uno sviluppo di calore intorno a 4° C. Di
più il fatto accertato ultimamente da Bartoli e Stracciati (^)
che il calore specifico dell'acqua diminuisce da 0° a 20° C.
circa per poi andare normalmente aumentando, porta a cre-
dere che almeno in quell'intervallo la quantità di calore
che si deve somministrare all'acqua per variare la sua tem-
peratura sia in parte assorbita da una modificazione mole-
colare.
In seguito a tali considerazioni abbiamo voluto veri-
ficare fino a qual punto la formula data dal van't Hoff sia
applicabile al nostro caso.
(1) Atti del R. Ist. Veri. Yll^ serie, t. II,
(2) Phil. Mag. (5) 31, 387. 1891.
(3) C. R. 70, 664. 1870.
(4) Nuovo Cim. (3) XXXII, 19. 1892.
[VA-]
(797)
li.i verifica iioii j)()toii(l(» (\ss(m-c latta dii-ettamcnte
l>('rclu'' iioii ('• nolo il \aloi'i' di (\ alìhiaiuo itivcc^c intro-
dotto nella formula i valoi'i di A ossei-vati ; i valori di C
da e.ssa dedotti avrebbero dovuto essere costanti. Otteneiu-
ino in realtà i valori segnati nella colonna terza della
Tabella VII.
N O M E
M
(; ; e
N ( ) M K
M
C C
i-ìa(N0,)2
3^3365
5,4
11,9
CaCl2 (')
7,43
7,1
»
0,8403
5,2
12,7
» »
3,71
7,9
»
0,4189
^2
13,4
» »
2,48
8,5
Pb(N(),)2
0,1603
6,4
» »
1,24
8,4
»
1,2873
6,6
» »
0,62
10,0
»
0,6457
7,0
Ka CO3 »
7,43
5,0
15,2
»
0,3243
6,0
» »
3,71
5,1
16,C
Sr(N(),),
2,6981
5,0
CUSO4 »
7,42
6,8
9,6
»
0,6760
5,3
» »
3,71
7,4
10,8
»
0,3374
5,1
K.. SO,, »
7,43
5,3
12,9
KNO3
1,2942
9,4
17,0
» »
3,71
5,1
13,0
»
0,6404
9,1
16,7
»
2,48
5,2
13,5
»
0,1640
11,9
22,7
» »
1,24
5,0
13,4
NaN03
1,0868
8,6
15,7
» »
0,62
4,6
12,8
»
0,5414
8,5
15,9
Na, SO, »
7,43
4,9
11,8
»
0,2717
10,0
19,0
» »
3,71
4,8
11,9
»
0,1391
12,0
23,0
» »
2,48
4,8
12.2
PtCl4
1,2900
9,1
» »
1,24
4,5
12,1
C0CI2
0,5526
8,2
» »
0,62
4,2
11,6
»
0,2777
13,2
Nao CO., »
7.43
5,0
14,7
MCU
0,5537
10,7
» »
3,71
4,8
14,9
»
0,2783
9,4
KHO »
7,43
10,2
(37,1)
» »
3,71
10,4
(38,8)
(1) Determinazioni di Despretz.
(798)
[14]
Nome
M
C
C
Nome
M
c
C
CdBr2
0^8460
6,1
ClNa
(')
8,70
11,0
18,2
Srl2
0,8794
5,3
»
»
6,38
11,1
18,6
Cdl2 (NH4)I
1,9683
9,7
»
»
»
4,17
3,09
11,3
11,1
19,4
19,4
»
»
2,04
11,5
20,5
'
»
»
1,01
0,50
11,5
12,3
21,0
22,8
Da questa tabella si vede che i valori di C variano
entro limiti molto larghi, di modo che non è possibile am-
metterne r uguaglianza. Però se si fa uno stesso calcolo
anche per gli abbassamenti della temperatura di gelo, non
si ottengono, come si sa, per C dei valori costanti. Per
spiegare queste divergenze della teoria col calcolo, l' Ar-
renius introdusse, con successo, nella formula di van't Hoff
il coefficiente di dissociazione ; definendolo come il numero
di ioni che in una data soluzione sono attivi. Tale coeffi-
ciente, secondo Arrenius, si può esprimere con
i=\-{- {K—l) <x
dove K è il numero di ioni che entrano nella molecola
del sale considerato ed a =
t^oo
per [i, si intende il po-
tere conduttore specifico molecolare della soluzione consi-
derata e per |Xq^ la stessa quantità, ma per una soluzione
diluita al punto che per ulteriore diluizione \x non varii.
Se moltiplichiamo i valori C contenuti nella tabella
precedente per il valore di i dedotto dalle esperienze di
Kohli'ausch otteniamo i valori C che si trovano nella
(1) Determinazioni di Rossetti.
[15] (7i)9)
(luarta colonna della meilosiina tabella. Come si vede nem-
meno C^ risulta costante. Ad onta di ciò non si può con-
chiudere che il fenomeno in questione non è dovuto ad
una modificazione molocohire ; perchè nel confronto fra
r abbassamento delle temperature di gelo e del massimo di
densità dell' acqua, si deve prendere in considerazione la
grande differenza che vi ha fra la velocità con cui avviene
la modificazione di aggruppamento molecolare allorché
r acqua passa dallo stato solido al liquido, e quando passa
per il massimo di densità. Noi primo caso, se le si comu-
nica la quantità di calore necessaria, la modificazione è
istantanea ed avviene completamente ad una temperatura
unica ; nel secondo invece, come abbiamo già notato, la
modificazione incomincia certamente ad una temperatura
di molto inferiore a 4° e si prolunga fino verso i 20°.
Perchè questa trasformazione avvenga non basta comuni-
care all' acqua la quantità di calore assorbita dal lavoro
molecolare, mantenendola poi a temperatura costante ; è
necessario anche farle percorrere il largo intervallo di
temperatura suddetto. Se quindi si vogliono applicare i
concetti che hanno condotto il van' t Hoff a stabilire la
formula che dà 1' abbassamento della temperatura di gelo
nelle soluzioni anche a questo caso, si comprende come
sarà necessario, oltre che la temperatura del massimo, in-
trodurre anche una funzione che dipende anche dalla velocità
con cui avviene questa trasformazione. In tal caso quindi
al valore di T nella formula data dal van't Hoff si dovrà
sostituire T/'(r), rajìpresentando f{v) quel coeflìciente per
cui si deve moltiplicare la temperatura del massimo osser-
\:ita, per ridurla a ([uella temperatura ideale a cui si do-
vrebbe trovare il massimo di densità se la trasformazione
potesse essere istantanea.
Questa funzione /'(r) però sarà differente a seconda
che si tratterà di ac(|ua o di una soluzione; di più per le
soluzioni vai'ierà eolla natura del sale e colla concentra-
(800) [16]
zione. Alla formula del van 't Hoff si potrà quindi sosti-
tuire r altra :
dove le diverse lettere hanno i significati detti preceden-
temente. Dividendo per f{v) otteniamo :
f {o) P M C
Se il massimo di densità dell' acqua è realmente do-
vuto ad una trasformazione il valore di —;- calcolato da
yj
questa formula dovrà essere costante. Siccome però non
si hanno fino ad ora gii elementi sufficienti per verificare
direttamente questa deduzione, cosi abbiamo tentato di darne
una verifica indiretta in base alle seguenti considerazioni.
Poniamo per brevità :
Se X ci rappresenta la (juantità di sale contenuta in
100 gr. di acqua, allora R è una quantità costante per uno
stesso sale, e 1' equazione precedente si può scrivere :
(1) \\T-ry\ = RY.
Facendo variare la concentrazione della soluzione, il
secondo membro resta costante, per cui la (1) derivata
rispetto ad x darà :
X
d' onde :
[17] (SOI)
flT T
dy ^ ~~ X T
^ + — r— ^ + .:^ = ^
Sviluppiamo T' in ruuzioiie di x: nel nostro caso ba-
sta fermarsi ad una espressione di 2" ^rado della forma
r^a-\~ hx + c.r2
})oicliè le curve costruite ritenendo come ascisse i valori
di X e come ordinate i corrispondenti valori di T^ si al-
lontanano poco dalla retta e si possono considerare con
sufficiente esattezza come curve di 2° grado.
Allora avremo :
dy
ca,^-
■ a
T
dx
i-
Tx
?/ =
' Tx
Questa
equazione
intejj
;rata r
la:
y
T
ex
Cost.
C^)
Eliminando ij fra le eijuazioni (1) e (2) si ha
e C'ost
R
Nella (."i) il primo membro è indipendente dalla na-
tura del sale e dalla concentrazione della soluzione ; se
dunque le posizioni fatte sono vere, ciò dovrà essere anche
del secondo membro. Le sole quantità che in questo secondo
membro dipendono dalla natura del sale sono e ed R : la
prima in quanto che 1' equazione che dà la temperatura
del massimo di densità relativo ad una data concentrazione
\ cambia col cambiare del sale, la seconda perchè contiene
il peso molecolare M della sostanza disciolta. Il termine
pertanto che nel secondo membro può essere variabile è
(802) [18]
dato da e M. — Se la (3) e giusta é neces.sario che e M
resti costante quando si fa uso di diverse soluzioni. Questa
conseguenza è nel nostro caso evidentemente verificata
poiché abbiamo già detto che le curve che rappresentano
r equazione
T' = « -|- h-jo -f- CiV'^
deviano di poco dalla linea retta, e di più, per tutti i casi
finora studiati, questa deviazione è sempre nello stesso
senso ; il valore di e quindi è una quantità tanto piccola
che il prodotto e M risulta in ogni caso molto minore del-
l' unità. Si può quindi ritenere che le piccole divergenze
che in questo prodotto si incontrano siano puramente do-
vute ad errori di osservazione : ciò che del resto apparisce
chiaro se si varia e di tanto poco da non alterare l'an-
damento della curva. L' esperienza confermando le conse-
guenze che derivano dalla (1) possiamo concludere che
realmente il massimo di densità dell' ac(|ua è dovuto ad
una modificazione molecolare, e che si può calcolare l'ab-
bassamento della temperatura a cui ha luogo questo mas-
simo quando si introducano nell'acqua delle sostanze estra-
nee mediante una formula analoga a quella del van't Hoff,
modificata in modo da introdurre una funzione che dipenda
dalle modalità che accompagnano la trasformazione mole-
colare stessa.
Tutti i fenomeni di natura molecolare sono sovrapponi-
bili. Abbiamo voluto vedere se anche in questo caso vale
tale legge determinando la temperatura del massimo di den-
sità in soluzioni contenenti due sali. I risultati ottenuti
li presentiamo nella
[19]
(803)
Tabella Vili.
Nomi
M Vo
1.
(/
/"
KNO3
NaNOg
gr. 1
0,1631 ,
0,1403 S '^ '^"^
1,001845
3",73
C0CI2
NiClz
0,2786 )
0,2789 S ^ '^2
4945
3,55
Sr(N03)2
Ha(N03)2
0,1717
0,2117
3 ,06
2750
3 ,65
Nella tabella precedente stanno riuniti con una graffa
le coppie (lei sali che vennero contemporaneamente disciolte
in 100 gr. di acqua. I pesi indicati nella seconda colonna
si deA-ono interpretare nel modo seguente : per la prima
coppia ad esempio, in 100 gr. di acqua vennero disciolti
0,^'-168I di KNO3 e 0,5-140.3 NaNOg. Nella quinta colonna
di questa tabella abbiamo riportato le temperature del
massimo di densità che si deducono dalla tabella III .se si
suppone che a ciascuna .soluzione corrisponda un abbassa-
mento uguale alla somma dei due abbassamenti che sareb-
bero dovuti a ciascuno dei sali disciolti in ogni soluzione.
Come si vede i valori di f coincidono perfettamente con
quelli di t ; con che si può conchiudere che realmente il
princi})io della sovrapposizione si può applicare anche a
questo fenomeno.
Dall' Istituto Fisico dell' Università di Padova
Marzo 1893.
T. IV, S. VII
53
Prezzo della Dispensa
Fogli 71/2 a Cent. 25 L. 1.88
3 Tavole litografate » 0.50
Totale L. 2.38
ATTI
I) E L
R. ISTITUTO VENETO
SCIENZE, LETTERE ED ARTI
(tomo li)
SERIE SETTIINIA - TOMO QUARTO
DISPENSA SESTA
y E N E Z I A
PRESSO LA SEGRETERIA DEI, R. ISTITtTO
MI. lAl.AZ/n i.oiir.iiA>i
TIP. CARLO FERRARI
^'^\ 1892-93
Pubbl. il 27 Maggio 1893
N D I e E
Atto verbale dell' Adunanza ordinaria del giorno 23 aprile
1893 pae-. 805
Lavori letti per la pubblicazione negli Atti
G. Canestrini, m. e. — f^a malattia dominante delle an-
guille. Ricerche batteriologiche . . . pag. 809
A. Tamassia, m. e. — Sul centro d'ossificazione dell'epifisi
inferiore del femore, dell' astragalo e del cal-
cagno. Contribuzione . . . . . . » 815
A. Faa'aro, m. e. — Intorno ad una nuova effemeride di
Bibliografia matematica , pubblicata sotto gli
auspicii della Società matematica di Amster-
dam. Relazione » 829
C. F. Ferraris, s. c. — Statistica degli inscritti nelle
Università e negli altri Istituti d' istruzione
superiore. Nota ,......» 839
F. Cipolla, s. c. — Il beccofrusone nel territorio veronese » 845
A. Abetti. — Osservazioni di comete e di pianetini, fatte
coir equatoriale Dembowski a Padova dal feb-
braio'1891 al marzo 1892 » 847
P. F. Castellino. — Contributo allo studio della fagocitosi » 875
Detto — Contributo allo studio della coagu-
lazione ......... 923
Elenco dei libri e delle opere periodiche pervenute al R.
Istituto nel maggio 1893 » rxxxv
ANNO 1892-93 DISPENSA VI.
ADUNANZA ORDINARIA
IDEXj G-IORìTO 23 -^FRILE 1893
PRESIDENZA DEL SENATORE D/ COMM. ANOELO MINICH
VICEPRESIDENTE
Sono presenti i membri effettivi : Fambri, segretario, Ber-
CHET, vicesegretario, Lampertico, Pirona, De Leva,
LORENZONI, TrOIS, CANESTRINI, E. BERNARDI, J. BER-
NARDI, Favaro, Saccardo, De Giovanni, Omboni, Bel-
LATi, Keller, Deodati, Bonatelli, F. Stefani, Spiga,
Teza, Morsolin, Martini, Tamassia, Veronese ; nonché
i soci corrispondenti : Chicchi, Occioni-Bonaffons,
Cassani, Galanti, Bertolini, Mazzoni, A. Stefani, e
G. B. De Toni.
Sono giustificati gli assenti membri effettivi : De Betta,
presidente, Rossi, Gloria ; ed il socio corrispondente
Ferraris.
Assunta la presidenza dal vicepresidente Minicli, per
indisposizione del presidente De Betta, letto ed approvato
r atto verbale della precedente adunanza, e data comuni-
cazione dell'elenco dei libri ed opuscoli pervenuti in dono
e delle opere acquistate dopo l'adunanza del passato marzo,
il vicepresidente diede lettura del seguente indirizzo inviato
al Ministro della Real Casa in occasione delle Nozze d'ar-
gento delle Loro Maestà :
T. TV, S. Vlf 54
suo
« Eccellenza
» Il Reale Istituto veneto di .scienze, lettere ed arti,
» nell'auspicatissima circostanza delle Nozze d' argento dei
» Reali d'Italia, prega la Eccellenza Vostra di voler pre-
» sentare l'omaggio della sua fedele devozione e dei suoi
» fervidi auguri alle Loro Maestà, le quali personificando
» nella più pura espressione la grandezza e 1' unità della
» patria, e tutelandone i destini, raccolgono la gratitudine
» e l'amore di tutti gli italiani. >
L'Istituto unanime ringraziò la presidenza d'aver in-
terpretato i suoi voti.
Il ra. e. Keller presentò quindi il Rapporto della Com-
missione eletta dal R. Istituto per l' iniziativa da prendersi
onde scongiurare i pericoli della Diapsis Pentagona, e l'Isti-
tuto unanime, approvando le conclusioni della Commissione,
deliberò di far pubblicare nei suoi Atti e diffondere le
norme a seguirsi, per preservare i gelsi da tale flagello.
Dopo di ciò vennero presentati e letti i seguenti la-
vori :
Dal m. e. Tmnassia — Ricerche su alcune condizioni
fisiche del funìcolo omhellicale.
Dal m. e. Fambrì — Intormo alla possibilità ed utilità
del tradurre le eccellenti opere d' arte e in particolare
intorno ad una recente traduzione del boemo in italiano.
Considerazioni.
Dal m. e. Canestrini — La malattia delle anguille.
Studio batteriologico.
Dal s. e. Ferraris — Statistica della frequenza sco-
lastica nelle Università e negli Istituti d'istruzione supe-
7nore in Italia.
Dal s. e. Ciptolla — // beccofrusone nel territorio ve-
ronese.
Dal s. e. Cassani la Memoria del dott. R. d'Emilio —
so?
Sul leorema di Chnraut reladro alle geodeliche di yna
fiupcr/irie di ì-ivoluzionc.
Il 111. e. De GioDamii presentò in omaggio jìarecclii la-
vori del Doti. Uobei'to Massalongo tlirettoi-e dell' Ospedale
civile di \'oi*ona, accompagnandoli colle seguenti parole :
<-< I lavori del Dott. Massalongo sono numerosi e puossi
» dii'e accreditati in Italia e fuori, e troppo mi dilungherei
» se volessi di ognuno fare menzione e dimostrare il va-
» lore. Da ciò mi trattiene anche un certo sentimento di
» modestia, lìerchè il Dott. Massalongo è uno dei miei al-
» lievi iiiù laboriosi e deferente alla scuola alla quale fu
» educato. Mi limiterò a segnalare il volume che tratta
» della patologia della pneumonite, dove discorre con molta
» dottrina, tanto la eziologia, quanto la sintomatologia, dove
» porta il contributo di estesa osservazione scientifica. Ac-
» cennerò sommariamente a suoi molteplici lavori di nevr(j-
» patologia, nei quali si dimostra passionato quanto intel-
» ligente cultore della specialità, si che all' estero i suoi
» studi sono meritamente ricordati ed a Parigi valsero all'A.
» particolare distinzione, essendo stato incaricato di riferire
» so})ra un giornale di specialità, che stampasi sotto la di-
» rezione di Brissaud, intorno a tutti i lavori italiani. Non
» dubito di asserire, che 1' egregio Dott. Massalongo per
■» V ingegno, per 1' amore alle cose scientifiche e la rara
» operosità onora se stesso e la regione veneta cui special-
» mente riguarda il nostro Istituto. »
Il m. e. vicesegretario Berchet presentò in omaggio
all'Istituto, un lavoro della signora Ella de Schoultz-Ada-
iewski col titolo : Chaiison et airs de danse populaires,
prècèdés de textes, recueillis dans la vallèe de Rèsie, pub-
blicato a Pietroburgo.
L' Istituto si è quindi raccolto in adunanza segreta,
nella quale, oltre alla trattazione di vari affari posti al-
l' ordine del giorno, vennero eletti a soci corrispondenti
delle provincia venete i signori :
Prof. Cav. Carlo Castellani, Prefetto della Biblioteca
Nazionale di Venezia.
Cav. Antonio AheLli, Astronomo aggiunto al R. Os-
servatorio di Padova.
D.'" Cav. Raffaello Nasini, professore di chimica ge-
nerale nella R. Università di Padova.
D.^ Pietro Ragnisco, professore di filosofia morale nella
suddetta Università.
LA MALATTIA DOMINANTE DELLE /NGUILLE
Ricerche batteriologiche
DEL
M. E. GIOVANNI CANESTRINI
Nel febbraio p. p. ebbi dall'Amministrazione delle Valli
di Comaccliio alcune anguille malate, pescate nel Campo
Mezzano, dalle quali isolai, col concorso del mio assistente
dott. Giacomo Catterina, un bacillo, intorno al quale diedi
qualche cenno nell'adunanza di questo Istituto del 26 feb-
braio p. p., riservandomi di studiarlo in seguito da vicino
e di riferire.
Sciolgo oggi la mia promessa.
L' isolamento del bacillo si può ottenere da materiale
tratto dal fegato delle anguille malate od appena morte,
ricorrendo al solito metodo delle piastre.
I
Caratteri del Bacillus anguillarum.
Il bacillo è lungo in media \i. 2,4, largo [x. 1,0 ; le sue
(liiiiensioni sono peraltro alquanto variabili, massime la
lunghezza che in alcuni casi non sorpassa i |x. 1,.5. Gli e-
lementi sono isolati od uniti a due, raramente in numero
maggiore. 11 bacillo è rotondato alle sue estremità e molto
mobile, scioglie la gelatina ed in essa si sviluppa in nui-
(SIO) [2]
niera simile allo s})irillo colerigeno; nelle colture vecchie
si forma un deposito roseo. Sulle patate dà luogo a co-
lonie granulari di colore roseo pallido, nelle quali, dopo
alcuni giorni, i bacilli si vedono incapsulati sia singolar-
mente, sia a due in una medesima capsula. Neil' agar si
sviluppa formando uno strato bianco-giallastro. E aerobio
squisito. Si colora col metodo di Gram. Si colora ancora
colla soluzione alcoolica di fucsina, ma quando è cresciuto
sulle patate ed ha l'età di circa dodici giorni, ed è quindi
incapsulato, non si colora che a stento ed imperfettamente
colla semplice fucsina, ma bensì col liquido di Ziehl a caldo.
Si sviluppa bene alla temperatura di circa \6^ C, meno
bene ad alta temperatura, a. e. di 35° C.
Esposto, non incapsulato, alla temperatura di 55° C.
per trenta minuti, muore, e tanto più a temperature
più alte.
Se si prendono 10 ccm. di gelatina peptonizzata e vi
si aggiungono 4 goccio di sublimato corrosivo all' 1 per
mille, lo sviluppo delle colonie in tale substrato avviene
egualmente, e la stessa cosa succede se la soluzione del
sublimato è al 5 per mille, per cui il sublimato all' 1 per
10,000 non arresta lo sviluppo del bacillo ; se in 10 ccm.
di gelatina si mettono 2 goccie di acido fenico puro, si ha
un substrato in cui il bacillo muore. Se si mette in 5 ccm.
di gelatina un grammo di cloruro di sodio, lo sviluppo av-
viene rapidamente. Neil' acqua distillata e sterilizzata lo
trovai vivo ed atto a riprodursi dopo 2, 4, 12 e 20 giorni,
ma mostra statura alquanto minore, ciò che accenna a svi-
luppo stentato.
E patogeno per alcuni pesci ed antibi, ira i primi par-
ticolarmente per le anguille. La malattia in queste si ma-
nifesta con chiazze emorragiche alla cute, con forte arros-
samento delle pinne, specialmente dell'anale e delle petto-
rali e talvolta coU'apparsa di ulceri cutanee al lato ven-
trale, sui fianchi e più raramente al dorso.
Sono incerto se sia sporificante. In alcune culture vidi
P] (811)
dei bacilli che contenevano corpuscoli ovoidi splendenti e
simili a spoi'o, i (|uali, por di più, rimasero incolori nelle
solite soluzioni coloranti ; ma la debole resistenza di questo
bacillo alle alte temperature im})one una certa riserva nel
pronunziare un giudizio in proposito.
Patogeneìtà.
Li 2^} febbraio a. e. s' inocula un coniglio sotto cute
nella regione infrascapolare con materiale tolto dal fegato
di una anguilla morta della malattia suddescritta ; li 26
febbraio questo coniglio sta bene e s' inocula nuovamente
nello stesso modo. Nei giorni successivi il coniglio continua
a star bene e se ne abbandona 1' osservazione. Eguali ri-
sultati si ebbero da simili sperimenti fatti su una cavia e
dall' iniezione di coltura pura del bacillo nella cavità ad-
dominale di un altro coniglio, e di un topo bianco. Nem-
meno r iniezione di coltura pura in una vena auricolare di
coniglio diede risultato differente.
Nello stesso giorno 25 febbraio s' inocula sotto cute
un'anguilla sana (Aj) con coltura pura di B. anguillarum\
quest'anguilla li 10 marzo ha nella regione, dove fu ino-
culata, una piccola ulcera, e tutta la pinna anale forte-
mente arrossata. Essa muore li 22 marzo dopo che l'ulcera
suddetta si era notevolmente ingi-andita.
Li 10 marzo si prendono due anguille (A-2 e A3). L'an-
guilla A-2 s' infetta nella cavità addominale con coltura cre-
sciuta su patata, ad A3 si fa un'iniezione ipodermica della
medesima coltura in brodo al fianco sinistro. Li 12 marzo
l'anguilla A2 ha chiazze emorragiche cutanee al lato ven-
trale ed in minor numero al lato dorsale, e la pinna anale
arrossata ; 1' anguilla A3 presenta analoghi fenomeni, nu^
meno decisi. Ambedue le anguille muoiono li 22 marzo.
Li 1.'} marzo s'infettano due rane (Hi e R-2) nella ca-
(812) [4]
vita addominale con coltura avuta su patate ; la rana Ri
muore il 15 marzo di mattina, la rana R^ lo stesso giorno
di sera.
Li 15 marzo s' infettano nello stesso modo altre due
rane (R3 e R4) con materiale tolto dal cuore di anguilla
malata. R3 muore li 17 marzo, R4 nello stesso giorno è
morente e viene uccisa per 1' esame batteriologico dei
visceri.
Li 17 marzo s' inoculano in cavità due anguille (A4 e
A3), la prima con brodo infettato da coltura cresciuta su
patata, la seconda con brodo sterile. L'anguilla A4 muore
li 21 marzo, mentre l'anguilla A5 si conserva sana e dopo
parecchi giorni riesce a fuggire dalla cassa che conteneva
acqua e perisce asfissiata sul pavimento della sala. Dal fe-
gato dell'anguilla A4 si prese del materiale e si fecero in-
nesti in gelatina e vi si sviluppò il B. anguillarum, ossia
un bacillo che aveva tutti i caratteri che più sopra furono
attribuiti a questa specie.
Li 24 marzo s' inoculano
un anguilla Aq con 1 ceni, di brodo infetto in cavità,
A7 » 1 » y> sterile »
Ad As si fa un semplice taglio al fianco destro,
A9 si lascia intatta.
L'anguilla Aq muore li 29 marzo, le altre continuano
a stare bene.
Li 25 marzo si fanno le seguenti inoculazioni :
a tre tritoni (Ti, T»2, T3) di brodo sterile nella cavità add.,
a quattro » (T4, Tg, Tg, T7) » infetto » »
a tre » (Tj^, Tg, Tjo) » » al dorso sotto cute,
quattro » (Tu, Tj-i, T,3, Tu) si lasc. intatti come testi,
a una rana (Rg) di brodo sterile in cavità,
a » » (Rfi) di brodo infetto al ventre sotto cute,
a tre rane (R7, R^, Ry) di bi*odo infetto nella cavità addom.
a » » (Rio, Rii, Ri-2) di brodo infetto sotto cute al dorso,
due rane (R13, RiO si lasciano intatte come testimoni.
T4, T-j, Tfi, o T7 muoiono fi-:i il 27 e 29 mai'zo, Ts li
20 marzo, T9 e Tio li ol mai-zo.
R7, Rg, R9 muoiono fra il 27 e 28 marzo, Rg li 29
marzo, R^, Ru e R12 li -U marzo. Il sangue entro il cuore
della rana R7 contiene bacilli incapsulati; disseminato ([ue-
sto sangue su patate, dà luogo ad una colonia di colore
roseo, formata dal B. anguillarum.
Esaminati gli acijuarii li 2 aprile, si trovarono vivi i
seguenti animali :
anguille A7, A», Ag,
tritoni Ti, T-j, T3, Tj,, Ti-j, T13, Ti^,
rane R5, R13, R^,
ossiano tutti quegli animali che non sono stati infettati con
coltura del bacillo predetto.
Li 5 e 9 aprile s' inoculano 8 spinarelli {Gasterosteus
aculeatus) con coltura, 2 si lasciano intatti come testimoni ;
li 1.3 aprile tutti i primi 8 sono morti, i due testimoni vi-
vono ancora oggi 22 aprile.
Li 9 aprile s' inocula con coltura del lìacillo predetto
un Carassvts auratus, un altro con brodo sterile, ambedue
nella cavità addominale. Il primo muore li 1 1 aprile, l'altro
è vivo e sano ancora oggi 22 aj)rile.
Lo stesso giorno 9 aprile si inietta ad un'anguilla nella
cavità addominale al fianco destro del brodo infettato con
coltura pura del bacillo, ad un'altra brodo sterile. Li 16
aprile la })rima anguilla sta male, ha la pinna anale for-
temente arrossata, la cute, specialmente nella regione del-
l' inoculazione, ricca di chiazze emorragiche ed in questa
regione sta per formarsi un' ulcera estesa. Di più alla base
della numdibola appariscono due ulceri minori. Questa an-
guilla muore li 19 aprile e mostra al fianco destro una
ulcera tipica, caratteristica della malattia dominante. L'al-
ti'a anguilla si conserva sana. L'n altro simile sp(irimento,
fatto più lardi, diede un identico risultato.
Devo (|ui (osservare che le anguille, sulle (juali ho
sj>erimentato, sono state [)escate nel Veneto e comperale
(8H) [-6]
sul mercato di Padova : che esse sono state tenute nel mio
Laboratorio sotto una spina perenne di acqua dolce del-
l'acquedotto di Due Ville.
Il risultato di questi esperimenti, per ciò che riguarda
le anguille, si è che colla coltura del bacillo, inoculata
nella cavità dell'addome, si produce in questi pesci tutto
intero il quadro della malattia dominante, e che dalle an-
guille rese cosi malate si può ripristinare, come difatti
ripristinai, la coltura anzidetta. Che causa della malattia
sia il solo bacillo, lo dimostrano i testimoni, i quali es-
sendo stati inoculati con brodo sterile, anzi che infetto, ri-
masero incolumi.
Conclusióni.
1. Il Bacillus anguillarum è patogeno per le anguille
e per altri pesci (spinarello, pesce della China), come anco-
ra per alcuni antlbi tanto anuri (rane) che urodeli (tritoni),
li. Questo bacillo è capace di vivere e riprodursi in
acqua fortemente salata, mentre nella dolce ha uno svi-
luppo stentato, ciò che spiega il l'atto, che la malattia delle
anguille infierisce in quelle Valli di Comacchio, la cui
salsedine è eccessiva, come, ad esempio, il Mezzano, mentre
è limitatissima ad esempio nel Campo di Vacca che riceve
acqua dolce dal Reno per mezzo di tre chiaviche.
III. L'unico suggerimento che, allo stato attuale delle
nostre cognizioni, si può dare per limitare e possibilmente
far scomparire questa malattia si è di dolcificare quelle
acque vallive, la cui salsedine supera i bisogni della pi-
;scicoltura.
Padova li 22 Aprile 1893.
SOL CENTRO D'OSSIPICAZIONK
DflL'EPIFISI IIFERlt DEL FEI8RE, OELL'ISTRIMLI E DEL MGM
Contribuzione
DEL M. E. ARRIGO TAMASSIA
La diagnosi della maturità e dei periodi di vita estra-
iitei'iiia del feto si argomenta da un insieme di elementi,
che studiati nei loro fattori tìsici e numerici, tendono, più
che il banale colpo d'occhio del pratico, ad acquistarle ca-
rattere positivo. Fra questi meritano speciale deferenza i
centri d'ossificazione, i quali segnano quasi altrettante tappe
della evoluzione uterina ed autonoma del feto. Per ora mi
limito ad alcune contribuzioni sul centro di ossificazione della
e})ifisi inferiore del femore, del calcagno e dell' astragalo,
confidando che il materiale scientifico di cui posso disporre,
mi darà mezzo d'illustrarne gli altri, pur essi non indegni
della pratica forense.
E cominciando dal centro d' ossificazione della epifisi
inferiore del femore, non si può negare che manchino
le ricerche. Per quanto descritto come fatto anatomico
da Albinus, da Meckel (i), quale vero elemento specifico di
diagnosi della maturanza del feto venne indicato nettamente
da lièclard, sicché si può dire che solo dopo di lui, questo
centro appartenne alle applicazioni della medicina legale.
Ollivier nel 1841 se ne occupava, studiandosi principalmente
(1) V. alla fine per questo e gli altri Autori l;i Hibliografia.
(816) [2]
di indurre dalla sua ampiezza la durata della vita autonoma.
Nel 1850 abbiamo il lavoro di Mildner, il quale mercè il mi-
croscopio avrebbe riconosciuto già nel feto di sei mesi alcune
tracce di depositi calcari nelle cellule cartilaginee dell'epi-
fisi inferiore femorale, senza però che di queste, appunto per
il carattere loro microscopico, la medicina forense potesse
profittare. Egli aveva pur trovato che in 20 neonati maturi,
ben costituiti e morti subito dopo la vita, 18 presentarono
un centro d'ossificazione di lunghezza variabile tra mm. 4,5
e mm. 5,12; mentre però in 10 maturi, ma assai smagriti,
e morti subito dopo la nascita, trovava quattro volte il
centro d'ossificazione corrispondere a mm. 2,8, tre volte a
mm. 3,9, tre volte a mm. 4,5 ; ed in 1 1 infanti ben costi-
tuiti vissuti da 9 a 29 giorni, a mm. 4,5-6,7; in tre imma-
turi, vissuti 8, 14, 20 giorni dopo la nascita, a mm. 0,56.
Casper non riscontrava questo centro nei feti di 7-8 mesi,
mentre in 11 infanti maturi, di cui 8 avevano vissuto, ne
descriveva dell'ampiezza di mm. 4,5 : 5,12: 6,7; in altri 12
maturi più o meno rubusti, che vissero da pochi giorni a
sei mesi, notava un'ampiezza variabile tra mm. 1,6 e 9 mm.
mentre in un infante maturo, e straordinariamente robusto
descriveva un centro piccolissimo di mm. 1,6, mentre in-
fine in un feto maturo e morto in seguito a mali tratta-
menti e ad insufiiciente alimentazione esisteva un centro di
mm. 6,7. — Bohm riassumendo 186 osservazioni, formulava
queste conclusioni, non molto dissimili da quelle dei prece-
denti Autori, e cioè : Il centro d'ossificazione manca, quando
il feto ha raggiunto 38 settimane di sviluppo ; misura negli
infanti maturi ben nutriti da mm. 4,5 a mm. 5,12 ; è in rap-
porto con la nutrizione e col processo generale di nutrizione ;
e quando giunge al di là di mm. 6,7, giustifica l'amuiissione
della vita estrauterina ; e cresce secondo lo sviluppo e la
salute dell'infante. - Più tardi però Kunze e Pleissner misero
in dubbio il corollario di OUivier e di Bohm circa la corri-
spondenza di un dato periodo di vita intrauterina con lo svi-
luppo di questo centro ; come pure Pleissner, Hecker ed Hart-
PI (817)
niann combatterono la tesi di Bohm, accolta forse con sover-
chia deferenza dal Casper, che, cioè, la mancanza di questo
centro indichi l'infante non aver raggiunto :U)-'.il settimane
di vita intrauterina ; Hecker, cioè, non 1' avrebbe trovato
15 volte su 01 infanti maturi (10 %), tre volte solo ap-
pena iniziato; in accordo in ciò con Hartmann, che appunto
l'avrebbe notato mancare nelle proporzioni del 15,6 per cento
fra gli infanti maturi. — Liman su 413 casi di infanti maturi
non l'avrebbe trovato 14 volte (3.5 per cento) con un mas-
simo di nim. 9 di ampiezza. — A conclusioni congeneri giunse
Toldt, il quale da 69 da lui esaminati induce esistere una
certa regolarità nel tempo dell' insorgenza e nello sviluppo
di questo centro, senza però escludere casi di mancanza o
di arresto di sviluppo anormali rispetto al tempo, o di pre-
coce insorgenza. — Parimenti Hasenstein ed Hofmann con-
vergono in queste deduzioni, ammettendo il primo che tra
il presentarsi del centro di ossificazione e il punto vero
della maturanza possono talora intercedere differenze di
4-6 settimane, ed il secondo che 1' ampiezza ordinaria gli
risultò nei feti maturi, vissuti soltanto brevi momenti,
non già di 5 mm. come generalmente si scrive, ma di
2-3 mm., avendo però riscontrato in un neonato 1' am-
piezza eccezionale di 9,5 mm. — Fritsch ammette che questo
centro negli infanti maturi manchi nella proporzione del
2 p. cento, misurando da mm. 05 a 15. — Due lavori ita-
liani, assai bene condotti, l'uno del Prof. Filomusi-Guelfi,
r altro del D.'' Corrado porgono novella contribuzione a
queste ricerche. Il primo, alle conclusioni generali degli
Autori precedenti, aggiunse che un nucleo di 8 mm. di
diametro può lasciar conchiudere con probabilità alla vita
oltre la nascita, e quasi con certezza, se oltrepassa i 9 mm.
di diametro. Il secondo su 285 feti riscontrò il centro di
ossificazione 140 volte, ossia 118 volte in feti indiscutibil-
mente maturi e 22 volte in feti immaturi; onde tale nucleo
più di 84 volte su cento designa un prodotto di concepi-
mento giunto al termine della gravidanza ; e tenendo conto
(818) [4]
del rapporto che può correre tra le fasi della gravidanza
e l'ampiezza di questo centro, argomenta che quando esso
supera i 8 mm. il neonato è maturo.
Tale è il risultato delle più autorevoli ricerche sul-
l'argomento. E da esse prende punto di partenza questa
mia comunicazione, la quale, come già avvertii, aspira al
solo onore di un modesto contributo. 11 materiale da me
raccolto non è abbondante (casi 80); ma rappresenta il
maximum che ho potuto procurarmi nell'annata passata ed
in parte della presente. Però parmi non privo d' impor-
tanza, quando si rifletta che mi sono positivamente assicu-
rato del periodo di vita intrauterina ed estrauterina, cui
erano giunti i feti esaminati ; mentre poi i dati riferitimi
erano da me controllati ed accertati dal riconoscimento
dei caratteri attestanti in ciascuno le fasi dello sviluppo.
Mi si permetta intanto di esporre le cifre conseguite:
Sesso
Sviluppo
V. extr.
II
Peso
1
d
d
^1
0
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Una prima impressione non può mancare a chi guardi
queste cifre : quella della esilità del peso dei feti, in rap-
porto alla lunghezza, che invece non staccasi di molto dalle
medie ordinarie. Ciò devesi alle costituzioni gracili dei neo-
nati, alle loro condizioni patologiche congenite e alla in-
sufficiente nutrizione. Forse per questo le deduzioni nume-
riche che si trarranno, risentiranno di tale gracilità gè-
|7| («U
iKM'iiIc. ("iò })i'(>niess(), come avvoi-tcìiza goiiorale, guardiamo
più (l;i\ vicino i corollari dello cific presenti. Negli infanti
non maturi il centro d' ossitica/.ione è piuttosto raro ; su
nove casi venne a mancare sette volte ; ma si elibc in un
caso al 7" mese di vita intrauterina con mm. v?,.') d' am-
pio/./.a. ed in un altro dell'S" mese completo, con ampiezza
di mm. 7. Ma mentre i primi o non vissero, ojìpure vis-
sero alcune ore, quest'ultimo invece protrasse la sua vita
per giorni sette. Orbene, anche accordando che in ([uesto
periodo di tempo abbia il processo di ossiticazione raggiunto
un notevole incremento, si ha diritto sempre di inferire
che questo infante all'istante della sua nascita, per quanto
mancante d'un mese, aveva un centro di ossificazione su-
perante la media di quello dei neonati maturi.
Notiamo ancora come il diametro degli infanti non an-
cora maturi varii da ram. 2 a 3, 5, 6, 7, con prevalenza
delle due prime cifre ; eccezionali le ultime.
Circa gli infanti maturi 9 non offersero centro d'os-
sificazione, nella proporzione quindi del 12 per cento, che
si accosta a quella di Hecker e di Corrado (16 per cento)
e staccasi notevolmente da ([uella di Liman (3,5 per cento).
Il diametro di tale centro negli infanti maturi, che
vissero da poche ore fino a cincjue giorni varia da mm. .3
a 3,9, a 5 mm., con una media a destra di mm. 3,9 a si-
nistra di 3,5.
In quelli che vissero dai cinque ai sei giorni si ebbe
un'ampiezza variabile di mm. 4 a 5,5 con media di mm. 5,1.
In quelli che vissero otto giorni si ebbe un' ampiezza
variabile da 3,7 a 7 con una media a destra di 4,93 a si-
nistra da 5 mm.
In quelli che vissero nove giorni si ebbe un'ampiezza
variabile da 1,8 a 7 con una media a destra di 4,05 a si-
nistra di 4,82.
In quelli che vissero da 9 a 19 giorni si ebbe un'am-
piezza variabile da 0 a 7,5 mm. con una media a destra
di .3.S(), a sinistra di 4.75.
7'. IV, s. VII 55
(822) [8]
In quelli che vissero da 20 a 30 giorni si ebbe una
ampiezza variabile da 6 a 8 mm., con una media a destra
di 4.74 a sinistra di 4,55.
In quelli che vissero da 30 a 80 giorni all' incirca si
ebbe un'ampiezza variabile da 0 a 9 con una media a
destra di 5,79, a sinistra di 5.80.
In quelli che vissero da 80 a 90 giorni si ebbe una
ampiezza variabile da mm. 6,3 a 9, con una media di 7.59
a destra e di 7,66 a sinistra.
In quelli che vissero da 90 a 120 giorni si ebbe una
ampiezza variabile di 7,35 a sinistra di 7,85.
Neil' infante vissuto fino a 220 giorni si ebbe un'am-
piezza bilaterale di mm. 11.
Queste cifre dimostrano ancora nella loro irregolarità,
nella loro saltuarietà l' impossibilità di stabilire dati po-
sitivi costanti 0 quasi rispetto all' ampiezza del centro di
ossificazione in ogni individuo e in ogni sua fase di sviluppo
estrauterino. E cosi appunto deve essere, giacché questo
centro non rappresenta alcun che di geometrico che si or-
ganizzi con leggi numeriche, ma il fatto semplice della os-
sificazione delle cartilagini, subordinato al carattere della
costituzione individuale, al progredire diverso della nutri-
zione in ogni singolo individuo, all'azione tutt' altro che
trascurabile di talune affezioni costituzionali (rachitismo,
scrofola, sifilide), che attaccano in special modo lo scheletro.
Solo riflettendo a queste perturbazioni morbose, a queste
accidentalità di costituzione, noi possiamo spiegarci, ad
esempio, la mancanza dei centri d'ossificazione negli infanti
maturi verso il 30° giorno di vita, 1' ampiezza minima di
fronte alla massima in infanti che avevano vissuto il me-
desimo tempo, il maggior sviluppo dei centri di ossifi-
cazione negli infanti che vissero otto giorni, rispetto a
quelli che ne vissero invece venti. Quel che emerge come
dato sintetico, oltre questa disformità di cifre, è però la
tendenza del centro d'ossificazione verso un dianieti-o in
media più di 3-4 mm., che di 5 o 0, come apjìunto nota
Ilofniann, neyli infanti maturi vissuti poche ore o pn-
chissinii «giorni. Questo però non in via assoluta, giacché
le nostre cifre non escludono che anclie ad 8 mesi com-
pleti non si liiunga verso i 7 mm., mentre non sono
l'ari i .") mm. in infanti maturi die vissero poche ore.
od anche i 7 mm. in infanti vissuti 7-8 giorni. Malgrado
queste accidentalità, non parmi rigorosamente accettahi-
le la conclusione già esposta di Bohm, secondo cui mm.
().7 possono giustificare 1' ammissione della vita extraute-
rina, e trovo invece d'accedere a quella di Filomusi-Guelfi
che porta fino agli otto mm. 1' indice di una vita estra-
uterina.
Ma ci domandiamo : questo centro d' ossificazione che
con la vita dell'infante deve gradatamente espandersi, se-
gue uno sviluppo graduale, definito, da poterne invocare le
misure come tanti dati cronologici ? Qui, anche senza con-
sultare le cifre mie presenti, e (|uelle degli altri Autori,
si deve escludere una rigorosa corrispondenza tra questi
due fattori, e.ssendo lo svolgimento del processo di ossifica-
zione soggetto a mille variabilità di costituzione, di malat-
tia, di alimentazione. Da ciò la mancanza di serietà nel
tentativo di Ollivier, ed il pericolo delle sue applicazioni
pratiche nel Foro, presso il quale tutto quanto può vestire
esj)ressioni numeriche, suole cattivarsi la maggiore prefe-
renza.
Veggansi infatti le deduzioni di Ollivier, ricordandoci
che son tratte dalle misure di cinquanta infanti.
Feto a termine mm.
da 13 a 20 giorni mm.
al di là di 20 giorni mm.
8 mesi mm.
9 mesi mm.
11 mesi mm.
1. 2.
4
su
5
mm.
6
su
5
mm.
/
su
.5
mm.
13
su
5
mm.
15
su
12
mm.
15
su
13
mm.
(824) [10]
I nostri numeri invece porterebbero queste medie:
Feto a termine mm. 3.9
A termine dopo 5-0 giorni di vita mm. 5.1
dopo 8 giorni mm. 4.9
dopo 9 giorni mm. 4.7
dopo 9-19 giorni mm. 4.3
dopo 20-30 giorni mm. 4.6
dopo 30-50 giorni mm. 5.7
dopo 50-90 giorni mm. 7.6
dopo 90-120 giorni mm. 7.5
dopo 220 giorni mm. 11.
Non e' è bisogno di commento per indurre che, anco
non tenendo conto delle cifre sì diverse sommate per ot-
tenere la media, manca quella progressività regolare, che
dovrebbe costituire il fondamento della diagnosi. Quindi
quelle ricerche dirette confermano la critica di Tardi eu,
secondo cui « non si devono prendere alla lettera que-
ste indicazioni, perchè i centri ossei dell' estremità infe-
riore del femore variano secondo la costituzione del neo-
nato e secondo la forma delle ossa ». E se si tien conto
ancora delle differenze abbastanza notevoli esistenti nello
stesso feto tra il lato destro ed il sinistro, quali emergono
dalle nostre tavole, l'inapplicabilità della tesi d'Ollivier ap-
pare ancora più provvida.
Rispetto al centro d' ossificazione del calcagno, Toldt
afferma iniziarsi verso la metà del V.° mese solare, av-
venendo però la vera ossificazione verso la fine del Vl.°
mese. Rambaud e Renault ammettono che tale nucleo appaia
a 4 mesi e mezzo, e che a 5 mesi abbia il diametro di
4 mm. Il nostro Corrado su 80 casi argomenta che il pri-
mo germe osseo appaia verso la fine del V.° e la prima
metà del VI.° mese solare ; e deduce il corollario che
quando il nucleo del calcagno è bene sviluppato, il feto
[11] (825)
ha per lo meno compiuto il V.° mese ; quando manchi si
può l'itenere con j^rande probabilità che esso non ha com-
piuso il VI.° mese.
I dati da me raccolti si avvicinano a quelli degli Au-
tori citati, e permettono di aderire alle conclusioni del
Corrado. Solo osservo che in un feto, che aveva raggiunto
almeno la prima metà del VI." mese di vita intrauterina,
non si videro che delle tracce ; nel resto l'accordo corre,
come si può vedere da queste cifre riassuntive :
a sei mesi incompleti
di vita intrauterina a destra a sinistri
Calcagno a sette mesi di vita intrau-
terina tracce tracce
diametro da 1 mm. a 9.5 con
media 4.1 5.1
ad 8 mesi di vita intrauterina
da 1 ad 11 con media di 5.66 5.33
a 9 mesi con pochissimi giorni
(tre) di vita da 1 a 8 nini.
con m.edia di 4.5 4.10
a 9 mesi con 9 giorni di vita
con ami)iezza da () a lo inni.
con media di 10.30 10.
a 9 mesi con 12-17 giorni di
vita con ami)iezza da 5 a
12 mm. con media di 8.25 10.42
a 9 mesi con 30-30 giorni di
vita con ampiezza da 0 a
13 mm. con una media di 8.38 7.97
a 9 mesi con giorni da 30 a
60 con ampiezza da 8 a 11
mm. e media di 9.60 8.80
a 9 mesi dopo 90 giorni di
vita ampiezza di 11 mm. 11. 11.
(S2ì;) [12]
Degne di i-iniai-co uppaioiio le diUei'eiize d' ampiezza
Ira le due ineià d(d corpo jìoii solo, ina ancora il fatto che
in un infante inal.\iro, (die pur av(!va vissuto 24 giorni
(N. 4.'^), a destra il calcagno aveva un centro d' ossifica-
zione di 9 mni. d'ampiezza, mentre a sinistra non ne pre-
sentava tracce ; e Talti'o fatto, non tanto frequente in un
infante maturo, che pur aveva vissuto 24 giorni, della
mancanza d'ossificazione del calcagno a destra associate a
scarsissime ossificazioni a sinistra (3 mm.) ed a mancanza
0 quasi degli altri centri d'ossificazione all'epifisi del fe-
more ed al calcagno. Qui siamo da\anti ad un caso mor-
l)oso, in cui forse la sifilide, hi rachitide arrestarono il
processo d'ossificazione. Per ultimo non deve passare inos-
servata la circostanza che in qualche caso 1' ampiezza del
centro del calcagno si ])resenta eccezionalmente limitata
rispetto a (juanto feti del medesimo sviluppo vennero ad
offrire (9, 10, 11 mm.).
Tutte (pieste varietà consigliano (juindi la maggior cau-
tela nell'uso esclusivo dei dati numerici.
(Ui'ca la cronologia d(d cenii'o d' ossificazione didl' a-
stragalo concordano gli scrittori [lii'i auioi'evoli (Toldl-,
Rambaud, iviMiauli. Tourdes) ncdlo siahilii'e il pi'incipio un
mese all'incirca più tai'di dcd calcagno, ([ualclie volta i)erò
solo dopo due, ({uattro settimane (Corrado), tanto che il
Corrado cosi formula le sue conclusioni risi)etto a questo
centro : la presfuiza di ((uesto lundeo è in gencM-ale segno
clic il l'i'lo si iro\a per lo miMio \(u*so la lini^ del Vi."
mese od al principio d(d VII."; mentre la sua assenza è
in geiKM'ale segno (die (\sso non ha compiuto il VII." mese.
I mici dati i('nd(M'(d)l)ei'() a segnar(> il principio (hdl" ossifi-
cazione più verso la seconda metà d(d scLiimo mese, che
verso la })rima.
Infatti al VI." mese non riscontrai tracce ;
al VII." mese compiuto su sei casi mancò quattro volte,
[l-'l («27)
con un ani|)i('/za xarialiilc da 'A min. a nnn. 0.5 e con una
media di mm. ~ì.'^^) a dcsli-a e l a sinisii-a ;
all' Vili," mese si ebbero in uno un piccolo centro {}l,
' 2 ; .')) in un altro un centro più ampio (7,()) ;
al IX.° mese dopo 3-9 giorni di vita si ebbero centri
variabili da 4 mm. a mm. 8.5 con media a destra di 5.75
a sinistra di 5.84;
al IX.° mese dopo 12-17 giorni di vita si ebbero centri
variabili da 4 a 9.
al IX. ° mese dopo 20-30 giorni di vita si ebbero cen-
tri variabili da mm. 0 a 9.
Qui puro è degno di rimarco V anomalia della man-
canza il nucleo (N. 44) alla pai-te sinisLra in soggetti)
in cui ad una vita estrauterina abbastanza protratta ta-
cevano difetto quasi tutti gli altri centri ; e 1' altra ano-
malia di uno sviluppo assai meschino dei centri dell'a-
stragalo (N. 45) in soggetto maturo, che aveva vissuto
20 giorni, e nel (^uale pure tutti gli altri centri si pre-
sentarono atrotici.
(S2S) [14]
BIBLIOGRAFIA
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Meckel — Handbuch der menschl Anatomie Voi. II. 1816.
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all'epoca della nascita (L'amalo Anno III, 1891).
Hofiaann — Lehrbuch der gerichtl. Med. VI. Ed. 1893 p. 777.
INTORNO AD UNA NUOVA EFFEMERIDE
I) I
BIBLIOGRAFIA MATEMATICA
'UHMI.ir-ATA SOTTO (11,1 AfSI'iriI I)EI-[,A SOCIKTÀ MATEMATICA DI AMSTERDAM
Relazione
DEL M. E. ANTONIO FA VARO
La Società ^Matematica di Amsterdam, .sotto i cui au-
spici i fu teste intrapresa la pubblicazione d' una « Revue
semestrielle des Publications jNIatbèmatiques », nel man-
darne al nostro Istituto un esemplare della prima pun-
tata, (1) lia espresso il desiderio che fossero fatti conoscere
i priiicipii fondamentali ai quali si informa la classifica-
zione in essa adottata. Alla Presidenza dell' Istituto piacque
(1) Revue Semestrielle des Publications Matite matiques redigée
sous les avispices do la Société Mathèniatique d' Amsterdam pat* P. H.
SruouTE (Groningue), D. J. Kortewe(; (Amsterdam), W. Kapteyn (U-
trccht), .1. C. Kluwer (Leyde), P. Zeeman (Delft), avec la collabora-
tion de M. M. C. Van Ali.er, F. de Roer, J. Cardinaal, D. Coei,in(;h,
R .1. Escher, "W. Mantel, P. Molenbroek, P. Van Mourik, M. C.
Par ATRA, A. E. Rauusen, G. Schouten, .1. W. Tesch, J. Vkrsluys, J.
DK Vries et de Mad."*^ A. G. Wijthoif. -- Tome I (Premièn* Partici).
Ani.sterdam, W. Wershiys, 1894. 8", (4) 104 pag.
11 prezzo an a no d" abbonamento (anticipato) per l'Italia è di L. 8.50
da dover.si rimettere al Segretario della Societii Matematica di Amster-
dam, I)/ G. Schouten, Amsterdam, Prinsengracht. 2(54.
(830) [2]
demandare a me l' incarico di prendere in esame e la
pubblicazione e 1' argomento al quale si riferisce ; e questo
incarico onorevolissimo mi affretto a disimpegnare.
Il moltiplicarsi delle pubblicazioni le quali nei varii
rami dello scibile hanno per fine di agevolare agli studiosi
la conoscenza dei copiosi materiali che tuttodì vedono la
luce, fa fede della grandissima difficoltà che ormai incon-
trano gli studiosi stessi nel tenersi in giornata della me-
ravigliosa e ognor crescente produzione scientifica. Ma se
in altri ordini di scienze queste pubblicazioni esistono già
perfettamente sistemate, tanto per la produzione passata
quanto per la contemporanea, e tornano di aiuto e di uti-
lità inestimabili, cosi non seguiva per le matematiche. Non
è per verità ed a stretto rigore che quanto alla prima
manchino affatto i repertorii ai quali lo studioso possa at-
tingere le indicazioni delle quali abbisogna : i lavori dello
Scheibel, del Beughem, del Murhard, del Reuss, del Mai-
ler, del Rogg, del Sohncke, dell' Erlecke, del Poggendorff,
i poderosi ed accuratissimi lavori del Riccardi, del Bierens
de Haan e del Zembrawski, ed una quantità di lavori spe-
ciali concernenti un determinato ramo dello scibile mate-
matico riescono senza alcun dubbio preziosissimi ; ma, sia
perchè alcuni si riferiscono alla produzione d'un solo paese,
o di un' epoca determinata, o contemplano un argomento
limitato e ristretto, sia perchè in generale condotti seguendo
criterii e formule diverse; sia perchè nel loro complesso non
presentano caratteri di continuità; sia infine perchè non tutti
elaborati col medesimo scrupolo, non offrono allo studioso
quelle garanzie di quasi assoluta sicurezza, le quali lo ren-
dano ben certo che nell' allestimento della cosiddetta Lite-
ratur der Frage egli non corre alcun pericolo di trascu-
rare alcun contributo, e forse tra i principali, all' argo-
mento del quale egli si propone di occuparsi.
Punto migliori sono, od almeno erano fino a questi
ultimi tempi, le cose rispetto ai mezzi di conoscenza della
produzione matematica contemporanea. La ben nota pub-
[-] («'31)
blicazione curata dalla Società Reale di Londra con le
relative appendici è sempre e quasi necessariamente in
ritai'do ; lo stesso Jahrhuch ilher die Foi'hchritte der
Mathematik non ci ragguaglia intorno alle pubblicazioni
matematiche se non circa tre anni dopo eh' esse han ve-
duta la luce ; le ottime riviste del BuUetin des sciences
matlìèmatiques et astrano miqties non son l'atte seguendo
un sistema il quale affidi che chi le segue si tiene al cor-
rente di ciò che può interessarlo, ed esse pure sono quasi
sempre in grande arretrato ; la cessazione del prezioso
Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze mate-
maliche e fisiche, edito già dal principe Boncompagni, tolse
di mezzo i bimestrali annunzi di recenti pubblicazioni,
principalmente graditi per gli accuratissimi indici degli
atti e delle memorie di società ed istituti scientifici e delle
pulìblicazioni periodiche concernenti le scienze matema-
tiche e fisiche ; e finalmente la trasformazione della Bi-
bliolheca Mathematica dell' Enestrom in periodico esclu-
sivamente dedicato alla storia della matematica ed alla
bibliografìa di essa ha fatto cessare quell' appendice agli
Ada Mathematica, {^) nella (|uale, con tanta economia di
spazio e con tanto ordine ed esattezza di indicazioni, veni-
vano fornite notizie intorno alle nuove pubblicazioni ma-
tematiche.
Queste non liete condizioni si propone di migliorare
la Società Matematica di Amsterdam mercè la pubblicazione
della sua Eevue Semestrielle des Publications Tnathèma-
li.ques, con la (juale, per ripetere le parole stesse dell'an-
nunzio, essa « s' est propose de faciliter 1' ètude des scien-
ces matlìèmatiques, en faisant connaltre, sans delai de
(luelquc importance, lo titro et le contenu principal dos
nii'inoiiN^s matlìèmatiques publiès dans les principaux: joui--
(1) Ne lio riferito ali" [stitiito con due comunicazioni inserite nei
to lù 11 e V della Serie VI degli Atti,
(832) [4]
naiix .scientiflques. » E qui mi permetterò subito d' osser-
vare come al raggiungimento del fine propostosi dalla be-
nemerita Società di Amsterdam si opponga una grandissima
lacuna che è nel suo programma, poiché lo escludere
tutta la produzione matematica la quale vede la luce in
pubblicazioni non periodiche rende necessariamente incom-
pleto il suo lavoro. Per parte mia adunque faccio voti
perchè nella nuova effemeride sia fatto il debito posto
anche all' annunzio delle pubblicazioni matematiche non
periodiche, e confido che il raccoglierne le indicazioni in
seguito alle spontanee comunicazioni degli editori e dei
tipografi riuscirà tanto più agevole ad un corpo scientifico
residente in Olanda, che non ad uno il quale avesse la
sua sede in Germania, in Francia ed in Italia. Lo sap-
piamo ormai per dura esperienza, la politica si caccia
dappertutto.
Le pubblicazioni periodiche (giornali ed atti e memo-
rie di società ed istituti scientifici) spogliate per questo
primo numero della Revue sono in numero di 56, delle
quali han visto la luce 4 in America, 'S nel Belgio, 1 in
Danimarca, 10 in Germania, 10 in Francia, 11 in Inghil-
terra, 6 in Italia, 2 nei Paesi Bassi, 1 in Norvegia, 4 in
Austria, 1 nel Portogallo, 1 in Finlandia e 2 in Svezia.
L'indice relativo contiene però la indicazione di 64 altre
pubblicazioni delle quali pare che si terrà conto in seguito,
e di esse vedono la luce 5 in America, 3 nel Belgio, 2 in
Danimarca, 6 in Germania, 7 in Francia, 8 in Inghilterra,
16 in Italia, 1 nel Lussemburgo, 3 nei Paesi Bassi, 1 in
Norvegia, 1 in Austria, 2 nel Portogallo, 3 in Russia e 6
nella Svezia (i).
Rispetto alla prima e forse maggiore difficoltà la quale
(1) Questo elenco non è senza molte lacune, né qui gioverebbe il
rilevarle tutte : mi permetterò soltanto di segnalare per l'Italia, che non
vi trovo notato il Periodico Matematico per V itisegnamento secondario
che vede la luce a Roma.
[5] (S3:^)
consisteva nel determinare precisamente le materie da com-
|)r(uidei'si nello spoglio, nel fissare cioè quali in tutto o in
parte dovessero prendersi in considerazione, tenendo conto
di ciò che bene spesso un assai sottile e talvolta quasi ini-
[)ercettibile anello di congiunzione lega le matematiche con
altre scienze affini, si risolvette di limitare i resoconti alle
memorie che si riferiscono alle matematiche pure ed alla
meccanica, comprendendovi l'idrodinamica e la teoria del-
l'elasticità, ed escludendo la meccanica applicata, la fisica
matematica e l'astronomia. Al quale proposito mi permet-
terei di osservare che la esclusione della fisica matematica
non sarà forse per incontrare la piena approvazione di
tutti gli studiosi. Né forse è giustificabile questo partito
con r altra mezza misura di tener conto dei titoli delle
memorie sopra soggetti esclusi, se queste memorie si tro-
vano in giornali « presque exclusivement mathèmatiques ».
A mio avviso pertanto in consimili lavori è mestieri pro-
cedere con norme precise e con criteri assoluti, per modo
che lo studioso che vi ricorre possa esser certo ch'egli vi
troverà ciò che vi ricerca senza esporsi alla eventualità
di dovere la conoscenza dei materiali, de' (juali abbisogna,
alla (|ualità della effemeride dove videro la hu^e.
Al titolo di ciascuna memoria, riprodotto nella lingua
oi'iginale, intero od abbreviato, è fatta seguire, in carat-
tere tipografico diverso, una brevissima analisi stesa in te-
desco, inglese e francese rispettivamente per le memorie
redatte in queste lingue ; in francese, d' ordinario, per le
altre. Ed al titolo di ciascuna memoria è fatto precedere
un sistema di notazioni clie rimanda alla classificazione
adottata dal Congresso internazionale di bibliografia delle
scienze matematiche (^) ; ma a questo proposito stimo oppor-
tuno di entrare in qualche ulteriore particolare.
(1) Mi permetto di ricordare a questo proposito una mia nota
Sopra la parte fatta alla storia in un disegno di Bibliografìa delle Ma-
ti'iiìatiche inserita nella Rivinta di Matematica. Anno 18.)1, pag-. 72-77.
k
(834) [cq
La Esposizione Universale di Parigi del 1889 parve
occasione opportuna per riunire un congresso internazio-
nale di hilìliografia delle matematiche « dans le but d'èta-
blir un rèpertoire detaillè de toutes les questions du do-
maine de ces sciences qui servirà ensuite de base à la clas-
sification des travaux des gèoraètres ». A questo congresso,
che fu tenuto in Parigi dai 16 ai 19 luglio 1889, erano
stati invitati numerosi matematici d'ogni parte d'Europa ed
anche alcuni americani, dei quali fu stampato l'elenco ; e
dei lavori di esso venne pur pubblicato un processo verbale
sommario (i). Da questo rileviamo che nei riguardi delle
suaccennate notazioni fu approvata la seguente deliberazione
che parmi opportuno di qui testualmente riprodurre :
« Le Congrès adopte pour le rèpertoire la classifica-
tion proposée par son Comité d'organisation avec les mo-
diflcations votèes dans la séance des 17 et 18 juillet 1889.
Les divers titres mentionnés seront répartis en un certain
nombre de classes subdivisèes en sous-classes, divisions,
sections et sous-sections. Les classes seront désignèes par
une lettre capitale : elles pourront ótre subdivisèes en sous-
classes désignèes par une lettre capitale affectèe d'un ex-
posant. Les classes ou sous-classes se subdiviseront en di-
visions désignèes pur un chiffre arabe et celle-ci en sec-
tions désignèes pur une minuscule latine, lesquelles pour-
ront elles-mèmes ètra partagèes en sous-sections repré-
sentèes par une minuscule grecque. Ainsi la sous-section
a de la section b faisant partie de la division 3 de la sous-
classe LI serait notèe ainsi dans un encadrement rectan-
gulaire :
|Li3&a| ,,
(1) Expositìon Universelle Intcrnationalo de 1889. Direction gene-
rale de r Exploitation. L'onyrès Inteniationnl de Bibliogrnphie des
Sciences Mathèmatiques, tenu à Paris du i6 au 19 juillet 1889. Pro-
còs-Verbal sormnaire. Paris, Imprimerle Nationale, MDCCCLXXXIX.
[7] (m)
Ed a questo merlesiino proposito veniva votata (lue-
st'altra risoluzione :
« Afin de faciliter l'ètahlissenient des Supplchnents con-
saci'ès aux travaux postiÀi'iours à 1880, le Conj^i'ès èniet le
voeu que cliaciue auteui- fasse suivi'e le titre de son miì-
moire de la notation defìnie ; (jue si l'auteur a m'^dij-è de
le faire, les administrateurs des divcrs recueils pèriodifiues,
ou, à leur defaut, les rédacteurs des recueils analytiques
qui rendront compte de ces travaux, veuillent bien se
charger de ce soin ».
Questo sistema di notazione fu adunque adottato nella
Revue della quale ci andiamo occupando, e trovasi applicato
al principio del titolo di ciascuna memoria in caratteri grossi,
ma con esclusione del contorno rettangolare, e soltanto per
le memorie che entrano nel quadro contemplato, omessa
quindi per le altre prese in considerazione solamente, pei'-
chè, come avvertimmo, si trovano in giornali « presque
exclusiveraent mathèmatiques. » La pratica ha poi mostrato
che non basta bene spesso una sola notazione per indicare
esattamente il contenuto della memoria con riferimento alla
classificazione proposta dal Congresso internazionale surri-
cordato, ma bene spesso se ne richiedono due, tre e fino
a sei. Cosi, per modo di esempio, la memoria del Frobenius
« Ueber die in der Theorie der Flachen auftretenden Dif-
ferentialparameter » inserita al principio del centodecimo
volume del Journal fur die ideine und angewandte Ma-
fhematik porta le seguenti notazioni :
C 4 a, d, M^ 2 h ^, 0 5 f OL, m, (] p
mentre, seguendo strettamente le norme del Congresso in-
ternazionale ed adottate nell'accuratissimo indice delle me-
morie e comunicazioni contenute nei sei primi tomi del
Rendiconto del Circolo Matematico di Palermo (i), avreìjbe
dovuto scriversi:
(1) Una nota apposta a qviesto spoglio avverte che è lavoro del
(836) [81
\C4a\ \C4d\ \U-^2/>{i\ \07yfa\ |05m| |()(ij>|
La inoclifìcazioiie introdotta dalla Società Matematica
di Amsterdam è adunque di lieve entità ; forse gioverebbe,
pur sopprimendo la cornice rettangolare e semplificando le
notazioni concernenti una medesima classe, accentuare
maggiormente la punteggiatura tra le notazioni relative a
classi diverse.
Ma poiché la classificazione alla quale le notazioni si
riferiscono non è ancora cosi generalmente difi'usa come
dovrebbe, perchè queste potessero essere con la massima
facilità interpretate, e poiché anzi pare che il disegno
che le contiene sia esaurito, cosi fin tanto che non ne sia
procurata una nuova edizione, l'indice della Reoue è co-
stituito in modo da riprodurre uno scheletro della classi-
ficazione suddetta, e di fronte ad ogni voce della mede-
sima sono collocate delle cifre che si richiamano alla pa-
gina nella quale trovansi indicate memorie che trattano
quell'argomento, munite queste cifre di un esponente nu-
merico il quale esprime il numero delle memorie che in
quella data pagina trattano quell' argomento determinato.
Quando però la nuova edizione del disegno di classifi-
cazione sarà pubblicato e larghissimamente diffuso, io
stimo che la Società Matematica di Amsterdam dovrà pen-
sare a qualche altro espediente per indicare aggruppate
insieme le memorie relative ad una medesima voce di clas-
sificazione. Ora infatti lo spoglio è fatto, periodico per pe-
riodico, neir ordine secondo il quale trovansi registrati in
un indice disposto secondo 1' ordine alfabetico dei paesi i
cui nomi sono scritti nelle lingue originali per i francesi,
tedeschi ed inglesi, e in francese per gli altri ; ma una
certa indicazione sintetica sarà pur sempre necessaria per
segretario del Comitato Itnlinno del liepcrlorio Bibliografico delle
Scienze Matematiche, prof. F. Gerhaldi.
[0] (s:>,7)
poter a colpo d'occhio rilevare quali .siano le meinoi-ie che
trattano un determinato argomento. Io mi permetto anzi
(li pensare che la ripai-tizione del materiale, almeno nelle
classi le (juali nelle classihcazioni sono distinte con lettere
latine minuscole, sarà quella alla (piale tornerà più conve-
niente di appigliarsi e sottopongo questa proposta agli illu-
stri collaboratori della nuova effemeride, se però non si
stimerà opportuno di scendere ad una distribuzione ancor
più particolareggiata: il contribut(t dei dixci-si collaboratori,
essendo fornito su schede staccate per ciascuna voce, ne
agevolerà 1' oi'dinamento secondo i criterii che piacerà di
adottare.
Oltre ai due indici summenzionati, quello cioè dei gior-
nali e quello delle materie, un terzo ne è aggiunto il quale
contiene il nome degli autori, distinguendo mediante cifre
grasse quelli degli autori delle memorie dagli altri dei
citati i quali sono richiamati in cifre magre.
La « Revue Semestrielle » come lo indica il titolo,
sarà pubblicata in due puntate all'anno ; la prima conterrà
l'analisi dei lavori pubblicati dal 1" marzo al 1° ottobre e
sarà pubblicata al 1° gennaio successivo; la seconda conterrà
quella dei lavori venuti alla luce dal 1" ottobre dell'anno
precedente fino al 1° marzo del corrente e sarà pubblicata
il P luglio.
Gli studiosi di matematica devono essere ben grati
ai loro colleghi olandesi che si sono sobbarcati a questa
fatica la quale nel suo complesso è meritevole di ogni
elogio.
Padova, Maggio i893.
T. IV, S. VII 56
STATISTICA DEGLI INSCRITTI
NELLE UNIVERSITÀ E NEGLI ALTRI ISTITUTI D'ISTRUZIONE SUPERIORE
DEL
s. c. CARLO F. FERRARIS
Ho dovuto noi passati mesi, })er l'agiotii speciali, oc-
cuparmi con molta diligenza del numero degli inscritti nelle
Università e negli altri Istituti di istruzione superiore, e mi
l'isultò che le statistiche finora pubblicate su tale argomento
non erano nella loro disposizione conformi ad uno dei canoni
lbndan)entali del metodo statistico, la comparabilità dei dati,
mentre poi nelle discussioni sulla questione universitaria si
riproducevano i dati ufficiali senza sottoporli alla necessaria
elaborazione, mutandone cioè 1' ordine, od osservandone il
contenuto nei singoli elementi.
Cito un solo, ma decisivo esempio.
Si confrontava la totalità degli inscritti nell'Università
di Padova con quella delle Università di Torino, Bologna,
Pavia, Pisa e Roma per determinare quale posto essa oc-
cupasse per numero di scolari, e si prendevano le cifre totali
senza tener conto :
1.° che r Università di Toi-ino non comprende la
Scuola di applicazione per gli Ingegneri, ma contò sempre
fra i suoi inscritti le allieve della Scuola ostetrica di No-
vara, mentre quella di Padova invece ha la Scuola di ap-
plicazione come parte integrale, e soltanto dall'anno scola-
(840) r2]
stico 1891-92 si cominciò a porro nel numero dei suoi
inscritti le allieve della Scuola ostetrica di Venezia, che
è alla sua dipendenza :
2.° che quella di Bologna comprende, oltre alla
Scuola di applicazione, anche la Scuola di Medicina vete-
rinaria, cosicché quest' ultima è la cagione appunto della
sua prevalenza numerica sulla padovana, come risulta
dalle seguenti cifre tratte dagli Annuari del corrente anno
scolastico :
Università
Padova *
Bologna
IscritU nell' anno scolastico 18»2-93
Quattro Facoltà
e
Scuola (li Farmacìa
1180
1146
R. Scuola
dì
applicazione
137
153
1317
1299
R. Scuola
dì medicina
veterinaria
90
Totale
generale
1317
1389
* Non comprese le 40 allieve della Scuola ostetrica di Venezia.
3.° che quella di Pavia ha il solo primo anno della
Scuola di applicazione, e non comprende fra i suoi in-
scritti (e non sappiamo perchè) le allieve della Scuola di
Ostetricia di Milano che pur è una sua dipendenza, di
guisa che il confronto con Padova richiederebbe di elimi-
nare dai dati relativi a questa il 2° e 3° anno della Scuola
di applicazione, e le allieve della Scuola di Venezia :
4.° che quella di Pisa ha soltanto il 1° anno della
Scuola di applicazione, ma comprende due Scuole, assai
frequentate, che mancano a Padova, la Scuola di Medicina
veterinaria e la Scuola di Agl'aria :
5." che quella di Roma non ha come parte integrale
la Scuola di applicazione, ma che le statistiche ne com-
prendono talora, e talora non, gli studenti con (juelli del-
l' Università.
[3] (H41)
Hisogna dunque disporre innanzi tutto i dati in modo
che si metta in evidenza il diverso ordinamento degli enti
univei'sitarii rispetto ai varii istituti, che vi sono annessi
come [ìarte integrale o non, indipendentemente dalle Fa-
colta propriamente dette e dalla Scuola di Farmacia, le
(juali no sono i veri elementi costitutivi.
Ma non basta. Le nostre Università sono dispari anche
per numero di Facoltà, il che altera naturalmente le con-
dizioni della frequenza scolastica, ed anche quel fatto bi-
sogna che l'isulti con tutta evidenza dalla statistica.
Per redigere la statistica del numero degli inscritti
neir istruzione superiore in modo corrispondente agli esposti
criteri i, ho fatto compilare i tre prospetti che presento,
relativi al quinquennio dal 1887-88 al 1891-02.
Nel primo prospetto è indicato il numero degli allievi
nelle Università regie e libere, escludendo gli inscritti alle
R. Scuole di applicazione, di Medicina veterinaria e di
Agraria, anche quando sono parte integrale dell'Università,
comprendendo invece in queste le allieve delle R. Scuole
di ostetricia, che ne dipendono, per Torino e Padova, cioè
le Scuole di Novara e di Venezia, cosa che non mi fu
possibile per Pavia rispetto alla Scuola ostetrica di Milano,
mancando i relativi dati nei documenti ufficiali.
Le Università regie sono suddistinte in quattro cate-
gorie :
1.° (|U{'lle colle quattro Facoltà classiche, la giuri-
dico-politica, la medico-chirurgica, la tisico-matematica, la
filosofico-letteraria e la Scuola di Farmacia, cioè Bologna,
Catania, Genova, Messina, Napoli, Padova, Pah'iMno, Pavia.
Pisa, Roma, Torino.
Si avverta che l'Università di Napoli ha veramente cin-
((iic Facoltà, essendovi (juella di scienze naturali separata
dalla luatematifta ; ma nella statistica gli studenti sono riu-
niti insieme, come se appartenessero ad una sola Facoltà.
(842) [4]
2.° quelle con tve Facoltà, la giuridico-politica, la
medico - chirurgica, la fisico - matematica, e la Scuola di
Farmacia, cioè Cagliari, Modena e Parma,
3.° quelle con due Facoltà, la giuridico-politica e la
medico-chirurgica, e la Scuola di Farmacia, cioè Sassari
e Siena,
4.° quelle con una sola Facoltà, cioè Macerata.
Naturalmente fra gli iscritti sono compresi i notai e
})rocuratori, e le allieve levatrici, però in colonne speciali.
Nel secondo prospetto sono compresi gli altri Istituti
di istruzione superiore, sia autonomi, sia annessi alle Uni-
versità, distinti nelle seguenti categorie :
1.° La prima categoria comprende due Istituti di
carattere speciale, con insegnamenti identici a quelli delle
Facoltà universitarie, cioè il R. Istituto di studi superiori
di Firenze e la R. Accademia scientifico - letteraria di
Milano.
2.° La seconda comprende gli Istituti, nei quali si
impartisce l' istruzione tecnica superiore e cioè :
a) il R. Istituto tecnico superiore di Milano,
b) le R. Scuole di applicazione per gli ingegneri, auto-
nome, di Napoli, Roma e Torino,
e) le R. Scuole di applicazione annesse alle R. Univer-
sità di Bologna, Padova e Palermo,
d) il primo corso della R. Scuola di applicazione esistente
presso le R. Università di Genova, Pavia e Pisa.
3.° La terza comprende la R. Scuola di Agraria
annessa alla R. Università di Pisa, la sola che possa essere
qui contemplata, perchè le Scuole superiori di agricoltura
di Milano e di Portici non hanno carattere universitario
e non dipendono dal Ministero della Pubblica Istruzione.
4." La quarta comprende le Scuole di Medicina ve-
terinaria e cioè :
a) le tre autonome di Milano, Napoli e Torino,
[5] (84:>.)
h) \o ([uattro annesso allo li. Uiii\oi-sità di Bologna, Pisa,
Modona e Parma,
o) le (lue annesse alle Università libere di Camerino e
Perugia.
5.° La quinta comprende le Scuole universitarie an-
nesse ai Licei di A(iuila, Bari e Catanzaro.
Nel terzo prospetto infine sono raggruppati per ogni
singola città, sede di Università e di Istituti superiori, gli
inscritti in questi e nelle rispettive Scuole dipendenti, co-
sicché ne risulta l'importanza numerica delle singole ag;-
glomerazioni di discenti.
In tale prospetto sono riprodotti, sotto altra forma, i
dati dei due prospetti precedenti, e distribuiti, per ogni
anno scolastico, in quattro colonne, in cui sono indicati
gli inscritti :
a) nelle quattro Facoltà e nelle Scuole di Farmacia e
di Ostetricia,
b) nei R. Istituti di istruzione tecnica superiore o Scuole
d' applicazione,
e) negli altri Istituti e nelle Scuole autonome od annesse
alle Università (veterinaria, agraria, ecc.),
d) in totale.
Gli Istituti vi sono distinti in tre categorie, regi, li-
beri e scuole universitarie annesse ai licei.
I tre prospetti che, come dissi, abbracciano il quin-
quennio dal 1887-88 al 1891-92, contengono pure la di-
stinzione fra studenti ed uditori per ogni ordine di studi.
Cosi con grande facilità si possono comparare sotto tutti
gli aspetti i dati relativi al numero degli inscritti.
Lo studio di quel periodo è specialmente importante
porche serve a mostrare quali furono, sul concorso di
allievi, gli effetti delle leggi pel pareggiamento dolio Uni-
(844) [6]
versità di Catania, Genova e Messina del 13 dicembre
1885, N. 3570, 3571, 3572, e di quella pel pareggiamento
delle Università di Modena, Parma e Siena del 14 luglio
1887, N. 4745.
Mi è grato conchiudere coli' espressione della mia vi-
vissima gratitudine al valente e cortese Direttore generale
della Statistica, prof. Luigi Bodio, che fece con somma cura
compilare i prospetti sui documenti ufficiali, in conformità
al modello, che io ne aveva dato.
N. 1
JSPivme-ro degli tscrttti {stzLdertti ed. Tzdztort)
nelle R. TJrLtveTsttct e nelle ZTniveTsttcL
libere
(Escluse le R. Scuole di applicazione e le Scuole di vete-
rinaria e di agraria annesse alle Università)
Alf.lil SCOI.Af^TICI DAI. 1889-88 AI. 189l.»2
iV. B. — Le cifre per gli anni 1887-88 al 1890-91 sono state ricavate
dalle statistiche annuali dell' istruzione superiore; le cifre per Tanno
1891-92 sono state ricavate dal Bollettino del Ministero della Pub-
blica Istruzione del mese di aprile 1892.
7
SEDE DELLE UNIVERSITÀ
Giurisprudenia
Medicina
e Chirurgia
Scienze fisiche, matematiche
e naturali (esclusa la Scuola
di applicazione)
Lettere
e filosofia
Scuola di farmacia
Notai
e procuratori
Chirurgia
minore
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SEDE DELLE UNIVERSITÀ
Giurisprudenza
Medicina
e Chirurgia
Scienze fisiche, matematiche
e naturali (esclusa la Scuola
di applicazione)
Lettere
e filosofia
Scuola di farmacia
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Chirurgia
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^V. 5 — Le cifre per gli anni 1887-88 a 1890-91 sono state ricavate
dalle statistiche annuali dell' istruzione superiore: le cifre per Tanno
1891-92 sono state ricavate dal BoUetlino del Ministero della Pub-
blica Istruzione del mese di aprile 1892.
DENOMINAZIONE DEGLI ISTITI)iTI
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Medicina
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Scienze fisiche, mat.
e naturali (esclusa
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e naturali (esclusa
la Scuola d'applic.)
Lettere
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e) Id. id. id. di Pisa (1889-90
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C. Regia Scuola Agraria nella R. Università di Pisa (1889-90
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ANNI SCOLASTICI
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X B. — Le notizie per gli anni 1887-88 al 1890-91 sono state ricavate
dalle statistiche annuali dell'istruzione superiore ; le cifre per l'anno
1891-92 sono state ricavate dal Bollettino del Ministero della Pub-
blica Istruzione del mese di aprile 1892.
sede dell'università
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IL BEGGOFRUSOKE
N-EJL, TERRITORIO VEROlsriIlSE
DEL
s. c. FRANCESCO CIPOLLA
Il l)eccotVi5soiie {Ampelis garrulus L : Bortibycilla gar-
rula Temili) è specie molto rara in Italia. A, Bonomi, nel
1889, scriveva (i) : « Capita di rado, tanto che io non potei
paranco vederlo. Al Ferdinandeo esiste un maschio ucciso
presso Bolzano (1847) e uno colto a Bressanone. » Solo
per eccezione si è, qualche volta, fatto vedere numeroso.
E. H. Gig-lioli ("^) scrive : « Al dire del Salvadori, questa
specie giunge quasi ogni anno, durante l'invenuj, nell'Italia
settentrionale : geiieraluiente però capita in discreto nu-
mero a lunghi intervalli, e sempre nella stagione fredda. »
E (ìaetano Perini (3): « Questa bellissima e rarissima spe-
cie dimora, durante la state, nelle parti orientali del nord
d'Europa, e nell' Asia settentrionale. Negli inverni assai
fi'eddi, di tratto in tratto, si mostra anche tra noi : in al-
cuni anni in gran numero, in alcuni altri scarsamente, e
talora non se ne vede, per molti di seguito, nemmeno un
individuo.» Una di queste eccezionali comparse fu segnalata
(1) Nuove contribuzioni alla Avifauna tridentina. Rovereto, 1889.
pag. 17.
(2) Avifauna italica. Firenze, 1880, pag-. 170.
(3) Ornitologia Veronese, nelle : « Memorie deirAccademia di A-
gricoltura Arti e Commercio di Verona » Voi. LI; XI della Serie 11,
F'asc. I. Verona, 1873, pag. lOG.
T. IV, S. VII 57
(848) [2]
la fine della serie di osservazioni fatte col vecchio micro-
metro a larghe lamine applicato all'equatoriale Derabowski
dieci anni addietro (i). Incominciai ad adoperare il nuovo
micrometro il 25 maggio 1892, dapprima con vane ricer-
che dei pianetini [287) Nephthys {^) e {165) Loreley su
effemeridi dei valenti calcolatori di Berlino Berberich e
Lange, poscia con fruttuose osservazioni di Polyhymnia e
Sylvia come sono raccolte nel quadro IL Dopo queste
prime osservazioni il micrometro venne tolto dal Dembowski
per essere ancora una volta ritoccato dal meccanico ed ebbe
})Oscia la sua collocazione definitiva il 7 giugno.
A quell'epoca avrei dovuto accingermi all'osservazione
della bella Cometa 1892 I, scoperta da Swift il 6 marzo
a Rochester negli Stati Uniti, che dicevasi allora visibile
ad occhio nudo, ma sfortunatamente, dal momento della sua
apparizione in avanti, essa occupava in cielo, nelle ore not-
turne, tal regione di nord-est che al Dembowski rimase
occultata da oggetti terrestri. Solo il 20 di giugno riuscii
a vederla fuori degli ostacoli ma tanto poco prima dell'au-
rora che, illuminandosi il cielo, essa tornava presto invi-
sibile. Tuttavia essendo molto risplendente si lasciava pun-
tare anche nell'alba e potei osservarla come nel quadro III.
Nelle notti dedicate a questa cometa, mentre stava atten-
dendo che il moto diurno della sfera celeste me la por-
tasse sulla visuale libera, cercai invano i pianetini {304)
Olga, allora ritrovato da Palisa, e {118) Peitho raccoman-
datomi dal prof. Luther, ma ritrovai ed osservai Elektra
come nel quadro IV.
Giunta la metà di luglio abbandonai provvisoriamente
le comete (ed i pianetini) per attendere alle osservazioni di
Marte, le quali, nella circostanza della sua opposizione.
(1) Nelle mie Osserv. Astr. pubblicate negli Atti, serie VI tomo II,
marzo 1884, le osservazioni di Cometa 1883 I, sono le prime della serie.
(2) Nephthys fu cercato vanamente anche nel novembre 1889. Atti
serie VII, tomo I. Osserv. Astr. 1889.
[8] (849)
erano state raccomandate con una circolare rial dott. Lohse
asti'onomo di Potsdam.
Ripigliai le osservazioni di comete in novembre quando
veniva scoperta la 1892 III da Holmes a Londra. Questa fu
splendente quanto la I ma più singolare per il suo rapido
affievolirsi e pel suo ravvivarsi dopo quasi due mesi. Io la
osservai finché potei, tanto nel primo, quanto nel suo secondo
{ìcriodo di visibilità nel Dembowski, e precisamente come
apparisce nei quadri V e VI. Oltre a questa cometa ne
furono scoperte, nel 1<S92, altre quattro debolissime com-
presa {{uella periodica di Winnecke che fu la 1892 IV.
Ma questa e le due seguenti, quantunque in ordine di nu-
merazione compariscano dopo la Holmes a motivo del loro
più tardo passaggio al perielio, furono però scoperte prima
e, perchè io mi trovava altrimenti occupato, non ho potuto
tenervi dietro. L' ultima cometa scoperta nel 1892, il 19
novembre da Rrooks negli Stati Uniti, rientra nella serie
del 18!)8 e sarà probabilmente la I essendo passata al pe-
rielio il 7 gennaio e dopo di essa non essendosene fin'ora
scoperte altre. La osservai per tre sere come nel qua-
dro VII.
Quanto ai pianetini devo, innanzi tutto, accennare alla
convenzione fatta, (') dai prof. Krueger e Tietjen, per nu-
merarli, affine di evitare future rettifiche dei numeri pro-
gressixi a hjro attribuiti. Succedendosi le scoperte con
grande rapidità (specialmente ora colla fotografia) è impos-
sibile riscontrar subito se fra gli scoperti alcuno sia vecchio
e già numerato; perciò è stato convenuto di sospendere la
numerazione arabica fino a calcolo d' orbita compiuto, il
(piale, o rivela un nuov(» i)i;ineta, o lo identifica con un
vecchio, e di usare subito in luogo dei numeri, e nel corso
dell'anno, per le nuove scoperte, un' indicazione provvisoria
(1) Nel luglio 1892, v. Astr. Nachr. 3106.
(850) [4]
fatta pi'ogres.'iivaniente culle lettere majiuscole dcir allabctu
latino dalla A in avanti. In causa delle fatte rettifiche il
pianeta scoperto a Nizza da Charlois TU febbrajo 1891
subito ritenuto il {303), da me pure osservato e come tale
indicato nella mia pubblicazione 22 febbraio 1891, fu poi
riscontrato, nell'Istituto di calcolo diretto dal prof. Tietjen
a Berlino, essere il (208) Lacrimosa (i), laonde in quella
mia pubblicazione è da fare questa rettifica, e quella con-
seguente che il {306), l'ultimo ivi citato, è il {305) Gordonia.
Dopo di questo se ne numerarono 46, quindi la schiera di
tutti è oggi di 351 più i nuovi compresi negli A, B, C,
del 1893, che finora, giunti alla lettera L, ed esclusa la H
a motivo di uno dei vecchi ("^) creduto subito nuovo, sarebbe
di altri dieci. Dei nuovi pianeti io osservai quelli sufficien-
temente grandi per esser visti col Dembowski, e furono,
il 1892 P, classificato recentemente col numero {346),
il 1892 T = {349), al quale il suo scopritore, il Charlois
di Nizza, pose il nome di Demboimka, ed il 1893 A. Le
osservazioni di essi si trovano nei quadri Vili fino al XII
inclusivo (3).
Non mi resta più che a citare l'ultimo quadro, il XIII,
che contiene le osservazioni di due vecchi pianeti Danae ed
Aìkmene, quest'ultimo osservato ancora (^), nell'opposizione
del 1889.
Circa r istrumento sarebbe inutile ripetere cose note,
tuttavia perché i dati istrumentali si trovino qui pronti
(1) Astr. Nachr. voi. 127 pag. 43 (imm. 3027) e R. A. Jahrbuch
fiìr 1894 pag. 440.
(2) (42 J Isis Astr. Nachr. 3151.
(3) Il 1893 L di 9.*^ gr. Vultimo a tntt'oggi, scoperto a Nizza da
Charlois il 9 marzo corrente fu da ine ritrovato il 20 in seguito alle
indicazioni di Astr. Nachr. 3156, ed osservato il 21, 22 e 23. I risul-
tati di queste mie nuove e recentissime osservazioni compariranno in
una pubblicazione seguente.
(4) Atti serie VI, tomo I. Osserv. Astr. 1889.
[5] (851)
dirò clic l'obbiettivo dol Dembowski ha l'apertura di mm,
1S7 e la distanza locale di in. 3,20. Inoltre a<^giungo che
col nuovo micrometro (che ha il passo di 32". 31) ado-
perai i suoi nuovi oculari (*). Colle comete adoperai il 1
amplificante 70 volte, e coi pianeti o il I abbisognandomi
gran cani})0 per gradi differenze di declinazione, o il II =
130. Una sol volta il 31 maggio per Sylvia adoperai il III
= 184 per indebolire l'illuminazione del campo prodotta
da chiarore lunare.
Nel solo (juadro II cioè nelle osservazioni di Polyhym-
nia e di Sylvia (i due astri più australi in questa serie)
ho corretto i A a e A 5 ("^) per la rifrazione differenziale
e non l'ho fatto negli altri casi perchè non occorre, come
si capisce subito, ma come si })uò anche vedere dalle For-
mule e tavole per il calcolo della rifrazione differenziale
che Ilo presentate all' Istituto insieme alla Memoria sul
nuovo micrometro. Sulla composizione dei quadri è inutile
eh' io dia delle spiegazioni avendo mantenuta la solita forma
sempre usata da me e da tutti, però non sarà superfluo
notare una piccola diversità che hanno i quadri II, III,
IV e XIII.
Poiché essi contengono le osservazioni di astri per i
(inali si trova pubblicata un'effemeride inserviente al con-
fronto colle osservazioni ho in essi creduto opportuno di
sopprimere le due colonne dei fattori parallatici per uti-
lizzare lo spazio a profitto dei confronto (^) Osservazione-
Effemeride.
Ma tanto in questi quadri (juanto in tutti gli altri le
coordinate sono quali provengono dali'applicare alla posi-
zione media della stella di confronto i A a e A o e la Re-
(1) V. la « Memoria » Sul nuovo micrometro etc.
(2) Di uno 0 due centesimi di secondo in tempo nei Aa= e di qual-
che decimo di secondo in arco (ed in un caso, l'^.S) nei W\
(lì) Oppure Osservazione— calcolo che più brevemente si usa indi-
care con (0-C).
(s-:) [<ì]
ducilo ad locum apparentcm, cioè .sono coonUnaL apiJU-
renli e giammai geocentriche. Nessuno dunque degli a app.
e 5 app. è stato corretto per la parallasse. Volendo rical-
colare i fattori parallatici omessi, e da me impiegati nello
sta])ilire il confronto 0-E, forse farà comodo aver qui sotto
mano le formule note e le costanti di Padova. Cioè :
fp. a = A sec 5 sen (S - a)
/p. 0 = D cosec Y sen (y - 5)
dove S è il tempo siderale dell'osservazione (*), dove a e o
sono le coordinale app. ed inoltre,
A = i/i3 Tc g cos cp'
D = Ti: ^ sen cp'
Tz = 8"85
e dove l'angolo ausiliario y si calcola con
tg T = tg cp' sec (S - a)
Per Padova (2) le costanti sono :
log g == 9.9993
log tg cp' = 0.0032
log A = 9.6180
log D =- 0.7973
Padova R. Osservatorio astronomico 26 marzo 1893.
A. Abetti
(1) E SI sottointeiide che (S — a) niu/olo orario, va tratiiutato in
arco, usando le solite tavole ; oppure si può tenerlo in tempo usando
tavole simili a quelle di Pulcova. Vierstelìif/e Logaritlìmen dcr trig.
fun. in Zeit augedr. Winkel. 1882.
(2) Nel voi. 99, pag. 261 delle Astr. Nach. trovasi una tavola per
il calcolo della parallasse a Padova. I valori delle costanti log. A log. D
dati superiormente coincidono con quelli della tavola generale di
Oppolzer. Trattato dell'orbite, voi. I, tav. III. I valori della tavola si-
mile di Tennant Monthlg Notices XLIX pag. 30 sono log A := 9.6146,
log. D = 0.7938.
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[28]
CONTRIBUTO
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STUDIO DELLA FAGOCITOSI
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DOTT. PIETRO F. CASTELLINO
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Continuando gli studj da Maragiiano e da me intra-
presi da lungo tempo .sulla Fisiopatologia del sangue, men-
tre ero intento ad alcune indagini sulla contrattibilità dei
globuli bianchi sottoposti a vaiie temperature ed all'azione
di diiTerenti reagenti, e sulle modificazioni fisico-chimiche
del protoplasma nei diversi periodi della sua attività, stu-
diate in un numero grande di affezioni morbose, alla stre-
gua dei metodi da noi, nella Clinica di Genova, applicati
sempre in ricerche consimili — mi accadde nell'attingere
il sangue da un coniglio, cui preventivamente (30^-35'')
avevo iniettato nel sangue delle sostanze finamente sospese
(carminio-tornasole) in una soluzione sodica indifferente
sterilizzata, di trovare fortemente scemato il numero degli
elementi ameboidi. Ritornando di nuovo, dopo alcuni altri
minuti (20^- 40'), ad un' altra numerazione osservai che la
quantità dei fagociti era ancjra maggiormente diminuita ;
cosichè, via via che ripetevo successivamente la valutazione
numerica di questi elementi morfologici, riscontravo una
loro progressiva scomparsa dal circolo, fino al punto da
nuuici'ariio iiogli ultimi esami (dopo cioè 4-6 ore) solo
pijcliissinii.
Questo fatto, abbastanza in vero sorprendente, fino
allora ignorato e di non facile ed immediata spiegazione,
non poteva che interessarmi in modo assai vivo, cosi che
cominciai a studiarlo dettagliatamente in tutti i suoi parti-
colari, sia ripetendo ad animali la stessa iniezione di car-
minio e tornasole, sia mescolando, nella celletta capillare,
queste sostanze a del sangue sano e fornito nella misura
fisiologica di globuli bianchi.
Questo secondo esperimento — che a tutta prima po-
trebbe sembrare ozioso — doveva a mio pai-ere stabilirsi
per escludere il dubbio, allora sortomi, e d'altronde troppo
logico e naturale perchè io lo difenda, che i materiali di
cui usavo contenessero delle impurità dannose, e tali che
costituissero dei veri veleni protoplasmatici cosi da deter-
minarmi quella sorprendente leucolisi — o meglio diminu-
zione delle cellule mono e polinucleari.
In alcuni studj fatti in collaborazione col D/ Accame (*)
avevo potuto persuadermi che i granuli di carminio come
di tornasole e del bleu di chinolina — che nelle indagini
attuali fu })ure da me (lualche volta negli ultimi esperi-
menti adoperato — non hanno nessuna azione sul proto-
plasma, anche quando ne vengono inglobati e che solo vi si
sciolgono e lo colorano allorché la necrobiosi di questi
elementi si trova in un periodo avanzato.
Questa ipoglobulia adunque poteva dipendere da impu-
rità di quelle tali sostanze che avevo iniettato. Ma anche
questo dubbio scomparve in seguito alle prime osservazioni
dirette eseguite colla camera calda e dopo la scoperta di un
altro fenomeno.
Infatti coir esame diretto delle modificazioni del proto-
(1) Castellino e Accame, Alcune osservazioni sui [/lobuli bianchi
del sangue. «Gaz. Ospit. » 1891.
plasma di fronte alle sostanze in (iiiestione mi potei convin-
cere che i leucociti non subivano dal contatto di esse alcuna
alterazione. In quanto poi al fenomeno nuovo cui ho testò
accennato, e che nelle prime osservazioni mi era sfuggito,
ecco in che cosa consisteva. Invece di attendere 30^-35^ ad
iniziare le numerazioni decisi di valutare subito la quantità
dei leucociti appena iniettati i liquidi ; cosi mi venne dato
di rilevare che lungi dal diminuire questi elementi mono-
e polinucleari in primo tempo (cioè dopo circa 7' a 10'), erano
ora più ora meno considerevolmente aumentati. Con questo
nuovo dato come poter dubitare di una ipoglobulia per
leucolisi ? Evidentemente non era da questa parte la solu-
zione del quesito.
Questi due fenomeni : leucocitosi, ipoleucocitemia, do-
vevano far pensare allora ad un'altra ipotesi, dalle ricer-
che moderne molto avvalorata e di una importanza grande
e riconosciuta : e cioè che questi fatti fossero dipendenti
dalla proprietà fagocitarla dei corpuscoli bianchi.
Ma neppur questa ipotesi risolveva ancora la questione
completamente.
Intanto però, colle conoscenze che oggi possediamo
intorno a tale dottrina, si cominciava a poter spiegare su-
bito r aumento dei globuli bianchi come una reazione chi-
miotassica positiva.
Dalle ultime ricerche di Leber, Pfeffer, Lubarsch,
Metchnikoff, Stange, Sawtcenko, Stahl, Peckelharing, Ga-
britchewsky, Massart e Bordet, Buchner, Lange, Roemer
ed altri, si sa che fra i globuli bianchi ve ne sono molti
dotati di una estrema irritabilità, per la quale il loro pro-
toplasma è suscettibile di subire una attrazione a distanza
e portarsi sul punto donde questa attrazione parte, anche
quando — come ha dimostrato pel primo Leber — vi si
interpongano vivissimi ostacoli. Ora sapendo quale grande
quantità di leucociti si espanda dal sangue nelle maglie
del tessuto connettivo è facile pure, coli' aiuto di questa
T. IV, S. VII 59
(878) [4]
aziono chimiotassica, spiegarsi il considerevole afflusso e ri-
torno loro sul circolo.
Che del resto il carminio ed il tornasole spieghino
questa attrazione sui leucociti lo ha molto bene provato
Weisse, lo si può dimostrare con un esperimento già diven-
tato popolare.
Dopo aver diviso in due, secondo 1' asse longitudinale,
un piccolo cilindrettino di midollo di sambuco e depositato
questa polvere in un cui di sacco praticato nel centro di que-
ste due sezioni coli' esportare un po' di sostanza, si accollano
strettamente i due tagli e si introduce il cilindretto nel
c:)nnettivo o peritoneo del coniglio o nel sacco dorsale della
rana. Dopo 8-10 ore nelle maglie della midolla si trovano
una quantità cospicua di leucociti che si sono portati ad
inglobare i granuli abbandonati. Sono quasi tutti leucociti
polinucleari (90 %). Meglio ancora si può procedere serven-
dosi di due capillari sottilissimi fusi ad una delle loro estre-
mità. Uno lo si introduce cosi vuoto com' è nell' animale,
r altro invece lo si introduce dopo avervi versato dentro
una modica quantità del liquido in esame. Trascorse molte
ore si estraggono i due vetrini e si osserva che nel primo
non vi è che assai pochi globuli bianchi e qualche rosso,
nell'altro invece se ne sono introdotti moltissimi.
Ammessa adunque questa leucocitosi per attrazione
chimiotassica restava però ad intendere e spiegarci il fatto
successivo e certo assai più interessante, quello della scom-
parsa degli elementi corpuscolari bianchi.
Wyssokowitsch ha hato a riguardo della scomparsa
dei batterj dall' organismo, una spiegazione che potrebbe
tornare al caso nostro. Secondo questo A. i batterj che si
iniettano in circolo sono arrestati da due grandi filtri che
costituiscono cosi gli organi epuratorj per eccellenza della
economia : il fegato e la milza. Egli avrebbe infatti trovato
colà inglobati que' batterj che aveva iniettato nel circolo e
da cui li aveva veduti scomparire.
Del resto questa proprietà della milza e delle cellule
[5] (STO)
endoteliali dui fegato di arrestare le .sostanze impuri del
sangue è un fatto che mentre riceve dalle indagini di
Wyssokowitscli nuova sanzione, era già stata intuita e di-
mostrata da Pontìck, Meyei-, Miiller, Hoffmann, Langhern-
haus, Asch, Siebel ecc Questo fatto deve esser inteso
mercè l'intervento di due fattori : la spiccata, cioè, azione
fagocitarla delle cellule endoteliali del fegato, delle cellule
della polpa della milza — e la lentezza della corrente di
entrambi questi organi.
Dunque, tutto sommato, noi possiamo ritenere che la
iniezione in circolo di sostanze finamente sospese determina
rapidamente nell' individuo sano una leucocitosi per attra-
zione chimiotassica, chimiotassia che permette all'organismo
di arricchirsi di quegli elementi che colla loro proprietà
ameboide e fagocitaria isolano dette sostanze eterogenee, le
trasportano fuori del circolo, probabilmente per depositarle
in organi epuratorj quali il fegato e la milza. Abbiamo
detto prohabilmente perchè se tale interpretazione non
aveva nulla di impossibile era allora tutt' altro che defini-
tivamente provata, avendo solo più tardi il Werigo dimo-
strato pel primo in modo evidentissimo questo fatto. In
ogni modo siccome per la nostra tesi, che verremo spiegan-
do, il destino di questi leucociti ci interessava fino ad un
certo punto, non vi insistemmo oltre, né cercammo di rin-
tracciarlo.
Una cosa essenzialmente a noi premeva stabilire. E
cioè se i fagociti (poiché le numerazioni fatte ci avevano
rilevato essere solo questa varietà di leucociti che veniva
a mancare) scomparsi dal circolo, non si trovassero rifu-
giati in qualche ascoso territorio della rete vasale e di là
pronti ad accorrere ad una nuova inquinazione. Il mezzo
per rispondere a tale quesito mi parve di averlo rinvenuto
e lo esporrò in seguito.
Quando dopo varj tentativi giunsi adunque a stabilire
una opinione a tale riguardo ed a {)rovare in modo assoluto
che davvero 1' organismo non si trova più fornito, in
(880) [6]
quel momento, di fagociti liberi nella circolazione, una do-
manda spontanea subito si presentò a me : Se è vero che
queste cellule ameboidi, come abbiamo veduto, cosi sensi-
bili e vigili costituiscono il principale elemento di difesa
dell'organismo dall'assalto anche dei germi patogeni, l'indi-
viduo in questo istante è disarmato ed alla mercè di qualun-
que nemico. Se cosi è, basterà la introduzione di que' batterj
die normalmente esso è capace di debellare perchè ora in-
vece ne soccomba. Un esperimento clie io istituii tosto corri-
spose perfettamente e tanto ch'io ne scrissi subito (ai primi
di luglio 1892) al Prof. Metchnikoff a Parigi. Le mie espe-
rienze si trovavano ad uno stato assai rudimentale, ma
prinuT, di occuparmi ad estenderle volevo sapere da chi è
così profondamente versato in tali dottrine e che altre volte
mi aveva dato prove di una squisita cortesia, se anzitutto
quelle indagini avevano qualche interesse e meritassero di
venire continuate e nel caso favorevole se l'indirizzo scelto
era il giusto.
Essendo Egli assente da Parigi la mia lettera frap-
pose qualche tempo a pervenirgli, cosichè io ebbi la rispo-
sta solo ai primi di Agosto.
In questo intervallo ecco che con mia grande sorpresa
comparve negli Annales di Pasteur un lavoro molto ben con-
dotto del Werigo (*) intorno alla diminuzione dei leucociti in
seguito alla iniezione di batterj e loro prodotti ed a polveri
inerti, ed al deposito loro nel fegato e nella milza. Dopo
questa pubblicazione, d' una coincidenza sorprendente coi
miei esperimenti, a me non restava che abbandonare il mio
lavoro di già iniziato ed in qualche punto risolto ; ed a
questa determinazione sarei giunto, se i consigli e gli inco-
raggiamenti dell' Illustre Naturalista russo non m' avessero
spronato a continuarle dichiarandole : très intèressants et
parfaitemeni dignes d' ótre poublióes.
(1) Les glohules blancs comme protecteurs du sang. « Annales du
Pasteur», tom. VI, n.° VII.
[7] (881)
Siccome nella esposizione delle mie ricerche dovevo
necessariamente rifei'ire il metodo con cui avevo elimi-
nato i leucociti dall' organismo, ho voluto, con una testi-
monianza di tanto valore, provare che la stessa osservazione
avevo fatto anch' io prima che il lavoro dell'egregio Autore
fi-ancese fosse stato pubblicato.
Ed ora prima di venire alla esposizione di quanto ho
rilevato, mi sia lecito di ringraziare anzitutto il prof. E.
Metchnikoff di tutti i preziosi consigli largitimi a proposito
della tecnica e delle interpretazioni dei fatti da me osservati;
il Prof. Pietro Canalis direttore dell'Istituto d'Igiene alla
Università di Genova per le molte indicazioni sommini-
stratemi e di cui ho fatto tesoro; il Prof. De Giovanni ed
il Prof. Bonome per la ospitalità larga e cortese con cui
mi hanno accolto a lavorare nel loro Istituto.
L' iniezione endovenosa e sottocutanea dì polveri inerti
determina in primo tempo una modica leucocitosi,
successivamente un' ipoleucocitemia.
Nel 1891 io cominciavo la relazione di alcune ricer-
che mie e di Accame intorno ai globuli bianchi (Gaz. Osp.
N. 66, Op. cit.) con queste parole :
« Esistono nel sangue umano numerose varietà di leu-
» cociti. I caratteri per cui maggiormente si differenziano
» gli uni dagli altri sono:
I.° La dimensione del globulo
2.** L' aspetto del protoplasma
3." La reazione del protoplasma
4.° Il numero dei nuclei
5.** L' aspetto e forma dei nuclei.
(8S2) [8]
« Infatti noi usserviamu nei .sanyiie leucociti a proto-
» plasma indifferenziato, omogeneo, a granuli finissimi e
» tutti eguali (leucocito pulverulento di Sappey), del dia-
» metro fra 7 e 9 [jl ; — ne osserviamo altri a diametro
» maggiore, a protoplasma grossolanamente granuloso, con
» 0 senza nuclei ; — osserviamo leucociti il cui protoplasma
> a seconda dei varj stati morbosi presenta reazioni cromo-
» chimiche differenti. Ne osserviamo ancora con nuclei a
» vario diametro e forma ; — e finalmente leucociti dotati
» di movimenti ameboidi vivacissimi ed altri affatto
» inerti. »
Dopo due anni di uno studio continuato insistente-
mente sul sangue, confesso che non saprei ritoccare in
nulla quanto allora riferivo e che non saprei del pari con
meno parole esprimere tutta la grande varietà delle cellule
bianche circolanti nel sangue.
Oggi che lo studio minuzioso del sangue si è cosi ra-
pidamente imposto e tanto favore ed interesse ha conqui-
stato, le ricerche sui leucociti si sono in modo tale estese
che anche a questo riguardo, cioè della classificazione dei
glol)uli bianchi, si è raccolta una ricca bibliografia. Sic-
come il dovere riferire, anco in succinto, come oggi si trovi
tale questione esorbiterebbe troppo dagli intenti del mio
laA'oro, mi limiterò solo a citare in modo brevissimo la clas-
sificazione di alcuni autori, certamente i più autorevoli in
questo argomento.
Il Bizzozero distingue i globuli bianchi in leucociti
piccoli del diametro presso a poco eguale a quello delle
emasie (15-25 %) ; in leucociti di diametro maggiore ed a
protoplasma finamente granuloso (58-66 %) ; in leucociti
dello stesso diameti^o ma con protoplasma a grossi gra-
nuli (13-15 %). (1)
(1) Dichiariamo che questa classificazione è tolta da una raccolta
di lezioni di istologia tenute dall' illustre A. e stenografate e pubblicate
da studenti.
[9] (883)
Hayem, Schiiltz, Renani classificano i leucociti in 4
specie :
I. cellule piccole rotonde con grande nucleo e pic-
colo strato sottile, non contrattile, di protoplasma
IL cellule alquanto più grandi delle precedenti con
protoplasma pallido, contrattile
IH. cellule rotonde fortemente rifrangenti con pro-
toplasma contrattile più o meno granuloso
IV. cellule simili alle precedenti, ma provvedute
di granuli risplendenti o nericcii, ma a protoplasma dotato
di molto deboli movimenti ameboidi.
Il Rieder adotta la classificazione di Hayem come la
più corretta e più semplice perchè nelle forme N. I sono
distinti i piccoli linfociti, nel II i grandi mononucleari,
nel HI i soli nucleari (II e IH fagociti) ; nel IV le cellule
eosinofile.
Elirlich divide i globuli ])ianchi in
1.° — linfociti piccoli a diametro di 0 Va - 7 |jl, con nu-
cleo voluminoso
2.° — linfociti più grandi
3.° — in cellule grosse rotonde provviste di nucleo vo-
luminoso
4.° — in cellule mononucleate grandissime con largo
strato di protoplasma attorno al nucleo
5.** — in cellule un po' minori di diametro, ma poli-
nucleate.
6.° — in cellule di passaggio fra queste due forme.
Questa di Ehrlich è la classificazione, senza dubbio, più
dettagliata da parte della morfologia ed è quella che si vede
più citata ed usata. Ha però il difetto, secondo noi, di essere
troppo minuziosa e quindi non pratica e di non preoccuparsi
a rilevare quali di questi leucociti sono forniti, ed in (juale
misura, di processi ameboidi.
Secondo Metchnikoff la distinzione deve anzitutto pro-
nunciarsi a})punt() sulla proprietà di locomozione dei .globuli
bianchi. Quindi egli separa nettamente i linfociti dai leuco-
(884) [10]
citi pr()i)i'i;uiiente detti u iugociti. 1 jjriiiii .sono privi di
processi ameboidi — dotati invece ne sono alcuni degli
altri. I linfocUi sono elementi mononucleari con scarso pro-
toplasma privo di })rocessi ameboidi, disposto a mo' di sot-
tile anello attorno al nucleo l'elativamente molto grande e
colorabile intensamente coi colori basici di anilina, in quella
vece che lo è assai poco il protoplasma della cellula. Leuco-
citi mononucleari con un nucleo rotondo od ovale od anche
a forma di rene o falciato. Sono dotati di movimenti ame-
boidi pronunciati. La differenza di colorazione fra nucleo
e protoplasma è meno distinta che nei precedenti. Leuco-
citi eosinofìli di Ehrlich, generalmente ad un solo nucleo
ma assai di frequenti lobato, suddiviso ed irregolare. Essi
non hanno mai movimenti ameboidi. Leucociti poUnuclem'i
ad un sol nucleo, ma diviso in più lobi tutti trattenuti da
filamenti o nettamente separati fra di loro. Il loro proto-
plasma è neutrofilo ed è dotato di movimenti più energici
di tutti gli altri. Siccome essi sono i più numerosi nell'uomo,
rappresentando i tre quarti delle cellule bianche, costitui-
scono i fattori più importanti della fagocitosi. Il loro
protoplasma si lascia tingere indifferentemente tanto dai
colori acidi che dai basici.
Lowit ha trovato le cellule mononucleari essere nella
proporzione di 20-30 % ; mentre 80-70 % le cellule mono-
nucleari polimorfe e polinucleari.
Ehrlich ed Einhorn le prime 25 %, le seconde 75 %.
Gràber 24 % le mononucleari, 76 % le polinucleari.
Hayem 25 % le mononucleari, 77 % le polinucleari.
Ouskow 18 % le mononucleari, 82 % le polinucleari.
Tutti questi autori tengono pur conto della cifra per-
centuale delle cellule eosinofile. Siccome colla denomina-
zione di mononucleari intendono i linfociti, ed alle cellule
eosinofile son tutti concordi a negare ogni attività proto-
plasmatica, noi per semplificare le cifre abbiamo addossato
le cellule d' Erhlich alle prime. Esse però nei sangue sano
non costituiscono che il 6-7 %.
[11] (885)
In una Memoria presentata al Congresso Medico Ita-
liano del 1891 intorno alla Necrobiosi dei globuli bianchi,
avevo stabilito una classificazione dei globuli bianchi del
sangue umano fisiologico basata su criterj morfologici e
suir attività protoplasmatica. La riferisco tal quale:
« Forme a (i) globulo liianco — il meno adulto — co-
stituiti) da un leucocita di colore ì)ianchiccio, pallido, ri-
frangente la luce, di diametro di [a 5-6, a protoplasma quasi
omogeneu (ob. Vis X oc. Ili Zeis), di forma globosa, a mar-
gini regolari, non molto spiccati, a membrana prodotta da
ispessimento del protoplasma, trasparente, sottile, amorfa ;
non dotato di movimenti protoplasmatici, solo oscillatorj,
resistente alle sostanze coloranti Alcuni autori avreb-
l)ero osservato anche in questi leucociti già dei movimenti
ameboidi Dalle nostre ricerche questa presenza si ri-
scontrerebbe in elementi più adulti. »
Sulla grandezza del loro nucleo ecco che cosa scriveva-
mo nella relazione delle ricerche, già citate, fatte insieme ad
Accame : « Se il globulo bianco appartiene ad individui con
sangue in tristi condizioni e viene per di più immerso in
un mezzo non opportuno, noi possiamo vedere in (juei rari
globuli a protoplasma ancora omogeneo subito scindersi
questa massa omogenea ed apparire il nucleo. Le dimen-
sioni del corpuscolo sono affatto invariate, il suo diametro
essendo sempre di \i 5-0. La massa nucleare è separata
dalla massa globulare da un sottile anello, il suo diametro
occupa i 3/^j del globulo. Si lascia fissare energicamente dal
carminio. » Ta\ . P, Serie A.»
Nel testo di queste ricerche, colla denominazione di
forme a intenderemo di alludere a queste, che corrispon-
dono perfettamente ai linfocili di Metschnikoff" ed alla pri-
ma categoria dei leucociti di Bizzozero ed Hayem, ed ai
linfocili piccoli e più grandi di Ehrlich.
(1) Osservazioni colla camera calda.
(886) [12]
In rapporto agli altri loucociti, neiruomo sano, abbiara
trovato che stanno nella proporzione : : 1:10.
Foì^me b. — Elementi a margini più spiccati, meno
regolari, diametro maggiore, forma meno globosa e più
appiattita dei precedenti. Movimenti i)rotoplasmatici lenti,
rudimentali. Sarebbero uno stadio di passaggio ai leucociti
veri, fagociti mononucleai-i, di Metchnikoff. Sarebbero le
grosse cellule mononucleate della categoria 3.* e 4.^ di
Ehrlich. La proporzione loro è di 2:10.
Forme e. — Margini frastagliati, movmienti amebi-
formi spiccati, vivi, frequenti.
Sono i fagocili polinucleari di M. e le cellule polin.
di Ehrlich. La loro proporzione è di : : 6 : 10.
Ho creduto di dover premettere e ripetere simile distin-
zione netta nella confusione di questi leucociti perchè in tutte
le numerazioni che io ho fatto in questo lavoro ho sempre
separato le une forme dalle altre. In quanto alla tecnica
ho seguito, con poche varianti, il sistema che h(j visto
adopei-are a Vienna nella Clinica di Kahler dal D.^ Zappert
nella numerazione delle cellule eosinotìle.
La iniezione devesi fare nella giugulare preferibil-
mente, in modo leiHissi/uo e dopo essersi assicurati che non
vi sieno bolle d'aria nella sii-inga, e che non ve ne pene-
trino durante l'operazione. A questo modo si può iniettare
fino a 8 cm' di soluzione sodica con carbone. Contempora-
neamente si può del pari iniettare altra quantità di tale
liquido, però in dose molto maggiore — nel peritoneo e nel
tessuto connettivo. Siamo arrivati ad iniettarne perfino 25
cm3 senza recar mai alcun danno agli animali. Praticando
successivamente un dolce massaggio tutto viene tosto rias-
sorbito. Infatti se dopo 40'' si fa una incisione nel punto di
iniezione si scorge facilmente come il liquido sia in modo
completo penetrato in circolo. L' iniezione è bene farla in
più luoghi, sempre naturalmente usando le stesse cautele.
[13] (887)
Si presta ad esempio assai bene la vemizza che si incontra
incidendo la pelle della regione glutea. In tali casi la em-
liolia è poco frequente. E bene però aver d' innanzi che
tale eventualità non è punto rara, tanto che non poche
volte ebbimo a deplorare la morte dell' animale — mal-
grado che ogni più giudiziosa cautela fosse stata applicata.
Conficcato 1' ago pieno di soluzione tepida a 35" di NaCh
si passa un laccio in modo da legare strettamente il vaso
e r ago. Ad ogni siringa che si inietta è bene aspirare
un po' collo stantuffo, in modo da assicurarsi che non vi
siano bolle di aria e, se ve ne sono, di non iniettarle. Il
liquido deve essere sterilizzato, sempre tiepido e propinato
lentissimamente.
Siccome è giusto quanto dice il Mosso che l'agitazione
della miscela di sangue è suscettibile di alterare gli ele-
menti morfologici e siccome non si può immergere la goc-
cia neir osmio perchè i corpuscoli resterebbero fissati fra
loro in contatto, ecco come io procedo. Raccolto in una
provettina un centimetro cubico, meno 10 mm^, di una
miscela Pacini-Hayem discretamente colorata con bleu di
metile, vi verso dentro 10 mm^ di sangue. Con una bac-
chettina capillare delicatamente agito (juesta miscela fino
al punto da rendere la sospensione omogenea. Ciò fatto
verso goccia a goccia un cm^ di acido osmico all' I %. Il
titolo della sospensione è così all' 1 : 200 e tutti i globuli
restano liberi e separati fra di loro. Se si prova a fare
una numerazione subito e ad agitare poscia fortemente il
li({uido e dopi) tale manovra ad enumerare di nuovo, non
si rileva fra le due numerazioni nessuna differenza so-
stanziale.
Questo per la numerazione dei globuli rossi. In quanto
poi ai globuli bianchi, seguendo il consiglio di Thoma, ado-
pero la soluzione di acido acetico al titolo solito, avendo
cura di diminuire 1' attenuazione del sangue ad un rap-
porto conveniente.
Invece della pipetta Thoma-Zeiss, poco pratica e da
(888) [14]
bandirsi assolutamente, è utilissimo adoperare delle pipette
della capacità di un cm^ con divisione almeno a metà di 1
cm3 ed altre della capacità di 10 mmS divise ad 0.1 di mm^.
Misurato e versato Va cm^ della soluzione acetica, da cui è
stato tolto coir altra pipetta 10 mra3, in una piccola pro-
vettina, si aggiunge 10 mm^ di sangue. L' attenuazione è
sufficiente per la valutazione facile dei globuli bianchi.
Per celletta di contaggio si scelga quella di Abbé-Zeis
dopo aver prese tutte le precauzioni di cui abbiamo par-
lato altrove (i) e che qui non è il caso di ripetere. La nu-
merazione si può fare collo stesso metodo come pei globuli
rossi, oppure con quello speciale raccomandato da Thoma
e descritto da Jalvsch ('^). La capacità cubica essendo data
da t: \t)} • ^ '^i può calcolare facilmente — tenendo conto
del valore della attenuazione e dei campi numerati —
quanti globuli vi sono in 1 mm^ di sangue non diluito.
Contando 5 volte sopra 50 campi visivi dello stesso prepa-
rato, si ha con questo metodo, un errore medio di 4,5
cellule ed un errore percentuale di zh 3,0 cellule.
Contemporaneamente alla numerazione degli elementi
fissati si deve pure fare la numerazione degli stessi ele-
menti versati nella soluzione sodica 0,75 % ^ •^■^° '> »^1
liquido di Toison senza metilvioletto. 0(jn questi due pro-
cedimenti si ha così la quantità relativamente esatta delle
varietà leucocitiche, dal punto di vista anche della contrat-
tilità, presenti nel sangue. E vero che per tal modo l'esame
viene a prolungarsi del doppio, ma nello studio degli ele-
menti corpuscolari bianchi simile dettaglio non può essere
tralasciato senza incorrere in gravi erroi'i. Se cosi avessero
fatto Jaksch, Sadler, Reuter.... avrebbero trovato, come
(1) Castellino P., Altera zionp, del sangue »ella pulmonite. «-Atti
della Società di scienze naturali e geografiche di Genova», 1892.
(2) Jaksch, Manuale di diagnostica medica. Vallardi.
[15] (889)
abbiamo trovato noi, che la leucocitosi dirao.sti*ata da Hor-
pirodina, antipirina è una leucocitosi composta (|uasi
esclusivamente di linfociti e che siccome lo sviluppo di
fagociti avviene tardo, potrebbe essere dannoso il provo-
carla quando con questo mezzo si vengono a distruggere
pure i fagociti esistenti in circolo.
(In questo esperimento la diminuzione dei leucociti co-
minciò a rilevarsi dopo 1' — con una differenza dallo
stato normale di 2.000 globuli bianchi. Dopo aver per due
ore oscillato il loro numero intorno ai 3.000, avemmo un
abbassamento minimum a 2.000 dopo tre ore. — Le suc-
cessive numerazioni rilevarono che trascorso questo pe-
riodo la restìtutio s' iniziò lentamente, cosichè quattro ore
dopo si raggiunse la cifra di 7.000. Gli esami fatti dopo
sei, sette ore notarono il ritorno allo stato normale e i)iù
tardi una fortissima eccedenza di linfociti.
In quanto alle forme a, b, e, guardate in modo gene-
rale, si rileva che la diminuzione dei leucociti in iota è
data dalla forma b e specie dalla e, e che 1' aumento suc-
cessivo è dato dalla forma a.
Il numero dei globuli rossi non fu continuato perchè
nulla può avere d' interessante non presentando nessuna
oscillazione. Vediamo infatti che dopo 12^ dalla iniezione
il loro numero è uguale a quello riscontrato ad aninuile
intatto.
Ecco ora i risultati delle prime indagini che costitui-
scono la serie A (*).
(1) Per consiglio del Prof. Metchnikoft' invece del carminio e tor-
nasole usai per le iniezioni il nero fumo e la polvere di carbone ani-
male. Agitate bene queste polveri in una soluzione sodica 0,60 in modo
che la sospensione avvenga bene, si filtra in un pannolino fitto. Si fa
bollire bene il liquido e quando è tiepido lo si inietta lentamente. La
quantità nei conigli è di 5 cm^
(890)
[16]
Esperimento I. — Coniglio iiuiscliio. Pelo nero. Giova
Peso 1.7o5 ai'.
Globuli
Leucoc. (•)
Forme
Forme
Forme
Fagociti
Prima deiriniezione
rossi
in toto
a
b
e
b+c
4.370.000
11.000
3.000
3.000
5.000
8.000
Dopo r iniezione
12'
4.100.000
12.000
2.500
4.000
5.500
9.500
30'
_
4.000
2.000
1.000
1.000
2.000
50'
—
5.000
3.000
1.000
2.000
3.000
90'
—
4.000
2.500
1.500
0
1.500
2 ore
—
4.500
3.000
1.500
0
1.500
4 »
—
2.000
1.000
1.000
0
1.0^0
6 »
—
7.000
5.000
3.000
0 3.000 1
X »
_.
6.000
4.000
2.000
0
2.000
Il »
—
9.000
5.000
3.000
1.000
4.000
27 »
—
10.000
7.000
3.000
0
3.000
32 »
—
11.500
7.000
3.000
1.000
4.000
(1) Il numero dei leucociti nel coniglio sano presenta poche oscil-
lazioni fra animale ed animale, e nello stesso individuo fra Tun terri-
torio vascolare e V altro. In genere esso varia fra un minimwn di 8.500
ed un maximum di 10.000-1 1.000. Le forme a costituiscono il 15-25 "/^i
le forme b il 25-40 % ; le forme e 60-35 V„ (fagoc. 85-75 %). Nel
coniglio si trovano in certo nunero i globuli bianchi anfofìli, che nel-
Tuomo e nel cane sono rari.
Le cifre riferite sono il portato dei due complessivi sistemi dì nu-
merazione. La concentrazione dell.i diluizione, per potersi avere delle
numerazioni esatte, deve essere proporzionale alla ipoglobulia.
Anche noi per la migliore evidenza e sriiplicitii abbiamo addottato
il sistema di presentare cifre rotonde.
[17]
(801)
Esperimento IL — Coniglio rosso. Giovane.
Peso 1.99Ò gr.
Globuli
Leucociti
Forme
Forme
Forme
Fagoc.
Prima dell' iniezione
rossi
in toto
a
h
e
/. + c-
4.100.000
8.000
2.000
1.000
5.000
6.000
Dopo r iniezione
5'
4.200.000
8.000
2.000
1.000
5.000
6.000
10'
—
8.000
2.000
1.000
5.000
6.000
15'
—
8.900
2.000
1.900
5.000
6.900
20'
—
9.000
2.000
2.000
5.000
7.900
35'
—
10.000
1.000
3.000
6.000
7.000
50'
—
6.000
3.000
2.000
1.000
3.000
70'
—
5.000
3.000
2.000
0
2.000
90'
~
4.000
—
—
—
—
120'
—
3.U00
3.000
0
0
0
In questo esperimento il n.° dei leucociti si è mante-
nuto costante per 15'' — poscia ha presentato un aumento
trascurabile dopo 20^ ; ed un eguale aumento ancora dopo
SS''. La diminuzione dei leucociti avvenne dopo circa 50^
con appena una sottrazione di soli 2.000 dalla cifra nor-
male. Dopo 70' r esame rileva che sono diminuiti 3.000
globuli bianchi, e dopo 120' il loro numero si è abbassato
di 5.000.
Abbiamo dunque un caso che si stacca un poco dal-
l'esperimento precedente se non pel fatto della diminuzione
dei globuli bianchi, almeno per il tempo in cui tale sottra-
zione avviene. Nel primo è evidente dopo 30'; in questo lo è
appena dopo 50'.
(892)
[18]
EsPKKiMKNT.» in. — Conigiia. Pelo iiei'o. Giovine.
Pe.so 1.850 21'.
Prima d(3ll' iniezione
Globuli
rossi
Globuli
bianchi
in toto
Forme
a
Forme
h
Forme
e
Fagoc .
bJrC
4.995.000
8.700
1.000
2.700
5.000
7.700
Dopo r iniezione
10-
4.873.000
11.000
2.000
3.000
6.000
9.000
20'
—
16.000
2.000
4.000
10.000
14.000
35-
—
7.000
2.000
3.000
2.000
5.000
50'
—
4.000
2.000
2.000
0
2.000
2 oiv
—
3.000
2.000
1.000
0
1.000
6 »
—
4.300
2.000
2.300
0
• 2.300
14 »
—
8.000
3.000
2.500
2.500 5.000 1
47 »
9.300
5.300
2.000
2.000
4.000
58 »
~
9.900
6.000
2.900
1.000
3.90(^
Qui al)biaino un fenomeno che non ci venne dato ri-
levarlo nei due esperimenti precedenti. E cioè l' aumento
considerevole dei globuli bianchi immediatamente dopo 10^
Anche in questo caso, come nel primo, la diminuzione dei
globuli bianchi s' inizia dopo 35^ e procede regolarmente
ed in modo uniforme sino a toccare la sua minima dopo
6 ore. Nella riparazione successiva la cifra dei globuli
bianchi supera di 1000 quella normale prima dell' esperi-
mento.
[19]
(S!)3)
Esperimento IV. — Coniglio maschio. Pelo bianco. Adulto.
Prima dell' iniezione
nioiMiii
rossi
Globuli
bianchi
in toto
Forme
a
Forme
b
Forme
e
Fag-oc.
4.800.000
9.000
. 2.000
3.000
4.000
7.000
Dopo r iniezione
5'
—
9.000
2.000
3.000
4.000
7.000
lo
—
14.000
2.000
5.000
7.000
12.000
30'
—
6.000
3.000
2.000
1.000
3.000
7V
4.000
3.000
1.000
0
1.000
4 ore
2.000
2.000
0
0 0 1
43 y>
—
9.000
7.000
2.000
0
2.000
75 »
—
10.000
6.000
1.000
3.000
4.000
In questo quarto esperimento la leucocitosi immediata
alla iniezione (15^) fu pure rimarchevole, come è pure
evidentissima e pronta (dopo altri 15^) la successiva dimi-
nuzione dei globuli bianchi. Anche in questo caso si ha
molto lontanamente un leggerissimo aumento di essi.
7'. rv, S. vri
(894)
[20]
Esperimento V. — Coniglio maschio. Adulto.
Peso 2.400 o-r.
Prima dell' iniezione
Globali
rossi
Globuli
bianchi
in toto
Forme
a
Forme
b
Forme
e
Fagoc.
Z/ + C
5.400.000
12.000
2.000
4.000
8.000
10.000
Dopo r iniezione
5 ore
—
6.000
4.000
2.000
0
2.000
7 »
—
7.000
5.000
1.000
1.000
2.000
8 »
—
10.000
8.000
1.000
1.000
2.000
9 »
—
13.000
7.000
4.000
2.000
6.000
10 »
—
12.000
6.000
3.000
3.000
6.000
In questo animale, che sebbene sano e robusto ci si
presenta, eccezionalmente, con un numero di leucociti
molto forte (12.000) ci siamo limitati alla valutazione dei
suoi globuli ad un'epoca molto lontana dalla iniezione. E
ciò per vedere se successivamente alla diminuzione dei leu-
cociti vi fosse poi un eccesso di produzione come avviene
in seguito alla iniezione di nucleina, antipirina, cantaridi-
na ecc.
Dopo 10 ore il numero delle cellule bianche era alla
cifra normale.
Esperimento VI.
(s<)r))
Cane robusto. Razza incrociata. Adult(
Prima deiriniezione 1
Globuli
rossi
Globuli
bianchi
in toto
Forme
a
Forme
b
Forme
Fagoc .
5.723.000
11.900
2.000
4.000
5.900
9.900
Dopo r iniezione
5'
—
12.000
2.500
4.000
6.000
10.000
15'
—
10.700
3.700
4.000
3.000
7.000
20'
—
9.000
4.000
3.000
1.000
4.000
80'
—
4.000
3.000
1.000
0
l.OOU
2 ore
—
3.000
2.000
1.000
0
1.000
9 »
—
8.000
7.000
2.000
1.000
3.000
14 »
—
11.000
8.000
2.000
1.000
3.000
16 »
—
10.000
6.000
2.000
2.000
4.000
58 »
—
12.000
5.000
3.000
4.000
7.000
(M »
—
13.600
3.000
5.000
5.600
10.600
82 »
—
12.000
3.000
5.000
5.000
10.000
In questo caso può essere rilevato il leggiero grado di
leucocitosi alla 61* ora : (2.000 di eccedenza). Inoltre assi-
stiamo al vario succedersi delle forme nella diminuzione
dei leucociti in toto: le forme b -\- e da 10.000 cadono a
1000 dopo 1 a 2 ore, nel contempo che le forme a oscil-
lano fra limiti poco sensibili ; nel periodo di riparazione
(9-14 ore) quelle rimangono stazionarie nel mentre che au-
mentano invece i linfociti (2.000 ; 7.000 ; 8.000) con una
eccedenza sulla forma a allo stato normale di 5 a 6 mila.
(1) L'iniezione fu fatta nelle vene superficiali dell'addome
allo scoperto. La quantità fu di 30 cmJ di liquido solito.
(896) [22]
Finalmente nel ritorno allo slatu quo ante in quella vece
che dette forme ridiscendono alla cifra che possedevano
prima della iniezione, aumentano le forme h -\- e per rag-
giungere anch'esse il numero normale.
Esperimento VII. — Coniglio sano.
Peso 1.700 RT.
Globuli
Globuli
Forme Forme
Forme
Fagoc .
Prima dell'iniezione
rossi
bianchi
in toto
n 1 b
1
e
òA-c
4.200.000
9.000
1.000
2.000
6.000
8.000
Dopo r iniezione
5'
—
9.000
—
—
—
—
10'-i5'
—
10.000
—
—
—
—
25'
—
12.000
2.000
3 000
7.000
10.000
30'-
—
20.000
3.000
7.000
10.000
17.000
35'
—
12.000
3.000
5.000
4.00)
12.000
40'
—
9.000
2.000
4.000
3.000
7.000
50'
—
7.000
—
—
—
—
90'
—
4.000
—
—
—
L'esame di questo caso ci mostra come in talune volte,
sia l'aumento dei leucociti che la loro diminuzione, avvenga
molto lentamente e tardivamente e come quindi questi due
fenomeni non obbediscano di necessità a nessuna legge fissa
né di tempo, ne di successione.
Dimostra ancora insieme all' esperimento III a quale
cifra considerevole può assurgere la leucocitosi secondaria
all' iniezione di polvere e come rapidamente possa di poi
diminuire il numero delle cellule bianche del sangue.
[23] (897)
Da tutti questi sette esperimenti ci è dato coucludere:
I. Che l'iniezione nelle vene periferiche di liquidi con-
tenenti in sospensione granuli finissimi, impalpabili di car-
bone, nero fumo è spesso inocua all'animale ; determina, non
sempre però, in capo a pochi minuti un discreto aumento
dei leucociti nel circolo.
IL Che a questa leucocitosi succede generalmente una
diminuzione di leucociti. Tale ipoglobulia si accentua pro-
gressivamente per lo spazio di più ore.
III. Che la diminuzione dei leucociti è tutta a danno
dei globuli bianchi fagociti (forme h e e), le forme a re-
stando stazionarie.
IV. Che la leucocitosi che si sviluppa dopo la inie-
zione è dovuta all'aumento delle forme e.
V. Che dopo 10-1.5-20 ore, quando cioè l'organismo
comincia a rifarsi dei leucociti perduti, il numero dei glo-
buli bianchi del sangue è costituito dalle foì'me a quasi
onninamente, poco vi partecipano le forme h, meno ancora
le forme e.
VI. Il ritorno alla proporzione delle varie forme allo
stato quo mite è molto laborioso e tardo. Non avendo a
questo riguardo che pochi esperimenti non possiamo con-
cludere in modo decisivo. Da quanto ci risulta sembrerebbe
che occorrano quasi due giorni.
VII. Non ci fu dato osservare a questa ipoglobulia
nessuna leucocitosi secondaria marcata e degna di speciale
rilievo.
Vili. Ritornato il numero dei leucociti allo stato nor-
male, mercè l'aumento spiccato delle forme a, queste poco
per volta cominciano a diminuire in quella vece che au-
mentano le forme ì) e e. Cosicché la restituzione è prima
quantitativa mercè la neoproduzione dei linfociti, poscia
qualitativa col passaggio di questi allo sviluppo progressivo
di fagociti.
(898) [24]
II.
I fagociti sono suscettibili di una stimolazione secondaria ?
Mi spiego. Dagli esperimenti che fin qui abbiamo enun-
ciato risulta in modo evidente che la restituzione dei leu-
cociti avviene mediante la varietà linfocitica. Ora è lecito
chiedersi perchè ciò e non il ritorno tal quale delle forme
mono e polinucleate caratteristiche dei fagociti. 11 Werigo
ha dimostrato che i leucociti carichi di carminio vanno a
depositarsi nel fegato e nella milza. Questa osservazione è
già molto, ma non dice tutto. Forse che vi si distruggano ?
Sebbene non abbiamo dati per provarlo direttamente
noi confessiamo che questa ipotesi non ci sembra aver nulla
di inverosimile. Questa opinione è stata pure difesa da
Scheiber e Sudler — quantunque sia pure ad essi mancato il
mezzo per dimostrarlo rigorosamente. Non volendo accettare
questa supposizione bisogna allora ricorrere ad un altro fatto
rilevato dal Werigo nella sua bella tesi. Egli ha osservato
che le cellule endoteliali ne laissent pas passer les leu-
cocytes chargès de carmin: elles les englohenl et for-
ment le^ grandes cellules avec une quantitè cotisidè-
ì'ahle de protoplasma, qui remplissent quelquefois enliè-
rcmenl, ou presqiie enlièrement, la cavitè des vaisseaux
capillaires. Les leucocyles vides semblent Irès bien tra-
verser' les vaisseaux : on en trouve toujours dans les
■veines centrales, méine dans les premibres stades apvès
r wJecHon, on il est très di f fidi de les considerer comune
dèjà dèchargès de leur carmin E<1 altrove : Mais
coìmne les vaisseaux capillaires sont dejà sur plusieurs
point bouchès par des cellules endolhèliales gonfièes par
l'en globe meni des leucocytes, les leucocytes qui mennent
plus tard dans le foie, doivent s'arréter dans les cais-
[25] (899)
seaux inteHobulnii-es, oh ils fornient des irombus plus
Oli nioiìis considèrahles. Questi fatti spiegherebbero molto
bene il fenomeno da noi rilevato.
Ma vi ha un inconveniente ed è che questi trombi si
dileguano troppo rapidamente perchè possano fornirci la
ragione del nostro quesito, il quale resta cosi tutto avvolto
ancora in un ombra oscura fitta di mistero.
E poiché adunque ci manca il mezzo diretto di poter
arrivare ad una tale soluzione, abbiamo tentato di avvi-
cinarci con un procedimento molto indiretto, che lo rife-
riamo per quel che vale, e che se non peserà molto sopra
questa questione, a noi serve almeno per dimostrare che :
scomparsi i leucociti in seguilo alla iniezione di pol-
veri inerii, una nuova iniezione di sostanze fortemente
chimiotassiche e non distrutlice non è capace di pro-
vocare una nuova leucocitosi. (Si potre])be anche con questo
fatto dedurre che se nessuna leucocitosi si manifesta pron-
tamente a tale stimolo segno è che, per adoperare una frase
d' uso, non vi sono leucociti liberi in circolo. Ma, come
ripeto, non vi insistiamo). Dagli studj di Gabritchewsky,
Pfeffer, Hofmeister, di Metchnikoff, di Lowit, Afanassiew,
Massart e Bordet sapendo che i leucociti sono potente-
mente attirati dalle soluzioni deboli dei sali di sodio e
potassio, glucosio, peptone, papaiotina, carbonato di soda,
sali di calce (De Giovanni e Castellino), noi ci siamo com-
posti una miscela di tutte queste sostanze sulla seguente
proporzione :
Acqua distillata 150,0
Acqua di calce seconda 25,0
Fosfato di potassio 0,20
Cloruro di sodio 1,50
Peptone e Papaiotina 2,00
Carbon. di soda q. b. per alcalinizzare leggermente
Questa miscela ha una attrazione marcatissima sui glo-
(1)00) [26]
buli biaiichi. Lo .si })ii(') diinostrai'o dii'ettamente coi capil-
lari di vetro ed anche iiibeveiidone dei finissimi fili di
cotone che poi vengono collocati attraverso un preparato
di sangue ricco di fagociti.
L' iniezione nell' organismo, in questo caso, di forti
quantità di questa miscela non determina nessuna leucoci-
tosi, mentre la determina in quello sano immune da ogni
manovra.
Serie K
Esperimento Vili. — Coniglio sano. Nero.
Peso 2.370 gr.
Globuli
Leucociti
Forme
Forme
Forme
Fagoc.
Prima dell' iniezione
rossi
in toto
n
b
e
b + c
5.270.000
10.000
2.000
1.000
7.000
8.000
Iniez. della polvere
dopo 6 ore
5.000
4.000
1.000
0
1.000
Iniez. della miscela
20' 1
40' \ Nessusa fiiodificazione importante
70'
'
2 ore
—
9.000
—
_
—
Quest' esperimento è abbastanza eloquente. Abbiamo
atteso ad iniettare la miscela di peptone e papaiotina dopo
che il numero dei leucociti si era in modo sensibile abbas-
sato e nessun aumento successivo di essi venne potuto ve-
rificare.
In due altri esperimenti, che tralasciamo per brevità,
ottenemmo press' a poco gli stessi risultati.
E forse ozioso il rilevare 1' alto interesse che aveva
per noi il risolvere tale (questione e l'aver potuto ottenere
[27] (901)
questi risultati, poiché se i leucociti avessero risposto alla
stimolazione chimiotassica con un nuovo afflusso di essi nel
circolo, è evidente che uno dei concetti principali della
nostra tesi — quello cioè di dimostrare l'importanza della
fagocitosi nelle infezioni col sottrarre o diminuire forte-
mente i leucociti dal circolo nel momento di invasione
dell' organismo da parte dei piogeni — sarebbe caduto.
Infatti se colla iniezione della miscela di peptone ecc. si
avesse potuto provocare il ritorno dei globuli bianchi nel
circolo si avrebbe invece dimostrato che il loro allontana-
mento era più fittizio che reale, potendo con un mezzo
cos'i semplice essere di nuovo richiamati nel circolo me-
desimo, e che i piogeni una volta penetrati nel sangue
nel periodo di leucofenia avrebbero, stimolando coi loro
secreti eminentemente chimiotassici il loro ritorno, avuto
a sostenere l' identica lotta che nei casi normali.
III.
Agenti che modificano il fenomeno delia diminuzione
dei fagociti per inlezione di polveri.
Il prof. Rovighi di Siena ha presentato all'ultimo Con-
gresso della Società di Medicina Interna a Roma una re-
lazione di alcune sue ricerche intorno alla Influenza della
temperatura del co?'po sulla leucocitosi. Egli ha trovato
(die sottomettendo gli animali a basse temperature i leu-
cociti aumentavano di numero, in quella vece che diminui-
vano se invece l'animale veniva immerso in temperature
(devate.
L'A. non ha voluto, a ragione, dare di questo fatto una
interpretazione recisa — d'altronde esso cosi modifica so-
(i)02) [28]
stanzialmente (juanto ci avevano lasciato intravedere Lym-
beck e Pèe che ogni illazione sarebbe stata forse precipi-
tata. (Lymbeck e Pée hanno affermato che la leucoci-
tosi è cosi in istretto rapporto colla temperatura che il
ti'acciato di essa corrisponde esattamente a quello del
numero dei globuli biaDchi). Alle osservazioni di Rovi-
ghi io aggiunsi alcune altre mie personali, fatte quest'an-
no nel Lal)oratorio di Microscopia della Clinica Medica
di Genova e che riguardano questo lavoro, le quali veni-
vano modestamente a confermare le conclusioni dell'O. Mi
pei'inisi però osservare che mentre la ipoglobulia prodotta
dal riscaldamento non eccessivo, e la ijìerglobulia dal raffred-
damento erano pure secondo me vere, l'organismo anziché
guadagnarne nel secondo caso, aveva a patirne un grave
danno, inquantochè il raffreddamento paralizza i processi
ameboidi dei fagociti.
Giorni or sono il Winternitz alla R. I. Accademia di
Vienna ha portato alcune sue indagini precisamente sopra
questo argomento, ])er(') limitandosi solo alla valutazione nu-
merica dei corpuscoli bianchi. Siccome (juesto A. si afferma
reciso fautore della fagocitosi, avendo trovato che il raf-
freddamento determina una leucocitosi, egli si crede per ciò
autorizzato senz'altro a consigliare che nelle malattie in-
fettive l'uso del bagno freddo debba essere largamente ado-
perato onde possa l'organisnu) disporre di un maggiore nu-
mero di questi elementi destinati alla sua difesa.
Malgrado che il Winternitz sia tutt'altro che un os-
servatore nuovo agli studi del sangue ed un osservatore
superficiale, noi riteniamo di nessun valore questa leuco-
citosi ed anzi crediamo che l'ottenerla a quel prezzo sia
un grave danno per l'organismo in cui la si provoca.
Presentiamo due soli esperimenti a questo riguardo.
Essi sono altl»astaiiza dimostrativi.
[29]
(903)
Serie C
Esperimento IX, — Coniglio giovine.
Colore grigio con macchie nere. Peso 2.200 gr.
Globuli
Leucociti
Forme
Forme
Forme
Condizioni normali :
Immerso allatemper.
di + 15« per 80'
Iniezione di polvere
rossi
in toto
a
/;
e
4.200.000
3 300.000
8.000
11.000
1.000
3.000
2.000
2.000
5.000
4.000
30-
—
10.000
3.000
2.000
5.000
50'
—
9.000
—
—
—
70'
—
8.000
—
—
—
2 ore
-
8.400
1.200
3.000
4.200
L'esame colla camera calda non rileva che scarsi e
rudimentali })rocessi ameboidi. Essi sono lentissimi. Questo
esperimento dimostra anzitutto la diminuzione dei globuli
rossi, diminuzione che tocca quasi il milione ; secondaria-
mente l'aumento di 3.000 leucociti, tutti appartenenti alle
forme a. Inoltre che l'immersione alla temperatura bassa ha
paralizzato i processi ameboidi. Infatti oltre che 1' esame
nella camera calda, lo dimostra pure il fatto che la inie-
zione della polvere non ha determinato, come nelle osserva-
zioni precedenti, nessuna ipoglobulia.
Esperimento X. — Coniglio grigio. Adulto. Sano.
Pe.so gr. 2.700.
Si sottopone alla stessa manovra del precedente.
Gli si introducono dei capillari di Pfeflfer forniti di mi-
scela di peptone, papaiotina ecc. ecc.
Do^ìo 4 ore si ritirano con scarsissimi elementi corpu-
scolari penetrati,
(904) [30]
Q.iiesto (esperimento dimostra la depressa irritabilità dei
leucociti.
Senza dilungarci ancora colla citazione di altri espe-
rimenti riferiamo sommariamente le conclusioni avute col
trattamento opposto.
Si sottopone un cane ad una temperatura oscillante
soi)ra i -\~ 45? per 50'-70'.
La numerazione del sangue fatta sul)ito do^ìo questo
tempo rivela una diminuzione, però assai leggera, dei leu-
cociti. Esaminati immediatamente al microscopio in un am-
biente tepido essi presentano una spiccata attività ameboide
del loro protoplasma.
Del resto in altra serie di indagini (i) avev(j già dimo-
strato come a 38° i movimenti di queste cellule sieno
energici, pronti, rapidi ; le digitazioni molto lunghe e ve-
ramente amebiformi.
Oltre che l'abbassamento forte della temperatura, pure
altri trattamenti diminuiscono in modo più o meno sensibile
la facoltà contrattile del protoplasma.
In una serie di esperienze fatte in collaborazione col
Prof. De Giovanni sulla contrattibilità dei minimi capillari
sanguigni, abbiamo — ri}»etendo 1' esperimento istituito da
Bernard e modificato leggermente da Massart per lo studio
dei corpuscoli bianchi - immerso delle rane in una soluzione
cloroformica molto allungata, in un' altra di paraldeide
airV4oo> in un'altra di ossalato di sodio e potassio.
Dopo un certo periodo questi animali, esaminando al
microscopio la loro lingua, presentavano oltreché 1' inerzia
dei corpuscoli bianchi, quella anche dei capillari.
Se si cloroformizza un coniglio od un cane, o loro
si somministra della paraldeide o si inietta dell' idrato di
cloralio e della cocaina, noi otteniamo l'anestesia dei ii-lo-
(I) Castellino, Sulla necrobiosi lenta dei leucociti. Genova, R. Ac-
cademia di Medicina.
[31] (005^
buli bianchi. Se si procede alla iniezione delle polveri, ci si
ri presenta lo stesso fenomeno che nell'esperimento IX e X.
Coadiuvato gentilmente dal Dr. Agosti, assistente della
Clinica Medica di Padova, ho voluto dosare esattamente la
resistenza massima che offre il coniglio a tali anestetici.
Abbiamo a tale uopo scelto una ventina di conigli sani,
giovani, robusti e li abbiamo sottoposti parte alle iniezioni
di cocaina, parte a quelle di idrato di cloralio, di paraldeide
e cloroformio.
Ecco succintamente i risultati di tali osservazioni :
Esperimento XI. — Coniglio grigio. Peso gr. 1800.
Iniezione di 20 cgr. di idrato di cloralio nel tessuto
sottocutaneo.
Dopo 25^ r animale comincia "a dare segni di sonno-
lenza, che mantiene per lo spazio di due ore. Ritorna, in
seguito, svegliato e vivace.
Offertogli del pasto se ne ciba con discreta avidità.
Esperimento XII. — Coniglio nero. Peso gr. 1.700.
Iniezione di 30 cgr. di cloralio nel tessuto sottocutaneo.
Sonnolenza dopo 20'' che si mantiene per 2 ore.
Esperimento XIII. — Coniglio rosso-scuro. Peso gr.
1.690.
Iniezione di 35 cgr. di idrato.
Fenomeni simili al precedente.
Esperimento XIV. — Coniglio nero. Peso gr. 1.700.
Iniezione di 40 cgr. di idrato di cloralio.
Effetti idem al precedente.
Esperimento XV. — Coniglio nero. Peso gr. 1.790.
Iniezione di 50 cgr. di cloralio. Sonnolenza marcata
dopo 20'.
L' animale socchiude gli occhi mantenendosi difficil-
mente in equilibrio. Reagisce poco agli stimoli.
Si sveglia e ritorna vivace dopo 2 ore.
Esperimento XVI. — Coniglio bianco. Peso gr. 1.670.
(9(UÌ) [32]
Iniezione di (io cgr. di cioralio. Sonnolenza marcaUi
dopo 15^
L' animale si sdraia sul snolo incapace a mantenersi
diritto.
In questo frattempo potendo tornar ciò utile per altra
serie di esperimenti in corso col Dr. Cavazzani, gli si re-
cide il nervo sciatico.
Scarsa reazione da parte deiranimale a tale operazione
dolorosissima e che di solito lo fa prorompere in istrida
acutissime.
EsPERiMEXTO XA^ll. — Coniglio baio-cenere. Peso gr.
1.800.
Iniezione di 85 cgr. di cloralio.
Sonnolenza dopo 15'' marcatissima. L'animale si sdraia
sul suolo come morto. La respirazione diventa difficile, lenta,
superficiale. Il cuore batte con meno energia. Anche questo
coniglio viene sottoposto alla recisione dello sciatico e non
presenta nessuna reazione. La pupilla non reagisce affatto
alla luce.
In questa posizione di profondo abbandono 1' animale
resta per lo spazio di 6 ore e se ne - rimette lentissima-
mente.
Esperimento XVIII. — Coniglio rosso. Peso gr. 1.700.
Iniezione di 85 cgr. di cloralio.
Sonnolenza profonda uguale al precedente. Però l'ani-
male non se ne rimette.
Muore dopo 8 ore.
Esperimento XIX. — Coniglio bianco. Peso gr. 1.800.
Iniezione di 75 cgr. di cloralio.
Lo stato di depressione comincia a manifestarsi dopo
5'' e si fa spiccatissimo dopo 20' tempo in cui alla posizione
eretta succede (|uella sdraiata. Respirazione superficiale,
lenta. Cuore alquanto depresso. Temp. 37.
Lo stato normale ritorna dopo 10 ore.
Esperimento XX. — Coniglio nero. Peso gr. 1900.
Iniezione di 1 ar. di idrato di cloralio.
[33] (907)
Abbandono completo dopo 5'. Si sveglia dopo 11 ore.
Questa dose l'abbiamo ripetuta in altri animali quasi
dello stesso peso ed abbiamo avuto il 60 % delle morti.
Quella che noi riteniamo come la massima compatibile
colla vita è la dose di 80 cgr. Bisogna però iniettare sem-
pre sotto la cute perchè nel peritoneo essa è decisamente
mortale. Tutti gli animali di saggio in cui la provammo —
e furono in numero di sei — vissero tutti presentando, con
poca differenza gli stessi fenomeni.
La resistenza alla cocaina (i) è poi sorprendente in questi
animali. La sua azione si manifesta, in tesi generale, in
primo tempo con uno stato di eccitazione, di inequietezza
per cui se l'animale è a piede libero, per alcuni minuti
sente il bisogno di muoversi, di camminare senza posa, su-
scettibile al menomo stimolo ed al rumore che gli si fa
attorno. Poscia incontrato un cantuccio si accovaccia e si
nasconde quasi fosse preso da uno stato di spossamento. Se
invece è legato per un piede si agita fortemente, slancian-
dosi in tutti i sensi, ravvoltolandosi sul terreno, impaziente
dei legami che lo trattengono. Anche qui dopo un certo
periodo, che può oscillare dai 20' ai 30' subentra uno stato
di calma, di raccoglimento.
Il numero dei conigli sottoposti a tale iniezione fu di
dodici.
Esperimento XXI. — Coniglio bianco. Peso : gr. 1.400.
Si inietta 4 centigr. di idrocl. di cocaina.
L' animale non presenta subito nessuna reazione. Dopo
15' però comincia a presentare dei sintomi di una forte ecci-
tazione. Cammina in un modo molto irrequieto, continuo,
senza mostrarsi mai stanco. Il minimo rumore lo stimola
a dei movimenti più gagliardi.
(1) Prima di iniettarla è bene assicurarsi se essa è pura. Il modo
di accertarsene è assai facile e spiccio : si tratta la soluzione di idro-
clorato con SO^H- concentrato ; se essa rimane incolora è segno che la
cocaina è pura.
(908) [84]
Dopo un'oi-a ritoi-na a poco [)er volta di nuo\o tran-
(luillo.
Esperimento XXII. — Coniglio bianco. Peso: gT. 1.600.
Si inietta 5 e V-2 centigr. di idroclorato di cocaina.
Dopo 10^ s' inizia ad un tratto lo stadio di forte ecci-
tazione. Di repente gli arti posteriori non ubbidiscono più,
l'animale tentando continuare la sua corsa è costretto a
trascinarli quasi inerti aiutandosi cogli arti anteriori. Pre-
sto mancano anche questi e sopraviene una forte contra-
zione di tutti gli arti e dei muscoli del tronco e del collo
cosicché si ravvoltola sul terreno poggiando sempre sul
fianco, in preda ad una contrazione dolorosissima gene-
rale. Dimena incessantemente le gambe con un movimento
rapido, presenta marcato opistotono ed esoftalmo. Du-
rante questo accesso ora si allunga sul terreno ora si rac-
coglie ad arco riunendo le zampe e la testa. La respirazio-
ne è frequente, molto superficiale. Dopo 15^ minuti questo
quadro comincia a presentarsi con sintomi meno gravi. A
poco a poco cedono le contrazioni e gli spasimi e succede
uno stato di languore, di stanchezza. Dopo 40' 1' animale
tenta di nuovo servirsi dei suoi arti trascinandosi lenta-
mente sul terreno.
Dopo 50''-60'' esso è ritornato allo stato normale.
Esperimento XXIII. — Coniglio nero. Peso: gr. 1.700.
Si iniettano centigr. 7,60 di idroclorato di cocaina.
I sintomi presentati dal coniglio precedente si ripetono
nella identica forma di successione ma con una durata ed
intensità maggiore.
Però dopo 60'' anche in ({uesto caso tutto a poco a
poco scompare e l'animale ritorna alle condizioni di prima.
Esperimento XXIV. — Coniglio color cenere. Peso :
gr. 1.350.
Si iniettano 6 e V-2 centigr. di cocaina.
Sebbene il coniglio sia minore di peso dei precedenti
i fenomeni tetaniformi sono molto più miti.
Completo ristabilimento dopo 40'.
[35] (tX)!))
Esperimento XXV. — Coniglio, peso: gr. 1.890. Inie-
zione 8 cgr. di cocaina. Forti convulsioni e contrazioni dei
muscoli del tronco della nuca e degli arti dopo 3'. Esoftal-
mo molto marcato. L'animale emette strida fortissime che
presto poi cessano, dimena ed agita furiosamente le zampe
e si rotola sul terreno. Questo quadro dura circa 10^ poi
a poco per volta lentamente tutti i sintomi si fanno meno
marcati e dopo 1 ora l' animale ritorna alle condizioni nor-
mali.
Esperimento XXVL — Coniglio. Peso: gr. 1.970. Inie-
zione centigr. 8,25. Ripetizione dei fatti precedenti. Però
r animale muore dopo .30^
Esperimento XXVII. — Coniglio. Peso: gr. 1.800. Inie-
zione 7,50 centig. di cocaina. Vive.
Esperimento XXVIII. — Coniglio. Peso : gr. 1.900.
Iniezione 8,50 centig. di cocaina. Vive.
Esperimento XXIX. — Coniglio. Peso: gr. 1.870. Inie-
zione 8,50 centig. di cocaina. Vive.
Esperimento XXX. — Coniglio. Peso: gr. 1.890. Inie-
zione 8 centig. di cocaina. Muore.
Esperimento XXXI. — Coniglio. Peso: gr. 1.900. Inie-
zione 9 centig. di cocaina. Vive.
Esperimento XXXII. — Coniglio. Peso: gr. 1.875. Inie-
zione 9 centig. di cocaina. Muore.
La paraldeide si presta anch'essa molto bene a questi
esperimenti perchè gli animali ne sopportano delle dosi
molto forti. La sua azione si manifesta senza l'eccitamento
iniziale che abbiamo veduto tener dietro alla iniezione di
cocaina a dosi moderate (0,25-0,30 di paraldeide per 1 kg.
di animale) non deprime la temperatura, come non ha in-
fluenza sulla respirazione e rivoluzioni cardiache ; a dosi
alquanto maggiori (0,50-1,00 per 1 kg.) le inspirazioni si
fanno un po' più ampie e lente e d'altrettanto più prolungate
le espirazioni ; la temperatura si mantiene sempre sui 39,5-
40. 11 sonno è assai tranquillo, si avanza in modo uniforme
cosi che il coniglio presenta dapprima un leggero torpore nei
2'. IV, S. VII 61
(910) [36]
movimenti, il quale poco per volta progredisce fino al punto
che l'animale sentendo di reggersi difficilmente si allunga
disteso sul terren(j e dorme. — Se la quantità è ancora
maggiore (1,50-2 gr.) i fenomeni che seguono sono merca-
tissimi. L'animale dopo V-3' dalla iniezione cade come fulmi-
nato sul suolo, incapace di ogni movimento eccetto nel caso
in cui venga fortemente stimolato. Però la reazione anche
allora è assai limitata e fugace. La respirazione diminuisce
di 7 a 10 atti, la temperatura si abbassa di 1 ed anche
di 2 gradi. Il sonno, costituito da vero letargo, dura 3 a 6
ore. Dopo, poco per volta comincia la temperatura a rial-
zarsi, le respirazioni a farsi più frequenti e normali, e gii
arti a presentare qualche movimento. Nel volgere di un'ora
l'animale è ritornato alle condizioni di prima. A tre gram-
mi, e tre grammi e mezzo — cifra come si vedrà dagli
esperimenti che presentiamo, massima — questi fenomeni
sono ancora più allarmanti ed il letargo può durare anche
8 a 9 ore. A 4 gr. si ha la paralisi dei muscoli respira-
tori la quale avviene dopo 15, 20, 24 ore, mentre il cuore
continua a pulsare in modo fiacco e tardo.
Dell' azione di questa sostanza sulla contrattilità del
protoplasma, nessuno — ad eccezione delle ricerche rudi-
mentali e troppo vaghe fatte da Massart e Bordet — se
n' è occupato. Altrettanto dicasi a riguardo della posologia.
Abbiamo quindi dovuto ristudiarla completamente sia sui
protisti che sui leucociti per istabilire la sua proprietà
funzionale di fronte all' apparato contrattile del protopla-
sma ed i limiti propri di tossicità sugli animali.
In quanto alla prima questione le nostre esperienze
in vitro ci conducono a ritenere che l' azione paralizzante
è delle più spiccate. Iniettata poi nel circolo agli animali
(esperi m. XXXIII-XXXIX) anche alla dose di gr. 0,50 per
1 kg. produce una forte diminuzione dei processi fagocitar!
cosicché i leucociti, quando si inietti contemporaneamente
la polvere di carbone, non mostrano più la tendenza a
diminuire dal circolo.
[37] (mi)
Esperimento XXXIII. — Coniglio, peso: gr. 1.700. Glo-
buli bianchi 8.700.
Iniezione di 0,50 di paraldeide e 4 di liquido con in-
dico carminio. Dopo 70'' sonno tranquillo. Globuli bianchi
7.900. Dopo 2 ore globuli bianchi 7.800. Dopo 4 ore 8.200.
L'animale si sveglia ed è perfettamente sano.
Esperimento XXXIV. — Coniglio, peso: gr. 1.850. Glo-
buli bianchi 9.500.
Iniezione di 0,90 di paraldeide e 4 di liquido con in-
dico carminio. Dopo 90' globuli bianchi 10.000. Dopo 3
ore globuli bianchi 9.800, dopo 5 ore 8.700.
L'animale si sveglia dopo 4 ore e mezza.
Esperimento XXXV. — Coniglio, peso: gr. 1.797. Glo-
buli bianchi 10.000.
Iniezione di 1,25 di paraldeide e 4 di acqua con car-
bone. Dopo 35' globuli 6: 9.800, dopo 75' 8.900, dopo 4
ore 9.000.
L'animale si sveglia dopo 7 ore.
Esperimento XXXVI. — Coniglio, peso: gr. 1.900. Glo-
buli bianchi 7.900.
Iniezione di 1.50 di paraldeide e 4 di acqua e carbone.
Dopo 2 ore (3.000 globuli bianchi, dopo 4 ore 7.200, dopo
5 ore 7.800.
Il coniglio si sveglia dopo 6 ore.
Esperimento XXXVII. — Coniglio, peso: gr. 2.000.
Globuli bianchi 9.000.
Iniezione di 2 di paraldeide e 4 di acqua e carbone.
Dopo 70' globuli bianchi 8.750, dopo 2 ore 9.100, dopo 4
ore 8.900.
L'animale si sveglia dopo 8 ore.
Esperimento XXXVIII. — Coniglio, peso: gr. 1.975.
Globuli bianchi 10.000.
Iniezione di gr. 2.60 di paraldeide e 4 di liquido pre-
cedente. Nessuna modificazione sul numero dei leucociti.
Si sveglia dopo 8 ore.
(912) [38]
Esperimento XXXIX. — Coniglio, peso : gr. 2.200. Glo-
buli bianchi 9.000.
Iniezione di gr. 3 di paraldeide e 4 dello stesso li(juido.
Nessuna modificazione apprezzabile sulla quantità dei leu-
cociti.
Si sveglia dopo 10 ore.
In questi altri esperimenti non venne esaminato il
numero dei globuli essendoci limitati a dosare la resistenza
del coniglio alla paraldeide.
Esperimento XL. — Coniglio, peso: gr. 1820.
Iniezione di 3.20 di paraldeide. Fenomeni di grave
collasso. Temperatura dopo 3 ore : 37 respirazioni dimi-
nuite di 8. Cuore fiacco, debole, appena percettibili le sue
pulsazioni. Si sveglia dopo 12 ore. Off"erto all'animale del
pasto non se ne ciba, rimane intontito e pigro ancora per
qualche ora.
Respirazioni ai N. di 37.
Esperimento XLI. — Coniglio, peso : gr. 1864.
Iniezione di 3.50 di paraldeide. Dopo 5'' dorme e si sve-
glia dopo 12 ore. Messo cogli altri compagni nella conigliera
egli si mantiene lontano ed accovacciato.
Esperimento XLII. — Coniglio, peso: gr. 1.915.
Iniezione di 3.60 di paraldeide. Dopo 3^ comincia a
presentare paralisi del treno posteriore. L'animale stimo-
lato fortemente cerca sfuggire trascinandosi coll'aiuto degli
arti toracici, sbanda e si rotola sul terreno; dopo 10^ dorme
profondamente.
Muore dopo 19 ore di sonno mai interrotto.
Esperimento XLIII. — Coniglio, peso : gr. 1870.
Iniezione di 4 gr. di paraldeide. Fatti imponenti di
collasso. Respirazione difficile e lenta. Temperatura 37.
Dopo 4 ore si abbassa a 34.
Muore dopo 18 ore.
Esperimento XLIV. — Coniglio, peso : gr. 2120.
Iniezione di 4 gr. di paraldeide. Presenta gli stessi
fenomeni del precedente.
[89] (913)
Muore dopo 24 ore.
Dall' esame di tutti ({ue.sti fatti dobbiamo anzitutto
conchiudere :
1." che la inerzia dei globuli bianchi, osservati ad
una temperatura conveniente, si ìnoslrò già inarcata alle
dosi di 60 cgr. di idrato di cloì^lio e massima e com-
pleta in quei cogligli sottoposti a 80 cgr. della stessa so-
stanza. In quelli iniettati di coi aina e di paraldeide la
paralisi della contrattilità del protoplasma si ha più ra-
pidamente, con una durata maggiore e maggiore intensità.
Era necessario che noi dovessimo occuparci di tali
dosaggi per avere dei termini esatti di confronto e stabili-
re se realmente queste sostanze sono capaci di produrre
r inerzia del protoplasma leucjcitico. Gli studj fatti a que-
sto proposito fin' ora erano molto contraditorj e lasciavano
molto sospesi e perplessi intorno a tale efficacia. Mentre
Massart e Bordet per es. alla dose di 1 cgr. di soluzione
di idrato di cloralio all' 1 % sulle rane non ha trovato
nessuna modificazione sulla chiraiotassia, il Reuter riusci
ad averla ; ed il Platania — somministrando di tale so-
stanza 40 cgr. per ogni Kg. di animale — a rendere su-
scettibili i cani al carbonchio, {}) Cosi pure il Massart e Bor-
det non ebbero dalla azione della cocaina nessuna alterazione
sulla chimiotassia dei leucociti, mentre invece l' Albertoni
ha osservato una influenza deprimente nella contrattibi-
lità del protoplasma, ed altrettanto il Sighicelli sui muscoli
striati del bulbo oculare e quelli lisci dello sfintere del-
l' iride ; ed il Mosso U. sulle fibre muscolari liscie delle
pareti vasali con cui la cocaina viene a contatto.
A questo proposito si vegga pure Richard, Action de
la cocaine sur les invertebrc^s. (C. R. de l'Ac. des Se. T.
(1) Citiamo questo fatto perchè esso, secondo noi, più che alla
diminuita alcalinità del sangue, come pretesero Zagari ed Innocenti, è
dovuto alla paralisi della contrattilità dei globuli bianchi.
(^1-4) [40]
100 N. 22). — Schui-rnayer, (Zeits(3h f. Nat. XXIV 1890).
Quest'A. ha osservato che la soluzione 0,01 % uccide le
amebe. Ha studiato pure 1' azione sopra gii infusorj. La
conclusione è che : l'apparato conlrattlle è presto intaccato
e presto si ferma. Dopo debole irritazione, succede una
profonda paralisi e forte vacuolizzazione. 11 l).'" Faggioli
Fausto ha osservato i medesimi fatti cioè paralisi del reti-
colo di jaloplasma, rallentamento della vibrazione ciliare,
deformazione subferica nelle forme allungate. Ha trovato
per dose limite di tossicità la seguente cifra : 0,0063 o/q.
Mentre a questa dose si hanno ancora dei fatti depressivi,
al di sotto di essa la cocaina non provoca nessun fenomeno,
forse anzi uno stimolo favorevole.
II.° che la dose di tossicità massima è per 1 kg. di
animale ; per la cocaina, 4-5 cgr. ; per V idrato di clo-
ralio, cgr. 40 ; per la par aldeide, gr. 50.
IV.
Applicazioni batteriologiche dei fenomeni rilevati.
Eccoci ora al punto più importante delle nostre ri-
cerche le quali, senza provocare lesioni sostanziali nell'or-
ganismo, solo eliminando meccanicamente per parecchie ore
dal circolo i leucociti dotati di pi'ocessi ameboidi, dimostrano,
in una maniera tanto semplice quanto evidente, 1' impor-
tanza della fagocitosi e come essa costituisca, non il solo,
ma almeno il pii^i importante fattore della immunità.
Per non complicare troppo e prolungare inutilmente
gli esperimenti ci siamo serviti, quali agenti patogeni, del
Vibrio Metchnihovii ed il diplococco di Fraenkel ottenuto
fresco dal sangue di coniglio inoculato. Siccome noi vole-
[41] (915)
vaino operare su tali animali, abbiamo rinvigorito, col me-
todo di Salander, il pjtere patog-eno del vibrione passan-
dolo attraverso il piccione. E che di fatti tale rinvigori-
mento fosse avvenuto lo dimostrava la prova di controllo
fatta sulle cavie. Iniettando sotto la cute di una cavia di
circa 500 gr. 10 cc^ di brodo sterilizzato dove il vibrione
aveva prosperato Y animale muore dopo circa 24 ore. Se si
inietta in una cavia dello stesso peso la stessa quantità di
brodo dove sia stato coltivato il vibrione ottenuto dal pic-
cione, la cavia muore in 10 ore, presentando subito dopo
r iniezione un rapido abbassamento della temperatura che
si continua tino alla morte. Nel primo caso l'abbassamento
è preceduto da un movimento di iperpiressia di varia
durata.
Il coniglio colla prima coltura muore dopo 5 giorni
se se ne inietta 2 cm^ ; colla seconda coltura, nella stessa
quantità, muore dopo 10-15 ore. (S'intende che la iniezione
è praticata nel tessuto connettivo, poiché se la coltura viene
ad introdursi nella vena la morte accade assai più rapida-
mente anche con meno quantità di liquido). Con tali pas-
saggi abbiamo ottenuto un vibrione che uccide il piccione
in 24 ore in seguito alla iniezione di 0,15 di coltura pura
in brodo, e che uccide il coniglio sano e del peso di gr.
1600-1900 in 14-16 ore colhi iniezione di 0,80-1.00 cm3
sotto la pelle.
Da alcune poche esperienze che abbiamo fatto credia-
mo che tale virulenza non si mantenga costante per molto
tempo, cosichè per premunirci maggiormente, da qualche
coniglio morto abbiamo ripetuto le culture saggiando di
nuovo dopo la loro potenza. Dovendo conservare poi il
sangue infettato o 1' edema per le successive culture, noi
lo abbiamo raccolto dal cuore aspirandolo con capillari co-
strutti e sterilizzati alla fiamma e dopo l' operazione di
nuovo alla fiamma fuse le loro estremità. Prima di ado-
perarli si immergeva il capillare in sublimato poi in acqua
(91(5) [42]
riapertili con una pinza sterilizzata si conticcava 1' ago di
platino intriso di questo sangue nella provetta in gelatina,
e di qui poi in brodo.
Per determinare la quantità esattamente di batterj
iniettati si sarebbe potuto procedere numerando quanti
batteri si trovano in una goccia di cultura pura sciolta in
una quantità nota di acqua e di cui è stata tolta un'altra
goccia sciogliendola in una provetta di gelatina.
Noi abbiamo proceduto alquanto più grossolanamente.
Stabilito quanto occorre di cultura pura per uccidere un
coniglio, tenuto conto anche del tempo impiegato a morire,
e chiamando questa quantità x, abbiamo fatto delle solu-
zioni progressivamente decrescenti in brodo di
ce X X X X
2' 3' 4' 5' 6 •
Siccome a noi interessava non già sapere quanti ba-
cilli di una data cultura occorrevano per uccidere un dato
animale, ma invece quali frazioni della prima proporzione
i^x) erano sufficienti per produrre i fenomeni ottenuti con
X, questo metodo ci è sembrato pratico e facile. Natural-
mente le diluizioni debbono farsi nel momento in cui si
deve procedere alla inoculazione.
Serie D (i)
Esperimento XLV a. — Coniglio sano maschio. Peso
gr. 2.000.
Si inietta sotto la cute 1 cin^ della cultura di vibrioni
rinvigoriti a traverso il piccione.
La cultura data da due giorni. Dopo sei ore l'animale
comincia a perdere della sua vivacità. Inseguito e stimolato
(1) Gli esperimenti segnati colla lettera a sono di controllo.
[43] (917)
i suoi movimenti sono lentissimi. Si trascina pesantemente
e con fatica. Collocato nella conigliera non partecipa alla
vivacità dei compagni. Il respiro si presenta un po' più fre-
quente e superficiale. Dopo 10 ore il respiro è frequente;
la temperatura è aumentata di 2 gradi. E sofferente e
reagisce pochissimo agli stimoli. Evidente paresi del treno
})osteriore ed incipiente degli arti anteriori.
Dopo 16 ore è morto.
Esperimento XLVI h. — Coniglio robusto. Maschio.
Nero. Peso gr. 2.100.
Si inietta nella vena gr. 7 di soluzione sodica contenente
del carbone finamente sospeso e filtrato a traverso la tela.
11 numero dei globuli bianchi prima della iniezione è
di 9.700. Dopo 4 ore è di 2.000. Si inietta in questo frat-
tempo 1 cm3 della cultura di vibrioni identica alla prece-
dente. Dopo 2 ore 1' animale comincia già a presentare len-
tezza dei movimenti, scarsa reazione agli stimoli, frequenza
di respiro, aumento di temperatura. Il numero dei leucociti
è di 3.000. Dopo 6 ore le condizioni dell'animale sono assai
gravi. Paralisi del treno posteriore completa ; meno degli
arti anteriori. Qualche contrazione tetanica.
Dopo 12 il coniglio è morto.
Esperimento XLVII a. — Coniglio robusto. Maschio.
Peso gr. 2.500.
Si inietta 0,25 della cultura pura, virulenta di 9 giorni.
L' animale dopo 8 ore comincia a presentare una forte
stanchezza, fatica nei moviuìenti, non fiuta più colla carat-
teristica tensione ed irrequietezza della testa, ha invece un
atteggiamento dimesso, passivo. Respirazione : 90; tem-
peratura : 39.7.
Muore dopo 30 ore.
Esperimento XLVIII h. — Coniglio sano. Grigio giovine.
Peso 2.625. Esame dei globuli bianchi : 9.700.
Si inietta gr. 8 della soluzione sodica contenente car-
bone.
Dopo 4 ore i suoi globuli sono ridotti a 3.400.
(918) [44]
Si inietta 0.25 della stessa cultura del precedente. Gli
stessi fenomeni sopra descritti e clic si ottenevano dopo 8
ore, in questo caso si hanno dopo un'ora e Va- Questo stato
dura lungo teni{)o presentando sempre dei sintomi più gravi.
Dopo quattro ore la respirazione superficiale e frequente di
prima si è fatta difficile, lenta, profonda ; durante l'atto in-
spiratorio il torace si dilata sensibilmente, mentre non si ab-
bassa parallelamente durante l'espirazione. Temperatura: 38.
Muore dopo 22 ore.
Esperimento XLIX a. — Coniglio grigio maschio. Peso :
gr. 2.300.
Si inietta 0.20 della cultura pura del diplococco di
Fraenkel.
Il coniglio muore dopo tre giorni.
EsPEitiMENTO L h. — Coniglio nero maschio robusto.
Peso: gr. 2.200. Es. del sangue: gì. bianchi 9.700.
Si inietta la polvere di carbone in 8 gr. Dopo 4 ore
i globuli bianchi sono ridotti a 2.100. Si inietta la stessa
dose della cultura precedente.
Il coniglio muore dopo due giorni (32 ore).
Esperimento LI a. — Coniglio bianco sano. Peso : gr.
1.800.
Si inietta 0.05 della cultura fresca di diplococco.
Muore dopo 63 ore.
Esperimento LII h. — Coniglio bianco sano. Razza iden-
tica al precedente. Peso: gr. l.()00. Esame globuli ])ianchi.
9.800.
Si inietta la polvere di carbone alla dose di 7 gr.
Dopo 4 ore i globuli sono ridotti a 1.900. Si inietta 0.04
della stessa cultura del precedente.
Muore dopo 40 ore.
Da questi esperimenti è lecito arguire la importanza
dei fenomeni fagocitarli dei leucociti. Infaitl nell'as>ienza o
diminuzione di questi si vede che se le culture batteriche
/
[45] (919)
sono sif,ffìcienti ad uccidere l'animale intatto, nell'altro
a, che ha subito la iniezione delle polveri inerti la stessa
quantità di cidtura lo uccide in molto minor tempo. Se
la cultura è in quella dose da non provocare la morte,
i sintomi presentati dal coniglio con ipoglohulia sono
d' assai più gravi.
Serie E (*)
EsPERiMEMTo LUI a. — Coniglio nero. Maschio. Sano.
Giovine. Peso: gr. 1.970. Esame del sangue : globuli bianchi
10.700.
Si inietta 0 gr. della soluzione sodica con carbone e
contemporaneamente 40 cgr. di idrato di cloralio. 11 sonno
avviene profondo in capo a 10'. Dopo 35' i globuli sono :
9.700. Dopo 50' 8.600.
Dopo poche ore l'animale è svegliato e sano.
Esperimento LIV h. — Coniglio bianco. Maschio sano.
Peso: gr. 1.860. Esame del sangue: globuli bianchi 9.600.
Si inietta 8. gr. della soluzione e carbone e contempo-
raneamente 35 cgr. di idrato di cloralio. Dopo 40' i glo-
buli sono 8.700. Si inietta 0.50 della stessa cultura pura
adoperata negli esperimenti della serie D.
L'animale muore in 15 ore.
Esperimento LV a. — Coniglia bianca. Sana. Peso : gr.
1.900. Esame del sangue: globuli bianchi 9.000.
Si inietta la polvere nella dose di 5 gr. di soluzione
e si inietta contemporaneamente 7 cgr. di idroclorato di
cocaina. Dopo 40' i globuli bianchi sono 8.200. Dopo 55':
8.000. Si somministra di nuovo 2 cgr. di cocaina e dalla
prima iniezione i globuli sono 8.000.
(1) Per il controllo dell'azione virulenta della cultura sul coniglio
sano servono gli esperimenti della serie D.
(920) [46]
Quattro ore più tardi 1' animale è di nuovo vispo e
sano.
Esperimento LVI h. — Coniglia bianca. Sana. Peso gr.
1.800. Esame del sangue: globuli bianchi 10.000.
Si inietta 6 gr. di liquido con polvere e 7 cgr. di co-
caina. Inoltre 0.50 di cultura pura di vibrione di hog-colera.
L'animale muore dopo 1.'5 ore.
Esperimento LVII a. — Coniglio grigio. Sano. Peso :
gr. 1.970. Esame del sangue : globuli bianchi 9.700.
Si inietta la solita quantità di carbone dopo aver clo-
roformizzato l'animale. Dopo 40' i globuli bianchi sono 9.500.
Dopo 60': 8.600. Dopo 2 ore (mantenendo sempre la cloro-
formizzazione) : 9.200. Si sospende la cloroformizzazione.
Dopo 2 ore : 8.: 500.
Esperimento LVllI Z^. — Coniglia bianca. Sana. Peso:
gr. 1.800. Esame del sangue : globuli bianchi 10.000.
Si cloroformizza poco a poco l'animale, quindi si inietta
la stessa quantità di carbone del precedente. Dopo 30' si
inietta 0.50 di cultura pura di vibrione di hog-colera.
L'animale muore dopo 11 ore.
Esperimento LIX u. — Coniglio grigio. Sano. Peso: gr.
1.800. Esame del sangue : globuli bianchi 9.700.
Si sottopone alla temperatura di -}- 15° per un'ora. Si
inietta 5 g. di liquido con polvere. Dopo .30' i globuli sono
14.300.
Dopo 55' sono 12.800.
Esperimento LX h. — Coniglio nero sano. Peso 1.700.
Esame del sangue : globuli bianchi 9.200.
Si sottopone alla temperatura di -j- 15° per un'ora. Si
inietta alla fine del bagno per la vena giugulare e nel tes-
suto sottocutaneo 8 gr. di liquido con polvere. Dopo 70' si
inietta 0.50 della cultura di vibrione di hog-colera.
L'animale muore in 12 ore.
[47] (921)
Conclusioni generali.
Da tutti questi esperimenti risulta :
I. Che r iniezione in circolo di polveri inerti, lina-
mente sospese in liquido sterilizzato, ha la caratteristica di
diminuire, in modo più o meno marcato, i fagociti nel
sangue circolante.
II. Che questi fagociti, una volta scomparsi e rifu-
giatisi nel fegato, milza . . . non risentono più 1' azione di
sostanze fortemente chimiotassiche, cosicché l' iniezione di
esse non ha la proprietà di provocare il loro immediato
ritorno in circolo.
III. Che l'idrato di cloralio alla dose di 40 cgr. per 1
kg. produce una letargia forte con paralisi dei processi
ameboidi e fagocitarii.
IV. Che la cocaina alla dose di 4-5 centigrammi pro-
voca fatti identici.
V. Che la cloroformizzazione dell' animale deprime
del pari l'attività protoplasmatica delle cellule bianche.
VI. Che il bagno freddo, mentre aumenta considere-
volmente il numero dei leucociti, abbassa esso pure i poteri
fagocitarii.
VII. Che la paraldeide fruisce essa pure di tale fa-
coltà.
VIII. Che l'azione paralizzante della cocaina, cloralio,
cloroformio, paraldeide, bagno freddo sui globuli bianchi è
provata dalla persistenza in circolo dello stesso numero di
leucociti uguale al normale, quando queste sostanze ven-
gano' fatte agire contemporaneamente all' iniezione del li-
quido con carbone.
IX. Che sottoponendo l'animale a dette manovre esso
diventa più suscettibile alla infezione e tale da dover soc-
(922) [48]
combere a ({uella (iiiantità di cultui-a cui in condizioni abi-
tualmente normali resiste. Questa suscettibilità è dovuta
essenzialmente alla depressione dei fenomeni fagocitaci (').
Padova,, Febbraio 1893
(1) Anche l'inauizione deprime molto la attività protoplasmatica e
rende molto suscettibili gli animali alle iniezioni, come hanno in modo
decisivo dimostrato, per i primi, Canalis e Morpurgo. Noi non abbiamo
nelle attuali indagini tenuto parola di questo fatto perchè qui entrano
in campo altri fattori che noa sia il processo fagocitarlo e pur essi
della più grande importanza. In uno studio che stiamo facendo nella
Clinica Medica di Padova sulle alterazioni fisico-chimiche del sangue
durante la inanizione lenta ci siamo pure occupati di simili ricerche.
CONTRIBUTO
ALLO
STUDIO DELLA COAGULAZIONE
DEL
DOTT. PIETRO F. CASTELLINO
Questi esperimenti che oggi io presento qui assai bre-
vemente esposti nelle loro conclusioni sommarie e che mi
riserbo di riferirli in forma meno concisa, appena altri
studi, ora in corso, mi permetteranno il tempo di ritornare
di nuovo sopra tale argomento, e corredati da tutti i do-
vuti ed opportuni dettagli, mi furono suggeriti da un feno-
meno che mi aveva colpito in una serie di ricerche sulla
contrattibilità dei capillari sanguigni della rana.
Osservando la lingua di un batrace distesa al micro-
scopio, trascorso un certo periodo, e cioè alloraquando si
inizia la diapedesi dei leucociti atraverso il vaso, ho voluto
seguire le varie modificazioni che si succedono sui leuco-
citi appena essi si trovano ad avere abbandonato la corrente
del circolo sanguigno e liberi nel tessuto basale.
Mentre una buona porzione coll'aiuto dei loro processi
ameboidi poco per volta si allontana dal campo micro.sco-
pico, altri invece rimangono in loco poco discostandosi dal
vaso. Se si segue attentamente allora ciò che in essi, in
modo assai lento, succede, si scorge che dopo circa 30^-40^
la loro forma comincia, pari passo alla progressiva lentezza
delle contrazioni del loro protoplasma, a subire delle non
insensibili modificazioni. E cioè, a presentare una parvenza
(924) [2]
as.sai più rotonda di i)i'ima, nello .stesso tempo che un po'
più schiacciata, a delineare una forma nucleare prima non
nettamente visibile od almeno molto sfumata ed appena
percettibile. Questa forma nucleare poi va in prosiego vie
più distintamente rivelandosi si da mostrarsi nella sua
piena evidenza. Se, invece di un ingrandimento discreto
(F ZeissXOc. Ili), viene adoperata l'immersione omogenea
coll'oc. 18 Zeiss, si può molto bene vedere che questa forma
dapprima rotonda od ovolare presenta una parvenza diffe-
rente. Per esprimermi in un modo chiaro, sebbene molto
improprio, potrebbesi definirla come una risultante di digi-
tazioni dipartentesi dal nucleo, digitazioni lobate che per-
mettono di paragonarlo ad una foglia di trifoglio o ad una
croce. Senza dubbio non è possibile che queste modifica-
zioni sieno dovute a delle contrazioni più o meno vitali
della massa nucleare ; è invece da ritenere che esse sieno
dipendenti da una fra^nmentazìone indiretta nel senso
di Arnold. Questo fatto fu anche prima d' ora dimostrato
dal Biondi, da me ed Accame, e da altri. A poco per volta
queste porzioni si discostano un poco fra di loro, pur man-
tenendosi in contatto mercè sottilissime e fini punteggiature
dimostrabili colla colorazione.
Non limitando l'assoluta osservazione ai fenomeni che
avvengono nell'interno del leucocita ed estendendola anche
alquanto alla sua periferia, si scorge eziandio che dalla sua
zona corticale si dipartono dei finissimi filamenti di una
lunghezza varia (3-5-9-15 (ji).
La loro estensione, come il loro spessore, si modifica
col proseguire della osservazione, poiché è facile più tardi
constatare come essi sieno più grossi e più lunghi. E esclu-
sivamente dalla membrana che si dipartono questi tali fila-
menti ? Io non voglio pronunciarmi in modo reciso sopra
questo argomento, perchè gli esami miei non mi danno la
certezza di un sicuro giudizio.
E un fatto però che spess) ho potuto rilevare, per
mezzo della immersione omogenea, il prolungamento di
[3] (!)-5)
questi tali fili anche nello interno della cellula ed arrivare
al nucleo.
Comunque, la importanza — quale essa sia, — del fe-
nomeno che ho riferito consiste sostanzialmente in ciò, che
i globuli bianchi ponno dar luogo alla produzione di fila-
menti di fibrina, solo allora quando in essi si iniziano i
processi necrobiotici del loro protoplasma, caratterizzati
dalla cessazione di movimenti ameboidi, dalla configura-
zione sferica della cellula, dalla comparsa netta del nucleo
e frammentazione sua, dalla comparsa di granuli grossi,
di cui alcuni fortemente rifrangenti la luce.
Queste osservazioni furono da me molte volte ripetute
dinanzi ai colleghi della clinica, i quali ebbero campo di
poterli per proprio conto confermare. Piacemi a tale pro-
posito riferire il reperto di un esame di sangue eseguito
molto diligentemente dagli assistenti Romaro e Bonetti. In
un infermo affetto da nevrosi, in cui era stata provocata, per
mezzo di ripetuti e larghi salassi, una marcata leucocitosi,
Essi videro, in diversi preparati, determinarsi lentamente la
precipitazione di filamenti aghiformi di fibrina, tutti in rap-
porto con dei leucociti, i caratteri dei quali corrispondevano
perfettamente a quelli più sopra riferiti.
L'interesse di questo fatto non })uò sfuggire a nessuno,
cui sieno note le questioni che tuttora si agitano intorno
alle sostanze capaci di determinare la precipitazione della
fibrina, ed esso meriterebbe di venire seriamente studiato
colla maggiore possibile finezza di analisi, perchè la sua
conferma non sarebbe di poca importanza.
In quanto al prolungarsi di questi filamenti fino al
nucleo, io — come ho detto poc' anzi — non oso insistere
oltre, sebbene da quanto ho visto, ne abbia attinto la intima
persuasione. È troppo facile in simili casi essere vittima di
abbagli per poter professare e difendere pubblicamente una
dichiarazione recisa ; tanto più in quantochè le modifica-
zioni di rifrazione che avvengono nel protoplasma sono
T. IV, S. VII 62
(926) [4]
cosi varie, incostanti e rapide che non sempre è possibile
seguire e provare questo fenomeno.
Difatti debbo confessare che per quanto attentamente
osservassi in altri casi non mi fu possibile constatarlo. In
ogni modo però a me bastava l'averlo incontrato in molti
casi per suggerirmi ed invogliarmi a ripetere di nuovo lo
studio della coagulazione dal punto di vista un po' differente
da quanto altri avevano fatto. A tale studio mi spronava
r argomento vasto, tutt' altro che esaurito e sempre di un
grande interesse, dalle ultime ricerche di Lowit, Wei-
gert, Wooldridge, tendenti a rovesciare molte delle dot-
trine che noi a tale riguardo si possedeva finora, ritor-
nato di nuovo di attualità ed all' ordine del giorno. 11
mio intento — assai modesto e ristretto entro confini
molto limitati — fu quello di accertarmi innanzi tutto,
colla sola mia osservazione senza attenermi alla autorità
di nessuna illustrazione in tale materia, quali elementi mor-
fologici del sangue partecipano al fatto della coagulazione —
poscia di convincermi coll'esame diretto se questi elementi
sieno 0 no vitali e proprii del sangue fisiologico — in ul-
timo, indagare quale porzione del loro protoplasma abbia
più spiccata influenza nella determinazione di questo pro-
cesso.
Dovendo — come ho promesso — ritornare di nuovo e
presto su tale argomento ed esser, per quanto sia possibile,
breve, tralascio ogni ricordo bibliografico che non sia in
modo stretto necessario.
I.
Principali teorie sulla coagulazione del sangue.
Ed ora anzitutto un rapidissimo sguardo alle princi-
pali teorie chimico-morfologiche intorno alla formazione
della fibrina.
[5] - (927)
Mentre spetta ad Hunter, Kù/ine, Home Eve7\, Hew-
son, Edwards, Richardson, Thachrah, Mueller, Scuda-
raore, Dumas, Robin, Verdeil, Bèì^ard, Cooper il merito
(li essersi con criteri scientifici pei primi occupati del fe-
nomeno della coagulazione, dobbiamo riconoscere che è a
Denis di Commeì^cy e Fredericq clie si deve 1' impulso
maggiore alla iniziale soluzione delle questioni che alla
natura ed origine della fibrina si riferiscono e 1' indirizzo
serio e fecondo in cui tale studio fu avviato.
Essi ammisero nel sangue, invece che la fibrina alio
stato liquido, come ritenevano gli A. A. precedenti, la esi-
stenza di una sostanza albuminoide — chiamata plasmina
— precipitabile col NaCl e coagulabile a 56°-58*', la quale,
in grazia a trasformazioni cliimiche legate alla ìnorte del
sangue, era capace di precipitarsi sotto forma di fibrina
insohibile.
Denis preparava questa plasmina raccogliendo il san-
gue in un recipiente contenente una soluzione satura di
Solfato di soda nella proporzione di 1 p. di sangue e 7 di
soluzione sodica. Lasciati precipitare i globuli raccoglieva
il liquido soprastante, dal quale, saturato con NaCl in pol-
vere, otteneva, in fiocchi abbondanti, la plasmina.
A tale teoria furono opposte da Schmidl, Jakoivicki,
Birk delle serie obbiezioni dimostrandola insufiSciente a di-
spiegare il fenomeno molto più complesso della coagula-
zione. Ad essa ne sostituirono un' altra, nella quale era
ammesso — affinchè la precipitazione della fibrina avvenisse
— r intervento contemporaneo necessario di tre fattori, di
cui uno appartenente alla classe dei fermenti chimici, i
due altri a quella degli albuminoidi e chiamati fibrinogeno
e sostanza fìbrinoplastica.
Il fermento, secondo questi A. A., era provveduto dai
leucociti.
La loro teoria può così esprimersi : Il fibrinogeno e
la sostanza fibr ino plastica sono i materiali a spese dei
(928) [6]
quali, sotto la influenza del fiorino fermento, si forma il
coagulo della f brina.
Br'ùcke negò su])ito la importanza esenziale del fi-
brinoplaistico nel senso, come lo ritenevano Sc/tmidt e gii
altri, dimostrando che la partecipazione di questa sostanza
isolata dagli A. A. della scuola di Borpat, doveva solo at-
tribuirsi alle impurità, non pur anco note, che essa con-
teneva. Infatti isolando, con altri processi, della paragdobu-
lina purissima, egli provò che la efficacia fibrinoplastica era
sensibilmente scemata.
Hnìnmaì-sten in appoggio alle obbiezioni di Bruche
sostenne che il ClCa- ed in certe condizioni pure la caseina,
hanno, nello identico modo che la paraglobulina, un potere
fibrinoplastico.
Inoltre che questa paraglobulina precipitata col NaCl
in soluzione concentrata, ridisciolta nella soluzione allun-
gata, poscia di nuovo riprecipitata, ecc, e ciò per più volte,
perde assolutamente ogni proprietà fibrinoplastica. Anche
egli condivise l' ipotesi di Bruche, cioè che la paraglobu-
lina precipitata col metodo di Schmidt dovesse l' azione
sua fibrinoplastica a della impurità, probabilmente, secondo
H., di natura del fibrinofermento.
I successivi lavori di Schmidt ed allievi convennero
nello scemare assai della prima importanza attribuita alla
paraglobulina. Essi difatti lealmente constatarono che la
sostanza fibrinoplastica aggiunta al fibrinogeno non veniva
tutta impiegata alla formazione della fibrina, rimanendone
inerte una grande parte e che la quantità della fibrina
ottenuta non era in relazione costante colla quantità di
sostanza fibrinoplastica adoperata.
Bruche ed Hammarsten hanno quindi cosi modificato
la teoria di Schmidt sulla coagulazione:
Sotto V influenza del fibrinofermento, il fibrinogeno
si sdoppia in due sostanze: la fìbìHna che precipita ed
una globulina che rimane disciolta.
Renaut, Cohn ritennero (ipotesi già espressa da Vir-
i
[7] (929)
clìow) che il sangue sottratto all'organismo coagulasse per
la morte degli elementi morfologici suoi, i quali, agendo
come corpi divenuti estranei, determinerebbero la precipita-
zione della fibrina.
Dogiel ed Holzmann ammisero che la coagulazione
fosse dovuta ad una ossidazione del fibrinogeno. Questa
ipotesi fu dimostrata erronea da Gauiier.
Mattieu ed Urbain proposero una differente spiega-
zione di questo fenomeno. Essi avendo osservato che una
forte quantità di 00"^ scompare durante la coagulazione,
credettero poter dimostrare che il plasma cede nel mo-
mento della coagulazione dell' C0"2 alla sostanza fibrinoge-
nica che lo fissa, e questa fissazione di CO^ essere la causa
della coagulazione. L' 00^ non agirebbe, durante la circo-
lazione del sangue, sugli elementi del plasma che allor-
quando i globuli, privati della loro vitalità, sono disposti
a cedere 1' CO"^ in cui esso è trattenuto. Questa teoria fu
oppugnata validamente da Gléncn^d, Gautier, Wiirtz.
Gauiier attribuì la coagulazione ad una trasudazione
nel plasma da parte delle sostanze solubili delle emasie
appena fuori dei vasi e quindi in istato di necrobiosi.
Heynsius considerò la precipitazione della fibrina co-
me dovuta a secrezione del fibrinogeno da parte dei glo-
buli rossi moribondi.
Glènard reputò la coagulazione essere dovuta alla
cessata rinnovazione molecolare del sangue (p. 85).
Latschenherger sostenne che la coagulazione è dovuta
all' azione di un fermento sul fibrinogeno, e che questo fer-
mento non riconosce come esclusivo focolaio di formazione
i leucociti, ma ogni protoplasma sia animale che vegetale.
Quindi anche i microrganismi sarebbero dotati di questa
proprietà.
Infatti il loro sviluppo in un trasudato non sponta-
neamente coagulabile, od in un liquido fornito esclusiva-
mente di fibrinogeno, può dar luogo alla formazione di
fibrina.
(930) [8]
Il Mantegazza ha emesso a proposito della coagula-
zione la teoria seguente. Egli attribuisce questo fenomeno
ad uno stato particolare (d' irritazione, secondo 1' A.) dei
globuli bianchi, i quali, in contatto con dei corpi stranieri
o dei tessuti infiammati, od anche quando siano sottratti
al loro ambiente fisiologico, sprigionerebbero e porrebbero
in libertà una sostanza che, se non addirittura fibrina,
potrebbe ritenersi almeno la cagione della sua formazione.
In appoggio di questa opinione 1' A. cita i fatti seguenti :
i globuli rossi non sono per nulla necessari alla formazione
della fibrina ; infatti la linfa poverissima di globuli rossi,
ma ricca in globuli bianclii, si coagula spontaneamente
come il sangue, ed i liquidi formati per trasudazione sie-
rosa infiammatoria non ripetono la proprietà di coagularsi
spontaneamente che alla presenza dei globuli bianchi. Il
sangue arterioso si coagula un po' più rapidamente che
non il sangue venoso inquantochè è più ricco di leucociti
versati dal dotto toracico alla terminazione dal sistema
venoso. In molte altre circostanze questo fatto trova pure
la sua sanzione : dopo la digestione, durante la gravidanza,
alcuni processi morbosi . . . (dal Wurtz).
Freund considerando che la fibrina contiene sempre
delle ceneri generalmente costituite di calce e magnesia allo
stato di fosfati, combattè il concetto difeso dagli A. A. pre-
cedenti, per sostenere in quella vece che l' ufficio princi-
pale nella determinazione della precipitazione della fibrina
spettava al fosfato di calce. Nel sangue i sali di calcio sa-
rebbero contenuti nel plasma, mentre i fosfati alcalini nei
globuli ; questi ultimi — fuori dell'organismo — lascerebbe-
ro trasudare i loro fosfati solubili donde risulterebbe la
formazione di fosfato calcico in quantità troppo grande per
rimanere disciolto. II precipitato di tale sostanza determi-
nerebbe aduufjue la produzione della fibrina trascinando
seco il fibrinogeno del plasma e combinandosi con lui.
Strauch dimostrò insussistente simile ipotesi. Infatti
aggiungendo a dei liquidi sierosi, affatto sprovveduti di fer-
[9] (931)
mento fibrine, delle quantità forti di sali di Ca^ (fosf. e
cloruro) non ottenne nessun coagulo, che invece precipi-
tava abbondante appena tosto che nello stesso siero versava
il fermento sottratto.
Haìlibiirton trovò che le glandule linfaticlie conten-
gono il fermento già supposto e dimostrato da SchmicU, il
quale mescolato a del fibrinogeno di Hammarsten, deter-
mina hi precipitazione della sostanza nota col nome di
fibrina.
Wooldrige avendo precipitato il fibrinogeno col solo
raff*reddamento del plasma peptonizzato, sostenne che nel
plasma circolante si contenga sempre del fermento libero
(fatto stato combattuto da Barry-Haycrafl). Infirmò inoltre
le conclusioni di Halliburton sostenendo che le glandule
fresche non contengono, subito appena estratte, un vero
fermento fibrino, ma invece una sostanza madre la quale,
in seguito a processi di distruzione, può trasformarsi più
tardi in fermento o meglio è capace di mettere in libertà
il fermento esistente nel plasma e non in grado di com-
binarsi col fibrinogeno,
Mounier ritenne tutto il fenomeno della coagulazione
consistere esclusivamente nella maniera, nel tempo e nella
quantità della formazione del fermento della fibrina. Tutte
le manovre che impediscono, ritardono od accelerano la
precipitazione della fibrina, agiscono distruggendo o neu-
tralizzando o mettendo più presto in azione il fermento, il
quale è esclusivamente contenuto nei leucociti. Vi è solo
una condizione in cui questa legge forse non è ancora del
tutto applicabile, non già perchè vi contradica, ma solo
perchè non ne è ancora del tutto nota la intima ragione
ed il determinismo. Ed è la presenza del peptone nel li-
quido sanguigno. Per quale ragione questa sostanza impedi-
sce la coagulazione ? Schmidt-Miilheiin, Fano, Campbell
ritennero che il peptone agisse impedendo la formazione
del fibrino fermento ; ma non dissero in quale modo esso
esplicasse questa azione,
(932) [10]
L'A. espone diverse ipotesi, che [»erò tutte distrugge
concludendo che ancora tale questione lungi dall' essere
esaurita, come vorrebbero alcuni, si affaccia invece alla
scienza corredata di ben poche ed esatte osservazioni. Quella
che però pare al Monnier la più meritevole di considera-
zione è r ipotesi che il peptone non distrugga il fermento
fibrino, ma impedisca ad esso di agire o combinarsi col fi-
brinogeno.
Lilienfeld ha così formulato una nuova e molto in-
gegnosa teoria. Dall' estratto acquoso dei leucociti (timo,
glandule linfatiche) si precipita, trattenendola con alcool
od acido acetico, una sostanza di composizione costante :
il nucleohiston il quale contiene C 48.41, H 7.21, N 16.85,
P 3, S 0.7. Il precipitato alcoolico è solubile nell'acqua e
si coagula col calore in soluzione neutra o debolmente al-
calina.
Coir HCl il nucleohiston si scinde in nucleina (con
P 4,6 %) ed in histon, il quale ultimo in confronto col-
Vhiston isolato da Kossel nei corpuscoli rossi degli ovipari,
non ha proprietà di un propeptone o di un vero albumi-
noide coagulabile. Questo nucleohiston ha la proprietà im-
portante di mantenere il sangue allo stato liquido ed il
fibrinogeno disciolto se si aggiunge al sangue travasato, o
si inietta nel circolo. Ancora dopo 24 ore dopo il salasso,
— nel sangue così trattato — si trovano i leucociti bene
conservati ed ancora semoventi, ed eziandio bene conser-
vati anche i globuli rossi.
L' importanza dei leucociti è capitale nella determi-
nazione del fenomeno della coagulazione ; tale funzione essi
la esplicano per mezzo di una sostanza contenuta nel loro
protoplasma, cioè la nucleina. Ambidue queste sostanze —
la coagulante e la anticoagulante — sono mirabilmente fra
loro insieme combinate chimicamente come nucleohiston.
Mentre 1' hìdonplasma — cioè il plasma ottenuto dal san-
gue reso fluido col nucleohiston — non può coagulare né
per opera della diluizione, né per l'aggiunta del cosidetto
[11] (933)
fermento-flbi'ino, coagula invece per l'aggiunta di un estrat-
to acquoso di leucociti. Se alla soluzione di fibrinogeno
puro di Hammarsten si aggiunge una soluzione di nucleo-
hision puro, non avviene nessun coagulo; fatto invece che
si determina mediante l'aggiunta di un sale di calce. I sali
di calce danno dunque al nucleo histon proprietà coagu-
lanti.
L'A. trovò ancora che l'acqua di calce scinde il nu-
cleohiston nei suoi due componenti, nncleina ed histon,
e che le piastrine partecipano alla coagulazione più pron-
tamente dei leucociti perchè contengono più nucleina.
ArtJms e Pagès, per mezzo di esperienze fatte sul
sangue ossalatato e fluorurato, pervennero a dimostrare
che tra i fattori della coagulazione spetta il primo posto
ai sali di Ca^, perchè quando si arrivi, come con gli os-
salati ed i floruri alcalini, a sottrarre questa sostanza al
sangue esso non coagula più. Infatti dimostrarono eziandio
che un sangue portato a tali condizioni per 1' aggiunta di
ossalati e floruri coagula di nuovo dopo 1' aggiunta di sali
di Ca2.
Ecco le loro conclusioni.
I. Il sangue non può coagulare che a patto di con-
tenere dei sali solubili di calcio.
II. L'aggiunta di una quantità conveniente di ossalati
o di floruri alcalini, precipitando completamente il calcio,
impedisce la coagulazione.
III. L'aggiunta al sangue ossalatato o florurato di un
piccolo eccesso di sale di calcio gli ritorna la sua coagu-
labilità.
IV. La fibrina è un composto calcico ; il sale di cal-
cio è una sostanza fibrinoplastica.
Y. 1 sali di calcio ed il fibrino fei'mento sono neces-
sari alla coagulazione del sangue.
Cosi verrebbero dunque a conciliarsi le teorie di
Schmidt e di Hammarsten che, i)otrebbei'0 venire espresse
in questo modo:
(934) [12]
Sotto l'influenza del fìbrino fermento ed in presenza
dei sali di calcio, il fibrinogeno del sangue subisce imu
trasformazione chimica che dà luogo alla produzione di
un composto calcico : la fibrina.
Anche il Pekelharing ri(30iiobbe subito la grande im-
portanza dei sali di calcio, tanto che sostenne che per far
coagulare nei vasi il sangue non occorre iniettare il fer-
mento-fibrino, ma una soluzione nucleo-albumina la quale
trovando i sali di calce nel plasma è capace a formare con
questi il fermento. Con queste sue indagini, l'A. portò un
contributo di alto valore all'azione dei composti calcici nella
coagulazione, ed alla classificazione del fermento fìbrino
quale nucleo-albumina.
Recenti lavori di Lówit, Mullcr, Monnier, Cavazzani
A., hanno del pari confermato la grande importanza che
gode il calcio nel fenomeno della trasformazione del fibri-
nogeno in fibrina.
In questo riassunto di alcune principali teorie sulla
coagulazione, e che noi ci siamo sforzati di esporre nel
modo più breve possibile, non abbiamo ad arte che sorvo-
lato sulle questioni che interessano il luogo di formazione
del fermento della fibrina. E ciò perchè volevamo di tale
argomento occuparci in modo separato.
Ammesso adunque generalmente che i fattori della
coagulazione consistono nell'unione del fibrinogeno (sost.
albuminoide), del fibrinoplastico (composto alcalino terroso)
e di un fermento; conosciuta l'origine e la natura dei primi
due, vediamo ora donde nasca questo fermento.
Mentre tutti, o quasi, gli AA. precedenti stabilirono
l'importanza necessaria dei leucociti alla formazione di (jue-
sto fermenti), Bizzozero in Italia, Hayem in Francia, si fa-
cevano sostenitori di una dottrina opposta, inquantochè
ritenevano spettare ai globuli bianchi solo una funzione
secondaria ed invece doversi attribuire essa in modo es-
[13] (935)
senziale alle piastrine, un nuovo elemento morfologico nor-
male .studiato e cosi chiamato dal patologo italiano o hèma-
toblastes dal clinico francese. Questa loro asserzione veniva
avvalorata da esperienze e fatti della più alta importanza,
che fino allora erano a tutti sfuggiti, e di una ineccessibile
evidenza.
Questa nuova teoria, che così rudemente veniva a ro-
vesciare quanto fino allora erasi creduto, non poteva non
suscitare nuove indagini e nuove e vivaci discussioni, sia
a prò che a contro.
Il modo con cui essa fu combattuta fu tentando anzi-
tutto di scalzarla col negare la dignità di terzo elemento
morfologico normale a questi dischi di protoplasma e rite-
nerli, in quella vece, quali detriti dei globuli bianchi e
delle emasie (Nicolai Heyl-Rauschembach- Weigeri-Hlava-
Halla- Feiertag-Slerogt ecc.) ; col negare più tardi che
dette piastrine fossero costituite di vero protoplasma (Ló-
wit-Wooldridge) ; col concedere ad esse una importanza
secondaria di fronte a quella dei leucociti [Ziegler-Fano-
Dastre-De Giovanni).
A tutta questa corrente contraria opposero valida re-
sistenza entrambe le due scuole sostenitrici di detta dot-
trina e più tardi le osservazioni di Landoiosky, Eberth,
Schimmelbìfsch, Zencher, LUienfeld, Fusari, Laker, Mon-
dino e Sala.
Tale discussione oggi è tutt' altro che esaurita, che anzi
dopo un periodo di relativa tregua accenna di nuovo, coi
lavori recenti di Loioit, Wooldridge, Mondino, Laker,
I Alien feld, Bizzozero, Salmoli, a risvegliarsi.
Il Mosso, distaccandosi solitario da questo campo di
lotta, si è fatto invece banditore di una nuova teoria, da
lui difesa con quella genialità che gli è propria in ogni
questione che imprende a trattare e con una serietà di
argomenti degni della più grande considerazione.
Siccome avremo occasione di occuparcene ahjuanto,
lungo il nostro lavoro, onde non ripeterci inutilmente, ne
(936) [14]
riferiamo solo molto brevemente. Q.uesta dottrina consiste
neir atti'ibuii'e una capitale importanza ai globuli rossi
nel fenomeno della coagulazione, partecipazione che avre])be
luogo e sarebbe in rapporto colla loro maggiore o minore
altei'abilità. Come si vede è l'antica ipotesi di Home, Pì^è-
vost, Dumas, Sydenhan, Bocrliare, Halle)-, combattuta da
Hewaon e Murile, portata oggi di nuovo in campo e difesa
con grande abilità.
Recentemente qualche altro A. {Bauer e Meyer) ha
voluto sostenere il concetto di Schmidt, e cioè la emoglo-
bina fosse da considerarsi come una sostanza iibrinoplastica,
dallo stesso poi, in una successiva pubblicazione, abbandonato.
IL
Elementi morfologici del sangue
che partecipano alla coagulazione.
Il metodo col quale si i»uò molto 1)ene studiare la pre-
cipitazione della fibrina è quello della colletta capillare
di Hayem e modificata molto leggermente da me. Essa è
assai utile ed è preferibile al capillare di Schafer e a quello
di Malassez.
Ecco come si procede. In una lastra porta oggetti si
incollano con del collodion, o meglio della vernice indiana,
o del silicato di potassa, due coprioggetti sottili, in modo
da determinare fra essi uno spazio dell' ampiezza un pò"
minore di un altro vetrino coprioggetti. Quando ({uesta
aderenza si è fatta tenace e resistente, allora si versa la
goccia di sangue appena estratta e la si copre con un ve-
trino. Se è il caso si può con un piccolo peso }>remere su
questo, tanto che la goccia si distribuisca uniformemente.
[15] (937)
Ciò fatto, si colloca il preparato in una camera iiiiiida o
lo si lascia in riposo per alcune ore.
Dopo questo tempo viene ritirato e lavato. Il lavaggio
si eseguisce in questo modo. Si dispone la lastrina in una
direzione inclinata, colla estremità inferiore poggiante sopra
un vetro da orologio.
Nella parte superiore del preparato si lascia cadere
goccia a goccia una soluzione di NaCl al 7,5 %o, la quale
passando per lo spazio capillare trascina con se gli elementi
morfologici impigliati nel reticolo fibrinoso formatosi. Se
si procede con cura e con pazienza dopo un po' di tempo
si riesce a rischiarare perfettamente il preparato, liberan-
dolo dalla quantità degli elementi che non hanno intimo
rapporto col reticolo medesimo.
Dopo ciò si colora con una debole soluzione di Lugol,
fatta penetrare nel preparato coll'identico processo.
Se allora si pone ad esame questo reticolo si vede
che esso è costituito da una rete di fibrina a maglie piut-
tosto fitte, composta di filamenti, non molto spessi, e nep-
pure lunghi. Molte volte sono liberi alle loro estremità,
senza contrarre aderenza con nessun altro elemento, per
lo più invece essi si trovano in contatto con delle pia-
strine di Bizzozero, con dei leucociti, e con delle granu-
lazioni. Mentre in questi casi le piastrine sono profonda-
mente alterate sì da riconoscerle appena e costituite da un
ammasso informe di protoplasma con enchilema circondato
di irradiazioni di fibrina, i leucociti presentano in quella vece
delle modificazioni assai meno gravi. Essi sono però tutti
polinucleati, con nuclei bene distinti se non bene conservati,
e con granulazioni grosse, di cui alcune splendenti. La
ricchezza di filamenti che circondano i globuli bianchi è
anch'essa abbondante, però non in modo confrontabile con
quella che posseggono le piastrine, le quali sono affatto
impigliate in un fitto reticolo. Le granulazioni poi (note
da alcuni col nome di gran, di Zimmermonn e di Kòl-
liker, 0 plaques di Max Schultz — ed impropriamente di
(938) [16]
globnlhis, di Dowè, che sono di origine eritrocitica) sono
assai piccole, splendenti, colorabili colla fuxina, ed in con-
tatto anch'essi con dei filamenti. Per liquido di lavaggio
è da preferirsi la soluzione di NaCl 7,5 %o > tepida a 37°, o
la soluzione Pacini-Hayem ; 1' acqua pura non altera il
reticolo, ma gli altri elementi. Se il lavaggio si fa con at-
tenzione esso è facile e non richiede lungo tempo. E bene
agire prontamente perchè volendo colla soluzione sodica
conservare gli elementi morfologici senza alterarli, se l'o-
perazione dovesse durare a lungo i filamenti di fibrina si
gonfiano e si alterano. La fibrina in contatto con solu-
zioni alcaline passa dopo un certo tempo allo stato di
mucilagine e si trasforma in albuminosi od in alcalialbu-
mina. Per ottenere poi un preparato da conservarsi è bene
colorirlo colla pirosina o col violetto metile e fissarlo colla
gomma Damar o colla glicerina.
Questi caratteri sono da riservarsi al reticolo fibrinoso
del sangue fisiologico dei mammiferi. Perchè se noi sotto-
poniamo a questo identico processo del sangue di rana o
di piccione, dobbiamo rilevare qualche diff"erenza di poca
importanza e qualche altra, invece, sostanziale. Le granula-
zioni plasmiche appaiono in questo caso un po' più frequenti
tanto da formare in alcuni punti dei veri ammassi. 11
Ranvier ed il Renani le hanno attribuite a granulazioni
di fibrina libera perchè le si veggono talvolta — come essi
dicono — presenti nell'interno dei globuli rossi e, durante
il processo della coagulazione seguito al microscopio, farsi
più grosse ed assumere una forma stellata dalla cui punta
si dipartono i primi filamenti del reticolo fibrinoso che le
circonda. Del resto anco le piastrine durante il processo
della coagulazione nel contempo che il loro protoplasma
si fa torbido e granuloso, aumentano di volume, e nessuno
— vogliamo credere — riterrà essere desse costituite di
fibrina. Comunque, il fatto che può interessare è che il
numero di (jueste granulazioni è un po' maggiore nel san-
gue della rana, piccione ecc. che in quello dei mammiferi.
[17] ■ (939)
Ma quello che ha certamente assai più importanza è la par-
tecipazione dei globuli rossi nucleati alla formazione del
reticolo. Il lavaggio, in tale caso, rischiara molto poco il
preparato, costituito da maglie di fibrina molto fitte e che
hanno forte aderenza colle emasie. La colorazione mostra
infatti che i filamenti sono intimamente uniti ad esse. Un
altro fatto poi dimostra ancora la verità di questa compar-
tecipazione. Se si raccoglie dalla vena dell'ala del piccione
il sangue, appena fuoriuscito, in una soluzione sodica tepida,
i globuli si depongono, come si sa, dopo un certo tempo
in fondo al recipiente. Avendo cura che questo sia costi-
tuito da una provetta lunga e stretta è facile decantare
con un capillare di vetro il liquido soprastante ai globuli.
Ripetendo piiì volte questa operazione coli' aggiungere di
nuova soluzione sodica, si può arrivare al punto di sot-
trarre tutte le granulazioni ed i corpuscoli bianchi. L'e-
same microscopico aiuterà a stabilire questo punto. Ciò
fatto, allora invece di soluzione sodica si aggiunga dell'acqua
distillata in eccesso — essa distrugge le emasie e scioglie
e diffonde la loro emoglobina. Lasciando in assoluto riposo
la provetta per circa quattro o cinque ore si può, ripetendo
la decantazione accurata, ottenere da una parte un liquido
tinto di sostanza colorante e privo di emasie, dall'altra un
liquido che contiene il protoplasma disgregato — lo stroma.
Si sa che se il sangue non è stato sottoposto a nessuna
manovra meccanica, la soluzióne salina nulla, ad eccezione
di un po' di globulina, sottrae ai globuli, e l'acqua distillata ne
esporta solo dei sali e la materia colorante. Se si aggiunge
questa sospensione, un po' evaporata, in acqua a del siero dello
stesso animale, si ottiene un coagulo; se si aggiungono inve-
ce i globuli rossi non alterati coU'acqua, il coagulo è più lento
ad aversi e più scarso. Se si prepara col metodo di Ham-
marsten del fibrinogeno (Plasma 1 p. -f- soluz. sat. di NaCl;
il precipitato si lava con soluz. sat. di NaCl allung. col
suo voi. di acqua distillata — si raccoglie poi in soluz.
NaCl 8 %, si lava definitivamente in acqua bollita, perchè
(040) [18]
il fibrinogeno è solubile neU'acciua contenente ossigeno) e
si aggiunge all'aciiua che lia in sospensione i prodotti della
disgregazione della eniasie, del NaCl -|- CaCl'^, si ha della
fibrina.
I globuli rossi dei mammiferi partecipano in una ma-
niera incomparabilmente minore alla precipitazione della
fibrina ; occorre per ottenere tal fatto — almeno da quello
che abbiamo osservato, senza pretesa di riferire cifre ma-
tematicamente esatte — circa dieci volte tanto di tali globuli
di quello che si richiede con sangue di uccelli, rettili...
II Mosso nella Nota 11 dei suoi Studi sul sangue ri-
tiene invece, come ho detto più sopra, essere i globuli
rossi il fattore più importante nella determinazione della
coagulazione. Le conclusioni dell'illustre fisiologo di Torino
sarebbero adunque — almeno in apparenza — aff'atto op-
poste alle mie. Se però si osserva un po' davvicino le con-
dizioni in cui Egli ha studiato specialmente, non credo che
questa discordanza permanga a sussistere nella sua prima
intierezza. Siccome per la precipitazione della fibrina è
d' uopo che le emasie si distruggano, onde mettere in li-
bertà il fermento che contengono, il Mosso ha stabilito
questi esperimenti coi (juali verrebbe a provarsi l' impor-
tanze di esse.
1. Il sangue coagula tanto più rapidamente, quanto
più è esteso il contatto dei corpuscoli colle pareti dei vasi
nei quali si raccoglie ; se invece esso viene versato in un
liquido proplastico, precipita in fondo al vaso senza subire
alcuna modificazione. Non ha ceduto affatto della sua emo-
globina e non ha determinato la formazione di nessun coa-
gulo. Se queste emasie vengono disfatte coi dei pallini di
Pb poco dopo succederà la coagulazione. Se invece di far
cadere le gocce di sangue nel liquido proplastico, si ver-
sano sulle pareti del vetro e si fa girare il cilindro in modo
che il sangue bagni tutta il vaso, aggiungendovi dopo il
liquido proplastico questo coagula immediatamente, o poco
dopo.
[19] (941)
È da avvertire che il sangue versato ha subito la se-
lezione secondo il concetto dell' A., cioè il passaggio attra-
verso un lungo e ristretto tubo di vetro (lungh. 1 metro,
diametro del lume: 5 cm.) dal fondo del quale dopo qualche
ora si raccoglie lo strato non pur anco coagulato ; sangue
della carotide di un cane vivo passato a traverso l'arteria
polmonare ed i polmoni di un altro cane ucciso poco
prima ; sbattimento.
IL II digiuno prolungato rende il sangue poco coagu-
labile, perchè durante la inanizione si sono distrutte le
emasie meno resistenti, sopravivendo quelle dotate di mag-
giore vitalità. L'A. lo ha dimostrato non solo nei mammife-
ri, ma eziandio e con non minore evidenza, nelle rane e nelle
tartarughe, le quali, dopo aver passato l'inverno digiunando,
hanno un sangue che non coagula più o molto difficilmente :
mentre che nelle rane e tartarughe, le quali in primavera
hanno già mangiato, il sangue coagula con grande pron-
tezza. Alla fine dell'inverno i corpuscoli rossi delle rane e
delle tartarughe presentano il massimo della loro resistenza,
e perciò non coagulano prontamente.
Questi sono i due espedienti principali per mezzo dei
quali l'A. ottiene una selezione di globuli resistenti e la
dimostrazione dell'importanza della alterazione delle ema-
sie nel fenomeno della coagulazione. Io non ho potuto ri-
fare la esperienza della circolazione artificiale del polmone,
ma le altre tre, quelle cioè, che chiameremo per brevità,
del passaggio attraverso il tubo di vetro, dello sbattimento
e della inanizione, mi hanno perfettamente confermato i ri-
sultati del Fisiologo piemontese. Anzi in un breve corso di
semeiotica del sangue che io, per incarico del prof. Mara-
gliano, feci l'anno scorso nell'Istituto di Clinica Medica in
Genova nel Ferien-Cursus, mi ero già servito con vantag-
gio di alcuni di questi mezzi per dimostrare la resistenza
massima delle emasie al calore, pressione ecc. (Recentemente
questa selezione operata dal digiuno venne pure confermata
da Stefani e Gallerani).
T. IV, S. VII 63
(942) [20]
Dunque fin qui perfettamente d'accordo. La differenza
sta solo nella interpretazione del fatto. Nell'inanizione pro-
lungata fino alla morte dell'animale, noi abbiamo — è vero
— una diminuzione della coagulabilità del sangue, ma non
è forse anche possibile il pensare che ciò non debba tutto
esser per avventura attribuito alla maggiore resistenza dei
globuli rossi, ma pure alle modificazioni degli altri fattori
che sogliono intervenire normalmente alla determinazione
del fenomeno ?
Di fatti, secondo le ricerche di Sciolla e mie, nella ina-
nizione, si trova una più o meno cospicua diminuzione degli
albuminoidi in toto ; abbiamo inoltre, secondo le ricerche di
Meixner, Leube, Poe/il, Hofhieister, e specialmente F. Lus-
sarla e Devoto, che nello stato di inanizione si raccoglie nel
sangue una cospicua quantità di peptone, che ha fra le
.sue proprietà caratteristiche quella di ritardare la coagu-
lazione. Di più, i globuli bianchi dopo pochi giorni di di-
giuno diminuiscono progressivamente fino al punto da scom-
parire, un po' più tardi, affatto dal circolo (Luciani-Alber-
toni-Castellino), le piastrine seguono la stessa sorte in modo
ancora più marcato (Mondino e Sala), diminuisce pure l'CO'^.
In quanto poi alle emasie degli ovipari io ho osservato
che il nucleo dei globuli rossi del piccione dopo soli tre
giorni di digiuno è sensibilmente più piccolo della norma.
E noto pure che la nucleina di tutti tessuti durante la ina-
nizione viene consumata dall'organismo, il quale ne ossida
il fosforo che contiene. Non potrebbe adunque a sua volta
il fatto della diminuzione della sostanza nucleare comparte-
cipare con qualche peso a questa ipocoagulabilità del sangue ?
Per ciò che concerne i mezzi di selezione colla cir-
colazione artificiale del polmone, col tubo di vetro, collo
sbattimento, come si può escludere la presenza in quel san-
gue di globuli 1)ianchi ?
E cosi tutte le riguardose cautele adoperate dall'A. a
vantaggio delle emassie, non servono esse pure a tutelare
la resistenza e la vitalità dei leucociti ? Ecco dei dubbi che
[21] (943)
osiamo avvanzare molto modestamente in presenza di Chi
degli studi della fisiopatologia del sangue è veterano cultore
e conoscitore profondo.
Secondo adun(|ue il nostro umile parere i globuli rossi
partecipano alla coagulazione, ma in modo meno efficace
degli altri elementi morfoloi'ici.
Ultimamente da qualche autore (Bauer e Meijer) si è
voluto ammettere nella emoglobina una proprietà coagulante,
non sappiamo con quanto fondamento. Gli esperimenti no-
stri, come vedremo più tardi, furono sempre a tale riguardo
negativi ; si ha appena qualche sottile flocco di fibrina, trop-
po misera cosa per autorizzare una simile conclusione.
III.
Natura delle piastrine.
Ognuno vede quale importanza abbia ora lo stabilire
se tutti gli elementi che compartecipano alla formazione
della fil)rina sieno o no elementi fisiologici e vitali, oppure
se alcuni invece non sieno che un mero prodotto di deca-
dimento, tanto che lungi da possedere un'azione nella de-
terminazione del fenomeno della coagulazione, la partecipa-
zione loro sia indifferente e la presenza accidentale. Si inten-
de subito che noi qui vogliamo alludere alla natura delle
piastrine — questione così già da tanto tempo agitata e che
malgrado conti valorose difese in appoggio della dignità
loro di elemento morf. normale del sangue e della loro
importanza attiva, capitale alla coagulazione e trombosi,
pure ad ogni tratto viene ripresa e riportata sul terreno
(944) [22]
della disputa. La prima obbiezione che fu fatta al Bizzozero
che le illustrò per il primo, fu quella di negare la loro
presenza nel sangue circolante ed attribuirle ad un fatto
successivo e coordinato alla sua morte : ma provata poi
questa loro presenza nel sangue circolante fisiologico allora
si pretese attribuirle ad una disgregazione del protoplasma
degli elementi morf. normali.
Noi quindi in tanta controvesia abbiamo voluto ripi-
gliare per conto nostro questa questione ripetendo gli espe-
rimenti di Lowit, di Weigert, e di Bizzozero ed istituen-
done altri suggeritici dal momento.
Siccome il nocciolo di essa si agira essenzialmente sul
procedimento di attingere il sangue ed allestire il prepa-
rato, ci siamo sforzati di circondare le nostre indagini colle
più scrupolose cautele, cercando di eliminare ogni causa di
errore. Così per non fare subire al sangue nessun trauma
per la preparazione (i) abbiamo costrutto delle piccole cel-
lette capillari in modo che appena la goccia fuoriesce dal
membro penetri subito per capillarità nel preparato, senza
che sopra di essa abbia agito la minima manovra. Lo spazio
capillare può, a seconda dei casi, contenere nel suo interno
del liquido sodico, con o senza sostanza colorante, o del
liquido di Pacini-Hayem, o meglio ancora del siero otte-
nuto mercè salasso recente colla centrifuga (2). Le soluzioni
ed i vetrini debbono essere riscaldati leggermente prima di
venire adoperati, se 1' esame si fa sopra animali a sangue
(1) È da sconsigliarsi, come dicemmo in altra Memoria, l'uso della
glicerina e dell'olio per attutire il trauma della preparazione, perchè
queste sostanze, invece di diminuire l'alterazione degli elementi, la pro-
vocano ancora maggiore.
(2) Possibilmente sarebbe desiderabile che il siero fosse tolto dallo
stesso animale su cui si esperimonta ; in ogni modo della stessa
specie. Mondino e Sala adoperano il siero addizionato di metil-violetto
fino a raggiungere un color mammola un po' intenso e passato ad un
filtro lavato di soluzione acquosa di biclor. di mercurio 0,5 '%, . È però
da avvertire che questo siero-metile contiene pure dell' ac. osmico.
[23] (945)
caldo. In questo modo e cori tale sistema di preparazione si
tronca ogni questione se la presenza delle piastrine sia o
no dovuta a detrito del protoplasma globulare leso durante
la preparazione medesima.
Ed ora ecco brevemente le nostre conclusioni :
Le piastrine di Bizzozcro sono elementi circolanti col
sangue fisiologico. Che esse non sieno un prodotto di disgre-
gazione degli elementi morfologici, come vorrebbero Nicolai
Heyl, Hlava, Ralla, Feiertag, Lóioit, Weige?i, Wooldridge
ecc., lo prova la loro forma costante, sempre definita e per
nulla confrontabile ai veri detriti globulari, costituiti o da
minute granulazioni o da frammenti di protoplasma, i quali,
oltre ad avere un aspetto vario ed informe, si discostano in
modo assai grossolano da quello che affettano le piastrine. In-
fatti queste sono costituite da un disco di protoplasma fina-
mente granuloso nel centro e trasparente alla periferia. Que-
sto alone non è colorabile, o solo difficilmente coi colori di
anilina in soluzione alcalina, mentre invece è suscettibile a
colorarsi la porzione interna. Questi due strati di protoplasma
sono nettamente delimitati da una linea di demarcazione,
la quale, poco o punto evidente nello stato normale della
piastrina, si fa spiccata nelle condizioni di incipiente necro-
biosi. Si può — naturalmente in limiti molto più ristretti
— paragonare alle modificazioni che avvengono nei leu-
cociti nello stato di progressiva alterazione, quelle che suc-
cedono nelle piastrine nelle stesse condizioni.
In una serie di ricerche non ancora esaurite sulle af-
finUà chimiche del 'protoplasma in necrobiosi, brevemente
riassunte in un lavoro Sulle aUcraz. del sangue nella pol-
monite (1) ho dimostrato che il globulo bianco, quando
venga tolto dal suo ambiente normale, subisce delle modi-
ficazioni regressive che si possono cosi riassumere:
I. Cessazione dei movimenti ameboidi.
(l) Atti della Società di Scienze Nat. e Geogr. di Genova.
(946) [24]
IL Contigurazione .sferica del citude ('), e comparsa
del nucleo.
III. Comparsa dei processi paraplastici.
IV. Loro fusione basale.
y. Fuoriuscita di hoUe di enchilema.
VI. Fusione in sincizii e disgregazione finale.
Ebbene, se si osserva attentamente quanto avviene nelle
piastrine, si scorge che esiste fra la successione delle loro
alterazioni e quella dei globuli bianchi una qualche analogia.
Infatti la stessa modificazione sferica del leucocita la presen-
tano pure le piastrine, poiché la loro forma appiatita di
moneta si trasforma in quella di un piccolo globulo ; al-
trettanto dicasi dell'alone di enchilema che circonda del
pari il piccolo corpuscolo ; le bollicine di questa sostanza
che si forma nell' interno dei due elementi ; la forma-
zione ed unione in sincizii di elementi della stessa natura,
fusione cementata dalla viscosità caratteristica dell'enchile-
ma; disgregazione in ultimo del protoplasma.
Le piastrine — siccome quelle che sono d' assai più
labili e delicate — si distruggono con enorme rapidità, men-
tre i leucociti, più resistenti, si conservano non solo nella
piena loro integrità, ma ancora immuni dai caratteri della
loro degenerazione necrobiotica.
Questo fatto potrebbe anche dimostrare quale profonda
differenza esista fra la natura dei due protoplasmi.
Se si esamina il mesenterio o la lingua della rana, le
piastrine circolanti presentano la maggior parte un nucleo
molto evidente, (che nei preparati può essere colorito assai
bene colla rosanilina) e dei granuli risplendenti (granula-
zioni di vitellina?) Abbiamo detto: la tnaggiov parie e ciò
pensatamente perchè noi siamo persuasi — sebbene non sia
possibile dimostrarlo, come si potrebbe invece lo stesso fatto
(1) L' osservazione concerne i globuli bianchi senza ancora la deli-
rnitazione del nucleo.
[25] (947)
agevolmente dimostrare a proposito delle emasie, nei pre-
parati in vetro, stante la estrema alterabilità di questi ele-
menti — che anche in esse la evidenza del nucleo coincida
con un incipiente grado di necrobiosi.
Volendone raccogliere una certa quantità per po-
terne studiare un po' meno malagevolmente la loro natura
è necessario attenersi al consiglio di Bizzozero. Colla de-
fibrinazione del sangue, tosto uscito dalla vena, fatta con
un bastoncino di vetro, si raccoglie nella sua estremità oltre
che della fibrina, una grande quantità di piastrine. Immer-
gendo allora nella soluzione sodica questa porzione del
bastoncino, si può ottenerne un numero discreto insieme a
dei fiocchi di fibrina, che non disturbano per nulla 1' os-
servazione. L'acqua distillata le altera profondamente ; esse
si disciolgono negli alcali deboli e nel carbonato di soda
cristallizzato 1 %; l'acido acetico le gonfia e le distrugge;
altrettanto avviene per la soluzione di ferrocianuro di po-
tassio acetico ; l'acido cloridrico al millesimo con pepsina
purissima le distrugge completamente risparmiando una
porzione dei granuli della zona centrale.
IV.
Il fibrino-fermento.
In questi due precedenti e brevi capitoli abbiamo dun-
que veduto, alla stregua dell' esame fatto essenzialmente
colla celletta capillare, che alla determinazione del feno-
meno della coagulazione coìicorrono per l'ordine di effica-
cia : I. le piastrine, II. i globuli bianchi {fra i quali spe-
cialmente i polinucleati). III. le granulazioni elementari,
IV. i globuli rossi degli ovipari, V. i globuli rossi dei mam-
(948) [26]
miferi. (Q,ue.sti ultimi in modu multo deb )le). Inoltre che le
piastrine sono un elemento morfologico normale del san-
gue, e non un prodotto di disintegrazione di altri elementi.
Ciò posto, è ben naturale la domanda : In che consiste
questa azione precipitante, caratteristica di questi corpi,
sul fibrinogeno ? Se li esaminiamo alla stregua delle reazioni
chimiche già stabilite da altri, noi osserviamo che essi hanno
in comune essenzialmente una sostanza detta nucleo-albu-
mina e che, probabilmente, in ragione della quantità da
essi contenuta ripetono la intensità della efficacia coagu-
lante.
Questa pel momento non è che un ipotesi — vedremo
dopo se può meritare qualche considerazione.
Intanto cominciamo a sottoporre ad esame i globuli
bianchi — od in mancanza di una grande quantità di essi le
glandule linfatiche [Halliburton). Per avere molti leuco-
citi il miglior mezzo (Ouskoff', Orihmann, Councihnann,
Mosso) è quello di iniettare della trementina sotto la cu-
te del cane. Dall' ascesso che si forma se ne può ottenere
più di quanto occorra ad un esame. Nella provetta dove
vengono raccolti si versano sei parti di acqua distillata,
poi un po' di Na Ch e di Ch Ca^ [Liquido A). Per le glan-
dule linfatiche si procede ugualmente dopo averle triturate
e pestate. [Liquido B). Il plasma su cui questi liquidi deb-
bono reagire deve essere stato trattato primitivamente in
eccesso con solfato di soda purissimo. Se si mescola ({uesto
liquido con ciascuno degli altri due precedenti, entrambi
danno, a seconda della quantità di essi, un coagulo più o
meno abbondante e più o meno rapido. La temperatura è
quella dell'ambiente. Se si confrontano i due coaguli otte-
nuti colla stessa quantità di plasma e colla stessa quantità
di liquido A e liquido B si vede che il coagulo A è più
ricco e più pronto del coagulo P>. Dunque sia i leucociti
che le glandule linfatiche contengono un quid, un fermento
capace di coagulare il fibrinogeno di Hammarsten esistente
nel plasma, e lo precipitano in modo (lifìerente ; i primi più
[27] (949)
rapidamente, le gianduia in maniera più lenta ed un po'
meno abbondante.
Se raccogliamo in un Altro questo precipitato e lo si
sottopone a delle analisi reattive si ha: che esso non è so-
lubile in acqua, che si gonfia coU'ac. acetico al2%o, che
gli alcalini lo trasformano in mucilagine e poi in alcalial-
bumina. Le soluzioni di questo precipitato con liquidi di
solfato e fosfato di soda sono precipitate dagli acidi e dal
solfato di magnesia in eccesso.
La soda al 2 o/oq l'ende questo precipitato trasparente,
gelatiniforme.
Dunque questo precipitato è vera fibrina.
Si può fare una obbiezione. Ed è questa : Se è possi-
bile separare dai leucociti ottenuti dall' ascesso i globuli
rossi, non è possibile separarli dalle piastrine , che da
quanto alìbiamo veduto, si può ammettere siano dotate di
una forte influenza nel determinare la coagulazione. Ciò
è verissimo e noi per eliminare questo dubbio sulla pre-
senza delle piastrine abbiamo applicato il seguente esperi-
mento stal)ilito dal Bizzozet^o in indagini consimili.
Se ad un cane di 12 kg. si estrae dalla carotide 100
gr. per volta di sangue e lo si defibrina subito e poi lo si
riinietta, dopo averlo per qualche istante mantenuto alla
temperatura di 38'' e dopo averlo filtrato attraverso un
pannolino finissimo e pulito, per la vena di nuovo nel san-
gue e tale operazione si ripete varie volte (7-8), veniamo
ad avere un sangue circolante ricco in una quantità, presso
a poco normale, di globuli rossi e di leucociti, e quasi
privo di piastrine {Bizzozero, Gauthier, Freimcl ).
Questo sangue, raccolto in un vaso direttamente dalla
vena, tarda molto a coagulare. Se colle più prudenti cautele
se ne attinge una goccia per mezzo di un capillare di vetro,
provveduto di una certa quantità di siero a 35° dello stesso
sangue e, cjA procedimento descritto, si allestisce un pre-
parato microscopico, noi vediamo che questa goccia è costi-
tuita di globuli rossi abbastanza ben conservati e di leuco-
(950) [28]
citi ]»(M'rcl.t;uii('Hto iiit(>fi;i-i o dotati di pi'ocessi ameboidi at-
tivi. Non si \('d(' (jiiasi nessuna piastrina, come jiui-e nessun
filamento di lihi'iiia. Essa comiiai-ii-a dopo un certo pei-iodo
nel pi-epai-ato, appena, i i;lol)uli hiaiiclii avranno presentate
le altei-azioni già doscivitto.
Il l'eticolo che si l'orma non è mollo ablìoiidante, e ciò
é troppo naturale e da atlcndei'si data la gi'aiide (juaiitità
di lilirino^'eno che noi si è sottratta airaiiimale. E ])erò un
esperimento jiositi\o in (pianto clu^ dimostra la cai)acità dei
i^lohuli liiaiichi a i)recipit;ire ({uel poco di tìhrina che an-
cora (|ii(d sangue pos>ede\a. E tanto è vero che non è alla
deticienza del fermento che devesi attribuire la povertà del
coagulo, (die se noi versiamo in (juel sangue delle piastrine
ottenute affatto receniemente dallo sbattimento di sangue
di altro animale, il secondo coagulo che si ottiene è di ben
poco maggiore.
11 prof. Basire di Parigi pubblica in (juesti ultimi
giorni una bella Memoria intorno a ({uesto istesso argo-
mento. Tra le sue C(jnclusioni mi piace stralciarn(^ solo due
che \'engono a. confermare validamente (pianto sopra ho
detto e quanto dissi — credo pel j)rinio — in altro lavoro
int(n'no alle AUerazioni del smigue nella polmonile, e di
certo sfuggito ali" egregio A.
Egli ha seguito il sistema del salasso rìpetvio di Biz-
zozero ed ha trovato che il Hbrino fermento esiste sia nel
sangue estratto per il primo che in (juelhì tinaie : inoltre
la rapidità di coagulazione di un sangue non è, come prima
si credeva, in ragione inversa della (juantità di fibrina che
contiene, ma invece precisamente che la ('oaf/iilahililà del
sa/ngue e in rappoì'lo alla riC{d/e:-:-a di /ibr/iui. Ncdle mie
ricerclu^ ematologiche sulla lìolmonite pubblicate 1" aniu)
scorso, a\('\() aindi'io rilevato (|uesio fatto nei miei esami,
in cui ((uasi costantemente il reperto d(dla coafjìdnzione
pnnila, tenace, rapida st;na, legato a (pudlo di reticolo ah-
hondanle, fitto, talclu' così riassumevo a ([inasto proposito
nella Coìiclusume IX-/]. L' alle razione Cìtiatica consisle an-
[29] (951)
che in una modificazione del sangue, che si esplica per la
prontezza alla formazione del reticolo, per la sua tenacia
e per una abbondante p^^ecipitazione di fibrina. Da qual-
cuno troppo vincolato dalle tradizioni eternate dai trattati
non .si volle rilevare e dar peso a questa osservazione, cui
ora si presterà sicuramente fede pel fatto solo che viene
confermata da uno straniero !
Con questo esperimento io credo che si possa a buon
diritto dimostrare che alla formazione del coagulo parte-
cipano anzitutto le piastrine, le quali essendo prime ad al-
terarsi determinano più prontamente la precipitazione della
fibrina, in secondo luogo i leucociti.
Ma vi è ancora un altro esperimento con cui l'effica-
cia dei globuli bianchi, in questo senso, può essere pure
provata. Al cane sottoposto al procedimento di Bizzozero e
di Dastre, dopo l'ultima sottrazione di sangue, si inietti
sotto la cute una soluzione di nucleina contenente 0,50 di
questa sostanza, (i)
Dopo 8^-10''-15^ si osserverà che i leucociti sono pro-
fondamente scemati perchè se ne sono distrutti {^). Faccia-
mo allora un'altro salasso all'animale di 200 cm^ e lasciamo
depositare il sangue per alcune ore, onde ottenere il siero (3).
Questo siero contiene una quantità abbondante di nucleina
dovuta alla distruzione dei leucociti più a ({uella che abbiamo
iniettato.
Se sul plasma, trattato come già più sopra dicemmo, si
(1) Sentiamo il dovere di ringraziare vivamente il Prof. Jnnoxrshl
della clinica boema di Praga ed il D."" Horbaczexoshi, i quali con una
rara amabilità hanno voluto cortesemente fornirci reiterate volte il mezzo
di avere una nucleina purissima.
(2) In alcune ricerche che ho fatto sulla azione della nucleina som-
ministrata artificialmente nell'organismo, ho trovato che talvolta la
distruzione dei leucociti in circolo può arrivare a tal punto da trovar-
vene difficilmente.
(3) La defibrinazione non é possibile quasi mai per la rapida coa-
gulazione che avviene del sangue appena fuoriuscito dall' afteria,
(952) [30]
fa agire questo siero, si ottiene della fibrina in un tempo
più breve del V esperimento fatto col salasso ripetuto di 1>.
Invece di iniettare la nucleina, si inietti della pirodinu e si
avrà del pari subito una distruzione di leucociti ed il siero
ottenuto dal coagulo avrà le identiche proprietà.
Questo si deve a che la nucleina, come la pirodina
hanno distrutto più prontamente i leucociti e determinato
la fuoriuscita del loro fermento-fibrino in modo più rapido
di quanto non avviene spontaneamente nel sangue non trat-
tato con dette sostanze ed abbandonato a sé stesso. In
quanto alla capacità di agire del siero coartato dal coagulo
come fermento, noi non sapremmo come spiegarcela se non
coll'ipotesi di Fick il quale riferisce alla teoria della coa-
gulazione del sangue quella dell'azione degli enzimi, giu-
sta la (juale una molecola di fermento prende il posto di
una molecola del corpo a trasformarsi e costituisce cosi
una combinazione passeggiera, ottenuta la quale la mole-
cola del fermento viene a essere separata e rigenerata per
la sostituzione di una molecola di acqua. Dunque il fer-
mento lungi dal distruggersi verrebbe ad essere di nuovo
ripristinato quasi integralmente.
Questo avviene però (juando non si sia agito in modo
da alterarlo, perchè se in questo siero noi versiamo delle
sostanze capaci di modificarlo sostanzialmente, la sua pro-
prietà sarà d'altrettanto paralizzata. Così pure se in un li-
quido ricco di fibrinogeno di Hammarsten invece di versare
in acqua i leucociti, ottenuti dall'ascesso colla trementina,
si versano invece in alcool comune (00°) in alcool a 70° a
90°, il precipitato sarà meno abl)ondante e d'altrettanto
più lento a formarsi quanto più alcool contiene.
Lo stesso avverrà in presenza di acidi, anche in de-
bole quantità, di peptone, di fermento peptico-pancreatico
di Albertoni.
Perchè tutto questo ? Eppure sia l'alcool, che gli acidi,
che il peptone, che il fermento peptopancreatico producono
una distruzione dei leucociti e questo fatto dovrebbe, da
[31] (953)
quanto tìn'ora fu esposto, agevolare anziché l'itardare o;l
impedire addirittura la coagulazione. La ragione sta in ciò
che appunto queste sostanze, uno alla disgregazione del
protoplasma, distruggono eziandio il fermento fihrino, —
cioè la nucleina.
Questi fatti che è possibile rilevarli a proposito dei
globuli bianchi è assai malagevole ripeterli sulle piastrine
per la difficoltà di ottenerne in grande copia. Per esse è
necessario la indagine microchimica come noi ci siamo atte-
nuti e di cui abbiamo detto quanto è sufficiente per attribuire
il loro fermento alla quantità considerevole di nucleina
che contengono. La loro costituzione è dovuta essenzial-
mente di nucleo-albumina di Hammarsten, cioè di un pro-
teide combinato a nucleina {cel globulin di Halliburton) e
di mucina.
Veniamo ora ad una questione di grande importanza
e molto discussa. Alla ricchezza dei globuli rossi in fibrino
fermento ed alla influenza loro sulla precipitazione della
fibrina. Nei preparati a celletta capillare abbiamo già ri-
ferito come alla formazione del reticolo poco concorrano
i globuli rossi dei mammiferi, o per essere più esatti,
come il rapporto fra essi ed il reticolo sia fragile e facil-
mente col lavaggio superabile, mentre invece altrettanto non
sia dei corpuscoli rossi della rana e del piccione. Questa
differenza, secondo il concetto nostro, dipende che questi
ultimi elementi sono nucleati e riccamente provvisti quindi
di nucleina.
Fu Lauder Brunton quegli che pel primo ha dimostra-
to i corpuscoli rossi degli uccelli contenere della mucina,
cioè una sostanza ricca di nucleo-albumina, estraibile trat-
tando quella con acqua di calce e riprecipitando con acido
acetico. Plosz ha riscontrato che queste emasie conteng«)no
(954) |;32]
una percentuale elevata di fosforo e della vera nucleina,
identica a quella ottenuta da Miescher nel pus. Contraria-
mente a Sturge^, il quale ritiene essere questa sostanza pre-
sente esclusivamente in alcune cellule e solo cioè in quelle
provviste di nucleo, Worm-MilUer invece pretende che
ogni protoplasma ne è, in (juantità variabile, sempre prov-
veduto.
Schioartz e Flemming credono che di essa sia costi-
tuita quella sostanza nota in microscopia sotto il nome di
cromatina.
Hoppe-Seyler, Schmidt, Semmer hanno trovato, con
indagini molto estese, che i corpuscoli rossi dei rettili, uc-
celli ecc. contengono una grande quantità di nucleina, mentre
invece ne hanno appena traccie quelli dei mammiferi. Wool-
dri'lge mentre conviene in parte con questi risultati, so-
stiene d'altro canto che le emasie dei mammiferi sono for-
nite invece che di nucleina, di una piccola quantità di
lecitina — sostanza appartenente al nucleo albumine e
studiata da Tolmatscheff — che ha la proprietà anch'essa
di coagulare la fibrina. Krùger anch' egli ritiene esistere
nei corpuscoli rossi dei mammiferi una sostanza capace
a questa funzione. Altrettanto Halliburton e Friend. Lan-
dois nel 1874, ripetendo nel coniglio gli esperimenti da
Heynsius fatti sul sangue di cavallo, constatò la partecipa-
zione dei globuli rossi alla determinazione del coagulo della
fibrina. Egli sperimentò versando una goccia di sangue
defibrinato in siero di rana e chiamò col nome di fibrina
dello stroma la fibrina che proviene direttamente dallo
stroma di queste emasie, mentre fibrina del plasma quella
determinata dall' azione del fermento fibrino sul fibrino-
geno. Bonne ha espresso pure l' ipotesi che i globuli rossi
dei mammiferi possano, distruggendosi, mettere in libertà
del fermento librino.
Come si vede, mentre la partecipazione al processo
della coagulazione da parte dei globuli bianchi e delle pia-
strine è da tutti generalmente ammessa, tanto che ciò ci
[33] (955ì
potè dispensare dal riferire la lunghissima letteratura ci
ejumciazione di quanti 1' hanno sostenuta ; quella invece
dei o'iobuli rossi è tutt' altro che una questione risolta.
Perciò noi abbiamo tentato, seguendo lo stesso proce-
dimento indicato, di occuparcene. E per non ripetere detta-
gliatamente di nuovo i particolari degli esperimenti, diremo
solo che la osservazione macroscopica confermò pienamente
quanto avevamo già dubitato dall' esame in vitro fatto colla
celletta capillare : e cioè che i globuli rossi del piccione
sono forniti di nucleina e di librino fermento e possono
partecipare in modo discreto alla coagulazione ; quelli in-
vece del coniglio sono scarsi di nucleina e fermento fibr.
e partecipano alla formazione del coagulo con scarsa effi-
cacia, dando solo fiocchi poco abbondanti di fibrina. (La
separazione della nucleina si può fare molto bene col me-
todo del Wurtz o di Horhaczeiosky).
Ci resta ora a dire dell' azione analoga, presunta re-
centemente da C. Bauer e H. Meyer, dell' Emoglobina.
Questi A. A. iniettando dell' emoglobina nelle vene di
animali hanno osservato che il sangue, ottenuto dal salasso
praticato poco tempo dopo, aveva una più marcata tendenza
a coagularsi che non allo stato normale, e che alcuni co-
nigli sottoposti all' esperimento erano morti di trombosi.
Essi però non dicono quale emoglobina fosse stata adope-
rata, se di specie affine all' animale o differente e come
ottenuta. Già da lungo tempo Schmid!, Jakowicki, Birk,
Edelberg, avevano rilevato come la iniezione endovenosa di
emoglobina, di specie differente, determini una rapida ed
estesa distruzione dei globuli bianchi. Più recentemente
Tvanski, ripetendo le indagini di Hoppe-Seyler, Kiìhne,
Hermann, Tarchanoff, Pellacani, ha riscontrato che questa
sostanza può determinare non solo leucolisi, ma anche di-
struzione di emasie e provocare delle itterizie ematogene
da emolisi; cosi Landois, che il sangue di pecora distrugge
(956) [34]
rapidamente i £,4ohiili dell'uomo con più rapidità ed energia
che non quell ) del cavallo e coniglio, tanto da dar luogo
ad una precipitazione endovasale della fibrina dello slroma.
Altrettanto affermano di aver osservato Naunijn e Fran-
cken (1).
Quindi non é 1' Emoglobina per sé che abbia la pro-
prietà, mediante la presenza di fibrine-fermento, (di cui è
priva) di favorire la coagulazione ; essa agisce in modo
indiretto e determina la coagulazione portando delle gravi
distruzioni sul sangue.
Del resto è molto facile convincersi di ciò. Si versi
del sangue, appena esce dalla vena, in una soluzione 1,5 %
di NaCh. Lasciato in riposo questo liquido per 24 ore, con
una pipetta capillare lo si decanti in modo che rimanga
solo uno strato, quanto è possibile, povero di soluzione so-
dica e costituito di pure emasie. Si aggiunga allora dell'ac-
qua distillata contenente 0,15-0,20-0,25-0,30-0,35-0,40-
0,45 - 0,50 di NaCh a tante porzioni di questo sangue. In
tutte queste provette avremo una diffusione più o meno
abbondante di emoglobina che viene raccolta mercè decan-
tazione.
L' acqua distillata provoca, è vero, la pronta diffusione
di tutta r emoglobina, ma scioglie pure le emasie — ed è
ciò che noi non vogliamo. Desiderando studiare l'azione di
questa sostanza senza che sul liquido vi siano raccolti in
quantità grande e sciolti dei detriti del protoplasma, il
metodo migliore da seguirsi è quello testé descritto. Se si
esamina difatti coi liquidi comuni fissativi il fondo del vaso,
vi si vedono dei globuli che conservano il loro colorito
(1) L'anno scorso insieme col D/ Laurenti abbiamo provato nella
Clinica Medica di Genova ad iniettare negli animali e nell' uomo della
emoglobina purissima, cristallizzata, omogenea ed abbiamo costante-
mente ottenuto, anziché dei vantaggi, dei risultati negativi. Abbiamo
pure riscont'*ato che la emoglobina di sangue differente ha un' azione
marcatamente emolitica, sì da rendere la sua somministrazione pericolosa.
t35] (957)
normale e quasi anche la loro forma fisiologica, altri in-
vece più o meno alterati nei loro diametri e variamente
scolorati.
I detriti del protoplasma appartenenti a globuli distrutti
sono assai scarsi.
Ottenuta adunque questa soluzione di emoglobina la si
fa evaporare ad ima dolce temperatura fino ad avere un
liquido che dia, — mescolata una parte a quattro di acqua
distillata, — il 100 di Fleischl. Si versi allora questa so-
luzione concentrata a del plasma preparato col metodo solito
— non si avrà nessun coagulo.
Conclusioni e considerazioni generali.
Anche in questa ultima parte del nostro lavoro saremo
brevissimi.
Vogliamo qui ora raccogliere in modo sintetico quanto
le nostre osservazioni ci hanno condotto a ritenere.
I. — Le piastrine sono un elemento morfologico, vitale,
normale del sangue circolante.
II. — La coagulazione della fibrina è facilmente determi-
nata da un fermento che si trova, in ordine di
maggior energia o quantità, nelle piastrine, leu-
cociti, globuli rossi nucleati, granulazioni.
III. — I globuli rossi dei mammiferi hanno un valore
minore nella precipitazione della fibrina.
IV. — L' emoglobina non ne ha nessuno.
V. — L' estratto acquoso di piastrine, di leucociti e di
emasie nucleate, determina rapidamente la coa-
gulazione della fibrina se esso venga versato in
plasma contenente fibrinogeno di Hammarsten.
VI. — wSe le piastrine, i corpuscoli bianchi e rossi an-
ziché in acqua vengono sospesi in soluzione so-
T. IV, S. VII 64
(958) [36]
dica normale e poi versati nel plasma, — la
coagulazione avviene più lentamente.
VII. — Alcune sostanze (alcool - acidi - peptone - fer-
mento pepto-pancreatico) hanno la proprietà di
diminuire od impedire, a seconda della dose, la
coagulazione della fibrina.
Vili. — Le piastrine hanno la stessa reazione delle
nucleo-albumine e possono ritenersi costituite
essenzialmente di esse (nucleina, mucina, cell-
globulin di Halliburton).
IX. — I globuli bianchi ed i rossi degli ovipari disciolti
neir acqua danno anch' essi la reazione della
nucleina.
X. — La iniezione di nucleina di Janowski ed Horbac-
zewski produce una distruzione di globuli bianchi
piastrine ed emasie. Se la dose è forte la distru-
zione dei globuli è imponente e può 1' animale
morire per trombosi. Il sangue estratto mercè
salasso ha una spiccatissima tendenza a coagu-
lare. Il siero ottenuto dal coagulo ha la proprietà
di precipitare la fibrina dal plasma preparato
secondo Hainmarsien ed HalUburion.
Da tutte queste conclusioni risulta che il fibrino-fer-
mento di Schmidt è contenuto nelle piastrine, globuli
bianchi, — specialmente polinucleari, — globuli rossi nu-
cleati, ed, in molto minore quantità, in quelli dei mammi-
feri ; che questo fib. ferm. è abbondante in elementi adunque
ricchi di succo nucleare ; che le sostanze che mettono in
libertà la nucleina, dopo aver disciolto i corpuscoli, faci-
litano la coagulazione ; che quelle che la distruggono, la
ritardano ed impediscono ; che iniettando la nucleina nel
circolo, la coagulazione del sangue tolto con salasso è mar-
catamente aumentata, ed il siero ottenuto dalla coartazione
del coagulo è cosi ricco di questa sostanza da esser capace
a coagulare il fibrinogeno di altro plasma.
[37] (955))
Secondo noi, è adunque, da accettarsi 1' ipotesi di
Lilienfeld, che il fermento librino sia cioè una nucleo-al-
bumina.
Mi è grato dovere esprimere sincere azioni di grazia
all'Ili. Prof. Comm. A. De Giovanni, Direttore della Clinica
Medica di Padova, per avermi coi suoi consigli validamente
aiutato in queste ricerche ed aver messo largamente a mia
disposizione i Laboratorj del suo Istituto ; ringrazio pure
r Egregio Prof. Nasini, Direttore dell' Istituto di Chimica
Generale, per avermi consentito anch'Egli l'ospitalità nei
suoi Laboratorj, ed i Prof, di Chimica Anderlini e Carrara
dei cortesi suggerimenti datimi.
Padova, Gennaio 1893.
(96Ò) [3g]
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Salvioli. — Accad. di Medicina di Torino. 1892.
Prezzo della Dispensa
Fogli 11 Va a Cent. 25 . . L. 2.88
ATTI
DEL
R. ISTITUTO VENETO
D I
SCIENZE, LETTERE ED ARTI
(TOMO LI)
SKRIE SETTIMA - TOMO QUARTO
DISPENSA SETTIIVIA
VENEZIA
PRESSO LA SEGRETERIA DEL R. ISTITUTO
Nia. PALAZZO lorehan
TIP. CARLO ,-FERRARI
^'w 1892-93
Pubbl. il 18 Giug-no 189:5
INDICE
Atto verbale dell' Adunanza ordinaria del giorno 27 giugno
1893 pag. 963
Lavori letti per la pubblicazione negli Atti
P. Fambri, m. e. — Intorno alla utilità ed alla possibilità
del tradurre. Considerazioni e degressioni a
proposito di una pubblicazione di E. Teza . pag. i-xv
A. De Giovanni, m. e. — Fisio-patologia della nevrosi.
Parte prima (Sunto dell' Autore) ...» 967
E. Teza, ra. e. — Tradurre ? Due lettere al Segretario
dell'Istituto » 972
A. Tamassia, m. e. — Su alcune condizioni fisiche del
cordone ombellicale. Ricerche .... » 989
G. B. De Toni, s. c. e Paolo Mach. — Sopra l'influenza
esercitata dalla nicotina e dalla solanina sulla
germogliazione dei semi di tabacco Nota. . » lOOt
G. Canestrini, P. A. Saccardo, A. Keller relatore, mm.
ee. — Descrizione e proposte, per combattere
la Diaspis Pentagona, Targioni Terzetti, o coc-
ciniglia del gelso » 1011
M. Bellati, T. Martini. E. Bernardi relatore, min. ee. —
Relazione della Giunta che prese in esame le
Memorie presentate al concorso scientifico al
premio della Queriniana, scaduto il 31 dicembre
1892 « sul tema delle caldajo a vapore ». . » 1031
L. LuzzATTi, A. Rossi, F. Lampertico relatore, mm. ee. —
Relazione della Giunta che prese in esame la
Memoria presentata al Concorso scientifico al
premio della Quiriniana, sul tema : « della po-
litica commerciale internazionale ». . . » lOi^S
Atto verbale dell'Adunanza solenne del giorno 28 Maggio
1893 » 1043
P. Fambri, m, e. — Relazione sui premi scientifici e sulle
onorificenze agli industriali veneti ...» 104.5
A. Rossi, m. e. — Il concetto morale odierno, nella eco-
nomia politica. Discorso ...... 107.5
ANNO 1892-93 DISPENSA VII/
ADUNANZA ORDINARIA
DEL G-lORIsTO S7 IvlA-G-G-lO 1893
^i— ©--r-^
PRESIDENZA DEL COMM. PROF. GIULIO ANDREA PIRONA
MEMBRO EFFETTIVO PENSIONATO ANZIANO
Sono presenti i membri effettivi : Fambri, segretario, Ber-
CHET, vicesegretario, Vlacovich, Trois, J. Bernardi,
Beltrame, Rossi, De Giovanni, Keller, Deodati, Ste-
fani, Teza, Martini ; nonché i soci corrispondenti :
Occioni-Bonaffons e G. B. De Toni.
Sono giustificati gli assenti membri effettivi : De Betta,
presidente, Minich, vicepresidente, Lampertico, Favaro,
Omboni, Fertile, Morsolin, Tamassia.
Il Segretario avverte che non potendo oggi intervenire
alla seduta per causa di malattia, né il Presidente né il
Vicepresidente, deve fungere da Presidente il membro
anziano fra i presenti, cioè il comm. Pirona ; il quale
assume quindi la Presidenza.
Letto ed approvato l' Atto verbale della precedente
adunanza, l' Istituto unanime invita la Presidenza ad espri-
mere al comm. De Betta ed al Senatore Minich i voti
più sentiti per la loro sollecita guarigione.
Il Presidente annuncia la grave perdita fatta dall'Isti-
T. IV, S. VII 66
964
tuto del membro effettivo pensionato prof. Senatore Giam-
paolo Tolomei, della quale fu data già partecipazione ai
colleglli (1).
(1) Colla seguente lettera circolare:
N. 183 Venezia, li maggio 1893
Ai chiarissimi Meml)?i del R. Islituto
Con r animo profondamente commosso, adempio al tristissimo ufficio
di partecipare la grave perdita del nostro illustre collega, prof. comm.
Giampaolo Tolomei, Senatore del Regno.
Quanto Egli fosse stimato dai colleghi e da tutti coloro ch'ebbero
la fortuna di conoscerlo, lo dimostrano gì' importanti uffici, sempre con
grande onore disimpegnati, ai quali fu chiamato dalla pubblica fiducia
e dalla stima generale del forte suo ingegno, dell'operosità sua e della
sua onestà.
Fu presidente della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di
Padova — socio corrispondente di quella di Palermo, dell' Olimpica di
Vicenza e della Virgiliana di Mantova — due volte Rettore della R.
Università di Padova, ed attualmente Preside della Facoltà di Giuri-
sprudenza, nella quale insegnava da quasi iiiezzo secolo.
Acuto e dottissimo penalista, della scuola classica, fece importanti
pubblicazioni che saranno fonte utilissima per nuovi studi : fra esse è
da notarsi il lodatissimo suo Corso di diritto naturale — il Diritto
penale filosofico e positivo e una grande quantità di lavori, molti dei
quali onorano gli Atti del R. Istituto.
Il profondo sapere e V attività sua fecero sì che Egli fosse chiamato
a formar parte di molte ed importanti Commissioni, e particolarmente
di quella per la compilazione del Codice Penale, il cui Progetto del
1868, in gran parte fu opera sua. Né gli mancarono onorificenze non
ambite ; né il sommo premio alla sua lunga e costantemente utile ope-
rosità, il seggio al Senato, da lui, piii che come un onore, accettato
come un carico ed vin ufficio da disimpegnarsi con ogni zelo.
La lunga età potè dargli la soddisfazione, ch'era la sua piii grande
compiacenza, quella cioè d'aver fatto un gran numero di allievi, che i
più distinti giureconsulti del Veneto furono suoi scolari.
E noi che per molti anni abbiamo avuto per collega amatissimo e
965
L' Istituto fu degnamente rappresentato ai funerali del
defunto alla cui famiglia furono mandate le più sentite
condoglianze.
Comunica quindi la seguente lettera di S. E. il Mi-
nistro della Real Casa, in risposta all' indirizzo innalzato
alle Loro Maestà nella occasione delle Nozze d' argento :
MINISTERO DELLA R. CASA
Segreteria particolare
DI Roma, 24 aprile 1893
S. M. IL Re
N. 2984
Nella fausta ricorrenza delle Reali Nozze d'Argento, codesto Istituto
mi ha onorato dell' incarico, da me sollecitamente compiuto, di presen-
tare i suoi felici auguri ai Nostri Augusti Sovrani.
Al Re ed alla Regina è riuscita di vivo gradimento questa conferma
di devoto affetto Loro data da un Istituto a nessun altro secondo nel
mantenere le gloriose tradizioni dell' arte e della scienza italiana, e
verso il quale vogliono che io mi renda interprete dei ringraziamenti
Sovrani per il gentile atto di omaggio reso alle Maestà Loro in cosi
lieta circostanza.
Mi affretto ad esprìmerle i benevoli sentimenti Reali, onde Ella
possa a sua volta significarli agli illustri suoi Colleghi, e mi pregio
attestarle con 1' opportunità. Signor Presidente, la mia ben distinta con-
siderazione.
Il Ministro
Ill.tno Signor U. Rattazzi
Presidente del R. Istituto Veneto
di scienze^ lettere ed arti
Venezia
compagno indefesso di lavoro Giampaolo Tolomei, a lui porgiamo reve-
renti e commossi 1' estremo vale, mantenendo perenne la ricordanza del
suo valore scientifico e della bontà del suo animo.
IL vicesegretario
M. E. G. BERCHET
Partecipa che pervenne air Istituto V invito ali* inau-
gurazione del monumento agli eroi caduti nella memorabile
giornata di Curtanone e Montanara ; ed altro invito per
sottoscrivere ad un ricordo marmoreo pel valente glottologo
Senatore Flechia.
E finalmente comunica 1' elenco dei libri ed opuscoli
donati all' Istituto dall'ultima adunanza, facendo particolare
menzione del volume degli Alti della R. Università di
Genova, pubblicato in occasione del IV centenario Colom-
^biano — del volume In Niibia del m. e. Beltìmme, pre-
miato dalla Società geografica italiana — degli Atti del
Congresso botanico internazionale di Genova del 1892 —
e dell' Opera del prof. Todaro : Ricerche fatte nel labo-
ratorio di anatomia normale della R. Università di Roma
ed in altri laboratori biologici. Voi. Ili, fase. I.
Dopo di ciò furono presentate e lette le seguenti Me-
morie ;
Dal m. e. Keller — Sulla Durra e sui Sorghi (Con-
tinuazione e fine).
Dal m. e. De Giovanni — Fisio-patologia della ne-
vrosi (Parte I."").
Dal m. e. Teza — Tradurre? Due lettere al Segre-
tario dell' Istituto.
Dal s. e. De Toni e sig. P. Mach — Sopra l'influ-
enza della nicotina e della solanina sulla germogliazione
dei semi di tabacco. Ricerche sperimentali.
L' Istituto si è quindi raccolto in adunanza segreta,
nella quale si occupò della trattazione di vari aff'ari posti
all' ordine del giorno.
FISIO-PATOLOGIA DELLA NEVROSI
PARTE PRIMA
DEL M. E. A. DE GIOVANNI
(Sunto dell' Autore^
L' estensione del mio studio sull' argomento, del quale
ho r onore di tenere parola oggi davanti a miei onorevoli
Colleghi, oltrepassa i limiti delle nostre comunicazioni de-
stinate a comparire sugli Atti del r. Istituto ; però ho di-
visato di riferire brevemente ciò che credo necessario per
spiegare il concetto del lavoro.
Da quando ebbi ad occuparmi della Patologia del Sim-
palico, mi si è presentato innanzi alla mente un problema,
intorno al quale ho poi lungamente meditato, seguendo
ora r impulso dei fatti clinici, ora quello delle risultanze
sperimentali, ora quello delle leggi generali biologiche. E
mentre cresceva per opera dei più rinomati cultori mo-
derni della nevrologia la mole delle cognizioni cliniche
intorno alle nevrosi, a me sembrò che rimanesse tuttavia
misteriosa la vera causa delle medesime, quella causa che
è insita negli organismi umani — la causa predisponente
— senza della quale le altre cause non agiscono. A me
sembrò pure inesatto tanto il dire che le nevrosi hanno
da considerarsi come malattie sine 7nateria, quanto fuori
di proposito attendere che 1' anatomia patologica ci riveli
la speciale alterazione del nervo che le determina; e tanto
più m' è sembrato erroneo sostenere, che noi non cono-
sciamo che degli accidenti nevrosi, ma non 1' entità pato-
logica della nevrosi.
(968) [2]
In questa I."" Parte del mio lavoro intendo obbiettare
categoricamente questi tre punti della dottrina nevrologica,
dimostrando : 1 che tutte le principali forme nevrosiche
derivano da una condizione particolare dell' organismo,
che necessariamente le precede ; — 2. che questa condi-
zione particolare dell' organismo è congenita e si collega
ad altre anomalie di organizzazione e funzionali che, se
non in tutto, in parte si possono riconoscere ; — 3. che
queste particolari condizioni danno luogo a ciò che io dirò
nevrosi costituzionale. — E ciò porta la conseguenza, che
tanto alla nevrosi, come alle forme nevrosiche, od accidenti
nevrosici, che ne derivano, non corrispondono né queste, né
quelle alterazioni, che suole indagare 1' anatomia patolo-
gica ; ma corrispondono aberrazioni di sviluppo special-
mente del sistema nervoso e conseguentemente di funzione
delle parti che ne subiscono 1' influenza, per cui, date le
volute circostanze, viene a poco a poco a manifestarsi la
forma clinica della nevrosi, varia a norma dei casi.
Base della mia dimostrazione sono i fatti. — Questi
mi hanno insegnato, che investigando i precedenti fisiolo-
gici di coloro che offrono l'una o l'altra forma nevrosica,
assai tempo prima che questa comparisca, hanno presentato
indizi per i quali, o l' innervazione cerebrale, o la spinale
o la gangliare, veniva riconosciuta in qualche modo ed in
diversa misura singolare, offriva quel fenomeno che ordi-
nariamente dicesi idiosincrasia. Vocabolo che io adoprerò
nel senso più lato possibile, per indicare un modo non
comune di reazione nervosa, tanto di una parte, quanto
di un' altra del sistema cerebro-spinale e del simpatico.
Cosi stando le cose, io mi chiedeva e mi chiedo : quando
adunque incomincia veramente la nevrosi ? Quando questa
assume la forma clinica convenzionale, oppure quando
suole manifestarsi in quella guisa mite, larvata, che di-
cemmo idiosincrasia ? Io dico che questa è veramente da
pigliarsi come la vera nevrosi fondamentale ; questa la
vera ragione predisponente per 1' altra, che si chiamerà
[3] (969)
poi con un nome o con un altro ; questa infine che so
originata coli' organismo, venuta crescendo, modificandosi
mano mano che 1' organismo evolve e si trasforma.
Se dopo avere apprezzato questo fatto, senza del quale
non si farà mai completa la storia di qualsiasi nevrosi,
vorremo prendere in esame gli organismi degli affetti dalle
differenti forme nevrosiclie, noi conforteremo il nostro
pensiero con altri fatti importantissimi. E questi sono tutti
quelli che si riferiscono alle anomalie costituzionali. Im-
perocché i nevrosici, indistintamente presi, portano le note
più classiche del linfatismo, o dell' erpetismo, o dell' artri-
tismo, 0 sono polisarcici, o diabetici, o gottosi, o sotto la
influenza di cronici avvelenamenti. E se a tutto questo
aggiungo anche ciò che io chiamo il criterio morfologico,
cioè quel tanto di sproporzione che, mercè opportuno me-
todo di esame, si riconosce sussistere nello sviluppo delle
diverse parti del corpo, io credo che quel fatto, che ci ap-
parve sin dal principio delle presenti considerazioni legato
alla costituzione individuale, perchè originato coll'individuo,
assume un carattere già più concreto e direi materiale.
In fatti le odierne ricerche embriologiche ed anatomo-
comparato insegnano, che gli elementi nervosi meno evo-
luti hanno corrispondente grado di eccitabilità, di resistenza;
che gli organi nervosi, che ne risultano composti, presen-
tano disforme attività, modo differente di reagire, singo-
larità di azioni riflesse ; che gli organismi ne' quali fun-
ziona il sistema nervoso così irregolarmente sviluppato,
sogliono avere manifestazioni caratteristiche anche nella
nutrizione, nelle secrezioni, come negli appetiti, nelle
tendenze ecc. In tale combinazione di elementi si vede la
nevrosi costituzionale, che per la mitezza può passare inos-
servata, ma che per il sopraggiungere di altre cause —
eccessi funzionali, esaurimenti, autointossicazioni, avvelena-
menti, patemi ecc. — essere indotta a manifestazioni più
evidenti, più gravi e caratteristiche per le diverse forme
cliniche.
(970) [4]
Tutto ciò, come dissi, rende chiaro, che la nevrosi è
ima condizione morbosa costUuzio?iale, quindi tale che
non può dirsi sine materia.
Se poi ora andiamo a vedere il modo col quale si
preparano le forme cliniche delle nevrosi, non che le loro
manifestazioni accessionali, ci si presenta quanto segue :
1° la disponente costituzionale ; — 2" anomalie funzionali
vaso-motorie in quella parte del sistema nervoso che pre-
siede alle effettuazioni fenomeniche della nevrosi ; — 3°
alterazioni del chimisno organico, per cui si determina uno
stato discrasico, o di auto-infezione, quindi di stimolazione
morbosa degli elementi nervosi da parte di corpi o sostanze
che dovrebbero non prodursi, o prodotte dovrebbero essere
prontamente eliminate.
Qui alludo a quelle sostanze delle quali si fa oggi
giorno particolare oggetto di studio — i cosi detti alca-
loidi animali o tossine. In proposito le mie osservazioni
sopra sperimenti fatti eseguire specialmente sulle orine dei
nevrosici, non che su quelle delle persone affette da qualche
fenomeno morboso influito dalla stitichezza, sebbene non
abbiano un decisivo valore, pure collimano con quelli di
altri per dimostrare, che a certe manifestazioni cliniche
delle nevrosi concorre anche l'assorbimento di tossine pre-
paratesi nel tubo intestinale.
Per me adunque non è logico proporci di scandagliare
negli organi nervosi per sorprendere l' alterazione loro,
perchè deve invece ricercarsi il difetto o 1' errore di evo-
luzione nel sistema nervoso e nell' organismo ; la nevrosi
considerata nel suo substrato costituzionale, è quello stato
di disposizione morbosa che risulta dal concorso di più ele-
menti fisiologici — il nervo e tutte le altre funzioni del-
l' organismo.
Che se guardiamo poi a certi processi terapeutici
(cure ricostituenti) coi quali si modificano ed anche pos-
sono sospendersi le manifestazioni nevrosiche, anche per
questa via è d' uopo convenire nella conclusione colla
[5] (971)
quale chiudo questa Parte I.* del mio lavoro, che, cioè, il
sustrato della malattia è vario, ma esiste, la sua esistenza
non è ipotetica, ma reale.
1 vantaggi che possono provenire da questo piano di
vedute e di ragionamento sono non pochi. — Primo, si
constata che un certo grado di nevrosi costituzionale ri-
scontrasi quasi in ogni individuo, che si confonde il suo
studio con quelli che abbraccia 1' antropologia, che come
vi hanno le famiglie nevropatiche, cosi si possono ammet-
tere particolari caratteri nevrosici di razza ; — secondo,
che portando il concetto della nevrosi costituzionale sul
terreno della psicologia, potranno meglio discutersi alcune
gravi questioni da cui dipendono alcuni principi ed alcune
applicazioni della scienza del diritto ; — terzo, l' arte del-
l' educare gli individui quindi quella del prevenire le cli-
niche manifestazioni nevrosiche, s'aprirà un più vasto cam-
po di iniziative, che certo supereranno per l' importanza
degli eventi 1' arte del ricettare.
TRADURRE ?
DUE LETTERE AL SEGRETARIO DELL'ISTITUTO
DEL M. E. E. TEZA
vergentibus annis
in senium, longoque togao tranquillior usu. Phars. 1,
C. a. — Amicizia lunga e lettere brevi, diceva il Vol-
taire ; ma se qualche volta vorranno somigliarle, non sarà
la fine del mondo. Tu mi tiri in ballo e facciamo assieme
una giratina nella quale non oso sperare di guidarti ; bal-
lando, si getta l'occhio a poche strofe dell' Erben e si dà
lode a quella semplicità vigorosa che è nella fantasia uma-
na, non sciupata dalle sottigliezze della critica, dalle stram-
palerie della superbia inventiva, e dalle finezze dell' arte.
Alla scuola di popolo fu educato 1' Erben : erudito nelle
storie del suo paese, preposto agli Archivi e innamorato
delle glorie nazionali, della gente umile dei campi, meglio
che delle città, raccolse le voci con amore e ne fece un
libro, dove commento alla parola è la musica, e si con-
serva alle generazioni che verranno la testimonianza della
poesia : quella che si ereditò, che si comparti, come usa
tra i figliuoli, che si rigenerò e si generò nell' ottocento.
Molto andò perduto per sempre : molto è dentro a' cervelli
netti, e ai cuori buoni de' popolani che hanno a nascere
e che nella canzone, festiva o mesta, a sfogo od a conforto,
[2] (97:^)
non faranno scioperi. Nell'Erben letterato e' era anima di
poeta ; non è ambizioso di novità, contento di assomigliar-
si ad uno di quegli inesperti che lo avevano agitato e nu-
trito : cosi che il suo libriccino, di piccole e poche canzoni,
ritorna al popolo quello che gli tolse, e dà, nella Boemia,
al nome ed all' opera dell' illustre boemo la eternità. A
che bottega si compera ? chi tiene la bilancia da misurar-
tela ? e chi sa dire quale sia la moneta che corre, e che
alle volte una sola, piccina piccina che non si vede, vale
più di una montagna di tutti i metalli ?
Vedi, in questo nostro secolo di acute ricerche, di sodi
ragionamenti, e insieme di aeree immaginative, vedi quanto
studio sui poeti e dei poeti ! Avvolgersi fresca edera sopra
il vecchio tronco : serbate, con venerazione superstiziosa,
le querele figliuole dei secoli : un vivaio di ramoscelli
venuti su da ogni parte di mondo ad ogni parte di mondo :
ravvivata e ridipinta nella strofa la istoria, vestiti i fanta-
simi della filosofia, letto nel cuore, scritto nel cuore. La
critica, agitandosi, si fa torba ; l'armento degli imitatori si
s])anda, sente il fischio di dieci pastori e va dietro a tutti.
Come gli oziosi una volta mettevano dentro ad un cuore, nelle
forme di un leone, nella faccia di un uomo, o la canzone o
il sonetto, cosi dentro a rime rare, che suonano, che be-
lano, che ruggiscono, viene cacciato stentatamente, stenta-
rellescamente, un vecchio madrigale dai poetucoli che mie-
tono le erbucce ai piedi del Parnasso, e stanno a vedere
come rinasce il guaime.
A un tratto per l'aria, da un alto monte, dove siedono
Apollo contadino e nove villanelle, tu senti : Ho visto in
mezzo al mare un verde alloro, oppure Colomba che nel
poggio sei volata, oppure Lasciatela passar che fa la
brava, e ti rivolgi lieto, pensoso, ai maestri di quelle ar-
monie che cantano, in una voce sola, la canzone dell'uomo.
Ai grandi davvero torni sempre per levarti un poco sopra
le loro ali possenti, ma a quelli di mezza cotta volti le
spalle, e il sentire che cosa sia dentro a quelle smilze stro-
(974) [3]
fettine, che pure non dicono nulla, è una grande consola-
zione : nel ronzio che affatica ed assorda, una limpida voce
ti chiama per nome e ti vince. Pareva cosi, Paulo mio, a noi
giovani, e pare a noi vecchi : e più lo dirai a reluttanti o
ad inesperti amatori di troppo squisita poetica, farai maggior
bene.
Ogni poesia è una creatura, nasce una sola volta : chi
traduce rifa, non fa ; e se io dicessi che, nelle arti della
parola, è grande vantaggio che la imitazione non possa
mai essere compiuta, mi accuseresti di sofisticheria ? Può
la pittura, può la scrittura, può l'architettura, quello che la
poesia non riesce a fare : e anche più disgraziata di lei è
la musica. E qui, se permetti, il lungo diventerà stirac-
chiato ; che per le amicizie sarebbe una bruttura, ma che
sulla carta, paziente e complice, può correre.
Non parlo delle bellissime tra le nostre case che si
riveggono a Monaco, né de' quadri nostri o delle statue
greche che si incontrano nei Musei dell' Europa, in dili-
genti ricopiature che ingannerebbero occhi da lunghe espe-
rienze non addestrati : due volte ho visto, accanto alla Tra-
sfigurazione, e accanto all'Assunta, due altre tele che pa-
revano avessero ai due poeti rubato ogni cosa: due volte
la Duc/iessa Venere d' Urbino, se mi lasci dire cosi, da
fare impallidire per l'ammirazione. Se anche i colori che
si veggono adesso non sieno quelli di una volta, e i colori
che li ritraggono alla pari, fra cinquant'anni, se ne stac-
cheranno : se anche il lucicchio o il granato e le macchio-
line di una pietra non possono trovarsi tutte in un'altra;
puoi immaginare un Partenone, il povero sciancato, solenne
nella nudità e nelle ferite, rimisurato, ripesato quasi, a
pezzetto a pezzetto levato di terra sotto il cielo, meno
bello che non paia sopra a te, Grecia divina, ma che è il
cielo di tutti ; puoi figurarti uno Sposalizio della Vergine
che ti inganni con ogni pennellata : e, scendendo più giù,
un medioci'e quadrettino o una erma scliietta può avere
un perfetto copiatore. Se non che, a quella somiglianza,
[4] (975)
quando e' è, tu stupisci e non godi. Dietro l'artitizioso non
vedi l'artista.
Nelle creazioni della parola, codesti miracoli non ci
sono. Ogni parola copia del campo ideale tanti pollici e
li misuri, se gli stromenti sono acconci e destro l'operatore,
con esattezza che non lascia sfuggire i millesimi. Levala via
e mettine un'altra, di un altro tempo, di un'altra gente, e
quando pare che ci si adagi, se badi a' margini, vedrai
che sporge o rientra: se la scantucci o se la stiri, non è
più lei : ed eccezione non c'è : il dendron non è 1' m^bor,
né haus è la maison, né woman è la donna ; senza ti-
rarti a contare i pollici delle parole d'Arabia, di Cina, di
India, di Giava ; per le quali ti verrebbe da fantasticare
che, anche nel mondo delle misure, e più che altro nella
noomeb^ia, ci fosse dito e dito, palmo e palmo ; come c'è il
mio ed il tuo, non chiamati che io sappia a fare da métron
all'universo, un ditone che rispetto, e un ditino del quale
mi contento. Infila in un lungo monile queste perle, o-
gnuna bucata a suo modo, e fa poi un' altro monile che
ne ritragga le forme, il numero, le relazioni, ogni cosa ! Il
pensato non si traduce.
Dicevo che la musica ha più brutta la sorte ; e mi
basta accennartelo. Tu non sei di quelli che vedono il
maestro scrivere dentro ed attorno alle cinque righe l'o-
pera sua, che la ridanno poi ad una turba scomposta di
lettori e di sonatori, e si contentano di sentirne gli inter-
preti : forse giurano che, se la carta durasse in eterno, le
note alate volerebbero senza sperdersi mai ! No, no : quel
poeta delle armonie disse una volta sola la sua canzone ;
da sé può cantarsela, ma ne ricanta un' altra : dà e ruba,
sfoglia ed infiora ; la freccia é scoccata. Degli interpreti
non discorro ; meglio leggono, direi quasi che leggono peg-
gio : la voce vive in eterno, se vuoi, ma in trasmutazioni
infinite.
Fo un passo indietro ; perché anche la canzone vera, del
poeta vero, gli esce di bocca una sola volta: viene ricreando-
(1)76) [5]
la, non toccandole le membra, quasi irrigidite sul foglio, ma
spirandovi ogni volta un' anima nuova : poi esce da lui e
casca nelle bocche dei menestrelli. Se all'Alighieri giun-
gesse il commento che è nella voce di chi legge, e sente, le
terzine della Commedia ; egli direbbe forse all'uno, giullare,
smetti e all' altro, bimbo, non mi toccare, e . al solenne
maestro, maestro, codesto non ci ho messo io.
Torno alla parola, e anzi a (|uella dei versi ; strano
sarebbe che ci fosse una cosa più im[)Ossibile delle impos-
sibili ; ma non è strano di aggiungere, che, scendendo dalle
nuvole, e contentandosi che dench^on sia proprio 1' arbor,
agli innesti che si fanno nella poesia crescono, e nel nu-
mero e nella grandezza, le difficoltà. Armonia che somigli,
e non altro, stuona ; e chi oserebbe voler salire più in
alto, correre più lontano ? Ritrarre, non dico i sei piedi
del greco, ma i sei, piedi con tutti i congegni che avvivano
il verso della Iliade ? quelle tre cime sulle quali muovi, o
con un gradino o con un salto, nella canzone di Crimilde?
il lento scivolare, a passi ora lunghi ora corti, e con tanta
ma non sfrenata libertà, nello sloco dei Panduidi ? Beato
chi giunge a fare la sonata che in qualche modo assomigli !
Ogni parola ha la sua età, e puoi sbellettarla, ma la
vecchia è la vecchia ; e quando ridai ad un' altra gente
quell'anima che vuoi accompagnarle dal regno dei morti,
sei tu destro a trovare nella tua lingua una parola che le
faccia da corpo, e che abbia tanti anni appunto come quello
che lasciò per le terre ? E se Alfredo di Musset intreccia
alla sua una voce del Marot, andrai a cercarle un' emula
nelle rime di Guido Cavalcanti ? E la stessa veste, di un
tessuto, di un colore, vestirà Atossa ed Ofelia ? Atalia e Gu-
drune ? la stessa veste di Clorinda e di Bradamante ? Sopra
il quale argomento, che è proprio da sartore, e per la roba
e per il taglio, si andrebbe a rischio di non finirla mai.
Siamo d'accordo, e intanto io me ne sto a filare o ad in-
tessere la nebbia ; come se, avendo a lottare contro a te, mi
[6] (077)
preparassi la tua benevolenza, per smagrirti un poco quando
avrò forse a sentire un tuo pugno.
Sopra un altro punto siamo d'una stessa opinione. Le
traduzioni, che sono imitazioni e non altro, è bene che
nascano, che si diffondano, che colgano tre piccioni ad una
fava ; e cosi si allarga il proverbio. Addestrano lo scrit-
tore, 0 fatichi sui buoni, invidiando, o racconci le ossa ai
zoppicanti, e corregga ; e uno dei piccioni : accrescono forza
alla lingua nella quale sono scritte e la costringono a met-
ter fuori ogni cosa dei nascosti tesori e a comperarsi, non
già a rubare o a rubacchiare, quello che le manca; e due:
danno da fare agli sfaccendati e ci salvano dai versaiuoli ;
che è il terzo piccione, il più grosso, il più bello e che
vogliamo guardare un poco nel becco e nelle penne, prima
che ci voli via.
I poeti sono pochi : pochi i quasi poeti, come di An-
tonio da Ferrara diceva il Sacchetti ; in molti invece è l'a-
more alla poesia degli altri. Ma piuttosto che sfogarlo nel
ricopiare debolmente il canto cantato, come usa nelle Ore
di ozio, nelle Foglie di ogni mese, nelle krmonie delle
anime giovanette che hanno tanto bisogno di editori in-
dulgenti, io vorrei che lo sforzo delle generazioni nuove
si gettasse tutto a queste prove del donare cittadinanza ai
forestieri. Una mediocre versione da lingua di altre nazioni
varrà molto meglio di quel librettuccio, elegante e vuoto,
che traduce soltanto dall'italiano in italiano. E bene che si
faccia da molte parti e per molte vie : che i saggi siano
brevi : che la critica, non già in mano ai novellini e agli
amici, ma a giudici severi e provetti, guidi, riconduca a
buoni intenti ; e il primo è questo, come nella vita civile, di
contemperare con garbo e con snellezza la servitù e la
libertà, da non dar noia agli altri, e da non soffocare sé
stessi.
A Milano fu l'altro mese posto un premio a chi tra-
ducesse poche strofe del Tennyson : compiere a perfezione
la piccola opera non era facile : secento poeti scesero nel
(978) [7]
campo, ma la battaglia fu combattuta in segreto. E direi :
se da quella lunga schiera non uscirono altre dieci ver-
sioni che meritassero, non tutto il premio, ma diviso, un
coccio per una ; se quel vaso giapponese non ha dovuto,
per giustizia, moltiplicarsi, s'avrebbe a conchiudere che
anche i mediocri sono pochini e che il mio desiderio che
nelle versioni s'affatichino parecchi ingegni di onesti servitori
(Ielle Muse, è sogno di malato. Guarda, amico mio: molte
cose inutili riempiono il banco di un giornalista, e poi il
suo foglio ; ma quattro fitte pagine, con quei secento as-
salti alla poesia del Laureato non potevano essere un in-
segnamento per la critica e per l'arte ?
Non solo giova che una letteratura si allarghi, imi-
tando, ma può riuscirle di far meglio dell' emula sua,
quando l'opera di un mezzano scrittore arrivi ad un inge-
gno bene impastato e bene nutrito ; come avvenne al Dafni
e Cloe che non ha tante grazie nel greco quante ne ha
negli ornamenti di Annibale Caro e nella schiettezza di due
frati dello stesso convento, Giacomo Amyot e Pier Luigi
Courier : può anche, nel dissimile, e accanto ad un gran
libro, conquistarsene un' altro ; un' altro, ma grande. Non
dico il nome : perchè se tornasse, tutto pieno della sua pol-
vere, messer Bernardo Davanzati, io starei col cappello in
mano ad onorarlo e tu per poco non gli daresti uno sca-
paccione, di quelli che, a vederseli nell' aria, torna gran
conto esser morti.
Menato il mio cagnolino per 1' aia, vengo a te, alla
tua lettera e voglio scolparmi. Nelle quattro chiacchiere
che feci sul libro dell'Albert (non come a proemio dei versi,
che anzi vennero alla coda) io parlavo di boemi, ma non
pensavo solo ai boem.i. Erede dei vecchissimi, e non dopo
essere stata in un sepolcro di tenebre per un pezzo, al pari
della Grecia, l' Italia non ha emoli : ne ha bensì, e valo-
rosi e rispettati, come erede di altri meno vecchi maestri.
A giudicare delle letterature rinascenti o nascenti ella può
forse errare : ed intanto è bene che le piccole voci si le-
m (970)
vino, 0 che unite facciano un coro possente o che ima ne
risveglino a dare autorevole sentenza. Ma anche su codesto
non è da disputare ora, qui, con te.
Io non ho sotto chiavi il Libro d'oro della poesia, né
sono segretario di Olimpo per ordinare nei miei registri
lo stato civile dei grandi e dei piccoli; ma un po' di ge-
rarchia ce la facciamo tutti e, in codesto lucente paradiso
dell'arte, mettiamo uno sopra l'altro i Cherubini e i Sera-
fini, i Ti'oni e le Dominazioni.
Le tradizioni nazionali, quelle di scuola per ciascuno
di noi, e le esperienze della vita e gli studi, e anche
i giochi della fantasia, sono tanti consiglieri che danno le
palle bianche e nere per assegnare a' poeti il loro posto.
Ora se io, con frase rettorica, chiamo clii minorwn gen-
tium, questi o quegli altri, tu mi domanderesti; che cosa
0 chi si chiama il maggiore o il minore ? chi è iddio ? e chi
è dio degli dei ? Quando metto il Poliziano e il Bembo nella
via di mezzo, intendi bene che io voglio più viva e fe-
conda immaginazione, che io voglio più agitato nella pro-
fondità il sentimento, per intrecciare la corona : ma se
rammento quei due soli, cavati da una grossa famiglia, vedi
subito che io tengo in gran conto la eleganza e il latino
che si travasa quasi da sé, con limpida onda, nell'italiano ;
come ammiro nei due scrittori l'acume e la grazia anche
nella erudizione e nella critica.
Tu dici, e dici benone, che non se ne stanno sotto a'
grandi perché scrissero in due maniere, ma che, stretti
in una sola, non avrebbero fatto un passo più in alto.
Lo negavo forse ? Se più possenti nel valore dell' arte
creatrice, (dicevo io, o volevo dire) avrebbero pensato e
detto con una lingua sola, la italiana. Se pecco, devi dun-
que combattere questa proposizione e non già un'altra: gli
artisti della parola si fanno grandi dentro ed innanzi ad
una sola nazione.
Vero è che nel mondo tanti sono i casi della vita,
tanti fili si intrecciano nel tessuto, tanto il pettine stringe
T. IV, S. VII 67
(980) [9]
forte assieme il nero ed il bianco, il grosso e il sottile,
che, a fare la istoria di tutti gli ingegni, non bastano due
rubriche o tre rubriche come usano i ragionieri. Gabriele
Dante Rossetti, anima di pittore e di poeta, benché in sé
mescoli due sangui, e di buona vena, è degli inglesi, e l'i-
• taliano è alla fantasia di lui un ornamento e non già un
arnese. Il Ruffini, sopra ottimi esempi, esigliato il corpo e
lo spirito, congegna il racconto e lo dice in una parlata
diventata sua ; ma la sua è diventata degli altri, dei lon-
tani. Invitalo all'arte del novelliere nella lingua dei suoi
padri, e vedrai che cosa sia maneggiare, con libertà e co-
scienza, lo stromento del pensiero e dell' immaginativa! Alla
veemenza del Buonaparte manca la castigatezza : francese
voleva, e non poteva, diventare : forza ed arbitrio di con-
quistatore non basta. Il grande Federico impicciolisce nel
disprezzo dell' arte paesana, e l'arte è vendicata : egli passa
la vita negli imparaticci, sotto la ferula del precettore. Il
Tommaseo, vissuto tra francesi e tra greci, può imitarne lo
stile, ma di altra sorgiva sgorga il suo : e la fiumana
ondeggiante di Vincenzo Gioberti può in altri letti versarsi,
ma, benché pura, somiglia ijuasi a rigagnolo. Si direbbe
che la nazione perda, e pur guadagna, quando uno dei suoi
figliuoli usa franco e sicuro la sola penna che egli ha :
onde il Porta, il Belli, il Buratti. Codesti non hanno bisogno
di correttore, come ne ha il francese, così brioso e scin-
tillante, dell'abatino Galiani, o l'inglese, il francese, lo
spagnolo di Giuseppe Baretti ; due scrittori che, meno al-
largatisi, sarebbero stati più operosi e più puri e più du-
revoli maestri di stile.
Non si pensa che in una lingua, o anzi non si ripensa;
perché ognuno ha dietro a sé una lunga serie di esempi ;
ma senza quel riconquisto pieno, arte non c'è. Non dico
già la lingua che ti insegnarono bambino, ma la lingua
che la sorte ti diede, o il tuo capriccio ha prescelto : delle
altre, rammenti i pensieri e a' tuoi li paragoni rapidamente
0 gli assimili : e puoi meglio parlare ad un tempo in molte
|10] (981)
lingue, quando non usi pensare in nessuna. Dell'uomo vol-
gare, in giacca, in giubba, m toga, non dico nulla.
Avrei mai negato che un eroe possa con sapienza e
valore vincere una battaglia e scrivere un libro ? Operare
da savio nelle ambascerie, da filosofo al suo banco, da poeta
in teatro ? Essere Giulio Cesare o Niccolò Machiavelli ?
Solo non comprenderei che i Commentari fossero dettati in
greco, 0 la Mandragora in alessandrini francesi. Ecco tutto.
Quanto alle altre arti, i paragoni ci potrebbero, anzi
che guidare, sviare.
I grandi pittori sono i grandi pittori, i grandi scul-
tori sono i grandi scultori : il pennello del Canova non è
il suo scalpello, quando vuole animosa effingere signa,
come il ritmo dei rari e faticati versi di Cicerone, e ose-
rei dire di quelli del Voltaire (dei famigliari non parlo)
non è certo il ritmo che sonerà armonioso, tanto che le
due lingue durino, nelle prose dei due guidatori di tanto
mondo di artisti ingegnosi.
0 Michelangelo ? Non tirarmi fuori di casa mia : ma
lasciami ridomandare : se quello che, non dico manca, ma
sovrabbonda nelle opere dell'unico uomo, quello che trova
censura dentro alla ammirazione dei critici, dipendesse ap-
punto dall'avere Vangiolo divino parlato più lingue ?
Ma quando mi dolgo che nelle letterature meno vec-
chie, 0 rinsanguate di fresco, lo straniero infiltri di sotto,
prema di fianco, e dall'alto piova sopra il nazionale, io non
penso ai divini, ma agli umani : e spero sempre che la
critica, sagace e pensosa, allunghi le mani, spalanchi gli
occhi, vegga del mondo dei poeti quanto ce n'è, ma che il
poeta alle sue prose ed ai suoi versi dia un solo colore,
un' anima sola. La troverà nella piccola e nella grande
famiglia dei suoi, e nel interpretarne con senno e con af-
fetto le voci, badi a non popolarla, a non lasciarla popo-
lare, di stranieri. 11 nibbio, come sai, aveva acuti strilli
nella gola e se ne compiacevano le nibbiottine eleganti ;
(Ì)S2) [11]
ma \oll(' i»n)\ai'si la hcsiia (lahliciic ad iiiiiiai-c i iiiti'iii, e
an'occlii »' l'csiò mulo.
Noli vorrei, ora clic li lascio, larii pensare al i^ridio
(Ielle bestie e scappo \ la e li hacio hi CÌcgaììtinsiiiia mano,
come (liccNa Tor(|ual-o Tasso. Tuo vecchio amico, E. T.
P/ulord, Il aprile iS'.Ki.
C. a. — Potevo sbrigarmi con un poscritto ; ma, sa-
pendo come, nelle lettere, proprio in fondo e quasi dimen-
ticato, si mette il meglio boccone, non oso fare (juesta cor-
belleria e mi contento di un'alti'a cosa, meno usata nolb^
nostre })0ste, di mandai-e come buone sorelle due lettere
assieme.
Quei benedetti raffronti con le arti (-he danno forma
e colore alle cose terrene e alle ideali non mi lasciano pace.
Non ti verre])l)e in ca})0 che mutando di una statua, co-
piata con g-arbo, il lironzo nella terra cotta, o il gesso nel
marmo, si facesse ^iro^ìrio quello che fanno i traduttori ;
nini tutto assomiglia nell'abito nuovo, ma l'arte di chi imi-
ta sta pili in alto, e se la rap})resentazione ha spirito e
verità, tocca il segno al eguale è diretta. Non diresti che la
versione sia pittura in tela raccorciata, perchè c*è il caso
che risponda anche a tela che per lungo e per largo passi
l'originale ; non dirai che le traduzioni sieno tinte ad acqua,
che male ritrarrel)bero (|uelle ad olio, per la del.'olezza dello
stromento : (jui si lascia, per le attinenze dei colori e dei
lumi e delle ondare, tutta la lìadronanza al ([uadro che si
ricojtia, e tutta la servitù a (pielb) che lo rifa. Vedi da te
[12] (983)
se, pesata a giusta ragione ogni cosellina, 1' arte de' tra-
duttori non somigliasse inA'ece a quella degli intagli in rame
o in acciaio ? nei quali, chi può mostra la sua potenza,
guidato da lontano, con libertà ; il Morghen farà lavoro
che non vince di certo Raffaello, ma che avrà la sua parte
di gloria, tutta sua : e il quadrettucciu misero, languido,
stonato, potrà dal Morghen, quando si degni, essere tramu-
tato per sempre in cosa degna di ambiziosi musei.
Degli antichi, lasciamo andare. Come la storia era degli
storici, e la tragedia dei tragici, e la filosofia dei filosofi,
cosi il greco era dei greci, il latino dei latini : e, fuori
degli esercizi che diremo proprio di collegio (anche se
lo scolaretto è Cicerone che si dibatte attorno al Timeo),
Virgilio non avrebbe pensato a .donare ai suoi la Iliade :
appena tentano, nelle cose brevi, come Orazio, o in fram-
menti da intrecciare ai versi propri, come Lucrezio. Forse
i greci se avessero avuto, come i latini, una scuola di grandi
maestri, avrebbero tentato ; ma vennero su di terra, giù
dal cielo, senza pedagogo. Anche nel rinnovarsi delle let-
terature, codesto sforzo di lottatori è raro, a salti, per cre-
scere nerbo al poeta, meglio che per allettamento a cu-
riosità di lettori. Ma, più ci avviciniamo a' tempi nostri,
chi di suo mostra saper fare, si compiace anche dell' imi-
tazione ; il Pope e il Bvron, come il Foscolo e il Monti,
per non rammentarne che pochi. Ne farebbe meraviglia se
tu scoprissi un sonetto del Petrarca tradotto dallo Shake-
speare, 0 una canzone del Ronsard, tradotta da Torquato
Tasso; bensì ti meraviglieresti assai che Guido Reni ridi-
pingesse il dipinto di Andrea del Sarto, o venisse da Paolo
Veronese una madonna del Murillo. Perchè ? Questo co-
piare, e amo ripeterlo, nulla o poco avrebbe che fare con
l'arte delle versioni non a segni e a colori, ma a parole
di pensieri e di immagini.
Che cosa, dei ritmi vari secondo le poetiche, si possa
imitare, o quale forma armoniosa meglio risponda, è da
disputare, secondo i casi : e, meglio che in altre ma-
(984) [18]
niere, con gli esempi. A mostrare la strada si fa presto ;
bisogna correrla, mettervi le gambe ed il fiato. Quei
versetti della canzone boema, poiché tu hai la cortesia di
leggerla due volte, sono più corti de' nostri più comuni e
la legge vera dei traduttori, è questa: dove è possibile, non
si rimuti nulla. Confessavo il peccato e il bisogno di muo-
vermi più libero : meno padrone delle sillabe, non avevo
più sotto alla mia bacchetta i pensieri che volevo ritrarre :
ristringendomi, come dentro una carcere per non toccare
il muro, mi irrigidivo : e il popolano male s'accomoda all'an-
dare istecchito, che giova molto alle corti : qui la parola
misurata, garbata, solenne, laggiù, nel prato o alla fontana,
tutta briosa e libera e forse forse sboccata. A cogliere un
po' meglio nel segno bisognava altra forza dalla mia : e
quando lodi, con abbondanza di vecchio amico, devi temere
di esserti mostrato troppo indulgente.
Dei ritmi, come sai, e' è in una gente o nell' altra
quello che non puoi rubarle; o che, imitato a fatica, ne
costerebbe assai più a preparare gli orecchi ed i cuori di
chi possa goderne. Ma sai ancora come alle volte una pic-
colezza basti a mutare tutto il colore : e voglio mostrartene
un breve saggio. Ti dico subito, sfrontatamente : non sa-
pendo fare quello che Andrea Maffei compi per diversi
modi nel darci il teatro schilleriano (che gii altri, del Goe-
the e dello Shakespeare, non erano per lui) io credo, in
una paginetta, in una scena, avere fatto verso il bello un
passo di più. Verso il bello, badiamo, e non altro ; perchè
a sapere do^^e sta di casa davvero, a corrergli incontro, ad
abl)racciarselo come padrone o come amico, ci vuol altro !
Nell'atto quarto, alla dodicesima scena del Wallenstein,
esce Tecla, e dice così : lo Schiller vide nella sua mente
di poeta che cosa la fanciulla dicesse ed il Maffei ce lo
mosti 'a :
La voce
del suo spirto mi chiama e dei fedeli
che per lui s' immolar. Di vile indugio
[14] (985)
mi rampognano tutti... Essi non hanno
pur nell'ora di morte abbandonato
chi nella vita li guidò. Que' duri
petti han tanto saputo ? ed io, codarda,
sorvivergli dovrei ? No ! la corona
di quel lauro che cinse il suo feretro
per me pur fu tessuta. A che la vita
senza il raggio d'amore ? Io la rifiuto
se valor più non ha... Quando, o diletto,
ti trovai, come dolce era la vita !
Risplendea sorridendo al mio pensiero
la rosea luce del doman ! Sognai
due belle ore di cielo. Io ti ho veduto
sull'ingresso del mondo, allor che il piede,
col timor di una vergine, v' impressi.
Era di mille soli il ciel sereno !
Tu mi parevi un angelo d'amore
che colà mi attendesse, onde levarmi
con sollecito voi dai favolosi
giorni delle mie fasce al più sublime
vertice della vita. Il primo sguardo
lo gettai nel tuo cuore e fu divino
quel mio primo sentir !
Ma rozza e fredda
vien la sventura, le tenere membra
del mio caro ghermisce, e sotto l'ugne
de' correnti cavalli le calpesta. —
Questo è il fin d'ogni Bello in sulla terra !
Se getti un occhio alle armonie tedesche, vedrai che
il Maffei non tolse nulla, né aggiunse : e, quanto alla
bontà delle parole e alla opportunità dell' inseguirsi e del-
l'accostarsi una all'altra, poiché faccio da emulo, non posso
dirmi il giudice. Solo noto che lo Schiller volle adornare
(li rime questi impeti di generoso dolore, e che le corone
intrecciate dai poeti sui morti non è bene sfrondarle. Cerco
imitare anch' io, e vorrei dire ; se e' è chi canti, vorrei
cantasse.
Lo spirito di lui ecco mi chiama !
La fedele coorte
al sacrificio vola, a vendicarlo :
m(^) [15]
me lenta e vile accusa :
seguire il duce prode in vita ell'usa,
non osa, nella morte,
non vuol la generosa abbandonarlo.
Questo i ruvidi cor ! Colei che l'ama
viver potria ?
Oh no, no : dell'alloro la ghirlanda
sulla tua bara, a me s' intreccia, è mia !
Vita che vale, se non splende amore ?
E un'ombra vana — ed io la getto via.
II di eh' io t' ebbi, o innamorato cuore,
a me bella parea :
e il nuovo giorno d'oro risplendea
e sognavo nel cielo viver l'ore.
Tu stavi allor del mondo in sulla porta
quando, dalla mia cella,
timida verginella,
traevo : intorno raggian mille soli :
tu, angelo pietoso, sei la scorta,
e, dagli aerei di dell'età prima,
tu veloce mi involi
della vita alla cima !
È primo sentimento
un celeste contento :
e il primo sguardo sul tuo cuor lo invio !
Ma il destino s'avanza e la funesta
mano di ghiaccio sull'amico mio,
sulle tenere membra. In dura guerra,
sotto a' fieri cavalli ei la calpesta ;
d'ogni cosa più bella, in sulla terra,
ahi che la sorte è questa !
Immagina, sul teatro, una voce di donna addolorata
e innamorata che sappia, con le parole dei poeti, e con
l'anima sua, commovere chi nelF anima vede e il morto
glorioso e la giovanetta che a lui piangendo sospira.
Ma qui stiamo fra i signori dell'arte e si parti dai po-
verelli ; adesso, se mi lasci fare, ai poverelli si ritorna.
Nelle canzoni dell' Erben ce n'è un'altra che trae la
[16] (987)
voce e la ispirazione dal popolano e che ti mando. Una sola
rima che s'addentra in ogni strofa le lega tutte quante : e
questo che, nelle scuole, diventa eco da trastullare i vec-
chi bambini è voce di natura.
MALEDIZIONE DI FIGLIUOLA
— Perchè sei triste in viso,
o figlia mia,
perchè sei triste in viso ?
Parevi l'allegria,
eri sempre fra tutte in festa e in riso.
— Morta ho la colombella,
0 mamma mia,
morta ho la colombella.
Una galanteria !
Bianca come la nove, e come bella !
— Colombella non era,
0 figlia mia,
colombella non era.
Ma non so dir che sia,
l'occhio s'offusca ed hai mutato cera !
— Strozzato ho il mio bambino,
0 mamma mia,
strozzato ho il mio bambino.
Oh morta esser vorria,
desolata che penso al poverino !
— Ed ora che far vuoi,
o figlia mia,
ed ora che far vuoi ?
Iddio chi '1 placheria?
Espiar il peccato come puoi ?
— Vo' quell'erba cercare,
0 mamma mia,
vo' quell'erba cercare,
che i falli netta via
ed il sangue bollente fa chetare.
— Qual giardino la serra,
0 figlia mia,
qual giardino la serra ?
E chi mai la sapria
trovare, e giri pur tutta la terra |
(988) [17]
— Alla porta qui al fianco,
o mamma mia,
alla porta qui al fianco,
sovra il colle, all'ombria,
c'è un tronco, un chiodo e c'è canapo bianco.
— Che dire al giovanino,
0 figlia mia,
che dire al giovanino,
che, tutto cortesia,
a trovarti veniva nel giardino ?
— Ch' egli sia benedetto,
0 mamma mia,
eh' egli sia benedetto
per la negra bugia,
e roda un verme il cuore al mio diletto 1
— Ed alla sventurata,
0 figlia mia,
ed alla sventurata,
che, con idolatria,
con amore e carezze t' ha allevata ?
— La maledizione,
o mamma mia,
la maledizione ;
mai pace il ciel ti dia,
perchè m' hai data tu 1" occasione !
In Toscana, se un paese ha da fare da commentatore
all'altro, anzi che il cuore c'è la casa :
E ci vada un serpente avvelenato,
avveleni il mio amor che m' ha lasciato.
(Tigri 1869\ p. 305).
i versi e la prosa « come il pane e il cacio ». Non ti posso
dare pan bucato e cacio serrato, ma quello è negro e
questo è senza sale, da villani : è forse una buona scusa
il dirti che non ho di meglio. Senza poscritti, o terze so-
relle, ti abbraccio di cuore.
Tuo aff. E. T.
Padova, 15 aprile 93.
su ALCUP COHpiZIONI FISICHE
DEL CORDONE OMBELLICALE
Ricerche
DEL
M. E. ARRIGO TAMASSIA
PROF. DI MEDICINA LEGALE NELLA R. UNIVERSITÀ DI PADOVA
Una giovane ed il suo amante erano accusati d'aver fatto
morire un infante, frutto del loro amore. L' avevano, con
ogni probabilità, sepolto a fior di terra ancor vivo in luogo
umido ed ombreggiato, si che, per quanto 1' ispezione del
cadaverino avesse luogo nella prima metà del Giugno e
dopo quattro giorni all' incirca dalla morte, si rinvennero
i visceri in istato di relativa freschezza. Mancavano però
le membrane e la placenta. Queste con grande tratto di
cordone ombellicale erano state nascoste in una cameretta
attigua a quella in cui di solito dormiva la donna. Inte-
ressava, oltre i soliti dati fondamentali, all' Autorità giu-
diziaria assodare se questa placenta, queste membrane,
questo stralcio di cordone appartenevano realmente all' in-
fante esumato ; e ciò per smentire le ostinate negazioni delle
persone accusate. Mentre però lo stralcio di cordone an-
nesso alla placenta era in gran parte mummificato, quello
attaccato ancora al corpo del feto era in istato di relativa
freschezza ; quindi in tale contraddizione fondavasi un' appa-
rente ragionevolezza delle asserzioni delle persone accusate.
Risposi come perito, in parte accennando alle mutazioni
tìsiche derivanti dalla temperatura, dall'evaporazione, ed in
parte dopo alcune ricerche, non potersi escludere che quei
(990) [2]
due frammenti (anche facendo astrazione dai rapporti di
lunghezza, di sviluppo, di superficie libera) costituissero un
unico cordone, e potersi spiegare con le differenze d' am-
bienti, cui furono esposti i due stralci, le condizioni fisiche
dell' uno e 'dell' altro. Da quel tempo presi a studiare più
davvicino questo argomento, che se ha applicazione pratica,
può permettere pure qualche corollario scientifico. — Un'al-
tra volta mi si chiese se un dato stralcio di cordone trovato
su un campo con alcuni avanzi di membrane e di placenta
avesse appartenuto o no ad un infante maturo, ed in qua-
le ambiente fosse rimasto, e da quanto tempo ; e ciò in
seguito a sospetto d'infanticidio in una giovane, che aveva
probabilmente ucciso, poi nascosto il proprio infante. —
Un'altra volta ancora mi si chiese se un feto, che pesava
circa tre chilogrammi avrebbe potuto lacerare un certo cor-
done ombellicale ; e, se argomentando dallo stato di essic-
cazione, macerazione o putrefazione del cordone, potevansi
ammettere la trazione del feto o le forze della madre, nel-
l'istante del parto, sufficienti a strappare quel cordone, quan-
d'era nello stato di sua freschezza.
Tutti questi casi di pratica forense mi diedero incita-
mento a riprenderne in via sperimentale lo studio, onde,
sia pure in via approssimativa, indurre qualche linea ge-
nerale diagnostica; e quand'anco questo ideale utilitario
non fosse raggiunto, raccogliere materiali alla cognizione
positiva d' un fatto naturale : ricerca tutt'altro che oziosa,
come qualcuno sostiene.
1 punti dunque, che assoggettai alle mie indagini spe-
rimentali, sono i seguenti :
1.° Resistenza alla trazione nei cordoni freschi.
2.° Resistenza comparativa dei cordoni freschi, essic-
cati all'aria, o conservati in altri ambienti (acqua e terra).
3.° Mutazioni di peso e di volume del cordone a di-
verse temperature ed in diversi ambienti.
La I-esistenza alla trazione del cordone può esser stu-
diata in due modi. Lo stiramento si opera gradatamente.
[3] (991)
oppure mediante uno .strappo violento. Il primo caso può
esser rappresentato dalle trazioni delle mani afferranti i due
estremi del cordone, od anche dell' istesso feto, che resti
per qualche tempo sospeso al cordone ancora fisso nel-
l'utero, e ne vinca, con il protratto stiramento, la coerenza.
Il secondo si allega occorrere più frequente del primo; e
si suppone sempre come conseguenza dello strappo deter-
minato dalla caduta del feto in seguito a parto precipitoso.
Per avvicinarci quindi sempre più alle contingenze pratiche,
le ricerche sulla resistenza del cordone parrebbe dovessero
esser istituite prevalentemente con trazioni rapide e violenti.
Però, come giustamente osserva il prof. Guzzi (*) e con lui
la maggior parte degli osservatori imparziali, senza negare
che nei parti cosi detti precipitosi abbia luogo questa rapida
trazione del cordone da spezzarlo anche con pesi relativa-
mente assai tenui, devesi pur avvertire che nei parti rapidi,
quando il feto penzolone fra le coscio della madre stira il
cordone, questo alla sua volta tende a stirare in basso la
placenta, che è ancora in sito ed aderente alle pareti ute-
rine : e le pareti uterine e il tessuto, che forma i cotiledoni
placentari cedono alquanto e si deprimono ; la donna si
abbassa instintivamente ; ed ecco diminuita la tensione
rapida del funicolo. Tale è pure l'avviso di Hohl. D'altra
parte, se anche cosi non fosse, è sempre degno di interesse
conoscere i limiti di resistenza a trazione lenta del cordone,
e segnalare le mutazioni che le diverse condizioni organiche,
e le azioni dei varj ambienti possono apportarvi. Ed è per
questo, che non nascondendoci i risultati di Pfannkuch,
conseguiti in seguito a rapide trazioni, mi sono limitato a
studiare gli effetti delle trazioni lente.
E qui una grave obiezione.
I cordoni ombellicali sono si diversi gli uni dagli altri,
da riescire difficile, dai numeri raccolti, il trarre medie
(1) Per questo Autore e gli altri citati, veggasi in fine la Bibliografìa.
(992) [4]
(loglio (li fiducia. Taluni soikj sottili, altri voluminosi; ta-
luni con amnios e pareti vascolari resistenti ; altri con que-
ste parti esilissime : taluni hanno vasi scorrenti lineari,
altri tortuosi, altri intrecciati, altri varicosi ; taluni spet-
tano ad infanti sani, altri ad infanti sifilitici, scrofolosi, in
cui i tessuti meccanicamente possono in modo differente ri-
spondere. Sono il primo a riconoscere il valore di questi
appunti, contro una deduzione numerica tratta da elementi
si accidentalmente raggruppati. Ma ho cercato di sfug-
girvi, scegliendo, tra i moltissimi cordoni, quelli che non
rappresentassero le eccezioni ; e quando sperimentavo su
cordoni eccezionali, ne registrai isolato il reperto, in mo-
do che i dati numerici emanassero dai tipi medii e più
frequenti. E poiché in uno stesso cordone occorrono tratti
disformi e quindi d'ineguale resistenza, ho procurato, nelle
sperienze comparative, di servirmi sempre di frammenti, che
nella loro costituzione fisica, presentassero le maggiori affi-
nità, scartando quelli che divergessero dei precedenti spe-
rimentati. E ciò potei compiere senza danno della preci-
sione ; giacché la lunghezza nei frammenti identici nella
loro composizione fisica non muta, come mi venne assicu-
rato da matematici autorevoli, gli effetti meccanici della
trazione. Ho procurato parimenti che i cordoni speri-
mentati nelle prime ricerche fossero recentissimi. La tra-
zione veniva praticata, legando ad un estremo dello stral-
cio (già fissato superiormente) una specie di coppa di
bilancia, su cui si faceva scendere dolcemente della mi-
gliarola fino a rottura.
Prima di esporre i miei dati numerici, è bene si co-
noscano quelli conseguiti da altri, che sperimentarono con
metodo congenere al mio ; e cioè :
Nègrier ha una media di K. 5, 259 per i cordoni non
varicosi ; di K. 3,000 per i cordoni varicosi ; Spàth ebbe la
media di K. 6,161 con un minimo di K. 2,800 e un massimo
di K. 12,800 ; Schàtz ebbe la media di K. 4,125 ; Monoyer
[5] (m)
calcola la resistenza a 5 K. ; Lamare ottenne la inedia di
K. 5,190 con un minimo di 2 K. ed un massimo di 11 ;
Guzzi ebbe la media di K. 5,150, con un minimo di K. 2 ed
un mas.simo di K. 7 V-2- Io su più di 90 cordoni ebbi la
media di K. 5,79 con un massimo di 8,40 ed un minimo di
4,200, cifre che si accordano, come vedesi, con quelle degli
Autori, che mi hanno preceduto. Le differenze clie inter-
cedono nelle cifre massime e minime, si spiegano con la
varia costituzione dei cordoni.
Intanto credo che il volume del cordone nel suo in-
sieme non abbia alcuna parte nella maggiore o minore re-
sistenza, giacché esso può dipendere semplicemente dalla
maggior o minor copia di gelatina di Wharton. In gene-
rale, ed in ciò d'accordo con Winckel, io avrei trovato che
i cordoni a vasi varicosi od attorcigliati, offrono una re-
sistenza meno intensa, specialmente allorquando la trazione
si eserciti in vicinanza di un punto varicoso o spirale.
Valgano i saggi seguenti, desunti da frammenti tolti
allo stesso cordone, gli uni in un tratto regolare, gli altri
in vicinanza agli attorcigliamenti ed alle spire :
regolare Kil. 9,150 spirale-attorcigliato Kil. 7,500
id. » 5,700 id. » 2,200
id. » 9,005 id. » 6,600
Anche in quei casi di cordone nodoso trovai, come già
notava il Guzzi, specialmente in vicinanza al nodo, una
diminuzione notevole di resistenza, che in media si può
ridurre ad un quarto di quella del tratto normale.
Parimenti è degno di nota il fatto che un frammento
di cordone già stirato nella sua totalità da un peso suffi-
ciente a romperlo o quasi, se venga ancora stirato nei suoi
tratti restanti, perde notevolmente della sua resistenza pri-
mitiva ; onde per romperlo, si esige uno sforzo meno
intenso. Veggansi infatti alcune medie dei miei sperimenti;
(994) [6]
Uno .stralcio fresco intatto si rompe con K. 5,200
Un altro id. id. id. id. id. 6,000
id. id. id. id. id. id. 7,500
i<l. id. id. id. id. id. 5,509
I residui degli già stessi stirati roniponsi rispettiv. con 3,800
id. id. id. id. id. id. id. 4,500
id. id. id. id. id. id. id. 5,200
id. id. id. id. id. id. id. 4,200
Questo fatto non panni privo di interesse, specialmente
quando debbasi argomentare del grado di forza atto a rom-
pere il cordone, dopo tentativi ripetuti infruttuosi.
Questi dati concernono cordoni freschissimi, datanti al
più da 7-8 ore dal parto. Ma esposto all'aria, il cordone va sog-
getto per solo effetto di evaporazione (né credo valga la pena
di occuparci delle opinioni di quelli, che vi scorgevano un
atto vitale) all'avvizzimento, che lo ridurrà più tardi colla
mummificazione in un nastro più o meno giallognolo-bru-
niccio. Ora nei giorni, che decorrono dallo stato di fre-
schezza fino a questa sua estrema trasformazione, avvengono
modificazioni anche nella sua resistenza alla trazione?
Ecco un altro punto da studiare. Sperimentando con tratti
dello stesso cordone aventi condizioni fisiche congeneri,
e confrontando i dati d'ogni determinato periodo di tempo
con quelli segnanti la media della resistenza allo stato di
freschezza, io mi ebbi i risultati seguenti, alla temperatura
di circa 20-21°. (i)
(l) Questi dati numerici e gli altri, che andrò esponendo, sono stati
ridotti a forma centesimale per renderne piìi evidenti il significato ed
i confronti. I dati numerici parziali d' ogni osservazione, a documento
della difficoltà e della esattezza delle ricerche, stanno registrati nel mio
Laboratorio. Non li unisco per non ingombrare con tavole pesantissime
le pagine di questa Memoria.
[']
{'■
)05)
Resistenza
iniziale
Resistenza del cordone esposto all'aria (Temp. 20-21") 1
o 'S
e o
11
li
o'S
o 'S
oc
o o
^■5b
o o
o'S
Oh u
o O
'° '5b
o 'S
1
2
3
4
5
6
7
9
10
15
100
100
105
115
154
180
190
310
270
215
420
101
106
116
142
186
183
300
310
310
370
102
120
157
Queste cifre di massimi e di minimi confermano spe-
rimentalmente quanto, studiando solo il fatto fisico della
evaporazione alla temperatura indicata, si suppone. Infatti
il tessuto si addensa ; e addensandosi, diviene sempre più
resistente, tanto che giunto al grado massimo della mum-
mificazione, presenta una resistenza quadrupla di quella
dello stato fresco, non molto dissimile da quella datami da
una cordicella di canape di un millimetro di diametro.
Qualche volta però il cordone può nei suoi tratti
in parte essiccarsi nell'aria, ed in parte esser gettato nel-
r acqua o liquido congenere. La resistenza dei frammenti
a caratteri costitutivi non diversi da quelli lasciati nell'aria,
secondo le mie ricerche, può misurarsi in questi limiti :
Resistenza iniziale
a 100 nell'aria
Resistenza del cordone nell'acciua (Temp. 20-21")
dopo
giorni 1
dopo
giorni 2
dopo
giorni 3
dopo
giorni 5
dopo
giorni 9
92-94
83
70
48
39
40
T. IV, S. VII
(996)
[8]
Il che vuol dire che, man mano che l'acqua si adden-
tra nei tessuti, ne scema la resistenza, sia per il semplice
effetto fisico, quanto ancora per il disgregamento della pu-
trefazione, che essa, ad una conveniente temperatura, viene
a favorire ; alla 9^ giornata infatti la resistenza del cor-
done è ridotta al 39-40 per cento della sua resistenza
iniziale.
Volli pur sperimentare, mettendo alcuni frammenti di
cordone nella terra alla temperatura di 20-21° ; e dai molti
assaggi istituiti, mi fu dato ottenere questi dati complessivi:
Resistenza iniziale
ridotta a 100
Resistenza del cordone nella terra comune
. umida (Temp. 20-2P)
dopo
giorni 3
dopo
giorni 4
dopo
giorni 5
dopo
giorni 10
56
58
70
56
50
43
29
L'umidità del terreno, la putrefazione che vi si pro-
voca, diminuiscono notevolmente la resistenza del cordone
ed in misura ancora più gagliarda dello stesso ambiente
acqua.
Ma, come già avvertii in principio, dalle differenze nel
peso dei tratti del cordone secondo gli ambienti in cui
questi vennero immersi, si possono indurre altri dati, non
indegni di considerazione.
A questo intento ho esposto all' aria, all' acqua ed in
terra ed a diverse temperature, molti stralci di cordoni,
avendo la precauzione di notarne le variazioni quasi gior-
naliere di peso. Le cifre, che presento, sono le medie de-
[n] (997)
dotte da più di 200 osservazioni istituite su stralci tolti
da diverse regioni dei varj cordoni ; e son ridotte nella
proporzione centesimale rispetto al peso primitivo.
Temperatura da ,9° ad S°
Dopo giorni 2 perde su cento 22
» 4 » » 28
)) 5 » » 43
» 6 » » 57-58
» 9 » » 70-75
» 11- » » 82
» 13 » » 82-83
» 15 » » 86
» 16 » » 86
)) 17 » » 86
Temperatura da 5" a i5°
perde su cento 32
» » 62
» » 81
» » 84
» » 84
» » 84
Temperatura da 15" a 21°
)pO
giorni
2
»
))
4
»
))
6
»
))
11
»
))
12
»
»
13
DpO
giorni
2
perde su cento
53
))
))
4
»
»
71
»
))
6
))
))
87
»
»
9
»
»
90
»
»
11
»
»
91
»
»
12
»
»
91
»
»
13
»
»
92-3
»
»
14
»
))
92-3
Dopo
giorni
9
»
»
4
»
»
6
»
))
9
»
))
11
»
))
12
»
»
13
»
»
14
(908) [10]
Temperatura da 22° a 28""
2 perde su cento 56
» » 73
0 » 85
» )) 85
.) » 90
» » 92
» » 92
.) » 92
Non pretendo imporre queste cifre come costanti ; però
il gran numero di osservazioni, da cui furono tratte, auto-
rizza a ritenerle non lontane dal vero.
Intanto spicca per primo fatto l' influenza della tem-
peratura nella rapidità con cui i frammenti . del cordone
perdono il loro peso ; e ciò per la evaporazione più o meno
immediata dei materiali acquosi, si largamente diff'usi nei
tessuti del cordone. Vedesi, ad esempio, che quella perdita
di peso che nelle temperature oscillanti tra 3° ed 8° si
manifesta al 6° giorno, si osserva verso il 3° 4° ad 8-15°, e
verso il secondo giorno a 15-21° ed a 22-28° ; come pure
quella perdita che si manifesta all' undecimo giorno nelle
temperature basse, si ha verso il 6° alle temperature medie,
al 3-4° all' incirca nelle temperature alte.
Parimenti da queste cifre si argomenta esservi nella
diminuzione di peso del cordone una certa regolarità di
decorso. Havvi un fortissimo decremento nel principio,
quindi un rallentamento : poi, quando l' evaporazione è
quasi cessata, un ristagno ; tanto che nel periodo della
mummificazione non si notano che diminuzioni insignifi-
canti ; e compita l'evaporazione, il peso non si muta più.
Si accordano pure queste cifre con le medie co-
muni segnanti il determinarsi della mummificazione dello
stralcio dei neonati : 7-8 giorni alla temperatura media
di 8°-15°.
[11] (999)
Anche coi numeri recentissimi di Saint-Cyr questi
dati corrispondono sufficientemente. Egli, sperimentando su
alcuni cordoni, alla temperatura di circa 18-20°, dopo
quattro giorni avrebbe osservato diminuirne il peso nella
proporzione di 80-81° per cento.
E tenendosi conto delle quantità assai diverse di ac-
qua nei singoli tessuti, si nota pure che questi dati non di-
scordano da quelli di Dupont rispetto al rene, al fegato, al
polmone. Se infatti nelle temperature oscillanti tra 3° ed
8° il cordone perde, secondo i miei sperimenti, dopo cin-
que giorni il 43° per cento, i polmoni, i reni ed il fegato,
secondo Dupont, alla stessa temperatura e per egual tempo,
perdono rispettivamente il 25° ed il 15 per cento.
Neil' acqua od in un ambiente congenere, il cordone
od i suoi tratti guadagnano di peso, come si può vedere
dalle seguenti tavole. Qui si tenne luogo d'un' unica tem-
peratura (18-20°), non potendo le differenze non grandi
alterarne i risultati :
(Temp.
18°-
-20^
')
dopo giorni 2
guadag
na
su
cento 50
» » 3
»
» 70
» » 6
»
y> 80
> > 8
»
130
» » 10
^
130
Vi ha quindi un aumento quasi costante fino all' 8°
giorno air incirca ; dopo il quale, il cordone saturo d'acqua,
non guadagna più nulla ; ed il suo tessuto disgregato offre
una minima resistenza alla trazione.
Anche rispetto alle mutazioni nella circonferenza dei
cordoni nei varj ambienti, a diverse temperature, e dopo
tempo determinato, qualche elemento non privo di valore si
(1000) [12]
{)nò desumere. Conviene però qui tener conto delle varietà
grandi di struttura, di densità, di abbondanza di gelatina,
che danno luogo anche nello stesso cordone a numeri
non sempre in armonia tra loro. Ad ogni modo, misurando
la circonferenza d' ogni frammento messo nell' aria, nel-
r acqua, e nella terra dopo dati periodi di tempo, ho isti-
iuito molte osservazioni, che mi permettono di presentare
le seguenti cifre come le medie più approssimative, ridotte
pur esse alla proporzione centesimale.
Neil' aria alla temperatura di 3° ad 8°.
la circonferenza da 100 si riduce:
dopo giorni 1 a 97
2
»
91
3
»
82
4
»
64
5
»
63
6
»
63
7
»
52
8
»
50
9
»
48
Neil' aria alla temperatura di 8° a 16'
la circonferenza da 100 si riduce :
dopo giorni 1 a 80
» 2 » 70-75
»
3 » 60
»
4 » 54
»
5 » 45
»
6 » 40
»
7 » 40
»
8 » 40
Neil' aria alla temperatura di 16°-24'
la circonferenza da 100 si riduce:
[18] (1001)
dopo giorni 3 a 60
» » 5 » 44
y> » 8 » 40
Neil' acqua alla temperatura di 15°-18°.
la circonferenza da 100 si riduce:
dopo giorni 3 a 119
» » 5-6 » 120
» » 6-9 » 180
Nella terra umida alla temperatura di 15°-18".
la circonferenza da 100 si riduce:
dopo giorni 2 a 93
» » 4 » 80
» » 6 » 70
» » 8 » 70-66
Questi numeri esprimenti, pel gran numero d' osser-
vazioni donde son tratti, una media assai vicina alla realtà,
data una costituzione ordinaria dei cordoni, ci dimostrano
come la riduzione del loro volume sia subordinata all'azione
della temperatura ; come cioè nelle temperature moderate
r evaporazione e quindi la riduzione, cominci lentamente,
e poi dopo un certo progresso nei primi 3 o 4 giorni, si
compia lentamente; mentre nelle temperature più alte si
ha quasi di sbalzo una rapidissima evaporazione ed una
corrispondente riduzione di volume, seguita da un periodo
quasi di ristagno ; nel momento, cioè, in cui il cordone ri-
dotto ad un nastro quasi mummificato, non ha più liquidi
da cedere.
Notisi come nelle temperature da 8° a 16° all' incirca
si ha la completa mummificazione immutabile nelle sue
contingenze fisiche al 7°-8° giorno ; al quinto giorno al-
l' incirca nelle temperature oscillanti fra 16° e 24°; come
appunto avviene nello stralcio del cordone, quando la vita
dell'infante sia protratta, o quando, già morto, sia stato espo-
sto all' aria per otto o cinque giorni.
(1002) [14]
Neil' acqua abbiamo un fenomeno opposto dovuto al-
l' aggiungersi di questa al liquido })reesistente nel cordone,
si da fargli, dopo 5-6 giorni (tempo della massima imbibi-
zione) assumere un volume doppio.
L' ambiente terra umida, esporta in parte 1' acqua dal
cordone, e lo riduce di circa un terzo dopo 7-8 giorni ;
il che avviene, avuto riguardo alla costituzione fìsica, anche
in ogni altro tessuto immerso nel medesimo ambiente.
Alcuni assaggi istituiti dal Guzzi sulle mutazioni del
volume del cordone messo ad evaporare nell' aria, ed a
macerare nell'acqua si staccherebbero (almeno in apparenza)
da ([uelli conseguiti da me, giacché secondo quest'Autore il
cordone a 20°-21° circa nell' aria dopo 25 giorni avrebbe
perduto la metà del suo volume, ed al 7° giorno nell' ac-
qua avrebbe aumentato di circa un quarto. Però se si tien
conto del fatto che 1' evaporazione dopo i primi 5-(3 giorni
è quasi compita, si che nei successivi la riduzione è quasi
impercettibile (e questo è un fatto assolutamente costante),
si può trovare un certo rapporto, giacché dalle mie tavole
risulterebbe che alla detta temperatura al 3° -5" giorno
all' incirca il volume si ridurrebbe appunto alla metà
dell' iniziale. Rispetto all' ambiente acqua la divergenza é
più sentita; e dovrà (da 125 a 180) spiegarsi con la varia
costituzione dei frammenti usati nei diversi esperimenti,
con la maggiore o minore permeabilità dei loro tessuti al
liquido d' immersione.
Ma poiché non si deve in questi studi esigere una
precisione matematica, parmi clie i loro corollarj, per quanto
desunti da esperienze di Laboratorio, accordandosi alle
emergenze quotidiane della pratica, meritino d' essere ac-
colti, se non come guida assoluta, almeno come documenti
di contribuzione.
[15] (1003)
BIBLIOGRAFIA
Voti Hofmann. — Lehrbuch der gerichtl. Medicin. VI Auflage. Wien,
1893.
Pfannkuch. — Ardi, fiir Gynàkol. 1875, Vili.
Fritsch. — MiiUer' s Handbuch der GeburtshùUe. 1889. Voi. Ili, 657.
Hohl. — Lehrbuch der Geburtshiilfe II Aufl. 443.
Guzzi Alessandro. — Ostetricia legale (Gazz. delle Cliniche. 1877).
Dupont. De la perte de poids que subissent les cadavres dans l' air
athmospherique (Thèse de Paris. 1889, p. 48).
F. J. Saint-Cyr. — Du cordori ombilical. Lyon, 1891 (p. 49 e seg.)
SOPRA L'INFLUENZA
ESERCITATA DALLA NICOTINA E DALLA SOLANINA
SULLA GERMOGLIAZIONE DE) SEMI DI TABACCO.
IsrOT A.
DEL 8. c. G. B. DE TONI e PAOLO MACH.
— iS<hh—
Un argomento a.s.sai importante di fisiologia vegetale
è quello di studiare l' influenza esercitata sul processo
germinativo dei semi dalle sostanze chimiche, alcune delle
quali agiscono accelerando, altre ritardando od impedendo
lo sviluppo dei semi.
La letteratura botanica non è scarsa di lavori diretti
ad illustrare questo punto della fisiologia e tacendo di
Humboldt che attribuì facoltà acceleratrici alla soluzione
acquosa di cloro, di Goeppert che eguali proprietà ammise
per il bromo e per l' iodio, di Vogel che ritenne utile la
canfora, ricorderemo in ispecial modo le ricerche relati-
vamente moderne di Giglioli (*), Sestini ("^), Haberlandt (3),
(1) J. Giglioli. — Resistenza dei semi e specialmente dei semi di
Medica aW azione prolungata di agenti chimici gazasi e liquidi (Gazz.
chim. ital. IX, 1879); Sulla resistenza di alcuni semi all'azione
prolungata di agenti chimici gazosi e liquidi (Annuario R. Scuola Sup
di Agric. Portici, voi. II, 1880. Napoli, 1881).
(2) F. Sestini. — Azione del vapore di diverse sostanze sopra
semi in germogliazione (Nuovo Giorn. botan. ital. XI, 1879, p. 148-155)
(3) Haberlandt. Einfuss des Kupfervitriols aitf die Keimfàìùg-
heii des Weizem (Miiller" s landwirthsch. Gentralbl. XXII, 1874, p. 281)
[2] (1005)
Kiulelka (i), Isidore Pierre (2), Wilhelm (3), Nessler (4),
Nobbe (3), Charpentier ("), Pi'illieux (7) e più che tutti
Heckel {»).
Con diverso indirizzo il Heveil (9) ha .studiato l'azione
della nic'jtina, imperocché egli ha rivolto le sue ricerche
a riconoscere l'influenza che l'alcaloide estratto dal Tabacco
esercita su altre piante (Balsamina, Mentha, Crocus, Hor-
(1) F. Kudelka. — Ueber den Einfluss der Kupfervitriollósung auf
Keimfahigkeit des gequellten Weizens (Oesterr. botan. Wochenblatt,
1876, p. 1280).
(2) J. Isidore Pierre. - Annales agronomiques, II, 1876, p. 177-181.
(3) G. Wilhelm. — Ueber die Einwirkung des Kamphers auf die
Keimkraft der Samen (Wiener landwirthsch. Zeitung, 1875, p. 409).
(4) J. Nessler. — Einfluss des Eisenmtriols und der Karbolsàure,
v^elche dem Di'mger zugesetzt tcerden auf das Keimen der Samen und
Wachsen der Pfianzen (Wochenbl, des landw. Vereins im Grossherzogt.
Baden, 1876 etc).
(5) F. Nobbe et H. Hiinlein. — Ueber die Wirkimg aetherischer
Oele und des Benzins auf dem Keimprocess der Samen (Mitth. pflan-
zenphys. Versuchsst. Tharand, XXIII).
F. Nobile, P. Baeseler et H. Will. — Untersuchungen iìber die
Giftwirkung des Arsen, Blei und Zinh im pflanzlichen Organismus
(Landw. Versuchsstat. XXX, 1884).
(6) A. Charpentier. — Action de la cocaine sur la fermentation
alcoholique et sur la végètation (Compt. rend. Soc. biol. de Paris, 1885).
(7) E. Prillieux. — De l'action des vapeurs de sulfure de carbone
sur les graìnes et sur leur dèveloppeinent (Bull. Soc. bot. de France,
Tome XXV, 1878).
(8) E. Heckel. — De V action des températures èlevèes et humides
et de quelques substances chimiques [benzoate de soude, acide ben-
zoique, acide sulfureux] sur la germination (Compt. rend. Acad. se.
Paris, T. XCI (1880), p. 129-131); — De l'action de quelques com-
posés si^r la germination des graìnes \bromure de camphre, borate,
silicate el arsèniate de soude] (Compt. rend. Acad. se. Paris, T. LXXX
(1875), p. 1170-1172); — De l' inftuence des acides saliciliquc, thy-
mique et de quelques essences sur la germination (Compt. rend. Acad.
se. Paris, T. LXXXVII (1878), p. 613-614).
(9) P. 0. Reveil. — Recherches de pliysiologie Vegetale: De l'action
des poisons sur les plantes. Paris, A. Delahaye, 1865.
(iOCO) [3]
deum, Mimosa), lasciando affatto da parte l'azione che la
nicotina esercita sulla germo^diazione e vegetazione della
Nicotiana: in ogni modo abbiamo creduto conveniente
il non passare sotto silenzio la pubblicazione del Reveil,
il quale ha avuto anche la cura di porgere agli studiosi
una discreta bibliografia sull' argomento.
Senonchè più che i lavori ora ricordati, a noi, che
nella presente Nota esponiamo in via succinta i risultati
ottenuti dall' azione della nicotina e della solanina sulla
germogliazione dei semi di Nicotiana Tabacum L., preme
richiamare l' attenzione sopra una Nota pubblicata due
anni or sono dal Cornevin (i), la quale si riferisce in parte
air argomento da noi trattato.
Il Cornevin considera due casi : nel primo la sostanza
(di cui esperimenta 1' azione) esiste nel seme, passa nella
giovane pianticella e non ha luogo mai interruzione nella
esistenza della sostanza medesima nella pianta ; nel secondo
la sostanza non esiste nel seme né nella giovane pianti-
cella, ma si forma più tardi e si localizza in altre regioni,
ma non nei semi ; studiò il primo caso con la saponina
»i\\V Ag?'ostemma Githago L. e con la citisina sul Cytisus
Laburnuni L., esaminò il secondo caso con la nicotina
sulla Nicotiana Tabacum L. e con la morfina, codeina,
narceina, narcotina, tebaina e papaverina sul Papaver
somniferum L. Ne ebbe per risultati che la saponina e la
citisina non impediscono la germogliazione dei rispettivi
semi di Agrostemma Githago L. e di Cytisus Lahurnum
L., che la nicotina ritarda la germogliazione dei semi di
Nicotiana Tabacum L., che infine, mentre la narcotina,
la codeina e la narceina stimolano la facoltà germinativa
dei semi di Papaver somniferum L., la morfina e la te-
(1) Cornevin. — Action de pois oìiì^ sur fa (/cnuìnatioii dcs yrahies
des végétaux doni ih proviennent (Cornpt. r^nd. Acad. se. Paris, T.
CXIII (3 aoùt 1891), p. 274).
[4] (1007)
baiiia sembrerebbero indifferenti e la papaverina avrebbe
facoltà ritardatrice.
Noi abbiamo esteso le nostre esperienze anclie alla
solanina, desiderando riconoscere 1' azione che detto gluco-
side esercita sopra i semi della Nicotiana Tahacum L.,
acciò anche le nostre ricerche oltre che servire di con-
trollo al lavoro del Cornevin, abbiano a porgere un con-
tributo sulla influenza esercitata da un' altra sostanza.
Le esperienze vennero eseguite due volte, con gli stessi
metodi, onde poter fare la media dei risultati e venire ad
una conseguenza il più possibile sicura. A differenza del
Cornevin che non tenne, a quanto sembra, conto del nu-
mero dei semi, noi assoggettammo all'azione della nicotina
e della solanina blocchi di semi in numero determinato ;
di più esperimentammo due soluzioni di nicotina con dif-
ferente percentuale, per poter dedurre V azione proporzio-
nale dell' alcaloide.
Le esperienze vennero dirette nel modo che segue :
I. Un primo lotto formato da 48 semi di Nicotiana
Tabacum L. fu trattato con soluzione nutritizia (*) addi-
zionata dell' uno per cento di nicotina. I semi erano col-
locati in 4 gruppi di 12 su cuscinetti di amianto contenuti
nei quattro vetrini da orologio di cui il blocco era costi-
tuito ed erano mantenuti sempre nel conveniente stato di
umidità dal liquido addizionato giornalmente ; il blocco,
come i seguenti, era tenuto coperto da una campana di
vetro, rivestita di carta nera.
Un secondo lotto, disposto come il precedente, venne
trattato con soluzione nutritizia al due per cento di ni-
cotina.
Un terzo lotto, come sopra, fu trattato con soluzione
nutritizia al mezzo per cento di solanina.
(1) Il liquido nutritizio venne preparato come suggerisce il chiar.
Detrner nel suo Pfianzenphysiol. Practicum.
(100.<^) [5]
Un quarto lotto, trattato con semplice soluzione nutri-
tizia, serviva da controllo.
II. Un primo lotto formato da 48 semi di Nkotiana
Tàbacum L. fu trattato con soluzione acquosa di nicotina
all' uno per cento ; i semi erano in quattro vasetti (12 per
ciascun vasetto) nella segatura fina di legno; in due vasetti
((juindi 24 semi) ai semi lo spermoderma era stato legger-
mente scalfito ; la segatura venne sempre mantenuta umida
colla soluzione acquosa ora ricordata.
Un secondo lotto, disposto come il precedente, venne
trattato con soluzione acquosa di nicotina al due per cento ;
qui pure 24 semi furono lasciati collo spermoderma intatto,
gli altri 24 scalfiti leggermente.
Un terzo lotto, disposto come i due precedenti, fu
inaffiato con acqua semplice per servire da controllo.
III. Un primo lotto formato da .30 semi, ripartiti in 3
vasetti pieni di segatura di legno (12 per ciascun vasetto) ;
nel 1.° vasetto i semi furono disposti dopo essere stati
immersi durante 24 ore in una soluzione acquosa di ni-
cotina all' uno per cento ; nel 2.° vasetto i semi erano stati
prima lasciati in contatto con una soluzione acquosa di
nicotina al due per cento, pure per lo spazio di 24 ore ;
infine nel 3.° vasetto i semi, già lasciati immersi nell'acqua
semplice per un giorno, servivano da confronto.
Un secondo lotto, disposto come il precedente, conte-
neva, ripartiti in 3 vasetti (12 semi per ciascliedun vasetto),
semi lasciati immersi in soluzioni come sopra ed in acqua
semplice per lo spazio di 48 ore.
Ambedue i lotti furono sempre in seguito mantenuti
nel necessario stato di umidità con aggiunta di acqua
semplice.
[0] ■ (10()<)
Risultati delle esperienze.
I. Nel primo lotto di 48 semi di Nicotiana Tabacwn
L. trattato con soluzione nutritizia all' uno per cento di
nicotina (dopo 31 giorni) i semi non diedero alcun indizio
di germogliazione.
Nel secondo lotto trattato con soluzione nutritizia al
due per cento di nicotina, stesso risultato negativo.
Nel terzo lotto trattato con soluzione nutritizia al
mezzo per cento di solanina germogliarono (dopo 9 giorni)
23 semi su 48.
Nel quarto lotto trattato con semplice soluzione nutri-
tizia germogliarono (dopo 9 giorni) 39 semi su 48.
IL II primo lotto di 48 semi (metà dei quali collo
spermoderma leggermente intaccato) nella segatura di legno
imbevuta di soluzione acquosa di nicotina all'uno per cento
diede risultato negativo (dopo 31 giorni).
Il secondo lotto di 48 semi (come sopra) trattato con
soluzione acquosa di nicotina al due per cento, diede pure
risultato negativo (dopo 31 giorni).
Il terzo lotto di 48 semi inafììati con acqua semplice
(dopo 12 giorni), diede 16 pianticelle tra quelli a spermo-
derma intatto, e due tra quelli a spermoderma scalfito.
III. I 12 semi lasciati immersi 24 ore nella soluzione
acquosa di nicotina all' uno per cento, diedero risultato
negativo (dopo 31 giorni).
I 12 semi lasciati immersi, come sopra, nella soluzione
acquosa di nicotina al due per cento, diedero risultato ne-
gativo (dopo 31 giorni).
Dei 12 semi (per confronto) tenuti 24 ore a contatto
dell' acqua semplice ne germogliarono 6 (dopo 12 giorni).
Dei 12 semi lasciati immersi 48 ore nella soluzione
(1010) [7]
acquosa di nicotina all' uno per cento, germinarono due
semi (dopo 26 giorni).
I 12 semi lasciati immersi come sopra nella soluzione
acquosa di nicotina al due per cento, diedero risultato
negativo.
Dei 12 semi tenuti 48 ore nell' acqua semplice (per
confronto) ne germogliarono 11 (dopo 12-13 giorni).
Dai risultati sopra esposti si viene alle seguenti con-
clusioni :
a) La solanina al mezzo per cento permette la ger-
mogliazione dei semi di Nicotiana Tabacum L. senza
alcun ritardo in confronto di quelli posti in condizioni
normali.
b) La nicotina all' uno e al due per cento impedisce
col continuo contatto la germogliazione.
e) La nicotina all' uno e al due per cento fatta agire
sui semi di tabacco per lo spazio di 24-48 ore non esclude
in via assoluta la possibilità della germogliazione dei semi
stessi, tuttoché la medesima germogliazione si effettui con
notevole ritardo ; in altre parole la nicotina agisce come
sostanza ritardatrice.
R. Istituto botanico dell' Università
Parma, 26 maggio 1893
DESCRIZIONE E PROPOSTE
PER COMBATTERE LA DIASPIS PENTAGONA
TARGIOHI TOZZETTI
0 COCCINIGLIA DEL GELSO
Il Bollettino di Notizie Agrarie del R. Ministero di
Agricoltura, Industria e Commercio N. 5 Gennaio 1891,
Anno XIII, 2° Semestre, contiene una importante memoria
sulla Diaspis.
Essa comincia colla descrizione esatta dell' insetto, dopo
di aver premesso, che prima comparve nei territori comu-
nali assai elevati di Proserpio, di Asso, di Ganzo in pro-
vincia di Como (18(i5 e 1866); ma ora si trova in tutto il
mandamento di Canzo, poi in quello di Erba, in buona parte
di quelli di Missaglia, di Gantù, di Como e di Lecco ; e, più
in basso, è venuto a mostrarsi in diversi comuni del cir-
condario di Monza, e fino a Rho presso Milano, mentre a
ponente è stata accertata la sua presenza nel Varesotto.
Descrizione
Eccone la descrizione : La sua specie si compone, di ma-
schi e di femmine ; ma il corpo dei primi è contenuto e
nascosto in un follicolo o minuto cartoccino lineare, bian-
chissimo, e quello delle seconde è ricoperto da una specie
di coperchio o guscio squamiforme, grigiastro, rotondeg-
giante, di un millimetro e mezzo a due di diametro, con
un puntolino bruno quasi centrale. Tanto i cartoccini o
T. IV, S. VII 69
(1012) [2]
follicoli dei maschi, quanto i g'usci o gli scudi delle fem-
mine si scorgono uno per uno ad occhio nudo, se isolati ;
ma tanto meglio poi dove, riuniti distesi e sovrapposti, for-
mano delle crosticene più o meno fìtte sui rami del gelso.
La femmina, sollevato il guscio, è un corpiciattolo mi-
nuto ; ma visibile, quasi discoidale da giovane, da adulto
però sensibilmente angoloso o di figura pentagonale, di co-
lore che varia dal giallo al rosso bruno, secondo l'età.
Il maschio, uscito dal suo follicolo, è allungato, assai
più minuto, benché visibile anche esso.
Con occhio armato di un debole ingrandimento di
microscopio si può riconoscere che sul corpo della femmi-
na, trasversalmente solcato, mancano le divisioni che ha
il corpo degli insetti generalmente, le zampe e le altre
appendici solite del corpo di essi, comprese le ali, salvo i
rudimenti di due antenne e due punti bruni che ri-
cordano gli occhi, in avanti. Vi sono però in forma di se-
tole lunghe, rigide, sottilissime, e di alcune altre pai'ti
anche più minute, gli organi della bocca, o con questi,
appunto, r animale si fissa sulle scorze per succhiare dal
loro tessuto gli umori di cui si nutrisce e infestarle con
altri. Vi sono inoltre quattro aperture laterali puntiformi,
che gli servono per respirare, ed altre ancora in gran nu-
mero anche più minute, distribuite pel corpo, lungo i mar-
gini, lungo le divisioni trasverse, nell'estremo posteriore, e
dalle quali vien fuori la sostanza destinata a formare il
guscio. La parte posteriore estrema ha delle strie, delle
punteggiature, dei denti marginali che definiscono meglio
le specie, ma che sono anche più difficili a scorgere.
Il corpo dei maschi è invece allungato, ha distinte la
testa, le due parti che si chiamano torace e addome, e dalla
testa sporgono due esilissime e lunghe corna articolate (an-
tenne) e quattro occhi grossetti ; dal torace partono tre
paia di zampe ben conformate, due ali, e due organi die-
tro le ali, che diconsi bilancieri. La bocca dei maschi è
appena rudimentale.
[3] (1013)
Benché tanto diversi, alla fine maschi e femmine hanno
la stessa forma appena usciti dairuovo, e per qualche tempo
di poi, finché sono larve; e sono allora corpicelli minutis-
simi discoidali, dittici, provvisti di antenne corte, di due
puntolini oculari in avanti, di bocca conformata e compo-
sta presso a poco, salvo le proporzioni, come quella della
femmina adulta, ma non ancora impiantata e fissa, ed inol-
tre di zampe relativamente forti e robuste, colle quali
corrono agilissimamente. Delle mute successive, nella fem-
mina a perdita, nei maschi ad aumento e trasformazione,
riducono le larve allo stato diverso che hanno secondo il
sesso gli insetti maturi.
Mentre le mute accadono, d' altra parte, le femmine
formano gli scudi loro, i maschi i loro follicoli, composti
gli uni e gli altri di una sostanza quasi cerea o resinosa,
che l'acqua non bagna né scioglie. Venuti a maturità, i
maschi si liberano dai follicoli, accoppiansi colle femmine,
e dalle uova fecondate di queste, a primavera (nella terza
decade di Maggio), nasce una prima generazione di larve,
che in sette od otto settimane sono già mature e capaci di
deporre uova alla volta loro. Anco queste danno, in al-
trettanto tempo, altre larve, altri maschi, altre femmine,
e cosi di seguito, per almeno due o tre generazioni (i) fin-o
all'ottobre, quando l' inverno sospende la maturazione dei
prodotti dell'ultima, fino alla primavera seguente.
La descrizione é accompagnata da figure nelle quali
si veggono un ramo di gelso con scudi delle femmine e dei
maschi, e questi e quelli a grandezza naturale ed ingran-
dita ; le larve molto ingrandite dalla faccia sternale, o ter-
gale, la femmina quasi adulta, dalla faccia pure sternale ;
il follicolo ingrandito contenente la larva alquanto defor-
(1) Le uova, che danno la Diaspis della seconda generazione, ven-
gono deposte sul finire del Luglio, ed ai primi di Agosto, e schiudono
pel solito nella prima quindicina di Agosto. Nel 1889 è stata osservata
una terza generazione nella seconda metà di Ottobre.
(10Ì4) [4]
mata dopo la [)riiiia muta del maschio ; il f(jllicolo inclu-
dente il maschio allo .stato di ninfa ; il ma.scliio liìjero e
molto ingrandito.
Effetti della infezione di Diaspis pentagona sui gelsi
Indi vi si parla degli effetti dell' infezione di Diaspis
sul gelso. Le prime offese sui rami da foglie dell' ultimo
anno turbano già 1' apertura degli occhi (gemme) della
pianta, o la maturazione della foglia ; quelle ripetute, com-
promettono la maturazione del legno, la formazione delle
gemme nuove, e a poco a poco, con celerità, la vita stessa
del gelso.
Tanto più gravi e pronti sono questi effetti quanto più
il gelso è meno resistente o per sua natura, o per l'età, o
per le circostanze sotto le quali vegeta ; non esclusa la
cura ed il modo della coltivazione. Non si sa, però, bene
ancora se vi sieno varietà di gelso, o modo e luogo di
coltivazione determinati, che possano far variare gli ef-
fetti stessi.
Questi poi, come è naturale, si aggravano rapidamente
in ragione composta della moltiplicazione dell' insetto e della
resistenza del gelso che diminuisce per le offese a cui va
sottoposto.
Oltre che sul gelso, si afferma che il pidocchio si pre-
senta sopra altre piante. Finora la Diaspis pentagona si
asserisce osservata nelle seguenti piante : Sofora, Moro pa-
pirifero. Pesco, Evonimo Europeo o Fusaggine, Lauroce-
raso, Salice, Uva spina, Cellis atistralis, Bignonia Catalpa,
Fagiolo, Ortica, qualche varietà di Sediim.
Come si diffonde la infezione
La infezione si diffonde per trasporti ;?«^«/«;«; maschi
e femmine allo stato di larva, essendo liberi e mobilissimi,
possono trasportarsi da luogo a luogo, cioè da i)arte a
[5] (1015)
parte di una stessa pianta, da pianta a pianta, o quando i
rami di una si toccano con quelli dell'altra, o (juando qual-
che intermedio si presta ad una indiretta comunicazione,
0 quando discese in terra da un albero, come di fatto si
è osservato, camminano agilissime su questa, mentre non
è loro impedito certamente, trovato il tronco di un albero
nuovo, di salirvi sopra.
Esperienze, appositamente istituite nell'Agosto 1890 dal
professore Franceschini, hanno mostrato che il vento sol-
leva e porta per aria le larve stesse, che queste si fermano
dove un ostacolo le arresta; cosicché se di mezzo vi sieno
delle piante, e queste sieno dei gelsi, naturalmente la in-
fezione, allargata, si stabilisce sopra di essi.
Per trasporti artificiali, un mezzo di diffusione è il
trasporto e piantamento di gelsi infetti fra i gelsi sani ; il
trasporto poi di potature o di rami di gelso con foglie è
tanto più da temere, perchè questi fatti spesso si combinano
con certe usanze, con certe pratiche ordinarie, che pos-
sono parere anche necessità indeclinabili dell'agricoltura.
In proposito però converrà distinguere questi trasporti
secondo il momento nel quale si fanno, e l'uso a cui le cose
trasportate debbono servire. Non avrà effetto pratico, in-
fatti, il trasporto dei rami infetti di una pianta di gelso o
di una pianta intera giovane o vecchia in un momento
lontano da quello della maturità delle uova o delle larve
del pidocchio, quando questi rami o piante sieno immedia-
tamente distrutti ; ma non sarà altrettanto pel trasporto dei
rami colla foglia dal campo a una bigattiera, che cadrà
appunto in un momento nel quale le larve sono per na-
scere 0 sono nate da poco, mentre quei rami saranno con-
servati vivi finché hanno foglia, o gettati e conservati senza
cura fuori della bigattiera, una volta brucati.
Pericoloso sarà quasi 1' uso di potare i gelsi verso
la primavera o in autunno, e lasciare le potature sul campo,
0 di portarle da una parte del possesso ad un' altra, e
quivi ammassarle per aspettare il momento di adoprarle ad
(loi(i) • [(;]
un u.so qualunque ; poiché anche sui rami divulsi i pidocchi,
che forse non erano maturi, possono maturare, e, prima
che la distruzione abhia avuto luogo, partorire uova e da
queste nascere le larve.
Peggio poi di ogni cosa, come è stato detto di sopra,
l'accrescere le piantate con giovani piantoni infetti, sui (juali,
al tempo solito, i pidocchi esistenti daranno uova e larve
che avranno il più naturale esito loro, e semineranno la
infezione, comunicandola alle piante sane delle vicinanze ;
come si ebbe luogo di osservare, in modo evidente, in ter-
ritorio di Montorfano e a Ceriano Laghetto, presso Saronno.
Rimedi
I rimedi sono : preventivi, eslintivi e curaÀivi.
Fra i preventivi si raccomanda :
a) Di guardare quei rami o bacchette con foglia che
si tagliano per certe comodità degli allevamenti, avendo
cura di non toglierle da gelsi infetti, e di distruggerle su-
bito dopo colta e consumata la foglia.
b) Le potature, che si fanno per la coltivazione dei
gelsi, dovranno essere senza troppa agitazione raccolte, am-
monticchiate sul campo, ma non lasciate a sé stesse ; e,
quando non si vori'anno distruggere addirittura bruciandole,
dovrebbero essere per lo meno abbrustolite, riscaldate,
affumicate, finché possa bastare a mortificai'e gli insetti.
e) Conviene rinunziare assolutamente allo scambio
commerciale dei piantoni che provengono da vivai o da
luoghi infetti.
Rimedio estintivo, e sovrano sterminatore, potrà es-
sere il fuoco al quale si condannerà ciò che si toglie dalle
piante malate potandole, e le piante stesse quando si tro-
vino colla infezione coltivate nei piantonai, o tolte da' pian-
tonai, e destinate o già impiegate per nuove piantate.
[7] • (1017)
Ai rimedi curatici per limitare la infezione, si ripor-
tano il calore, rinunciando agli avvanipatori (pirofori) ; i
vapori insetticidi ; gl'insetticidi solidi e liquidi.
Saranno solidi e polverulenti, ovvero liquidi per pro-
pria natura, o resi tali per soluzione, divisione e sospen-
sione nell'acqua.
Polveri. — Non conosciarap sostanze solide o polveriz-
zate ed asciutte che operino efficacemente a secco sui pi-
docchi meno che nel breve momento della loro vita lar-
vale, e prima che si ansi coperti e riparati sotto dei gu-
sci analoghi a quelli della nostra Diaspis.
Vi sono però alcune polveri, che, liquefacendosi in
parte col favore dell'acqua o dell'umidità naturale dell'aria,
spiegano una certa azione, ed una per tutte potrebbe es-
sere la cenere ; la calce può fare, ma con effetto minore,
altrettanto. Se alcune volte la cenere si è applicata in Si-
cilia contro i pidocchi degli agrumi, anche più aderenti di
quello dei gelsi, a consiglio del compianto prof. luzenga, e
con qualche vantaggio, la pratica non ha seguitato ad usarne.
Della calce in polvere non sappiamo che sia stata fatta ap-
plicazione alcuna, e dopo la cenere non potreb])e essere
raccomandata.
Soluzioni e poltiglie acquose. — La calce applicata
come bianco di calce o latte di calce più o meno denso,
sui rami impidocchiti, vi rimane come un intonaco bianco,
che cuopre sotto di questo i pidocchi stessi, e si è sperato
di trarne vantaggio.
I pidocchi però invece di essere offesi o rimanere sof-
focati, come alcuno ha creduto, seguitano a vivere e pro-
sperare, e le femmine in particolare, sane, fresche, piene
di uova si sono trovate molto più tardi, dove l'applicazione
era stata fatta. Da esse sono poi nate bene e meglio le
larve, che hanno trovato la via d'uscire e diffondersi, co-
me se nulla fosse stato; anzi esse, sotto lo stesso intonaco,
sono riuscite a stabilire nuove colonie, come si è visto sui
(1018) [8]
freisi incalcinati in ^ran numero lunf>:o la strada da Albe.se
ad l^j'ha.
Si e ci'cduto di accrescere la vii-tù della calce, facendola
prima boUii-e con dello zolfo, e cioè pigliando calce viva
p. I, calce in polvere \). 2, acfjua p. 10, il che si riduce
a j)rodurre un po' di solfuro di calcio, che, mescolato colla
cal(;e eccessiva, esala poi un (jdore cattivo di idrogeno sol-
foi-ato, scomj)onendosi all'aria. L'effett(j di (jucsta medica-
tui-a, })er (]uanto si dica in conti-ario, non è stato diverso
da (juello della calce jìura ; solamente il rimedio è co-
stato di })iii, ed ha costretto ad impiegare più temiio e cura
maggiore neirapplicazione. Lo stesso è avvenuto a chi ha
curato i suoi gelsi colla mistura hordelese, usata contro
la peronospora della vite, e a chi ha sostituit(j al solfato
di rame della mistura stessa, il solfato di ferro.
Altri hanno impastato colla calce del petrolio, dell'a-
cido fenico, dell'olio pesante di catrame, della naftalina
(come alcuno avea provato a Corneno frazione di Penzano),
od hanno impiegato la poltiglia l)albiani che si compone di:
Olio pesante di catrame. . . . parti 20
Naftalina greggia » 30
Calce viva » 100
Acqua > 400
L'effetto però, se è stato in (jualche punto migliore
che colla calce sola, è stato sem[)re assai scai'so ed irre-
golare, come fu sperimentato ad Orsenigo, a Canzo, e a
Prosepio pei' iniziativa jìrojìria da distinti pratici agri-
coltori.
Misrtfgli eimflsiiii saponosi, od oleoso alcalini. — Gli
effetti più chiari, più e(iual)ilmente distribuiti si sono os-
servati piuttosto dove, lasciata la calce da })arte, il solfuro
di carltonio, il jietrolio comune, l'acido fenico, 1' ()lio pe-
sante di catrame, il jietrolio greggio sono stati adoperati
direttamente, divisi e sospesi in emulsione ; sono stati però
[9] (1019)
di diverso },^rado, e migliori di tutti son parsi quelli a base
di olio pesante di catrame, o di petrolio nero.
Vi sono emulsioni diversamente composte.
1." Emulsione di Riley :
Kerosene (petrolio non raffinato di America) . . litri 8
Sapone ordinario gr. 175
Acqua litri 4
Per ottenerla, sciogli il sapone in acqua sufficiente, a
caldo ; lascia freddare, ed aggiungi grado a grado il kero-
sene, agitando la massa. Diluisci poi con acqua litri 60-80.
2.° Emulsione della Stazione di entomologia agraria
in Firenze :
a) Solfuro di carbonio .... parti 2,5
Olio di pesce » 4,5
Fa soluzione e lascia depositare.
b) Potassa del commercio . . . parti 1
Acqua » 25
Fatte a freddo le due soluzioni aj e bj, mescola gra-
datamente l'una con l'altra, e aggiungi
Acqua tino a parti 475
La emulsione di Riley non ha varianti, il che non
esclude che possa averne. La emulsione della Stazione di
entomologia è stata variata largamente, sostituendo al sol-
furo di carbonio dapprima il petrolio o l'acido fenico greg-
gio, con poco aumento nella dose degli alcali per quanto
all'acido fenico.
Come variante di questa si può considerare la se-
guente, adoperata negli esperimenti contro la Diaspis, nella
(1020) [10]
quale fu sostituito il carbonato di potassa col carbonato di
soda (soda Solwaj^) e il solfuro di carbonio, od anche pe-
trolio o l'acido fenico con quel petrolio nero di cui si è
parlato, e ne venne la
Emulsione a base di petrolio nero :
Petrolio nero (densità 0.970) parti 9
Olio di pesce » 2
Carbonato di soda anidro (soda Solway) . » 1
Acqua » 100
A questa crediamo, senza riserve, di poter aggiungere
la seguente :
Olio pesante di catrame (i) . . parti 10
Olio di pesce » 0,5
Soda Solway » 0,5
Acqua » 20
Id » 69
parti 100
Miscugli semplicemente alcalini. — Ad iniziativa del
prof. Franceschini, venne poi il terzo tipo di emulsione,
rappresentato dalle Ibrmule seguenti :
1." Acido fenico a 1.012 di densità (2) . . . parti 9
Carbonato di soda anidro (soda Sohvay) . » 1
Acqua » 100
2." Olio pesante di catrame a 1.012. ...» 9
Carbonato di soda anidro (soda Solway) . » 4,5
Acqua » 100
(1) L'olio pesante di catrame adoperato viene dalla distilleria del
Sìg. Vitali a Borgo San Donnino, della densità areoraetrica 9'' B'" a
-j- 10" C ed al prezzo di L. 10 a quintale sul posto.
(2) Si ò impiegato acido fenico greggio del commercio a 60 y^,
della densità areometrica di 3° B" a -|- 10" C,
[11] (io2i;
Come si applicano le emulsioni.
Quanto al modo di applicare le emulsioni, appena com-
piuta la raccolta delle foglie o pei bachi, o pei Ije.stiami
più tardi, conviene pertanto di potare le piante o di di-
.sporle alla potatura regolare, togliendo tutto ciò che non
sia essenziale a una buona produzione per l'anno di poi.
Ciò ha una sola difficoltà, quella dell'uso di non po-
tare i gelsi, 0 di potarli irregolarmente, o al più ogni tre,
rarissimamente ogni due anni.
Passi anche per altre ragioni di pratica la potatura
])iennale o triennale, ma converrebbe sempre rinunziare
alle potature a tempo indefinito ; sacrifizio di abitudini,
non di razionalità nella coltivazione del gelso, e che sa-
rebbe anche limitato ad una prima operazione, e periodi-
camente a intervalli, ad alcune altre dello stesso grado, se
il male insistesse. Ma fra 1' una e 1' altra di queste, do-
vrebbero bastare delle potature più discrete e parziali, e
regolando i tagli, finché il male durasse, si potrebbero
avere, con pochi gelsi rigorosamente trattati, gli altri poco
meno che in corso di coltivazione ordinaria.
La infezione si dovrebbe combattere la prima volta,
appena si scorge, in qualunque stagione e a qualunque
costo. Ma si può essere indulgenti, e lasciar raccogliere la
prima foglia pei bachi, magari la seconda e la terza pei
bestiami, a condizione di rifarsi appena sopravviene 1' au-
tunno, e si apre l' inverno ; o anche più tardi, quando,
passati i maggiori freddi, si avvicina la primavera.
Data in qualunque tempo più opportuno la mano al
pennato, e fatta la potatura, distruggendo presto, o curando
nel modo detto di sopra le parti tagliate, si farà sul resto
r applicazione del miscuglio prescelto, che per le prove
fatte dovrebbe essere uno di quelli a base di olio pesante
di catrame, o a base di petrolio nero.
(1022) [12]
Assai spendite sai'(d)l)(', se non di i-ovesciaro sui ^elsi
jiotati una massa di lifjiiido. di irrorai-ne con ossa la testa
e il ii'oiico })ei' mezzo di })ompe a gett(j polvei'izzato ; ma
HK^lta materia si ])ei'de. e il resto non ^•a distril)uitu a
dovere.
Megdio è di ai)[)licare il miscuglio li({uido con un pen-
nello da imbianchino assai lai-go e col manico inastato o
]io, secondo 1' altezza dei rami, pei più grossi dei quali, e
}iei tronchi, potranno giovare anche deHe spazzole di se-
toh) vegetabili come ({uelle che si adoperano pei cavalli, e
che si possono fare di divei-sa forma, inastai-c so})ra un
manico, o adattare a una impugnatura ({ualun([ue (i).
La. IVizione meccanica aiuta naturalmente hi liagna-
tui'a delle superfici, il dista(;co dei gusci d(d pi(b)C(*liio, la
])enetrazione del rimedio sotto ([uelli che reslano, e a (|ue-
sta circostanza senza dubbio si sono d(tvuti certi effetti
discreti, ottenuti in (juel di Orsenigo, colla calce bollita
insieme allo zolfo, alti-ove rimasta senza effetto alcuno.
Conclusioni pratiche.
L'articolo chiude col ricordare che: 1." per restringere
quanto si può la diffusione, conviene almeno evitare i tra-
sporti delle parti infette dai gelsi, nell'estate in particolare;
e (juindi per esempio i trasporti dei rami con foglie o senza,
infetti o ].)rovenienti da luoghi dove sia l'infezione.
Nelle altre stagioni, se (lualche trasporto si faccia, co-
me ([U(dlo delle })otatui'e \)e\' alti*o esempio, conviene col
fuoco o altrimenti mortihcare i pidocchi, sul h'gnosul (juale
si trovano ; })erchè gli insetti stessi, anco non maturi nel
momento, lasciati a sé sul legno sul quale stanno, per poco
(1) Non crediamo nò necessaria ne conveniente la s[ia/,/,ola di fili
metallici, inventata dal Signor Vermorel,
[]?q (1023)
che questo conservi della umidità, possono maturare e
moltiplicare.
Tanto più conviene astenersi dal prendere e portare
in paese non infetto giovani piantoni, sui quali esista l' in-
fezione, per rifornire o formare di nuovo delle piantate
di gelsi.
Pochi insetti, che compongono una infezione, sul prin-
cipio sfuggono all'occhio facilmente, ed è necessità rinun-
ziare anco a dei piantoni apparentemente sani, ma che pro-
vengono da luoghi infetti.
2.° Quando una infezione sia riconosciuta, sarebbe me-
glio tentare di estinguerla, distruggendo le piante col fuoco.
Ma questo espediente, migliore di tutti per essere applicato
nei piantonai, nelle recenti piantate di gelsi infetti, riesce
più grave e di più difficile applicazione, nelle coltivazioni
di antica data.
Conviene allora combattere coi mezzi curativi, o colle
cure degli insetticidi che risparmiano le piante, per atte-
nuare intanto gli effetti dannosi della infezione, e per ri-
tardarne gli aumenti e la diffusione.
Per questo convengono operazioni diverse, e di diverso
grado di intensità, di anno in anno ripetute, finché il male
persista, e cosi :
a) Una prima operazione consisterà nello scapitozzare
0 potare molto largamente i gelsi, tagliando le parti
più infette ; le potature saranno bruciate sul posto, tutte o
in parte per riscaldare, affumicare le altre, raccolte ed ac-
catastate sopra le prime :
b) Rinunziando all'uso di polveri asciutte, di lavature
con acqua o semplicemente acquose, come sarebbero sughi
0 decotti di piante supposte insetticide, non escluso quello
del tabacco, all'uso di poltiglie di calce, di calce e zolfo,
di calce e solfato di rame o di ferro, che giovano in
altre occasioni all'agricoltura ma non in questa, converrà
impiegare miscugli di sostanze saponose grasse o bitumi-
nose stemperate nell'acqua. Potrebbero e potranno essere
(1024) [14]
molti e diversi questi miscugli, ma sotto le circostanze at-
tuali quelli, che hanno dato migliori effetti fin qui, sono
.stati citati a pag. 10 nonché a pag. 10 N, 2. (i)
Provvedimenti contro la Diaspìs pentagona
In data 2 Luglio 1891 fu promulgata la seguente legge:
(Y. Boll, di Notizie Agrarie, Anno XIll, 1891 Luglio, H. 31).
PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTÀ DELLA NAZIONE
RE D' ITALIA
Il Senato e la Camera dei deputati hanno approvato :
Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue ;
Art. 1.'^ I sindaci dei comuni nel cui territorio si manifesta la
Diaspis pentaffotia, hanno 1' obbligo di farne immediata denuncia al
prefetto della provincia e al Ministero di agricoltura, industria e com-
mercio.
Art. 2." Constatata V esistenza dell' insetto, il Ministero, sentita la
deputazione provinciale, determina l'estensione della zona infetta.
Contemporaneamente determina il tempo ed i modi per operare la
distruzione dell'insetto.
Le determinazioni del Ministero .saranno notificate agli interessati
a mezzo dei sindaci.
Art. 3.° I proprietari sono tenuti ad eseguire, nei fondi invasi, le
disposizioni emanate a termini dell'articolo precedente.
Qualora i proprietari non eseguiscano i lavori ordinati, od eseguen-
doli non li facciano nella forma e nel termine indicato con apposita
notificazione ai medesimi, a mezzo del messo comunale, il sindaco farà
d'ufficio eseguire i lavori ed a loro spese.
(1) Neil' Italia Agricola (Anno XXI Milano 20 e 31 Dicembre 1890
N. 35 e 36) si legge sulla Diaspis un'articolo degli illustri Comm. Tar-
gioni Tozzetti e Felice Franceschini diviso nella parte scientifica e nella
parte pratica. Il Bollettino di Notizie agrarie del R. Ministero di Agri-
coltura riporta la prima per intero, la seconda alquanto modificata.
[15] (1026)
Art. 4.** In caso di contestazione sulla spesa tra il sindaco ed un
proprietario interessato, pronunzierà il pretore del rispettivo manda-
mento, senza che perciò sia sospesa l'esecuzione del provvedimento di
cui all'articolo 'ò'^.
Art. 5.° Le spese per esperimenti d'ogni specie tendenti ad ottenere
la distruzione dell' insetto, come pure quelle per gli agenti governativi,
saranno sopportate dallo Stato.
Art. 6.° Le persone delegate dal Ministero di agricoltura, industria
e commercio, ad accertare la presenza della Diaspis pentagona. ed a
constatare l'esecuzione di quanto si dispone nella presente legge, pos-
sono introdursi nei fondi dei privati per praticarvi le opportune in-
dagini.
Art. 7." È data facoltà al Ministero di agricoltura, industria e com-
mercio di proibire la esportazione di piante o parte di piante, dalle zone
dichiarate infette.
Durante la stagione della bachicoltura non potrà essere vietato il
trasporto della foglia di gelso da una ad altra località.
È data facoltà al Governo di prendere, nei limiti sanciti dalla pre-
sente legge, ogni altro provvedimento inteso ad impedire la di/Fusione
dell' insetto.
Art. 8.° Le contravvenzioni alle disposizioni della presente legge ed
a quelle che saranno emanate dal Governo in esecuzione di essa, sa-
ranno punite con la multa estensibile a lire 250, salvo le sanzioni pe-
nali che siano applicabili in virtìi delle leggi generali dello Stato.
Ordiniamo che la presente, munita del sigillo dello Stato, sia in-
serta nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del regno d'Italia,
mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come
legge dello Stato.
Dato a Roma, il 2 Luglio 189 L
l" UMBERTO
Chimirri
Cura obbligatoria dei gelsi attaccati dalla Diaspis pentagona
DECRETO MINISTERIALE
Il Bollettino di Notizie agrarie del R. Ministero di
Agricoltura I. e C. (Anno XIII, Dicembre 1891, N. 57), con-
tiene un decreto Ministeriale, 17 Dicembre 1891, firmato
(1026) [16]
N. Miraglia per il Ministro, che presei'ive la cura obbliga-
toria dei gelsi attaccati dalla cocciniglia, imposta a Comuni
31 del Circondario di Lecco e 61 di Como, e
DECRETA :
Art. 1.° Ai proprietari dei comuni indicati nell'annesso elenco è
fatto obbligo di applicare con ogni diligenza durante V inverno, e non
pili tardi del mese di febbraio, ai gelsi ed agli altri vegetali infetti
dalla cocciniglia del gelso (Diaspis pentagona), una delle tre miscele,
due delle quali indicate a pag. 10 ; la prima ò Y emulsione a base di
petrolio nero, la seconda il N. 2. di miscugli semplicemente alcalini, e
la terza che è la seguente :
3* miscela
Olio pesante di catrame (densità 1.032) Kg. 1.000
Olio di pesce , . . » 0.050
Carbonato di sodio anidro » 0.050
Acqua » 9.000
È fatta raccomandazione di seguire all'uopo le istruzioni che fanno
seguito al presente decreto.
Art. 2.° I sindaci dei coiniiiii indicati nell'annesso elenco notifiche-
ranno ai rispettivi am;ninistrati la presente disposizione e ne cureranno
d'ufficio la esecuzione, previa notificazione a mezzo del messo comunale,
durante il mese di marzo, quando i proprietari non abbiano applicata
la cura nel tempo e nei modi stabiliti.
È fatto obbligo ai sindaci di portare a conoscenza dei propri am-
ministrati, a mezzo di apposito avviso, le istruzioni di cui nel prece-
dente articolo.
Il prefetto di Como è incaricato di vigilare per la scrupolosa os-
servazione del presente decreto che sarà registrato alla Corte dei conti
ed inserito nella Gazzetta Ufficiale.
Istruzioni pratiche per combattere la cocciniglia del gelso
Quando non si voglia estinguere il male distruggendo
col fuoco le piante infette dalla Diaspis, ciò che è sempre
consigliabile quando 1' infezione non è diffusa, od ha col-
pito piantagioni novelle, il male va combattuto con spe-
[17] (1027)
ciali insetticidi che, uccidendo gli insetti, risparmiano la
pianta.
I rimedi finora riconosciuti efficaci e di uso economico,
per combattere la cocciniglia del gelso, e che perciò do-
vranno essere applicati, sono quelli ricordati a pag. 10 col
seguente ordine :
1. N. 2 del miscuglio semplicemente alcalino.
2. Petrolio nero (densità 0.970).
3. Vedi 3^ miscela pag. 16.
Per fare il primo miscuglio occorre sciogliere il car-
bonato di sodio nell'acqua, ed aggiungervi l'olio pesante di
catrame, mescolando continuamente il liquido.
Per fare il secondo ed il terzo miscuglio si uniscono,
da una parte l'olio pesante di catrame od il petrolio nero
coll'olio di pesce ; dall'altra, si scioglie il carbonato di so-
dio neir acqua e poi si mescolano i due prodotti, sempre
agitandoli.
Questi miscugli liquidi si mantengono omogenei per
mezzo di ripetuta agitazione, con un agitatore qualunque
od adoperando recipienti appositamente costruiti.
I miscugli debbono essere preparati nello stesso giorno
in cui si vogliono applicare alle piante, perchè essi invec-
chiando anche di pochi giorni, perdono di efficacia.
Se si tralasciano le precauzioni necessarie per man-
tenere omogenei i miscugli, la cura non può raggiungere
il suo pieno risultato.
L'applicazione dei miscugli alle piante infette (tronchi
e rami) si fa per mezzo di pennelli ordinari da imbianchino,
in modo da bagnare abbondantemente tutte le parti infette
dalla cocciniglia. Non si fii differenza tra 1' applicazione
fatta piuttosto in principio d' inverno che sul finire di esso;
ma converrà sempre eseguire la cura avanti che i gelsi
rientrino in vegetazione per non danneggiare in modo al-
cuno le tenere gemme.
T. IV, S. VIJ 70
(1028) [18]
Una prima operazione, quando non importi di sacrifi-
care la foglia, potrà farsi in qualunque stagione ; ma, se si
voglia guardare all'economia, converrà dare la preferenza
alle cure invernali. Dopo la prima operazione, quelle che
potranno occorrere d' anno in anno, saranno facilitate da
un sistema regolare di potatura dei gelsi, o da un sistema
di rotazione col quale taluni gelsi siano amputati un anno
più ed altri meno rigorosamente.
Roma, addì i7 Dicembre 1891.
per il Ministro
F.° MlRAGLIA
Elenco dei comuni della provincia di Como
nei quali sono applicabili le disposizioni emanate col
ministeriale decreto 17 dicembre 1891 per combattere la
Diaspis pentagona.
Circondario di Lecco
Abbadia, Acquate, Annone, Airuno, Asso, Barzanò,
Bartesate, Barzago, Bosisio, Brianzola, Bulciago, Ganzo, Ca-
rella, Casatenovo, Caslino, Cassago, Cassina Mariaga, Ca-
stelmarte, Givate, Contra, Cremella, Dolzago, Elio, Garba-
gnate, Germanedo, Longone, Maggianico, Mandello, Mal-
grate, Molteno, Monticello, Oggiono, Olcio, Onno, Penzano,
Perego, Proserpio, Robbiate, Rongio, Rovagnate, Sirone,
Somana, Valbrona, Valgreglientino, Valmadrera, Vigano,
Villa Vergano.
Circondario di Como
Albese, Alserio, Alzate, Anzano, Arcellasco, Arosio,
Bellagio, Bellano, Bernate, Blevio, Breccia, Brenna, Buc-
cinigo, Gabiate, Gamnago Volta, Gantù, Garcano, Garinate,
[19] (1029)
Carugo, Castello, Cassano Albese, Cavallasca, Civiglio, Co-
lico, Como, Consiglio Rumo, Corenno Plinio, Costa Masnaga,
Cremia, Cremnago, Crevenna, Dervio, Bongo, Borio, Erba,
Fabbrica Burini, Pigino Serenza, Incino, Inverigo, Lambru-
go. Lemma, Lezza, Limonta, Lipomo, Loveno sopra Me-
naggio, Lucino, Lurago d'Erba, Mariano Comense, Merone,
Mojana, Moltrasio, Monguzzo, Montorfano, Nibionno, Orse-
nigo, Palanzo, Parravicino, Perledo, Ponte Lambro, Pon-
zate, Rebbio, Rogeno, Romano Brianza, Rovello, Senna Co-
masco, Solzago, Tavernerio, Turate, Vassena, Vergosa, Vil-
lalbese. Villa Romano.
Indicazione sommaria di altri Comuni della Lombardia nei
quali sono ormai applicate le disposizioni emanate col
precedente Decreto Ministeriale.
Li 28 Gennaio 1892 si ripete lo stesso decreto firmato
G. Arcoleo per il Ministro (Bollettino, N. 4, 11 Gennaio 1892,
Anno XIV) per 10 Comuni del circondario di Milano e per
39 Comuni del circondario di Monza, per Legnano circon-
dario di Gallarate, situati in provincia di Milano ; con de-
creto 29 Gennaio 1892 per i Comuni di Vercurago e Ca-
lolzio in provincia di Bergamo ; il 31 Marzo 1892 firmato
Miraglia (Bollettino, N. 8, Aprile 1892, Anno XIV), per il
Comune di Olginate provincia di Como; il 13 Aprile 1892,
firm. Arcoleo, Bollettino N. 10, Maggio 1892 aggiunte le
istruzioni pratiche sopra citate per il Comune di Belebio
provincia di Sondrio ; li 26 Marzo, flrm. Miraglia, vedi Bol-
lettino N. 12, 1892, per i Comuni di Gravedona, Olgiate
Molgora e Maslianico provincia di Como ; li 8 Aprile, fir-
mato Miraglia, Bollettino N. 10, Maggio, per il Comune di
Cesate prov. di Milano ; li 27 Aprile 1892 (Bollettino N. 13,
Maggio), per i Comuni di Gera e Fino Mornasco prov. di
Como; il 15 Maggio 1892, vedi Bollettino N. 15, per il
Comune di Piantedo prov. di Sondrio ; il 3 Giugno 1892,
(1030) [20]
Ijollettino N. 10, Giugno, per il Comune di Misinto (Mi-
lano) ; il 10 Giugno per il Comune di Dubino (Sondrio);
il 14 st. m. per il Comune di Rossino (Bergamo); il 22
per i Comuni di Varenna e Casnate (Como) Bollettino N. 18,
Giugno. Col decreto Ministeriale, 30 Novembre, flrm. Mira-
glia, vedi Bollettino N. 35, 1892, è vietata l'esportazione di
qualsiasi pianta del gelso dai territori comunali di Traona e
Morbegno prov. di Sondrio, dal mandamento di Caprino
prov. di Bergamo, dai circondari di Como e Lecco prov.
di Como, dai circondari di Milano, Monza e dal manda-
mento di Busto Arsizio prov. di Milano ; nel divieto non è
compresa la foglia durante il periodo della bachicoltura.
Le contravvenzioni alla presente disposizione saranno
punite con l'ammenda nominata dall' art. 8 della legge 8
Luglio 1891, cioè con multa estensibile a L. 250, salvo le
sanzioni penali che siano applicabili in virtù delle leggi
penali dello Stato.
Per il decreto 30 Novembre 1891 la circolazione dei
gelsi e delle loro parti è sempre libera entro il perimetro
di quei territori.
Il Bollettino di Notizie Agrarie 1893, Anno XV, con-
tiene lo stesso decreto Ministeriale d'applicarsi al Comune
di Gerenzano (prov. di Milano), al Comune di Lonate-Cep-
pino (prov. di Como), e il decreto 20 Novembre 1892, che
vieta la esportazione dei gelsi e loro par-ti da una deter-
minata zona, al Mandamento di Saronno (prov. di Milano),
(v. Boll. N. 6, Marzo), al Comune di Appiano (prov. di
Como) (v. N. 7, Marzo), al Comune di Cesano Maderno
(prov. di Milano), al Comune di Verderio (prov. di Como)
(v. N. 9, Aprile).
firmati G. Canestrini
» P. A. Saccardo
» A. Keller, relatore
DELLA GlUxNTA CHE PRESE IN ESAME LE MEMORIE
PRESENTATE AL CONCORSO SCIENTIFICO
AL PREMIO DELLA QuERINIANA, SCADUTO IL 31 DICEMBRE 1892
SUL TEMA DELLE CALDAJE A VAPORE
-<^-<^
Neil' adunanza del 26 Febbraio 1888 il nostro Istituto
deliberava di bandire il concorso al premio di 3000 lire
della Fondazione Querini-Stampalia sul seguente tema :
« Coir ajuto di dati scientifici, pratici e statistici si
■» determinino le basi, su cui oggi giorno dovrebbe essere
» fondata una legge sulla costruzione, prova e sorveglianza
» delle caldaje a vapore, e la costituzione in Italia di quelle
» Società, cbe già fioriscono presso altre nazioni, e che si
» incaricano di tenere in attenta osservazione le caldaje
» dei loro clienti.
« Il concorrente, nello svolgere il tema, non dovrà
» dimenticare gii accidenti relativamente numerosi e ta-
» lora assai gravi, che avvengono nei grossi tubi bolli-
» tori, le cui pareti sono soggette a compressione (caldaje
» Cornovaglia). »
11 concorso si chiudeva il 30 Ducembre 1890, e andò
deserto perchè nessun concorrente rispose all' invito. At-
tesa r importanza del tema, l'Istituto, nel 1891, ha creduto
di riproporlo agli studiosi, e lo ripropose tal quale, senza
alcuna modificazione, stabilendo la chiusura del concorso
al 31 Decembre 1892.
(1032) [2]
La Commissione sottoscritta viene ora a darvi notizia,
egregi colleghi, delle Memorie presentate sul tema pre-
detto, ed è lieta di poter dirvi che questa volta tre con-
correnti risposero al vostro invito, e che risposero con la-
vori meritevoli della più seria considerazione.
Le Memorie presentate sono distinte con le epigrafi
seguenti :
n.° 1. — Salus publica suprema lex esto.
» 2. — Le buone caldaje, anche non alimentate,
non scoppiano mai.
> 3. — Speme.
Prima di discorrere della orditura e valore di questi
scritti, la vostra Commissione deve farvi presente che nei
cinque anni trascorsi dall' epoca in cui fu bandito per la
prima volta il concorso, la sorveglianza governativa delle
caldaje a vapore venne sancita dai poteri costituiti d'Italia
con la legge di pubblica sicurezza 23 Decembre 1888, e
resa veramente efficace mediante il Regolamento 3 Aprile
1890.
L' importanza che il tema aveva quando fu proposto,
venne cosi in parte a scadere, giacché il serio e largo
svolgimento del tema stesso, se pubblicato a tempo, sarebbe
stato di forte aiuto nella compilazione di un regolamento
che allora mancava all' Italia e che oramai fatto ed appli-
cato da due anni, non è sperabile possa essere per ora
modificato in seguito al felice esito del concorso ; inoltre,
in questo frattempo, sorsero anche tra noi numerose le
Associazioni fra gli utenti di caldaje a vapore.
L' autore della Memoria n. 1 comincia con l'osservare
che il Regolamento 3 Aprile 1890, dato dal nostro Governo
all' Italia, deve considerarsi come una derivazione dei re-
[3] (1033)
golamenti degli altri Stati, ed il risultato di uno studio
sulle legislazioni estere presenti e passate. Su questa os-
servazione egli, quantunque noi dica esplicitamente, infor-
ma tutto il suo lavoro, il quale è diviso in due parti ; nella
prima, fa una accurata rassegna delle legislazioni e delle
loro modificazioni nei vari stati; nella seconda, trae da ciò
argomento e criterio per un diligente ed assennato studio
critico del regolamento italiano vigente. Esamina, cioè, se
veramente nella compilazione di questo regolamento si è
saputo bene approfittare di quanto venne fatto in propo-
sito dalle altre nazioni, e di quanto ha insegnato una lunga
esperienza, e presenta poi un progetto completo di regola-
mento, il quale deriva dal vigente opportunemente modi-
ficato in base ai criteri ed ai concetti esposti nel corso
della Memoria.
Il lavoro può dirsi ben fatto, e per il bel ordine dato
alle cose esposte, apparisce chiaramente la sempre minore
importanza data alla cosi detta prova a freddo ed alle val-
vole di sicurezza per preservare i generatori di vapore
dalle esplosioni. L' autore dà invece, e con piena ragione,
un grande valore alle visite periodiche, specialmente interne,
delle caldaje ; e dice che la maggior garanzia contro i
pericoli di un disastro, qual' è sempre lo scoppio di una
caldaja, deriverà principalmente dalla frequenza e diligenza
con le quali verranno fatte quelle visite, e sopratutto dalla
competenza dei periti a cui saranno affidate. Con sano cri-
terio, e con quella speciale conoscenza di causa che sem-
bra avere in tutto ciò che risguarda 1' efficace applicazione
di una disposizione legislativa sulle caldaje, osserva che il
Governo difficilmente potrà avere dei periti veramente
competenti, e che questi, con la veste di agenti governa-
tivi, saranno veduti di mal occhio dai proprietari, i quali
perciò non presteranno quel volonteroso e valido concorso,
che è quasi necessario per rendere più facile e veramente
utile il compito dei periti medesimi.
Nel corso della Memoria parla spesso ed a lungo delle
(10.34) [4]
associazioni fra gli utenti di caldajo a vapore, e ben dice
che queste associazioni legalmente autorizzate dal Governo,
possono fare assai più ed assai meglio del Governo stesso.
Per la gran ragione che il loro interesse è un interesse
collettivo e non pubblico, i periti da esse dipendenti sa-
ranno certo ben scelti e uomini veramente competenti ;
saranno inoltre favorevolmente accolti dal cliente, che
vedrà in essi delle persone cointeressate all' utile di tutti
i soci, e dalle quali può avere anche utili consigli per lo
economico esercizio delle proprie caldaje. Se le predette
associazioni si ridurranno in minor numero, e saranno
quindi potenti per i mezzi e per il valore del personale
di cui potranno disporre, sostituendosi al Governo, come
già lo permette l' articolo .36 del vigente Regolamento, in
Italia si avrà già una considerevole diminuzione nel numero
delle esplosioni di caldaje a vapore.
In tutto ciò r autore ha perfettamente ragione, e nel
corso del suo scritto fa osservazioni e considerazioni sem-
pre fondate e giuste. Esagera forse quando dice che le
valvole di sicurezza devono considerarsi come semplici ap-
parecchi d' avvertimento per il fuochista, mentre, a vero
dire, modificandone opportunemente la costruzione non si
potrebbe negare ad esse ogni efficacia per impedire auto-
maticamente che la pressione salga di troppo oltre la pres-
sione massima di lavoro. In ogni modo è indubitato che
questi apparecchi sono ben lungi dal meritare quella piena
fiducia che in essi era riposta per lo passato.
La vostra Commissione avrebbe desiderato che fosse
più larga e più profonda la discussione teorico - pratica
sulla resistenza delle parti di una caldaja a vapore, discus-
sione che qua e là fa solo capolino nel testo della Me-
moria, e trovasi specialmente in una nota, sugli accidenti
e difetti più frequeìiti nelle caldaie a vapore, nota che
r autore mette in fine del suo lavoro.
Ciò non ostante devesi ripetere che la Memoria n. 1
[5] (1035)
è fatta bene, con ordine, cura e piena conoscenza dell'ar-
gomento. Buona è la forma del dire, e lo scritto si legge
con piacere, e corre benissimo da cima a fondo.
La Memoria n.° 2 è un lavoro certo pregevole, ma
sgraziatamente alquanto disordinato. Il suo autore deve a-
\ere vaste cognizioni teorico-pratiche, e sopratutto pratiche,
in tutto ciò che risguarda i generatori di vapore, e, con
ogni probabilità, è uno dei più riputati costruttori d'Italia.
Nella breve prefazione al suo scritto, dice infatti che egli,
in opere varie, ha impiegato per 7000 tonnellate di
ferro.
11 manoscritto si compone di 97 pagine grandi ed è
diviso in tre parti. La prima parte, la più lunga, tratta
della costruzione delle caldaje e delle disposizioni legislative
che in Italia ed all'estero vi si riferiscono.
Per la sicura resistenza delle caldaje, l' autore dà
grande importanza alla scelta dei materiali impiegati nella
loro costruzione, al modo di lavorarli ed alle disposizioni
costruttive adottate. Su ciò ha piena ragione, ma sembra
alla vostra Commissione che il Governo sarebbe ben poco
adatto per sorvegliare la scelta dei materiali ; imperocché
questa sorveglianza sia tutto altro che facile, e debba pre-
cipuamente esercitarsi sulle fabbriche di secondaria impor-
tanza; ove, davanti ad un interesse materiale ed immediato,
si è disposti a trascurare il pericolo di compromettere la
riputazione delle fabbriche stesse con frodi di ogni specie,
che, quasi sempre, riescono ad ingannare molto bene le
persone incaricate di verificare le qualità dei materiali
sottoposti a sorveglianza. D' altro canto se la Casa costrut-
trice è di primo ordine, avrà cura sopra ogni altra cosa
della propria fama, ed impiegherà materiali perfetti, e sce-
glierà le migliori disposizioni costruttive indipendentemente
da qualsiasi prescrizione e vigilanza governativa.
(1036) [6]
Nella seconda parte, che è assai breve, 12 pagine,
r autore parla della prova e sorveglianza dei generatori
di vapore, e in proposito fa una giusta critica del vigente
Regolamento, nel quale vien data certo eccessiva impor-
tanza alla prova a freddo, mentre si prescrivono visite
periodiche ad eccessiva distanza di tempo, e quindi ben
poco efficaci per raggiungere lo scopo per il quale sono
imposte. Fa poi assennate osservazioni sugli apparecchi di
alimentazione, sugli indicatori di livello e sulle valvole di
ritenuta, che, in caso d' accidente, valgono ad isolare una
caldaja da altre con le quali fosse in comunicazione, e tutto
ciò per mostrare la necessità d' imporre e ben regolare
con opportune prescrizioni governative l' applicazione di
detti apparecchi.
Nella terza parte dello scritto si discorre delle asso-
ciazioni fra gli utenti di caldaje, ma specialmente si espon-
gono e discutono dati statistici.
La Memoria racchiude molto di quanto si può dire
riguardo alla costruzione dei generatori di vapori, al loro
uso, agli apparecchi che vi sono annessi, alle influenze
nocive, alla loro resistenza, alle relative legislazioni estere
e nostrane ecc., ma il tutto è detto senza quell' ordine e
quella chiarezza che necessariamente si devono richiedere
in ogni pubblicazione perchè possa riuscire veramente
utile, e, come tale, essere premiata da un Istituto qual' è
il nostro. Anche la forma del discorso non di raro è scor-
retta ; in taluni punti lo scritto è tanto oscuro che più che
capire s' indovina.
La vostra Commissione sinceramente deplora di aver
riscontrato nella Memoria n. 2 questi grossi difetti, perchè
con le copiose notizie che vi son dentro, e con le salde
cognizioni pratiche e il buon criterio che deve avere chi
r ha scritta, si avrebbe potuto mettere insieme un lavoro
pregievolissimo, il quale avrebbe potuto vincere il concorso.
Non era necessario sapere di più, bastava solo saper fare;
ecco tutto.
[7] (1037)
La Memoria n. 3 è alquanto infei-iore alle precedenti.
Contiene 29 sole pagine grandi di testo ; uno schema di
legge di 58 articoli ; due moduli per i processi verbali di
visita e prova delle caldaje, ed una bella raccolta di qua-
dri statistici sul numero e causa delle esplosioni ; sulla
specie, uso e modo di rottura delle caldaje scoppiate ; sul
numero di morti e feriti che si ebbero a deplorare in In-
ghilterra dal 1871 al 1890 inclusivi.
Questa Memoria avrebbe potuto esser presa in consi-
derazione assai più seria, se i copiosi dati statistici, accu-
ratamente raccolti e diligentemente riportati nelle tabelle
allegate, fossero stati discussi nel testo, nel quale neppure
sono discusse le legislazioni degli altri Stati, e si accenna
solo in generale a queste ed a quelli e si parla un po' di
altre cose riferentisi al tema per presentare poi uno sche-
ma di legge, che 1' autore dice essere il risultato di uno
studio comparativo sulle legislazioni dei paesi più inciviliti
e industriali e sui dati statistici raccolti nei quadri alle-
gati. — Tolta la forma del dire un po' ampollosa, l'autore
dimostra un sano criterio e sufficienti cognizioni relative
all' argomento. Lo schema di legge che propone non è
cattivo, ma il lavoro da lui presentato è decisamente in-
completo.
Dopo le cose precedentemente discorse, si può dire
che a voi, egregi colleghi, è già nota la conclusione della
presente Relazione ; la vostra Commissione infatti conclude
proponendovi di dare il premio all' autore della Memoria
n. 1, quella che porta l'epigrafe;
Salus publica supì-ema leoo esto.
M. Sellati
Tito Martini
E, Bernardi, relatore
RELAZIONE
DELLA Giunta che prese in esame la Memoria
PRESENTATA AL CONCORSO SCIENTIFICO
AL PREMIO DELLA QuiRINIANA, SUL TEMA :
DELLA POLITICA COMMERCIALE INTERNAZIONALE
Un solo manoscritto si è presentato al concorso pel
tema prescelto nell' adunanza del 20 aprile 1890 concer-
nente la politica commerciale.
Non sappiamo, se maggiormente ci mortiflchi che un
tema cosi vitale sia passato quasi inavvertito, ovvero che
sia stato tanto leggermente raccolto.
Premettiamo, che si trattava bensì della nostra politica
internazionale, ma della politica internazionale commer-
ciale.
Nel trascrivere il tema in fronte al manoscritto l'Au-
tore ciò dimentica, e trascrive il tema, come se si trattasse
senz' altro di politica internazionale, anziché specificata-
mente di detta parte della politica internazionale.
Il quesito domandava come semplice introduzione una
breve storia della politica commerciale internazionale nella
seconda metà del nostro secolo. Di quarantasette pagine,
quante formano tutto il lavoro, ventitre sono dedicate, come
prima parte, anziché solo come proemio, a questa storia. Detta
storia poi non é veramente storia della politica interna-
zionale commerciale, né tampoco della politica internazio-
nale, ma solo una rapida corsa di avvenimenti attinenti
alla politica internazionale. Inadeguata anche come tale,
non é guari, come si sarebbe richiesto, 1' epilogo dei mu-
tamenti di politica internazionale, che bensì sorgono dai
[2] (1039)
fatti .storici, ma non si confondono cogli stessi. Una storia
simile si può compilare in assai breve ora anche solo collo
spoglio di un qualsiasi annuario, e persino colla sola cro-
naca dell' Almanacco di Gotha. In verità, diviene superflua
una osservazione qualunque su grossolane inesattezze, sic-
come quelle, che l' Autore commette, dove manifestamente
allude al trattato di amicizia e di commercio del 6 feb-
braio 1778 fra la Francia e gli Stati Uniti, e all' Ordi-
nanza 26 luglio 1778 del Governo Francese. Certo che
r Autore non ebbe sott' occhio né Ordinanza, né Trattato.
L' Autore imperterrito frastaglia 1' evo antico, medioevale,
moderno : si lascia andare a divagazioni : non si cura di
mettere d' accordo i suoi giudizii sulle nazioni, pieni di
contraddizioni.
Il quesito poi domanda di esporre le varie fasi della
politica commerciale italiana. Il manoscritto non risponde
che con rapidi e poveri cenni delle principali Convenzioni.
Ma quanto all' esporre le fasi della nostra politica com-
merciale nelle loro cagioni e nei loro effetti, il manoscritto
é deficiente aff'atto. Sarebbe stato d' uopo di dare contezza
della riforma doganale di Cavour nel Piemonte ; poi delle
conseguenze economiche derivate dall' unità d' Italia che
ha trasformato in commercio interno gran parte del com-
mercio, che fino a che sussistettero gli antichi Stati ap-
parteneva al commercio da Stato a Stato ; dire della poli-
tica commerciale che prevalse nei primi anni della forma-
zione del Regno ; venire poscia alle modificazioni subite,
seguendole fino agli ultimi trattati. Sarebbe stato d' uopo
di porre tutto ciò in relazione coi mutamenti di politica
commerciale negli altri Stati.
Si chiedeva d' indicare i criteri generali e speciali, dai
quali la nostra politica commerciale dovrebbe essere gui-
data, tenendo conto delle singole forme di produzione, e,
supposto che la Francia abbandonasse il sistema dei trat-
tati per adottare quello delle tariff'e autonome. Quale
risposta ci attenderemo da chi comincia col domandarci :
(t()40) [3]
« dove trovarli ? forse nella politica Europea ? No certa-
mente, perchè non è la politica Europea che forma oggetto
del quesito. Forse nella politica italiana ? Ma dove è ? dove
è r indirizzo italiano ? » Udiamo quale principio sommo sia
la scoperta dell' Autore : « il bene, che un popolo unani-
memente ed indiscutibilmente si prefigge di avere, il cui
ottenimento è lontanissimo e diiRcile, tanto che la storia del
popolo consiste esclusivamente nello svolgersi degli eventi
per conseguirlo. »
Evidentemente con tali premesse 1' Autore non potea
condursi che a vacue declamazioni. Se arriva a con-
chiudere, si è per dirci, che il diritto di confine è saato,
in quanto da' ai popoli l' autonomia, ma diviene iniquo,
perchè sconfina, e come sconfina? perchè è chiuso tutto
intorno dalle dogane. La vocazione vera del popolo ita-
liano sarebbe 1' attuazione del diritto sociale, che è come
dire una missione mondiale. Ma i dazii, e con essi i trattati,
ne sono la negazione. Aboliamo le dogane, aboliamo i
trattati. Allora conserveremo il genio nazionale nostro, ma
tanto più schietto, genuino, efficace, quanto più ci saremo
sottratti al pericolo, eh' esso falsi il diritto sociale, costrin-
gendo in angusti confini 1' azione nostra, azione universale,
mondiale. Chi toglie di vagheggiare, come utopia, che
r Italia fosse un grande punto franco, uno scalo libero
per la metà del genere umano ? Ma per abbandonarsi a
tali idealità ci vuole ben altro, che un' erudizione affatto
meschina, un' assoluta mancanza di qualsiasi teoria, e più
che mai una inettitudine assoluta di dare alla teoria una
qualsiasi possibilità di applicazione pratica. L'Autore con-
cede, che l'Italia possa esercitare qualche industria profi-
cuamente, cominciando dai fiammiferi, dalle conterie, dai
lavori di legno e di corno, dal corallo, dalle paste fino ad
alcuna delle grandi manifatture. Ma confida, che ogni ope-
rosità nazionale si svolga per virtù propria, essa stessa
sappia trovare la sua ricompensa, e già la vede personi-
ficata nel contadino marinaio ; il coltivatore italiano, che
M (1041)
va in lontani lidi a far conoscere i nostri vini. Che ci im-
porta della guerra (li tariffe da parte di Francia? L'Italia,
non protetta, ma non incagliata nelle arti, che corrispon-
dono al Genio nazionale, e nello stesso tempo rinvigorita
nella sua vita nazionale da un' espansione mondiale, at-
trarrebbe essa la Francia stessa, anziché esserne respinta.
Pur troppo la Relazione nostra dovette essere severa ;
è la sola via di ravvivare gli studii, perchè alla robustezza
del pensiero si associ 1' utilità pratica.
Luigi Luzzatti
Alessandro Rossi
Fedele Lampertico, Relatore
ADUNANZA SOLENNE
DEL G-iORisro as ivr^o-G-io 1393
PRESIDENZA DEL COMM. SENATORE FEDELE LAMPERTICO
MEMBRO EFFETTIVO PENSIONATO ANZIANO
Presenti il Regio Prefetto col Consigliere delegato,
il Sindaco di Venezia, le principali Autorità civili e mi-
litari, oltre a un numeroso eletto uditorio, fra cui parec-
chie gentili Signore.
Vi assistono i membri effettivi : Fambri, segretario, Berchet,
vicesegretario, Pirona, De Leva, Vlacovich, Lorenzoni,
Canestrini, E. Bernardi, J. Bernardi, Beltrame, Sac-
CARDO, Marinelli, Rossi, De Giovanni, Omboni, Bellati,
Deodati, Stefani, Morsolin, Tamassia ; ed i soci cor-
rispondenti : Da Schio, Galanti e G. B. De Toni.
Sono giustificati gli assenti membri effettivi : De Betta,
presidente, Minich, vicepresidente, Favaro e Fertile,
Quest' adunanza fu tenuta, come di consueto, alle ore
2 pom. nella Sala dei Pregadi nel Palazzo Ducale.
Il Senatore Lampertico, quale membro anziano fra i
presenti assunse la Presidenza dando per primo la parola
al Segretario Fambri, il quale riferi Sui preTYii scientifici
e sitile onorificenze agli industriali veneti, che si confe-
rirono neir anno corrente, proclamando i nuovi temi posti
a concorso per gli anni venturi.
T. IV, S. VII 71
1044
Poi il ni. e. Senatore Rossi lesse il suo discorso inti-
tolato: Sul concetto morale odierno della economia polifica.
Dopo ciò ebbe termine l'adunanza, e le Autorità ed il
pubblico si recarono nel Palazzo Loredan a visitare la
mostra dei campioni presentati ai concorsi industriali.
RELAZIONE
DEL
M. E. Segretario comm. PAULO FAMBHI
Grande obbligo certamente dobbiamo agli stessi, non
prossimi, predecessori membri di questo nostro Istituto di
Scienze, i quali, anticipando sul positivismo dei criteri e
del lavoro e vincendo i più irrequieti proclamatori di spi-
rito pratico, vollero che qui alla scienza più astratta e
pura, come ingenuamente chiamavasi ogni insieme di af-
fermazioni deduttive andasse, come correttivo potente, ad
associarsi l'applicazione, la quale più ancora che tale può
chiamarsi in molti casi vero e proprio richiamo alle realtà
e necessità della vita.
Quindi vollero aprire dei concorsi, a programma de-
terminato per la ricerca di fatti e leggi capaci di illumi-
nare gli studiosi, i legislatori e gli amministratori intorno
a qualche seria questione preferibilmente contemporanea,
e degli altri, egualmente a premi, ma a programma libero,
affinchè ciascuno, il quale pensasse di avere benemeritato
comunque dell' educazione, dell'igiene, della sicurezza, del-
l' industria, del commercio o di qualsiasi altra cosa perti-
nente al pubblico benessere, potesse averne giudicata l'opera
propria ed offrirla al pubblico colla guarentigia d'un im-
parziale ed autorevole apprezzamento.
Ed ecco la scienza a questo modo fatta concreta e
pratica, eccola benemerito coeficiente di lavoro e di scambio,
maestra al produttore e guida al consumatore, classificando
(1046) [2]
r opera del primo od avvertendo V altro del come e fino
a (jiial punto si ti*o\ ino nelT 0})ei'a olfei-ta le condizioni in
essa ri(-luesl('.
Ed ora è desso T Istituto che tu giudice, il ijuale, in
omaggio alla verità ed alla libertà, si presenta col presente
resoconto del proprio lavoro, perchè in ultimo venga dal
pubblico giudicato il suo sistema di giudicare.
Voi potrete convincervi, speriamo, o signori, come
l'Istituto al)bia, nei concorsi banditi, avuto a cuore il pra-
tico vantaggio del paese, ed anzi(diè vagare soltanto nelle
altezze scientifiche o in ciò che costituirel)be il lusso del-
la speculazione, abbia voluto scendere lealmente all' effet-
tività dei bisogni, e come, nel giudizio dei prodotti e nel-
r assegnazione dei premi, sia stato da esso i-ealmente con-
sigliato e segnalato ciò che industrialmente ed economica-
mente gli parve più solido elemento di vantaggio, di UKjra-
lità e di decoro.
Principiamo dai premi.
Nell'anno 1888 fu dal R.° Istituto bandito il concorso
al premio di L. 30(H) della P'ondazione Querini Stampalia
sul tema seguente :
« Coir aiuto di dati scientifici, pratici e statistici si
> determinino le basi su cui oggigiorno dovrebbe essere
■» fondata una legge sulla costruzione, prova e sorveglianza
» delle caldaje a vapore, e la costituzione in Italia di quelle
» Società, che già fioriscono presso altre nazioni e che si
» incaricano di tenere in attenta osservazione le caldaie
» dei loro clienti. — Il concorrente nello svolgere il tema
» non dovrà dimenticare gli accidenti relativamente nu-
» merosi e talora assai gravi, che avvengono nei grossi
» tul)i l)ollitori le cui pareti sono soggette a compressione
» (caldaie Cornovaglia). »
Andato deserto il concorso la prima volta per man-
canza di concorrenti, fu riaperto per una seconda gara,
[3] (1047)
che fu più fortunata, imperocché vennero presentati tre
buoni hivori, che furono sottoposti al giudizio di una Com-
missione speciale composta dei membri effettivi del R.
Istituto, M. Bellati - Tito Martini - E. Bernardi, relatore.
Il primo e più importante lavoro risponde all'epigrafe:
« Salus pubblica supì-ema Icx esto. »
L' autore lo divide in due parti ; nella prima fa
un' accurata rassegna storica parallella delle diverse le-
gislazioni ; nella seconda ne trae argomento per un dili-
gente studio critico dell' attuale Regolamento italiano. —
Presenta quindi una proposta di nuovo Regolamento modi-
ficato in base ai criteri ed ai concetti esposti nel corso
della Memoria.
L' autore dimostra chiaramente la poca importanza
della prova a freddo e la molto mediocre sicurezza fornita
dalle cosi dette valvole di sicurezza ; sostiene la necessità
delle visite periodiche, specialmente interne, delle caldaie,
da farsi con frequenza, diligenza e da periti : aggiungendo
che il Governo codesti periti competenti ne li ha né può
averli essendo tale 1' ufficio da presentar loro rimunera-
zione inadeguata e difficoltà e gelosie numerose. Dimostra
chiaramente come invece le Associazioni fra gli utenti di
caldaie a vapore possano riuscirci avendo interesse collet-
tivo speciale, anzi ufficiale, ed essendo le Associazioni in
grado di scegliere periti abili e benevisi ai clienti. Crede
che sostituendo il lavoro di queste Associazioni illuminate
ed auto-tutrici agli scatti ed alle dormiveglie delle sorve-
glianze burocratiche si riuscirà a diminuire considerevol-
mente il numero delle esplosioni.
Esagera forse dicendo che le valvole di sicurezza deb-
bono considerarsi come semplici avvertimenti per il fuo-
chista, ma bisogna convenire che esse non giustificano la
loro pomposa qualificazione e non meritano la fiducia troppo
largamente loro accordata.
Benché fosse stata desiderabile una più larga e più
(1018) [4]
profonda discu.ssione teorico-pratica sulla resistenza delle
parti d'una caldaia a vapore, cui è appena accennato qua
e là, si comprende che 1' omissione non ha ragione d' in-
capacità, ma di densità sobria e modesta. Infatti il lavoro
è fatto bene e con ordine, cura, e veramente piena cono-
scenza della materia.
Buona è altresì, come propria e perspicua, la forma,
tanto che si legge con piacere da cima a fondo.
La seconda Memoria che risponde al motto : « Le
buone caldaie anche non alimentate non scoppiano inai »
è pure un lavoro pregevole ma disordinato alquanto. —
Si divide in tre parti. Nella prima tratta della costruzione
delle caldaie e delle disposizioni legislative.
L' autore ha ragione di sostenere che molto della si-
cura resistenza delle caldaie dipende dal materiale impie-
gato e dai metodi di fabbricazione ; è chiaro però che a
procurare questa condizione i regolamenti non possono
davvero contribuire. Il Governo è disadatto all' ufficio di
sorvegliare le piccole fabl)riche le quali eluderebbero tutte
le verificazioni uggiose e dispendiose per nulla. Per rag-
giungere questa prima condizione di sicurezza, che è la
buona fabbricazione, gli utenti non hanno che un mezzo :
o sorvegliarla da sé o rivolgersi soltanto a case costrut-
trici di primo ordine, le quali non comprometteranno
certo la propria fama vitale con 1' uso di materiali im-
perfetti.
Nella seconda parte l' autore critica giustamente il
vigente Regolamento per 1' eccessiva ingenua importanza
che dà alla prova a freddo e per le visite periodiche a
larghissimi intervalli di tempo. — Dimostra con assennate
osservazioni l' importanza d' imporre e regolare con oppor-
tune prescrizioni governative V applicazione d' apparecchi
d' alimentazione degli indicatori di livello e delle valvole
di ritenuta, utilissimi in caso d' accidenti.
La terza parte tratta pur essa delle Associazioni fra
[5] (1049)
gli utenti caldaie a vapore e specialmente espone e discute
dati statistici.
11 lavoro è abbastanza largo se non completo, ma vi
mancano la chiarezza e 1' ordine. — Non era forse neces-
sario sapere di più, bastava saper meglio.
La terza Memoria, contrassegnata dall' ottimista pa-
rola : « Speme ■», aveva in vero molto minori ragioni di
speme, perchè alquanto inferiore alle precedenti.
Contiene uno schema di legge, due moduli di processi
verbali di visita e di prova delle caldaie ed una buona rac-
colta di quadri statistici vari. Nel corso della Memoria si
accenna solo di volo ad essi ed alla legislazione degli
altri Stati.
L' autore dimostra un sano criterio e sufficienti cogni-
zioni relative all' argomento. 11 suo schema di legge for-
mula qualche buona e pratica idea, ma è decisamente
incompleto.
Benché il lavoro, dopo la Legge 23 Dicembre 1888 e
3 Aprile 1890 perda d'importanza, la Commissione propose
per la premiazione la prima Memoria col motto : « Salus
pubblica suprema lex esto » e 1' Istituto approvò la
proposta.
Aperta quindi la scheda fu trovato, che l' autore è il
nob. sig. Marin Giovanni Ingegnere industriale, cui l' Isti-
tuto è lieto di assegnare il premio di L. 3000 della fon-
dazione Querini Stampalia, secondo le condizioni portate
dall' avviso di concorso.
Venne esaminato dalla Commissione (composta dei
membri effettivi Alessandro Rossi, Senatore del Regno —
Fedele Lampertico, Senatore del Regno, relatore — e
Luigi Luzzatti Deputato al Parlamento) l'unico lavoro pre-
sentato al concorso della Fondazione Querini Stampalia per
l'anno 1892 sul tema;
(1050) [6]
« Premessa una breve storia della politica coinmer-
» ciale internazionale nella seconda metà del nostro secolo,
» esporre le varie fasi della politica commerciale italiana
» ed indicare i criteri generali e speciali dai quali dovrebbe
» esser guidata, tenendo conto delle condizioni delle singole
» forme di produzione, e supposto die la Francia abban-
» doni il sistema dei trattati per adottare (|uello della ta-
» riffa autonoma. »
Si trovò che 1' autore non s'era attenuto strettamente
al tema per avere impiegato troppo spazio in proporzione
al lavoro, per la prima parte, che viene caml)iata dall'au-
tore per comodo proprio in una rapida corsa di avveni-
menti relativi alla politica internazionale, e che del resto
è inadeguata anche come tale.
Riesce al tutto superfluo render conto delle varie
grossolane inesattezze dell' autore.
Il manoscritto non risponde nella prima parte assoluta-
mente, e nell'altre risponde assai imperfettamente alla do-
manda di esporre le varie fasi della politica ilaliana.
Egual difetto si riscontra nella trattazione virtuale
del tema, nella quale bisognava indicare i criteri generali
e speciali dai quali la nostra politica commerciale dovrebbe
essere guidata, tenendo conto delle singole forme di pro-
duzione, e supposto che la Francia abbandonasse il sistema
dei trattati per adottare quello delle tariffe autonome.
L' autore finisce meno seriamente che mai il suo stu-
dio poco serio, con vacue declamazioni e con teorie non
pure antiscientifiche, ma affatto puerili.
La Commissione opinò quindi, e 1' Istituto accettò la
proposta, di non aprire la scheda col motto : « Volere è
potette », accordando allo scrittore il solo favore che re-
stava possibile, quello di mantenergli l'incognito.
Il premio non fu quindi aggiudicato, ed il concorso fu
dichiarato deserto.
[7] (1051)
Non essendosi poi presentato alcun lavoro per concorre-
re al premio ordinario biennale del Reale Istituto sul tema
prescelto nell' adunanza 18 Marzo 1888 intorno alla storia
dell'emigrazione dalle provincie venete nell'America;
e visto che il tema era stato riproposto (chiudendosi il
termine del primo concorso il 31 Dicembre 1890) il con-
corso rimane chiuso, ed il premio non venne aggiudicato
per mancanza di concorrenti.
La Commissione (composta dei signori membri effettivi
Fedele Lampertico, Senatore del Regno, relatore - Edoardo
Deodati, Senatore del Regno - e Giuseppe De Leva) inca-
ricata di riferire sui temi proposti per la scelta di quello
da bandirsi per il conferimento del premio dell'Istituto del
1894, intorno alle scienze morali e sociali, propose, ed il
R. Istituto deliberò, che venga conferito « il premio al-
» V autore della migliore ed esauriente Memoria esposi-
» tiva del sistema dell' imposta progressiva, che taluno
» vorrebbe, con varie forme, sostituito al principio san-
•*■ cito nell' art. 25 dello Statuto fondamentale del Regno,
> per cui i cittadini contribuiscono indistintamente ai
» carichi dello Stato nella proporzioni e dei loro averi. —
* Si domanda che i concorrenti raccolgano i documenti
» pratici di quei paesi ove tale sistema sia per avventura
» stato applicato. Ove manchino i criteri che sieno for-
» niii dall' esperienza, i concorrenti dovranno a m^ezzo
» dell' indagine scientifica chiarire (fiali sarebbero gli
■» e filetti pratici della sua attuazione. In generale si desi-
» dera seria e larga rassegna delle ragioni che stanno prò
» e contro un tale sistema, e la conclusione se sia quindi
» a consigliarsene o meno la introduzione nel nostro paese.-»
E un fatto che contro al principio deìVimposla propor-
zionale va oggi sostituendosi quello àeW imposta progressi-
va; e non è già che si tratti dell'applicazione di una semplice
legge finanziaria, tali leggi non si presentano che in via
(1052) [8]
eccezionale, ma a dirittura di sostituire un ben diverso
ordinamento della imposta, e non solo a scopi fiscali, ma
sociali, quelli cioè di mutare, a mezzo dell' azione fiscale
la distribuzione delle ricchezze.
In modo affatto indefinito s' agita questo problema,
tanto che non si potrebbe stabilire né con quali criteri si
eviterebbe 1' arbitrio ; né quali limiti si intenda fissare ;
né in che modo si concilierebbe 1' applicazione del prin-
cipio colla preservazione del capitale e con 1' aumento del
risparmio nazionale.
Il problema, però, per quanto confusamente, oramai è
posto. Non gioverebbe evitarlo : è meglio assai affrontarlo:
solo questa è la via per conoscere quanto vi sia di giusto
e di pratico nelle idee che sin' ora sono si vaghe ed inde-
terminate. In tal modo si dissiperanno le illusioni, immi-
nente pericolo sociale, e si potrà rendersi ragione dei mali
che trovano in esse la loro espressione, e dei rimedi che
possono suggerirsi, senza perturbamenti nocivi all'economia
della Nazione e dello Stato, non che all' equilibrio sociale.
Il R. Istituto non peritandosi a proporre un cosi gran
tema ha seguito francamente e fortemente 1' esempio di
altri Istituti maggiori, come quello di Francia.
Il Reale Istituto inoltre, nella segreta sua adunanza
del 7 Agosto 1892, ha stabilito di assegnare nell'anno 1895
il premio della Fondazione Querini Stampalia di L. 3000
« a chi, entro 1' anno 1894, avrà introdotto in una valle
» a piscicultura del Veneto una innovazione, che sarà giu-
» dicata importante ed utile da una Commissione compe-
» tente, nominata dallo stesso Istituto, od avrà trovato il
■» modo di avvantaggiare sensibilmente una delle industrie
» che direttamente si collegano con la vallicultura.
« Potrà quindi concorrere al premio suddetto chi avrà
» trovato il modo di ottenere con vantaggio della valli-
» cultura la fecondazione artificiale delle uova di qualche
» specie di pesci marini ; chi avrà introdotto in una valle,
[!)] (1053)
» e con buon successo, qualche specie animale del mare
» Adriatico o di altro mare ; chi, col perfezionamento dei
» congegni vallivi, avrà ottenuto in una valle risultati
» molto superiori agli ordinari ; chi avrà fatto progredire
» presso di noi l'ostreocultura e la mitilicoltura; chi avrà per-
» fezionato la lavorazione del pesce di mare in guisa da ren-
» derlo più gradito al palato e più ricercato nel commercio. »
Il concorso rimane aperto fino al giorno 31 gennaio
1895 inclusi vamente.
Le discipline che regolano questo concorso sono quelle
comuni a tutti i concorsi della Fondazione Querini Stampalia.
Con questo programma il nosti'O Istituto volle mo-
strarsi sollecito degli interessi speciali oltreché dei generali
e provvedere, oltreché ad un grande progresso della scienza,
anche ad uno regionale del territorio.
In questo caso le iniziative personali e le collettive
convergono e, se a questo programma verrà degnamente
risposto, la scienza, la ricchezza generale e 1' igiene pub-
blica avranno guadagnato assai.
Le iniziative private, che precedettero questa collettiva
del nostro R. Istituto, sono la sorta società di piscicultura
da una parte, e quella dell' Associazione degli Ingegneri
veneziani per nuovi studi intorno al regime idraulico la-
gunare ed ai criteri del suo nuovo regolamento.
' Il lavoro alacremente procede d' ogni parte, il gruppo
degli ingegneri veneziani avrà fra tutt' al più un paio di
mesi pubblicata la sua voluminosa e molto categorica re-
lazione tecnica ed amministrativa.
Del Veneto è quindi opportuno conchiudere non essere
esatto dire che vi si faccia poco, ma piuttosto che di quel
parecchio che si fa la notizia rimane cosi modestamente ri-
stretta da lasciarne disconosciuto il non mediocre progresso
e lavoro.
Veniamo ora a riferire dei premi conferiti dal R. Isti-
tuto pei concorsi industriali del 1893,
(1054) [10]
Diplomi d' Onore.
L" industria della confezione del seme bachi da qual-
che anno coraggiosamente e fortunatamente intrapresa
nella nostra regione, con metodo scientifico e con ogni cura,
riusci con splendidi risultati quanto nelle vicine provincie
lombarde.
I due principali Stabilimenti del Veneto, quello cioè
del Motta di Mogliano e del Pasqualis di Vittorio si pre-
sentarono al concorso industriale bandito dal nostro Istituto.
I meriti di questi due grandi industriali possono dirsi
eguali, imperocché se il Pasqualis fu il primo a fondare
nella nostra regione un importante Stal)ilimento bacologico,
se ha maggior estensione di clientela ed offre maggior
quantità di prodotto, il Motta ha formato uno Stabilimento
modello, dove egregiamente ed ordinate si vedono tutte le
industrie che concorrono all' industria principale, dove se-
guendo gli ultimi dettati della scienza, venne fabbricata la
sala per l'ibernazione e introdotto ogni perfezionamento per
la preparazione del seme, dove sono comprese tutte quelle
istituzioni che provvedono all' istruzione ed al benessere
degli operai ; il Motta inoltre educa nello stesso Stabili-
mento i bachi destinati alla produzione del seme, ed au-
menta i controlli e le garanzie perchè li ottiene da un
primo allevamento fatto 1' anno precedente, per famiglie.
Dire di più intorno ai meriti del Motta e del Pa-
squalis crediamo affatto superfluo, tanto sono conosciuti e
stimati, quanto conosciuto e stimato è il benefìcio eh' essi
recarono all' economia nazionale, avendo essi fatto rivivere
ed assicurato al Veneto uno dei più importanti prodotti.
L' Istituto quindi, ponderate le ragioni che milita o a
favore dell' uno e dell' altro concorrente, li ha reputati
egualmente degni ambedue della massima distinzione, ed è
[11] (1055)
lietissimo della portagli occasione di poter dimostrare quanto
apprezzi quei due importanti Stabilimenti che efficacemente
giovano air incremento della pubblica ricchezza, mentre
nello stesso tempo provvedono al bene di molti operai, e
contribuiscono allo sviluppo sempre maggiore di una pro-
duzione, che qualche anno fa accennava alla più allarmante
decadenza nella nostra regione.
Di primissimo ordine s' è trovato lo Stabilimento
ScALFù e Comp. per la lavorazione della juta a Piazzola
sul Brenta.
Oltre il vastissimo fabbricato dello Stabilimento (ove
trovano posto oltre mille fusi — ben quarantasette telaj
— con tutto il macchinario relativo mosso da una loco-
mobile e da forza d' acqua), sono degni di considerazione
lo stabile ad uso uffici ed alloggio del personale dirigente,
le officine di falegname, e fabbro - meccanico, i forni, la
sega, i trapani, i torchi e tutte le altre macchine; i gran-
dissimi magazzini, i completi binari in ogni posto per il
sollecito trasporto delle merci, e 1' apparecchio per il carico
e lo scarico delle jute dalle barche sul Brenta.
Al personale (eh' è tutto assicurato a tariffa massima,
per metà a carico della Ditta Scalfo e Comp., contro i
danni degli infortuni sul lavoro) vengono somministrate
gratuitamente le medicine ed il servizio medico.
La Ditta Scalfo e Comp. fu la prima ad introdurre
nel Veneto la filatura dei titoli fini di juta (dal 10 al 14),
ed ancora adesso è 1' unica che la esercita, procurando di
toglierci da essere tributari all' Estero ed in specialità al
Belgio. — A Piazzola si producono i titoli fini che vengono
messi sul mercato con sommo vantaggio degli acquirenti.
Notevole è la produzione giornaliera di questo impor-
tante Stabilimento, dove gli operai, con sole otto ore di
lavoro, danno dai 30 ai 35 Quintali di filatura, e circa
4000 metri di tessuto. — Un migliajo di persone circa
(1056) [12]
trovano pane direttamente od indirettamente da (juesta
importantissima industria.
Non potendo cader dubbio che 1' Jutificio di Piazzola
sul Brenta vada noverato fra i più importanti Stabilimenti
del Veneto ; e conosciute anche le grandi difficoltà che la
Ditta ScALFO e Comp. ha dovuto superare per conseguire
un tanto scopo, l' Istituto ha creduto di doverle accordare il
massimo premio, cioè un diploma d' onore.
Uno dei principali Stabilimenti industriali italiani sor-
geva in Spresiano nel 1882, quando più che mai si sentiva
nella vallata del Piave il bisogno di lavoro, per le tristis-
sime conseguenze delle ultime inondazioni.
La segheria e il laboratorio di legnami a vapore della
Ditta Bortolo Lazzaris, oltre che importantissima impresa
industriale, è anche altamente encomiabile come opera fi-
lantropica per le nobili ragioni della sua origine.
Vasti, arieggiati, pieni di luce e costruiti con tutti gli
ultimi perfezionamenti sono 1' opificio in cui lavorano le
macchine, i magazzini, gli essicatoi e gli uffici.
La forza motrice dell' intero Stabilimento è data da due
macchine a vapore, una piccola costrutta dall'officina della
Società Veneta a Treviso della forza di circa 20 cavalli,
ed una maggiore dei fratelli Sulzer di oltre 75. — . Alle
macchine viene somministrato il vapore da tre caldaie co-
struite pure nelle officine della Società Veneta di Treviso ;
e per combustibile vengono usati il segaticelo, le pialla-
ture, ed i truccioli risultanti dalla lavorazione del legno.
Le locomobili, mediante un ben costrutto sistema di
trasmissione, mettono in movimento cinque grandi seghe
che possono dare sino a 1500 tavole in un giorno, ed altre
cinque impiegate a compiere lavori diversi — sei pialla-
trici, di cui cinque semplici, che producono quotidianamente
ben 6000 tavole piallate — parecchie altre macchine per
il taglio e la confezione delle casse da imballaggio, il nu-
mero delle quali sali a 120,000 in un sol mese nel 1891,
[13] (105?)
cifra considei^evole che potrebbe però anche essere di molto
.superata — le macchine ed i torni pei- i maniclii di stro-
menti da lavoro e da pulitura, la cui produzione può arri-
vare fino a 3000 al giorno.
Più ristretta e non compiutamente perfezionata è l'in-
dustria dei parchetti che si fabbricano pure nello Stabili-
mento Lazzaris. Per questa industria si stanno studiando
i mezzi di svilupparla e perfezionarla.
Nel piano superiore dello Stabilimento, fornita di mac-
chine mosse dalle locomobili, trovasi la Falegnameria, la
quale produce il lavoro più importante, cioè i serramenti
di porta e di finestra, le cornici, le persiane, i tenoni e
le mecchie.
Non bisogna dimenticare l'Officina meccanica che prov-
vede alle necessarie riparazioni ed alla manutenzione di
tutti i macchinari, ed alla costruzione di tutti gli utensili
per lo Stabilimento ; — né gli essicatoi del legname che
possono contenerne 348,000 m.3 — né che lo Stabilimento
mediante una dinamo della potenza di 3200 candele viene
illuminato completamente a luce elettrica.
Nello Stabilimento Lazzaris sono impiegati attualmente
dai 170 ai 200 operai.
Eccellenti istituzioni complementari, con le quali la Ditta
Lazzaris cerca di migliorare la condizione dei suoi dipen-
denti, sono la Società di Mutuo Soccorso ed il Magazzino
Cooperativo che, fondati solo nel 1891, fanno già ottime
prove.
L' Istituto conferisce quindi alla Ditta Bortolo Laz-
zaris il massimo premio, il Diploma d'onore.
La nuova industria introdotta dal cav. G. Pasqualis
nella nostra regione ha meritato la massima attenzione ed
il massimo studio da parte della Commissione incaricata di
riferire, che ha trovato il tessuto ottenuto dalla fibra del
gelso di ottima qualità il quale può sostituire benissimo i mi-
(1058) [14]
jj^liori tessuti per tappezzerie, con grande vantaggio econo-
mico per gii acquirenti.
Lo Stabilimento per la lavorazione del gelsolino, situato
in Vittorio, è fornito di tutte le macchine migliori necessa-
rie a questa nuova industria; ed entrando nello Stabilimento
Pasqualis si assiste a tutte le operazioni che vengono ese-
guite con singolare sollecitudine, dall'estrazione della fibra,
alla tessitura, passando per la filatura, cardatura e tintoria.
Bellissime sono le sto S'è eseguite nello Stabilimento
Pasquali», imitanti i migliori damaschi.
All' industria del Gelsolino sono perennemente impie-
gate un centinaio di persone fra capi ed operai. E la pro-
duzione annua ottenuta fino ad ora è di Kg. 200.000 (filato)
e 50.000 metri di tessuto.
La completa lavorazione della fibra del gelso viene
eseguita in tre grandi fabbricati appositamente costruiti ;
per tutte le varie operazioni vi sono apposite macchine,
parte a vapore e parte a forza idraulica.
Il cav. Pasqt ALIS, anche per questa sua industria fon-
data in Italia, e fortunatamente nella nostra regione, nel
1885, è ritenuto degno tlella massima onorificenza, cioè di
un Diploma d" onore.
Medaglie d' Argento.
L' Istituto è ben contento di accordare al signor Luigi
Pallotti e frat. una delle medaglie d'argento per la sua
orificeria veneziana, perchè egli fu uno dei pochi che ha
rialzato questa industria che stava in grande, anzi estrema
decadenza.
Molte cose, per vero, si sarebbero dovute osservare
sia per il buon gusto che per 1' importanza dei prodotti.
Ma ci si è fermati sopratutto sulla fabbricazione del cosi
[15] (1050)
detto Manin o Sjmgnoletlo, che costituisce una specialità
tutta veneziana. — Bisogna che Venezia sia grata al sig.
Pallotti elle ha saputo concentrare nella sua officina quel
lavoro di catenella eh' era sparso qua e là, e che forse
sarebbe andato in disuso ; mentre per merito esclusivamente
suo il famoso monin è stato rimesso in moda e guadagna
L' avventurina fabbricata dal Sig. Ferro continua le
tradizioni veneziane di questa importante imitazione del
minerale omonimo. — E pur degna di nota e di lode la
produzione della canna per conterie minute, la quale serve
in gran parte alla fabbricazione dei fiori artificiali ese-
guite nelle officine dell' Huch, presentando la detta canna
tutte quelle gradazioni di colore che sono necessarie ad
imitare ogni più variamente e vagamente dipinta corolla.
Anche il sig. Ferro si ritenne quindi degno di una meda-
glia d'argento, per lo sviluppo ed il progresso da lui re-
cato a ({uesta importante industria veneziana.
Vista la bellezza ed eleganza dei prodotti, e la grande
esportazione che se ne fa specialmente in Germania, e consi-
derando che nella lavorazione dei fiori artificiali e corone
mortuarie sono impiegati moltissimi operai (circa 270); —
che il movimento di capitale, portato da questa industria,
è di oltre 200.000 lire, il R. Istituto deliberò di premiare lo
Stabilimento del sig. E. High con medaglia d'argento. —
Questa industria è non solo bella e gentile ma è pia e
morale.
È sconsolante sopra una tomba vedere una cosa dege-
nerata e perfino immonda, che tale diventa una corona di
fiori due giorni dopo che venne deposta dall' amore e dalla
riconoscenza.
Se la tomba è qualche cosa di più rispettabile che il
dissolvimento, è logico e sacro, non che onesto, che il
dissolvimento non vi sia rappresentato e precisamente da
T. IV, S. VII 12
(1060) [16]
ciò che fu omaggio. Il lironzo, la ceramica, il vetro sono
r omaggio previdente, e debbono essere imposti non che
consigliati da chi non voglia i sepolci-i fuor dagli sguardi
pietosi. — La tomba ricorda abbastanza che tutto cade, è
bene che anche qualche cosa ricordi che nulla però si
distrugge.
E alto e degno che qualche cosa rammenti anche l'im-
perituro.
Non sono nuove per la nostra regione le industrie
presentate al concorso dal cav. Giovanni Bennati, però
r Istituto ha creduto doveroso premiarlo coji medaglia di
argento, e ciò per il grande sviluppo dato da lui al suo
Stabilimento in Spinea di Mestre.
DifFatti, nella sola fabbrica di scope ben 120 operai
trovano continuo e sicuro lavoro ; e questa industria, tanto
modesta, porta l' incredibile movimento di capitale di circa
mezzo milione ; cento sono i carri ferroviari che portano
ogni anno dalla stazione di Mestre alle rispettive destina-
zioni i prodotti delle fabbriche Bennati, ed il numero an-
nuo delle scope fal)bricate nello Stabilimento ascende a
250.000.
Più modeste, perchè contano solo due anni di vita,
sono le fabbriche dei saponi e delle acque gazose della Ditta
medesima.
La Commissione del R. Istituto, senza pronunciarsi
sull'elRcacia dei prodotti fabbricati dal sig. Negri Silvio e
Comp. di Venezia, perchè egli ha dichiarato di essere in
piena regola colle leggi sanitarie vigenti, si limitò a con-
siderarne il lavoro industriale. — Per questo rispetto 1' I-
stituto giudicò che, oltre al merito dell'essere una al tutto
nuova attività locale, essa è di una bellezza e perfezione
straordinaria anzi unica.
Le capsule gelatinose, le pillole, i granuli, i confetti
medicinali che il sig. Negri sa confezionare coi più recenti
[17] (lO(il)
metodi meccanici superano il lavoro delle più antiche e
famose fabbriche.
Egli impiega una quarantina d'operai e raggiunse già
una considerevole cifra di esportazione de' suoi prodotti.
Egli ha cosi emancipato il paese da una importazione,
egli ha creato una concorrenza agli stranieri negli stessi
mercati stranieri.
Il suo Stabilimento fu reputato degno della Medaglia
(V argento.
Lo Stabilimento del sig, Pietro Layerda in Breganze
presso Vicenza, è già favorevolmente noto da parecchi anni
in tutta la regione.
Le macchine agricole, ed in specialità gli sgranatoi
per granoturco, i torchi per vinaccie, le trebbiatrici a
mano, sono usati in tutto il Veneto e nelle Provincie di
Modena e Ferrara. — La produzione annua delle macchine
agricole nello Stabilimento Laverda è in media di circa
200.
Tenuto calcolo dell' importanza del laboratorio, della
bontà delle macchine, degli attestati di encomio di vari
Comizi Agrari, e dei premi importanti ottenuti in altre
Esposizioni, r Istituto ha creduto di dover conferire al sig.
Pietro Laverda la Medaglia d'argento.
Medaglie dì Bronzo.
È importante la lavorazione della lana vegetale rica-
vata dalla pianta detta Tiffa, esercitata in Adria dalla
Ditta L. Nesso figli e comp.
Gli operai occupati nell' industria esercitata dal Nesso
sono circa 150, numero che .varia però a seconda del mag-
gior 0 minor lavoro ed a seconda della stagione.
(1062) [18"!
Annualmente vengono spediti all' estero 500 ({iiintali
di lana vegetale, e 1500 ne vengono smerciati in Italia.
Quattro macchine a vapore lavorano continuamente
per apparecchiare e confezionare i materassi di lana vege-
tale che si spediscono specialmente nella Spagna, nel Por-
togallo, neir Austria-Ungheria, nella Svizzera ed in tutta
Italia.
L'Istituto ha assegnato al Nesso una Medaglia di bruti zo.
La fabhrica dei prodotti alimentari, di farine, di grano,
granone e pasta da minestra fondata nel 1883 in Adria da
Efrem Grossi e com})., s' è ritenuta degna di premiazione
con Medaglia di bronzo, per il vantaggio economico appor-
tato da questo Stabilimento e per le grandi difficoltà che
la Ditta suddetta ha dovuto superare per 1' introduzione di
questa nuova industria.
Lo Stabilimento, mosso da macchine a vapore della
forza di 30 cavalli, mentre produsse nel 1883-84, cioè nel
primo biennio d' esercizio, per un valore di 5076 lire, nel
solo primo trimestre del 1893 ebbe un lavoro di 3556 lire,
quindi presentemente il lavoro è più che quintuplicato.
Gli operai impiegati nello Stabilimento Efrem Gròssi
e comp. sono in permanenza 30, senza gli avventizi che na-
turalmente vengono assunti nelle epoche di maggior lavoro.
Degna di lode e di incoraggiamento è 1' opera del sig.
Angelo Pozzana di Venezia, il quale è giunto a fabbricare
degli eleganti mobili di metallo, vasche da bagno, ecc. che
possono con vantaggio gareggiare con le produzioni di simile
genere che vengono dall'estero. — La vivezza e la solidità
delle vernici è uno dei migliori requisiti che posseggono
i prodotti del sig. Pozzana. — Lo sviluppo dato dal Poz-
zana alla sua industria, il numero degli operai occupati,
ed il guadagno che dà alle due officine dell' Orfanotrofio
ed Istituto Colletti gli meritarono, da parte di questo R.
Istituto una Medaglia di bronzo.
[10] (1063)
La casa d' avicultura del sig. Italo Mazzon fondata
nel 1888 in Villafranca Padovana, secondo i sistemi richiesti
dalla scienza e dalle condizioni della regione, è una delle
migliori conosciute. — Dal sig. Mazzon vengono coltivate
con metodi razionali varie razze fra cui meritano speciale
menzione la Gigante Padovana, la Polverara, la Maggi, la
Livornese, la Valdarno ecc., vengono inoltre allevati e
colombi e tacchini e fagiani e pernici. — La casa Mazzon,
che occupa ora un vasto tratto di terreno, promette di
ampliarsi fortemente tanto che in breve occuperà una su-
})erflcie di 20 ettari.
Non va dimenticato che la casa Mazzon pubblica un
importante periodico : « La guida del pollicultore » che
gentilmente invia alla biblioteca del nostro Istituto.
Il R. Istituto ha creduto di premiare il sig. Mazzox
con una Medaglia dì bronzo.
Il signor Luigi Battistella di Verona ha presentato
alla mostra, per concorrere ai premi ministeriali, varie
qualità dei suoi vini, ottenuti con un metodo di confezione
semplice, razionale ed atto a portare, se bene usato, alcuni
miglioramenti all' industria enologica ; ed infatti i vini in-
viati dal Battistella, confezionati già da qualche anno,
si presentano limpidi, nò depongono nella bottiglie feccia
alcuna a differenza di vini o della stessa o di altre qualità,
confezionati però in modo diverso. — I vantaggi arrecati
col nuovo sistema Battistella a questo importante ramo
del commercio veronese, vennero riconosciuti altre volte
ed in diverse Esposizioni Enologiche e dalla stessa Camera
di Commercio ed Arti in Verona.
L' Istituto assegna al signor Battistella Luigi di Ve-
rona una Medaglia di bronzo.
La Ditta Visentini e Rosa di Venezia presentò al con-
corso, la sua invenzione di fiaccole veneziane al magnesio,
(1061) [20]
le quali per autorevoli attestazioni, ed in seguito a fatti
esperimenti, offrono ottimi risultati.
Questa industria è sul nascere, e quindi l' Istituto
volle incoraggiarla assegnandole la Medaglia di bronzo.
Menzioni Onorevoli.
Molto pratico per i fornitori di grosse partite di ghiaja
è il nuovo vaglio che porta il non indifferente vantaggio
di una migliore e più sollecita epurazione della ghiaja.
La ghiaja introdotta nel vaglio Torzo (eh' è messo in
movimento da una macchina a vapore della forza di otto
cavalli), esce completamente lavata dal terriccio, in varie
grandezze cioè da giardino, da costruzione, da fonda-
zione ecc.
Il Torzo quindi ha meritato una distinzione speciale
da parte dell'Istituto avendo egli liberato la sua industria
dal sistema lungo, noioso, e di incompleta riuscita usato
fino ad ora per vagliare la ghiaja. — Al sig. Carlo Torzo
di Treviso venne accordata una 7nen:;ione onoremle.
Vista la grande diffusione e 1' uso molto pratico ed
importante che si fa oggidì dei bicicli e delle biciclette,
una certa importanza acquista pure la falibrica in Roncade
del sig. Carlo Menon, al quale l'Istituto è lieto di poter
assegnare una ìnenzione onoreiioìe.
Nello Stabilimento Menon (dove si lavorano completa-
mente i velocipedi dalle prime operazioni: la fusione del
bronzo e dell'acciajo, agli ultimi abbellimenti, la nikelatura
sistema galvanico) sono occupati sempre venti operai e pa-
recchi se ne chiamano di avventizi.
Oltre al concorrere che fa la fabbrica Menon a mi-
[21] (1065)
giiorare le condizioni economiche del piccolo centro in cui
si trova, porta l'utile agli acquirenti di una forte econo-
mia nella prima spesa (essendo le biciclette Menon di un
prezzo molto inferiore a quelle delle altre fabbriche) ed il
vantaggio di avere un luogo vicino per le riparazioni ai
possibili guasti, risparmiando in tal modo le spese di porto
e di dazio, che sarebbero forti dovendole spedire all'estero.
E perciò appunto l' Istituto assegnava al Menon una
ìnenzione onorevole.
La casa d'avicultura premiata varie volte in più Espo-
sizioni, condotta da F. G. Lion in Altichiero presso Padova
s'è riconosciuta importante per l'estensione che ha preso,
per il numero e le varietà di razze in essa allevate e per
il largo commercio.
Non avendo alcuna specialità di allevamento o di razza,
ma riconosciuti i meriti del sig. Lion, riguardo all'avicul-
tura, r Istituto ha creduto di assegnargli una menzione
onorevole.
Il sig. Matteo Da Ponte di Conegliano ha presentato
al concorso una distillatrice da lui costruita col sistema
Comboni. La Commissione apprezzandola altamente, non ha
però creduto di proporle un maggior premio, perchè non
trattavasi della invenzione, ma solo della costruzione di
una distillatrice ideata dal valente prof. Comboni che volle
rimaner estraneo al concorso. Ma riconoscendo che la di-
stillatrice presentata dal Da Ponte è di elegante e solida
costruzione, fece buona prova, venne altrove premiata, ed
è ritenuta di pratica utilità dagli enologhi, ha proposto e
r Istituto fu lieto di assegnare al diligente costruttore la
menzione onorevole.
La fornace del sig. Barnaba Peristjtti dà cementi a ra-
[»ida i»resa ; la macerazione della materia prima, tolta dai
monti che circondano Resciutta, viene fatta da cilindri messi
(lono) [•?2]
in moto da quattro ruote a pale, della complesjsiva foi'za di
25 cavalli. — Vi attendono dieci operai che lavorano nove
mesi dell'anno, dando un prodotto che può ascendere a 100
({uintali al giorno, e che viene smerciato in Friuli ed in
altre parti d'Italia, malgrado la grande concorrenza dei
cementi di Vittorio e di Bergamo. — Nel 1890 il .sig. Pe-
RisuTTi piantò un nuovo opificio a Buja per la macinazio?ie
di cemento a lenta presa e calce idraulita prodotto di una
sua fornace a fuoco continuo, impiegando per il nuovo
stabilimento una forza idraulica di 12 cavalli. — Il signor
Perisutti ha inoltre altri stabilimenti come una sega di
legname, una pila per la brillatura dell'orzo, per i (|uali
però non concorse ai premi industriali.
L'Istituto ha trovato giusto di dover premiare il co-
raggio di questo modesto industriale e gli assegnava perciò
una ìfienzwne otioreDole.
Un intelligente industriale è senza dubbio il sig. Do-
menico Zrcco di Feltre. — Egli impiegò la modesta sua
fortuna nel ridurre al sistema Schweitzer un piccolo e
vecchio molino che possedeva nel comune di Feltre, ed ora
egli, che ha introdotto tutti i migliori sistemi nel suo Sta-
bilimento, raccoglie i frutti del suo coraggio e dell' opero-
sità sua, ed ha la soddisfazione di rispondere completa-
mente ai bisogni dell'intera popolazione del suo paese. —
11 molino del Zucco, messo in azione per forza idraulica,
produce dai 30 ai 50 quintali di grano macinato oltre a
farine di varie qualità semolini, crusche, ecc. E 1' unico
opificio di tal sistema nella Provincia di Belluno. — L' 1-
stituto quindi è lieto di conferirgli una menzione ono-
revole.
Le eleganti calzature, ottime per qualità e relativa-
mente miti di prezzo, favorevolmente conosciute e stimate
che la Ditta G. Kirschen presenta alla nostra mostra, fu-
rono ritenute degne di menzione onorevole, tenuto conto
[23] (1067)
anche che hi Ditta Kirschkn, che (La parecchi anni hivora
a Venezia, concorre per hi prima volta ad una Esposizione
industriale.
Elegante e pratica s'è trovata la calzatura di nuovo
modello presentata al concorso dalla Ditta C. Feriguto e
figlio di Pcidova. — Molto pratica è la suola di gomma
rigata che impedisce lo sdrucciolare, ed igienica la suola
interna di sughero. — La Commissione però non crede
troppo utile il rivestimento interno di pelliccia, che si ri-
tiene non permettere la completa traspirazione, conser-
vare troppo l'umidità, e rendere più difficili le consuete
riparazioni. — Nel complesso però vista la praticità e l'e-
leganza del nuovo modello di scarpe, presentate alla mo-
stra dal Feriguto, e l'economia che si fa nell'acquisto delle
stesse, si è ritenuta la Ditta Costante Feriguto e figlio di
Padova degna di inenzione onorevole.
Erano ben noti da parecchi anni gli aratri costruiti
dal sig. E. Mazzetti in Occhiohello, quello che egli pre-
sentò ora è l'ultimo perfezionamento al quale è arrivato
questo intelligente industriale.
L'aratro Mazzetti viene generalmente preferito oltre
che per le sue buone qualità, anche per il prezzo mite. —
E addottato a preferenza di altri aratri nel Polesine e nel
Ferrarese ; e fa buona prova anche nei terreni argillosi e
più tenaci.
Al sig. Emidio Mazzetti venne assegnata dall' Istituto
per questo suo aratro perfezionato una menzione ono-
revole.
Degna di un incoraggiamento da parte dell'Istituto s'è
ritenuta l'industria delle Ceramiche Artistiche modestamente
esercitata dal sig. Gaetano Donato in Bassano Veneto. —
Questo lavoratore senza alcun aiuto di capitali seppe ab-
bastanza ampliare la sua officina, e da tre operai che
(1068) [24]
aveva nel 1884, quando incominciò i primi lavori, por-
tarli al giorno d'oggi, fra artisti e ragazzi, a dodici. — I
lavori del Bonato vengono spediti per lo piii in Francia,
dove sono apprezzati e dove egli tiene un contratto di for-
nitura annua per una somma di 15.000 lire. — Lo Stabili-
mento BoNATO venne fregiato in varie esposizioni e concorsi
di medaglie e diplomi. — L'Istituto perciò ha deliberato di
premiarlo con una menzione onot^evole.
La proprietà dei Siroppi di china ferruginosi, semplici,
all'arsenico, alla nocevomica e fosfoferruginosi, preparati
dal sig. ViDO Luigi di Lendinara, attestati da molti docu-
menti di approvazione e di incoraggiamento, ed in parti-
colare dal nostro collega prof. Spica, e principalmente lo
sviluppo dato a questa piccola industria ha fatto si che l'I-
stituto non esitasse a conferire al signor Luigi Vido una
menzione onorevole per i suoi Siroppi ferruginosi.
Il sig. Celso Mantovani concorse per un'officina di im-
pianti elettrici che ha preso un discreto sviluppo. — La
Commissione loda l'attività del sig. Mantovani, e spera che
in breve nella sua officina saranno costruiti per intero
quegli apparecchi elettrici che sono di uso tanto comune,
intanto propose e l'Istituto approvò di incoraggiarlo con
una menzione onor^evole.
Avendo il sig. Federico Gaggio fondato anche a Vit-
torio la industria dell' essiccazione degli erbaggi, legumi e
frutta, con nuovi sistemi, industria che maggiormente per-
fezionata ed ampliata potrà riuscire di vantaggio non in-
differente, l'Istituto ha creduto di })remiarlo con una nie.n-
zione onorei')ole.
Le menzioni onorevoli furono accordate tutte alla una-
nimità, meno una, ed è forse quell'una che ad un giudizio
comune e superficiale parrebbe non solo la premiazione
più guadagnata ma la più ragionevolmente aumentabile.
[25] (1069)
Infatti, chi vi getti sopra uno sguardo rapido e pro-
fano vedrà che Li mostra del Donato è la più copiosa e
appariscente. É quindi volontà della Commissione e del-
l'Istituto che le non facilmente indovinabili ragioni del
contro vengano esposte.
Le terraglie del Donato possono essere non senza ve-
rità giudicate un gran passo indietro nella tecnica e nella
economia professionale ceramica.
La materia è senza confronto più fragile, il disegno
più negletto, la vernice meno bianca e brillante che nella
maiolica della quale è una imitazione molto pallida e
per giunta moralmente e giuridicamente discutibile, im-
perocché ben lungi dal creare nuove forme plastiche
ha alla lettera espropriate delle loro le fabbriche di
maioliche che formarono per secoli la maggior gloria
ceramica del Veneto e forse dell' Italia e di recente pro-
fusero lavoro e danaro a pagare artisti come, per dirne
uno, il celebre Minghetti di Vicenza che colla magistrale
sua stecca aveva lungamente dominate tutte le Esposizioni
internazionali. Eppure malgrado tutte queste considerazioni
gravissime a carico, sembrò alla Commissione che una qual-
che distinzione non dovesse essere negata all'espositore.
In primo luogo il Donato creò un buon prezzo la cui
immediata conseguenza fa un grande spaccio anche al-
l' estero. — Ora il porsi in grado di invadere i mercati
stranieri è un servizio tanto positivo che ne paga molti di
negativi.
In secondo luogo mantenne viva per mezzo delle ter-
raglie l'industria della ceramica artistica in giorni nei quali
le commissioni delle maioliche erano momentaneamente, e
si temeva durevolmente, cessate.
In terzo luogo dette ragioni e occasioni ai produttori
di maioliche artistiche di scendere anch'essi dalla loro al-
tezza e produrre a buon prezzo.
In quarto luogo la stessa concorrenza alle maioliche,
che ne diminuisce al momento la ricerca, può in seguito
(1070) [26]
per altri rispetti tornare vantaggiosa, come quella che re-
stando presente sempre sui mercati stranieri, anche in crisi,
coi suoi colori e le sue forme a ogni modo ancora attra-
enti, non può a meno di invogliare i buongustai a procu-
rarsi in più nobile materiale e con più accurate pitture e
brillanti vernici quegli stessi oggetti nuovamente tramutati
può dirsi d'industriali in artistici.
La Commissione partendo da questi criterii, e valutati
i titoli contrari e i favorevoli di questa produzione espresse
non solo il voto ma il convincimento che la terraglia non
ucciderà la maiolica, come la decalcomania non uccise il
vasellame chinese e giapponese, e come i merletti a fuselli,
e meno che meno quelli a macchina, non uccisero le squi-
sitezze dell'ago.
La produzione inferiore venne quindi dalla Commis-
sione considerata piuttosto scala che ostacolo, e, in questo
speciale caso e per queste varie e serie ragioni, reputata,
nella pur combattuta produzione, degna dell' accordata mo-
desta ricompensa. S'è voluto dar conto particolareggiato di
questa deliberazione, che sembra di cosi poco momento, per-
chè a proposito di essa larghe e pratiche considerazioni
ebbero la parola e l'apprezzamento ultimo loro dovuto.
Oltre ai premiati, altri furono i concorrenti che in
quest'anno raggiunsero la confortante cifra di l)en 43, ma
alcuni si ritirarono dal concorso, altri non si poterono pre-
miare 0 perchè le loro opere d' ingegno, per quanto egregie,
non si reputarono comprese in quella categoria d'industrie
per le quali il Ministero assegna i premi — o perchè fu-
rono di recente premiate dall' Istituto, o perchè ancora
nel loro inizio non raggiunsero un grado di sviluppo tale
da portare un notevole vantaggio alla nostra regione, for-
nire un esatto e sicuro criterio del loro valore industriale
ed economico.
L' Istituto fu dolente di <lovor collocare nella seconda
[:i7] (1071)
(Ielle accennate categorie le molte e belle Guide P^rentari,
e di non poter quindi, come avrebbe voluto, premiarle.
Il Brentari cominciò a scrivere Guide nel 1885 e dopo
d' allora ne pubblicò circa venti, delle quali ho (jui da-
vanti l'elenco.
Le Guide Brentari ebbero medaglia d' oro all'esposi-
zione di Bologna del 1888; e fu l'unica medaglia concessa
per tal genere di lavori ; anzi non ce ne fu neppure d'ar-
gento ; ma solo una di bronzo per la Guida di Udine della
Società Alpina Friulana.
Ebbero poi medaglia d'argento a Palermo nel 1892.
Il Brentari, per compilare le sue Guide :
1. legge quanto fu scritto sul territorio da studiare,
2. lo percorre tutto a piedi,
3. raccoglie informazioni da comuni e privati,
4. fa correggere le stampe da molte persone intel-
ligenti.
Le Guide richiedono così molto tempo e lavoro; ma
riescono anche molto precise.
Queste Guide sono quasi tutte notevoli per la grande
quantità di dati storici che contengono ; esse devono ri-
guardarsi non come aridi manuali per il viaggiatore, ma
bensì come dotte e geniali monografie illustrative di speciali
tratti del Veneto e Trentino.
Le guide alpine del Brentari sono assai apprezzate
anche dai giudici più competenti ; gli ufficiali alpini ne
sono tutti provvisti. La stampa alpistica italiana, francese,
inglese, tedesca ha sempre avuto lodi illimitate per le
Guide Brentari, che furono giudicate modelli del genere ;
ed assai le lodarono ogni anno, nelle loro relazioni, i presi-
denti generali del Club alpino italiano.
Il Brentari sta ora attendendo alla continuazione della
Guida del Trentino (che riuscirà di 4 grossi volumi) e
dei quali uno è già pubblicato, ed il secondo in corso di
stampa.
Il Brentari colle sue Guide ha illustrato molta parte
(1072) [28]
del territorio, specialmente alpino, fra Adige e Piave ; e
sarebbe desiderabile che egli potesse darci una completa
Guida delle Alpi Venele, territorio in gran parte poco
noto, e pur meritevole di ampia e precisa illustrazione ; e
certo il Brentari si accingerebbe al non facile lavoro se
trovasse qualche incoraggiamento.
In Italia non abbiamo buone Guide. Molte sono vecchie
ed incomplete ; le altre piene di strafalcioni indicibili, se
facciamo eccezione per qualche Guida alpina lavoro non
di un solo individuo ma di più persone, fatte dalle sezioni
di Bologna, Brescia, Torino, Roma ecc. del Club Alpino
Italiano e dalla Società Alpina di Udine. Notisi poi anche
che, come numero, la raccolta delle Guide Brentari è la
più numerosa contando ormai circa venti Guide.
L'industria delle Guide alpine e d'altro genere è tutta
ed interamente sua. Il Brentari fa stampare le sue guide
(e lo sono benissimo) dall' ormai celebre stabilimento di
Sante Pozzato di Bassano ; ma egli solo ne è, oltre che
autore, anche editore e proprietario. E im industria nuova,
cominciata nel 1885, e che può e deve continuare e svi-
lupparsi sempre più.
Notisi pure che la industria delle Guide portò grande
utilità e sviluppo all'industria (di somma importanza per la
provincia di Belluno e per il Trentino) pel concorso dei
forestieri. Nel Cadore specialmente, ed in tutto il Tren-
tino, questo aumentò d' assai dopo che vennero illustrati
quei paesi.
Tutte queste ragioni militavano per il diploma d'onore
al Brentari — al massimo dei servigi militari e morali,
non disgiunto dall'economico, si sarebbe data la massima
delle ricompense.
Aumentava il desiderio di premiare l'uomo e T opera
il voto degli ufficiali alpini, vero onore tecnico e spotiisti-
co del paese, che aspetta da quella splendida arma emula-
trice dei gloriosi bersaglieri i più segnalati servigi, e senza
nessunissimo dubbio all' occasione li avrà.
[29] (107.S)
Ma ri.stituto .si contentò invece di esprimere per mia
voce al Brentari la propria soddisfazione, dolente di non po-
terlo premiare, uscendo la })roduzione dai termini del con-
corso.
Aspettiamo la guida del Trentino — aspettiamo que-
st'altro nobile servigio alla nostra etnografia e al nostro
fraterno spirito nazionale.
Poi verrà, speriamo, attuata dall'autore quest'altra idea
nostra per uno studio generale delle Alpi Venete. —
Che l'infaticabile peregrino e scrittore rammenti i desi-
deri i dell'Istituto di scienze che lo segnalerà anche più
generalmente alla riconoscenza degli studiosi e dei })atriotti.
É, come si vede dal fin qui esposto, nel desiderio di
tutti gli onorandi colleghi a nome dei quali io ebbi l'onore
della parola, che una conseguenza venga tratta proprio
come voce del fatto : ed è questa che della regione veneta,
(malgrado tante querimonie e tante censure di quella la
(juale si vorrebbe che fosse solo esuberanza di critica men-
tre è anche un po' deficienza di solidarietà) che della
nostra regione veneta, dico, si può e deve ammettere che :
eppu7' si muove.
E bisogna che ciò venga non solo creduto ma detto, e
non solo detto ma ripetuto e imposto, imperocché è vano
per non dir folle aspettare che altri a proprio detrimento
proclami ciò che il paese omettesse di dire a proprio
vantaggio.
È nel mondo ideologico ed etico, ma soltanto li, che
chi si umilia sarà esaltato ; nel pratico la verità è in-
vece che chi si umilia sarà depresso — del resto quelle
stesse carte della eterna sapienza le quali vi dicono si'tte
umili vi avvertono nel tempo stesso che la candela non è
falla per essere caperla sotto lo staio, e ciò evidentemente
per la ragione sociologica che in tal caso non giova a nes-
suno, e sopratutto per quella fisico-chimica che la luce
(1074) poi
in tale condizione necessariamente si asfissia e spegne. —
Occorrono due cose, oltre al sapere e al volere, — e
sono la solidarietà e la notorietà, imperocché i profitti
della civiltà e della modernità non si svolgono senza che
tutte, proprio tutte, le forze di queste non siano largamente
e pertinacemente usate.
Che questi giudizi, questi resoconti, queste premiazioni,
questo stendersi della mano della scienza collettiva a quella
del lavoro individuale, aiutino e sollevino — che lo spirito
accademico scenda, che lo spirito industriale salga ■ — e
che l'incontro fraternamente cordiale dia al paese quella
coscienza di sé, in mancanza della quale i maggiori sforzi
restano isolati ed infecondi.
Ricordatevi o signore e signori questo eppur si muove,
che essendo di natura positiva e sperimentale ha diritto
di essere ascoltato come una effettiva verificazione e non
semplicemente come l'oratoria citazione di una frase tra-
dizionale e felice.
IL CONCETTO MORALE ODIERNO
NELLA ECONOMIA POLITICA
DISCORSO
Letto dal m. e. Senatore ALESSANDRO ROSSI
Le celebri lampade della vita passate a catena, colle
quali volle Lucrezio raffigurare il procedere incessante
della umanità verso i suoi alti destini, non brillarono mai
jiel mondo fisico di sì abbagliante splendore come in questo
scorcio di secolo.
Noi che ne siamo illuminati, sia che vi assistiamo co-
me testimoni, sia che vi lavoriamo come operatori, ci do-
mandavamo attoniti, ansiosi, quali ne saranno gli effetti nel
mondo morale. E poiché una Sibilla era venuta ad assi-
dersi tra le più civili nazioni d' Europa, obbedita da uno
stuolo di sacerdoti incaricati di bandirne i responsi, un
tempo fu che piegammo ad essa il ginocchio.
Vedi tu, ci veniva essa dicendo, i prodigi del tempo :
misuri tu la potenza dell' uomo, le forze occulte emanate
dalla terra, misuri 1' aria, la luce : energie insieme ed ar-
monie mai viste dalle più remote età ?
Navi immense d' acciaio in cinque giorni traversano
l'Atlantico; si costruiscono vettori di 15 mila tonnellate a 24
nodi l'ora ; quattro traverse congiungono il Pacifico all' A-
tlantico ; da Pietroburgo per Samarkanda in brevi ore si tra-
versano le steppe dell'Asia; in 8 V-2 or^ si va da Nuova York
a Buffalo. L'America del Nord misura da sola quasi 400,000
T. IV, S. VII 73
(1076) [2]
Km. di ferrovie ; oltre 10 mila Km. di linee tubulari sotto
una pressione di 80 atmosfere trasportano il petrolio dai ba-
cini di escavo fino all' Atlantico, 72 mila litri all' ora, per
mezza lira ogni 790 litri ; la cascata del Niagara con soli 5
centimetri di pelo d' acqua fonda una città semovente sulla
riva Canadese ; finalmente la Esposizione di Chicago, de-
cupla di quella di Parigi del 1880, narra i prodigi della
elettricità.
Son queste, o mortale, le opere mie — mie ancelle
sono le scienze positive; colla chimica io nacqui, anzi pri-
ma di essa; fisica e chimica sono la materia, io lo spirito
che le anima, che ne scomparte i doni con equità. Scienza
della ricchezza a due fronti, una sperimentale, l'altra irrag-
giata dalla giurisprudenza, scienza restauratrice sovratutto
dell' ordine morale — ultimo obbiettivo del quale, ultimo
fine : la pace universale. Mi chiamo ,1' Economia politica :
seguimi, adorami, e tutti questi doni son tuoi.
Un fatto simile è narrato da S. Matteo come avvenuto
a Cristo sul monte eccelso. Là il tentato era Iddio che di
quei doni conosceva la provenienza vera. — Nella leggenda
di Faust è Margherita, 1' umanità che ha ceduto alla se-
duzione parandosi di perle e di gemme non sue — ma poi
venne il tempo della espiazione.
SignotH e Signore !
il narratore, lo so, non porta pena ; tuttavia proponendomi
oggi di affermare delle ingrate verità a molti osservatori
superficiali, mi sgomentano la maestà del luogo, l'occasione
solenne, questo areopago di dotti colleghi. Io non vorrei
strappare nessun ideale, per quanto ogni sètta abbia i suoi
propri ; perchè senza ideali la vita è muta, ed io mi sentirei
r atrofia nel cuore, che mira a quelli imperituri. A con-
fortarmi di non essere « al vero timido amico » mi spinge
m (1077)
questo momento storico, poiché un nuovo ordine di secoli
si avanza: hora ruU e il discutere è tardi, il sofisticare
ozioso, il sottrarsene è vile ; la economia dei popoli e
degli Stati cessa di chiamarsi politica e vuol divenire so-
ciale. Poniamoci adunque serenamente alla ricerca di quella
forza morale che rende le nazioni sanabili ; scrutiamo i
donimi della economia politica.
Con sifatto intendimento ne dividerò le fortune in tre
epoche cronologiche : la prima di preparazione fino al 1860
— la seconda di esperimento fino al 1879 — la terza di
espiazione fino al giorno d'oggi. — E sarà la prima parte
del mio discorso. — Nella seconda indagherò il concetto
morale odierno nelle varie manifestazioni della vita sociale
rimpetto alla economia politica.
Ammesso che ogni scienza degna del suo nome segue
nella storia una specie di flusso e riflusso fino al suo trionfo
definitivo, è d' uopo confessare che nella economia politica
non si è avuto il moto progressivo che perfeziona. Si è vista
piuttosto la contraddizione ogniqualvolta da puro metodo
di osservazione, essa volle erigersi a scienza morale ; e la
contraddizione la portò via via a contorcersi dentro sé
stessa.
Non vi fu quasi teoria tenuta da valenti studiosi che
da uomini altrettanto valenti modificata non fosse o a di-
rittura negata. Quindi le concessioni, le transazioni, le
parziali abjure che scossero il Verbo primigenio. Il secolo
XIX si nominerà da quegli immortali che scoprirono le
applicazioni delle scienze positive, e lor dettero incremento;
gli economisti che scambiarono la scienza colla metafisica
scendono un dopo l' altro inosservati nel sepolcro.
Que' primi invero produssero e distribuirono la ric-
chezza della intelligenza e delle opere introducendo tra
le arti liberali e le arti usuali un cosi potente equilibrio
da potere spianare col sentimento democratico del Vangelo
tutte le classi sociali. Può essere che la società civile conti-
nui ad essere condotta da un manipolo ristretto di persone,
(1078) [4]
per un tempo più o meno lungo non importa ; le scienze
positive non di rado combattute dalle professioni liberali,
aprono ormai la strada a tutte le volontà ; bastino a mo-
strarlo i nuovi Continenti. Ne risente 1' influsso la stessa
agricoltura che è 1' arte usuale che più s' identifica col-
r interesse generale della società e colla famiglia-tipo ; ma
né anche la macchina ha degradato l' operaio ; lo ha istruito
risparmiandone i muscoli, ne ha rialzata la testa verso Dio,
ne ha raffinato il pensiero, la dignità verso se stesso. Sa-
rebbe anzi un fatto salutare la pletora attuale delle arti
liberali quando gli agricoltori si arrestassero di avviarvi
cosi facilmente i loro figli, quasi ad insegnare ai contadini
r esodo alle città — e quando i manufatturieri che al la-
voro dovettero la loro fortuna insegnassero ai figli di non
smettere la professione dei padri. Non si pensa abbastanza
quanti godimenti intellettuali e morali confortino la vita
dei campi e delle officine.
Certi pregiudizii vanno scomparendo. 0 che la grande
società lavoratrice, l'artigiano, l'operaio, il ferroviere, non
esercitano le funzioni loro cosi degnamente come il magi-
strato, il professore, il capitano, l' impiegato ? 0 che l'elet-
tricista, il capomastro, il distillatore, varranno meno del
maestro di scuola, del ragioniere, dell' astronomo ? Bandito
ogni privilegio cosi nelle leggi come nelle costumanze,
bandito 1' empirismo — le arti usuali, immedesimate nella
società civile dal contatto continuo colla intelligenza e colla
ragione — pazienti, perseveranti, seguite talvolta anzicchè
precedute dalla scienza — stampano ogni di più profonda
la loro orma nelle leggi, nella convivenza sociale. Vuol
dire che siamo più incolti di prima? No: la coltura è più
larga, e diversa nel campo dei fatti. Confessiamolo : la
scienza pura è coltivata da poche menti elette ; negli Isti-
tuti stessi la vediamo troppo spesso ridotta a scienza fram-
mentaria, mentre le sonerie elettriche mondiali non arre-
stano lo spirito d' osservazione, ma lo acuiscono.
Diverse sono anche le forme della coltura, forme che
[5] (1079)
a taluni ripugnano ; e sia. Quando però si facesse da ciò
più estensivo il concetto morale, e più ostensivo il carattere
degl'individui, convien passar sopra al resto. Perfino le arti
liberali abbisognano oggidì della ritempra delle arti usuali,
perchè abbandonate a sé stesse potrebbero anche essere un
segno di decadenza, come lo furono sotto gli effimeri splen-
dori della Rinascenza.
E poi, lo ripeto, non si può oggi patteggiare col tempo
che è tutto fuga ed obblìo, tempo nel quale gì' igienisti
prendono il passo sui medici, come il telegrafo sulla posta.
Lasciatemi continuare, Signori, ancora un istante colla
distribuzione della ricchezza della intelligenza, della ric-
chezza delle opere a dimostrarne l'influenza sulle classi so-
ciali, prima di parlarvi di eguaglianze economiche per via di
denaro. Perchè uno scuotimento grande è avvenuto pel verti-
ginoso incremento della proprietà mobiliare. Non è nel mio
pensiero accusare gli economisti di avere colle loro dottrine
metafisiche voluto creare dei nuovi ranghi sociali, per
quanto dalle loro cattedre sembrino ancora di parlare alle
classi dirigenti. Dirò solo che giammai nei bei tempi ita-
liani vennero tra noi ristretti o confinati i ranghi delle
arti usuali.
Questa classica terra dei Comuni si mantenne sempre
cosi franca e liberale da immedesimare negli statuti co-
munali quelli delle sue corporazioni artigiane, e fu nobilis-
simo vanto della republica di Firenze lo avere accomunati
nelle arti maggiori i giudici, i dottori, i medici e i notai
coi grandi fondachieri, coi fabbricatori, coi cambiatori.
Dante era ascritto all' arte degli speziali, Francesco Fer-
ruccio proveniva dalla bottega.
Né anche 1' aristocrazia del denaro era presuntuosa o
parassita ; sòrta dal lavoro, dalle fattorie, dai ])anclii, essa
fondava le sue stazioni sui littorali adriatici e mediter-
ranei, notissima ai finanzieri d' Olanda e d' Inghilterra.
Tutte le classi della nazione, per divisi che fossimo,
erano guidate da un sentimento comune; l'Italia. Ma poiché
(1080) [6]
ho preso per guida il concetto morale che di quel senti-
mento è la base, e poiché la nuova teoria cosmopolita
tjnde a sftbi*ai*ne le feconde energie, lasciatemi affermare
con Aleai-di che
Iddio con immortali
caratteri di monti e di marine
ha scolpite le patrie.
0 perchè, noi, maestri un giorno di economia alle
genti, fummo tratti da casi, da tempi, da luoghi, da uomini
non nostri, ad essere ingiusti verso gli avi, scordando le
gloriose republiche marinare, le campane di Piero Capponi,
i Vespri siciliani, la lega di Pontida, i costumi virili e
cortesi quando malgrado tante divisioni territoriali assor-
gevano le patriotiche esplosioni della italianità !
e nel primo spuntar dell' alba austera
di queste età novelle
dai meandri partia de' suoi canali
sovra dromoni di natio cipresso,
e sulla tolda delle fusto snelle
Venezia mattiniera
quando ancora dormian le sue rivali.
0 Venezia !
Le tue galee sposate al mare partivano gonfie de' tuoi
prodotti per 1' Oriente, ferri e gioielli, conterie e merletti,
canapi e sete, pannilani e damaschi, a riportarne materie
prime, droghe e pelli, avorii e madreperle, onde sorvivono
ancora le tradizioni tue nei mari lontani. Tu non eri mer-
cantessa d' oppio, né costruttrice d* idoli indiani, ma le tue
fondamenta, le tue calli ripetono ancora il nome dei fon-
daci greci, turchi, albanesi e scutarini. Le tue corporazioni
giurate, governate dai giustizieri vecchi fin dal secolo XII
non rassomigliavano le gilde nebbiose del Nord, né le fal-
lite società di Francia. Fu sempre un popolo allegro e con-
tento il tuo, né anche subisti F effimero soverchiare dei
[7] (1081)
Ciompi. Il mutuo soccorso, le pensioni alle vedove, le arti
collettive non t' erano ignote. La Univerdtà dei Mercanti
faceva annuale riconoscimento della Chiesa di S. Marco.
Al tempo stesso quanta sapienza e semplicità nelle lettere
de' tuoi ambasciatori, nelle tue Ordinanze ! con equità tu-
telasti produttori e consumatori, l'erario e le esportazioni,
decimando gi' inutili intermediari ; e fu un tuo patrizio
che nella mia città natale introdusse le prime riforme
dell' arte della lana, onde va onorato d' un busto marmoreo
sulla facciata del Comune.
Io non declamo, o Signori, narro. Narro per dire che
r Italia presente, interrotta che fu dalle vicende politiche,
potè trovarsi in questa grand'epoca storica impreparata sì,
ma non sorpresa. Il pensiero italiano della libertà e della
eguaglianza civile che i nostri oppressori non hanno mai
potuto distruggere perchè è un pensiero attaccato alla terra,
non si è mai discontinuato. Italiano, parlo ad italiani : noi
non dobbiamo nulla al 1789. Per quanto scissi nei terri-
torii, asserviti politicamente, divisi da dogane, eravamo
stretti nel pensiero italiano che più tardi ci dovea valere
r esigilo, la prigione, il patibolo, la perdita delle private
fortune e finalmente, dopo il sangue sui campi, la libertà.
Nuli' avevamo di comune cogli enciclopedisti, coi fisio-
crati, coi privilegi, colle immoralità, colle rapacità, e le
taglie, e le imposte che segnalarono 1' ultimo secolo dei
decrepiti Capeti ; nulla colla Compagnia delle Indie, coi
biglietti di Law, coi finanzieri e gli appaltatori di Francia;
nulla col loro osservatore prima e poi condiscepolo e final-
mente Messia, Adamo Smith. Ben altri, prima di noi ita-
liani, possono tributare lode e riconoscenza ai fisiocrati,
ormai passati alla storia, perchè si misero alla testa della
reazione popolare che veniva insorgendo in Francia come
la vendetta di Dio. La società in Francia era 1' albero di
Montesquieu tagliato per coglierne i frutti. La società in
(1082) [8]
Italia non era più cosi spensierata come ai tempi della
Rinascenza ; era un albero apparentemente invernale, ma
clie vegetava vivissimo sotto terra, allungava radici.
Ma quando lo Smith volle mutare la missione sua
redentrice degli ostacoli fiscali, doganali, amministrativi,
territoriali, monetarii, di un passato che crollava in Fran-
cia, coir applicare lo stesso principio di libertà alle rela-
zioni commerciali delle nazioni tra loro, considerandole
cosi come i fisiocrati le loro provincie di Francia, nessun
vantaggio provenne alla libertà dei popoli e danno gravis-
simo alla economia dei deboli soprafatti dai forti. Noi ita-
liani poi non sentivamo affatto il bisogno di un nuovo Verbo
economico che si acclama distributore della ricchezza senza
avvertire i pericoli della coacervazione, che scambia la
trasmigrazione per incremento, che non tien conto degli
immensi debiti legati alle generazioni venture, che si spac-
cia accumulatore di tutte le scienze, e che accusato per
ultimo di essere la scuola del iientre risponde coli' atteg-
giarsi a moralista.
Prima del 1789 noi eravamo ancora 18 Dominii, dei
quali 14 costituivano altrettanti statarelli a dogane interne,
più un cumulo di feudi imperiali. Tra noi non nacquero
né i Cromwell né i Cobden ; uomini nostri sono i Volta,
i Galvani, e tutti quei legionarii che dinanzi ai miei
dotti colleghi non ho d' uopo di nominare, degni suc-
cessori dei Galileo, dei Da Vinci, dei Cellini, dei Torricelli.
Né anche passerò in rivista la pleiade di que' valorosi che
preludiarono alle riforme economiche in Fi'ancia, e lo fe-
cero con quella genialità italiana di tranquilla osservazione
e di acuta sintesi che distinsero Bandini, Verri, Beccaria,
Genovesi, Filangeri, Romagnosi — da riportarsi a quei
tempi per giudicare 1' altezza a cui se})pe giungere senza
altri maestri la publica economia italiana.
Gli oltremontani e i loro postumi volgarizzatori in
[0] (1083)
Italia si affaticarono a dimostrare le attinenze della econo-
mia politica colla morale. Il loro patriarca Adamo Smitli,
che nella Teoria dei senti menti morali aveva indicato esi-
stere nella simpatia il mobile delle azioni umane, cascò poi
nella Ricchezza delle nazioni, pochi anni dopo, a ritrarlo
dall' egoismo. Ma fino dai tempi d' oro della economia po-
Donoso Cortes dall' alto della tribuna denunciava 1' eco-
nomia politica nientemeno che una scuola di immoralità.
E Pellegrino Rossi martellando vivamente la scuola
inglese, la chiama una vera algebra, peggio ancora : « elle
» conduit à parler de 1' homme en general comme on
» se permettrait de parler de 1' esclave du monde ancien,
» de l'homme (|u'on avait fait animai et chose, de l'homme
» exploitè par 1' homme. »
E Sismondi che chiama la scuola smithiana : Science
sinistre, cosi procede : « la richesse est-elle donc tout, et
» r homme n' est-il donc absolument rien ? aux yeux de
» l'economie politique moderne, il n'est-rien, et ne peut ètre
» que rien, puisqu'elle ne tient pas compte des qualitès par
» les quelles il se distingue de la brute, et qu'ell'est araenée
» conséquemment à le regarder simplement comme un in-
» strument à employer par le capital, à fin de permettre
» au possesseur de ce capital d' obtenir une compensation
» pour l'usage qu'il en fait. Plusieurs économistes s'expri-
» ment en des termes qui feraient croire que les hommes
» ont ètò faits pour les produits, et non les produits pour
» les hommes. »
Queste voci profetiche non le conosceva il popolo,
perchè sullo scorcio dell' epoca che descrivo pareva che
tutti gli avvenimenti favorissero la Scuola. Spuntavano in
Europa gli albori delle libertà politiche, già conquistate
neir America del Nord, e poscia le lotte e le vittorie finali
dei popoli redenti. 0 chi pensava allora economia e finanze
se perfino le ofiicine facevan festa, e, sciolte le carceri
(1084) [10]
politiche, parevano senza ospiti le carceri criminali ! Gli
economisti fondavano una dopo 1' altra le cattedre a inse-
gnar la ricchezza, e via via le associazioni, le reviste, le
conferenze ; scolari e uditori accorrevano a intendere la
nuova parola, circonfusa dei più attraenti ideali.
Non è a dire che la rivoluzione francese non avesse
esercitato il suo influsso anche in Italia. Le sue catastrofi,
i suoi insegnamenti eran venuti allargando con aspirazioni
nuove il pensiero umano in tutto lo scibile, onde si fece
acuto quanto mai il pensiero di osservazione. Il pensiero
economico volle avervi la parte sua : nulla di più legitti-
mo, se esso si fosse limitato allo studio dei fenomeni e a
suggerire un metodo induttivo onde aff'rontare il nuovo
assetto politico-sociale che si copiosi frutti prometteva. Co-
testa virtù che gli economisti non ebbero fin dal loro na-
scere, meno ancora seppero guadagnare poi, illusi degli
effìmeri loro trionfi ; onde nacquero le divisioni che le sof-
ferenze e le passioni economiche dovevano poi moltiplicare
e perpetuare in modo che oggidì tra francesi, italiani, belgi
ed inglesi, abbiamo un centinaio di manuali diversi dei
principii di economia politica.
Da noi si poteva fare tutt'al più una questione di me-
todi ; da noi le libertà economiche erano cosa vecchia, per-
sino mantenute sotto i Lorenesi ; né il Verri né il Filan-
geri intesero di sacrificare alla scuola smithiana, e ral)ate
Genovesi, degno precursore dei Romaghosi e dei Rosmini,
avev' affermato che « prima d'ogni altra riforma economica
volevasi la riforma morale. »
Fu alla metà del secolo presente, quando gli uomini
erano tutti ÌKioni, che sorse anche in Italia una })leiade
ingenua di economisti, in attesa clie una pleiade di altre
libertà dovesse seguire la libertà economica.
Quei santi entusiasmi d'allora cadevano come rugiada
sul trifoglio degli econom isti. Dicrisma in crisma, l'economia
[11] (1085)
politica fatta presuntuosa, si offre come una vera scienza
di governo ; con Bastiat assume il primato sovra ogni altra
scienza civile, e in atto di passare lo spianatoio su tutte
le classi sociali ; con Minghetti diventa una cosa sola colla
morale e col diritto, assisa tra 1' interesse e la virtù, tra
libertà e rivoluzione, scienza ed arte insieme, scienza psi-
cologica, esatta al pari della chimica, colla quale è nata
sorella. Laonde i nuovi veri parvero cosi inoppugnabili,
cosi universali, che un economista italiano ne tradusse le
tesi in formole algebriche — un economista belga trattò la
religione come altro dei capitoli della economia politica, e
i francesi, che traggono 1' economia politica, s' intende, dalla
loro rivoluzione, lasciandone nell'ombra le violenze e la
intolleranzi, la proclamano scienza universale, scienza
cosmopolita.
Giunto a questo passo, io che mi lascio guidare costan-
temente dal concetto morale che è indissolubile col concetto
economico, entrambi fusi nel sentimento della patria, dove
con armonica consonanza di natura, di uomini e di cose,
che sono per sé infinitamente variabili, si svolsero in pas-
sato, come narrai, e si devono venire oggi moltiplicando
con rapidità vertiginosa il progresso materiale e la ric-
chezza : io mi domando qual fosse il Deus ex machina di
cotanta fosforescenza di principii che dovea durare per
una 0 due generazioni ? Q,ui e' incontriamo in quella gran
promotrice incruenta delle libertà economiche in casa altrui
che è r Inghilteri-a.
L' Italia ricorda con riconoscenza un famoso detto di
Gladstone sulla Corte di Napoli, che ci valse a quell' e-
poca cento battaglioni. Adesso che le menti son fredde, e
non minore di allora è l'amicizia inglese, è bene ricordare
i primordii industriali dell'Inghilterra, dall'atto di naviga-
zione di Cromwell fino a quando lord Chatam negava alle
colonie brittanniche d' America il diritto di fabbricare un
(1080) [12]
ferro da cavallo. Era quello, né più né meno, il sistema
mercantile di allora come sono sistemi mercantili odierni
r inglese, il tedesco, il francese, il russo. Chi adesso raf-
fronta la politica commerciale inglese per rimproverare i
fautori della bilancia commerciale praticata, non appalesa
soltanto un concetto unilaterale e falso della economia dei
popoli e degli Stati ; ma oltrecchè cattivo economista, per
r Italia, è anche cattivo italiano.
A quei tempi non si era sul continente uomini di
Stato se non si citava ad esempio T Inghilterra in tutti i
Parlamenti, nelle scuole, in ogni giornale di provincia.
Quello poi degli economisti pareva un vero orfeonismo. Le
libertà inglesi ! ecco la bandiera. Adamo Smith ! ecco il
patriarca. Roberto Peel, Ricardo Cobden, Brigth ! ecco i
profeti.
Se gli economisti italiani avessero spesa la loro pro-
paganda, in quei tempi cosi duttili e di buona fede, col-
r insegnare la legge morale prima fonte di progresso, cioè
la educazione dell' individuo, quanto più forte e più ricca
nazione sarebbe oggidì la nostra ! Io ammiro gì' inglesi per
la durata delle loro istituzioni politiche dovuta al carat-
tere degl' individui, col quale attraverso le loro più viziose
e strane istituzioni civili seppero trarre una cosi grande pro-
sperità nazionale che oggi ancora che vivono dell'adipe del
passato non mostra che rarissime crepature. Nella loro edu-
cazione individuale dimora il secreto della loro potenza; ne
cito la sincerità inflessibile, l'orrore della menzogna, la per-
severanza indomabile, la prontezza a rifarsi, la vita di fa-
miglia esemplare. Cosmopoliti in quanto ab])isognano del
dominio sui mari, entro del loro regno sentono la i)iù aperta
ripugnanza ad ogni assimilazione di razza, di carattere, di
usi, di moneta, di misura, di peso. Libertà di mode oltre
la Manica, ma a Londra la primrose league, capitanata dal
capo del Governo. In nessuna nazione più letta la Bibbia,
[18] (1087)
nessuna più della inglese osservante la Domenica, e lo Stato
nelle grandi occasioni invoca Dio.
Ponete di fronte a queste forti virtù individuali il più
schietto diritto feudale di primogenitura e il feudo che
traspira nelle loro istituzioni civili cosi che il nobile nelle
Università ha classe separata e distinta, e il diritto varia
da contèa a contèa, da borgo a borgo, da parocchia a pa-
rocchia. Ponete il mercato dei voti palese, quasi ufficiale ;
l'acquisto dei gradi militari legale ; legale fin dal 1001 la
carità che mantiene il 22 per mille della popolazione del
Regno Unito, e insieme alla tassa pei poveri le case a lavoro
coatto ; trattati alla pari dei commerciali i debiti civili, colla
carcere a chi non paga, col Comune responsabile pei citta-
dini alla riscossione della imposta pubblica. Non la sicurezza
dell'uomo, ma la sicurtà, come per grandine, può acquistarsi
sulle ferrovie e sulle navi mediante polizza, mentre son
protette le vite degli animali. Nessuna legge contro le so-
fisticazioni alimentari, né contro le marche di fabbrica
false ; l'ubbriachezza spinta al più alto grado a canto delle
fiorenti società di temperanza.
Ebbene, nelle lezioni che parecchi economisti inflig-
gono alla gioventù italiana nulla si trova che corrisponda
alle due faccie del tipo inglese che ho descritte. Dai mo-
ralisti nemmeno il riposo domenicale, nessun commento
suir influenza morale della Bibbia a temperare gli eff"etti
delle leggi. Scopo d'ogni insegnamento la politica commer-
ciale inglese : hoìnines unius libri — e non compresa, o
non sincera, in ogni modo frammentaria, e per comodo, la
legislazione civile inglese.
(1088) [H]
Signori /
Se ho dovuto fin (|ui (liffotiderini alquanto a tratteg-
giarvi fin dalle origini il periodo di preparazione della eco-
nomia politica che il Carlyle disse essere stata, dopo la
metafisica, la scienza che più si burlò degli uomini, ve ne
compenserò colla brevità del periodo d'esperimento fino al
1879 e di quello d'espiazione poi, lasciandomi bastare per
essi la narrazione dei Mti.
I manchesterriani non erano così sentimentali da con-
tentarsi della scolastica ; la missione di Cobden in Italia
nel 1846 non era quella del dilettante. Venuto il momento,
videro i manchesterriani qual partito potevano trarre dagli
interessi dinastici di Napoleone III, all'apogèo della sua in-
fluenza in Europa. Il trattato del 1860, secondo essi, non
era ancora la libertà ma un'avviamento. E tuttavia parrà
singolare ai posteri che ai tempi nostri per le libertà po-
litiche si acclamassero i plebisciti e per le libertà econo-
miche prevalessero i protocolli secreti di 4 o 5 persone ; e
che un simile omaggio alla cancelleria in onore della li-
bertà continui anche al giorno d'oggi.
In breve quel trattato commerciale che servi di tipo a
tutti i contemporanei, aperse la porta al periodo piratico,
che doveva chiudersi colla conc("rrenz' agricola d'oltre ma-
re, comparsa in Europa verso 1879.
Sarebbe esilarante riportare oggidì le profezie e le
minaccie che i cobdenisti e gli economisti napoleonici lan-
ciavano agli americani del Nord che dopo la guerra di se-
cessione avevano bandita da tutte le scuole della Grande
Unione la economia politica europea, facendone unico testo
il Carey.
Tra questi dibattiti non continuavano meno il loro
trionfale incesso nel mondo economico le applicazioni delle
[15] (1089)
scienze positive, nei sottosuoli, noi soprasuoli, nelle officine,
nelle ferrovie, nelle navi, nella stessa agricoltura. Il pro-
gresso fu straordinario fin da quei 20 anni, e fu seguito
dall'aumento della generazione umana a cui in gran parte
tanto aumento di ricchezza ha servito. Il resto non ha cor-
corrisposto ai dommi scolastici della distribuzione : o venne
coacervato o trasmigrò da un popolo all'altro, o parve co-
perto entro que' 117 miliardi a cui somma oggidì il de-
bito pubblico europeo senza che le famose teorie della eco-
nomia politica sulla imposta abbiano saputo escogitare nulla
di meglio.
I massimi frutti li raccolsero gli Stati Uniti d'America
e il Regno Unito della Gran Brettagna, due nazioni rette
a sistemi mercantili diametralmente opposti, quasi a gab-
barsi della economia politica. Per 1' Inghilterra, ricchezza
immigrata, dovuta ai suoi fusi, alle sue navi, ai suoi car-
boni, alla sua diplomazia; pegli Stati Uniti: ricchezza pro-
dotta, distribuita equamente per tutti gli strati sociali, e tale
da sanar quasi per intiero colle dogane 50 miliardi di lire
di debito pubblico ed avvantaggiarsi di 3 V-2 miliardi annui
di esportazione.
La Francia che magnificava 4 anni or sono il cente-
nario del 1789, da 531 milioni eh' era allora il bilancio
dello Stato, sta ora per raggiungere 4 miliardi ; il suo de-
bito pubblico sta intorno 30 miliardi. Ebbene, o Signori,
lo credereste ? Vi hanno tuttora in Francia dei ciechi-nati
che nel Jornmal cles Economistes del passato Agosto ma-
gnificavano i grandi servizi resi alla umanità da A. Smith,
il quale (cito il testo) va annoverato superiore a Copernico,
a Galileo, a Lavoisier, ad Ampère — che alla lor volta
sono più alti di Dante, di Michelangelo, di Pitt ! devo dire
però che 1' articolo arieggiava una necrologia della eco-
nomia politica e si sa che ai morti non si misura la lode.
E nell'ordine politico, quali gli effetti del secondo pe-
riodo ? guerra a morte tra i principali alleati in economia
politica, disinteressata l'Inghilterra; un trattato di pace le
(1090) [16]
cui condizioni economiche si dettano dal vincitore come la
pena di tallione; 12 milioni d'uomini armati in presenza gli
uni degli altri, divenuti una istituzione continentale euro-
pea e mantenuti in buona parte dalle dogane. Tornano
davvero inutili i commenti.
Ed eccoci già al periodo 3° della espiazione dopo il 1879,
quando 14 Stati continentali un dopo l'altro rimaneggiano
in aumento le loro tariffe doganali e la economia politica è
ridotta a menar vanto dei magri trattati dell'Europa Cen-
trale, mentre la terra degli enciclopedisti, dei fisiocrati,
la ispiratrice di A. Smith, diventa la testa di linea della
più perfetta autonomia economica. Essa discute, voce per
voce, non più sovra un tavolo verde di quattro gallonati,
ma in pieno Parlamento, due tariffe di dazi imperative, una
massima, una minima, e trova nientemeno che 25 nazioni
pronte a convenire sulla base di questa gli scambii, onde
la produzione francese, agricola e manifatturiera, si avvan-
taggia nei primi 4 mesi del 1893 di 440 milioni sul 1892, pur
aumentando di 30 milioni la sua esportazione. Quale reazio-
ne ! Dall'anno 1776 di Turgot al 1846 erano corsi 70 anni
per giungere a Roberto Peel, le cui leggi sui grani figuravano
la data storica dei trionfi della economia politica. Bastarono
la metà d'anni a demolirle sul continente. Durano in In-
ghilterra, dove la proprietà agricola è deprezzata della metà
e non è gravata se non di 1 milione di sterlini d' imposta,
mentre ne fruttano quasi 50 le dogane e le accise. Durano,
perchè vi fanno le veci dei salari, poi che su 27 milioni di
quarters di grano consumati, ben diciotto si devono trarre
dall'estero.
Chi avesse osato a quel tempo toccare le vesti degli
Auguri veniva accusato di voler sostituire i droUs de Vhom-
me coi droits des blès, e fino al 1879 le vere armi della
Scuola si affilarono per creare e fomentare il dissidio in-
testino tra l'agricoltura e l' industria ponendo in un fascio
l'avarizia e la ricchezza della terra e del cielo, la ripar-
[17] (1091)
tizione del genio e del talento degli uomini « perchè un
nasce Solone ed altro Serse ».
Oggi chi propugnasse la libertà del grano come vit-
toria sulle carestie dovrebbe metterla in versi come la
guerra di Troia. La terra inglese del 1842 era bionda ;
ora è tornata verde come al tempo dei Normanni. Dopo
che i fieri isidani si sono messi alla balia dei fusi, delle
miniere e delle navi, si misero anche in balia dei grani
stranieri e di tale squilibrio hanno già cominciato a subire
le vicissitudini economiche e morali.
Chi propugnasse la teoria dei consumatori, argomento
achillèo degli economisti, dovrà indicare quali cittadini sieno
disposti ad aggregarsi ai soldati, ai preti, ai domestici, agli
uscieri : classi che lo stesso Smith chiama subordinate, non
escludendoue i magistrati. Non rimane ai disfatti altro ri-
fugio che il paradosso : essere interesse privato quello del-
l' agricoltore, interesse pubblico quello degli agricoltori.
Tuttavia non ponno darsi pace del connubio di questi coi
manifatturieri. Ancora nel p. p. Settembre lo Hervè chia-
mava gli agricoltori i pelicani dell' industria o meglio i
manifatturieri i vampiri dell'agricoltura !
Prima fonte di ricchezza è la terra ! aveano procla-
mato i fisiocrati, — prima fonte di ricchezza è il lavoro !
avea proclamato lo Smith.
Ora la terra partecipa anch'essa della grande inquie-
tudine del tempo.
Non è più in piedi nessuna legge che salvi il pro-
prietario ozioso od assente. Ci passeranno anche le mani-
morte dei Crediti Fondiari che si fanno in Europa pun-
telli dei latifondi. In America del Nord i latifondi del Fco"-
loest sono o la proprietà delle scuole o la dotazione delle
chiese : in quelle il popolo attinge il sapere, in queste la
morale. 1 latifondi delle Pampas al Sud sono abitati da mi-
lioni di greggie e di mandrie ; perfino nell'Africa misteriosa
tirano i venti antelucani della civiltà.
T. IV, S. VII li
(1092) [18]
Ben prima che si bandisse la scienza della ricchezza,
il Vangelo aveva indicato il lavoro come primo fattore della
società, e quando questa si trova in angustie, il lavoro ri-
mane ancora la prima salvaguardia del concetto morale.
Se non che gli economisti vollero essi, pur proclamandolo
libero, stabilire del lavoro i modi, la natura, i confini; se
non che la fisica, la chimica, colle immortali loro applica-
zioni incendiarono quelle barriere di legno provando che
le leggi del lavoro non erano il patrimonio né di determi-
nati popoli, né di determinate zone così come si direbbe
del sole pegli aranci.
Non importa ; la scuola volle passare la sua linea li-
vellatrice tanto sovra i popoli vecchi come sovra i popoli
rinnovati, imponendo a questi ed ai deboli tre cammini
egualmente impervii :
0 mantenetevi allo stato noetico, lo stato di natura.
0 nascete adulti al sole della libertà.
0 entrate nudi nella mischia della concorrenza mon-
diale.
E il carro indiano dei liberisti passò sui petti delle
nazioni giovani teorizzandole col deridere la bilancia del
commercio, consumandone i tenui risparmi, ingrossandone
i debiti pubblici, portandone via la moneta, a coacervare
i tesori dei popoli agguerriti alla lotta, e dei Cresi della
finanza.
Si era detto che ogni vincolo scema la produzione, e
si dovette subirne gli eccessi, e cogli eccessi le crisi, e colle
crisi dannato quel lavoro che si voleva libero. La concor-
renza tenendo in sua balìa il capitale, questo dovea riva-
lersi sul salario ; e alla sua volta il salario sul consumo :
tutti insieme ai danni dello Stato.
Anche in Italia, maestra un dì di tutte le industrie, vi
hanno economisti che ammoniscono contro le industrie arti-
ficiali. Oh ! noi le conosciamo le industrie reali prodotte
dalle libeità economiche : pane che non è di grano, vino
che non è di uva, caff"è prodotto cogli stampi, cioccolate
|19] (1093)
prodotto d' ogni pasta, olio d' ogni torchio, the minerale,
latte minerale, burro di gras.sina, conserve attossicanti, tela
di kaolino, lanerie di stracci, in nome della libera concor-
renza. Mai si era visto cosa simile sotto la tirannia arti-
giana, cosi detta, delle corporazioni, i cui statuti opponevano
alle sofisticazioni le pene più severe, anche del capo.
Coi dommi liberisti non si è lasciato respiro alla tras-
formazione delle piccole industrie, ed ora voglionsi far ap-
parire le grandi come un pericolo sociale, onde legittimare
la politica dei freni, e son poi essi, i banditori delle ma-
giche teorie della libertà che dei freni si faranno ante-
signani.
E dove s' ispirano ? ancora in Inghilterra, onde distrug-
gere quanto è rimasto in piedi del patronato antico sul
continente ; poiché il patronato inglese non va oltre l'abi-
tazione e l'alimento, tal quale il patronato degli animali.
Dissi i frutti delle vantate libertà economiche nei pro-
dotti ; vediamoli negli operai : l'americano a salario proprio
— r inglese a salario estero — derisorio, come lo dicono i
Jankées — il continentale a salario precario — lo asiatico
a salario vegetale : tutti costoro figli di Dio, usciti dall'an-
gelica farfalla, posti un contro l'altro : ho7no homini lupus.
Cosi vennero i fatti a dimostrare 1' antinomia tra li-
bertà politica e libertà economica. Il diritto e la morale
posti a base della scienza delle finanze, come gli economisti
bandivano, non portarono l'equità dei tributi, non ribassa-
rono il costo della vita. Malessere economico degenerar
doveva in malessere morale a far chiaro che la stessa li-
bertà politica non prospera se non è riscaldata dal sole
della legge morale.
Questa legge morale io volli che vi traspirasse, o Si-
gnori, dal linguaggio dei fatti che sbugiardano le allegre
teorie della ricchezza pel loro malo influsso sul costume
odierno, poiché la storia di jeri non è che il preludio di un
(1094) [20]
altra che comincia, e che noi, italiani, possiamo incontrare
da più spirabil'aere. Nell'agricoltura serbiamo tuttora una
gran forza di resistenza nel po})olo agricolo che crede in
Dio. Non conosciamo noi il feudalismo industriale di Man-
chester ; difettiamo di bacini carboniferi, ma difettiamo al-
tresì di bacini sociali ; noi non abbiamo nelle fortune mo-
biliari le grandi colpe che temono le grandi espiazioni.
Ciò non toglie che io non segua gli economisti nelle
varie manifestazioni della vita sociale. Dottrinari come si
fecero tra produttori e consumatori, non seppero indicare
le leggi che frenassero i parassiti degli uni e degli altri,
poi che vennero capovolti gì' intermediari nel commercio
maggiore colle ferrovie e colle navi e gì' intermediari nel
commercio minore colla scomparsa delle responsal)ilità in-
dividuali, anteponendosi la cooperazione alla mutualità. Indi
si è visto nascere un commercio che non è che alea, giuoco,
perfino sul credito degli Stati, e sulla fede pubblica: fallimenti
falsi, epidemie false, raccolti falsi. Che cosa erano mai i mo-
nopoli!, le gabelle delle soppresse corporazioni di fronte ai
sindacati odierni sul cotone, sui metalli, sul caffè, perfino
sul grano? Con regolamenti restrittivi, sì e con giuramento,
le corporazioni ammettevano il garzonato ; nei sindacati
attuali, un po' di coltura delle lingue parlate ed essere mi-
lionari basta ; gli affari si fanno all'orecchio, come la mu-
sica, e chi non è compreso nei sindacati, li subisca. Il ca-
pitale mobile dei sindacati, vero cosmopolita, autore dei
panama, viaggia per tutte le banche e borse mondiali ;
non lo perseguita il fìsco, non lo inquietano gii scioperi,
arriva ad imporsi al capitale fecondo della terra e della
officina, poiché ben lo sappiamo : non è dalla terra, dalla
officina, dalla progressiva ricchezza del lavoro ch'escono i
moderni Cresi. La coacervazione della ricchezza odierna
alla cui distribuzione intendeano vegliare gli economisti, io
la paragono al dosso e ai seni d'una montagna colla neve
[21] (1095)
in tormenta, dove scoperta a nudo lichene, dove a cento
metri sepolta. Capitale audace, temerario, fonte di un lusso
irritante e insieme sfacelo di piccole fortune.
In questa caccia vertiginosa al denaro che allarga le
distanze tra ricchi e poveri, per la quale ogni sentiero di tra-
verso è buono, in queste fughe di cassieri, ha saputo, ha
potuto l'economia politica additarci un catechismo commer-
ciale che insegnasse la probità, la virtù, l' onore? 0 non piut-
tosto le sue tendenze materialistiche, utilitarie, deviarono la
gioventù? Sono lezioni per lo più d'un tecnicismo teorico
agghiacciante, dannate al diploma sì, ma senza corrispon-
denza nella vita pratica ; che comprimono il genio nazio-
nale con dottrine forestiere che gli ripugnano, o con tra-
dizioni d'una storia occasionale, che più non si rinnovano ;
lezioni a base unilaterale, cosi mon^tone da eccitare lo
sbadiglio quando son classiche, e la diffidenza, il scetti-
cismo, quando si dicono sperimentali.
Imparare la lotta per la vita sui libri ! Chi si prove-
rebbe a imparare il nuoto sui libri? è strano come dei
nobili ingegni che coprono quelle cattedre non si avvedano
del pericolo di non produrre, nelle superiori, se non nuovi
insegnanti e nelle secondarie, soli impiegati o giornalisti.
Tutte riunite non saprebbero produrre un presidente degli
Stati Uniti. — Cleveland fu per otto anni procaccino di
spezieria, spazzando la quale, dopo i rudimenti elementari,
gli bastò imparare i latino e il calcolo per arrivare due
volte al primo seggio della republica.
Ora, per l'alto onore in cui si tennero fin qui dallo
Stato le cattedre di economia politica ci deriva il diritto di
chiedere agli insegnanti le seguenti domande :
Scienza che vi dite di governo, quali uomini di Stato
forniste all'Italia ?
Scienza che vi dite di finanza, qual soccorso recaste
ai nostri disavvanzi ?
Scienza che vi dite d' imposte, di che giovaste al si-
stema tributario ?
(1096) [22]
Scienza che vi dite di banco, qual voce portaste nel
caos bancario ?
Scienza che vi dite della moneta, quale idea suggeriste
per la circolazione ?
Scienza che vi dite del diritto, sono primi a sconfes-
sarvi i diseredati.
Scienza che vi dite della morale, più delle vostre cat-
tedre ne contiene una pagina sola del vecchio padre Dante.
Rimane a dire della emigrazione. Rossi e Minghetti
furono quasi sedotti dalle teorie malthusiane ; più cristiano
e più vero fu Carey che ne ha capovolte le proporzioni
numeriche, e un secolo intiero diede a questi ragione.
Sorgono fatti provvidenziali che affrettano il compi-
mento delle profezie bibliche sulla pienezza dei tempi colla
presente trasmigrazione dei popoli che sfatano le profezie
degli economisti. Le loro teorie, come riuscirono alla li-
bertà del commercio, lo udiste o Signori ; come riuscirono
alla libertà del lavoro, sto per narrarvelo.
Già nell'America del Nord né i bianchi, né i negri
vollero le razze gialle. Colla legge 3 marzo 1891 si venne a
sospendere l' immigrazione europea in quanto fosse povera,
perchè ingaggiata all'estero a troppo basse mercedi. Poi si
è pretestato il cholera per diflicultarla tutta, come l'Europa
avea pretestata la trichnina qer respingere le carni ame-
ricane. Oggi le Trades Unions colla proposta del Senatore
Chandler vorrebbero portare il divieto a 5 anni. Le Austra-
lie alla lor volta bandiscono i chinesi ora, e i chinesi stu-
diano già le rappresaglie.
Che più ? r Inghilterra stessa si allarma della im-
migrazione degli operai continentali, sfruttati nelle officine
clandestine da imprenditori collo sioeaiing-syslem. E alla
Camera dei Comuni si avvanzano proposte di difesa, come
in P'i'ancia. I capitani marittimi delle navi di emigranti si
chiamano responsabili pegli uomini deboli o ignoranti. Leggi
[23] (1097)
obbligatorie sugi' infortunii in Germania fanno preferire il
lavoro dei celibi a quello dei padri di famiglia.
Dinanzi a cotesta imponente evoluzione della umanità
che va cercando un assetto ai suoi finali destini, come di-
ventano ridicoli i dettami della costrizione morale alla ge-
nerazione, che si alternano colle immoralità del celibato e
l'aumento dei bastardi — e in uno Stato vicino i premi alle
famiglie numerose !
La scienza cosmopolita ne è soprafatta ; ma può essa
tuttora chiamarsi tale una scienza che non apparisce più che
una meteora sulla zona occidentale d' Europa, a correnti
variabili, come il Marte visto da Schiaparelli ? Di dottrina
in dottrina, di metodo in metodo, tra contraddizioni senza
numero — della pretesa distribuzione della ricchezza non
rimangono in piedi che gli appettiti, parsi, tanto più age-
voli a soddisfare più che in passato non era, dappoi che
Omne capax movet urna nomen
Mai si era veduto tanto antagonismo sociale nel medio
evo ; alla povertà è successo il pauperismo ; alla idolatria
del denaro segue dappresso la prodigalità. Che importa se
col denaro del secolo XIX si fecero tante opere meravi-
gliose quante mai non ne ricorda la storia ? il socialista
vi passa da canto alzando le spalle, pure protestando che
anch'egli coltiva l' ideale della umana felicità.
Quali mai dovrebbero essere dunque le barriere so-
ciali che si vorrebbero opporre a questo secolo trionfatore
d'ogni ostacolo materiale, divenuto beffardo delle sue stesse
dottrine economiche una volta che si trovano destituite da
sani fondamenti morali ? forse colla repulsione della carità,
onde dedurne il diruto al lavoro, il diritto al soccorso, il
diritto alla pensione, e presto il diritto al bisogno ? onde
la miglior classe sociale diventi quella di essere poveri, o
di sembrar poveri.
A questo punto gli ortodossi economisti, commemoran-
(1098) [24]
(lo il 5 novembre p. p. a Parigi il loro mezzo centenario
confessarono che l'economia politica traversa una crisi che ci
conduce al ritorno delle servitù sociali ; e poiché le reclute
al sodalizio venivano mancando, non vedersi altro scampo
se non perfezionare i volgarizzatori del Verbo e piantar
nuove cattedre dapertutto quasi autant de laboratoirs ac-
canto la chimica. E il venerabile loro presidente chiuse
cosi : « l'eclissi non è che momentanea, estinto il sole non
è; la verità, la giustizia, la libertà, riprenderanno il loro
impero. »
A questa aspettazione dal Limbo non si acconciano gli
economisti dell'età di mezzo, ma piegano a mezzo la ban-
diera delle libertà per impegnare la lotta contro gì' inter-
venti dello Stato. Vuol dire che da radicali nati dalla op-
posizione, diventano conservatori rimpetto alle invasioni
democratiche dello Stato. Gli ortodossi hanno seminato il
vento : essi raccolgono una parte della tempesta ; e poiché
la fatalità delle contraddizioni in economia politica dev'es-
sere data in segnacolo, si trovano d'accordo con Marx che
di socialismo di Stato non ne vuol sapere.
Sorgono allora i giovani, neo-economisti, nuovi efori della
economia politica i quali gettando a mare una parte di zavor-
ra dei loro venerati maestri, scovano dal Minghetti la formola
a fondare la scuola che deve poggiare tra la libertà e la
rivoluzione. E poiché i tempi fiacchi traggono alla onni-
potenza dello Stato che più si sviluppa là dove la vita pri-
vata vien meno, e si ammolliscono i caratteri, questi gio-
vani si chiamano con termine nuovo opportunisti. Un dei
loro che fu al Governo ed è mio amico afferma che la
ingerenza del governo trae dalla necessità la sua legit-
timità e cavando la tunica alle famose leggi sociali, riu-
scite a nulla, le rivestì col nomignolo di « legislazione in-
dustriale » dovuta in certa guisa alle nuove forme del la-
voro, non più libero ma sotto tutela, come se si avessero
a regolare i flutti del mare. — Come !, dicono, lo Stato crea
esso a spese di tutti le arti liberali, e perchè no le usuali ?
[25] (1090)
che democrazia è cotesta ? e gli opportunisti in economia
si uniscono come gemelli nati ai legalitari i in politica :
connubio singolare.
Se non che ogni combinazione legislativa di questo ge-
nere, sia di principe, sia di popolo, rimarrebbe soverchiata
dalla forza reale delle cose, come in finanza rimase sover-
chiato nn economista rimasto pili anni ministro.
Vi sono uomini, i quali vedendo dispersi i loro ideali
economici e non rimanersi più in piedi che una potenza,
lo Stato, a quello si aggrappano, che non è ne manifattu-
riero, né agronomo, e può solo dispensar privilegi o ri-
trarre monopolii. Peggio poi dove il sentimento collettivo
è immaturo e l'educazione men soggetta alla legge morale ;
ne verrebbe fuori uno Stato disarticolato dove alla gra-
vezza dei tributi si unirebbe ancora più acuta, più insop-
portabile, la invasione cancelleresca.
Allora i legislatori non sarebbero ispirati dal restauro
del concetto morale ma da un senso vicino allo sgomento,
e tratti più che a fidare sulla giustizia sociale, tratti a
cercare il plauso popolare, che è divenuto oggidì più dif-
fìcile e più fugace che in passato non era. Sarebbe strano
che a salvarcene avesse ad essere una fortuna la povertà,
perchè uno Stato non può diventare socialista se non di-
spone di molti denari.
Vanno intese le mie parole in senso puramente ob-
biettivo, e generale. Se dovessimo noi, popolo rinnovato,
portare lo sguardo al di là dei nostri confini, dovremmo
dire : proximus ardet Eucalegon ! tanto la società è irre-
quieta, tanto la pubblica economia è discussa. Chi saprebbe
assicurare se nel secolo XX, di due grandi nazioni conti-
nentali, una non avrà traversato un periodo anarchico,
l'altra un periodo socialista ; e la grande isolana non torni
protezionista ? in nessuna delle tre nazioni fanno difetto i
segni precursori.
(1100) [26]
Signori e Signore
Io sto per finire e dopo di aver spaziato rapidamente
nei campi della economia politica rimango ancora colla
lanterna di Diogene in mano alla ricerca del concetto
morale.
La morale dell' individuo da sola non basta in questa
epoca di trapasso dove tutto si fa mobile intorno a noi ;
non basta più se non diventa sociale, col modificarsi dei
costumi che ne sono la pratica, col farsi a convivere nella
vita politica, coli' introdursi negl'insegnamenti, per trarci
più in alto, e condurci a quella stabilità morale che deriva
da una credenza positiva. La morale sociale non poterono
darla gli economisti, non potrà darla lo Stato ; dovremo
ricorrere al libro dei due millennii perchè indissolubil-
mente è legata alla religione.
Un giorno fu che per parare l'accusa di cosmopolitismo,
gli economisti additavano la unità del cristianesimo che
doveva, secondo essi, spogliare il sentimento nazionale dalle
antiche forme egoistiche. Ma poi quando ammisero i dis-
sidii delle sette rivali nella lotta della vita come una ga-
ranzia della libertà, allora per essi la religione unica co-
stituirebbe r antinomia della concorrenza. Quindi tutti i
culti e anche nessuno. Convien portarsi in America del
Nord, tra i cittadini di Garey, per trovarvi non solo la os-
servanza, ma la libertà dei culti che manca in Europa.
Con una simile disarticolazione sociale, qual meraviglia
se l'attuale cancelliere dello scacchiere inglese mesi fa af-
fermava che oggidì siamo tutti socialisti ? A me è corso
allora alla mente un socialista eminentemente italiano sugli
albori del secolo XIII, il quale sapeva che al pari della
sofferenza individuale, la sofferenza sociale era un male
[27] (1101)
inevitabile. Francesco di Assisi non pensò a cercare nella
ricchezza delle nazioni la estinzione della miseria ; egli
apri una scuola della povertà per lo studio delle disugu-
aglianze sociali ; e ne uscirono, egli poeta, e i suoi seguaci,
non solo degli uomini felici, ma spesso degli eroi, anche
oggi dopo 7 secoli. È possibile che la ^nuova scuola del
secolo XIX abbia creato dei miliardarii ; mi concederete
però che non ha fatti gli uomini allegri ; la società attuale
è triste.
Nei costumi contemporanei il cuore si direbbe assente,
il parere conta assai più dell' essere ; voglionsi ingentilire
certe colpe perchè non appaiano troppo brutali ; passa per
civiltà quanto nei tempi andati si diceva mollezza di ca-
rattere ; insomma né i costumi gentili, né la sincerità pos-
sono essere i frutti di un epoca, il cui principale obbiet-
tivo è il denaro.
Quanto dissi della patria nostra mi assolverà dall'ac-
cusa che io mi faccia denigratore di questo secolo mera-
viglioso, io pusillo tra voi, onorandi colleghi dell'Istituto,
che sto per lasciare tanto più grande, tanto più bella questa
Italia da quando vi nacqui.
Certo non abbondano tra noi i Valerio Pul)licola, gli
Scipioni, i Catoni, ma non conosciamo ancora gli stampi
dei Crassi, dei Lepidi, dei Luculli.
Non abbiamo municipii socialisti, non tradimenti di
Stato, non dilapidazioni fenomenali. Non era ancora spento
l'eco dell' Italia marinara a Genova che tutto un grido na-
zionale di gioia inneggiò alle nozze d'argento del Re.
Già le memorie della storia ci sarebbero bastate a ren-
derci scettici contro le dottrine forestiere, repugnanti al
nostro carattere nazionale, alla mitezza della nostra indole,
alla ristrettezza dei nostri bisogni, al lato buono della nostra
stessa spensieratezza, al nostro genio di artisti. E poiché por-
tiamo tuttora impresse le secolari sventure patite prima di
conquistare la patria libera ed una, il nostro fondo patriottico,
se non ha ancora assimilate le bruniture esteriori, con-
(1102) [28]
serva sempre un'anima d'acciaio per saper resistere alle
insidie dej^di economisti cosmopoliti.
Che la vei'ità e la giustizia riprenderanno il loro im-
pero nell'ordine morale e quindi nell' ordine intellettuale,
nell'ordine legale : questo speriamo tutti, ma non per le
profezie degli economisti.
Già Cristo nel sermone della montagna chiamò se stesso
l'ultimo dei profeti e ci lasciò nel Vangelo l'ultima delle
sue profezie, la più completa per tutte le costituzioni, per
tutti i popoli, per tutti i tempi — non solo — ma nell'ordine
dei secoli, mai smentito, ci legò i suoi volgarizzatori. Onde
tutto il cristianesimo potè udire l'anno scorso la più stu-
penda esegesi del Vangelo nel tempo presente ; quanto di-
versa da quella dei volgarizzatori di Adamo Smith !
Dissi il cristianesimo, perchè anche coloro che negas-
sero il Cristo storico dovranno alla fine riconoscere il Cri-
sto morale.
Se a questo mancassero gli uomini dirigenti dell'oggi,
o quelli che saranno per essere domani — di slancio, di
istinto, ci arriverebbe il popolo. Il popolo può ignorare le
leggi della distribuzione della ricchezza ; può domandarsi
se questo gran patrimonio del secolo XIX non sia divenuto
una minaccia per esso — perchè più che d'istruzione, il po-
polo vive di fede, ha sete di fede.
E due sole sono le idee che possono calmarlo — anzi
suscitarne i grandi entusiasmi : la pairia, che tiene le sue
fondamenta nella legge morale: la religione che dalla legge
morale trae la sua origine e insieme la nutre del suo spi-
rito vivificatore.
PROGRAMMI
DEI CONCORSI SCIENTIFICI
PROPOSTI
DAL R. ISTITUTO VENETO E DALLE FONDAZIONI QUERINI-STAMPALIA,
CAVALLI E BALBl-VALIER
Per gli anni 1893, 1894 e 1895
PfiEMIO OllDIIIRIfl BIEiiALE DEL Bit ISIIIUIO
Concorso per Iranno 1S04.
Tema prescelto nell'adunanza del 24 aprile i893.
« Sul sistema delVi7nposta progressiva che taluno vor-
)) rebbe, con varie forme, sostituito al principio sancito
» nelVarf. 25 dello Statuto fondamentale del Regno, per
» cui i cittadini contribuiscono indistintamente ai cari-
» chi dello Stato nella proporzione dei loro averi. — Si
» domanda che i concorrenti raccolgano i documenti
» pì'atici di quei paesi ove tale sistema sia per avventura
» stato applicato. Oce manchino ì criteri che sieno for-
» niti do ir esperienza, i concorrenti dovranno a mezzo
» dell'indagine scientifìca chiari7^e quali sarebbero gli ef-
» fetti pratici della sua attuazione. In generale si desi-
» dcì'a seria e larga rassegna delle ragioni che stanno
» prò e contro un tale sistema, e la conclusione se sia
» quindi a consigliarsene o meno V introduzione nel no-
» stro paese » .
(1104) [2]
Il concorso resta aperto sino alle ore quattro pomeridiane del
giorno 31 dicembre 1894.
Il premio è d'ital. lire 1500.
PR[|II D[LLI1 F0iDll/!0i[ {UERIil-SIIlPILIli
Concorso per Iranno 1893.
Tema prescelto nell'adunanza del 19 aprile 1891.
« Fare uno studio litologico, mineralogico e chimico
» dei materiali pietrosi, sabbiosi, terrosi e salini, che uno
» dei principali fiumi del Veneto, nelle diverse condi-
» zioni di piena, di magra e di media, porta fuori dalle
» valli alpine e depone a diverse distanze dal piede delle
» alpi e fino al mare. Ed applicazione di questo studio a
» quello delle albivioni antiche e moderne della pianura
» veneta ed ai carnhiamenti di posto, che possano essere
» avvenuti in epoche preistoriche e sloriche neWalveo di
» detto fiume » .
Il concorso resta aperto a tutto il 31 dicembre 1893.
Il premio è d'italiano lire 3000.
Concorso per l'anno 1893.
Tema riproposto nell'adunanza del 19 yiugno 1892.
« Si domanda un Compendio di storna delle inale-
» ^natiche, corredato da una Crestomazia matematica,
» contenente estratti delle opeì-'e matematiche dell'anti-
» chilà, del medio evo, del rinascimento e dei tempi mo-
» derni sino a Gauss inclusivamente. Di questi estratti
» basterà che, oltre aWautore, al titolo dell'opera ed al-
P] (1Ì05)
» r estensione, sia indicala la edizione. TI concorrente poi
» doi'ì'à, per ogni squarcio, indicare i motivi, pei quali
» si è trovato indotto ad accoglierlo nella Crestomazia ».
AVVERTENZA
« Il Manuale farebbe conoscere rapidamente ed a grandi linee,
» sotto forma necessariamente moderna, lo sviluppo della scienza ; la
» Crestomazia, al contrario, dispensando dalla necessità di ricorrere
» alle fonti, porrebbe lo studioso a contatto col pensiero dei geometri
» del passato sotto la sua forma concreta ».
Il concorso resta aperto a tutto il 31 dicembre 1893.
Il premio è d'italiane lire 3000.
Coneorso per l'anno 1894.
Tema prescelto neW adunanza del 24 aprile 1892.
a Esporre le conseguenze, che si sono avverate dalla
» apertura del Canale di Suez pel cominercio italiano in
» generale e pel commercio veneto in particolare ; e quali
» prooiiedimenti dovrebbero prendersi, perchè il conimeì^-
)) ciò italiano in generale e più specialmente il commercio
)) veneto se ne avvantaggiassero.
» Alla trattazione del tema andranno unite tutte le
» necessarie notizie del fatto, esattamente raccolte, ordi-
» natamente disposte e debitameìite discusse ».
Il concorso resta aperto a tutto il 31 dicembre 1894.
11 premio è d'italiane lire 3000
Concorso per l'anno 1 S9S.
Adunanza del 7 agosto 1892.
Un premio della Fondazione Querini di lire 3000
verrà assegnato « a chi entro V anno 1894 avrà inlro-
» dotto in una valle a piscicoltura nel Veneto una i?ino-
[4] (IIO(^)
» fazione, che sarà giudicata importante ed utile da una
» competente Commissione nominata dallo stesso Istituto,
» od am-à trovato il m^odo di avvantaggiare sensibilmente
» una delle industrie, che diretlamenlc si collegano colla
» vallicoltura.
» Potrà quindi concorrere al premio suddetto chi
» avrà trovato il modo di ottenere, con vantaggio della
» vallicoltura^ la fecondazione artificiale delle uova, di
B qualche specie importante di pesci marini ; chi avrà
» introdotto in una valle, e con buon successo, qualche
» specie animale del 7nare Adriatico o di altro mare; chi
» col perfezionamento dei congegna vallivi avrà ottenuto
» in una valle risultati molto superiori agli ordinari ; chi
» avrà fatto progredire presso di noi Vostreocultura o la
» mitilicoltura ; chi avrà perfezionato la lavorazione del
» pesce di mare, in guisa da renderlo più gradito al pa-
» lato e più ricercato nel commercio ».
Tempo utile pel concorso: a tutto il 31 gennaio 1895.
PR[|IO DELLA F0i0ftZI0i[ ClfALLI
Concorso pel iviennio ISSl-OS.
Tema prescelto neW adunanza del 20 aprile 1890.
« Studiando le attuali condizioni delle popolazioni
» agricole del Veneto e confrontandole con quelle delle
» altre popolazioni italiane, rilevare quale parte abbia in
» esse il sistema di locazione agraria vigente fra noi, e
» indicare gli eventuali rimedi » .
Il concorso resta aperto a tutto il 31 dicembre 1893.
Il premio è d'italiane lire 3000.
[5] (110?;
Discipline comuni ai concorsi biennali del R. Istituto, a quelli annui della
Fondazione Querini-Stampalia e a quelli triennali della Fonda-
zione Cavalli.
Nazionali e stranieri, eccettuati i membri effettivi del Reale Isti-
tuto Veneto, sono ammessi al concorso. Le memorie potranno essere
scritte nelle lingue italiana, francese, tedesca ed inglese. Tutte poi do-
vranno essere presentate, franche di porto, alla Segreteria dell' Istituto
medesimo.
Secondo l'uso, esse porteranno una epigrafe, ripetuta sopra un vi-
glietto suggellato, contenente il nome, cognome e domicilio dell'autore.
Verrà aperto il solo viglietto della Memoria premiata ; e tutti i mano-
scritti rimaranno nell'archivio del R. Istituto a guarentigia dei proferiti
giudizi, con la sola facoltà agli autori di farne trarre copia autentica
dalla Cancelleria di questo Istituto ed a proprie spese.
Il risultato dei concorsi si proclama nell' annua pubblica solenne
adunanza dell'Istituto.
Discipline particolari ai concorsi ordinari biennali
del Reale Istituto.
La proprietà delle Memorie premiate resta all'Istituto che, a pro-
prie spese, le pubblica ne' suoi Atti. Il danaro del premio si consegna
dopo la stampa dei lavori.
Discipline particolari ai concorsi delle Fondazioni
Querini-Stampalia e Cavalli.
La proprietà delle Memorie premiate resta agli autori, che sono
obbligati a pubblicarle entro il termine di un anno, dietro accordo colla
Segreteria dell'Istituto per il formato ed ì caratteri della stampa, e per
la successiva obbligatoria consegna di 50 copie alla medesima. Nella
stampa del lavoro premiato, l'autore ha l'obbligo di premettere la in-
tiera relazione della Giunta esaminatrice del R. Istituto. Il danaro del
premio non potrà conseguirsi, che dopo aver soddisfatto a queste pre-
scrizioni.
L' Istituto, quando lo trovasse opportuno, si mantiene peraltro il
diritto di fare imprimere, a proprie spese, quel numero qualunque di
jopie, che reputasse conveniente.
T. /V, S. VII 75
(1108) [6]
PREMIO DI FONDA/IONt filLBI-fllLe
per il progresso delle scienze mediche e chirurgiche.
É aperto il concorso al premio d' italiane lire 3000
all'italiano « che avrà fatto p7^ogredire nel biennio 1892-
» 93 le scienze mediche e chirìmjiche, sia colla inven-
» zione di qualche istrumenlo o di qualche ritrovato, che
» valga a lenire le umane sofferenze, sia pubblicando
» qualche opera di sommo pregio » .
Discipline relative a questo premio.
I membri effettivi del Reale Istituto Veneto non sono ammessi al
concorso, che si chiude alle ore 4 pomeridiane del giorno 31 dicem-
bre 1893.
II risultato del medesimo si proclamerà nella pubblica solenne adu-
nanza del maggio 1894.
Le opere presentate potranno anche essere manoscritte ; porteranno
una epigrafe da ripetersi sopra un viglietto suggellato, contenente il
cognome, nome e domicilio dell'Autore : sarà aperto il solo viglietto
del lavoro premiato. 1 lavori manoscritti resteranno in archivio a gua-
rentigia dei proferiti giudizi ; gli autori possono farne trarre copia au-
tentica, e a proprie spese, dalla Cancelleria di questo Istituto.
Anche la presentazione d'istrumenti o d'altri oggetti sarà accom-
pagnata dalla epigrafe e dal rispettivo viglietto suggellato.
Venezia 28 maggio 1893.
E Presidente
E. DE BETTA.
Il Segretario
P. Fambri,
Programmi dei concorsi scientifici, proposti dal R. Istituto
Veneto e dalle Fondazioni Querini-Stampalia,
Cavixlli e Balbi- Valier, per gli anni 1893, 1894
e 1895. pag. 1103
Smithsonian Institution. Circolar Concerning the Hodgkins
Fund Pri/.es ........ cxlix
Prezzo della Dispensa
Fogli 101/2 a Cent. 25 L. 2. 3
ATTI
DEL
R. ISTITUTO VENETO
D I
SCIENZE. LETTERE ED ARTI
(TOMO LI)
SERIE SETTIMA - TOMO QUARTO
DISPENSA OTTAVA
VENEZIA
PRESSO I,A SEGRETERIA DEL R. ISTITUTO
ma. PALAZZO LOKEIIAM
TIP. CARLO FERRARI
^v, 1892-93
Pubbl. il 16 Luolio 1893
INDICE
Allo verbale dell'Adunanza ordinaria del giorno 18 giugno
1893 ". . pag. 1109
Lavori letti per la pubblicazione negli Atti
T. Martini, m. e. — La velocità del suono nei gas determi-
nata col metodo della risonanza. Memoria I.^ pag. 1113
A. Tamassia, m. e. — La scienza dell' educazione del
prof. Roberto Ardigò. (Padova, 1S93). Nota . » 1137
A. Stefani, s. c. — Come si modifica la capacità dei
diversi territori vascolari col modificarsi della
pressione. Ricerche » 1141
R. D' Emilio. — Sul teorema di Clairaut, relativo alle
geodetiche di una superficie di rivoluzione. Nota » 1191
Elenco dei libri e delle opere periodiche pervenute al R.
Istituto nei mesi di Giugno e Luglio 1893 . » cLiii
ANNO 1892-93 DISPENSA Vili/
ADUNANZA ORDINARIA
DEL G-IORlSrO ±8 G-IUG-3SrO 1893
PRESIDENZA DEL COMM. SENATORE FEDELE LAMPERTICO
MEMBRO EFFETTIVO PENSIONATO ANZIANO
Sono presenti i membri effettivi : Fambri, segretario, Ber-
CHET, vicesegretario, Pirona, De Leva, Vlacovich, Lo-
RENZONI, TrOIS, CANESTRINI, E. BERNARDI, BELTRAME,
Favaro, Saccardo, Omboni, Fertile, Bellati, Keller,
Deodati, Bonatelli, Stefani, Spiga, Teza, Morsolin,
Martini, Tamassia, Veronese; nonché i soci corri-
spondenti : Da Schio, Occioni-Bonaffons, Cassani, Ga-
lanti, Ferraris, Mazzoni, A. Stefani, G. B. De Toni e
Ragnisco.
Sono giustificati gli assenti membri effettivi : De Betta,
presidente, Minich, vicepresidente. De Giovanni, e il
socio corrispondente Bertolini.
Il Presidente annunzia la grave perdita fatta dall'Isti-
tuto del membro effettivo anziano pensionato Conte Ghe-
rardo Freschi, del quale fu già data partecipazione ai col-
T. IV, S. VII 76
Ilio
leghi (1). L'Istituto fu degnamente rappresentato ai funerali
del defunto dal membro effettivo Comm. Prof. Giulio An-
drea Pirvna. Si mandarono condoglianze alla famiglia ; e
(1) Colla seguente lettera circolare:
N. 216 Venezia. 10 giugno 1893
Ai chiarissimi Membri del R. Istituto
Un'altra perdita dolorosa sono nella triste condizione di dover an-
nunciare, quella del conte comm. Gherardo Freschi, decano del nostro
Istituto, mancato ai vivi nella grave età di 89 anni.
Eminente patriotta Egli prese parte ai moti politici del 1848-49,
tanto da dover poscia esulare e ritirarsi a Parigi. Riammesso in patria
dedicò tutto V ingegno e la operosa sua attività a benefìcio dell' Agri-
coltura, convinto, e giustamente, che questa era una delle fonti prin-
cipali di ricchezza per l'Italia. Il lavoro del suo forte ingegno fu quindi
tutto rivolto a questo importante fattore di prosperità nazionale, ed
a migliorare, particolarmente nel suo Friuli, le infelici condizioni dei
contadini.
Molte ed importanti sono le pubblicazioni che il conte Gherardo
Freschi fece intorno all'Agricoltura ed alle Industrie affini, alcune furono
inserite negli Atti e nelle Memorie del nostro Istituto, altre compar-
vero in reputati periodici ed in opuscoli separati.
Quando la confezione del seme indigeno del baco da seta trovavasi
in quella crisi, che minacciava grandemente la produzione nazionale,
Egli fu uno dei primi italiani a dedicarsi con tutte le sue forze a scon-
giurare il pericolo, facendo e promovendo studi ed esperienze, recan-
dosi perfino nel lontano Oi-iente a ricercare il seme rigeneratore, e pub-
blicando la famosa Guida per la coltivazione del baco da seta eh' ebbe
l'onore di parecchie edizioni e di traduzioni anche in lingue stranie l'e.
Fu Presidente onorario dell'Associazione Agraria Friulana e del Co-
mìzio Agrario di Pordenone — Socio onorario dell'Accademia di Scienze
e Lettere di Udine — Membro della Società degli Agricoltori d'Italia e
di Francia e dì varie Accademie Italiane ed Estere.
Per quasi cinquant' anni il conte Gherardo Freschi appartenne al
nostro Istituto che dì lui conserverà lunga ed affettuosa ricordanza.
IL VICESEGRETARIO
M. E. G. B E R C H E T
1111
la commemorazione verrà fatta dal membro effettivo Prof.
Cav. Aìitonio Keller.
Letto ed approvato 1' Atto verbale della precedente
adunanza, viene comunicato l'elenco dei libri pervenuti in
dono alla biblioteca e delle opere acquistate dal 27 magii-io
decorso al giorno d'oggi.
Quindi furono presentate e lette le seguenti memorie:
Dal m. e. G. Lorenzoni — Determinazione della gravità
relativa negli Osservatorii di Vienna, di Parigi e di Pa-
dova mediante gli apparati e colla cooperazione dei Si-
gnori Colonello di Slerneck e Comandante Deffbrges.
Dal m. e. T. Martini — La velocità del suono nei
gas determinata col metodo della risonanza. Memoria I.
Dal m. e. A. Tamassia — La scienza dell'educazione
del prof. Roberto Ardigò. Padova, 1893. Nota
Dal s. e. G. Mazzoni — Osservazioni siU fiore, poe-
ma allegorico del secolo XIII.
Questa lettura diede luogo ad una breve discussione
alla (juale presero parte il m. e. Teza ed il s. e. Mazzoni.
Dal s. e. A. Stefani — ■ Come si modifica la capacità
dei diversi territori vascolari col modificarsi della pres-
sione.
Dal s. e. G. Ricci — Di alcune applicazioni del cal-
colo differenziale assoluto della teoria delle forme diffe-
renziali quadralicìie binarie e dei sistemi a due va-
riabili.
Ed in conformità all' articolo 8.*' del Regolamento in-
terno.
Dal m. e. jì. De Giovanni, una Comunicazione del
Dott. E. Cavazzani, intitolata: Allegazioni verificate in
un cane affetto da clnlemia.
Dal m. e. T. Martini, un lavoro esperimentale del Prof.
D. Mazzotto. Sidla solidificazione delle amalgame.
Dal m. e. M. Bellati, una Nota del Dott. G. Bozzola.
Sulla variazione della forza elettromotrice i/clle coppie a
1112
Selenio solio V influenza della luce ; ed una del Dott. A.
Baltelli intitolata : Influenza del magnetismo e delle azioni
meccaniche sui fenomeni teì-nioelettrici.
Dopodiché l'Istituto .si raccolse in adunanza segreta,
per la trattazione di vari affari posti all'ordine del giorno.
LA VELOCITA DEL SUONO NEI GAS
DETERMINATA COL METODO DELLA RISONANZA
Memoria I,^
DEL
M. E. TITO MARTINI
Sarebbe superfluo rammentare quella ben nota espe-
rienza di Felice Savart, colla quale si dimostra che una
determinata colonna d'aria è capace di rinforzare un certo
suono. Ed è pur nota l'esperienza, ancor più semplice, del
Tyndall, il quale senza ricorrere ad alcun speciale appa-
recchio, e sol col variare la lunghezza della colonna d'aria
contenuta in una provetta, versandovi acqua a sufficienza,
limitava quella conveniente massa gassosa capace di invi-
gorire il suono di un diapason affacciato alla bocca della
provetta (*). Anzi il Tvndall variò l' esperienza del vSavart
in guisa da dimostrare clie lo stesso suono non è rinvi-
gorito da una colonna gassosa eguale, in lunghezza, a
quella dell'aria ma' di natura diversa ; imperocché, avendo
riempito la provetta di gas luce, il suono del diapason non
era più rinforzato e bisognava accrescere la lunghezza della
colonna risonante perchè il suono fosse di nuovo rinvi-
gorito. ("2)
(1) Tyndall, Le Son, trad. par Moigno, Paris, 1869 pag. ISl,
(2) Cfr. luogo citato pag. 18q,
(IIM) [2]
11 facile ed elegante espei-iiiieiito del Tjndall mi porse
l'occasione di ideare un metodo che può servire non sol-
tanto come esperimento di scuola, ma l^enanco a misure di
molta precisione come lo dimostrano i fatti che sto })er
descrivere.
Una canna di vetro, che cliiameremo A , è fìssa ver-
ticalmente, e con un tubo di cancctìt si unisce ad altra
canna di vetro B, la quale è mobile in senso verticale me-
diante un sostegno a cremagliera che la regge. Versando
del mercurio, esso si livellerà nelle due canne, e il suo livello
si alzerà o si abbasserà nella canna A , a seconda che si
innalza o si abbassa la canna B per mezzo del bottone che
ingrana nella cremagliera. Per ottenere piccoli spostamenti
di livello, sarà necessario che la cremagliera abbia un passo
breve, e una divisione in millimetri, praticata lungo la can-
na A , ci farà conoscere fin dove giunge il livello del liquido.
Se dunque si sceglie la lunghezza della canna in modo
da stare in relazione col suono che deve essere rinforzato,
qual sarebbe quello di un diapason che si affaccia alla
1)occa della canna fissa, spostando in alto od in basso la
canna mobile si potrà limitare, con un erroi-e minore
di un millimetro, la colonna d'aria che invigorisce, al mas-
simo grado, il suono di quel diapason.
Col procedimento sopra descritto, semplice e di facile
attuazione, si possono ottenere dei risultamenti assai esatti
come lo provano i valori già da me pubblicati sulla velo-
cità del suono nel cloro {^) ed alcuni che presento adesso,
i quali son tratti da uno studio, ancora inedito, sulla ve-
locità del suono nell'aria avuto riguardo alle variazioni di
temperatura e, singolarmente, a quello dello stato igrome-
trico affine di verificare la formula,
tv
yi — 0,38 k
(1) Memoria letta nell'adunanza del R. Lslilulo Veneto, 18 Marzo
1881 e pubblicata negli Atti. Voi. VII, Sfarle V, ta.sc. di Aprile 1881.
[3] (1115)
Tali ricerche furono appunto incominciate con un ap-
parecchio analogo a quello sopra descritto, dove la canna
risonante A aveva una lunghezza di 40 cent, e il diametro
di Ij^^S. La disposizione, in queste speciali ricerche, fu
resa ancor più semplice perchè, tenuta fissa la canna A ,
si applicò al sopporto a cremagliera un pozzetto pieno di
mercurio nel quale pescava la canna, e alzando od abbas-
sando il }»ozzetto si otteneva lo stesso effetto, cioè di limi-
tare, colla maggiore o minore immersione della canna, la
colonna d'aria rinforzante il suono del diapason.
Si scelse, per la canna A , la lunghezza di 40 cent,
perchè il diapason adoperato, costruito dal Konig, sonava
il D03 della scala di Marloye, ciò è a dire 512 vibrazioni
semplici al m. s. ; perciò la lunghezza dell'onda, nell'aria
a 0°, corrispondeva a --^-; — , e la quarta parte a circa 3 P".
Dalla numerosa serie di osservazioni che furono rac-
colte durante un lungo periodo di tempo, diamo un (qua-
dro di quelle ottenute fra 0° e 16*.5. I numeri rappresen-
tano la media delle osservazioni fatte dentro i limiti di
temperatura oscillanti fra 0,1 e 0,3 di grado. La corri-
spondente velocità del suono si è calcolata prendendo il
(juadruplo della lunghezza / osservata ; naturalmente i nu-
meri che risultano sono minori del vero perchè la rela-
zione
V = 4 lyi n
non è che approssimata, essendo l <::, — . Ma per la verifi-
cazione che mi ero proposta, non importava che la velocità
calcolata, mediante il prodotto 4 ly^n , risultasse di qual-
che metro minore del vero.
(ino)
W
Temperature Velocità calcolate
+
()°.4 .
. . 318.66
1 .7 .
. 319.77
2 2
. 320.10
3.3 .
. 320.72
4 .4 .
, 321.64 ?)
5 .6 .
. 322.39
6.3 .
. 322.78
7.6 .
. 323.58
8 .7 .
. . 324.40
9.6 .
. 325.12
10.6 .
. 325.55 ?)
11 .4 .
. . 326.22
12.8 .
. 327.28
13.4 .
. . 327.55
14.5 .
. 328.09
15 .7 .
. 328.80
16 .4 .
. 329.33
Le differenze fra i numeri registrati, tolte due, oscil-
lano fra 0'",05 e 0"\06 per decimo di grado, vale a dire
si ha una media molto prossima a quel coefficiente che ri-
sulta dalla media fra la velocità a 0° e quella osservata
direttamente a IO" dai membri del Bureau des longitudes,
d'onde la formula, per temperature non superiori a 16",
Vt
t'o + 0'",60X/
Non è però inutile avvertii'e che alcune divergenze
che si manifestano nei numeri registrati non sono da ad-
debitarsi ad errori d'osservazione, ma piuttosto alle varia-
zioni dello stato igrometrico, e di ciò terrò parola in altro
scritto, dove saranno pubblicate le osservazioni fatte dentro
limiti assai distanti di temperatura e sotto stati igrometrici
diversi e accuratamente misurati.
[5] (1117)
Che i valori sopra registi-ati procedono con regolarità,
può anche riconoscei'si apjìlicando la foi-niola
imperocché prendendo, ad esempio, le temperature
9^(i , 12°,8 , ie>",4
e ponendo a = 0,0036,7, se assumiamo per Vq il valore di
319"' si ha per
^=9,0 , y« =319X1,0174 = 324,55
t = 12,8 , vt = 319 X 1,0231 = 327,06
t = 16,4 , Vt = 319 X 1,0300 = 328,57
La differenza più forte fra i numeri così calcolati e
quelli osservati, è appena di 76 cent., e la differenza sa-
rebbe stata sicuramente minore se l'aria fosse stata affatto
priva di umidità, come lo richiede la formola. Ciò prova
adunque la delicatezza del metodo il quale, se non dà un
valore esatto della velocità del suono nell'aria, permette di
constatare, nei valori relativi, le variazioni prodotte anche
da lievi cambiamenti di temperatura, e, come vedremo in
altro luogo, anche quelle dello stato igrometrico.
Alla esatta valutazione della velocità del suono nel-
l'aria non si può giungere, con siffatto procedimento, nep-
pure applicaiuio le formule empiriche trovate dal Wer-
theim, dal Bosanquet e da altri. Adottando, ad esempio, la
correzione proposta dal Wertheim (i), si ha, }»er i tubi ci-
lindrici, chiusi ad una osti-emità,
- =: L 4- 2 e |/ 71 R2
4 '
(1) Aiiimk's de Chimie et de Physique, '-V Sèrie T, 31, p. 394,
(111.^) [6]
(1()\(! \j ò la huighezza del tiiho. Il il i';igi;io e r mia co-
stante che Wei-tlieim ti-ovò \ai-iai-e da ()'";-ilO a O'",-^!.") ;
siccliè, sostitnendo i dati iiium'i-ici di e e di -, risulta al-
l' incii-ca (die
- = L + (>,74()R .
4
A|i|dicaiido adum{ue siH'alta correzione all'ultimo nu-
nici-o indicalo ii(d i)rospetto, essendoché la colonna vibi'ante
air unisono col diapason a 1()",1, e di o2r""',(U, valore
medio, ed essendo il raggio del tubo di 7'"'",5, sarà
- = 321,()1 -f 0,74() X ^,5 = 3--i7'"-,2() ;
e corrispondendo il Do^ di Marloye a ^A'^ v. s. sarà r =
'Soò"\Oò, valore ah^uanto inferiore al vero.
Ma è opportuno l'osservare che la correzione di cui si
tratta è calcolata per un tul»o chiuso dove l'origine dello
scuotimento rimane costante. ln\ece nel caso nostro, se si
sposta la positura del diapason candela Jiotabilmenti^ la lun-
ghezza della colonna rinforzante, come lo dimostra l'espe-
rimento seguente che traggo dai molti registrati.
Adoperando la stessa canna della lunghezza di 40''", e
del dianu'tro di P",."), allontaiuimlo il diapason in modo che
fosse distante dalla bocca di 2'"", alla temperatura di 1()'\7,
molto prossima (juindi alla precedente, si trovò che la lun-
ghezza della colonna d' ai-ia viln-ante all' unisono col dia-
pason era 325'"'", 30, onde
- = 325,30 -f 0,746 X ^.''> = -"^O,!)!)
e i)uindi
i)=='^3S'",SJ.
\alore assai più prossimo, <l(d precedenh'. a ([U(dlo (he. in
({uasi identiche condizioni di tempei-atura, ti-ovarono i mem-
bri del Biireax des longitudes.
[7] (1119)
NuUadimeno la difterenza fi'a la velocità calcolata in
modo diretto e quella dedotta dalla lunghezza della colonna
risonante, è sempre assai forte malgrado la correzione.
Ondechè, se si dovesse determinare la velocità di propaga-
zione del suono in un aeriforme, la differenza di qualche
metro nel risultato finale porterebbe ad un valore inesatto
e
del rapporto — che è di tanta importanza nella teorica dei
gas. D' altronde, 1' allontanare di troppo il diapason dalla
bocca della canna, affine di scemarne le perturbazioni, con-
duce air inconveniente che il suono è poco rinvigorito, e
(juindi il procedimento, fai quale fu esposto, non si pre-
sterebbe ad una esatta, o almeno molto approssimata, va-
lutazione di V,
Principio del metodo
Dulong (1) come è noto, giunse a determinare la ve-
locità del suono in parecchi gas, facendo con essi parlare
una canna d' organo. Avendo egli constatato che i piani
nodali conservano la stessa positura per i diversi gas, mal-
grado il variare del numero delle vibrazioni, potè schivare le
cause elle producevano la perturbazione che scemava la
lunghezza dell'onda, imperocché essendo
V = n X e Vi = ni X ,
risultava
V ; vi=:n: n^
Quindi conosciuta che fosse una velocità, e determi-
nati colla sirena i numeri n ed ni , si poteva determinare
il valore dell'altra.
(1) Annales de Cliimie et de Physiqtie 2'- Sèrie, t. 10, p. 395,
(1120) . [8]
Anche il metodo della risonanza, da me impiegato,
presenta qualche analogia col principio di Dulong, poten-
dosi anche con quello determinare una sola velocità in
funzione di un'altra mediante una proporzione. Infatti, se
le leggi del Bernouilli fossero esattamente applicabili ai
tubi sonori, per un certo gas che riempie la canna e rin-
forza un determinato suono, si avrebbe
r = n X = 4 l n\
e per un altro gas per il quale occorre la lunghezzza V
per rinforzare lo stesso suono, si avrebbe
t;i = n X^ = 4 V n ,
d'onde
'0 : v^ = 1: l\
Ma poiché la lunghezza deve essere corretta di una
quantità costante K , si avrà
r = 4. n {l-\-k)
/7i = 4 n (r -\- k),
e la proporzione diviene
v: ^1 = ; -|- fe : V J^k .
Ora K , per tubi di breve diametro, è una i»iccola fra-
zione di^ 0 di V ; perciò, trascurando K, si commetterebbe
un errore di poclii centimetri nella valutazione della ve-
locità, e quindi può scrivei'si, con grande approssimazione,
D'altronde, quando si voglia far uso di una correzione,
conviene esser certi che dessa sia legittima e giustificata
e non ci sembra che ciò avvenga nel caso nostro ; im-
perocché il modo di provocare le vibràzjoni nel tul)o é
[9] (1121)
(livGi'so ila (|iiello usato dal Wertlieini. ed abbiamo t;-ià
detto come il variare la positura del diapason, l'ispetto alla
bocca della canna, faccia notabilmente variare la lunghezza
della colonna risonante. Possiamo adunque ritenere che,
per tubi di piccolo diametro, il rapporto fra le lunghezze
osservate, benché mmori delle teoriche, riìnanga eguale
a quello delle velocità, come affermai nella memoria in-
torno alla velocità del suono nel cloro (i).
Qualche anno dopo che furono pubblicate le mie ri-
cerche sul cloro, i Signori Clerosa e Mai adottarono questo
istesso metodo, che giudicarono semplice e comodo, per de-
terminare la velocità del suono m alcuni vapori, (2) e dopo
aver discusse le correzioni del Wertheim, dimostrarono, in
base ad una serie di dati sperimentali, che la correzione
da farsi alla lunghezza della colonna gassosa, quando si
cambia il gas che in essa risuona, è proporzionale alla
Imighezza del tubo. Talché chiamate / ed V le lunghezze
delle colonne gassose che rinforzano la stessa nota, ly ed
l'y sarebbero le lunghezze da aggiungere per avere le
lunghezze teoriche, onde risulterebbero le formole em-
piriche
If + Vy^f
4 n
''('+^)=f„
. + ,, = i-; r
ovvero
Ui + .) = f„; r(
da cui
r _v'
l~ V
(1) Atti del R. Istituto Veneto, Serie V, voi. Vili, p. 494. Il detto
principio fu da me, erroneamente, attribuito al Dulong.
(2) Sulla velocità del suono nei vapori, nota dei Dott. G. C. Ce-
rosa ed E. Mai, Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, voi. IX,
fase. 12 e 13 anno 1888.
(1122) [10]
111 tal modo i Sij^nori Goi-osa e Mai avrebbero dimo-
strato quel principio sul quale fondai le mie ricerche.
Descritto il metodo veniamo a dire i risultati che si
sono ottenuti sperimentando con vari gas, e in questa me-
moria mi limiterò a riprodurre quelli ottenuti coll'anidride
carbonica, col protossido d'azoto e col cloro, aggiungendo
alcune considerazioni che mi sono state dettate in seguito
alle pubblicazioni posteriori alla mia.
Velocità del suono nell'anidride carbonica
La canna A che servi per questo esperimento aveva
la lunghezza di 40 cm., e il diametro interno di 2 cm. In
luogo del fondo mobile di mercurio, che già ci servì per
limitare la lunghezza della colonna d'aria risonante, si pre-
feri adoperare l'acido solforico puro, offrendo esso il van-
taggio di mantenere asciutto il gas che doveva riempire la
canna. Fatto vibrare il diapason in prossimità della canna,
si trovò dapprima la lunghezza della colonna d' aria che
produceva il massimo rinforzo del D03 ; indi fu introdotto
nella canna un lungo cannello di vetro che comunicava
col generatore dell'anidride carbonica, la quale, prima di
giungere alla canna, passava a traverso dei vasi lava-
tori, e poi per dei tubi pieni di sostanze essicanti. In
tal maniera la canna si riempiva per spostamento, e le-
vando poco a poco il tubo adduttore, si avvicinò il dia-
pason, — mantenendolo sempre alla stessa distanza dalla boc-
ca — affine di determinare la lunghezza della colonna gas-
sosa che rinvigoriva la stessa nota.
In siffatte determinazioni conviene usare alcune cau-
tele ; vale a dire tenere il liquido ad un livello più basso
di quello a cui deve giungere perchè, in tal modo, si è
più sicuri che alzando il detto livello la canna rimanga
[11] (1123)
piena di anidride carbonica, e si elimini quella po' di me-
scolanza coir aria che si forma alla bocca. Altra precau-
zione da seguirsi è questa ; chiudere la canna, i cui oidi
devono essere smerigliati, con una lastrina di vetro appena
si è tolto il tubo adduttore del gas, e ciò coU'intendimento
d' impedire la mescolanza coli' aria durante quel piccolo
tratto di tempo che occorre per avvicinare il diapason e
farlo vibrare.
Ecco ora i risultati :
Esperienza P temp. 7°
Lunghezza della colonna di aria rinforzante il D03
(media di 10 osservazioni) 318'"'"
Lunghezza della colonna di CO^i (media e. s.) . 253"""
Ritenendo che la velocità del suono nell'aria a 0" sia
di 331'" al m. s., la velocità a 7° sai'à
331™ ^1 -j- 0,00367 X 7 = 335"",2 ;
perciò la velocità dell'anidride, carbonica, a 7° sarà
335,2 X 253 ,-,^„ ^
X = —^ = 266'", 7
318
Secondo il Regnault, il coetRcente di dilatazione del-
l'anidride carbonica è 0,00371 ; la velocità ridotta a zero,
sarà dunque
266,7
= 263'",3
V 1 + 0,00371 X ^
N.B. Per non fare inutili ripetizioni notiamo che la lun-
ghezza della colonna gassosa esprime la media di 10 osser-
vazioni varianti entro i limiti di 1'"'".
(11-4) [12]
Esperienza 2"* temp. fra 0°,4 e 0"
Lunghezza della colonna (Varia 312'"™
Lunghezza della colonna di CO-2 247.5
La temperatura essendo assai prossima a 0° si avrà
senz'altro
^_.331X|4V,_262»,5. ■
Il risultato medio dei due esperimenti è
Vq = 262™,9
Dagli altri esperimentatori si ottennero i seguenti nu-
meri ;
Dulong . . . 261",5
Masson ... 256 ,8
T3 u 264 ,8 (1)
Regnault. . . ^^ ^ ^^
Kundt. . . . 264 ,5
Velocità del suono nel protossido d' azoto
Riempiuta la canna di protossido d'azoto ben secco ed
usando le precauzioni sopra descritte, si trovarono i se-
guenti numeri alla temp. di 7°.
Lunghezza della colonna d'aria . . 317"™,5
Lxmghezza della colonna di N^O . 253 ,5
(1) Tubo di condotta lungo 70», 5.
(2) Tubo c.s. lungo o67°,3. Cfr. Mèmoircs- de l'Acadèmie de Sciences,
1868, T. 37.
[13] (11 -ir))
La velocità del .suono nell' aria, a 7", essendo eguale
a 335"',2, si ha
335,2 X 235,5 ,^^.^„^ ^,
317, D
Il coefficiente di dilatazione del protossido d' azoto è,
secondo Regnault, 0,0037195; dunque la velocità a zero sarà
267,6
= 264,1
|/l+ 0,0037195 X'^
I dati ottenuti dagli altri sperimentatori sono i se-
guenti :
Dulong . . .
. 261,9
Masso n . . .
. 256,5
Regnault . .
. 264,8
Il numero 264,1 è (juasi identico con quello trovato
dal Regnault, e poco diverso dal risultato ottenuto dal Du-
long. V'è una differenza forte, in confronto del numero
trovato dal Masson, differenza che si riscontra anche per
l'anidride carbonica ; anzi dobbiamo notare fin d'ora che i
numeri trovati dal Masson, esprimenti la velocità del suono
nei gas, sono, in generale, più bassi di quelli trovati dagli altri
sperimentatori, NuUadimeno la quasi perfetta concordanza
che si manifesta fra i risultamenti ottenuti col metodo della
risonanza paragonati con quelli del Dulong, del Regnault
e del Kundt, mi animarono a sperimentare sul cloro, del
(juale, al tempo che si facevano queste prove (i), era ignorato
con quale celerità propagasse il suono.
(1) Neil" inverno 1881.
T. IV, S. VII 77
(1126) [14]
Velocità del suono nel cloro
Si preparava il cloro talvolta colla reazione dell'acido
solforico sul cloruro sodico, mescolato col biossido di manga-
nese, e talvolta coU'acido cloridrico unito allo stesso bios-
sido. Il cloro passava, dapprima, a traverso alcune bottiglie
di lavaggio e poscia, fluendo per lunghi tubi pieni di clo-
ruro di calcio fuso, giungeva alla canna ben secco. Per
riempire di cloro la canna che dovea risonare, si usavano
quelle precauzioni accennate di sopra, e si cercò di non
trascurare cautele perchè i risultamenti riuscissero esatti.
La temperatura del gas raccolto nella canna veniva misu-
rata con un termometro molto sensibile che si calava in
essa lasciandovelo per un tratto di tempo ; le temperature
accusate erano poco diverse da quelle dell'ambiente avendo
notato delle differenze che non giungevano ad V4 di grado.
Per la riduzione a 0° della velocità trovata, essendo
sconosciuto il coefficiente di dilatazione del cloro, si pensò
di sostituire quello del cianogeno che è 0,003877 (Regnault)
il qual gas per la sua densità e per esser coercibile in condi-
zioni quasi analoghe a quelle del cloro deve contenersi, per
quanto riguarda la dilatabilità, poco diversamente dal cloro.
Esperienza P temp. 2°,5
Lunghezza della colonna d'aria . . 314"'"',5
Lunghezza della colonna di cloro. .197 ,0
Velocità del suono nell'aria a 2^,5 . 332'", 4
Si avrà dunque
^314,5
QQo 4 v i()7
,:..>^,4X i-'^^908'V2
[15] (1127)
Ridotta la velocità a 0'' sarà
208,5
207"M .
V\ +0,003877X2,
Esperienza 2* temp. 5°,7
Lunghezza della colonna d'a?Ha . . ^H"'""
Lunghezza della colonna di CI. . . 198
Velocità del suono nell'aria .... 334"', 4
317
La velocità ridotta a 0° è dunque
i^=206■^5.
1,01099
Esperienza 3'' temp. 6°,6
Lunghezza delle colonna d'aria . . 318"'"'
Lunghezza della colonna di CI. . . 199
Velocità del suono neWaria .... 334"',9
334,9X199 .,„„ ^
X = — = 209"'.5 :
318
che ridotta a 0° dà
209,5
= 206"',8
1,01271
Esperienza 4* temp. 7°
Lunghezza della colonna d'aria . . 318'
Lunghezza della colonna di cloro. . 198'
V ducila del suono nell'aria .... 335"',2
;mm
(1128)
^ ^ 335.2 XH)8^,„,„_,
318
Riduceiido a 0" .si ha
208,7
1,01347
= 205"\9 .
[16]
Esperienza 5'' temp. 7*
Le lunghezze delle colonne gassose essendo risultate
le stesse di quelle osservate nell'esperienza 4^, la velocità,
ridotta a zero, sarà pure in questo caso
205"\9
Quadro riassuntivo delle precedenti esperienze
Nome
DEL GAS
Ternperat.
Lunghezza
della colonna
d'aria
si.
m
Velocita
del suono
neir iria alla
temperatura
dell'esperienza
Velocita
del suono nel
gas alla
temperatura
dell'esperienza
CO.
T
318"""
mm
253
335"2
266"7
262",9
»
0,4 a 0
312
247,5
331
262,5
262,5
N,0
/
317,5
253,5
335,2
267,6
264,1
CI
2,5
314,5
197
332,4
208,2
207,1
»
5,7
317
198
334,4
208,8
206,5
»
6,0
3,18
199
334,9
209,5
206,8
»
7
318
198
335,2
208,7
205,9
»
7
318
198
335,2
208,7
205,9
[17] (1129)
Dulie precedenti esperienze si può cùnchiudere che la
velocità del .suono nel cloro, ridotta a 0° , ha un valore
medio di 20(]'",4 al secondo.
Prendiamo ora a discutere il valore trovato. Se i gas
fossero perfetti, chiamate v e o' le velocità rispettive colle
(|uali propagano il suono -à 0° q d , d' le loro densità, si
avrebbe
_ v' _Vd
d' onde
d
V]
Perciò se v rappresentasse una velocità conosciuta, per
es., quella del suono nell'aria, chiamata 1 la densità del-
l' aria e o quella dell' altro gas, la velocità in questo gas
sarebbe
«' = 331 1/ -5.
Se adunque si pone 6 = 2,47 che è la densità del cloro
quale risulta dall'osservazione, ovvero 2.426 che è la densità
quale risulta dalle leggi di Gay-Lussac e Avogadro, si a-
vrebbe nel primo caso
:rsi]/^ =.210" fi,
V 2,426
e nel secondo
331 1/ ;~~^=:2\2"\5
i quali numeri risultano superiori a quello trovato, come
doveva essere, perchè siamo partiti dall' ipotesi di un gas
jierfetto.
Si potrebbe anche determinare la velocità del suono
(1130) [18]
nel cloro misurando la lunghezza dell'onda che corrisponde
al massimo rinforzo e, a questo fine, prendendo il risulta-
mente ottenuto alla temperatura di 7°, ed applicandovi la
correzione del Wertheim — {l-{- 0,74(Jr) — poiché r = P"",
sarà
J = 198'"'" -|- (),74() X 10 = ::;05'"'",46
e quindi
V = 205,46 X -1 X -5<> = 2\0"\4
la quale, ridotta a 0°, diviene
207'",()
Il valore che risulta è poco diverso dagli altri deter-
minati col rapporto ; nulladimeno crediamo che, per le
ragioni addotte precedentemente, sia da prefej;irsi il calcolo
di V mediante il rapporto piuttosto che dedurle dalla lun-
ghezza dell'onda. Si aggiunga inoltre che per 1' esattezza
del risultamento converrebbe fare un'altra correzione re-
lativa alle variazioni di temperatura le quali modificano
il tuono del diapason. Infatti, stando alle ricerche del Ko-
nig (1), un diapason che a 20° compie 512 v. s. al s., per
ogni grado centigrado il tuono varia di 0''''-,0572, per-
ciò anche di questa correzione si dovrebbe tener conto vo-
lendo dedurre la velocità dalla relazione
V ==n X ;
ma tal correzione diventa inutile valutando la velocità
mediante il rapporto fra le lunghezze delle onde rinfor-
zanti ; basta esser certi che la nota si mantenga costante,
e tale si mantiene nel breve intervallo di tempo che oc-
corre per effettuare un esperimento durante il quale la
temperatura non presenta sensibili variazioni.
(1) AnrìolGìì der Piti/, imrl Clmnic. t. IX, p. 394, anno 1880,
[19] (1131)
Era naturale che al tempo che io faceva (jiieste prove
mi dovessi preoccupare intorno al grado di verità che po-
teva avere la determinazione fatta sul cloro, non essendovi
stati altri che si fossero occupati dello stesso argomento.
Ma dopo alcuni mesi che furono comunicate al R. Istituto
Veneto siffatte ricerche, il signor Strecker di Strashurgo,
ignaro dei miei studi, e non poteva conoscerli perchè quasi
contemporànei ai suoi, pubblicava una Memoria Sili ca-
lori specifici del Cloì-o e dei vapori di .Iodio e di Bromo (*).
Lo Strecker si servi del metodo di Kundt e trovò, per il
cloro, che la velocità media colla quale trasmette il suono,
alla temperatura di 0°, è
205"\3
La concordanza dei risultamenti, ottenuti coi metodi
diversi, dispensa da ogni commento.
e
Determinazione del rapporto ~
Ci
Venendo poscia a determinare il rapporto fra il calore
specifico a pressione costante, e quello a volume costante,
ci limiteremo al cloro imperocché per 1' anidride carbo-
nica e per il protassio d'azoto siffatto rapporto era già stato
determinato da parecchi sperimentatori.
Preso adunque come valore medio della vtdocità del
suono nel cloro, a 0°, il numero 206,4, nella formola
ì
0,76 D a e
■costituiremo i seguenti (Ulti :
(1) Ueher die specipscìie Wàrtue dr^ Chlor, des; Brom iind des
Jodffases. « Annalen der Phy.sik uud Chenaie, voi. 13, pa^j. 20, fasci-
colo di Maggio del 1881,
(11.-!-) [20]
g (intensità della gravità a Venezia) . 9"\80(i
1) (densità del mercurio a 0°) . . . .13 ,59(5
d (densità del cloro rispetto all'acqua) . 0 ,00318;
perciò
/•>nr no -^>^^>X 13,596 X9.80(J e
(.00,4)- _ ^^^- . ^^ ,
d' onde
- = 1,336
Ci
Regnault determinò il calore specifico del cloro a pres-
sione costante e trovò
e = 0,2964 ;
dunque il valore specifico a volume costante sarà
Ci = 0,2218
Se invece della densità osservata si sostituisce quella
rispetto all'aria, dedotta dalle leggi di Gay-Lussac e Avo-
gadi'o, che è 2,426, il peso di 1 litro di cloro sarà (i)
2,426 X 1,29;U87 = 3»"'--,137 ;
perciò la densità rispetto all' acqua risulterà eguale a
0,003137. Sostituendo questo dato nella formula si ha
- = 1,319
Ci
Q
e quindi il valore medio del rapporto - è eguale a 1,327.
n
Determiniamo ora il valore di ~ partendo dalle for-
<-'i
mole della termodinamica. — Si sa che la diff"erenza dei
due calori specifici è data dalla relazione
(1) Daguin, Cours dcs rhysiquc 4" rdition. voi. II, pag. 250.
pi] {UXi)
c_c, = ^,
(love a è il coefficiente di dilatazione degli, aeriformi, po la
pressione atmosferica sopra 1™2 a 0**, Vq il volume a 0° di
l kg. di gas. Ponendo adunque
e =0,1210 (calore specifico del cloro in peso)
_ 1
^ ~273
Po = 10333
1
3,137
J =427
l'isulta
0,1210 — e, = 0,02825,
quindi
Ci =0,0927
-=1,305 .
Ci
In luoo'o di sostituire a = , poniamo un coefficiente
"" 273 ^
di dilatazione più appropriato al cloro, quale potrebbe es-
sere quello del cianogeno che già fu adottato per la ridu-
zione a 0° della velocità ; si avrà allora
(W)3877X 10333^
3,137X427
e quindi
- =1,328
Ci
Partendo invece dall'equivalente meccanico della pic-
cola caloria che è stato assunto nel sistema e. g. s. , sarà
_aHV
dove J = 4,2X1*^>^ e a = 0,003877,
(1134) [22]
Ma sappiamo che
1,2758' S
poiché 1 = 0", e — ^ = 7,838 X 10^
resta a sostituire il valore di S. Ora è noto che 1 c^ d'aria
a 0° sotto la pressione di 1 megadìne pesa gr. 0,0012759, e
lo stesso volume di cloro, alla medesima pressione e tempe-
ratura, pesa gr. 0,0030909 (i) ; perciò
0^30909^
0,0012759 '
Dunque
^_ -8,38X0.003877^
2,4225 X 4,2
da cui ricavasi
Ci = 0,09114
e - = 1,327.
E stato già detto che lo Strecker trovò per la velo-
cità del suono nel cloro un numero quasi identico a quello
determinato da noi ; perciò ben poco diverso doveva risul-
tare il rapporto — il quale, in base ai risultamenti del
detto fisico, è
1,323.
Il rapporto dei due calori specifici di siffatto gas è
adunque inferiore a quello degli altri tre aeriformi inde-
coniposti Azoto, Ossigeno e Idrogeno espresso dal numero
1,41 (Cazin). Questi tre gas si trovano più lontani del cloro
(1) J. D. Everett, Unités et constantc^^ pJbi/^iqucs, Paris 1883, p. 38,
[23] (1135)
dalle condizioni in cui passano allo stato liquido; e mentre
per essi il rapporto e fra l'energia molecolare e l'energia
totale, che risulta dalla forinola
-H^-0
e ve,
è uguale a 0,615, per il cloro il detto rapporto discende
a 0,490 secondo i dati raccolti da noi, e a 0,484 secondo
quelli trovati dallo Strecker.
Yenezia, Maggio 1893.
LA SCIENZ/ DELL'EDUCAZIONE
IDEJLi :F'R.0F. IR-OBERTO A.IR.IDIG-Ò
(Padova, 1893).
DEL M. E. ARRIGO TAMASSIA
Il linguaggio tronfio dei molti nostri, che scrivono o
parlano di pedagogia, trova ormai il pubblico scettico o
diffidente. È una pioggia di frasi tìlosofìche, di parole pro-
sontuose, con cui si trincia la formola e la soluzione dei
più astrusi problemi. Ma (quegli che ha il coraggio di
sfrondare questo gergo, si avvede subito quanto la va-
cuità declamatoria si accordi con la miseria del conte-
nuto. Certuno s'illude d'aver fatto una grande scoperta, per-
chè ha pescato o rimesso a nuovo una parola fuori d'uso,
0 perchè ha escogitato, nella sua ingenuità, una nuova teo-
ria, ossia una nuova ondata di fumo su quanto non riesci
a penetrare con il suo metodo scorretto di ricerca. Da
ciò r avversione del pubblico colto alla maggior parte
degli scritti pedagogici moderni. Eppur, malgrado questo
coro di sbadigli, quanto si ciancia e si scrive di peda-
gogia e di educazione fra noi ! Dai maestri elementari,
che elevano a questione psicologica 1' arte d' apprender
al bambino le vocali, a quegli ispettori scolastici, che an-
nunciano ai maestri il loro arrivo con quelle epistole
pesanti, in cui stemprano « le loro teorie ed i loro metodi »,
(1138) [2]
ad alcuni professori d' università per i quali, ad esempio,
« la formazione del carattere è 1' effetto sociologico del-
l' evoluzione » siamo inondati da tanta scienza peda-
gogica, da restar stupiti come abbiamo ancora tanto po-
polino in uggia con 1' alfabeto, tanti ricchi in sì fredda
amicizia coi libri e cogli studj. Intanto per giunta gli
analfabeti scemano di ben poco ; il sentimento morale
si risolve in una vernice lucida, che non si addentra ; e
la fierezza ingenua del galantuomo si rabbuja tra le indu-
strie dell' opportunismo ; le cifre della criminalità danno
al nostro paese un triste primato, e quasi ogni giorno
il nostro commercio si acc;usa di imbrogli o di infedeltà.
Ci sembra quindi che tutto quanto tende a rialzar il ca-
rattere, a temprarlo nel lavoro e nella moralità, dovrebbe
esser accolto con favore, come un mezzo sicuro per to-
glierci dal presente languore. Ma se quelli che si pro-
pongono questo intento, non sanno farsi leggere, o credono
di riuscire col rimestare delle dottrine aeree, senza curarsi
della povera prosa dei fatti, la pedagogia o 1' arte del-
l' educazione si irrigiderà sempre più in una sterile acca-
demia ; e.l i nostri fanciulli seguiteranno a crescere non
come li vuole la civiltà vera, ma come li fabbrica la sel-
vaggia natura. — Il libro però del Prof. Ardigò sulla
Scienza dell' educazione ci fa sperare che non cadrà tutto
nel deserto, e che qualcuno dei suoi germi troverà terreno
fecondo. Da molti anni quest'insigne pensatore con analisi
coraggiosa si è addentrato nello studio dei problemi più
alti della psicologia, della morale e del diritto ; e se non
volle divenir scrittor popolare, può però gloriarsi d' una
schiera di discepoli, che attinsero dalla sua parola o dai
suoi scritti lo spirito della ricerca indipendente. Questa
sua opera ultima ne giunge quasi come una sintesi pra-
tica delle sue dottrine, come un saggio di filosofia civile.
Fino ad ora (pare egli voglia dire al pubblico) ho studiato
astrattamente il meccanismo, e le leggi del pensiero. Ora
mi son proposto di tracciare in qual modo queste leggi
m (1139)
possano applicarsi all' arte dell* educare, allo intento di
raggiungere un tipo d' uomo che riunisca in sé gli ideali
della filosofìa positiva, e della nostra vita sociale. — Così
egli intende 1' ufficio della pedagogia, che egli innalza a
scienza deW educazione, con l'ufficio di trasfonder nell'uomo
« le attitudini di persona civile, di buon cittadino e di
individuo fornito di speciali abilità utili, decorose, nobili-
tanti ». Egli non si appoggia alla sola dottrina filosofica; ma
chiama in ajuto la pratica, « senza cui è nulla la scienza;
come è nulla questa, senza di quella ». Il suo libro trat-
teggia con linguaggio severo, ma lucido, i processi generali
della psico - fisiologia, additando quali sieno i metodi pratici
più efficaci per rinforzarli, deviarli o correggerli; ed alla
necessità organica degli atti psichici contrappone gli eff"etti
moderatori dell' ambiente, dell' esempio, del sentimento del
dovere. Quindi da una psicologia scientifica, induce una
morale pratica altrettanto austera, quanto umana e dei
precetti educativi su questa modellati. I fatti della perce-
zione, dell' attenzione, della volontà, vengono subordinati
dall' Ardigò al determinismo cerebrale ; ma si vegga quanto
sieno feconde, veramente pratiche le deduzioni che egli
trae dalla analisi di questi processi psichici ! Si vegga come
esse si accordino con le tendenze della fisiologia moderna
di proporzionare la tenzione degli organi alla loro energia
funzionale ! Egli vuole percezioni nette, senz' ombra ; vuole
delle soste, che ricreino e rinforzino ; vuole 1' esempio amo-
roso della famiglia, del maestro come il primo ambiente
morale del fanciullo, le nobili idealità, che rendono bello
l'operare ed il soff"rire pel solo dovere. Giustamente con-
dannando quella ginnastica coreografica, che giova solo
ai così detti professori di ginnastica, vuole la prestanza
fisica congiunta all' educazione intellettuale ; e pur atte-
nendosi alle dottrine positiviste, rifugge dall' educazione
arida, utilitaria, e consiglia gli studj classici, come quelli
che offrono al giovane gli esempj più generosi della natura
umana.
(1140) [4]
Questo lihfo itisoniina è il proiiriiiiiiua di un })08Ìtivista
senza g'i-ettezze e senza falsi bagliori; è il pensiero «jnesto
(li chi vuol devolvere a benefìcio sociale le proprie medita-
zioni scientificlie ; è una voce severa, die ne ammonisce
della nostra presente fiacchezza, e ci addita le vie per ri-
temprarci. Confidiamo che questa voce, che parla il lin-
guaggio placido dei fatti e di una sapiente esperienza non
rauoja\fra la indifferenza dei nostri concittadini.
COME SI MODIFICA
LA CAPACITÀ DEI DIVERSI TERRITORI VASCOLARI
COL MODIFICARSI DELLA PRESSIONE.
Ricerche
DEL
s. c. A. STEFANI
Un mutamento nella capacità dei vasi di nn territorio
vascolare deve necessariamente essere accompagnato da un
mutamento, in senso inverso, nella capacità di altri vasi ;
perchè non si può ammettere che la quantità del sangue
circolante aumenti o diminuisca colla rapidità con cui si
modifica il lume dei vasi.
Se diminuisce la quantità di sangue contenuta in un
organo, di altrettanto, presso a poco, deve aumentare la
quantità di sangue contenuta negli altri. E siccome ogni
diminuzione nella capacità dei vasi è seguita da aumento
della pressione generale, e rispettivamente ; cosi ne viene,
essendo i vasi elastici, che 1' elemento meccanico deve ne-
cessariamente intervenire nel produrre i fenomeni com-
pensatori.
Ma la pressione del sangue può aumentare o dimi-
nuire per cause, specialmente, centrali, anche indipenden-
temente da qualunque costrizione o dilatazione dei vasi ;
e perciò, in via meccanica, possono anche verificarsi dei
mutamenti nella capacità dei vasi, ai quali non si può certo
attribuire alcun carattere compensatorio.
T. IV, S. VII 78
(1142) [2]
E per coiLseguenza, allorché si verifica un mutamento
nel lume dei vasi di un dato territorio, il fisiologo dovrà
ricercare, se questo mutamento sia primitivo o secondario,
di natura fisiologica o puramente fìsica.
A rigorose dimostrazioni di questo genere, a mio av-
viso, non si può riuscire, se prima non si conosce il modo
di comportarsi verso la pressione dei singoli territori va-
scolari, e il modo di reagire dei medesimi agli agenti fi-
siologici o sperimentali, mentre sono sottratti all'influenza
meccanica della pressione centrale. Ed egli è appunto a
questo concetto fondamentale che si informano le ricerche,
che da parecchi anni si vanno svolgendo nel mio labora-
torio, intorno alla fisiologia dei movimenti vascolari.
In questa memoria sono riferiti i risultati delle ricer-
che dirette a dimostrare, come la pressione modifica la
capacità dei diversi territori vascolari ; se tutti si dilatano
egualmente per un dato aumento di pressione, e se tutti
ritornano con eguale prontezza al volume primitivo, quando
la pressione ritorna al grado iniziale.
Solamente in base a queste nozioni si potrà indicare
come, per ragione fisica, si deve modificare la distribuzione
del sangue, quando la pressione generale si innalza o si
abbassa per cause centrali ; e dove si deve portare, a pre-
ferenza, il sangue scacciato da un dato territorio per co-
strizione dei vasi relativi, e donde deve provenire il sangue
che si accumula nel medesimo, quando i suoi vasi si
dilatano.
E noto che sotto determinate condizioni, mentre si
restringono i vasi di alcuni territori, altri si dilatano. Lo
stato dispnoico del sangue, mentre fa costringere i vasi dei
visceri addominali, fa dilatare quelli della cute, dei mu-
scoli (1), della mucosa della bocca (2), del cervello (3), della
retina (^) ; e fenomeni analoghi si verificano in seguito alla
stimolazione dei nervi sensitivi. (3) Durante il lavoro della
digestione si allargano i vasi degli organi digerenti, mentre
si restringono quelli della cute, producendo senso di fred-
[3J (114.1)
(lo. (<•) La bassa temperatura dell' ambiente fa restringere i
vasi (Iella cute ed allargare quelli degli organi interni, e
viceversa la temperatura elevata. (') Il Mosso (8) osservò
che durante il lavoro mentale, mentre si allargano i vasi
del cervello, si restringono quelli degli arti, e Werthei-
nier (9) verificò dilatazione dei vasi della cute e della mu-
cosa lìoccale e costrizione dei vasi viscerali, sotto 1' azione
della stricnina, dell' ergotina e della nicotina.
Ma se in base a questi fatti si può amuiettere, come
cosa abbastanza provata, l'esistenza di un antagonismo fra
i vasi viscerali e i vasi muscolo cutanei, mi sembra però
che neir interpretare il modo con cui esso si compie, i due
fattori, tisico e fisiologico, non siano sempre stati tenuti nel
debito conto.
Non potrei accettare senza riserva 1' opinione di Da-
stre e Morat, del Wertheimer ed altri, secondo la quale,
la dilatazione che si verifica nei vasi della bocca, mentre
si restringono i vasi viscerali, sarebbe subordinata ad una
azione fisiologica di dilatazione attiva ; ma nel tempio stesso
non potrei neppure ammettere con Roy e Sherringthon
che lo stato dei vasi del cervello sia subordinato esclusi-
vamente allo stato della pressione generale del sangue.
E ciò specialmente dopo che, nel mio laboratorio, fu dimo-
strato, in modo indubbio, che anche questi vasi sono prov-
veduti di nervi vasomotori, e che la dispnea spiega sui
medesimi due azioni antagoniste, una diretta, vasodilata-
trice, ed una indiretta, per mezzo dei centri vasomotori,
vasocostrittrice. {^^).
Finora era stata studiata solamente la distensibilità
delle pareti dei grossi vasi.
Il Wertheim (ii) determinò il coefficiente, o modulo, di
elasticità di piccole listerelle tolte dalle grosse vene e dalle
grosse arterie, misurando 1' allungamento che esse subi-
scono, quando vengono stirate da pesi diversi, elasticità
(1144) [4]
lineare. 11 Marey ('2) misuro invece V aumento di capacità
che si A^erifica in un piccolo tratto di vaso, quando au-
menta la pressione del contenuto, elasticità volumetrica,
ottenendo dei risultati conformi a quelli del Wertheim.
Il Roy (13) ripetè di recente le ricerche fatte dal Wertheim
e dal Marey, confermandone le risultanze, (i'^)
Ma, per le ragioni anzidette, al fisiologo non solo inte-
ressa di conoscere il modo di comportarsi verso la pres-
sione delle grosse arterie e delle grosse vene, ma anche il
modo di comportarsi di tutto insieme il sistema vascolare
dei vari organi ; ed onde ricavare qualche nozione in pro-
posito, io mi sono valso delle circolazioni artificiali colla
soluzione fisiologica di NCl.
Secondo la formola del Poiseuille, la quantità di liquido
che nella unità di tempo esce da un tubo è direttamente
proporzionale alla pressione ed alla quarta potenza del
raggio del tubo, e inversamente proporzionale alla lun-
ghezza del tubo moltiplicata per un coefficiente variabile
colla composizione dei liquidi e dei tubi e colla temperatura:
/ X ^ ■
In base a questa formula, se la lunghezza l del tubo,
ed il cofficiente k rimangono costanti, siccome deve essere
nelle circolazioni artificiali, quando non venga mutato il
liquido né la temperatura del medesimo, 1' efflusso sarà in
relazione esclusivamente colla pressione e col lume del
tubo, secondo la formula Q^h'y^ì"'*; e quindi, conoscendo
i mutamenti della pressione ed i mutamenti relativi del-
l' efflusso, si potrà calcolare, se essi furono accompagnati
da mutamenti nel lume dei vasi in base alla formula, de-
Q
rivata dalla precedente, r'^ = — .
h
A tale scopo si suppongono eguali a 100 tanto la
pressione quanto l'efflusso di una prima circolazione, e per
100
conseguenza che r'^ sia eguale ad 1: '>•'' = ——■= 1; quindi
[5] (1145)
si calcola quali siano i valori della pressione e dell' ef-
flusso nella successiva circolazione, dato che nella prima
fossero eguali a 100 ; si divide il valore dell' efflusso,
cosi ottenuto, per il valore della pressione, e se si ottiene
per quoziente 1' unità, sarà segno che il lume dei vasi è
rimasto invariato, e se si ottiene invece una cifra maggiore
0 minore della unità, ciò indicherà che il lume dei vasi è
aumentato o diminuito di una (j[uantità relativa; dato anche
che col modificarsi del lume dei vasi capillari sia avvenuta
una qualche modificazione nel coeflSciente di traspirazione.
Nelle ricerche che si fanno coi tubi metallici, non
distensibili, per quante cautele si adoperino, la quantità di
efflusso calcolata e sempre di qualche cosa superiore alla
quantità verificata ; e perciò non è da meravigliarsi, se in
alcuni casi, calcolando sulle cifre ottenute, in seguito al-
l' innalzamento della pressione, si ottenne una cifra infe-
riore alla unità, e non si deve da questo fatto dedurre,
che i vasi per l' aumentata pressione si siano ristretti,
perchè ciò sarebbe assurdo. Non ho fatto un numero suffi-
cientemente esteso di ricerche per poter formulare delle
leggi generali, ma da quelle fatte credo di non andar
molto errato, se ammetto, che in via media 1' efflusso veri-
ficato sia inferiore di un decimo circa a quello calcolato.
E perciò credo che, nei calcoli so})ra indicati, 1' efflusso
verificato potrebbe essere annientato in media di un
decimo.
Dividendo la cifra rappresentante la dilatazione avve-
nuta nel sistema vascolare per F aumento della pressione,
rappresentato in millimetri di mercurio, si avrà la dilata-
zione })rodotta da ciascun millimetro ; e dividendo la me-
desima cifra per i centesimi di cui la pressione fu aumen-
tata, si avrà 1' aumento prodotto da un centesimo in più di
pressione.
Quando si pensa che un pulviscolo o una l)ollicina d'a-
ria, penetrando nei vasi, o un piccolo coagulo staccandosi dai
medesimi, o uno spostamento sia delle cannule nei vasi
(1146) [6]
innestate, .sia dell'organo attraverso il quale la circolazione
vien fatta, possono modificare notevolmente l' efflusso, si
comprende che queste ricerche devono essere condotte
colle maggiori cautele, e che ad onta delle medesime è
quasi impossibile di guardarsi, in tutti i casi, da ogni er-
rore. E perciò si dovranno trascurare non solo quelle
esperienze, durante le quali è avvenuto qualcuno degli
inconvenienti sopraindicati, ma anche quelle nelle quali il
valore verificato sia troppo inferiore a quello calcolato,
perchè un simile risultato non potrebbe dipendere clie da
inconvenienti inavvertiti, o da contrazione spontanea dei
vasi.
Molte volte, quando si abbassa la pressione, l' efflusso
non diminuisce in relazione alla medesima, e si ottengono
quindi delle cifre le quali starebbero per indicare un au-
mento della capacità dei vasi, lo che sarebbe assurdo. In
simili casi 1' efflusso è superiore a quello calcolato, perchè
esce non solo il litjuido spinto dalla pressione, ma anche il
liquido che viene scacciato dai vasi per la costrizione ela-
stica dei medesimi. E per conseguenza, in queste ricerche,
gioverà di assicurarsi che la costrizione elastica dei vasi
è compiuta ; lo che sarà dimostrato dalla nessuna ulteriore
diminuzione dell'efflusso. Però in molti casi, e specialmente
sperimentando sui polmoni, anche dopo aver atteso molto
tempo senza che l'efflusso diminuisca, si verificò un efflusso
superiore a quello che secondo il calcolo avrebl)e dovuto
aver luogo, dato che i vasi non si fossero affatto ristretti ;
ed un simile risultato, senza trascurare la possibilità di
qualche errore sperimentale, credo debbasi interpretare
come effetto di paralisi della tonaca muscolare.
Le circolazioni artificiali erano fatte sotto una pres-
sione costante, data da una bottiglia di Mariotte, e per
avere dei dati che potessero essere fra di loro paragonati,
nello stessei animale si faceva la circolazione attraverso le
femorali, attraverso la carotide ed attraverso le renali, o
r aorta.
[7] (1147)
La soluzione fisiologica, in alcuni casi, era mantenuta
ad una temperatura costante di 35", e in alti'i si faceva invece
r esperimento alla temperatura dell' ambiente. 11 liquido che
usciva dalla vena era raccolto in un vaso graduato, e per
mezzo di un orologio a secondi si determinava il tempo
che impiegava ad uscire una unità di liquido, o la quan-
tità di liquido che usciva in una unità di tempo.
La circolazione non veniva mai interrotta, e quando
per necessità si doveva interrompere, si incominciava una
nuova serie di ricerche.
E ciò si faceva, perchè la pratica aveva dimostrato
che in seguito ad una soppressione del circolo il lume dei
vasi si modifica.
Ho preferito questo metodo a quello del pletismogi'afo,
che sembrerebbe più indicato, a motivo dell' edema cjie di
solito si verifica nell' organo sottoposto alla circolazione
artificiale : e perché apposite esperienze di circolazioni
attraverso tubi metallici, ed attraverso vasi sanguigni che
non si potessero dilatare, collocando p. e. i reni in un re-
cipiente pieno d' acqua, e munito di due sole aperture,
r una in comunicazione coli' arteria e 1' altra colla vena,
mi persuasero della sua bontà.
Ho fatto uso di animali morti da qualche tempo e di
animali morti da poco, ed ho trovato preferibili questi ul-
timi, a motivo specialmente dei coaguli che si trovano nei
vasi dei primi e che col distaccarsi vengono a turbare
gravemente i risultati della ricerca. Non giova premunirsi
contro simile accidente mediante una circolazione subito
dopo morte, perchè se questa viene praticata, la circola-
zione più tardi riesce difficilissima, o impossibile, a motivo
del fortissimo edema a cui dà luogo. Oltre di ciò è da
notarsi, che se per eliminare l' intervento possibile della
contrattilità, si attende fino a che questa sia assolutamente
scomparsa, e' è pericolo che si modifichi anche la elasticità
delle pareti vasali, almeno per la parte con cui vi concorre
(1148) [8]
la tonaca muscolare, che nelle piccole arterie è assai
sviluppata.
E in conseguenza, se io non posso escludere, in via
assoluta, che nella produzione dei risultati da me
ottenuti possa, in qualche modo, essere intervenuta an-
che la contrattilità, oltre alla elasticità, parmi però che
questa deficienza sia più che compensata dalla circostanza,
che questi risultati possono, con maggior sicurezza, essere
applicati all' organismo vivo.
Ciò premesso, riferisco in esteso l'andamento di alcune
esperienze.
•^ Gennajo 1893.
Cane ucciso da un' ora e mezza per dissanguamento.
La circolazione artificiale vien fatta colla soluzione di
cloruro di sodio all' 8 per mille, mantenuta alla tempera-
tura costante di 35". Si inietta la soluzione nell' arteria
femorale.
Pressione mm. hg. O'i.
Escono dalla vena femorale corrispondente 15 ce. di
liquido in sec. 33-29-28-27-24-23-23-23.
Pressione 132 mm. hg.
Escono 50 ce. in sec. 34-32-33.
Pressione 1(34 mm. lig.
Escono 50 ce. in sec. 23-23-23.
Pressione 132 mm. hg.
Escono 50 ce. in sec. 23-24-23.
Pressione 02 mm. hg.
Escono 50 ce. in sec. 37-30-.39 — dopo 5 minuti in 60.
Quindi :
Aumento di pressione da 93 a 132 come da 100 a 142
— aumento di velocità da 33 a 77 come da 100 a 233 —
capacità dei vasi alla pressione di 132, supposta eguale ad
233
uno la capacità dei medesimi alla jiressione di 93, —-x
[9] (1149)
= 1,64 — aumento in contesimi, pei' millimetro lig. di
64 . .
pressione ^5^= i, ^4 — aumento, m centesimi, per cente-
simo di pressione —= 1,52 .
Aumento di pressione da 132 a 164 come da 100 a
125 — aumento di efflusso da 2o a 32 come da 100 a 148 —
capacità dei vasi alla pressione di 164 supposta eguale ad
.148
uno la capacità dei medesimi alla pressione di 132, t^
= 1,18 — aumento, in centesimi, per millimetro lig. di
18 . ,. .
pressione -— = 0,50 — aumento per centesimo di pressione
2ò
Diminuzione di pressione da 164 a 132 come da 100 a
74 — diminuzione di efflusso nessuna, da 23 a 23 come da
100 a 100 — capacità dei vasi alla pressione di 132, sup-
posta eguale ad uno la capacità dei medesimi alla pressione
100
di \i\4 = -— - = 1,32.
/4
Secondo queste cifre la diminuzione della pressione
anziché una diminuzione avrebbe prodotto un aumento
della capacità ; ma ciò è assurdo, ed io credo che un simile
risultato, verificato anche in altri casi in seguito all'abbas-
samento della pressione, sia da attribuirsi alla circostanza,
che, appena abbassata la pressione, dalla vena esce, non
solo il liquido che deve uscire in forza della pressione
sotto la quale viene fatta la iniezione nelle arterie, ma
anche il liquido che viene scacciato dal sistema vascolare,
in conseguenza della costrizione dei vasi.
Diminuzione di pressione da 132 a 93 come da 100 a
70 — diminuzione di efflusso da 37 a 24 come da 100 a
65 — ca])acità del territorio vascolare alla pressione di
93 nim. lig. supposta eguale ad uno la capacità del medesimo
(1150) [10]
)5
"O
()5
alla ])rc.ssioMe di IS;::? min. lig., —-=0,91 — diiniiuizione,
0
in centesimi, per millimetro di pressione — =(?, 2.9 — di-
9
minuzione pei* centesimo di pressione — = 0,30 .
Si inietta la soluzione in un' arteria rende.
Pressione 92 mm. lig.
Escono dalla vena corrispondente in un minuto goc-
cie 18-19-19-18.
Pressione 132 mm. hg.
Escono in un minuto goccie 34-30-30-36.
Pressione 164 mm. hg.
Escono in un minuto goccie 02-02-63-62.
Pressione 132 mm. hg.
Escono in un minuto goccie 43-42-41-41.
Pressione 92 mm. hg.
Escono in un minute goccie 23-23-29, dopo cinque
minuti 19.
Quindi :
Aumento di pressione da 92 a 132 come da 100 a 142
— aumento di efflusso da 18 a 36 come da 100 a 200 —
capacità dei vasi renali alla pressione «li 132, supposta
eguale ad uno la capacità dei medesimi alla pressione di
200
92, — 7=1,48 — aumento in centesimi per millimetro di
48 . ,. .
pressione -77;= 1,^0 — aumento per centesimo di pressione
Aumento di pressione da 132 a 164 come da 100 a 125 .
— aumento di efflusso da 36 a 62 come da 100 a 172 — ]
capacità dei vasi alla pressione di 164 supposta eguale ad
172
uno la capacità dei medesimi alla pressione di 132, -^r-z
[11] (1151)
= 1,37 — aumento in centesimi per millimetro di pres-
37 . ,. .
siane. —- = 1,16 — aumento per centesimo di pressione
37
Diminuzione di pressione da 164 a 132 come da 100 a
74 — diminuzione di efflusso da 62 a 41 come da 100 a 66
— capacità dei vasi alla pressione di 132 supposta eguale
ad uno la capacità dei medesimi alla pressione di 164,
— ==0,80 — diminuzione di capacità per millimetro di
11
pressione -r^^ = 0,34 — diminuzione di capacità per cente-
Simo di pressione — = 0,42 .
Diminuzione di pressione da 132 a 92 come da 100 a
70 — diminuzione di efflusso da 41 a 23 come da 100 a
56 — capacità dei vasi alla pressione di 92, supposta e-
guale ad uno la capacità dei medesimi alla pressione di
56 . .
132, -—=0,80 — diminuzione di capacità per millimetro
20 ....
di pressi one, -TT-r = (?,^<? — diminuzione di capacita per
20
centesimo di pressione, -rr = 0,60 .
oO
Si inietta la soluzione sodica in una carotide.
Pressione 92 mm. hg.
Escono dalla vena giugulare 50 ce. in secondi 51-
52-51-52.
Pressione 132 mm. lig.
Escono dalla vena 50 ce. in secondi 36-34-33-33.
Pressione 164 mm. hg.
Escono dalla vena 50 ce. in secondi 25-24-25.
Pressione 132 mm. lig.
Escono dalla vena 50 ce. in secondi 31-33-34.
(1152) [12]
Pressione 92 mm. hg.
Escono dalla vena 50 ce. in secondi 51-52-51.
Quindi :
Anniento di pressione da 92 a 132 come da 100 a 140
— aumento di efflusso da 36 a 52 come da 100 a 144 —
capacità del territorio vascolare alla pressione di 132,
supposta eguale ad uno la capacità del medesimo a 92,
44
— - — 1,10 — aumento in centesimi per millimetro di pres-
10 ^ 10
sione -— r = 0,25 — aumento per centesimo di lìressione -77:
40 ' ^40
= 0,25 .
Aumento di pressione da 132 a 164 come da 100 a
125 — aumento di efflusso da 25 a 33 come da 100 a 132
— capacità del territorio vascolare alla pressione di 164,
supposta eguale ad uno la capacità del medesimo a 132,
132
125
6
sione ~=0,iS — aumento di capacità per centesimo di
O/C
6
pressione — := 0,24 .
Diminuzione di pressione da 164 a 132 come da 100 a
74 — diminuzione di efflusso da 33 a 25 come da 100 a 76
— capacità del tei'intorio vascolare alla pressione di 132,
supposta eguale ad uno la capacità del medesimo alla pres-
76
sione di 164, — =-1,02.
/4
Ripeto quello che ho già indicato pocanzi, che questo
risultato apparentemente assurdo, si deve interpretare, a
mio avviso, ammettendo che al li(iuido che esce in causa
della pressione che lo spinge, si aggiunga quello che i vasi
cacciano fuori restringendosi.
Diminuzione di pressione da 132 a 92 come da 100 a
70 — diminuzione di efflusso da 51 a 33 come da 100 a
64 — capacità del territorio vascolare alla pi-essione di 92,
[13] (1153)
supposta eguale ad uno la capacità del medesimo alla pres-
(34
sioiie di 132, — =0,91 — diminuzione per millimetro di
9
pressione — = 0,30 — diminuzione per centesimo di pres-
9
sione — = 0,30 .
Dalle cifre suesposte risulta che in questo esperimento :
1° Per eguale aumento di pressione, a partire da
una pressione eguale, si dilatarono, più di tutti, i vasi degli
arti, poi quelli dei reni e poi quelli del cervello.
2° Col discendere della pressione al grado primi-
tivo, riacquistarono il primitivo volume, più prontamente di
tutti, i vasi del cervello, poi quelli dei reni, e poi quelli
degli arti.
3° Per eguale aumento di pressione, tutti i vasi si
dilatarono tanto meno, quanto più elevata era la pressione
endovasale.
30 Gennaio 1893.
Cane ucciso per dissanguamento da un'ora e mezza.
Soluzione sodica come nell' esperienza precedente.
Si fa r iniezione nella femorale.
Pressione 90 nim. hg.
In 60 secondi escono dalla vena corrispondente ce.
24,5-25-27-27,5-30-31-32-32-32.
Pressione 102 mm. hg.
In 60 secondi escono ce. 40-41-43-43-43.
Quindi :
Aumento di pressione da 90 a 102 come da 100 a 113
— aumento di efflusso da 32 a 43 come da 100 a 133 —
capacità dei vasi alla pressione di 102, supposto che alla
133
pressione di 90 fosse eguale ad 1, -— = 1,18 — aumento,
(1154) [14]
18
in centesimi, per millimetro di pressione,— = i ,50 — au-
18
monto per centesimo di pressione — = 1,38.
Si fa la iniezione nell' aorta toracica, dopo di avere
legato r aorta addominale e la vena cava ascendente sotto
l'origine delle renali, e dopo avere innestato una cannula
nella cava ascendente, immediatamente prima del suo sboc-
co nel cuore.
Pressione 84 mm. hg.
Escono dalla vena cava ascendente in 15 secondi ce.
39-45-45-44-44.
Pressione 94 mm. hg.
Escono in 15 secondi ce. 48-50-49-50.
Quindi :
Aumento di pressione da 84 a 94 come da 100 a 112
— aumento di efflusso da 44 a 50 come da 100 a 114 —
capacità dei vasi alla pressione di 94, supposta eguale ad
. ^ 114
uno la cai)acità dei medesimi alla pressione di 84, jj-^
= 1,02 — aumento, in centesimi, di capacità per milli-
2
metro di pressione, — = 0,20 — aumento per centesimo
2
di pressione — = 0,1(3 .
Dalle cifre ottenute in questo esperimento risulta
quindi che, partendo da una pressione analoga, per un
dato aumento di pressione i vasi degli arti si dilatarono assai
più dei vasi addominali.
7 Febbra.to 1893.
Cane ucciso mediante istillazione di due goccie di acido
cianidrico nella congiuntiva, soluzione sodica come nel caso
precedente.
[15] (1155)
Iniezione nell' arteria femorale.
Pressione 56 mm. lig.
Escono dalla vena cor rispondente in 15 secondi ce.
25-26-25-25.
Pressione 96 mm. hg.
Escono in 15 secondi ce. 84-87-84-79-81-81.
Quindi :
Aumento di pressione da 56 a 96 come da 100 a 171
— aumento di efflusso da 26 a 81 come da 100 a .311 —
capacità del territorio vascolare alla pressione di 96, sup-
posta eguale ad uno la capacità del medesimo alla pres-
311
sione di 56, y^ = 1,82 — aumento, m centesimi, della
capacità del detto territorio per millimetro di pressione
82 . ,. . 82
-— = 2,0^) — aumento per centesimo di pressione -—
40 ' ^ /l
= 1,15.
Iniezione nella carotide.
Pressione 86 mm. hg.
Escono dalla giugulare corrispondente in 10 secondi
ce. 25-25-25-25.
Pressione 106 mm. hg.
Escono in 10 secondi ce. 33-33-33-33.
Pressione 126 mm. lig.
Escono in 10 secondi ce. 40-40-40-41.
Quindi :
Aumento di pressione da 86 a 106 come da 100 a 123
— aumento di efflusso da 25 a 33 come da 100 a 132 —
capacità del territorio vascolare alla pressione di 106, sup-
posta eguale ad uno la capacità del medesimo a 86, -r--^
= 1,09 — aumento, in centesimi, per millimetro di pres-
9
sione — - = 0,4r) — aumento per centesimo di pressione
9
— = 0 29
32 ■
(1156) [16]
Aumento di pressione da 106 a Ì2(j come da 100 a 115)
— aumento di efflusso da 33 a 40 come da 100 a 122 —
capacità del territorio vascolare alla pressione di 126, sup-
posta eguale ad uno la capacità del medesimo alla pres-
122
sione di 106, -—=1,01 — aumento, in centesimi, per
millimetro di pressione --—=0,05 — aumento, in cente-
simi di pressione — = 0,05 .
Iniezione nell' arteria renale.
Pressione 86 mm. lig.
Escono dalla vena corrispondente in 60 secondi ce.
6,5-6,5-6,5.
Pressione 105.
Escono in 60 secondi ce. 10-11-12-12.
Pressione 136.
Escono in 60 secondi ce. 18-20-21-21.
Quindi :
Aumento di pressione da 86 a 106 come da 100 a 123
— aumento di efflusso da 6,5 a 12 come da 100 a 184 —
capacità del territorio vascolare alla pressione di 106, sup-
posta eguale ad uno la capacità del medesimo alla pres-
184 . .
sione di 86, y^=:1,50 — aumento, m centesimi, per
50
millimetro di pressione, — = 2,5 — aumento, m cente-
50
simi, per centesimo di pressione ~ = 2,3 .
Aumento di pressione da 106 a 136 come da 100 a 128
— aumento di efflusso da 12 a 21 come da 100 a 175 —
capacità del territorio vascolare alla pressione di 136,
supposta eguale ad uno la capacità del medesimo alla pres-
sione di 106, ——=1,37 — aumento, in centesimi, per
128
[17] (1Ì57)
37
millimetro di pressione ~ = i, 5.9 — aumento in cente-
37
simi, per centesimo di pressione — = 1,32.
Aumento di pressione da 136 a 146 come da 100 a lOS
— aumento di efflusso da 21 a 24 come da 100 a 114 —
— capacità del territorio vascolare iniettato alla pressione
114 . •. . .
di 14(), 777-;= 1 06 — aumento in cent., permillim., di pres-
lOb
sione — = 0,60 — aumento per centesimo di pressione
4^0.75.
Dalle cifre sopraesposte risulta quindi che anche in
questo esperimento :
1° A partire dalla medesima pressione, per un me-
desimo aumento di pressione, si dilatarono più di tutti i
vasi degli arti, poi quelli dei reni e poi quelli del cer-
vello.
2" Tutti i vasi si dilatarono tanto meno, per un
medesimo aumento di pressione, quanto più elevata era la
pressione endovasale.
8 Febbrajo 1893.
Cane ucciso per puntura del midollo allungato.
Soluzione sodica come negli esperimenti precedenti.
Iniezione nell' arteria femorale.
Pressione 56.
In 20 secondi escono dalla vena corrispondente ce. 30-
25-23-23-24-23-23.
Pì^essione 86.
Escono in 20 secondi ce. 48-50-51-50.
Pressione 106.
Escono in 20 secondi ce. 68-68-70-70.
Pressione 120.
r. IV, s. VII 79
(1158) [18]
Escono in 20 secondi ce. (S2-86-84.
Si sospende 1' esperienza per 20 minuti.
Pressione 120.
Escono in 20 secondi ce. 90-90-98-100.
Pressione 1 06.
Escono in 20 secondi ce. 88-88-88.
Pressione 86.
Escono in 20 secondi ce. 70-68-68-70.
Pressione 56.
Escono in 20 secondi ce. 42-40-40-40.
Quindi :
Aumento di pressione da 56 a 86 come da 100 a 154
— aumento di efflusso da 23 a 50 come da 100 a 217 —
capacità del territorio iniettato alla pressione di 86, sup-
posta eguale ad uno la capacità del medesimo alla pres-
217
sione di 56, —— = 1,41 — aumento, in centesimi, per mil-
lo4 ^
41
limetro di pressione -— = /,. 9^ — aumento per centesimo
41
di pressione -r- = 0,78 .
^ 54
Aumento di pressione da 86 a 106 come da 100 a 123
— aumento di efflusso da 50 a 70 come da 100 a 140 —
capacità del territorio vascolare alla pressione di 106,
140
supposto ecc. -7^:= 1,14 — aumento, in centesimi, per
14
millimeti'O di pressione -— = 0,70 — aumento, in cente-
. . ^ . 14
simi, per centesimo di pressione -^ =: 0,61 .
Aumento di pressione da 106 a 120 come da 100 a 113
— aumento di efflusso da 70 a 84 come da 100 a 120 —
capacità del territorio vascolare alla pressione di 120, sup-
120
posta ecc. -j— r=l,06 — aumento, in centesimi, })er mini-
li o
[19] (iir,<))
6
metro di pressione —=0,43 — aumento per centesimo
()
di pressione -r^ = 0,46 .
lo
Diminuzione di pressione da 120 a 106 come da 100 a
88 — diminuzione di efflusso da !)8 a 88 come da 100 a
00 — capacità del territorio iniettato alla pressione di 106,
supposta eguale ad uno la capacità del medesimo a 126,
90
— = 1,02.
88
Questo risultato credo si deva interpretare nel modo
altrove indicato, perchè sarebbe assurdo il supporre che
una diminuzione di pressione facesse crescere il volume.
Diminuzione di pressione da 106 a 86 come da 100 a
81 — diminuzione di efflusso da 88 a 70 come da 100 a 79
— capacità del territorio iniettato alla pressione di 86, sup-
79
posta ecc. — = 0,97 — diminuzione di capacità per mil-
3
limetro di pressione —=:0,i5 — diminuzione per cente-
3
Simo di pressione — = 0,15 .
Diminuzione di pressione da 86 a 56 come da 100 a
65 — diminuzione di efflusso da 70 a 40 come da 100 a 57
— capacità del territorio vascolare alla pressione di 56,
57
supposta ecc. —^0,88 — diminuzione per millimetro di
12
pressione — = 0,40 — diminuzione per centesimo di pres-
30
12
sione -^ = 0,34 .
35
Iniezione nella carotide.
Pressione 56 mm. hg-.
Escono dalla giugulare corrispondente, in 10 secondi
ce. 34-34-35-33.
(1160) [20]
Pressione 86.
Escono in 10 secondi ce. 58-58-58.
Pressione 96.
Escono in 10 secondi ce. 68-66-66.
Pressione 86.
Escono in 10 secondi ce. 64-60-60-60.
Pressione 56 nini. lig.
Escono in 10 secondi ce. 38-37-36-38.
Quindi :
Aumento di pressione da 56 a 86 come da 100 a 153
— aumento di efflusso da 33 a 58 come da 100 a 176 —
capacità del territorio iniettato alla pressione di 86, sup-
posta ecc. -—=1,15 — aumento, in centesimi, per mil-
15
limetro di pressione -^ = 0,.50 — aumento, in centesimi,
15 ^ ^
per centesimo di pressione -r^ = 0,28 .
Aumento di pressione da 86 a 96 come da 100 a 112
— aumento di efflusso da 58 a 68 come da 100 a 117 —
capacità del territorio iniettato alla pressione di 96, sup-
117 . .
posta ecc. t—^'^'I'O'^ — aumento, m centesimi, per mil-
limetro di pressione -rr =0,50 — aumento per centesimo
5
di pressione -r^ = 0,29 .
^ 1/
Diminuzione di pressione da 96 a 86 come da 100 a
90 — diminuzione di efflusso da 66 a 60 come da 100 a
90 ■ — capacità del territorio iniettato alla pressione di 86
90 T . .
supposta ecc. -^ = 1 — vale a dire nessuna diminuzione,
yu
Diminuzione di pressione da 86 a 56 come da 100 a
65 — diminuzione di efflusso da 60 a 37 come da 100 a 61
— capacità del territorio iniettato alla pressione di 56,
[21] (1161)
61
65
61
supposta ecc. 7:^ = 0,92 — diminuzione, in centesimi, per
.8
millimetro di pressione — = 0,27 — diminuzione per cen-
8
tesimo di pressione -^ = 0,23 .
Secondo le cifre soprariferite, in questo esperimento
si ebbe quindi :
V Per un medesimo aumento di pressione, a par-
tire dalla stessa pressione, dilatazione maggiore dei vasi
degli arti e minore di quelli del cervello.
2° Col ritornare della pressione al grado iniziale,
ritorno al volume primitivo più pronto da parte dei vasi
del cervello e meno da parte dei vasi degli arti.
3° Nei vasi degli arti, per un medesimo aumento
di pressione, la dilatazione fu tanto minore, quanto più ele-
vata era la pressione endovasale.
Questo fatto non fu verificato riguardo ai vasi del cer-
vello, ma potrebbe darsi che non si fosse palesato a mo-
tivo della poca dilatazione che producevano gli aumenti
della pressione.
11 Febbraju 1893.
Cane ucciso da due ore per })untura del midollo al-
lungato.
Soluzione sodica come negli esperimenti soprariferiti.
Iniezione nella femorale.
Pressione 82 mm. hg.
Escono dalla giugulare corrispondente in 20 secondi
ce. 40-41-42-40-42.
Pressione 102 mm. hg.
Escono in 20 secondi ce. 66-6(S-70-70.
Pressione 122.
Escono in 20 secondi ce. 92-04-96-9()-94.
Si sospende 1' esperimento per venti minuti.
(11G2) [22]
Pressione 112 min. hg.
Escono in 20 secondi ce. 98-102-104-102.
Pressione 102 mm. hg.
Escono in 20 secondi ce. 100-96-02-92-93.
Altra sospensione di 20 minuti.
Pressione 82 mm. lig.
Escono in 20 secondi ce. 84-80-84-82-84.
Pressione 52 mm. hg.
Escono in 20 secondi ce. 50-50-50-50.
Quindi :
Aumento di pressione da 82 a 102 come da 100 a 124
— aumento di efflusso da 42 a 68 come da 100 a 162 —
capacità del territorio iniettato alla pressione di 102 sup-
162
posta eguale ad uno ecc. t-— -^^^IjSO — aumento per mil-
:>0
limetro di pressione — = i,oO — aumento per centesimo
30
di pressione -r- = 1,25 .
^ 24
Aumento di pressione da 102 a 122 come da 100 a 120
— aumento di efflusso da 70 a 90 come da 100 a 134 —
capacità del territorio iniettato alla pressione di 122, sup-
134
posta ecc. -^^=1,12 — aumento, in centesimi, per mil-
. ^ . 12
limetro di pressione ~ = 0,60 — aumento, in centesimi,
12
per centesimo di pressione — = 0,60 .
Diminuzione di pressione da 112 a 102 come da 100 a
91 — diminuzione di efflusso da 102 a 94 come da 100 a
92 — capacità del territorio iniettato alla pressione di 102,
supposta eguale ad uno la capacità del medesimo alla pres-
92
sione di 112, —= ^- Quindi nessuna diminuzione di vo-
lume, anzi forse un piccolissimo aumento.
Diminuzione di pressione da 82 a 52 come da 100 a 63
[23] (1163)
— diminuzione di elllusso da 84 a 50 come da 100 a 58
— capacità dei vasi iniettati alla pressione di 52, supposta
58
ecc-
8 . 8
-—^=0,27 — diminuzione per centesimo di pressione —
oO o/
= 0,22 .
Iniezione nella cm-otide.
Pressione 82 mm. lig.
In 10 secondi escono dalla giugulare corrispondente
ce. 32-36-37-38.
Pì^essione 102 mm. hg.
In 10 secondi escono ce. 51-53-55-56.
Si sospende 1' esperimento per mezz' ora.
Pì^essione 92 mm. hg.
In 10 secondi escono ce. 53-54-56-57.
Pressione 82 mm. hg.
Escono in 10 secondi ce. 40-46-45-46.
Quindi :
Aumento di pressione da 82 a 102 come da 100 a 124
— aumento di eillusso da 38 a 56 come da 100 a 147 —
capacità del territorio iniettato alla pressione di 102, sup-
posta eguale ad uno la capacità del medesimo alla pres-
147
sione di 82, T-r7= 1,18 — aumento per millimetro di pres-
124 ^ ^
18 . 18
sione — = 0,00 — aumento per centesimo -^ = 0,74 .
Diminuzione di pressione da 92 a 82 come da 100 a
89 — diminuzione di efllusso da 57 a 46 come da 100 a
80 — capacità dei vasi iniettati alla pressione di 82, sup-
80
posta ecc. — = 0,90 — diminuzione per millimetro di
10
pressione — z= 1 — diminuzione per centesimo di pres-
10
sione -j- = 0,91 ,
(1164) [24]
Iniezione nella arleria renale.
Pressione 70 mm. lig.
Escono dalla vena corri.spondentc in 00 secondi ce.
7-8-7-7.
Pressione 92 mm. lig.
Escono in 60 secondi ce. 10-10-10.
Pressione 112 nini. lig.
Escono in 60 secondi ce. 12-12-13.
Pressione 132 mm. lig.
Escono in 60 secondi ce. 14-14,5-14.
Pressione 152 mm. lig.
Escono in 60 secondi ce. 16-17-16-17.
Si sospende 1' esperimento per mezza ora.
Pressione 162 mm. hg.
Escono in 60 secondi ce. 18-19-18-19.
Pressione 132 mm. hg.
Escono in 60 secondi ce. 10- 16- 16.
Pressione 112 mm, lig.
Escono in 60 secondi ce. 12,5-13-13.
Pressione 92 mm. lig.
Escono in 60 secondi ce. 11-11-10.
Pressione 72.
Escono in 60 secondi ce. 8-8-8-7.
Quindi :
Aumento di pressione da 70 a 92 come da 100 a 131
— aumento di efflusso da 7 a 10 come da 100 a 142 —
capacità del territorio iniettato alla pressione di 92, sup-
142
posta ecc. y7-j- =: 1 ,08 — aumento, in centesimi, per mil-
o
limetro di pressione -^ = 0,36 — aumento, in centesimi,
s
per centesimo di pressione — = 0,25 .
o 1
Aumento di pressione da 92 a 112 come da 100 a 122
— aumento di efflusso da 10 a 12,.5 come da 100 a 12.5 —
capacità del territorio iniettato alla pressione di 112, sup-
[25] (1165)
125
posta ecc. •T7J5= l,^^^ — aumento pei* millimetro di pressione
— = 0,io aumento per centesimo di pressione — = 0,14 .
Aumento di pressione da 112 a 132 come da 100 a
118 — aumento di efflusso da 12,5 a 14,5 come da 100 a
116 — capacità del territorio iniettato alla pressione di
132, supposta ecc. — — :^0,98. 11 calcolo darebbe quindi
una diminuzione, anziché un aumento della capacità, lo che
è assurdo. Questo risultato dipende dalla circostanza che
r efflusso calcolato è sempre superiore all' efflusso veritì-
cato. Se si aggiungesse un decimo al valore ottenuto, si
avrebbe un aumento della capacità di 8 centesimi.
Aumento di pressione da 152 a 162 come da 100 a 116
— aumento di efflusso da 14 a 17 come da 100 a 121 —
capacità dei vasi iniettati alla pressione di 152, supposta
116
ecc. T— Y = 0,96 .
Diminuzione di pressione da 162 a 132 come da 100
a 82 — diminuzione di efflusso da 18,5 a 16 come da 100
a 82 — capacità dei vasi iniettati alla pressione di 132,
supposta eguale ad uno la capacità dei medesimi a 162,
—-= \ . Non potendo ammettere alcuna diminuzi(nie, que-
82
sto risultato viene attribuito all' uscita del liquido scacciato
per costrizione dai vasi.
Diminuzione di pressione da 132 a 112 come da 100 a
84 — diminuzione di efflusso da 16 a 13 come da 100 a
SI — capacità dei vasi iniettati alla pressione di 112, stip-
si ....
posta ecc. — = 0,96 — diminuzione, in centesimi, per mil-
limetri di pressione — = 0,20 — diminuzione per cente-
4^
l6
20
4
^imo di pi-essione — = 0^25
(1100) [26]
Diminuzione di pressione da 112 a 92 come da 100 a
82 — diminuzione di efflusso da 13 a 10 come da 100 a
76 — capacità dei vasi iniettati alla pressione di 92, sup-
76
posta eguale ad uno ecc. — = 0,93 — diminuzione per
millimetro — = 0,35 — diminuzione per centesimo di pres-
7
sione -r-r = 0,39 .
lo
Diminuzione di pressione da 92 a 72 come da 100 a
79 — diminuzione di efflusso da 10 a 7,5 come da 100 a
75 — capacità dei vasi iniettati alla pressione di 72, sup-
75
posta ecc. —, = 0,95 ■ — diminuzione, in centesimi, per mil-
5
limetro -^ = 0,40 ■ — diminuzione per centesimo di pres-
5
sione -^ = 0,41 .
Dalle cifre ottenute risulterebbe quindi :
1° Che per un medesimo aumento di pressione la
dilatazione dei vasi muscolo-cutanei e dei vasi renali fu
tanto minore, quanto più elevata era la pressione.
2° Che un medesimo aumento di pressione, a par-
tire dalla stessa pressione, dilatò più i vasi cutanei poi i
cerebrali e meno di tutti i renali.
3° Che il ritorno dei vasi al volume primitivo, col-
r abbassarsi della pressione, fu più pronto da parte dei vasi
viscerali e meno da parte dei vasi muscolo-cutanei.
25 Aprile 1893.
Cane ucciso da. 24 ore per dissanguamento.
Soluzione sodica come il solito, ma alla temperatura
dell'ambiente.
Iniezione nella femorale.
Pressione 62.
[27] (ll()7)
In (lue minuti primi escono dalla vena corrispondente
ce. 7-8-8-8.
Pressione 82 mm. lig\
In 2 minuti escono ce. 17-19-22-22.
Pressione 93 nnn. lig.
In 2 minuti escono ce. 32-34-36-30.
Pressione 104 mm. hg.
In 2 minuti escono ce. 48-50-54-54-54.
Quindi :
Aumento di pressione da (j2 a 82 come da 100 a 132
— aumento di efflusso da 8 a 22 come da 100 a 275 —
— capacità dei vasi iniettati alla pressione di 82, su})posta
eguale ad uno la capacità dei vasi medesimi alla pressione
di 62, —— = 2,08 — aumento, in centesimi, per millime-
. ,. ^ 108
tri di pressione -^ = 5,4 — aumento, in centesimi, per
108
centesimo di pressione -;rr^ = 3,39 .
Aumento di pressione da 82 a 93 come da 100 a 113
— aumento di efflusso da 22 a 36 come da 100 a 164 —
— capacità dei vasi iniettati alla pressione di 92, supposta
164
li;
45 . 45
— = 4,09 — aumento per centesimo di pressione —
Il io
= 3,46 .
Aumento di pressione da 93 a 104 come da 100 a 112
— aumento di efflusso da 36 a 54 come da 100 a 150 —
capacità dei vasi iniettati alla pressione di 100, supposta
152
ecc. -— :=1,.34 — aumento per millimetro di pressione
34 ^ 34
-j-j- = 3,09 — aumento per centesimo — = 2,84 .
(1168) [28]
Iniezione nella carotide.
Pressione 64 mm. hg.
Escono dalla giug-ulare in un minuto primo ce. 9-13-
15-15.
Pressione 83 mm. hg.
Escono in un minuto ce. 28-29-29-29.
P?'essione 95 mm. hg.
Escono in un minuto ce. 31-38-38-38.
Pressione 114 mm. hg.
Escono in un minuto ce. 50-51-51-51.
Pressione 95 mm. hg.
Escono in un minuto ce. 39-38-38-38.
Si interrompe 1' esperimento per 20 minuti.
Pì'essione 89 mm. hg.
Escono in un minuto ce. 22-23-21.
Pressione 78.
Escono in un minuto ce. 16-15-15-15.
Pressione 65.
Escono in un minuto ce. 10-9-9-9.
Quindi :
Aumento di pressione da 64 a 83 come da 100 a 130
— aumento di efflusso da 15 a 29 come da 100 a 193 —
capacità dei vasi iniettati alla pressione di 83, supposta e-
193
guale ad uno la capacità dei vasi alla pressione di 64, --75^
48
= 1,48 — aumento, in centesimi, per millimetro —-=2,55
48
— aumento per centesimo di pressione -— = 1,60 .
Aumento di pressione da 83 a 95 come da 100 a 114
— aumento di efflusso da 29 a 38 come da 100 a 131 —
capacità dei vasi iniettati alla pressione di i)5, supposta
131 15
ecc. 7%— — 1,15 — aumento per millimetro -— =i,'?;"> —
114 ' 12
15
aumento per centesimo di pressione -- — = 1,07 .
[29] (1169)
Aumento di pressione da 95 a 114 come da 100 a 120
— aumento di efflusso da 38 a 51 come da 100 a 134 —
capacità dei vasi iniettati alla pressione di 114, supposta
134 . 12
ecc. ~i^= 1,12 — aumento per millimetro -~ = 0,63 —
12
aumento per centesimo di pressione — = 0,60 .
Diminuzione di pressione da 114 a 95 come da 100 a
83 — diminuzione di efflusso da 51 a 38 come da 100 a
74 — capacità dei vasi iniettati alla pressione di 95, sup-
74
posta eguale ad uno la capacità dei medesimi a 114, -r—
oo
= 0,89 — diminuzione per millimetro -r^ = Ojó'O — di-
minuzione per centesimo di pressione — = 0,64 .
Diminuzione di pressione da 89 a 78 come da 100 a 87
— diminuzione di efflusso da 21 a 15 come da 100 a 71
— capacità dei vasi iniettati alla pressione di 78, supposta
eguale ad uno la capacità dei medesimi alla pressione di
71 19
89, -— = 0,81 — diminuzione per millimetro —-j- = i,/5
19
— diminuzione per centesimo -r^ = 1,45 .
Diminuzione di pressione da 78 a 65 come da 100 a
83 — diminuzione di efflusso da 15 a 9 come da 100 a 60
— capacità dei vasi alla pressione di 65, supposto ecc. -^
28
=: 0,72 — diminuzione per millimetro — = i>,i^ — di-
28
minuzione per centesimo -z-z = 1,64 .
Dalle cifre in tal modo ottenute si ricava che:
V Tanto nei vasi degli arti come nei vasi cere-
brali la dilatazione, prodotta da un dato aumento di
(1170) [30]
pressione, fu tanto minore, quanto più alta la pressione
iniziale.
2° Per nn medesimo aumento di pressione, i vasi
muscolo-cutanei si dilatarono assai più dei vasi cerebrali.
3° I vasi cerebi'ali ritornarono prontamente al vo-
lume primitivo coir abbassarsi della pressione.
4° In questo caso, rispetto ai vasi cerebrali, si ebbe
un ritorno al volume primitivo, quasi perfettamente, con-
forme air aumento in precedenza ottenuto.
20 Aprile 1893.
Cane ucciso per dissanguamento da sette ore.
Soluzione sodica ciune nell' esperienza precedente.
Iniezione nella femorale.
Pressione 91 mm. hg.
In 2 minuti primi escono ce. 16-10-16 dalla vena
corrispondente.
Pressione 105 mm. hg.
In 2 minuti escono ce. 2r)-28-2.S-28.
Pressione 122 mm. hg.
In 2 minuti escono ce. 44-48-48-48.
Pressìom 141 mm. hg.
In 2 minuti escono ce. 68-72-74-74.
Pressione 151 mm. hg.
In 2 minuti escono ce. 85-84-84-84.
P7'essione 164.
In 2 minuti escono ce. 90-91-92-92.
Pressione 151.
In 2 minuti escono ce. 82-83-83.
Pressione 122.
In 2 minuti escono ce. 64-68-60-60-60-60.
Si sospende 1' esperimento per un quarto d' ora.
Pressione 103.
In 2 minuti escono ce. 50-50-50.
Pressione 85.
[31] (1171)
In 2 minuti escono ce. 3(S-38-:>8.
Pressione 74.
In 2 minuti escono ce. 30-30-30.
Pressione 61.
In 2 minuti escono ce. 20-20-20.
Quindi :
Aumento di pressione da 91 a 105 come da 100 a 115
— aumento di efflusso da 16 a 28 come da 100 a 175 —
capacità dei vasi iniettati alla pressione di 105, supposta
eguale ad uno la capacità dei medesimi alla pressione di
91, rr-r- ^1,52 — aumouto, in centesimi, per millimetro
115
52
di pressione -— ^ 3,71 — aumento per centesimo di
52
pressione — = 3,70 .
lo
Aumento di pressione da 105 a 122 come da 100 a
116 — aumento di efflusso da 28 a 48 come da 100 a 171
— capacità del territorio iniettato alla pressione di 122,
171 47
supposta ecc. r-j-p=:l,47 — aumento per millimetro -—
47
= 2, SO — aumento per centesimo -r-p = ^^^l •
Aumento di pressione da 122 a 141 come da 100 a
116 — aumento di efflusso da 48 a 74 come da 100 a 154
— capacità dei vasi iniettati alla pressione di 141, sup-
154
posta ecc. ttt: = 1>33 — aumento, m centesimi, per mil-
33
limetro di pressione — == 1,74 — aumento per centesimo
33
di pressione --— = 2,06 .
Aumento di pressione da 141 a 151 come da 100 a
107 — aumento di efflusso da 74 a 84 come da 100 a 113
— capacità dei vasi iniettati alla pressione di 151, sup-
(11T2) [32]
11:5
Tot
11:5
l)Osta ecc. 77:^= l.Ofì — aumento, in centesimi, per mil-
6
limetro di pressione — = 0,60 — aumento per centesimo
di pressione -^=- = 0,80 .
/
Aumento di pressione da 151 a 164 come da 100 a 108
— aumento di efflusso da 84 a 92 come da 100 a 109 —
capacità dei vasi iniettati alla pressione di 164, supposto
109
ecc. TTo^'-^'^^'^ — aumento, m centesimi, per millime-
108
9 9
tro T7T7:=^ 0,07 — aumento per centesimo — --:=0,13.
1 oO oO
Diminuzione di pressione da 164 a IHl come da 100 a
92 — diminuzione di efflusso da 92 a 83 come da 100 a 92
— capaci là dei vasi iniettati alla pressione di 151, suppo-
92
sta eguale ad uno la capacità a 164, — = 1 , Questa ve-
runa diminuzione si può spiegare, siccome altrove ho indi-
cato, coir uscita del liquido scacciato dall' organo per re-
stringimento dei vasi.
Diminuzione di pressione da 151 a 141 come da 100 a
93 — diminuzione di efflusso da 83 a 76 come da 100 a
91 — cajìacità dei vasi iniettati alla pressione di 141, sup-
posta eguale ad uno la capacità dei medesimi alla pres-
91
sione di 151, -— = 0,98 — diminuzione, in centesimi, per
00
2 2
millimetro -j^ = 0,20 — diminuzione per centesimo -=-
= 0,30 .
Diminuzione di pressione da 141 a 122 come da 100
a 84 — diminuzione di efflusso da 76 a 60 come da 100 a
79 — capacità dei vasi iniettati alla pressione di 122, sup-
79 . . 6
posta ecc. — = 0,94 — diminuzione per millimetro —^
[83] (1178)
= 0,31 — diminuzione per centesimo di pressione -—
= 0,8S .
Diminuzione di pressione da 103 a 85 come da 100 a
82 — diminuzione di efflusso da 50 a 38 come da 100 a 76
— capacità dei vasi iniettati alla pressione di 85, supposta
76 7
ecc. -77- = 0,93 — diminuzione per millimetro -—=0,40
82 18
7
— diminuzione per centesimo -— = 0,40 .
18
Diminuzione di pressione da 85 a 74 come da 100 a
87 — diminuzione di efflusso da 38 a 30 come da 100 a
79 — capacità dei vasi iniettati alla pressione di 74, sup-
79
posta ecc. — = 0,91 — diminuzione, in centesimi, per niil-
9 9
1 i metro — =^ 0,85 — diminuzione per centesimo-—^
0,70.
Diminuzione di pressione da 74 a 61 come da 100 a
82 — diminuzione di efflusso da 30 a 20 come da 100 a 66
■ — capacità dei vasi iniettati alla pressione di 61, supposto
66 20
ecc. -^-r = 0,80 — diminuzione per millimetro -r^ = 1,54
82 lo
20
— diminuzione per centesimo -r^ = 1,11 .
18
Iniezione nella cm^otide.
Pressione 55 mm. hg.
Escono dalla giugulare in 10 secondi ce. 16-17-
16-17-17.
Pressione 70.
Escono in 10 secondi ce. 19-23-23-24-25-25.
Pressione 80.
Escono in 10 secondi ce. 30-30-30.
Pressione 91.
Escono in 10 secondi ce. 37-37-37.
T. IV, s. VII 80
(1174) [34]
Si interrompo l' esperimento per un quarto (V ora,
perchè escono dei coaguli.
Pressione 91.
Escono in 10 secondi ce. 25-26-30-30-32-32-3U-30.
Pressione 106.
Escono in 10 secondi ce. 37-37-37.
Interruzione di 20 minuti.
Pressione 108.
Escono in 10 secondi ce. 32-33-32-30.
Altra interruzione di 20 minuti.
Pressione 106.
Escono in 10 secondi ce. 15-17-17-17.
Pressione 122.
Escono in 10 secondi ce. 22-22-22.
Pressione 133.
Escono in 10 secondi ce. 21-22-22.
Quindi :
Aumento di pressione da 55 a 70 come da 100 a 127
— aumento di efflusso da 17 a 25 come da 100 a 147 —
capacità dei vasi a 70, supposta eguale ad uno la capacità
.147
dei medesimi a 55, ^^ = 1,16 — aumento, in centesimi,
16
per millimetro di pressione — = 1,00 — aumento per
16
centesimo di pressione -r;= = 0,60 .
^ 2/
Aumento di pressione da 70 a 80 come da 100 a 114
— aumento di efflusso da 25 a 30 come da 100 a 120 —
120
capacità dei vasi alla pressione di 80, supposta ecc. yy^
5
= 1,05 — aumento per millimetro -r- = 0,50 ~ aumen-
5
to per centesimo -r— = 0,36 .
Di tutto il resto dell'esperienza non se ne può tener
conto.
[35] (11^5)
Iniezione nell' arteria renale.
Pressione 85.
Dalla vena corrispondente escono in due minuti primi
ce. 15,5-15-15.
Pressione 99.
Escono in 2 minuti ce. 20-20-20.
Pressioììe 116.
Escono in 2 minuti ce. 28-2(S-28.
Pressione 135.
Escono in 2 minuti ce. 36-36-36.
Pressione 149.
Escono in 2 minuti ce. 41-41-41.
Pressione 163,
Escono in 2 minuti ce. 48-48-48.
Pressione 149.
Escono in 2 minuti ce. 42-42-42.
Pressione 1 35.
Escono in 2 minuti ce. 38-38-38.
Pr^essione 118.
Escono in 2 minuti ce. 32-32-32.
Pressione 99.
Escono in 2 minuti ce. 26-26-26.
Pressione 85.
Escono in 2 minuti ce. 22-22-22.
Quindi :
Aumento di pressione da 85 a 99 come da 100 a 116
— aumento di efflusso da 15 a 20 come da 100 a 133 —
capacità dei vasi iniettati alla pressione di 99, supposta
133
eguale ad uno la capacità dei medesimi a 85, tttt = 1,15
15
— aumento, in centesimi, per millimetro di pressione -rj
15
= i,07 — aumento per centesimo di pressione -j-^= 0,94.
Aumento di pressione da 99 a 116 come da 100 a 117
— aumento di efflusso da 20 a 28 come da 100 a 140 —
Ili-
(1176) [36]
140
capacità dei vasi alla pressione di 116, supposta ecc. jtì^
19
= 1,10 — aumento per niiiliinetro ~p: = t J ^ — aumento
19
per centesimo -—: = 1,11 .
^ 1/
Aumento di pressione da 116 a 135 come da 100 a
116 — aumento di efflusso da 28 a 36 come da 100 a 128
— capacità dei vasi alla pressione di 135, supposta eguale
,128
ad uno la capacità dei medesimi a 116, TTTr = 146
. . 10
mento per millimetro, in centesimi, ^ = 0^52 — aumento
19
per centesimo -r-z = 0,62 .
Aumento di pressione da 135 a 149 come da 100 a 110
— aumento di efflusso da 36 a 41 come da 100 a 114 —
114
capacità dei vasi alla pressione di 149, supposta ecc. y— -
4
= 1,04 — aumento per millimetro — = 0,28 — aumento
4
per centesimo — = 0,4 .
Diminuzione di pressione da 149 a 135 come da 100 a
90 — diminuzione di efflusso da 42 a 38 come da 100 a 90
— capacità dei vasi alla pressione di 135, supposta eguale
90
ad uno la pressione a 149, — = 1 — Diminuzione per
yu
millimeiro 0 — diminuzione per centesimo 0.
Diminuzione di pressione da 135 a 118 come da 100 a
88 — diminuzione di efflusso da 38 a 32 come da 100 a 84
— capacità dei vasi alla pressione di 118, supposta eguale
84 . .
ad uno ecc. -— = 0,94 — diminuzione, in centesimi, per
88
6 . .6
millimetro -rz = 0,35 — diminuzione per centesimo -77
17 ' ^ 16
= 0,50 .
[37] (1177)
Diminuzione di [iressione da 118 a 99 come da 100 a
84 — diminuzione di efflusso da 32 a 26 come da 100 a 81
— capacità dei vasi alla pressione di 99, supposta eguale
81
ad uno ecc. -r- = 0,96 — diminuzione per millimetro
84
4 4
-—=::= 0,21 — diminuzione per centesimo — = 0,25.
Diminuzione di pressioiie da 99 a 85 come da 100 a 84
— diminuzione di efflusso da 26 a 22 come da 100 a 70
— capacità dei vasi alla pressione di 85, supposto eguale
ad uno ecc. — = 0,90 — diminuzione per millimetro —
= 0,71 — diminuzione per centesimo -r^ = 0,62
10
16
Dalle cifre ottenute in questa esperienza risulta quin-
di che :
1° A partire dalla stessa pressione, per eguale au-
mento si dilatarono più di tutti i vasi degli arti, poi quelli
dei reni e poi quelli del cervello.
2° La dilatazione in tutti fu tanto minore quanto
più elevata la pressione interna.
3° I vasi dei reni ritornarono al volume primitivo,
coir abbassarsi della pressione, più prontamente dei vasi
degli arti. Non si poterono in questa esperienza ottenere,
sotto questo riguardo, dei dati attendibili in relazione ai
vasi del cervello.
23 Maggio 1893.
Cane ucciso per dissanguamento.
Si fa la iniezione della soluzione fisiologica, tempera-
tura dell' ambiente, nell' arteria polmonare e si raccoglie
il liquido che esce dall' aorta.
L' esperimento incomincia un" oi-a dopo la morte.
Pressione mm. hg. 42.
In 10 secondi escono ce. 16-17-18-18-18-18.
(1178) [38]
Pressione min. hg. 54.
In 10 secondi escono ce. 24-26-26-27-27-27.
Pressione 61 rnm. hg.
In 10 secondi escono ce. 30-30-31-32-;32-33-33.
Pressione 73 mm. hg.
In 10 secondi escono ce. 34-30-37-37-38-39-39.
Pressione mm. hg. 88.
In 10 secondi escono ce. 42-48-48-48-48.
Pressione 101 mm. hg.
In 10 secondi escono ce. 52-52-52-56-54-54-54.
Pressione 88 mm. hg.
In 10 secondi escono ce. 49-47-47-47-47.
Pressione 73 mm. hg.
In 10 secondi escono ce. 41-41-40-40-40-40.
Pressione mm. hg. 61.
In IO secondi escono ce. 37-36-35-35-35-35.
Pressione mm. hg. 54.
In 10 secondi escono ce. 32-31-30-30-30-30.
Pressione 42 mm. hg.
In 10 secondi escono ce. 26-26-25-24-24-24-24.
Quindi :
Aumento di pressione da 42 a 54 come da 100 a 128
— aumento di efflusso da 18 a 27 come da 100 a 150 —
capacità dei vasi alla pressione di 54, supposta eguale ad
150
uno la capacità dei medesimi alla pressione di 42, — -
= 1,17 — aumento di capacità, in centesimi, jier milli-
17
metro di pressione "p^ = ^>^^ •
Aumento di pressione da 54 a 61 come da 100 a 113
— aumento di efflusso da 27 a 33 come da 100 a 122 —
capacità dei vasi alla pressione di 61, supposta eguale ad
122
uno la capacità dei medesimi alla pressione di 54, r-p-;
= 1,08 — aumento di capacità, in centesimi, per milli-
8
metro di pressione -;::^ := 1,]4 .
[39] (1179)
Aumento di pressione da 61 a 73 come da 100 a 119
— aumento di efflusso da 32 a 39 come da 100 a 122 —
capacità dei vasi alla pressione di 73, supposta eguale ad
122
uno la capacità dei medesimi alla pressione di 61, r-r^
=: 1,03 — aumento di capacità, in centesimi, per milli-
metro di pressione -r^ = 0,25 .
Aumento di pressione da 73 a 88 come da 100 a 120
— aumento di efflusso da 39 a 48 come da 100 a 123 —
capacità dei vasi alla pressione di 88, supposta eguale ad
123
uno la capacità dei medesimi alla pressione di 73, r^
= 1,02 — aumento, in centesimi, di capacità, per millimetro
2
di pressione -— = 0,13 .
lo
Aumento di pressione da 88 a 101 come da 100 a 114
— aumento di efflusso da 48 a 54 come da 100 a 113 —
capacità dei vasi alla pressione di 101, supposta eguale ad
113
uno la capacità dei medesimi alla pressione di 88, ryz
= 1 — aumento per millimetro di pressione, nessuno.
Diminuzione di })ressione da 101 a 88 come da 100 a
87 — diminuzione di efflusso da 54 a 47 come da 100 a
87 — capacità dei vasi alla pressione di 88^ supposta
eguale ad uno la capacità dei medesimi alla pressione di
87
101,--z = l — diminuzione, in centesimi, i»er millimetro
o/
di pressione, nessuna.
Diminuzione di pressione da 88 a 73 come da 100 a
83 — diminuzione di efflusso da 47 a 40 come da 100 a
85 — capacità dei vasi alla pressione di 73, supposta
eguale ad uno la capacità dei medesimi alla pressione di
85
88,— = 1 (circa) — diminuzione di capacita, nessuna.
(USO) [40]
Dimiiiuzioiie di })i'essi()iie da 73 a 01 come da 100 a
8() — diminuzione di elihisso da 40 a 35 come da 100 a
87 — capacità dei va.si alla pressione di 61, supposta
eguale ad uno la capacità dei medesimi alla pressione di
87
73, — - = 1 . — diminuzione di capacità nessuna.
OD
Diminuzione di pressione da 01 a 54 come da 100 a 88
— diminuzione di efflusso da 35 a 30 come da 100 a 86 —
cajìacità dei vasi alla pressione di 54, supposta eguale ad
86
uno la capacità dei medesimi alla pressione di 61, -33
08
= 1 (circa) — diminuzione di capacità nessuna.
Diminuzione di pressione da 54 a 42 come da 100 a 78
— diminuzione di efflusso da 30 a 24 come da 100 a 80 —
capacità dei vasi alla pressione di 42, supposta eguale ad
80
uno la capacità dei medesimi alla pressione di 54, — = 1
— diminuzione di capacità nessuna.
Diminuzione di pressione da 101 a 42 come da 100 a
41 — diminuzione di efflusso da 54 a 24 come da 100 a
43 — capacità dei vasi alla pressione di 42, su})posta
eguale ad uno la capacità dei medesimi alla pressione di
101,— =1 — diminuzione di capacità nessuna.
E perciò, dalle cifre ottenute in (juesta esperienza,
deriva :
1° Che la dilatazione dei vasi polmonari, per un
dato aumento di pressione, fu tanto minore quanto più ele-
vata la pressione interna.
2° Che i vasi polmonari, dopo di essere stati forte-
mente distesi, non ripresero il loro volume primitivo nel
tempo che durò V esperimento.
24 Maggio 1893.
Cane ucciso per dissanguamento.
Si fa la iniezione della soluzione fisiologica, tempera-
[41] (1181)
tura dell* ambiente, iiell' nrlcì-ia pol/uuvare e si raccoglie
il liquido che esce dall'aorta.
L'esperimento incomincia un'ora dopo la morte.
Pressione mm. hg. 48,
In 10 secondi escono ce. 17-17-17-17.
Pressione mni. hg. 58.
In 10 secondi escono ce. 19-20-21-22-23-23-23-23.
Pressione mm. hg. 77.
In 10 secondi escono ce. 29-30-31-32-33-34-34-34-34.
Pressione mm. hg. 96.
In 10 secondi escono ce. 41-41-42-44-44-44-44-44.
Pressione mm. hg. 110.
In 10 secondi escono ce. 49-50-51-51-51-51-51.
Pressione mm. hg. 129.
In 10 secondi escono ce. 58-58-58-58.
Pressione mm. hg. 110.
In 10 secondi escono ce. 51-51-51-51.
Pressione mm. hg. 90.
In 10 secondi escono ce. 47-46-45-45-45.
Pressione mm. hg. 77.
In 10 secondi escono ce. 41-40-39-39-38-38-38-38.
Pressione mm. hg. 48.
Escono in 10 secondi ce. 25-25-25-24; dopo 5 secondi
20-20.
Quindi :
Aumento di pressione da 48 a 58 come da 100 a 121
— aumento di elllusso da 17 a 23 come da 100 a 135 —
capacità dei vasi alla pressione di 58, supposta eguale ad
135
uno la loro capacità alla pressione di 48, t^ = 1,1^ —
aumento di capacità, in centesimi, per ogni millimetro di
12
pressione -rr- = 1,20 .
Aumento di pressione da 58 a 77 come da 100 a 133
— aumento di efflusso da 23 a 34 come da 100 a 148 —
capacità dei vasi alla pressione di 77, supposta eguale ad
(1182) [42]
133
uno la ca})acitH dei medesimi alla pi-essione di 58, -r—
= 1,11 — aumento, in centesimi, di capacità per millimetro
11
di pressione r^- = 0,60 .
Aumento di pressione da 77 a 96 come da 100 a 125
— aumento di efflusso da 34 a 44 come da 100 a 130 —
capacità dei vasi alla pressione di 96, supposta eguale ad uno
130
la capacità degli stessi alla pressione di 77, — — =1,04 —
1 ,^o
aumento di capacità, in centesimi, per millimetro di pres-
sione — = 0,20 .
la
Aumento di pressione da 96 a 110 come da 100 a 114
— aumento di efflusso da 44 a 51 come da 100 a 116 —
capacità dei vasi alla pressione di 110, supposta eguale ad
uno la capacità dei medesimi alla pressione di 96, j—- = 1,02
aumento di capacità, in centesimi, per millimetro di pres-
sione -T-- =0,15 .
14
Aumento di pressione da 110 a 129 come da 100 a 118
— aumento di efflusso da 51 a 58 come da 100 a 114 — ca-
pacità dei vasi alla pressione di 129, supposta eguale ad uno
114
la capacità dei medesimi alla pressione di 110, ^Vó = ^'^7 .
1 18
11 calcolo dimostrerebbe una diminuzione, anziché un au-
mento, della capacità, sotto l'aumento di pressione ; la qual
cosa è assurda. Ma 1' assurdo non è che apparente, poi-
ché, come si è detto altrove, l'efflusso calcolato è sempre
superiore, in via media di un decimo, all'efflusso verificato.
Diminuzione di pressione da 129 a 110 come da 100 a
85 — diminuzione di velocità da 58 a 51 come da 100 a 87
— capacità dei vasi alla pressione di 110, supposta eguale
ad uno la capacità dei medesimi alla pressione di 129,
87
— = i^O.Ì — diminuzione di capacita, ìiessima.
[48] (118.3)
Diminuzione di pressione da 110 a 90 come da 100 a
87 — diminuzione di elilusso da 51 a 45 come da 100 a 88
— capacità dei vasi alla pressione di 96, supposta eguale
ad uno la capacità dei medesimi alla pressione di 110,
88
— = 1,01 — diminuzione di capacità, nessuna.
O I
Diminuzione di pressione da 96 a 77 come da 100 a 80
— diminuzione di efflusso da 45 a 38 come da 100 a 84 —
capacità dei vasi alla pressione di 77, supposta eguale ad uno
84
la capacità degli stessi alla pressione di 96, — - = 1,05 —
80
diminuzione di capacità, nessuna.
Diminuzione di pressione da 77 a 48 come da 100 a 62
— diminuzione di efflusso da 38 a 24 come da 100 a 62 —
capacità dei vasi alla pressione di 48, supposta eguale ad
62
uno la capacità degli stessi alla pressione di 77, — = i
— dimijiuzione di capacità, nessima.
Diminuzione di pressione da 129 a 48 come da 100 a
38 — diminuzione di efflusso da 56 a 20 come da 100 a 35
— capacità dei vasi alla pressione di 48, supposta eguale ad
uno la capacità dei medesimi alla pressione di 129,
35
— = 0,92 — diminuzione per millimetro, in centesimi,
58
8
Anche questa es})erienza, al pari della precedente,
dimostrò che i vasi polmonali per un dato aumento di
pressione si sono dilatati tanto meno, quanto più la pres-
sione era elevata, e che, dopo essere stati distesi, non ripre-
sero, durante il tempo che durò 1' esperimento, il loro vo-
lume primitivo.
29 MagcxIO 1893.
Cane ucciso per dissanguamento.
Si inietta la soluzione fisiologica di NaCl, teniperattira
(1184) [44]
dell' ambiente, nel ramu dt'W arteria, polmunale che va al
lobo inferiore destro, e si raccoglie il liquido che esce dalla
vena relativa.
L' esperimento incomincia due ore dopo la morte.
Pressione mm. hg. 28.
Escono in 10 secondi ce. 10-12-13-13-13.
Pressione nim. hg. AQ.
Escono in 10 secondi ce. 28-28-28-28-28.
Pressione mm. hg. 66.
Escono in 10 secondi ce. Aò-Al-Al-Al.
Aumento di pressione da 28 a 46 come da 100 a 174
— aumento di efflusso da 13 a 28 come da 100 a 215 —
capacità dei vasi alla pressione di 46, supposta eguale ad
215
imo la capacità dei medesimi alla i)ressione di 28, t;z-: =
^ ^ 1/4
1,24 — aumento di capacità, in centesimi, per millimetro
24
di pressione -j-3 = 1,33 .
lo
Aumento di pressione da 46 a 66 come da 100 a 143
— aumento di efflusso da 28 a 47 come da 100 a 168 — ca-
pacità dei vasi alla pressione di (M), supposta eguale ad uno
168
la capacità dei medesimi alla pressione di 46, jj-^ = 1,18
— aumento di capacità per millimetro di pressione, in
18
centesimi, — = 0,00 .
Si continua 1' esperimento facendo la circolazione at-
traverso il lobo polmonale inferiore sinistro.
Pressione mm. hg. 16.
. Escono in 10 secondi ce. 26-26-25-25-25-25.
Pressione mm. hg. 26.
Escono in 10 secondi ce. 45-45-46-46.
Pressione mm. hg. 36.
Escono in 10 secondi ce. 70-68-70-70.
Prcssioìic mm. hg. 46.
Escono in 10 secondi oc. 84-88-88-88.
[45] (1185)
Pressione min. hg. 56.
Escono in 10 .secondi ce. 100-104-104.
Pressione nini. lig. 6().
Escono in 10 secondi ce. 110-110-110.
Pressione nim. hg. 56.
Escono in 10 secondi ce. 100-100.
Pressione mm. hg. 46.
Escono in 10 secondi ce. 88-86-86-86.
Pressione min. hg. 36.
Escono in 10 secondi ce. 72-72-70-72.
Pressione mm. hg. 26.
Escono in 10 secondi ce. 52-51-51.
Pressione mm. hg. 16.
Escono in 10 secondi ce. 30-30-30-30.
Quindi :
Aumento di pressione da 16 a 26 come da 100 a 162
— aumento di efflusso da 25 a 46 come da 100 a 184 —
capacità dei vasi alla pressione di 26, ammessa eguale ad
184
uno la capacità degli stessi alla pressione di 16, 77::^= 1,13
— aumento di capacità, in centesimi, per millimetro di
13
pressione, — — 1,30 .
Aumento di pressione da 26 a 36 come da 100 a 139 —
aumento di efflusso da 46 a 70 come da 100 a 152 — capa-
cità dei vasi alla pressione di 36, ammessa eguale ecc.
152
—- := 1,09 — aumento di capacità per millimetro di
9
pressione, — — 0,90 .
Aumento di pressione da 36 a 46 come da 100 a 127
— aumento di efflusso da 70 a 88 come da 100 a 126 — ca-
pacità dei vasi alla pressione di 46, ammessa eguale ad uno
126
la capacità dei medesimi alla pressione di 36, — 1 (circa).
— aumento di capacità per millimetro di pressione, nessuno.
(Um) [46]
Un aumento di capacitu è però da aiimietter.si che si sia
verificato, quando si consideri che l'efflusso calcolato è sempre
superiore a quello verificato.
Aumento di pressione da 46 a 56 come da 100 a 121 —
aumento di efflusso da 88 a 104 come da 100 a 120 — capa-
cità dei vasi alla pressione di 56, ammessa eguale ad uno ecc.
120
— jr =1 — aumento di capacità per millimetro di pressione
Qi essano.
Aumento di pressione da 56 a 66 come da 100 a 118 —
aumento di efflusso da 104 a 110 come da 100 a 106 — ca-
pacità dei vasi alla pressione di 66, ammessa eguale ad uno
106
la capacita dei medesimi alla pressione di 56, —— = 0,00 —
1 18
aumento di capacità per millimetro di pressione nessuno.
Diminuzione di pressione da 66 a 56 come da 100 a 74
— diminuzione di efflusso da 110 a 100 come da 100 a 91 —
capacità dei vasi alla jìressione di 56, ammessa eguale ad
.91
uno la capacità dei medesimi alla pressione di 66, —
= 1,23 — diminuzione di capacità, nessuna.
Diminuzione di pressione da oQ a 46 come da 100 a 83
— diminuzione di efflusso da 100 a 86 come da 100 a 87 —
capacità dei vasi alla pressione di 46, ammessa eguale ecc.
86
— - = 1,03 — diminuzione di capacita, nessuna.
od
Diminuzione di pressione da 46 a 36 come da 100 a 80
— diminuzione di efflusso da 86 a 72 come da 100 a 83 —
capacità alla pressione di 36, ammessa eguale ad uno ecc.
83
— = i,03 — diminuzione di capacità, nessuna.
Diminuzione di pressione da 36 a 26 come da 100 a 72
— diminuzione dell'efflusso da 72 a 51 come da 100 a 71 —
capacità dei vasi alla pressione di 26, ammessa eguale ecc.
— = 1 (circa) — diminuzione di capacità, nessuna.
[47] (1187)
Diminuzione di pressione da 20 a 10 come da 100 a 01
— diminuzione di efflusso da 51 a 30 come da 100 a 60 —
capacità dei vasi alla pressione di 16, ammessa eguale ad 1
la capacità dei vasi alla pressione di 20 77^ = ^ — dimi-
nuzione di capacità, nessuna.
Diminuzione di pressione da 66 a 16 come da 100 a 24
diminuzione di efflusso da 110 a 30 come da 100 a 27 — ca-
pacità dei vasi alla pressione di 10, supposta eguale ad uno
27
la capacità dei medesimi alla pressione di 66, -5-:= 1.12
— diminuzione di capacità, nessuna.
Neppure quindi alla fine dell'esperimento i vasi aveano
cominciato a restringersi.
I risultati di queste esperienze sono quindi concordi nel
dimostrare :
I." Che un dato aumento di pressione provoca, in
tutti i territori vascolari, un aumento di capacità tanto mi-
nore quanto più elevata è la pressione.
Questo fatto in perfetto accordo con quanto il Wer-
theim, il Marey, il Roy ecc. avevano dimostrato rispetto
alla elasticità dei vasi sanguigni, fu verificato specialmente
in rapporto ai vasi degli arti, dei reni e dei polmoni. Ri-
spetto ai vasi cerebrali si ottennero dei risultati meno espli-
citi ; ed ora non saprei dire, se questa cosa sia da attri-
buirsi a condizioni inerenti alle pareti dei vasi 0 all' am-
biente dei medesimi.
11.° Che un dato aumento di pressione dilata i vasi
muscolo-cutanei in proporzione assai maggiore dei vasi
viscerali.
In conseguenza di ciò, l' aumento della pressione del
sangue per cause centrali modificherà la distribuzione del
sangue in favore dei muscoli e della cute, e sarà più facile il
passaggio del sangue dai visceri negli arti, piuttosto che
da questi in quelli.
(11S,S) [48 1
Tra i vasi viscerali, mi parve che subissero minore
dilata/ione quelli del cervello. E perciò il cervello sarebbe
r organo, rispetto al quale la distribuzione del sangue sa-
rebbe meno modificata dagli innalzamenti della pressione
centrale.
III.° Che in seguito all'abbassamento della pressione,
riprendono il volume primitivo più prontamente i vasi vi-
scerali e meno prontamente i vasi degli arti. I vasi poi del
cervello, che si dilatano meno per V aumento della pres-
sione, sono anche quelli che piiÀ prontamente ritornano
sopra sé medesimi, quando la pressione si abbassa.
In conseguenza di questo fatto, quando la pressione ge-
nerale si abbassa, la distribuzione del sangue, almeno nei
primi momenti, si modificherà in danno specialmente dei
visceri e del cervello.
Il ritorno dei vasi al volume primitivo non fu cosi
regolare come la dilatazione dei medesimi ; e ciò credo che
debba essere attribuito a modificazioni relative allo stato di
contrazione delle rispettive fibre muscolari.
IV. ° Che i vasi polmonali si dilatano presso a poco
come i vasi degli altri visceri ; ma dopo essere stati dilatati,
impiegano un tempo assai lungo per riprendere il volume
primitivo, rimangono cioè sfiancati ; lo che devesi, a mio av-
viso, attribuire a paralisi della tonaca muscolare.
Questo fatto potrebbe forse spiegare le ectasie, tanto
frequenti, dei vasi polmonali, e la fr-equenza quindi dei ca-
tarri polmonali, specialmente nei vecchi.
La dilatazione dei vasi delle membra, per una data
pressione, fu, costantemente, così maggiore di quella dei vasi
viscerali, che, in base a queste esperienze, io non esito ad
ammettere, che i vasi muscolo-oidanei costituiscono una
specie di magazziiw di deposito per il sangue che viene
espulso dagli or-gani viscerali.
[49] (1189)
BIBLIOGRAFIA
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cale, contributo allo studio della ci"Colazione cerebrale. Rivista sperim.
d. Freniatria. XVIII (1892) e Arch. ital. d. Biol XIX (1893).
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principeaux tissùs du corps humaine. Ann. d. chim. et d. phys. XXI,
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(12) Mavey. Recherches sur la tension arterielle. Tiaveaux du La-
boratoir. 1878 e 1879. Paris. Masson, 1880.
(13) Roy. — The elastic properties of the arterial wal. .Journ. of.
Physiol. III (1881). Jahresb. iib die Fortschi-. d. Anat. u. Physiol. Iet-
terai 1881. 2 Abth, pag. 63.
Roy. — Note on the elasticity-curve of animai tissues. Journ. of
Physiol. IX. 1888.
(14) Tra i lavori pubblicati intorno alla elasticità dti vasi, meri-
tano di essere ricordati, oltre i precedenti :
Thoma tind Kaefer. — Ueber die Elasticitiit gesunder und kran-
ker Arterien. Archivio di Virchow. B. 116.
Luck. — Ueber Elasticitatsverhaltnisse gesunder und kranker Ar-
terienwànde. Disse rt. Dorpat. 1889.
Kaefer. — Zur Methodik der Elastieitatsmessungen an der Gefas-
swand. Dissert. Dorpat. 1891.
Moens. — Die Pulscurve. Leiden. 1878.
SUL TEOREMA DI CLAIRAUT
P^ELATIYO ALLE GEODETICHE DI UNA SUPERFICIE Di RIVOLUZIONE
InTOTA.
DEL
DOTT. RAFFAELLO D' EMILIO
É generalmente noto che, chiamando r il raggio del
parallelo, passante per un punto P di una superficie di
rivoluzione ed a l'azimut, si ha
r sen a = costante
in tutti i punti P di una determinata geodetica di tal su-
perficie.
Questo teorema, dovuto a Clairaut, viene ordinaria-
mente dimostrato, mettendo in vista le quantità r ed a nel-
l'equazione differenziale del 1° ordine delle geodetiche, ap-
partenenti ad una data superficie di rivoluzione.
Un'altra dimostrazione, fondata sul fatto che un punto
materiale P , vincolato ad una superficie, se non è solle-
citato da alcuna forza, percorre una linea geodetica, si
ottiene speditamente, applicando il principio delle aree {}).
In questa nota vengono esposte altre dimostrazioni, fra
cui una puramente elementare, dell' accennato teorema,
seguite da considerazioni su alcune conseguenze del teorema
stesso.
(1) Resal — Trattato di cinematica pura.
(1192) [2]
1, Se noi consideriamo una superfìcie conica di rivolu-
zione come una superficie piramidale regolare, formata da
un numero infinito di facce di ampiezza angolare infinite-
sima, deduciamo che :
a) Una linea, tracciata sulla superficie conica, quando
si sviluppa tal superficie sopra un piano, conserva la stessa
lunghezza.
b) Gli angoli (azimut) che gli elementi infinitesimi
della linea fanno con le generatrici (linea meridiane) della
superficie conica sono eguali agli angoli, che le rette cor-
rispondenti nello sviluppo piano alle generatrici, fanno con
le tangenti alla sviluppata.
Per la proposizione a) la geodetica (*) determinata sulla
superficie da due punti A , B corrisponderà nello sviluppo
alla retta A'B' (fig. 1). Dalla considerazione del triangolo
piano Y'A.'IV, corrispondenti al triangolo conico VAB, de-
l'iva la relazione
V'A' V^B^
sen B' sen A
che, in virtù della proposizione h), diventa
VA VB
sen B sen A
e poiché VA e VB sono proporzionali ai raggi Ta , >'b <-lei
paralleli, passanti pei punti A e B, si ha
Ta sen A = r^ sen B (1)
in cui A e lì indicano gli azimut della geodetica nei punti
estremi A e B ,
(1) In questa nota ammettiamo come definizione della linea geo-
detica di una data superficie la proprietà di essere in generale quella
più breve fra tutte le linee contermini della stessa superficie.
[3] (1103)
La formula (1) corrisponde al teorema di Clairaut, che
cercheremo di estendere ail una superfìcie di rivoluzione
qualsiasi.
Immaginiamo due zone di due superfìcie coniche di
rivoluzione, aventi un parallelo comune, e segniamo, ri-
si)ettivamente su tali zone, i punti A e B (fig. 2). Consi-
deriamo un terzo })unto C sul parallelo comune ; esso de-
termina le due geodetiche AC e CB ; ora ci proponiamo di
determinare C in modo che sia soddisfatta la condizione
AC -j-CB = minimo
È facile dedurre che « sarà soddisfatta tale condi-
zione, quando gli angoli TCA e T'GB delle due geodetiche
AC , CB con le due opposte direzioni CT' , CT della tan-
gente in C al parallelo, innanzi indicato, siano eguali. »
Ciò resulta dallo sviluppo delle due superfìcie coniche
sopra un piano, quando facciamo coincidere con 1' asse
di simmetria dello sviluppo le due generatrici CG , CG',
corrispondenti alle due superfìcie e passanti pel punto C
{iìg. 3). Infatti, quando sia soddisfatta la condizione, rela-
tiva all'uguaglianza degli angoli TCA , T'CB , A'C e CB' re-
sultano sopra una medesima retta. Essendo C/ e C" due punti
infinitamente vicini a C , appartenenti al parallelo comune
alle due superfìcie coniche [e che nello sviluppo li consi-
deriamo come appartenenti alla tangente TT', comune alle
circonferenze sviluppanti il detto parallelo (considerato co-
me linea delle due superfìcie)] si ha
Al" + C/ìV >. A'C + CìV <;. A'C" -f- C"\V (i)
che ci permette di scorgere come in generale la condizione
TCA' = T'CB'
(1) Questa considerazione corrisponde a quella che in analoga de-
terminazione si fa nel calcolo delle variazioni.
(1194) [4]
sia necessaria e sufficiente, perchè si abbia
AC -|- CB = minimo
Si ha quindi in virtù del teorema innanzi ricordato
Ta sen A ^ re sen TCA = Vc sen T'CB = Tb sen B
quando con 7\ , Tr , r^ indicano i raggi dei paralleli e con
A , B gli azimut della geodetica ACB nei punti A e B.
Il teorema di Clairaut resta cosi dimostrato per un
sistema di più zone coniche, disposte successivamente nel
modo accennato, per le due zone coniche, innanzi conside-
rate. Una superficie di rivoluzione può, seguendo il metodo
degli infinitesimi, considerarsi come un sistema di zone di
superficie coniche di rivoluzione, determinate dai succes-
sivi paralleli (infinitamente vicini) della superficie stessa.
0 pure, seguendo il metodo dei limiti, può considerarsi
come il limite verso cui converga la superficie, formata
da un sistema di zone coniche, inscritte nella primitiva su-
perficie, quando il numero di esse cresca indefinitamente.
Tanto in un modo, quanto nell'altro facilmente si scorge la
ragione del teorema di Clairaut, che si enuncia cosi:
< Per tutti i punti di una geodetica di una superficie
di rivoluzione il prodotto del raggio del parallelo pel seno
deWazwiut geodetico è costante. » (*)
La condizione stabilita innanzi sull' andamento della
geodetica nelle vicinanze del parallelo di passaggio da una
superficie conica all'altra è utile, in generale, nel caso in
cui la geodetica interseca un parallelo, corrispondente ad
un punto angoloso della sezione meridiana. Così vien tolta
r ambiguità che nasce dalla esistenza di due tangenti in
quel punto della stessa sezione meridiana.
E anclie utile ricordare, sempre rimanendo nel campo
(1) Pucci — Pondamenli di Geodesia.
[5] (1195)
elementare, assegnato alla jìresente dimostrazione, che «sulla
.sfera il teorema di Clairaut è una nuova espressione del
teorema di Trigonometria sferica relativo alla proporzio-
nalità fra i seni dei lati e quelli degli angoli opposti. »
Infatti, essendo ABC un triangolo sferico (fig. 4) si ha,
adoperando le solite notazioni :
sen 1) sen A = sen a sen B
e poiché sen b e sen a sono proporzionali ai raggi dei
paralleli passanti per A e B , si ha la relazione
>'a sen A = Tb sen B
cori'ispondente al teorema di Clairaut.
2. Se assumiamo come coordinate curvilinee di un punto
qualsiasi P della superficie di rivoluzione l'arco l di me-
ridiano, compreso fra il punto P ed un determinato pa-
rallelo e la longitudine co , l'espressione
o l'espressione
^i^=Ai^+.w-&
rappresentano 1' elemento lineare della superficie stessa
quando con r o ^ {l) rappresentiamo il raggio del parallelo
passante per uno degli estremi dello stesso elemento ds.
La condizione, a cui deve soddisfare w , perchè una linea
della superficie avente per estremi Po e Pj, sia una geo-
detica si determina facilmente, ponendo la variazione di
(\
eguale a zero. Si ha cosi:
(1196)
'' Vi +^ (ir- Ci;)
[6]
r/i =
=r
fcr-Ti-i"^
ri+.(o<^)'
e (quindi
ed infine si ha
J 1^
l' '+'^»K;^)^
l^i+.w^ey
= 0
Vcm + cp (/)2 r/a)2
/• sen a = costante
Cosi viene dimostrato per alti'a via e con metodo di-
retto il teorema di Clairaut.
Esso si può estendere in molti casi a tutte le super-
fìcie, per le quali l'elemento lineare sia della forma
'«l/i+'-pw^'^y (
specialmente quando alla funzione cp (/) possa assegnarsi un
facile significato geometrico.
(1) Questo risultato si connette a quello a cui pervenne il Massieu,
dimostrando che le superficie di rivoluzione e quelle che resultano dalla
loro deformazione sono le sole per le quali le equazioni differenziali
delle geodetiche ammettono un integrale primo lineare ed omogeneo in
du dr ri, 1 ,
-—- e — . Darboux. Lezioni sulla teoria generale della superficie etc. etc.
ds ds
Terza parte — Parigi 1891.
[7] (1197)
A tale supei-ticie ai)i)arien!4(jnu in virtù rlel teorema di
l).)ur le .supei'tìcie elicoidali. (*)
In particolare l' enunciazione di un tal teorema riesce
a.ssai facile per l'elicoide a piano direttore ; perciò basta so-
stituire ai paralleli le eliche (parallele) formate dai punti
equidistanti dall' asse, al raggio del parallelo la distanza dei
punti dall'asse stesso, ed all'azimut l'angolo che la geode-
tica fa con le generatrici dell'elicoide.
Viceversa, ammesso il teorema di Clairaut, si ottiene
l'equazione
dia e
{A)
di cp (0 K cp {lY — c2
da cui si ricava l'equazione
ri celi
(^A') w — 0)0= /
L ^ (0 i^Cp (/)2 - c-2
della geodetica determinata dai punti (w,, lo) {to l).
Analogamente, se si assumono come coordinate dei punti
P la longitudine w e la latitudine X (coordinate geografiche)
dal teorema di Clairaut si deduce l'equazione differenziale
(Ili) cp
di ^,, |/j,2 (..2
per cui p ed r sono funzioni di X , dipendenti dalla forma
della sezione meridiana. Integrando tale equazione si per-
viene al noto resultato, che rappresentiamo con l'equazione
generale
(B) (o-o3„ = F(X)-F(XJ
(1) Bour — Giornale della Scuola politecnica — XXXIX fascioolo
pag. 1-19 — Parigi 1862.
(1198) [8]
estensibile a tutte le superfìcie applicabili ad una superfìcie
di rivoluzione, (i)
3. Dall'equazione (A) deducesi l'equazione
d(i> 01 e
dt dt^ (/) y^ ^iy2 _ c2
che lega la velocità angolare di rotazione del meridiano
della superfìcie di rivoluzione intorno all'asse e la velocità
di un punto mobile sul meridiano, in modo che il punto
, . dto
stesso percorra una geodetica. Supponendo - - = costante
= V si ha
che è l'equazione differenziale del movimento del })unto sul
meridiano, quando il moto di rotazione dello stesso meri-
diano rispetto all'asse sia uniforme.
4. Con le equazioni
(' X = fi (X) cos (w — Wo)
(a) . V = f\ (X) sen (o) — Wq)
lz=r, (X)
rappresentasi una superfìcie di rivoluzione riferita ad un
sistema di assi ortogonali, quando 1' asse della superfìcie
coincida col coordinato delle z {'^).
(1) A queste ultime superficie appartengono, come caso particolare,
quelle generate dalla traslazione (rettilinea o curvilinea) di una linea
rigida, che si mantenga normale alle traiettorie dei suoi punti. D'altra
parte tali superficie possono, nel caso di traslazione rettilinea, conside-
rarsi come un caso particolare delle superficie di rivoluzione, suppo-
nendo che Tasse sia all' infinito. Le equazioni (^1) e (B) sono un caso
particolare nelle forinole generali a cui si perviene nel caso delle coor-
dinate isoterme.
(2) E facile mostrare che /'[^(X)" -|- A' (^)" ^== P" • infatti essendo per
[9] (1190)
Essendo co — w^ = F (X) })ei* tutti i punti di una j-'eo-
detica,
{x = f\ (X) cos F (X)
(aO \y =f\ (^) ^en F (X)
sono le equazioni che ne danno le coordinate cai'tesiane
dei punti di quella geodetica in funzione della latitudine X.
Dui teorema di Clairaut deriva l'equazione differenziale
ds
che integrata, ricordando che p è una funzione di X, [ve-
dasi nota (1)] ne dà
ed invertendo l'integrale della (P) si ha X = O (.s) : così
le equazioni della geodetica diventano
0^=/-, (0(.s))cosF(0(.))
^ = A ( O (s) ) cos F ( O (.s) )
z = f\{^ {s) )
In generale 1' eliminazione di X fra le equazioni af e
p non è sempre possibile, perciò converrà per esprimere
le coordinate x, y , z dei punti della geodetica in funzione
dell'arco s della geodetica stessa ricorrere alle note serie
di Weingarten (*). 1 coefficienti di tali serie i)ossono de-
dursi dalle (a') e dalla p ricordando che in generale
(o=:coq , dx^ -\- dz'- =r ds^ ■==. p'^dX' si deduce dalle equazioni (a) subito tal
relazione.
(1) Weingarten è stato il primo ad esprimere mediante serie della
forma
a; rr a;,, 4- a,.s 4- n^s^ 4- a^s^ 4-
y = y,-\- b,s 4- b.s'^ 4- b>s^ 4-
(1200) [10]
dY dV dX di 11/ ^
-— = ^T- X:r e che -r- = — 1/ 1 ^ — ,. -, ,^ , . — Il calcolo
ds di ^^ds ds p w /i"2 (X)
riesce alquanto laborioso, ma lo stesso inconveniente si
verifica ([uando i coefficienti della serie si deducono dal-
l' e(iuazione della superficie in coordinate cartesiane.
Essendo (wi , Xj), (w^, l-ì) , {oy^ , X3) le coordinate geogra-
fiche dei vertici A , B , (- di un triangolo geodetico ed in-
dicando con Ci, c~2, C-i le costanti, relative al teorema di Clai-
raut, che corrispondono ai tre lati BC , CA , AB del trian-
golo, si hanno le equazioni
. C3 C^2
A = ang sen
/i ih) ^ n ih)
IJ Ci C3
^ (^-2 Ci
(j = ang sen - — jt-t — ang sen
Dall'equazione ^ deduconsi le lunghezze dei lati xi — BC
s-i = CA S',i ^ AB : si hanno cosi 1' equazioni
^'1 =^(^3, Ci) — t\){l.2, Ci)
S.2 = '\) (Xi , C.2) — ^ (>^3 , Ci)
S3 = 4; {hi , C3) — ^ (Xi , Ci)
Ricordando il teorema di Gauss (Memoria siUle superfì-
cie cm^ve) (*) si conclude che
le coordinate cartesiane dei punti di una geodetica in funzione dell'arco .v
— Pucci op. citata cap. II.
(1) (jauss nella citata memoria dimostra che in un triangolo geode-
tico sopra una superficie qualunque essendo A, B, C gli angoli
A-l-R + C —n^O
secondo che la superficie sia concavo -concavo (o convessa -convessa) 0
concavo-convessa.
[11] (1201)
ang- .sen -|- ang- sen , -|- ang- sen
fi ih) ' " - /i (X,) ' ^ ^ A (X.)J
secondo che il meridiano sia concavo o convesso verso l'asse
di rotazione della superficie, ovvero secondo che per w ^ wq
5. Il momento statico di una forza T , la cui linea di
azione faccia con un asse l'angolo ^ , se con l indica la
minima distanza delle due rette, è espresso da
TI sen p.
Considerando una linea fiiniculare, giacente sopra una
superficie di rivoluzione e soggetta all' azione di forze in
equilibrio, dirette secondo le tangenti alla linea stessa e
secondo le normali alla superficie, applicando il teorema
dei momenti rispetto all' asse della superficie di rivolu-
zione alle forze (in equilibrio) che agiscono sopra un ele-
mento infinitesimo della linea funicolare si ha il diffe-
renziale
d {TI sen^) = 0
e quindi TI sen ^ = costante, quando con T indichiamo la
tensione di quell'elemento. Scomponendo la tensione T in
due componenti : una secondo la tangente al parallelo,
l'altra secondo la tangente al meridiano, osservando che il
momento di quest'ultima è nullo, si ha
T^ sen p = Tr sen a = costante
quando con r indichiamo il raggio del parallelo e con a
l'azimut della linea d'azione di T — Nel caso di una filaria,
la linea, secondo cui si dispone, è una geodetica della su-
perficie di rivoluzione, ed essendo T costante, si ha
r sen a = e
che corrisponde al teorema di Clairaut.
(1202) [12]
Lo rette dello ,spHZÌ(j, il cui in ; mento (Cayley) -sia
costante rispetto all'asse della superficie di rivoluzione, for-
mano un complesso : tale complesso intersega il complesso
delle rette tangenti alla superficie secondo una congruenza,
costituita da una semplice infinità di superficie rigate svi-
luppabili, aventi per spigolo di regresso le geodetiche, de-
finite dal parametro e e che intersegano quindi ciascun
parallelo secondo angoli eguali.
Firenze^ A'prile i893.
Prezzo della Dispensa
Fogli 7 a Cent. 25 L. 1.75
1 Tavola litografata » 0.25
Totale L. 2.00
I N T 0 R K 0
ALL'UTILITÀ ED ALLA POSSIBILITÀ DEL TRADURRE
Considerazioni e digressioni
A PROPOSITO DI INA PUBBLICAZIONE DI E. TEZA
DEL M. E. P. FAMBRI
Questo librettino di E. Teza (*) cui deve applicarsi il
rincarato diminutivo per la piccolezza del formato e del nu-
mero delle pagine fa però molto sentire e anche pensare
a parecchie cose.
Principio dalla prima, che ha importanza generale. C'è
di molta gente la quale non si perita a dire : non traducete
mai perchè tradurre è tradire, qualunque sia la forza dello
scrittore, qualunque il possesso suo delle due lingue. — Se
chiedete il perchè si risponderà: — perchè si potrà fare
magari un'altra bella cosa ma non render quella.
Anzi tutto l'aversi un' altra bella cosa è proprio cosi
piccolo vantaggio da doversi disdegnare ? — Di un gran
pittore, a cagion d'esempio, che faccia un ritratto, il quale
poniamo, non somigli punto ma riesca, come opera d' arte,
un capo lavoro, oserete forse dire che ha perduto del tempo
e sciupato della tela? — Sappiamo noi se i maravigliosi
ritratti di Tiziano, di Raffaello e di Frantz-Hanz fossero
tutti somiglianti ? chi ce ne assicura e, tranne qualche caso,
chi neppur glie ne importa ?
(1) E. Teza — un libro di poesie Boeme tradotte in Tedesco —
Verona, Donato Tedeschi e figlio, 1893.
^- ìi -^
io mi ricordo di avere veduti in Iscozia tre famosi ri-
tratti di Maria Stuarda i quali si direbbero di tre diverse
persone. Almeno due di quelli sarebbero pertanto non tradu-
zioni ma tradimenti in tela e roba da buttar via ; se non che
il buon gustaio si oppone perchè sono a ogni modo tre
importanti lavori uno dei quali, e neppure ini parve il mi-
gliore, pagato, dicesi, a Parigi la bagatella di duecento
mila lire da un mercante il quale non aveva 11 pronta una
famiglia Stuarda cui rivenderlo.
Ma a parte anche la questione utilitaria, è poi vero
che sia impossibile tradurre ? — Impossibilissimo, si osa
rispondere perchè tanto gli spiriti che le lingue mancano,
e debbono necessariamente mancare di parallelismo, e
quindi i singoli termini, nelle cui squisite relazioni sta il
magistero dell' arte, non può venirci esattamente resa.
Io non dubito qui di osare un riscontro saltando dalle
regioni vaghe ed eteree del bello a quelle rigorose del vero.
Nella scienza dei computi e dei rapporti non si considerano
mica le sole eguaglianze ma anche le equivalenze che in
fondo sono eguaglianze anch'esse, non per combaciamento
di patti e particolari omologhi ma per valori complessivi.
Dire a -\- b -{- e eguale 3i p -\~ q -\- r non vuol cer-
tamente dire a = p, b = q, e = r ma bensì che pren-
dere l'uno 0 l'altro dei due gruppi non fa differenza.
E una similitudine ed una considerazione che mi venne
fatta una trentina d'anni fa ragionando d'arte con un fe-
condo poeta Greco, apprezzatissimo dal Tommaseo, a pro-
posito della versione Leopardiana di non ricordo quale
frammento di idillio antico. Il maggiore Manussos (tale era
il nome di questo straniero per amore dell' Italia di-
venutomi commilitone) mi recitava 1' originale greco fa-
cendo notare la perfetta rispondenza della realtà del si-
gnificato e della virtualità della impressione del tutto mal-
grado la divergentissima forma delle parti.
E tale divergenza egli mi fece osservare necessaria
non che opportuna traducendomi poi letteralmente il testo
^ — ili —
greco il quale veniva a perderne quasi ogni attrattiva ed
efficacia sua. Cosi è — in letteratura 1' eguaglianza delle
parti non da quella del tutto, che invece quella dello spi-
rito informatore può dare.
La letteratura esclude le eguaglianze ammette le equi-
valenze.
E non le ammette, non le crea essa la natura ? — Lo
studio parallelo di proverbi, canti e leggende delle varie
regioni prova che la natura traduce. Infatti di tutta codesta
roba molto più della metà, e direi dei tre (|uarti, è comune
a tutti i po])oli in tutti i tempi.
Evidentemente l'idea viaggiava anche prima che ci fos-
sero le strade e navigazioni di lungo corso — e se non
è vero che viaggiasse l'idea tradotta dalla natura la cosa
significa ancora di più e assai maggiormente ci aiuta la tesi,
poiché significa che varii ingegni hanno dedotto o indotto da
circostanze analoghe motti, sentenze e talvolta componi-
nìenti interi di identico significato e valore in poco meno
che identica forma.
I volumi dei folcrolisti son lì per affermare con ri-
scontri senza numero questa irrecusabile prova del potersi
con pari originalità e, se vuoisi, verginità di forma in qual-
siasi favella formulare non solo gli stessi pronunziati della
ragione ma gli stessi parti della fantasia e dare sfogo ai sen-
timenti e ai bisogni morali con tale equivalente efficacia da
lasciare perplesso l'animo di chi, intendendo ed adoperando
egualmente i diversi stromenti linguistici, fosse chiamato a
dare intorno ai diversi prodotti un giudizio comparativo.
Ora se il fatto dell'equivalenza è possibile fino ad es-
sere comune in natura deve essere altrimenti in arte e la
questione starà proprio tutta, o quasi, nel valore dell'ar-
tista in quanto a potenza nel maneggiare lo stromento ed
abilità nel o-ipare e barattare ali ostacoli.
— tv —
E sono essi possibili, domanda qualcheduno, codesti
potenti ed abili in più favelle ? — Di Dante, dice il Teza,
quanto men puro il latino tanto sgorga più limpido nella
veemenza sua l'Italiano ; il Poliziano e il Bembo, più gram-
matici e filoioghi, non sono i poeti majorum gentium. 11
Teza non li ama gli ambi destri perchè, a sentir lui, una fon-
tana non può far due fiumi, e se li fa, non sono gran fatto
correnti.
Cosi dice la canzone che cita e potrebbe anche non aver
sempre ragione. Infatti, a cagion d'esempio, sono abbastanza
correnti, sembra, la pittui'a, la scultura e l'architettura di
Michelangelo; così la meccanica, l'idraulica, l'architettura e
la pittura di Leonardo — abbastanza correnti, anche venendo
più verso noi, sono la filosofia, la giurisprudenza, la matema-
tica e la letteratura del Leibnitz, e la scienza naturale e la
vis poetica del Goethe, come, tornando a scostarsi da noi, la
potenza filosofica a quella tragica di Seneca (i), le quali non
cederebbero che a quelle di Bacone se fosse proprio assodato
che egli fosse il vero Shakespeare od anche semplicemente
un suo ispiratore o collaboratore.
Se non che in seguito della sua notabilissima prefa-
zione ci viene un po' anch' egli il Teza in quest'idea poiché
rammenta che l'Albert, il traduttore tedesco dei canti Boemi
è già un famoso chirurgo, mano e mente onore della scuola
viennese, che delle glorie ne ha tante.
Riporto le sue parole perchè degne e giuste.
« Non faceva meraviglia una volta che il Redi scri-
(1) È ritenuto che il Seneca filosofo è uno, e quello tragico un
altro. Ritenuto dico, non, eh' io sappia, dimostrato. Io, finché non sia
rigorosamente dimostrata la dualità sono per l'unità delle persone. C è
tanto di comune nell' indole e nel gusto ! — Così c'è tanto Bacone nello
Shakespeare e tanto Shakespeare nel Bacone !
Se sono due sono, a senso mio, due unità sdoppiate. E dissi a
senso mio, non a parer mio, poiché non é un'opinione, sarebbe troi)po,
ma un' impressione che esprimo.
» Avesse ricette e sonetti, come nessuno stupiva che il Prie-
» stk\v fosse teologo, matematico, medico e chimico. Codesto
» usa adesso meno assai : la società ha le imprese di scienza,
» e da' suoi braccianti vuole la giornata intera : chi cerca
» un po' di spasso al suo ftiticoso cervello diventa, innanzi
» a questi arcigni inquisitori, un operaio briaco. Lo pagano
» tanto !
» Il deviare è necessità molto spesso. Avvocati, come il
» Morreau, filologi, come il Mitscherlich, diventano chimici ;
» ma poi restano al fornello, corroborati, e bene, dagli studi
» di pi'ima ; che, se è vero, come dice a me una voce amica,
» che l'Albert a queste nobili feste che porta nella vita dei
» dotti la poesia, arrivi solo nell'età matura, l'esempio è più
» raro, e da tenerne conto.
» Come l'arco non sale e scende per le corde, a pre-
» mere o a lambire, con forza e con grazia, se non lo pose
» nella giovane mano un severo maestro, cosi nelle sotti-
» gliezze dei ritmi, delle immagini, delle parole, dei suoni,
» r artista nuovo va meno franco e spedito. Dico artista e
)) non poeta ; non l'uomo che fa, ma l'altro che contempla
» e sente, ammira e rifa ».
Tutto sta che rifaccia non contraffaccia — anche con-
traffacendo e strafacendo però a volte (quando s'ha il poeta
anche mancando Vartista) n'escono capi d'opera. Benvenuti
sempre !
Bernardo Davanzati, a cagion d'esempio, non è davvero
Cajo Cornelio Tacito; niente meno che invece di un romano
togato e arcigno è un fiorentinaccio di via delVAriento
sboccato, sguaiato e colle maniche rimboccate. Malgrado ciò
l'impressione morale e politica di chi Io viene leggendo è
Tacitiana. Nella dignità certo no, ma testo e traduzione si
valgono per la vis e gli effetti.
— VI —
II.
)) r>eati qutì signoi-i dell'arte che, degli .sti'uraeiiti raae-
» stri, ne hanno nno solo: quei poeti che cantano con le voci
» della mamma, che non si vantano che di una sola lingua.
» Gli altri stromenti servono a' giochi o all'addestrare l'o-
» peratore e non altro. Quanto è meno puro il latino di
» Dante, (si permetta la ripetuta citazione) più sgorga lim-
» pido nella veemenza il suo italiano ; gli amhidestri, come
» il Poliziano od il Bembo, non sono i poeti majorum gen-
» Hum ; i quali hanno un cuor solo, un solo intelletto, una
» sola parola » .
E verissimo che il Poliziano ed il Bembo, ambidestri,
non sono i poeti majorem gentium, ma non credo che
manchi loro questa grande fortuna proprio per il fatto
dell' essere stati ambidestri.
Per non dire del Bembo cui molto accordarono, ma
molto negarono pure le Muse, al Poliziano, certo mancò
una cosa, ma piuttosto importante, il genio.
Nel garbo, nella snellezza, nella proprietà, nel gusto
in tutto il magistero della lingua e del verso egli poteva
dirsi superiore al Tasso, non minore dell'Ariosto.
Non fu il poeta majorem gentium per ragioni di ric-
chezza ma di povertà. Linguista e limatore più perfetto
certamente non poteva riuscire neanche se fosse stato mae-
stro di un solo strumento, ma precisamente per la ragione
opposta quella cioè dell'avere avuto più fine il gusto che
largo l'intelletto, più ricca la forma che la fantasia e più
perfetta la tecnica che potente la concezione. Del resto non-
ché ambidestri furono, ripeto, polidestri Michelangelo, Raf-
faele, Leonardo. Isacco Newton, forse la maggior testa
che sia mai stata portata sopra due spalle, rispose a chi
— VII —
lo rimproverava del voler essere oltre che matematico, an-
che fisico, filosofo, teologo e critico : homo unius negotii,
homo nullius negotii.
E queste cose sono tiitt' altro che dette a confutazione
del Teza il quale nelle pagine che seguitano della sua acu-
tissima prefazione alle versioni tedesche di Eduardo Albert
approva che questo valent'uomo, potente seguace d'Ippocrate,
vada a spasso anche a braccetto d'Apollo.
Io dunque nella tesi generale sono d'accordo col Teza
soltanto vo più innanzi e credo all' uomo ambidestro non
per sola necessità di distrazione e non per solo spasso :
credo che certe fontane possano, contro il proverbio, fare
due fiumi molto ricchi e molto correnti, e credo che pre-
cisamente in questo periodo della divisione e suddivisione
del lavoro scientifico il solo argine possibile dalle ari-
dezze che potrebbero anche divenire atrofie dell'analisi bi-
sogna che gl'ingegni più larghi ed alti si difendano per
l'appunto variando e moltiplicando il lavoro.
A mezzo la prefazione il Teza riparla della possibilità
o no di ben tradurre.
E anche qui ci troviamo in fondo d'accordo.
Egli riconosce che l'Albert valorosamente e vantaggio-
samente combattè corpo a corpo le difiRcoltà della tra-
duzione.
Non io entrerò a discutere dei pregi paralleli del te-
sto boemo e della versione tedesca, — volto pagina e leggo
la sua versione italiana nella quale veggo una riprova della
possibilità di belle ed efficaci traduzioni.
Ma quale riprova, potrà vivacemente obiettare qual-
cuno, se il boemo vi è estraneo?
Questa — rispondo — che la leggenda rimane bella e
commovente, che del parallelismo del testo e della versione
non mi è lecito dubitare sapendo di legger cosa di uno fra
i più coscienziosi e potenti filoioghi d'oggidì.
Ora se ci sono queste due cose : parallelismo e bellezza,
significa che non manca fedeltà perchè bellezza senza pa-
— vili —
rallelisnio potrebbe darsi ma pi-esentando un tiitt' altro
lavoro dall' originale, ma conservandone rigorosamente
l'ordine o le bellezze non esistono più o rimangono fedel-
mente della natura di quelle che riproducono.
E della possibilità del tradure fedele non parlo altro.
111.
L' equivalenza è fedeltà sostanziale ed è alta, anzi so-
vrana difesa dalle infedeltà spesso inseparabili dal metodo
rigorosamente letterale.
In poesia equivalenza è parità d' impressioni e di ef-
ficacia.
Qui e' è senza dubbio e nella traduzione e nella tra-
duzione della traduzione.
La leggenda del salice è breve e semplice. In poche
parole la espongo.
La moglie del barone della leggenda quando dorme
par morta, di lei non si sente il più piccolo respiro, il suo
corpo è ghiacciato e stecchito e anche se piange il tenero
bambino suo non lo sente. Che è ciò ? dev'essere una ma-
lattia ? bisogna dice egli (il barone) — darsene pensiero e
curarla. La poveretta, che sa di che si tratti, s' oppone in
forma supplice dicendogli :
Quel che la Parca vuole comandare
parola d' uomo non lo può disfare.
E s'anco io dormo che non batte il cuore
io sono nelle mani del Signore ;
io sono nelle mani del Signore
e la notte mi guarda a tutte V ore
E s' anco dormo coni' io fossi morta,
il mattino la vita mi riporta ;
e sana mi risveglio e m" alzo anch' io !
Dunque lasciami in mano al buon Iddio !
— IX —
Ma, come dice apostrofandola il canto (forma toccan-
tissima e caratteristica della poesia popolare) :
non valgon le [larole per mente
il tuo signore ha un' altra cosa in mente.
Infatti egli va dalla strega e vuol sapere come stia
la faccenda che durante la notte il corpo di sua moglie
è ghiacciato e stecchito.
La mala strega risponde e li perde entrambi colla
verità :
Ma come dunque non sarebbe morta
se mezza vita e nulla più, la porta ?
con te il giorno quell'anima soggiorna
poi la notte ad un albero ritorna.
Va in giardino, al ruscello, a mano manca
un salcio vedi di corteccia bianca,
e rami gialli, sulla sponda ombrosa :
della tua moglie l'anima vi posa.
E il disgraziato barone intende di avere sposato una
donna perchè se la viva entro a un salice e che di mezza
moglie non si contenta, da di piglio alla scure e corre a
schiantare il disgraziato salice insino alla radice.
Dentro all'acqua corrente fitto piomba
e dal profondo subito rimbomba
con un lungo sospir.
Dopo questo infelice lavoro fatto collo proprie mani il
barone s'avvia a casa
A casa quc^nta gente dentro e fuora!
Per chi mai suoqa l'ultima sua ora?
domanda egli,
Non .si sa chi, un qualche essere molto impersonale
e sommamente personale nel tempo stesso, perchè sintetico
come il coro greco, lo informa di quanto è accaduto non si
limitando a narrarglielo ma esprimendogliene i particolari,
il giudizio, r impressione. Sei soli versi, ma che spezzano
il core ;
È la tua donna poco fa spirata
parea l'avesse una falce falciata !
Girava per la casa quella santa
cade a un tratto, com'arbor che si schianta,
e cerca il suo bambino e volge in giro
lo sguardo e mette l'ultimo respiro.
L' infelice barone sotto lo strazio del rimorso e dell'a-
more prorrompe in pianto disperato:
Ahi non sapendo nella mia follia,
io t'ho ammazzata dolce donna mia !
Del tuo bambino, del bambino bello
ho fatto a questo mondo un orfanello !
0 bianco salcio, salcio di dolore
oh quanto hai tormentato questo cuore !
Mezza vita da me vieni a strappare,
bianco salcio, di te che deggio fare ?
— Dà gli ordini mi tolgan dal ruscello
e taglino ogni giallo ramoscello
pialli gli assi per bene il legnaiolo
faccia una culla per il tuo figliolo :
poi metti nella culla il tuo bamcino
che non abbia a strillare il poverino.
Quando ninnando lo faran dormire
lo verrà la sua mamma a custodire
E pianta il ramoscello sulla sponda
che non si guasti colà presso all'onda
E quando il bambino sarà piìi grandino
farà con la corteccia un zufolino
e zufolando mesto canterà
con la sua buona mani ma parlerà.
— XI —
Ebbene in tutto questo non c'è né il vero né il vero-
simile. Nessun riscontro colla vita reale, nessuna remini-
scenza quindi possibile nell' animo del lettore. Eppure la
leggenda inonda l'animo di una tristezza che arriva allo
strazio e di una pietà profonda e santa verso la vittima
ed anche verso lo sconsigliato sacrificatore.
Come avviene ciò che questa potenza la quale a fil di
logica si direbbe non dover appartenere che al vero o per
lo meno al probabile, sia raggiunta in tal grado anche da
ciò che non ha niente di comune neppur col possibile ? E
dunque capace di astrazione avventatamente analogica non
solo la facoltà intellettiva, ma anche l'affettiva ?
L'esperienza ci prova che la cosa è vera a tal punto
che l'interesse più sincero ed intenso può dall'arte venire
accaparrato anche in prò' di astrazioni e di finzioni per
niente antropomorfiche. — Gli esempi non sono certo molti
ma grandi.
Negli ultimi versi del più filosofico dei suoi carmi Gia-
como Leopardi, per esempio, desta nelle anime elevate e
gentili un senso di malinconica pietà, di affettuoso rimpianto
parlandoci delle pigre ma non frenabili lave che tardi forse
ma inesorabilmente arderebbero e coprirebbero le sue ado-
rate ginestre. E un miracolo di vanità eppure nel tempo
stesso nobiltà e santità di compianto, cioè tutt' altro che
affettività sviata e sciupata.
Chi osservasse leggermente il fatto sarebbe tentato ad
indurne che l' arte arriva ad essere più forte della verità.
Non mancano infatti, e numerosi, gli esempi di episodi non
solo in ogni parte conformi al vero ma rigorosamente ac-
certati che lasciano freddo lo spirito e presso che indiffe-
rente l'animo. Basterà mettere innanzi due esempi : La Zaira
del Voltaire e Y Otello dello Shakespeare (i) rappresentati
(1) Il Manzoni nella sua lettre a M."" (Chawet) sur l'unite de
temp.i et de lieu dam li, trar/sdif fa un importante raffronto tra l'Otello
e Li Zaira,
— XII —
dallo ste>so attore : il Salvini, quindi a perfetta j ai'ità di
potenza plastica e drammatica di esecuzione. La morte di
Zaira e quella di Orosmane non fanno proprio nò caldo
né freddo. Dopo la tragedia si può restare alla farsa e vo-
lentierissimo ridere per poco che ci sia dello spirito ; —
dopo la morte di Desdemona invece la tristezza è invincibi-
le. Se qualcheduno resta alla farsa vuol dire che ha qual-
cheduno da aspettare od è un idiota senza intelletto nò cuore.
— E come va ciò, mentre per il fatto Orosmane e Zaira
sono senza confronto più conformi alla modernità del costu-
me ed alla probabilità degli eventi che noi sieno Otello e
Desdemona, dei quali 1' uno non ha nulla di comune con
quella che noi chiamammo civiltà nostra e l'altra di comune
ci ha egualmente pochissimo cogli avvedimenti e le energie
che nel mondo che noi viviamo, ed anche in quello che si
viveva tre secoli fa, distinguevano l' intelletto e il cuore della
donna anche più passivamente dolce e gentile.
Egli è il carattere insopportabilmente convenzionale
e accademico che, nella Zaira, malgrado una certa abi-
lità scenica, annienta qualsiasi partecipazione del senti-
mento alle barbare sorti della svenevole francese e di
queir altro rogantino più o meno tartaro, mentre sono
r altezza poetica e la insuperabile realtà psicologica che
destano e incatenano la più ansiosa pietà su Otello e De-
sdemona, persone rese improbabili se non a dirittura im-
possibili dalle maggiori deficienze della preparazione scenica.
Ciò non vuol dire che la verità sia meno forte del-
l'Arte, ma vuol dire che quando l'Arte chiude in sé tanta
essenza e potenza di verità da strappare 1' adesione degli
intelletti e degli animi, il suo effetto è immancabile ed
estremo, anche se le circostanze di fatto non rispondano
in tutto a quelle della vita e persino anche se gli esseri
sieno inesistiti e, per contraddizione colle leggi dell'essere,
inesistibili.
Non conosco, per darne un altro degli esempi, scena
né drammatica né musicale che commova né più né così
profondamente l'animo come il triste abbandono e la con-
seguente fine di Elsa di Brabante nel Lohengrin.
Eppure il cavaliere, la donna e tutta l'avventura sono
impossibili fino all'assurdo. — Perchè interessano? — E
quando pure Elsa somigliasse a qualche cosa di reale per-
chè accorarsi tanto per lei che la felicità propria stolida-
mente e anche ingratamente gettò per aver dato ascolto
ai nemici di colui, che pur l'aveva salvata? — EU' è una
Psiche medievalmente vestita, eppure per lei ogni gentile
anima sospira dal fondo, mentre nella sorte della ninfa di
Apuleio ciascuno vede indifferente e sorridente pur anco
il castigo della indiscreta, pettegola e curiosa femminilità.
E neppur ciò mostra una prevalenza qualsiasi del fanta-
stico sul reale, e meno ancora una repugnanza ad esso, —
mostra il contrario anzi, il preciso contrario, poiché mostra
la preferenza dell' essenziale sull'eventuale, cioè dell' antro-
pomorfismo intimo e profondo sopra quello esteriore e con-
tingente.
L'arte sovrumana e perfino esb^a imiana, anche fino
all' assurdo, nei casi rappresentati può trovare e trova le
vie del cuore se intensamente e potentemente reale nella
introspezione e riproduzione intellettiva ed affettiva. Il
che risulta tutto in omaggio di quel vero che, anche
nella idealità presenta la umanità intrinseca della natura
in confronto di quello che, per 1' assenza della qualità che
la caratterizzano e determinano, rimane invece, malgrado
la verosimiglianza e magari anche la dimostrata autenti-
cità storica, vago ed estrinseco.
E non è questione di naturalismo o idealismo questa,
ma (ammessa la sovranità del vero) di scelta fra le verità
da prendere e del posto e la luce sotto cui sajìerle pre-
sentare.
11 qual lavoro del pensiero, e qui viene irrecusabile
una conclusione, deve essere possibile con qualunque segno
grafico o fonetico posto al servizio del pensiero da una ci-
^— XI V -^
viltà abbastanza progredita da non mancarle nunic:'!cani?nte
quegli stromenti che hanno nome vocaboli.
Le loro combinazioni e }iermutazioni, per la mancanza
di riscontri analogici delle storie, dei climi, delle indoli
e delle stesse fisiologie e psicologie umane non possono
certame!. te combaciare, ma gli insiemi debbono potersi
riprodurre colla stessa complessiva verità colla quale, anche
con diversissimi materiali ma adatta capacità di lavoro, le
costruzioni di un tempo e di un paese possono, da chi
sappia, riprodursi tal quali nelle più varie condizioni cir-
costanti.
Uguaglianze mai, ripeto la distinzione prima, ma, date
le attitudini, equivalenze sempre.
IV
Ma le equivalenze sono esse da ricercarsi nell'arte? —
Mette conto ?
Se mette conto ! — Risponda per me lo scrittore che
oggi lodo ed assalto ad un tempo.
« Voglio avvisare gli amatori della buona poesia, egli
» dice, che i lavori come questo dell' Albert aprono una
» porta nuova e che, soggiunge, bisogna essere grati al-
» r amor patrio di lui che riaccoda nella poesia chie
» nazioni. » ^
E questa è la verità. — Riaccosta le nazioni il ben
tradurre.
Che poi la cosa non sia impossibile a farsi bene parmi
dimostrato abbastanza dalle ragioni e sopratutto dalle cita-
zioni messe avanti finora.
A Pirrone, negante il moto, un hlosofo greco passeg-
seggiava senz' altro davanti — leggei-e al Teza la versione
— JiV --
del Teza è, senza dubbio, confutargli con altrettanta posi-
tiva efficacia quell' impossibile che scatta dalla sua coscienza
critica di filologo cui egli dovrebbe contrapporre diretta-
mente quella, senza confronto più sintetica e significativa,
di artista.
Farà egli ciò ? — Difficilmente io credo, poiché fra
noi latini segnatamente due cose non si possono pressoché
mai impedire — la prima che gli uomini minori sieno
giusti cogli altri, e la seconda che i migliori e maggiori
non sieno ingiusti con sé.
Atti del R. Ist. Ven.
Tav.MI
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