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Full text of "Atti del Reale Istituto veneto di scienze, lettere ed arti"

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HARVARD     UNIVERSITY. 


LIBRARY 


MUSEUM   OF  COMPARATIVE  ZOOLOGY. 


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ATTI 


D  E  L 


R.  ISTITUTO  VENETO 


SCIENZE.   LETTERE  ED  ARTI 


(TOMO  LI) 

SERIK   SETTIMA  -  TOMO  QUARTO 

DISPENSA  QUINTA 


\  E  X  E  Z I A 


PRESSO     LA     SEGRETERIA     DEL     R.     ISTITUTO 

NIX     PALAZZO      LORrDA.S! 


TIP.    CARLO   FERRARI 
^  M  1892-93 


Pubbl.  il  23  Aprile  1893 


INDICE 


Atto  verbale  dell'Adunanza  ordinaria  del  giorno  26  marzo 

1893 pag.  699 


Lavori  letti  per  la  pubblicazione  negli  Atti 

A.  De  Giovanni,  m.  e.,  e  P.  Castellino.  —  Sulle  modifi- 
cazioni vasali  durante  il  processo  infiammato- 
rio. Comunicazione pag.  703 

A.  Favaro,  m.  e.  —  Sopra  un  Capitolo  attribuito   a  Ga- 

lileo Galilei.  Nota »      725 

Detto     —  Gli  oppositori  di  Galileo.  Studi »      731 

B.  MoRSOLiN,  m.  e.  —  Delle  Opere  del  dott.    Pietro    Er- 

cole. Comunicazione »      746 

G.  De  Leva,  m.  e.  —  Sull'Opera  di  Francesco  Nitti  : 
«Leone  X  e  la  sua  politica,  secondo  docu- 
menti e  carteggi  inediti.  Firenze   1892.  »  Nota.       »      748 

G.  B.  De  Toni,  s.  c.  —  Sopra  una  Bacillariea  (Suriraya 
helvetica  Brun)  confermata  propria  della  flo- 
rula  lacustre  alpina.  Nota »      754 

E.  Padova,  s.  c.  —  Sopra  un  problema  di  dinamica.  Co- 
municazione    »      757 

T.  Martini,  m.  e.  —  Intorno  ai  fenomeni  di  soprasatu- 
razione. Nota  soconda »      761 

E.  Callecari.  —  L'assedio  di  Torino  nel  1706,    secondo 

le  raemoiie  del  tempo.  Nota  storica     ....       »      779 

S.  Lussana  e  G.  Bozzola.  —  Relazione  fra  la  temperatu- 
ra di  gelo  e  quella  del  massimo  di  densità 
dell'acqua  che  contiene  disciolti  dei  sali.  Ri- 
cerche sperimentali »      785 


Elenco  dei  libri  e  delle  opere  periodiche,  pervenute   al  R. 
Istituto  nell'aprile  1893 


ANNO    1892-93  DISPENSA    V. 

ADUNANZA    ORDINARIA 

DEL     G-IOR3SrO     36     Is/LJ^'RZO     d.893 


PRESIDENZA    DEL    COMM.    NOB.    EDOARDO    DE    BETTA 
PRESIDENTE 

Sono  presenti  i  membri  effettivi  :  Minich,  vicepresidente, 
Fambri,  segretario,  Berchet,  vicesegretario,  Pirona, 
De  Leva,  Ylacovich,  Lorenzoni,  Trois,  E.  Bernardi, 
Mons/  J.  Bernardi,  Beltraisie,  Gloria,  Marinelli,  De 
Giovanni,  Fertile,  Bellati,  Deodati,  Stefani,  Teza, 
MoRsoLiN,  Veronese  ;  nonché  i  soci  corrispondenti  : 
Occioni-Bonaffons,  Cassani,  Galanti,  G.  B.  De  Toni 
e  Padova. 

Sono  giustificati  gli  assenti  membri  effettivi  :  Lampertico, 
Favaro,  Keller,  Tamassia  ;  ed  il  socio  coi'rispondente 
Bertolini. 


Letto  ed  approvato  l'Atto  verbale  della  precedente 
adunanza,  il  Presidente  comunicò  l' elenco  dei  libri  ed 
opuscoli  pervenuti  in  dono,  e  delle  0})ere  acquistate  dopo 
r  adunanza  del  passato  febbraio,  in  particolare  accennando 
al  dono  fatto  dal  Ministero  della  Pubblica  Istruzione  del 
Iir  volume  parte  P  delle  Opere  di  Galileo  Galilei,  edi- 
zione nazionale  sotto  gli  auspicii  di  S.  M.  il  Re  d'Italia; 
ed  al  dono  fatto  dal  socio  corrispondente  Ghicchi   di    una 

T.  IV,  ò'.   VJI  46 


700 

raccolta  di  fotografie  eseguite  in  occasione  delle  feste  del 
Centenario  Galileiano  in  Padova. 

Dopo  di  che  il  segretario  Conini.  Paulo  Farnbri  diede 
lettura  della  sua  Commeuiorazione  del  membro  effettivo 
Aristide  Gabelli,  cui  seguirono  alcune  parole  in  onore  al 
compianto  collega,  del  membro  effettivo   Te  za. 

Si  tennero  quindi  le  letture  e  comunicazioni  poste 
all'  ordine  del  giorno,  cioè  : 

Dal  m.  e.  G.  De  Leva.  —  SuW  Opera  di  Francesco  Nitti: 

«  Leone  X  e  la  sita  politica.  »  Firenze,  1892. 
Dal  m.  e.  A.  Favai^o.  —  Gli  oppositori   di  GalUeo.  -  IL 

Uberto  Froidmont. 
Dallo  stesso.  —  Sopra    un   capitolo   attribuito    a    Galileo 

Galilei. 
Dal  s.  e.  G.  B.  De  Toni.  —  Sopra  una  Bacillariea  (Su- 

riraya    helvetica    Brun)     confennata    propria    della 

florula  lacustre  alpina. 
Dal  s.  e.  E.  Padova.  —  Sopra  un  problema  di  dinamica. 

-  Comunicazione. 

Ed  in  conformità  all'articolo  8°  del  Regolamento  interno: 

Dal  m.  e.  Lorenzoni,  una  Nota  del  D.""  A.  Abetti,  intito- 
lata :  —  Osservazioni  di  comete  e  di  pianetini  fatte 
a  Padova  dal  marzo  189  i  al  marzo  1893. 

Dal  m.  e.  A.  De  Giovanni,  due  Note  del  D/  P.  Castellino, 
intitolate:  —  P  Della  fagocitosi  durante  V inanizione 
lenta.  -  IP  Alterazioni  fisico  -  ci  ri  miche  durante  la 
inanizione  lenta. 

Dal  m.  e.  G.  De  Leva,  una  Nota  del  Prof.  E.  Callegari, 
intitolata:  —  L'assedio  di  Torino  nel  1706  secondo 
le  memorie  del  tempo. 

Dal  m.  e.  M.  Bellati,  una  Nota  dei  Signori  iS.  Lussana 
e  G.  Bozzola,  intitolata  :  —  Relazione  fra  l'  abbas- 
sarjìento  della  temperatura  di  gelo  e  quella  del  mas- 


701 

siiiHj  di  (ìcnsUà    (Icir  (ic<pt(i    conlenerUe    d/sviolli   dei 
sali.  -  Ricerche  .sperimentali. 

Terminate  (jiie-ste  letture  e  comunicazioni,  1'  Istituto  si 
raccolse  in  adunanza  segreta,  nella  (juale  si  occupò  dei 
projìri  affari   interni  posti  all'ordine  del  giorno. 


SULLE  MODIFICAZIONI  VASALI 

DURANTE   IL   PROCESSO   INFIAMMATORIO 

Coinuiiicazioiie 

I)  E  r. 
PROF.  A.  DE  (IIOYAXXI  e  dott.  P.  CASTELLINO 


Lo  studio  del  })i*oces.so  iutìaiaiuatorio,  dalle  prime  ossev- 
vazioni  di  Dutrochet  e  Wallez  fino  a  quelle  successive  e 
})iù  precise  di  Bauer,  Me^yer,  Wirchow,  Cohnlieim,  Samuel, 
A^^eigert,  Granwitz  e  loro  allievi,  ed  affatto  recentemente 
di  Metclmikoff,  vanta  cosi  tale  una  ricca  e  vasta  letteratura 
che  si  può  sicuramente  affermare  che  nessun  altro  argomento 
nel  campo  delle  dottrine  biologiche  è  stato  con  più  pre- 
ferenza oggetto  di  ricerche  le  più  delicate,  sapienti  e  mi- 
nuziose. 

Eppure  indagato  con  si  rara  insistenza  perfino  nei  suoi 
più  dettagliati  ed  ascosi  particolari,  la  sua  perfetta  nozione 
(■'  lungi  ancora  dallo  appartenerci  con  sicurezza  ed  intera. 

Ce  lo  prova  la  profonda  e  varia  discrepanza  che  do- 
mina in  tutte  queste  osservazioni  non  solo  nelle  interpre- 
tazioni, si  bene  anco  nella  descrizione  stessa  dei  varj  feno- 
meni che  lo  accompagnano  e  per  cui  esso  si  estrinseca. 

È  pur  vero  che  uno  all'  interesse  rimarchevole  della 
sua  conoscenza  il  suo  studio  è  dei  più  difficili  e  profondi. 

Se  si  tolgono  alenili  ])Ochi  fatti  oi-amai  non  ]iiù  dubbj, 
ed  ali  l'i   che  ^()no  j»iìi   per  comodità  che   per   intima  e  prò- 


(704)  [2] 

fonda  coiiviiizioiie  iinivei-salineiitc  (|nasi  accettati,  il  pro- 
1)lema  della  iiifianiniazione  occuperà  ancora  almeno  per 
molto  tempo  le  intelligenze  dei  patologi  innanzi  che  la  sua 
soluzione  venga  dichiarata  definitiva. 

E  se  si  pensa  come  bruscamente  nella  febl)rile  gara  di 
ricerche  vengono  oggi  radicalmente  travolte  le  brillanti, 
seducenti  e  facili  teorie  dell'  ieri  e  d'  un  tratto  mobile  e 
fallace  il  plauso  di  fatti  che  credevansi  oramai  diventati 
indiscussi,  riteniamo  di  non  andare  molto  errati  se  almeno  il 
dubbio  emettiamo  che  col  perfezionarsi  dei  nostri  mezzi,  il 
tempo  che  verrà,  della  teoria  della  infiammazione,  come  noi 
attualmente  la  intendiamo,  non  poco  avrà  a  cancellare. 

Ma  non    è  del    processo    flogistico  considerato  nel    suo 
ciclo  classico  e  dottrinale  che  noi  oggi  vogliamo  occuparci. 

Scopo  delle  nostre  modeste  indagini  fu  quello  sola- 
mente di  studiare  le  modificazioni  che  avvengono  sulla  strut- 
tura dei  vasi  durante  la  reazione  infiammatoria,  studio  que- 
sto anch'  esso  di  non  poco  interesse  ed  invece  troppo 
trascurato. 

Non  premettiamo  a  queste  nostre  osservazioni  nessuna 
recenzione  bibliografica  perchè  ci  troveremmo  assai  imba- 
razzati nel  riferire  in  che  modo  e  fino  a  che  punto  simili 
studj  furono  condotti.  Gli  A.  A.  che  più  meritamente  hanno 
trattato  il  nostro  argomento  verranno  ricordati  lungo  la 
esposizione  di  queste  ricerche. 

Uno  di  noi  (De  Giovanni)  fino  dal  1874  pubblicò,  in  una 
Memoria  che  andò  dimenticata,  il  frutto  di  indagini  condotte 
sopra  tale  argomento.  Oggi  insieme  abbiamo  voluto  ripe- 
terle più  estesamente,  per  correggerle  se  errate,  per  ril)a- 
dirle  se  conformi  al  vero. 

Come  materiale  di  studio  scegliemmo  la  rana  vlridis. 
Siccome  può  avere  interesse  la  descrizione  del  metodo  di 
preparazione  eccolo  brevemente.  Immobilizzato  1'  animale 
sulla  assicella  di  legno  sottilissimo,  o  di  robusto  cartone,  si 
estrae  con  tutta  delicatezza  la  estremità  linguale  stiran- 
dola in  modo  lento  ed  uniforme.  Fissati,  mercè  robusti  spilli. 


[8]  (705) 

j^ii  osti-cnii  (leiraiiipio  e  sottile  ventaglio  defila  linfoma  ai 
iiuu'yiiii  del  l'oro  praticato  pcM-  tutta  la  estensione  opportuna 
0(1  in  modo  che  non  avvengano  lacerazioni  ed  emorragie 
di  entità,  1'  animale  viene  sulìito  sottoposto  alla  osserva- 
zione. Volendo  assistere  alle  primissime  modificazioni  che 
avvengono  nei  vasi  è  necessario  che  tutta  questa  operazione 
non  occupi  più  di  ?  minuti.  Si  può  anche,  e  questo  è  il 
luotodo  consigliarlo  j»('i'  i)oter  con  più  celerità  preparare  la 
lingua  arrivando  a  distenderla  in  modo  assolutamente  sottile 
uniforme  e  completo,  procedere  in  quest'altro  modo.  Si 
fissano  mercè  robustissimi  spilli  sulla  assicella  dove  ri})osa 
la  rana  dei  quadrattini  concentrici  di  sughero  di  cui  il  più 
grande  riposa  ad  incastro  nel  foro  praticato  sulla  assicella 
medesima. 

Questo  metodo  ha  il  vantaggio  di  avere  un  foro  con- 
veniente alla  estensione  della  lingua  —  di  poterla  disten- 
dere in  modo  relativamente  uniforme,  poiché  tale  operazione 
è  possibile  così  parla  in  [)iù  tempi.  Quando  la  estensione 
è  finita  si  ritirano  gli  spilli  laterali  che  tengono  combac- 
ciati  i  quadrati  di  sughero  fra  di  loro,  di  tanto  quanto  è 
sufficiente  a  rimuovere  quelli  sui  quali  la  lingua  non  è 
fissata.  Appena  ciò  è  ottenuto  è  bene  subito,  mediante  un 
robusto  filo  i)assa.to  al  di  sopra,  tenere  abbassata  la  testa 
della  rana  atìSncliè  non  possa  cogli  innalzamenti  di  essa 
lacerare  i  lembi  linguali. 

Il  batrace  è  vincolato  nella  assicella  anziché  da  spilli, 
con  dei  forti  cordoncini  i  quali  non  gli  permettono  il  mi- 
nimo movimento.  Precauzioni  tutte  necessarie  per  clii,  come 
noi,  non  voglia  curarizzare  l'animale. 

11  curaro  provoca  una  fortissima  contrazione  delle  pic- 
cole arteriole,  sì  che  la  lingua  diventa  fortissimamente  ane- 
mica, pallida,  quasi  di  un  colorito  latteo,  contrazione  che, 
a  seconda  della  dose,  del  peso  dell'animale,  delle  condizioni 
di  nutrizione  e  di  stagione,  dura  un  tempo  relativamente 
molto  lungo. 

Abitiamo  provalo  anche  a  soiimiinisti-ai-lo   in  (|m'lla  dose 


(706)  [4] 

da  non  avere  tali  inconvenienti  :  ma  (osservammo  che  anche 
a  dose  minima  })i'0(hice  ancora  dei  disordini  vaso  costrit- 
tori mentre  diventa  affatto  inutile  per  la  immobilizzazione. 

La  dilatazione  vasale  successiva  è  cosi  rilevante  che  in 
taluni  casi  deforma  addirittura  il  vaso,  provoca  emorra- 
gie nei  minimi  capillari  e,  rallentando  in  modo  cospicuo 
il  circolo,  impedisce  di  seguire  attentamente  sino  dal  loro 
primo  inizio  le  modificazioni  della  nutrizione  vasale.  Inoltre 
da  studj  fatti  da  Drosdoff  sembrerebloe  che  il  curaro  deter- 
mini una  qualche  alterazione  sugli  elementi  morfologici  del 
sangue  e  particolarmente  dei  globuli  bianchi. 

Abbiamo  quindi  a  ragione  abbandonato  questo  proce- 
dimento per  attenerci  a  tale  che  eliminasse  ogni  artificio 
e  delle  modificazioni  non  disprezzabili;  ed  infatti  del  nostro 
sistema  ce  ne  siamo  trovati  soddisfatti.  Una  buretta  di  Mohr 
collocata  al  disopra  della  rana  lascia  cadere  nel  suo  dorso 
lentamente  qualche  goccia  di  acqua  affine  di  impedire  la 
secchezza  dell'animale.  La  temperatura  è  di  -f-  L5°.  L'  in- 
grandimento è  scelto  a  seconda  se  l'osservazione  è  diretta 
allo  studio  delle  condizioni  grossolane  del  vaso  e  del  tessuto 
od  a  quella  delle  sue  pareti  e  dei  globuli  circolanti.  Nel  V 
caso  adoperiamo  1'  F  di  Zeis  coll'oc.  o,  nel  2"  1'  ocul.  Vis 
ad    immersione  omogenea. 

La  lingua  è  coperta  da  un  sottilissimo  coprioggetti  do})o 
averla  largamente  bagnata  dalla  soluzione  salina  indif- 
ferente. 

La  glicerina  anche  purissima  adoperata  da  ([ualche 
autore  non  è  senza  influenza  sui  vasi.  Assolutamente  dan- 
noso l'olio  di  oliva  e  di  ricino. 


Premesse  queste  brevi  osservazioni  eccoci  ora  alla  de- 
scrizione dei  fenomeni  che  si  osservano  nel  vaso. 

Se  la  rana  si  esamina,  come  dicemmo,  immediatamente, 
in  modo  che  pochissimi  minuti  sieno  occorsi  per  la  pre- 
parazione, noi  vediamo  che  le  minime  arteriole  sono  in  uno 


I-Vl  (TOT) 

stato  (li  e\i(UMite  coiUi'a/.ioiu'.  La  coi-i-cnte  è  rapidissima, 
cosi  die  appena  e  [ìossihilc  seguii-e  per  hi'cve  tratto  j^li  elc- 
iiienti  iiioi'tolo^ici  che  st.-oi'rono  rololaiidosi  denii-o  ai  tiihi 
saii^iii};-ni.  i  (inali  si  presentano  tinti  in  nn  colorilo  rosso- 
i;-iallo  \ivissiin().  Se  venne  appcjstata  la  lente  micrometrica 
siiirocnlare,  si  scorge  però  che  via  via  in  modo  progressivo 
ina  inafferrahik^  perchè  assohitamente  uniforme,  i  vasi  si 
rilasciano  ahiuanio  dalla  loro  contrazione  —  si  presentano 
di  \()linnc  più  ampio,  di  un  colorito  meno  intenso  e  con 
una  cii-colazione  meno  precipitosa.  Contempoi^aneamente  il 
tessuto  della  lingua  osssrvato  nel  suo  insieme  ad  occhio  nudo 
appare  meno  bianco  e  con  una  nuance  rosea.  Questo  fa 
supporre  che  la  jìrima  modilicazione  che  deve  avvenire  nei 
vasi  appena  il  tessuto  si  trovi  a  contatto  coll'aria,  ed  a  cui 
naturalmente  non  fu  possibile  assistere,  debba  essere  una 
nuircata  contrazione  delle  arteriole  e  non  già  come  opina 
il  lieikert  ad  una  dilatazione  di  esse.  lieikert,  ed  inciden- 
talmente pure  il  Winternitz,  affermano  che  il  primo  feno- 
meno della  reazione  vasale  sia  un  certo  stadio  di  rilascia- 
mento a  cui  subentra  un  periodo  progressivo  di  contra- 
zione, poi  di  rilasciamento.  Quest'ultimo  poi  sarebbe  defini- 
tivo. Le  nostre  osservazioni  ci  farebbero  alquanto  dissentire 
da  (juelle  degli  egregi  A.  A.  Esaminando  nell'apparecchio  di 
Iloemgren  il  polmone  trasparente  della  rana  è  facile  vedere 
come  primissimo  fatto  un  aumento  del  tono  vasale  ed  una 
circolazione  rapidissima. 

Tutti  gli  osservatori  che  si  sono  occupati  dello  studio 
della  infiammazione  hanno  rilevato  (juesto  fatto  grossolano 
cioè  dell'aumento  della  circolazione,  del  tono  vasale,  quindi 
del  rosseggiare  e  calorire  quella  parte. 

L'unico  interesse  che  ha  quindi  la  n(jstra  osser\azione 
é  ([lucila  di  dimosti^are  che  la  contrazione  vasale  si  inizia 
immediatamente.  Del  resto  (questo  fatto  oltre  che  nel  pol- 
mone della  rana  lo  si  scorge  facilmente  nei  vasi  se  l'esame 
lo  si  l'ipete  sulle  larve  adulte  dei  tritoni  e  dei  girini  op- 
}ioi-tunamen)e  stinndati. 


(708)  [6] 

Ritornate  le  pareti  dei  vasi  alle  loro  condizioni  nor- 
mali noi  assistiamo  al  passaggio  di  una  corrente  calma, 
mediocremente  veloce  e  che  permette  di  poter  attentamente 
osservare  quali  sono  e  come  disposti,  gli  elementi  morfolo- 
gici che  la  compongono. 

Nella  I.  figura  abbiamo  disegnato  un  capillare  sangui- 
gno. In  esso  si  scorge  la  disposizione  dei  globuli  rossi  e 
bianchi  e  piastrine  mescolati  insieme  sul  centro  del  tubo  —  ai 
lati  il  sottile  strato  trasparente  di  Girard  e  Poisseuille.  11 
Lòwit  ha  negato  la  esistenza  delle  piastrine  ritenendole 
precipitazione  di  globulina,  Wooldridge,  Weigert  a  distru- 
zione dei  leucociti. 

Non  è  qui  il  caso  di  occuparci  della  loro  natura,  te- 
niamo solo  a  dire  che  nel  vaso  perfettamente  normale  e 
che  non  ha  subito  modificazione  sostanziale  alcuna,  esse  vi 
si  trovano  circolanti,  commiste  come  dicemmo  agli  altri 
elementi  morfologici. 

La  parete  del  vaso  è  sottilissima,  anista,  diafana,  per- 
fettamente regolare  ed  uniforme.  Se  si  recide  di  im  tratto 
la  lingua  e  la  si  immerge,  col  suo  quadratino  a  telaio  di 
sughero,  in  una  soluzione  di  nitrato  d'argento  0,50  %  fin- 
ché cominci  a  farsi  opaca  e  di  qui  poi  in  acqua,  quindi  in 
alcool  a  60°,  80°,  95°,  80°,  60°,  H^O  e  quindi  in  soluzione  di 
carminio  ecc.  noi  vediamo  che  le  cellule  componenti  la  parete 
del  capillare  sono  foggiate  in  modo  presso  a  poco  fusiforme, 
con  un  nucleo  poco  colorabile  ed  un  protoplasma  finissi- 
mamente granuloso.  Si  veggono  appena  distinte  qiui  e  là  le 
striature  cementali-unitive,  senza  alcuna  delle  fenestrature 
di  Arnold. 

Questo  capillare  minimo  non  presenta  attorno  alla  sua 
parete  alcuna  zona  opaca,  zona  invece  che  presentano  i 
i  capillari  di  calibrio  più  am})io. 

Questo  alone  che  circonda  lungh'esso  il  tubo  a  mo'  di 
guaina  non  presenta  nessuna  granulazione  né  parvenze 
cellulari;  esso  non  ajìpartiene  al  vaso  iiropi-iamente,  ma  al 
tessuto  in  cui  detto  vaso  si  trova. 


|T|  (70!)) 

Dopo  un  poriodo  di  tciniìo,  ora  piti  oi'a  meno  lungo,  la 
coi'rente  comincia  a  farsi  al(|iianto  più  lenta  ed  a  presen- 
tare ad  intervalli  delle  brevi  soste  e  persino  dei  ritorni 
reflui.  Queste  soste  qualche  volta  assumono  nn  carattere 
ritmico.  Il  fatto  dell'  inciamparsi  della  corrente  è  dovuto  a 
delle  contrazioni  del  tessuto  basale.  Infatti  se  si  osserva 
attentamente  il  blastema  se  ni'  ha  la  })ro\a  evidente.  Men- 
tre invece  il  progressivo  rallentamento  dei  globuli  nello 
interno  dei  vasi  è  più  complesso  ed  in  istretto  rapporto  a 
delle  moditicazioni  .sopravenute  :  I.  sul  vaso  ;  IL  sui  corpu- 
scoli del  sangue. 

Se  noi  osserviamo  colla  lente  micrometrica  il  volume 
del  vaso  noi  lo  troviamo  assai  aumentato.  Se  [irinia  il  dia- 
metro suo  era  di  9  a  10  |ji  ora  di  11   a  14  |x. 

Inoltre  .se  prima  fra  la  corrente  degli  elementi  moi- 
fologici  e  la  parte  interna  rimaneva  uno  spazio  libero  ed 
occupato  da  plasma  ora  invece  tutto  ciò  è  completamente 
modificato,  in  quanto  che  tutto  intiero  il  lume  vasale  è 
zeppo  di  elementi,  i  (^uali  .strisciando  lungo  l'endotelio  af- 
fettano con  esso  dei  rapporti  di  adesione,  quasi  che  le  cel- 
lule che  lo  compongono  secernessero  una  sostanza  vischiosa, 
capace  di  trattenere  con  qualche  aderenza  i  globuli  san- 
guigni. 

Ma  non  è  solo  la  parete  endovasale  che  si  presenta 
fornita  di  tali  proprietà,  anche  i  globuli  ste.ssi  mo.strano 
una  nuxggiore  coesione  ed  aderenza  fra  di  loro. 

Difatti  se  prima  procedevano  nei  minimi  capillari  in 
modo  i-solato,  ora  invece  non  si  abbandonano  fra  di  hn*o  e 
])iuttosto  si  lasciano  deformare  per  mantenersi  in  contatto 
con  dei  sottili  prolungamenti.  Fatto  que.sto  che  ci  dimostra 
anche  una  minore  elasticità  del  protoplasma.  Sommando 
adunque  (jue.sti  due  fatti  :  dilatazione  del  letto  vasale,  coe- 
sione degli  elementi  morfologici,  noi  possiamo  spiegai-e  il 
fatto  del  rallentamento  e  sofFermamento  della  corrente. 

Se  contemporaneamente  a  questo  fatto  si  <'saminano  atten- 
tamente le  condizioni  della  parete  vasale  un  altro  fenomeno 


(710)  [8] 

attira  il  no.stro  sguardo.  E  cioè  quella  parete  che  abbiamo 
descritto  ouie  uniforme,  liscia,  anista  comincia  a  presen- 
tare delle  appena  sensibili  rugosità  e  delle  lievi  ondula- 
zioni. 

Se  l'osservatore  assiste  a  questi  fenomeni  per  la  prima 
volta  egli  non  si  avvede  di  un  altro  cambiamento  pur  esso 
interessante  perchè  è  il  punto  di  partenza  di  modificazioni 
che  presto  ricliiameranno  la  sua  attenzione.  Alludiamo  allo 
spessore  della  parete  del  vaso.  Non  è  più  anista,  traspa- 
rente, sottilissima  —  si  è  invece,  diremmo,  ispessita,  rigon- 
fiata ed  alquanto  opacata  (fig.  II).  Questo  ispessimento  a  che 
cosa  è  dovuto  ?  Se  la  domanda  è  facile  e  spontanea  non  è 
così  altrettanto  la  risposta.  Recidendo  col  metodo  descritto 
da  Pohn  la  lingua  ed  immergendola  nel  nitrato  di  argento  e 
poi,  se  eccessivamente  colorata,  in  una  soluzione  acetica 
2  o/q  e  quindi  di  iposolfito  sodico  10  %  e  colorata  col  car- 
minio, nessuna  convinzione  possiamo  ritrarre  dallo  studio 
della  parete.  Se  però  questa  stessa  operazione  attendiamo 
a  farla  allora  quando  l' ispessimento  della  parete  siasi  reso 
più  evidente  ed  un  po'  più  grossolano,  nessun  dubbio  che 
debba  attribuirsi  più  specialmente  all'  endotelio  vasale  in 
preda  forse  ad  un  rigonfiamento  torbido  dei  suoi  elementi. 

L'alone  di  sostanza  anista  che  a  mo'  di  guaina  abbiamo 
detto  circonda  il  vasellino,  parteciperà  esso  pure  alla  de- 
terminazione in  parte  di  tale  fenomeno,  ma  -  secondo  noi  - 
spetta  ad  esso  una  importanza  molto  secondaria. 

È  pur  in  questo  frattempo  che  succede  quel  fatto  che 
supposto  da  Senac  e  da  Bichat,  intraveduto  da  Stricker  negato 
da  Vulpian,  da  Bauer  e  recentissimamente  da  Ranvier  ed 
altri,  fu  pel  primo  (1874)  da  uno  di  noi  (De  Giovanni)  accu- 
ratamente descritto  sotto  il  nome  di  viovimenti  dei  vasi 
capillmn,  fenomeno  di  una  estrema  delicatezza  a  rilevarsi 
e  la  cui  verità  oggi,  dopo  varia  fortuna,  è  stata  confer- 
mata da  quasi  tutti  gli  Autori  che  in  qualche  modo  ebbero 
ad  occuparsi  del  nostro  argomento.  Solo  per  incidenza  ci 
spiace  rilevare  che  quelle  indagini,  sebbene   fossero   state 


|nj  (711) 

]ni))blic;itp  ili  varie  liiij^iie,  nessun  autoi-e  le  aljhia  ricordate 
ed  abbia  avuto  cura  di  rendere  giustizia  a  chi  le  istituì, 
le  enunciò  e  coraggiosamente  le  difese  quando  pochi  vi 
credevano.  Siii»})osta,  questa  contrattilità,  a  prioì-i  perché 
considerato  (|uale  fattore  meccanico  indispensabile  alfinchò 
il  fluido  sanguigno  non  mai  interrompesse  il  suo  corso  e 
giunto  nel  sistema  capillare  necessariamente  venisse  spinto 
in  (quello  delle  vene,  fu  negata  allora  quando  lo  studio 
della  tìne  anatomia  dei  vasi  dimostrò  che  i  capillari  non 
contengono  fibre  muscolari.  Ed  è  per  una  ragione  consimile 
che  il  Ctuv  (Lione  1885.  Movimenti  propri  dei  vasi)  trala- 
scia di  occuparsi  nella  sua  bella  tesi  di  questi  infimi  tubicini. 

Si  deve  alla  estrema  finezza  dell'osservazione  il  motivo 
per  cui  questo  fenomeno  fu  per  tanto  tempo  posto  in  dubbio. 
E  necessario  insistere  pazientemente  nella  osservazione  e 
ripeterla  magari  tre  o  quattro  volte  perchè  —  per  cause 
che  ora  ci  sfuggono  —  non  in  tutte  le  rane  è  dato  osser- 
varlo così  distintamente.  A  noi  fu  solo  concesso  sorpren- 
derlo in  un  modo  splendido  e  meraviglioso  nella  quinta  rana. 

Bisogna  che  1'  animale  sia  nel  più  assoluto  riposo  e 
colle  contrazioni  del  tessuto  della  lingua  non  provochi  dei 
movimenti  che  sono  affatto  riflessi  e  che  nulla  hanno  a 
che  fare  con  quelli  che  descriviamo.  Inoltre  che  non  si  sieno 
portate  delle  lacerazioni  di  entità  nello  spiegare  e  fissare 
la   lingua. 

In  quanto  al  tempo  in  cui  essi  si  manifestano  nulla  si 
può  dire  di  preciso.  In  alcuni  casi  si  osservano  relati- 
vamente presto,  in  alti-i  assai  più  tardi.  Per  poterli  seguire 
noi  non  ci  siamo  un  sol  breve  istante  in  tutto  il  giorno 
distaccati  dall'animale.  Nel  momento  in  cui  è  dato  assistere 
in  tutta  la  sua  meravigliosa  evidenza  a  questo  fenomeno, 
ritorna  alla  mente  la  definizione  data  da  Stricker  a  questi 
capillari  :  «  protoplasma  in  forma  di  tubi  »  tanto  essa  è 
vera  ed  esatta.  Stricker  li  ha  osservati  in  modo  evidentis- 
simo nei  girini  giovani. 

A  chi   li   volesse  osservare  in  modo   distinto    noi    pos- 


(71-)  [10] 

siamo  raccomandare  anche  le  larve  degli  assolotti  e  dei 
tritoni  (Triton  taeniatus)  allorquando  sono  provvedute  di 
vasi.  La  irritazione  più  opportuna  è  quella  col  nitrato  di 
argento.  Rouger,  Muller,  Tarcanoff,  Golubew  li  hanno  stu- 
diati nei  mammiferi  ed  affermano  di  averli  assai  bene 
constatati. 

Ecco  Ijrevemente  in  che  consiste  questo  movimento. 
Anzitutto  dobbiamo  distinguere  nel  vasellino  due  sorta  di 
movimenti,  movimenti  di  totalità,  e  ìnovimenti  di  parzia- 
lità. I  primi  sono  movimenti  che  modificano  esenzialmente 
il  lume  capillare,  ora  restringendolo,  ora  dilatandolo.  Si 
ponno  talora  sorprendere  eziandio  dei  leggeri  movimenti 
di  incurvatura  e  di  spostamento  del  capillare  intero  per  un 
certo  spazio.  Ma  ciò  è  assai  raro. 

La  figura  3  ci  offre  un  esempio  meraviglioso  di  quanto 
abbiamo  riferito.  Mentre  in  a  abì)iamo  il  capillare  allo 
stato,  diremmo  di  riposo,  nelle  sue  due  successive  modifi- 
cazioni b,  e  sono  disegnati  dei  movimenti  di  totalità  (re- 
stringimento del  lume  e  spostamento  del  tubo). 

Anche  nella  figura  4  abbiamo  nella  modificazione  h,  e 
uno  spostamento  di  totalità  per  quanto  breve  però. 

Molti  hanno  confuso  queste  contrazioni  con  quelle  che 
si  osservano  negli  altri  vasi  di  calibro  maggiore.  Ciò  non 
è  esatto.  Onimus  e  Legros  (De  la  circulation),  le  hanno  de- 
scritte col  nome  di  peristaltismo  capillare.  Reuter,  Speck  le 
hanno  attribuite  a  movimenti  ondulatorj  comunicati  dal 
sangue.  Burdach,  Hunter  a  propagazione  dei  movimenti  dei 
vasi  arteriosi.  E  tutto  affatto  differente  il  modo  di  contrat- 
tilità di  cui  vogliamo  parlare.  Ziegler  nelle  sue  belle  ri- 
cerche embriologiche  ha  dimostrato  che  sono  le  cellule 
semoventi  della  superficie  del  sacco  vitellino  quelle  che 
vanno  a  formare  le  prime  cellule  endoteliali  dei  vasi. 
Queste  cellule  conserverebbero  ora  più  ora  meno  a  lungo 
le  antiche  proprietà.  Stricker,  Goloul)ew,  Klebs,  Metchni- 
koff,  in  alcune  loro  ricerche  sulla  struttura  dei  vasi  hanno 
anch'  essi  dimostrato  il  fatto  della  loro  contrattibilità,  con- 


[Ili  (7i:>.) 

ti'attihilità  del  i-i'sto  [ìui-c  aniiiuissa  ^ià  da  Hovei*,  Aiierhacli, 
Ebei'tli,  Aeby. 

Non  è  a(liiii(|U('  da  intoiidcM'si  (ini  la  pi-o^i'essiva  ondu- 
lazione in  i-aj)i(()i'to  alla  elasticità  e  nutriziono  della  parete 
vasale,  ma  sil)))ene  ([uella  contrattibilità  propria,  sai-codica 
del  pi'oloplasnia.  Tanto  che  Eherth,  Lewschin  ritenj^ono 
([uesti  va.sellini  costituiti  esclusivamente  da  una  massa  di 
protoplasma.  Cosichè,  se  ci  fosse  permesso  di  adoperare  una 
fase  molto  poco  esatta  ma  assai  esplicativa,  secondo  questi 
AA.  i  capillari  minimi  non  sarebbero  che  dei  plasmodi, 
cioè  un  ammasso  grande  di  protoplasma  con  dei  nuclei  e 
delle  vaste  ramificazioni,  vuote  però  nel  loro  interno. 

Arnold  opina  che  dalle  cellule  endoteliali  dei  vasi  si 
formano  dei  cordoni  protoplasmatici  dapprima  indifferen- 
ziati, poscia  provisti  di  nuclei.  Nella  loro  ulteriore  evolu- 
zione si  renderebbero  cavi  per  costituirsi  in  tubi  capillari. 
Rouget  nella  larve  di  anfibio  osservò  che  questi  vasi  sono 
formati  da  cellule  embrionali  fornite  di  nucleo  e  presen- 
tanti, nel  loro  protoplasma,  dei  piccoli  spazi  sferici  perfet- 
tamente vacui.  11  protoplasma  di  queste  cellule  invia  delle 
espansioni  che  unendosi  ad  altre,  e  a  poco  a  poco  subendo 
la  modificazione  descritta  da  Arnold,  formerebbero  dei  vasi. 
Da  tutto  ciò  adunque  dobbiamo  arguire  che  la  contratti- 
bilità di  ([uesti  tubi  è  la  stessa  che  presentano  le  cellule 
linfatiche  nello  stato  ameboide. 

Ed  oi-a  veniamo  alla  seconda  maniera  di  espansione. 

Il  movimento  di  parzialità  o,  come  meglio  potrebbe 
definirsi,  di  gemmazione  è  caratterizzato  dal  protendere 
della  parete  esterna  del  capillare  a  mo'  di  ansa  la  quale,  da 
prima  poco  evidente  ed  a  base  larga,  va  facendosi  succes- 
sivamente più  sporgente,  sottile,  a  base  molto  più  breve  ; 
può  prolungarsi  in  maniera  da  assumere  tutta  la  parvenza 
di  un  sottile  capillare.  Nella  figura  3*  questo  fatto  è 
illustrato  nelle  modificazioni  è  e  e  del  capillare  nei  punti 
d  e  d'  ;  nella  figura  'ò'^  m  d  q  d'  e  nella  tìg.  IV  nelle  mo- 
dificazioni b  e  e  in  d  e  d\  Generalmente  questa  gemmazione 


pl4)  [12J 

avviene  in  modo  estremamente  lento,  però  qualche  volta 
(nella  rana  12^  del  nostro  protocollo)  essa  si  formò  e  de- 
lineò assai  evidentemente  in  capo  a  circa  20^  E  un  fatto 
questo  passivo  della  parete  del  globulo  e  sotto  la  dipen- 
denza della  corrente  sanguigna,  come  da  qualcuno  si  volle, 
oppure  invece  è  un  fatto  attivo  del  protoplasma  capillare  ? 
Sebbene  altri  ai'gomenti  e  di  un  certo  valore  non  man- 
chino per  farci  giudicare  secondo  questa  ultima  interpre- 
tazione, il  più  decisivo  naturalmente  sarebbe  stato  quello 
di  osservarli  nei  capillari  vuoti.  Ora  noi  non  neghiamo 
che  questo  sia  possibilissimo,  ma  a  noi  non  fu  possibile 
osservarlo. 

Vi  ha  un  fatto  però  die  dimostra  la  spontaneità  di 
tali  movimenti.  La  figura  4  ce  lo  rende  in  un  modo  assai 
chiaro. 

Nella  figura  V  sono  disegnati  ìtì  a  e  b  due  capillari 
abbastanza  vicini  1'  un  F  altro  e  che  sono  due  ramifica- 
zioni partitesi  dallo  stesso  tronco.  Nella  stessa  figura  noi 
vediamo  come  si  comincino  a  disegnare  molto  marcata- 
mente in  de  iV  le  due  sporgenze  nella  parete  dei  capilla- 
ri, a  e  b .  Nella  fig.  VI  queste  sporgenze  cominciano  a 
presentarsi  nella  modificazione  b,  ad  aumentare  in  (juella 
e ,  a  fondersi  in  d ,  e  di  nuovo  da  dessa  protunderne 
un'  altra  in  e  .  Certo,  a  rigor  di  termini  chi  volesse 
sottilizzare  sopra  potrebbe  obiettare  che  questo  fatto  non 
dimostra  in  modo  assoluto  la  modificazione  autoctona  del 
capillare  perchè  la  simultaneità  e  corrispondenza  delle 
due  gemmazioni  potrebbe  sempre  ripetersi  dalla  pressione 
della  corrente ,  pressione  facile  ad  esercitarsi  sul  vaso 
in  questo  periodo  nel  quale  esso  ha  perduto  molto  del- 
la elasticità  sua,  ed  il  tessuto  ambiente  molto  della  sua 
tensione.  Keller,  Falk,  Kus.s,  Landererer,  Bauer  hanno  di- 
mostrato che  nel  i)ri)cesso  infiammatorio  anche  nello  stato 
suo  iniziale  la  tensione  dei  tessuti  è  d'  assai  infiacchita. 
I  vasellini  capillari  decorrenti  lungo  questi  tessuti  colpiti 
dalla  flogosi    non    essendo    più    sostenuti    colla   necessaria 


[l.TI  (715) 

validità  0  la  loro  elasticità  non  essendo  sufficiente  a  resi- 
stere alla  })réssionc  della  corrente,  cedono,  si  deformano,  si 
sfiancano. 

Però  —  come  in  seguito  vedremo  —  le  alterazioni 
che  avvengono  nel  vaso  per  effetto  della  pressione  del 
sangue  non  possono  e  non  debbono  esser  confuse  colle 
moditìcazioni  della  gemmazione.  La  differenza  è  cosi  gros- 
solana che  non  ammette  assolutamente  nessun  confronto. 
Del  resto  i  disegni  tratti  dal  vero  che  noi  riportiamo  lo 
provano  in  un  modo  indiscutibile  (V.  iìg.  VII). 

Vi  sono  poi  altri  esperimenti  che  permetterebbero  a 
l)arer  nostro  di  dimostrare  esser  dovuti  questi  movimenti 
all'attività  spontanea  del  protoplasma.  Uno  di  noi  (Castellino) 
ha  studiato  l' azione  deprimente  che  hanno  certe  sostanze 
sulla  contrazione  del  protoplasma  allo  stato  normale.  Egli 
ha  dimostrato  che  la  cocaina,  l' idrato  di  cloralio,  la  paral- 
deide,  il  cloroformio  esercitano  su  di  esso  un'azione  mar- 
catamente paralizzante  anche  a  dosi  molto  inferiori  a  quelle 
trovate  da  Albertoni,  Richard,  Schurmaver,  Cavazzani  Al- 
berto. Noi,  col  metodo  di  Bernard,  abbiamo  immerso  delle 
rane  in  soluzioni  all'  1 :  200,  1 :  250,  1 :  300,  1 :  350,  1 :  400 
di  paraldeide  e  di  triclorometano  lasciandovele  per  5^-10^- 
15''-30'-40 -70^-90''.  Cosi  abbiamo  potuto  vedere  che  a  se- 
conda del  titolo  della  soluzione  e  del  tempo  in  cui  le  rane 
rinuisero  immerse,  questa  contrattibilità  dei  capillari  è  più 
o  meno  affievolita  e  depressa.  Le  ultime  soluzioni,  quando 
agiscano  per  circa  70^-90''  sono  capaci  di  impedirle  asso- 
lutamente. 

Ed  ora  ritorniamo  alla  descrizione  delle  modificazioni 
che  continuano  a  succedersi  nella  parete  del  vaso.  Perchè 
\)eì  momento  è  questo  il  fatto  più  interessante  cui  ci  è  dato 
assistere  e  che  })er  la  sua  importanza  merita  di  essere  de- 
scritto con  qualche  lai^ghezza  di  dettaglio. 

Mentre  che  la  corrente  sanguigna  seguita  a  fluire 
lentamente  con  un  movimento  quasi  ritmico  di  va  e  vieni, 
il  fenomeno  dello  ispessimento  si    va   facendo   sempre   più 

T.  IV,  S.   VII  47 


(716)  [14] 

rilevante  al  punto  che  il  lume  vasale  assume  quasi  l'aspetto 
degli  strangolamenti  nervosi.  Non  è  un  ispessimento  uni- 
forme e  continuo,  presenta,  come  lo  mostra  la  fig.  V«,  dei 
rigonfiamenti  e  delle  insenature,  per  cui  la  linea  della 
demarcazione  della  corrente  può  immaginarsi  tracciata 
come  una  linea  variamente  ondulata. 

In  uno  di  questi  punti  sinuosi  dove  la  curva  sporgente 
è  assai  marcata  e  la  parete  più  sottile,  può  esser  concesso 
di  vedere  il  dipartirsi  ed  il  protundere  di  una  gobba  che  va 
facendosi  via  via  sempre  più  marcata  sporgente  e  sottile  di 
maniera  che  lo  spazio  maggiore  che  collo  spostamento  in 
quel  punto  della  parete  vasale  essa  determina  può  essere 
assai  ampio.  Questa  dilatazione  vasale  è  evidentemente  do- 
vuta alla  pressione  del  sangue,  il  quale  continuando  ad 
affluire  nel  vaso  e  trovando  probabilmente  il  suo  passaggio 
ostacolato  in  qualche  porzione  del  territorio  capillare  suc- 
cessivo, fa  ernia  sopra  un  punto  più  cedevole  della  parete  del 
tubo  medesimo  (V.  fig.  VII).  Questa  pressione  può  estrinse- 
carsi pure  in  varj  punti  del  vaso  e,  se  non  fosse  per  non  mol- 
tiplicare troppo  le  figure,  noi  vorremmo  stralciare  dai  nostri 
protocolli  dei  disegni  molto  interessanti.  In  un  caso  abbiamo 
potuto  assistere  a  questo  grazioso  fenomeno:  cioè  alla  forma- 
zione successiva  di  più  ernie  l'una  all'altra  contigua  e  tutte 
dallo  stesso  lato  della  parete.  Se  il  sangue  continua  ad  af- 
fluire e  senza  trovare  una  sufficiente  libertà  al  suo  pas- 
saggio, allora  la  pressione  sua  non  si  limita  ad  allargarsi  il 
territorio  del  lume  mercè  queste  insenature.  Una  di  queste 
ernie,  od  anche,  naturalmente  a  seconda  del  caso,  varie, 
seguita  a  cedere  sempre  più  assottigliandosi  fino  a  che  final- 
mente la  sua  parete  si  lacera. 

Questa  rexin  ed  il  modo  in  cui  essa  avviene  rilevano 
la  sensibile  alterazione  patita  e  la  diminuzione  della  ela- 
sticità e  resistenza  delle  cellule  endoteliali. 

Ma  vi  è  ancora  un  altro  fatto  che  col  progredire  dello 
ispessimento  della  parete  si  accentua  esso  pure  parallela- 
mente. I  limiti   parietali    esterni    del  capillare   lisci,   netti, 


[15]  (717) 

distinti  (hi  prima,  haiiiio  adesso  assunto  una  foi-nia  rugosa 
dentellata  (tig.  Vili). 

Se  la  lingua  della  rana  col  metodo  abituale,  viene  trat- 
tata col  nitrato  di  argento  e  colorita,  le  striature  unitive 
non  presentano  gran  che  di  modificato.  Esse  non  hanno 
più  la  primitiva  regolarità  di  demarcazione  delle  singole 
cellule,  perchè  corrono  lunghi  tratti  di  tessuto  endoteliale 
in  cui  è  possibile  vederle  separate  le  une  dalle  altre.  Queste 
cellule,  di  cui  allo  stato  normale  è  molto  difficile  poterne 
distinguere  il  protoplasma  e  che  sono  rilevabili  quasi  esen- 
zialmente  per  il  loro  nucleo,  ora  invece  appariscono  assai 
grandi,  con  contorni  assai  bene  delineabili,  con  un  proto- 
plasma grossolanamente  granuloso  a  fini  e  medj  granuli. 
Talvolta  esse  sono  cosi  grandi  che  per  lunghi  e  ripetuti 
tratti  sembra  che  riempiano  tutto  il  lume  del  vasellino. 

E  questo  il  periodo  della  diapedesi. 

I  globuli  bianchi  adossatisi  alla  parete  e  contratta  con 
essa  quasi  una  aderenza,  favoriti  dalla  scarsa  corrente,  si 
dispongono  con  visibile  preferenza  nelle  insenature  del  lu- 
me, mentre  che  le  emasie  procedono,  lungo  le  strozzature 
della. parete,  in  numero  scarsissimo  a  lasciarsi  trascinare 
dal  plasma  il  quale  scorre  con  sensibile  lentezza  (fig.  IX, 
X,  XI).  Cosicliè  col  sopragiungere  sempre  di  nuovi  leuco- 
citi i  quali  hanno  tutto  l'agio  di  potersi  disporre  lungo  le 
pareti  vasali  la  corrente  ingombrata  si  fa  sempre  più  dif- 
cile  al  punto  che  cessa  quasi  assolutamente  permettendo  solo 
il  passaggio  al  plasma  ed  alle  jìoche  granulazioni  che  tra- 
sporta sospese. 

Tralasciamo  di  occuparci  del  fenomeno  della  diapedesi 
il  quale  ci  allontanerebbe  dallo  scopo  prefissoci  e  sul  quale 
non  abbiamo  voluto  istituire  delle  indagini. 

Allontanatisi  poco  per  volta  la  maggior  parte  dei  leu- 
cociti sia  passando  coi  loro  processi  ameboidi  attraverso  le 
pareti  del  vaso  molli  e  cedevoli,  sia  seguendo  1'  asse  del 
tubo  noi  veniamo  così  a  trovarci  d' innanzi  ad  un  capillare 


(ri8)  [16] 

ricco  ancora  di  pochi  elementi  morfologici  abbastanza  ben 
conformati. 

Dopo  un  certo  periodo,  lentamente  le  emasie  cadono  in 
uno  stato  di  progressiva  necrobiosi  si  che  appena  appena 
r  emoglobina  discioltasi  e  la  parete  ispessita  lasciano  intra- 
vederne in  modo  assai  sfumato  la  loro  forma.  La  fig.  XII 
ci  presenta  questo  capillare  in  periodo  di  stasi  completa. 

II  liquido  sanguigno  sembra  composto  di  nuU'altro  che 
della  sua  sostanza  colorante,  attraverso  cui  emerge  qua  e  là 
aiicora  qualche  raro  leucocita. 

A  poco  per  volta  il  contenuto  endovasale  si  riduce 
a  nuli'  altro  che  ad  un  po'  di  plasma  colorito  piuttosto 
marcatamente  di  emoglobina  ed  assolutamente  libero  di  cor- 
puscoli. 

In  queste  condizioni  })uò  rimanere  il  capillare  per 
molto  tempo  prima  che  in  esso  si  appalesino  delle  modifi- 
cazioni degne  di  essere  rilevate. 

Ed  ecco  in  che  cosa  consistono  queste  modificazioni 
sulla  cui  natura  non  avanziamo,  con  preferenza  che  ad  altre, 
alcuna  ipotesi.  —  Per  ora  teniamo  solo  a  riferire  il  feno- 
meno come  ci  si  appalesa.  Più  tardi  forse  ripigliando  di 
nuovo  r  argomento  e  studiandolo  con  più  estensione  e  pro- 
fondità di  quello  che  ci  venne  permesso  di  fare  in  tali  ri- 
cerche, già  per  sé  stesse  non  facili  e  non  senza  qualche 
fatica,  vedremo  se  ci  sarà  possibile  formulare  una  opinione 
nostra. 

E  bene  scegliere  a  tal  uopo  possibilmente  un  capillare 
privo  assolutamente  di  elementi  morfologici  non  solo,  ma 
anche  di  plasma  carico  di  emoglobina.  —  E  ciò  non  è  molto 
facile. 

Mentre  la  parete  interna  del  vaso  ci  si  appalesa,  nella 
sua  spessezza  ed  ondulazione,  relativamente  liscia  ed  uni- 
forme cominciano  a  presentarsi  alla  sua  superficie  delle 
piccolissime  salienze  che  poco  per  volta  gemmando  si  tra- 
sformano in  veri  bottoncini  rotondeggianti,  i  quali  lenta- 
mente crescendo  ed  aumentando  di  volume  arrivano  a  rag- 


[17]  (710) 

giunf]^ert>  il  diaiiietro  di  4;4,  2;  4,  4  |x.  Essi  a  (iiiesto  punto 
cominciano  a  distaccarsi  dalla  jìaivte  onde  son  soi'ti  e  solo 
vi  rimangono  aderenti  per  un  sottile  [ìi-olungamento  molto 
facile  a  spezzarsi.  Rotto  (jnesto  cadono  nel  lume  e  non 
presentano  movimenti  ameboidi.  Dopo  un  certo  temjìo  (due 
ore  circa),  sempre  la  superficie  endoteliale  continuando  ([Vd 
e  là  a  gemmare,  si  può  vedere  il  vaso  costellato  di  questi 
piccoli  globetti  (tìg.  XIII). 

Non  sapendo  se  tale  fatto  sia  stato  descritto,  e  quasi 
dubitando  che  quella  osservazione  continuata  ed  insistente 
potesse  per  avventura  farci  supporre  i)iù  di  quanto  non 
fosse,  abbiamo  voluto  che  altri  colleghi  assistessero  al 
fenomeno. 

Lo  stesso  Egregio  Dottore  Signor  Andrea  Peggian  che 
volle  con  una  rara  abnegazione  prestarsi  a  disegnarci  dal 
vero  la  maggior  parte  delle  figure  che  abbiamo  presentato, 
fu  pure  colpito  dal  fatto  senza  che  noi  studiatamente  gliene 
avessimo  parlato.  La  figura  che  egli  ci  disegnò  rappre- 
senta in  modo,  crediamo  evidente,    il    fenomeno  descritto. 

Abbiamo  a  lungo  continuata  anche  con  fortissimi  in- 
grandimenti, la  osservazione  di  questi  corpuscoli  ma  nessun 
fatto  essi  hanno  presentato  degno  di  nota.  Sono  essi  dovuti 
al  nucleo  che  si  distacca  ed  abbandona  la  cellula  endo- 
teliale ?  Sono  essi  porzioni  del  protoplasma  di  questa  cellula 
medesima  ?  Sono  là  due  ipotesi  a  cui  non  sappiamo  che  ri- 
spondere di  aff"ermativo. 

Molto  interessante  sarebbe  stato  il  poterli  seguire  a 
lungo  anche  per  varie  ore,  disgraziatamente  avanti  che 
tutto  questo  tempo  sia  percorso  la  morte  coglie  il  vaso  e 
vi  jiorta  delle  profonde  alterazioni. 

L'  endotelio  si  sfascia,  il  tubo  si  lacei-a  e  non  riman- 
gono che  dei  brandelli  e  monconi  abbandonali  sul  blastcma 
anch'  esso  gravemente  leso. 


[19]  (721; 


Il  M.  E.  prof.  De  Giovanni,  cliiosta  la  pai-ola,  af^giurij^e: 

Sento  il  dovere  di  ringi'aziare  piiblicamente  l' egregio 
Dottor  Castellino  per  due  ragioni  :  —  prima  di  tutto,  per- 
chè, colpito  dalla  importanza  dei  fatti  da  me  pubblicati, 
ha  voluto  constatarli  con  osservazioni  proprie;  —  in  se- 
condo luogo,  perchè  ha  reso  di  publica  ragione  i  risultati 
che  ha  raccolto,  facendo  giustizia  dei  fatti  scientifici  e  di  chi 
per  il  primo  avevali  rilevati,  apprezzati  secondo  i  concetti 
delle  vigenti  dottrine  biologi clie  ed  anche  applicati  alla 
patologia.  Ed  in  vero,  tutti  i  miei  lavori  sull'  argomento 
mirano  a  stabilire  :  che  la  parete  del  capillari  è  di  natura 
protoplasmatica;  che  i  capillari  possono  presentare  tutte 
le  proprietà  del  protoplasma,  tosto  che  in  essi  si  manifesti 
rallentamento  circolatorio,  incipiente  stasi,  cioè:  il  moci- 
menlo  caratteristico,  non  che  il  fenomeno  della  produzione 
di  elementi  embrionali;  —  che  al  moviìnento  protopla- 
smatico  si  devono  le  deformità  vascolari,  rdteriori  alte- 
razioni circolatorie  nel  vaso  ed  anche  V  emorragia  per 
rexin. 

In  questi  tempi,  nei  quali  si  pronuncia  e  si  agita  la 
lotta  per  la  vita  nel  modo  più  acuto  e  precipitoso,  anche 
nel  campo  scientifico  si  portano  le  armi  e  si  estende  la 
lattica  per  la  lotta.  —  Un  momento  tattico  è  il  silenzio  e 
la  cospirazione  del  silenzio  è  delle  più  formidabili. 

Non  voglio  muovere  accuse,  ma  semi)licemente  consta- 
tare :  che  la  mia  i)riiiia  memoria  venne  presentata  al  R. 
Istituto  lombardo  di  Scienze  e  Lettere  nel  1875  e  nello 
stesso  anno  publicata  sulla  Rivista  clinica  di  Bologna 
e  che  nel  1881  ristampai  le  stesse  cose,  applicandole 
allo  studio  del  processo  infiammatorio  sulla  Gazzetta  me- 


(722)  [20] 

dica  italiana  delle  provincie  venete  e  nel  1882  sul  Bol- 
lettino scientifico  di  Pavia  col  titolo  :  Cuntributo  alla  fisio 
patologia  dei  capillari  sanguigni.  Della  mia  memoria  scritta 
sulla  Gazzetta  medica  venne  riportato  un  sunto  completo 
sul  giornale  medico  di  Breslavia  —  il  Breslauer  arztlicher 
Zeitschrift.  Era  dunque  ragionevole  che  attendessi  il  giu- 
dizio degli  studiosi  sopra  il  fatto  mio.  Da  quanto  loro  Si- 
gnori hanno  inteso  dalla  esposizione  del  D.'"  Castellino,  il 
giudizio  avrebbe  dovuto  essere  favorevole,  se  dopo  di  me  sono 
stati  osservati  i  fatti  stessi  che  io  aveva  descritto  ;  ma  il 
giudizio  suir  opera  e  suU'  autore  dell'  opera  non  si  intese  e 
si  lasciò  neir  oblio  1'  uno  e  1'  altra.  Faccio  pure  notare,  che 
tutte  le  memorie  suricordate  erano  corredate  da  figure,  le 
quali  ho  il  piacere  di  riprodurre,  perchè  si  vegga  se  io 
abbia  realmente  recato  dei  fatti  e  se  questi  abbiano  la  im- 
portanza che  ha  loro  attribuita. 

Eppure,  o  Signori,  io  mi  maraviglio  che  coloro  i  quali 
coltivano  studi  biologici  e  del  nome  di  biologisti  fanno 
quasi  bandiera,  non  abbiano  riconosciuto  e  non  ancora  tutti 
egualmente  riconoscano  che  cosa  significa  spingere  l'osser- 
vazione nel  dominio  dei  vasi  capillari  sanguigni  ;  vale  a  dire 
dove  si  osserva  nel  pili  stretto  convegno  la  funzione  di  tre 
elementi  —  la  cellula,  il  vaso,  il  nervo  ;  —  dove  quindi  si 
sorprendono  processi  morbosi  nelle  loro  prime  evoluzioni 
morfologiche  e  si  possono  scorgere  fenomeni  che  prestano 
seri  argomenti  per  discutere  molte  teorie  e  molte  inco- 
gnite. —  Lo  ripeto  volentieri,  clie  non  è  lieve  l' interesse 
scientifico  ripresentato  oggi  innanzi  a  noi  dal  D.''  Castellino. 

E  credo  di  bene  appormi,  se  affermo,  che  anche  questo 
illustre  Consesso  sarà  grato  a  lui  ;  perchè  fra  le  circostanze 
scientifiche  e  quelle  di  tempo  e  (juelle  di  persona,  sorge 
una  questione  di  priorità  intorno  a  fatti  e  principi  scien- 
tifici, il  cui  merito  deve  pur  essere  attribuito  alla  loro  terra 
natale.  Imperocché,  tosto  che  sieno  esaurite  le  cure  degli 
studiosi  intorno  a  particolari  scientifici  oggi,  come  suol 
dirsi,  all'  ordine  del  giorno,  torneranno   ad  argomenti  la,- 


[21]  (721^) 

sciati  sospesi  e  vi  toi'iieraniio  con  vedute  nuove.  E  se  la 
Storia  ufficiale  non  avi'à  registrato  ({uello  che  venne  dianzi 
annunziato  al  li.  Istituto,  si  ripeterà  il  fenomeno  già  troppo 
frequente  nella  storia  delle  scienze  —  V  oblio  per  la  ini- 
ziativa italiana,  tanto  nell'  osservare,  quanto  nell'  intuire 
il  significato  delle  cose  osservate. 
Unicuique  suicm. 


Ecco  intanto  alcuno  delle  jìguì'e  che  stralcio  dalle 
mie  memorie  precedenti  colle  relative  spiegazioni  : 

Fig.^  1.  —  Vaso  capillare  normale  a  pareti  aniste  della 
lingua  della  rana. 

Fig.^  2.  —  Alterazioni  del  contoi*no  vasale  osservate 
nel  tempo  che  si  rallentava  la  corrente  sanguigna. 

Fig.^  3.  —  In  a  mostra  una  produzione  nucleare 
osservata  durante  la  stasi.  E  un  esempio  del  fenomeno,  il 
quale  si  ripro  luce  con  maggiore  frequenza.  Volli  rappre- 
sentarlo così  isolato  perchè  è  il  risultato  della  mia  prima 
osservazione  che  per  più  ore  diressi  sul  medesimo  punto. 
In  h  fa  vedere  una  sporgenza  vasale  prodottasi  durante  la 
stessa  osservazione.  In  un  punto  si  vede  un  cumulo  di  pro- 
toplasma che  pare  interrompa  la  continuità  del  parete. 

Fig.'^  4.  —  In  a  un'  altra  sjìorgenza  vasale,  che  in  h 
ed  in  e  si  vede  mutare  di  forma. 

Fig.'"'  5.  —  In  a  un  vaso  con  due  s})orgenze  una  svi- 
luppatissima,  1'  altra  meno  ;  —  in  b  un  ansa  vascolare  ri- 
sultante dall'incontro  delle  due  prime  avvenuto  dopo  diversi 
mutamenti  di  forma. 

F'ig.'^  6.  —  Oltre  ai  fatti  notati  precedentemente,  ho 
veduto  la  parete  vasale  aumentare  di  spessore  a,  a  ;  in 
(jualche  punto  più  circoscritto  l' aumento  dello  spessore 
farsi  d'  assai  maggiore,  assumere  aspetto  visibilmente  gra- 
nuloso come  in  h  e  in  mezzo  alla  massa  granulosa  compa- 
rire piccoli  globuli  rotondeggianti. 


(724)  [22] 

Fig.*  7.  —  Qui  si  osserva  in  a,  a,  a  lo  stesso  feno- 
meno che  vedemmo  nella  figura  precedente  ma  più  evi- 
dente, cosi  che  si  venne  assotigliando  la  colonna  sanguigna. 
La  quale  per  effetto  della  maggiore  produzione  della  parete 
vasaio  s' interompe  completamente. 

Fig.^  8.  —  Nel  modo  dianzi  ricordato  si  venne  a  pro- 
durre r  alterazione  vasale  che  mostra  questa  figura  —  si 
direbbe  una  stasi  bianca  a,  a,  a,  a,  a.  Va  rilevato  quanto 
osservasi  nell'  angolo  formato  dalla  divisione  dicotomica 
del  vaso,  cioè  una  sostanza  granulosa  eguale  a  quella  che 
riempie  il  vase,  in  mezzo  alla  quale  stanno  elementi 
embrionali. 

Fig.*  9.  —  Dimostra  come  la  parete  vasale,  mentre 
subisce  quei  mutamenti  di  forma  che  vedemmo,  possa  inte- 
rompersi  e  dar  luogo  a  fuoriuscita  di  sangue  —  vera  emor- 
ragia per  rexin. 

Fig.^  10.  —  E  un  capillare  che  rappresenta  due  fatti. 
Mentre  si  sta  osservando,  massime  in  principio  dell'esperi- 
mento, si  vedono  delle  contrazioni  totali  del  vaso,  che  nel- 
r  istante  rapidissimo  nel  quale  dura  la  contrazione  piglia 
nel  punto  osservato  la  forma  riprodotta  nella  figura.  La 
stessa  alterazione  di  forma  ho  veduto,  non  fugace,  ma  per- 
manente in  altri  vasi  in  fine  dell'esperimento.  Nel  primo  caso 
non  v'  è  interuzione  della  colonna  sanguigna,  che  si  osserva 
invece  nel  secondo. 

Tralascio  di  ricordare  altre  cose,  delle  quali  non  è 
qui  il  luogo. 


SOFIR-j^     XJISr     GA.FIT01L.0 


ATTTRIBUITO   A 


GALILEO    GALILEI 


NOTA  DEL  M.  E.  ANTONIO  FA  VARO 


Sulla  fede  di  un  codice  magliabechiano  che,  tra  altri 
componimenti  poetici,  dichiara  contenere  un  «  Capitolo  del 
Sig/  Galileo  Galilei  contro  gli  Aristotelici  »  del  quale  non 
era  menzione  alcuna  né  appresso  i  biografi  del  sommo 
filosofo,  né  in  alcuna  delle  raccolte  delle  di  lui  opere,  né 
in  altri  manoscritti  a  me  noti,  confortato  dal  parere  di 
uomini  competenti  nelle  cose  letterarie,  i  quali  con  me  vi 
avevano  trovato  argomento  per  stimarlo  effettivamente 
galileiano,  ho  giudicato  opportuno  di  pubblicarlo  come  tale 
negli  Aili  di  questo  nostro  Istituto  (^).  Ma  eccf/  che  l'amico 
e  collega  prof.  Guido  Mazzoni  mi  avverte  cV'e  questo  me- 
desimo capitolo  trovasi,  quantunque  con  titolo  alquanto 
diverso,  pubblicato  tra  le  satire  di  Iacopo  Soldani  date 
per  la  prima  volta  alla  luce  nel  1751  per  cura  di  Anton- 
francesco  Gori  (2).  Mi  affretto  pertanto  a  denunziare  l'equi- 


(1)  A.  Fa  VARO,  —  Capitolo  inedito  e  sconosciuto  di  Galileo  Galilei 
contro  gli  Aristotelici.  (Atti  del  R.  Istituto  Veneto  di  Scienze^  Lettere  ed 
Ani.  Serie  VII.  Tomo  III,  pag.  1-12).  Venezia,  stab.  di  G.  Antonelli, 
1892. 

(2)  Satire   del    Senatore    Jacopo    Soldani   patrizio   fiorentino   con 


(726)  [2] 

voco  nel  quale  sono  caduto,  il  quale,  spero,  mi  sarà  per- 
donato da'  chi  rifletta  a  quanti,  e  ben  maggiori  di  me,  anzi 
maestri  nelle  cose  letterarie,  sono  purtroppo  occorsi  di  con- 
simili errori.  Per  mia  maggiore  giustificazione  aggiungerò 
soltanto  che,  se  ritorno  sull'  argomento,  si  è  appunto  per 
porgere  le  prove  che  il  capitolo  in  questione  non  sembra 
essere  di  Galileo,  e  questo  perchè  il  suo  sapore  galileiano  è 
tale  da  indurre  studiosi  peritissimi  nel  sospetto  che  sia  stato 
per  errore  al  Soldani  attribuito. 

Poiché  dunque  le  satire  del  Soldani  vennero  date  alla 
luce  da  Antonfrancesco  Gori,  abbiamo  stimato  opportuno  di 
cominciare  dal  prendere  in  esame  i  manoscritti  di  questo, 
i  quali  trovansi  presso  la  Biblioteca  Marucelliana  di  Firen- 
ze, e  fra  essi,  e  precisamente  nel  Cod.  Maruc.  A.  CLXXVI, 
trovammo  il  manoscritto  che  servi  molto  verosimilmente 
alla  stampa  :  in  esso  il  capitolo  «  contro  i  peripatetici  » 
occupa  le  car.  18-25,  e  in  dieci  carte  non  numerate 
seguono  le  note,  ripetute  poi  anche  in  altre  carte  del  co- 
dice medesimo  {^). 

Per  chi  volesse  istituire  studi  speciali  sulle  satire  del 
Soldani,  il  codice  Magliabechiano,  nel  quale  noi  abbiamo 
rinvenuto  il  capitolo  attribuito  a  Galileo,  offrirebbe  alcune 
notevoli  varianti  in  confronto    del   codice   Marucelliano    e 


annotazioni  date  ora  in  luce  la  prima  volta.  In  Firenze,  MDCCLI.  Nella 
stamperia  di  Gaetano  Albizzini,  pag.  49-57. 

(1)  Mi  sembra  di  dover  notare  che  in  questo  medesimo  codice, 
col  titolo  di  «  Abiurazione  del  Peripateticismo  »  trovasi  un  sonetto  del- 
l' Abg,te  Falconieri,  indirizzato  al  Conte  Lorenzo  Magalotti,  sonetto 
munito  di  lunga  coda,  nella  quale,  rivolgendosi  ad  Aristotile,  scrivo  : 

«  Il  nostro  OiUileo 
«  T'  ha  fatto,  col  suo  Occhiai,  chiaro  vedere 
«  Che  sogni  son  quelle  tue  salde  sfere  : 

«  E  a  dirti  il  mio  parere, 
«  A  me  non  quadra  piii  quella  dottrina 
«  Di  por  pianeti  e  stelle  in  gelatina.  » 


[?.]  (727) 

(Iella  stampa  ;  ma  pci-clir  di  ciò  non  facciamo  argomento 
ai  nostri  studi  ed  alle  nostre  ricerche,  ci  contenteremo  di 
avervi  richiamata  1'  attenzione  di  chi  potrebhe  avervi 
interesse. 

L'  esame  poi  delle  annotazioni  del  Gori,  per  verità 
soverchiamente  copiose  e  prolisse,  mette  in  chiaro  che,  an- 
che per  ciò  che  si  riferisce  alle  illustrazioni  concernenti  i 
varii  personaggi  nelle  Satire  menzionati,  esse  gli  riuscivano 
tutt'  altro  che  facili  ;  e  mentre  nello  stampato  vi  accenna 
come  a  cose  a  tutti  notissime,  risulta  dal  manoscritto  che 
egli  durò,  e  specialmente  per  alcuni,  fatica  grandissima  a 
procurarsi  notizie,  pur  volgendosi  da  ogni  parte  e  ricor- 
rendo a  letterati  ed  eruditi  con  i  quali  si  trovava,  come  è 
ben  noto,  in  istretta  relazione.  Come  a  noi,  anche  al  Gori 
])orse  motivo  di  lunghe  ricerche  il  «  Dottor  Bozzio,  »  o 
«  Hozio  »,  come  leggiamo  nella  stampa,  intorno  al  quale 
egli  ci  avverte  che  il  Menzini  adoperò  ancor  egli  questo 
nome  nelle  Satire  : 

«  Sei-  Hozio,  che  non  sa  come  si  fare 
Ad  arricchir,  facendo  il  Dottoraccio, 
S'  è  messo  a  tentennar  presso  un  Altare.  » 

ed  aggiunge  :  «  Bozio,  nome  finto,  sotto  cui  intende  alcuno 
degli  avversarli  del  Galileo,  e  forse  parla  del  filosofo  Ce- 
sare Cremonino,  il  quale  difendeva  a  tutto  costo  contro  al 
Galileo  il  Cielo  del  suo  Aristotile  inalterabile  ed  esente  da 
qualunque  accidentale  mutazione  :  ed  il  medesimo  Galileo 
nel  suo  Discorso  intorno  alle  cose  che  stanno  sull'  acqua, 
(lice  al  Granduca  Cosimo  II  che  gli  Aristotelici  suoi  av- 
versarli mettono  in  sospetto  ciò  che  non  esce  dalle  Scuole 
Peripatetiche  »  (i). 

Quanto  agli  altri  personaggi    de'  quali  è  menzione   o 


(1)  Satire  del  Senatore  Jacopo  Soi.dani,  ecc.  pag.  79. 


(728)  [4] 

a'  quali  si  accenna  nella  Satii'a,  fui  ben  lieto  di  appren- 
dere dalle  note  del  Gori  che  io  avevo  imbroccato  giusto, 
indovinando  rispetto  ad  uno  di  essi,  (i)  e  forse  giungendo 
rispetto  ad  un  altro  più  in  là  dei  l'isultati  da  esso  conse- 
guiti ;  almeno  per  ciò  che  consente  di  argomentare  il  con- 
fronto fra  le  note  stampate  e  le  manoscritte  {^). 

E  quantunque  non  abbia  motivo  di  rallegrarmi  per 
l'equivoco  nel  quale  sono  caduto,  pure  non  me  ne  rammarico 
troppo,  perchè  la  mia  attenzione  e  quella  pur  d'altri  vennero 
per  tal  modo  richiamate  su  questo  Capitolo,  il  quale,  se  anche 
non  di  Galileo,  deve  tuttavia  risguardarsi  come  galileiano,  e 
notevole  tanto  per  sé  stesso,  quanto  per  le  relazioni  nelle 
quali  trovavasi  il  riconosciuto  autore  di  esso,  Iacopo  Sol- 
dani,  con  Galileo,  relazioni  intorno  alle  quali,  poiché  ce 
se  ne  porge  1'  occasione,  vogliamo  soggiungere  brevissime 
parole. 

Nacque  Iacopo  Soldani  in  Firenze  l' anno  1579  di 
Bernardo  e  di  Ginevra  di  Francesco  Aldobrandini,  e  si 
dedicò  allo  studio  delle  leggi  e  delle  belle  lettere.  Vogliamo 
notare,  poiché  si  tratta  di  cosa  concernente  un  personaggio 
galileiano,  (3)  che  egli  lesse  1'  orazione  funebre  in  lode  di 
Luigi   di   Piero  Alamanni.  Persona    gratissima  alla    Corte 


(1)  Accenno  al  Paolsanti,  rispetto  al  quale  m'  era  sfuggito  che  il 
Targioni-Tozzetti  ne  fa  espressa  menzione,  scrivendo  :  «  Antonio  Pa- 
olsanti, aiutante  di  camera  del  Serenissimo  Gran  Duca  prese  1'  appalto 
del  Diaccio  per  lir.  400  1'  anno  (che  poi  lo  comprò  da  lui  Madama  Se- 
renissima, e  lo  donò  et  applicò  al  mantenimento  delle  Monache  Con- 
vertite). »  —  Cfr.  Notizie  degli  aggrandimenti  delle  scienze  fìsiche  ac- 
caduti in  Toscana  nel  corso  di  anni  LX  del  secolo  XVII  raccolte  dal 
Dottor  Gio.  Targioni-Tozzetti.  Tomo  Terzo.  In  Firenze,  MDCCLXXX, 
pag.  223. 

(2)  Alludo  al  Broccardi,  il  quale  mi  sembra  non  risulti  abbastanza 
identificato  dalla  annotazione  del  Gori,  per  quanto  scriva  trattarsi  di 
persona  notissima  a'  suoi  tempi. 

(3)  Le  Opere  di  Galileo  Galilei.  Edizione  Nazionale  sotto  gli  auspicii 
di  Sua  Maestà  il  Re  d' Italia.  Volume  Primo.  Firenze,  tip.  di  G.  Barbèra, 
1890,  pag.  183. 


[5]  (729) 

di  Toscana,  vi  ebbe  le  cariche  di  Cameriere  del  Granduca, 
e  d'Aio  e  Maestro  di  Casa  del  Principe  Leopoldo,  ed  agli 
iifTici  che  in  tal  carica  egli  ebbe  a  disimpegnare  dobbiamo 
le  due  sole  lettere  a  Galileo  che  di  lui  ci  siano  pervenute  : 
l'una  di  esse  si  ha  già  alle  stampe,  (i)  l'altra,  rimasta  finora 
inedita,  ("^)  stimiamo  opportuno  di  (jui  appresso  pubblicare: 

«  Questa  Serenissima  Altezza  (^)  ha  ricevuta  quella 
parte  d'  Archimede  che  VS.^  Ecc.'"^  le  ha  mandata,  che  è 
stata  opportuna,  avendo  in  essa  studiate  quelle  proposizioni, 
elle  appartengono  alla  materia  delle  galleggianti,  che  ulti- 
mamente aveva  alle  mani  nel  suo  trattato,  e  quando  il  Sig. 
Viviani  ara  finito  di  studiare  il  restante,  VS.^  Ecc.™*  lo 
potrà  inviare  all'  Altezza  Sua,  la  quale  aspetta  con  deside- 
rio la  sua  risposta  al  Sig.  Liceti,  (*)  ed  ha  ammirato  la 
di  lui  intrepidità,  che  non  si  sbigottisca  dalla  moltiplicità 
degli  avversari,  e  la  saluta  caramente,  ed  io  rappresen- 
tando a  YS.^  Ecc."*  la  mia  osservanza  le  fo  aff'ezzionatissima 
reverenza. 

Di  Siena,  21  novembre  1640.  » 

Dalla  lettera  che  si  ha  alle  stampe  risulta  che  al  Sol- 
dani  furono  anche  indirizzate  lettere  dal  nostro  filosofo;  ma 
nessuna  tra  esse  pervenne  fino  a  noi,  almeno  per  quanto 
risulta  dalle  ricerche  sino  ad  ora  da  noi  istituite. 

Scolaro   di  Galileo    è    detto    Iacopo   Soldani   dal   Sal- 


{[)  Le  Opere  di  Galileo  Galilei.  Prima  edizione  completa,  ecc.  Tomo 
X.  Firenze,   1853,  pag.  134. 

(2)  Biblioteca  Nazionale  di  Firenze.  —  Mss.  Galileiani.  Parte  I. 
Tomo  XII,  car.   192. 

(3)  Il  Principe  Leopoldo,  poi  Cardinale,  de'  ^Iedici. 

(4)  Qui  deve  accennarsi  alle  aggiunte  e  modificazioni  che  Galileo 
stava  preparando,  e  per  avere  le  quali  ripetutamente  insiste  il  Liceti 
nel  suo  carteggio;  giacché  la  risposta  era  stata  dal  nostro  filosofo  man- 
data al  Principe  Leopoldo  fin  dall'aprile  1040. 


(730)  [61 

vini,  (1)  dal  Gori,  ("^)  dai  Targioni  -  Tozzetti  (•')  e  dai 
Nelli  ;  (*)  ma  io  non  credo  che  come  tale  sia  da  risguar- 
darsi  nello  stretto  senso  della  parola  :  quando  il  sommo  fi- 
losofo e])l)o  fatto  ritorno  in  Firenze,  il  Soidani  aveva  già 
varcato  il  sesto  lustro,  ed  era  tredicenne  appena  quando  Ga- 
lileo lasciò  la  cattedra  di  Pisa  per  quella  di  Padova,  sicché  il 
periodo  della  di  lui  istruzione  si  coni})!  mentre  il  nostro 
filosofo  era  fuori  della  Toscana.  Molti,  che  dai  Ijiografi  di 
Galileo  son  detti  suoi  scolari,  non  fecero  che  seguirne  le  dot- 
trine e  schierarsi  dalla  sua  parte  nelle  numerosissime  lotte 
eh'  egli  ehbe  a  sostenere  contro  i  peripatetici  ed  i  teologi; 
e  tra  questi  ai)punto  noi  pensiamo  che  debba  annoverarsi 
il  Soidani,  il  quale  perciò,  ma  impropriamente,  venne  detto 
discepolo  suo. 

Iacopo  Soidani  mancò  ai  vivi  addi    11    aprile    1641    e 
fu  sepolto  in  Santa  Croce. 


(1)  Fasti  Consolari  fieli' Accademia  FHorentina  di  Salvino  Sal- 
tini, Consolo  della  medesima  e  Rettore  Generale  dello  Studio  di  Firenze. 
In  Firenze,  M.DCC.XVII,  nella  stamperia  di  S.  A.  R.  per  Gio.  Gaetano 
Tartini  e  Santi  Franchi,  pag.  362. 

(2)  Satire  del  Senatore  Jacopo  Soldani,  ecc.  pag.  58. 

(3)  Notizie  degli  aggrandimenti  delle  scienze  fisiche  accaduti  in 
Toscana  nel  corso  di  am%i  LX  del  secolo  XVII  raccolte  dal  Dottor  Gio. 
Targioni-Tozzettl  Tomo  Primo.  In  Firenze,  MDCCLXXX,   pag.  188. 

(4)  Vita  e  commercio  letterario  di  {Galileo  Galilei^  ecc.  scritta  da 
Gio.  Batista  Clemente  de'  Nelli,  ecc.  Volume  II.  Losanna,  1793, 
pag.  771. 


GLI  OPPOSITORI  DI  GALILEO 


Stt  DI  DEL  M.  E.  ANTONIO  FAVARO 


In  un  primo  scritto  da  me  presentato  all'Istituto  intorno 
a  questo  argomento  (i)  ho  già  avuto  1'  onore  di  chiarire 
quali  fossero  i  miei  intendimenti  nell'accingermi  a  dare  in 
luce  questa  nuova  serie  di  studi  galileiani.  Imprendendone 
pertanto  la  continuazione,  mi  preme  di  porre  in  evidenza 
come  nel  far  precedere  gli  uni  agli  altri  questi  saggi  con- 
cernenti gli  studiosi,  più  0  meno  degni  di  questo  nome,  i 
quali  si  levarono  contro  Galileo  e  contro  le  scoperte  da  lui 
annunziate  e  dimostrate,  non  mi  sono  prefissato  di  seguire 
alcun  ordine  né  di  tempo  né  di  luogo,  ma  di  seguire  il 
mio  talento  e  le  occasioni  che  dalla  continuazione  delle 
mio  indagini  mi  sarel)l)ero  state  offerte.  Cosi,  dopo  aver  in- 
cominciato a  trattare  di  uno  che  in  ordine  di  tempo  fu  tra 
gli  ultimi  oppositori  di  Galileo,  rivolgo  ora  la  mia  attenzione 
ad  altro  il  quale  non  fu  nemmeno  egli  de'  primi  e  che  il 
sommo  filosofo  volle  distinguerle  dalla  folla,  esprimendosi  a 
di  lui  riguardo  con  singolare  benevolenza. 

E  la  occasione  me  ne  é  off'erta  dalla  pubblicazione  di 
un  lavoro,  che,  per  gentile  e  lusinghiero  incarico  avutone 
dall'egregio  autore,  ebbi  già  l'onore  di  presentare  all'  Isti- 


(1)  A.  Fa  VARO.  —  Gli  Oppositori  di  Galileo.  —  I.  Antonio  Rocco 
(Atti  fli'l  R.  fstituto  Veneto  dixcienze,  lettere  ed  arti.  Serio  VII.  Tomo  III. 
pag.  «ìl5-():k)).  Venezia,  tip.  Antonelli,  1892. 

T.  IV,  S.  VII  48 


(732)  [2] 

tiito  (*),  lavoro  ricco  di  molti  pregi  e  che  reca  un  contributo 
notevole  agii  studi  galileiani.  Per  fermo  se  in  ogni  paese 
si  trovassero  studiosi  i  quali,  approfittando  della  conoscenza 
dei  loro  archivi  e  delle  loro  biblioteche,  volessero  mettere 
in  luce  tutto  ciò  che  risguarda  le  relazioni  di  Galileo  con 
i  loro  connazionali,  singolarmente  agevolato  sarebbe  il  com- 
pito di  chi,  ad  edizione  nazionale  galileiana  compiuta,  vorrà 
stendere  intorno  alla  vita  ed  alle  opere  del  sommo  filosofo 
quel  lavoro  sintetico,  per  il  quale  si  sono  già  raccolti  e  si 
vanno  di  continuo  raccogliendo  cosi  numerosi  e  cospicui 
materiali. 

Che  se  anche  di  questo,  del  quale  imprendo  a  trattare, 
possa  dirsi  più  giustamente  che  sia  stato,  non  tanto  un  op- 
positore di  Galileo  quanto  del  sistema  copernicano,  pure 
mi  parve  ch'egli  non  si  trovasse  affatto  fuori  di  luogo  in 
questa  serie  di  studi,  i  quali  più  che  ad  altro  tendono  a 
porgere  un  quadro  esatto  delle  varie  correnti  di  idee  che 
si  sono  manifestate,  non  già  contro  la  persona  del  sommo 
filosofo,  ma  contro  le  idee  da  lui  bandite  e  propugnate. 


(I)  Galilèe  et  In  Belgique.  Essai  historique  sur  les  vicissitudes  du 
système  de  Copernic  en  Belgique  pai'  le  docteup  Georges    Monchamp. 

—  Galilèe  et  la  Belgique  avant  les  condamnations  de  1616  et  1633.  — 
Publication  en  Belgique  de  la  condarnnation  de  1633.  —  Les  deux  pro- 
cès  de  van  Velden.  —  Le  système  de  Copernic  au  Séminaire  de  Liège. 

—  Saint-Trond,  impr.  libr.  G.  Moreau-Schouberechts,  1892. 

Dichiaro  una  volta  per  sempre  che  a  quest'  opera  ho  largamente 
attinto  per  tutte  le  notizie  relative  al  Froidmont,  procurando  però 
sempre,   per    quanto  mi  fu  possibile,    di    risalire   alle    fonti    citate    dal 

MONCH.'V^MP. 


II 

LIBERTO  FROIDMONT. 


Liberto  Froidmont,  che  personifica,  per  così  dire,  l'in- 
segnamento astronomico  impartito  a  Lovanio  nella  prima 
metà  del  decimosettimo  secolo,  nacque  in  Haccourt,  presso 
Visè  nell'anno  1587  (i).  Seguiti  brillantemente  gli  studi  di 
umanità  a  Maestrich,  prosegui  quelli  filosofici  nel  Collegio 
del  Falcone  in  Lovanio  e  vi  fu  proclamato  terzo  nella  pro- 
mozione in  arti  nel  1606.  Chiamato  jìoco  appresso  ad  una 
cattedra  di  filosofia  nel  Collegio  stesso,  fu  nel  1615  incari- 
cato di  presiedere  quei  curiosi  esercizi i  conosciuti  a  Lovanio 
sotto  il  nome  di  Saturnali  o  di  Discussioni  quodlibeticlie, 
e  de'  quali  abbiamo  un  saggio  notevole  nella  pubblicazione 
curatane  dal  Froidmont  stesso  e  che  ebbe  l'onore  di  due 
edizioni  (-).    L'  esame    di  questa  singolare   scrittura    non  è 


(1)  Stimiamo  opportuno  avvertire  che  questi  è  lo  stesso  che  fu  uno 
degli  esecutori  testatnentarii  del  Jansenius,  ai  quali  questi  ebbe  a  racco- 
mandare il  famoso  «  Augustinus  »  venuto  alla  luce  nel  1640  dopo  la 
di  lui  morte  :  pare  anzi  che  il  Froidmont  ne  abbia  alquanto  ritoccata  e 
migliorata  la  forma.  —  Cfr.  Histoire  dii  Cartèsianisme  en  Belgiqiie  par 
r  abbe  George  Monchamp.  Ouvrage  couronné  par  V  Académie  Royale 
de  Belgi<iue  (10  mai  1886).  Bruxelles,  1886,  pag.  99.  —  Cfr.  anche 
Histoire  iles  Sciences  Matìtèmatiques  et  Pìiysiques  cliez  les  Bek/es  par 
Ad.  Quetelet.  Bruxelles,  Hayez,  1864,  pag.  222. 

(2)  La  prima  intitolata  ;  «  Liberti  Froidmont  paedag.  Falconis  in 
Academia  Lovaniensi  philos.  professoris  Saturnalitiae  Coenae,  rariatae 
Somnio  sive  Peregrinatione  coelesti.  Lovanii,  1616  »  non  abbiamo  potuto 
procurarci;  ma  ci  sta  sott' occhio  la  seconda  che  ha  per  titolo:  Liberti 
Fromondi  in  Academia  Lovaniensi  S.  Th.  Doctoris  et  Professoris  Regii, 
Satuynnlitine  Coe»ae,  vnrinlae  somnio,  sire  peregrinatioìte  caelesti.  Ae- 
ditio  seciuida  correctior.  Lovanii,  typis  ac  sumptibus    Petri  Sasseni    et 


(734)  [4] 

privo  di  interesse  per  lo  scopo  nostro,  imperciocché,  la 
l)arte  principale  di  essa  essendo  dedicata  all'astronomia,  ci 
permette  di  conoscere  qnali  fossero  intorno  a  questo  tempo, 
cioè  poco  prima  del  famoso  decreto  del  1616,  le  opinioni 
del  Froidmont  intorno  al  sistema  del  mondo.  E  ad  esporle 
egli  si  giova  di  un  ingegnoso  artifizio  :  «  Ut  autem  pulpa- 
mentum  etiam  Coenis  istis  esset,  quod  philosophos  meos  du- 
ceret,  somniculoso  prò  eorum  gustu  papavere  variavi.  Som- 
nio,  dico,  de  i^e  Pliilosopha  et  caelesti.  Quae  aliis  mihive 
per  Dioptricam  Arundinem  in  caelis  arbitrata,  iterum  vul- 
gare  amor  ex  admiratione  invasit.  Ac  utinam  faberrima 
Galilaei  Arundo  obtigisset,  qua  tricorporem  Saturnum  di- 
stinxit,  ut  pluria  et  mage  curiosiora  potuissem  ».  Il  sogno, 
o  peregrinazione  celeste,  incomincia  a  metà  circa  dell'opu- 


H.  Nempaei,  1665.  —  Per  porgere  una  più  esatta  idea  del  contenuto 
di  quest'  opera,  stimiamo  opportuno  riprodurre  qui  appresso  i  titoli  delle 
varie  questioni:  I.  An  inaniter,  aut  stulte  Roraanorum  braccas,  ut  aiunt, 
togas,  penulas  aliosque  ritus  hodie  retractent  Litterati.  —  II,  Quid  su- 
per Eloquentia  Fhilosophorum  censes  ?  —  III.  Quae  avium  nostratiuni 
Romani  Turdi.  —  IV.  Quid  de  matribus,  an  novercis  dicas,  quae  In- 
fantes  tradunt  nutrieibus  ?  —  V.  Quanto  aevo  uxorem  ducas  ^  —  VI. 
An  mos  bellus  fabulandi  inter  epulas  ?  —  VII.  Quidni  romano  more  In- 
dex fercula  ante  mensam  pronunciet  convivii  ?  —  Vili.  Sine  risu,  aqua 
forsitan  in  potu  praestat  vino.  —  IX.  Nonne  iure  Praelatos  laudem, 
qui  e  grege  suo  Frocuratorem  culinae  et  rationibus  imponunt  ?  —  X. 
Famula,  an  famulo  melius  utatur  Ecclesiasticum  ?  —  XI.  Quidni  re- 
oreatio  honesta  est,  creatio  avicularii  Regis  ?  —  XII.  Adolescentes  an 
tri])udìa  dooendi.  —  XIII.  Utiliterne  feminis  in  cultu  fìgat  Princeps 
modum  ?  —  XIV.  Ad  Nationes  probas  quae  domestice  semper  habent 
feininas.  —  XV.  An  non  Principes,  nobilitasque  docendi  Mathesin  ?  — 
XVI.  Tristisne  gravitas,  an  familiaritas  iucunda  praeferenda  in  Prin- 
cipe ?  —  XVII.  Quid  de  Principibus,  qui  ignorati  cura  plebecula  se, 
fabulasque  miscere  solent  ì  —  XVIII.  An  Principi  musica  sit  addi.scenda. 

—  XIX.  Quem  militiae  Principem  habes  ab  omni  aevo  ?  —  XX.  Cui  pri- 
ma bonitas  inter  stilos?  —  XXI.  Pumilamno  staturam  praeferas  procerae? 

—  XXII.  Quae  in  Europa  nationes  et  cui  bello  bonae  ? 

A  metà  circa  dell'  opuscolo  (di  pag.  78)  incomincia  il    «  Somnium, 
sive  peregrinatio  caelestis.  » 


[5]  (785) 

scolo  :  il  (xcnio  ha  iiifoi'cato  Pcf^aso,  jia  preso  in  arcioni  il 
Froidnionl  e  lo  j)orta  seco  nelle  più  alte  regioni  del  cielo, 
niostran(lo.i>li  la  falsità  delle  opinioni  aristoteliche  intorno 
ai  capitali  ar^'onienti  d(dla  costituzione  dcdl"  uni\('i'so.  Il 
(lenio  si  lincia  di  tutto  il  sislenia  dei  ciidi  planetarii  solidi 
con  i  loi'o  eccentrici  oa\  ei)ici(di,  distendendosi  pid  a  lun<^() 
intoi'iio  alla  costituzione  della  Luna  e  traendone  occasione 
a  manifestare  le  sue  tendenze  copernicane  anche  per  ciò  che 
concerne  il  moto  della  terra.  «  Luna  vero,  scrive  il  Froid- 
mont,  ut  distinctius  ali([uid  autumen,  in  j)raocipua  fuit  ad- 
miratione  :  et  dispereani,  nisi  pene  erani  ut  Copei-nicanis 
adesseni,  uhi  altissinios,  (pia  maculosa  est  et  illunis,  montcs 
vidi,  et  incolaui  inihi  ali({ueni  suspectarem,  ut  in  Pianeta- 
rum  reliquis,  quorum  etiam  unum  (Terram)  nos  inliahita- 
rcmus  »  ;  ed  un  asterisco  alla  parola  «  Terram  »  richiama 
ad  uiui  postilla  marginale  :  «  (-opernicanorum  mente  ». 

Non  si  dichiara  contrario  all'esistenza  di  corsi  d'acqua 
nella  Luna  :  «  et  quid  si  etiam  hic  fluant  maria  ?  reputa- 
hani  mecum,  et  lunares  istas  olim  cataractas  Deus  laxavit 
ubi  scelera  mortalium  Noachi  diluvio  vindicare  placuit  ? 
Nec  enim  ut  ibi  jam  sine  labe  sustineantur,  valde  Coperni- 
cani sudant,  qui  prona  Erronei  cuiusque  cum  suo  Pianeta 
Mundi  Elementa  in  unum  sui  sideris  centrum,  non  aliorsum. 
faciunt  i)ropendere.  Non  erit  igitur  aqua  illa  àuTO[xa-w;  et 
spontali  lapsu  magis  ad  Planetae  nostri  (Telluris  dico)  cen- 
trum ruat,  quam  liaec  maria  ad  Lunam  ».  Di  Venere  vede 
le  fasi  :  nelle  macchie  del  Sole  ravvisa  piuttosto  delle  masse 
nebbiose  che  non  ammassi  di  stelle,  e  lascia  libero  il  varco 
a  tutto  il  suo  entusiasmo  alla  vista  di  Giove  e  di  Saturno. 
«  Circa  .lovem,  Jupiter,  quam  mira  et  hactenus  incredula  ! 
(juaternae  Lunae  germanissimae  nostrae  huius  circumlu- 
dunt.  diebus  solis  14  quae  tardissima  inter  eas  intelligitur. 
Altum.  Deus  immortalis,  naturae  arcanum  ».  .  .  .  «  Satur- 
nus.  Saiurnus  ainplius  non  est,  sed  (lervon  tricorpor,  Pala- 
vinum  Ai'gum  melius  audies,  (pii  i)i'incei)s  oculis  crystallinis 
euni  vidit  »  ;  e  ([ui  riporta   testualmente  un  lungo  s(iuarcio 


(736)  [6] 

di  quella  lettera  di  (ialileo  a  (xiuliano  de'  Medici,  nella  quale, 
sotto  il  di  13  novembre  1610,  gli  svelava  l'anag-ramma  di  Sa- 
turno tricorporeo.  Per  il  Froidmont  in  ciascheduna  parte  de- 
gli astri  risiede  una  forza  motrice,  quindi  nessun  bisogno  di 
angeli  per  determinarne  il  movimento.  La  Via  Lattea  è  rive- 
lata dal  telescopio,  altro  non  essere  che  un  ammasso  di  stelle. 
Le  stelle  fisse  hanno  luce  propria.  Il  sogno  si  chiude  con  una 
nuova  allusione  al  sistema  copernicano  :  «  Quid  ergo  magni 
mali,  Christum  ibi,  Virginemque  Matrem,  aliosque  tantisper 
non  incondito  et  turbulento  raptu,  sed  compositissimo  labi 
cum  siderali  Mundi  gestatio,  aut  alioqui  sine  labore,  sensuve 
motus,  non  detrectat  Principum  maiestatem  :  nec  dehone- 
stius  ideo  in  Terra  Christus  habitavit,  si  Copernicana  eam 
vertigo  cottidie  in  oi'bem  rapii  ». 

Alle  obiezioni,  che  si  sarebbero  sollevate  contro  le  novità 
contenute  nel  suo  libro,  risponde  })reventivamente  il  Froid- 
mont, chiudendone  la  prefazione  al  lettore  con  queste  signi- 
ficantissime parole  :  «  Quae  nove  ibi  et  audacter  ingenio 
experiundo  saltem  dedi,  tu  recipe,  si  prolubium  erit.  Et 
tamen  etiam  cur  sic  refutes  ?  Casci  illi  Naturae  diligentes 
oculos  suos  aestimarent,  irrisis  patrum  caligini1)us:  nos  ve- 
luti  a  fato  caeci,  aut  in  aevum  Pyrrhonis  delati,  dubitamus 
videre  quae  videmus  :  et  nihil  credere,  nisi  lippientibus  ali- 
quot  e  mucida  Antiquitate  senecionibus  praevisum  offìrma- 
mus.  Proficient  nobiscum  Artes,  si  sic  pergimus.  Sed  in 
expedito,  dices,  iam  est  via,  trita  arte  nos  tot  Astronomo- 
rum  Clarissimis  :  quid  in  nova  hac  et  difficili  semita  ultro 
te  impedias?  matula  Philosophi  a  me  falcem  capi.  Sentium, 
scio,  spinaruraque  aliqua  caede  0})us,  quas  diu  aluit  opinio 
communis,  sed  adhibe  maiuim  ;  nec  per  Deum  in  te  veret 
illud  Epicurei  vatis. 

Ardua  cium  inetuunt,  amittunt  vera  viai.  » 

In  ([uest'uomo  pertanto,  così  ben   preparato  a  seguire 
e  ad  accompagnare  le  riforme  che  si  andavano  maturando 


[7]  (7:>>7) 

ili  ()f,nii  ordine  di  scienze,  do\eva  pi'odnri-e  l;i  più  penosa 
ini})i'essione  il  decreto  del  KiUi  col  «[naie  veniva  condan- 
nato il  -si-stenia  copernicano,  decreto  del  qnalo  soltanto  circa 
(Ine  anni  dopo  gli  giungeva  la  notizia.  Nella  lettera  indi- 
rizzata a  Toininaso  Feyens  a  proposito  della  cometa  del  no- 
\enil»re  KilS  (i)  leggiamo  infatti:  «  Sed  d(i  ('o[)ernicanis 
(juid  ex  te  nuper  intellexi,  vir  clarissime  ?  Ab  uno  aut  al- 
tero anno  damnatos  a  Sanctissimo  Domino  Nostro  Paulo  ? 
Hactenus  mihi  inauditum,  inauditum  tot  hodie  per  Germa- 
niam  et  Italiani  doctissimis  (>t  catholicis,  uti  puto,  viris,  qui 
terram  cum  Copei-nico  volvunt.  Tantum  etiam  temporis  in- 
terlapsum,  niliil  amplius  rumoris  sparsisse  ?  vix  credani, 
nisi  certius  (|uid  nobis  venerit  ab  Italia.  Tales  enim  deiini- 
tiones  pul)licandae  maxime  per  Academias,  ubi  viri  docti, 
(piibus  talis  opinionis  forte  periculum.  »  Ed  è  lo  stesso 
Froidmont,  il  quale,  se  nella  Peregrinano  Caelestis  non 
aderiva,  certamente  sembrava  propendere  verso  il  sistema 
Copernicano,  che,  contro  Giusto  Lipsio,  nega  questa  «  eresia  » 
sepolta  col  suo  banditore,  affermando  che  «  vivit  et  viget 
etiam  nunc  apud  niultos  »  e  che  })iir  riconosceva  non  po- 
tersi sollevare  contro  di  esso  alcuna  seria  obiezione  scien- 
tifica, pure  non  vuole  allontanarsi  dal  senso  proprio  delle 
Sacre  Scritture,  ed  anzi  più  tardi  recrimina  fortemente  con- 
tro chi  aveva  sparsa  voce  che  dell'incriminato  sistema  egli 
pure  fosse  partigiano.  «  Fama  etiam  ibi,  sci'ive  egli,  (sic 
audio)  apud  quosdam  temere  vulgavit,  me  olim  etiam  in  Co- 
pernici sensu  et  Philosophia  fuisse,  sed  Decreto  Sacrae  Con- 
gretationis  Cardinalium  exterritum,  in  Aristotelis  et  Ptole- 
maei  castra  refugisse.  Quam  errant  !  Nimis  enim  magna 
somper  admiratione  in  Aristotele  defixus  fui,  quam  ut  tra- 
latitiis  et  ridiculis  argumentis,  levitateque  desultoi-ia  po- 
tuerim   unquani  alio  transfugisse.  Sed    hoc,  o[)inor,    volunt 


(1)  De  Cometa  anni  1618  disserta tiones,  in  quihiis  timi  istins  motiis. 
tì(m  nliorum  oniniiim  essentin,  e/fertus  et  praesiif/ie»'li  fncullas  decla- 
rantur.  Antverpiae,  1619, 


(738)  [8] 

dicere  :  Me  inter  discipulornm  scholas,  ingenium  Copernici 
et  terrae  motum  snljtilitatem  (sed  ut  veteres  quidam  malas 
feminas,  aiit  febrim  quartanam)  aliquando  laudavisse,  et  ar- 
gumenta  Aristotelis  ac  Ptolemaei,  ad  exercitationem  ingenii, 
conatum  in  speciem  soliira  et  dicis  ergo  dissolvere  »  (i).  Ed 
è  lo  stesso  che  argutamente  annunziava  essere  la  cometa 
del  1618  avvisatrice  della  morte  d'un  principe,  cioè  d'Ari- 
stotele :  «  Hic  cometa  certe  Aristoteli  nostro  non  minas  so- 
lum,  sed  exitium  tulit.  Ite,  Peripatetici,  et  imaginarium  fu- 
nus  facite  vestro  principi  !  »  {^). 

E  come  dopo  ciò  potrà  negarsi  che,  al  tempo  di  Galileo 
e  prima  della  condanna,  gran  numero  di  cattolici  erano  co- 
pernicani e  che  il  decreto  della  Tongregazione  dell'Indice 
tarpò  le  ali  di  questi  ingegni  ?  Noi  stessi  in  altra  occasione 
ne  abbiamo  recato  un  esempio  in  Bartolomeo  Sovero  (3)  ; 
il  Froidraont  ce  ne  porge  un'altro,  nel  che  consente  leal- 
mente il  Monchamp  (^)  che  noi  andiamo  seguendo. 

E  a  pronunziarsi  apertamente  contrario  al  sistema  di 
Copernico  porgeva  al  Froidmont  occasione  la  pubblicazione 
dei    suoi    Meteorologici    (•>).    Imperciocché,    mentre  da    una 


(1)  Liberti  Fromondi  in  Academìa  Lovanensi  S.  Th.  Doct.  et  Prof. 
Ord.  Vesta,  sive  Ant- Aristar  chi  Vindex,  adversus  Jac.  Lansbergium  Phi~ 
lippi.  F.  Medicum  Middelburgensem.  In  quo  Decretuni  S.  Congregationis 
S.  R.  E.  Cardinalium  anno  M.DC.XVI  et  alterum  anno  M.DC.XXXIII 
adversus  Copernicanos  terrae  motores  editiim,  iternm  defenditiir.  Ant- 
verpiae,  ex  officina  Plantiniana  Balthasaris  Moreti ,  M DC.XXXIV , 
car.  8  =^. 

(2)  De  Cometa  anni  1618  Dimu-lntlnnes,  ecc.  pag.  79-80. 

(3)  Ricerche  ulteriori  intorno  alla  cita  ed  alle  opere  di  Bartolomeo 
Sooero  matematico  svizzero  del  secolo  XVII  per  Antonio  Favaro. 
Roma,  tipografia  delle  scienze  matematiche  e  fisiche,  1886,  pag.  6. 

(4)  Galilèe  et  la  Belgique,  ecc.  pag.  48. 

(5)  Liberti  Fromondi  S.  Th.  D.  Collegii  Falconis  in  Academia 
Lovaniensi  Philosophiae  Professoris  Primarii  Meteorologicoruìn  Libri 
sex,  Antverpiae,  ex  officina  Plantiniana,  apud  Balthasarem  Moretum  et 
Viduam  .Joannis  Moreti  et  .Io.  Meursiuni,  M.DC.XXVIl.  —  Se  ne  ha 
pure  una  seconda    edizione  intitolata  :    Liberti    Fromondi    in    Collegio 


l'.ij  (7:;!i) 

t'i'ciso  (Iella  iiiti'odii/ionc  [loli'chhc  indursi  il  jd-op, (si- 
to suo  (li  astenersi  dal  tratlartie,  iiixcxMiido  l"es(Miij)i()  di 
Santo  Agostino,  al  miale  (lalileo  stesso  s' ei-a  richiainato 
nella  famosa  lettera  a  Cristina  di  Lorena  (i),  in  effetto  cen- 
sura asi)raniente  in  Keplero  il  paradosso  «  de  Telluris  ani- 
niatione  et  mota  »  ("^),  e  trae  occasione  dallo  studio  del 
fenomeno  delle  maree  per  dire  :  «  Maris  aestum,  terrae 
motus  Pythagorici  et  Copernicani  effectum  sentit.  Sed  non 
jìotest,  licet  Solem  stare  et  terrae  motum  istum  diurnum 
in  orbem,  et  fabulosum,  prò  vero  demus  (^).  Il  libro  terzo 
«:  De  Cometis  »  off're  al  Froidmont  frequenti  occasioni  di 
menzionare  Galileo  a  proposito  delle  opinioni  da  questo 
avanzate  in  materia  per  bocca  del  (luiducci,  soff'ermandosi 
specialmente  ad  impugnare  (quelle  che  si  riferiscono  alla 
origine  terrestre  delle  comete  ed  alla  loro  traiettoi'ia. 

INIa  a  combattere  ex-professo  il  sistema  copernicano  ed 
a  difendere  espressamente  il  decreto  del  1616  scese  in  campo 
il  Froidmont  col  suo  Ant-Aristarchus  (^)  dato  alla  luce 
nel  1631  e  dedicato  ad  Andrea  Trevisi,  medico  della  corte 
di  Bruxelles  col  quale  sembra  che  si  fosse  trattenuto  ed 
avessero  insieme  motteggiato  intorno  a  questo  argomento, 
poiché    gli   scrive  ;  «  Quae  nuper    corani   in  Copernicanos 


Falconis  Lovanii  olim  Philosophiae  Professoris  Priinarii  Meterologico- 
rmn  Libri  sfj-.  Flditio  altera  auctior  et  emendatior.  Lovanii,  typis  Hie- 
ronymi  Nempaoi,  Anno  M.On.XLVI.  —  Se  ne  lia  infino  una  terza  di 
Londra,  1655. 

(1)  Le  opere  di  Galileo  Galilei.  Prima  edizione  completa,  ecc. 
Tomo  II.  Firenze,  1843,  pag.  35. 

(z)  Lucerti  Fromondi,  ecc.  Meteoroloaiconoa.  ecc.  Antverpiae, 
M.DC.XXVII,  pag.  128. 

(3)  Ibidem,  pag.  258. 

(4)  LujERTi  Fromondi  in  .Vcadoruia  Lovaniensi  S.  Th.  Doct.  et 
]irof.  ord.  Ant- Aristar  ci  lus  sice  Orbis— Terrae  immobilis.  Libar  unicus. 
In  quo  decretum  S.  Congregationis  S.  R.  E.  Cardinal,  an.  CIO.IOC.XVI 
adverdus  Pythagorico-Copernicanos  editum  defenditur.  Antverpiae.  ex 
otficina  Plantiniana  Balthasaris  Moreti,  M.DC.XXXI 


('40)  [10] 

brevitep  disseruimus,  sparsa  hic  vides  et  diffusa  in  Libelli 
molem.  Ad  te,  inquam,  noster  Ant-Aristarchus  venit:  non 
ut  in  partes  trahat,  sed  ducera  in  hac  pugna  sequatur,  qui 
dudum  Aristarchos  rationes,  visu  et  omni  genere  teli  in- 
cessere  soles  ».  E  questa  intonazione  di  scherno  dette  il 
Froidmont  al  suo  lavoro,  di  che  amaramente  si  dolse  Ga- 
lileo scrivendone  al  Diodati  :  «  Quanto  al  Fromondo  (che 
pur  si  mostra  uomo  di  grande  ingegno)  non  avrei  voluto 
che  egli  fosse  incorso  in  quello  che  a  me  pare  grave  er- 
rore, benché  assai  comune,  cioè  che  egli  per  confutare  l'o- 
pinione del  Copernico  prima  cominciasse  con  punture  di 
scherno  e  di  derisione  verso  quelli  che  la  tengono  vera,  e 
poi  (che  più  mi  pare  inconveniente)  volesse  stabilirla  princi- 
palmente con  la  autorità  della  Scrittura,  e  finalmente  con- 
dursi a  darle  per  tali  rispetti  titolo  poco  meno  d'  eretica. 
Che  il  tenere  questo  stile  non  sia  lodevole  mi  pare  che 
assai  chiaramente  si  possa  provare.  Imperocché  se  io  do- 
manderò al  Fromondo  di  chi  sono  opera  il  sole,  la  luna,  la 
terra,  le  stelle,  le  loro  disposizioni  e  movimenti,  penso  che 
mi  risponderà  essere  fattura  d'Iddio.  E  domandato  di  chi 
sia  dettatura  la  Scrittura  Sacra,  so  che  risponderà  essere 
dello  Spirito  Santo,  cioè  parimenti  d'Iddio.  Il  mondo  dun- 
que sono  le  opere,  e  la  Scrittura  sono  le  parole  del  mede- 
simo Iddio.  Dimandato  poi  se  lo  Spirito  Santo  sia  mai  usato 
nel  suo  parlare  di  pronunziare  parole  molto  contrarie  in 
aspetto  al  vero  e  fatte  cosi  per  accomodarsi  alla  capacità 
del  popolo,  per  lo  più  assai  rozzo  e  incapace,  sono  ben 
certo  che  mi  risponderà,  insieme  con  tutti  i  sacri  scrittori, 
tale  essere  il  costume  della  Scrittura,  la  quale  in  cento  luo- 
ghi proferisce  (per  lo  detto  rispetto)  proposizioni  che  prese 
nel  vero  senso  delle  parole  sarebbero  non  pure  eresie  ma 
bestemmie  gravissime,  facendosi  lo  stesso  Iddio  soggetto  a 
ira,  a  pentimento,  a  dimenticanza  ecc.  »  (i). 


(1)  Le    Opere   di    Galileo    Galilei.    Prima    edizione    completa,    ecc. 
Tomo  VII.  Firenze,  1848,  pag.  17. 


Ili]  ('11) 

Impulso  alla  nuova  |iul»Mi(\'i/ioiu'  del  iM-oidmont  a>\,'- 
\ano  (lato  <la  uua  irdvlc  -li  a|)[>i-('//aiucnli  poco  benevoli 
(lei  (juali  (la  [rAvio  di  alcuni  scienziati  cittolici  ei'a  stato 
scopo  il  decreto  del  1()1()  e  dall'alti-a  le  pubblicazioni  d'un 
niinisti'o  protestante,  Filippo  van  Lansberge  (i)  «  quem,  co- 
m'ogli  scriveva,  vicini  Hollandi  tani  alte  et  improbe  extol- 
lunt,  ut  supra  Copernicum  aliquid  sapere  videi'i  possit  »  e 
che  s'era  schierato  coi  sostenitoi'i  della  condannata  teoria. 

Le  menzioni  clie  di  Galileo  si  riscontrano  in  questo 
li])ro  del  Froidmont  non  sono  molto  frequenti,  ma  (juasi  tutte 
imi)rontate  ad  una  grande  deferenza  verso  il  nostro  filosofo. 
Ne  dice  da  principio  che  esso  ed  il  Foscarini  sono  1  parti- 
giani del  Copernico  in  Italia,  più  innanzi  scrive  di  avere 
da  lui  e  dal  Keplero  la  conversione  delle  macchie  solari, 
cosa  questa  notata  da  (  ralileo  con  singoiar  compiacenza  ("^)  ; 
ne  ricorda  la  comunicazione  fatta  a  Giuliano  de'  Medici 
circa  il  diametro  apparente  del  Cane,  e  le  osservazioni  fatte 
sulla  Via  Lattea,  S()ffermandosi  alquanto  a  lungo  sulle  que- 
stioni passate  col  Grassi  ed  accennando  finalmente  al  moto 
di  Venere  e  di  Mercurio  intorno  al  Sole  (»).  Ed  altrettanto 
benevoli  può  dirsi  siano  stati  i  giudizi  che  Galileo  eb])e  a 
pronunziare  intorno  al  Froidmont.  Della  pubblicazione  del- 


(1)  Progymnasmatum  astronomiae  restitutae  liber  da  Motu  Solis. 
Middelburgi,  apud  Zachariain  Roinanum,  M.DCXIX. 

Philifpi  Lansbergii  Commentationes  in  motum  Terme  diurnum 
et  nnnuum  et  iti  verum  adspectnbilis  Caeli  typum,  ecc.  Ex  belgico  ser- 
mone in  latinum  versae  a  Martino  Hortensio  delfensi  una  cum  ipsius 
praefatione,  in  qua  astronomiae  braheanae  fundamenta  examinantur  ;  et 
cura  Lansbergiana  astronomiae  restitutioni  conferuntur.  Middelburgi, 
apud  Zachariam  Romanum,  M.DC.XXX. 

(2)  Le  aggiunte  autografe  di  Galileo  al  Dialogo   sopra  i  due  mas- 
simi sistemi  neW esemplare  posseduto  dalla  Biblioteca  del  Seminario    di 

Isadora,  pubblicato  ed  illustrato  da  Antonio  Favaro.  Modena,   Società 
tipografica,  1880,  pag.   17. 

(o)  LuiEUTi  Fromonof,  ecc.  Ant—Aristarchus  sive  Orbis  -  Terrae 
im.uiobilis,  ecc.  Antverpiae,  M.UC.XXXI.  Pag.  2,  IO,  72,  8()-00,  92. 


(^42)  [12] 

l'opera  della  quale  ci  andiamo  occupando  ^Vi  aveva  scritto 
il  Cavalieri,  ma  in  termini  i  quali  dimostrano  che  il  cele- 
l)re  gesuato  non  l'aveva  letta  per  intero  (*),  e  d'  altronde 
quando  Galileo  riceveva  questa  comunicazione  aveva  già 
da  più  settimane  l'opera  stessa  fra  le  mani  {^),  intorno  alla 
quale  scriveva  al  Diodati  ed  al  Gassendi  sotto  il  di  9  aprile 
1632  :  «  Di  già  mi  pervenne  alle  mani  un  mese  fa  il  libro 
del  Lansbergio  de  7notu  terrae  e  l'altro  del  Fromondo  in 
contradizione  ;  ma  l'infìrmità  de'  miei  occhi  non  mi  ha  per- 
messo di  poterli  continuamente  leggere,  ma,  per  quel  poco 
che  ho  potuto  così  alla  spezzata  comprendere,  dubito  che  i 
pensieri  del  Lansbergio  e  alcuni  del  Keplero  siano  piutto- 
sto a  diminuzione  della  dottrina  del  Copernico  che  a  stabi- 
limento, parendomi  che  questi  (come  si  suol  dire)  ne  ab- 
biano voluto  troppo.  Onde  molti  nel  ponderare  certe  lor 
fantasie,  e  forse  credendo  che  siano  concetti  dell'  istesso 
Copernico,  mi  pare  che  non  senza  ragione  (come  fa  il 
Fromondo)  si  burleranno  di  tal  dottrina.  Fra  gli  oppositori 
del  Copernico,  il  Fromondo  mi  pare  il  i)iù  sensato  e  capace 
di  alcun  altro  che  sin  qui  io  abbia  veduto.  E  veramente 
se  io  avessi  veduto  questi  libri  a  tempo,  non  avrei  mancato 
di  avvertire  il  lettore  che  anco  in  dottrine  salde  e  pro- 
fonde possano  da  alcuni,  o  per  troppa  confidenza  di  sé  stesso 
0  per  poca  intelligenza,  essere  inserite  cose  leggere  e  stra- 
vaganti, cosa  che  non  fece  mai  il  Copernico  (^)  ».  Ed  an- 
cora, intorno  a  due  anni  più  tardi,  ne  scriveva  al  Diodati  : 
«  Fromondo  il  qual,  tra  i  filosofi  non  assoluti  matematici, 
mi  par  dei  nien  duri  »  ('*). 

(1)  Le  Opere  dì  Galileo  Galilei.  Prima  edizione  completa,  ecc. 
Tomo  IX.  Firenze,  1852,  pag.  269. 

(2)  Carteggio  Galileiano  inedito  con  note  ed  appendici  per  cura 
di  Giuseppe  Campori.  Modena,  coi  tipi  della  società  tipografica, 
MDCCCLXXXI,  pag.  330. 

(3)  Annali  delle  Università.  Toscane.  Parte  Prima.  Scienze  Noolo- 
(liclìc.  Tomo  ottavo.  Pisa,  tip.  Nistri,   1866,  pag.  50. 

(4)  Galilèe,    Torricelli,    Cavalieri,    Castelli.    Documenta   nouveau.\ 


ri:!|  (74:>.) 

(,>iiati(l()  Oalileo  ("(sl  scriveva  era  g-ià  uscito  alla  luce 
IMI  alli'o  lavoro  (*)  del  Froidmoiit  intorno  alla  disputata 
dottrina  del  moto  didla  terra,  lavoro  al  (|uale  a\('\a  data 
occasione  la  difesa  che  in  favore  di  Filippo  van  Lansberge 
aveva  pu})l)licato  Giacomo  suo  figlio  (2)  ;  ma,  (inantun(|ue 
siamo  certi  che  il  sommo  filosofo  possedette  fra  i  suoi  li- 
bri (^)  anche  questa  pubblicazione  del  Froidmont,  non  ci 
risulta  che  intorno  ad  essa  abbia  espresso  alcun  giudizio, 
al  quale  forse  essa  non  avrebbe  offerto  matei'ia  ed  argo- 
mento se  non  obiettivamente. 

Vi  ha  tuttavia  una  circostanza  che  ci  sembra  degna 
di  nota  ed  è  che  1'  aggiunta  del  decreto  dell'anno  W.MÌ, 
cioè  della  condanna  di  Galileo,  fatta  nel  titolo,  ebbe  luogo 
a  pubblicazione  compiuta,  poiché,  come  apprendiamo  da 
una  appendice  alla  prefazione,  il  Froidmont  ne  venne  a  co- 
gnizione quando  l'opera  era  in  corso  di  stampa.  Del  grande 
avvenimento  dava  notizia  a  Cornelio  Giansenio,  il  Nunzio  di 
Bruxelles,  Fabio  di  Lagonissa  arcivescovo  di  Consa,  scri- 
vendogli che  Galileo  :  «  in  S.  Officio  Inquisitioni  exhibitus 
carcerique.  mancipatus,  erronei  dogmatis   pravitatem    peni- 


ti rés  des  bibliothèques  de  Paris  par  Charles  Henry.  (Memorie  della 
('lasse  di  scienze  morali,  storiche  e  filologiche  della  R.  Accademia  dei 
Lincei.  Voi.  V.).  Roma,  coi  tipi  del  Salvincci,  1880,  pag.  12. 

(1)  Liberti  Fromondi  in  Academia  Lovaniensi  S.  Th.  Doct.  et  Prof, 
ord.  Vcstft,  .s'ùv?  Aìit-A)'istarc}ii  vindex,  adversus  Jac.  Lanxberyiura  Phi- 
lippi  F.  Medicmn  Middelburgensem.  In  quo  Decretum  S.  Conyi-erintionis 
S.  R.  E.  Cnrdinnlium  M.DC.XVI  et  nltentm  anno  M.DC.XXXIII  ad- 
vcrnHs  Copcnricnnos  terrae  motorex  editum,  iterum  defenditur.  Antver- 
jìiae,  ex  officina  Plantiniana  Balthasaris  Moreti,  M.UC. XXXIV. 

(2)  Jacobi  Lansbergi  medicinae  doctoris  Apolo(jia  prò  cotninen- 
tationibus  Pìiilippi  Lansbergi  in  viotum  Terrae  diurnum  et  annuiim, 
adversus  Libertum  Fromondum  tlieologum  lovaniensem  et  Joan.  Bapti- 
stam  Morinum  doct.  med.  et  Parisiis  matlieniatum  j)'>'ofessoreìn  regium. 
Middelburgi  Zelandiae,  apnd  Zaccariam  Romanum,  anno  cb  he  xxxiii. 

(3)  La  Libreria  di  Galileo  Galilei  pubblicata  ed  illustrata  da  An- 
tonio Favaro.  Roma,  tip.  delle  scienze  matematiche  e  fisiche,  1887, 
pag.    31. 


(744)  [14] 

tilt!!  abiurare  coactus  e«t  ;  in  cu.st(j(lia  illa  eo  usque  deti- 
nendiis,  duin  Eminentissiinis  1)1).  (Jardinalibiis  sufficientem 
eg'isse  poenitentiam  videbitur.  At(jue  hoc  Acadeiniis  belgicis 
significari  S.  Congregatio  voliiit,  ut  buie  veritati  se  confor- 
mare onmes  velint.  Ideo  caeteros  quo.sque  istius  universita- 
tis  professores  a  Dominatione  Tua  de  hoc  admoneri  cupi- 
mus  »  (1). 

A  comprovare  la  diffusione  data  al  decreto  del  1633, 
del  quale  il  Froidmont  s'era  fatto  })aladino,  s'è  aggiunto  in 
questi  ultimi  tempi  un  documento  importante,  dato  altra 
volta  alla  luce  col  mezzo  della  stampa,  ma  del  quale  sol- 
tanto poche  linee  erano  note  agli  studiosi  :  intendo  con  ciò 
di  alludere  alla  notificazione  della  condanna  di  Galileo  data 
da  Liegi  sotto  il  dì  20  settembre  1633,  testé  ripubblicata  con 
dottissime  illustrazioni  dal  Monchamp  {^). 

Del  resto,  e  in  via  di  conchiusione,  la  Vesta  del  Froid- 
mont, scritta,  a  quanto  pare,  senza  aver  avuta  conoscenza 
del  Dialogo  galileiano,  non  contiene  alcun  serio  argomento 
scientifico  contro  la  tesi  ch'egli  si  proponeva  di  combattere, 
poiché,  quivi  ancora,  come  nelV Ant-AristarchUs,  il  solo 
appoggio  ch'egli  dà  alle  sue  opinioni  anti-copernicane  con- 
siste in  argomenti  teologici  e  scritturali.  Che  se  ancora 
egli  non  sembra  accusare  il  Copernico  d' aperta  eresia, 
quando  scrive  indirizzandosi  al  van  Lansberge  :  «  Admones 
tandem  nos  concionabundus,  ne  talibus  Scripturae  Sacrae, 
quae  Solem  moveri,  terram  quiescere  iubent,  interpretatio- 
nibus,  abigamus  a  nobis  Copernicanos,  ne  ad  Ecclesiam  et 


(1)  Il  testo  ne  è  dato  dal  Froidmont  (Op.  cit.  car.  9^-10''^),  ma  più 
esattamente  trascrisse  questa  nota  dai  registri  dell'  Università  il  Mon- 
champ fGnlilèe  et  la  Belr/ique,  ecc.  Saint-Trond,  1892,  pag,  116). 

(2)  Notification  de  la  condamnation  de  Galilèe  datèe  de  Liège,  20 
septembre  1 633  puhlièe  2Mr  le  Nonce  de  Cologne  dans  les  pays  rhènans 
et  la  Basse-Allemagne.  Texte  d'  après  une  copie  manuscrite  avec  re- 
marques  du  docteur  G.  Monchamp.  Saint-Trond,  G.  Moreau-Schoiibe- 
rechts,  1893. 


[15]  (745) 

iidi'Hi  Noniaiit...  Non  solet  Ecclesia,  ta\tìiuio  crrorihu.s  et 
Saci'ae  Scripturae  sensus  in  fal«as  eoriim  qui  extra  siint 
opiniones  depravando,  in  Petri  navem  pellicere. . .  Verum- 
taiuc'ii,  si  sohis  iiietus  desei-cndi  Copei'nicum,  te  ab  Ecclesia 
Catholica  alienai,  niniio  foi'te  terrore,  mi  Lansbergi,  a  sum- 
ino  bono  et  spe  aeternae  felicitatis  abstineris.  Nam  Catho- 
licuni  et  Copernicanum  esse  fortassis  adhuc  licet  »  (i)  — 
(|uando  cosi  si  esprimeva  non  era  peranco  uscito  il  decreto  del 
lOM'i,  dopo  il  quale,  riferito  il  testo  della  lettera  al  Nunzio 
di  Bruxelles,  conchiudeva  :  «  Yides  igitur,  iterum  Romae 
»  per  Eminentissimos  Cardinales  daninatam  erroris  hoc 
»  anno  Pythagorae  et  Copernici  sententiam,  et  omnes  Sedis 
»  Apostolicae  subditos  ab  ista  doctrina  iam  arceri.  Non  au- 
»  dient  tamen,  scio,  inobedientes  Ecclesiae  filli,  adversus 
»  auctoritatem  gravissiniam  tam  surdi  et  pervicaces,  quam 
»  ad  argumontorum  clarissimam  lucem  caeci  aut  sponte 
»  conniventes.  Nempe  })udebit  opinionem  mutare  quam  iam 
»  editis  Libris  tam  late  vulgaverunt,  aut  repetita  imagina- 
»  tione  tara  alte  animo  impresserunt,  ut  vertigine  telluris 
»  cerebro  penitus  concepta,  vei-ti  se  iam  imaginentur  :  ut 
»  in  morbo  quibusdam  evenire  solet,  qui  omnia  sub  pedibus 
»  et  circa  se  gyrari  ac  ambulare  credunt,  cum  tamen,  prae- 
»  ter  mentem  eorum  sedibus  suis  emotam,  universa  con- 
>  quiescant.  Quid  facimus?  Ego  certo  argumentis  humanis 
»  diviuisque  quod  potui.  Si  a  me  sanari  nolint,  depono  et 
»  trado  Hipi)0crati  ». 


(1)  Liberti  Fromondi,  ecc.   Vesta,  ecc.  pag.  96-97. 


DELLE  OPERE  DEL  DOTT,  PIETRO  ERCOLE 


Comunicazione 

DEL  M.  E.  B.  MORSOLIN 


Mi  pregio  di  presentai-e  le  opere,  a  stampa,  del  Dott. 
Pietro  Ercole,  professore  di  lettere  latine  e  greche  nel 
Regio  Liceo  di  Vicenza  ;  il  cui  nome  non  dee  suonar  nuovo 
per  una  Memoria  intorno  a  una  «  Quistione  cronologica  nel 
Brulus  di  Cicerone  »,  inserita  sin  dal  1888  negli  Atti  di 
questo  Istituto.  Io  non  parlerò  del  «  Primo  passo  negli  studi 
letterari  »,  testo  didattico,  adottato  in  parecchie  scuole  e  del 
quale  si  fecero  ben  cinque  edizioni.  Mi  piace,  invece,  se- 
gnalare il  volume  su  «  Guido  Cavalcanti  e  le  sue  Rime  », 
ch'è  uno  Studio  storico  letterario,  seguito  dal  testo  critico 
delle  Rime  con  commento,  uscito  in  Livorno  nel  1885.  I 
pregi  particolari  furono  già  rilevati  da'  più  riputati  perio- 
dici di  Germania  e  d'Italia.  Dello  Studio,  dove  s'illustrano, 
per  quanto  è  concesso,  i  casi  della  vita,  si  son  lodati,  di 
preferenza,  i  luoghi,  ne'  quali  si  mettono  in  evidenza  le 
corrispondenze  di  Guido  con  1'  Allighieri,  si  discorre  del 
carattere  e  dell'  importanza  delle  rime  e  dà  il  testo  critico 
pelle  stesse,  tratto  dall'esame  e  dal  raffronto  di  ben  sessanta- 
tre codici,  collazionati  la  prima  volta  dall'Ercole.  Né  si  lasciò 
in  pari  tempo  di  richiam  ire  l'attenzione  degli  studiosi  sulla 
introduzione  bibliografica  intorno  ai  manoscritti  e  alle  edi- 
zioni delle  Rime,  corredata  di  note  storiche  e  critiche  circa 
le  quistioni  più  diffìcili,  alle  quali  porge  argomento  l'inter- 
pretazione de'  varii  componimenti  ;  tanto  che  si  conchiuse 
che  il  libro  dell'  Ercole  è  il  libro  piìi  compiuto    intorno  a 


[■>]  (747) 

(luido  ('.calcanti.  11  U'slo  [toi  (l(41e  Rime  è  condotto  con 
tanto  acume  di  critica  da  voloi-si  i-iputare  l'unico,  di  cui  si 
si  valg-ano  oj:;gidi  i  cultori  delle  lettere  nostre. 

L'altro  volume,  del  quale  non  vuoisi  tacere,  è  il  «  Unito 
di  Marco  Tullio  Cicerone,  testo  riveduto  e  illustrato,  »  e- 
dito  in  Torino  dal  LckscIum'  nel  1S91.  Lo  spirito,  il  metodo, 
i  j)regi  e  i  difetti  di  questa  a  differenza  delle  altre  opero 
retoriche  del  grande  scrittore,  sono  gli  aspetti,  sotto  i  quali 
l'Ercole  esamina  il  Brufus  in  una  larga  e  dotta  preftizione. 
Uno  studio  di  sì  fatta  natura  non  erasi  fatto  sino  ad  ora 
da  nessuno  de'  filologi  tedeschi,  benemeriti  d'altra  parte  di 
})arecchie  pregiate  edizioni.  Al  testo,  tratto  dal  raffronto  de' 
codici  e  delle  edizioni  più  notevoli,  l'Ercole  aggiunge  un 
Dizionarietto,  in  cui  si  danno  tutte  le  notizie  biografiche, 
relative  ai  molti  autori  e  oratori  romani,  ond'è  parola  nel- 
r  opera,  e  lo  correda  d'un  prospetto  generale  degli  oratori 
romani  sino  a  Cicerone,  con  giudizi,  desunti  da  varii  scrit- 
tori e  con  ragguagli  delle  orazioni  e  de'  frammenti,  perve- 
nuti sino  a  noi.  Anche  di  questo  come  del  volume  su  Guido 
Cavalcanti  si  parlò  con  copia  di  lodi  ne'  })eriodici  nostrali 
e  di  Germania. 


T.  IV,  S.  VII  49 


SULL*  OPERA  DI  FRANCESCO  NITTI 

LEONE  X  E  LA  SUA   POLITICA 

SECONDO  DOCUMENTI  E  CARTEGGI  INEDITI 
Firenze  1892 


ITOTA. 

DEL  M.  E.  GIUSEPPE  DE  LEVA 


È  questa,  divisa  in  due  parti,  un'  opera  di  singolare 
valore. 

La  prima  parte,  nella  quale  i  fatti  tutti  attinenti  alla 
politica  di  Leone  X  rispetto  a  Giuliano  e  Lorenzo  de'  Me- 
dici sono  aggruppati  e  rappresentati  nei  loro  tratti  generali, 
rifulge  d'  indagini  e  vedute  nuove  :  vi  è  ridotta  a  giusti 
termini  l' influenza  esercitata  dagli  interessi  famigliari,  e 
Giuliano  e  Lorenzo  appaiono  quali  erano  effettivamente, 
incapaci  e  per  mente  e  per  animo  non  pur  a  compiere,  ma  a 
concepire  le  grandi  cose  che  il  Maccliiavelli  avrebbe  dovuto 
aspettarsi  da  essi,  se  mai,  dopo  le  considerazioni  del  mio 
onorando  amico  E.  Baumgarten,  si  potesse  ancora  ritenere 
scritto  per  essi  il  libro  del  Principe,  e  col  nobilissimo  in- 
tendimento che  ne  ispirò  1'  ultimo  capitolo.  Maggiore  an- 
cora r  importanza  della  seconda  parte,  in  cui  si  esamina 
ed  espone  analiticamente  la  politica  di  Leone  X  nella  lotta 
di  rivalità  tra  Francesco  I  e  Carlo  V. 


[2]  (749) 

Forso  il  voler  determinare,  o  dii-ci  [ìiuttosto  soi'preiidere, 
([ue-sta  [ìolitica  ne'  particolari  più  minuti  e  nel  loro  quasi  quo- 
tidiano cambiamento,  potrà  sembrare  tentativo  im])ossibile  ; 
colpa  appunto  la  natura  di  Leone  X,  maestro  nell'arte  d'in- 
tìni^'ersi,  elio  nessuno  meglio  dell'Autori'  ci  lia  messo  in  luce. 
In  ogni  modo  le  sue  indagini  giungono  ([ui  pure  a  conclu- 
sioni nuove  e  talmente  convalidate,  da  indurre  ({uelli  co' 
quali  egli  non  si  è  trovato  d'  accordo  a  modificare  e  in 
qualche  punto  anche  a  mutare  i  loro  giudizii. 

Uno  di  quelli  son  io,  sul  punto  del  contegno  di  Leone 
nella  contesa  per  la  elezione  all'  impero.  Nondimeno,  ben 
lontano  dall'insana  pretensione  di  giustificare  una  conget- 
tura messa  innanzi  trent'  anni  circa  addietro,  quando  non 
erano  noti  i  ISIanoscritti  Torrigiani,  ai  quali  attinse  il 
Baumgarten,  e  poi  con  maggior  ampiezza  l'Autore,  voglio 
soltanto  esporre  i  dubbii  che  ancora  mi  restano  sulle  vere 
intenzioni  di  Leone  X  ;  non  fosse  altro,  per  procurarmi  il 
piacere  di  conversare,  disputando,  con  un  ingegno  di  primo 
ordine,  qual'  è  1'  Autore  stesso,  e  a  me  cosi  benevolo. 

Tanto  m'  era  apparso  dai  documenti,  dei  quali  poteva 
allora  giovarmi,  quanto  l' Autore  adesso,  con  maggiore 
sviluppo  di  particolari  ed  apparato  di  prove,  conferma  : 
essere,  cioè,  stato  Leone  X  nella  prima  fase  della  contesa 
favorevole  a  Carlo.  Che  lo  fosse  per  semplice  acquiescenza 
ad  un  fatto  creduto  inevitabile,  da  non  potersi  impedire 
per  mancanza  di  tempo  e  di  mezzi  e  per  la  gravissima 
preoccupazione  della  crociata  contro  i  turchi,  non  mi  per- 
suade ajìpieno.  Leone  X  non  ignorava  certo  la  gara  che 
già  da  oltre  un  anno  ferveva  tra  Carlo  e  Francesco.  E 
(juanto  al  resto,  stento  a  supporre  in  lui  una  politica  deter- 
minata da  considerazioni  del  momento  in  contrasto  coi 
[ìrincipii  e  coi  fini  tradizionali  che  la  ispiravano,  per  quanto, 
vivente  Massimiliano,  fosse  lontano  il  pericolo  che  la  ele- 
zione di  Carlo  avrebbe  cagionato  alla  indipendenza  morale 
e  materiale  della  S.  Sede,  e  a  quella  che  chiamavasi  libertà 


(750)  [3] 

d' Italia  ;  ov'  egli  sin  d'  allora  non  avesse  calcolato  il  frutto 
che  poteva  trarne  in  avvenire,  conforme  a  que'  fini. 

Vero  è  che,  morto  Massimiliano,  Leone  pare  del  tutto 
mutato  :  con  istruzioni  del  23  gennajo  1519  al  suo  legato 
in  Germania,  il  cardinale  di  S.  Sisto,  egli  raccomandava  la 
elezione  di  un  principe  tedesco  che  non  fosse  Carlo.  Ma  il 
fatto  che  di  queste  istruzioni  fu  subito  mandata  copia  al 
nunzio  Bibbiena  in  Francia  mi  fa  pensare.  E  chieggo  a  me 
stesso  se,  al  par  di  esse,  non  si  abbiano  a  ritenere  di  natura 
puramente  ostensibile  anche  le  successive  de'  26  gennajo,  e 
per  conseguenza  le  une  e  le  altre  indirizzate  al  fine  di  vin- 
cere r  esitanze  del  re  Francesco  I  a  porre  la  sua  firma  sotto 
i  capitoli  convenuti  con  lui  per  mezzo  del  Bibbiena,  e  a 
questi  spediti  il  20  dicembre  dell'  anno  decorso.  Che  non 
intendesse  per  giunta  Leone  di  sconfessare  davanti  a  Fran- 
cesco il  trattato  con  Carlo  de'  17  gennajo  (che  1'  Autore 
trovò  essere  stato  un  atto  compiuto,  non  rimasto  sospeso, 
come  pensarono  Gino  Capponi  e  il  Baumgarten)  se  mai 
Carlo,  com'  era  ben  da  aspettarsi,  non  ostante  l' obbligo 
esplicito  della  segretezza,  se  ne  fosse  giovato  nelle  sue  pra- 
tiche con  gli  elettori  dell'  impero,  appunto  per  ciò  com- 
presi da  lui  nel  trattato  medesimo  ?  Altrimenti  sarebbe 
veramente  strana  l' ingiunzione  fatta  al  legato  nelle  men- 
tovate istruzioni' del  26,  di  non  tener  conto  di  qualunque 
suo  breve  o  lettera  che  gli  commettesse  il  contrario;  quasi 
volesse  cosi  premunirsi  contro  ogni  possibile  sua  debolezza 
a  favore  di  Carlo.  Que'  capitoli  furono  ratificati  dal  re 
Francesco  ai  20  gennajo.  Manca  ogni  prova  che  ancora  al 
30  non  ne  fosse  giunta  notizia  in  Roma.  Sia  quel  che  vuoisi 
di  ciò,  la  lettera  de'  30  gennajo  dell'  Ardinghelli  al  Bib- 
biena, con  la  quale  il  papa  sollecita  Francesco  a  riproporre 
la  propria  candidatura,  può  essere  anche  effetto  dell'azione 
esercitata  dagli  agenti  francesi  in  Roma.  Tanto  è  vero  che, 
quasi  nel  giorno  stesso  in  cui  1'  Ardinghelli  la  scriveva,  il 
re  avvisava  il  papa  della  decisione  da  lui  già  presa  nello 
stesso  senso.  Possibile  che  Leone  fosse  cosi  mal  informato 


[l]  (751) 

(l(>llo  cose  (li  Germania  da  ij-noi-are  1' estonsione  degli  im- 
pegni presi  da  cin({ue  dei  sette  elettori  a  favore  di  Carlo, 
se  r  ambasciatore  del  re  di  Polonia  non  gliela  rivelava  ! 

Vero  e  segreto  pensiero  di  Leone  era  questo,  di  assi- 
curarsi in  ogni  evento  un  alleato  potente.  A  questo  mira- 
vano tanto  i  detti  trattati  con  le  due  o})poste  parti  quasi 
contemporaneamente  sottoscritti,  quanto  i  suoi  portamenti 
successivi  rispetto  al  re  di  Francia  nella  seconda  fase  della 
contesa. 

In  ciò  conviene  1'  Autore  (p.  loO  e  171).  E  conviene 
del  pari  nel  ritenere  che  a  Leone  doveva  ragionevolmente 
ispirare  un  timore  più  forte  la  possibilità  che  sul  trono 
imperiale  ascendesse  il  re  di  Francia  piuttosto  che  quello  di 
Spagna.  Ma  ciò,  soggiunge  1'  Autore  —  e  qui  comincia  il 
divario  fra  la  sua  opinione  e  la  mia  congettura  —  non 
liasta  a  distruggere  tutte  le  manifestazioni  papali  di  parole  e 
(li  opere  fatte  da  gennaio  a  giugno  contro  Carlo,  ed  anzi 
francamente  dichiarate  a  quésti.  Siffatte  manifestazioni  di 
Leone  sono  certamente  incontestabili,  uè  io  le  ho  mai  revo- 
cate in  dubbio.  Tuttavia  non  potrebbero  aver  avuto  a  scopo 
sin  da  principio  di  rimuovere  ogni  causa  di  doglianza  da 
l)arte  del  re  di  Francia  che  non  facesse  il  debito  suo  ? 
Non  ha  egli,  verso  la  metà  di  febbrajo,  al  primo  annuncio 
che  Francesco  ritirava  la  sua  candidatura,  spedite  ai  legati 
in  Germania  istruzioni  meno  sfavorevoli  a  Carlo,  le  quali 
furono  poi  trattenute  a  Firenze  per  essersi  ivi  saputo  il 
contrario?  (pag.  172).  E  a  quello  scopo,  a  dimostrare,  cioè, 
a  Francesco  il  delilterato  i)r<)i)Osito  di  escludere  Carlo,  non 
mirerebl)ero  anche  le  dichiarazioni  della  concepita  s})eranza 
che,  ov' egli  non  vedesse  facile  la  i-iuscita  sua,  avrebbe 
volte  tutte  le  forze  della  sua  azione  in  \)Vo  di  un  terzo  ? 
Conosceva  cosi  poco  il  re  Francesco  da  poter  sperare  die 
lo  facesse,  se  non  all'  ultima  ora,  quando  non  sarel)be  più 
tempo,  come  infatti  avvenne?  E  tutte  le  dimostrazioni,  cosi 
scoperte  a  così  accalorate,  in  favore  di  lui  sarebbero  vera- 
mente conciliabili  col  maggior  timore  eh'  esso  gli   ispirava 


(752)  [5] 

in  confronto  di  Carlo,  ove  non  le  avesse  giudicate  inefficaci 
di  fronte  alla  tendenza  pubblica  antifrancese,  determinata 
dalle  condizioni  politiche,  militari  e  sociali  d'  Europa  ?  E 
queste  condizioni  medesime  potevano  per  un  momento  solo 
fargli  credere  possibile  la  riuscita  di  qualche  altro  principe 
tedesco  ? 

L'  Autore  stesso  a  pag.  230  riconosce  che  in  quella 
riuscita  Leone  non  aveva  mai  avuta  molta  fiducia.  Se  in 
luogo  di  non  molta  avesse  detto  nessuna,  mi  avrebbe  data 
vinta  la  causa.  Perchè  infine  tutte  le  accennate  manifesta- 
zioni di  parole  e  di  opere  hanno  una  solenne  smentita  nella 
realtà  del  fatto  scoperto  dall'  Autore  stesso  ;  eh'  è  il  nuovo 
accordo  di  Leone  con  Carlo,  conchiuso  bensì  soltanto  ai  17 
giugno,  quaranta  giorni  innanzi  alla  elezione  di  Carlo,  ma 
preparato  da  negoziazioni  segrete  introdotte  sin  dall'aprile, 
e  da  lui  tirate  in  lungo  con  1'  abituale  duplicità  per  il  con- 
sueto rispetto  del  re  Francesco. 

Anche  dopo  1'  elezione  di  Carlo  continua  Leone  negli 
stessi  accorgimenti  di  prima.  Noi  lo  vediamo  —  e  qui  com- 
pendio le  coso  dette  dall'  Autore  —  conchiudere  un  nuovo 
accordo  con  Francesco  (in  ottobre)  per  essere  al  bisogno 
certo  del  suo  aiuto  contro  il  nuovo  imperatore  ;  poi  ondeg- 
giare e  destreggiarsi  ancora  per  alcun  tempo  tra  l'uno  e 
r  altro,  anzi  far  mostra  di  essersi  legato  o  stare  sul  punto 
di  legarsi  in  modo  più  stretto  col  primo,  evidentemente 
per  imporsi  al  secondo  e  costringerlo  a  condizioni  che  im- 
pedissero il  predominio  spagnuolo  ed  imperiale  in  Italia  ; 
quali  r  ingrandimento  dello  Stato  della  Chiesa  con  Parma, 
Piacenza,  e  il  ducato  di  Ferrara,  la  restituzione  del  Mila- 
nese agli  Sforza,  la  protezione  della  Repubblica  fiorentina 
e  della  famiglia  Medici.  Il  perchè,  dato  F  acume  indiscu- 
tibile di  Leone  per  cui  gli  era  facile  prevedere  i  prossimi 
eff"etti  di  altre  cause  già  sussistenti,  le  dottrine  di  Lutero  e 
le  minacce  de'  turchi,  dubito  ancora  se  possa  dirsi  cam- 
pata in  aria  la  congettura  che  coordina  tutta  la  sua  politica 
antecedente  al  pensiero  della  lega  offensiva  conchiusa  poi 


[6]  (753) 

tra  lui  0  Carlo  nel  magfrio  1521.  Tanto  più  che,  fallito 
essendo  a  Leone  il  disef^mo  dell'  arbitrato  internazionale 
attribuito  a  sé  e  al  collegio  de'  cardinali  nella  bolla  della 
crociata,  parnii  naturai  cosa  abbia  egli  mirato  all'  altro  a 
non  men  alto  fine  di  affermare  ancora  una  volta  il  princi- 
pio medievale  delle  due  potestà  supreme,  istituite  da  Dio 
per  il  governo  del  mondo,  come  si  legge  nel  proemio  della 
detta  lega. 

Questi  dubbii  l' illustre  Autore  vorrà  accogliere  nel 
senso  che  ho  già  dichiarato,  e  in  prova  dell'  ammirazione 
destatami  dall'  opera  sua  per  la  molta  nuova  luce  che 
porta  sopra  un  periodo  importantissimo  di  storia  nostra  nel 
secolo  decimosesto. 


SOPRA   UNA   BAGILLARIEA 
CSuriraya  helvetica  hvuwj 

CONFERMATA    PROPRIA    DELLA    FLORULA    LACUSTRE    ALPINA. 

DEL  8.  c.  G.    B.    DE    TONI 


Neire.saininare  una  fanghiglia  diatoniifera  raccolta  nel 
lago  di  Fedaia  (Trentino)  da  mio  fratello  jirof.  Ettore,  mi 
avvenne  di  riscontrarvi  con  una  certa  frequenza  ima  cu- 
riosa Suriraya  che  con  gli  opportuni  confronti  potei  iden- 
tificare con  la  Suriraya  helvetica  Brun  (i). 

Non  credo  fuor  di  proposito  avvertire  la  presenza  di 
tale  specie  in  un  lago  alpino  che  geograficamente  appar- 
tiene all'  Italia,  trattandosi  di  una  Bacillariea  che  è  indi- 
cata per  la  prima  volta  nella  regione  trentina  e  riconfer- 
mata nella  florula  diatomologica  dei  laghi  italiani  ("^),  in- 
quantochè    la    Suriraya  helvetica  Brun    fino  al  I89I    era 


(1)  J.  Brun.  Diatomèes  des  Alpes  et  rìv  Jura  et  de  la  rtu/ion  fran- 
Qaise  et  suisse  des  environs  de  Genève,  p.  100,  pi.  II,  f.  4,  pi.  IX,  f.  28. 
Genève,  1880. 

(2)  E.  Bonardi.  Suìfe  Dinlomee  di  tdcmn  /nf/li.i  Itnllniìi.  «Bollettino 
scientifico  »  Anno  X,  n.  2,  png.  57-01.  Pavia,  1888.  —  Cfr.  anche  D. 
Levi-Morenos.  Alcune  ossei-cazioni  e  proposte  sulla  Diatomologia  lacu- 
stre italiana.  «  Notari.sia  recf.  da  G.  H.  de  Toni  e  D.  Levi  »  Anno  IV, 
n.  15.  Venezia,   1889.  —  Cfr.  pure  la  citazione  di  Corti. 


[2]  (755) 

.stata  .scoperta  nelle  acque  dei  i'i\()li  al[iiiii  e  nei  laghi  delle 
regioni  elevate  della  Svizzera  ('). 

Più  che  tutto  ])ei*alti*o,  riguardo  alla  pre.senza  della 
Suriraya  helcetica  Brun,  io  richiamo  l'attenzione  di  quelli 
che  si  occupano  della  importante  que.stione  della  diatomo- 
logia  lacu.stre,  perchè  si  ha  una  nuova  conferma  che  detta 
specie  forma  parte  di  una  serie  di  Diatomee  le  quali  pos- 
sono servire  a  caratterizzare  i  laghi  situati  a  notevoli  al- 
tezze sul  livello  del  mare  ;  dico  nuova  conferma  essendomi 
edotto  dell'esistenza  della  Suriraya  helvetica  Brun  nel  lago 
del  Palù  (Val  Malenco,  1998  metri  sul  mare)  da  una  Nota 
del  dottor  Benedetto  Corti  ("^).  Q,ue.st' ultimo  trovò  la  Suri- 
raya helvetica  Brun  anche  allo  stato  fossile  nelle  sabbie 
gialle  plioceniche  della  Folla  d'Induno  presso  Varese  (^). 

Senonchè,  più  che  la  coincidenza  di  detta  specie  nei 
laghi  alpini  .svizzeri,  in  quello  del  Palù  (1993  m.  sul  mare) 
e  di  Fedaja  (circa  2000  m.  sul  mare)  sta  in  appoggio  del 
carattere  alpino  della  Suriraya  helvetica  Brun  la  persi- 
stenza della  vegetazione  della  Suriraya  stessa  in  confronto 
alle  altre  specie  della  fanghiglia  diatomifera  di  Fedaia  e 
ciò  desunsi  dal  fatto  che  avendo  lasciato  esposto  a  basse 
temperature  il  vasetto  contenente,  insieme  a  poca  acqua  del 
lago  di  Fedaja,  la  fanghiglia  diatomifera,  solo  si  conservò 
vivente  e  continuò  a  svilupparsi  la  specie  in  parola. 

In  confronto  adunque  delle  altre  specie  che  pur  adat- 
tandosi alle  acque  frigide  vegetano  anche  nelle  acque  tem- 
perate e  non  possono  fornire  alcun  criterio  nello  studio  com- 


(1)  .1.  Brun,  loc.  cit. 

J.  B.  de  Toni.  Syllor/e.  Alr/anon  oììiniiun.  Voi.  II.  Bacill;irifi;<',  pa- 
gina 570.  Patavii,  1892. 

(2)  R.  Corti.  Sulle  IHatonìec  (h-l  Luf/n  tir/  l'nlit  iu  Vnìh-  Malenco. 
«  Bollettino  scientifico  »  Anno  XIII,  n.  ;M.  l'avia,   1891. 

(3)  B.  Corti.  Poraminiferi  e  Diatomee  fossili  delle  sabbie  (jinlle 
plioceniche  ddla  Folla  il'  fndi'nn.  <,<  Boll.  Soc.  geol.  ital.  »  Voi.  XI.  f.  2, 
I)ag.  225.  Roma,  1893. 


(756)  [3] 

parato  delle  florule  diatomologiche  lacustri,  io  ritengo  ca- 
ratteristica della  florida  alpina  lacustre  la  Suriraya  del 
Brun,  al  pari  di  Odonlidium  hiemale  Lgb.,  Denlicula 
frigida  Ktz.  etc. 

È  questo  un  nuovo  dato  per  il  diatomologo  al  quale  non 
riesce  più  tanto  diflicile,  coi  materiali  di  cui  oggidì  dispone, 
il  classificare  un  lago  col  criterio  della  sua  florula  diato- 
macea  ;  in  un  precedente  lavoro  {})  pubblicato  negli  Atti 
di  questo  R.  Istituto  ho  appunto  procurato  di  disporre  i 
laghi  italiani  finora  studiati  sotto  il  punto  di  vista  diato- 
mologico  in  due  serie  a  seconda  della  presenza  o  mancanza 
di  certi  tipi  diatoraacei  e  spero  che  ulteriori  studi  confer- 
meranno l'esistenza  di  Suriraya  helvetica  Brun  negli  altri 
laghi  che  si  trovano  nelle  condizioni  altimetriche  del  Lago 
del  Palli  e  di  quello  di  P'edaja. 

Venezia,  29  Gennaro  1893. 


(1)  G.  B.  de  Toni,  G.  S.  Rullo  e  G.  Paoletti.  Alcune  notizie  sul 
Ingo  di  Arquà-Petrarca,  con  1  tav.  colorata.  «  Atti  del  R.  Istituto  Ven. 
di  scienze,  lettere  ed  arti  »  Serie  VII,  Tomo  III,  pag.  1201.  Venezia, 
1892. 


UN     PROBLEMA     DI     DINAMICA 

COMUNICAZIONE 

DEL 

s.  c.  ERNESTO  PADOVA 


Nella  seduta  del  ()  con-ente  dell' Accademia  delle  Scienze 
di  Parigi  il  sig.  G.  Darboux  ha  presentato  una  Nota  del 
sig.  P.  Staeckel  col  titolo  :  Sur  une  classe  de  problèmes 
de  dijnamique,  nella  quale  è  enunciato  il  seguente  teo- 
rema :  Se  ^kiiQk  )  '^o^i^  ^^  funzioni  dell'argomento  indicato, 
se  O  è  il  determinante  formato  colle  funzioni  cpik  e  ^ki  l'e- 
lemento reciproco  a  '^ki  nel  determinante  O,  ogniqualvolta 

1  O     , 

la  forza  viva  possa  assumere  la  forma  —  Hj^  ^k~^  ^k    ^  ''^^^ 

vi  sieno  forze  esterne,  oltre  all'integrale  delle  forze  vive 
esistono  n  —  1  integrali  di  primo  ordine  e  di  secondo  grado 
rispetto  alle  q,  dati  dalle  equazioni 

^2*  ^  ^/''^  =  «^  (/  =  2  ,  3  ,  .  .  .  n) 

ove  \v  a/  sono  delle  costanti  arbitrarie  ed  il  problema  è 
conseguentemente  riducibile  a  quadrature. 

Senza  nulla  togliere  all'importanza  di  questo  notevole 
teorema,  mi  permetto  di  fare  rilevare  che  esso  non  è  che 
un  caso  particolare  di  un  teorema  già  da  me  dimostrato  in 
una  nota  Sugli  integrali  cornimi  a  più  problemi  di  dina- 


(758)  [2] 

mica,  inserita  nel  voi.  I  della  sesta  serie  degli  Atti  di 
questo  Istituto  (1883).  In  questa  Nota  infatti  ho  dimostrato 
che,  se  si  introducono  nel  calcolo  le  solite  variabili  p^  , 
uguali  alle  derivate  prime  della   forza    viva   rapporto  alle 

q'fi  ,  e  la  forza  viva  assume  la  forma  —  2^  ArrP"\,  quando 

r^  sia  la  funzione  potenziale,  un  integrale  primo  del  pro- 
blema dinamico  è  dato  dall'equazione  Sa^sPr  Ps  =^-\-^ìì, 

rs 

se  sono  soddisfatte  le  relazioni 


(1) 

dqi                    dq/i 

(2) 

dXss             ,     dotss 

dqi                          dqs 

(3) 

dkss              .       dcLss    ,    ..      dasn 

^i      j        CCih  —  kjih     j       +  2Ass     . 

dqi                      dqh    '             dqs 

(4) 

dqu              dqs 

.      dy.sh 

krr     7 

dqr 

nelle  qi 

lali  gli  indici  prendono  i  valori  1,2,., 

,  . .  n,  avver- 

tendo  però  che  devono  avere  valori  diversi  quegli  indici 
che  nella  stessa  formula  sono  indicati  con  lettere  differenti. 
Nel  teorema  del  sig.  Staeckel  si  suppone  che  fJsia  nullo, 
che   la    forza    viva,    espressa    per    le  p    assuma    la    forma 

^-^  S;^  ^/fiP\  e  si  asserisce  che  in  tal  caso  sono  integrali 

del  problema  dinamico  certe  e({uazioni  che,  espresse  per  le 

p,  assumono  la  forma  —  2/^  ^j^i  p^^^  =  ^'■i  •  Qi^ie^to  equivale 

al  supporre  nelle  nostre  formule 

Ass  =  --r—  ,     ass  =  ~—  ,     oc/ik^O  (j»cr //diverso  da  A',),  ^  =  0 

Le  (1)  e  (4)  sono  allora  identicamente  verificate  e  lo  sono 


[3]  (759) 

pure,  come  si  vede  .subito,  le  (2)  perchè  <[>si ,  <1\7  sono  in- 
dipendenti da  (/s  ,  sicché  esse  si   ri(hicono  alle   identità 

dq,   iD^dgs   (^I>)'  '^"''"^'  "^^  ^•'^'  ^^-^^^  I'^'^^'^"'»  ^^'^'- 
versi  in  questo  caso  sotto  la  forma 

d                                                                      d  log  O 
—, —  i^hhJ^ss  —  agsA/,/,)  4-  (a;,/,Ass  —  ccss^hh)  — , =0, 

(ff/h  ClC/h 


-^  log  [{y-hh^ss  —  assA/,/,)(l>]=:0  , 


ma,  per  una  notissima  proprietà  dei  determinanti,  abbiamo 

d'i^ 


<E>  (a/j,A.,s  —  c(.ss>^hh) 


r/cp^.f^j 


e  poiché  in -. —  mancano  tutte  le  cp  che  hanno  il  pri- 

d<^8i  d^hi  ' 

mo  indice  uguale  ad  h,  cosi  essa  é  indipendente  da  g;,  e  con- 
seguentemente le  nostre  equazioni  (3)  sono  verificate. 

Questa  dimostrazione  mette  in  evidenza  un  modo  sem- 
plicissimo di  estendere  i  risultati  ottenuti  dal  sig.  Staeckel. 
Si  può  infatti  asserire  subito  che  se  la  forza  viva  di  un  si- 
stema, per  una  conveniente  scelta  delle  variabili,  assume 
la  forma  f  ^r  Ar  p^r  >  0"^'e  f  è  una  qualsiasi  funzione  delle 
coordinate  ^  e  le  ^4;.  sono  funzioni  anch'esse  arbitrarie  delle 
q,  tali  però  che  in  Ar  non  apparisca  ^r  ,  e  se  sul  sistema 
non  agiscono  forze,  sarà  un  integrale  primo  del  problema 
dinamico  l'equazione  f^r  «r  p^r  =  hi,  ove  hi  è  una  co- 
stante e  le  a^  ,  funzioni  di  tutte  le  q  esclusa  qr  ,  sono  tali 
da  soddisfare  le  equazioni 

d  {arAs  —  «.A^)  /' 
W         ^^ =  0  (r,s==l,2,.  .  .n) 


(760)  [4] 

E  itossiamo  anche  dire  che  se  il  sistema  è  soggetto  a 

f  A 
forze  che  hanno  per  funzione  potenziale  U  =  — Y:^ — ,    sarà 

pure  integrale  del  problema,  oltre  a  quello  delle  forze  vive, 
l'equazione  /"S  a^  pV  =  /  "'s  +  ^'i'  poiché  le  (1)  si  ridu- 
cono allora  a  quella  serie  di  equazioni,  che  si  deducono 
dalle  (5)  facendovi  s  =  /i  e  che  noi  supponiamo  soddisfatte. 

Padova  18  Marzo  1893. 


INTORNO 

AI 

FENOMENI  DI  SOPRASATURAZIONE 

Nota  Seconda 

I)  E  L 

M.    E.    TITO    MARTINI 


In  una  nota  pubblicata  negli  Atti  di  questo  R.  Istituto  (^) 
prendemmo  in  particolare  esame  i  fenomeni  di  soprasatura- 
zione presentati  dal  solfato  sodico  ;  e  dopo  aver  riassunto 
le  opinioni  di  molti  sperimentatori  intorno  alle  cause  che 
pongono  fine  allo  stato  di  soprasaturazione,  si  descrissero 
varie  esperienze  che  stavano  a  dimostrare  che  la  teorica  del 
Selmi  (2),  emessa  più  tardi  anche  dal  Grokinski  (3),  fosse  la  più 
attendibile,  vale  a  dire  che  la  formazione  del  primo  cristallo, 
che  deve  imprimere  il  moto  alla  dissoluzione  e  precipitarla, 
è  dovuta,  nel  maggior  numero  dei  casi,  al  fatto  dell'  eva- 
porazione. 

Contro  r  ipotesi  del  Selmi  si  sollevarono  delle  critiche, 
e  si  obbiettò  che  facendo  circolare  nel  matraccio,  contenente 
la  soluzione,  dell'aria  stacciata  a  traverso  al  cotone  puri- 
ficato, il  fatto  della  precipitazione  non  avviene.  Da  ciò  se 


(1)  Intoì'no  ai  fenomeni    di   wprasnturnzione    del  solfato   sodico. 
Atti  del  R.  Istituto  Veneto»,  t.  Ili,  serie  III,  1892. 

(2)  Annali  di  Fisica,  Chimica  e  Scienze  affini.  Torino,  1850,  n.  30. 

(3)  Coniptes-rendus  de  V  Acadèmie  des  sciences,  t.  32,  1851. 


(762)  [2] 

ne  inferi  doversi  cercare  fuori  della  soluzione  la  causa  im- 
pellente il  moto  cristallino,  d'onde  la  teorica  del  Gernez  (i) 
dove  si  ammette  che  i  cristalli  si  troiano  già  formati  nel- 
l'aria, e  che,  alla  loro  caduta,  si  debba  il  fenomeno  della 
immediata  precipitazione  del  sale. 

A  questa  ipotesi  opponemmo  alcuni  esperimenti  i  quali 
starebbero  a  provare  che  anche  1'  aria,  benché  con  grande 
cura  stacciala,  se  si  fa  rientrare  nel  matraccio  con  una 
certa  violenza,  in  guisa  da  operare  una  rapida  evapora- 
zione, la  precipitazione  ha  luogo  lo  stesso  (^).  D'altronde,  se 
anche  fosse  vera  l'ipotesi  del  Gernez  per  il  solfato  di  soda, 
essa  non  vale  a  comprendere  tutti  i  fenomeni  di  soprasa- 
turazione, imperocché  bisognerebbe  ammettere  che  1'  aria 
debba  contenere  i  germi  cristallini  di  tutti  quei  sali  che  si 
soprasaturano  nella  propria  acqua  di  cristallizzazione  o  nel- 
l'acqua aggiunta. 

NuUadiraeno,  rispetto  al  solfato  di  soda,  non  si  può 
escludere  che,  specialmente  nell'  aria  del  laboratorio  dove 
si  esperimenta,  non  sianvi  natanti  numerosi  cristalli  ;  e 
basta  per  convincersene  di  tenere  un  po'  a  lungo,  sul  for- 
nello, il  matraccio  contenente  la  soluzione  di  solfato  sodico, 
per  vedere  tutto  all'intorno  una  polverina  bianca  che  cade 
giù,  mentre  altra,  più  leggiera,  sarà  trascinata  dalle  cor- 
renti d'aria  e  si  diffonderà  dappertutto. 

La  presenza  di  un  siffatto  pulviscolo,  dovuto  all'efflo- 
rescenza del  sale,  può  condurre  chi  esperimenta  a  dei  facili 
abbagli.  Perciò  convien  meglio  ricorrere  a  dei  sali  non  efflo- 
rescenti e  per  i  quali  non  possa  esservi  dubbio  che  l'avvenuta 
precipitazione  sia  unicamente  dovuta  al  fenomeno  che  abbia- 
mo provocato,  e  non  all'  indiscreta  caduta  di  un  qualche  cri- 
stallo vagante  nell'ambiente.  L'  acetato  di  soda,  sale  delique- 


(4)  Comptes-rendus  de    l'  Acadèmie    des    sciences,    voi.   50    e    51 
anno  1865. 

(5)  Cfr.  Atti  del  R.  Istituto   Veneto,  t.  Ili,  serie  III,  1892. 


[3]  (703) 

sconto,  elio  pi'osoiita  in  alto  f^i-ado  il  Joiioiiioiio  (lolla  soprasa- 
lui*azi()no,si  prosta  assai  hono  a  siffatto  sttidio;  con  questo  sale 
si  l'ipposoi'o  a(hin(|iie  p;\\  osporimenti  (*)  i  quali  riconferma- 
l'oiio,  conio  dii'Oino  or  ora,  la  opiiiioiio  i;ià  espressa  intorno 
air  ipotesi  del  Selmi, 

Coll'acetato,  e  anche  col  solfato  di  soda,  si  presei'O  a 
studiare  quei  fenomeni  già  segnalati  dal  Tomlinson  {%  cioè 
che  il  variai'e  della  tensione  superficiale  è  causa,  talora 
{lotonte,  a  por  fine  allo  stato  di  soprasaturazione.  Di  cosi 
tatti  fenomeni,  che  pur  sono  di  tanto  interesse,  non  si  fa 
parola  noi  trattati  più  estesi  e  più  recenti  di  Fisica;  e  dove 
si  accenna  ai  fenomeni  di  soprasaturazione  si  continua  ad 
appagare  il  lettore  invocando  la  caduta  del  compiacente 
cristallo. 


Nuovi  fatti  che  stanno  in  favore  della  teoria 
del  Selmi. 

Ai  fenomeni  già  descritti  nella  precedente  Nota  (•),  nei 
(juali  la  precipitazione  in  massa  del  solfato  di  soda  ci  sem- 
brava unicamente  dovuta  ad  un  concentramento  superfi- 
ciale operato  dall'  evaporazione,  si  possono  aggiungere  i 
seguenti  : 

1.  Preparata  una  soluzione  di  acetato  di  soda  nel  rap- 
porto di  1  d'acqua  per  4  di  sale,  si  filtrò  in  due  matracci 
i  quali  furono  posti  sopra  una  mensola  presso  ad  una  fi- 
nestra. I  matracci  furono  lasciati  aperti,  e  dopo  24  ore  si 
trovò  ancora  liquida  la  soluzione.  Schiusa  la  finestra,  dopo 
pochi  minuti  la  soluzione  cristallizzò  in    entrambi.  Avver- 


(1)  Gli  esperimenti  furono  ripresi  nel  maggio  del  1892  e  conti- 
nuati fino  ad  oggi,  approfittando  cosi  della  naturai  variazione  della  tem- 
peratura deir  ambiente,  la  quale  oscillò  da  29"  a  —  2'\ò  in  quelle  ore 
che  si  era  soliti  di  sperimentare. 

T.  IV,  S.    VI]  50 


(?64)  [4-J 

tiamo  che  l'aria  era  asciuttissima  e  il  termoinetro  segnava 
28".  Si  ripetè  l'esperimento  più  volte  e  sempre  collo  stesso 
risultato.  Notammo  poi  che  la  precipitazione  avveniva  più 
prontamente  se  i  matracci  erano  investiti  dai  raggi  del  sole. 

2.  Filtrata  in  un  vaso  da  precipitati  una  soluzione  di 
acetato  sjdico  nel  rapporto  di  1  a  4,  e  coperto  il  vaso  con 
una  campana  affine  di  attenuare  l'evaporazione,  quando  la 
soluzione  ebbe  preso  la  temperatura  dell'ambiente  si  avvi- 
cinò alla  superficie  di  livello  un  disco  d'  ottone  scaldato 
nell'acqua  bollente,  o  anche  sopra  una  fiamma  ad  alcool  ; 
dopo  pochi  secondi  si  videro  formarsi  sulla  superficie  del 
liquido  dei  minuti  cristalli  i  (juali  determinarono  la  preci- 
pitazione di  tutta  la  massa  disciolta.  L'esperimento  del  disco 
fu  eseguito  più  volte  nell'estate  alla  temperatura  di  27°  o 
28*',  e  neir  inverno  a  temperature  inferiori  ai  4°. 

3.  Nei  mesi  d' inverno  abbiamo  più  volte  eseguito  il  se- 
guente esperimento  ;  abbiamo  immerso  il  matraccio,  conte- 
nente la  soluzione  di  acetato  sodico,  in  un  vaso  d'acqua  bollen- 
te e  dopo  pochi  istanti  si  sono  formati  alla  superficie  dei 
lunghi  cristalli  che  hanno  determinato  il  moto  cristallino 
in  tutta  la  massa. 

4.  L'aria  asciutta  facilita  molto  la  rapida  precipita- 
zione del  sale.  Preparata  in  un  matraccio  la  soluzione  di 
acetato  di  soda,  si  chiude  il  recipiente  con  un  tappo  a  due 
fori  a  traverso  i  quali  passano  due  tubi  di  vetro  che  al- 
l'esterno sono  piegati  ad  U,  e  ciò  per  togliere  ogni  dubbio 
sull'accidentale  caduta  di  corpi  estranei.  Uno  di  questi  tubi 
si  prolunga  nell'  interno  fino  ad  1  centimetro,  circa,  dal 
livello  del  liquido.  Quando  la  soluzione  ha  preso  la  tempe- 
ratura dell'ambiente,  si  applica  al  cannello  più  lungo  un 
tubo  di  gomma,  e  con  un  mantice  si  soffia  l'aria,  sia  diret- 
tamente, sia  facendola  traversare  per  il  cotone  purificato. 
In  ogni  caso  si  ottiene  la  precipitazione  in  massa  del  sale 
quando  l'aria  è  asciutta;  stenta  ad  ottenersi  quando  l'aria 
è    umida,  e    allora  se    si  fa  passare  il  getto  per    un  tubo 


fr>]  (705) 

pieno  (li  cloruro  di  calcio  ;>i  è  certi  che  il  sale  precipita 
ini  mediatamente. 

5.  La  soluzione  di  acetato  sodico,  anche  (|uando  è  molto 
concentrata,  i)uò  travasarsi  dal  matraccio  in  un  \  aso  da 
l)recii>itati  senza  che  cristallizzi,  i)urchè  si  abbia  cura  che 
1(^  pareti  d(d  \aso  sieno  ben  nette  o  catarizzate,  })ei'  usare 
res[)ressioiu'  del  Tomlinson.  In  generale,  dopo  ([ualche  mi- 
nuto, la  soluzioni'  cosi  travasata  cristallizza  perchè  si  è 
resa  più  facile  revaporazione;  (|ualora  non  cristallizzi,  ba- 
sterà soffiare  leggermente  sul  liquido  per  vederlo  subito 
ci-istallizzare. 

fi.  Anche  coU'acetato  di  soda  si  provò  più  volte  l'espe- 
rimento eseguito  dal  Selnii  col  solfato  sodico,  il  quale  espe- 
rimento consiste  nell'  inti'odurre  nel  matraccio  un  filo  di 
cotone  che  lambisca  la  superficie  del  liquido  ;  tosto  che 
il  filo  si  è  imbevuto  della  dissoluzione,  si  veggono  formare 
i  cristalli  sui  filamenti  i  quali  j)rovocano  la  precipitazione 
in  massa  del  sale. 

Gli  esperimenti  descritti  provano  adunque  che  la  for- 
mazione dei  primi  cristalli,  che  determinano  il  precipitarsi 
del  sale,  è  dovuta  all'evaporazione,  la  quale  può  essere  più 
o  meno  rapidamente  attivata  sia  con  un  aumento  di  tem- 
peratura, sia  col  cambiar  l'aria  che  sovrasta  al  liquido,  sia 
coU'aumentare  la  superficie  evaporante,  ovvero  coli' immer- 
gervi un  qualche  corpo  capace  di  imbeversi.  Perchè  dun- 
(|ue  negare  che  anche  col  solfato  sodico  non  debba  avvenire 
(jualcuno  di  questi  fatti  ?  Ammettiamo  pure  che  nel  solfato 
di  soda  possa  intervenire  la  caduta  accidentale  di  qualche 
cristallo  dall'  esterno  ;  non  potremo  per  questo  invocar  la 
caduta  come  la  causa  unica  che  mette  fine  allo  stato  di  so- 
l)rasaturazione,  imperocché  evvi  una  causa  più  generale,  la 
evaporazione,  la  quale  abbraccia  tanto  le  soluzioni  dei 
sali  efUorescenti  (juanto  quelle  dei  deliquescenti  ;  bisognerà 
almeno  distinguere  i  fatti  in  due  categorie,  cioè  quelli  che 
avvengono  soltanto  coi  sali  efflorescenti  e  quelli  che  avven- 
gono tanto  negli  uni  quanto  negli  altri. 


(766)  t:6] 

Influenza  della  variazione  della  tensione  superficiale 

I  fatti  studiati  dal  Tomliiisou  intorno  alla  l'elazione  fra 
la  tensione  superficiale  delle  soluzioni  e  quella  dei  liquidi 
che  vi  si  fanno  cadere,  possono  i-iassuniersi  nelle  quattro 
seguenti  proposizioni  (i)  : 

I.  Una  soluzione  salina  soprasatura,  contenuta  in  un 
matraccio  ben  netto,  resta  liquida  fino  a  che  la  sua  super- 
ficie, ovvero  quella  che  sta  in  contatto  colle  pareti  del  ma- 
traccio, non  subisce,  sopra  uno  o  parecchi  punti,  alcuna 
diminuzione  nella  tensione  superficiale. 

IL  Depositando  sulla  superficie  di  una  soluzione  una 
goccia  di  un  qualche  liquido  che  abbia  debole  tensione  su- 
perficiale, essa  si  distende  in  pellicola  e  produce  o  subito, 
0  dopo  breve  tempo,  la  cristallizzazione. 

III.  Un  liquido  che  abbia  una  considerevole  forza  con- 
trattile, il  quale  però  non  agisca  chimicamente  sulla  solu- 
zione, se  viene  con  essa  in  contatto  non  vi  opera  alcun 
cambiamento. 

IV.  Un  corpo  solido,  ricoperto  da  una  pellicola  di  uno 
di  quei  liquidi  che  posseggono  debole  tensione  superficiale, 
immerso  nella  soluzione  vi  provoca  la  cristallizzazione  im- 
mediata o  dopo  un  tempo  brevissimo  ("^). 

II  Tomlinson  giunse  alle  conclusioni  sopra  indicate  in 
seguito  a  molti  esperimenti  eseguiti,  generalmente,  col  sol- 
fato di  soda  sciolto  nell'  acqua  in  proporzioni  diverse.  Il 
fisico  inglese  soleva  sperimentare  in  aperta  campagna  per 
rendere  più  diffìcile  la  caduta  accidentale  delle  polveri  e 
corpuscoli  natanti  nell'  aria,  e  convalidò  i  fatti  osservati 
mediante  le  accurate  misure  della  tensione  superficiale  delle 
diverse  soluzioni,  nonché  di  quella  dei  liquidi  che  vi  faceva 
cadere. 


(1)  Sursaturation,  par  M.    Ch.  Tomlinson,    Actualités    scientifiques 
publiées  par  T  Abbé  Moigno  :  I  sèrie,  n.  25.  Paris,  1872. 

(2)  Cfr.  Sursaturation,  pag.  129. 


[7]  (TCT) 

Spinti  dal  (losidoi-io  di  riconoscere  la  verità  di  quei 
fatti  dei  ([uali  tacciono  i  trattati,  come  f,nà  .si  ebbe  a  notare, 
abbiamo  ripetuto  gli  es[)erimenti  del  Tomlinson;  ma  in  luogo 
di  adoperare  una  considerevole  quantità  di  liquidi  ci  siamo 
limitati  a  pochi  e  sempre  della  stessa  qualità,  ripetendo 
moltissime  volte  gli  esperimenti  e  variandone  il  modo;  im- 
perocché se,  in  massima,  sono  veri  i  fatti  descritti  dal  Tom- 
linson, nondimeno  si  presentano  alcune  eccezioni  che  me- 
ritano di  essere  segnalate. 

Che  sia  opportuno  studiare  i  fenomeni  all'  infuoi-i  di 
(jualsiasi  causa  disturbatrice,  lo  dimostra  il  fatto  che  una 
goccia  di  liquido  se  cade  sopra  una  soluzione  di  solfato 
sodico,  generalmente  la  fa  cristallizzare  anche  se  il  liquido 
non  si  distende  in  pellicola.  Non  crediamo,  peraltro,  che 
r  operare  in  aperta  campagna  sia  del  tutto  scevro  di  acci- 
denti ;  allorché  si  scoperchia  il  matraccio  può  intervenire  il 
fenomeno  dell'  evaporazione  specialmente  se  l' aria  è  molto 
asciutta  ;  ma  di  ciò  non  tenne  conto  il  Tomlinson.  Eppure 
il  fatto  non  si  può  negare;  e  tante  volte  ci  è  occorso  di 
togliere  il  coperchio  di  vetro  ad  un  matraccio  contenente 
la  soluzione  di  un  sale  deliquescente,  come  é  appunto  l'a- 
cetato di  soda,  e  di  scoperchiarlo  all'  aria  aperta,  (e  qui  a 
Venezia  si  è  in  ottime  condizioni  riguardo  a  polvere),  e  la 
soluzione  cristallizzò  probabilmente  per  il  subito  attivarsi 
di  correnti  d'  aria  ;  invece  una  identica  soluzione  si  man- 
tenne liquida  per  24  ore  e  più,  avendo  lasciato  aperto  il 
matraccio. 

Trovammo  adunque  necessario  di  metterci  al  co})erto 
anche  dalle  correnti  che  possono  agitare  l'aria  del  matrac- 
cio, affine  di  studiare  unicamente  l'  effetto  del  liquido  che 
doveva  cadere  sulla  soluzione.  Per(MÒ  ideammo  di  fai-  goc- 
ciolarti i  lifjtiidi  mediante  una  diiavelta  simile  a  ([ucdla  che 
si  adopera  nel  noto  appai-ecchio  di  Dalton.  Questa  chia- 
vetta, di  bronzo,  aveva  nel  cono  una  cavità  capace  di  con- 
tenere 4  0  5  goccie  di  quei  li(|uidi  che  si  volevano  far  di- 
scendere nel  matraccio  ;  un  tubetto  di  bronzo,  lungo  mm.  50 


(768)  [8] 

e  largo  mm.  7,  circa,  era  saldato  normalmente  all'asse  del 
cono  e  veniva  infilato  in  un  tappo  di  gomma  ;  con  questa  di- 
sposizione si  poteva  chiudere  il  matraccio,  e  girando  la  chia- 
vetta di  180°,  si  potevano  far  discendere  i  liquidi,  già  in- 
trodotti nella  cavità,  in  un  ambiente  separato  totalmente 
dall'  aria  esterna. 

Passiamo  ora  a  descrivere  gli  effetti  ottenuti  coi  vari 
li(|uidi. 

Etere.  —  In  una  soluzione  di  solfato  di  soda,  nel  rap- 
})orto  di  1  d'  acqua  per  3  di  sale,  filtrata  in  un  matraccio 
che  poi  si  chiuse  col  tappo  sopra  descritto,  si  fecero  cadere 
una  0  due  goccie  d'  etere  e  si  ottenne  l' immediata  cristal- 
lizzazione. L'  esperimento  fu  ripetuto  più  volte  tanto  nell'e- 
state che  neir  inverno  col  medesimo  risultato. 

Diverso  fu  il  contegno  dell'  etere  fatto  gocciolare  sopra 
r  acetato  di  soda  disciolto  nella  proporzione  di  4  parti  di 
sale  per  1  d'  acqua.  Anche  a  basse  temperature  (3°  e  4°)  le 
più  favorevoli  alla  precipitazione  del  sale,  1'  etere  è  stato 
inattivo  quando  si  è  fatto  cadere  mediante  la  chìanetta. 
Se  invece  si  faceva  gocciolare  1'  etere  sopra  una  soluzione 
di  acetato  sodico  conservata  in  un  matraccio  aperto,  gene- 
ralmente si  otteneva  la  cristallizzazione,  ma  dopo  parecchi 
minuti  che  il  liquido  era  caduto.  La  qual  cosa  può  far 
nascere  il  dubbio  che  non  sia  stato  1'  azione  dell'  etere  la 
causa  della  precipitazione. 

Benzina.  —  Nella  soluzione  di  solfato  sodico  nel  raj)- 
})oi'to  di  1  a  3,  filtrata  in  un  nuitraccio  che  si  è  chiuso 
col  tappo  munito  di  chiavetta,  si  è  fatta  cadere  una  goccia 
di  benzina;  il  liquido  si  è  espanso  in  sottilissimo  velo,  mo- 
strando iridescenze,  ma  la  soluzione  non  è  cristallizzata.  Si 
è  })ur  riconosciuto  che  la  benzina  è  inattiva  anche  quando 
se  ne  fa  cadere  una  goccia  in  un  matraccio  chiuso  sempli- 
cemente con  un  coperchio  di  vetro,  j)urchè  si  abbia  cura  di 
rimettere  subito  il  coperchio.  Gli  esperimenti  descritti  fu- 
rono eseguiti  a  temperature  piuttosto  basse  (dai  ^^  ai  7")  e 
anche  a  temperature  alquanto  elevate  (dai  20"  ai  24"). 


[!)|  (760) 

La  lìonziiia  che  si  è  trovata  inattiva  sulle  soluzioni  di 
solfato  di  soda,  è  invece  attivissima  su  quelle  di  acetato 
sodico.  Infatti,  sia  direttamente,  sia  per  mezzo  della  chia- 
vetta, facendo  cadere  una  o  due  goccie  di  benzina  sopra 
una  soluzione  di  acetato  di  soda  nel  rapporto  di  1  a  '^  e 
an(die  di  1  a  4,  nasce  un  fenomeno  bellissimo  e  meritevole 
d'  essere  ripetuto  nei  corsi  di  fisica.  Appena  la  goccia  viene 
in  contatto  colla  soluzione,  è  rimbalzata  e  sparpagliata 
(jua  e  là,  e  con  grandissima  rapidità  si  veggono  i  cristalli 
partire  da  tutti  quei  punti  dove  furono  spruzzati  i  fi'am- 
menti  della  goccia,  e  la  soluzion(*  rai)[)rendersi  in  un  mo- 
mento in  massa  compatta. 

Dobbiamo  notare  un  fatto,  sul  (juale  ritorneremo,  cioè 
die  facendo  cadere  una  goccia  di  l)enzina  da  piccola  altezza 
(2  0  o  mm.)  sulla  superfìcie  della  soluzione  di  acetato  so- 
dico, essa  si  espande  regolarmente  e  non  determina  la 
precipitazione  del  sale. 

Olio  essenziak  di  trementina.  —  Questo  liquido  fa  cri- 
stallizzare rapidamente  !('  soluzioni  soprasature  di  solfato  so- 
dico anche  quando  lo  si  fa  gocciolare  })er  mezzo  della  chia- 
vetta. Invece  è  inattivo  sulle  soluzioni  di  acetato  di  soda  ; 
sulla  loro  superfìcie  si  distende  in  pellicola  sottilissima  con 
belle  ii'idescenze  ma  senza  provocare  la  precipitazione  del 
sale. 

Talvolta,  a  dir  vero,  la  soluzione  cristallizzò  in  un  ma- 
traccio aperto  dove  si  fece  gocciolare  l'acqua  ragia;  ma  non 
può  affermarsi  che  la  precipitazione  sia  proprio  avvenuta  per 
r  azione  dell'  olio  essenziale.  Potrebbe  opporsi  che  in  un 
vaso  chiuso,  dove  1'  atmosfera  è  in  gran  parte  formala  di 
\  apore,  mancando  (juasi  del  tutto  la  presenza  dell'  aria 
\  iene  a  mancare  un  importante  fattoi-e  nel  conflitto  fra  le 
tensioni  superficiali  dei  due  li{|uidi.  Ma  possiamo  rispondere 
che  versata,  a  freddo,  la  soluzione  di  acetato  sodico  in  una 
lai'ga  cassula,  e  fattavi  cadere  una  goccia  d'olio  di  tremen- 
tina, essa  si  distese  cii'colarmente  con  iridescenze  bellissime 
e  la  soluzione  rimase  liquida. 


(770)  [10] 

Petrolio.  —  Il  petrolio  ha  un' azione  abbastanza  ener- 
gica quando  la  superfìcie  della  soluzione  è  stata  imbrattata 
con  qualche  altro  liquido,  come  diremo  fra  poco.  Ma 
se  il  petrolio  cade  sopra  una  soluzione  ben  filtrata  e 
netta,  è  poco  attivo.  Cosi  trovammo  che  fatta  cadere,  me- 
diante la  chiavetta,  una  goccia  di  petrolio  sopra  la  soluzione 
di  solfato  di  soda,  la  goccia  si  distese  in  regolare  pellicola 
e  non  provocò  la  cristallizzazione  ;  la  provocò  invece  se  il 
matraccio  era  aperto.  Sulla  soluzione  di  acetato  di  soda  con- 
centratissima (1  a  4)  e  a  temperatura  molto  bassa  (2°)  il 
petrolio  fu  inattivo,  quando  si  fece  gocciolare  nel  vaso 
chiuso  col  tappo  a  chiavetta;  e  spesso,  anche  nel  matraccio 
aperto,  il  petrolio  si  distese  in  larga  pellicola  senza  far 
cristallizzare  la  soluzione. 

Olii  fissi.  —  L'  olio  d' oliva  purissimo,  e  l'olio  di  man- 
dorle, se  si  fanno  gocciolare  sulle  soluzioni  di  acetato  di 
soda  0  di  solfato  di  soda  si  distendono  lentamente  in  pel- 
licole iridescenti  senza  produrre  alcuna  cristallizzazione. 
Nel  matraccio  aperto  può  avvenire  che  il  solfato  di  soda  cri- 
stallizzi neir  atto  che  vi  cade  la  goccia  ;  e  siccome  essa 
non  ha  avuto  tempo  di  espandersi,  perchè  la  troviamo  tal 
quale  sulla  superficie  cristallizzata,  il  fatto  deve  attribuirsi 
ad  altre  cause,  le  quali  potrebbero  essere  o  l'evaporazione, 
0  piuttosto  la  caduta  di  qualche  cristallino  di  solfato  sodico. 

Facciamo  ora  una  breve  discussione  sui  fatti  osservati 
e  poniamoli  a  confronto  colle  proposizioni  formulate  dal 
Tomlinson. 

Per  rendere  })iu  jtroficua  una  sifi'atta  discussione  sarchile 
stato  opportuno  il  determinare  la  tensione  superficiale  delle 
dissoluzioni  e  dei  li(iuidi  che  vi  si  facevano  goc('iolare.  Ma 
essendo  al  presente  privi  di  alcuni  mezzi  atti  a  misurare, 
colla  dovuta  precisione,  le  altezze  capillari  affine  di  rica- 
vare, dalla  nota  formola 

rad 


[11]  (771) 

l;i  tensione  supertìciale  /,  ci  accontentei'emo  di  alcune  mi- 
sure approssimate  le  quali,  peraltro,  saranno  sufficienti  per 
i  confronti  di  cui  si  tratta. 

In  un  tubo,  del  diametro  di  circa  0""",9  si  misura- 
rono le  altezze  capillari  di  due  soluzioni  che  avevano  ser- 
vito in  alcuni  degli  esperimenti  descritti,  cioè  una  soluzione 
di  solfato  sodico  nel  rapporto  di  1  a  3,  ed  altra  di  acetato 
sodico  nello  stesso  rapporto.  Collo  stesso  tuljo,  che  volta 
per  volta  era  catarizzato  nel  miglior  modo  possibile,  si 
misurarono  le  altezze  capillari  degli  altri  liquidi  sopra  de- 
scritti, e  le  misure  furono  fatte  a  temperature  assai  pros- 
sime, cioè  tra  12°,5  e  13'',2.  Poiché  per  tutti  i  liquidi  si 
adoperò  lo  stesso  tubo,  l)asterà  fare  il  confronto  tra  i  di- 
versi prodotti  che  si  ottengono  moltiplicando  1'  altezza  ca- 
l)i Ilare  a  per  la  densità  d. 

Ecco  i  risultati. 


LIQUIDI 

Densità 
d 

Altezza  capillare 
a 

Valori  di  e  X  '' 

Etere  solforico.     . 

0.730 

cm.   1.01 

7.373 

benzina   .... 

0.890 

»     1.14 

10.140 

Olio   essenziale    di 
trementina    .     , 

0.8(34 

»     1.27 

10.973 

Petrolio    da    lam- 
pade    .... 

0.800 

>     1.42 

11.3()0 

Olio  d'  oliva      .     . 

0.913, 

)>      1.49 

1:5.(10:5 

A<eT.  sodico  (1  a  :{) 

1.225 

*     l.so 

22.(  l.")!  ) 

Solf.  sodico  (1  a  3) 

1.305 

»     2.50 

:  52.02:) 

(^'2)  [12] 

Apparisce  adunque  dalla  tavola  che  il  minor  prodot- 
to è  quello  che  corrisponde  all'etere,  il  quale  ha  quindi 
la  minor  tensione  superficiale.  Parrebbe,  stando  alle 
proposizioni  del  Tomlinson,  che  1'  etere  dovesse  essere  il 
liquido  più  energico  a  por  fine  allo  stato  di  soprasatura- 
zione ;  invece  se  desso  è  energico  colla  soluzione  di  solfato 
sodico  non  lo  è  con  quella  di  acetato  di  soda  benché  la 
differenza  di  tensione  superficiale  fra  i  due  liquidi  sia  an- 
cora considerevole. 

Il  prodotto  corrispondente  alla  benzina  è  pur  esso  pic- 
colo, perciò,  dopo  1'  etere,  è  il  liquido,  fra  quelli  da  noi 
adoperati,  che  ha  minor  tensione  superficiale.  Nulladimeno 
è  pochissimo  attiva  sulla  soluzione  di  solfato  sodico  che  ha 
pure  una  forza  contrattile  considerevole.  Non  è  qui  il  caso  di 
dire  che  un  esperimento  non  riuscito  non  basta  a  infirmare 
una  regola  ;  1'  etere  e  la  benzina  furono  i  liquidi  i  più  ado- 
perati e  coi  quali  facemmo  parecchie  diecine  di  esperimenti 
perchè  appunto  ci  colpi  la  curiosa  anomalia.  Potrebbe  forse 
spiegarsi  il  fenomeno  dall'  avere  certi  liquidi,  e  certe  solu- 
zioni, saline  in  particolare,  una  considerevole  viscosità  la 
quale  si  oppone  alla  rapida  espansione  della  goccia  mal- 
grado la  diff'erenza  notabile  fra  le  tensioni  superficiali,  (i) 
Un'  altra  considerazione  è  pure  da  farsi,  cioè  sul  modo 
col  quale  cade  la  goccia.  Se  si  ha  cura  che  la  goccia  cada 
sulla  superficie  della  soluzione  da  una  breve  altezza,  e  ciò 
lo  si  ottiene  facilmente  adoperando  una  pipetta,  vedremo 
che  la  goccia  si  distende  in  cerchio  e  non  provoca  la  cri- 
stallizzazione. Abbiamo  osservato  il  fenomeno  parecchie 
volte  colle  goccie  di  benzina  e  di  petrolio  deposte  sulla 
soluzione  di  solfato  di  soda,  e  la  stessa  benzina,  cosi  attiva 
suir  acetato  di  soda,  è  rimasta  talvolta  inattiva   quando  si 


(1)  Infatti  l'etere,  (juando  cade  «nlla  superficie  della  soluzione  di 
acetato  sodico,  si  espande  nel  pri  jio  momento  e  poi  si  contrae  in  una 
lenticchia   che  sparisce  per  evaporazione. 


[i;;j  (778) 

é  i-iusciti  a  deporvela  con  pi-ccauzioiiiMii  f-iiisa  da  ((tlctici-c 
che  si  os}iande.sse  roovjlai'iuente.  Dobbiamo  aggiiingei'c  che 
dopo  deposta  la  goccia  si  rimetteva  il  coperchio  sopra  il 
matraccio,  perchè,  lasciandolo  scoperto,  di  solito  avveniva, 
(h>l)0  mezz'ora  e  più,  la  cristallizzazione.  Ma  non  possiamo 
l'i  tenere  che  la  precipitazione  del  sale  fosse  avvenuta  per 
r  azione  della  goccia,  imperocché  se,  contemporaneamente 
alla  caduta  della  goccia,  si  scopei-chiava  un  altro  matraccio 
con  identica  soluzione  di  acetato  di  soda,  molte  volte  è*  av- 
venuto che  il  liquido  cristallizzava  più  presto  nel  secondo 
matraccio  che  nel  primo. 

Quando  il  liquido  è  attivo,  nel  senso  cioè  di  determi- 
nare la  pronta  precipitazione  del  sale,  i  cristalli  partono 
sempre  dalla  periferia  della  goccia  la  quale,  in  simiglianti 
casi,  si  espande  irregolarmente,  vale  adire  che  il  suo  con- 
torno è  frastagliato  da  sinuosità  piìi  o  meno  profonde.  Non 
è  poi  necessario  che  la  superficie  della  soluzione  sia  net- 
tissima, perchè  qualche  liquido  poco  attivo  lo  diviene  assai 
più  quando  la  superficie  della  soluzione,  su  cui  cade,  è 
iml)rattata  di  materie  oleose.  Ciò  è  provato  dai  seguenti 
esperimenti. 

In  un  matraccio  si  filtrò  una  soluzione  di  solfato  di 
soda  (1  a  .'^)  e  si  chiuse  col  tappo  a  chiavetta,  indi  si  fece 
cadere  una  goccia  d'olio  d'oliva  che  si  espanse,  a  i)OCO  a 
poco,  in  pellicole  iridescenti.  Fattavi  cadere,  dopo  '^A  ore, 
una  goccia  di  petrolio,  nacque  una  viva  lotta  e  la  solu- 
zione immediatamente  cristallizzò.  Lo  stesso  esperimento 
fu  ripetuto  più  volte  con  la  soluzione  di  acetato  di  soda 
contenuta  in  un  matraccio  coperto  con  un  cappello  di  ve- 
tro :  fattavi  cadere  la  goccia  d'olio  d'oliva,  o  di  mandorle, 
dopo  alcune  ore  la  goccia  si  eia  distesa  in  ptdlicMlc,  e  la 
caduta  del  petrolio  precipitava  la  soluzione  ('). 


(1)  Anche  colla  benzina  si  è  ottenuto  lo  stesso  ri.siiltamento  (piando 
si  ('•  fatta  gocciolare  sulla  superficie  imbrattata  «la  un  olio  fisso  od  an- 
che da  essenza  di  trementina. 


C^74)  [14] 

I  fatti  che  abbiamo  descritto  .stanno  a  riprova  di  quelli 
già  osservati  dal  Tomlinson.  Senonchè,  alle  proposizioni 
formulate  dal  fisico  inglese,  crederemmo  di  dover  aggiun- 
gere una  specie  di  emendamento  affine  di  metterle  in 
piena  armonia  coi  risultati  dell'esperienza,  e  diremmo  : 

I.  Se  una  goccia  liquida  si  espande  rapidamente,  e 
irregolarmente,  sulla  superficie  di  una  soluzione,  il  brusco 
turbarsi  della  tensione  superficiale  è  causa  sicura  della 
precipitazione  del  sale. 

II.  Se  invece  la  goccia  si  espande  con  molta  lentezza, 
ovvero  se,  essendo  di  un  liquido  che  si  espande  rapido, 
venga  deposta  in  guisa  da  espandersi  regolarmente  intorno 
ad  un  centro,  nel  primo  caso  mancando  un  repentino  mu- 
tamento nella  tensione  superficiale  mancherà  la  causa  im- 
pellente il  moto  cristallino  ;  e  nel  secondo  avendo  provo- 
cato un  aumento  uniforme  nella  contrattilità  superficiale 
dell'anello  che  circonda  la  goccia,  non  avrà  luogo  la  preci- 
pitazione dei  cristalli. 


Effetti  prodotti  dagli  urti.  —  Si  dimostra  come  il  moto  cri- 
stallino può  propagarsi  fra  due  parti  di  una  stessa  so- 
luzione, separate  da  una  membrana  flessibile  ed  imper- 
meabile. 


Gli  effetti  prodotti  dalle  azioni  meccaniche  sulle  solu- 
zioni soprasature  sono  alquanto  capricciosi.  Per  es.  una 
soluzione  concentratissima  di  acetato  sodico  può  essere  tra- 
vasata da  un  matraccio  all'altro  senza  cristallizzare  ;  come 
pure  la  stessa  soluzione  può  essere  violentemente  scossa 
nel  matraccio  e  rimaner  liquida  ;  lasciandola  poi  in  quiete 
non  tarda  a  cristallizzare,  ma  i  cristalli  partono  dalle  pa- 
reti che  restarono  bagnate  nell'agitazione.  —  Un  getto  i)0- 
deroso  d'aria,  che  si  fa  gorgogliare  a  traverso  la  soluzione 
di  acetato  di  soda,  è  inattivo  ;   invece  un  lieve  soffio  sulla 


[1-1  (77:,) 

.siii)(M'Hci(\  (Ictenniiia,  come  già  \('(UMniii(),  l;i  [>i'('ci|iila/-i()iii' 
salina.  —  I.a  ìiihikm-sÌohc  ili  una  bacchetta  di  veti'O odi  metallo, 
noiiclu''  la  cadiila  di  rraiiiiiienti  solidi,  determinano  spesso 
la  lìircipitaziunc  :  ma  ciò  scmhi-a  avvcnii'O  non  \)L'V  l'azione 
materiale  dell'uflo,  ma  piuttosto  per  (juella  dell'  aria  che 
sta  aderente  a  (jiiei  corpi.  Fu  infatti  provati»,  da  molti  spe- 
rimentatori, che  una  liacclietta  di  \etro  diviene  inattiva 
quando  è  stata  riscaldata  innanzi  d'immergerla  nella  dis- 
soluzione. 

Noi  pure  abbiamo  ripetuto  il  curioso  esperimento  sia 
con  bacchette,  sia  con  aghi  da  cucire,  i  quali  appena  im- 
mersi nella  soluzione  provocavano  il  precipitar  dei  cristalli,  e 
restavano  inattivi  se  caldi.  Abbiamo  anche  provato  a  rac- 
cogliere la  soluzione  in  un  largo  tubo  il  cui  fondo  era  fatto 
con  una  membrana  di  caucciù,  e  forando  coli' ago  la  mem- 
brana, subito  partivano  i  cristalli  dalla  punta.  Siffatte  espe- 
rienze hanno  molta  analogia  con  quelle  classiche  del  Du- 
four  e  del  Donn}^  e  forse  allo  stesso  modo  che  si  formano 
le  bolle  di  vapore  in  presenza  dell'aria  che  sta  aderente  al 
corpo  che  si  pone  in  contatto  col  liquido  soprascaldato,  po- 
tranno anche  formarsi  i  cristalli  in  quella  piccola  atmosfera 
che  circonda  l'ago  o  la  bacchetta;  siffatti  fenomeni  potreb- 
bero adunque  rientrare  nella  teorica  del  Selmi,  piuttosto  che 
in  quella  dell'azione  micleare  invocata  dal  Tomlinson. 

Nei  molti  esperimenti  eseguiti  non  abbiamo  mai  ri- 
scontrato che  il  semplice  urto  meccanico  sia  causa  di  pre- 
cipitazione. Infatti,  se  nel  tubo  a  fondo  elastico  descritto 
di  sopra,  procuriamo  di  mantener  liquida  la  soluzione  di 
acetato  sodico  coprendolo  con  un  cappello  di  vetro,  dando 
dei  colpi  sulla  membrana,  con  un  piccolo  martello,  non  si 
giunse  a  farla  cristallizzare.  —  Parimente,  se  un  tubo  ana- 
logo al  precedente,  ma  vuoto,  s' immerge  in  un  vaso  da 
precipitati  contenente  la  soluzione,  in  guisa  che  la  mem- 
brana rimanga  per  2  o  3  centimetri  sotto  il  livello  del  li- 
quido, facendo  cadere,  dentro  il  tubo,  dei  pallini  di  piombo 
da  un'altezza  di  25  o  30  centimetri,  malgrado  che  battano 


{176)  [16] 

con  qualche  violenza  sulla  membrana,  V  urto  non  deter- 
mina la  precipitazione  del  sale. 

L'  esperimento  dei  pallini  ci  fece  pensare  che,  forse, 
sarebbe  avvenuta  la  cristallizzazione  ,  se  in  luogo  di 
far  cadere  un  corpo  amorfo  il  cui  urto  è  innocuo,  si 
fossero  fatti  cadere  dei  cristalli  della  stessa  sostanza  di 
quella  disciolta  ;  imperocché  la  membrana  avrebbe  dovuto 
piegarsi  sotto  l'urto  e  modellarsi  sulle  faccie  dei  cristalli 
divenendo,  in  qualche  guisa,  un  corpo  isomorfo  con  quello 
disciolto  nel  liquido.  L'esperimento  venne  eseguito  e,  benché 
avessimo  adoperato  una  membrana  sottilissima,  non  riuscì. 
Forse  avrebbe  avuto  luogo  la  riuscita  se  avessimo  compresso 
i  cristalli  sulla  membrana  ;  ma  siffatto  esperimento  pre- 
sentando il  pericolo  di  qualche  lacerazione,  si  pensò  di 
modificarlo  nel  modo  che  ora  diremo,  e  sorti  esito  feli- 
cissimo. 

In  un  vaso  da  precipitati,  che  chiameremo  A,  alto  17 
centimetri  e  largo  8  V2  (ie  dimensioni  possono  essere  va- 
riate a  piacere  di  chi  esperimenta)  si  filtrò  una  soluzione 
concentrata  di  acetato  di  soda  nel  rapporto  di  1  d'  acqua 
per  4  di  sale,  in  modo  da  riempire  il  vaso  fin  circa  a 
metà.  Ad  un  tubo  di  vetro  B  lungo  14  centimetri  e  largo 
3  Va?  si  applicò  alla  bocca  una  sottilissima  membrana  di 
caucciù  che  stava  legata  abbastanza  alta  sulla  parete  del 
tubo,  e  per  mezzo  di  tre  appendici  metalliche  che  parti- 
vano dalla  parete,  si  appoggiò  il  tubo  B  sulla  bocca  del 
vaso  A  in  modo  che  l'estremità  chiusa  dalla  membrana  si 
immergesse  di  qualche  centimetro  sotto  il  livello  del  li- 
quido, e  la  legatura  emergesse  sul  detto  livello.  Ciò  fatto 
si  copri  il  tutto  con  una  campana  tubulata,  che  nel  nostro 
esperimento  era  alta  26  centimetri  e  larga  13,  e  per  la 
tubulatura  si  passò  un  imbuto  il  cui  collo  discendeva  fino 
alla  bocca  superiore  del  tubo  B.  L' imbuto  ha  il  doppio 
vantaggio  di  togliere  la  diretta  comunicazione  fra  la  dis- 
soluzione e  l'ambiente  esterno,  ed  offre  il  modo  di  ver- 
sare nel  tubo  B    quel    liquido  clie  si    vuole  ;    per  es.   una 


[17]  (777) 

solii/ioiie  idcMilica  ;i  (|iu'll;i  cJk' sl;i  nel  \  ;iso  A.  Con  iincsic 
(lispojjizioiii  si  è  cei'ti  clic  la  (lissolu/ionc  i-iiiiaiic  li(|ui(la 
anche  por  ]»iìi  ^ioi'iii. 

Allui%-li('  la  (iissolii/.ioiic  (lei  MINO  A  dilic  [iroso  la  tein- 
poi-atura  doli'  anihioiite,  si  versò  per  V  iiiihtito  una  cei'ta 
(luaiiiità  di  identica  soluzione  })ui'  ossa  alla  tenipoi-atura 
deirami)iente.  Di  solito  la  soluzione  versata  nel  tubo  1> 
rimane  liquida  per  un  certo  tempo,  ed  ecco  perchè  è  da 
preferirsi  l' acciaio  sodico  al  solfato  il  quale  facilmente 
cristallizza,  nell'  atto  che  si  versa,  e  si  agglomera  nel- 
l'imbuto. Fatto  allora  cadere  un  cristallo  di  acetato  di 
sofia  nell'interno  del  tuho  B,  ovvero  aspettando  che  cri- 
stallizzasse il  li(iUÌdo  rimasto  aderente  alle  pareti  dell'im- 
buto, si  vide  il  moto  cristallino  propagarsi  in  basso  nel- 
l'interno di  B,  e  quando  la  massa  dei  cristalli  giunse  alla 
membrana,  si  videro,  al  di  fuori,  partire  in  tutte  le  di- 
rezioni i  cristalli  che  in  breve  rappresero  in  massa  la  so- 
luzione contenuta  nel  vaso  A. 

L'esperimento  può,  a  dir  vero,  esser  reso  più  semplice, 
e  può  eseguirsi,  come  abbiamo  fatto  più  volte,  versando 
la  soluzione  di  acetato  sodico,  alla  temperatura  dell'  am- 
biente, nel  vaso  da  precipitati,  e  poi  immergervi  il  tubo 
a  fondo  elastico,  già  riempito  della  stessa  soluzione.  Ma 
operando  all'aria  libera  può  sempre  nascere  il  dubbio  che 
la  precipitazione  salina  possa  esser  dovuta  a  cause  diverse  ; 
perciò  crediamo  che  il  metodo  sopra  descritto  sia  il  più 
acconcio  a  dimostrare  che  il  moto  cr-istallino  può  propa- 
garsi fra  le  due  parti  di  una  stessa  soluzione,  separate 
da  una  membrana  flessibile  ed  impermeabile. 

All'esperimento  descritto  può  farsi  una  seria  obbie- 
zione :  le  membrane  adoperate  erano  veramente  imper- 
meabili ai  solidi  ed  ai  liquidi  ?  Trattandosi  di  un  esperi- 
mento assai  delicato,  di  una  qualche  importanza  nella 
tìsica  molecolare  e,  per  quanto  sappiamo,  nuovo,  non  man- 
cammo di  prendere  tutte  le  precauzioni  per  esser  sicuri 
che  la  membrana  adoperata  fosse  impermeabile  prima  del- 


(778)  [18] 

l'esperiinento,  e  tale  restasse  dopo  avvenuta  la  cristallizza- 
zione. Laonde,  per  rispondere  ai  dubbi  che  potessero  essere 
affacciati,  citeremo  le  seguenti  prove. 

Dopo  aver  fissata  la  membrana  sul  tubo  vi  si  versò 
dell'acqua  per  1'  altezza  di  10  o  12  centimetri,  e  tenuta 
più  giorni  sotto  quella  pressione  non  si  vide  trapelare  al 
di  fuori  la  più  piccola  traccia  di  umidità.  Effettuato  poscia 
l'esperimento,  prima  ancora  che  tutta  la  soluzione  esterna 
si  fosse  precipitata  in  massa,  cavammo  il  tubo  e  lo  im- 
mergemmo in  una  catinella  piena  d' acqua  acciocché  il 
sale  vi  si  sciogliesse  lentamente  ;  poscia  avendo  bene  asciu- 
gato al  sole  la  parte  esteriore  della  membrana,  si  riempì 
d'acqua  il  tubo  e  si  tenne  più  giorni  sotto  pressione  senza 
che  nulla  trapelasse  al  di  fuori  rimanendo  la  membrana 
asciuttissima.  Ciò  provava  clie  la  formazione  esterna  dei 
cristalli  era  avvenuta  per  moto  trasmesso  dalla  flessibilità 
della  membrana  e  non  per  diretta  comunicazione. 

Venezia,  Gennaio  1893. 


L'ASSEDIO  DI  TORINO  DEL  1106 

SECONDO    LE    iMEMOlME    DEL    TEMPO   (i) 


Nota  storica 

DEL  DOTT.  E.  CALLEGARI 


L'assedio  di  Torino  del  1706  è  senza  dubbio  uno  dei 
l)iìi  splendidi  episodi  della  guerra  di  successione  di  Spagna 
e  della  storia  militare  del  Piemonte. 

Tutte  le  Memorie  del  tempo  sono  concordi  nell'affer- 
mare,  che  pari  alla  gravità  del  pericolo  fu  la  grandezza 
d'  animo,  V  eroismo,  lo  spirito  di  abnegazione  degli  as- 
sediati. 

Io  ho  condotta  la  mia  narrazione  sui  documenti  sin- 
croni tratti  dagli  Archivi,  specialmente,  di  Torino,  Milano, 
Venezia,  Parigi  e  pubblicati  in  gran  parte  dal  Manno  nella 
Miscellanea  di  Storia  italiana  ed  ho  tenuto  conto  degli 
studi  generali  e  parziali  usciti  alla  luce  qui  ed  altrove  su 
([uesto  argomento. 


^leiitre  per  differenti  ragioni  dinastiche  mezza  Europa 
scendeva  in  armi  contro  la  Francia,  in  Italia  molti,  in  mezzo 
a  tanto  strepito  di  guerra,  sonnecchiavano  indifferenti  o  si 
sbizzarrivano  a  ridere  di  questo  o  di  quello  con  un'aria  di 


(1)  L'intera  Memoria  verrà  pubblicata  nel  fascicolo  III  di  quest'anno 
della  Rivista  Storica  Italiana. 

T.  IV,  S.   VII  51 


(780)  [2] 

.scetticismo  confacente  ad  un  })opolo,  che  non  sperava  miglio- 
ramento politico  da  (jiialunque  parte  si  fosse  volta  la  vit- 
toria tinaie,  ed  esprimeva  la  propria  opinione,  prò  o  contro 
l'uno  0  l'altro  dei  combattenti,  con  certe  composizioni,  che 
mostrano  di  non  avere  alcuna  pretesa  letteraria.  Fra  gli 
Stati  della  penisola  taluni  aderirono  alla  Francia,  altri 
vollero  conservare  la  propria  neutralità.  Due  soli  miravano 
più  alto,  il  duca  di  Parma,  che,  secondo  apparisce  da  se- 
grete Memorie  del  tempo,  vagheggiava  la  libertà  d'Italia, 
e  il  duca  di  Savoja,  che  avrebbe  voluto  sbarrazzar  la  peni- 
sola dai  Francesi,  perchè  intendeva  che,  ove  Milano  fosse 
caduta  in  mano  ad  essi,  il  Piemonte  avrebbe  finito  di  esi- 
stere politicamente,  come  quello  che  si  trovava  rinchiuso 
da  una  parte  e  dall'altra  fra  gli  artigli  borbonici.  Di  qui  quel 
suo  destreggiarsi  fra  i  due  belligeranti,  volgendosi  prima 
dalla  parte  di  Luigi  XIV,  quindi  da  quella  dell'  Austria 
appena  s'accorse  quanto  infida  ed  umiliante  fosse  l'alleanza 
francese. 

Nel  mio  studio  ho  accennato  a  tutti  i  principali  fatti 
d'  armi  compiutisi  in  Italia  prima  che  Torino  fosse  stret- 
ta d'  assedio,  e  a  tutte  le  misure  prese  da  Vittorio  Ame- 
deo per  preservare  la  capitale  dei  suoi  stati  dalla  rovina 
di  un'occupazione  straniera,  sia  col  chiedere  la  neutralità 
della  Savoja,  sia  col  richiamare  ajuti  dall'  Austria,  col 
domandarne  a  Venezia,  col  pori'e  sotto  le  armi  persino  i 
disertori  e  col  munire  la  città  di  tutte  quelle  opere  di  di- 
fesa, che  poteva  consigliare  l'arte  strategica  del  tempo.  Ap- 
pena i  nemici  cominciarono  a  battere  vigorosamente  la 
fortezza,  Vittorio  Amedeo  s'accorse  che  la  sua  famiglia  non 
era  sicura  in  Torino,  poiché  i  francesi  miravano  a  farla 
prigioniera,  perciò  credette  opportuno  allontanarla  dalla  città 
e  porla  sotto  la  protezione  della  repubblica  ligure,  finché 
non  fosse  cessato  ogni  pericolo  in  Piemonte. 

Egli  stesso,  giudicando  che  meglio  avrebbe  potuto  aiu- 
tare il  suo  popolo  portandosi  fuori  delle  mura  e  stancheg- 
giando il    nemico  con  finte  mosse,  era  uscito  di  Torino,  e 


[3]  (781) 

dal  la  Foiiilladc,  elio  lo  a\e\a  iiis(-fi;iiito,  ora  stato  chiuso  in 
coi'tc  ^olc  ali»iiu\  dalle  (piali  potò  uscir  salvo  mediante  la 
l'ii^a  l'alta,  ali*  insaputa  di  tutti,  in  un  luiscosto  villa|i-^io 
alpino,  che  delf  ospitalità  concessa  all'illustre  fuggiasco 
sei'ba  ou^i  aucoi'a  nicnioria. 


L'assedio  fu  (-(uidotto  con  energia  da  una  parte  e  dal- 
Talti-a.  uni  il  la  l-'euillade  aveva  fin  da  principio  sbagliato  il 
l)iaMo  di  guci-i-a.  Vauhan  gliel'avea  fatto  sapere,  ma  egli 
avea  sci'itto  al  suo  re,  che  c'e7yi  da  sia.)-  ben  più  .sicuri 
con  lui,  che  iialendosi  di  iiUll  quanti  gli  ingegneri.  Sotto  le 
mura  della  città  si  combatterono  brillanti  fazioni  di  guerra, 
e  al  soverchiante  numero  dei  nemici  Torino  opponeva  una 
indomita  resistenza,  poiché  tutti  gli  ordini  dei  cittadini 
senza  distinzione  gareggiarono  nel  far  mostra  di  eroismo, 
abnegazione  e  carità  di  patria.  Frequenti  sortite  militari, 
lotte  accanite  sui  baluardi,  disperate  battaglie  combattute 
corpo  a  corpo  sopra  o  sotto  terra  con  picche,  spade  e  mine 
tenevano  incerto  1'  esito  della  grande  lotta  ;  ma  mentre  i 
nomici  avevano  tutto  il  necessario  per  riparare  alle  per- 
dite, gli  assediati  cominciavano  a  sentir  pecunia  di  varie 
cose,  specie  della  polvere.  V  ebbe  un  momento  in  cui  la 
città  stava  per  cader  nelle  mani  dei  francesi  :  la  salvò  l'e- 
roismo d'un  oscuro  minatore,  il  Micca. 

Fu  vergogna  del  tempo,  che  un'  azione  cosi  grande  e 
nobile,  —  perchè  compiuta  nell'oscurità  d'un  sotterraneo  da 
un  povero  contadino,  —  restasse  per  tanto  tempo  sepolta  in 
un'  inescusabile  dimenticanza  ;  colpa  di  tutti  e  particolar- 
mente della  Corte  e  dei  Capi  militari,  cui  spettava  il  dovere 
di  appurare  la  verità  del  fatto  in  mezzo  alle  differenti  ver- 
sioni, che  di  esso  correvano,  mentre  ancora  viveva  il  su- 
perstite   compagno    del  Micca. 

Ma  se  l'eroismo  del  minatore  d' Andorno  avea  salvato 
la  città  da  un  grave  })ericolo,  non  l'avea  però  liberata  dal 
nemico,  che  ingrossava  sempre  più,  mentre   in  Torino  an- 


(782)  [4] 

dava  as.sottigliandosi  il  numero  di  quelli,  che  erano  pre- 
l)Osti  alla  sua  difesa.  Occorreva  un  grande  aiuto,  che  de- 
cidesse^ finalmente  delle  sorti  della  guerra,  e  Torino  l'ebbe 
in  Eugenio  di  Savoja.  Con  una  marcia  abilissima,  e  che 
costituisce  una  delle  più  gloriose  pagine  della  sua  storia 
militare,  era  sceso  dalla  valle  dell'Adige  in  Italia  e,  attra- 
verso una  regione  tutta  seminata  di  truppe,  di  campi  trin- 
cerati, di  forti  e  di  piazze  validamente  munite,  era  abil- 
mente passato  sfuggendo  insidie,  attacchi,  sorprese  e  riu- 
scendo in  brevissimo  tempo  a  congiungersi  con  le  armi  di 
Vittorio  Amedeo,  che  ansioso  l'aspettava  poco  lungi  da 
Torino. 

La  grande  battaglia,  che  si  combattè  al  7  Settembre 
1706  sotto  la  mura  della  città  fra  gli  austro-piemontesi  e  i 
francesi,  decise  delle  sorti  della  guerra  in  Italia  :  la  for- 
tuna delle  armi  borboniche  fu  completamente  annientata  ; 
Torino  fu  salva  e  il  Piemonte  e  la  Lombardia  liberi  del 
tutto  dalle  armi  francesi.  Giustamente  poteva  scrivere  il 
poeta    vernacolo  : 

«  I  Todisch   e  i  Piemontes 
Spiritos  in  mezz  ai  bott, 
Col  pett  nud,  senza  diffes 
Vaan  innanz,  se  porten  sott » 

Poverett  !  Con  sta  gran  bòtta 
Spenaccia  resten  i  Gai, 
Con  l'esercit  tutt  in  rotta 
E  perdun  tutt  el  bagai.  »  (') 

Il  trionfo  delle  armi  austro-piemontesi,  che  fu  la  più 
severa  lezione  inflitta  alla  tracotanza  del  De  la  Feuillade, 


(1)  Cfr.  G.  De  Castro  Milano  nel  settecento  giusta  le  poesie,  le  ca- 
ricature e  alcune  testimonianze  dei  tempi.  Milano,  Dumolard  1887, 
pag.  25. 


[5]  (783) 

avea  talmente  accorata  e  avvilita  la  Coi-te  e  la  nazione 
tVancose  da  far  smarrire  ad  entrambe  il  senso  pi-aticjo  nella 
liinsta  estimazione  dei  fatti. 

Pareva  impossibile,  che  un  così  fiorito  esercito,  i-icco 
di  tutto  il  necessario  per  far  cadere  una  piazza  ben  {ìiìi 
forte  che  non  fosse  stata  (pudla  di  Torino,  fosse  dovuto 
fu^-gire  rovinosamente  dalle  sue  trincee,  lasciando  sul  campo 
un  generale  morto,  un  altro  ferito,  e  un  ingente  nu- 
mero di  soldati  posti  fuor  di  combattimento;  pareva  im- 
possibile, che  un'  impresa  tentata  dalla  Francia  contro  lo 
spregiato  Piemonte  fosse  potuta  riuscire  a  vóto. 

Non  si  volle  riconoscere  che  la  splendida  vittoria  fu 
conseguenza  di  mal  combinati  piani  militari,  di  false  mosse 
d'eserciti  ;  che  fu  effetto  di  eroismo,  di  abnegazione,  virtù 
guerresca  degna  di  essere  scritta  a  caratteri  d'  oro  nella 
storia  d'un  popolo. 

Era  troppo  ignominioso  riconoscere  da  cause  proprie 
tristi  effetti  ;  la  jattanza  francese,  offesa  e  tocca  sul  vivo, 
non  poteva  abbassarsi  al  punto  di  riconoscere  le  vere  cause 
della  sua  sconfitta  ;  occorreva  una  vittima,  a  cui  far  risalire 
intera  ed  odiosa  la  responsabilità  della  sventura.  Fu  detto 
che  il  La  Feuillade,  innamorato  di  Maria  Adelaide,  gentile 
figlia  di  Vittorio  Amedeo  e  sposa  al  duca  di  Borgogna,  non 
avesse  voluto  condurre  vigorosamente  l'assedio  per  non  re- 
car alla  Duchessa  il  dolore  di  sajìer  rovinata  dalle  armi  di 
Francia  la  capitale  degli  stati  di  suo  padre. 

Questo  è  falso  ;  jìarlano  conti'O  la  bassa  e  ignobile  ac- 
cusa gì'  immensi  danni  arrecati  a  tutti  gli  edifici  pubblici  e 
})rivati  di  Torino,  a  tutti  i  luoghi  consacrati  alla  pietà  ed 
al  culto  ;  parla  il  numero  delle  bombe  lanciate,  che  fu 
COSI  grande  da  far  dire  ad  un  eronista  del  tempo,  che  coi 
rottami  di  esse  raccolti  [)er  le  strade,  i  soldati  ricavarono 
per  conto  proprio  un  utile  di  otto  lire  per  uno. 

E  quasi  questa  vittima  non  fosse  bastata,  se  ne  cercò 
un'altra;  e,  non  rispettando  la  (buina,  si  volle  entrare  nel 


(784)  [6] 

segreto  d'un  cuore  ingenuo  e  puro  e  macchiarlo  col  velenoso 
dente  d'un' atroce  calunnia. 

Fu  detto  che  Maria  Adelaide,  che  godeva  la  piena  fi- 
ducia del  Gran  Re,  che  l'amava  teneramente,  e  non  avea 
segreti  per  lei,  riferisse  di  nascosto  al  padre  tutto  quello 
che  alla  Corte  francese  si  stabiliva  per  la  guerra  italica  ; 
fu  detto  che  a  questo  tradimento  debba  risalire  il  disastro 
dei  francesi  sotto  Torino. 

Anche  questo  è  falso.  Tutti  i  documenti  tratti  alla  luce 
su  questo  argomento  dalla  Saredo  e  dal  Boselli  sono  con- 
cordi nello  smentire  recisamente  la  bugiarda  insinuazione, 
mentre  attestano  che  nessun  altro  ne  possa  quando  che  sia 
uscire  alla  luce,  il  quale  infermi  in  qualche  modo  la  recisa 
testimonianza  da  loro  offerta. 

Narra  l'anonimo  autore  del  Giornale  del  famoso  As- 
sedio della  Real  Città  di  Torino  che  quando  gli  assediati 
seppero  dell'arrivo  del  principe  Eugenio  sotto  le  mura  della 
città  esultarono,  perchè  speravano  di  veder  fiaccato  1'  or- 
goglio e  r  insolenza  del  De  la  Feuillade,  il  cui  comando 
mal  volentieri  sapevano  sopportare. 

È  a  lui  ed  ai  suoi  capi  militari,  che  bisogna  far  risa- 
lire tanta  parte  della  responsabilità  del  disastro  di  Torino  ; 
quella  leggerezza  e  presunzione  francese,  che  sdegnava 
prender  sul  serio  la  vigorosa  resistenza  degli  assediati,  è 
venuta  meno  ai  propri  doveri,  è  caduta  in  errori,  in  man- 
canze, dei  quali  ha  saputo  trarre  largo  partito  il  nemico. 

Il  quale  potè  col  proprio  valore  e  fermezza  fiaccare 
d'un  tratto  la  potenza  borbonica  in  Italia  e  influire  grande- 
mente e  far  piegare  dalla  parte  dei  confederati  la  vittoria 
finale,  che  pose  un  freno  alla  smodata  e  minacciante  pre- 
potenza della  P'rancia  a  danno  degli  altri  stati  d'Europa. 


RELAZIONE  FR/  LA  TEMPERylTURA  DI  GELO 

E  QUELLA  DEL  MASSIMO  DI  DENSITÀ  DELL'ACQUA 

CHE  GOltTTIEiTE  DISGIOXjTI  IDEI  SALI 

Ricerche  sperimentali 

DEI 

DOTTORI  SILVIO  LUSSANAe  (HOVA.XM  TOZZOLA  (i) 


1/  anomalia  che  presenta  V  acqua  verso  i  4°  C.  diede 
origine  a  lunghe  discussioni,  specialmente  per  la  relazione 
che  vi  potrebbe  essere  fra  la  variazione  della  sua  densità 
e  quella  del  calore  specifico  intorno  a  quel  punto.  —  Se, 
come  venne  dai  più  sostenuto,  la  vaiMazione  di  densità  che 
qui  si  osserva  è  dovuta  ad  un  cangiamento  nella  struttura 
molecolare,  è  naturale  il  pensare  che  anche  qui  si  presen- 
tino gli  stessi  fatti  che  si  osservano  ogniqualvolta  si  incon- 
trano di  tali  modificazioni  nella  struttura  dei  corpi.  Fu 
questa  l' idea  che  ci  guidò  nel  presente  lavoro. 

(ria  da  molti  fu  studiata  la  temperatura  alla  ([uale 
r  acqua  o  le  soluzioni  acquose  presentano  la  massima  den- 
sità. Cosi  si  trovano  p.  es.  i  lavori  di  Despretz,  C'oppet 
e  Rossetti  i  di  cui  risultati  potremo  discutere  in  seguito. 
Noi  ci  siamo  daj)prima  preoccu})ati  di  studiare  la  tempe- 
ratura del  massimo  di  densità  dell'  acqua  distillata  con 
ogni  cura,  e  quindi  di  alcune  soluzioni  saline. 


(1)  Questo  lavoro    fu  eseguito    nel    Laboratorio    dell'  Istituto    fisico 
della  R.  Università  di  Padova  diretto  dal  prof.  Angelo  Battelli. 


(786)  [2] 

Il  metodo  da  noi  usato  fu  quello  del  dilatometro.  Ave- 
vamo a  nostra  disposizione  sette  dilatometri  di  Geissler  di 
cui  abbiamo  studiato  con  cura  il  coefficiente  di  dilatazione. 
Questi  dilatometri  vennero  perciò  riempiti  nel  vuoto,  sotto 
la  campana  di  una  macchina  pneumatica,  con  mercurio 
preventivamente  distillato  e  bollito,  cercando  di  espellere 
ogni  bolla  d'  aria  :  la  superficie  speculare  presentata  dal 
mercurio  nel  bulbo  ci  garantiva  della  buona  riuscita  della 
operazione.  A  questo  modo  abbiamo  evitato  l'inconveniente 
di  far  bollire  il  mercurio  nel  dilatometro,  il  che,  come  si 
sa,  produce  delle  variazioni  nella  capacità.  Il  coefficiente 
di  dilatazione  venne  determinato  a  più  riprese  fra  le  tem- 
perature di  0°  e  10°  C.  circa.  Pei  diversi  dilatometri  esso 
era  compreso  fra  0,000022025  e  0,000028134. 

I  cannelli  dei  dilatometri  erano  divisi  in  millimetri 
per  una  lunghezza  di  10*"°  ed  avevano  un  diametro  interno 
di  circa  1  mm.  Per  calibrarli  abbiamo  riempito  ciascun 
strumento  con  mercurio  in  modo  che  questo  arrivasse  fin 
verso  la  divisione  100,  e  poi  li  abbiamo  mantenuti  a 
temperatura  costante,  una  volta  ponendoli  nel  ghiaccio 
fondente,  ed  una  seconda  volta  in  un  bagno  d'  acqua,  di 
continuo  agitata,  alla  temperatura  ambiente.  Questa  tem- 
peratura ci  era  data  da  un  termometro  Baudin  da  0°  a 
40°  C.  diviso  in  decimi  posto  nello  stesso  bagno.  Estra- 
endo successivamente  delle  piccole  quantità  di  mercurio  si 
leggeva  con  un  cannocchiale  la  divisione  alla  quale  arri- 
vava il  liquido  rimasto,  e  nello  stesso  tempo  si  leggeva  la 
temperatura  segnata  dal  termometro.  Del  mercurio  levato 
si  determinava  il  peso  con  una  piccola  bilancia  di  Rue- 
precht.  Da  questi  dati  abbiamo  potuto  dedurre  la  capacità 
dei  singoli  tratti  del  cannello  vuotati  di  volta  in  volta.  — 
Questi  volumi,  ridotti  alla  temperatura  di  4°  C,  ci  servi- 
rono per  costruire  una  curva  per  ciascun  dilatometro.  In 
queste  curve,  la  cui  origine  era  posta  al  })rincipio  della 
graduazione,  un  millimetro  nelle  ascisse  con'is})ondeva  ad 


(li   ili\isioMe  (lei  cannello;   menli-e   un    milliinetro  nello 

ordinate  coiTispondeva  ad  j-rr  di  niillinicti'o  cubico. 

I  volumi  dei  bulbi  a  0°,  che  variavano  pei  diversi  di- 
latometri da  30  a  32  ce,  si  dedussei-o  dal  i)eso  del  mer- 
cui'io  che  li  riempiva  fatta  la  correzione  per  la  spinta  del- 
l'aria. Queste  capacità,  insieme  ai  coefficienti  di  dilatazione 
ed  alle  curve  di  graduazione  dei  cannelli,  servivano  a  darci 
i  volumi  del  liquido  contenuto  nei  dilatometri  alle  diverse 
temperature  a  cui  venne  portato. 

Queste  ricerche  vennero  eseguite  in  un  ambiente  la 
cui  temperatura  nel  periodo  delle  esperienze  variò  da 
circa  2°  a  5°  C.  I  dilatometri  venivano  posti  in  un  vaso 
della  capacità  di  circa  40  litri,  riempito  d'  acqua  che  si 
teneva  continuamente  agitata.  Due  termometri  Baudin  di- 
visi in  cinquantesimi  di  grado  servivano  a  darci  la  tem- 
peratura del  bagno.  Le  letture  vennero  eseguite  con  un 
cannocchiale  a  piccola  distanza  focale.  L' ingrandimento 
di  quest'  ultimo  era  tale  che  permetteva  di  leggere  con 
sicurezza  i  centesimi  delle  divisioni  sul  dilatometro,  ed  i 
millesimi  di  grado  sui  termometri.  Il  riempimento  dei  dila- 
tometri si  fece  introducendovi  un  lungo  e  sottile  cannello  di 
vetro  che  penetrava  nel  bulbo,  e  quindi  versando  il  liquido 
nel  biccliierino  superiore  del  dilatometro.  Prima  di  venire 
l'iempiti  i  dilatometri  furono  lavati  con  acqua  distillata  e 
(luindi  rii)etutamente  sciacquati  con  la  soluzione  che  do- 
veva essere  studiata.  I  dilatometri  che  servirono  per  le 
esperienze  sull'  acqua  distillata  furono  riempiti  nel  vuoto. 

L'  aciiua  di  cui  ablìiamo  fatto  uso  la  ottenemmo  con 
i'il)etute  distillazioni  :  saggiata  poi  coi  diversi  reattivi  in- 
dicati dalla  chimica  non  ci  presentò  traccia  alcuna  di  im- 
jìurità.  Fin  da  principio  ne  abbiamo  preparata  una  quantità 
sufficiente  per  tutte  le  esperienze  da  eseguirsi.  I  sali  usati 
erano  in  pai-te  forniti  dal  Trommschjrff  ed  in  jiarto  dal 
Kahlbaum.  La  maggior  parte    di    essi  furono  cristallizzati 


(788)  [4] 

nuovamente  prima  di  essere  adoperati.  Avvertiamo  tìii  d'oi-a 
che  nei  calcoli  eseguiti  abbiamo  ridotto  il  peso  dei  sali  a 
quello  che  sarebbe  se  i  sali  stessi  fossero  anidri. 

Per  ciascuna  soluzione  studiata  abbiamo  determinato  il 
volume  neir  intervallo  di  circa  due  gradi  attorno  alla  tem- 
peratura del  massimo  di  densità,  procedendo  possibilmente 
di  decimo  in  decimo  di  grado  :  tra  due  successive  determi- 
nazioni si  lasciava  decorrere  almeno  un  quarto  d' ora  du- 
rante il  qual  tempo  la  temperatura  si  manteneva  costante 
e  r  acqua  era  agitata.  Per  ciascun  dilatometro  si  fecero 
almeno  due  serie  di  osservazioni.  Si  trovavano  contempo- 
raneamente nel  bagno  parecchi  dilatometri  con  diverse  so- 
luzioni prese  in  modo  da  avere  il  massimo  di  densità  presso 
a  poco  alla  stessa  temperatura  :  si  incominciava  dal  leggere 
i  termometri,  quindi  rilevate  le  posizioni  dei  liquidi  nei 
cannelli  si  ripeteva  la  lettura  dei  termometri.  Nei  pochi  casi 
nei  quali  le  due  letture  furono  differenti,  prendevamo  la 
media  se  differivano  meno  di  tre  o  quattro  millesimi  di  gra- 
do, altrimenti  si  scartavano  le  osservazioni  corrispondenti. 
Come  temperatura  dei  dilatometri  si  assunse  la  media  di 
quelle  lette  sui  due  termometri  :  queste  si  trovavano  in 
sufficiente  accordo,  salendo  la  loro  differenza  a  pochi  mil- 
lesimi di  grado.  La  temperatura  del  massimo  la  deducemmo 
dalla  costruzione  grafica  dei  volumi  osservati  alle  diverse 
temperature. 

Per  dare  un'idea  dell'attendibilità  dei  nostri  risultati 
riferiamo  qui  sotto  due  serie  di  osservazioni,  limitandoci 
a  quelle  vicine  al  massimo  di  densità.  Crediamo  inutile 
riferire  tutte  le  altre  bastando  pel  nostro  scopo  di  riportare 
la  temperatura  del  massimo  e  la  densità  a  questa  tem- 
pei'atura. 

La  prima  tabella  si  riferisce  ad  una  soluzione  acquosa 
di  nitrato  di  piombo.  La  quantità  di  sale  contenuta  nella 
soluzione  è  di  gr.  5.1603  su  100  gr.  d'acqua.  Il  peso  della 
soluzione  contenuta  nel  dilatometro  è  di  gr.  131,7769. 

ui   ^)'   ai     ;  >  )  i  i '.     U     i     ;3Q>vi,i-L   ^l)      lUi    qiiili 


\onnero  eseguite  le  osservazioni,  la  seconda  il  volume  in 
CUI. 3  (y)  occupato  dalla  soluzione  a  ((uella  tenipei-atui-a,  la 
terza  dà  la  densità  (d)  : 


Tabella  1. 


t 

r 

<ì 

/ 

'^ 

d 

—  1°490 

30'°'^4I240 

1.044846 

1J15 

30"°!41174 

1.044894 

—  1 .350 

41232 

861 

1  .325 

41 170 

896 

-  1  .315 

41228 

878 

1.405 

41184 

895 

-0.912 

41189 

880 

1  .523 

41193 

892 

-  0 .748 

41191 

878 

1.542 

41184 

884 

-0.514 

41182 

886 

1.723 

41207 

883 

+  0  .308 

41165 

883 

1.753 

41199 

884 

0.330 

41157 

886 

1.756 

41205 

870 

0.574 

41154 

888 

2.237 

41254 

869 

0.585 

41160 

889 

2.438 

41299 

866 

0  .766 

41158 

895 

La  seconda  tabella  presenta  le  osservazioni  eseguite 
su  una  soluzione  acquosa  di  nitrato  di  sodio.  In  100  gr. 
di  acqua  vi  erano  gr.  0,5414  di  sale.  Il  peso  della  soluzione 
contenuta  nel  dilatometro  è  di  gr.  32.6842.  Le  diverse  co- 
lonne hanno  lo  stesso  significato  che  nella  precedente. 


(790) 


P] 


Tabella  II. 


t 

7' 

d 

t 

V 

d 

2°.  2 16 

cm3 

32  .55742 

1.003894 

0 

3.230 

cm3 

32  .55721 

1.003901 

2.412 

55733 

897 

3.337 

55725 

899 

2.651 

55729 

898 

3.391 

55729 

898 

2.666 

55725 

899 

3.441 

55729 

898 

2.854 

55717 

902 

3.460 

55731 

897 

3.003 

55716 

902 

3.549 

55734 

897 

3.062 

55715 

903 

3  .559 

55735 

■  896 

3.109 

55719 

901 

3.698 

55747 

893 

3.127 

55721 

901 

Come  si  vede  da  queste  tabelle  la  temperatura  del 
massimo  è  abbastanza  bene  determinata,  di  modo  che  pos- 
siamo con  sicurezza  fissarla  entro  il  centesimo  di  grado." 

Per  l'acqua  da  noi  usata  abbiamo  determinato  la  tempe- 
ratura del  massimo  di  densità  con  tre  differenti  dilatometri 
ed  abbiamo  creduto  di  poterla  fissare  a  4°,15  ;  questa  tem- 
peratura è  molto  prossima  a  quella  data  dal  Rossetti  di  4°,12. 

Ed  ora  diamo  senz'  altro  i  risultati  ottenuti  colle  di- 
verse soluzioni  da  noi  studiate.  Nella  tabella  qui  sotto  la 
prima  colonna  indica  il  sale  disciolto  ;  la  seconda  dà  il  nu- 
mero di  grammi  (M)  del  sale  anidro  disciolto  in  100  gr.  di 
acqua:  la  terza  dà  la  temperatura  {l)  del  massimo  di  den- 
sità; la  quarta  dà  il  valore  della  densità  {(ì)  a  questa  tem- 
peratura. 


Ul 


(791) 


Tarella  hi. 


M 

( 

d 

Ha  (NOg).. 

gr. 

•ò  ,3365 

0°52 

1.028029 

» 

0  ,8403 

3,34 

007223 

» 

0,4189 

3,68 

003699 

KNO, 

1  ,2942 

2,06 

008535 

» 

0  ,6404 

3,08 

004504 

» 

0,1640 

3,94 

000874 

Pb  (N0,)2 

5,1603 

0,42 

044894 

» 

1  ,2873 

3,24 

011163 

» 

0  ,6457 

3,72 

005878 

» 

.  0,3243 

3,90 

002119 

Na  NO. 

1  ,0868 

1,86 

007493 

» 

0,5414 

3,00 

003901 

» 

0.2717 

3,66 

001709 

» 

0,1391 

3,94 

000366 

Si- (NO,). 

2  ,6981 

0,20 

022551 

» 

0  ,6766 

3 ,22 

005430 

» 

0  ,3374 

3,67 

002794 

Pt  Cl^ 

1 ,2900 

3,50 

007816 

Co  CI, 

0  ,5526 

3,28 

004951 

» 

0  ,2777 

3,90 

002366 

Ni  CI-. 

0  ,5537 

3,54 

005099 

» 

0  ,2783 

3,80 

002223 

Cd  Bfg 

0  ,8460 

3,30 

— 

Srio 

0  ,8798 

3,40 

— 

Il  Cd  I  (NH^) 

1  ,9626 

3,54 

— 

Il  primo  fatto  che  risulta  dalla  precedente  tabella  si  è 
3ho  la  temperatura  del  massimo  di  densità  nelle  soluzioni 


(792)  [8] 

è  più  bassa  che  nell'acqua  pura,  e  che  va  tanto  più  abbas- 
sandosi quanto  maggiore  è  la  concentrazione.  Questo  fatto 
era  già  stato  constatato  da  diversi  altri  autori.  Cosi  il  De- 
spretz,  (^)  prendendo  4°  C.  come  temperatura  del  massimo  di 
densità  dell'acqua  distillata,  dà  i  seguenti  risultati. 

Tabella  IV. 


^I 

t 

M 

t 

ClNa 

i'a3 



16°.00 

Ko  SO4 

3^71 



2°.28 

» 

3.71 

_ 

4.75 

» 

2.48 

— 

0.11 

» 

2.48 

— 

1.G9 

» 

1.24 

+ 

1.91 

» 

1  24 

+ 

1.19 

» 

0.62 

+ 

2.92 

CaClj 

7.43 

— 

10.43 

Nao  SO4 

7.43 

— 

12  .25 

» 

3.71 

— 

2.43 

» 

3.71 

— 

4.32 

» 

2.48 

+ 

0.06 

» 

2.48 

— 

1  .51 

» 

1.24 

4- 

2.05 

» 

1.24 

+ 

1.15 

» 

0.G2 

+ 

3.24 

» 

0.62 

-1- 

2.52 

KgCO, 

7.43 

— 

12.41 

Na.  CO3 

7.43 

— 

17.30 

» 

3.71 

— 

3.95 

» 

3.71 

— 

7.01 

CUSO4 

11.62 

— 

6.00 

KHO 

7.43 

— 

15.92 

» 

5.81 

— 

0.62 

» 

3.71 

— 

5.64 

K,SO, 

7.43 

- 

8.37 

L'Erman  {^)  ed  il  Karsten  (3)  danno  ciascuno  una  for- 
mula differente  che  esprime  la  temperatura  del  massimo  di 
densità  di  soluzioni  di  cloruro  di    sodio  in   funzione   della 


(1)  Ann.  de  Chimie  et  de  Phijs.  T.  LXX,  1839. 

(2)  Pogg.  Ann.  XII,  463  ;  XLI,  72. 

(3)  C.  J.  B.  Karsten's,  Archiv.  XIX.  1  ;  Fortsch.  d.  Phys.  P,  43.  1845. 


[9]  (7i):\) 

(luantità  di  ({uesto  sale  contenuto  nelle  soluzioni.  Queste 
formule  ricavate,  la  prima  da  una  formula  analoga  che  dà 
la  densità  delle  soluzioni  di  cloruro  di  sodio  in  funzione 
della  temperatura  e  della  quantità  di  sale,  e  la  seconda 
calcolata  dai  dati  sperimentali,  quantunque  non  siano  fra 
loro  concordanti,  pure  mostrano  evidentemente  1'  abbassa- 
mento della  temperatura  del  massimo  di  densità  dell'acqua, 
e  l'aumento  di  tale  abbassamento  coli'  aumento  della  con- 
centrazione. 

Il  Rossetti  in  due  lavori  (*)  studiò  pure  la  temperatura 
del  massimo  di  densità  nelle  soluzioni  saline  ed  in  (|uelle 
alcooliche  trovando  i  seguenti  risultati  : 

Tabella  Y. 


G ramini  di 
sale   su  100 
gr.  di  soluz. 

t 

Grammi  di 
alcool  su  100 
gr.  di  soluz. 

( 

ClNa 

tò 

+  /,o 

Alcool 

5^85 

0 

+3,17 

» 

l 

-t-   1,77 

» 

7,80 

-fi  ,82 

» 

2 

-  0  ,58 

» 

9,75 

-0,19 

» 

3 

—  3,24 

» 

14,625 

-8,48 

» 

4 

-  5,63 

» 

6 

-11  ,07 

» 

7 

—  13,69 

8 

-16,62 

Il  Folgheraiter  (-)  eseguisce  delle  esperienze  sulle  so- 
luzioni di  acido  gallico  e  salicilico  :  i  valori    da   lui    otte- 


nuti si  trovano  nella  seguente 


(i)  Atti  del  R.  Ist.  Ven.  3.*  .serie,  voi.   13  e  voi.   i5. 
(2)  Xiwi-o  Cim.  27,  p.  5-21,  1881. 


(ÌM) 


[10] 


Tabella  VI. 


P-  Vo 

t 

P-Vo 

t 

Acido  gallico 
» 

0,774 
1,000 
1,297 

3  "43 
3,23 
2,98 

Acido  salicilico 

0f345 
0,485 

3:61 

3,54 

Finalmente  il  Coppet  (*),  raccogliendo  più  che  altro  le 
osservazioni  dei  diversi  autori,  trova  che  le  sostanze  stu- 
diate fin  qui  possono  dividersi  in  tre  gruppi  avuto  ri- 
guardo al  rapporto  fra  1'  abbassamento  della  temperatura 
del  massimo  di  densità  e  quello  della  temperatura  di  gelo. 
In  questi  tre  gruppi  i  valori  di  questo  rapporto  stanno 
fra  loro  sensibilmente  come  1:2:3.  Fondandosi  poi  su  ri- 
cerche da  lui  eseguite,  ma  che  non  riporta  perchè  ancora 
incomplete,  e  su  quelle  di  Despretz,  conchiude  che  «  le  so- 
stanze di  costituzione  simile  (e  qualche  volta  le  sostanze 
di  natura  molto  differente)  hanno  sensibilmente  lo  stesso 
abbassamento  molecolare  della  temperatura  del  massimo 
di  densità.  » 

Da  ricerche  eseguite  sulle  soluzioni  alcooliche  deduce 
che  l'abbassamento  della  temperatura  del  massimo  di  den- 
sità non  è  niente  affatto  proporzionale  alla  quantità  di  al- 
cool disciolto.  Per  deboli  soluzioni  non  vi  ha  abbassamento, 
ma  al  contrario  aumento  della  temperatura  del  massimo 
di  densità.  Quest'  ultima  conclusione  sarebbe  convalidata, 
secondo  il  Coppet,  anche  dal  Rossetti  ;  osserviamo  però  che 


(1)  Ann.  de  Chimie  et  de  Phys.  4.«  sèrie,  t.  XXV  et  XXVI,  1871, 
1872;  C.  R.  t.  CXV,  606,  652. 


[11]  (705) 

la  toinperatiira  di  4°.  12  C.  che  il  (Joppet  atti-ibiii.sco  nelle 
esperienze  del  Rossetti  al  massimo  di  densità  di  una  so- 
luzione alcoolica  contenente  0,09  gr.  di  alcool  su  100 
j^i-aiiimi  di  ac(|ua,  è  in  realtà  la  temperatura  che  il  Kos- 
setti  assume  come  temperatura  del  massimo  di  densità  del- 
l'acqua distillata.  Anzi  il  Rossetti  stesso  accenna  a  deter- 
minazioni eseguite  su  una  soluzione  alcoolica  conteuente 
1,055  '^v.  di  alcool  su  100  '^v.  di  soluzione  che  è  la  più 
diluita  da  lui  cimentata  :  [ler  (juesta  egli  dice  che  la  tem- 
peratura d(d  massimo  di  densità  è  nujlto  prossima  a  quella 
dell'acciua  pura,  ma  non  parla  affatto  di  un  massimo  di 
densità  supei'iore  a  ({uello  dell'acqua.  Aggiungi  poi  che  le 
ultime  conclusioni  del  Coppet  perdono  in  gran  pai'te  del 
loro  valore,  specialmente  per  soluzioni  diluite,  avendo  egli 
assunto  provvisorimnente  come  ^temperatura  del  massimo 
di  densità  dell'acqua  distillata  4°  C.  Avremmo  avuto  inten- 
zione di  esaminare  con  cura  sperimentalmente  la  questione, 
ma  essendosi  nel  frattempo  innalzata  la  temperatura  esterna 
non  ci  parve  conveniente  continuare  queste  ricerche,  po- 
tendo andare  incontro  a  cause  di  errore  troppo  gravi. 

I  risultati  delle  nostre  esperienze  ci  possono  guidare 
ad  ulteriori  conclusioni.  Si  sa  che  il  van"t  Hoff  appoggian- 
dosi ai  principi  della  termodinamica  stabili  una  relazione 
mediante  la  quale  si  può  calcolare  la  temperatura  (T^)  a 
cui  si  solidifica  una  soluzione,  dalla  temperatura  (T)  asso- 
luta di  gelo  dell'  acqua,  dal  peso  molecolare  (M)  delle  so- 
stanze disciolte,  dal  calore  di  fusione  (C)  del  ghiaccio,  dal 
peso  (p)  delle  sostanze  disciolte  nel  peso  P  d'acqua.  Questa 
relazione  è  espressa  dalla  formula  : 

2T2p 
^        ^       ^         PMC 

La  stessa  formula  si  può  applicare  al  caso  in  cui  il 
cangiamento  di  struttura  molecolare  in  luogo  d'essere  do- 
vuto al  passaggio  dallo  stato  solido  al  liquido    è   determi- 

T.  IV,  S.  YII  52 


(796)  [12] 

nato  dal  cangiamento  nel  sistema  cristallino  delle  particelle 
che  costituiscono  il  corpo  (i).  In  quest'ultimo  caso  il  calore 
di  fusione  deve  essere  sostituito  dal  calore  di  trasformazione. 
Non  è  quindi  improbabile  che,  se  l'anomalia  presentata 
dall'acqua  intorno  a  4°  C.  è  dovuta  ad  un  cangiamento  di 
struttura,  si  possa  applicare  questa  formula  anche  all'ab- 
bassamento del  massimo  di  densità  dell'acqua  per  V  introdu- 
zione di  sostanze  estranee.  Ed  anzi  se  realmente  questa 
formula  è  applicabile  dovremo  conchiudere  che  il  fenomeno 
in  questione  è  di  natura  molecolare.  Del  resto  l'esistenza 
di  un  cangiamento  di  struttura  nell'  acqua  in  prossimità 
di  4°  C.  sarebbe  stata  constatata  anche  dal  H.  M.  Vernon  {^). 

Questo  autore  osservò  che  a  partire  da  16°  C.  circa  la 
curva  che  rappresenta  la  velocità  con  cui  una  massa 
d'acqua  si  raffredda,  si  allontana  un  poco  da  quella  normale, 
accennando  ad  uno  sviluppo  di  calore.  La  divergenza  sa- 
rebbe massima  verso  i  4°  C.  ;  al  di  sotto  di  questa  tempera- 
tura le  due  curve  vanno  sempre  più  ravvicinandosi.  Anche 
il  Regnault  (3)  accenna  ad  esperienze  di  simil  genere  fatte 
allo  stesso  scopo,  con  le  quali  non  potè  sicuramente  stabilire 
se  vi  sia  o  meno  uno  sviluppo  di  calore  intorno  a  4°  C.  Di 
più  il  fatto  accertato  ultimamente  da  Bartoli  e  Stracciati  (^) 
che  il  calore  specifico  dell'acqua  diminuisce  da  0°  a  20°  C. 
circa  per  poi  andare  normalmente  aumentando,  porta  a  cre- 
dere che  almeno  in  quell'intervallo  la  quantità  di  calore 
che  si  deve  somministrare  all'acqua  per  variare  la  sua  tem- 
peratura sia  in  parte  assorbita  da  una  modificazione  mole- 
colare. 

In  seguito  a  tali  considerazioni  abbiamo  voluto  veri- 
ficare fino  a  qual  punto  la  formula  data  dal  van't  Hoff  sia 
applicabile  al  nostro  caso. 


(1)  Atti  del  R.  Ist.  Veri.  Yll^  serie,  t.  II, 

(2)  Phil.  Mag.  (5)  31,  387.  1891. 

(3)  C.  R.  70,  664.  1870. 

(4)  Nuovo  Cim.  (3)  XXXII,  19.  1892. 


[VA-] 


(797) 


li.i  verifica  iioii  j)()toii(l(»  (\ss(m-c  latta  dii-ettamcnte 
l>('rclu''  iioii  ('•  nolo  il  \aloi'i'  di  (\  alìhiaiuo  itivcc^c  intro- 
dotto nella  formula  i  valoi'i  di  A  ossei-vati  ;  i  valori  di  C 
da  e.ssa  dedotti  avrebbero  dovuto  essere  costanti.  Otteneiu- 
ino  in  realtà  i  valori  segnati  nella  colonna  terza  della 

Tabella  VII. 


N  O  M  E 

M 

(;  ;    e 

N  (  )  M  K 

M 

C        C 

i-ìa(N0,)2 

3^3365 

5,4 

11,9 

CaCl2     (') 

7,43 

7,1 

» 

0,8403 

5,2 

12,7 

»         » 

3,71 

7,9 

» 

0,4189 

^2 

13,4 

»         » 

2,48 

8,5 

Pb(N(),)2 

0,1603 

6,4 

»         » 

1,24 

8,4 

» 

1,2873 

6,6 

»         » 

0,62 

10,0 

» 

0,6457 

7,0 

Ka  CO3   » 

7,43 

5,0 

15,2 

» 

0,3243 

6,0 

»         » 

3,71 

5,1 

16,C 

Sr(N(),), 

2,6981 

5,0 

CUSO4     » 

7,42 

6,8 

9,6 

» 

0,6760 

5,3 

»         » 

3,71 

7,4 

10,8 

» 

0,3374 

5,1 

K..  SO,,    » 

7,43 

5,3 

12,9 

KNO3 

1,2942 

9,4 

17,0 

»         » 

3,71 

5,1 

13,0 

» 

0,6404 

9,1 

16,7 

» 

2,48 

5,2 

13,5 

» 

0,1640 

11,9 

22,7 

»         » 

1,24 

5,0 

13,4 

NaN03 

1,0868 

8,6 

15,7 

»         » 

0,62 

4,6 

12,8 

» 

0,5414 

8,5 

15,9 

Na,   SO,  » 

7,43 

4,9 

11,8 

» 

0,2717 

10,0 

19,0 

»         » 

3,71 

4,8 

11,9 

» 

0,1391 

12,0 

23,0 

»         » 

2,48 

4,8 

12.2 

PtCl4 

1,2900 

9,1 

»         » 

1,24 

4,5 

12,1 

C0CI2 

0,5526 

8,2 

»         » 

0,62 

4,2 

11,6 

» 

0,2777 

13,2 

Nao   CO.,  » 

7.43 

5,0 

14,7 

MCU 

0,5537 

10,7 

»         » 

3,71 

4,8 

14,9 

» 

0,2783 

9,4 

KHO     » 

7,43 

10,2 

(37,1) 

»         » 

3,71 

10,4 

(38,8) 

(1)  Determinazioni  di  Despretz. 


(798) 

[14] 

Nome 

M 

C 

C 

Nome 

M 

c 

C 

CdBr2 

0^8460 

6,1 

ClNa 

(') 

8,70 

11,0 

18,2 

Srl2 

0,8794 

5,3 

» 

» 

6,38 

11,1 

18,6 

Cdl2  (NH4)I 

1,9683 

9,7 

» 

» 
» 

4,17 
3,09 

11,3 
11,1 

19,4 
19,4 

» 

» 

2,04 

11,5 

20,5 

' 

» 
» 

1,01 
0,50 

11,5 
12,3 

21,0 

22,8 

Da  questa  tabella  si  vede  che  i  valori  di  C  variano 
entro  limiti  molto  larghi,  di  modo  che  non  è  possibile  am- 
metterne r  uguaglianza.  Però  se  si  fa  uno  stesso  calcolo 
anche  per  gli  abbassamenti  della  temperatura  di  gelo,  non 
si  ottengono,  come  si  sa,  per  C  dei  valori  costanti.  Per 
spiegare  queste  divergenze  della  teoria  col  calcolo,  l' Ar- 
renius  introdusse,  con  successo,  nella  formula  di  van't  Hoff 
il  coefficiente  di  dissociazione  ;  definendolo  come  il  numero 
di  ioni  che  in  una  data  soluzione  sono  attivi.  Tale  coeffi- 
ciente, secondo  Arrenius,  si  può  esprimere  con 

i=\-{-  {K—l)  <x 

dove  K  è  il  numero   di  ioni  che    entrano    nella    molecola 


del  sale  considerato  ed  a  = 


t^oo 


per  [i,  si    intende    il  po- 


tere conduttore  specifico  molecolare  della  soluzione  consi- 
derata e  per  |Xq^  la  stessa  quantità,  ma  per  una  soluzione 
diluita  al  punto  che  per  ulteriore  diluizione  \x  non  varii. 
Se  moltiplichiamo  i  valori  C  contenuti  nella  tabella 
precedente  per  il  valore  di  i  dedotto  dalle  esperienze  di 
Kohli'ausch    otteniamo    i    valori  C    che    si    trovano    nella 


(1)  Determinazioni  di  Rossetti. 


[15]  (7i)9) 

(luarta  colonna  della  meilosiina  tabella.  Come  si  vede  nem- 
meno C^  risulta  costante.  Ad  onta  di  ciò  non  si  può  con- 
chiudere che  il  fenomeno  in  questione  non  è  dovuto  ad 
una  modificazione  molocohire  ;  perchè  nel  confronto  fra 
r  abbassamento  delle  temperature  di  gelo  e  del  massimo  di 
densità  dell'  acqua,  si  deve  prendere  in  considerazione  la 
grande  differenza  che  vi  ha  fra  la  velocità  con  cui  avviene 
la  modificazione  di  aggruppamento  molecolare  allorché 
r  acqua  passa  dallo  stato  solido  al  liquido,  e  quando  passa 
per  il  massimo  di  densità.  Noi  primo  caso,  se  le  si  comu- 
nica la  quantità  di  calore  necessaria,  la  modificazione  è 
istantanea  ed  avviene  completamente  ad  una  temperatura 
unica  ;  nel  secondo  invece,  come  abbiamo  già  notato,  la 
modificazione  incomincia  certamente  ad  una  temperatura 
di  molto  inferiore  a  4°  e  si  prolunga  fino  verso  i  20°. 
Perchè  questa  trasformazione  avvenga  non  basta  comuni- 
care all'  acqua  la  quantità  di  calore  assorbita  dal  lavoro 
molecolare,  mantenendola  poi  a  temperatura  costante  ;  è 
necessario  anche  farle  percorrere  il  largo  intervallo  di 
temperatura  suddetto.  Se  quindi  si  vogliono  applicare  i 
concetti  che  hanno  condotto  il  van'  t  Hoff  a  stabilire  la 
formula  che  dà  1'  abbassamento  della  temperatura  di  gelo 
nelle  soluzioni  anche  a  questo  caso,  si  comprende  come 
sarà  necessario,  oltre  che  la  temperatura  del  massimo,  in- 
trodurre anche  una  funzione  che  dipende  anche  dalla  velocità 
con  cui  avviene  questa  trasformazione.  In  tal  caso  quindi 
al  valore  di  T  nella  formula  data  dal  van't  Hoff  si  dovrà 
sostituire  T/'(r),  rajìpresentando  f{v)  quel  coeflìciente  per 
cui  si  deve  moltiplicare  la  temperatura  del  massimo  osser- 
\:ita,  per  ridurla  a  ([uella  temperatura  ideale  a  cui  si  do- 
vrebbe trovare  il  massimo  di  densità  se  la  trasformazione 
potesse  essere  istantanea. 

Questa  funzione  /'(r)  però  sarà  differente  a  seconda 
che  si  tratterà  di  ac(|ua  o  di  una  soluzione;  di  più  per  le 
soluzioni   vai'ierà  eolla  natura  del  sale  e   colla  concentra- 


(800)  [16] 

zione.  Alla  formula  del  van  't  Hoff  si    potrà    quindi    sosti- 
tuire r  altra  : 

dove  le  diverse  lettere  hanno  i  significati  detti  preceden- 
temente. Dividendo  per  f{v)  otteniamo  : 

f  {o)        P  M      C 
Se  il  massimo  di  densità  dell'  acqua  è  realmente    do- 
vuto ad  una  trasformazione   il  valore  di  —;-  calcolato  da 

yj 

questa  formula  dovrà  essere  costante.    Siccome    però    non 
si  hanno  fino  ad  ora  gii  elementi  sufficienti  per  verificare 
direttamente  questa  deduzione,  cosi  abbiamo  tentato  di  darne 
una  verifica  indiretta  in  base  alle  seguenti  considerazioni. 
Poniamo  per  brevità  : 

Se  X  ci  rappresenta  la  (juantità  di  sale  contenuta  in 
100  gr.  di  acqua,  allora  R  è  una  quantità  costante  per  uno 
stesso  sale,  e  1'  equazione  precedente  si  può  scrivere  : 

(1)  \\T-ry\  =  RY. 


Facendo  variare  la  concentrazione  della  soluzione,  il 
secondo  membro  resta  costante,  per  cui  la  (1)  derivata 
rispetto  ad  x  darà  : 


X 

d'  onde  : 


[17]  (SOI) 

flT  T 

dy      ^  ~~  X  T 

^  +  — r— ^  +  .:^  =  ^ 

Sviluppiamo  T'  in  ruuzioiie  di  x:  nel  nostro  caso  ba- 
sta fermarsi  ad  una  espressione  di  2"  ^rado  della  forma 

r^a-\~  hx  +  c.r2 

})oicliè  le  curve  costruite  ritenendo  come  ascisse    i    valori 
di  X  e  come  ordinate  i  corrispondenti    valori   di  T^  si  al- 
lontanano   poco    dalla    retta  e  si  possono  considerare    con 
sufficiente  esattezza  come  curve  di  2°  grado. 
Allora  avremo  : 


dy 

ca,^- 

■  a 

T 

dx 

i- 

Tx 

?/  = 

'       Tx 

Questa 

equazione 

intejj 

;rata  r 

la: 

y 

T 

ex 

Cost. 

C^) 


Eliminando  ij  fra  le  eijuazioni  (1)  e  (2)  si  ha 
e  C'ost 


R 

Nella  (."i)  il  primo  membro  è  indipendente  dalla  na- 
tura del  sale  e  dalla  concentrazione  della  soluzione  ;  se 
dunque  le  posizioni  fatte  sono  vere,  ciò  dovrà  essere  anche 
del  secondo  membro.  Le  sole  quantità  che  in  questo  secondo 
membro  dipendono  dalla  natura  del  sale  sono  e  ed  R  :  la 
prima  in  quanto  che  1'  equazione  che  dà  la  temperatura 
del  massimo  di  densità  relativo  ad  una  data  concentrazione 
\  cambia  col  cambiare  del  sale,  la  seconda  perchè  contiene 
il  peso  molecolare  M  della  sostanza  disciolta.  Il  termine 
pertanto  che  nel  secondo  membro  può   essere    variabile   è 


(802)  [18] 

dato  da  e  M.  —  Se  la  (3)  e  giusta  é  neces.sario  che  e  M 
resti  costante  quando  si  fa  uso  di  diverse  soluzioni.  Questa 
conseguenza  è  nel  nostro  caso  evidentemente  verificata 
poiché  abbiamo  già  detto  che  le  curve  che  rappresentano 
r  equazione 

T'  =  «  -|-  h-jo  -f-  CiV'^ 

deviano  di  poco  dalla  linea  retta,  e  di  più,  per  tutti  i  casi 
finora  studiati,  questa  deviazione  è  sempre  nello  stesso 
senso  ;  il  valore  di  e  quindi  è  una  quantità  tanto  piccola 
che  il  prodotto  e  M  risulta  in  ogni  caso  molto  minore  del- 
l' unità.  Si  può  quindi  ritenere  che  le  piccole  divergenze 
che  in  questo  prodotto  si  incontrano  siano  puramente  do- 
vute ad  errori  di  osservazione  :  ciò  che  del  resto  apparisce 
chiaro  se  si  varia  e  di  tanto  poco  da  non  alterare  l'an- 
damento della  curva.  L'  esperienza  confermando  le  conse- 
guenze che  derivano  dalla  (1)  possiamo  concludere  che 
realmente  il  massimo  di  densità  dell'  ac(|ua  è  dovuto  ad 
una  modificazione  molecolare,  e  che  si  può  calcolare  l'ab- 
bassamento della  temperatura  a  cui  ha  luogo  questo  mas- 
simo quando  si  introducano  nell'acqua  delle  sostanze  estra- 
nee mediante  una  formula  analoga  a  quella  del  van't  Hoff, 
modificata  in  modo  da  introdurre  una  funzione  che  dipenda 
dalle  modalità  che  accompagnano  la  trasformazione  mole- 
colare stessa. 

Tutti  i  fenomeni  di  natura  molecolare  sono  sovrapponi- 
bili. Abbiamo  voluto  vedere  se  anche  in  questo  caso  vale 
tale  legge  determinando  la  temperatura  del  massimo  di  den- 
sità in  soluzioni  contenenti  due  sali.  I  risultati  ottenuti 
li  presentiamo  nella 


[19] 


(803) 


Tabella  Vili. 


Nomi 

M  Vo 

1. 

(/ 

/" 

KNO3 
NaNOg 

gr.                  1 

0,1631       , 
0,1403       S    '^  '^"^ 

1,001845 

3",73 

C0CI2 
NiClz 

0,2786       ) 
0,2789      S    ^  '^2 

4945 

3,55 

Sr(N03)2 
Ha(N03)2 

0,1717 
0,2117 

3  ,06 

2750 

3  ,65 

Nella  tabella  precedente  stanno  riuniti  con  una  graffa 
le  coppie  (lei  sali  che  vennero  contemporaneamente  disciolte 
in  100  gr.  di  acqua.  I  pesi  indicati  nella  seconda  colonna 
si  deA-ono  interpretare  nel  modo  seguente  :  per  la  prima 
coppia  ad  esempio,  in  100  gr.  di  acqua  vennero  disciolti 
0,^'-168I  di  KNO3  e  0,5-140.3  NaNOg.  Nella  quinta  colonna 
di  questa  tabella  abbiamo  riportato  le  temperature  del 
massimo  di  densità  che  si  deducono  dalla  tabella  III  .se  si 
suppone  che  a  ciascuna  .soluzione  corrisponda  un  abbassa- 
mento uguale  alla  somma  dei  due  abbassamenti  che  sareb- 
bero dovuti  a  ciascuno  dei  sali  disciolti  in  ogni  soluzione. 
Come  si  vede  i  valori  di  f  coincidono  perfettamente  con 
quelli  di  t  ;  con  che  si  può  conchiudere  che  realmente  il 
princi})io  della  sovrapposizione  si  può  applicare  anche  a 
questo  fenomeno. 

Dall'  Istituto  Fisico  dell'  Università  di  Padova 
Marzo  1893. 


T.  IV,  S.  VII 


53 


Prezzo  della  Dispensa 

Fogli  71/2  a  Cent.  25 L.  1.88 

3  Tavole  litografate »   0.50 


Totale     L.  2.38 


ATTI 


I)  E  L 


R.  ISTITUTO  VENETO 


SCIENZE,   LETTERE  ED  ARTI 


(tomo  li) 

SERIE   SETTIINIA  -  TOMO  QUARTO 

DISPENSA  SESTA 


y  E  N  E  Z I A 


PRESSO     LA     SEGRETERIA     DEI,     R.     ISTITtTO 
MI.     lAl.AZ/n     i.oiir.iiA>i 


TIP.    CARLO    FERRARI 
^'^\  1892-93 


Pubbl.  il  27  Maggio  1893 


N  D  I  e  E 


Atto  verbale  dell'  Adunanza  ordinaria  del  giorno  23  aprile 

1893 pae-.    805 


Lavori  letti  per  la  pubblicazione  negli  Atti 

G.  Canestrini,  m.  e.  —  f^a  malattia  dominante  delle  an- 
guille. Ricerche  batteriologiche  .         .         .     pag.    809 

A.  Tamassia,  m.  e.  —  Sul  centro  d'ossificazione  dell'epifisi 
inferiore  del  femore,  dell'  astragalo  e  del  cal- 
cagno. Contribuzione .         .         .         .         .         .       »       815 

A.  Faa'aro,  m.  e.  —  Intorno  ad  una  nuova  effemeride  di 
Bibliografia  matematica ,  pubblicata  sotto  gli 
auspicii  della  Società  matematica  di  Amster- 
dam. Relazione »      829 

C.  F.  Ferraris,  s.  c.  —  Statistica  degli  inscritti  nelle 
Università  e  negli  altri  Istituti  d'  istruzione 
superiore.  Nota  ,......»       839 

F.  Cipolla,  s.  c.  —  Il  beccofrusone  nel  territorio  veronese       »       845 

A.  Abetti.  —  Osservazioni  di  comete  e  di  pianetini,  fatte 
coir  equatoriale  Dembowski  a  Padova  dal  feb- 
braio'1891  al  marzo  1892 »       847 

P.  F.  Castellino.  —  Contributo  allo  studio  della  fagocitosi      »       875 
Detto  —  Contributo  allo  studio   della    coagu- 

lazione        .........       923 


Elenco  dei  libri  e  delle  opere  periodiche  pervenute  al  R. 

Istituto  nel  maggio  1893 »  rxxxv 


ANNO    1892-93  DISPENSA    VI. 

ADUNANZA    ORDINARIA 

IDEXj     G-IORìTO     23     -^FRILE    1893 


PRESIDENZA  DEL  SENATORE  D/  COMM.  ANOELO  MINICH 
VICEPRESIDENTE 

Sono  presenti  i  membri  effettivi  :  Fambri,  segretario,  Ber- 
CHET,    vicesegretario,  Lampertico,    Pirona,   De    Leva, 

LORENZONI,  TrOIS,  CANESTRINI,  E.  BERNARDI,  J.  BER- 
NARDI, Favaro,  Saccardo,  De  Giovanni,  Omboni,  Bel- 
LATi,  Keller,  Deodati,  Bonatelli,  F.  Stefani,  Spiga, 
Teza,  Morsolin,  Martini,  Tamassia,  Veronese  ;  nonché 
i  soci  corrispondenti  :  Chicchi,  Occioni-Bonaffons, 
Cassani,  Galanti,  Bertolini,  Mazzoni,  A.  Stefani,  e 
G.  B.  De  Toni. 
Sono  giustificati  gli  assenti  membri  effettivi  :  De  Betta, 
presidente,  Rossi,  Gloria  ;  ed  il  socio  corrispondente 
Ferraris. 

Assunta  la  presidenza  dal  vicepresidente  Minicli,  per 
indisposizione  del  presidente  De  Betta,  letto  ed  approvato 
r  atto  verbale  della  precedente  adunanza,  e  data  comuni- 
cazione dell'elenco  dei  libri  ed  opuscoli  pervenuti  in  dono 
e  delle  opere  acquistate  dopo  l'adunanza  del  passato  marzo, 
il  vicepresidente  diede  lettura  del  seguente  indirizzo  inviato 
al  Ministro  della  Real  Casa  in  occasione  delle  Nozze  d'ar- 
gento delle  Loro  Maestà  : 

T.   TV,  S.   Vlf  54 


suo 


«  Eccellenza 

»  Il  Reale  Istituto  veneto  di  .scienze,  lettere  ed  arti, 
»  nell'auspicatissima  circostanza  delle  Nozze  d'  argento  dei 
»  Reali  d'Italia,  prega  la  Eccellenza  Vostra  di  voler  pre- 
»  sentare  l'omaggio  della  sua  fedele  devozione  e  dei  suoi 
»  fervidi  auguri  alle  Loro  Maestà,  le  quali  personificando 
»  nella  più  pura  espressione  la  grandezza  e  1'  unità  della 
»  patria,  e  tutelandone  i  destini,  raccolgono  la  gratitudine 
»  e  l'amore  di  tutti  gli  italiani.  > 

L'Istituto  unanime  ringraziò  la  presidenza  d'aver  in- 
terpretato i  suoi  voti. 

Il  ra.  e.  Keller  presentò  quindi  il  Rapporto  della  Com- 
missione eletta  dal  R.  Istituto  per  l' iniziativa  da  prendersi 
onde  scongiurare  i  pericoli  della  Diapsis  Pentagona,  e  l'Isti- 
tuto unanime,  approvando  le  conclusioni  della  Commissione, 
deliberò  di  far  pubblicare  nei  suoi  Atti  e  diffondere  le 
norme  a  seguirsi,  per  preservare  i  gelsi  da  tale  flagello. 

Dopo  di  ciò  vennero  presentati  e  letti  i  seguenti  la- 
vori : 

Dal  m.  e.  Tmnassia  —  Ricerche  su  alcune  condizioni 
fisiche  del  funìcolo  omhellicale. 

Dal  m.  e.  Fambrì  —  Intormo  alla  possibilità  ed  utilità 
del  tradurre  le  eccellenti  opere  d'  arte  e  in  particolare 
intorno  ad  una  recente  traduzione  del  boemo  in  italiano. 
Considerazioni. 

Dal  m.  e.  Canestrini  —  La  malattia  delle  anguille. 
Studio  batteriologico. 

Dal  s.  e.  Ferraris  —  Statistica  della  frequenza  sco- 
lastica nelle  Università  e  negli  Istituti  d'istruzione  supe- 
7nore  in  Italia. 

Dal  s.  e.  Ciptolla  —  //  beccofrusone  nel  territorio  ve- 
ronese. 

Dal  s.  e.   Cassani  la  Memoria  del  dott.  R.  d'Emilio  — 


so? 
Sul  leorema  di  Chnraut  reladro  alle  geodeliche  di  yna 
fiupcr/irie  di  ì-ivoluzionc. 

Il  111.  e.  De  GioDamii  presentò  in  omaggio  jìarecclii  la- 
vori del  Doti.  Uobei'to  Massalongo  tlirettoi-e  dell'  Ospedale 
civile  di    \'oi*ona,  accompagnandoli  colle  seguenti  parole  : 

<-<  I  lavori  del  Dott.  Massalongo  sono  numerosi  e  puossi 
»  dii'e  accreditati  in  Italia  e  fuori,  e  troppo  mi  dilungherei 
»  se  volessi  di  ognuno  fare  menzione  e  dimostrare  il  va- 
»  lore.  Da  ciò  mi  trattiene  anche  un  certo  sentimento  di 
»  modestia,  lìerchè  il  Dott.  Massalongo  è  uno  dei  miei  al- 
»  lievi  iiiù  laboriosi  e  deferente  alla  scuola  alla  quale  fu 
»  educato.  Mi  limiterò  a  segnalare  il  volume  che  tratta 
»  della  patologia  della  pneumonite,  dove  discorre  con  molta 
»  dottrina,  tanto  la  eziologia,  quanto  la  sintomatologia,  dove 
»  porta  il  contributo  di  estesa  osservazione  scientifica.  Ac- 
»  cennerò  sommariamente  a  suoi  molteplici  lavori  di  nevr(j- 
»  patologia,  nei  quali  si  dimostra  passionato  quanto  intel- 
»  ligente  cultore  della  specialità,  si  che  all'  estero  i  suoi 
»  studi  sono  meritamente  ricordati  ed  a  Parigi  valsero  all'A. 
»  particolare  distinzione,  essendo  stato  incaricato  di  riferire 
»  so})ra  un  giornale  di  specialità,  che  stampasi  sotto  la  di- 
»  rezione  di  Brissaud,  intorno  a  tutti  i  lavori  italiani.  Non 
»  dubito  di  asserire,  che  1'  egregio  Dott.  Massalongo  per 
■»  V  ingegno,  per  1'  amore  alle  cose  scientifiche  e  la  rara 
»  operosità  onora  se  stesso  e  la  regione  veneta  cui  special- 
»  mente  riguarda  il  nostro  Istituto.  » 

Il  m.  e.  vicesegretario  Berchet  presentò  in  omaggio 
all'Istituto,  un  lavoro  della  signora  Ella  de  Schoultz-Ada- 
iewski  col  titolo  :  Chaiison  et  airs  de  danse  populaires, 
prècèdés  de  textes,  recueillis  dans  la  vallèe  de  Rèsie,  pub- 
blicato a  Pietroburgo. 

L'  Istituto  si  è  quindi  raccolto  in  adunanza  segreta, 
nella  quale,  oltre  alla  trattazione  di  vari  affari  posti  al- 
l' ordine  del  giorno,  vennero  eletti  a  soci  corrispondenti 
delle  provincia  venete  i  signori  : 


Prof.  Cav.  Carlo  Castellani,  Prefetto  della  Biblioteca 
Nazionale  di  Venezia. 

Cav.  Antonio  AheLli,  Astronomo  aggiunto  al  R.  Os- 
servatorio di  Padova. 

D.'"  Cav.  Raffaello  Nasini,  professore  di  chimica  ge- 
nerale nella  R.  Università  di  Padova. 

D.^  Pietro  Ragnisco,  professore  di  filosofia  morale  nella 
suddetta  Università. 


LA  MALATTIA  DOMINANTE  DELLE  /NGUILLE 

Ricerche  batteriologiche 

DEL 

M.  E.  GIOVANNI  CANESTRINI 


Nel  febbraio  p.  p.  ebbi  dall'Amministrazione  delle  Valli 
di  Comaccliio  alcune  anguille  malate,  pescate  nel  Campo 
Mezzano,  dalle  quali  isolai,  col  concorso  del  mio  assistente 
dott.  Giacomo  Catterina,  un  bacillo,  intorno  al  quale  diedi 
qualche  cenno  nell'adunanza  di  questo  Istituto  del  26  feb- 
braio p.  p.,  riservandomi  di  studiarlo  in  seguito  da  vicino 
e  di  riferire. 

Sciolgo  oggi  la  mia  promessa. 

L' isolamento  del  bacillo  si  può  ottenere  da  materiale 
tratto  dal  fegato  delle  anguille  malate  od  appena  morte, 
ricorrendo  al  solito  metodo  delle  piastre. 


I 


Caratteri  del  Bacillus  anguillarum. 


Il  bacillo  è  lungo  in  media  \i.  2,4,  largo  [x.  1,0  ;  le  sue 
(liiiiensioni  sono  peraltro  alquanto  variabili,  massime  la 
lunghezza  che  in  alcuni  casi  non  sorpassa  i  |x.  1,.5.  Gli  e- 
lementi  sono  isolati  od  uniti  a  due,  raramente  in  numero 
maggiore.  11  bacillo  è  rotondato  alle  sue  estremità  e  molto 
mobile,  scioglie  la  gelatina  ed  in  essa  si  sviluppa  in    nui- 


(SIO)  [2] 

niera  simile  allo  s})irillo  colerigeno;  nelle  colture  vecchie 
si  forma  un  deposito  roseo.  Sulle  patate  dà  luogo  a  co- 
lonie granulari  di  colore  roseo  pallido,  nelle  quali,  dopo 
alcuni  giorni,  i  bacilli  si  vedono  incapsulati  sia  singolar- 
mente, sia  a  due  in  una  medesima  capsula.  Neil'  agar  si 
sviluppa  formando  uno  strato  bianco-giallastro.  E  aerobio 
squisito.  Si  colora  col  metodo  di  Gram.  Si  colora  ancora 
colla  soluzione  alcoolica  di  fucsina,  ma  quando  è  cresciuto 
sulle  patate  ed  ha  l'età  di  circa  dodici  giorni,  ed  è  quindi 
incapsulato,  non  si  colora  che  a  stento  ed  imperfettamente 
colla  semplice  fucsina,  ma  bensì  col  liquido  di  Ziehl  a  caldo. 
Si  sviluppa  bene  alla  temperatura  di  circa  \6^  C,  meno 
bene  ad  alta  temperatura,  a.  e.  di  35°  C. 

Esposto,  non  incapsulato,  alla  temperatura  di  55°  C. 
per  trenta  minuti,  muore,  e  tanto  più  a  temperature 
più  alte. 

Se  si  prendono  10  ccm.  di  gelatina  peptonizzata  e  vi 
si  aggiungono  4  goccio  di  sublimato  corrosivo  all'  1  per 
mille,  lo  sviluppo  delle  colonie  in  tale  substrato  avviene 
egualmente,  e  la  stessa  cosa  succede  se  la  soluzione  del 
sublimato  è  al  5  per  mille,  per  cui  il  sublimato  all'  1  per 
10,000  non  arresta  lo  sviluppo  del  bacillo  ;  se  in  10  ccm. 
di  gelatina  si  mettono  2  goccie  di  acido  fenico  puro,  si  ha 
un  substrato  in  cui  il  bacillo  muore.  Se  si  mette  in  5  ccm. 
di  gelatina  un  grammo  di  cloruro  di  sodio,  lo  sviluppo  av- 
viene rapidamente.  Neil'  acqua  distillata  e  sterilizzata  lo 
trovai  vivo  ed  atto  a  riprodursi  dopo  2,  4,  12  e  20  giorni, 
ma  mostra  statura  alquanto  minore,  ciò  che  accenna  a  svi- 
luppo stentato. 

E  patogeno  per  alcuni  pesci  ed  antibi,  ira  i  primi  par- 
ticolarmente per  le  anguille.  La  malattia  in  queste  si  ma- 
nifesta con  chiazze  emorragiche  alla  cute,  con  forte  arros- 
samento delle  pinne,  specialmente  dell'anale  e  delle  petto- 
rali e  talvolta  coU'apparsa  di  ulceri  cutanee  al  lato  ven- 
trale, sui  fianchi  e  più  raramente  al  dorso. 

Sono  incerto  se  sia  sporificante.  In  alcune  culture  vidi 


P]  (811) 

dei  bacilli  che  contenevano  corpuscoli  ovoidi  splendenti  e 
simili  a  spoi'o,  i  (|uali,  por  di  più,  rimasero  incolori  nelle 
solite  soluzioni  coloranti  ;  ma  la  debole  resistenza  di  questo 
bacillo  alle  alte  temperature  im})one  una  certa  riserva  nel 
pronunziare  un  giudizio  in  proposito. 


Patogeneìtà. 


Li  2^}  febbraio  a.  e.  s'  inocula  un  coniglio  sotto  cute 
nella  regione  infrascapolare  con  materiale  tolto  dal  fegato 
di  una  anguilla  morta  della  malattia  suddescritta  ;  li  26 
febbraio  questo  coniglio  sta  bene  e  s' inocula  nuovamente 
nello  stesso  modo.  Nei  giorni  successivi  il  coniglio  continua 
a  star  bene  e  se  ne  abbandona  1'  osservazione.  Eguali  ri- 
sultati si  ebbero  da  simili  sperimenti  fatti  su  una  cavia  e 
dall'  iniezione  di  coltura  pura  del  bacillo  nella  cavità  ad- 
dominale di  un  altro  coniglio,  e  di  un  topo  bianco.  Nem- 
meno r  iniezione  di  coltura  pura  in  una  vena  auricolare  di 
coniglio  diede  risultato  differente. 

Nello  stesso  giorno  25  febbraio  s' inocula  sotto  cute 
un'anguilla  sana  (Aj)  con  coltura  pura  di  B.  anguillarum\ 
quest'anguilla  li  10  marzo  ha  nella  regione,  dove  fu  ino- 
culata, una  piccola  ulcera,  e  tutta  la  pinna  anale  forte- 
mente arrossata.  Essa  muore  li  22  marzo  dopo  che  l'ulcera 
suddetta  si  era  notevolmente  ingi-andita. 

Li  10  marzo  si  prendono  due  anguille  (A-2  e  A3).  L'an- 
guilla A-2  s' infetta  nella  cavità  addominale  con  coltura  cre- 
sciuta su  patata,  ad  A3  si  fa  un'iniezione  ipodermica  della 
medesima  coltura  in  brodo  al  fianco  sinistro.  Li  12  marzo 
l'anguilla  A2  ha  chiazze  emorragiche  cutanee  al  lato  ven- 
trale ed  in  minor  numero  al  lato  dorsale,  e  la  pinna  anale 
arrossata  ;  1'  anguilla  A3  presenta  analoghi  fenomeni,  nu^ 
meno  decisi.  Ambedue  le  anguille  muoiono  li  22  marzo. 

Li   1.'}  marzo  s'infettano  due  rane  (Hi  e  R-2)  nella  ca- 


(812)  [4] 

vita  addominale  con  coltura  avuta  su  patate  ;  la  rana  Ri 
muore  il  15  marzo  di  mattina,  la  rana  R^  lo  stesso  giorno 
di  sera. 

Li  15  marzo  s' infettano  nello  stesso  modo  altre  due 
rane  (R3  e  R4)  con  materiale  tolto  dal  cuore  di  anguilla 
malata.  R3  muore  li  17  marzo,  R4  nello  stesso  giorno  è 
morente  e  viene  uccisa  per  1'  esame  batteriologico  dei 
visceri. 

Li  17  marzo  s' inoculano  in  cavità  due  anguille  (A4  e 
A3),  la  prima  con  brodo  infettato  da  coltura  cresciuta  su 
patata,  la  seconda  con  brodo  sterile.  L'anguilla  A4  muore 
li  21  marzo,  mentre  l'anguilla  A5  si  conserva  sana  e  dopo 
parecchi  giorni  riesce  a  fuggire  dalla  cassa  che  conteneva 
acqua  e  perisce  asfissiata  sul  pavimento  della  sala.  Dal  fe- 
gato dell'anguilla  A4  si  prese  del  materiale  e  si  fecero  in- 
nesti in  gelatina  e  vi  si  sviluppò  il  B.  anguillarum,  ossia 
un  bacillo  che  aveva  tutti  i  caratteri  che  più  sopra  furono 
attribuiti  a  questa  specie. 

Li  24  marzo  s' inoculano 
un  anguilla  Aq  con  1  ceni,  di  brodo  infetto  in  cavità, 
A7     »    1     »  y>         sterile  » 

Ad  As  si  fa  un  semplice  taglio  al  fianco  destro, 

A9  si  lascia  intatta. 

L'anguilla  Aq  muore  li  29  marzo,  le  altre  continuano 
a  stare  bene. 

Li  25  marzo  si  fanno  le  seguenti  inoculazioni  : 
a  tre       tritoni  (Ti,  T»2,  T3)  di  brodo  sterile  nella  cavità  add., 
a  quattro     »      (T4,  Tg,  Tg,  T7)     »     infetto  »  » 

a  tre  »      (Tj^,  Tg,  Tjo)  »         »     al  dorso  sotto  cute, 

quattro         »      (Tu,  Tj-i,  T,3,  Tu)  si  lasc.  intatti  come  testi, 
a  una  rana  (Rg)  di  brodo  sterile  in  cavità, 
a     »       »    (Rfi)  di  brodo  infetto  al  ventre  sotto  cute, 
a  tre    rane  (R7,  R^,  Ry)  di  bi*odo  infetto  nella  cavità  addom. 
a       »     »    (Rio,  Rii,  Ri-2)  di  brodo  infetto  sotto  cute  al  dorso, 
due  rane  (R13,  RiO  si  lasciano  intatte  come  testimoni. 


T4,  T-j,  Tfi,  o  T7  muoiono  fi-:i  il  27  e  29  mai'zo,  Ts  li 
20  marzo,  T9  e  Tio  li  ol   mai-zo. 

R7,  Rg,  R9  muoiono  fra  il  27  e  28  marzo,  Rg  li  29 
marzo,  R^,  Ru  e  R12  li  -U  marzo.  Il  sangue  entro  il  cuore 
della  rana  R7  contiene  bacilli  incapsulati;  disseminato  ([ue- 
sto  sangue  su  patate,  dà  luogo  ad  una  colonia  di  colore 
roseo,  formata  dal  B.  anguillarum. 

Esaminati  gli  acijuarii  li  2  aprile,  si  trovarono  vivi  i 
seguenti  animali  : 
anguille  A7,  A»,  Ag, 
tritoni  Ti,  T-j,  T3,  Tj,,  Ti-j,  T13,  Ti^, 
rane  R5,  R13,  R^, 

ossiano  tutti  quegli  animali  che  non  sono  stati  infettati  con 
coltura  del  bacillo  predetto. 

Li  5  e  9  aprile  s' inoculano  8  spinarelli  {Gasterosteus 
aculeatus)  con  coltura,  2  si  lasciano  intatti  come  testimoni  ; 
li  1.3  aprile  tutti  i  primi  8  sono  morti,  i  due  testimoni  vi- 
vono ancora  oggi  22  aprile. 

Li  9  aprile  s'  inocula  con  coltura  del  lìacillo  predetto 
un  Carassvts  auratus,  un  altro  con  brodo  sterile,  ambedue 
nella  cavità  addominale.  Il  primo  muore  li  1 1  aprile,  l'altro 
è  vivo  e  sano  ancora  oggi  22  aj)rile. 

Lo  stesso  giorno  9  aprile  si  inietta  ad  un'anguilla  nella 
cavità  addominale  al  fianco  destro  del  brodo  infettato  con 
coltura  pura  del  bacillo,  ad  un'altra  brodo  sterile.  Li  16 
aprile  la  })rima  anguilla  sta  male,  ha  la  pinna  anale  for- 
temente arrossata,  la  cute,  specialmente  nella  regione  del- 
l' inoculazione,  ricca  di  chiazze  emorragiche  ed  in  questa 
regione  sta  per  formarsi  un'  ulcera  estesa.  Di  più  alla  base 
della  numdibola  appariscono  due  ulceri  minori.  Questa  an- 
guilla muore  li  19  aprile  e  mostra  al  fianco  destro  una 
ulcera  tipica,  caratteristica  della  malattia  dominante.  L'al- 
ti'a  anguilla  si  conserva  sana.  L'n  altro  simile  sp(irimento, 
fatto  più  lardi,  diede  un  identico  risultato. 

Devo  (|ui  (osservare  che  le  anguille,  sulle  (juali  ho 
sj>erimentato,  sono  state  [)escate    nel  Veneto  e    comperale 


(8H)  [-6] 

sul  mercato  di  Padova  :  che  esse  sono  state  tenute  nel  mio 
Laboratorio  sotto  una  spina  perenne  di  acqua  dolce  del- 
l'acquedotto di  Due  Ville. 

Il  risultato  di  questi  esperimenti,  per  ciò  che  riguarda 
le  anguille,  si  è  che  colla  coltura  del  bacillo,  inoculata 
nella  cavità  dell'addome,  si  produce  in  questi  pesci  tutto 
intero  il  quadro  della  malattia  dominante,  e  che  dalle  an- 
guille rese  cosi  malate  si  può  ripristinare,  come  difatti 
ripristinai,  la  coltura  anzidetta.  Che  causa  della  malattia 
sia  il  solo  bacillo,  lo  dimostrano  i  testimoni,  i  quali  es- 
sendo stati  inoculati  con  brodo  sterile,  anzi  che  infetto,  ri- 
masero incolumi. 


Conclusióni. 

1.  Il  Bacillus  anguillarum  è  patogeno  per  le  anguille 
e  per  altri  pesci  (spinarello,  pesce  della  China),  come  anco- 
ra per  alcuni  antlbi  tanto  anuri  (rane)  che  urodeli  (tritoni), 

li.  Questo  bacillo  è  capace  di  vivere  e  riprodursi  in 
acqua  fortemente  salata,  mentre  nella  dolce  ha  uno  svi- 
luppo stentato,  ciò  che  spiega  il  l'atto,  che  la  malattia  delle 
anguille  infierisce  in  quelle  Valli  di  Comacchio,  la  cui 
salsedine  è  eccessiva,  come,  ad  esempio,  il  Mezzano,  mentre 
è  limitatissima  ad  esempio  nel  Campo  di  Vacca  che  riceve 
acqua   dolce    dal  Reno  per   mezzo  di  tre  chiaviche. 

III.  L'unico  suggerimento  che,  allo  stato  attuale  delle 
nostre  cognizioni,  si  può  dare  per  limitare  e  possibilmente 
far  scomparire  questa  malattia  si  è  di  dolcificare  quelle 
acque  vallive,  la  cui  salsedine  supera  i  bisogni  della  pi- 
;scicoltura. 

Padova  li  22  Aprile  1893. 


SOL  CENTRO  D'OSSIPICAZIONK 

DflL'EPIFISI  IIFERlt  DEL  FEI8RE,  OELL'ISTRIMLI  E  DEL  MGM 

Contribuzione 

DEL  M.  E.  ARRIGO  TAMASSIA 


La  diagnosi  della  maturità  e  dei  periodi  di  vita  estra- 
iitei'iiia  del  feto  si  argomenta  da  un  insieme  di  elementi, 
che  studiati  nei  loro  fattori  tìsici  e  numerici,  tendono,  più 
che  il  banale  colpo  d'occhio  del  pratico,  ad  acquistarle  ca- 
rattere positivo.  Fra  questi  meritano  speciale  deferenza  i 
centri  d'ossificazione,  i  quali  segnano  quasi  altrettante  tappe 
della  evoluzione  uterina  ed  autonoma  del  feto.  Per  ora  mi 
limito  ad  alcune  contribuzioni  sul  centro  di  ossificazione  della 
e})ifisi  inferiore  del  femore,  del  calcagno  e  dell'  astragalo, 
confidando  che  il  materiale  scientifico  di  cui  posso  disporre, 
mi  darà  mezzo  d'illustrarne  gli  altri,  pur  essi  non  indegni 
della  pratica  forense. 

E  cominciando  dal  centro  d'  ossificazione  della  epifisi 
inferiore  del  femore,  non  si  può  negare  che  manchino 
le  ricerche.  Per  quanto  descritto  come  fatto  anatomico 
da  Albinus,  da  Meckel  (i),  quale  vero  elemento  specifico  di 
diagnosi  della  maturanza  del  feto  venne  indicato  nettamente 
da  lièclard,  sicché  si  può  dire  che  solo  dopo  di  lui,  questo 
centro  appartenne  alle  applicazioni  della  medicina  legale. 
Ollivier  nel  1841  se  ne  occupava,  studiandosi  principalmente 

(1)  V.  alla  fine  per  questo  e  gli  altri  Autori  l;i   Hibliografia. 


(816)  [2] 

di  indurre  dalla  sua  ampiezza  la  durata  della  vita  autonoma. 
Nel  1850  abbiamo  il  lavoro  di  Mildner,  il  quale  mercè  il  mi- 
croscopio avrebbe  riconosciuto  già  nel  feto  di  sei  mesi  alcune 
tracce  di  depositi  calcari  nelle  cellule  cartilaginee  dell'epi- 
fisi inferiore  femorale,  senza  però  che  di  queste,  appunto  per 
il  carattere  loro  microscopico,  la  medicina  forense  potesse 
profittare.  Egli  aveva  pur  trovato  che  in  20  neonati  maturi, 
ben  costituiti  e  morti  subito  dopo  la  vita,  18  presentarono 
un  centro  d'ossificazione  di  lunghezza  variabile  tra  mm.  4,5 
e  mm.  5,12;  mentre  però  in  10  maturi,  ma  assai  smagriti, 
e  morti  subito  dopo  la  nascita,  trovava  quattro  volte  il 
centro  d'ossificazione  corrispondere  a  mm.  2,8,  tre  volte  a 
mm.  3,9,  tre  volte  a  mm.  4,5  ;  ed  in  1 1  infanti  ben  costi- 
tuiti vissuti  da  9  a  29  giorni,  a  mm.  4,5-6,7;  in  tre  imma- 
turi, vissuti  8,  14,  20  giorni  dopo  la  nascita,  a  mm.  0,56. 
Casper  non  riscontrava  questo  centro  nei  feti  di  7-8  mesi, 
mentre  in  11  infanti  maturi,  di  cui  8  avevano  vissuto,  ne 
descriveva  dell'ampiezza  di  mm.  4,5 :  5,12:  6,7;  in  altri  12 
maturi  più  o  meno  rubusti,  che  vissero  da  pochi  giorni  a 
sei  mesi,  notava  un'ampiezza  variabile  tra  mm.  1,6  e  9  mm. 
mentre  in  un  infante  maturo,  e  straordinariamente  robusto 
descriveva  un  centro  piccolissimo  di  mm.  1,6,  mentre  in- 
fine in  un  feto  maturo  e  morto  in  seguito  a  mali  tratta- 
menti e  ad  insufiiciente  alimentazione  esisteva  un  centro  di 
mm.  6,7.  —  Bohm  riassumendo  186  osservazioni,  formulava 
queste  conclusioni,  non  molto  dissimili  da  quelle  dei  prece- 
denti Autori,  e  cioè  :  Il  centro  d'ossificazione  manca,  quando 
il  feto  ha  raggiunto  38  settimane  di  sviluppo  ;  misura  negli 
infanti  maturi  ben  nutriti  da  mm.  4,5  a  mm.  5,12  ;  è  in  rap- 
porto con  la  nutrizione  e  col  processo  generale  di  nutrizione  ; 
e  quando  giunge  al  di  là  di  mm.  6,7,  giustifica  l'amuiissione 
della  vita  estrauterina  ;  e  cresce  secondo  lo  sviluppo  e  la 
salute  dell'infante.  -  Più  tardi  però  Kunze  e  Pleissner  misero 
in  dubbio  il  corollario  di  OUivier  e  di  Bohm  circa  la  corri- 
spondenza di  un  dato  periodo  di  vita  intrauterina  con  lo  svi- 
luppo di  questo  centro  ;  come  pure  Pleissner,  Hecker  ed  Hart- 


PI  (817) 

niann  combatterono  la  tesi  di  Bohm,  accolta  forse  con  sover- 
chia deferenza  dal  Casper,  che,  cioè,  la  mancanza  di  questo 
centro  indichi  l'infante  non  aver  raggiunto  :U)-'.il  settimane 
di  vita  intrauterina  ;  Hecker,  cioè,  non  1'  avrebbe  trovato 
15  volte  su  01  infanti  maturi  (10  %),  tre  volte  solo  ap- 
pena iniziato;  in  accordo  in  ciò  con  Hartmann,  che  appunto 
l'avrebbe  notato  mancare  nelle  proporzioni  del  15,6  per  cento 
fra  gli  infanti  maturi.  —  Liman  su  413  casi  di  infanti  maturi 
non  l'avrebbe  trovato  14  volte  (3.5  per  cento)  con  un  mas- 
simo di  nim.  9  di  ampiezza.  —  A  conclusioni  congeneri  giunse 
Toldt,  il  quale  da  69  da  lui  esaminati  induce  esistere  una 
certa  regolarità  nel  tempo  dell'  insorgenza  e  nello  sviluppo 
di  questo  centro,  senza  però  escludere  casi  di  mancanza  o 
di  arresto  di  sviluppo  anormali  rispetto  al  tempo,  o  di  pre- 
coce insorgenza.  —  Parimenti  Hasenstein  ed  Hofmann  con- 
vergono in  queste  deduzioni,  ammettendo  il  primo  che  tra 
il  presentarsi  del  centro  di  ossificazione  e  il  punto  vero 
della  maturanza  possono  talora  intercedere  differenze  di 
4-6  settimane,  ed  il  secondo  che  1'  ampiezza  ordinaria  gli 
risultò  nei  feti  maturi,  vissuti  soltanto  brevi  momenti, 
non  già  di  5  mm.  come  generalmente  si  scrive,  ma  di 
2-3  mm.,  avendo  però  riscontrato  in  un  neonato  1'  am- 
piezza eccezionale  di  9,5  mm.  —  Fritsch  ammette  che  questo 
centro  negli  infanti  maturi  manchi  nella  proporzione  del 
2  p.  cento,  misurando  da  mm.  05  a  15.  —  Due  lavori  ita- 
liani, assai  bene  condotti,  l'uno  del  Prof.  Filomusi-Guelfi, 
r  altro  del  D.''  Corrado  porgono  novella  contribuzione  a 
queste  ricerche.  Il  primo,  alle  conclusioni  generali  degli 
Autori  precedenti,  aggiunse  che  un  nucleo  di  8  mm.  di 
diametro  può  lasciar  conchiudere  con  probabilità  alla  vita 
oltre  la  nascita,  e  quasi  con  certezza,  se  oltrepassa  i  9  mm. 
di  diametro.  Il  secondo  su  285  feti  riscontrò  il  centro  di 
ossificazione  140  volte,  ossia  118  volte  in  feti  indiscutibil- 
mente maturi  e  22  volte  in  feti  immaturi;  onde  tale  nucleo 
più  di  84  volte  su  cento  designa  un  prodotto  di  concepi- 
mento giunto  al  termine  della  gravidanza  ;  e  tenendo  conto 


(818)  [4] 

del  rapporto  che  può  correre  tra  le  fasi  della  gravidanza 
e  l'ampiezza  di  questo  centro,  argomenta  che  quando  esso 
supera  i  8  mm.  il  neonato  è  maturo. 

Tale  è  il  risultato  delle  più  autorevoli  ricerche  sul- 
l'argomento. E  da  esse  prende  punto  di  partenza  questa 
mia  comunicazione,  la  quale,  come  già  avvertii,  aspira  al 
solo  onore  di  un  modesto  contributo.  11  materiale  da  me 
raccolto  non  è  abbondante  (casi  80);  ma  rappresenta  il 
maximum  che  ho  potuto  procurarmi  nell'annata  passata  ed 
in  parte  della  presente.  Però  parmi  non  privo  d'  impor- 
tanza, quando  si  rifletta  che  mi  sono  positivamente  assicu- 
rato del  periodo  di  vita  intrauterina  ed  estrauterina,  cui 
erano  giunti  i  feti  esaminati  ;  mentre  poi  i  dati  riferitimi 
erano  da  me  controllati  ed  accertati  dal  riconoscimento 
dei  caratteri  attestanti  in  ciascuno  le  fasi  dello  sviluppo. 
Mi  si  permetta  intanto  di  esporre  le  cifre  conseguite: 


Sesso 

Sviluppo 

V.  extr. 

II 

Peso 

1 

d 

d 

^1 

0 

gr. 

di 

d, 

1 

< 

1 

1    f. 

0  ini 

0 

37 

700 

0 

0 

0 

0 

0 

0 

2  m. 

7    » 

0 

46 

1000 

0 

0 

6 

7 

3.5 

3 

3  f . 

7    » 

0 

44.5 

2670 

2.3 

2.5 

9.5 

9 

6.5 

5.5 

4  f . 

7    » 

0 

42 

1500 

0 

0 

1 

1 

0 

0 

5  f . 

7    » 

0 

37 

880 

0 

0 

0 

0 

0 

0 

6  m. 

71/2» 

1  gior. 

42.5 

1780 

0 

0 

5 

7V2 

4 

3 

7  m. 

8    » 

0 

47 

1900 

0 

0 

5 

5 

4 

4 

8  f . 

8    > 

2  gior. 

40 

1080 

0 

0 

1 

1 

3.2 

3 

9  m. 

8    y> 

7     » 

46 

2180 

7 

6 

11 

10 

7 

6 

10  m. 

9    ^ 

3  ore 

45 

2025 

tracce 

0 

0 

0 

0 

0 

11  f. 

9    y^ 

2  gior. 

45 

2600 

5 

4.4 

8.5 

8.5 

7 

6.5 

12  m. 

9    » 

2     » 

47 

2150 

4 

3.4 

— 

— 

— 

— . 

13  m. 

9    » 

3     > 

47 

2270 

0      0 

8.2 

7.2 

6 

5.5 

14  m. 

9    > 

4     > 

48 

2110 

3.7 1  2.5 

— • 

— 

— 

— 

15  m. 

9    » 

5     » 

46 

2020 

3  1  3.9 

— 

— 

— 

— 

16  m. 

9    » 

6     » 

51.5 

2690 

5.5 

5.5 

— 

— 

— 

— 

PI 

(^ 

519) 

Sesso 

Sviluppo 

V. 

extr. 

II 

Poso 

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1 

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gr. 

0 

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17  f. 

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0  gior. 

43 

1700 

4.7 

4 

18  f. 

9  » 

7 

» 

47.5 

2100 

3.7 

4 



— 

— 



19  m. 

9  ^ 

7 

» 

48 

2410 

4 

4 





— 



20  m. 

9  » 

7 

> 

45 

2000 

4.3 

3.7 





— 



21  m. 

9  > 

7 

» 

48 

2800 

5.5 

6 





— 



22  m. 

9  » 

7 

» 

50 

2600 

5 

5 

10 

9.3 

5.3 

4.7 

23  m. 

9  » 

7 

» 

49 

2400 

4 

5.3 

13 

11 

4 

7 

24  f. 

9  > 

7 

» 

47 

2400 

6 

6 

10.5 

10 

8 

8.5 

25  f. 

9  » 

8 

» 

49 

2250 

7 

6 

— 

— 

— 

— 

26  m. 

9  > 

8 

» 

47 

2250 

4.7 

5 

— 

— 



27  m. 

9  > 

8 

» 

45 

2110 

2.3 

1.8 

6 

7.7 

4 

4.2 

28  m. 

9  > 

9 

» 

48 

2680 

4.3 

6.3 

12 

13 

6 

5 

29  m. 

9  > 

9 

» 

49 

2450 

5 

5 









30  m. 

9  ^ 

12 

» 

46 

1800 

0 

0 



— 

— 



31  m. 

9  * 

12 

» 

49 

2380 

4 

6 

9 

9.2 

5 

5.3 

32  f. 

9  » 

14 

» 

50 

2550 

5.5 

6 

10 

10.5 

9 

9 

33  m. 

9  > 

14 

» 

49 

2550 

5 

6 

9 

12 

7 

7.1 

34  f. 

9  » 

15 

» 

46 

1950 

__ 

2.3 

— 

. . 

— 

— 

35  m. 

9  » 

17 

» 

49 

2500 

4 

5 

5 

10 

4 

5 

36  m. 

9  » 

10 

» 

52 

3050 

7 

7 

— 

— 

— 

— 

37  m. 

9  » 

19 

» 

52 

2650 

7 

7.5 

— 

— 

— 

— 

38  ni. 

9  )> 

19 

» 

47 

2100 

2.3 

3 

— 

— 

— 

— 

39  f. 

9  y> 

20 

» 

47 

1900 

5 

5.7 









40  f. 

9  » 

20 

» 

48 

2200 

2.3 

1.3 

11 

9 

8 

5 

41  m. 

9  » 

21 

» 

50 

2550 

4.5 

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13 

12 

7.2 

8 

42  ni. 

9  > 

24 

» 

51 

2600 

6 

6 

12.5 

10.5 

9 

6 

43  m. 

9  )> 

24 

» 

54 

3050 

6.8 

7 

9 

0 

5 

5 

44  m. 

9  » 

24 

» 

47 

2275 

0 

1 

0 

3 

3.5 

0 

45  m. 

9  » 

26 

» 

44 

2190 

2.9 

.3 

8 

7 

2.5 

3 

46  m. 

9  >^ 

27 

» 

53 

3020 

8 

7 

9 

12 

6.3 

7.5 

47  f. 

9  * 

24 

» 

51 

3030 

8 

8 

— 

— 

— 

— 

48  f. 

9  » 

24 

» 

51 

3000 

7 

8 

— 

— 

— 

— 

49  f. 

9  » 

24 

» 

48 

2170 

7.5 

7.5 









50  m. 

9  > 

25 

» 

52.5 

2700 

8.5  8 







_ 

51  m. 

9  > 

26 

» 

47 

2700 

4.5  4.5 







— 

52  f. 

9  » 

26 

» 

47 

2170 

7.5  7.3 







— 

53  m. 

9  » 

28 

» 

50 

2450 

4 

3.3 

— 

— 

— 

— 

(820) 

[fi] 

T 

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03 

s 

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Sesso 

Sviluppo 

V.  extr. 

il 

^1 

Peso 
gp. 

1 

6 

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7.3 

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4 

55  m. 

9  » 

30  > 

46 

2300 

— 

— 

—  — 

— 

— 

56  f. 

9  > 

30  > 

42 

1610 

0 

0 

— 

— 

— 

— 

57  ra. 

9  » 

30  » 

46 

2300 

0 

0 

— 

— 

— 

— 

58  m. 

9  > 

30  » 

51 

2620 

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5 

13 

11 

7 

6.8 

59  f. 

9  » 

32  > 

48 

2200 

7.5 

7.5 

— 

— 

— 

— 

60  m. 

9  » 

35  > 

49 

2330 

0 

0 

8 

8 

8 

5 

61  m. 

9  » 

36  ^ 

48.5 

2600 

4.2 

4 

8 

8 

7 

6 

62  m. 

9  > 

39  > 

56 

3500 

6 

6 

— 

— 

— 

— 

63  f. 

9  > 

39  » 

54 

3540 

6 

7 







— 

64  f. 

9  > 

42  > 

48 

2400 

5.7 

5.5 

. 

— 

— 

— 

65  f. 

9  > 

43  > 

49 

2150 

5.7 

5.7 

— 

— 

— 

. — • 

66  m. 

9  » 

47  » 

50 

2570 

5 

6 

11 

8 

5 

6.2 

67  111. 

9  » 

42  > 

53 

2600 

6.7 

6.7 





— 

— 

68  ra. 

9  » 

44  » 

52 

2850 

7.5 

7.5 





— 

— 

69  m. 

9  > 

49  > 

53 

2800 

9 

9 

— 

— 

— 

— 

70  f. 

9  » 

49  » 

52 

2800 

4 

5 

10 

9 

6 

7 

71  ra. 

9  > 

51  > 

55 

2400 

8 

7.5 

— 

— 

— 

— 

72  111. 

9  » 

52  > 

52 

2560 

7.5 

7.5 

— 

— 

— 

— 

73  f. 

9  » 

56  » 

49 

2060 

8.5 

8.5 

— 

— 

— 

— 

74  f. 

9  > 

59  » 

52 

2950 

9 

8 

— 



— 

— 

75  f. 

9  » 

64  » 

45 

2480 

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8 

11 

11 

7.5 

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76  f. 

9  y> 

70  » 

53 

2500 

6.5 

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— 

— 

— 

— 

77  m. 

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57 

3090 

7.3 

7 

11 

11 

8.3 

9 

78  111. 

9  » 

108  > 

56 

3360 

8.7 

8.7 

— 

— 

— 

— 

79  ra. 

9  » 

120  » 

55 

2500 

6 

7 

— 

— 

— 

— 

80  m. 

9  » 

220  » 

57 

3350 

11 

11 

— 

— 

— 

Una  prima  impressione  non  può  mancare  a  chi  guardi 
queste  cifre  :  quella  della  esilità  del  peso  dei  feti,  in  rap- 
porto alla  lunghezza,  che  invece  non  staccasi  di  molto  dalle 
medie  ordinarie.  Ciò  devesi  alle  costituzioni  gracili  dei  neo- 
nati, alle  loro  condizioni  patologiche  congenite  e  alla  in- 
sufficiente nutrizione.  Forse  per  questo  le  deduzioni  nume- 
riche che  si  trarranno,  risentiranno    di    tale  gracilità  gè- 


|7|  («U 

iKM'iiIc.  ("iò  })i'(>niess(),  come  avvoi-tcìiza  goiiorale,  guardiamo 
più  (l;i\  vicino  i  corollari  dello  cific  presenti.  Negli  infanti 
non  maturi  il  centro  d'  ossitica/.ione  è  piuttosto  raro  ;  su 
nove  casi  venne  a  mancare  sette  volte  ;  ma  si  elibc  in  un 
caso  al  7"  mese  di  vita  intrauterina  con  mm.  v?,.')  d'  am- 
pio/./.a.  ed  in  un  altro  dell'S"  mese  completo,  con  ampiezza 
di  mm.  7.  Ma  mentre  i  primi  o  non  vissero,  ojìpure  vis- 
sero alcune  ore,  quest'ultimo  invece  protrasse  la  sua  vita 
per  giorni  sette.  Orbene,  anche  accordando  che  in  ([uesto 
periodo  di  tempo  abbia  il  processo  di  ossiticazione  raggiunto 
un  notevole  incremento,  si  ha  diritto  sempre  di  inferire 
che  questo  infante  all'istante  della  sua  nascita,  per  quanto 
mancante  d'un  mese,  aveva  un  centro  di  ossificazione  su- 
perante la  media  di  quello  dei  neonati  maturi. 

Notiamo  ancora  come  il  diametro  degli  infanti  non  an- 
cora maturi  varii  da  ram.  2  a  3,  5,  6,  7,  con  prevalenza 
delle  due  prime  cifre  ;  eccezionali  le  ultime. 

Circa  gli  infanti  maturi  9  non  offersero  centro  d'os- 
sificazione, nella  proporzione  quindi  del  12  per  cento,  che 
si  accosta  a  quella  di  Hecker  e  di  Corrado  (16  per  cento) 
e  staccasi  notevolmente  da  ([uella  di  Liman  (3,5  per  cento). 

Il  diametro  di  tale  centro  negli  infanti  maturi,  che 
vissero  da  poche  ore  fino  a  cincjue  giorni  varia  da  mm.  .3 
a  3,9,  a  5  mm.,  con  una  media  a  destra  di  mm.  3,9  a  si- 
nistra di  3,5. 

In  quelli  che  vissero  dai  cinque  ai  sei  giorni  si  ebbe 
un'ampiezza  variabile  di  mm.  4  a  5,5  con  media  di  mm.  5,1. 

In  quelli  che  vissero  otto  giorni  si  ebbe  un'  ampiezza 
variabile  da  3,7  a  7  con  una  media  a  destra  di  4,93  a  si- 
nistra da  5  mm. 

In  quelli  che  vissero  nove  giorni  si  ebbe  un'ampiezza 
variabile  da  1,8  a  7  con  una  media  a  destra  di  4,05  a  si- 
nistra di  4,82. 

In  quelli  che  vissero  da  9  a  19  giorni  si  ebbe  un'am- 
piezza variabile  da  0  a  7,5  mm.  con  una  media  a  destra 
di  .3.S(),  a  sinistra  di  4.75. 

7'.  IV,  s.  VII  55 


(822)  [8] 

In  quelli  che  vissero  da  20  a  30  giorni  si  ebbe  una 
ampiezza  variabile  da  6  a  8  mm.,  con  una  media  a  destra 
di  4.74  a  sinistra  di  4,55. 

In  quelli  che  vissero  da  30  a  80  giorni  all'  incirca  si 
ebbe  un'ampiezza  variabile  da  0  a  9  con  una  media  a 
destra  di  5,79,  a  sinistra  di  5.80. 

In  quelli  che  vissero  da  80  a  90  giorni  si  ebbe  una 
ampiezza  variabile  da  mm.  6,3  a  9,  con  una  media  di  7.59 
a  destra  e  di  7,66  a  sinistra. 

In  quelli  che  vissero  da  90  a  120  giorni  si  ebbe  una 
ampiezza  variabile  di  7,35  a  sinistra  di  7,85. 

Neil'  infante  vissuto  fino  a  220  giorni  si  ebbe  un'am- 
piezza bilaterale  di  mm.  11. 


Queste  cifre  dimostrano  ancora  nella  loro  irregolarità, 
nella  loro  saltuarietà  l' impossibilità  di  stabilire  dati  po- 
sitivi costanti  0  quasi  rispetto  all'  ampiezza  del  centro  di 
ossificazione  in  ogni  individuo  e  in  ogni  sua  fase  di  sviluppo 
estrauterino.  E  cosi  appunto  deve  essere,  giacché  questo 
centro  non  rappresenta  alcun  che  di  geometrico  che  si  or- 
ganizzi con  leggi  numeriche,  ma  il  fatto  semplice  della  os- 
sificazione delle  cartilagini,  subordinato  al  carattere  della 
costituzione  individuale,  al  progredire  diverso  della  nutri- 
zione in  ogni  singolo  individuo,  all'azione  tutt' altro  che 
trascurabile  di  talune  affezioni  costituzionali  (rachitismo, 
scrofola,  sifilide),  che  attaccano  in  special  modo  lo  scheletro. 
Solo  riflettendo  a  queste  perturbazioni  morbose,  a  queste 
accidentalità  di  costituzione,  noi  possiamo  spiegarci,  ad 
esempio,  la  mancanza  dei  centri  d'ossificazione  negli  infanti 
maturi  verso  il  30°  giorno  di  vita,  1'  ampiezza  minima  di 
fronte  alla  massima  in  infanti  che  avevano  vissuto  il  me- 
desimo tempo,  il  maggior  sviluppo  dei  centri  di  ossifi- 
cazione negli  infanti  che  vissero  otto  giorni,  rispetto  a 
quelli  che  ne  vissero  invece  venti.  Quel  che  emerge  come 
dato  sintetico,  oltre  questa    disformità  di  cifre,  è    però  la 


tendenza  del  centro  d'ossificazione  verso  un  dianieti-o  in 
media  più  di  3-4  mm.,  che  di  5  o  0,  come  apjìunto  nota 
Ilofniann,  neyli  infanti  maturi  vissuti  poche  ore  o  pn- 
chissinii  «giorni.  Questo  però  non  in  via  assoluta,  giacché 
le  nostre  cifre  non  escludono  che  anclie  ad  8  mesi  com- 
pleti non  si  liiunga  verso  i  7  mm.,  mentre  non  sono 
l'ari  i  .")  mm.  in  infanti  maturi  die  vissero  poche  ore. 
od  anche  i  7  mm.  in  infanti  vissuti  7-8  giorni.  Malgrado 
queste  accidentalità,  non  parmi  rigorosamente  accettahi- 
le  la  conclusione  già  esposta  di  Bohm,  secondo  cui  mm. 
().7  possono  giustificare  1'  ammissione  della  vita  extraute- 
rina, e  trovo  invece  d'accedere  a  quella  di  Filomusi-Guelfi 
che  porta  fino  agli  otto  mm.  1'  indice  di  una  vita  estra- 
uterina. 

Ma  ci  domandiamo  :  questo  centro  d'  ossificazione  che 
con  la  vita  dell'infante  deve  gradatamente  espandersi,  se- 
gue uno  sviluppo  graduale,  definito,  da  poterne  invocare  le 
misure  come  tanti  dati  cronologici  ?  Qui,  anche  senza  con- 
sultare le  cifre  mie  presenti,  e  (|uelle  degli  altri  Autori, 
si  deve  escludere  una  rigorosa  corrispondenza  tra  questi 
due  fattori,  e.ssendo  lo  svolgimento  del  processo  di  ossifica- 
zione soggetto  a  mille  variabilità  di  costituzione,  di  malat- 
tia, di  alimentazione.  Da  ciò  la  mancanza  di  serietà  nel 
tentativo  di  Ollivier,  ed  il  pericolo  delle  sue  applicazioni 
pratiche  nel  Foro,  presso  il  quale  tutto  quanto  può  vestire 
esj)ressioni  numeriche,  suole  cattivarsi  la  maggiore  prefe- 
renza. 

Veggansi  infatti  le  deduzioni  di  Ollivier,  ricordandoci 
che  son  tratte  dalle  misure  di  cinquanta  infanti. 

Feto  a  termine  mm. 

da  13  a  20  giorni  mm. 

al  di  là  di  20  giorni  mm. 

8  mesi  mm. 

9  mesi  mm. 
11  mesi  mm. 


1.  2. 

4 

su 

5 

mm. 

6 

su 

5 

mm. 

/ 

su 

.5 

mm. 

13 

su 

5 

mm. 

15 

su 

12 

mm. 

15 

su 

13 

mm. 

(824)  [10] 

I  nostri  numeri  invece  porterebbero  queste  medie: 

Feto  a  termine  mm.  3.9 

A  termine  dopo  5-0  giorni  di  vita  mm.  5.1 

dopo  8  giorni  mm.  4.9 

dopo  9  giorni  mm.  4.7 

dopo  9-19  giorni  mm.  4.3 

dopo  20-30  giorni  mm.  4.6 

dopo  30-50  giorni  mm.  5.7 

dopo  50-90  giorni  mm.  7.6 

dopo  90-120  giorni  mm.  7.5 

dopo  220  giorni  mm.  11. 

Non  e'  è  bisogno  di  commento  per  indurre  che,  anco 
non  tenendo  conto  delle  cifre  sì  diverse  sommate  per  ot- 
tenere la  media,  manca  quella  progressività  regolare,  che 
dovrebbe  costituire  il  fondamento  della  diagnosi.  Quindi 
quelle  ricerche  dirette  confermano  la  critica  di  Tardi eu, 
secondo  cui  «  non  si  devono  prendere  alla  lettera  que- 
ste indicazioni,  perchè  i  centri  ossei  dell'  estremità  infe- 
riore del  femore  variano  secondo  la  costituzione  del  neo- 
nato e  secondo  la  forma  delle  ossa  ».  E  se  si  tien  conto 
ancora  delle  differenze  abbastanza  notevoli  esistenti  nello 
stesso  feto  tra  il  lato  destro  ed  il  sinistro,  quali  emergono 
dalle  nostre  tavole,  l'inapplicabilità  della  tesi  d'Ollivier  ap- 
pare ancora  più  provvida. 

Rispetto  al  centro  d'  ossificazione  del  calcagno,  Toldt 
afferma  iniziarsi  verso  la  metà  del  V.°  mese  solare,  av- 
venendo però  la  vera  ossificazione  verso  la  fine  del  Vl.° 
mese.  Rambaud  e  Renault  ammettono  che  tale  nucleo  appaia 
a  4  mesi  e  mezzo,  e  che  a  5  mesi  abbia  il  diametro  di 
4  mm.  Il  nostro  Corrado  su  80  casi  argomenta  che  il  pri- 
mo germe  osseo  appaia  verso  la  fine  del  V.°  e  la  prima 
metà  del  VI.°  mese  solare  ;  e  deduce  il  corollario  che 
quando  il  nucleo  del    calcagno    è  bene    sviluppato,   il  feto 


[11]  (825) 

ha  per  lo  meno  compiuto  il  V.°  mese  ;  quando  manchi  si 
può  l'itenere  con  j^rande  probabilità  che  esso  non  ha  com- 
piuso  il  VI.°  mese. 

I  dati  da  me  raccolti  si  avvicinano  a  quelli  degli  Au- 
tori citati,  e  permettono  di  aderire  alle  conclusioni  del 
Corrado.  Solo  osservo  che  in  un  feto,  che  aveva  raggiunto 
almeno  la  prima  metà  del  VI."  mese  di  vita  intrauterina, 
non  si  videro  che  delle  tracce  ;  nel  resto  l'accordo  corre, 
come  si  può  vedere  da  queste  cifre  riassuntive  : 


a  sei  mesi  incompleti 
di  vita  intrauterina  a  destra         a  sinistri 

Calcagno  a  sette  mesi    di    vita    intrau- 
terina tracce         tracce 
diametro  da  1   mm.  a  9.5  con 

media  4.1  5.1 

ad  8  mesi  di  vita  intrauterina 

da  1   ad  11   con  media  di         5.66  5.33 

a  9  mesi  con  pochissimi  giorni 

(tre)  di  vita  da  1  a  8  nini. 

con  m.edia  di  4.5  4.10 

a  9  mesi  con  9  giorni  di  vita 

con  ami)iezza  da  ()  a  lo  inni. 

con  media  di  10.30  10. 

a  9  mesi  con  12-17  giorni  di 

vita   con    ami)iezza   da  5  a 

12  mm.  con  media  di  8.25  10.42 
a  9  mesi  con  30-30  giorni  di 

vita   con  ampiezza   da  0   a 

13  mm.  con  una  media  di         8.38  7.97 
a  9  mesi  con  giorni  da  30  a 

60  con  ampiezza  da  8  a  11 
mm.  e  media  di  9.60  8.80 

a  9  mesi    dopo  90   giorni    di 

vita  ampiezza  di  11   mm.        11.  11. 


(S2ì;)  [12] 

Degne  di  i-iniai-co  uppaioiio  le  diUei'eiize  d'  ampiezza 
Ira  le  due  ineià  d(d  corpo  jìoii  solo,  ina  ancora  il  fatto  che 
in  un  infante  inal.\iro,  (die  pur  av(!va  vissuto  24  giorni 
(N.  4.'^),  a  destra  il  calcagno  aveva  un  centro  d'  ossifica- 
zione di  9  mni.  d'ampiezza,  mentre  a  sinistra  non  ne  pre- 
sentava tracce  ;  e  Talti'o  fatto,  non  tanto  frequente  in  un 
infante  maturo,  che  pur  aveva  vissuto  24  giorni,  della 
mancanza  d'ossificazione  del  calcagno  a  destra  associate  a 
scarsissime  ossificazioni  a  sinistra  (3  mm.)  ed  a  mancanza 
0  quasi  degli  altri  centri  d'ossificazione  all'epifisi  del  fe- 
more ed  al  calcagno.  Qui  siamo  da\anti  ad  un  caso  mor- 
l)oso,  in  cui  forse  la  sifilide,  hi  rachitide  arrestarono  il 
processo  d'ossificazione.  Per  ultimo  non  deve  passare  inos- 
servata la  circostanza  che  in  qualche  caso  1'  ampiezza  del 
centro  del  calcagno  si  ])resenta  eccezionalmente  limitata 
rispetto  a  (juanto  feti  del  medesimo  sviluppo  vennero  ad 
offrire  (9,   10,  11   mm.). 

Tutte  (pieste  varietà  consigliano  (juindi  la  maggior  cau- 
tela nell'uso  esclusivo  dei  dati  numerici. 


(Ui'ca  la  cronologia  d(d  cenii'o  d' ossificazione  didl'  a- 
stragalo  concordano  gli  scrittori  [lii'i  auioi'evoli  (Toldl-, 
Rambaud,  iviMiauli.  Tourdes)  ncdlo  siahilii'e  il  pi'incipio  un 
mese  all'incirca  più  tai'di  dcd  calcagno,  ([ualclie  volta  i)erò 
solo  dopo  due,  ({uattro  settimane  (Corrado),  tanto  che  il 
Corrado  cosi  formula  le  sue  conclusioni  risi)etto  a  questo 
centro  :  la  presfuiza  di  ((uesto  lundeo  è  in  gencM-ale  segno 
clic  il  l'i'lo  si  iro\a  per  lo  miMio  \(u*so  la  lini^  del  Vi." 
mese  od  al  principio  d(d  VII.";  mentre  la  sua  assenza  è 
in  geiKM'ale  segno  (die  (\sso  non  ha  compiuto  il  VII."  mese. 
I  mici  dati  i('nd(M'(d)l)ei'()  a  segnar(>  il  principio  (hdl"  ossifi- 
cazione più  verso  la  seconda  metà  d(d  scLiimo  mese,  che 
verso  la  })rima. 

Infatti  al  VI."  mese  non  riscontrai  tracce  ; 

al  VII."  mese  compiuto  su  sei  casi  mancò  quattro  volte, 


[l-'l  («27) 

con  un  ani|)i('/za  xarialiilc  da  'A  min.  a  nnn.  0.5  e  con  una 
media  di   mm.   ~ì.'^^)  a   dcsli-a  e    l   a  sinisii-a  ; 

all'  Vili,"  mese  si  ebbero  in  uno  un  piccolo  centro  {}l, 
'     2  ;  .'))  in  un  altro  un  centro  più  ampio  (7,())  ; 

al  IX.°  mese  dopo  3-9  giorni  di  vita  si  ebbero  centri 
variabili  da  4  mm.  a  mm.  8.5  con  media  a  destra  di  5.75 
a  sinistra  di  5.84; 

al  IX.°  mese  dopo  12-17  giorni  di  vita  si  ebbero  centri 
variabili  da  4  a  9. 

al  IX. °  mese  dopo  20-30  giorni  di  vita  si  ebbero  cen- 
tri variabili  da  mm.  0  a  9. 


Qui  puro  è  degno  di  rimarco  V  anomalia  della  man- 
canza il  nucleo  (N.  44)  alla  pai-te  sinisLra  in  soggetti) 
in  cui  ad  una  vita  estrauterina  abbastanza  protratta  ta- 
cevano difetto  quasi  tutti  gli  altri  centri  ;  e  1'  altra  ano- 
malia di  uno  sviluppo  assai  meschino  dei  centri  dell'a- 
stragalo (N.  45)  in  soggetto  maturo,  che  aveva  vissuto 
20  giorni,  e  nel  (^uale  pure  tutti  gli  altri  centri  si  pre- 
sentarono atrotici. 


(S2S)  [14] 


BIBLIOGRAFIA 


Albinus  —  Icones  ossium  foetus  humani  1737. 

Meckel  —  Handbuch  der  menschl  Anatomie  Voi.  II.  1816. 

Bèclard  —  Noaveau  journ.  de  inéd.  et  chir.  et  chir.  Paris  1819. 

Nicolai  —  Beschreibung  der  Knochen  des  menschl.  Foetus  1829. 

Ollivier  —  Des  inductions  qu'on  peut  tirer  du  seul  examen  des  os  du 

fetus  1841  (Ann.  d'Hy.  pubi,  et  méd.  lég.  7,  27. 
Mildner  —  Prager.  Viert.  1850  voi.  28  p.  39. 
Bóhm  —  Ueber  die  forensiche  Bedeut.  des  Knochenkernes  ecc.  (Viert 

fùr  ger,  Med.  1858.  14  voi.  p.  28. 
Kunze  —  Kindsmord.  1860. 

Hecher  e  Buhl  —  Klinik  der  Geburtskunde  1861. 
Pleissner  —  Nonnulla    de   ossifìcatione    in    femoris  inferiore    eplphyse 

1861. 
Ilmìihaud  et  Rènaidt  —  Origine  et  developpement  des  os.   1864. 
Hartmann  —  Beitriige  zur  Osteologie  des  Neugeborenen   1869. 
Tardieu  —  Etude  medico-legale  sur  T  infanticide.  II.  Ed.   1880  p.  90. 
Toldt.  —  Die  Knochen  in  gerichtsarztl.  Bez.  (Maschka's  Lehrb.  der  ger. 

Med.  III.  voi.  1882  p.  537. 
Fritteli  —  Mi'iller's  Lehrb.  Gesburtshiilfe  IH.  Voi.   1889  p.  589. 
Tonrdes  —  Art.    Viabilité  (Dict.  encycl.  des  scien.  med.  —  Déchambre). 
Filomusi-Guel/l  —  Sul  nucleo  epifisario  (Rev.  sp.  di  fren.   e  med.    le- 
gale ;  fase.  III.    1889. 
Vnsper-Liìiian  —  Pract.    Hand.    der   gerichtl.  Med.    Vili.  Ed.   Voi.  II. 

pag.  911.   1889 
Corrado  —  Dei  principali  nuclei  di  ossificazione,  che  possono  rinvenirsi 

all'epoca  della  nascita  (L'amalo  Anno  III,   1891). 
Hofiaann   —  Lehrbuch  der  gerichtl.  Med.  VI.  Ed.  1893  p.  777. 


INTORNO  AD  UNA  NUOVA  EFFEMERIDE 
I)  I 

BIBLIOGRAFIA   MATEMATICA 

'UHMI.ir-ATA    SOTTO    (11,1    AfSI'iriI    I)EI-[,A    SOCIKTÀ    MATEMATICA  DI  AMSTERDAM 


Relazione 

DEL  M.  E.  ANTONIO  FA  VARO 


La  Società  ^Matematica  di  Amsterdam,  .sotto  i  cui  au- 
spici i  fu  teste  intrapresa  la  pubblicazione  d'  una  «  Revue 
semestrielle  des  Publications  jNIatbèmatiques  »,  nel  man- 
darne al  nostro  Istituto  un  esemplare  della  prima  pun- 
tata, (1)  lia  espresso  il  desiderio  che  fossero  fatti  conoscere 
i  priiicipii  fondamentali  ai  quali  si  informa  la  classifica- 
zione in  essa  adottata.  Alla  Presidenza  dell'  Istituto  piacque 


(1)  Revue  Semestrielle  des  Publications  Matite matiques  redigée 
sous  les  avispices  do  la  Société  Mathèniatique  d'  Amsterdam  pat*  P.  H. 
SruouTE  (Groningue),  D.  J.  Kortewe(;  (Amsterdam),  W.  Kapteyn  (U- 
trccht),  .1.  C.  Kluwer  (Leyde),  P.  Zeeman  (Delft),  avec  la  collabora- 
tion  de  M.  M.  C.  Van  Ali.er,  F.  de  Roer,  J.  Cardinaal,  D.  Coei,in(;h, 
R  .1.  Escher,  "W.  Mantel,  P.  Molenbroek,  P.  Van  Mourik,  M.  C. 
Par  ATRA,  A.  E.  Rauusen,  G.  Schouten,  .1.  W.  Tesch,  J.  Vkrsluys,  J. 
DK  Vries  et  de  Mad."*^  A.  G.  Wijthoif.  --  Tome  I  (Premièn*  Partici). 
Ani.sterdam,  W.  Wershiys,   1894.  8",  (4)  104  pag. 

11  prezzo  an  a  no  d"  abbonamento  (anticipato)  per  l'Italia  è  di  L.  8.50 
da  dover.si  rimettere  al  Segretario  della  Societii  Matematica  di  Amster- 
dam, I)/  G.  Schouten,  Amsterdam,  Prinsengracht.  2(54. 


(830)  [2] 

demandare  a  me  l' incarico  di  prendere  in  esame  e  la 
pubblicazione  e  1'  argomento  al  quale  si  riferisce  ;  e  questo 
incarico  onorevolissimo  mi  affretto  a  disimpegnare. 

Il  moltiplicarsi  delle  pubblicazioni  le  quali  nei  varii 
rami  dello  scibile  hanno  per  fine  di  agevolare  agli  studiosi 
la  conoscenza  dei  copiosi  materiali  che  tuttodì  vedono  la 
luce,  fa  fede  della  grandissima  difficoltà  che  ormai  incon- 
trano gli  studiosi  stessi  nel  tenersi  in  giornata  della  me- 
ravigliosa e  ognor  crescente  produzione  scientifica.  Ma  se 
in  altri  ordini  di  scienze  queste  pubblicazioni  esistono  già 
perfettamente  sistemate,  tanto  per  la  produzione  passata 
quanto  per  la  contemporanea,  e  tornano  di  aiuto  e  di  uti- 
lità inestimabili,  cosi  non  seguiva  per  le  matematiche.  Non 
è  per  verità  ed  a  stretto  rigore  che  quanto  alla  prima 
manchino  affatto  i  repertorii  ai  quali  lo  studioso  possa  at- 
tingere le  indicazioni  delle  quali  abbisogna  :  i  lavori  dello 
Scheibel,  del  Beughem,  del  Murhard,  del  Reuss,  del  Mai- 
ler, del  Rogg,  del  Sohncke,  dell'  Erlecke,  del  Poggendorff, 
i  poderosi  ed  accuratissimi  lavori  del  Riccardi,  del  Bierens 
de  Haan  e  del  Zembrawski,  ed  una  quantità  di  lavori  spe- 
ciali concernenti  un  determinato  ramo  dello  scibile  mate- 
matico riescono  senza  alcun  dubbio  preziosissimi  ;  ma,  sia 
perchè  alcuni  si  riferiscono  alla  produzione  d'un  solo  paese, 
o  di  un'  epoca  determinata,  o  contemplano  un  argomento 
limitato  e  ristretto,  sia  perchè  in  generale  condotti  seguendo 
criterii  e  formule  diverse;  sia  perchè  nel  loro  complesso  non 
presentano  caratteri  di  continuità;  sia  infine  perchè  non  tutti 
elaborati  col  medesimo  scrupolo,  non  offrono  allo  studioso 
quelle  garanzie  di  quasi  assoluta  sicurezza,  le  quali  lo  ren- 
dano ben  certo  che  nell'  allestimento  della  cosiddetta  Lite- 
ratur  der  Frage  egli  non  corre  alcun  pericolo  di  trascu- 
rare alcun  contributo,  e  forse  tra  i  principali,  all'  argo- 
mento del  quale  egli  si  propone  di  occuparsi. 

Punto  migliori  sono,  od  almeno  erano  fino  a  questi 
ultimi  tempi,  le  cose  rispetto  ai  mezzi  di  conoscenza  della 
produzione  matematica  contemporanea.    La  ben  nota  pub- 


[-]  («'31) 

blicazione  curata  dalla  Società  Reale  di  Londra  con  le 
relative  appendici  è  sempre  e  quasi  necessariamente  in 
ritai'do  ;  lo  stesso  Jahrhuch  ilher  die  Foi'hchritte  der 
Mathematik  non  ci  ragguaglia  intorno  alle  pubblicazioni 
matematiche  se  non  circa  tre  anni  dopo  eh'  esse  han  ve- 
duta la  luce  ;  le  ottime  riviste  del  BuUetin  des  sciences 
matlìèmatiques  et  astrano miqties  non  son  l'atte  seguendo 
un  sistema  il  quale  affidi  che  chi  le  segue  si  tiene  al  cor- 
rente di  ciò  che  può  interessarlo,  ed  esse  pure  sono  quasi 
sempre  in  grande  arretrato  ;  la  cessazione  del  prezioso 
Bullettino  di  bibliografia  e  di  storia  delle  scienze  mate- 
maliche  e  fisiche,  edito  già  dal  principe  Boncompagni,  tolse 
di  mezzo  i  bimestrali  annunzi  di  recenti  pubblicazioni, 
principalmente  graditi  per  gli  accuratissimi  indici  degli 
atti  e  delle  memorie  di  società  ed  istituti  scientifici  e  delle 
pulìblicazioni  periodiche  concernenti  le  scienze  matema- 
tiche e  fisiche  ;  e  finalmente  la  trasformazione  della  Bi- 
bliolheca  Mathematica  dell'  Enestrom  in  periodico  esclu- 
sivamente dedicato  alla  storia  della  matematica  ed  alla 
bibliografìa  di  essa  ha  fatto  cessare  quell'  appendice  agli 
Ada  Mathematica,  {^)  nella  (|uale,  con  tanta  economia  di 
spazio  e  con  tanto  ordine  ed  esattezza  di  indicazioni,  veni- 
vano fornite  notizie  intorno  alle  nuove  pubblicazioni  ma- 
tematiche. 

Queste  non  liete  condizioni  si  propone  di  migliorare 
la  Società  Matematica  di  Amsterdam  mercè  la  pubblicazione 
della  sua  Eevue  Semestrielle  des  Publications  Tnathèma- 
li.ques,  con  la  (juale,  per  ripetere  le  parole  stesse  dell'an- 
nunzio, essa  «  s' est  propose  de  faciliter  1' ètude  des  scien- 
ces matlìèmatiques,  en  faisant  connaltre,  sans  delai  de 
(luelquc  importance,  lo  titro  et  le  contenu  principal  dos 
nii'inoiiN^s  matlìèmatiques  publiès  dans  les  principaux:  joui-- 


(1)  Ne  lio  riferito  ali"  [stitiito   con  due    comunicazioni    inserite    nei 
to  lù  11  e  V  della  Serie  VI  degli  Atti, 


(832)  [4] 

naiix  .scientiflques.  »  E  qui  mi  permetterò  subito  d'  osser- 
vare come  al  raggiungimento  del  fine  propostosi  dalla  be- 
nemerita Società  di  Amsterdam  si  opponga  una  grandissima 
lacuna  che  è  nel  suo  programma,  poiché  lo  escludere 
tutta  la  produzione  matematica  la  quale  vede  la  luce  in 
pubblicazioni  non  periodiche  rende  necessariamente  incom- 
pleto il  suo  lavoro.  Per  parte  mia  adunque  faccio  voti 
perchè  nella  nuova  effemeride  sia  fatto  il  debito  posto 
anche  all'  annunzio  delle  pubblicazioni  matematiche  non 
periodiche,  e  confido  che  il  raccoglierne  le  indicazioni  in 
seguito  alle  spontanee  comunicazioni  degli  editori  e  dei 
tipografi  riuscirà  tanto  più  agevole  ad  un  corpo  scientifico 
residente  in  Olanda,  che  non  ad  uno  il  quale  avesse  la 
sua  sede  in  Germania,  in  Francia  ed  in  Italia.  Lo  sap- 
piamo ormai  per  dura  esperienza,  la  politica  si  caccia 
dappertutto. 

Le  pubblicazioni  periodiche  (giornali  ed  atti  e  memo- 
rie di  società  ed  istituti  scientifici)  spogliate  per  questo 
primo  numero  della  Revue  sono  in  numero  di  56,  delle 
quali  han  visto  la  luce  4  in  America,  'S  nel  Belgio,  1  in 
Danimarca,  10  in  Germania,  10  in  Francia,  11  in  Inghil- 
terra, 6  in  Italia,  2  nei  Paesi  Bassi,  1  in  Norvegia,  4  in 
Austria,  1  nel  Portogallo,  1  in  Finlandia  e  2  in  Svezia. 
L'indice  relativo  contiene  però  la  indicazione  di  64  altre 
pubblicazioni  delle  quali  pare  che  si  terrà  conto  in  seguito, 
e  di  esse  vedono  la  luce  5  in  America,  3  nel  Belgio,  2  in 
Danimarca,  6  in  Germania,  7  in  Francia,  8  in  Inghilterra, 
16  in  Italia,  1  nel  Lussemburgo,  3  nei  Paesi  Bassi,  1  in 
Norvegia,  1  in  Austria,  2  nel  Portogallo,  3  in  Russia  e  6 
nella  Svezia  (i). 

Rispetto  alla  prima  e  forse  maggiore  difficoltà  la  quale 


(1)  Questo  elenco  non  è  senza  molte  lacune,  né  qui  gioverebbe  il 
rilevarle  tutte  :  mi  permetterò  soltanto  di  segnalare  per  l'Italia,  che  non 
vi  trovo  notato  il  Periodico  Matematico  per  V  itisegnamento  secondario 
che  vede  la  luce  a  Roma. 


[5]  (S3:^) 

consisteva  nel  determinare  precisamente  le  materie  da  com- 
|)r(uidei'si  nello  spoglio,  nel  fissare  cioè  quali  in  tutto  o  in 
parte  dovessero  prendersi  in  considerazione,  tenendo  conto 
di  ciò  che  bene  spesso  un  assai  sottile  e  talvolta  quasi  ini- 
[)ercettibile  anello  di  congiunzione  lega  le  matematiche  con 
altre  scienze  affini,  si  risolvette  di  limitare  i  resoconti  alle 
memorie  che  si  riferiscono  alle  matematiche  pure  ed  alla 
meccanica,  comprendendovi  l'idrodinamica  e  la  teoria  del- 
l'elasticità, ed  escludendo  la  meccanica  applicata,  la  fisica 
matematica  e  l'astronomia.  Al  quale  proposito  mi  permet- 
terei di  osservare  che  la  esclusione  della  fisica  matematica 
non  sarà  forse  per  incontrare  la  piena  approvazione  di 
tutti  gli  studiosi.  Né  forse  è  giustificabile  questo  partito 
con  r  altra  mezza  misura  di  tener  conto  dei  titoli  delle 
memorie  sopra  soggetti  esclusi,  se  queste  memorie  si  tro- 
vano in  giornali  «  presque  exclusivement  mathèmatiques  ». 
A  mio  avviso  pertanto  in  consimili  lavori  è  mestieri  pro- 
cedere con  norme  precise  e  con  criteri  assoluti,  per  modo 
che  lo  studioso  che  vi  ricorre  possa  esser  certo  ch'egli  vi 
troverà  ciò  che  vi  ricerca  senza  esporsi  alla  eventualità 
di  dovere  la  conoscenza  dei  materiali,  de'  (juali  abbisogna, 
alla  (|ualità  della  effemeride  dove  videro  la  hu^e. 

Al  titolo  di  ciascuna  memoria,  riprodotto  nella  lingua 
oi'iginale,  intero  od  abbreviato,  è  fatta  seguire,  in  carat- 
tere tipografico  diverso,  una  brevissima  analisi  stesa  in  te- 
desco, inglese  e  francese  rispettivamente  per  le  memorie 
redatte  in  queste  lingue  ;  in  francese,  d'  ordinario,  per  le 
altre.  Ed  al  titolo  di  ciascuna  memoria  è  fatto  precedere 
un  sistema  di  notazioni  clie  rimanda  alla  classificazione 
adottata  dal  Congresso  internazionale  di  bibliografia  delle 
scienze  matematiche  (^)  ;  ma  a  questo  proposito  stimo  oppor- 
tuno di  entrare  in  qualche  ulteriore  particolare. 


(1)  Mi  permetto  di  ricordare  a  questo  proposito  una  mia  nota 
Sopra  la  parte  fatta  alla  storia  in  un  disegno  di  Bibliografìa  delle  Ma- 
ti'iiìatiche  inserita  nella  Rivinta  di  Matematica.  Anno   18.)1,  pag-.  72-77. 


k 


(834)  [cq 

La  Esposizione  Universale  di  Parigi  del  1889  parve 
occasione  opportuna  per  riunire  un  congresso  internazio- 
nale di  hilìliografia  delle  matematiche  «  dans  le  but  d'èta- 
blir  un  rèpertoire  detaillè  de  toutes  les  questions  du  do- 
maine  de  ces  sciences  qui  servirà  ensuite  de  base  à  la  clas- 
sification  des  travaux  des  gèoraètres  ».  A  questo  congresso, 
che  fu  tenuto  in  Parigi  dai  16  ai  19  luglio  1889,  erano 
stati  invitati  numerosi  matematici  d'ogni  parte  d'Europa  ed 
anche  alcuni  americani,  dei  quali  fu  stampato  l'elenco  ;  e 
dei  lavori  di  esso  venne  pur  pubblicato  un  processo  verbale 
sommario  (i).  Da  questo  rileviamo  che  nei  riguardi  delle 
suaccennate  notazioni  fu  approvata  la  seguente  deliberazione 
che  parmi  opportuno  di  qui  testualmente  riprodurre  : 

«  Le  Congrès  adopte  pour  le  rèpertoire  la  classifica- 
tion  proposée  par  son  Comité  d'organisation  avec  les  mo- 
diflcations  votèes  dans  la  séance  des  17  et  18  juillet  1889. 
Les  divers  titres  mentionnés  seront  répartis  en  un  certain 
nombre  de  classes  subdivisèes  en  sous-classes,  divisions, 
sections  et  sous-sections.  Les  classes  seront  désignèes  par 
une  lettre  capitale  :  elles  pourront  ótre  subdivisèes  en  sous- 
classes  désignèes  par  une  lettre  capitale  affectèe  d'un  ex- 
posant.  Les  classes  ou  sous-classes  se  subdiviseront  en  di- 
visions  désignèes  pur  un  chiffre  arabe  et  celle-ci  en  sec- 
tions désignèes  pur  une  minuscule  latine,  lesquelles  pour- 
ront elles-mèmes  ètra  partagèes  en  sous-sections  repré- 
sentèes  par  une  minuscule  grecque.  Ainsi  la  sous-section 
a  de  la  section  b  faisant  partie  de  la  division  3  de  la  sous- 
classe  LI  serait  notèe  ainsi  dans  un  encadrement  rectan- 
gulaire  : 

|Li3&a|    ,, 


(1)  Expositìon  Universelle  Intcrnationalo  de  1889.  Direction  gene- 
rale de  r  Exploitation.  L'onyrès  Inteniationnl  de  Bibliogrnphie  des 
Sciences  Mathèmatiques,  tenu  à  Paris  du  i6  au  19  juillet  1889.  Pro- 
còs-Verbal  sormnaire.  Paris,  Imprimerle  Nationale,  MDCCCLXXXIX. 


[7]  (m) 

Ed  a  questo  merlesiino  proposito  veniva  votata  (lue- 
st'altra  risoluzione  : 

«  Afin  de  faciliter  l'ètahlissenient  des  Supplchnents  con- 
saci'ès  aux  travaux  postiÀi'iours  à  1880,  le  Conj^i'ès  èniet  le 
voeu  que  cliaciue  auteui-  fasse  suivi'e  le  titre  de  son  miì- 
moire  de  la  notation  defìnie  ;  (jue  si  l'auteur  a  m'^dij-è  de 
le  faire,  les  administrateurs  des  divcrs  recueils  pèriodifiues, 
ou,  à  leur  defaut,  les  rédacteurs  des  recueils  analytiques 
qui  rendront  compte  de  ces  travaux,  veuillent  bien  se 
charger  de  ce  soin  ». 

Questo  sistema  di  notazione  fu  adunque  adottato  nella 
Revue  della  quale  ci  andiamo  occupando,  e  trovasi  applicato 
al  principio  del  titolo  di  ciascuna  memoria  in  caratteri  grossi, 
ma  con  esclusione  del  contorno  rettangolare,  e  soltanto  per 
le  memorie  che  entrano  nel  quadro  contemplato,  omessa 
quindi  per  le  altre  prese  in  considerazione  solamente,  pei'- 
chè,  come  avvertimmo,  si  trovano  in  giornali  «  presque 
exclusiveraent  mathèmatiques.  »  La  pratica  ha  poi  mostrato 
che  non  basta  bene  spesso  una  sola  notazione  per  indicare 
esattamente  il  contenuto  della  memoria  con  riferimento  alla 
classificazione  proposta  dal  Congresso  internazionale  surri- 
cordato, ma  bene  spesso  se  ne  richiedono  due,  tre  e  fino 
a  sei.  Cosi,  per  modo  di  esempio,  la  memoria  del  Frobenius 
«  Ueber  die  in  der  Theorie  der  Flachen  auftretenden  Dif- 
ferentialparameter  »  inserita  al  principio  del  centodecimo 
volume  del  Journal  fur  die  ideine  und  angewandte  Ma- 
fhematik  porta  le  seguenti  notazioni  : 

C  4  a,  d,  M^  2  h  ^,  0  5  f  OL,  m,  (]  p 

mentre,  seguendo  strettamente  le  norme  del  Congresso  in- 
ternazionale ed  adottate  nell'accuratissimo  indice  delle  me- 
morie e  comunicazioni  contenute  nei  sei  primi  tomi  del 
Rendiconto  del  Circolo  Matematico  di  Palermo  (i),  avreìjbe 
dovuto  scriversi: 

(1)  Una  nota  apposta  a  qviesto  spoglio   avverte    che    è    lavoro    del 


(836)  [81 

\C4a\      \C4d\      \U-^2/>{i\      \07yfa\      |05m|      |()(ij>| 

La  inoclifìcazioiie  introdotta  dalla  Società  Matematica 
di  Amsterdam  è  adunque  di  lieve  entità  ;  forse  gioverebbe, 
pur  sopprimendo  la  cornice  rettangolare  e  semplificando  le 
notazioni  concernenti  una  medesima  classe,  accentuare 
maggiormente  la  punteggiatura  tra  le  notazioni  relative  a 
classi  diverse. 

Ma  poiché  la  classificazione  alla  quale  le  notazioni  si 
riferiscono  non  è  ancora  cosi  generalmente  difi'usa  come 
dovrebbe,  perchè  queste  potessero  essere  con  la  massima 
facilità  interpretate,  e  poiché  anzi  pare  che  il  disegno 
che  le  contiene  sia  esaurito,  cosi  fin  tanto  che  non  ne  sia 
procurata  una  nuova  edizione,  l'indice  della  Reoue  è  co- 
stituito in  modo  da  riprodurre  uno  scheletro  della  classi- 
ficazione suddetta,  e  di  fronte  ad  ogni  voce  della  mede- 
sima sono  collocate  delle  cifre  che  si  richiamano  alla  pa- 
gina nella  quale  trovansi  indicate  memorie  che  trattano 
quell'argomento,  munite  queste  cifre  di  un  esponente  nu- 
merico il  quale  esprime  il  numero  delle  memorie  che  in 
quella  data  pagina  trattano  quell'  argomento  determinato. 
Quando  però  la  nuova  edizione  del  disegno  di  classifi- 
cazione sarà  pubblicato  e  larghissimamente  diffuso,  io 
stimo  che  la  Società  Matematica  di  Amsterdam  dovrà  pen- 
sare a  qualche  altro  espediente  per  indicare  aggruppate 
insieme  le  memorie  relative  ad  una  medesima  voce  di  clas- 
sificazione. Ora  infatti  lo  spoglio  è  fatto,  periodico  per  pe- 
riodico, neir  ordine  secondo  il  quale  trovansi  registrati  in 
un  indice  disposto  secondo  1'  ordine  alfabetico  dei  paesi  i 
cui  nomi  sono  scritti  nelle  lingue  originali  per  i  francesi, 
tedeschi  ed  inglesi,  e  in  francese  per  gli  altri  ;  ma  una 
certa  indicazione  sintetica  sarà  pur  sempre  necessaria  per 


segretario    del     Comitato    Itnlinno    del    liepcrlorio    Bibliografico    delle 
Scienze  Matematiche,  prof.  F.  Gerhaldi. 


[0]  (s:>,7) 

poter  a  colpo  d'occhio  rilevare  quali  .siano  le  meinoi-ie  che 
trattano  un  determinato  argomento.  Io  mi  permetto  anzi 
(li  pensare  che  la  ripai-tizione  del  materiale,  almeno  nelle 
classi  le  (juali  nelle  classihcazioni  sono  distinte  con  lettere 
latine  minuscole,  sarà  quella  alla  (piale  tornerà  più  conve- 
niente di  appigliarsi  e  sottopongo  questa  proposta  agli  illu- 
stri collaboratori  della  nuova  effemeride,  se  però  non  si 
stimerà  opportuno  di  scendere  ad  una  distribuzione  ancor 
più  particolareggiata:  il  contribut(t  dei  dixci-si  collaboratori, 
essendo  fornito  su  schede  staccate  per  ciascuna  voce,  ne 
agevolerà  1'  oi'dinamento  secondo  i  criterii  che  piacerà  di 
adottare. 

Oltre  ai  due  indici  summenzionati,  quello  cioè  dei  gior- 
nali e  quello  delle  materie,  un  terzo  ne  è  aggiunto  il  quale 
contiene  il  nome  degli  autori,  distinguendo  mediante  cifre 
grasse  quelli  degli  autori  delle  memorie  dagli  altri  dei 
citati  i  quali  sono  richiamati   in  cifre  magre. 

La  «  Revue  Semestrielle  »  come  lo  indica  il  titolo, 
sarà  pubblicata  in  due  puntate  all'anno  ;  la  prima  conterrà 
l'analisi  dei  lavori  pubblicati  dal  1"  marzo  al  1°  ottobre  e 
sarà  pubblicata  al  1°  gennaio  successivo;  la  seconda  conterrà 
quella  dei  lavori  venuti  alla  luce  dal  1"  ottobre  dell'anno 
precedente  fino  al  1°  marzo  del  corrente  e  sarà  pubblicata 
il  P  luglio. 

Gli  studiosi  di  matematica  devono  essere  ben  grati 
ai  loro  colleghi  olandesi  che  si  sono  sobbarcati  a  questa 
fatica  la  quale  nel  suo  complesso  è  meritevole  di  ogni 
elogio. 

Padova,  Maggio  i893. 


T.  IV,  S.  VII  56 


STATISTICA  DEGLI  INSCRITTI 

NELLE  UNIVERSITÀ  E  NEGLI  ALTRI  ISTITUTI  D'ISTRUZIONE  SUPERIORE 


DEL 

s.  c.  CARLO  F.  FERRARIS 


Ho  dovuto  noi  passati  mesi,  })er  l'agiotii  speciali,  oc- 
cuparmi con  molta  diligenza  del  numero  degli  inscritti  nelle 
Università  e  negli  altri  Istituti  di  istruzione  superiore,  e  mi 
l'isultò  che  le  statistiche  finora  pubblicate  su  tale  argomento 
non  erano  nella  loro  disposizione  conformi  ad  uno  dei  canoni 
lbndan)entali  del  metodo  statistico,  la  comparabilità  dei  dati, 
mentre  poi  nelle  discussioni  sulla  questione  universitaria  si 
riproducevano  i  dati  ufficiali  senza  sottoporli  alla  necessaria 
elaborazione,  mutandone  cioè  1'  ordine,  od  osservandone  il 
contenuto  nei  singoli  elementi. 

Cito  un  solo,  ma  decisivo  esempio. 

Si  confrontava  la  totalità  degli  inscritti  nell'Università 
di  Padova  con  quella  delle  Università  di  Torino,  Bologna, 
Pavia,  Pisa  e  Roma  per  determinare  quale  posto  essa  oc- 
cupasse per  numero  di  scolari,  e  si  prendevano  le  cifre  totali 
senza  tener  conto  : 

1.°  che  r  Università  di  Toi-ino  non  comprende  la 
Scuola  di  applicazione  per  gli  Ingegneri,  ma  contò  sempre 
fra  i  suoi  inscritti  le  allieve  della  Scuola  ostetrica  di  No- 
vara, mentre  quella  di  Padova  invece  ha  la  Scuola  di  ap- 
plicazione come  parte  integrale,  e  soltanto  dall'anno  scola- 


(840)  r2] 

stico  1891-92  si  cominciò  a  porro  nel  numero  dei  suoi 
inscritti  le  allieve  della  Scuola  ostetrica  di  Venezia,  che 
è  alla  sua  dipendenza  : 

2.°  che  quella  di  Bologna  comprende,  oltre  alla 
Scuola  di  applicazione,  anche  la  Scuola  di  Medicina  vete- 
rinaria, cosicché  quest'  ultima  è  la  cagione  appunto  della 
sua  prevalenza  numerica  sulla  padovana,  come  risulta 
dalle  seguenti  cifre  tratte  dagli  Annuari  del  corrente  anno 
scolastico  : 


Università 


Padova  * 
Bologna 


IscritU  nell'  anno  scolastico  18»2-93 


Quattro  Facoltà 

e 

Scuola  (li  Farmacìa 


1180 
1146 


R.  Scuola 

dì 

applicazione 


137 
153 


1317 
1299 


R.  Scuola 
dì  medicina 
veterinaria 


90 


Totale 

generale 


1317 
1389 


*  Non  comprese  le  40  allieve  della  Scuola  ostetrica  di  Venezia. 


3.°  che  quella  di  Pavia  ha  il  solo  primo  anno  della 
Scuola  di  applicazione,  e  non  comprende  fra  i  suoi  in- 
scritti (e  non  sappiamo  perchè)  le  allieve  della  Scuola  di 
Ostetricia  di  Milano  che  pur  è  una  sua  dipendenza,  di 
guisa  che  il  confronto  con  Padova  richiederebbe  di  elimi- 
nare dai  dati  relativi  a  questa  il  2°  e  3°  anno  della  Scuola 
di  applicazione,  e  le  allieve  della  Scuola  di  Venezia  : 

4.°  che  quella  di  Pisa  ha  soltanto  il  1°  anno  della 
Scuola  di  applicazione,  ma  comprende  due  Scuole,  assai 
frequentate,  che  mancano  a  Padova,  la  Scuola  di  Medicina 
veterinaria  e  la  Scuola  di  Agl'aria  : 

5."  che  quella  di  Roma  non  ha  come  parte  integrale 
la  Scuola  di  applicazione,  ma  che  le  statistiche  ne  com- 
prendono talora,  e  talora  non,  gli  studenti  con  (juelli  del- 
l' Università. 


[3]  (H41) 

Hisogna  dunque  disporre  innanzi  tutto  i  dati  in  modo 
che  si  metta  in  evidenza  il  diverso  ordinamento  degli  enti 
univei'sitarii  rispetto  ai  varii  istituti,  che  vi  sono  annessi 
come  [ìarte  integrale  o  non,  indipendentemente  dalle  Fa- 
colta  propriamente  dette  e  dalla  Scuola  di  Farmacia,  le 
(juali  no  sono  i  veri  elementi  costitutivi. 

Ma  non  basta.  Le  nostre  Università  sono  dispari  anche 
per  numero  di  Facoltà,  il  che  altera  naturalmente  le  con- 
dizioni della  frequenza  scolastica,  ed  anche  quel  fatto  bi- 
sogna che  l'isulti  con  tutta  evidenza  dalla  statistica. 

Per  redigere  la  statistica  del  numero  degli  inscritti 
neir  istruzione  superiore  in  modo  corrispondente  agli  esposti 
criteri i,  ho  fatto  compilare  i  tre  prospetti  che  presento, 
relativi  al  quinquennio  dal  1887-88  al  1891-02. 

Nel  primo  prospetto  è  indicato  il  numero  degli  allievi 
nelle  Università  regie  e  libere,  escludendo  gli  inscritti  alle 
R.  Scuole  di  applicazione,  di  Medicina  veterinaria  e  di 
Agraria,  anche  quando  sono  parte  integrale  dell'Università, 
comprendendo  invece  in  queste  le  allieve  delle  R.  Scuole 
di  ostetricia,  che  ne  dipendono,  per  Torino  e  Padova,  cioè 
le  Scuole  di  Novara  e  di  Venezia,  cosa  che  non  mi  fu 
possibile  per  Pavia  rispetto  alla  Scuola  ostetrica  di  Milano, 
mancando  i  relativi  dati  nei  documenti  ufficiali. 

Le  Università  regie  sono  suddistinte  in  quattro  cate- 
gorie : 

1.°  (|U{'lle  colle  quattro  Facoltà  classiche,  la  giuri- 
dico-politica,  la  medico-chirurgica,  la  tisico-matematica,  la 
filosofico-letteraria  e  la  Scuola  di  Farmacia,  cioè  Bologna, 
Catania,  Genova,  Messina,  Napoli,  Padova,  Pah'iMno,  Pavia. 
Pisa,  Roma,  Torino. 

Si  avverta  che  l'Università  di  Napoli  ha  veramente  cin- 
((iic  Facoltà,  essendovi  (juella  di  scienze  naturali  separata 
dalla  luatematifta  ;  ma  nella  statistica  gli  studenti  sono  riu- 
niti insieme,  come  se  appartenessero  ad  una  sola  Facoltà. 


(842)  [4] 

2.°  quelle  con  tve  Facoltà,    la  giuridico-politica,  la 

medico  -  chirurgica,  la  fisico  -  matematica,    e   la  Scuola   di 

Farmacia,  cioè  Cagliari,  Modena  e  Parma, 

3.°  quelle  con  due  Facoltà,  la  giuridico-politica  e  la 

medico-chirurgica,  e  la  Scuola  di  Farmacia,    cioè    Sassari 

e  Siena, 

4.°  quelle  con  una  sola  Facoltà,  cioè  Macerata. 
Naturalmente  fra  gli  iscritti  sono  compresi    i    notai  e 

})rocuratori,  e  le  allieve  levatrici,  però  in  colonne  speciali. 


Nel  secondo  prospetto  sono  compresi  gli  altri  Istituti 
di  istruzione  superiore,  sia  autonomi,  sia  annessi  alle  Uni- 
versità, distinti  nelle  seguenti  categorie  : 

1.°  La  prima  categoria  comprende  due  Istituti  di 
carattere  speciale,  con  insegnamenti  identici  a  quelli  delle 
Facoltà  universitarie,  cioè  il  R.  Istituto  di  studi  superiori 
di  Firenze  e  la  R.  Accademia  scientifico  -  letteraria  di 
Milano. 

2.°  La  seconda  comprende  gli  Istituti,  nei  quali  si 
impartisce  l' istruzione  tecnica  superiore  e  cioè  : 

a)  il  R.  Istituto  tecnico  superiore  di  Milano, 

b)  le  R.  Scuole  di  applicazione  per  gli  ingegneri,  auto- 

nome, di  Napoli,  Roma  e  Torino, 
e)  le  R.  Scuole  di  applicazione  annesse  alle  R.  Univer- 
sità di  Bologna,  Padova  e  Palermo, 
d)  il  primo  corso  della  R.  Scuola  di  applicazione  esistente 
presso  le  R.  Università  di  Genova,  Pavia  e  Pisa. 
3.°  La  terza  comprende    la    R.  Scuola    di    Agraria 
annessa  alla  R.  Università  di  Pisa,  la  sola  che  possa  essere 
qui  contemplata,  perchè  le  Scuole  superiori  di  agricoltura 
di  Milano  e  di  Portici  non  hanno    carattere    universitario 
e  non  dipendono  dal  Ministero  della  Pubblica  Istruzione. 

4."  La  quarta  comprende  le  Scuole  di  Medicina  ve- 
terinaria e  cioè  : 

a)  le  tre  autonome  di  Milano,  Napoli  e  Torino, 


[5]  (84:>.) 

h)  \o  ([uattro  annesso  allo  li.  Uiii\oi-sità  di  Bologna,  Pisa, 

Modona  e  Parma, 
o)  le  (lue  annesse  alle  Università  libere    di   Camerino  e 
Perugia. 
5.°  La  quinta  comprende  le  Scuole  universitarie  an- 
nesse ai  Licei  di  A(iuila,  Bari  e  Catanzaro. 

Nel  terzo  prospetto  infine  sono  raggruppati  per  ogni 
singola  città,  sede  di  Università  e  di  Istituti  superiori,  gli 
inscritti  in  questi  e  nelle  rispettive  Scuole  dipendenti,  co- 
sicché ne  risulta  l'importanza  numerica  delle  singole  ag;- 
glomerazioni  di  discenti. 

In  tale  prospetto  sono  riprodotti,  sotto  altra  forma,  i 
dati  dei  due  prospetti  precedenti,  e  distribuiti,  per  ogni 
anno  scolastico,  in  quattro  colonne,  in  cui  sono  indicati 
gli  inscritti  : 

a)  nelle    quattro    Facoltà  e  nelle  Scuole  di  Farmacia  e 

di  Ostetricia, 

b)  nei  R.  Istituti  di  istruzione  tecnica  superiore  o  Scuole 

d'  applicazione, 
e)  negli  altri  Istituti  e  nelle  Scuole  autonome  od  annesse 

alle  Università  (veterinaria,  agraria,  ecc.), 
d)  in  totale. 

Gli  Istituti  vi  sono  distinti  in  tre  categorie,  regi,  li- 
beri e  scuole  universitarie  annesse  ai  licei. 


I  tre  prospetti  che,  come  dissi,  abbracciano  il  quin- 
quennio dal  1887-88  al  1891-92,  contengono  pure  la  di- 
stinzione fra  studenti  ed  uditori  per  ogni  ordine  di  studi. 

Cosi  con  grande  facilità  si  possono  comparare  sotto  tutti 
gli  aspetti  i  dati  relativi  al  numero  degli  inscritti. 

Lo  studio  di  quel  periodo  è  specialmente  importante 
porche  serve  a  mostrare  quali  furono,  sul  concorso  di 
allievi,  gli  effetti  delle  leggi  pel  pareggiamento  dolio  Uni- 


(844)  [6] 

versità  di  Catania,  Genova  e  Messina  del  13  dicembre 
1885,  N.  3570,  3571,  3572,  e  di  quella  pel  pareggiamento 
delle  Università  di  Modena,  Parma  e  Siena  del  14  luglio 
1887,  N.  4745. 

Mi  è  grato  conchiudere  coli'  espressione  della  mia  vi- 
vissima gratitudine  al  valente  e  cortese  Direttore  generale 
della  Statistica,  prof.  Luigi  Bodio,  che  fece  con  somma  cura 
compilare  i  prospetti  sui  documenti  ufficiali,  in  conformità 
al  modello,  che  io  ne  aveva  dato. 


N.  1 


JSPivme-ro  degli  tscrttti  {stzLdertti  ed.  Tzdztort) 
nelle  R.  TJrLtveTsttct  e  nelle  ZTniveTsttcL 
libere 

(Escluse  le  R.  Scuole  di  applicazione  e  le  Scuole  di   vete- 
rinaria e  di  agraria  annesse  alle  Università) 


Alf.lil  SCOI.Af^TICI  DAI.  1889-88  AI.  189l.»2 


iV.  B.  —  Le  cifre  per  gli  anni  1887-88  al  1890-91  sono  state  ricavate 
dalle  statistiche  annuali  dell'  istruzione  superiore;  le  cifre  per  Tanno 
1891-92  sono  state  ricavate  dal  Bollettino  del  Ministero  della  Pub- 
blica Istruzione  del  mese  di  aprile  1892. 


7 

SEDE  DELLE   UNIVERSITÀ 

Giurisprudenia 

Medicina 
e  Chirurgia 

Scienze  fisiche,  matematiche 

e  naturali  (esclusa  la  Scuola 

di  applicazione) 

Lettere 
e  filosofia 

Scuola  di  farmacia 

Notai 
e  procuratori 

Chirurgia 
minore 

Ostetricia  per 
le  levatrici 

Totale  generale 

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(1)  Vi  esistono  cinque  Facoltà,  essendovi  .piellu 

di  scienz.'    n.om-ali    separata    da    quella    ,li 

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Medicina 

Scienze  fisiche,  matematiche 

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Notai       1 

Chirurgia 

Ostetricia  per 
le  levatrici 

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SEDE  DELLE   UNIVERSITÀ 

Giurisprudenza 

e  Chirurgia 

e  naturali  (esclusa  la  Scuola 
di  applicazione) 

e  filosofia 

Scuola  di  farmacia 

e  procuratori 

Totale  generale  || 

1 

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Aspiranti  alla 

Aspiranti  al 

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in  chimica 
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(1)  Non  comprende  le  allieve  della  Scuola  oste- 

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trica  di  Milano. 

1 

1 

(2)  Comprende  anche    le    allieve    della    Scuola 

1 

ostetrica  di  Novara. 

i 

SEDE  DELLE   UNIVERSITÀ 

Giurisprudenza 

Medicina 
e  Chirurgia 

Scienze  fisiche,  matematiche 

e  naturali  (esclusa  la  Scuola 

di  applicazione) 

Lettere 
e  filosofia 

Scuola  di  farmacia 

Notai 
e  procuratori 

Chirurgia 
minore 

Ostetricia  per 
le  levatrici 

Totale  generale 

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Aspiranti  alla 

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III.  -  Con  due  Facoltà  e  Scuola  di  Farmacia 

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IV.  -  Con  una  Facoltà 

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(   1887-88 

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SEDE   DELLE   UNIVERSITÀ 


ANNI    SCOLASTICI 


/■■  -UNIVERSITÀ  LIBERE 


Camerino        J  l" 


TOTALI 

delle 

Università  libere 


TOTALI  \ 

Università  regie  e  libere  j 


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1S!)(I- 
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1890  ■ 
1891- 


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ISSS- 


1SS7- 

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Medicii'-a 
e  Chirurgia 


Scienze  fìsiche,  matematiche 
e  naturali  (esclusa  la  Scuola 
di  applicazione) 


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370 '307  1677!  74 


Lettere 
B  filosofia 


Scuola  di  farmacia 


Notai 
e  procuratori 


Aspiranti  alla 

laurea 

in  chimica 

e  farmacia 


§     SS 


624  37 

647  63 


Aspiranti  al 
diplc 


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343 

52 

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21 

17 

364 

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Ostetricia  per 
le  levatrici 


Totale  generale 


J. 


N.  •^ 


ISTuLmero  cleglt  iscntti.  {stjzdenti  ed  nclttoTt) 
Thegli  Tstitziti  svipeinoT^i  cLzi^tonoTint  e  nelle 
Scapole  su-per^toi^t  OLJvnesse  alle  JJrttversitct 


a:%\'%I  i>€-OI.A<«TI€l  HAI.   IMS'V-SS  Al>  IS»|.BX 


^V.  5  —  Le  cifre  per  gli  anni  1887-88  a  1890-91  sono  state  ricavate 
dalle  statistiche  annuali  dell'  istruzione  superiore:  le  cifre  per  Tanno 
1891-92  sono  state  ricavate  dal  BoUetlino  del  Ministero  della  Pub- 
blica Istruzione  del  mese  di  aprile  1892. 


DENOMINAZIONE    DEGLI    ISTITI)iTI 
ANNI    SCOLASTICI 


Medicina 
Chirurgi 


Scienze  fisiche,  mat. 
e  naturali  (esclusa 
la  Scuola  d'applic.) 


18 1  y 


Lettere 
e  filosofia 


Us 

13|H;I5 


111 

732S3 


A.   ì."  Regio  Istituto  Superiore  ili  Firenze 


IS'.K)-!)! 


/ 1887-88 

ì  188S-S9 

v;.°  Regia  Accademia  scientifico-letteraria  di  Milano  '  1  SS!)-! )0 

/lS!)()-01 
US!>I-i)2 

/ 1887-88 

Ij  1888-89 

1.  1."  Regio  Istituto  tecnico  .superiore  di  .Milano  ^889-90 

j 1890-91 
11891-92 

■1887-88 

l,sS8-89 

2.°  a)  R.  Scuola  d'aiiplieaz.  per  gli  instegneri  di  Napoli  ■  1889-90 

/ 1890-91 
\ 1891-92 

e  1887-88 
hsss-Si) 


I18!)l-!t2 

r  1 887-8S 
\ 1888-89 
Torino  nss9-iJ0 
<18i:)0-91 
U891-92 


n)  oltre  13  studenti  e  13  uditori  iscritti 
/')     ..       24         ,.  IC 


Illa  Sezione  di  Ifngue 


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223 
233 
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108 
102 
101 

349 
308 
324 
37(» 


7-? 


' 

Medicina 
e  Chirurgia 

Scienze   flsiche,  mat. 
e  naturali  (esclusa 
la  Scuola  d'applic.) 

Lettere 
e  aiosofia 

Scuola 
di  farmacia 

Scuola  d'applica- 
zione per  gli 
ingegneri 

Agraria 

Procura- 
tori 
e  notai 

Ostotri- 

u 

Veterinaria 

Totale 
generale 

DENOMINAZIONE    DEGLI    ISTITUTI 

j                          -                     1 

ANNI    SCOLASTICI                         | 

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1888-Si) 

B.  3.°  a)  R.  Scuola  d'applicaz.  per  gli  ingegii.  ,li  Bologna  ■  1889-90 

' 1891-92 

/ 1887-88 

1888-89 

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/ 1890-91 
\ 1891-92 

/  1887-88 

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i 1890-91 
' 1891-92 

,  1887-88 

ì 18S8-89 

4.°  fl)  I.  corso  della  R.  Stuoia  d'applk-az.  nella  K.  Unjvewlinli  •■knoVA  /  18Si)-!:0 

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U891-92 

/ 1887-88 

ì  1 888-89 

b)        Id.             id.                     id.            di  Pavia     n8Si)-9() 

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n 89 1-92 

( 1887-88 

U 888-89 

e)         Id.             id.                     id.           di  Pisa         (1889-90 

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nàs7-88 
\ ■ S8N-89 

C.  Regia  Scuola  Agraria  nella  R.  Università  di  Pisa      (1889-90 

f 1890-91 
n 89 1-92 

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Medicina 
Chirurgia 


DENOMINAZIONE    DEGLI    ISTITUTI 


ANNI    SCOLASTICI 


Scienze  fisiche,  mat. 
e  naturali  (esclusa 
la  Scuola  d'applic.) 


10  r 


I   1=1  H 


Scuola  d'applic£ 

zione  per  gli 

ingegneri 


D.  1.°  a)  R.  Scuola  di  nierlioina  veterinaria  di  Mil. 


^."  ")  R.  Stuoia  (li  medicina  veterinaria  nella  R.  Università  di 


C)    Id. 


d)         Id. 


1SS7-88 

1888-89 

1889-ilO 

1890-91 

1801-92 

1S87-8S 

1888-89 

1889-90 

1890-91 

1891-92 

1S87-SS 

1888-89 

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1889- 
1890- 


1887- 
1888- 


1887- 
1888- 
1889- 
1890- 
1801- 

1887- 
1 888- 
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1 890- 
1891- 


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DENOMINAZIONE    DEGLI    ISTITUTI 


ANNI    SCOLASTICI 


/ 1S87-SS 

11888-S9 

I).  3."  a)  Stnola  di  medicina  velerinaria  nella  Univer.  Illjera  di  Cameein'o   <  1SS9-00 


/ 1887-S8 
U 888-89 
cIÌPerigia  <  1889-90 
11890-91 
l 1891-92 


Univei-sitaria  annessa  al  R.  Lifeo  di  Aqii 


■1887-88 
i 1888-89 


11890-9 
1891-92 


Ì  1888-89 
1889-90 
1890-91 
1891-9_' 


!1887-8^ 
1888-8! 
1889-90 
1890-91 
1891-92 


,  ISfT-Ss 
\  lS,s,^-S9 
TOTALI  ,18S! 


Medicina 
Chirurgia 


Scienze  fisiche,  mat. 
e  naturali  (esclusa 
la  Scuola  d'applic.) 


120  14  140 

l:!7  Id'lòl 


Lettere 
e  filosofia 


III 

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Scuola  d'applic 

«ione  per  gì 

ingegneri 


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N.  3 


JSfxvnxero  degli  iscTzttt  {stTLclenti  ed  jxditoT^t) 
nelle  UrviveTsttcL  e  rteglt  Istitixtt  di  Istriz- 
ztorue  sTtperzoT^e 


AlVlil  SCOLASTICI  DAI.  ISt^V-Hl!)  AI.  IS»|.»S 


X  B.  —  Le  notizie  per  gli  anni  1887-88  al  1890-91  sono  state  ricavate 
dalle  statistiche  annuali  dell'istruzione  superiore  ;  le  cifre  per  l'anno 
1891-92  sono  state  ricavate  dal  Bollettino  del  Ministero  della  Pub- 
blica Istruzione  del  mese  di  aprile  1892. 


sede  dell'università 
dell'istituto 

AlsTlTO       Ì83-7-3  3 

ANNO     lass-ag 

A.lfiN  O      1339-90 

ANlSrO       1S90-91 

j^KTlSrO       1331-32 

N  l-  .11  i;  R  n      DEGLI      ISCRITTI 

NUMERO      DEGLI      ISCRITTI 

NUMERO      DEGLI      ISCRITTI 

NUMERO      DEGLI     ISCRITTI 

NUMERO      DEGLI      ISCRITTI              [ 

n.ll..   F.ic„ll:, 

„..L-li  iatitoli  e   „ell..    ,.llr. 

.^i't'i"oda"Sm''e.ma"nell.' 
.stess»  sede 

Totale 

n.-ll,.  Facoltà 
.  n.  11,. 'Icole 

e 

negli  htital,  e  nelle  altre 
alcole  annesse  alle  Unner- 

^te5sx  sede 

Totale 

,,.   n,:-ll,.,  Sc,i,d,! 

negli  Istituti  e   nelle  altre 

Totale 

nelle  Facoltà 
e  nelle  Scuole 
di  farmacia 
ed  ostetrica 

negli  Istituti  e  nelle  altre 

sitrodTv.tóSme.maTe'lU 
stessa  sede 

Totale 

nelle  Faeoltit 

di  farmacia 
ed  ostetricia 

S 

Istituti   e  nelle  altre 
e  annesse  alle  Univer- 
d  autonome,  ma  nella 
stessa  sede 

Totale 

pw  gli 

ingegneri 

0  Scuole 

'''tt'" 

0  Scuole 

ed 

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ingegneri 

'ol'lolT 

Scuola  d'ap- 
plicazione 
pergU, 
ingegneri 

altri  Istituii 

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altri  Istituti 
0  Scuole 

o„tetne,a 

ingegneri 

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Genova               (id.) 
Messina              (id.) 
Nai.„i.i                (id.) 
PA1...VA                 (id.) 
Pammoi..             (i.l.) 

J'AVIA                           (id.) 

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Modena             (id.) 
Parma                (id.) 

1             SAS.SARI     (2  Facoltà  univ.) 

.SlKNA                         (id.) 

-Macerata  (1  Facoltà  univ.) 
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IL  BEGGOFRUSOKE 

N-EJL,     TERRITORIO     VEROlsriIlSE 
DEL 

s.    c.    FRANCESCO    CIPOLLA 


Il  l)eccotVi5soiie  {Ampelis  garrulus  L  :  Bortibycilla  gar- 
rula Temili)  è  specie  molto  rara  in  Italia.  A,  Bonomi,  nel 
1889,  scriveva  (i)  :  «  Capita  di  rado,  tanto  che  io  non  potei 
paranco  vederlo.  Al  Ferdinandeo  esiste  un  maschio  ucciso 
presso  Bolzano  (1847)  e  uno  colto  a  Bressanone.  »  Solo 
per  eccezione  si  è,  qualche  volta,  fatto  vedere  numeroso. 
E.  H.  Gig-lioli  ("^)  scrive  :  «  Al  dire  del  Salvadori,  questa 
specie  giunge  quasi  ogni  anno,  durante  l'invenuj,  nell'Italia 
settentrionale  :  geiieraluiente  però  capita  in  discreto  nu- 
mero a  lunghi  intervalli,  e  sempre  nella  stagione  fredda.  » 
E  (ìaetano  Perini  (3):  «  Questa  bellissima  e  rarissima  spe- 
cie dimora,  durante  la  state,  nelle  parti  orientali  del  nord 
d'Europa,  e  nell'  Asia  settentrionale.  Negli  inverni  assai 
fi'eddi,  di  tratto  in  tratto,  si  mostra  anche  tra  noi  :  in  al- 
cuni anni  in  gran  numero,  in  alcuni  altri  scarsamente,  e 
talora  non  se  ne  vede,  per  molti  di  seguito,  nemmeno  un 
individuo.»  Una  di  queste  eccezionali  comparse  fu  segnalata 

(1)  Nuove  contribuzioni  alla  Avifauna  tridentina.  Rovereto,  1889. 
pag.   17. 

(2)  Avifauna  italica.  Firenze,  1880,  pag-.   170. 

(3)  Ornitologia  Veronese,  nelle  :  «  Memorie  deirAccademia  di  A- 
gricoltura  Arti  e  Commercio  di  Verona  »  Voi.  LI;  XI  della  Serie  11, 
F'asc.  I.  Verona,   1873,  pag.   lOG. 

T.   IV,  S.    VII  57 


(848)  [2] 

la  fine  della  serie  di  osservazioni  fatte  col  vecchio  micro- 
metro a  larghe  lamine  applicato  all'equatoriale  Derabowski 
dieci  anni  addietro  (i).  Incominciai  ad  adoperare  il  nuovo 
micrometro  il  25  maggio  1892,  dapprima  con  vane  ricer- 
che dei  pianetini  [287)  Nephthys  {^)  e  {165)  Loreley  su 
effemeridi  dei  valenti  calcolatori  di  Berlino  Berberich  e 
Lange,  poscia  con  fruttuose  osservazioni  di  Polyhymnia  e 
Sylvia  come  sono  raccolte  nel  quadro  IL  Dopo  queste 
prime  osservazioni  il  micrometro  venne  tolto  dal  Dembowski 
per  essere  ancora  una  volta  ritoccato  dal  meccanico  ed  ebbe 
})Oscia  la  sua  collocazione  definitiva  il  7  giugno. 

A  quell'epoca  avrei  dovuto  accingermi  all'osservazione 
della  bella  Cometa  1892  I,  scoperta  da  Swift  il  6  marzo 
a  Rochester  negli  Stati  Uniti,  che  dicevasi  allora  visibile 
ad  occhio  nudo,  ma  sfortunatamente,  dal  momento  della  sua 
apparizione  in  avanti,  essa  occupava  in  cielo,  nelle  ore  not- 
turne, tal  regione  di  nord-est  che  al  Dembowski  rimase 
occultata  da  oggetti  terrestri.  Solo  il  20  di  giugno  riuscii 
a  vederla  fuori  degli  ostacoli  ma  tanto  poco  prima  dell'au- 
rora che,  illuminandosi  il  cielo,  essa  tornava  presto  invi- 
sibile. Tuttavia  essendo  molto  risplendente  si  lasciava  pun- 
tare anche  nell'alba  e  potei  osservarla  come  nel  quadro  III. 
Nelle  notti  dedicate  a  questa  cometa,  mentre  stava  atten- 
dendo che  il  moto  diurno  della  sfera  celeste  me  la  por- 
tasse sulla  visuale  libera,  cercai  invano  i  pianetini  {304) 
Olga,  allora  ritrovato  da  Palisa,  e  {118)  Peitho  raccoman- 
datomi dal  prof.  Luther,  ma  ritrovai  ed  osservai  Elektra 
come  nel  quadro  IV. 

Giunta  la  metà  di  luglio  abbandonai  provvisoriamente 
le  comete  (ed  i  pianetini)  per  attendere  alle  osservazioni  di 
Marte,  le  quali,  nella    circostanza    della    sua   opposizione. 


(1)  Nelle  mie  Osserv.  Astr.  pubblicate  negli  Atti,  serie  VI  tomo  II, 
marzo  1884,  le  osservazioni  di  Cometa  1883  I,  sono  le  prime  della  serie. 

(2)  Nephthys  fu  cercato  vanamente  anche  nel  novembre  1889.  Atti 
serie  VII,  tomo  I.  Osserv.  Astr.  1889. 


[8]  (849) 

erano  state  raccomandate  con   una  circolare  rial  dott.  Lohse 
asti'onomo  di  Potsdam. 

Ripigliai  le  osservazioni  di  comete  in  novembre  quando 
veniva  scoperta  la  1892  III  da  Holmes  a  Londra.  Questa  fu 
splendente  quanto  la  I  ma  più  singolare  per  il  suo  rapido 
affievolirsi  e  pel  suo  ravvivarsi  dopo  quasi  due  mesi.  Io  la 
osservai  finché  potei,  tanto  nel  primo,  quanto  nel  suo  secondo 
{ìcriodo  di  visibilità  nel  Dembowski,  e  precisamente  come 
apparisce  nei  quadri  V  e  VI.  Oltre  a  questa  cometa  ne 
furono  scoperte,  nel  1<S92,  altre  quattro  debolissime  com- 
presa {{uella  periodica  di  Winnecke  che  fu  la  1892  IV. 
Ma  questa  e  le  due  seguenti,  quantunque  in  ordine  di  nu- 
merazione compariscano  dopo  la  Holmes  a  motivo  del  loro 
più  tardo  passaggio  al  perielio,  furono  però  scoperte  prima 
e,  perchè  io  mi  trovava  altrimenti  occupato,  non  ho  potuto 
tenervi  dietro.  L'  ultima  cometa  scoperta  nel  1892,  il  19 
novembre  da  Rrooks  negli  Stati  Uniti,  rientra  nella  serie 
del  18!)8  e  sarà  probabilmente  la  I  essendo  passata  al  pe- 
rielio il  7  gennaio  e  dopo  di  essa  non  essendosene  fin'ora 
scoperte  altre.  La  osservai  per  tre  sere  come  nel  qua- 
dro VII. 

Quanto  ai  pianetini  devo,  innanzi  tutto,  accennare  alla 
convenzione  fatta,  (')  dai  prof.  Krueger  e  Tietjen,  per  nu- 
merarli, affine  di  evitare  future  rettifiche  dei  numeri  pro- 
gressixi  a  hjro  attribuiti.  Succedendosi  le  scoperte  con 
grande  rapidità  (specialmente  ora  colla  fotografia)  è  impos- 
sibile riscontrar  subito  se  fra  gli  scoperti  alcuno  sia  vecchio 
e  già  numerato;  perciò  è  stato  convenuto  di  sospendere  la 
numerazione  arabica  fino  a  calcolo  d'  orbita  compiuto,  il 
(piale,  o  rivela  un  nuov(»  i)i;ineta,  o  lo  identifica  con  un 
vecchio,  e  di  usare  subito  in  luogo  dei  numeri,  e  nel  corso 
dell'anno,  per  le  nuove  scoperte,  un'  indicazione  provvisoria 

(1)  Nel  luglio  1892,  v.  Astr.  Nachr.  3106. 


(850)  [4] 

fatta  pi'ogres.'iivaniente  culle  lettere  majiuscole  dcir  allabctu 
latino  dalla  A  in  avanti.  In  causa  delle  fatte  rettifiche  il 
pianeta  scoperto  a  Nizza  da  Charlois  TU  febbrajo  1891 
subito  ritenuto  il  {303),  da  me  pure  osservato  e  come  tale 
indicato  nella  mia  pubblicazione  22  febbraio  1891,  fu  poi 
riscontrato,  nell'Istituto  di  calcolo  diretto  dal  prof.  Tietjen 
a  Berlino,  essere  il  (208)  Lacrimosa  (i),  laonde  in  quella 
mia  pubblicazione  è  da  fare  questa  rettifica,  e  quella  con- 
seguente che  il  {306),  l'ultimo  ivi  citato,  è  il  {305)  Gordonia. 
Dopo  di  questo  se  ne  numerarono  46,  quindi  la  schiera  di 

tutti  è  oggi  di  351  più  i  nuovi  compresi  negli  A,  B,  C, 

del  1893,  che  finora,  giunti  alla  lettera  L,  ed  esclusa  la  H 
a  motivo  di  uno  dei  vecchi  ("^)  creduto  subito  nuovo,  sarebbe 
di  altri  dieci.  Dei  nuovi  pianeti  io  osservai  quelli  sufficien- 
temente grandi  per  esser  visti  col  Dembowski,  e  furono, 
il  1892  P,  classificato  recentemente  col  numero  {346), 
il  1892  T  =  {349),  al  quale  il  suo  scopritore,  il  Charlois 
di  Nizza,  pose  il  nome  di  Demboimka,  ed  il  1893  A.  Le 
osservazioni  di  essi  si  trovano  nei  quadri  Vili  fino  al  XII 
inclusivo  (3). 

Non  mi  resta  più  che  a  citare  l'ultimo  quadro,  il  XIII, 
che  contiene  le  osservazioni  di  due  vecchi  pianeti  Danae  ed 
Aìkmene,  quest'ultimo  osservato  ancora  (^),  nell'opposizione 
del  1889. 

Circa  r  istrumento  sarebbe  inutile  ripetere  cose  note, 
tuttavia  perché    i    dati    istrumentali  si  trovino  qui    pronti 

(1)  Astr.  Nachr.  voi.  127  pag.  43  (imm.  3027)  e  R.  A.  Jahrbuch 
fiìr  1894  pag.  440. 

(2)  (42 J  Isis  Astr.  Nachr.  3151. 

(3)  Il  1893  L  di  9.*^  gr.  Vultimo  a  tntt'oggi,  scoperto  a  Nizza  da 
Charlois  il  9  marzo  corrente  fu  da  ine  ritrovato  il  20  in  seguito  alle 
indicazioni  di  Astr.  Nachr.  3156,  ed  osservato  il  21,  22  e  23.  I  risul- 
tati di  queste  mie  nuove  e  recentissime  osservazioni  compariranno  in 
una  pubblicazione  seguente. 

(4)  Atti  serie  VI,  tomo  I.  Osserv.  Astr.  1889. 


[5]  (851) 

dirò  clic  l'obbiettivo  dol  Dembowski  ha  l'apertura  di  mm, 
1S7  e  la  distanza  locale  di  in.  3,20.  Inoltre  a<^giungo  che 
col  nuovo  micrometro  (che  ha  il  passo  di  32". 31)  ado- 
perai i  suoi  nuovi  oculari  (*).  Colle  comete  adoperai  il  1 
amplificante  70  volte,  e  coi  pianeti  o  il  I  abbisognandomi 
gran  cani})0  per  gradi  differenze  di  declinazione,  o  il  II  = 
130.  Una  sol  volta  il  31  maggio  per  Sylvia  adoperai  il  III 
=  184  per  indebolire  l'illuminazione  del  campo  prodotta 
da  chiarore  lunare. 

Nel  solo  (juadro  II  cioè  nelle  osservazioni  di  Polyhym- 
nia  e  di  Sylvia  (i  due  astri  più  australi  in  questa  serie) 
ho  corretto  i  A  a  e  A  5  ("^)  per  la  rifrazione  differenziale 
e  non  l'ho  fatto  negli  altri  casi  perchè  non  occorre,  come 
si  capisce  subito,  ma  come  si  })uò  anche  vedere  dalle  For- 
mule e  tavole  per  il  calcolo  della  rifrazione  differenziale 
che  Ilo  presentate  all'  Istituto  insieme  alla  Memoria  sul 
nuovo  micrometro.  Sulla  composizione  dei  quadri  è  inutile 
eh'  io  dia  delle  spiegazioni  avendo  mantenuta  la  solita  forma 
sempre  usata  da  me  e  da  tutti,  però  non  sarà  superfluo 
notare  una  piccola  diversità  che  hanno  i  quadri  II,  III, 
IV  e  XIII. 

Poiché  essi  contengono  le  osservazioni  di  astri  per  i 
(inali  si  trova  pubblicata  un'effemeride  inserviente  al  con- 
fronto colle  osservazioni  ho  in  essi  creduto  opportuno  di 
sopprimere  le  due  colonne  dei  fattori  parallatici  per  uti- 
lizzare lo  spazio  a  profitto  dei  confronto  (^)  Osservazione- 
Effemeride. 

Ma  tanto  in  questi  quadri  (juanto  in  tutti  gli  altri  le 
coordinate  sono  quali  provengono  dali'applicare  alla  posi- 
zione media  della  stella  di  confronto  i  A  a  e  A  o  e  la  Re- 


(1)  V.  la  «  Memoria  »  Sul  nuovo  micrometro  etc. 

(2)  Di  uno  0  due  centesimi  di  secondo  in  tempo  nei  Aa=   e  di  qual- 
che decimo  di  secondo  in  arco  (ed  in  un  caso,  l'^.S)  nei  W\ 

(lì)  Oppure  Osservazione— calcolo  che  più  brevemente    si  usa  indi- 
care con  (0-C). 


(s-:)  [<ì] 

ducilo  ad  locum  apparentcm,  cioè  .sono  coonUnaL  apiJU- 
renli  e  giammai  geocentriche.  Nessuno  dunque  degli  a  app. 
e  5  app.  è  stato  corretto  per  la  parallasse.  Volendo  rical- 
colare i  fattori  parallatici  omessi,  e  da  me  impiegati  nello 
sta])ilire  il  confronto  0-E,  forse  farà  comodo  aver  qui  sotto 
mano  le  formule  note  e  le  costanti  di  Padova.  Cioè  : 

fp.  a  =  A  sec  5  sen  (S  -  a) 
/p.  0  =  D  cosec  Y  sen  (y  -  5) 

dove  S  è  il  tempo  siderale  dell'osservazione  (*),  dove  a  e  o 
sono  le  coordinale  app.  ed  inoltre, 

A  =  i/i3  Tc  g  cos  cp' 
D  =  Ti:  ^  sen  cp' 

Tz  =  8"85 

e  dove  l'angolo  ausiliario  y  si  calcola  con 

tg  T  =  tg  cp'  sec  (S  -  a) 

Per  Padova  (2)  le  costanti  sono  : 

log  g  ==  9.9993 

log  tg  cp'  =  0.0032 

log  A  =  9.6180 

log  D  =-  0.7973 

Padova  R.   Osservatorio  astronomico  26  marzo  1893. 

A.  Abetti 

(1)  E  SI  sottointeiide  che  (S  —  a)  niu/olo  orario,  va  tratiiutato  in 
arco,  usando  le  solite  tavole  ;  oppure  si  può  tenerlo  in  tempo  usando 
tavole  simili  a  quelle  di  Pulcova.  Vierstelìif/e  Logaritlìmen  dcr  trig. 
fun.  in  Zeit  augedr.   Winkel.  1882. 

(2)  Nel  voi.  99,  pag.  261  delle  Astr.  Nach.  trovasi  una  tavola  per 
il  calcolo  della  parallasse  a  Padova.  I  valori  delle  costanti  log.  A  log.  D 
dati  superiormente  coincidono  con  quelli  della  tavola  generale  di 
Oppolzer.  Trattato  dell'orbite,  voi.  I,  tav.  III.  I  valori  della  tavola  si- 
mile di  Tennant  Monthlg  Notices  XLIX  pag.  30  sono  log  A  :=  9.6146, 
log.  D  =  0.7938. 


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CONTRIBUTO 


ALLO 


STUDIO  DELLA  FAGOCITOSI 


PEL 


DOTT.  PIETRO  F.  CASTELLINO 


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Continuando  gli  studj  da  Maragiiano  e  da  me  intra- 
presi da  lungo  tempo  .sulla  Fisiopatologia  del  sangue,  men- 
tre ero  intento  ad  alcune  indagini  sulla  contrattibilità  dei 
globuli  bianchi  sottoposti  a  vaiie  temperature  ed  all'azione 
di  diiTerenti  reagenti,  e  sulle  modificazioni  fisico-chimiche 
del  protoplasma  nei  diversi  periodi  della  sua  attività,  stu- 
diate in  un  numero  grande  di  affezioni  morbose,  alla  stre- 
gua dei  metodi  da  noi,  nella  Clinica  di  Genova,  applicati 
sempre  in  ricerche  consimili  —  mi  accadde  nell'attingere 
il  sangue  da  un  coniglio,  cui  preventivamente  (30^-35'') 
avevo  iniettato  nel  sangue  delle  sostanze  finamente  sospese 
(carminio-tornasole)  in  una  soluzione  sodica  indifferente 
sterilizzata,  di  trovare  fortemente  scemato  il  numero  degli 
elementi  ameboidi.  Ritornando  di  nuovo,  dopo  alcuni  altri 
minuti  (20^-  40'),  ad  un'  altra  numerazione  osservai  che  la 
quantità  dei  fagociti  era  ancjra  maggiormente  diminuita  ; 
cosichè,  via  via  che  ripetevo  successivamente  la  valutazione 
numerica  di  questi  elementi  morfologici,  riscontravo  una 
loro  progressiva  scomparsa  dal  circolo,    fino    al   punto    da 


nuuici'ariio  iiogli  ultimi  esami  (dopo  cioè  4-6  ore)  solo 
pijcliissinii. 

Questo  fatto,  abbastanza  in  vero  sorprendente,  fino 
allora  ignorato  e  di  non  facile  ed  immediata  spiegazione, 
non  poteva  che  interessarmi  in  modo  assai  vivo,  cosi  che 
cominciai  a  studiarlo  dettagliatamente  in  tutti  i  suoi  parti- 
colari, sia  ripetendo  ad  animali  la  stessa  iniezione  di  car- 
minio e  tornasole,  sia  mescolando,  nella  celletta  capillare, 
queste  sostanze  a  del  sangue  sano  e  fornito  nella  misura 
fisiologica  di  globuli  bianchi. 

Questo  secondo  esperimento  —  che  a  tutta  prima  po- 
trebbe sembrare  ozioso  —  doveva  a  mio  pai-ere  stabilirsi 
per  escludere  il  dubbio,  allora  sortomi,  e  d'altronde  troppo 
logico  e  naturale  perchè  io  lo  difenda,  che  i  materiali  di 
cui  usavo  contenessero  delle  impurità  dannose,  e  tali  che 
costituissero  dei  veri  veleni  protoplasmatici  cosi  da  deter- 
minarmi quella  sorprendente  leucolisi  —  o  meglio  diminu- 
zione delle  cellule  mono  e  polinucleari. 

In  alcuni  studj  fatti  in  collaborazione  col  D/  Accame  (*) 
avevo  potuto  persuadermi  che  i  granuli  di  carminio  come 
di  tornasole  e  del  bleu  di  chinolina  —  che  nelle  indagini 
attuali  fu  })ure  da  me  (lualche  volta  negli  ultimi  esperi- 
menti adoperato  —  non  hanno  nessuna  azione  sul  proto- 
plasma, anche  quando  ne  vengono  inglobati  e  che  solo  vi  si 
sciolgono  e  lo  colorano  allorché  la  necrobiosi  di  questi 
elementi  si  trova  in  un  periodo  avanzato. 

Questa  ipoglobulia  adunque  poteva  dipendere  da  impu- 
rità di  quelle  tali  sostanze  che  avevo  iniettato.  Ma  anche 
questo  dubbio  scomparve  in  seguito  alle  prime  osservazioni 
dirette  eseguite  colla  camera  calda  e  dopo  la  scoperta  di  un 
altro  fenomeno. 

Infatti  coir  esame  diretto  delle  modificazioni  del  proto- 


(1)  Castellino  e  Accame,  Alcune    osservazioni    sui  [/lobuli    bianchi 
del  sangue.  «Gaz.  Ospit.  »  1891. 


plasma  di  fronte  alle  sostanze  in  (iiiestione  mi  potei  convin- 
cere che  i  leucociti  non  subivano  dal  contatto  di  esse  alcuna 
alterazione.  In  quanto  poi  al  fenomeno  nuovo  cui  ho  testò 
accennato,  e  che  nelle  prime  osservazioni  mi  era  sfuggito, 
ecco  in  che  cosa  consisteva.  Invece  di  attendere  30^-35^  ad 
iniziare  le  numerazioni  decisi  di  valutare  subito  la  quantità 
dei  leucociti  appena  iniettati  i  liquidi  ;  cosi  mi  venne  dato 
di  rilevare  che  lungi  dal  diminuire  questi  elementi  mono- 
e  polinucleari  in  primo  tempo  (cioè  dopo  circa  7'  a  10'),  erano 
ora  più  ora  meno  considerevolmente  aumentati.  Con  questo 
nuovo  dato  come  poter  dubitare  di  una  ipoglobulia  per 
leucolisi  ?  Evidentemente  non  era  da  questa  parte  la  solu- 
zione del  quesito. 

Questi  due  fenomeni  :  leucocitosi,  ipoleucocitemia,  do- 
vevano far  pensare  allora  ad  un'altra  ipotesi,  dalle  ricer- 
che moderne  molto  avvalorata  e  di  una  importanza  grande 
e  riconosciuta  :  e  cioè  che  questi  fatti  fossero  dipendenti 
dalla  proprietà  fagocitarla  dei  corpuscoli  bianchi. 

Ma  neppur  questa  ipotesi  risolveva  ancora  la  questione 
completamente. 

Intanto  però,  colle  conoscenze  che  oggi  possediamo 
intorno  a  tale  dottrina,  si  cominciava  a  poter  spiegare  su- 
bito r  aumento  dei  globuli  bianchi  come  una  reazione  chi- 
miotassica  positiva. 

Dalle  ultime  ricerche  di  Leber,  Pfeffer,  Lubarsch, 
Metchnikoff,  Stange,  Sawtcenko,  Stahl,  Peckelharing,  Ga- 
britchewsky,  Massart  e  Bordet,  Buchner,  Lange,  Roemer 
ed  altri,  si  sa  che  fra  i  globuli  bianchi  ve  ne  sono  molti 
dotati  di  una  estrema  irritabilità,  per  la  quale  il  loro  pro- 
toplasma è  suscettibile  di  subire  una  attrazione  a  distanza 
e  portarsi  sul  punto  donde  questa  attrazione  parte,  anche 
quando  —  come  ha  dimostrato  pel  primo  Leber  —  vi  si 
interpongano  vivissimi  ostacoli.  Ora  sapendo  quale  grande 
quantità  di  leucociti  si  espanda  dal  sangue  nelle  maglie 
del  tessuto  connettivo    è    facile  pure,    coli'  aiuto  di  questa 

T.  IV,  S.  VII  59 


(878)  [4] 

aziono  chimiotassica,  spiegarsi  il  considerevole  afflusso  e  ri- 
torno loro  sul  circolo. 

Che  del  resto  il  carminio  ed  il  tornasole  spieghino 
questa  attrazione  sui  leucociti  lo  ha  molto  bene  provato 
Weisse,  lo  si  può  dimostrare  con  un  esperimento  già  diven- 
tato popolare. 

Dopo  aver  diviso  in  due,  secondo  1'  asse  longitudinale, 
un  piccolo  cilindrettino  di  midollo  di  sambuco  e  depositato 
questa  polvere  in  un  cui  di  sacco  praticato  nel  centro  di  que- 
ste due  sezioni  coli'  esportare  un  po'  di  sostanza,  si  accollano 
strettamente  i  due  tagli  e  si  introduce  il  cilindretto  nel 
c:)nnettivo  o  peritoneo  del  coniglio  o  nel  sacco  dorsale  della 
rana.  Dopo  8-10  ore  nelle  maglie  della  midolla  si  trovano 
una  quantità  cospicua  di  leucociti  che  si  sono  portati  ad 
inglobare  i  granuli  abbandonati.  Sono  quasi  tutti  leucociti 
polinucleari  (90  %).  Meglio  ancora  si  può  procedere  serven- 
dosi di  due  capillari  sottilissimi  fusi  ad  una  delle  loro  estre- 
mità. Uno  lo  si  introduce  cosi  vuoto  com'  è  nell'  animale, 
r  altro  invece  lo  si  introduce  dopo  avervi  versato  dentro 
una  modica  quantità  del  liquido  in  esame.  Trascorse  molte 
ore  si  estraggono  i  due  vetrini  e  si  osserva  che  nel  primo 
non  vi  è  che  assai  pochi  globuli  bianchi  e  qualche  rosso, 
nell'altro  invece  se  ne  sono  introdotti  moltissimi. 

Ammessa  adunque  questa  leucocitosi  per  attrazione 
chimiotassica  restava  però  ad  intendere  e  spiegarci  il  fatto 
successivo  e  certo  assai  più  interessante,  quello  della  scom- 
parsa degli  elementi  corpuscolari  bianchi. 

Wyssokowitsch  ha  hato  a  riguardo  della  scomparsa 
dei  batterj  dall'  organismo,  una  spiegazione  che  potrebbe 
tornare  al  caso  nostro.  Secondo  questo  A.  i  batterj  che  si 
iniettano  in  circolo  sono  arrestati  da  due  grandi  filtri  che 
costituiscono  cosi  gli  organi  epuratorj  per  eccellenza  della 
economia  :  il  fegato  e  la  milza.  Egli  avrebbe  infatti  trovato 
colà  inglobati  que'  batterj  che  aveva  iniettato  nel  circolo  e 
da  cui  li  aveva  veduti  scomparire. 

Del  resto  questa  proprietà  della  milza  e  delle  cellule 


[5]  (STO) 

endoteliali  dui  fegato  di  arrestare  le  .sostanze  impuri  del 
sangue  è  un  fatto  che  mentre  riceve  dalle  indagini  di 
Wyssokowitscli  nuova  sanzione,  era  già  stata  intuita  e  di- 
mostrata da  Pontìck,  Meyei-,  Miiller,  Hoffmann,  Langhern- 

haus,  Asch,  Siebel  ecc Questo  fatto  deve    esser   inteso 

mercè  l'intervento  di  due  fattori  :  la  spiccata,  cioè,  azione 
fagocitarla  delle  cellule  endoteliali  del  fegato,  delle  cellule 
della  polpa  della  milza  —  e  la  lentezza  della  corrente  di 
entrambi  questi  organi. 

Dunque,  tutto  sommato,  noi  possiamo  ritenere  che  la 
iniezione  in  circolo  di  sostanze  finamente  sospese  determina 
rapidamente  nell'  individuo  sano  una  leucocitosi  per  attra- 
zione chimiotassica,  chimiotassia  che  permette  all'organismo 
di  arricchirsi  di  quegli  elementi  che  colla  loro  proprietà 
ameboide  e  fagocitaria  isolano  dette  sostanze  eterogenee,  le 
trasportano  fuori  del  circolo,  probabilmente  per  depositarle 
in  organi  epuratorj  quali  il  fegato  e  la  milza.  Abbiamo 
detto  prohabilmente  perchè  se  tale  interpretazione  non 
aveva  nulla  di  impossibile  era  allora  tutt'  altro  che  defini- 
tivamente provata,  avendo  solo  più  tardi  il  Werigo  dimo- 
strato pel  primo  in  modo  evidentissimo  questo  fatto.  In 
ogni  modo  siccome  per  la  nostra  tesi,  che  verremo  spiegan- 
do, il  destino  di  questi  leucociti  ci  interessava  fino  ad  un 
certo  punto,  non  vi  insistemmo  oltre,  né  cercammo  di  rin- 
tracciarlo. 

Una  cosa  essenzialmente  a  noi  premeva  stabilire.  E 
cioè  se  i  fagociti  (poiché  le  numerazioni  fatte  ci  avevano 
rilevato  essere  solo  questa  varietà  di  leucociti  che  veniva 
a  mancare)  scomparsi  dal  circolo,  non  si  trovassero  rifu- 
giati in  qualche  ascoso  territorio  della  rete  vasale  e  di  là 
pronti  ad  accorrere  ad  una  nuova  inquinazione.  Il  mezzo 
per  rispondere  a  tale  quesito  mi  parve  di  averlo  rinvenuto 
e  lo  esporrò  in  seguito. 

Quando  dopo  varj  tentativi  giunsi  adunque  a  stabilire 
una  opinione  a  tale  riguardo  ed  a  {)rovare  in  modo  assoluto 
che    davvero    1'  organismo    non    si    trova   più    fornito,  in 


(880)  [6] 

quel  momento,  di  fagociti  liberi  nella  circolazione,  una  do- 
manda spontanea  subito  si  presentò  a  me  :  Se  è  vero  che 
queste  cellule  ameboidi,  come  abbiamo  veduto,  cosi  sensi- 
bili e  vigili  costituiscono  il  principale  elemento  di  difesa 
dell'organismo  dall'assalto  anche  dei  germi  patogeni,  l'indi- 
viduo in  questo  istante  è  disarmato  ed  alla  mercè  di  qualun- 
que nemico.  Se  cosi  è,  basterà  la  introduzione  di  que'  batterj 
die  normalmente  esso  è  capace  di  debellare  perchè  ora  in- 
vece ne  soccomba.  Un  esperimento  clie  io  istituii  tosto  corri- 
spose perfettamente  e  tanto  ch'io  ne  scrissi  subito  (ai  primi 
di  luglio  1892)  al  Prof.  Metchnikoff  a  Parigi.  Le  mie  espe- 
rienze si  trovavano  ad  uno  stato  assai  rudimentale,  ma 
prinuT,  di  occuparmi  ad  estenderle  volevo  sapere  da  chi  è 
così  profondamente  versato  in  tali  dottrine  e  che  altre  volte 
mi  aveva  dato  prove  di  una  squisita  cortesia,  se  anzitutto 
quelle  indagini  avevano  qualche  interesse  e  meritassero  di 
venire  continuate  e  nel  caso  favorevole  se  l'indirizzo  scelto 
era  il  giusto. 

Essendo  Egli  assente  da  Parigi  la  mia  lettera  frap- 
pose qualche  tempo  a  pervenirgli,  cosichè  io  ebbi  la  rispo- 
sta solo  ai  primi  di  Agosto. 

In  questo  intervallo  ecco  che  con  mia  grande  sorpresa 
comparve  negli  Annales  di  Pasteur  un  lavoro  molto  ben  con- 
dotto del  Werigo  (*)  intorno  alla  diminuzione  dei  leucociti  in 
seguito  alla  iniezione  di  batterj  e  loro  prodotti  ed  a  polveri 
inerti,  ed  al  deposito  loro  nel  fegato  e  nella  milza.  Dopo 
questa  pubblicazione,  d'  una  coincidenza  sorprendente  coi 
miei  esperimenti,  a  me  non  restava  che  abbandonare  il  mio 
lavoro  di  già  iniziato  ed  in  qualche  punto  risolto  ;  ed  a 
questa  determinazione  sarei  giunto,  se  i  consigli  e  gli  inco- 
raggiamenti dell'  Illustre  Naturalista  russo  non  m' avessero 
spronato  a  continuarle  dichiarandole  :  très  intèressants  et 
parfaitemeni  dignes  d' ótre  poublióes. 

(1)  Les  glohules  blancs  comme  protecteurs  du  sang.    «  Annales  du 
Pasteur»,  tom.  VI,  n.°  VII. 


[7]  (881) 

Siccome  nella  esposizione  delle  mie  ricerche  dovevo 
necessariamente  rifei'ire  il  metodo  con  cui  avevo  elimi- 
nato i  leucociti  dall'  organismo,  ho  voluto,  con  una  testi- 
monianza di  tanto  valore,  provare  che  la  stessa  osservazione 
avevo  fatto  anch'  io  prima  che  il  lavoro  dell'egregio  Autore 
fi-ancese  fosse  stato  pubblicato. 

Ed  ora  prima  di  venire  alla  esposizione  di  quanto  ho 
rilevato,  mi  sia  lecito  di  ringraziare  anzitutto  il  prof.  E. 
Metchnikoff  di  tutti  i  preziosi  consigli  largitimi  a  proposito 
della  tecnica  e  delle  interpretazioni  dei  fatti  da  me  osservati; 
il  Prof.  Pietro  Canalis  direttore  dell'Istituto  d'Igiene  alla 
Università  di  Genova  per  le  molte  indicazioni  sommini- 
stratemi e  di  cui  ho  fatto  tesoro;  il  Prof.  De  Giovanni  ed 
il  Prof.  Bonome  per  la  ospitalità  larga  e  cortese  con  cui 
mi  hanno  accolto  a  lavorare  nel  loro  Istituto. 


L' iniezione  endovenosa  e  sottocutanea  dì  polveri  inerti 
determina  in  primo  tempo  una  modica  leucocitosi, 
successivamente  un'  ipoleucocitemia. 

Nel  1891  io  cominciavo  la  relazione  di  alcune  ricer- 
che mie  e  di  Accame  intorno  ai  globuli  bianchi  (Gaz.  Osp. 
N.  66,  Op.  cit.)  con  queste  parole  : 

«  Esistono  nel  sangue  umano  numerose  varietà  di  leu- 
»  cociti.  I  caratteri  per  cui  maggiormente  si  differenziano 
»  gli  uni  dagli  altri  sono: 

I.°  La  dimensione  del  globulo 

2.**  L'  aspetto  del  protoplasma 

3."  La  reazione  del  protoplasma 

4.°  Il  numero  dei  nuclei 

5.**  L'  aspetto  e  forma  dei  nuclei. 


(8S2)  [8] 

«  Infatti  noi  usserviamu  nei  .sanyiie  leucociti  a  proto- 
»  plasma  indifferenziato,  omogeneo,  a  granuli  finissimi  e 
»  tutti  eguali  (leucocito  pulverulento  di  Sappey),  del  dia- 
»  metro  fra  7  e  9  [jl  ;  —  ne  osserviamo  altri  a  diametro 
»  maggiore,  a  protoplasma  grossolanamente  granuloso,  con 
»  0  senza  nuclei  ;  —  osserviamo  leucociti  il  cui  protoplasma 
>  a  seconda  dei  varj  stati  morbosi  presenta  reazioni  cromo- 
»  chimiche  differenti.  Ne  osserviamo  ancora  con  nuclei  a 
»  vario  diametro  e  forma  ;  —  e  finalmente  leucociti  dotati 
»  di  movimenti  ameboidi  vivacissimi  ed  altri  affatto 
»  inerti.  » 

Dopo  due  anni  di  uno  studio  continuato  insistente- 
mente sul  sangue,  confesso  che  non  saprei  ritoccare  in 
nulla  quanto  allora  riferivo  e  che  non  saprei  del  pari  con 
meno  parole  esprimere  tutta  la  grande  varietà  delle  cellule 
bianche  circolanti  nel  sangue. 

Oggi  che  lo  studio  minuzioso  del  sangue  si  è  cosi  ra- 
pidamente imposto  e  tanto  favore  ed  interesse  ha  conqui- 
stato, le  ricerche  sui  leucociti  si  sono  in  modo  tale  estese 
che  anche  a  questo  riguardo,  cioè  della  classificazione  dei 
glol)uli  bianchi,  si  è  raccolta  una  ricca  bibliografia.  Sic- 
come il  dovere  riferire,  anco  in  succinto,  come  oggi  si  trovi 
tale  questione  esorbiterebbe  troppo  dagli  intenti  del  mio 
laA'oro,  mi  limiterò  solo  a  citare  in  modo  brevissimo  la  clas- 
sificazione di  alcuni  autori,  certamente  i  più  autorevoli  in 
questo  argomento. 

Il  Bizzozero  distingue  i  globuli  bianchi  in  leucociti 
piccoli  del  diametro  presso  a  poco  eguale  a  quello  delle 
emasie  (15-25  %)  ;  in  leucociti  di  diametro  maggiore  ed  a 
protoplasma  finamente  granuloso  (58-66  %)  ;  in  leucociti 
dello  stesso  diameti^o  ma  con  protoplasma  a  grossi  gra- 
nuli (13-15  %).  (1) 


(1)  Dichiariamo  che  questa  classificazione  è  tolta  da  una  raccolta 
di  lezioni  di  istologia  tenute  dall'  illustre  A.  e  stenografate  e  pubblicate 
da  studenti. 


[9]  (883) 

Hayem,  Schiiltz,  Renani  classificano  i  leucociti  in  4 
specie  : 

I.  cellule  piccole  rotonde  con  grande  nucleo  e  pic- 
colo strato  sottile,  non  contrattile,  di  protoplasma 

IL  cellule  alquanto  più  grandi  delle  precedenti  con 
protoplasma  pallido,  contrattile 

IH.  cellule  rotonde  fortemente  rifrangenti  con  pro- 
toplasma contrattile  più  o  meno  granuloso 

IV.  cellule  simili  alle  precedenti,  ma  provvedute 
di  granuli  risplendenti  o  nericcii,  ma  a  protoplasma  dotato 
di  molto  deboli  movimenti  ameboidi. 

Il  Rieder  adotta  la  classificazione  di  Hayem  come  la 
più  corretta  e  più  semplice  perchè  nelle  forme  N.  I  sono 
distinti  i  piccoli  linfociti,  nel  II  i  grandi  mononucleari, 
nel  HI  i  soli  nucleari  (II  e  IH  fagociti)  ;  nel  IV  le  cellule 
eosinofile. 

Elirlich  divide  i  globuli  ])ianchi  in 
1.°  —  linfociti  piccoli  a  diametro  di  0  Va  -  7  |jl,  con   nu- 
cleo  voluminoso 
2.°  —  linfociti  più  grandi 

3.°  —  in  cellule  grosse  rotonde    provviste  di  nucleo  vo- 
luminoso 
4.°  —  in    cellule    mononucleate    grandissime    con    largo 

strato  di  protoplasma  attorno  al  nucleo 
5.**  —  in   cellule    un    po'    minori    di    diametro,    ma    poli- 

nucleate. 
6.°  —  in  cellule  di  passaggio  fra  queste  due  forme. 

Questa  di  Ehrlich  è  la  classificazione,  senza  dubbio,  più 
dettagliata  da  parte  della  morfologia  ed  è  quella  che  si  vede 
più  citata  ed  usata.  Ha  però  il  difetto,  secondo  noi,  di  essere 
troppo  minuziosa  e  quindi  non  pratica  e  di  non  preoccuparsi 
a  rilevare  quali  di  questi  leucociti  sono  forniti,  ed  in  (juale 
misura,  di  processi  ameboidi. 

Secondo  Metchnikoff  la  distinzione  deve  anzitutto  pro- 
nunciarsi a})punt()  sulla  proprietà  di  locomozione  dei  .globuli 
bianchi.  Quindi  egli  separa  nettamente  i  linfociti  dai  leuco- 


(884)  [10] 

citi  pr()i)i'i;uiiente  detti  u  iugociti.  1  jjriiiii  .sono  privi  di 
processi  ameboidi  —  dotati  invece  ne  sono  alcuni  degli 
altri.  I  linfocUi  sono  elementi  mononucleari  con  scarso  pro- 
toplasma privo  di  })rocessi  ameboidi,  disposto  a  mo'  di  sot- 
tile anello  attorno  al  nucleo  l'elativamente  molto  grande  e 
colorabile  intensamente  coi  colori  basici  di  anilina,  in  quella 
vece  che  lo  è  assai  poco  il  protoplasma  della  cellula.  Leuco- 
citi mononucleari  con  un  nucleo  rotondo  od  ovale  od  anche 
a  forma  di  rene  o  falciato.  Sono  dotati  di  movimenti  ame- 
boidi pronunciati.  La  differenza  di  colorazione  fra  nucleo 
e  protoplasma  è  meno  distinta  che  nei  precedenti.  Leuco- 
citi eosinofìli  di  Ehrlich,  generalmente  ad  un  solo  nucleo 
ma  assai  di  frequenti  lobato,  suddiviso  ed  irregolare.  Essi 
non  hanno  mai  movimenti  ameboidi.  Leucociti  poUnuclem'i 
ad  un  sol  nucleo,  ma  diviso  in  più  lobi  tutti  trattenuti  da 
filamenti  o  nettamente  separati  fra  di  loro.  Il  loro  proto- 
plasma è  neutrofilo  ed  è  dotato  di  movimenti  più  energici 
di  tutti  gli  altri.  Siccome  essi  sono  i  più  numerosi  nell'uomo, 
rappresentando  i  tre  quarti  delle  cellule  bianche,  costitui- 
scono i  fattori  più  importanti  della  fagocitosi.  Il  loro 
protoplasma  si  lascia  tingere  indifferentemente  tanto  dai 
colori  acidi  che  dai  basici. 

Lowit  ha  trovato  le  cellule  mononucleari  essere  nella 
proporzione  di  20-30  %  ;  mentre  80-70  %  le  cellule  mono- 
nucleari polimorfe  e  polinucleari. 

Ehrlich  ed  Einhorn  le  prime  25  %,  le  seconde  75  %. 

Gràber  24  %  le  mononucleari,  76  %  le  polinucleari. 

Hayem  25  %  le  mononucleari,  77  %  le  polinucleari. 

Ouskow  18  %  le  mononucleari,  82  %  le  polinucleari. 

Tutti  questi  autori  tengono  pur  conto  della  cifra  per- 
centuale delle  cellule  eosinofile.  Siccome  colla  denomina- 
zione di  mononucleari  intendono  i  linfociti,  ed  alle  cellule 
eosinofile  son  tutti  concordi  a  negare  ogni  attività  proto- 
plasmatica,  noi  per  semplificare  le  cifre  abbiamo  addossato 
le  cellule  d'  Erhlich  alle  prime.  Esse  però  nei  sangue  sano 
non  costituiscono  che  il  6-7  %. 


[11]  (885) 

In  una  Memoria  presentata  al  Congresso  Medico  Ita- 
liano del  1891  intorno  alla  Necrobiosi  dei  globuli  bianchi, 
avevo  stabilito  una  classificazione  dei  globuli  bianchi  del 
sangue  umano  fisiologico  basata  su  criterj  morfologici  e 
suir  attività  protoplasmatica.  La  riferisco  tal  quale: 

«  Forme  a  (i)  globulo  liianco  —  il  meno  adulto  —  co- 
stituiti) da  un  leucocita  di  colore  ì)ianchiccio,  pallido,  ri- 
frangente la  luce,  di  diametro  di  [a  5-6,  a  protoplasma  quasi 
omogeneu  (ob.  Vis  X  oc.  Ili  Zeis),  di  forma  globosa,  a  mar- 
gini regolari,  non  molto  spiccati,  a  membrana  prodotta  da 
ispessimento  del  protoplasma,  trasparente,  sottile,  amorfa  ; 
non  dotato  di  movimenti    protoplasmatici,    solo    oscillatorj, 

resistente  alle  sostanze  coloranti Alcuni  autori  avreb- 

l)ero  osservato  anche  in  questi  leucociti  già  dei  movimenti 
ameboidi Dalle  nostre  ricerche  questa  presenza  si  ri- 
scontrerebbe in  elementi  più  adulti.  » 

Sulla  grandezza  del  loro  nucleo  ecco  che  cosa  scriveva- 
mo nella  relazione  delle  ricerche,  già  citate,  fatte  insieme  ad 
Accame  :  «  Se  il  globulo  bianco  appartiene  ad  individui  con 
sangue  in  tristi  condizioni  e  viene  per  di  più  immerso  in 
un  mezzo  non  opportuno,  noi  possiamo  vedere  in  (juei  rari 
globuli  a  protoplasma  ancora  omogeneo  subito  scindersi 
questa  massa  omogenea  ed  apparire  il  nucleo.  Le  dimen- 
sioni del  corpuscolo  sono  affatto  invariate,  il  suo  diametro 
essendo  sempre  di  \i  5-0.  La  massa  nucleare  è  separata 
dalla  massa  globulare  da  un  sottile  anello,  il  suo  diametro 
occupa  i  3/^j  del  globulo.  Si  lascia  fissare  energicamente  dal 
carminio.  »  Ta\ .  P,  Serie  A.» 

Nel  testo  di  queste  ricerche,  colla  denominazione  di 
forme  a  intenderemo  di  alludere  a  queste,  che  corrispon- 
dono perfettamente  ai  linfocili  di  Metschnikoff"  ed  alla  pri- 
ma categoria  dei  leucociti  di  Bizzozero  ed  Hayem,  ed  ai 
linfocili  piccoli  e  più  grandi  di  Ehrlich. 


(1)  Osservazioni  colla  camera  calda. 


(886)  [12] 

In  rapporto  agli  altri  loucociti,  neiruomo  sano,  abbiara 
trovato  che  stanno  nella  proporzione  :  :   1:10. 

Foì^me  b.  —  Elementi  a  margini  più  spiccati,  meno 
regolari,  diametro  maggiore,  forma  meno  globosa  e  più 
appiattita  dei  precedenti.  Movimenti  i)rotoplasmatici  lenti, 
rudimentali.  Sarebbero  uno  stadio  di  passaggio  ai  leucociti 
veri,  fagociti  mononucleai-i,  di  Metchnikoff.  Sarebbero  le 
grosse  cellule  mononucleate  della  categoria  3.*  e  4.^  di 
Ehrlich.  La  proporzione  loro  è  di  2:10. 

Forme  e.  —  Margini  frastagliati,  movmienti  amebi- 
formi  spiccati,  vivi,  frequenti. 

Sono  i  fagocili  polinucleari  di  M.  e  le  cellule  polin. 
di  Ehrlich.  La  loro  proporzione  è  di  :  :  6  :  10. 


Ho  creduto  di  dover  premettere  e  ripetere  simile  distin- 
zione netta  nella  confusione  di  questi  leucociti  perchè  in  tutte 
le  numerazioni  che  io  ho  fatto  in  questo  lavoro  ho  sempre 
separato  le  une  forme  dalle  altre.  In  quanto  alla  tecnica 
ho  seguito,  con  poche  varianti,  il  sistema  che  h(j  visto 
adopei-are  a  Vienna  nella  Clinica  di  Kahler  dal  D.^  Zappert 
nella  numerazione  delle  cellule  eosinotìle. 

La  iniezione  devesi  fare  nella  giugulare  preferibil- 
mente, in  modo  leiHissi/uo  e  dopo  essersi  assicurati  che  non 
vi  sieno  bolle  d'aria  nella  sii-inga,  e  che  non  ve  ne  pene- 
trino durante  l'operazione.  A  questo  modo  si  può  iniettare 
fino  a  8  cm'  di  soluzione  sodica  con  carbone.  Contempora- 
neamente si  può  del  pari  iniettare  altra  quantità  di  tale 
liquido,  però  in  dose  molto  maggiore  —  nel  peritoneo  e  nel 
tessuto  connettivo.  Siamo  arrivati  ad  iniettarne  perfino  25 
cm3  senza  recar  mai  alcun  danno  agli  animali.  Praticando 
successivamente  un  dolce  massaggio  tutto  viene  tosto  rias- 
sorbito. Infatti  se  dopo  40''  si  fa  una  incisione  nel  punto  di 
iniezione  si  scorge  facilmente  come  il  liquido  sia  in  modo 
completo  penetrato  in  circolo.  L'  iniezione  è  bene  farla  in 
più  luoghi,  sempre  naturalmente  usando  le  stesse  cautele. 


[13]  (887) 

Si  presta  ad  esempio  assai  bene  la  vemizza  che  si  incontra 
incidendo  la  pelle  della  regione  glutea.  In  tali  casi  la  em- 
liolia  è  poco  frequente.  E  bene  però  aver  d'  innanzi  che 
tale  eventualità  non  è  punto  rara,  tanto  che  non  poche 
volte  ebbimo  a  deplorare  la  morte  dell'  animale  —  mal- 
grado che  ogni  più  giudiziosa  cautela  fosse  stata  applicata. 
Conficcato  1'  ago  pieno  di  soluzione  tepida  a  35"  di  NaCh 
si  passa  un  laccio  in  modo  da  legare  strettamente  il  vaso 
e  r  ago.  Ad  ogni  siringa  che  si  inietta  è  bene  aspirare 
un  po'  collo  stantuffo,  in  modo  da  assicurarsi  che  non  vi 
siano  bolle  di  aria  e,  se  ve  ne  sono,  di  non  iniettarle.  Il 
liquido  deve  essere  sterilizzato,  sempre  tiepido  e  propinato 
lentissimamente. 

Siccome  è  giusto  quanto  dice  il  Mosso  che  l'agitazione 
della  miscela  di  sangue  è  suscettibile  di  alterare  gli  ele- 
menti morfologici  e  siccome  non  si  può  immergere  la  goc- 
cia neir  osmio  perchè  i  corpuscoli  resterebbero  fissati  fra 
loro  in  contatto,  ecco  come  io  procedo.  Raccolto  in  una 
provettina  un  centimetro  cubico,  meno  10  mm^,  di  una 
miscela  Pacini-Hayem  discretamente  colorata  con  bleu  di 
metile,  vi  verso  dentro  10  mm^  di  sangue.  Con  una  bac- 
chettina  capillare  delicatamente  agito  (juesta  miscela  fino 
al  punto  da  rendere  la  sospensione  omogenea.  Ciò  fatto 
verso  goccia  a  goccia  un  cm^  di  acido  osmico  all'  I  %.  Il 
titolo  della  sospensione  è  così  all'  1  :  200  e  tutti  i  globuli 
restano  liberi  e  separati  fra  di  loro.  Se  si  prova  a  fare 
una  numerazione  subito  e  ad  agitare  poscia  fortemente  il 
li({uido  e  dopi)  tale  manovra  ad  enumerare  di  nuovo,  non 
si  rileva  fra  le  due  numerazioni  nessuna  differenza  so- 
stanziale. 

Questo  per  la  numerazione  dei  globuli  rossi.  In  quanto 
poi  ai  globuli  bianchi,  seguendo  il  consiglio  di  Thoma,  ado- 
pero la  soluzione  di  acido  acetico  al  titolo  solito,  avendo 
cura  di  diminuire  1'  attenuazione  del  sangue  ad  un  rap- 
porto conveniente. 

Invece   della  pipetta  Thoma-Zeiss,  poco  pratica  e    da 


(888)  [14] 

bandirsi  assolutamente,  è  utilissimo  adoperare  delle  pipette 
della  capacità  di  un  cm^  con  divisione  almeno  a  metà  di  1 
cm3  ed  altre  della  capacità  di  10  mmS  divise  ad  0.1  di  mm^. 
Misurato  e  versato  Va  cm^  della  soluzione  acetica,  da  cui  è 
stato  tolto  coir  altra  pipetta  10  mra3,  in  una  piccola  pro- 
vettina,  si  aggiunge  10  mm^  di  sangue.  L'  attenuazione  è 
sufficiente  per  la  valutazione  facile  dei  globuli  bianchi. 

Per  celletta  di  contaggio  si  scelga  quella  di  Abbé-Zeis 
dopo  aver  prese  tutte  le  precauzioni  di  cui  abbiamo  par- 
lato altrove  (i)  e  che  qui  non  è  il  caso  di  ripetere.  La  nu- 
merazione si  può  fare  collo  stesso  metodo  come  pei  globuli 
rossi,  oppure  con  quello  speciale  raccomandato  da  Thoma 
e  descritto  da  Jalvsch  ('^).  La  capacità  cubica  essendo   data 

da  t:  \t)}  •  ^  '^i  può  calcolare  facilmente  —  tenendo  conto 

del  valore  della  attenuazione  e  dei  campi  numerati  — 
quanti  globuli  vi  sono  in  1  mm^  di  sangue  non  diluito. 
Contando  5  volte  sopra  50  campi  visivi  dello  stesso  prepa- 
rato, si  ha  con  questo  metodo,  un  errore  medio  di  4,5 
cellule  ed  un  errore  percentuale  di  zh  3,0  cellule. 

Contemporaneamente  alla  numerazione  degli  elementi 
fissati  si  deve  pure  fare  la  numerazione  degli  stessi  ele- 
menti versati  nella  soluzione  sodica  0,75  %  ^  •^■^°  '>  »^1 
liquido  di  Toison  senza  metilvioletto.  0(jn  questi  due  pro- 
cedimenti si  ha  così  la  quantità  relativamente  esatta  delle 
varietà  leucocitiche,  dal  punto  di  vista  anche  della  contrat- 
tilità, presenti  nel  sangue.  E  vero  che  per  tal  modo  l'esame 
viene  a  prolungarsi  del  doppio,  ma  nello  studio  degli  ele- 
menti corpuscolari  bianchi  simile  dettaglio  non  può  essere 
tralasciato  senza  incorrere  in  gravi  erroi'i.  Se  cosi  avessero 
fatto  Jaksch,  Sadler,  Reuter....  avrebbero  trovato,    come 


(1)  Castellino  P.,  Altera zionp,  del  sangue    »ella   pulmonite.    «-Atti 
della  Società  di  scienze  naturali  e  geografiche  di  Genova»,  1892. 

(2)  Jaksch,  Manuale  di  diagnostica  medica.  Vallardi. 


[15]  (889) 

abbiamo  trovato  noi,  che  la  leucocitosi  dirao.sti*ata  da  Hor- 


pirodina,  antipirina è  una  leucocitosi  composta  (|uasi 

esclusivamente  di  linfociti  e  che  siccome  lo  sviluppo  di 
fagociti  avviene  tardo,  potrebbe  essere  dannoso  il  provo- 
carla quando  con  questo  mezzo  si  vengono  a  distruggere 
pure  i  fagociti  esistenti  in  circolo. 

(In  questo  esperimento  la  diminuzione  dei  leucociti  co- 
minciò a  rilevarsi  dopo  1'  —  con  una  differenza  dallo 
stato  normale  di  2.000  globuli  bianchi.  Dopo  aver  per  due 
ore  oscillato  il  loro  numero  intorno  ai  3.000,  avemmo  un 
abbassamento  minimum  a  2.000  dopo  tre  ore.  —  Le  suc- 
cessive numerazioni  rilevarono  che  trascorso  questo  pe- 
riodo la  restìtutio  s' iniziò  lentamente,  cosichè  quattro  ore 
dopo  si  raggiunse  la  cifra  di  7.000.  Gli  esami  fatti  dopo 
sei,  sette  ore  notarono  il  ritorno  allo  stato  normale  e  i)iù 
tardi  una  fortissima  eccedenza  di  linfociti. 

In  quanto  alle  forme  a,  b,  e,  guardate  in  modo  gene- 
rale, si  rileva  che  la  diminuzione  dei  leucociti  in  iota  è 
data  dalla  forma  b  e  specie  dalla  e,  e  che  1'  aumento  suc- 
cessivo è  dato  dalla  forma  a. 

Il  numero  dei  globuli  rossi  non  fu  continuato  perchè 
nulla  può  avere  d' interessante  non  presentando  nessuna 
oscillazione.  Vediamo  infatti  che  dopo  12^  dalla  iniezione 
il  loro  numero  è  uguale  a  quello  riscontrato  ad  aninuile 
intatto. 

Ecco  ora  i  risultati  delle  prime  indagini  che  costitui- 
scono la  serie  A  (*). 


(1)  Per  consiglio  del  Prof.  Metchnikoft'  invece  del  carminio  e  tor- 
nasole usai  per  le  iniezioni  il  nero  fumo  e  la  polvere  di  carbone  ani- 
male. Agitate  bene  queste  polveri  in  una  soluzione  sodica  0,60  in  modo 
che  la  sospensione  avvenga  bene,  si  filtra  in  un  pannolino  fitto.  Si  fa 
bollire  bene  il  liquido  e  quando  è  tiepido  lo  si  inietta  lentamente.  La 
quantità  nei  conigli  è  di  5  cm^ 


(890) 


[16] 


Esperimento  I.  —  Coniglio  iiuiscliio.  Pelo  nero.  Giova 
Peso  1.7o5  ai'. 


Globuli 

Leucoc.  (•) 

Forme 

Forme 

Forme 

Fagociti 

Prima  deiriniezione 

rossi 

in  toto 

a 

b 

e 

b+c 

4.370.000 

11.000 

3.000 

3.000 

5.000 

8.000 

Dopo  r  iniezione 

12' 

4.100.000 

12.000 

2.500 

4.000 

5.500 

9.500 

30' 

_ 

4.000 

2.000 

1.000 

1.000 

2.000 

50' 

— 

5.000 

3.000 

1.000 

2.000 

3.000 

90' 

— 

4.000 

2.500 

1.500 

0 

1.500 

2  ore 

— 

4.500 

3.000 

1.500 

0 

1.500 

4     » 

— 

2.000 

1.000 

1.000 

0 

1.0^0 

6     » 

— 

7.000 

5.000 

3.000 

0       3.000  1 

X      » 

_. 

6.000 

4.000 

2.000 

0 

2.000 

Il   » 

— 

9.000 

5.000 

3.000 

1.000 

4.000 

27     » 

— 

10.000 

7.000 

3.000 

0 

3.000 

32     » 

— 

11.500 

7.000 

3.000 

1.000 

4.000 

(1)  Il  numero  dei  leucociti  nel  coniglio  sano  presenta  poche  oscil- 
lazioni fra  animale  ed  animale,  e  nello  stesso  individuo  fra  Tun  terri- 
torio vascolare  e  V  altro.  In  genere  esso  varia  fra  un  minimwn  di  8.500 
ed  un  maximum  di  10.000-1 1.000.  Le  forme  a  costituiscono  il  15-25  "/^i 
le  forme  b  il  25-40  %  ;  le  forme  e  60-35  V„  (fagoc.  85-75  %).  Nel 
coniglio  si  trovano  in  certo  nunero  i  globuli  bianchi  anfofìli,  che  nel- 
Tuomo  e  nel  cane  sono  rari. 

Le  cifre  riferite  sono  il  portato  dei  due  complessivi  sistemi  dì  nu- 
merazione. La  concentrazione  dell.i  diluizione,  per  potersi  avere  delle 
numerazioni  esatte,  deve  essere  proporzionale  alla  ipoglobulia. 

Anche  noi  per  la  migliore  evidenza  e  sriiplicitii  abbiamo  addottato 
il  sistema  di  presentare  cifre  rotonde. 


[17] 


(801) 


Esperimento  IL  —  Coniglio  rosso.  Giovane. 
Peso  1.99Ò  gr. 


Globuli 

Leucociti 

Forme 

Forme 

Forme 

Fagoc. 

Prima  dell'  iniezione 

rossi 

in  toto 

a 

h 

e 

/.  +  c- 

4.100.000 

8.000 

2.000 

1.000 

5.000 

6.000 

Dopo  r  iniezione 

5' 

4.200.000 

8.000 

2.000 

1.000 

5.000 

6.000 

10' 

— 

8.000 

2.000 

1.000 

5.000 

6.000 

15' 

— 

8.900 

2.000 

1.900 

5.000 

6.900 

20' 

— 

9.000 

2.000 

2.000 

5.000 

7.900 

35' 

— 

10.000 

1.000 

3.000 

6.000 

7.000 

50' 

— 

6.000 

3.000 

2.000 

1.000 

3.000 

70' 

— 

5.000 

3.000 

2.000 

0 

2.000 

90' 

~ 

4.000 

— 

— 

— 

— 

120' 

— 

3.U00 

3.000 

0 

0 

0 

In  questo  esperimento  il  n.°  dei  leucociti  si  è  mante- 
nuto costante  per  15'' — poscia  ha  presentato  un  aumento 
trascurabile  dopo  20^  ;  ed  un  eguale  aumento  ancora  dopo 
SS''.  La  diminuzione  dei  leucociti  avvenne  dopo  circa  50^ 
con  appena  una  sottrazione  di  soli  2.000  dalla  cifra  nor- 
male. Dopo  70'  r  esame  rileva  che  sono  diminuiti  3.000 
globuli  bianchi,  e  dopo  120'  il  loro  numero  si  è  abbassato 
di  5.000. 

Abbiamo  dunque  un  caso  che  si  stacca  un  poco  dal- 
l'esperimento precedente  se  non  pel  fatto  della  diminuzione 
dei  globuli  bianchi,  almeno  per  il  tempo  in  cui  tale  sottra- 
zione avviene.  Nel  primo  è  evidente  dopo  30';  in  questo  lo  è 
appena  dopo  50'. 


(892) 


[18] 


EsPKKiMKNT.»  in.  —  Conigiia.   Pelo  iiei'o.  Giovine. 
Pe.so   1.850  21'. 


Prima  d(3ll'  iniezione 

Globuli 
rossi 

Globuli 
bianchi 
in  toto 

Forme 
a 

Forme 
h 

Forme 
e 

Fagoc . 
bJrC 

4.995.000 

8.700 

1.000 

2.700 

5.000 

7.700 

Dopo  r  iniezione 

10- 

4.873.000 

11.000 

2.000 

3.000 

6.000 

9.000 

20' 

— 

16.000 

2.000 

4.000 

10.000 

14.000 

35- 

— 

7.000 

2.000 

3.000 

2.000 

5.000 

50' 

— 

4.000 

2.000 

2.000 

0 

2.000 

2  oiv 

— 

3.000 

2.000 

1.000 

0 

1.000 

6     » 

— 

4.300 

2.000 

2.300 

0 

•  2.300 

14     » 

— 

8.000 

3.000 

2.500 

2.500     5.000 1 

47     » 



9.300 

5.300 

2.000 

2.000 

4.000 

58     » 

~ 

9.900 

6.000 

2.900 

1.000 

3.90(^ 

Qui  al)biaino  un  fenomeno  che  non  ci  venne  dato  ri- 
levarlo nei  due  esperimenti  precedenti.  E  cioè  l' aumento 
considerevole  dei  globuli  bianchi  immediatamente  dopo  10^ 
Anche  in  questo  caso,  come  nel  primo,  la  diminuzione  dei 
globuli  bianchi  s' inizia  dopo  35^  e  procede  regolarmente 
ed  in  modo  uniforme  sino  a  toccare  la  sua  minima  dopo 
6  ore.  Nella  riparazione  successiva  la  cifra  dei  globuli 
bianchi  supera  di  1000  quella  normale  prima  dell'  esperi- 
mento. 


[19] 


(S!)3) 


Esperimento  IV.  —  Coniglio  maschio.  Pelo  bianco.  Adulto. 


Prima  dell'  iniezione 

nioiMiii 

rossi 

Globuli 
bianchi 
in  toto 

Forme 

a 

Forme 
b 

Forme 
e 

Fag-oc. 

4.800.000 

9.000 

.  2.000 

3.000 

4.000 

7.000 

Dopo  r  iniezione 

5' 

— 

9.000 

2.000 

3.000 

4.000 

7.000 

lo 

— 

14.000 

2.000 

5.000 

7.000 

12.000 

30' 

— 

6.000 

3.000 

2.000 

1.000 

3.000 

7V 

4.000 

3.000 

1.000 

0 

1.000 

4   ore 

2.000 

2.000 

0 

0          0    1 

43     y> 

— 

9.000 

7.000 

2.000 

0 

2.000 

75     » 

— 

10.000 

6.000 

1.000 

3.000 

4.000 

In  questo  quarto  esperimento  la  leucocitosi  immediata 
alla  iniezione  (15^)  fu  pure  rimarchevole,  come  è  pure 
evidentissima  e  pronta  (dopo  altri  15^)  la  successiva  dimi- 
nuzione dei  globuli  bianchi.  Anche  in  questo  caso  si  ha 
molto  lontanamente  un  leggerissimo  aumento  di  essi. 


7'.  rv,  S.  vri 


(894) 


[20] 


Esperimento  V.  —  Coniglio  maschio.  Adulto. 
Peso  2.400  o-r. 


Prima  dell'  iniezione 

Globali 
rossi 

Globuli 
bianchi 
in  toto 

Forme 
a 

Forme 
b 

Forme 
e 

Fagoc. 
Z/  +  C 

5.400.000 

12.000 

2.000 

4.000 

8.000 

10.000 

Dopo  r  iniezione 

5  ore 

— 

6.000 

4.000 

2.000 

0 

2.000 

7     » 

— 

7.000 

5.000 

1.000 

1.000 

2.000 

8     » 

— 

10.000 

8.000 

1.000 

1.000 

2.000 

9     » 

— 

13.000 

7.000 

4.000 

2.000 

6.000 

10     » 

— 

12.000 

6.000 

3.000 

3.000 

6.000 

In  questo  animale,  che  sebbene  sano  e  robusto  ci  si 
presenta,  eccezionalmente,  con  un  numero  di  leucociti 
molto  forte  (12.000)  ci  siamo  limitati  alla  valutazione  dei 
suoi  globuli  ad  un'epoca  molto  lontana  dalla  iniezione.  E 
ciò  per  vedere  se  successivamente  alla  diminuzione  dei  leu- 
cociti vi  fosse  poi  un  eccesso  di  produzione  come  avviene 
in  seguito  alla  iniezione  di  nucleina,  antipirina,  cantaridi- 
na  ecc. 

Dopo  10  ore  il  numero  delle  cellule  bianche  era  alla 
cifra  normale. 


Esperimento  VI. 


(s<)r)) 


Cane  robusto.  Razza  incrociata.  Adult( 


Prima  deiriniezione  1 

Globuli 
rossi 

Globuli 
bianchi 
in  toto 

Forme 
a 

Forme 
b 

Forme 

Fagoc . 

5.723.000 

11.900 

2.000 

4.000 

5.900 

9.900 

Dopo  r  iniezione 

5' 

— 

12.000 

2.500 

4.000 

6.000 

10.000 

15' 

— 

10.700 

3.700 

4.000 

3.000 

7.000 

20' 

— 

9.000 

4.000 

3.000 

1.000 

4.000 

80' 

— 

4.000 

3.000 

1.000 

0 

l.OOU 

2  ore 

— 

3.000 

2.000 

1.000 

0 

1.000 

9     » 

— 

8.000 

7.000 

2.000 

1.000 

3.000 

14     » 

— 

11.000 

8.000 

2.000 

1.000 

3.000 

16     » 

— 

10.000 

6.000 

2.000 

2.000 

4.000 

58     » 

— 

12.000 

5.000 

3.000 

4.000 

7.000 

(M     » 

— 

13.600 

3.000 

5.000 

5.600 

10.600 

82     » 

— 

12.000 

3.000 

5.000 

5.000 

10.000 

In  questo  caso  può  essere  rilevato  il  leggiero  grado  di 
leucocitosi  alla  61*  ora  :  (2.000  di  eccedenza).  Inoltre  assi- 
stiamo al  vario  succedersi  delle  forme  nella  diminuzione 
dei  leucociti  in  toto:  le  forme  b -\- e  da  10.000  cadono  a 
1000  dopo  1  a  2  ore,  nel  contempo  che  le  forme  a  oscil- 
lano fra  limiti  poco  sensibili  ;  nel  periodo  di  riparazione 
(9-14  ore)  quelle  rimangono  stazionarie  nel  mentre  che  au- 
mentano invece  i  linfociti  (2.000  ;  7.000  ;  8.000)  con  una 
eccedenza  sulla  forma  a  allo  stato  normale  di  5  a  6  mila. 


(1)  L'iniezione  fu  fatta  nelle  vene  superficiali    dell'addome 
allo  scoperto.  La  quantità  fu  di  30  cmJ  di  liquido  solito. 


(896)  [22] 

Finalmente  nel  ritorno  allo  slatu  quo  ante  in  quella  vece 
che  dette  forme  ridiscendono  alla  cifra  che  possedevano 
prima  della  iniezione,  aumentano  le  forme  h  -\-  e  per  rag- 
giungere anch'esse  il  numero  normale. 


Esperimento  VII.  —  Coniglio  sano. 
Peso  1.700  RT. 


Globuli 

Globuli 

Forme   Forme 

Forme 

Fagoc . 

Prima  dell'iniezione 

rossi 

bianchi 
in  toto 

n      1      b 

1 

e 

òA-c 

4.200.000 

9.000 

1.000 

2.000 

6.000 

8.000 

Dopo  r  iniezione 

5' 

— 

9.000 

— 

— 

— 

— 

10'-i5' 

— 

10.000 

— 

— 

— 

— 

25' 

— 

12.000 

2.000 

3  000 

7.000 

10.000 

30'- 

— 

20.000 

3.000 

7.000 

10.000 

17.000 

35' 

— 

12.000 

3.000 

5.000 

4.00) 

12.000 

40' 

— 

9.000 

2.000 

4.000 

3.000 

7.000 

50' 

— 

7.000 

— 

— 

— 

— 

90' 

— 

4.000 

— 

— 

— 

L'esame  di  questo  caso  ci  mostra  come  in  talune  volte, 
sia  l'aumento  dei  leucociti  che  la  loro  diminuzione,  avvenga 
molto  lentamente  e  tardivamente  e  come  quindi  questi  due 
fenomeni  non  obbediscano  di  necessità  a  nessuna  legge  fissa 
né  di  tempo,  ne  di  successione. 

Dimostra  ancora  insieme  all'  esperimento  III  a  quale 
cifra  considerevole  può  assurgere  la  leucocitosi  secondaria 
all'  iniezione  di  polvere  e  come  rapidamente  possa  di  poi 
diminuire    il  numero    delle  cellule  bianche  del  sangue. 


[23]  (897) 

Da  tutti  questi  sette  esperimenti  ci  è  dato  coucludere: 
I.  Che  l'iniezione  nelle  vene  periferiche  di  liquidi  con- 
tenenti in  sospensione  granuli  finissimi,  impalpabili  di  car- 
bone, nero  fumo  è  spesso  inocua  all'animale  ;  determina,  non 
sempre  però,  in  capo  a  pochi  minuti  un  discreto  aumento 
dei  leucociti  nel  circolo. 

IL  Che  a  questa  leucocitosi  succede  generalmente  una 
diminuzione  di  leucociti.  Tale  ipoglobulia  si  accentua  pro- 
gressivamente per  lo  spazio  di  più  ore. 

III.  Che  la  diminuzione  dei  leucociti  è  tutta  a  danno 
dei  globuli  bianchi  fagociti  (forme  h  e  e),  le  forme  a  re- 
stando stazionarie. 

IV.  Che  la  leucocitosi  che  si  sviluppa  dopo  la  inie- 
zione è  dovuta  all'aumento  delle  forme  e. 

V.  Che  dopo  10-1.5-20  ore,  quando  cioè  l'organismo 
comincia  a  rifarsi  dei  leucociti  perduti,  il  numero  dei  glo- 
buli bianchi  del  sangue  è  costituito  dalle  foì'me  a  quasi 
onninamente,  poco  vi  partecipano  le  forme  h,  meno  ancora 
le  forme  e. 

VI.  Il  ritorno  alla  proporzione  delle  varie  forme  allo 
stato  quo  mite  è  molto  laborioso  e  tardo.  Non  avendo  a 
questo  riguardo  che  pochi  esperimenti  non  possiamo  con- 
cludere in  modo  decisivo.  Da  quanto  ci  risulta  sembrerebbe 
che  occorrano  quasi  due  giorni. 

VII.  Non  ci  fu  dato  osservare  a  questa  ipoglobulia 
nessuna  leucocitosi  secondaria  marcata  e  degna  di  speciale 
rilievo. 

Vili.  Ritornato  il  numero  dei  leucociti  allo  stato  nor- 
male, mercè  l'aumento  spiccato  delle  forme  a,  queste  poco 
per  volta  cominciano  a  diminuire  in  quella  vece  che  au- 
mentano le  forme  ì)  e  e.  Cosicché  la  restituzione  è  prima 
quantitativa  mercè  la  neoproduzione  dei  linfociti,  poscia 
qualitativa  col  passaggio  di  questi  allo  sviluppo  progressivo 
di  fagociti. 


(898)  [24] 

II. 
I  fagociti  sono  suscettibili  di  una  stimolazione  secondaria  ? 

Mi  spiego.  Dagli  esperimenti  che  fin  qui  abbiamo  enun- 
ciato risulta  in  modo  evidente  che  la  restituzione  dei  leu- 
cociti avviene  mediante  la  varietà  linfocitica.  Ora  è  lecito 
chiedersi  perchè  ciò  e  non  il  ritorno  tal  quale  delle  forme 
mono  e  polinucleate  caratteristiche  dei  fagociti.  11  Werigo 
ha  dimostrato  che  i  leucociti  carichi  di  carminio  vanno  a 
depositarsi  nel  fegato  e  nella  milza.  Questa  osservazione  è 
già  molto,  ma  non  dice  tutto.  Forse  che  vi  si  distruggano  ? 
Sebbene  non  abbiamo  dati  per  provarlo  direttamente 
noi  confessiamo  che  questa  ipotesi  non  ci  sembra  aver  nulla 
di  inverosimile.  Questa  opinione  è  stata  pure  difesa  da 
Scheiber  e  Sudler  —  quantunque  sia  pure  ad  essi  mancato  il 
mezzo  per  dimostrarlo  rigorosamente.  Non  volendo  accettare 
questa  supposizione  bisogna  allora  ricorrere  ad  un  altro  fatto 
rilevato  dal  Werigo  nella  sua  bella  tesi.  Egli  ha  osservato 
che  le  cellule  endoteliali  ne  laissent  pas  passer  les  leu- 
cocytes  chargès  de  carmin:  elles  les  englohenl  et  for- 
ment  le^  grandes  cellules  avec  une  quantitè  cotisidè- 
ì'ahle  de  protoplasma,  qui  remplissent  quelquefois  enliè- 
rcmenl,  ou  presqiie  enlièrement,  la  cavitè  des  vaisseaux 
capillaires.  Les  leucocyles  vides  semblent  Irès  bien  tra- 
verser'  les  vaisseaux  :  on  en  trouve  toujours  dans  les 
■veines  centrales,  méine  dans  les  premibres  stades  apvès 
r  wJecHon,  on   il   est  très  di f fidi  de  les  considerer  comune 

dèjà    dèchargès   de   leur   carmin E<1  altrove  :  Mais 

coìmne  les  vaisseaux  capillaires  sont  dejà  sur  plusieurs 
point  bouchès  par  des  cellules  endolhèliales  gonfièes  par 
l'en  globe  meni  des  leucocytes,  les  leucocytes  qui  mennent 
plus   tard  dans   le  foie,   doivent   s'arréter  dans   les  cais- 


[25]  (899) 

seaux  inteHobulnii-es,  oh  ils  fornient  des  irombus  plus 
Oli  nioiìis  considèrahles.  Questi  fatti  spiegherebbero  molto 
bene  il  fenomeno  da  noi  rilevato. 

Ma  vi  ha  un  inconveniente  ed  è  che  questi  trombi  si 
dileguano  troppo  rapidamente  perchè  possano  fornirci  la 
ragione  del  nostro  quesito,  il  quale  resta  cosi  tutto  avvolto 
ancora  in  un  ombra  oscura  fitta  di  mistero. 

E  poiché  adunque  ci  manca  il  mezzo  diretto  di  poter 
arrivare  ad  una  tale  soluzione,  abbiamo  tentato  di  avvi- 
cinarci con  un  procedimento  molto  indiretto,  che  lo  rife- 
riamo per  quel  che  vale,  e  che  se  non  peserà  molto  sopra 
questa  questione,  a  noi  serve  almeno  per  dimostrare  che  : 
scomparsi  i  leucociti  in  seguilo  alla  iniezione  di  pol- 
veri inerii,  una  nuova  iniezione  di  sostanze  fortemente 
chimiotassiche  e  non  distrutlice  non  è  capace  di  pro- 
vocare una  nuova  leucocitosi.  (Si  potre])be  anche  con  questo 
fatto  dedurre  che  se  nessuna  leucocitosi  si  manifesta  pron- 
tamente a  tale  stimolo  segno  è  che,  per  adoperare  una  frase 
d'  uso,  non  vi  sono  leucociti  liberi  in  circolo.  Ma,  come 
ripeto,  non  vi  insistiamo).  Dagli  studj  di  Gabritchewsky, 
Pfeffer,  Hofmeister,  di  Metchnikoff,  di  Lowit,  Afanassiew, 
Massart  e  Bordet  sapendo  che  i  leucociti  sono  potente- 
mente attirati  dalle  soluzioni  deboli  dei  sali  di  sodio  e 
potassio,  glucosio,  peptone,  papaiotina,  carbonato  di  soda, 
sali  di  calce  (De  Giovanni  e  Castellino),  noi  ci  siamo  com- 
posti una  miscela  di  tutte  queste  sostanze  sulla  seguente 
proporzione  : 

Acqua  distillata  150,0 

Acqua  di  calce  seconda     25,0 
Fosfato  di  potassio  0,20 

Cloruro  di  sodio  1,50 

Peptone  e  Papaiotina       2,00 
Carbon.  di  soda  q.  b.  per  alcalinizzare  leggermente 

Questa  miscela  ha  una  attrazione  marcatissima  sui  glo- 


(1)00)  [26] 

buli  biaiichi.  Lo  .si  })ii(')  diinostrai'o  dii'ettamente  coi  capil- 
lari di  vetro  ed  anche  iiibeveiidone  dei  finissimi  fili  di 
cotone  che  poi  vengono  collocati  attraverso  un  preparato 
di  sangue  ricco  di  fagociti. 

L' iniezione  nell'  organismo,  in  questo  caso,  di  forti 
quantità  di  questa  miscela  non  determina  nessuna  leucoci- 
tosi, mentre  la  determina  in  quello  sano  immune  da  ogni 
manovra. 

Serie  K 

Esperimento  Vili.  —  Coniglio  sano.  Nero. 
Peso  2.370  gr. 


Globuli 

Leucociti 

Forme 

Forme 

Forme 

Fagoc. 

Prima  dell' iniezione 

rossi 

in  toto 

n 

b 

e 

b  +  c 

5.270.000 

10.000 

2.000 

1.000 

7.000 

8.000 

Iniez.  della  polvere 
dopo  6  ore 



5.000 

4.000 

1.000 

0 

1.000 

Iniez.  della  miscela 

20'                   1 

40'                   \                Nessusa  fiiodificazione  importante 

70' 

' 

2  ore 

— 

9.000 

— 

_ 

— 

Quest'  esperimento  è  abbastanza  eloquente.  Abbiamo 
atteso  ad  iniettare  la  miscela  di  peptone  e  papaiotina  dopo 
che  il  numero  dei  leucociti  si  era  in  modo  sensibile  abbas- 
sato e  nessun  aumento  successivo  di  essi  venne  potuto  ve- 
rificare. 

In  due  altri  esperimenti,  che  tralasciamo  per  brevità, 
ottenemmo  press'  a  poco  gli  stessi  risultati. 

E  forse  ozioso  il  rilevare  1'  alto  interesse  che  aveva 
per  noi  il  risolvere  tale  (questione  e  l'aver  potuto  ottenere 


[27]  (901) 

questi  risultati,  poiché  se  i  leucociti  avessero  risposto  alla 
stimolazione  chimiotassica  con  un  nuovo  afflusso  di  essi  nel 
circolo,  è  evidente  che  uno  dei  concetti  principali  della 
nostra  tesi  —  quello  cioè  di  dimostrare  l'importanza  della 
fagocitosi  nelle  infezioni  col  sottrarre  o  diminuire  forte- 
mente i  leucociti  dal  circolo  nel  momento  di  invasione 
dell'  organismo  da  parte  dei  piogeni  —  sarebbe  caduto. 
Infatti  se  colla  iniezione  della  miscela  di  peptone  ecc.  si 
avesse  potuto  provocare  il  ritorno  dei  globuli  bianchi  nel 
circolo  si  avrebbe  invece  dimostrato  che  il  loro  allontana- 
mento era  più  fittizio  che  reale,  potendo  con  un  mezzo 
cos'i  semplice  essere  di  nuovo  richiamati  nel  circolo  me- 
desimo, e  che  i  piogeni  una  volta  penetrati  nel  sangue 
nel  periodo  di  leucofenia  avrebbero,  stimolando  coi  loro 
secreti  eminentemente  chimiotassici  il  loro  ritorno,  avuto 
a  sostenere  l' identica  lotta  che  nei  casi  normali. 


III. 


Agenti   che    modificano   il   fenomeno   delia   diminuzione 
dei  fagociti  per  inlezione  di  polveri. 


Il  prof.  Rovighi  di  Siena  ha  presentato  all'ultimo  Con- 
gresso della  Società  di  Medicina  Interna  a  Roma  una  re- 
lazione di  alcune  sue  ricerche  intorno  alla  Influenza  della 
temperatura  del  co?'po  sulla  leucocitosi.  Egli  ha  trovato 
(die  sottomettendo  gli  animali  a  basse  temperature  i  leu- 
cociti aumentavano  di  numero,  in  quella  vece  che  diminui- 
vano se  invece  l'animale  veniva  immerso  in  temperature 
(devate. 

L'A.  non  ha  voluto,  a  ragione,  dare  di  questo  fatto  una 
interpretazione  recisa  —  d'altronde  esso  cosi  modifica   so- 


(i)02)  [28] 

stanzialmente  (juanto  ci  avevano  lasciato  intravedere  Lym- 
beck  e  Pèe  che  ogni  illazione  sarebbe  stata  forse  precipi- 
tata. (Lymbeck  e  Pée  hanno  affermato  che  la  leucoci- 
tosi è  cosi  in  istretto  rapporto  colla  temperatura  che  il 
ti'acciato  di  essa  corrisponde  esattamente  a  quello  del 
numero  dei  globuli  biaDchi).  Alle  osservazioni  di  Rovi- 
ghi  io  aggiunsi  alcune  altre  mie  personali,  fatte  quest'an- 
no nel  Lal)oratorio  di  Microscopia  della  Clinica  Medica 
di  Genova  e  che  riguardano  questo  lavoro,  le  quali  veni- 
vano modestamente  a  confermare  le  conclusioni  dell'O.  Mi 
pei'inisi  però  osservare  che  mentre  la  ipoglobulia  prodotta 
dal  riscaldamento  non  eccessivo,  e  la  ijìerglobulia  dal  raffred- 
damento erano  pure  secondo  me  vere,  l'organismo  anziché 
guadagnarne  nel  secondo  caso,  aveva  a  patirne  un  grave 
danno,  inquantochè  il  raffreddamento  paralizza  i  processi 
ameboidi  dei  fagociti. 

Giorni  or  sono  il  Winternitz  alla  R.  I.  Accademia  di 
Vienna  ha  portato  alcune  sue  indagini  precisamente  sopra 
questo  argomento,  ])er(')  limitandosi  solo  alla  valutazione  nu- 
merica dei  corpuscoli  bianchi.  Siccome  (juesto  A.  si  afferma 
reciso  fautore  della  fagocitosi,  avendo  trovato  che  il  raf- 
freddamento determina  una  leucocitosi,  egli  si  crede  per  ciò 
autorizzato  senz'altro  a  consigliare  che  nelle  malattie  in- 
fettive l'uso  del  bagno  freddo  debba  essere  largamente  ado- 
perato onde  possa  l'organisnu)  disporre  di  un  maggiore  nu- 
mero di  questi  elementi  destinati  alla  sua  difesa. 

Malgrado  che  il  Winternitz  sia  tutt'altro  che  un  os- 
servatore nuovo  agli  studi  del  sangue  ed  un  osservatore 
superficiale,  noi  riteniamo  di  nessun  valore  questa  leuco- 
citosi ed  anzi  crediamo  che  l'ottenerla  a  quel  prezzo  sia 
un  grave  danno  per  l'organismo  in  cui  la  si  provoca. 

Presentiamo  due  soli  esperimenti  a  questo  riguardo. 
Essi  sono  altl»astaiiza  dimostrativi. 


[29] 


(903) 


Serie  C 

Esperimento  IX,  —  Coniglio  giovine. 
Colore  grigio  con  macchie  nere.  Peso  2.200  gr. 


Globuli 

Leucociti 

Forme 

Forme 

Forme 

Condizioni    normali  : 

Immerso  allatemper. 
di  +  15«  per  80' 

Iniezione  di  polvere 

rossi 

in  toto 

a 

/; 

e 

4.200.000 
3  300.000 

8.000 
11.000 

1.000 
3.000 

2.000 
2.000 

5.000 
4.000 

30- 

— 

10.000 

3.000 

2.000 

5.000 

50' 

— 

9.000 

— 

— 

— 

70' 

— 

8.000 

— 

— 

— 

2  ore 

- 

8.400 

1.200 

3.000 

4.200 

L'esame  colla  camera  calda  non  rileva  che  scarsi  e 
rudimentali  })rocessi  ameboidi.  Essi  sono  lentissimi.  Questo 
esperimento  dimostra  anzitutto  la  diminuzione  dei  globuli 
rossi,  diminuzione  che  tocca  quasi  il  milione  ;  secondaria- 
mente l'aumento  di  3.000  leucociti,  tutti  appartenenti  alle 
forme  a.  Inoltre  che  l'immersione  alla  temperatura  bassa  ha 
paralizzato  i  processi  ameboidi.  Infatti  oltre  che  1'  esame 
nella  camera  calda,  lo  dimostra  pure  il  fatto  che  la  inie- 
zione della  polvere  non  ha  determinato,  come  nelle  osserva- 
zioni precedenti,  nessuna  ipoglobulia. 

Esperimento  X.  —  Coniglio  grigio.  Adulto.  Sano. 

Pe.so  gr.  2.700. 

Si  sottopone  alla  stessa  manovra  del  precedente. 

Gli  si  introducono  dei  capillari  di  Pfeflfer  forniti  di  mi- 
scela di  peptone,  papaiotina  ecc.  ecc. 

Do^ìo  4  ore  si  ritirano  con  scarsissimi  elementi  corpu- 
scolari penetrati, 


(904)  [30] 

Q.iiesto  (esperimento  dimostra  la  depressa  irritabilità  dei 
leucociti. 

Senza  dilungarci  ancora  colla  citazione  di  altri  espe- 
rimenti riferiamo  sommariamente  le  conclusioni  avute  col 
trattamento  opposto. 

Si  sottopone  un  cane  ad  una  temperatura  oscillante 
soi)ra  i  -\~  45?  per  50'-70'. 

La  numerazione  del  sangue  fatta  sul)ito  do^ìo  questo 
tempo  rivela  una  diminuzione,  però  assai  leggera,  dei  leu- 
cociti. Esaminati  immediatamente  al  microscopio  in  un  am- 
biente tepido  essi  presentano  una  spiccata  attività  ameboide 
del  loro  protoplasma. 

Del  resto  in  altra  serie  di  indagini  (i)  avev(j  già  dimo- 
strato come  a  38°  i  movimenti  di  queste  cellule  sieno 
energici,  pronti,  rapidi  ;  le  digitazioni  molto  lunghe  e  ve- 
ramente amebiformi. 

Oltre  che  l'abbassamento  forte  della  temperatura,  pure 
altri  trattamenti  diminuiscono  in  modo  più  o  meno  sensibile 
la  facoltà  contrattile  del  protoplasma. 

In  una  serie  di  esperienze  fatte  in  collaborazione  col 
Prof.  De  Giovanni  sulla  contrattibilità  dei  minimi  capillari 
sanguigni,  abbiamo  —  ri}»etendo  1'  esperimento  istituito  da 
Bernard  e  modificato  leggermente  da  Massart  per  lo  studio 
dei  corpuscoli  bianchi  -  immerso  delle  rane  in  una  soluzione 
cloroformica  molto  allungata,  in  un'  altra  di  paraldeide 
airV4oo>  in  un'altra  di  ossalato  di  sodio  e  potassio. 

Dopo  un  certo  periodo  questi  animali,  esaminando  al 
microscopio  la  loro  lingua,  presentavano  oltreché  1'  inerzia 
dei  corpuscoli  bianchi,  quella  anche  dei  capillari. 

Se  si  cloroformizza  un  coniglio  od  un  cane,  o  loro 
si  somministra  della  paraldeide  o  si  inietta  dell'  idrato  di 
cloralio  e  della  cocaina,  noi  otteniamo  l'anestesia  dei  ii-lo- 


(I)  Castellino,  Sulla  necrobiosi  lenta  dei  leucociti.  Genova,  R.  Ac- 
cademia di  Medicina. 


[31]  (005^ 

buli  bianchi.  Se  si  procede  alla  iniezione  delle  polveri,  ci  si 
ri  presenta  lo  stesso  fenomeno  che  nell'esperimento  IX  e  X. 


Coadiuvato  gentilmente  dal  Dr.  Agosti,  assistente  della 
Clinica  Medica  di  Padova,  ho  voluto  dosare  esattamente  la 
resistenza  massima  che  offre  il  coniglio  a  tali  anestetici. 
Abbiamo  a  tale  uopo  scelto  una  ventina  di  conigli  sani, 
giovani,  robusti  e  li  abbiamo  sottoposti  parte  alle  iniezioni 
di  cocaina,  parte  a  quelle  di  idrato  di  cloralio,  di  paraldeide 
e  cloroformio. 

Ecco  succintamente  i  risultati  di  tali  osservazioni  : 

Esperimento  XI.  —  Coniglio  grigio.  Peso  gr.  1800. 

Iniezione  di  20  cgr.  di  idrato  di  cloralio  nel  tessuto 
sottocutaneo. 

Dopo  25^  r  animale  comincia  "a  dare  segni  di  sonno- 
lenza, che  mantiene  per  lo  spazio  di  due  ore.  Ritorna,  in 
seguito,  svegliato  e  vivace. 

Offertogli  del  pasto  se  ne  ciba  con  discreta  avidità. 

Esperimento  XII.  —  Coniglio  nero.  Peso  gr.   1.700. 

Iniezione  di  30  cgr.  di  cloralio  nel  tessuto  sottocutaneo. 

Sonnolenza  dopo  20''  che  si  mantiene  per  2  ore. 

Esperimento  XIII.  —  Coniglio  rosso-scuro.  Peso  gr. 
1.690. 

Iniezione  di  35  cgr.  di  idrato. 

Fenomeni  simili  al  precedente. 

Esperimento  XIV.  — Coniglio  nero.  Peso  gr.  1.700. 

Iniezione  di  40  cgr.  di  idrato  di  cloralio. 

Effetti  idem  al  precedente. 

Esperimento  XV.  —  Coniglio  nero.  Peso  gr.  1.790. 

Iniezione  di  50  cgr.  di  cloralio.  Sonnolenza  marcata 
dopo  20'. 

L' animale  socchiude  gli  occhi  mantenendosi  difficil- 
mente in  equilibrio.  Reagisce  poco  agli  stimoli. 

Si  sveglia  e  ritorna  vivace  dopo  2  ore. 

Esperimento  XVI.  —  Coniglio  bianco.  Peso  gr.  1.670. 


(9(UÌ)  [32] 

Iniezione  di  (io  cgr.  di  cioralio.  Sonnolenza  marcaUi 
dopo  15^ 

L'  animale  si  sdraia  sul  snolo  incapace  a  mantenersi 
diritto. 

In  questo  frattempo  potendo  tornar  ciò  utile  per  altra 
serie  di  esperimenti  in  corso  col  Dr.  Cavazzani,  gli  si  re- 
cide il  nervo  sciatico. 

Scarsa  reazione  da  parte  deiranimale  a  tale  operazione 
dolorosissima  e  che  di  solito  lo  fa  prorompere  in  istrida 
acutissime. 

EsPERiMEXTO  XA^ll.  —  Coniglio  baio-cenere.  Peso  gr. 
1.800. 

Iniezione  di  85  cgr.  di  cloralio. 

Sonnolenza  dopo  15''  marcatissima.  L'animale  si  sdraia 
sul  suolo  come  morto.  La  respirazione  diventa  difficile,  lenta, 
superficiale.  Il  cuore  batte  con  meno  energia.  Anche  questo 
coniglio  viene  sottoposto  alla  recisione  dello  sciatico  e  non 
presenta  nessuna  reazione.  La  pupilla  non  reagisce  affatto 
alla  luce. 

In  questa  posizione  di  profondo  abbandono  1'  animale 
resta  per  lo  spazio  di  6  ore  e  se  ne  -  rimette  lentissima- 
mente. 

Esperimento  XVIII.  —  Coniglio  rosso.  Peso  gr.  1.700. 

Iniezione  di  85  cgr.  di  cloralio. 

Sonnolenza  profonda  uguale  al  precedente.  Però  l'ani- 
male non  se  ne  rimette. 

Muore  dopo  8  ore. 

Esperimento  XIX.  —  Coniglio  bianco.  Peso  gr.  1.800. 

Iniezione  di  75  cgr.  di  cloralio. 

Lo  stato  di  depressione  comincia  a  manifestarsi  dopo 
5''  e  si  fa  spiccatissimo  dopo  20'  tempo  in  cui  alla  posizione 
eretta  succede  (|uella  sdraiata.  Respirazione  superficiale, 
lenta.  Cuore  alquanto  depresso.  Temp.  37. 

Lo  stato  normale  ritorna  dopo  10  ore. 

Esperimento  XX.  —  Coniglio  nero.  Peso  gr.   1900. 

Iniezione  di   1   ar.  di  idrato  di  cloralio. 


[33]  (907) 

Abbandono  completo  dopo  5'.  Si  sveglia  dopo  11  ore. 

Questa  dose  l'abbiamo  ripetuta  in  altri  animali  quasi 
dello  stesso  peso  ed  abbiamo  avuto  il  60  %  delle  morti. 
Quella  che  noi  riteniamo  come  la  massima  compatibile 
colla  vita  è  la  dose  di  80  cgr.  Bisogna  però  iniettare  sem- 
pre sotto  la  cute  perchè  nel  peritoneo  essa  è  decisamente 
mortale.  Tutti  gli  animali  di  saggio  in  cui  la  provammo  — 
e  furono  in  numero  di  sei  —  vissero  tutti  presentando,  con 
poca  differenza  gli  stessi  fenomeni. 

La  resistenza  alla  cocaina  (i)  è  poi  sorprendente  in  questi 
animali.  La  sua  azione  si  manifesta,  in  tesi  generale,  in 
primo  tempo  con  uno  stato  di  eccitazione,  di  inequietezza 
per  cui  se  l'animale  è  a  piede  libero,  per  alcuni  minuti 
sente  il  bisogno  di  muoversi,  di  camminare  senza  posa,  su- 
scettibile al  menomo  stimolo  ed  al  rumore  che  gli  si  fa 
attorno.  Poscia  incontrato  un  cantuccio  si  accovaccia  e  si 
nasconde  quasi  fosse  preso  da  uno  stato  di  spossamento.  Se 
invece  è  legato  per  un  piede  si  agita  fortemente,  slancian- 
dosi in  tutti  i  sensi,  ravvoltolandosi  sul  terreno,  impaziente 
dei  legami  che  lo  trattengono.  Anche  qui  dopo  un  certo 
periodo,  che  può  oscillare  dai  20'  ai  30'  subentra  uno  stato 
di  calma,  di  raccoglimento. 

Il  numero  dei  conigli  sottoposti  a  tale  iniezione  fu  di 
dodici. 

Esperimento  XXI.  —  Coniglio  bianco.  Peso  :  gr.  1.400. 

Si  inietta  4  centigr.  di  idrocl.  di  cocaina. 

L'  animale  non  presenta  subito  nessuna  reazione.  Dopo 
15'  però  comincia  a  presentare  dei  sintomi  di  una  forte  ecci- 
tazione. Cammina  in  un  modo  molto  irrequieto,  continuo, 
senza  mostrarsi  mai  stanco.  Il  minimo  rumore  lo  stimola 
a  dei  movimenti  più  gagliardi. 


(1)  Prima  di  iniettarla  è  bene  assicurarsi  se  essa  è  pura.  Il  modo 
di  accertarsene  è  assai  facile  e  spiccio  :  si  tratta  la  soluzione  di  idro- 
clorato con  SO^H-  concentrato  ;  se  essa  rimane  incolora  è  segno  che  la 
cocaina  è  pura. 


(908)  [84] 

Dopo  un'oi-a  ritoi-na  a  poco  [)er  volta  di  nuo\o  tran- 
(luillo. 

Esperimento  XXII.  —  Coniglio  bianco.  Peso:  gT.  1.600. 

Si  inietta  5  e  V-2  centigr.  di  idroclorato  di  cocaina. 

Dopo  10^  s' inizia  ad  un  tratto  lo  stadio  di  forte  ecci- 
tazione. Di  repente  gli  arti  posteriori  non  ubbidiscono  più, 
l'animale  tentando  continuare  la  sua  corsa  è  costretto  a 
trascinarli  quasi  inerti  aiutandosi  cogli  arti  anteriori.  Pre- 
sto mancano  anche  questi  e  sopraviene  una  forte  contra- 
zione di  tutti  gli  arti  e  dei  muscoli  del  tronco  e  del  collo 
cosicché  si  ravvoltola  sul  terreno  poggiando  sempre  sul 
fianco,  in  preda  ad  una  contrazione  dolorosissima  gene- 
rale. Dimena  incessantemente  le  gambe  con  un  movimento 
rapido,  presenta  marcato  opistotono  ed  esoftalmo.  Du- 
rante questo  accesso  ora  si  allunga  sul  terreno  ora  si  rac- 
coglie ad  arco  riunendo  le  zampe  e  la  testa.  La  respirazio- 
ne è  frequente,  molto  superficiale.  Dopo  15^  minuti  questo 
quadro  comincia  a  presentarsi  con  sintomi  meno  gravi.  A 
poco  a  poco  cedono  le  contrazioni  e  gli  spasimi  e  succede 
uno  stato  di  languore,  di  stanchezza.  Dopo  40'  1'  animale 
tenta  di  nuovo  servirsi  dei  suoi  arti  trascinandosi  lenta- 
mente sul  terreno. 

Dopo  50''-60''  esso  è  ritornato  allo  stato  normale. 

Esperimento  XXIII.  —  Coniglio  nero.  Peso:  gr.  1.700. 

Si  iniettano  centigr.  7,60  di  idroclorato  di  cocaina. 

I  sintomi  presentati  dal  coniglio  precedente  si  ripetono 
nella  identica  forma  di  successione  ma  con  una  durata  ed 
intensità  maggiore. 

Però  dopo  60''  anche  in  ({uesto  caso  tutto  a  poco  a 
poco  scompare  e  l'animale  ritorna  alle  condizioni  di  prima. 

Esperimento  XXIV.  —  Coniglio  color  cenere.  Peso  : 
gr.  1.350. 

Si  iniettano  6  e  V-2  centigr.  di  cocaina. 

Sebbene  il  coniglio  sia  minore  di  peso  dei  precedenti 
i  fenomeni  tetaniformi  sono  molto  più  miti. 

Completo  ristabilimento  dopo  40'. 


[35]  (tX)!)) 

Esperimento  XXV.  —  Coniglio,  peso:  gr.  1.890.  Inie- 
zione 8  cgr.  di  cocaina.  Forti  convulsioni  e  contrazioni  dei 
muscoli  del  tronco  della  nuca  e  degli  arti  dopo  3'.  Esoftal- 
mo molto  marcato.  L'animale  emette  strida  fortissime  che 
presto  poi  cessano,  dimena  ed  agita  furiosamente  le  zampe 
e  si  rotola  sul  terreno.  Questo  quadro  dura  circa  10^  poi 
a  poco  per  volta  lentamente  tutti  i  sintomi  si  fanno  meno 
marcati  e  dopo  1  ora  l' animale  ritorna  alle  condizioni  nor- 
mali. 

Esperimento  XXVL  —  Coniglio.  Peso:  gr.  1.970.  Inie- 
zione centigr.  8,25.  Ripetizione  dei  fatti  precedenti.  Però 
r  animale  muore  dopo  .30^ 

Esperimento  XXVII.  —  Coniglio.  Peso:  gr.  1.800.  Inie- 
zione 7,50  centig.  di  cocaina.  Vive. 

Esperimento  XXVIII.  —  Coniglio.  Peso  :  gr.  1.900. 
Iniezione  8,50  centig.  di  cocaina.  Vive. 

Esperimento  XXIX.  —  Coniglio.  Peso:  gr.  1.870.  Inie- 
zione 8,50  centig.  di  cocaina.  Vive. 

Esperimento  XXX.  —  Coniglio.  Peso:  gr.  1.890.  Inie- 
zione 8  centig.  di  cocaina.  Muore. 

Esperimento  XXXI.  —  Coniglio.  Peso:  gr.  1.900.  Inie- 
zione 9  centig.  di  cocaina.  Vive. 

Esperimento  XXXII.  —  Coniglio.  Peso:  gr.  1.875.  Inie- 
zione 9  centig.  di  cocaina.  Muore. 

La  paraldeide  si  presta  anch'essa  molto  bene  a  questi 
esperimenti  perchè  gli  animali  ne  sopportano  delle  dosi 
molto  forti.  La  sua  azione  si  manifesta  senza  l'eccitamento 
iniziale  che  abbiamo  veduto  tener  dietro  alla  iniezione  di 
cocaina  a  dosi  moderate  (0,25-0,30  di  paraldeide  per  1  kg. 
di  animale)  non  deprime  la  temperatura,  come  non  ha  in- 
fluenza sulla  respirazione  e  rivoluzioni  cardiache  ;  a  dosi 
alquanto  maggiori  (0,50-1,00  per  1  kg.)  le  inspirazioni  si 
fanno  un  po'  più  ampie  e  lente  e  d'altrettanto  più  prolungate 
le  espirazioni  ;  la  temperatura  si  mantiene  sempre  sui  39,5- 
40.  11  sonno  è  assai  tranquillo,  si  avanza  in  modo  uniforme 
cosi  che  il  coniglio  presenta  dapprima  un  leggero  torpore  nei 

2'.  IV,  S.  VII  61 


(910)  [36] 

movimenti,  il  quale  poco  per  volta  progredisce  fino  al  punto 
che  l'animale  sentendo  di  reggersi  difficilmente  si  allunga 
disteso  sul  terren(j  e  dorme.  —  Se  la  quantità  è  ancora 
maggiore  (1,50-2  gr.)  i  fenomeni  che  seguono  sono  merca- 
tissimi.  L'animale  dopo  V-3'  dalla  iniezione  cade  come  fulmi- 
nato sul  suolo,  incapace  di  ogni  movimento  eccetto  nel  caso 
in  cui  venga  fortemente  stimolato.  Però  la  reazione  anche 
allora  è  assai  limitata  e  fugace.  La  respirazione  diminuisce 
di  7  a  10  atti,  la  temperatura  si  abbassa  di  1  ed  anche 
di  2  gradi.  Il  sonno,  costituito  da  vero  letargo,  dura  3  a  6 
ore.  Dopo,  poco  per  volta  comincia  la  temperatura  a  rial- 
zarsi, le  respirazioni  a  farsi  più  frequenti  e  normali,  e  gii 
arti  a  presentare  qualche  movimento.  Nel  volgere  di  un'ora 
l'animale  è  ritornato  alle  condizioni  di  prima.  A  tre  gram- 
mi, e  tre  grammi  e  mezzo  —  cifra  come  si  vedrà  dagli 
esperimenti  che  presentiamo,  massima  —  questi  fenomeni 
sono  ancora  più  allarmanti  ed  il  letargo  può  durare  anche 
8  a  9  ore.  A  4  gr.  si  ha  la  paralisi  dei  muscoli  respira- 
tori la  quale  avviene  dopo  15,  20,  24  ore,  mentre  il  cuore 
continua  a  pulsare  in  modo  fiacco  e  tardo. 

Dell'  azione  di  questa  sostanza  sulla  contrattilità  del 
protoplasma,  nessuno  —  ad  eccezione  delle  ricerche  rudi- 
mentali e  troppo  vaghe  fatte  da  Massart  e  Bordet  —  se 
n'  è  occupato.  Altrettanto  dicasi  a  riguardo  della  posologia. 
Abbiamo  quindi  dovuto  ristudiarla  completamente  sia  sui 
protisti  che  sui  leucociti  per  istabilire  la  sua  proprietà 
funzionale  di  fronte  all'  apparato  contrattile  del  protopla- 
sma ed  i  limiti  propri  di  tossicità  sugli  animali. 

In  quanto  alla  prima  questione  le  nostre  esperienze 
in  vitro  ci  conducono  a  ritenere  che  l' azione  paralizzante 
è  delle  più  spiccate.  Iniettata  poi  nel  circolo  agli  animali 
(esperi m.  XXXIII-XXXIX)  anche  alla  dose  di  gr.  0,50  per 
1  kg.  produce  una  forte  diminuzione  dei  processi  fagocitar! 
cosicché  i  leucociti,  quando  si  inietti  contemporaneamente 
la  polvere  di  carbone,  non  mostrano  più  la  tendenza  a 
diminuire  dal  circolo. 


[37]  (mi) 

Esperimento  XXXIII.  —  Coniglio,  peso:  gr.  1.700.  Glo- 
buli bianchi  8.700. 

Iniezione  di  0,50  di  paraldeide  e  4  di  liquido  con  in- 
dico carminio.  Dopo  70''  sonno  tranquillo.  Globuli  bianchi 
7.900.  Dopo  2  ore  globuli  bianchi  7.800.  Dopo  4  ore  8.200. 

L'animale  si  sveglia  ed  è  perfettamente  sano. 

Esperimento  XXXIV.  —  Coniglio,  peso:  gr.  1.850.  Glo- 
buli bianchi  9.500. 

Iniezione  di  0,90  di  paraldeide  e  4  di  liquido  con  in- 
dico carminio.  Dopo  90'  globuli  bianchi  10.000.  Dopo  3 
ore  globuli  bianchi  9.800,  dopo  5  ore  8.700. 

L'animale  si  sveglia  dopo  4  ore  e  mezza. 

Esperimento  XXXV.  —  Coniglio,  peso:  gr.  1.797.  Glo- 
buli bianchi  10.000. 

Iniezione  di  1,25  di  paraldeide  e  4  di  acqua  con  car- 
bone. Dopo  35'  globuli  6:  9.800,  dopo  75'  8.900,  dopo  4 
ore  9.000. 

L'animale  si  sveglia  dopo  7  ore. 

Esperimento  XXXVI.  —  Coniglio,  peso:  gr.  1.900.  Glo- 
buli bianchi  7.900. 

Iniezione  di  1.50  di  paraldeide  e  4  di  acqua  e  carbone. 
Dopo  2  ore  (3.000  globuli  bianchi,  dopo  4  ore  7.200,  dopo 
5  ore  7.800. 

Il  coniglio  si  sveglia  dopo  6  ore. 

Esperimento  XXXVII.  —  Coniglio,  peso:  gr.  2.000. 
Globuli  bianchi  9.000. 

Iniezione  di  2  di  paraldeide  e  4  di  acqua  e  carbone. 
Dopo  70'  globuli  bianchi  8.750,  dopo  2  ore  9.100,  dopo  4 
ore  8.900. 

L'animale  si  sveglia  dopo  8  ore. 

Esperimento  XXXVIII.  — Coniglio,  peso:  gr.  1.975. 
Globuli  bianchi  10.000. 

Iniezione  di  gr.  2.60  di  paraldeide  e  4  di  liquido  pre- 
cedente. Nessuna  modificazione  sul  numero  dei  leucociti. 

Si  sveglia  dopo  8  ore. 


(912)  [38] 

Esperimento  XXXIX.  —  Coniglio,  peso  :  gr.  2.200.  Glo- 
buli bianchi  9.000. 

Iniezione  di  gr.  3  di  paraldeide  e  4  dello  stesso  li(juido. 
Nessuna  modificazione  apprezzabile  sulla  quantità  dei  leu- 
cociti. 

Si  sveglia  dopo  10  ore. 

In  questi  altri  esperimenti  non  venne  esaminato  il 
numero  dei  globuli  essendoci  limitati  a  dosare  la  resistenza 
del  coniglio  alla  paraldeide. 

Esperimento  XL.  —  Coniglio,  peso:  gr.  1820. 

Iniezione  di  3.20  di  paraldeide.  Fenomeni  di  grave 
collasso.  Temperatura  dopo  3  ore  :  37  respirazioni  dimi- 
nuite di  8.  Cuore  fiacco,  debole,  appena  percettibili  le  sue 
pulsazioni.  Si  sveglia  dopo  12  ore.  Off"erto  all'animale  del 
pasto  non  se  ne  ciba,  rimane  intontito  e  pigro  ancora  per 
qualche  ora. 

Respirazioni  ai  N.  di  37. 

Esperimento  XLI.  —  Coniglio,  peso  :  gr.  1864. 

Iniezione  di  3.50  di  paraldeide.  Dopo  5''  dorme  e  si  sve- 
glia dopo  12  ore.  Messo  cogli  altri  compagni  nella  conigliera 
egli  si  mantiene  lontano  ed  accovacciato. 

Esperimento  XLII.  —  Coniglio,  peso:  gr.  1.915. 

Iniezione  di  3.60  di  paraldeide.  Dopo  3^  comincia  a 
presentare  paralisi  del  treno  posteriore.  L'animale  stimo- 
lato fortemente  cerca  sfuggire  trascinandosi  coll'aiuto  degli 
arti  toracici,  sbanda  e  si  rotola  sul  terreno;  dopo  10^  dorme 
profondamente. 

Muore  dopo  19  ore  di  sonno  mai  interrotto. 

Esperimento  XLIII.  —  Coniglio,  peso  :  gr.  1870. 

Iniezione  di  4  gr.  di  paraldeide.  Fatti  imponenti  di 
collasso.  Respirazione  difficile  e  lenta.  Temperatura  37. 
Dopo  4  ore  si  abbassa  a  34. 

Muore  dopo  18  ore. 

Esperimento  XLIV.  —  Coniglio,  peso  :  gr.  2120. 

Iniezione  di  4  gr.  di  paraldeide.  Presenta  gli  stessi 
fenomeni  del  precedente. 


[89]  (913) 

Muore  dopo  24  ore. 

Dall'  esame  di  tutti  ({ue.sti  fatti  dobbiamo  anzitutto 
conchiudere  : 

1."  che  la  inerzia  dei  globuli  bianchi,  osservati  ad 
una  temperatura  conveniente,  si  ìnoslrò  già  inarcata  alle 
dosi  di  60  cgr.  di  idrato  di  cloì^lio  e  massima  e  com- 
pleta in  quei  cogligli  sottoposti  a  80  cgr.  della  stessa  so- 
stanza. In  quelli  iniettati  di  coi  aina  e  di  paraldeide  la 
paralisi  della  contrattilità  del  protoplasma  si  ha  più  ra- 
pidamente, con  una  durata  maggiore  e  maggiore  intensità. 

Era  necessario  che  noi  dovessimo  occuparci  di  tali 
dosaggi  per  avere  dei  termini  esatti  di  confronto  e  stabili- 
re se  realmente  queste  sostanze  sono  capaci  di  produrre 
r  inerzia  del  protoplasma  leucjcitico.  Gli  studj  fatti  a  que- 
sto proposito  fin'  ora  erano  molto  contraditorj  e  lasciavano 
molto  sospesi  e  perplessi  intorno  a  tale  efficacia.  Mentre 
Massart  e  Bordet  per  es.  alla  dose  di  1  cgr.  di  soluzione 
di  idrato  di  cloralio  all'  1  %  sulle  rane  non  ha  trovato 
nessuna  modificazione  sulla  chiraiotassia,  il  Reuter  riusci 
ad  averla  ;  ed  il  Platania  —  somministrando  di  tale  so- 
stanza 40  cgr.  per  ogni  Kg.  di  animale  —  a  rendere  su- 
scettibili i  cani  al  carbonchio,  {})  Cosi  pure  il  Massart  e  Bor- 
det non  ebbero  dalla  azione  della  cocaina  nessuna  alterazione 
sulla  chimiotassia  dei  leucociti,  mentre  invece  l' Albertoni 
ha  osservato  una  influenza  deprimente  nella  contrattibi- 
lità  del  protoplasma,  ed  altrettanto  il  Sighicelli  sui  muscoli 
striati  del  bulbo  oculare  e  quelli  lisci  dello  sfintere  del- 
l' iride  ;  ed  il  Mosso  U.  sulle  fibre  muscolari  liscie  delle 
pareti  vasali  con  cui  la  cocaina  viene  a  contatto. 

A  questo  proposito  si  vegga  pure  Richard,  Action  de 
la  cocaine  sur  les  invertebrc^s.  (C.  R.  de  l'Ac.    des    Se.  T. 


(1)  Citiamo  questo  fatto  perchè  esso,  secondo  noi,  più  che  alla 
diminuita  alcalinità  del  sangue,  come  pretesero  Zagari  ed  Innocenti,  è 
dovuto  alla  paralisi  della  contrattilità  dei  globuli  bianchi. 


(^1-4)  [40] 

100  N.  22).  —  Schui-rnayer,  (Zeits(3h  f.  Nat.  XXIV  1890). 
Quest'A.  ha  osservato  che  la  soluzione  0,01  %  uccide  le 
amebe.  Ha  studiato  pure  1'  azione  sopra  gii  infusorj.  La 
conclusione  è  che  :  l'apparato  conlrattlle  è  presto  intaccato 
e  presto  si  ferma.  Dopo  debole  irritazione,  succede  una 
profonda  paralisi  e  forte  vacuolizzazione.  11  l).'"  Faggioli 
Fausto  ha  osservato  i  medesimi  fatti  cioè  paralisi  del  reti- 
colo di  jaloplasma,  rallentamento  della  vibrazione  ciliare, 
deformazione  subferica  nelle  forme  allungate.  Ha  trovato 
per  dose  limite  di  tossicità  la  seguente  cifra  :  0,0063  o/q. 
Mentre  a  questa  dose  si  hanno  ancora  dei  fatti  depressivi, 
al  di  sotto  di  essa  la  cocaina  non  provoca  nessun  fenomeno, 
forse  anzi  uno  stimolo  favorevole. 

II.°  che  la  dose  di  tossicità  massima  è  per  1  kg.  di 
animale  ;  per  la  cocaina,  4-5  cgr.  ;  per  V  idrato  di  clo- 
ralio, cgr.  40  ;  per  la  par  aldeide,  gr.  50. 


IV. 
Applicazioni  batteriologiche  dei  fenomeni  rilevati. 


Eccoci  ora  al  punto  più  importante  delle  nostre  ri- 
cerche le  quali,  senza  provocare  lesioni  sostanziali  nell'or- 
ganismo, solo  eliminando  meccanicamente  per  parecchie  ore 
dal  circolo  i  leucociti  dotati  di  pi'ocessi  ameboidi,  dimostrano, 
in  una  maniera  tanto  semplice  quanto  evidente,  1'  impor- 
tanza della  fagocitosi  e  come  essa  costituisca,  non  il  solo, 
ma  almeno  il  pii^i  importante  fattore  della  immunità. 

Per  non  complicare  troppo  e  prolungare  inutilmente 
gli  esperimenti  ci  siamo  serviti,  quali  agenti  patogeni,  del 
Vibrio  Metchnihovii  ed  il  diplococco  di  Fraenkel  ottenuto 
fresco  dal  sangue  di  coniglio  inoculato.  Siccome  noi  vole- 


[41]  (915) 

vaino  operare  su  tali  animali,  abbiamo  rinvigorito,  col  me- 
todo di  Salander,  il  pjtere  patog-eno  del  vibrione  passan- 
dolo attraverso  il  piccione.  E  che  di  fatti  tale  rinvigori- 
mento fosse  avvenuto  lo  dimostrava  la  prova  di  controllo 
fatta  sulle  cavie.  Iniettando  sotto  la  cute  di  una  cavia  di 
circa  500  gr.  10  cc^  di  brodo  sterilizzato  dove  il  vibrione 
aveva  prosperato  Y  animale  muore  dopo  circa  24  ore.  Se  si 
inietta  in  una  cavia  dello  stesso  peso  la  stessa  quantità  di 
brodo  dove  sia  stato  coltivato  il  vibrione  ottenuto  dal  pic- 
cione, la  cavia  muore  in  10  ore,  presentando  subito  dopo 
r  iniezione  un  rapido  abbassamento  della  temperatura  che 
si  continua  tino  alla  morte.  Nel  primo  caso  l'abbassamento 
è  preceduto  da  un  movimento  di  iperpiressia  di  varia 
durata. 

Il  coniglio  colla  prima  coltura  muore  dopo  5  giorni 
se  se  ne  inietta  2  cm^  ;  colla  seconda  coltura,  nella  stessa 
quantità,  muore  dopo  10-15  ore.  (S'intende  che  la  iniezione 
è  praticata  nel  tessuto  connettivo,  poiché  se  la  coltura  viene 
ad  introdursi  nella  vena  la  morte  accade  assai  più  rapida- 
mente anche  con  meno  quantità  di  liquido).  Con  tali  pas- 
saggi abbiamo  ottenuto  un  vibrione  che  uccide  il  piccione 
in  24  ore  in  seguito  alla  iniezione  di  0,15  di  coltura  pura 
in  brodo,  e  che  uccide  il  coniglio  sano  e  del  peso  di  gr. 
1600-1900  in  14-16  ore  colhi  iniezione  di  0,80-1.00  cm3 
sotto  la  pelle. 

Da  alcune  poche  esperienze  che  abbiamo  fatto  credia- 
mo che  tale  virulenza  non  si  mantenga  costante  per  molto 
tempo,  cosichè  per  premunirci  maggiormente,  da  qualche 
coniglio  morto  abbiamo  ripetuto  le  culture  saggiando  di 
nuovo  dopo  la  loro  potenza.  Dovendo  conservare  poi  il 
sangue  infettato  o  1'  edema  per  le  successive  culture,  noi 
lo  abbiamo  raccolto  dal  cuore  aspirandolo  con  capillari  co- 
strutti e  sterilizzati  alla  fiamma  e  dopo  l' operazione  di 
nuovo  alla  fiamma  fuse  le  loro  estremità.  Prima  di  ado- 
perarli si  immergeva  il  capillare  in  sublimato  poi  in  acqua 


(91(5)  [42] 

riapertili  con  una  pinza  sterilizzata  si  conticcava  1'  ago  di 
platino  intriso  di  questo  sangue  nella  provetta  in  gelatina, 
e  di  qui  poi  in  brodo. 

Per  determinare  la  quantità  esattamente  di  batterj 
iniettati  si  sarebbe  potuto  procedere  numerando  quanti 
batteri  si  trovano  in  una  goccia  di  cultura  pura  sciolta  in 
una  quantità  nota  di  acqua  e  di  cui  è  stata  tolta  un'altra 
goccia  sciogliendola  in  una  provetta  di  gelatina. 

Noi  abbiamo  proceduto  alquanto  più  grossolanamente. 
Stabilito  quanto  occorre  di  cultura  pura  per  uccidere  un 
coniglio,  tenuto  conto  anche  del  tempo  impiegato  a  morire, 
e  chiamando  questa  quantità  x,  abbiamo  fatto  delle  solu- 
zioni progressivamente  decrescenti  in  brodo  di 

ce        X        X        X        X 
2'     3'     4'     5'     6  • 

Siccome  a  noi  interessava  non  già  sapere  quanti  ba- 
cilli di  una  data  cultura  occorrevano  per  uccidere  un  dato 
animale,  ma  invece  quali  frazioni  della  prima  proporzione 
i^x)  erano  sufficienti  per  produrre  i  fenomeni  ottenuti  con 
X,  questo  metodo  ci  è  sembrato  pratico  e  facile.  Natural- 
mente le  diluizioni  debbono  farsi  nel  momento  in  cui  si 
deve  procedere  alla  inoculazione. 


Serie  D  (i) 

Esperimento  XLV  a.  —  Coniglio  sano  maschio.  Peso 
gr.  2.000. 

Si  inietta  sotto  la  cute  1  cin^  della  cultura  di  vibrioni 
rinvigoriti  a  traverso  il  piccione. 

La  cultura  data  da  due  giorni.  Dopo  sei  ore  l'animale 
comincia  a  perdere  della  sua  vivacità.  Inseguito  e  stimolato 

(1)  Gli  esperimenti  segnati  colla  lettera  a  sono  di  controllo. 


[43]  (917) 

i  suoi  movimenti  sono  lentissimi.  Si  trascina  pesantemente 
e  con  fatica.  Collocato  nella  conigliera  non  partecipa  alla 
vivacità  dei  compagni.  Il  respiro  si  presenta  un  po'  più  fre- 
quente e  superficiale.  Dopo  10  ore  il  respiro  è  frequente; 
la  temperatura  è  aumentata  di  2  gradi.  E  sofferente  e 
reagisce  pochissimo  agli  stimoli.  Evidente  paresi  del  treno 
})osteriore  ed  incipiente  degli  arti  anteriori. 

Dopo  16  ore  è  morto. 

Esperimento  XLVI  h.  —  Coniglio  robusto.  Maschio. 
Nero.  Peso  gr.  2.100. 

Si  inietta  nella  vena  gr.  7  di  soluzione  sodica  contenente 
del  carbone  finamente  sospeso  e  filtrato  a  traverso  la  tela. 

11  numero  dei  globuli  bianchi  prima  della  iniezione  è 
di  9.700.  Dopo  4  ore  è  di  2.000.  Si  inietta  in  questo  frat- 
tempo 1  cm3  della  cultura  di  vibrioni  identica  alla  prece- 
dente. Dopo  2  ore  1'  animale  comincia  già  a  presentare  len- 
tezza dei  movimenti,  scarsa  reazione  agli  stimoli,  frequenza 
di  respiro,  aumento  di  temperatura.  Il  numero  dei  leucociti 
è  di  3.000.  Dopo  6  ore  le  condizioni  dell'animale  sono  assai 
gravi.  Paralisi  del  treno  posteriore  completa  ;  meno  degli 
arti  anteriori.  Qualche  contrazione  tetanica. 

Dopo  12  il  coniglio  è  morto. 

Esperimento  XLVII  a.  —  Coniglio  robusto.  Maschio. 
Peso  gr.  2.500. 

Si  inietta  0,25  della  cultura  pura,  virulenta  di  9  giorni. 
L' animale  dopo  8  ore  comincia  a  presentare  una  forte 
stanchezza,  fatica  nei  moviuìenti,  non  fiuta  più  colla  carat- 
teristica tensione  ed  irrequietezza  della  testa,  ha  invece  un 
atteggiamento  dimesso,  passivo.  Respirazione  :  90;  tem- 
peratura :  39.7. 

Muore  dopo  30  ore. 

Esperimento  XLVIII  h.  —  Coniglio  sano.  Grigio  giovine. 
Peso  2.625.  Esame  dei  globuli  bianchi  :  9.700. 

Si  inietta  gr.  8  della  soluzione  sodica  contenente  car- 
bone. 

Dopo  4  ore  i  suoi  globuli  sono  ridotti  a  3.400. 


(918)  [44] 

Si  inietta  0.25  della  stessa  cultura  del  precedente.  Gli 
stessi  fenomeni  sopra  descritti  e  clic  si  ottenevano  dopo  8 
ore,  in  questo  caso  si  hanno  dopo  un'ora  e  Va-  Questo  stato 
dura  lungo  teni{)o  presentando  sempre  dei  sintomi  più  gravi. 
Dopo  quattro  ore  la  respirazione  superficiale  e  frequente  di 
prima  si  è  fatta  difficile,  lenta,  profonda  ;  durante  l'atto  in- 
spiratorio  il  torace  si  dilata  sensibilmente,  mentre  non  si  ab- 
bassa parallelamente  durante  l'espirazione.  Temperatura:  38. 

Muore  dopo  22  ore. 

Esperimento  XLIX  a.  —  Coniglio  grigio  maschio.  Peso  : 
gr.  2.300. 

Si  inietta  0.20  della  cultura  pura  del  diplococco  di 
Fraenkel. 

Il  coniglio  muore  dopo  tre  giorni. 

EsPEitiMENTO  L  h.  —  Coniglio  nero  maschio  robusto. 
Peso:  gr.  2.200.  Es.  del  sangue:  gì.  bianchi  9.700. 

Si  inietta  la  polvere  di  carbone  in  8  gr.  Dopo  4  ore 
i  globuli  bianchi  sono  ridotti  a  2.100.  Si  inietta  la  stessa 
dose  della  cultura  precedente. 

Il  coniglio  muore  dopo  due  giorni  (32  ore). 

Esperimento  LI  a.  —  Coniglio  bianco  sano.  Peso  :  gr. 
1.800. 

Si  inietta  0.05  della  cultura  fresca  di  diplococco. 

Muore  dopo  63  ore. 

Esperimento  LII  h.  —  Coniglio  bianco  sano.  Razza  iden- 
tica al  precedente.  Peso:  gr.  l.()00.  Esame  globuli  ])ianchi. 
9.800. 

Si  inietta  la  polvere  di  carbone  alla  dose  di  7  gr. 
Dopo  4  ore  i  globuli  sono  ridotti  a  1.900.  Si  inietta  0.04 
della  stessa  cultura  del  precedente. 

Muore  dopo  40  ore. 


Da  questi  esperimenti  è  lecito  arguire  la  importanza 
dei  fenomeni  fagocitarli  dei  leucociti.  Infaitl  nell'as>ienza  o 
diminuzione  di  questi  si  vede  che  se  le  culture  batteriche 


/ 

[45]  (919) 

sono  sif,ffìcienti  ad  uccidere  l'animale  intatto,  nell'altro 
a,  che  ha  subito  la  iniezione  delle  polveri  inerti  la  stessa 
quantità  di  cidtura  lo  uccide  in  molto  minor  tempo.  Se 
la  cultura  è  in  quella  dose  da  non  provocare  la  morte, 
i  sintomi  presentati  dal  coniglio  con  ipoglohulia  sono 
d'  assai  più  gravi. 

Serie  E  (*) 

EsPERiMEMTo  LUI  a.  —  Coniglio  nero.  Maschio.  Sano. 
Giovine.  Peso:  gr.  1.970.  Esame  del  sangue  :  globuli  bianchi 
10.700. 

Si  inietta  0  gr.  della  soluzione  sodica  con  carbone  e 
contemporaneamente  40  cgr.  di  idrato  di  cloralio.  11  sonno 
avviene  profondo  in  capo  a  10'.  Dopo  35'  i  globuli  sono  : 
9.700.  Dopo  50'  8.600. 

Dopo  poche  ore  l'animale  è  svegliato  e  sano. 

Esperimento  LIV  h.  —  Coniglio  bianco.  Maschio  sano. 
Peso:  gr.  1.860.  Esame  del  sangue:  globuli  bianchi  9.600. 

Si  inietta  8.  gr.  della  soluzione  e  carbone  e  contempo- 
raneamente 35  cgr.  di  idrato  di  cloralio.  Dopo  40'  i  glo- 
buli sono  8.700.  Si  inietta  0.50  della  stessa  cultura  pura 
adoperata  negli  esperimenti  della  serie  D. 

L'animale  muore  in  15  ore. 

Esperimento  LV  a.  —  Coniglia  bianca.  Sana.  Peso  :  gr. 
1.900.  Esame  del  sangue:  globuli  bianchi  9.000. 

Si  inietta  la  polvere  nella  dose  di  5  gr.  di  soluzione 
e  si  inietta  contemporaneamente  7  cgr.  di  idroclorato  di 
cocaina.  Dopo  40'  i  globuli  bianchi  sono  8.200.  Dopo  55': 
8.000.  Si  somministra  di  nuovo  2  cgr.  di  cocaina  e  dalla 
prima  iniezione  i  globuli  sono  8.000. 


(1)  Per  il  controllo  dell'azione  virulenta  della  cultura  sul  coniglio 
sano  servono  gli  esperimenti  della  serie  D. 


(920)  [46] 

Quattro  ore  più  tardi  1'  animale  è  di  nuovo  vispo  e 
sano. 

Esperimento  LVI  h.  —  Coniglia  bianca.  Sana.  Peso  gr. 
1.800.  Esame  del  sangue:  globuli  bianchi   10.000. 

Si  inietta  6  gr.  di  liquido  con  polvere  e  7  cgr.  di  co- 
caina. Inoltre  0.50  di  cultura  pura  di  vibrione  di  hog-colera. 
L'animale  muore  dopo  1.'5  ore. 

Esperimento  LVII  a.  —  Coniglio  grigio.  Sano.  Peso  : 
gr.   1.970.  Esame  del  sangue  :  globuli  bianchi  9.700. 

Si  inietta  la  solita  quantità  di  carbone  dopo  aver  clo- 
roformizzato l'animale.  Dopo  40'  i  globuli  bianchi  sono  9.500. 
Dopo  60':  8.600.  Dopo  2  ore  (mantenendo  sempre  la  cloro- 
formizzazione)  :  9.200.  Si  sospende  la  cloroformizzazione. 
Dopo  2  ore  :  8.:  500. 

Esperimento  LVllI  Z^. —  Coniglia  bianca.  Sana.  Peso: 
gr.  1.800.  Esame  del  sangue  :  globuli  bianchi  10.000. 

Si  cloroformizza  poco  a  poco  l'animale,  quindi  si  inietta 
la  stessa  quantità  di  carbone  del  precedente.  Dopo  30'  si 
inietta  0.50  di  cultura  pura  di  vibrione  di  hog-colera. 

L'animale  muore  dopo  11  ore. 

Esperimento  LIX  u.  —  Coniglio  grigio.  Sano.  Peso:  gr. 
1.800.  Esame  del  sangue  :  globuli  bianchi  9.700. 

Si  sottopone  alla  temperatura  di  -}-  15°  per  un'ora.  Si 
inietta  5  g.  di  liquido  con  polvere.  Dopo  .30'  i  globuli  sono 
14.300. 

Dopo  55'  sono  12.800. 

Esperimento  LX  h.  —  Coniglio  nero  sano.  Peso  1.700. 
Esame  del  sangue  :  globuli  bianchi  9.200. 

Si  sottopone  alla  temperatura  di  -j-  15°  per  un'ora.  Si 
inietta  alla  fine  del  bagno  per  la  vena  giugulare  e  nel  tes- 
suto sottocutaneo  8  gr.  di  liquido  con  polvere.  Dopo  70'  si 
inietta  0.50  della  cultura  di  vibrione  di  hog-colera. 

L'animale  muore  in   12  ore. 


[47]  (921) 

Conclusioni  generali. 

Da  tutti  questi  esperimenti  risulta  : 

I.  Che  r  iniezione  in  circolo  di  polveri  inerti,  lina- 
mente sospese  in  liquido  sterilizzato,  ha  la  caratteristica  di 
diminuire,  in  modo  più  o  meno  marcato,  i  fagociti  nel 
sangue  circolante. 

II.  Che  questi  fagociti,  una  volta  scomparsi  e  rifu- 
giatisi nel  fegato,  milza  .  .  .  non  risentono  più  1'  azione  di 
sostanze  fortemente  chimiotassiche,  cosicché  l' iniezione  di 
esse  non  ha  la  proprietà  di  provocare  il  loro  immediato 
ritorno  in  circolo. 

III.  Che  l'idrato  di  cloralio  alla  dose  di  40  cgr.  per  1 
kg.  produce  una  letargia  forte  con  paralisi  dei  processi 
ameboidi  e  fagocitarii. 

IV.  Che  la  cocaina  alla  dose  di  4-5  centigrammi  pro- 
voca fatti  identici. 

V.  Che  la  cloroformizzazione  dell'  animale  deprime 
del  pari  l'attività  protoplasmatica  delle  cellule  bianche. 

VI.  Che  il  bagno  freddo,  mentre  aumenta  considere- 
volmente il  numero  dei  leucociti,  abbassa  esso  pure  i  poteri 
fagocitarii. 

VII.  Che  la  paraldeide  fruisce  essa  pure  di  tale  fa- 
coltà. 

VIII.  Che  l'azione  paralizzante  della  cocaina,  cloralio, 
cloroformio,  paraldeide,  bagno  freddo  sui  globuli  bianchi  è 
provata  dalla  persistenza  in  circolo  dello  stesso  numero  di 
leucociti  uguale  al  normale,  quando  queste  sostanze  ven- 
gano' fatte  agire  contemporaneamente  all'  iniezione  del  li- 
quido con  carbone. 

IX.  Che  sottoponendo  l'animale  a  dette  manovre  esso 
diventa  più  suscettibile  alla  infezione  e  tale  da  dover  soc- 


(922)  [48] 

combere  a  ({uella  (iiiantità  di  cultui-a  cui  in  condizioni  abi- 
tualmente normali  resiste.  Questa  suscettibilità  è  dovuta 
essenzialmente  alla  depressione  dei  fenomeni  fagocitaci  ('). 

Padova,,  Febbraio  1893 


(1)  Anche  l'inauizione  deprime  molto  la  attività  protoplasmatica  e 
rende  molto  suscettibili  gli  animali  alle  iniezioni,  come  hanno  in  modo 
decisivo  dimostrato,  per  i  primi,  Canalis  e  Morpurgo.  Noi  non  abbiamo 
nelle  attuali  indagini  tenuto  parola  di  questo  fatto  perchè  qui  entrano 
in  campo  altri  fattori  che  noa  sia  il  processo  fagocitarlo  e  pur  essi 
della  più  grande  importanza.  In  uno  studio  che  stiamo  facendo  nella 
Clinica  Medica  di  Padova  sulle  alterazioni  fisico-chimiche  del  sangue 
durante  la  inanizione  lenta  ci  siamo  pure  occupati  di  simili  ricerche. 


CONTRIBUTO 

ALLO 

STUDIO  DELLA  COAGULAZIONE 

DEL 

DOTT.    PIETRO    F.    CASTELLINO 


Questi  esperimenti  che  oggi  io  presento  qui  assai  bre- 
vemente esposti  nelle  loro  conclusioni  sommarie  e  che  mi 
riserbo  di  riferirli  in  forma  meno  concisa,  appena  altri 
studi,  ora  in  corso,  mi  permetteranno  il  tempo  di  ritornare 
di  nuovo  sopra  tale  argomento,  e  corredati  da  tutti  i  do- 
vuti ed  opportuni  dettagli,  mi  furono  suggeriti  da  un  feno- 
meno che  mi  aveva  colpito  in  una  serie  di  ricerche  sulla 
contrattibilità  dei  capillari  sanguigni  della  rana. 

Osservando  la  lingua  di  un  batrace  distesa  al  micro- 
scopio, trascorso  un  certo  periodo,  e  cioè  alloraquando  si 
inizia  la  diapedesi  dei  leucociti  atraverso  il  vaso,  ho  voluto 
seguire  le  varie  modificazioni  che  si  succedono  sui  leuco- 
citi appena  essi  si  trovano  ad  avere  abbandonato  la  corrente 
del  circolo  sanguigno  e  liberi  nel  tessuto  basale. 

Mentre  una  buona  porzione  coll'aiuto  dei  loro  processi 
ameboidi  poco  per  volta  si  allontana  dal  campo  micro.sco- 
pico,  altri  invece  rimangono  in  loco  poco  discostandosi  dal 
vaso.  Se  si  segue  attentamente  allora  ciò  che  in  essi,  in 
modo  assai  lento,  succede,  si  scorge  che  dopo  circa  30^-40^ 
la  loro  forma  comincia,  pari  passo  alla  progressiva  lentezza 
delle  contrazioni  del  loro  protoplasma,  a  subire  delle  non 
insensibili  modificazioni.  E  cioè,  a  presentare  una  parvenza 


(924)  [2] 

as.sai  più  rotonda  di  i)i'ima,  nello  .stesso  tempo  che  un  po' 
più  schiacciata,  a  delineare  una  forma  nucleare  prima  non 
nettamente  visibile  od  almeno  molto  sfumata  ed  appena 
percettibile.  Questa  forma  nucleare  poi  va  in  prosiego  vie 
più  distintamente  rivelandosi  si  da  mostrarsi  nella  sua 
piena  evidenza.  Se,  invece  di  un  ingrandimento  discreto 
(F  ZeissXOc.  Ili),  viene  adoperata  l'immersione  omogenea 
coll'oc.  18  Zeiss,  si  può  molto  bene  vedere  che  questa  forma 
dapprima  rotonda  od  ovolare  presenta  una  parvenza  diffe- 
rente. Per  esprimermi  in  un  modo  chiaro,  sebbene  molto 
improprio,  potrebbesi  definirla  come  una  risultante  di  digi- 
tazioni dipartentesi  dal  nucleo,  digitazioni  lobate  che  per- 
mettono di  paragonarlo  ad  una  foglia  di  trifoglio  o  ad  una 
croce.  Senza  dubbio  non  è  possibile  che  queste  modifica- 
zioni sieno  dovute  a  delle  contrazioni  più  o  meno  vitali 
della  massa  nucleare  ;  è  invece  da  ritenere  che  esse  sieno 
dipendenti  da  una  fra^nmentazìone  indiretta  nel  senso 
di  Arnold.  Questo  fatto  fu  anche  prima  d' ora  dimostrato 
dal  Biondi,  da  me  ed  Accame,  e  da  altri.  A  poco  per  volta 
queste  porzioni  si  discostano  un  poco  fra  di  loro,  pur  man- 
tenendosi in  contatto  mercè  sottilissime  e  fini  punteggiature 
dimostrabili  colla  colorazione. 

Non  limitando  l'assoluta  osservazione  ai  fenomeni  che 
avvengono  nell'interno  del  leucocita  ed  estendendola  anche 
alquanto  alla  sua  periferia,  si  scorge  eziandio  che  dalla  sua 
zona  corticale  si  dipartono  dei  finissimi  filamenti  di  una 
lunghezza  varia  (3-5-9-15  (ji). 

La  loro  estensione,  come  il  loro  spessore,  si  modifica 
col  proseguire  della  osservazione,  poiché  è  facile  più  tardi 
constatare  come  essi  sieno  più  grossi  e  più  lunghi.  E  esclu- 
sivamente dalla  membrana  che  si  dipartono  questi  tali  fila- 
menti ?  Io  non  voglio  pronunciarmi  in  modo  reciso  sopra 
questo  argomento,  perchè  gli  esami  miei  non  mi  danno  la 
certezza  di  un  sicuro  giudizio. 

E  un  fatto  però  che  spess)  ho  potuto  rilevare,  per 
mezzo    della    immersione    omogenea,    il  prolungamento    di 


[3]  (!)-5) 

questi  tali  fili  anche  nello  interno  della  cellula  ed  arrivare 
al  nucleo. 

Comunque,  la  importanza  —  quale  essa  sia,  —  del  fe- 
nomeno che  ho  riferito  consiste  sostanzialmente  in  ciò,  che 
i  globuli  bianchi  ponno  dar  luogo  alla  produzione  di  fila- 
menti di  fibrina,  solo  allora  quando  in  essi  si  iniziano  i 
processi  necrobiotici  del  loro  protoplasma,  caratterizzati 
dalla  cessazione  di  movimenti  ameboidi,  dalla  configura- 
zione sferica  della  cellula,  dalla  comparsa  netta  del  nucleo 
e  frammentazione  sua,  dalla  comparsa  di  granuli  grossi, 
di  cui  alcuni  fortemente  rifrangenti  la  luce. 

Queste  osservazioni  furono  da  me  molte  volte  ripetute 
dinanzi  ai  colleghi  della  clinica,  i  quali  ebbero  campo  di 
poterli  per  proprio  conto  confermare.  Piacemi  a  tale  pro- 
posito riferire  il  reperto  di  un  esame  di  sangue  eseguito 
molto  diligentemente  dagli  assistenti  Romaro  e  Bonetti.  In 
un  infermo  affetto  da  nevrosi,  in  cui  era  stata  provocata,  per 
mezzo  di  ripetuti  e  larghi  salassi,  una  marcata  leucocitosi, 
Essi  videro,  in  diversi  preparati,  determinarsi  lentamente  la 
precipitazione  di  filamenti  aghiformi  di  fibrina,  tutti  in  rap- 
porto con  dei  leucociti,  i  caratteri  dei  quali  corrispondevano 
perfettamente  a  quelli  più  sopra  riferiti. 

L'interesse  di  questo  fatto  non  })uò  sfuggire  a  nessuno, 
cui  sieno  note  le  questioni  che  tuttora  si  agitano  intorno 
alle  sostanze  capaci  di  determinare  la  precipitazione  della 
fibrina,  ed  esso  meriterebbe  di  venire  seriamente  studiato 
colla  maggiore  possibile  finezza  di  analisi,  perchè  la  sua 
conferma  non  sarebbe  di  poca  importanza. 

In  quanto  al  prolungarsi  di  questi  filamenti  fino  al 
nucleo,  io  —  come  ho  detto  poc'  anzi  —  non  oso  insistere 
oltre,  sebbene  da  quanto  ho  visto,  ne  abbia  attinto  la  intima 
persuasione.  È  troppo  facile  in  simili  casi  essere  vittima  di 
abbagli  per  poter  professare  e  difendere  pubblicamente  una 
dichiarazione  recisa  ;  tanto  più  in  quantochè  le  modifica- 
zioni di    rifrazione    che    avvengono  nel   protoplasma    sono 

T.  IV,  S.    VII  62 


(926)  [4] 

cosi  varie,  incostanti  e  rapide  che  non  sempre  è  possibile 
seguire  e  provare  questo  fenomeno. 

Difatti  debbo  confessare  che  per  quanto  attentamente 
osservassi  in  altri  casi  non  mi  fu  possibile  constatarlo.  In 
ogni  modo  però  a  me  bastava  l'averlo  incontrato  in  molti 
casi  per  suggerirmi  ed  invogliarmi  a  ripetere  di  nuovo  lo 
studio  della  coagulazione  dal  punto  di  vista  un  po'  differente 
da  quanto  altri  avevano  fatto.  A  tale  studio  mi  spronava 
r  argomento  vasto,  tutt'  altro  che  esaurito  e  sempre  di  un 
grande  interesse,  dalle  ultime  ricerche  di  Lowit,  Wei- 
gert,  Wooldridge,  tendenti  a  rovesciare  molte  delle  dot- 
trine che  noi  a  tale  riguardo  si  possedeva  finora,  ritor- 
nato di  nuovo  di  attualità  ed  all'  ordine  del  giorno.  11 
mio  intento  —  assai  modesto  e  ristretto  entro  confini 
molto  limitati  —  fu  quello  di  accertarmi  innanzi  tutto, 
colla  sola  mia  osservazione  senza  attenermi  alla  autorità 
di  nessuna  illustrazione  in  tale  materia,  quali  elementi  mor- 
fologici del  sangue  partecipano  al  fatto  della  coagulazione  — 
poscia  di  convincermi  coll'esame  diretto  se  questi  elementi 
sieno  0  no  vitali  e  proprii  del  sangue  fisiologico  —  in  ul- 
timo, indagare  quale  porzione  del  loro  protoplasma  abbia 
più  spiccata  influenza  nella  determinazione  di  questo  pro- 
cesso. 

Dovendo  —  come  ho  promesso  —  ritornare  di  nuovo  e 
presto  su  tale  argomento  ed  esser,  per  quanto  sia  possibile, 
breve,  tralascio  ogni  ricordo  bibliografico  che  non  sia  in 
modo  stretto  necessario. 


I. 
Principali  teorie  sulla  coagulazione  del  sangue. 

Ed  ora  anzitutto  un  rapidissimo  sguardo  alle  princi- 
pali teorie  chimico-morfologiche  intorno  alla  formazione 
della  fibrina. 


[5]  -  (927) 

Mentre  spetta  ad  Hunter,  Kù/ine,  Home  Eve7\,  Hew- 
son,  Edwards,  Richardson,  Thachrah,  Mueller,  Scuda- 
raore,  Dumas,  Robin,  Verdeil,  Bèì^ard,  Cooper  il  merito 
(li  essersi  con  criteri  scientifici  pei  primi  occupati  del  fe- 
nomeno della  coagulazione,  dobbiamo  riconoscere  che  è  a 
Denis  di  Commeì^cy  e  Fredericq  clie  si  deve  1'  impulso 
maggiore  alla  iniziale  soluzione  delle  questioni  che  alla 
natura  ed  origine  della  fibrina  si  riferiscono  e  1'  indirizzo 
serio  e  fecondo  in  cui  tale  studio  fu  avviato. 

Essi  ammisero  nel  sangue,  invece  che  la  fibrina  alio 
stato  liquido,  come  ritenevano  gli  A.  A.  precedenti,  la  esi- 
stenza di  una  sostanza  albuminoide  —  chiamata  plasmina 

—  precipitabile  col  NaCl  e  coagulabile  a  56°-58*',  la  quale, 
in  grazia  a  trasformazioni  cliimiche  legate  alla  ìnorte  del 
sangue,  era  capace  di  precipitarsi  sotto  forma  di  fibrina 
insohibile. 

Denis  preparava  questa  plasmina  raccogliendo  il  san- 
gue in  un  recipiente  contenente  una  soluzione  satura  di 
Solfato  di  soda  nella  proporzione  di  1  p.  di  sangue  e  7  di 
soluzione  sodica.  Lasciati  precipitare  i  globuli  raccoglieva 
il  liquido  soprastante,  dal  quale,  saturato  con  NaCl  in  pol- 
vere, otteneva,  in  fiocchi  abbondanti,  la  plasmina. 

A  tale  teoria  furono  opposte  da  Schmidl,  Jakoivicki, 
Birk  delle  serie  obbiezioni  dimostrandola  insufiSciente  a  di- 
spiegare il  fenomeno  molto  più  complesso  della  coagula- 
zione. Ad  essa  ne  sostituirono  un'  altra,  nella  quale  era 
ammesso  —  affinchè  la  precipitazione  della  fibrina  avvenisse 

—  r  intervento  contemporaneo  necessario  di  tre  fattori,  di 
cui  uno  appartenente  alla  classe  dei  fermenti  chimici,  i 
due  altri  a  quella  degli  albuminoidi  e  chiamati  fibrinogeno 
e  sostanza  fìbrinoplastica. 

Il  fermento,  secondo  questi  A.  A.,  era  provveduto  dai 
leucociti. 

La  loro  teoria  può  così  esprimersi  :  Il  fibrinogeno  e 
la  sostanza  fibr  ino  plastica   sono   i  materiali  a   spese   dei 


(928)  [6] 

quali,  sotto  la  influenza  del  fiorino  fermento,  si  forma  il 
coagulo  della  f  brina. 

Br'ùcke  negò  su])ito  la  importanza  esenziale  del  fi- 
brinoplaistico  nel  senso,  come  lo  ritenevano  Sc/tmidt  e  gii 
altri,  dimostrando  che  la  partecipazione  di  questa  sostanza 
isolata  dagli  A.  A.  della  scuola  di  Borpat,  doveva  solo  at- 
tribuirsi alle  impurità,  non  pur  anco  note,  che  essa  con- 
teneva. Infatti  isolando,  con  altri  processi,  della  paragdobu- 
lina  purissima,  egli  provò  che  la  efficacia  fibrinoplastica  era 
sensibilmente  scemata. 

Hnìnmaì-sten  in  appoggio  alle  obbiezioni  di  Bruche 
sostenne  che  il  ClCa-  ed  in  certe  condizioni  pure  la  caseina, 
hanno,  nello  identico  modo  che  la  paraglobulina,  un  potere 
fibrinoplastico. 

Inoltre  che  questa  paraglobulina  precipitata  col  NaCl 
in  soluzione  concentrata,  ridisciolta  nella  soluzione  allun- 
gata, poscia  di  nuovo  riprecipitata,  ecc,  e  ciò  per  più  volte, 
perde  assolutamente  ogni  proprietà  fibrinoplastica.  Anche 
egli  condivise  l' ipotesi  di  Bruche,  cioè  che  la  paraglobu- 
lina precipitata  col  metodo  di  Schmidt  dovesse  l' azione 
sua  fibrinoplastica  a  della  impurità,  probabilmente,  secondo 
H.,  di  natura  del  fibrinofermento. 

I  successivi  lavori  di  Schmidt  ed  allievi  convennero 
nello  scemare  assai  della  prima  importanza  attribuita  alla 
paraglobulina.  Essi  difatti  lealmente  constatarono  che  la 
sostanza  fibrinoplastica  aggiunta  al  fibrinogeno  non  veniva 
tutta  impiegata  alla  formazione  della  fibrina,  rimanendone 
inerte  una  grande  parte  e  che  la  quantità  della  fibrina 
ottenuta  non  era  in  relazione  costante  colla  quantità  di 
sostanza  fibrinoplastica  adoperata. 

Bruche  ed  Hammarsten  hanno  quindi  cosi  modificato 
la  teoria  di  Schmidt  sulla  coagulazione: 

Sotto  V  influenza  del  fibrinofermento,  il  fibrinogeno 
si  sdoppia  in  due  sostanze:  la  fìbìHna  che  precipita  ed 
una  globulina  che  rimane  disciolta. 

Renaut,  Cohn  ritennero  (ipotesi  già  espressa  da  Vir- 


i 


[7]  (929) 

clìow)  che  il  sangue  sottratto  all'organismo  coagulasse  per 
la  morte  degli  elementi  morfologici  suoi,  i  quali,  agendo 
come  corpi  divenuti  estranei,  determinerebbero  la  precipita- 
zione della  fibrina. 

Dogiel  ed  Holzmann  ammisero  che  la  coagulazione 
fosse  dovuta  ad  una  ossidazione  del  fibrinogeno.  Questa 
ipotesi  fu  dimostrata  erronea  da  Gauiier. 

Mattieu  ed  Urbain  proposero  una  differente  spiega- 
zione di  questo  fenomeno.  Essi  avendo  osservato  che  una 
forte  quantità  di  00"^  scompare  durante  la  coagulazione, 
credettero  poter  dimostrare  che  il  plasma  cede  nel  mo- 
mento della  coagulazione  dell'  C0"2  alla  sostanza  fibrinoge- 
nica  che  lo  fissa,  e  questa  fissazione  di  CO^  essere  la  causa 
della  coagulazione.  L'  00^  non  agirebbe,  durante  la  circo- 
lazione del  sangue,  sugli  elementi  del  plasma  che  allor- 
quando i  globuli,  privati  della  loro  vitalità,  sono  disposti 
a  cedere  1'  CO"^  in  cui  esso  è  trattenuto.  Questa  teoria  fu 
oppugnata  validamente  da  Gléncn^d,  Gautier,    Wiirtz. 

Gauiier  attribuì  la  coagulazione  ad  una  trasudazione 
nel  plasma  da  parte  delle  sostanze  solubili  delle  emasie 
appena  fuori  dei  vasi  e  quindi  in  istato  di  necrobiosi. 

Heynsius  considerò  la  precipitazione  della  fibrina  co- 
me dovuta  a  secrezione  del  fibrinogeno  da  parte  dei  glo- 
buli rossi  moribondi. 

Glènard  reputò  la  coagulazione  essere  dovuta  alla 
cessata  rinnovazione  molecolare  del  sangue  (p.  85). 

Latschenherger  sostenne  che  la  coagulazione  è  dovuta 
all'  azione  di  un  fermento  sul  fibrinogeno,  e  che  questo  fer- 
mento non  riconosce  come  esclusivo  focolaio  di  formazione 
i  leucociti,  ma  ogni  protoplasma  sia  animale  che  vegetale. 
Quindi  anche  i  microrganismi  sarebbero  dotati  di  questa 
proprietà. 

Infatti  il  loro  sviluppo  in  un  trasudato  non  sponta- 
neamente coagulabile,  od  in  un  liquido  fornito  esclusiva- 
mente di  fibrinogeno,  può  dar  luogo  alla  formazione  di 
fibrina. 


(930)  [8] 

Il  Mantegazza  ha  emesso  a  proposito  della  coagula- 
zione la  teoria  seguente.  Egli  attribuisce  questo  fenomeno 
ad  uno  stato  particolare  (d' irritazione,  secondo  1'  A.)  dei 
globuli  bianchi,  i  quali,  in  contatto  con  dei  corpi  stranieri 
o  dei  tessuti  infiammati,  od  anche  quando  siano  sottratti 
al  loro  ambiente  fisiologico,  sprigionerebbero  e  porrebbero 
in  libertà  una  sostanza  che,  se  non  addirittura  fibrina, 
potrebbe  ritenersi  almeno  la  cagione  della  sua  formazione. 
In  appoggio  di  questa  opinione  1'  A.  cita  i  fatti  seguenti  : 
i  globuli  rossi  non  sono  per  nulla  necessari  alla  formazione 
della  fibrina  ;  infatti  la  linfa  poverissima  di  globuli  rossi, 
ma  ricca  in  globuli  bianclii,  si  coagula  spontaneamente 
come  il  sangue,  ed  i  liquidi  formati  per  trasudazione  sie- 
rosa infiammatoria  non  ripetono  la  proprietà  di  coagularsi 
spontaneamente  che  alla  presenza  dei  globuli  bianchi.  Il 
sangue  arterioso  si  coagula  un  po'  più  rapidamente  che 
non  il  sangue  venoso  inquantochè  è  più  ricco  di  leucociti 
versati  dal  dotto  toracico  alla  terminazione  dal  sistema 
venoso.  In  molte  altre  circostanze  questo  fatto  trova  pure 
la  sua  sanzione  :  dopo  la  digestione,  durante  la  gravidanza, 
alcuni  processi  morbosi . . .  (dal  Wurtz). 

Freund  considerando  che  la  fibrina  contiene  sempre 
delle  ceneri  generalmente  costituite  di  calce  e  magnesia  allo 
stato  di  fosfati,  combattè  il  concetto  difeso  dagli  A.  A.  pre- 
cedenti, per  sostenere  in  quella  vece  che  l' ufficio  princi- 
pale nella  determinazione  della  precipitazione  della  fibrina 
spettava  al  fosfato  di  calce.  Nel  sangue  i  sali  di  calcio  sa- 
rebbero contenuti  nel  plasma,  mentre  i  fosfati  alcalini  nei 
globuli  ;  questi  ultimi  —  fuori  dell'organismo  —  lascerebbe- 
ro trasudare  i  loro  fosfati  solubili  donde  risulterebbe  la 
formazione  di  fosfato  calcico  in  quantità  troppo  grande  per 
rimanere  disciolto.  II  precipitato  di  tale  sostanza  determi- 
nerebbe aduufjue  la  produzione  della  fibrina  trascinando 
seco  il  fibrinogeno  del  plasma  e  combinandosi  con  lui. 

Strauch  dimostrò  insussistente  simile  ipotesi.  Infatti 
aggiungendo  a  dei  liquidi  sierosi,  affatto  sprovveduti  di  fer- 


[9]  (931) 

mento  fibrine,  delle  quantità  forti  di  sali  di  Ca^  (fosf.  e 
cloruro)  non  ottenne  nessun  coagulo,  che  invece  precipi- 
tava abbondante  appena  tosto  che  nello  stesso  siero  versava 
il  fermento  sottratto. 

Haìlibiirton  trovò  che  le  glandule  linfaticlie  conten- 
gono il  fermento  già  supposto  e  dimostrato  da  SchmicU,  il 
quale  mescolato  a  del  fibrinogeno  di  Hammarsten,  deter- 
mina hi  precipitazione  della  sostanza  nota  col  nome  di 
fibrina. 

Wooldrige  avendo  precipitato  il  fibrinogeno  col  solo 
raff*reddamento  del  plasma  peptonizzato,  sostenne  che  nel 
plasma  circolante  si  contenga  sempre  del  fermento  libero 
(fatto  stato  combattuto  da  Barry-Haycrafl).  Infirmò  inoltre 
le  conclusioni  di  Halliburton  sostenendo  che  le  glandule 
fresche  non  contengono,  subito  appena  estratte,  un  vero 
fermento  fibrino,  ma  invece  una  sostanza  madre  la  quale, 
in  seguito  a  processi  di  distruzione,  può  trasformarsi  più 
tardi  in  fermento  o  meglio  è  capace  di  mettere  in  libertà 
il  fermento  esistente  nel  plasma  e  non  in  grado  di  com- 
binarsi col  fibrinogeno, 

Mounier  ritenne  tutto  il  fenomeno  della  coagulazione 
consistere  esclusivamente  nella  maniera,  nel  tempo  e  nella 
quantità  della  formazione  del  fermento  della  fibrina.  Tutte 
le  manovre  che  impediscono,  ritardono  od  accelerano  la 
precipitazione  della  fibrina,  agiscono  distruggendo  o  neu- 
tralizzando o  mettendo  più  presto  in  azione  il  fermento,  il 
quale  è  esclusivamente  contenuto  nei  leucociti.  Vi  è  solo 
una  condizione  in  cui  questa  legge  forse  non  è  ancora  del 
tutto  applicabile,  non  già  perchè  vi  contradica,  ma  solo 
perchè  non  ne  è  ancora  del  tutto  nota  la  intima  ragione 
ed  il  determinismo.  Ed  è  la  presenza  del  peptone  nel  li- 
quido sanguigno.  Per  quale  ragione  questa  sostanza  impedi- 
sce la  coagulazione  ?  Schmidt-Miilheiin,  Fano,  Campbell 
ritennero  che  il  peptone  agisse  impedendo  la  formazione 
del  fibrino  fermento  ;  ma  non  dissero  in  quale  modo  esso 
esplicasse   questa  azione, 


(932)  [10] 

L'A.  espone  diverse  ipotesi,  che  [»erò  tutte  distrugge 
concludendo  che  ancora  tale  questione  lungi  dall'  essere 
esaurita,  come  vorrebbero  alcuni,  si  affaccia  invece  alla 
scienza  corredata  di  ben  poche  ed  esatte  osservazioni.  Quella 
che  però  pare  al  Monnier  la  più  meritevole  di  considera- 
zione è  r  ipotesi  che  il  peptone  non  distrugga  il  fermento 
fibrino,  ma  impedisca  ad  esso  di  agire  o  combinarsi  col  fi- 
brinogeno. 

Lilienfeld  ha  così  formulato  una  nuova  e  molto  in- 
gegnosa teoria.  Dall'  estratto  acquoso  dei  leucociti  (timo, 
glandule  linfatiche)  si  precipita,  trattenendola  con  alcool 
od  acido  acetico,  una  sostanza  di  composizione  costante  : 
il  nucleohiston  il  quale  contiene  C  48.41,  H  7.21,  N  16.85, 
P  3,  S  0.7.  Il  precipitato  alcoolico  è  solubile  nell'acqua  e 
si  coagula  col  calore  in  soluzione  neutra  o  debolmente  al- 
calina. 

Coir  HCl  il  nucleohiston  si  scinde  in  nucleina  (con 
P  4,6  %)  ed  in  histon,  il  quale  ultimo  in  confronto  col- 
Vhiston  isolato  da  Kossel  nei  corpuscoli  rossi  degli  ovipari, 
non  ha  proprietà  di  un  propeptone  o  di  un  vero  albumi- 
noide  coagulabile.  Questo  nucleohiston  ha  la  proprietà  im- 
portante di  mantenere  il  sangue  allo  stato  liquido  ed  il 
fibrinogeno  disciolto  se  si  aggiunge  al  sangue  travasato,  o 
si  inietta  nel  circolo.  Ancora  dopo  24  ore  dopo  il  salasso, 
—  nel  sangue  così  trattato  —  si  trovano  i  leucociti  bene 
conservati  ed  ancora  semoventi,  ed  eziandio  bene  conser- 
vati anche  i  globuli  rossi. 

L' importanza  dei  leucociti  è  capitale  nella  determi- 
nazione del  fenomeno  della  coagulazione  ;  tale  funzione  essi 
la  esplicano  per  mezzo  di  una  sostanza  contenuta  nel  loro 
protoplasma,  cioè  la  nucleina.  Ambidue  queste  sostanze  — 
la  coagulante  e  la  anticoagulante  —  sono  mirabilmente  fra 
loro  insieme  combinate  chimicamente  come  nucleohiston. 
Mentre  1'  hìdonplasma  —  cioè  il  plasma  ottenuto  dal  san- 
gue reso  fluido  col  nucleohiston  —  non  può  coagulare  né 
per  opera  della  diluizione,  né  per  l'aggiunta  del  cosidetto 


[11]  (933) 

fermento-flbi'ino,  coagula  invece  per  l'aggiunta  di  un  estrat- 
to acquoso  di  leucociti.  Se  alla  soluzione  di  fibrinogeno 
puro  di  Hammarsten  si  aggiunge  una  soluzione  di  nucleo- 
hision  puro,  non  avviene  nessun  coagulo;  fatto  invece  che 
si  determina  mediante  l'aggiunta  di  un  sale  di  calce.  I  sali 
di  calce  danno  dunque  al  nucleo histon  proprietà  coagu- 
lanti. 

L'A.  trovò  ancora  che  l'acqua  di  calce  scinde  il  nu- 
cleohiston  nei  suoi  due  componenti,  nncleina  ed  histon, 
e  che  le  piastrine  partecipano  alla  coagulazione  più  pron- 
tamente dei  leucociti  perchè  contengono  più  nucleina. 

ArtJms  e  Pagès,  per  mezzo  di  esperienze  fatte  sul 
sangue  ossalatato  e  fluorurato,  pervennero  a  dimostrare 
che  tra  i  fattori  della  coagulazione  spetta  il  primo  posto 
ai  sali  di  Ca^,  perchè  quando  si  arrivi,  come  con  gli  os- 
salati  ed  i  floruri  alcalini,  a  sottrarre  questa  sostanza  al 
sangue  esso  non  coagula  più.  Infatti  dimostrarono  eziandio 
che  un  sangue  portato  a  tali  condizioni  per  1'  aggiunta  di 
ossalati  e  floruri  coagula  di  nuovo  dopo  1'  aggiunta  di  sali 
di  Ca2. 

Ecco  le  loro  conclusioni. 

I.  Il  sangue  non  può  coagulare  che  a  patto  di  con- 
tenere dei  sali  solubili  di  calcio. 

II.  L'aggiunta  di  una  quantità  conveniente  di  ossalati 
o  di  floruri  alcalini,  precipitando  completamente  il  calcio, 
impedisce  la  coagulazione. 

III.  L'aggiunta  al  sangue  ossalatato  o  florurato  di  un 
piccolo  eccesso  di  sale  di  calcio  gli  ritorna  la  sua  coagu- 
labilità. 

IV.  La  fibrina  è  un  composto  calcico  ;  il  sale  di  cal- 
cio è  una  sostanza  fibrinoplastica. 

Y.  1  sali  di  calcio  ed  il  fibrino  fei'mento  sono  neces- 
sari alla  coagulazione  del  sangue. 

Cosi  verrebbero  dunque  a  conciliarsi  le  teorie  di 
Schmidt  e  di  Hammarsten  che,  i)otrebbei'0  venire  espresse 
in  questo  modo: 


(934)  [12] 

Sotto  l'influenza  del  fìbrino  fermento  ed  in  presenza 
dei  sali  di  calcio,  il  fibrinogeno  del  sangue  subisce  imu 
trasformazione  chimica  che  dà  luogo  alla  produzione  di 
un  composto  calcico  :  la  fibrina. 

Anche  il  Pekelharing  ri(30iiobbe  subito  la  grande  im- 
portanza dei  sali  di  calcio,  tanto  che  sostenne  che  per  far 
coagulare  nei  vasi  il  sangue  non  occorre  iniettare  il  fer- 
mento-fibrino,  ma  una  soluzione  nucleo-albumina  la  quale 
trovando  i  sali  di  calce  nel  plasma  è  capace  a  formare  con 
questi  il  fermento.  Con  queste  sue  indagini,  l'A.  portò  un 
contributo  di  alto  valore  all'azione  dei  composti  calcici  nella 
coagulazione,  ed  alla  classificazione  del  fermento  fìbrino 
quale  nucleo-albumina. 

Recenti  lavori  di  Lówit,  Mullcr,  Monnier,  Cavazzani 
A.,  hanno  del  pari  confermato  la  grande  importanza  che 
gode  il  calcio  nel  fenomeno  della  trasformazione  del  fibri- 
nogeno in  fibrina. 


In  questo  riassunto  di  alcune  principali  teorie  sulla 
coagulazione,  e  che  noi  ci  siamo  sforzati  di  esporre  nel 
modo  più  breve  possibile,  non  abbiamo  ad  arte  che  sorvo- 
lato sulle  questioni  che  interessano  il  luogo  di  formazione 
del  fermento  della  fibrina.  E  ciò  perchè  volevamo  di  tale 
argomento  occuparci  in  modo  separato. 

Ammesso  adunque  generalmente  che  i  fattori  della 
coagulazione  consistono  nell'unione  del  fibrinogeno  (sost. 
albuminoide),  del  fibrinoplastico  (composto  alcalino  terroso) 
e  di  un  fermento;  conosciuta  l'origine  e  la  natura  dei  primi 
due,  vediamo  ora  donde  nasca  questo  fermento. 

Mentre  tutti,  o  quasi,  gli  AA.  precedenti  stabilirono 
l'importanza  necessaria  dei  leucociti  alla  formazione  di  (jue- 
sto  fermenti),  Bizzozero  in  Italia,  Hayem  in  Francia,  si  fa- 
cevano sostenitori  di  una  dottrina  opposta,  inquantochè 
ritenevano  spettare  ai  globuli  bianchi  solo  una  funzione 
secondaria  ed  invece  doversi  attribuire    essa   in    modo  es- 


[13]  (935) 

senziale  alle  piastrine,  un  nuovo  elemento  morfologico  nor- 
male .studiato  e  cosi  chiamato  dal  patologo  italiano  o  hèma- 
toblastes  dal  clinico  francese.  Questa  loro  asserzione  veniva 
avvalorata  da  esperienze  e  fatti  della  più  alta  importanza, 
che  fino  allora  erano  a  tutti  sfuggiti,  e  di  una  ineccessibile 
evidenza. 

Questa  nuova  teoria,  che  così  rudemente  veniva  a  ro- 
vesciare quanto  fino  allora  erasi  creduto,  non  poteva  non 
suscitare  nuove  indagini  e  nuove  e  vivaci  discussioni,  sia 
a  prò  che  a  contro. 

Il  modo  con  cui  essa  fu  combattuta  fu  tentando  anzi- 
tutto di  scalzarla  col  negare  la  dignità  di  terzo  elemento 
morfologico  normale  a  questi  dischi  di  protoplasma  e  rite- 
nerli, in  quella  vece,  quali  detriti  dei  globuli  bianchi  e 
delle  emasie  (Nicolai  Heyl-Rauschembach-  Weigeri-Hlava- 
Halla- Feiertag-Slerogt  ecc.)  ;  col  negare  più  tardi  che 
dette  piastrine  fossero  costituite  di  vero  protoplasma  (Ló- 
wit-Wooldridge)  ;  col  concedere  ad  esse  una  importanza 
secondaria  di  fronte  a  quella  dei  leucociti  [Ziegler-Fano- 
Dastre-De  Giovanni). 

A  tutta  questa  corrente  contraria  opposero  valida  re- 
sistenza entrambe  le  due  scuole  sostenitrici  di  detta  dot- 
trina e  più  tardi  le  osservazioni  di  Landoiosky,  Eberth, 
Schimmelbìfsch,  Zencher,  LUienfeld,  Fusari,  Laker,  Mon- 
dino e  Sala. 

Tale  discussione  oggi  è  tutt' altro  che  esaurita,  che  anzi 
dopo  un  periodo  di  relativa  tregua  accenna  di  nuovo,  coi 
lavori  recenti  di  Loioit,  Wooldridge,  Mondino,  Laker, 
I Alien feld,  Bizzozero,  Salmoli,  a  risvegliarsi. 

Il  Mosso,  distaccandosi  solitario  da  questo  campo  di 
lotta,  si  è  fatto  invece  banditore  di  una  nuova  teoria,  da 
lui  difesa  con  quella  genialità  che  gli  è  propria  in  ogni 
questione  che  imprende  a  trattare  e  con  una  serietà  di 
argomenti  degni  della  più  grande  considerazione. 

Siccome  avremo  occasione  di  occuparcene  ahjuanto, 
lungo  il  nostro  lavoro,  onde  non  ripeterci  inutilmente,  ne 


(936)  [14] 

riferiamo  solo  molto  brevemente.  Q.uesta  dottrina  consiste 
neir  atti'ibuii'e  una  capitale  importanza  ai  globuli  rossi 
nel  fenomeno  della  coagulazione,  partecipazione  che  avre])be 
luogo  e  sarebbe  in  rapporto  colla  loro  maggiore  o  minore 
altei'abilità.  Come  si  vede  è  l'antica  ipotesi  di  Home,  Pì^è- 
vost,  Dumas,  Sydenhan,  Bocrliare,  Halle)-,  combattuta  da 
Hewaon  e  Murile,  portata  oggi  di  nuovo  in  campo  e  difesa 
con  grande  abilità. 

Recentemente  qualche  altro  A.  {Bauer  e  Meyer)  ha 
voluto  sostenere  il  concetto  di  Schmidt,  e  cioè  la  emoglo- 
bina fosse  da  considerarsi  come  una  sostanza  iibrinoplastica, 
dallo  stesso  poi,  in  una  successiva  pubblicazione,  abbandonato. 


IL 


Elementi  morfologici  del  sangue 
che   partecipano  alla  coagulazione. 


Il  metodo  col  quale  si  i»uò  molto  1)ene  studiare  la  pre- 
cipitazione della  fibrina  è  quello  della  colletta  capillare 
di  Hayem  e  modificata  molto  leggermente  da  me.  Essa  è 
assai  utile  ed  è  preferibile  al  capillare  di  Schafer  e  a  quello 
di  Malassez. 

Ecco  come  si  procede.  In  una  lastra  porta  oggetti  si 
incollano  con  del  collodion,  o  meglio  della  vernice  indiana, 
o  del  silicato  di  potassa,  due  coprioggetti  sottili,  in  modo 
da  determinare  fra  essi  uno  spazio  dell'  ampiezza  un  pò" 
minore  di  un  altro  vetrino  coprioggetti.  Quando  ({uesta 
aderenza  si  è  fatta  tenace  e  resistente,  allora  si  versa  la 
goccia  di  sangue  appena  estratta  e  la  si  copre  con  un  ve- 
trino. Se  è  il  caso  si  può  con  un  piccolo  peso  }>remere  su 
questo,  tanto  che  la  goccia  si    distribuisca  uniformemente. 


[15]  (937) 

Ciò  fatto,  si  colloca  il  preparato  in  una  camera  iiiiiida  o 
lo  si  lascia  in  riposo  per  alcune  ore. 

Dopo  questo  tempo  viene  ritirato  e  lavato.  Il  lavaggio 
si  eseguisce  in  questo  modo.  Si  dispone  la  lastrina  in  una 
direzione  inclinata,  colla  estremità  inferiore  poggiante  sopra 
un  vetro  da  orologio. 

Nella  parte  superiore  del  preparato  si  lascia  cadere 
goccia  a  goccia  una  soluzione  di  NaCl  al  7,5  %o,  la  quale 
passando  per  lo  spazio  capillare  trascina  con  se  gli  elementi 
morfologici  impigliati  nel  reticolo  fibrinoso  formatosi.  Se 
si  procede  con  cura  e  con  pazienza  dopo  un  po'  di  tempo 
si  riesce  a  rischiarare  perfettamente  il  preparato,  liberan- 
dolo dalla  quantità  degli  elementi  che  non  hanno  intimo 
rapporto  col  reticolo  medesimo. 

Dopo  ciò  si  colora  con  una  debole  soluzione  di  Lugol, 
fatta  penetrare  nel  preparato  coll'identico  processo. 

Se  allora  si  pone  ad  esame  questo  reticolo  si  vede 
che  esso  è  costituito  da  una  rete  di  fibrina  a  maglie  piut- 
tosto fitte,  composta  di  filamenti,  non  molto  spessi,  e  nep- 
pure lunghi.  Molte  volte  sono  liberi  alle  loro  estremità, 
senza  contrarre  aderenza  con  nessun  altro  elemento,  per 
lo  più  invece  essi  si  trovano  in  contatto  con  delle  pia- 
strine di  Bizzozero,  con  dei  leucociti,  e  con  delle  granu- 
lazioni. Mentre  in  questi  casi  le  piastrine  sono  profonda- 
mente alterate  sì  da  riconoscerle  appena  e  costituite  da  un 
ammasso  informe  di  protoplasma  con  enchilema  circondato 
di  irradiazioni  di  fibrina,  i  leucociti  presentano  in  quella  vece 
delle  modificazioni  assai  meno  gravi.  Essi  sono  però  tutti 
polinucleati,  con  nuclei  bene  distinti  se  non  bene  conservati, 
e  con  granulazioni  grosse,  di  cui  alcune  splendenti.  La 
ricchezza  di  filamenti  che  circondano  i  globuli  bianchi  è 
anch'essa  abbondante,  però  non  in  modo  confrontabile  con 
quella  che  posseggono  le  piastrine,  le  quali  sono  affatto 
impigliate  in  un  fitto  reticolo.  Le  granulazioni  poi  (note 
da  alcuni  col  nome  di  gran,  di  Zimmermonn  e  di  Kòl- 
liker,  0  plaques  di  Max  Schultz  —  ed  impropriamente  di 


(938)  [16] 

globnlhis,  di  Dowè,  che  sono  di  origine  eritrocitica)  sono 
assai  piccole,  splendenti,  colorabili  colla  fuxina,  ed  in  con- 
tatto anch'essi  con  dei  filamenti.  Per  liquido  di  lavaggio 
è  da  preferirsi  la  soluzione  di  NaCl  7,5  %o  >  tepida  a  37°,  o 
la  soluzione  Pacini-Hayem  ;  1'  acqua  pura  non  altera  il 
reticolo,  ma  gli  altri  elementi.  Se  il  lavaggio  si  fa  con  at- 
tenzione esso  è  facile  e  non  richiede  lungo  tempo.  E  bene 
agire  prontamente  perchè  volendo  colla  soluzione  sodica 
conservare  gli  elementi  morfologici  senza  alterarli,  se  l'o- 
perazione dovesse  durare  a  lungo  i  filamenti  di  fibrina  si 
gonfiano  e  si  alterano.  La  fibrina  in  contatto  con  solu- 
zioni alcaline  passa  dopo  un  certo  tempo  allo  stato  di 
mucilagine  e  si  trasforma  in  albuminosi  od  in  alcalialbu- 
mina.  Per  ottenere  poi  un  preparato  da  conservarsi  è  bene 
colorirlo  colla  pirosina  o  col  violetto  metile  e  fissarlo  colla 
gomma  Damar  o  colla  glicerina. 

Questi  caratteri  sono  da  riservarsi  al  reticolo  fibrinoso 
del  sangue  fisiologico  dei  mammiferi.  Perchè  se  noi  sotto- 
poniamo a  questo  identico  processo  del  sangue  di  rana  o 
di  piccione,  dobbiamo  rilevare  qualche  diff"erenza  di  poca 
importanza  e  qualche  altra,  invece,  sostanziale.  Le  granula- 
zioni plasmiche  appaiono  in  questo  caso  un  po'  più  frequenti 
tanto  da  formare  in  alcuni  punti  dei  veri  ammassi.  11 
Ranvier  ed  il  Renani  le  hanno  attribuite  a  granulazioni 
di  fibrina  libera  perchè  le  si  veggono  talvolta  —  come  essi 
dicono  —  presenti  nell'interno  dei  globuli  rossi  e,  durante 
il  processo  della  coagulazione  seguito  al  microscopio,  farsi 
più  grosse  ed  assumere  una  forma  stellata  dalla  cui  punta 
si  dipartono  i  primi  filamenti  del  reticolo  fibrinoso  che  le 
circonda.  Del  resto  anco  le  piastrine  durante  il  processo 
della  coagulazione  nel  contempo  che  il  loro  protoplasma 
si  fa  torbido  e  granuloso,  aumentano  di  volume,  e  nessuno 
—  vogliamo  credere  —  riterrà  essere  desse  costituite  di 
fibrina.  Comunque,  il  fatto  che  può  interessare  è  che  il 
numero  di  (jueste  granulazioni  è  un  po'  maggiore  nel  san- 
gue della   rana,  piccione  ecc.  che  in  quello  dei  mammiferi. 


[17]  ■  (939) 

Ma  quello  che  ha  certamente  assai  più  importanza  è  la  par- 
tecipazione dei  globuli  rossi  nucleati  alla  formazione  del 
reticolo.  Il  lavaggio,  in  tale  caso,  rischiara  molto  poco  il 
preparato,  costituito  da  maglie  di  fibrina  molto  fitte  e  che 
hanno  forte  aderenza  colle  emasie.  La  colorazione  mostra 
infatti  che  i  filamenti  sono  intimamente  uniti  ad  esse.  Un 
altro  fatto  poi  dimostra  ancora  la  verità  di  questa  compar- 
tecipazione. Se  si  raccoglie  dalla  vena  dell'ala  del  piccione 
il  sangue,  appena  fuoriuscito,  in  una  soluzione  sodica  tepida, 
i  globuli  si  depongono,  come  si  sa,  dopo  un  certo  tempo 
in  fondo  al  recipiente.  Avendo  cura  che  questo  sia  costi- 
tuito da  una  provetta  lunga  e  stretta  è  facile  decantare 
con  un  capillare  di  vetro  il  liquido  soprastante  ai  globuli. 
Ripetendo  piiì  volte  questa  operazione  coli'  aggiungere  di 
nuova  soluzione  sodica,  si  può  arrivare  al  punto  di  sot- 
trarre tutte  le  granulazioni  ed  i  corpuscoli  bianchi.  L'e- 
same microscopico  aiuterà  a  stabilire  questo  punto.  Ciò 
fatto,  allora  invece  di  soluzione  sodica  si  aggiunga  dell'acqua 
distillata  in  eccesso  —  essa  distrugge  le  emasie  e  scioglie 
e  diffonde  la  loro  emoglobina.  Lasciando  in  assoluto  riposo 
la  provetta  per  circa  quattro  o  cinque  ore  si  può,  ripetendo 
la  decantazione  accurata,  ottenere  da  una  parte  un  liquido 
tinto  di  sostanza  colorante  e  privo  di  emasie,  dall'altra  un 
liquido  che  contiene  il  protoplasma  disgregato  —  lo  stroma. 
Si  sa  che  se  il  sangue  non  è  stato  sottoposto  a  nessuna 
manovra  meccanica,  la  soluzióne  salina  nulla,  ad  eccezione 
di  un  po'  di  globulina,  sottrae  ai  globuli,  e  l'acqua  distillata  ne 
esporta  solo  dei  sali  e  la  materia  colorante.  Se  si  aggiunge 
questa  sospensione,  un  po'  evaporata,  in  acqua  a  del  siero  dello 
stesso  animale,  si  ottiene  un  coagulo;  se  si  aggiungono  inve- 
ce i  globuli  rossi  non  alterati  coU'acqua,  il  coagulo  è  più  lento 
ad  aversi  e  più  scarso.  Se  si  prepara  col  metodo  di  Ham- 
marsten  del  fibrinogeno  (Plasma  1  p. -f- soluz.  sat.  di  NaCl; 
il  precipitato  si  lava  con  soluz.  sat.  di  NaCl  allung.  col 
suo  voi.  di  acqua  distillata  —  si  raccoglie  poi  in  soluz. 
NaCl  8  %,  si  lava  definitivamente  in  acqua  bollita,  perchè 


(040)  [18] 

il  fibrinogeno  è  solubile  neU'acciua  contenente  ossigeno)  e 
si  aggiunge  all'aciiua  che  lia  in  sospensione  i  prodotti  della 
disgregazione  della  eniasie,  del  NaCl  -|-  CaCl'^,  si  ha  della 
fibrina. 

I  globuli  rossi  dei  mammiferi  partecipano  in  una  ma- 
niera incomparabilmente  minore  alla  precipitazione  della 
fibrina  ;  occorre  per  ottenere  tal  fatto  —  almeno  da  quello 
che  abbiamo  osservato,  senza  pretesa  di  riferire  cifre  ma- 
tematicamente esatte  —  circa  dieci  volte  tanto  di  tali  globuli 
di  quello  che  si  richiede  con  sangue  di  uccelli,  rettili... 

II  Mosso  nella  Nota  11  dei  suoi  Studi  sul  sangue  ri- 
tiene invece,  come  ho  detto  più  sopra,  essere  i  globuli 
rossi  il  fattore  più  importante  nella  determinazione  della 
coagulazione.  Le  conclusioni  dell'illustre  fisiologo  di  Torino 
sarebbero  adunque  —  almeno  in  apparenza  —  aff'atto  op- 
poste alle  mie.  Se  però  si  osserva  un  po'  davvicino  le  con- 
dizioni in  cui  Egli  ha  studiato  specialmente,  non  credo  che 
questa  discordanza  permanga  a  sussistere  nella  sua  prima 
intierezza.  Siccome  per  la  precipitazione  della  fibrina  è 
d' uopo  che  le  emasie  si  distruggano,  onde  mettere  in  li- 
bertà il  fermento  che  contengono,  il  Mosso  ha  stabilito 
questi  esperimenti  coi  (juali  verrebbe  a  provarsi  l' impor- 
tanze di  esse. 

1.  Il  sangue  coagula  tanto  più  rapidamente,  quanto 
più  è  esteso  il  contatto  dei  corpuscoli  colle  pareti  dei  vasi 
nei  quali  si  raccoglie  ;  se  invece  esso  viene  versato  in  un 
liquido  proplastico,  precipita  in  fondo  al  vaso  senza  subire 
alcuna  modificazione.  Non  ha  ceduto  affatto  della  sua  emo- 
globina e  non  ha  determinato  la  formazione  di  nessun  coa- 
gulo. Se  queste  emasie  vengono  disfatte  coi  dei  pallini  di 
Pb  poco  dopo  succederà  la  coagulazione.  Se  invece  di  far 
cadere  le  gocce  di  sangue  nel  liquido  proplastico,  si  ver- 
sano sulle  pareti  del  vetro  e  si  fa  girare  il  cilindro  in  modo 
che  il  sangue  bagni  tutta  il  vaso,  aggiungendovi  dopo  il 
liquido  proplastico  questo  coagula  immediatamente,  o  poco 
dopo. 


[19]  (941) 

È  da  avvertire  che  il  sangue  versato  ha  subito  la  se- 
lezione secondo  il  concetto  dell' A.,  cioè  il  passaggio  attra- 
verso un  lungo  e  ristretto  tubo  di  vetro  (lungh.  1  metro, 
diametro  del  lume:  5  cm.)  dal  fondo  del  quale  dopo  qualche 
ora  si  raccoglie  lo  strato  non  pur  anco  coagulato  ;  sangue 
della  carotide  di  un  cane  vivo  passato  a  traverso  l'arteria 
polmonare  ed  i  polmoni  di  un  altro  cane  ucciso  poco 
prima  ;  sbattimento. 

IL  II  digiuno  prolungato  rende  il  sangue  poco  coagu- 
labile, perchè  durante  la  inanizione  si  sono  distrutte  le 
emasie  meno  resistenti,  sopravivendo  quelle  dotate  di  mag- 
giore vitalità.  L'A.  lo  ha  dimostrato  non  solo  nei  mammife- 
ri, ma  eziandio  e  con  non  minore  evidenza,  nelle  rane  e  nelle 
tartarughe,  le  quali,  dopo  aver  passato  l'inverno  digiunando, 
hanno  un  sangue  che  non  coagula  più  o  molto  difficilmente  : 
mentre  che  nelle  rane  e  tartarughe,  le  quali  in  primavera 
hanno  già  mangiato,  il  sangue  coagula  con  grande  pron- 
tezza. Alla  fine  dell'inverno  i  corpuscoli  rossi  delle  rane  e 
delle  tartarughe  presentano  il  massimo  della  loro  resistenza, 
e  perciò  non  coagulano  prontamente. 

Questi  sono  i  due  espedienti  principali  per  mezzo  dei 
quali  l'A.  ottiene  una  selezione  di  globuli  resistenti  e  la 
dimostrazione  dell'importanza  della  alterazione  delle  ema- 
sie nel  fenomeno  della  coagulazione.  Io  non  ho  potuto  ri- 
fare la  esperienza  della  circolazione  artificiale  del  polmone, 
ma  le  altre  tre,  quelle  cioè,  che  chiameremo  per  brevità, 
del  passaggio  attraverso  il  tubo  di  vetro,  dello  sbattimento 
e  della  inanizione,  mi  hanno  perfettamente  confermato  i  ri- 
sultati del  Fisiologo  piemontese.  Anzi  in  un  breve  corso  di 
semeiotica  del  sangue  che  io,  per  incarico  del  prof.  Mara- 
gliano,  feci  l'anno  scorso  nell'Istituto  di  Clinica  Medica  in 
Genova  nel  Ferien-Cursus,  mi  ero  già  servito  con  vantag- 
gio di  alcuni  di  questi  mezzi  per  dimostrare  la  resistenza 
massima  delle  emasie  al  calore,  pressione  ecc.  (Recentemente 
questa  selezione  operata  dal  digiuno  venne  pure  confermata 
da  Stefani  e  Gallerani). 

T.  IV,  S.  VII  63 


(942)  [20] 

Dunque  fin  qui  perfettamente  d'accordo.  La  differenza 
sta  solo  nella  interpretazione  del  fatto.  Nell'inanizione  pro- 
lungata fino  alla  morte  dell'animale,  noi  abbiamo  —  è  vero 
—  una  diminuzione  della  coagulabilità  del  sangue,  ma  non 
è  forse  anche  possibile  il  pensare  che  ciò  non  debba  tutto 
esser  per  avventura  attribuito  alla  maggiore  resistenza  dei 
globuli  rossi,  ma  pure  alle  modificazioni  degli  altri  fattori 
che  sogliono  intervenire  normalmente  alla  determinazione 
del  fenomeno  ? 

Di  fatti,  secondo  le  ricerche  di  Sciolla  e  mie,  nella  ina- 
nizione, si  trova  una  più  o  meno  cospicua  diminuzione  degli 
albuminoidi  in  toto  ;  abbiamo  inoltre,  secondo  le  ricerche  di 
Meixner,  Leube,  Poe/il,  Hofhieister,  e  specialmente  F.  Lus- 
sarla e  Devoto,  che  nello  stato  di  inanizione  si  raccoglie  nel 
sangue  una  cospicua  quantità  di  peptone,  che  ha  fra  le 
.sue  proprietà  caratteristiche  quella  di  ritardare  la  coagu- 
lazione. Di  più,  i  globuli  bianchi  dopo  pochi  giorni  di  di- 
giuno diminuiscono  progressivamente  fino  al  punto  da  scom- 
parire, un  po'  più  tardi,  affatto  dal  circolo  (Luciani-Alber- 
toni-Castellino),  le  piastrine  seguono  la  stessa  sorte  in  modo 
ancora  più  marcato  (Mondino  e  Sala),  diminuisce  pure  l'CO'^. 

In  quanto  poi  alle  emasie  degli  ovipari  io  ho  osservato 
che  il  nucleo  dei  globuli  rossi  del  piccione  dopo  soli  tre 
giorni  di  digiuno  è  sensibilmente  più  piccolo  della  norma. 
E  noto  pure  che  la  nucleina  di  tutti  tessuti  durante  la  ina- 
nizione viene  consumata  dall'organismo,  il  quale  ne  ossida 
il  fosforo  che  contiene.  Non  potrebbe  adunque  a  sua  volta 
il  fatto  della  diminuzione  della  sostanza  nucleare  comparte- 
cipare con  qualche  peso  a  questa  ipocoagulabilità  del  sangue  ? 

Per  ciò  che  concerne  i  mezzi  di  selezione  colla  cir- 
colazione artificiale  del  polmone,  col  tubo  di  vetro,  collo 
sbattimento,  come  si  può  escludere  la  presenza  in  quel  san- 
gue di  globuli  1)ianchi  ? 

E  cosi  tutte  le  riguardose  cautele  adoperate  dall'A.  a 
vantaggio  delle  emassie,  non  servono  esse  pure  a  tutelare 
la  resistenza  e  la  vitalità  dei  leucociti  ?  Ecco  dei  dubbi  che 


[21]  (943) 

osiamo  avvanzare  molto  modestamente  in  presenza  di  Chi 
degli  studi  della  fisiopatologia  del  sangue  è  veterano  cultore 
e  conoscitore  profondo. 

Secondo  adun(|ue  il  nostro  umile  parere  i  globuli  rossi 
partecipano  alla  coagulazione,  ma  in  modo  meno  efficace 
degli  altri  elementi  morfoloi'ici. 


Ultimamente  da  qualche  autore  (Bauer  e  Meijer)  si  è 
voluto  ammettere  nella  emoglobina  una  proprietà  coagulante, 
non  sappiamo  con  quanto  fondamento.  Gli  esperimenti  no- 
stri, come  vedremo  più  tardi,  furono  sempre  a  tale  riguardo 
negativi  ;  si  ha  appena  qualche  sottile  flocco  di  fibrina,  trop- 
po misera  cosa  per  autorizzare  una  simile  conclusione. 


III. 
Natura  delle  piastrine. 

Ognuno  vede  quale  importanza  abbia  ora  lo  stabilire 
se  tutti  gli  elementi  che  compartecipano  alla  formazione 
della  fil)rina  sieno  o  no  elementi  fisiologici  e  vitali,  oppure 
se  alcuni  invece  non  sieno  che  un  mero  prodotto  di  deca- 
dimento, tanto  che  lungi  da  possedere  un'azione  nella  de- 
terminazione del  fenomeno  della  coagulazione,  la  partecipa- 
zione loro  sia  indifferente  e  la  presenza  accidentale.  Si  inten- 
de subito  che  noi  qui  vogliamo  alludere  alla  natura  delle 
piastrine  —  questione  così  già  da  tanto  tempo  agitata  e  che 
malgrado  conti  valorose  difese  in  appoggio  della  dignità 
loro  di  elemento  morf.  normale  del  sangue  e  della  loro 
importanza  attiva,  capitale  alla  coagulazione  e  trombosi, 
pure  ad  ogni  tratto  viene  ripresa  e    riportata  sul  terreno 


(944)  [22] 

della  disputa.  La  prima  obbiezione  che  fu  fatta  al  Bizzozero 
che  le  illustrò  per  il  primo,  fu  quella  di  negare  la  loro 
presenza  nel  sangue  circolante  ed  attribuirle  ad  un  fatto 
successivo  e  coordinato  alla  sua  morte  :  ma  provata  poi 
questa  loro  presenza  nel  sangue  circolante  fisiologico  allora 
si  pretese  attribuirle  ad  una  disgregazione  del  protoplasma 
degli  elementi  morf.  normali. 

Noi  quindi  in  tanta  controvesia  abbiamo  voluto  ripi- 
gliare per  conto  nostro  questa  questione  ripetendo  gli  espe- 
rimenti di  Lowit,  di  Weigert,  e  di  Bizzozero  ed  istituen- 
done altri    suggeritici    dal    momento. 

Siccome  il  nocciolo  di  essa  si  agira  essenzialmente  sul 
procedimento  di  attingere  il  sangue  ed  allestire  il  prepa- 
rato, ci  siamo  sforzati  di  circondare  le  nostre  indagini  colle 
più  scrupolose  cautele,  cercando  di  eliminare  ogni  causa  di 
errore.  Così  per  non  fare  subire  al  sangue  nessun  trauma 
per  la  preparazione  (i)  abbiamo  costrutto  delle  piccole  cel- 
lette capillari  in  modo  che  appena  la  goccia  fuoriesce  dal 
membro  penetri  subito  per  capillarità  nel  preparato,  senza 
che  sopra  di  essa  abbia  agito  la  minima  manovra.  Lo  spazio 
capillare  può,  a  seconda  dei  casi,  contenere  nel  suo  interno 
del  liquido  sodico,  con  o  senza  sostanza  colorante,  o  del 
liquido  di  Pacini-Hayem,  o  meglio  ancora  del  siero  otte- 
nuto mercè  salasso  recente  colla  centrifuga  (2).  Le  soluzioni 
ed  i  vetrini  debbono  essere  riscaldati  leggermente  prima  di 
venire  adoperati,  se    1'  esame  si  fa  sopra  animali  a  sangue 


(1)  È  da  sconsigliarsi,  come  dicemmo  in  altra  Memoria,  l'uso  della 
glicerina  e  dell'olio  per  attutire  il  trauma  della  preparazione,  perchè 
queste  sostanze,  invece  di  diminuire  l'alterazione  degli  elementi,  la  pro- 
vocano ancora  maggiore. 

(2)  Possibilmente  sarebbe  desiderabile  che  il  siero  fosse  tolto  dallo 
stesso  animale  su  cui  si  esperimonta  ;  in  ogni  modo  della  stessa 
specie.  Mondino  e  Sala  adoperano  il  siero  addizionato  di  metil-violetto 
fino  a  raggiungere  un  color  mammola  un  po'  intenso  e  passato  ad  un 
filtro  lavato  di  soluzione  acquosa  di  biclor.  di  mercurio  0,5  '%, .  È  però 
da  avvertire  che  questo  siero-metile  contiene  pure  dell'  ac.  osmico. 


[23]  (945) 

caldo.  In  questo  modo  e  cori  tale  sistema  di  preparazione  si 
tronca  ogni  questione  se  la  presenza  delle  piastrine  sia  o 
no  dovuta  a  detrito  del  protoplasma  globulare  leso  durante 
la  preparazione  medesima. 

Ed  ora  ecco  brevemente  le  nostre  conclusioni  : 
Le  piastrine  di  Bizzozcro  sono  elementi  circolanti  col 
sangue  fisiologico.  Che  esse  non  sieno  un  prodotto  di  disgre- 
gazione degli  elementi  morfologici,  come  vorrebbero  Nicolai 
Heyl,  Hlava,  Ralla,  Feiertag,  Lóioit,  Weige?i,  Wooldridge 
ecc.,  lo  prova  la  loro  forma  costante,  sempre  definita  e  per 
nulla  confrontabile  ai  veri  detriti  globulari,  costituiti  o  da 
minute  granulazioni  o  da  frammenti  di  protoplasma,  i  quali, 
oltre  ad  avere  un  aspetto  vario  ed  informe,  si  discostano  in 
modo  assai  grossolano  da  quello  che  affettano  le  piastrine.  In- 
fatti queste  sono  costituite  da  un  disco  di  protoplasma  fina- 
mente granuloso  nel  centro  e  trasparente  alla  periferia.  Que- 
sto alone  non  è  colorabile,  o  solo  difficilmente  coi  colori  di 
anilina  in  soluzione  alcalina,  mentre  invece  è  suscettibile  a 
colorarsi  la  porzione  interna.  Questi  due  strati  di  protoplasma 
sono  nettamente  delimitati  da  una  linea  di  demarcazione, 
la  quale,  poco  o  punto  evidente  nello  stato  normale  della 
piastrina,  si  fa  spiccata  nelle  condizioni  di  incipiente  necro- 
biosi. Si  può  —  naturalmente  in  limiti  molto  più  ristretti 
—  paragonare  alle  modificazioni  che  avvengono  nei  leu- 
cociti nello  stato  di  progressiva  alterazione,  quelle  che  suc- 
cedono nelle  piastrine  nelle  stesse  condizioni. 

In  una  serie  di  ricerche  non  ancora  esaurite  sulle  af- 
finUà  chimiche  del  'protoplasma  in  necrobiosi,  brevemente 
riassunte  in  un  lavoro  Sulle  aUcraz.  del  sangue  nella  pol- 
monite (1)  ho  dimostrato  che  il  globulo  bianco,  quando 
venga  tolto  dal  suo  ambiente  normale,  subisce  delle  modi- 
ficazioni regressive  che  si  possono  cosi  riassumere: 
I.  Cessazione  dei  movimenti  ameboidi. 


(l)  Atti  della  Società  di  Scienze  Nat.  e  Geogr.  di  Genova. 


(946)  [24] 

IL  Contigurazione  .sferica    del  citude  ('),  e    comparsa 
del  nucleo. 

III.  Comparsa  dei  processi  paraplastici. 

IV.  Loro  fusione  basale. 

y.  Fuoriuscita  di  hoUe  di  enchilema. 

VI.  Fusione  in  sincizii  e  disgregazione  finale. 

Ebbene,  se  si  osserva  attentamente  quanto  avviene  nelle 
piastrine,  si  scorge  che  esiste  fra  la  successione  delle  loro 
alterazioni  e  quella  dei  globuli  bianchi  una  qualche  analogia. 
Infatti  la  stessa  modificazione  sferica  del  leucocita  la  presen- 
tano pure  le  piastrine,  poiché  la  loro  forma  appiatita  di 
moneta  si  trasforma  in  quella  di  un  piccolo  globulo  ;  al- 
trettanto dicasi  dell'alone  di  enchilema  che  circonda  del 
pari  il  piccolo  corpuscolo  ;  le  bollicine  di  questa  sostanza 
che  si  forma  nell'  interno  dei  due  elementi  ;  la  forma- 
zione ed  unione  in  sincizii  di  elementi  della  stessa  natura, 
fusione  cementata  dalla  viscosità  caratteristica  dell'enchile- 
ma;  disgregazione  in  ultimo  del  protoplasma. 

Le  piastrine  —  siccome  quelle  che  sono  d'  assai  più 
labili  e  delicate  —  si  distruggono  con  enorme  rapidità,  men- 
tre i  leucociti,  più  resistenti,  si  conservano  non  solo  nella 
piena  loro  integrità,  ma  ancora  immuni  dai  caratteri  della 
loro  degenerazione  necrobiotica. 

Questo  fatto  potrebbe  anche  dimostrare  quale  profonda 
differenza  esista  fra  la  natura  dei  due  protoplasmi. 

Se  si  esamina  il  mesenterio  o  la  lingua  della  rana,  le 
piastrine  circolanti  presentano  la  maggior  parte  un  nucleo 
molto  evidente,  (che  nei  preparati  può  essere  colorito  assai 
bene  colla  rosanilina)  e  dei  granuli  risplendenti  (granula- 
zioni di  vitellina?)  Abbiamo  detto:  la  tnaggiov  parie  e  ciò 
pensatamente  perchè  noi  siamo  persuasi  —  sebbene  non  sia 
possibile  dimostrarlo,  come  si  potrebbe  invece  lo  stesso  fatto 


(1)  L'  osservazione  concerne  i  globuli  bianchi  senza  ancora  la  deli- 
rnitazione  del  nucleo. 


[25]  (947) 

agevolmente  dimostrare  a  proposito  delle  emasie,  nei  pre- 
parati in  vetro,  stante  la  estrema  alterabilità  di  questi  ele- 
menti —  che  anche  in  esse  la  evidenza  del  nucleo  coincida 
con    un    incipiente  grado  di  necrobiosi. 

Volendone  raccogliere  una  certa  quantità  per  po- 
terne studiare  un  po'  meno  malagevolmente  la  loro  natura 
è  necessario  attenersi  al  consiglio  di  Bizzozero.  Colla  de- 
fibrinazione  del  sangue,  tosto  uscito  dalla  vena,  fatta  con 
un  bastoncino  di  vetro,  si  raccoglie  nella  sua  estremità  oltre 
che  della  fibrina,  una  grande  quantità  di  piastrine.  Immer- 
gendo allora  nella  soluzione  sodica  questa  porzione  del 
bastoncino,  si  può  ottenerne  un  numero  discreto  insieme  a 
dei  fiocchi  di  fibrina,  che  non  disturbano  per  nulla  1'  os- 
servazione. L'acqua  distillata  le  altera  profondamente  ;  esse 
si  disciolgono  negli  alcali  deboli  e  nel  carbonato  di  soda 
cristallizzato  1  %;  l'acido  acetico  le  gonfia  e  le  distrugge; 
altrettanto  avviene  per  la  soluzione  di  ferrocianuro  di  po- 
tassio acetico  ;  l'acido  cloridrico  al  millesimo  con  pepsina 
purissima  le  distrugge  completamente  risparmiando  una 
porzione  dei  granuli  della  zona  centrale. 


IV. 
Il  fibrino-fermento. 


In  questi  due  precedenti  e  brevi  capitoli  abbiamo  dun- 
que veduto,  alla  stregua  dell'  esame  fatto  essenzialmente 
colla  celletta  capillare,  che  alla  determinazione  del  feno- 
meno della  coagulazione  coìicorrono  per  l'ordine  di  effica- 
cia :  I.  le  piastrine,  II.  i  globuli  bianchi  {fra  i  quali  spe- 
cialmente i  polinucleati).  III.  le  granulazioni  elementari, 
IV.  i  globuli  rossi  degli  ovipari,  V.  i  globuli  rossi  dei  mam- 


(948)  [26] 

miferi.  (Q,ue.sti  ultimi  in  modu  multo  deb  )le).  Inoltre  che  le 
piastrine  sono  un  elemento  morfologico  normale  del  san- 
gue, e  non  un  prodotto  di  disintegrazione  di  altri  elementi. 

Ciò  posto,  è  ben  naturale  la  domanda  :  In  che  consiste 
questa  azione  precipitante,  caratteristica  di  questi  corpi, 
sul  fibrinogeno  ?  Se  li  esaminiamo  alla  stregua  delle  reazioni 
chimiche  già  stabilite  da  altri,  noi  osserviamo  che  essi  hanno 
in  comune  essenzialmente  una  sostanza  detta  nucleo-albu- 
mina e  che,  probabilmente,  in  ragione  della  quantità  da 
essi  contenuta  ripetono  la  intensità  della  efficacia  coagu- 
lante. 

Questa  pel  momento  non  è  che  un  ipotesi  —  vedremo 
dopo  se  può  meritare  qualche  considerazione. 

Intanto  cominciamo  a  sottoporre  ad  esame  i  globuli 
bianchi  —  od  in  mancanza  di  una  grande  quantità  di  essi  le 
glandule  linfatiche  [Halliburton).  Per  avere  molti  leuco- 
citi il  miglior  mezzo  (Ouskoff',  Orihmann,  Councihnann, 
Mosso)  è  quello  di  iniettare  della  trementina  sotto  la  cu- 
te del  cane.  Dall'  ascesso  che  si  forma  se  ne  può  ottenere 
più  di  quanto  occorra  ad  un  esame.  Nella  provetta  dove 
vengono  raccolti  si  versano  sei  parti  di  acqua  distillata, 
poi  un  po'  di  Na  Ch  e  di  Ch  Ca^  [Liquido  A).  Per  le  glan- 
dule linfatiche  si  procede  ugualmente  dopo  averle  triturate 
e  pestate.  [Liquido  B).  Il  plasma  su  cui  questi  liquidi  deb- 
bono reagire  deve  essere  stato  trattato  primitivamente  in 
eccesso  con  solfato  di  soda  purissimo.  Se  si  mescola  ({uesto 
liquido  con  ciascuno  degli  altri  due  precedenti,  entrambi 
danno,  a  seconda  della  quantità  di  essi,  un  coagulo  più  o 
meno  abbondante  e  più  o  meno  rapido.  La  temperatura  è 
quella  dell'ambiente.  Se  si  confrontano  i  due  coaguli  otte- 
nuti colla  stessa  quantità  di  plasma  e  colla  stessa  quantità 
di  liquido  A  e  liquido  B  si  vede  che  il  coagulo  A  è  più 
ricco  e  più  pronto  del  coagulo  P>.  Dunque  sia  i  leucociti 
che  le  glandule  linfatiche  contengono  un  quid,  un  fermento 
capace  di  coagulare  il  fibrinogeno  di  Hammarsten  esistente 
nel  plasma,  e  lo  precipitano  in  modo  (lifìerente  ;  i  primi  più 


[27]  (949) 

rapidamente,  le  gianduia  in  maniera  più  lenta  ed  un  po' 
meno  abbondante. 

Se  raccogliamo  in  un  Altro  questo  precipitato  e  lo  si 
sottopone  a  delle  analisi  reattive  si  ha:  che  esso  non  è  so- 
lubile in  acqua,  che  si  gonfia  coU'ac.  acetico  al2%o,  che 
gli  alcalini  lo  trasformano  in  mucilagine  e  poi  in  alcalial- 
bumina.  Le  soluzioni  di  questo  precipitato  con  liquidi  di 
solfato  e  fosfato  di  soda  sono  precipitate  dagli  acidi  e  dal 
solfato  di  magnesia  in  eccesso. 

La  soda  al  2  o/oq  l'ende  questo  precipitato  trasparente, 
gelatiniforme. 

Dunque  questo  precipitato  è  vera  fibrina. 

Si  può  fare  una  obbiezione.  Ed  è  questa  :  Se  è  possi- 
bile separare  dai  leucociti  ottenuti  dall'  ascesso  i  globuli 
rossi,  non  è  possibile  separarli  dalle  piastrine ,  che  da 
quanto  alìbiamo  veduto,  si  può  ammettere  siano  dotate  di 
una  forte  influenza  nel  determinare  la  coagulazione.  Ciò 
è  verissimo  e  noi  per  eliminare  questo  dubbio  sulla  pre- 
senza delle  piastrine  abbiamo  applicato  il  seguente  esperi- 
mento   stal)ilito    dal    Bizzozet^o  in  indagini  consimili. 

Se  ad  un  cane  di  12  kg.  si  estrae  dalla  carotide  100 
gr.  per  volta  di  sangue  e  lo  si  defibrina  subito  e  poi  lo  si 
riinietta,  dopo  averlo  per  qualche  istante  mantenuto  alla 
temperatura  di  38''  e  dopo  averlo  filtrato  attraverso  un 
pannolino  finissimo  e  pulito,  per  la  vena  di  nuovo  nel  san- 
gue e  tale  operazione  si  ripete  varie  volte  (7-8),  veniamo 
ad  avere  un  sangue  circolante  ricco  in  una  quantità,  presso 
a  poco  normale,  di  globuli  rossi  e  di  leucociti,  e  quasi 
privo    di    piastrine  {Bizzozero,  Gauthier,  Freimcl ). 

Questo  sangue,  raccolto  in  un  vaso  direttamente  dalla 
vena,  tarda  molto  a  coagulare.  Se  colle  più  prudenti  cautele 
se  ne  attinge  una  goccia  per  mezzo  di  un  capillare  di  vetro, 
provveduto  di  una  certa  quantità  di  siero  a  35°  dello  stesso 
sangue  e,  cjA  procedimento  descritto,  si  allestisce  un  pre- 
parato microscopico,  noi  vediamo  che  questa  goccia  è  costi- 
tuita di  globuli  rossi  abbastanza  ben  conservati  e  di  leuco- 


(950)  [28] 

citi  ]»(M'rcl.t;uii('Hto  iiit(>fi;i-i  o  dotati  di  pi'ocessi  ameboidi  at- 
tivi. Non  si  \('d('  (jiiasi  nessuna  piastrina,  come  jiui-e  nessun 
filamento  di  lihi'iiia.  Essa  comiiai-ii-a  dopo  un  certo  pei-iodo 
nel  pi-epai-ato,  appena,  i  i;lol)uli  hiaiiclii  avranno  presentate 
le  altei-azioni  già  doscivitto. 

Il  l'eticolo  che  si  l'orma  non  è  mollo  ablìoiidante,  e  ciò 
é  troppo  naturale  e  da  atlcndei'si  data  la  gi'aiide  (juaiitità 
di  lilirino^'eno  che  noi  si  è  sottratta  airaiiimale.  E  ])erò  un 
esperimento  jiositi\o  in  (pianto  clu^  dimostra  la  cai)acità  dei 
i^lohuli  liiaiichi  a  i)recipit;ire  ({uel  poco  di  tìhrina  che  an- 
cora (|ii(d  sangue  pos>ede\a.  E  tanto  è  vero  che  non  è  alla 
deticienza  del  fermento  che  devesi  attribuire  la  povertà  del 
coagulo,  (die  se  noi  versiamo  in  (juel  sangue  delle  piastrine 
ottenute  affatto  receniemente  dallo  sbattimento  di  sangue 
di  altro  animale,  il  secondo  coagulo  che  si  ottiene  è  di  ben 
poco  maggiore. 

11  prof.  Basire  di  Parigi  pubblica  in  (juesti  ultimi 
giorni  una  bella  Memoria  intorno  a  ({uesto  istesso  argo- 
mento. Tra  le  sue  C(jnclusioni  mi  piace  stralciarn(^  solo  due 
che  \'engono  a.  confermare  validamente  (pianto  sopra  ho 
detto  e  quanto  dissi  —  credo  pel  j)rinio  —  in  altro  lavoro 
int(n'no  alle  AUerazioni  del  smigue  nella  polmonile,  e  di 
certo  sfuggito  ali"  egregio  A. 

Egli  ha  seguito  il  sistema  del  salasso  rìpetvio  di  Biz- 
zozero  ed  ha  trovato  che  il  Hbrino  fermento  esiste  sia  nel 
sangue  estratto  per  il  primo  che  in  (juelhì  tinaie  :  inoltre 
la  rapidità  di  coagulazione  di  un  sangue  non  è,  come  prima 
si  credeva,  in  ragione  inversa  della  (juantità  di  fibrina  che 
contiene,  ma  invece  precisamente  che  la  ('oaf/iilahililà  del 
sa/ngue  e  in  rappoì'lo  alla  riC{d/e:-:-a  di  /ibr/iui.  Ncdle  mie 
ricerclu^  ematologiche  sulla  lìolmonite  pubblicate  1"  aniu) 
scorso,  a\('\()  aindi'io  rilevato  (|uesio  fatto  nei  miei  esami, 
in  cui  ((uasi  costantemente  il  reperto  d(dla  coafjìdnzione 
pnnila,  tenace,  rapida  st;na,  legato  a  (pudlo  di  reticolo  ah- 
hondanle,  fitto,  talclu'  così  riassumevo  a  ([inasto  proposito 
nella  Coìiclusume  IX-/].  L' alle  razione  Cìtiatica  consisle  an- 


[29]  (951) 

che  in  una  modificazione  del  sangue,  che  si  esplica  per  la 
prontezza  alla  formazione  del  reticolo,  per  la  sua  tenacia 
e  per  una  abbondante  p^^ecipitazione  di  fibrina.  Da  qual- 
cuno troppo  vincolato  dalle  tradizioni  eternate  dai  trattati 
non  .si  volle  rilevare  e  dar  peso  a  questa  osservazione,  cui 
ora  si  presterà  sicuramente  fede  pel  fatto  solo  che  viene 
confermata  da  uno  straniero  ! 

Con  questo  esperimento  io  credo  che  si  possa  a  buon 
diritto  dimostrare  che  alla  formazione  del  coagulo  parte- 
cipano anzitutto  le  piastrine,  le  quali  essendo  prime  ad  al- 
terarsi determinano  più  prontamente  la  precipitazione  della 
fibrina,  in  secondo  luogo  i  leucociti. 

Ma  vi  è  ancora  un  altro  esperimento  con  cui  l'effica- 
cia dei  globuli  bianchi,  in  questo  senso,  può  essere  pure 
provata.  Al  cane  sottoposto  al  procedimento  di  Bizzozero  e 
di  Dastre,  dopo  l'ultima  sottrazione  di  sangue,  si  inietti 
sotto  la  cute  una  soluzione  di  nucleina  contenente  0,50  di 
questa  sostanza,  (i) 

Dopo  8^-10''-15^  si  osserverà  che  i  leucociti  sono  pro- 
fondamente scemati  perchè  se  ne  sono  distrutti  {^).  Faccia- 
mo allora  un'altro  salasso  all'animale  di  200  cm^  e  lasciamo 
depositare  il  sangue  per  alcune  ore,  onde  ottenere  il  siero  (3). 
Questo  siero  contiene  una  quantità  abbondante  di  nucleina 
dovuta  alla  distruzione  dei  leucociti  più  a  ({uella  che  abbiamo 
iniettato. 

Se  sul  plasma,  trattato  come  già  più  sopra  dicemmo,  si 


(1)  Sentiamo  il  dovere  di  ringraziare  vivamente  il  Prof.  Jnnoxrshl 
della  clinica  boema  di  Praga  ed  il  D.""  Horbaczexoshi,  i  quali  con  una 
rara  amabilità  hanno  voluto  cortesemente  fornirci  reiterate  volte  il  mezzo 
di  avere  una  nucleina  purissima. 

(2)  In  alcune  ricerche  che  ho  fatto  sulla  azione  della  nucleina  som- 
ministrata artificialmente  nell'organismo,  ho  trovato  che  talvolta  la 
distruzione  dei  leucociti  in  circolo  può  arrivare  a  tal  punto  da  trovar- 
vene  difficilmente. 

(3)  La  defibrinazione  non  é  possibile  quasi  mai  per  la  rapida  coa- 
gulazione che  avviene  del  sangue  appena  fuoriuscito  dall'  afteria, 


(952)  [30] 

fa  agire  questo  siero,  si  ottiene  della  fibrina  in  un  tempo 
più  breve  del  V  esperimento  fatto  col  salasso  ripetuto  di  1>. 
Invece  di  iniettare  la  nucleina,  si  inietti  della  pirodinu  e  si 
avrà  del  pari  subito  una  distruzione  di  leucociti  ed  il  siero 
ottenuto  dal  coagulo  avrà  le  identiche  proprietà. 

Questo  si  deve  a  che  la  nucleina,  come  la  pirodina 
hanno  distrutto  più  prontamente  i  leucociti  e  determinato 
la  fuoriuscita  del  loro  fermento-fibrino  in  modo  più  rapido 
di  quanto  non  avviene  spontaneamente  nel  sangue  non  trat- 
tato con  dette  sostanze  ed  abbandonato  a  sé  stesso.  In 
quanto  alla  capacità  di  agire  del  siero  coartato  dal  coagulo 
come  fermento,  noi  non  sapremmo  come  spiegarcela  se  non 
coll'ipotesi  di  Fick  il  quale  riferisce  alla  teoria  della  coa- 
gulazione del  sangue  quella  dell'azione  degli  enzimi,  giu- 
sta la  (juale  una  molecola  di  fermento  prende  il  posto  di 
una  molecola  del  corpo  a  trasformarsi  e  costituisce  cosi 
una  combinazione  passeggiera,  ottenuta  la  quale  la  mole- 
cola del  fermento  viene  a  essere  separata  e  rigenerata  per 
la  sostituzione  di  una  molecola  di  acqua.  Dunque  il  fer- 
mento lungi  dal  distruggersi  verrebbe  ad  essere  di  nuovo 
ripristinato  quasi  integralmente. 

Questo  avviene  però  (juando  non  si  sia  agito  in  modo 
da  alterarlo,  perchè  se  in  questo  siero  noi  versiamo  delle 
sostanze  capaci  di  modificarlo  sostanzialmente,  la  sua  pro- 
prietà sarà  d'altrettanto  paralizzata.  Così  pure  se  in  un  li- 
quido ricco  di  fibrinogeno  di  Hammarsten  invece  di  versare 
in  acqua  i  leucociti,  ottenuti  dall'ascesso  colla  trementina, 
si  versano  invece  in  alcool  comune  (00°)  in  alcool  a  70°  a 
90°,  il  precipitato  sarà  meno  abl)ondante  e  d'altrettanto 
più  lento  a  formarsi  quanto  più  alcool   contiene. 

Lo  stesso  avverrà  in  presenza  di  acidi,  anche  in  de- 
bole quantità,  di  peptone,  di  fermento  peptico-pancreatico 
di  Albertoni. 

Perchè  tutto  questo  ?  Eppure  sia  l'alcool,  che  gli  acidi, 
che  il  peptone,  che  il  fermento  peptopancreatico  producono 
una  distruzione    dei  leucociti  e  questo  fatto    dovrebbe,   da 


[31]  (953) 

quanto  tìn'ora  fu  esposto,  agevolare  anziché  l'itardare  o;l 
impedire  addirittura  la  coagulazione.  La  ragione  sta  in  ciò 
che  appunto  queste  sostanze,  uno  alla  disgregazione  del 
protoplasma,  distruggono  eziandio  il  fermento  fihrino,  — 
cioè    la  nucleina. 


Questi  fatti  che  è  possibile  rilevarli  a  proposito  dei 
globuli  bianchi  è  assai  malagevole  ripeterli  sulle  piastrine 
per  la  difficoltà  di  ottenerne  in  grande  copia.  Per  esse  è 
necessario  la  indagine  microchimica  come  noi  ci  siamo  atte- 
nuti e  di  cui  abbiamo  detto  quanto  è  sufficiente  per  attribuire 
il  loro  fermento  alla  quantità  considerevole  di  nucleina 
che  contengono.  La  loro  costituzione  è  dovuta  essenzial- 
mente di  nucleo-albumina  di  Hammarsten,  cioè  di  un  pro- 
teide  combinato  a  nucleina  {cel  globulin  di  Halliburton)  e 
di  mucina. 


Veniamo  ora  ad  una  questione  di  grande  importanza 
e  molto  discussa.  Alla  ricchezza  dei  globuli  rossi  in  fibrino 
fermento  ed  alla  influenza  loro  sulla  precipitazione  della 
fibrina.  Nei  preparati  a  celletta  capillare  abbiamo  già  ri- 
ferito come  alla  formazione  del  reticolo  poco  concorrano 
i  globuli  rossi  dei  mammiferi,  o  per  essere  più  esatti, 
come  il  rapporto  fra  essi  ed  il  reticolo  sia  fragile  e  facil- 
mente col  lavaggio  superabile,  mentre  invece  altrettanto  non 
sia  dei  corpuscoli  rossi  della  rana  e  del  piccione.  Questa 
differenza,  secondo  il  concetto  nostro,  dipende  che  questi 
ultimi  elementi  sono  nucleati  e  riccamente  provvisti  quindi 
di  nucleina. 

Fu  Lauder  Brunton  quegli  che  pel  primo  ha  dimostra- 
to i  corpuscoli  rossi  degli  uccelli  contenere  della  mucina, 
cioè  una  sostanza  ricca  di  nucleo-albumina,  estraibile  trat- 
tando quella  con  acqua  di  calce  e  riprecipitando  con  acido 
acetico.  Plosz  ha  riscontrato  che  queste  emasie  conteng«)no 


(954)  |;32] 

una  percentuale  elevata  di  fosforo  e  della  vera  nucleina, 
identica  a  quella  ottenuta  da  Miescher  nel  pus.  Contraria- 
mente a  Sturge^,  il  quale  ritiene  essere  questa  sostanza  pre- 
sente esclusivamente  in  alcune  cellule  e  solo  cioè  in  quelle 
provviste  di  nucleo,  Worm-MilUer  invece  pretende  che 
ogni  protoplasma  ne  è,  in  (juantità  variabile,  sempre  prov- 
veduto. 

Schioartz  e  Flemming  credono  che  di  essa  sia  costi- 
tuita quella  sostanza  nota  in  microscopia  sotto  il  nome  di 
cromatina. 

Hoppe-Seyler,  Schmidt,  Semmer  hanno  trovato,  con 
indagini  molto  estese,  che  i  corpuscoli  rossi  dei  rettili,  uc- 
celli ecc.  contengono  una  grande  quantità  di  nucleina,  mentre 
invece  ne  hanno  appena  traccie  quelli  dei  mammiferi.  Wool- 
dri'lge  mentre  conviene  in  parte  con  questi  risultati,  so- 
stiene d'altro  canto  che  le  emasie  dei  mammiferi  sono  for- 
nite invece  che  di  nucleina,  di  una  piccola  quantità  di 
lecitina  —  sostanza  appartenente  al  nucleo  albumine  e 
studiata  da  Tolmatscheff  —  che  ha  la  proprietà  anch'essa 
di  coagulare  la  fibrina.  Krùger  anch'  egli  ritiene  esistere 
nei  corpuscoli  rossi  dei  mammiferi  una  sostanza  capace 
a  questa  funzione.  Altrettanto  Halliburton  e  Friend.  Lan- 
dois  nel  1874,  ripetendo  nel  coniglio  gli  esperimenti  da 
Heynsius  fatti  sul  sangue  di  cavallo,  constatò  la  partecipa- 
zione dei  globuli  rossi  alla  determinazione  del  coagulo  della 
fibrina.  Egli  sperimentò  versando  una  goccia  di  sangue 
defibrinato  in  siero  di  rana  e  chiamò  col  nome  di  fibrina 
dello  stroma  la  fibrina  che  proviene  direttamente  dallo 
stroma  di  queste  emasie,  mentre  fibrina  del  plasma  quella 
determinata  dall'  azione  del  fermento  fibrino  sul  fibrino- 
geno. Bonne  ha  espresso  pure  l' ipotesi  che  i  globuli  rossi 
dei  mammiferi  possano,  distruggendosi,  mettere  in  libertà 
del    fermento  librino. 

Come  si  vede,  mentre  la  partecipazione  al  processo 
della  coagulazione  da  parte  dei  globuli  bianchi  e  delle  pia- 
strine è  da  tutti  generalmente  ammessa,  tanto   che   ciò   ci 


[33]  (955ì 

potè  dispensare  dal  riferire  la  lunghissima  letteratura  ci 
ejumciazione  di  quanti  1'  hanno  sostenuta  ;  quella  invece 
dei  o'iobuli  rossi  è  tutt'  altro  che  una  questione  risolta. 

Perciò  noi  abbiamo  tentato,  seguendo  lo  stesso  proce- 
dimento indicato,  di  occuparcene.  E  per  non  ripetere  detta- 
gliatamente di  nuovo  i  particolari  degli  esperimenti,  diremo 
solo  che  la  osservazione  macroscopica  confermò  pienamente 
quanto  avevamo  già  dubitato  dall'  esame  in  vitro  fatto  colla 
celletta  capillare  :  e  cioè  che  i  globuli  rossi  del  piccione 
sono  forniti  di  nucleina  e  di  librino  fermento  e  possono 
partecipare  in  modo  discreto  alla  coagulazione  ;  quelli  in- 
vece del  coniglio  sono  scarsi  di  nucleina  e  fermento  fibr. 
e  partecipano  alla  formazione  del  coagulo  con  scarsa  effi- 
cacia, dando  solo  fiocchi  poco  abbondanti  di  fibrina.  (La 
separazione  della  nucleina  si  può  fare  molto  bene  col  me- 
todo del   Wurtz  o  di  Horhaczeiosky). 


Ci  resta  ora  a  dire  dell'  azione  analoga,  presunta  re- 
centemente da  C.  Bauer  e  H.  Meyer,  dell'  Emoglobina. 
Questi  A.  A.  iniettando  dell'  emoglobina  nelle  vene  di 
animali  hanno  osservato  che  il  sangue,  ottenuto  dal  salasso 
praticato  poco  tempo  dopo,  aveva  una  più  marcata  tendenza 
a  coagularsi  che  non  allo  stato  normale,  e  che  alcuni  co- 
nigli sottoposti  all'  esperimento  erano  morti  di  trombosi. 
Essi  però  non  dicono  quale  emoglobina  fosse  stata  adope- 
rata, se  di  specie  affine  all'  animale  o  differente  e  come 
ottenuta.  Già  da  lungo  tempo  Schmid!,  Jakowicki,  Birk, 
Edelberg,  avevano  rilevato  come  la  iniezione  endovenosa  di 
emoglobina,  di  specie  differente,  determini  una  rapida  ed 
estesa  distruzione  dei  globuli  bianchi.  Più  recentemente 
Tvanski,  ripetendo  le  indagini  di  Hoppe-Seyler,  Kiìhne, 
Hermann,  Tarchanoff,  Pellacani,  ha  riscontrato  che  questa 
sostanza  può  determinare  non  solo  leucolisi,  ma  anche  di- 
struzione di  emasie  e  provocare  delle  itterizie  ematogene 
da  emolisi;  cosi  Landois,  che  il  sangue  di  pecora  distrugge 


(956)  [34] 

rapidamente  i  £,4ohiili  dell'uomo  con  più  rapidità  ed  energia 
che  non  quell  )  del  cavallo  e  coniglio,  tanto  da  dar  luogo 
ad  una  precipitazione  endovasale  della  fibrina  dello  slroma. 
Altrettanto  affermano  di  aver  osservato  Naunijn  e  Fran- 
cken  (1). 

Quindi  non  é  1'  Emoglobina  per  sé  che  abbia  la  pro- 
prietà, mediante  la  presenza  di  fibrine-fermento,  (di  cui  è 
priva)  di  favorire  la  coagulazione  ;  essa  agisce  in  modo 
indiretto  e  determina  la  coagulazione  portando  delle  gravi 
distruzioni  sul  sangue. 

Del  resto  è  molto  facile  convincersi  di  ciò.  Si  versi 
del  sangue,  appena  esce  dalla  vena,  in  una  soluzione  1,5  % 
di  NaCh.  Lasciato  in  riposo  questo  liquido  per  24  ore,  con 
una  pipetta  capillare  lo  si  decanti  in  modo  che  rimanga 
solo  uno  strato,  quanto  è  possibile,  povero  di  soluzione  so- 
dica e  costituito  di  pure  emasie.  Si  aggiunga  allora  dell'ac- 
qua distillata  contenente  0,15-0,20-0,25-0,30-0,35-0,40- 
0,45  -  0,50  di  NaCh  a  tante  porzioni  di  questo  sangue.  In 
tutte  queste  provette  avremo  una  diffusione  più  o  meno 
abbondante  di  emoglobina  che  viene  raccolta  mercè  decan- 
tazione. 

L'  acqua  distillata  provoca,  è  vero,  la  pronta  diffusione 
di  tutta  r  emoglobina,  ma  scioglie  pure  le  emasie  —  ed  è 
ciò  che  noi  non  vogliamo.  Desiderando  studiare  l'azione  di 
questa  sostanza  senza  che  sul  liquido  vi  siano  raccolti  in 
quantità  grande  e  sciolti  dei  detriti  del  protoplasma,  il 
metodo  migliore  da  seguirsi  è  quello  testé  descritto.  Se  si 
esamina  difatti  coi  liquidi  comuni  fissativi  il  fondo  del  vaso, 
vi  si  vedono  dei  globuli    che    conservano  il    loro   colorito 


(1)  L'anno  scorso  insieme  col  D/  Laurenti  abbiamo  provato  nella 
Clinica  Medica  di  Genova  ad  iniettare  negli  animali  e  nell'  uomo  della 
emoglobina  purissima,  cristallizzata,  omogenea  ed  abbiamo  costante- 
mente ottenuto,  anziché  dei  vantaggi,  dei  risultati  negativi.  Abbiamo 
pure  riscont'*ato  che  la  emoglobina  di  sangue  differente  ha  un'  azione 
marcatamente  emolitica,  sì  da  rendere  la  sua  somministrazione  pericolosa. 


t35]  (957) 

normale  e  quasi  anche  la  loro  forma  fisiologica,  altri  in- 
vece più  o  meno  alterati  nei  loro  diametri  e  variamente 
scolorati. 

I  detriti  del  protoplasma  appartenenti  a  globuli  distrutti 
sono  assai  scarsi. 

Ottenuta  adunque  questa  soluzione  di  emoglobina  la  si 
fa  evaporare  ad  ima  dolce  temperatura  fino  ad  avere  un 
liquido  che  dia,  —  mescolata  una  parte  a  quattro  di  acqua 
distillata,  —  il  100  di  Fleischl.  Si  versi  allora  questa  so- 
luzione concentrata  a  del  plasma  preparato  col  metodo  solito 
—  non  si  avrà  nessun  coagulo. 


Conclusioni  e  considerazioni  generali. 


Anche  in  questa  ultima  parte  del  nostro  lavoro  saremo 
brevissimi. 

Vogliamo  qui  ora  raccogliere  in  modo  sintetico  quanto 
le  nostre  osservazioni  ci  hanno  condotto  a  ritenere. 

I.  —  Le  piastrine  sono  un  elemento  morfologico,  vitale, 

normale  del  sangue  circolante. 

II.  —  La  coagulazione  della  fibrina  è  facilmente  determi- 

nata da  un  fermento  che  si  trova,  in  ordine  di 
maggior  energia  o  quantità,  nelle  piastrine,  leu- 
cociti, globuli  rossi  nucleati,  granulazioni. 

III.  —  I  globuli  rossi  dei    mammiferi  hanno   un  valore 

minore  nella  precipitazione  della  fibrina. 

IV.  —  L'  emoglobina  non  ne  ha  nessuno. 

V.  —  L'  estratto  acquoso  di  piastrine,  di   leucociti    e  di 

emasie  nucleate,  determina  rapidamente  la  coa- 
gulazione della  fibrina  se  esso  venga  versato  in 
plasma  contenente  fibrinogeno  di  Hammarsten. 

VI.  —  wSe  le  piastrine,  i  corpuscoli  bianchi  e  rossi   an- 

ziché in  acqua  vengono  sospesi  in  soluzione  so- 
T.  IV,  S.    VII  64 


(958)  [36] 

dica  normale  e  poi  versati  nel  plasma,  —  la 
coagulazione  avviene  più  lentamente. 

VII.  —  Alcune  sostanze  (alcool  -  acidi  -  peptone  -  fer- 
mento pepto-pancreatico)  hanno  la  proprietà  di 
diminuire  od  impedire,  a  seconda  della  dose,  la 
coagulazione  della  fibrina. 

Vili.  —  Le  piastrine  hanno  la  stessa  reazione  delle 
nucleo-albumine  e  possono  ritenersi  costituite 
essenzialmente  di  esse  (nucleina,  mucina,  cell- 
globulin  di  Halliburton). 

IX.  —  I  globuli  bianchi  ed  i  rossi  degli  ovipari  disciolti 

neir  acqua  danno  anch'  essi  la  reazione  della 
nucleina. 

X.  —  La  iniezione  di  nucleina  di  Janowski  ed  Horbac- 

zewski  produce  una  distruzione  di  globuli  bianchi 
piastrine  ed  emasie.  Se  la  dose  è  forte  la  distru- 
zione dei  globuli  è  imponente  e  può  1'  animale 
morire  per  trombosi.  Il  sangue  estratto  mercè 
salasso  ha  una  spiccatissima  tendenza  a  coagu- 
lare. Il  siero  ottenuto  dal  coagulo  ha  la  proprietà 
di  precipitare  la  fibrina  dal  plasma  preparato 
secondo  Hainmarsien  ed  HalUburion. 

Da  tutte  queste  conclusioni  risulta  che  il  fibrino-fer- 
mento  di  Schmidt  è  contenuto  nelle  piastrine,  globuli 
bianchi,  —  specialmente  polinucleari,  —  globuli  rossi  nu- 
cleati,  ed,  in  molto  minore  quantità,  in  quelli  dei  mammi- 
feri ;  che  questo  fib.  ferm.  è  abbondante  in  elementi  adunque 
ricchi  di  succo  nucleare  ;  che  le  sostanze  che  mettono  in 
libertà  la  nucleina,  dopo  aver  disciolto  i  corpuscoli,  faci- 
litano la  coagulazione  ;  che  quelle  che  la  distruggono,  la 
ritardano  ed  impediscono  ;  che  iniettando  la  nucleina  nel 
circolo,  la  coagulazione  del  sangue  tolto  con  salasso  è  mar- 
catamente aumentata,  ed  il  siero  ottenuto  dalla  coartazione 
del  coagulo  è  cosi  ricco  di  questa  sostanza  da  esser  capace 
a   coagulare  il  fibrinogeno  di  altro  plasma. 


[37]  (955)) 

Secondo  noi,  è  adunque,  da  accettarsi  1'  ipotesi  di 
Lilienfeld,  che  il  fermento  librino  sia  cioè  una  nucleo-al- 
bumina. 

Mi  è  grato  dovere  esprimere  sincere  azioni  di  grazia 
all'Ili.  Prof.  Comm.  A.  De  Giovanni,  Direttore  della  Clinica 
Medica  di  Padova,  per  avermi  coi  suoi  consigli  validamente 
aiutato  in  queste  ricerche  ed  aver  messo  largamente  a  mia 
disposizione  i  Laboratorj  del  suo  Istituto  ;  ringrazio  pure 
r  Egregio  Prof.  Nasini,  Direttore  dell'  Istituto  di  Chimica 
Generale,  per  avermi  consentito  anch'Egli  l'ospitalità  nei 
suoi  Laboratorj,  ed  i  Prof,  di  Chimica  Anderlini  e  Carrara 
dei  cortesi  suggerimenti  datimi. 

Padova,  Gennaio  1893. 


(96Ò)  [3g] 


LETTERATURA 


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Salvioli.  —  Accad.  di  Medicina  di  Torino.   1892. 


Prezzo  della  Dispensa 
Fogli  11  Va  a  Cent.  25 .     .     L.  2.88 


ATTI 

DEL 

R.  ISTITUTO  VENETO 


D  I 


SCIENZE,  LETTERE  ED  ARTI 


(TOMO  LI) 

SKRIE   SETTIMA  -  TOMO  QUARTO 

DISPENSA  SETTIIVIA 


VENEZIA 


PRESSO     LA     SEGRETERIA     DEL     R.     ISTITUTO 
Nia.    PALAZZO    lorehan 


TIP.    CARLO  ,-FERRARI 
^'w  1892-93 


Pubbl.  il  18  Giug-no  189:5 


INDICE 


Atto  verbale  dell' Adunanza  ordinaria  del  giorno  27  giugno 

1893 pag.    963 

Lavori  letti  per  la  pubblicazione  negli  Atti 

P.  Fambri,  m.  e.  —  Intorno  alla  utilità  ed  alla  possibilità 
del  tradurre.  Considerazioni  e  degressioni  a 
proposito  di  una  pubblicazione  di  E.  Teza        .     pag.  i-xv 

A.  De  Giovanni,  m.   e.    —    Fisio-patologia   della   nevrosi. 

Parte  prima  (Sunto  dell'  Autore)        ...»       967 

E.  Teza,  ra.  e.  —    Tradurre  ?    Due    lettere    al    Segretario 

dell'Istituto »      972 

A.  Tamassia,    m.  e.  —    Su   alcune    condizioni    fisiche    del 

cordone  ombellicale.  Ricerche    ....       »       989 

G.  B.  De  Toni,  s.  c.  e  Paolo  Mach.  —  Sopra  l'influenza 
esercitata  dalla  nicotina  e  dalla  solanina  sulla 
germogliazione  dei  semi  di  tabacco    Nota.         .       »     lOOt 

G.  Canestrini,  P.  A.  Saccardo,  A.  Keller  relatore,  mm. 
ee.  —  Descrizione  e  proposte,  per  combattere 
la  Diaspis  Pentagona,  Targioni  Terzetti,  o  coc- 
ciniglia del  gelso »     1011 

M.  Bellati,  T.  Martini.  E.  Bernardi  relatore,  min.  ee.  — 
Relazione  della  Giunta  che  prese  in  esame  le 
Memorie  presentate  al  concorso  scientifico  al 
premio  della  Queriniana,  scaduto  il  31  dicembre 
1892  «  sul  tema  delle  caldajo  a  vapore  ».         .       »     1031 

L.  LuzzATTi,  A.  Rossi,  F.  Lampertico  relatore,  mm.  ee.  — 
Relazione  della  Giunta  che  prese  in  esame  la 
Memoria  presentata  al  Concorso  scientifico  al 
premio  della  Quiriniana,  sul  tema  :  «  della  po- 
litica  commerciale  internazionale  ».         .         .  »      lOi^S 

Atto  verbale  dell'Adunanza  solenne  del  giorno  28  Maggio 

1893 »     1043 

P.  Fambri,  m,  e.  —  Relazione  sui  premi  scientifici  e  sulle 

onorificenze  agli  industriali  veneti     ...»     104.5 

A.  Rossi,  m.  e.  —  Il  concetto  morale  odierno,  nella  eco- 
nomia politica.   Discorso      ......      107.5 


ANNO    1892-93  DISPENSA   VII/ 

ADUNANZA   ORDINARIA 

DEL     G-lORIsTO     S7     IvlA-G-G-lO    1893 
^i— ©--r-^ 


PRESIDENZA  DEL  COMM.  PROF.  GIULIO  ANDREA  PIRONA 
MEMBRO   EFFETTIVO    PENSIONATO    ANZIANO 


Sono  presenti  i  membri  effettivi  :  Fambri,  segretario,  Ber- 
CHET,  vicesegretario,  Vlacovich,  Trois,  J.  Bernardi, 
Beltrame,  Rossi,  De  Giovanni,  Keller,  Deodati,  Ste- 
fani, Teza,  Martini  ;  nonché  i  soci  corrispondenti  : 
Occioni-Bonaffons  e  G.  B.  De  Toni. 

Sono  giustificati  gli  assenti  membri  effettivi  :  De  Betta, 
presidente,  Minich,  vicepresidente,  Lampertico,  Favaro, 
Omboni,  Fertile,  Morsolin,  Tamassia. 


Il  Segretario  avverte  che  non  potendo  oggi  intervenire 
alla  seduta  per  causa  di  malattia,  né  il  Presidente  né  il 
Vicepresidente,  deve  fungere  da  Presidente  il  membro 
anziano  fra  i  presenti,  cioè  il  comm.  Pirona  ;  il  quale 
assume  quindi  la  Presidenza. 

Letto  ed  approvato  l' Atto  verbale  della  precedente 
adunanza,  l' Istituto  unanime  invita  la  Presidenza  ad  espri- 
mere al  comm.  De  Betta  ed  al  Senatore  Minich  i  voti 
più  sentiti  per  la  loro  sollecita  guarigione. 

Il  Presidente  annuncia  la  grave  perdita  fatta  dall'Isti- 

T.  IV,  S.  VII  66 


964 

tuto  del  membro  effettivo  pensionato  prof.  Senatore  Giam- 
paolo Tolomei,  della  quale  fu  data  già  partecipazione  ai 
colleglli  (1). 


(1)  Colla  seguente  lettera  circolare: 

N.  183  Venezia,  li  maggio  1893 

Ai  chiarissimi  Meml)?i  del  R.  Islituto 

Con  r  animo  profondamente  commosso,  adempio  al  tristissimo  ufficio 
di  partecipare  la  grave  perdita  del  nostro  illustre  collega,  prof.  comm. 
Giampaolo  Tolomei,  Senatore  del  Regno. 

Quanto  Egli  fosse  stimato  dai  colleghi  e  da  tutti  coloro  ch'ebbero 
la  fortuna  di  conoscerlo,  lo  dimostrano  gì'  importanti  uffici,  sempre  con 
grande  onore  disimpegnati,  ai  quali  fu  chiamato  dalla  pubblica  fiducia 
e  dalla  stima  generale  del  forte  suo  ingegno,  dell'operosità  sua  e  della 
sua  onestà. 

Fu  presidente  della  R.  Accademia  di  scienze,  lettere  ed  arti  di 
Padova  —  socio  corrispondente  di  quella  di  Palermo,  dell'  Olimpica  di 
Vicenza  e  della  Virgiliana  di  Mantova  —  due  volte  Rettore  della  R. 
Università  di  Padova,  ed  attualmente  Preside  della  Facoltà  di  Giuri- 
sprudenza, nella  quale  insegnava  da  quasi  iiiezzo  secolo. 

Acuto  e  dottissimo  penalista,  della  scuola  classica,  fece  importanti 
pubblicazioni  che  saranno  fonte  utilissima  per  nuovi  studi  :  fra  esse  è 
da  notarsi  il  lodatissimo  suo  Corso  di  diritto  naturale  —  il  Diritto 
penale  filosofico  e  positivo  e  una  grande  quantità  di  lavori,  molti  dei 
quali  onorano  gli  Atti  del  R.  Istituto. 

Il  profondo  sapere  e  V  attività  sua  fecero  sì  che  Egli  fosse  chiamato 
a  formar  parte  di  molte  ed  importanti  Commissioni,  e  particolarmente 
di  quella  per  la  compilazione  del  Codice  Penale,  il  cui  Progetto  del 
1868,  in  gran  parte  fu  opera  sua.  Né  gli  mancarono  onorificenze  non 
ambite  ;  né  il  sommo  premio  alla  sua  lunga  e  costantemente  utile  ope- 
rosità, il  seggio  al  Senato,  da  lui,  piii  che  come  un  onore,  accettato 
come  un  carico  ed  vin  ufficio  da  disimpegnarsi  con  ogni  zelo. 

La  lunga  età  potè  dargli  la  soddisfazione,  ch'era  la  sua  piii  grande 
compiacenza,  quella  cioè  d'aver  fatto  un  gran  numero  di  allievi,  che  i 
più  distinti  giureconsulti  del  Veneto  furono  suoi  scolari. 

E  noi  che  per  molti  anni  abbiamo  avuto  per  collega  amatissimo  e 


965 

L' Istituto  fu  degnamente  rappresentato  ai  funerali  del 
defunto  alla  cui  famiglia  furono  mandate  le  più  sentite 
condoglianze. 

Comunica  quindi  la  seguente  lettera  di  S.  E.  il  Mi- 
nistro della  Real  Casa,  in  risposta  all'  indirizzo  innalzato 
alle  Loro  Maestà  nella  occasione  delle  Nozze  d'  argento  : 

MINISTERO  DELLA  R.  CASA 


Segreteria    particolare 

DI  Roma,  24  aprile  1893 

S.  M.  IL  Re 


N.  2984 

Nella  fausta  ricorrenza  delle  Reali  Nozze  d'Argento,  codesto  Istituto 
mi  ha  onorato  dell'  incarico,  da  me  sollecitamente  compiuto,  di  presen- 
tare i  suoi  felici  auguri  ai  Nostri  Augusti  Sovrani. 

Al  Re  ed  alla  Regina  è  riuscita  di  vivo  gradimento  questa  conferma 
di  devoto  affetto  Loro  data  da  un  Istituto  a  nessun  altro  secondo  nel 
mantenere  le  gloriose  tradizioni  dell'  arte  e  della  scienza  italiana,  e 
verso  il  quale  vogliono  che  io  mi  renda  interprete  dei  ringraziamenti 
Sovrani  per  il  gentile  atto  di  omaggio  reso  alle  Maestà  Loro  in  cosi 
lieta  circostanza. 

Mi  affretto  ad  esprìmerle  i  benevoli  sentimenti  Reali,  onde  Ella 
possa  a  sua  volta  significarli  agli  illustri  suoi  Colleghi,  e  mi  pregio 
attestarle  con  1'  opportunità.  Signor  Presidente,  la  mia  ben  distinta  con- 
siderazione. 

Il  Ministro 
Ill.tno  Signor  U.    Rattazzi 

Presidente  del  R.  Istituto   Veneto 
di  scienze^  lettere  ed  arti 

Venezia 


compagno  indefesso  di  lavoro  Giampaolo  Tolomei,  a  lui  porgiamo  reve- 
renti e  commossi  1'  estremo  vale,  mantenendo  perenne  la  ricordanza  del 
suo  valore  scientifico  e  della  bontà  del  suo  animo. 

IL  vicesegretario 
M.    E.    G.   BERCHET 


Partecipa  che  pervenne  air  Istituto  V  invito  ali*  inau- 
gurazione del  monumento  agli  eroi  caduti  nella  memorabile 
giornata  di  Curtanone  e  Montanara  ;  ed  altro  invito  per 
sottoscrivere  ad  un  ricordo  marmoreo  pel  valente  glottologo 
Senatore  Flechia. 

E  finalmente  comunica  1'  elenco  dei  libri  ed  opuscoli 
donati  all'  Istituto  dall'ultima  adunanza,  facendo  particolare 
menzione  del  volume  degli  Alti  della  R.  Università  di 
Genova,  pubblicato  in  occasione  del  IV  centenario  Colom- 
^biano  —  del  volume  In  Niibia  del  m.  e.  Beltìmme,  pre- 
miato dalla  Società  geografica  italiana  —  degli  Atti  del 
Congresso  botanico  internazionale  di  Genova  del  1892  — 
e  dell'  Opera  del  prof.  Todaro  :  Ricerche  fatte  nel  labo- 
ratorio di  anatomia  normale  della  R.  Università  di  Roma 
ed  in  altri  laboratori  biologici.  Voi.  Ili,  fase.  I. 

Dopo  di  ciò  furono  presentate  e  lette  le  seguenti  Me- 
morie ; 

Dal  m.  e.  Keller  —  Sulla  Durra  e  sui  Sorghi  (Con- 
tinuazione e  fine). 

Dal  m.  e.  De  Giovanni  —  Fisio-patologia  della  ne- 
vrosi (Parte  I.""). 

Dal  m.  e.  Teza  —  Tradurre?  Due  lettere  al  Segre- 
tario dell'  Istituto. 

Dal  s.  e.  De  Toni  e  sig.  P.  Mach  —  Sopra  l'influ- 
enza della  nicotina  e  della  solanina  sulla  germogliazione 
dei  semi  di  tabacco.  Ricerche  sperimentali. 

L' Istituto  si  è  quindi  raccolto  in  adunanza  segreta, 
nella  quale  si  occupò  della  trattazione  di  vari  aff'ari  posti 
all'  ordine  del  giorno. 


FISIO-PATOLOGIA  DELLA  NEVROSI 

PARTE  PRIMA 
DEL    M.    E.    A.    DE    GIOVANNI 

(Sunto    dell'  Autore^ 


L'  estensione  del  mio  studio  sull'  argomento,  del  quale 
ho  r  onore  di  tenere  parola  oggi  davanti  a  miei  onorevoli 
Colleghi,  oltrepassa  i  limiti  delle  nostre  comunicazioni  de- 
stinate a  comparire  sugli  Atti  del  r.  Istituto  ;  però  ho  di- 
visato di  riferire  brevemente  ciò  che  credo  necessario  per 
spiegare  il  concetto  del  lavoro. 

Da  quando  ebbi  ad  occuparmi  della  Patologia  del  Sim- 
palico,  mi  si  è  presentato  innanzi  alla  mente  un  problema, 
intorno  al  quale  ho  poi  lungamente  meditato,  seguendo 
ora  r  impulso  dei  fatti  clinici,  ora  quello  delle  risultanze 
sperimentali,  ora  quello  delle  leggi  generali  biologiche.  E 
mentre  cresceva  per  opera  dei  più  rinomati  cultori  mo- 
derni della  nevrologia  la  mole  delle  cognizioni  cliniche 
intorno  alle  nevrosi,  a  me  sembrò  che  rimanesse  tuttavia 
misteriosa  la  vera  causa  delle  medesime,  quella  causa  che 
è  insita  negli  organismi  umani  —  la  causa  predisponente 
—  senza  della  quale  le  altre  cause  non  agiscono.  A  me 
sembrò  pure  inesatto  tanto  il  dire  che  le  nevrosi  hanno 
da  considerarsi  come  malattie  sine  7nateria,  quanto  fuori 
di  proposito  attendere  che  1'  anatomia  patologica  ci  riveli 
la  speciale  alterazione  del  nervo  che  le  determina;  e  tanto 
più  m'  è  sembrato  erroneo  sostenere,  che  noi  non  cono- 
sciamo che  degli  accidenti  nevrosi,  ma  non  1'  entità  pato- 
logica della  nevrosi. 


(968)  [2] 

In  questa  I.""  Parte  del  mio  lavoro  intendo  obbiettare 
categoricamente  questi  tre  punti  della  dottrina  nevrologica, 
dimostrando  :  1  che  tutte  le  principali  forme  nevrosiche 
derivano  da  una  condizione  particolare  dell'  organismo, 
che  necessariamente  le  precede  ;  —  2.  che  questa  condi- 
zione particolare  dell'  organismo  è  congenita  e  si  collega 
ad  altre  anomalie  di  organizzazione  e  funzionali  che,  se 
non  in  tutto,  in  parte  si  possono  riconoscere  ;  —  3.  che 
queste  particolari  condizioni  danno  luogo  a  ciò  che  io  dirò 
nevrosi  costituzionale.  —  E  ciò  porta  la  conseguenza,  che 
tanto  alla  nevrosi,  come  alle  forme  nevrosiche,  od  accidenti 
nevrosici,  che  ne  derivano,  non  corrispondono  né  queste,  né 
quelle  alterazioni,  che  suole  indagare  1'  anatomia  patolo- 
gica ;  ma  corrispondono  aberrazioni  di  sviluppo  special- 
mente del  sistema  nervoso  e  conseguentemente  di  funzione 
delle  parti  che  ne  subiscono  1'  influenza,  per  cui,  date  le 
volute  circostanze,  viene  a  poco  a  poco  a  manifestarsi  la 
forma  clinica  della  nevrosi,  varia  a  norma  dei  casi. 

Base  della  mia  dimostrazione  sono  i  fatti.  —  Questi 
mi  hanno  insegnato,  che  investigando  i  precedenti  fisiolo- 
gici di  coloro  che  offrono  l'una  o  l'altra  forma  nevrosica, 
assai  tempo  prima  che  questa  comparisca,  hanno  presentato 
indizi  per  i  quali,  o  l' innervazione  cerebrale,  o  la  spinale 
o  la  gangliare,  veniva  riconosciuta  in  qualche  modo  ed  in 
diversa  misura  singolare,  offriva  quel  fenomeno  che  ordi- 
nariamente dicesi  idiosincrasia.  Vocabolo  che  io  adoprerò 
nel  senso  più  lato  possibile,  per  indicare  un  modo  non 
comune  di  reazione  nervosa,  tanto  di  una  parte,  quanto 
di  un'  altra  del  sistema  cerebro-spinale  e  del  simpatico. 
Cosi  stando  le  cose,  io  mi  chiedeva  e  mi  chiedo  :  quando 
adunque  incomincia  veramente  la  nevrosi  ?  Quando  questa 
assume  la  forma  clinica  convenzionale,  oppure  quando 
suole  manifestarsi  in  quella  guisa  mite,  larvata,  che  di- 
cemmo idiosincrasia  ?  Io  dico  che  questa  è  veramente  da 
pigliarsi  come  la  vera  nevrosi  fondamentale  ;  questa  la 
vera  ragione  predisponente  per  1'  altra,    che    si    chiamerà 


[3]  (969) 

poi  con  un  nome  o  con  un  altro  ;  questa  infine  che  so 
originata  coli'  organismo,  venuta  crescendo,  modificandosi 
mano  mano  che  1'  organismo  evolve  e  si  trasforma. 

Se  dopo  avere  apprezzato  questo  fatto,  senza  del  quale 
non  si  farà  mai  completa  la  storia  di  qualsiasi  nevrosi, 
vorremo  prendere  in  esame  gli  organismi  degli  affetti  dalle 
differenti  forme  nevrosiclie,  noi  conforteremo  il  nostro 
pensiero  con  altri  fatti  importantissimi.  E  questi  sono  tutti 
quelli  che  si  riferiscono  alle  anomalie  costituzionali.  Im- 
perocché i  nevrosici,  indistintamente  presi,  portano  le  note 
più  classiche  del  linfatismo,  o  dell'  erpetismo,  o  dell' artri- 
tismo,  0  sono  polisarcici,  o  diabetici,  o  gottosi,  o  sotto  la 
influenza  di  cronici  avvelenamenti.  E  se  a  tutto  questo 
aggiungo  anche  ciò  che  io  chiamo  il  criterio  morfologico, 
cioè  quel  tanto  di  sproporzione  che,  mercè  opportuno  me- 
todo di  esame,  si  riconosce  sussistere  nello  sviluppo  delle 
diverse  parti  del  corpo,  io  credo  che  quel  fatto,  che  ci  ap- 
parve sin  dal  principio  delle  presenti  considerazioni  legato 
alla  costituzione  individuale,  perchè  originato  coll'individuo, 
assume  un  carattere  già  più  concreto  e  direi  materiale. 
In  fatti  le  odierne  ricerche  embriologiche  ed  anatomo- 
comparato  insegnano,  che  gli  elementi  nervosi  meno  evo- 
luti hanno  corrispondente  grado  di  eccitabilità,  di  resistenza; 
che  gli  organi  nervosi,  che  ne  risultano  composti,  presen- 
tano disforme  attività,  modo  differente  di  reagire,  singo- 
larità di  azioni  riflesse  ;  che  gli  organismi  ne'  quali  fun- 
ziona il  sistema  nervoso  così  irregolarmente  sviluppato, 
sogliono  avere  manifestazioni  caratteristiche  anche  nella 
nutrizione,  nelle  secrezioni,  come  negli  appetiti,  nelle 
tendenze  ecc.  In  tale  combinazione  di  elementi  si  vede  la 
nevrosi  costituzionale,  che  per  la  mitezza  può  passare  inos- 
servata, ma  che  per  il  sopraggiungere  di  altre  cause  — 
eccessi  funzionali,  esaurimenti,  autointossicazioni,  avvelena- 
menti, patemi  ecc.  —  essere  indotta  a  manifestazioni  più 
evidenti,  più  gravi  e  caratteristiche  per  le  diverse  forme 
cliniche. 


(970)  [4] 

Tutto  ciò,  come  dissi,  rende  chiaro,  che  la  nevrosi  è 
ima  condizione  morbosa  costUuzio?iale,  quindi  tale  che 
non  può  dirsi  sine  materia. 

Se  poi  ora  andiamo  a  vedere  il  modo  col  quale  si 
preparano  le  forme  cliniche  delle  nevrosi,  non  che  le  loro 
manifestazioni  accessionali,  ci  si  presenta  quanto  segue  : 
1°  la  disponente  costituzionale  ;  —  2"  anomalie  funzionali 
vaso-motorie  in  quella  parte  del  sistema  nervoso  che  pre- 
siede alle  effettuazioni  fenomeniche  della  nevrosi  ;  —  3° 
alterazioni  del  chimisno  organico,  per  cui  si  determina  uno 
stato  discrasico,  o  di  auto-infezione,  quindi  di  stimolazione 
morbosa  degli  elementi  nervosi  da  parte  di  corpi  o  sostanze 
che  dovrebbero  non  prodursi,  o  prodotte  dovrebbero  essere 
prontamente  eliminate. 

Qui  alludo  a  quelle  sostanze  delle  quali  si  fa  oggi 
giorno  particolare  oggetto  di  studio  —  i  cosi  detti  alca- 
loidi animali  o  tossine.  In  proposito  le  mie  osservazioni 
sopra  sperimenti  fatti  eseguire  specialmente  sulle  orine  dei 
nevrosici,  non  che  su  quelle  delle  persone  affette  da  qualche 
fenomeno  morboso  influito  dalla  stitichezza,  sebbene  non 
abbiano  un  decisivo  valore,  pure  collimano  con  quelli  di 
altri  per  dimostrare,  che  a  certe  manifestazioni  cliniche 
delle  nevrosi  concorre  anche  l'assorbimento  di  tossine  pre- 
paratesi nel  tubo  intestinale. 

Per  me  adunque  non  è  logico  proporci  di  scandagliare 
negli  organi  nervosi  per  sorprendere  l' alterazione  loro, 
perchè  deve  invece  ricercarsi  il  difetto  o  1'  errore  di  evo- 
luzione nel  sistema  nervoso  e  nell'  organismo  ;  la  nevrosi 
considerata  nel  suo  substrato  costituzionale,  è  quello  stato 
di  disposizione  morbosa  che  risulta  dal  concorso  di  più  ele- 
menti fisiologici  —  il  nervo  e  tutte  le  altre  funzioni  del- 
l' organismo. 

Che  se  guardiamo  poi  a  certi  processi  terapeutici 
(cure  ricostituenti)  coi  quali  si  modificano  ed  anche  pos- 
sono sospendersi  le  manifestazioni  nevrosiche,  anche  per 
questa    via    è    d' uopo    convenire    nella   conclusione   colla 


[5]  (971) 

quale  chiudo  questa  Parte  I.*  del  mio  lavoro,  che,  cioè,  il 
sustrato  della  malattia  è  vario,  ma  esiste,  la  sua  esistenza 
non  è  ipotetica,  ma  reale. 

1  vantaggi  che  possono  provenire  da  questo  piano  di 
vedute  e  di  ragionamento  sono  non  pochi.  —  Primo,  si 
constata  che  un  certo  grado  di  nevrosi  costituzionale  ri- 
scontrasi quasi  in  ogni  individuo,  che  si  confonde  il  suo 
studio  con  quelli  che  abbraccia  1'  antropologia,  che  come 
vi  hanno  le  famiglie  nevropatiche,  cosi  si  possono  ammet- 
tere particolari  caratteri  nevrosici  di  razza  ;  —  secondo, 
che  portando  il  concetto  della  nevrosi  costituzionale  sul 
terreno  della  psicologia,  potranno  meglio  discutersi  alcune 
gravi  questioni  da  cui  dipendono  alcuni  principi  ed  alcune 
applicazioni  della  scienza  del  diritto  ;  —  terzo,  l' arte  del- 
l' educare  gli  individui  quindi  quella  del  prevenire  le  cli- 
niche manifestazioni  nevrosiche,  s'aprirà  un  più  vasto  cam- 
po di  iniziative,  che  certo  supereranno  per  l' importanza 
degli  eventi  1'  arte  del  ricettare. 


TRADURRE  ? 

DUE  LETTERE  AL  SEGRETARIO  DELL'ISTITUTO 

DEL    M.    E.    E.     TEZA 


vergentibus  annis 
in  senium,  longoque  togao  tranquillior  usu.  Phars.  1, 


C.  a.  —  Amicizia  lunga  e  lettere  brevi,  diceva  il  Vol- 
taire ;  ma  se  qualche  volta  vorranno  somigliarle,  non  sarà 
la  fine  del  mondo.  Tu  mi  tiri  in  ballo  e  facciamo  assieme 
una  giratina  nella  quale  non  oso  sperare  di  guidarti  ;  bal- 
lando, si  getta  l'occhio  a  poche  strofe  dell'  Erben  e  si  dà 
lode  a  quella  semplicità  vigorosa  che  è  nella  fantasia  uma- 
na, non  sciupata  dalle  sottigliezze  della  critica,  dalle  stram- 
palerie della  superbia  inventiva,  e  dalle  finezze  dell'  arte. 
Alla  scuola  di  popolo  fu  educato  1'  Erben  :  erudito  nelle 
storie  del  suo  paese,  preposto  agli  Archivi  e  innamorato 
delle  glorie  nazionali,  della  gente  umile  dei  campi,  meglio 
che  delle  città,  raccolse  le  voci  con  amore  e  ne  fece  un 
libro,  dove  commento  alla  parola  è  la  musica,  e  si  con- 
serva alle  generazioni  che  verranno  la  testimonianza  della 
poesia  :  quella  che  si  ereditò,  che  si  comparti,  come  usa 
tra  i  figliuoli,  che  si  rigenerò  e  si  generò  nell'  ottocento. 
Molto  andò  perduto  per  sempre  :  molto  è  dentro  a'  cervelli 
netti,  e  ai  cuori  buoni  de'  popolani  che  hanno  a  nascere 
e  che  nella  canzone,  festiva  o  mesta,  a  sfogo  od  a  conforto, 


[2]  (97:^) 

non  faranno  scioperi.  Nell'Erben  letterato  e'  era  anima  di 
poeta  ;  non  è  ambizioso  di  novità,  contento  di  assomigliar- 
si ad  uno  di  quegli  inesperti  che  lo  avevano  agitato  e  nu- 
trito :  cosi  che  il  suo  libriccino,  di  piccole  e  poche  canzoni, 
ritorna  al  popolo  quello  che  gli  tolse,  e  dà,  nella  Boemia, 
al  nome  ed  all'  opera  dell'  illustre  boemo  la  eternità.  A 
che  bottega  si  compera  ?  chi  tiene  la  bilancia  da  misurar- 
tela ?  e  chi  sa  dire  quale  sia  la  moneta  che  corre,  e  che 
alle  volte  una  sola,  piccina  piccina  che  non  si  vede,  vale 
più  di  una  montagna  di  tutti  i  metalli  ? 

Vedi,  in  questo  nostro  secolo  di  acute  ricerche,  di  sodi 
ragionamenti,  e  insieme  di  aeree  immaginative,  vedi  quanto 
studio  sui  poeti  e  dei  poeti  !  Avvolgersi  fresca  edera  sopra 
il  vecchio  tronco  :  serbate,  con  venerazione  superstiziosa, 
le  querele  figliuole  dei  secoli  :  un  vivaio  di  ramoscelli 
venuti  su  da  ogni  parte  di  mondo  ad  ogni  parte  di  mondo  : 
ravvivata  e  ridipinta  nella  strofa  la  istoria,  vestiti  i  fanta- 
simi della  filosofia,  letto  nel  cuore,  scritto  nel  cuore.  La 
critica,  agitandosi,  si  fa  torba  ;  l'armento  degli  imitatori  si 
s])anda,  sente  il  fischio  di  dieci  pastori  e  va  dietro  a  tutti. 
Come  gli  oziosi  una  volta  mettevano  dentro  ad  un  cuore,  nelle 
forme  di  un  leone,  nella  faccia  di  un  uomo,  o  la  canzone  o 
il  sonetto,  cosi  dentro  a  rime  rare,  che  suonano,  che  be- 
lano, che  ruggiscono,  viene  cacciato  stentatamente,  stenta- 
rellescamente,  un  vecchio  madrigale  dai  poetucoli  che  mie- 
tono le  erbucce  ai  piedi  del  Parnasso,  e  stanno  a  vedere 
come  rinasce  il  guaime. 

A  un  tratto  per  l'aria,  da  un  alto  monte,  dove  siedono 
Apollo  contadino  e  nove  villanelle,  tu  senti  :  Ho  visto  in 
mezzo  al  mare  un  verde  alloro,  oppure  Colomba  che  nel 
poggio  sei  volata,  oppure  Lasciatela  passar  che  fa  la 
brava,  e  ti  rivolgi  lieto,  pensoso,  ai  maestri  di  quelle  ar- 
monie che  cantano,  in  una  voce  sola,  la  canzone  dell'uomo. 
Ai  grandi  davvero  torni  sempre  per  levarti  un  poco  sopra 
le  loro  ali  possenti,  ma  a  quelli  di  mezza  cotta  volti  le 
spalle,  e  il  sentire  che  cosa  sia  dentro  a  quelle  smilze  stro- 


(974)  [3] 

fettine,  che  pure  non  dicono  nulla,  è  una  grande  consola- 
zione :  nel  ronzio  che  affatica  ed  assorda,  una  limpida  voce 
ti  chiama  per  nome  e  ti  vince.  Pareva  cosi,  Paulo  mio,  a  noi 
giovani,  e  pare  a  noi  vecchi  :  e  più  lo  dirai  a  reluttanti  o 
ad  inesperti  amatori  di  troppo  squisita  poetica,  farai  maggior 
bene. 

Ogni  poesia  è  una  creatura,  nasce  una  sola  volta  :  chi 
traduce  rifa,  non  fa  ;  e  se  io  dicessi  che,  nelle  arti  della 
parola,  è  grande  vantaggio  che  la  imitazione  non  possa 
mai  essere  compiuta,  mi  accuseresti  di  sofisticheria  ?  Può 
la  pittura,  può  la  scrittura,  può  l'architettura,  quello  che  la 
poesia  non  riesce  a  fare  :  e  anche  più  disgraziata  di  lei  è 
la  musica.  E  qui,  se  permetti,  il  lungo  diventerà  stirac- 
chiato ;  che  per  le  amicizie  sarebbe  una  bruttura,  ma  che 
sulla  carta,  paziente  e  complice,  può  correre. 

Non  parlo  delle  bellissime  tra  le  nostre  case  che  si 
riveggono  a  Monaco,  né  de'  quadri  nostri  o  delle  statue 
greche  che  si  incontrano  nei  Musei  dell'  Europa,  in  dili- 
genti ricopiature  che  ingannerebbero  occhi  da  lunghe  espe- 
rienze non  addestrati  :  due  volte  ho  visto,  accanto  alla  Tra- 
sfigurazione, e  accanto  all'Assunta,  due  altre  tele  che  pa- 
revano avessero  ai  due  poeti  rubato  ogni  cosa:  due  volte 
la  Duc/iessa  Venere  d'  Urbino,  se  mi  lasci  dire  cosi,  da 
fare  impallidire  per  l'ammirazione.  Se  anche  i  colori  che 
si  veggono  adesso  non  sieno  quelli  di  una  volta,  e  i  colori 
che  li  ritraggono  alla  pari,  fra  cinquant'anni,  se  ne  stac- 
cheranno :  se  anche  il  lucicchio  o  il  granato  e  le  macchio- 
line di  una  pietra  non  possono  trovarsi  tutte  in  un'altra; 
puoi  immaginare  un  Partenone,  il  povero  sciancato,  solenne 
nella  nudità  e  nelle  ferite,  rimisurato,  ripesato  quasi,  a 
pezzetto  a  pezzetto  levato  di  terra  sotto  il  cielo,  meno 
bello  che  non  paia  sopra  a  te,  Grecia  divina,  ma  che  è  il 
cielo  di  tutti  ;  puoi  figurarti  uno  Sposalizio  della  Vergine 
che  ti  inganni  con  ogni  pennellata  :  e,  scendendo  più  giù, 
un  medioci'e  quadrettino  o  una  erma  scliietta  può  avere 
un  perfetto    copiatore.    Se  non  che,  a  quella   somiglianza, 


[4]  (975) 

quando  e'  è,  tu  stupisci  e  non  godi.  Dietro  l'artitizioso  non 
vedi  l'artista. 

Nelle  creazioni  della  parola,  codesti  miracoli  non  ci 
sono.  Ogni  parola  copia  del  campo  ideale  tanti  pollici  e 
li  misuri,  se  gli  stromenti  sono  acconci  e  destro  l'operatore, 
con  esattezza  che  non  lascia  sfuggire  i  millesimi.  Levala  via 
e  mettine  un'altra,  di  un  altro  tempo,  di  un'altra  gente,  e 
quando  pare  che  ci  si  adagi,  se  badi  a'  margini,  vedrai 
che  sporge  o  rientra:  se  la  scantucci  o  se  la  stiri,  non  è 
più  lei  :  ed  eccezione  non  c'è  :  il  dendron  non  è  1'  m^bor, 
né  haus  è  la  maison,  né  woman  è  la  donna  ;  senza  ti- 
rarti a  contare  i  pollici  delle  parole  d'Arabia,  di  Cina,  di 
India,  di  Giava  ;  per  le  quali  ti  verrebbe  da  fantasticare 
che,  anche  nel  mondo  delle  misure,  e  più  che  altro  nella 
noomeb^ia,  ci  fosse  dito  e  dito,  palmo  e  palmo  ;  come  c'è  il 
mio  ed  il  tuo,  non  chiamati  che  io  sappia  a  fare  da  métron 
all'universo,  un  ditone  che  rispetto,  e  un  ditino  del  quale 
mi  contento.  Infila  in  un  lungo  monile  queste  perle,  o- 
gnuna  bucata  a  suo  modo,  e  fa  poi  un'  altro  monile  che 
ne  ritragga  le  forme,  il  numero,  le  relazioni,  ogni  cosa  !  Il 
pensato  non  si  traduce. 

Dicevo  che  la  musica  ha  più  brutta  la  sorte  ;  e  mi 
basta  accennartelo.  Tu  non  sei  di  quelli  che  vedono  il 
maestro  scrivere  dentro  ed  attorno  alle  cinque  righe  l'o- 
pera sua,  che  la  ridanno  poi  ad  una  turba  scomposta  di 
lettori  e  di  sonatori,  e  si  contentano  di  sentirne  gli  inter- 
preti :  forse  giurano  che,  se  la  carta  durasse  in  eterno,  le 
note  alate  volerebbero  senza  sperdersi  mai  !  No,  no  :  quel 
poeta  delle  armonie  disse  una  volta  sola  la  sua  canzone  ; 
da  sé  può  cantarsela,  ma  ne  ricanta  un'  altra  :  dà  e  ruba, 
sfoglia  ed  infiora  ;  la  freccia  é  scoccata.  Degli  interpreti 
non  discorro  ;  meglio  leggono,  direi  quasi  che  leggono  peg- 
gio :  la  voce  vive  in  eterno,  se  vuoi,  ma  in  trasmutazioni 
infinite. 

Fo  un  passo  indietro  ;  perché  anche  la  canzone  vera,  del 
poeta  vero,  gli  esce  di  bocca  una  sola  volta:  viene  ricreando- 


(1)76)  [5] 

la,  non  toccandole  le  membra,  quasi  irrigidite  sul  foglio,  ma 
spirandovi  ogni  volta  un'  anima  nuova  :  poi  esce  da  lui  e 
casca  nelle  bocche  dei  menestrelli.  Se  all'Alighieri  giun- 
gesse il  commento  che  è  nella  voce  di  chi  legge,  e  sente,  le 
terzine  della  Commedia  ;  egli  direbbe  forse  all'uno,  giullare, 
smetti  e  all'  altro,  bimbo,  non  mi  toccare,  e  .  al  solenne 
maestro,  maestro,  codesto  non  ci  ho  messo  io. 

Torno  alla  parola,  e  anzi  a  (|uella  dei  versi  ;  strano 
sarebbe  che  ci  fosse  una  cosa  più  im[)Ossibile  delle  impos- 
sibili ;  ma  non  è  strano  di  aggiungere,  che,  scendendo  dalle 
nuvole,  e  contentandosi  che  dench^on  sia  proprio  1'  arbor, 
agli  innesti  che  si  fanno  nella  poesia  crescono,  e  nel  nu- 
mero e  nella  grandezza,  le  difficoltà.  Armonia  che  somigli, 
e  non  altro,  stuona  ;  e  chi  oserebbe  voler  salire  più  in 
alto,  correre  più  lontano  ?  Ritrarre,  non  dico  i  sei  piedi 
del  greco,  ma  i  sei,  piedi  con  tutti  i  congegni  che  avvivano 
il  verso  della  Iliade  ?  quelle  tre  cime  sulle  quali  muovi,  o 
con  un  gradino  o  con  un  salto,  nella  canzone  di  Crimilde? 
il  lento  scivolare,  a  passi  ora  lunghi  ora  corti,  e  con  tanta 
ma  non  sfrenata  libertà,  nello  sloco  dei  Panduidi  ?  Beato 
chi  giunge  a  fare  la  sonata  che  in  qualche  modo  assomigli  ! 

Ogni  parola  ha  la  sua  età,  e  puoi  sbellettarla,  ma  la 
vecchia  è  la  vecchia  ;  e  quando  ridai  ad  un'  altra  gente 
quell'anima  che  vuoi  accompagnarle  dal  regno  dei  morti, 
sei  tu  destro  a  trovare  nella  tua  lingua  una  parola  che  le 
faccia  da  corpo,  e  che  abbia  tanti  anni  appunto  come  quello 
che  lasciò  per  le  terre  ?  E  se  Alfredo  di  Musset  intreccia 
alla  sua  una  voce  del  Marot,  andrai  a  cercarle  un'  emula 
nelle  rime  di  Guido  Cavalcanti  ?  E  la  stessa  veste,  di  un 
tessuto,  di  un  colore,  vestirà  Atossa  ed  Ofelia  ?  Atalia  e  Gu- 
drune  ?  la  stessa  veste  di  Clorinda  e  di  Bradamante  ?  Sopra 
il  quale  argomento,  che  è  proprio  da  sartore,  e  per  la  roba 
e  per  il  taglio,  si  andrebbe  a  rischio  di  non  finirla  mai. 
Siamo  d'accordo,  e  intanto  io  me  ne  sto  a  filare  o  ad  in- 
tessere la  nebbia  ;  come  se,  avendo  a  lottare  contro  a  te,  mi 


[6]  (077) 

preparassi  la  tua  benevolenza,  per  smagrirti  un  poco  quando 
avrò  forse  a  sentire  un  tuo  pugno. 

Sopra  un  altro  punto  siamo  d'una  stessa  opinione.  Le 
traduzioni,  che  sono  imitazioni  e  non  altro,  è  bene  che 
nascano,  che  si  diffondano,  che  colgano  tre  piccioni  ad  una 
fava  ;  e  cosi  si  allarga  il  proverbio.  Addestrano  lo  scrit- 
tore, 0  fatichi  sui  buoni,  invidiando,  o  racconci  le  ossa  ai 
zoppicanti,  e  corregga  ;  e  uno  dei  piccioni  :  accrescono  forza 
alla  lingua  nella  quale  sono  scritte  e  la  costringono  a  met- 
ter fuori  ogni  cosa  dei  nascosti  tesori  e  a  comperarsi,  non 
già  a  rubare  o  a  rubacchiare,  quello  che  le  manca;  e  due: 
danno  da  fare  agli  sfaccendati  e  ci  salvano  dai  versaiuoli  ; 
che  è  il  terzo  piccione,  il  più  grosso,  il  più  bello  e  che 
vogliamo  guardare  un  poco  nel  becco  e  nelle  penne,  prima 
che  ci  voli  via. 

I  poeti  sono  pochi  :  pochi  i  quasi  poeti,  come  di  An- 
tonio da  Ferrara  diceva  il  Sacchetti  ;  in  molti  invece  è  l'a- 
more alla  poesia  degli  altri.  Ma  piuttosto  che  sfogarlo  nel 
ricopiare  debolmente  il  canto  cantato,  come  usa  nelle  Ore 
di  ozio,  nelle  Foglie  di  ogni  mese,  nelle  krmonie  delle 
anime  giovanette  che  hanno  tanto  bisogno  di  editori  in- 
dulgenti, io  vorrei  che  lo  sforzo  delle  generazioni  nuove 
si  gettasse  tutto  a  queste  prove  del  donare  cittadinanza  ai 
forestieri.  Una  mediocre  versione  da  lingua  di  altre  nazioni 
varrà  molto  meglio  di  quel  librettuccio,  elegante  e  vuoto, 
che  traduce  soltanto  dall'italiano  in  italiano.  E  bene  che  si 
faccia  da  molte  parti  e  per  molte  vie  :  che  i  saggi  siano 
brevi  :  che  la  critica,  non  già  in  mano  ai  novellini  e  agli 
amici,  ma  a  giudici  severi  e  provetti,  guidi,  riconduca  a 
buoni  intenti  ;  e  il  primo  è  questo,  come  nella  vita  civile,  di 
contemperare  con  garbo  e  con  snellezza  la  servitù  e  la 
libertà,  da  non  dar  noia  agli  altri,  e  da  non  soffocare  sé 
stessi. 

A  Milano  fu  l'altro  mese  posto  un  premio  a  chi  tra- 
ducesse poche  strofe  del  Tennyson  :  compiere  a  perfezione 
la  piccola  opera  non  era  facile  :  secento  poeti  scesero  nel 


(978)  [7] 

campo,  ma  la  battaglia  fu  combattuta  in  segreto.  E  direi  : 
se  da  quella  lunga  schiera  non  uscirono  altre  dieci  ver- 
sioni che  meritassero,  non  tutto  il  premio,  ma  diviso,  un 
coccio  per  una  ;  se  quel  vaso  giapponese  non  ha  dovuto, 
per  giustizia,  moltiplicarsi,  s'avrebbe  a  conchiudere  che 
anche  i  mediocri  sono  pochini  e  che  il  mio  desiderio  che 
nelle  versioni  s'affatichino  parecchi  ingegni  di  onesti  servitori 
(Ielle  Muse,  è  sogno  di  malato.  Guarda,  amico  mio:  molte 
cose  inutili  riempiono  il  banco  di  un  giornalista,  e  poi  il 
suo  foglio  ;  ma  quattro  fitte  pagine,  con  quei  secento  as- 
salti alla  poesia  del  Laureato  non  potevano  essere  un  in- 
segnamento per  la  critica  e  per  l'arte  ? 

Non  solo  giova  che  una  letteratura  si  allarghi,  imi- 
tando, ma  può  riuscirle  di  far  meglio  dell'  emula  sua, 
quando  l'opera  di  un  mezzano  scrittore  arrivi  ad  un  inge- 
gno bene  impastato  e  bene  nutrito  ;  come  avvenne  al  Dafni 
e  Cloe  che  non  ha  tante  grazie  nel  greco  quante  ne  ha 
negli  ornamenti  di  Annibale  Caro  e  nella  schiettezza  di  due 
frati  dello  stesso  convento,  Giacomo  Amyot  e  Pier  Luigi 
Courier  :  può  anche,  nel  dissimile,  e  accanto  ad  un  gran 
libro,  conquistarsene  un'  altro  ;  un'  altro,  ma  grande.  Non 
dico  il  nome  :  perchè  se  tornasse,  tutto  pieno  della  sua  pol- 
vere, messer  Bernardo  Davanzati,  io  starei  col  cappello  in 
mano  ad  onorarlo  e  tu  per  poco  non  gli  daresti  uno  sca- 
paccione, di  quelli  che,  a  vederseli  nell'  aria,  torna  gran 
conto  esser  morti. 

Menato  il  mio  cagnolino  per  1'  aia,  vengo  a  te,  alla 
tua  lettera  e  voglio  scolparmi.  Nelle  quattro  chiacchiere 
che  feci  sul  libro  dell'Albert  (non  come  a  proemio  dei  versi, 
che  anzi  vennero  alla  coda)  io  parlavo  di  boemi,  ma  non 
pensavo  solo  ai  boem.i.  Erede  dei  vecchissimi,  e  non  dopo 
essere  stata  in  un  sepolcro  di  tenebre  per  un  pezzo,  al  pari 
della  Grecia,  l' Italia  non  ha  emoli  :  ne  ha  bensì,  e  valo- 
rosi e  rispettati,  come  erede  di  altri  meno  vecchi  maestri. 
A  giudicare  delle  letterature  rinascenti  o  nascenti  ella  può 
forse  errare  :  ed  intanto  è  bene  che  le  piccole  voci  si  le- 


m  (970) 

vino,  0  che  unite  facciano  un  coro  possente  o  che  ima  ne 
risveglino  a  dare  autorevole  sentenza.  Ma  anche  su  codesto 
non  è  da  disputare  ora,  qui,  con  te. 

Io  non  ho  sotto  chiavi  il  Libro  d'oro  della  poesia,  né 
sono  segretario  di  Olimpo  per  ordinare  nei  miei  registri 
lo  stato  civile  dei  grandi  e  dei  piccoli;  ma  un  po'  di  ge- 
rarchia ce  la  facciamo  tutti  e,  in  codesto  lucente  paradiso 
dell'arte,  mettiamo  uno  sopra  l'altro  i  Cherubini  e  i  Sera- 
fini, i  Ti'oni  e  le  Dominazioni. 

Le  tradizioni  nazionali,  quelle  di  scuola  per  ciascuno 
di  noi,  e  le  esperienze  della  vita  e  gli  studi,  e  anche 
i  giochi  della  fantasia,  sono  tanti  consiglieri  che  danno  le 
palle  bianche  e  nere  per  assegnare  a'  poeti  il  loro  posto. 
Ora  se  io,  con  frase  rettorica,  chiamo  clii  minorwn  gen- 
tium,  questi  o  quegli  altri,  tu  mi  domanderesti;  che  cosa 
0  chi  si  chiama  il  maggiore  o  il  minore  ?  chi  è  iddio  ?  e  chi 
è  dio  degli  dei  ?  Quando  metto  il  Poliziano  e  il  Bembo  nella 
via  di  mezzo,  intendi  bene  che  io  voglio  più  viva  e  fe- 
conda immaginazione,  che  io  voglio  più  agitato  nella  pro- 
fondità il  sentimento,  per  intrecciare  la  corona  :  ma  se 
rammento  quei  due  soli,  cavati  da  una  grossa  famiglia,  vedi 
subito  che  io  tengo  in  gran  conto  la  eleganza  e  il  latino 
che  si  travasa  quasi  da  sé,  con  limpida  onda,  nell'italiano  ; 
come  ammiro  nei  due  scrittori  l'acume  e  la  grazia  anche 
nella  erudizione  e  nella  critica. 

Tu  dici,  e  dici  benone,  che  non  se  ne  stanno  sotto  a' 
grandi  perché  scrissero  in  due  maniere,  ma  che,  stretti 
in  una  sola,  non  avrebbero  fatto  un  passo  più  in  alto. 
Lo  negavo  forse  ?  Se  più  possenti  nel  valore  dell'  arte 
creatrice,  (dicevo  io,  o  volevo  dire)  avrebbero  pensato  e 
detto  con  una  lingua  sola,  la  italiana.  Se  pecco,  devi  dun- 
que combattere  questa  proposizione  e  non  già  un'altra:  gli 
artisti  della  parola  si  fanno  grandi  dentro  ed  innanzi  ad 
una  sola  nazione. 

Vero  è  che  nel  mondo  tanti  sono  i  casi  della  vita, 
tanti  fili  si  intrecciano  nel  tessuto,  tanto  il  pettine  stringe 

T.  IV,  S.   VII  67 


(980)  [9] 

forte  assieme  il  nero  ed  il  bianco,  il  grosso  e  il  sottile, 
che,  a  fare  la  istoria  di  tutti  gli  ingegni,  non  bastano  due 
rubriche  o  tre  rubriche  come  usano  i  ragionieri.  Gabriele 
Dante  Rossetti,  anima  di  pittore  e  di  poeta,  benché  in  sé 
mescoli  due  sangui,  e  di  buona  vena,  è  degli  inglesi,  e  l'i- 
•  taliano  è  alla  fantasia  di  lui  un  ornamento  e  non  già  un 
arnese.  Il  Ruffini,  sopra  ottimi  esempi,  esigliato  il  corpo  e 
lo  spirito,  congegna  il  racconto  e  lo  dice  in  una  parlata 
diventata  sua  ;  ma  la  sua  è  diventata  degli  altri,  dei  lon- 
tani. Invitalo  all'arte  del  novelliere  nella  lingua  dei  suoi 
padri,  e  vedrai  che  cosa  sia  maneggiare,  con  libertà  e  co- 
scienza, lo  stromento  del  pensiero  e  dell'  immaginativa!  Alla 
veemenza  del  Buonaparte  manca  la  castigatezza  :  francese 
voleva,  e  non  poteva,  diventare  :  forza  ed  arbitrio  di  con- 
quistatore non  basta.  Il  grande  Federico  impicciolisce  nel 
disprezzo  dell'  arte  paesana,  e  l'arte  è  vendicata  :  egli  passa 
la  vita  negli  imparaticci,  sotto  la  ferula  del  precettore.  Il 
Tommaseo,  vissuto  tra  francesi  e  tra  greci,  può  imitarne  lo 
stile,  ma  di  altra  sorgiva  sgorga  il  suo  :  e  la  fiumana 
ondeggiante  di  Vincenzo  Gioberti  può  in  altri  letti  versarsi, 
ma,  benché  pura,  somiglia  ijuasi  a  rigagnolo.  Si  direbbe 
che  la  nazione  perda,  e  pur  guadagna,  quando  uno  dei  suoi 
figliuoli  usa  franco  e  sicuro  la  sola  penna  che  egli  ha  : 
onde  il  Porta,  il  Belli,  il  Buratti.  Codesti  non  hanno  bisogno 
di  correttore,  come  ne  ha  il  francese,  così  brioso  e  scin- 
tillante, dell'abatino  Galiani,  o  l'inglese,  il  francese,  lo 
spagnolo  di  Giuseppe  Baretti  ;  due  scrittori  che,  meno  al- 
largatisi, sarebbero  stati  più  operosi  e  più  puri  e  più  du- 
revoli maestri  di  stile. 

Non  si  pensa  che  in  una  lingua,  o  anzi  non  si  ripensa; 
perché  ognuno  ha  dietro  a  sé  una  lunga  serie  di  esempi  ; 
ma  senza  quel  riconquisto  pieno,  arte  non  c'è.  Non  dico 
già  la  lingua  che  ti  insegnarono  bambino,  ma  la  lingua 
che  la  sorte  ti  diede,  o  il  tuo  capriccio  ha  prescelto  :  delle 
altre,  rammenti  i  pensieri  e  a'  tuoi  li  paragoni  rapidamente 
0  gli  assimili  :  e  puoi  meglio  parlare  ad  un  tempo  in  molte 


|10]  (981) 

lingue,  quando  non  usi  pensare  in  nessuna.  Dell'uomo  vol- 
gare, in  giacca,  in  giubba,  m  toga,  non  dico  nulla. 

Avrei  mai  negato  che  un  eroe  possa  con  sapienza  e 
valore  vincere  una  battaglia  e  scrivere  un  libro  ?  Operare 
da  savio  nelle  ambascerie,  da  filosofo  al  suo  banco,  da  poeta 
in  teatro  ?  Essere  Giulio  Cesare  o  Niccolò  Machiavelli  ? 
Solo  non  comprenderei  che  i  Commentari  fossero  dettati  in 
greco,  0  la  Mandragora  in  alessandrini  francesi.  Ecco  tutto. 

Quanto  alle  altre  arti,  i  paragoni  ci  potrebbero,  anzi 
che  guidare,  sviare. 

I  grandi  pittori  sono  i  grandi  pittori,  i  grandi  scul- 
tori sono  i  grandi  scultori  :  il  pennello  del  Canova  non  è 
il  suo  scalpello,  quando  vuole  animosa  effingere  signa, 
come  il  ritmo  dei  rari  e  faticati  versi  di  Cicerone,  e  ose- 
rei dire  di  quelli  del  Voltaire  (dei  famigliari  non  parlo) 
non  è  certo  il  ritmo  che  sonerà  armonioso,  tanto  che  le 
due  lingue  durino,  nelle  prose  dei  due  guidatori  di  tanto 
mondo  di  artisti  ingegnosi. 

0  Michelangelo  ?  Non  tirarmi  fuori  di  casa  mia  :  ma 
lasciami  ridomandare  :  se  quello  che,  non  dico  manca,  ma 
sovrabbonda  nelle  opere  dell'unico  uomo,  quello  che  trova 
censura  dentro  alla  ammirazione  dei  critici,  dipendesse  ap- 
punto dall'avere  Vangiolo  divino  parlato  più  lingue  ? 

Ma  quando  mi  dolgo  che  nelle  letterature  meno  vec- 
chie, 0  rinsanguate  di  fresco,  lo  straniero  infiltri  di  sotto, 
prema  di  fianco,  e  dall'alto  piova  sopra  il  nazionale,  io  non 
penso  ai  divini,  ma  agli  umani  :  e  spero  sempre  che  la 
critica,  sagace  e  pensosa,  allunghi  le  mani,  spalanchi  gli 
occhi,  vegga  del  mondo  dei  poeti  quanto  ce  n'è,  ma  che  il 
poeta  alle  sue  prose  ed  ai  suoi  versi  dia  un  solo  colore, 
un'  anima  sola.  La  troverà  nella  piccola  e  nella  grande 
famiglia  dei  suoi,  e  nel  interpretarne  con  senno  e  con  af- 
fetto le  voci,  badi  a  non  popolarla,  a  non  lasciarla  popo- 
lare, di  stranieri.  11  nibbio,  come  sai,  aveva  acuti  strilli 
nella  gola  e  se  ne  compiacevano    le  nibbiottine    eleganti  ; 


(Ì)S2)  [11] 

ma   \oll('   i»n)\ai'si   la  hcsiia  (lahliciic  ad    iiiiiiai-c   i    iiiti'iii,  e 
an'occlii   »'   l'csiò   mulo. 

Noli  vorrei,  ora  clic  li  lascio,  larii  pensare  al  i^ridio 
(Ielle  bestie  e  scappo  \  la  e  li  hacio  hi  CÌcgaììtinsiiiia  mano, 
come  (liccNa   Tor(|ual-o  Tasso.   Tuo   vecchio   amico,   E.   T. 

P/ulord,   Il  aprile   iS'.Ki. 


C.  a.  —  Potevo  sbrigarmi  con  un  poscritto  ;  ma,  sa- 
pendo come,  nelle  lettere,  proprio  in  fondo  e  quasi  dimen- 
ticato, si  mette  il  meglio  boccone,  non  oso  fare  (juesta  cor- 
belleria e  mi  contento  di  un'alti'a  cosa,  meno  usata  nolb^ 
nostre  })0ste,  di  mandai-e  come  buone  sorelle  due  lettere 
assieme. 

Quei  benedetti  raffronti  con  le  arti  (-he  danno  forma 
e  colore  alle  cose  terrene  e  alle  ideali  non  mi  lasciano  pace. 
Non  ti  verre])l)e  in  ca})0  che  mutando  di  una  statua,  co- 
piata con  g-arbo,  il  lironzo  nella  terra  cotta,  o  il  gesso  nel 
marmo,  si  facesse  ^iro^ìrio  quello  che  fanno  i  traduttori  ; 
nini  tutto  assomiglia  nell'abito  nuovo,  ma  l'arte  di  chi  imi- 
ta sta  pili  in  alto,  e  se  la  rap})resentazione  ha  spirito  e 
verità,  tocca  il  segno  al  eguale  è  diretta.  Non  diresti  che  la 
versione  sia  pittura  in  tela  raccorciata,  perchè  c*è  il  caso 
che  risponda  anche  a  tela  che  per  lungo  e  per  largo  passi 
l'originale  ;  non  dirai  che  le  traduzioni  sieno  tinte  ad  acqua, 
che  male  ritrarrel)bero  (|uelle  ad  olio,  per  la  del.'olezza  dello 
stromento  :  (jui  si  lascia,  per  le  attinenze  dei  colori  e  dei 
lumi  e  delle  ondare,  tutta  la  lìadronanza  al  ([uadro  che  si 
ricojtia,  e  tutta  la  servitù  a  (pielb)  che  lo  rifa.  Vedi  da  te 


[12]  (983) 

se,  pesata  a  giusta  ragione  ogni  cosellina,  1'  arte  de'  tra- 
duttori non  somigliasse  inA'ece  a  quella  degli  intagli  in  rame 
o  in  acciaio  ?  nei  quali,  chi  può  mostra  la  sua  potenza, 
guidato  da  lontano,  con  libertà  ;  il  Morghen  farà  lavoro 
che  non  vince  di  certo  Raffaello,  ma  che  avrà  la  sua  parte 
di  gloria,  tutta  sua  :  e  il  quadrettucciu  misero,  languido, 
stonato,  potrà  dal  Morghen,  quando  si  degni,  essere  tramu- 
tato   per  sempre  in  cosa  degna  di  ambiziosi  musei. 

Degli  antichi,  lasciamo  andare.  Come  la  storia  era  degli 
storici,  e  la  tragedia  dei  tragici,  e  la  filosofia  dei  filosofi, 
cosi  il  greco  era  dei  greci,  il  latino  dei  latini  :  e,  fuori 
degli  esercizi  che  diremo  proprio  di  collegio  (anche  se 
lo  scolaretto  è  Cicerone  che  si  dibatte  attorno  al  Timeo), 
Virgilio  non  avrebbe  pensato  a  .donare  ai  suoi  la  Iliade  : 
appena  tentano,  nelle  cose  brevi,  come  Orazio,  o  in  fram- 
menti da  intrecciare  ai  versi  propri,  come  Lucrezio.  Forse 
i  greci  se  avessero  avuto,  come  i  latini,  una  scuola  di  grandi 
maestri,  avrebbero  tentato  ;  ma  vennero  su  di  terra,  giù 
dal  cielo,  senza  pedagogo.  Anche  nel  rinnovarsi  delle  let- 
terature, codesto  sforzo  di  lottatori  è  raro,  a  salti,  per  cre- 
scere nerbo  al  poeta,  meglio  che  per  allettamento  a  cu- 
riosità di  lettori.  Ma,  più  ci  avviciniamo  a'  tempi  nostri, 
chi  di  suo  mostra  saper  fare,  si  compiace  anche  dell'  imi- 
tazione ;  il  Pope  e  il  Bvron,  come  il  Foscolo  e  il  Monti, 
per  non  rammentarne  che  pochi.  Ne  farebbe  meraviglia  se 
tu  scoprissi  un  sonetto  del  Petrarca  tradotto  dallo  Shake- 
speare, 0  una  canzone  del  Ronsard,  tradotta  da  Torquato 
Tasso;  bensì  ti  meraviglieresti  assai  che  Guido  Reni  ridi- 
pingesse il  dipinto  di  Andrea  del  Sarto,  o  venisse  da  Paolo 
Veronese  una  madonna  del  Murillo.  Perchè  ?  Questo  co- 
piare, e  amo  ripeterlo,  nulla  o  poco  avrebbe  che  fare  con 
l'arte  delle  versioni  non  a  segni  e  a  colori,  ma  a  parole 
di  pensieri  e  di  immagini. 

Che  cosa,  dei  ritmi  vari  secondo  le  poetiche,  si  possa 
imitare,  o  quale  forma  armoniosa  meglio  risponda,  è  da 
disputare,    secondo    i    casi  :    e,    meglio   che  in    altre   ma- 


(984)  [18] 

niere,  con  gli  esempi.  A  mostrare  la  strada  si  fa  presto  ; 
bisogna  correrla,  mettervi  le  gambe  ed  il  fiato.  Quei 
versetti  della  canzone  boema,  poiché  tu  hai  la  cortesia  di 
leggerla  due  volte,  sono  più  corti  de'  nostri  più  comuni  e 
la  legge  vera  dei  traduttori,  è  questa:  dove  è  possibile,  non 
si  rimuti  nulla.  Confessavo  il  peccato  e  il  bisogno  di  muo- 
vermi più  libero  :  meno  padrone  delle  sillabe,  non  avevo 
più  sotto  alla  mia  bacchetta  i  pensieri  che  volevo  ritrarre  : 
ristringendomi,  come  dentro  una  carcere  per  non  toccare 
il  muro,  mi  irrigidivo  :  e  il  popolano  male  s'accomoda  all'an- 
dare istecchito,  che  giova  molto  alle  corti  :  qui  la  parola 
misurata,  garbata,  solenne,  laggiù,  nel  prato  o  alla  fontana, 
tutta  briosa  e  libera  e  forse  forse  sboccata.  A  cogliere  un 
po'  meglio  nel  segno  bisognava  altra  forza  dalla  mia  :  e 
quando  lodi,  con  abbondanza  di  vecchio  amico,  devi  temere 
di  esserti  mostrato  troppo  indulgente. 

Dei  ritmi,  come  sai,  e'  è  in  una  gente  o  nell'  altra 
quello  che  non  puoi  rubarle;  o  che,  imitato  a  fatica,  ne 
costerebbe  assai  più  a  preparare  gli  orecchi  ed  i  cuori  di 
chi  possa  goderne.  Ma  sai  ancora  come  alle  volte  una  pic- 
colezza basti  a  mutare  tutto  il  colore  :  e  voglio  mostrartene 
un  breve  saggio.  Ti  dico  subito,  sfrontatamente  :  non  sa- 
pendo fare  quello  che  Andrea  Maffei  compi  per  diversi 
modi  nel  darci  il  teatro  schilleriano  (che  gii  altri,  del  Goe- 
the e  dello  Shakespeare,  non  erano  per  lui)  io  credo,  in 
una  paginetta,  in  una  scena,  avere  fatto  verso  il  bello  un 
passo  di  più.  Verso  il  bello,  badiamo,  e  non  altro  ;  perchè 
a  sapere  do^^e  sta  di  casa  davvero,  a  corrergli  incontro,  ad 
abl)racciarselo  come  padrone  o  come  amico,  ci  vuol  altro  ! 

Nell'atto  quarto,  alla  dodicesima  scena  del  Wallenstein, 
esce  Tecla,  e  dice  così  :  lo  Schiller  vide  nella  sua  mente 
di  poeta  che  cosa  la  fanciulla  dicesse  ed  il  Maffei  ce  lo 
mosti 'a  : 

La  voce 
del  suo  spirto  mi  chiama  e  dei  fedeli 
che  per  lui  s' immolar.  Di  vile  indugio 


[14]  (985) 

mi  rampognano  tutti...  Essi  non  hanno 
pur  nell'ora  di  morte  abbandonato 
chi  nella  vita  li  guidò.  Que'  duri 
petti  han  tanto  saputo  ?  ed  io,  codarda, 
sorvivergli  dovrei  ?  No  !  la  corona 
di  quel  lauro  che  cinse  il  suo  feretro 
per  me  pur  fu  tessuta.  A  che  la  vita 
senza  il  raggio  d'amore  ?  Io  la  rifiuto 
se  valor  più  non  ha...  Quando,  o  diletto, 
ti  trovai,  come  dolce  era  la  vita  ! 
Risplendea  sorridendo  al  mio  pensiero 
la  rosea  luce  del  doman  !  Sognai 
due  belle  ore  di  cielo.  Io  ti  ho  veduto 
sull'ingresso  del  mondo,  allor  che  il  piede, 
col  timor  di  una  vergine,  v'  impressi. 
Era  di  mille  soli  il  ciel  sereno  ! 
Tu  mi  parevi  un  angelo  d'amore 
che  colà  mi  attendesse,  onde  levarmi 
con  sollecito  voi  dai  favolosi 
giorni  delle  mie  fasce  al  più  sublime 
vertice  della  vita.  Il  primo  sguardo 
lo  gettai  nel  tuo  cuore  e  fu  divino 
quel  mio  primo  sentir  ! 

Ma  rozza  e  fredda 
vien  la  sventura,  le  tenere  membra 
del  mio  caro  ghermisce,  e  sotto  l'ugne 
de'  correnti  cavalli  le  calpesta.  — 
Questo  è  il  fin  d'ogni  Bello  in  sulla  terra  ! 

Se  getti  un  occhio  alle  armonie  tedesche,  vedrai  che 
il  Maffei  non  tolse  nulla,  né  aggiunse  :  e,  quanto  alla 
bontà  delle  parole  e  alla  opportunità  dell'  inseguirsi  e  del- 
l'accostarsi una  all'altra,  poiché  faccio  da  emulo,  non  posso 
dirmi  il  giudice.  Solo  noto  che  lo  Schiller  volle  adornare 
(li  rime  questi  impeti  di  generoso  dolore,  e  che  le  corone 
intrecciate  dai  poeti  sui  morti  non  è  bene  sfrondarle.  Cerco 
imitare  anch'  io,  e  vorrei  dire  ;  se  e'  è  chi  canti,  vorrei 
cantasse. 

Lo  spirito  di  lui  ecco  mi  chiama  ! 

La  fedele  coorte 

al  sacrificio  vola,  a  vendicarlo  : 


m(^)  [15] 

me  lenta  e  vile  accusa  : 

seguire  il  duce  prode  in  vita  ell'usa, 

non  osa,  nella  morte, 

non  vuol  la  generosa  abbandonarlo. 

Questo  i  ruvidi  cor  !  Colei  che  l'ama 

viver  potria  ? 

Oh  no,  no  :  dell'alloro  la  ghirlanda 

sulla  tua  bara,  a  me  s' intreccia,  è  mia  ! 

Vita  che  vale,  se  non  splende  amore  ? 

E  un'ombra  vana  —  ed  io  la  getto  via. 

II  di  eh'  io  t'  ebbi,  o  innamorato  cuore, 

a  me  bella  parea  : 

e  il  nuovo  giorno  d'oro  risplendea 

e  sognavo  nel  cielo  viver  l'ore. 

Tu  stavi  allor  del  mondo  in  sulla  porta 

quando,  dalla  mia  cella, 

timida  verginella, 

traevo  :  intorno  raggian  mille  soli  : 

tu,  angelo  pietoso,  sei  la  scorta, 

e,  dagli  aerei  di  dell'età  prima, 

tu  veloce  mi  involi 

della  vita  alla  cima  ! 

È  primo  sentimento 

un  celeste  contento  : 

e  il  primo  sguardo  sul  tuo  cuor  lo  invio  ! 

Ma  il  destino  s'avanza  e  la  funesta 
mano  di  ghiaccio  sull'amico  mio, 
sulle  tenere  membra.  In  dura  guerra, 
sotto  a'  fieri  cavalli  ei  la  calpesta  ; 
d'ogni  cosa  più  bella,  in  sulla  terra, 
ahi  che  la  sorte  è  questa  ! 

Immagina,  sul  teatro,  una  voce  di  donna  addolorata 
e  innamorata  che  sappia,  con  le  parole  dei  poeti,  e  con 
l'anima  sua,  commovere  chi  nelF  anima  vede  e  il  morto 
glorioso  e  la  giovanetta  che  a  lui  piangendo  sospira. 

Ma  qui  stiamo  fra  i  signori  dell'arte  e  si  parti  dai  po- 
verelli ;  adesso,  se  mi  lasci  fare,  ai  poverelli  si  ritorna. 

Nelle  canzoni  dell'  Erben  ce  n'è  un'altra  che  trae    la 


[16]  (987) 

voce  e  la  ispirazione  dal  popolano  e  che  ti  mando.  Una  sola 
rima  che  s'addentra  in  ogni  strofa  le  lega  tutte  quante  :  e 
questo  che,  nelle  scuole,  diventa  eco  da  trastullare  i  vec- 
chi bambini  è  voce  di  natura. 

MALEDIZIONE   DI   FIGLIUOLA 

—  Perchè  sei  triste  in  viso, 

o  figlia  mia, 
perchè  sei  triste  in  viso  ? 
Parevi  l'allegria, 
eri  sempre  fra  tutte  in  festa  e  in  riso. 

—  Morta  ho  la  colombella, 

0  mamma  mia, 
morta  ho  la  colombella. 
Una  galanteria  ! 
Bianca  come  la  nove,  e  come  bella  ! 

—  Colombella  non  era, 

0  figlia  mia, 
colombella  non  era. 
Ma  non  so  dir  che  sia, 
l'occhio  s'offusca  ed  hai  mutato  cera  ! 

—  Strozzato  ho  il  mio  bambino, 

0  mamma  mia, 
strozzato  ho  il  mio  bambino. 
Oh  morta  esser  vorria, 
desolata  che  penso  al  poverino  ! 

—  Ed  ora  che  far  vuoi, 

o  figlia  mia, 
ed  ora  che  far  vuoi  ? 
Iddio  chi  '1  placheria? 
Espiar  il  peccato  come  puoi  ? 

—  Vo'  quell'erba  cercare, 

0  mamma  mia, 
vo'  quell'erba  cercare, 
che  i  falli  netta  via 
ed  il  sangue  bollente  fa  chetare. 

—  Qual  giardino  la  serra, 

0  figlia  mia, 
qual  giardino  la  serra  ? 
E  chi  mai  la  sapria 
trovare,  e  giri  pur  tutta  la  terra  | 


(988)  [17] 

—  Alla  porta  qui  al  fianco, 

o  mamma  mia, 
alla  porta  qui  al  fianco, 
sovra  il  colle,  all'ombria, 
c'è  un  tronco,  un  chiodo  e  c'è  canapo  bianco. 

—  Che  dire  al  giovanino, 

0  figlia  mia, 
che  dire  al  giovanino, 
che,  tutto  cortesia, 
a  trovarti  veniva  nel  giardino  ? 

—  Ch'  egli  sia  benedetto, 

0  mamma  mia, 
eh'  egli  sia  benedetto 
per  la  negra  bugia, 
e  roda  un  verme  il  cuore  al  mio  diletto  1 

—  Ed  alla  sventurata, 

0  figlia  mia, 
ed  alla  sventurata, 
che,  con  idolatria, 
con  amore  e  carezze  t'  ha  allevata  ? 

—  La  maledizione, 

o  mamma  mia, 
la  maledizione  ; 
mai  pace  il  ciel  ti  dia, 
perchè  m'  hai  data  tu  1"  occasione  ! 

In  Toscana,  se  un  paese  ha  da  fare  da  commentatore 
all'altro,  anzi  che  il  cuore  c'è  la  casa  : 

E  ci  vada  un  serpente  avvelenato, 
avveleni  il  mio  amor  che  m'  ha  lasciato. 

(Tigri  1869\  p.  305). 


i  versi  e  la  prosa  «  come  il  pane  e  il  cacio  ».  Non  ti  posso 
dare  pan  bucato  e  cacio  serrato,  ma  quello  è  negro  e 
questo  è  senza  sale,  da  villani  :  è  forse  una  buona  scusa 
il  dirti  che  non  ho  di  meglio.  Senza  poscritti,  o  terze  so- 
relle, ti  abbraccio  di  cuore. 

Tuo  aff.  E.  T. 
Padova,  15  aprile  93. 


su  ALCUP  COHpiZIONI  FISICHE 

DEL  CORDONE  OMBELLICALE 

Ricerche 

DEL 

M.  E.  ARRIGO  TAMASSIA 

PROF.    DI   MEDICINA    LEGALE   NELLA   R.    UNIVERSITÀ   DI   PADOVA 


Una  giovane  ed  il  suo  amante  erano  accusati  d'aver  fatto 
morire  un  infante,  frutto  del  loro  amore.  L'  avevano,  con 
ogni  probabilità,  sepolto  a  fior  di  terra  ancor  vivo  in  luogo 
umido  ed  ombreggiato,  si  che,  per  quanto  1'  ispezione  del 
cadaverino  avesse  luogo  nella  prima  metà  del  Giugno  e 
dopo  quattro  giorni  all'  incirca  dalla  morte,  si  rinvennero 
i  visceri  in  istato  di  relativa  freschezza.  Mancavano  però 
le  membrane  e  la  placenta.  Queste  con  grande  tratto  di 
cordone  ombellicale  erano  state  nascoste  in  una  cameretta 
attigua  a  quella  in  cui  di  solito  dormiva  la  donna.  Inte- 
ressava, oltre  i  soliti  dati  fondamentali,  all'  Autorità  giu- 
diziaria assodare  se  questa  placenta,  queste  membrane, 
questo  stralcio  di  cordone  appartenevano  realmente  all'  in- 
fante esumato  ;  e  ciò  per  smentire  le  ostinate  negazioni  delle 
persone  accusate.  Mentre  però  lo  stralcio  di  cordone  an- 
nesso alla  placenta  era  in  gran  parte  mummificato,  quello 
attaccato  ancora  al  corpo  del  feto  era  in  istato  di  relativa 
freschezza  ;  quindi  in  tale  contraddizione  fondavasi  un'  appa- 
rente ragionevolezza  delle  asserzioni  delle  persone  accusate. 
Risposi  come  perito,  in  parte  accennando  alle  mutazioni 
tìsiche  derivanti  dalla  temperatura,  dall'evaporazione,  ed  in 
parte  dopo  alcune  ricerche,  non  potersi  escludere  che  quei 


(990)  [2] 

due  frammenti  (anche  facendo  astrazione  dai  rapporti  di 
lunghezza,  di  sviluppo,  di  superficie  libera)  costituissero  un 
unico  cordone,  e  potersi  spiegare  con  le  differenze  d'  am- 
bienti, cui  furono  esposti  i  due  stralci,  le  condizioni  fisiche 
dell'  uno  e 'dell' altro.  Da  quel  tempo  presi  a  studiare  più 
davvicino  questo  argomento,  che  se  ha  applicazione  pratica, 
può  permettere  pure  qualche  corollario  scientifico.  —  Un'al- 
tra volta  mi  si  chiese  se  un  dato  stralcio  di  cordone  trovato 
su  un  campo  con  alcuni  avanzi  di  membrane  e  di  placenta 
avesse  appartenuto  o  no  ad  un  infante  maturo,  ed  in  qua- 
le ambiente  fosse  rimasto,  e  da  quanto  tempo  ;  e  ciò  in 
seguito  a  sospetto  d'infanticidio  in  una  giovane,  che  aveva 
probabilmente  ucciso,  poi  nascosto  il  proprio  infante.  — 
Un'altra  volta  ancora  mi  si  chiese  se  un  feto,  che  pesava 
circa  tre  chilogrammi  avrebbe  potuto  lacerare  un  certo  cor- 
done ombellicale  ;  e,  se  argomentando  dallo  stato  di  essic- 
cazione, macerazione  o  putrefazione  del  cordone,  potevansi 
ammettere  la  trazione  del  feto  o  le  forze  della  madre,  nel- 
l'istante del  parto,  sufficienti  a  strappare  quel  cordone,  quan- 
d'era nello  stato  di  sua  freschezza. 

Tutti  questi  casi  di  pratica  forense  mi  diedero  incita- 
mento a  riprenderne  in  via  sperimentale  lo  studio,  onde, 
sia  pure  in  via  approssimativa,  indurre  qualche  linea  ge- 
nerale diagnostica;  e  quand'anco  questo  ideale  utilitario 
non  fosse  raggiunto,  raccogliere  materiali  alla  cognizione 
positiva  d'  un  fatto  naturale  :  ricerca  tutt'altro  che  oziosa, 
come  qualcuno  sostiene. 

1  punti  dunque,  che  assoggettai  alle  mie  indagini  spe- 
rimentali, sono  i  seguenti  : 

1.°  Resistenza  alla  trazione  nei  cordoni  freschi. 

2.°  Resistenza  comparativa  dei  cordoni  freschi,  essic- 
cati all'aria,  o  conservati  in  altri  ambienti  (acqua  e  terra). 

3.°  Mutazioni  di  peso  e  di  volume  del  cordone  a  di- 
verse  temperature  ed  in  diversi  ambienti. 

La  I-esistenza  alla  trazione  del  cordone  può  esser  stu- 
diata in  due  modi.  Lo  stiramento  si   opera   gradatamente. 


[3]  (991) 

oppure  mediante  uno  .strappo  violento.  Il  primo  caso  può 
esser  rappresentato  dalle  trazioni  delle  mani  afferranti  i  due 
estremi  del  cordone,  od  anche  dell'  istesso  feto,  che  resti 
per  qualche  tempo  sospeso  al  cordone  ancora  fisso  nel- 
l'utero, e  ne  vinca,  con  il  protratto  stiramento,  la  coerenza. 
Il  secondo  si  allega  occorrere  più  frequente  del  primo;  e 
si  suppone  sempre  come  conseguenza  dello  strappo  deter- 
minato dalla  caduta  del  feto  in  seguito  a  parto  precipitoso. 
Per  avvicinarci  quindi  sempre  più  alle  contingenze  pratiche, 
le  ricerche  sulla  resistenza  del  cordone  parrebbe  dovessero 
esser  istituite  prevalentemente  con  trazioni  rapide  e  violenti. 
Però,  come  giustamente  osserva  il  prof.  Guzzi  (*)  e  con  lui 
la  maggior  parte  degli  osservatori  imparziali,  senza  negare 
che  nei  parti  cosi  detti  precipitosi  abbia  luogo  questa  rapida 
trazione  del  cordone  da  spezzarlo  anche  con  pesi  relativa- 
mente assai  tenui,  devesi  pur  avvertire  che  nei  parti  rapidi, 
quando  il  feto  penzolone  fra  le  coscio  della  madre  stira  il 
cordone,  questo  alla  sua  volta  tende  a  stirare  in  basso  la 
placenta,  che  è  ancora  in  sito  ed  aderente  alle  pareti  ute- 
rine :  e  le  pareti  uterine  e  il  tessuto,  che  forma  i  cotiledoni 
placentari  cedono  alquanto  e  si  deprimono  ;  la  donna  si 
abbassa  instintivamente  ;  ed  ecco  diminuita  la  tensione 
rapida  del  funicolo.  Tale  è  pure  l'avviso  di  Hohl.  D'altra 
parte,  se  anche  cosi  non  fosse,  è  sempre  degno  di  interesse 
conoscere  i  limiti  di  resistenza  a  trazione  lenta  del  cordone, 
e  segnalare  le  mutazioni  che  le  diverse  condizioni  organiche, 
e  le  azioni  dei  varj  ambienti  possono  apportarvi.  Ed  è  per 
questo,  che  non  nascondendoci  i  risultati  di  Pfannkuch, 
conseguiti  in  seguito  a  rapide  trazioni,  mi  sono  limitato  a 
studiare  gli  effetti  delle  trazioni  lente. 

E  qui  una  grave  obiezione. 

I  cordoni  ombellicali  sono  si  diversi  gli  uni  dagli  altri, 
da    riescire    difficile,  dai  numeri  raccolti,  il   trarre    medie 


(1)  Per  questo  Autore  e  gli  altri  citati,  veggasi  in  fine  la  Bibliografìa. 


(992)  [4] 

(loglio  (li  fiducia.  Taluni  soikj  sottili,  altri  voluminosi;  ta- 
luni con  amnios  e  pareti  vascolari  resistenti  ;  altri  con  que- 
ste parti  esilissime  :  taluni  hanno  vasi  scorrenti  lineari, 
altri  tortuosi,  altri  intrecciati,  altri  varicosi  ;  taluni  spet- 
tano ad  infanti  sani,  altri  ad  infanti  sifilitici,  scrofolosi,  in 
cui  i  tessuti  meccanicamente  possono  in  modo  differente  ri- 
spondere. Sono  il  primo  a  riconoscere  il  valore  di  questi 
appunti,  contro  una  deduzione  numerica  tratta  da  elementi 
si  accidentalmente  raggruppati.  Ma  ho  cercato  di  sfug- 
girvi, scegliendo,  tra  i  moltissimi  cordoni,  quelli  che  non 
rappresentassero  le  eccezioni  ;  e  quando  sperimentavo  su 
cordoni  eccezionali,  ne  registrai  isolato  il  reperto,  in  mo- 
do che  i  dati  numerici  emanassero  dai  tipi  medii  e  più 
frequenti.  E  poiché  in  uno  stesso  cordone  occorrono  tratti 
disformi  e  quindi  d'ineguale  resistenza,  ho  procurato,  nelle 
sperienze  comparative,  di  servirmi  sempre  di  frammenti,  che 
nella  loro  costituzione  fisica,  presentassero  le  maggiori  affi- 
nità, scartando  quelli  che  divergessero  dei  precedenti  spe- 
rimentati. E  ciò  potei  compiere  senza  danno  della  preci- 
sione ;  giacché  la  lunghezza  nei  frammenti  identici  nella 
loro  composizione  fisica  non  muta,  come  mi  venne  assicu- 
rato da  matematici  autorevoli,  gli  effetti  meccanici  della 
trazione.  Ho  procurato  parimenti  che  i  cordoni  speri- 
mentati nelle  prime  ricerche  fossero  recentissimi.  La  tra- 
zione veniva  praticata,  legando  ad  un  estremo  dello  stral- 
cio (già  fissato  superiormente)  una  specie  di  coppa  di 
bilancia,  su  cui  si  faceva  scendere  dolcemente  della  mi- 
gliarola  fino  a  rottura. 

Prima  di  esporre  i  miei  dati  numerici,  è  bene  si  co- 
noscano quelli  conseguiti  da  altri,  che  sperimentarono  con 
metodo  congenere  al  mio  ;  e  cioè  : 

Nègrier  ha  una  media  di  K.  5,  259  per  i  cordoni  non 
varicosi  ;  di  K.  3,000  per  i  cordoni  varicosi  ;  Spàth  ebbe  la 
media  di  K.  6,161  con  un  minimo  di  K.  2,800  e  un  massimo 
di  K.  12,800  ;  Schàtz  ebbe  la  media  di  K.  4,125  ;  Monoyer 


[5]  (m) 

calcola  la  resistenza  a  5  K.  ;  Lamare  ottenne  la  inedia  di 
K.  5,190  con  un  minimo  di  2  K.  ed  un  massimo  di  11  ; 
Guzzi  ebbe  la  media  di  K.  5,150,  con  un  minimo  di  K.  2  ed 
un  mas.simo  di  K.  7  V-2-  Io  su  più  di  90  cordoni  ebbi  la 
media  di  K.  5,79  con  un  massimo  di  8,40  ed  un  minimo  di 
4,200,  cifre  che  si  accordano,  come  vedesi,  con  quelle  degli 
Autori,  che  mi  hanno  preceduto.  Le  differenze  clie  inter- 
cedono nelle  cifre  massime  e  minime,  si  spiegano  con  la 
varia  costituzione  dei  cordoni. 

Intanto  credo  che  il  volume  del  cordone  nel  suo  in- 
sieme non  abbia  alcuna  parte  nella  maggiore  o  minore  re- 
sistenza, giacché  esso  può  dipendere  semplicemente  dalla 
maggior  o  minor  copia  di  gelatina  di  Wharton.  In  gene- 
rale, ed  in  ciò  d'accordo  con  Winckel,  io  avrei  trovato  che 
i  cordoni  a  vasi  varicosi  od  attorcigliati,  offrono  una  re- 
sistenza meno  intensa,  specialmente  allorquando  la  trazione 
si  eserciti  in  vicinanza  di  un  punto  varicoso  o  spirale. 

Valgano  i  saggi  seguenti,  desunti  da  frammenti  tolti 
allo  stesso  cordone,  gli  uni  in  un  tratto  regolare,  gli  altri 
in  vicinanza  agli  attorcigliamenti  ed  alle  spire  : 

regolare   Kil.  9,150    spirale-attorcigliato  Kil.  7,500 
id.  »     5,700  id.  »     2,200 

id.  »     9,005  id.  »     6,600 

Anche  in  quei  casi  di  cordone  nodoso  trovai,  come  già 
notava  il  Guzzi,  specialmente  in  vicinanza  al  nodo,  una 
diminuzione  notevole  di  resistenza,  che  in  media  si  può 
ridurre  ad  un  quarto  di  quella  del  tratto  normale. 

Parimenti  è  degno  di  nota  il  fatto  che  un  frammento 
di  cordone  già  stirato  nella  sua  totalità  da  un  peso  suffi- 
ciente a  romperlo  o  quasi,  se  venga  ancora  stirato  nei  suoi 
tratti  restanti,  perde  notevolmente  della  sua  resistenza  pri- 
mitiva ;  onde  per  romperlo,  si  esige  uno  sforzo  meno 
intenso.  Veggansi  infatti  alcune  medie  dei  miei  sperimenti; 


(994)  [6] 

Uno  .stralcio  fresco  intatto  si    rompe  con  K.  5,200 

Un  altro      id.           id.         id.  id.  id.  6,000 

id.           id.           id.         id.  id.  id.  7,500 

i<l.           id.           id.         id.  id.  id.  5,509 

I  residui  degli  già  stessi  stirati  roniponsi  rispettiv.  con  3,800 

id.  id.             id.       id.  id.  id.         id.  4,500 

id.  id.             id.       id.  id.  id.         id.  5,200 

id.  id.             id.       id.  id.  id.         id.  4,200 

Questo  fatto  non  panni  privo  di  interesse,  specialmente 
quando  debbasi  argomentare  del  grado  di  forza  atto  a  rom- 
pere il  cordone,  dopo  tentativi  ripetuti  infruttuosi. 

Questi  dati  concernono  cordoni  freschissimi,  datanti  al 
più  da  7-8  ore  dal  parto.  Ma  esposto  all'aria,  il  cordone  va  sog- 
getto per  solo  effetto  di  evaporazione  (né  credo  valga  la  pena 
di  occuparci  delle  opinioni  di  quelli,  che  vi  scorgevano  un 
atto  vitale)  all'avvizzimento,  che  lo  ridurrà  più  tardi  colla 
mummificazione  in  un  nastro  più  o  meno  giallognolo-bru- 
niccio.  Ora  nei  giorni,  che  decorrono  dallo  stato  di  fre- 
schezza fino  a  questa  sua  estrema  trasformazione,  avvengono 
modificazioni  anche  nella  sua  resistenza  alla  trazione? 
Ecco  un  altro  punto  da  studiare.  Sperimentando  con  tratti 
dello  stesso  cordone  aventi  condizioni  fisiche  congeneri, 
e  confrontando  i  dati  d'ogni  determinato  periodo  di  tempo 
con  quelli  segnanti  la  media  della  resistenza  allo  stato  di 
freschezza,  io  mi  ebbi  i  risultati  seguenti,  alla  temperatura 
di  circa  20-21°.  (i) 


(l)  Questi  dati  numerici  e  gli  altri,  che  andrò  esponendo,  sono  stati 
ridotti  a  forma  centesimale  per  renderne  piìi  evidenti  il  significato  ed 
i  confronti.  I  dati  numerici  parziali  d'  ogni  osservazione,  a  documento 
della  difficoltà  e  della  esattezza  delle  ricerche,  stanno  registrati  nel  mio 
Laboratorio.  Non  li  unisco  per  non  ingombrare  con  tavole  pesantissime 
le  pagine  di  questa  Memoria. 


['] 

{'■ 

)05) 

Resistenza 
iniziale 

Resistenza  del  cordone  esposto  all'aria  (Temp.  20-21")  1 

o  'S 

e   o 

11 

li 

o'S 

o  'S 

oc 
o  o 
^■5b 

o  o 

o'S 

Oh  u 

o    O 

'°  '5b 

o  'S 

1 

2 

3 

4 

5 

6 

7 

9 

10 

15 

100 

100 

105 

115 

154 

180 

190 

310 

270 

215 

420 

101 

106 

116 

142 

186 

183 

300 

310 

310 

370 

102 

120 

157 

Queste  cifre  di  massimi  e  di  minimi  confermano  spe- 
rimentalmente quanto,  studiando  solo  il  fatto  fisico  della 
evaporazione  alla  temperatura  indicata,  si  suppone.  Infatti 
il  tessuto  si  addensa  ;  e  addensandosi,  diviene  sempre  più 
resistente,  tanto  che  giunto  al  grado  massimo  della  mum- 
mificazione, presenta  una  resistenza  quadrupla  di  quella 
dello  stato  fresco,  non  molto  dissimile  da  quella  datami  da 
una  cordicella  di  canape  di  un  millimetro  di  diametro. 


Qualche  volta  però  il  cordone  può  nei  suoi  tratti 
in  parte  essiccarsi  nell'aria,  ed  in  parte  esser  gettato  nel- 
r  acqua  o  liquido  congenere.  La  resistenza  dei  frammenti 
a  caratteri  costitutivi  non  diversi  da  quelli  lasciati  nell'aria, 
secondo  le  mie  ricerche,  può  misurarsi  in  questi  limiti  : 


Resistenza  iniziale 
a  100  nell'aria 

Resistenza  del  cordone  nell'acciua  (Temp.  20-21") 

dopo 
giorni  1 

dopo 
giorni  2 

dopo 
giorni  3 

dopo 
giorni  5 

dopo 
giorni  9 

92-94 

83 

70 

48 

39 
40 

T.  IV,  S.    VII 


(996) 


[8] 


Il  che  vuol  dire  che,  man  mano  che  l'acqua  si  adden- 
tra nei  tessuti,  ne  scema  la  resistenza,  sia  per  il  semplice 
effetto  fisico,  quanto  ancora  per  il  disgregamento  della  pu- 
trefazione, che  essa,  ad  una  conveniente  temperatura,  viene 
a  favorire  ;  alla  9^  giornata  infatti  la  resistenza  del  cor- 
done è  ridotta  al  39-40  per  cento  della  sua  resistenza 
iniziale. 


Volli  pur  sperimentare,  mettendo  alcuni  frammenti  di 
cordone  nella  terra  alla  temperatura  di  20-21°  ;  e  dai  molti 
assaggi  istituiti,  mi  fu  dato  ottenere  questi  dati  complessivi: 


Resistenza  iniziale 
ridotta  a  100 

Resistenza  del  cordone  nella  terra  comune 
.  umida  (Temp.  20-2P) 

dopo 
giorni  3 

dopo 
giorni  4 

dopo 
giorni  5 

dopo 
giorni   10 

56 
58 
70 

56 

50 

43 

29 

L'umidità  del  terreno,  la  putrefazione  che  vi  si  pro- 
voca, diminuiscono  notevolmente  la  resistenza  del  cordone 
ed  in  misura  ancora  più  gagliarda  dello  stesso  ambiente 
acqua. 


Ma,  come  già  avvertii  in  principio,  dalle  differenze  nel 
peso  dei  tratti  del  cordone  secondo  gli  ambienti  in  cui 
questi  vennero  immersi,  si  possono  indurre  altri  dati,  non 
indegni  di  considerazione. 

A  questo  intento  ho  esposto  all'  aria,  all'  acqua  ed  in 
terra  ed  a  diverse  temperature,  molti  stralci  di  cordoni, 
avendo  la  precauzione  di  notarne  le  variazioni  quasi  gior- 
naliere di  peso.  Le  cifre,  che  presento,  sono  le    medie  de- 


[n]  (997) 

dotte  da  più  di  200  osservazioni  istituite  su  stralci  tolti 
da  diverse  regioni  dei  varj  cordoni  ;  e  son  ridotte  nella 
proporzione  centesimale  rispetto  al  peso  primitivo. 

Temperatura  da  ,9°  ad  S° 

Dopo  giorni  2  perde  su  cento  22 

»  4  »  »  28 

))  5  »  »  43 

»  6  »  »  57-58 

»  9  »  »  70-75 

»  11-  »  »  82 

»  13  »  »  82-83 

»  15  »  »  86 

»  16  »  »  86 

))  17  »  »  86 

Temperatura  da  5"  a  i5° 


perde  su  cento  32 

»  »  62 

»  »  81 

»  »  84 

»  »  84 

»  »  84 


Temperatura  da  15"  a  21° 


)pO 

giorni 

2 

» 

)) 

4 

» 

)) 

6 

» 

)) 

11 

» 

)) 

12 

» 

» 

13 

DpO 

giorni 

2 

perde  su  cento 

53 

)) 

)) 

4 

» 

» 

71 

» 

)) 

6 

)) 

)) 

87 

» 

» 

9 

» 

» 

90 

» 

» 

11 

» 

» 

91 

» 

» 

12 

» 

» 

91 

» 

» 

13 

» 

» 

92-3 

» 

» 

14 

» 

)) 

92-3 

Dopo 

giorni 

9 

» 

» 

4 

» 

» 

6 

» 

)) 

9 

» 

)) 

11 

» 

)) 

12 

» 

» 

13 

» 

» 

14 

(908)  [10] 

Temperatura  da  22°  a  28"" 

2     perde   su    cento     56 

»  »  73 

0  »  85 

»  ))  85 

.)  »  90 

»  »  92 

»  »  92 

.)  »  92 

Non  pretendo  imporre  queste  cifre  come  costanti  ;  però 
il  gran  numero  di  osservazioni,  da  cui  furono  tratte,  auto- 
rizza a  ritenerle  non  lontane  dal  vero. 

Intanto  spicca  per  primo  fatto  l' influenza  della  tem- 
peratura nella  rapidità  con  cui  i  frammenti  .  del  cordone 
perdono  il  loro  peso  ;  e  ciò  per  la  evaporazione  più  o  meno 
immediata  dei  materiali  acquosi,  si  largamente  diff'usi  nei 
tessuti  del  cordone.  Vedesi,  ad  esempio,  che  quella  perdita 
di  peso  che  nelle  temperature  oscillanti  tra  3°  ed  8°  si 
manifesta  al  6°  giorno,  si  osserva  verso  il  3°  4°  ad  8-15°,  e 
verso  il  secondo  giorno  a  15-21°  ed  a  22-28°  ;  come  pure 
quella  perdita  che  si  manifesta  all'  undecimo  giorno  nelle 
temperature  basse,  si  ha  verso  il  6°  alle  temperature  medie, 
al  3-4°  all'  incirca  nelle  temperature  alte. 

Parimenti  da  queste  cifre  si  argomenta  esservi  nella 
diminuzione  di  peso  del  cordone  una  certa  regolarità  di 
decorso.  Havvi  un  fortissimo  decremento  nel  principio, 
quindi  un  rallentamento  :  poi,  quando  l' evaporazione  è 
quasi  cessata,  un  ristagno  ;  tanto  che  nel  periodo  della 
mummificazione  non  si  notano  che  diminuzioni  insignifi- 
canti ;  e  compita  l'evaporazione,  il  peso  non  si  muta  più. 

Si  accordano  pure  queste  cifre  con  le  medie  co- 
muni segnanti  il  determinarsi  della  mummificazione  dello 
stralcio  dei  neonati  :  7-8  giorni  alla  temperatura  media 
di  8°-15°. 


[11]  (999) 

Anche  coi  numeri  recentissimi  di  Saint-Cyr  questi 
dati  corrispondono  sufficientemente.  Egli,  sperimentando  su 
alcuni  cordoni,  alla  temperatura  di  circa  18-20°,  dopo 
quattro  giorni  avrebbe  osservato  diminuirne  il  peso  nella 
proporzione  di  80-81°  per  cento. 

E  tenendosi  conto  delle  quantità  assai  diverse  di  ac- 
qua nei  singoli  tessuti,  si  nota  pure  che  questi  dati  non  di- 
scordano da  quelli  di  Dupont  rispetto  al  rene,  al  fegato,  al 
polmone.  Se  infatti  nelle  temperature  oscillanti  tra  3°  ed 
8°  il  cordone  perde,  secondo  i  miei  sperimenti,  dopo  cin- 
que giorni  il  43°  per  cento,  i  polmoni,  i  reni  ed  il  fegato, 
secondo  Dupont,  alla  stessa  temperatura  e  per  egual  tempo, 
perdono  rispettivamente  il  25°  ed  il  15  per  cento. 

Neil'  acqua  od  in  un  ambiente  congenere,  il  cordone 
od  i  suoi  tratti  guadagnano  di  peso,  come  si  può  vedere 
dalle  seguenti  tavole.  Qui  si  tenne  luogo  d'un'  unica  tem- 
peratura (18-20°),  non  potendo  le  differenze  non  grandi 
alterarne  i  risultati  : 


(Temp. 

18°- 

-20^ 

') 

dopo  giorni  2 

guadag 

na 

su 

cento  50 

»          »       3 

» 

»           70 

»          »       6 

» 

y>           80 

>          >       8 

» 

130 

»          »     10 

^ 

130 

Vi  ha  quindi  un  aumento  quasi  costante  fino  all'  8° 
giorno  air  incirca  ;  dopo  il  quale,  il  cordone  saturo  d'acqua, 
non  guadagna  più  nulla  ;  ed  il  suo  tessuto  disgregato  offre 
una  minima  resistenza  alla  trazione. 

Anche  rispetto  alle  mutazioni  nella  circonferenza  dei 
cordoni  nei  varj  ambienti,  a  diverse  temperature,  e  dopo 
tempo  determinato,  qualche  elemento  non  privo  di  valore  si 


(1000)  [12] 

{)nò  desumere.  Conviene  però  qui  tener  conto  delle  varietà 
grandi  di  struttura,  di  densità,  di  abbondanza  di  gelatina, 
che  danno  luogo  anche  nello  stesso  cordone  a  numeri 
non  sempre  in  armonia  tra  loro.  Ad  ogni  modo,  misurando 
la  circonferenza  d'  ogni  frammento  messo  nell'  aria,  nel- 
r  acqua,  e  nella  terra  dopo  dati  periodi  di  tempo,  ho  isti- 
iuito  molte  osservazioni,  che  mi  permettono  di  presentare 
le  seguenti  cifre  come  le  medie  più  approssimative,  ridotte 
pur  esse  alla  proporzione  centesimale. 


Neil'  aria  alla  temperatura  di  3°  ad  8°. 
la  circonferenza  da  100  si  riduce: 

dopo  giorni   1  a  97 


2 

» 

91 

3 

» 

82 

4 

» 

64 

5 

» 

63 

6 

» 

63 

7 

» 

52 

8 

» 

50 

9 

» 

48 

Neil'  aria  alla  temperatura  di  8°  a  16' 
la  circonferenza  da  100  si  riduce  : 

dopo  giorni    1   a  80 

»       2  »  70-75 


» 

3  »  60 

» 

4  »  54 

» 

5  »  45 

» 

6  »  40 

» 

7  »  40 

» 

8  »  40 

Neil'  aria  alla  temperatura  di   16°-24' 
la  circonferenza  da  100  si  riduce: 


[18]  (1001) 

dopo  giorni  3  a  60 
»         »       5  »  44 

y>  »         8    »    40 

Neil'  acqua  alla  temperatura  di   15°-18°. 
la  circonferenza  da  100  si  riduce: 

dopo  giorni  3  a  119 
»  »  5-6  »  120 
»         »     6-9  »  180 

Nella  terra  umida  alla  temperatura  di  15°-18". 
la  circonferenza  da  100  si  riduce: 

dopo  giorni  2  a  93 
»  »  4  »  80 
»  »  6  »  70 
»         »       8  »  70-66 

Questi  numeri  esprimenti,  pel  gran  numero  d'  osser- 
vazioni donde  son  tratti,  una  media  assai  vicina  alla  realtà, 
data  una  costituzione  ordinaria  dei  cordoni,  ci  dimostrano 
come  la  riduzione  del  loro  volume  sia  subordinata  all'azione 
della  temperatura  ;  come  cioè  nelle  temperature  moderate 
r  evaporazione  e  quindi  la  riduzione,  cominci  lentamente, 
e  poi  dopo  un  certo  progresso  nei  primi  3  o  4  giorni,  si 
compia  lentamente;  mentre  nelle  temperature  più  alte  si 
ha  quasi  di  sbalzo  una  rapidissima  evaporazione  ed  una 
corrispondente  riduzione  di  volume,  seguita  da  un  periodo 
quasi  di  ristagno  ;  nel  momento,  cioè,  in  cui  il  cordone  ri- 
dotto ad  un  nastro  quasi  mummificato,  non  ha  più  liquidi 
da  cedere. 

Notisi  come  nelle  temperature  da  8°  a  16°  all' incirca 
si  ha  la  completa  mummificazione  immutabile  nelle  sue 
contingenze  fisiche  al  7°-8°  giorno  ;  al  quinto  giorno  al- 
l' incirca  nelle  temperature  oscillanti  fra  16°  e  24°;  come 
appunto  avviene  nello  stralcio  del  cordone,  quando  la  vita 
dell'infante  sia  protratta,  o  quando,  già  morto,  sia  stato  espo- 
sto all'  aria  per  otto  o  cinque  giorni. 


(1002)  [14] 

Neil'  acqua  abbiamo  un  fenomeno  opposto  dovuto  al- 
l' aggiungersi  di  questa  al  liquido  })reesistente  nel  cordone, 
si  da  fargli,  dopo  5-6  giorni  (tempo  della  massima  imbibi- 
zione) assumere  un  volume  doppio. 

L'  ambiente  terra  umida,  esporta  in  parte  1'  acqua  dal 
cordone,  e  lo  riduce  di  circa  un  terzo  dopo  7-8  giorni  ; 
il  che  avviene,  avuto  riguardo  alla  costituzione  fìsica,  anche 
in  ogni  altro  tessuto  immerso  nel  medesimo  ambiente. 

Alcuni  assaggi  istituiti  dal  Guzzi  sulle  mutazioni  del 
volume  del  cordone  messo  ad  evaporare  nell'  aria,  ed  a 
macerare  nell'acqua  si  staccherebbero  (almeno  in  apparenza) 
da  ([uelli  conseguiti  da  me,  giacché  secondo  quest'Autore  il 
cordone  a  20°-21°  circa  nell'  aria  dopo  25  giorni  avrebbe 
perduto  la  metà  del  suo  volume,  ed  al  7°  giorno  nell'  ac- 
qua avrebbe  aumentato  di  circa  un  quarto.  Però  se  si  tien 
conto  del  fatto  che  1'  evaporazione  dopo  i  primi  5-(3  giorni 
è  quasi  compita,  si  che  nei  successivi  la  riduzione  è  quasi 
impercettibile  (e  questo  è  un  fatto  assolutamente  costante), 
si  può  trovare  un  certo  rapporto,  giacché  dalle  mie  tavole 
risulterebbe  che  alla  detta  temperatura  al  3° -5"  giorno 
all'  incirca  il  volume  si  ridurrebbe  appunto  alla  metà 
dell'  iniziale.  Rispetto  all'  ambiente  acqua  la  divergenza  é 
più  sentita;  e  dovrà  (da  125  a  180)  spiegarsi  con  la  varia 
costituzione  dei  frammenti  usati  nei  diversi  esperimenti, 
con  la  maggiore  o  minore  permeabilità  dei  loro  tessuti  al 
liquido  d' immersione. 

Ma  poiché  non  si  deve  in  questi  studi  esigere  una 
precisione  matematica,  parmi  clie  i  loro  corollarj,  per  quanto 
desunti  da  esperienze  di  Laboratorio,  accordandosi  alle 
emergenze  quotidiane  della  pratica,  meritino  d'  essere  ac- 
colti, se  non  come  guida  assoluta,  almeno  come  documenti 
di  contribuzione. 


[15]  (1003) 


BIBLIOGRAFIA 


Voti  Hofmann.  —  Lehrbuch  der  gerichtl.  Medicin.  VI  Auflage.  Wien, 

1893. 
Pfannkuch.  —  Ardi,  fiir  Gynàkol.   1875,  Vili. 

Fritsch.  —  MiiUer'  s  Handbuch  der  GeburtshùUe.  1889.  Voi.  Ili,  657. 
Hohl.  —  Lehrbuch  der  Geburtshiilfe    II  Aufl.  443. 
Guzzi  Alessandro.  —  Ostetricia  legale  (Gazz.  delle  Cliniche.  1877). 
Dupont.  De  la  perte  de  poids  que    subissent   les    cadavres    dans    l' air 

athmospherique  (Thèse  de  Paris.  1889,  p.  48). 
F.  J.  Saint-Cyr.  —  Du  cordori  ombilical.  Lyon,  1891  (p.  49  e  seg.) 


SOPRA    L'INFLUENZA 

ESERCITATA  DALLA  NICOTINA  E  DALLA  SOLANINA 

SULLA  GERMOGLIAZIONE  DE)  SEMI  DI  TABACCO. 

IsrOT  A. 

DEL  8.  c.  G.  B.  DE  TONI  e  PAOLO  MACH. 

— iS<hh— 


Un  argomento  a.s.sai  importante  di  fisiologia  vegetale 
è  quello  di  studiare  l' influenza  esercitata  sul  processo 
germinativo  dei  semi  dalle  sostanze  chimiche,  alcune  delle 
quali  agiscono  accelerando,  altre  ritardando  od  impedendo 
lo  sviluppo  dei  semi. 

La  letteratura  botanica  non  è  scarsa  di  lavori  diretti 
ad  illustrare  questo  punto  della  fisiologia  e  tacendo  di 
Humboldt  che  attribuì  facoltà  acceleratrici  alla  soluzione 
acquosa  di  cloro,  di  Goeppert  che  eguali  proprietà  ammise 
per  il  bromo  e  per  l' iodio,  di  Vogel  che  ritenne  utile  la 
canfora,  ricorderemo  in  ispecial  modo  le  ricerche  relati- 
vamente moderne  di  Giglioli  (*),  Sestini  ("^),  Haberlandt  (3), 


(1)  J.  Giglioli.  —  Resistenza  dei  semi  e  specialmente  dei   semi  di 
Medica  aW  azione  prolungata  di  agenti  chimici  gazasi  e  liquidi  (Gazz. 

chim.  ital.  IX,  1879);  Sulla   resistenza    di    alcuni   semi    all'azione 

prolungata  di  agenti  chimici  gazosi  e  liquidi  (Annuario  R.  Scuola  Sup 
di  Agric.  Portici,  voi.  II,  1880.  Napoli,  1881). 

(2)  F.  Sestini.  —  Azione  del  vapore   di   diverse   sostanze    sopra 
semi  in  germogliazione  (Nuovo  Giorn.  botan.  ital.  XI,  1879,  p.  148-155) 

(3)  Haberlandt.  Einfuss  des  Kupfervitriols  aitf  die  Keimfàìùg- 

heii  des  Weizem  (Miiller"  s  landwirthsch.  Gentralbl.  XXII,  1874,  p.  281) 


[2]  (1005) 

Kiulelka  (i),  Isidore  Pierre  (2),  Wilhelm  (3),  Nessler  (4), 
Nobbe  (3),  Charpentier  ("),  Pi'illieux  (7)  e  più  che  tutti 
Heckel  {»). 

Con  diverso  indirizzo  il  Heveil  (9)  ha  .studiato  l'azione 
della  nic'jtina,  imperocché  egli  ha  rivolto  le  sue  ricerche 
a  riconoscere  l'influenza  che  l'alcaloide  estratto  dal  Tabacco 
esercita  su  altre  piante  (Balsamina,  Mentha,  Crocus,  Hor- 


(1)  F.  Kudelka.  —  Ueber  den  Einfluss  der  Kupfervitriollósung  auf 
Keimfahigkeit  des  gequellten  Weizens  (Oesterr.  botan.  Wochenblatt, 
1876,  p.   1280). 

(2)  J.  Isidore  Pierre.  -  Annales  agronomiques,  II,  1876,  p.  177-181. 

(3)  G.  Wilhelm.  —  Ueber  die  Einwirkung  des  Kamphers  auf  die 
Keimkraft  der  Samen  (Wiener  landwirthsch.  Zeitung,  1875,  p.  409). 

(4)  J.  Nessler.  —  Einfluss  des  Eisenmtriols  und  der  Karbolsàure, 
v^elche  dem  Di'mger  zugesetzt  tcerden  auf  das  Keimen  der  Samen  und 
Wachsen  der  Pfianzen  (Wochenbl,  des  landw.  Vereins  im  Grossherzogt. 
Baden,  1876  etc). 

(5)  F.  Nobbe  et  H.  Hiinlein.  —  Ueber  die  Wirkimg  aetherischer 
Oele  und  des  Benzins  auf  dem  Keimprocess  der  Samen  (Mitth.  pflan- 
zenphys.  Versuchsst.  Tharand,  XXIII). 

F.  Nobile,  P.  Baeseler  et  H.  Will.  —  Untersuchungen  iìber  die 
Giftwirkung  des  Arsen,  Blei  und  Zinh  im  pflanzlichen  Organismus 
(Landw.  Versuchsstat.  XXX,  1884). 

(6)  A.  Charpentier.  —  Action  de  la  cocaine  sur  la  fermentation 
alcoholique  et  sur  la  végètation  (Compt.  rend.  Soc.  biol.  de  Paris,  1885). 

(7)  E.  Prillieux. —  De  l'action  des  vapeurs  de  sulfure  de  carbone 
sur  les  graìnes  et  sur  leur  dèveloppeinent  (Bull.  Soc.  bot.  de  France, 
Tome  XXV,  1878). 

(8)  E.  Heckel.  —  De  V  action  des  températures  èlevèes  et  humides 
et  de  quelques  substances  chimiques  [benzoate  de  soude,  acide  ben- 
zoique,  acide  sulfureux]  sur  la  germination  (Compt.  rend.  Acad.  se. 
Paris,  T.  XCI  (1880),  p.  129-131);  —  De  l'action  de  quelques  com- 
posés  si^r  la  germination  des  graìnes  \bromure  de  camphre,  borate, 
silicate  el  arsèniate  de  soude]  (Compt.  rend.  Acad.  se.  Paris,  T.  LXXX 
(1875),  p.  1170-1172);  —  De  l'  inftuence  des  acides  saliciliquc,  thy- 
mique  et  de  quelques  essences  sur  la  germination  (Compt.  rend.  Acad. 
se.  Paris,  T.  LXXXVII  (1878),  p.  613-614). 

(9)  P.  0.  Reveil.  —  Recherches  de pliysiologie  Vegetale:  De  l'action 
des  poisons  sur  les  plantes.  Paris,  A.  Delahaye,  1865. 


(iOCO)  [3] 

deum,  Mimosa),  lasciando  affatto  da  parte  l'azione  che  la 
nicotina  esercita  sulla  germo^diazione  e  vegetazione  della 
Nicotiana:  in  ogni  modo  abbiamo  creduto  conveniente 
il  non  passare  sotto  silenzio  la  pubblicazione  del  Reveil, 
il  quale  ha  avuto  anche  la  cura  di  porgere  agli  studiosi 
una  discreta  bibliografia  sull'  argomento. 

Senonchè  più  che  i  lavori  ora  ricordati,  a  noi,  che 
nella  presente  Nota  esponiamo  in  via  succinta  i  risultati 
ottenuti  dall'  azione  della  nicotina  e  della  solanina  sulla 
germogliazione  dei  semi  di  Nicotiana  Tabacum  L.,  preme 
richiamare  l' attenzione  sopra  una  Nota  pubblicata  due 
anni  or  sono  dal  Cornevin  (i),  la  quale  si  riferisce  in  parte 
air  argomento  da  noi  trattato. 

Il  Cornevin  considera  due  casi  :  nel  primo  la  sostanza 
(di  cui  esperimenta  1'  azione)  esiste  nel  seme,  passa  nella 
giovane  pianticella  e  non  ha  luogo  mai  interruzione  nella 
esistenza  della  sostanza  medesima  nella  pianta  ;  nel  secondo 
la  sostanza  non  esiste  nel  seme  né  nella  giovane  pianti- 
cella, ma  si  forma  più  tardi  e  si  localizza  in  altre  regioni, 
ma  non  nei  semi  ;  studiò  il  primo  caso  con  la  saponina 
»i\\V  Ag?'ostemma  Githago  L.  e  con  la  citisina  sul  Cytisus 
Laburnuni  L.,  esaminò  il  secondo  caso  con  la  nicotina 
sulla  Nicotiana  Tabacum  L.  e  con  la  morfina,  codeina, 
narceina,  narcotina,  tebaina  e  papaverina  sul  Papaver 
somniferum  L.  Ne  ebbe  per  risultati  che  la  saponina  e  la 
citisina  non  impediscono  la  germogliazione  dei  rispettivi 
semi  di  Agrostemma  Githago  L.  e  di  Cytisus  Lahurnum 
L.,  che  la  nicotina  ritarda  la  germogliazione  dei  semi  di 
Nicotiana  Tabacum  L.,  che  infine,  mentre  la  narcotina, 
la  codeina  e  la  narceina  stimolano  la  facoltà  germinativa 
dei  semi  di  Papaver  somniferum  L.,  la  morfina  e  la  te- 


(1)  Cornevin.  —  Action  de  pois oìiì^  sur  fa  (/cnuìnatioii  dcs  yrahies 
des  végétaux  doni  ih  proviennent  (Cornpt.  r^nd.  Acad.  se.  Paris,  T. 
CXIII  (3  aoùt  1891),  p.  274). 


[4]  (1007) 

baiiia  sembrerebbero  indifferenti  e  la  papaverina  avrebbe 
facoltà  ritardatrice. 

Noi  abbiamo  esteso  le  nostre  esperienze  anclie  alla 
solanina,  desiderando  riconoscere  1'  azione  che  detto  gluco- 
side  esercita  sopra  i  semi  della  Nicotiana  Tahacum  L., 
acciò  anche  le  nostre  ricerche  oltre  che  servire  di  con- 
trollo al  lavoro  del  Cornevin,  abbiano  a  porgere  un  con- 
tributo sulla  influenza  esercitata  da  un'  altra  sostanza. 

Le  esperienze  vennero  eseguite  due  volte,  con  gli  stessi 
metodi,  onde  poter  fare  la  media  dei  risultati  e  venire  ad 
una  conseguenza  il  più  possibile  sicura.  A  differenza  del 
Cornevin  che  non  tenne,  a  quanto  sembra,  conto  del  nu- 
mero dei  semi,  noi  assoggettammo  all'azione  della  nicotina 
e  della  solanina  blocchi  di  semi  in  numero  determinato  ; 
di  più  esperimentammo  due  soluzioni  di  nicotina  con  dif- 
ferente percentuale,  per  poter  dedurre  V  azione  proporzio- 
nale dell'  alcaloide. 

Le  esperienze  vennero  dirette  nel  modo  che  segue  : 

I.  Un  primo  lotto  formato  da  48  semi  di  Nicotiana 
Tabacum  L.  fu  trattato  con  soluzione  nutritizia  (*)  addi- 
zionata dell'  uno  per  cento  di  nicotina.  I  semi  erano  col- 
locati in  4  gruppi  di  12  su  cuscinetti  di  amianto  contenuti 
nei  quattro  vetrini  da  orologio  di  cui  il  blocco  era  costi- 
tuito ed  erano  mantenuti  sempre  nel  conveniente  stato  di 
umidità  dal  liquido  addizionato  giornalmente  ;  il  blocco, 
come  i  seguenti,  era  tenuto  coperto  da  una  campana  di 
vetro,  rivestita  di  carta  nera. 

Un  secondo  lotto,  disposto  come  il  precedente,  venne 
trattato  con  soluzione  nutritizia  al  due  per  cento  di  ni- 
cotina. 

Un  terzo  lotto,  come  sopra,  fu  trattato  con  soluzione 
nutritizia  al  mezzo  per  cento  di  solanina. 


(1)  Il  liquido  nutritizio  venne  preparato  come  suggerisce   il   chiar. 
Detrner  nel  suo  Pfianzenphysiol.  Practicum. 


(100.<^)  [5] 

Un  quarto  lotto,  trattato  con  semplice  soluzione  nutri- 
tizia, serviva  da  controllo. 

II.  Un  primo  lotto  formato  da  48  semi  di  Nkotiana 
Tàbacum  L.  fu  trattato  con  soluzione  acquosa  di  nicotina 
all'  uno  per  cento  ;  i  semi  erano  in  quattro  vasetti  (12  per 
ciascun  vasetto)  nella  segatura  fina  di  legno;  in  due  vasetti 
((juindi  24  semi)  ai  semi  lo  spermoderma  era  stato  legger- 
mente scalfito  ;  la  segatura  venne  sempre  mantenuta  umida 
colla  soluzione  acquosa  ora  ricordata. 

Un  secondo  lotto,  disposto  come  il  precedente,  venne 
trattato  con  soluzione  acquosa  di  nicotina  al  due  per  cento  ; 
qui  pure  24  semi  furono  lasciati  collo  spermoderma  intatto, 
gli  altri  24  scalfiti  leggermente. 

Un  terzo  lotto,  disposto  come  i  due  precedenti,  fu 
inaffiato  con  acqua  semplice  per  servire  da  controllo. 

III.  Un  primo  lotto  formato  da  .30  semi,  ripartiti  in  3 
vasetti  pieni  di  segatura  di  legno  (12  per  ciascun  vasetto)  ; 
nel  1.°  vasetto  i  semi  furono  disposti  dopo  essere  stati 
immersi  durante  24  ore  in  una  soluzione  acquosa  di  ni- 
cotina all'  uno  per  cento  ;  nel  2.°  vasetto  i  semi  erano  stati 
prima  lasciati  in  contatto  con  una  soluzione  acquosa  di 
nicotina  al  due  per  cento,  pure  per  lo  spazio  di  24  ore  ; 
infine  nel  3.°  vasetto  i  semi,  già  lasciati  immersi  nell'acqua 
semplice  per  un  giorno,  servivano  da  confronto. 

Un  secondo  lotto,  disposto  come  il  precedente,  conte- 
neva, ripartiti  in  3  vasetti  (12  semi  per  ciascliedun  vasetto), 
semi  lasciati  immersi  in  soluzioni  come  sopra  ed  in  acqua 
semplice  per  lo  spazio  di  48  ore. 

Ambedue  i  lotti  furono  sempre  in  seguito  mantenuti 
nel  necessario  stato  di  umidità  con  aggiunta  di  acqua 
semplice. 


[0]  ■      (10()<) 


Risultati  delle  esperienze. 


I.  Nel  primo  lotto  di  48  semi  di  Nicotiana  Tabacwn 
L.  trattato  con  soluzione  nutritizia  all'  uno  per  cento  di 
nicotina  (dopo  31  giorni)  i  semi  non  diedero  alcun  indizio 
di  germogliazione. 

Nel  secondo  lotto  trattato  con  soluzione  nutritizia  al 
due  per  cento  di  nicotina,  stesso  risultato  negativo. 

Nel  terzo  lotto  trattato  con  soluzione  nutritizia  al 
mezzo  per  cento  di  solanina  germogliarono  (dopo  9  giorni) 
23  semi  su  48. 

Nel  quarto  lotto  trattato  con  semplice  soluzione  nutri- 
tizia germogliarono  (dopo  9  giorni)  39  semi  su  48. 

IL  II  primo  lotto  di  48  semi  (metà  dei  quali  collo 
spermoderma  leggermente  intaccato)  nella  segatura  di  legno 
imbevuta  di  soluzione  acquosa  di  nicotina  all'uno  per  cento 
diede  risultato  negativo  (dopo  31  giorni). 

Il  secondo  lotto  di  48  semi  (come  sopra)  trattato  con 
soluzione  acquosa  di  nicotina  al  due  per  cento,  diede  pure 
risultato  negativo  (dopo  31   giorni). 

Il  terzo  lotto  di  48  semi  inafììati  con  acqua  semplice 
(dopo  12  giorni),  diede  16  pianticelle  tra  quelli  a  spermo- 
derma   intatto,  e  due  tra  quelli  a  spermoderma  scalfito. 

III.  I  12  semi  lasciati  immersi  24  ore  nella  soluzione 
acquosa  di  nicotina  all'  uno  per  cento,  diedero  risultato 
negativo  (dopo  31  giorni). 

I  12  semi  lasciati  immersi,  come  sopra,  nella  soluzione 
acquosa  di  nicotina  al  due  per  cento,  diedero  risultato  ne- 
gativo (dopo  31   giorni). 

Dei  12  semi  (per  confronto)  tenuti  24  ore  a  contatto 
dell'  acqua  semplice  ne  germogliarono  6  (dopo  12  giorni). 

Dei  12  semi  lasciati  immersi  48    ore    nella    soluzione 


(1010)  [7] 

acquosa  di  nicotina  all'  uno  per  cento,  germinarono  due 
semi  (dopo  26  giorni). 

I  12  semi  lasciati  immersi  come  sopra  nella  soluzione 
acquosa  di  nicotina  al  due  per  cento,  diedero  risultato 
negativo. 

Dei  12  semi  tenuti  48  ore  nell'  acqua  semplice  (per 
confronto)  ne  germogliarono  11   (dopo  12-13  giorni). 


Dai  risultati  sopra  esposti  si  viene  alle  seguenti  con- 
clusioni : 

a)  La  solanina  al  mezzo  per  cento  permette  la  ger- 
mogliazione  dei  semi  di  Nicotiana  Tabacum  L.  senza 
alcun  ritardo  in  confronto  di  quelli  posti  in  condizioni 
normali. 

b)  La  nicotina  all'  uno  e  al  due  per  cento  impedisce 
col  continuo  contatto  la  germogliazione. 

e)  La  nicotina  all'  uno  e  al  due  per  cento  fatta  agire 
sui  semi  di  tabacco  per  lo  spazio  di  24-48  ore  non  esclude 
in  via  assoluta  la  possibilità  della  germogliazione  dei  semi 
stessi,  tuttoché  la  medesima  germogliazione  si  effettui  con 
notevole  ritardo  ;  in  altre  parole  la  nicotina  agisce  come 
sostanza  ritardatrice. 

R.  Istituto  botanico  dell'  Università 
Parma,  26  maggio   1893 


DESCRIZIONE  E  PROPOSTE 

PER  COMBATTERE  LA  DIASPIS  PENTAGONA 

TARGIOHI    TOZZETTI 

0  COCCINIGLIA  DEL  GELSO 


Il  Bollettino  di  Notizie  Agrarie  del  R.  Ministero  di 
Agricoltura,  Industria  e  Commercio  N.  5  Gennaio  1891, 
Anno  XIII,  2°  Semestre,  contiene  una  importante  memoria 
sulla  Diaspis. 

Essa  comincia  colla  descrizione  esatta  dell'  insetto,  dopo 
di  aver  premesso,  che  prima  comparve  nei  territori  comu- 
nali assai  elevati  di  Proserpio,  di  Asso,  di  Ganzo  in  pro- 
vincia di  Como  (18(i5  e  1866);  ma  ora  si  trova  in  tutto  il 
mandamento  di  Canzo,  poi  in  quello  di  Erba,  in  buona  parte 
di  quelli  di  Missaglia,  di  Gantù,  di  Como  e  di  Lecco  ;  e,  più 
in  basso,  è  venuto  a  mostrarsi  in  diversi  comuni  del  cir- 
condario di  Monza,  e  fino  a  Rho  presso  Milano,  mentre  a 
ponente  è  stata  accertata  la  sua  presenza  nel  Varesotto. 


Descrizione 

Eccone  la  descrizione  :  La  sua  specie  si  compone,  di  ma- 
schi e  di  femmine  ;  ma  il  corpo  dei  primi  è  contenuto  e 
nascosto  in  un  follicolo  o  minuto  cartoccino  lineare,  bian- 
chissimo, e  quello  delle  seconde  è  ricoperto  da  una  specie 
di  coperchio  o  guscio  squamiforme,  grigiastro,  rotondeg- 
giante, di  un  millimetro  e  mezzo  a  due  di  diametro,  con 
un  puntolino    bruno    quasi  centrale.  Tanto  i    cartoccini    o 

T.  IV,  S.  VII  69 


(1012)  [2] 

follicoli  dei  maschi,  quanto  i  g'usci  o  gli  scudi  delle  fem- 
mine si  scorgono  uno  per  uno  ad  occhio  nudo,  se  isolati  ; 
ma  tanto  meglio  poi  dove,  riuniti  distesi  e  sovrapposti,  for- 
mano delle  crosticene  più  o  meno  fìtte  sui  rami  del  gelso. 

La  femmina,  sollevato  il  guscio,  è  un  corpiciattolo  mi- 
nuto ;  ma  visibile,  quasi  discoidale  da  giovane,  da  adulto 
però  sensibilmente  angoloso  o  di  figura  pentagonale,  di  co- 
lore che  varia  dal  giallo  al  rosso  bruno,  secondo  l'età. 

Il  maschio,  uscito  dal  suo  follicolo,  è  allungato,  assai 
più  minuto,  benché  visibile  anche  esso. 

Con  occhio  armato  di  un  debole  ingrandimento  di 
microscopio  si  può  riconoscere  che  sul  corpo  della  femmi- 
na, trasversalmente  solcato,  mancano  le  divisioni  che  ha 
il  corpo  degli  insetti  generalmente,  le  zampe  e  le  altre 
appendici  solite  del  corpo  di  essi,  comprese  le  ali,  salvo  i 
rudimenti  di  due  antenne  e  due  punti  bruni  che  ri- 
cordano gli  occhi,  in  avanti.  Vi  sono  però  in  forma  di  se- 
tole lunghe,  rigide,  sottilissime,  e  di  alcune  altre  pai'ti 
anche  più  minute,  gli  organi  della  bocca,  o  con  questi, 
appunto,  r  animale  si  fissa  sulle  scorze  per  succhiare  dal 
loro  tessuto  gli  umori  di  cui  si  nutrisce  e  infestarle  con 
altri.  Vi  sono  inoltre  quattro  aperture  laterali  puntiformi, 
che  gli  servono  per  respirare,  ed  altre  ancora  in  gran  nu- 
mero anche  più  minute,  distribuite  pel  corpo,  lungo  i  mar- 
gini, lungo  le  divisioni  trasverse,  nell'estremo  posteriore,  e 
dalle  quali  vien  fuori  la  sostanza  destinata  a  formare  il 
guscio.  La  parte  posteriore  estrema  ha  delle  strie,  delle 
punteggiature,  dei  denti  marginali  che  definiscono  meglio 
le  specie,  ma  che  sono  anche  più  difficili  a  scorgere. 

Il  corpo  dei  maschi  è  invece  allungato,  ha  distinte  la 
testa,  le  due  parti  che  si  chiamano  torace  e  addome,  e  dalla 
testa  sporgono  due  esilissime  e  lunghe  corna  articolate  (an- 
tenne) e  quattro  occhi  grossetti  ;  dal  torace  partono  tre 
paia  di  zampe  ben  conformate,  due  ali,  e  due  organi  die- 
tro le  ali,  che  diconsi  bilancieri.  La  bocca  dei  maschi  è 
appena  rudimentale. 


[3]  (1013) 

Benché  tanto  diversi,  alla  fine  maschi  e  femmine  hanno 
la  stessa  forma  appena  usciti  dairuovo,  e  per  qualche  tempo 
di  poi,  finché  sono  larve;  e  sono  allora  corpicelli  minutis- 
simi discoidali,  dittici,  provvisti  di  antenne  corte,  di  due 
puntolini  oculari  in  avanti,  di  bocca  conformata  e  compo- 
sta presso  a  poco,  salvo  le  proporzioni,  come  quella  della 
femmina  adulta,  ma  non  ancora  impiantata  e  fissa,  ed  inol- 
tre di  zampe  relativamente  forti  e  robuste,  colle  quali 
corrono  agilissimamente.  Delle  mute  successive,  nella  fem- 
mina a  perdita,  nei  maschi  ad  aumento  e  trasformazione, 
riducono  le  larve  allo  stato  diverso  che  hanno  secondo  il 
sesso  gli  insetti  maturi. 

Mentre  le  mute  accadono,  d'  altra  parte,  le  femmine 
formano  gli  scudi  loro,  i  maschi  i  loro  follicoli,  composti 
gli  uni  e  gli  altri  di  una  sostanza  quasi  cerea  o  resinosa, 
che  l'acqua  non  bagna  né  scioglie.  Venuti  a  maturità,  i 
maschi  si  liberano  dai  follicoli,  accoppiansi  colle  femmine, 
e  dalle  uova  fecondate  di  queste,  a  primavera  (nella  terza 
decade  di  Maggio),  nasce  una  prima  generazione  di  larve, 
che  in  sette  od  otto  settimane  sono  già  mature  e  capaci  di 
deporre  uova  alla  volta  loro.  Anco  queste  danno,  in  al- 
trettanto tempo,  altre  larve,  altri  maschi,  altre  femmine, 
e  cosi  di  seguito,  per  almeno  due  o  tre  generazioni  (i)  fin-o 
all'ottobre,  quando  l' inverno  sospende  la  maturazione  dei 
prodotti  dell'ultima,  fino  alla  primavera  seguente. 

La  descrizione  é  accompagnata  da  figure  nelle  quali 
si  veggono  un  ramo  di  gelso  con  scudi  delle  femmine  e  dei 
maschi,  e  questi  e  quelli  a  grandezza  naturale  ed  ingran- 
dita ;  le  larve  molto  ingrandite  dalla  faccia  sternale,  o  ter- 
gale, la  femmina  quasi  adulta,  dalla  faccia  pure  sternale  ; 
il  follicolo  ingrandito  contenente   la  larva  alquanto  defor- 


(1)  Le  uova,  che  danno  la  Diaspis  della  seconda  generazione,  ven- 
gono deposte  sul  finire  del  Luglio,  ed  ai  primi  di  Agosto,  e  schiudono 
pel  solito  nella  prima  quindicina  di  Agosto.  Nel  1889  è  stata  osservata 
una  terza  generazione  nella  seconda  metà  di  Ottobre. 


(10Ì4)  [4] 
mata  dopo  la  [)riiiia  muta  del  maschio  ;  il  f(jllicolo  inclu- 
dente il  maschio  allo  .stato  di  ninfa  ;  il  ma.scliio  liìjero  e 
molto  ingrandito. 

Effetti  della  infezione  di  Diaspis  pentagona  sui  gelsi 

Indi  vi  si  parla  degli  effetti  dell'  infezione  di  Diaspis 
sul  gelso.  Le  prime  offese  sui  rami  da  foglie  dell'  ultimo 
anno  turbano  già  1'  apertura  degli  occhi  (gemme)  della 
pianta,  o  la  maturazione  della  foglia  ;  quelle  ripetute,  com- 
promettono la  maturazione  del  legno,  la  formazione  delle 
gemme  nuove,  e  a  poco  a  poco,  con  celerità,  la  vita  stessa 
del  gelso. 

Tanto  più  gravi  e  pronti  sono  questi  effetti  quanto  più 
il  gelso  è  meno  resistente  o  per  sua  natura,  o  per  l'età,  o 
per  le  circostanze  sotto  le  quali  vegeta  ;  non  esclusa  la 
cura  ed  il  modo  della  coltivazione.  Non  si  sa,  però,  bene 
ancora  se  vi  sieno  varietà  di  gelso,  o  modo  e  luogo  di 
coltivazione  determinati,  che  possano  far  variare  gli  ef- 
fetti stessi. 

Questi  poi,  come  è  naturale,  si  aggravano  rapidamente 
in  ragione  composta  della  moltiplicazione  dell'  insetto  e  della 
resistenza  del  gelso  che  diminuisce  per  le  offese  a  cui  va 
sottoposto. 

Oltre  che  sul  gelso,  si  afferma  che  il  pidocchio  si  pre- 
senta sopra  altre  piante.  Finora  la  Diaspis  pentagona  si 
asserisce  osservata  nelle  seguenti  piante  :  Sofora,  Moro  pa- 
pirifero.  Pesco,  Evonimo  Europeo  o  Fusaggine,  Lauroce- 
raso, Salice,  Uva  spina,  Cellis  atistralis,  Bignonia  Catalpa, 
Fagiolo,  Ortica,  qualche  varietà  di   Sediim. 

Come  si  diffonde  la  infezione 

La  infezione  si  diffonde  per  trasporti  ;?«^«/«;«;  maschi 
e  femmine  allo  stato  di  larva,  essendo  liberi  e  mobilissimi, 
possono    trasportarsi    da    luogo  a  luogo,  cioè    da    i)arte  a 


[5]  (1015) 

parte  di  una  stessa  pianta,  da  pianta  a  pianta,  o  quando  i 
rami  di  una  si  toccano  con  quelli  dell'altra,  o  (juando  qual- 
che intermedio  si  presta  ad  una  indiretta  comunicazione, 
0  quando  discese  in  terra  da  un  albero,  come  di  fatto  si 
è  osservato,  camminano  agilissime  su  questa,  mentre  non 
è  loro  impedito  certamente,  trovato  il  tronco  di  un  albero 
nuovo,  di  salirvi  sopra. 

Esperienze,  appositamente  istituite  nell'Agosto  1890  dal 
professore  Franceschini,  hanno  mostrato  che  il  vento  sol- 
leva e  porta  per  aria  le  larve  stesse,  che  queste  si  fermano 
dove  un  ostacolo  le  arresta;  cosicché  se  di  mezzo  vi  sieno 
delle  piante,  e  queste  sieno  dei  gelsi,  naturalmente  la  in- 
fezione, allargata,  si  stabilisce  sopra  di  essi. 

Per  trasporti  artificiali,  un  mezzo  di  diffusione  è  il 
trasporto  e  piantamento  di  gelsi  infetti  fra  i  gelsi  sani  ;  il 
trasporto  poi  di  potature  o  di  rami  di  gelso  con  foglie  è 
tanto  più  da  temere,  perchè  questi  fatti  spesso  si  combinano 
con  certe  usanze,  con  certe  pratiche  ordinarie,  che  pos- 
sono parere  anche  necessità  indeclinabili  dell'agricoltura. 

In  proposito  però  converrà  distinguere  questi  trasporti 
secondo  il  momento  nel  quale  si  fanno,  e  l'uso  a  cui  le  cose 
trasportate  debbono  servire.  Non  avrà  effetto  pratico,  in- 
fatti, il  trasporto  dei  rami  infetti  di  una  pianta  di  gelso  o 
di  una  pianta  intera  giovane  o  vecchia  in  un  momento 
lontano  da  quello  della  maturità  delle  uova  o  delle  larve 
del  pidocchio,  quando  questi  rami  o  piante  sieno  immedia- 
tamente distrutti  ;  ma  non  sarà  altrettanto  pel  trasporto  dei 
rami  colla  foglia  dal  campo  a  una  bigattiera,  che  cadrà 
appunto  in  un  momento  nel  quale  le  larve  sono  per  na- 
scere 0  sono  nate  da  poco,  mentre  quei  rami  saranno  con- 
servati vivi  finché  hanno  foglia,  o  gettati  e  conservati  senza 
cura  fuori  della  bigattiera,  una  volta  brucati. 

Pericoloso  sarà  quasi  1'  uso  di  potare  i  gelsi  verso 
la  primavera  o  in  autunno,  e  lasciare  le  potature  sul  campo, 
0  di  portarle  da  una  parte  del  possesso  ad  un'  altra,  e 
quivi  ammassarle  per  aspettare  il  momento  di  adoprarle  ad 


(loi(i)  •  [(;] 

un  u.so  qualunque  ;  poiché  anche  sui  rami  divulsi  i  pidocchi, 
che  forse  non  erano  maturi,  possono  maturare,  e,  prima 
che  la  distruzione  abhia  avuto  luogo,  partorire  uova  e  da 
queste  nascere  le  larve. 

Peggio  poi  di  ogni  cosa,  come  è  stato  detto  di  sopra, 
l'accrescere  le  piantate  con  giovani  piantoni  infetti,  sui  (juali, 
al  tempo  solito,  i  pidocchi  esistenti  daranno  uova  e  larve 
che  avranno  il  più  naturale  esito  loro,  e  semineranno  la 
infezione,  comunicandola  alle  piante  sane  delle  vicinanze  ; 
come  si  ebbe  luogo  di  osservare,  in  modo  evidente,  in  ter- 
ritorio di  Montorfano  e  a  Ceriano  Laghetto,  presso  Saronno. 


Rimedi 

I  rimedi  sono  :  preventivi,  eslintivi  e  curaÀivi. 
Fra  i  preventivi  si  raccomanda  : 

a)  Di  guardare  quei  rami  o  bacchette  con  foglia  che 
si  tagliano  per  certe  comodità  degli  allevamenti,  avendo 
cura  di  non  toglierle  da  gelsi  infetti,  e  di  distruggerle  su- 
bito dopo  colta  e  consumata  la  foglia. 

b)  Le  potature,  che  si  fanno  per  la  coltivazione  dei 
gelsi,  dovranno  essere  senza  troppa  agitazione  raccolte,  am- 
monticchiate sul  campo,  ma  non  lasciate  a  sé  stesse  ;  e, 
quando  non  si  vori'anno  distruggere  addirittura  bruciandole, 
dovrebbero  essere  per  lo  meno  abbrustolite,  riscaldate, 
affumicate,  finché  possa  bastare  a  mortificai'e  gli  insetti. 

e)  Conviene  rinunziare  assolutamente  allo  scambio 
commerciale  dei  piantoni  che  provengono  da  vivai  o  da 
luoghi  infetti. 

Rimedio  estintivo,  e  sovrano  sterminatore,  potrà  es- 
sere il  fuoco  al  quale  si  condannerà  ciò  che  si  toglie  dalle 
piante  malate  potandole,  e  le  piante  stesse  quando  si  tro- 
vino colla  infezione  coltivate  nei  piantonai,  o  tolte  da'  pian- 
tonai, e  destinate  o  già  impiegate  per  nuove  piantate. 


[7]  •      (1017) 

Ai  rimedi  curatici  per  limitare  la  infezione,  si  ripor- 
tano il  calore,  rinunciando  agli  avvanipatori  (pirofori)  ;  i 
vapori  insetticidi  ;  gl'insetticidi  solidi  e  liquidi. 

Saranno  solidi  e  polverulenti,  ovvero  liquidi  per  pro- 
pria natura,  o  resi  tali  per  soluzione,  divisione  e  sospen- 
sione nell'acqua. 

Polveri.  —  Non  conosciarap  sostanze  solide  o  polveriz- 
zate ed  asciutte  che  operino  efficacemente  a  secco  sui  pi- 
docchi meno  che  nel  breve  momento  della  loro  vita  lar- 
vale, e  prima  che  si  ansi  coperti  e  riparati  sotto  dei  gu- 
sci analoghi  a  quelli  della  nostra  Diaspis. 

Vi  sono  però  alcune  polveri,  che,  liquefacendosi  in 
parte  col  favore  dell'acqua  o  dell'umidità  naturale  dell'aria, 
spiegano  una  certa  azione,  ed  una  per  tutte  potrebbe  es- 
sere la  cenere  ;  la  calce  può  fare,  ma  con  effetto  minore, 
altrettanto.  Se  alcune  volte  la  cenere  si  è  applicata  in  Si- 
cilia contro  i  pidocchi  degli  agrumi,  anche  più  aderenti  di 
quello  dei  gelsi,  a  consiglio  del  compianto  prof.  luzenga,  e 
con  qualche  vantaggio,  la  pratica  non  ha  seguitato  ad  usarne. 
Della  calce  in  polvere  non  sappiamo  che  sia  stata  fatta  ap- 
plicazione alcuna,  e  dopo  la  cenere  non  potreb])e  essere 
raccomandata. 

Soluzioni  e  poltiglie  acquose.  —  La  calce  applicata 
come  bianco  di  calce  o  latte  di  calce  più  o  meno  denso, 
sui  rami  impidocchiti,  vi  rimane  come  un  intonaco  bianco, 
che  cuopre  sotto  di  questo  i  pidocchi  stessi,  e  si  è  sperato 
di  trarne  vantaggio. 

I  pidocchi  però  invece  di  essere  offesi  o  rimanere  sof- 
focati, come  alcuno  ha  creduto,  seguitano  a  vivere  e  pro- 
sperare, e  le  femmine  in  particolare,  sane,  fresche,  piene 
di  uova  si  sono  trovate  molto  più  tardi,  dove  l'applicazione 
era  stata  fatta.  Da  esse  sono  poi  nate  bene  e  meglio  le 
larve,  che  hanno  trovato  la  via  d'uscire  e  diffondersi,  co- 
me se  nulla  fosse  stato;  anzi  esse,  sotto  lo  stesso  intonaco, 
sono  riuscite  a  stabilire  nuove  colonie,  come  si  è  visto  sui 


(1018)  [8] 

freisi  incalcinati  in  ^ran  numero  lunf>:o  la  strada  da  Albe.se 
ad    l^j'ha. 

Si  e  ci'cduto  di  accrescere  la  vii-tù  della  calce,  facendola 
prima  boUii-e  con  dello  zolfo,  e  cioè  pigliando  calce  viva 
p.  I,  calce  in  polvere  \).  2,  acfjua  p.  10,  il  che  si  riduce 
a  j)rodurre  un  po'  di  solfuro  di  calcio,  che,  mescolato  colla 
cal(;e  eccessiva,  esala  poi  un  (jdore  cattivo  di  idrogeno  sol- 
foi-ato,  scomj)onendosi  all'aria.  L'effett(j  di  (jucsta  medica- 
tui-a,  })er  (]uanto  si  dica  in  conti-ario,  non  è  stato  diverso 
da  (juello  della  calce  jìura  ;  solamente  il  rimedio  è  co- 
stato di  })iii,  ed  ha  costretto  ad  impiegare  più  temiio  e  cura 
maggiore  neirapplicazione.  Lo  stesso  è  avvenuto  a  chi  ha 
curato  i  suoi  gelsi  colla  mistura  hordelese,  usata  contro 
la  peronospora  della  vite,  e  a  chi  ha  sostituit(j  al  solfato 
di  rame  della  mistura  stessa,  il  solfato  di  ferro. 

Altri  hanno  impastato  colla  calce  del  petrolio,  dell'a- 
cido fenico,  dell'olio  pesante  di  catrame,  della  naftalina 
(come  alcuno  avea  provato  a  Corneno  frazione  di  Penzano), 
od  hanno  impiegato  la  poltiglia  l)albiani  che  si  compone  di: 

Olio  pesante  di  catrame.     .     .     .  parti     20 

Naftalina  greggia »       30 

Calce  viva »      100 

Acqua >      400 

L'effetto  però,  se  è  stato  in  (jualche  punto  migliore 
che  colla  calce  sola,  è  stato  sem[)re  assai  scai'so  ed  irre- 
golare, come  fu  sperimentato  ad  Orsenigo,  a  Canzo,  e  a 
Prosepio  pei'  iniziativa  jìrojìria  da  distinti  pratici  agri- 
coltori. 

Misrtfgli  eimflsiiii  saponosi,  od  oleoso  alcalini.  —  Gli 
effetti  più  chiari,  più  e(iual)ilmente  distribuiti  si  sono  os- 
servati piuttosto  dove,  lasciata  la  calce  da  })arte,  il  solfuro 
di  carltonio,  il  jietrolio  comune,  l'acido  fenico,  1'  ()lio  pe- 
sante di  catrame,  il  jietrolio  greggio  sono  stati  adoperati 
direttamente,  divisi  e  sospesi  in  emulsione  ;  sono  stati  però 


[9]  (1019) 

di  diverso  },^rado,  e  migliori  di  tutti  son  parsi  quelli  a  base 
di  olio  pesante  di  catrame,  o  di  petrolio  nero. 

Vi  sono  emulsioni  diversamente  composte. 

1."  Emulsione  di  Riley  : 

Kerosene  (petrolio  non  raffinato  di  America) .     .  litri      8 

Sapone  ordinario gr.   175 

Acqua litri      4 

Per  ottenerla,  sciogli  il  sapone  in  acqua  sufficiente,  a 
caldo  ;  lascia  freddare,  ed  aggiungi  grado  a  grado  il  kero- 
sene, agitando  la  massa.  Diluisci  poi  con  acqua  litri  60-80. 

2.°  Emulsione  della  Stazione  di  entomologia  agraria 
in  Firenze  : 

a)  Solfuro  di  carbonio    ....  parti     2,5 
Olio  di  pesce »       4,5 

Fa  soluzione  e  lascia  depositare. 

b)  Potassa  del  commercio  .     .     .  parti     1 
Acqua »     25 

Fatte  a  freddo  le  due  soluzioni  aj  e  bj,  mescola  gra- 
datamente l'una  con  l'altra,  e  aggiungi 

Acqua  tino  a parti  475 

La  emulsione  di  Riley  non  ha  varianti,  il  che  non 
esclude  che  possa  averne.  La  emulsione  della  Stazione  di 
entomologia  è  stata  variata  largamente,  sostituendo  al  sol- 
furo di  carbonio  dapprima  il  petrolio  o  l'acido  fenico  greg- 
gio, con  poco  aumento  nella  dose  degli  alcali  per  quanto 
all'acido  fenico. 

Come  variante  di  questa  si  può  considerare  la  se- 
guente, adoperata  negli  esperimenti  contro  la  Diaspis,  nella 


(1020)  [10] 

quale  fu  sostituito  il  carbonato  di  potassa  col  carbonato  di 
soda  (soda  Solwaj^)  e  il  solfuro  di  carbonio,  od  anche  pe- 
trolio o  l'acido  fenico  con  quel  petrolio  nero  di  cui  si  è 
parlato,  e  ne  venne  la 

Emulsione  a  base  di  petrolio  nero  : 

Petrolio  nero  (densità  0.970) parti  9 

Olio  di  pesce »  2 

Carbonato  di  soda  anidro  (soda  Solway)     .      »  1 

Acqua »  100 

A  questa  crediamo,  senza  riserve,  di  poter  aggiungere 
la  seguente  : 

Olio  pesante  di  catrame  (i)     .     .  parti  10 

Olio  di  pesce »  0,5 

Soda  Solway »  0,5 

Acqua »  20 

Id »  69 

parti    100 

Miscugli  semplicemente  alcalini.  —  Ad  iniziativa  del 
prof.  Franceschini,  venne  poi  il  terzo  tipo  di  emulsione, 
rappresentato  dalle  Ibrmule  seguenti  : 

1."  Acido  fenico  a  1.012  di  densità  (2)    .     .     .  parti       9 
Carbonato  di  soda  anidro  (soda  Sohvay)    .       »  1 

Acqua »  100 

2."  Olio  pesante  di  catrame  a  1.012.     ...»  9 

Carbonato  di  soda  anidro  (soda  Solway)    .      »  4,5 

Acqua »  100 


(1)  L'olio  pesante  di  catrame  adoperato  viene  dalla  distilleria  del 
Sìg.  Vitali  a  Borgo  San  Donnino,  della  densità  areoraetrica  9''  B'"  a 
-j-  10"  C  ed  al  prezzo  di  L.   10  a  quintale  sul  posto. 

(2)  Si  ò  impiegato  acido  fenico  greggio  del  commercio  a  60  y^, 
della  densità  areometrica  di  3°  B"  a  -|-  10"  C, 


[11]  (io2i; 


Come  si  applicano  le  emulsioni. 

Quanto  al  modo  di  applicare  le  emulsioni,  appena  com- 
piuta la  raccolta  delle  foglie  o  pei  bachi,  o  pei  Ije.stiami 
più  tardi,  conviene  pertanto  di  potare  le  piante  o  di  di- 
.sporle  alla  potatura  regolare,  togliendo  tutto  ciò  che  non 
sia  essenziale  a  una  buona  produzione  per  l'anno  di  poi. 

Ciò  ha  una  sola  difficoltà,  quella  dell'uso  di  non  po- 
tare i  gelsi,  0  di  potarli  irregolarmente,  o  al  più  ogni  tre, 
rarissimamente  ogni  due  anni. 

Passi  anche  per  altre  ragioni  di  pratica  la  potatura 
])iennale  o  triennale,  ma  converrebbe  sempre  rinunziare 
alle  potature  a  tempo  indefinito  ;  sacrifizio  di  abitudini, 
non  di  razionalità  nella  coltivazione  del  gelso,  e  che  sa- 
rebbe anche  limitato  ad  una  prima  operazione,  e  periodi- 
camente a  intervalli,  ad  alcune  altre  dello  stesso  grado,  se 
il  male  insistesse.  Ma  fra  1'  una  e  1'  altra  di  queste,  do- 
vrebbero bastare  delle  potature  più  discrete  e  parziali,  e 
regolando  i  tagli,  finché  il  male  durasse,  si  potrebbero 
avere,  con  pochi  gelsi  rigorosamente  trattati,  gli  altri  poco 
meno  che  in  corso  di  coltivazione  ordinaria. 

La  infezione  si  dovrebbe  combattere  la  prima  volta, 
appena  si  scorge,  in  qualunque  stagione  e  a  qualunque 
costo.  Ma  si  può  essere  indulgenti,  e  lasciar  raccogliere  la 
prima  foglia  pei  bachi,  magari  la  seconda  e  la  terza  pei 
bestiami,  a  condizione  di  rifarsi  appena  sopravviene  1'  au- 
tunno, e  si  apre  l' inverno  ;  o  anche  più  tardi,  quando, 
passati  i  maggiori  freddi,  si  avvicina  la  primavera. 

Data  in  qualunque  tempo  più  opportuno  la  mano  al 
pennato,  e  fatta  la  potatura,  distruggendo  presto,  o  curando 
nel  modo  detto  di  sopra  le  parti  tagliate,  si  farà  sul  resto 
r  applicazione  del  miscuglio  prescelto,  che  per  le  prove 
fatte  dovrebbe  essere  uno  di  quelli  a  base  di  olio  pesante 
di  catrame,  o  a  base   di  petrolio  nero. 


(1022)  [12] 

Assai  spendite  sai'(d)l)(',  se  non  di  i-ovesciaro  sui  ^elsi 
jiotati  una  massa  di  lifjiiido.  di  irrorai-ne  con  ossa  la  testa 
e  il  ii'oiico  })ei'  mezzo  di  })ompe  a  gett(j  polvei'izzato  ;  ma 
HK^lta  materia  si  ])ei'de.  e  il  resto  non  ^•a  distril)uitu  a 
dovere. 

Megdio  è  di  ai)[)licare  il  miscuglio  li({uido  con  un  pen- 
nello da  imbianchino  assai  lai-go  e  col  manico  inastato  o 
]io,  secondo  1'  altezza  dei  rami,  pei  più  grossi  dei  quali,  e 
}iei  tronchi,  potranno  giovare  anche  deHe  spazzole  di  se- 
toh)  vegetabili  come  ({uelle  che  si  adoperano  pei  cavalli,  e 
che  si  possono  fare  di  divei-sa  forma,  inastai-c  so})ra  un 
manico,  o  adattare  a  una  impugnatura  ({ualun([ue  (i). 

La.  IVizione  meccanica  aiuta  naturalmente  hi  liagna- 
tui'a  delle  superfici,  il  dista(;co  dei  gusci  d(d  pi(b)C(*liio,  la 
])enetrazione  del  rimedio  sotto  ([uelli  che  reslano,  e  a  (|ue- 
sta  circostanza  senza  dubbio  si  sono  d(tvuti  certi  effetti 
discreti,  ottenuti  in  (juel  di  Orsenigo,  colla  calce  bollita 
insieme  allo  zolfo,  alti-ove  rimasta  senza  effetto  alcuno. 


Conclusioni   pratiche. 

L'articolo  chiude  col  ricordare  che:  1."  per  restringere 
quanto  si  può  la  diffusione,  conviene  almeno  evitare  i  tra- 
sporti delle  parti  infette  dai  gelsi,  nell'estate  in  particolare; 
e  (juindi  per  esempio  i  trasporti  dei  rami  con  foglie  o  senza, 
infetti  o  ].)rovenienti  da  luoghi  dove  sia  l'infezione. 

Nelle  altre  stagioni,  se  (lualche  trasporto  si  faccia,  co- 
me ([U(dlo  delle  })otatui'e  \)e\'  alti*o  esempio,  conviene  col 
fuoco  o  altrimenti  mortihcare  i  pidocchi,  sul  h'gnosul  (juale 
si  trovano  ;  })erchè  gli  insetti  stessi,  anco  non  maturi  nel 
momento,  lasciati  a  sé  sul  legno  sul  quale  stanno,  per  poco 


(1)  Non  crediamo  nò  necessaria  ne  conveniente  la    s[ia/,/,ola    di  fili 
metallici,  inventata  dal  Signor  Vermorel, 


[]?q  (1023) 

che  questo  conservi  della  umidità,  possono  maturare  e 
moltiplicare. 

Tanto  più  conviene  astenersi  dal  prendere  e  portare 
in  paese  non  infetto  giovani  piantoni,  sui  quali  esista  l' in- 
fezione, per  rifornire  o  formare  di  nuovo  delle  piantate 
di  gelsi. 

Pochi  insetti,  che  compongono  una  infezione,  sul  prin- 
cipio sfuggono  all'occhio  facilmente,  ed  è  necessità  rinun- 
ziare anco  a  dei  piantoni  apparentemente  sani,  ma  che  pro- 
vengono da  luoghi  infetti. 

2.°  Quando  una  infezione  sia  riconosciuta,  sarebbe  me- 
glio tentare  di  estinguerla,  distruggendo  le  piante  col  fuoco. 
Ma  questo  espediente,  migliore  di  tutti  per  essere  applicato 
nei  piantonai,  nelle  recenti  piantate  di  gelsi  infetti,  riesce 
più  grave  e  di  più  difficile  applicazione,  nelle  coltivazioni 
di  antica  data. 

Conviene  allora  combattere  coi  mezzi  curativi,  o  colle 
cure  degli  insetticidi  che  risparmiano  le  piante,  per  atte- 
nuare intanto  gli  effetti  dannosi  della  infezione,  e  per  ri- 
tardarne gli  aumenti  e  la  diffusione. 

Per  questo  convengono  operazioni  diverse,  e  di  diverso 
grado  di  intensità,  di  anno  in  anno  ripetute,  finché  il  male 
persista,  e  cosi  : 

a)  Una  prima  operazione  consisterà  nello  scapitozzare 
0  potare  molto  largamente  i  gelsi,  tagliando  le  parti 
più  infette  ;  le  potature  saranno  bruciate  sul  posto,  tutte  o 
in  parte  per  riscaldare,  affumicare  le  altre,  raccolte  ed  ac- 
catastate sopra  le  prime  : 

b)  Rinunziando  all'uso  di  polveri  asciutte,  di  lavature 
con  acqua  o  semplicemente  acquose,  come  sarebbero  sughi 
0  decotti  di  piante  supposte  insetticide,  non  escluso  quello 
del  tabacco,  all'uso  di  poltiglie  di  calce,  di  calce  e  zolfo, 
di  calce  e  solfato  di  rame  o  di  ferro,  che  giovano  in 
altre  occasioni  all'agricoltura  ma  non  in  questa,  converrà 
impiegare  miscugli  di  sostanze  saponose  grasse  o  bitumi- 
nose stemperate  nell'acqua.  Potrebbero  e  potranno    essere 


(1024)  [14] 

molti  e  diversi  questi  miscugli,  ma  sotto  le  circostanze  at- 
tuali quelli,  che  hanno  dato  migliori  effetti  fin  qui,  sono 
.stati  citati  a  pag.   10  nonché  a  pag.   10  N,  2.  (i) 


Provvedimenti  contro  la  Diaspìs  pentagona 

In  data  2  Luglio  1891  fu  promulgata  la  seguente  legge: 
(Y.  Boll,  di  Notizie  Agrarie,  Anno  XIll,  1891  Luglio,  H.  31). 

PER    GRAZIA    DI    DIO    E    PER    VOLONTÀ    DELLA    NAZIONE 

RE  D' ITALIA 

Il  Senato  e  la  Camera  dei  deputati  hanno  approvato  : 

Noi  abbiamo  sanzionato  e  promulghiamo  quanto  segue  ; 

Art.  1.'^  I  sindaci  dei  comuni  nel  cui  territorio  si  manifesta  la 
Diaspis  pentaffotia,  hanno  1'  obbligo  di  farne  immediata  denuncia  al 
prefetto  della  provincia  e  al  Ministero  di  agricoltura,  industria  e  com- 
mercio. 

Art.  2."  Constatata  V  esistenza  dell'  insetto,  il  Ministero,  sentita  la 
deputazione  provinciale,  determina  l'estensione  della  zona  infetta. 

Contemporaneamente  determina  il  tempo  ed  i  modi  per  operare  la 
distruzione  dell'insetto. 

Le  determinazioni  del  Ministero  .saranno  notificate  agli  interessati 
a  mezzo  dei  sindaci. 

Art.  3.°  I  proprietari  sono  tenuti  ad  eseguire,  nei  fondi  invasi,  le 
disposizioni  emanate  a  termini  dell'articolo  precedente. 

Qualora  i  proprietari  non  eseguiscano  i  lavori  ordinati,  od  eseguen- 
doli non  li  facciano  nella  forma  e  nel  termine  indicato  con  apposita 
notificazione  ai  medesimi,  a  mezzo  del  messo  comunale,  il  sindaco  farà 
d'ufficio  eseguire  i  lavori  ed  a  loro  spese. 


(1)  Neil'  Italia  Agricola  (Anno  XXI  Milano  20  e  31  Dicembre  1890 
N.  35  e  36)  si  legge  sulla  Diaspis  un'articolo  degli  illustri  Comm.  Tar- 
gioni  Tozzetti  e  Felice  Franceschini  diviso  nella  parte  scientifica  e  nella 
parte  pratica.  Il  Bollettino  di  Notizie  agrarie  del  R.  Ministero  di  Agri- 
coltura riporta  la  prima  per  intero,  la  seconda  alquanto  modificata. 


[15]  (1026) 

Art.  4.**  In  caso  di  contestazione  sulla  spesa  tra  il  sindaco  ed  un 
proprietario  interessato,  pronunzierà  il  pretore  del  rispettivo  manda- 
mento, senza  che  perciò  sia  sospesa  l'esecuzione  del  provvedimento  di 
cui  all'articolo  'ò'^. 

Art.  5.°  Le  spese  per  esperimenti  d'ogni  specie  tendenti  ad  ottenere 
la  distruzione  dell'  insetto,  come  pure  quelle  per  gli  agenti  governativi, 
saranno  sopportate  dallo  Stato. 

Art.  6.°  Le  persone  delegate  dal  Ministero  di  agricoltura,  industria 
e  commercio,  ad  accertare  la  presenza  della  Diaspis  pentagona.  ed  a 
constatare  l'esecuzione  di  quanto  si  dispone  nella  presente  legge,  pos- 
sono introdursi  nei  fondi  dei  privati  per  praticarvi  le  opportune  in- 
dagini. 

Art.  7."  È  data  facoltà  al  Ministero  di  agricoltura,  industria  e  com- 
mercio di  proibire  la  esportazione  di  piante  o  parte  di  piante,  dalle  zone 
dichiarate  infette. 

Durante  la  stagione  della  bachicoltura  non  potrà  essere  vietato  il 
trasporto  della  foglia  di  gelso  da  una  ad  altra  località. 

È  data  facoltà  al  Governo  di  prendere,  nei  limiti  sanciti  dalla  pre- 
sente legge,  ogni  altro  provvedimento  inteso  ad  impedire  la  di/Fusione 
dell'  insetto. 

Art.  8.°  Le  contravvenzioni  alle  disposizioni  della  presente  legge  ed 
a  quelle  che  saranno  emanate  dal  Governo  in  esecuzione  di  essa,  sa- 
ranno punite  con  la  multa  estensibile  a  lire  250,  salvo  le  sanzioni  pe- 
nali che  siano  applicabili  in  virtìi  delle  leggi  generali  dello  Stato. 

Ordiniamo  che  la  presente,  munita  del  sigillo  dello  Stato,  sia  in- 
serta nella  Raccolta  ufficiale  delle  leggi  e  dei  decreti  del  regno  d'Italia, 
mandando  a  chiunque  spetti  di  osservarla  e  di  farla  osservare  come 
legge  dello  Stato. 

Dato  a  Roma,  il  2  Luglio  189 L 

l"  UMBERTO 

Chimirri 


Cura  obbligatoria  dei  gelsi  attaccati  dalla  Diaspis  pentagona 

DECRETO   MINISTERIALE 

Il  Bollettino  di  Notizie  agrarie  del  R.  Ministero  di 
Agricoltura  I.  e  C.  (Anno  XIII,  Dicembre  1891,  N.  57),  con- 
tiene un  decreto  Ministeriale,  17  Dicembre    1891,    firmato 


(1026)  [16] 

N.  Miraglia  per  il  Ministro,  che  presei'ive  la  cura  obbliga- 
toria dei  gelsi  attaccati  dalla  cocciniglia,  imposta  a  Comuni 
31   del  Circondario  di  Lecco  e  61  di  Como,  e 

DECRETA  : 

Art.  1.°  Ai  proprietari  dei  comuni  indicati  nell'annesso  elenco  è 
fatto  obbligo  di  applicare  con  ogni  diligenza  durante  V  inverno,  e  non 
pili  tardi  del  mese  di  febbraio,  ai  gelsi  ed  agli  altri  vegetali  infetti 
dalla  cocciniglia  del  gelso  (Diaspis  pentagona),  una  delle  tre  miscele, 
due  delle  quali  indicate  a  pag.  10  ;  la  prima  ò  Y  emulsione  a  base  di 
petrolio  nero,  la  seconda  il  N.  2.  di  miscugli  semplicemente  alcalini,  e 
la  terza  che  è  la  seguente  : 

3*  miscela 

Olio  pesante  di  catrame  (densità  1.032)  Kg.  1.000 

Olio  di  pesce ,     .     .  »  0.050 

Carbonato  di  sodio  anidro »  0.050 

Acqua »  9.000 

È  fatta  raccomandazione  di  seguire  all'uopo  le  istruzioni  che  fanno 
seguito  al  presente  decreto. 

Art.  2.°  I  sindaci  dei  coiniiiii  indicati  nell'annesso  elenco  notifiche- 
ranno ai  rispettivi  am;ninistrati  la  presente  disposizione  e  ne  cureranno 
d'ufficio  la  esecuzione,  previa  notificazione  a  mezzo  del  messo  comunale, 
durante  il  mese  di  marzo,  quando  i  proprietari  non  abbiano  applicata 
la  cura  nel  tempo  e  nei  modi  stabiliti. 

È  fatto  obbligo  ai  sindaci  di  portare  a  conoscenza  dei  propri  am- 
ministrati, a  mezzo  di  apposito  avviso,  le  istruzioni  di  cui  nel  prece- 
dente articolo. 

Il  prefetto  di  Como  è  incaricato  di  vigilare  per  la  scrupolosa  os- 
servazione del  presente  decreto  che  sarà  registrato  alla  Corte  dei  conti 
ed  inserito  nella  Gazzetta  Ufficiale. 


Istruzioni  pratiche  per  combattere  la  cocciniglia  del  gelso 

Quando  non  si  voglia  estinguere  il  male  distruggendo 
col  fuoco  le  piante  infette  dalla  Diaspis,  ciò  che  è  sempre 
consigliabile  quando  1'  infezione  non  è  diffusa,  od  ha  col- 
pito piantagioni  novelle,  il    male  va  combattuto    con   spe- 


[17]  (1027) 

ciali  insetticidi  che,  uccidendo    gli    insetti,   risparmiano  la 
pianta. 

I  rimedi  finora  riconosciuti  efficaci  e  di  uso  economico, 
per  combattere  la  cocciniglia  del  gelso,  e  che  perciò  do- 
vranno essere  applicati,  sono  quelli  ricordati  a  pag.  10  col 
seguente  ordine  : 

1.  N.  2  del  miscuglio  semplicemente  alcalino. 

2.  Petrolio  nero  (densità  0.970). 

3.  Vedi  3^  miscela  pag.  16. 

Per  fare  il  primo  miscuglio  occorre  sciogliere  il  car- 
bonato di  sodio  nell'acqua,  ed  aggiungervi  l'olio  pesante  di 
catrame,  mescolando  continuamente  il  liquido. 

Per  fare  il  secondo  ed  il  terzo  miscuglio  si  uniscono, 
da  una  parte  l'olio  pesante  di  catrame  od  il  petrolio  nero 
coll'olio  di  pesce  ;  dall'altra,  si  scioglie  il  carbonato  di  so- 
dio neir  acqua  e  poi  si  mescolano  i  due  prodotti,  sempre 
agitandoli. 

Questi  miscugli  liquidi  si  mantengono  omogenei  per 
mezzo  di  ripetuta  agitazione,  con  un  agitatore  qualunque 
od  adoperando  recipienti  appositamente  costruiti. 

I  miscugli  debbono  essere  preparati  nello  stesso  giorno 
in  cui  si  vogliono  applicare  alle  piante,  perchè  essi  invec- 
chiando anche  di  pochi  giorni,  perdono  di  efficacia. 

Se  si  tralasciano  le  precauzioni  necessarie  per  man- 
tenere omogenei  i  miscugli,  la  cura  non  può  raggiungere 
il  suo  pieno  risultato. 

L'applicazione  dei  miscugli  alle  piante  infette  (tronchi 
e  rami)  si  fa  per  mezzo  di  pennelli  ordinari  da  imbianchino, 
in  modo  da  bagnare  abbondantemente  tutte  le  parti  infette 
dalla  cocciniglia.  Non  si  fii  differenza  tra  1'  applicazione 
fatta  piuttosto  in  principio  d' inverno  che  sul  finire  di  esso; 
ma  converrà  sempre  eseguire  la  cura  avanti  che  i  gelsi 
rientrino  in  vegetazione  per  non  danneggiare  in  modo  al- 
cuno le  tenere  gemme. 

T.  IV,  S.   VIJ  70 


(1028)  [18] 

Una  prima  operazione,  quando  non  importi  di  sacrifi- 
care la  foglia,  potrà  farsi  in  qualunque  stagione  ;  ma,  se  si 
voglia  guardare  all'economia,  converrà  dare  la  preferenza 
alle  cure  invernali.  Dopo  la  prima  operazione,  quelle  che 
potranno  occorrere  d'  anno  in  anno,  saranno  facilitate  da 
un  sistema  regolare  di  potatura  dei  gelsi,  o  da  un  sistema 
di  rotazione  col  quale  taluni  gelsi  siano  amputati  un  anno 
più  ed  altri  meno  rigorosamente. 


Roma,  addì  i7  Dicembre  1891. 


per  il  Ministro 

F.°    MlRAGLIA 


Elenco  dei  comuni  della  provincia  di  Como 

nei  quali  sono  applicabili  le  disposizioni  emanate  col 
ministeriale  decreto  17  dicembre  1891  per  combattere  la 
Diaspis  pentagona. 

Circondario  di  Lecco 

Abbadia,  Acquate,  Annone,  Airuno,  Asso,  Barzanò, 
Bartesate,  Barzago,  Bosisio,  Brianzola,  Bulciago,  Ganzo,  Ca- 
rella,  Casatenovo,  Caslino,  Cassago,  Cassina  Mariaga,  Ca- 
stelmarte,  Givate,  Contra,  Cremella,  Dolzago,  Elio,  Garba- 
gnate,  Germanedo,  Longone,  Maggianico,  Mandello,  Mal- 
grate,  Molteno,  Monticello,  Oggiono,  Olcio,  Onno,  Penzano, 
Perego,  Proserpio,  Robbiate,  Rongio,  Rovagnate,  Sirone, 
Somana,  Valbrona,  Valgreglientino,  Valmadrera,  Vigano, 
Villa  Vergano. 

Circondario  di  Como 

Albese,  Alserio,  Alzate,  Anzano,  Arcellasco,  Arosio, 
Bellagio,  Bellano,  Bernate,  Blevio,  Breccia,  Brenna,  Buc- 
cinigo,  Gabiate,  Gamnago  Volta,  Gantù,  Garcano,  Garinate, 


[19]  (1029) 

Carugo,  Castello,  Cassano  Albese,  Cavallasca,  Civiglio,  Co- 
lico, Como,  Consiglio  Rumo,  Corenno  Plinio,  Costa  Masnaga, 
Cremia,  Cremnago,  Crevenna,  Dervio,  Bongo,  Borio,  Erba, 
Fabbrica  Burini,  Pigino  Serenza,  Incino,  Inverigo,  Lambru- 
go.  Lemma,  Lezza,  Limonta,  Lipomo,  Loveno  sopra  Me- 
naggio,  Lucino,  Lurago  d'Erba,  Mariano  Comense,  Merone, 
Mojana,  Moltrasio,  Monguzzo,  Montorfano,  Nibionno,  Orse- 
nigo,  Palanzo,  Parravicino,  Perledo,  Ponte  Lambro,  Pon- 
zate, Rebbio,  Rogeno,  Romano  Brianza,  Rovello,  Senna  Co- 
masco, Solzago,  Tavernerio,  Turate,  Vassena,  Vergosa,  Vil- 
lalbese.  Villa  Romano. 


Indicazione  sommaria  di  altri  Comuni  della  Lombardia  nei 
quali  sono  ormai  applicate  le  disposizioni  emanate  col 
precedente  Decreto  Ministeriale. 

Li  28  Gennaio  1892  si  ripete  lo  stesso  decreto  firmato 
G.  Arcoleo  per  il  Ministro  (Bollettino,  N.  4,  11  Gennaio  1892, 
Anno  XIV)  per  10  Comuni  del  circondario  di  Milano  e  per 
39  Comuni  del  circondario  di  Monza,  per  Legnano  circon- 
dario di  Gallarate,  situati  in  provincia  di  Milano  ;  con  de- 
creto 29  Gennaio  1892  per  i  Comuni  di  Vercurago  e  Ca- 
lolzio  in  provincia  di  Bergamo  ;  il  31  Marzo  1892  firmato 
Miraglia  (Bollettino,  N.  8,  Aprile  1892,  Anno  XIV),  per  il 
Comune  di  Olginate  provincia  di  Como;  il  13  Aprile  1892, 
firm.  Arcoleo,  Bollettino  N.  10,  Maggio  1892  aggiunte  le 
istruzioni  pratiche  sopra  citate  per  il  Comune  di  Belebio 
provincia  di  Sondrio  ;  li  26  Marzo,  flrm.  Miraglia,  vedi  Bol- 
lettino N.  12,  1892,  per  i  Comuni  di  Gravedona,  Olgiate 
Molgora  e  Maslianico  provincia  di  Como  ;  li  8  Aprile,  fir- 
mato Miraglia,  Bollettino  N.  10,  Maggio,  per  il  Comune  di 
Cesate  prov.  di  Milano  ;  li  27  Aprile  1892  (Bollettino  N.  13, 
Maggio),  per  i  Comuni  di  Gera  e  Fino  Mornasco  prov.  di 
Como;  il  15  Maggio  1892,  vedi  Bollettino  N.  15,  per  il 
Comune  di  Piantedo  prov.  di  Sondrio  ;  il  3  Giugno   1892, 


(1030)  [20] 

Ijollettino  N.  10,  Giugno,  per  il  Comune  di  Misinto  (Mi- 
lano) ;  il  10  Giugno  per  il  Comune  di  Dubino  (Sondrio); 
il  14  st.  m.  per  il  Comune  di  Rossino  (Bergamo);  il  22 
per  i  Comuni  di  Varenna  e  Casnate  (Como)  Bollettino  N.  18, 
Giugno.  Col  decreto  Ministeriale,  30  Novembre,  flrm.  Mira- 
glia,  vedi  Bollettino  N.  35,  1892,  è  vietata  l'esportazione  di 
qualsiasi  pianta  del  gelso  dai  territori  comunali  di  Traona  e 
Morbegno  prov.  di  Sondrio,  dal  mandamento  di  Caprino 
prov.  di  Bergamo,  dai  circondari  di  Como  e  Lecco  prov. 
di  Como,  dai  circondari  di  Milano,  Monza  e  dal  manda- 
mento di  Busto  Arsizio  prov.  di  Milano  ;  nel  divieto  non  è 
compresa  la  foglia  durante  il  periodo  della  bachicoltura. 

Le  contravvenzioni  alla  presente  disposizione  saranno 
punite  con  l'ammenda  nominata  dall'  art.  8  della  legge  8 
Luglio  1891,  cioè  con  multa  estensibile  a  L.  250,  salvo  le 
sanzioni  penali  che  siano  applicabili  in  virtù  delle  leggi 
penali  dello  Stato. 

Per  il  decreto  30  Novembre  1891  la  circolazione  dei 
gelsi  e  delle  loro  parti  è  sempre  libera  entro  il  perimetro 
di  quei  territori. 

Il  Bollettino  di  Notizie  Agrarie  1893,  Anno  XV,  con- 
tiene lo  stesso  decreto  Ministeriale  d'applicarsi  al  Comune 
di  Gerenzano  (prov.  di  Milano),  al  Comune  di  Lonate-Cep- 
pino  (prov.  di  Como),  e  il  decreto  20  Novembre  1892,  che 
vieta  la  esportazione  dei  gelsi  e  loro  par-ti  da  una  deter- 
minata zona,  al  Mandamento  di  Saronno  (prov.  di  Milano), 
(v.  Boll.  N.  6,  Marzo),  al  Comune  di  Appiano  (prov.  di 
Como)  (v.  N.  7,  Marzo),  al  Comune  di  Cesano  Maderno 
(prov.  di  Milano),  al  Comune  di  Verderio  (prov.  di  Como) 
(v.  N.  9,  Aprile). 

firmati  G.  Canestrini 
»       P.  A.  Saccardo 
»       A.  Keller,  relatore 


DELLA    GlUxNTA    CHE    PRESE   IN   ESAME    LE   MEMORIE 

PRESENTATE    AL    CONCORSO    SCIENTIFICO 

AL    PREMIO    DELLA    QuERINIANA,    SCADUTO    IL  31  DICEMBRE   1892 

SUL    TEMA    DELLE    CALDAJE    A    VAPORE 


-<^-<^ 


Neil'  adunanza  del  26  Febbraio  1888  il  nostro  Istituto 
deliberava  di  bandire  il  concorso  al  premio  di  3000  lire 
della  Fondazione  Querini-Stampalia  sul  seguente  tema  : 

«  Coir  ajuto  di  dati  scientifici,  pratici  e  statistici  si 
■»  determinino  le  basi,  su  cui  oggi  giorno  dovrebbe  essere 
»  fondata  una  legge  sulla  costruzione,  prova  e  sorveglianza 
»  delle  caldaje  a  vapore,  e  la  costituzione  in  Italia  di  quelle 
»  Società,  cbe  già  fioriscono  presso  altre  nazioni,  e  che  si 
»  incaricano  di  tenere  in  attenta  osservazione  le  caldaje 
»  dei  loro  clienti. 

«  Il  concorrente,  nello  svolgere  il  tema,  non  dovrà 
»  dimenticare  gii  accidenti  relativamente  numerosi  e  ta- 
»  lora  assai  gravi,  che  avvengono  nei  grossi  tubi  bolli- 
»  tori,  le  cui  pareti  sono  soggette  a  compressione  (caldaje 
»  Cornovaglia).  » 


11  concorso  si  chiudeva  il  30  Ducembre  1890,  e  andò 
deserto  perchè  nessun  concorrente  rispose  all'  invito.  At- 
tesa r  importanza  del  tema,  l'Istituto,  nel  1891,  ha  creduto 
di  riproporlo  agli  studiosi,  e  lo  ripropose  tal  quale,  senza 
alcuna  modificazione,  stabilendo  la  chiusura  del  concorso 
al  31  Decembre  1892. 


(1032)  [2] 

La  Commissione  sottoscritta  viene  ora  a  darvi  notizia, 
egregi  colleghi,  delle  Memorie  presentate  sul  tema  pre- 
detto, ed  è  lieta  di  poter  dirvi  che  questa  volta  tre  con- 
correnti risposero  al  vostro  invito,  e  che  risposero  con  la- 
vori meritevoli  della  più  seria  considerazione. 

Le  Memorie  presentate  sono  distinte  con  le  epigrafi 
seguenti  : 

n.°  1.  —  Salus  publica  suprema  lex  esto. 
»    2.  —  Le  buone  caldaje,  anche  non  alimentate, 

non  scoppiano  mai. 
>    3.  —  Speme. 


Prima  di  discorrere  della  orditura  e  valore  di  questi 
scritti,  la  vostra  Commissione  deve  farvi  presente  che  nei 
cinque  anni  trascorsi  dall'  epoca  in  cui  fu  bandito  per  la 
prima  volta  il  concorso,  la  sorveglianza  governativa  delle 
caldaje  a  vapore  venne  sancita  dai  poteri  costituiti  d'Italia 
con  la  legge  di  pubblica  sicurezza  23  Decembre  1888,  e 
resa  veramente  efficace  mediante  il  Regolamento  3  Aprile 
1890. 

L'  importanza  che  il  tema  aveva  quando  fu  proposto, 
venne  cosi  in  parte  a  scadere,  giacché  il  serio  e  largo 
svolgimento  del  tema  stesso,  se  pubblicato  a  tempo,  sarebbe 
stato  di  forte  aiuto  nella  compilazione  di  un  regolamento 
che  allora  mancava  all'  Italia  e  che  oramai  fatto  ed  appli- 
cato da  due  anni,  non  è  sperabile  possa  essere  per  ora 
modificato  in  seguito  al  felice  esito  del  concorso  ;  inoltre, 
in  questo  frattempo,  sorsero  anche  tra  noi  numerose  le 
Associazioni  fra  gli  utenti  di  caldaje  a  vapore. 


L' autore  della  Memoria  n.  1  comincia  con  l'osservare 
che  il  Regolamento  3  Aprile  1890,  dato  dal  nostro  Governo 
all'  Italia,  deve  considerarsi  come  una  derivazione  dei  re- 


[3]  (1033) 

golamenti  degli  altri  Stati,  ed  il  risultato  di  uno  studio 
sulle  legislazioni  estere  presenti  e  passate.  Su  questa  os- 
servazione egli,  quantunque  noi  dica  esplicitamente,  infor- 
ma tutto  il  suo  lavoro,  il  quale  è  diviso  in  due  parti  ;  nella 
prima,  fa  una  accurata  rassegna  delle  legislazioni  e  delle 
loro  modificazioni  nei  vari  stati;  nella  seconda,  trae  da  ciò 
argomento  e  criterio  per  un  diligente  ed  assennato  studio 
critico  del  regolamento  italiano  vigente.  Esamina,  cioè,  se 
veramente  nella  compilazione  di  questo  regolamento  si  è 
saputo  bene  approfittare  di  quanto  venne  fatto  in  propo- 
sito dalle  altre  nazioni,  e  di  quanto  ha  insegnato  una  lunga 
esperienza,  e  presenta  poi  un  progetto  completo  di  regola- 
mento, il  quale  deriva  dal  vigente  opportunemente  modi- 
ficato in  base  ai  criteri  ed  ai  concetti  esposti  nel  corso 
della  Memoria. 

Il  lavoro  può  dirsi  ben  fatto,  e  per  il  bel  ordine  dato 
alle  cose  esposte,  apparisce  chiaramente  la  sempre  minore 
importanza  data  alla  cosi  detta  prova  a  freddo  ed  alle  val- 
vole di  sicurezza  per  preservare  i  generatori  di  vapore 
dalle  esplosioni.  L'  autore  dà  invece,  e  con  piena  ragione, 
un  grande  valore  alle  visite  periodiche,  specialmente  interne, 
delle  caldaje  ;  e  dice  che  la  maggior  garanzia  contro  i 
pericoli  di  un  disastro,  qual'  è  sempre  lo  scoppio  di  una 
caldaja,  deriverà  principalmente  dalla  frequenza  e  diligenza 
con  le  quali  verranno  fatte  quelle  visite,  e  sopratutto  dalla 
competenza  dei  periti  a  cui  saranno  affidate.  Con  sano  cri- 
terio, e  con  quella  speciale  conoscenza  di  causa  che  sem- 
bra avere  in  tutto  ciò  che  risguarda  1'  efficace  applicazione 
di  una  disposizione  legislativa  sulle  caldaje,  osserva  che  il 
Governo  difficilmente  potrà  avere  dei  periti  veramente 
competenti,  e  che  questi,  con  la  veste  di  agenti  governa- 
tivi, saranno  veduti  di  mal  occhio  dai  proprietari,  i  quali 
perciò  non  presteranno  quel  volonteroso  e  valido  concorso, 
che  è  quasi  necessario  per  rendere  più  facile  e  veramente 
utile  il  compito  dei  periti  medesimi. 

Nel  corso  della  Memoria  parla  spesso  ed  a  lungo  delle 


(10.34)  [4] 

associazioni  fra  gli  utenti  di  caldajo  a  vapore,  e  ben  dice 
che  queste  associazioni  legalmente  autorizzate  dal  Governo, 
possono  fare  assai  più  ed  assai  meglio  del  Governo  stesso. 
Per  la  gran  ragione  che  il  loro  interesse  è  un  interesse 
collettivo  e  non  pubblico,  i  periti  da  esse  dipendenti  sa- 
ranno certo  ben  scelti  e  uomini  veramente  competenti  ; 
saranno  inoltre  favorevolmente  accolti  dal  cliente,  che 
vedrà  in  essi  delle  persone  cointeressate  all'  utile  di  tutti 
i  soci,  e  dalle  quali  può  avere  anche  utili  consigli  per  lo 
economico  esercizio  delle  proprie  caldaje.  Se  le  predette 
associazioni  si  ridurranno  in  minor  numero,  e  saranno 
quindi  potenti  per  i  mezzi  e  per  il  valore  del  personale 
di  cui  potranno  disporre,  sostituendosi  al  Governo,  come 
già  lo  permette  l' articolo  .36  del  vigente  Regolamento,  in 
Italia  si  avrà  già  una  considerevole  diminuzione  nel  numero 
delle  esplosioni  di  caldaje  a  vapore. 

In  tutto  ciò  r  autore  ha  perfettamente  ragione,  e  nel 
corso  del  suo  scritto  fa  osservazioni  e  considerazioni  sem- 
pre fondate  e  giuste.  Esagera  forse  quando  dice  che  le 
valvole  di  sicurezza  devono  considerarsi  come  semplici  ap- 
parecchi d'  avvertimento  per  il  fuochista,  mentre,  a  vero 
dire,  modificandone  opportunemente  la  costruzione  non  si 
potrebbe  negare  ad  esse  ogni  efficacia  per  impedire  auto- 
maticamente che  la  pressione  salga  di  troppo  oltre  la  pres- 
sione massima  di  lavoro.  In  ogni  modo  è  indubitato  che 
questi  apparecchi  sono  ben  lungi  dal  meritare  quella  piena 
fiducia  che  in  essi  era  riposta  per  lo  passato. 

La  vostra  Commissione  avrebbe  desiderato  che  fosse 
più  larga  e  più  profonda  la  discussione  teorico  -  pratica 
sulla  resistenza  delle  parti  di  una  caldaja  a  vapore,  discus- 
sione che  qua  e  là  fa  solo  capolino  nel  testo  della  Me- 
moria, e  trovasi  specialmente  in  una  nota,  sugli  accidenti 
e  difetti  più  frequeìiti  nelle  caldaie  a  vapore,  nota  che 
r  autore  mette  in  fine  del  suo  lavoro. 

Ciò  non  ostante  devesi  ripetere  che  la  Memoria  n.  1 


[5]  (1035) 

è  fatta  bene,  con  ordine,  cura  e  piena  conoscenza  dell'ar- 
gomento. Buona  è  la  forma  del  dire,  e  lo  scritto  si  legge 
con  piacere,  e  corre  benissimo  da  cima  a  fondo. 


La  Memoria  n.°  2  è  un  lavoro  certo  pregevole,  ma 
sgraziatamente  alquanto  disordinato.  Il  suo  autore  deve  a- 
\ere  vaste  cognizioni  teorico-pratiche,  e  sopratutto  pratiche, 
in  tutto  ciò  che  risguarda  i  generatori  di  vapore,  e,  con 
ogni  probabilità,  è  uno  dei  più  riputati  costruttori  d'Italia. 
Nella  breve  prefazione  al  suo  scritto,  dice  infatti  che  egli, 
in  opere  varie,  ha  impiegato  per  7000  tonnellate  di 
ferro. 

11  manoscritto  si  compone  di  97  pagine  grandi  ed  è 
diviso  in  tre  parti.  La  prima  parte,  la  più  lunga,  tratta 
della  costruzione  delle  caldaje  e  delle  disposizioni  legislative 
che  in  Italia  ed  all'estero  vi  si  riferiscono. 

Per  la  sicura  resistenza  delle  caldaje,  l' autore  dà 
grande  importanza  alla  scelta  dei  materiali  impiegati  nella 
loro  costruzione,  al  modo  di  lavorarli  ed  alle  disposizioni 
costruttive  adottate.  Su  ciò  ha  piena  ragione,  ma  sembra 
alla  vostra  Commissione  che  il  Governo  sarebbe  ben  poco 
adatto  per  sorvegliare  la  scelta  dei  materiali  ;  imperocché 
questa  sorveglianza  sia  tutto  altro  che  facile,  e  debba  pre- 
cipuamente esercitarsi  sulle  fabbriche  di  secondaria  impor- 
tanza; ove,  davanti  ad  un  interesse  materiale  ed  immediato, 
si  è  disposti  a  trascurare  il  pericolo  di  compromettere  la 
riputazione  delle  fabbriche  stesse  con  frodi  di  ogni  specie, 
che,  quasi  sempre,  riescono  ad  ingannare  molto  bene  le 
persone  incaricate  di  verificare  le  qualità  dei  materiali 
sottoposti  a  sorveglianza.  D' altro  canto  se  la  Casa  costrut- 
trice è  di  primo  ordine,  avrà  cura  sopra  ogni  altra  cosa 
della  propria  fama,  ed  impiegherà  materiali  perfetti,  e  sce- 
glierà le  migliori  disposizioni  costruttive  indipendentemente 
da  qualsiasi  prescrizione  e  vigilanza  governativa. 


(1036)  [6] 

Nella  seconda  parte,  che  è  assai  breve,  12  pagine, 
r  autore  parla  della  prova  e  sorveglianza  dei  generatori 
di  vapore,  e  in  proposito  fa  una  giusta  critica  del  vigente 
Regolamento,  nel  quale  vien  data  certo  eccessiva  impor- 
tanza alla  prova  a  freddo,  mentre  si  prescrivono  visite 
periodiche  ad  eccessiva  distanza  di  tempo,  e  quindi  ben 
poco  efficaci  per  raggiungere  lo  scopo  per  il  quale  sono 
imposte.  Fa  poi  assennate  osservazioni  sugli  apparecchi  di 
alimentazione,  sugli  indicatori  di  livello  e  sulle  valvole  di 
ritenuta,  che,  in  caso  d'  accidente,  valgono  ad  isolare  una 
caldaja  da  altre  con  le  quali  fosse  in  comunicazione,  e  tutto 
ciò  per  mostrare  la  necessità  d' imporre  e  ben  regolare 
con  opportune  prescrizioni  governative  l' applicazione  di 
detti  apparecchi. 

Nella  terza  parte  dello  scritto  si  discorre  delle  asso- 
ciazioni fra  gli  utenti  di  caldaje,  ma  specialmente  si  espon- 
gono e  discutono  dati  statistici. 

La  Memoria  racchiude  molto  di  quanto  si  può  dire 
riguardo  alla  costruzione  dei  generatori  di  vapori,  al  loro 
uso,  agli  apparecchi  che  vi  sono  annessi,  alle  influenze 
nocive,  alla  loro  resistenza,  alle  relative  legislazioni  estere 
e  nostrane  ecc.,  ma  il  tutto  è  detto  senza  quell'  ordine  e 
quella  chiarezza  che  necessariamente  si  devono  richiedere 
in  ogni  pubblicazione  perchè  possa  riuscire  veramente 
utile,  e,  come  tale,  essere  premiata  da  un  Istituto  qual'  è 
il  nostro.  Anche  la  forma  del  discorso  non  di  raro  è  scor- 
retta ;  in  taluni  punti  lo  scritto  è  tanto  oscuro  che  più  che 
capire  s' indovina. 

La  vostra  Commissione  sinceramente  deplora  di  aver 
riscontrato  nella  Memoria  n.  2  questi  grossi  difetti,  perchè 
con  le  copiose  notizie  che  vi  son  dentro,  e  con  le  salde 
cognizioni  pratiche  e  il  buon  criterio  che  deve  avere  chi 
r  ha  scritta,  si  avrebbe  potuto  mettere  insieme  un  lavoro 
pregievolissimo,  il  quale  avrebbe  potuto  vincere  il  concorso. 
Non  era  necessario  sapere  di  più,  bastava  solo  saper  fare; 
ecco  tutto. 


[7]  (1037) 

La  Memoria  n.  3  è  alquanto  infei-iore  alle  precedenti. 
Contiene  29  sole  pagine  grandi  di  testo  ;  uno  schema  di 
legge  di  58  articoli  ;  due  moduli  per  i  processi  verbali  di 
visita  e  prova  delle  caldaje,  ed  una  bella  raccolta  di  qua- 
dri statistici  sul  numero  e  causa  delle  esplosioni  ;  sulla 
specie,  uso  e  modo  di  rottura  delle  caldaje  scoppiate  ;  sul 
numero  di  morti  e  feriti  che  si  ebbero  a  deplorare  in  In- 
ghilterra dal  1871  al  1890  inclusivi. 

Questa  Memoria  avrebbe  potuto  esser  presa  in  consi- 
derazione assai  più  seria,  se  i  copiosi  dati  statistici,  accu- 
ratamente raccolti  e  diligentemente  riportati  nelle  tabelle 
allegate,  fossero  stati  discussi  nel  testo,  nel  quale  neppure 
sono  discusse  le  legislazioni  degli  altri  Stati,  e  si  accenna 
solo  in  generale  a  queste  ed  a  quelli  e  si  parla  un  po'  di 
altre  cose  riferentisi  al  tema  per  presentare  poi  uno  sche- 
ma di  legge,  che  1'  autore  dice  essere  il  risultato  di  uno 
studio  comparativo  sulle  legislazioni  dei  paesi  più  inciviliti 
e  industriali  e  sui  dati  statistici  raccolti  nei  quadri  alle- 
gati. —  Tolta  la  forma  del  dire  un  po'  ampollosa,  l'autore 
dimostra  un  sano  criterio  e  sufficienti  cognizioni  relative 
all'  argomento.  Lo  schema  di  legge  che  propone  non  è 
cattivo,  ma  il  lavoro  da  lui  presentato  è  decisamente  in- 
completo. 

Dopo  le  cose  precedentemente  discorse,  si  può  dire 
che  a  voi,  egregi  colleghi,  è  già  nota  la  conclusione  della 
presente  Relazione  ;  la  vostra  Commissione  infatti  conclude 
proponendovi  di  dare  il  premio  all'  autore  della  Memoria 
n.  1,  quella  che  porta  l'epigrafe; 

Salus  publica  supì-ema  leoo  esto. 

M.  Sellati 

Tito  Martini 

E,  Bernardi,  relatore 


RELAZIONE 
DELLA    Giunta    che    prese   in   esame    la   Memoria 

PRESENTATA    AL    CONCORSO    SCIENTIFICO 
AL     PREMIO     DELLA     QuiRINIANA,     SUL     TEMA  : 

DELLA    POLITICA  COMMERCIALE  INTERNAZIONALE 


Un  solo  manoscritto  si  è  presentato  al  concorso  pel 
tema  prescelto  nell'  adunanza  del  20  aprile  1890  concer- 
nente la  politica  commerciale. 

Non  sappiamo,  se  maggiormente  ci  mortiflchi  che  un 
tema  cosi  vitale  sia  passato  quasi  inavvertito,  ovvero  che 
sia  stato  tanto  leggermente  raccolto. 

Premettiamo,  che  si  trattava  bensì  della  nostra  politica 
internazionale,  ma  della  politica  internazionale  commer- 
ciale. 

Nel  trascrivere  il  tema  in  fronte  al  manoscritto  l'Au- 
tore ciò  dimentica,  e  trascrive  il  tema,  come  se  si  trattasse 
senz'  altro  di  politica  internazionale,  anziché  specificata- 
mente di  detta  parte  della  politica  internazionale. 

Il  quesito  domandava  come  semplice  introduzione  una 
breve  storia  della  politica  commerciale  internazionale  nella 
seconda  metà  del  nostro  secolo.  Di  quarantasette  pagine, 
quante  formano  tutto  il  lavoro,  ventitre  sono  dedicate,  come 
prima  parte,  anziché  solo  come  proemio,  a  questa  storia.  Detta 
storia  poi  non  é  veramente  storia  della  politica  interna- 
zionale commerciale,  né  tampoco  della  politica  internazio- 
nale, ma  solo  una  rapida  corsa  di  avvenimenti  attinenti 
alla  politica  internazionale.  Inadeguata  anche  come  tale, 
non  é  guari,  come  si  sarebbe  richiesto,  1'  epilogo  dei  mu- 
tamenti di  politica  internazionale,  che    bensì   sorgono    dai 


[2]  (1039) 

fatti  .storici,  ma  non  si  confondono  cogli  stessi.  Una  storia 
simile  si  può  compilare  in  assai  breve  ora  anche  solo  collo 
spoglio  di  un  qualsiasi  annuario,  e  persino  colla  sola  cro- 
naca dell'  Almanacco  di  Gotha.  In  verità,  diviene  superflua 
una  osservazione  qualunque  su  grossolane  inesattezze,  sic- 
come quelle,  che  l' Autore  commette,  dove  manifestamente 
allude  al  trattato  di  amicizia  e  di  commercio  del  6  feb- 
braio 1778  fra  la  Francia  e  gli  Stati  Uniti,  e  all'  Ordi- 
nanza 26  luglio  1778  del  Governo  Francese.  Certo  che 
r  Autore  non  ebbe  sott'  occhio  né  Ordinanza,  né  Trattato. 
L'  Autore  imperterrito  frastaglia  1'  evo  antico,  medioevale, 
moderno  :  si  lascia  andare  a  divagazioni  :  non  si  cura  di 
mettere  d'  accordo  i  suoi  giudizii  sulle  nazioni,  pieni  di 
contraddizioni. 

Il  quesito  poi  domanda  di  esporre  le  varie  fasi  della 
politica  commerciale  italiana.  Il  manoscritto  non  risponde 
che  con  rapidi  e  poveri  cenni  delle  principali  Convenzioni. 
Ma  quanto  all'  esporre  le  fasi  della  nostra  politica  com- 
merciale nelle  loro  cagioni  e  nei  loro  effetti,  il  manoscritto 
é  deficiente  aff'atto.  Sarebbe  stato  d'  uopo  di  dare  contezza 
della  riforma  doganale  di  Cavour  nel  Piemonte  ;  poi  delle 
conseguenze  economiche  derivate  dall'  unità  d' Italia  che 
ha  trasformato  in  commercio  interno  gran  parte  del  com- 
mercio, che  fino  a  che  sussistettero  gli  antichi  Stati  ap- 
parteneva al  commercio  da  Stato  a  Stato  ;  dire  della  poli- 
tica commerciale  che  prevalse  nei  primi  anni  della  forma- 
zione del  Regno  ;  venire  poscia  alle  modificazioni  subite, 
seguendole  fino  agli  ultimi  trattati.  Sarebbe  stato  d'  uopo 
di  porre  tutto  ciò  in  relazione  coi  mutamenti  di  politica 
commerciale  negli  altri  Stati. 

Si  chiedeva  d' indicare  i  criteri  generali  e  speciali,  dai 
quali  la  nostra  politica  commerciale  dovrebbe  essere  gui- 
data, tenendo  conto  delle  singole  forme  di  produzione,  e, 
supposto  che  la  Francia  abbandonasse  il  sistema  dei  trat- 
tati per  adottare  quello  delle  tariff'e  autonome.  Quale 
risposta  ci  attenderemo  da  chi  comincia   col    domandarci  : 


(t()40)  [3] 

«  dove  trovarli  ?  forse  nella  politica  Europea  ?  No  certa- 
mente, perchè  non  è  la  politica  Europea  che  forma  oggetto 
del  quesito.  Forse  nella  politica  italiana  ?  Ma  dove  è  ?  dove 
è  r  indirizzo  italiano  ?  »  Udiamo  quale  principio  sommo  sia 
la  scoperta  dell'  Autore  :  «  il  bene,  che  un  popolo  unani- 
memente ed  indiscutibilmente  si  prefigge  di  avere,  il  cui 
ottenimento  è  lontanissimo  e  diiRcile,  tanto  che  la  storia  del 
popolo  consiste  esclusivamente  nello  svolgersi  degli  eventi 
per  conseguirlo.  » 

Evidentemente  con  tali  premesse  1'  Autore  non  potea 
condursi  che  a  vacue  declamazioni.  Se  arriva  a  con- 
chiudere, si  è  per  dirci,  che  il  diritto  di  confine  è  saato, 
in  quanto  da'  ai  popoli  l' autonomia,  ma  diviene  iniquo, 
perchè  sconfina,  e  come  sconfina?  perchè  è  chiuso  tutto 
intorno  dalle  dogane.  La  vocazione  vera  del  popolo  ita- 
liano sarebbe  1'  attuazione  del  diritto  sociale,  che  è  come 
dire  una  missione  mondiale.  Ma  i  dazii,  e  con  essi  i  trattati, 
ne  sono  la  negazione.  Aboliamo  le  dogane,  aboliamo  i 
trattati.  Allora  conserveremo  il  genio  nazionale  nostro,  ma 
tanto  più  schietto,  genuino,  efficace,  quanto  più  ci  saremo 
sottratti  al  pericolo,  eh'  esso  falsi  il  diritto  sociale,  costrin- 
gendo in  angusti  confini  1'  azione  nostra,  azione  universale, 
mondiale.  Chi  toglie  di  vagheggiare,  come  utopia,  che 
r  Italia  fosse  un  grande  punto  franco,  uno  scalo  libero 
per  la  metà  del  genere  umano  ?  Ma  per  abbandonarsi  a 
tali  idealità  ci  vuole  ben  altro,  che  un'  erudizione  affatto 
meschina,  un'  assoluta  mancanza  di  qualsiasi  teoria,  e  più 
che  mai  una  inettitudine  assoluta  di  dare  alla  teoria  una 
qualsiasi  possibilità  di  applicazione  pratica.  L'Autore  con- 
cede, che  l'Italia  possa  esercitare  qualche  industria  profi- 
cuamente, cominciando  dai  fiammiferi,  dalle  conterie,  dai 
lavori  di  legno  e  di  corno,  dal  corallo,  dalle  paste  fino  ad 
alcuna  delle  grandi  manifatture.  Ma  confida,  che  ogni  ope- 
rosità nazionale  si  svolga  per  virtù  propria,  essa  stessa 
sappia  trovare  la  sua  ricompensa,  e  già  la  vede  personi- 
ficata nel  contadino  marinaio  ;  il  coltivatore   italiano,   che 


M  (1041) 

va  in  lontani  lidi  a  far  conoscere  i  nostri  vini.  Che  ci  im- 
porta della  guerra  (li  tariffe  da  parte  di  Francia?  L'Italia, 
non  protetta,  ma  non  incagliata  nelle  arti,  che  corrispon- 
dono al  Genio  nazionale,  e  nello  stesso  tempo  rinvigorita 
nella  sua  vita  nazionale  da  un'  espansione  mondiale,  at- 
trarrebbe essa  la  Francia  stessa,  anziché  esserne  respinta. 
Pur  troppo  la  Relazione  nostra  dovette  essere  severa  ; 
è  la  sola  via  di  ravvivare  gli  studii,  perchè  alla  robustezza 
del  pensiero  si  associ  1'  utilità  pratica. 

Luigi  Luzzatti 

Alessandro  Rossi 

Fedele  Lampertico,  Relatore 


ADUNANZA  SOLENNE 
DEL   G-iORisro   as   ivr^o-G-io   1393 


PRESIDENZA  DEL  COMM.  SENATORE  FEDELE  LAMPERTICO 
MEMBRO    EFFETTIVO    PENSIONATO    ANZIANO 

Presenti  il  Regio  Prefetto  col  Consigliere  delegato, 
il  Sindaco  di  Venezia,  le  principali  Autorità  civili  e  mi- 
litari, oltre  a  un  numeroso  eletto  uditorio,  fra  cui  parec- 
chie gentili  Signore. 

Vi  assistono  i  membri  effettivi  :  Fambri,  segretario,  Berchet, 
vicesegretario,  Pirona,  De  Leva,  Vlacovich,  Lorenzoni, 
Canestrini,  E.  Bernardi,  J.  Bernardi,  Beltrame,  Sac- 
CARDO,  Marinelli,  Rossi,  De  Giovanni,  Omboni,  Bellati, 
Deodati,  Stefani,  Morsolin,  Tamassia  ;  ed  i  soci  cor- 
rispondenti :  Da  Schio,  Galanti  e  G.  B.  De  Toni. 

Sono  giustificati  gli  assenti  membri  effettivi  :  De  Betta, 
presidente,  Minich,  vicepresidente,  Favaro  e  Fertile, 


Quest'  adunanza  fu  tenuta,  come  di  consueto,  alle  ore 
2  pom.  nella  Sala  dei  Pregadi  nel  Palazzo  Ducale. 

Il  Senatore  Lampertico,  quale  membro  anziano  fra  i 
presenti  assunse  la  Presidenza  dando  per  primo  la  parola 
al  Segretario  Fambri,  il  quale  riferi  Sui  preTYii  scientifici 
e  sitile  onorificenze  agli  industriali  veneti,  che  si  confe- 
rirono neir  anno  corrente,  proclamando  i  nuovi  temi  posti 
a  concorso  per  gli  anni  venturi. 

T.  IV,  S.  VII  71 


1044 

Poi  il  ni.  e.  Senatore  Rossi  lesse  il  suo  discorso  inti- 
tolato: Sul  concetto  morale  odierno  della  economia  polifica. 

Dopo  ciò  ebbe  termine  l'adunanza,  e  le  Autorità  ed  il 
pubblico  si  recarono  nel  Palazzo  Loredan  a  visitare  la 
mostra  dei  campioni  presentati  ai  concorsi  industriali. 


RELAZIONE 


DEL 


M.  E.  Segretario  comm.  PAULO  FAMBHI 


Grande  obbligo  certamente  dobbiamo  agli  stessi,  non 
prossimi,  predecessori  membri  di  questo  nostro  Istituto  di 
Scienze,  i  quali,  anticipando  sul  positivismo  dei  criteri  e 
del  lavoro  e  vincendo  i  più  irrequieti  proclamatori  di  spi- 
rito pratico,  vollero  che  qui  alla  scienza  più  astratta  e 
pura,  come  ingenuamente  chiamavasi  ogni  insieme  di  af- 
fermazioni deduttive  andasse,  come  correttivo  potente,  ad 
associarsi  l'applicazione,  la  quale  più  ancora  che  tale  può 
chiamarsi  in  molti  casi  vero  e  proprio  richiamo  alle  realtà 
e  necessità  della  vita. 

Quindi  vollero  aprire  dei  concorsi,  a  programma  de- 
terminato per  la  ricerca  di  fatti  e  leggi  capaci  di  illumi- 
nare gli  studiosi,  i  legislatori  e  gli  amministratori  intorno 
a  qualche  seria  questione  preferibilmente  contemporanea, 
e  degli  altri,  egualmente  a  premi,  ma  a  programma  libero, 
affinchè  ciascuno,  il  quale  pensasse  di  avere  benemeritato 
comunque  dell'  educazione,  dell'igiene,  della  sicurezza,  del- 
l' industria,  del  commercio  o  di  qualsiasi  altra  cosa  perti- 
nente al  pubblico  benessere,  potesse  averne  giudicata  l'opera 
propria  ed  offrirla  al  pubblico  colla  guarentigia  d'un  im- 
parziale ed  autorevole  apprezzamento. 

Ed  ecco  la  scienza  a  questo  modo  fatta  concreta  e 
pratica,  eccola  benemerito  coeficiente  di  lavoro  e  di  scambio, 
maestra  al  produttore  e  guida  al  consumatore,  classificando 


(1046)  [2] 

r  opera  del  primo  od  avvertendo  V  altro  del  come  e  fino 
a  (jiial  punto  si  ti*o\  ino  nelT  0})ei'a  olfei-ta  le  condizioni  in 
essa  ri(-luesl('. 

Ed  ora  è  desso  T  Istituto  che  tu  giudice,  il  ijuale,  in 
omaggio  alla  verità  ed  alla  libertà,  si  presenta  col  presente 
resoconto  del  proprio  lavoro,  perchè  in  ultimo  venga  dal 
pubblico  giudicato  il  suo  sistema  di  giudicare. 

Voi  potrete  convincervi,  speriamo,  o  signori,  come 
l'Istituto  al)bia,  nei  concorsi  banditi,  avuto  a  cuore  il  pra- 
tico vantaggio  del  paese,  ed  anzi(diè  vagare  soltanto  nelle 
altezze  scientifiche  o  in  ciò  che  costituirel)be  il  lusso  del- 
la speculazione,  abbia  voluto  scendere  lealmente  all'  effet- 
tività dei  bisogni,  e  come,  nel  giudizio  dei  prodotti  e  nel- 
r  assegnazione  dei  premi,  sia  stato  da  esso  i-ealmente  con- 
sigliato e  segnalato  ciò  che  industrialmente  ed  economica- 
mente gli  parve  più  solido  elemento  di  vantaggio,  di  UKjra- 
lità  e  di  decoro. 

Principiamo  dai  premi. 


Nell'anno  1888  fu  dal  R.°  Istituto  bandito  il  concorso 
al  premio  di  L.  30(H)  della  P'ondazione  Querini  Stampalia 
sul  tema  seguente  : 

«  Coir  aiuto  di  dati  scientifici,  pratici  e  statistici  si 
>  determinino  le  basi  su  cui  oggigiorno  dovrebbe  essere 
■»  fondata  una  legge  sulla  costruzione,  prova  e  sorveglianza 
»  delle  caldaje  a  vapore,  e  la  costituzione  in  Italia  di  quelle 
»  Società,  che  già  fioriscono  presso  altre  nazioni  e  che  si 
»  incaricano  di  tenere  in  attenta  osservazione  le  caldaie 
»  dei  loro  clienti.  —  Il  concorrente  nello  svolgere  il  tema 
»  non  dovrà  dimenticare  gli  accidenti  relativamente  nu- 
»  merosi  e  talora  assai  gravi,  che  avvengono  nei  grossi 
»  tul)i  l)ollitori  le  cui  pareti  sono  soggette  a  compressione 
»  (caldaie  Cornovaglia).  » 

Andato  deserto  il  concorso  la  prima  volta  per  man- 
canza di  concorrenti,  fu  riaperto  per    una    seconda    gara, 


[3]  (1047) 

che  fu  più  fortunata,  imperocché  vennero  presentati  tre 
buoni  hivori,  che  furono  sottoposti  al  giudizio  di  una  Com- 
missione speciale  composta  dei  membri  effettivi  del  R. 
Istituto,  M.  Bellati  -  Tito  Martini  -  E.  Bernardi,  relatore. 

Il  primo  e  più  importante  lavoro  risponde  all'epigrafe: 
«  Salus  pubblica  supì-ema  Icx  esto.  » 

L'  autore  lo  divide  in  due  parti  ;  nella  prima  fa 
un'  accurata  rassegna  storica  parallella  delle  diverse  le- 
gislazioni ;  nella  seconda  ne  trae  argomento  per  un  dili- 
gente studio  critico  dell'  attuale  Regolamento  italiano.  — 
Presenta  quindi  una  proposta  di  nuovo  Regolamento  modi- 
ficato in  base  ai  criteri  ed  ai  concetti  esposti  nel  corso 
della  Memoria. 

L' autore  dimostra  chiaramente  la  poca  importanza 
della  prova  a  freddo  e  la  molto  mediocre  sicurezza  fornita 
dalle  cosi  dette  valvole  di  sicurezza  ;  sostiene  la  necessità 
delle  visite  periodiche,  specialmente  interne,  delle  caldaie, 
da  farsi  con  frequenza,  diligenza  e  da  periti  :  aggiungendo 
che  il  Governo  codesti  periti  competenti  ne  li  ha  né  può 
averli  essendo  tale  1'  ufficio  da  presentar  loro  rimunera- 
zione inadeguata  e  difficoltà  e  gelosie  numerose.  Dimostra 
chiaramente  come  invece  le  Associazioni  fra  gli  utenti  di 
caldaie  a  vapore  possano  riuscirci  avendo  interesse  collet- 
tivo speciale,  anzi  ufficiale,  ed  essendo  le  Associazioni  in 
grado  di  scegliere  periti  abili  e  benevisi  ai  clienti.  Crede 
che  sostituendo  il  lavoro  di  queste  Associazioni  illuminate 
ed  auto-tutrici  agli  scatti  ed  alle  dormiveglie  delle  sorve- 
glianze burocratiche  si  riuscirà  a  diminuire  considerevol- 
mente il  numero  delle  esplosioni. 

Esagera  forse  dicendo  che  le  valvole  di  sicurezza  deb- 
bono considerarsi  come  semplici  avvertimenti  per  il  fuo- 
chista, ma  bisogna  convenire  che  esse  non  giustificano  la 
loro  pomposa  qualificazione  e  non  meritano  la  fiducia  troppo 
largamente  loro  accordata. 

Benché  fosse  stata  desiderabile    una    più    larga  e  più 


(1018)  [4] 

profonda  discu.ssione  teorico-pratica  sulla  resistenza  delle 
parti  d'una  caldaia  a  vapore,  cui  è  appena  accennato  qua 
e  là,  si  comprende  che  1'  omissione  non  ha  ragione  d' in- 
capacità, ma  di  densità  sobria  e  modesta.  Infatti  il  lavoro 
è  fatto  bene  e  con  ordine,  cura,  e  veramente  piena  cono- 
scenza della  materia. 

Buona  è  altresì,  come  propria  e  perspicua,  la  forma, 
tanto  che  si  legge  con  piacere  da  cima  a  fondo. 

La  seconda  Memoria  che  risponde  al  motto  :  «  Le 
buone  caldaie  anche  non  alimentate  non  scoppiano  inai  » 
è  pure  un  lavoro  pregevole  ma  disordinato  alquanto.  — 
Si  divide  in  tre  parti.  Nella  prima  tratta  della  costruzione 
delle  caldaie  e  delle  disposizioni  legislative. 

L'  autore  ha  ragione  di  sostenere  che  molto  della  si- 
cura resistenza  delle  caldaie  dipende  dal  materiale  impie- 
gato e  dai  metodi  di  fabbricazione  ;  è  chiaro  però  che  a 
procurare  questa  condizione  i  regolamenti  non  possono 
davvero  contribuire.  Il  Governo  è  disadatto  all'  ufficio  di 
sorvegliare  le  piccole  fabl)riche  le  quali  eluderebbero  tutte 
le  verificazioni  uggiose  e  dispendiose  per  nulla.  Per  rag- 
giungere questa  prima  condizione  di  sicurezza,  che  è  la 
buona  fabbricazione,  gli  utenti  non  hanno  che  un  mezzo  : 
o  sorvegliarla  da  sé  o  rivolgersi  soltanto  a  case  costrut- 
trici di  primo  ordine,  le  quali  non  comprometteranno 
certo  la  propria  fama  vitale  con  1'  uso  di  materiali  im- 
perfetti. 

Nella  seconda  parte  l' autore  critica  giustamente  il 
vigente  Regolamento  per  1'  eccessiva  ingenua  importanza 
che  dà  alla  prova  a  freddo  e  per  le  visite  periodiche  a 
larghissimi  intervalli  di  tempo.  —  Dimostra  con  assennate 
osservazioni  l' importanza  d' imporre  e  regolare  con  oppor- 
tune prescrizioni  governative  V  applicazione  d'  apparecchi 
d'  alimentazione  degli  indicatori  di  livello  e  delle  valvole 
di  ritenuta,  utilissimi  in  caso  d'  accidenti. 

La  terza  parte  tratta  pur  essa   delle    Associazioni  fra 


[5]  (1049) 

gli  utenti  caldaie  a  vapore  e  specialmente  espone  e  discute 
dati  statistici. 

11  lavoro  è  abbastanza  largo  se  non  completo,  ma  vi 
mancano  la  chiarezza  e  1'  ordine.  —  Non  era  forse  neces- 
sario sapere  di  più,  bastava  saper  meglio. 

La  terza  Memoria,  contrassegnata  dall'  ottimista  pa- 
rola :  «  Speme  ■»,  aveva  in  vero  molto  minori  ragioni  di 
speme,  perchè  alquanto  inferiore  alle  precedenti. 

Contiene  uno  schema  di  legge,  due  moduli  di  processi 
verbali  di  visita  e  di  prova  delle  caldaie  ed  una  buona  rac- 
colta di  quadri  statistici  vari.  Nel  corso  della  Memoria  si 
accenna  solo  di  volo  ad  essi  ed  alla  legislazione  degli 
altri  Stati. 

L'  autore  dimostra  un  sano  criterio  e  sufficienti  cogni- 
zioni relative  all'  argomento.  11  suo  schema  di  legge  for- 
mula qualche  buona  e  pratica  idea,  ma  è  decisamente 
incompleto. 

Benché  il  lavoro,  dopo  la  Legge  23  Dicembre  1888  e 
3  Aprile  1890  perda  d'importanza,  la  Commissione  propose 
per  la  premiazione  la  prima  Memoria  col  motto  :  «  Salus 
pubblica  suprema  lex  esto  »  e  1'  Istituto  approvò  la 
proposta. 

Aperta  quindi  la  scheda  fu  trovato,  che  l' autore  è  il 
nob.  sig.  Marin  Giovanni  Ingegnere  industriale,  cui  l' Isti- 
tuto è  lieto  di  assegnare  il  premio  di  L.  3000  della  fon- 
dazione Querini  Stampalia,  secondo  le  condizioni  portate 
dall'  avviso  di  concorso. 

Venne  esaminato  dalla  Commissione  (composta  dei 
membri  effettivi  Alessandro  Rossi,  Senatore  del  Regno  — 
Fedele  Lampertico,  Senatore  del  Regno,  relatore  —  e 
Luigi  Luzzatti  Deputato  al  Parlamento)  l'unico  lavoro  pre- 
sentato al  concorso  della  Fondazione  Querini  Stampalia  per 
l'anno  1892  sul  tema; 


(1050)  [6] 

«  Premessa  una  breve  storia  della  politica  coinmer- 
»  ciale  internazionale  nella  seconda  metà  del  nostro  secolo, 
»  esporre  le  varie  fasi  della  politica  commerciale  italiana 
»  ed  indicare  i  criteri  generali  e  speciali  dai  quali  dovrebbe 
»  esser  guidata,  tenendo  conto  delle  condizioni  delle  singole 
»  forme  di  produzione,  e  supposto  die  la  Francia  abban- 
»  doni  il  sistema  dei  trattati  per  adottare  (|uello  della  ta- 
»  riffa  autonoma.  » 

Si  trovò  che  1'  autore  non  s'era  attenuto  strettamente 
al  tema  per  avere  impiegato  troppo  spazio  in  proporzione 
al  lavoro,  per  la  prima  parte,  che  viene  caml)iata  dall'au- 
tore per  comodo  proprio  in  una  rapida  corsa  di  avveni- 
menti relativi  alla  politica  internazionale,  e  che  del  resto 
è  inadeguata  anche  come  tale. 

Riesce  al  tutto  superfluo  render  conto  delle  varie 
grossolane  inesattezze  dell'  autore. 

Il  manoscritto  non  risponde  nella  prima  parte  assoluta- 
mente, e  nell'altre  risponde  assai  imperfettamente  alla  do- 
manda di  esporre  le  varie  fasi  della  politica  ilaliana. 

Egual  difetto  si  riscontra  nella  trattazione  virtuale 
del  tema,  nella  quale  bisognava  indicare  i  criteri  generali 
e  speciali  dai  quali  la  nostra  politica  commerciale  dovrebbe 
essere  guidata,  tenendo  conto  delle  singole  forme  di  pro- 
duzione, e  supposto  che  la  Francia  abbandonasse  il  sistema 
dei  trattati  per  adottare  quello  delle  tariffe  autonome. 

L'  autore  finisce  meno  seriamente  che  mai  il  suo  stu- 
dio poco  serio,  con  vacue  declamazioni  e  con  teorie  non 
pure  antiscientifiche,  ma  affatto  puerili. 

La  Commissione  opinò  quindi,  e  1'  Istituto  accettò  la 
proposta,  di  non  aprire  la  scheda  col  motto  :  «  Volere  è 
potette  »,  accordando  allo  scrittore  il  solo  favore  che  re- 
stava possibile,  quello  di  mantenergli  l'incognito. 

Il  premio  non  fu  quindi  aggiudicato,  ed  il  concorso  fu 
dichiarato  deserto. 


[7]  (1051) 

Non  essendosi  poi  presentato  alcun  lavoro  per  concorre- 
re al  premio  ordinario  biennale  del  Reale  Istituto  sul  tema 
prescelto  nell'  adunanza  18  Marzo  1888  intorno  alla  storia 
dell'emigrazione  dalle  provincie  venete  nell'America; 
e  visto  che  il  tema  era  stato  riproposto  (chiudendosi  il 
termine  del  primo  concorso  il  31  Dicembre  1890)  il  con- 
corso rimane  chiuso,  ed  il  premio  non  venne  aggiudicato 
per  mancanza  di  concorrenti. 


La  Commissione  (composta  dei  signori  membri  effettivi 
Fedele  Lampertico,  Senatore  del  Regno,  relatore  -  Edoardo 
Deodati,  Senatore  del  Regno  -  e  Giuseppe  De  Leva)  inca- 
ricata di  riferire  sui  temi  proposti  per  la  scelta  di  quello 
da  bandirsi  per  il  conferimento  del  premio  dell'Istituto  del 
1894,  intorno  alle  scienze  morali  e  sociali,  propose,  ed  il 
R.  Istituto  deliberò,  che  venga  conferito  «  il  premio  al- 
»  V  autore  della  migliore  ed  esauriente  Memoria  esposi- 
»  tiva  del  sistema  dell'  imposta  progressiva,  che  taluno 
»  vorrebbe,  con  varie  forme,  sostituito  al  principio  san- 
•*■  cito  nell'  art.  25  dello  Statuto  fondamentale  del  Regno, 
>  per  cui  i  cittadini  contribuiscono  indistintamente  ai 
»  carichi  dello  Stato  nella  proporzioni  e  dei  loro  averi.  — 
*  Si  domanda  che  i  concorrenti  raccolgano  i  documenti 
»  pratici  di  quei  paesi  ove  tale  sistema  sia  per  avventura 
»  stato  applicato.  Ove  manchino  i  criteri  che  sieno  for- 
»  niii  dall'  esperienza,  i  concorrenti  dovranno  a  m^ezzo 
»  dell'  indagine  scientifica  chiarire  (fiali  sarebbero  gli 
■»  e  filetti  pratici  della  sua  attuazione.  In  generale  si  desi- 
»  dera  seria  e  larga  rassegna  delle  ragioni  che  stanno  prò 
»  e  contro  un  tale  sistema,  e  la  conclusione  se  sia  quindi 
»  a  consigliarsene  o  meno  la  introduzione  nel  nostro  paese.-» 

E  un  fatto  che  contro  al  principio  deìVimposla  propor- 
zionale va  oggi  sostituendosi  quello  àeW imposta  progressi- 
va; e  non  è  già  che  si  tratti  dell'applicazione  di  una  semplice 
legge  finanziaria,  tali  leggi    non  si  presentano  che   in  via 


(1052)  [8] 

eccezionale,  ma  a  dirittura  di  sostituire  un  ben  diverso 
ordinamento  della  imposta,  e  non  solo  a  scopi  fiscali,  ma 
sociali,  quelli  cioè  di  mutare,  a  mezzo  dell'  azione  fiscale 
la  distribuzione  delle  ricchezze. 

In  modo  affatto  indefinito  s' agita  questo  problema, 
tanto  che  non  si  potrebbe  stabilire  né  con  quali  criteri  si 
eviterebbe  1'  arbitrio  ;  né  quali  limiti  si  intenda  fissare  ; 
né  in  che  modo  si  concilierebbe  1'  applicazione  del  prin- 
cipio colla  preservazione  del  capitale  e  con  1'  aumento  del 
risparmio  nazionale. 

Il  problema,  però,  per  quanto  confusamente,  oramai  è 
posto.  Non  gioverebbe  evitarlo  :  è  meglio  assai  affrontarlo: 
solo  questa  è  la  via  per  conoscere  quanto  vi  sia  di  giusto 
e  di  pratico  nelle  idee  che  sin'  ora  sono  si  vaghe  ed  inde- 
terminate. In  tal  modo  si  dissiperanno  le  illusioni,  immi- 
nente pericolo  sociale,  e  si  potrà  rendersi  ragione  dei  mali 
che  trovano  in  esse  la  loro  espressione,  e  dei  rimedi  che 
possono  suggerirsi,  senza  perturbamenti  nocivi  all'economia 
della  Nazione  e  dello  Stato,  non  che  all'  equilibrio  sociale. 

Il  R.  Istituto  non  peritandosi  a  proporre  un  cosi  gran 
tema  ha  seguito  francamente  e  fortemente  1'  esempio  di 
altri  Istituti  maggiori,  come  quello  di  Francia. 

Il  Reale  Istituto  inoltre,  nella  segreta  sua  adunanza 
del  7  Agosto  1892,  ha  stabilito  di  assegnare  nell'anno  1895 
il  premio  della  Fondazione  Querini  Stampalia  di  L.  3000 
«  a  chi,  entro  1'  anno  1894,  avrà  introdotto  in  una  valle 
»  a  piscicultura  del  Veneto  una  innovazione,  che  sarà  giu- 
»  dicata  importante  ed  utile  da  una  Commissione  compe- 
»  tente,  nominata  dallo  stesso  Istituto,  od  avrà  trovato  il 
■»  modo  di  avvantaggiare  sensibilmente  una  delle  industrie 
»  che  direttamente  si  collegano  con  la  vallicultura. 

«  Potrà  quindi  concorrere  al  premio  suddetto  chi  avrà 
»  trovato  il  modo  di  ottenere  con  vantaggio  della  valli- 
»  cultura  la  fecondazione  artificiale  delle  uova  di  qualche 
»  specie  di  pesci  marini  ;  chi  avrà  introdotto  in  una  valle, 


[!)]  (1053) 

»  e  con  buon  successo,  qualche  specie  animale  del  mare 
»  Adriatico  o  di  altro  mare  ;  chi,  col  perfezionamento  dei 
»  congegni  vallivi,  avrà  ottenuto  in  una  valle  risultati 
»  molto  superiori  agli  ordinari  ;  chi  avrà  fatto  progredire 
»  presso  di  noi  l'ostreocultura  e  la  mitilicoltura;  chi  avrà  per- 
»  fezionato  la  lavorazione  del  pesce  di  mare  in  guisa  da  ren- 
»  derlo  più  gradito  al  palato  e  più  ricercato  nel  commercio.  » 

Il  concorso  rimane  aperto  fino  al  giorno  31  gennaio 
1895  inclusi vamente. 

Le  discipline  che  regolano  questo  concorso  sono  quelle 
comuni  a  tutti  i  concorsi  della  Fondazione  Querini  Stampalia. 

Con  questo  programma  il  nosti'O  Istituto  volle  mo- 
strarsi sollecito  degli  interessi  speciali  oltreché  dei  generali 
e  provvedere,  oltreché  ad  un  grande  progresso  della  scienza, 
anche  ad  uno  regionale  del  territorio. 

In  questo  caso  le  iniziative  personali  e  le  collettive 
convergono  e,  se  a  questo  programma  verrà  degnamente 
risposto,  la  scienza,  la  ricchezza  generale  e  1'  igiene  pub- 
blica avranno  guadagnato  assai. 

Le  iniziative  private,  che  precedettero  questa  collettiva 
del  nostro  R.  Istituto,  sono  la  sorta  società  di  piscicultura 
da  una  parte,  e  quella  dell'  Associazione  degli  Ingegneri 
veneziani  per  nuovi  studi  intorno  al  regime  idraulico  la- 
gunare ed  ai  criteri  del  suo  nuovo  regolamento. 

'  Il  lavoro  alacremente  procede  d' ogni  parte,  il  gruppo 
degli  ingegneri  veneziani  avrà  fra  tutt'  al  più  un  paio  di 
mesi  pubblicata  la  sua  voluminosa  e  molto  categorica  re- 
lazione tecnica  ed  amministrativa. 

Del  Veneto  è  quindi  opportuno  conchiudere  non  essere 
esatto  dire  che  vi  si  faccia  poco,  ma  piuttosto  che  di  quel 
parecchio  che  si  fa  la  notizia  rimane  cosi  modestamente  ri- 
stretta da  lasciarne  disconosciuto  il  non  mediocre  progresso 
e  lavoro. 

Veniamo  ora  a  riferire  dei  premi  conferiti  dal  R.  Isti- 
tuto pei  concorsi  industriali  del  1893, 


(1054)  [10] 


Diplomi  d'  Onore. 


L"  industria  della  confezione  del  seme  bachi  da  qual- 
che anno  coraggiosamente  e  fortunatamente  intrapresa 
nella  nostra  regione,  con  metodo  scientifico  e  con  ogni  cura, 
riusci  con  splendidi  risultati  quanto  nelle  vicine  provincie 
lombarde. 

I  due  principali  Stabilimenti  del  Veneto,  quello  cioè 
del  Motta  di  Mogliano  e  del  Pasqualis  di  Vittorio  si  pre- 
sentarono al  concorso  industriale  bandito  dal  nostro  Istituto. 

I  meriti  di  questi  due  grandi  industriali  possono  dirsi 
eguali,  imperocché  se  il  Pasqualis  fu  il  primo  a  fondare 
nella  nostra  regione  un  importante  Stal)ilimento  bacologico, 
se  ha  maggior  estensione  di  clientela  ed  offre  maggior 
quantità  di  prodotto,  il  Motta  ha  formato  uno  Stabilimento 
modello,  dove  egregiamente  ed  ordinate  si  vedono  tutte  le 
industrie  che  concorrono  all'  industria  principale,  dove  se- 
guendo gli  ultimi  dettati  della  scienza,  venne  fabbricata  la 
sala  per  l'ibernazione  e  introdotto  ogni  perfezionamento  per 
la  preparazione  del  seme,  dove  sono  comprese  tutte  quelle 
istituzioni  che  provvedono  all'  istruzione  ed  al  benessere 
degli  operai  ;  il  Motta  inoltre  educa  nello  stesso  Stabili- 
mento i  bachi  destinati  alla  produzione  del  seme,  ed  au- 
menta i  controlli  e  le  garanzie  perchè  li  ottiene  da  un 
primo  allevamento  fatto  1'  anno  precedente,  per  famiglie. 

Dire  di  più  intorno  ai  meriti  del  Motta  e  del  Pa- 
squalis crediamo  affatto  superfluo,  tanto  sono  conosciuti  e 
stimati,  quanto  conosciuto  e  stimato  è  il  benefìcio  eh'  essi 
recarono  all'  economia  nazionale,  avendo  essi  fatto  rivivere 
ed  assicurato  al  Veneto  uno  dei  più  importanti  prodotti. 

L' Istituto  quindi,  ponderate  le  ragioni  che  milita  o  a 
favore  dell'  uno  e  dell'  altro  concorrente,  li  ha  reputati 
egualmente  degni  ambedue  della  massima  distinzione,  ed  è 


[11]  (1055) 

lietissimo  della  portagli  occasione  di  poter  dimostrare  quanto 
apprezzi  quei  due  importanti  Stabilimenti  che  efficacemente 
giovano  air  incremento  della  pubblica  ricchezza,  mentre 
nello  stesso  tempo  provvedono  al  bene  di  molti  operai,  e 
contribuiscono  allo  sviluppo  sempre  maggiore  di  una  pro- 
duzione, che  qualche  anno  fa  accennava  alla  più  allarmante 
decadenza  nella  nostra  regione. 


Di  primissimo  ordine  s'  è  trovato  lo  Stabilimento 
ScALFù  e  Comp.  per  la  lavorazione  della  juta  a  Piazzola 
sul  Brenta. 

Oltre  il  vastissimo  fabbricato  dello  Stabilimento  (ove 
trovano  posto  oltre  mille  fusi  —  ben  quarantasette  telaj 
—  con  tutto  il  macchinario  relativo  mosso  da  una  loco- 
mobile e  da  forza  d'  acqua),  sono  degni  di  considerazione 
lo  stabile  ad  uso  uffici  ed  alloggio  del  personale  dirigente, 
le  officine  di  falegname,  e  fabbro  -  meccanico,  i  forni,  la 
sega,  i  trapani,  i  torchi  e  tutte  le  altre  macchine;  i  gran- 
dissimi magazzini,  i  completi  binari  in  ogni  posto  per  il 
sollecito  trasporto  delle  merci,  e  1'  apparecchio  per  il  carico 
e  lo  scarico  delle  jute  dalle  barche  sul  Brenta. 

Al  personale  (eh' è  tutto  assicurato  a  tariffa  massima, 
per  metà  a  carico  della  Ditta  Scalfo  e  Comp.,  contro  i 
danni  degli  infortuni  sul  lavoro)  vengono  somministrate 
gratuitamente  le  medicine  ed  il  servizio  medico. 

La  Ditta  Scalfo  e  Comp.  fu  la  prima  ad  introdurre 
nel  Veneto  la  filatura  dei  titoli  fini  di  juta  (dal  10  al  14), 
ed  ancora  adesso  è  1'  unica  che  la  esercita,  procurando  di 
toglierci  da  essere  tributari  all'  Estero  ed  in  specialità  al 
Belgio.  —  A  Piazzola  si  producono  i  titoli  fini  che  vengono 
messi  sul  mercato  con  sommo  vantaggio  degli  acquirenti. 

Notevole  è  la  produzione  giornaliera  di  questo  impor- 
tante Stabilimento,  dove  gli  operai,  con  sole  otto  ore  di 
lavoro,  danno  dai  30  ai  35  Quintali  di  filatura,  e  circa 
4000    metri  di  tessuto.  —  Un    migliajo    di    persone    circa 


(1056)  [12] 

trovano    pane    direttamente    od    indirettamente    da    (juesta 
importantissima  industria. 

Non  potendo  cader  dubbio  che  1'  Jutificio  di  Piazzola 
sul  Brenta  vada  noverato  fra  i  più  importanti  Stabilimenti 
del  Veneto  ;  e  conosciute  anche  le  grandi  difficoltà  che  la 
Ditta  ScALFO  e  Comp.  ha  dovuto  superare  per  conseguire 
un  tanto  scopo,  l' Istituto  ha  creduto  di  doverle  accordare  il 
massimo  premio,  cioè  un  diploma  d'  onore. 

Uno  dei  principali  Stabilimenti  industriali  italiani  sor- 
geva in  Spresiano  nel  1882,  quando  più  che  mai  si  sentiva 
nella  vallata  del  Piave  il  bisogno  di  lavoro,  per  le  tristis- 
sime conseguenze  delle  ultime  inondazioni. 

La  segheria  e  il  laboratorio  di  legnami  a  vapore  della 
Ditta  Bortolo  Lazzaris,  oltre  che  importantissima  impresa 
industriale,  è  anche  altamente  encomiabile  come  opera  fi- 
lantropica per  le  nobili  ragioni  della  sua  origine. 

Vasti,  arieggiati,  pieni  di  luce  e  costruiti  con  tutti  gli 
ultimi  perfezionamenti  sono  1'  opificio  in  cui  lavorano  le 
macchine,  i  magazzini,  gli  essicatoi  e  gli  uffici. 

La  forza  motrice  dell'  intero  Stabilimento  è  data  da  due 
macchine  a  vapore,  una  piccola  costrutta  dall'officina  della 
Società  Veneta  a  Treviso  della  forza  di  circa  20  cavalli, 
ed  una  maggiore  dei  fratelli  Sulzer  di  oltre  75.  — .  Alle 
macchine  viene  somministrato  il  vapore  da  tre  caldaie  co- 
struite pure  nelle  officine  della  Società  Veneta  di  Treviso  ; 
e  per  combustibile  vengono  usati  il  segaticelo,  le  pialla- 
ture, ed  i  truccioli  risultanti  dalla  lavorazione   del   legno. 

Le  locomobili,  mediante  un  ben  costrutto  sistema  di 
trasmissione,  mettono  in  movimento  cinque  grandi  seghe 
che  possono  dare  sino  a  1500  tavole  in  un  giorno,  ed  altre 
cinque  impiegate  a  compiere  lavori  diversi  —  sei  pialla- 
trici, di  cui  cinque  semplici,  che  producono  quotidianamente 
ben  6000  tavole  piallate  —  parecchie  altre  macchine  per 
il  taglio  e  la  confezione  delle  casse  da  imballaggio,  il  nu- 
mero delle  quali  sali  a  120,000  in  un  sol  mese  nel  1891, 


[13]  (105?) 

cifra  considei^evole  che  potrebbe  però  anche  essere  di  molto 
.superata  —  le  macchine  ed  i  torni  pei-  i  maniclii  di  stro- 
menti  da  lavoro  e  da  pulitura,  la  cui  produzione  può  arri- 
vare fino  a  3000  al  giorno. 

Più  ristretta  e  non  compiutamente  perfezionata  è  l'in- 
dustria dei  parchetti  che  si  fabbricano  pure  nello  Stabili- 
mento Lazzaris.  Per  questa  industria  si  stanno  studiando 
i   mezzi  di  svilupparla  e  perfezionarla. 

Nel  piano  superiore  dello  Stabilimento,  fornita  di  mac- 
chine mosse  dalle  locomobili,  trovasi  la  Falegnameria,  la 
quale  produce  il  lavoro  più  importante,  cioè  i  serramenti 
di  porta  e  di  finestra,  le  cornici,  le  persiane,  i  tenoni  e 
le  mecchie. 

Non  bisogna  dimenticare  l'Officina  meccanica  che  prov- 
vede alle  necessarie  riparazioni  ed  alla  manutenzione  di 
tutti  i  macchinari,  ed  alla  costruzione  di  tutti  gli  utensili 
per  lo  Stabilimento  ;  —  né  gli  essicatoi  del  legname  che 
possono  contenerne  348,000  m.3  —  né  che  lo  Stabilimento 
mediante  una  dinamo  della  potenza  di  3200  candele  viene 
illuminato  completamente  a  luce  elettrica. 

Nello  Stabilimento  Lazzaris  sono  impiegati  attualmente 
dai  170  ai  200  operai. 

Eccellenti  istituzioni  complementari,  con  le  quali  la  Ditta 
Lazzaris  cerca  di  migliorare  la  condizione  dei  suoi  dipen- 
denti, sono  la  Società  di  Mutuo  Soccorso  ed  il  Magazzino 
Cooperativo  che,  fondati  solo  nel  1891,  fanno  già  ottime 
prove. 

L' Istituto  conferisce  quindi  alla  Ditta  Bortolo  Laz- 
zaris il  massimo  premio,  il  Diploma  d'onore. 


La  nuova  industria  introdotta  dal  cav.  G.  Pasqualis 
nella  nostra  regione  ha  meritato  la  massima  attenzione  ed 
il  massimo  studio  da  parte  della  Commissione  incaricata  di 
riferire,  che  ha  trovato  il  tessuto  ottenuto  dalla  fibra  del 
gelso  di  ottima  qualità  il  quale  può  sostituire  benissimo  i  mi- 


(1058)  [14] 

jj^liori  tessuti  per  tappezzerie,  con  grande  vantaggio  econo- 
mico per  gii  acquirenti. 

Lo  Stabilimento  per  la  lavorazione  del  gelsolino,  situato 
in  Vittorio,  è  fornito  di  tutte  le  macchine  migliori  necessa- 
rie a  questa  nuova  industria;  ed  entrando  nello  Stabilimento 
Pasqualis  si  assiste  a  tutte  le  operazioni  che  vengono  ese- 
guite con  singolare  sollecitudine,  dall'estrazione  della  fibra, 
alla  tessitura,  passando  per  la  filatura,  cardatura  e  tintoria. 

Bellissime  sono  le  sto  S'è  eseguite  nello  Stabilimento 
Pasquali»,  imitanti  i  migliori  damaschi. 

All'  industria  del  Gelsolino  sono  perennemente  impie- 
gate un  centinaio  di  persone  fra  capi  ed  operai.  E  la  pro- 
duzione annua  ottenuta  fino  ad  ora  è  di  Kg.  200.000  (filato) 
e  50.000  metri  di  tessuto. 

La  completa  lavorazione  della  fibra  del  gelso  viene 
eseguita  in  tre  grandi  fabbricati  appositamente  costruiti  ; 
per  tutte  le  varie  operazioni  vi  sono  apposite  macchine, 
parte  a  vapore  e  parte  a  forza  idraulica. 

Il  cav.  Pasqt  ALIS,  anche  per  questa  sua  industria  fon- 
data in  Italia,  e  fortunatamente  nella  nostra  regione,  nel 
1885,  è  ritenuto  degno  tlella  massima  onorificenza,  cioè  di 
un  Diploma  d"  onore. 


Medaglie    d'  Argento. 


L' Istituto  è  ben  contento  di  accordare  al  signor  Luigi 
Pallotti  e  frat.  una  delle  medaglie  d'argento  per  la  sua 
orificeria  veneziana,  perchè  egli  fu  uno  dei  pochi  che  ha 
rialzato  questa  industria  che  stava  in  grande,  anzi  estrema 
decadenza. 

Molte  cose,  per  vero,  si  sarebbero  dovute  osservare 
sia  per  il  buon  gusto  che  per  1'  importanza  dei  prodotti. 
Ma  ci  si  è  fermati  sopratutto  sulla  fabbricazione   del   cosi 


[15]  (1050) 

detto  Manin  o  Sjmgnoletlo,  che  costituisce  una  specialità 
tutta  veneziana.  —  Bisogna  che  Venezia  sia  grata  al  sig. 
Pallotti  elle  ha  saputo  concentrare  nella  sua  officina  quel 
lavoro  di  catenella  eh'  era  sparso  qua  e  là,  e  che  forse 
sarebbe  andato  in  disuso  ;  mentre  per  merito  esclusivamente 
suo  il  famoso  monin  è  stato  rimesso  in  moda  e  guadagna 


L'  avventurina  fabbricata  dal  Sig.  Ferro  continua  le 
tradizioni  veneziane  di  questa  importante  imitazione  del 
minerale  omonimo.  —  E  pur  degna  di  nota  e  di  lode  la 
produzione  della  canna  per  conterie  minute,  la  quale  serve 
in  gran  parte  alla  fabbricazione  dei  fiori  artificiali  ese- 
guite nelle  officine  dell'  Huch,  presentando  la  detta  canna 
tutte  quelle  gradazioni  di  colore  che  sono  necessarie  ad 
imitare  ogni  più  variamente  e  vagamente  dipinta  corolla. 
Anche  il  sig.  Ferro  si  ritenne  quindi  degno  di  una  meda- 
glia d'argento,  per  lo  sviluppo  ed  il  progresso  da  lui  re- 
cato a  ({uesta  importante  industria  veneziana. 

Vista  la  bellezza  ed  eleganza  dei  prodotti,  e  la  grande 
esportazione  che  se  ne  fa  specialmente  in  Germania,  e  consi- 
derando che  nella  lavorazione  dei  fiori  artificiali  e  corone 
mortuarie  sono  impiegati  moltissimi  operai  (circa  270);  — 
che  il  movimento  di  capitale,  portato  da  questa  industria, 
è  di  oltre  200.000  lire,  il  R.  Istituto  deliberò  di  premiare  lo 
Stabilimento  del  sig.  E.  High  con  medaglia  d'argento.  — 
Questa  industria  è  non  solo  bella  e  gentile  ma  è  pia  e 
morale. 

È  sconsolante  sopra  una  tomba  vedere  una  cosa  dege- 
nerata e  perfino  immonda,  che  tale  diventa  una  corona  di 
fiori  due  giorni  dopo  che  venne  deposta  dall'  amore  e  dalla 
riconoscenza. 

Se  la  tomba  è  qualche  cosa  di  più  rispettabile  che  il 
dissolvimento,  è  logico  e  sacro,  non  che  onesto,  che  il 
dissolvimento  non  vi  sia  rappresentato   e  precisamente    da 

T.  IV,  S.  VII  12 


(1060)  [16] 

ciò  che  fu  omaggio.  Il  lironzo,  la  ceramica,  il  vetro  sono 
r  omaggio  previdente,  e  debbono  essere  imposti  non  che 
consigliati  da  chi  non  voglia  i  sepolci-i  fuor  dagli  sguardi 
pietosi.  —  La  tomba  ricorda  abbastanza  che  tutto  cade,  è 
bene  che  anche  qualche  cosa  ricordi  che  nulla  però  si 
distrugge. 

E  alto  e  degno  che  qualche  cosa  rammenti  anche  l'im- 
perituro. 

Non  sono  nuove  per  la  nostra  regione  le  industrie 
presentate  al  concorso  dal  cav.  Giovanni  Bennati,  però 
r  Istituto  ha  creduto  doveroso  premiarlo  coji  medaglia  di 
argento,  e  ciò  per  il  grande  sviluppo  dato  da  lui  al  suo 
Stabilimento  in  Spinea  di  Mestre. 

DifFatti,  nella  sola  fabbrica  di  scope  ben  120  operai 
trovano  continuo  e  sicuro  lavoro  ;  e  questa  industria,  tanto 
modesta,  porta  l' incredibile  movimento  di  capitale  di  circa 
mezzo  milione  ;  cento  sono  i  carri  ferroviari  che  portano 
ogni  anno  dalla  stazione  di  Mestre  alle  rispettive  destina- 
zioni i  prodotti  delle  fabbriche  Bennati,  ed  il  numero  an- 
nuo delle  scope  fal)bricate  nello  Stabilimento  ascende  a 
250.000. 

Più  modeste,  perchè  contano  solo  due  anni  di  vita, 
sono  le  fabbriche  dei  saponi  e  delle  acque  gazose  della  Ditta 
medesima. 

La  Commissione  del  R.  Istituto,  senza  pronunciarsi 
sull'elRcacia  dei  prodotti  fabbricati  dal  sig.  Negri  Silvio  e 
Comp.  di  Venezia,  perchè  egli  ha  dichiarato  di  essere  in 
piena  regola  colle  leggi  sanitarie  vigenti,  si  limitò  a  con- 
siderarne il  lavoro  industriale.  —  Per  questo  rispetto  1'  I- 
stituto  giudicò  che,  oltre  al  merito  dell'essere  una  al  tutto 
nuova  attività  locale,  essa  è  di  una  bellezza  e  perfezione 
straordinaria  anzi  unica. 

Le  capsule  gelatinose,  le  pillole,  i  granuli,  i  confetti 
medicinali  che  il  sig.  Negri  sa  confezionare  coi  più  recenti 


[17]  (lO(il) 

metodi  meccanici  superano  il  lavoro  delle  più  antiche  e 
famose  fabbriche. 

Egli  impiega  una  quarantina  d'operai  e  raggiunse  già 
una  considerevole  cifra  di    esportazione   de'    suoi    prodotti. 

Egli  ha  cosi  emancipato  il  paese  da  una  importazione, 
egli  ha  creato  una  concorrenza  agli  stranieri  negli  stessi 
mercati  stranieri. 

Il  suo  Stabilimento  fu  reputato  degno  della  Medaglia 
(V  argento. 

Lo  Stabilimento  del  sig,  Pietro  Layerda  in  Breganze 
presso  Vicenza,  è  già  favorevolmente  noto  da  parecchi  anni 
in  tutta  la  regione. 

Le  macchine  agricole,  ed  in  specialità  gli  sgranatoi 
per  granoturco,  i  torchi  per  vinaccie,  le  trebbiatrici  a 
mano,  sono  usati  in  tutto  il  Veneto  e  nelle  Provincie  di 
Modena  e  Ferrara.  —  La  produzione  annua  delle  macchine 
agricole  nello  Stabilimento  Laverda  è  in  media  di  circa 
200. 

Tenuto  calcolo  dell'  importanza  del  laboratorio,  della 
bontà  delle  macchine,  degli  attestati  di  encomio  di  vari 
Comizi  Agrari,  e  dei  premi  importanti  ottenuti  in  altre 
Esposizioni,  r  Istituto  ha  creduto  di  dover  conferire  al  sig. 
Pietro  Laverda  la  Medaglia  d'argento. 


Medaglie  dì  Bronzo. 


È  importante  la  lavorazione  della  lana  vegetale  rica- 
vata dalla  pianta  detta  Tiffa,  esercitata  in  Adria  dalla 
Ditta  L.  Nesso  figli  e  comp. 

Gli  operai  occupati  nell'  industria  esercitata  dal  Nesso 
sono  circa  150,  numero  che  .varia  però  a  seconda  del  mag- 
gior 0  minor  lavoro  ed  a  seconda  della  stagione. 


(1062)  [18"! 

Annualmente  vengono  spediti  all'  estero  500  ({iiintali 
di  lana  vegetale,  e  1500  ne  vengono  smerciati  in  Italia. 

Quattro  macchine  a  vapore  lavorano  continuamente 
per  apparecchiare  e  confezionare  i  materassi  di  lana  vege- 
tale che  si  spediscono  specialmente  nella  Spagna,  nel  Por- 
togallo, neir  Austria-Ungheria,  nella  Svizzera  ed  in  tutta 
Italia. 

L'Istituto  ha  assegnato  al  Nesso  una  Medaglia  di  bruti zo. 

La  fabhrica  dei  prodotti  alimentari,  di  farine,  di  grano, 
granone  e  pasta  da  minestra  fondata  nel  1883  in  Adria  da 
Efrem  Grossi  e  com}).,  s'  è  ritenuta  degna  di  premiazione 
con  Medaglia  di  bronzo,  per  il  vantaggio  economico  appor- 
tato da  questo  Stabilimento  e  per  le  grandi  difficoltà  che 
la  Ditta  suddetta  ha  dovuto  superare  per  1'  introduzione  di 
questa  nuova  industria. 

Lo  Stabilimento,  mosso  da  macchine  a  vapore  della 
forza  di  30  cavalli,  mentre  produsse  nel  1883-84,  cioè  nel 
primo  biennio  d'  esercizio,  per  un  valore  di  5076  lire,  nel 
solo  primo  trimestre  del  1893  ebbe  un  lavoro  di  3556  lire, 
quindi  presentemente  il  lavoro  è  più  che  quintuplicato. 

Gli  operai  impiegati  nello  Stabilimento  Efrem  Gròssi 
e  comp.  sono  in  permanenza  30,  senza  gli  avventizi  che  na- 
turalmente vengono  assunti  nelle  epoche  di  maggior  lavoro. 

Degna  di  lode  e  di  incoraggiamento  è  1'  opera  del  sig. 
Angelo  Pozzana  di  Venezia,  il  quale  è  giunto  a  fabbricare 
degli  eleganti  mobili  di  metallo,  vasche  da  bagno,  ecc.  che 
possono  con  vantaggio  gareggiare  con  le  produzioni  di  simile 
genere  che  vengono  dall'estero.  —  La  vivezza  e  la  solidità 
delle  vernici  è  uno  dei  migliori  requisiti  che  posseggono 
i  prodotti  del  sig.  Pozzana.  —  Lo  sviluppo  dato  dal  Poz- 
zana alla  sua  industria,  il  numero  degli  operai  occupati, 
ed  il  guadagno  che  dà  alle  due  officine  dell'  Orfanotrofio 
ed  Istituto  Colletti  gli  meritarono,  da  parte  di  questo  R. 
Istituto  una  Medaglia  di  bronzo. 


[10]  (1063) 

La  casa  d' avicultura  del  sig.  Italo  Mazzon  fondata 
nel  1888  in  Villafranca  Padovana,  secondo  i  sistemi  richiesti 
dalla  scienza  e  dalle  condizioni  della  regione,  è  una  delle 
migliori  conosciute.  —  Dal  sig.  Mazzon  vengono  coltivate 
con  metodi  razionali  varie  razze  fra  cui  meritano  speciale 
menzione  la  Gigante  Padovana,  la  Polverara,  la  Maggi,  la 
Livornese,  la  Valdarno  ecc.,  vengono  inoltre  allevati  e 
colombi  e  tacchini  e  fagiani  e  pernici.  —  La  casa  Mazzon, 
che  occupa  ora  un  vasto  tratto  di  terreno,  promette  di 
ampliarsi  fortemente  tanto  che  in  breve  occuperà  una  su- 
})erflcie  di  20  ettari. 

Non  va  dimenticato  che  la  casa  Mazzon  pubblica  un 
importante  periodico  :  «  La  guida  del  pollicultore  »  che 
gentilmente  invia  alla  biblioteca  del  nostro  Istituto. 

Il  R.  Istituto  ha  creduto  di  premiare  il  sig.  Mazzox 
con  una  Medaglia  dì  bronzo. 


Il  signor  Luigi  Battistella  di  Verona  ha  presentato 
alla  mostra,  per  concorrere  ai  premi  ministeriali,  varie 
qualità  dei  suoi  vini,  ottenuti  con  un  metodo  di  confezione 
semplice,  razionale  ed  atto  a  portare,  se  bene  usato,  alcuni 
miglioramenti  all'  industria  enologica  ;  ed  infatti  i  vini  in- 
viati dal  Battistella,  confezionati  già  da  qualche  anno, 
si  presentano  limpidi,  nò  depongono  nella  bottiglie  feccia 
alcuna  a  differenza  di  vini  o  della  stessa  o  di  altre  qualità, 
confezionati  però  in  modo  diverso.  —  I  vantaggi  arrecati 
col  nuovo  sistema  Battistella  a  questo  importante  ramo 
del  commercio  veronese,  vennero  riconosciuti  altre  volte 
ed  in  diverse  Esposizioni  Enologiche  e  dalla  stessa  Camera 
di  Commercio  ed  Arti  in  Verona. 

L' Istituto  assegna  al  signor  Battistella  Luigi  di  Ve- 
rona una  Medaglia  di  bronzo. 

La  Ditta  Visentini  e  Rosa  di  Venezia  presentò  al  con- 
corso, la  sua  invenzione  di  fiaccole  veneziane  al  magnesio, 


(1061)  [20] 

le  quali  per  autorevoli    attestazioni,  ed  in  seguito    a    fatti 
esperimenti,  offrono  ottimi  risultati. 

Questa  industria    è    sul    nascere,    e    quindi    l' Istituto 
volle  incoraggiarla  assegnandole  la  Medaglia  di  bronzo. 


Menzioni  Onorevoli. 


Molto  pratico  per  i  fornitori  di  grosse  partite  di  ghiaja 
è  il  nuovo  vaglio  che  porta  il  non  indifferente  vantaggio 
di  una  migliore  e  più  sollecita  epurazione  della  ghiaja. 

La  ghiaja  introdotta  nel  vaglio  Torzo  (eh' è  messo  in 
movimento  da  una  macchina  a  vapore  della  forza  di  otto 
cavalli),  esce  completamente  lavata  dal  terriccio,  in  varie 
grandezze  cioè  da  giardino,  da  costruzione,  da  fonda- 
zione ecc. 

Il  Torzo  quindi  ha  meritato  una  distinzione  speciale 
da  parte  dell'Istituto  avendo  egli  liberato  la  sua  industria 
dal  sistema  lungo,  noioso,  e  di  incompleta  riuscita  usato 
fino  ad  ora  per  vagliare  la  ghiaja.  —  Al  sig.  Carlo  Torzo 
di  Treviso  venne  accordata  una  7nen:;ione  onoremle. 

Vista  la  grande  diffusione  e  1'  uso  molto  pratico  ed 
importante  che  si  fa  oggidì  dei  bicicli  e  delle  biciclette, 
una  certa  importanza  acquista  pure  la  falibrica  in  Roncade 
del  sig.  Carlo  Menon,  al  quale  l'Istituto  è  lieto  di  poter 
assegnare  una  ìnenzione  onoreiioìe. 

Nello  Stabilimento  Menon  (dove  si  lavorano  completa- 
mente i  velocipedi  dalle  prime  operazioni:  la  fusione  del 
bronzo  e  dell'acciajo,  agli  ultimi  abbellimenti,  la  nikelatura 
sistema  galvanico)  sono  occupati  sempre  venti  operai  e  pa- 
recchi se  ne  chiamano  di  avventizi. 

Oltre  al  concorrere  che  fa  la  fabbrica    Menon    a  mi- 


[21]  (1065) 

giiorare  le  condizioni  economiche  del  piccolo  centro  in  cui 
si  trova,  porta  l'utile  agli  acquirenti  di  una  forte  econo- 
mia nella  prima  spesa  (essendo  le  biciclette  Menon  di  un 
prezzo  molto  inferiore  a  quelle  delle  altre  fabbriche)  ed  il 
vantaggio  di  avere  un  luogo  vicino  per  le  riparazioni  ai 
possibili  guasti,  risparmiando  in  tal  modo  le  spese  di  porto 
e  di  dazio,  che  sarebbero  forti  dovendole  spedire  all'estero. 
E  perciò  appunto  l' Istituto  assegnava  al  Menon  una 
ìnenzione  onorevole. 

La  casa  d'avicultura  premiata  varie  volte  in  più  Espo- 
sizioni, condotta  da  F.  G.  Lion  in  Altichiero  presso  Padova 
s'è  riconosciuta  importante  per  l'estensione  che  ha  preso, 
per  il  numero  e  le  varietà  di  razze  in  essa  allevate  e  per 
il  largo  commercio. 

Non  avendo  alcuna  specialità  di  allevamento  o  di  razza, 
ma  riconosciuti  i  meriti  del  sig.  Lion,  riguardo  all'avicul- 
tura, r  Istituto  ha  creduto  di  assegnargli  una  menzione 
onorevole. 

Il  sig.  Matteo  Da  Ponte  di  Conegliano  ha  presentato 
al  concorso  una  distillatrice  da  lui  costruita  col  sistema 
Comboni.  La  Commissione  apprezzandola  altamente,  non  ha 
però  creduto  di  proporle  un  maggior  premio,  perchè  non 
trattavasi  della  invenzione,  ma  solo  della  costruzione  di 
una  distillatrice  ideata  dal  valente  prof.  Comboni  che  volle 
rimaner  estraneo  al  concorso.  Ma  riconoscendo  che  la  di- 
stillatrice presentata  dal  Da  Ponte  è  di  elegante  e  solida 
costruzione,  fece  buona  prova,  venne  altrove  premiata,  ed 
è  ritenuta  di  pratica  utilità  dagli  enologhi,  ha  proposto  e 
r  Istituto  fu  lieto  di  assegnare  al  diligente  costruttore  la 
menzione  onorevole. 

La  fornace  del  sig.  Barnaba  Peristjtti  dà  cementi  a  ra- 
[»ida  i»resa  ;  la  macerazione  della  materia  prima,  tolta  dai 
monti  che  circondano  Resciutta,  viene  fatta  da  cilindri  messi 


(lono)  [•?2] 

in  moto  da  quattro  ruote  a  pale,  della  complesjsiva  foi'za  di 
25  cavalli.  —  Vi  attendono  dieci  operai  che  lavorano  nove 
mesi  dell'anno,  dando  un  prodotto  che  può  ascendere  a  100 
({uintali  al  giorno,  e  che  viene  smerciato  in  Friuli  ed  in 
altre  parti  d'Italia,  malgrado  la  grande  concorrenza  dei 
cementi  di  Vittorio  e  di  Bergamo.  —  Nel  1890  il  .sig.  Pe- 
RisuTTi  piantò  un  nuovo  opificio  a  Buja  per  la  macinazio?ie 
di  cemento  a  lenta  presa  e  calce  idraulita  prodotto  di  una 
sua  fornace  a  fuoco  continuo,  impiegando  per  il  nuovo 
stabilimento  una  forza  idraulica  di  12  cavalli.  —  Il  signor 
Perisutti  ha  inoltre  altri  stabilimenti  come  una  sega  di 
legname,  una  pila  per  la  brillatura  dell'orzo,  per  i  (|uali 
però  non  concorse  ai  premi  industriali. 

L'Istituto  ha  trovato  giusto  di  dover  premiare  il  co- 
raggio di  questo  modesto  industriale  e  gli  assegnava  perciò 
una  ìfienzwne  otioreDole. 

Un  intelligente  industriale  è  senza  dubbio  il  sig.  Do- 
menico Zrcco  di  Feltre.  —  Egli  impiegò  la  modesta  sua 
fortuna  nel  ridurre  al  sistema  Schweitzer  un  piccolo  e 
vecchio  molino  che  possedeva  nel  comune  di  Feltre,  ed  ora 
egli,  che  ha  introdotto  tutti  i  migliori  sistemi  nel  suo  Sta- 
bilimento, raccoglie  i  frutti  del  suo  coraggio  e  dell'  opero- 
sità sua,  ed  ha  la  soddisfazione  di  rispondere  completa- 
mente ai  bisogni  dell'intera  popolazione  del  suo  paese.  — 
11  molino  del  Zucco,  messo  in  azione  per  forza  idraulica, 
produce  dai  30  ai  50  quintali  di  grano  macinato  oltre  a 
farine  di  varie  qualità  semolini,  crusche,  ecc.  E  1'  unico 
opificio  di  tal  sistema  nella  Provincia  di  Belluno.  —  L'  1- 
stituto  quindi  è  lieto  di  conferirgli  una  menzione  ono- 
revole. 

Le  eleganti  calzature,  ottime  per  qualità  e  relativa- 
mente miti  di  prezzo,  favorevolmente  conosciute  e  stimate 
che  la  Ditta  G.  Kirschen  presenta  alla  nostra  mostra,  fu- 
rono ritenute  degne  di  menzione  onorevole,  tenuto   conto 


[23]  (1067) 

anche  che  hi  Ditta  Kirschkn,  che  (La  parecchi  anni  hivora 
a  Venezia,  concorre  per  hi  prima  volta  ad  una  Esposizione 
industriale. 

Elegante  e  pratica  s'è  trovata  la  calzatura  di  nuovo 
modello  presentata  al  concorso  dalla  Ditta  C.  Feriguto  e 
figlio  di  Pcidova.  —  Molto  pratica  è  la  suola  di  gomma 
rigata  che  impedisce  lo  sdrucciolare,  ed  igienica  la  suola 
interna  di  sughero.  —  La  Commissione  però  non  crede 
troppo  utile  il  rivestimento  interno  di  pelliccia,  che  si  ri- 
tiene non  permettere  la  completa  traspirazione,  conser- 
vare troppo  l'umidità,  e  rendere  più  difficili  le  consuete 
riparazioni.  —  Nel  complesso  però  vista  la  praticità  e  l'e- 
leganza del  nuovo  modello  di  scarpe,  presentate  alla  mo- 
stra dal  Feriguto,  e  l'economia  che  si  fa  nell'acquisto  delle 
stesse,  si  è  ritenuta  la  Ditta  Costante  Feriguto  e  figlio  di 
Padova  degna  di  inenzione  onorevole. 

Erano  ben  noti  da  parecchi  anni  gli  aratri  costruiti 
dal  sig.  E.  Mazzetti  in  Occhiohello,  quello  che  egli  pre- 
sentò ora  è  l'ultimo  perfezionamento  al  quale  è  arrivato 
questo  intelligente  industriale. 

L'aratro  Mazzetti  viene  generalmente  preferito  oltre 
che  per  le  sue  buone  qualità,  anche  per  il  prezzo  mite.  — 
E  addottato  a  preferenza  di  altri  aratri  nel  Polesine  e  nel 
Ferrarese  ;  e  fa  buona  prova  anche  nei  terreni  argillosi  e 
più  tenaci. 

Al  sig.  Emidio  Mazzetti  venne  assegnata  dall'  Istituto 
per  questo  suo  aratro  perfezionato  una  menzione  ono- 
revole. 

Degna  di  un  incoraggiamento  da  parte  dell'Istituto  s'è 
ritenuta  l'industria  delle  Ceramiche  Artistiche  modestamente 
esercitata  dal  sig.  Gaetano  Donato  in  Bassano  Veneto.  — 
Questo  lavoratore  senza  alcun  aiuto  di  capitali  seppe  ab- 
bastanza   ampliare    la    sua    officina,    e  da    tre   operai  che 


(1068)  [24] 

aveva  nel  1884,  quando  incominciò  i  primi  lavori,  por- 
tarli al  giorno  d'oggi,  fra  artisti  e  ragazzi,  a  dodici.  —  I 
lavori  del  Bonato  vengono  spediti  per  lo  piii  in  Francia, 
dove  sono  apprezzati  e  dove  egli  tiene  un  contratto  di  for- 
nitura annua  per  una  somma  di  15.000  lire.  —  Lo  Stabili- 
mento BoNATO  venne  fregiato  in  varie  esposizioni  e  concorsi 
di  medaglie  e  diplomi.  —  L'Istituto  perciò  ha  deliberato  di 
premiarlo  con  una  menzione  onot^evole. 

La  proprietà  dei  Siroppi  di  china  ferruginosi,  semplici, 
all'arsenico,  alla  nocevomica  e  fosfoferruginosi,  preparati 
dal  sig.  ViDO  Luigi  di  Lendinara,  attestati  da  molti  docu- 
menti di  approvazione  e  di  incoraggiamento,  ed  in  parti- 
colare dal  nostro  collega  prof.  Spica,  e  principalmente  lo 
sviluppo  dato  a  questa  piccola  industria  ha  fatto  si  che  l'I- 
stituto non  esitasse  a  conferire  al  signor  Luigi  Vido  una 
menzione  onorevole  per  i  suoi  Siroppi  ferruginosi. 

Il  sig.  Celso  Mantovani  concorse  per  un'officina  di  im- 
pianti elettrici  che  ha  preso  un  discreto  sviluppo.  —  La 
Commissione  loda  l'attività  del  sig.  Mantovani,  e  spera  che 
in  breve  nella  sua  officina  saranno  costruiti  per  intero 
quegli  apparecchi  elettrici  che  sono  di  uso  tanto  comune, 
intanto  propose  e  l'Istituto  approvò  di  incoraggiarlo  con 
una  menzione  onor^evole. 

Avendo  il  sig.  Federico  Gaggio  fondato  anche  a  Vit- 
torio la  industria  dell'  essiccazione  degli  erbaggi,  legumi  e 
frutta,  con  nuovi  sistemi,  industria  che  maggiormente  per- 
fezionata ed  ampliata  potrà  riuscire  di  vantaggio  non  in- 
differente, l'Istituto  ha  creduto  di  })remiarlo  con  una  nie.n- 
zione  onorei')ole. 

Le  menzioni  onorevoli  furono  accordate  tutte  alla  una- 
nimità, meno  una,  ed  è  forse  quell'una  che  ad  un  giudizio 
comune  e  superficiale  parrebbe  non  solo  la  premiazione 
più  guadagnata  ma  la  più  ragionevolmente  aumentabile. 


[25]  (1069) 

Infatti,  chi  vi  getti  sopra  uno  sguardo  rapido  e  pro- 
fano vedrà  che  Li  mostra  del  Donato  è  la  più  copiosa  e 
appariscente.  É  quindi  volontà  della  Commissione  e  del- 
l'Istituto che  le  non  facilmente  indovinabili  ragioni  del 
contro  vengano  esposte. 

Le  terraglie  del  Donato  possono  essere  non  senza  ve- 
rità giudicate  un  gran  passo  indietro  nella  tecnica  e  nella 
economia  professionale  ceramica. 

La  materia  è  senza  confronto  più  fragile,  il  disegno 
più  negletto,  la  vernice  meno  bianca  e  brillante  che  nella 
maiolica  della  quale  è  una  imitazione  molto  pallida  e 
per  giunta  moralmente  e  giuridicamente  discutibile,  im- 
perocché ben  lungi  dal  creare  nuove  forme  plastiche 
ha  alla  lettera  espropriate  delle  loro  le  fabbriche  di 
maioliche  che  formarono  per  secoli  la  maggior  gloria 
ceramica  del  Veneto  e  forse  dell'  Italia  e  di  recente  pro- 
fusero lavoro  e  danaro  a  pagare  artisti  come,  per  dirne 
uno,  il  celebre  Minghetti  di  Vicenza  che  colla  magistrale 
sua  stecca  aveva  lungamente  dominate  tutte  le  Esposizioni 
internazionali.  Eppure  malgrado  tutte  queste  considerazioni 
gravissime  a  carico,  sembrò  alla  Commissione  che  una  qual- 
che distinzione  non  dovesse  essere  negata  all'espositore. 

In  primo  luogo  il  Donato  creò  un  buon  prezzo  la  cui 
immediata  conseguenza  fa  un  grande  spaccio  anche  al- 
l' estero.  —  Ora  il  porsi  in  grado  di  invadere  i  mercati 
stranieri  è  un  servizio  tanto  positivo  che  ne  paga  molti  di 
negativi. 

In  secondo  luogo  mantenne  viva  per  mezzo  delle  ter- 
raglie l'industria  della  ceramica  artistica  in  giorni  nei  quali 
le  commissioni  delle  maioliche  erano  momentaneamente,  e 
si  temeva  durevolmente,  cessate. 

In  terzo  luogo  dette  ragioni  e  occasioni  ai  produttori 
di  maioliche  artistiche  di  scendere  anch'essi  dalla  loro  al- 
tezza e  produrre  a  buon  prezzo. 

In  quarto  luogo  la  stessa  concorrenza  alle  maioliche, 
che  ne  diminuisce  al  momento  la  ricerca,  può   in    seguito 


(1070)  [26] 

per  altri  rispetti  tornare  vantaggiosa,  come  quella  che  re- 
stando presente  sempre  sui  mercati  stranieri,  anche  in  crisi, 
coi  suoi  colori  e  le  sue  forme  a  ogni  modo  ancora  attra- 
enti, non  può  a  meno  di  invogliare  i  buongustai  a  procu- 
rarsi in  più  nobile  materiale  e  con  più  accurate  pitture  e 
brillanti  vernici  quegli  stessi  oggetti  nuovamente  tramutati 
può  dirsi  d'industriali  in  artistici. 

La  Commissione  partendo  da  questi  criterii,  e  valutati 
i  titoli  contrari  e  i  favorevoli  di  questa  produzione  espresse 
non  solo  il  voto  ma  il  convincimento  che  la  terraglia  non 
ucciderà  la  maiolica,  come  la  decalcomania  non  uccise  il 
vasellame  chinese  e  giapponese,  e  come  i  merletti  a  fuselli, 
e  meno  che  meno  quelli  a  macchina,  non  uccisero  le  squi- 
sitezze dell'ago. 

La  produzione  inferiore  venne  quindi  dalla  Commis- 
sione considerata  piuttosto  scala  che  ostacolo,  e,  in  questo 
speciale  caso  e  per  queste  varie  e  serie  ragioni,  reputata, 
nella  pur  combattuta  produzione,  degna  dell'  accordata  mo- 
desta ricompensa.  S'è  voluto  dar  conto  particolareggiato  di 
questa  deliberazione,  che  sembra  di  cosi  poco  momento,  per- 
chè a  proposito  di  essa  larghe  e  pratiche  considerazioni 
ebbero  la  parola  e  l'apprezzamento  ultimo  loro  dovuto. 

Oltre  ai  premiati,  altri  furono  i  concorrenti  che  in 
quest'anno  raggiunsero  la  confortante  cifra  di  l)en  43,  ma 
alcuni  si  ritirarono  dal  concorso,  altri  non  si  poterono  pre- 
miare 0  perchè  le  loro  opere  d' ingegno,  per  quanto  egregie, 
non  si  reputarono  comprese  in  quella  categoria  d'industrie 
per  le  quali  il  Ministero  assegna  i  premi  —  o  perchè  fu- 
rono di  recente  premiate  dall'  Istituto,  o  perchè  ancora 
nel  loro  inizio  non  raggiunsero  un  grado  di  sviluppo  tale 
da  portare  un  notevole  vantaggio  alla  nostra  regione,  for- 
nire un  esatto  e  sicuro  criterio  del  loro  valore  industriale 
ed  economico. 

L'  Istituto  fu  dolente  di  <lovor  collocare  nella  seconda 


[:i7]  (1071) 

(Ielle  accennate  categorie  le  molte  e  belle  Guide  P^rentari, 
e  di  non    poter  quindi,  come  avrebbe  voluto,  premiarle. 

Il  Brentari  cominciò  a  scrivere  Guide  nel  1885  e  dopo 
d'  allora  ne  pubblicò  circa  venti,  delle  quali  ho  (jui  da- 
vanti l'elenco. 

Le  Guide  Brentari  ebbero  medaglia  d' oro  all'esposi- 
zione di  Bologna  del  1888;  e  fu  l'unica  medaglia  concessa 
per  tal  genere  di  lavori  ;  anzi  non  ce  ne  fu  neppure  d'ar- 
gento ;  ma  solo  una  di  bronzo  per  la  Guida  di  Udine  della 
Società  Alpina  Friulana. 

Ebbero  poi  medaglia  d'argento  a  Palermo  nel  1892. 

Il  Brentari,  per  compilare  le  sue  Guide  : 

1.  legge  quanto  fu  scritto  sul  territorio  da  studiare, 

2.  lo  percorre  tutto  a  piedi, 

3.  raccoglie  informazioni  da  comuni  e  privati, 

4.  fa  correggere  le  stampe  da  molte  persone  intel- 
ligenti. 

Le  Guide  richiedono  così  molto  tempo  e  lavoro;  ma 
riescono  anche  molto  precise. 

Queste  Guide  sono  quasi  tutte  notevoli  per  la  grande 
quantità  di  dati  storici  che  contengono  ;  esse  devono  ri- 
guardarsi non  come  aridi  manuali  per  il  viaggiatore,  ma 
bensì  come  dotte  e  geniali  monografie  illustrative  di  speciali 
tratti  del  Veneto  e  Trentino. 

Le  guide  alpine  del  Brentari  sono  assai  apprezzate 
anche  dai  giudici  più  competenti  ;  gli  ufficiali  alpini  ne 
sono  tutti  provvisti.  La  stampa  alpistica  italiana,  francese, 
inglese,  tedesca  ha  sempre  avuto  lodi  illimitate  per  le 
Guide  Brentari,  che  furono  giudicate  modelli  del  genere  ; 
ed  assai  le  lodarono  ogni  anno,  nelle  loro  relazioni,  i  presi- 
denti generali  del  Club  alpino  italiano. 

Il  Brentari  sta  ora  attendendo  alla  continuazione  della 
Guida  del  Trentino  (che  riuscirà  di  4  grossi  volumi)  e 
dei  quali  uno  è  già  pubblicato,  ed  il  secondo  in  corso  di 
stampa. 

Il  Brentari  colle  sue  Guide  ha  illustrato   molta  parte 


(1072)  [28] 

del  territorio,  specialmente  alpino,  fra  Adige  e  Piave  ;  e 
sarebbe  desiderabile  che  egli  potesse  darci  una  completa 
Guida  delle  Alpi  Venele,  territorio  in  gran  parte  poco 
noto,  e  pur  meritevole  di  ampia  e  precisa  illustrazione  ;  e 
certo  il  Brentari  si  accingerebbe  al  non  facile  lavoro  se 
trovasse  qualche  incoraggiamento. 

In  Italia  non  abbiamo  buone  Guide.  Molte  sono  vecchie 
ed  incomplete  ;  le  altre  piene  di  strafalcioni  indicibili,  se 
facciamo  eccezione  per  qualche  Guida  alpina  lavoro  non 
di  un  solo  individuo  ma  di  più  persone,  fatte  dalle  sezioni 
di  Bologna,  Brescia,  Torino,  Roma  ecc.  del  Club  Alpino 
Italiano  e  dalla  Società  Alpina  di  Udine.  Notisi  poi  anche 
che,  come  numero,  la  raccolta  delle  Guide  Brentari  è  la 
più  numerosa  contando  ormai  circa  venti  Guide. 

L'industria  delle  Guide  alpine  e  d'altro  genere  è  tutta 
ed  interamente  sua.  Il  Brentari  fa  stampare  le  sue  guide 
(e  lo  sono  benissimo)  dall'  ormai  celebre  stabilimento  di 
Sante  Pozzato  di  Bassano  ;  ma  egli  solo  ne  è,  oltre  che 
autore,  anche  editore  e  proprietario.  E  im  industria  nuova, 
cominciata  nel  1885,  e  che  può  e  deve  continuare  e  svi- 
lupparsi sempre  più. 

Notisi  pure  che  la  industria  delle  Guide  portò  grande 
utilità  e  sviluppo  all'industria  (di  somma  importanza  per  la 
provincia  di  Belluno  e  per  il  Trentino)  pel  concorso  dei 
forestieri.  Nel  Cadore  specialmente,  ed  in  tutto  il  Tren- 
tino, questo  aumentò  d'  assai  dopo  che  vennero  illustrati 
quei  paesi. 

Tutte  queste  ragioni  militavano  per  il  diploma  d'onore 
al  Brentari  —  al  massimo  dei  servigi  militari  e  morali, 
non  disgiunto  dall'economico,  si  sarebbe  data  la  massima 
delle  ricompense. 

Aumentava  il  desiderio  di  premiare  l'uomo  e  T  opera 
il  voto  degli  ufficiali  alpini,  vero  onore  tecnico  e  spotiisti- 
co  del  paese,  che  aspetta  da  quella  splendida  arma  emula- 
trice  dei  gloriosi  bersaglieri  i  più  segnalati  servigi,  e  senza 
nessunissimo  dubbio  all'  occasione  li  avrà. 


[29]  (107.S) 

Ma  ri.stituto  .si  contentò  invece  di  esprimere  per  mia 
voce  al  Brentari  la  propria  soddisfazione,  dolente  di  non  po- 
terlo premiare,  uscendo  la  })roduzione  dai  termini  del  con- 
corso. 

Aspettiamo  la  guida  del  Trentino  —  aspettiamo  que- 
st'altro nobile  servigio  alla  nostra  etnografia  e  al  nostro 
fraterno  spirito  nazionale. 

Poi  verrà,  speriamo,  attuata  dall'autore  quest'altra  idea 
nostra  per  uno  studio  generale  delle  Alpi  Venete.  — 
Che  l'infaticabile  peregrino  e  scrittore  rammenti  i  desi- 
deri i  dell'Istituto  di  scienze  che  lo  segnalerà  anche  più 
generalmente  alla  riconoscenza  degli  studiosi  e  dei  })atriotti. 


É,  come  si  vede  dal  fin  qui  esposto,  nel  desiderio  di 
tutti  gli  onorandi  colleghi  a  nome  dei  quali  io  ebbi  l'onore 
della  parola,  che  una  conseguenza  venga  tratta  proprio 
come  voce  del  fatto  :  ed  è  questa  che  della  regione  veneta, 
(malgrado  tante  querimonie  e  tante  censure  di  quella  la 
(juale  si  vorrebbe  che  fosse  solo  esuberanza  di  critica  men- 
tre è  anche  un  po'  deficienza  di  solidarietà)  che  della 
nostra  regione  veneta,  dico,  si  può  e  deve  ammettere  che  : 
eppu7'  si  muove. 

E  bisogna  che  ciò  venga  non  solo  creduto  ma  detto,  e 
non  solo  detto  ma  ripetuto  e  imposto,  imperocché  è  vano 
per  non  dir  folle  aspettare  che  altri  a  proprio  detrimento 
proclami  ciò  che  il  paese  omettesse  di  dire  a  proprio 
vantaggio. 

È  nel  mondo  ideologico  ed  etico,  ma  soltanto  li,  che 
chi  si  umilia  sarà  esaltato  ;  nel  pratico  la  verità  è  in- 
vece che  chi  si  umilia  sarà  depresso  —  del  resto  quelle 
stesse  carte  della  eterna  sapienza  le  quali  vi  dicono  si'tte 
umili  vi  avvertono  nel  tempo  stesso  che  la  candela  non  è 
falla  per  essere  caperla  sotto  lo  staio,  e  ciò  evidentemente 
per  la  ragione  sociologica  che  in  tal  caso  non  giova  a  nes- 
suno, e    sopratutto    per  quella   fisico-chimica  che    la    luce 


(1074)  poi 

in  tale  condizione  necessariamente  si  asfissia  e  spegne.  — 
Occorrono  due  cose,  oltre  al  sapere  e  al  volere,  —  e 
sono  la  solidarietà  e  la  notorietà,  imperocché  i  profitti 
della  civiltà  e  della  modernità  non  si  svolgono  senza  che 
tutte,  proprio  tutte,  le  forze  di  queste  non  siano  largamente 
e  pertinacemente  usate. 

Che  questi  giudizi,  questi  resoconti,  queste  premiazioni, 
questo  stendersi  della  mano  della  scienza  collettiva  a  quella 
del  lavoro  individuale,  aiutino  e  sollevino  —  che  lo  spirito 
accademico  scenda,  che  lo  spirito  industriale  salga  ■ —  e 
che  l'incontro  fraternamente  cordiale  dia  al  paese  quella 
coscienza  di  sé,  in  mancanza  della  quale  i  maggiori  sforzi 
restano  isolati  ed  infecondi. 

Ricordatevi  o  signore  e  signori  questo  eppur  si  muove, 
che  essendo  di  natura  positiva  e  sperimentale  ha  diritto 
di  essere  ascoltato  come  una  effettiva  verificazione  e  non 
semplicemente  come  l'oratoria  citazione  di  una  frase  tra- 
dizionale e  felice. 


IL  CONCETTO  MORALE  ODIERNO 

NELLA   ECONOMIA   POLITICA 

DISCORSO 

Letto  dal  m.  e.  Senatore  ALESSANDRO  ROSSI 


Le  celebri  lampade  della  vita  passate  a  catena,  colle 
quali  volle  Lucrezio  raffigurare  il  procedere  incessante 
della  umanità  verso  i  suoi  alti  destini,  non  brillarono  mai 
jiel  mondo  fisico  di  sì  abbagliante  splendore  come  in  questo 
scorcio  di  secolo. 

Noi  che  ne  siamo  illuminati,  sia  che  vi  assistiamo  co- 
me testimoni,  sia  che  vi  lavoriamo  come  operatori,  ci  do- 
mandavamo attoniti,  ansiosi,  quali  ne  saranno  gli  effetti  nel 
mondo  morale.  E  poiché  una  Sibilla  era  venuta  ad  assi- 
dersi tra  le  più  civili  nazioni  d'  Europa,  obbedita  da  uno 
stuolo  di  sacerdoti  incaricati  di  bandirne  i  responsi,  un 
tempo  fu  che  piegammo  ad  essa  il  ginocchio. 

Vedi  tu,  ci  veniva  essa  dicendo,  i  prodigi  del  tempo  : 
misuri  tu  la  potenza  dell'  uomo,  le  forze  occulte  emanate 
dalla  terra,  misuri  1'  aria,  la  luce  :  energie  insieme  ed  ar- 
monie mai  viste  dalle  più  remote  età  ? 

Navi  immense  d'  acciaio  in  cinque  giorni  traversano 
l'Atlantico;  si  costruiscono  vettori  di  15  mila  tonnellate  a  24 
nodi  l'ora  ;  quattro  traverse  congiungono  il  Pacifico  all'  A- 
tlantico  ;  da  Pietroburgo  per  Samarkanda  in  brevi  ore  si  tra- 
versano le  steppe  dell'Asia;  in  8  V-2  or^  si  va  da  Nuova  York 
a  Buffalo.  L'America  del  Nord  misura  da  sola  quasi  400,000 

T.  IV,  S.  VII  73 


(1076)  [2] 

Km.  di  ferrovie  ;  oltre  10  mila  Km.  di  linee  tubulari  sotto 
una  pressione  di  80  atmosfere  trasportano  il  petrolio  dai  ba- 
cini di  escavo  fino  all'  Atlantico,  72  mila  litri  all'  ora,  per 
mezza  lira  ogni  790  litri  ;  la  cascata  del  Niagara  con  soli  5 
centimetri  di  pelo  d'  acqua  fonda  una  città  semovente  sulla 
riva  Canadese  ;  finalmente  la  Esposizione  di  Chicago,  de- 
cupla di  quella  di  Parigi  del  1880,  narra  i  prodigi  della 
elettricità. 

Son  queste,  o  mortale,  le  opere  mie  —  mie  ancelle 
sono  le  scienze  positive;  colla  chimica  io  nacqui,  anzi  pri- 
ma di  essa;  fisica  e  chimica  sono  la  materia,  io  lo  spirito 
che  le  anima,  che  ne  scomparte  i  doni  con  equità.  Scienza 
della  ricchezza  a  due  fronti,  una  sperimentale,  l'altra  irrag- 
giata dalla  giurisprudenza,  scienza  restauratrice  sovratutto 
dell'  ordine  morale  —  ultimo  obbiettivo  del  quale,  ultimo 
fine  :  la  pace  universale.  Mi  chiamo  ,1'  Economia  politica  : 
seguimi,  adorami,  e  tutti  questi  doni  son  tuoi. 

Un  fatto  simile  è  narrato  da  S.  Matteo  come  avvenuto 
a  Cristo  sul  monte  eccelso.  Là  il  tentato  era  Iddio  che  di 
quei  doni  conosceva  la  provenienza  vera.  —  Nella  leggenda 
di  Faust  è  Margherita,  1'  umanità  che  ha  ceduto  alla  se- 
duzione parandosi  di  perle  e  di  gemme  non  sue  —  ma  poi 
venne  il  tempo  della  espiazione. 


SignotH  e  Signore  ! 

il  narratore,  lo  so,  non  porta  pena  ;  tuttavia  proponendomi 
oggi  di  affermare  delle  ingrate  verità  a  molti  osservatori 
superficiali,  mi  sgomentano  la  maestà  del  luogo,  l'occasione 
solenne,  questo  areopago  di  dotti  colleghi.  Io  non  vorrei 
strappare  nessun  ideale,  per  quanto  ogni  sètta  abbia  i  suoi 
propri  ;  perchè  senza  ideali  la  vita  è  muta,  ed  io  mi  sentirei 
r  atrofia  nel  cuore,  che  mira  a  quelli  imperituri.  A  con- 
fortarmi di  non  essere  «  al  vero  timido  amico  »  mi  spinge 


m  (1077) 

questo  momento  storico,  poiché  un  nuovo  ordine  di  secoli 
si  avanza:  hora  ruU  e  il  discutere  è  tardi,  il  sofisticare 
ozioso,  il  sottrarsene  è  vile  ;  la  economia  dei  popoli  e 
degli  Stati  cessa  di  chiamarsi  politica  e  vuol  divenire  so- 
ciale. Poniamoci  adunque  serenamente  alla  ricerca  di  quella 
forza  morale  che  rende  le  nazioni  sanabili  ;  scrutiamo  i 
donimi  della  economia  politica. 

Con  sifatto  intendimento  ne  dividerò  le  fortune  in  tre 
epoche  cronologiche  :  la  prima  di  preparazione  fino  al  1860 
—  la  seconda  di  esperimento  fino  al  1879  —  la  terza  di 
espiazione  fino  al  giorno  d'oggi.  —  E  sarà  la  prima  parte 
del  mio  discorso.  —  Nella  seconda  indagherò  il  concetto 
morale  odierno  nelle  varie  manifestazioni  della  vita  sociale 
rimpetto  alla  economia  politica. 

Ammesso  che  ogni  scienza  degna  del  suo  nome  segue 
nella  storia  una  specie  di  flusso  e  riflusso  fino  al  suo  trionfo 
definitivo,  è  d'  uopo  confessare  che  nella  economia  politica 
non  si  è  avuto  il  moto  progressivo  che  perfeziona.  Si  è  vista 
piuttosto  la  contraddizione  ogniqualvolta  da  puro  metodo 
di  osservazione,  essa  volle  erigersi  a  scienza  morale  ;  e  la 
contraddizione  la  portò  via  via  a  contorcersi  dentro  sé 
stessa. 

Non  vi  fu  quasi  teoria  tenuta  da  valenti  studiosi  che 
da  uomini  altrettanto  valenti  modificata  non  fosse  o  a  di- 
rittura negata.  Quindi  le  concessioni,  le  transazioni,  le 
parziali  abjure  che  scossero  il  Verbo  primigenio.  Il  secolo 
XIX  si  nominerà  da  quegli  immortali  che  scoprirono  le 
applicazioni  delle  scienze  positive,  e  lor  dettero  incremento; 
gli  economisti  che  scambiarono  la  scienza  colla  metafisica 
scendono  un  dopo  l' altro  inosservati  nel  sepolcro. 

Que'  primi  invero  produssero  e  distribuirono  la  ric- 
chezza della  intelligenza  e  delle  opere  introducendo  tra 
le  arti  liberali  e  le  arti  usuali  un  cosi  potente  equilibrio 
da  potere  spianare  col  sentimento  democratico  del  Vangelo 
tutte  le  classi  sociali.  Può  essere  che  la  società  civile  conti- 
nui ad  essere  condotta  da  un  manipolo  ristretto  di  persone, 


(1078)  [4] 

per  un  tempo  più  o  meno  lungo  non  importa  ;  le  scienze 
positive  non  di  rado  combattute  dalle  professioni  liberali, 
aprono  ormai  la  strada  a  tutte  le  volontà  ;  bastino  a  mo- 
strarlo i  nuovi  Continenti.  Ne  risente  1'  influsso  la  stessa 
agricoltura  che  è  1'  arte  usuale  che  più  s'  identifica  col- 
r  interesse  generale  della  società  e  colla  famiglia-tipo  ;  ma 
né  anche  la  macchina  ha  degradato  l' operaio  ;  lo  ha  istruito 
risparmiandone  i  muscoli,  ne  ha  rialzata  la  testa  verso  Dio, 
ne  ha  raffinato  il  pensiero,  la  dignità  verso  se  stesso.  Sa- 
rebbe anzi  un  fatto  salutare  la  pletora  attuale  delle  arti 
liberali  quando  gli  agricoltori  si  arrestassero  di  avviarvi 
cosi  facilmente  i  loro  figli,  quasi  ad  insegnare  ai  contadini 
r  esodo  alle  città  —  e  quando  i  manufatturieri  che  al  la- 
voro dovettero  la  loro  fortuna  insegnassero  ai  figli  di  non 
smettere  la  professione  dei  padri.  Non  si  pensa  abbastanza 
quanti  godimenti  intellettuali  e  morali  confortino  la  vita 
dei  campi  e  delle  officine. 

Certi  pregiudizii  vanno  scomparendo.  0  che  la  grande 
società  lavoratrice,  l'artigiano,  l'operaio,  il  ferroviere,  non 
esercitano  le  funzioni  loro  cosi  degnamente  come  il  magi- 
strato, il  professore,  il  capitano,  l' impiegato  ?  0  che  l'elet- 
tricista, il  capomastro,  il  distillatore,  varranno  meno  del 
maestro  di  scuola,  del  ragioniere,  dell'  astronomo  ?  Bandito 
ogni  privilegio  cosi  nelle  leggi  come  nelle  costumanze, 
bandito  1'  empirismo  —  le  arti  usuali,  immedesimate  nella 
società  civile  dal  contatto  continuo  colla  intelligenza  e  colla 
ragione  —  pazienti,  perseveranti,  seguite  talvolta  anzicchè 
precedute  dalla  scienza  —  stampano  ogni  di  più  profonda 
la  loro  orma  nelle  leggi,  nella  convivenza  sociale.  Vuol 
dire  che  siamo  più  incolti  di  prima?  No:  la  coltura  è  più 
larga,  e  diversa  nel  campo  dei  fatti.  Confessiamolo  :  la 
scienza  pura  è  coltivata  da  poche  menti  elette  ;  negli  Isti- 
tuti stessi  la  vediamo  troppo  spesso  ridotta  a  scienza  fram- 
mentaria, mentre  le  sonerie  elettriche  mondiali  non  arre- 
stano lo  spirito  d' osservazione,  ma  lo  acuiscono. 

Diverse  sono  anche  le  forme  della  coltura,  forme  che 


[5]  (1079) 

a  taluni  ripugnano  ;  e  sia.  Quando  però  si  facesse  da  ciò 
più  estensivo  il  concetto  morale,  e  più  ostensivo  il  carattere 
degl'individui,  convien  passar  sopra  al  resto.  Perfino  le  arti 
liberali  abbisognano  oggidì  della  ritempra  delle  arti  usuali, 
perchè  abbandonate  a  sé  stesse  potrebbero  anche  essere  un 
segno  di  decadenza,  come  lo  furono  sotto  gli  effimeri  splen- 
dori della  Rinascenza. 

E  poi,  lo  ripeto,  non  si  può  oggi  patteggiare  col  tempo 
che  è  tutto  fuga  ed  obblìo,  tempo  nel  quale  gì'  igienisti 
prendono  il  passo  sui  medici,  come  il  telegrafo  sulla  posta. 

Lasciatemi  continuare,  Signori,  ancora  un  istante  colla 
distribuzione  della  ricchezza  della  intelligenza,  della  ric- 
chezza delle  opere  a  dimostrarne  l'influenza  sulle  classi  so- 
ciali, prima  di  parlarvi  di  eguaglianze  economiche  per  via  di 
denaro.  Perchè  uno  scuotimento  grande  è  avvenuto  pel  verti- 
ginoso incremento  della  proprietà  mobiliare.  Non  è  nel  mio 
pensiero  accusare  gli  economisti  di  avere  colle  loro  dottrine 
metafisiche  voluto  creare  dei  nuovi  ranghi  sociali,  per 
quanto  dalle  loro  cattedre  sembrino  ancora  di  parlare  alle 
classi  dirigenti.  Dirò  solo  che  giammai  nei  bei  tempi  ita- 
liani vennero  tra  noi  ristretti  o  confinati  i  ranghi  delle 
arti  usuali. 

Questa  classica  terra  dei  Comuni  si  mantenne  sempre 
cosi  franca  e  liberale  da  immedesimare  negli  statuti  co- 
munali quelli  delle  sue  corporazioni  artigiane,  e  fu  nobilis- 
simo vanto  della  republica  di  Firenze  lo  avere  accomunati 
nelle  arti  maggiori  i  giudici,  i  dottori,  i  medici  e  i  notai 
coi  grandi  fondachieri,  coi  fabbricatori,  coi  cambiatori. 
Dante  era  ascritto  all'  arte  degli  speziali,  Francesco  Fer- 
ruccio proveniva  dalla  bottega. 

Né  anche  1'  aristocrazia  del  denaro  era  presuntuosa  o 
parassita  ;  sòrta  dal  lavoro,  dalle  fattorie,  dai  ])anclii,  essa 
fondava  le  sue  stazioni  sui  littorali  adriatici  e  mediter- 
ranei, notissima  ai  finanzieri  d'  Olanda  e  d' Inghilterra. 

Tutte  le  classi  della  nazione,  per  divisi  che  fossimo, 
erano  guidate  da  un  sentimento  comune;  l'Italia.  Ma  poiché 


(1080)  [6] 

ho  preso  per  guida  il  concetto  morale  che  di  quel  senti- 
mento è  la  base,  e  poiché  la  nuova  teoria  cosmopolita 
tjnde  a  sftbi*ai*ne  le  feconde  energie,  lasciatemi  affermare 
con  Aleai-di  che 

Iddio  con  immortali 
caratteri  di  monti  e  di  marine 
ha  scolpite  le  patrie. 

0  perchè,  noi,  maestri  un  giorno  di  economia  alle 
genti,  fummo  tratti  da  casi,  da  tempi,  da  luoghi,  da  uomini 
non  nostri,  ad  essere  ingiusti  verso  gli  avi,  scordando  le 
gloriose  republiche  marinare,  le  campane  di  Piero  Capponi, 
i  Vespri  siciliani,  la  lega  di  Pontida,  i  costumi  virili  e 
cortesi  quando  malgrado  tante  divisioni  territoriali  assor- 
gevano le  patriotiche  esplosioni  della  italianità  ! 

e  nel  primo  spuntar  dell'  alba  austera 

di  queste  età  novelle 

dai  meandri  partia  de'  suoi  canali 

sovra  dromoni  di  natio  cipresso, 

e  sulla  tolda  delle  fusto  snelle 

Venezia  mattiniera 

quando  ancora  dormian  le  sue  rivali. 

0  Venezia  ! 
Le  tue  galee  sposate  al  mare  partivano  gonfie  de'  tuoi 
prodotti  per  1'  Oriente,  ferri  e  gioielli,  conterie  e  merletti, 
canapi  e  sete,  pannilani  e  damaschi,  a  riportarne  materie 
prime,  droghe  e  pelli,  avorii  e  madreperle,  onde  sorvivono 
ancora  le  tradizioni  tue  nei  mari  lontani.  Tu  non  eri  mer- 
cantessa d'  oppio,  né  costruttrice  d*  idoli  indiani,  ma  le  tue 
fondamenta,  le  tue  calli  ripetono  ancora  il  nome  dei  fon- 
daci greci,  turchi,  albanesi  e  scutarini.  Le  tue  corporazioni 
giurate,  governate  dai  giustizieri  vecchi  fin  dal  secolo  XII 
non  rassomigliavano  le  gilde  nebbiose  del  Nord,  né  le  fal- 
lite società  di  Francia.  Fu  sempre  un  popolo  allegro  e  con- 
tento il  tuo,  né  anche    subisti    F  effimero    soverchiare   dei 


[7]  (1081) 

Ciompi.  Il  mutuo  soccorso,  le  pensioni  alle  vedove,  le  arti 
collettive  non  t'  erano  ignote.  La  Univerdtà  dei  Mercanti 
faceva  annuale  riconoscimento  della  Chiesa  di  S.  Marco. 
Al  tempo  stesso  quanta  sapienza  e  semplicità  nelle  lettere 
de'  tuoi  ambasciatori,  nelle  tue  Ordinanze  !  con  equità  tu- 
telasti produttori  e  consumatori,  l'erario  e  le  esportazioni, 
decimando  gi'  inutili  intermediari  ;  e  fu  un  tuo  patrizio 
che  nella  mia  città  natale  introdusse  le  prime  riforme 
dell'  arte  della  lana,  onde  va  onorato  d'  un  busto  marmoreo 
sulla  facciata  del  Comune. 


Io  non  declamo,  o  Signori,  narro.  Narro  per  dire  che 
r  Italia  presente,  interrotta  che  fu  dalle  vicende  politiche, 
potè  trovarsi  in  questa  grand'epoca  storica  impreparata  sì, 
ma  non  sorpresa.  Il  pensiero  italiano  della  libertà  e  della 
eguaglianza  civile  che  i  nostri  oppressori  non  hanno  mai 
potuto  distruggere  perchè  è  un  pensiero  attaccato  alla  terra, 
non  si  è  mai  discontinuato.  Italiano,  parlo  ad  italiani  :  noi 
non  dobbiamo  nulla  al  1789.  Per  quanto  scissi  nei  terri- 
torii,  asserviti  politicamente,  divisi  da  dogane,  eravamo 
stretti  nel  pensiero  italiano  che  più  tardi  ci  dovea  valere 
r  esigilo,  la  prigione,  il  patibolo,  la  perdita  delle  private 
fortune  e  finalmente,  dopo  il  sangue  sui  campi,  la  libertà. 

Nuli'  avevamo  di  comune  cogli  enciclopedisti,  coi  fisio- 
crati, coi  privilegi,  colle  immoralità,  colle  rapacità,  e  le 
taglie,  e  le  imposte  che  segnalarono  1'  ultimo  secolo  dei 
decrepiti  Capeti  ;  nulla  colla  Compagnia  delle  Indie,  coi 
biglietti  di  Law,  coi  finanzieri  e  gli  appaltatori  di  Francia; 
nulla  col  loro  osservatore  prima  e  poi  condiscepolo  e  final- 
mente Messia,  Adamo  Smith.  Ben  altri,  prima  di  noi  ita- 
liani, possono  tributare  lode  e  riconoscenza  ai  fisiocrati, 
ormai  passati  alla  storia,  perchè  si  misero  alla  testa  della 
reazione  popolare  che  veniva  insorgendo  in  Francia  come 
la  vendetta  di  Dio.  La  società  in  Francia  era  1'  albero  di 
Montesquieu  tagliato  per  coglierne  i  frutti.    La  società   in 


(1082)  [8] 

Italia  non  era  più  cosi  spensierata  come  ai  tempi  della 
Rinascenza  ;  era  un  albero  apparentemente  invernale,  ma 
clie  vegetava  vivissimo  sotto  terra,  allungava  radici. 

Ma  quando  lo  Smith  volle  mutare  la  missione  sua 
redentrice  degli  ostacoli  fiscali,  doganali,  amministrativi, 
territoriali,  monetarii,  di  un  passato  che  crollava  in  Fran- 
cia, coir  applicare  lo  stesso  principio  di  libertà  alle  rela- 
zioni commerciali  delle  nazioni  tra  loro,  considerandole 
cosi  come  i  fisiocrati  le  loro  provincie  di  Francia,  nessun 
vantaggio  provenne  alla  libertà  dei  popoli  e  danno  gravis- 
simo alla  economia  dei  deboli  soprafatti  dai  forti.  Noi  ita- 
liani poi  non  sentivamo  affatto  il  bisogno  di  un  nuovo  Verbo 
economico  che  si  acclama  distributore  della  ricchezza  senza 
avvertire  i  pericoli  della  coacervazione,  che  scambia  la 
trasmigrazione  per  incremento,  che  non  tien  conto  degli 
immensi  debiti  legati  alle  generazioni  venture,  che  si  spac- 
cia accumulatore  di  tutte  le  scienze,  e  che  accusato  per 
ultimo  di  essere  la  scuola  del  iientre  risponde  coli'  atteg- 
giarsi a  moralista. 


Prima  del  1789  noi  eravamo  ancora  18  Dominii,  dei 
quali  14  costituivano  altrettanti  statarelli  a  dogane  interne, 
più  un  cumulo  di  feudi  imperiali.  Tra  noi  non  nacquero 
né  i  Cromwell  né  i  Cobden  ;  uomini  nostri  sono  i  Volta, 
i  Galvani,  e  tutti  quei  legionarii  che  dinanzi  ai  miei 
dotti  colleghi  non  ho  d'  uopo  di  nominare,  degni  suc- 
cessori dei  Galileo,  dei  Da  Vinci,  dei  Cellini,  dei  Torricelli. 
Né  anche  passerò  in  rivista  la  pleiade  di  que'  valorosi  che 
preludiarono  alle  riforme  economiche  in  Fi'ancia,  e  lo  fe- 
cero con  quella  genialità  italiana  di  tranquilla  osservazione 
e  di  acuta  sintesi  che  distinsero  Bandini,  Verri,  Beccaria, 
Genovesi,  Filangeri,  Romagnosi  —  da  riportarsi  a  quei 
tempi  per  giudicare  1'  altezza  a  cui  se})pe  giungere  senza 
altri  maestri  la  publica  economia  italiana. 

Gli    oltremontani  e  i    loro    postumi    volgarizzatori    in 


[0]  (1083) 

Italia  si  affaticarono  a  dimostrare  le  attinenze  della  econo- 
mia politica  colla  morale.  Il  loro  patriarca  Adamo  Smitli, 
che  nella  Teoria  dei  senti  menti  morali  aveva  indicato  esi- 
stere nella  simpatia  il  mobile  delle  azioni  umane,  cascò  poi 
nella  Ricchezza  delle  nazioni,  pochi  anni  dopo,  a  ritrarlo 
dall'  egoismo.  Ma  fino  dai  tempi  d'  oro  della  economia  po- 
Donoso  Cortes  dall'  alto  della  tribuna  denunciava  1'  eco- 
nomia politica  nientemeno  che  una  scuola  di  immoralità. 

E  Pellegrino  Rossi  martellando  vivamente  la  scuola 
inglese,  la  chiama  una  vera  algebra,  peggio  ancora  :  «  elle 
»  conduit  à  parler  de  1'  homme  en  general  comme  on 
»  se  permettrait  de  parler  de  1'  esclave  du  monde  ancien, 
»  de  l'homme  (|u'on  avait  fait  animai  et  chose,  de  l'homme 
»  exploitè  par  1'  homme.  » 

E  Sismondi  che  chiama  la  scuola  smithiana  :  Science 
sinistre,  cosi  procede  :  «  la  richesse  est-elle  donc  tout,  et 
»  r  homme  n'  est-il  donc  absolument  rien  ?  aux  yeux  de 
»  l'economie  politique  moderne,  il  n'est-rien,  et  ne  peut  ètre 
»  que  rien,  puisqu'elle  ne  tient  pas  compte  des  qualitès  par 
»  les  quelles  il  se  distingue  de  la  brute,  et  qu'ell'est  araenée 
»  conséquemment  à  le  regarder  simplement  comme  un  in- 
»  strument  à  employer  par  le  capital,  à  fin  de  permettre 
»  au  possesseur  de  ce  capital  d'  obtenir  une  compensation 
»  pour  l'usage  qu'il  en  fait.  Plusieurs  économistes  s'expri- 
»  ment  en  des  termes  qui  feraient  croire  que  les  hommes 
»  ont  ètò  faits  pour  les  produits,  et  non  les  produits  pour 
»  les  hommes.  » 


Queste  voci  profetiche  non  le  conosceva  il  popolo, 
perchè  sullo  scorcio  dell'  epoca  che  descrivo  pareva  che 
tutti  gli  avvenimenti  favorissero  la  Scuola.  Spuntavano  in 
Europa  gli  albori  delle  libertà  politiche,  già  conquistate 
neir  America  del  Nord,  e  poscia  le  lotte  e  le  vittorie  finali 
dei  popoli  redenti.  0  chi  pensava  allora  economia  e  finanze 
se  perfino  le  ofiicine    facevan    festa,    e,    sciolte  le   carceri 


(1084)  [10] 

politiche,  parevano  senza  ospiti  le  carceri  criminali  !  Gli 
economisti  fondavano  una  dopo  1'  altra  le  cattedre  a  inse- 
gnar la  ricchezza,  e  via  via  le  associazioni,  le  reviste,  le 
conferenze  ;  scolari  e  uditori  accorrevano  a  intendere  la 
nuova  parola,  circonfusa  dei  più  attraenti  ideali. 


Non  è  a  dire  che  la  rivoluzione  francese  non  avesse 
esercitato  il  suo  influsso  anche  in  Italia.  Le  sue  catastrofi, 
i  suoi  insegnamenti  eran  venuti  allargando  con  aspirazioni 
nuove  il  pensiero  umano  in  tutto  lo  scibile,  onde  si  fece 
acuto  quanto  mai  il  pensiero  di  osservazione.  Il  pensiero 
economico  volle  avervi  la  parte  sua  :  nulla  di  più  legitti- 
mo, se  esso  si  fosse  limitato  allo  studio  dei  fenomeni  e  a 
suggerire  un  metodo  induttivo  onde  aff'rontare  il  nuovo 
assetto  politico-sociale  che  si  copiosi  frutti  prometteva.  Co- 
testa  virtù  che  gli  economisti  non  ebbero  fin  dal  loro  na- 
scere, meno  ancora  seppero  guadagnare  poi,  illusi  degli 
effìmeri  loro  trionfi  ;  onde  nacquero  le  divisioni  che  le  sof- 
ferenze e  le  passioni  economiche  dovevano  poi  moltiplicare 
e  perpetuare  in  modo  che  oggidì  tra  francesi,  italiani,  belgi 
ed  inglesi,  abbiamo  un  centinaio  di  manuali  diversi  dei 
principii  di  economia  politica. 

Da  noi  si  poteva  fare  tutt'al  più  una  questione  di  me- 
todi ;  da  noi  le  libertà  economiche  erano  cosa  vecchia,  per- 
sino mantenute  sotto  i  Lorenesi  ;  né  il  Verri  né  il  Filan- 
geri  intesero  di  sacrificare  alla  scuola  smithiana,  e  ral)ate 
Genovesi,  degno  precursore  dei  Romaghosi  e  dei  Rosmini, 
avev'  affermato  che  «  prima  d'ogni  altra  riforma  economica 
volevasi  la  riforma  morale.  » 

Fu  alla  metà  del  secolo  presente,  quando  gli  uomini 
erano  tutti  ÌKioni,  che  sorse  anche  in  Italia  una  })leiade 
ingenua  di  economisti,  in  attesa  clie  una  pleiade  di  altre 
libertà  dovesse  seguire  la  libertà  economica. 

Quei  santi  entusiasmi  d'allora  cadevano  come  rugiada 
sul  trifoglio  degli  econom  isti.  Dicrisma  in  crisma,  l'economia 


[11]  (1085) 

politica  fatta  presuntuosa,  si  offre  come  una  vera  scienza 
di  governo  ;  con  Bastiat  assume  il  primato  sovra  ogni  altra 
scienza  civile,  e  in  atto  di  passare  lo  spianatoio  su  tutte 
le  classi  sociali  ;  con  Minghetti  diventa  una  cosa  sola  colla 
morale  e  col  diritto,  assisa  tra  1'  interesse  e  la  virtù,  tra 
libertà  e  rivoluzione,  scienza  ed  arte  insieme,  scienza  psi- 
cologica, esatta  al  pari  della  chimica,  colla  quale  è  nata 
sorella.  Laonde  i  nuovi  veri  parvero  cosi  inoppugnabili, 
cosi  universali,  che  un  economista  italiano  ne  tradusse  le 
tesi  in  formole  algebriche  —  un  economista  belga  trattò  la 
religione  come  altro  dei  capitoli  della  economia  politica,  e 
i  francesi,  che  traggono  1'  economia  politica,  s' intende,  dalla 
loro  rivoluzione,  lasciandone  nell'ombra  le  violenze  e  la 
intolleranzi,  la  proclamano  scienza  universale,  scienza 
cosmopolita. 


Giunto  a  questo  passo,  io  che  mi  lascio  guidare  costan- 
temente dal  concetto  morale  che  è  indissolubile  col  concetto 
economico,  entrambi  fusi  nel  sentimento  della  patria,  dove 
con  armonica  consonanza  di  natura,  di  uomini  e  di  cose, 
che  sono  per  sé  infinitamente  variabili,  si  svolsero  in  pas- 
sato, come  narrai,  e  si  devono  venire  oggi  moltiplicando 
con  rapidità  vertiginosa  il  progresso  materiale  e  la  ric- 
chezza :  io  mi  domando  qual  fosse  il  Deus  ex  machina  di 
cotanta  fosforescenza  di  principii  che  dovea  durare  per 
una  0  due  generazioni  ?  Q,ui  e'  incontriamo  in  quella  gran 
promotrice  incruenta  delle  libertà  economiche  in  casa  altrui 
che  è  r  Inghilteri-a. 

L'  Italia  ricorda  con  riconoscenza  un  famoso  detto  di 
Gladstone  sulla  Corte  di  Napoli,  che  ci  valse  a  quell'  e- 
poca  cento  battaglioni.  Adesso  che  le  menti  son  fredde,  e 
non  minore  di  allora  è  l'amicizia  inglese,  è  bene  ricordare 
i  primordii  industriali  dell'Inghilterra,  dall'atto  di  naviga- 
zione di  Cromwell  fino  a  quando  lord  Chatam  negava  alle 
colonie  brittanniche  d'  America  il  diritto  di  fabbricare  un 


(1080)  [12] 

ferro  da  cavallo.  Era  quello,  né  più  né  meno,  il  sistema 
mercantile  di  allora  come  sono  sistemi  mercantili  odierni 
r  inglese,  il  tedesco,  il  francese,  il  russo.  Chi  adesso  raf- 
fronta la  politica  commerciale  inglese  per  rimproverare  i 
fautori  della  bilancia  commerciale  praticata,  non  appalesa 
soltanto  un  concetto  unilaterale  e  falso  della  economia  dei 
popoli  e  degli  Stati  ;  ma  oltrecchè  cattivo  economista,  per 
r  Italia,  è  anche  cattivo  italiano. 

A  quei  tempi  non  si  era  sul  continente  uomini  di 
Stato  se  non  si  citava  ad  esempio  T  Inghilterra  in  tutti  i 
Parlamenti,  nelle  scuole,  in  ogni  giornale  di  provincia. 
Quello  poi  degli  economisti  pareva  un  vero  orfeonismo.  Le 
libertà  inglesi  !  ecco  la  bandiera.  Adamo  Smith  !  ecco  il 
patriarca.  Roberto  Peel,  Ricardo  Cobden,  Brigth  !  ecco  i 
profeti. 


Se  gli  economisti  italiani  avessero  spesa  la  loro  pro- 
paganda, in  quei  tempi  cosi  duttili  e  di  buona  fede,  col- 
r  insegnare  la  legge  morale  prima  fonte  di  progresso,  cioè 
la  educazione  dell'  individuo,  quanto  più  forte  e  più  ricca 
nazione  sarebbe  oggidì  la  nostra  !  Io  ammiro  gì'  inglesi  per 
la  durata  delle  loro  istituzioni  politiche  dovuta  al  carat- 
tere degl'  individui,  col  quale  attraverso  le  loro  più  viziose 
e  strane  istituzioni  civili  seppero  trarre  una  cosi  grande  pro- 
sperità nazionale  che  oggi  ancora  che  vivono  dell'adipe  del 
passato  non  mostra  che  rarissime  crepature.  Nella  loro  edu- 
cazione individuale  dimora  il  secreto  della  loro  potenza;  ne 
cito  la  sincerità  inflessibile,  l'orrore  della  menzogna,  la  per- 
severanza indomabile,  la  prontezza  a  rifarsi,  la  vita  di  fa- 
miglia esemplare.  Cosmopoliti  in  quanto  ab])isognano  del 
dominio  sui  mari,  entro  del  loro  regno  sentono  la  i)iù  aperta 
ripugnanza  ad  ogni  assimilazione  di  razza,  di  carattere,  di 
usi,  di  moneta,  di  misura,  di  peso.  Libertà  di  mode  oltre 
la  Manica,  ma  a  Londra  la  primrose  league,  capitanata  dal 
capo  del  Governo.  In  nessuna  nazione  più  letta  la  Bibbia, 


[18]  (1087) 

nessuna  più  della  inglese  osservante  la  Domenica,  e  lo  Stato 
nelle  grandi  occasioni  invoca  Dio. 

Ponete  di  fronte  a  queste  forti  virtù  individuali  il  più 
schietto  diritto  feudale  di  primogenitura  e  il  feudo  che 
traspira  nelle  loro  istituzioni  civili  cosi  che  il  nobile  nelle 
Università  ha  classe  separata  e  distinta,  e  il  diritto  varia 
da  contèa  a  contèa,  da  borgo  a  borgo,  da  parocchia  a  pa- 
rocchia.  Ponete  il  mercato  dei  voti  palese,  quasi  ufficiale  ; 
l'acquisto  dei  gradi  militari  legale  ;  legale  fin  dal  1001  la 
carità  che  mantiene  il  22  per  mille  della  popolazione  del 
Regno  Unito,  e  insieme  alla  tassa  pei  poveri  le  case  a  lavoro 
coatto  ;  trattati  alla  pari  dei  commerciali  i  debiti  civili,  colla 
carcere  a  chi  non  paga,  col  Comune  responsabile  pei  citta- 
dini alla  riscossione  della  imposta  pubblica.  Non  la  sicurezza 
dell'uomo,  ma  la  sicurtà,  come  per  grandine,  può  acquistarsi 
sulle  ferrovie  e  sulle  navi  mediante  polizza,  mentre  son 
protette  le  vite  degli  animali.  Nessuna  legge  contro  le  so- 
fisticazioni alimentari,  né  contro  le  marche  di  fabbrica 
false  ;  l'ubbriachezza  spinta  al  più  alto  grado  a  canto  delle 
fiorenti  società  di  temperanza. 

Ebbene,  nelle  lezioni  che  parecchi  economisti  inflig- 
gono alla  gioventù  italiana  nulla  si  trova  che  corrisponda 
alle  due  faccie  del  tipo  inglese  che  ho  descritte.  Dai  mo- 
ralisti nemmeno  il  riposo  domenicale,  nessun  commento 
suir  influenza  morale  della  Bibbia  a  temperare  gli  eff"etti 
delle  leggi.  Scopo  d'ogni  insegnamento  la  politica  commer- 
ciale inglese  :  hoìnines  unius  libri  —  e  non  compresa,  o 
non  sincera,  in  ogni  modo  frammentaria,  e  per  comodo,  la 
legislazione  civile  inglese. 


(1088)  [H] 


Signori  / 

Se  ho  dovuto  fin  (|ui  (liffotiderini  alquanto  a  tratteg- 
giarvi fin  dalle  origini  il  periodo  di  preparazione  della  eco- 
nomia politica  che  il  Carlyle  disse  essere  stata,  dopo  la 
metafisica,  la  scienza  che  più  si  burlò  degli  uomini,  ve  ne 
compenserò  colla  brevità  del  periodo  d'esperimento  fino  al 
1879  e  di  quello  d'espiazione  poi,  lasciandomi  bastare  per 
essi  la   narrazione  dei  Mti. 

I  manchesterriani  non  erano  così  sentimentali  da  con- 
tentarsi della  scolastica  ;  la  missione  di  Cobden  in  Italia 
nel  1846  non  era  quella  del  dilettante.  Venuto  il  momento, 
videro  i  manchesterriani  qual  partito  potevano  trarre  dagli 
interessi  dinastici  di  Napoleone  III,  all'apogèo  della  sua  in- 
fluenza in  Europa.  Il  trattato  del  1860,  secondo  essi,  non 
era  ancora  la  libertà  ma  un'avviamento.  E  tuttavia  parrà 
singolare  ai  posteri  che  ai  tempi  nostri  per  le  libertà  po- 
litiche si  acclamassero  i  plebisciti  e  per  le  libertà  econo- 
miche prevalessero  i  protocolli  secreti  di  4  o  5  persone  ;  e 
che  un  simile  omaggio  alla  cancelleria  in  onore  della  li- 
bertà continui  anche  al  giorno  d'oggi. 

In  breve  quel  trattato  commerciale  che  servi  di  tipo  a 
tutti  i  contemporanei,  aperse  la  porta  al  periodo  piratico, 
che  doveva  chiudersi  colla  conc("rrenz'  agricola  d'oltre  ma- 
re, comparsa  in  Europa  verso  1879. 

Sarebbe  esilarante  riportare  oggidì  le  profezie  e  le 
minaccie  che  i  cobdenisti  e  gli  economisti  napoleonici  lan- 
ciavano agli  americani  del  Nord  che  dopo  la  guerra  di  se- 
cessione avevano  bandita  da  tutte  le  scuole  della  Grande 
Unione  la  economia  politica  europea,  facendone  unico  testo 
il  Carey. 

Tra  questi  dibattiti  non  continuavano  meno  il  loro 
trionfale  incesso  nel  mondo  economico  le  applicazioni  delle 


[15]  (1089) 

scienze  positive,  nei  sottosuoli,  noi  soprasuoli,  nelle  officine, 
nelle  ferrovie,  nelle  navi,  nella  stessa  agricoltura.  Il  pro- 
gresso fu  straordinario  fin  da  quei  20  anni,  e  fu  seguito 
dall'aumento  della  generazione  umana  a  cui  in  gran  parte 
tanto  aumento  di  ricchezza  ha  servito.  Il  resto  non  ha  cor- 
corrisposto  ai  dommi  scolastici  della  distribuzione  :  o  venne 
coacervato  o  trasmigrò  da  un  popolo  all'altro,  o  parve  co- 
perto entro  que'  117  miliardi  a  cui  somma  oggidì  il  de- 
bito pubblico  europeo  senza  che  le  famose  teorie  della  eco- 
nomia politica  sulla  imposta  abbiano  saputo  escogitare  nulla 
di  meglio. 

I  massimi  frutti  li  raccolsero  gli  Stati  Uniti  d'America 
e  il  Regno  Unito  della  Gran  Brettagna,  due  nazioni  rette 
a  sistemi  mercantili  diametralmente  opposti,  quasi  a  gab- 
barsi della  economia  politica.  Per  1'  Inghilterra,  ricchezza 
immigrata,  dovuta  ai  suoi  fusi,  alle  sue  navi,  ai  suoi  car- 
boni, alla  sua  diplomazia;  pegli  Stati  Uniti:  ricchezza  pro- 
dotta, distribuita  equamente  per  tutti  gli  strati  sociali,  e  tale 
da  sanar  quasi  per  intiero  colle  dogane  50  miliardi  di  lire 
di  debito  pubblico  ed  avvantaggiarsi  di  3  V-2  miliardi  annui 
di  esportazione. 

La  Francia  che  magnificava  4  anni  or  sono  il  cente- 
nario del  1789,  da  531  milioni  eh'  era  allora  il  bilancio 
dello  Stato,  sta  ora  per  raggiungere  4  miliardi  ;  il  suo  de- 
bito pubblico  sta  intorno  30  miliardi.  Ebbene,  o  Signori, 
lo  credereste  ?  Vi  hanno  tuttora  in  Francia  dei  ciechi-nati 
che  nel  Jornmal  cles  Economistes  del  passato  Agosto  ma- 
gnificavano i  grandi  servizi  resi  alla  umanità  da  A.  Smith, 
il  quale  (cito  il  testo)  va  annoverato  superiore  a  Copernico, 
a  Galileo,  a  Lavoisier,  ad  Ampère  —  che  alla  lor  volta 
sono  più  alti  di  Dante,  di  Michelangelo,  di  Pitt  !  devo  dire 
però  che  1'  articolo  arieggiava  una  necrologia  della  eco- 
nomia politica  e  si  sa  che  ai  morti  non  si  misura  la  lode. 

E  nell'ordine  politico,  quali  gli  effetti  del  secondo  pe- 
riodo ?  guerra  a  morte  tra  i  principali  alleati  in  economia 
politica,  disinteressata  l'Inghilterra;  un  trattato  di  pace  le 


(1090)  [16] 

cui  condizioni  economiche  si  dettano  dal  vincitore  come  la 
pena  di  tallione;  12  milioni  d'uomini  armati  in  presenza  gli 
uni  degli  altri,  divenuti  una  istituzione  continentale  euro- 
pea e  mantenuti  in  buona  parte  dalle  dogane.  Tornano 
davvero  inutili  i  commenti. 

Ed  eccoci  già  al  periodo  3°  della  espiazione  dopo  il  1879, 
quando  14  Stati  continentali  un  dopo  l'altro  rimaneggiano 
in  aumento  le  loro  tariffe  doganali  e  la  economia  politica  è 
ridotta  a  menar  vanto  dei  magri  trattati  dell'Europa  Cen- 
trale, mentre  la  terra  degli  enciclopedisti,  dei  fisiocrati, 
la  ispiratrice  di  A.  Smith,  diventa  la  testa  di  linea  della 
più  perfetta  autonomia  economica.  Essa  discute,  voce  per 
voce,  non  più  sovra  un  tavolo  verde  di  quattro  gallonati, 
ma  in  pieno  Parlamento,  due  tariffe  di  dazi  imperative,  una 
massima,  una  minima,  e  trova  nientemeno  che  25  nazioni 
pronte  a  convenire  sulla  base  di  questa  gli  scambii,  onde 
la  produzione  francese,  agricola  e  manifatturiera,  si  avvan- 
taggia nei  primi  4  mesi  del  1893  di  440  milioni  sul  1892,  pur 
aumentando  di  30  milioni  la  sua  esportazione.  Quale  reazio- 
ne !  Dall'anno  1776  di  Turgot  al  1846  erano  corsi  70  anni 
per  giungere  a  Roberto  Peel,  le  cui  leggi  sui  grani  figuravano 
la  data  storica  dei  trionfi  della  economia  politica.  Bastarono 
la  metà  d'anni  a  demolirle  sul  continente.  Durano  in  In- 
ghilterra, dove  la  proprietà  agricola  è  deprezzata  della  metà 
e  non  è  gravata  se  non  di  1  milione  di  sterlini  d' imposta, 
mentre  ne  fruttano  quasi  50  le  dogane  e  le  accise.  Durano, 
perchè  vi  fanno  le  veci  dei  salari,  poi  che  su  27  milioni  di 
quarters  di  grano  consumati,  ben  diciotto  si  devono  trarre 
dall'estero. 

Chi  avesse  osato  a  quel  tempo  toccare  le  vesti  degli 
Auguri  veniva  accusato  di  voler  sostituire  i  droUs  de  Vhom- 
me  coi  droits  des  blès,  e  fino  al  1879  le  vere  armi  della 
Scuola  si  affilarono  per  creare  e  fomentare  il  dissidio  in- 
testino tra  l'agricoltura  e  l' industria  ponendo  in  un  fascio 
l'avarizia  e  la  ricchezza  della  terra  e  del  cielo,  la   ripar- 


[17]  (1091) 

tizione  del  genio  e  del  talento  degli  uomini    «   perchè   un 
nasce  Solone  ed  altro  Serse  ». 

Oggi  chi  propugnasse  la  libertà  del  grano  come  vit- 
toria sulle  carestie  dovrebbe  metterla  in  versi  come  la 
guerra  di  Troia.  La  terra  inglese  del  1842  era  bionda  ; 
ora  è  tornata  verde  come  al  tempo  dei  Normanni.  Dopo 
che  i  fieri  isidani  si  sono  messi  alla  balia  dei  fusi,  delle 
miniere  e  delle  navi,  si  misero  anche  in  balia  dei  grani 
stranieri  e  di  tale  squilibrio  hanno  già  cominciato  a  subire 
le  vicissitudini  economiche  e  morali. 

Chi  propugnasse  la  teoria  dei  consumatori,  argomento 
achillèo  degli  economisti,  dovrà  indicare  quali  cittadini  sieno 
disposti  ad  aggregarsi  ai  soldati,  ai  preti,  ai  domestici,  agli 
uscieri  :  classi  che  lo  stesso  Smith  chiama  subordinate,  non 
escludendoue  i  magistrati.  Non  rimane  ai  disfatti  altro  ri- 
fugio che  il  paradosso  :  essere  interesse  privato  quello  del- 
l' agricoltore,  interesse  pubblico  quello  degli  agricoltori. 
Tuttavia  non  ponno  darsi  pace  del  connubio  di  questi  coi 
manifatturieri.  Ancora  nel  p.  p.  Settembre  lo  Hervè  chia- 
mava gli  agricoltori  i  pelicani  dell'  industria  o  meglio  i 
manifatturieri  i  vampiri  dell'agricoltura  ! 

Prima  fonte  di  ricchezza  è  la  terra  !  aveano  procla- 
mato i  fisiocrati,  —  prima  fonte  di  ricchezza  è  il  lavoro  ! 
avea  proclamato  lo  Smith. 

Ora  la  terra  partecipa  anch'essa  della  grande  inquie- 
tudine del  tempo. 

Non  è  più  in  piedi  nessuna  legge  che  salvi  il  pro- 
prietario ozioso  od  assente.  Ci  passeranno  anche  le  mani- 
morte  dei  Crediti  Fondiari  che  si  fanno  in  Europa  pun- 
telli dei  latifondi.  In  America  del  Nord  i  latifondi  del  Fco"- 
loest  sono  o  la  proprietà  delle  scuole  o  la  dotazione  delle 
chiese  :  in  quelle  il  popolo  attinge  il  sapere,  in  queste  la 
morale.  1  latifondi  delle  Pampas  al  Sud  sono  abitati  da  mi- 
lioni di  greggie  e  di  mandrie  ;  perfino  nell'Africa  misteriosa 
tirano  i  venti  antelucani  della  civiltà. 

T.  IV,  S.   VII  li 


(1092)  [18] 

Ben  prima  che  si  bandisse  la  scienza  della  ricchezza, 
il  Vangelo  aveva  indicato  il  lavoro  come  primo  fattore  della 
società,  e  quando  questa  si  trova  in  angustie,  il  lavoro  ri- 
mane ancora  la  prima  salvaguardia  del  concetto  morale. 
Se  non  che  gli  economisti  vollero  essi,  pur  proclamandolo 
libero,  stabilire  del  lavoro  i  modi,  la  natura,  i  confini;  se 
non  che  la  fisica,  la  chimica,  colle  immortali  loro  applica- 
zioni incendiarono  quelle  barriere  di  legno  provando  che 
le  leggi  del  lavoro  non  erano  il  patrimonio  né  di  determi- 
nati popoli,  né  di  determinate  zone  così  come  si  direbbe 
del  sole  pegli  aranci. 

Non  importa  ;  la  scuola  volle  passare  la  sua  linea  li- 
vellatrice tanto  sovra  i  popoli  vecchi  come  sovra  i  popoli 
rinnovati,  imponendo  a  questi  ed  ai  deboli  tre  cammini 
egualmente  impervii  : 

0  mantenetevi  allo  stato  noetico,  lo  stato  di  natura. 

0  nascete  adulti  al  sole  della  libertà. 

0  entrate  nudi  nella  mischia  della  concorrenza  mon- 
diale. 

E  il  carro  indiano  dei  liberisti  passò  sui  petti  delle 
nazioni  giovani  teorizzandole  col  deridere  la  bilancia  del 
commercio,  consumandone  i  tenui  risparmi,  ingrossandone 
i  debiti  pubblici,  portandone  via  la  moneta,  a  coacervare 
i  tesori  dei  popoli  agguerriti  alla  lotta,  e  dei  Cresi  della 
finanza. 

Si  era  detto  che  ogni  vincolo  scema  la  produzione,  e 
si  dovette  subirne  gli  eccessi,  e  cogli  eccessi  le  crisi,  e  colle 
crisi  dannato  quel  lavoro  che  si  voleva  libero.  La  concor- 
renza tenendo  in  sua  balìa  il  capitale,  questo  dovea  riva- 
lersi sul  salario  ;  e  alla  sua  volta  il  salario  sul  consumo  : 
tutti  insieme  ai  danni  dello  Stato. 

Anche  in  Italia,  maestra  un  dì  di  tutte  le  industrie,  vi 
hanno  economisti  che  ammoniscono  contro  le  industrie  arti- 
ficiali. Oh  !  noi  le  conosciamo  le  industrie  reali  prodotte 
dalle  libeità  economiche  :  pane  che  non  è  di  grano,  vino 
che  non  è  di  uva,  caff"è  prodotto    cogli    stampi,    cioccolate 


|19]  (1093) 

prodotto  d'  ogni  pasta,  olio  d'  ogni  torchio,  the  minerale, 
latte  minerale,  burro  di  gras.sina,  conserve  attossicanti,  tela 
di  kaolino,  lanerie  di  stracci,  in  nome  della  libera  concor- 
renza. Mai  si  era  visto  cosa  simile  sotto  la  tirannia  arti- 
giana, cosi  detta,  delle  corporazioni,  i  cui  statuti  opponevano 
alle  sofisticazioni  le  pene  più  severe,  anche  del  capo. 

Coi  dommi  liberisti  non  si  è  lasciato  respiro  alla  tras- 
formazione delle  piccole  industrie,  ed  ora  voglionsi  far  ap- 
parire le  grandi  come  un  pericolo  sociale,  onde  legittimare 
la  politica  dei  freni,  e  son  poi  essi,  i  banditori  delle  ma- 
giche teorie  della  libertà  che  dei  freni  si  faranno  ante- 
signani. 

E  dove  s' ispirano  ?  ancora  in  Inghilterra,  onde  distrug- 
gere quanto  è  rimasto  in  piedi  del  patronato  antico  sul 
continente  ;  poiché  il  patronato  inglese  non  va  oltre  l'abi- 
tazione e  l'alimento,  tal  quale  il  patronato  degli  animali. 

Dissi  i  frutti  delle  vantate  libertà  economiche  nei  pro- 
dotti ;  vediamoli  negli  operai  :  l'americano  a  salario  proprio 
—  r  inglese  a  salario  estero  —  derisorio,  come  lo  dicono  i 
Jankées  —  il  continentale  a  salario  precario  —  lo  asiatico 
a  salario  vegetale  :  tutti  costoro  figli  di  Dio,  usciti  dall'an- 
gelica farfalla,  posti  un  contro  l'altro  :  ho7no  homini  lupus. 

Cosi  vennero  i  fatti  a  dimostrare  1'  antinomia  tra  li- 
bertà politica  e  libertà  economica.  Il  diritto  e  la  morale 
posti  a  base  della  scienza  delle  finanze,  come  gli  economisti 
bandivano,  non  portarono  l'equità  dei  tributi,  non  ribassa- 
rono il  costo  della  vita.  Malessere  economico  degenerar 
doveva  in  malessere  morale  a  far  chiaro  che  la  stessa  li- 
bertà politica  non  prospera  se  non  è  riscaldata  dal  sole 
della  legge  morale. 

Questa  legge  morale  io  volli  che  vi  traspirasse,  o  Si- 
gnori, dal  linguaggio  dei  fatti  che  sbugiardano  le  allegre 
teorie  della  ricchezza  pel  loro  malo  influsso  sul  costume 
odierno,  poiché  la  storia  di  jeri  non  è  che  il  preludio  di  un 


(1094)  [20] 

altra  che  comincia,  e  che  noi,  italiani,  possiamo  incontrare 
da  più  spirabil'aere.  Nell'agricoltura  serbiamo  tuttora  una 
gran  forza  di  resistenza  nel  po})olo  agricolo  che  crede  in 
Dio.  Non  conosciamo  noi  il  feudalismo  industriale  di  Man- 
chester ;  difettiamo  di  bacini  carboniferi,  ma  difettiamo  al- 
tresì di  bacini  sociali  ;  noi  non  abbiamo  nelle  fortune  mo- 
biliari le  grandi  colpe  che  temono  le  grandi  espiazioni. 


Ciò  non  toglie  che  io  non  segua  gli  economisti  nelle 
varie  manifestazioni  della  vita  sociale.  Dottrinari  come  si 
fecero  tra  produttori  e  consumatori,  non  seppero  indicare 
le  leggi  che  frenassero  i  parassiti  degli  uni  e  degli  altri, 
poi  che  vennero  capovolti  gì'  intermediari  nel  commercio 
maggiore  colle  ferrovie  e  colle  navi  e  gì'  intermediari  nel 
commercio  minore  colla  scomparsa  delle  responsal)ilità  in- 
dividuali, anteponendosi  la  cooperazione  alla  mutualità.  Indi 
si  è  visto  nascere  un  commercio  che  non  è  che  alea,  giuoco, 
perfino  sul  credito  degli  Stati,  e  sulla  fede  pubblica:  fallimenti 
falsi,  epidemie  false,  raccolti  falsi.  Che  cosa  erano  mai  i  mo- 
nopoli!, le  gabelle  delle  soppresse  corporazioni  di  fronte  ai 
sindacati  odierni  sul  cotone,  sui  metalli,  sul  caffè,  perfino 
sul  grano?  Con  regolamenti  restrittivi,  sì  e  con  giuramento, 
le  corporazioni  ammettevano  il  garzonato  ;  nei  sindacati 
attuali,  un  po'  di  coltura  delle  lingue  parlate  ed  essere  mi- 
lionari basta  ;  gli  affari  si  fanno  all'orecchio,  come  la  mu- 
sica, e  chi  non  è  compreso  nei  sindacati,  li  subisca.  Il  ca- 
pitale mobile  dei  sindacati,  vero  cosmopolita,  autore  dei 
panama,  viaggia  per  tutte  le  banche  e  borse  mondiali  ; 
non  lo  perseguita  il  fìsco,  non  lo  inquietano  gii  scioperi, 
arriva  ad  imporsi  al  capitale  fecondo  della  terra  e  della 
officina,  poiché  ben  lo  sappiamo  :  non  è  dalla  terra,  dalla 
officina,  dalla  progressiva  ricchezza  del  lavoro  ch'escono  i 
moderni  Cresi.  La  coacervazione  della  ricchezza  odierna 
alla  cui  distribuzione  intendeano  vegliare  gli  economisti,  io 
la  paragono  al  dosso  e  ai  seni  d'una  montagna  colla  neve 


[21]  (1095) 

in  tormenta,  dove  scoperta  a  nudo  lichene,  dove  a  cento 
metri  sepolta.  Capitale  audace,  temerario,  fonte  di  un  lusso 
irritante  e  insieme  sfacelo  di  piccole  fortune. 

In  questa  caccia  vertiginosa  al  denaro  che  allarga  le 
distanze  tra  ricchi  e  poveri,  per  la  quale  ogni  sentiero  di  tra- 
verso è  buono,  in  queste  fughe  di  cassieri,  ha  saputo,  ha 
potuto  l'economia  politica  additarci  un  catechismo  commer- 
ciale che  insegnasse  la  probità,  la  virtù,  l' onore?  0  non  piut- 
tosto le  sue  tendenze  materialistiche,  utilitarie,  deviarono  la 
gioventù?  Sono  lezioni  per  lo  più  d'un  tecnicismo  teorico 
agghiacciante,  dannate  al  diploma  sì,  ma  senza  corrispon- 
denza nella  vita  pratica  ;  che  comprimono  il  genio  nazio- 
nale con  dottrine  forestiere  che  gli  ripugnano,  o  con  tra- 
dizioni d'una  storia  occasionale,  che  più  non  si  rinnovano  ; 
lezioni  a  base  unilaterale,  cosi  mon^tone  da  eccitare  lo 
sbadiglio  quando  son  classiche,  e  la  diffidenza,  il  scetti- 
cismo, quando  si  dicono  sperimentali. 

Imparare  la  lotta  per  la  vita  sui  libri  !  Chi  si  prove- 
rebbe a  imparare  il  nuoto  sui  libri?  è  strano  come  dei 
nobili  ingegni  che  coprono  quelle  cattedre  non  si  avvedano 
del  pericolo  di  non  produrre,  nelle  superiori,  se  non  nuovi 
insegnanti  e  nelle  secondarie,  soli  impiegati  o  giornalisti. 
Tutte  riunite  non  saprebbero  produrre  un  presidente  degli 
Stati  Uniti.  —  Cleveland  fu  per  otto  anni  procaccino  di 
spezieria,  spazzando  la  quale,  dopo  i  rudimenti  elementari, 
gli  bastò  imparare  i  latino  e  il  calcolo  per  arrivare  due 
volte  al  primo  seggio  della  republica. 

Ora,  per  l'alto  onore  in  cui  si  tennero  fin  qui  dallo 
Stato  le  cattedre  di  economia  politica  ci  deriva  il  diritto  di 
chiedere  agli  insegnanti  le  seguenti  domande  : 

Scienza  che  vi  dite  di  governo,  quali  uomini  di  Stato 
forniste  all'Italia  ? 

Scienza  che  vi  dite  di  finanza,  qual  soccorso  recaste 
ai  nostri  disavvanzi  ? 

Scienza  che  vi  dite  d' imposte,  di  che  giovaste  al  si- 
stema tributario  ? 


(1096)  [22] 

Scienza  che  vi  dite  di  banco,  qual  voce  portaste  nel 
caos  bancario  ? 

Scienza  che  vi  dite  della  moneta,  quale  idea  suggeriste 
per  la  circolazione  ? 

Scienza  che  vi  dite  del  diritto,  sono  primi  a  sconfes- 
sarvi i  diseredati. 

Scienza  che  vi  dite  della  morale,  più  delle  vostre  cat- 
tedre ne  contiene  una  pagina  sola  del  vecchio  padre  Dante. 


Rimane  a  dire  della  emigrazione.  Rossi  e  Minghetti 
furono  quasi  sedotti  dalle  teorie  malthusiane  ;  più  cristiano 
e  più  vero  fu  Carey  che  ne  ha  capovolte  le  proporzioni 
numeriche,  e  un  secolo  intiero  diede  a  questi  ragione. 

Sorgono  fatti  provvidenziali  che  affrettano  il  compi- 
mento delle  profezie  bibliche  sulla  pienezza  dei  tempi  colla 
presente  trasmigrazione  dei  popoli  che  sfatano  le  profezie 
degli  economisti.  Le  loro  teorie,  come  riuscirono  alla  li- 
bertà del  commercio,  lo  udiste  o  Signori  ;  come  riuscirono 
alla  libertà  del  lavoro,  sto  per  narrarvelo. 

Già  nell'America  del  Nord  né  i  bianchi,  né  i  negri 
vollero  le  razze  gialle.  Colla  legge  3  marzo  1891  si  venne  a 
sospendere  l' immigrazione  europea  in  quanto  fosse  povera, 
perchè  ingaggiata  all'estero  a  troppo  basse  mercedi.  Poi  si 
è  pretestato  il  cholera  per  diflicultarla  tutta,  come  l'Europa 
avea  pretestata  la  trichnina  qer  respingere  le  carni  ame- 
ricane. Oggi  le  Trades  Unions  colla  proposta  del  Senatore 
Chandler  vorrebbero  portare  il  divieto  a  5  anni.  Le  Austra- 
lie alla  lor  volta  bandiscono  i  chinesi  ora,  e  i  chinesi  stu- 
diano già  le  rappresaglie. 

Che  più  ?  r  Inghilterra  stessa  si  allarma  della  im- 
migrazione degli  operai  continentali,  sfruttati  nelle  officine 
clandestine  da  imprenditori  collo  sioeaiing-syslem.  E  alla 
Camera  dei  Comuni  si  avvanzano  proposte  di  difesa,  come 
in  P'i'ancia.  I  capitani  marittimi  delle  navi  di  emigranti  si 
chiamano  responsabili  pegli  uomini  deboli  o  ignoranti.  Leggi 


[23]  (1097) 

obbligatorie  sugi'  infortunii  in  Germania  fanno  preferire  il 
lavoro  dei  celibi  a  quello  dei  padri  di  famiglia. 

Dinanzi  a  cotesta  imponente  evoluzione  della  umanità 
che  va  cercando  un  assetto  ai  suoi  finali  destini,  come  di- 
ventano ridicoli  i  dettami  della  costrizione  morale  alla  ge- 
nerazione, che  si  alternano  colle  immoralità  del  celibato  e 
l'aumento  dei  bastardi  —  e  in  uno  Stato  vicino  i  premi  alle 
famiglie  numerose  ! 

La  scienza  cosmopolita  ne  è  soprafatta  ;  ma  può  essa 
tuttora  chiamarsi  tale  una  scienza  che  non  apparisce  più  che 
una  meteora  sulla  zona  occidentale  d'  Europa,  a  correnti 
variabili,  come  il  Marte  visto  da  Schiaparelli  ?  Di  dottrina 
in  dottrina,  di  metodo  in  metodo,  tra  contraddizioni  senza 
numero  —  della  pretesa  distribuzione  della  ricchezza  non 
rimangono  in  piedi  che  gli  appettiti,  parsi,  tanto  più  age- 
voli a  soddisfare  più  che  in  passato  non  era,  dappoi  che 

Omne  capax  movet  urna  nomen 

Mai  si  era  veduto  tanto  antagonismo  sociale  nel  medio 
evo  ;  alla  povertà  è  successo  il  pauperismo  ;  alla  idolatria 
del  denaro  segue  dappresso  la  prodigalità.  Che  importa  se 
col  denaro  del  secolo  XIX  si  fecero  tante  opere  meravi- 
gliose quante  mai  non  ne  ricorda  la  storia  ?  il  socialista 
vi  passa  da  canto  alzando  le  spalle,  pure  protestando  che 
anch'egli  coltiva  l' ideale  della  umana  felicità. 

Quali  mai  dovrebbero  essere  dunque  le  barriere  so- 
ciali che  si  vorrebbero  opporre  a  questo  secolo  trionfatore 
d'ogni  ostacolo  materiale,  divenuto  beffardo  delle  sue  stesse 
dottrine  economiche  una  volta  che  si  trovano  destituite  da 
sani  fondamenti  morali  ?  forse  colla  repulsione  della  carità, 
onde  dedurne  il  diruto  al  lavoro,  il  diritto  al  soccorso,  il 
diritto  alla  pensione,  e  presto  il  diritto  al  bisogno  ?  onde 
la  miglior  classe  sociale  diventi  quella  di  essere  poveri,  o 
di  sembrar  poveri. 

A  questo  punto  gli  ortodossi  economisti,  commemoran- 


(1098)  [24] 

(lo  il  5  novembre  p.  p.  a  Parigi  il  loro  mezzo  centenario 
confessarono  che  l'economia  politica  traversa  una  crisi  che  ci 
conduce  al  ritorno  delle  servitù  sociali  ;  e  poiché  le  reclute 
al  sodalizio  venivano  mancando,  non  vedersi  altro  scampo 
se  non  perfezionare  i  volgarizzatori  del  Verbo  e  piantar 
nuove  cattedre  dapertutto  quasi  autant  de  laboratoirs  ac- 
canto la  chimica.  E  il  venerabile  loro  presidente  chiuse 
cosi  :  «  l'eclissi  non  è  che  momentanea,  estinto  il  sole  non 
è;  la  verità,  la  giustizia,  la  libertà,  riprenderanno  il  loro 
impero.  » 

A  questa  aspettazione  dal  Limbo  non  si  acconciano  gli 
economisti  dell'età  di  mezzo,  ma  piegano  a  mezzo  la  ban- 
diera delle  libertà  per  impegnare  la  lotta  contro  gì'  inter- 
venti dello  Stato.  Vuol  dire  che  da  radicali  nati  dalla  op- 
posizione, diventano  conservatori  rimpetto  alle  invasioni 
democratiche  dello  Stato.  Gli  ortodossi  hanno  seminato  il 
vento  :  essi  raccolgono  una  parte  della  tempesta  ;  e  poiché 
la  fatalità  delle  contraddizioni  in  economia  politica  dev'es- 
sere data  in  segnacolo,  si  trovano  d'accordo  con  Marx  che 
di  socialismo  di  Stato  non  ne  vuol  sapere. 

Sorgono  allora  i  giovani,  neo-economisti,  nuovi  efori  della 
economia  politica  i  quali  gettando  a  mare  una  parte  di  zavor- 
ra dei  loro  venerati  maestri,  scovano  dal  Minghetti  la  formola 
a  fondare  la  scuola  che  deve  poggiare  tra  la  libertà  e  la 
rivoluzione.  E  poiché  i  tempi  fiacchi  traggono  alla  onni- 
potenza dello  Stato  che  più  si  sviluppa  là  dove  la  vita  pri- 
vata vien  meno,  e  si  ammolliscono  i  caratteri,  questi  gio- 
vani si  chiamano  con  termine  nuovo  opportunisti.  Un  dei 
loro  che  fu  al  Governo  ed  è  mio  amico  afferma  che  la 
ingerenza  del  governo  trae  dalla  necessità  la  sua  legit- 
timità e  cavando  la  tunica  alle  famose  leggi  sociali,  riu- 
scite a  nulla,  le  rivestì  col  nomignolo  di  «  legislazione  in- 
dustriale »  dovuta  in  certa  guisa  alle  nuove  forme  del  la- 
voro, non  più  libero  ma  sotto  tutela,  come  se  si  avessero 
a  regolare  i  flutti  del  mare.  —  Come  !,  dicono,  lo  Stato  crea 
esso  a  spese  di  tutti  le  arti  liberali,  e  perchè  no  le  usuali  ? 


[25]  (1090) 

che  democrazia  è  cotesta  ?  e  gli  opportunisti  in  economia 
si  uniscono  come  gemelli  nati  ai  legalitari i  in  politica  : 
connubio  singolare. 

Se  non  che  ogni  combinazione  legislativa  di  questo  ge- 
nere, sia  di  principe,  sia  di  popolo,  rimarrebbe  soverchiata 
dalla  forza  reale  delle  cose,  come  in  finanza  rimase  sover- 
chiato nn  economista  rimasto  pili  anni  ministro. 

Vi  sono  uomini,  i  quali  vedendo  dispersi  i  loro  ideali 
economici  e  non  rimanersi  più  in  piedi  che  una  potenza, 
lo  Stato,  a  quello  si  aggrappano,  che  non  è  ne  manifattu- 
riero, né  agronomo,  e  può  solo  dispensar  privilegi  o  ri- 
trarre monopolii.  Peggio  poi  dove  il  sentimento  collettivo 
è  immaturo  e  l'educazione  men  soggetta  alla  legge  morale  ; 
ne  verrebbe  fuori  uno  Stato  disarticolato  dove  alla  gra- 
vezza dei  tributi  si  unirebbe  ancora  più  acuta,  più  insop- 
portabile, la  invasione  cancelleresca. 

Allora  i  legislatori  non  sarebbero  ispirati  dal  restauro 
del  concetto  morale  ma  da  un  senso  vicino  allo  sgomento, 
e  tratti  più  che  a  fidare  sulla  giustizia  sociale,  tratti  a 
cercare  il  plauso  popolare,  che  è  divenuto  oggidì  più  dif- 
fìcile e  più  fugace  che  in  passato  non  era.  Sarebbe  strano 
che  a  salvarcene  avesse  ad  essere  una  fortuna  la  povertà, 
perchè  uno  Stato  non  può  diventare  socialista  se  non  di- 
spone di  molti  denari. 

Vanno  intese  le  mie  parole  in  senso  puramente  ob- 
biettivo, e  generale.  Se  dovessimo  noi,  popolo  rinnovato, 
portare  lo  sguardo  al  di  là  dei  nostri  confini,  dovremmo 
dire  :  proximus  ardet  Eucalegon  !  tanto  la  società  è  irre- 
quieta, tanto  la  pubblica  economia  è  discussa.  Chi  saprebbe 
assicurare  se  nel  secolo  XX,  di  due  grandi  nazioni  conti- 
nentali, una  non  avrà  traversato  un  periodo  anarchico, 
l'altra  un  periodo  socialista  ;  e  la  grande  isolana  non  torni 
protezionista  ?  in  nessuna  delle  tre  nazioni  fanno  difetto  i 
segni  precursori. 


(1100)  [26] 


Signori  e  Signore 


Io  sto  per  finire  e  dopo  di  aver  spaziato  rapidamente 
nei  campi  della  economia  politica  rimango  ancora  colla 
lanterna  di  Diogene  in  mano  alla  ricerca  del  concetto 
morale. 

La  morale  dell'  individuo  da  sola  non  basta  in  questa 
epoca  di  trapasso  dove  tutto  si  fa  mobile  intorno  a  noi  ; 
non  basta  più  se  non  diventa  sociale,  col  modificarsi  dei 
costumi  che  ne  sono  la  pratica,  col  farsi  a  convivere  nella 
vita  politica,  coli' introdursi  negl'insegnamenti,  per  trarci 
più  in  alto,  e  condurci  a  quella  stabilità  morale  che  deriva 
da  una  credenza  positiva.  La  morale  sociale  non  poterono 
darla  gli  economisti,  non  potrà  darla  lo  Stato  ;  dovremo 
ricorrere  al  libro  dei  due  millennii  perchè  indissolubil- 
mente è  legata  alla  religione. 

Un  giorno  fu  che  per  parare  l'accusa  di  cosmopolitismo, 
gli  economisti  additavano  la  unità  del  cristianesimo  che 
doveva,  secondo  essi,  spogliare  il  sentimento  nazionale  dalle 
antiche  forme  egoistiche.  Ma  poi  quando  ammisero  i  dis- 
sidii  delle  sette  rivali  nella  lotta  della  vita  come  una  ga- 
ranzia della  libertà,  allora  per  essi  la  religione  unica  co- 
stituirebbe r  antinomia  della  concorrenza.  Quindi  tutti  i 
culti  e  anche  nessuno.  Convien  portarsi  in  America  del 
Nord,  tra  i  cittadini  di  Garey,  per  trovarvi  non  solo  la  os- 
servanza, ma  la  libertà  dei  culti  che  manca  in  Europa. 

Con  una  simile  disarticolazione  sociale,  qual  meraviglia 
se  l'attuale  cancelliere  dello  scacchiere  inglese  mesi  fa  af- 
fermava che  oggidì  siamo  tutti  socialisti  ?  A  me  è  corso 
allora  alla  mente  un  socialista  eminentemente  italiano  sugli 
albori  del  secolo  XIII,  il  quale  sapeva  che  al  pari  della 
sofferenza    individuale,  la    sofferenza  sociale    era  un   male 


[27]  (1101) 

inevitabile.  Francesco  di  Assisi  non  pensò  a  cercare  nella 
ricchezza  delle  nazioni  la  estinzione  della  miseria  ;  egli 
apri  una  scuola  della  povertà  per  lo  studio  delle  disugu- 
aglianze sociali  ;  e  ne  uscirono,  egli  poeta,  e  i  suoi  seguaci, 
non  solo  degli  uomini  felici,  ma  spesso  degli  eroi,  anche 
oggi  dopo  7  secoli.  È  possibile  che  la  ^nuova  scuola  del 
secolo  XIX  abbia  creato  dei  miliardarii  ;  mi  concederete 
però  che  non  ha  fatti  gli  uomini  allegri  ;  la  società  attuale 
è  triste. 

Nei  costumi  contemporanei  il  cuore  si  direbbe  assente, 
il  parere  conta  assai  più  dell'  essere  ;  voglionsi  ingentilire 
certe  colpe  perchè  non  appaiano  troppo  brutali  ;  passa  per 
civiltà  quanto  nei  tempi  andati  si  diceva  mollezza  di  ca- 
rattere ;  insomma  né  i  costumi  gentili,  né  la  sincerità  pos- 
sono essere  i  frutti  di  un  epoca,  il  cui  principale  obbiet- 
tivo è  il  denaro. 

Quanto  dissi  della  patria  nostra  mi  assolverà  dall'ac- 
cusa che  io  mi  faccia  denigratore  di  questo  secolo  mera- 
viglioso, io  pusillo  tra  voi,  onorandi  colleghi  dell'Istituto, 
che  sto  per  lasciare  tanto  più  grande,  tanto  più  bella  questa 
Italia  da  quando  vi  nacqui. 

Certo  non  abbondano  tra  noi  i  Valerio  Pul)licola,  gli 
Scipioni,  i  Catoni,  ma  non  conosciamo  ancora  gli  stampi 
dei  Crassi,  dei  Lepidi,  dei  Luculli. 

Non  abbiamo  municipii  socialisti,  non  tradimenti  di 
Stato,  non  dilapidazioni  fenomenali.  Non  era  ancora  spento 
l'eco  dell'  Italia  marinara  a  Genova  che  tutto  un  grido  na- 
zionale di  gioia  inneggiò  alle  nozze  d'argento  del  Re. 

Già  le  memorie  della  storia  ci  sarebbero  bastate  a  ren- 
derci scettici  contro  le  dottrine  forestiere,  repugnanti  al 
nostro  carattere  nazionale,  alla  mitezza  della  nostra  indole, 
alla  ristrettezza  dei  nostri  bisogni,  al  lato  buono  della  nostra 
stessa  spensieratezza,  al  nostro  genio  di  artisti.  E  poiché  por- 
tiamo tuttora  impresse  le  secolari  sventure  patite  prima  di 
conquistare  la  patria  libera  ed  una,  il  nostro  fondo  patriottico, 
se  non  ha  ancora   assimilate  le  bruniture    esteriori,    con- 


(1102)  [28] 

serva  sempre  un'anima  d'acciaio  per  saper    resistere    alle 
insidie  dej^di  economisti  cosmopoliti. 

Che  la  vei'ità  e  la  giustizia  riprenderanno  il  loro  im- 
pero nell'ordine  morale  e  quindi  nell'  ordine  intellettuale, 
nell'ordine  legale  :  questo  speriamo  tutti,  ma  non  per  le 
profezie  degli  economisti. 

Già  Cristo  nel  sermone  della  montagna  chiamò  se  stesso 
l'ultimo  dei  profeti  e  ci  lasciò  nel  Vangelo  l'ultima  delle 
sue  profezie,  la  più  completa  per  tutte  le  costituzioni,  per 
tutti  i  popoli,  per  tutti  i  tempi  — non  solo  —  ma  nell'ordine 
dei  secoli,  mai  smentito,  ci  legò  i  suoi  volgarizzatori.  Onde 
tutto  il  cristianesimo  potè  udire  l'anno  scorso  la  più  stu- 
penda esegesi  del  Vangelo  nel  tempo  presente  ;  quanto  di- 
versa da  quella  dei  volgarizzatori  di  Adamo  Smith  ! 

Dissi  il  cristianesimo,  perchè  anche  coloro  che  negas- 
sero il  Cristo  storico  dovranno  alla  fine  riconoscere  il  Cri- 
sto morale. 

Se  a  questo  mancassero  gli  uomini  dirigenti  dell'oggi, 
o  quelli  che  saranno  per  essere  domani  —  di  slancio,  di 
istinto,  ci  arriverebbe  il  popolo.  Il  popolo  può  ignorare  le 
leggi  della  distribuzione  della  ricchezza  ;  può  domandarsi 
se  questo  gran  patrimonio  del  secolo  XIX  non  sia  divenuto 
una  minaccia  per  esso  —  perchè  più  che  d'istruzione,  il  po- 
polo vive  di  fede,  ha  sete  di  fede. 

E  due  sole  sono  le  idee  che  possono  calmarlo  —  anzi 
suscitarne  i  grandi  entusiasmi  :  la  pairia,  che  tiene  le  sue 
fondamenta  nella  legge  morale:  la  religione  che  dalla  legge 
morale  trae  la  sua  origine  e  insieme  la  nutre  del  suo  spi- 
rito vivificatore. 


PROGRAMMI 

DEI      CONCORSI      SCIENTIFICI 

PROPOSTI 

DAL  R.  ISTITUTO  VENETO  E  DALLE  FONDAZIONI  QUERINI-STAMPALIA, 
CAVALLI  E  BALBl-VALIER 

Per  gli   anni    1893,   1894   e   1895 


PfiEMIO  OllDIIIRIfl  BIEiiALE  DEL  Bit  ISIIIUIO 


Concorso  per  Iranno  1S04. 

Tema  prescelto  nell'adunanza  del  24  aprile  i893. 

«  Sul  sistema  delVi7nposta  progressiva  che  taluno  vor- 
))  rebbe,  con  varie  forme,  sostituito  al  principio  sancito 
»  nelVarf.  25  dello  Statuto  fondamentale  del  Regno,  per 
»  cui  i  cittadini  contribuiscono  indistintamente  ai  cari- 
»  chi  dello  Stato  nella  proporzione  dei  loro  averi.  —  Si 
»  domanda  che  i  concorrenti  raccolgano  i  documenti 
»  pì'atici  di  quei  paesi  ove  tale  sistema  sia  per  avventura 
»  stato  applicato.  Oce  manchino  ì  criteri  che  sieno  for- 
»  niti  do  ir  esperienza,  i  concorrenti  dovranno  a  mezzo 
»  dell'indagine  scientifìca  chiari7^e  quali  sarebbero  gli  ef- 
»  fetti  pratici  della  sua  attuazione.  In  generale  si  desi- 
»  dcì'a  seria  e  larga  rassegna  delle  ragioni  che  stanno 
»  prò  e  contro  un  tale  sistema,  e  la  conclusione  se  sia 
»  quindi  a  consigliarsene  o  meno  V introduzione  nel  no- 
»  stro  paese  » . 


(1104)  [2] 

Il  concorso    resta    aperto    sino    alle    ore    quattro    pomeridiane    del 
giorno  31  dicembre  1894. 

Il  premio  è  d'ital.  lire   1500. 


PR[|II  D[LLI1  F0iDll/!0i[  {UERIil-SIIlPILIli 


Concorso  per  Iranno  1893. 

Tema  prescelto  nell'adunanza  del  19  aprile  1891. 

«  Fare  uno  studio  litologico,  mineralogico  e  chimico 
»  dei  materiali  pietrosi,  sabbiosi,  terrosi  e  salini,  che  uno 
»  dei  principali  fiumi  del  Veneto,  nelle  diverse  condi- 
»  zioni  di  piena,  di  magra  e  di  media,  porta  fuori  dalle 
»  valli  alpine  e  depone  a  diverse  distanze  dal  piede  delle 
»  alpi  e  fino  al  mare.  Ed  applicazione  di  questo  studio  a 
»  quello  delle  albivioni  antiche  e  moderne  della  pianura 
»  veneta  ed  ai  carnhiamenti  di  posto,  che  possano  essere 
»  avvenuti  in  epoche  preistoriche  e  sloriche  neWalveo  di 
»  detto  fiume  » . 

Il  concorso  resta  aperto  a  tutto  il  31   dicembre  1893. 
Il  premio  è  d'italiano  lire  3000. 


Concorso  per  l'anno  1893. 

Tema  riproposto  nell'adunanza  del  19  yiugno  1892. 

«  Si  domanda  un  Compendio  di  storna  delle  inale- 
»  ^natiche,  corredato  da  una  Crestomazia  matematica, 
»  contenente  estratti  delle  opeì-'e  matematiche  dell'anti- 
»  chilà,  del  medio  evo,  del  rinascimento  e  dei  tempi  mo- 
»  derni  sino  a  Gauss  inclusivamente.  Di  questi  estratti 
»  basterà  che,  oltre  aWautore,  al  titolo  dell'opera    ed  al- 


P]  (1Ì05) 

»  r estensione,  sia  indicala  la  edizione.  TI  concorrente  poi 
»  doi'ì'à,  per  ogni  squarcio,  indicare  i  motivi,  pei  quali 
»  si  è  trovato  indotto  ad  accoglierlo  nella  Crestomazia  ». 

AVVERTENZA 

«  Il  Manuale  farebbe  conoscere  rapidamente  ed  a  grandi  linee, 
»  sotto  forma  necessariamente  moderna,  lo  sviluppo  della  scienza  ;  la 
»  Crestomazia,  al  contrario,  dispensando  dalla  necessità  di  ricorrere 
»  alle  fonti,  porrebbe  lo  studioso  a  contatto  col  pensiero  dei  geometri 
»  del  passato  sotto  la  sua  forma  concreta  ». 

Il  concorso  resta  aperto  a  tutto  il  31  dicembre  1893. 
Il  premio  è  d'italiane  lire  3000. 


Coneorso  per  l'anno  1894. 

Tema  prescelto  neW adunanza  del  24  aprile  1892. 

a  Esporre  le  conseguenze,  che  si  sono  avverate  dalla 
»  apertura  del  Canale  di  Suez  pel  cominercio  italiano  in 
»  generale  e  pel  commercio  veneto  in  particolare  ;  e  quali 
»  prooiiedimenti  dovrebbero  prendersi,  perchè  il  conimeì^- 
))  ciò  italiano  in  generale  e  più  specialmente  il  commercio 
))  veneto  se  ne  avvantaggiassero. 

»  Alla  trattazione  del  tema  andranno  unite  tutte  le 
»  necessarie  notizie  del  fatto,  esattamente  raccolte,  ordi- 
»  natamente  disposte  e  debitameìite  discusse  ». 

Il  concorso  resta  aperto  a  tutto  il  31  dicembre  1894. 
11  premio  è  d'italiane  lire  3000 


Concorso  per  l'anno  1 S9S. 

Adunanza    del    7    agosto    1892. 

Un  premio  della  Fondazione  Querini  di  lire  3000 
verrà  assegnato  «  a  chi  entro  V  anno  1894  avrà  inlro- 
»  dotto  in  una  valle  a  piscicoltura  nel  Veneto  una  i?ino- 


[4]  (IIO(^) 

»  fazione,  che  sarà  giudicata  importante  ed  utile  da  una 
»  competente  Commissione  nominata  dallo  stesso  Istituto, 
»  od  am-à  trovato  il  m^odo  di  avvantaggiare  sensibilmente 
»  una  delle  industrie,  che  diretlamenlc  si  collegano  colla 
»  vallicoltura. 

»  Potrà  quindi  concorrere  al  premio  suddetto  chi 
»  avrà  trovato  il  modo  di  ottenere,  con  vantaggio  della 
»  vallicoltura^  la  fecondazione  artificiale  delle  uova,  di 
B  qualche  specie  importante  di  pesci  marini  ;  chi  avrà 
»  introdotto  in  una  valle,  e  con  buon  successo,  qualche 
»  specie  animale  del  7nare  Adriatico  o  di  altro  mare;  chi 
»  col  perfezionamento  dei  congegna  vallivi  avrà  ottenuto 
»  in  una  valle  risultati  molto  superiori  agli  ordinari  ;  chi 
»  avrà  fatto  progredire  presso  di  noi  Vostreocultura  o  la 
»  mitilicoltura  ;  chi  avrà  perfezionato  la  lavorazione  del 
»  pesce  di  mare,  in  guisa  da  renderlo  più  gradito  al  pa- 
»  lato  e  più  ricercato  nel  commercio  ». 

Tempo  utile  pel  concorso:  a  tutto  il  31  gennaio  1895. 


PR[|IO  DELLA  F0i0ftZI0i[  ClfALLI 


Concorso  pel  iviennio  ISSl-OS. 

Tema  prescelto  neW adunanza  del  20  aprile  1890. 

«  Studiando  le  attuali  condizioni  delle  popolazioni 
»  agricole  del  Veneto  e  confrontandole  con  quelle  delle 
»  altre  popolazioni  italiane,  rilevare  quale  parte  abbia  in 
»  esse  il  sistema  di  locazione  agraria  vigente  fra  noi,  e 
»  indicare  gli  eventuali  rimedi  » . 

Il  concorso  resta  aperto  a  tutto  il  31  dicembre  1893. 
Il  premio  è  d'italiane  lire  3000. 


[5]  (110?; 


Discipline  comuni  ai  concorsi  biennali  del  R.  Istituto,  a  quelli  annui  della 
Fondazione  Querini-Stampalia  e  a  quelli  triennali  della  Fonda- 
zione Cavalli. 

Nazionali  e  stranieri,  eccettuati  i  membri  effettivi  del  Reale  Isti- 
tuto Veneto,  sono  ammessi  al  concorso.  Le  memorie  potranno  essere 
scritte  nelle  lingue  italiana,  francese,  tedesca  ed  inglese.  Tutte  poi  do- 
vranno essere  presentate,  franche  di  porto,  alla  Segreteria  dell'  Istituto 
medesimo. 

Secondo  l'uso,  esse  porteranno  una  epigrafe,  ripetuta  sopra  un  vi- 
glietto  suggellato,  contenente  il  nome,  cognome  e  domicilio  dell'autore. 
Verrà  aperto  il  solo  viglietto  della  Memoria  premiata  ;  e  tutti  i  mano- 
scritti rimaranno  nell'archivio  del  R.  Istituto  a  guarentigia  dei  proferiti 
giudizi,  con  la  sola  facoltà  agli  autori  di  farne  trarre  copia  autentica 
dalla  Cancelleria  di  questo  Istituto  ed  a  proprie  spese. 

Il  risultato  dei  concorsi  si  proclama  nell'  annua  pubblica  solenne 
adunanza  dell'Istituto. 


Discipline  particolari  ai  concorsi  ordinari  biennali 
del  Reale  Istituto. 

La  proprietà  delle  Memorie  premiate  resta  all'Istituto  che,  a  pro- 
prie spese,  le  pubblica  ne'  suoi  Atti.  Il  danaro  del  premio  si  consegna 
dopo  la  stampa  dei  lavori. 


Discipline  particolari  ai  concorsi  delle  Fondazioni 
Querini-Stampalia  e  Cavalli. 

La  proprietà  delle  Memorie  premiate  resta  agli  autori,  che  sono 
obbligati  a  pubblicarle  entro  il  termine  di  un  anno,  dietro  accordo  colla 
Segreteria  dell'Istituto  per  il  formato  ed  ì  caratteri  della  stampa,  e  per 
la  successiva  obbligatoria  consegna  di  50  copie  alla  medesima.  Nella 
stampa  del  lavoro  premiato,  l'autore  ha  l'obbligo  di  premettere  la  in- 
tiera relazione  della  Giunta  esaminatrice  del  R.  Istituto.  Il  danaro  del 
premio  non  potrà  conseguirsi,  che  dopo  aver  soddisfatto  a  queste  pre- 
scrizioni. 

L' Istituto,  quando  lo  trovasse  opportuno,  si  mantiene  peraltro  il 
diritto  di  fare  imprimere,  a  proprie  spese,  quel  numero  qualunque  di 
jopie,  che  reputasse  conveniente. 


T.  /V,  S.   VII  75 


(1108)  [6] 

PREMIO  DI  FONDA/IONt  filLBI-fllLe 

per  il  progresso  delle  scienze  mediche  e  chirurgiche. 


É  aperto  il  concorso  al  premio  d' italiane  lire  3000 
all'italiano  «  che  avrà  fatto  p7^ogredire  nel  biennio  1892- 
»  93  le  scienze  mediche  e  chirìmjiche,  sia  colla  inven- 
»  zione  di  qualche  istrumenlo  o  di  qualche  ritrovato,  che 
»  valga  a  lenire  le  umane  sofferenze,  sia  pubblicando 
»  qualche  opera  di  sommo  pregio  » . 


Discipline  relative  a  questo  premio. 

I  membri  effettivi  del  Reale  Istituto  Veneto  non  sono  ammessi  al 
concorso,  che  si  chiude  alle  ore  4  pomeridiane  del  giorno  31  dicem- 
bre 1893. 

II  risultato  del  medesimo  si  proclamerà  nella  pubblica  solenne  adu- 
nanza del  maggio  1894. 

Le  opere  presentate  potranno  anche  essere  manoscritte  ;  porteranno 
una  epigrafe  da  ripetersi  sopra  un  viglietto  suggellato,  contenente  il 
cognome,  nome  e  domicilio  dell'Autore  :  sarà  aperto  il  solo  viglietto 
del  lavoro  premiato.  1  lavori  manoscritti  resteranno  in  archivio  a  gua- 
rentigia dei  proferiti  giudizi  ;  gli  autori  possono  farne  trarre  copia  au- 
tentica, e  a  proprie  spese,  dalla  Cancelleria  di  questo  Istituto. 

Anche  la  presentazione  d'istrumenti  o  d'altri  oggetti  sarà  accom- 
pagnata dalla  epigrafe  e  dal  rispettivo  viglietto  suggellato. 

Venezia  28  maggio  1893. 


E  Presidente 
E.    DE    BETTA. 


Il  Segretario 
P.  Fambri, 


Programmi  dei  concorsi  scientifici,  proposti  dal  R.  Istituto 
Veneto  e  dalle  Fondazioni  Querini-Stampalia, 
Cavixlli  e  Balbi- Valier,  per  gli  anni  1893,  1894 
e  1895.  pag.  1103 

Smithsonian  Institution.  Circolar  Concerning  the  Hodgkins 

Fund  Pri/.es        ........    cxlix 


Prezzo  della  Dispensa 
Fogli  101/2  a  Cent.  25 L.  2.  3 


ATTI 

DEL 

R.  ISTITUTO  VENETO 

D  I 

SCIENZE.  LETTERE  ED  ARTI 


(TOMO  LI) 

SERIE   SETTIMA  -  TOMO  QUARTO 

DISPENSA  OTTAVA 


VENEZIA 


PRESSO     I,A     SEGRETERIA     DEL     R.     ISTITUTO 

ma.      PALAZZO      LOKEIIAM 


TIP.    CARLO   FERRARI 
^v, 1892-93 


Pubbl.  il  16  Luolio  1893 


INDICE 


Allo  verbale  dell'Adunanza  ordinaria  del  giorno  18  giugno 

1893 ".        .     pag.    1109 

Lavori  letti  per  la  pubblicazione  negli  Atti 

T.  Martini,  m.  e.  —  La  velocità  del  suono  nei  gas  determi- 
nata col  metodo    della    risonanza.    Memoria  I.^     pag.    1113 

A.  Tamassia,    m.    e.    —    La   scienza    dell'  educazione    del 

prof.  Roberto  Ardigò.  (Padova,  1S93).  Nota      .       »       1137 

A.  Stefani,  s.  c.  —  Come  si  modifica  la  capacità  dei 
diversi  territori  vascolari  col  modificarsi  della 
pressione.  Ricerche »       1141 

R.  D'  Emilio.  —   Sul   teorema    di    Clairaut,    relativo   alle 

geodetiche  di  una  superficie  di  rivoluzione.  Nota      »       1191 

Elenco  dei  libri  e  delle  opere  periodiche  pervenute  al  R. 

Istituto  nei  mesi  di  Giugno  e  Luglio  1893       .       »        cLiii 


ANNO    1892-93  DISPENSA   Vili/ 


ADUNANZA   ORDINARIA 

DEL     G-IORlSrO     ±8     G-IUG-3SrO     1893 


PRESIDENZA  DEL  COMM.  SENATORE  FEDELE  LAMPERTICO 
MEMBRO    EFFETTIVO    PENSIONATO    ANZIANO 


Sono  presenti  i  membri  effettivi  :  Fambri,  segretario,  Ber- 
CHET,  vicesegretario,  Pirona,  De  Leva,  Vlacovich,  Lo- 

RENZONI,     TrOIS,    CANESTRINI,     E.      BERNARDI,    BELTRAME, 

Favaro,  Saccardo,  Omboni,  Fertile,  Bellati,  Keller, 
Deodati,  Bonatelli,  Stefani,  Spiga,  Teza,  Morsolin, 
Martini,  Tamassia,  Veronese;  nonché  i  soci  corri- 
spondenti :  Da  Schio,  Occioni-Bonaffons,  Cassani,  Ga- 
lanti, Ferraris,  Mazzoni,  A.  Stefani,  G.  B.  De  Toni  e 
Ragnisco. 
Sono  giustificati  gli  assenti  membri  effettivi  :  De  Betta, 
presidente,  Minich,  vicepresidente.  De  Giovanni,  e  il 
socio  corrispondente  Bertolini. 


Il  Presidente  annunzia  la  grave  perdita  fatta  dall'Isti- 
tuto del  membro  effettivo  anziano  pensionato  Conte  Ghe- 
rardo Freschi,  del  quale  fu  già  data  partecipazione  ai  col- 

T.  IV,  S.  VII  76 


Ilio 

leghi  (1).  L'Istituto  fu  degnamente  rappresentato  ai  funerali 
del  defunto  dal  membro  effettivo  Comm.  Prof.  Giulio  An- 
drea Pirvna.  Si  mandarono  condoglianze  alla  famiglia  ;  e 


(1)  Colla  seguente  lettera  circolare: 
N.  216  Venezia.  10  giugno  1893 

Ai  chiarissimi  Membri  del  R.  Istituto 

Un'altra  perdita  dolorosa  sono  nella  triste  condizione  di  dover  an- 
nunciare, quella  del  conte  comm.  Gherardo  Freschi,  decano  del  nostro 
Istituto,  mancato  ai  vivi  nella  grave  età  di  89  anni. 

Eminente  patriotta  Egli  prese  parte  ai  moti  politici  del  1848-49, 
tanto  da  dover  poscia  esulare  e  ritirarsi  a  Parigi.  Riammesso  in  patria 
dedicò  tutto  V  ingegno  e  la  operosa  sua  attività  a  benefìcio  dell'  Agri- 
coltura, convinto,  e  giustamente,  che  questa  era  una  delle  fonti  prin- 
cipali di  ricchezza  per  l'Italia.  Il  lavoro  del  suo  forte  ingegno  fu  quindi 
tutto  rivolto  a  questo  importante  fattore  di  prosperità  nazionale,  ed 
a  migliorare,  particolarmente  nel  suo  Friuli,  le  infelici  condizioni  dei 
contadini. 

Molte  ed  importanti  sono  le  pubblicazioni  che  il  conte  Gherardo 
Freschi  fece  intorno  all'Agricoltura  ed  alle  Industrie  affini,  alcune  furono 
inserite  negli  Atti  e  nelle  Memorie  del  nostro  Istituto,  altre  compar- 
vero in  reputati  periodici  ed  in  opuscoli  separati. 

Quando  la  confezione  del  seme  indigeno  del  baco  da  seta  trovavasi 
in  quella  crisi,  che  minacciava  grandemente  la  produzione  nazionale, 
Egli  fu  uno  dei  primi  italiani  a  dedicarsi  con  tutte  le  sue  forze  a  scon- 
giurare il  pericolo,  facendo  e  promovendo  studi  ed  esperienze,  recan- 
dosi perfino  nel  lontano  Oi-iente  a  ricercare  il  seme  rigeneratore,  e  pub- 
blicando la  famosa  Guida  per  la  coltivazione  del  baco  da  seta  eh'  ebbe 
l'onore  di  parecchie  edizioni  e  di  traduzioni  anche  in  lingue  stranie l'e. 

Fu  Presidente  onorario  dell'Associazione  Agraria  Friulana  e  del  Co- 
mìzio Agrario  di  Pordenone  —  Socio  onorario  dell'Accademia  di  Scienze 
e  Lettere  di  Udine  —  Membro  della  Società  degli  Agricoltori  d'Italia  e 
di   Francia  e  dì  varie  Accademie  Italiane  ed  Estere. 

Per  quasi  cinquant'  anni  il  conte  Gherardo  Freschi  appartenne  al 
nostro  Istituto  che  dì  lui  conserverà  lunga  ed  affettuosa  ricordanza. 

IL    VICESEGRETARIO 

M.    E.    G.   B  E  R  C  H  E  T 


1111 

la  commemorazione  verrà  fatta  dal  membro  effettivo  Prof. 
Cav.  Aìitonio  Keller. 

Letto  ed  approvato  1'  Atto  verbale  della  precedente 
adunanza,  viene  comunicato  l'elenco  dei  libri  pervenuti  in 
dono  alla  biblioteca  e  delle  opere  acquistate  dal  27  magii-io 
decorso  al  giorno  d'oggi. 

Quindi  furono  presentate  e  lette  le  seguenti  memorie: 

Dal  m.  e.  G.  Lorenzoni  —  Determinazione  della  gravità 
relativa  negli  Osservatorii  di  Vienna,  di  Parigi  e  di  Pa- 
dova mediante  gli  apparati  e  colla  cooperazione  dei  Si- 
gnori Colonello  di  Slerneck  e  Comandante  Deffbrges. 

Dal  m.  e.  T.  Martini  —  La  velocità  del  suono  nei 
gas  determinata  col  metodo  della  risonanza.  Memoria  I. 

Dal  m.  e.  A.  Tamassia  —  La  scienza  dell'educazione 
del  prof.  Roberto  Ardigò.   Padova,   1893.  Nota 

Dal  s.  e.  G.  Mazzoni  —  Osservazioni  siU  fiore,  poe- 
ma allegorico  del  secolo  XIII. 

Questa  lettura  diede  luogo  ad  una  breve  discussione 
alla  (juale  presero  parte  il  m.  e.  Teza  ed  il  s.  e.  Mazzoni. 

Dal  s.  e.  A.  Stefani  — ■  Come  si  modifica  la  capacità 
dei  diversi  territori  vascolari  col  modificarsi  della  pres- 
sione. 

Dal  s.  e.  G.  Ricci  —  Di  alcune  applicazioni  del  cal- 
colo differenziale  assoluto  della  teoria  delle  forme  diffe- 
renziali quadralicìie  binarie  e  dei  sistemi  a  due  va- 
riabili. 

Ed  in  conformità  all'  articolo  8.*'  del  Regolamento  in- 
terno. 

Dal  m.  e.  jì.  De  Giovanni,  una  Comunicazione  del 
Dott.  E.  Cavazzani,  intitolata:  Allegazioni  verificate  in 
un  cane  affetto  da  clnlemia. 

Dal  m.  e.  T.  Martini,  un  lavoro  esperimentale  del  Prof. 
D.  Mazzotto.  Sidla  solidificazione  delle  amalgame. 

Dal  m.  e.  M.  Bellati,  una  Nota  del  Dott.  G.  Bozzola. 
Sulla  variazione  della  forza  elettromotrice  i/clle  coppie  a 


1112 

Selenio  solio  V  influenza  della  luce  ;  ed  una  del  Dott.  A. 
Baltelli  intitolata  :  Influenza  del  magnetismo  e  delle  azioni 
meccaniche  sui  fenomeni  teì-nioelettrici. 

Dopodiché  l'Istituto  .si  raccolse  in    adunanza   segreta, 
per  la  trattazione  di  vari  affari  posti  all'ordine  del  giorno. 


LA  VELOCITA  DEL  SUONO  NEI  GAS 

DETERMINATA     COL     METODO     DELLA     RISONANZA 

Memoria  I,^ 

DEL 

M.    E.    TITO    MARTINI 


Sarebbe  superfluo  rammentare  quella  ben  nota  espe- 
rienza di  Felice  Savart,  colla  quale  si  dimostra  che  una 
determinata  colonna  d'aria  è  capace  di  rinforzare  un  certo 
suono.  Ed  è  pur  nota  l'esperienza,  ancor  più  semplice,  del 
Tyndall,  il  quale  senza  ricorrere  ad  alcun  speciale  appa- 
recchio, e  sol  col  variare  la  lunghezza  della  colonna  d'aria 
contenuta  in  una  provetta,  versandovi  acqua  a  sufficienza, 
limitava  quella  conveniente  massa  gassosa  capace  di  invi- 
gorire il  suono  di  un  diapason  affacciato  alla  bocca  della 
provetta  (*).  Anzi  il  Tvndall  variò  l' esperienza  del  vSavart 
in  guisa  da  dimostrare  clie  lo  stesso  suono  non  è  rinvi- 
gorito da  una  colonna  gassosa  eguale,  in  lunghezza,  a 
quella  dell'aria  ma'  di  natura  diversa  ;  imperocché,  avendo 
riempito  la  provetta  di  gas  luce,  il  suono  del  diapason  non 
era  più  rinforzato  e  bisognava  accrescere  la  lunghezza  della 
colonna  risonante  perchè  il  suono  fosse  di  nuovo  rinvi- 
gorito. ("2) 


(1)  Tyndall,  Le  Son,  trad.  par  Moigno,  Paris,   1869  pag.   ISl, 

(2)  Cfr.  luogo  citato  pag.  18q, 


(IIM)  [2] 

11  facile  ed  elegante  espei-iiiieiito  del  Tjndall  mi  porse 
l'occasione  di  ideare  un  metodo  che  può  servire  non  sol- 
tanto come  esperimento  di  scuola,  ma  l^enanco  a  misure  di 
molta  precisione  come  lo  dimostrano  i  fatti  che  sto  })er 
descrivere. 

Una  canna  di  vetro,  che  cliiameremo  A  ,  è  fìssa  ver- 
ticalmente, e  con  un  tubo  di  cancctìt  si  unisce  ad  altra 
canna  di  vetro  B,  la  quale  è  mobile  in  senso  verticale  me- 
diante un  sostegno  a  cremagliera  che  la  regge.  Versando 
del  mercurio,  esso  si  livellerà  nelle  due  canne,  e  il  suo  livello 
si  alzerà  o  si  abbasserà  nella  canna  A  ,  a  seconda  che  si 
innalza  o  si  abbassa  la  canna  B  per  mezzo  del  bottone  che 
ingrana  nella  cremagliera.  Per  ottenere  piccoli  spostamenti 
di  livello,  sarà  necessario  che  la  cremagliera  abbia  un  passo 
breve,  e  una  divisione  in  millimetri,  praticata  lungo  la  can- 
na A ,  ci  farà  conoscere  fin  dove  giunge  il  livello  del  liquido. 

Se  dunque  si  sceglie  la  lunghezza  della  canna  in  modo 
da  stare  in  relazione  col  suono  che  deve  essere  rinforzato, 
qual  sarebbe  quello  di  un  diapason  che  si  affaccia  alla 
1)occa  della  canna  fissa,  spostando  in  alto  od  in  basso  la 
canna  mobile  si  potrà  limitare,  con  un  erroi-e  minore 
di  un  millimetro,  la  colonna  d'aria  che  invigorisce,  al  mas- 
simo grado,  il  suono  di  quel  diapason. 

Col  procedimento  sopra  descritto,  semplice  e  di  facile 
attuazione,  si  possono  ottenere  dei  risultamenti  assai  esatti 
come  lo  provano  i  valori  già  da  me  pubblicati  sulla  velo- 
cità del  suono  nel  cloro  {^)  ed  alcuni  che  presento  adesso, 
i  quali  son  tratti  da  uno  studio,  ancora  inedito,  sulla  ve- 
locità del  suono  nell'aria  avuto  riguardo  alle  variazioni  di 
temperatura  e,  singolarmente,  a  quello  dello  stato  igrome- 
trico affine  di  verificare  la  formula, 


tv 


yi  —  0,38  k 


(1)  Memoria  letta  nell'adunanza  del  R.  Lslilulo    Veneto,  18    Marzo 
1881   e  pubblicata  negli  Atti.  Voi.  VII,  Sfarle  V,  ta.sc.  di  Aprile  1881. 


[3]  (1115) 

Tali  ricerche  furono  appunto  incominciate  con  un  ap- 
parecchio analogo  a  quello  sopra  descritto,  dove  la  canna 
risonante  A  aveva  una  lunghezza  di  40  cent,  e  il  diametro 
di  Ij^^S.  La  disposizione,  in  queste  speciali  ricerche,  fu 
resa  ancor  più  semplice  perchè,  tenuta  fissa  la  canna  A  , 
si  applicò  al  sopporto  a  cremagliera  un  pozzetto  pieno  di 
mercurio  nel  quale  pescava  la  canna,  e  alzando  od  abbas- 
sando il  }»ozzetto  si  otteneva  lo  stesso  effetto,  cioè  di  limi- 
tare, colla  maggiore  o  minore  immersione  della  canna,  la 
colonna  d'aria  rinforzante  il  suono  del  diapason. 

Si  scelse,  per  la  canna  A  ,  la  lunghezza  di  40  cent, 
perchè  il  diapason  adoperato,  costruito  dal  Konig,  sonava 
il  D03  della  scala  di  Marloye,  ciò  è  a  dire  512  vibrazioni 
semplici  al  m.  s.  ;  perciò  la  lunghezza  dell'onda,    nell'aria 

a  0°,  corrispondeva  a --^-; — ,  e  la  quarta  parte  a  circa  3 P". 

Dalla  numerosa  serie  di  osservazioni  che  furono  rac- 
colte durante  un  lungo  periodo  di  tempo,  diamo  un  (qua- 
dro di  quelle  ottenute  fra  0°  e  16*.5.  I  numeri  rappresen- 
tano la  media  delle  osservazioni  fatte  dentro  i  limiti  di 
temperatura  oscillanti  fra  0,1  e  0,3  di  grado.  La  corri- 
spondente velocità  del  suono  si  è  calcolata  prendendo  il 
(juadruplo  della  lunghezza  /  osservata  ;  naturalmente  i  nu- 
meri che  risultano  sono  minori  del  vero  perchè  la  rela- 
zione 

V  =  4  lyi  n 


non  è  che  approssimata,  essendo  l  <::,  —  .  Ma  per  la  verifi- 
cazione che  mi  ero  proposta,  non  importava  che  la  velocità 
calcolata,  mediante  il  prodotto  4  ly^n  ,  risultasse  di  qual- 
che metro  minore  del  vero. 


(ino) 


W 


Temperature  Velocità  calcolate 


+ 


()°.4  . 

.  .  318.66 

1  .7  . 

.  319.77 

2  2 

.  320.10 

3.3  . 

.  320.72 

4  .4  . 

,  321.64  ?) 

5  .6  . 

.  322.39 

6.3  . 

.  322.78 

7.6  . 

.  323.58 

8  .7  . 

.  .  324.40 

9.6  . 

.  325.12 

10.6  . 

.  325.55  ?) 

11  .4  . 

.  .  326.22 

12.8  . 

.  327.28 

13.4  . 

.  .  327.55 

14.5  . 

.  328.09 

15  .7  . 

.  328.80 

16  .4  . 

.  329.33 

Le  differenze  fra  i  numeri  registrati,  tolte  due,  oscil- 
lano fra  0'",05  e  0"\06  per  decimo  di  grado,  vale  a  dire 
si  ha  una  media  molto  prossima  a  quel  coefficiente  che  ri- 
sulta dalla  media  fra  la  velocità  a  0°  e  quella  osservata 
direttamente  a  IO"  dai  membri  del  Bureau  des  longitudes, 
d'onde  la  formula,  per  temperature  non  superiori  a  16", 


Vt 


t'o  +  0'",60X/ 


Non  è  però  inutile  avvertii'e  che  alcune  divergenze 
che  si  manifestano  nei  numeri  registrati  non  sono  da  ad- 
debitarsi ad  errori  d'osservazione,  ma  piuttosto  alle  varia- 
zioni dello  stato  igrometrico,  e  di  ciò  terrò  parola  in  altro 
scritto,  dove  saranno  pubblicate  le  osservazioni  fatte  dentro 
limiti  assai  distanti  di  temperatura  e  sotto  stati  igrometrici 
diversi  e  accuratamente  misurati. 


[5]  (1117) 

Che  i  valori  sopra  registi-ati  procedono  con  regolarità, 
può  anche  riconoscei'si  apjìlicando  la  foi-niola 

imperocché  prendendo,  ad  esempio,  le  temperature 

9^(i  ,   12°,8  ,  ie>",4 

e  ponendo  a  =  0,0036,7,  se  assumiamo  per  Vq  il  valore    di 
319"'  si  ha  per 

^=9,0  ,  y«  =319X1,0174  =  324,55 
t  =  12,8  ,  vt  =  319  X  1,0231  =  327,06 
t  =  16,4     ,     Vt  =  319  X  1,0300  =  328,57 

La  differenza  più  forte  fra  i  numeri  così  calcolati  e 
quelli  osservati,  è  appena  di  76  cent.,  e  la  differenza  sa- 
rebbe stata  sicuramente  minore  se  l'aria  fosse  stata  affatto 
priva  di  umidità,  come  lo  richiede  la  formola.  Ciò  prova 
adunque  la  delicatezza  del  metodo  il  quale,  se  non  dà  un 
valore  esatto  della  velocità  del  suono  nell'aria,  permette  di 
constatare,  nei  valori  relativi,  le  variazioni  prodotte  anche 
da  lievi  cambiamenti  di  temperatura,  e,  come  vedremo  in 
altro  luogo,  anche  quelle  dello  stato  igrometrico. 

Alla  esatta  valutazione  della  velocità  del  suono  nel- 
l'aria non  si  può  giungere,  con  siffatto  procedimento,  nep- 
pure applicaiuio  le  formule  empiriche  trovate  dal  Wer- 
theim,  dal  Bosanquet  e  da  altri.  Adottando,  ad  esempio,  la 
correzione  proposta  dal  Wertheim  (i),  si  ha,  }»er  i  tubi  ci- 
lindrici, chiusi  ad  una  osti-emità, 

-  =:  L  4-  2  e   |/ 71  R2 

4  ' 


(1)  Aiiimk's  de  Chimie  et  de  Physique,  '-V  Sèrie  T,  31,  p.  394, 


(111.^)  [6] 

(1()\(!  \j  ò  la  huighezza  del  tiiho.  Il  il  i';igi;io  e  r  mia  co- 
stante che  Wei-tlieim  ti-ovò  \ai-iai-e  da  ()'";-ilO  a  O'",-^!.")  ; 
siccliè,  sostitnendo  i  dati  iiium'i-ici  di  e  e  di  -,  risulta  al- 
l' incii-ca   (die 

-  =  L  +  (>,74()R  . 
4 

A|i|dicaiido  adum{ue  siH'alta  correzione  all'ultimo  nu- 
nici-o  indicalo  ii(d  i)rospetto,  essendoché  la  colonna  vibi'ante 
air  unisono  col  diapason  a  1()",1,  e  di  o2r""',(U,  valore 
medio,   ed  essendo   il  raggio  del   tubo  di  7'"'",5,  sarà 

-  =  321,()1  -f  0,74()  X  ^,5  =  3--i7'"-,2()  ; 

e  corrispondendo  il  Do^  di  Marloye  a  ^A'^  v.  s.  sarà  r  = 
'Soò"\Oò,  valore  ah^uanto  inferiore  al  vero. 

Ma  è  opportuno  l'osservare  che  la  correzione  di  cui  si 
tratta  è  calcolata  per  un  tul»o  chiuso  dove  l'origine  dello 
scuotimento  rimane  costante.  ln\ece  nel  caso  nostro,  se  si 
sposta  la  positura  del  diapason  candela  Jiotabilmenti^  la  lun- 
ghezza della  colonna  rinforzante,  come  lo  dimostra  l'espe- 
rimento seguente  che  traggo  dai   molti  registrati. 

Adoperando  la  stessa  canna  della  lunghezza  di  40''",  e 
del  dianu'tro  di  P",."),  allontaiuimlo  il  diapason  in  modo  che 
fosse  distante  dalla  bocca  di  2'"",  alla  temperatura  di  1()'\7, 
molto  prossima  (juindi  alla  precedente,  si  trovò  che  la  lun- 
ghezza della  colonna  d'  ai-ia  viln-ante  all'  unisono  col  dia- 
pason era  325'"'", 30,  onde 

-  =  325,30  -f  0,746  X  ^.''>  =  -"^O,!)!) 

e  i)uindi 

i)=='^3S'",SJ. 

\alore  assai  più  prossimo,  <l(d  precedenh'.  a  ([U(dlo  (he.  in 
({uasi  identiche  condizioni  di  tempei-atura,  ti-ovarono  i  mem- 
bri del  Biireax  des  longitudes. 


[7]  (1119) 

NuUadimeno  la  difterenza  fi'a  la  velocità  calcolata  in 
modo  diretto  e  quella  dedotta  dalla  lunghezza  della  colonna 
risonante,  è  sempre  assai  forte  malgrado  la  correzione. 
Ondechè,  se  si  dovesse  determinare  la  velocità  di  propaga- 
zione del  suono  in  un  aeriforme,  la  differenza  di  qualche 
metro  nel  risultato  finale  porterebbe  ad  un  valore  inesatto 

e 
del  rapporto  —  che  è  di  tanta  importanza  nella  teorica  dei 

gas.  D'  altronde,  1'  allontanare  di  troppo  il  diapason  dalla 
bocca  della  canna,  affine  di  scemarne  le  perturbazioni,  con- 
duce air  inconveniente  che  il  suono  è  poco  rinvigorito,  e 
(juindi  il  procedimento,  fai  quale  fu  esposto,  non  si  pre- 
sterebbe ad  una  esatta,  o  almeno  molto  approssimata,  va- 
lutazione di  V, 


Principio  del  metodo 


Dulong  (1)  come  è  noto,  giunse  a  determinare  la  ve- 
locità del  suono  in  parecchi  gas,  facendo  con  essi  parlare 
una  canna  d'  organo.  Avendo  egli  constatato  che  i  piani 
nodali  conservano  la  stessa  positura  per  i  diversi  gas,  mal- 
grado il  variare  del  numero  delle  vibrazioni,  potè  schivare  le 
cause  elle  producevano  la  perturbazione  che  scemava  la 
lunghezza  dell'onda,  imperocché  essendo 

V  =  n  X  e  Vi  =  ni  X  , 
risultava 

V  ;  vi=:n:  n^ 

Quindi  conosciuta  che  fosse  una  velocità,  e  determi- 
nati colla  sirena  i  numeri  n  ed  ni  ,  si  poteva  determinare 
il  valore  dell'altra. 

(1)  Annales  de  Cliimie  et  de  Physiqtie  2'-   Sèrie,  t.   10,  p.  395, 


(1120)  .       [8] 

Anche  il  metodo  della  risonanza,  da  me  impiegato, 
presenta  qualche  analogia  col  principio  di  Dulong,  poten- 
dosi anche  con  quello  determinare  una  sola  velocità  in 
funzione  di  un'altra  mediante  una  proporzione.  Infatti,  se 
le  leggi  del  Bernouilli  fossero  esattamente  applicabili  ai 
tubi  sonori,  per  un  certo  gas  che  riempie  la  canna  e  rin- 
forza un  determinato  suono,  si  avrebbe 

r  =  n  X  =  4  l  n\ 

e  per  un  altro  gas  per  il  quale    occorre  la    lunghezzza  V 
per  rinforzare  lo  stesso  suono,  si  avrebbe 

t;i  =  n  X^  =  4  V  n  , 
d'onde 

'0  :  v^  =  1:  l\ 

Ma  poiché  la  lunghezza  deve  essere  corretta  di  una 
quantità  costante  K  ,  si  avrà 

r  =  4.  n  {l-\-k) 
/7i  =  4  n  (r  -\-  k), 

e  la  proporzione  diviene 

v:  ^1  =  ;  -|-  fe  :  V  J^k  . 

Ora  K  ,  per  tubi  di  breve  diametro,  è  una  i»iccola  fra- 
zione di^  0  di  V  ;  perciò,  trascurando  K,  si  commetterebbe 
un  errore  di  poclii  centimetri  nella  valutazione  della  ve- 
locità, e  quindi  può  scrivei'si,  con  grande  approssimazione, 

D'altronde,  quando  si  voglia  far  uso  di  una  correzione, 
conviene  esser  certi  che  dessa  sia  legittima  e  giustificata 
e  non  ci  sembra  che  ciò  avvenga  nel  caso  nostro  ;  im- 
perocché   il    modo    di  provocare    le  vibràzjoni  nel  tul)o  é 


[9]  (1121) 

(livGi'so  ila  (|iiello  usato  dal  Wertlieini.  ed  abbiamo  t;-ià 
detto  come  il  variare  la  positura  del  diapason,  l'ispetto  alla 
bocca  della  canna,  faccia  notabilmente  variare  la  lunghezza 
della  colonna  risonante.  Possiamo  adunque  ritenere  che, 
per  tubi  di  piccolo  diametro,  il  rapporto  fra  le  lunghezze 
osservate,  benché  mmori  delle  teoriche,  riìnanga  eguale 
a  quello  delle  velocità,  come  affermai  nella  memoria  in- 
torno alla  velocità  del  suono  nel  cloro  (i). 

Qualche  anno  dopo  che  furono  pubblicate  le  mie  ri- 
cerche sul  cloro,  i  Signori  Clerosa  e  Mai  adottarono  questo 
istesso  metodo,  che  giudicarono  semplice  e  comodo,  per  de- 
terminare la  velocità  del  suono  m  alcuni  vapori,  (2)  e  dopo 
aver  discusse  le  correzioni  del  Wertheim,  dimostrarono,  in 
base  ad  una  serie  di  dati  sperimentali,  che  la  correzione 
da  farsi  alla  lunghezza  della  colonna  gassosa,  quando  si 
cambia  il  gas  che  in  essa  risuona,  è  proporzionale  alla 
Imighezza  del  tubo.  Talché  chiamate  /  ed  V  le  lunghezze 
delle  colonne  gassose  che  rinforzano  la  stessa  nota,  ly  ed 
l'y  sarebbero  le  lunghezze  da  aggiungere  per  avere  le 
lunghezze  teoriche,  onde  risulterebbero  le  formole  em- 
piriche 

If  +  Vy^f 
4  n 


''('+^)=f„ 


.  +  ,,  =  i-;     r 

ovvero 

Ui  +  .)  =  f„;   r( 

da  cui 

r  _v' 

l~  V 

(1)  Atti  del  R.  Istituto  Veneto,  Serie  V,  voi.  Vili,  p.  494.  Il  detto 
principio  fu  da  me,  erroneamente,  attribuito  al  Dulong. 

(2)  Sulla  velocità  del  suono  nei  vapori,  nota  dei  Dott.  G.  C.  Ce- 
rosa ed  E.  Mai,  Rendiconti  della  R.  Accademia  dei  Lincei,  voi.  IX, 
fase.  12  e  13  anno  1888. 


(1122)  [10] 

111  tal  modo  i  Sij^nori  Goi-osa  e  Mai  avrebbero  dimo- 
strato quel  principio  sul  quale  fondai  le  mie  ricerche. 

Descritto  il  metodo  veniamo  a  dire  i  risultati  che  si 
sono  ottenuti  sperimentando  con  vari  gas,  e  in  questa  me- 
moria mi  limiterò  a  riprodurre  quelli  ottenuti  coll'anidride 
carbonica,  col  protossido  d'azoto  e  col  cloro,  aggiungendo 
alcune  considerazioni  che  mi  sono  state  dettate  in  seguito 
alle  pubblicazioni  posteriori  alla  mia. 


Velocità  del  suono  nell'anidride  carbonica 


La  canna  A  che  servi  per  questo  esperimento  aveva 
la  lunghezza  di  40  cm.,  e  il  diametro  interno  di  2  cm.  In 
luogo  del  fondo  mobile  di  mercurio,  che  già  ci  servì  per 
limitare  la  lunghezza  della  colonna  d'aria  risonante,  si  pre- 
feri adoperare  l'acido  solforico  puro,  offrendo  esso  il  van- 
taggio di  mantenere  asciutto  il  gas  che  doveva  riempire  la 
canna.  Fatto  vibrare  il  diapason  in  prossimità  della  canna, 
si  trovò  dapprima  la  lunghezza  della  colonna  d'  aria  che 
produceva  il  massimo  rinforzo  del  D03  ;  indi  fu  introdotto 
nella  canna  un  lungo  cannello  di  vetro  che  comunicava 
col  generatore  dell'anidride  carbonica,  la  quale,  prima  di 
giungere  alla  canna,  passava  a  traverso  dei  vasi  lava- 
tori, e  poi  per  dei  tubi  pieni  di  sostanze  essicanti.  In 
tal  maniera  la  canna  si  riempiva  per  spostamento,  e  le- 
vando poco  a  poco  il  tubo  adduttore,  si  avvicinò  il  dia- 
pason, —  mantenendolo  sempre  alla  stessa  distanza  dalla  boc- 
ca —  affine  di  determinare  la  lunghezza  della  colonna  gas- 
sosa che  rinvigoriva  la  stessa  nota. 

In  siffatte  determinazioni  conviene  usare  alcune  cau- 
tele ;  vale  a  dire  tenere  il  liquido  ad  un  livello  più  basso 
di  quello  a  cui  deve  giungere  perchè,  in  tal  modo,  si  è 
più  sicuri  che  alzando  il  detto    livello    la    canna   rimanga 


[11]  (1123) 

piena  di  anidride  carbonica,  e  si  elimini  quella  po'  di  me- 
scolanza coir  aria  che  si  forma  alla  bocca.  Altra  precau- 
zione da  seguirsi  è  questa  ;  chiudere  la  canna,  i  cui  oidi 
devono  essere  smerigliati,  con  una  lastrina  di  vetro  appena 
si  è  tolto  il  tubo  adduttore  del  gas,  e  ciò  coU'intendimento 
d' impedire  la  mescolanza  coli'  aria  durante  quel  piccolo 
tratto  di  tempo  che  occorre  per  avvicinare  il  diapason  e 
farlo  vibrare. 

Ecco  ora  i  risultati  : 


Esperienza  P  temp.  7° 

Lunghezza  della  colonna  di  aria  rinforzante  il  D03 

(media  di   10  osservazioni) 318'"'" 

Lunghezza  della  colonna  di  CO^i  (media  e.  s.)      .     253""" 

Ritenendo  che  la  velocità  del  suono  nell'aria  a  0"  sia 
di  331'"  al  m.  s.,  la  velocità  a  7°  sai'à 

331™  ^1  -j-  0,00367  X  7  =  335"",2  ; 

perciò  la  velocità  dell'anidride,  carbonica,  a  7°  sarà 

335,2  X  253      ,-,^„    ^ 

X  = —^ =  266'",  7 

318 

Secondo  il  Regnault,  il  coetRcente  di  dilatazione  del- 
l'anidride carbonica  è  0,00371  ;  la  velocità  ridotta  a  zero, 
sarà  dunque 

266,7 

=  263'",3 

V  1  +  0,00371  X  ^ 

N.B.  Per  non  fare  inutili  ripetizioni  notiamo  che  la  lun- 
ghezza della  colonna  gassosa  esprime  la  media  di  10  osser- 
vazioni varianti  entro  i  limiti  di  1'"'". 


(11-4)  [12] 

Esperienza  2"*  temp.  fra  0°,4  e  0" 

Lunghezza  della  colonna  (Varia 312'"™ 

Lunghezza  della  colonna  di  CO-2 247.5 

La  temperatura  essendo    assai    prossima  a  0°  si    avrà 
senz'altro 

^_.331X|4V,_262»,5.  ■ 

Il  risultato  medio  dei  due  esperimenti  è 

Vq  =  262™,9 

Dagli  altri  esperimentatori  si  ottennero  i  seguenti  nu- 
meri ; 

Dulong     .     .     .  261",5 

Masson     ...  256  ,8 

T3  u  264  ,8  (1) 

Regnault.     .     .     ^^  ^  ^^ 

Kundt.     .     .     .     264  ,5 


Velocità  del  suono  nel  protossido  d'  azoto 

Riempiuta  la  canna  di  protossido  d'azoto  ben  secco  ed 
usando  le  precauzioni  sopra  descritte,  si  trovarono  i  se- 
guenti numeri  alla  temp.  di  7°. 

Lunghezza  della  colonna  d'aria  .     .     317"™,5 
Lxmghezza  della  colonna  di  N^O     .     253     ,5 


(1)  Tubo  di  condotta  lungo  70», 5. 

(2)  Tubo  c.s.  lungo  o67°,3.  Cfr.  Mèmoircs-  de  l'Acadèmie  de  Sciences, 
1868,  T.  37. 


[13]  (11 -ir)) 

La  velocità  del  .suono  nell'  aria,  a  7",  essendo  eguale 
a  335"',2,  si  ha 

335,2  X  235,5      ,^^.^„^  ^, 
317, D 

Il  coefficiente  di  dilatazione  del  protossido    d'  azoto  è, 
secondo  Regnault,  0,0037195;  dunque  la  velocità  a  zero  sarà 


267,6 

=  264,1 


|/l+ 0,0037195  X'^ 

I  dati  ottenuti    dagli    altri  sperimentatori   sono    i    se- 
guenti : 


Dulong .     .     . 

.     261,9 

Masso n  .     .     . 

.     256,5 

Regnault    .     . 

.     264,8 

Il  numero  264,1  è  (juasi  identico  con  quello  trovato 
dal  Regnault,  e  poco  diverso  dal  risultato  ottenuto  dal  Du- 
long. V'è  una  differenza  forte,  in  confronto  del  numero 
trovato  dal  Masson,  differenza  che  si  riscontra  anche  per 
l'anidride  carbonica  ;  anzi  dobbiamo  notare  fin  d'ora  che  i 
numeri  trovati  dal  Masson,  esprimenti  la  velocità  del  suono 
nei  gas,  sono,  in  generale,  più  bassi  di  quelli  trovati  dagli  altri 
sperimentatori,  NuUadimeno  la  quasi  perfetta  concordanza 
che  si  manifesta  fra  i  risultamenti  ottenuti  col  metodo  della 
risonanza  paragonati  con  quelli  del  Dulong,  del  Regnault 
e  del  Kundt,  mi  animarono  a  sperimentare  sul  cloro,  del 
(juale,  al  tempo  che  si  facevano  queste  prove  (i),  era  ignorato 
con  quale  celerità  propagasse  il  suono. 


(1)  Neil"  inverno   1881. 
T.  IV,  S.   VII  77 


(1126)  [14] 


Velocità  del  suono  nel  cloro 


Si  preparava  il  cloro  talvolta  colla  reazione  dell'acido 
solforico  sul  cloruro  sodico,  mescolato  col  biossido  di  manga- 
nese, e  talvolta  coU'acido  cloridrico  unito  allo  stesso  bios- 
sido. Il  cloro  passava,  dapprima,  a  traverso  alcune  bottiglie 
di  lavaggio  e  poscia,  fluendo  per  lunghi  tubi  pieni  di  clo- 
ruro di  calcio  fuso,  giungeva  alla  canna  ben  secco.  Per 
riempire  di  cloro  la  canna  che  dovea  risonare,  si  usavano 
quelle  precauzioni  accennate  di  sopra,  e  si  cercò  di  non 
trascurare  cautele  perchè  i  risultamenti  riuscissero  esatti. 
La  temperatura  del  gas  raccolto  nella  canna  veniva  misu- 
rata con  un  termometro  molto  sensibile  che  si  calava  in 
essa  lasciandovelo  per  un  tratto  di  tempo  ;  le  temperature 
accusate  erano  poco  diverse  da  quelle  dell'ambiente  avendo 
notato  delle  differenze  che  non  giungevano  ad  V4  di  grado. 

Per  la  riduzione  a  0°  della  velocità  trovata,  essendo 
sconosciuto  il  coefficiente  di  dilatazione  del  cloro,  si  pensò 
di  sostituire  quello  del  cianogeno  che  è  0,003877  (Regnault) 
il  qual  gas  per  la  sua  densità  e  per  esser  coercibile  in  condi- 
zioni quasi  analoghe  a  quelle  del  cloro  deve  contenersi,  per 
quanto  riguarda  la  dilatabilità,  poco  diversamente  dal  cloro. 

Esperienza  P  temp.  2°,5 

Lunghezza  della  colonna  d'aria  .  .  314"'"',5 
Lunghezza  della  colonna  di  cloro.  .197  ,0 
Velocità  del  suono  nell'aria  a  2^,5  .     332'", 4 


Si  avrà  dunque 

^314,5 


QQo  4  v  i()7 
,:..>^,4X  i-'^^908'V2 


[15]  (1127) 

Ridotta  la  velocità  a  0''  sarà 

208,5 

207"M  . 


V\  +0,003877X2, 

Esperienza  2*  temp.  5°,7 

Lunghezza  della  colonna  d'a?Ha    .     .     ^H"'"" 
Lunghezza  della  colonna  di  CI.     .     .     198 
Velocità  del  suono  nell'aria  ....     334"', 4 

317 

La  velocità  ridotta  a  0°  è  dunque 

i^=206■^5. 
1,01099 


Esperienza  3''  temp.  6°,6 

Lunghezza  delle  colonna  d'aria     .     .     318"'"' 
Lunghezza  della  colonna  di  CI.     .     .     199 
Velocità  del  suono  neWaria  ....     334"',9 

334,9X199       .,„„    ^ 

X  = — =  209"'.5  : 

318 

che  ridotta  a  0°  dà 

209,5 


=  206"',8 


1,01271 

Esperienza  4*  temp.  7° 

Lunghezza  della  colonna  d'aria  .  .  318' 
Lunghezza  della  colonna  di  cloro.  .  198' 
V ducila  del  suono  nell'aria  ....     335"',2 


;mm 


(1128) 


^  ^  335.2  XH)8^,„,„_, 


318 

Riduceiido  a  0"  .si  ha 

208,7 
1,01347 


=  205"\9  . 


[16] 


Esperienza  5''  temp.  7* 

Le  lunghezze  delle  colonne  gassose  essendo  risultate 
le  stesse  di  quelle  osservate  nell'esperienza  4^,  la  velocità, 
ridotta  a  zero,  sarà  pure  in  questo  caso 

205"\9 


Quadro  riassuntivo  delle  precedenti  esperienze 


Nome 

DEL  GAS 

Ternperat. 

Lunghezza 

della  colonna 

d'aria 

si. 

m 

Velocita 

del  suono 

neir  iria  alla 

temperatura 

dell'esperienza 

Velocita 
del  suono   nel 

gas  alla 
temperatura 
dell'esperienza 

CO. 

T 

318""" 

mm 

253 

335"2 

266"7 

262",9 

» 

0,4  a  0 

312 

247,5 

331 

262,5 

262,5 

N,0 

/ 

317,5 

253,5 

335,2 

267,6 

264,1 

CI 

2,5 

314,5 

197 

332,4 

208,2 

207,1 

» 

5,7 

317 

198 

334,4 

208,8 

206,5 

» 

6,0 

3,18 

199 

334,9 

209,5 

206,8 

» 

7 

318 

198 

335,2 

208,7 

205,9 

» 

7 

318 

198 

335,2 

208,7 

205,9 

[17]  (1129) 

Dulie  precedenti  esperienze  si  può  cùnchiudere  che  la 

velocità  del    .suono    nel  cloro,  ridotta  a  0°  ,    ha  un  valore 

medio  di  20(]'",4  al  secondo. 

Prendiamo  ora  a  discutere  il  valore  trovato.  Se  i  gas 

fossero  perfetti,  chiamate  v  e  o'  le  velocità  rispettive  colle 

(|uali  propagano  il    suono  -à  0°  q  d  ,  d'  le  loro  densità,  si 

avrebbe 

_  v'  _Vd 


d'  onde 


d 


V] 


Perciò  se  v  rappresentasse  una  velocità  conosciuta,  per 
es.,  quella  del  suono  nell'aria,  chiamata  1  la  densità  del- 
l' aria  e  o  quella  dell'  altro  gas,  la  velocità  in  questo  gas 
sarebbe 

«'  =  331  1/ -5. 

Se  adunque  si  pone  6  =  2,47  che  è  la  densità  del  cloro 
quale  risulta  dall'osservazione,  ovvero  2.426  che  è  la  densità 
quale  risulta  dalle  leggi  di  Gay-Lussac  e  Avogadro,  si  a- 
vrebbe  nel  primo  caso 


:rsi]/^  =.210"  fi, 

V   2,426 


e  nel  secondo 

331     1/    ;~~^=:2\2"\5 


i  quali  numeri  risultano  superiori  a  quello  trovato,  come 
doveva  essere,  perchè  siamo  partiti  dall'  ipotesi  di  un  gas 
jierfetto. 

Si  potrebbe  anche  determinare  la    velocità  del   suono 


(1130)  [18] 

nel  cloro  misurando  la  lunghezza  dell'onda  che  corrisponde 
al  massimo  rinforzo  e,  a  questo  fine,  prendendo  il  risulta- 
mente  ottenuto  alla  temperatura  di  7°,  ed  applicandovi  la 
correzione  del  Wertheim  —  {l-{-  0,74(Jr)  —  poiché  r  =  P"", 
sarà 

J  =  198'"'"  -|-  (),74()  X  10  =  ::;05'"'",46 

e  quindi 

V  =  205,46  X  -1  X  -5<>  =  2\0"\4 

la  quale,  ridotta  a  0°,  diviene 

207'",() 

Il  valore  che  risulta  è  poco  diverso  dagli  altri  deter- 
minati col  rapporto  ;  nulladimeno  crediamo  che,  per  le 
ragioni  addotte  precedentemente,  sia  da  prefej;irsi  il  calcolo 
di  V  mediante  il  rapporto  piuttosto  che  dedurle  dalla  lun- 
ghezza dell'onda.  Si  aggiunga  inoltre  che  per  1'  esattezza 
del  risultamento  converrebbe  fare  un'altra  correzione  re- 
lativa alle  variazioni  di  temperatura  le  quali  modificano 
il  tuono  del  diapason.  Infatti,  stando  alle  ricerche  del  Ko- 
nig  (1),  un  diapason  che  a  20°  compie  512  v.  s.  al  s.,  per 
ogni  grado  centigrado  il  tuono  varia  di  0''''-,0572,  per- 
ciò anche  di  questa  correzione  si  dovrebbe  tener  conto  vo- 
lendo dedurre  la  velocità  dalla  relazione 

V  ==n  X  ; 

ma  tal  correzione  diventa  inutile  valutando  la  velocità 
mediante  il  rapporto  fra  le  lunghezze  delle  onde  rinfor- 
zanti ;  basta  esser  certi  che  la  nota  si  mantenga  costante, 
e  tale  si  mantiene  nel  breve  intervallo  di  tempo  che  oc- 
corre per  effettuare  un  esperimento  durante  il  quale  la 
temperatura  non  presenta  sensibili  variazioni. 

(1)  AnrìolGìì  der  Piti/,  imrl  Clmnic.  t.  IX,  p.  394,  anno   1880, 


[19]  (1131) 

Era  naturale  che  al  tempo  che  io  faceva  (jiieste  prove 
mi  dovessi  preoccupare  intorno  al  grado  di  verità  che  po- 
teva avere  la  determinazione  fatta  sul  cloro,  non  essendovi 
stati  altri  che  si  fossero  occupati  dello  stesso  argomento. 
Ma  dopo  alcuni  mesi  che  furono  comunicate  al  R.  Istituto 
Veneto  siffatte  ricerche,  il  signor  Strecker  di  Strashurgo, 
ignaro  dei  miei  studi,  e  non  poteva  conoscerli  perchè  quasi 
contemporànei  ai  suoi,  pubblicava  una  Memoria  Sili  ca- 
lori specifici  del  Cloì-o  e  dei  vapori  di  .Iodio  e  di  Bromo  (*). 
Lo  Strecker  si  servi  del  metodo  di  Kundt  e  trovò,  per  il 
cloro,  che  la  velocità  media  colla  quale  trasmette  il  suono, 
alla  temperatura  di  0°,  è 

205"\3 

La  concordanza  dei  risultamenti,  ottenuti  coi  metodi 
diversi,  dispensa  da  ogni  commento. 

e 
Determinazione  del  rapporto    ~ 

Ci 

Venendo  poscia  a  determinare  il  rapporto  fra  il  calore 
specifico  a  pressione  costante,  e  quello  a  volume  costante, 
ci  limiteremo  al  cloro  imperocché  per  1'  anidride  carbo- 
nica e  per  il  protassio  d'azoto  siffatto  rapporto  era  già  stato 
determinato  da  parecchi  sperimentatori. 

Preso  adunque  come  valore  medio  della  vtdocità  del 
suono  nel  cloro,  a  0°,  il  numero  206,4,  nella  formola 


ì 


0,76  D  a     e 


■costituiremo  i  seguenti  (Ulti  : 


(1)  Ueher  die  specipscìie  Wàrtue  dr^  Chlor,  des;  Brom  iind  des 
Jodffases.  «  Annalen  der  Phy.sik  uud  Chenaie,  voi.  13,  pa^j.  20,  fasci- 
colo di  Maggio  del  1881, 


(11.-!-)  [20] 

g  (intensità  della  gravità  a  Venezia)  .  9"\80(i 
1)  (densità  del  mercurio  a  0°) .  .  .  .13  ,59(5 
d  (densità  del  cloro  rispetto  all'acqua)  .     0  ,00318; 

perciò 

/•>nr  no -^>^^>X  13,596  X9.80(J    e 
(.00,4)-  _  ^^^-  .  ^^  , 

d'  onde 

-  =  1,336 

Ci 

Regnault  determinò  il  calore  specifico  del  cloro  a  pres- 
sione costante  e  trovò 

e  =  0,2964  ; 

dunque  il  valore  specifico  a  volume  costante  sarà 

Ci  =  0,2218 

Se  invece  della  densità  osservata  si  sostituisce  quella 
rispetto  all'aria,  dedotta  dalle  leggi  di  Gay-Lussac  e  Avo- 
gadi'o,  che  è  2,426,  il  peso  di  1  litro  di  cloro  sarà  (i) 

2,426  X  1,29;U87  =  3»"'--,137  ; 

perciò    la    densità    rispetto    all'  acqua    risulterà    eguale    a 
0,003137.  Sostituendo  questo  dato  nella  formula  si  ha 

-  =  1,319 

Ci 

Q 

e  quindi  il  valore  medio  del  rapporto  -  è  eguale  a  1,327. 

n 

Determiniamo  ora  il  valore  di    ~   partendo  dalle  for- 

<-'i 
mole  della  termodinamica.   —  Si  sa  che  la  diff"erenza    dei 
due  calori  specifici  è  data  dalla  relazione 

(1)  Daguin,   Cours  dcs  rhysiquc  4"   rdition.  voi.   II,  pag.  250. 


pi]  {UXi) 

c_c,  =  ^, 

(love  a  è  il  coefficiente  di  dilatazione  degli,  aeriformi,  po  la 
pressione  atmosferica  sopra  1™2  a  0**,  Vq  il  volume  a  0°  di 
l   kg.  di  gas.  Ponendo  adunque 

e  =0,1210  (calore  specifico  del  cloro  in  peso) 

_    1 
^  ~273 
Po  =  10333 
1 
3,137 
J  =427 
l'isulta 

0,1210  — e,  =  0,02825, 
quindi 

Ci  =0,0927 

-=1,305  . 

Ci 

In  luoo'o  di  sostituire  a  = ,  poniamo  un  coefficiente 

""  273    ^ 

di  dilatazione  più  appropriato  al  cloro,  quale  potrebbe  es- 
sere quello  del  cianogeno  che  già  fu  adottato  per  la  ridu- 
zione a  0°  della  velocità  ;  si  avrà  allora 

(W)3877X  10333^ 
3,137X427 
e  quindi 

-  =1,328 

Ci 

Partendo  invece  dall'equivalente  meccanico  della  pic- 
cola caloria  che  è  stato  assunto  nel  sistema  e.  g.  s.  ,  sarà 

_aHV 
dove  J  =  4,2X1*^>^  e  a  =  0,003877, 


(1134)  [22] 

Ma  sappiamo  che 

1,2758'       S 
poiché  1  =  0",  e  — ^  =  7,838  X  10^ 

resta  a  sostituire  il  valore  di  S.  Ora  è  noto  che  1  c^  d'aria 
a  0°  sotto  la  pressione  di  1  megadìne  pesa  gr.  0,0012759,  e 
lo  stesso  volume  di  cloro,  alla  medesima  pressione  e  tempe- 
ratura, pesa  gr.  0,0030909  (i)  ;  perciò 


0^30909^ 
0,0012759         ' 


Dunque 


^_  -8,38X0.003877^ 

2,4225  X  4,2 


da  cui  ricavasi 

Ci  =  0,09114 

e      -  =  1,327. 

E  stato  già  detto  che  lo  Strecker  trovò  per  la  velo- 
cità del  suono  nel  cloro  un  numero  quasi  identico  a  quello 
determinato  da  noi  ;  perciò  ben  poco  diverso  doveva  risul- 

tare   il   rapporto    —   il  quale,    in  base   ai  risultamenti    del 


detto  fisico,  è 


1,323. 


Il  rapporto  dei  due  calori  specifici  di  siffatto  gas  è 
adunque  inferiore  a  quello  degli  altri  tre  aeriformi  inde- 
coniposti  Azoto,  Ossigeno  e  Idrogeno  espresso  dal  numero 
1,41  (Cazin).  Questi  tre  gas  si  trovano  più  lontani  del  cloro 


(1)  J.  D.  Everett,  Unités  et  constantc^^  pJbi/^iqucs,  Paris  1883,  p.  38, 


[23]  (1135) 

dalle  condizioni  in  cui  passano  allo  stato  liquido;  e  mentre 
per  essi  il  rapporto  e  fra  l'energia  molecolare  e  l'energia 
totale,  che  risulta  dalla  forinola 


-H^-0 


e    ve, 

è  uguale  a  0,615,  per  il  cloro  il  detto  rapporto  discende 
a  0,490  secondo  i  dati  raccolti  da  noi,  e  a  0,484  secondo 
quelli  trovati  dallo  Strecker. 

Yenezia,  Maggio  1893. 


LA  SCIENZ/  DELL'EDUCAZIONE 

IDEJLi      :F'R.0F.      IR-OBERTO     A.IR.IDIG-Ò 
(Padova,    1893). 


DEL  M.  E.  ARRIGO  TAMASSIA 


Il  linguaggio  tronfio  dei  molti  nostri,  che  scrivono  o 
parlano  di  pedagogia,  trova  ormai  il  pubblico  scettico  o 
diffidente.  È  una  pioggia  di  frasi  tìlosofìche,  di  parole  pro- 
sontuose, con  cui  si  trincia  la  formola  e  la  soluzione  dei 
più  astrusi  problemi.  Ma  (quegli  che  ha  il  coraggio  di 
sfrondare  questo  gergo,  si  avvede  subito  quanto  la  va- 
cuità declamatoria  si  accordi  con  la  miseria  del  conte- 
nuto. Certuno  s'illude  d'aver  fatto  una  grande  scoperta,  per- 
chè ha  pescato  o  rimesso  a  nuovo  una  parola  fuori  d'uso, 
0  perchè  ha  escogitato,  nella  sua  ingenuità,  una  nuova  teo- 
ria, ossia  una  nuova  ondata  di  fumo  su  quanto  non  riesci 
a  penetrare  con  il  suo  metodo  scorretto  di  ricerca.  Da 
ciò  r  avversione  del  pubblico  colto  alla  maggior  parte 
degli  scritti  pedagogici  moderni.  Eppur,  malgrado  questo 
coro  di  sbadigli,  quanto  si  ciancia  e  si  scrive  di  peda- 
gogia e  di  educazione  fra  noi  !  Dai  maestri  elementari, 
che  elevano  a  questione  psicologica  1'  arte  d' apprender 
al  bambino  le  vocali,  a  quegli  ispettori  scolastici,  che  an- 
nunciano ai  maestri  il  loro  arrivo  con  quelle  epistole 
pesanti,  in  cui  stemprano  «  le  loro  teorie  ed  i  loro  metodi  », 


(1138)  [2] 

ad  alcuni  professori  d'  università  per  i  quali,  ad  esempio, 
«  la  formazione  del  carattere  è  1'  effetto  sociologico  del- 
l' evoluzione  »  siamo  inondati  da  tanta  scienza  peda- 
gogica, da  restar  stupiti  come  abbiamo  ancora  tanto  po- 
polino in  uggia  con  1'  alfabeto,  tanti  ricchi  in  sì  fredda 
amicizia  coi  libri  e  cogli  studj.  Intanto  per  giunta  gli 
analfabeti  scemano  di  ben  poco  ;  il  sentimento  morale 
si  risolve  in  una  vernice  lucida,  che  non  si  addentra  ;  e 
la  fierezza  ingenua  del  galantuomo  si  rabbuja  tra  le  indu- 
strie dell'  opportunismo  ;  le  cifre  della  criminalità  danno 
al  nostro  paese  un  triste  primato,  e  quasi  ogni  giorno 
il  nostro  commercio  si  acc;usa  di  imbrogli  o  di  infedeltà. 
Ci  sembra  quindi  che  tutto  quanto  tende  a  rialzar  il  ca- 
rattere, a  temprarlo  nel  lavoro  e  nella  moralità,  dovrebbe 
esser  accolto  con  favore,  come  un  mezzo  sicuro  per  to- 
glierci dal  presente  languore.  Ma  se  quelli  che  si  pro- 
pongono questo  intento,  non  sanno  farsi  leggere,  o  credono 
di  riuscire  col  rimestare  delle  dottrine  aeree,  senza  curarsi 
della  povera  prosa  dei  fatti,  la  pedagogia  o  1'  arte  del- 
l' educazione  si  irrigiderà  sempre  più  in  una  sterile  acca- 
demia ;  e.l  i  nostri  fanciulli  seguiteranno  a  crescere  non 
come  li  vuole  la  civiltà  vera,  ma  come  li  fabbrica  la  sel- 
vaggia natura.  —  Il  libro  però  del  Prof.  Ardigò  sulla 
Scienza  dell'  educazione  ci  fa  sperare  che  non  cadrà  tutto 
nel  deserto,  e  che  qualcuno  dei  suoi  germi  troverà  terreno 
fecondo.  Da  molti  anni  quest'insigne  pensatore  con  analisi 
coraggiosa  si  è  addentrato  nello  studio  dei  problemi  più 
alti  della  psicologia,  della  morale  e  del  diritto  ;  e  se  non 
volle  divenir  scrittor  popolare,  può  però  gloriarsi  d'  una 
schiera  di  discepoli,  che  attinsero  dalla  sua  parola  o  dai 
suoi  scritti  lo  spirito  della  ricerca  indipendente.  Questa 
sua  opera  ultima  ne  giunge  quasi  come  una  sintesi  pra- 
tica delle  sue  dottrine,  come  un  saggio  di  filosofia  civile. 
Fino  ad  ora  (pare  egli  voglia  dire  al  pubblico)  ho  studiato 
astrattamente  il  meccanismo,  e  le  leggi  del  pensiero.  Ora 
mi  son  proposto  di    tracciare   in    qual   modo    queste   leggi 


m  (1139) 

possano  applicarsi  all'  arte  dell*  educare,  allo  intento  di 
raggiungere  un  tipo  d'  uomo  che  riunisca  in  sé  gli  ideali 
della  filosofìa  positiva,  e  della  nostra  vita  sociale.  —  Così 
egli  intende  1'  ufficio  della  pedagogia,  che  egli  innalza  a 
scienza  deW educazione,  con  l'ufficio  di  trasfonder  nell'uomo 
«  le  attitudini  di  persona  civile,  di  buon  cittadino  e  di 
individuo  fornito  di  speciali  abilità  utili,  decorose,  nobili- 
tanti ».  Egli  non  si  appoggia  alla  sola  dottrina  filosofica;  ma 
chiama  in  ajuto  la  pratica,  «  senza  cui  è  nulla  la  scienza; 
come  è  nulla  questa,  senza  di  quella  ».  Il  suo  libro  trat- 
teggia con  linguaggio  severo,  ma  lucido,  i  processi  generali 
della  psico  -  fisiologia,  additando  quali  sieno  i  metodi  pratici 
più  efficaci  per  rinforzarli,  deviarli  o  correggerli;  ed  alla 
necessità  organica  degli  atti  psichici  contrappone  gli  eff"etti 
moderatori  dell'  ambiente,  dell'  esempio,  del  sentimento  del 
dovere.  Quindi  da  una  psicologia  scientifica,  induce  una 
morale  pratica  altrettanto  austera,  quanto  umana  e  dei 
precetti  educativi  su  questa  modellati.  I  fatti  della  perce- 
zione, dell'  attenzione,  della  volontà,  vengono  subordinati 
dall' Ardigò  al  determinismo  cerebrale  ;  ma  si  vegga  quanto 
sieno  feconde,  veramente  pratiche  le  deduzioni  che  egli 
trae  dalla  analisi  di  questi  processi  psichici  !  Si  vegga  come 
esse  si  accordino  con  le  tendenze  della  fisiologia  moderna 
di  proporzionare  la  tenzione  degli  organi  alla  loro  energia 
funzionale  !  Egli  vuole  percezioni  nette,  senz'  ombra  ;  vuole 
delle  soste,  che  ricreino  e  rinforzino  ;  vuole  1'  esempio  amo- 
roso della  famiglia,  del  maestro  come  il  primo  ambiente 
morale  del  fanciullo,  le  nobili  idealità,  che  rendono  bello 
l'operare  ed  il  soff"rire  pel  solo  dovere.  Giustamente  con- 
dannando quella  ginnastica  coreografica,  che  giova  solo 
ai  così  detti  professori  di  ginnastica,  vuole  la  prestanza 
fisica  congiunta  all'  educazione  intellettuale  ;  e  pur  atte- 
nendosi alle  dottrine  positiviste,  rifugge  dall'  educazione 
arida,  utilitaria,  e  consiglia  gli  studj  classici,  come  quelli 
che  offrono  al  giovane  gli  esempj  più  generosi  della  natura 
umana. 


(1140)  [4] 

Questo  lihfo  itisoniina  è  il  proiiriiiiiiua  di  un  })08Ìtivista 
senza  g'i-ettezze  e  senza  falsi  bagliori;  è  il  pensiero  «jnesto 
(li  chi  vuol  devolvere  a  benefìcio  sociale  le  proprie  medita- 
zioni scientificlie  ;  è  una  voce  severa,  die  ne  ammonisce 
della  nostra  presente  fiacchezza,  e  ci  addita  le  vie  per  ri- 
temprarci. Confidiamo  che  questa  voce,  che  parla  il  lin- 
guaggio placido  dei  fatti  e  di  una  sapiente  esperienza  non 
rauoja\fra  la  indifferenza  dei  nostri  concittadini. 


COME   SI   MODIFICA 

LA  CAPACITÀ  DEI  DIVERSI  TERRITORI  VASCOLARI 

COL     MODIFICARSI     DELLA     PRESSIONE. 

Ricerche 

DEL 

s.  c.    A.    STEFANI 


Un  mutamento  nella  capacità  dei  vasi  di  nn  territorio 
vascolare  deve  necessariamente  essere  accompagnato  da  un 
mutamento,  in  senso  inverso,  nella  capacità  di  altri  vasi  ; 
perchè  non  si  può  ammettere  che  la  quantità  del  sangue 
circolante  aumenti  o  diminuisca  colla  rapidità  con  cui  si 
modifica  il  lume  dei  vasi. 

Se  diminuisce  la  quantità  di  sangue  contenuta  in  un 
organo,  di  altrettanto,  presso  a  poco,  deve  aumentare  la 
quantità  di  sangue  contenuta  negli  altri.  E  siccome  ogni 
diminuzione  nella  capacità  dei  vasi  è  seguita  da  aumento 
della  pressione  generale,  e  rispettivamente  ;  cosi  ne  viene, 
essendo  i  vasi  elastici,  che  1'  elemento  meccanico  deve  ne- 
cessariamente intervenire  nel  produrre  i  fenomeni  com- 
pensatori. 

Ma  la  pressione  del  sangue  può  aumentare  o  dimi- 
nuire per  cause,  specialmente,  centrali,  anche  indipenden- 
temente da  qualunque  costrizione  o  dilatazione  dei  vasi  ; 
e  perciò,  in  via  meccanica,  possono  anche  verificarsi  dei 
mutamenti  nella  capacità  dei  vasi,  ai  quali  non  si  può  certo 
attribuire  alcun  carattere  compensatorio. 

T.  IV,  S.  VII  78 


(1142)  [2] 

E  per  coiLseguenza,  allorché  si  verifica  un  mutamento 
nel  lume  dei  vasi  di  un  dato  territorio,  il  fisiologo  dovrà 
ricercare,  se  questo  mutamento  sia  primitivo  o  secondario, 
di  natura  fisiologica  o  puramente  fìsica. 

A  rigorose  dimostrazioni  di  questo  genere,  a  mio  av- 
viso, non  si  può  riuscire,  se  prima  non  si  conosce  il  modo 
di  comportarsi  verso  la  pressione  dei  singoli  territori  va- 
scolari, e  il  modo  di  reagire  dei  medesimi  agli  agenti  fi- 
siologici o  sperimentali,  mentre  sono  sottratti  all'influenza 
meccanica  della  pressione  centrale.  Ed  egli  è  appunto  a 
questo  concetto  fondamentale  che  si  informano  le  ricerche, 
che  da  parecchi  anni  si  vanno  svolgendo  nel  mio  labora- 
torio, intorno  alla  fisiologia  dei  movimenti  vascolari. 

In  questa  memoria  sono  riferiti  i  risultati  delle  ricer- 
che dirette  a  dimostrare,  come  la  pressione  modifica  la 
capacità  dei  diversi  territori  vascolari  ;  se  tutti  si  dilatano 
egualmente  per  un  dato  aumento  di  pressione,  e  se  tutti 
ritornano  con  eguale  prontezza  al  volume  primitivo,  quando 
la  pressione  ritorna   al  grado  iniziale. 

Solamente  in  base  a  queste  nozioni  si  potrà  indicare 
come,  per  ragione  fisica,  si  deve  modificare  la  distribuzione 
del  sangue,  quando  la  pressione  generale  si  innalza  o  si 
abbassa  per  cause  centrali  ;  e  dove  si  deve  portare,  a  pre- 
ferenza, il  sangue  scacciato  da  un  dato  territorio  per  co- 
strizione dei  vasi  relativi,  e  donde  deve  provenire  il  sangue 
che  si  accumula  nel  medesimo,  quando  i  suoi  vasi  si 
dilatano. 

E  noto  che  sotto  determinate  condizioni,  mentre  si 
restringono  i  vasi  di  alcuni  territori,  altri  si  dilatano.  Lo 
stato  dispnoico  del  sangue,  mentre  fa  costringere  i  vasi  dei 
visceri  addominali,  fa  dilatare  quelli  della  cute,  dei  mu- 
scoli (1),  della  mucosa  della  bocca  (2),  del  cervello  (3),  della 
retina  (^)  ;  e  fenomeni  analoghi  si  verificano  in  seguito  alla 
stimolazione  dei  nervi  sensitivi.  (3)  Durante  il  lavoro  della 
digestione  si  allargano  i  vasi  degli  organi  digerenti,  mentre 
si  restringono  quelli  della  cute,  producendo  senso  di  fred- 


[3J  (114.1) 

(lo.  (<•)  La  bassa  temperatura  dell'  ambiente  fa  restringere  i 
vasi  (Iella  cute  ed  allargare  quelli  degli  organi  interni,  e 
viceversa  la  temperatura  elevata.  (')  Il  Mosso  (8)  osservò 
che  durante  il  lavoro  mentale,  mentre  si  allargano  i  vasi 
del  cervello,  si  restringono  quelli  degli  arti,  e  Werthei- 
nier  (9)  verificò  dilatazione  dei  vasi  della  cute  e  della  mu- 
cosa lìoccale  e  costrizione  dei  vasi  viscerali,  sotto  1'  azione 
della  stricnina,  dell'  ergotina  e  della  nicotina. 

Ma  se  in  base  a  questi  fatti  si  può  amuiettere,  come 
cosa  abbastanza  provata,  l'esistenza  di  un  antagonismo  fra 
i  vasi  viscerali  e  i  vasi  muscolo  cutanei,  mi  sembra  però 
che  neir  interpretare  il  modo  con  cui  esso  si  compie,  i  due 
fattori,  tisico  e  fisiologico,  non  siano  sempre  stati  tenuti  nel 
debito  conto. 

Non  potrei  accettare  senza  riserva  1'  opinione  di  Da- 
stre  e  Morat,  del  Wertheimer  ed  altri,  secondo  la  quale, 
la  dilatazione  che  si  verifica  nei  vasi  della  bocca,  mentre 
si  restringono  i  vasi  viscerali,  sarebbe  subordinata  ad  una 
azione  fisiologica  di  dilatazione  attiva  ;  ma  nel  tempio  stesso 
non  potrei  neppure  ammettere  con  Roy  e  Sherringthon 
che  lo  stato  dei  vasi  del  cervello  sia  subordinato  esclusi- 
vamente allo  stato  della  pressione  generale  del  sangue. 
E  ciò  specialmente  dopo  che,  nel  mio  laboratorio,  fu  dimo- 
strato, in  modo  indubbio,  che  anche  questi  vasi  sono  prov- 
veduti di  nervi  vasomotori,  e  che  la  dispnea  spiega  sui 
medesimi  due  azioni  antagoniste,  una  diretta,  vasodilata- 
trice,  ed  una  indiretta,  per  mezzo  dei  centri  vasomotori, 
vasocostrittrice.  {^^). 


Finora  era  stata  studiata  solamente  la  distensibilità 
delle  pareti  dei  grossi  vasi. 

Il  Wertheim  (ii)  determinò  il  coefficiente,  o  modulo,  di 
elasticità  di  piccole  listerelle  tolte  dalle  grosse  vene  e  dalle 
grosse  arterie,  misurando  1'  allungamento  che  esse  subi- 
scono, quando  vengono  stirate    da    pesi    diversi,    elasticità 


(1144)  [4] 

lineare.  11  Marey  ('2)  misuro  invece  V  aumento  di  capacità 
che  si  A^erifica  in  un  piccolo  tratto  di  vaso,  quando  au- 
menta la  pressione  del  contenuto,  elasticità  volumetrica, 
ottenendo  dei  risultati  conformi  a  quelli  del  Wertheim. 
Il  Roy  (13)  ripetè  di  recente  le  ricerche  fatte  dal  Wertheim 
e  dal  Marey,  confermandone  le  risultanze,  (i'^) 

Ma,  per  le  ragioni  anzidette,  al  fisiologo  non  solo  inte- 
ressa di  conoscere  il  modo  di  comportarsi  verso  la  pres- 
sione delle  grosse  arterie  e  delle  grosse  vene,  ma  anche  il 
modo  di  comportarsi  di  tutto  insieme  il  sistema  vascolare 
dei  vari  organi  ;  ed  onde  ricavare  qualche  nozione  in  pro- 
posito, io  mi  sono  valso  delle  circolazioni  artificiali  colla 
soluzione  fisiologica  di  NCl. 

Secondo  la  formola  del  Poiseuille,  la  quantità  di  liquido 
che  nella  unità  di  tempo  esce  da  un  tubo  è  direttamente 
proporzionale  alla  pressione  ed  alla  quarta  potenza  del 
raggio  del  tubo,  e  inversamente  proporzionale  alla  lun- 
ghezza del  tubo  moltiplicata  per  un  coefficiente  variabile 
colla  composizione  dei  liquidi  e  dei  tubi  e  colla  temperatura: 

/  X  ^  ■ 

In  base  a  questa  formula,  se  la  lunghezza  l  del  tubo, 
ed  il  cofficiente  k  rimangono  costanti,  siccome  deve  essere 
nelle  circolazioni  artificiali,  quando  non  venga  mutato  il 
liquido  né  la  temperatura  del  medesimo,  1'  efflusso  sarà  in 
relazione  esclusivamente  colla  pressione  e  col  lume  del 
tubo,  secondo  la  formula  Q^h'y^ì"'*;  e  quindi,  conoscendo 
i  mutamenti  della  pressione  ed  i  mutamenti  relativi  del- 
l' efflusso,  si  potrà  calcolare,  se  essi  furono  accompagnati 
da  mutamenti  nel  lume  dei  vasi  in  base  alla  formula,  de- 

Q 

rivata  dalla  precedente,  r'^  =  —  . 

h 

A  tale  scopo   si    suppongono    eguali    a    100    tanto   la 

pressione  quanto  l'efflusso  di  una  prima  circolazione,  e  per 

100 
conseguenza  che  r'^  sia  eguale  ad  1:  '>•''  =  ——■=  1;  quindi 


[5]  (1145) 

si  calcola  quali  siano  i  valori  della  pressione  e  dell'  ef- 
flusso nella  successiva  circolazione,  dato  che  nella  prima 
fossero  eguali  a  100  ;  si  divide  il  valore  dell'  efflusso, 
cosi  ottenuto,  per  il  valore  della  pressione,  e  se  si  ottiene 
per  quoziente  1'  unità,  sarà  segno  che  il  lume  dei  vasi  è 
rimasto  invariato,  e  se  si  ottiene  invece  una  cifra  maggiore 
0  minore  della  unità,  ciò  indicherà  che  il  lume  dei  vasi  è 
aumentato  o  diminuito  di  una  (j[uantità  relativa;  dato  anche 
che  col  modificarsi  del  lume  dei  vasi  capillari  sia  avvenuta 
una  qualche  modificazione  nel  coeflSciente  di  traspirazione. 

Nelle  ricerche  che  si  fanno  coi  tubi  metallici,  non 
distensibili,  per  quante  cautele  si  adoperino,  la  quantità  di 
efflusso  calcolata  e  sempre  di  qualche  cosa  superiore  alla 
quantità  verificata  ;  e  perciò  non  è  da  meravigliarsi,  se  in 
alcuni  casi,  calcolando  sulle  cifre  ottenute,  in  seguito  al- 
l' innalzamento  della  pressione,  si  ottenne  una  cifra  infe- 
riore alla  unità,  e  non  si  deve  da  questo  fatto  dedurre, 
che  i  vasi  per  l' aumentata  pressione  si  siano  ristretti, 
perchè  ciò  sarebbe  assurdo.  Non  ho  fatto  un  numero  suffi- 
cientemente esteso  di  ricerche  per  poter  formulare  delle 
leggi  generali,  ma  da  quelle  fatte  credo  di  non  andar 
molto  errato,  se  ammetto,  che  in  via  media  1'  efflusso  veri- 
ficato sia  inferiore  di  un  decimo  circa  a  quello  calcolato. 
E  perciò  credo  che,  nei  calcoli  so})ra  indicati,  1'  efflusso 
verificato  potrebbe  essere  annientato  in  media  di  un 
decimo. 

Dividendo  la  cifra  rappresentante  la  dilatazione  avve- 
nuta nel  sistema  vascolare  per  F  aumento  della  pressione, 
rappresentato  in  millimetri  di  mercurio,  si  avrà  la  dilata- 
zione })rodotta  da  ciascun  millimetro  ;  e  dividendo  la  me- 
desima cifra  per  i  centesimi  di  cui  la  pressione  fu  aumen- 
tata, si  avrà  1'  aumento  prodotto  da  un  centesimo  in  più  di 
pressione. 

Quando  si  pensa  che  un  pulviscolo  o  una  l)ollicina  d'a- 
ria, penetrando  nei  vasi,  o  un  piccolo  coagulo  staccandosi  dai 
medesimi,  o  uno  spostamento    sia    delle    cannule    nei  vasi 


(1146)  [6] 

innestate,  .sia  dell'organo  attraverso  il  quale  la  circolazione 
vien  fatta,  possono  modificare  notevolmente  l' efflusso,  si 
comprende  che  queste  ricerche  devono  essere  condotte 
colle  maggiori  cautele,  e  che  ad  onta  delle  medesime  è 
quasi  impossibile  di  guardarsi,  in  tutti  i  casi,  da  ogni  er- 
rore. E  perciò  si  dovranno  trascurare  non  solo  quelle 
esperienze,  durante  le  quali  è  avvenuto  qualcuno  degli 
inconvenienti  sopraindicati,  ma  anche  quelle  nelle  quali  il 
valore  verificato  sia  troppo  inferiore  a  quello  calcolato, 
perchè  un  simile  risultato  non  potrebbe  dipendere  clie  da 
inconvenienti  inavvertiti,  o  da  contrazione  spontanea  dei 
vasi. 

Molte  volte,  quando  si  abbassa  la  pressione,  l' efflusso 
non  diminuisce  in  relazione  alla  medesima,  e  si  ottengono 
quindi  delle  cifre  le  quali  starebbero  per  indicare  un  au- 
mento della  capacità  dei  vasi,  lo  che  sarebbe  assurdo.  In 
simili  casi  1'  efflusso  è  superiore  a  quello  calcolato,  perchè 
esce  non  solo  il  litjuido  spinto  dalla  pressione,  ma  anche  il 
liquido  che  viene  scacciato  dai  vasi  per  la  costrizione  ela- 
stica dei  medesimi.  E  per  conseguenza,  in  queste  ricerche, 
gioverà  di  assicurarsi  che  la  costrizione  elastica  dei  vasi 
è  compiuta  ;  lo  che  sarà  dimostrato  dalla  nessuna  ulteriore 
diminuzione  dell'efflusso.  Però  in  molti  casi,  e  specialmente 
sperimentando  sui  polmoni,  anche  dopo  aver  atteso  molto 
tempo  senza  che  l'efflusso  diminuisca,  si  verificò  un  efflusso 
superiore  a  quello  che  secondo  il  calcolo  avrebl)e  dovuto 
aver  luogo,  dato  che  i  vasi  non  si  fossero  affatto  ristretti  ; 
ed  un  simile  risultato,  senza  trascurare  la  possibilità  di 
qualche  errore  sperimentale,  credo  debbasi  interpretare 
come  effetto  di  paralisi  della  tonaca  muscolare. 

Le  circolazioni  artificiali  erano  fatte  sotto  una  pres- 
sione costante,  data  da  una  bottiglia  di  Mariotte,  e  per 
avere  dei  dati  che  potessero  essere  fra  di  loro  paragonati, 
nello  stessei  animale  si  faceva  la  circolazione  attraverso  le 
femorali,  attraverso  la  carotide  ed  attraverso  le  renali,  o 
r  aorta. 


[7]  (1147) 

La  soluzione  fisiologica,  in  alcuni  casi,  era  mantenuta 
ad  una  temperatura  costante  di  35",  e  in  alti'i  si  faceva  invece 
r  esperimento  alla  temperatura  dell'  ambiente.  11  liquido  che 
usciva  dalla  vena  era  raccolto  in  un  vaso  graduato,  e  per 
mezzo  di  un  orologio  a  secondi  si  determinava  il  tempo 
che  impiegava  ad  uscire  una  unità  di  liquido,  o  la  quan- 
tità di  liquido  che  usciva  in  una  unità  di  tempo. 

La  circolazione  non  veniva  mai  interrotta,  e  quando 
per  necessità  si  doveva  interrompere,  si  incominciava  una 
nuova  serie  di  ricerche. 

E  ciò  si  faceva,  perchè  la  pratica  aveva  dimostrato 
che  in  seguito  ad  una  soppressione  del  circolo  il  lume  dei 
vasi  si  modifica. 

Ho  preferito  questo  metodo  a  quello  del  pletismogi'afo, 
che  sembrerebbe  più  indicato,  a  motivo  dell'  edema  cjie  di 
solito  si  verifica  nell'  organo  sottoposto  alla  circolazione 
artificiale  :  e  perché  apposite  esperienze  di  circolazioni 
attraverso  tubi  metallici,  ed  attraverso  vasi  sanguigni  che 
non  si  potessero  dilatare,  collocando  p.  e.  i  reni  in  un  re- 
cipiente pieno  d' acqua,  e  munito  di  due  sole  aperture, 
r  una  in  comunicazione  coli'  arteria  e  1'  altra  colla  vena, 
mi  persuasero  della  sua  bontà. 

Ho  fatto  uso  di  animali  morti  da  qualche  tempo  e  di 
animali  morti  da  poco,  ed  ho  trovato  preferibili  questi  ul- 
timi, a  motivo  specialmente  dei  coaguli  che  si  trovano  nei 
vasi  dei  primi  e  che  col  distaccarsi  vengono  a  turbare 
gravemente  i  risultati  della  ricerca.  Non  giova  premunirsi 
contro  simile  accidente  mediante  una  circolazione  subito 
dopo  morte,  perchè  se  questa  viene  praticata,  la  circola- 
zione più  tardi  riesce  difficilissima,  o  impossibile,  a  motivo 
del  fortissimo  edema  a  cui  dà  luogo.  Oltre  di  ciò  è  da 
notarsi,  che  se  per  eliminare  l' intervento  possibile  della 
contrattilità,  si  attende  fino  a  che  questa  sia  assolutamente 
scomparsa,  e'  è  pericolo  che  si  modifichi  anche  la  elasticità 
delle  pareti  vasali,  almeno  per  la  parte  con  cui  vi  concorre 


(1148)  [8] 

la  tonaca  muscolare,  che  nelle  piccole  arterie  è  assai 
sviluppata. 

E  in  conseguenza,  se  io  non  posso  escludere,  in  via 
assoluta,  che  nella  produzione  dei  risultati  da  me 
ottenuti  possa,  in  qualche  modo,  essere  intervenuta  an- 
che la  contrattilità,  oltre  alla  elasticità,  parmi  però  che 
questa  deficienza  sia  più  che  compensata  dalla  circostanza, 
che  questi  risultati  possono,  con  maggior  sicurezza,  essere 
applicati  all'  organismo  vivo. 

Ciò  premesso,  riferisco  in  esteso  l'andamento  di  alcune 
esperienze. 

•^  Gennajo  1893. 

Cane  ucciso  da  un'  ora  e  mezza  per   dissanguamento. 

La  circolazione  artificiale  vien  fatta  colla  soluzione  di 
cloruro  di  sodio  all'  8  per  mille,  mantenuta  alla  tempera- 
tura costante  di  35".  Si  inietta  la  soluzione  nell'  arteria 
femorale. 

Pressione  mm.  hg.  O'i. 

Escono  dalla  vena  femorale  corrispondente  15  ce.  di 
liquido  in  sec.  33-29-28-27-24-23-23-23. 

Pressione  132  mm.  hg. 

Escono  50  ce.  in  sec.  34-32-33. 

Pressione  1(34  mm.  lig. 

Escono  50  ce.  in  sec.  23-23-23. 

Pressione  132  mm.  hg. 

Escono  50  ce.  in  sec.  23-24-23. 

Pressione  02  mm.  hg. 

Escono  50  ce.  in  sec.  37-30-.39  —  dopo  5  minuti  in  60. 

Quindi  : 

Aumento  di  pressione  da  93  a  132  come  da  100  a  142 
—  aumento  di  velocità  da  33  a  77  come  da  100  a  233  — 
capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  132,  supposta  eguale  ad 

233 

uno  la  capacità  dei    medesimi    alla    jiressione    di    93,   —-x 


[9]  (1149) 

=  1,64  —  aumento  in  contesimi,    pei'    millimetro    lig.    di 

64  .    . 

pressione  ^5^=  i, ^4  —  aumento,  m  centesimi,  per  cente- 

simo  di  pressione —=  1,52  . 

Aumento  di  pressione  da  132   a    164  come  da  100    a 

125  —  aumento  di  efflusso  da  2o  a  32  come  da  100  a  148  — 

capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  164  supposta  eguale  ad 

.148 
uno  la  capacità  dei  medesimi  alla    pressione    di    132,   t^ 

=  1,18  —  aumento,  in  centesimi,  per    millimetro    lig.    di 

18  .        ,.  . 

pressione  -—  =  0,50  —  aumento  per  centesimo  di  pressione 

2ò 

Diminuzione  di  pressione  da  164  a  132  come  da  100  a 
74  —  diminuzione  di  efflusso  nessuna,  da  23  a  23  come  da 
100  a  100  —  capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  132,  sup- 
posta eguale  ad  uno  la  capacità  dei  medesimi  alla  pressione 

100 

di    \i\4  =  -— -  =  1,32. 

/4 

Secondo  queste  cifre  la  diminuzione  della  pressione 
anziché  una  diminuzione  avrebbe  prodotto  un  aumento 
della  capacità  ;  ma  ciò  è  assurdo,  ed  io  credo  che  un  simile 
risultato,  verificato  anche  in  altri  casi  in  seguito  all'abbas- 
samento della  pressione,  sia  da  attribuirsi  alla  circostanza, 
che,  appena  abbassata  la  pressione,  dalla  vena  esce,  non 
solo  il  liquido  che  deve  uscire  in  forza  della  pressione 
sotto  la  quale  viene  fatta  la  iniezione  nelle  arterie,  ma 
anche  il  liquido  che  viene  scacciato  dal  sistema  vascolare, 
in  conseguenza  della  costrizione  dei  vasi. 

Diminuzione  di  pressione  da  132  a  93  come  da  100  a 
70  —  diminuzione  di  efflusso  da  37  a  24  come  da  100  a 
65  —  ca])acità  del  territorio  vascolare  alla  pressione  di 
93  nim.  lig.  supposta  eguale  ad  uno  la  capacità  del  medesimo 


(1150)  [10] 

)5 
"O 


()5 
alla  ])rc.ssioMe  di  IS;::?  min.  lig.,   —-=0,91    —  diiniiuizione, 


0 
in  centesimi,  per  millimetro  di  pressione —  =(?, 2.9  — di- 

9 
minuzione  pei*  centesimo  di  pressione —  =  0,30  . 


Si  inietta  la  soluzione  in  un'  arteria  rende. 

Pressione  92  mm.  lig. 

Escono  dalla  vena  corrispondente  in  un  minuto  goc- 
cie  18-19-19-18. 

Pressione  132  mm.  hg. 

Escono  in  un  minuto  goccie  34-30-30-36. 

Pressione  164  mm.  hg. 

Escono  in  un  minuto  goccie  02-02-63-62. 

Pressione  132  mm.  hg. 

Escono  in  un  minuto  goccie  43-42-41-41. 

Pressione  92  mm.  hg. 

Escono  in  un  minute  goccie  23-23-29,  dopo  cinque 
minuti   19. 

Quindi  : 

Aumento  di  pressione  da  92  a  132  come  da  100  a  142 

—  aumento  di  efflusso  da  18  a  36  come  da   100  a  200  — 

capacità  dei  vasi    renali    alla    pressione    «li    132,    supposta 

eguale  ad  uno  la  capacità  dei  medesimi  alla   pressione    di 

200 
92, — 7=1,48  —  aumento  in  centesimi  per  millimetro  di 

48  .        ,.  . 

pressione  -77;=  1,^0  —  aumento  per  centesimo  di  pressione 

Aumento  di  pressione  da  132  a  164  come  da  100  a  125     . 

—  aumento  di  efflusso  da  36  a  62  come  da  100  a  172  —     ] 

capacità  dei  vasi  alla  pressione  di   164  supposta  eguale  ad 

172 
uno  la  capacità  dei  medesimi   alla   pressione    di    132,  -^r-z 


[11]  (1151) 

=  1,37  —  aumento  in  centesimi  per    millimetro    di    pres- 

37  .  ,.  . 

siane. —-  =  1,16  —  aumento    per  centesimo    di    pressione 

37 

Diminuzione  di  pressione  da  164  a  132  come  da  100  a 
74  —  diminuzione  di  efflusso  da  62  a  41  come  da  100  a  66 

—  capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  132  supposta  eguale 
ad  uno  la  capacità  dei    medesimi   alla    pressione   di     164, 

—  ==0,80  —  diminuzione  di   capacità    per    millimetro    di 

11 
pressione  -r^^  =  0,34  —  diminuzione  di  capacità  per  cente- 

Simo  di  pressione  —  =  0,42  . 

Diminuzione  di  pressione  da  132  a  92  come  da  100  a 
70  —  diminuzione  di  efflusso  da  41  a  23  come  da  100  a 
56  —  capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  92,  supposta  e- 
guale  ad  uno  la  capacità  dei    medesimi    alla    pressione  di 

56  .    . 

132, -—=0,80  —  diminuzione  di  capacità  per  millimetro 

20  .... 

di  pressi one, -TT-r  =  (?,^<?  —   diminuzione    di    capacita    per 

20 

centesimo  di  pressione,  -rr  =  0,60  . 
oO 


Si  inietta  la  soluzione  sodica  in  una  carotide. 
Pressione  92  mm.  hg. 

Escono  dalla  vena  giugulare    50  ce.    in    secondi    51- 
52-51-52. 

Pressione  132  mm.  lig. 

Escono  dalla  vena  50  ce.  in  secondi  36-34-33-33. 

Pressione  164  mm.  hg. 

Escono  dalla  vena  50  ce.  in  secondi  25-24-25. 

Pressione  132  mm.  lig. 

Escono  dalla  vena  50  ce.  in  secondi  31-33-34. 


(1152)  [12] 

Pressione  92  mm.  hg. 
Escono  dalla  vena  50  ce.  in  secondi  51-52-51. 

Quindi  : 
Anniento  di  pressione  da  92  a  132  come  da  100  a  140 

—  aumento  di  efflusso  da  36  a  52  come  da  100  a  144  — 

capacità    del    territorio    vascolare    alla   pressione    di    132, 

supposta  eguale  ad  uno    la    capacità    del    medesimo  a  92, 

44 
— -  —  1,10  —  aumento  in  centesimi  per  millimetro  di  pres- 

10  ^  10 

sione  -— r  =  0,25  —  aumento  per  centesimo  di  lìressione  -77: 

40  '  ^40 

=  0,25 . 

Aumento    di    pressione  da    132  a  164  come  da  100  a 

125  —  aumento  di  efflusso  da  25  a  33  come  da  100  a  132 

—  capacità  del  territorio  vascolare  alla  pressione  di  164, 
supposta  eguale  ad  uno  la  capacità  del  medesimo  a  132, 
132 

125 

6 
sione  ~=0,iS —  aumento  di  capacità  per  centesimo   di 

O/C 

6 
pressione  —  :=  0,24  . 

Diminuzione  di  pressione  da  164  a  132  come  da  100  a 
74  —  diminuzione  di  efflusso  da  33  a  25  come  da  100  a  76 

—  capacità  del  tei'intorio  vascolare  alla  pressione  di  132, 

supposta  eguale  ad  uno  la  capacità  del  medesimo  alla  pres- 

76 
sione   di    164, —  =-1,02. 
/4 

Ripeto  quello  che  ho  già  indicato  pocanzi,  che  questo 
risultato  apparentemente  assurdo,  si  deve  interpretare,  a 
mio  avviso,  ammettendo  che  al  li(iuido  che  esce  in  causa 
della  pressione  che  lo  spinge,  si  aggiunga  quello  che  i  vasi 
cacciano  fuori  restringendosi. 

Diminuzione  di  pressione  da  132  a  92  come  da  100  a 
70  —  diminuzione  di  efflusso  da  51  a  33  come  da  100  a 
64  —  capacità  del  territorio  vascolare  alla  pi-essione  di  92, 


[13]  (1153) 

supposta  eguale  ad  uno  la  capacità  del  medesimo  alla  pres- 

(34 
sioiie  di   132, —  =0,91  —  diminuzione  per  millimetro  di 

9 
pressione  —  =  0,30  —  diminuzione  per  centesimo  di  pres- 

9 
sione  —  =  0,30  . 

Dalle  cifre  suesposte  risulta  che  in  questo  esperimento  : 
1°  Per  eguale   aumento  di  pressione,  a  partire  da 
una  pressione  eguale,  si  dilatarono,  più  di  tutti,  i  vasi  degli 
arti,  poi  quelli  dei  reni  e  poi  quelli  del  cervello. 

2°  Col  discendere  della  pressione  al  grado  primi- 
tivo, riacquistarono  il  primitivo  volume,  più  prontamente  di 
tutti,  i  vasi  del  cervello,  poi  quelli  dei  reni,  e  poi  quelli 
degli  arti. 

3°  Per  eguale  aumento  di  pressione,  tutti  i  vasi  si 
dilatarono  tanto  meno,  quanto  più  elevata  era  la  pressione 
endovasale. 


30  Gennaio  1893. 

Cane  ucciso  per  dissanguamento  da  un'ora  e  mezza. 

Soluzione  sodica  come  nell'  esperienza  precedente. 

Si  fa  r  iniezione  nella  femorale. 

Pressione  90  nim.  hg. 

In  60  secondi  escono  dalla  vena  corrispondente  ce. 
24,5-25-27-27,5-30-31-32-32-32. 

Pressione  102  mm.  hg. 

In  60  secondi  escono    ce.  40-41-43-43-43. 
Quindi  : 

Aumento  di  pressione  da  90  a  102  come  da  100  a  113 
—  aumento  di  efflusso  da  32  a  43  come  da  100  a  133  — 
capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  102,  supposto    che    alla 

133 

pressione  di  90  fosse  eguale  ad   1,  -—  =  1,18  —  aumento, 


(1154)  [14] 

18 
in  centesimi,  per  millimetro  di  pressione,—  =  i ,50  —  au- 

18 
monto  per  centesimo  di  pressione —  =  1,38. 


Si  fa  la  iniezione  nell'  aorta  toracica,  dopo  di  avere 
legato  r  aorta  addominale  e  la  vena  cava  ascendente  sotto 
l'origine  delle  renali,  e  dopo  avere  innestato  una  cannula 
nella  cava  ascendente,  immediatamente  prima  del  suo  sboc- 
co nel  cuore. 

Pressione  84  mm.  hg. 

Escono  dalla  vena  cava  ascendente  in  15  secondi  ce. 
39-45-45-44-44. 

Pressione  94  mm.  hg. 

Escono  in  15  secondi  ce.  48-50-49-50. 
Quindi  : 

Aumento  di  pressione  da  84  a  94  come  da  100  a  112 
—  aumento  di  efflusso  da  44  a  50  come  da  100  a  114  — 
capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  94,  supposta  eguale    ad 

.   ^       114 
uno  la  cai)acità    dei    medesimi    alla    pressione    di  84,  jj-^ 

=  1,02  —  aumento,  in  centesimi,    di    capacità    per    milli- 

2 
metro  di  pressione,  —  =  0,20  —  aumento    per    centesimo 

2 

di    pressione  —  =  0,1(3 . 

Dalle  cifre  ottenute  in  questo  esperimento  risulta 
quindi  che,  partendo  da  una  pressione  analoga,  per  un 
dato  aumento  di  pressione  i  vasi  degli  arti  si  dilatarono  assai 
più  dei  vasi  addominali. 

7  Febbra.to  1893. 

Cane  ucciso  mediante  istillazione  di  due  goccie  di  acido 
cianidrico  nella  congiuntiva,  soluzione  sodica  come  nel  caso 
precedente. 


[15]  (1155) 

Iniezione  nell'  arteria  femorale. 

Pressione  56  mm.  lig. 

Escono    dalla    vena    cor  rispondente  in  15  secondi    ce. 
25-26-25-25. 

Pressione  96  mm.  hg. 

Escono  in  15  secondi  ce.  84-87-84-79-81-81. 
Quindi  : 

Aumento  di  pressione  da  56  a  96  come   da  100  a  171 

—  aumento  di  efflusso  da  26  a  81  come  da  100  a  .311  — 
capacità  del  territorio  vascolare  alla  pressione  di  96,  sup- 
posta eguale  ad  uno  la  capacità  del  medesimo    alla   pres- 

311 
sione  di  56,  y^  =  1,82  —  aumento,    m    centesimi,  della 

capacità  del  detto  territorio    per    millimetro    di    pressione 

82  .  ,.  .  82 

-—  =  2,0^)  —  aumento  per  centesimo  di  pressione  -— 
40         '  ^  /l 

=  1,15. 

Iniezione  nella  carotide. 
Pressione  86  mm.  hg. 

Escono    dalla    giugulare  corrispondente  in    10  secondi 
ce.  25-25-25-25. 

Pressione  106  mm.  hg. 

Escono  in  10  secondi  ce.  33-33-33-33. 

Pressione   126  mm.  lig. 

Escono  in   10  secondi  ce.  40-40-40-41. 

Quindi  : 
Aumento  di  pressione  da  86  a  106  come  da  100  a  123 

—  aumento  di  efflusso  da  25  a  33  come  da  100  a  132  — 
capacità  del  territorio  vascolare  alla  pressione  di  106,  sup- 
posta eguale  ad  uno  la  capacità  del   medesimo    a   86,  -r--^ 

=  1,09  —  aumento,  in  centesimi,  per  millimetro  di  pres- 

9 
sione  — -  =  0,4r)  —  aumento  per    centesimo    di    pressione 

9 

—  =  0  29 
32  ■ 


(1156)  [16] 

Aumento  di  pressione  da  106  a  Ì2(j  come  da  100  a  115) 

—  aumento  di  efflusso  da  33  a  40  come  da  100  a  122  — 
capacità  del  territorio  vascolare  alla  pressione  di  126,  sup- 
posta eguale  ad  uno  la  capacità  del   medesimo    alla   pres- 

122 
sione  di   106,  -—=1,01   —    aumento,    in    centesimi,    per 

millimetro  di  pressione  --—=0,05  —  aumento,  in  cente- 
simi di  pressione  —  =  0,05  . 

Iniezione  nell'  arteria  renale. 
Pressione  86  mm.  lig. 

Escono  dalla  vena  corrispondente    in    60    secondi    ce. 
6,5-6,5-6,5. 

Pressione  105. 

Escono  in  60  secondi  ce.   10-11-12-12. 

Pressione  136. 

Escono  in  60  secondi  ce.    18-20-21-21. 

Quindi  : 
Aumento  di  pressione  da  86  a  106  come  da  100  a  123 

—  aumento  di  efflusso  da  6,5  a  12  come  da  100  a  184  — 
capacità  del  territorio  vascolare  alla  pressione  di  106,  sup- 
posta eguale  ad  uno  la  capacità  del   medesimo    alla   pres- 

184  .    . 

sione  di  86,  y^=:1,50    —    aumento,    m    centesimi,    per 

50 
millimetro    di    pressione,  —  =  2,5  —  aumento,    m  cente- 

50 

simi,  per  centesimo  di  pressione  ~  =  2,3  . 

Aumento  di  pressione  da  106  a  136  come  da  100  a  128 

—  aumento  di  efflusso  da  12  a  21  come  da  100  a  175  — 
capacità  del  territorio  vascolare  alla  pressione  di  136, 
supposta  eguale  ad  uno  la  capacità  del  medesimo  alla  pres- 
sione di   106,  ——=1,37  —    aumento,    in    centesimi,    per 

128 


[17]  (1Ì57) 

37 
millimetro  di  pressione  ~  =  i, 5.9  —  aumento    in    cente- 

37 
simi,  per  centesimo  di  pressione  —  =  1,32. 

Aumento  di  pressione  da  136  a  146  come  da  100  a  lOS 

—  aumento  di  efflusso  da  21  a  24  come   da    100  a  114  — 

—  capacità  del  territorio  vascolare  iniettato  alla  pressione 

114  .  •.    .  . 

di    14(),  777-;=  1  06  —  aumento  in  cent.,  permillim.,  di  pres- 

lOb 

sione  —  =  0,60  —  aumento  per   centesimo    di    pressione 

4^0.75. 

Dalle  cifre  sopraesposte  risulta   quindi    che    anche    in 
questo  esperimento  : 

1°  A  partire  dalla  medesima  pressione,  per  un  me- 
desimo aumento  di  pressione,  si  dilatarono  più  di  tutti  i 
vasi  degli  arti,  poi  quelli  dei  reni  e  poi  quelli  del  cer- 
vello. 

2"  Tutti  i  vasi  si  dilatarono  tanto  meno,  per  un 
medesimo  aumento  di  pressione,  quanto  più  elevata  era  la 
pressione  endovasale. 


8  Febbrajo  1893. 

Cane  ucciso  per  puntura  del  midollo  allungato. 
Soluzione  sodica  come  negli  esperimenti  precedenti. 
Iniezione  nell'  arteria  femorale. 
Pressione  56. 

In  20  secondi  escono  dalla  vena  corrispondente  ce.  30- 
25-23-23-24-23-23. 
Pì^essione  86. 

Escono  in  20  secondi  ce.  48-50-51-50. 
Pressione   106. 

Escono  in  20  secondi  ce.  68-68-70-70. 
Pressione   120. 
r.  IV,  s.  VII  79 


(1158)  [18] 

Escono  in  20  secondi  ce.  (S2-86-84. 
Si  sospende  1'  esperienza  per  20  minuti. 
Pressione   120. 

Escono  in  20  secondi  ce.  90-90-98-100. 
Pressione   1 06. 

Escono  in  20  secondi  ce.  88-88-88. 
Pressione  86. 

Escono  in  20  secondi  ce.  70-68-68-70. 
Pressione  56. 
Escono  in  20  secondi  ce.  42-40-40-40. 

Quindi  : 
Aumento  di  pressione  da  56  a  86  come  da  100  a  154 

—  aumento  di  efflusso  da  23  a  50  come  da  100  a  217  — 
capacità  del  territorio  iniettato  alla  pressione  di  86,  sup- 
posta eguale  ad  uno  la  capacità  del  medesimo    alla    pres- 

217 
sione  di  56,  ——  =  1,41  — aumento,  in  centesimi,  per  mil- 
lo4  ^ 

41 
limetro  di  pressione -—  =  /,. 9^ —  aumento  per  centesimo 

41 
di  pressione  -r-  =  0,78  . 
^  54 

Aumento  di  pressione  da  86  a  106  come  da  100  a  123 

—  aumento  di  efflusso  da  50  a  70  come  da  100  a   140  — 

capacità    del    territorio    vascolare    alla    pressione   di    106, 

140 
supposto  ecc.  -7^:=  1,14    —    aumento,  in    centesimi,    per 

14 
millimeti'O  di  pressione  -—  =  0,70  —  aumento,   in    cente- 

.  .    ^      .         14 

simi,  per  centesimo  di  pressione -^  =:  0,61  . 

Aumento  di  pressione  da  106  a  120  come  da  100  a  113 

—  aumento  di  efflusso  da  70  a  84   come  da    100  a  120  — 

capacità  del  territorio  vascolare  alla  pressione  di   120,  sup- 

120 
posta  ecc.  -j— r=l,06  — aumento,  in  centesimi,  })er  mini- 
li o 


[19]  (iir,<)) 

6 
metro  di  pressione  —=0,43  —  aumento   per   centesimo 

() 
di  pressione  -r^  =  0,46  . 

lo 

Diminuzione  di  pressione  da  120  a  106  come  da  100  a 
88  —  diminuzione  di  efflusso  da  !)8  a  88  come  da  100  a 
00  —  capacità  del  territorio  iniettato  alla  pressione  di  106, 
supposta  eguale  ad  uno  la  capacità    del    medesimo  a    126, 

90 

—  =  1,02. 

88 

Questo  risultato  credo  si  deva  interpretare  nel  modo 
altrove  indicato,  perchè  sarebbe  assurdo  il  supporre  che 
una  diminuzione  di  pressione  facesse  crescere  il  volume. 

Diminuzione  di  pressione  da  106  a  86  come  da  100  a 
81   —  diminuzione  di  efflusso  da  88  a  70  come  da  100  a  79 

—  capacità  del  territorio  iniettato  alla  pressione  di  86,  sup- 

79 
posta  ecc.  —  =  0,97  —  diminuzione  di  capacità    per  mil- 

3 
limetro  di   pressione —=:0,i5  —  diminuzione  per  cente- 

3 
Simo   di    pressione  —  =  0,15  . 

Diminuzione  di  pressione  da  86  a  56  come  da  100  a 
65  —  diminuzione  di  efflusso  da  70  a  40  come  da  100  a  57 

—  capacità  del  territorio  vascolare    alla  pressione    di  56, 

57 

supposta  ecc.  —^0,88  —  diminuzione  per  millimetro  di 

12 
pressione  —  =  0,40  —  diminuzione  per  centesimo  di  pres- 


30 


12 


sione  -^  =  0,34  . 
35 


Iniezione  nella  carotide. 
Pressione  56  mm.  hg-. 

Escono  dalla    giugulare  corrispondente,  in  10  secondi 
ce.  34-34-35-33. 


(1160)  [20] 

Pressione  86. 

Escono  in  10  secondi  ce.  58-58-58. 
Pressione  96. 

Escono  in   10  secondi  ce.  68-66-66. 
Pressione  86. 

Escono  in  10  secondi  ce.  64-60-60-60. 
Pressione  56  nini.  lig. 
Escono  in  10  secondi  ce.  38-37-36-38. 

Quindi  : 
Aumento  di  pressione  da  56  a  86  come  da  100  a  153 

—  aumento  di  efflusso  da  33  a  58  come  da  100  a  176  — 
capacità  del  territorio  iniettato  alla  pressione  di  86,  sup- 
posta ecc.  -—=1,15  —  aumento,  in  centesimi,   per  mil- 

15 
limetro  di  pressione -^  =  0,.50  —    aumento,    in    centesimi, 

15       ^  ^ 

per  centesimo  di  pressione  -r^  =  0,28  . 

Aumento  di  pressione  da  86  a  96  come  da  100  a  112 

—  aumento  di  efflusso  da  58  a  68  come  da  100  a  117  — 
capacità  del  territorio  iniettato  alla  pressione  di  96,    sup- 

117  .    . 

posta  ecc.  t—^'^'I'O'^  —  aumento,  m  centesimi,  per  mil- 
limetro di  pressione -rr  =0,50  —  aumento   per   centesimo 

5 

di  pressione  -r^  =  0,29  . 
^  1/ 

Diminuzione  di  pressione  da  96  a  86  come  da  100  a 

90  —  diminuzione  di  efflusso  da  66  a  60  come  da  100  a 

90  ■ —  capacità  del  territorio  iniettato  alla  pressione  di  86 

90  T    .       . 

supposta  ecc.  -^  =  1   —  vale  a  dire  nessuna  diminuzione, 
yu 

Diminuzione  di  pressione  da  86  a  56  come  da  100  a 

65  —  diminuzione  di  efflusso  da  60  a  37  come  da  100  a  61 

—  capacità    del  territorio    iniettato    alla    pressione  di  56, 


[21]  (1161) 

61 
65 


61 
supposta  ecc.  7:^  =  0,92  —  diminuzione,  in  centesimi,  per 


.8 
millimetro  di  pressione  —  =  0,27  —  diminuzione  per  cen- 

8 
tesimo  di  pressione  -^  =  0,23  . 

Secondo  le  cifre  soprariferite,  in  questo  esperimento 
si  ebbe  quindi  : 

V  Per  un  medesimo  aumento  di  pressione,  a  par- 
tire dalla  stessa  pressione,  dilatazione  maggiore  dei  vasi 
degli  arti  e  minore  di  quelli  del  cervello. 

2°  Col  ritornare  della  pressione  al  grado  iniziale, 
ritorno  al  volume  primitivo  più  pronto  da  parte  dei  vasi 
del  cervello  e  meno  da  parte  dei  vasi  degli  arti. 

3°  Nei  vasi  degli  arti,  per  un  medesimo  aumento 
di  pressione,  la  dilatazione  fu  tanto  minore,  quanto  più  ele- 
vata era  la  pressione  endovasale. 

Questo  fatto  non  fu  verificato  riguardo  ai  vasi  del  cer- 
vello, ma  potrebbe  darsi  che  non  si  fosse  palesato  a  mo- 
tivo della  poca  dilatazione  che  producevano  gli  aumenti 
della  pressione. 

11  Febbraju  1893. 

Cane  ucciso  da  due  ore  per  })untura  del  midollo  al- 
lungato. 

Soluzione  sodica  come  negli  esperimenti  soprariferiti. 

Iniezione  nella  femorale. 

Pressione  82  mm.  hg. 

Escono  dalla  giugulare  corrispondente  in  20  secondi 
ce.  40-41-42-40-42. 

Pressione   102  mm.  hg. 

Escono  in  20  secondi  ce.  66-6(S-70-70. 

Pressione   122. 

Escono  in  20  secondi  ce.  92-04-96-9()-94. 

Si  sospende  1'  esperimento  per  venti  minuti. 


(11G2)  [22] 

Pressione   112  min.  hg. 
Escono  in  20  secondi  ce.  98-102-104-102. 
Pressione  102  mm.  hg. 
Escono  in  20  secondi  ce.  100-96-02-92-93. 
Altra  sospensione  di  20  minuti. 
Pressione  82  mm.  lig. 
Escono  in  20  secondi  ce.  84-80-84-82-84. 
Pressione  52  mm.  hg. 
Escono  in  20  secondi  ce.  50-50-50-50. 

Quindi  : 
Aumento  di  pressione  da  82  a  102  come  da  100  a  124 

—  aumento  di  efflusso  da  42  a  68  come  da  100  a   162  — 

capacità  del  territorio  iniettato  alla  pressione  di  102  sup- 

162 
posta  eguale  ad  uno  ecc.  t-— -^^^IjSO  —  aumento  per  mil- 

:>0 

limetro  di  pressione —  =  i,oO  —  aumento  per  centesimo 

30 
di   pressione  -r-  =  1,25  . 
^  24 

Aumento  di  pressione  da  102  a  122  come  da  100  a  120 

—  aumento  di  efflusso  da  70  a  90  come  da  100  a   134  — 

capacità  del  territorio  iniettato  alla  pressione  di  122,  sup- 

134 
posta  ecc.  -^^=1,12  —  aumento,  in  centesimi,    per  mil- 

.     ^     .         12 
limetro  di  pressione  ~  =  0,60  —  aumento,    in   centesimi, 

12 

per  centesimo  di  pressione  —  =  0,60  . 

Diminuzione  di  pressione  da  112  a  102  come  da  100  a 
91  —  diminuzione  di  efflusso  da  102  a  94  come  da  100  a 
92 —  capacità  del  territorio  iniettato  alla  pressione  di  102, 
supposta  eguale  ad  uno  la  capacità  del  medesimo  alla  pres- 

92 
sione  di  112,  —=  ^-  Quindi  nessuna  diminuzione    di  vo- 
lume, anzi  forse  un  piccolissimo  aumento. 

Diminuzione  di  pressione  da  82  a  52  come  da  100  a  63 


[23]  (1163) 

—  diminuzione  di  elllusso    da  84   a  50   come  da  100  a  58 

—  capacità  dei  vasi  iniettati  alla  pressione  di  52,  supposta 

58 
ecc- 

8  .  8 

-—^=0,27  —  diminuzione  per  centesimo  di  pressione  — 
oO  o/ 

=  0,22 . 

Iniezione  nella  cm-otide. 
Pressione  82  mm.  lig. 

In   10  secondi  escono  dalla    giugulare    corrispondente 
ce.  32-36-37-38. 

Pì^essione   102  mm.  hg. 

In  10  secondi  escono  ce.  51-53-55-56. 

Si  sospende  1'  esperimento  per  mezz'  ora. 

Pì^essione  92  mm.  hg. 

In  10  secondi  escono  ce.  53-54-56-57. 

Pressione  82  mm.  hg. 

Escono  in  10  secondi  ce.  40-46-45-46. 

Quindi  : 
Aumento  di  pressione  da  82  a  102  come  da  100  a  124 

—  aumento  di  eillusso  da  38  a  56  come  da  100  a  147  — 
capacità  del  territorio  iniettato  alla  pressione  di  102,  sup- 
posta eguale  ad  uno  la  capacità  del   medesimo   alla  pres- 

147 
sione  di  82,  T-r7=  1,18  —  aumento  per  millimetro  di  pres- 
124  ^  ^ 

18  .        18 

sione  —  =  0,00  —  aumento  per  centesimo  -^  =  0,74  . 

Diminuzione  di  pressione  da  92  a  82    come   da   100  a 

89  —  diminuzione  di  efllusso  da  57  a  46  come    da  100  a 

80  —  capacità  dei  vasi  iniettati  alla  pressione  di  82,  sup- 

80 
posta  ecc.  —  =  0,90    —    diminuzione    per    millimetro    di 

10 
pressione  —  z=  1   —  diminuzione    per   centesimo    di   pres- 

10 
sione  -j-  =  0,91  , 


(1164)  [24] 

Iniezione  nella  arleria  renale. 

Pressione  70  mm.  lig. 

Escono  dalla  vena  corri.spondentc    in    00    secondi    ce. 
7-8-7-7. 

Pressione  92  mm.  lig. 

Escono  in  60  secondi  ce.   10-10-10. 

Pressione  112  nini.  lig. 

Escono  in  60  secondi  ce.   12-12-13. 

Pressione  132  mm.  lig. 

Escono  in  60  secondi  ce.   14-14,5-14. 

Pressione  152  mm.  lig. 

Escono  in  60  secondi  ce.   16-17-16-17. 

Si  sospende  1'  esperimento  per  mezza  ora. 

Pressione  162  mm.  hg. 

Escono  in  60  secondi  ce.   18-19-18-19. 

Pressione  132  mm.  hg. 

Escono  in  60  secondi  ce.  10- 16- 16. 

Pressione  112  mm,  lig. 

Escono  in  60  secondi  ce.  12,5-13-13. 

Pressione  92  mm.  lig. 

Escono  in  60  secondi  ce.   11-11-10. 

Pressione  72. 

Escono  in  60  secondi  ce.  8-8-8-7. 
Quindi  : 

Aumento  di  pressione  da  70  a  92  come  da  100  a  131 

—  aumento  di  efflusso  da  7   a   10  come  da  100  a  142  — 

capacità  del  territorio  iniettato  alla  pressione  di  92,   sup- 

142 
posta  ecc.  y7-j- =:  1 ,08  —  aumento,  in  centesimi,  per   mil- 

o 

limetro  di  pressione  -^  =  0,36  —  aumento,  in  centesimi, 

s 
per  centesimo  di  pressione  —  =  0,25  . 

o  1 

Aumento  di  pressione  da  92  a  112  come  da  100  a  122 

—  aumento  di  efflusso  da  10  a  12,.5  come  da  100  a  12.5  — 
capacità  del  territorio  iniettato  alla  pressione  di  112,  sup- 


[25]  (1165) 

125 
posta  ecc.  •T7J5=  l,^^^  —  aumento  pei*  millimetro  di  pressione 

—  =  0,io  aumento  per  centesimo  di  pressione  —  =  0,14  . 

Aumento  di  pressione  da  112  a  132  come  da  100  a 
118  —  aumento  di  efflusso  da  12,5  a  14,5  come  da  100  a 
116  —  capacità  del  territorio   iniettato    alla    pressione   di 

132,  supposta  ecc.  — —  :^0,98.    11  calcolo  darebbe   quindi 

una  diminuzione,  anziché  un  aumento  della  capacità,  lo  che 
è  assurdo.  Questo  risultato  dipende  dalla  circostanza  che 
r  efflusso  calcolato  è  sempre  superiore  all'  efflusso  veritì- 
cato.  Se  si  aggiungesse  un  decimo  al  valore  ottenuto,  si 
avrebbe  un  aumento  della  capacità  di  8  centesimi. 

Aumento  di  pressione  da  152  a  162  come  da  100  a  116 

—  aumento  di  efflusso  da  14  a  17  come  da  100  a  121   — 

capacità  dei  vasi  iniettati  alla  pressione    di    152,   supposta 

116 
ecc.   T— Y  =  0,96  . 

Diminuzione  di  pressione  da  162  a  132  come  da  100 
a  82  —  diminuzione  di  efflusso  da  18,5  a  16  come  da  100 
a  82  —  capacità  dei  vasi  iniettati  alla  pressione  di  132, 
supposta  eguale  ad  uno    la  capacità    dei    medesimi  a  162, 

—-=  \  .  Non  potendo  ammettere  alcuna  diminuzi(nie,  que- 
82 

sto  risultato  viene  attribuito  all'  uscita  del  liquido  scacciato 
per  costrizione  dai  vasi. 

Diminuzione  di  pressione  da  132  a  112  come  da  100  a 
84  —  diminuzione  di  efflusso  da  16  a   13  come  da  100  a 
SI  —  capacità  dei  vasi  iniettati  alla  pressione  di   112,  stip- 
si .... 
posta  ecc.  —  =  0,96  —  diminuzione,  in  centesimi,  per  mil- 


limetri di  pressione  —  =  0,20  —  diminuzione  per  cente- 
4^ 
l6 


20 

4 

^imo  di  pi-essione  —  =  0^25 


(1100)  [26] 

Diminuzione  di  pressione  da  112  a  92  come  da  100  a 

82  —  diminuzione  di  efflusso  da  13  a    10  come  da  100  a 

76  —  capacità  dei  vasi  iniettati  alla  pressione  di  92,  sup- 

76 
posta  eguale  ad  uno  ecc.  —  =  0,93    —    diminuzione    per 

millimetro  —  =  0,35  —  diminuzione  per  centesimo  di  pres- 

7 
sione  -r-r  =  0,39  . 

lo 

Diminuzione  di  pressione  da  92  a  72  come  da  100    a 

79  —  diminuzione  di  efflusso  da  10  a  7,5  come  da   100    a 

75  —  capacità  dei  vasi  iniettati  alla  pressione  di  72,  sup- 

75 
posta  ecc.  —,  =  0,95  ■ —  diminuzione,  in  centesimi,  per  mil- 

5 
limetro  -^  =  0,40  ■ —  diminuzione  per  centesimo  di  pres- 

5 
sione  -^  =  0,41  . 

Dalle  cifre  ottenute  risulterebbe  quindi  : 

1°  Che  per  un  medesimo  aumento  di  pressione  la 
dilatazione  dei  vasi  muscolo-cutanei  e  dei  vasi  renali  fu 
tanto  minore,  quanto  più  elevata  era  la  pressione. 

2°  Che  un  medesimo  aumento  di  pressione,  a  par- 
tire dalla  stessa  pressione,  dilatò  più  i  vasi  cutanei  poi  i 
cerebrali  e  meno  di  tutti  i  renali. 

3°  Che  il  ritorno  dei  vasi  al  volume  primitivo,  col- 
r  abbassarsi  della  pressione,  fu  più  pronto  da  parte  dei  vasi 
viscerali  e  meno  da  parte  dei  vasi  muscolo-cutanei. 


25  Aprile  1893. 

Cane  ucciso  da.  24  ore  per  dissanguamento. 
Soluzione  sodica  come  il  solito,  ma  alla    temperatura 
dell'ambiente. 

Iniezione  nella  femorale. 
Pressione  62. 


[27]  (ll()7) 

In  (lue  minuti  primi  escono  dalla  vena  corrispondente 
ce.  7-8-8-8. 

Pressione  82  mm.  lig\ 

In  2  minuti  escono  ce.   17-19-22-22. 

Pressione  93  nnn.  lig. 

In  2  minuti  escono  ce.  32-34-36-30. 

Pressione  104  mm.  hg. 

In  2  minuti  escono  ce.  48-50-54-54-54. 
Quindi  : 

Aumento  di  pressione  da  (j2  a  82  come    da  100  a  132 

—  aumento  di  efflusso  da  8  a  22  come  da  100  a  275  — 

—  capacità  dei  vasi  iniettati  alla  pressione  di  82,  su})posta 
eguale  ad  uno  la  capacità  dei  vasi  medesimi  alla  pressione 

di   62,  ——  =  2,08  —  aumento,  in  centesimi,  per  millime- 

.    ,.        ^  108 

tri  di  pressione  -^  =  5,4  —  aumento,  in  centesimi,    per 

108 
centesimo  di  pressione  -;rr^  =  3,39  . 

Aumento  di  pressione  da  82  a  93  come  da  100  a   113 

—  aumento  di  efflusso  da  22  a  36  come  da  100  a  164  — 

—  capacità  dei  vasi  iniettati  alla  pressione  di  92,  supposta 

164 

li; 

45  .  45 

—  =  4,09    —    aumento  per    centesimo    di    pressione   — 

Il  io 

=  3,46  . 

Aumento  di  pressione  da  93  a  104  come  da  100  a  112 

—  aumento  di  efflusso  da  36  a  54  come  da  100  a  150  — 

capacità  dei  vasi  iniettati  alla  pressione    di    100,  supposta 

152 
ecc.  -— :=1,.34  —  aumento    per   millimetro    di    pressione 

34        ^  34 

-j-j-  =  3,09  —  aumento  per  centesimo  —  =  2,84  . 


(1168)  [28] 

Iniezione  nella  carotide. 

Pressione  64  mm.  hg. 

Escono  dalla  giug-ulare  in  un  minuto  primo  ce.  9-13- 
15-15. 

Pressione  83  mm.  hg. 

Escono  in  un  minuto  ce.  28-29-29-29. 

P?'essione  95  mm.  hg. 

Escono  in  un  minuto  ce.  31-38-38-38. 

Pressione  114  mm.  hg. 

Escono  in  un  minuto  ce.  50-51-51-51. 

Pressione  95  mm.  hg. 

Escono  in  un  minuto  ce.  39-38-38-38. 

Si  interrompe  1'  esperimento  per  20  minuti. 

Pì'essione  89  mm.  hg. 

Escono  in  un  minuto  ce.  22-23-21. 

Pressione  78. 

Escono  in  un  minuto  ce.   16-15-15-15. 

Pressione  65. 

Escono  in  un  minuto  ce.   10-9-9-9. 
Quindi  : 

Aumento  di  pressione  da  64  a  83  come  da  100   a  130 

—  aumento  di  efflusso  da   15  a  29  come  da  100  a  193  — 

capacità  dei  vasi  iniettati  alla  pressione  di  83,  supposta  e- 

193 
guale  ad  uno  la  capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  64,  --75^ 

48 
=  1,48  —  aumento,  in  centesimi,  per  millimetro  —-=2,55 

48 

—  aumento  per  centesimo  di    pressione  -—  =  1,60  . 

Aumento  di  pressione  da  83  a  95  come  da   100  a  114 

—  aumento  di  efflusso  da  29  a  38  come  da   100  a  131    — 

capacità  dei  vasi  iniettati    alla    pressione    di    i)5,    supposta 

131  15 

ecc.  7%— — 1,15  —  aumento  per  millimetro  -— =i,'?;">  — 
114  '  12 

15 
aumento  per  centesimo  di  pressione  -- —  =  1,07  . 


[29]  (1169) 

Aumento  di  pressione  da  95  a  114  come  da  100  a  120 

—  aumento  di  efflusso  da  38  a  51   come  da  100  a  134  — 

capacità  dei  vasi  iniettati  alla  pressione    di    114,    supposta 

134  .  12 

ecc.  ~i^=  1,12  —  aumento  per  millimetro  -~  =  0,63  — 

12 
aumento  per  centesimo    di    pressione  —  =  0,60  . 

Diminuzione  di  pressione  da  114  a  95  come  da  100  a 

83  —  diminuzione  di  efflusso  da  51  a  38  come   da   100  a 

74  —  capacità  dei  vasi  iniettati  alla  pressione  di  95,  sup- 

74 
posta    eguale  ad  uno  la  capacità  dei  medesimi    a    114, -r— 

oo 

=  0,89  —  diminuzione  per  millimetro -r^  =  Ojó'O    —    di- 
minuzione per  centesimo  di  pressione  —  =  0,64  . 

Diminuzione  di  pressione  da  89  a  78  come  da  100  a  87 

—  diminuzione  di  efflusso  da  21    a   15  come  da  100  a  71 

—  capacità  dei  vasi  iniettati  alla  pressione  di  78,  supposta 

eguale  ad  uno  la  capacità  dei  medesimi   alla   pressione  di 

71  19 

89, -— =  0,81  —  diminuzione  per  millimetro —-j-  =   i,/5 

19 

—  diminuzione   per  centesimo -r^  =  1,45  . 

Diminuzione  di  pressione  da  78  a  65  come  da   100  a 
83  —  diminuzione  di  efflusso  da  15  a  9  come  da  100  a  60 

—  capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  65,  supposto  ecc.  -^ 

28 
=:  0,72  —  diminuzione  per  millimetro —  =  i>,i^    —   di- 

28 
minuzione  per  centesimo  -z-z  =  1,64  . 

Dalle  cifre  in  tal  modo  ottenute  si  ricava  che: 

V  Tanto  nei  vasi  degli  arti  come    nei    vasi    cere- 
brali   la    dilatazione,    prodotta    da    un    dato    aumento    di 


(1170)  [30] 

pressione,  fu  tanto  minore,  quanto  più  alta  la  pressione 
iniziale. 

2°  Per  nn  medesimo  aumento  di  pressione,  i  vasi 
muscolo-cutanei  si  dilatarono  assai  più  dei  vasi   cerebrali. 

3°  I  vasi  cerebi'ali  ritornarono  prontamente  al  vo- 
lume primitivo  coir  abbassarsi  della  pressione. 

4°  In  questo  caso,  rispetto  ai  vasi  cerebrali,  si  ebbe 
un  ritorno  al  volume  primitivo,  quasi  perfettamente,  con- 
forme air  aumento  in  precedenza  ottenuto. 

20  Aprile  1893. 

Cane  ucciso  per  dissanguamento  da  sette  ore. 
Soluzione  sodica  ciune  nell'  esperienza  precedente. 
Iniezione  nella  femorale. 
Pressione  91  mm.  hg. 

In  2    minuti    primi  escono    ce.    16-10-16    dalla    vena 
corrispondente. 

Pressione  105  mm.  hg. 

In  2  minuti  escono  ce.  2r)-28-2.S-28. 

Pressione  122  mm.  hg. 

In  2  minuti  escono  ce.  44-48-48-48. 

Pressìom  141  mm.  hg. 

In  2  minuti  escono  ce.  68-72-74-74. 

Pressione  151  mm.  hg. 

In  2  minuti  escono  ce.  85-84-84-84. 

P7'essione   164. 

In  2  minuti  escono  ce.  90-91-92-92. 

Pressione  151. 

In  2  minuti  escono  ce.  82-83-83. 

Pressione  122. 

In  2  minuti  escono  ce.  64-68-60-60-60-60. 

Si  sospende  1'  esperimento  per  un  quarto  d'  ora. 

Pressione  103. 

In  2  minuti  escono  ce.  50-50-50. 

Pressione  85. 


[31]  (1171) 

In  2  minuti  escono  ce.  3(S-38-:>8. 
Pressione  74. 

In  2  minuti  escono  ce.  30-30-30. 
Pressione  61. 
In  2  minuti  escono  ce.  20-20-20. 

Quindi  : 
Aumento  di  pressione  da  91  a  105  come  da  100  a  115 

—  aumento  di  efflusso  da  16  a  28  come  da  100  a  175  — 
capacità  dei  vasi  iniettati  alla  pressione  di  105,  supposta 
eguale  ad  uno  la  capacità  dei  medesimi   alla   pressione  di 

91,  rr-r-  ^1,52  —  aumouto,    in  centesimi,    per   millimetro 
115 

52 

di  pressione  -—  ^  3,71    —    aumento    per    centesimo    di 

52 

pressione  —  =  3,70  . 
lo 

Aumento  di  pressione  da  105    a   122    come  da  100  a 

116  —  aumento  di  efflusso  da  28  a  48  come  da  100  a  171 

—  capacità  del  territorio  iniettato  alla  pressione    di    122, 

171  47 

supposta  ecc.  r-j-p=:l,47  —   aumento   per    millimetro  -— 

47 

=  2, SO  —  aumento  per  centesimo  -r-p  =  ^^^l  • 

Aumento  di  pressione  da  122    a   141    come  da   100  a 
116  —  aumento  di  efflusso  da  48  a  74  come  da  100  a  154 

—  capacità  dei  vasi  iniettati  alla  pressione    di    141,    sup- 

154 
posta  ecc.  ttt:  =  1>33  —  aumento,  m  centesimi,  per  mil- 

33 
limetro  di  pressione  —  ==  1,74  —  aumento  per  centesimo 

33 
di    pressione  --—  =  2,06  . 

Aumento  di  pressione  da  141    a   151    come  da    100  a 
107  —  aumento  di  efflusso  da  74  a  84  come  da  100  a  113 

—  capacità  dei  vasi  iniettati  alla  pressione    di    151,  sup- 


(11T2)  [32] 

11:5 
Tot 


11:5 

l)Osta  ecc.  77:^=  l.Ofì  —  aumento,  in  centesimi,  per  mil- 


6 
limetro  di  pressione  —  =  0,60  —  aumento  per  centesimo 

di    pressione  -^=-  =  0,80  . 
/ 

Aumento  di  pressione  da  151  a  164  come  da  100  a  108 

—  aumento  di  efflusso  da  84  a  92  come  da  100  a  109  — 

capacità  dei  vasi  iniettati  alla  pressione    di    164,  supposto 

109 
ecc.    TTo^'-^'^^'^  —  aumento,  m  centesimi,    per  millime- 
108 

9  9 

tro  T7T7:=^  0,07  —  aumento  per  centesimo    — --:=0,13. 

1  oO  oO 

Diminuzione  di  pressione  da  164  a  IHl  come  da  100  a 

92  —  diminuzione  di  efflusso  da  92  a  83  come  da  100  a  92 

—  capaci  là  dei  vasi  iniettati  alla  pressione  di  151,  suppo- 

92 
sta  eguale  ad  uno  la  capacità  a  164,  —  =  1  ,  Questa  ve- 
runa diminuzione  si  può  spiegare,  siccome  altrove  ho  indi- 
cato, coir  uscita  del  liquido  scacciato  dall'  organo    per  re- 
stringimento dei  vasi. 

Diminuzione  di  pressione  da  151  a  141  come  da  100  a 

93  —  diminuzione  di  efflusso  da  83  a  76  come  da  100  a 
91  —  cajìacità  dei  vasi  iniettati  alla  pressione  di  141,  sup- 
posta eguale  ad  uno  la  capacità    dei    medesimi    alla    pres- 

91 
sione  di  151,  -—  =  0,98  —  diminuzione,  in  centesimi,   per 
00 

2  2 

millimetro  -j^  =  0,20    —  diminuzione    per    centesimo  -=- 

=  0,30  . 

Diminuzione  di  pressione  da   141    a   122  come  da  100 

a  84  —  diminuzione  di  efflusso  da  76  a  60  come  da  100  a 

79  —  capacità  dei  vasi  iniettati  alla  pressione  di  122,  sup- 

79  .    .  6 

posta  ecc.  —  =  0,94    —    diminuzione    per    millimetro  —^ 


[83]  (1178) 

=  0,31    —   diminuzione    per    centesimo    di    pressione   -— 
=  0,8S  . 

Diminuzione  di  pressione  da  103  a  85  come  da  100  a 
82  —  diminuzione  di  efflusso  da  50  a  38  come  da  100  a  76 

—  capacità  dei  vasi  iniettati  alla  pressione  di  85,  supposta 

76  7 

ecc. -77- =  0,93  —  diminuzione  per   millimetro  -—=0,40 
82  18 

7 

—  diminuzione  per  centesimo  -—  =  0,40  . 

18 

Diminuzione  di  pressione  da  85  a  74  come  da   100  a 

87  —  diminuzione  di  efflusso  da  38  a  30  come  da  100   a 

79  —  capacità  dei  vasi  iniettati  alla  pressione  di  74,  sup- 

79 
posta  ecc.  —  =  0,91  —  diminuzione,  in  centesimi,  per  niil- 

9  9 

1  i  metro  —  =^  0,85    —    diminuzione    per    centesimo-—^ 

0,70. 

Diminuzione  di  pressione  da  74  a  61  come  da  100  a 

82  —  diminuzione  di  efflusso  da  30  a  20  come  da  100  a  66 

■ —  capacità  dei  vasi  iniettati  alla  pressione  di  61,  supposto 

66  20 

ecc.  -^-r  =  0,80  —  diminuzione   per    millimetro  -r^  =  1,54 
82  lo 

20 

—  diminuzione  per  centesimo -r^  =  1,11  . 

18 


Iniezione  nella  cm^otide. 
Pressione  55  mm.  hg. 

Escono    dalla   giugulare    in    10   secondi    ce.    16-17- 
16-17-17. 

Pressione  70. 

Escono  in  10  secondi  ce.  19-23-23-24-25-25. 

Pressione  80. 

Escono  in  10  secondi  ce.  30-30-30. 

Pressione  91. 

Escono  in  10  secondi  ce.  37-37-37. 

T.  IV,  s.  VII  80 


(1174)  [34] 

Si    interrompo    l' esperimento    per    un    quarto  (V  ora, 
perchè  escono  dei  coaguli. 

Pressione  91. 

Escono  in   10  secondi  ce.  25-26-30-30-32-32-3U-30. 

Pressione    106. 

Escono  in  10  secondi  ce.  37-37-37. 

Interruzione  di  20  minuti. 

Pressione    108. 

Escono  in   10  secondi  ce.  32-33-32-30. 

Altra  interruzione  di  20  minuti. 

Pressione   106. 

Escono  in  10  secondi  ce.   15-17-17-17. 

Pressione   122. 

Escono  in  10  secondi  ce.  22-22-22. 

Pressione    133. 

Escono  in   10  secondi  ce.  21-22-22. 
Quindi  : 

Aumento  di  pressione  da  55  a  70  come  da  100  a  127 

—  aumento  di  efflusso  da  17  a  25  come  da  100  a  147  — 

capacità  dei  vasi  a  70,  supposta  eguale  ad  uno  la  capacità 

.147 
dei  medesimi  a  55,  ^^  =  1,16  —  aumento,  in  centesimi, 

16 
per  millimetro   di    pressione  —  =  1,00    —    aumento    per 

16 
centesimo  di  pressione  -r;=  =  0,60  . 
^  2/ 

Aumento  di  pressione  da  70  a  80  come  da  100  a  114 

—  aumento  di  efflusso  da  25  a  30  come  da  100  a  120  — 

120 

capacità  dei  vasi    alla    pressione  di  80,    supposta    ecc.  yy^ 

5 
=  1,05  —  aumento   per   millimetro -r- =  0,50  ~  aumen- 

5 

to  per  centesimo  -r—  =  0,36  . 

Di  tutto  il  resto  dell'esperienza  non  se   ne   può  tener 
conto. 


[35]  (11^5) 

Iniezione  nell'  arteria  renale. 

Pressione  85. 

Dalla  vena  corrispondente  escono  in  due  minuti  primi 
ce.  15,5-15-15. 

Pressione  99. 

Escono  in  2  minuti  ce.  20-20-20. 

Pressioììe    116. 

Escono  in  2  minuti  ce.  28-2(S-28. 

Pressione    135. 

Escono  in  2  minuti  ce.  36-36-36. 

Pressione    149. 

Escono  in  2  minuti  ce.  41-41-41. 

Pressione    163, 

Escono  in  2  minuti  ce.  48-48-48. 

Pressione    149. 

Escono  in  2  minuti  ce.  42-42-42. 

Pressione   1 35. 

Escono  in  2  minuti  ce.  38-38-38. 

Pr^essione   118. 

Escono  in  2  minuti  ce.  32-32-32. 

Pressione  99. 

Escono  in  2  minuti  ce.  26-26-26. 

Pressione  85. 

Escono  in  2  minuti  ce.  22-22-22. 
Quindi  : 

Aumento  di  pressione  da  85  a  99  come  da  100  a  116 

—  aumento  di  efflusso  da  15  a  20  come  da  100  a   133  — 
capacità  dei  vasi    iniettati    alla    pressione   di  99,    supposta 

133 

eguale  ad  uno  la  capacità  dei  medesimi  a  85,  tttt  =  1,15 

15 

—  aumento,  in  centesimi,  per    millimetro  di  pressione  -rj 

15 
=  i,07  —  aumento  per  centesimo  di  pressione -j-^=  0,94. 

Aumento  di  pressione  da  99  a  116  come  da  100  a  117 

—  aumento  di  efflusso  da  20  a  28  come  da  100  a  140   — 


Ili- 


(1176)  [36] 

140 

capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  116,   supposta  ecc.  jtì^ 

19 
=  1,10  —  aumento  per  niiiliinetro  ~p:  =  t  J  ^  —  aumento 

19 
per  centesimo  -—:  =  1,11  . 
^  1/ 

Aumento  di  pressione  da  116    a    135  come  da  100   a 
116  —  aumento  di  efflusso  da  28  a  36  come  da  100  a  128 

—  capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  135,  supposta  eguale 

,128 
ad  uno  la  capacità  dei  medesimi  a  116,  TTTr  =  146 

.    .    10 
mento  per  millimetro,  in  centesimi,  ^  =  0^52  —  aumento 

19 
per  centesimo  -r-z  =  0,62  . 

Aumento  di  pressione  da  135  a  149  come  da  100  a  110 

—  aumento  di  efflusso  da  36  a  41  come  da  100  a   114  — 

114 

capacità  dei  vasi  alla  pressione  di   149,    supposta  ecc.  y— - 

4 
=  1,04  —  aumento  per  millimetro  —  =  0,28  —  aumento 

4 
per  centesimo  —  =  0,4  . 

Diminuzione  di  pressione  da  149  a  135  come  da  100  a 
90  —  diminuzione  di  efflusso  da  42  a  38  come  da  100  a  90 

—  capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  135,  supposta  eguale 

90 

ad  uno  la  pressione  a  149,  —  =    1   —    Diminuzione    per 

yu 

millimeiro  0  —  diminuzione  per  centesimo  0. 

Diminuzione  di  pressione  da  135  a  118  come  da  100  a 

88  —  diminuzione  di  efflusso  da  38  a  32  come  da  100  a  84 

—  capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  118,  supposta  eguale 

84  .    . 

ad    uno    ecc.  -—  =  0,94  —  diminuzione,  in  centesimi,   per 

88 

6  .  .6 

millimetro  -rz  =  0,35    —    diminuzione    per    centesimo  -77 

17         '  ^  16 

=  0,50 . 


[37]  (1177) 

Diminuzione  di   [iressione  da  118  a  99  come  da   100  a 

84  —  diminuzione  di  efflusso  da  32  a  26  come  da  100  a  81 

—  capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  99,  supposta  eguale 

81 
ad    uno   ecc.  -r-  =  0,96    —    diminuzione    per    millimetro 

84 

4  4 

-—=::=  0,21  —    diminuzione    per    centesimo   —  =  0,25. 

Diminuzione  di  pressioiie  da  99  a  85  come  da  100  a  84 

—  diminuzione  di  efflusso  da  26  a  22  come  da  100  a  70 

—  capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  85,  supposto   eguale 

ad  uno  ecc.  —  =  0,90    —  diminuzione  per  millimetro  — 


=  0,71  —  diminuzione  per   centesimo  -r^  =  0,62 


10 
16 

Dalle  cifre  ottenute  in  questa  esperienza  risulta  quin- 
di che  : 

1°  A  partire  dalla  stessa  pressione,  per  eguale  au- 
mento si  dilatarono  più  di  tutti  i  vasi  degli  arti,  poi  quelli 
dei  reni  e  poi  quelli  del  cervello. 

2°  La  dilatazione  in  tutti  fu  tanto  minore  quanto 
più  elevata  la  pressione  interna. 

3°  I  vasi  dei  reni  ritornarono  al  volume  primitivo, 
coir  abbassarsi  della  pressione,  più  prontamente  dei  vasi 
degli  arti.  Non  si  poterono  in  questa  esperienza  ottenere, 
sotto  questo  riguardo,  dei  dati  attendibili  in  relazione  ai 
vasi  del  cervello. 

23  Maggio  1893. 

Cane  ucciso  per  dissanguamento. 

Si  fa  la  iniezione  della  soluzione  fisiologica,  tempera- 
tura dell'  ambiente,  nell'  arteria  polmonare  e  si  raccoglie 
il  liquido  che  esce  dall'  aorta. 

L'  esperimento  incomincia  un"  oi-a  dopo  la  morte. 

Pressione  mm.  hg.  42. 

In  10  secondi  escono  ce.  16-17-18-18-18-18. 


(1178)  [38] 

Pressione  min.  hg.  54. 

In  10  secondi  escono  ce.  24-26-26-27-27-27. 
Pressione  61   rnm.  hg. 

In  10  secondi  escono  ce.  30-30-31-32-;32-33-33. 
Pressione  73  mm.  hg. 

In  10  secondi  escono  ce.  34-30-37-37-38-39-39. 
Pressione  mm.  hg.  88. 
In  10  secondi  escono  ce.  42-48-48-48-48. 
Pressione  101  mm.  hg. 

In  10  secondi  escono  ce.  52-52-52-56-54-54-54. 
Pressione  88  mm.  hg. 
In  10  secondi  escono  ce.  49-47-47-47-47. 
Pressione  73  mm.  hg. 

In  10  secondi  escono  ce.  41-41-40-40-40-40. 
Pressione  mm.  hg.  61. 

In  IO  secondi  escono  ce.  37-36-35-35-35-35. 
Pressione  mm.  hg.  54. 

In  10  secondi  escono  ce.  32-31-30-30-30-30. 
Pressione  42  mm.  hg. 
In  10  secondi  escono  ce.  26-26-25-24-24-24-24. 

Quindi  : 
Aumento  di  pressione  da  42  a  54  come  da  100  a   128 

—  aumento  di  efflusso  da  18  a  27  come  da  100  a  150  — 
capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  54,  supposta  eguale  ad 

150 
uno   la   capacità    dei    medesimi    alla    pressione  di  42,  — - 

=  1,17  —  aumento  di  capacità,    in    centesimi,    jier   milli- 

17 
metro  di  pressione  "p^  =  ^>^^  • 

Aumento  di  pressione  da  54  a  61  come  da  100  a  113 

—  aumento  di  efflusso  da  27  a  33  come  da  100  a   122  — 
capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  61,  supposta   eguale  ad 

122 
uno  la  capacità    dei    medesimi    alla  pressione    di    54,  r-p-; 

=  1,08  —  aumento  di  capacità,    in    centesimi,    per  milli- 

8 
metro  di  pressione  -;::^  :=  1,]4  . 


[39]  (1179) 

Aumento  di  pressione  da  61  a  73  come  da  100   a  119 

—  aumento  di  efflusso  da  32  a  39  come  da  100  a   122  — 

capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  73,  supposta  eguale  ad 

122 
uno  la   capacità    dei    medesimi    alla    pressione  di  61,  r-r^ 

=:  1,03  —  aumento  di  capacità,    in    centesimi,    per   milli- 
metro di  pressione  -r^  =  0,25  . 

Aumento  di  pressione  da  73  a  88  come  da  100  a  120 

—  aumento  di  efflusso  da  39  a  48  come  da  100  a  123  — 
capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  88,  supposta  eguale    ad 

123 

uno  la  capacità   dei    medesimi    alla    pressione    di    73,   r^ 

=  1,02  —  aumento,  in  centesimi,  di  capacità,  per  millimetro 

2 

di   pressione  -—  =  0,13  . 
lo 

Aumento  di  pressione  da  88  a  101  come  da  100  a  114 

—  aumento  di  efflusso  da  48  a  54  come  da  100  a   113  — 

capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  101,  supposta  eguale  ad 

113 
uno    la   capacità    dei    medesimi    alla  pressione    di    88,   ryz 

=  1  —  aumento  per  millimetro  di  pressione,  nessuno. 

Diminuzione  di  })ressione  da  101  a  88  come  da  100  a 

87  —  diminuzione  di  efflusso  da  54  a  47  come  da   100    a 

87  —   capacità    dei    vasi    alla    pressione    di    88^    supposta 

eguale  ad  uno  la  capacità  dei  medesimi  alla   pressione    di 

87 
101,--z  =  l   —  diminuzione,  in  centesimi,    i»er  millimetro 

o/ 

di  pressione,  nessuna. 

Diminuzione  di  pressione  da  88  a  73  come    da    100    a 

83  —  diminuzione  di  efflusso  da  47   a  40  come  da  100  a 

85  —   capacità    dei    vasi    alla    pressione    di    73,    supposta 

eguale  ad  uno  la  capacità  dei  medesimi  alla    pressione    di 

85 
88,—  =  1   (circa)  —  diminuzione  di  capacita,  nessuna. 


(USO)  [40] 

Dimiiiuzioiie  di  })i'essi()iie  da  73  a  01   come  da  100   a 

8()  —  diminuzione  di  elihisso  da  40  a  35  come  da  100    a 

87  —  capacità    dei    va.si    alla    pressione    di    61,    supposta 

eguale  ad  uno  la  capacità  dei  medesimi  alla   pressione    di 

87 
73,  — -  =  1  .  —  diminuzione  di  capacità  nessuna. 

OD 

Diminuzione  di  pressione  da  01  a  54  come  da  100  a  88 

—  diminuzione  di  efflusso  da  35  a  30  come  da  100  a  86  — 

cajìacità  dei  vasi  alla  pressione   di   54,  supposta  eguale   ad 

86 
uno  la    capacità    dei    medesimi    alla    pressione    di  61,  -33 

08 

=  1  (circa)  —  diminuzione  di  capacità  nessuna. 

Diminuzione  di  pressione  da  54  a  42  come  da  100  a  78 

—  diminuzione  di  efflusso  da  30  a  24  come  da  100  a  80  — 

capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  42,   supposta  eguale  ad 

80 
uno  la  capacità  dei  medesimi  alla  pressione  di  54,  —  =  1 

—  diminuzione  di  capacità  nessuna. 

Diminuzione  di  pressione  da  101  a  42  come  da  100  a 
41  —  diminuzione  di  efflusso  da  54  a  24  come  da  100  a 
43  —  capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  42,  su})posta 
eguale  ad  uno  la  capacità  dei  medesimi  alla  pressione    di 

101,—  =1  —  diminuzione  di  capacità  nessuna. 

E  perciò,  dalle  cifre  ottenute  in  (juesta  esperienza, 
deriva  : 

1°  Che  la  dilatazione  dei  vasi  polmonari,  per  un 
dato  aumento  di  pressione,  fu  tanto  minore  quanto  più  ele- 
vata la  pressione  interna. 

2°  Che  i  vasi  polmonari,  dopo  di  essere  stati  forte- 
mente distesi,  non  ripresero  il  loro  volume  primitivo  nel 
tempo  che  durò  V  esperimento. 

24  Maggio  1893. 

Cane   ucciso   per   dissanguamento. 

Si  fa  la  iniezione  della  soluzione  fisiologica,  tempera- 


[41]  (1181) 

tura  dell*  ambiente,  iiell'  nrlcì-ia  pol/uuvare  e  si  raccoglie 
il  liquido  che  esce  dall'aorta. 

L'esperimento  incomincia  un'ora  dopo  la  morte. 

Pressione  mm.  hg.  48, 

In  10  secondi  escono  ce.  17-17-17-17. 

Pressione  mni.  hg.  58. 

In  10  secondi  escono  ce.  19-20-21-22-23-23-23-23. 

Pressione  mm.  hg.  77. 

In  10  secondi  escono  ce.  29-30-31-32-33-34-34-34-34. 

Pressione  mm.  hg.  96. 

In  10  secondi  escono  ce.  41-41-42-44-44-44-44-44. 

Pressione  mm.  hg.  110. 

In   10  secondi  escono  ce.  49-50-51-51-51-51-51. 

Pressione  mm.  hg.  129. 

In  10  secondi  escono  ce.  58-58-58-58. 

Pressione  mm.  hg.  110. 

In  10  secondi  escono  ce.  51-51-51-51. 

Pressione  mm.  hg.  90. 

In  10  secondi  escono  ce.  47-46-45-45-45. 

Pressione  mm.  hg.  77. 

In  10  secondi  escono  ce.  41-40-39-39-38-38-38-38. 

Pressione  mm.  hg.  48. 

Escono  in  10  secondi  ce.  25-25-25-24;  dopo  5  secondi 
20-20. 

Quindi  : 

Aumento  di  pressione  da  48  a  58  come  da  100  a  121 

—  aumento  di  elllusso  da   17  a  23  come  da  100  a  135  — 

capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  58,  supposta  eguale  ad 

135 
uno  la  loro  capacità  alla  pressione  di  48,  t^  =  1,1^    — 

aumento  di  capacità,  in  centesimi,  per  ogni  millimetro   di 

12 
pressione  -rr-  =  1,20  . 

Aumento  di  pressione  da  58  a  77  come    da   100  a  133 

—  aumento  di  efflusso  da  23  a  34  come  da  100  a  148  — 
capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  77,  supposta  eguale  ad 


(1182)  [42] 

133 

uno    la    ca})acitH  dei    medesimi    alla    pi-essione  di  58,  -r— 

=  1,11  —  aumento,  in  centesimi,  di  capacità  per  millimetro 

11 
di  pressione  r^-  =  0,60  . 

Aumento  di  pressione  da  77  a  96  come    da  100  a  125 

—  aumento  di  efflusso  da  34  a  44  come  da  100  a  130  — 
capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  96,  supposta  eguale  ad  uno 

130 

la  capacità  degli  stessi  alla  pressione  di  77,  — —  =1,04    — 

1  ,^o 
aumento  di   capacità,  in  centesimi,  per  millimetro  di  pres- 
sione —  =  0,20  . 

la 

Aumento  di  pressione  da  96  a  110  come  da  100  a  114 

—  aumento  di  efflusso  da  44  a  51  come  da  100  a  116  — 
capacità  dei  vasi  alla  pressione  di    110,  supposta  eguale  ad 

uno  la  capacità  dei  medesimi  alla  pressione  di  96,  j—-  =  1,02 
aumento  di  capacità,  in  centesimi,  per  millimetro  di  pres- 
sione -T--  =0,15  . 
14 

Aumento  di  pressione  da  110  a  129  come  da  100  a  118 

—  aumento  di  efflusso  da  51  a  58  come  da  100  a  114  —  ca- 
pacità dei  vasi  alla  pressione  di  129,  supposta  eguale  ad  uno 

114 
la  capacità  dei  medesimi  alla  pressione  di  110,  ^Vó  =  ^'^7  . 

1 18 

11  calcolo  dimostrerebbe  una  diminuzione,  anziché  un  au- 
mento, della  capacità,  sotto  l'aumento  di  pressione  ;  la  qual 
cosa  è  assurda.  Ma  1'  assurdo  non  è  che  apparente,  poi- 
ché, come  si  è  detto  altrove,  l'efflusso  calcolato  è  sempre 
superiore,  in  via  media  di  un  decimo,  all'efflusso  verificato. 

Diminuzione  di  pressione  da  129  a  110  come  da  100  a 
85  —  diminuzione  di  velocità  da  58  a  51   come  da  100  a  87 

—  capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  110,  supposta  eguale 
ad   uno    la    capacità    dei    medesimi  alla  pressione   di    129, 

87 

—  =  i^O.Ì  —  diminuzione  di  capacita,  ìiessima. 


[48]  (118.3) 

Diminuzione  di  pressione  da  110  a  90  come  da  100   a 

87  —  diminuzione  di  elilusso  da  51  a  45  come  da  100  a  88 

—  capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  96,  supposta  eguale 
ad  uno   la   capacità   dei    medesimi    alla   pressione   di    110, 

88 

—  =  1,01  —  diminuzione  di  capacità,  nessuna. 

O  I 

Diminuzione  di  pressione  da  96  a  77  come  da  100  a  80 

—  diminuzione  di  efflusso  da  45  a  38  come  da  100  a  84  — 

capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  77,  supposta  eguale  ad  uno 

84 
la  capacità  degli  stessi  alla  pressione  di  96,  — -  =  1,05  — 

80 

diminuzione  di  capacità,  nessuna. 

Diminuzione  di  pressione  da  77  a  48  come  da  100  a  62 

—  diminuzione  di  efflusso  da  38  a  24  come  da   100  a  62  — 

capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  48,   supposta  eguale  ad 

62 
uno  la  capacità  degli  stessi  alla  pressione  di  77,  —  =  i 

—  dimijiuzione  di  capacità,  nessima. 

Diminuzione  di  pressione  da  129  a  48  come  da  100  a 
38  —  diminuzione  di  efflusso  da  56  a  20  come  da  100  a  35 

—  capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  48,  supposta  eguale  ad 
uno    la    capacità    dei    medesimi    alla    pressione    di     129, 

35 

—  =  0,92  —  diminuzione  per    millimetro,   in    centesimi, 
58 

8 

Anche  questa  es})erienza,  al  pari  della  precedente, 
dimostrò  che  i  vasi  polmonali  per  un  dato  aumento  di 
pressione  si  sono  dilatati  tanto  meno,  quanto  più  la  pres- 
sione era  elevata,  e  che,  dopo  essere  stati  distesi,  non  ripre- 
sero, durante  il  tempo  che  durò  1'  esperimento,  il  loro  vo- 
lume primitivo. 

29  MagcxIO  1893. 

Cane  ucciso  per  dissanguamento. 

Si  inietta  la  soluzione  fisiologica  di  NaCl,  teniperattira 


(1184)  [44] 

dell'  ambiente,  nel  ramu  dt'W arteria,  polmunale  che  va  al 
lobo  inferiore  destro,  e  si  raccoglie  il  liquido  che  esce  dalla 
vena  relativa. 

L'  esperimento  incomincia  due  ore  dopo  la  morte. 

Pressione   mm.    hg.    28. 

Escono  in  10  secondi  ce.   10-12-13-13-13. 

Pressione   nim.    hg.    AQ. 

Escono  in   10  secondi  ce.  28-28-28-28-28. 

Pressione   mm.    hg.    66. 

Escono  in  10  secondi  ce.  Aò-Al-Al-Al. 

Aumento  di  pressione  da  28  a  46  come   da   100  a  174 

—  aumento  di  efflusso  da  13  a  28  come  da  100  a  215  — 
capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  46,  supposta  eguale  ad 

215 

imo  la  capacità  dei  medesimi  alla  i)ressione  di  28,  t;z-:  = 
^  ^  1/4 

1,24  —  aumento  di  capacità,  in   centesimi,   per  millimetro 

24 

di  pressione  -j-3  =  1,33  . 

lo 
Aumento  di  pressione  da  46  a  66  come  da   100  a  143 

—  aumento  di  efflusso  da  28  a  47  come  da  100  a  168  —  ca- 
pacità dei  vasi  alla  pressione  di  (M),  supposta  eguale  ad  uno 

168 
la  capacità  dei  medesimi  alla  pressione  di  46,  jj-^    =   1,18 

—  aumento    di  capacità   per    millimetro    di    pressione,  in 

18 
centesimi,  —  =  0,00  . 

Si  continua  1'  esperimento  facendo  la  circolazione  at- 
traverso il  lobo  polmonale  inferiore  sinistro. 
Pressione   mm.    hg.    16. 
.  Escono  in   10  secondi  ce.  26-26-25-25-25-25. 
Pressione   mm.    hg.    26. 
Escono  in   10  secondi  ce.  45-45-46-46. 
Pressione  mm.    hg.    36. 
Escono  in  10  secondi  ce.  70-68-70-70. 
Prcssioìic   mm.    hg.    46. 
Escono  in  10  secondi  oc.  84-88-88-88. 


[45]  (1185) 

Pressione   min.    hg.   56. 
Escono  in  10  .secondi  ce.   100-104-104. 
Pressione   nini.    lig.   6(). 
Escono  in  10  secondi  ce.   110-110-110. 
Pressione   nim.    hg.   56. 
Escono  in  10  secondi  ce.   100-100. 
Pressione   mm.    hg.    46. 
Escono  in  10  secondi  ce.  88-86-86-86. 
Pressione   min.    hg.    36. 
Escono  in  10  secondi  ce.  72-72-70-72. 
Pressione   mm.    hg.    26. 
Escono  in   10  secondi  ce.  52-51-51. 
Pressione   mm.    hg.    16. 
Escono  in  10  secondi  ce.  30-30-30-30. 

Quindi  : 
Aumento  di  pressione  da  16  a  26  come  da   100  a  162 

—  aumento  di  efflusso  da  25  a  46  come  da   100  a  184  — 

capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  26,  ammessa  eguale  ad 

184 
uno  la  capacità  degli  stessi  alla  pressione  di  16,  77::^=  1,13 

—  aumento  di  capacità,    in    centesimi,  per    millimetro    di 

13 
pressione,  —  —  1,30  . 

Aumento  di  pressione  da  26  a  36  come  da  100  a  139  — 
aumento  di  efflusso  da  46  a  70  come  da  100  a  152  —  capa- 
cità dei    vasi    alla   pressione   di  36,   ammessa   eguale    ecc. 

152 

—-   :=    1,09   —    aumento    di    capacità    per   millimetro    di 

9 
pressione,  —  —  0,90  . 

Aumento  di  pressione  da  36  a  46  come   da    100  a  127 

—  aumento  di  efflusso  da  70  a  88  come  da  100  a  126  —  ca- 
pacità dei  vasi  alla  pressione  di  46,  ammessa  eguale  ad  uno 

126 

la  capacità  dei  medesimi  alla  pressione  di  36,        — 1  (circa). 

—  aumento  di  capacità  per  millimetro  di  pressione,  nessuno. 


(Um)  [46] 

Un  aumento  di  capacitu  è  però  da  aiimietter.si  che  si  sia 
verificato,  quando  si  consideri  che  l'efflusso  calcolato  è  sempre 
superiore  a  quello  verificato. 

Aumento  di  pressione  da  46  a  56  come  da  100  a  121  — 
aumento  di  efflusso  da  88  a  104  come  da  100  a  120  —  capa- 
cità dei  vasi  alla  pressione  di  56,  ammessa  eguale  ad  uno  ecc. 

120 

— jr  =1  —  aumento  di  capacità  per  millimetro  di  pressione 

Qi  essano. 

Aumento  di  pressione  da  56  a  66  come  da  100  a  118  — 
aumento  di  efflusso  da  104  a  110  come  da  100  a  106  —  ca- 
pacità dei  vasi  alla  pressione  di  66,  ammessa  eguale  ad  uno 

106 
la  capacita  dei  medesimi  alla  pressione  di  56,  —— =  0,00  — 

1 18 

aumento  di  capacità  per  millimetro  di  pressione  nessuno. 

Diminuzione  di  pressione  da  66  a  56  come  da  100  a  74 

—  diminuzione  di  efflusso  da  110  a  100  come  da  100  a  91  — 
capacità  dei  vasi   alla  jìressione   di  56,   ammessa  eguale  ad 

.91 

uno  la    capacità    dei    medesimi    alla   pressione    di    66,  — 

=   1,23  —  diminuzione  di  capacità,  nessuna. 

Diminuzione  di  pressione  da  oQ  a  46  come  da  100  a  83 

—  diminuzione  di  efflusso  da  100  a  86  come  da  100  a  87  — 

capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  46,   ammessa  eguale   ecc. 

86 
— -  =  1,03  —  diminuzione  di  capacita,  nessuna. 

od 

Diminuzione  di  pressione  da  46  a  36  come  da   100  a  80 

—  diminuzione  di  efflusso  da  86  a  72  come  da  100  a  83  — 
capacità  alla  pressione  di  36,  ammessa  eguale   ad   uno  ecc. 

83 

—  =  i,03  —  diminuzione  di  capacità,  nessuna. 

Diminuzione  di  pressione  da  36  a  26  come  da  100  a  72 

—  diminuzione  dell'efflusso  da  72  a  51  come  da  100  a  71  — 
capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  26,   ammessa  eguale  ecc. 

—  =  1  (circa)  —  diminuzione  di  capacità,  nessuna. 


[47]  (1187) 

Diminuzione  di  pressione  da  20  a  10  come  da  100  a  01 

—  diminuzione  di  efflusso  da  51  a  30  come  da  100  a  60  — 
capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  16,  ammessa  eguale  ad  1 

la  capacità  dei  vasi  alla  pressione  di  20  77^  =  ^  —  dimi- 
nuzione di  capacità,  nessuna. 

Diminuzione  di  pressione  da  66  a  16  come  da  100  a  24 
diminuzione  di  efflusso  da  110  a  30  come  da  100  a  27  —  ca- 
pacità dei  vasi  alla  pressione  di  10,  supposta  eguale  ad  uno 

27 
la  capacità  dei  medesimi  alla  pressione  di  66,  -5-:=  1.12 

—  diminuzione  di  capacità,  nessuna. 

Neppure  quindi  alla  fine  dell'esperimento  i  vasi  aveano 
cominciato  a  restringersi. 

I  risultati  di  queste  esperienze  sono  quindi  concordi  nel 
dimostrare  : 

I."  Che  un  dato  aumento  di  pressione  provoca,  in 
tutti  i  territori  vascolari,  un  aumento  di  capacità  tanto  mi- 
nore quanto  più  elevata  è  la  pressione. 

Questo  fatto  in  perfetto  accordo  con  quanto  il  Wer- 
theim,  il  Marey,  il  Roy  ecc.  avevano  dimostrato  rispetto 
alla  elasticità  dei  vasi  sanguigni,  fu  verificato  specialmente 
in  rapporto  ai  vasi  degli  arti,  dei  reni  e  dei  polmoni.  Ri- 
spetto ai  vasi  cerebrali  si  ottennero  dei  risultati  meno  espli- 
citi ;  ed  ora  non  saprei  dire,  se  questa  cosa  sia  da  attri- 
buirsi a  condizioni  inerenti  alle  pareti  dei  vasi  0  all'  am- 
biente dei  medesimi. 

11.°  Che  un  dato  aumento  di  pressione  dilata  i  vasi 
muscolo-cutanei  in  proporzione  assai  maggiore  dei  vasi 
viscerali. 

In  conseguenza  di  ciò,  l' aumento  della  pressione  del 
sangue  per  cause  centrali  modificherà  la  distribuzione  del 
sangue  in  favore  dei  muscoli  e  della  cute,  e  sarà  più  facile  il 
passaggio  del  sangue  dai  visceri  negli  arti,  piuttosto  che 
da  questi  in  quelli. 


(11S,S)  [48 1 

Tra  i  vasi  viscerali,  mi  parve  che  subissero  minore 
dilata/ione  quelli  del  cervello.  E  perciò  il  cervello  sarebbe 
r  organo,  rispetto  al  quale  la  distribuzione  del  sangue  sa- 
rebbe meno  modificata  dagli  innalzamenti  della  pressione 
centrale. 

III.°  Che  in  seguito  all'abbassamento  della  pressione, 
riprendono  il  volume  primitivo  più  prontamente  i  vasi  vi- 
scerali e  meno  prontamente  i  vasi  degli  arti.  I  vasi  poi  del 
cervello,  che  si  dilatano  meno  per  V  aumento  della  pres- 
sione, sono  anche  quelli  che  piiÀ  prontamente  ritornano 
sopra  sé  medesimi,  quando  la  pressione  si  abbassa. 

In  conseguenza  di  questo  fatto,  quando  la  pressione  ge- 
nerale si  abbassa,  la  distribuzione  del  sangue,  almeno  nei 
primi  momenti,  si  modificherà  in  danno  specialmente  dei 
visceri  e  del  cervello. 

Il  ritorno  dei  vasi  al  volume  primitivo  non  fu  cosi 
regolare  come  la  dilatazione  dei  medesimi  ;  e  ciò  credo  che 
debba  essere  attribuito  a  modificazioni  relative  allo  stato  di 
contrazione  delle  rispettive  fibre  muscolari. 

IV. °  Che  i  vasi  polmonali  si  dilatano  presso  a  poco 
come  i  vasi  degli  altri  visceri  ;  ma  dopo  essere  stati  dilatati, 
impiegano  un  tempo  assai  lungo  per  riprendere  il  volume 
primitivo,  rimangono  cioè  sfiancati  ;  lo  che  devesi,  a  mio  av- 
viso, attribuire  a  paralisi  della  tonaca  muscolare. 

Questo  fatto  potrebbe  forse  spiegare  le  ectasie,  tanto 
frequenti,  dei  vasi  polmonali,  e  la  fr-equenza  quindi  dei  ca- 
tarri polmonali,  specialmente  nei  vecchi. 

La  dilatazione  dei  vasi  delle  membra,  per  una  data 
pressione,  fu,  costantemente,  così  maggiore  di  quella  dei  vasi 
viscerali,  che,  in  base  a  queste  esperienze,  io  non  esito  ad 
ammettere,  che  i  vasi  muscolo-oidanei  costituiscono  una 
specie  di  magazziiw  di  deposito  per  il  sangue  che  viene 
espulso  dagli  or-gani  viscerali. 


[49]  (1189) 


BIBLIOGRAFIA 


(1)  Heidenhain.  —  Beitriige  zur  Kenntnis.s  der  Gefassinnervation. 
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Tappareil  vasomoteur.  Voi.   1,  p.  242  e  430.  Paris.  Masson,  1875. 

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Gehirngefàsse  unter  den  Einfluss  aiisserer  Wasserapplication.  Deutsch. 
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(8)  A.  Mosso.  —  Sulla  circolazione  del  sangue  nel  cervello.  Accad. 
dei  Lincei.   1880,  p.  31. 

T.  IV,  S.   VII  81 


(lino)  [50] 

(9)  WerfJicihier.  —  1.  e. 

Wertheiìney  et  Colns.  —  Contribntion  a  V  etnde  de  1"  action  de  la 
nicotine  sur  la  circulatiou.  Ai'ch.  d.  physiol.  nomi,  et  pathol.  1891. 
N."^   2 

Wertlieimer  et  Colas.  —  De  l'action  de  T  ergotine.  Arch.  d.  phy- 
siol.  etc.  1891,  N.  1. 

(10)  E.  Gavazzarli.  --  Sulla  genesi  del  circolo  collaterale,  e  suoi 
rapporti  coli'  influenza  nervosa  particolarmente  nel  circolo  del  Willis. 
Rivista  Veneta  di  scienze  mediche   1891   e  Arch.  ital.  de    Biolog.    XVI. 

E.  Cavazzani.  —  SuU'  influenza  vasomotrice  del  simpatico  cervi- 
cale, contributo  allo  studio  della  ci"Colazione  cerebrale.  Rivista  sperim. 
d.  Freniatria.  XVIII  (1892)  e  Arch.  ital.  d.  Biol   XIX  (1893). 

A.  Cavazzani.  —  Dell'azione  dell'asfissia  sui  vasi  cerebrali.  Ar- 
chivio di  scienze  mediche.  XVI  (1892). 

(11)  Wertheini.  —  Memoire  sur  l'elasticité  et  sur  la  cohesion  des 
principeaux  tissùs  du  corps  humaine.  Ann.  d.  chim.  et  d.  phys.  XXI, 
p.  385  (3^  ser.)  1847. 

(12)  Mavey.  Recherches  sur  la  tension  arterielle.  Tiaveaux  du  La- 
boratoir.   1878  e  1879.  Paris.  Masson,  1880. 

(13)  Roy.  —  The  elastic  properties  of  the  arterial  wal.  .Journ.  of. 
Physiol.  III  (1881).  Jahresb.  iib  die  Fortschi-.  d.  Anat.  u.  Physiol.  Iet- 
terai 1881.  2  Abth,  pag.  63. 

Roy.  —  Note  on  the  elasticity-curve  of  animai  tissues.  Journ.  of 
Physiol.  IX.  1888. 

(14)  Tra  i  lavori  pubblicati  intorno  alla  elasticità  dti  vasi,  meri- 
tano di  essere  ricordati,  oltre  i  precedenti  : 

Thoma  tind  Kaefer.  —  Ueber  die  Elasticitiit  gesunder  und  kran- 
ker  Arterien.  Archivio  di  Virchow.  B.   116. 

Luck.  —  Ueber  Elasticitatsverhaltnisse  gesunder  und  kranker  Ar- 
terienwànde.  Disse rt.  Dorpat.  1889. 

Kaefer.  —  Zur  Methodik  der  Elastieitatsmessungen  an  der  Gefas- 
swand.   Dissert.  Dorpat.   1891. 

Moens.  —  Die  Pulscurve.  Leiden.  1878. 


SUL  TEOREMA  DI  CLAIRAUT 

P^ELATIYO  ALLE  GEODETICHE  DI  UNA  SUPERFICIE  Di  RIVOLUZIONE 

InTOTA. 
DEL 

DOTT.  RAFFAELLO  D'  EMILIO 


É  generalmente  noto  che,  chiamando  r  il  raggio  del 
parallelo,  passante  per  un  punto  P  di  una  superficie  di 
rivoluzione  ed  a  l'azimut,  si  ha 

r  sen  a  =  costante 

in  tutti  i  punti  P  di  una  determinata  geodetica  di  tal  su- 
perficie. 

Questo  teorema,  dovuto  a  Clairaut,  viene  ordinaria- 
mente dimostrato,  mettendo  in  vista  le  quantità  r  ed  a  nel- 
l'equazione differenziale  del  1°  ordine  delle  geodetiche,  ap- 
partenenti ad  una  data  superficie  di  rivoluzione. 

Un'altra  dimostrazione,  fondata  sul  fatto  che  un  punto 
materiale  P  ,  vincolato  ad  una  superficie,  se  non  è  solle- 
citato da  alcuna  forza,  percorre  una  linea  geodetica,  si 
ottiene  speditamente,  applicando  il  principio  delle  aree  {}). 

In  questa  nota  vengono  esposte  altre  dimostrazioni,  fra 
cui  una  puramente  elementare,  dell'  accennato  teorema, 
seguite  da  considerazioni  su  alcune  conseguenze  del  teorema 
stesso. 


(1)  Resal  —  Trattato  di  cinematica  pura. 


(1192)  [2] 

1,  Se  noi  consideriamo  una  superfìcie  conica  di  rivolu- 
zione come  una  superficie  piramidale  regolare,  formata  da 
un  numero  infinito  di  facce  di  ampiezza  angolare  infinite- 
sima, deduciamo  che  : 

a)  Una  linea,  tracciata  sulla  superficie  conica,  quando 
si  sviluppa  tal  superficie  sopra  un  piano,  conserva  la  stessa 
lunghezza. 

b)  Gli  angoli  (azimut)  che  gli  elementi  infinitesimi 
della  linea  fanno  con  le  generatrici  (linea  meridiane)  della 
superficie  conica  sono  eguali  agli  angoli,  che  le  rette  cor- 
rispondenti nello  sviluppo  piano  alle  generatrici,  fanno  con 
le  tangenti  alla  sviluppata. 

Per  la  proposizione  a)  la  geodetica  (*)  determinata  sulla 
superficie  da  due  punti  A  ,  B  corrisponderà  nello  sviluppo 
alla  retta  A'B'  (fig.  1).  Dalla  considerazione  del  triangolo 
piano  Y'A.'IV,  corrispondenti  al  triangolo  conico  VAB,  de- 
l'iva  la  relazione 

V'A'  V^B^ 


sen  B'        sen  A 
che,  in  virtù  della  proposizione  h),  diventa 
VA  VB 


sen  B        sen  A 

e  poiché  VA  e  VB  sono  proporzionali  ai  raggi  Ta  ,  >'b  <-lei 
paralleli,  passanti  pei  punti  A  e  B,  si  ha 

Ta  sen  A  =  r^  sen  B  (1) 

in  cui  A  e  lì  indicano  gli  azimut  della  geodetica  nei  punti 
estremi  A  e  B  , 


(1)  In  questa  nota  ammettiamo  come  definizione  della  linea  geo- 
detica di  una  data  superficie  la  proprietà  di  essere  in  generale  quella 
più  breve  fra  tutte  le  linee  contermini  della  stessa  superficie. 


[3]  (1103) 

La  formula  (1)  corrisponde  al  teorema  di  Clairaut,  che 
cercheremo  di  estendere  ail  una  superfìcie  di  rivoluzione 
qualsiasi. 

Immaginiamo  due  zone  di  due  superfìcie  coniche  di 
rivoluzione,  aventi  un  parallelo  comune,  e  segniamo,  ri- 
si)ettivamente  su  tali  zone,  i  punti  A  e  B  (fig.  2).  Consi- 
deriamo un  terzo  })unto  C  sul  parallelo  comune  ;  esso  de- 
termina le  due  geodetiche  AC  e  CB  ;  ora  ci  proponiamo  di 
determinare  C  in  modo  che  sia  soddisfatta  la  condizione 

AC  -j-CB  =  minimo 

È  facile  dedurre  che  «  sarà  soddisfatta  tale  condi- 
zione, quando  gli  angoli  TCA  e  T'GB  delle  due  geodetiche 
AC  ,  CB  con  le  due  opposte  direzioni  CT'  ,  CT  della  tan- 
gente in  C  al  parallelo,  innanzi  indicato,  siano  eguali.  » 

Ciò  resulta  dallo  sviluppo  delle  due  superfìcie  coniche 
sopra  un  piano,  quando  facciamo  coincidere  con  1'  asse 
di  simmetria  dello  sviluppo  le  due  generatrici  CG  ,  CG', 
corrispondenti  alle  due  superfìcie  e  passanti  pel  punto  C 
{iìg.  3).  Infatti,  quando  sia  soddisfatta  la  condizione,  rela- 
tiva all'uguaglianza  degli  angoli  TCA ,  T'CB ,  A'C  e  CB'  re- 
sultano sopra  una  medesima  retta.  Essendo  C/  e  C"  due  punti 
infinitamente  vicini  a  C  ,  appartenenti  al  parallelo  comune 
alle  due  superfìcie  coniche  [e  che  nello  sviluppo  li  consi- 
deriamo come  appartenenti  alla  tangente  TT',  comune  alle 
circonferenze  sviluppanti  il  detto  parallelo  (considerato  co- 
me linea  delle  due  superfìcie)]  si  ha 

Al"  +  C/ìV  >.  A'C  +  CìV  <;.  A'C"  -f-  C"\V  (i) 

che  ci  permette  di  scorgere  come  in  generale  la  condizione 

TCA'  =  T'CB' 


(1)  Questa  considerazione  corrisponde  a  quella  che  in  analoga  de- 
terminazione si  fa  nel  calcolo  delle  variazioni. 


(1194)  [4] 

sia  necessaria  e  sufficiente,  perchè  si  abbia 

AC  -|-  CB  =  minimo 

Si  ha  quindi  in  virtù  del  teorema  innanzi  ricordato 

Ta  sen  A  ^  re  sen  TCA  =  Vc  sen  T'CB  =  Tb  sen  B 

quando  con  7\  ,  Tr  ,  r^  indicano  i  raggi  dei  paralleli  e  con 
A  ,  B  gli  azimut  della  geodetica  ACB  nei  punti  A  e  B. 

Il  teorema  di  Clairaut  resta  cosi  dimostrato  per  un 
sistema  di  più  zone  coniche,  disposte  successivamente  nel 
modo  accennato,  per  le  due  zone  coniche,  innanzi  conside- 
rate. Una  superficie  di  rivoluzione  può,  seguendo  il  metodo 
degli  infinitesimi,  considerarsi  come  un  sistema  di  zone  di 
superficie  coniche  di  rivoluzione,  determinate  dai  succes- 
sivi paralleli  (infinitamente  vicini)  della  superficie  stessa. 
0  pure,  seguendo  il  metodo  dei  limiti,  può  considerarsi 
come  il  limite  verso  cui  converga  la  superficie,  formata 
da  un  sistema  di  zone  coniche,  inscritte  nella  primitiva  su- 
perficie, quando  il  numero  di  esse  cresca  indefinitamente. 
Tanto  in  un  modo,  quanto  nell'altro  facilmente  si  scorge  la 
ragione  del  teorema  di  Clairaut,  che  si  enuncia  cosi: 

<  Per  tutti  i  punti  di  una  geodetica  di  una  superficie 
di  rivoluzione  il  prodotto  del  raggio  del  parallelo  pel  seno 
deWazwiut  geodetico  è  costante.  »  (*) 

La  condizione  stabilita  innanzi  sull'  andamento  della 
geodetica  nelle  vicinanze  del  parallelo  di  passaggio  da  una 
superficie  conica  all'altra  è  utile,  in  generale,  nel  caso  in 
cui  la  geodetica  interseca  un  parallelo,  corrispondente  ad 
un  punto  angoloso  della  sezione  meridiana.  Così  vien  tolta 
r  ambiguità  che  nasce  dalla  esistenza  di  due  tangenti  in 
quel  punto  della  stessa  sezione  meridiana. 

E  anclie  utile  ricordare,  sempre  rimanendo  nel  campo 


(1)  Pucci  —  Pondamenli  di  Geodesia. 


[5]  (1195) 

elementare,  assegnato  alla  jìresente  dimostrazione,  che  «sulla 
.sfera  il  teorema  di  Clairaut  è  una  nuova  espressione  del 
teorema  di  Trigonometria  sferica  relativo  alla  proporzio- 
nalità fra  i  seni  dei  lati  e  quelli  degli  angoli  opposti.  » 

Infatti,  essendo  ABC  un  triangolo  sferico  (fig.  4)  si  ha, 
adoperando  le  solite  notazioni  : 

sen  1)  sen  A  =  sen  a  sen  B 

e  poiché  sen  b  e  sen  a  sono  proporzionali  ai  raggi  dei 
paralleli  passanti  per  A  e  B ,  si  ha  la  relazione 

>'a  sen  A  =  Tb  sen  B 

cori'ispondente  al  teorema  di  Clairaut. 

2.  Se  assumiamo  come  coordinate  curvilinee  di  un  punto 
qualsiasi  P  della  superficie  di  rivoluzione  l'arco  l  di  me- 
ridiano, compreso  fra  il  punto  P  ed  un  determinato  pa- 
rallelo e  la  longitudine  co ,  l'espressione 


o  l'espressione 


^i^=Ai^+.w-& 


rappresentano  1'  elemento  lineare  della  superficie  stessa 
quando  con  r  o  ^  {l)  rappresentiamo  il  raggio  del  parallelo 
passante  per  uno  degli  estremi  dello  stesso  elemento  ds. 
La  condizione,  a  cui  deve  soddisfare  w  ,  perchè  una  linea 
della  superficie  avente  per  estremi  Po  e  Pj,  sia  una  geo- 
detica si  determina  facilmente,  ponendo  la  variazione  di 


(\ 


eguale  a  zero.  Si  ha  cosi: 


(1196) 


''  Vi +^ (ir- Ci;) 


[6] 


r/i  = 


=r 


fcr-Ti-i"^ 


ri+.(o<^)' 


e  (quindi 


ed  infine  si  ha 


J  1^ 


l'  '+'^»K;^)^ 


l^i+.w^ey 


=  0 


Vcm  +  cp  (/)2  r/a)2 


/•  sen  a  =  costante 


Cosi  viene  dimostrato  per  alti'a  via  e  con  metodo  di- 
retto il  teorema  di  Clairaut. 

Esso  si  può  estendere  in  molti  casi  a  tutte  le  super- 
fìcie, per  le  quali  l'elemento  lineare  sia  della  forma 


'«l/i+'-pw^'^y  ( 


specialmente  quando  alla  funzione  cp  (/)  possa  assegnarsi  un 
facile  significato  geometrico. 


(1)  Questo  risultato  si  connette  a  quello  a  cui  pervenne  il  Massieu, 
dimostrando  che  le  superficie  di  rivoluzione  e  quelle  che  resultano  dalla 
loro  deformazione  sono  le  sole  per  le  quali  le  equazioni  differenziali 
delle  geodetiche  ammettono  un  integrale  primo  lineare  ed  omogeneo  in 

du       dr  ri,  1  , 

-—-   e  — .  Darboux.  Lezioni  sulla  teoria  generale  della  superficie  etc.  etc. 
ds       ds 

Terza  parte  —  Parigi   1891. 


[7]  (1197) 

A  tale  supei-ticie  ai)i)arien!4(jnu  in  virtù  rlel  teorema  di 
l).)ur  le  .supei'tìcie  elicoidali.  (*) 

In  particolare  l' enunciazione  di  un  tal  teorema  riesce 
a.ssai  facile  per  l'elicoide  a  piano  direttore  ;  perciò  basta  so- 
stituire ai  paralleli  le  eliche  (parallele)  formate  dai  punti 
equidistanti  dall'  asse,  al  raggio  del  parallelo  la  distanza  dei 
punti  dall'asse  stesso,  ed  all'azimut  l'angolo  che  la  geode- 
tica fa  con  le  generatrici  dell'elicoide. 

Viceversa,  ammesso  il  teorema  di  Clairaut,  si  ottiene 
l'equazione 

dia  e 

{A) 


di       cp  (0  K  cp  {lY  —  c2 
da  cui  si  ricava  l'equazione 

ri         celi 

(^A')  w  — 0)0=    /     

L     ^  (0  i^Cp  (/)2  -  c-2 

della  geodetica  determinata  dai  punti  (w,,  lo)  {to  l). 

Analogamente,  se  si  assumono  come  coordinate  dei  punti 
P  la  longitudine  w  e  la  latitudine  X  (coordinate  geografiche) 
dal  teorema  di  Clairaut  si  deduce  l'equazione  differenziale 

(Ili)  cp 


di  ^,,   |/j,2 (..2 

per  cui  p  ed  r  sono  funzioni  di  X  ,  dipendenti  dalla  forma 
della  sezione  meridiana.  Integrando  tale  equazione  si  per- 
viene al  noto  resultato,  che  rappresentiamo  con  l'equazione 
generale 

(B)  (o-o3„  =  F(X)-F(XJ 


(1)  Bour  —  Giornale  della  Scuola  politecnica  —  XXXIX  fascioolo 
pag.  1-19  —  Parigi  1862. 


(1198)  [8] 

estensibile  a  tutte  le  superfìcie  applicabili  ad  una  superfìcie 
di  rivoluzione,  (i) 

3.  Dall'equazione  (A)  deducesi  l'equazione 

d(i> 01  e 

dt        dt^  (/)  y^  ^iy2  _  c2 

che  lega  la  velocità  angolare  di    rotazione  del    meridiano 

della  superfìcie  di  rivoluzione  intorno  all'asse  e  la  velocità 

di  un  punto  mobile  sul  meridiano,  in    modo  che  il    punto 

,    .  dto 

stesso  percorra    una  geodetica.   Supponendo  -  -  =  costante 

=  V  si  ha 

che  è  l'equazione  differenziale  del  movimento  del  })unto  sul 
meridiano,  quando  il  moto  di  rotazione  dello  stesso  meri- 
diano rispetto  all'asse  sia  uniforme. 

4.  Con  le  equazioni 

('  X  =  fi  (X)  cos  (w  —  Wo) 
(a)         .   V  =  f\  (X)  sen  (o)  —  Wq) 

lz=r,  (X) 

rappresentasi  una  superfìcie  di  rivoluzione  riferita  ad  un 
sistema  di  assi  ortogonali,  quando  1'  asse  della  superfìcie 
coincida  col  coordinato  delle  z  {'^). 


(1)  A  queste  ultime  superficie  appartengono,  come  caso  particolare, 
quelle  generate  dalla  traslazione  (rettilinea  o  curvilinea)  di  una  linea 
rigida,  che  si  mantenga  normale  alle  traiettorie  dei  suoi  punti.  D'altra 
parte  tali  superficie  possono,  nel  caso  di  traslazione  rettilinea,  conside- 
rarsi come  un  caso  particolare  delle  superficie  di  rivoluzione,  suppo- 
nendo che  Tasse  sia  all'  infinito.  Le  equazioni  (^1)  e  (B)  sono  un  caso 
particolare  nelle  forinole  generali  a  cui  si  perviene  nel  caso  delle  coor- 
dinate isoterme. 

(2)  E  facile  mostrare  che  /'[^(X)"  -|- A'  (^)"  ^==  P"  •  infatti  essendo  per 


[9]  (1190) 

Essendo  co  —  w^  =  F  (X)   })ei*  tutti  i  punti  di   una  j-'eo- 
detica, 

{x  =  f\  (X)  cos  F  (X) 
(aO         \y  =f\  (^)  ^en  F  (X) 

sono  le  equazioni  che  ne   danno    le    coordinate   cai'tesiane 

dei  punti  di  quella  geodetica  in  funzione  della  latitudine  X. 

Dui  teorema  di  Clairaut  deriva  l'equazione  differenziale 


ds 

che  integrata,  ricordando  che  p  è  una  funzione  di  X,  [ve- 
dasi nota  (1)]  ne  dà 

ed  invertendo  l'integrale  della  (P)    si  ha   X  =  O  (.s)  :    così 
le  equazioni  della  geodetica  diventano 

0^=/-,  (0(.s))cosF(0(.)) 
^  =  A  (  O  (s)  )  cos  F  (  O  (.s)  ) 
z  =  f\{^  {s)  ) 

In  generale  1'  eliminazione  di  X  fra  le  equazioni  af  e 
p  non  è  sempre  possibile,  perciò  converrà  per  esprimere 
le  coordinate  x,  y ,  z  dei  punti  della  geodetica  in  funzione 
dell'arco  s  della  geodetica  stessa  ricorrere  alle  note  serie 
di  Weingarten  (*).  1  coefficienti  di  tali  serie  i)ossono  de- 
dursi  dalle  (a')  e  dalla  p  ricordando  che  in  generale 


(o=:coq  ,  dx^  -\-  dz'-  =r  ds^  ■==.  p'^dX'  si  deduce  dalle  equazioni  (a)  subito  tal 
relazione. 

(1)  Weingarten  è  stato  il  primo  ad  esprimere  mediante  serie  della 
forma 

a;  rr  a;,,  4-  a,.s  4-  n^s^  4-  a^s^  4- 

y  =  y,-\-  b,s  4-  b.s'^  4-  b>s^  4- 


(1200)  [10] 

dY      dV     dX  di       11/  ^ 

-— =  ^T-  X:r  e  che    -r-  =  —  1/   1  ^ —   ,.  -,  ,^ ,  .  —  Il  calcolo 

ds       di  ^^ds  ds       p  w  /i"2  (X) 

riesce  alquanto  laborioso,  ma  lo  stesso  inconveniente  si 
verifica  ([uando  i  coefficienti  della  serie  si  deducono  dal- 
l' e(iuazione  della  superficie  in  coordinate  cartesiane. 

Essendo  (wi ,  Xj),  (w^,  l-ì) ,  {oy^ ,  X3)  le  coordinate  geogra- 
fiche dei  vertici  A ,  B ,  (-  di  un  triangolo  geodetico  ed  in- 
dicando con  Ci,  c~2,  C-i  le  costanti,  relative  al  teorema  di  Clai- 
raut,  che  corrispondono  ai  tre  lati  BC ,  CA ,  AB  del  trian- 
golo, si  hanno  le  equazioni 

.  C3  C^2 

A  =  ang  sen 


/i  ih)      ^     n  ih) 

IJ  Ci  C3 


^  (^-2  Ci 

(j  =  ang  sen  - — jt-t  —  ang  sen 


Dall'equazione  ^  deduconsi  le  lunghezze  dei  lati  xi  —  BC 
s-i  =  CA  S',i  ^  AB  :  si  hanno  cosi  1'  equazioni 

^'1  =^(^3,    Ci)  —  t\){l.2,    Ci) 
S.2  =  '\)  (Xi  ,    C.2)  —  ^  (>^3  ,    Ci) 

S3  =  4;  {hi ,  C3)  —  ^  (Xi ,  Ci) 

Ricordando  il  teorema  di  Gauss  (Memoria  siUle  superfì- 
cie cm^ve)  (*)  si  conclude  che 


le  coordinate  cartesiane  dei  punti  di  una  geodetica  in  funzione  dell'arco  .v 
—  Pucci  op.  citata  cap.  II. 

(1)  (jauss  nella  citata  memoria  dimostra  che  in  un  triangolo  geode- 
tico sopra  una  superficie  qualunque  essendo  A,  B,  C  gli  angoli 

A-l-R  +  C  —n^O 

secondo  che  la  superficie  sia  concavo -concavo  (o  convessa -convessa)  0 
concavo-convessa. 


[11]  (1201) 

ang-  .sen  -|-  ang-  sen  ,  -|-  ang-  sen 


fi  ih)  '      "  -     /i  (X,)  '  ^  ^      A  (X.)J 

secondo  che  il  meridiano  sia  concavo  o  convesso  verso  l'asse 
di  rotazione  della  superficie,  ovvero  secondo  che  per  w  ^  wq 

5.  Il  momento  statico  di  una  forza  T  ,  la  cui  linea  di 
azione  faccia  con  un  asse  l'angolo  ^ ,  se  con  l  indica  la 
minima  distanza  delle  due  rette,  è  espresso  da 

TI  sen  p. 

Considerando  una  linea  fiiniculare,  giacente  sopra  una 
superficie  di  rivoluzione  e  soggetta  all'  azione  di  forze  in 
equilibrio,  dirette  secondo  le  tangenti  alla  linea  stessa  e 
secondo  le  normali  alla  superficie,  applicando  il  teorema 
dei  momenti  rispetto  all'  asse  della  superficie  di  rivolu- 
zione alle  forze  (in  equilibrio)  che  agiscono  sopra  un  ele- 
mento infinitesimo  della  linea  funicolare  si  ha  il  diffe- 
renziale 

d  {TI  sen^)  =  0 

e  quindi  TI  sen  ^  =  costante,  quando  con  T  indichiamo  la 
tensione  di  quell'elemento.  Scomponendo  la  tensione  T  in 
due  componenti  :  una  secondo  la  tangente  al  parallelo, 
l'altra  secondo  la  tangente  al  meridiano,  osservando  che  il 
momento  di  quest'ultima  è  nullo,  si  ha 

T^  sen  p  =  Tr  sen  a  =  costante 

quando  con  r  indichiamo  il  raggio  del  parallelo  e  con  a 
l'azimut  della  linea  d'azione  di  T  —  Nel  caso  di  una  filaria, 
la  linea,  secondo  cui  si  dispone,  è  una  geodetica  della  su- 
perficie di  rivoluzione,  ed  essendo  T  costante,  si  ha 

r  sen  a  =  e 
che  corrisponde  al  teorema  di  Clairaut. 


(1202)  [12] 

Lo  rette  dello  ,spHZÌ(j,  il  cui  in  ;  mento  (Cayley)  -sia 
costante  rispetto  all'asse  della  superficie  di  rivoluzione,  for- 
mano un  complesso  :  tale  complesso  intersega  il  complesso 
delle  rette  tangenti  alla  superficie  secondo  una  congruenza, 
costituita  da  una  semplice  infinità  di  superficie  rigate  svi- 
luppabili, aventi  per  spigolo  di  regresso  le  geodetiche,  de- 
finite dal  parametro  e  e  che  intersegano  quindi  ciascun 
parallelo  secondo  angoli  eguali. 

Firenze^  A'prile  i893. 


Prezzo  della  Dispensa 

Fogli  7  a  Cent.  25 L.  1.75 

1  Tavola  litografata »    0.25 


Totale    L.  2.00 


I N  T  0  R  K  0 

ALL'UTILITÀ  ED  ALLA  POSSIBILITÀ  DEL  TRADURRE 

Considerazioni  e  digressioni 

A    PROPOSITO    DI    INA    PUBBLICAZIONE    DI    E.    TEZA 
DEL    M.    E.    P.    FAMBRI 


Questo  librettino  di  E.  Teza  (*)  cui  deve  applicarsi  il 
rincarato  diminutivo  per  la  piccolezza  del  formato  e  del  nu- 
mero delle  pagine  fa  però  molto  sentire  e  anche  pensare 
a  parecchie  cose. 

Principio  dalla  prima,  che  ha  importanza  generale.  C'è 
di  molta  gente  la  quale  non  si  perita  a  dire  :  non  traducete 
mai  perchè  tradurre  è  tradire,  qualunque  sia  la  forza  dello 
scrittore,  qualunque  il  possesso  suo  delle  due  lingue.  —  Se 
chiedete  il  perchè  si  risponderà:  —  perchè  si  potrà  fare 
magari  un'altra  bella  cosa  ma  non  render  quella. 

Anzi  tutto  l'aversi  un'  altra  bella  cosa  è  proprio  cosi 
piccolo  vantaggio  da  doversi  disdegnare  ?  —  Di  un  gran 
pittore,  a  cagion  d'esempio,  che  faccia  un  ritratto,  il  quale 
poniamo,  non  somigli  punto  ma  riesca,  come  opera  d' arte, 
un  capo  lavoro,  oserete  forse  dire  che  ha  perduto  del  tempo 
e  sciupato  della  tela?  —  Sappiamo  noi  se  i  maravigliosi 
ritratti  di  Tiziano,  di  Raffaello  e  di  Frantz-Hanz  fossero 
tutti  somiglianti  ?  chi  ce  ne  assicura  e,  tranne  qualche  caso, 
chi  neppur  glie  ne  importa  ? 

(1)  E.  Teza  —  un  libro  di  poesie    Boeme  tradotte    in    Tedesco  — 
Verona,  Donato  Tedeschi  e  figlio,   1893. 


^-  ìi  -^ 

io  mi  ricordo  di  avere  veduti  in  Iscozia  tre  famosi  ri- 
tratti di  Maria  Stuarda  i  quali  si  direbbero  di  tre  diverse 
persone.  Almeno  due  di  quelli  sarebbero  pertanto  non  tradu- 
zioni ma  tradimenti  in  tela  e  roba  da  buttar  via  ;  se  non  che 
il  buon  gustaio  si  oppone  perchè  sono  a  ogni  modo  tre 
importanti  lavori  uno  dei  quali,  e  neppure  ini  parve  il  mi- 
gliore, pagato,  dicesi,  a  Parigi  la  bagatella  di  duecento 
mila  lire  da  un  mercante  il  quale  non  aveva  11  pronta  una 
famiglia  Stuarda  cui  rivenderlo. 

Ma  a  parte  anche  la  questione  utilitaria,  è  poi  vero 
che  sia  impossibile  tradurre  ?  —  Impossibilissimo,  si  osa 
rispondere  perchè  tanto  gli  spiriti  che  le  lingue  mancano, 
e  debbono  necessariamente  mancare  di  parallelismo,  e 
quindi  i  singoli  termini,  nelle  cui  squisite  relazioni  sta  il 
magistero  dell'  arte,  non  può  venirci  esattamente  resa. 

Io  non  dubito  qui  di  osare  un  riscontro  saltando  dalle 
regioni  vaghe  ed  eteree  del  bello  a  quelle  rigorose  del  vero. 
Nella  scienza  dei  computi  e  dei  rapporti  non  si  considerano 
mica  le  sole  eguaglianze  ma  anche  le  equivalenze  che  in 
fondo  sono  eguaglianze  anch'esse,  non  per  combaciamento 
di  patti  e  particolari  omologhi  ma  per  valori  complessivi. 

Dire  a  -\-  b  -{-  e  eguale  3i  p  -\~  q  -\-  r  non  vuol  cer- 
tamente dire  a  =  p,  b  =  q,  e  =  r  ma  bensì  che  pren- 
dere l'uno  0  l'altro  dei  due  gruppi  non  fa  differenza. 

E  una  similitudine  ed  una  considerazione  che  mi  venne 
fatta  una  trentina  d'anni  fa  ragionando  d'arte  con  un  fe- 
condo poeta  Greco,  apprezzatissimo  dal  Tommaseo,  a  pro- 
posito della  versione  Leopardiana  di  non  ricordo  quale 
frammento  di  idillio  antico.  Il  maggiore  Manussos  (tale  era 
il  nome  di  questo  straniero  per  amore  dell'  Italia  di- 
venutomi commilitone)  mi  recitava  1'  originale  greco  fa- 
cendo notare  la  perfetta  rispondenza  della  realtà  del  si- 
gnificato e  della  virtualità  della  impressione  del  tutto  mal- 
grado la  divergentissima  forma  delle  parti. 

E  tale  divergenza  egli  mi  fece  osservare  necessaria 
non  che  opportuna  traducendomi  poi  letteralmente  il  testo 


^ —  ili  — 
greco  il  quale  veniva  a  perderne  quasi  ogni  attrattiva  ed 
efficacia  sua.  Cosi  è  —  in  letteratura  1'  eguaglianza   delle 
parti  non  da  quella  del  tutto,  che  invece  quella  dello  spi- 
rito informatore  può  dare. 

La  letteratura  esclude  le  eguaglianze  ammette  le  equi- 
valenze. 


E  non  le  ammette,  non  le  crea  essa  la  natura  ?  —  Lo 
studio  parallelo  di  proverbi,  canti  e  leggende  delle  varie 
regioni  prova  che  la  natura  traduce.  Infatti  di  tutta  codesta 
roba  molto  più  della  metà,  e  direi  dei  tre  (|uarti,  è  comune 
a  tutti  i  po])oli  in  tutti  i  tempi. 

Evidentemente  l'idea  viaggiava  anche  prima  che  ci  fos- 
sero le  strade  e  navigazioni  di  lungo  corso  —  e  se  non 
è  vero  che  viaggiasse  l'idea  tradotta  dalla  natura  la  cosa 
significa  ancora  di  più  e  assai  maggiormente  ci  aiuta  la  tesi, 
poiché  significa  che  varii  ingegni  hanno  dedotto  o  indotto  da 
circostanze  analoghe  motti,  sentenze  e  talvolta  componi- 
nìenti  interi  di  identico  significato  e  valore  in  poco  meno 
che  identica  forma. 

I  volumi  dei  folcrolisti  son  lì  per  affermare  con  ri- 
scontri senza  numero  questa  irrecusabile  prova  del  potersi 
con  pari  originalità  e,  se  vuoisi,  verginità  di  forma  in  qual- 
siasi favella  formulare  non  solo  gli  stessi  pronunziati  della 
ragione  ma  gli  stessi  parti  della  fantasia  e  dare  sfogo  ai  sen- 
timenti e  ai  bisogni  morali  con  tale  equivalente  efficacia  da 
lasciare  perplesso  l'animo  di  chi,  intendendo  ed  adoperando 
egualmente  i  diversi  stromenti  linguistici,  fosse  chiamato  a 
dare  intorno  ai  diversi  prodotti  un  giudizio  comparativo. 

Ora  se  il  fatto  dell'equivalenza  è  possibile  fino  ad  es- 
sere comune  in  natura  deve  essere  altrimenti  in  arte  e  la 
questione  starà  proprio  tutta,  o  quasi,  nel  valore  dell'ar- 
tista in  quanto  a  potenza  nel  maneggiare  lo  stromento  ed 
abilità  nel  o-ipare  e  barattare  ali  ostacoli. 


—  tv  — 

E  sono  essi  possibili,  domanda  qualcheduno,  codesti 
potenti  ed  abili  in  più  favelle  ?  —  Di  Dante,  dice  il  Teza, 
quanto  men  puro  il  latino  tanto  sgorga  più  limpido  nella 
veemenza  sua  l'Italiano  ;  il  Poliziano  e  il  Bembo,  più  gram- 
matici e  filoioghi,  non  sono  i  poeti  majorum  gentium.  11 
Teza  non  li  ama  gli  ambi  destri  perchè,  a  sentir  lui,  una  fon- 
tana non  può  far  due  fiumi,  e  se  li  fa,  non  sono  gran  fatto 
correnti. 

Cosi  dice  la  canzone  che  cita  e  potrebbe  anche  non  aver 
sempre  ragione.  Infatti,  a  cagion  d'esempio,  sono  abbastanza 
correnti,  sembra,  la  pittui'a,  la  scultura  e  l'architettura  di 
Michelangelo;  così  la  meccanica,  l'idraulica,  l'architettura  e 
la  pittura  di  Leonardo  —  abbastanza  correnti,  anche  venendo 
più  verso  noi,  sono  la  filosofia,  la  giurisprudenza,  la  matema- 
tica e  la  letteratura  del  Leibnitz,  e  la  scienza  naturale  e  la 
vis  poetica  del  Goethe,  come,  tornando  a  scostarsi  da  noi,  la 
potenza  filosofica  a  quella  tragica  di  Seneca  (i),  le  quali  non 
cederebbero  che  a  quelle  di  Bacone  se  fosse  proprio  assodato 
che  egli  fosse  il  vero  Shakespeare  od  anche  semplicemente 
un  suo  ispiratore  o  collaboratore. 

Se  non  che  in  seguito  della  sua  notabilissima  prefa- 
zione ci  viene  un  po'  anch'  egli  il  Teza  in  quest'idea  poiché 
rammenta  che  l'Albert,  il  traduttore  tedesco  dei  canti  Boemi 
è  già  un  famoso  chirurgo,  mano  e  mente  onore  della  scuola 
viennese,  che  delle  glorie  ne  ha  tante. 

Riporto  le  sue  parole  perchè  degne  e  giuste. 

«  Non  faceva  meraviglia  una  volta  che   il  Redi    scri- 


(1)  È  ritenuto  che  il  Seneca  filosofo  è  uno,  e  quello  tragico  un 
altro.  Ritenuto  dico,  non,  eh'  io  sappia,  dimostrato.  Io,  finché  non  sia 
rigorosamente  dimostrata  la  dualità  sono  per  l'unità  delle  persone.  C  è 
tanto  di  comune  nell'  indole  e  nel  gusto  !  —  Così  c'è  tanto  Bacone  nello 
Shakespeare  e  tanto  Shakespeare  nel  Bacone  ! 

Se  sono  due  sono,  a  senso  mio,  due  unità  sdoppiate.  E  dissi  a 
senso  mio,  non  a  parer  mio,  poiché  non  é  un'opinione,  sarebbe  troi)po, 
ma  un'  impressione  che  esprimo. 


»  Avesse  ricette  e  sonetti,  come  nessuno  stupiva  che  il  Prie- 
»  stk\v  fosse  teologo,  matematico,  medico  e  chimico.  Codesto 
»  usa  adesso  meno  assai  :  la  società  ha  le  imprese  di  scienza, 
»  e  da'  suoi  braccianti  vuole  la  giornata  intera  :  chi  cerca 
»  un  po'  di  spasso  al  suo  ftiticoso  cervello  diventa,  innanzi 
»  a  questi  arcigni  inquisitori,  un  operaio  briaco.  Lo  pagano 
»  tanto  ! 

»  Il  deviare  è  necessità  molto  spesso.  Avvocati,  come  il 
»  Morreau,  filologi,  come  il  Mitscherlich,  diventano  chimici  ; 
»  ma  poi  restano  al  fornello,  corroborati,  e  bene,  dagli  studi 
»  di  pi'ima  ;  che,  se  è  vero,  come  dice  a  me  una  voce  amica, 
»  che  l'Albert  a  queste  nobili  feste  che  porta  nella  vita  dei 
»  dotti  la  poesia,  arrivi  solo  nell'età  matura,  l'esempio  è  più 
»  raro,  e  da  tenerne  conto. 

»  Come  l'arco  non  sale  e  scende  per  le  corde,  a  pre- 
»  mere  o  a  lambire,  con  forza  e  con  grazia,  se  non  lo  pose 
»  nella  giovane  mano  un  severo  maestro,  cosi  nelle  sotti- 
»  gliezze  dei  ritmi,  delle  immagini,  delle  parole,  dei  suoni, 
»  r  artista  nuovo  va  meno  franco  e  spedito.  Dico  artista  e 
))  non  poeta  ;  non  l'uomo  che  fa,  ma  l'altro  che  contempla 
»  e  sente,  ammira  e  rifa  ». 

Tutto  sta  che  rifaccia  non  contraffaccia  —  anche  con- 
traffacendo e  strafacendo  però  a  volte  (quando  s'ha  il  poeta 
anche  mancando  Vartista)  n'escono  capi  d'opera.  Benvenuti 
sempre  ! 

Bernardo  Davanzati,  a  cagion  d'esempio,  non  è  davvero 
Cajo  Cornelio  Tacito;  niente  meno  che  invece  di  un  romano 
togato  e  arcigno  è  un  fiorentinaccio  di  via  delVAriento 
sboccato,  sguaiato  e  colle  maniche  rimboccate.  Malgrado  ciò 
l'impressione  morale  e  politica  di  chi  Io  viene  leggendo  è 
Tacitiana.  Nella  dignità  certo  no,  ma  testo  e  traduzione  si 
valgono  per  la  vis  e  gli  effetti. 


—    VI    — 


II. 


))  r>eati  qutì  signoi-i  dell'arte  che,  degli  .sti'uraeiiti  raae- 
»  stri,  ne  hanno  nno  solo:  quei  poeti  che  cantano  con  le  voci 
»  della  mamma,  che  non  si  vantano  che  di  una  sola  lingua. 
»  Gli  altri  stromenti  servono  a'  giochi  o  all'addestrare  l'o- 
»  peratore  e  non  altro.  Quanto  è  meno  puro  il  latino  di 
»  Dante,  (si  permetta  la  ripetuta  citazione)  più  sgorga  lim- 
»  pido  nella  veemenza  il  suo  italiano  ;  gli  amhidestri,  come 
»  il  Poliziano  od  il  Bembo,  non  sono  i  poeti  majorum  gen- 
»  Hum  ;  i  quali  hanno  un  cuor  solo,  un  solo  intelletto,  una 
»  sola  parola  » . 

E  verissimo  che  il  Poliziano  ed  il  Bembo,  ambidestri, 
non  sono  i  poeti  majorem  gentium,  ma  non  credo  che 
manchi  loro  questa  grande  fortuna  proprio  per  il  fatto 
dell'  essere  stati  ambidestri. 

Per  non  dire  del  Bembo  cui  molto  accordarono,  ma 
molto  negarono  pure  le  Muse,  al  Poliziano,  certo  mancò 
una  cosa,  ma  piuttosto  importante,  il  genio. 

Nel  garbo,  nella  snellezza,  nella  proprietà,  nel  gusto 
in  tutto  il  magistero  della  lingua  e  del  verso  egli  poteva 
dirsi  superiore  al  Tasso,  non  minore  dell'Ariosto. 

Non  fu  il  poeta  majorem  gentium  per  ragioni  di  ric- 
chezza ma  di  povertà.  Linguista  e  limatore  più  perfetto 
certamente  non  poteva  riuscire  neanche  se  fosse  stato  mae- 
stro di  un  solo  strumento,  ma  precisamente  per  la  ragione 
opposta  quella  cioè  dell'avere  avuto  più  fine  il  gusto  che 
largo  l'intelletto,  più  ricca  la  forma  che  la  fantasia  e  più 
perfetta  la  tecnica  che  potente  la  concezione.  Del  resto  non- 
ché ambidestri  furono,  ripeto,  polidestri  Michelangelo,  Raf- 
faele, Leonardo.  Isacco  Newton,  forse  la  maggior  testa 
che  sia  mai  stata    portata    sopra  due  spalle,  rispose  a   chi 


—    VII    — 

lo  rimproverava  del  voler  essere  oltre  che  matematico,  an- 
che fisico,  filosofo,  teologo  e  critico  :  homo  unius  negotii, 
homo  nullius  negotii. 

E  queste  cose  sono  tiitt' altro  che  dette  a  confutazione 
del  Teza  il  quale  nelle  pagine  che  seguitano  della  sua  acu- 
tissima prefazione  alle  versioni  tedesche  di  Eduardo  Albert 
approva  che  questo  valent'uomo,  potente  seguace  d'Ippocrate, 
vada  a  spasso  anche  a  braccetto  d'Apollo. 

Io  dunque  nella  tesi  generale  sono  d'accordo  col  Teza 
soltanto  vo  più  innanzi  e  credo  all'  uomo  ambidestro  non 
per  sola  necessità  di  distrazione  e  non  per  solo  spasso  : 
credo  che  certe  fontane  possano,  contro  il  proverbio,  fare 
due  fiumi  molto  ricchi  e  molto  correnti,  e  credo  che  pre- 
cisamente in  questo  periodo  della  divisione  e  suddivisione 
del  lavoro  scientifico  il  solo  argine  possibile  dalle  ari- 
dezze che  potrebbero  anche  divenire  atrofie  dell'analisi  bi- 
sogna che  gl'ingegni  più  larghi  ed  alti  si  difendano  per 
l'appunto  variando  e  moltiplicando  il  lavoro. 

A  mezzo  la  prefazione  il  Teza  riparla  della  possibilità 
o  no  di  ben  tradurre. 

E  anche  qui  ci  troviamo  in  fondo  d'accordo. 

Egli  riconosce  che  l'Albert  valorosamente  e  vantaggio- 
samente combattè  corpo  a  corpo  le  difiRcoltà  della  tra- 
duzione. 

Non  io  entrerò  a  discutere  dei  pregi  paralleli  del  te- 
sto boemo  e  della  versione  tedesca,  —  volto  pagina  e  leggo 
la  sua  versione  italiana  nella  quale  veggo  una  riprova  della 
possibilità  di  belle  ed  efficaci  traduzioni. 

Ma  quale  riprova,  potrà  vivacemente  obiettare  qual- 
cuno, se  il  boemo  vi  è  estraneo? 

Questa  —  rispondo  —  che  la  leggenda  rimane  bella  e 
commovente,  che  del  parallelismo  del  testo  e  della  versione 
non  mi  è  lecito  dubitare  sapendo  di  legger  cosa  di  uno  fra 
i  più  coscienziosi  e  potenti  filoioghi  d'oggidì. 

Ora  se  ci  sono  queste  due  cose  :  parallelismo  e  bellezza, 
significa  che  non  manca  fedeltà  perchè  bellezza  senza  pa- 


—  vili  — 
rallelisnio    potrebbe    darsi    ma    pi-esentando    un    tiitt' altro 
lavoro    dall'  originale,    ma    conservandone    rigorosamente 
l'ordine  o  le  bellezze  non  esistono  più  o  rimangono  fedel- 
mente della  natura  di  quelle  che  riproducono. 

E  della  possibilità  del  tradure  fedele  non  parlo  altro. 


111. 


L'  equivalenza  è  fedeltà  sostanziale  ed  è  alta,  anzi  so- 
vrana difesa  dalle  infedeltà  spesso  inseparabili  dal  metodo 
rigorosamente  letterale. 

In  poesia  equivalenza  è  parità  d'  impressioni  e  di  ef- 
ficacia. 

Qui  e'  è  senza  dubbio  e  nella  traduzione  e  nella  tra- 
duzione della  traduzione. 

La  leggenda  del  salice  è  breve  e  semplice.  In  poche 
parole  la  espongo. 

La  moglie  del  barone  della  leggenda  quando  dorme 
par  morta,  di  lei  non  si  sente  il  più  piccolo  respiro,  il  suo 
corpo  è  ghiacciato  e  stecchito  e  anche  se  piange  il  tenero 
bambino  suo  non  lo  sente.  Che  è  ciò  ?  dev'essere  una  ma- 
lattia ?  bisogna  dice  egli  (il  barone)  —  darsene  pensiero  e 
curarla.  La  poveretta,  che  sa  di  che  si  tratti,  s'  oppone  in 
forma  supplice  dicendogli  : 

Quel  che  la  Parca  vuole  comandare 

parola  d'  uomo  non  lo  può  disfare. 

E  s'anco  io  dormo  che  non  batte  il  cuore 

io  sono  nelle  mani  del  Signore  ; 

io  sono  nelle  mani  del  Signore 

e  la  notte  mi  guarda  a  tutte  V  ore 

E  s'  anco  dormo  coni'  io  fossi  morta, 

il  mattino  la  vita  mi  riporta  ; 

e  sana  mi  risveglio  e  m"  alzo  anch'  io  ! 

Dunque  lasciami  in  mano  al  buon  Iddio  ! 


—    IX    — 

Ma,  come  dice  apostrofandola  il  canto  (forma  toccan- 
tissima e  caratteristica  della  poesia  popolare)  : 

non  valgon  le  [larole  per  mente 

il  tuo  signore  ha  un'  altra  cosa  in  mente. 

Infatti  egli  va  dalla  strega  e  vuol  sapere  come  stia 
la  faccenda  che  durante  la  notte  il  corpo  di  sua  moglie 
è  ghiacciato  e  stecchito. 

La  mala  strega  risponde  e  li  perde  entrambi  colla 
verità  : 

Ma  come  dunque  non  sarebbe  morta 
se  mezza  vita  e  nulla  più,  la  porta  ? 
con  te  il  giorno  quell'anima  soggiorna 
poi  la  notte  ad  un  albero  ritorna. 
Va  in  giardino,  al  ruscello,  a  mano  manca 
un  salcio  vedi  di  corteccia  bianca, 
e  rami  gialli,  sulla  sponda  ombrosa  : 
della  tua  moglie  l'anima  vi  posa. 

E  il  disgraziato  barone  intende  di  avere  sposato  una 
donna  perchè  se  la  viva  entro  a  un  salice  e  che  di  mezza 
moglie  non  si  contenta,  da  di  piglio  alla  scure  e  corre  a 
schiantare  il  disgraziato  salice  insino  alla  radice. 


Dentro  all'acqua  corrente  fitto  piomba 
e  dal  profondo  subito  rimbomba 
con  un  lungo  sospir. 

Dopo  questo  infelice  lavoro  fatto  collo  proprie  mani  il 
barone  s'avvia  a  casa 


A  casa  quc^nta  gente  dentro  e  fuora! 
Per  chi  mai  suoqa  l'ultima  sua  ora? 


domanda  egli, 


Non  .si  sa  chi,  un  qualche  essere  molto  impersonale 
e  sommamente  personale  nel  tempo  stesso,  perchè  sintetico 
come  il  coro  greco,  lo  informa  di  quanto  è  accaduto  non  si 
limitando  a  narrarglielo  ma  esprimendogliene  i  particolari, 
il  giudizio,  r  impressione.  Sei  soli  versi,  ma  che  spezzano 
il  core  ; 

È  la  tua  donna  poco  fa  spirata 

parea  l'avesse  una  falce  falciata  ! 

Girava  per  la  casa  quella  santa 

cade  a  un  tratto,  com'arbor  che  si  schianta, 

e  cerca  il  suo  bambino  e  volge  in  giro 

lo  sguardo  e  mette  l'ultimo  respiro. 

L'  infelice  barone  sotto  lo  strazio  del  rimorso  e  dell'a- 
more prorrompe  in  pianto  disperato: 

Ahi  non  sapendo  nella  mia  follia, 
io  t'ho  ammazzata  dolce  donna  mia  ! 
Del  tuo  bambino,  del  bambino  bello 
ho  fatto  a  questo  mondo  un  orfanello  ! 
0  bianco  salcio,  salcio  di  dolore 
oh  quanto  hai  tormentato  questo  cuore  ! 
Mezza  vita  da  me  vieni  a  strappare, 
bianco  salcio,  di  te  che  deggio  fare  ? 
—  Dà  gli  ordini  mi  tolgan  dal  ruscello 
e  taglino  ogni  giallo  ramoscello 
pialli  gli  assi  per  bene  il  legnaiolo 
faccia  una  culla  per  il  tuo  figliolo  : 
poi  metti  nella  culla  il  tuo  bamcino 
che  non  abbia  a  strillare  il  poverino. 
Quando  ninnando  lo  faran  dormire 
lo  verrà  la  sua  mamma  a  custodire 
E  pianta  il  ramoscello  sulla  sponda 
che  non  si  guasti  colà  presso  all'onda 
E  quando  il  bambino  sarà  piìi  grandino 
farà  con  la  corteccia  un  zufolino 
e  zufolando  mesto  canterà 
con  la  sua  buona  mani  ma  parlerà. 


—  XI  — 

Ebbene  in  tutto  questo  non  c'è  né  il  vero  né  il  vero- 
simile. Nessun  riscontro  colla  vita  reale,  nessuna  remini- 
scenza quindi  possibile  nell'  animo  del  lettore.  Eppure  la 
leggenda  inonda  l'animo  di  una  tristezza  che  arriva  allo 
strazio  e  di  una  pietà  profonda  e  santa  verso  la  vittima 
ed  anche  verso  lo  sconsigliato  sacrificatore. 

Come  avviene  ciò  che  questa  potenza  la  quale  a  fil  di 
logica  si  direbbe  non  dover  appartenere  che  al  vero  o  per 
lo  meno  al  probabile,  sia  raggiunta  in  tal  grado  anche  da 
ciò  che  non  ha  niente  di  comune  neppur  col  possibile  ?  E 
dunque  capace  di  astrazione  avventatamente  analogica  non 
solo  la  facoltà  intellettiva,  ma  anche  l'affettiva  ? 

L'esperienza  ci  prova  che  la  cosa  è  vera  a  tal  punto 
che  l'interesse  più  sincero  ed  intenso  può  dall'arte  venire 
accaparrato  anche  in  prò'  di  astrazioni  e  di  finzioni  per 
niente  antropomorfiche.  —  Gli  esempi  non  sono  certo  molti 
ma  grandi. 

Negli  ultimi  versi  del  più  filosofico  dei  suoi  carmi  Gia- 
como Leopardi,  per  esempio,  desta  nelle  anime  elevate  e 
gentili  un  senso  di  malinconica  pietà,  di  affettuoso  rimpianto 
parlandoci  delle  pigre  ma  non  frenabili  lave  che  tardi  forse 
ma  inesorabilmente  arderebbero  e  coprirebbero  le  sue  ado- 
rate ginestre.  E  un  miracolo  di  vanità  eppure  nel  tempo 
stesso  nobiltà  e  santità  di  compianto,  cioè  tutt'  altro  che 
affettività  sviata  e  sciupata. 

Chi  osservasse  leggermente  il  fatto  sarebbe  tentato  ad 
indurne  che  l' arte  arriva  ad  essere  più  forte  della  verità. 
Non  mancano  infatti,  e  numerosi,  gli  esempi  di  episodi  non 
solo  in  ogni  parte  conformi  al  vero  ma  rigorosamente  ac- 
certati che  lasciano  freddo  lo  spirito  e  presso  che  indiffe- 
rente l'animo.  Basterà  mettere  innanzi  due  esempi  :  La  Zaira 
del  Voltaire  e  Y  Otello  dello  Shakespeare  (i)  rappresentati 


(1)  Il  Manzoni  nella  sua  lettre  a  M."" (Chawet)  sur  l'unite  de 

temp.i  et  de  lieu  dam  li,  trar/sdif  fa  un  importante  raffronto  tra  l'Otello 
e  Li  Zaira, 


—    XII   — 

dallo  ste>so  attore  :  il  Salvini,  quindi  a  perfetta  j  ai'ità  di 
potenza  plastica  e  drammatica  di  esecuzione.  La  morte  di 
Zaira  e  quella  di  Orosmane  non  fanno  proprio  nò  caldo 
né  freddo.  Dopo  la  tragedia  si  può  restare  alla  farsa  e  vo- 
lentierissimo  ridere  per  poco  che  ci  sia  dello  spirito  ;  — 
dopo  la  morte  di  Desdemona  invece  la  tristezza  è  invincibi- 
le. Se  qualcheduno  resta  alla  farsa  vuol  dire  che  ha  qual- 
cheduno  da  aspettare  od  è  un  idiota  senza  intelletto  nò  cuore. 
—  E  come  va  ciò,  mentre  per  il  fatto  Orosmane  e  Zaira 
sono  senza  confronto  più  conformi  alla  modernità  del  costu- 
me ed  alla  probabilità  degli  eventi  che  noi  sieno  Otello  e 
Desdemona,  dei  quali  1'  uno  non  ha  nulla  di  comune  con 
quella  che  noi  chiamammo  civiltà  nostra  e  l'altra  di  comune 
ci  ha  egualmente  pochissimo  cogli  avvedimenti  e  le  energie 
che  nel  mondo  che  noi  viviamo,  ed  anche  in  quello  che  si 
viveva  tre  secoli  fa,  distinguevano  l' intelletto  e  il  cuore  della 
donna  anche  più  passivamente  dolce  e  gentile. 

Egli  è  il  carattere  insopportabilmente  convenzionale 
e  accademico  che,  nella  Zaira,  malgrado  una  certa  abi- 
lità scenica,  annienta  qualsiasi  partecipazione  del  senti- 
mento alle  barbare  sorti  della  svenevole  francese  e  di 
queir  altro  rogantino  più  o  meno  tartaro,  mentre  sono 
r  altezza  poetica  e  la  insuperabile  realtà  psicologica  che 
destano  e  incatenano  la  più  ansiosa  pietà  su  Otello  e  De- 
sdemona, persone  rese  improbabili  se  non  a  dirittura  im- 
possibili dalle  maggiori  deficienze  della  preparazione  scenica. 

Ciò  non  vuol  dire  che  la  verità  sia  meno  forte  del- 
l'Arte, ma  vuol  dire  che  quando  l'Arte  chiude  in  sé  tanta 
essenza  e  potenza  di  verità  da  strappare  1'  adesione  degli 
intelletti  e  degli  animi,  il  suo  effetto  è  immancabile  ed 
estremo,  anche  se  le  circostanze  di  fatto  non  rispondano 
in  tutto  a  quelle  della  vita  e  persino  anche  se  gli  esseri 
sieno  inesistiti  e,  per  contraddizione  colle  leggi  dell'essere, 
inesistibili. 

Non  conosco,  per  darne  un  altro  degli  esempi,  scena 
né   drammatica  né  musicale  che  commova  né  più  né   così 


profondamente  l'animo  come  il  triste  abbandono  e  la  con- 
seguente fine  di  Elsa  di  Brabante  nel  Lohengrin. 

Eppure  il  cavaliere,  la  donna  e  tutta  l'avventura  sono 
impossibili  fino  all'assurdo.  —  Perchè  interessano?  —  E 
quando  pure  Elsa  somigliasse  a  qualche  cosa  di  reale  per- 
chè accorarsi  tanto  per  lei  che  la  felicità  propria  stolida- 
mente e  anche  ingratamente  gettò  per  aver  dato  ascolto 
ai  nemici  di  colui,  che  pur  l'aveva  salvata?  —  EU' è  una 
Psiche  medievalmente  vestita,  eppure  per  lei  ogni  gentile 
anima  sospira  dal  fondo,  mentre  nella  sorte  della  ninfa  di 
Apuleio  ciascuno  vede  indifferente  e  sorridente  pur  anco 
il  castigo  della  indiscreta,  pettegola  e  curiosa  femminilità. 
E  neppur  ciò  mostra  una  prevalenza  qualsiasi  del  fanta- 
stico sul  reale,  e  meno  ancora  una  repugnanza  ad  esso,  — 
mostra  il  contrario  anzi,  il  preciso  contrario,  poiché  mostra 
la  preferenza  dell'  essenziale  sull'eventuale,  cioè  dell'  antro- 
pomorfismo intimo  e  profondo  sopra  quello  esteriore  e  con- 
tingente. 

L'arte  sovrumana  e  perfino  esb^a  imiana,  anche  fino 
all'  assurdo,  nei  casi  rappresentati  può  trovare  e  trova  le 
vie  del  cuore  se  intensamente  e  potentemente  reale  nella 
introspezione  e  riproduzione  intellettiva  ed  affettiva.  Il 
che  risulta  tutto  in  omaggio  di  quel  vero  che,  anche 
nella  idealità  presenta  la  umanità  intrinseca  della  natura 
in  confronto  di  quello  che,  per  1'  assenza  della  qualità  che 
la  caratterizzano  e  determinano,  rimane  invece,  malgrado 
la  verosimiglianza  e  magari  anche  la  dimostrata  autenti- 
cità storica,  vago  ed  estrinseco. 

E  non  è  questione  di  naturalismo  o  idealismo  questa, 
ma  (ammessa  la  sovranità  del  vero)  di  scelta  fra  le  verità 
da  prendere  e  del  posto  e  la  luce  sotto  cui  sajìerle  pre- 
sentare. 

11  qual  lavoro  del  pensiero,  e  qui  viene  irrecusabile 
una  conclusione,  deve  essere  possibile  con  qualunque  segno 
grafico  o  fonetico  posto  al  servizio  del  pensiero  da  una  ci- 


^—  XI V  -^ 
viltà  abbastanza  progredita  da  non  mancarle  nunic:'!cani?nte 
quegli  stromenti  che  hanno  nome  vocaboli. 

Le  loro  combinazioni  e  }iermutazioni,  per  la  mancanza 
di  riscontri  analogici  delle  storie,  dei  climi,  delle  indoli 
e  delle  stesse  fisiologie  e  psicologie  umane  non  possono 
certame!. te  combaciare,  ma  gli  insiemi  debbono  potersi 
riprodurre  colla  stessa  complessiva  verità  colla  quale,  anche 
con  diversissimi  materiali  ma  adatta  capacità  di  lavoro,  le 
costruzioni  di  un  tempo  e  di  un  paese  possono,  da  chi 
sappia,  riprodursi  tal  quali  nelle  più  varie  condizioni  cir- 
costanti. 

Uguaglianze  mai,  ripeto  la  distinzione  prima,  ma,  date 
le  attitudini,  equivalenze  sempre. 


IV 


Ma  le  equivalenze  sono  esse  da  ricercarsi  nell'arte?  — 
Mette  conto  ? 

Se  mette  conto  !  —  Risponda  per  me  lo  scrittore  che 
oggi  lodo  ed  assalto  ad  un  tempo. 

«  Voglio  avvisare  gli  amatori  della  buona  poesia,  egli 
»  dice,  che  i  lavori  come  questo  dell'  Albert  aprono  una 
»  porta  nuova  e  che,  soggiunge,  bisogna  essere  grati  al- 
»  r  amor  patrio  di  lui  che  riaccoda  nella  poesia  chie 
»  nazioni.  »  ^ 

E  questa  è  la  verità.  —  Riaccosta  le  nazioni  il  ben 
tradurre. 

Che  poi  la  cosa  non  sia  impossibile  a  farsi  bene  parmi 
dimostrato  abbastanza  dalle  ragioni  e  sopratutto  dalle  cita- 
zioni messe  avanti  finora. 

A  Pirrone,  negante  il  moto,  un  hlosofo  greco  passeg- 
seggiava  senz'  altro  davanti  —  leggei-e  al  Teza  la  versione 


—  JiV  -- 
del  Teza  è,  senza  dubbio,  confutargli  con  altrettanta  posi- 
tiva efficacia  quell'  impossibile  che  scatta  dalla  sua  coscienza 
critica  di  filologo  cui  egli  dovrebbe  contrapporre  diretta- 
mente quella,  senza  confronto  più  sintetica  e  significativa, 
di  artista. 

Farà  egli  ciò  ?  —  Difficilmente  io  credo,  poiché  fra 
noi  latini  segnatamente  due  cose  non  si  possono  pressoché 
mai  impedire  —  la  prima  che  gli  uomini  minori  sieno 
giusti  cogli  altri,  e  la  seconda  che  i  migliori  e  maggiori 
non  sieno  ingiusti  con  sé. 


Atti  del  R.  Ist.  Ven. 


Tav.MI 


XXI 


'^'^yiaùn.  FruMi..  ^uxà  Fery'ari 


4t(i  del  R.  Ist  Ven 


yhj7,izui.  Prem  ò'!,aii  Fen^àfi 


Atti  del  R.  Ist  Ven 


Tav.    V 


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'•'è'^tJztt^;,  Prem.  Sbo.h  Terra- 


J/tiMJf.lMnf,'  lénc/o 


R.  D'Emilio 


§ul  teopema    di    Clairaut. 


3  2044   106  264   245 


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