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Full text of "Ausonia"

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AVSONIA 


RIVISTA  •  DELLA  •  SOCIETÀ  ■  ITALIANA 
DI  ■  ARCHEOLOGIA  ■  E  •  STORIA  ■  DELL'ARTE 


VOLUME    IX 


RES      •    S3(7xD=.wJ?^l      AINTIQVAE 

l  a  v  d  i  s  •  wmg^MZhwr-  M    et  •  artis 


ROMA 

STABILIMENTO  TIPOGRAFICO  RICCARDO  GARRONI 

GIÀ  SOCIETÀ  TIPOGRAFICO-ED1TRICE   ROMANA 
PIAZZA   M1GNANELLI,  2} 

1919 


La  Società  Italiana  d'Archeologia  e  Storia  dell'Arte,  fondata 
in  Roma  il  i°  gennaio  jqoó,  si  propone  di  favorire  gli  stadi  ar- 
cheologici, e  storico-artistici  e  di  secondare  l'opera  esplicata  dai  pub- 
blici poteri  nel  rinvenimento,  nella  tutela  e  nell'illustrazione  dei 

monumenti  che  riguardano  l'arte  e  la  storia  del  nostro  paese. 

Pubblica  una  rivista  ••  .Insolita  »  la  quale  ha  per  i scopo  non 
solo  di  portare  un  contributo  alle  discipline  archeologiche  e  storico- 
artistiche  con  articoli  originali,  ma  anche  di  diffondere  il  loro  amore 
in  mezzo  a  tutte  le  persone  colte  con  larghi  notiziari  e  bollettini 
bibliografici  che  tengano  al  corrente   dei  progressi  della   scic  ina. 

Il  contributo  sociale  è  di  lire  20  annue  per  i  soci  ordinari, 
joo,  versate  in  una  sola  volta,  per  i  soci  perpetui,  e  300  per  i  soci 
benemeriti. 

Può  divenire  socio,  con  diritto  a  ricevere  la  Rivista  e  a  par- 
tecipare ad  ogni  altra  manifestazione  dell'attività  sociale,  chiunque 
voglia,  purché  invii  la  sita  adesione,  raccomandata  da  dite  soci, 
al  segretario 

Prof.  LVCIO  MARIANI 
VIA   PiERLVIGI   DA   PÀLÈSTRJNA,    J5   -   ROMA 

al  quale  debbono  essere  pure  spedite  le  comunicazioni  scientifiche 
e  quanto  riguarda  la  Rivista. 

Per  gli  affari  amministra/ivi  occorre  invece  rivolgersi  al 

Dott.  ROBERTO  PARIBENI 

MVSEO   NAZIONALE    ROMANO   NELLE   TERME    DIOCLEZIANO 


AVSONIA 


RIVISTA  •  DELLA  ■  SOCIETÀ  •  ITALIANA 
DI  •  ARCHEOLOGIA  ■  E  ■  STORIA  ■  DELL'ARTE 


VOLUME    IX 


RES 
L  A  V  D  I  S 


ANTIQVAE 
ET  •  ARTIS 


Sol 


ROMA 


STABILIMENTO  TIPOGRAFICO  RICCARDO   GARRONI 

GIÀ   SOCIETÀ  TIPOGRAFICO-EDITRIC1     ROMANA 
PIAZZA 

1919 


AVVERTENZA 
Gli   autori  sono  personalmente  responsabili  degli   articoli    da  loro   firmati 


SOMMARIO   DHL  VOLVME   IX 


FARINA  G.,   Monumenti  egizi  in  Italia  I.   Museo  A'azionatt    Romano         .         .         .         .    Pa 

l'I  RNI1  R   I...    Ricordi  di  storia  etnisca  e  di  arte  greca  della  città  di   l'elulouia  i 

LEVI   A.,   Gruppi  di  Bacco  con  un  Satiro .         .  »       55 

MINTO   A..   Corteo  nuziale  in  un  frammento  di  tazza  attica '65 

MINTO   A.,   La  corsa  ili  Atalante  e  Hippomenes  figurata  in  alcuni  oggetti  antichi    .         .  »       78 

MINTO   A..   Di  una  leggiadra  figurina  in  bronzo        ........  r>       87 

FORNARI  F.,  Studi  po/ignotei 

LANCIANI   R.,   HERMANIN   1\,   PARIBENI   R.,  Sull'autenticità  di  una  testa  di  bronzo.         .  ••     12; 

DELI   \  COPTE   M.,  Novacula 1 39 

PETITTI   DI   RORETO   A..    Ritrovamento  a   Cherasco  di  due  lapidi  romane  già  pubblicate  a 

Torino  dal  Piagarne      .         .         .         .         .         .         .         .         .         .         .         .  161 

CALZA  G.,   Afrodite  Annata 172 

Bendinelli  G.,  Aatichi  vasi  pugliesi  con  teene  nuziali      ........     185 

LUGLI    G.      •        e.   Albana  -    Un   accampamento   tornano  forlicato  al    XV     miglio 

Vìa  Appia     .         .         .         .         .         .         .         .         .         .         .         .         .         .  .'il 

VARIE!  V         Materiali  preistorici  del  Museo  di  geologia  in  Palermo  (B.  Pace).        .        .     Col.        1 
Il  Tempii)  di  Afrodite  Urania  in   Atene  fB.  Pace)  ........ 

\  e  singolare  esempio  dell'antichissimo  rito  dell'*  ossilegium  •■  pratic  il  1  sopra  una  sta- 

tuetta Ji  bronzo  (G.   Pansa) .        .......... 

RECENSIONI  —  Opere  Ji  G.  Bendinelli,  B.  Pace    R.  Paribeni) »      29 


MONVMENTI   EGIZI    IX    ITALIA 


MVSEO   NAZIONALE   ROMANO 


Fuori  dei  musei  egittologia,  in  collezioni  pubbliche  e  ;  riman- 

gono numerosi  monumenti  egizi,  non  pochi  dei  quali  ignoti  o  mal  noti  ;  parecchi 

gl'ira  del  tempo,  sono  destinati  a  certa  rovina,  prima  torse  che  la 


-timonianza    venga    raccolta  e  resa'  pongo  d'illu- 

strarli e   -  :ioni  in  un   . 

e  sarò  molto  grato  a  coloro  che  mi  faciliteranr.  rtandone  a  m 


I  monumenti  nel  Mu  ■  o  Nazionale  Romano,  ififidati  all'intelligente  direzione  del  pn      I 

ribeni,  nella  serie  -ohm  privilegiati.  M due,  tutti  sono  inediti  ;  ma  pubblico  anche  i  primi 

perchè  ne  vai  la  pena,  considerata  la  loro  importanza,  e  perchè  non  ripeterò  cose  già  dette, 
i.  Parte  superiore  di  statua  in  granito  nero,  alt.  m.  0.95.  Acquisto  Buoncompagni. 
Num.  inv.  8607.  (Fig.   i--1  1. 

Ritrae  un  re  egizio  sulla  cui  fronte  si  drizza  l'ureo.  Quattro  imee  orizzontali  formanti 
rettangoli  con  verticali,  divergenti    sulle   ciglia,  parallele   ai  lati,  ridanno  l'acconciatura  dei 


Fig.  2.  -  Busto  Ludovisi  (<i  ■> 

capelli  i  quali  scendono  lisci,  ritagliati  corti  e  pari.  Dalla  sommità  del  capo  cadono  pesante- 
mente sulle  spalle  grossi  riccioli  cilindrici,  «irati  da  linee  spirali;  quattro  e  quattro  sul  petto, 
altrettanti  dietro  le  spalle.  I  più  alti  di  faccia  e  gli  estremi  a  tergo  sono  meno  lunghi;  dai 
due  anteriori  bassi,  un  po' sopra  gli  orecchi,  si  staccano  due  bande  di  capelli  che  fasciano 
l'alta  nuca  passando  sulle  ciocchi-  posteriori;  un'altra  si  parte  da  mezzo  il  capo  e  sotto  le 
due  laterali  s' intreccia  e  scende  giù  oltre  la  linea  dei  riccioli.  La  taccia  è  più  tosto  0 
il  naso  quasi  tutto;  ma  è  possibile  ancora  intuire  la  forma  severa.  Ampio  e  incavato 
dell'occhio,  alquanto  depresso  sotto  la  tempia,  il  bulbo  con  forte  rilievo,  la  palpebra  supe- 
riore 11  iore,  la  fossa  lacrimale  ben  incavata.  1  pomelli  salienti, 


lievemente  prognata  la  regione  boccale,  i  mustacchi  rasi,  energico  li  taglio  della  bocca,  il  labbro 
inferiore  tumido,  il  mento  forte,  per  metà  scoperto  dalla  barba  che  è  ampia,  conica,  in  fondo 
tondeggiante.  La  sua  ondulazione  viene  espressa  con  solchi  concentrici,  concavi  in  basso,  tutti 
tagliati  con  linee  serpeggianti  che  scendono  dalle  gote  e  dal  mento.  Quanto  rimane  del 
corpo  ha  una  modellatura  torte  e  carnosa.  Il  petto  anzi  accenna  ad  una  certa  sovrabb 
Nessuna  traccia  di   pilastro   posteriore,  ne  appare  che  la  statua  faci 

11  monumento  è  conosciuto  da  lungo  tempo  (i)  e  fu  già  mi  sso  in  relazione  con  alti 
perti  in  Egitto  e  attribuiti  agli  lcsos,  gl'invasori  stranieri  che.  secondo  la  tra 

lominato  l'Egitto  durante  la  XV  e  lino 
alla  XV11  dinastìa.  La  somiglianza  è  perfetta  |  ir- 
ticolarmente  con  il  gruppo  di  Tani  (2)  che  rap- 
presenta un  faraone  sotto  le  sembianze  di  due 
Nili,  quello  dell'alto  Egitto  e  quello  del  basso 
Egitto,  mentre  offrono  a  una  divinità  pesci  e 
fiori.  11  busto  Ludovisi  ripete  lo  stosso  soggetto, 
del  quale  il  Museo  del  Cairo  conserva  anche- 
copia  in  frammenti. 

Sono  noti  a  quasi  tutti  gli  studiosi  di  stona 
dell'arte  questi  monumenti  in  cui  il  Alai  ietto,  (3) 
a  giudicare  dalla  novità  stilistica,  dalla  fisiono- 
mia, dall'acconciatura  tutta  propria,  volle  vedere 
un  prodotto  artistico  degli  lcsos.  Il  Golenischeff, 
più  tardi,  mostro  che,  in  realtà,  vanno  posti  al 
tempo  di  Amenemehè  111  (XII  din.,  1 849-1801 
av.  e.  v.)  e  tu  bene  accertato  che  l'acconciatura 
sì  strana  dei    Nili   riproduce   l'antichissima  forma  .  — La  Sfinge  di  Tam. 

egizia  del  taglio  dei  capelli  e  della  barba  1  1  , 

1  ;  ci  comunemente  si  crede  cosi  (5):  la  •■  sfinge  di  Tani  -,  (fig.  5)  onorata  dei  cartelli 
di  Apòpi  (din.  degli  lesosi,  di  Maineptah  (XIX  din.),  di  Psebhaenni  (XXI  din.),  tu  usurpata 
da  questi   faraoni  e  appartiene  ad   Amenemehè   III   iXll   din.).    Per   il   «  I  1  aium  -, 


(1)  Lenormant  Fr.,  Frammenti)  di  statua  di  uno 
dei   re   l'astoii  di   Egitto  (Bull.  Cornili.    Al 

di   Ruma,   anno   Y.  serie   II. 

(2)  Cfr.  Bissing-Bruckmann,  Denkm.  ag.  Skul- 
ptur.  tav.  56.  —  Masp      .  I    irt  en  Ég\  pt< 

(e  versione  ita].). 

13I  Basta  vedi  Chi]  1,1 

14)  Meyer,  <  ìescli  1,  n. 

(5)  Bissing-Bruckmann,  op.  rie.,  tav.   -5, 


testo  relath  >;  M  04,       104;  Petrie, 

Ai/-,  et  un  dei  r,  49-50  (non  si  pronuncia  11 
-. 

/  '.  tre  en 

II, 
nemdiè  III.   busto  del  I  .unni   icsos,   %-        li  Tal 

I 


—  4  — 

il  Bissing  ha  mostrato  quanti  rapporti  stilistici  inducano  ad  attribuirlo  al  cosi  detto  medio 
impero  cioè  verso  il  tempo  dello  stesso  Amenemehé.  I  due  Nili  e,  di  conseguenza,  il  busto 
Ludovisi,  i  più  li  assegnano  allo  stesso  periodo,  solo  il  Bissing  e  il  Maspero  li  ritengono 
della   XXI  din.  perchè  il  orta  inciso  il  nome  del  faraone   Psebhaenni  (i). 

Per  sostenere  tale  tesi  bisogna  dimostrare  che  il  loro  stile  convenga  ai  tempi  di  questi. 
Non  basta,  come  ha  fatto  il  Bissing,  cercare  nella  XXI  din.  o  intorno  ad  essa,  qualche 
bel  lavoro  artistico  che  ne  conceda  la  possibilità;  ma  è  necessario  con  raffronti  provare 
che  l' improvviso  risuscitamento  di  forme  da  lungo  tempo  scomparse  avvenne  di  fatto. 
Il   Maspero  è  costretto  a  imaginare  che  l'artista  s'  ispirasse  per  il  tipo  e  l'acconciatura  dei 

li  ai  monumenti  di  Amenemehé  III  in  'Fani  e  afferma  che  più  tosto  ne  copiò  uno 
puramente  e  semplicemente,  riproducendo  i  tratti  severi,  la  bocca  dura,  i  pomelli  spor- 
genti, la  capigliatura  lunga  e  la  barba  a  ventaglio  del  modello,  ma  senza  poter  rendere 
proprio  il  fare  largo  e  possente  dell'artista  anteriore:  il  suo  tocco  avrebbe  qualcosa  di 
secco  e  mal  destro  che  non  si  osserva  mai  allo  stesso  grado  sotto  la  XII  dinastia. 

11  giudi/io  si  fonda  su  un'asserzione  gratuita  e  su  impressione  personale  di  valore  molto 
relativo:  prova  ne  sia  che  l'autore  neppure  osservò  giusto  la  materia  del  monumento. 

Questi  due  Nili  non  sono  due  divinità  astratte,  ma  un  certo  faraone  nelle  sembianze 
del  Nilo  ed  è  per  lo  meno  strano  che  l'artista  non  abbia  ritratto  quello  del  suo  tempo. 
Poi  il  "  qualcosa  di  secco  e  mal  destro  »  e  espressione  troppo  vaga  per  avere  un  peso, 
come  sorprende  la  misura  dei  «  gradi».  Se  l'ispirazione  si  pretende  tolta  dalla  sfinge, 
il  confronto  regge  soli,  in  parte,  nel  ritratto;  e  dimostrerebbe  il  contrario  di  ciò  che  il 
Maspero  vuole.  I  due  Nili  di  Pani  e  il  Ludovisi,  pur  danneggiati  si  compiono  l'un  l'altro. 
Con  la  sfinge  hanno  identica  l'ampiezza  delle  occhiaie,  la  Iattura  degli  occhi,  egualmente 
con  le  palpebre  socchiuse,  eguale  trattamento  degli  angoli  e  della  fossa  lacrimale.  Le  mascelle 
hanno  la  stessi  saldezza,  lo  stesso  rilievo  gli  zigomi,  eguale  abbondanza  di  carni  e  musco- 
losità. Il  labbro  inferiore  e  il  mento  sono  quasi  calcati  l'un  sull'altro  nei  due  monumenti. 
Per  il  resto  si  allontanano  dalla  stinge,  ma  si  riattaccano,  come  già  il  Manette  aveva  segna- 
lato, al  busto  del  Faium,  che  non  è  Amenemehé  III,  non  vien  da  Tani,  pur  essendo  del 
medio  impero. 

Questo  ha  diverso  l'occhio  che  porta  indicate  le  sopracciglia,  diverso  il  taglio  delle 
labbra,  benché  gli  zigomi  sporgenti  e  le  rughe  della  taccia  accennino  al  robusto  realismo 
del  medio  impero;  ma  è  trattata  in  egual  maniera  la  grande  pesante  parrucca,  coi  riccioli 
cilindrici,  girati  da  spirali,  sebbene  il  giro  sia  diverso  e  non  si  noti,  come  in  quelli,  la  sim- 
metria 1'  indica/ione  della  fine  dei  capelli  è  la  stessa.  L'artificiosa  inqua- 
dratura della  parrucca  nel  busto  del  Faium  corrisponde    all'artifìcio   della  disposizione  gra- 


Mi  La  base  del  gruppo  manca  e  non  si  può  escludere  che  portasse,  come  nella  stinge,  il  nome  di  altro 
usurpai 


—  5  — 

duale  nella  parrucca  dei   Nili.   La   barba,   per  quel  che  resta  nel    primo,    è    resa 
secundi.  È  diverso    il    taglio,  ma    identica    la    maniera    di    rendere  i   peli  e  di   dis] 
volto.   L'abbondanza,  la  carnosità  del   petto,  la  curva  del  torso,  trovano    riscontro    I 
Qui  si  deve  escludere  assolutamente  che  si    tratti  di  copia,  ma  c'è  somiglianza   d 
stilistica.   Insomma,  questi  due   Nili  ritraggono  la   faccia    della    sfinge    di    Amenemehè  111, 
corrispondono  per  lo  stile  ai   monumenti   del   medio  impero,   neutre    non    trovano 
con   quelli   della   XXI   dinastia  0  tempi  prossimi,  non  c'è   indizio  che  li   mostri  copia  :   manca 
quindi  ogni  ragione  per  ritenere  originale  il  nome  del  faraone  Psebhaennì,  il  quali 
a  Tani  e  dello  stesso  Amenemehè  111   usurpò  altri  monumenti. 

2.  Frammento  di  grande  blocco  di  granito,  alto  circa  in.  r.30,  largo  alla  base 
m.  [.57,  prof.  m.  0.40.  Acquistato,  nel  maggio  1895,  a  Roma  dove  era  ne!  palazzo  Ga- 
lizin.  Num.  inv.   52045.  (Tav.   I). 

Mostra,  a  rilievo  incavato,  parti    di    alcune  scene  sacre,    divise    in    due    sezioni 
volta  stellata  del   cielo.   Nella  superiore  sono,  assise  su   troni   dagli   alti  zoccoli,  le  imagini  di 
tre  divinità.   La  prima  è  Oro  a  testa  di  falcone,   lunga  chioma,   ureo  e  psechent  sul  capo. 
È   mutilo  quasi  tutto  il   braccio  destro  col  quale  protendeva  uno  scettro  e  il  pugno  sinistro 
che  stringeva  il  geroglifico  della  vita,   porzione  delle  gambe  e  del  tronco.  Segue  un'altra  di- 
vinità, con  la  lunga  acconciatura  femminile,  sulla  fronte  l'ureo;   fisso  siili' orecchio  sinistro, 
in  una  fascetta  che  gira  intorno  al  capo    e    si  annoda  sulla  nuca,  un  ornamento  simile  a 
due  piccole  piume,  strette  e  lunghe,  che  si  arricciano    in  alto;    il    mento    è    ornato   della 
barba  ricciuta;   nella   mano  destra  ha  lo  scettro  haq,   nella  sinistra  il    geroglifico  della    vita 
unii.  .11  C'è    poi    Osili    con    la  consueta  mitria  atef,  l'ureo,  la  barba    ricciuta,    lo  scettro 
woser.  Quindi  ancora  un'altra   figura  della  quale  avanza   parte  dell'avambraccio  de 
scettro  woser,   parte  del   piede  e  del   trono.   1   pochi  geroglifici  scolpiti  al   di  sopra  non   per- 
mettono di  ricostruire  un  testo  (2).   Davanti  a  queste    figure    doveva   essere,  coni: 
un  faraone  che  presentava  offerte. 

Sotto  la  volta  stellata  tre  scene  minori  di  obblazioni.    Nella   più  compiuta  un    falcone 
che  vola  ad  ali  spiegate  e  stringe  tra  gli  artigli   un    anello  per    sigillare.   Con    questo  sim- 
bolo offre  al  re,  che  era  raffigurato  sotto  di  lui,  (3)  il  dominio  universale  ••  ciò  eh 
attornia».  11  dio,  dice  l'iscrizione    sotto    l'ala    sinistra,  è  <•  quello    della    città    di    Edfu,  il 

-ente,  il  signore  del  cielo,  dalle  piume  variegate  •>.   In   realtà  è  Oro,  il  falci 
licoso  di  Ieraconpoli,  adorato  dagli  antichissimi  re  dell'alto  Egitto  e      mf  iso  poi  con  il   dio 
solare  di   Edfu.  A  destra,  sul  vassoio  neb,  un  serpente  coronato  dalla  nutria  del  bas- 
che dà  anch'esso  l'anello  simbolico  e  lo  scetl  I 


(1)  La  stessa  figura  in  Ree.  d.  Trav.,  XXXV,  91, 
cfr.  Brugsch    Thesaur.  766,  69. 

(2)  Li  ho  già  dati   in  Sphinx,  XVIII,  p 


—  6  — 

geroglifici  posti  dietro  come  r         .       ,  Greci,  divinità  protettrice  dei  fa- 

raoni.  In  altre  scene,  e  forse  anche  qui,  il  vassoio  posava  sopra  una  pianticella  di  papiro 
e  appunto  «quella  del  papiro»  significa  il  nome  della  dea.  Del  faraone  offerente  si  legj 
solo  alcuni  titoli  che  vanno  compiuti  così:   ■•  11   re  dell'alto  Egitto   e    re  del   basso   Egitto, 

signori  paesi  N.  \.  ,  il  figlio  di  Rie,  signore  delle  e ne  N.  N.  .  dotato  di  ogni 

vita,    stabilità,  diletto,  d'ogni   salute...  in    elenio   ».    L'offerta    veniva    fatta   a   Osiri   del 
quale  si   può  vedere  la  Iella   nutria.   Ui  quattro  Imre   verticali  geroglifiche, 

le  ultime  due  portano   l'indicazione  del  dio:  «  3 Osiri  di   kemag,   'il    dio    possente    che   è 
in  Hbèjet  »;  le  prime  motti  pronunziare:  «  'Ho  dato  a  te  la  vita...  *ho 

a   te  salute. . .  » 

mstra  di  questa    scena  se  ne   sarà    svolta   una   quasi    eguale;  ma  c'è  solo  parte 
della  stessa  indicazione  del   dio  Osiri. 

tra  si  conserva  invece  l'avvoltoio  ad  ali  distese  con  l'anello  tra  gli  artigli  che 
doveva  sormontare  la  figura  del  re.  ti  la  dea  Nehbijet  anch'essa  patrona  del  faraone  e  la 
sua  iscrizione  può  essere  restituita  così  t):  ■  Nehbijet,  la  bianca  di  Elkab,  la  signora 
di  prjiv-wrj,  la  sovrana  dei  due  paesi  ».  Anche  qui  poteva  hgurare  la  dea  Wezójet.  La 
scritta  sopra  il  re  è  tacile  a  compiere:  «  il  re  dell'alto  Egitto  e  re  del  basso  Egitto, 
gnore  dei  due  paesi  N.  \.  ,  il  figlio  di  Rie,  signore  delle  coro  ne  N.  N.  .  dotato  di 
vita,  stabilità,  diIe[tto,  d'ogni  salute,  di    ogni    gioia    in  eterno    >. 

Lo  stile  indurrebbe    a    porre    il    monumento  nella   XXVI    dinastia    o    nella    XXX,   ma 
un'in  lei   testo  permette   maggior  precisione.   Il   din  Osiri  è  qui  detto  «che  è  in 

Hbèjet  ».  Questo  è  il  nome  dell'  Isidis  oppidum  di  Plinio,  Iffsiov  di  Stef.  Bisan..  ora 
Bahbeit-el  Hagar,  dove  fu  costruito  un  tempio  magnifico  ad  Isi  da  Nectarebé  :  e  poi 
da  Tolomeo  II  Filadelfo  (3).  Con  assoluta  certezza  il  blocco  proviene  da  questo  tem] 
portava  il  nome  del  «  re  dell'alto  Egitto  e  re  del  basso  Egitto  senzem-ab-rie  (colui  che 
ii  dolce  il  cuore  di  Rie),  prescelto  da  Hathor  il  figlio  di  Rie  Nahteharehbèjet,  figlio  amato 
di  Hathor...  ».  Sarebbe  1  urioso  potei  rintracciare  come  questo  frammento  giungesse  a  Roma. 
3.  Cassa  di  mummia  in  legno  di  sicomoro,  Lutigli,  m.  1.92,  larg.  111.  0.50,  alt. 
m.  0.35.  Dono  degli  Eredi  del  senatore  Paganini.  In  magazzino  s.  n. 

E  di  forma  antropoide,  ricoperta  di  stucco  mal  conservato.    Mostra   a   rilievo    la  par- 


resti delle  Piramidi,  ed.  Sethe,  910.  Quindi  i  due  nomi  vanno  distinti:    \ 

■1   Nella   \\\    dinastia    si  suole  generalmente  N  ■.  .     ■    \  • 

.    taneb     II    nelle  ed  Baedeker,    Egypte   (1908;   pag.    [68  169.    1 

liste  greche  confusamente  ti  N  iscrizioni  di  alcuni   blocchi   che  si  veggono  tra  le 

.  I  monumenti  danno  due  nomi  rovine  furono  pubblicate  dal  Roeder,  I  ter  Isistempel 

diversi.   Per   il   prim  !      la  von  Behbèt  (Aeg.  Zeitschr.  XLVI,  62  segg.)  e,  su 

tiahle-har-elibi  per  il  copie  di  C.  C  Edgar,  dallo  stesso  autore  in  Ree. 

forte   il   suo  Signore».  J.  Travaux  XXXV,  8g  segg. 


Ricca  azzurra,  la  maschera  al  cui  mento  è  attaccata  la  barba  posticcia.  Sul  petto 
lana  woseh  a  fiori  e  bocciuoli  di  loto.  Sotto,  traccie  della  dea  Newet  con  le  ali  spiegate 
e  resti  di  segni  geroglifici.  A  destra  e  a  sinistra  due  aneti  sepia  i  ioro  sostegni,  sormon 
tati  dall'occhio  wo  e.  Nel  quadro  inferiore  la  mummia  è  posta  sul  letto  a  torma  di  leone 
e  sorto  questo  i  quattro  canopi.  A  destra  e  a  sinistra  geni  con  varie  teste  bestiali;  a  pie 
del  letto  Netti  inginocchiata  che  protegge  il  defunto  come  già  Osiri;  la  figura  di  [si,  che 
doveva  farle   riscontro  è   distrutta. 

Sotto:  Oro  e  Thout   sostengono  il  feticcio  ded  di   Osiri,  cioè  l'albero  adoratoa  Busiri. 
Ai  lati  altri  geni  del  mondo  sotterraneo. 

In  mezzo  a  sei  geni  funerari  corre  un'iscrizione  di  cinque  linee  verticali:  «  La  preghiera 
funeraria  a  Osiri-Hentamente  (i),  il  dio 
possente,  signore  di  Abido,  a  Ptah-Sekr- 
Osiri...  a  Anu(bi)  signore  di  ["i-zosei  (2), 
a  lsi,  la  grande,  ila  madre),  a  Hathor  si- 
gnora degli   Dei!  Concedono  essi  le  prov- 

vis 1    funerarie    in    (pani),    buoi,    oche, 

vino al   sacerdote  di   Osiri,  Anhhapi, 

giusto,  tiglio  del  così  (N.  N.i,  partorito  dalla 

signora  (di  casa      Setajaret-bojnet  (3)) 

(Osiri- 1  Hentamente,  il  dio  possente  di 
Abido,  [si,  la  grande,  la  madre,  tanno  pro- 
tezione   per    l'Osili    Anhhapi ».    In 

questa  parte,  ai  due  lati,  sono  disposti, 
orizzontalmente,   quattordici  geni. 

I  \g.  4    —  Capitello  ai  ti  ti 

Sui   piedi  :  due  sciacalli    accovacciati 
sopra  i  loro  tempietti  dalle   porte    chiusi', 

cioè  i  due  Wepi-wiwet  dell'alto  Egitto  e  del   basse   Egitto.    Ira  essi    una  breve    iscrizione 
mutila:   «    Faccio....  per  l'Osiri   Anhhapi  giusto  •>. 

Ai   fianchi   della  cassa  sono  dipinti   due   urei  Col    disco    solare    sul    capo,    collocati    uno 
sul   fiore  di  loto,   l'altro  su  quello  di   papiro. 

Epoca  tolemaica. 

4.   Capitello    in    calcare   tenero.    Alt.     m.    0.51,    diametro    alla     base    del 
m.  0.28.   Donato  nel    1914  dalla  Signora  del  defunto  ing.   E.    1  I  da    1.1  Gisr. 

Num.  inv.  61533,  (Fig.  4). 


(1)  Questa  traduzione  è  giustificata  nel   mio  ar-  (2    Necropoli  di   Abido. 

ticolo  Sulla  «preghiera  delle  offerte  ■■  in  Sphinx,  (3)  1                          madre  è  dedotto  da  un   ti.un- 

XV111,  71   segg.  cfr.  Rivista  di  Studi  or.  voi.  VII,  mento  d'iscrizione  nel  prim 
fase.  2°. 


Quattro  grandi  fiori  campaniformi  con  le  brattee  e  le  foglie  finemente  lavorate  si 
dispongono  in  un  mazzetto  centrale,  divisi  tra  loro  da  bocciuoli  chiusi  e  accartocciali,  come 
piccole  volute.  Quattro  fiori  più  piccoli,  ciascuno  con  due  bocciuoli  ai  lati,  si  addossano 
negli  angoli,  .1  metà  del  calice.  Sotto,  altri  due  ordini,  minori  nelle  proporzioni,  il  primo 
di  otto  fiori,  di  sedici  il  secondo,  e  il  fascetto  degli  steli.  Il  tutto  composto  con  armonia, 
squisito  nella  fattura,  svelto  ed  elegante  nell'aspetto.  Il  tipo  è  caratteristico  del  periodo 
greco-romano  e  si  suole  designare  come  capitello  a  fior  di  giglio,  per  quanto  non  sia 
identificata  con  certezza  la  pianta  che  servì  di  modello.  Buona  epoca  tolomaica. 

Per  la  bibliografia  più  recente  si  confronti:  L.  Borchardt.  Die  Cyperussaule  (Aeg. 
Zeitschr.  XL,  36  segg.);  V  Koster,  Zur  agyptischen  Pflanzensàule  (ib.  XXXIX,  i38segg.); 
id.  Die  agypt.  Pflanzensàule  der  Spatzeit  (vom  Ausgange  des  neuen  Reiches  bis  zur  rò- 
mischen  Kaiserzeit)  Ree.  d.  Travaux  XXV,  86  segg.)  —  Un  modello  dello  stesso  tipo  in 
Capart,  Recueil  de  monuments  XCVI. 

5.  Frammento  di    statuetta    di    donna  seduta.    Granitello  verde.    Lung.    m.  0.203, 
larg.  m.  0.10,  alt.  m.  0.37. 

Provenienza  ignota.  Num.  inv.   56315. 

È  posta  su  un  trono,  con  le  mani  appoggiate  alle  ginocchia,  veste  il  lungo  costume 
delle  donne  egizie,  che  arriva  fino  presso  il  collo  del  piede.  La  rigidità  consueta  è  tempe- 
rata da  notevole  grazia  e  finezza.  Il  ventre  rotondeggiante  porta  indicato  sulla  veste  con 
molta  esagerazione  la  cavità  ombelicale.  Le  braccia  sono  leggermente  affusolate;  le  mani 
hanno  dita  troppo  lunghe,  ma  son  riprodotte  con  verità  nel  polso  e  nel  dorso;  le  unghie 
indicate  ovali  con  doppio  giro  in  fondo.  Carnose  le  anche,  ben  espresso  il  collo  del  piede, 
il  tallone,  il  malleolo.  Anche  le  dita  del  piede  sono  lunghe,  ma  con  buon  naturalismo 
e  le  unghie  rappresentate  come  quelle  dellemani.  Fra  le  gambe  e  il  trono  rimane  una 
riempitura. 

Periodo  tolomaico. 

6.  Frammento    di    statua    di    pastoforo  inginocchiato.   Serpentino.    Largh.  m.  0.25, 
alt.  0.20. 

Proviene  da  via  Martorio  ove  fu  trovato  nei  lavori  del  monumento  a  Vittorio  Ema- 
nuele.  Num.  inv.   56428. 

Manca  dalla  cintola  in  su  e  parte  del  piede;  veste  un  gonnellino  che  lo  ricopre  fin 
il  ginocchio;  la  gamba  è  ben  tornita,  indicata  la  sporgenza  del  malleolo.  Sul  davanti 
del  vaso  è  un  piccolo  rilievo  molto  consunto.  A  destra,  volta  verso  sinistra,  una  divinità 
con  la  ina,  tra  le  corna  il  disco  sm1.ho,  l'acconciatura  del    capo   lunga,    un    gon- 

nellino fino  al  ginocchio.  Stringe  nella  mano  destra  1-  scel  ,  l'altra  è  coperta  dalle 

dita  del  sacerdote.  Verso  di  lui  muovono  tre  divinità.  La  prima  ha  le  due  lunghe  piume 
sul  capo,  lo  scettro  a  •■■■  >  nella  sinistra,  il  simbolo  della  vita  anh  nella  destra.  Segue  una 
dea,  coronata  dello  psechent,  lo  scettro  a  fiore  di  papiro,  forse  Vanii  nella  sinistra.  L'ultima 


9  — 


figura  è  un  fanciullo  che  porta  la  mano  alla  bocca,  tiene  la  destra  lungo  il  fiani 
stringendo  Vanii,  sul  capo  ha  il  triplice  atef  con  urei  e  corna.  Il  quadro  è  chiuso  a  sinistra 
dall'ureo  con  la  corona  del  basso  Egitto,  a  destra  da  quello 
con  la  corona  dell'alto  Egitto,  ritti  sui  fiori  delle  rispettive 
piante  araldiche,  il  giglio  e  il  papiro.  Secondo  una  stele 
del  Museo  del  Cairo,  malamente  riprodotta  dal  Lanzone 
(l)u.  di  Mitologia  tav.  CXXXV)  e  della  quale  il  Museo  di 
Firenze,  come  quello  di  Torino  (Catal.  n.   1 5  io;,  pos  , 

un  calco,  le  divinità  sopra  descritte  sono:  «  il  toro-Osiri, 
il  dio  possente,  Hentamente  »;  «  Amenrie,  signore  d'Eset, 
il  dio  possente,  signore  di  Behenet  ■•  ;  ••  Mut,  la  grande, 
signora  di   Behenet»;   ■«  Hons-pe-hrot    (H.   il   fanciullo),   il  j 

dio  possente,  che  è  in  Behenet  ».  Sono  dunque  gli  dei 
locali  di  una  città.  Questa  Behenet,  secondo  il  Brugsch 
(Dict.  geogr.  201),  dovrebbe  trovarsi  nei  pressi  di  Mit- 
Ghamr  (nel  Delta  1,  donde  la  stele  del  Cairo  proviene.  È 
possibile  che  di  là  sia  stato  portato  anche  questo  fram- 
mento 0  che  l'abbian  fatto  per  un  cittadino  legato  a  quel 
culto.  In  Roma  probabilmente  fu  posto  nel  sacello  d'Isi  in 
Campidoglio. 

Epoca  romana. 

7.  Statuetta  muliebre,  assisa  in  trono,  mancante 
della  parte  superiore  al  ventre.  E  in  atteggiamento  simile 
al  n.  5,  meno  bella  di  questa  per  esecuzione.  Basalte.  Pro- 
venienza ignota.  Num.  inv.   590. 

Epoca  romana. 

8.  Statuetta  del  dio  Besa.  Basalte  nero.  Altezza 
m.  0.38.  Provenienza  ignota.  Num.  inv.  56356.  Inventario 
Mariani    1157. 

È  rappresentato  nella  posa  consueta.  Manca  la  metà 
superiore  del  capo;  ha  le  orecchie  bestiali;  la  barba  a  ric- 
cioli; il  labbro  inferiore  sporgente  atteggiato  a  un  riso  stu- 
pido  e  beffardo;    il    naso    schiacciato,    tozze    e    carnose  le 

mani,    le  cosce  rigonfie.   Il    petto  e  il  ventre  sono  poco  pronunciati.   Nella  parte   ; 
rimane  una  leggera    indicazione  della  capigliatura,   il   resto  è   : 

Epoca  romana. 

9.  Statua  di  faraone  in  basalte  nero  rinvenuta  negli  scavi  sul  (  : 

è  ben  descritta  in  Gauckler,  Le  sancluaire  syrien  du  Janicule,  p.  187,  tav.  XXVi;  R.  Pari- 


. 


Ausonia  —  Anno  IX. 


beni,   Guida  del  Musso  Nazionale  Romano,  p.  45,  n.    [56.   Di  grandezza  minore  del  vero, 
rappresenta  un  giovani  .  ivanzante,  come  .il  solito,  la    gamba    sinistra,   le 

braccia  strette  lungo  il  corpo,  stringendo  nei  pugni  due  rotoli  (fazzoletti?),  inseriti  a  parte, 
ora  mancanti.  La  testa  è  coperta  dal  nemes  con  l'arco  sulla  fronte;  intorno  ai  lombi  cinge 
lo  sento.  Le  occhiaie  vuote  dovevano  essere  riempite  di  smalto.  Il  naso,  parte  della  guancia 
e  della  bocca  a  destra  sono  rimasti  deturparti;  cosi  pure  fu  rotto  il  pugno  destro.  La  statua 
si  rinvenne  fatta  in  otto  pezzi  a  colpi  di  mazza,  dall'ira  di  fanatici  cristiani  devastatori.  Lo 
siile  del  monumento  e  la  torma  del  plinto  escludono  assolutamente,  mi  pare,  che  si  tratti 
di  opera  saitica  0  tolemaica. 
E]      .1   romana. 

Firenze,  24  febbraio   191 5. 

(  lituo  Farina. 


RICORDI    DI  STORIA   ETRUSCA   E    DI    ARTE.  GRECA 
DELLA  CITTÀ   DI   VETULONIA 

(TAV.    II    E    III) 


Le  singolari  scoperte  fatte  da  Isidoro  Falchi  nei  numerosi  ed  importanti  sepolcreti  etruschi 
da  lui  rintracciati  sui  dorsali  e  fino  alla  radice  orientale  del  Poggio  di  Colonna  (in  comune 
di  Castiglion  della  Pescaia1,  per  giudizio  ormai  concorde  degli  studiosi  più  autorevoli, 
hanno  dato  alla  identificazione,  propugnata  dal  Falchi,  di  Colonna  con  l'antichissima  Vetu- 
lonia  una  conferma  che,  a  mio  credere,  difficilmente  sarà  messa  in  dubbio  da  ulteriori 
scoperte. 

Ma  un  fatto  resta  tuttora  inesplicabile:  come  mai  durante  quasi  un  trentennio  di  esplo- 
razione, rivolta  intenzionalmente  a  tutte  le  presunte  località  dell'area  cemeteriale  vetulo- 
niese,  nessuna  delle  numerosissime  tombe  di  ogni  tipo  rimesse  in  luce  ha  dato  suppellet- 
tili riferibili  al  periodo  dei  vasi  greci  figurati  (1/2  VI- IV  sec.  a.  C);  come  mai  tante  ricerche, 
sia  nelle  necropoli  sia  nella  città  di  Vetulonia,  non  avrebbero  ancora  scoperto,  se  \i  fos- 
sero, 1  ricordi  della  vita  di  questa  importante  lucumonia  durante  il  periodo  etrusco  più  flo- 
rido, corrispondente  alla  monetazione  dell'argento  populoniese  (sec.  v-iv  a.  C),  durante 
il  quale  le  altre  grandi  città  etrusche,  come  Populonia  stessa,  Chiusi,  Tarquinii,  Volsinii, 
Falerii  erano  aperte  al  commercio  coi  paesi  greci  e  ne  importavano  a  centinaia  1  vasi 
dipinti  ? 

Oltre  alla  necropoli  antichissima  ilX-VII  sec.  a.  Ci,  si  sono  scoperte  a  Vetulonia  abi- 
tazioni e  tombe  dell'epoca  romana,  sicché  anche  il  periodo  dalla  prima  influenza  di  Roma 
.in  Etruria  ai  tempi  dell'impero  ivi  e  largamente  documentata;  ma  tino  ad  ora  non  s'è  po- 
tuto raccogliere  colà  che  qualche  frammento  sporadico  di  vasi  greci  dipinti  (1  . 

Il  Milani  cerco  di  risolvere  tale  questione  in  maniera  molto  ingegnosa.  Egli  pensò  1  he, 
dalla   metà  del   VI   al   [V  sec,   Vetulonia   non   tosse  stata   nel   sito  di   Colonna. 

Nel  momento  in  cui   più  ferveva  la  polemica  tra  il   Falchi  e  il  Dotto  de'  Dauli,  difen- 
dendo il  primo  la  sua  Vetulonia  a  Colonna,  e  volendo    l'altro  ritrovare  quella  illu  : 
sul   Poggio  di  Castiglione,  tra   Massa  Marittima  e   Follonica  {Traianus  portus),  il   Milani,   in 


■1'  Falchi,  in   \  i  ai'i,    1895,  p.  304.  lìg.  17. 


base  ad  alcune  brevi  esplorazioni  nei  luoghi  indicati  dal  Dotto,  avanzò  l'ipotesi  (i)  che  la 
Vetulonia  antichissima,  la  stazione  primitiva  d  i  Tirreni,  fosse  appunto  sul  Poggio  di  Co- 
lonna, spettando  ad  essa  le  necropoli  scoperte  dal  Falchi,  e  che  di  poi  i  Vetuloniesi,  ab- 
bandonata tale  posizione  per  tener  testa  ai  Populoniesi  e  in  seguito  alle  note  guerre  coi 
Siracusani  (450-400  a.  C),  fondassero  un&nuova   Vetulonia  sul  Poggio  di  Castiglione  presso 

1.  1  Romani  poi  avrebbero  occupato  il  sito  della  più  antica  Vetulonia,  facendolo  pro- 

icolo  della  conquista  generale  dell'Etruria  marittima  e  stabilendovi  una  forte  colonia, 
donde  il  nome  medioevale  di  Colonna. 

L'ipotesi  conciliativa  del  Milani  è  bensì  molto  attraente  e  sembra  tanto  più  verosimile 
quando  si  ricordi  lo  sdoppiamento  di  altre  famose  città  etrusche  come  Arezzo  (Arretini  Fi- 
dentiores  e  Veteres),  Chiusi  (Clusini  novi  e  veleres)  e  Volsinii  (Orvieto  e  Bolsena),  ecc., 
ma,  per  la  stessa  semplicità  con  cui  tende  a  sciogliere  Ogni  nodo  della  intricata  questione, 
può  destare  qualche  diffidenza  e,  quel  che  più  conta,  non  ha  ricevuto  ancora  la  prova  dei 
fatti,  l'ai  prova  potrebbero  fornirci  gli  scavi,  condotti  con  una  certa  ampiezza,  non  solo  nel- 
l'area della  città  di  Vetulonia  a  Colonna,  ma  altresì  nel  Massetano,  specialmente  sul  Poggio 
di  Castiglione,  dove  esistono  non  dubbie  tracce  di  antiche  costruzioni;  la  sola  idea  che  su 
quel  Poggio  e  sulle  circostanti  alture  si  possano  finalmente  trovare  i  resti  di  una  città  il- 
lustre come  Vetulonia,  nello  splendido  periodo  dalla  metà  del  VI  al  IV  sec.  a.  C,  e  forse 
anche  le  sue  necropoli,  ricche  di  vasi  greci  dipinti,  basta  a  farci  ardentemente  desiderare 
la  esplorazione  sistematica  e  profonda  di  quei  luoghi,  esplorazione  propugnata  da  quanti  si 
sono  interessati   alla  questione  di   Vetulonia,  esplorazione  la  quale  potrebbe  fornirci  non  solo 

nti  per  illuminare  la  storia  di  uno  dei  più  antichi  e  illusili  popoli  tirreni,  ma  altresì 
qualcuno  dei  tanti  dati  che  mancano  alla  nostra  imperfetta  conoscenza  della  città  etnisca 
nell'epoca  classica. 

Appunto  perchè  ci  mancano  quasi  affatto  i  documenti  della  vita  di  Vetulonia  sul  Poggio 
di  Colonna  dalla  metà  del  VI  a  tutto  il  iv  sec.  a.  C,  acquistano  speciale  importanza  al- 
cuni travamenti  tatti  da  tempo  sull'arce  e  nella  città  di  Vetulonia,  i  quali  furono  dal  Mi- 
lani riferiti  al  sec.  IV  a.  C,  e,  sebbene  interessanti  pure  in  se  stessi,  e  cosi  per  la  storia 
come  per  l'arte,  tuttavia  sono  rimasti  quasi  inediti  e  non  hanno  dato  luogo  ad  alcuno  studio 
speciale,    ma  solo  a  brevi   accenni   nei   rapporti    ufficiali,  e  nelle  guide  del  museo  etrusco  di 

Intendo  parlare: 

1 1  di  un  ripostiglio  0  deposito  di  elmi  di  bronzo  sotterrati  in  un  vano  dell'arci 


1     I  .   A.  Milani,  Rendiconti  della  A'.  Acc.  dei  (2)  L.  A.  Milani,  //  R.  Museo  archeologico  di 

l.ineei,    1894,   p.   841    e    mtk.  ;    Museo  top.   de!-  Firenze,   Guida,   I.  p.   220;   L.    Pernier,    Città   e 

/'  lìtruria,  p.   36  e  145,  n.   )S   e  Sordini,    Vetulo-  necropoli  etrusche  della  Maremma  in  Emporium, 

ttia,   1894,  p.   }6  e  segg.  maggio  1915,  p.  347  e  seg.,  tìg.  9. 


—  13  — 

2)  di  un  kottabos,  nascosto  intenzionalmente  pare,  vicino  al  ripostiglio  degli 
elmi  (i); 

3)  di  un  gruppo  di  terrecotte  figurate  che  dovettero  servire  per  decorazione  di 
una  edicola  nel  quartiere  della  città  scoperto  dal  Falchi  alla  base  settentrionale  del- 
l'arce (2). 


IL  RIPOSTIGLIO   DEGLI  ELMI. 

Tanto  gli  elmi  quanto  il  kottabos  furono  rinvenuti  per  caso,  gli  uni  nel  1905,  l'altro 
un  anno  prima,  nell'eseguire  lavori  di  sterro  sotto  un  pavimento  e  nell'orto  della  casa  del 
signor  Rutilio  Renzetti,  situata  a  ridosso  del  bel  tratto  di  muro  ciclopico  che  cinge  ancora 
l'arce  sul  lato  nord-est   (tìg.    11. 


Fig    1  —  Le  case  moderne  sull'arce  di  Vetulonia  (1:400). 


Questo  imponente  rudero  è  lungo  m.    37.80,   ha  uno  spessore  di  1  irca  111.  2  e  si  com- 
pone di  enormi  blocchi  di  calcare  locale,  non  squadrati,  ma  solo  irregolarmente  spianati  sulle 


(1)  L.   A.   Milani.   Guida,    I.    p.    41    <-•    221  :    11.       p.  96  e  9-11;   L.   A.  IVI 

tav.  LXXII;  L.  Pernier.  /.  e,  p.    147,  '  P-  42  e  220;    II.    tav.    LXXI  ;    I..   Pernier, 

(2)  I.    Falchi,    in    Notìzie    degli    scavi,     i<S<.,s.       p.    149, 


14 


esterne,  uniti  fra  i senza  calcina  e  con   riempimento  di  pietre    più    piccole.    Uno 

dei  blocchi  maggiori   misura   m.    1,80  X  1,05;  uno  dei  più  piccoli  m.  0,75  X  °.4Q- 

\  primo  aspetto  tal  muro  ricorda  le  simili  costruzioni  dell'oriente  preellenico  e  spe 
cialmente  le  mura  lelli  fortezze  micenei  lell'Attica  e  dell'Argolide,  ma  certamente  quello 
non  è  cosi  ralmente  viene  attribuito  al  tempo  del   primo  insediamento  dei  Tir- 

reni sul  Poggio  di  Colonna,  e  cioè 
al  sec.  IX-VII1  a.  C.  circa,  ma  non 
possediamo  alcun  dato  sicuro  per 
i  .une   l'epoca  il)  e  quindi  con- 

viene riserbarne  il  giudizio  cronolo- 
gico, poiché  l'esperienza  delle  fa- 
mose mura  Ji  Norba  -><  c'n 
che  il  solo  aspetto  esteriore  non  vale 
come  criterio  sufficiente  per  datare 
simili  costruzioni.  Che  appartenga 
al  periodo  etnisco  mi  pare  tuttavia 
di  poter  dire  senza  esitazione,  anche 
in  rapporto  al  travamento  dei  bronzi 
che  sto  per  descrivere  e  la  cui  de- 
posizione sull'arce  non  mi  s 
.mi'  riore  alla  costruzione  di  dette 
mura. 

Un  altro  breve  tratto  di  muro 
del  medesimo  tipo  si  osserva  sul  lato 
opposto  Iella  stessa  casa  Renzetti,  e  cioè  sotto  la  tacciata  della  medesima,  lungo  una 
linea  quasi  parallela  a  quella  del  muro  etrusco  sopradescritto,  distante  da  esso  circa  m.  20. 
lutine  io  potei  osservare  indie  altri  avanzi  di  muri  a  blocchi  nell'interno  della  stanza  a 
sinistra  dell'ingresso,  nella  quale  il   Renzetti,  nel    1905,  volle  impiantare  un  frantoio. 

indo  sotto  il  pavimento,  nel  mezzo  del  vano,  per  gettarvi  le  fondamenta  della 
macina,  alla  profondità  di  circa  due  metri  egli  scopri  un  ammasso  di  elmi  in  bronzo,  tutti 
schiacciati  e  infranti,  gettati  alla  rinfusa  entro  breve  spazio  e  talora  conficcati  gli  uni  entro 


bronzo,  sull'arce  J:  Vetulo 


(1)  Intorni)    ili   irce  di   Vetulonia  e  alle  sue  mura  qualche  nuo<  pei    esaminare   il    materiale 

il  Fai  !  in  ha  detto  che  poche    parole  in  antico  contenuto  nella  terra  che  trovasi   a   ridosso 

Vetulonia  e  In  sua   necropoli  antichissima,   p.  8  e  negli  interstizi  dei  blocchi. 

ì   v.   1.    •  e  nei     noi    scritti    preci  lenti.    Utri          (2)  L.  Savignoni,  in    Votizie  degli  scavi,    r    1. 

accenni  vedi  in  Pinza,  lìullettino  di  paletnol.  Hai.,  p.   Ì4S  e  segg,  :    1003.  p.   2<;y  e  se^g..  e  .///;'  del 

Wll.   1896,  ■:•.  :   Pernier,  /.  e,  p.  147,                        intern.  di  scienze  storiche,  Roma.  1903. 

lì».  7.  pportuno    tare    intorno    ad    esse  voi.  V,  p. 


gli  altri,  di  modo  che  in  un'area  di  circa  quattro  metri  quadrati, 

fra  interi  e  frammentari,  oltre  ai   pezzi   di  molti  altri  (fig.   2).   Il  fatto  che  erano  così  munti 

fa  pensare  che  dovesse  contenerli   Lina  fossa,   ma  di  questa  io  vidi  soltanto  un  angolo  e  non 

potei  accertare  l'intero  perimetro.  Allargando  i  saggi  intorno  ad  essa,  constatai   in 

non  solo  sotto  la  tacciata  della    casa,  ma  anche  sotto  l'opposto  muro  del  vano  (alla  distanza 

di  m.  9,20)  e  sotto  gli  altri  due  muri  a  quelli  normali  esistono  allineamenti   di  1  li 

tieni,  nude  pare  che  il   vano   attuale  corrisponda  all'inarca    ad   un   ami.  Il'arce  e, 


distando  il  mucchio  degli  elmi  soltanto  m.  2  da  un  lato,  m.    1,20  dall'alti.),  ne   risulta  al- 
l'evidenza che  il  deposito  degli  elmi  è  posteriore  alla  costruzione  dei  mini  antichi 
altrimenti,  quando  tali  muri  furono  costruiti,   si   sarebbe  quasi   di   certo  incontrato  e  rimosso 
il   deposito  degli  elmi. 

(ili  elmi  sono  tutti  di  un  unico  tipo    fig.    5):  fatti  con  Lina  robusta  lamina  ini 
battuta  in  modo  da  ottenere  Lina  calotta  a  basi'  ovale  e  a  do]  uno  spi- 

golo longitudinale  netto  e  vivo  e  con  una  gola  pronunciata  verso  la  base,  terminante  in  un 
orlo  piano  e  diritto,  rinforzato  interiormente  con  un'asticella  quadrangolare  di  piombo.  Moli 
presentano  due  fori  sull'orlo  superiormente,  destinati  forse  ad  attaci  irvi  1  guanciali  0  un 
cintolino,  e  alcuni  pochi  conservano   ancora  i  resti  di  un    rivestir!  nsistente 

in  una  materia   spugnosa,  ma,  che  mi  sembra  esca. 

Il  diametro  massimo  alla  base,  internamenl   .  1  m.  0,26  a  m.  0,3  \  se 

l'ovale  è   più  0  meno  pronunciato. 

Sopra   105  elmi  raccolti  interi  0  in  buona  parte  e 
privi  di  qualsiasi  decorazione,  quattordici   hanno  inve 


indilli  ih!  Il  HI» 

'      - 

5  li  !  HI  ili  II  li  lì  il  j  un  i  4  11  1J  «1  \ 

•iì finii u un i min  li  I m mi] ». 

■_                 ■            EB 

.. 

—  16  — 

pressioni  e  graffiti.  Due  tipi  di  decorazione  sono  indicati  dalla  fig.  4.  11  tipo  più  comune 
consiste  in  una  doppia  linea  graffìta  orizzontalmente  in  alto  e  in  basso;  nel  mezzo  è  un 
ih  e  fra  questo  e  quella  corrono  trattini  verticali;  in  un  solo  esem- 
plare fra  l'uno  e  l'altro  trattino  verticale  v'è  un  piccolo  rombo  in  rilievo.  Caratteristico  è 
poi  un  elmo,  il  quale  sull'orlo  ha  soltanto  una  doppia  spina  di  pesce  graffita  tutto  intorno. 
Data  la  proporzione  degli  elmi  decorati  agli  elmi  lisci,  viene  da  pensare  che  i  primi  accen- 
nino a  un  qualche  grado  militare,  appartenendo  gli  altri  a  sem- 
plici soldati. 

Questo  tipo  di  elmo  è  abbastanza  comune  ;  i  principali  musei 
etruschi,  e  in  ispecie  quello  centrale  di  Firenze,  e  il  Vaticano 
di  Roma  ne  posseggono  parecchi  esemplari,  tutti  provenienti  da 
Idealità  etrusche,  e  parecchi  pure  ve  ne  sono  nella  raccolta  di 
elmi  del  museo  di  Berlino  (1). 

Bruno  Schroder,  illustrando  la  raccolta  Lipperheide  del  museo 
Fig.  4  —  Tipi  di  decorazione         di  Berlino,  rintraccia  le  origini   di  questo  tipo  di  elmo  a  cappello 

dell'orlo  di  alcuni  elmi 

che  possono  risalire  fino  al  vii  sec.  a.  C.  Nel  primo  stadio  (sec.  vii), 
l'elmo  ha  la  forma  di  una  calotta  emisferica  assai  allargata  alla  basi-,  espansa  .1  guisa  d 
inclinai. 1  (2).  In  un  secondo  stadio  (sec.  Vii  la  calotta,  fornita  di  doppia  costolatura  longi- 
tudinale, si  restringe  in  basso  e  scende  verticalmente,  per  poi  allargarsi  in  una  tesa  quasi 
orizzontale  (3).  In  un  terzo  stadio  la  calotta,  alquanto  schiacciata  sui  lati,  scende  a  doppia 
pendenza,  ha  più  pronunciato  il  restringimento  alla  base  e  piccolissima  la  tesa  (se- 
colo Vl-V)  (4),  e  finalmente  si  arriva  alla  forma  degli  elmi  vetuloniesi,  di  cui  ci  occupiamo 
(sec.  iv-in  a.  C). 

Questo  tipo  di  elmo,  il  cui  progressivo  sviluppo  ci  è  attestato  in  Etruria  da  parecchi 
esemplali  di  certa  provenienza  etnisca,  vien  chiamato  italico  dallo  Schroder,  il  quale  con- 
sidera come  specialmente  etrusca  soltanto  la  torma  più  progredita,  rappresentata  nel  deposito 
dell'alce  vetuloniese  (5).  Ma  io  credo  che  anche  nel  suo  stadio  anteriore  di   sviluppo,  data- 


ti) Per  il  museo  etrusco   di    I  irenze  cfr.  L.  A.  (4)  Cfr.  per  es.  il  bellissimo  esemplare  di  Vol- 

Milani,  o.  e,   1.  p.    155:   per  il   Vaticano,  Museo  terra  ornato  con  testa  leonina  al  sommo  della  gola 

Gregoriano,  I,  tav.  XXI,  1  (da  Vaici):  per  il  museo  e  con  due  leonesse  ai  lati  di  una  p, limetta  di  gusto 

di    Berlino,    R.    Schroder,    die    Freiherrlich    voti  e  d' ispirazione  greca,  in   Arch.    Anzeiger,    1905, 

Lipperheidesche  Helmsammlung  in  den   K.   Mu-  p.  27  e  L.  Coutil,  Les  casques  proto-ètrusque  étrus- 

seen    :i/    Berlin    in    Archaeol.    Anzeiger,    1005,  que  et  gaulois,  p.  27. 
p.  27,  fig.    (6.  (5)  Il  Reinach,  parlando  di  questa  torma  di  elmo 

(2)  V.  per  es.  l'elmo  della  tomba  del  Duce  e  quello  in  Daremberg  et  Saglio,  Dictìon.  des  antiqu., 
del  circolo  delle  Pelliccìe  di  Vetulonia  in  Falchi,  Vetu-  s.  v.  galea,  p.  1446,  ricorda  esemplili  simili  a 
Ionia,  tav.  IX,  23  eXVIl,  8;  Milani,  Museo  top.,  p.  28.  quelli  etruschi  trovati  nell'Italia  superiore,  e   spe- 

(3)  V.  per  es.  l'elmo  di  Fabbrecce  in  Notizie  cialmente  a  nord  delle  Alpi,  nella  Svizzera,  nel- 
deg li  scavi,   1902,  p.  483  e  segg.,  fig.  2.  l' Istria,  Carniola  e  Stiria.  Soprattutto  notevoli  sono 


bile  alla  fine  del  VI-V   sec,  questo  elmo  possa  già  dirsi  caratteristico  dell'Etruria, 
•se  ni  trovi  qualche  esemplare  altrove. 


A  questo  proposito  ricorderò  il  celebre  elmo  conservato  nel  museo    li  Londra  (i),  i 
si  rinvenne  nel  santuario  di  Olimpia  e  reca  l'iscrizione: 

'Iz';ojv    o    A:ivoy.;'v£'J; 

/. y. 1    -'A    -u  a  z /. o - 1 o •. 

Tio    Al    Tupa'v'    i-ò    \\jy.y  :   (fig.    ;  . 

Secondo  l'iscrizione,  l'elmo  faceva  parte  di  un  trofeo  d'armi  tolte  ai  Tirreni  nella  batta- 
glia vinta  da  Gerone  1  di  Siracusa  press"  Cuma  sulle  flotte  dei  Cartagii  Etruschi, 


sii  esemplari  della  Stiria  che  recano  iscrizioni  eu- 
pnee (v.  Micàli,  Moti,  ined.,  lav.  Lille  Separé 
non  si  voglia  ammettere  la  derivazione  di 
tipo  nordico  dal  tipo  etrusco,  derivazione  ih"  ri- 
tengo probabile,  si  può  pensare  ad  una  fortuita  ri- 
correnza di  torma  nei  prodotti  della  industria  indi- 
gena dei   luoghi   suddetti.   Cfr.   anche  sii   esemplali 


forniti    dalla    nei  ropoli    di  Numana    in   I  lall'i  isso, 
Guida    ili.  del  dì    .Intona,  p.    i  \~    e 

segg.   -  n   libila. 
(  i )  A.  Furtw.ì 

*s 
P 
zione  v.  Roehl,  [«script.  %raecae  antìquiss.,  n.  510. 


: 


—  i8  — 


e  poklu  Gerone  liei  di  ledicare  proprio  armi  tirrene,  conviene  pensare  che,  per  incidervi 
la  dedica,  egli  scegliesse  appunti)  l'elmo  che  era  caratteristico  dei  Tirreni  od  Etruschi;  tale 
elmo  naturalmente  è  anteriore  all'anno  della  battaglia,  cioè  al  474  a.  C. 

Della  forma  più  progredita,  che  perdura  fino  all'epoca  romana,  il  museo  archeologico 
di  Firenze  possiede  altri  esemplari,  oltre  quelli  dell'arce  di  Vetulonia.  Ne  ricordo  special- 
mente alcuni  trinati  a   Talamone,  i  quali  secondo  il  Milani  (1),  sarebbero  proprio  del  tempo 

della  celebre  battaglia,  la  prima,  egli  dice,  per  l'in- 
dipendenza italiana,  combattuta  dai  Romani  insieme 
agli  Etruschi  e  alle  altre  genti  italiche  contro  i 
Galli  nel  22C,  a.  C.  (fig.  6).  Finalmente  un  esem- 
plare identico  e  ben  conservato  vidi  io  stesso  uscire 
da  una  tomba  di  Tarquinii  insieme  ad  uno  specchio, 
ad  un'ampollina  di  vetro  e  a  pochi  altri  oggetti  rife- 
ribili pure  al  sec.  Ili  a.  C.  (21,  e  un  altro  ancora  pro- 
viene da  una  tomba  di  Populonia  della  stessa  epoca. 
1  Romani  pare  che  non  abbiano  mai  usato  elmi  di 
tale  forma. 

Io  credo  dunque  che  questo  tipo  di  elmo  fino 
dal  VI-V  sec.  possa  vinsi  proprio  degli  Etruschi,  e 
che,  specialmente  coll'estendersi  del  loro  dominio,  si 
sia  diffuso  in  altre  parti  d'Italia.  Forse  al  perfezio- 
namento del  tipo  non  fu  estraneo  l'influsso  dell'o- 
riente ellenico;  l'elmo  sopra  ricordato  di  Volterra  è  veramente  di  gusto  greco  nella  forma 
e  nella  decorazione. 

Secondo  lo  Helbig  il  tipo  a  cappello  con  tesa  orizzontale  e  due  grosse  nervature 
longitudinali,  più  frequente  ad  est  dell'Appennino,  corrisponderebbe  all'elmo  omerico  detto 
za^ipaAo;  (3),   a   due  cimieri. 


in  bronzo  da  T.ilair 


La  singolare  scoperta  di  questa  congerie  di  elmi,  sotterrata  in  un  vano  dell'arce  etrusca 
di  Vetulonia,  getta  uno  sprazzo  di  luce  sul  periodo  più  oscuro  della  storia  di  questa  illustre 
città,  sul  periodo  durante  il  quale  era   dubbia    persino    hi    sopravvivenza    di    Vetulonia   sul 

;io  di  Colonna.  Qui  non  si  tratta  di  un   oggetto   sporadico   che    possa   esser   capitato 


,  I  mi.   Guida,   I.  p.   i  ss- 
(2)  Pernier,  in  Noi.  •/■  scavi,  1007.  p.  34!.  fig.  7-'- 


(3)  Helbig,  Dos  Homer.  Epos1,  fig.  ni. 


—  ig  — 

lassù  in  mille  modi;  sì  tratta  di   un  vero  e  proprio  deposito,  che  accenna  ad    un 
nato  avvenimento  svoltosi  sull'arce  di   Vetulonia  fra  il   IV  e  il   in  sec.  a.    C.    Per    dire    di 
quale  avvenimento  si  tratti,  quale  significati!  possa  avere  la  deposizione,  pei    precisare  me- 
glio l'epoca  entro  quel  vasto  periodo  suddetti)  ci  mancano  i  dati    necessari. 

Solo  la  forma  degli  elmi  di  Vetulonia,  simile  a  quella  dei  suddetti  esemplari  vìi  P  - 
puloma,  di  Tarquinii  e  di  Talamone  anche  più  che  a  quella  dell'elmo  di  Gerone,  ci 
avvicina  piuttosto  al  sec.  ili  a.  C. 

Ma  un  fatto  è  importante  a  ricordarsi,  ed  è  la  condizione  in  cui  gli  elmi  furono  ri- 
trovati.  Ho  già  detto  ch'essi  eraim  schiacciati  ed  infranti,  ma  debbo  aggiungere  che  la  mag- 


Fig.  :  —  Elmi  in  bronzo  dal  ripostiglio  dell'arce  di  Ve 


gior  parte  di  essi  non  presentano  tuttavia  le  tracce  di  un  lungo  uso;  sono  invece  quasi 
nuovi  tricordo  i  tre  infilati  l'uno  dentro  l'altro,  fig.  7).  Soltanto  mostrano  di  essere  stati 
intenzionalmente  schiacciati  ed  alcuni  di  essi  hanno  tracce  di  colpi  che  certo  non  furono 
inferti  in  battaglia.  In  uno  di  tali  elmi,  nella  parte  superiori-,  si  vede  il  foro  prodotto  da 
un'arma  a  un  sol  taglio,  lungo  cm.  6,  largo  da  7  a  9  mm.;  altri  due  mostrano  tori  lunghi 
del  pari  6  cm.  circa,  ma  trapassanti  ambedue  i  lati  della  calotta,  tali  che  dovettero  essere 
inferti   non  già  quando  j^li  elmi  erano  portati   in  capo,   ma  quando  erano  già  in   terra. 

Tali  circostanze  mi  sembrano  escludere:  1  che  ^W  elmi  rappresentino  semplicemente 
un  deposito  di  tornitura  militare  conservata  sull'arce  e  ivi  rimasta  sepolta  dopo  la  rovina 
di  questa;  2°  che  essi  siano  ■-tati  così  ridotti  in  battaglia  e  dal  campo  di  battaglia  traspor- 
tati  sull'arce. 


I  )ue  ipotesi  sono  quindi  possibili  : 

i  o  gli  elmi  facevano  parte  di  una  fornitura  militare  conservata  nell'arce  e  furono  cosi 
guastati  dagli  stessi  Vetuloniesi  perchè  non  cadessero  nelle  mani  Ji  un  nemico  invasore; 

I  ol  ibilmente,  tolti  come  trofeo  ai  Vetuloniesi,  furono  guastati  dai  loro  ne- 
mici vincitori  per  un  rito  religioso  e  quindi  sotterrati  nell'arce  in  omaggio  alle  divinità 
infere  o  proprio  ai  Mani  dei  compagni  calati,  per  una  specie  di  expiatio  o  piaculum. 

II  ripostiglio  non   sarebbe  quindi  che   una      tv,     t  su  i    di  quella  che    i    Romani 
sembrano  aver  fatto  con  armi  votive  dopo  la  battaglia  di  Talamone  (i). 

Al  rito  ben  noto  e  usato  fin  dall'epoc; erica  di  sacrificare,  rovinandoli,  oggel 

0   meno  preziosi   in   onore  dei   defunti,   si   possono   trovare    numerosi    riscontri    italici:    in   un 
pozzetto  di  Tarquinii  io  stesso  trovai  una   daga    di   ferro   intenzionalmente   ripiegata  i  i 
spesso  si  sono  trovate,   in  altri   pozzetti,   armi  contorte;   nelle  buche  dei  circoli  di  Veli- 
li  Falchi   più   volte   riscontrò  i  segni   di   una  vera  e   propria  lapidazione  delle  più  ricche  sup- 
pellettili   da    parte   degli    stessi    seppellitori    (3). 

Nessuna  congettura  oserei  fare  circa  l'avvenimento  che  diede  luogo  alla  intenziona!< 
distruzione  e  al  seppellimento  di  quel  materiale  guerresco.  Dobbiamo  contentarci  di  pen- 
sale a  qualche  episodio  di  una  delle  lotte  combattute  intorno  all'arce  di  Vetulonia,  ma  forse 
non  sarebbe  troppo  ardimento  accennare  all'ipotesi  che  quell'episodio  sia  stato  l'ultimo  della 
lotta  sostenuta  dai  Vetuloniesi  contro  i  Romani  prorompenti  alla  conquista  del  loro  terri- 
;  1  incipit)  del  sec.  in  a.  C). 


IL    KOTTABOS. 

Alla  distanza  di  qualche  metro  dal  gruppo  degli  elmi  sopradescritti,  nell'area  della 
medesima  casa  Renzetti  (fig.  i),  nel  1904  si  fece  un'altra  singolare  scoperta,  quella  del 
kottabos.  Menando  una  parte  del  suo  orto  per  fabbricare  una  scuderia,  il  Renzetti  raggiunse 
la  roccia  e  in  questa  scoprì  una  buca  ovale  un.   1   X  °.6°:  prof.  0,30  circa     |. 


(1)  Milani,  in  Studi  e  Materiali,  l,p.  1951  tigua  alla  scuderia.  Sembrando  tali  buche  preesi- 
ed  A.  Reinach,  in  Rev.  arch.,  190  ■.  p.  131  :  stenti  alla  deposizione  del  kottabos,  la  loro  forma 
-ni  significato  del  ripostiglio  v.  lo  stesso  Reinach.  e  le  loro  dimensioni  mi  fanno  sospettare  che  pos- 
te frop/iées  ecc..  in   Rev.  d'etnogr.  et  de  sociol.,  sano  essere  state  tombe    dell'epoca   eneol Si 

191        .   19  dell'estr.  fossero,  meglio    si    spiegherebbe    il  travamento  di 

(2)  Notizie  degli   scavi,    1907,   p.  07.   fig,   27.  alcune  punte  Ji   freccia  in  selce,  fatto  a  Veti 

11  balchi.   Vetulonia,   p.  i<->.  Pei  to  punto  converrebbe  scavare  nel- 

(4)  Il  '  di   Casa    Renzetti. 

Jue  buche  simili    nel    costruire    la    sua    cantina   at- 


—    21    — 


La  buca  conteneva,  fra  la  terra,  i  pezzi  del  kottabos,  il  quale,  al  pari  degli  elmi,  do- 
vette essere  rotto  e  guastato  intenzionalmente  (i).  Infatti  l'asta  era  contorta 
si'  stessa  (fig.  8i  di  guisa  che  la  buca  potesse  contenerla,  e  la  statuetta  di  si    i 
sormontava,  giaceva  in  mezzo  ai  frammenti  dei  dischi  in  bronzo,  alla  ghiera  e  ai  pieducci 
che  ne  facevano  parte.  Il  tempo  aveva  aggravato  il  danno  ossidando   e   corrodendo  forte- 
mente i  vari  pezzi   fusi  e  laminati. 


Essendosi  ritrovato  il  kottabos  cosi  vicino  agli  elmi  e  con  particolari  quasi  idei 
giacitura  e  di  conservazione,  non  mi  sembra  da  escludere  del  tutto  l'ipotesi    che    l'uno  e 
gli  altri  facessero  parte  del   medesimo  deposito,  e  che,   trattandosi   di   un'offerta   ai  Mani  di 
defunti,  sia  stato  sacrificato  ad  essi  anche  il  kottabos  che  gli   Etruschi  sembrano  aver  con- 
siderato come  un  passatempo  pure  nella  vita  elisiaca  d'oltretomba  (2). 

Trovandomi  a  Vetulonia  per  la  scoperta    degli   elmi,    persuasi 
segnarmi   pel    Museo  archeologico  di   Firenze   i   resti   di  quel  cimelio    divenuto    quasi   irrico- 


1      \  fi       i  ai    perugini    si    trovò 

e    infranto    per  rito  funebre.  V.   Bellucci, 
d'irida  itot  Museo  di  Perugia,  p.    1  =;  =;,   : 

2)  1  .li .   Milani,   Guida,  I,  p.   -  : 
conferma  I  kottabos 


il   servo  dell'IJadcs, 

le  la  -/.i5T'.-f:.  (ibid.,  p.  232  : 
R 

1  p.  coi  due  co- 

si dilettano  a  quel  giuoco  nei  cai 


noscibile  e  quindi  il  Milani,  in  seguito  a  laboriose  trattative,  ne  con- 
cordò l'acquisto  per  la  raccolta  vetuloniese  del  museo  topografico  del- 
l'Etruria,  di  cui  oggi  costituisce  uno  dei  più  belli  ornamenti. 

Ma  quei  frammenti  avrebbero  avuto  un  valore  assai  meno  grande 
se  la  valentìa  dei  restauratori  del  Museo  archeologico  di  Firenze, 
Cav.  Pietro  Zei  e  Guido  Falessi,  non  li  avesse  raddrizzati  e  ricom- 
posti in  modo  da  trarne  quasi  a  nuova  vita  il  cimelio  che  oggi  am- 
miriamo nel  suo  aspetto  poco  dissimile  dall'originario. 

Non  essendo  stato  possibile  di  ricavarne  una  buona  fotografìa  di 
assieme,  diamo  qui  del  kottabos  e  delle  varie  parti  alcune  riproduzioni 
grafiche  eseguite  dall'arci].  E.  Rossi  su  rilievi  del  disegnatore  G.  Gatti, 
riproduzioni  che  cercano  appunto  di  mostrarne  l'aspetto  originario  piut- 
tosto che  quello  attuale  (tìg.  9). 

Il  bellissimo  kottabos  di  Vetulonia,  siccome  gli  altri  del  medesimo 
tipo  provenienti  quasi  tutti  da  Perugia  (1)  e  come  quello,  pure  assai 
interessante,  di  Montepulciano,  illustrato  dal  Milani  (2),  serviva  per 
giuncare  il  giuoco  omonimo  nella  maniera  detta  particolarmente  del 
«OTTaPo?  /.xtz/.to;  (3).  È  superfluo  ricordare  come  questo  giuoco, 
originario  della  Sicilia,  che  di  preferenza  soleva  rallegrare  i  banchetti 
galanti,  consistesse,  a  quanto  pare,  nel  gettare  con  gesto  di  elegante 
destrezza  il  poco  liquido  del  fondo  della  coppa  libata  contro  il  piattello 
ch'era  posto  in  bilico  in  cima  all'asta  del  kottabos.  Vinceva  chi,  col- 
pendo il  piattello,  lo  faceva  cadere  sul  disco  di  mezzo,  che  risuonava 
alla  percossa;  ed  era  premio  un  frutto,  un  dolce,  un  ninnolo,  talora 
anche  un  bacio  (4).  Meglio  di  qualunque  descrizione,  varie  scene  di- 
pinte su  vasi  greci  ci  fanno  comprendere  come  questo  giuoco  si  svol- 
gesse,  mostrandoci  ora  una  ninfa    che    prepara    il  kottabos    ponendo    il 


/ 


Rg.  g  —  Il  kottabos 
ricostruito* 


(1)  (,.  Bellucci,  Guida  ulti-  collezioni  del  museo  etrusco-romano  in  Perugia, 
1910,  p.  1^4.  156  e  segg.,  figg.  S4-J6;  intorno  al  più  completo  (inv.  mus.  di 
Perugia,  n.  H74)  e  all'uso  di  questo  tipo  di  kottabos,  cfr.  Helbiji,  Roemische 
Milteil.,  I.  1886,  p.  222  e  seu«..  tav.  MI:  la  memoria  del  Barnabei,  in  No- 
tizie degli  scavi,  1886,  p.  («5  e  s<.^..  e  Kórte,  Das  Volumniergrab  >><i  /',■■ 
1  ugia,   /.'1  tao  \,  p.  41. 

12)  Rendic.   Lincei,   1894,  p.   168  e  segg. 
l)  'sui  vari  generi  e  tipi  di  kottabos  vedi  Daremberg  el  Saglio,  Dictionnaire 
des  anliquités,  s.  v.  kottabos  e  la^bibliografia  ivi  citata. 

(4)  Ricorda  in  proposito  1  versi  Jdel  comico  attico  Plato  pio—  Athenaeus 
XV,  666-#. 


—  23  — 

piattello  in  bilico  (i)  ora  il  kottabos  stesso  fra  le  klinaì  dei  convitati  (2)  (fìg.  io-«,  />i  e 
più  spesso  gli  eleganti  giovani  0  le  etère  che,  sdraiati  sulla  klìne,  il  gomito  sinistro  poggiato 
sul  cuscino,  coll'indice  della  destra  fanno  roteare  la  /t/m  pei  scagliare  sul  bersaglio  il  re- 
siduo della  libazione  (31. 


t-ig.  io  —  Il  giuoco  iel  I   ita  ■      su  um  dipi 


Il  ko/tabos  di   Vetulonia  si  compone  delle  seguenti   parti: 

1.  Asta  verticale  (pxr^h%  xoTTa[ltXTQ)  alta  m.  2  circa,  del  diametro  variabile  da 
cm.  2  '2  a  cm.  1,  tornita  in  modo  che,  all'estremità  inferiore,  si  assottiglia  per  incastrarsi 
nel  foro  della  base,  alla  quale  è  assicurata  per  mezzo  di  una  ghiera;  all'altezza  di  m.  o,88 
è  ora  t'issato  dall'ossidazione  una  specie  di  anello  0  tubetto  prima  scorrevole,  che  sostiene 
il  disco  medio.  In  cima,  l'asta  si  riassottiglia,  terminando  in  una  punta,  nella  quale  sta 
infissa  una  statuetta  sostenente  il   bilico. 

2.  Pesante  ghiera  fusa  sagomata,  la  quale,  assicurata  sulla  base,  serviva  a  tener  più 
salda  su  questa  l'asta  verticale. 

3.  Grande  disco,  del  diam.  di  m.  0,^7,  costituito  da  robusta  lamina  spessa  mm.  1, 
sbalzata  in  modo  che  il  piano  superiore  presenta  una  zona  periferica,  larga  cm.  },  più 
bassa  di  cm.  1  rispetto  al  piano  suddetto  e  si  ripiega  in  giù  ad  angolo  retto,  formando 
un  bordo  verticale,  alto  mm.  iS.  In  tre  punti  equidistanti  del  bordo  sono  inchiodati  tre 
pieducci  rettangolari,  coi  lati  lunghi  leggermente  concavi  (alti- mm.  55),  in  bronzo  fuso.  Nel 
mezzo  del  disco  è  un  foro  in  cui  s'innestava  l'asta  kottabica. 


(1)  Cfr.  il  cratere  della  coli.  Jatta  .1  Ruvo  in  Mon. 
ined.  dell' Istit..  Vili,  t.tv.  LI.  1        nostra  tig.  io,  a. 

(>)  Cfr.  il  cratere  del  Museo  vaticano  in  Annali 
dell'Isti!,  di corr.  ani:-,  1868,  tav.  C       tig.  io.  A. 

15)  Reinach,  Rèpertoire  des  vases  peints,  I.  23, 
56,   no.   178.  207,   320.  337;    II,    J2i,    >  ;<•.    422. 


Molto  interessante  per  l'uso  del  kotta 
etrusco  è  il  sarcofago  in  neutro   di    Corneto   Tar- 
quinia pel  qua  ■■  ■      Milani,  Rendi» .  Lim 
p.   1000  e  segg.  ;   Museo  /tip.  dell' Etr uria,  p.    105 
con  tig.  a  p.   106  ;  e  il 
di  Firenze,   I.  p.  02.  244  e  II.  tav.   XCVI1I. 


—  24  — 

4.  Altro  disco  del  diam.  di  cm.  ji,  in  lamina  spianata  dello  spessore  di  mm.  2, 
fornito  di  un  foro  centrale  pel  quale,  dall'alto,  s'infila  nell'asta  cottabica  e  va  a  poggiare 

origine  scori  Iella    medesima.   Secondo   alcuni    antichi   e    moderni 

he,   per  la  riuscita    del    giuoco,    doveva    risuonare    alla    percossa   del 
cadutovi  sopra,  si  chiamava  yz./;    1  .  Secondo  altri  il  manes  del  cottabo 
nvece  la  figurina  umana,  con  cui  l'asta  suol  essere  decorata  in  cima  nei   belli  esem- 
plari trovati  in  Etruria,  e  la  quale  serviva  'quasi  comò  servo-manei    por  sostenere  il  piat- 
tello in  bilico.   Ma  sembra  che  questa  figurina  umana,  di  cui  non  parlano  esplicitamente  gli 
antichi  testi  greci,  non  sia  stata  una  parte  integrante  e  necessaria  del  cottabo,  ma  piuttosto 

me   nel   giuoco;   infatti    in   tutte  le   figure   di 
questo  arnese   sui    vasi   greci,    manca    la    figurina  (e  forse  non  proprio  per  semplifica 
di  disegno  in  piccola  scala)  e  il  piattello  poggia  direttamente  sulla  punta  dell'asta. 

embra  più  possibile  che  il  manei  sia  appunto  ii  disco  di   me//  . 
scrittori  qualificato  come  noT^'piov  0  Xsxav-fl,  disco  che,  essendo  soggetto  ai  colpi  del  piat- 
tello   superiore,  serviva    appunto    agli    scopi    del    giuoco   e    ne   era    elemento   indispensa- 
bile (2). 

5.  Statuetta  di  sileno  impostato  sull'abaco  rettangolare  di  una  specie  di  capitello 
ionico  arcaico,  il  cui  collarino  cilindrico,  vuoto  nell'interno,  s'innesta  sull'estremità  dell'asta 
cottabica. 

6.  Dischetto,  del  diametro  di  cm.  io  in  lamina  spessa  poco  più  di  mm.  1,  il  quale 
era  posto  in  bilico  sulla  destra  alzata  del  sileno,  e  al  menomo  urto  poteva  cadere  giù, 
andando  a  colpire  il   disco  sottostante,   onde  si   chiamava   ->.à<7Tiy:;. 

1  pieducci  della  base  e  i  tre  dischi  sono  finemente  decorati  al  bulino  (fig.  11  con 
quella  speciale  grazia  e  maestria  che  contraddistingue  la  dee  irazione  incisa  delle  pareti 
delle   più   belle   ciste   trovate   in    Etruria  (3). 

I   pie  lucci   sul   lato  esterno,  entro  un'inquadratura  di   linee  che   seguono    l'andamento 
degli  orli,   presentano  una  bella   palmetta  attica  a  nove  lobi   sbo  dante  da  due  voluti 
la   palmetta    e    l'orlo    superiore    vi    è    una    zona    ornata    di    spirali   ricorrenti  e   un'altra  di 
ovoli  (fig.   n -a).  Sui  tre  dischi  in  ntriche,  sono  graf- 

fite sul   piano  superiore  eleganti   trecce   ioniche:   treccia  doppia  a  quadruplice  linea  con  due 
serie  di   bottoni  ai   punti   d'incrocio,   sulla  base;   treccia  semplice  a    triplice    linea    con    bot- 


(1)  Athen.,  XI.  p.  487  e.  :  Phot.,  s.  v.  e  Boehm,  (5)  Oltre  alla  insuperati  asta  Ficoroni  di  Pre- 
de  kottabo,  p.  27.  neste  (Martha,  L'Art  élrusoue,  p.  537,  fig-  37°). 

(2)  Su  questa  controversa  questione,  oltre  tutte  ricordo  alcuni  esemplari  della  splendida  collezione 
le  fonti  citate  in  Daremberg  e  Saglio,  s.  v.  kottabos,  Barberini  del  Museo  di  Villa  Giulia,  pubblicati 
cfr.  specialmente  Barnabei,  /.  c.\  Milani.  Rendic.  dal  Della  Seta,  in  Bollettino  d'Arte  del  Min. 
Lima.  i8i)4,  p.  274  e  sej,r..  e  Kdrle.  /.  ...  p.  .38,  /'■  A.  IH.  iooq.  p.  190  e  segg.,  \\%%.  1 5~ >7,  '9> 
40,  45.  20. 


toni  centrali,  sul  disco  di   mezzo;  simile,  a   doppia  linea,  sul  piattello  superioi      i 
decorazione,  armonicamente  distribuita,  va  attenuando  erso  l'alto,  : 

porzionale  restringersi  della  superficie  decorativa. 


(  1 1  Le   più    i  glianze   di   forma  e  di 

stile  ,i  tali  motivi  ornamentali  si  ritrovai 
dotti  della  più  pura  arte  greca. 

Per    la    palmetta    ii  I  ire    esempi  da 

Atene    in    Stais 


numeri  6576,    77    :  :     De    Riddei . 

: 
.  : 

tavv.    XLIII 


—   26   — 


L'eleganza  della  decorazione  incisa  sulle  lamine  è  uguagliata,   se   non  superata,  dalla 
mo  eseguiti  i  pezzi  fusi:  la  ghiera  e  il  sileno. 

I  a     a  (fig.    i-'i  massiccia,  fornita  in  basso  di  un'appendice  tubolare  con  la  quale 

si  assicurava  al  disco  della  base  tripodata,   ha  essa  stessa  una  torma  che  ci  ricorda  in  certo 
la  base  umica.   Una  zona   in  alto  e  una  in  basso  sono  ornate  di  elegantissimi  ovoli 
e  ad  esse  succedono  due  gole  tra  le   quali,  nel  mezzo,  sporge  un 
toro  assai  pronum  iato. 

La  ghiera  è  perfettamente  conservata;  del  sileno  invece  la 
maini  destra  manca  di  tutte  le  dita,  ad  eccezione  d'una  parte  del 
pollice,  il  viso  è  alquanto  sciupato  da  ammaccature,  e  la  superfìcie 
del  corpo  presenta  subbolliture  e  corrosioni  dell'ossido  che  hanno 
deturpato  specialmente  il  dorso  e  le  gambe.  Tuttavia  la  stessa  os- 
sidazione e  la  bellissima  patina,  cangiante  dall'azzurro  al  verde 
smeraldo  con  riflessi  d'oro,  specie  sul  piattello  superiore,  accre- 
scono l'attrattiva  estetica  dell'oggetto  antico. 
La  figurina  è  graziosamente  impostata  sopra  una  specie  di  capitello  ionico,  fuso  in  un 
sol  pezzo  con  essa  (fig.  [3  a,  b).  Da  una  corta  cannula,  la  quale  s'innestava  in  cima 
all'asta  del  cottabo,  si  svolgono  due  volute  che  sostengono  un  piano  rettangolare,  quasi  un 
abaco  (mm.  36  X  J3)-  Così  le  diverse  parti  di  questo  mirabile  oggetto  sono  collegate  tra 
loro  con  nesso  logico  ed  armonico;  l'asta  piantata  sulla  ghiera,  simile  a  base  ionica,  di- 
viene come  il  fusto  d'una  colonna,  sul  cui  capitello,  pure  ionico,  s'erge  la  statuetta;  ge- 
niale concezione,  di  cui  non  saprei  trovare  esempi  nell'arte  etnisca,  ma  che  risponde 
invece  del  tutto  allo  spinto  inventivo  della  più  pura  e  genuina  arte  greca.  Il  motivo,  che 
trionfa   nell'arte   monumentale   fin  dall'epoca  arcaica,  con  la  colonna  sormontata  dalla  stinge 


Fig.  12  —  La  gliier, 
del  toltati  s.     » 


da  Dodona  in  Carapanos,  Dodone,  tav.  50.  Cfr. 

inoltre  le  pai  mette  di  un  tripode  vulcente  illustrato 
in  1/0//.  .////..  VII.  e.  295-296  dal  Savignoni,  il 
quale  ben  nota  che  «  l'elegante  palmetta  dai  petali 
che  sbocciano  al  disopra  di  un  doppio  avvolgi- 
mento, sarà  il  tipo  favorito  dei  pittori  attici  del 
sec.  v  ». 

ber   la   treccia   doppia    a    quadruplice    linea,   sedi 

esempi  da  Olimpia,  in  Olympia,  IV,  tav v,  XXXIX, 

699,  700.  701-a.  702;  [.Vili  ss.,   LXI1  ;  da  Delfi, 

in  Fouilles  de  Delphes,  V.  tav.  21.   Cfr.    la   de- 

dell'orlo   dello    splendido    scudo    rotondo 

volsiniese,  in  bronzo  dorato,  della  tomba  orvietana 
dei  Sette  Camini,  presso  Milani,    Wuseo  top.  del- 
l'Elr  uria,  p.  40,  e  Guida,  p.  59,  238   e 
le  lamine  di  un  carro  dell'ipogeo  etrusco  di  Mon- 


tecalvario,  in  Notizie  degli  ri  avi,    1905,    p.    2)4. 
fig.  25. 

Per  la  treccia  a  triplice  linea  vedi  esempi  da 
iJelli.  in  op.  cil.,  V.  p.  ujj.  104:  da  Dodona.  op. 
ii/.,  tav.  16.  49:  da  bgina  in  Furtwangler,  Ae- 
rina, tav.  ni.  114,  ,,.  ,0.  Cfr.  altre  lamine  del 
suddetto  ,1110  etrusco,  in  Notizie  degli  scavi,  1905, 
p.  235,  tig.  27. 

Quanto  alla  treccia  semplice  con  punti  centrali, 
essa  è  decorazione  frequente  nell'arte  greca  fin  dal- 
l'epoca arcaica  (v.  Pernier.  Priniàs,  in  Annuario 
della  Scuola  Hai.  di  Atene,  1.  1014.  p.  74,  lig.  42). 
e  spessissimo  usila  di  poi  in  ogni  paese  di  arte  0 
d'influenza  greca.  Per  l'Etruria  cfr.  ancora  il 
carro  etrusco  suddetto,  in  Votizie  degli 
1905,   p.   233,   tig.    14- 


-7 


dei  Nassi  a  Delfi  (i)  e  con  l'esemplare  simile  di  Delos;  che  si  ritrova  usato  per  le  statue 
votive  dell'acropoli    di    Atene  (2),  ben  si  adatta  pure  nel  campo  della    toreutica,    1 
piccole  proporzioni,  come  è  il  caso  della  statuetta  di  canefora  111  bronzo  da    Pesto,  con  la 
dedica  di  Phillò  (sec.   \    a.  C),  scritta  sul 
capitello  della  colonnina  che  la  sostiene  (3). 

11  Milani,  dando  la  prima  breve  notizia 
preliminare  intorno  al  cottabo  di  Vetulo- 
nia  (4),  usò  per  la  figurina  la  denominazione 
di  satiro,  lo  la  direi  piuttosto  di  sileno. 
Sebbene  nell'arte  classica,  e  in  ispecie  at- 
tica, 1  satin  non  si  distinguessero  netta- 
mente dai  sileni  (5),  cosicché  le  due  deno- 
minazioni si  trovano  spesso  usate  l'ima  per 
l'altra,  tuttavia  il  sileno  fu  sempre  contrad- 
distinto dai  suoi  tratti  piuttosto  equini  die 
caprini,  e  dal  volto,  mai  hello  e  giovanile, 
ma  ordinariamente  camuso,  di  uomo  maturo 
0  di  vegliardo  barbuto.  Tale  apparisce  il 
vero  e  proprio  personaggio  sileno,  col  nome 
di  IWarsia.  Nella  nostra  statuetta  manca  il 
tratto  più  spiccato,  e  cioè  lo  zoccolo  equino, 
col  quale  l'arte  primitiva  soleva  caratteriz- 
zare la  natura  di  questo  essere  animalesco:  ma  il  nostro  bronzetto  appartiene  al  miglior 
periodo  dell'arte  classica,  la  quale  sa  esprimersi  col  minor  numero  possibile  di  espellenti, 
e  quindi  il  sileno  ha  piedi  umani,  conservando  della  sua  origine  altri  segni  quanto  mai 
palesi:  la  coda,  non  già  corta  0  arricciata  quale  sogliono  portare  generalmente  1  satin, 
ma  lunga,  arcuata,  da  vigoroso  cavallo,  e  le  orecchie  non  già  distinte  da  quelle  umane 
pel  solo  aguzzamento  delle  estremità  del   lobo  auricolare,   ma   propriamente  equine. 

Anche  l'enorme  porro  che    si    protende    dal    polso  destro    della    figura  (6),   sebbene    ci 


!-v 


—  Figurina  che  sosteneva  in  bilii 

il  piattello  ie\'kottabos. 


(1)  Bourguet,  Lei  ruines  de  Delphes,  p.  127 
e  segg.,  ftg.  40. 

12)  Cfr.  per  es.  la  Kore  di  Euthydikos  in  Lei  hai. 
.  In  Musée  de  l'acropoli,  fig.    56. 

(3)  Ora  al  musco  Ji  Berlino.  Cfr.  Curtius, 
Archaol.  Zeitung,  XXXVIII,  [880,  p.  27  e  segg., 
tav,  8;  Roehl,  Inscrìpl.  graecae  antiqu.,  542; 
roscanelli,   Le  origini  italiche,  p.   420.    ùg.   n>. 

(41  Cfr.  //.  ce.  innanzi,  p.   13,  nota   1. 


(s)  Vedi  Daremberg  et  Saglio,  Diction.  des  an- 
tiqttitès,   s.  v.  Satyri,  Sileni,  p.  1091         I 
!    1  ii  on  ii.  Mythologie,  s.   v. 

(6)  Osservando  le  sole  riproduzioni  si    potrebbe 

1 — ;e   Pesi 

■  tenesse 
nella  dest  ■      '■'.  v  andò  l'originale,  si 

alto,  quindi  sembra  proprio  un'escre 


—   28   — 

richiami  propriamente  al  capro,  tuttavia  è  un  particolare  che  si  ritrova  in    altri   mostri  di 
natura  equina,  nei  centauri  che  spesso  hanno  il  collo  deturpate!  da  tali  porri. 

Ma  soprattutto  nella  testa  è  la  nota  caratteristica  del  vecchio  sileno:   il    viso  rettan- 
golare, il  cranio  calvo  e  la  fronte  rugosa,  il  naso  rincagnato,  le  guance  carnose    e   ti 
i  baffi  cascanti    e  la  corta  barba  incolta  (tav.  111.  Tali  erano  anche  1  tratti  fisionomici   del 
grande  filosofo  ateniese,  pei  quali  solevano  chiamarlo  il  buon  sileno  ,  i  . 

Il  sileno  di  Vetulonia,  come  tutti  gli  esseri  della  medesima  specie,  è  completamente 
nudo,  ma   senza   quella  esagerata    ostentazione  della  sua  virilità,  della  quale  i    suoi    simili 

0  tanno  pompa  sui  monumenti  dell'arte  arcaica,  che,  pur  con  questo  particolare,  vuol 
mettere  in  evidenza  la   natura  bestiale  del   silen 

Né   ii  Ma,   secondo  gl'istinti  della  sua  natura   burlesca,    il    sileno 

si  presta  ad  un  giuoco  di  equilibrio  (3)  e,    come    ebbro,    prende   una   posizione    malferma 
sulle  gambe,  allungando  in  alto  il   bracci"  destro  per  sorreggere  un  disco  sulla    palma    di- 
i   muscolo  del   si:  iroso  è  in  tensione  e   lo   sforzo    del    dif- 

ficile atteggiamento  si  rivela  in  particolare  nel  collo  rigonfio  e  nella  coda  fortemente 
arcuata. 

La  gamba  destra,  portata  in  dietro  e  piegata  al  ginocchio,  sostiene  il  maggior  peso 
del  corpo  con  uno  sforzo  tanto  più  grave  in  quanto  il  piede  non  poggia  tutto  al  suolo, 
ma  è  un  poco  sollevato  al  calcagno.  Per  questo  l'altra  gamba  non  rimane  del  tutto  alleg- 
gerita; che,  al  contrai]',  distesa  vers  isi  normalmente  alla  destra,  poggiando 
al  suolo  col  calcagno  mentre  le  dita  nello  sforzo  s'incurvano  in  alto,  fa  quasi  da  puntello 
alla  massa  oscillante  del   corpo. 

11  busto  e  la  testa  si  presentano  di  tre  quarti  e  seguono  la  curva  impressa  al  corpo 
dalla  mossa  della  gamba  e  del   bra  tro.  Q  teso  quasi  verticalmente  1 

con  la  palma  aperta  e  orizzontale  si  da  tenere  in  piano  il  dischetto,  mentre  il  sinisti 
necessità  di  equilibrio,  si  allunga  obliquamente  all' ingiù,  quasi  parallelo  alla  gamba  si 
ed  ha  la  pa  1  verso  l'esterno,  il  pollice  sollevato  e  le  punta  delle  altre  dit 

ranti   ii  ginocchio. 

1  suoi  occhi  non  guardano  in  su,  il  disco,  ma   ;  no  rivolti  verso  gli  ammiratori 

della  sua  propria  bravura  e  verso  i  giuocatori  che  dovranno  abbattere  il  disco.  Poiché  questo 
sileno  è  come  un  personaggio  vivo,  che  partecipa  all'orgia  e  al  giuoco  di  amore  e  di  de- 
strezza.  La  sua  bravura  di  equilibrista  si   rivela  appunto  nella  difficoltà  di  tenere,  sia  pure 


(1)  Cfr.  discorso   di    Alcibiade    press  e  Reichhold,  Griech.,    Vasenmalerei,  tav.   11-12. 

Symp.,  p.    21S-A    (ed.  Jahn)    e   Senofont   -  <)>  Pei  sileni  equilibristi,  cfr.  psycter  di    I 

4,  10.  in  Furtwangler  e  Reichhold,  Griech.  Vasenmalerei, 

Cfr.,  come  tipici   delFarte  arcaica,  il  sileno  tav.  48,  p.  24'j.    e  P. .ttier.  Douris,   p.  73;  fondo 

di    Dodona                                   ,    Oodone,    tavola  di  coppa  di  Epiktetos  in  Jahrbuch  des  Institi 

IN.  e   quelli    .1                                 n    Furtwangler  tav.  V. 


—  29  — 

per  un  attimo,  perfettamenti    ori    ontale  il  dischetto  sul  braccio  alzato,  mentre  il  co 
può  trovare  stabilii.!  gravando  solo  sulla  pianta  destra  e  il  cali  tgno 

Con   perfetta  scienza  anatomica  l'artista   U.\  saputo  ritrarre   le  forme    di    questo 
umano  agile  e  vigoroso  e  ha  indicato  lo  sforzo  proporzionale  che  ciascun  membro  compie 
nel  complesso  movimento;   pei    questo  ogni   muscolo  è  in  azione,  da  quelli   del   pii 
polpaccio  bene  accentuato,  a  quelli  della  coscia  che  formano  una  fossetta  lai 
fianco,  a  quelli  del  torace  e  del  braccio  disteso  in  alto.   Ma  soprattutto  nel  torso  si  accen- 
tuano i  segni  dello  sforzo,  pel  quale  trasparisce  il  costato  sinistro  e,  ai    muscoli   sporgenti 
sotto  le  mammelle,  si  contrappongono  le  cavità  delle  fesse    addominali. 

Nulla  di  rigide,  d'impacciato,  di  convenzionale  nella    modellatura    e    nel    movimento; 
franchezza,  libertà    e    verismo    mirabile   ci  rivelano  un   artista  tanto  geniale,   quanl 
mentato  e  sicuro  di  sé  stessi..  <  )gni  convenzione,  ogni  ingenuità  dell'arcaismo  è  scomparsa 
e  domina  nella  figura  quel  vivo  e  fresco  sentimento  di  realtà  che  caratterizza   la   : 
suprema  dell'arte.   Poiché  più  alla  Iattura,  alla  tecnica  ed  a   una  certa  voluta 
che  alla  influenza  di  un  determinato  stile,    attribuirei    certi    lievi    richiami    all'arcaismo;  la 
mane   lunga  ed   appiattita,   i   capelli   disposti   come  a   panacea  con   striatine    regolari   al   bu- 
lino e  la  coda  eseguita  a  strie  regolari  e  parallele. 

In  rapporto  all'oggetto  di  cui  il  sileno  fa  parte,  mirabile  è  la  scelta  dell'atteggiamento 
di  questo  per  ciò  che  concerne  la  struttura  dell'insieme. 

L'asse  principale  della  figura  corrisponde  all'altezza    del    triangolo    isoscele,    risultante 
dalla   posizione  del  corpo  col   braccio  alzato,  e  viene  a   trovarsi   sul   prolungamento 
cottabica,  in   modo  che  il  piattello  sostenuto  dal  sileno    è    perfettamente    <    ntrato    come  i 
dischi   sottostanti.   E   più   mirabile  ancora   t    la   >celta  del  soggetto,  |  esiste  un'in- 

tima, logica  e  geniale  rispondenza  tra  il  concetto    decorativo    dell'oggetto    e    lo    s 
questo  doveva  servire;   non  abbiamo  l'ornamento  per  l'ornamento,  bensì   la  decorazione  ar- 
tistica che  chiarisce  ed  anima  la  funzione  dell'oggetto.  Sembra  che  tali  ;iuoco  del 
cottabo,   il   bersaglio  fosse  sorretto  da   uno  schiavo;   nel   nostro  caso  tale   ufficio    lo    compie 

il  sostegno    di    bronzo,  ma    tuttavia  a  questo  dà   vita   in  ceri odo  il  sileno    Seguace  di 

Dioniso,  egli  amante  del  vino  e  de' conviti,  partecipa  al  giuoco  del  cottabo  e,  quasi  servo 
della  gaia  comitiva,  menile  i  commensali  s'ap]  tano  al  lancio  del  liquido,  con  rara  prova 
di  equilibrio  tiene  in  bilico  il  bersaglio,  accrescendo  l'instabilità  di  questo  e  l'interesse  del 
giuoi  o. 

hi  un  cosi   bel   prodotto    et;,  ii,  ii,  quale  i    il  cottabo   .li   Vetuf 
mirare'  il   pregio  intrinseco;  ci   piace   pui    di   sapere  se  sia  la\  :  : 

se  ne  spetti  il   vanto  all'arte  etnisca  o  alla  greca  e,  possibilmente,  a  quale  ciclo  ari 
P'oss.i    ascrivere. 

I:  la  statuetta    uno    li   quei 

Epist.   II.   2,    1 8o .   una    h  quelle  statuette    fu 


—  30  — 

officine  locali,  statuette  ornanti  gli  arredi  domestici  che  costituivano  uno  dei  più  pregiati 
articoli  di  esportazione  dell'Etruria  ed  erano,;  .   ricercati  persino  nelle  eleganti 

ateniesi  del  secolo  di  Pericle  ?  (i). 

O  non  piuttosto  il  cottabo  è  uno  di  quei  gioielli  artistici  che,  insieme  ai  vasi  dipinti, 
venivano  proprio  dalla  Grecia  per  soddisfare  il  lusso  e  il  buon  gusto  di  qualche  opulento 
signore  d'Etruria?  O  fors'anche  il  piccolo  capolavoro  fu  fatto  da  mano  greca  proprio  nel 
paese  dal  quale  il  cottabo  è  originario,  nella  Sicilia  (Athen.  XV,  666.  b>,  che  pure  ebbe 
tanti  rapporti  artistici  e  commerciali  con  l'Etruria? 

Non  conosciamo  alcun  esemplare  di  cottabo  trovato  in  Grecia  o  in  Sicilia  (2  »  ;  ne 
abbiamo  invece  molte  figura/ioni  sui  vasi  greci  dipinti  e  in  queste  si  vede  sempre  la  -XaffTiy? 
posta  111  cima  all'asta,  anziché  sorretta  dalla  figurina  ornamentale;  ma  dai  soli  disegni  dei 
vasi  dipinti  non  possiamo  argomentare  in  modo  assoluto  che  il  cottabo  greco  non  avesse 
la    figurina    e    che    la   presenza  di   questa  accenni   ad   un'aggiunta  caratteristica  del   col 

etrusco. 

Nessuno  quindi  oserebbe  dire  che  il  cottabo  di  Vetulonia  è  lavoro  etrusco  soltanto  per 
il  fatto  che  è  sormontato  da  una  statuetta,  la  quale  sta  appunto  sugli  altri  esemplari  di 
fattura  specificamente  etnisca  e  trovati  in  Htruria  (Perugia,  Montepulciano,  Corchiano).  ti 
d'altra  parte  neppure  sarebbe  giusto  ritenere  assolutamente  greco  l'oggetto,  solo  per  quei 
pregi   di   perfezione  artistica  che   ho  cercato  di   mettere  in   rilievo. 

L'arte  etnisca,  specie  nei  bronzi  figurati  e  nelle  terrecotte,  ha  una  forza  e  una  bel- 
lezza sua  propria.  E  questa,  a  chi  la  intenda,  dici'  quanto  sia  ingiusto  il  criterio  (il  quale 
purtroppo  si  suole  seguire  quando  si  dubiti  se  un  oggetto  d'arte  sia  piuttosto  greci 
etrusco),  il  criterio  di  attribuire  sempre  ai  (ìreci  i  prodotti  più  vicini  a  quella  bellezza  quasi 
ideale,  che  siamo  portati  a  considerare  come  una  prerogativa  della  loro  arte.  Non  dunque 
il  criterio  assoluto  della  bellezza,  ma  un  attento  esame  tecnico-stilistico,  deve  guidarci  nel 
caso  nostro,  come  nei  casi  simili,  a  rintracciare  l'origine  artistica  del  monumento. 

(iià  abbiamo  visto  come   nella  struttura   dell'oggetto  si   riveli   il  gusto  tectonico  greco, 

ie  1  vari  motivi  della   decorazione  graffita,  sebbene  comuni  nell'arte   etnisca   non  meno 

che  in  quella  greca  e  orientale,  mostrino  le  più  strette  affinità  di  stile  con  i  motivi  simili 
di  prodotti  indubbiamente  greci,  ma  ciò  non  basta;  è  soprattutto  lo  stile  e  la  fattura  della 
statuetta  silenica  che  imi  dobbiamo  considerare  in  rapporto  allo  stile  nel  quale  è  trattato 
plasticamente  il   medesimo  soggetto  COSÌ    nell'arte  greca  come   nella  etnisca. 

(1)  Cfr.  presso  Athenaeus,   XV,  700,  1  versi  del      non  sii  un  cottabo,  ma  piuttosto   un    candelabro, 
comic  '  e,    ibid.  1,  28,  quelli  dì   Crizia      il  bell'oggetto  di  bronzo, 

in  lode  dei  bronzi  etruschi.   Sui    tyrrhena   sigilla  figurine,  che  proviene  daLocri  Epizephyrii  e  che 

vedi  Milani,  Guida,  1.  p.  56  e  seg.  ;  135  e  segg.,  e^li  pubblica  in  Notizie  degli  siavi,   1913,  suppl. 

Moti.   .In/.,   VII.  e.   288.   unta  4.  p.   27  e  se^t;..  ti«.    jl. 

(2)  L'Orsi  giustamente  ha  finito  cui  credere  che 


;[ 


L'arte  etnisca  nel  ritrarre  il  sileno  adotta  le  torme  e  lo  stile  proprio  dell'arte  ionica 
arcaica  e  le  mantiene  pure  in  epoca  classica  avanzata  (i);  così  il  sileno  etrusco  ha  quasi 
sempre  lo  zoccolo  equino,  la  testa  caratterizzata  da  folta  barba  triangolare  e  da  una  specie 
di  parrucca  scendente  dietro  le  spalle,  dalla  quale  sporgono  le  grandi  orecchie  aguzze. 


—  Tripude  vulcente  del 


Non  ricorderò  a  questo  proposito  i  sileni,  sdraiati,  in  corsa  o  aggruppati,  dei  tripodi 
provenienti  da  Vulci  (fig.  14),  ma  da!  Savignoni  creduti,  ^n)  buoni  argomenti,  di  arte 
ionico-orientale  anziché  etnisca  l  2  1. 


li)  Bulle,   Die  Sileni   in  der  archaischen  Kunst  riatto,   tav.   LVI,  a.  d. 

der  Griechen,  p.  io.  e  Moti.  Alt,      \  n  77  e  segg.,  tav.  IX. 


—  32  — 

1       lo  più  opportuno    I  /ece   la  statuetta  in  bronzo  di    sileno   danzante    che 

il  Carapanos  trovò  a   Dodona  e  donò  al   Museo  nazionale  di  Atene  (i),  statuetta  in  cui  per 

mi  stilistichi  i    mto  ."ii  uni zo  chiusino  (2),  il  Brunii  credetti.'  vedere  un 

tto  importato  dall' Etruria.  Ma  non  insisto  su  questo  esempio  più  che  sull'altro,  perchè  Ji 


ambedue  si  può  discutere  l'origine  etnisca  ed  ambedue  appartengono  a  un'epoca  più  antica 
che  quella  del  sileno  di  Vetulonia. 

1  .       '  'ho  lei  mare  l'atte:  .1   i   sileni   Ji    un    bellissimo    braciere  trovato  in 

una  tomba  della  Boncia  nel  chiusino  fig.  1;  (3),  ed  ora  conservato  nel  museo  archeolo- 
gico di  Firenze.  Fra  la  suppellettile  concomitante  del  braciere,  alcuni  vasi  greci  dipìnti  del 
secolo  v  ci  torniscono  una  data  abbastanza  sicura  del  deposito  funebre,  e  altri  bronzi  ci 
confermano  il  carattere  etrusco,  già  in  sé  evidente,  di 


li    Carapan  is,   Dodone  et  srs  ruines,  tav.  IX:  (;)  Milani,  Guida,   1,  p.  252  e  >ej;   Cfr, 

is,  Marbres  W Etruria,  p.  71,  e  Notizit 

et  bronzea  du  Mus.  nat.  d'AtAènes2,p.  5fe.1i-  --■       1882.   p.   51. 

(2)  (         VI  Monumenti  inediti,  tav.  XVII, 

3,  p.   105  e  seg. 


.;; 


Fig    16  —  Sileno  del  braciere  della  Borici. 


Fig.  17  —  Sileni»  Jel  braciere  della  Boncia. 

I  sileni  della  Boncia,  di  cui   uno  è  inginocchiato    fig.   io),   gli  altri  due  stanno  sdraiati 
sull'orlo  del  braciere  quasi  in  atto  di  sl.i1J.um  (fìgg.  17  e  18),  pure  appartenendo  all'epoca  della 

migliore  fioritura  artistica,  presentan n  solo  il  dettaglio  arcaico  dello  zoccolo  equino,  ma 

proprio  quella  certa  durezza  nelle  forme  e  nelle  movenze,  per  la  quali  Quintiliano,  con 
giusto  acume,  caratterizzava  le  statue  etnische  anche  dell'epoca  migliore,  segnalando  in 
confronto  i  progressi  della  statuaria  greca 


(11   [nstit.  ora/or.,   XII,    io,   7:    duriora    et   In-       Mas,  iai/i  miiais  rigida  <  aia  < ..'   adhuc 

scanicis  proxima  (simulacra)  Callon  atque  Hege-      siterà  dictis  Myron  fecit. 


—  34  - 

Persino  in  un'opera  da  alcun',  giudicata  dèi  111  secolo  a.  C,  ma  che  meglio  può  riferirsi 
aliatine  del  sec.  V,  in  quel  capolavoro  della  toreutica  etrusca  influenzata  dall'arte  greca  che 
è  il  candelabro  di  Cortona,  i  sileni  accosciati,  che  suonano  il  doppio  flauto  o  la  siringa,  man- 


I  i  lei  1  radere  .Iella  Boni  I  i. 

tengono  i  suddetti  segni  di  arcaicità  (i).  Al  contrario  in  Grecia,  e  specie  in  Attica,  nell'e- 
poca classica  il  sileno  va  prendendo  sempre  più  aspetto  umano  e  perde  la  caratteristica 
dello  zoi  colo  equino. 

Non  esiterei  dunque  al  attribuire  il  sileno  .li  Vetulonia  al  più  bel  periodo  dell'arte 
greca,  che  ci  offre  tipi  simili  nel  suo  repertorio  sia  della  plastica  (2),  sia  della  pittura  va- 
scolare 1 5). 

Il  Milani  riteneva  che,  pei  arte  e  stile  quel  bronzetto  potesse  riferirsi  al  sec.  iv  a.  C.  [). 
lo  lo  riterrei  alquanto  più  antico,  della  fine  del  sec.  V.  Infatti,  se  si  tornano  a  considerare 
h  particolarità  di  stile  e  di  movimento  della  nostra  statuetta,  il  pensiero  corre  subito  ad 
una  celebre  statua  che  rappresenta  lo  stesso  essere,  al   Marsia  di  Miro 

1  I      abbiamo  cercato  di  mostrare  quanto  la  tatuna  del  bronzetto   sia  fine,  precisa  ed 

nte  e  come  lo  stile,  improntato  a  un  sincero  naturalismi),    si    riveli    sobrio  e  robusto. 


iì  Martha,    L'Art   étrusque,    p.    =;  ;  1    e    seg., 
tìg.  368.  Brunn-Bruckmann,    Denkmàlev ,    n.  666. 

(2)   Pei    sileni    nella    plastici    e    toreutii 
Jel  v  secolo,  oltre  al  Marsza  Ji  Mirone  con  le  sue 
copie   e  adattamenti,  cfr.  Reinach,   Rèpertoire   de 
la  statuaire,  II,  p.  51. 

I.    latta  a  I'  i\  1, 


in  Mon.  ined.  dell'Istil.,  Vili.  tav.  LI,  1        nostra 
flg.    10.  ./ ;  cratere  attico  del  museo  Ji   H 
Pellegrini.   Calai,  dei  nasi  greci  dtp.,  p.  ii 
1::;    84;  stamnos  attico  del  mus.  arch.  di   Firenze 
con    Marsia,  in   Milani,  Guida,  I.  p.  1  s s  :  oinochoe 
del   Museo  Ji   Bei  -ira  li^.    io.. 

141   Gtrda,   I.   p.  41   e  221. 


—  .35  — 

Le  torme  del  corpo  asciutte  magre  slanciate,  dai  contorni  nettamente  tagliati,  i 
la  cura  e  l'abilità  dell'artisti,  specialmente  nelle  gambe  e  nel  torace,  dai  cui   mu: 
spare   tutto  lo  sforzo  del    movimento. 

E  il  movimento  ardito  e  violento,   pel  Linaio  ogni    membro    ricerca    l'equilibrio, 
tutto  istantaneo,  qu  isi   sorpreso  m   un   fugace  attimo  di   tra 


Tic.  19  -  Testj  del  Marsia  di   VSirone 
(Muse"  Baracco). 


FiR.   .'..  -  Il  Maisia  -li  Mirane 
opra  un  vaso  dipinto  1  Mu Jatta 


Non  sono  queste  le  principali  caratteristiche  dell'arte  mironiana,  quale  ce  In  descri- 
vono gli  antichi  scrittori  (1)  e  quale  l'ammiriamo  nei  due  capolavori  rimastici:  il  Marsia  e 
il   discoboli  1  ? 

\  ii  non  sappiamo  con  quale  fedeltà,  specialmente  nella  testa,  le  repliche  in  marmo 
del    Marsia   riproducano  l'originale,   ma  e  certo  che,   così   per  la  struttura    .lei    corpo,    comi 

per   l'aspetto  del   volto  barbuto,   vi   è   una  somigliane tevole  tra    le    ri  1    Marsia 

tic.  hi1  e  la  nostra  statuetta.  Inoltre  in  questa  è  ritratta  quasi  identica  la  genuina  mossa 
delle  braccia  del   Marsia  (fig.   20)  e,  simile,  sebbene  invertita,  quella  delle  gambe. 

Per  riguardo  al  movimento,  quanto  altro  mai  complesso,  di  tulio  il  corpo,  il  nostro 
sileno  potrebbe  definirsi  con  eli  accettivi  che  Quintiliano  (2)  usò  poi    discobolo; 


(1)  VeJi   press,,  Overbeck,  SchriftquelUn,     pr>. 
; J 3-610.   Per  Mimne  torcati  cfr.   ivi,    =aii-S<)7. 


■ 


-36- 

elaboratus;  e  invero  la  distorsione  del  busto  ci  fa  così  pensare  al  discobolo,  che  quasi  ci 
sembra  di  vedere  alcuni  degli  elementi  di  questo  fusi  nel  tipo  del  Mursia  a  costituire  la 
nuova  geniale  concezione  del  misti"  sileno. 

Sulle  tracce  di  arcaismo  che  già  notai  nella  statuetta  (i)  non  insisterei  troppo  per  ri- 
portare quest'opera  proprio  all'epoca  di   Mirone  e  neppure  dalla  fama  che   il    grande  scul- 

aveva  altresì  come  toreuta  e  cesellatore  vorrei  lasciarmi  lusingare  a  credere  il  bron- 
zetto   uscito  dalla  sua  gloriosa  officina. 

Credo  tuttavia  che  la  statuetta  di  Vetulonia  sia,  se  non  la  riproduzione,  almeno  un 
geniale  adattamento  di  un'opera  mironiana  12),  fatto  da  valente  artista  greco  in  tempo  e 
in  luogo  non  lontano  da  quello,  nel  quale  per  la  prima  volta  si  ammirò  l'originale,  e  cioè 
in  Grecia   stessa   verso   la   line  del   sec.   V. 

Così  il  sileno  di  Vetulonia  sta  all'arte  mironiana,  come  il  bronzetto  di  Populonia,  rappre- 
sentante .\i<n,  suicida  (3)  sta  a  quella  dei  frontoni  di  Egina;  i  due  piccoli  cimelii,  simili 
nelle  proporzioni  e  nella  destinazione,  pari  in  pregio  artistico  e  provenienti  dallo  stesso  centro 
di  arte,  ci  attestano  quali  modelli  di  eleganza  ellenica  l'Attica  del  secolo  di  Pericle  inviasse 
alla  opulenta   Etruria. 


TERRECOTTE  FIGURATE  DI  UN'EDICOLA    DELLA  CITTA. 

Nell'aprile  del  1896,  continuando  a  Vetulonia  gli  scavi  della  città  cominciati  fin  dal  1893, 
il  Falchi  estese  l'esplorazione  agli  edilizi  del  lato  occidentale  dell'antica  strada  lastricata,  la 
quale,  distaccandosi  dalla  decumana,  sale  a  sud,  sull'erto  pendìo  del  Poggiatilo  kenzetti 
(Pianta,  fig.  21)  (4). 

Ne]  tagliare  l'alto  ciglione  del  Poggiarello,  dietro  il  vano  A,  e  proprio  nel  punto  B,  si 
trovò  uno  strato  di  terrecotte  Ugniate,  giacenti  sul  terreno  duro,  in  uno  spazio  di  circa 
m.  2  X  1.  in  mezzo  a  grossi  mattoni  e  frantumi  di  embrici  e  tegoli,  sui  quali,  come  sulle 
terrecotte  tigniate,  erano  evidenti  1  segni  dell'incendio,  riscontrato  pure  negli  altri  luoghi 
della  città.  Pare  che,  associate  alle  terrecotte,  fossero  alcune  monete,  in  maggioranza  se- 
stanti vetuloniesi  e  assi  romani. 


(11  Vedi  innanzi,  p.  m-  (?)  Vedi   Villani,  in  Bollettino  d'Arte,  II.  1908, 

(2)  Per  adattamenti  del    Marsia    mironiano    cfr.  p.   }6i   e  segg.,   con    tav.  :    Notizie   degli 

statuetta    di    Patrasso    in    Collignon,  Hist.  ,/<■    la  1908,  p.  i<<7  e  segg.,  fig.  i-*:   Guida,  I.  r- 44.  223. 

scalpi,   grecane,  I,  p.  472.  ti^.    244,  e    rilievo    di  (41  balchi,  in   Notizie  degli                          p.  96 

Mintine.!,  ivi,   II.   p.   259,   fig.    128.  igg.,   figg.  9    U.   con  pianta  a  p.  82,   fig.    1. 


—  37  — 

Per  la  ricerca  delle  terrecotte  figurate  lo  scavo  fu    protratto  fino  al  confine  dell 
prietà  acquistata  dal  Governo  sul   Poggiarello  Renzetti,  ma  non  se  ne   trovarono  altre  (i). 

Siccome  abbiamo  detto  in  principio,  queste  terrecotte,  che    si    conservano    nel    Museo 
Archeologico  di  Firenze,  sono  rimasto  inedite  fino  ad  oggi,  poiché  il   Falchi  si  limitò  a  de- 


Fiu.  21  —  Pianta  degli  scavi  della  città  Ji  Vetulonia. 

scrivere  la  loro  scoperta,  senza  tornirci  neppure  un  elenco  dei  vari  pezzi,  e  cercò  di  darne 
un'idea  con  tre  disegni,  non  però  sufficienti  'testina  muliebre  cui  stephane,  testa  di  Pane 
e  giovinetto  (rapito?)  —  figg.  9-11  delle  Notìzie  cu.);  il  Milani  le  ricordò  soltanto  come 
«esibenti  una  Ninfa  sorpresa  alla  fontana  e  spettanti  ad  una  edicola  cultuale  del  sec.  tv 
a.  C.  »,  dandone  una  veduta  d'assieme  ben  poco  chiara  (2);  e  infine  il  Deonna  le  citò  in 
una  nota  del  suo  lavoro  sulle  antiche  statue  di   terracotta,    attribuendole   a    un    fregio     i 


(1)  Dalle  circostanze  del  trovamento,  che  ho  de-      decorazione  apparteneva,  sarebbe  uti 

sunto  dal  giornale  degli  scavi,  mi  sembra  di  poter       ricerche    sul    poggiarello    Renzetti,    ancl Itre    il 

arguire  che  le  terrecotte  figurate   non    provengono 
da  uno  scitico,  ma  piuttosto  dalla    caduta 
Jella  decorazione  di  un  qualche  piccolo  edifìcio,  E 
poiché    di    tale    decorazione    mancano  molte  parti, 
credo  che.  per  ritrovare  queste   e    l'edificio    cui  la 


l.o.  . 


contine  della  proprietà  governativa. 
2)  Guida,    I,    p     4-'    e     !2i   ;    II.    p. 

I   XXI,     !. 

ui/iqiti/i 
p.    158, 


v  endo  ora  ripreso  in  esame  questi  frammenti,  assai  numerosi,  ma  in  gran  parte  pic- 
coli e  consunti,  ho  potuto  ricomporne  quattro  a  formare  un'erma  su  altare  (fig.   301,  ed  li" 


!  j  ■         i  Irupi   1     on    lue  f'Kure  muliebre 

riconnessD  a  un  busto  muliebre  la  bellissima  testina  adorna  di  slephane  (fig.  23);  di  tutti 
quindi  m'è  parso  utile  dare  il  catalogo  (1)  con  la  descrizione  e  la  figura  dei  pezzi  più  im- 
portanti. 

(ni'  r  qu  ito  i  numeri  dell'inventario  del  museo  arch.  di  Firenze,  scritti  sopra  a  ciascun  frammento. 


39  — 


Gruppo  con  due  figure  muliebri  (fìg.  221. 

Inv.  8993.  —  Gruppo  frammentario  costituito  da  un.i  donna  ritta  la  quale,    1 
disteso  un  manto,  è  in  atto  di  coprire  0  scoprire-  una  donna  seminuda,  inginocchiata  ■ 
giata  con  la  destra  a  un'anfora.  Le  due  figure,  di  cui  la  prima  sta  dietro  l'altra,  e  il 
sono  in  alto  rilievo  con  la  parte  posteriore  spianata   per  aderire  alla  lastra  fittile,    eh 
stituiva  il  fondo  del  rilievo  stesso. 

Questa  lastra  ispessa  cm.  2-3)  in  basso  si  protende,  formando  uno  zoccolo  arrotondato, 
sul  quale  poggiano  le  figure  del  primo   piano. 

La  figura  ritta,  mancante  del  capo,  è  vestita  di  un  chitone  senza  maniche,  cinto  alla  vita. 
Ma  le  braccia  sono  coperte  da  maniche  separate,  le  quali  alle  ascelle  e  al  polso  hanno  una 
rimboccatura  che  fa  pensare  a  braccialetti;  se  non  che  vi  si  veggono  piegatine  proprie  della 
stoffa  che  distinguono  tale  rimboccatura  dai  braccialetti  a  cerchio  liscio  della  figura  inginocchiata. 

Questa,  che  graziosamente  abbandona  sulle  ginocchia  il  suo  bel  corpo  giovanile,  manca 
della  testa;  i  capelli  scendono  in  riccioli  sulle  spalle  (si  vede  un  ricciolo  avanti,  l'altro  dietro 
l'omero  d.).  11  corpo  è  nudo  fin  sopra  le  ginocchia  e  queste  sono  coperte  da  un  manto  0 
hymation.  Al  collo  una  specie  di  torques ;  sopra  i!   polso,   un  braccialetto. 

La  destra  poggia  sull'anfora,  la  sinistra  pare  che  scendesse  obliqua  (traccia  sul  manto 
tenuto  dalla  figura    ritta). 

In  ambedue  le  figure  la  testa  era  assicurata  per  mezzo  di  un  pernio,  di  cui  si  vede 
il  foro  attraverso  il  busto. 

Delle  figure  stesse  sono  modellate  solo  le  parti  che  si  vedono;  le  altre  (dalle  ginoc- 
chia in  giùi  sono  omesse,  rimanendo  come  nascoste  nel  fondo;  e  cosi  pure  l'anfora  è  mo- 
dellata solo  per  tre  quarti,  non  vedendosi  la  parte  posteriore  e  il  piede  L'anfora,  su  cui 
appariscono  le  attaccature  delle  anse  al  labbro  e  all'omero,  è  di  tipo  ellenistico  con  labbro 
e  collarino  sull'omero,  ornati  di  ovoli.  La  lastra  fittile  ha  tre  fori  pei  chiodi  che  rassicura- 
vano a  un  piano  verticale  di  legno  e,  presso  il  margine  destro,  si  conserva  un  chiodo  di 
ferro,   infilato  obliquamente,  lungo  circa  cm.    io. 

Alt.  tot.   mass,   del  frammento  cm.  40;   largii,  tot.   mass.    cm.    }0. 

Busto  muliebre  nido   ti-,.  _-?i. 

8998  Busto  muliebre,   mancante  delle  braccia.   Si   presenta  quasi   frontalmente,   un 

poco  rivolto  verso  destra.  L'altezza  mass,  è  di  caca  cm.  9.  Completamente  nudo,  reca  un 
torques   al   collo,    di   Cui    si   conserva   solo    Lina    patte   a    d. 

8982  —  Sul  busto,  pur  mancando  la  perfetta  commessura,  ben  si  adatta  una  bellis- 
sima testina  di  giovane  donna  (tav.   III.  a).  Q       ta  enta  proprio  di  faci 


—  4o 


germente  inclinata  verso  la  spalla  destra.  Al  pan  del  busto  è  lavorata  quasi  a  tutto  tondo. 
Le  orecchie  sono  coperte  dai  capelli  spartiti  nel  mezzo  e  ondulanti;   il  capo    da    una  ste- 


1  [  —   Busto  muliebre  nudo  (t. 


phane  e,  pan-,  anche  da  un  velo  ricadente  dietro  la  nuca.  Un  foro  che  attraversa  la  testina 
e  si  ritrova    al    sommo    del  busto,  ci  conferma    l'appartenenza  dell'una  all'altro,  essendo 
servito  per  il  pernio  che  assicurava  la  testina  stessa  al  tronco. 
Altezza,  dal  mento  al  sommo  della  stephane,  cm.  6. 


Il 


Gruppo  con  figura  virile  <  i  vmidata  ed  altra  giovanile  ni  da    fi  .   m 

8992   —  Gruppo  frammentario,  costituito  da  una  figura  virile  che  si    presenta    quasi 
di  fronte  e  da  una  figura  giovanile  di  profilo,  la  quale  sembra  trattenuta    dall'alti  1.   Dell 


prima  figura  mancano  la  testa  1;  l'estremità  della  gamba  - 

veva  trovarsi  sulla  lastra  contigua  a  destra.   Dell'altra   figura  mancano  il  torace  con  la  testa, 

le  braccia  e  le  gambe  dal  ginocchio  in  giù. 


—  42  — 

I  omo  è  vestito  di  corto  chitone  cinto  alla  vita  e  d'un  mantello  che  copre  il  petto, 
lasciando  nudo  il  colio  e  scende  a  grandi  pieghe  dietro  il  braccio  sinistro.  La  sua  gamba 
destra  ripiegata,  poggia  coi  ginocchio  sopra  un  rialzo,  mentre  la  sinistra  è  puntata  obliqua- 
mente al  suolo.  Il  bracci"  destro  sembra 
fosse  alzato,  il  sinistro  piegato  invece 
all'ingiù,  forse  per  trattenere  l'altro 
personaggio.  Di  questo  non  si  vede  il 
sesso;  il  suo  bel  corpo  giovanile  è  tutto 
nudo,  fuorché  la  gamba  destra,  coperta 
da  un  lembo  di  hymation  (i).  Mentre 
avanza  rapidamente  versi  ì  I  . 
clamidato,  sembra  trattenuto  da  questo, 
tolse  pei  capelli,  con  gesto  violento  che 
fa  ripiegare  il  suo  busto  all'indietro. 

La  lastra  conserva  parte  dell'orlo 
destro,  spesso  mm.  22,  e  quattro  fori 
per  attacco. 

Altezza  mass,  totale  cm.  25;  lar- 
ghezza mass,  totale  cm.  22;  dalla 
base  del  collo  all'  inguine  della  figura 
virile  cm.  12;  dall'inguine  al  ginoc- 
chio cm.  9  circa.  Dall'inguine  al  gi- 
nocchio della  figura  giovanile  cm.  7. 
n  chitonisco  i      i  Nessuna  traccia  di   colore. 


Figura  virile  in  chitonisco  (fig.  25). 

8986  —  Frammento  di  figura  virile  in  alto  rilievo,  vestita  di  corto  chitone  cinto  forse 
alla  vita  e  in  atto  di  mossa  impetuosa.  Si  conserva  soltanto  dalla  cintola  in  giù  e  manca 
il  piede  destro:  la  gamba  sinistra,  al  disotto  del  ginocchio,  va  a  perdersi  nel  fondo  del  ri- 
lievo e,  sul  davanti,  doveva  esser  nascosta  da  altra  figura. 

Utezza   mass.  cm.    21  ;   larghezza   mass.  cm.    19. 


(1)  Motiv  1    frequente,    oltreché    nell'arte    greca,      ani    ci.,  I,  p.  07.  e  Monumenti   scelti   del   Mus. 
anche  nelle  terracotte  etnische  j  cfr.  per  es.  l'Apollo      arch.  di  Firenze,  I,  tav.  VI-«. 
del  frontone  di    Luni,   in    Milani,    Musco    i/al.    di 


—  4J  — 


Giovinetti  >  nudo 

8985   —  Figura  frammentaria  di  giovinetto  111 

mano  e  del  piede  destro,  della  gamba  sinistra,  E  e 
per  fuggire  0  stia  per  cadere,  ma  sia  trattenuto 
da  un  personaggio  adulto,  di  cui  apparisce  Lina 
mano  sotto  l'ascella  destra  del  giovinetto. 

Altezza  mass.  cm.  16,  larghezza  cm.  10;  dal- 
l'inguine al  ginocchio  cm.   5. 

81)84  -  Testina  a  tutto  tondo  di  giovinetto 
piangente,  con  la  capigliatura  scomposta  e  con  un 
solco  sul  cranio  che  sembra  una  ferita.  Per  le  di- 
mensioni potrebbe  adattarsi  alla  figura  precedente 
(fig.   27). 

Altezza  cm.   5  circa. 


VARIE  parti  di  figure  umane. 


ili-. 

!<5 

alt 

rilievo, 

mane 

ante    della 

test.. 

:  .nip 

letam  'nt 

e   mie 

0;   sembri 

chiù 
gola 


<>ooi    —    Manu    sinistra  (virile?)    con    pugno 

so   che   stringe,   pare,  l'impugnatura   quadran- 

e  d'una  spada.  Braccialetto  al  pulso  (fig.28,flT). 

Lunghezza   lutale  cm.    5. 

81)87   —   Gamba  sinistra  (virile?)  in  altissimo  rilievo,   dall'anca  alla  noce  del   piede. 

Lunghezza  cm.  iS. 
8997  -  Gamba  destra,  forse  della 
medesima  figura,  conservata  solo  dal  gi- 
nocchio al  malleolo;  lunghe/,. 1  cm.  9.  I  e 
proporzioni  di  ambedue  sono  quelle  della 
ir  1  virile  in  chitonisco  sopradescritta 
e.  8992  . 

Siimi»   —  Gamba  destra   in   alto  ri- 
lie\  0,  senza  piede;  pare  di  fanciullo,  date 
le    piccolissime    proporzioni    ri  ,  ■    I 
altre  figure.  Lunghezza  totale  cm.   5  '    . 

Altri  quattro  piccoli  frammenti  di  gambe,  di  cui  uno  panneggiato. 

9003   —  Frammento  in  rilievo  di  chitone  cinto  alla  vita  icm.  6X5'      eomero  de- 
panneggiato (cm.   5        4). 


Fig.  27  -  Testina  di  fanciullo  (t.  e). 


—  44  — 

Altri  cinque  frammenti  in  alto  rilievo  di  seni  muliebri;  uno  nudo,  due  cinti  alla  vita 
e  tutti   panni 

Tre  frammenti  di  braccia  in  alto  rilievo,  di  cui  uno  notevole  per  il  sistema  di  giun- 
i  ira  col  rimanente  pezzo  di  braccio,  a  taglio  angolare  (fig.   2$,  l>,  e). 


Fig.  28  (a,  />,   ed)—  Ft 


PARTI    DI    PANNEGGIAMENTO   DI    FIGURE. 


8994   —   Frammento  in  alto  rilievo  di  figura  (muliebre?)  vestita  di  chitone  talare,  in- 
cedente con  rapida  mossa  verso  sinistra.  Si   conserva    la   gamba    destra    portata   in   avanti 
.  con  mussa  che  ricorda  quella  del  pedagogo   dei  Niobidi   sul    frontone    di 
l.uni  in.  Sopra  la  gamba,  alla  base  del  busto,  la  superficie  dell  1  è  del  tutto  cor- 

rosa (fig.  29). 

Altezza  mass.  cm.  21  ;  larghezza  miss.  cui.   10  circa. 

Venticinque  frammenti  di  bassorilievi  .senza  tracce    della  lastra   del    tondo   cui   aderi- 
sti ih  panneggiamenti  diversi.  11  pezzo  più  grande,  con  pieghe   di  manto  che 
giù  verticalmente,  misura  cm.    1  1  '  ,.    •    7. 


(1)  Milani,  Museo  i/al.  di  ani.  class.,  I.  p.  103,  t.iv.  V. 


15 


Erma  su    altari-:  (fìg.  301. 


8990   —   Angolo  di  altare  quadrangolare  che  vien  fuori  dal   fondo  del   rilievo  (1  ,   col 
piano  superiore  inclinato  in  modo  che  ben  si    scorgono  la  base   dell'erma  sovrap] 
offerte    votive    depositate    ai    piedi    della    mede- 
sima (fig.    }  1  1. 

L'altare  ha  il  plinto  e  il  piano  superiore  al- 
quanto sporgenti  e  ogni  angolo  adorno  di  un 
festone,  costituito  da  benda  largamente  avvolta 
intorno  a  un  serto  di  foglie.  Sull'altare  si  conserva 
un  grappolo  d'uva  e  l'impronta  lasciata  ^\a  un 
altro  sull'argilla.  1  due  grappoli  coprivano  in  parte 
il  plinto  dell'erma.  Dietro  a  quello  conservato  è 
un  foro  per  il  chiodo  di   attacco. 

Altezza  dell'ara  cm.  io  circa  e  sua  sporgenza 
dal  tondo  cm.  8. 

9004  e  9000  —  All'altare  va  unita  -sebbene 
non  commetta)  un'erma  fallica  a  base  piramidata 
e  fusto  quadrangolare  (2),  alta  circa  cm.  24  fino 
al  sommo  del  braccio  desti-  (il  sinistro  manca), 
e  larga  cm.  3  '  ...  Dall'omero  destro  scende  a 
bandoliera  un  serto  simile  a  quelli  dell'altare,  ma 
privo  della  benda  avvolta.  Invece  una  benda 
dagli  orli  ricamati  era  infilata  al  fallo  (se  ne  ve- 
dono pure  le  tracce  sul  pube)  e  scendeva  fin 
sul  plinto,  terminando  con  una  specie  di  frangia. 
La  verga,  lavorata  a  parte,  s'innestava  in  un 
toro  che  torse  serviva  pure  per  un  chiodo  d'al- 
ia. -  0. 

yi'altezza  della  clavicola  dell'erma,  a  destra  del  serto,  si  vedono  due  piccole  promi- 
nenze, che  potrebbero  essere  due  punte  dell'ispida  barba  del  dio,  cui  l' ernia  Lia  con- 
sacrata. 


1     Pei   l'altare  Ji  sbieco  cfr.  Brunn.  Urne  elru-  ak.    Abhand.,    tav.   1  XV,    i;     LX\ 

sche,  I,  tav.  \l.lll.  i~  :   I  MI.  29  :  LXXXII,  14.  [5.  Sarkophagrel..   11.  1  iv.  I  V-LVII.  I' 

(2     l  ■  me  su  altare  frequenti  nell'arte 

nell'arte  greca  ;  v.  Gerhard,  un.  tav     XXVIII,   ;. 


Anche  per  questo  particolare,  attribuisco  all'erma  una  testa  di  Pane  (i),  alta 
dal   mento  al   sommo  del  capo  circa  cm.   7,   la  quale  per  le  proporzioni   si    adatta    all'erma 

fé,  pei  essere  spianata  posteriormente,  doveva  essere  in- 
collata frontalmente  al  fondo  del  rilievo  al  pari  dell'erma 
stessa  (tav.  Ili,  b). 
Il  dio,  dai  lineamenti  assai  pronunciati,  con  robusto 
naso  ricurvo,  occhi  grandi,  tondi,  sporgenti,  sopracciglia 
rigonfie  e  labbra  tumide,  con  baffi  spioventi  e  folta 
barba,  ha  intorno  alla  fronte  un  serto  che  nasconde 
l'attacco  delie  corna  caprine.  Fra  il  serto  e  il  corno  de- 
stro si  conservano  tracce  di  color  rosso. 

Nave  nel  mare  ondoso  (fig.  32). 

8991  --  Frammento  con  altorilievo,  rotto  a  destra 
e  in  alto.  In  ba^vi  conserva  il  suo  zoccolo  arrotondato 
che,  a  smisti. 1,  mostra  la  superficie  di  commessura  ta- 
gliata obliquamente.  Il  rilievo  rappresenta  ondi-  marine 
stilizzate,  sulle  quali  si  scorge  il  piotilo  della  poppa  di 
una  nave  con  timone.   A  destra  è  un  toro   per  attacco. 

Lunghezza  mass.  cm.  28;  alt.  cm.   23. 

9002  —  Frammento  di  alto  rilievo  che  pare  rap- 
presenti parte  della  poppa  (?)  di  una  nave  con  grossa 
corda  a  treccia,   la  quale  passa  sotto  lo  scafo  (2). 

Lunghezza  cm.    1  1 . 

loiso  questo  frammento    faceva    parte    col    1 
dente   di    un    unico    insieme,    al    quale   riferirei    pure   tre 
frammentini   con  onde  manne. 

Fontana  (fig.   33). 

8995         Frammento  di  lastra  con  margine   antico 
Erma  su  aitare  (t.  ci.  a  sinistra  e  due   ton    por  attacco.  Vi  si  vede  in  rilievo 


(n  Cfr.  una  figura  simile  ad  altorilievo  nel  ma-  offerto  dalla  poppa  scolpita  in   rilievo   sulla  roccia 

ncino  di  br.  edito  dal  Furtwangler,  in  Kteine  alla  base  dell'acropoli  di  1  inJ<>s.  Cfr.  Kinch.  Explo- 

S, /n  1  firn,  I.  p,    [80  e  set;.,  tav.   2,  2.  ralion  arca.  de  Rhodes,  1907,  fase.  1.  52,  53;  per 

■i  Nell'arte    greca,    un    bel    riscontro    pel    tip-'  la  nave  nell'arte  etrusca,  v.  Brunn,  Urne  etnische, 


della  nave  con  timone  e  corda  sotto  lo  si 


tav.    XXIII,    I  \. 


—  47 

una  parete  rocciosa  con  bocca  di  fontana  a  testa  leonina    i  etto  d'acqua  che  cade  in 

una  vaschetta  concava,  di  cui  si  scorge  il  profilo. 

Altezza  mass.  cm.   j;,  larghezza  cm.    19;  testa  leonina  cm.  4  X  5  '/.,. 


Fig.  11   —  Altare  ajorno  Ji  serti   (t,   e  ). 


ALTRI    FRAMMENTI    VARI. 


8998  —  Frammento  Ji  base  triangolare  con  angolo  smussato,  sulla  quale  si  scorge  il 
piede  circolare  di  un  vaso  con  ovoli  sul  cerchio  donde  aveva  origine  il  corpo  del  vaso  (fi- 
gura  28  a). 

Lunghezza  del  lato  maggiore  della  base  cm.   io. 

—   Frammento  di  protuberanza  globulare  che  aderiva  al  fondo   in   basso. 

Diametro  cm.    5  '  '.,. 

PEZZI    DI    LASTRE    DEL    FONI)'). 

9003  —  Due  frammenti  di  lastre  del  fondo  (cm.  11  X  '°  e  10  X  7  '  _■'•  spesse  mra.  23, 
sulle  quali  sono  traccie  di  bassorilievi   non   identificabili,   eseguiti    a   stecco. 

(1)  Cfr.  la  fontana  sulla  cista  Ficoroni,  in  Winter,       pure  urna  di  Chiusi  in   Kòrte,   Cri 
Kiinstgeschìchte   in    Bildern,   I,  tav.  <jo,    5.  Cfr.       tav.   LXIV,  6. 


Sopra  un  altro  frammento  (cm.  14  X  8  '  .  1]  |  artenente  all'angolo  destro  interiore  di 
una  lastra  spessa  cm.  2  '/„,  si  vedono  le  tracce  di  una  corona  e,  in  rilievo,  1  nastri  ondeg- 
gianti della   medesima.   In  alto  a  sinistra  è  un  turo  per  attacco. 

Quattro  frammenti  di  lastre,  spesse  cm.  2  '  ..-3  con  tracce  di  rilievi  e  orlo   ini 
spianato.  Due  di  essi  conservano  ciascuno  un  foro  per  attacco.  Altri  dieci  frammenti,  pure 


appartenenti  a  lastre  del  fondo,   hanno  tracce  di  bassorilievi  non  idi  li  essi 

ita  tracce  d'un  foro  pei   attacco  e  di  coloi   rosso  in  una  steccatura. 
Diciannove  piccoli  frammenti  non  riferibili  alle  lastre  del   fondo,  con  tracce  di  rilievi  in- 
isì,  eh:'  11  in  si  p  issono  identificare. 


Materiale.         Le  terrecotte  sopradescritte  sono  d'impasto  piuttosto  fine,  contenente 
pochi  grani  scuri  e  altri  giallo-lucenti  cerne  oro.   La  cottura  regolare  ha  dato  loro  un  co 

0  me,   il   quale  in   alcuni   punti    si    è    cambiato  in   grigio  S  uro  a  causa  del- 
l'incendio che  arse  l'edificio  cui  le  terrecotte   appartenevano. 

La  -  urata  non  è  rivestita  di  alcuno  strato    li  argilla  più   fina,  come  talora 

si  osserva  nei  rilievi  fittili,  e  neppure  è  molto  levigata,  ma  si  deve  immaginare   tutta  di- 


—  49  — 

pinta  a  vani  i  ,   resti  -  he  q  ial<  he 

e  forse  in  alcuni  punti  di  giallo. 

Tecnica.  —   I  rilievi  figurati  sono  distribuiti  su  m.  2-^; 

(di  dimensioni   non   precisabili   perchè 
zoccolo  arrotondato,  t,   ne;   punti  meno  visibili  dello  figure,    traversate  da  fori  nei  quali  m 


conficcavano  lunghi   chiodi  di  terrò,  necessari  pei    tenere    le    lastre    ass  ai  piano 

verticale  di  legno. 

Per  le  giunture  verticali  le  lastre  hanno 
obliquo,  in  modo  che  una  lastra  si   sovrapponeva    un  ippresen- 

tazione,  0  anche  rimira  umana,  si  tro 

del  corpo  è  sopra   una  lastra    e    la    rimanente    su  la,    e  l'innesto  delle   parti 

(d'un  braccio  0  di   una  gamba  p.  e.)    è    fati 
lare,   siccome  vede>i   no 


—  50  — 

Le  figure,  tutte  plasmate  liberamente  a  mano,  a  un  quarto  circa  del  vero,  furono  in- 
aile lastre,  che  ne  costituiscono  il  fondo,  quando  l'argilla  era  ancora  fresca  e  soltanto 

.  Minute  con  lo  stecco,  i  cui  segni  restano  visibili,  specie  nei  panneggiamenti. 

L'abile  artista  le  dispose  su  due  piani;  quelle  del  primo  piano  lavorate  ad  altissimo 
rilie\n,  nel  corpo,  e  a  tutto  tondo  nelle  teste  (figg.  22-24);  quelle  del  secondo  piano  a 
rilievo  che  va  diventando  sempre  più  pronunciato  dal  basso  verso  l'alto.  Le  teste,  com- 
pletamente isolate  o  appena  aderenti  al  Ionio,  erano  assicurate  alla  figura  per  mezzo  di 
perni   penetranti   nel   busto. 

Delle  figure,  concepite  con  arditissimi  scorci,  sono  modellate  solo  le  parti  visibili  e 
spesso  anche  dei  personaggi  alcune  parti  quasi  si  perdono  nel  fondo,  aceri  ini-  Li  vi- 
vacità della  rappresentazione. 

I.a   massima   sporgenza  del   rilievo  si   può  calcolare  a  circa    10  cm. 

SI  U.K.   —   Specialmente   la   distribuzione  delle   figure  su   due   piani,   la    varietà   1 

binaziom'   dei    I movimenti,   e   l'arditezza   degli   scorci   dà   alla   rappresentazione  un  aspetto 

pittorico,   tali'   da  tarla   sembrare  un  quadro  fittile  al  pari  della  strage  dei  Niobidi  sul  frontone 
del  tempio  di  Luni  del  sec.  Il  (1),  della  morte  di  Anfìarào  sul  frontone   settentrionale  del 
tempio  di    ralamone  (2)  e  del  saccheggio  di  Delfi  da  parte  dei  Galli  sul  fregio  del  1 
di  Sassoferrato  (3). 

Va  per  di  più,  nei  rilievi  di  Yetulonia,  la  vivacità  della  scena  è  accresciuta  dalla  na- 
turalezza  del  paesaggio,  che  ci  ricorda  quella  di  alcuni  rilievi  ellenistici,  veri  quadretti  di 
genere  dell'arte  alessandrina;  qua  è  l'ara  adorna  di  sciti,  con  le  offerte  votive  innanzi 
all'erma  di  Pane,  là  una  nave  nel  mare  ondoso,  altrove  una  fonte  col  suo  vivo  getto  d'acqua 
Sgorgante  dalla  roccia  attraverso  una  testa  leonina.  E,  come  questi  soggetti,  così  puri 
figura  è  trattata  con  tocchi  rapidi  e  sicuri,  da  mano  maestra,  la  quale  solo  in  qu 
figura  derivata  con  special  cura  dal  miglior  repertorio  ellenico  (p.  es.  nei  busti  e  nella  te- 
stina muliebre)  si  è  indugiata  nella  rifinitura,  ma  del  resto  ha  secondato  l'impulso  del  suo 
genio  creativo. 

Così  la  modellatura  dei  nudi  è  rimasta  quasi  sempre  spigliata  a  un  tempo  e  vera, 
sia  nella  delicatezza  dei  corpi  muliebri  e  giovanili,  sia  nella  muscolosità  vigorosa  de«li 
adulti;  e  veto  altresì  è  il  panneggio,  nel  quale  pochi  colpi  di  stecco  sono  talora  bastati  a 
imprimere   il   movimento  della   mossa   violenta  (es.   in   figg.    25    e     ig 

Ed  è  nel  movimento  uno  dei  maggiori  pregi  di  queste  terrecotte;  nel  movimi!" 

ito,  ma  spontaneamente    giusto,    sia    che    il    bel   corpo  muliebre  s'induci  quasi  in  un 


(1)  Milani,  Museo  Hai.    ili   ani.  ri..    I.  p.  99  e          (3)  Brizi.\  Notizie  degli  scavi,   1897,   p.    296  e 
segg.  ;  Museo  top.  dell' Etruria,   p.  77.  segg.,    figg.    12-17.    e    1903.    p.    177.    figg.    1-6; 

(2)  Milani,    Museo    top.    dell' Etruria,    p.  90  e      Guida  del  Museo  civico  di  Bologna,  p.    76  (sala 
Guida,   1,  p.  258;  II,  tav.  CIV.  Vili). 


atteggiamento  di  molle  abbandono,  sia  che  il  corpo  del  giovinetto    s'arresti  all'im] 
reclinandosi  all'  indietro  contro  la    maschia    possa     li  ll'avv    rsarii      E    forse    una    scena    vio- 
lenta si  svolgeva  davanti  alla  calma  imperturbata  della  rigida  ernia  del  sonnecchiante  iddio. 

Quanto  ai  tipi  delle  figure,   apparisce  subito  per  alcuni  di  essi 
modelli  greci   del    [V  secoli.,   ispirazione    attinta    torse   non    direttamente    dalle    grandi  opere 
statuarie  della  scuola  di  Scopa  e  di  Prassitele,  ma  piuttosto  dalle  bellissime  ligure  in  I 
(del  genere  di  Tanagra)  che,  nel  sec.  IV,  riproducevano  1  tipi  suddetti  con  raffinata  i 

Nella  graziosa  testina  muliebre  del  tipo  di  Afrodite,  dolcemente  reclinala  a 
ornata  di  stephane,  coi  capelli  spartiti  sulla  fronte  e  scendenti  sulle  orecchie  in  due  masse 
ondulate,  con  la  fronte  alta  e  diritta,  gli  occhi  leggermente  alzati  con  la  palpebra  inferiore 
appena  accennata  e  la  bocca  socchiusa,  si  ritrova  infatti,  per  quanto  illanguidita,  una  re- 
miniscenza prassitelicà  (i).  La  figura  muliebre  dal  corpo  nudo,  abbandonato  sulle  ginocchia 
coperte  dal  manto,  è  pure  un  tipo  noto  fra  le  terrecotte  greche  del  IV  sec.  e  volentieri 
imitato    dagli   artisti   etruschi  (2). 

D'altra  parte,  nel  gruppo  della  fìg.  24,  il  corpo  del  giovinetto  nudo,  ripiegato  all' in- 
dietro, ha  qualcosa  che  ricorda  la  Menade  di  Dresda  dal  Treu  attribu  1  (3)  ma 
meglio  riferibile  all'arte  ellenistica  del  sec.  Ili  a.  C.  (4).  Ma,  accanto  a  questi  ricordi  di 
arte  ellenica,  abbiamo  delle  concezioni  tutte  proprie  dell'arte  etnisca,  qual' è  la  testa  del- 
l'erma che,  nel  suo  crudo  naturalismo,  ci  riporta  più  che  al  tipo  di  Pane,  al  tipo  di  Charun 
o  di  Tuchulcha  e  degli  altri  demoni  frequenti  sulle  urne  e  sui  vasi  etruschi.  Anche  alcuni 
dettagli,  come  la  forma  e  disposizione  dell'altare,  e  il  chitone  con  maniche  separa 
figura  muliebre  ritta  (fìg.  22),  mi  sembrano  del  tutto  proprii  dell'arte  etnisca,  sicché  non 
dubito  che,  come  quasi  tutte  le  terrecotte  trovate  in  Etruria,  anche  queste  di  Vetulonia 
siano  un  prodotto  dell'arte  indigena,  la  quale,  pur  sempre  ispirandosi  li  modelli  greci,  seppe 
dare  un  carattere  e  una  forza  tutta  propria  a  questo  ramo  della  sua  produzione  artistii  ■- 
industriale,   nel   quale   raggiunse   un   alto  guido  di   perfezione. 

Collocazioni-;  originaria  delle  lastre  figurate.  --  Lo  stai.,  di  conserva- 
zione delle  lastre  figurate  è  tale,  che  neppure  si  può  determinare  con  sicurezza  il  posto  che 
occupavano  nella  decorazione   dell'edifìcio   dal    quale    provengono.    Ma,   sebbene  mi   sembri 


(1)  Cfr.  la  testa  muliebre  Ji  Faleri,    in     x-  ■■■     <  cetile,  in    Milani,     1/."-.    fof>.    dell 

degli  scavi,   [887,  p.   138,    a;    1888,    p.    418,   1;  e  no.   V.  inoltre  l'Arianna                    :  ì  frontone 

Deonna,   /.es   statua  de  terre    cuite    dans   fanti-  di    Sassoferrato,    in                                         .     1897, 

quité,  p.    121   e  segg.  p.    ;86-7,                       I             ipita,  sopra  un'urna 

(2)  VVinter,  Die    Typen  der  figiìrlichen     Terra-  di    Volterra,    in    Brunii.     1  1  ne   etnische,    I.    tav. 
kotten,   il.   p.  126,  4,  ;  I  Uen  :)  ;   128,  4  (Tan  igi  1    :  \\  II,   1. 

151,7  (Taranto)  ;  202          (          1  ■■  .    Per  la  produ-  I                                            , 

zinne  etnisca,  cfr.    la    Medusa    di    un'antetìssa    .li  (4)  l.owy,   in   Ausonia,   II,   p.   85      G 

Bolsena  e  l'Arianna  sul  pinax  Ji    un'edicola    vul-  Vili,   p.    104  <_■  segg. 


—  52  — 

troppo  assoluta  l'affermazione  del  Deonna,  ch'esse  formavano  senza  dubbio  un  fregio  (i), 
tutta\  i   attribuirle  proprio  a  un  fregio  piuttosto  che  ad   un   frontone. 

Tra  i  frammenti  conservati   non  si   trova   alcuna  tra  ire  inginocchiate,  sedute 

.1  sdraiati,  né  di  elementi  decorativi  che  si  prestino  a  riempire  le  parti  angolari  del  tim- 
pano. Inoltre  lo  zoccolo  continuo,  che  cine  alla  base  di  ogni  lastra,  mi  pare  più  adatto 
per  un  fregio;  e  infine  le  dimensioni  delle  ligure  e  la  minutezza  di  alcuni  loro  tratti  ci 
obbligano  a  immaginarle  situate  a   non  grande  altezza. 

Certo  esse  appartenevano  a  un'edicola  di  assai  modeste  proporzioni,  quale  è  ad  esempio 
l'edicola  di  \  ulci,  di  cui  vedesi  il  front.. ne  ricostruito  nel  museo  archeologico  di  Firen/. 
Questa  edicola,  larga  in  facciata  non  più  di  m.  3,  secondo  la  ricostruzione  del  Milani, 
basata  sul  confronto  di  un'urna  fittile  a  tempietto  della  Cecina  (3),  aveva  la  testata  della 
trave  maestra  del  columen  adorna  di  un  pinax  fittile  con  figure  in  rilievo  a  un  terzo  del 
m  poco  più  -laudi  che  le  figure  delle  terrecotte  Ji  Vetulonia.  Sempre 
secondo  la  ricostruzione,  il  pinax,  situato  nell'alto  del  timpano,  verrebbe  a  trovarsi  a  un'al- 
tezza di  circa  m.  3,50;  quindi  le  terrecotte  di  Vetulonia,  di  dimensioni  minori,  dovevano 
staie  anche  più  in  basso.  Ma  vi  è  un  particolare  che  può  indicarcene,  se  non  erro,  l'al- 
tezza quasi  precisa,  ed  è  lo  scici.,  col  quale  si  presenta  l'altare.  Al  piano  superiore  di 
questo,  l'artista  -  per  lasciar  vedere  le  offerte  depostevi  -  ha  dato  una  inclinazione  tale, 
che  bisogna  collocare  l'altare  a  poco  più  di  due  metri  di  altezza  per  averlo  nel  suo  giusto 
punto  di  vista.  Collocando  l'altare  più  in  basso,  l'inclinazione  non  sarebbe  necessaria  perchè 
le  offerte  si  vedrebbero  anche  senza  di  essa;  collocandolo  più  in  alto,  l'inclinazione  stessa 
non   raggiungerebbe  più   lo  scopo,   perchè  le  offerte  non  si  vedrebbero. 

Se  dunque   le   terrecotte  di  Vetulonia  erano  ad   un'altezza  di  poco  più  di  m.  2,  no     |   1- 
1  adornare  il  timpano  di  un'edicola,  per  quanto  piccola,  ma  soltanto  il  fregio. 

SOGGETTO.  —  Molto  diffìcile,  direi  quasi  impossibile,  mi  sembra  il  riavvicinare  queste 
dìsjecta  membra  in  modo  da  rintracciare  il  soggetto  in  esse  raffigurato.  Che  il  gruppo  con 
due  figure  muliebri  (fig.  22)  rappresenti,  cine  disse  il  Milani  (5),  «una  ninfa  sorpresa 
alla  fontana  »,  mi  pare  assai  dubbi..,  parche  nulla  prova  che  la  fontana  debba  riconnet- 
tersi  ci  gruppo  suddetto.  E  poiché  non  solo  ci  manca  qualsiasi  dato  di  tatto  per  avvi- 
cinare un  pezzo  all'alti..,  ma  probabilmente  sono  molti  i  pezzi  perduti,  è  lecito  appena 
arrischiare  qualche  congettura. 

Si  'immagina  che  il  fregio  corresse  sui  quattro  lati  dell'edicola,  allora  si  potrebbe 
anche  pensare  a  più  scene  distinte  0  successive,  ma  se  si  trattasse  di  un  fregio  limitato 
alla  parte  anteriore  dell'edificio,  allora  bisognerebbe  ammettere  un'unica  rappresentazione,  sia 


(1)  Vedi  innanzi,  p.   57.   noi  (4)  Durm,    Dk     Baukunst   der  Etrusker   ioni 

Milani,  Guida,   I.  p.  265;  II.  tav.  CVIII.  Rómet    .  p.  No  e  m-cr..  iìk-  90. 

(3)   Milani,   Guida,   II,  tav.   LXXVIi,    1.  (5)  Guida,   I.  p.  42  e  220. 


—  53  — 

pure  comprensiva  e  senza  determinazione  di  un  preciso  m ento,  sic  li  rado  si 

verifica  nell'arte  antica.  In  un  altro  tempii'  etrusco,  in  quello  di  Sassoferrato,  del  quale  si 
è  recuperata  buona  parte  della  decorazione  fìttile,  -  il  fregio,  per  quanto  sappiamo,  rap- 
presentava appunto  un  solo  soggetto:  la  cacciata  dei  Galli  da  Delfi. 

Le  terrecotte  di  Vetulónia,  nel  loro  assieme,  ci  farebbero  pensare  a  una  scena  di 
sorpresa  e  di  ratto  fra  donne  e  fanciulli,  che  stavano  ad  una  fonte  e  presso  un  altare, 
da  parte  di  predoni  sbarcati  dalla  loro  nave;  forse  a  un  episodio  della  saga  troiana,  quale 
lo  sbarco  dei  compagni  di  Ulisse  nel  paese  dei  Ciconi  {Odissea,  IX,  $9-42).  Ma  questa 
non  è  che  una  vaga  supposizione,  poiché  una  scena  simile  non  si  ritrova,  ch'io  sappia, 
su  altri  monumenti  etruschi,  e  neppure  sulle  urne,  le  quali  ci  conservano  il  più  vasto  re- 
pertorio di  soggetti   mitologici  ed  eroici   desunti   àaNepos  greco, 

Siccome  ho  già  avuto  occasione  di  notare,  si  ritrovano  sulle  urne  etnische  soltanto 
singole  figure  d'altare  con  l'erma,  la  nave,  la  figura  muliebre  seminuda)  trattate  in  ma- 
niera simile  a  quella  delle  terrecotte  vetuloniesi  e,  fino  a  un  certo  punto,  il  gruppo  della 
fig.  24  ricorda  Telefo  minacciante  (ireste  giovinetto  (1)  0  Achille  che  uccide  Trailo  (2) 
di  certe  urne,  ma  riscontri  simili  non  bastano  per  determinare  il  soggetto  del  fregio  ve- 
tuloniese. 

Data.  —  11  Milani  l'attribuiva  al  sec.  IV  (Guida,  I,  p.  jjoi,  con  tendenza  al  III  a.  C. 
(Ivi,  li,  p.  1 5 ì,  e  veramente  io  penserei  piuttosto  alla  metà  che  al  principili  di  questo  se- 
colo, non  certo  al  IV.  Sebbene  l'ispirazione  da  qualche  tipo  greco  dell'epoca  prassitelica 
sia  ammissibile,  tuttavia  lo  stile  e  certi  dettagli  delle  terrecotte  di  Vetulónia  non  ci  per- 
mettono di  risalire  fino  al  sec.  IV.  A  proposito  dei  torques,  che  le  figure  muliebri  recano 
al  collo,  il  Milani  stesso  osservava  (3)  che  questo  ornamento  gallico  venne  in  moda  111 
Etruria  dopo  il   2S3  a.  C. 

Anche  il  costume  delle  lunghe  maniche  separate  si  trova  nella  figura  del  frontone  di 
Talamone,  e  su  alcune  urne  non  anteriori  al  sec.  Ili  141.  Infine  i  due  vasi  che  appariscono 
sul  fregio  di  Vetulónia,  per  la  forma  e  per  la  decorazione  ad  ovoli  sul  labbro,  alla  base 
del  collo  e  del  corpo,  riproducono  appunto  tipi  ben  noti  fra  le  ceramiche  volsiniesi  a  rilievo 
del   sec.    111-11   a.   C.  (5). 

D'altra  parte  lo  stile  delle  terrecotte  di  Vetulónia  ci  riporta  appunto  alla  migliore  epoca 
etrusco-romana,  alla  quale  appartengono   le   terrecotte  di   baleni   e  di    L uni. 


(1)  Brunn,   Urne  e/rusche,  I,  tav.   XXIX,  0.  10  nel    frontone  di    ralamone,  quella   dell'urna 

(2)  Ivi,  tav.  I.X1.  27,  dove  la  mussi  delle  gambe  volterrana  edita  in  Rrunn.  Urne  etnische,  I.  p.  io, 
del  guerriero,  che  poggia  il  ginocchio  destro  sul-  tav.  VII.  14  e  quelle  della  maggiore  urna  dell'  i- 
l'altare,  è  identica  a  quella  della  iigura  virile  del  pogeo  dei  Volumni,  in  Korte,  Pas  l'otumniergrab, 
nostro  gruppo  ,Siji|2.  p.    iS.   tav.  Vi. 

(i)  Museo  i/a/,  dì  ani.   clas.,    I.   p.  96,    n.    1.  I.   p.    156  e  n<>. 

(4)  Cfr.  ad  es.   la  Furia  innanzi  al   carro  di    \n- 


—  51  — 

Sia  nel  trattamento  dei  nudi,  sia  nei  panneggi,  sia  nel  movimento,  le  figure  del  nostro 
fregio  riproducono  in  piccolo  il  nobile  stile  dei  frontoni  di  Luni  e,  per  la  molle  idealità  e 
il  pathos  delle  teste,  ricordano  altresì  le  belle  figure  di  Faleni,  databili  con  sufficiente  si- 
curezza alla  puma  metà  del  sec.  in  e  certo  a  prima  del  241  a.  C,  data  della  distruzione 
di  quella  città. 

Cosicché  i"  riterrei  presso  ;i  poco  contemporanee  le  terracotte  di  l-'alerii  e  di  Vetu- 
lonia  e  quelle  del  più  antico  tempio  di  Luni  (prima  metà  del  sec.  Ili  a.  C);  poco  poste- 
riori quelle  del  secondo  tempio  di  Limi  (fine  del  sec.  HI  -  principio  del  Ih,  e  ancora  un 
poco  più  recenti  quelle  di  Talamone  e  di  Sassoferrato  (sec.  11  a.  C). 

Firenze,   novembre  /<;/■;■ 

Luigi  Pernier. 


GRVPPI  DI  BACCO  CON   VN  SATIRO 

I  lAV.    I\ 


L'ebbrezza  di  Dioniso,  motivo  caro  all'arte  greca  nei  suoi  vari  momenti  e  nelle  si- 
tuazioni più  diverse  e  più  complesse,  fornisce  materia  nella  seconda  meta  del  IV  secolo 
a.  C.  a  rappresentazioni  statuarie  che  presentano  di  fronte  a  quelle  che  le  seguono  e  che 
forse  ne  derivano,  una  particolare  importanza.  Intendo  parlare  dei  gruppi  ben  noti  che  ci 
mostrano  Dioniso  stante  sulle  gambe  malferme,  il  braccio  destro  appoggiato  sul  capo,  del 
tipo  del  cosidetto  Apollo  Liceo,  sostenuto  e  guidato  da  un  giovane  satiro;  tra  i  quali,  e 
per  i  suoi  caratteri  stilistici  e  per  il  su,,  stato  di  conservazione,  è  degno  di  particolare  nota 
e  studio  quello  donato  alla  repubblica  nel  1586  con  tutta  la  collezione  del  patriarca  Clio- 
vanni  Grimani,  ora  nel   Museo  Archeologico  di   Venezia  (Tav.  IV). 

A  proposito  di  esso  così  si  esprime  il  Camaldolese  Germanico  de  Vecchi  nella  Stona 
del  Friuli,  codice  cartaceo  del  secolo  XVII,  foglio  122,  conservato  nella  Biblioteca  di  S.  An- 
tonio di  Padova:  <■  In  una  sala  poi,  ove  ha  principio  un  nobile  appartamento  del  Palazzo 
(Grimani),  si  vede  una  reverendissima  antichità...  alla  quale  si  dice  da'  periti  dell'arte  che 
ninna  si  può  appareggiare...  Queste  sono  due  figure  ignude  di  un  istesso  pezzo  di  marmo; 
una  è  Bacco  in  piedi  bellissimo  maggior  del  naturale  assai;  l'altra  è  un  Fauno  grande  dal 
naturale.  11  Bacco  tiene  il  bracci'.)  destro  sopra  la  testa,  et  col  braccio  sinistro  tenendolo 
sulle  spalle  del  Fauno  pare  che  lo  abbracci,  et  il  Fauno  alza  il  viso  quasi  che  parli  col 
Bacco.   Questa  venne  portata  con  grandissima  spesa  e  tratta  di  Grecia  delle  mine  d'Atene  ». 

È  esagerata  l'ammirazione  del  buon  frate  Camaldolese,  né  si  tratta  di  un  originale  1 1 1, 
ma  certo  questo  gruppo  presenta  un  carattere  di  unità  che  manca  ad  altri  consimili  e  me- 
nta,  torse  più   degli  altri,   un  attento  esame  stilistico. 


11)  Pellegrini,  Guida  del  Museo  Archeologico  di  ginale  in  bronzo.  I   1  figi  !  1  è  alta  m.  2,03, 

Venezia,  p.  56,  s;.  osserva  die  la  notizi  1  della  prò-  quella  del  satiro  ni.  1,68.  V.  Pellegrini,  op.  cit.  p.  S4 

venienza  Ja  Atene  e  possibile,  non  è  però  assolu-  sgg.  tav.  XIX.  Zanetti,  Ani.  U.  gr.  e  rom.,  11.  20. 

tamente  accertata,  anche  per  il  fatto  che  il  ni. unici  Clarac,  Mus.  de  scalpi.,  tav.  6<j4  n.  [635.  Reinach, 

in  cui  il  gruppo  e  lavorato  non  è  il  pentelico,  ma  Refi.,  1.  p.   >ss.  6.   Valentinelli,  Marmi  scolpili  del 

il  solito  marmo  a  grana  sottilissima    cristallina,   a  Museo  Ardi,  della  Marciana  di  Venezia,  tav.  XIII, 

tinta    gialletta  che  molto  gli  assomiglia,   e  crede  il  p.   5Ó  e  57.    Bi  ,.11111,   Denk.    I 

gruppo  copia  dell'età  imperiale  romana  da  un  ori-  tav.  6;  | 


-  56  - 

Prassitelico  indubbiamente  è  lo  schema  della  figura  di  Dioniso,  che  risale  al  noto  tipo 
Jel  cosidetto  Apollo  Liceo,  e  poco  monta  per  l'indagine  stilistica,  se  in  origine  questo  at- 

tmento  fosse  proprio  del  dio  del  vino  diesi  abbandona  vinto  dall'ebbrezza,  come  vor- 
rebbe il  Thraemei  (i),  o  di  Apollo  rappresentato  nel  momento  della  creazione  poetica.  Ma 
nella  testa  (Fig.    [),   parlano  dell'arte  di  Scopa,    sotto  la  ricca    acconciatura    cinta   di  edera 


Re.  i. 

e  di  tenia,  gli  occhi  incassati  nelle  orbite  piene  d'ombra  tra  l'osso  frontale  sviluppato,  gli 
zigomi  sporgenti  e  l'angolo  interno  del  naso,  le  narici  non  carnose,  ma  esili  e  fortemente 
rilevate  nei  contorni,  il  labbro  inferiore  dagli  angoli  rialzati  in  una  piega  che  ha  qualcosa 
di  amaro  sul  mento  segnato  da  una  profonda  depressione.  Nel  modellato  del  volto,  non 
ovale  ma  di  sagoma  tondeggiante,  è  un  rapido  passaggio  dalla  sporgenza  degli  zigomi  sotto 
l'occhio  alla   linea  quasi   retta   delle  guani 


(i)  In  Roscher,  Lex.dei  ^riecA.undr&m.  Myth..\,   (142. 


Nella  figura  del  satiro  la  posizione  del  corpo   invertita  è  però  simile  a  quella 
tiro  che  versa  da  bere,  ma  se  in  questo,  come  nel    doriforo,    l'atteggiamento   del 
un  semplice  espediente  artistico,  qui  trova  la  sua  ragion  d'essere  nel  fatto  che  il  satiro  sta 
per  muoversi  realmente.  La  testa,  dai   capelli  un   po'  ruvidi    disposti    a    larghe    ciuccile,    è 
rivolta  dalla  parte  su  cui  grava  il  corpo,  ma,   non  lievemente  reclinata  come  nelle  creazioni 


prassiteliche,  è  levata  in  alto  e  tutta  protesa  verso  Dioniso,  con  espressione  seria,  un  po'  vol- 
gare di  fronte  (Fig.  2),  che  però  nel  profilo  acquista  un  carattere  di  pathos.  La  muscola- 
tura non  ha  la  mollezza  dei  satiri  prassitelici,  ma  qualcosa  di  duro,  di  secco,  di  nervoso, 
ben  adatto  all'essere,  che  nell'orecchie  aguzze  ricorda  ancora  la  sua  origine  tra  umana  e 
ferina  in,  mentre  la  nebride,  die  attraversa  il  corpo  a  guisa  di  scialle  e  contrasta  nella 
sua  rozza  ruvidità  colle  carni  nude,  segna  un  ritorno  all'arte   di   Prassitele. 


(1)  Nel  otp"  Jel  satiro  è  palese  la  derivazione  Ja  un  originale  in  bronzo. 

Ausonia  -  Anno  IX. 


-58- 

Esaminando  il  gruppo  nel  suo  insieme,  risulta  evidente,  che  kartista  ha  cercato  di 
unire  la  figura  di  Dioniso  a  quella  del  suo  compagno  con  un  legame  che  non  è  il  sem- 
plice accoppiamento  materiale.  L'altezza  del  satini  è  proporzionata  a  quella  del  din,  non 
è  di  troppo  inferiore  come  in  altri  gruppi;  le  forme  camuse  di  Dioniso  non  contrastano 
troppo  per  la  loro  abbondanza  con  quelle  magre  e  svelte  del  satiro,  come  per  esempio  av- 
viene nel  gruppo  Ludovisi;  l'inclinazione  vici  corpi  conferisce  all'insieme  una  nota  di  unità 
armonica.  Alla  linea  ondulata  e  sporgente  del  lato  destro  del  corpo  di  Dioniso  risponde  la 
curva  che  il  braccio  sinistro  del  satiro  disegna  verso  l'esterno  (i),  al  rientrare  dell'anca  si- 
nistra di  Dioniso  fa  riscontro  il  lato  destro  del  corpo  del  giovane  compagno  che  tutto  si 
protende  verso  lui,  mentre  col  braccio  destro  ne  cinge  il  dorso,  tanto  che  le  estremità  delle 
dita  escono  dalla  parte  opposta,  poco  sotto  l'ascella  del  dio.  Non  siamo  insomma  di  tniute 
a  un  Dioniso  del  tipo  dell'Apollo  Liceo  accanto  al  quale  l'artista  ha  posto  un  satiretto,  quasi 
in  sostituzione  del  più  comune  tronco  intorno  a  cui  si  attorciglia  la  vite  (2),  ma  davanti  a 
un  vero  e  proprio  simplegma  dionisiaco.  Il  dio,  ritto  sulle  gambe  malferme,  lo  sguardo  per- 
duto nel  vuoto,  è  vinto  da  un'ebbrezza  che  ha  qualche  coso  di  doloroso;  alla  sua  figura, 
piena  di  un  languore  morale  e  fisico,  i  cui  contorni  quasi  si  smarriscono  e  si  perdono,  si 
contrappone  quella  agile  e  vigile  del  giovane  suo  compagno  tutta  vibrante  di  attenzione  e 
di  sollecitudine,  né  distrae  l'occhio  o  interrompe  il  legame  che  unisce  le  due  figure  la  pan- 
tera, che   non   doveva  esistere  nell'originale  e  che  si  trova  in  quasi  tutte  le  altre  copie. 

Dei  numerosi  gruppi  di  Dioniso  e  un  essere  del  suo  tiaso  nei  quali  Dioniso  conserva 
lo  schema  del  cosìdetto  Apollo  Liceo,  uno  dei  più  vicini  a  quello  Veneziano  è  quello  fram- 
mentario (restano  solo  i  due  torsi  e  pochi  altri  frammenti)  rinvenuto  in  Alessandria (3).  Le 
proporzioni  del  satiro  armonizzano  con  quelle  del  dio,  la  sua  mano  arma  all'alte! 
destro  sulla  schiena  di  Dioniso  e  la  testa  non  ne  sorpassava  forse  la  spalla.  Il  satiro  porta 
.1  tracolla  una  pelle  di  capra,  di  cui  la  testa  pende  sul  lato  destro  del  petto  e  il  resto  ne 
copre  soltanto  una  parte  del  ventre  e  del  fianco;  nel  braccio  sinistro  doveva  reggere  un 
qualche  oggetto,  torse  il  bastone  ricurvo.  Il  suo  editore,  il  Breccia,  che  paragona  il  gruppo 
di  Alessandria  a  quello  Chiaramonti,  osserva  che,  mentre  in  questo  il  satiro  è  in  atto  di 
camminare,  in  quello  «  ha  le  gambe  assai  poco  divaricate  come  di  persona  stante  1 
Probabilmente,  per  quanto  si  può  giudicare  dal  torso  che  ne  rimane  e  dalla  gamba  sinistra 
troncata  al  disopra  del  ginocchio,   il  satiro  aveva  un  atteggiamento  ass.u   simile  a  quello  di 


(1)  Il  braccio  è  di  restauro,  ma  lo  credo  conforme  fosse  un  essere  animato,  ma  un  sostegno  materiale 

all'originale.  qualsiasi. 

(li   Nel    gruppo    Ludovisi,   (Helbig,  Fii/irer2,    II,  (3)  Breccia,  Bulletin  di  la  Soci,'/,-  archèologique 

n.931;  BrunnBruckmann,  ZVaA.  Testo  alla  tav.  620,  d' Alexandrie,   Vili,  p.   128;   Annales  du 

fig.  5),  Paribeni,  (.nula  del  Musco  Nazionale  Re-  des  Antiguités  de  VEgypte,   VI,  1906,  p.  130-31; 

mano,  2a  ed.,   n.   60,    Dioniso  appoggia   il    gomito  VII,   1907,  p.  221-25,  fig.   1. 

sinistro  sulla  spalla  del  piccolo  compagno,  quasi  non  (4)  Breccia,  Annales,   VI,  p.  131. 


—  59  — 

Venezia,  che,  se  non  è  di  persona  che  stia  ferma,  certo  non  contrasta  troppi 

collo  stare  di   Dioniso,  come  nel  gruppo  Chiaramonti  e  più  ancora    in    quello    Ludovisi,    e 

lascia  all'insieme  un  carattere  di   unità  organica. 

Una  abbastanza  stretta  coesione  tra  le  due  figure  si  nota  anche  nel  gruppo  non  finito, 
rinvenuto  vicino  al  recinto  settentrionale  del  tempio  di  Zeus  Olimpico  in  Uene  i  , 
ha  però  una  variante  notevole:  il  dio  poggia  il  peso  del  corpo  sulla  sinistra  invi 
sulla  destra  (2).  Il  Ducati  ne  tenta  la  identificazione  col  Dioniso  e  l'Eros  citati  da  Pausania, 
(I,  20,  2),  come  esistenti  in  un  tempietto  nella  via  dei  Tripodi,  e  opera  dello  scultore  lli\- 
milos,  e  suppone  che  i  gruppi  affini,  compreso  quello  del  Museo  Archeologico  di  Venezia, 
ne  siano  derivazioni  mediate  attraverso  un  adattamento  del  periodo  ellenistico,  in  cui  pei  la 
figura  del   Dioniso  è  chiaro  il  forte  influsso  del   tipo  del  creduto   Apollo   Liceo  (3). 

Abbiamo  veduto  però  come  con  un  esame  un  po'  attento  del  gruppo  \ 
possa  risalire  alla  seconda  metà  del  IV  secolo.  In  quello  Vaticano  141  la  fattura  del  corpo 
di  Dioniso  più  severa  ricorda  quella  dell'Apollo  Pizio  del  Museo  Capitolino  (5).  La  tosta 
è  inclinata  verso  la  spalla  sinistra  più  sensibilmente  che  nella  copia  di  Venezia,  sul  volto 
è  diffusa  una  lieve  espressione  di  nostalgico  desiderio.  Il  grosso  Bacco  Buoncompagni 
invece,  dalle  forme  molli  e  quasi  cascanti,  non  ha  un  carattere  così  profondamente  spiri- 
tuale, il  corpo  e  il  volto  esprimono  solo  una  grande  stanchezza  fisica  della  quale  il  dio 
sembra  non  avere  chiara  coscienza  161.  Ma  in  entrambi  1  gruppi  il  carattere  di  unità  e  di 
armonia,  che  lega  Dioniso  al  satiro,  si  perde  sempre  più,  e  la  trasformazione  si  accentua 
in  quella  delle  due  figure  che  non  risaliva  a  un  originale  celebre,  cioè  in  quella  del  satiro, 
che  assume  torme  sempre   più   ellenistiche   per  la  fattura  dei   muscoli   e    per    il    modo    con 


(il  'E?r,[i£pic  àp^aioXo-pxf,,  iSSS,  t.  1,  67-70.  Rei- 
nach,  A't-p.  Il,  132,  1.  Ducati,  fahreshefte d.  ósterr. 
archaol.  Inst.   XVI,   1913,  p.   108    fig.   57. 

(2)  Può  essere  questo  l'atte  di  chi  era  in  prece- 
denza in  movimento,  come  dice  il  [lucati,  p.  110. 
e  che  ora  stia  per  fermarsi,  ma  anche  di  chi  viene 
spinto  a  camminare  riluttante. 

(3)  Ducati,  art.  cit.  p.  117.  non  sarebbe  alieno 
dall'avvicinare  il  marmo  di  Atene  alla  serie  Ji 
opere  che  il  Furtwangler  ascrisse  ad   Eufranore. 

14I  Amelung,  Die  Skulpt.d.  Vat.  J/us.l,  n.588, 
tav.  75;  Brunii  Bruckmann,  testo  alla  tav.  620, 
fig.   3- 

(5)  Helbig,  FiiArer2,ì,  112  e  Fithret  \-\,  878.  I! 
von  Sybel.  Ròtnischt  Mitt.,  1891,  p.  242,  nota,  per 
la  espressione  di  pathos  e  per  le  forme  un  po'  severe 
del  corpo  riporta  l'originale  a  un  artista  della  gene- 
razione di  Scopa  0  del  più  vecchio  Cefisodoto.  Egli 


però  nega  a  Prassitele  anche  la  attribuzione  del 
tipo  dell'Apollo  colla  destra  appoggiala  sul  capo, 
trovando  nella  gambi  di  sostegno  che  S| 
in  fuori  e  nella  pili  forte  inclinazione  all'  indietro 
della  parte  superiore  del  corpo  differenze  fonda- 
mentali colf  Hermes  di  Olimpia. 

(6)   Il   von   Sybel.   loc.  cit.,   lo  considera   Come  1111 
fratello  stilistico  del  tipo  dell'Apollo  in  riposo  detto 
di  Cirene,  (Helbig.  Fiihrei  \  I.  11.  860  .  che  deriva, 
(v.  Furtwangler,  in  Roscher's  / n  ikon  462),  da  una 
evoluzione  del  tipo  dell'Apollo  Pizio.  11  Dui 
cit.,  p.  112,  accenna  alla  somiglianza  del  Bacco  Lu- 
dovisi   col    Dioniso    del    Palazzo   dei    Con 
edito  dal   Della  Seta,    Religione  ed  arte   figurata, 
fig.   [02.  La  testa  è  rivolta  qui   maggiormente  verso 
sinistra,  ma  ha  li  stessa  espressione  tra 
tranquilla. 


—  6o  — 

cui  nel  gruppo  del  Museo  Nazionale  Romano  è  disposta  la  nebride,  per  l'espressione  in- 
sulsa e  stupida  del  volto  in  quello  Vaticano  e  addirittura  beffarda  nell'altro,  mentre  si 
mantiene  fondamentalmente  inalterata,  la  figura  del  din  (i).  Perciò,  anche  lasciando  da 
parte  i  caratteri  stilistici  prassitelico-scopadici  della  copia  di  Venezia,  non  mi  pare  possa 
riferirsi  a  questi  gruppi  il  controverso  passo  di  Plinio,  XXXIV,  69,  «  (fecit  ex  aere  Praxi- 
teles)  et  Libertini  patrem,  Ebrietatem  nobilemque  una  satyrum  quem  Graeci  periboèton  co- 
gnominant  ».  A  parte  la  difficoltà  della  correzione  proposta  dal  Milani  (2)  di  «  Ebrietatem» 
in  «  ebriolatum  »,  se  il  satiro  accoppiato  a  Dioniso  derivasse  dal  periboeto  di  Prassitele,  ne 
sarebbero  maggiormente  conservati  i  caratteri  del  IV  secolo  anche  nelle  copie  posteriori,  come 
avviene  per  la  figura  di  Dioniso,  e  mal  si  spiegherebbe  il  gran  numero  di  statue  isolate 
di  Dioniso  del  tipo  del  cosidetto  Apollo  Liceo,  se  si  trattasse  di  un  gruppo  prassitelico  or- 
ganico in  origine,  nel  quale  il  satiro  aveva  tanta  importanza  da  nu-iitare  l'appellativo  di 
«  periboétos  ■■  (3).  Che  se  dell'Hermes  esistono  copie  in  cui  è  scomparsa  la  figurina  di 
Dioniso,  il  caso  è  diverso,  perchè  issa  è  là  un  semplice  accessorio  e  non  ha  maggior  valore 
della  clamide  gettata  sul  tronco.  Anche  il  contrasto  inevitabile  tra  lo  stare  di  Dioniso  e 
l'incedere  del  satiro,  riprovato  dalFAmelung  (4),  fa  pensare,  più  che  alla  linea  di  chiusa 
armonia   prassitelica,   a  un'artista   che   tonde  in   uno  due   diverse   tendenze. 

Né  mi  sembra  possibile  ricondurre  il  gruppo  di  Atene  e  più  ancora  gli  altri,  nei  quali 
lo  sguardo  del  dm  si  perde  nel  vuoto,  a  una  rappresenta/ione  più  vasta  in  cui  un  Eros  0 
un  essere  del  tiaso  bacchico  guidava  Dioniso  verso  Uianna  dormente  151,  perchè  né  nei 
sarcofagi,  né  nelle  pitture  pompeiane,  in  cui  questa  scena  viene  spesso  riprodotta,  è  dato 
a  Dioniso  l'atteggiamento  di  stanchezza  e  di  abbandono  co]  quale  egli  appoggia  il  braccio 
destro  sul   capo;   ma   sempre   con   meraviglia  esitante  e  con   fissa  attenzione  (61,   con   la  de- 


(1)  V.  .indie  il  gruppo  Ji  Cambridge,  Reinach,  151  Brunii  Bruckmann,  testo  alla  tav.  620,  Du- 
I,  388,  2  in  cui  la  figura  tiri  satiro  è  molto  modi-  cati,  art.  cit.,  r-  [li- 
neata. A  Mantova,  nel  Museo  dell'Accademia,  è  (6)  E  l'atteggiamento  del  bronzetto  del  Museo  Na- 
conservato  il  torso  colla  testa  di  un  satiro  chi-  si  zionaledi  Napoli  (Owerbeck-Mau,  Pompe/i,  p.  S4S. 
volgeva  ridendo  verso  Dioniso,  di  cui  rimane  sulla  fig.  283  b.\  tot.  Alinari  11204),  nel  quale  l'aspetto 
spalla  il  braccio  sinistro  e  lo  mono  che  regge  un  attonito  ed  esitante  di']  dio  contrasta  con  quello 
grappolo  d'uva.  (Riiinach  I.  411.  ;,.  Dutschke  IV .  patetico  del  s.itiretto.  Per  le  pitture  pompeiane  si 
831).  Un  gruppetto  non  finito,  in  cui  è  scolpito  il  vedano    specialmente    quelle    descritte   da  II    big, 

l  li  niso,  trovato   sul   pendio  occidentale  della  Wandgemàlde,   n.  1235,  M.  B.  XIII,  7:  1250; 

acropoli,  è  pubblicato  dal  Watzinger  in  Ath.   Min.  M.  B.  XIII,  6;   uso:   124"-  Lei  sarcofagi,  : 

igoi,  p.   i"o.  lìr,.   1.  in  Ber.  der  Sachs.  Gesett.,    1860,  p.    2(0:   v 

(2)  Museo  italiano  di  antichità'  classica,  III,  fago  da  Villa  Borgh  ili  re,  <  loro,  ll.pl.  132, 
786-87.  n.  150.  S  ircol  ig  1  da  Bordeaux  al  Louvre,  Clarac,  II. 

(3)  «Periboèton  non  può  riferirsi  a  tutto  il  pi.  127.  n.  148.  Sarcofago  al  Vaticano,  Gerhard. 
gruppo  come  vorrebbe  il  Milani.  V.  Amelung,  Antike  Bildwerke,  tav.  no.  2.  Sarcofago  di  Bol- 
Fiihrer,  n.  140,  p.  90  e  Helbig,  Ffthrer1,  I.  n.  u.\  sena,  Gerhard,  op.  cit.,  tav.   11  »,   ..  San  ifago  nel 

1     Die  Skulpt.  d.    l'ai.  flfus.   I.  p.  705.  Palazzo  Giustiniani,  Galleria  Giustiniani,   II.  84. 


—  6i  — 

stra  per  lo  più  appoggiata  al  tirso,  egli  si  avanza   verso  la   bella  donna  addormenl 
quale  accennano  i  compagni  del  suo  tiaso. 

Il  motivo  di  Dioniso  stante,  sostenuto  dal  satiro,  subisce  notevoli  modificazioni  nel- 
l'epoca ellenistica  e  romana. 

Il  dio,  di  tipo  conforme  al  cosidetto  Apollo  Liceo,  appoggia  ancora  la  destra  sul  capo 
nel  gruppo  di  Roma  della  coli.  Pacetti  (i)  ed  è  sostenuto  da  una  Menade  o  Arianna  di 
tipo  prettamente  ellenistico;  nel  bronzo,  edito  dal  Gatal  Forman  (2),  in  cui  ai  pii 
calzari,  sulla  spalla  sinistra  il  mantello  e  viene  spinto  avanti  da  un  rozzo  sileno  armato  di 
clava,  e  nel  gruppetto  di  Sofìa  in  cui  al  posto  del  sileno  v'è  un  Pane  (3).  Derivazioni  più 
libere  si  possono  scorgere  nel  bellissimo  gruppo  del  Museo  Britannico,  in  cui  Dioniso  si  ap- 
poggia ad  Ampelos  già  mezzo  trasformato  in  vite  (4);  in  due  gruppi  di  Pozzuoli  nei  quali 
Dioniso,  la  destra  ferma,  la  sinistra  libera  e  piegata  alquanto,  guarda  verso  un  punto  lon- 
tano (5),  mentre  Pane  alza  la  testa  t'issandolo,  e  in  quello  colossale  in  basalto  di  Parma  (6), 
nel   quale  il   piccolo  satiro  barbuto  sostiene  a   fatica   il   dio  che  appoggia  la  destra   al    tirso. 

Posteriore  a  questo  motivo,  principalmente  rappresentato  dai  gruppi  di  Venezia,  del 
Vaticano  e  del  Museo  Nazionale  Romano,  sembra  l'altro  che  ci  è  dato  dal  gruppo  degli 
Uffizi  (7),  frainteso  prima  dallo  Amelung  (8),  apprezzato  giustamente  dallo  Artidi  9),  chi 
segna  un  momento  successivo  della  azione.  Dioniso  s'è  già  posto  in  via,  il  suo  sguardo 
non  si  perde  lontano,  ma,  annebbiato  dal  vino,  si  rivolge  senza  fissa  attenzione  al  com- 
pagno, che  nonio  precede  nel  passo,  ma  sembra  incerto  tra  fermarsi  0  seguirlo.  Ann  lun-  no 
osserva  che  l'originale  non  deve  essere  lontano  dalla  cerchia  di  Prassitele,  e  \rndt  (11) 
nota  molta  somiglianza  tra  la  testa  del  Dioniso  e  quella  del  Bacco  Richelieu,  che  ha  af- 
finità col    Dioniso  di   Madrid,   attribuito  da   Furtw.ingler  a    Prassitele  (12),   e  da   Amelung  a 

Due  sarcofagi   prima    nel    Pala//"    Mattei,    Mona-  (=;i   Xotizie  des;h   tcaz'i,  i.So.s.  p,  289  sgg.,  fig.  1. 
imnta  Matteiana,  III.  7,   1.  2.  Sarcofago  Ja  Villa  2.  Reinach,  III,  !>,  1 .  Nel  secondo  gruppo  lo  sguardo 
Orta  al  Vaticano,  Museo  Pio   Clenientino,    V.    8.  del  din  e  abbassato  verso  destra. 
Si  veda  anche  la  moneta  di  Perinthos  riprodotta  in  (6)  Diitschke,  V.  956.   Reinach  II.    [29,   i.  In  un 
Baumeister,  Denk.,  1.  p.  12(1.  tifi.  131,  e  il  Cammeo  rilievo  del  teatro  romano  di  Fiesole.  (1  liitschke,  .li- 
di Mantova  in  Museum  Worsleyanum,  6,  1.   In  un  chaelogìschi    Zeìlung,    1876,   p.    [04-105,   tav.    \. 
frammento  di  patera  cilena,    pubblicato  dal  Pagen-  fig.  15),  Dioniso  culla  destra  sul  capo,  semiamman- 
stecher  nello  Jahrbuch  des  Instituts,    1912,  p.  167,  tato,  si  appoggia  colla                      un  erma  e  tiene 
tifi.    17.    Dioniso  di  tipo   ellenistico,    con    manto   e  lo  sguardo  fisso  sognante  verso  destra.    \ 
calzari,  si  appoggia  con  aria  indolente  ad  un  satiro  sta  una  pantera  e  una  figurina   li  .unni,  ni 
che  si  avanza  a  gran  passi  e  lo  spinge,  preceduto  un  Hn>s. 
ja  r£ros.  Bi    ni    Bru<     1  inn,  tav.  osi. 

(i)  Reinach.  I.   -,85.  6.  (8)   Pie   Skulpt.  ,/.    l'ai.  Mus.,    I.    p.    -   5-706, 

(2)  PI.   7,    107.   Reinach.    111.    !i.   7.  vedi   però   Ftihrer,    n.    14  1,    p.   o 

(3)  Reinach,   III,    35,   ».  (9)    '"'■'sto  alla  ci) 

141  Ancient   M,ii!>!<^    in   //ir    British    Museum,  (10)  Fiikrei  • 

III,  tav.  Il:   Reinach.  I.   )87,  ?:  Baumeister.  Peni-  11     Ein  elau/nahmen,    [527-1531. 

i,ia/ci\    I.    tifi.   487.  !  ,   P.    571- 


—   62   — 

Timoteo  1 1 1.  Ma,  se  non  erro,  nella  figura  slanciata  di  Dioniso,  dai  piedi  adorni  di  alti  cal- 
zari e  dalla  fattura  dei  riccioli  più  libera,  la  vivacità  del  movimento  e  una  certa  tensione, 
per  quanto  consente  la  concezione  del  dio  ebbro,  palese  sotto  la  pienezza  delle  forme, 
accennano  a  un'epoca  posteriore.  I  caratteri  dell'arte  di  Prassitele  sono  più  evidenti  nel  sa- 
tiro, che  nella  testa  ha  molti  tratti  comuni  con  quello  Veneziano,  nel  quale  però  l'espres- 
sione patetica  è  accentuata.  Sul  volto  del  Fiorentino  aleggia  il  lieve  sorriso  dei  satiri  di 
Prassitele  e  assai  simile  a  quella  del  satiro  in  riposo  è  la  disposizione  della  nebride.  V,  i 
il  gruppo  nel  suo  insieme  ci  fa  pensare  ad  un'arte  che  ha  varcato  i  limiti  della  cerchia 
prassitelica.  La  coesione  tra  le  due  figure,  aumentata  anche  materialmente  dal  fatto  che 
il  satiro  regge  nella  destra  una  coppa  l'i,  appare  assai  maggiore  che  in  quelli  del  tipo 
precedente.  Se  là  si  nota  un  certo  contrasto  tra  il  Dioniso  che  sta  fermo  e  il  satiro  elu- 
si avanza,  qui  il  contrasto  non  è  più  evidente,  o  piuttosto  risiede  nella  figura  stessa  del  dio, 
nella  quale  la  rapidità  dell'incedere  si  contrappone  all'ebbrezza,  che  si  palesa  nello  sguardo 
velato  e  nell'abbandono  con  cui  egli  appoggia  la  destra  alla  spalla  del  compagi 

Da  modificazioni  del  gruppo  degli  Uffizi  derivano  altri  gruppi  che  segnano  un  mo- 
mento dell'azione  del  tutto  diverso  da  quello  là  rappresentato.  L'abbandono  del  dio  si  ac- 
centua sempre  più,  le  gambe  s'incrociano  e  quasi  si  sovrappongono,  non  nell'atto  di  chi  cam- 
mini velocemente,  ma  di  chi  si  lasci  andare  e  stia  quasi  per  cadere  all'indietro  se  non  vien 
sostenuto.  È  questo  l'atteggiamento  del  gruppo  di  Leida  (3).  11  dio,  di  l'orme  molto  giova- 
nili, regge  nella  sinistra  una  coppa  e  colla  destra  si  appoggia  a  un  essere  di  caratteri  er- 
mafroditici,  forse  Ampelos,  tra  le  gambe  divaricate  del  quale  sbuca  la  pantera,  che  diviene 
parte  integrante  della  composizione.  Con  questo  presenta  somiglianze  notevoli  il  gruppo  noto 
dell'album  di  Pierre  Jacques  (4),  in  cui  all'essere  di  forme  ibride  è  sostenuto  un  satiro 
con  pedum,  verso  il  quale  Dioniso  si  volge,  mentre  appoggia  la  sinistra  a  un  tronco  di  vite, 
e  ad   una  composizione   simile  doveva  appartenere   il   torso  del    Musée  Guimet  (5), 

L'abbandono  di   Dioniso  diviene  più  completo  e  si   accentua   lo  sforzo  del    satiro, 
non  soltanto  lo  sostiene  ma  lo  trascina,  nel  bronzetto,  manico  di  coperchio  di  una  cista   pre- 
nestina  del   Museo   di   Villa  Giulia,  edito  dal   Della  Seta.   Nel  volto  del  satiro,  proteso 
Dioniso,  quasi  ansante,  colla  bocca  semiaperta,  e  evidenl  che  egli  ta  per  sorreg- 

gere il   suo  padrone  indolente  che  si  volge  languidamente  a    guardarlo  161.    In    un   marmo 


in  Die  SA-u/pt.  d.   1,1/.  .Un*..  II.  n.  mi  Bruckmann  testo  alla  tav.  620,  fig.  2. 

(2)  Il  gruppo  fu  identificato  (Milani,  Museo  h..  Reinach,  II.   131,   ?• 

Ili,  p.  7cSq.  n.  1)  con  quello  rioird.it"  d.i  Pausania,  (4)  Reinach.  111.   ;=;.  4- 

I,  20,  2.  «  A'.ovjom  8s                       ->.r- lov  Situpó?  <i)  Reinach,  II.   130,  8. 

li-:  jsoTs   xaì   Btòaxjtv   :/.n-.,-/   ..   dopo   il   satiro  di  0)  Boll.  d'Arte,   1009.  p.  191,  tìg.  21  e  p.  205. 

Prassitele,  nella  via  dei  Tripodi,  senza  dirne  il  nome  Reinach,  II.  131,  2.  In   un  cr.itere  attici  ..  figure 

iie||>aui  r^M'  di  stile  florido  del  museo  di  Bologna,  (Pelle- 


-  63  - 

di  Berlino  (i)  a   sostenere  il    dio   bastano  a  stento  un  satiro,   Pane,  che    puntam 
terra  rispettivamente  la  gamba  destra  e  la  sinistra,  e  un  pilastro  che  gli  sta  dietro  il 
Dioniso  non  è  più  pervaso  da  un'ebbrezza  leggera,  ma  è  vinto  e  affranto  dal   vino  ci 
toglie  ogni   tur/a.  Lo  stesso  motivo  del  dio  che  cadrebbe  si    non    fosse  sostenuto, 
ritorna  l'atteggiamento  della  destra  a]  il  capo  che  ben  espiline  la  sua  stanchezza  e 

il  suo  abbandono,  si  trova  nel  gruppo  della  coli.  Grimani,  poi  Feierwary,  ora  al   Ri<  hmond(2), 
nel  quale,  egli  semiammantato,  di  tipo  quasi  femminile,  si  appoggia  a  un  sileno  che  lo  ab- 
braccia. Notevoli  le  affinità  colla  pittura   pompeiana  della  villa  Romana  presso  Poi 
in  cui  il  dio,  abbandonatosi  sul  satiro  suo  compagno,  vien  sostenuto  •.ì.i  questo  che  punta 
fortemente  la  gamba  sinistra  e  lo  cinge  colle  braccia. 

Se  è  evidente  la  derivazione  dal  gruppo  Fiorentino  di  altri  che,  esagerandone  il  con- 
cetto, giungono  a  rappresentare  un  momento  diverso  della  azione,  più  difficile  è 
una  stretta  relazione  tra  quelli  del  tipo  Venezia  e  quello  medesimo  degli  Uffizi.  La  posi- 
zione del  satiro  invertita  da  sinistra  a  destra,  la  concezione  differente  del  dio  eia  in  mo- 
vimento, le  non  strette  affinità  stilistiche  the  si  possono  cogliere  coi  gruppi  precedenti  ci 
parlano  piuttosto  di  una  somiglianza  che  deriva  dall'essere,  sia  in  questi  che  in  quello,  ac- 
coppiato Bacco  con  un  satiro,  di  una  somiglianza  insomma  puramente  esteriore.  Ma  questo 
dipende  dal  mutamento  che  l'arte  greca  subisce  nell'ultimo  scorcio  lei  IV  secolo.  Motivi 
singoli  possono  essere  tratti  dall'arte  precedente  ;  può  avere  il  satiro  il  volto  del  Perib 
può  avere  il  Dioniso  strette  affinità  col  Bacco  Richelieu,  ma  la  concezione  fondamentali 
del  gruppo  non  può  restale  quella  statica  e  un  po'  fredda  della  seconda  metà  del  IV  se- 
colo, né  una  delle  due  figure  assentarsi  spiritualmente  e  materialmente  dall'azione  ed  es- 
sere unita  all'altra  soltanto  con  un  legame  esterno.  Hermes  dallo  sguardo  perduto  lontano, 
incurante  di  I  )ioniso  bambino  che  eli  tende  festosamente  le  braci  ia,  non  sarebbe  forse  us<  ito 
dallo  scalpello  di  un'artista  dell'ultimo  decennio  del  iv  secolo.  Pei  questo  il  motivo  viene 
ripensato  e  rielaborato  dall'artista  >  he  lega  le  due  figure  anche  con  un  sentimento  nuovo,  che 


grini,"  Vasi  greci  dipinti  delle  necropoli  Felsinee,  giato  ; Sileno  v.  anche  Reinach,   I.    i  11 

n.  304,  fig.  84),  Dioniso  giovane,  pressoché  nudo,  130,  2.  Winter,    Typen,  II,  568,  5  e  le  pittine  pom- 
coi  capelli  sciolti  in  trecce  inanellate,  cinti   di  larga  pelane  Al.   B.   II.    )5  ;    XI,    '.•■ 
mitra  e  corona  d'edera,  la  testa  rovesciata  indietro,  (1)  Pubblicato  in  Brunn    Bruckmann,    testo  alla 
corre  a  gran  passi  sul  pendio  di  un  monte  trasci-  t  iv.  620,  fig.   1;   Mon    Antichi,  IV .  tav.  ss:  Rei- 
nato  da  una  donna,  tolse  Arianna.    Il    motivo   del  nach,   II,    1  ;  1 .   5. 

dio  che  vien  trascinato  era  dunque  già  noto  alla  (2)  The  Journal  0/  hcllenìc  Sìudies,  1908  p.  11, 
fine  del  V  se, ,i]o.  Una  terracotta  del  Museo  di  tav.  I\.  12;  Ann.  dell'Jst.,  1  s ^ 4 .  t.iv.  XIII;  Rei- 
Villa  Giulia,    edita  kÌaì  Della  Seta.    Boll.   d'Arte,  nach,   II.    130,   1 

,.    u.  p.  210,    rappresenta    Dioniso   soste-  (3)  De  Petra,  S  191    .    • 

nuto  Ja  Sileno.  Il  Sileno  si  avanza  a  grandi  possi  vola  VI,  p.   143 
Sorreggendo   il    di"  che,    vinto  dall'ebbrezza    stenta  (4)    Arndt.   testo    ilio   ti 

a  seguirlo  e  reclina.   Per  il  tip  1  di   I  lioni 


-64- 

si  accentua  nel  bronzo  di  Preneste,  in  cui  Dioniso,  di  forme  molli  ed  effeminate,  che  con- 
trastano con  quelle  muscolose  e  rudi  del  satiro,  rivolge  al  compagno  uno  sguardo  languido 

e  voluttuoso  (5). 

I  ra  tutti  questi  gruppi  dionisiaci  due  specialmente  dunque  ci  aiutano  a  risalire  a  un 
probabile  originale:  quello  di  Venezia  per  il  primo  tipo,  quello  deyli  Uffizi  per  il  secondo 
e  per  le  sue  deriva/ioni.  Ma  più  che  di  originale  bisogna  torse  parlari-  di  originali.  Attra- 
verso alle  modificazioni  e  al  prevalere  dell'uno  o  dell'altro  indirizzo  questi  aggruppamenti 
ci  mostrano  i  tentativi,  tatti  da  artisti  minori,  di  adattare  a  rappresentazioni  più  vaste  e 
piii  complesse  forme  ed  espressioni   già   isolatamente  create  dai  yianJi  maestri  del  IV  secolo. 

ai.da  Levi. 


isi  Si  confronti  sotto  iiuestn   rispetto   la  terracotta  Campana,  (>/>.  in  plastica,  XXXIV. 


CORTEO   NVZIALE 

IN   VN   FRAMMENTO   DI   TAZZA  ATTICA 

(TAV.   V) 


Tra  i  frammenti  di  ceramiche  attiche,  esistenti  nel  Museo  Archeologico  di  Firenze, 
che  fanno  parte  di  quel  fondo  della  celebre  raccolta  Campana,  che  fu  acquistato  dal  Ga- 
murrini  nel  1871  (1),  si  nota  un  frammento  di  una  kyli.x  dipinta  a  figure  rosse,  in  stile 
severo,  di  singolare  interesse  per  il  soggetto  della  rappresentazione  (fig.    1   e  tav.  V). 


Tale  rappresentazione  ornava  uno  dei   lati  esterni   della  kj  lix    tra  le  due   anse,   ma  di 
essa  non   resta,   purtroppo,   più  che   una  metà.   Vicino  alla  rottura  corrispondente  al    centro 
della  scena  si  scorgono  le  tracce  di  un  personaggio  maschile,  ricoperto  di  clamide,  che  do- 
veva essere  figurato  in  movimento  verso  sinistra,  con  il  corpo  a  due  terzi  di  prospetto 
testa   di   profilo,   rivolta  all' indietro  verso  una    donna,  che    lo  segue  e  che   egli    tiene  attei- 


(1)  Le  notizie  storiche  relative  a  tale   collezione  sono  riassunte  in  Appendice 

lui    "..i  -  Anno  IX. 


—  66  — 

rata  per  il  polso  della  mano  destra.  Della  figura  muliebre  si  conserva  solo  il  corpo,  racchiuso 
in  un  peplo  stretto  ai  fianchi,  tornito  di  un  kolpos  lunghissimo,  che  arriva  quasi  al  ginoc- 
chio, e  di  un  corto  apoptygma;  la  stutta  sembra  alquanto  pesante,  sobriamente  panneggiata 
e  ricamata  a  piccole  croci.  Sopra  al  peplo  indossa  un  ampio  himation,  a  guisa  di  scialle, 
tirato  sul  capo,  che  nella  parte  anteriore  le  ricade  dalle  spalle,  con  larghe  falde  parallele, 
ni    Imma   di    stola. 

A  questa  coppia  di  figure  segue,  nella  medesima  direzione,  una  giovane  donna  con  il 
capo  cinto  da  benda,  sotto  la  quale  spuntano  i  capelli  che,  a  più  ordini  di  riccioli,  incor- 
niciano la  fronte.  Ha  gli  orecchi  adorni  di  pendagli  e  veste  un  peplo  succinto,  con  un  kolpos 
lungo  ed  ampio,  panneggiato  a  finissime  pieghe,  ed  un  himation  a  scialle  che  le  ricade  sul 
davanti  a  stola  con  larghe  falde  limitate  da  linee  parallele  ed  a  zig-zag.  Il  ricader  dell'hi- 
mation  è  conseguenza  del  movimento  delle  braccia  occupate,  il  destro  reggendo  un  grosso 
vaso  ansato  e  sprovvisto  di  piede,  il  sinistro  sostenendo  un'elegante  cassetta  variopinta.  Un 
fanciullo,  dai  capelli  ricciuti  e  cinti  di  benda,  viene  dietro  alla  donna  ;  ha  il  corpo  avvolto  in 
un  himation  che  egli  discosta  dal  seno  con  il  braccio  destro  lievemente  proteso,  mentre  con 
la  mano  sinistra  regge  una  Coppa  baccellata.  Il  corteo  è  chiuso  da  una  donna,  dai  capelli 
liuti  di  benda,  vestita,  Come  le  altre,  di  peplo  e  di  himation,  che  solleva  e  protende  con 
ambo  le   mani  due   fiaccole  fiammeggianti. 

L'interpretazione  di  questo  corteo  grazioso  e  grave  insieme,  mi  sembra  che,  anche  a 
primo  aspetto,  risulti  assai  chiara  :  esso  rappresenta  una  iyti>y7)  nuziale,  cioè  l'atto  quando 
lo  sposo  mena  alla  sua  casa  la  sposa.  È  difficile  tuttavia  stabilire,  stante  le  condizioni 
frammentarie  della  pittura,  se  questa  scena  di  àyojyv)  ritragga  un  Usò;  ya|AO?,  ossia 
mitiche  nozze,  o  si   riferisca  alla  vita  comune. 

La  donna,  dal  capo  velato,  con  espressione  di  riservate/za  ingenua,  segue  sottomessa 
l'uomo  che  la  tiene  afferrata  :rcì  xapww.  Con  tale  schema  di  composizione,  che  sembra 
riflettere  l'antico  rito  del  ratto  della  sposa  (  i  ),  è  concepita  dall'arte  figurata  la  coppia 
nuziale  nella  cerimonia  dell'àvwyvj  della  sposa  dalla  casa  paterna  a  quella  dello  sposo. 

Le  varie  scene  di  vua'pxycoyiz,  dipinte  sui  vasi,  differiscono  nei  personaggi  del  corteo 
che,  con  speciali  uffici  nel  corso  della  cerimonia,  precedono  e  seguono  la  coppia  degli  sposi; 
tlla  presenza  di  un  determinato  personaggio  si  possono  distinguere  i  diversi  momenti 
in  cui  l'artista  ha  ritratto  una  pompa  di  xywyvi  nuziale:  la  partenza  della  sposa  dalla  casa 
paterna,  il  tragitto  ':-'■  Tijv  m-/.;-/'  dalla  casa  paterna  a  quella  dello  sposo,  il  ricevimento 
nella   nuova  casa  (2).   Nella   nostra   pittura   frammentaria   le   altre   ligure  che   precedevano  gli 

(1)  Cfr.  Furtwangler  in  Griech.    Vasenmalerei,  XXII   (1907),  p.  80   e  ss.    Le   principali   scene  di 

II.  p.   126;  Bruckner,  Athen.  Hochzeitsgeschenke  vuiipaYiayia,   che   si    possono  vedere    rappresentate 

in  Athen.  Miti.,   XXII  (1907),  p.  83.  sui  vasi   dipinti,  sono  riprodotte   in   Wienei    Vor- 

121  Cfr.  Sticotti  in  Festschrift  fur  Benndorf,  pa-  legebl&tter  fur   archàologische    Ueb.-tngeti,    1888, 

«ina   181   e  ss.;   Bruckner  I.  e.    in    Athen.    Miti..  t.iv.   Vili. 


-67- 

sposi   forse  meglio  caratterizzavano  quale  fosse  il  momento  espresso  nella  v,ji/,<pxywy£a.  Da 

ciò  che  si  conserva  sembrerebbe  che  il  corteo  o  sia  rappresentato  in  una  xu.cpi$po;jLÌa  ~;pl 
T-z-v  ìttìzv  della  casa  paterna  della  sposa  o  si  sia  appena  mosso  dalla  casa,  se  interpre- 
tiamo l'ultima  figura  per  la  madre  della  sposa,  che  accompagna  la  figl  lo  il  rito 
delle  giuste   nozze,  con   le  Sxòs?    rjij/y./.y.i   i  i  i. 

Ma  tali  difficoltà  esegetiche,  sulla  determina/lune  del  momento  espresso  dell'àywyr;, 
nulla  tolgono  all'importanza  della  scena,  la  quale  consiste  nella  presenza  di  due  personaggi 
assolutamente  nuovi  rispetto  alle  altre  scene  figurate:  alludo  alla  donzella  che  segue  la  sposa 
recando  un  vaso  ed  una  cassetta,  ed  al  fanciul'o  che  tiene  una  patera  nella  .lesi 
funzioni  avevano  questi  due  personaggi  nell'àywy»)  nuziale?  La  presenza  nel  corteo  della 
coppia  degli  sposi,  uniti  nel  gesto  rituale  del  /.;•?'  i~'-  xxp— w,  dimostra  chiaramente  che 
ci  troviamo  di  fronte  ad  una  scena  di  vu[/.<payo>yi«  e  che  non  si  può  pensare  ad  altre  ce- 
rimonie nuziali,  ad  esempio  quelle  del   XovTpóv   vuj/.'pucov  (2)  0  degli  it.-j.-jia-j.  òwpa  (3 

pure  si  svolgevano  ;v  syviaxTi  xop-ò;  {Eusl.  ad  Iliad.,  XXIV,  29,  p.  1^7,  43);  né  in- 
fine si  può  pensare,  per  l'unità  di  composizione  della  scena,  ad  una  associazione  di  queste 
diverse  cerimonie. 

Non  rimane  adunque  che  riconnettere  la  presenza  di  questi  personaggi  nella  pompa 
con  le  cerimonie  religiose  del  matrimonio. 

Molto  confuse  sono  le  fonti  letterarie  relativamente  al  tempo  ed  al  luogo  in  cui  veniva 
celebrata  la  cerimonia  religiosa  :wv  yocairjMoJv  9;<3v  i-n/.y.  (Allieti.,  IV,  185  B<.  La  mag- 
gior parte  degli  studiosi  ritiene  che  questa  cerimonia  tosse  collegata  alla  Ov.Vz,  yzy.i/.v;  e 
compiuta  quindi  nella  casa  paterna  della  sposa.  Prima  dell'àyiayvj  nuziale  sembra  che 
tosse  celebrata  una  funzione  religiosa  in  onore  delle  divinità  domestiche,  torse  collegata  con 
il  sacro  giuramento  degli  sposi.  Illustrando  la  scena  di  ia<pt&poaia  ~.iy.  tt$v  é^-riav,  di- 
pinta sopra  una  pisside  di  Eretna,  nel  Museo  Britannico  (4),  il  Brùckner  (5)  riconobbe  nelle 
due  figure  muliebri  con  lo  scettro,  mescolate  ai  personaggi  del  corteo,  le  personificazioni 
delle  divinità  tutelari  della  casa  paterna  della  sposa  e  dello  sposo.  Così  in  un  cratere 
tanagrese  a  figure  rosse  del  IV  secolo,  nel  Museo  Nazionale  di  Atene  (6),  unitamente 
ad  una  scena  di  £u.fi$pou.{%  ~::;.  ~r,i  ìtt.zv  della  casa  paterna  della  sposa  è  rappre- 
sentato il  carro  nuziale  allestito  per  I'  iywyy).  fi  molto  probabile  dunque  che  la  vjt/.<pxyioy£a 
si  iniziasse  e  terminasse  con  tali  cerimonie  sacre  al  culto  domestico. 


(1)  Ctr.  per  le    fonti    letterarie  e   monumentali  p.  i46ess.;  Briickner,  1.  e.  111  .  allieti.  Mi 
Sticotti  in  Festschri/t  no    Benndorf,  p.  182,  183;  p.  in  e  ss. 

Briickner.   I.    e.  in    Allieti.    Miti.,    XXII     1907),  4!  Murray,   il'ithe  Athenian   Vases,  tav.  20. 

p.  82.  (5)  Briickner.  I.  e.  In  Allieti.  Miti.,  XXII  (1907), 

(2)  Furtwangler,  Sanimi.  Sabouroff,  testo  alla  tav.  p.  80  e  ss. 

LXI1I,   1;  Herzog  in  Arch.  /.ni..  1882,  tav.  V.  drizet  in    '\fyty.    \-/:    1905,   p.    z    1 

13)  Cfr.  L.  Deubner  ìnja/nb.  Arch.  Inst..  1900,  vola  6-7. 


—  68  — 

Nella  nostra  vou.^ayii>y£a  gli  oggetti  tenuti  dalla  donzella  e  dal  fanciullo  non  pos- 
sono riferirsi  alle  cerimonie  religiose  che  si  svolgevano  nella  casa  paterna  della  sposa,  ma 
devono  porsi  in  relazione  con  quelle  successive  che  si  celebravano  all'ingresso  della  sposa 
nella  nuova  casa  e  nel  talamo. 

In  tutto  il  rituale  del  matrimonio,  la  x.«9ap<Tt«  aveva  una  parte  preponderante  sia 
nei  rcporeXsia,  sia  nelle  cerimonie  successive,  e  non  abbandonava  la  sposa  fino  al 
suo  ingresso  nel  talamo  ed  anche  dopo  ni.  Funzione  lustrale  ed  apotropaica  avevano  le 
Séjc&e;  vv>|/.<pi>ca£  (2)  che  compaiono  nelle  scene  di  vjy.oy.yiuyiz,  dapprima  nelle  mani  della 
madre  della  sposa  che  rischiara  la  via  al  corteo  e  poi  nelle  mani  della  madre  dello  sposo, 
dalla  quale  (Sckol.  Eurip.  Phoen.  ,7/1  ÉOo;  t?v  tvjv  vu'[A<pv)v....  <li-ì  Xa|/.7cao*wv  v.<JK.-(tvH«.\ 
nella  nuova  casa  (1)  e  nel  talamo  (4).  Speciali  virtù  purificatone  erano  attribuite  pure  alle 
ghirlande  (5)  di  verbena,  di  mirto,  di  olivo,  alle  vitte  di  lana  (6),  che  cingevano  il  capo  de- 
gli sposi,  e  dei  personaggi  della  -oa-v;,  che  ornavano  la  porta,  l'atrio,  la  sala  del  ban- 
chetto, il  letto  nuziale.  Ma  la  cerimonia  per  eccellenza  di  xxOap?i;  consisteva  nell'offerta 
dei  JtxTxyJ'jjAaT /.  (Schol.  Aristoph.  Pini.  v.  768;  Harpocr.  s.  v.)  che  molto  probabil- 
mente doveva  essere  collegata  con   la  cerimonia  degli    £vaxaXu7»T7)pi3t  (7). 

All'offerta  lustrale  dei  /.y.-:y./Ji<i.-/.Tv.  troviamo  una  allusione,  a  quanto  sembra,  nello 
Pseudo-Plutarco  (Praz:  Alex.  XIV  1225),  dove  è  riferito  che  vtfpoc  v  '  \'lr,-rr,^<.  èv  tv.: 
vau.oi;    àa^t'ixAr,    -x  Sa    Xi/.vov    Jìaff-ra^ovra   xotwv   tcÀì'uv    iizx    ìm'kéysiv   •  "Etpyyov 

KXXdV,     £'ìpOV     XO.ElvOV. 

A  che  cosa  poteva  servire  questo  Xifcvov  nuziale?  Alla  stessa  guisa  che  nel  xxvoOv 
del  sacrificio  (8)  e  nel  XUvov  dei  misteri  (9  ,  si  celavano  agli  occhi  profani  gli  oggetti  e 
gli  strumenti  sacri  per  le  cerimonie   rituali,   unitamente  alle   offerte,    così    nel    Xfccvov    mi- 


ti) La  successione  di  queste  cerimorve  lustrali  vi  atque  usti  in    Religiongesch.   Vers.  11.   Vorarb. 

del    matrimonio    travasi    compendiata    da    Aristo-  XIV,  2,  p.  61   e  ss. 
fané,  con  straordinario  realismo   comico,    in    Poe.  (6)  Jakob  Pley,  De  lamie  in   antiquorum   riti- 

.  868  e  SS.  ed  in   l'hit,  v.  768  e  ss.  bus  usu  in  Religiongesch.   l'ers.  u.   Vorarb.  XI,  1, 

(2)  Cfr.  Rohde,    Psyche    I,    5.    237,    3:    Hock,  p.  78,  83. 

(/rifili.    Weihegebr&uche  p.  in;  Samter  in  Sene  (7)  Deubner,  I.  e.  in  Jahrb.  Arch.  Inst.,   1000, 

Jahrb&cker   XIX    (1907)    p.    132;    idem.  Geburt,  p.    148  e  s.  ;    Briickner,    in   64    Winchelmann  — 

Hochzeit,    '/od  (1912)  p.  72.  Programm  zi<  Berlin,  1904;  I.  e.  in  Athen.  Miti. 

(3)  Cfr.  le  scene  dipinte,  sopra  un   loutrophoros  XXII  (1907)  p.  85  e  SS. 

della   Coli.    Sabouroff  (Furtwangler,    Sanimi.  Sa-         (8)  Stengel,  Op/erbrSuche  der  Griechen,  (1910), 

bourof)  tav.  LVIII-IX)  e  sopra  una  kylix  dell' An-  p.  47  e  ss. 

tiquarium    di    Berlino   (Wiener    VorUgebl.    1888,  (9)   Harrison,    Prolegometia    lo    the   Study    oj 

Vili.    1;    Furtwangler,    Beschreibung    der   Vasen-  Greek  Religion,   p.  S47;    idem,  Mystica    Vannus 

sammlung,  n.  2530).  lacchi  in  Journ.  of  //eli.  S/ud.   1903,  p.  315  e  ss. 

(4)  Cfr.  Luciano  (/lerod.   5)    a    proposito   delle  Clemente  Aless.  (Protr.  ->-><  ricorda  entro  la  cista 
\          di  Alessandro  e  Rossane  di  Aetione.  dei  misteri  di  Demeter  le  seguenti  offerte  :  <nio«|ta" 

(5)  J.   Kòchling,   De  coronarum   apud  antiquo*  tuti  icupa|uòes  xaì   roXteat  xoi    ró-av»   soXuó|«p«Xa. 


-69- 

ziale  dovevano  essei   custodite    le  focaccette  di    sesamo,  i  datteri,  i  fìcl 

-?.•:;   yji.-j'.'ivj.r,.  gettava,  pronunziando  quella  formula  sacramentale,  che  pure  ci 

ai  misteri  1 1  . 

In  scene  di  pompe  nuziali,  dipinte  su  vasi  a  figui  rappresentai 

donzelle  Xtxvorpópo'.,  al  seguito  degli  sposi  condotti  i~t  tvjv  ■/.•>. -j.ì-jm  :  questi  XiV.va  sono 
perfettamente  simili  a  quelli  delle  scene  mistiche,  con  evidente  allusione  alle  cerimonie 
lustrali  che  entravano  nel  rituale  delle  nozze,  come  hanno  chiaramente  dimostrato  la 
1 1, lirismi  i  V  ed   il    Putortì  14  1. 

Una  analoga  funzione  religiosa  doveva  avere  la  eassetta  recata  dalla  donzella  nella 
nostra  scena  di  vjv.oy.yioyix.  Veramente  la  sua  forma  quadrangolare,  allungata  e  profonda, 
ricorda  piìi  quella  di  ici^wriov  per  gioielli  od  oggetti  di  ornamento,  simile  a  quelli  dipinti 
nelle  scene  di  ì-xj'/ix  rWpa  (5);  ma  la  funzione  rituale  di  tale  cassetta  nelle  cerimonie 
dell' àytovvi  nuziale  è  chiarita  da  altri  esempi.  In  alcune  pitture  vascolari  troviamo,  accanto 
alla  figura  volante  di  Hros  'ì/ìo//',;,  anche  quella  di  Eros  che  reca  processionai  mente 
questa  cassetta  rituale,  accompagnando  Europa  sul  toro  16)  od  Amphitrite  sul  delfino  171 
verso  gli  sposi  divini.  Nel  celebre  fregio  marmoreo  di  Monaco,  con  le  nozze  di  Poseidon 
ed  Amphitrite  (8)  alla  Nereide  SzàcO/o;,  sul  cavallo  marmo  segue  sul  toro  ni. inno  la  Ne- 
reide  con  la  cassetta  nuziale  (fig.  2).  Cosi  in  una  scena  di  anodos  di  Kora  dipinta  sopra  un 
cratere  attico  a  ligure  rosse  del  Museo  di  Bologna  191  la  dea  condotta  i~:  /.y.pr.i.}  da  Hermes 
-poryv,TYJ;  e  da  Hekate  fty.òovytiq,  e  seguita  da  un  Sileno  che  porta  sul  capo  una  cas- 
setta, simile   per  torma  e  decorazione  a  quella   dipinta  nel   nostro  frammento  di  kylix  (fig.  3). 

Questa  cassetta  rituale,  tatta  qualche  eccezione,  è  per  lo  più  portata  sulle  braccia  e 
non  sul  capo,  come  nei  tipi  consueti  delle  /. z vyj -^ 0 : 1  ••  e  /ic/.vooo'poi  nelle  pompe  sacre. 
Nella  nostra  pittura  frammentai i.t  non  dobbiamo  però  dimenticare  che  duplice  è  l'ufficio 
della  donzella  nella  pompa:  oltre  alla  ile  essa  s  stiene  sul  braccio  destro  un  vaso. 


(1)  Cfr.    Hermann   -    Blùmner,   Griech.   Priva/  servazioni    del    Wintei                       fin     Benndorf, 

alteri,    p.  271;  E.    Pernice,  in    \orden   -  Gercke,  p.    119)       1      posito  di  una  scena  che  ricorre  snpra 

Emi.    in    d.    Altert.-Wissenschaft ,    11,   (1910),  un  vaso  Jipintn  a  fig.   rosse,   uscito    dal    territorio 

p.   i3,   3;   Heckenbach  s.  v.   Hoehzeìt  in  Pauly  —  di  Chiusi  {Mus.  CI1ius.X3.-v.  68;   Elite  cèram.  IV, 

Wissowa,  Vili,  2130,   io;  Collignon,  s.  v.   Mairi-  tav.    28;   Festschr.   un    Benndorf,   p.    188). 

monium  in  Dici.  desAnt.  del  Saglio,  III,  1639  e  ss.;  (6)  Compte- Rendu,  1866,  tav.  Ili,   1   e  2  ;  Over- 

Briickner,  1.  e.  in  AIA.  Miti.  XXII,  (1907),  p.  82,  beck,   Kunslmytk.  Alias,   VI,   20". 

(z>   Cfr.    Putrirti   in   .insolita.    IV.    p.    230    e    ss.  (-1   Auliauilcs  da    linsph.    Cimili,    tav.    1  XI.    I 

(3)  Harrison,    1.    e.    in  Journ.    0/  Urli.    Stud.  (8)  FurUvangler,  Intermezzi  p.  (6,  a;  B 

1903,  p.  3  ii,  fig.    13.  bung  der  Glyptothek,  p.   ->4iS- 

(4i   Putortì,  1.  e,  in  Ausonia,  IV,  p.    130.  (9)  Bri/io  in  Museo  Italiano  di  Anlicliii 

(5)  Cfr.   Deubner,  I.  e.    in    Arca.  Jakrb.   1900,  II.  tav.   I.  I;   R                     vikon  s.  e.   Kora,   II, 

p.   152.  Briickner  I.  e.  in  A th.  Miti.  1907,  tav.  V,  I.   1378,  ti«.  20;  Pellegrini,   Cai.   dei   vasi  dipinti 

2.  \  III.  Vedansi  per  questi  tipi  Ji  cassette  le  os-  delle  necropoli  felsinee,  p.  93,  n.  236. 


Si  tratta  di  un  recipiente  dal  corpo  globulare,  senza  piede,  tornito  di  un  corto  collo  ci- 
lindrico e  di  una  piccola  ansa  orizzontale  impostata  sul  ventre.  La  sua  torma  mancante  di 
piede,  che  presuppone  quindi  un  sostegno,  fa  pensare  ai  -xy.t/.v.  o  vu|upixol  >■£><-,  —  ;, 
identificati  dal  Briickner  1 1  )  e  posti  in  tela/ione  comunemente  con  la  cerimonia  del  bagno 
purificatorio  della  sposa  nei  xd  reporéXeia.  Si  scorgono  infatti,  rappresentati  accanto  al 
XouTpofo'po;,  alla  rcu^e,  all'i -iv/] rpov  ed  agli  altri  vasi  nuziali,  anche  nelle  scene  di 
l-y.v/.i7.  ÌSpx  (2).  Ma  alla  stessa  guisa  che  nelle  cerimonie  ordinarie  del  sacrificio  troviamo 
al  scavouv  associata  la  xs'Pvu!' (3)  con  l'acqua  lustrale,  cosi  il  vaso  tenuto  insieme  colla  cas- 
setta rituale  dalla  donzella  deve  riferirsi  probabilmente  alla  medesima  cerimonia  di   ìtocOapffi;, 


Fig.  2.  —  Nereide  in  corteo  nuziale. 

a  meno  che  non  si  voglia  riconoscere  in  tale  vaso  un  npscvvip  ya^^io?  {Himerius  1,  21) 
e  porlo  in  relazione  con  la  (jttov&ti  nuziale,  della  quale  troviamo  una  chiara  allusione  nella 
oi/Ar,  tenuta  dal  fanciullo. 

Infatti  assai  più  riconoscibili,  che  non  quelle  della  donzella,  risultano  le  attribuzioni 
sacre  del  fanciullo,  che,  con  il  capo  cìnto  di  benda  ed  il  corpo  avvolto  religiosamente  nel- 
l'himation,  procede  grave  e  solenne  nella  pompa.  Non  solo  possiamo  riconoscere  in  lui  un 
~y/.;   àtj.yi'lx'i.r,;  ed  ascriverlo  tra  quei   7ta?&se   7tpo-s|/.-ovT:;  14)   che  avevano  una  parte 


11)  Briickner,  I.  e.  in  Alimi.  Miti.  XXII  (1907), 
p.  98,  e  ss.;  Pernice  in  Norden  -  Gercke,  Ein- 
leitung,   II.  p.   51. 

(2)  Deubner,  I.  e.  in  .Ir,  li.  fahrb.  XV  (1000). 
p.  146  e  ss.,  tav,  i\  Briickner  I.  e  in  .Ulna.  Miti. 
XXII,  (  1907),  p.  m  e  ss.,  tav.  2,  s.  8.  Per  ta- 
lune scene  Hauser  (Jahreshefte  dei   oesterr.  unii. 


Itisi.    XII,  (19091,  p.    04    e    ss.)    ha   pensato   agli 
'AStóveoi  /./,-■)■  (Aristoph,,  Lys.,  389)  ed  ai  ;j. 
/i-.-.-   (Suìdas)  delle  feste  Adonie. 

(?)  Stengel,  I-  e,  p.  34  e  ss. 

(4)  Cfr.  Furtwangler,  Sommi.  Sabouroff,  testo 
alla  tav.  LVIII,  1:  Sticotti,  I.  e.  in  FesUchr.  fui 
Benndorf,  p.   183. 


—  71  - 

principale-  nella  cerimonia  lustrale  dei  /. ztx/uVa ■/.-■/.  e  durante  V Hymetiaios ,  ma  la  ai  atto] 
che  egli  tiene  nella  sinistra  ricorda  espressamente  la  libazioni  i  ci  riporta  con  il  pen- 
siero, fra  i  pochi  accenni  nelle  fonti  letterarie,  al  ricordo  della  libazione  nuziale  conservato 
nel  bellissimo  frammento  epitalamico  di  Sappho   (frg.    ,•/  da  Athen.  XI,  475  A). 

\\r,  1)  z;//';07iz;  v.ìv  •A.pxtr.p  ì/.i/.:  v.~'. . 
'K:az;  0'  Vìi-i  ó'a-'.v  9so?{  olvovo7)<yai. 
&r,voi  ')'  io  a.  ttzvt:;  v.y.zyr^'.i  t  vjj^ov 
&%Xsi^ov,    ipocTavTO  '^è   -■/.■i.-y.-i   ìn'i.y. 

Tl"l     VZ7/ip(;>. 

Dalla  nostra  scena  di  vufiao.Yu>Yia,  come  da  quelle  con  la  coppia  nuziale  ì~:  tiiv 
z;ax;zv  mi  sembra  risultare  con  evidenza  che  gli  strumenti  sacri  recati  processional- 
mente  non  possono  esser  posti  in  relazione  con  altro  che  con  le  cerimonie  religiose  celebrate 
all'ingresso  Jella  sposa  nella  nuova  casa  e  nel  talamo.  Se  consideriamo  adunque  la  cerimo- 
nia lustrale  dei  /.xzxyjiu.x-x  strettamente  collegata  al  rituale  degli  zvz/.j;/.uz:r|;'.z,  non 
possiamo  connettere  la  presenza  della  cassetta  rituale,  nella  nostra  vena,  al  primo  disvela- 
mento simbolico  della  sposa,  che  avveniva  durante  la  <>'.{. r,  ■■xy.'./.r,  nella  casa  patema,  ma 
lo  dobbiamo  riferire  alla  cerimonia  degli  zvz/.xAv-T-opiz  nel  talamo.  Entrando  la  sposa  nella 
nuova  casa  veniva  forse  rinnovata  con  una  iuaiopojMje  -spi  tyiv  ì~,-.\y.-i  reo  yxlaoyvTo; 
il  sacro  giuramento,  e,  dinanzi  al  talamo,  1]  corteo  si  arrestava;  avevano  luogo  allora  quelle 
speciali  suppliche  che  Himerius  ricorda  in  una  sua  orazione  di  contenuto  epitalamico  I,  ji  : 
ttx;  òs  -%ò  scùfòv  ~i'i  OzAzy.ov  Tu' vii]  v.x:  "EptuTi  /.x:  I'ìveTaÌ'.i;  -p07£'J^ot/.3tl  .  7Ù 
y-ii  TO^iiisiv  :•.;  tÌao;  .  tt)  os  oioóvai  fiiov  .  toi;  Ùl  -suòiov  vv/:iwv  vévsTiv  iva 
Tu    vz'J.r.'.'.w  /.pzTvipi    ~ot£   ìtstl   vr;;'))'.wv    gtcgvo7)v    t>v  z'ytuy.  £/. 

Nel  talamo,  alla  luce  delle  òxòs;  vrj.v./.zi.  tenute  dalla  madre  dello  sposo,  -1  svol- 
geva, prima  degli  z-zz/.z/.u-f/ip'-z,  la  vera  cerimonia  di  icscOscpoi?  dei  z.ztz/ 'jVj.ztz  per 
cacciare  gli  spiriti  malefìci,  e  si  libava  a  Tvche.  ad  Eros  ed  alle  divinità  della  nascita,  fra 
i  canti  epitalamici  1  2). 


I!   nostro  frammento  di   pittura  vascolare  è  altresì   importante    per    il    periodo    stilistico 
al  quale  appartiene.   Esaminando  ciò  che  rimane    delia   composizione  della  scena  e  lo   stile 


11)  Fritze,  Die    Rauchopfer    bei  den   Griechen,  dasi  (oltre  ai   II.  ce.  di  Hoch,    Samter,    Bi 

p.    ;;  e  ss.  J.  Scheftelowitz,  Dai  Schlingen  uml  Xelzniotiz>  in 

(2)  Cfr.  Briickner  11.  ce.    in   64    Winckelmann-  Glauben  utid Brauch  der  l'olker  in  Relig 
Programm    zu    Berlin,   11104  ed  in  .Uhm.   Miti.  Vers.  u.  Vorarb.  MI.  ;  (1912  .  p.  ^j-^-  f  Ramsav 
XVII  (1907),  p.  Si  (  ^,  Per  il  perpetuarsi  Ji  que-  in  Annua/  Brii.  School  al  Allieta,    WIII     uni- 
sti riti  lustrali  nelle  cerimonie  del  matrimonio  ve-  1912),  p.  si  e  s^. 


—  72  — 


figure  rappresentai.-,  riconosciamo  subito  una  pittura  vascolare  attica  a  figure  rosse 
dell'ultima  fase  dello  stile  severo.  Intatti,  per  la  composizione  della  scena,  osserviamo  come 
II-  ligure  siano'rappresentate  ben  distinte  fra  I e    disposte   sopra    una  medesima   linea. 


Fift.    !.  -  Va 


Museo  di   Bolngn 


Collo*  i    lo  al   centro  la  coppia   nuziale,  si   può  supporre  che,  per   ragioni   di    simmetria,  al 
e  tre   ligure  rimaste  al   seguito  degli   sposi,   un   altro  gruppo  consimile  di  figure, 
lenti  la  coppia  nuziale,  vi  corrispondesse  nella  parte  mancante  :  forse  qualche  giovane 
o  tibicine  ed  altri   -  ?.?<$:;   jrpo-sjjncovTis  indicanti  VHymenaios    i  . 


(il  Or.  la  kyllx  di   Berlino  in    Wiener   Vorle-      Museum     in     Murray,     White    Attienimi     Vases 
geblMer  1888,  Vili,  1;   e  la  pisside  del    British      tav.  20. 


—  73  — 

Fra  tutti  ì  ceramisti,  di  quest'ultima  fase  dello  stile  severo,  Lineili  che  la  nostra  pit- 
tura ci  fa  subito  rammentare,  in  una  prima  disamina,  sono  Hieron  e  il  suo  collaboratore 
Makron.  La  scelta  del  tema,  infatti,  e  il  modo  di  aggruppamento  dei  personaggi  richiamano 
le  celebri  ceramografie  con  il  ratto  di  Elena,  dipinte  sullo  skyphos  Spinelli  (i)  e  sulla  kyli.x 
di  Berlini i  (2)  ed  anche  quella,  pine  unta,  con  il  ratto  di  Briseide,  dipinta  sopra  un  altro 
skyphos  del  Louvre,  già  della  raccolta  Campana  (3). 

Lo  schema  di  composizione,  onde  è  ritratta  la  coppia  nuziale  sul  nostro  frammento 
di  kyli.x,  presenta  molte  analogie  con  il  gruppo  di  Paride  ed  Elena,  e  particolarmente  con 
quello  di  Agamennone  e  Briseide  sulle  ceramografi  predette.  Dello  sposo  che  compie  il 
gesto  rituale  del  vsio  l-l  /.-/.z-m  non  si  scoine,  è  vero,  che" solo  una  porzione  del  braccio, 
della  clamide,  e  la  tra,   rappresentata  di   prospetto:  ma  quel   poco  che  rimane  è 

piii  che  sufficiente  per  stabilire  un  confronto  con  la  figura  di  Agamennone  dello  skyphos 
del  Louvre.  Il  panneggiamento  della  clamide,  sebbene  meno  movimentato,  si  presenta 
nella  maniera  di  Hieron  a  larghe  pieghe,  terminate  con  una  linea  a  zig-zag.  Un'altra  so- 
miglianza tecnica  ritroviamo  pure  nel  modo  di  indicale  Li  rotula  del  ginocchio  e  la  taccia 
esterna  della  tibia  nella  gamba  rappresentata  di  prospetto,  in  un  movimento  the  con- 
trasta con  le  rimanenti  parti  del  corpo.  Nella  figura  della  sposa,  all'identità  dei  movimenti 
della  persona  Corrispondono  pure,  con  la  figura  di  Briseide,  le  forme  del  vestiario  ed  il 
modo  con  il  quale  questo  è  panneggiato.  Particolarmente  prediletto  da  Hieron  è  l'uso 
di  far  indossare  alle  sue  figure  muliebri  I'himation  a  guisa  di  scialle,  1  cui  lembi  ante- 
riori scendono  a  stola,  formando  in  basso  un  grazioso  movimento  di  linee  spezzate.  Proprio 
di  Hieron  è  quel  singolare  contrasto  ti  a  il  panneggio  del  chiton,  a  finissime  pieghe,  e 
quello  dell' himation,  a  larghe  laide,  curveggianti  per  il   movimento  delle 

Le  medesime  Torme  di  vestiario,   il   medesimo    trattamento    nel    panneggio,    si 
trano  nelle  altre  due  figure  muliebri:   un  peplo  a   finissime  pieghe  con   ampio   kolpos,  scen- 
dente oltre  il  ginocchio,  e  con  corto  apoptygma;  un  himation,  posto  sul  dorso  a  scialle,  con 
pieghe  larghe,   ricadenti   sul   davanti   a  stola,  limitate  da  linee  parallele  ed  angola!  1   a  zig-zag 
e  terminanti  in  basso  a  punta. 

La  figura  con  le  'ìzrh:  -ìryy./.x\,  pei  il  modo  con  il  quale  indossa  I'himation  ade- 
rente alla  persona  sul  dorso  e  sul  fianco  panneggiato  a  larghe  pieghe  che  seguono,  111  linee 

iate,  il   movimento  delli 
di  Eleusis  nel  celebre  skyphos  con  la  partenza  di     rrittolemo,  considerato  ira  1  1 
di  Hiero 

(11   Furtwangler-Reichhold,   Griech.    l'asenmale-  l'orli                      \.  tav.   ;:   Reinach  I 

rei,  tav.  LXXX\  Ba  neister,  Denkmaler,  figu-  Vi,  tav.  19;  Ga- 
i  1  701,  ;   Reinach,  Rèp.  ,/.  vases,  I,  p. 

.    irtwangler,  Beschreibung  dei    Vasensamm-  du  Louvre,  lì   14'::                       .  p.    [48. 

lung  n.  22yi  ;  Arch.  Zeit.,    1S82,    p.    3;   Wiener  (4)  Montini.  dell'Inst.,  voi.  IX,  tav.  4). 


—  74  - 

Anche  nel  fanciullo  il  costume  di  avvolgere  il  mantello  alla  persona,  discostandolo 
dal  seno  con  la  destra,  e  stringendo  al  ti. meo  sinistro  la  parte  estrema  aftinché  non  cada 
a  terra,  somiglia  a  quello  degli  efebi  ammantati  di  Hieron,  dipinti  in  una  kylix  di  Mo- 
naco (  1 1  e  sopra  un'altra  kylix,  ascritta  all'officina  di  Hieron,  del  Museo  di  Boston  u  .  E 
se  poi  scendiamo  ai  particolari  del  pannerò  possiamo  anche  riscontrare  quel  caratteri- 
stici» nodo  di  pieghe,  a  spirale,  che  forma  la  stolta  trattenuta  dalla  mano  destra  na- 
scosta i  $).  Le  ultime  figure,  conservando  il  capo,  ci  permettono  di  determinare  le  propor- 
corrispondono  perfettamente  al  canone  di  Hieron  e  di  Brygos  ed  in  generale 
all'ultima  fase  dello  stile  severo:  figure  dal  corpo  relativamente  corto  rispetto  alle  teste 
assai  grosse  (4). 

Le  medesime  caratteristiche  di  quest'ultima  fase  dello  stile  severo  si  hanno  nelle  ac- 
conciature delle  chiome  e   nei   piotili.   Nel   fanciullo  la  chioma  ricciuta  è   resa  a  chiazze  di 

nero  più  languido  nella  parte  superiore  ed  ai  lati  dove  appare  meno  folta,  forse  ad 
indicare  il  col  >re  biondo.  11  profilo  del  volto,  con  il  naso  relativamente  sottile  ed  appun- 
tito, k-  labbra  alquanto  sporgenti,  l'occhio  angolare,  aperto  sul  davanti,  ci  trasporta  già 
fuori  dai  profili  rigidi  e  severi.  Invece  nelle  due  figure  muliebri  il  disegno  dell'occhio,  del- 
l'orecchio ed  i  lineamenti  del  volto  conservali"  ancora  una  certa  severità  di  forme.  L'ac- 
conciatura della  donzella  che  sedile  la  sposa,  a  doppia  fila  di  riccioli  che  incorniciano  in 
risalto  la  fronte,  ricorre,  analogamente  indicata  mediante  punti  rialzati  con  un  tono  di  co- 
lme più  nero  e  lucente,  in  figure  di  Brygos.  Anche  per  la  forma  delle  bende  e  per  la 
maniera  con  la  quale  queste  sono  disposte  intorno  alle  chiome  non  mancano  esempì  di  ri- 
scontro in  figure  di   Hieron  e  di   Brv  gos. 

In  questo  esame  della  composizione  formale  della  scena  e   dei   caratteri   stilistici   delle 

,  sebbene  abbiamo  notato  una    maggior  copia   di   elementi   di   confronto  in   opere   di 

Hieron,  siamo  lungi  però  dal   pensare  che  si   pi  issa  con  certezza  attribuire  alla  stessa   mano  di 

Hieron  la  nostra  pittura  frammentaria;    tuttavia  si  hanno   buone    ragioni    per   credere    che 

sia  opera,  se  non  di   Hieron,   di  qualche  collaboratare  od  imitatore  di  quell'artista. 


Le  scene  di  v'jv.'izyioyix,   nei  vasi  a  figure  nere,   riproducono,    quasi    costantemente, 
il  momento  in  cui   la  sp<is.i   viene  condotta   :-•.   r/v    aa:«';y.v   nella  nuova  casa.    La  conce- 
zione della  coppia  nuziale  all'inizio  od  alla    fine    dell'  iytùv'n,    aggruppata    nell'atto   rituale 
del  -/:•.:   liti   «tapirw,  è  assai  rara;    solo  con  la  pittura  vascolare   attica    a    figure   rosse  di 
pparizione,    e    la   troviamo    fusa   con    l'antica    concezione    della 

i  rhard,  Austri.    Vasenbìlder,    280;    Klein,  (;i  CI.  Puttier,  Calai,  du  Looure,  p.  977. 

Meistersignattiren,   p.  163.  '4)  Ct.  Hartwig,  Meisterschalen,    pp. 

irch.  Zeit.,   1885,  tav.  iS  e  19;  Robinson,  PuUier,  Calai,  du  Louvre,  p.  980. 
'  a/al.  0/  I  ases,  p.    142, 


v,j{*.<p*Yu,Y'-5!    -~!   Ty:.''  *jxx;xv  in  una  «cena  figurata  sopra  un  frammento  di  kylix,  a  firma 
di  Eup::  la  colmata  persiana  dell'Acropoli,   rappresentante  le  nozze 

e  Tetide  (i).  »  ema  di  composizione   corrisponde    perfettamen:  che    si 

riscontra  nelle  rappresentazioni  mitiche  di   y.z-y.-.-r.   e  si 
mulare  l'ipotesi  che,  sotto  l'influenza  di  questo  identico  schema 
ritratta  la  coppia  nuziale,   Hieron  abbia  rapprese   I   * 
Agamennone  nell'att  .-     .    :-m   Briseid 

del   Museo  Britannico  e  secondo  la  versione  omerica.   Non  ha  intatti  p  _  interve- 

nire la  :     •  -.:r,-j,-r:.  figurata,  neiriyiùyTj    nuziale, 

la  quale  è  invece  indispensabile  nelle  scene  di   vjiAOxvwyìz    ì—\   tw    xasc^aev. 

Tale  schema  di  e  i  pompa  nuziale  grave  e  solenne,  ad    I  pittura 

•■  :a  a  figure  n  mpare  nelle  rappresentazioni  di  vju.ozyo>ytx 

del   per  n&W Hymenaìos  . 

citaredi  od  auleti.  Similmente  nelle  ierogamie  reali  o  simboliche  di  Dionysos  e  di  Arianna 

te     diventa  vivace  e  sbr:_    ito,   sotto  l'influenza  del  thiasos  bacc  2  . 

Antonio  Minto. 


.... 
982.  .  .XX),  p.  -.• 


APPENDICE 


V ■;  Vi',  eo  archeologico  di  Firenze  si  conserva  un  nucleo  cospicui)  di  vasi  yreci  di- 
pinti appartenenti  alla  ricca  collezione  archeologica  del  Marchese  Campana,  le  cui  disicela 
membra  si  trovano  disperse  pei   molti  musei   d'Europa. 

Dalle  ricerche  di  Salomone  Reinach  (i),  intorno  alle  vicende  di  quella  celebre  rac- 
,ii.     ip|  ne  il  Governo  di  Francia,  dopo  la    vendita  del    primo   lotto   al- 

PErmil  |uistato    tutta    la    collezione    rimasta  a  Roma,  questa  non  passò  in 

Francia  per  intero.  Una  serie  abbastanza  ricca  di  vasi  greci  tu  acquistata  nel  1863  dal 
Go  rno  belga  per  il  Museo  di  Bruxelles  (2) ;  e  numerosi  frammenti  di  ceramiche  greche 
limasti  ammucchiati  nelle  soffitte  del  Monte  di  Pietà  e  solo  nel  1871,  per  opera  di 
Gian  Francesco  Gamurrini  (3)  poterono  esser  posti  in  luce:  e  mentre  gran  parte  di  questi 
furono  dal  Gamurrini  acquistati  per  il  primo  musco  archeologico  fiorentino  che  andava 
allora  raccogliendosi  nel  Cenacolo  di  Foligno,  i  rimasugli  passavano  ai  musei  comunali 
di   Roma. 

Per  la  collezione  dei  vasi  dipinti  del  vecchio   museo    Campana,    fatta   eccezione    del 

nucleo  dell' Ermitage  (4),  possediamo  degli  elenchi  abbastanza  completi,  grazie  alle  preziose 

e  diligenti  ricerche  di  S.  Reinach,  di  E.  Pottier  (5),  di  M.  Besnier  (6),  di  Fr.  Cumonl    7). 

Solo   pei    la    raccolta   fiorentina  e   per  i   rimasugli   dei   musei  comunali  di  Roma  poco  0  nulla 

osce. 

He\  demann,  illustrando  1  cimelii  della  Galleria  dei  vasi  del  primo  museo  fiorentino, 
indica  come  provenienti  dalla  raccolta  Campana  un  numero  di   vasi  che  in  realtà  non  ne 

ngono  (8).    lenendo  conto  dei  vecchi  cartellini,   dai  quali  sono  contrassegnati,  1  vasi  ri- 


fi)  S.  Reinach,  Esqnisse  d' 'une  histoire  de  la  Col-  notizie  sulla  provenienza  fornisce  pure  lo  Stephani 

lection  Campana  in  Revue  arch.,   10.04.  II,  P-   '79  in  Die  Vasensamml.  des    kais.    Ermitage  (intro- 

ig     .  I,  p.  208  e  S4ì.  duzione,  p.  63  e  ss.). 
(2)  S.  Reinach,  I.  e.    in    Revue  arch.,   1905,  I,  (5)  I  .  Pottier,  Calai,  des  Vases  du  Louvre,  I. 

p.  3,2  e  ss..  intmJ.  p.  63  e  ss.). 

,  1  Gamurrini,  Nota  ili  alcuni  doni  falli  (6)  M.  Besnier,  La  colteci.  Campana  ci  ics  mu- 
dila città  di  Arezzo,  1910,  p.  45.  nota  1  :  S.  Rei-  sées  de  Province  in  Revue  ardi.,  1906,  p.  30.  42?. 
nach,  I.  e.  in  Revue  arch.,  igo^,  I,  p.  54''  e  ss.  ;  (7)  s,  Reinach,  I.  e.  in  Revue  arch.,  1905,  I, 
1905,  II,  p.  162.  p.   (52  e  ss. 

Il  Guèdeonou  tt    Ics  objels   d'ari         (8)  Heydemann,  .UHI.  aus  de»  Antiken-samm- 

acqui s par  le  Musèe  imperiai  de  l' 'Ermitage,  i.Sftn  lungen  in  Ober  -  und  -  Millelilalien  in  Hallisch 

non  riproduce  alcun  elenco  particolareggiato;  e  scarse  Winckelmannsprogr.,   1879,  p.  84  e  ss. 


—  77  — 

composti  dal  restauratore  Franceschi,  con  i  frammenti  acquistati  dal  Gamurrini,  sommano 
appena  a  poco  più  di  una  trentina,  e  tale  è  il  numero  che  risulta  dai  vecchi  elenchi  del 
museo  archeologico  della  Crocetta,  mancando  quelli  del  primo  museo  raccolto  nel  Cenacolo 
di  Foligno.  Nel  catalogo,  che  si  sta  preparando,  dei  vasi  delle  colle/ioni  fiorentine,  per  tutte 
le  raccolte,  e  così  pure  per  questa  del  fondo  Campana,  si  è  tenuto  conto  dei  vecchi  nu- 
meri d'inventario;  sicché  questa  potrà  essere  ben  individuata  e  distinta  dalle  altre  e  so- 
prattutto da  quella  del  vecchi'  gli  Uffizi.  Saranno  inoltre  inclusi  in  detto  catalogo 
anche  i  frammenti  di  vasi  attici,  a  ligure  nere  ed  a  figure  rosse,  alcuni  dei  quali,  assai 
triti  per  il  soggetto  e  per  lo  stile,  non  hanno  potuto  essere  ricomposti  che  parzial- 
mente. Sopra  questa  serie  di  frammenti  fissai,  due  anni  or  sono,  l'attenzione,  proponendo  al 
compianto  prof.  Milani  che  ne  foss<  ti  :  primo  elenco  scientifico  e  ne  fossero  ese- 
guite delle  riproduzioni  fotografiche  per  poter  iniziare  una  prima  ricerca  nelle  i 
francesi  allo  scopo  di  verificare  se  in  realtà,  come  a  me  sembra,  una  parte  di  questi  tram- 
menti  possa  integrare  qualche  pittura  vascolare  importante  per  lo  stile  e  per  il  soggetto. 
Confido  che  questo  lavoro  possa  essere  ora  compiuto,  sotto  il  ninno  direttore  del  museo 
fiorentino,  dott.  L.  Pernier,  con  l'ausilio  benevolo  di  qualche  illustre  collega  d'oltralpe:  si 
guadagneranno,  sono  certo,  la  riconoscenza  degli  studiosi.  Ai  quali  offro  intanto  un  saggio 
di  detti  frammenti  per  mezzo  della  tavola  V  che  qui  si  pubblica  e  che  è  anche  un  saggio  di 
i  diretta  a  colori,  eseguita  col  metodo  particolare  dell' ing.  Arturo  Alinari  di  Firenze. 
Vi  si  veggono  riprodotti,  oltre  al  frammento  che  è  stato  obbietto  del  precedente  mio 
studio,  anche  due  frammenti  di  vasi  a  figure  nere:  nell'uno  dei  quali  è  una  rappresenta- 
zione vi\  •  lata  nella  tavola)  di  Hephaistos  ricondotto  in  Olimpo  da  Baa 
zione  AIONV[(7o;]  i,  nell'altro  è  figurato  Herakles  che  uccide  l'Amazone.  La  nostra  tavola 
permette  di  conoscere  lo  stile  ed  i  colori  delle  pitture  e  della  terracotta  quasi  come  davanti 
ai  frammenti  stessi. 

A.   M. 


LA  CORSA   DI   ATALANTE  E   HIPPOMEXES 
FIGVRATA   IN   A.LCVNI   OGGETTI   ANTICHI 


Il  Robert  (i),  illustrando  la  scena  dipinta  in  stile  polignoteo  sopra  un  cratere  del  Museo 
di  Bologna  (2),  nella  quale  intrawide  i  preparativi  della  celebre  gara  di  Atalante  e  Hip- 
pomenes,  tentò,  con  l'acuta  indagine  delle  fonti  seriori,  la  ricostruzione  di  questa  leggenda, 
quale  doveva  essere  nelle  Ehoiai  esiodee.  La  geniale  ricostruzione  del  Robert  è  stata  ora 
pienamente  confermata  dal  frammento  di  una  Ehoia,  contenuta  in  un  papiro  di  Oxyrhyn- 
chos,  recentemente  scoperto  e  posto  in  luce  dal  Vitelli  (3). 

La  versione  della  leggenda  della  corsa  di  Atalante,  nelle  fonti  letterarie  più  tarde,  ri- 
specchia abbastanza  fedelmente  quella  delle  Ehoiai  esiodee,  salvo  alcune  infiltrazioni,  do- 
vute ai  ricami  della  poesia  ellenistica,  ed  allo  scambio  antichissimo  nella  letteratura  delle 
diverse  figure  di  Atalante  :  l'eroina  della  caccia  calidonia,  la  competitrice  di  Peleo  nei  giochi 
funebri  in  onore  di  Pelias,  la  corridrice  con  i  pretendenti  alle  nozze  (4) 

L' Atalante  della  leggenda  arcadica  è  una  vera  seguace  di  Artemis,  una  ipostasi  della 
dea,  come  Kyrene  e  Kallisto  (5):  to^o'ti?,  caccia  per  le  selve;  vergine,  per  la  sua  origine 
divina  disdegna  ogni  connubio  con  mortali.  L'Atalante  figlia  di  Schoineus,  vergine,  ma 
imposizione  di  un  oracolo  divino  (6),  veloce  nella  corsa  (-oo\ux.7Ì;  \V  'AtxWvt-oi  sfida  ad 
una  gara  i  pretendenti,  nella  quale  è  pena  al  soccombente  la  morte,  premio  al  vincitore  le 
nozze.  Atalante  Spo(x<x£a,  che  corre  con  i  pretendenti  alle  nozze,  non  è  che  una  deriva- 
zione specificata  della  vergine  cacciatrice,  seguace  di  Artemis:  la  verginità  della  figlia  di 
Schoineus  imposta  dal  nume,  l'intervento  di  Aphrodite  che  dà  ad  Hippomenes  1  tre  jrpu'ffsa 
■i.r'f.y.,  mediante  1  quali  egli  riesce  a  vincere  la  corsa,  sono  tutti  elementi  che  vengono  ad 
umanizzare  il  tipo  dell'eroina  atletica. 


(1)  Robert  in  Hermes,  XXII,  p.  44WS4-  De   Atalanta,    Berlin.    Diss.   1885;  Robert,  l    ... 

(2)  Brizio  in  Musco  Italiano  dì  Antichità  clas-  Eitrem  inPhilologus,  LVII1  (  1899),  p.  464;  Schirmer 
Voi.   Il,  tav.  Il,  A.  B.  ;  Pellegrini,  Catalogo  in   Roscher,   Lexikon,   I,  p.  66,  e  ss.;    Escher  in 

liei   vasi  greci   dipinti   nelle   necropoli  felsinee,  Pauly-Wissowa,  Real-Encyclopàdie,  ll,p.  iSopess 

p.  142,  n.  300:  Reinach,  Reperì,  d,            ,I,i    522.  (5)  Studniczka,  Kyrene,  p.  145  ;  Escher  in  Pauly- 

(3)  Vitelli  in  Papiri  greci  e  latini  della  Società  Wissowa,  I.  cit.,  p.  1892. 

Italiana,  Voi.  Il,  p.  45,  frg.  130.  (6)  Robert,  1.  e.  p.  449  e  s.  ;  Vitelli,  I.  e.  (Com- 

lasi  per  la  letteratura  del  mito:  lmmerwahr,  ment  al  frg.  130).  p.  47- 


—  70  — 

La  figura  di  Atalante  operaia,  vinta  da  Hippomenes,  si  fonde,  nella  più  antica  let- 
teratura greca,  con  quella  arcadica  ;  ad  Hippomenes,  amante  e  vincitore  della  corsa,  si  so- 
stituisce talvolta  Meilanion  (i),  compagno  di  Atalante  nella  caccia  al  cinghiale,  ed  il  mitico 
episodio  viene  localizzato  ora  nella  Beozia  o  nella  Megaride,  ora  nel   Peloponneso  (2). 

Nell'arte  invece  queste  varie  figure  di  Atalante  sono  meglio  distinte,  perchè  concepite 
sotto  il   riflesso  di   un  determinato  episodio. 

L'Atalante  arcadica  è  generalmente  rappresentata  come  la  dea  cacciatile:  vestita  del 
corto  chitone,  armata  dell'arco,  con  la  faretra  sulle  spalle,  ed  ì'/vjtz  IX0C90U  vifJpo'v,  come  è 
descritta  da  Pausania,  accanto  a  Meilanion,  nella  scena  figurata  sull'arca  di  Kypselos  (3). 
Ma  accanto  a  questo  tipo  di  Atalante  to;gti;  (del  quale  sarebbe  lungo  anche  il  semplice- 
elenco  degli  esempi  figurati,  dalla  più  arcaica  pittura  vascolare  greca  ai  tardi  rilievi  dei 
sarcofagi  romani)  (4)  abbiamo  un  tipo  più  particolarmente  atletico  dell'eroina  arcadica:  Ata- 
lante lottatrice  in  gara  con  l'eleo.  Con  le  chiome  ora  fluenti,  ora  raccolte,  vestita  di  un 
lesero  y.T('jvi7/.o;  i;cja{;  o  di  un  semplice  ~ip;.'\»<t.x  ai  fianchi,  0  talora  nell'atto  di  pre- 
parazione alla  gara,  completamente  ignuda,  la  figura  di  Atalante  in  lotta  con  Peleo  rap- 
presenta  nell'arte  il  tipo  atletico  eroicizzato  della  virago  lottatrice   nella   palestra   (5). 

La  legenda  della  figlia  di  Schoineus  in  gara  con  Hippomenes  ha  offerto  all'arte 
un'altra  virtù  specifica  dell'eroina  cacciatrice:  Atalante  Sposata.  Ma  disgraziatamente  di 
questa  figura  di  Atalante  corridrice  non  è  pervenuta  a  noi  alcuna  rappresentazione  sicura 
nei   monumenti  greci  della   pittura  e  della  plastica. 

Nel  cratere  di  Bologna,  Atalante  e  Hippomenes  si  preparano  alla  gara.  Mentre  il  gio- 
vane pretendente  e  rivale,  deposta  la  clamide,  è  intento  a  detergersi  dall'olio  con  lo  stri- 
glie, come  un  efebo  della  palestra,  Atalante,  accanto  ad  un  piccolo  Xourpo'v,  interamente 
ignuda,  meno  i  sandali  di  stoffa,  con  le  braccia  alzate  si  avvolge  i  capelli  in  una  larga 
benda.   Questo  tipo  di   Atalante,   ignuda,   che  si   prepara  alla  gara,   si  contonde  con  le  altre 


(1)  Apollod.  Ili,  9,  2:  Hubert,  I.  e,  p.  447:  lante  e  accoppiata  a  Meilanion,  dietro  .1  Meleagro 
Vt-Jasi  inullre  «Hippomenes»  in  Roscher's  Lexi-  e  Peleo. 

/~i>u,   I,  2688  (Stulli   ed  in    Pauly-Wissowa,    VII,  14)    VeJ.isi    l'elenco   dei   monumenti   figurati    in 

1887  (Eitrem)  ;  «Meilanion»    in    Roscher'i    Lexi-  Roscher's  Lexikon,  I,  665,  ed  in  Pau/y  Wissowa, 

kon,   II.  21Ì7  (Escher).  Il,   1894;   per   i   rilievi   dei   sarcofagi   ili.    Robert, 

(2)  Pfister,  Dei  Reliquìenkuli  ini  Alter tum,  in  Die  antiken  Sarkophag-Kelie/s,  III.  2.  p.  268. 
Religionsgeschichtliche  Versuche  u.  ì'orarbeilen,  (5)  Mailer  Walter  A..  Kackiheit  und  EntblSs- 
V.   1.  p.    |6  e  s.  sung,  p.   14S.   156  e   ss.    Per   l'elenco  dei   monu- 

(5)  Paus.  V,  19,   i\  Stuarl    lones  in  Joum.  0/  menti  figurati  vedasi  s.  v.      Peleus»  in  '• 

//ri/.  Si.,  1894,  p.  75.  È  difficile  stabilire  se  questa  Lexikon,   111,   [839  e  ss.  ;  vedansi  inoltre  le  osser- 

veli,!  figurata  sulla  cassa  di    Kypselos  rappresen-  vazioni   tipologiche   del    FurtwSngler  sopra   l'Ata- 

tasse    l'episodi"  della  corsa   o   quello   della    caccia  lante  ignuda  che  si  prepara  alla  lotta,  ini 

calidonia;    nella    scena    della   caccia    al    cinghiale,  pasta  vitrea  della  coli.  Lippert  {Die  antiken  Geni- 

figurata   sul  piede  del  celebre  vaso   Franjois,   Ala-  men,   III,  p.    1.S1  :   v,                      ile.   nota    1). 


—  8,1  — 

figure  dell'eroina  ignuda,  che  sta  facendo  il  bagno  o  completando  il  suo  assettamento,  prima 
di  entrare  in  lotta  con  Peleo  1 1  . 

Ma  se  l'arte  ha  ritratto  dalla  vita  palestritica  ed  agonistica  la  figura  di  Atalante  in 
lotta  con  Peleo,  ignuda  nei  preparativi  alla  gara,  ricoperta  di  corto  chitone  o  di  un  breve 

-izi'wj.x  durante  la  lotta;  similmente  al  medesimo  repertorio  di  figurazioni  deve  essere 
ricorsa  per  esprimere  l'eroina  corridrice   nella  gara  con   Hippomenes. 

Nel  frammento  della  Ehoia  esiodea,  quando  la  vergine  figlia  di  Schoineus  fa  la  sua 
apparizione  per  assistere  al  patto,  dinanzi  al  padre,  al  pretendente  ed  alla  folla  che  si 
aduna  silenziosa  ammirando  la  sua  bellezza  e  gagliardia,  è  descritta  vestita  del  chitone 
che  la  -v/.r]  £s^upoio  agita  e  distende  attorno  al  molle  petto  (2):  Atalante  doveva  avere 
già  compiuto  il  suo  allestimento  per  la  gara,  e  non  ignuda  adunque,  come  ha  sostenuto 
il  Robert  (3),  ma  vestita  di  chitone  si  apprestava  al  cimento. 

11  pensiero  corre  subito  alle  fanciulle,  descritteci  da  Pausania  (V,  16,  2),  che  . 
giavano  nella  corsa  ad  Olimpia,  durante  le  teste  di  Hera:  per  rendere  liberi  i  movimenti  del 
corpo  esse  erano  vestite  di  un  corto  chitone,  che  giungeva  appena  tino  al  ginocchio,  e  che, 
slacciato  sulla  spalla,  scopriva  una  parte  del  seno.  Un  magnifico  esemplare  di  questo  tipo 
classico  di  donzella  corridrice  è  offerto  da  una  statua  marmorea  della  Galleria  dei  Cande- 
labri al  Vaticano  (4Ì,  intorno  alla  quale  fu  espressa  recentemente  da  Alessandro  Della 
Seta  (5)  una  ipotesi  molto  ardita,  ma  altrettanto  ingegnosa:  egli  scorge  rappresentato,  nei 
movimenti  della  donzella,  non  la  partenza  o  l'arrivo,  ma  un  improw 

la  fanciulla,  con  la  testa  abbassata,  vede  a  terra  qualche  cosa  che  richiama  improvvisa- 
mente tutta  la  sua  attenzione.  Pensa  egli  quindi  ad  Atalante  che  si  arresta  per  raccogliere 
i  yzjitx   v.v-2   di   Aphrodite,   lasciati  cadere  da   Hippomenes,   durante   la  t 

Le  osservazioni  del  Della  Seta  sono  molto  persuasive  rispetto  alla  interpretazione  dei 
movimenti  della  fanciulla.   La  congettura  per"'  che  la   palma,   i  albero, 

sia  una  aggiunta  del  copista  ignaro  del   primitivo  soggetto,   mi    sembra,    per   quanto   . 


(1)  Cfr.  la  scena  dipinta  nel  centro  di  una  kylix  (2)  Cfr.  Vitelli,  1.  cit.  frg.  130.  v.  ,  e  >~.  :  / 

a  f,  r.  della  Bibl.  Nation.  di  Parigi  (Luynes,  750):  Carmina  f/?sacn3J,  Addenda,  p.  269.  \.  = 

Lenormant  in    Gas.   archiol.,    1880,   p.   93   e  s.  ;  (3)  Il  Robert  basandosi  sul  \                      gna   e 

Babelon,  Cabinet  des  Antiques,  p.  ;;  e-,   uv.  iS):  sulle  parole  dello  scolio  Townl.  .1  '1'  I 

l 'e   RiJJer,    1                           1    peints,    p.  4S2.   n.  Sii  :  2      .    |-.-.                                      '  \n/.«:;,    ha 

Vedasi    inoltre    la   figura   di    Atalante   incisa   sulla  sostenuto  che  nelle   Ehoiai  Atalante  fosse   rappre- 

pasta  vitrea  della  collezione  Lippert  (Furtwangler,  sentala   nuda   nelle   corsa:    cfr.    Vitelli    in    Comm. 

Die  antiken  Gemuteti,   1,  tav.  XVI,  n.  2-.  p.  71;  frg.   130,  p.  4^,  nota  3. 

Ili,    p.    181)    ricavata    da    una    composizione    più  (4)  Helbig,  F&hrer  durch   die  Sammltmgen    in 

ampia,  comprendente  la  figura  di  Peleo  che.  come  Rom,    1012.  p.   254  e  >s.  :  Walter  A.  Milller,  1.  e 
Atalante,  si  prepara  alla  lotta  (cfr.  Overbeck,  .' 

Bildzierke zum  Thebischen  und  Troischen  Helden-  (5)  A.  Della  Seta  in  Ausonia,   Vili  11913),  p.  1 
kreis,  tav.  Vili,  n.  2  e  3). 


-    M 

bik-,  assai  ardua  a  sostenersi.   Ad  ogni   mo  anche  tale  congettura,  non  riu- 

scirebbe ben  chiara  e  determinata  la  artistica  di  una  figura  di   Atalante 

che  arresta  la  sua  corsa,  con  un  movimento  cosi  istantaneo,  alla   vista  degli   iy/.zz  òwpx 
di  Aphrodite,  senza  l'interventi  ale,  che,  gettandoli  a   terra  ed  invitandola 

a  coglierli,  ha  provocato  queir  impn  Ila  corsa.    L'artt-   i  ere  con- 

cepito dissociate  le  due   figure  di   Atalante   ed    Hippomenes    nell'episodio    culminante    della 
gara  1 1 1. 

classica,    monumenti    diretti    e    sicuri  (2)   che    ritraggano  1 
;   nell'episodio  della  corsa,  ma  vi  so  ia  tarde  figurazioni  dell'arte  industriale 

,  alcune  delle  quali  conservano,  nella  loro  rozzezza,   un  sapore  tutto  classico  di  corn- 
ine, e   perciò   mi  sembrano  degne  di   esse:    prese   in  esame. 

Due  vii  queste  scene  figurate  con  la  gara  di   Atalante  ed  lli|[  no  già  edite; 

ma  vedo,  con  mia  sorpresa,  che  furono  trascurate  dagli  eruditi   nell'elenco  delle  fonti   mo- 
numentali  di  questo  mitico  e] 

l.a  prima  ricorre  graffita  sopì  a  una  coppa  vitrea  del  Museo  di  Reims  e  proviene  da 
una  tomba  romana,  della  line  del  III  secolo  d.  C,  scoperta  nelle  vicinanze  di  quella  città 
(scavi  Orblin,   1896     3  . 

La  seconda  è  espressa  in  rilievo  sopra  due  frammenti  di  un  medaglione  fittile  della 
raccolta  Morgan,  che  serviva  di  decorazione  ad  un  urceus  romano,  del   ll-ni  secolo  d  C 


(  1)  Classificar  I 
tana  nella  cerchia  delle  opere  giovanili  di    Vlirone, 
il   bella  Seta  pone  in   rilievo  il  confronto,  die  egli 

per  analogia  di  movimeli' 
del    celebre   gruppo    mironiano.    Ma   il    movimento 
istantane  che  arresta  la  sua  danza  e  si 

gottito,  fissando  a  terra  la  doppia  tibia, 
potrebbe  essere  concepito  isolato,  senza  la  presenza 
di  Athena  che.  gettai 

I 
lescrizione  franimeli; 

-va  nella  Ehoia  (v.   54-471.  assistiamo  ad 

trasto   assai    movimentato   fra   1    due  eroi: 

Hippomenes  cerca   di   persuadere   la  figlia  di  Schoi- 

•  ne  i  doni  di   \. 
cadere  ad  intervalli  sul  Soójio:  1  tre 

della  don- 
zella,  la  prende,  >>gni  volta,  pi 
mente  li  indo  di  raggiungere  il 
rivale  che  a\  11  più  verso  la 
ntorno  al  gr  .; 
dal   Montfaucon   per  Atalante    ed    Hippo- 


menes  11:                  .1                    .  Sitpft/.,  I,  tav.  45 

Reinach,  Reperì,  de  la  stai.,  I,  p.  478.   ;)■  In  una 

kotyle  .1  fig.  rosse  del  Britisl  VI               I  Walters 

■   Atalante  che   offre  1    Hippo- 
menes  \                            : '■ 

'tery,  II,  p.  141,  4).  Incerta  è  in 
mitico  di  Atalante  ( 
della  scena   figurata   sopra   un   dipinto   pompeiano 
,  Le  pittura  campane,  1 1  -•  : 
.     \ 5  2  ;  Pel 
Inst.,  XIV  (1899),  p,  mi   esc  ;  Hermann,  Denkm. 
der  Milititi  dei .  Illerlums,  tavv.  18 

(j)  Cfr.   Calai,  chi  Musée  Arch.  de  Reims,  pa- 
1  iv.  II.  n.  2281  ;   Kisa,   -; 
ttitinii,    II,    p.  b.    /■'    Vet 

Romain,    p.    239.    ' 
nenti    di    medaglione   fittile 

1  .      iu,   tanno   parte 

:  .   94  ;   idem,   in  Ca 
XIV,     1889-90).  p.  56;  J.  Déchelette,  Lei 


—  82    — 


A  queste  figurazioni  sono  lieto  di  aggiungerne  una  terza,  che  t'orma  il  soggetto  prin- 
cipale di  questa  mia  breve  nota,  e  che  si  può  quasi  dire  sconosciuta  (i);  essa  è  granita 
sopra  un  calice  di  vetro  incolore,  che  si  conserva  nella  colle/ione  Tempie  Leader  (ora  Lord 
Westbury)  al  Castello  di  Vincigliata  presso  Firenze  tv.  i  nuovi  disegni  nelle  ligure   i   e  2). 

La  scena  figurata  in  rilievo  sul  medaglione  fittile  della  collezione  Morgan  è  per  noi 
meno  interessante,  perchè  riproduce  l'epilogo  della  gara  di  Atalante  ed  Hippomenes;  men- 
tre la  figurazione  granita  sopra  1  due  vasi  di  vetro  di  Reims  e  di  Vincigliata  presenta  i 
due  eroi   nel   momento  culminante  della  coi  sa. 

Il  calice  di  vetro  di  Vincigliata  (alt.  m.  0,247;  diam. 
del  labbro  0,145)  fu  scoperto  in  frammenti  nelle  vicinanze 
di  Vada,  nell'alta  Maremma  Toscana,  ed  acquistato  parecchi 
anni  fa  da  Si i  Tempie  Leadei  per  la  sua  raccolta.  Esso 
appai  tiene  a  quella  serie  tipica  in  torma  di  tronco  di  cono  (2), 
cara  ai  vetrai  romani  dell'  Impero  e  che  si  trova  diffusa 
ovunque,  dall'Egitto  alla  Gallia  renana,  ed  i  cui  prototipi 
fìttili  furono  recentemente  intravveduti  dal  Thiersch  (3) 
nelle  caratteristiche    tazze  cretesi   di   Gournia. 

La  figurazione  è  incisa  con  una  tecnica  assai  rozza. 
1  contorni  dei  corpi,  i  particolari  anatomici  sono  resi  a  doppia 
linea  incisa  a  punta  di  diamante,  e  similmente,  con  tratteggi 
di  linee  incise  e  parallele,  è  rilevato  il  vestiario:  cosi  la  su- 
perficie occupata  dalle  figure  si  solleva  dal  fondo  ed  il  fìnto 
rilievo  viene  ad  accentuarsi  in  alcune  parti  più  prominenti, 
rese  a  superficie  rugosa,  con  altri  tratteggi  di  linee  a  zigzag, 
a  punta  di  diamanti-  e  con  pietra  di  smeriglio.  Esaminando 
accuratamente  le  figure,  sotto  la  mano  rozza  e  male  adde- 
strata del   diairetarius  provinciale   del    medio  impero,  vi  si 

riconosce  un  disegno  veramente  classico  nella  concezione  dei  movimenti  del  corpo.  Di  questi 
vasi  di  vetro  incisi,  con  figurazioni  di  soggetto  mitologico,  abbiamo  numerosi  altri  esemplari, 
scoperti  sulle  rive  del  Reno  e  nelle  fiandre,  graffiti  anche  più  rozzamente  del  nostro,  ma 
prettamente  classici   nella  composizione  delle  scene  rappresentate  ;   le  iscrizioni  in  greco,   indi- 


1  imioues    fnrs  de  la  Caule  romaine,  11. 
p.  279-281.  n.  So;  Birch-Walters,  Hislory 
cient  Pollery,  II,  532,   iìk-    228.    Un   terzo   fram- 
mento   isolato    rinvenuto   nel    territorio  Ji   Vienne, 
appartiene  alla  collezione  L.  Chaumartin  :  Cfr.  De- 


in   Revue  épigt .,   V .   p.   54  C. 
11  Leadei    Scott,    l'ht-    cosile    01    Vincigliata, 
p.   150,  tìg.  40. 
12)  Kisa,  1.  «.-.   III.  Formentafel,  <ì  4       i; 

hiersch,  Kretische   Hornbecker  in  Jahres- 


chelette,   I.  e,  II,  "Appendice)   p.    346;    Héron  de      he/ledei  Ssterr.  arch.  hist.,  XVI    1014»,  P-  78-85. 


-  83  - 

canti  i  personaggi  figurati,  richiamano  ai  prodotti  del  tardo  ellenismo  ed  ai  commerci  fio- 
renti con   l'Oriente,   nel   [Il  e   IV   secolo  dell' Imponi   Romano  (i). 

La  scena  figurata  occupa,  tutto  all'  intorno,  una  larga  /.una  mediana  del  nostro  calice 
vitreo,  limitata  superiormente  da  una  decora/ione  a  graffiti,  con  il  motivo  assai  comune 
della  spina  di  pesce,  ed  inferiormente  da  una  breve  zona  di  listelli  verticali  e  paralleli. 

Atalante  e  Hippomenes  sono  rappresentati  incorsa:  precede  Hippomenes  (UIUOMENHC) 
che,  a  quanto  si  può  comprendere,  per  la  rottura  di  gran  parte  del  corpo,  è  figurato 
ignudo,  eccettuati  i  cai/ari  (IvSpoi/.ràs;)  che  arrivano  quasi  a  metà  della  gamba  ;  l'eroe  non 
si  presenta  tranquilli!,  ma  mentre,  preoccupato  della  meta,  concentra  tutte  le  sue  forze  per 
avanzare,  si  volge  con  il  capo  all'  indietro,  verso  la  sua  formidabile  avversaria,  quasi  per 
rivolgerle  la  parola,   spiare   i   suoi  atteggiamenti,  constatare   la  distanza  che    da   essa    lo  di- 


,_Fig.  2.   —  Incisioni  sul  vaso  predetto 


Calante  (ATAA..TH)lo  insegue  da  vicino,  vestita  di  un  chitone  assai  erto,  che  [e 
ricopre  appena  i  fianchi,  e  che,  slacciato  dalla  spalla  destra,  sembra  solo  fissato  su  quella 
sinistra;  ha  i  piedi  e  le  gambe,  fino  al  polpaccio,  calzate  di  bàpoaiSe?.  La  testa  i  la 
parte  sinistra  del  corpo  disgraziatamente  mancano;  ma  la  direzione  dello  sguardo,  si  può 
facilmente  indovinare  rivolta  verso  il  giovane  pretendente,  che  essa  cerca  di  raggiungere 
e  di  colpire,  con   una  spada  sguainata  e   fortemente   impugnata   nella   destra. 

Una  corona  con   rami   intrecciati,   forse   di    Limo    (la   rottura   ne    impedisce    I'  identifica- 
zione   divide   i   due    competitori;    il    paesaggio  dove    Li    scena    si    svolge  è    indicato  da    un 


(i)  Cfr.  Mowat  in  kevue  archi 

p.    254   e   s.;    p.    ;>;,,   ,■   s. 


Il ,         'i  Kisa  ..  IL  i1.  654  l-  ss.  ;  Morin,  I. 


-  84  - 

arboscello  sul  terreno   accidentato  del  -ìcv/.o;  spuntano  delle  pianticelle,  assai 

stilizzate,  che  ne  completano  la  vegetazione. 

Si  potrebbero  ricordare  numerosi  esempi  di  analoghe  composizioni,  particolarmente  ricor- 
rendo alla  pittura  vascolare  greca,  esibenti  due  figure  in  corsa,  in  cui  quella  che  precede  volge 
il  capo  indietro  per  spiare  la  posizione  dell'altra  che  la  insegue  (i).  Questo  movimento  del 
capo  in  Hippomenes  è  giustamente  determinato  dalla  paura  che  gli  incute  la  sua  competitive. 

Nel  frammento  della  Ehoia  esiodea  (v.  29-35),  Atalante  è  descritta  nell'atto  in  cui 
sta  per  slanciarsi  nella  corsa,  mentre  Hippomenes,  che  sa  in  pericolo  la  propria  vita,  ri- 
corre ad  ingannevoli  parole  per  convincere  la  bella  figlia  di  Schoineus  ad  accettare  i  pre- 
ziosi doni  di  Aphrodite. 

Ma  vi  è,  nella  figurazione  incisa  sul  nostro  calice,  qualche  cosa  di  più,  che  giustifica 
il  volger  del  capo  in  Hippomenes  ed  il  desiderio  di  raggiungere  veloce  la   meta:  Ai 
insegue  armata  di  spaJa  il  giovane  pretendente  e  rivale. 

Nel  frammento  della  Ehoia  mancano,    disgraziatamente,    i    versi    nei    quali    il    padre 
Schoineus  segnava  nel  patto  la  sorte  del  pretendente,  se  fosse   stati  1   vinto  dalla  donzella. 
Vi  sono    tuttavia    alcuni  accenni  (v.   33   -spi  i]w£yì;),  particolarmente,  alla  fine  della 
quando  il  giovane  sta  per  raggiungere    la    meta,  gettando    a    terra  il  terzo  pomo,  (v.  47, 
<tùm   TÙi  0  é^éaiuvev  Qa'vocfov  x,al  /.\r,?z  [le'Xaivav.]). 

Ma  in  Apollodoro  (III,  9,  2),  in  Igino  (fab.  185  ed.  Bunte),  e  nell'  Interpola/or  Servii 
[Com.  in  Verg.  Aen.  Ili  in  —  ed.  Tkilo-Hagen  I,  363,  3-16),  si  parla  chiaramente  di 
Vtalante  armata  che  uccideva  i  pretendenti,  che  soccombevano  nella  corsa.  In  Igino  anzi  è 
indicata  anche  l'arnia  e  le  modalità  dell'uccisione,  secondo  il  patto  stabilito  da  Schoineus: 
«  Itaque  cum  a  compluribus  in  coniugium  peteretur,  paia  eius  simultatem  constila it,  qui 
it7>i!  ducere  velici,  prius  in  certamine,  cursu  cum  ea  contenderei,  termino  constitelo,  ut 
i/le  inerntis  fugeret,  haec  cum  telo  insequerelur  ;  quem  intra  finem  termini  consecula  fuis- 
set,  interficeret,  cuius  input  in  stadio  figeret  •>. 

Non  vi  ha  dubbio  quindi  che  Atalante  del  vaso  di  Vincigliata  si  palesa  la  donna 
y.'i.iu.v/'y't  n-rop  ì'/o'j7z  (2)  non  solo  nel  ritintale  i  doni  di  Aphrodite,  ma  anche  nell'uc- 
cidere  i  pretendenti  vinti  nella  corsa. 

Assai  strette  affinità  di  composi/ione  con  la  scena  del  nostro  vaso  oltre,  nonostante  la 
diversità  del  soggetto,  la  coppa  vitrea  del  Museo  di  Colonia  (3)  rappresentante  Hypermnestra 
che  insegne  annata  l.vnkeus,  sebbene  in  essa  la  presenza  di  Pothos  indichi  chiaramente 
che  ben   presto  al   fuion.'  subentrerà,   nell'animo  della    Danaide,   l'amore   per  l'inseguito. 

|i)  Per  scene  generiche  cfr.   E,    Norman  <  i.irJi-  Kephalos;  Borea  ed  Oreithyia ;  Peleo  e  Tetide  ecc 

ner,  Greek  alhletic  Sporti  and  Feshvals,  p.  288,  (21  Vitelli,  I.  e,  frg.  ijo,  v.  54  mota):  cfr.  OviJ. 

fig.  56;  p.  2S1).  fig.  <;;.  Si  può  tuttavia  riscontrare  Wet,  572  -  imtnitis  ». 

il  medesimo  movimento  in  scene  particolari  di  figure  (\)  Ki-a,    /'.;*    Glas   in    Alterlum,   II.  p.  501, 

fuggenti  ed  inseguite     quali    per   esempio    Eos  e  tìg.  246  e  p.  658. 


-  8s  - 


. 


Ben  differente  è  invece  la  rozza  e  schematica  figurazione  della  gara  di   Atalante,  espressa 

sopra   la  coppa  vitrea  di   Reims  (fig.    3):   Atalante  è,   si,   Ci :pita   con   la  destra  annata  di 

spada,  ma  è  ritratta  nel  momento  in  cui,  riconoscendosi  vinta,  stende  le  braccia  verso  il 
suo  avversario,  trasformato  da  Hippomenes 
in  Hippomedon,  come  in  uno  scolio  di 
Apollonio  Rodio  1 1  ).  [  due  competitori  av- 
volti in  ampii  mantelli,  hanno  perduto  quel 
tipo  classico  che  conservano  invece  nella 
figurazione  del  vetro  di   Vincigliata. 

L'abito  di  Atalante  che  insegue  ar- 
mata Hippomenes  non  poteva  concepirsi 
che  su  quello  tipico  dell'Amazone  combat- 
tente. Ben  si  addice  ad  Atalante,  come 
alle  Amazoni,  il  corto  chitone  che  lascia,  per  la  libertà  dei  movimenti,  scoperta  la  parte 
destra  del  seno,  e  bene  si  addicono  gli  alti  calzari  :  così  in  questa  gara  di  corsa  annata  il  tipo 
di   Atalante  òpou.xlx   si    tonde  con   quello  di   Atalante   to;o't'.;   della   leggenda  arcadica. 

Il  tipo  classico  delle  Amazoni,  ferite 
0  vinte,  di  Fidia,  di  Policleto,  di  Cresilas, 
si  perpetua  nella  figura  di  Atalante,  ri- 
tratta in  rilievo  sul  medaglione  fittile  della 
raccolta  Morgan.  Vestita  del  chitoniskoi 
exomis  che,  slacciato  sulla  spalla,  le  disco- 
pre la  mammella  destra,  essa  rivolge  lo 
sguardo  verso  il  suo  vincitore  e  sta  per 
indirizzargli  la  parola,  tenendo  l'indice  della 
mano  sinistra  alla  bocca,  mentre  con  la 
destra  sostiene  uno  dei  pomi  fatali  che  essa 
ha  raccolto  nel  fysóao;.  L'eroe  (2),  con  la 
palma  della  vittoria  nella  sinistra,  è  figurato 
ignudo  nell'atto  di  cingersi  il  capo  con  no 
ramo  di  alloro,  mentre  volge  lo  sgu 
verso  Atalante  (3).  Questa  figura  di  Hip- 
pomenes vincitore  non  è  che  la  traduzione 
di  un  tipo  statuario  assai  comune,  quello  cioè  del   palestrita   /.-/.».■. vt/.o;  :    richiama    intatti 


Medaglione  Ji  terracotta. 


i.  -01,;  ,!i  Zwicker  in  Paitly-ÌVis 
wwa,  s.  \-.  Hippomedon,  Vili.  iXSj,  7;  Gruppe 
Gr,   Myth.,   83,    1. 


1  z)  Neil'  is<  rizione  egli  è  inJic.it" 
Hippomedon  come  sul  vaso  Ji  Reims. 
|j)   Alle  due  figure   Ji    Atalante   e    Min 


—  86  — 

subito  il  nostro  pensiero  alle  statue  degli  atleti  vincitori,  poste  negli  intercolumni  delle  Pa- 
lestre, rappresentate  in  rilievo  sulle  terrecotte  Campana  1 1  . 

Nella  parte  superiore  del   medaglione  si   leggono  i  tre  esametri  seguenti: 

•■  Respicit  ad  malum  pemicibus  ignea  plantis 
"  Quae  prò  dote  parai  moriem  quicunque  fugaci 
«   Velox  in  air  sii  cessasset  virgine  risa. 

Questi  versi,  come  giustamente  osservò  il  Froehner  (2),  si  applicano  bene  ad  Atalante, 
ma  non  hanno  alcun  rapporto  con  la  situazione.  Presuppongono  invece  l'esistenza  di  un'opera 
d'arte  che  rappresentava  Atalante,  vinta,  nell'atto  di  contemplare  gli  x-f >.-/.£  $<3pa  di  Aphro- 
dite.  Aggiungono  poi  alla  tradizione  letteraria  una  versione  nuova,  della  quale  non  ci  è 
dato  di  cogliere  la  fonte:  I  pretendenti,  che  gareggiavano  con  la  bella  figlia  di  Scboineus, 
perdevano  la  gara,  non  tanto  per  abilità  di  lei  nella  corsa,  ma  perchè  si  arrestavano  a 
contemplare  la  sua  bellezza. 

Hippomenes  vincitore,  sicuro  ora  della  propria  vita,  contempla  la  bella  vergine  che, 
secondo  il  patto,  è  divenuta  sua  sposa. 

WTONio  Minto. 


rappresentate  nel  centro  del  medaglione,  fanno  ri-  con  sopra  i  premi  per  il  vincitore  della  «ara    (cfr. 

scontro  ai  lati  la  figura  di  Schoeneus,  padre  di  Ata-  E.  Norman  Gardiner,  1.  e,  p.  208,  tig.  2701. 
Lini.,  ed  una  figura  muliebre,  personificazione  della  (i)Cfr.   Rohden,   in    Die  antiken    Terracotten, 

Palestra   (cfr.    Hiifer   in    Roscher's   Lexikon,    III,  IV,  2,  tav.  LXXI,   1  ;  tav.  CXL1I,  2;  tav.  CXLIII, 

p.   1263)  seduta   sopra  un   rialto  roccioso,  laureata,  i,   ?. 

e  tenente  con  la  destra  una  palma  :  sopra  le  figure  (2)  Cfr.    Froehner    in    Gazette    arckéol.,     XIV . 

dei  due  eroi  vi  e  rappresentata  una  piccola  tavola  p.  60. 


DIVNA  LEGGIADRA  FIGVRINA  IX  BRONZO 

(Tav.   VI) 


A  Montegabbione,  nel  circondario  di  Orvieto,  un  operaio  del  Comune,  praticando  uno 
scasso  per  una  fognatura  urbana  in  Via  Bersaglieri,  scopri,  alla  profondità  di  ni.  o,8o,  una 
gentile  figurina  in  bronzo,  che  si  potè  fortunatamente  ricuperare  per  le  collezioni  del  R.  Museo 
Archeologico  di   Firenze. 

Dopo  un  accurato  ripulimento,  al  bulino,  da  grosse  subolliture  ed  efflorescenze  che  ne 
avevano  alquanto  alterata  la  superficie  intaccando  la  patina  olivastra  del  tondo  con  chiazze 
rosse  di  sottossido  e  nere  di  protossido,  è  apparsa  subito  nel  piccolo  bronzo  una  delicata  e 
fine  esecuzione  ed  una  purezza  nativa  di  stile  che  ci  permettono  di  ammirare  per  suo  mezzo 
i  pregi   non  comuni  dell'opera  originale  donde  il   bronzetti)   stesso  deriva  (tav.   VI). 

La  statuetta,  alta  m.  0,113,  rappresenta  una  giovane  donna,  indossante  un  peplo  do- 
rico, con  apoptygma.  h  concepita  con  la  gamba  destra  alquanto  protesa,  in  atto  di  avan- 
zare lentamente,  e  con  la  testa  leggermente  inchinata.  Il  volto  è  assai  danneggiato,  pei  la 
corrosione  della  guancia  destra,  della  punta  del  naso  e  del  labbro  interiore  ;  gli  occhi  erano 
cerchiati  in  argento,  ma  di  questi  cerchietti  indicanti  la  pupilla  si  conserva  soltanto  quello 
dell'occhio  sinistro,  essendo  l'altro  scomparso.  La  massa  bipartita  dei  capelli  incornicia  la 
fronte,  alquanto  in  basso,  con  ondulazioni  flessuose,  e  s' ingrossa  gradualmente  alle  tempia, 
nascondendo  la  parte  superiore  degli  orecchi  ;  dietro  gli  orecchi,  due  trecce  scendono  a 
spira,  da  una  parte  e  dall'altra,  sulle  spalle,  mentre  l'intera  massa  si  raccoglie  sulla  nuca 
formandovi  una  grossa  crocchia. 

Il  lato  destri  1  del  corpo  è  assai  danneggiato,  e,  solo  dopo  un  diligente  esame,  si  pos- 
sono intravedere  i  punti  di  contatto  del  braccio  destro  mancante,  che,  saldato  a  parte  alla 
spalla,  scendeva  aderente  al  corpo,  e,  piegato  leggermente  al  gomito,  era  proteso  un  po' 
all'  innanzi  :  la  figura  doveva  torse  sostenere  con  la  destra  qualche  ogg  tto.  Ben  conser- 
vato è  invece  il  braccio  sinistro,  ripiegato  al  gomito  ad  angolo  retto,  la  mano  del  quale 
è  impegnata  a  sollevare,  con  graziosa  mossa,  una  piega  dell'apoptygma. 

Il  vestiario  dorico  della  nostra  figurina  si  avvicina  ad  una  nota  e  numerosa  sene  di  statue 
muliebri,  vestite  di  peplo,  ma  nello  stesso  tempo  se  ne  allontana  per  una  certa  libertà  nel- 
l'andatura delle  pieghe.  L'apoptygma,  leggermente  scollato,  scende  alquanto  più  m  giù  dei 
fianchi,  e  non  si  scorge  sotto  ad  esso  alcuna   traccia   vii   cintura  e  di    kolpos;    sul   davanti, 


i  lembi  estremi  vengono  giù  liberi  solo  nella  parte  destra,  invece  a  sinistra  sono  trattenuti 
dalla  mano  ;  sul  dorso  il  lembo  superiore  del  peplo,  ripiegato,  è  portato  sopra  le  spalle, 
e  quivi  fissato,  ma,  sporgendo  ai  lati,  torma  una  specie  di  manica  larga  e  pendente  che 
ricopre  le  braccia.  Sul  fianco  destro,  rovinato,  il  peplo  è  aperto,  e,  per  mezzo  degli  orli 
ricadenti,  fa  un  gioco  di  pieghe  a  zig-zag,  con  linee  regolarmente  divergenti  e  convei 

Il  grazioso  motivo  di  occupare  la  mano  sinistra,  libera,   nel   sollevare    una    piega    del- 
l'apoptygma,  viene  a  rompere  da  questo  lato  la  andatura  delle  pieghe,  derivate  dalla    , 
genza  del  seno,  e  dà  origine  ad  un  incrociamento  di  line.'  sapiente,  e  ad  una  ondulazione 
nell'orlo  estremo,  che  toglie  il  consueto  parallelismo  dei    lembi    laterali,    liberamente    scen- 
denti   dalle   spalle  e   dal   seno,   e  conferisce  al    panneggiamento  un   maj  .-ino. 

Sul  davanti,  nella  parte  inferiore,  le  pieghe  del  peplo  sono  perfettamente  rispondenti 
ai  movimenti  della  figura,  e,  benché  sia  mantenuta  la  solita  piega  verticale  fra  le  gambe, 
manca  qualsiasi  traccia  di  quel  contrasto,  che  si  nota  negli  esemplari  tipici  del  V  secolo, 
fra  il  gruppo  di  pieghe  che  scendono  rigide  e  verticali  lungo  la  gamba,  sostenente  ancora 
quasi  tutto  il  peso  del  corpo,  e  l'adattamento  della  stoffa  alla  gamba  lievemente  protesa, 
della  quale  si   delineano  i  contorni. 

Nella  parte  posteriore  è  continuato  il  rimbocco  del  peplo,  ma  le  pieghe  non  sono  rese 
con  pari  accuratezza,  come  sul  davanti.  Una  incassatura  a  striscia,  praticata  dalla  metà  del 
dorso  tino  all'estremità  interiore,  indica  chiaramente  che  il  bronzetto  doveva  essere  addos- 
sato ad  un  sostegno,  non  perfettamente  verticale,  ma,  in  tutto  od  in  patte,  ripiegato  id 
arco.  Si  tratta  adunque  di  una  figurina  ornamentale,  decorante  un  oggetto  metallico,  che 
non  possiamo  precisare  se  fosse  un  candelabro,  un  thymiaterion,  l'ansa  di  qualche  grande 
vaso,  ovvero  il  manico  di  unti  patera  o  di  uno  specchio;  ad  ogni  modo  la  conformazione 
dell' inca\c  pei  l'attacco,  e  l'atteggiamento  del  capo  e  del  corpo  fanno  escludere  l'ipotesi 
che  la  figurina  avesse  una  vera  e  propria  funzione  di  sostegno,  come  nella  maggior  parte 
dei  bronzi  decorativi. 

Ma  veniamo  all'esame  diletto  del  soggetto  e  dello  stile.  La  testa  inchinata  con  gra- 
ziosa  flessione  del  collo,  lo  sguardo  abbassati',  il  gioco  d'ombre  delicato  che,  per  tale  movi- 
mento, copre  la  parte  inferiore  del  volto,  conferiscono  alla  nostra  donzella  una  espressione 
di  graziti  pudica,  di  riservatezza  ingenua,  che  sono  in  corrispondenza  perfetta  con  il  porta- 
mento modesto  e  severo  del  . 

Questa  delicata  fusione  di  dolcezza  e  di  modestia,  nell'espressione  del  capo  abbassato 
e  nel  portamento  della  persona  richiama  subito  il  nostro  pensiero  alle  fanciulle  ateniesi 
che,  con  gli  occhi  abbassati,  seguono  la  processione  lenta  e  solenne  delle  Panatenee,  nel 
fregio  del  Partenone.  È  noto  come  il  motivo  della  testa  abbass.ua,  e  t. ilota  leggermente 
irniente  un  determinato  sentimento,  abbia  le  sue  radici  nella  grande  arte  del 
V  secolo:  questo  motivo  infatti,  già  in  precedenza  trattato  nella  pittura  vascolare  attica  a 


-  8g  - 

figure  rosse,  fin  dallo  stile  severo,  formò  la  grazia  delle  opere  statuarie  della  scuola  di  Fidia 
e  di  Policleto,  perpetuandosi  poi  nei  rilievi  votivi  e  funerari.  La  concezione  di  tale  movi- 
mento del  capo  è  sempre  corrispondente  al  particolare  stato  d'animo  in  cui  è  espressa  la 
figura  ed  in  piena  armonia  con  gli  atteggiamenti  del  corpo:  l'espressione  sentimentale  varia 

quindi  a  seconda  dei  soggetti.  Così  anche  nell'atteggiamento  del  capo  della  nostra  don- 
zella sembra  d' intrav vedere  l'espressione  di  un  determinato  sentimento,  che,  posto  in  rela- 
zione con  il  portamento  della  persona,  fa  pensare  al  religioso  raccoglimento  di  una 
intenta  a  compiere  una  cerimonia  sacra.  Sarei  adunque  propenso  ad  immaginare  la  giovi- 
netta nell'atto  di  sostenere  con  la  destra  qualche  offerta  o  qualche  oggetto  del  culto  ; 
anzi,  considerando  l' ini  postat  Lira  visibile  del  braccio  mancante,  che  scendeva  gii'  quasi  di- 
ritto, solo  con  una  leggera  flessione  al  gomito,  sarei  inclinato  a  pensare  che  l'oggetto  po- 
tesse essere   una  patera  od   una  prochoui    per  la   libazione. 

Tale  ricostruzione  ipotetica  trova  un  solido  fondamento,  qualora  spingiamo  le  nostre 
ricerche  comparative  e  tipologiche  ad  altri  monumenti  figurati  di  destinazione  ieratica,  e 
particolarmente  alla  ricca  e  svariata  sene  dei   bronzetti  e  delle  terrecotte  votive. 

Una  statuetta  marmorea  acefala,  recentemente  scoperta  a  Siracusa  (  1  ,  figurante  una 
donzella  che  reca  con  la  destra  una  prochous,  offre  un  bellissimo  esempio,  quantunque  ri- 
produca un  tipo  stilistico  piti  antico,  per  la  integrazione  del  braccio  destro  nella  nostra  gio- 
vinetta ed  anche   per  l'integrazione   piti   ipotetica   dell'oggetto  che  sosteneva    nella   mano. 

Il  medesimo  tipo  di  donzella  oìvoyco  uV/:  si  ha,  fra  le  statuette  di  terracotta,  in  alcuni 
esemplali  di  Siracusa  e  di  Taranto  (2).  Ma  nella  maggior  parte  di  queste  figurine  fìttili  di 
offerenti  e  di  sacerdotesse  (3),  non  solo  la  mano  destra,  ma  anche  quella  sinistra  è  sempre 
impegnata  a  sostenere  un'offerta  od  un  oggetto  sacro  del  culto.  Non  mancano  tuttavia 
esempi  in  cui  una  delle  mani,  per  lo  più  la  sinistra,  è  occupata  a  sollevare  un  lembo  od 
una  piega  del  peplo.  Questo  motivo,  che  risale  all'arte  arcaica  141,  è  comune  nelle  figu- 
rine muliebri  in  bronzo  dei  manichi  di  specchio,  in  cui  le  braccia,  perduti  la  primitiva  fun- 
zione tettonica,  riservata  solo  al  capo  ed  al  corpo  (5),  sono  variamente  impegnate,  a  se- 
conda  dei  soggetti  che  in  realtà  rappresentano  (6).  Del  tutto  diversa  è  la  concezione  di  tale 
motivo  nella  nostra  donzella:  non  per  facilitare  il  movimento  della  persona,  ma  per  disim- 
pegnare la  mano,  l'artista  ha  escogitato  il  grazioso  atteggiamento  di  sollevare  una  piega 
dell'apoptygma. 


(1)  Orsi  in  Ausonia,   Vili  (1913)  p.  67  e  ss.  (4)  Cfr.   Kalkmann   in   fa/irb.    arch.    /usi.,    XI, 

(>)  Cfr.   Kekulé,   Die    Terrakotlen  voti   Sicilie?!  (1896),   pag.    u  e  s. 
ni  Die  anliken    Terrakotlen    II.    28,    ì;    Winter,  (5)  Cfr.   Praschnikei   in 

/>!,■   Typen  dei  figurlichen    Terrakotten  nella  me-  arch.   Inst.,    [91  :,   p.    119  e  ss. 
desinia  opera,  III.  11;,  5,8;   iis.  4s.  (1  1  I   fr.  Wiegand,  Bronzefigui  einei  Spinnerin 

13)  Cfr.  Winter,  I.  e.    passim;   Frickenhaus,    in  in  I. XXXIII   Programm  ~n    Winckelmannsfeste, 

Invia,   I,  tav.  Vili— XII.  Berlin,   1913,  p.  9  e  ss. 


—  9o  — 

Pertanto  se  queste  figurine  di  terracotta  e  di  bronzo,  esibenti  figure  di  donzelle  del 
culto  vestite  di  peplo,  possono  tornirci  una  guida  sicura  per  la  ricostruzione  del  sog 
espresso  dal  nostro  bronzetto,  la  troppa  fedeltà  agli  archetipi  (dovuta  alla  loro  destinazione 
ieratica,  ovvero,  in  taluni  piccoli  bronzi  decorativi,  a  funzioni  architettoniche)  non  ci  per- 
mette di  tare  alcuna  comparazione  a  riguardo  dello  stile.  La  nostra  donzella,  nell'insieme  dei 
caratteri  del  volto  e  del  vestiario,  pur  conservando  una  certa  solennità  nel  costume  dorico, 
ci  offre  un  adattamento  verso  un  tipo  più  nobile  ed  elegante.  Esaminiamo  anzitutto  la  testa: 
questa  non  grava  più  verticalmente  sul  corpo  rigida  e  severa,  ma  è  dolcemente  inchinata, 
con  una  leggera  torsione  del  collo.  Le  ciocche  ondulate  dei  capelli  si  distaccano  dalla  tronte, 
in  modo  n  tto,  con  un  notevole  risalto  che  si  accentua  sempre  più  verso  le  tempie;  tut- 
tavia non  formano  un  contorno  angolosi,,  ma  curveggiante,  che  viene  a  completare  la  forma 
ovale,  alquanto  allungata,  del  viso.  Una  novità  dai  tipi  consueti  di  acconciatura  sta  nelle 
due  trecce  ricciute,  che  scendono  lungo  il  collo  sulle  spalle,  associate  al  nodo  che  rac- 
coglie l'intera  massa  dei  capelli  dietro  la  nuca.  Quantunque  si  tratti  di  un  piccolo  bronzo, 
nondimeno  si  intravvedono  benissimo,  nei  caratteri  del  volto,  alcuni  particolari  severi  nelle 
sopracciglia  condotte  in  modo  netto  e  preciso,  nelle  guance  carnose,  con  gli  zigomi  un  po' 
alti;  questi  tratti  severi  contrastano  con  il  disegno  addolcito  delle  labbra,  con  il  mento  non 
quadralo  e  corto,  ma  alquanto  allungato  e  tondeggiante,  con  il  collo  non  tozzo,  ma  relativa- 
mente  snello. 

Nella  conformazione  delle  pieghe  del  peplo  ho  già  rilevato  quanto  sia  notevole  il  di- 
stacco da  quel  tipo  schematico  e  convenzionale  della  scultura  del  V  secolo,  .sorto  e  perfe- 
zionato sotto  l'influenza  delle  scuole  peloponnesiache,  dal  quale  per  solito  derivano  tutte 
le  figurine  in  bronzo  di  carattere  ornamentale  o  votivo  (i).  Il  peplo  indossato  dalla  nostra 
donzella,  dio  la  corrosione  del  lato  destro  impedisce  di  constatare  se  tosse  cinto  sotto  al- 
l'apoptygma,  o  addirittura  s/i-ttg;  sull'intero  fianco,  non  offre  il  solito  parallelismo  di  pie- 
ghe, nei  lembi  laterali  ricadenti  dell'apoptygma;  né  inferiormente  ricorrono  i  soliti  cannelli 
rigidi  e  verticali,  che  di  consueto  fasciano  la  gamba  su  cui  gravita  il  corpo.  Sebbene  la 
stulta  risulti  alquanto  pesante,  abbiamo  già  osservato  come  essa  off ra  un  panneggiare  largo 
e  movimentato,  con  pieghe  ampie,  sobriamente  spezzate,  ondulate,  sia  nell'apoptygma,  sia 
nella  parte  inferiore,  quali   possono  apparire  in   una  piccola  copia  in  bronzo. 

Questo  tipo  di  chitoni-  dorico,  così  svolto  e  modificato,  forse  sotto  l'influenza  delle  for- 
mule artistiche  del   vestiario  ionico,   fa   la  sua  apparizione  anzitutto  nella    pittura    vascolare 


u)  Cfr.  Furtwangler,  Sette  Denkmaler  Antìker  che  nelle  rappresentazioni  più  tarde  dell'arte:  ve- 
Kunst,  II,  in  Kleìne Schriften  (Sieveking-Curtius),  dasi,  per  esempio,  la  donzella,  sacerdotessa  Ji  Ne- 
il, p.  470  e  ss.  Ben  si  comprende  che  il  vestiario  mesis,  che  è  rappresentata  nel  dipinto  pompeiano 
doiic,  legato  per  la  sua  severità  a  tradizioni  ie-  della  casa  del  Citarista  (  Ilermann-Bruckmann, 
ratiche,  persista,  come  nelle  immagini  divine,  nelle  Denkmaler  der  Molerei  dei  Alterlutns,  p.  147, 
figure  dì  sacerdotesse  e  dì  donzelle    del   culto,  an-  tìg.  41,  tav.   111). 


—  gì  — 

attica  della  seconda  metà  del  V  secolo  i  .  Nella  grande  arte  statuaria  si  svolge  più  lenta 
e  tardiva  questa  trasformazione,  perchè  più  legata  agli  antichi  schemi  convenzionali.  Ho 
già  rilevato,  nella  nostra  statuina,  quale  importanza  abbia  per  lo  svolgimento  del  panneggia- 
mento, quel  grazioso  motivo  di  disimpegnare  la  mano  sinistra,  sollevando  una  piega  dell'apo- 
ptygma.   Di  questa  concezione   puramente   artistica,    senza  alcun   ra  .  l'aziono  della 

persona,  non  manca  qualche  esempio  nella  scultura  della  fine  del  V  e  degli  inizi  del  IV 
secolo.  Così  l'Athena,  tipo  Giustiniani  (2),  trattiene  con  la  mano  sinistra  una  piega  del- 
l'himation,  che  le  ricade  dalla  spalla,  rompendo  il  libero  svolgimento  delle  pieghe.  Ma  so- 
prattutto nei  rilievi  votivi  e  funerari,  i  quali  risentono  più  l'influenza  della  pittura  che  quella 
della  plastica,  possiamo  osservare  la  novità  di  questi  partiti  escogitati  dall'arte  per  rompere 
la  monotonia  del  panneggiamento,  e  dare  maggior  vita  e  movimenti!  alla  persona:  l'Hermes, 
nel  rilievo  di  Orpheus  ed  Eurydike  (3),  porta  leggermente  in  avanti,  con  la  mano  destra, 
alcune  piegoline  del  corto  chitone,  che  per  tale  movimento  rimane  in  alcuni  tratti  increspati!, 
in  altri  aderente  all'anca;  similmente  una  delle  fanciulle  di  un  rilievo  del  Palatino  141  in- 
trattiene la  mano  libera  con   una  piega  del    peplo. 

Più  tardi,  nella  scultura  del  IV  secolo,  non  si  sentì  alcun  bisogno  di  ricorrere  a  questi 
artificii,  quando  la  leggerezza  e  la  elasticità  dei  movimenti  del  corpo  si  estrinseca,  con  mag- 
giore naturalezza,  nei  panneggiamenti.  Nella  nostra  donzella  mi  sembrano  preannunziate  queste 
forme  più  naturali  del  piegheggiare  e  particolarmente  nell'ondulazione  delle  pieghe  dell'apopty- 
gma  si  avvicina  ad  alcuni  graziosi  bronzetti,  e  soprattutto  ad  uno  della  collezione  di  Vienna  151 
riproducenti  il  tipo  di  Artemis-Tyche,  il  cui  originale  nella  grande  arte,  conosciuti!  attraverso 
al  migliore  esemplare  di  Dresda,  tu  dal  Furtwanglei  ascritto  alla  cerchia  delle  prime  opere 
di   Prassitele  (6). 

Nello  studio  del  nostro  bronzetti!,  per  lo  svolgimento  stilistici!  del   tipo,  soprattutto  in 


1     Boehlau,   Ouaestiones  de  re  vestiario  Grae-  (?)   Rrunn-Bruckmann.  1.  e.  n.  541  a;  -\.  Ruesch, 

.orimi  p.   ;-  e  ss.   Per  citare  alcuni  esempi  vedasi  Guida  del  Museo    Xas.    di   Sapoli,   p.   4=;   e  se^. 

la  figura  di   Eriphile  nella  pelike    di    Lecce    (Furt-  [Mariani]. 

wangler-Reichhold,  Griech.  Vasenmalerei,  tav.  66);  (4)  Savignoni  in  Hull.  della  Comi»,  ai 

quella  di    Melusa  nell'anfora  del    British    Museum  <li  Roma,   1897,  p.i;;.   7?  e  ss.  ta\ .    \  :   Amelung 

(Cat.   E  271):  quella  di   una    donzella  oìvo/ooiar,,  in   Ròm.    Miti.,    1899,   p.    1   e  "..  lav.    1. 
libante  ad  un  guerriero,  sopra  uno  stamnos  di  Mo-  (ii  Sacken,  Pie  an  en  in  ll'ien,tav. 

h.    Vasenmalerei  i\%.    135  (11  -,    r.   Pei   questi    bronzetti    riproducenti    il    tipo  di 

ed.).    Per  i  vasi  in   istile  di  Meidias,  cfr.    Nicole,  Artemis-Tyche  0  ui  Isis-Tyche  vedai  -      Sacl  en, 

'ylefleuri  dans  la  céramique  attigue  I.  e.  tav.  XVI,   •:   Sanimi.  Jfojjfmann,  1888,  tav.  35; 

p.    106:   Ducati.   /  vasi  dipinti  in  stile  di     \Iidia,  Sieveking,  Die  Bronzea  dei   Sanimi.   I 
p.   26  e   !^.  (6)  Furtwangler  -  M  ,  p.  554;  Sanimi. 

(2)  Brunn-Bruckmann,  Denkmìiler  gr.  u.  ioni.  Somzée,   n.    ;.-:  •    Glyptot/iek    :.n 

Skulplur  n.  200;  Helbig,  Fiihrer  in  Rovi,  (  1912),  I.  M, 

:  Furtwangler,  Meistewerke,  p.   593-59;,  11, 
p.  164.  ;.,    1   Class.   XXI.   voi.   11.   p.    ti.'  e  ss. 


—  92  — 

< i < i  i  accennato  come  maggiori  elementi  di  riscontrosi  abbiano, 
oltre  che  nei  vasi  dipinti,  sui  rilievi  votivi  e  funerari.  Ricorderò  per  tutti  un  bellissimo 
esempio,  fra  i  più  antichi,  offerto  dalla  giovinetta  della  stele  Giustiniani  (Museo  di  Berlino) 

che  sembra  la  traduzioni  fedele  -li  una  piccola  figurina  in  bronzo,  alquanto  più  antica,  come 
tipo  stilistico,  della  nostra  (i):  vestita  di  chitone  dorico  t/itt'J;  essa  ricorda,  per  l'abito  e 
per  l'atteggiamento,  le  ligure  di  ancelle  sulle  stele  più  tarde,  simili  alle  donzelle  offerenti, 
dipinte  sulle  lekythoi  funerarie. 

Ma  sui  vasi  dipinti  e  nei  rilievi  marmorei,  ritroviamo  anche  comparazioni  più  dirette' 
e  specifiche  per  ciò  che  riguarda  il  soggetto.  I  dipinti  vascolari  offrono  una  lunga  serie  di 
esempi  di  giovanette  con  la  prochous  o  la  patera  che  si  apprestano  a  compiere  una  liba- 
zione augurale  0  di  felicitazione  ad  un  guerriero  che  parte  o  che  ritorna.  Così  nei  rilievi 
marmorei  appare  di  frequente  la  medesima  figura  di  donzella  oìvoj£OOu<T7),  sia  in  quelli 
funerari,  come  sulla  celebre  stele  dei  Dipylon,  sia  in  quelli  votivi,  dove  ricorre  sovente 
la  stessa  figura  di  qualche  divinità  libante  ad  un  altro  dio  (Artemis,  Persephone,  Hygieia, 
Ilei,,  Nike).  A  questo  riguardo  basterà  rivolgere  il  pensiero  alle  figure  di  Nike  libante, 
vasi  dipinti  e  nei  rilievi  citaredici,  ed  in  modo  particolare  a  quelle  scolpite  sulla  celebre 
base  marmorea  della  strada  dei  'tripodi  (21.  Queste  graziose  ligure  di  Nike,  che,  avvolte 
strettamente  nell'himation,  procedono  gravi  e  solenni,  tenendo  con  la  mano  destra  la  pa- 
tera o  l'oinochoe,  possono  bene  considerarsi  come  sorelle  minori  delle  fanciulle  del  Parte- 
none:  a  questa   medesima  famiglia   deve  avere  appartenuto  la   nostra   donzella. 

Possiamo  adunque  concludere.  Pur  rimanendo  ipotetica  la  ricostruzione  del  soggetto, 
non  può  cadere  alcun  dubbio  che  il  prototipo  del  nostro  piccolo  bronzo  risalga  a  qui 
riodo  fiorente  dell'arte  greca,  in  cui  si  raccolse  l'eredita  della  grande  arte  del  V  secolo,  e  si 
preparò  la  via  agli  indirizzi  artistici  del  secolo  successivo.  La  piccola  copia  in  bronzo  di 
Montegabbione  ci  permette  di  gustare,  in  tutta  la  sua  bellezza,  la  l:ki/ios;i  composizione 
dell'originale,  tanto  che  si  sarebbe  inclinati,  per  la  lega  del  bronzo  e  per  la  finezza  del  la- 
voro, a  credere    uscita  da  un'officina   greca  anche  la  copia  stessa. 

Antonio  Minto. 


(1)  Kekulé,  Die  Criech.  Sinlfi/ur,p.  179  n.  1482.       [tisi.,   1899,  p.   .':^.  tav.  VI-VU;  Svoronos,  Dos 

(2)  Benndorf  in  Jahreshefte  des   oesterr.   arch.      Alheuer  Natìonalmuseum,  20,   146;. 


STVDI    POLIGNOTKI 


i. 

NOTI-:    SOPRA    L'INFLVSSO     DI    POLIGNOTO 
SVLL'ARTE   DEL  V   SECOLO   A.   CR. 


Della  pittura  greca,  che  tu  senza  dubbio  arte  nobilissima,  a  giudicare  dalle  testimo- 
nianze degli  antichi,  non  restano  che  pochi  e  miseri  avanzi.  Perdute  pur  troppo  per  sempre 
le  tavole  sulle  quali  i  maestri  dipinsero,  rovinati  i  monumenti  che  decorarono,  e 
di  Delfi  ci  hanno  tolto  anche  la  speranza  che  almeno  qualche  frammento  sussistesse  dei 
capolavori  di  Polignoto  nella  Lesche  degli  Gnidi,  a  noi  non  restano  che  poche  stele  fu- 
nebri dipinte,  come  quelle  scoperte  a  Pagasai,  o  poche  metope  arcaiche,  come  quelle  di 
Thermos,  o  ritratti  ellenistici  di  epoca  romana.  Opere  non  certo  di  prim'ordine,  per  quanto 
alla  decorazione  delle  stele  sappiamo  che  solevano  attendere  gli  artisti  più  insigni  |  [),  e  i  rie 
accrescono  in  noi  il  rimpianto  per  quello  che  abbiamo  perduto.  Onde  è  che  per  farci  una 
idea  il  più  che  possibile  adeguata  della  pittura  greca  noi  siamo  costretti  a  porre  a  raffronto 
i  testi  antichi  che  ce  ne  parlano  con  opere  d'arte  le  quali  hanno  relazioni  più  o  meno  di- 
rette con  essa. 

La  ceramica  greca,  sulla  quale  siamo  abbastanza  intorniati,  ci  permette  di  seguire 
la  stona  del  disegno  e  della  composizione  in  un'arte  minore  parallela  alla  grande  pittura, 
che  da  questa  trasse  più  volte  inspirazione  cosi  nei  soggetti  come  nella  composizione.  E 
perciò  la  paziente  e  sagace  ricerca  di  quanto  dalla  pittura  murale  o  su  tavola  sia  passato 
mila  ceramografia,  alla  quale  da  un  pezzo  si  affaticano  gli  archeologi,  riesce  senza  dubbio  a 
portare  spiazzi  di  luce  sopra  alcuni  problemi  riguardanti  la  pittura  e  a  rivelarcene  alcuni  tratti. 

Più   arduo  è  stabilire   i   rapporti   tra  la   pittura  e   la  scultura   aulica,    trattandosi   di    due 
arti  che    hanno  procedimenti    diversi  e  in  certo  senso    anche    tini    diversi.   Ammettere   ima 
precedenza  assoluta    della   pittura   sulla  scultura,   come   talvolta  si    è    tatto,   significa 
un  procedimento  inesatto  contro  il  quale  già  qualcuno  (2)  ha  giustamente  levato  la  voce; 


(1)  V.  '13?.   'ap-/_.,    1908,   p-    14    segg.    (Ai-vanito-  (2)   Della  Seta,   Gei,  p 

poullos). 


—  94  — 

e  ugualmente  errato  sarebbe  il  procedimento  inverso.  Poiché  vi  sono  alcuni  problemi  che 
la  scultura  coi  suoi  mezzi  può  risolvere  prima  della  pittura  ed  è  naturale  che  il  pittore  si 
sforzi  poi  di  imitare,  laddove  in  altri  casi  è  naturale  che  la  pittura  preceda  la  scultura. 
Per  poter  quindi  ricavare  dalla  storia  della  scultura  greca  insegnamenti  valevoli  sulla 
stona  della  pittura,  converrebbe  stabilire  in  molti  casi  particolari  le  relazioni  tra  le  due 
arti,  per  poi  cavarne  conclusioni  generali. 


Uno  dei   periodi   più   importanti   della  storia   della    pittura  greca    è,   per    concordi 
ninni. m/a   dogli    antichi,   quell'i    in   cui    fiorì    Polignoto   di     raso.    Ma    pui    troppo,  come 
accennato,  dei   suoi   lavori   non  ci  è  pervenuto  neppure  il   più   piccolo  frammento,  onde  per 
formarci  un'idea  dell'arte  sua,  siamo  costretti  a  cercarne  i  riflessi  nell'arte  contemporan 
altro  genere,  confrontando  i  dati   degli   autori   antichi  con  le  opere  che  si   presume  abbiano 
risentito  il  suo  influsso.   Ed  a  questo  lavoro  gli  archeologi  si  sono  affaticati   da   un    pezzo, 
con   diversi   risultati,  giungendo  talvolta   a  tentar  di   ricostruire  con  la  guida  di   Pausama  e 
la  scorta  di   vasi   ed   altre   opere  antiche,   alcune   tra   le  sue   più   famose   composizioni  (i). 

E  in  verità  tentar  di  conoscere  l'arte  polignotea  è  di  sommo  interesse  per  chi  si  ac- 
cinga allo  studio  della  storia  della  pittura  antica;  e  per  conseguenza  è  molto  importante 
cercare  di  formarsi  un'idea,  per  quanto  è  possibile  chiara,  dell'influsso  che  il  maestro  eser- 
citò sull'arte  dei  suoi  tempi.  Ma  per  raggiungere  questo  fine  nel  modo  meno  ipotetico  che 
sia  possibile,  a  me  sembra  chi'  convenga  cercare  innanzi  tutto  di  stabilire  finn  a  qual  punto 
questo  influsso  si   estese  e,  anche  più,  entro  quali   limiti  è  permesso  a   imi   di   valutarlo. 

Poiché  se  questi  termini  non  sono  bene  fissati,  può  accadere,  come  è  accaduto  più 
volte,  che  si  scorga  l'intlusso  polignoteo  in  opere  che  ne  sono  esenti,  e  si  attribuiscano  per 
conseguenza  all'artista  peculiarità  che  non  furono  sue  o  innovazioni  che  non  gli  spettano  (2). 
Non  mi  sembra  quindi  inutile  presentare  alcune  osservazioni  elle  tendano  a  mettere  meglio 
in   luce  la  natura  e  i   limiti   dell'influsso  polignoteo  nell'arte  del  quinto   secolo. 

Nell'esaltare  l'opera  di  Polignoto  gli  scrittori  antichi  hanno  commesso  evidenti  esage- 
razioni ed  hanno  attribuito  al  pittori'  di  Taso  un  gran  numero  d'invenzioni  e  d'innovazioni. 
Plinio  131,  che  è  per  noi  la  fonte  più  esplicita,  dice  che  egli  per  primo  fece  le  bocche 
aperte,   sicché   mostrassero  i   denti   e   primo  dipinse   le  donne  con   vesti   trasparenti   e   figurò 


(1)  Cfr.  specialmente  I'-  ricostruzioni  ili  C.  Ro-  furono  già  formulati  dal  Savignoni  in  AusotiiaV, 

bert  (16,   17,   iS  Hall.  Wiwkelmatmsprogr.  i<Sy2,  p.   145. 

1895)  della  Nekyiaedella  llioupersis  di  Delfi  «si  Plin.  A.  H.  XXXV,   58.  \..\  tonte  di  Plinio 

e  della  battaglia  di  M  11  1'  ma  nella  Poikile  Sina  di  in  questa  luogo   tu   probabilmente   Xenokrates  di 
Atene.  ne.  Cu.  Sellers,  Pliny's  Chapters,  p.  \\\  111 

(i\  Dubbi  sulle  innovazioni  attribuite  a  Polignoto  e  segg. 


—  95  — 

nelle  teste  il  pathos.  Ora  se  queste  indicazioni  fossero  interamente  esatte,  sarebbe  facile 
per  noi  rintracciare  le  vestigia  della  maniera  polignotea  nella  pittura  vascolare  elle,  per  l'affi- 
nità dei  mezzi  e  la  sua  condizione  di  arte  minore,  è  portata  naturalmente  ad  imitare  le  con- 
quiste della  grande  pittura.  Ma  lo  studio  dei  monumenti  ha  dimostrato  che  tali  pretese  in- 
novazioni di  Polignoto  erano  nel  dominio  degli  artisti  già  prima  che  il  maestro  di  Taso 
fiorisse  (i).  Evidentemente,  poiché  gli  antichi  insistono  su  tali  caratteristiche  dell'arte  sua, 
escludendo  che  siano  invenzioni  o  innovazioni,  bisogna  ammettere  che  si  tratti  di  perfe- 
zionamenti. Il  che  è  molto  diverso  per  i  fini  del  nostro  studio.  Infatti  se  si  trattasse  di  sce- 
verare  le  opere  di  Polignoto  in  una  sene  di  pitture  antiche  di  cui  non  si  conoscesse  l'au- 
tore, noi  potremmo  attribuirgli  quelle  che  eccellono  nel  rendimento  di  queste  qualità,  ma 
essendo  costretti  a  cercare  solamente  i  riilessi  di  tali  perfezionamenti  in  un'arte  minore  che 
si  sforza  bensì  di  seguire  la  grande  pittura,  ma  che  ha  mezzi  suoi  propri  ed  una  sua  par- 
ticolare evoluzione,  questi  canoni  non  si  possono  applicare  nello  stesso  modo.  Intatti  noi 
nun  possiamo  sapere  tino  a  qual  punto  i  ceramografi  attici  erano  in  grado  di  interpretare 
e  seguire  la  maniera  di  Polignoto,  né  fin  dove  1  perfezionamenti  che  vediamo  compiuti 
nei  disegni  vascolari  siano  dovuti  all'influsso  polignoteo  invece  che  all'evoluzione  naturale 
della  ceramografia. 


11  museo  di  Bologna  possiede  alcuni  vasi  in  cui  si  suol  riconoscere  l'influsso  polignoteo 
e  il  Pellegrini  121  li  divide  in  due  categorie,  una  più  arcaica,  l'altra  più  recente  e  più  evo- 
luta. Di  quest'ultima  l'esemplare  più  insigne  è  un  cratere  a  volute  con  scene  dell'lliouper- 
sis  }).  Sopra  una  delle  facce  (fig.  11  è  l'uccisione  di  Priamo,  sull'altra  l'attentato  di  Aiace 
a  Cassandra. 

Paragoniamo  questo  vaso  con  la  famosa  coppa  firmata  da  Brygos  (fig.  2  e  3)  nel  museo 
del  Louvre  (4).  Anzitutto  bisogna  tener  conto  della  diversa  forma  dei  due  oggetti  :  sul  cra- 
tere si  potevano  disporre  le  figure  come  in  un  quadro,  raccogliendole  e  sviluppandole  in 
altezza,  la  superficie  della  coppa  invece  stretta  e  lunga  invitava  a  svolgere  la  scena  in  esten- 
sione. Premesso  ciò,  credo  che  nessuno  che  studi  con  attenzione  1  due  monumenti  possa 
negare  un'affinità  tra  di  essi.  La  composizione  nell'anfora  di  Bologna  non  è  allatto  più 
varia,    né   obbedisce    a   leggi    diverse. 


(1)  Cfr.  per  ciò  Pottier,  Cai.  des  vases  du  Louvre,  tav.   1 4- 1  s  =  S.  Reinach,  Rép.    vases,  I,    p     221 
p.  0;,)  e    i  I   Roscher,   Lexikon  d.  Mythol.  II,   1.   p.  985-6. 

(2)  Atti  e  ninnoli,-  detta  deputazione  di  storia  (4)  Furtwaengler-Reichhold,    Vasenmaleì 
patria  per  le  Romagne,   1907.  p.    >i8.  25;  l'ottici.  op.  al.  G.   152,  p.  990  e  segg.  ;  Du- 

(3)  Pellegrini,   Cat.  dei  vasi  delle  necropoli  fel-  cati,     O  ramista    Brig 
sinee,   n.  268,  p.    io7.    segg.,    Mon.    d.  /tisi.,    \l. 


-06  - 

Il  gruppo  centrale  di  Priamo  e  Neottolemo,  minata  la  direzione  dei  personaggi,  ha 
le  divergenze  si  spiegano  bene  con  la  forma  diversa  degli  oggetti.  Intatti, 
per  mancanza  di  spazio  in  altezza,  nella  coppa  del  Louvre  l'artista  non  poteva  rappresentare 
Neottolemo  col  buccio  sollevato,  come  vediamo  nel  cratere,  e  viceversa,  per  mancanza  di 
spazio  in  estensione,  il  disegnatore  del  cratere  dovette  figurare  Priamo  con  le  braccia  sol- 
levate anziché  protese,  e  collocare  lo  scudo  di  Neottolemo  dietro  la  testa  del  vecchio  re.  E 
le  analogie  non  si  limitano  al  solo  gruppo  principale;  il  guerriero  a  sinistra  nel  vaso  di 
Bologna  somiglia  assai  da  vicino  all'  "  Acamante  "  della  kylix  di  Brygos,  e  la  fanciulla 
gente  corrisponde  non  solo  nel  concetto,  ma  anche  nello  schema  disegnativo  (corpo  rivolto 
in  un  senso  e  testa  bruscamente  voltata  indietro)  all'"  Astianatte  "   che  si  vede  sull'altro 


lato  della  coppa  del  Louvre.  Cosicché  io  scorgo  attraverso  i  due  vasi  una  medesima  tonte 
d'inspirazione  e  penso  che  st  si  vuole  ammettere  in  questi  due  disegni  l'influsso  di  qual- 
che "|'eia  celebre  dell'arte  maggiore,  si  debba  credere  che  questa  opera  sia  stata  la  stessa 
e  elio  i  due  ceramografi  l'abbiano  interpretata  liberamente,  obbedendo  ciascuno  alle  esigenze 
dell'oggetto  che  decorava. 

Tipi  e  movimenti  adunque  propri  di  un  vaso  considerato  come  polignoteo  si  ritrovano 
in  un  altro  che  è  certamente  anteriore  al  fiorire  di  Polignoto,  e  ne  consegue  naturalmente 
Che  se   ossi    derivano   da    un'opera    dell'arte   maggiore,   questa    non    può    essere    di    Polignoto. 

Ma  l'atteggiamento  di  Neottolemo  nel  cratere  di  Bologna  trova  un  riscontro  assai  strin- 
gente in  un  frammento  di  kylix  di   Euphronios  (i)  e  in  un'idria  a  figure  nere  (2)  conservata 
Monaco,  e  ciò  prova  che  il  tipo  era  già  noto  nel  sesto  secolo  a.  C.  Si  può  quindi  allei- 


li) Arca.  /.,,,'..   1882,  tav.  Ili    =  Reinach,  op. 
P-  439,     3- 


(ji  U.oi.J.  /usi.  I,  tav.  XXXIV 
ri/.,  p.  77,   1-3. 


Reinach.  op. 


mare  che  i  pittori  vascolari  riprodussero  una  creazione  ormai  antica  interpretandola  secondo 
il  loro  grado  di  abilita  i  1  >.  Ed  il  fatto  che  la  figura  fuggente  si  ritrova  nella  coppa  di  - 


e  nel  crateie  Ji  Bologna  e  anche  nel  noto  vaso  Vivenzio  del  museo  di  Napoli  (2),  prova  che 
essa  deve  risalire  a  qualche  tipo  celebre  nelle  scene  di   llioupersis  e  consacrato  dall'uso. 


Insomma  nel  vaso  di   Bologna,  che  non  presenta   nessun    elemento                      sa  dire 

un   nuovo  acquisto,   notiamo  solo  il   progresso  di   un'arce  che  si    trova    nel    suo    periodo    di 

(1)  La  posizione  delle  gambe  di    \  I    rtwaengler-Reichhold,  op,  ti/.,  tav.  34.  I, 

bidria  di  Monaco  è  dovuta  anch'essa  alle  esigenze  p.  182  e                       >tto  anche  in  Roscher.  Lexi- 
dello  spazio. 


' 


maggiore  splendore.  Ma  se  il  perfezionamento  dipenda  dall'evoluzione  naturale  della  cera- 
mica, o  sia  in  parte  il  riflesso  dei  progressi  di  un'arte  maggiore  è  un  quesito  a  cui  il  vaso 
di    Bologna   non   permette  di   rispondere. 

Il  museo  di  Bologna  possiede  anche  un  altro  vaso  (fig.  4)  con  scene  deH'llioupersis(i), 
il  quale,  secondo  il  Robert  (2),  avrebbe  sentito  Lineile  più  fortemente  del  primo  l'influsso  po- 
lignoteo.  La  scena  principale  rappresenta  l'incontro  di  Menelao  ed  Elena  dopo  la  presa  di 
Troia.  Il  soggetto  non  è  nuovo  pei  l'aite  del  quinto  secolo,  poiché  quell'episodio,  che  risale 
.1  Lesene  e  ad  Ibico  (3),  era  già  rappresentato  nell'età  anteriore  (4),  e  si  vedeva  figurato  an- 
che sulla  famosa  cassa  di  Cipselo  (5),  ove  Menelao  era  parimenti  coperto  di  corazza,  strin- 
geva una  spada  e  s'avanzava  per  uccidere  Klena.  La  composizione  del  vaso  bolognese  non 


presenta  nessuna  caratteristica  che  debba  attribuirsi  ad  una  nuova  invenzione  della  mega- 
lografia;  sono  otto  figure,  oltre  la  statua  di  Apollo  che  sta  come  nona,  disposte  simmetri- 
camente e  divise  in  tre  gruppi  di  tre  figure  ciascuno,  secondo  uno  schema  di  composizione 
già  noto  allo  stile  severo  (6).  ri  le  movenze  dei  singoli  personaggi  e  lo  schema  di  essi  non 
attestano  nessun  progresso  rispetto  all'arte  precedente.  1  progressi  consistono  nella  minore 
asperità  dei  contorni,  nella  maggiore  libertà  del  disegno  ;  sono  insomma  progressi  puramente 
tecnici,  che  attestano  il  perfezionamento  degli  artefici.  Lo  stesso  amore  per  la  simmetria 
the  si  nota  nella  scena  principale  di  questo  vaso  si  ritrova  anche  nelle  altre,  soprattutto 
nelle  due  die  decorano  il  collo,  nelle  quali  le  figure  si  tanno  riscontro  esattamente,  disposte 
ai  lati  di  una  figura  centrale,  con  un  sistema  di  composizione  che  ricorda  assai  da  vicino 
quello  di   I  )ouris  1 71. 


(i)  Pellegrini,  Cai.  ti/.,  n.  200,  p.    in    se>;>:- :  (4)  V.    per   le   indicazioni    Roscher,    /.ex.,    I,  2 

Man.  d.  fasi.,  X,  tav.  LIV        Reinach,  I,  p.  218.  e.   1970  (Engelmann)  e  11,  2  e.  2787  se^u-  (Stolli. 

(2)  Moh.  Lincei,  IX,  e.  24  seR.  (s)  Paus.,  V.  18,  3. 

(i)  Schol.  in  Arisloph.  Lysislr.,  ijsesegg.  ap.  (6)  Pottier,  Cai.  ci/.,  p.  S39  e  sej^. 

Kinkel  li.  CI'.  Ilias  parva.  16  (p.  45  e  segg.),  cfr.  (71  Per  la   simmetria    nel    vasi   Ji    Douris   vedi 

lliicu  tramm.  35  Bergk.  ed  Eurip.  Andr.,  628,  631.  Furtwaengler-Reichhold,  op.  di..  I.  p.  240. 


—  99  — 

E  anche  un  terzo  vaso  dello  stesso  museo  di  Bologna,  una  kelebe  (fig.  5)  su  cui  si 
vede  rappresentato  Herakles  accolto  nell'Olimpo  (i),  che  il  Pellegrini  iscrive  nella  categoria 
dei  vasi  polignotei  più  arcaici,  a  me  pare  che  non  offra  nessuna  novità  di  composi/ione.  Sono 
cinque  figure  disposte  simmetricamente  intorno  ad  una  centrale,  come  in  un  frontone  di 
tempio  e  sembra  che  stiano  ciascuna  per  conto  proprio  senza  che  un  torto  legame  appa- 
rente le  unisca  tra  loro.  Confrontiamo  ora  questo  vaso  con  qualche  altro  notevolmente  più 
antico,  per  esempio  con  un'anfora  a  figure  nere  del  British  Museum,  su  cui  si  vede  (fig.  6) 
la  nascita  di  Athena  (2). 

Uno  sguardo  alle  due  opere  basterà,  credo,  a  persuaderci  della  notevole  affinità  della 
disposizione  delle  figure:  ed  io  penso  che  se  nel  sosto  secolo  si  poteva  comporre  una  scena 
come  quella  della  nascita  di  Athena,  nel  quinto,  mutata  la  tecnica  e  perfezionato  il  dise- 
gno, si  poteva  produrre  una  rappresentazione  come  quella  bolognese. 


Fig.   5. 


Osservazioni  analoghe  si  potrebbero  tare  su  altri  vasi  ascritti  alla  cerchia  polignotea. 
L' idria  di  Capua  con  Apollo  seduto  (3)  non  ha  alcuna  varietà  di  composizione.  Vi  domina 
la  simmetria  più  rigida,  e  anche  qui  le  figure  sembra  che  stiano  ciascuna  a  sé:  né  mag- 
giori novità  offre  I'  idria  di  Borea  ed  Orythia  trovata  con  la  precedente  a  Capua  \  .  In 
tutti  e  due  i  vasi,  all'amore  per  la  simmetria  si  unisce  quello  pei  le  figure  imponenti  quasi 
statuarie  che  si  riscontra  già  nei  vasi  di  stile  severo  soprattutto  della  cerchia  di  Euthy- 
mides  (5).  Né  vi  é  alcun  atteggiamento  che  possa  dirsi  nuovo  nell'arte,  hi  nuovo  non  vi 
è,  come  negli  altri  vasi  da  noi  esaminati,  che  la  maggiore  perfezione  del  disegno  rispetto 
ai   prodotti   della  ceramica  precedente. 


(1)  Mon.  d.   Inst.,  XI.    tav.    ig    =  S.   Reinach,  vases,   B   14-.   II.  p.    1    ;  e  segg. 
Rép.  vases,   I.  p.  ^2_>;  Pellegrini,  Cai.  cit.,  n.  228,  ))    '/<"/.    </.    //«/.,    I\.    tav.    17 
pag.  89  e  segg.;  Atti  e  Meni,  cit.,   1907,  p.  21K.  op.  cit.,  I.  p.   1S4. 

(2)  Mon.  d.    /usi..    Ili,    tav.    44.      -    Reinach,  (4)  Mon.  </.  //«/., 

op.  cit.,   I.  p.  no;    Walters,   Br.    Mus.    Cai.    oj  (5)  Pottier,   Cai.  (il.,  p.  gii. 


Reinach. 


Ed  anche  riguardo  ad  un'altra  idria  trovata  a  Capua  ed  ora  nel  museo  britannici  i) 
si  possono  fare  osservazioni  analoghe,  poiché  la  composizione  non  presenta  nessuna  qua- 
lità nuova  e  non   vi  i    figura    li  n  si  ritrovi  nei  vasi  anteriori  (2). 

La  composizione  dunque  ed  i  tipi  nei  vasi  finora  esaminati  non  attestano  nessuna  ri- 
voluzione o  riforma  artistica.  E  in  verità  i!  Robert  (3)  dice  che  essi  lasciano  «  vedere  l'in- 
flusso del  gran  Polignoto  di  raso  soltanto  nelle  figure  e  qualche  volta  anche  nei  motivi, 
ma  non  ancora  nella  composizione  ». 

È  necessario  quindi  che  noi  guai  liamo  un  po'  più  da  vicino  le  figure  di  questi  vasi 
e  vediamo  se  veramente  esse  presentano  caratteri  tali  che  si  debbano  attribuire  all'imi- 
tazione di  figure  create  dall'arte  maggiore  con  novità  d'  inspirazione  e  di  mezzi  tecnici. 

Più  di  una  volta  esaminando  i  nostri  vasi  ho  notato  che  i  personaggi  sembrano  sta  e 
ciascuno  per  conto  proprio  senza  che  un   forte    legame  li   unisca  tra    loro    e    dia    vita    alla 


FiB.  6- 

scena  rappresentata.  Le  caratteristiche  più  evidenti  di  queste  figure  infatti  sono  le  pro- 
porzioni slanciate  e  l'atteggiamento  imponente  quasi  statuario.  Nessuna  di  esse  è  di  pieno 
prospetto  0  di  tre  quarti,  ma  si  presentano  0  di  tutto  profilo,  0  col  corpo  di  prospetto  e 
la  testa  di  profilo,  secondo  schemi  familiari  non  solo  alla  ceramica  a  figure  rosse  di  stile 
0,  ma  anche  a  quella  a  figure  nere.  Cosicché  nessun  vei  1  limostrano  questi 


1      I/o»,    d.    Fusi.,    IX.    tav.    28  Reinach, 

op.  cit.,  I.  p.   185;  Walters,  Brìi.    Jlfus.    t.il.  0/ 

E    170,   III,  p.   li!   sgg. 

(21  11  carro  in  corsa  è  rappresentato  con   fonile 

nella   posizione   dei    (  avalli    oiel    ni  stro 

caso  Pegasi)  già  in  vasi  a  figure   nere.   Cfr.,  per 

esempio,    oltre    il    \  iso    Francois    (Furtwaengler- 

;.  io, .   1 1,  li  1  ippa  di  Kolchos    1  1 1 
(Gerhard,    Auserlesene    Vasenbilder,    122-123    - 

op.  1  il..  Il,  p.  66  :  1  [prodotto  in  Buschor 
Vasenmalerei,  IÌ£.  89,  p.  137);  la  kelebe  di  Caere 
.1  Berlino  [Moti.  d.  /usi..  X,  tav.  4.-5     -  Reinach, 


I,  p.  100)  e  l' idria  pubbl  Gerhard  (op.  cit., 

04  Reinach,  II.  p.  ;j.  riprodotta  in  B 
op.  di.,  t.  96,  p.  145).  Per  lo  schema  della  figura 
che  corre  si  può  confrontare,  per  esempio 
il  satiro  Apoiii;  nella  coppa  di  Brygos  del  museo 
britannico  (Moti.  ti.  /usi.,  IX.  tav.  46  =  Reinach. 
op.  cit.,  I,  p.  un:  Furtwaengler-Reichhold,  op. 
ti/.,  tav.  47;  Pottier,  Douris,  fig.  15)  nella  quale 
trova  riscontro  anche  lo  schema  molto  comune  della 
figura  fuggente  con  la  testa  rivolta  indietro  (v.  so- 
pra, p.  07). 

Mon.  Lincei,  IX,  col.  24. 


—    101    — 

vasi  nella  conquista  dello  scorcio.  Ed  anche  l'amore  per  le  figure  imponenti,  comi 
avuto  occasione  di  notare,  non  è  nuovo. 

Tra  i  vasi  che  smino  venuti  esaminando  e  in  generale  tra  quelli  annoverati  fra  i  po- 
lignotei  (i),  non  vi  è  nessuna  kylix.  Invece  lo  studio  della  ceramica  di  stile  severo  si  è 
rivolto  da  un  pezzo  soprattutto  alle  coppe,  e  appunto  perchè  gli  archeologi  consideravano 
lo  stile  dei  principali  anturi  di  coppe  come  quello  caratteristico  del  periodo  pre-polignoteo, 
vedevano  tra  i  vasi  da  noi  considerati  e  i  precedenti  maggiori  differenze  che  non  vi  siano 
in  realtà.  Poiché  se  anche  non  sono  nel  vero  quelli  che  credono  esservi  state  come  due 
scuole  di  arte:  una  dei  decoratori  di  coppe,  l'altra  dei  decoratori  di  grandi  vasi  (2),  bisogna 
nondimeno  riconoscere  che,  come  ho  già  osservato,  le  differenti  forme  degli  oggetti  por- 
tano con  sé  differenze  nella  decorazione.  Alle  coppe,  anche  per  l'uso  a  cui  erano  desti- 
nate, si  addicevano  meglio  scene  spigliate  e  movimentate,  così  nel  soggetto  come  nella 
traduzione  formale  di  esso,  alle  anfore  invece  ed  ai  crateri  conxeni  vano  maggiormente  le 
scene  più  gravi  e  composte.  È  quindi  facile  supporre  che  un  medesimo  ceramografo  adat- 
tasse la  sua  arte  al  genere  di  vaso  che  di  onde  per  conoscere  compiutamente 
lo  stile  di  un  vasaio  attico  dovremmo  possedere  di  lui  in  ugual  numero  coppe  e  vasi  di 
altre  forme;  e  poiché  ciò  non  accade  quasi  mai,  così  non  mi  sembra  prudente  parlare 
dello  stile  di  un  ceramografo  in  modo  assoluti',  ma  piuttosto  si  può  parlare  dello  stile  di 
lui,  quale  ci  è  dato  conoscere  dalle  sue  opere  superstiti. 

Ciò  premesso  possiamo  citare  Euthymides  come  rappresentante  di  una  tendenza  ar- 
tistica che  ha  molti  riscontri  nei  vasi  da  noi  studiati.  Amante  della  simmetria  141,  egli 
dispone  le  sue  figure  rigidamente  in  modo  quasi  statuario  imprimendo  loro  un  carattere 
austero  di  nobiltà.  Le  scene  rappresentate  non  hanno  vita,  poiché  i  personaggi  fanno  ì 
gesti  che  ad  essi  si  convengono,  ma  non  pare  che  si  appassionino  all'azione  e  quasi  sem- 
brano tutti  compresi  del  compito  loro  di  decorate  un  vaso  di  forma  grave  (5).  Nella  Con- 
cezione dunque  l'arte  di  Euthymides  segue  gli  stessi  criteri  fondamentali  che  abbiamo 
illustrati  nei  vasi  esaminati  dianzi;  la  differenza  è  pere  grande  nel  disegno  chein  Euthy- 
mides é  secco  e  angoloso,  come  si  conveniva  ad  un  artista  che,  seguace  forse  di  Ando- 
kides  ''0,  discendeva  direttamente  dallo  stile  a  figure  nere.  Hgli  é  che  tra  Euthymides  ed 
1  vasi  già  annoverati  fra  i  polignotei  sta  tutta  l'evoluzione  della  ceramica  a  figure  u>sse  di 


ìii  V.    gli    elenchi    dei    vasi    -   polignotei  »    in  coppe  e  vasi  di  altra  forma  è  cosa    nota    a    tutti. 

Robert,   Marathonsschlacht%  p.  07  e  Moti.  Lincei,  (4)   Hoppin,    Eitthymidi 

toc.  ti/.,  e  in  Walters,  History  of  anciciil ftoltery.  (5)  Cfr.  buone  riproduzioni  di  anfore 

I.  p.  4-(ì  e  segg.  mides  in  Furtwae   :       1           old,  tav.  14681.  Allo 

1                          ■  le  osserva/doni  del  Pottier,  stile  di  Euthymides   si    riporta    am 

('al.  ri/.,  pag.  824  e  segg.,  e  quivi  le  indicazioni  Wurzburg    '           lengler-Reichhold,  tav.  : 

bibliografiche.  presenta  1  medesimi    caratteri. 

(31  Che  di  un  medesimo   ceramografo    abbiamo  (6)  Furtwaengler-Reichhold,  I.  | 


stile  severo  e  tutto  il  perfezionamento  graduale  del  disegno  che  a  poco  a  poco  si  va  li- 
berando dalle  strettoie  dell'arcaismn  più  rigido.  Questa  evoluzione  artistica,  per  il  materiale 
di  cui  disponiamo,  possiamo  seguire  nelle  coppe  meglio  che  nelle  anfore  e  nelle  idrie  ;  ma 
non  è  compito  mio  tracciarne  qui  la  storia  e  non  posso  neppure  inoltrarmi  nell'indagine, 
che  sarebbe  molto  attraente,  di  certi  atteggiamenti,  caratteristici  in  modo  particolare  dei 
vasi  di  grandi  dimensioni,  passati  nelle  coppe  e  viceversa,  poiché  ci  vorrebbe  una  lunga 
trattazione  che  mi  porterebbe  troppo  fuori  del  mio  temati).  A  me  è  bastato  assodare  che 
la  tendenza  alle  figure  in  atteggiamento  quasi  statuario  non  e  una  novità  nei  vasi  da  noi 
esaminati,  ma  si  trova  già  nello  stile  severo. 

Riassumendo  ora  le  osservazioni  tatto  fin  qui  possiamo  affermare  che  il  gruppo  di 
vasi  da  noi  considerato  non  offre  nessun  elemento  che  possa  dirsi  nuovo,  né  riguardo  ai 
soggetti  ed  alla  tipologia,  uè  riguardo  alla  composizione,  né  al  disegno.  Messi  a  confronto 
coi  prodotti  della  ceramica  anteriore,  questi  vasi  rivelano  solo  una  mano  più  esperta  in 
chi  li  decorò,  ma  non  attestano  nessun  cambiamento  d'indirizzo  artistico;  e,  come  è  ta- 
cile comprendere,  questa  maggiore  abilità  di  mano  deve  essere  il  prodotto  del  perfeziona- 
mento della  scuola  dei  disegnatori  di  vasi  e  non  può  Considerarsi  certo  come  l'effetto  di 
un  progresso  dell'aite  maggiore,  che  aveva  compiti  differenti  e  differenti  mezzi  tecnici. 


Vi  Simo  peni  altri  vasi  nei  quali  si  vedono  ligure  nei  medesimi  atteggiamenti  che 
abbiamo  illustrati  dianzi,  ma  diversamente  disposte.  E  l'esemplare  più  famoso  di  questa 
classe  di   monumenti  è  il  cratere  detto  degli   Argonauti   al    Louvre  (2). 

Esaminando  attentamente  la  scena  principale  (fig.  71  di  questo  celebre  vaso,  della 
quale  non  importa  a  noi  discutere  il  soggetto,  si  vedrà  facilmente  che  non  è  del  tutto  libera 
dalle  leggi  della  simmetria:  —  Herakles  è  la  figura  di  centro  verso  la  quale  le  altre  sono 
orientate  —  ma  è  una  simmetria  che  non  si  afferra  a  prima  vista;  è,  come  qualcuno  ha 
detto,   una   «simmetria  nascosta  »  (3),  e   non   costituisce  il  carattere  dominante  della  compo- 


i,,  Come  esempio  indicherò  qui,  riferendomi  per  tav.   1.1V  attribuita  ad   |Ones]imos,  e   la   famosa 

comodità  alle  tavole  dello  Hartwig  (Meisterschalen)  coppa  di  Perugia  (tav.  I.VIII)  firmata  da  Euphro- 

alcune  kylikes    nelle   quali    vedo   qualche    riflesso  nios   e   che   I"    Hartwig  (pag.  Ì30  e  segg.)  crede 

della  tendenza  da   me  esaminata.  Tav.  \\l   (scena  dipinta  da  [Onesjimos. 

di  combattimento  firmata  da  Douris  come  pittore);  (2)    Moti.  </.  Itisi.,   \,  tav.  58-40    -  S.  Reinach, 

tav,  XXV  (specialmente  le  figure  femminili,  opera  op.  ti/.,  I.  p.  226  e  seg.  Furtwaengler-Reichhold, 

di  Peithinos);  tav.    XXVI  (nuta    soprattutto  la  li-  op.  ci/.,  tav.   108;  la  faccia  o>l  mito  dei    Niobidi 

Kura  maschile  col   bratdo  dietro    la    schiena).    No-  è  riprodotta    nel    testo    il.    p     251    (Hauser);  cfr. 

tevoli  sotto  questo  rispetto  sono  le  coppe  attribuite  Pottier,  Cai.  ,i/.  < '>   541,  p.  1082  e  se^- 

dallo  Hartwig  al  «  maestro  dalla  testa  calva  »,  spe-  I  0  P.  Girard,  In    Moti.     Iss.  Eludei   grecques, 

cialmente    tav.    XXXV11I.    Vedi    anche    la    KM*  [895,  p.   18. 


—  103  — 

sizione  come  nei  vasi  dell'età  anteriore,  e  soprattutto  vi  è  un' innovazione  di  Mimma  impor- 
tanza per  la  stona  dell'arte.  Le  figure  cioè  non  posano  più  tutte  sul  medesimo  piano,  ma  ono 
disposte  a  diverse  altezze,  segnate  da  linee,  le  quali  vogliono  rappresentare  le  accidentalità 
del  terreno  e  per  conseguenza  la  maggiore  o  minore  distanza  a  cui  le  figure  si  trovano 
dallo  spettatore.  È  insomma  un  tentativo  di  effetto  prospettico,  rozzo  se  vogliamo,  e  che 
tornerà  spesso  nei  periodi  di  decadenza  dell'arte,  o  nelle  arti  che  dispongono  di  scarsi  mezzi 
come   il   mosaicri,    ma   assai  importante   per   noi,   in  quanto  che  nuovo  nell'arte  di  questa  età, 


È  un' innovazione  che  non  richiede  in  realtà  una  speciale  perizia  nel  disegnatore  e 
non  rappresenta  nemmeno  un  grande  progresso  di  tecnica;  ma  è  una  novità  di  concezione 
tale  che  non  poteva  sorgere  se  non  nella  mente  di  un  uomo  di  genio,  il  quale  sentisse 
i  bisogni  dell'arte  e  si  sforzasse  di  rendere  nel  disegno  la  realtà.  Ciò  poteva  solo  venir 
suggerito  da  un  grande  artista  e  non  era  un  perfezionamento  al  quale  potessero  giungere 
pittori  industriali,  sia  pure  di  talento. 

Questa  innovazione  nella  pittura  vascolare  attesta  dunque  una  innovazione  nella  grande 
arte,  che  i  ceramografi  si  sono  sforzati  di  imitare;  e  la  imitazione  è  in  alcuni  casi  più 
spinta,  come  nel  cratere  degli  Argonauti,  in  altri  più  ristretta  come  nei  due  crateri  con 
battaglie   di    Amazzoni   iti^.   Si,    conservati    a    New- York  (i),    nei  quali   le   linee    del    terreno 


(i)  Furtwaengler-Reichhold,  o^.  cìl.,  tav.  116-117,       ser);  il  primo  vaso  (v, 
p.  297  e  segg.;  e  tav,  118  119,  p.  J04  e  segg.  (Hau-       Bulle,  Der  Schoene  Mensch'1,  tav.  307,  p. 627  e  segg. 


—  104  — 

bensì  segnate,  ma  non  vogliono  figurare  tanta  varietà  di  piani,  come  nel  vaso  del 
Louvre,   e   la   simmetria   è   più  ti    osservata. 

Ma  non  voglio  fermarmi  troppo  a  lungo  su  questa  classe  di  vasi  assai  nota  e  nella 
quale  gli  archeologi  hanno  riconosciuto  da  un  pezzo  l'influsso  polignoteo,  e  questa  volta  a 
ragione.  Tali  vasi  infatti,  come  ho  già  detto,  rispecchiano  i  progressi  che  un  grande  maestro 
aveva  fatto  compiere  all'aite  maggiore.  È  quindi  lecito  supporre  che  questi  progressi  siano 
dovuti  a  Polignoto,  il  quale  ci  viene  designato  come  il  magg  pittorico  del  quinto 

seco!,,;  tanto  più  che  la  composizione  di  questi  vasi  concorda  con  ciò  eh,'  sappiamo  della 
composizione  dì   alcuni  suoi   capolavori  (i). 


La  novità  dunque  che  possiamo  considerare  come  polignotea  si  riferisce  alla  compo- 
sizione; ed  il  fatto  stesso  ehe  di  alcune  figure  è  rappresentata  solo  Li  parte  superiore  del 
corpo,  come,  per  citare  l'esempio  piìi  noto,   il  uerriero   a  sinistra  nel    vaso   degli 

Argonauti,  è   una  innovazione   più  tosto  di  composizione  che   ti] 

che  l'altra  parte  della  persona  sia  nascosta  da  qualche  ostacolo,  vai  quanto  dire  che  non 
m  vegga  per  le  esigenze  speciali  dell'ambiente,  in  cui  la  scena  sì  svolge.  Anche  questa 
però  è  una  innovazione  che   non   poteva  essere  introdotta,   se   non    da    un'artista    di    molto 


Per  i  tini  del  i  i  ricercare  se  in  V.  la  descrizione  delle  pitture    Ji    Polignoto 

questi  vasi  siano  opera  di  lui  non di  una  donna.        nelle    Lesche  degli    Cnidi    in    Pausania,    X,  pagg. 

come  vorrebbe  lo  Hauser  top.  cit.,  p.   308  e  seg.).       25-30. 


-  ro5  — 

talento,  poiché  è  proprio  dell'urte  primitiva  ed  arcaica  cercar  di  mostrare  quanto  più  è 
possibile  della  persona,  e  solo  in  un  periodo  avanzato  ad  lui  artista  di  genio,  poteva  sor- 
gere l'idea  di  sacrificare  una  parte  della  figura  alle  esigenze  dell'ambiente. 

Ho  già  detto  che  le  figure  di  questi  vasi  presentami  le  stesse  caratteristiche  di  quelle 
del  gruppo  esaminato  prima  e  che  abbiamo  visto  essere  il  prodotto  dell'evoluzione  natu- 
rale dell'arte,  più  tosto  che  la  creazione  di  un  genio  innovatore.  Però  se  noi  consideriamo 
i  vasi,  di  cui  ci  occupiamo  ora,  troveremo  qualche  elementi!  nuovo  anche  nel  disegno 
delle  figure.  Nel  vaso  degli  Argonauti,  il  volto  del  primo  guerriero  a  sinistra,  del  penul- 
timo a  destra  che  ha  il  capo  coperto  di  largo  petaso  e  di  quello  centrale  seduto  che  si 
regge  il  ginocchio,  non  è  né  di  pieno  prospetto,  ne  di  profilo,  come  si  soleva  fare  nell'età 
anteriore;  e  il  corpo  stesso  è  piantato  con  molta  maggiore'  liberta,  non  essendo  costretto 
in  uno  dei  due  rigidi  schemi  (profilo  o  prospetto)  usati  prima.  Queste  innovazioni  richie- 
dono senza  dubbio  abilità  tecnica  nell'esecutore  e  attestano  un  grado  di  perfezione  avan- 
zato nell'arte  dei  vasai,  tuttavia  non  credo  che  si  possano  attribuire  senz'altro  alla  evolu- 
zione della  ceramografia,  come  altri  progressi  esaminati  prima.  Infatti  se  nella  traduzioni- 
queste  sono  innovazioni  tecniche,  nello  spirito  che  le  ha  promosse  si  riferiscono  ad  un 
nuovo  concetto  della  posizione  della  figura  nell'opera  d'arte.  La  maggior  libertà  che  si  dà 
con  essi  al  personaggio,  il  maggior  movimento  che  ha  il  volto,  sono  strettamente  connessi 
con  la  nuova  concezione  dello  spazio  ambiente.  Finché  tutte  le  figure  dovevano  trovarsi 
allineate  sopra  un  unico  piano,  ad  un  esecutore  che  cercasse  solo  di  perfezionare  i  suoi 
prodotti,  senza  pensare  ad  introdurre  nell'arte  un  nuovo  concetto  dello  spazio,  come  si  può 
supporre  che  facessero  gl'industriali  vasai,  non  sarebbe  venuto  in  mente,  per  raffinata  che 
tosse  la  sua  tecnica,  di  muovere  le  figure  in  questo  modo.  Insomma  a  me  pare  che  questa 
sia  una  novità  di  disegno  che  vada  di  pari  passo  con  la  novità  di  composizione  e  che 
perciò  sia  giusto  attribuire  a   Polignoto. 


L'influsso  polignoteo  oltre  che  nei  prodotti  dell'arte  minore  si  è  ricercato  anche  in 
taluni  capolavori  della  scultura  greca  e  precisamente   nella  composizione  dei  frontoni. 

11  Girard  (li  ha  veduto  l'influsso  di  Polignoto  perfino  sui  frontoni  di  Egina  e  lo 
Hauser  (2)  è  giunto  a  sostenere  che  quelli  di  Olimpia  sono  stati  addirittura  disegnati  da 
Panainos.  Credo  che  un  esame  anche  sommario  sia  sufficiente  a  dimostrare  che  non  ab- 
biamo nessun  dato  positivo  per  affermare  quest'influsso. 


11)  Revue  dei  eludei    %recques,    1894,    p.    j 56  (2)  hi    Furtwaengler-Reichhold,    l'asenmalerei, 

e  se^K-  11,  p.  309  e  segg. 


—  106  — 

Nei  frontoni  di  Egina,  in  qualunque  modo  si  vogliano  ricostruire  (i),  le  figure  si  di- 
spongono in  perfetta  simmetria  ai  lati  della  figura  centrale.  È  una  composizione  stretta- 
mente connessa  con  la  forma  triangolare  del  frontone,  e  di  cui  si  può  seguire  la  genesi 
e  la  evoluzione  sino  dai  piccoli  frontoni  arcaici  dell'acropoli  (2).  b"  per  ciò  che  riguarda  le 
figure,  i  motivi  per  la  maggior  parte  non  .sono  nuovi,  ma  rappresentano  solo  un  perfezio- 
namento di  motivi  già  noti  (3)  ;  ed  anche  quei  feriti  che  sembrano  creazioni  originali  dello 
scultore  di  Egina,  non  sono  del  tutt  1  senza  precedenti  nella  stona  della  statuaria  greca, 
poiché  lo  schema  si  trova  già  nel  gigante  Enkelados  del  frontone  orientale  dell'  Heka- 
tompedon  nella  ricostruzione  pisistratica  (4)  e  si  ritrova  in  vasi  a  figure  nere  e  a  figure 
rosse  di  stile  severo.  Ed  1  molti  raffronti,  istituiti  dal  Furtwaenglei  5)  tra  i  frontoni  di 
Egina  ed  alcuni  prodotti  della  ceramica  attica  a  figure  rosse  di  stile  severo,  giovano 
a  dimostrare  che  le  fonti  .mistiche  dei  frontoni  di  Egina 
si  debbono  cercare  in  un  periodo  anteriore  al  fiorire  di  Po- 
lignoto. 

I..i  composizione  dei  frontoni  d'Olimpia  è  guidata  dalle 
medesime  leggi  seguite  in  quelli  di  Egina;  la  simmetria  vi  do- 
mina con  uguale  rigidezza:  ad  ogni  figura  (nell'orientale),  o  ad 
ogni  gruppo  di  limile  (nell'occidentale),  da  un  lato  del  nume 
che  sta  nel  cento,  corrisponde  dall'altro  lato  un'altra  figura  0 
gruppo  di  figure  analoghi,  non  solo  nella  funzione,  ma  anche 
nell'atteggiamento. 

1   tipi  dei   personaggi  sono  tutti    nella   concezione  e   nella 

torma  prettamente  statuari.  Alcune  figure  si  collegano  coi  tipi 

già    noti   all'arte  e  di  cui  esistono   parecchi   esemplari  161,   altre 

appaiono    nuove.    E   in   queste   appunto,   più  che    nelle  prime, 

troviamo  affrontati   ed  m   parte   risoluti   alcuni   problemi   che   la  scultura  Coi   suoi  mezzi   deve 

aver  risoluto  prima  della   pittura.   Il   fanciullo  accoccolato  del   frontone  orientale    fig.  91   per 

la  posizione  delle  gambe  è  in  un  atteggiamento  che  nella  pittura  sarebbe  uno  scorcio 


(i)V.  le  ricostruzioni  del  Thorwaldsen,  del  Muse.. 
.li  Strasburgo  e  del  Furtwaengler  messe  .1  riscontro 
in  Springer-Michaeiis,  Handbuch   I  '■',  p.  214-21^. 

(2)  Cfr.  Furtwaengler,  Aegina,  p.    116   e   segg. 
■.  p.   li;  e  segg. 

(41  Athen.  Mittheil.,  1897,  tav.  III.  p.  59 
(Schrader). 

{--,)  Il  Furtwaengler  {Aegina,  p.   u'  e  segg.)  ha 
notato  multe  somiglianze  tra  1  frontoni  di  Egina  e 
1   vasi    ittici  .1  figure  rosse  di  stile  severo, 
mente  dell'officina  di  Douris.   Per  i  tini  di   questo 


non  importa  discutere  se  tali  somiglianze  si 
debbano  veramente  all'  inlluss,.  che  l'arte  samia 
avrebbe  esercitato  del  pari  sulla  scultura  ermetica 
e  sulla  ceramici  attica,  come  crede  il  Furtwaengler 
yp.  !4i)-  Ma  è  interessante  untare  come  l'indirizzo 
artistico,  che  si  scorge  attraverso  i  frontoni  di  Egina, 
è  lo  stesso  che  guida  i  vasi  di  stile  severo.  Analogie 
tra  i  vasi  a  figure  nere  e  i  motivi  della  gigante- 
machia  dell' Hekatompedon  nota  anche  lo  Schrader 
[toc.  ri/.,  p.  98  e  seg.). 
(6)  Cfr.  Loewy.  —  Scultura  greca,  p.  27. 


107 


ardito.  Noi  troviamo  risoluto  qui  un  problema  che  allo  scultore,  che  può  tradurre  la  cor- 
poreità con  la  corporeità,  non  offre  nessuna  difficoltà  straordinaria,  neppure  per  la  statica 
della  figura  che  ha  molti  punti  di  appoggio.  Un  simile  problema  infatti  la  statuaria  egizia 
aveva  risolto  sin  dall'antico  impero  (i);  ed  anche  la  coroplastica  greca  offre  esempi  di  figure 
analoghe  già  nel  periodo  arcaico  (2).  E  perciò  mi  sembra  naturale  che  questo  atteggiamento 
sia  stato  rappresentato  prima  dalla  scultura  e  che  poi  la  pittura  abbia  cercato  di  riprodurlo 
coi  propri  mezzi  (3).  ti  la  impresa  non  doveva  ossele  agevole  nelle  condizioni,  in  cui  si 
trovava  l'arte  del  disegno  nel  quinto  secolo. 

La  ceramica  di  stile  severo  ci  offre  infatti  un  tentativo  assai  interessante  di  ■ 
nella  magnifica  coppa  di  Sosias  (fig.  101  del  Museo  di  Berlino  (4).  Il  ceramografo  voleva 
ritrarre  la  gamba  destra  di  Patroclo  in  una  posi- 
zione molto  simile  a  quella  della  destra  del  fan- 
ciullo d'Olimpia,  ed  invece  è  riuscito  a  darle  un 
atteggiamento  che  somiglia  ad  un  tempo  a  quello 
della  destra  ed  a  quello  della  sinistra  di  questa 
statua  e  che  è  assai  poco  naturale.  Vorrebbe 
essere  una  posizione  di  riposo  ed  è  invece  tale 
che  richiederebbe  un  notevole  sforzo  pei  essere 

rvata.  Inoltre  non  si  distingue  che  appena 
la  gamba  dalla  coscia,  che  sembra  quasi  attac- 
cata  artificialmente  al  corpo  e  non  parte  di  esso. 

L'artista,  che  pure  ha  saputo  dare  tanta 
espressione  ai  volti,  ha  lottato  qui  contro  le  dit- 
difficoltà  che  gli  opponeva  il  suo  compito  di  ri-  Fig   „, 

trarre  sopra  un   piano  una  posizione  sporgente. 

Considerazioni  analoghe  si  potrebbero  tare  sulla  figura  dell'altro  stalliere  ;  ed  anche  su 
quella  del  vecchio  pensoso  (supposto  IWyrtilos)  costruite  con  un  senso  così  forte  di  cor- 
poreità che  mal  si  potrebbe  tradurre  in  disegno.  Le  ligure  sdraiate  negli  angoli  poi,  se  sono 
nuove   nella  concezione   del   loro   ufficio  di   spettatori,   per   la  loro  funzione   nella  costruzione 


(1)  Nel  fanciulli)  di  Olimpia  si  vedono  contami-  cfr.  Head  Hist,  Xtun3.,  p.  159  e  seg.,  fig.  84-85  — 

nati  lo  schema    dello  scriba   accoccolato  (Maspero,  rappresentano  un    sileno  m  atteggiamento  analogo 

Egypte  —   Ars  Lina  species  mille—  p.  89  e  segg.  .1  quello    del    fanciullo    di    1  1  contorl 

fig.    159-161)  e  quello   del    cuoco   del    Cairo   (Ma-  per  la  difficoltà  di  riprodurre  in  rilievo  un  originale 


spero,  op.  cit.  fig.   io;).   Ma    non    si    può  ammet- 
tere   nessuna    relazione    di   dipendenza 
statue  egiziane, 
(2)  v.  Arch.  .in-.   1890,  p.  i)  (Riegei). 

ine  monete  di   Nasso   in  Sicilia  di   cui  si 
distinguono  due  tipi     il  più  arcaico  e   il   pi 


scultorio,  cfr.  Bulle  Dei  ■'  ,  png.  4 

j  1    1/  ■  ;  e     ìii/ikf  Deitkmà- 

lei    I,  ta\  .   \         Reina  I,  p.  7 r , 

Furtwaen  ild,    p.     13  e  se^;..  tav.    i.m: 

di    frontespizio.    Bulle 

op.   l'i/.. 


—  io8  — 

del  frontone  e  per  il  loro  schema  si  ricollegano  con  le  figure  analoghe  dei  frontoni 
arcaici. 

Le  figure  adunque  che  in  questo  frontone  ci  appaiono  come  creazioni  nume,  e  per 
le  quali  si  potrebbe  quindi  sospettare  che  fossero  dovute  all'  influsso  di  una  grande  cor- 
rente artistica,  sono  concepite  con  cosi  forte  senso  scultorio  che  non  si  può  ammettere  che 
siano  state  inspirate  da  opere  di  pittura.  E  la  tendenza  che  queste  figure  dimostrano  a  rap- 
presentare tipi  del  popolo  con  atteggiamenti  piuttosto  volgari,  non  trova  affatto  riscontro  con 
ciò  che   le  fonti   antiche  ci   tramandano  sul   genere  dell'arte  di   Polignoto. 

Le  figure  di  Teseo  e  Piritoo  nel  frontone  occidentale,  somigliano  nell'atteggiamento  e 
nello  schema  alle  due  Amazzoni  che  si  avanzano  da  destra  nel  cratere  a  volute  (fig.  8)  di 
New-York,  ed  un  atteggiamento  simile  ha  pure  la  figura  dell'Amazzone  che  brandisce  la 
scure  nel  cratere  a  campana  di  New-York,  vasi  nei  quali,  come  abbiamo  veduto,  si  può 
riconoscere  un  influsso  dell'arte  polignotea. 

Ma  così  le  statue  d'Olimpia  come  le  Amazzoni  dei  vasi  hanno  strette  affinità  con  le 
due  statue  dei  tirannicidi  ;  ed  anzi  nel  cratere  a  volute  anche  la  disposizione  delle  due 
Amazzoni  è  affine  a  quella  di  Armodio  e  Aristogitone,  quale  ci  è  tramandata  dalle  antiche 
rappresentazioni  del  gruppo  U  . 

Ora  se  si  volesse  affermare  che  l' atteggiamento  dei  due  eroi  nel  frontone  di  Olimpia 
è  d' ispirazione  polignotea,  bisognerebbe  poter  sostenere  che  anche  le  statue  dei  tirannicidi 
fossero  state  create  sotto  il  medesimo  influsso  di  Polignoto:  ciò  che  non  è  possibile.  Il 
gruppo  di  Kritios  e  Nesiotes,  del  quale  per  comune  accordo  ormai  dei  dotti  abbiamo  la 
riproduzione  nelle  statue  di  Napoli,  fu  inalzato  nel  477-6,  e  se  pure  non  si  vuol  credere 
che  esso  fosse  una  riproduzione  del  gruppo  precedente  di  Antenor,  come  molti  sostengono 
e  altri  negano  (2),  non  si  può  disconoscere  che  le  ligure  riproducono,  con  le  forme  proprie 
dell'arte  del  tempo,  un  tipo  già  noto  da  un  pezzo  alla  scultura  (3).  Le  statue  dei  tiranni- 
cidi da  un  lato  e  quelle  di  Olimpia  dall'altro,  sono  un'applicazione  del  tipo  arcaico  delle 
figure  in  movimento.  E  forse  la  popolarità  di  cui  godettero  in  Atene  le  statue  dei  due  li- 
beratori,  non   tu  estranea   alla  fortuna  che   il   loro  tipo  ebbe   nell'arte  attica    posteriore  14). 

Somiglianze  non  mancano  neppure  tra  1  gruppi  del  frontone  occidentale  e  la  centau- 
romachia  dello   stesso  cratere  a  volute  di   New -York.    Il    guerriero    di    centro  brandisce  la 

(1)  v.  per  queste  varie  riproduzioni  le  indicazioni  in      Atti  della  R.  Accademia  di  Ardi.  Lett.  e  H.  A, 

in  Collignon,  Hist.  Sculpt.  grecque   1.    pan.   368  di  Napoli,  voi.  XIX  »,  p.  33  e  seg.  V.  per  le  due 

..  seg_  statue  in  generale   Guida  del  Museo  di  Napoli*, 

.   Lechat,  Scitlp.  attigue,  p.  441-  Lo  stesso  n.   103,   104,  p.  28  e  seKlr.  (Mariani). 
Lechat  per  altro  (nota  4.  p.  442)  non  esclude  che  (3)   Loewy,  op.  cit,   p.   15. 

possa  esservi  stata  una  certa    analogia  di  profili  e  14)   Il   medesimo  atteggiamento  ha  nello  scudo  di 

di  attitudini   fra  1  due  gruppi  successivi  di    Antenor  Strangford  la  figura  del  vecchio  calvo  nella  quale  si 

e  di  Kritios  e  Nesiotes.    Cfr.    anche  Patroni.    La  suole  comunemente  riconoscere  Fidia.  (Cfr.  Loewy, 

scultura  greca  arcaica  e  le  statue  dei  tirannicidi,  op.  cit.  tig.  70). 


-  log  - 

scure  con  una  mossa  analoga  a  quella  di  Teseo  e  Piritoo  e  dei  tirannoctoni  di  cui  abbiamo 
dianzi  parlato;  e  l'aggruppamento  del  secondo  centauro  a  destra  col  giovane  greco,  ricorda 
quelli  dei   Lapiti  e  dei  Centauri   d'Olimpia. 

11  ceramografo  del  vaso  di  New-York  ha  tentato  qui  scorci  ardimentosi,  specialmente 
nel  centauro  che  oppone  lo  scudo  alla  scure  dell'eroe,  ed  anche  nel  primo  centauro  a  si- 
nistra. Ma  i  suoi  tentativi  rivelano  la  sua  non  compiuta  preparazione  al  compito  che  si 
prefìggeva  :  si  direbbe  che  quei  centauri  facciano  un  grande  sforzo  per  mantenersi  in  quelle 
posizioni;  e  il  tentativo  dell'artista,  soprattutto  per  il  secondo  centauro  a  destra,  non  può 
dirsi  più  fortunato  di  quello  di  Sosias  o  degli  altri  ceramografi  di  stile  severo.  Nel  fron- 
tone d'Olimpia  invece  vi  è  più  di  un  aggruppamento  che  darebbe  luogo  nella  pittura  a 
scorci  altrettanto  arditi;  ma  egli  è  che  anche  qui  si  tratta  di  compitiche  la  statuaria  per 
sua  natura  può  risolvere  meglio  e  perciò  prima  dell'arte  del  disegno. 

Nessuna  novità  dunque  di  composizione  ed  un  carattere  strettamente  scultorio  nei 
singoli  gruppi;  questo  si  nota  nei  frontoni  d'Olimpia,  ed  a  me  sembra  che  sia  sufficiente 
per  indurci  a  respingere  la  teoria  dello  Hauser,  secondo  la  quale  il  creatore  di  essi  non  fu 
uno  scultore,   ma  un  pittore. 

Tuttavia  le  somiglianze  tra  i  frontoni  ed  1  vasi  polignotei  esistono  realmente,  e  poi- 
ché non  sembra  troppo  probabile  che  i  ceramografi  attici  attingessero  ad  Olimpia  la  in- 
spirazione per  i  loro  prodotti  industriali,  converrà  cercare  qualche  altra  spiegazione  di  que- 
sto fatto. 

Ho  notato  più  su  alcune  somiglianze  di  atteggiamento  tra  due  figure  del  frontone  oc- 
cidentale di  Olimpia  e  le  statue  dei  tirannicidi  ;  ma  tra  le  sculture  di  Olimpia  e  l'arte 
attica  si  possono  riscontrare  anche  altre  analogie.  La  testa  di  Apollo  (fìg.  ili  somiglia  assai 
da  vicino  al  cosidetto  efebo  biondo  (fig.  1 2)  dell'Acropoli  di  Atene,  gli  somiglia  così  nella 
costruzione  del  cranio  e  del  volto  (calotta  cranica  rialzata  quasi  a  cupola,  taglio  della  bocca 
col  labbro  inferiore  sporgente  e  leggermente  ripiegato  in  fuori,  taglio  degli  occhi,  confor- 
mazione delle  guance)  come  nel  trattamento  dei  capelli  (1). 

L'efebo  per  altro  è  più  rigido,  più  arcaico;  l'Apollo  attesta  un'arte  più  libera;  ma  le 
caratteristiche  fondamentali  sono  le  stesse  in  tutt'e  due  le  opere,  le  quali  rappresentano 
un'arte  medesima  in  due  diversi  stadi   della  sua  evoluzione. 

Per  i  fini  di  questo  lavoro  non  è   necessario   indagare  a  quale  cerchia  artistica  si  deb- 


ii)  Le  somiglianze    tra    l'Apollo    di    Olimpia    e  p.  248  e  seg.  e  quivi  la  bibliografia.  Le  somiglianze 

l'efebo  biniiJn  sono  state  notate  per  la  prima  volta  si    lasciami    cogliere    più    agevolmente,    quando   si 

dal  Sophoulis  (TL  'Apy.   1888,  p.    811    cfr.  anche  guardimi  le  due  teste  di  profilo  (per  l'efebo  biondo 

Collignon,    Misi.    Scalpt.gr.     I.    p.    564:    Bulle,  Collignon,    op.  cii.    iìk.    1S4;    Bulle.   .  il.  fig.    130; 

/>e?    Schoene    Mensch-   e.    4 s<j  :    Lerman.    Altgr.  Lerman,  cii.  tig.  a,   b,  e:   prospetti!  ed  entrambi  i 

Plastik,  p.  155:  Dickins,  Cat.Mus.  Acr.  I.  n.  689,  profili). 


bano  attribuire  i  frontoni  di  Olimpia  i  i  .   Ma  li"  voluto  ricordare  le  più  evidenti  somiglianze 
tra  essi  ed  alcune  opere  famose  trovate  in   Utica,  pei   dimostrare  come  in  Atene,  nei  primi 

decenni  del  quintu  secolo  si  producessero,  o  in  og  sera   comuni  (2),  opere  che 

avevano  una  stretta  parentela  artistica  con   le  ligure  di   Olimpia. 

Ma  della  scultura  attica  di  questo  tempo  molti   esemplari  senza  dubbio  non  sol 
venuti  a  noi  (3),  ed  è  probabile  quindi  che  altre  opere  esistessero  ad  Atene  che  avessero 
con  le  sculture  di  Olimpia  affinità  anche  più  strette  che  non  i  tirannicidi  e  l'efebo. 

E   poiché,   pei    quanto  abbiamo  detto  più  sopra,  né  la  composizione,  né  i   tipi  dei  fron- 
toni d'Olimpia  si   debbono  attribuire  all'influsso  della   pittura,  è  lecito  supporre  che  le  so- 


miglianze tra  queste  ligure  frontonali  vi  debbano  spiegare  piuttosto  con  un  influsso  che  la 
corrente  scultoria,  di  etti  ho  notato  l'esistenza  in  Attica,  avrebbe  esercitato  sull'arte  a  cui 
si  debbono  1  vasi  polignotei. 


Alla  medesima  maniera  di  cui  furono  rappresentanti,  in  diversi  periodi  della  sua  evo- 
luzione, Euthymides  e  l'autore  della  Ilioupersis  di  Bologna,  si  collega,  per  ciò  che  riguarda 
le  figure,  il  vaso  degli  Argonauti  e  poi  la  celebre  "  coppa  di  Kodros  "  (4).  In  quest'opera 
é  facile  riconoscere,  come  m   é  fatto  già   da   un  pezzo,   molti   riflessi   della    scultura    fidiaca: 


■   -  ai  ie    opinioni    enumerate    bre 
111    MichaeliS,    Un  seco/odi  scopate  archi 
(traJ.  Pressi),  p   142:  e  [v.  Duhn]    l'erseichnis  <l. 
Abgìisse  in  Heidelberg",  p.  4i  e  quivi    le  indica- 
zioni   bibliografiche  :    aggiungi    Lerman,   op.   ,  il.. 
pag.  226  (arie  ecleti 

somiglianze   dell'efebo   biondo  con    altre 
opere  tre  la  Kore  di 


Euthydikos,  •  ■  soprattutto  il  tatti  che  anche  nelle 
stele  funebri  si  trovano  teste  che   somigliano  allo 
stesso  efeb  ■  (cfr.  I  echat,  "/>.  ci/.,  p.  36; 
Dickins,   <•/>■   ni.  n.    1332.    p.    2721   attestano   a 
parer  mio  che  l'opera  fu  creata  in   Attica. 
I  0    Patroni,  op.  •  :/..  p.  33. 

.■urini.   Cai.  cil.    n.    275:   Bulle,  op.  (il., 
segg.   fig.    197;   U'ieuer  Vorlegebl.  1,  4. 


—  ni  — 

è  facile  riconoscerli,  perchè  questa  scultura  ci  è  sufficientemente  nota  per  le  opere  a  noi 
pervenute. 

Ma  l'osservazione  che  la  coppa    di    Kodros    ci    permette    di    fare    dell'  influsso    della 

grande  scultura  fidiaca  sulla  pittura  vascolare,  ci  conforta  nell'  idea  che  anche  su  altri  vasi 
anteriori  di  data,  ma  appartenenti  alla  stessa  corrente  artistica,  si  possano  vedere  gl'influssi 
della  statuaria  contemporanea  (1). 

Giunti  a  questo  punto  ci  si  presenta  un  quesito  che  è  di  capitale  importanza  per  la 
nostra  conoscenza  dell'aite  di  Polignoto.  Al  maestro  di  Taso  e  ai  suoi  collaboratori  abbiamo 
attribuito  le  novità  di  composizione  che  vediamo  nel  cratere  degli  Argonauti  e  nei  vasi 
della  stessa  cerchia;  ma  le  figure  di  questi  vasi,  come  abbiami.»  osservato,  non  presentano 
uguali  novità  ed  hanno  una  lunga  tradizione  artistica.  Logicamente  questo  fatto  si  potrebbe 
spiegare  in  due  modi:  0  che  i  ceramografi  avessero  preso  da  Polignoto  solo  la  composi- 
zione, nel  qual  caso  ci  resterebbero  affatto  sconosciuti  i  tipi  delle  figure  polignotee,  0  che 
il  grande  maestro  ripetesse  anche  egli  i  tipi  già  adoperati,  perfezionandoli  solo  eJ  impri- 
mendo loro  quelle  particolari  caratteristiche  che  non  si  possono  imitare  dagli  artisti  minori. 
In  base  all'esame  esclusivo  dei  monumenti  non  potremmo  deciderci  fra  le  due  soluzioni; 
e  perciò  converrà  invocare  in  aiuto  anche  la  tradizione  letteraria.  Pur  troppo  non  possiamo 
servirci  di  quel  luogo  di  Plinio  (2)  che  più  sembrerebbe  destinato  ad  illuminarci  sullo 
stile  del  maestro,  perchè  in  esso  si  attribuisce  a  Polignoto  1'  invenzione  di  molti  elementi 
che  esistevano  prima  di  lui.  Cercheremo  invece  di  desumere  le  indicazioni  che  ci  interes- 
sano da  ciò  che  sappiamo  di  alcune  opere  del  pittore  e  dei  suoi  collabori,  attenendoci  solo 
a  ciò  che  ne  dicono  gli  antichi  e  lasciando  da  parte  le  ricostruzioni  e  identificazioni  degli 
archeologi   moderni,   per  loro  natura  ipotetiche  (3). 

Dalla  descrizione  di  Pausania  (4)  del  capolavoro  del  maestro,  che  tu  la  decorazione 
della  Lesche  degli  Cnidi  a  Delfi,  si  ricava  che  Polignoto  non  amava  rappresentare  scene 
movimentate  e  violente,  ma  preferiva  ritrarre  compostamente  l'effetto  che  producevano  sui 
personaggi  i  grandi  avvenimenti,  di  cui  erano  stati  attori  e  testimoni.  Nella  sua  llioupersis 
non  erano  riprodotte  le  terribili  scene  ritratte  da  Brygos  e  nel  cratere  di  Bologna,  non  la 
tragedia  della  notte  fatale,  ma  gli  effetti  della  tragedia,  ti  Così  pure  ad  Atene  Polignoto 
non  aveva  dipinto  l'attentato  di   Aiace  a  Cassandra,   ma  una  conseguenza  di  questo  fatto  15). 

(1)  L'influsso  della  scultura  si  può  riconoscere  niente  di  riconoscere  il  ricordo  di  alcune  opere  de- 
meglio  nell'età  più  avanzata  clic  nell'arcaica  anche  terminate  di  Polignoto  0  dei  suoi  compagni  :  per- 
per  il  fatto  che  i  mezzi  tecnici  più  perfezionati  che  ho  creduto  che  fosse  opportuno  stabilire  entro 
permettevano  al  ceramografo  Ji  riprodurre  meglio  quali  limiti  sia  lecito  riconoscere  l'influsso  Poligno- 
i   motivi  scultorii.  teo.   prima  Ji   pone    a  riscontro  ciò   che   sappiamo 

(2)  v.   sopra   p.   94   n.   ;.  dogli   antichi    riguardo   alle    opere  Ji   Polignoto  coi 
(JI   Nel  Corso  Ji  questo  lavoro    mi    sono   Jelihe-       monumenti  che  rappresentano    gli    stinsi   soggetti. 

ratamente  astenuto  dal  trarre  qualunque  deduzione  141   Paus.   X,  25-30. 

Jai  prodotti  artistici,   nei    quali    si    crede   comune-  15)  Paus.   I.    iq.   2. 


—    112    — 

Stando  alla  descrizione  di  Pausania,  nella  Lesche  non  si  vedevano  grovigli  di  figure, 
ma  gruppi  sparsi  qua  e  là;  alcuni  personaggi  in  piedi  altri  seduti  o  inatto  di  camminare. 

Atteggiamenti  che  ricordano  quelli  che  vediamo  nel  cratere  del  Louvre  e  che  e'  in- 
ducono a  credere  che  le  figure  del  maestro  di  Taso  fossero  disegnate  Con  forme  somi- 
glianti a  quelle  dei  vasi  da  noi  esaminati;  non  risulta  infatti  che  nelle  pitt Lire  di  Delti  vi 
fossero  tipi  assolutamente  muovi. 

iudicare  quindi  dalla  descrizione  di  Pausania  e  dalla  conoscenza  che  i  monumenti 
superstiti  ci  danno  dell'arte  della  prima  metà  del  quinto  secolo,  Polignoto  non  tu  tanto  un 
creatore  di  nuovi  schemi  disegnativi,  quanto  un  perfezionatore  di  quelli  già  in  uso;  e 
mirò  soprattutto  a  ritrarre  con  perfezione  mai  raggiunta  prima  lo  stato  d'animo  dei  perso- 
naggi, che  traluceva  dal  volto  e  dall'attitudine  della  persona.  Ed  infatti  per  testimonianza 
degli   antichi  ni   Polignoto  tu  eccellente  nel   rappresentare  il   pathos  e  I'  ethos. 

Pur  troppo  perdute  tutte  le  opere  del  maestro  e  costretti  a  cercare  il  ricordo  delle 
sue  creazioni  in  prodotti  dell'arte  minore,  dobbiamo  rinunziare  a  formarci  un'idea  esatta 
di  ciò  che  dovevano  essile  i  perfezionamenti  di  Polignoto;  poiché  sull'artista  minore  fa 
impressione  soprattutto  ciò  che  è  novità  e  quello  si  sforza  d'  imitare.  La  perfezione  dei 
particolari  invece  è  difficilmente  imitabile,  perchè  essa  non  dipende  dalla  introduzione  di  un 
nuovo  elemento  di  arte,  ma  dalla  eccellenza  delle  qualità  dell'artista.  Polignoto  introdusse 
una  nuova  composizione,  infatti  dalla  descrizione  di  Pausania  si  desume  che  nella  Lesche 
di  Delfi  le  figure  erano  disposte  con  un  sistema  analogo  a  quello  che  vediamo  nel  cra- 
tere degli  Argonauti,  ed  i  vasai  lo  imitarono,  poiché  in  realtà  ciò  non  presentava  grandi 
difficoltà  tecniche.  Porse  qualcuno  si  sforzò  pure  di  seguire  il  pittore  nel  riprodurre  l'espres- 
sione dei  volti  121;  ma  non  abbiamo  elementi  sufficienti  per  poter  giudicare  a  quanta  di- 
stanza rimanesse  da  lui.  Rappresentare  il  volto  di  tre  quarti  anziché  di  profilo  o  di  pieno 
prospetto  favorisce  l'espressione  dei  sentimenti,  e  per  la  prima  volta  vediamo  volti  di  tre 
quarti  in  vasi  polignotei,  poiché  questa  che  era  una  novità  del  disegno,  poteva  essere 
imitata  dall'arte  minore.  Dalla  quale  possiamo  desumere  solo  qualcuna  delle  caratteristiche 
dell'arte  polignotea,  ma  non  la  propria  personalità  del   maestro. 


(iì  Aristot.  /'oiiò,  is;  Ael.    Var.  /list.  IV,  3.  <  j.   io;,   p.  930  segg.)   mirabile  per    l'espressione 

Anche    nel    rappresentare    il    pathos    Polignoto    tu  del  dolore  fisico,  e  nota   il    particolare    della    bocca 

probabilmente  un  perfezionatore,   poiché  già  prima  aperta  che  lascia  vedere  i  denti, 

di  lui  si  cercò  di  rappresentare  con    risultati  pia  0  (2)  Di  questo  stor/o    è    testimone    il    bellissimo 

meno  sodisfacenti  il  pathos.  Ctr.   come  esempio  la  vaso  di  Orfeo  trovato    a    Gela   (Furtwaengler,    50 

testa  Ji    Antaios   nel  noto  cratere   del    Louvre  tir-  Beri.  Winckelmanns-progr.,  tav.  2;  Bulle,  op.  ci/., 

malo    da    Euphronios  come  pittore   (Furtwaengler-  tav.   305)  in  cui  mi  sembra  lecito  vedere,  come  si 

Reichhold,    op.   ci/.,    tav.    92:    Pottier.    Cu/,   ci/,  la  generalmente,  un  rillesso  àeW'eihos    polignoteo. 


—  H3  - 


1! 


NOTE  SVLLA  CRONOLOGIA    DI   POLIGNOTO   DI  TASO 

Per  fissare  la  cronologia  di  Polignoto  di  Taso  nessun  dato  abbiamo  dalla  tradizione 
letteraria.  Plinio  (n  dice  solo  che  fiorì  prima  dell'olimpiade  90  (420-4 1 7  a.  Cr.i,  ma  non 
specifica  quanto,  e  perciò  il  suo  dato  ha  un  valore  molto  relativo  e,  senza  contradirlo,  si 
potrebbero  proporre  varie  cronologie.  Ne  le  opere  di  Polignoto,  di  cui  abbiamo  memoria 
sono  così  strettamente  collegate  con  avvenimenti  storici  da  poterne  trarre  lume  sicuro.  Per 
stabilire  quindi  con  una  relativa  esattezza  l'età  in  cui  fiorì  il  grande  pittore,  bisognerà 
fondarsi  massimamente  sulla  cronologia  delle  opere  che  subirono  l'influsso  dell'arte  sua  e 
paragonarla  con  le  notizie  che  abbiamo  per  qualcuna  delle  sue  opere. 

Cominciamo  dall'enumerar  queste.  Per  l'opera  sua  capitale,  cioè  la  decorazione  della 
Lesche  de<^Ii  Cnidi  a  Delfi,  non  abbiamo  nessuna  informazione  cronologica,  né  possiamo 
sapere  quale  avvenimento  0  stato  di  cose  abbia  dato  occasione  alla  costruzione  di  questo 
edificio  0  alla  esecuzione  dei  dipinti.  Un  dato  veramente  ci  sarebbe,  e  qualcuno  ha  voluto 
farne  gran  caso:  un  epigramma,  scritto  sulla  parete  dell' Ilioupersis,  che  Pausania  (21  e 
l'Antologia  Palatina  (3)  ascrivono  a  Simonide,  ma  è  noto  a  tutti  quanti  epigrammi  furono 
attribuiti  a  Simonide,  che  in  realtà  non  gli  appartengono,  e  perciò  sono  disposto  ;i  cre- 
dere col  Robert  (4)  e  l'Hauvette  (5)  che  anche  questo,  il  quale  non  ha  nessuna  partico- 
lare bellezza,  sia  spurio;  ed  il  fatto  che  esso  si  trovava  in  un  luogo  assai  famoso  basta  a 
spiegare  la  celebrità  di  cui  godette  (6).  Escludendo  dunque  1' attribuzione  dell'epigramma  a 
Simonide,  non  è  più  necessario  porre  le  pitture  avanti  il  467  a.  Cr.  Il  Robert  pensa  che 
si  debbano  datare  tra  il  458  e  il  447,  ma  le  ragioni  da  cui  egli  trae  questa  conseguenza 
non  mi  sembrano  decisive;'. 


in  Plin.,  A.  //.  XXXV,  58 

(2)  Paus..   \,   27,  4. 

(;i   Anlh.  Pai.,   IX,   700. 

(4)  Rubert,  Nekyia,  p.  70  ;  e  spec.  Marathons- 
schlacht,  p.  70  seg. 

(=;)  Hauvette,  Sur  lei  épigrainmei  de  Symoni- 
des,   p.   5i  e  p.    1  58,   11"   78. 

16)  È  anche  ripetuto  da  Plutarco,  </<  de/,  orac,  4-: 
e  negli  Schol.  in  Plat.  Gorgiam,  p.  J38  ed.  Becker. 

(7)  Il  Robert  {Nekyia  p.  76)  si  fonda  sul  fatto 
che  delle  quattro  donne  tebane  che  Odisseo  vide 
nell'Ade  (>■  260-280)  siilo  una  fu  dipinta  J.i  Po- 
lignoto (Paus.  X,  29,  7)  e  l'omissione  delle  altre 
interpreta  come  un  affronto  fatto    volontariamente 


ai  ["ebani  in  un  tempo  in  cui  i  Focesi,  loro  nemici, 
erano  in  possesso  di  Delfi,  cioè  appunto  tra  il  4,s 
e  il  447.  [..\  ragione,  come  si  vede  è  debole;  ma  più 
debole  è  l'argomentazione  del  Frazer  (Pausanias,  V. 
p.  359)  il  quale  interpreta  lo  stesso  latto  come  un 
complimento  fatto  ai  Tebani  e  perciò  combatte  la 
data  del  Robert.  Secondo  lui  non  e'  è  motivo  di 
dubitare  dell'  attribuzione  dell'epigramma  a  Simo- 
nide. quindi  le  pitture  sarebbero  anteriori  al  467. 
Più  torte  ragione  per  porre  la  decorazione  della 
fesche  al  tempo  del  dominio  focese  è  la  presenza 
dell'eroe  Phokos  (Paus.,  \,  jo,  4)  che  già  indusse 
il  Wilamowitz  (Hom.  Intasiteli,  p.  22;,  ri.  io  a 
p  are  quest'opera  prima  del   447. 


15 


—  il4  — 

È  possibile  tuttavia,  anzi  sommamente  probabile,  che  questo  capolavoro  di  Polignoto  non 
fosse  al  tempo  stesso  la  sua  prima  opera  sul  continente  ellenico,  ed  io  sono  disposto  a 
crederi  R  iberl     i),  col   IWilchhoefei  (2)  e  col  Girard  (3)  che  prima  della  Lesene  di  Delfi 

decorasse-   il   tempio  di   Athena   Arem  a   Platea. 

Pausania  nana  (4)  che  questo  tempio  fu  fondato  col  bottino  della  battaglia  di  Mara- 
tona, ma  è  noto,  come  già  videro  il  M  filler  ed  il  Brunii,  che  la  maggioi  parte  delle  opere 
che  il  periegeta  dice  dedicate  in  tal  niodn,  Mino  molto  posteriori  alla  battaglia  e  si  devono 
attribuire  al  tempo  in  cui  lo  stato  ateniese  era  già  arricchito  per  opera  di  Temistocle  e  di 
Cimone.  Nel  caso  nostro  particolare  la  testimonianza  di  Pausania  è  invalidata  da  quella  di 
Plutarco  (5),  il  quale  asserisce  che  il  tempio  fu  costruito  col  bottino  della  battaglia  di  Platea. 
Siamo  dunque  portati  più  giù  del  478  e  torse  abbastanza  piìi  giù,  perchè  sappiamo 
V  y.yy'i.'j.y.  del  tempio  era  un'opera  pseudo-criselefantina  attribuita  da  Pausania  a  Fidia: 
perciò  qualunque  cronologia  si  ammetta,  per  il  grande  maestro  ateniese  si  ponga  la  sua 
nascita  prima  della  battaglia  di  Maratona  0,  come  è  più  probabile,  verso  il  4801  è  chiaro 
che  non  potè  compiere  questo  lavoro  negli  anni  immediatamente  successivi  al  47S.  F.  vero 
clie  qualcuno  ha  dubitato,  senza  addurre  ragioni  sufficienti,  della  giustezza  dell'attribuzione 
della  statua  a  Fidia  161,  ma  ciò  non  altera  per  noi  la  questione  cronologica,  poiché  l'opera 
ci  apparirebbe,  m  ogni  ^aso,  come  una  imitazione  meno  costosa  delle  celebrate  statue  cri- 
selefantine del  sommo  scultore  e  quindi  non  anteriore  all'epoca  del  fiorire  di  lui.  1:  la 
data  della  statua  trae  con  sé  quella  delle  pitture,  poiché  ci  parrebbe  per  lo  meno  strano 
che  si   pensasse  a  decorare   un  tempio  prima  di   provvederlo  dell'immagine  di  culto. 

Vengono  ora  le  opere  che  egli  compì  in  Atene.  Sappiamo  che  ivi  decorò  insieme  Con 
Vlicon  e  Panainos  (7)  la  DowiiXt)  ttok,  ma  neppure  per  questa  abbiamo  dati  cronologici 
sicuri  e  si  può  solo  stabilire  entro  certi  limiti  la  data  seguendo  alcune  considerazioni  gene- 
rali, e  perciò  converrà  fermarvisi  un  po' sopra. 

La  costruzione  di  questo  portico  si  volle  ascrivere  all'attività  edilizia  di  Cimone  e  ciò 
per  due  ragioni:  il  fatterello  narrato  da  Plutarco  (8)  della  relazione  tra  Polignoto  e  la  so- 
rella di  Cimone,  Elpinice,  che  il  pittore  avrebbe  ritratto  sotto  le  forme  di  Laodice  tra  le 
donne  troiane,  e  il  nome  che  il  portico  aveva  (Mima  che  dalle  pitture  tosse  chiamato 
W'j'.'.ù.r,.  Quanto  al  primo,  nessuno  ha  pensato  finora  a  metterne  in  dubbio  la  vendi,  ita, 
ed  io  certamente  non  voglio  negarla;  solo  faccio  osservale  che  essa  posa  su  basi  meno 
solide  di  quanto  si  potrebbe  credere  e  che  la  testimonianza  di  Plutarco  posteriore  di  cinque 
all'età   del    pittore,  non  esclude  che  si  possa  trattare  di  una  leggenda  creata  poi 


ert,  loc.  cit.  [5)  Plut.  .  \rist.,    • 

(2)  Milchhoefer,  Jahrb.  d.  Itisi.,   1894,  p.  72.  (6)  Lechat,  Phidias,  p.  70. 

(j)  Girard.  Rev.  études grec,  [894,  p.  J54,n.  1.  (7)  l'Iin.,   A'.  II..  XXXV.  59. 

4)  l'aus..  IN.  4.   i-  <s'  Plut.,  dm.,  4. 


data  sulla  nota  amicizia  di  Cimone  con   Polignoto.  E  non  ho  bisog  di  indugiarmi 

a  dimostrare  la  tendenza  che  vi  fu  sempre  ad  infiorare  di  aneddoti  più  o  meno  veritieri 
le  vite  de^li  artisti.  Aneddoti  più  che  biografie  abbiamo  degli  artisti  amichi  e  in  parte 
anche  di  quelli  del  Rinascimento  italiano.  Né  contro  le  mie  riserie  può  essere  '.alida  ra- 
gione l'asserire  che  Plutarco  attinse  probabilmente  a  fonti  dell'epoca:  noi  sappiamo  quante 
false  identificazioni  si  hanno  delle  opere  del  nos'ro  cinquecento  (i),  epoca  per  la  quale  non 
mancano  certo  le  testimonianze  contemporanee. 

Prima  di  chiamarsi  UowciAr,,  pare  che  la  T-roa  si  chiamasse  IIe'.t '.-/•;  y/.r  :■.',:  (2),  e 
questo  ha  fatto  pensale  a  relazioni  tra  il  portico  ed  un  Peisianatte,  cognato  di  Cimone,  perche 
fratello  della  moglie  di  lui   Isodice  (3).   Ma  neppure  questo  è  per   noi  un    dato  cronologico 


(11  Accennerò,  per  tacere  d'altri,  .il  caso  della  Ve- 
nere di  Tiziano  nella  >•  Tribuna  »  degli  Uffizi,  nella 
quale  si  volle  riconoscere  la  Duchessa  d'Urbino  n 
l'amante  del  Duca.  \.  Lafenestre  et  Richtenberger, 
La  peinture  en  Europe,   Florence,   p.  42. 

12)  Cosi  si  lesse  ora  in  molti  testi,  ma  la  tradi- 
zione manoscritta  è  discorde.  Plutarco  (  Cini.  4)  ha 

Iv    -r     ID.r  3'.5VI/.T:r.,      T'/T=        7  ).'i'j;J  :  vr,   /..     7.     >..,clie    lo 

Xylander  corresse  in  rh'.atava-/-io>.  I  codici  di  Har- 
pocration  s.  v.  v/-/:-.:  ito»  sono  anche  pio  di- 
scordi, essi  ci  Janni'  ivaxtto;  e  il  codice  L  (carta- 
ceo del  sec.  XV,  ora  nella  Marciana  n.  40.  ->■■•- 
,-.-.:<,:;  nella  epitome  codd.  Palatino  c  Parisino  si 
lesse  lluavaxtios  e  la  correzione  [l£iatavàx~io;  è  do- 
vuta a  Ph.  Jac.  Maussacus  tolosano  che  curò  nel 
1614  un'edizione  di  Harpocration.  L'autorità  di 
questo  autore  pei  l'età  sua.  (forse  i  tempi  di  An- 
tonino e  M.  Aurelio,  v.  Croiset,  Hist.  Iti.  gr.  V 
p.  44(1  ses.  ;  Christ-Schmid,  (Jriech.  Ut?,  Il, 
p.  697)  sarebbe  srande,  ma  i  manoscritti  che  ne 
abbiamo,  in  numero  di  undici  11  dodici,  dolano  dal 
secolo  W,  quelli  dell'epitome  sono  meno  numerosi 
ma  migliori  ;  il  più  antico  è  il  Palatino  membra- 
naceo del  sec.  XV.  E  dubbio  pero  che  Harpocra- 
tion avesse  realmente  lUtatavaxtto;  e  ciò  per  quanto 
diro  più  sotto  a  riguardo  di  Suidas.  Questa  forma 
si  trova  in  Diogene  Laerzio  (VII,  5)  :  Suidas  la  ha 
sotto  la  voce  Zt,vujv,  per  la  quale  ha  attinto  cer- 
tamente a  Diogene  Laerzio,  che  fu  sua  tonte  (v. 
Christ-Schmid,  op.  cit.  Il    p.    895;    Krumbacher, 

,  p.    567)   e  sullo   la   voce  iTOa,   ove  parla 
di  filosofi  e  può  avere  attinto  allo  stesso  Diogei 
ha   invece   UavaxTto:   s.     v.    Un).  «1:     ì->r>.,    pel    li 
quale  copiò   Harpocration  (cfr.  II.  Steph.    Thes.   s. 


v.  ristativi!;)  e  ciò  prova  che  almeno  nel  setolo  \ 
in  questo  autore  non  si  leggeva  UsejtavixTStoc. 
Negli  Schol.  in  Aesc/u'n.,  Ili,  185,  si  trova  ora 
[htatava/.-to;  ometto  da  lUtsiavaxTt;  del  cod. 
Laur.,  che  subito  dopo  dice  avaxTO?  dove  ora  si 
lesse  llsijtivax-o;.  lli'.otavixTio?  si  legge  in  Tzetzes 
(Schol.  in  Hermog,  in  Cramer,  Anecdota  graeca, 
IV,  p.  21I  che  attinse  alle  stesse  fonti  desìi  scola 
ad  Eschine  (cfr.  Wachsmuth,  Stadi.  Athen.,  Il 
p.  501,  n.  iì  e  negli  Sckotia  Demostenica  XX,  112, 
che  hanno  la  stessa  origine.  In  Isidoro  di  Siviglia 
(Etvm..  Vili.  6,  8)  la  denominazione  Pisianactiam 
fu  aggiunta  dall'editore  I.  Grial  (ap.  Migne  /'.  L. 
voi.  82,  col.  joó).  E  chiaro  che  1  vari  lesti  sono 
corrotti  e  l'unica  restituzione  possibile  è  quella  se- 
neralmente  accetta  di  lUtaiavixTio;,  ma  questo  ap- 
pellativo non  c'illumina  troppo  sulle  relazioni  tra 
il  portico  e  il  personaggio  di  Peisianatte.  non  a- 
vendo  gran  valore  le  testimonianze  dello  scolio  ad 
Eschine  (avaxro;)  e  di  Tzetzes  (xt7,to;o;)  che  ne 
fanno  il  padrone.  Il  Curtius  (Storia  Creta,  trad. 
ital.  II.  p.  294)  asserì  senza  ragione  alcuna  che  ne 
era  l'architetto.  Il  Robert  {Hermes,  XXV,  p.  i-'l 
disse,  parimenti  senza  iasione  che  era  il  presidente 
della  commissione  edilizia,  ma  si  corresse  in  Ma- 
rathonsschlacht  p.  8  e  n.  6  Probabilmente  egli 
diede  1  denari  per  la  costruzione,  come  crede  an- 
che il  Lechat,  Scnlp.  alt.  av.  Phidias,  p.  432.  Il 
tatto  del  cambiamento  di  nome  del  porti 
guito  ai  dipinti  la  credere  che  il  persoti 
Peisianatte  debba  collegarsi  più  tosi,,  con  la  costru- 
zione che  von  la  decorazione  dell'edificio 

l!)  Vedi   Kirchner,   Prosopogr.  attica,  II.  p.  ini 
ses.   e  prospetto  a  p.  54.  Ei  ra      1 


-  n6  — 

assoluto,  poiché  prima  di  tutto  non  sappiamo  se  il  nome  di  Peisianatte  debba  colli 
con  la  costruzione  o  con  la  decorazione  del  portico;  e  pure  ammettendo  come  vero  l'aned- 
doto di  Elpinice  e  ponendo  in  relazione  Peisianatte  con  Polignoto,  veniamo  solo  a  con- 
cludere che  questi  lavorò  al  tempo  di  Cimone,  ma  non  è  necessario  credere  che  lo  facesse 
prima  dell'esilio  del  figlio  di  Milziade  (459),  che  potrebbe  anche  avervi  lavorato,  per  esem- 
pio, dopo  il  richiamo  di  lui  (454).  Né  troppa  luce  possono  darci  i  sorbetti  rappresentati: 
Troia  presa  e  la  lotta  con  le  Amazzoni  sono  tatti  dell'età  mitologica  e  la  battaglia  di  W  1- 
ratona  è  pur  essa  troppo  antica  da  potersi  ammettere  una  immediata  dipendenza  crono- 
logica del  dipinto  da  essa.  Sola  luce  potrebbe  venirci  dalla  battaglia  di  Oinoa,  ma  pur 
troppo  questa  ci  è  nota  solo  da  fonti  che  si  riferiscono  ad  opere  d'arte  ed  aspetta  luce 
essa  stessa  dalla  cronologia  di  Polignoto.  Tuttavia  qualche  aiuto  può  darci.  A  parte  la  in- 
verosimiglianza che  il  dipinto  rappresentante  questa  battaglia  fosse  stato  eseguito  molti  anni 
dopo  degli  altri,  che,  in  altri  termini,  la  decorazione  del  portico  tosxr  rimasta  per  quasi  un 
secolo  incompiuta,  a  porre  la  vittoria  di  Oinoa  verso  la  metà  del  v  secolo  ci  obbliga  la 
cronologia  di  Ipatodoro  e  Aristogitone,  autori  del  gruppo  eretto  a  Delti  da^N   Argivi  come 

oio  di  questa  battaglia  1 1  \. 

Si  tratta,  come  attesta  Pausania  (2),  di  una  vittoria  degli  Ateniesi  e  degli  Argivi  sui 
Lacedemoni,    ma     Tucidide    non    ne    parla    affatto,    quindi    non    sappiamo    se    fu    riportata 


in  relazione  il  porti*  1  con  Peisianatte,  figlio  di  Me- 
gacle  e  fratello  Ji  Euryptolemos,  padre  di  Isodice. 
Deve  ascriversi  ad  un  Peisianatte  figlio  Ji  questo 
Euryptolemos  e  padre  dell'altri'  menzionato  da  Se- 
nofonte (llell.  I,  4,  10  e  7,  12)  come  parente  di 
Alcibiade. 

(1)  Pausania  (X,  i".  \ )  attribuisce  quesl 
agli  scultori  Ipatodoro  e  Aristogitone.  l'Imi"  |  V.  //.. 
XXXIV,  50)  pone  la  fioritura  di  Ipatodoro  nell'olim- 
piade 102  (572-369  a.  Cr.)  ma  la  data  pliniana  può 
ben  essere  ei  1  ita  0  1  ifei  il  >i  ad  un  alti"  si  ufi 
nimo.  I  >'altr"  canto  Polibio (IV,  78)  e  Pausania  (Vili, 
>6,  ;  1  ittribuiscono  la  statua  di  Athena  di  Aliphera 
in  Arcadia  1 1  Ipatod  irò  —  i  codici  di  Polibio  hanno 
per  errore    Ecatodoro  e    Sostrato;    ora    Plinio 

\\\I\.   51)    pone    un    Sostrato    nella    olimpiade 
113  (328-321;  a.  C.)  ma  nel  tempo    ste-s,,    attesta 
(XXXIV,  60)  die  era  nipote    di    Pitagora    Samio. 
Se  bene  Plinio  dua    il   contrario,    1' 
può  considerarsi  la  ste  :    di    Pitagora  di 

Reggio  i\.  Lechat,   Pylhagoras,  p.  2  e  51 

Plinio    (XXXIV,    49),   nella 

olimpiade  00  (420-417)    Ma  quanto    poco  conto  si 

■  di  questi  dati  cronologici  pliniani  basta 


a   provarlo  il  fatto  che  nella  stessa    olimpia,! 
pone  l'attività  di  Scopasi  II   1. echat.  op.  «/.,   pas- 
sim,  e  spec.   p-    ;ò  M'H'l   crede  a   ragione  che   Pita- 
i    ibbia   lavorato  fra    il   490   e    il    450   a.    Cr. 
Quindi  se  realmenl  fu  figlio  di  una 

rella  di  Pitagora,  bisognerà  porlo  verso  la  metà  del 
V  secolo,  ed  alla  m  ,     a  converrà 

vere  il  suo  collega  Ipati  doro.  Ma  abbiamo  anche 
un'altra  prova  migliore  e  più  evidente  per  collo- 
care Ipatodoro  e  Aristogitone  versn  la  metà  del 
olo.  Essa  ci  è  fornita  da  una  epigrafe  di  que- 
sti artisti  a  Delti:  nota  da  molto  tempo  (Boeck, 
1  '.  /.  G.,  n.  2S  :  Loewj  /.  e.  /.'..  n.  101 1  da  un 
ifo  del  Dodwel,  fondandosi  sul  quale  poterono 
essere  accettate  varie  cronologie  (cfr.  Loewy,  toc. 
ri/.:  Collignon,  Hisi.  delaSculpt.gr.,  Il,  p.  155) 
tu  poi  ritrovata  ii"ii  molti  anni  01  sono  e  pubbli- 
,  ii  1  ni  facsimile  dal  Pomtow  (A'/.v.  1908,  p.  187  e 
segg.i.  I-  questi  giustamente  per  la  paleografìa  e 
per  altri  argomenti  la  pone  verso  la  metà  del 
v  secolo,  dando  così  una  conferma  di  ciò  che 
dalle  ragioni  addotte  più  sopra  si  sarebbe  potuto 
concludere. 

l'ili-     1,    K,    1    e   X,    10,   4. 


prima  della  battaglia  di   Tanagra,  tra  il  462  e  il  458,  come  vuole  il   Robert  (1),  0  dopo  di 
essa,  come  credono  il   Busolt  (2)  e  il   Pomtow  (3),  né  abbiamo  dati  sufficienti  pei 
la  questione,  ma   in  ogni  caso,  siamo  portati  al  decennio  460-450. 

La  decorazione  della  Poecile  non  fu  la  sola  opera  di  Polignoto  aJ  Atene  e  torse  nep- 
pure la  prima.  Da  Suidas  141  sappiamo  che  gli  tu  data  la  cittadinanza  ateniese  per  aver 
dipinto  nel  santuario  di  Teseo  e  in  quello  dei    Dioscuri,  veramente  i  codici  hanno    èv   ti? 

0/,tzj:i^  /.zi Iv   àvz/.s '.<■>,  ed  il   Reinesio  mutola  prima  indicazione  in   èv    ;w  (-i/^io; 

i:p<o,  se  bene  Pausania  (5)  ascriva  la  decorazione  del  Theseion  a  Micon  che  fu  collaboratole 
di  Polignoto.  Pur  troppo  non  abbiamo  una  data  precisa  neanche  per  questo  tempio,  del 
quale  non  esiste  nessun  avanzo,  poiché  par  bene  che  quello  che  oggi  è  detto  Theseion  ap- 
partenesse ad  un'altra  divinità,  torse  Hephaistos  161  e  non  avesse  relazione  con  l'edificio 
decorato  da  Polignoto.  La  translazione  delle  ossa  di  Teseo  si  ascrive  al  475  (7),  ma  non 
sappiamo  se  proprio  allora  si  erigesse  il  santuario  0  se  si  facesse  in  principio  solo  un  te- 
menos,  0  se,  costruito  il  tempio,  lo  si  decorasse  subito  0  si  attendessero  tempi  migliori  per 
le  finanze  dello  stato.  Forse  alla  soluzione  approssimativa  del  problema  può  portare  un  con- 
tributo la  data  che  si  deve  accettare  per  l'abbellimento  di  Alene  dopo  l'incendio  persiano. 
Ora  io  non  credo,  come  taluni,  e  per  esempio  il  Gardner  (8),  che  l'abbellimento  seguisse 
a  breve  distanza  la  distruzione:  si  dovè  prima  pensare  a  tenersi  pronti  contro  nuovi  at- 
tacchi, all'esercito,  alla  fiotta,  alle  fortificazioni  della  città  stessa;  e  le  scoperte  del  Noacl  9 
nelle  mura  di  Atene  non  confermano  la  rapidità,  poco  credibile,  con  la  quale  Tucidide!  101 
dice  che  queste  furono  elevate  da  Temistocle,  ma  solo  il  modo  nel  quale  furono  costruite, 
che  sta  ad  attestare  le  cattive  condizioni  finanziarie  in  cui  versavano  gli  Ateniesi.  E  se  per 
ricostruire  il  tempio  della  maggiore  divinità  cittadina  si  attese  un  trentennio,  non  si  sarà 
pensato  assai  prima  ad  abbellire  i  santuari  minori.  Ma  non  voglio  fermarmi  troppo  a  lungo 
su  questo  punto;  tanto  più  che  altri  hanno  ,u i à  esposto  queste  teorie  (n).  In  realta  l'ope- 
rosità edilizia  di  Cimone  va  ridotta  a  più  modeste  proporzioni  di  quel  che  non  si  creda 
generalmente,  ed  anche  questo  fatto  è   notevole  per  la   cronologia   di   Polignoto. 

Neppure  per  l'Anakeion  abbiamo  un  criterio  cronologico;  ma  forse  un  terminus  po- 
trebbe esserci  dato  dai  Propilei.  Pausania  112)  dice  che  ivi  erano  alcuni  dipinti  di  Polignoto; 
Achille  tra  le  figlie  di  Licomede  e  Nausicaa;  è  vero  che  Plinio  1131  dice  che  in  quel  luogo  era 
una  rappresentazione  di  Paralo  e  Hammoniada  detta  anche    Nausicaa,  opera  di  Protogene  e 

il)  v.  Hermes,   oSyo,  p.  412  segg.  (8)  E.  A.  Gardner,  Ancient  Athens,  p.  208  segg. 

(2)  v.   Busolt,   G.  (,'.,   III.    1,  p.   524  set;.  (9)  v.  Allieti.  Mìttheìl.,    1007,  p.   513   segg. 

(?)  v    Klio,    [908,  p.   191.  no)   Tinte,  I,  93.  Cfr.  su  ciò  Beloch,  <■    (/.,  Il  . 

(4)  Suidas,  s.  v.  [IoXuyvwTo?.  2,  p.   140,  segg. 

(5)  Paus.,  I,   1-,   3.  (11)  Cfr.  Lechat,  Scttlpt.  alt.  ai:  Phidias,  p.  424 

(6)  v.  Sauer,   Dai     sogenannle    Theseion,  p.   i2       se^. 

seg.,   12^,  255  segg.  (12)  Paus.,  I.   22.  6. 

1-1  v.  Busolt,  op.  cit.,   III.   1.   p.    1  16  (i!)   l'Im..   X.  II..   XXXV,    1    i 


—  na- 
si è  sospettato  che  fosse  proprio  il  quadro  ascritto  dal  periegeta  a  Polignoto;  ma  per  Achille  in 
S<  irò  non  può  essersi  dubbio,  dato  il  testo  di  Pausania,  e  forse  erano  anche  suoi  il  ratto  del 
Palladio,  Odisseo  e  Filottete,  Polissena  e  l'uccisione  di  rivisto,  onde  io  credo  col  Furtwaengle  i 
che  non  vi  sia  ragione  di  dubitare  che  Polignoto  abbia  lavorato  nei  Propilei.  Questo  potrebbe 
essere  l'unico  termine  cronologico,  poiché  sappiamo  che  i  Propilei  furono  costruiti  fra  il  437  e 
il  432  (2),  date  che  impedirebbero  di  ascrivere  l'inizio  della  carriera  di  Polignoto  ai  primi  de- 
cenni  del   \    secolo;   ma  non  nascondo  che,  ignorando  noi  di  che  genere  fossero  le  pitture  che 

avano  i  Propilei,  si  potrebbe  sostenere  che,  eseguite  prima,  vi  fossero  poi  collocate,  e  per 
conseguenza  anche  tale  criterio  verrebbe  a  mancale,  lo  veramente  non  sono  di  questo  avtiso 
e  penso  che  il  testo  di  Pausania  ci  permetta  di  credere  che  la  sala  dei  Propilei  contenente 
le  pitture  non  fosse  una  pinacoteca  1 3 1  nel  senso  che  noi  diamo  alla  panila,  ma  più  tosto 
un  ambiente  decorato  con  dipinti,  alcuni  dei  quali  al  tempo  del  periegeta  erano  già  svaniti, 

Come  si  vede  le  notizie  che  abbiamo  intorno  alle  opere  di    Polignoto  ci   aiutano  ben 
poco  per  stabilire  la  cronologia   del   maestro;  solo  da  quanto  ho  esposto  e  dalle  considera- 
zioni che  ho  fatto  mi   pare  che  si   possa  dedurre  che   non  è  prudente  porre  la  sua  attività 
nei   primi  decenni   del   secolo  quinto.    Le   notizie    intorno    alla  sua  vita  sono    molto  scarse, 
ma  non  in  contradizione  con  la  deduzione  precedente.  Sappiamo  che  ebbe  la  cittadinanza 
ateniese  e  questo  non   può  essere   un  criterio  cronologico:    sappiamo  che    fu    amico  di  Ci- 
mone,   anzi   corse  voce  che  avesse  una   relazione  con   la  sorella   di    lui,  e  si   potrebbe  sup- 
■  he  egli,   tasio,   stringesse  amicizia  con   Cimone,  quando  questi   prese  Thasos  nel   463 
venisse  con  lui  nel  continente  greco. 
Vccanto  a  Polignoto  lavorarono  spesso  Micon  e  Panainos.  Del  primo  sappiamo  che  fu 
anche   scultore  ed   erano   pregiate   le   sue  statue  di   atleti  141,    fra   le  quali  fu  quella  del  pan- 
craziaste  Kallias    5),  di  cui  si  è  trovata  l'epigrafe  ad  Olimpia  (6).   La  vittoria  di  Kallias  t 
dell'olimpiade,    77  (472   a.   Cr.l  (7),   ma   da  ciò   non   possiamo  trarre  una  data  precisa  per  la 
statua,  la  quale  potè  essere  collocata  anche  alcuni  anni  dopo  la  vittoria,  che  fu  l'unica  di 
Kallias  ad   Olimpia  (8),  quando  il   torte  atleta   non   sperava  di   vincere  più  (9). 

li)  Furtwaengler,  Collect.  Sabouroff,  I,  Introd.  veniente  da  Villa  Ludovisi.  S.  Reinach,  Rép.  de 
aux  vases,  p-  6.  la  statuali,.  Il',  p.   170.   j. 

(2)  Cfr.  Judeich,    Topographìe  von  Athen,  p.  75  (6)  Loewy,  /.   G.   />'.,  4':   Olympia.  V,  p.  250 

seg.,  n.   146  (Dittenberger-Purgold). 

(3)  Il  nume  di  pinacoteca  dato  alla  sala  dei  Pro-  (7!  Paus.,  V,  9,  ?:  Grenfell-Hunt,  Oxyrhinc. 
pilei  è  moderno.  Cfr.  Hitzig-Bluemner,  Pausanias,  Pap,  II.  CCXXII,  col.  I.  26,  p.  89;cfr.  Hermes, 
I,  p.  247.  Pausania  (I.  22,  6)  la  chiama  o"x»i(ia    /■>•/        [900,   p     107  (Robert). 

Xpetoas.  Pare  certo  però  che  non   fossero  affreschi,  (8)  V.  C.  I.  A.,  I.  410.  Per  i  caratteri  è  gene- 

in. 1  tavole;  cfr.   ludeich,  op.  cif.,  p.  212.  ralmente  giudicata  non   anteriore  all'olimpiade  85 

(4)  Plin..  N.  II..  XXXIV,  88.  11      1.  Cr,). 

,1  Paus.,  VI, 6,  1.  Il  Furtwaengler  (Cotlect.Som  (9)  V.  per  il  collocamento  delle  statue  dei  vin- 

ée,  pi.  Ill-V.  p.  1  segg.),  credeva  riconoscerne  una  citori  ad  Olimpia  le  giuste  osservazioni  del  Lechat, 
copia  in  una  statua  della  collezione   Somzée,   prò-       Pylhagoras,  p.    io  segg. 


Un'altra  epigrafe  ateniese  1 1 1  riferentesi  a  questo  artista  non  è  databile  con  precisione, 
mostra  caratteri  attici  interpolati  con  segni  dell'alfabeto  ionico  e  perciò  sarei  propenso  a 
metterla  piuttosto  dopo,  che  prima  del  qso  (2). 

Di  Panainos  sappiamo  che  fu  fratello  di  Fidia  (3)  e  lavorò  con  lui  allo  Zeus  d'Olim- 
pi 1.  Non  è  questo  il  luogo  di  discutere  la  cronologia  del  capolavoro  fidiaco  (4),  ma  qua- 
lunque data  si  accetti,  siamo  portati  al  trentennio  460-4:50,  con  assai  poca  probabilità 
per   il   primo  decennio. 

La  tradizione  letteraria  non  qualifica  .Vlicon  e  Panamos  come  discepoli  di  Polignoto, 
ma  solo  come  suoi  collaboratori,  tinse  un  po'  meno  illustri  di  lui,  perciò  nulla  ci  vieta  di 
supporli  suoi  coetanei  0  anche  maggiori  e  pensare  che  uno  almeno  dei  due  lavorasse  già 
quando  il   maestro  di   Taso  venne  nel   continente  greco. 


Per  mezzo  di'  queste  ricerche  adunque  non  possiamo  stabilire  con  sicurezza  nessuna 
data;  ma  le  notizie  che  abbiamo  raccolte  e  le  considerazioni  che  abbiamo  fatte  ci  indu- 
cono a  credere  che  Polignoto  e  1  suoi  collaboratori  lavorassero  intorno  alla  metà  del  quinto 
secolo.  Vediamo  ora  quale  indicazione  si  può  trarre  dalle  opere  d'arte  che  risentirono  l'in- 
flusso polignoteo. 

Nella  prima  parte  di  questo  lavoro  sono  venuto  alla  conclusione  che  non  abbiamo  prove 
sufficienti  per  riconoscere  riflessi  dell'arte  di  Polignoto  in  quel  gruppo  di  vasi  i  quali,  se- 
condo il  Robert,  dimostrano  l'influsso  polignoteo  solo  nelle  figure  e  non  ancora  nella  com- 
posizione. Essi  dunque  non  possono  darci  nessuna  indicazione  utile  per  la  cronologia  del 
maestro.  Restano  per  ciò  da  considerare  i  vasi  dell'altro  gruppo  a  capo  dei  quali  sta  il  cra- 
tere degli  Argonauti.  Sarebbe  quindi  molto  importante  poter  conoscere  con  esattezza  l'età 
di  questo  vaso  per  stabilire  in  che  tempo  l'influsso  polignoteo  cominciò 'a  farsi  sentire 
sull'arte    minore. 

L'esame  stilistico  del  cratere  d'Orvieto  (fig.  71  induce  a  credere  che  esso  sia  stato 
fatto  dopo  la  fine  dello  stile  severo;  ma  bisogna  riconoscere  che  questa  considerazione  non 
ha,  per  la  cronologia  assoluta  dell'oggetto,  un  valore  decisivo,  poiché  potrebbe  darsi  che 
un'artista  più  avanzato  producesse  opere  come  il  cratere  di  Orvieto,  quando  ancora  altri 
continuassero  a  lavorare  nello  stile  severo.  Per  altro  non  dobbiamo  disprezzare  1  dati  che 
si   possono  trarre  da  ricerche    di  questo  genere.    Ora  non  credo  che  lo  stile  severo    debba 

(il    C.    I.   ./..    I,   418;    Loewy,   ,-/>.   ,;/..   42.  nipote  (  iòù.-.  :8o3;). 

{2)  V.    Larteld.    Handbuch   d.  ,k>  ■    Epigr.,   11.  (41   Per  la  cronologia  Jeuli    ultimi  anni    Ji   Fidia 

p.  433  (tabella)  e  434.  ctr.  Frickenhaus  Phidias  und  Kolotes  in  Jahrbuch 

(3)  V.  Paus..  V.   11,  6;   Plin.,  N.   11..  XXXV .  ,/.    hist.    1913,    pa^.   34-'  segg.   e   quivi   la   biblio- 

54,   57;  XXXVI,   '77:  Strabone,  Vili,  p.  354  dice  grafia. 


—    120    — 

considerarsi  finito  nel  480  e  ciò  per  varie  ragioni.  Innanzi  tutto  non  si  può  ammettere,  e 
ti  non  si  ammette,  10    non  si    producessero    più    vasi  in  Atene,  e 

d'altra  parte  non  è  probabile  che  proprio  allora,  dopo  la  presa  d'Atene,  quando  le  con- 
dizioni dello  Stato  erano  tutt'altro  che  floride,  ci  fosse  una  riforma  in  un'arte  come  la  cera- 
3  carattere  industriale.  I:  molto  più  ovvio  pensare  che  si  continuasse  per 
alcun  tempo  coi  metodi  già  in  uso.  Ma  più  che  da  queste  considerazioni  astratte  a  me  sembra 
che  un  dato  importante  si  possa  trarre  dal  fatto,  già  molte  volte  untai'),  che  il  nome  di 
Glaukon,  figlio  di  Leagros,  si  trova  negli  ultimi  vasi  di  stile  severo.  L  poiché  Glaukon 
dovette  essere  -*•.;  naXo;  sii  per  giù  nel  decennio  470-460  (1)  è  chiaro  che  lo  stile  severo 
deve  essersi  estesi,  fino  a  questo  tempo  circa,  senza  voler  propone  una  determinazione  crono- 
logica più  particolare.  Se  dunque  bastasse  conoscere  quando  tini  lo  stile  severo  per  avere 
la  data  del  vaso  degli  Argonauti,  questo  si  dovrebbe  attribuire  al  decennio  460-450. 

Ma  altre  piovo  si  possono  trarre  dalle  figure  che  sembrano  statuarie.  Ilo  già  ricor- 
datoci le  somiglianze  coi  frontoni  d'Olimpia.  La  figura  di  Artemide,  nella  scena  dell'uc- 
cisione dei  Niobidi,  ricorda  nell'impostatura  e  nel  vestito  la  statua  di  Athena  nella  quale 
il  Furtwaengler  (3)  crede  di  riconoscere  la  Lemnia  di  Fidia,  e  la  testa  somiglia  a  quella 
di  Artemide  nel  fregio  del  Partenone  (4) :  accenni  dunque  all'arte  fidiaca.  E  ricordi  simili 
desta  la  figura  di  Athena  nella  taccia  principale:  anche  essa  ricorda  la  •  Lemma  >• 
rigidamente  eretto,  testa  un  poco  voltata)  e  per  la  composte/za  la  Parthenos;  in  alcuni 
particolari  dell'atteggiamento  poi  braccio  destro  posato  .il  ti. meo.  sinistro  appoggiato  alla 
lanciai  nell'inclinazione  del  corpo  e  nel  piotilo  del  viso  somiglia  alla  così  detta  Athena 
malinconica  (5)  nel  noto  rilievo  del  Museo  dell'Acropoli,  che  si  deve  attribuire  al  460  circa. 
Non  si  natta  della  riproduzione  di  nessuna  di  queste  opere:  si  tratta  di  un  tipo  pi 
da  una  stessa  corrente  d' inspirazione  :  una  classo  di  tipi  che  comparisce  nell'arte  greca 
poco  prima  della  metà  del  secolo  quinto  ed  è  perfezionata  e  condotta  al  suo  massim 
da  Lidia.  L  mi  sembra  che  questa  figura  di  Athena  sia  così  statuaria  nella  concezione  da 
attestare  che  il  suo  tipo  sia  stato  creato  dalla  scultura  e  poi  imitato  in  pittura,  piuttosto 
che  viceversa.  Così  che.  se  vogliamo  servirci  di  queste  somiglianze  come  dato  cronologico 
per  il  cratere  degli  Argonauti,  non  siamo  certo  indotti  a  considerarlo  anteriore  alla  com- 
parsa   di  questi  tipi   nella  scultura. 


(1)  V.  le  varie  indicazioni  su  Glaukon  in  Pauly-  vette   essere  a   un   dipres^.     coetaneo   dell'oratore 

Wissova  Realenc,  VII,   1.  e.  1402  (Willrich).  Che  Andokides. 
egli  debba  essere  st.it"  -•/•:  xaXóe  non   prima  del         (2)  V.  sopra,  p.  106  - 
decennio  470-460  si  desume,  oltre  che  dalle  notizie         111  Furtwaengler,  Meislerwerke,  p.  1  e  seg£. 
che  abbiamo  sul  suo  conto   -     fu   stratego  presso  (4)   Wichaelis,  Parthenon,  tav.   14.  p.  6:  Smith. 

Samo  nel  441  o  e  comandante  della  flotta  a  Cor-  Sculpt.  of  Partii.,  tav.  8. 

eira   nel    453/2  —  anche  da    quanto  ci  è  traman-  (5)  Bulle,  Der  schoene Mensch%, tav.  273,  p.  578 

.li  lui   Leagros,    il    quale    do-  e  seg.  :    Dickins,    Cat.  of  .in.  Min.,  p.  259. 


Questo  vaso  dunque  mostra  affinità  da  un  lato  con  la  corrente  artistica  che  produsse 
i  frontoni  d'Olimpia,  dall'altro  con  la  produzione  fidiaca;  e  più  specialmente  con  quei  pro- 
dotti che  sembrano  precorrere  alle  creazioni  maggiori  del  sommo  scultore.  Ora  se  questa 
affinità  artistica  indica  pure,  come  è  probabile,  una  coincidenza  cronologica,  siamo  portati 
anche  per  questa  via  agli  anni  successivi  al  460,  cioè  allo  stesso  periodo  a  cui  ci  conduce 
il  semplice  esame  stilistico  del  vaso.  Onde  a  me  sembra  che  non  si  vada  lontano  dal  vero 
attribuendo  la  fabbricazione  del  cratere  d'Orvieto  al   decennio  460-450(1). 

Allo  stesso  periodo  circa  siamo  portati  anche  per  il  cratere  a  volute  (fig.  8)  di  New- 
York  (2),  che  sembra  allo  Hauser  (3)  di  un  decennio  più  tardo  del  vaso  delle  Amazzoni 
trovato  a  Ruvo  ed  ora  a  Napoli,  che  il  Furtwaengler  ascrive  al  460  circa  (4).  Gli  accenni 
paesistici  sono  anche  più  sviluppati  che  nel  vaso  degli  Argonauti  e  la  maggiore  ricchezza 
degli  ornamenti  prelude  allo  stile  di  Meidias;  e  l'ariballo  di  Cum.i,  ora  a  Napoli  (51,  anche 
pei    la  paleografia  delle   iscrizioni    mota   H  —  7,1  non  si    può   mettere    prima    del   450  circa. 

Gli  altri  vasi  enumerati  dal  Robert  16)  tra  i  polignotei  si  rivelano  evidentemente  po- 
steriori  a  questi  di  cui  abbiamo  parlato  ora,  e  perciò  credo  inutile  fermarci  a  considerarli 
più  particolarmente. 

I  pumi  documenti  sicuri  dell'influsso  polignoteo  appartengono  dunque  alla  metà  circa 
del  quinto  secolo.  E  poiché  di  quel  secolo  abbiamo  una  serie  di  prodotti  vascolari  abba- 
stanza ricca,  che  ci  permette  di  seguile  la  storia  della  ceramica  con  sufficiente  esattezza, 
è  lecito  supporre  che  l'influsso  di  Polignoto  sia  cominciato  appunto  in  quel  tempo,  in  cui 
ne  troviamo  i  più  antichi  testimoni.  Ora  se  teniamo  conto  di  Lina  giusta  osservazione  del 
Furtwaengler  17)  che  cioè  i  pittori  vascolari,  nell'  ispirarsi  a  grandi  modelli,  non  facevano 
gli  archeologi,  ma  seguivano  una  moda  artistica  corrente  che,  possiamo  supporre,  li  pie- 
cedeva  di  qualche  anno  0  tutt'al  più  di  un  decennio,  saremo  indotti  a  porre  l' inizio  della 
carriera  di  Polignoto  in  Attica  poco  prima  del  tempo  in  cui  si  comincia  a  sentire  1'  in- 
flusso delle  sue  creazioni  nei  prodotti  dell'arte  minore,  cioè  al  decennio  470-460  e  forse 
anche  agli  ultimi  anni  di  esso.  1£  questa  datazione  si  accorda  assai  bene  con  quanto  ab- 
biamo ricavato  dall'esame  delle  tradizioni   storiche  sulle  opere  del   maestro. 

Sappiamo  che  Polignoto  fu  amico  di  Cimone  e  che  questi  prese  Taso  nel  463  ;  sorge 
quindi   spontanea  l'ipotesi  che  proprio  in  quell'occasione  il   tiglio  di   Milziade   conoscesse  il 


(il  Verso  il  4S"   1"    pose    già  il    Furtwaengler,  (4)  Furtwaengler- Reichhold,  op.  ri/.,  tav.  26-28; 

Collection  Saboiiroj),  Introd.   au.x    z-ases,  pag.  =;,  pei   l.i  data,  ivi,  I.  p.  124:  Reinach,  Rép.  d.  vases, 

n.  1.  Il,  pag.  277  segg. 

12)  Furtwaengler- Reichhold,    Vasenmalerei,  tav.  (5)  Reinach,  op.  ri/.,    I.    p.  4KJ  ;    Buschor,   Va- 

1  16-117    (Hauser)     Bulle,    »</>.    ri/.,    tav.     507.   Lo  sen»ia/erei,   fig.    139. 

Hauser,   pan.    506,  I"  crede  un   poco  più  arcaico  Ji  (6)   Robert,   Mar  a/honssrh  tarli/,   p.  97  m-^. 

quello  a  campana  (tav.    11S-119).  (7)  Furtwaengler,  Collect.                      loc.  cit.: 

(3)  Hauser,  op.  ci/.,  p.   2<>- .  inche   lineati,  Midia,   p.    134. 

1       1          \nno  IX  11, 


pittore  e  lo  conducesse  con  sé  nella  penisola  greca,  ri  l'ipotesi,  che  non  sono  il  primo  a 
formulare  (i),  può  essere  avvalorata    anche  da    un'altra    considerazione.    L'attività  di   Poli- 

i  in  Attica  si  Collega  col  rinnovamento  edilizio  di  Atene  dopo  le  guerre  persiane,  ed 
abbiamo  già  detto  che  questo  rinnovamento,  soprattutto  per  ciò  che  riguarda  l'abbellimento 
della  città,  non  seguì  immediatamente  il  480;  ora  è  noto  (2)  che  la  vittoria  su  Taso  as- 
sicurò ad  Atene  numerosi  vantaggi  economici,  fra  1  quali  il  possesso  delle  miniere  di  oro 
della  Tracia,  onde  è  lecito  supporre  che  questo  avvenimento  non  sia  Stato  senza  ritetto 
sulla  stona  edilizia  della  città. 

Se  l'influsso  di  Polignoto  fu  cosi  notevole  pochi  anni  dopo  il  463,  conviene  ammet- 
tere che  fin  d'allora  egli  avesse  acquistato  in  raso  glande  perizia  artistica  e  che  Cimone 
conducesse  in  Grecia  un  pittore  già  maturo.  E  la  ipotesi  non  è  inverosimile,  poiché  sap- 
piamo che  egli  fu  discepolo  di  suo  padre  Aglaoionte  (3)  e  non  abbiamo  notizia  di  altri 
suoi  maestri,  l'ossi. imo  anche  suppone,  dato  che  l'influsso  dell'arte  sua  si  sentì  special- 
mente intorno  alla  metà  del  secolo,  che  la  maggioi  pai  te  delle  sue  attività  si  svolgesse 
proprio  nel  decennio  460-450. 

l'ui  troppo  non  è  possibile  avere  una  precisa  cronologia  relativa  delle  sue  opere,  né 
possiamo  tare  una  ipotesi  sicura  sulla  data  della  sua  morte;  solo  se  si  vuole  ammettete 
che  lavorasse  egli  stesso  nei  Propilei,  si  deve  pensare  che  morisse  al  più  presto  poco  prima 
del   430. 

Cosicché  possiamo  dire  che  la  sua  attività  si  svolse  in  gran  parti  contemporanea  a 
quella  di  Fidia,  e  sarebbe  molto  interessante  poter  conoscere  con  esattezza  le  relazioni  tra 
i   due  artisti   e  quale  influsso  ciascuno  di  essi   abbia  esercitato  sull'altro. 

Francesco  Fognari. 


(i)  Furtwaengler,  50,  Beri.  Winckelmannsprog.,  (2)  Timo,  I,   101,   3. 

p.   162.  (3)  Lykurg.,  Fragni.  4i.  ed.  Didot. 


SULL'AVTENTICITA  DI  VNA  TESTA  DI  BRONZO 

(Tav.  VII) 


Fu  lungamente  dibattuta  tra  persone  dotte  e  lìnalmentc  portata  innanzi  ai  Tribunali  la  questione, 
se  fosse  o  no  antica  la  testa  di  bronzo,  di  cui  presentiamo  un'immagine  a  tav.  VII. 

Con  sentenza  del  li)  Agosto  lìilò  il  R.  Tribunale  Civile  di  Roma,  Sezione  I,  nominava  tre  periti 
perchè  esaminino  la  testa  in  bronzo  venduta  dal  Signor  Alfredo  Barsanti  al  Signor  Giuseppe  San- 
giorgi  il  3u  Maggio   1912,  e  riferiscano,  se  essa  sia  autentica  e  di  scavo  del  ni  secolo  ». 

Noi  sottoscritti  che  avemmo  l'onore  di  essere  scelti  come  periti,  e  ad  esercitare  questa  funzione 
fummo  debitamente  autorizzati  dal  Ministero  di  Pubblica  Istruzione,  presentammo  la  seguente  relazione, 
che  data  l'importanza  del  quesito,  e  il  risultato  delle  nostre  indagini,  ci  sembra  non  inutile  offrire  ai  let- 
tori   àeU'Ausonia. 

Noi  sottoscritti  periti  abbiamo  dovuto  soffermarci  dapprima  sulla  puma  questione,  se 
cioè  la  testa  sia  autentica;  ed  abbiamo  inteso,  che  il  Tribunale,  ponendoci  questa  domanda, 
abbia  voluto  da  noi  sapere,  se  la  testa  sia  o  no  una  contraffazione  moderna.  Domanda  che 
apparirà  ardua  e  degna  di  accuratissima  ponderazione,  solo  che  si  pensi  ai  discordi  pareri 
di  tanti  egregi  conoscitori  ed  illustri  colleghi  che  videro  prima  di  noi  l'oggetto.  Persuasi 
pertanto  della  gravità  del  nostro  compito,  volemmo  che  al  nostro  giudizio  non  avesse  a 
mancare  alcun  elemento  di  indagine,  e  ritenemmo  pertanto  opportuno  raccogliere  anzitutto 
con  ogni  cura  le  notizie  relative  al  trovamento,  potendosi  dalle  condizioni  di  ubica/ione,  di 
stratificazione,  di  profondità,  di  associazione  di  oggetti  dedurre  argomenti  non  trascurabili 
per  la  discussione.  Disgraziatamente  notizie  tanto  dettagliate  e  precise,  quanto  noi  avremmo 
desiderato,  non  tu  possibile  ottenerne  dopo  tanti  anni  dal  trovamento  ;  non  furono  però  inu- 
tili quelle  che  riuscimmo  a   raccogliere. 

Per  esse  da  gente  di  indubbia  fede,  e  cioè  dall'attuale  Sindaco  di  Chiavenna,  dal  Si- 
gnor Dott.  Ernesto  Ploncher  e  dal  Signor  Otto  Weber  proprietario  dell'albergo  Conradi  e 
Posta,  ci  è  risultato  essere  perfettamente  vero  quanto  è  affermato  dal  documento  presen- 
tato alla  R.  Corte  d'Appello  dalla  difesa  Barsanti  il  19  gennaio  1914.  Che  cioè  «  il  giorno 
2  maggio  1879  verso  le  ore  5  pom.  (tale  data  non  è  ricordata  naturalmente  con  tutta  la  pre- 
cisione dai  nostri  informatori)  nella  casa  già  dei  Conti  Salis  Soglio  al  n.  495  Contrada 
Maggiore  in  Chiavenna,  tacendo  scavare  l'attuale  proprietario  Giuseppe  Martinucci  nell'at- 
tiguo giardino  per  eventuali   riparazioni,  rinveniva  alla   profondità   di    circa    inetri    1,50    una 


—  124  — 

testa  di  bronzo  antica.  A  circa  5   metri  di  distanza  dal  luogo  di  tale  scoperta  esisteva  nello 
stesso  giardino  la  tomba  del   letterato  modenese  Ludovico  Castelvetro  ». 
Oltre  alla  conferma  sostanziale  di  tale   notizia   noi  apprendiamo: 

I.  che  il  trovatore  Sig.  Giuseppe   Martinucci  che   avrebbe    potuto   dare    più    ampie 
notizie,  mori  l'anno  scorso. 

II.  che  l'albergatore  Sig.   Weber  vide  la  testa  appena   trovata,    ed    ebbe  dal   Signor 
Badrutt  di  St.   Moritz  l'incarico  di   trattarne  l'acquisto  per  lire  duecento. 

III.  che  è  notoria  la  vendita  fattane   poco  dopo  dal  Sig.  Martinucci  per  sei  0 
cento  lire. 

Ora  è  ben  noto  che  l'antica  Clavenna  romana  non  occupava  il  luogo  dell'attuale  Chia- 
venna,  ma  era  più  a  valle  (  1 1.  Potrebbe  però  ammettersi,  che  fuori  dell'area  dell'antica 
città  avessero  potuto  trovarsi  casali  o  ville,  una  delle  quali,  eventualmente  situata  sotto  il 
giardino  della  casa  Salis  Soglio,  avrebbe  potuto  essere  adorna  d'opere  d'arte  tra  cui  la  nostra 
testa.  Ma  questa  seconda  ipotesi,  che  non  ha  per  sé  altro  sussidio  che  quello  di  una  generica 
possibilità,  urta  in  un  grave  ostacolo,  quello  della  scarsa  profondità,  alla  quale,  secondo  il 
documento  già  citato,   fu   rinvenuto  l'oggetto. 

Dice  quel  documento  che  pare  redatto  ed  è  in  ogni  modo  firmato  dall'inventori  Mar- 
tinucci, che  la  testa  fu  rinvenuta  a  circa  m.  [,50  di  profondità.  <>ia  data  la  ubicazione  del 
giardino  Martinucci  già  Salis-Soglio,  in  luogo  piano,  e  dati  i  depositi  alluvionali  che  lascia 
la  Maira  e  gli  scoscendimenti  di  monte  Mottaccio  così  chiaramente  visibili  anche  ora  dalla 
Piazza  del  Castello  (2)  non  è  possibile  ritenere,  che  lo  strato  archeologico  romano  possa 
essere   raggiunto  con   una  escavazione  profonda  solo  un   metro  e   mezzo. 

Pertanto  è  certo  e  inoppugnabile,  che  la  testa  non  fu  rinvenuta  né  entro  l'ari 
città  romana,  né  entro  lo  strato  archeologico  romano. 

Questi  due  argomenti  che  sembrano  opporsi  recisamente  all'ipotesi,  che  la  testa  possa 
essere  antica  e  di  scavo,  perdono  però  molto  0  tutto  il  loro  valore,  qualora  vengano  consi- 
derati  e  discussi  altri   fatti. 

Dice  il  documento  già  citato,  presentato  dalla  difesa  Barsanti,  e  della  cui  verità  non 
dubitiamo,  che  a  circa  cinque  metri  di  distanza  dal  luogo  della  scoperta  esisteva  nello  stesso 
giardino  la   tomba   del   letterato  modenese   Ludovico  Castelvetro. 

Anche  questo  dato  di  tatto  tu  voluto  esaminare  dal  collegio  peritale,  nell'ipotesi  che 
la   testa  avesse   potuto  adornare  quella   tomba. 

(1)  L'asserzione  del  dott.  Ercole  Bassi  a  pagina  occasione  di  esaminare,  è  indubbiamente  del 

216  della  sua   Valtellina  (Sondrio  1908)  che  esiste  XIV  0  XV. 
in  Chiavenna  «  un  vecchio  fabbricato  che  nel  piano  (2)  Bassi  Ercole,  La   Valtellina   (Sondrio 

«terreno  e  nelle  fondamenta   mostra   l'antic p.    188     «La  valanga  di  sassi  tjduta  sopra  Chia- 

romana      è  assolutamente  fantastica,  poiché  venna,  e  tra  questa  e  Camportaccio  ha  interamente 

il   fabbricato  in  questione  che  il   primo  di   noi  ebbe  L'ambiato  l'aspetto  dei   luoghi». 


Ludovico  Castelvetro  dichiarato  dal  Tribunale  della  Sacra  Inquisizione  eretico  impeni- 
tente con  sentenza  del  26  novembre  [560  dovette  fuggire  dall'Italia,  e  vagò  in  Germania, 
in  Francia,  in  Svizzera,  e  a  lungo  più  volte  si  termo  a  Chiavenna,  dove  pure  non  poteva 
raggiungerlo  il  terribile  Tribunale  romano,  per  essere  allora  Chiavenna  e  la  Valtellina  appar- 
tenenti ai  Grigioni,  i  quali  avevano  già  in  grande  maggioranza  accettato  le  riforme  protestanti. 
Nelle  sue  dimore  a  Chiavenna  il  Castelvetro  tu  ospite  del  Conte  Rodolfo  Salis,  colonnello 
di  Massimiliano  11  e  grande  fautore  della  Riforma,  ossia  abitò  appunto  nella  casa  Salis  che 
passò  poi  ai  Salis-Soglio  e  da  ultimo  al   Martinucci  inventore  della  testa  in  questione. 

E  in  quella  casa  appunto  egli  morì  il  2]  febbraio  1571,  e  l'ospite  e  amico  Rodolfo 
Salis  volle  che  gli  fosse  eretto  nel  giardino  un  monumento  con  una  iscrizione,  monumento 
che  Federico  Antonio  Salis-Soglio  restaurò  nel  [791,  aggiungendovi  un'altra  iscrizione  e  un 
busto  marmoreo  del  defunto  (1),  Tale  monumento  non  esisteva  già  più,  quando  il  Marti- 
nucci rinvenne  la  testa,  perchè  già  cinque  anni  prima,  cioè  nel  1874,  esso  fu  dai  proprie- 
tari del  giardino  venduto  al  Comune  di  Modena  patria  del  Castelvetro,  e  si  conserva  ora 
nel  Museo  Civico  di  quella  città.  L'aspetto  di  esso  però,  non  consente  di  ritenere  che 
tosse  decorato  di  busti  in  bronzo,  e  sopra  tutto  di  una  della  forma,  della  natura,  del- 
l'aspetto della  testa  in  questione. 

Ma  altre  ipotesi  sorgono  spontanee  dall'aver  quel  giardino  appartenuto  ai  Salis-Soglio, 
e  dall'avere  in  esso  dimorato   Ludovico  Castelvetro. 

F  noto,  quanto  tra  gli  eruditi  del  sec.  XVI  tosse  comune  l'uso  di  raccogliere  oggetti 
antichi.  Per  non  citare  che  un  esempio  di  analogia  perfetta  col  caso  nostro,  1]  fierissimo 
rivale  del  Castelvetro  Anmbal  Caro  possedeva  una  collezione  di  antichità  di  cui  si  ricordano 
busti  imperiali,  un  sarcofago  e  delle  statue  «  valde  palcherrimae  »  che  dieci  anni  dopo  hi 
morte  del  poeta  un  Ottavio  Caro  offre  in  vendita  al  Senato  e  al  popolo  romano  (2).  E 
molto  probabilmente  anche  il  Castelvetro  ne  possedeva,  egli  che  era  ricchissimo  di  sua 
casa,  e  che  la  maggior  parte  della  sua  attività  di  studioso  aveva  rivolto  alle  antiche  lette- 
rature ebraica,  greca  e  latina.  Vero  e,  che  non  ci  e  riuscito  di  trovare  documenti  che  pro- 
vino questa  esistenza  di  una  collezione  antiquaria  del  Castelvetro,  e  che  la  tuga  dalla  sua 
città,  la  vita  raminga,  la  perdita  dei  suoi  libri,  dei  suoi  manoscritti  e  di  tutte  le  cose  sue 
che  ebbe  a  sottrile  a  Lione  durante  le  lotte  tra  cattolici  e  ugonotti,  e  a  Vienna  durante 
una  pestilenza,  rendono  meno  probabile,  che  egli  abbia  potuto  portar  seco  delle  cose  meno 
necessarie  alla  vita. 

Ma  v'è  dell'altro;  anche  1  Conti  Salis-Soglio  furono  collezionisti  di  antichità,  e  non  è 
improbabile  che  la  loro  raccolta   abbia  avuf igine   per   1   suggerimenti  e   torse  anche    per 


(1)  Sulla  dimora   del   Castelvetro   a   Chiavenna      dt  VI  1-,      .   p.   ,„(). 

cfr.  Ploncher,  Della  ri/a  e  delle  opere  di  Lodovico  (2)  Lanciani.  di    Roma,    III. 

Caslelve/ro.  Conegliano   1870:   Crollalanza,  Moria       p.  50;  Grossi  Gondi,  /.a  rilla  dei  Quintini,  col.  105. 


—    120  — 

i  doni  del  Castelvetro  che  ebbe  animo  signorilmente  delicato,  e  che  potrebbe  assai  bene 
aver  fatto  venire  di  Modena  alcune  delle  sue  cose  preziose  per  sottrarle  alla  confisca  dei 
suoi  beni,  e  per  offrirle  ai  Salis  nella  cui  casa  egli  trovò  il  primo  rifugio  alla  sua  vita  di 
esule. 

Anzi  di  una  iscrizione  latina  sappiamo,  che  era  posseduta  precisamente  dal  Conte  Ro- 
dolfo Salis  l'ospite  del  Castelvetro,  presso  il  quale  la  vide  e  la  copiò  nel  1603  il  Gru- 
terus  (  1  1. 

l'usta  pertanto  in  modo  probabile  una  collezione  antiquaria  del  Castelvetro  e  in  modo 
indubitabile  una  dei  Salis-Soglio  nel  luogo  dove  la  testa  fu  rinvenuta,  ognuno  vede  come 
svanisca  completamente  il  valore  negativo  dei  due  fatti  da  noi  accertati,  che  cioè  il  rinve- 
nimento non  è  avvenuto  né  entro  l'area  della  città  romana,  né  alia  profondità  dello  strato 
archeologico  romano  in  quella   regione. 

La  testa  può  benissimo  aver  appartenuto  ai  Salis-Soglio,  ed  essere  stata  rinvenuta  chi 
sa  quando  e  dove.  Si  ripeterebbe  insomma  un  fatto  più  volte  avveratosi  nella  stona  degli 
scavi  di  antichità,  e  che  meglio  di  ogni  altro  esempio  può  illustrare  la  recente  scoperta  di 
due  statue   in   piazza   Colonna. 

Quelle  statue  indubitabilmente  di  età  romana  furono  rinvenute  a  m.  1,50  sotto  il  piami 
del  cortile-giardino  dell'ex  palazzo  Piombino,  mentre  è  noto  da  molte  precedenti  scoperte, 
che  il  piano  delle  strade  imperiali  romane  è  in  qviel  punto  a  ni.  4,80  dal  livello  stradale. 
La  spiega/ione  dell'enigma  è  data  dal  fatto  che  alla  fine  del  secolo  xvi  abitava  nel 
palazzo  Piombino,  sito  come  ognuno  sa,  nell'area  ove  attualmente  si  lavora,  un  celebre  col- 
lezionista di  oggetti  antichi,  mons.  Cosimo  Giustini,  e  che  parte  delle  cose  da  lui  possedute 
potè  esser  nascosta  sotto  terra,  sia  per  timori  0  trascuranza  del  proprietario  0  dei  suoi  re- 
stauratori sia  per  frode  di  coloro  che  il  10  decembre  ifto}  derubarono  e  uccisero  il  ric- 
chissimo monsignore.  E  similmente  un  telamone  appartenente  alia  stessa  collezione  tu  pure 
rinvenuto  anni  addietro  alla  stessa  profondità  (2).  Ora  analoghi  trambusti  sono  intervenuti 
nel  giardino  Salis  a  Chiavenna,  e  ce  ne  dà  la  piova  la  seconda  iscrizione  posta  nel  1791 
sul  sepolcro  del  Castelvetro,  secondo  la  quale  detto  sepolcro  fu  erulus  tenebri*.  Se  dunque 
l'abbandono  del  giardino  aveva  ricoperto  persino  il  monumento  del  Castelvetro,  a  più  forte 
ragione  avrebbe  potuto  celare  una  testa  di  bronzo. 

l'i  1  unto  dobbiamo  concludere,  che  l'accurata  indagine  da  noi  condotta  sulle  circostanze 
di  travamento   non  ci   tornisce  alcun   sicuro  argomento  né   pio    né   contro    l'autenticità    del- 
itto, se  non  forse  questo  solo,  che  non  è  probabile,  che  un  falsario  moderno,  che  do- 
e  nel  nostro  caso  essere  stato    il    defunto   Giuseppe    IWartinucci  0  un   suo   complice, 


(1)  Inscriptiones,    p.    1 1  s 7  ;   cfr.    C.    I.    I ..    V.  1.0  Lanciarli,   /.;  co/lesione  statuaria  di  C 

i.>4i.  Giustini,   in  Bull.  Coni.   1914,  p.   n  '■en. 


abbia  creata  o  fatta  creare  questa  figura,  l'abbia  sepolta,  abbia  fatto  diffondere  notizia  del 
suo  rinvenimento  per  venderla  poi  sei  o  settecento  lire. 

Tolta  così  la  possibilità  di  raggiungere  lui  criterio  di  certezza  in  base  agli  indizi  esterni, 
ci  fu  d'uopo  rivolgerci  allo  studio  e  all'esame  più    diligente    dell'oggetto,    sì    che    da    esso 
stesso  potessero  trarsi  tutti  gli  argomenti 
per  rispondere  al  difficile  problema  postoci. 

L'oggetto  in  questione  (Tav.  VII  fi- 
gure 1,2)  è  una  testa  di  bronzo  a  gran- 
dezza naturale  di  persona  avanzata  in  età 
col  capo  coperto  da  una  singolare  acconcia- 
tura. La  parte  più  esterna  di  tale  accon- 
ciatura è  formata  da  una  reticella  di  cor- 
doncino intessuta  a  maglia  piuttosto  stretta 
che  sembra  fissata  sul  davanti  a  un  sottile 
listello  di  stolta  o  di  pelle  ornata  di  inci- 
sioni, e  dietro  è  tenuta  ferma  da  una 
cordicella  che  viene  ad  annodarsi  alla  base 
della  nuca.  La  rete  ha  torma  di  imbuto,  e 
l'estremità  chiusasi  trova  precisamente  sul 
vertice  del  capo,  dove  è  legata  e  ripiegata 
su   se  stessa. 

Che  cosa  la  rete  stringe  entro  di  se? 
Il  pensiero  che  si  presenta  più  spontanei) 
è,  che  essa  contenga  i  capelli  della  figura 
raccolti  in  trecce  girate  intorno  al  capo  a 
guisa  di  turbante. 

Una  foggia  simile  di  acconciatura  fu 
in  uso  in  età  romana  al  tempo  di  Traiano, 
le  cui  donne  la  importarono  forse  dalla  na- 
tiva Spagna.  Spesso  fu  complicata  con  una 

I  iì;     i.   -    lesta  >n  bi /o. 

specie  di  diadema  formato  da  capelli  arric- 
ciolati, alti  sulla  fronte;   ma  appare  anche  in   Lina  forma  che  si   può  dire  geometricamente 
cilindroide  identica  a  quella  che  si   potrebbe  supporre  sotto  la   rete  della  nostra  testa. 

A  chiarimento  del   nostro  dire  presentiamo  quattso    fotografie  di  due  teste  del   Museo 
Capitolino  (fig.  3-4). 

Senonchè,  noi   non  siamo  persuasi  che  subito  sotto  la  rete  si   abbiano  le  trecce. 

Se  cosi   fosse,   l'artista  che  tu  tanto  scrupoloso  da  segnare  col    bulino  le    maglie  della 
rete  che  non  erano  riuscite  espresse  a  rilievo  (fig.    2)   non  avrebbe  mancai"  di   segnare  con 


tratti  di  bulino  entro    le    maglie    i    capelli,  mentre  invece  sotto    la    rete  appare  un  t'ondo 
unito.  Non  solo,  ma  chi  guardi  il  modo  come  il  singolari  ipo  termina  dietro  le  orec- 

chie,       o  spigo  o  che  esso  fa,  e  l'angolo  retto  che  torma,  facilmente  si  persuade  es- 

servi sotto  la  reticella  un  berretto  di  stoffa,  e  piuttosto  grosso,  forse  di  lana. 

ammesso  che  immediatamente  sot- 
to la  rete  non  si  abbiano  trecce,  ma  un 
belletto,  sorge  il  dubbio,  che  la  testa 
possa  rappresentare  non  una  donna  ma 
un  uomo.  I  nibbio  che  sembra  confer- 
mato dai  capelli  corti  che  escono  dalla 

parte  posteriore  del  berretto  sul  collo 
(fìg.  2).  Il  collegio  peritale  però  osser- 
vando le  ciocche  di  capelli  lunghette 
che  in  forma  allatto  inusitata  per  gli 
uomini  escono  dal  berretto  avanti  alle 
ori  6  Ino  (fìg.  1  1  e  ponendo  mente  a  una 
certa  dolcezza  e  morbidezza  di  linea  che, 
pure  in  una  persona  di  età  più  che  ma- 
tura, si  lascia  cogliere  nel  mento  della 
figura,  come  pure  alla  poi  a  \  igorìa  del 
collo,  è  persuaso  che  la  figura  rappre- 
senti una  donna,  e  sa  del  lesto  spie- 
garsi, come  appiesso  si  vedrà,  anche 
in  questa  ipotesi,  la  ragione  dei  corti 
capelli   sul   collo. 

I:  dunque  una  donna,  una  vecchia 
che  abbiamo  innanzi  a  noi:  e  sotto  il 
berretto  di  lana,  la  capigliatura  ahi  I  non 
più  ricca  e  fluente  può  però  esser  rac- 
colta come  sono  le  splendide  trecce 
della  nostra  figura  3  o  meglio  ancora 
quelle  meno  abbondanti  della   figura  4 

che  ha  un  groppo  rialzato  dietro    la    nuca,  proprio    come    appare    nella    nostra    testa    con- 
fronta   blu.    2    e    41. 

La  nostra  vecchia   ha  fronte   piuttosto  bassa,  occhi   piuttosto  stretti  e  lunghi  con   pu- 
pilla segnata  in  alto  con  un  circoletto,  sopracciglia  segnate  con  pochi  colpi  di  bulino. 

Il  naso  di  giuste  proporzioni  rivela   una  spiccata  nota  caratteristica,  die   cioè    mentre 
la    parte  ossea    li  esso  ò   rettamente  piantata  nel   mezzo    del   viso,    la    pai  te    carnosa    devia 


IVsta  iti  broli/ 


—  129  — 

molto  sentitamente  verso  destra.   E  non  solo,   ma    la    narice  sinistra    è    notevolmente    più 

sollevata  della  destra,  quasi  ne  mancasse  una  parte,    l'ali  caratteri   individuali,  come    pure 

una  chiara  e  spiccata  dissimetria  delle  due  metà  del  viso  ci  assicurano,  che  non  si  tratta 

nel   nostro  caso  di   una  testa  ideale,   ma  di   una  persona   reale,  e    ritratta  anche  con   molto 

realismo.  Come~"anche   una  nota  individuale  si    ha  dalla  bocca    a    labbia    sottili,  serrate  e 

ritratte,  o  che  a  loro  manchi  l'appoggio  dei  denti,    o    per  altra    più  grave' e    solenne   ca- 

r 

gione. 


l:i_t.    j     -    levta   ritratta  jai    M 

Possiamo  pertanto  ammettere  d'aver  guadagnato  ancora  un  altro  elemento  determi- 
nativo, che  cioè  abbiamo  in  questa  testa   un   ritratto. 

Le  orecchie  sono  espresse  con  trattamento  molto  superficiale,  e  quasi  diremmo,  gros- 
solano. E  cosi  pure  il  collo  è  rozzamente  tagliato  a  larghi  piani,  senza  vita,  senza  alcuna 
dignità  artistica,  anzi  senza  neppure  una  mediocre  abilità  di  modellatura.  Un  singolare 
aspetto  presentano  le  ciocche  di  capelli  che  scendono  avanti  alle  orecchie. 

Per  esse  l'artista  altrove  frettoloso  o  inabile  ha  perduto  tempo  e  fatica  a  segnare  una 
minuta  granulazione  rilevata,  che  dà  al  capello  l'aspetto  di    un    cordoncino.    Analo 
tamento  di  capelli   non  ci   risulta,  che  sia  stato  adottato  in   altri  bronzi  antichi   o  del   rina- 
scimento. 

Esaminammo  pertanto  con  cura,  se  non  avesse  potuto  essere  questa  strana  peculia- 
rità 1'  indizio  primo  che  rivelasse  l'opera  del  contraffattore.  Ci  nacque  anzi    anche    il    so- 


-  130  — 

spetto,  che  quella  punteggiatura  fosse  stata  ottenuta  con  un  bulino  meccanico,  cosa  che 
ci  avrebbe  procurato  grave  materia  di  dubbio.  Però  esaminando  con  cura  e  con  l'aiuto  di 
forti  lenti  quella  parte  della  testa,  constatammo  con  sicurezza  che  i  globetti  della  granu- 
lazione sono  notevolmente  disuguali  tra  loro,  il  che  esclude  l'azione  di  un  bulino  mecca- 
nico. Essi  sono,  come  si  disse,  espressi  a  rilievo,  e  la  loro  minutezza  non  consentì  di  pen- 
sare che  possano  essere  ottenuti  dalla  fusione,  ma  si  devono  invece  certo  a  una  minu- 
ziosa, per  quanto  poco  giustificabile  upera  di  ritocco. 


Testa  ritrai!  i  dal   Mu 


Lo  spessore  della  lamina  di  bronzo  è  piuttosto  sottile,  quale  di  solito  si  riscontra  nei 
bronzi  romani,  e  cosi  pure  è  buono  e  soddisfacente  l'aspetto  della  patina;  verde  bruna 
generalmente  all'esterno  e  verde  chiara  all'  interno,  e  sia  fuori  che  dentro  tenacemente 
concreta. 

Neil'  interno  si  nota  anche  una  macchia  azzurrognola  che  i  bronzi  antichi  prendono 
per  combinazioni  col  solfo  o  suoi  composti,  e  che  ha  un  colorito  identico  a  quello  di  molti 
bronzi  di  Pompei.  Davanti  all'orecchio  sinistro  si  scopre  invece  il  rosso  del  rame  privo  di 
patina.  Ma  questo  si  deve  a  un  ripulimento  moderno  di  cui  restano  tracce  in  striatine 
di  strumenti  a  piccola  punta  tagliente.  Sull'orecchio  infatti  la  superficie  doveva  essere  sub- 
bollita e  carbonizzata  come  è  quella  della  tempia  sinistra,  e  un  restauratore  più  enei 
che  abile  ha  cosi   ripulito  quella  parte. 

Non  vogliamo  attribuire  un  valore  troppo  grande  a  questo  criterio  degli  aspetti  della 
patina,  ma  certo  essi  sono  piuttosto  favorevoli  all'ipotesi  della  autenticità  dell'oggetto. 


—  I3i   — 

Ancora  un  altro  criterio  esterno  prima  di  addentrarci  nell'esame  stilistici!;  l'acconcia- 
tura della  figura.  Dissero  alcuni  degli  studiosi  che  videro  la  testa  e  non  la  credettero  au- 
tentica:  «  Non  abbiamo  mai  veduto  in  opere  a"  arte  classica  una   ùmile  acconciatura;  dun- 


que la  testa  è  falsa  •>.   11  giudizio  è  troppo  spiccio,  e  inesatto  nella  premessa  e  nella  con- 
seguenza. Che  le  antiche  donne  Greche    e    specialmente  Romane  abbiano    usato    talvolta 

circondare  i  capelli   di   una  rete  è  cosa  attestata  dalle  fonti  classiche  e  dai   monumenti  ili. 


(i)  Cf.  Daremberg  Saglio,  Dictionnaire  des  An tiqui tés,  -.  v.  ini,  ulum. 


—   132  — 

Nelle  monete  di  Siracusa  sia  della  coniazione  più  antica  che  della  più  recente  la  te- 
sta di   Aretusa  ha  i  capelli  dietro  l'occipite  chiusi  entro  una  rete. 

11  ritratto  ideale  di  una  poetessa,  forse  Saffo,  in  un  affresco  di  Ercolano  (fig.  5)  reca 
pure  sui  capelli  una  rete.  E  altri  esempi  potrebbero  recarsi  greci  e  romani,  per  quanto  però 
veramente  una  rete-berretto,  così  come  appare  nella  nostra  testa,  non  sia  a  nessuno  Ji 
noi  nota  in  altri  esempi. 

(.c.iesta  mancanza  Ji  riscontri  ci  appare  però  giustificabilissima,  senza  correre  subito 
all'  ipotesi  della  contraffazione.  Esaminiamo  più  Ja  vicino  lo  strano  copricapo  della  nostra 
testa:  la  torma  non  ha  nulla  Ji  simpatico  0  Ji  attraente,  né  e  nobilitata  dalla  materia. 
La  rete  è  chiaramente  espressa  come  fatta  di  semplice  cordicella. 

È  mai  possibile  pensare,  che  il  raffinato  buon  gusto  delle  donne  greche  e  romane 
avesse  mai  escogitato  un  cosi  misero  e  antiestetico  adornamento?  È  mai  possibile,  che  un 
tale  arnese  sia  stato  pensato  come  un  abbellimento?  Ma  no,  è  vano  cercare  i  confronti  a 
tale  foggia  in  altre  opere  d'arte,  nessuna  donna  poteva  pensare  Ji  lasciarsi  vedere,  pe 
ancora  Ji  lasciai  riprodurre  ed  eternare  le  proprie  sembianze  con  quell'acconciatura.  Ma 
non  si  vede,  quanto  vi  è  di  intimo,  Ji  Jomestico  in  quel  grossolano  noJo  della  rete  sul- 
l'alto Jel  capo?  Quale  donna  può  sopportare  tale  miseria  fuori  della  propria  stanza  Ja 
letto?  Non  è  la  moda,  non  è  la  acconciatura  Jel  lusso;  è  il  comoJo,  è  la  necessità  che 
impongono  tali  forme.  È  questa  povera  vecchia  che  cela  con  quel  ripiego  il  miserando 
aspetto  della  propria  testa  mezza  calva.  Ecco  il  perchè  dei  capelli  corti  sul  collo,  ecco  i 
due  miseri  cernecchi  grigi  avanti  alle  orecchie,  e  son  proprio  gli  ultimi  a  cadere  i  capelli 
sul  collo  e  quelli  avanti  alle  orecchie.  Nulla  dunque  si  può  concludere  contro  l'autenticità 
della  testa  Jal  tatto  che  non  vi  sono  altre  figure  Ji  donne  cosi  acconciate.  Al  contrario  se- 
condo noi  non  è  possibile,  che  un  falsa/io  abbia  ideato  una  cosa  cosi  nuova,  COSÌ  strana  e 
aJ  un   tempo  cosi   logicamente  architettata  e  connessa   in   tutti   i   suoi   particolari. 

Perchè,  come  vedremo,  ancora  altre  osservazioni  dobbiamo  fare,  le  quali  pure  ven- 
gono con   le  precedenti  a  stringersi  e  concatenarsi   in   una   logica  e   salJa  unità. 

A  chi  osserva  lungamente  e  accuratamente  la  testa,  come  noi  abbiamo  dovuto  fare, 
appaiono  notevoli  discordanze  e  disuguaglianze  Ji  stile  e  Ji  fattura.  E  sono  queste  a  no- 
stro avviso  che  hanno  prodotto  negli  osservatori  esperti,  ma  più  affrettati,  che  ci  hanno 
preceduto,  quel  vago  e  subcosciente  stato  d'animo  insoddisfatto,  onde  prima  si  genera  la 
sfavorevole  impressione  e  il  senso  del  dubbio. 

\d  esempio  la  lete  e  resa  con  un  realismo  cosi  mirabilmente  preciso,  nel  suo  restrin- 
gersi Jelle  maglie,  nel  suo  sovrapporsi  .Ielle  cordicelle  verso  l'apice  della  testa,  perfino  nei 
suoi  strappi,  che  avendo  una  cordicella  si  potrebbe  rifarla  e  Jisporla  in  modo  affatto  iden- 
tico. I.o  stesso  crudo  e  tagliente  lealismo  si  osserva  in  certe  parti  Jel  viso,  per  esempio 
nelle  gote  un  pò  scarne,  nei  solchi  sotto  gli  occhi,  nel  naso  deformato,  nella  bocca  ser- 
rata.   La  assoluta   perfezione  con  cui  è  raggiunta  la   \entà  in  queste  parti,  contrasta  strana- 


—  133  — 

mente  col  mediocre  aspetto  degli  occhi,  con  il  superficiale  trattamento  delle  orecc 
la  grossolana  e  piatta  modellazione  del  collo. 

Tanto  stridenti  contrasti  non  si  possono  spiegare  che  in  un  modo;  ed  è  la  rete,  la 
strana  rete  inusitata  che  ci  conduce  alla  spiegazione. 

Nessuno  scultore  né  antico  né  moderno  può  essersi  proposto  di  perdere  tanto  tempo 
e  tanta  opera  quanti  sarebbero  necessari  per  modellare  con  cosi  grande  rifinitezza  un  og- 
getto artisticamente  cosi  balordo  e  insignificante  come  una  rete;  meno  che  mai  poi  il  no- 
stro artista  il  quale  si  rivela  viceversa  trascurato  a  segno  che  ha  lasciato  qua  e  là  sul 
viso  della  sua  figura  le  cosi  dette  spugne  di  fusione  (sbavature  del  metallo)  senza  ridurle 
con  la  così  detta  raspinatura. 

Ma  se  anche  volessimo  ammettere,  che  egli  tosse  uno  strambo  uomo,  e  che  avesse 
voluto  provarsi  in  così  minuziosa  fatica,  possiamo  esser  certi,  che  né  lui,  né  alcun' altro 
scultore  avrebbe  potuto  raggiungere  in  opera  così  pedestre  una  tanto  perfetta  illusione  di 
verità.   Non   v'  ha  dubbio  per  noi,  che  la  rete  è  stata  formata  sul  vero. 

E  come  è  stata  formata  sul   vero  la  rete,  così   è  stata  tonnata  sul   vero  la  faccia. 

Basta  immaginar  chiusi  quegli  occhi,  e  la  maschera  del  cadavere  ci  si  rivela  con  si- 
cura, direi  quasi  con  macabra  evidenza.  Quella  bocca  non  è  chiusa,  è  serrata,  e  non  si 
aprirà  mai  più.  Quel  naso  è  contorto,  quella  narice  destia  e  contratta  nell'ultimo  tentativo 
di  inspirazione;  è  propriamente  riprodotto  il  vero  rictus  cadavericus  nelle  sue  contrazioni 
estreme   repentinamente  fermate   nella  solenne   immobilità  della  morte. 

La  nostra  testa  di  bronzo  den\a  pertanto  da  una  maschera  funebre  cui  l'artista,  pro- 
babilmente per  desiderio  dei  parenti,  ha  riaperto  gli  occhi.  Ognuno  che  sa,  quanto  1  Ro- 
mani ponessero  d'  impegno  e  di  gloria  nel  conservare  le  immagini  dei  loro  antenati,  e 
come  esse  tossero  abitualmente  formate  in  cera  dal  cadavere  (i)  non  si  meraviglierà  af- 
fatto della  nostra  spiegazione.  E  più  ancora  la  troverà  accettabile  ricordando,  che  mentre 
nell'uso  più  antico  la  cera  stessa  era  conservata,  in  appresso,  come  ci  dice  Plinio 
della  maschera  di  cera  era  sostituito  da  quello  delle  imagìnes  dìpeatae  in  metallo,  eviden- 
temente tratte  dalla  forma  di   cera, 

Hcco  pertanto  perché  sono  stupidi  gli  occhi  e  superficiali  le  orecchie  e  il  collo 
fronte  del   mirabile  realismo  di   tutto  il  resto.   Gli  occhi  sono  stati   riaperti,  e  le  orecchie  e 
il  collo  non  erano  compresi   nella   maschera.  Ed  ecco  chiarirsi  tante  altre  questioni.   Perchè 
la  strana  acconciatura?   Non  certo  per  sfoggio  di   eleganza,  ma  perchè  così   la  volle  la  pietà 


ni  La  cosa  è  attestata  dall'uso  degli  scritturi  che  cfr.    Rorelli,    Monumenti  cumani,   tav.   I;   Darem- 

adoperano    promiscuamente    le    parole   imagines   e  berg  Saglio,  Dictionnaire  des  Antiquités,s.v.  cera 

cerar  e  dal  singolarissimo  caso  della  preservazione  e  imago.  Pauly  VVissowa,  fieal  Encyclopadie  s.  v. 

di  due  di  queste  maschere  trovate    nella   necropoli  imagines  maiormn. 
di  Cuma  e    ora   conservate    nel    Musco  di    Napoli  (2)  Xaturalis   Historia,   XXXV,  4. 


—  134  — 

dei  sopravvissuti  i  quali  così  avevano  visto    la    loro  cara  estinta  negli  ultimi    tempi   della 
sua  vita. 

E  chi  sa  forse,  che  nell'estrema  toletta  che  si  componeva  al  cadavere  non  fosse  uso 
almeno  parziale  se  non  generale  tra  i  Romani  di  chiudere  i  capelli  entro  un  simile  invo- 
lucro? 

Se  alla  conservazione  delle  nostre  tombe  romane  avessero  arriso  le  medesime  mirabili 
condizioni  atmosferiche  e  igrometriche  che  preservano  nelle  tombe  dell'antichissimo  Egitto 
intatti  i  legni,  e  le  stoffe,  e  le  paglie  e  i  peli,  forse  avremmo  potuto  rispondere  con  più 
sincera  convinzione  a  questa  domanda.  Ma  invece  nelle  nostre  tombe  tutto  quanto  non  è 
pietra  o  metallo  si  è  distrutto;   tutto  sempre,  tranne  in   un   solo  caso  che  parve   miracolo. 

Nel  1485  il  giorno  iy  aprile,  cavandosi  nella  tenuta  di  S.  Maria  Nuova,  al  quinto 
miglio  dell'Appia  presso  la  Villa  dei  Quintilii,  fu  scoperto  entro  un  sarcofago  di  marmo  il 
corpo  di  una  giovane  donna  in  uno  stato  di  conservazione,  di  flessibilità,  di  fluidità  san- 
guigna, di  elasticità  degli  arti  quasi  prodigiosa.  Dalle  relazioni  contemporanee  di  letterati  e 
di  antiquari  raccolte  da  Antonio  Riccv  (i)  e  dallo  Huelsen  12)  risulta,  che  la  scoperta  com- 
mosse vivamente  la  città;  il  sarcofago  e  la  morta  furono  esposte  in  Campidoglio,  e  tante 
furono  le  dispute  dei  dotti,  tanto  specialmente  ne  fu  colpita  la  fantasia,  e  turbato  e  acceso 
di  ammirazione  lo  spirito  popolare,  che  il  papa  Innocenzo  \  111  tini  per  impensierirsi  dello 
straordinario  eccitamento,  e  una  notte  fece  scomparire  tutto. 

Orbene  in  questa  unica  tomba  di   donna   romana  che   noi   abbiamo  potuto  vedere   in- 
tatta, i  capelli  della  morta  erano  chiusi  in  un  berretto  con  su  una  rete  di  cordoncino 
«  Et  haueua,  scrive  Antonio  di   Vaselli,  una  berrettina  di  zenzale  con    certo   lavoro   d'oro 
batto  assai  bello-»  (3).    E  Celio  Rodigino  «.Aveva  i  capelli  contenuti  in   rete   aurea        \ 
E  via  via  gli  altri  contemporanei  chiamano  quella  acconciatura:    rete,    mitra,  cerchio,  dia- 
dema, infula,  cuffì.i   1 5 1. 

E  torse  le  tracce  di  filo  d'oro,  0  di  stoffa  che  qualche  altra  volta  furono  trovate  in 
qualche  tomba  romana  (6)  e  che  furono  ritenute  avanzi  di  guanciali  0  di  coltri  debbono 
riferirsi  a  smuli  coperture  del  capo. 

Il  collegio  dei  periti  non  vuol  peccare  di  imprudenza  affermando  per  un  solo  esem- 
pio sicuro  e  indubitabile,  che-  fosse  uso  tra  i  Romani  di  porre  un  tale  berretto  sul  capo 
dei  morti,  ma  non  può  a  meno  di  non  rilevare  il  singolare  riscontro  tra  l'unico  caso  po- 
tuto con  ogni  sicurezza  constatare  nella  tomba  della  giovanetta  di  Via  Appia,  e  l'aspetto 
della  nostra   maschera   funebre. 

(1)  //  Pago  Limonio,   pag.   105.  (5)  Riccy,  Pago  /.emonio,  I.  e. 

(2)  Cfr.  Lanciarli,  Storia  degli  Scavi  di  Uomo,  (6)  Per  es.  nel  sarcofago  di  Bebia  Ermofila,  tro- 
I,  pag-  84.                                                                   vato  sulla  Via  Tiburtina  in  tenuta  Aguzzai 

(;)  .luti.   Vaticano,  armadio   XV,  fase.  44.  Gh    lanzoni  in   Notisie  Scavi,    1012.  p.  230. 

14)  .  luti,/,  tee/..   MI.  cap.  24. 


—  135  — 

Tornando  a  riflettere  su  quanto  si  è  sopra  esposto,  e  sopra  tutto: 

considerando,  come  nessuna  delle  particolarità  prese  in  esame  nella  testa  possa  va- 
lere come  indizio  di  moderna  contraffazione,  anzi  al  contrario  come  tutte  cospirino  a  com- 
porre una  unità  logica  e  artistica  della  più  salda  compattezza, 

considerando  come  il  falsario  moderno  non  può  pensare  a  creare  oltre  che  l'oggetto 
anche  tutto  il  procedimento  storico  per  cui  quell'oggetto  deve  essere  così  e  non  altrimenti 
che  così, 

e  sopra  tutto  dato  anche  e  non  concesso,  che  a  tanto  insolito  lavoro  si  tosse  posto 
un  falsario,  considerando,  che  egli  non  avrebbe  saputo  essere  cosi  rigorosamente  e  felice- 
mente coerente  in  tutti   i  più  piccoli   dettagli, 

e  considerando  ancora  che  l'ipotetico  falsario,  dotato  di  un  temperamento  così  ec- 
cezionalmente fantastico  e  così  rigorosamente  logico,  avrebbe  usato  queste  sue  mirabili  fa- 
coltà per  far  qualche  cosa  di  meglio  di  questa  mediocrissima  testa,  ritratto  di  una  scono- 
sciuta vecchia, 

considerando  infine  non  esser  possibile,  che  una  somma  di  lavoro  così  sottilmente 
sapiente  abbia  finito  ad  essere  valutata  da  chi  avrebbe  dovuto  essere  il  falsario  stesso  o 
un  suo  complice,  cioè  dal   Martmucci   non   più   di  sei  o  settecento  lire, 

il  collegio  peritale  ritiene  unanime  che  sia  assolutamente  da  escludere,  clic  la  testa 
di  bronzo  sia  opera  di   un   moderno  falsario. 

Pertanto  alla  prima  domanda  dell'  Eccellentissimo  Tribunale,  il  collegio  dei  periti  risponde 
che  la  testa  è  autentica. 

Rimane  la  seconda  domanda:  È  la  testa  di  scavo  del  terzo  secolo? 
Il  rispondere  ad  essa  è  certo  più  difficile  che  non  sia  stato  rispondere  al  primo  que- 
sito non  solo  per  l'angustia  dei  termini  che  essa  vuole  siano  segnati,  ma  anche  per  la  sua 
forma  scientificamente  inesatta  e  indeterminata,  lì  divenuto  insomma  un  quesito  posto  a 
degli  studiosi  quello  che  non  era  se  non  una  sciatta  designazione  gettata  j^iù  currenti  ca- 
lamo in  una  ricevuta  di  un  antiquario.  Volendo  esser  precisi,  noi  dobbiamo  intanto  do- 
mandare, se  si  volle  in  quella  monca  frase  intendere  il  terzo  secolo  avanti  Cristo  o  il 
terzo  secolo  dopo.  Né  si  dica,  che  noi  vogliamo  sofisticare  con  questa  domanda,  perchè 
qualche  studioso  era  disposto  ad  ammettere  per  la  nostra  testa  una  data  anteriore  all'era 
cristiana.  Infatti  tra  i  pareri  esternati  da  dotti  che  avevano  giudicato  la  testa,  vi  fu  an- 
che quello  di  chi  volle  vedervi  il  ritratto  di  Cleopatra  invecchiata,  (ahi  quanto!)  e  tro- 
vare una  somiglianza  con  una  testa  del  Museo  di  Alessandria  d'Egitto,  somiglianza  affatto 
inesistente  secondo  il  riscontro  fatto  a  nostra  preghiera  dall'illustre  nostro  connazionale  che 
con  tanto  decoro  dirige  quel   Museo,  prof.  Evaristo  Breccia. 

Non  abbiamo  tuttavia  rifiutato  di  tentare  una  risposta  anche    a    questo  quesiti  . 
preghiamo  l'Eccellentissimo  Tribunale  di  voler  considerare,  quali  ragioni  tendano  questa  de- 
terminazione (diffìcile  sempre  a  farsi)  peculiarmente  ardua  nel   nostro  caso  particolare. 


-  136  - 

Dimostrato  infatti  che  la  nostra  testa  è  una  maschera,  la  nostra  argomentazione  viene 
i  perdere  completamente  l'appoggio  di  ogni  criterio  stilistico.  Non  abbiamo  più  dinanzi 
a  noi  un'opera  d'arte,  ma  il  getto  di  una  t'orma,  non  possiamo  più  cogliere  il  tratto  ca- 
ratteristico che  ci  riveli  il  criterio  estetico,  il  gusto,  la  visione  artistica,  il  dettaglio  di  ese- 
cuzione, il  particolare  tecnico  di  questo  o  di  quell'altro  secolo.  Il  getto  di  una  forma  si  è 
fatto   sempre    nello   stesso    modo. 

Il  collo  e  le  orecchie  sono  liberamente  modellate  (i)  ma  è  lecito  istituire  un'analisi 
stilistica  su   particolarità  cosi   secondane  e  dall'artista  cosi   trascurate? 

Né  ci  assiste  il  criterio  storico  della  moda;  in  una  testa  muliebre  l'acconciatura  può 
tornire  indizi  cronologici  abbastanza  sicuri,  perchè  le  monete  con  ritratti  delle  regine  elle- 
nistiche 0  delle  imperatrici  romane  permettono  per  analogia  una  datazione  anche  delle 
acconciature  anonime.  Ma  la  vecchia  inferma  ritratta  nel  nostro  bronzo  non  ha  un'accon- 
ciatura, essa  ripara  come  può  alla  impossibilità  di  averne  una,  e  la  sua  tenuta  è  del  tutto 
domestica  e  intima. 

Mancando  adunque  tutti  i  criteri  positivi,  non  ci  resta  che  tentare  di  accostarci  alla 
verità,  procedendo  per  esclusione. 

La  testa  non  è  una  contraffazione  moderna;  può  essere  dunque  un'opera  del  rinasci- 
mento o  del   primo  cinquecento,  oppure   un'opera   del   periodo  classico. 

La  forma  come  il  collo  è  tagliato  potrebbe  convenire  sia  all'una  che  all'altra  età; 
nella  prima  ipotesi  essa  avrebbe  potuto  sporgere  da  una  lapide  come  ad  esempio  il  ritratto 
del  Mantegna  nel  suo  sepolcro  a  Mantova,  nella  seconda  avrebbe  potuto  sormontare 
un'erma  come  il  ritratto  del  banchiere  di  Pompei  Cecilio  Giocondo,  e  come  tanti  altri 
esempii.  L'uso  però  di  formare  le  maschere  dei  defunti  per  conservarle  meglio  negli  atrii  delle 
proprie  case  era  certo  assai  più  diffuso  tra  i  Romani  che  non  tra  gli  uomini  del  Rinasci- 
mento. Sicché  a  priori  dovremmo  di  preferenza  portare  la  nostra  attenzione  più  sul  mondo 
romano,  che  su  quello  medievale  e  del  cinquecento.  Si  aggiunga  che  sia  per  mancanza 
di  analogie  e  di  riscontri,  sia  per  le  stesse  dimensioni  e  proporzioni  della  testa  l'ipotesi  che 
si   tratti  di  opera  del   Rinascimento  ci   sembrò  dovesse  essere  abbandonata. 

Rimane  pertanto  a  supporre,  che  la  testa  sia  opera  del  periodo  classico,  supposizione 
che  in  assenza  di  criteri  stilistici  si  accorda  molto  bene  con  l'uso  presso  gli  antichi  delle 
maschere  degli  antenati  {imagines  maiorum).  Tale  uso  era  però  molto  più  diffuso  tra  i 
Romani  che  non  tra  i  Greci,  essendo  anzitutto  richiesto  dalla  lunga  durata  delle  cerimo- 
nie funebri  romane  che  esigevano  di  celare  gli  effetti  dissolventi  della  morte,  e  dal  smgo- 
larissimo  costume  esclusivamente   romano    ielle  compagnie  di   istrioni  che  camuffati  con   le 


iiIj  maschera  funebre  romana  era  appunto  li-      nella  cerimonia  solenne  del   funerale,   cfr.  Uarem- 
alla   parte  anteriore  del  viso,   perchè  era  in-       berg  Sa^lio.     Dictionnairt    i/t-s    Antiquités,    s.    v, 
d  issata  appunto  come  una  maschera  da  un   mimo       imago,   p.  412. 


-  137  - 

maschere  del  defunto  stesso  e  dei  suoi   maggiori  prendevano    parte    all'ultimo  corteo  fu- 
nebre. 

Si  aggiunga  che  la  testa  è  stata  rinvenuta  in  suolo  italiano  (i)  e  che  la  foggia  di 
disporre  i  resti  della  chioma,  ernie  si  intravede  sotto  il  berretto  e  la  rete,  si  accosta  me- 
glio che  ad  altra  a  quella  acconciatura  che  fu  in  uso  tra  le  donne  romane  in  età  traianea, 
e  della  quale  presentammo  due  esempi   nelle  teste  del   Museo  Capitolino  (fig.    3-4). 

È   presumibile  pertanto,  che   l'opera   raffiguri   una  donna   romana,   e  che  sia    di 
e  di  arte  romana. 

Resta  pertanto  esclusa  la  datazione  del  111  secolo  avanti  Cristo,  età  in  cui  l'arte  ro- 
mana vagava  ancora  bambina,  osi  lasciava  completamente  soffocare  dalle  influenze  greche. 

Si  può  scendere  a  determinazioni  ancora  più  precise?  Dicemmo,  che  dall'aspetto 
esterno  i  ruderi  della  chioma  della  nostra  vecchia  donna  sembrano  riprodurre  le  grandi 
linee  della  acconciatura  traianea.  Quel  complicato  e  poco  simpatico  affastellami 
trecce  cui  le  donne  dell'età  di  Traiano  si  erano  assoggettate,  ebbe  breve  durata.  Sabina,  la 
moglie  del  successore  di  Traiano,  porta  quella  foggia  nelle  più  antiche  sue  monete,  la  omette 
poi  nelle  più  recenti  per  adottare  una  pettinatura  molto  più  semplice  e  di  molto  maggior 
buon  gusto. 

Con  le  donne  di  Antonino  Pio  e  di  Marco  Aurelio  si  torna  alle  architetture  compli- 
cate le  cui  grandi  linee  potrebbero  più  0  meno  corrispondere  a  quanto  si  indovina  sotto 
il  berretto  della  nostra  testa. 

Sulle  acconciature  posteriori  per  oltre  un  secolo  dominò  costante  la  moda  imposta 
dalla  bellissima  ed  elegantissima  Lucilla  sorella  dell'  imperatore  Commodo.  Fornita  di  una 
superba  capigliatura,  la  condusse  ella  in  grosso  nodo,  coprendo  le  orecchie,  sul  dietro  del 
capo,  e  le  linee  fondamentali  di  tale  acconciatura,  abbellita  da  ondulazioni,  guastata  da  par- 
rucche, ecc.,  rimasero  costanti  per  lunghi  anni  ossia  per  tutto  il  famigerato  in  secolo  della 
ricevuta  dell'antiquario.  L'architettura  di  quella  foggia  non  sembra  coincidere  con  quel  che 
si  cela  sotto  il  berretto-rete. 

Una  qualche  maggiore  analogia  c'è  in\ece  con  la  moda  delle  donne  di  Costantino  (2) 
la  quale  potrebbe  essere  supposta  nella  nostra  testa. 

Riassumendo,  potremmo  in  base  al  criterio  della  acconciatura  (che,  ripetiamo  però  .in- 
cora, in  questo  nostro  caso  ha  valore  minimo,  perche  ppare  con  evidenza)  potremmo, 


11)  Anche  ammettendo,  che  Chirivenna  non   sia  allora  in   Italia  che  alcune  pietre  iscritte 

il  suo  lungo  originale  di  ritrovamento,  e  che  vi  -  VI           di    Venezia,    portate   con  e 

tata   dal   Castelvetr                     llezionisti  dalle  galere  veneziane,  e  pei  caso  vedute  e  salvate 

conti  Salis,  è  quasi  certo  che  la  testa  e  stata  rin-  Ja  quaUie  studioso  d          :           ssima   Repubblica. 

venuta  in  Italia.   I..i  ;■-,                                gica  della  oppure                         aie  e   altri    m 

Grecia  e  del  Levante  non  è  cominciata  che  Col  se-  -rueck   in    Romiscke   Milteil.   1913, 
colo  XIX,  e  di  cose  greche  non  soli  venute  prima  di 

IX. 


-  138- 

diciamo,  considerare  possibili  per  la  nostra  testa  tre  datazioni  :  l'età  di  Traiano,  (97-1 17,  d.  C.) 
l'età  Ji   Antonino   Pio  e  di   Marco  Aurelio  (138-1X91,  quella  di  Costantino  (306-337). 

L'acconciatura  di  Traiano  è  forse  la  più  vicina  di  tutte  al  probabile  tipo  della  no- 
stra, ma  dall'attribuire  la  testa  a  quella  età  ci  sconsiglia  il  modo  come  son  resi  gli  occhi 
con  la  pupilla  segnata,  particolarità  tecnica  che  sembra  introdursi  nella  scultura  antica  ;  iù 
tardi   dell'età  traianea,  ossia  solo  con  Adriano. 

Cosi  pure  qualche  difficoltà  proveremmo  ad  assegnare  la  testa  all'età  di  Costantino. 
L'arte  figurata  ha  già  in  quell'età  subito  una  irreparabile  decadenza,  e  specialmente  sem- 
bra essersi  alterato  il  senso  delle  proporzioni.  Ora  questo  senso  delle  proporzioni,  che  è  forse 
l'unico  criterio  stilistico  ancora  applicabile  alla  nostra  testa  uscita  da  una  forma,  non  sembra 
così  turbato  in  questo  nostro  caso.  Se  volessimo  attribuire  la  testa  all'età  di  Antonino  Pio 
e  di   Marco   Amelio  non   incontreremmo  forse  obiezioni  così  gravi. 

Ripetendo  pertanto  ancora  una  volta,  che  per  le  ragioni  già  esposte  qualunque  nostra 
proposta  di  datazione  non  può  essere  presentata  che  come  timida  ipotesi;  rispondiamo  al 
secondo  quesito  postoci  dall'  Eccellentissimo  Tribunale  nella  forma  seguente:  Crediamo 
meno  improbabile,  che  la  testa  possa  essere  stata  fusa  tra  la  fine  del  primo,  e  la  fine  del 
secondo  secolo  dopo  Cristo,  rifiutandoci  di  discendere  sino  al  quarto,  e  riconoscendo  una 
qualche  maggiore  probabilità  per  l'età  di  Antonino  Pio  e  di  Marco  Aurelio  ossia  per  la 
seconda  metà  del   II   secolo  d.  Cr. 

rodolfo  lanciani. 

Federico  Hermamn. 

RUBERTO   PARIBENI,  relatore. 


NOVACVLA 


Il  motto  •■  ì~\  ;upo'j  z/.v-/;;  >>,  adoperato  con  valine  di  proverbio  già  fin  dall'epoca 
Omerica,  depone  dell'alta  antichità  del  rasoio;  e  il  labbro  superiore  rasato  nelle  maschere 
auree  di  Micene,  in  alcune  figure  sopra  vasi  di  stile  corinzio,  e  in  altri  monumenti  ar- 
caici, costituisce  la  migliore  documentazione  monumentale  dell'usi)  di  radersi  che  l'uomo 
ha  seguito  fin  dalla  più  remota  età.  L'utensile  servito  nei  tempi  primitivi,  per  tale  esigenza 
d'  igiene  personale  o  di  moda,  viene  generalmente  riconosciuto  in  quelle  ormai  numerose 
lame,  semilunate  la  più  parte,  di  bronzo  o  di  ferro,  provenienti  da  sepolture  preistoriche 
cosi  della  Grecia  e  dell'  Italia,  come  di  molte  altre  regioni  del  continente  europeo.  Che 
tali  lame,  tuttavia,  siano  state  propriamente  rasoi,  si  è  seriamente  posto  in  dubbio  da  più 
di  Lina  parte,  ma  contro  1  dubbii  si  è  creduto  sufficiente  opporre  l'autorità,  specialmente, 
di  due  prove,  monumentale  l'ima,  sperimentale  l'altra:  in  un  rilievo  torinese  ormai  famoso, 
interpretato  come  traduzione  plastica,  in  tempi  storici,  del  già  riferito  proverbio  Omerico, 
la  figura  del  Kairòs,  si  è  detto,  regge  il  giogo  della  bilancia  sul  taglio  lunato  di  un  utensile 
affatto  simile  alle  lame  lunate  primitive  intese  quali  rasoi;  con  una  di  quelle  antiche  lame  lunate. 
convenientemente   martellata  ed  affilata,   poi,  v'è  stato  chi  è   riuscito  a   radersi   la  barba. 

Erano  a  questo  stato  le  conoscenze  (sulla  cui  poca  fondatezza  non  giova  intrattenersi 
di  proposito)  circa  il  primitivo  utensile  per  radere  la  barba,  allorché,  verso  il  1874,  sul 
mercato  antiquario  della  Capitale  comparve  un  arnese,  scavato  a  Roma  stessa  come  affer- 
mavasi,  ma  ora  purtroppo  irreperibile,  consistente  di  un  manico  di  osso  e  di  una  lama 
»  lunata  »  di  ferro,  che  per  lo  Helbig,  il  quale  per  primo  ne  diede  notizia,  altro  non  po- 
teva essere  che  un  rasoio.  L'utensile  in  parola,  quantunque  restasse  allo  stato  di  esem- 
plare unico,  veniva  a  colmare  in  primo  luogo  una  lacuna  notevole,  perchè  finalmente  of- 
friva una  nozione  sicura  di  ciucile  fosse  una  lun'acn/a  presso  i  romani,  mai  fin  allora  vista; 
e  in  secondi  1  luogo,  data  la  ••  sagoma  curva  della  sua  lama  »,  mentre  costituiva  un  op- 
portuno riscontro  alla  testimonianza  di  Marziale  che  attribuisce  alla  novaada  una  ,nr;'(ì  theca, 
veniva  a  confermare  la  definizione  di  ;  vip  rjv  data  all'utensile  del  rilievo  torinese,  ed  a  fortifii  are, 
finalmente  la  prevalente  opinione  che  rasoi   fossero  davvero  le   lame   lunate  primitive  1 1 1. 


(1)  W.  Helbin.  Ini  ninni  Reich,  1875,  pagi-  1877),  p.  ;;:  Bull,  [usi.,  1878,  p.  97;  W.  Hei- 
ne 14  sgg.  ;  cfr.  Bull,  [usi.,  1875,  p.  14  e  1  i  :  big,  Pai  homerische  Epos  (I  1),  p.  171, 
li.    Gozzadini,    Scavi   Amaoldi-Veli,    (Bologna,       in  nota. 


—  140  — 

Le  dottrine  che  fin  qui  ho  condensate  in  poche  parole  sono  quelle  che,  ove  più,  ove 
menu  ampiamente  esposte,  lo  studioso  oggi  trova  nelle  più  pregiate  opere  di  tecnologia  e 
di  archeologia  oltre  che  in  qualche  studio  speciale,  quando  voglia  informarsi  dello  strumento 
adoperato  dagli  antichi  per  radere  la  barba  (i). 

Risolvere  a  quale  uso  precisamente  abbiano  servito  i  così  detti  «  rasoi  »  primitivi, 
sieno  essi  a  taglio  curvo  o  rettilineo  o  a  due  tagli  curvi,  ecc.,  è  tale  arduo  problema  che 
m>n  potrà  non  travagliare  ancora  per  molto  tempo  la  mente  degli   studiosi   delle  antichità 

preistoriche,  ed  io  non  ardirò  nemmeno  di  affacciarmi  in  lui  campo  non  mio.  11  mi m- 

pito  è  altro,  e  ben  più  modesto.  Osservo  col  Lafaye  (2)  «  il  n'en  reste  pas  moins  un 
fait  singulier;  c'est  que  ces  objets  des  temps  primitifs  (i  rasoi  lunati)  soient  si  nombreux, 
et  que  nous  en  connaissions  si  peu  d'analogues  par  les  monuments  grecs  et  romains  (due 
utensili  in  ultima  analisi:  quello  scolpito  nel  rilievo  di  Torino,  e  quello  rinvenuto  a  Roma 
e  annunziato  dallo  Helbig)  de  l'epoque  historique  »;  e,  limitandomi  al  periodo  romano, 
m'  induco  a  pubblicare  un  contributo  importante  di  conoscenze,  che  scoperte  pompeiane 
relativamente  recenti  arrecano  nella  questione,  colmando,  secondo  il  mio  convincimento, 
la  lacuna  notata  dal  Lafaye,  e  persuadendo  a  ritenere  che  il  taglio  del  rasoio  nel  tempo 
romano,  come  forse  sempre  e  dovunque,   fu  rettilineo,  come  è  oggi. 

Esposti  i  limiti  e  1'  intento  del  presente  studio,  stimo  opportuno  tare  la  seguente  con- 
siderazione. È  impossibile  credere  che  gli  scavi  di  Pompei,  in  circa  un  secolo  e  mezzo  di 
esplorazioni  continue,  non  abbiano  mai  dato  luogo  al  rinvenimento  di  arnesi  uguali  a  quelli 
venuti  fuori  dagli  scavi  dell'ultimo  decennio  che  qui  mi  accingo  a  pubblicate,  e  che,  come 
10  per  varie  ragioni  ritengo  per  novaculae,  cosi  per  tali  sarebbero  state  senza  alcun 
dubbio  ritenuti  da  chiunque  ne  avesse  veduti  per  il  passato.  Oggetti  del  genere,  però,  si 
ricercano  invano  nelle  sale  di  esposizione  del  Museo  Nazionale  di  Napoli,  e  del  pari  inu- 
tilmente si  cerca  di  riconoscerne,  come  a  me  è  avvenuto,  almeno  qualche  frammento  nei 
magazzini  di  deposito  del  Museo  stesso.  Una  larga  ma  sottilissima  lama  di  ferro,  tratta 
dal  suolo  dopo  quasi  diciannove  secoli  di  seppellimento,  già  all'atti  della  scoperta  irrepa- 
rabilmente compromessa  dallo  stat"  di  progredita  ossidazione,  difficile  a  conservarsi  perchè 
minata  dagli  ulteriori  progressi  del  disfacimento,  soggetta  ad  andare  in  frantumi  al  minimo 
urto,  assumente  l'aspetto  di  un  frammento  informe  di  lamina  più  che  quello  della  parte 
integrante  di  un  utensile,  d'altronde  non  ancora  identificato,   ha  potuto,  anzi    ha    dovuto, 


1     Baumeister,   Dcnkmàler  dei   Klass.     I <'/..  I.  IV.  p.   108,  109;  I     Saglio,  ibid.,   1.  p.  667  sgg.  ; 

p.  2S2  sgg.  e  p.  254  sgg.  ;  Bliimner,  Die  ròmischen  Frank  \V.   Nicolson,  Greek  and   rontan  Bai 

Privatalterliimer,  p.  267  sj;n.  ;    Forrer,  Reallex.,  in  Harward    Studies    in  Classical    Philology,   II. 

p.    646   e   04- ;    Mau,   in    Paitly-H'issowa,    Real  p.  40  sgg.  e  specialmente  p.  >2  e  =;;. 
Encycl.  Ili1,    p.    si,    cfr.    p.   s:    <  ì.    Lafaye,  in  2)  Op.  cit.,  p.    108,  col. 

Dar emberg et  Saglio,  />i</.</<s  ant.gr.   et  rom., 


—  141   — 

essere  incontrata  più  volte  nell'  instrumentum  domesticum  ricco  e  vario  degli  scavi  di  Pom- 
pei, ma  non  ha  forse  sempre  richiamata  su  di  sé  sufficiente  attenzione:  dicasi  altrettanti! 
del  manico,  il  quale,  se  fu  di  legno,  non  ha  lasciato  di  sé  traccia  alcuna;  se  fu  di  osso, 
ridotto  in  tavoletta  multo  sottile,  il  più  delle  volte  si  sarà  presentato  in  frammenti  rite- 
nuti trascurabili;  se  fu  di  avorio,  quasi  sempre  si  sarà  trovato  in  iscaglie,  le  quali,  sol- 
tanto se  ricomposte  pazientemente,  avrebbero  potuto  restituire  all'oggetto  la  sua  forma. 
Sono  queste  a  mio  parere,  le  difficoltà  che  hanno  per  il  passato  distolta  l'attenzione  dei 
dotti  dal  riconoscere  utensili  uguali  a  quelli  di  cui  qui  mi  occupo,  ed  in  presenza  dei  quali 
il  Mau,  come  io  ritengo  per  fermo,  avrebbe  rinunziato  a  proclamare  che  «  a  Pompei  non 
si  trovano  rasoi  ■■  in. 

Eccomi  senz'altro  indugio  a  presentate  i  nuovi  utensili  pompeiani,  soggiungendo  per 
ciascuno  di  essi,  dopo  un'accurata  descrizione,  le  circostanze  significative  che  ne  accompa- 
gnarono il  rinvenimenti':  cioè  l'indicazione  degli  ambienti  donde  gli  utensili  provengono,  e 
la  natura  degli  altri  oggetti  che  vi  si  trovarono  associati.  La  descrizione  procede  tenendo 
conto  ordinatamente  dei   pezzi  onde  ciascun   utensile  risulta:   manico,  cerniera,  lama  (2). 


1.)  Primo  utensile  (fig.  1).  Il  manico,  di  avorio,  ricomposto  da  moltissimi  frammenti 
sfaldati,  piatto,  di  mm.  1 1  di  spessore,  tutto  di  un  pezzo,  è  lungo  miti.  1  1  1  e  largo  min.  - 1, 
e  reca  internamente  due  solchi   rettilinei  scavati  con   la  sega:   di   questi   solchi    l'uno,   pio- 


li 1  In  Notizie  d.  se.,  1882,  p,  422.  eri  stato 
pubblicato  sotto  la  data  del  20  ottobre:  ....  «un 
rasoio  lungo  mm.  210  »,  in  disaccordo  con  l'Inven- 
tario dello  scavo,  nel  quale,  sotto  la  stess  1  data  e 
col  n.  369,  era  registrata  «  una  rasoia  poco  conser- 
vata lunga  mm.  210  »,  con  l'osservazione  «  tro- 
vata in  frantumi  per  l'ossido  ».  Dovendosi  occu- 
pare di  questo  rinvenimento,  il  Mau,  Ball.  Inst., 
1884,  p.  107,  nella  nota  osserva  :  «  Nelle  Notizie 
120  ottobre  1882)  si  parla  per  errore  di  un  rasoio. 
Si  tratta  di  uno  strumento  di  ferro  per  raschiare 
non  si  sa  bene  quale  materia,  forse  il  muro;  ra- 
soi non  si  trovano  a  Pompei  •>. 

Altri  ragguagli  vaghi  di  rasoi  0  rasoie.  su  cui  mi 
è  riuscito  impossibile  portare  l'indagine  per  l'in- 
tervenuto disfacimento  dei  relativi  oggetti,  ho  in- 
contrato durante  le  mie  ricerche  ai  luoghi  se- 
guenti : 

1°  Notizie,  1S70,  p.  76:  «ferro,  piccolo  ri 
soio  con  due  manichi  laterali  spezzati  (??),  lungh. 
di    corda    mm.    250»  (Un    piccolo    rasoio,  niente- 


meno di  mm.  250  di  corda  !?  Non  c'è    da  racca- 
pezzarcisi). 

2°  Xotizie,  [880,  p.  186:  »  ferro,  un  vas- 
soio (sic!)  rett. ingoi. ire,  lungo  0,120,..  In  corri- 
spondenza, sotto  la  stesso  data  11  maggio  1880. 
l'Inventario  dello  scavo,  al  n.  148,  e  il  <  ìiornale 
dei  Soprastanti  registrano  «  una  rosola  rett  ingoi  11 
lunga  0.120  ». 

J°  Notizie,  1881,  p.  62:  »  terrò,  un 
lungo  mm.  130"».  D'accordo  l'Inventario  dello 
scavo  e  il  Giornale  manoscritto  dei  Soprastanti 
danno  lo  stesso  ragguaglio,  e  per  la  stessa  data 
4  febbr.  1881.  Con  riferimento  a  questo  utensile 
e  ad  un  altro  che  dovrebbe  trovarsi  descritto,  ma 
non  trovo,  in  Votizie,  1880,  p.  ;o~.  il  Mau,  lUill. 
Inst.,  1S82,  p.  [83,  pubblicava  >-....  ferro  due 
rasoi  ... 

121  Della  concessione  di  servirmi  delle  foto- 
grafie che  corredano  il  presente  studio  ringrazio 
pubblica  I    ■  ittore,    Pn  t.  Vittorio 

Spina//o!a 


142 


fondandosi  uniformemente  per  mm.  13  nel  mezzo  di  tutta  la  costa  del  lato  più  lungo, 
serve  a  custodire  il  taglio  della  lama  allorché  l'utensile  è,  come  nella  figura,  allo  stato  di 
0;  l'altro,  impegnando  solo  i  quattro  quinti  circa  della  lunghezza  dell'altro  lato  retti- 
lineo più  corto  (dalla  cerniera  in  su,  nella  figura),  serve  a  ricevervi  la  parte  rettilinea  della 
base  della  lama,  quando  la  lama  stessa  si  spiega  per  porre  l'utensile  in  azione.  Tralasciando 
di  notare  le  sagome  e  gli  ornamenti  secondarli  che  non  hanno  speciale  importanza,  avverto 
solo  che  il  lato  supcriore   del  manico,  .1  superficie  dolcemente  curva,  è  conformato  a  dito 

tonano,  del  quale  solo  la  falangetta  estrema 
con  l'unghia  sporge  in  tutto  tondo,  e  che,  al 
disotto  della  falangetta  stessa,  è  linamente 
scolpita  in  tondo,  ricavata  dalla  grossezza  della 
tavoletta  di  avorio,  una  graziosa  testina  mu- 
liebre di  stile  egitteggiante.  La  cerniera,  che 
congiunge  la  lama  col  manico,  consiste  di  un 
piccolo  asso  ,1  perno  di  bronzo,  cui  nascondono 
all'esterno  due  bnrehiette  d'argento,  tonde, 
rigonfie  nel  mezzo,  leggermente  rialzate  agli 
orli,  di  mm.  17  di  diametro.  I.a  lama,  di  ferro, 
dal  contorno  trapeziale,  di  mm.  2  di  spessore, 
è  lunga  e  larga  presso  a  poco  tanto  quanto 
lunghi  e  larghi  rispettivamente  sono  i  lati  del 
Fig   1.  manico  al  quale  essa  è  adattata,  e  che  essa 

tocca  nello  stato  di  riposo  e  nello  stato  di 
azione:  nel  taglio  misura  mm.  114  e  nella  base  mm.  72.  Degli  altri  lati  del  contorno  della 
lama  non   mette  conto  di   occuparsi,   perchè  essi   non   hanno  alcuna  importanza   speciale. 

Questo  eie-. iute  arnese  proviene  dalla  grandiosa  villa  rustica  del  liberto  imperiale 
Ti.  Claudius  Eutyckus,  solo  in  parte  scavata,  fra  gli  anni  iqos  e  1905,  dal  Sig.  Cav.  Er- 
nesto Santini  in  un  fondo  di  sua  proprietà  nella  contrada  Rota,  Comune  di  Boscotrecase  ; 
e,  piìi  precisamente,  da  un  orando  armadio  che  si  ergeva  sulla  parete  occidentale  dell'alno 
rustico  di  fronte  ad  un  vero  e  proprio  quartiere  servile,  capace  di  pili  di  trenta  schiavi  (1). 


(11  Degli  oggetti  raccolti  nei  giorni  4  e  i  mag- 
-■  1  01  1  in-]  detto  armadio,  del  quale  si  raccolsero 
ii  cerniere,  5  borchie,  2  serrature  e  2  cardini  (In- 
ventario drllu  Scavo  Santini,  n.  188),  dò  qui  l'e- 
mpleto 
Vasellame  minuto:  1  piatto  aretini  01.  191); 
1  vasetto  di  piombo  (174);    '   bottiglie    e    1  tazze 


Strumenti  tecnici  di  varia  natura:  1  compasso 
(171);  un'estremità  di  bastone  d'incerto  uso,  con 

n   He  anelli  striati  (  1 79Ì  ;   alcune  aste  ter 
rate,  cuspidi  di    lance  e  cuti  per  affilare, 
un  groviglio  cementat"  J.iH'ussiJ,.  Ji    ferro  (180) 
;   (lettini  da  cardatile  (?)  (186);     1     sega   (187);   2 
pin.. ini  e  1  roncola  (189);   1  anello  battente,   arti- 
colato in  una  testa  di  cane  (193);    1    bacinella  di 


—  143 


II.)  Il  sec  mdo  utensile,  che  è  anche  il  più  grande  della  sene  (fig.  2),  in  quanto  a  I 
di  li  istruzione,  per  nulla  differisce  dal   precedente:   il  manico,  anche  qui  di  avorio  e  tutto  di 
un  pezzo,  è  della  stessa  torma,  ed   ha  internamente  gli  stessi  solchi  0  intacchi,   l'uno  per  la 
custodia  del  taglio,   l'altro  per  la  recezione  della  base  della  lama:  ne  differisce  leggermente 
solo  per  le  dimensioni  (lunghezza  mm.  1 30, 

larghezza  mm.  67,   spessore   nini.   ick   In  ffiajT  tri  ^^BMfc 

quanto  ai  motivi  decorativi,  mentre  an- 
che qui  il  lato  superiore,  a  superficie  dol- 
cemente curva,  è  foggiato  a  dito  ti  mano 
del  quale  sporge  in  tutto  tondo  sempre  la 
sola  falangetta  estrema  con  l'unghia,  in 
luogo  della  testina  muliebre,  al  disotto  del 
dito,  vedonsi  due  volute  opposte,  a  giorno, 
ottenute  cioè  con  la  tecnica  del  traforo. 
Della  cerniera  mancano  le  borchie  esterne, 
e  si  conserva  soltanto  per  metà  il  piccolo 
perno  di  ferro,  di  mm.  2  di  diametro.  La 
lama,  di  mm.  3  di  grossezza,  è  lunga 
mm.  123  nel  taglio,  e  larga  mm.  65;  il 
suo  profilo  nella  base  corre,  come  nel  primo 

utensile,    per   più   di    due   terzi    rettilineo,    rientrando  nel   resto:   è  opportuno    avvertire   che 
l'intacco  il  quale  interrompe  la  continuità  del   profilo  della  lama,   nel  lato  inferiore  della  ti- 


marmn  nero  o>n  pestello  (192);  6  campanelli  1 1  So. 
177  e   174). 

Oggetti  di  list)  linaio:  2  denti  di  cignale  e 
una  conchiglia  (190,   1741. 

Oggetti  per  scrivere  e  segnare:  1  calamaio 
di  terracotta  (191);  due  suggelli  di  bronzo  col  nome 
del  proprietario  della   Villa  1171.    172). 

Oggetti  pertinenti  alla  custodia  della  casa: 
6  chiavi  di  ferro   1  085). 

Un  peculio  di  circa  200  monete  di  bronzo 
(181-184). 

Instrumentum  lusorium:  1  dadi  Ji  avorio 
(171)  e  1  fritillo  di  terracotta  (  191  )• 

Oggetti  da  toletta:  1  cura-orecchie  di  bronzo 
(170);  l'utensile  che  qui  si  pubblica  (106):  1  col- 
tello a  lama  fissa  (perduta)  con  manico  d'avorio 
(195);  1  specchio  circolare  (  1 74) ;  1  amuleto  d'avo- 
rio, semicilindrico,  forato  nel  mezzo,  desinente  da 


un  lato  in  una  testina,  e  dall'altro  in  uni  mano 
impudica  1104),  ornamento  che  probabilmente  de- 
corava una  cassetta  di  legno  contenente  forse  gli 
oggetti  lui  qui  descritti;  fuori  dell'armadio,  sospeso 
ad  un  chiodo    del    muro,   finalmente,  un  completo 

da  bagno,  consistente  di  un   fiasi 
liforme,  di  bronzo,  e  di  4  strigili.  di  ferro  (175). 

1  li  serv  1   specialisti  per  le  varie  ini 
prie  delle  case  ricche,  i  raptores  pan 

;tl.  l'ini.  2,  1.  .>.!).  ognuno  ne  suppor- 
rebbe nello  ricca  Villa  di  TV.  Ctaudiits  Eutyehtts, 
specialmente  in  presenza  del  corris 

/ile  annesso  all'edifìcio.  Mi  v'ha  un  dato 
positiv  0  che   \  .1  oltre    le    supposizi 
probabili 

avranno  atteso  alla  toletta  de 

do    il    relativo  instrumenlitii  sì    nell'ar- 

trove  nella  Vili  1.  è  assii  tirata  nelle 


—  144  — 

gura,  è  dovuto  a  trattura  determinatasi  all'atto  che  la  lama  stessa  venne  liberata  dalle  forti 
concrezioni  di  lapillo  che  vi  aderivano  per  l'ossido. 

Questo  utensile,  che  fu  già  riprodotto  in  Notizie  degli  Scavi,  191 1,  p.  155,  si  rin- 
venne il  30  marzo  191 1  nella  casetta  posta  a  Sud  della  grande  abitazione  di  M.  Obellius 
Firmus  sulla  Via  di  Nola,  e  propriamente  nella  parte  alta  del  vestìbolo,  [Messo  ad  uno 
dei  sette  scheletri  umani  ivi  trascinati  dal  crollo  del  piano  superiore;  e  gli  oggetti  con  i 
quali  tu  raccolto  sono  1  seguenti:  due  anellini  d'oro;  una  corniola  incisa  appartenuta  ad 
un  terzo  anello,  di  ferro;  una  collana  di  otto  sferette  di  pasta  vitrea;  sette  medii  bronzi 
(1  li.    AW.,  loc.  ci/.ì. 

Ill.i  Del  terzo  utensile  è  pervenuta  a  noi  la  sola  lama  di  terrò,  della  quale  nello  an- 
nesso disegno  aio,    3)  è  riprodotto  il  contorno  trapeziale  :    la  lama  è    grossa   min.    3,  ed   è 

larga  mm.  65,  e  lunga,  nel  taglio,  mm,  115;  la 
sagoma  dilla  base,  come  al  solito,  è  per  due 
terzi  rettilinea  e  per  un  terzo  rientrante.  All'an- 
golo fra  il  taglio  e  la  base  si  conserva,  tratte- 
nuto nel  loro  dall'ossido  di  terrò,  un  perno  di 
bronzo  di  mm.  2  di  diametro,  l'esistenza  del 
quale  ci  fa  certi  che  l'utensile  nell'anno  79  era 
completo  con  tutto  il  manico:  se  di  questo  per- 
tanto  ninna  traccia  si  è  rinvenuta,  c'è  da  concludere  che  il  manico  con  la  più  grande  pro- 
babilità era  di  legno.  La  lama  descritta,  associata  con  altri  strumenti  di  ferro  fra  loro  ce- 
mentati dall'ossido,  e  fra  i  quali  si  riconobbe  solo  una  roncola,  venne  fuori,  nel  febbraio 
[912,  da  un  crollo  del  pavimento  dell'edificio  non  ancora  scavato  Reg.  1,  Ins.  VII,  N.  4 
(cfr.  Notizie  191 2,  p.  671  (1). 


/>' 


pareti  della  Villa  stessa,  da  un  distico  monco, 
graffito  proprio  in  una  cella  dell'atrio  servile,  la 
presenza  di  un  (servus)  unctor,  di  temperamento 
gioviale,  1. litio     a  Unclot    Xanlhe   lilù   carus  tu- 

sugne  iofo.ui  !  ailsuctus (C.  I.  I..  IV.  o.Sool 

A  questo  unctor,  0  aliptes,  incaricato  specialmente 

di  assistere  e  servile  al  bagno  il  padrone,  difficil- 
mente potè  essere  estraneo  il  corredo  da  bagno 
trovato   accanto  all'armadio;   e,  se   l'utensile  di   cui 

Ci    ipi  mi".     1'    1  he    era    iiistojitu     nell'armadio. 

riesce  1  provarsi  che  sia  una  novacula,  sua  na- 
turale ammettere  nella  numerosa  familia  del  ricco 
liberto  imperiale  anche  la  presenza  di  un  servus 
tonsor. 

Si   osservi   intanto    che,     pure    essendo    di     varia 


naturagli  oggetti  rinvenuti  nell'armadio,  essi  sono 
però  tali  da  esigere  lutti  speciale  custodia,  mentre. 
w\  esempio,  degli  utensili  raccolti  0  sul  podio  0 
sulle  pareti  della  contigua  cucina,  il  giorno  stesso. 

nessuno  è  estraneo  ai  bisogni  e  agli  usi  della  cu- 
cina medesima:  Bronzo  4  grosse  caldaie,  una  delle 
quali  contenente  fave  (160,  167  e  168),  1  vaso 
conico  (159);  un  oleate  (161)  ;  1  sitala  (162).  Ter- 
racotta :  2  pignattini  e  1  anforetta  (164);  1  tegame 
110. ,1.  Vetro:  5  boccette  (165).  Ferro;  2  coltellac- 
1  mio 
(1)  È  da  credersi  che  la  lama  sia  andata  in  fran- 
tumi, perchè  inutilmente  ora  ne  ho  latto  ricerca 
nel   «  Magazzino  degli  oggetti  antichi  »  in   Pompei. 


145  — 


IV.)  I!  quarto  utensile,  l'unico  che  per  fortunate  condizioni  di  giacimento   si   sia 
colto  in  perfetto  stato  d'integrità  (fìg.  41,  mentre  è  il  più  piccolo  della  serie,     1    presenta 
più  degli  altri  interessante  per  un  nuovo  motivo   decorativo   del    manico.    Questo,  sempre 

piatto,  J'un  sul  pezzo,  e  d'avorio,  è  lungo  nini.  63,  largo  nini,  ^i,  grosso  min.  7,  ed,  in- 
sieme col  consueti)  dito  umano,  cu  la  solita  falangetta  a  tutto  tondo  nel  lato  superiore, 
reca,  traforate  a  giorno  come  nel  secondo  utensile  descritto,  due  volute  opposte,  congiunte, 
al  disotto  del  dito,  mentre  il  lato  inferiore  più  lungo  si  restringe  e  s'inarca  alla  estremità 
per  dar  luogo  ad  una  testa  torse  troppo  schematicamente  espressa,  ma  che  cle\e  credersi 
una  lesta  di  cigno  a  causa  della  forte 
curva  data  al  collo.  Anche  qui  osser- 
vansi  i  soliti  intacchi  praticati  con  la 
sega  e  destinati  così  alla  custodia  del 
taglio  come  all'appoggio  della  parte  ret- 
tilìnea della  base  della  lama,  cun  l'av- 
vertenza però  ctie,  in  conseguenza  della 
rastremazione  del  lato  inferiore  deter- 
minata dall'adozione  del  nuovo  motivo 
decorativo  ora  descritto,  il  primo  in- 
tacco, non  potendo  approfondirsi  in  una 
misura  costante  come  negli  esemplari 
1  e  li,  va  dolcemente  rialzandosi  dalla 
cerniera  alla  testa  di  cigno.  Non  vi  è 
traccia  di  borchiette  che  abbiano  deco-  |:. 

rato  all'esterno  la  cerniera  :  questa  ri- 
sulta del  solo  perno  di  ferro,  di  mm.  2  di  diam.".  La  lama  di  ferro,  spessa  nini.  2,  lunga  e 
larga  quanto  il  manico  (mm.  63  e  ;;  rispettivamente),  è  degna  di  speciale  attenzione  in 
quanto,  allontanandosi  dal  consueto  contorno  trapeziale,  è  simile  alle  altre  tre  per  il  taglio, 
che  è  rettilineo,  e  per  la  base  che  per  due  terzi  è  rettilinea  e  per  un  terzo  è  rientrante,  ma 
nel  resto  mostra  fusi  gli  altri  due  lati  del  trapezio  in  un  unico  lato  curvo,  arrotondato  a 
mo'  di  segmento  di   cerchio. 

Le  circostanze  di  rinvenimento  si  assomigliano  interamente  a  quelle  relative  al  primo 
utensile:  questo  esemplare  difatti  si  rinvenne  il  iS  Agosto  mia  nell'atrio  della  casa  posta 
a  mezzogiorno  della  fullonica  N."  7,  Reg.  I,  Ins.  VI  ;  e  precisamente  nel  fondo  di  un  ar- 
madio di  legno  che,  incontrato  all'angolo  Sud-hst  dell'atrio,  vedesi  ora  riprodotto  in  gesso 
al  posto  suo  sulla  scorta  delle  sicure  impronte  che  il  legno  aveva  calcate  nella  cenere.  Un 
guscio  di  conchiglia  madreporica,  lungo  mm.  100  e  un  boccettino  di  vetro,  cilindrico,  alto 
m.  0,13,  sono  gli  unici  altri  oggetti  raccolti  nel  tondo  dell'arnia::  .  t  .  Noti 
p.   293,. 


—  146  — 


V.)  A  me  sembra  indubbio  che  debbasi  classificare  come  quinto  nella  serie  l'utensile 
pubblicato  dallo  Helbig  il  1875,  e  di  cui  è  parola  nella  comunicazione  fatta  all'  Istituto  di 
corrispondenza  archeologica  nell'adunanza  del  di  8  Marzo  1878.  Riproduco  integralmente  il 
testo  della  comunicazione  l  i,  aggiungendo  solo  una  rappresentazione  grafica  approssimativa 
dello  strumento  (fig.  51,  condotta  sulle  dimensioni  ed  i  termini  che  la  descrizione  tornisce: 
«Coltello  di  ferro  col  manico  d'osso  ritrovato  a  Roma.  La  lama  (alt.  m.  0,0351  molto 
«  sottile   ha  la   forma  di   mezza   luna.    Il  manico  torma  un  oblungo  di  0,085   sopra  0,045  cen- 

«  timetri.  Anch'esso  è  molto  sottile,  mentre  offre 
•■  una  grossezza  di  cent.  0,008  soltanto.  Sull'una 
•■  tacciata  del  manico  si  vede  scolpito  in  rilievo 
«  un  Amorino  seduto,  il  quale,  tenendo  colla  s. 
«  una  fiaccola  (?),  liba  da  una  patera  sopra  un 
«  altare.    La  forma  e  la  sottigliezza  dei   manico 

«  decisamente    vietano   di    ri( scere    in   così 

■■  siffatto  coltello  il  t&7.£'j;  o  -::itv/.£'J;  dei 
«calzolai,  il  quale  arnese,  s'intende,  fu  ma- 
••  neggiato  col  pugno,  mentre  il  manico  del  col- 
«  tello  proposto  dallo  Helbig  poteva  maneggiarsi 
«  soltanto  con  poche  dita.  Per  conseguenza  il 
«  ridetto  coltello  non  può  essere  stato  altro  che 
<•  un  rasoio.  La  quale  supposizione  trova  conferma  nella  forma  identica  dello  ;upo'v  proprio 
••  al  Kairòs  sul  rilievo  di  Torino  [Arch&olog.  Zeit.,  187^,  Tv.  I).  Dall'altro  canto  il  fatto 
«che  il  rasoio  di  acciaio  dell'epoca  greco-romana  ha  la  torma  di  mezzaluna,  conferma  la 
■■  supposizione  essere  rasoi  anche  i  coltelli  di  bronzo  della  stessa  forma  che  si  sono  trovati 
«  nella  necropoli  di  Villanova  (Bologna)  ed  in  altri  sepolcreti  analoghi  (cfr.  /-'.  Insl.,  1875, 
«  p.    14,  ss.  1  ..  (2). 


Fig.   5. 


(1)  Bull.    Inst.,    1878,    p.    97. 

(2)  Allorché,  in  seguito  al  restauro  del  primo 
utensile  pompeiano,  cominciai  ad  occuparmi  della 
questione  che  torni. i  Oggetto  .lei  presente  studi. 1, 
il  coltello  rinvenuto  .1  Roma  non  poteva  non  atti- 
rare la  mia  attenzione:  e  mia  prima  cura  fu  quella 
di  rintracciarlo  nei  Musei  della  Capitale,  per  po- 
terne avere   una   fedele  riproduzione.  Riuscita   vana 

1.   mi  rivolsi  al  compianto  Prof.   Helbig.  e 

ne  ottenni    la  seguente  cortese  risp..^ta.    Li   quale 

dispersione  dell'oggetto. 

Roma,  Villa   Lante  14.  X,   mio.  —  Gentilis- 

«  simo  Signore  !  Digraziatamente  sopra  il  supposto 

'■■il  posso  fornirle  notizie   più    1 1 


«  quelle  comunicate  nel   Unii.    1S78,   p.  97.   Mi  ri- 
^ird"  die  ism  mi  tu  mostrato  dal  sig.  Pauvert  de  la 

«  Chapelle,  un  amatore  francese  che  disse  di  averlo 

«  acquistato  da  un  antiquario,    il    quale  esponeva 

••  I  1  sua  merce  sulla  salita  che   dal    Foro  conduce 

«  alla   Piazza  del   Campidoglio. 

«  Pauvert  de    la    Chapelle    è    morto  —  credo  a 

«Siena—  in  circa   is  anni  fa.    I  >ev  e  essere  morto 
anche  quell'antiquario,  perchè,  recandomi  al  Cam- 

•<  pidoglio.  da  almeno  tre  anni  non  l'ho  più  veduto. 

»•  iJunque  non  esiste  più  nessuno  che  potrebbe  dare 

.•  notizie  piti  particolareggiate.  Con  Ci .rdiali  saluti. 

«  Su..  Helbig  •>. 


—   *47  — 

Che  gli  utensili  pompeiani  1,  Il  e  IV  siano  identici,  è  cosa  sulla  quale  non  può  ca- 
dere il  minimi)  dubbio,  come  niun  dubbio  può  elevarsi  sulla  identità  fra  quelli  e  l'uten- 
sile 111,  del  quale  possediamo  la  sola  lama  col  relativo  perno  di  rota/ione:  quella  che  ha 
bisogno  di  essere  dimostrata  è  l'identità  fra  l'utensile  romano,  V,  e  1  quatti"  pompeiani. 
Che  questa  identità  sussista  è,  a  parer  mio,  sufficientemente  provato  da  parecchie  carat- 
teristiche tecniche  uguali,  costantemente  ricorrenti  nella  serie:  in  quanto  al  manico,  si  è 
visto  che  esso,  ricavato  sempre  da  una  tavoletta  di  osso  o  di  avorio,  offre  sempre  la  torma 
larga  e  piatta,  ed  è  poi  adorno  sempre  di  decorazioni  scolpite;  in  quanto  alla  relazione 
fra  la  lama  e  il  manico,  si  è  notata  sempre  l'esistenza  di  un  solco  praticato  con  la  sega 
nella  costa  del  lato  lungo  del  manico,  e  destinato  (senza  badare  per  un  momento  alla  cer- 
niera! a  ricevere  il  lato  lungo  e  rettilineo  della  lama;  in  quanto  alla  lama,  finalmente,  si 
è  visto  che  essa  ha  sempre  torma  larga,  laminare,  priva  di  dorso,  lasciando  da  parte  per  ora 
Li  sagoma.  Pongasi  mente  ora  alla  cerniera,  quando  le  identità  noverate  si  ritengano,  come 
sono,  indiscutibili.  Se  nei  quattro  utensili  pompeiani  la  cerniera  v 'è,  ed,  essendovi,  pone  fuori 
di  ogni  discussione  che  il  taglio  è  nel  Iato  rettilineo  della  lama,  cioè  nel  lato  custodito  nel 
solco  del  manico,  ne  consegue  che  anche  nell'utensile  romano  la  cerniera  ci  fu,  ma  purtroppo 
non  fu  vista  io,  ad  esempio,  per  concrezioni  che  la  nascondessero,  o  per  corrosioni  che,  avendo 
danneggiato  quel  punto  del  manico,  ne  impedissero  il  riconoscimento),  e  che  il  taglio  anche 
in  quell'esemplare  è  costituito  non  già,  come  erroneamente  si  ritenne,  dal  lato  esterno 
«  semilunato  »,  ma  da  quello  interno,  rettilineo.  Del  resto,  anche  a  voler  Concedere  che 
il  taglio  dell'utensile  romano  fosse  stato  nel  lato  semicircolare,  non  si  saprebbe  spiegare 
in  primo  luogo  in  qual  modo  la  lama  fosse,  in  tale  ipotesi,  assicurata  al  manico.  La 
comunicazione  trascritta  tace  intorno  a  questo  particolare,  ma  a  me  pare  impossibile,  nel- 
l'ipotesi di  un  coltello  a  larga  lama  fissa,  non  ammettere  la  presenza  di  almeno  due  perni, 
o  chiodetti  estremi,  se  non  meglio  di  tre  chiodetti  (due  estremi  e  uno  intermedio),  che 
avessero  fissato  stabilmente  il  lato  rettilineo  della  lama,  interpretato  come  dorso,  nel  solco 
del  manico:  e,  se  due  o  tre  perni  fossero  stati  adibiti  per  tale  inserzione,  difficilmente 
non  avrebbero  di  sé  lasciato  traccia  alcuna,  e,  più  difficilmente  ancora  non  sarebbero  stati 
visti,  e  per  conseguenza  non  se  ne  sarebbe  fatto  cenno.  Resterebbe  un'ultima  debole  ipo- 
tesi, quella  cioè  che  il  preteso  dorso  della  lama  fosse  stato  trattenuto  nel  solco  del  ma- 
nico mercè  un  mastice  qualsiasi;  ma  ognuno  vede  come,  in  un  coltello  interpretato  quale 
rasoio,  che  ha  bisogno  di  venire  spesso  arrotato  ed  affilato,  piccola  quantità  di  mastice, 
quanta  nel  caso  in  esame  si  sarebbe  potuta  impiegare  per  la  fissità  della  lama,  non  avrebbe 
mai  potuto  dare  all'utensile  la  relativa  solidità  necessaria.  Ma  si  verificherebbe  poi  un  in- 
conveniente ben  grave,  epperò  inammissibile:  quando  l'utensile  fosse  chiuso,  non  sarebbe 
adeguatamente  garantito:  uno  sguardo  alla  tìg.  20,  e  chiaro  apparisce  come,  quantunque 
chiuso,  l'utensile  Y  batterebbe  tuttavia  con  la  sua  parte  più  delicata,  cioè  col  taglio, 
contro  le  pareti   di  quella  theca  che   vorrebbe,  e  dovrebbe,   essere   i.i   sua  custodia.   Queste 


—  148  — 

osservazioni  confermano  il  nostro  convincimento,  già  dedotto   peraltro  dalle   identità 
notate,  che  nell'utensile  romano  un  perno  vi  fu:  e,  se  il  perno,    per   quanto   non   avver- 
tito, vi  fu,  quell'utensile,  cessando  di  essere   a    lama    fissa,    e    diventando   invece   a   lama 

lata  a  cerniera,  opportunamente  viene  a  prendere  il  suo  posto  nella  serie,  perchè  si- 
mile, se  non  al  tutto  identico  agli  altri.  Un'ultima  osservazione  a  titolo  di  riprova:  accet- 
tate queste  vedute,  si  dia  uno  sguardo  a  tutti  e  cinque  gli  utensili,  e  salterà  agli  occhi 
l'evidenza  della  seguente  identità  tecnica:  la  fabbricazione  di  simili  lame  importa  l'osser- 
vanza di  due  canoni:  dare  alla  lama  un  tagiio  rettilineo;  dare  alla  lama  stessa  un'ampiezza 

la  permettere,  prima  che  essi  insse  lasciata  in  disuso,  un  Inumi,,  relativamente  lungo, 
conseguente  all'uso  ed  alle  affilature.  Mentre  tali  camini  wdonsi  costantemente  osservati 
nella  nostra  serie,  ciò  che  viedesi  invece  variare  è  la  sagoma  esterna  della  lama:  dai  tre 
lati  di  un  trapezio  negli  utensili  I,  Il  e  111,  difatti,  si  passa  al  segmento  dì  cerchio  nel- 
l'utensile IV,  per  finire  all'arco  di  cerchio  nell'utensile  V  :  questa  varietà  di  sagome  la- 
sciata al  misto  del  fabbricante  è  per  me,  e  sarà  per  tutti,  la  prova  migliore  per  indurre 
la  convinzione  che  il  lato  esterno,  non  obbedendo  a  regole  tecniche  fisse,  giammai  potè 
costituire  una  parte  essenziale  dell'utensile,  e,  nel  caso  nostro,  giammai  potè  essere  il  ta- 
glio. Chiarito  così  che  il  taglio  dell'utensile  V  ebbe,  non  già  la  «  forma  di  mezzaluna  », 
ma  fu  rettilineo,  ognuno  vede  come  nell' invocare  una  pretesa  stretta  analogia  fra  quello 
strumento  e  l'altro  del  rilievo  torinese,  si  fini  per  inseguire  presso  che  una  chimera:  oc- 
correndo di  rappresentare  in  quel  rilievo  una  bilancia  in  mano  al  kairòs  nella  posizione 
più  instabile,  è  naturale  che  l'artista  escogitasse  per  il  sostegno  la  forma  lunata,  capace 
di  far  traboccare  la  bilancia  al  minimo  urto  o  al  minimo  peso  lasciato  cadere  in  una  delle 
coppe;  e  ninna  necessità  vedesi  che  il  sostegno  nella  mente  dell'artista  dovesse  essere 
proprio  il  rasoio.  Nulla  poi,  come  ora  resta  chiarito,  era  lecito  dedurre,  ulteriormente  am- 
pliando, circa  la  destinazione  e  l'uso  delle  lame  preistoriche  lunate,  le  quali  sono,  e  con- 
tinueranno ad  essere,  chi  sa  per  quanto  altro  tempo  ancora,  quell'enigma  che  sempre  sono 
state,  quantunque  con  un  po'  di  buona  volontà  qualcuno  sia  riuscito  a  radersi  con  una  di 
esse  (  i  ). 


argomenti  di  natura  intrinseca  ed  estrinseca  confortano  la  definizione  di  novactdae 
data  agli  utensili  descritti;  ed  eccomi  a  passarli  in  rassegna. 

i":  Sottigliei  ii  estrema  della  lama.  Non  più  di  2  0  %  mm.  misurano  in  grossezza 
le  lame  come  si  è  visto;  ma  basta  tener  conto  dell'aumento  conferito  allo  spessore  dalla 
trasformazione  compiutasi  del  ferro  in  ossido  di  tono,  pei  intendere  che  la  grossezza  ori- 
ginaria era  di  molto  minore  e,  nel  taglio,  nulla;  condizione  questa  che  si  riscontra  nel  rasoio 

11)  Cfr,  p.   1. 


—  149  — 

moderno,  nel  quale  altra  differenza  essenziale  non  si  unta  all' infuori  della  larghezza  dimi- 
nuita e  del   dorso  ingrossato. 

2°:  Forma  e  sottigliezza  del  manico.  Esse  vietano  di  adoperare  l'utensile  imbranden- 
dolo col  pugno,  e,  permettono  solo  di  maneggiarlo,  ciò  che  si  ripete  anche  nel  rasoio 
odierno,  con   poche  dita. 

3°:  Rispondenza  fra  l'utensile  e  un  luogo  dì  Marziale.  Fra  quanti  antichi  scrittori 
nominano  la  novacnla  (i),  il  siilo  che  ci  tornisca  un  dato  positivo  sull'utensile  è  Marziale 
nell'epigramma  in   Telesphorum  (IX,    58,  ai   vv.  9  e    io): 

«  Sed  fuerit  curva  quunr  tuta   novacula  theca, 

«  Frangam   tonsuri  erma  manusque  simul  »; 

e  curva  è  la  theca  che  naturalmente  reclamano  i  nostri  utensili,  come  vedesi  nelle  fig.  19  e  20. 

In  aggiunta  a  questi  tre  argomenti  che  noi  facciamo  nostri,  e  che  già  a  suo  tempo 
lo  Helbig  addusse  per  affermare  che  l'utensile  romano  «  altro  mm  poteva  essere  che  un 
rasoio  ■•  (salvo,  si  intende,  quanto  resta  ora  assodato  circa  il  lato  del  taglio),  questi  altri 
nuovi  argomenti   possono  addursi  oggi  che  gli   utensili  sommano  a  cinque. 

4°:  Materiale  usato  nella  fabbricazione.  Se  se  ne  eccettui  l'utensile  III,  il  cui  ma- 
nico è  soltanto  supposto  di  legno,  e  l'utensile  V,  nel  quale  il  manico,  secondo  la  testi- 
monianza dello  Helbig,  fu  di  osso,  restano  sempre  in  prevalenza  gli  altri  tie  utensili  pom- 
peiani nei  quali  il  manico  è  di  avorio.  E  non  è  per  mero  caso  che  piccole  thecae  e  cistae 
da  cosmetici,  aghi  crinali,  pettini,  spatole,  cucchiai,  spilli,  cura-orecchie,  cassettini,  e  quan- 
t'altro  si  conosce  del  minuto  instrumentum  impiegato  dagli  antichi  per  la  cura  personale 
intima,  sono  fatti  di  preferenza,  come  è  a  tutti  noto,  proprio  di  avorio.  Si  aggiunga  che 
le  borchie,  nell'unico  caso  che  esse  sono  conservate  (esemplare  I),  sono  di  argento:  e 
l'impiego  di  un  metallo  nobile  sul  già  nobile  avorio  deve  avere  pei  noi  il  suo  peso  nel 
senso  di  farci  escludere  che  un  utensile  siffatto  servisse  ad  usi  ignobili,  e  di  fortificarci 
nell'opinione  che  esso,   quale   novacula,   facesse   parte  degli   oggetti   di   uso   personale. 

5":  Speciale  riguardo,  onde  e  circondato  il  taglio.  Un  fatto  innegabilmente  della  più 
alta  importanza  è  certo  quello  di  vedere  venir  fuori  dalle  terre  l'utensile  sempre  accura- 
tamente ripiegato,  sia  che  fosse  stato  riposto  libero,  sia  che  tosse  stato  ulteriormente  ga- 
rantito da  una  theca  di   legno  0  di   cuoio,   disfatta. 

Non  altrimenti  si  trova  riposto  il  rasoio  nella  casa  odierna:  si  conservi  libero  0  cu- 
stodito in  apposito  astuccio,  quello  che  mai  si  trascura  è  la  diligenza  di  chiuderne  il  taglio 
nel  manico,  al  fine  cosi  di  impedire  che  il  taglio  stesso  soffra  per  l'urto  di  oggetti  vicini, 
come  di  evitare  facili  ferimenti  alle  persone  disattente. 


li)   Petron.  Salvi.  105;  Mai  tini.  2,  66  e  u,  58;        !  e  29,    !4,  2  :   Vertuti.  Spectac.  2;,  Suet.  Cai.  i\: 
Cels.  b.  4;    Lamprid.   Elagab.  31  ;    l'Ivi.  22,  47.       Colit»'.  12.  ^4;  cfr.  Forcellini,  Lex.  s.  v,  novacula. 


—  150  - 

di  custodia.  Nulla  sappiami!   a    questo   proposito   circa   l'utensile    romano, 

ma  in  quanti)  agli  utensili  pompeiani  la  cosa  va  molto  diversamente.  Per  gli  utensili  II 
e  III  (date  le  i  ondizioni  del  rispettivo  rinvenimento)  non  sono  permesse  affermazioni  multo 
precise:  ma  per  gli  altri,  I  e  IV,  è  un  fatto  acquisito  e  di  indiscutibile  valore,  che  essi 
si  rinvennero  deposti  in  armadii.  Pi  :  almeno  due  sopra  i  quattro  strumenti  pompeiani, 
adunque,  rimane  lui  fatto  controllato  che  essi  erano  aelosamenie  custoditi,  come  si  custo- 
lis  ono  pure  oggi  i  rasoi,  in  armadii  vietati  al  contatto  del  primo  venuto. 

7 "  :  Decorazioni  del  manico.  Una  piccola  scultura,  un  bassorilievo  più  complesso,  un 
intaglio,  non  mancano  mai  nei  manichi  descritti;  e  per  tale  rispetto  non  v'ha  chi  non  veda 
come  l'Eros  libatili  (esemplati  V),  la  testa  di  cigno  (esemplare  IV),  la  testina  muliebre  (esem- 
plare li,  attraggono  naturalmente  i  nostri  utensili,  definiti  quali  novaculae,  nel  novero  di  tutti 
gli  altri  piccoli  arnesi  spettanti  alle  esigenze  della  cura  della  persona  press,,  gli  antichi,  adorni 
sempre  delle  ben  note  piccole  decorazioni,  il  più  delle  volte  scolpite,  ma  in  qualche  raro 
caso  anche  dipinte  i  1  |. 

Ben  altro  valore  ha  il  dito  umano, 
che  si  è  visto  ricorrere  tre  volte  nella 
serie  esemplali  I.  Il  e  IV)  :  in  esso  non 
si  tarderà  a  riconoscere  con  me  un  pe- 
culiare elemento  tecnico,  pmprio  del- 
l'utensile, che  il  buon  gusto  e  il  senso 
artistico  trasformarono  in  un  peculiare 
elemento  decorativo.  Rappresentiamoci, 
difatti,  l'utensile  in  azione,  nel  modo 
che  ci  si  oltre  a  prima  giunta  più  na- 
turale per  maneggiarlo  (fig.  6),  ed  ac- 
quistiamo subito  il  convincimento  che 
il  dito  limono  sta  nel  più  diretto  rapporto  con  la  mano  operante,  la  sua  sporgenza  essendo 
destinata  ad  inserirsi,  perché  lo  strumento  trovi  un  più  saldo  appoggio,  tia  l'anulare  ed  il 
mignolo  della  mano  radente  121.  Lo  stess,,  processo  di  trasformazione  di  un'elemento  tecnico 
in  un  elemento  decorativo,  e  proprio  nello  stesso  motivo  del  dito  umano  (anche  senza  uscire 
dal    campo    della  piccola  arte   industriale   romana,   e  in   ispecie   pompeiana-   ci   Mene   offerto 


1    Intagliata  e  dipinta  è,  p.  es.,  la  decorazione 

del  pettine  d'avorio  del  Museo  Nazionale  di  Na- 
poli inv.'  n.  MSS25  (due  palmipedi,  fra  piante, 
press,,  un  Kalathos  1 1, olmo  di  frutl  1 1, 

(2)  l.n    strumento   rappresentato   nella   figura    e 
un    modello   in    materiale    moderno,    riproducente 

t •  ■  1 1   esattezza   di   proporzioni,   e    nelle    linee    essen- 


ziali della  fonila,  l'utensile  II.  Nella  posizione  ri- 
prodotta lo  strumento  iim-,-/  dall'alto  in  lus^,.. 
Nella  posizione  contraria,  (se  ne  risparmia  la  fi- 
gura), anulare  e  mignolo  circonderebbero 
del  Allo  opposto  tiri  manico,  e  non  più  il  itilo 
limono:  tale  posizione  però  e  innegabilmente  se- 
condaria. 


dai  ben  noti  pistillo,  a  forma  di  dito  umano  ripiegato,  adibiti  dagli  antichi  per  istemperare 
colmi  nei  mortaria  di  pietra,  di  marmo  o  di  terracotta;  e,  meglio  ancora,  da  quelle  numerose 
anse  di  urne  di  bronzo,  nelle  quali,  fra  mezzo  alle  due  alette  circondanti  l'orlo  del  vaso,  si 
dirizza  un  pollice  curvato.  Resta  la  doppia  voluta.  Se  non  è  per  mero  caso  soltanto  che  essa 
ricorre  due  volte  nella  serie  (esemplari  II  e  1\  i,  si  direbbe,  come  io  propendo  a  credere,  che 
anch'essa  rappresenti,  dopo  il  dito  umano,  una  decorazione  peculiare  dell'utensile;  ed  in  tal 
caso  si  dovrebbe  cercare  anche  di  essa  la  spiegazione  precisa.  Allo  stato  attuale  delle  co- 
noscenze è  prudente  torse  far  rientrare  questo  motivo  nel  bagaglio  generico  delle  accennate 
piccole  decorazioni  dell ^instrumentum  da  toletta;  ma  se,  venendo  fuori  da  ulteriori  scoperte 
altri  utensili  simili  a  quelli  qui  presentati,  venisse  assodato  che  la  doppia  voluta  ricorre  dav- 
vero con  spiccata  frequenza  in  tutta  la  serie,  ogni  dubbio  in   proposito  sarebbe  rimosso. 

Gli  argomenti  fin  qui  allegati  e  discussi  dovrebbero  avere  già  indotta  la  persuasione 
che  novaculae  furono  davvero  1  cinque  utensili  illustrati:  ma  v'è  ancora  ben  altro  e  più 
torte  argomento  estenore,  fornito  dai  monumenti,  a  sostegno  della  nostra  tesi. 

Dati  positivi  ed  inoppugnabili,  di  un  periodo  di  poco  posteriore  al  I  secolo  dell'impero, 
troviamo  infatti  in  tre  di  quei  marmi  funebri  delle  catacombe  ritmane  che,  in  compenso 
della  trascuratezza  della  loro  arte  decaduta,  molte  conoscenze  pure  ci  hanno  serbate  circa 
le  professioni  ed  i  mestieri  degli  antichi:  la  loro  cronologia  non  varca  la  prima  metà  del 
V  secolo  dell'era  volgare  (i).  Riproduco  i  tre  marmi  e  le  descrizioni  relative,  ripetendo  fi- 
gure e  testo  della  Storia  dell'Alio  distiano  del  GARRUCCI,  voi.  VI,  p.  153  e  154  ta- 
vola  488,    nn.   ó,    7   e   8  : 


LlOPARDVSBENEmP^As 
RENTIINPACEQVIBIC  J\ 

5ITANIVXVIIIMEN5Ì: 
VIDEPIHMDV5AVC.VS  ^ 


1  (fig.  7):  op.  ci/.,  p.  155.  «  Nel  Museo  Lateranense  (ci.  XVI,  n.  27)  edita  dal  Perret 
«  (V,  XXVI,  55)  il  quale  ne  trasse  copia  quando  era  nella  Galleria  Vaticana.  LEOPARDVS 
«  BENEMERENTI  IN  PACE  QVI  B1CSIT  ANIS  XVIII  IWENS1S  VI  DEP  1111  IDVS  AU- 
«  GUS   Dll   BENERI.   11   primo  defunto  stato  sepolto  in  questo  loculo  è  Leopardo  non  Fio- 


1)  De  Rossi,   Roma  Sotterranea,  voi.  I,  p.  217:       del  secolo  quinto  cessarono  di  essere  cemeterii  ;   e 
«  Adunque  le  romane  catacombe  nella  prima  metà       divennero   soltanto    santuari!  solenni  dei  martiri  ». 


152 


«  renzo,  il  cui  nome  è  inscritto  sullo  specchio:  costui  visse  ventisei  anni:  FLORENT1YS 
QV1   VIXIT  ANNOS  XXVI.  Gli  strumenti  sono  quelli    del    barbiere;    lo   specchio,    due 

«  rasoi,  il  pettine  e  le  due  lamine  insieme  unite  che  si   sono  vedute  anche  in  una  lastra 

«del   Cimitero  di   Callisto  a  detta  del    Perret   il,   XXXI,    31  che  qui   do  appresso». 

2°  itig.  8):  op.  ci/.,  p.    154:   «  Museo  Lateranense  (ci.   XVI,   n.   28).   Vi  si   rappresen- 

«  tano  gli  strumenti  del  barbiere,  come  nel  marmo  antecedente,  intorno  al  quale  ecco  la 
••  opinione  del  De  Kossi  [Roma  jott.,  tom.  Il,  tav.  XXXIX,  24).  «  Le 
«  due  forme  delineate  nel  frammento  (XXXIX,  241,  spettano  ad  un'arte 
,  «  0  professione,  i  cui  emblemi  furono  anche  lo  specchio,  il  pettine  e  non 
«  su  quali  arnesi  che  si  veggono  in  due  pietre  da  me  collocate  nel 
«  Museo  Lateranense  (ci.  XVI).  Non  so  costruire  insieme  questi  utensili; 
«  e  ne  lascio  ad  altri  l'interpretazione».  A  me  pare  che  siano  le 
■■  •; // z'.p-/'..  delle  quali  gli  antichi  si  servivano  per  tosare  i  capelli  e 
«  forse  anche  la  barba  in  luogo  delle  forbici.  So  0  perciò  sempre  no- 
«  minate  nel  numero  plurale,  e  se  ne  ha  riscontro  anche  in  Clemente 
«  d'Alessandria  (Paed.,  Ili,  cap.  XI)  dove  si  chiamano  collettivamente 
•  Suo  'j.y./y.ipx*.  /.o'j ;'./.■/'.'.  Sullo  specchio  è  graffito  il  ritratto  del  de- 
«  funto,  che  ha  la  barba  e  i  capelli  tosati.  È  notevole  che  le  due  la- 

«  mine  delle  forbici   siano  insieme  congiunte  con   un   laccio,  e  che  lo  specchio  col   manubrio 

«  abbia   di   sopra   un   cappio   per  essere  sospeso  alla  parete:   nel  marmo  precedente  v'è  invece 

«  un  filo  curvo  di  ferro  mobile   nei   due  anelli  ». 

3°  (flg.  9):  op.  ti/.,  p.  1  54  :  «  11  Perret  il,  XXXI,  6)  1  " 

«  ci  dà  pure  questo  terzo  marmo  che  porta  l'epigrafe 

«  LOCVS    ADEODATI    e  gli  istrumenti  della  fon- 

«  strina,  le  due  lamine  per  tosare,   il   rasoio  e  il   pet- 

«  ti  ne  ». 

Segue  questo  breve  comento  del  Garrucci:  •■  La 

«  sorta  di  rasoio  che  si  ha  graffito  sopra  queste  tre 

-  tavolette,  non  si  è  citata  finora  da  coloro  che  hanno 

~  parlato  del  detto    strumento:    di  tal   forma  dunque  Rs    >■ 

«  era  in  Roma,  che  molto  si  assomiglia  ad  una  "  man- 
naia di  macello",  a  riserva  del    "  manico  "  che  qui  è  ad  angolo  retto  ■     1 


S 


1\U0CV5 

ADE  0. 

VATI 


(I)   Analoghi,   e    forse    della    Stessa    età    dei    ri-  strumenti  del  barbiere  rappresenta,    ma    quelli    in- 

prodotti  monumenti  delle  catacombe  romane,  sono  vece    del    beccaio    (cfr.    Fuhrer  durch  </<is  K.  A. 

tre  altri  titoli  funebri  additatimi  dal  Ch.  Pr.  Herman  Slaatsmuseum  in  Aquileia,   Wien,    imo.   p.  63), 

Gummerus.  È  a  dolere  pero  che  poco  0  niun  prò-  ed  è  perciò  da  pretermettere  senza  altro;   gli  altri 

fitto  se  ne  possa  ricavare  perchè,  mentre   l'un  ti-  due,  della  Gallia  Narbonese,  siano   a    noi    perve- 

tolo,    di    Aquileia    (C.    I.     L.,    V,   137';),    non    gli  liuti  danneggiati  seriamente    proprio    nelle    rappre- 


-  153  — 

È  necessario  fermarsi  attentamente  sui  rasoi  dei  tre  marmi  riprodotti  per  vedere  in 
quali  rapporti  essi  stiano  da  un  lato  con  gli  utensili  presentati  del  i  secolo,  e  dall'altra  con 
i  rasoi  odierni:  dal  confronto  emergerà  definitivamente  dimostrata  la  tesi  che  sosteniamo. 
Devo  però  fare  precedere  una  considerazione  di  non  lieve  momento,  indispensabile  .11  fini 
della  dimostrazione.  La  simultanea  presenza  degli  altri  utensili  proprii  dei  barbiere,  le  for- 
bici, lo  specchio  e  il  pettine,  pone  fuori  di  ogni  dubbio,  fortunatamente,  che  sui  tre  marmi 
cemeteriali  siano  rasoi  gli  istrumenti  segnati  con  le  lettere  a,  a',  fi,  fi',  fi"  nelle  figure  7, 
8  e  9:  c'è  da  avvertire  però,  di  fronte  al  riportato  commento  del  Garrucci,  che  non  dì  rasoi 
aeramente,  ma  di  lame  di  rasoi,  per  essere  precisi,  è  ivi  il  caso  di  parlare,  perchè  nes- 
suno di  quegli  strumenti  si  vede  fornito  di  custodia  che  ne  protegga  il  taglio,  ciò  che  vale 
quanto  dire  che  nessuni  1  di  essi  è  rappresentato  col  manico.  Ad  un'arte  spicciola  e  som- 
maria, com'è  questa,  facilmente  si  è  disposti  a  perdonare  la  imprecisione,  e  finanche  il 
totale  risparmio  di  certi  particolari.  Due  profili  fra  loro  intersecantisi,  quali  nel  caso  con- 
creto sarebbero  stati  richiesti  per  rappresentare  insieme  connessi  lama  e  manico,  costitui- 
vano per  l'arte  del  periodo  cristiano  un  lusso,  se  non  una  difficoltà,  che  i  po\en  incisori  dei 
nostri  marmi  evitavano  col  rappresentare  dell'utensile  completo  la  sola  parte  essenziale,  la 
lama.  Questa  opinione  potrebbe  sembrare  anche  paradossale,  ma  pure  si  finirà  per  ricono- 
scere che  risponde  al  vero.  La  spia,  difatti,  per  supplire  il  manico  a  tutte  le  lame  a,  a', 
fi,  b',  fi"  ci  è  offerta  dalla  lama  a  (fig.  7),  nella  quale,  pure  conservandosi  il  solito  sche- 
matico piotilo  del  rasoio,  vi  ricorre  però  il  foro  dell'articolazione,  0  asse  di  rotazione  della 
cerniera,  per  avvertirci  che  l'istrumento  ivi  si  completerebbe  ove  alla  lama  si  articolasse 
qualche  cosa  che,  come  mi  sembra  evidente,  altro  non  può  essere  che  il  manico.  In  base 
alla  considerazione  esposta  possiamo  ritenere  per  fermo  che  nell'assenza  del  foro  di  rota- 
zione della  cerniera,  in  quattro  casi  sopra  cinque,  va  riconosciuta  una  delle  tante  trascura- 
tezze degli  incisori  delle  pietre,  e  che  a/le  lame  del  periodo  cristiano  va  senza  esitazione 
supplito  un  manico  a  cerniera.  Ed  ora  soltanto  possiamo  passare  all'analisi  particolareggiata 
del  rasoio  dell'età  cristiana. 

Manico.  Il  manico  che  l'utensile  reclama  non  può  concepirsi  dissimile  da  quello  che 
si  adibisce  per  l'odierno  rasoio,  cioè  di  forma  allungata,  e  risultante  di  due  bande  accostate 
fra  le  quali   va  a  custodirsi   il  taglio  della  lama   in   riposo:    e   non   può  concepirsi  altrimenti 


sentazioni    degli    utensili,    che    il    testo    epigrafico  Hirschfeld) :   «  Cet    objet,  aujourd'hui  difficilement 

esplicitamente  assegna  all'arte   del    barbiere.    Ecc  reconnaissable,    ressemble   un    peu    la    lame  d'une 

i  ragguagli  che  l'Allmer,  in  Revue  épigraphique  du  serpe  »;    2°    (C.    I.    L. ,    XII,    4S17:    TOSOR 

Midi  de    /rame.    1882,    p.   811.   n.    ;ìo  e   538,  ci  VMANVS  |   P-  A  ■   \V    -    novacula   -  forfex) 

dà  degli  utensili  scolpiti    accanto   a    questi  due  ti-  «  La  lame  du  ra^ir.  dont    le    manche    a    dispaia 

tuli  :   r  (C.  1.  L.,  XII.  451S:   VIV   ■   FEC  •  SIBI  par  suite  de  la  retaille  de    ia    piene,    est    arrondie 

T  •  OLITVS  HERMES  |  TONSOR,  etc.  «  instru-  et  très  large  a  son  extremil 
mentum     falci     simile     (novaatlaì)     mutilatimi  » 


-   154  — 

costruito,  perchè  i  rasoi  dell'età  cristiana,  come  si  vede  chiaramente  dalle  figure  senza  bi 

di  dimostrazione,  hanno  già  subita  una  trasformazione  interessante  con  la  introduzione  della 

seguente  nuova  caratteristica. 

(  oda  della  Luna.  Restituito  il  manico  alle  lame  dei  tre  marmi  cristiani  nella  forma 
ora  accennata,  il  confronto  con  l'odierno  rasoio  chiarisce  subito  che  quella  apofisi  ora  curva 
(a,  a'),  ora  ad  angolo  rutto  [b,  />'.  b"  i,  che  tutte  le  lame  hanno  e  che  il.  Carnicci  chiama 
<■  manico  ■>,  è  la  coda  della  lama  la  quale,   sporgendo  dal   manico,  da    un    iato    rende    più 

-Unente  spiegabile  l'utensile,  evitando  l'impiego  diretto  delle  dita  per  l'estrazione  della 
lama;  e  dall'altro  fornisce  all'utensile  un  opportuno  e  comodo  appoggio  come 'il  dito  umano 
nella  novacula  del    l   secolo)  nulla   mano  operante,  quando  l'utensile  è  in  azione. 

'l'Inai.  In  conseguenza  della  descritta  innovazione,  mentre  resta  esclusa  la  possibilità 
di  potere  attribuire  il  manico  d'un  sol  pezzo  del  rasoio  del  I  secolo  anche  alla  novacula  del- 
l'età  cristiana,  resta  escluso  pure  che  questa  possa  adattarsi  alla  curva  I/uva  di  quello.  La 
nuova  forma  che  lo  strumento  ormai  ha  assunto  reclama  invece  una  theca  rettangolare,  non 
proporzionalmente  eguale,  ma  certo  simile  all'astuccio  richiesto  dal  rasoio  odierno  (cfr.  le 
figg.  21   e  22  con  la  fig.  23). 

Contorno  della  lama.  Lasciando  da  parte  la  ripugnante  somiglianza  con  le  «  mannaie 
da  macello  »,  è  evidente  che  per  questa  caratteristica  le  novaculae cristiane  si  palesano  diretta 
continuazione  di  quelle  del  I  secolo.  Basta  prescindere  infatti  dall'apofisi  studiata,  per  consta- 
tare che  i  contorni  sono  sempre  gli  stessi:  a  segmento  di  disco  in  a,  a\  trapeziale  in  /',  /»',  b"  , 
salvo  solamente,  se  non   m'inganno,   la  forma  generale  divenuta  un  poco  più   allungata. 

Taglio.  Che  il  taglio,  finalmente,  sia  sempre  rettilineo,  e  consista  rispettivamente  nella 
«  corda  »  per  le  lame  a,  a  a  segmento  di  disco,  e  nella  «  base  lunga  del  trapezio  »  per 
le  lame  b,  b',  b"  a  contorno  trapeziale,  è  cosa  sulla  quale  non  occorre  più  insistere  quando 
la  novacula  cristiana  si  è  vista  tanto  prossima  pia-  torma  e  funzionamento  al  rasoio  mo- 
derno, e  quando  si  applicano  anche  a  queste  lame  le  osservazioni  tatte  a  suo  luogo  per 
oppugnare  il   preteso  «  taglio  lunato  »   della  novacula  annunziata  dallo    Helbig. 

Ed  ora,  riassumiamo.  Fra  i  cinque  utensili  del  1  secolo  da  noi  presentati  e  le  novaculae 
dell'età  cristiana  vi  sono  delle  sicure,  innegabili  identità  :  ampiezza  della  lama,  contorno  della 
medesima  0  trapeziale  0  a  segmento  di  disco,  taglio  rettilineo;  e  vi  sono  delle  differenze: 
introduzione  della  coda  della  lama,  conseguente  allungamento  del  manico,  adattamento  del- 
l'utensile ad  una  theca  non  più  curva  ma  rettangolare:  queste  differenze,  però,  lungi  dal- 
l'oppugnare  la  nostra  tesi,  diventano  anch'esse  conferme,  ove  soltanto  si  pensi  che  esse 
rappresentano  miglioramenti  tecnici  che,  una  volta  raggiunti  nell'età  cristiana  (tra  i  se- 
coli Il  e  V,  cioè  nel  periodo  di  tempo  che  va  dalla  morte  di  Marziale  —  anno  101  o  102  — 
all'abba  :lle   catacombe    come  necropoli),  si  conservano  tuttora  inalterati  nel  rasoio 

odierno  (v.  ligg.  19-23).  Che  cosa  concludere:   Novaculae,  e  non  altro,  sono  i  cinque  utensili 
da  noi  discussi  in   principio. 


—  155   — 

APPENDICE 

IL    RASOIO   NEL   MEDIO    EVO    E    NEI    TEMPI    MODERNI. 

Le  caratteristiche  comuni  di  forma  e  di  funzionamento,  che  tanto  avvicinano  la  nova- 
cula  dell'età  cristiana  al  rasoio  moderno,  già  da  sé  sole  mostrano  che  l'utensile  non  ha  su- 
bito mutamenti  sostanziali  fra  il  medio  evo  e  l'età  moderna;  tre  innegabili  migliorami  nti 
nei  particolari  vi  si  vedono  tuttavia  introdotti  nel  ben  lungo  lasso  di  tempo:  i"  lo  spo- 
stamento della  coda  della  lama  dal  profilo  del  taglio  a  quello  del  dorso  (con  esso  si  è  ot- 
tenuta la  possibilità  della  graduale  riduzione  del  tagliente,  prodotta  dalle  affilature,  senza  che 
la  lama  muti  le  linee  del  contorno);  2°  l'ingrossamento  del  dorso  (con  esso  si  è  accresciuta 
la  robustezza  della  lama,  e  si  è  assicurata  la  rigidità  del  taglio);   30  l'allungamento  generale 


dell'utensile  in  ragione  diretta  della  riduzione  della  sua  antica  ampiezza  lil  rasoio  ne  è  uscito 
più  maneggevole  e  ingentilito).  Purtroppo  non  è  dato,  non  che  seguire  nel  tempo  i  mi- 
glioramenti indicati  sulla  relativa  scorta  monumentale,  ma  nemmeno  imbattersi,  in  musei 
che  accolgono  antichità  del  medio  evo  e  dei  tempi  moderni,  almeno  per  quanto  a  me  ri- 
sulta, in  un  siilo  rasoio  che  per  una  fortunata  contingenza  qualsiasi  ci  sia  conservato  mi; 
né  le  arti   figurative   dello  stesso  periodo  ce  ne  hanno  tramandate  rappresentazioni  abbondanti 


(1)  Secondo  concordi  risposte  Ji  parecchi  stu- 
diasi specialmente  versati  nelle  antichità  di  quest'i 
periodo,  primo  fra  tutti  e  cortesissimo  fra  i  cor- 
tesi il  Ch.mu  nostro  Direttore  Generale,  il  Comm. 
Corrado  Ricci,  ai  quali  tutti  rivolgo  vivi  ringra- 
ziamenti in  ispecie  per  le  indica/ioni  bibliografiche 
fornitemi,  nessun  rasoio  del  medio  evo  si  conserva 


nelle  collezioni  pubbliche  d'Italia.  Né  all'Estero 
pare  che  ve  ne  siano:  nmi  ne  hanno  certo  il 
Victoria  and  Albert  Museum  di  Londra  ed  il  Musée 
de  Cluny  di  Parigi,  come  risulta  dalle  sentili  lettere 
dei  rispettivi  Direttori,  Sir  Cecil  Smith  e  Mr.  E.  Ha- 
rancourt.  ai  quali  non  ho  mancato  d'  indirizzarmi 
per  milizie  anche  indirette  sull'argomento. 


-  156  - 

e  sicure.  Non  mancano  figure  di  rasoi  miniate  in  antichi  manoscritti:  servono  però  d'illu- 
strazione ad  opere  ili  chirurgia  (i),  e  quindi  non  sono  utili  direttamente  per  la  nostra  in- 
dagine. L'unica  figurazione  direttamente  utile,  nella  quale  mi  sia  avvenuto  d'imbattermi  per 
questo  periodo  utile  perchè  vi  ricorre   proprio  il   barbiere  mentre  rade   la    barba    ad  un 

cliente  —  è  una  miniatura  del  secolo  XV  (2);    ma   le    proporzioni    purtroppo   minuscoli 
quella  veduta  panoramica,  raffigurante  insieme  con  la  bottega  del  barbiere  anche  quelle  del- 
l'apotecario,   del   sarto  e   un'altra    indistinta,   permettono  a   inala   pena  di    affermare   soltanto 
che    quel   rasoio  per  forma  e  tecnica  di   maneggio   non   differisce  dal   rasoio  odierno  1  V. 


Qr/^ 


Fig.  12. 

Uguale  a  quest'ultimo  in  tutto  e  per  tutto  è  il  rasoio  ricorrente  sullo  stemma  della  Com- 
munauté  des  Couteliers  di  Parigi  del  secolo  xvm  (fig.  io  —  da  René  de  Lespinasse,  Les 
métières  et  Corporations  de  la   Ville  de  Paris,  Couteliers,  in  Histoire generale  de  Paris,  11, 

p.  }jK  —  un  rasoio  incrociato  con  un  coltello,  nel  mezzo;  una  cote  per  affilare,  in  alto; 
un  paio  di  lancette,  in  basso),  e  quasi  identico  è  l'altro  sulla  veste  di  un  coltellinaio,  dello 
stesso  secolo,  pare,  (fig.  11  —  da  Henry  Havard,  Dictionnairt  de  V Ameublement  et  de  la 
décoration,  fig.   728). 

Niun  costrutto  diretto,  come  dalle  miniature  più  antiche,  è  dato  cavare  da  quelle  nu- 
merose rappresentazioni  più  tarde  di  coltelli  adoperati  in  pratiche  «  operatorie  »,  che  si  ri- 
petono frequenti  nei  libri  di  chirurgia  della  nostra  Rinascenza,  e  che,  soltanto  perchè  co- 
struiti con  tecnica  eguale  a  quella  del  vero  e  proprio  rasoio  per  rader  barbe,  sono  additati 
con   1   nomi   di  coltello  rasorio    0    eccisorio,  e   finanche  col   nome    classico    di    novacula  [4  : 


(1)  La  Chirurgia  dì  Maestro  Isolana,'  (mscr. 
della  Bibl.  Casanat.  di  Roma,  1382);  la  Pratica 
dì  Chirurgia  di  Guy  de  Chauliat  (cod.  di  Mont- 
pellier,   1563),  ed  altre  opere. 

•■  Nel  Gouvemement  des  princei  (mscr.  della 
Bibl.  de  l'Arsenal  di  Parigi);  iti.  Henry  Havard, 
Pi,  I.  de  C ameublement  ri  de  la  décoration,  fig.  886. 

1 1  miniatura   in  parol  1  non    ti 
ili  alcun  profitto. 

1   V-~t    un    des  ustensiles    di-    toilette   qui, 
<•  dans  leur  longue  <  11  ibi  le    moins    de 


«  transformation.  Dos  le  XV1  siede,  nous  lui 
«  ^rouvons  dans  les  miniatures  la  forme  qu'il  af- 
>■  fecte  encore  aujourd'hui  ••  Henry  II  i\  ard,  op.  cit, 
T.  IV,  p.  667  e  668,  s.  v.  »  asoir. 

(4)  Nelle  opere  di  Chirurgia  di  Giov.  Andrea 
della  Croce,  Fabrizio  d'Acquapendente,  Bartolomeo 
Eustachi,  ecc.;  in  quella  del  francese  Ambroise 
Parò:  e  nel  fascìculus  medicinae  di  Giov.  di  Ke- 
tham.  Devo  questa  speciale  bibliogral  ■  ■  <  Doti 
oni,  i  In-  vivamente  ringrazio. 


—  i.57  — 

sono  taglienti  sottili,  caudati,  ed  articolati  a  cerniera,  ma  avrebbero  per  noi  un  valore  reale 
se  li  vedessimo  adoperati  dal  barbiere  e  per  rader  barbe.  Ne  diamo  tuttavia  un  saggio  (fig.  12 
e  13  —  dalla  Cinigia  di  Giov.  Andrea  della  Croce,  Venezia  MDLXXIIII,  prefazione  e  Lib.  I, 
p.  41;  fig.  14  e  15  dalla  citata  opera,  Lib.  I,  p.  56),  perchè  quegli  strumenti  valgono,  se 
non  altro,  per  ribadire  la  convinzione  che  il  rasoio  del  barbiere  di  quei  tempi  si  disponeva 
a  diventare,  se  non  era  proprio  già  diventato,  quello  che  è  oggi,  se  da  quello  che  il  rasoio 
è  oggi  tanto  poco  differisce  il  coltello  eccìsorio,  0  rasorio,  0  novacula,  maneggiato  dai  chi- 
rurgi. E  valgono  ancora  di  più,  se  poniamo  mente  all'antica  nullità  ed  alla  successiva  te- 
nuità di  limiti  che  fino  a  tempi  tanto  a  noi  vicini  hanno  confuse  insieme  l'arte  del  bar- 
biere (al  quale  non  erano  estranee  pratiche  di   flebotomia,  odontoiatria    ed    erniaria,    e    con 


esse  anche  pratiche  di  alta]  chirurgia)  (1)',  e  la  professione  del  chirurgo  vero  e  proprio, 
ovunque  comprese  ed  organizzate  nell'unica  corporazione  dei  barbieri-chirurgi,  con  unica 
matricola  di  mestiere,  e  unici  protettori  nei  Santi  Cosma  e  Damiano.  Tanta  confusione 
di  pratiche  professionali  ci  induce  ad  ammettere  senza  difficoltà  presso  il  barbiere,  e  nel- 
l'atto di  procedere  alle  usurpate  pratiche  del  chirurgo,  un  rasoio  che,  salvo  qualche  leg- 
giera variante  di  forma,  0  salvo  almeno  —  come  è  credibile  —  la  sua  speciale  destinazione 
ad  usi  più  delicati,  fosse  quello  costruito  naturalmente  pei  rader  barbe  ;  ed,  inversamente, 
presso  il  vero  chirurgo,  per  eseguire  incisioni   e  dissezioni,   un  tagliente,  dottamente  quanto 


(l)  «  Rader  la  barba,  cavar  moli,  salassare 
«  ecco  le  tre  facoltà  ai  barbieri  concesse,  oltre  quelle 
«  che  esM  si  arrogavano  di  aprir  fontanelle,  con- 
«  ciare  ossa,  medicare  ferite  e  piaghe  (  ìiuseppe 
Pitrè,  Medici,  Chirurgi,  Barbieri  e  Speziali  an- 
tichi in  Sicilia,  Palermo,  1910,  p.  103.  Oltre 
questa  opera  del  Pitrè,  molto  interessante  e  ricca 
di  buone  no/inni,  per  copiose  notizie  sulla  corpo- 
razione vedi:  René  de  Lespinasse,  Les  mètiers 
et  Corporations  de  In  Ville  de  Paris  —  China-- 
gìens,  Barbieri  --  in  Hisloire  generale  de  Paris, 
III.   p.  622  sgg.  (lo  stemma  della  corporazione,  ivi 


riprodotto,  reca  tre  barattoli  da  medicamenti,  mu- 
niti ili  coperchio,  ma  niun  utensile  relativo  all'arte 
del  barbiere);  e  1  ìustave  Faguiez,  fltudes  sur  /'In- 
dustrie ti  la  classe  industriale  à  Paris  (sec.  XIII 
et  XIV),  in  Biblìothèque  de  l'École  ,1,  s  hauti  étu- 
des,  pp.  28,  4S,  131,  141,  145,  324:  qualche 
opera  minore  A.  Bertolotti,  La  medicina,  chirur- 
gia e  farmacia  in  Roma  nel  u;  .  A  l'I;  F.  Pollaci- 
Nuccio,  /  barbieri  e  la  loro  maestranza  in  Pa- 
lermo; \.  Ka\a,  Pratica  di  Barbiere  circa  il 
cavat  sangue  ed  altre  cose  appartenenti  ,1  dello 
itili:  io,    Messina,    164N. 


-  158  - 

si  voglia  denominato,  ma,  in  fondo,  il  ferro  stesso  adoperato  per  rader  la  barba.  A  fortifi- 
carsi in  questi  concetti,  ed  a  constatare  in  quale  misura  l'effettiva  confusione  delle  due 
pratiche  professionali  si  riverberi  nell'araldica  e  nella  sfragistica  relative,  cade  in  acconcio 
dai  e  uno  sguardo  ai  piccoli  monumenti  che  qui  riproduco.  11  primo  (fig.  16:  disegno  tratto 


QVESTAi-CAP 
EÌLÀflE>ì)ELLA 
VNIVERSITA 
DEKBARBIBKI 


dall'originale  dall'architetto  Egisto  Bellini)  è  uno  stemma  nel  portico  della  Biblioteca  di 
Siena,  dalla  leggenda  assegnato  con  sicurezza  alla  •<  Università  dei  barbieri  »;  ma  gli  stru- 
menti che  vi  si  vedono  rappresentati  (un  coltello  che  difficilmente  può  credersi  un  rasoio, 


Fig.   18. 


per  l'estrazione  dei  denti,  e  le  forbici)  sono  comuni  alle  due  arti,  e  torse  più 
propri  al  chirurgo  che  non  al  barbiere.  Il  secondo  (fig.  17:  da  Arthur  Forgeais,  Collection 
dt-s  Plotnbs  historiés  Irouvés  dans  la  Scine,  voi  V,  Numismatìque  populaire,  p.  151,  di- 
segno ingrandito  di   Mr.   E.  Clair-Guyot),   è   un   gettone  di   piombo  del   secolo   XVI,    trovato 


—  159  — 
nella   Senna  il    1X65  (1):    sulle  forbici  e  sul    pettine  non    può    cadere    discussione  alcuna, 
ma  io  non  so  come  si  potrebbe  affermare,  col  Forgeais,  senza  riserve,  che  sia   un    rasoio, 

e  non  per  avventura  un  ••  coltello  eccisori  1  »  buono  per  pratiche  di  chirurgia,  quello  strano 
coltello  a  larga  lama  triangolare  che  occupa  il  lato  sinistro,  e  ciò  tanto  più  quando  esso 
si  vede  associato  ad  una  lancetta  per  cavai  sangue.  Il  terzo  (fig.  18:  dal  Nouveau  I.a- 
rousse,  Dìct.,  pag.  729,  s.  v.  barbier,  disegno  ingrandito  del  Prot.  V.  Esposito),  è  il  sug- 
gello della  corporazione  dei  barbieri  di  Bruges,  e  nemmeno  sul  coltello  che  in  esso  appare 
cotanto  stilizzato  c'è  da  fare  qualsiasi  assegnamento  per  una  sicura  identificazione. 


Chiarite  le  quali  cose,  pongo  fine  al  mio  studio  presentando  nelle  annesse  riproduzioni 
i  rasoi  del  1  secolo  (tigg.  1 9  e  20)  quelli  dell'età  cristiana  (figg.  21  e  22),  e  il  rasoio 
odierno  (fìg.  23),  proiettati  ciascuno  sul  fondo  della  theca,  la  quale  richiedesi  <///va  solo  per 
gli  utensili  del   I   secolo  [Marziale,   Epigr.  IX,    58,  vv.  9  e    101:   tali   figure,  come  si   vede, 


<i)  -  Face.    St.    Còme  et  St.    Damien,   débout,  Seine,   Voi.  V.  Non   si    sa,    purtroppo.    Jove    sia 

«  Li  tete  nimbée,  et  tenant  chacun  une  boite  cou-  and. ito  .1  finire  il  gettone  in    parola.    Il    museo   di 

«  verte  a    la    main  ;    entre    les   deu\    se  trouve  en  Clunv.   al  quale  pervennero  un    primo    lotto    inte- 

«  haut  la  lettre  .V:  en  bas  une  branche  chargée  de  ramente,  ed    un    secondo    lotto    parzialmente   della 

«  trois  roses.   Revers.  Peigne  doublé  pose  en  pai.  «  collection    des    plombs  historiés      del   Forgeais, 

■•  flanqué  .1  droite  d'un    rasoir    et   d'une    lancette,  nulla  possiede  del  ter/o  lutto,   nel  quale  era    com- 

i   gauche  d'une  paire  de   ciseaux  »    Arthur    Por-  preso  il  gettone,   venduto  dopo    la    morte    del    col- 

geais,  i\umismaliaue  populaire,   p.    151,    in    Col-  lezionista.   Null'altro  quindi  oggi    ne   resta    che   la 

lecitoti    ila    Plombs    historiés    trouvés    dans    /</  rappresentazione  qui  riprodotta   dall'Opera  citata. 


—  i6o  — 

dauno  modo  di  abbracciare  con  un  solo  sguardo  l'evoluzione  subita  dallo  strumento  nello 
spazin  di  diciannove  secoli.  Cronologicamente  molto  vicino  all'utensile  del  l  secolo,  ma  molto 
lontano  da  quello  di  oggi,  sta  il  rasoio  dell'età  cristiana;  e  sta  da  quello  di  oggi  tanto  lontano 


■ 


nel  tempo,  perchè  rappresenta,  nella  tecnica  della  costruzione,  il  conseguimento  di  essen- 
ziali vantaggi,  dopo  i  quali  sono  stati  possibili  soltanto  i  lievi  miglioramenti  secondarli  dei 
quali  si  è  tenui"  conto. 


Pompei,   Primavera  del    1916. 


\\ai  n;o  Della  Cokte. 


RITROVAMENTO  A  CHERASCO  DI  OVE  LAPIDI  ROMANE 
GIÀ  PVBBLICATE  A  TORINO  DAL  PINGONE 


li  desideriti  di  arricchire  il  Museo  G.  B.  Adriani  di  Cherasco  di  due  lapidi  (inora 
neglette  mi   ha  fatto  ritrovare    un'iscrizione    romana  ed   un    bassorilievo,  dati   per   la  prima 

volta  dal   Pingone,  lo  storico  Torinese.   1  marmi  erano  in  casa  sua,  ma  in  seguito  and; io 

perduti,  sicché  i  numerosi  autori  che  ne  fecero  menzione,  ne  diedero  edizioni  sovente 
errate,  e  qualcuno  anche  vi  fondò  sopra  cervellotiche  interpretazioni. 

11  Conte  Giuseppe  Galli  della  Mantica,  Consigliere  Provinciale,  delle  Antichità  di 
Cherasco  assai  informato,  mi  segnalò  un  giorno  dello  scorso  ottobre  due  figure  scolpite  su 
pietra  esistenti  nel  Quartiere  Militare  lucale,  intitolato  al  prode  Ammiraglio  Baldassare  Man- 
tica,  suo  zio. 

Quantunque  delle  cose  di  Cherasco  anch'io  cultore  appassionato,  quelle  sculture  mi 
erano  ignote  ;  né  l'Adriani,  a  cui  nulla  era  sfuggito  di  quanto  interessava  Cherasco  e  la 
sua  storia,   ne  aveva  lasciato  alcuna  memoria. 

Effettivamente  all'angolo  N  E  del  fabbricato  del  Quartiere  all'incrocio  delle  Vie  Mon- 
falcone  e  dei  Giardinieri,  ed  all'altezza  del  primo  piano,  esistevano  incastrati  nel  muro  due 
altorilievi,  uno  per  caduna  faccia  dello  spigolo.  A  prima  vista  vi  si  riconoscevano  due  figure 
vestite  alla  romana.  Lieto  della  scoperta,  mi  affrettai  a  domandare  al  ff.  di  Sindaco,  Conte 
Luigi  lcheri  di  S.  Gregorio,  il  permesso  di  togliere  le  due  pietre  dal  posto  dove  si  trova- 
vano per  portarle  nel   Museo  Adriani  e  quivi  conservarle  e  studiarle. 

Con  alto  senso  di  opportunità,  di  cui  pur  troppo  gli  esempi  sono  rari,  il  ff.  di  Sindaco 
e  la  Giunta  Comunale  aderirono  alla  mia  proposta  e  due  giorni  dopo  i  marmi,  che  ora 
posso  chiamare  preziosi,  erano  nel  Museo.  Qui  subito  apparve  l'importanza  della  scoperta, 
perchè  i  due  pezzi  avevano  lavorata  non  solo  la  taccia  esterna  dove  erano  scolpiti  i  due 
busti,   ma  anche    l'interna,  che  finora  era  rimasta  sottratta  alla  vista. 

La  faccia  esterna  dell'uno  (vedi  fìg.  i)  porta  scolpito  a  mezzo  busto  un  uomo  barbuto 
e  coi  capelli  arricciati,  vestito  colla  toga  e  tenente  in  mano  un  rotolo,  torse  a  significare  che 
era  un  magistrato.  L'altro  marmo  porta  invece  scolpito  un  giovane  o  una  donna  con  in  mano 
una  teca  o  un  dittico  a  cui   non  saprei  dare  uno  speciale  significato. 

I  due  busti  facevano  assai  probabilmente  parte  di  un  monumento  funebre  ed  erano 
a  contatto  (come  sono  nella  fotografia)  e,  come  si  vede  dal  bordo  in  rilievo  che  contornava 
sopra  e  ai  due  lati   le  due  figure,   racchiusi   in   una  specie  di   nicchia. 


—    l62   — 

Questo  bordo  è  in  gran  parte  abraso.  La  frattura  che  si  riscontra  nell'angolo  interno 
iore  dei  due    marmi    sembra    accennare    che  essi  in  quel  punto  fossero  tenuti  a  sito 

con  un  gancio   metallico,    nel    togliere  il  quale  si  ruppe  il  marmo  in  entrambe  le  parti  di 

cui   si  componeva  la  scultura. 

I  due  blocchi  sono  di  marmo  greco  finissimo.  Essi  hanno  una  bella  patina  dovuta  al 

tempo  e  alle    intemperie,    più     scura   nel   blocco    dell'uomo,  già  esposto  a   mezzanotte,   più 

giallastra  in  quello  della  donna  esposto  a  levante,  e  ciò  probabilmente  a  causa  della  diversa 

esposizione,  poiché  la  qualità  del  marmo  è  unica. 


Nessuna  traccia  di  scrittura  (  1 1. 

Quanto  all'epoca  cui  dovranno  attribuirsi  queste  figure,  la  conoscenza  purtroppo  assai 
imperfetta  che  imi  possiamo  formarci  della  produzione  artistica  della  fine  dell'Impero  e  del- 
l'alto Medio  Evo  ci  rende  molto  esitanti  nel  formulare  un  «indizio.  Sembrerebbe  da  esclu- 
dersi l'arte  romanica,  >■  fors'anche  l'arte  romana  del  Basso  Impero,  per  quanto  questa  sia 
nella  sua  produzione  provinciale  quasi  ignorata.   Una  qualche  analogia  si  lui  nell'aria  attu- 


ili Dimensioni  blocco  dell'uomo  altezza  m.  0.64;      bordo  di  cui  si  è  parlato:  —  blocco   della  donna: 
larghezza  ni.  0.48;  spessore  m.  0.14,  pero  solo  nel-      alte/za  0.64.  larghezza  0.45  a  0.46:  spessore  mas- 
>  inferiore  di  sinistra,  dove  esiste  ancora  il      simo  0.14. 


-  ifi3  - 

nita,  nei  visi  allungati,  nel  trattamento  degli  occhi  e  dei  capelli  a  chioccioletta  con  alcuni 
dei  così  detti  dittici  consolari  d'avorio  o  d'osso  della  fine  dell'Impero.  Ma  forse  i  rapporti 
più  importanti  potrebbero  trovarsi  tra  le  nostre  sculture  e  gli  stucchi  del  Battistero  degli 
Ortodossi  a  Ravenna,  secondo  che  mi  suggerisce  l'illustre  prof.  Toesca  del  R.  Istituto  Su- 
periore di   Firenze  (i  |. 

Sicché  sarebbe  da  ritenere  più  probabile,  che  l'opera  appartenga  all'alto  Medio  Evo, 
intorno  ai   secoli   V  o  VI. 

Per  finire  con  questo  lato  dei  marmi,  dirò  come  entrambi  portino  tutt'attorno  nello 
spessore  del  sasso  un  canaletto  eseguito  a  scalpello,  tranne  sull'alto  del  marmo  dell'uomo, 
dove  questo  è  sostituito  da  un  solco  ben  definito,  fatto  evidentemente  a  sega,  solco  che 
si  ripete  dietro  la  testa  dell'uomo,  con  la  profondità  di  mezza  la  testa,  come  se  si  volesse 
staccarla  dal  fondo. 

Poiché  una  delle  facce  posteriori  delle  lastre  porta  un'epigrafe  e  l'altra  porta  un  bas- 
sorilievo ed  il  solco  corre  a  distanza  costante  di  3  0  4  cm.  da  queste  tacce,  interpretai  i 
solchi  a  questo  modo. 

Data  l'importanza  della  iscrizione  e  della  scoltura  in  confronto  dei  busti,  il  proprie- 
tario per  renderle  più  maneggevoli  e  forse  per  murarle  più  facilmente,  decise  da  prima  di 
segare  via  dalle  lastre  le  due  figure  ed  incominciò  a  far  segare  la  testa  dell'uomo.  Presto 
pentito  della  decisione  volle  conservare  alle  figure  uno  sfondo  e  incomincio  a  far  segare  in- 
vece il  marmo  nel  suo  spessore,  formando  così  due  lastre  di  cui  una  portasse  la  iscrizione 
e  l'altra  la  figura  scolpita.  Ma  anche  di  ciò  si  penti;  ed  infatti  il  solco  e  appena  incomin- 
ciato, e  per  nostra  fortuna  conservò  intero  il  marmo  come  è  attualmente.  Il  blocco  che- 
porta  la  donna  ha  il  solo  canaletto,  fatto  a  scalpello,  ma  nessuna  traccia  di  lavoro  a  sega. 

Passiamo  ora   al   rovescio    delle    due    lastre.   Quella    dell'uomo    barbato  ha  scolpita  la 
parte  sinistra    di    una    grossa    iscrizione,    l'altra    porta    in   senso  capovolto,    una    scoltui  1  . 
poiché  sia  l'ima  che  l'altra  sono  disegnate  ed  eseguite  con  arte  assai   più   fine    che   non   1 
busti,  se  ne  può  subito  inferire  che  in  epoca  tarda  si   adoperarono  i   pezzi  di    uno    e  forse 
di   due  monumenti   più  antichi  e  di   un'epoca  in  cui   l'arte  scultoria  era  più   in  fiore. 

L'iscrizione  del  rovescio  è  nota;  la  riferisce  da  copie  e  da  pubblicazioni  anteriori  il 
Mommsen  nel  C.  I.  L.,  V  -  7043.  Il  rilievo  invece  che  l'accompagna  non  è  pubblicato,  ma 
solo  brevemente  e  con  poca  esattezza  descritto  da  alcuno  degli  autori  stessi  che  videro 
l'iscrizione.  H  poiché  il  Corpus  dà  un'ampia  bibliografia  (2)  consultai  vari  degli  autori 
citati,   alcuni  dei  quali   ho  fra  i   miei   libri  e  gli  altri   trovai   nella    biblioteca   Adriani. 


(1)  Cfr.  specialmente  il    santo  di    sinistra    nella  apud  Cicercium  :   ms  --   Pingonius  pag.    103  (inde 

fig.   1  =; 4  del  volume  I  della  Stori.!  dell'Arte  Italiana  Ligorius    ms     Gruterus  632,    6  ex  Ping.      Murat. 

del  Toesca.  883,3  ex  Guich  :   Promis  pag.  452  ri.  210. 

•1  Nota  del  Mommsen  :  «  Maur.  Ferrarius  n.  1568  Altri  ne  dà  il  Promis  come  citerò  pi 


—  164  — 

Prendiamo  le  mosse  dal  Pingone  che  possedette  il  marmo  nella  propria  raccolta,  e 
lo  pubblicò  per  il  primo  nella  sua  Augusta   Taurinorum  (i). 

Egli  così  ce  lo  descrive  (V.  fig.  2):  Alio  marmare  dimidiato,  in  summitate  videtur 
Apollo  imberèis,  lacertis  pellem  hominis  prò   tropheo  gerens.   Suoi/;   Marsias   excoriatus, 

•  nitritili   una   manu  alia  caput  cadaveri*  tencns.... 


Qui  mi  rincresce  dover  subito  dissentire  dall'erudito.  Dal  braccio  del  personaggio  che 
stende  la  manu  sul  capo  della  figura  principale  della  scultura  non  pende  già  una  pelle 
umana  ma  un  drappo,  riconoscibibile  ai  suoi  margini  netti,  che  scende  poi  verso  i  fianchi 
del  personaggio.  H  similmente  quella  cosa  che  tiene  con  la  sinistra  la  figura  armata  di 
spada  non  è  in  alcun  modo  una  testa  umana.  Del  resto  la  decapitazione  di  Marsia  non 
é  narrata  in  alcuna  delle  redazioni  di  questo  mito. 

(1)  Philiberti    Pingonii  Sabaudi  Angusta    Taurinorum.   Taurini   MDLXXVII. 


-  I&5  - 

Il  Promis,  senza  vedere  il  marmo  e  traducendo  il  Pingone,  indica  come  il  cadavere 
di  Marsia  quanto  occupa  l'angolo  inferiore  di  destra:  ma  anche  questo  mi  sembra  erroneo. 

Il  bassorilievo  invece  rappresenta  chiaramente,  secondo  il  Prof.  Paribeni,  Perseo  che 
libera  Andromeda  dal  mostro  marino.  Nella  figura  centrale,  di  cui  appare  solo  meno  della 
metà,  devesi  vedere  Andromeda  che  tende  il  braccio  destro  verso  il  suo  liberatore,  ai  suoi 
piedi  è  il  mostro  dal  corpo  anguiforme  e  dalla  testa  quasi  canina  volta  a  bocca  aperta 
verso  la  vittima.  Perseo  nudo  sembra  tenere  nella  mano  sinistra  qualche  cosa  che  appare 
ora  di  incerti  contorni  nel  logoro  rilievo,  ma  che  secondo  ogni  probabilità  è  la  testa  della 
Gorgona  con  la  quale  egli  ha  impietrato  il  mostro  marino.  Nella  mano  destra  l'eroe  ha 
la  spada  1 1 1.  Potrebbe  alcuno  osservare  che  Perseo  non  ha  qui  i  calzari  alati,  e  che  la 
sua  arma  non  ha  la  forma  caratteristica  della  harpc;  e  veramente  questi  argomenti  uniti 
all'aspetto  vigoroso  dell'eroe  potrebbero  far  pensare  che  si  fosse  voluto  rappresentare  il 
mito  analogo  ma  molto  più  raro  nell'arte  figurata  di  Esione  liberata  da  Ercole.  Senonchè 
non  eviteremmo  un'obiezione  analoga  a  quella  che  ci  siamo  proposta  per  la  prima  inter- 
pretazione, perchè  Ercole  non  avrebbe  qui  né  la  spoglia  leonina  né  la  clava.  Sarà  quindi 
più  prudente  accettare  la  prima  interpretazione  che  si  riferisce  a  un  mito  più  diffuso  nel- 
l'arte antica,  e  della  mancanza  dei  segni  che  caratterizzano  Perseo  dar  colpa  alla  fretta  del 
mestierante  che  scolpì   il  nostro  rilievo. 

In  alto  a  sinistra  è  un  Tritone  che  ha  nella  destra  uno  strumento  allungato  forse  un 
remo  o  un  tridente.  La  figura  che  riempie  il  quadretto  in  basso  a  destra  con  le  braccia 
conserte  al  petto  è  una  delle  rappresentazioni  di  personaggio  esprimente  mestizia  non  rara 
in  soggetti  di  carattere  funerario,  come  può  essere  questo  coronamento  di  stele.  Natural- 
mente una  figuretta  simile  doveva  essere  nell'altro  angolo  a  destra. 

È  chiaro  che  questa  scoltura  è  monca  in  alto,  dove  manca  la  testa  del  tritone  e  la 
punta  del  frontone.  Il  lato  destro  mancante  di  questo  è  però  ben  segnato  da  un  piccolo 
tratto  appena  visibile  presso  il  capo  della  figura  centrale  della  composizione. 

Passiamo  all'altro  marmo,  cioè  alla  iscrizione  ifig.  3).  Il  fregio  che  farebbe  onore  ad 
un  artista  del  500,  per  disegno  e  per  fattura,  è  cosi  descritto  dal  Pingone,  in  prosegui- 
mento   del    brano    già    citato  :   «  Circum    in  columnae   formam  simiae,  vasa,   cochleae, 

maritima  monstra  et  alia   ornamenta  exsculpta  ». 

Con  sua  buona  pace,  io  non  vedo,  incominciando  dall'alto,  che  due  leoni  seduti  ed  af- 
frontati, —  un  cratere,  —  un  guerriero  con  spada  e  scudo  imbracciato,  ^non  delle  scimmie) 
—  una  conchiglia  e  la  coda  di  due  delfini. 


(1)  Fu  il  Prof.  Bailo  direttore  del  Museo  Civico  di  Prof.    Giulio    Emanuele  Rizzo    dell' Università  di 

Treviso  che  vedendo  il  rilievo  lo  interpretò  per  primo  Napoli.  Il    Bailo  non  escludeva    però    che   potesse 

come  Andromeda  liberata  Ja  Perseli;  interpretazione  pensarsi  ad  Ercole  e  Pldra,  come  dapprima  avevo 

che    venne    confermata    dal    Prof.    Paribeni    e  dal  pensato  io. 


—  i66  — 


Verosimilmente  questo  fregio  incorniciava  tutto  attorno  la  iscrizione.  Forse  se,  come 
è  pur  passibile,  il  marmo  col  rilievo  segna  il  coronamento  di  questa  stele  funeraria  il 
fregio  laterale  terminerebbe  nel  quadretto  con  la  figura  di  personaggio  esprimente  dolore 
del  marmo  col  rilievo,  che  esaminiamo. 

La  fig.  ^  ci  dà  di  questa  il  testo  preciso.  Esaminiamo  come  esso  ci  era  giunto  attraverso 


!  ' 


CI  <  )D 

VI  LIA.!'''' 


i   precedenti  editori.   Il    Ringoile,  che  primo  la    diede  stampata    e  che  possedeva  il   marmo, 
così  la  pubblica  erroneamente: 

A  C  R  O  IN  I     P.  . 

MEDICO    AVG.  . 

CLODIA     III.  . 

LAETAE    SOR.  . 

C     C  L  O  D  I  V  S.  . 

AQVILIANVS.  . 


—  i67  — 

Il  Ferrano .(i)  dovette  vedere  anch'egli  il  marmo,  perchè  ne  dà  una  copia  indipen- 
dente da  quella  del   Pingone,  copia  che  è  stata  preferita,  non  so  perchè,  dal  Corpus: 

.h>  0)1 

Medico  M..... 

Clodia 

Laetae 

C   CI  od 

Adulìanu 

Altri  dotti,  non  citati  nel  Corpus,  riproducono  l'iscrizione,  ma  tutti  attenendosi  alla 
copia  del  Pingone,  senza  aver  visto  il  marmo,  sicché  la  loro  testimonianza  non  è  utile  per 
ristabilire  il  testo  (2). 

Le  due  copie  del  Pingone  e  del  Ferrano  sono  amendue  inesatte.  Erra  più  grave- 
mente il  Ferrano  leggendo  a  lin.  2  M  invece  di  Au  e  a  lin.  6  Adulìanu  invece  di 
Aquilianu.  Ma  nella  copia  del  Pingone  che  sostanzialmente  è  esatta,  sono  altre  lettere 
che  sul   marmo,  come  oggi  ci  è  pervenuto,   non  si  leggono. 

L'erudito  Prof.  Roberto  Paribeni,  direttore  del  Museo  Nazionale  Romano,  che  gentil- 
mente rivide  queste  mie  note,  si  domanda:  <•  Sono  quelle  lettere  supplite  ex  ingenio  dal 
Pingone,  0  ne  furono  vedute  tracce  nel  marmo?  Gli  antichi  eruditi  non  sempre  solevano 
fare  distinzione  fra  le  parti  da  loro  lette  e  quelle  da  loro  inventate.  Però  se  le  finali  dei 
due  nomi  di  lin.  5  e  6  sono  state  certamente  aggiunte  dal  Pingone,  non  su  se  possa  dirsi 
altrettanto  per  le  altre  lettere.  Se  il  Pingone  avesse  avuto  in  animo  di  dare  coi  supple- 
menti una  lettura  più  completa,  non  avrebbe  a  lin.  4  dato  semplicemente  SCI?  ma 
SORORI,  ne  avrebbe  a  lin.  3  dopo  VA  di  CLODIA  posto  tre  aste  verticali,  né  avrebbe 
a  lin.  1  inventato  la  P,  lasciandola  poi  in  sospeso.  Evidentemente  egli  ha  veduto  qualche 
cosa  di  più  di  quello  che  a  noi  è  rimasto.  Ed  invero  nei  successivi  trasporti  dei  due  marmi 
può  bene  essere  saltata  via  qualche  scheggia,  ed  essere  poi  stato  ritagliati!  regolarmente  l'orlo 
del  marmo,  quando  i  due  ritratti  furono  fissi  sul  muro  a  decorazione  di  un  edificio  di  Che- 
rasco.  Se  così  è,  il  maggior  guadagno  che  noi  facciamo  nella  copia  del  Pingone  è  la  let- 

(1)  Due  erano  i  Ferrarlo,  Maurizio  e  Ottaviano,  il  lui  che  visse  nel  V  sedo  .1.  Cr.  Il  Guichenon, 
primo  dei  quali  multe  iscrizioni  comunicò  da  Turino  Histoire  géneaìogique  de  la  Maison  de  Savoie. 
al  fratello  a   Milano  e   all'Aldo  Manuzio   a  Roma.  Torino   177.X.   Voi.    r   pag.   64,    dà    l'edizione    del 

(2)  Ricolvi  e  Rivautella  nei  Mormora  Tauri-  Pingone  e  conferma  che  il  marmo  era  presso  di  lui. 
nensia,  Augusta  Taurinorum  MDCCLXVI1,  (Pars  11  .Malacarne  poi  che  scrisse  nel  17S6  ci  dice  che 
altera-Appendix  N.  CXXXII1)  riportano  la  de-  a  suo  tempo  la  Lipide  non  esisteva  più.  Ctr.  Delle 
scrizione  del  Pingone  ed  il  suo  testo,  ma  aggiun-  opere  dei  medici  e  dei  cerusici  ih,-  nacquero  e 
gono  in  calce  una  notizia  interessante:  de  quopiam  fiorirono  prima  del  secolo  XVI  negli  Siati  della 
Acrone  Medico  Agrigentino  tneminit  Plinius  lib.  Real  Casa  d:  Savoia.  Nota  alla  iscrizione  XI 
jy.   tafy.   /.   È  chiaro  però  che  non  può  trattarsi  di  nella   Prefazione. 


—  i68  — 

tera  G  finale  della  seconda  linea.  Per  essa  acquistiamo  la  piena  certezza  che  il  nostro 
Acrone  fu  veramente  un  medico  di  alcuno  degli  imperatori,  e  pertanto  personaggio  illustre 
nell'arte  sua.  D'altra  parte  la  forma  dei  caratteri  che  ora  ci  si  rivela  dal  ritorno  alla  luce 
del  marmo  originale,  ci  assicura  che  il  medico  Acrone  dovette  vivere  nel  primo  secolo 
dell'Impero  ». 

Carlo  Promis  nella  Storia  di  Torino  antica  (i)  a  pagg.  451-452  riproduce  il  testo  del 
Pingone,  riconoscendo  che  solo  questi  vide  l'iscrizione,  ed  è  l'unico,  fra  gli  autori  che  ho 
potuto  consultare,  che  ne  fa  uno  studio  e  ne  tenta  la  restituzione.  Questa  però,  con  tutto 
il  rispetto  dovuto  all'illustre  storico  ed  erudito,  è  acuta  e  condotta  con  retto  metodo,  ma 
non  mi  sembra  in  tutto  accettabile,  principalmente  perchè  egli  non  vide  coi  suoi  occhi  il 
monumento. 

11  Promis  crede  che  il  marmo  fosse  rotto  sopra,  sotto  e  nel  lato  destro,  e  ciò  gli  dà 
occasione  di  aggiungere  due  righe  in  alto  dell'epigrafe  ed  una  sotto.  Avendo  poi  scritto 
tutte  le  righe  con  caratteri  della  stessa  grandezza  e  fissata  una  linea  terminale  verticale 
della  iscrizione,  riempie  con  parole  gli  spazi  vuoti  e  ci  dà  l'iscrizione  completa  COSI  rico- 
stituita. 

d.  m 

c  .    e  1  o  d  i  0    e  .     I  i  b 

A  CRONI    Patri 

MEDICO   AVO  n 

C  LODI  AH    Matri 

LAETAE    SORori 

C   CLODIVS  e.  lib 

AQUILINVs 

f.         e. 

L'iscrizione  è  certo  incompleta  in  fine,  come  ci  dicono  i  rilievi  della  cornice;  ma  non 
è  altrettanto  sicuro  che  lo  sia  in  principio  (il  Prof.  Gabotto  ridurrebbe  a  una  linea  l'ag- 
giunta); ad  ogni  modo  i  caratteri,  come  appare  dalla  fotografia,  non  sono  della  stessa 
grandezza,  sicché  scrivendo  le  parole  proposte  dal  Promis  coi  caratteri  adottati  per  ciascuna 
linea,  queste  non  terminerebbero,  come  egli   suppone,  sulla  stessa  verticale. 

Lo  stesso  Promis,  per  essere  greco  il  cognome  Acro,  fa  di  lui  un  liberto.  Non  am- 
mette VAquilianus  che  pure  è  scolpito  in  tutte  le  lettere  e,  mentre  il  Ferrano,  come 
vedemmo,  ne  fa  un  Adulìanus,  egli  ne  fa  un  Aquzlimis  solo  perchè  questo  nome  è  fre- 
quente, mentre  non  si  è  ancora  trovato  il  primo.  Propone,  pur  esitando,  che  il  patrono 
di  Acrone    sia    stato    C.    Claudio    Marcello    primo  marito  di  Ottavia,  sorella  di  Ottaviano 

(1)  Storia  dell'Antica    Torino,    Mia    Augusta    Taurinorum.  —  Torino  1859. 


—  169  — 

Augusto,  il  che  riporterebbe  il  marmo  alla  migliore  epoca  dell'arte.  Fa  poi  altre  ipotesi  per 
identificare  la  sorella  Leta  e  sulle  origini  dell' Acrone;  non  le  discuto  perchè  non  tanno  al 
caso  nostro. 

Nel  1878  Vincenzo  Promis  pubblicò  il  volume  del  padre  Carlo  sulle:  Iscrizioni  rac- 
colte in  Piemonte  e  specialmente  in  Torino  da   Maccaneo,  Pingone  e   Guickenon  (1). 

In  esso  si  ripetono  l'edizione  e  la  restituzione  della  nostra  lapide,  già  data  nella  Storia 
di  Torino,  e  si  fa  appello  ai  commenti  già  esposti  in  quel  libro.  Solo  si  aggiunge,  che  le 
continue  beneficenze  di  Claudio  verso  i  Segusini  ed  1  Torinesi  rendono  anche  probabile 
che  Acrone  fosse  medico  e  liberto  dell'Impelatole  Claudio. 

Tutte  queste  ipotesi  sono  forse  ardite;  in  ogni  modo  è  certo  che  un  medico  impe- 
riale di  origine  greca  come  la  grande  maggioranza  dei  medici  della  Roma  imperiale,  vis- 
suto assai  probabilmente  nel  primo  secolo,  come  mostra  la  bellezza  delle  lettere  del  nostro 
testo,  venne  a  vivere  in  Piemonte,  dove  certo  fu  trovata  l'iscrizione  già  in  possesso  del 
Pingone. 

Circa  il  rilievo,  il  Promis  ripete  la  attribuzione  del  Pingone  alla  favilla  di  Marsia:  si 
meraviglia  che  sia  stata  scelta  questa  scena  per  la  tomba  di  un  medico,  ma  si  richiama 
ad  altro  esempio  che  è  nel   Vaticano. 

La  favola  di  Perseli  e  Andromeda  non  si  addice  meglio  dell'altra  al  sepolcro  di  un 
medico,  ma  è  noto  che  le  rappresentazioni  figurate  su  sepolcri  hanno  spesso  un  puro  va- 
lore ornamentale,  oppure  simboleggiano  semplicemente  la  morte,  i  pericoli  del  viaggio  di 
oltre  tomba,  etc.  senza  speciale  riguardo  alla  persona  ch'è  sepolta.  Del  resto  non  è  asso- 
lutamente provato  che  l'iscrizione  e  il  rilievo  abbiano  originariamente  appartenuto  allo  stesso 
monumento. 

A  questo  punto  mi  sento  rivolgere  una  domanda  che  si  è  affacciata  pure  a  me, 
quando  constatai  che  le  due  pietre  provenivano  dalla  raccolta  del  Pingone  :  come  mai 
quelle  lapidi  passarono  dal  Pingone  al  Convento  di  Cherasco,  che  poi  si  trasformò  in 
Caserma? 

Il  Convento  dei  Carmelitani  in  Cherasco  non  fu  costruito  in  una  volta,  ma,  come  si 
ricava  da  un  prezioso  manoscritto  dell'Archivio  Adriani,  //  Kampione  del  Calmine,  scritto 
da   P.   Ilarione    di   S.   Orsola  (2),    ebbe    principi  assai  stentati,  e  l'ampio    spazio  che 


(1)   In  questi)    libro,   il   Promis  cita  nella  biblio-  colo  X l'I  in    Piemonte  (1786)    n"  XI.   —  Promis, 

grafia:  Storia  di    't'orino   n*  210. 

Pingone  p.    103  —  Guichenon   p.  64  —   Ligorio  (2)  Kampione  Jet    Carmine  di    Cherasco,  fatto 

ms.  voi.  XIX.  —   Patin  In  ant.  mon.  Marcellinae  nell'anno  MDCCLXXVIetsuccessivamente-.O^txA 

Comm.   in    Poleni  II,    1155.   —  Grutero- Muratori  del  R.  Padre  Ilarione  di  S.  Orsola,  morto  nel  1737, 

p.  883,  3;  1045:  4-   -  Ricolvi  II  p.   i!3.  _  Ma-  14  Agosto,  nel  Convento.  —  Archivio  Adriani  nu- 

lacarno,   Pelle  opere   dei    medili    anteriori  al  se-  meru    121 

Ausonia  -  Anno   IX.  -- 


—  170  — 

occupato  dalla  Caserma,  divenne  proprietà  del  Convento  poco  alla  volta,  subendo  poi  le 
costruzioni  successive  variazioni. 

Il  fabbricato,  su  cui  erano  murate  le  due  lapidi,  faceva  parte  del  grande  chiostro 
iniziato  nel  161 3,  e  si  salvò  dalla  demolizione  del  1806,  dopo  che  il  Convento  fu  abolito 
nel   1802. 

Vi  sono  in  archivio  numerosi  documenti  riguardanti  i  Carmelitani  ed  il  loro  Convento, 
ma  in  essi  ho  cercato  invano  un  accenno  qualsiasi  alle  due  lapidi.  Solo  in  un  libretto  «  Conto 
dato  dal  reo.  prete  fra  Feliciano  La  Manna  Siciliano,  per  la  fabbrica  del  Convento  del  Car- 
mine »  del  1576-78,  si  fa  menzione  della  spesa  di  fiorini  1-4,  colla  seguente  causale: 
«  AHi  14  dì  .  lp>  ih  1  5  78]  dato  a  Ij)igi  casa  nuova  p.  liana  condoto  col  suo  carro  tre  pietre 
dì  marmo  da  S.  Pietro  di  Marnano  alla  fabrìca  ».  Non  può  trattarsi  delle  nostre  lapidi  che, 
come  abbiamo  detto,  erano  allora  a  Torino  in  casa  del  Pingone:  ma  il  tatto  accenna  ai 
materiali  antichi  di  S.  Pietro  di  Manzano  dei  quali  si  faceva  tesoro,  come  qualche  secolo 
innanzi  esso  aveva  fornito  i  materiali  per  la  insigne  facciata  della  chiesa  di  S.  Pietro  in 
Cherascn. 

Il  P.  Voersio,  l'esimio  autore  della  prima  storia  di  Cherasco  (1),  che  nel  1613  aveva 
lasciato  l'ufficio  di  Procuratore  generale  dell'Ordine  e  si  ritrovava  in  patria,  molto  si  inte- 
ressò alla  costruzione  del  Convento  e  contribuì  largamente  alla  spesa. 

Avvicinando  i  nomi  del  Pingone  e  del  Voersio,  il  primo  dei  quali  pubblicò  la  sua 
Augusta  'l'aio  inorimi  nel  1577,  ed  il  secondo  la  sua  //istoria  compendiosa  di  Cherasco 
nel  1618,  sorge  l'idea  che  i  due  eruditi  fossero  fra  di  loro  in  relazione  di  amicizia,  e  che 
il  l'mgone  sapendo  della  fabbrica  del  Convento,  a  cui  tanto  si  interessava  il  Voersio,  gli 
abbia  regalato,  per  adornarlo,  quelle  due  lapidi.  Temerei  di  andare  troppo  oltre  nelle  ipo- 
tesi, supponendo  che  quelle  abbia  scelto  nella  sua  collezione  perchè  tratte  dall'Agro  Che- 
raschese  :  questo  il   Pingone  non  l'ha  detto,  e  il  crederlo  sarebbe  presunzione. 

Per  un  Convento  parvero  forse  più  convenienti,  ancorché  di  fattura  meno  pregevole, 
i  due  busti,  che  potevano  benissimo  passare  per  due  santi,  anziché  il  rilievo  col  mito 
pagano  e  l'iscrizione  funeraria  di  un  medico.  Così  queste  due  ultime  rappresentazioni 
furono  murate  e  nascoste. 

Prima  di  chiudere  questo  modesto  studio,  mi  corre  l'obbligo,  che  assolvo  con  ricono- 
scenza e  piacere,  di  segnalare  come  mio  collaboratore  il  Professore  Cav.  Antonio  Carlini 
di  Treviso,  scultore  insegnante  di  arte  ed  architettura  e  addetto  in  patria  a  quel  Civico 
museo.  Trovandosi  egli  a  villeggiare  in  Cherasco,  per  causa  della  guerra,  mi  fu  largo 
della  sua  scienza  pratica,  e  le  conclusioni,  alle  quali  sono  arrivato,  furono  sempre  da  lui  con- 
divise, quando  non  partirono  da  lui  e  furono  frutto  della  sua  esperienza.  Egli  anzi  aveva  avuto 


(1)  Historia  compendiosa  di  Cherasco  posto  in      di  Savoia  etc.  in  MonJovì  per  Giovanni  GislanJi 
Piemonte   sotto  il  felice  dominio  della  Sri.  tosa        MDCXVIII. 


-  I7I  — 

la  bontà  di  disegnare  anche  una  restituzione  del   bassorilievo.   Al  Cav.   Carlini  dunque  mi 
è  grato  rendere  qui   pubbliche,  vivissime  grazie. 

Mi  auguro,  e  ne  ho  già  speranza,  che  Cherasco  mi  offra  ancora  fra  le  sue  mura 
ospitali  qualche  altro  degno  monumento,  come  quello  che  ora  ho  fatto  conosceri  al 
pubblico. 


Cherasco,  Agosto  iqi6. 


ALFONSO    PETITTI    DI    RORETO   T.  GEN. 

riRRISP.    PKLLA    SOCIETÀ    DI    ARCH.     t    UNII     ARTI    M 


Ringraziamo  l'illustre  e  benemerito  Generale  che,  deposta  la  spada,  si  dedica  nella  terra  natia 
allo  studio  del  passato,  per  averci  comunicato  la  sua  scoperta  doppiamente  pregevole.  Ci  sembra  me- 
riti di  essere  segnalata  in  particolar  modo  l'importanza  delle  due  ligure  di  santi  rilevati  sul  rovescio 
del  monumento  pagano,  data  la  loro  provenienza  dal  Piemonte  e  presumibilmente  da  Torino.  Monu- 
menti di  età  bizantina  sono  in  Piemonte  molto  rari,  e  Torino  stessa  non  presenta  indizii  di  aver  in 
quel  tempo  posseduto  una  notevole  fioritura  artistica.  11  fatto  è  singolare,  ma  anche  più  strano  appare 
ad  esempio,  che  Bologna,  ricca  e  prosperosa  città  romana,  a  pochi  chilometri  da  Ravenna,  così  super- 
bamente ricca  di  monumenti  bizantini,  non  abbia  nulla  di  quell'età,  Si  può  però  ricordare,  che  Torino 
deve  aver  avuto  stanziamenti  notevoli  di  torme  di  barbari  invasori  d'Italia  come  provano  i  ricchi  tro- 
vamenti  di  tombe  di  quelle  genti  a  Testona  presso  Moncalieri  (Calandra,  in  Atti  della  Soc.  d'Ardi. 
e  Belle  Arti  di  Torino,  1883  -  ìv,  p.  23)  e  a  Torino  stessa  (Rizzo,  in  Notizie  Scavi.  1910,  p.  193). 
E  si  può  anche  ricordare,  come  la  vicina  Liguria  abbia  cospicui  monumenti  bizantini,  quale,  per  non 
citare  altri,  il  Battistero  di  Albenga. 

(Nota  della  Redazione). 


AFRODITE  ARMATA 


Nei  recentissimi  scavi  di  Ostia,  vennero  raccolti,  tra  molti  pregevoli  bronzi,  numerosi 
frammenti  di  una  statuirla  in  marmo  di  Afrodite  armatali).  Poiché  tale  figurazione  non  è 
troppo  comune,  né  sono  state  fino  ad  oggi  chiarite,  l'origine,  la  motivazione  e  l'esemplifica- 
zione del  tipo,  vale  la  pena  di  ristudiarlo  prendendo  l'occasione  della  scoperta  fatta  in  Ostia. 

La  concezione  e  la  figurazione  di  Afrodite,  nel  patrimonio  letterario  e  artistico  greco- 
romano, possono  dirsi  basate  sopra  il  duplice  carattere  della  bellezza  e  della  femminilità. 
Carattere  costante,  che  può  cogliersi  fino  nelle  incerte  nebulosità  della  mitologia  pregreca 
e  più  chiaramente,  nelle  identificazioni  di  Afrodite  con  Kassiope  (2),  Leukothea  (3),  e  nei 
nomi  di   Urania  (4),  Pandemos  (5)  e  via  dicendo. 

Questa  divinità  orientale  (6),  ancora  secondaria  e  con  caratteri  non  ancora  precisi  nel- 
l'epopea 17),  acquista,  con  Esiodo,  una  più  chiara  e  forte  personalità  mediante  l'unione  di 
Himeros  e  Pothos  (8). 

1;  non  soltanto  nella  tradizione  letteraria,  ma  anche  nel  patrimonio  artistico  si  osserva 
per  Afrodite  una  continuità  ideale  di  concezione  che  s'inizia  con  le  figurazioni  di  Afrodite 
nuda,  anche  negli  idoli  più  arcaici  (9),  e  che  Prassitele  non  chiude,  ma  sancisce  mirabil- 
mente, con  una  figura  di  donna-dea  che  é  sopra  tutto  e  forse  soltanto,  la  divinità  del  sesso 
femminile. 

Onde  ci  meraviglia  che  la  continuità  ideale  della  figura  di  Afrodite  appaia  interrotta 
da  qualche  esemplare  di  Afrodite  armata  pervenuto  fino  a  noi  e  dalle  testimonianze  che 
Pausania  ed  altri  ce  ne  danno,  come  di  un  tipo  assai  antico. 

Le  spiegazioni  date  a  questo  fatto  sono  in  gran  parte  oscure,  e  nessuna,  in  verità, 
troppo  persuasiva  (io). 

(n  Cf.  Notizie  degli  Scavi,    11)15,  pag.  257.  mid  d.   Ursprung  des  AphrodiUcultus,    in   .!/<»;. 

(2)  Sofocle,  Androni.,  157  :  Cvidio,  Metam.,  4,  de  l'Acad,  de  Si.  Pétersbourg,  1886. 

670;  Apollod.,  2,  43.  (7)  Omero.  Y,  421;  T.  399  sgg. 

13)  Orphica  (Abel   1885)  hymni  73.  (8)  Cf.  Gruppe,  Qriech.    Mytk.,    in    Handbuch 

(4)  Eurip.  frg.  781,    is  sgg.;  Orphic .  hymni  55,  d.  A"/.  Allertumwiss,  II,   1365. 

1  ;  Nonni,  Dionysiaca  40,  255.  (9)  Sull'Afrodite  arcaica  nuda,   cf.  Furtwangler, 

(5)  Teocrito  ep.   i  s,  1;  Anth.  Pai.  XII,  1,  612:       Meisterwerke,  p.  633. 

cf.  Foucart,  B.  C.  H.  1889,  p.  156  sgg.  (io)  Nessuno  se  n*  è  occupato  di  proposito,  ma 

(6)  Il  cultodi  Afrodite  a  Citerà  è  fenicio  (Herod.,      soltanto  di  sfuggita. 

1,   105;   Pausania,   I,    14,   7)    cf.    Ermann,    Kypros  Questo  carattere  parentetico  e  I' indole  degli  ar- 


—  173  — 

II  pensiero  tende,  naturalmente,  a  spiegare  Afrodite  armata  per  via  di  Ares,  ricono- 
sciuto, più  universalmente  di  Hephaistos,  quale  compagno  di  Afrodite  (i).  Ma  bisogna  am- 
mettere che  i  rapporti  di  Ares  con  Afrodite,  per  quanto  sappiamo,  non  ebbero  che 
carattere  amoroso  e  non  credo  col  Welcker  (2),  che  proprio  essi  soli  abbiano  dato  l'idea  di 
armare  Afrodite.  Tanto  più  che  l'associazione  plastica  di  Ares  ed  Afrodite  pare  che  sia 
piuttosto  tarda  13),  e  in  ogni  modo  fu  motivo  preferito  più  dai  Romani  che  dai  Greci  e 
costantemente  amoroso  (4).  Si  può  anzi  dire  che  Ares  non  abbia  alcuna  importanza  né 
nell 'accrescere  di  nuovi  caratteri  la  personalità  di  Afrodite,  né  nel  determinare  nuovi  mo- 
tivi della  sua  figurazione  artistica. 

Una  ricerca  più  fruttuosa  si  ha,  invece,  col  risalire  alle  prime  origini  del  tipo  di  Afrodite. 

Poiché,  sotto  il  diretto  influsso  della  concezione  orientale,  Afrodite  non  solo  ha  carat- 
teri di  somiglianza  con  la  bellicosa  dea  dei  Filistei  (5),  ma  è  sopra  tutto  ancora  una  con- 
cezione cosmogonica,  la  connessione  con  le  forze  della  natura  deve  aver  suggerito  le  armi 
anche  per  Afrodite,  non  meno  che  per  Apollo  e  per  Artemide,  muniti  di  frecce  e  di  lancie. 
Come  armi  siffatte  possono  mettersi  in  relazione  con  i  raggi  del  sole  e  della  luna  (6),  e 
come  la  credenza  che  gli  idoli  venissero  giù  durante  i  temporali,  può  spiegare  qualsiasi  ar- 
mamento (7),  così  non  c'è  difficoltà  ad  ammettere  una  arcaica  Afrodite  armata  in  tempi 
in  cui  —  secondo  anche  l'opinione  di  Plutarco  (Inst.  Lacon.,  28)  —  è  uso  comune  dare 
armi  a  tutte  le  divinità. 

E,  del  resto,  senza  ricorrere  a  tali  spiegazioni,  è  ben  naturale  supporre  che  le  imagini 
delle  divinità  siano  state  tutte,  in  principio,  munite  di  armi.  L'armamento  è  infatti  la  forma 
più  rispondente  al  concetto  stesso  di  divinità,  nei  primitivi. 

Si  connetta  pure,  come  fa  Lattanzio  (Inst.  dìv.,  I,  20,  29),  l'Afrodite  armata  di  Sparta 
col  racconto  delle  donne  spartane  che  vinsero  i  Messeni  —  imitazione  e  trasformazione 
questa,  del  resto,  della  leggenda  di  Telesilla  —  e  col  fatto  che  i  Corinti  attribuirono  ad 
Afrodite  la  loro  vittoria  sui  Persiani  (Simon,  ep.    137  B.i. 

Ma  questi  fatti  non  possono  tuttavia  spiegare  da  soli  l'origine  del  tipo;  servono  in- 
vece bene  a  completarla,  localizzandone  la  motivazione  proprio  là  dove  Pausania  la  men- 
ziona. (Sono  insomma  due  fatti  analoghi  a  quello  riferito  per  Artemide,  alla  quale,  dopo  la 

ticoli  in  cui  se  ne  tratta,  hanno  nociuto  alla  chia-  sta  già,  del  resto,  nel  sistema  dei  dodici  dei  :  Pauly- 

rezza  del  fatto.  Dal  Bernoulli,  Aphrodite,  p.  348,  Wissowa,   A'.   E.,  s.  v.  Ares,   p.   2751. 

che  enumera  soltanto  gli  esemplari  statuarii  da  lui,  (2)   Gòtterlehre,   1.  660:   2,   708. 

allora  conosciuti,  al  Furtwangler  in  Roscher,  Lex.  (3)  Bernoulli,  op.  cit,  p.  144:  Roscher,  Aphro- 

J.  Myth.  i.  v.  Aphrodite,  al  Dummler    in    Pauly-  dite,   p.  419. 

Wissowa,  Real- Encycl.  s.  v.,   nessuno    giunge    a  (4)  Cf.    anche    nelle    pitture    campane,     Helhig. 

determinazioni  precise.  Il  Gruppe,  op.  cit.,  p.  1352,  n.   313  sgg. 

nota  4,  riassume  soltanto  le  menzioni  del  tipo  negli  (5)  Cf.  Gruppe.  op.  cit.,  p.   1345. 

antichi  scrittori.  (6)  Roscher,  loc.  cit.,  p.  404. 

(1)  Cf.  Esiodo,  th.  933  sg.    L'unione    con  Ares  (7)  Pauly-Wissowa,   A*.   E.  Aphrod.,  p.  2778. 


—  174  — 

battaglia  di  Maratona,  fu  dedicato  in  Atene  un  santuario  in  cui  fu  onorata  come  vincitrice» 
(Pausania,  i,  14,  5).  Si  direbbero  storie  esegetiche  inventate  in  tempi  recenti,  quando  non 
si  intendeva  il  tipo  per  se  stesso. 

Essendo  dunque  l'Afrodite  armata  non  altro  che  una  concezione  comune  di  divinità, 
da  riportarsi  ai  primordi  dell'arte,  e  potendo  altresì  connettersi  con  azioni  belliche  attribuite 
alla  dea,  il  tipo  plastico  di  essa  dovrà  essere  caratterizzato  da  un  atteggiamento  consono 
alle  forme  artistiche  arcaiche,  e  il  suo  armamento  non  dovrà  differenziarsi  troppo  da  quello 
di  altre  divinità  armate  ed  essere  in  un  qualsiasi  rapporto  con  quei  fatti  storici  che  esso 
vuole  rappresentare. 

Questo  possiamo  accertare  per  mezzo  di   Pausania  e  di  alcuni  epigrammi  greci. 

Pausania,  pur  non  descrivendoli,  menziona  tipi  di  Afrodite  che  debbono  intendersi 
armati  in  maniera  comune  :  £o'xvov  oirAtT^-ivov  a  Citerà  (Paus.  3,  23,  11;  'Aop.  uìnXiap ;'w, 
di  Sparta  (3,  15,  8);  'App.  oJ^Aicry.évr,  di  Acrocorinto  (2,  4,  f).  L'apposizione  dello  stesso 
epiteto  <.;-}. in ;a£vt),  che  non  precisa  l'armamento  ma  lo  dichiara  assai  nettamente,  non  sug- 
gerendo e  non  consentendo  varietà  di  motivi  (al  contrario  di  altri  epiteti  di  Afrodite  che 
Pausania  stesso  ed  altri  ci  ricordano,  quali,  "Apeta,  Ni*r,?o'po;,  Acpp.  =v  i<rrc(8i,  'A-pa. 
i'y^sioc)  indica  una  figura  di  foggia  comune  e  completamente  armata. 

La  stessa  cosa  ci  dicono  gli  epigrammi  greci. 

Tralasciando  quello  di  Antimaco  (Anta,  palai.,  IX,  321)  e  l'epigramma  XVI,  177,  nei 
quali  si  parla  di  armatura  pesante,  basti  citare  l'epigramma  XVI,   176  (ed.  Didot): 

Kxi,   K'j'r:pi;   l-xpzx.c,  .  O'J/.    zttìtiv   ola   t  iv    zXXoi? 

'JopUTOCl,     \l.x\x%XZ,    £'77X[J.£VX    nt'AiÒX^. 

xXkx   y.xzà.   /CpxTo'c.   v.£V    £y£t   /to'p'jv    zvtì    /.y.A'jTTTpac;, 

KV.TÌ    OS     Vp'J7£(lDV     Ì)tp£lxdvioV     /.X'I.XAX. 

Si  tratta  qui  assai  verosimilmente  dello  stesso  idolo  arcaico  spartano  menzionato  da 
Pausania;  ma,  in  ogni  modo,  tutti  ricordano  una  figura  di  Afrodite  che  —  specie  agli  epi- 
grammatici di  tempo  recente  —  si  mostra  con  aspetto  ben  chiaro  di  divinità  completa- 
mente armata  ;  che  pertanto  non  può  essere,  ad  esempio,  munita  di  solo  balteo  con  la 
spada.  Anche  dov'è  un  accenno  ad  Ares,  si  tratta  sempre  di  armi  che  costituiscono  un 
grave  e   pesante   lardello  per  la  dea  1 1  ).   L'epigramma  XVI,    171,   dice  infatti: 

"\p£0;     £VT£a     TZÙT3C     TIVO?     f  àplV     lo     Ku'J£p£l7. 

svoéouirai,  *:v£Òv   toùto  ospouffa    jxpoc,; 
(1)  Tale  concetto  sembra  avere,  almeno  peri' Afrodite  èvót&ios  (C.  1.  Gr.  1444)  anche  Hit/ig-Rliimner 

in    l'ausanta,    I,    p.    794. 


—  i?5  — 

Le  testimonianze  citate  forniscono  quindi  tre  elementi  di  giudizio  per  l'individuazione 
dell'Afrodite  armata: 

i"  li  concetto  di  Afrodite  armata  va  connesso  con  fenomeni  cosmogonici  e  con  qual- 
che azione  bellica  attribuita  alla  dea; 

2°  Costante  apposizione  in  Pausania  dello  stesso  epiteto  ù -"/.'. <7 y.ì'vr,   per   l'Afrodite 
di  Citerà,   di   Sparta  e  di  Corinto,  epiteto  che  indica  un   completo    armamenti!  ; 

3"  Gli  epigrammi  dell'antologia  sono  concordi   nel   rappresentarci  una  Afrodite  com- 
pletamente e  pesantemente   armata. 

Non  potendo  riferire  a  tali  fatti  i  tipi  recenti  di  Afrodite  con  armi  (Afrodite  di  Capua, 
Afrodite  con  balteoi  che  vanno  considerati,  come  dirò  in  appresso,  sotto  un  altro  punto  di 
vista,  un  tipo  che  risponda  ai  tre  elementi  di  giudizio  su  menzionati,  non  pare  che  sia 
giunto  tino  a  noi;  in  ogni  modo  non  lo  vediamo  con  sufficiente  chiarezza  (1). 

Riproducendo  esso  un  tipo  comune  di  divinità  armata,  è  chiaro  che  la  ricerca  possa 
farsi  con  qualche  frutto,  tra  i  tipi  di  Athena.  Il  Bernoulli  (2),  infatti,  prospetta  le  possi- 
bilità che  una  supposta  Minerva  etrusca  con  berretto  frigio  e  seno  nudo,  che  appoggia  la 
destra  sullo  scudo  —  a  cui,  forse,  dovrà  corrispondere  sulla  sinistra  una  lancia  (Clarac, 
tav.  462  D.i,  possa  essere  una  Afrodite  armata.  Tale  supposizione  viene  certo  rafforzata 
da  quanto  ho  esposto. 

Tra  le  figure,  poi,  di  Afrodite  con  armi,  la  sola  che,  in  qualche  modo,  possa  rispon- 
dere agli  elementi  sopra  accennati,  mi  sembra  essere  il  tipo  assai  noto  nel  mondo  romano 
col  nome  di  Venus  victrix,  che  ci  presenta  la  dea  con  un  elmo  nella  destra,  una  lancia 
nella  sinistra,  uno  scudo  ai  piedi.  Tale  tipo  però  ci  è  conservato  soltanto  sopra  gemme  e 
monete  (3);  e,  quale  si  presenta  a  noi  oggi,  è  certamente  informato  ad  un  motivo  artistico 
recente. 

Di  più;  in  un  santuario  di  Afrodite  ad  Argo,  Pausania  ili,  20,  8)  vide  una  stele  nella 
quale  era  rappresentata  Telesilla  con  un  elmo  nella  mano.  Poiché  il  fatto  delle  donne  vin- 
citrici dei  Messeni  —  che  si  può  mettere  in  relazione  col  culto  dell'Afrodite  annata  di 
Sparta  —  appare  come  una  imitazione  e  trasformazione  della  leggenda  di  Telesilla  (4), 
l'imagine  di   Telesilla  può  bene  aver  ricordata  quella  di   Afrodite  armata. 


(1)  Il  Furtwangler  in  R  ischer,    Lexikon,     408.  (3)   Per  le  gemme,  vedine  la  figurazione  in  Furt- 
vuol  riconoscere  l'idolo  spartano  di  Afrodite  sopra  wangler,  37,  30.  /./.  77,  78.  fé,  42.50,  52.  $6. 
una  moneta,    ov'  è    una    figura    da    altri    ritenuta  Per  la  moneta  di    Faustina.    Clarac.    tav.    596, 
Athena    0    Apollo,    con    elmo,     lancia    e    arco    -  1297  ;   Cohen   III,   p.  40.   n.  91. 

Xitmism.  ckron.,  tav.  5,  ;  —  :  vi  si  oppone  il  Per  le  altre  figurazioni,  Reinach,  Rep.  d.  Reliefs, 
Diimmler  in  Pauly-Wissowa,  2778.  In  ogni  modo,  II,  p.  12.  Il  Bernoulli.  op.  cit..  p.  185  sgg.  tenta  Ji 
ciò  prova  la  poca  individuazione  del  tipo  arcaico  ricondurre  a  questo  tipo  tre  esemplari,  troppo  mu- 
di Afrodite  armata  e  la  conseguente  difficoltà  di  tili  peri',  perche  si  possa  dar  loro  valore  di  docu- 
rintracciarlo  noi  oggi.  menti:   né  altri,  per  quanto  io  so.   possono  addursi. 

(2)  op.  cit.,  p.   56,  n.  21.  (4)  Ct.  Gruppe,  op.  cit..    1M52.   nota  4. 


—  176  — 

Anzi  O.  Mùller,  Wernicke  e  Frazer  pensarono  che  lì  fosse  non  Telesilla  ma  Afrodite 
(v.   Hitzig,  Pausanias,  1,  p.   582). 

Se  quindi  dobbiamo  dare  ad  Afrodite  un  elmo  nella  mano  e  nell'altra  una  lancia,  come 
ci  suggerisce  l'epiteto  di  Esichio  'A<pp.  ì-yyeto;,  avremo  innanzi  un  tipo  che  non  soltanto 
si  può  avvicinare  a  quello  della  Venus  victrìx,  ma  una  Afrodite  completamente  armata,  tale 
da  poter  soddisfare  le  ragioni  con  cui  va  connesso  e  tale  da  poter  giustificare  tanto  l'epi- 
teto di  w7rXi(T(«.2V7)  di   Pausania  quanto  il  contenuto  degli  epigrammi  (1). 

È  possibile  quindi,  a  me  pare,  con  gli  elementi  da  me  addotti  ricostruire  appros- 
simativamente il  tipo  di  Afrodite  armata;  ma  esso  non  è  giunto  fino  a  noi,  0  ci  è  per- 
venuto attraverso  troppo  alterati  e  recenti  esemplari  che  ne  rendono  diffìcile  l'identificazione. 
E  ciò  non  meraviglia. 

Essendosi,  infatti,  assai  presto  e  con  molta  precisione,  fissata  nell'arte,  la  personalità 
di  Afrodite,  assumente  caratteri  di  pura  femminilità,  il  tipo  primitivo  dell'Afrodite  armata 
(sia  che  la  si  spieghi  con  la  sola  derivazione  orientale,  sia  che  vi  si  connettano  i  fatti  storici 
su  accennati),  poiché  non  mira  a  soddisfare  un  ideale  artistico  ed  è  anzi  in  aperto  con- 
trasto con  i  concetti  che  informano  la  concezione  artistica  comune  di  Afrodite,  cessa  di 
esistere.  Ciò  viene  chiaramente  provato  anche  dall'esame  delle  figure  di  Afrodite  con  armi 
giunte  fino  a  noi. 

Esse  possono  ricondursi  a  due  tipi  :  Afrodite  col  balteo  e  Afrodite  con  lo  scudo  =r  Ve- 
nere di  Capua.  Ed  entrambi  vanno  considerati  al  di  fuori  del  tipo  arcaico,  non  tanto  per 
il  recente  motivo  artistico  a  cui  sono  informate,  quanto,  sopra  tutto,  per  un  diverso  con- 
cetto che  li  inspira. 

L'Afrodite  munita  di  balteo  ci  si  presenta  in  varii  esemplari  che  possono  distinguersi 
in  due  gruppi,  secondo  il  grado  maggiore  0  minore  di  forza  e  di  grazia  espresse  nelle  sin- 
gole figure  (2). 

Vanno  ascritti  al  primo  gruppo: 

11  Afrodite  del   Louvre  (Clarac   1399;   Reinach,  I,  p.    174); 

2)  A.  di    Patrasso   (Bulle    in   Arndt-Amelung,   Einzelaufnahmen,   nn.    1 307-1 308); 

31   A.  di   Agnano  (Macchioro,   Moti,  dei  Lincei,   XXI,   p.   2701; 

4)  A.  di  Ostia. 

Al  secondo  gruppo  attribuirei  : 

1)  Afrodite    in   una    moneta  di   Corinto    (Imhoof-Blumner,    Numisma/ic    Comentaiy 
011   Pausanias,   D,   LXXI; 

(1)  Può  avere  un  certo    peso    il  fatto   che   prò-  sio  (43.  43)  Cesare  portava  nel  suo  sigillo  anulare, 

prio  questa,   e   non    altra,   sia   stata    assunta    dai  (2)  Il  Macchioro  —  Moti,  dei  Lincei,  XXI,  p.  270 

Romani  quale   Venu\  victo-i*  e  per  tale  riprodotta;  —  ha  avvertite  alcune  differenze  tra  1  vari  esemplari, 

tantn  più  che  essa  può  identificarsi  con  quel  jÀi^u*  pur  avendone  preso  in  esame  soltanto  Jue.    Korse 

*ùtìj«  SvonXov   'Af>po3bi)(   che,  secondo  Dione  Cas-  egli  le  ritiene  più  sostanziali  che  non  siano  in  realtà. 


—  177  — 

2)  A.  degli   Uffizii  (Amelung,  Fiihrer,  p.  52;  BULLE,  Der  sch'óne  Mensa),  tav.  154, 
pag.  391  ; 

3)  A.  di  Berlino  (Beschr.  d.  Sculp.,  n.   33;  Reinach,  II,   3751; 

4)  A.  del  Museo  delle  Terme  (Paribeni,   Guida,  2"  ed.,  pag.   53,  n.    192)  (1). 
Descrivo  anzitutto  l'Afrodite  del   primo  gruppo.  Essa  differisce  pochissimo  dal  tipo  della 

Venus  Genetrix  denudata,  la  quale  regge  sulla  spalla  sin.  anziché  il  mantello,  un  balteo 
che  le  passa  a  tracolla  e  tiene  con  la  mano  sin.  protesa,  anziché  un  pomo,  la  spada.  Può 
dirsi  quindi  una  derivazione  modificata  di  quella.  E  il  balteo  pur  costituendo  la  sola  diffe- 
renza tra  i  due  tipi  —  giacché  la  nudità  non  risponde  che  ad  un  più  recente  e  ormai  im- 
mutabile canone  della  concezione  artistica  della  dea  —  attraversa  il  petto  con  una  linea 
simile  a  quella  che  forma  il  chitone  nella  Venus  Genetrix,  che  lascia  nuda  la  parte  sinistra 
del  seno. 

L'Afrodite  col  balteo  —  del  primo  gruppo  —  insiste  per  lo  più  sulla  gamba  sinistra 
—  ne  rilevo  le  caratteristiche  basandomi  sopra  tutto  sull'esemplare  del  Louvre,  meglio 
conservato  (2)  —  e  flette  leggermente  la  destra  sollevando  di  poco  (Louvre)  0  senza  sol- 
levare affatto  (A.  di  Agnano  e  di  Ostia  cfr.  fig.  1)  la  pianta  del  piede  dal  suolo.  La  fi- 
gura oltre  che  per  questa  forte  e  salda  posizione  del  corpo  si  fa  notare  anche  per  una 
certa  robustezza  di  corporatura,  con  ampio  torace,  con  le  mammelle  piccole  e  basse,  col 
pube  assai  pronunciato  e  la  fattura  piuttosto  dura  delle  forme  anatomiche  in  genere. 

Un'armilla  si  ritrova  sul  braccio  sin.  della  dea  in  tutte  le  figure. 

L' identità  di  tipo,  tra  queste,  è  evidente.  Vi  sono,  tuttavia,  delle  variazioni  e  delle 
contaminazioni. 

Il  balteo,  lavorato  a  tutto  tondo  in  marmo  nell'Afrodite  di  Agnano  e  del  Louvre  deve 
invece  supporsi  in  metallo  nell'esemplare  di  Patrasso  (fig.  2  e  3)  che,  per  quanto  mùtilo, 
va  reintegiato  con  gli  stessi  elementi  che  ci  forniscono  le  figure  meglio  conservate  (3). 

Nell'ostiense  poi,  per  un  accidente  di  lavorazione  e  fors'anco  per  una  strana  incom- 
pletezza del  copista,  il  balteo  attraversa  il  dosso  e  non  il  petto,  arrestandosi  sulla  spalla 
destra.  Di  più:  l'avambraccio  sinistro  anziché  proteso  in  avanti,  è  portato  sul  petto  come 
nel  secondo  gruppo  di  figure.  C  è  dunque  nell'esemplare  ostiense,  una  fusione  e  una  con- 
taminazione di  motivi  proprii  di  archètipi  differenti. 


(1)  Oltre   gli   esemplari    citati  debbono  conside-  dell'Afrodite  col  balteo.  Di  più:  un  tipo  simile  ci 

rarsi  figure  di  Afrodite  col  balteo,  sebbene   mùtile  è  conservato  in  una  gemma.  Amelung,  Fiihrer.,  1, 

0  male  restaurate,  una  statuetta  del    Vaticano  —  n.   29. 

Reinach,  p.  329,  n.  1362-rt  —  con  braccia  ed  Eros  (2)  Clarac,  voi.  IV.  p.  116.  n.  1399. 

aggiunti  e  la  Venere  nell'ara  di   Ostia  —  Notizie  13I  Questa  reintegrazione  è  stala    già  fatta,   del 

Scavi,   1881,  p.  1 12-13  :  Mélanges  de  Rome,  1906,  resto,  da  Bulle   in  Arndt- Amelung,  Einzelaufnah- 

p.  483,  tav.  12  —  in  cui  per  la  prima  volta   Ve-  men,  nn.   1307- 1308. 
nere  unita  a  Marte  si  presenta    nell'atteggiamento 


—  178  — 

Nei  implari  sono  poi  posti  accanto  alla  dea,  un  elmo,  uno  scudo  e  una  co- 

razza (1)  con  le  quali  armi  sembra  si  sia  voluto  accentuare  l'armamento  della  dea,  che  la 
presenza    del    solo    balteo    non    ba  1         lizzare   pienamente.    Ma,    in    verità,    tali 

armi  poste  a   fianco  della   figura,  senza    nessuna    intima   connessione   con    questa,    servono 


assai  più  di  sostegno  ad  essa  che  di  complemento  a  meglio  individuarla  1  2).  Mentre  le  armi 

Afrodite    arcaica    tendono   a   dare,    bene  0  male,  una  personalità  speciale  alla  dea,    le 

armi   aliante  a  questa   figura,   riescono  non   co.'i   a   individuare    Afrodite    come  divinità  ar- 


ti) Anche    nell'esemplare    di    Patrasso    bisogna  (2)  Sui  sostegni  delle  statue  antiche  cfr.   MAVI- 

supporre  sotto  l'elmo  uno  scudo.  GLIA,   in   R6m.  Mitth.,   1913,  p.   1. 


-  179  — 

mata,  ma,  anzi,  a  conservare  integra,  nonostante  queste,  la  personalità  della  dea  quale  di- 
vinità del  sesso  e  della  bellezza. 

11  secondo  gruppo  di  figure  dell'Afrodite  col  balteo    nei    quattro   esemplari  citati,  pur 
conservando  sostanzialmente  lo  stesso  motivo  e  lo  stesso  atteggiamento  del  primo  tipo,  se 


ne  distacca  per  il  carattere  più  nettamente  prassitelico  a  cui  è  informata  e  per  la  completa 
assenza  di  armi   al  sud  fianco. 

Basandoci  sulla  statua  di  Firenze  che  è  il  migliore  esemplare  di  questo  gruppo  (fig.  4), 
siamo  condotti  infatti  a  ricordare  il  Sauroctonos  nella  forma  del  viso  e  nel  trattamento  dei 
capelli,  e  l'A.  Knidia,  di  aspetto   perù  più  giovanile,  quanto  al  riaccostamento  della  coscia  e 


—  180  — 

del  ginocchio  destro   sulla  gamba  sinistra,  e  nella  inclinazione  della   gamba  destra  appena 
poggiata  con  le  prime  tre  dita  al  suolo  (i). 

Questa  femminilità  che  si  esprime  anche  nella  mollezza  e  nella  rotondità  delle  forme, 
accentua  non  soltanto  le  differenze  del  tipo  coll'Afrodite  del    primo  gruppo,    ma   allontana 


l'Afrodite  di  Firenze,  ancora  più  di  quel  che  avvenga  per  l'Afrodite  del    Louvre,  dalla  ri- 
produzione dell'antica  Afrodite  guerriera. 

Assai  alterato  —  e  tanto  più  s'avverte  l'alterazione  in  quanto  è  portata  sul  tipo  meno 
atto  a  sostenerla  —  è  l'esemplare  del   Museo  delle  Terme  (fìg.  5),  in  cui  si  è  voluto  accen- 


(1)  Il  Bulle  (op.  cit.,  p.   391)  crede  l'Afrodite  di 
unir  di  Prassitele  precedente 


la  Cnidia,  attraverso  la  quale  possa  essersi  prepa- 
bellezza  trionfante  di  quest'ultima. 


tuare  l'armamento  della  dea.  La  cintura  della  spada  anziché  essere  messa  a  tracolla,  pendi 
dall'avambraccio  sinistro  su  cui  è  gittata.  Con  questa  variazione  tutto  l'atteggiamento  della 
figura  cambia:  il  braccio  destro  anziché  condotto  sulla  spalla  a  sostenere  il  balteo  imbrac- 
ciava uno  scudo  (se  ne  vede  l'attaccatura).  Per  quanto  forte  sia  questa  alterazione  di  mo- 
tivo, essa  deve  essere  ascritta  ad   una    variazione  di  copia,   più  che    a    riproduzione    di    un 


altro  orig.nale.  L'attestano  e  la  rispondenza  degli  altri  esemplari  statuarii  con  la  moneta  di 
Corinto  (fig.  6)  —  la  quale,  riproducendo  una  imagine  locale  e  di  culto  ha  una  indiscutibile 
autorità  —  e  la  bruttezza  di  questo  motivo  che,  se  rende  l'Afrodite  più  chiaramente  armata, 
travisa  però  il  carattere  particolare  dell'Afrodite  col  balteo.  Queste  figure  mostrano,  che 
non  era  più  possibile  nell'età  dell'arte  libera  la  creazione  di  Afrodite  quale  divinità  armata, 
ma  che  essa  poteva  essere  intesa  e  sopportata  come  tale,  soltanto  a  condizione  che  le  armi 


—    182    — 

non  le  vietassero  di  mantenere  quella  personalità  ormai  immutabile  che  il  corso  delle  let- 
■  delle  arti  le  avevano  data.  Il  balteo  né  rivela  un  concetto,  né  determina  una  crea- 
zione; è  soltanto  un  nuovo  attributo  che  non  basta  a  contenere  e  a  manifestare  l'idea  di 
una  Afrodite  armata,  come  non  basta  a  suggerire  un  tipo  (i).  Se  si  toglie  il  balteo  a 
questa  Afrodite,  nulla  le  si  toglie  plasticamente  e  nulla  essa  perde  ideologicamente;  se 
invece  del  balteo  si  metta  il   Kestos,  il  suo  atteggiamento  potrà  restare  tal  quale  (2). 

Anche  a  Corinto  tradizioni  locali  ed  esigenze  di  culto  non  avevano  potuto  arrestare 
la  continuità  ideale  ed  artistica  della  dea,  né  col  mantenere  il  tipo  arcaico  né  col  sugge- 
rire un  tipo  nuovo  di  Afrodite,  divinità  armata.  Questa  Afrodite  col  balteo  nei  due  tipi 
in  cui  essa  ci  si  presenta  non  può  quindi  chiamarsi  iàwXi<j|Asv/),  ed  è  superfluo  dire  che 
né  Pausania  vide  questa  né  che  gli  epigrammi  greci  questa  menzionano  (3). 

Le  osservazioni  fatte  possono  ripetersi  pei  l'altro  tipo  recente  di  Afrodite  con  armi, 
di  cui  il  migliore  esemplare  è  l'Afrodite  di  Capua.  Che  questa  possa  considerarsi  una 
creazione  originale  d'arte  del  l\  secolo  e  che  debba  essere  reintegrata  con  un  grande 
scudo  tra  le  mani,  come  ci  appare  in  alcuni  esemplari,  è  stato  già  dimostrato,  con  ottimi 
argomenti,  dal  Furtwanglei  (4).  Ma  ciò  che  a  me  importa  precisare  è  che  questo  grande 
scudo  non  è  inteso  come  un  arnese  di  guerra,  ma  come  uno  strumento  di  bellezza.  Non 
è  un'arma  con  cui  la  dea  acquista  una  individualità  nuova,  ma  piuttosto  uno  specchio  col 
quale  può  conservare  la  sua  personalità  comune.  Come  il  balteo  non  determina  un  tipo  e 
non  suggerisce  un  concetto  di  divinità  armata,  cosi  qui  lo  scudo  diventa,  nelle  mani  della 
dea.  un  attributo  adattato  ad  un'occupazione  femminile.  Se  può  quindi  parlarsi  di  un  tipo 
deliberatamente  ideato  con  uno  scudo,  questo  tipo  è  suggerito  e  vien  fuori,  soltanto  dal 
concetto  comune  di  Afrodite  e  non  viene  determinato  dal  concetto  speciale  di  Afrodite  ar- 
mata,  pur  essendo  stata,  come  tale,  anche  questa  di   Capua,   venerata  a  Corinto  (5). 


(1)  Non  m' è  riuscito  infatti  di  trovare,  neppur  lacciato  troppo  facilmente  questo  esemplare  con 
nell'arte  vascolare,  un  gesto  simile  suggerito  dal  l'Afrodite  hoplismene  ricordata  da  Pausania,  mo- 
mettersi  0  togliersi  il  balteo,  il  quale  non  ha  quindi  tivando  cosi  il  concetto  non  giusto,  ripetuto  da 
determinato  mai  di  per  se  stesso,  die  io  sappia.  tutti,  che  l'Afroditi-  col  balteo  sia  quella  figura  d' 
un  motivo  speciale.  In  un  torso  di  Afrodite  da  divinità  armata  ehe  anche  gli  epigrammi  greci  men- 
Epidauro  (Mus.  N.i/.  di  Atene;  Arndt-Amelung,  zionano.  Il  Bulle  poi  (op.  cit.)  nega  che  questi 
Einzelaufn.,  n.  629-630)  un  balteo  passa  .1  tra-  Afrodite  col  balte'  possa  essere  l'Afrodite  hopli- 
colla  sopra  il  chitone  della  dea:  dal  Milchoefer,  smene  di  Acrocorinto  (Paus.,  II,  5,  1)  ma  soltanto 
Alili,   /alni).,   VII,   203,  è  ritenuta  una  Nike.  perche  essa  è  una   Afrodite  che  sì  <irma    non  una 

(2)  E  resta  infatti  identico  in  una  piccola  figu-  Afrodite  animiti.  Evidentemente  il  Bulle  si  è  ar- 
rina  in  bronzo  di  Venere  che  si  inette  il  /.  ito  ad  esaminare   l'atto   senza  approfondire  il 

Uh.   Mitili.    1907,  tav.  j:  Reinach,  IV,  p.  210,  n.  5.  concetto. 

(3)  La  rispondenza  con  la  moneta  di  Corinto  è  (41  Meisterwerke,  p    634  sgg. 

stata  trovata  dall' Amelung  (Fiihrer,  p.   52,  n.  75)  (si  Imhoof-Blumner,  op.  cit..  Corinti  .  G.<  \\l. 

il  quale  pero    ha  rial-  CXXII,  CXXIII,  CXXVI. 


-  i83  - 

In  sostanza,  le  armi,  in  questi  tipi  recenti,  di  Afrodite,  sono  connesse  alia  dea  con  lo 
stesso  significato  e  con  Io  stesso  spinto  con  cui  le  si  connette  qualsiasi  attributo  di  fem- 
minilità e  di  grazia.  E  sia  che  suggeriscano  un  tipo  speciale  (A.  di  Capua),  sia  che  si 
applichino  a  tipi  comuni   di   Afroditi   ideati  ed  evolutisi   indipendentemente  da  esse   (A.   col 


F:  g     5 . 

balteoi  queste  armi  sono  congiunte  in  modo  da  perder  quasi  il  loro  significato  intrinseco. 
I  tipi  recenti  di  Afrodite  non  volendo  esser  più  l'espressione  di  una  divinità  armala  —  nel 
senso  stretto  della  parola  —  non  sono  più  delle  Afroditi  hoplismenaì  o  enoplìoì  1 1 'kit. 
inst.  Lac.  27;  C.  I.  Gr.  I,  1444)  ma  sono,  a  volta  a  volta,  0  Afrodite  col  balteo,  0 
Afrodite  con  lo  scudo  (A.  b  i<7-iSt  —  ?  —  C.  I.  Gr.  add.  2264  u.)  0  Afrodite  'Apsta 
(a  Sparta;  Paus.  Ili,  1753;  C.  I.  Gr.  7197  b)  0  Afrodite  Ni/cyjcpópo;  (ad  Argo;  Paus., 
Il,    136)  0   Afrodite    ivst/.r,To;  (C.   1.  Gr.    7033    b). 


—  184 


L'uniformità  della  designazione  viene  a  mancare  non  appena  manca  l'uniformità  dell'ar- 
mamento e  la  precisione  del  concetto  che  lo  informava.  Questa  varietà  di  epiteti  non  va  intesa, 
infatti,  come  una  varietà  di  designazione  di  uno  stesso  originale,  giacché  l'idolo  arcaico  di 
Afrodite  armata,  informato  ad  un  concetto  ben  definito,  non  consentiva  che  una  sola  espres- 
sione plastica  e  una  sola  specificazione  letteraria  racchiuse  entrambe  nella  voce  hoplismenaì. 
I.  inssima  delle  ligure  di  Afrodite  giunte  a  noi  —  tranne  forse  il  tipo  della  Venus 
Victrix  —    può   considerarsi   una  hoplismene  o  una  enopìios(i). 

Concludendo:   la  individuazione  dei   tipi  di   Afrodite  con  armi   può 
basarsi  sopra  due  concetti: 

fi  1-sservi  stato  un  tipo  arcaico  di  Afrodite  armata  che  risponde, 
nei  primordii  del  culto  e  dell'arte,  ad  un'idea  comune  a  tutte  le  divinità, 
la  quale  idea  può  collegarsi  anche  con  qualche  fatto  storico.  Tale  tipo 
>uò  ritenersi  veramente  un  tipo  di  divinità  armata,  ma  senza  spiccata 
individualità,  avendo  comuni  con  altre  divinità  armate,  tanto  la  foggia 
dell'armamento,  quanto  le  ragioni  che  lo  determinarono.  Tale  tipo  o  non 
ci  è  pervenuto  affatto,  oppure  è  pervenuto  attraverso  qualche  troppo 
impreciso  o  troppo  recente  esemplare  che  ne  rende  difficile  l'individuazione,  o  ne  svisa  il 
carattere; 

2°)  (ìli  esemplari  di  Afrodite  con  armi  giunti  fino  a  noi  sono  opere  di  tempi  re- 
centi (IV  secolo)  e  nessuna  di  osse  può  considerarsi  come  una  ideazione  di  divinità  armata, 
ma  come  tipi  di  Afrodite  inventati  ed  evolutisi  indipendentemente  dalle  armi  con  cui  sono 
connessi,  le  quali  perdono  il  loro  significato  intrinseco  nell'adattarsi  alla  personalità  della 
dea  quale   divinità   del   sesso  e  della  bellezza. 

Guido  Calza. 


(i)  Ho  ricondotto  a  due  soli  tipi        Afrodite  di 
Capua  e  Afrodite  col  balteo   —  gli   esemplari   di 

Afrodite  annata  di  età  recente,  giunti  tino  a  noi, 
escludendo  quelli  troppo  unitili,  o  che,  per  restauri 
da  me  non  potuti  verificare,  mi  sembravano  poco 
sicuri.  Ai  due  tipi  menzionati,  occorre  però  aggiun- 
gere un  esemplare  di  Afrodite  che  tiene  nella  de- 
stra distesa  una  Nike  e  con'la  sinistra  si  appog 
già  ad  in:  to  quasi   in  bilico   sopra    un 

i  i  onsen  a  in  una   moneta   di    Faustina 
(Clarac,  tav.  596).   Anche  questo  esemplare  non  è 
■  1i1.1t'  1   degli   altri.    Qui    la    dea,    completa- 
mente vestita,    non    mostra    alcun    atteggiamento 


speciale  e,  in  ogni  modo,  l'individuazione  è  voluta 
ottenere  più  per  mezzo  della  Nike  che  con  le  armi. 
Tale  figura  esce,  quindi,  un  poco  dalla  cerchia  del- 
l'Afrodite annata,  senza,  peraltro,  in  nulla  mu- 
tare le  considerazioni  a  cui  essa  dà  luogo.  Questa 
identificarsi  con  Afrodite  vix»|<pópos  ricor- 
data da  Pausania  (II,  [9,  6),  venerata  anche  a 
Smirne,  come  risulta  da  monete  di  questa  città 
(Cat.  Brit.  Mus  ,  Ionia  239  sgg.  e  266  sgg.).  In- 
fine, una  Afrodite  armata  è  alla  villa  Medici  (cf. 
Matz-I  >uhn,  Antike  Bildw.  in  Rotti,  p.  205,  n.  706). 
L'esemplare  è  però  così  restaurato  che  non  è  pos- 
sibile assegnarlo  con    precisione  a  nessun   gruppo. 


ANTICHI  VASI  PUGLIESI 

CON    SCENE    NUZIALI 

(Tav.  Vili) 


Le  collezioni  archeologiche  pubbliche  e  private  dell'Italia  meridionale  offrono  spesso 
all'attenzione  del  visitatore  certi  vasi  indigeni  dipinti,  assai  poco  considerati  finora,  i  quali, 
sì  per  l'identità  dei  soggetti,  come  anche  degli  elementi  decorativi  secondari  e  delle  forme 
tectoniche,  costituiscono  pure  un  gruppo  omogeneo  e  distinto,  di  una  certa  importanza  ar- 
tistica e  storica.  Intendo  con  questo  riferirmi  alle  ceramiche  istoriate  con  scene  amatorie  o 
nuziali.  1  vasi  di  questo  genere  sono  stati  tutti  trovati  nelP  Italia  meridionale,  e  taluno 
di  essi  già  noto  per  pubblicazioni.  Gli  altri,  ancora  inediti,  sono  però  esposti  al  pubblico, 
nelle  varie  collezioni,  italiane  e  stranieie.  Di  codesti  vasi  intendo  dare  l'elenco,  per  quanto 
mi  sarà  possibile,  completo,  descrivendo  più  diffusamente  gì'  inediti  e  i  meno  noti,  riman- 
dando in  breve  per  gli  altri  alle  relative  pubblicazioni.  Esaminerò  quindi  i  rapporti  di  di- 
pendenza di  una  tale  produzione  artistica  dalla  ceramica  attica  dipinta  e  dall'arte  greca  in 
genere,  la  poesia  non  esclusa,  e  illuminando  così  i  lati  dell'argomento  più  importanti  per 
l'arte  e  per  il  costume,  oserò  lusingarmi  di  portare  colle  mie  conclusioni  un  nuovo  contri- 
buto,  modesto  se  si  vuole,  alle  comuni  conoscenze  dell'arte  ceramica  dell'  Italia  meridionale. 

Incomincio  la  mia  rassegna  del  Museo  Nazionale  di  Taranto,  oltre  che  per  ragioni  di 
convenienza  espositiva  anche  perchè  colà  ebbero  principio  le  mie  osservazioni. 

I.  —  Descrizione  dei  vasi   dipinti. 

TARANTO  —  Museo  Nazionale. 

I.  —  Grande  pelike  a  figure  rosse  e  colori  applicati  (bianco,  giallo  e  rosso),  ricom- 
posta da  molti  pezzi  e  restaurata  nelle  parti  mancanti  ;  proveniente  dalla  Necropoli  del 
R.  Arsenale  (i).  Alta  m.  0,73.  La  decorazione  figurata  del  vaso  si  compone  di  due  quadri 
distinti,    divisi   fra    loro    da    un    sistema   di    palmette  al  di  sotto  dei  manichi.  Sulla  faccia 

(1)  Da  codesta  immensa  necropoli  tarantina  prò-  degli  studi  archeologi  ancora  inedita  ed  ignorata  dai 

viene  una  grandissima  parte  della  svariata  suppel-  più  (v.  in  Neapolis,    anno  I,    le  mie  Spigolature 

lettile  che  forma  oggidì  il  meraviglioso  Museo  Na-  vascolari  nel  Museo  di   Taranto,  con   la    modesta 

zinnale  di  Taranto;  suppellettile  con  grave  danno  bibliografia  ivi  ri p. ni.it.  1). 

Ausonia       Anno  IX  ,, 


—  i86  — 

principale,  che  è  anche  la  meglio  conservata,  vedesi  dipinta  in  basso,  nel  mezzo,  una  kline 
riccamente  decorata  a  incrostazioni  e  rilievi,  con  cuscini  sovrapposti.  Siede  sulla  klìne  un 
giovine  seminudo,  la  parte  interiore  del  corpo  avvolta  ne!  manto,  il  capo  coronato  di  mirto, 

ndo  colla  sinistra  una  cetra.  Ha  i  piedi  sopra  uno  sgabello  della  lunghezza  della  kline, 
e  tiene  un  lungo  bastone  appoggiato  alle  gambe.  Un  gruppo  muliebre  muove  da  sinistra 
alla  sua  volta.  Esso  si  compone  di  una  donna  vestita  di  chitone  e  di  manto,  con  velo  ri- 
cadente dalla  Usta  sugli  omeri,  adorna  di  diadema  e  di  collana.  Ha  nella  sinistra  una 
phiàle  ed  è  in  atto  di  spingere  innanzi,  coll'altra  mano,  una  fanciulla  vestita  nella  stessa 
musa,  ma  strettamente  avvolta  nel  manto,  situata  di  fronte.  Questa  figura,  con  una  specie 
di  diadema  turrito  sul  capo,  i  capelli  sciolti  sugli  omeri,  appare  mesta  nell'espressione  del 
vólto,  fissa  e  rigida  come  una  statua.  Segue  un'altra  figura,  un'ancella,  tenendo  aperto  sul 
capo  della  fanciulla  un  ombrellino  bianco,  foderato  di  rosso.  Tra  le  due  ultime  figure,  un 
thymiaterion.  Al  di  sopra  del  gruppo  si  libra  a  volo  un  Erote  androgino,  con  phiale  e  tenia 
nelle  mani.  Alla  destra  della  Mine  due  figure  muliebri,  l'una  seduta,  tenendo  uno  stru- 
mento musicale  in  forma  di  scala,  l'altra  in  piedi  che  si  contempla  in  uno  specchio  ;  di 
dietro  è  una  cassettina  (Xàpvxc;)  destinata  a  custodire  gli  oggetti  del  mundus  muliebris. 
All'estremità  opposta  del  quadro  un  kàlathos.  Nel  piano  superiore  del  quadro  altre  due  donne, 
in  una  posa  affine  alle  precedenti;  dove  è  notevole  l'atteggiamento  della  donna  che  si 
specchiali);  e  a  sinistra  di  questo  gruppo  un  altro  simile,  dove  una  delle  donne  regge 
sulle  ginocchia  il  trigonon,  mentre  l'altra  ha  una  cassettina  aperta  e  una  tenia  nelle  mani. 
Trattasi  qui  evidentemente  di  una  scena  nuziale  quale  si  svolge  nel  talamo,  costituita  di 
elementi  ideali  e  ricca  di  altri  accessori,  aggiunti  a  scopo  puramente  decorativo.  La  scena 
opposta  del  vaso  è  generica,  né  presenta  alcuna  relazione  di  parentela  con  quella  descritta. 

II.  —  Pelike  simile  alla  precedente,  di  grandi  dimensioni  e  di  ottimo  lavoro,  ricom- 
posta da  più  pezzi  ;  interamente  mancanti  il  piede  e  la  parte  inferiore  della  pancia.  Alt. 
della  parte  superstite,  m.  0,40.  Intorno  al  collo  (ila  di  palmette  in  rosso  e  di  gocciole  in 
color  bianco-giallo  applicato.  Sotto,  a  cominciare  da  sinistra,  figura  muliebre  seduta,  ve- 
stila di  chitone  e  di  himalion,  che  toglie  da  una  cassettina  una  tenia  ricamata.  Sulla 
stessa  linea  Afrodite,  nella  medesima  acconciatura,  e  rappresentata  seduta  sul  dorso  di  un 
cigno  villanie.  Al  di  sotto  una  kline  riccamente  lavorata,  con  lungo  sgabello.  Sulla  kline 
riposa,  adagiato  sopra  cuscini  ricamati,  un  giovane  nudo,  con  clamide  sulla  coscia,  tenendo 
abbracciata  e  stretta  fra  le  ginocchia  una  fanciulla  vestita   di  sottile  chitone,  con   diadema 

lana,  la  quale  solleva  il  capo  all' indietro  offrendo  le  labbra  all'amato  (2).    Alla   destra 

(1)  Riprodotta  in  Bollettino  d'Arte,  ign.p.  245.  Cfr.  anzitutto  lo  specchio    inciso  con  Bacco  e  Se- 

(j)  Il  motivo  pittorico  della  coppia  giovanile,  Ji  mele  (Monumenti  dell'  A/.,  I,  56):    inoltre  pclik,- 

cui  uno  dei  personaggi  solleva  il  capo  e  Ir  braccia  .//>«/</  in  De'Witte,  Elite  ciramographique,  voi.  IV, 

ali  'indietro  verso  il  compagno,   e   molto   frequente  tav.  I.XVI  :  kylikes  fatisene,  in  Notizie  degH 

nell'arte  del  IV  secolo  e  risale  ad    illustri    modelli.  [912,  p.  72  e  Bollettino  d'Arte,   1916,  p.   359. 


-  i87  - 

del  gruppo  amoroso  due  donne,  di  cui  una  con  phiale  nella  sinistra,  offrendo  una  corona  alla 
coppia  giovanile.  Dalla  parte  opposta  altra  figura  muliebre,  versando  da  una  phiale  l'incenso 
su  di   un  thymìaterion.  Nel  campo  una  sfera  e  una  cesta  contenente  un  al&bastron. 

III.  —  Pelli;:  di  minori  dimensioni,  ottimamente  conservata.  Sulla  faccia  principale 
una  kline  di  forma  semplice  e  modesta.  Vi  è  seduto,  sopra  cuscini,  un  giovane  semi- 
nudo, cui  ghirlanda  sul  capri,  stendendo  la  mano  verso  una  fanciulla,  che  vestita  di  chi- 
tone lungo  disciolto,  con  velo  sugli  omeri  e  ingioiellata  riccamente,  gli  prende  colla  mano 
sinistra  il   braccio  affettuosamente.   Ai   piedi   della  klìne  il    lungo    sgabello,  su    cui    - 

posti  i  calzari  del  giovane  e  anche  uno  specchio.  Segue  la  fanciulla  un'ancella  vestita  di 
chitone  altocinto,  reggendo  fra  le  mani  un  bacino  munito  di  piede  (i).  11  piano  supe- 
riore del  quadro  è  occupato  da  una  figura  muliebre  seduta,  con  kekryphalos  sul  capo, 
tenendo  un  ombrellino  e  avendo  presso  il  fianco  la  scala,  e  da  un  Erote  seduto,  tenendo 
fra  le  dita  le  due  estremità  del  rhómbos. 

RUVO  —  Collazione  Caputi. 

IV.  —  Pelike  ben  conservata.  Alt.  m.  0,50.  Nel  mezzo  del  quadro  (fig.  n  la  kline  con 
cuscini,  su  cui  siede  abbracciata  la  coppia  amorosa,  circondata  da  varie  figure,  in  un  prato 
all'aperto.  A  sinistra  della  klìne  una  donna  con  phiale  nella  mano;  a  destra  altra  figura 
simile,  che  dà  il  volo  a  un  uccellino.  Sopra  la  coppia  un  Erote,  con  corona  di  mirto  nelle 
mani.  A  sinistra  e  a  destra  di  questo  un  giovane  con  bastone,  e  una  giovane  con  tenia 
e  cassettina  nelle  mani  (nozze  di    Adone  ed   Afrodite). 

[Annali  dell'Istituto,  1870,  tav.  d'agg.  S,  e  G.  Jatta,  1 vasi  italo-greci  del  Signor  Ca- 
puti, p.   34,  n.  236). 

Ri  IVO  —  Museo  Jatta. 

V.  —  Stamnos.  —  Sopra  una  kline  ricoperta  di  molli  cuscini  siede  la  fanciulla,  quasi 
completamente  nuda,  cui  un'ancella  inginocchiata  sta  sciogliendo  1  sandali  (2),  mentre 
la  paraninfa  le  pone  sul  capo  la  corona  di  mirto.  A  breve  distanza  lo  sposo,  con  himation 
gettato  sul  braccio,  berretto  frigio  sul  capo  e  calzari,  colla  sinistra  reggendo  due  lance. 
Una  bianca  colomba  è  posata  sul  lungo  sgabello.  In  alto  una  figura  muliebre  seduta,  con 
specchio  e  cassettina,  ed  un  Erote  volante,  con  tenia  nelle  mani. 


ii)  È  notevole  l'identità  di  questo  particolare  con  della  sposa  poco  prima  di  salire  sul   letto   nuziale 

l'azione  del  gruppo  muliebre  di  sinistra  nelle  Nozze  (Nogara,   Le  Nozze  Aldobr andine,  p.  21). 
Aldobr andine,  dove  pure  vediamo  delle  donne  af-  {2)  Cfr.  la  descrizione  del    quadro   colle    Nozze 

faccendate  attorno  ad  un   bacile    munito   di    piede.  di  Alessandro  e  di  tossane,  opera    di   Action,  in 

Ciò  servirebbe  a    confermare    l'uso    della    lavanda  Lucian.,  Herod.,   5. 


—  188  — 

Descrizione  in  G.   Jatta,    Catalogo   del   Musco  /al/a,  n.    1619.   —    Riproduzione  a  co- 
lori in  Baumeister,  Denkmàler,  p.   313  (nozze  di  Paris  ed  Elena). 


BARI  —  Museo  Provinciale. 

VI.  —  Pelike  di  piccole  dimensioni,  su  cui  è  rappresentata  la  kline  con  una  coppia 
di  dovari',  l'uomo  recumbente,  la  fanciulla  seduta  sulla  kline,  abbracciati,  all'ombra  di  un 
albero.  Sopra  la  coppia  vola  da  sinistra  un  Erote.  Ai  piedi  della  kline  un  cigno  e  il  solito 
sgabello  lungo,  sul  quale  sono  una  cassettina  e  un  aiàbaslron. 

Provenienza,  Noicattaro  (Inventario  del  Museo). 


NAPOLI 


Museo  Nazionale. 


VII.  —  Pelike  n.  82306  (21 17),  ricomposta  e  restaurata  imperfettamente  (fig.  2). 
Alta  m.  0,70. 

Nel  centro  del  quadro  Pelope  coronato  di  muto  e  Ippodamia  diademata,  su  quadriga 
corrente,  preceduta  da  Hermes  e  seguita  da  una  Furia  con  fiaccola  nelle  mani.  In  alto 
Erote  volante  nell'atto  d'incoronare  la  coppia.  Sullo  stesso  piano,  a  sinistra  Pan  con  si- 
ringa nella  mano,  a  destra  Apollo  seduto,  con  cetra  ed  arco  nelle  mani.   Nel    piano    infe- 


189 


—  190  — 

riore  una  fanciulla  vestita  di  chitone,  con  velo  che  le  scendi-  dalla  nuca,  stando  seduta 
su  kliru   e  reggendo  una  fiaccola  nella  destra.  Ai  due  capi  della  klìne  una  coppia  di  figure 

muliebri,  l'una  in  piedi,  l'altra  seduta,  con  attributi  varii  nelle  mani.  La  figura  in  piedi 
a  destra  regge  un  ombrellino.  Sullo  sgabello  ai  piedi  della  kline  una  colomba. 

\  111.  —  Pelike  Santangelo,  n.  692  (65),  ricomposta  e  malamente  restaurata  (tav.  Vili). 
Alta  m.  0,76. 

Nel  piano  superiore  Apollo  e  Artemide  seduti:  la  prima  con  fiaccola  nella  sinistra, 
l'altra  con  il  cigno;  a  destra  Hermes  con  il  caduceo.  Nella  zona  mediana  coppia  di  qua- 
drighe tirate  da  cavalli  bianchi  e  rossi  alternati:  la  prima  guidata  da  Helios,  la  seconda 
da  Selene  e  preceduta  da  Erote  volante.  Nel  piano  interiore  Lina  coppia  amorosa  seduta 
su  kline,  i  piedi  poggiati  su  sgabello.  Il  giovane,  seminudo,  regge  colla  sinistra  la  cetra. 
La  donna,  vestita  di  chitone  altocinto  e  di  manto,  fa  colla  destra  l'atto  di  levarsi  il  manto, 
mentre  colla  sinistra  tocca  il  ginocchio  del  giovane  compagno,  a  lui  volgendo  nello  stesso 
tempo  lo  sguardo.  Alla  destra  della  kline  gruppo  muliebre  con  figura  seduta  tra  due  altre 
in  piedi;  a  sinistra  presso  la  kline,  donna  che  presenta  uno  specchio  alla  sposa,  inoltre 
giovane  figura  virile  in  piedi,  appoggiata  a  una  vasca,  e  figura  muliebre  seduta.  Un  Erote, 
con  tenia  nelle   mani,  si   libra  al   di   sopra  della  coppia  amorosa. 

IX.  —  Pelike  n.  699  (329)  ricomposta  e  restaurata.   Alta  m.  0,74  (fìg.   3). 
Presenta   una   notevole  somiglianza  e  quasi   una   perfetta   identità  di   disegno,  di   figure 

e  di  composi/ione  con  la  pelike  tarantina  descritta  per  la  prima,  tanto  da  costringerci  a 
ritenere  l'unii  e  l'altra  come  provenienti  dalla  stessa  fabbrica  e  forse  dipinte  dalla 
Messa  mano. 

X.  —   Pelike  Santangelo,   n.  ^95   (651),  ricomposta  e  restaurata.  Alta  m.  0,485  (fig.  41. 
Nel   centro  del    quadro  coppia  amorosa    seduta    sulla    kline,    coi   piedi    poggiati    sullo 

sgabello.  L'uomo  e  seminudo,  mentre  la  compagna  è  vestita  di  chitone  ionico  e  di  hitna- 
tion,  con  cai/ari  ai  piedi,  reggendo  colla  destra  uno  specchio  tondo.  In  alto  un  Erote  alato 
volante,  con  corona  nelle  mani.  A  destra  della  kline  una  figura  muliebre  con  flabello  e 
tenia  nelle  mani;  a  smistia  un  giovane  uomo  nudo,  con  lungo  ramo  fronzuto  e  un&pkiale 
nelle  mani. 

XI.  —  Stamnoi  Santangelo.  Alto  m.  0,43  (fig.   5). 

Giovane  uomo  seminudo,  scinto  su  kline  semplice,  con  sottile  basi. .ne  nella  sinistra, 
avanzando  la  destra  verso  una  figura  muliebre  vestita  di  chitone  e  di  manto,  riccamente 
adorna,  con  specchio  nella  destra,  poggiando  i  piedi  calzati  su  sgabello.  In  alto  Ero!, 
duto,  con  ramo  di  mirto  e  corona  nelle  mani.  A  destra  della  kline  figura  muliebre,  con 
tralcio  di  fiori  in  una  mano;  a  sinistra  altra  simile  portando  offerte  sopra  una  phiale.  In 
alto  una  colomba  volante,  con   una  corona  tra   le  zampe. 

MI.  —  Skyphos,  n.  2024  (1801),  ricomposto  e  restaurato.  Alta  m.  0,16  Sala  della 
Basilic  ata). 


IOT 


Kline  con  cuscini,  priva  di  piedi.  Sopra  di  questa  un  giovane  uomo  nudo,  di  fronte, 
stringendo  tra  le  braccia  una  fanciulla  vestita  di   sottile  chitone.   Il    giovane    poggia   sopra 

la  kline  col  ginocchio  destro,   la  fanciulla  col  ginocchio  sinistro  divincolandosi   dalla  stretta 


—  192  — 

tenace.  La  scena  è  molto  vivacemente  rappresentata.  Sulla  kline  già  è  caduto  Vhimation 
della  fanciulla.  Dalle  due  parti  del  gruppo  due  -emetti  alati  (Pól»"s.  Himeros),  di  cui 
l'uno  con  paiole  e  ramoscello  di  mirto  nelle  mani.   Da  sinistra  avanza  la  stessa    Afrodite, 


in  chitone  dorico  (kólpos  e  apóptygmd)  e  velo  che   le  scende   dal    capo,    tenendo    un    ald- 
bastron  nella   sinistra. 

XIII.    —    Anfora   a   candelabro,   n.   2024  (Sala  di   Ri 
I)  Nózze  di  Elena  e  Paris; 
/?)  Nozze  di  Arianna  e  Dionisio. 
Patroni,  La  ceramica  antica  nelP  Italia  meridionale,  figg.    [18-119). 


—  193 


Ausonia.    -  Anno  IX 


—  194  — 

PARIGI  -     Biblioteca  Nazionale. 

XIV.  —  Cratere  a  campana  (Apulia). 

Coppia  nuziale  abbracciata  su  /cline,  con  Eros  in  alto,  fiancheggiata  da  un  Satiro  e 
da  una  Menade  (Dioniso  e  Arianna). 

(A.  De  Ridder,  Catalogne  des  -eases  peints  de  la  Bibliothèque  Nationale,  voi.  1, 
p.   562  sgg.  m.  9401,  tav.  XXVII-XXVIII). 

BERLINO  —  ANTIQUARIUM. 

XV.  —  Cratere  a  volute,  n.  3257,  da  Ceglie  di  Bari.  Restaurato. 

Sulla  taccia  principale  sono  rappresentate  le  nozze  di  Eracle  ed  Ebe  nell'Olimpo  :  Ebe 
ammantata  e  velata,  seduta  sulla  kline,  Eracle  seminudo  in  piedi  al  suo  fianco.  La  coppia 
divina,  assistita  da  Eros,  è  circondata  dalle  principali  divinità  e  inoltre  da  personificazioni 
astratte.  In  alto  Zeus,  Hera,  probabilmente  Charis  e  Peithó,  Afrodite  e  Pothos  ;  nel  ri- 
piano interiore  Apollo,  Artemis,  Eunomia  (il  buon  Costume)  ed  Euthymia  (la  Pace  dome- 
sticai;  infine   Dioniso  su  biga  tirata  da  pantere. 

(Gerhard,  Apulìsche  Vasenbilder,  tav.  1  s  ;  Baumeister,  Denkmàler,  fig.  700;  Furtwàn- 
gler,  Beschreibung  v.    Vasensamml.,  n.   3257). 

LONDRA  —  Museo  Britannico. 

XVI.  -  -    /'eli/ce  (Basilicata!. 

Giovane  seminudo  recumbente  su  klìne  e  figura  muliebre  in  piedi  presso  la  /cline, 
in  mezzo  a  figure  secondarie  (scena  interpretata  come  le  nozze  di  Apollo  ed  Afrodite)  (1). 

(Walters,  Catal.  of  vases  in  Brìi.  Museum,  voL  1\,  F  311;  Lenormanl  et  De  Witte, 
Elite  céramograpkique,  voi.  Il,  tav.   XL1X). 

XVII.  --  Lckylhos  (Apulia). 

Coppia  nuziale  (fig.  6),  seduta  di  fronte  sulla  /cline,  in  mezzo  a  ligure  secondarie 
(scena  interpretata  come  le  nozze  di  Apollo  e  Afrodite). 

(Walters,  op,  cit,  v.  e,  F  399;  Lenormant  et  De  Witte,  op,  cu.,  \.  e,  tav.  XXXIII,  A). 


(1)  Dall'insieme  della   scena  sembrami   che  qui  secondo  la  descrizione  di  Luciano  in  'Avaxapoi;    >j 

siasi    vi  liuto    rappresentare    un    momento    insoliti!  Kepi    Yup.vaaiu)V    7   :      —   -t    jfiaTssi  [xìv   rè    ròfjov 

della  figurazione  mitologica,  e  cioè  il  risveglio  dopo  IfxovTa,  rj  òe^iì  òi    ìnslp    rrjj   xeoaX^;    xvaxexXaa|jiv7] 

le  fauste  nozze  di   Adone  ed   Afrodite.   La   posa  di  ùwkep  :/.  xapaTOu  p.xxpoìi   ìvGtjrat'uópLjvov  »,  e  può  es- 

Adone  è  ben  quella  del  simulacro  di  Apollo  Liceo,  sere  suscettibile  della  stessa  Interpreta; 


—  195  — 
VII  >NACO. 

XVIII.   —   Lékythos  ariballica  (alt.  m.  0,301. 

Sopra  una  klìne,  davanti  alla  quale  trovasi  un  alto  sgabello  a  zampe  di  leone,  sono 
un  efebo  e  una  giovane  donna  abbracciati,  la  donna  col  capo  rovesciato  all' indietro.  Un 
Erote  inginocchiato  all'estremità  della  kline,  tende  il  braccio  destro  verso  la  coppia.  A 
destra,  un'ancella  tiene  un  ombrellino  aperto  al  di  sopra  del  gruppo,  mentre  un'altra  donna 
è  in  atto  di  aprire  una  cassa  i>.x;<z;i,  volgendosi  indietro.  Fra  le  due  donne  un  piccolo 
Erote  si  dondola  sospeso  all'orlo  di  una  vasca.  A  sinistra  un  efebo  stringe  fra  le  braccia 
una  giovane  donna,  che  divincolandosi  ha  fatto  cadere  a  terra  una  sedia.  In  alto  una  figura 
muliebre  diademata,   seduta  (Afrodite). 

(Millingen-Reinach,  Peinture&   de  vases  antiques,  tav.  26). 

II.   —  Interpretazione  dei  soggetti  vascolari. 

Tra  1  vari  tipi  di  vasi  passati  in  rassegna,  in  numero  di  dieciotto,  tutti  affini  e  talora 
identici  per  lo  stile  e  per  1  soggetti  che  rappresentano,  le  pelikai,  in  numero  di  dieci, 
tendono  il  primo  posto.  1  )i  strimnoi  non  se  ne  enumerano  invece  che  due  di':  tutti  gli 
altri  sono  vasi  di  forme  diverse.  La  persistenza  di  un  particola!  genere  di  rappresentazione 
sopra  un  vaso  di  tipo  speciale  come  la  pelike,  sembra  additarci  una  destinazione  parti- 
colare per  questa  classe  di  vasi.  Tale  destinazione,  a  noi  sinora  ignota,  deve  ritenersi 
legata,  come  lo  stamnos,  al  genere  di  cerimonia  cui  si  informa  la  scena  figurata  (2),  ed  è 
questo  della  scena  figurata  l'argomento  sul  quale  dobbiamo  fermare  anzitutto  la  nostra 
attenzione. 

L'unico  dei  vasi  citati  il  quale  presenti  iscritto  a  fianco  di  ciascuna  figura  il  suo  nome 
e  permetta  cosi  l'identificazione  perfetta  di  tutti  1  personaggi  del  quadro,  è  il  cratere  di 
Berlino.  Quivi  la  divina  coppia  nuziale  1  Eracle  ed  Ebe)  è  assistita  da  tre  categorie  di  di- 
vinità: cioè  da  quelle  che  presiedono  per  la  loro  natura  alle  nozze  e  ai  colloqui  amorosi  in 
generale  (Afrodite,  Eros,  Pothos,  Charis,  Peithói;  da  altre  fra  le  principali  divinità  del- 
l'Olimpo, aventi  minor  nesso  coli' indole  della  scena  rappresentata  (Zeus,  Hera,  Apollo, 
Artemis,  Dionysos);  da  personificazioni  astratte,  infine,  (Eunomia,  Euthymia),  la  cui  pre- 
senza augurale  serve  a  rendere  più  comprensibile  e  significativo  l' intimo  spinto  della  scena. 
Questo  esemplare,   unico  nel   suo  genere,  è  della  più  grande  importanza   pei     noi,    macché 

(1)  Cfr    ancora  esemplari  simili,  con  rappreseli-  (2)  Per  lo  speciale  significato   e   la   destinazione 

tazioni  affini,  in  J.   De  Witte,    Élite   céramogra-  dell"  stàmnos,  v.  A.  Brueckner,  Athenische  Hoch- 

phique,  voi.   IV.  tav.   LXVI  (pelike) ;  tav.  LXVIII  zeitsgeschenke,    in    Athen.    Mitteilungen,    XXXII, 

(stamnos),  l'uno  e  l'altro  vasu  esilienti  una  cppn  1907.  p.  70  s^g.  Per  il  contenuto  dell'articolo,  ved. 

giovanile  abbracciata.  oltre,    p.    200,    n     2. 


—  iqb  — 


ci  permette  di  orizzontarci  alquanto  nella  identificazione  approssimativa  di  personaggi  ano- 
nimi e  generici  nelle  altre  figurazioni  citate. 

In  un  campo  mitologico  ben  definito  e  sicuro  rimane  ancora  la  pclike  di  Napoli, 
n.  VII,  colle  nozze  di  Pelope  e  di  lppodamia,  dove  i  personaggi  si  riconoscono  non  per 
alcuna  denominazione  particolare  ricevuta  dall'artefice,  ma  per  gli  attributi  e  l'ambiente 
stesso  nel  quale  si  muovono.  Vediamo  presenti  due  delle  predette  categorie  di  divinità, 
cioè  l'immancabile  Eros  per  la  prima;  Pan,  Apollo  ed  Hermes  per  la  seconda. 


Nello  stamnos  del  Museo  Jatta  e  nell'anfora  del  Museo  di  Napoli  si  sono  riconosciute 
facilmente  le  nozze  di  Elena  e  Paris.  Ma  nel  primo  dei  due  vasi  la  figura  muliebre  ricca- 
mente vestita  e  adorna  di  diadema,  nell'atto  di  incoronare  di  mirto  la  sposa,  non  deve  già 
più  ritenersi  un'ancella  1 1 1,  simile  a  quella  che  scioglie  alla  sposa  i  sandali.  Essa  invece 
non  potrà  essere  che  Afrodite,  intervenuta  ad  abbellire  coll'opera  sua  le  nozze  del  suo 
prediletto.  Alla  sua  volta  la  figura  in  alto  a  sinistra,  rappresenta  forse  Charis  o  Peithó,  a 
ciascuna  delle  quali  si  addicono  gli  attributi  del  cofano  e  dello  specchio.  Anche  le  nozze 
di  Dioniso  e  Arianna  (nn.   XIII  e  XIV),  sono  facilmente  riconoscibili. 

Più  incerta  sembra  presentarsi  la  determina/ione  dei  personaggi  principali  nella  pelike 
tarantina  n.   1,  e  in  quella  napoletana,   n.   Vili.    Oltre  alle  ben   note    divinità    dell'Olimpo, 

mio  comparire  in  quest'ultima  per  la  prima  volta  divinità  celesti,  come  Helios  e  Se- 
lene.  Ma  il   resto  della   figura/ione   non   pi  esenta  speciali   caratteristiche,   senza  che  si  possa 


(l)  G.   latta,    Ci  hi  kit;  a  del  Musco   latta,    p.  i);,N   sgg. 


—  197  — 

tuttavia  affermare  che  il  soggetto  sia  generico.  L'unico  particolare  attributo  che  l'artefice 
abbia  assegnato  ad  uno  dei  personaggi  del  hierós  gdmos,  e  precisamente  allo  sposo,  è, 
oltre  quello  di  una  florida  giovinezza,  la  cetra  eptacorde  nella  sinistra.  Lo  stesso  attributo 
per  il  medesimo  personaggio  si  riscontra  anche  nella  pelike  londinese,  n.  XVI,  proveniente 
dalla  Basilicata.  Allo  stesso  gruppo  appartiene  la pelike  napoletana,  n.  IX,  la  quale  ha  gran 
numero  di  punti  di  contatto  con  la  pelike  tarantina,  sebbene  il  personaggio  rappresentante 
lo  sposo  sia  qui  privo  di  cetra  e  di  altro  attributo  qualsiasi.  Abbiamo  quindi  un  gruppo 
ben  distinto  di  vasi  legati  insieme  da  stretta  parentela.  Nessun  grave  dubbio  sorge,  che 
il  soggetto  del  quadro  sia  per  tutti  gli  esemplari  citati  il  medesimo.  L'attributo  della  lira 
fece  già  pensare  alle  nozze  di  Apollo  e  Afrodite  (i).  Ma  tale  interpretazione  è  lungi  dal- 
l'offrire  alcuna  seria  consistenza,  anche  perchè  essa  non  trova  solida  base  neppure  nella 
tradizione  mitologica  letteraria.  Ond'  è,  che  scartata  la  prima  ipotesi,  occorre  vedere  se 
almeno  in  taluni  casi,  non  si  tratti  piuttosto  delle  nozze  di  Adone  e  Afrodite  (2). 

Tra  gl'innumerevoli  specchi  etruschi,  la  cui  decorazione  incisa  s'informa  a  miti  ori- 
ginari della  Grecia,  e  a  motivi  tratti  dall'arte  greca,  più  di  uno  ve  ne  ha  con  rappresen- 
tazioni di  hierogamie,  le  quali  offrono  una  notevole  somiglianza  con  quella  dei  vasi  dipinti 
della  Magna  Grecia  citati  (3). 

Tale  uno  specchio  del  Museo  etrusco  di  Firenze  (fig.  7),  con  Adone  (ATVNIS) 
e  Afrodite  (TVRAN)  riposanti  sulla  kline,  avendo  Adone  nelle  mani  la  cetra  (4).  È  di 
per  se  evidente  come  siano  in  codesto  quadro  adombrate  le  nozze  di  Adone  e  Afrodite. 
Allo  stesso  soggetto  è  ispirata  la  decorazione  incisa  di  uno  specchio  del  Museo  Comunale 
di  Corneto  Tarquinia,  con  i  due  divini  personaggi  nell'atto  di  gettarsi  l'uno  fra  le  braccia 
dell'altro,  mentre  vedesi  la  kline  coniugale  nel  fondo.  A  proposito  del  secondo  specchio, 
è  da  osservare  che  il  titolo  OALNA  (Tlialna),  iscritto  alla  destra  del  gruppo  principale  e 
riferibile  alla  donna  del  gruppo  stesso,  rappresenta  evidentemente  un  errore  dell'incisore 
etrusco,  nella  cui  mente  non  avevano  forse  ancora  una  personalità  abbastanza  distinta 
0ALNA  (=  /uno)  e  TVRAN  (=  Venus).  L'esame  di  questi  nuovi  monumenti  figurati, 
e  specialmente  del  secondo,  appare  per  sé  sufficiente  a  legittimare  per  i  vasi  citati  l'in- 
terpretazione nuovamente  proposta.  Giacche  tutti  i  caratteri  dei  personaggi  nelle  dette  rap- 
presentazioni vascolari,  offrono  già  per  se  stessi  il  più  facile  appiglio  all'interpretazione 
proposta,  e  il  raffronto  monumentale  non  serve  che  di    riprova. 

(i)   A.   De  Witte,    cip,  cit.,  voi.  II,    p.  71  sgg.  ;  i86s,  p.    100.  sgg.  ;  nonché  in   houv.   Annales   de 

voi.  IV.  p.   147  sgg.  l'Inst.  Arili.,   I.  p.  sii).  Il  valore  probativo  degli 

(2)  Spetta    allo   stesso    De   Witte    il    merito   di  specchi  grattiti,    però,    rispetto    all'interpretazione 

.iver  segnalato  per  il  primo   l'importanza  del  mito  delle  pitture  vascolari,  si  estende  più  oltre  di  quanto 

di  Adone  ed  Afrodite  cosi  per  la  pittura  vascolare,  il    De  Witte  osasse  supporre. 

come  per  gli  specchi  etruschi  graffiti  (J.  De  Witte,  (3)    Gerhard- Korte,     Etnisk.    Spiegel,    voi.    V, 

Monuments  relati/i  ait  Mythe  d'.  Idonis,  in  Nuove  tav.  25. 

Memorie  dell'Istituto  di  Corrispondenza  Arckeol.,  (41  Ibidem,  tav.  2s. 


—  198  — 

In  due  delle  pelikai  ultimai  e  a  considerar!  .   pi     .   1  vediamo  la  dea  della 

bellezza  e  dell'amore,  abbandonarsi  libera,  in  un  atteggiamento  voluttuoso,  fra  le  braccia  del 


giovine  Adone.  È  qui  invece  la  fanciulla  che  si  accosta  incerta  e  dubitosa  al    letto   mari- 
tale e  che  il  naturale  1  ;  lo  1    1   ittii  ttimo  amplesso    1  ,  Non 


1   ir.  nel  quadro    I      '  (1        m 

\ 


Rossane:  •■  -i-vi'/.'.v  ri  ivi;>l  icapOévou   ;;  f»|v   ópàfox, 


-  199  — 

è  la  dea  che  si  asside  compiacente  al  fianco  dell'amato,  ma  la  fanciulla  che  in  presenza  di 
questo  si  affida  ancora  alle  mani  della  prònuba.   Tale   Proserpina   nella   reggia  di    l'Ini 

«  Ducitur  in  thalamum  virgo,  bt.it  pronuba  iuxta 
Stellantes  Nox  pietà  sinus  tangensque  cubile 
Omina  perpetuo  genitalia  foedere  sancit»(i). 

Ivi  mancano  indizi  sufficienti  a  determinare  in  modo  assoluto  l'individualità  dei 
singoli  personaggi,  ma  poiché  l'ambiente  nel  quale  questi  si  muovono  rimane  costante- 
mente e  puramente  ideale,  non  differenziandosi  nella  sostanza  dalle  altre  scene  citate,  è 
certo  che  l'individualità  dei  personaggi   non  offra  alcun  riscontro  con    la    vita    comune.  E 

poiché  si  deve  anche  dubitare  trattarsi  di  personaggi  del  ciclo  eroico,  non  è  da  ripudiare 
l'ipotesi  che  si  abbiano  qui  rappresentate  le  nozze  appunto  di  Adone  e  Persefone.  Nel 
mito  infatti  Persefone  compie  di  fronte  ad  Adone  la  stessa  funzione  di  Afrodite,  ed  anche 
gli  attributi  della  v'Ja<p-/),  cosi  nella  pei:/,;'  di  Napoli  come  m  quella  di  Taranto,  si  atta- 
gliano perfettamente  alla  dea  sotterranea  (2). 

Si  discosta  dal  gruppo  de^li  altri  vasi,  così  per  la  forma  vascolare  come  per  il  mo- 
mento rappresentato,  lo  skyphos  n.  XII.  La  scena  del  possessi,  violento,  quale  solo  ha 
riscontro  nella  skyphos  di  Monaco,  è  qui  anche  troppo  realistica.  Ma  non  per  questo  si 
tratterà  di  un  qualsiasi  soggetto  di  genere,  a  personaggi  indeterminati.  La  presenza  di 
Afrodite,  la  quale  incessa  patet  dea,  e  dei  gemetti  alati,  ci  mantiene  ancora  nell'ambiente 
ideale  cui  sopra  si  accenna,  nonostante  l'eccessiva  difficoltà  della  identificazione  completa. 

Anche  questa  scena  trova  riscontro  in  taluna  di  quelle  composi/ioni  poetiche  d'oc- 
casione, dette  epitalami,  gunite  sino  a  noi  dall'antichità.  Ce  ne  è  testimone  Claudiana 
con  questi  versi   in  cui   ricalca  più  antichi   motivi: 

«  Jam  nuptae  trepidat  sollicitus  pudor. 
Jam  produnt  lacrimas  flammea  simplices. 
Ne  ces^.i.  juvenis,  cominus  adgredi, 
Impacata  lice.it  saeviat  unguibus. 
Non  quisquam  truitur  veris  odoribus 
Hybl.iens  latebris   nec  spoli.it  favos, 
Si  fronti  caveat,  si  timeat   rubos; 
Amat  spina  rosas,   niella  tegunt  apes. 
Crescunt  difficili  paridi. 1  jurgio 
Accenditque  maj;is.  quae  refugit,  Venus. 
Quod  denti  tuleris,  plus  sapit  osculum. 
Dices  :  '  0  !  quotiens,  hoc  mila   di 
Quam  flavos  decies  vincere  Sarni.it, is  ! 


(1)  Claudian.,    De  Raptu    Proserpìnae,    II.    v.  de  l'ases  peints,  I.  pag.  124  (anfora  àpula,  con  per- 
jÓ2  sgg.  sonaggi  ritenuti  Proserpina,    \done  e    Afrodite). 

(2)  Intorno    al    mito    di    Adone   ved.    pia    sotto  1  ;    Claudian.,   Fescennino,    de    nuptiis   Honorii, 
bibliografia,    a   pag.   2  7,  cfr.   Reinach,  Réperloh 


—    200   — 

La  lékythos  di  Monaco  è  poi  in  certo  modo  interessante,  poiché  riunisce  insieme 
due  soggetti:  quello  comune  delle  pelìkai  e  la  lotta  amorosa  quale  è  dipinta  nello  skyphos 
di  Napoli.  Caratteristica  la  posa  dello  sgabello,  nonché  della  donna  con  ombrellino,  su  alti 
zoccoli  e  piedistalli.  Impossibile  l'identificazione  dei  personaggi  in  un  quadro  il  quale,  come 
opera  d'arte,  dimostra  con  tanta  evidenza  un'accozzaglia  di  elementi  attinti  a  fonti  disparate. 

III.  —  Rappresentazioni  nuziali  realistiche  sui  vasi  attici. 

Le  scene  ispirate  a  cerimonie  nuziali  non  appariscono  per  la  prima  volta,  come  ben 
sappiamo,  nella  ceramica  figurata  pugliese.  Essa  trovansi  già  su  prodotti  di  fabbriche 
vascolari  attiche,  di  cui  l'arte  vascolare  pugliese  è  discepola  e  in  certo  qual  modo  l'erede 
diretta.  Questa  delle  rappresentazioni  figurate  nuziali  costituisce  anzi  uno  dei  soggetti  più 
ovvii  del  repertorio  attico  nel  v  e  nel  IV  secolo.  Per  poca  attenzione  che  si  faccia,  tut- 
tavia, a  questo  campo  dell'arte  industriale,  si  nota  la  profonda  differenza  che  corre  tra  le 
concezioni  dei  pittori  pugliesi  e  quelle  dei  pittori  attici  entro  lo  stesso  campo  d'ispirazione. 

Le  scene  relative  a  cerimonie  nuziali  nel  campo  della  ceramica  attica  a  figure  rosse, 
s'incontrano  principalmente  su  due  classi  di  vasi:  pyxides  e  loutrophóroi.  Soprattutto  im- 
portanti per  l'arte  e  per  il  costume  questi  ultimi  (i).  Tali  rappresentazioni  figurate  riguar- 
dano particolari  momenti  del  rito  nuziale,  che  si  classificano  nel  modo  seguente,  cioè: 

a)  i  preparativi  della  sposa  nella  casa  paterna  ; 

b)  P  incontro  degli   sposi  ; 

e)  il  corteggio  nuziale  all'aperto; 

d)  l'arrivo  della  coppia  nuziale  e   il  ricevimento  presso  la  casa  dello  sposo; 

i?)  gli  lìpauììa  (offerte  dei  donativi  nuziali)  (2). 
Non  occorre  spender  parole  per  dimostrare  quello  che  è   già   chiaramente    dimostrato 
da  tale  enumerazione  di  soggetti  pittorici:  cioè  come  le  scene  nuziali  che  si  ammirano  sui 
vasi  pugliesi  descritti,  non  abbiano  alcuno  stretto  e  immediato  rapporto  con  i  soggetti  af- 


fi)  Perrot,  Histoire  de  l'Art  datis    l'antìauité,  mento  ad  Afrodite   è  poi  per  se  stessa  troppo  gè- 

voi.  X,  p.  730  sgg.  nerica  e  priva  dei  caratteri  d'una  rappresentazione 

(2)  A.  Brueckner  nell'  importante  articolo  sui  nuziale.  Cfr.  in  questo  stesso  volume  della  Ri- 
bolli nuziali  ateniesi,  sopra  citato,  enumera  i  vista,  p.  65  sgg.,  l'articolo  di  A.  Minto.  Corteo 
seguenti  episodi  rappresentativi:  1)  //ingresso  nuziale  in  un  frammento  di  lazza  attica,  co\  quale 
solenne  della  sposa  (sotto  la  quale  denomina-  ci  è  segnalato  il  primo  esempio  di  una  kylix  a  ti- 
zione  si  può  comprendere  il  corteggio  nuziale);  >;ure  rosse,  decorata  con  scene  relative  a  cerimonie 
2)  Hymenaios ;  3)  Epaulia  (presentazione  dei  doni  nuziali.  Dato  il  realismo  che  informa  tutta  la  pro- 
nuziali) ;  4*  //  ringraziamento  ad  Afrodite.  Il  se-  duzione  attica  in  questo  campo,  sembrami  sia  da 
condo  episodio  indicato  in  questa  enumerazione  escludere  il  dubbio  se  si  tratti  di  una  scena  della 
comprende  insieme  confusamente  gli  episodi  sopra  vita  comune.  —  Per  gli  Epaulia  v.  anche  fahr- 
distinti  colle  lettere  a,  b,  d.  La  scena  di  ringrazia-  buch,   1900,  p.   146  sgg. 


fini  della  pittura  vascolare  attica.  Da  una  parte  il  corteggio  pubblico,  la  pompa  esterna 
degli  sponsali;  dall'altra  la  scena  intima  e  voluttuosa  del  talamo,  idealmente  rappresentata. 
Le  scene  nuziali  su  vasi  di  pretta  fabbricazione  attica,  loutropkóroi  e  simili,  sono 
dunpue  ispirate  dalla  realtà  e  ritraggono  abbastanza  fedelmente  episodi  della  vita  quoti- 
diana ateniese,  con  poche  e  superficiali  intrusioni  ideali  e  fantastiche.  Il  realismo  dei 
loutropkóroi  a  scene  nuziali  è  quello  stesso  che  si  riscontra  nei  loutropkóroi  con  soggetti 
funebri.  11  realismo  dell'arte  vascolare  attica,  in  questo  campo,  è  altrettanto  evidente  che 
l'idealismo  dell'arte  vascolare  pugliese.  1!  Collignon,  trattando  delle  rappresentazioni  figu- 
rate di  cerimonie  nuziali,  credette  poter  affermare  che  l'arte  vascolare  attica  non  aveva 
mai  riprodotto  la  scena  del  talamo  o  camera  nuziale  in.  Anche  l'autore  del  famoso 
affresco  detto  le  Nozze  Aldobrandino,  avrebbe  rappresentato,  secondo  Robert,  non  già  il 
talamo  nuziale,  ma  la  scena  di  addio  della  sposa  alla  propria  camera  nella  casa  pai 
Ma  è  pur  da  considerare  che  l'arte  italiota  pugliese  non  altro  è  che  l'erede  dell'arte  attica 
e  ben  di  rado  ci  accade  di  scoprire  soggetti  pittorici,  specialmente  di  una  concezione  artistica 
molto  complessa,  1  quali  non  abbiano  già  goduto  di  una  certa  popolarità  nelle  officine  cera- 
miche del  continente  greco. 

IV.  —  Rappresentazioni  nuziali  mitologiche  sui  vasi  attici. 

Serve  come  chiara  riprova  di  quanto  s'è  detto  una  serie  non  trascurabile  di  monu- 
menti. Anzitutto  il  celebre  cratere  ruvese  del  Dramma  satiresco,  detto  anche  di  Prónomos, 
nel  Museo  Nazionale  di  Napoli  (3).  È  qui  presumibilmente  rappresentata  la  scena  culmi- 
nante di  un  dramma  satiresco,  nel  quale  si  celebravano  le  avventure  di  Arianna  e  le  sue 
nozze  con  Dioniso.  Il  realismo  vi  è  osservato  al  massimo  grado  e  non  si  nota  alcun  par- 
ticolare che  non  possa  aver  trovato  riscontro  nella  realtà.  La  coppia  divina,  rappresentata 
naturalmente  da  due  istrioni,  trionfa  sulla  nymphiké  kline,  tolta  a  simbolo  del  nodo  ma- 
trimoniale, in  mezzo  al  tiaso  bacchico  del  coro,  i  cui  personaggi  mortali  essendo  sul  punto 
di  incominciare  0  avendo  finito  la  parte,  hanno  in  mano  la  maschera  comica  e  appariscono 
quali  essi  sono,  dinanzi  al  pubblico  ammirato  e  plaudente.  Sulle  scene,  dunque,  del 
teatro  ateniese,  nelle  stesse  sacre  rappresentazioni  dionisiache,  non  ci  si  peritava  di  met- 
tere alla  vista  del  pubblico  il  talamo  stesso  degli  dei  e  l'atto  della  sua  consacrazione  1 
Le    arti  figurative  non  altro    fanno    che    seguire    la    moda    del    teatro  (5).    Importa    notare 

li)  In  Daremberg-Saglio,  Die  tionnaire,  s.  v.  Ma-  (5)  In  un  cratere  ruvese  .1  Pietroburgo  vediamo 

trìmonium.  la  coppia  Dionisiaca  seduta  sulla  kline  nuziale  so- 

121  Hermes,    1900,  p.  659.  spesa  sul  dorso  di  un  mulo,  preceduta   da   un  Si- 

(3     A.   v.    Salis.    Zur   Neaplet  Satyrspielvase,      leno  suonante  le  tibie  e  danzante  (Reinach,  Ri 

Jahrb.  1910,  p.  126  sgg.  I,  p.   18).  Anche  a  una  simile  rappresentazi 

(4)  Cfr.  in   Omero  l'a  talamo  di  Zeus       e  forse  estraneo  l'influsso  del   teatro   attico,    tanto 

ili.  1,  V-,  6oy  sgg.).  e  l"  spirito  comico,  tanta  la  giocosità  che  l'ii 


Ausonia  -  An 


26 


—   202    — 

che  il  vaso  del  Dramma  satiresco  appartiene  alla  fine  del  V  secolo;  è  anteriore,  cioè,  a 
tutti  i  vasi  sopra  numerati.  1  pittori  vascolari  pugliesi,  quindi,  possono  bene  aver  prese 
le  mosse,  anche  per  questo  rappresentazioni,    da    esemplari    dell'arte    vascolare 

attica. 

Tale  ipotesi,  dilla  dipendenza  dei  prudi  itti  vascolari  pugliesi  da  quelli  attici,  è  avva- 
lorata dalla  presenza  di  altri  non  infrequenti  monumenti  vascolari  di  provenienza  attica. 
Mostra  di  appartenere  alla  stessa  corrente  attica,  senza  alcuna  dipendenza  dall'arte 
are  italiota,  una  hydria  proveniente  dalla  Russia  meridionale,  con  la  rappresentazione 
delle  nozze  di  Dioniso  e  Arianna,  fra  Eroti  e  personaggi  vari  (i).  Vedasi  anche  qui  esat- 
tamente ripetuta  la  scena  ormai  ben  unta  sui  vasi  pugliesi,  dello  sposo  seduto  sulla  klinc, 
amorosamente  inclinato  sul  volto  della  fanciulla  amata.  Il  bel  vaso,  policromo  a  ritocchi 
d'oro,    non   è    anteriore  alla  metà    del  IV  secolo  (Scuola  di   Kertsch)  (2). 

Infine,  le  due  magnifiche  hydriaì  del  Museo  Archeol.  di  Firenze,  istoriate  nello  stile 
di  Midia,  provenienti  da  Populonia  (3)  ci  rivelami,  cui  loro  soggetti  tolti  a  prestito  dal 
mito  di  Adone,  0  Faone,  e  di  Afrodite,  e  con  gli  atteggiamenti  voluttuosi  dei  personaggi 
(Adone  riposante  sulle  ginocchia  di  Afrodite,  Faone  Minante  la  cetra  all'arrivo  di  Afrodite 
sul  carini,  un'altra  ricchissima  fonte  d'ispirazione  per  l'arte  vascolare  riflessa  della  Magna 
ia  (4).  È  a  tutti  nota  la  profonda  influenza  dallo  stile  di  Midia  esercitata  sui  ceramisti 
in  genere  dell'Italia  meridionale.  Hd  è  qui  larga  materia  per  estendere  il  riconoscili 
di  simili   influenze  artistiche  in    Italia. 

V.    —  I  vasi  nuziali  pugliesi   in  rapporto  all'arte  e  alla  poesia  greca. 
L'Idillio  XV  di  Teocrito. 

Se  il  cratere  napoletano,  dunque,  e  altri  monumenti  affini,  ci  mostrano  quali  furono  le 
fonti  d'ispirazione  di  certi  prodotti  artistici  in  Italia,  altrove  ci  è  dato  trovare  non  solo  la 
conferma  della  vasta  popolarità  dei  soggetti,  ma  anche  la  prova  che  l'interpretazione 
particolare  da  noi  proposta  pei  taluni  di  essi  è  esatta.  Ira  ^\\  Idilli  tutti  largamente  noti 
di  Teocrito  è  meritamente  celebre  l'Idillio  XV  detto  /.,  Siracusane,  con  l'inno  composto 
in  onore  di  Afrodite  e  di  Adone.  L'importanza  di  questa  composizione  poetica  per  l'ar< 
logia  e  la  storia  dell'arte  classica  sembra  essere  stata  finora  completamente  ignorata  dai 
filologi    studiosi    di   poesia  alessandi ina,   e   del   pari    misconosciuta  dagli    archeologi   dell'aiti. 

Frequenti  poi  sono  nella  ceramica  greca  e   italiota  rei,  voi.  Il,  p.   153  sg. 

le  scene  con  Dioniso  e   Arianna  seduti  sulla  i/ine,  Milani,  Monumenti  scelti  del  Museo  di  Fi- 

banchettanti.  reme,  taw.  III-IV. 

(1)  Reinach,   Anliguilés  du    Bosphore    limine-  (4)  Rientra  in  qu                    la  di    vasi    attici  il 

rien,  tav.  LXII,  Cratere  di  Faone,  al  Museo  di  Palermo  (Furtwangler- 

Furtwangler-Reichhold,  Griec h.    Vasenmale-  Reichhold,  Griech,   Vasemnalerei,  tav.  59). 


—  203  — 

Eppure  un  esame  del  capolavoro  teocriteo  dal  punto  di  vista  dell'archeologia  avrebbe  ser- 
vito a  semplificare  e  a  risolvere  talune  questioni  inutilmente  dibattute  nel  chiuso  campo 
della  filologia  del  testo. 

L'inno  cantato  dalla  figlia  di  Argea,  la  ■■■j-rr,  ioiSo'?,  è  tutto  un'apoteosi  degli  amori 
della  dea  Afrodite  con  Adone  a  lei  riaddotto  dal  perenne  Acheronte  (àrc  ievato  '  V^spoviro;). 
L'esaltazione  poetica  della  fantasia  si  mescla  però  con  la  descrizione  presumibilmente 
oggettiva  dell'apparato  sacro,  mediante  il  quale  intendevasi  di  celebrare  e  rappresentar 
vivamente  agli  occhi  dei  devoti,  in  mezzi.)  alla  ricchezza  ed  al  fasto  della  corte  di 
Tolomeo  Filadelfo,  l'incontro  patetico  di  Afrodite  e  di  Adone  e  la  breve  durata  dei  loro 
amori. 

Gorgo  e  Prassinoe,  le  garrule  Siracusane,  appena  entrate  nella  reggia  di  Tolomeo 
(-«  'jztiA'Òc;  ì;  i<pv£i<3  U-r<Ae|iafa>),  non  hanno  occhi  che  per  ammirare  le  opere  d'arte 
intorno  raccolte  ad  abbellire  la  festa.  Esse  ammirano  gli  arazzi  così  magnificamente  isto- 
riati da  sembrare  opera  divina,  con  le  figure  che  paiono  non  intessute,  ma  animate 
[ì'j.'\iuy\  oùx,  èvupxvTa)  e  l'argenteo  letto  su  cui  giace  il  giovinetto  Adone  ;-' zp-.-'j;:' z; 
/.xiMatai  xXwacó).  —  Più  a  lungo  tuttavia  la  donna  del  canto  si  diffonde  a  celebrare 
in  versi  sonanti  e  graziose  immagini  i  doni  votivi  della  regina  Arsinoe  e  l'ambiente  lus- 
suoso e  fantastico  in  mezzo  al  quale  si  festeggia  l'epifania  di  Adone.  Non  mancano  l'ebano, 
l'avorio  e  i  purpurei  tappeti  y.zXz/.oT^pot.  Girvcu. 

La  descrizione  continua: 


«  ÌTTJwrzi   /."k'.'ix    tiÌ)     Aoumoi    tòJ    /.  zam    %[).£. 
tzv   u,àv    K  •  J —pi;    ì'/£i,    t«v   ò'  i   poòowajfos  "Aòwvij. 

ClÙ    XSVTSl     T 

\ijv    ■>.  zv    K\ 


tpiXv);/.',   In   'ji   TTepl  yiil-.y.   Truppa. 

pi?   syoia'X    tòv    Z'jrà;   ^aipÉTw    xvopa  »  (i] 


Or  nell'esame  della  descrizione  poetica  risalta,  dal  lato  dell'interpretazione  archeolo- 
gica, una  difficoltà,  e  cioè  quella  di  distinguere  le  opere  d'arte  celebrate  dal  poeta  conio 
opere  di  scultura,  quali   le   1/.  Xsukw  sÀìoxvto;    scìstoi,    dalle  opere    di    pittura,    quali  gli 


ii)  Vv.  127-130  —  Seguo  qui  la  lezione  adot- 
tata da  Michelangeli  [Le  Siracusane,  Mimo  di  Teo- 
crito, a  cura  di  A.  Michelangeli,  Bologna,  Zani- 
chelli, NIDCCCLXXXXII),  il  quale  avrebbe  trovato 
nei  monumenti  da  me  citati  un  valido  argomento 
,1  sostegno  della  sua  lezione,  in  questa  parie  del 
testo  teocriteo  cosi  vessata  dai  critici.  Non  mi 
sembra  però  di  dover  porre  tra  virgolette  il  v.  127, 
come  fa  il  M.,  e  anche  l'Ahrens  [Bucolicorum 
Graecorum  Reliquiae,  Lipsiae,  M<  MIV).  Il  v.  127 


senza  alcun  dubbio  fa  parte  integrante  della  descri- 
zione del  sacro  apparato,  posando  su  questo  il 
senso  dei  versi  successivi,  e  non  è  già  un  inciso  se- 
condario, come  verrebbe  a  essere  quando  lo  si  chiu- 
desse tra  virgolette.  In  questo  mi  trovo  di 
con  vari  critici  di  Teocrito,  Steig,  Hermann,  Voss 
(v.  Michelangeli,  Appendice  critica),  pur  dando  la 
1  alla  punteggiatura  adottata  nei  versi  120 
e  127  dallo  Ahrens,  come  più  rispondente  al  senso 
della  descrizione  secondo  le  testinronianze  figurate. 


—  204  — 

arazzi  istoriati.  Onde,  sulla  base  del  testo  teocriteo,  non  potremmo  con  assoluta  sicurezza 
stabilire  se  il  gruppo  capitali'  di  Afrodite  e  di  Adone,  seduti  sulla  kline,  fosse  presentato 
chi  degli  spettatori  in  pittura,  o  non  piuttosto  come  un'opera  di  scultura  e  un  com- 
plesso di  statue  a  tutto  tondo,  ciò  che  siamo  propensi  tuttavia  a  credere  per  varie  ra- 
gioni (i).  La  questione  ha  qui  però  soltanto  un  valore  secondario.  Ciò  che  importa  notare 
si  è  come  la  figurazione  mistica  religiosa  descritta  da  Teocrito,  originaria  dal  culto  nazio- 
nale greco,  presenti  dei  punti  di  contatto  strettissimi  con  alcune  delle  scene  vascolari  ri- 
tte e  descritte  di  sopra  e,  anzi,  per  certi  particolari,  si  identifichi  esattamente  con 
quelle.  Anche  per  l'esegesi  e  il  retto  intendimento  dei  versi  teocritei  è  quindi  della  mas- 
sima importanza  lo  studio  di  un  materiale  archeologico  sinora,  nonché  trascurato,  quasi 
completamente  ignorato. 

Le  fonti  dei  soggetti  pittorici  usati  dai  ceramografi  dell'  Italia  meridionale  ci  sono 
dunque  ben  note.  Importa  ora  riconoscere  la  natura  puramente  ideale  del  contenuto  di 
tali  rappresentazioni  sui  vasi  dipinti.  Il  pittore  attico  o  alessandrino,  infatti,  altro  non  fa 
che  riprodurre  a  disegno,  sul  vaso  da  decorare,  l'episodio  di  una  cerimonia  religiosa  svol- 
tasi sotto  i  suoi  occhi,  o  un  quadro,  un'opera  d'arte  popolare  di  soggetto  mistico-religioso; 
mentre  il  pittore  italiota,  se  pure  ha  talvolta  il  modo  di  ispirarsi  direttamente  alla  n 
come  l'Idillio  XV  di  Teocrito  ci  induce  a  credere,  ha  senza  dubbio  davanti  agli  occhi  quei 
prodotti  industriali  affini  dell'arte  attica,  dei  quali  sono  giunte  fino  a  noi  abbondanti  te- 
stimonianze e  dalla  cui  influenza  difficilmente  riesce  a  sottrarsi.  L'opera  dei  pittori  italioti 
può  quindi  prescindere  completamente  dalla  vita  reale.  Questa  è  la  nota  fondamentale 
dell'arte  apula  italiota,  che  essa  ogni  soggetto  sembra  idealizzare  e  riprodurre  sub 
aeternitatis.  Occorre  quindi  porre  nel  massimo  rilievo  che  i  vasi  dipinti,  qui  per  la  prima 
volta  sinteticamente  illustrati,  sono  ben  lungi  dal  presentarci,  come  gli  ordinari  vasi  attici 
nuziali  {loutrophóroi  e  pyxides),  alcun  momento  caratteristico  di  cerimonie  nuziali  vere  e 
proprie,  tolto  dalla  realtà  quotidiana.  Tutto  il  contenuto  di  quelle  scene,  figure  principali 
e  secondarie,  tutto  è  lavoro  poetico  di  fantasia,  e  deluso  resterebbe  chi  intendesse  ritro- 
varvi elementi,  sia  pur  modesti,  di  autentico  verismo.  L'arte  àpula  ha  dunque  anche  qui 
;i  ispirarsi  all'arte  attica,   senza  esserne    la   pedissequa  imitatrice,  e  molto    deve  talora 

■  in  fondo  chi   voglia  rintracciarne  le  dipendenze  lontane. 
Se  non  abbiamo  così  dei   documenti   storici   per    il   Costume,   si   è    guadagnata  tuttavia 
un'altra   prova   della  stretta  dipendenza  dell'arte  vascolare   pugliese    dall'arte,    dalla    poesia, 
dalla  religione  quali  fiorivano  in  schietto  territorio  greco. 


(t)  Da  notizie  attinte  ad  antichi    scrittori    (Più-  trassero  largamente  le  opere  di   scultura,  le  quali 

Alcib.,   XVIII;  S.  Cyrill.  Alex.,  In  Isaiam,  facevano  parte  integrante  del  culto  stesso,  protrat- 

I.  Il,  e.  XVIII,  vaPatrol.  Gr.,  voi.  LXX,  p.  439  SS.),  tosi   in  questa  forma  sino   in  pieno  évo  cristiano; 

chiaro  risulta  come  nel  culto  iconico  di  Adone  en-  onde  l'innegabile  influenza  di  quel  culto  nell'arte. 


—  205  - 

VI.  Influenza  dei  soggetti  nuziali  su  monumenti  vari 

di   arte   figurata. 

L'importanza  degli  esemplari  fittili  pugliesi,  ben  s'intende,  è  tanto  maggiore  quanto  più 
evànide  sono  le  tracce  degli  archetipi  venuti  dalla  Grecia  propriamente  detta.  Della  cele- 
brità dei  quali  ci  restano  chiare  testimonianze  non  solo  nel  campo  della  pittura  vascolare, 
ma  anche  in  altri  campi  dell'arte  antica,  fra  i   piìi  svariati. 

S'impone  qui  in  prima  linea  alla  nostra  considerazione  il  celebre  affresco  delle  Nozze 
Aldobrandine  nella  Biblioteca  Vaticana.  Intorno  alla  meravigliosa  opera  d'arte  si  è  a  lungo 
dibattuta  la  questione  se  l'originale  cui  è  da  riferire  l'affresco,  quasi  certamente  di  età 
augustea,  sia  un  prodotto  dell'arte  anteriore  o  posteriore  all'età  di  Alessandro.  L'ultimo 
illustratore  del  prezioso  cimelio,  il  prof.  B.  Nogara,  si  pronunzia  in  favore  della  prima  ipo- 
tesi, ma  torse  senza  ben  giustificati  motivi  (i).  Giacché  non  solo  gli  atteggiamenti  nei 
quali  ci  appariscono  i  singoli  personaggi,  come  è  stato  già  riconosciuto,  sono  ellenistici, 
ma  ellenistico  è  lo  spirito  che  informa  tutta  quanta  la  scena. 

Come  si  è  veduto,  l'arte  attica,  sino  alla  fine  del  V  secolo  ed  oltre,  non  conosce,  in 
questo  particolare  campo  d'ispirazione  che  e  costituito  dai  soggetti  nuziali,  altro  che  l'esatta 
riproduzione  della  realtà  {loutrophóroì)  o  le  pure  costruzioni  poetiche  e  fantastiche  (vaso 
di  Prónomos).  Nelle  Nozze  Aldobrandine  vediamo  invece  elementi  realistici,  come  il  gruppo 
muliebre  del  catino  per  la  lavanda,  insieme  ad  elementi  ideali  quali  Afrodite  pronuba, 
Peithò  e  il  caratteristico  simbolico  personaggio  di  Imeneo  (2).  Tale  mescolanza  di  ele- 
menti eterogenei,  come  nel  quadro  delle  Nozze  di  Alessandro  e  Rossane,  dipinto  da  Aetion 
(Lucian.,  Herod.,  5),  non  si  riscontra  che  in  età  alessandrina  e  nei  nostri  vasi  pugliesi  che 
di  quell'arte  serbano  i  riflessi  abbastanza  chiari.  L'originale  delle  Nozze  Aldobrandine  non 
è  quindi   da  ritenersi  anteriore  alla  seconda  metà  del   IV   secolo. 

Si  è  già  accennato  agli  specchi  etruschi  graffiti  e  alla  loro  importanza  per  la  materia 
di  cui  si  tratta.  La  dipendenza  dei  motivi  di  quest'arte  decorativa  del  bronzo  dalle  pit- 
ture vascolari  pugliesi  appariva  già  nei  due  esempi  sopra  citati.  Ma  tale  dipendenza  va 
ancora  più  oltre  e  la  si  può  cogliere  facilmente  nei  suoi  tratti  principali  attraverso  il  ricco 
materiale  a  nostra  disposizione.  Lo  schema  della  coppia  nuziale  nelle  frequenti  hierogamie 
o  teogamie  mistiche  degli  specchi  etruschi  (il  più  delle  volte  con  Adone  e  Afrodite,  con- 
trassegnati dai   loro   nomi   etruschi!,  ci  apparisce  negli   aspetti  seguenti: 

a)  i   due  personaggi  principali  seduti  l'uno  sulle  ginocchia    dell'altro    sopra  la  kline 
nuziale  (Gerhard,  tav.   CX1V  ;  CCLXIX;   CCLXXIX,    3,  e  CCCXV,    5; 


(1)  B.  Nogara,  Le  Nozze  Aldobrandine,  Milano  (21  Ruben,  art.  cit.  Più  d'uno  dei  motivi,  anche 

(Hnepli)  mcmvii,  p.  24.  secondari,  dal  quadra  ricorre  nei  vasi  ut. iti. 


—    206    — 

6)  i  due  personaggi  in  piedi  abbracciati   (Gerhard,  tavv.  CXI,    CXI1    e    CX11I     i 
CCI,  CCVI,  CCXX1V-./;  CCLXX1X  e  CCCXXI1;  e  tav.  CCLXXXII,  CCXC,  CCXC1X, 
CCCLXXXI;  V,  tavv.  23,  24,  25  (specchio  di  Corneto  T.),  26(2). 

1  due  schemi  ebbero  evidentemente  i  loro  archetipi  :  il  primo  nelle  rappresentazioni 
vascolari  citate;  il  secondo  in  altre  rappresentazioni  vascolari  che  non  varrebbe  la  pena 
di  citar  tutte,  poiché  abbondano  i  vasi  dipinti  con  motivi  identici  0  affini  (3). 

Tutte  queste  rappresentazioni  su  specchi,  essendo  generalmente  dipendenti  dall'arte 
\  asci  ilare  pugliese,  non  possono  risalire,  come  è  anche  dimostrato  dallo  stile,  più  indietro 
della  metà  del  IV  secolo,  ed  anzi  possiamo  ritenere  che  si  inoltrino  talora  ben  avanti  nel 
secolo  in. 

Segue  a  questa  tutta  una  produzione  di  minore  importanza  artistica.  Ricordiamo  una 
lékythos  a  rilievo  policromo,  riprodotta  in  più  esemplari,  tutti  provenienti  dall'  Italia  meri- 
dionale (4);  quivi  una  scena  delle  nozze,  e  precisamente  quella  del  talamo,  è  molto  al 
vivo  rappresentata,  con  la  novella  sposa  (vu'ttopri)  la  quale  depone  le  vesti  stando  presso 
la  kline,  in  mezzo  a  due  figure  di  pronube  (vu[/.tpìuTpiai).  La  tecnica  del  vaso  e  la  bontà 
dell'esecuzione  ci  riportano  in  piena  età  alessandrina,  forse  non  molto  posteriore  a  quella 
dei  vasi  pugliesi  dipinti. 

Segue  una  serie  di  piccoli  gruppi  in  terracotta,  nei  quali  apparisce  la  coppia  nuziale 
seduta  sulla  kline,  nell'aspetto  stesso,  generico,  di  Afrodite  e  di  Adone.  1  luoghi  di  pro- 
venienza di  queste  terrecotte  sono  Atene,  Corinto,  Mirina,  Taranto,  ed  altri  centri  della 
Grecia  propriamente  detta  e  della  Magna  Grecia  (5).  Uno  di  questi  gruppi,  con  un  Erote 
in  alto  che  regge  i  lembi  di  un  drappo  a  sfondo  del  gruppo  principale,  risela  chiara 
l'ispirazione  essenzialmente  pittorica  dell'opera  d'arte  (6).  Queste  terrecotte,  le  quali  trag- 
gono la  loro  origine  dall'arte  greca  ed  ellenistica,  ci  trasportano,  per  l'età,  in  pieno  mondo 
e  in  piena  dominazione  romana. 

Chiude  il  ciclo  di  questa  produzione  artistica,  improntata  alle  poetiche  cerimonie  nu- 
ziali, la  serie  di  quadretti  erotici  intercalati  fra  gli  affreschi  scoperti  nella  casa  romana  della 

([)  Leggèra  variante  del  motivo, enti  Adone  in  piedi  Selinunte,  colla  deposizione  del  velo. 
e  Air.  .dite  avi.ovan.ijta.  (ili  artefici  etruschi  sembrano  (3)    Cfr.    De    Witte,    Élite    Céramographique, 

anche  confondere  la  natura  di  Adone  con  quella  Ji  voi.  IV,  tav.  l.MII  (aryballos  ruvese),  tav.  LXIV 

Eros,  poiché  nello  specchio  <  ìerhard,  tavola  CXV1,  (stdmnos    àpulo),    LXVI    (pelike),    LX VII I 

Vdone  è  rappresentato  con  le  ali,  ciò  che  mai  non  chóe),    I  XXXI     oinochóe  faliscaj,   con   motivi    e 

avviene  nei  vasi  dipinti.  Né  perciò  si  può  accettare  personaggi  erotici,  tutti  interpretati   da   De   Witte 

l'ipotesi  di   I.  De  Witte  (        Vuovi    Memorie,  art.  come  Adone  e  Afrodite. 
cit,  p.  ti 9)  che  Adone  sia  da  identificare  con  Eros.  (4)  Ròm.  Miti.,  v.  e,  p.  86. 

(2)  Un    altro    schema   particolare  di   figurazioni  (5)  Winter,  ./"/.    TerrakiotUn,  III,  2.  p.  224  e 

nuziali  su  specchi  etruschi,  è  quello  con  figura  mu-  p.  252  sg. 

liebre  denudantesi  in  presenza  di  divinità  virile  se-  (6)  Cfr.  Lucian.l.c:  «"EfxoTss  ZI  nvej  [uiBiOvte;, 

dota    («ìerhard,  op.  cit.,   IV,   tav.    CCC,    1   e  2).  4  (làv  xatÓJtiv  ÉpeaTÙ?   ìxbfu  77";  xspaXj);  ttjv  icoXutc- 

Cfr.  le  nozze  di  Zeus  ed    Hera    sulla    metopa    di  rpoev  xaù  8s\xvuo<  ri»  vjjj.su.>  tt.v  To;ivr,v ». 


—  207  — 

Farnesina  (i).  Il  contenuto  di  più  di  uno  di  questi  quadretti  è  invero  dubbio  ed  equivoco, 
ma  non  si  può  negare  che  uno,  e  forse  due  di  essi,  con  la  giovane  sposa  velata,  dallo 
sguardo  dimesso,  seduta  a  fianco  dello  sposo,  s'ispiri  a  un  motivo  ormai,  più  che  celebre, 
vieto  dell'arte  greca  e  grecizzante. 

VII.  —  Importanza  del  culto  ellenico  di  Adone  nei  rapporti  dell'arte. 

Da  tutto  il   sin  qui  detto    risulta    spontanea    la    divisione   del   materiale  citato  in    due 
categorie,  di  cui   la  seconda  dipendente  dalla  prima: 

i)  scene  figurate  relative  alle  nozze  di   Adone  e  Afrodite  (o   Persefone); 

2)  scene  figurate  simili,  relative  a  divinità,  eroi  mitologici,  personaggi  comuni. 
La  dipendenza  di  una  categoria  dall'altra,  a  cominciare  dal  IV  secolo,  non  ha  bisogno 
di  ulteriori  dimostrazioni.  Ma,  colla  legittima  presupposizione  di  altri  monumenti,  i  quali 
non  sono  fino  a  noi  pervenuti,  sarà  facile  estendere  la  medesima  dipendenza  d'ispirazione 
artistica  anche  a  tempi  anteriori,  allorché  si  pensi  che  il  culto  iconico  di  Adone  già  dal 
V  secolo  aveva  messo  in  Atene  radici  profonde  (2).  E  se  il  culto  del  giovine  amante  di 
Afrodite  esigeva  fin  d'allora  che  se  ne  piangesse  la  morte  portandone  in  giro  i  simulacri 
per  le  vie  della  città  (ìfooAa...  vsxpoì^  'e%xou.i£o|Aevoi;  ojaoiz)  e  sollevando  alti  e  dolo- 
rosi lamenti,  siamo  pur  indotti  a  ritenere  che  con  diverso  animo,  ma  con  non  minor  lusso 
e  grandiosità  di  apparato,  si  celebrassero  in  immagine  le  nozze  di  Adone  e  Afrodite,  cosi 
come  sappiamo  che  si  seguitava  a  fare  in  Alessandria  al  tempo  dei  Tolomei.  In  questo 
caso  non  solo  gli  esemplari  citati  di  vasi  della  Magna  Grecia  si  potranno  ritenere  dipen- 
denti dall'arte  attica  del  V  secolo,  ma  gli  stessi  modelli  attici  conosciuti,  a  cominciare  dal 
vaso  di  Prónomos,  con  le  nozze  di  Dioniso  e  Arianna  invece  che  di  Adone  e  Afrodite, 
ripetono  forse  la  loro  origine  dalle  solenni  cerimonie  del  culto  dì  Adone  in  Atene  e  dalla 
rappresentazione  figurata  di  codeste  cerimonie.  Onde  la  maggiore  coesione  ed  omogeneità 
di   tutto   il    materiale  archeologico   preso  in   esame. 

(1)  Mon.  dell'Ist.,  voi.   XII,  tav.  S.  culto  alessandrino  di  Adone,  di  luì  e  testimonianza 

(2)  Plutarco.  Alcib.,  XVIII;  Nicia,  XIII.  —  in  Teocrito,  risente  bene  delle  forme  del  culto  greco, 
Aristoph.,  Lisistrata,  v.  390  sgg.  —  Yed.  anche  E.  essendo  stato  importato  direttamente  dalla  (  ìrecia, 
Saglio,  Diciionnaire  des  Antiquités,  t.v.  Adonis.  e  non  già  dal  culto  Sirio-Fenicio,  di  cui  non  vi  è 
E.  Saglio  ritiene  che  non  vi  siano  testimonianze  traccia.  —  V.  anche  i  frammenti  di  Saffo  e  Praxilla 
positive  riguardanti  una  festa  della  resurrezione  di  in  Anthol.  Lyr.,  p.  202  e  p.  276.  —  Sopra  il 
Adone  nella  Grecia  propriamente  detta.  A  me  pare  culto  di  Adone  nell'antica  Grecia,  v.  l'opera  di 
invece  che  una  tale  testimonianza  venga  appunto  VV.  Baudissin,  Adonis  u.  Estnun,  Etne  Unter- 
offerta  anzitutto  dai  vari  monumenti  figurati,  messi  suchung    sur    Geschichte  des    Glaubes  an    , 

qui  per  la  prima  volta  nella  loro  vera  luce,  i  quali,  stehungsgótter  u.   an   Heilgótter  (l.eip/ig.   min. 

per  quanto  diversi  fra  loro,  sono   tutti    da    ricon-  p.   126  sgg.,   e    inoltre    A.    Jeremias    in    Roschers 

nettere  più  0  meno  strettamente  ad  opere  originali  Lexikon,s.  v.  Tammus- Adonis,  nonché  Diimmler, 

dell'arte  attica:  in  secondo   luogo   al    fatto   che   il  in   Paulys  Real-Encyclopàdie,         .  Adi  vis. 


—    208   — 


Vili.  —  La  ••  pelike  ..  tra  i  vasi  a  soggetti  nuziali  nella  Magna  Grecia. 

Dati  cronologici. 

Lo  scopo  di  queste  note  consiste  unicamente  nell' esibire  in  un  esame  sintetico 
riassuntivo  le  opere  di  una  speciale  corrente  artistica  sviluppatasi  nell'Italia  meridionale 
sotto  l'influsso  immediato  dell'arte  figurata  e  della  poesia  greca,  e  nel  mostrare  il  con- 
tenuto puramente  religioso  e  ideale  di  quelle  opere.  Ad  un'altra  circostanza  non  posso 
qui  esimermi  dall'accennare,  come  intimamente  connessa  coli' indole  dell'argomento.  Ed  è 
che  la  massima  parte  dei  vasi  esaminati  ripetono  la  forma  della  pelike.  11  ripetersi  costante 
del  fatto  non  è  certamente  fortuito  e  riposa  su  particolari  ragioni  e  circostanze  di  costume  e 
di  rito.  Così  le  graziose  pyxides  e  i  grandi  loutrophàroi  attici,  due  classi  di  vasi  destinate 
a  comparire  nelle  cerimonie  degli  sponsali,  si  decoravano  con  scene  di  nozze.  E  altrettanto 
dicaci   degli  stdmnoi  o  nymphikoi  lébeleS,  come  è  stato    recentemente    dimostrato  (i). 

Che  la  pelike  sia  un  tipo  di  anfora,  a  pancia  sviluppata,  da  usarsi  essenzialmente, 
come  i  loutrophàroi,  per  il  trasporto  e  la  conservazione  dell'acqua,  è  cosa  facile  a  rico- 
noscere (2).  Dei  loutrophàroi  attici,  perù,  sappiamo  che  servivano  nella  vita  corrente  per 
le  abluzioni  di  rito  relative  agli  sponsali,  e  talora  anche  erano  destinati  a  decorare  i  tumuli 
eretti  in  onore  di  giovani  morti  zyzy.oi  (senza  nozze).  Nessuna  testimonianza  è  giunta 
sino  a  noi  a  rivelarci  l'uso  pratico  delle  pelike  nell'Italia  meridionale.  Ma  troppo  spiccato, 
tuttavia,  è  l'elemento  erotico  e  voluttuoso,  talora  anche  funebre,  che  pervade  le  rappre- 
sentazioni mitologiche  delle  pelikaì  pugliesi  descritte,  perchè  non  si  debba  concludere  e 
ritenere  che  anche  queste  siano  strettamente  connesse  col  culto  di  Adone  e  Afrodite 
(secondariamente  Persefone)  e  colle  cerimonie  che  a  questo  culto  si  connettono.  Citerò  a 
tale  proposito  altri  due  esempi  di  pelikaì  istoriate,  le  quali  non  entrarono  finora  nell'àm- 
bito  dell'argomento: 

1'.  Grande  pelike  da  Armento;  (Museo  Nazionale  di  Napoli)  con  Adone  recum- 
bente  sulla  kline  suonando  la  cetra,  e  Afrodite  che  corre  a  lui  incontro  sul  carro  {lahrluuh 
d.  .beh.    Just.,   XXVII,    191 2,   p.   288,   fig.    14); 

lla.  Grande  pelike  pugliese  {ivi,  Collez,  Santangelo,  n,  2024,  Sala  di  Ruvo),  con 
Adone  moribondo  sulla  kline  e  in  alto  Afrodite  inginocchiata,  implorante,  ai  piedi  di  Zeus 
{Bull.  Nap.,  VII,  tav.  9;  Reinach,  Rép.  des  vases,  1,  p.  4991  (3)  da  una  parte;  dall'altra 
Persefone,  tenendo  la  fiaccola  capovolta. 

mi  Hrueckner,  art.  cit.  in  quanti  tale  somiglianza  pi  issa  dimostrare  ancor. 

(2)  Non  mi  sembra  sia  da  disconoscere  la  somi-  più    chiaramente    la    destinazione   della    pelike   al 

.'  mi/i  nelle  turine  tectoniche  fra  la  greca  pelike.  trasporto  dell'acqua 

ad  esempio,  e  la  non  meno  classica  conca  di  rame  (3)  A.  De  Witte  riconobbe  una  ripetizione  del 

ancor  oggi  in  uso  nella  campagna  di    Roma,  solo  quadro   della   pelike    Santangelo,    colla    morted 


Codesti  due  vasi  rientrano  nella  categoria  delle  pelikaì  descritte,  non  solo  per  l'af- 
finità dei  soggetti  con  cui  sono  istoriate,  ma  per  la  stessa  sintassi  della  composizione,  pre- 
sentando nella  kline  del  giovine  Adone,  sempre  al  centro  del  quadro,  come  il  perno  di 
tutta  quanta  la  scena,  i  due  episodi  tolti  per  la  decorazione  figurata  dei  vasi  in  discorso, 
rappresentano  come  Val/a  e  \' omega  del  mito  di  Adone  e  di  Afrodite,  e  ragionevolmente 
vanno  classificati  insieme  con  i  vasi  citati  di  sopra.  I  quali  tutti,  per  le  rappresentazioni 
figurate  alle  quali   s'informano,   rivelano  una   identica  destinazione   pratica  e  rituale. 

Le  considerazii mi  già  svolte  intorno  al  mito  figurato  di  Adone  da  uno  studioso  di 
venerata  memoria,  Jean  De  Witte  (art.  cit.,  p.  mi  sgg.),  fondate  sul  carattere  allegorico 
di  codeste  scene  vascolari,  ci  autorizzerebbero  a  ritenere  che  le  pelikaì  avessero  una  par- 
ticolare destinazione,  relativa  non  tanto  al  culto  di  una  divinità,  quanto  al  culto  dei  morti 
e  alle  funebri  cerimonie,  come  gli  stessi  loutrophóroì  attici.  Tanto  più  significative  a  tale 
riguardo  sarebbero  le  figurazioni  delle  pelikaì  pugliesi,  in  quanto  le  nozze  di  Adone  e 
Afrodite,  e  di  Adone  e  Persefone,  non  richiamavano  alla  mente  soltanto  l'idea  deliri  spo- 
salizio ultraterreno,  ma  anche  l'idea  della  risurrezione  (i),  secondo  la  conoscenza  che  i 
Greci  e  gli  Etruschi  del  IV  secolo  avevano  delle  varie  vicende  del  mitico  Adone,  t:  ancora 
da  tenere  nel  debito  conto  elle  le  figurazioni  degli  amori  di  Adone  e  Afrodite  o  Persefone 
non  ricorrono,  salvo  eccezioni  rarissime,  altrove  che  in  pelikaì  {2),  e  in  quello  che  è  il  tipo 
di   vaso  funerario  per  eccellenza,   la  lékythos  nelle  svariate  sue  forme. 


Amerebbesi,  al  termine  di  queste  note,  aggiungere  talune  osservazioni  in  mento  ai 
centri  di  fabbricazione  dì  codesti  vasi,  certamente  pugliesi,  e  alla  loro  cronologia.  Tutte 
le  pelikaì,  sembrano  avere  l'impronta  della  medesima  fabbrica.  Ora  di  tre  fra  queste 
conosciamo  per  sicura  la  provenienza,  che  è  Taranto;  la  qual  provenienza  vale  anche  per 
un  quarto  vaso.  Quindi,  pur  non  volendo,  allo  stato  attuale  delle  conoscenze,  pervenire  a 
conclusioni  troppo  assolute,  sembra  tuttavia  lecito  ritenere  che  Taranto,  centro  artistico 
di  prim'ordine,  abbia  favorito  senz'altro  e  sviluppato  nel  suo  seno  una  particolare  corrente 


Adirne,  in  una  grande  anfora  trovata  a  1  gorgo- 
glione presso  Armenium  in  Basilicata  e  conservata 
nella  Collezione  Amali  a  Potenza  {Élite  cèramo- 
graphìque,  voi.  IV.  p.  lui  -sg.1.  —  Anche  nel  vaso 
della  Culle/1.  Santangelo  la  figura  di  Persefone, 
farlmente  identificabile,  alla  destra  di  Zeus,  porta 
sul  capi  una  specie  Ji  corona  rialzata 
alla    maniera    della    figura    muliebre    che  abbiamo 


l'esattezza  della   identificazione  pro|      ta. 

(1  1  Theocr.,  Idvll.  XV,  v.  102  sg. 

(2)  Cfr.  Walters,   Calai,  oj  vases  in  fin 
F.    181-183  ;   I  .     |i  8-  ;  ;■  >.   (  ..ir.    arici  ra  pe  ikat    pu- 
gliesi   con    scene   erotiche,    Lenormant-De    Witte, 
voi.  IV.  tavv.  XI,   XV,   XVI,    LXXI,    I  XXV.  - 
Reinach,  Répertoire,  I.  p.  m  e  128.        V   \ 
Napoli,  nella  sala  Jei  vasi  di  Ruvp,   sono   nume- 


notato  in  talunn  dei  vasi  descritti,  in    funzione  di       rosi  1  raffronti  che  si  possono   fare   con   esemplari 
sposa;    la  guai  circostanza    servirà    a    confermare       vascolari  simili,  ancora  inediti. 


artistica,  la  quale  ci  fa  dimenticare  la  sua  patria  d'origine  per  divenire  cosa  tutta  quanta 
italiana  I  i  |. 

Quanto  alla  e logia,  basti  tener  presente  che  la  più  rigogliosa  fioritura  Jella  ce- 
ramica pugliese,  colle  grandi  anfore  di  parata  trovate  a  Ruvo  e  Canosa,  alla  cui  arte  le 
pelikai  nuziali  si  ricollegano  per  lo  stile,  è  Jella  seconda  metà  del  IV  secolo  e  coincide 
col  primo  periodo  alessandrino  (2).  Ciò  basta  a  spiegarci  la  presenza,  sui  nostri  vasi,  di  tipi 
artistici  di  stampo  prettamente  prassitelico.  Dai  puri  germi  dell'arte  attica  sbocciano  cosi 
in   Italia  i   fiori   ideali  della  nuova  cultura  ellenistica   *. 

Goffredo  bendinelli. 


(1)  Nei  magazzini  del  Museo  di  Taranto  si  tro- 
vano .nube  piccoli  frammenti,  per  sé  insignificanti, 
di  altre  pelikai  simili  a  quelle  Jescritte;  uno  dei 
quali  con  Afrodite  seduta  sul  dorso  di  un  cigno, 
avente  le  ali  aperte  al  volo,  come  nella  pelike  ta- 
rantina descritta  a  p.  3. 

(2)  V.  Macchio),,  (art.  cit.i  pone  la  pelike  di 
-Winrnio  sopra  citata  appunto    nel   cosi   detto    se- 


cando periodo   dì   Armento   (=  terzo  periodo  di 
Ruvo),   il  quale  andrebbe  dal  350  al  300  av.  Cristo. 
Tale  pr/ik,-  di  Armento  presenta  nella  comi' 
e  nel  disegno  delle  ligure  notevoli  punti  di  contatto 
con  le  nostre  pelikai. 

Ftr  lei  1  dti  grandi  vasi  apuli  dipinti  in  gene- 
rale, cfr.  Furtwangler,  Griech.  Vasenmalerei, 
voi.  II,  p.   [53  sg. 


*  Rendo  grazie,  per  le  riproduzioni  fotografiche  onde  è  corredato  il  pre- 
dente articolo,  agli  egregi  Professori  Vittorio  Spinazzola,  Direttore  del  Museo 
Nazionale  di  Napoli,  e  Luigi  Pernier,  del  Museo  Archeologico  Nazionale  di 
Firenze,  che  mi  procurarono  gentilmente  le  fotografie  degli  oggetti. 


CASTRA  ALBANA 


VN   ACCAMPAMENTO   ROMANO   FORTIFICATO 
AL  XV  MIGLIO   DELLA  VIA  APPIA 


La  moderna  città  di  Albano,  fiorente  per  la  sua  amena  posizione  e  per  una  popola- 
zione di  quasi  10.000  abitanti,  si  trova,  come  è  noto,  per  una  buona  metà  nell'interno  di 
un  antico  accampamento  romano,  le  cui  vestigia,  in  parte  ancora  visibili  sopra  terra,  in 
parte  racchiuse  tra  le  mura  delle  case  moderne,  formano  uno  dei  suoi  vanti  archeologici 
e  ricordano  alla  graziosa  città  la  storia  del  suo  passato,  lunga  ed  attiva  per  più 
secoli. 

È  egualmente  noto  che  questa  stona,  nella  età  antica,  si  t'onda  su  due  fatti  di  pri- 
maria importanza:  dapprima,  la  fondazione  sui  colli  Albani  propriamente  detti  (Albano  e 
Castel  Gandolfo)  di  una  fastosa  villa  imperiale,  sorta  per  opera  di  Domiziano,  fra  i  pri- 
missimi anni  del  suo  impero  [),  e  quindi,  poco  più  di  un  secolo  dopo,  la  occupazione  del 
suo  territorio  da  parte  della  legione  11  Partica,  quivi  acquartierata  stabilmente  da  Seti  mi 
Severo  per  la  protezione  di   Roma  e  del  suo  trono. 

Sebbene  storicamente  i  due  fatti  siano  ben  distinti,  tuttavia  nel  campo  topografico 
l'uno  dipende  in  modo  diretto  dall'altro,  e  anzi  si  intrecciano  fra  loro  in  tal  guisa,  che 
oggi  riesce  assai  difficile  distinguere  quali  costruzioni,  specialmente  nell'ambito  de 
di  Albano,  dipendano  dalla  villa  domizianea  e  quali  dalla  permanenza  dei  legionari  partici. 
La  villa  domizianea  però,  per  la  maggiore  vastità  e  per  la  Tania  del  suo  costrutti  re,  lama 
passata  con  insistenza,  a  traverso  le  memorie  cristiane,  nella  tradizione  medievale  e  mo- 
derna, previ  Ila  più  lunga  dimora  della  legione  Partica  ed  assorbì  a  se 
quasi  tutti  i  monumenti  della  regione.  Nacque  così  che  i  grai  •  attribuiti 
senz'altro  a  Domiziano,  con  un  consenso  fino  ad  oggi  quasi  indiscusso,  ed  egualmente  fos- 
sero creduti   opera  sua:   le  terme,   situate  all'estremo  occidentale   di  Albano,   in    località  Cel- 

(i)  Sappiamo  infatti  da  Cassio  Dione  (66,9)  che      e  che  mise  mai 
Domiziano  soleva  dimorare  in    Albano    già   prima       tr"ii<>.  Cf.  Lugli,  Le  antichi  ville  dei  col 
di  diventare  imperatore  (nella  antica  villa  di  Pompeo]      in  Bull.  Comm..  1 9 1  s  r 


tomaio,  l'edificio  rotondo  nell'interno  del  castro,  a  ridosso  del  lato  nord-ovest,  e  la  mera- 
iserva  d'acqua,  anch'essa  nell'interno  del  castro,  presso  il  lato  corto  di  nord-est. 

Tutti  i  suddetti  monumenti  sorgono  sul  versante  orientale  della  terza  collina,  la  più 
alta  e  la  più  appartata  delle  tri  occupate  da  Domiziano  per  la  sua  villa.  Ho  già  accen- 
nila in  altro  studio  (i),  sommariamente,  alla  disposizione  delle  varie  costruzioni  sulle  altre 
due  colline:  sulla  prima  (moderno  paese  di  Castel  Gandolfo)  non  sembra  che  vi  fossero 
importanti  costruzioni,  ma  solo  giardini  e  fabbriche  di  liso  rustico  12);  sulla  seconda  (ville 
Barberini  e  Propaganda  Fide)  erano:  un  quadriportico,  il  teatro,  il  palazzo,  un  ippodromo, 
le  grandi  scuderie  e  tutte  le  altre  fabbriche  attinenti  alla  dimora  imperiale;  sulla  terza  poi 
(Albano  e  Cappuccini  di  Albano)  erano:  l'anfiteatro,  quasi  sulla  cima,  il  castro  al  disotto, 
l'edificio  rotondo  e  la  conserva  nell'interno  del  castro,  e  infine  le  terme  sulle  ultime  pen- 
dici, a  dominio  della  vallata  che  si  protende  verso  il   mare. 

Mentre  le  costruzioni  dei  primi  due  colli  sono,  salvo  poche  eccezioni,  opera  certamente 
di  Domiziano  e  fanno  parte  del  piano  della  sua  villa,  quelle  del  terzo  colle  soltanto  in 
piccola  parte  vanno  a  luì  attribuite  e  neppure  nella  forma  in  cui  le  vediamo  oggi. 

Nel  presente  lavoro  ci  occuperemo  dei  castra  e  dei  due  edifici  interni,  che  sono  la 
chiave  per  riconoscere  l'età  e  la  successione  di  tutti  gli  altri,  specialmente  delie  terme,  che 
sino  coi  castra  strettamente  collegate. 


Il  monumento  che  offre  maggiori  difficoltà  è  il  castro,  per  la  incerta  epoca  della  co- 
struzione e  per  la  complicata   disposizione  delle    fabbriche    interne. 

Conoscendo  infatti  la  pianta  di  un  accampamento  romano,  dà  subito  nell'occhio  la 
collocazione  insolita,  e  anzi  del  tutto  inopportuna  per  la  difesa,  di  quel  grande  edificio  ro- 
tondo, a  soli  18  m.  di  distanza  dal  muro  di  cinta  e  a  15  m.  dalla  via  prìncipalis.  In 
nessuno  dei  castra  che  conosciamo,  fedeli  più  0  meno  alle  norme  di  Polibio  e  di  Igino,  si 
trova  un  edificio  di  uso  monumentale  in  tal  luogo,  e  il  nostro  castro,  come  vedremo,  fu 
costruito  secondo  le  regole   piìi   rigorose  della  caslrametatio  (tav.   IX). 

A  questa  prima  difficoltà  se  ne  aggiunge  una  seconda  molto  più  oscura.  Tra  tutti  gli 
accampamenti  romani,  quello  di  Albano  presenta  la-forma  più  allungata  e  più  ii regolare  <  \\. 
Se  si  pone  niente  al  forte  dislivello  del  terreno  in  quel  luogo  —  dislivello  che.  calcolato 
oggi   fra   la  chiesa  di   S.   Paolo  un.    431    sul    mare)  e  la  piazza  del   Duomo  (m.   384),  è  di 

(i)   Lugli,    //  teatro  tirilo  villa   All'ano    di   Ilo-  l;     ROMA:    Canina,     /ùtili:;    iti  A',    antica,    2, 

iniziano,   in  Studi  Romani.   11)14,  p.  z\   sg.  tav.   17-21;  Lanciarli,  Forma  Urbis,  tav.  4 

(2)  Il  motivo  sembra  che  si  debba  ricercare  nella  e  11. 

santità  del   luogo  già  occupato   da    Alba    Longa  e  LAMBESI:  Cagnat    R..  L'armée  romaine 

nei  monumenti  che  di  essa  forse  ano  ra  restavano  d'Afrique,   Paris,  1912   2;'  ediz.)  p  441  sg. 

in  piedi  nell'età  di  D  Pianta  alla  pag.  4S6. 


m.  47  su  m.  435  circa  di  lunghezza,  cioè  in  media  l'undici  per  cento  —  non  sì  potrà  certo 
credere  che  questo  allungamento  del  castro  sia  avvenuto  per  caso,  proprio  nel  luogo  e  nel 
senso  ove  le  difficoltà  erano  maggiori,  mentre  il  terreno  intorno  era  assai  meno  scosceso 
e  irregolare.  Tutto  ciò,  quindi,  fu  voluto  ad  arte  ed  ebbe  motivi  speciali:  tali  motivi  pro- 
cureremo di  riconoscere,  almeno  in   parte,   dopo  1"  studio  oggettivo  del   monumento. 

Secondo  i  criteri  di  Igino  relativi  alla  castrametazione  (1)  l'accampamento  doveva  es- 
sere posto  in  collina,  fortificato  in  tutto  il  suo  perimetro,  con  la  porla  dna/nana  in  emi- 
nentissimo  loco  e  la  porla  praetoria  rivolta  contro  il  nemico  (2),  isolato  da  ogni  altra  fab- 
brica e  da  luoghi  insidiosi  (3).  Tutte  queste  condizioni  furono  seguite  anche  per  i  castra 
Albana.  Il  castro,  perciò,  fu  orientato  con  la  via  praetoria  da  nord-est  a  sud-ovest,  in 
modo  da  avere  la  porta  praetoria  nel  luogo  principale,  cioè  di  fronte  alla  via  Appia,  e  la 
porta  decumana  all'opposto,  sull'alto  del  colle.  Il  lato  però  della  porta  pretoria,  forse  per 
le  stesse  ragioni  che  costrinsero  l'allungamento  del  castro,  non  fu  costruito  parallelo  alla 
via,  ma  alquanto  inclinato  su  di  essa. 

Dando  uno  sguardo  sulla  pianta  del  castro  nella  tav.  IX,  possiamo  farci  subito  un 
concetto  generale  del  suo  aspetto  e  del  suo  tracciato  prima  di  descriverne  particolarmente 
gli  avanzi.  Gli  angoli  erano  rotondi  secondo  la  prescrizione  classica  (4);    le   portae  princi- 


NEUSS  [Novaesium):  Oxé  A.,  B.inner 
lahrbiicher  CXYIII  (1900).  pag.  7^  sg. 
tav.  2. 

CARNUNTUM:  Hauser,  Arch.-epigr.  Mitt. 
aus  Oesterreich,  X  (1886)  p.  12;  XI  (1887 
p.  4:  Kubitschek  e  Frankfurter,  Fuhreì 
duri/i  Carnuntum,  Vienna  1904  (ediz.   5a). 

SAALBURG:  Cohausen  A..  Der  ramisene 
Grenzwall  in  Deutschland,  Wiesbaden, 
1884.  p.  107,  tav.  14:  Jacobi-Cuhausen, 
Das  Romen  aslel  Saalburg,  1893  (ediz-  4:l) 
tav.   1. 

NIEDERBIEBER  :  Cohausen,  op.  cit., 
p.  253,  tav.  29. 

BONN  :  Schaafhausen,  Veith  e  Klein,  Das 
róm.   Lageì    in  /Unni,  Bonn.   1888.  tav.  1 

HOLZHAUSEN  :  Cohausen,  op.  cit.  p.  200, 
tav.  2=;;  P.  1ll.1t  I-.,  Der  obergermanisch- 
raetische  Lima  der  Ròmerreiches,  tomo 
Wll  (Heidelberg,   1904). 

RUCKINGEN:  Cohausen,  op.  cit.,  p.  40. 
tav.  52. 

WEISSENBURG:  Kohl  \\  .  e  TrÒ'ltSCh  I.. 
Der  oherg.    Lune.-.,    tomo    XXVI 


FELDBERG:  Jacobi  I...  Deroberg.  Limes, 

ti  imo  XXV    1 1905  1. 
NEWSTEAD    (Petrianaì):    Curie    James. 
A    roman  /rentier  post    and   its  people, 
Glasgow,    1911,   pianta  fra  le  pp.    j8  e  io. 
CHESTERS  [Cilurnum).   Romanelli  G.,  // 
vallo  di  Adriano,   in   Rivista  di  Artiglieria 
e  <  jcnin.  IV  (Roma   11)14'  tav.   5. 
HOUSESTEAD    (Burcoviclis):     R 
np.  cit.,  tav.  7.   Tra  tutti  i  citati.  1  castra 
di   Bttrcozncus    in    Inghilterra    s,m<>    quelli 
che  si  avvicinano  di   più    ai    nostri  per  la 
sproporzione  fra  i  due  lati,  die    misurano 
no    H)2     <    114. 

Si  confronti  infine  l'articolo  di  Anto- 
nielli  l1..  Sull'orientamento  dei  castra 
praetoria  (Bull.  Coirmi.,  un;,  p.  ;i  sg.) 
in  cui,  nelle  figure  1-4.  sono  poste  .1  raf- 
fronto le  riniti-  dei  castra  di  Lambesi,  di 
Niederbieber,  di  Ubano  e  S  1.'  1 
ii  Hygin.l  iiiiii.it.  De  munii.  caslrorum,c.  48  sg. 
i-')   Hyg.,   ibid.,  l.   51  •        ■  .  Epit.  rei  mi- 

litaris,   I.   23. 

(3)   Un...   ibid.,  e.   57. 
'  i     i!    ....   ibid.,  e.   54 


214  — 

pales  si  aprivano  nei  lati  maggiori,  più  vicine  alla  porti  pretoria  che  alla  decumana  e 
erano  riunite  nell'i  iterno  dell'accampamento  da  una  via  grande  e  rettilinea,  la  via  prin- 
cipalis,  che  è  stata  ritrovata  nel  [916  pei  brevi  tratto  vicino  alla  porta  prinàpalis  sinistra, 
ancora  in  piedi:  la  via  praetoria,  fra  la  porta  omonima  e  il  praetorium,  non  è  visibile, 
ma  certamente  v'era.  Un'altra  grande  via,  selciata,  correva  tutto  in  giro  al  muro  di  cinta 
all'esterno  e  si  vede  ancora  in  parte  presso  il  lato  sud-orientale.  Tutto  il  muro  poi  è  for- 
tificato  con  torri  e  orientato  con  le  caserme,  delle  quali  soltanto  nello  scorso  anno  1916 
si  è  potuta  avere  qualche  indicazione  precisa,  in  seguito  ai  lavori  fatti  per  la  nuova  fo- 
gnatura  di    Albano    1  . 

Dagli  avanzi  rimasti  delle  mura  di  cinta  possi, un,,  ricavarne  le  misure  esatte.  Le  mura 
non  formano  un  quadrilatero  perfetto  perchè  i  lati  non  sono  eguali  fra  loro,  né  sono  per- 
fettamente  rettilinei;  i  lati  lunghi  misurano:  m.  4^4  quello  di  nord-ovest  e  m.  437  quello 
di  sud-est;  i  lati  corti:  m.  224  quello  di  nord-est  e  m.  239  quello  di  sud-ovest;  perciò  il 
perimetro  totale  del  muro  di  cinta  è  di  m.   [334(2). 

A   causa   della   notata   inclinazione  di  tutto  il  castro  sull'Appia,  l'angolo  ovest   dista  da 

questa  via  -  di  cui  si  è  ritrovato  l'anno 
scorso  tutto  il  tracciato  di  fronte  al 
castro  -  in.  65  e  l'angolo  sud  m.  44. 

La  costruzione  del  muro  di  cinta, 
delle  porte  e  delle  torrette  è  in  opera 
quadrata  di  peperino:  i  blocchi  non 
hanno  tutti  le  stesse  dimensioni,  ma 
\  ai  i.iiio  m  lunghezza  da  uno  a  due  me- 
tri e  50  uni.,  e  in  qualche  caso  misu- 
rano anche  tre  metri;  anche  l'altezza 
è  piuttosto  varia,  dai  57  ai  76  cm., 
con  una  media  di  cm.  70,  e  li'  spes- 
sore è  di  circa  cm.  90  (fig.   1);  dove 

1  '■         Particolare  costruii  cinta.  jj    penj'|(1     c| .,     m(,|t,,     f,llte     j     blocchi 

furono    posti   a   filari  orizzontali,    per  rendere   il    muro  più  saldo   e   pei   impedire   ai  massi 
di  spostarsi;  dove  invece  il    pendio  era   più   leggero,  cioè  nella    parte   bassa   del  castro,    1 
filari    furono    collocati    obliquamente.    In   alcuni   punti,   come    ad    esempio    vicino    alle    | 
e  alle  torri,  1  due  sistemi    si   trovano  riuniti,  nel  qual  caso,  perchè  il  raccordo  fosse  coni- 


ti) Saranno   illustrati  quanto   prima    nelle    \  i-  detto   il    Puteano,    come    narra    POIstenio  in  una 

tizie  deuli   Scasi,   a   cura   Jel   Sig.   Gatti  lettera    al    Sii;,     l'eìresc    (Olst..    /•.'/>.   ad  di; 

(2)  Il  primo  che  scoprì  l'intera  disposizione  dei  22,   Paris   1817)-    Egli   |  delle 

castra  e  ne  rintracciò  gli  avanzi  tu  il  I  tal  Po//...  costruzioni  interne. 


—   215    — 

pleto,  erano  interposti  fra  i  filari    alcuni  strati  speciali  a  cuneo,  molto  adatti  anche  a  raf- 
forzare la    costruzione    (fig.   2;  cfr.   fig.   4). 

11  materiale  usato  è  il  peperino  che  fu  trovato  nel  luogo  stessi,  e  trasportato  senza 
grande  fatica.  Tutta  la  parte  alta  del  culle  è  costituita  di  questa  materia  vulcanica  e  anche 
Domiziano  se  ne  servì  per  la  costruzione  dell'anfiteatro.  Fu  facile  quindi  aprire  delle  cave 
in  vicinanza  del  castro  e  lavorare  ivi  stesso  i  blocchi  per  la  costruzione.  Che  questo  fosse 
il  sistema  seguito,  abbiamo  la  prova  in   Lina  grande  quantità  di   scheggie    e    di    frammenti 


di  peperino  trovati  nelle  fondazioni  delle  case  ai  lati  della  via  del  Nazareno  e  dell'Abbazia 
di  S.  Paolo  e  nel  terreno  ortivo  dei  Missionari  del  Preziosissimo  Cuore  che  officiano  la 
chiesa  di  S.  Paolo  (1).  11  materiale  scavato  all'interno  del  castro  per  formare  i  ripiani,  fu 
adoperato  probabilmente  nell' emplecton  dei   muri  delle    caserme. 

Il  materiale  locale,  oltre  a  risparmiare  il  trasporto  di  altro  materiale,  e  ad  evitare  una 
spesa  ingente,  costituì  anche  un  mezzo  non  indifferente  di  solidità  e  di  rapidità  nell'eleva- 
zione del   muro  di  cinta.   A   mano  a  mano  che  eia  cavato    veniva    squadrato    sui 


(1)  Tomassetti,  La  campagna  romana,  eJi/.  2',  Ja  Loescher  nel   1910  porta  il  tit<>l"      VI.    Salustri 

II,  p.  201  (notizie  dell' Ing.  Salustri  di  Albano  che  e  <;.  Tomassetti,  Xotizie  ili  .\ll>am<   Laziale  an- 

cooperò  cui  Tomassetti  nella  ricerca  delle  antichità  fico  e  moderno, 

del  paese  e  anzi  stese    egli    stessi    quasi    tutta  la  La  loro    cooperazione    è     indicata    in    una    nota 

parte  monumentale,  tanto  che  l'estratto   stampato  posta  in  capo  all'estratto,  a  guisa  di  prefazione- 


—    216   — 

e  quindi  posto  in  opera  mediante  semplice  sovrapposizione,    tenendo   conto   soltanto   della 
larghezza  e  della  altezza  dei  blocchi. 

Si  dovrebbe  ora  proporre  una  datazione  all'opera  quadrata  del  recinto;  ma  una  simile 
impresa  è  quanto  mai  ardua  perchè  ognun  sa  die  l'opera  quadrata  è  quel  sistema  co- 
struttivo che  ha  avuto  la  maggiore  durata,  mentre,  per  la  sua  stessa  natura,  è  andato 
soggetto  a  minori  variazioni.  L'opus  quadratimi  nasce  verso  la  fine  della  costruzione  delle 
mura  ciclopiche,  di  cui  è  la  forma  più  evoluta;  incerto  sul  principio  e  assai  vario  nel  taglio 
dei  blocchi  e  nella  loro  sovrapposizione,  a  causa  dei  differenti  indirizzi  etnici,  del  materiale 
lo  ale  e  spesso  anche  degli  usi  a  cui  serviva,  si  viene  a  poco  a  poco,  fra  il  il  e  i  sec.  a.  C, 


uniformando  sulla  base  del  piede  romano  e  rendendo  più  solido  ed  elegante  con  la  dispo- 
sizione dei  l'ilari  uno  per  lesta  e  uno  per  taglio,  con  la  esattezza  delle  unioni  e  con  la 
legatura  dei  blocchi  a  mezzo  di  perni  metallici. 

te  nonne,  j_j]à  comuni  pei  tutto  il  Lazio  e  per  gran  parte  dell' Italia  verso  la  line 
della  repubblica,  diventano  generali  nell'impero,  salvo  alcune  varianti  richieste  dalla  qualità 
del  materiale  e  dalla  natura  della  fabbrica.  In  tali  condizioni,  quando  si  debba  giudicare 
lell'età  di  un  edifìcio  in  opera  quadrata,  nel  periodo  del  suo  pieno  sviluppo,  non  abbiamo 
Miiiì  sicuri  su  cui  fondarci,  e  qualora  manchino  tatti  storici  particolari,  la  datazione  deve 
essere  ricercata  quasi  unicamente  nel  carattere  stilistico  dell'edificio. 

E   bensì   vero  che   l'opera  quadrata  ebbe  il  suo  ma^ioie  sviluppo  dall'epoca  dei  (  .racchi 
tino  al   principio  dell'Impero,   lino    a  quando,    cioè,    il    materiale    laterizio   si    soppiantò    con 


rapido  progresso  al  greve  sistema  parallelepipedo  (i);  infatti  due  terzi  dei  monumenti  eh 
abbiamo  nel  Lazio  —  per  limitarci  alia  nostra  regione  —  si  riferiscono  a  questo  periodo. 
Ma  è  anche  vero  che  l'opera  quadrata  seguitò  per  tutto  l'Impero  e  fu  us.ita  special- 
mente in  quei  luoghi  ove  si  aveva  il  materiale  sotto  mano,  oppure  ove  In  richi 
speciali  necessità  edilizie.  Osi  ad  esempio  la  troviamo  ancora  u  ita  di  frequente  negli 
antiteatri,  nei  teatri  —  edifìci  che  dovevano  essere  specialmente  solidi  —  mentre  <  sempre 
l'opera  prediletta  dei  templi,  per  i  quali  sussistevano  ragioni  tradizionali.  In  tal  modo  l'opus 
quadratemi  sebbene  saltuariamente,  perdura  tino  all'età  di  Settimio  Severo  e  solo  allora  co- 
mincia a  scomparire  >  2). 


È  errata  perciò  l'affermazione  del  Salustri-Tomassetti  3)  che  fa  risalire  1  castra  d'Al- 
bano per  la  loro  costruzione,  all'epoca  repubblicana:  ••  Dagli  avanzi  della  muraglia  di  pre- 
cisione del  castro  e  delle  sue  torri  può  ritenersi  che  questi  alloggiamenti  risalgano  all'età 
della  Repubblica,  essendo  costeuita  con  pietre  quadrate  e  da  cairn  unite  •  collegate  con 
perni  di  metallo,  a  somiglianza  delle  sostruzioni  del  tempio  di  Giove  sul  monte  Albano  ». 
Ora,  a  parte  il  fatto  che  del  tempio  di  Giove  Laziale  non  rimane  un  sol  blocco  in  siti/. 
quei   pochi  che  ancora  si   vedono,    incorporati    nel    muro    di    cinta    della  1    Sforza- 

Cesarini  0  precipitati  per  i  declivi  del   moni.,  sono  dello  stesso  tipo  di  tutte  le    ali  e   co- 
ti) Van  Deman  E.   B..  Methodi  of  deterniining       p.  24: 
the  date  of  Roman  concrete  monumenta,  in  Journal  (2)  \  '  .   p.  422. 

of  the  Ardi.   Inst.  of  America,    tomo    \\l    (1912)  (3)  Tomassetti,   La  campagna,   II,   ; 


—   218    — 

-mi  laziali  che  troviamo  a  Praeneste,  a  Lanuvium,  a  Ardea,  cioè  blocchi  piuttosto 
piccoli,  ben  squadrati,  disposti  regolarmente  a  filari  uno  per  testa  e  uno  per  taglio  e  se- 
condo  misure  costanti.  Se  vogliamo  poi  restringerci  all'Albano,  possiamo  paragonare  il  muro 
del  castro  ion  l'emissario,  con  la  banchina  lungo  il  lago  e  con  la  meravigliosa  sostruzione 
della  via  Appia  in  Valle  Ariccia  e  vedremo  quanta  maggiore  varietà  e  pesantezza  di  blocchi 
è  nel  nostro  itìg.  j),  quanta  irregolarità  nelle  misure  e  nelle  stratificazioni  dei  filari,  tutti 
indi/i  senza  dubbio  di  un'epoca  più  evoluta  per  mezzi  tecnici,  ma  nello  stesso  tempo  molto 
più  trascurata  per  esecuzione;  in  complessi  di  un'epoca  molto  più  tarda.  Diremo  anzi  di 
più:  l'accampamento  d'Albano  si  presenta  come  un  caso  assai  singolare  nella  campagna 
romana,  e  si  deve  paragonare  piuttosto  con  le  costruzioni  provinciali  romane  e  con  quelle 
dell'oriente  ellenistico.  Un  raffronto  molto  caratteristico  lo  abbiamo  ad  esempio  nelle  mura 
fortificate  della  antica  città  di  Pednelissos  (fig.  41,  nella  valle  delI'Ak  Su,  fiorita  forse  sotto 
i  Diadochi  e  recentemente  riconosciuta  dalla  missione  italiana  che  esplorò  la  Pisidia  e  la 
Panfilia  ui;  le  sue  mura,  disposte  in  parte  a  filari  orizzontali  e  in  parte  a  filari  inclinati, 
a  causa  del  terreno  collinoso,  sagomate  all'esterno  con  una  rozza  bugnatura  e  tagliate  in 
modo  cosi   irregolare,  sono  molto  affini  a  quelle  di   Albano. 

In  conseguenza  di  quanto  si  è  detto  dobbiamo  abbandonare  per  ora  ogni  ricerca  sulla 
datazione  dei  castra  Albana  e  rimandarla  a  quando  avremo  studiato  tutte  le  questioni  to- 
pografìche  e  storiche  che  loro  si    riferiscono. 

I.   —  MURO  DI  CINTA. 

1.  —  LATO  NORD-EST.  —  Veniamo  ora  alla  descrizione  degli  avanzi  del  muro  di 
cinta  e  cominciamo,  secondo  l'uso  più  comune,  dall'angolo  nord,  presso  la  moderna  chiesa 
di  S.  Paolo.  Tutto  il  lato  esterno  del  palazzo  dell'antica  Abbazia  di  S.  Paolo  —  occupato 
oggi  dalle  Dame  del  Sacro  Cuore  —  è  fondato  sul  muro  originale  del  castro  e  ne  segue 
l'arcuazione  dell'angolo  nord  (fig.  s  e  61.  Quivi  resta  pure  un  largo  tratto  dei  lati  adiacenti 
all'angolo,  che  si  possono  vedere  parte  all'esterno  della  piazza,  parte  all'interno  del  giardino 
delle   Dame  del   Sacro  Cuore. 

In  quest'angolo  nord  il  Tomassetti  riconobbe  una  torretta  rotonda,  posta  a  fortificazione 
del  recinto  (2).  Ora,  esisto  effettivamente  in  detto  punto  una  stanza  rotonda,  al  piano 
stesso  del  fabbricato  delle  suore  e  accessibile  poi  una  porticina  in  tondo  al  corridoio  prin- 
ipale  :  l'ambiente  misura  m.  3,63  di  diametro  od  i-  ricoperto  da  una  cupola  bassa  in  cat- 
tiva opera   a  sacco.    Hseguiti     alcuni   saggi    nelle   pareti,    queste   sono  risultate  costruite  con 

(1)  Cfr.  la  relazione  ufficiale  del  viarie  nell'Ari-  dott.  Moretti  che  studiò  particolarmente  quella  /.mia. 
nuario  della  Scuola  Ji  Atene,  v.  III.  La'fig.  2  è  ri-  2)  Tomassetti,  La  campagna  romana^  ll,p.  198. 

prodotta  da  una  fotografìa,  avuta  per  gentile  conces-  11  Tomassetti  le  dà  però  il  diametro  Ji  m.  6,  che 

sione  del  direttore  della  missione  prof.  Paribeni  e  del  non  corrisponde. 


piccoli  massi  irregolari  di  tufo  uniti  con  molta  calce,  senza  cortina,  sistema  che  non  si  può 
ritenere  antico  e  in  contrasto  con  tutte  le  altre  costruzioni  del  castro.  Anche  la  disposizione 
del  lucernario  che  sbocca  sulla  gradinata  della  piazza,  e  il  vano  della  porta,  con  una  specie 
di  ferritoia  al  disopra,  caratterizzano  la  stanza  per  moderna.  Tuttavia  non  è  da  escludersi 
che  essa  rappresenti  un  restauro,  torse  un  restringimento,  di  una  antica  -stanza  rotonda, 
ma  mancano  i  dati  per  poterlo  riconoscere,  all'ini  non  di  un'altra  torre  circolare,  in  opera 
reticolata,  che  si  trova  nel  mezzo  dell'angolo  ovest,  e  di  cui  parleremo  in  seguito. 


Dall'angolo  descritto  proseguiamo  il   muri)  di   recinzione  verso  est.  Tutto  il  lato  è  assai 
ben  conservato  e  si  può  facilmente  vedere  ancor  oggi  (Tav.   XI,  n.  Il  più  bel  tratto  è  quello 
che  serve  di   divisione  tra  la  proprietà    della  chiesa  di   S.   Paolo   e  quella  dell'Abbazia  (i). 
Qui   il   muro  fu  costruito  con   la   maggior  cura,   perchè  aveva  ii   doppio  ufficio  di  ser 
cinta  e  di  sorreggere  il  terrapieno  «.sterno,  alto  quasi  quattro  metri  (2). 

(i)V.  il  disegno  del  Labruzzi  (Ashbj  ,Dessins  inèditi       origin  ili  ci  riservati  presso  la  biblioteca  Sarti  in  Ruma. 
de  C.  Labruzzi,  in  Mélanges  d'arch.  e  d'  hist.,  [9   ;.  \!  disopra  è  costruito    un   muro  moderno  di 

p.  (98,  voi  III,  n.  22)  riprodotto  alla  tav.  XI,  1,  dagli       divisione. 


I  blocchi  sono  ben  squadrati,  alti  circa  cm.  80  e  dello  spessore  da  m.  1  a  m.  1,20, 
il  più  forte  spessore  che  si  incontri  in  tutto  il  perimetro  del  muro.  Verso  la  fine  del  tratto 
indicati)  si  trova  incorporata  fra  i  blocchi,  all'altezza  di  un  metro  dal  suolo,  una  condut- 
tura in  terracotta. 

Dell'alto  muro  si  ammirano  al  presente  una  cinquantina  di  metri,  trai  meglio  conser- 
vati di  tutto  il  recinto,  con  1  filari  abbastanza  regolari  e  i  blocchi  ben  squadrati.  Uopo  il 
taglio  del  muro,  se  ne  vede  il  tracciato  per  qualche  metro  ancora,  e  poi  il  terrapieno  e  il 
murello  terminale  della  proprietà  delle  Dame  del  S.  Cuore  ricoprono  ogni  avanzo,  ri  questo 
il   sito  della  porta  decumana.   Probabilmente    la  porta    stava  in  alto,   allo  stesso   livello   del- 


l'esterno, e  aveva  all'interno  una  scala  0  un  piano  inclinato  di  accesso;  un  tasto  in  questo 
luogo  non  sarebbe  privo  d'importanza. 

L'altra  metà  del  lato,  dopo  la  porta  decumana,  si  riconosce  ancora  al  di  sotto  del 
muro  che  serve  di  confine  tra  la  proprietà  1  erratoli,  già  delle  Monache  Polacche  Nazzarettane 
e  il  vicolo  di  S.  Filippo.  11  vicolo  si  stacca  dalla  salita  dei  Cappuccini,  ora  via  dell'anfi- 
teatro di  Domiziano,  che  taglia  l'antico  muro  del  castro,  poco  dopo  la  porta  decumana.  Fino 
ad  una  cinquantina  d'anni  fa  esistevano  le  due  testate  del  muro,  tagliate  per  il  passaggio 
della  via,  sulle  quali  nel  Medio  Evo  era  stato  costruito  un  arco  dai  Savelli.  Quest'arco,  cono- 
sciuto col  nome  di  Porta  dei  Cappuccini 'e  creduto  da  alcuni  la  porta  pretoria  del  castro, 
fu  demolito  nello  scorcio  lei    ecolo  passato  dal  municipio  ài    Vlbano,  pei   allargare  la  strada. 


—   221    — 

Il  vicolo  di  S.  Filippo  è  quasi  alla  stessa  altezza  della  strada  esterna  di  circumvalla- 
zione  del  castro  e  si  vedono  ancora  alcuni  poligoni  di  peperino  dell'antico  la 
per  il  vicolo.  Per  riconoscere  il  muro  di  cinta,  situato  al  di  sotto  del  muricciolo  moderno, 
bisogna  penetrare  nell'orto  delle  Monache  Nazzarettane,  il  cui  dislivello,  esistente  torse  anche 
in  antico,  è  in  media  2  metri  al  di  sotto  della  via  esterna  (1  1.  Qui  si  nota  benissimo  all'estremo 
della  proprietà,  la  curva  dell'angolo  est,  nella  quale  il  muro  mostra  una  costruzione  più  ac(  u- 
rata  e  più  forte.  Per  tutto  il  iato  gli  strati  dei  blocchi  sono  posti  perfettamente  orizzontali. 

2.  —  Lato  SUD-EST.  —    Sempre  all'interno    della   proprietà  delle  monache  si  vede 
il   principio    del    lato    lungo    di    sud-est,  col   proseguimento    del    muro,  e  dopo   circa   m.  60 


i  .   —  Torre 


Fig.  S.  -  To 


dall'angolo,  si  trova  una  bella  torre  rettangolare  incorporata  nel  muro  di  cinta,  in  modo 
che  il  suo  lato  esterno  t'orma,  con  la  sporgenza  di  cm.  59,  parte  del  muro  stessn  (fig.  7  e  9). 
La  torretta  è  al  presente  rialzata  con  muro  moderno  e  divisa  in  due  [Mani  per  uso  colo- 
ig.  S>.  11  vano  di  essa  è  costituito  da  una  cella  rettangolare  di  m.  5,90  X  5.85,  alla 
quale  si  accede  per  il  medesimo  ingresso  antico,  largo  m.  [,78;  lo  spessore  dei  muri  è  di 
m.  0,90,  tranne  quello  del  lato  est  mche  da   muro  di  cinta,  che  è  sol,,    li 

m.  0.59,  con  inspiegabile  riduzione. 


(i)  'ili  antichi  nnui   appartenenti  he,  presso 

casti. 1,  che  si  trovano   nell'orto  delle  Monache.     1  est,  non  vi  < 

ranno  illustrati    nella    seconda  parte,   fra  i  :      '  inzi  vi  rimane  un  tratto  di  muro  rettilineo. 


La  mancanza  di  apertura  in  tutto  il  muro  perimetrale  della  torretta  fa  credere  che 
fosse  aperta  solo  in  alto  e  servisse,  oltre  che  per  una  eventuale  opera  di  difesa  (i),  anche 

pei   le  segnalazioni  e  per  dominare  dalla  sua  alta  posi- 
zione un  lungo  tratto  dell' Appia. 

Un  lungo  tratto  del  muro  di  cinta  è  conservato  oltre 
la  torretta,  a  valle  del  vicolo  S.  Filippo,  stratificato  in 
senso  orizzontale,  data  la  torte  pendenza  del  terreno,  di 
cui  un  saggio  è  riprodotto  nella  fig.  j,  e  dopo  circa  due- 
cento metri  dalla  torre  si  giunge  all'unu  i  porta  rimasta 
del  recinto,  alla  poi  la  piim  ipalis  sinistra.  Questa  grande 
porta,  di  cui  si  possono  ammirare  ambedue  i  lati  (fig.  io 
e  i  i  )  è  un  modello  del  genere,  per  la  massiccia  e  sem- 
plice costruzione,  e  uno  degli  avanzi  più  belli  che  pre- 
senti Albano  (2).  Dalle  due  fotografie  riprodotte  si 
chiaramente  come  sia  costruita;  l'arco  è  formato  di  conci 
molto  allungati,  riuniti  ad  incastro  coi  blocchi  dei  filari 
orizzontali:  i  conci  che  formano  il  cervello  e  le  spalle 
dell'arco  sono  tagliati   nella    parte  superiore    tutti  ad   un 

Fig.  9.  —  Pianta  della  toire  reltangi  tt  ' 

piano  per  reggere  direttamente  la  cornice  del  muro,  for- 
mata da  una  fila  di  blocchi  sporgenti.  Eguale  sporgenza  ha  tutta  la  facciata  interna  della 
porta  sul  piano  del  muro.  Non  si  notano  però  traccie  di  torrette  0  di  bastioni  di  fortificazione 
ai  lati,  come  di  uso  in  quasi  tutte  le  porte  degli  accampamenti  romani.  La  porta  è  larga 
m.  3,85,  e  dalla  parte  del  vicolo  di  S.  Filippo  è  rialzata  di  quasi  3  metri  più  che  dall'altro 
lato,  nell'orto  della  Prelatura  Doria. 

Alla  porta  restano  connessi  i  bracci  del  muro  di  cinta,  quello  di  sinistra  visibile  dal 
vicolo  di  S.  Filippo,  quello  di  destra  incorporato  nella  fabbrica  dell'ospedale  civico  di  Albano. 
È  importante  la  notizia  che  danno  il  Salustri  e  il  Tomassetti  (pag.  [99)  della  scoperta  del- 
l'antica strada  esterna  di  circonvallazione  ••  alla  distanza  di  m.  1  S  dalla  spalla  della  porta.... 
e  alla  profondita  di  m.  [,50  »  a  ridosso  del  lato  di  sud-ovest  dell'ospedale,  scoperta  che 
permette  di  poter  riconoscere  anche  in  questo  luogo  l'esistenza  della  strada,  e  di  poterne 
precisare  il   1  iano   antico. 

Dopo  gli  avanzi  accennati,  del  lato  sud-est  non  si  distingue  più  nulla:  il  muro  pro- 
seguiva  in   linea   retta,    tagliando    la   via   Aurelio  Sarti,   fino   sotto    il    palazzo  della    Prelatura 


(1)  Assai  frequente  è  negli  accampamenti  e  nelle  v.  I II)  e  i  cas/radi  Ci/urnum  e  di  Burcovicus,  lungo 
ittà  fortificate  l'uso  di  queste  torrette,  che  sono  poste  il  vallo  di  Adriano  (Romanelli,  op.cit.,  tavole  V  e  VII), 
specialmente  nei  lati  lunghi  pei  non  lasciare  uno  spa-  (2)  V.  la  vignetta  del  Labruzzi  in  Ashby,  Des- 
ilo tropi         :          in/i  difesa.  Si    vedano,  mine  sins,  v.  Ili,  n.  zìi -,  per  la  costruzione  v.  i  disegni 
la  città  di  Pednelissos  (Ann.  Scuola  d'Atene,  schematici  del  Canina,  Edifizi,  VI.  tav.  59. 


223    - 

Doria  e  quivi  formava  l'angolo  snJ  ;  indi  dava  origine  all'altro  lato  corto,   quello  in  cui  si 
apriva  la  porta  preti  ina  >  1 1. 

}.  —  Lato  sud-ovest. —  Di  questo  lato  si  distinguono  subito  gli  avanzi  nei  m 
zini  terreni  del  nuovo  mercato,  in  piazza  della  Pescheria,  scoperti  nell'aprile-maggio 


durante  i  lavori  pel  mercato;  i  filari  sono  posti  orizzontali  e  hanno  lo  spessore  di  m.  0,90. 
Altri  avanzi  si  vedono  nella  stessa  pia/za  al  numero  civico  5,  tagliati  dalla  fabbrica  supe- 
riore; quindi  il  muro  viene  interrotto    dalle  vie  dalle  case  di   Alba 


(1)  Il  Canina  non  putendo  rendersi  ragione  che  tav.   59)  un    altro    muro    più    intern   .    stimandolo 

li  Albano    avesse    una  forma  cosi  allun-  l'originale.    Questo  m  herebbe,  secondo 

gata,  credette  che  il   lato  sud-est    (verso  l'Appia),  il  Canina,  dal  lato  di   sud-ovest  pochi  metri  dopo 

come  oggi  rimane,  fosse  un  ampliamento  posteriore  le  par/ai-  principales.    Di   esso    non    esiste   alcun 

e  segnò  arbitrariamente  nella  sua  pianta  (Edi/.  VI,  avanzo  ed  è  una  pura  induzione   del  Canina. 


—   224   — 

6o  m.  fino  alla  via  del   Plebiscito,  dove  rimane   un  notevole   complesso  di  costruzioni  nei 
sotterranei  dell'isolato  del   Banco  Santo  Spirito  Ji  Roma. 

Dalla  posizione  degli  avanzi  nel  mezzo  del  lato  sud-ovest  si  ricava  che  siamo  di 
al  sistema  di  fortificazione  della  maggiore  porta  del  castro,  della  porta  practoria.  Ri 
quivi  infatti  due   gruppi  di  torri,  compo  no  di  tre  ami  ienti,         ossati  dalla  parte 

interna  al  muro  di  cinta  e  intramezzati  da  un  vano  intermedio  più  grande  di  tutti:  questo 
vano  in.  4   della   fig.    [2)   corrisponde   alla    porta  pretoria.   Esso  è  largo  m.  6,45  e  i  muri 


Rg.   11.  —  Porta  principali*,   sinistra   (intemo). 

laterali  si  protendono  verso  l'interno  per  m-   5.15.  Gli  ambienti  di  sinistra  e  quelli  di  destra 

sono  rispettivamente  quasi  uguali.  Le  differenze  nelle  misure  sono  dati',  cine  già  notò  il 
Tomassetti  (i),  dall'odierno  adattamento  di  esso,  che  in  alcuni  punti  ha  spicconato  e  in 
altri  ha  foderato  i  muri  delle  pareti:  la  1   non    si  può  fissare  esattamente   pi 

nessuno  dei  muri  è  visibile  per  intero;  va  da  un  minimo  ili  m.  4,80  (amb.  3)  ad  un  mas- 
simo di  m.   5,28  (amb.  7). 

Tutti  gli  ambienti    sono    costruiti  nella  stessa  opera  quadrata  del  castro  con  strati  di 
60-70  cm.  e  coperti  con  volta  (antica?)  in  muratura,  a   sesto  un  pò  ribassato;  il  livello  del 


(1)  Tomassetti, Lacampagna,  II, p.  199 sg.  Spetta      sciuto  questi  ambienti  e  di  averli  messi  in  rapporto 
all'ing.  Salustri  di  Albano,  attivo  collaboratore  del      con  meriterebbero 

1  setti,  il  merito  di  avere    per    primo  ricono-      di  esser  messi  completamente  in  luce. 


-    225    — 

piano  odierno  è  in   media  a   m.    3,50    sotto  il   piano    della  via  del    Plebiscito  e  corrisponde 
con   poca   differenza  al   piano  antico  (1). 

Gli    ambienti   6  c    7    hanno    un    secondo    piano    visibile    nella    stessa    via    do;    : 
scito  ai  numeri  82  (tipografia  Sannibali)  e  80  (vano  di  ingresso  allo  stabile),  (ili  altri  vani 
moderni,    ai    numeri     78    e    7'),    li  inno    tutto   l'aspetto    di   essere  anch'essi    impostati    sugli 
antichi. 

Oltrepassato  il   descritto  sistema  di   fortificazione  della  porta  pretoria,   il   muro  di  cinta 

taglia  poi   la   piazza  del   Plebiscito,  ov'è  il   palazzo  Municipale,    antico    castello  b; ale  dei 

Savelli,  e  ejuindi   ricompare  in    più   tratti   nei  locali  terreni,  alla  destra  della  via   di  S.   Pan- 
crazio, segnati  coi    numeri  civici    55,    53,  47,  43,  4},   39.   11  pavimento  dei   locali  e  costi- 
vi \  DEL    PLEBISCITO 


LATO     SVD-OVEST 


Fit;.  12.  —  Porla  pietoria  e  fortificazion 


tuito  in  gran   parte  degli  stessi   blocchi   poligonali  di  selce,    ancora  al   posto,  che    pavimen- 
tavano la  strada  antica  di  circonvallazione  esterna   (v.   tav.    IX   e   fig.    13). 

Il  luogo  migliore  per  esaminarla  è  al  n.  43;  quivi  la  strada  si  trova  a  enea  mezzo 
metro  al  di  sotto  della  via  odierna  e  misura  m.  4,? 3  di  larghezza.  Nel  lato  verso  l'esterno 
conserva  ancora  parte  della  crepidine  in  blocchi  di  peperino,  mentre  nel  lato  verso  l'interno 
non  arriva  a  toccare  il  muro  di  cinta,  ma  ne  resta  discosta  per  m.  0,92,  spazio  che  era 
forse  destinato  all'altra  crepidine  e  ad  un  canale  di  scolo  sotto  il  muro.  Nel  fondo  dello 
stesso  locale  al  n.  43,  ora  tinello  di  un  tal  Domenico  he  Santis,  il  muro  e  stato  rotto(2) 
per  aprirvi  dietro  una  grotta    e  si   vede    addossato  ad  esso,   in  senso    ortogonale,    un    alno 


il  locali  n.  1, 


i  si  trovano  in  quella  parte      6,  7.  sotterranei    della   casa  di  Elisa  I ''ìli  Valle, 


dell'isolato,  verso  nord,  die  è  rimasta  di  proprietà 
del  Banco  di  S.  Spirito;  sono  adibiti  a  ripostiglio 
di  rottami  e  vi  si  accede  dalla  piazza  del  (  omune 
n.  1.  11  locale  n.  4  appartiene  al  sig.  Eugenio  Sa- 
batini che  lo  ha  ridotto  a  tinello  e  vi  entra  sia  dal 
vicolo  del  Sambuco,  a  oriente  del  palazzo  del  Co- 
mune,  sia  dilla  deUa  piazza  al  n.    1.  I   locali  n.  =;. 


sono  teiinii  in  affitto  dalla    Ditta   Cagnoli  per  uso 

ano   e   hanno   l'ingresso   pi  un  ip 
colo  del    Montano  11.    [9.  \. 

(2)   Lo  spessore  del   muro    risulta  in    po- 
di m.   o.cjo,   costituito    di   un   sol   blocco,    in   testata 
(i  in  lunghezza.  Quivi  il  taglio   dei   inasti  e   molto 
■   l'unione   esattissima. 


—    226    — 

muro  (fig.  13),  costruito  in  doppia  maniera:  al  di  sotto  è  a  strati  di  tufelli  per  circa  60  cm. 
e  al  di  sopra  a  grosso  e  rozzo  reticolato;  simile  a  questo  ve  ne  è  un  altro  nel  locale 
vicino  al  n.  47.  La  singolare  fattura  farebbe  pensare  a  prima  vista  che  si  tratti  di  rifaci- 
menti moderni,  se  non  che  la    ritroviamo  eguale  in  altre  stanze  che  vedremo    in  seguito. 


!  1.      1  ;.  —  Angolo  ovest  della  «  praetentura  ». 

L'ultimo    locale    ricordato,    in    via    S.   Pancrazio  n.   }y,  conservagli  avanzi  dell'angolo 
rd  del  castro  (1)  e  di  una  torre  rotonda  nel  suo  mezzo  (fig.    14). 


(1)  Lo   stabile    è   Ji    proprietà    Castellarci,    con       sulla  via  del  Plebiscito;   il  locale  sotterraneo  però 
doppia  facciata:  una  sulla  via  S.  Pancrazio  e  l'altra       appartiene  a   Paolo  Ginobbi  ed  e  adibito  a  tinello. 


227    — 


L'angolo  è  rotto  presso  il  lato  sud-ovest  per  il  passaggio  moderno.  I  tronconi  dei  muri 
mostrano  come  quivi  la  costruzione  tosse  rafforzata  con  una  doppia  fila  di  blocchi  posti  ad 
incastro. 

La  torretta  è  costruita  in  reticolato,  piuttosto  grosso  e  rozzo  (fig.  15)  con  muri  di 
cm.  90  di  spessire,  e  coperta  da  una  calotta  a  sesto  pieno  in  opera  a  sacco.  11  punto  per 
cui  si  entra  oggi,  è  una  rottura  posteriore,  mentre  l'ingresso  antico  è  quasi  all'opposto,  ad 
un  livello  molto  più  basso  e  completamente  interrato.  Esso  ha  piedritti  ed  arco,  fortemente 
ribassato,  in  blocchetti  di  peperino  e  misura  m.  1,20  di  larghezza  per  m.  2,10  di  altezza, 
fino  al  cervello  dell'arco.  Un'altro  ingresso,  0  ima  finestra,  in  pan-  franata,  appare  più  a 
destra  verso  il  lato  sud-ovest,  di  eguale  larghe/za.  Il  piano  della  stanza,  tagliato  da  una 
scala  a  chiocciola  che  scende  alla  grotta  sottostante,  risulta  fondato  sul  vergine  <■  ^  trova 
a  m.  s,40  sotto  alla  via  Cavour.  11  diametro 
è  di   m.    5,33. 

Già  il  Salustn  e  il  Tomassetti  (1)  pensa- 
rono che  questa  stanza  tosse  una  torretta  di 
fortificazione  dell'angolo  del  castro,  e  anzi  in 
base  a  questa  ricostruirono  per  ogni  angolo 
quattro  torri  eguali.  L'ipotesi  di  una  torre  e 
veramente  l'unica  che  si  possa  tare,  data  la 
posizione  e  la  forma  della  stanza;  se  non  che 
vi  Simo  alcune  difficoltà  che  non  si  riescono 
a  spiegare.  Innanzi  tutto  la  antica  via  di  cir- 
convallazione del  castro,  conservata  a  pochi 
passi  di  distanza,  corre  ad  un  livello  di  oltre 
2  metri  più  alto  di  quello  della  torre,  la  cui 
volta   nasce  a   m.  1,60  sopra  il   piano  della  via. 

Ammettendo  che  la  torre  avesse  un  secondo  piano  —  ciò  che  non  sembra 
giunge  mai  ad  una  altezza  plausibile  per  una  torre,  che  doveva  soprastare  di  alquanto 
quella  delle  mura.  In  secondo  luogo  vi  e  un'assoluta  differenza  di  costruzione  con  l'altra 
torre  che  sorge  nel  lato  di  sud-est:  la  presente  è  in  opera  reticolata,  quella  in  opera 
quadrata;  questa  è  soltanto  addossata  al  muro  di  cinta,  quella  invece  ne  è  così  legata, 
da  formare  un  solo  mino  ;  questa  si  trova  a  due  metri  sotto  il  piano  del  castro,  quella  è 
allo  stesso  piano.  Queste  differenze,  unite  al  tatto  che  nei  due  angoli  sull'alto  del  colle 
non  si  notano  torri,  fanno  pensare  che  si  tratti  di  una  costruzione  speciale  —  chi 
forse  la  simmetrica  sultani'1  :   ill'altro  angolo  in  basso  —  di  cui  ci  sfugge  la  vera  natura  (2). 


Fiu     U.  —  Angolo 


1     Pomassetti,    La  campagna,  II.    p.  200.   Cf.  (2    II  sistema  di  porre  torri  negli  angoli 

Giorni,  Albano,  p.  68     •■  Quattro  torri,  da  quanto      sto  non  era  molto  usato,  ma  si  trova  specialmente 
sembra,   lo  munivano  dai  quattro  lati   •>.  in  quelli   situati   lungo  il  valla  di    Adrian". 


—    228   — 

4.  —  LATO  NORD-OVEST.  —  Intorno  alla  descritta  stanza  rotonda  girava  dunque 
l'angolo  ovest  e  dava  orinine  all'ultimo  lato,  quello  lungo  di  nord-ovest,  che  passa  a  pochi 
metri  di  distanza  dal  io  rotondo.   Nella  piazza  del  Plebiscito,  subito  dopo  aver 

attraversato  la  via  omonima,  il  muro  torna  sopra  lena  e  vi  rimane  per  una  trentina  di 
metri  con  l'altezza  media  di  due  metri.  In  questo  braccio  di  muraglia  la  stratificazioni  dei 
blocchi  segue  dapprima  la  pendenza  del  terreno,  e  poi  diviene  a  poco  a  poco  orizzontale. 
È  indizio  questo  che  ci  avviciniamo  alla  porta  principalis  dextra,  per  la  stabilità  della 
quale    occorrevano    i    muri    perfettamente    a    piombo.   Della  porta  non  resta  alcun    avanzo, 


i  ig 


solo  pochi  blocchi  del  muro  attiguo  di  destra  si  vedono  al  piano  terreno  della  casa    rogni 
in  via  di   Mezzo  della  Rotonda  n.  24. 

Nessun  altro  avanzo  del  Iato  di  nord-ovest  resta  più  sopra  a  terra;  convien  però 
che  il  suo  tracciato  seguiva  il  muro  di  prospetto  delle  case  alla  destra   della  via  dell'Ai 
di  S.  Paolo  che   sono   tutte    fondate  su  di  esso,  e  tagliava    poi  la  piazza  S.  Paolo  fino  a 
ricollegarsi  con  l'angolo  nord  descritto  (fig.  6).  Infatti,  in  alcuni  lavori  pi      'acqua     seguiti 
nella    detta    piazza    ne!    [904,    si  ritrovarono    vari    blocchi  ancora  al  posto  (1)  della    stessa 
guisa  di  quelli  che  abbiamo   veduto   pei   il  resto   del    recinto.  Data  la  fori  a  del 

10  i   blocchi   erano   disposti  a   strati   orizzontali. 


.    .       s      ,.  in    ■  \.     p       52     (figUl    I 


-     229 


IL  --  COSTRUZIONI  INTERNE. 

1.  —  Caserme  e  Fabbriche  .minori.  —  Come  si  è  già  detto  in  principio,  le  mag- 
giori costruzioni  interne  dell'accampamento  sono:  la  piscina  a  cinque  ambienti  e  l'edificio 
rotondo,  al  presente  chiesa  di  S.  Maria  della  Rotonda.  A  questi  si  aggiungono  alcuni  avanzi 
di  caserme,  due  sale  termali,  una  conserva  minore,  altre  sale  con  nicchie,  Jue  tratti 
di  strada  selciata  e  vari  bracci  di  cunicoli  d'acqua;  tutti  avanzi  sparsi  qua  e  là  per  il 
recinto  e  quindi   inadeguati   a   darci   un'idea   della   pianta  originale   e   della   sua  complessità. 

Esamineremo  puma  le  costruzioni  minori,  sia  perchè  hanno  una  più  stretta  attinenza 
con  la  natura  del  monumento,  sia  perchè  le  due  maggiori  richiedono  uno  studio  più  accu- 
rato e  ci  conducono  più  direttamente  alla  datazione  del  castro  e  alla  sistemazione  di  tutte 
le  altre. 

Le  costruzioni   minori  si   possono  dividere  in  due  gruppi: 

i"   —   costruzioni  conosciute  prima  degli  scavi   del    1515-1916. 
2°   —  costruzioni  scoperte  dinante  1  detti  scavi  (1). 

Per  ambedue  i  gruppi  seguiremo  lo  stesso  ordine  usato  pel  muro  di  cinta,  cioè  da 
sinistra  verso  destra,   partendo  dall'angolo  nord   presso  l'Abbazia  di   S.   Paolo. 

I"  gruppo.  —  I  primi  avanzi  si  incontrano  nel  giardino  delle  Dame  del  Sacro  Cuore, 
alla  distanza  di  circa  So  metri  dall'angolo  nord:  si  trova  dapprima  un  muro  di  sostegno 
(fig.  16)  costruito  a  stran  alternati  di  laterizi  e  blocchetti  squadrati  di  peperino,  quasi  pa- 
rallelo al  muro  di  cinta  nord-est  del  castro,  dal  quale  dista  m.  0,15;  è  situato  a  in.  5,50 
più  in  basso  del  detto  muro,  secondo  il  moderno  livello  di  entrambi  e  sorregge  la  puma 
terrazza  digradante  verso  l'interno. 

Di  fronte  ad  esso  correva  la  via  perimetrale  interna  dell'accampamento,  detta  inter- 
vallum  (2),   di  cui   si   sono  ritrovati   altri   avanzi   nella   via   del    Plebiscito. 

Circa  sessanta  metri  più  lontani.)  dal  muro,  rimangono  due  bracci  di  acquedotti  molto 
vicini  e  convergenti  tino  ad  incontrarsi;  presentano  la  stessa  larghezza  di  m.  0,44  e  la 
stessa  costruzione  in  tutto  laterizio,  piuttosto  fine  e  unito  con  notevole  strato  di  malta,  con 
la  volta  a  cappuccina,  onde  non  v'è  dubbio,  che  giungendo  k\,\  due  località  diverse,  dessero 
poi  origine  ad  un  acquedotto  comune.  La  pasta  rossa  e  dura  del  laterizio  e  il  suo  tenue 
spessore  lo  mostrano  di  età  severiana;  se  ne  percorrono  carponi  alcuni  metri  per  1 
senza  però  incontrare   nei   bipedali   della   volta   alcuna   leggenda. 

li)  Le  costruzioni  del  I' gruppo  sono  ancora  con-  libero,   fra  il  muro   di    unii 

servate    quasi    completamente,    mentre    quelle    del  interne,  per  i   movimenti    delle  truppe    1  pei  inti  la 

11°  gruppo  furono  demolite  per  le  esigenze  dei  lavori.  difesa,  come  ritroviamo  in  tutti  i  castra  : 

(2)  Questa  via   costituiva   una    specie   Ji  spazio  prescrizioni  di  Polibio  (VI,    51)  e   >li  Igino  (e.   141- 


—    230   — 

Nell'orto  delle  Suore  Polacche  Nazzarettane,  fra  l'angolo  est  e  la  torretta  quadrata,  si 
vedono  altri  muri  (tav.  IX)  orientati  in  senso  ortogonale  al  lato  di  sud-est.  Essi  formano 
cinque  terrazze  digra  lauti  verso  oriente  e  larghe,  la  più  alta  m.  34,90,  la  seconda  m.  20,40, 
la  terza  ni.  14,10,  la  quarta  in.  31,50  e  la  quinta  m.  14,10.  Quasi  tutti  i  muri  sono 
ridotti  alla  pina  ossatura  in  opera  a  sacco,  tranne  quello  di  sostegno  alla  seconda  terrazza, 
che  conserva  quasi  tutta  la  cortina  e  si  presenta  più  complesso  degli  altri.  H  costituito  di 
due  muri  paralleli,  distanti  m.  S.SO,  tra  i  quali  si  apre  una  fila  di  stanze,  di  cui  una  sola 
è  visibile  quasi   per  intero. 

accenni  di  un'altra  stanza,  e  forse  di  un'altra  tila,  si  vedono  a  est  di  essa.  Notevole 
e   anche   il    muro   sostruttivo   della   terza    terrazzi,    costruito   a   tutelli    e    mattoni,   come   quelli 


I  lg.   1    .         Min     sostruttivo  nel  giardino  dell  Abazia 

scoperti  nel    [916.  Il  muro  della  quarta  terrazza  è  stato  rappezzato  e  prolungato  in  epoca 
moderna,  sicché  oggi  è  appena  riconoscibile  (1). 

Questo  sistema  della  divisione  in  terrazze  ci  mostra  il  modo  come  i  costruttori  del 
castro  seppei  1  ripartire  il  forte  dislivello  esistente  fra  i  due  lati  estremi,  facendo  si  che  la 
maggior  parte  delle  caserme  giacessero  in  piano.  Il  sistema,  benché  comunissimo  presso  1 
Romani,  specie  nelle  loro  ville,  doveva  essere  piuttosto  difficoltoso  per  un  accampamento, 
ove  si  imponeva  la  necessità  delle  communicazioni  in  piano,  ("ili  avanzi  descritti  occupano 


(1)  Il  Rosa,  nella  pianta  dei  castra  Albana,  ri-  quasi  immutata.  Detta  pianta  fa  parte  di  quella 
prodotta  alla  tav.  \.  ricostruisce  in  questi  luogo,  piii  generale  della  «  Villa  Albana  dei  Cesari  »  con- 
tino quasi  alla  via  principali*,  un  grande  com-  servata  presso  la  R.  Soprintendenza  agli  Scavi  di 
plessi)  di  fabbricati  che  certamente  non  vide,  es-  Roma.  Il  valore  del  rilievo  del  Rosa  è  molto  li- 
sendo  la  regi  aie,    dal    suo  tempo  (  1X^4)  ad   oggi,  mitato. 


-     231   - 

nel  castro  l'estremo  orientale  della  relentura,  cioè  della   zona  situata  tra   il  praetorium  e  il 
lato  della  porta  decumana. 

Presso  la  chiesa  della  Rotonda  si  trova  un  complesso  di  avanzi  molto  importante  per 
la  sua  singolarità.  Si  tratta  di  due  gruppi  distinti,  uno  sotto  i  palazzi  Giorni,  Carnevali  e 
Ronca,  in  via  di  mezzo  della  Rotonda,  l'altro  sotto  le  scuole  comunali  nella  piazza  lei 
Plebiscito.  Il  primo  gruppo,  che  è  un  pò  più  antico,  è  visibile  per  la  maggioi  parte  nelle 
cantine  del  palazzo  Giorni,  con  ingresso  dal  tinello  n.  45.  È  situato  a  quasi  3  metri  di 
profondità  dalla  strada  e  consta  di   due    stanze,  0  torse    meglio  di  due  bracci  di    un    largo 


se  A  L  A    .- 


Fig.  17.  —   Pianta  del  corridoio   sotterraneo 

corridoio,  troncati!  agli  estremi  da  muri  moderni,  nel  quale  si  aprivano  altri  ambienti    fig.   17 
pure  essi  al   presente   richiusiti). 

Il   primo  braccio  del  corridoio  e  largo    m.   2,70  ed    ha,    nel    tratto    rimasto,    5    nicchie 
larghe  m.  0,59,   protonde  0,45  e  alte  0,89,  situate  a  m.   i,o;   dal   pa\  irnento  e  alia    distanza 
di   m.  0,59  l'una  dall'altra;   altre  due  nicchie,  almeno,  som,  stale  tagliate  dalla  scala  m 
Il  secondo  braccio  è  largo  m.    3,29  ed  ha  anch'esso   ;   nicchie,  ma  richiuse  in  opera  reti- 


ti) Lai"  0  due  di  questi  ambienti  servono  cane      sono  inaccessibili,  ciò  che   impedisce    purtroppo  di 
ille  cantine  superiori  per  mezzo  di  botole  e      completarne  la  pianta. 


—   232    — 

ilata  al  pam  della  parete.  Una  nicchia,  ove  la  riempitura  è  in  parte  stata  tolta,  ci  dà  le 
misure  complete,  cioè:  larghezza  m.  0,89,  altezza  m.  0,89  e  profondità  m.  0,50;  1  pilastri 
intermedi  sono  di  m.  0,59.  La  parete-  interna  sembra  costituita  da  un  pilastro  di  forza  nel 
mezzo  ini.  2,80  X    LS0'.  forse  isolai  passaggi  laterali. 

La  co  truzioni    è  tutta  ,   anche  quella  di  riempitura   delle  nicchie:  è  in  opera 

reticolata    li  peperino,  grossolana  e  tra  18);  egualmente  i  blocchetti  parallelepi- 

pedi che  formano  le  spallette  e  le  piattabande  delle  nicchie  sono  male  squadrati;  un  forte 
intonaco  a  signino  rivestiva  tutte  le  pareti  e  un  semplice  musaico  bianco  e  nero  (palom- 
bino  e  selce),  composto  di  tasselli  alti  circa  4  cm.  e  con  lato  di  cm.  1  e  mezzo,  ricopriva 
il  pavimento.  La  volta,  che  ha  inizio  sopra  le  piattebande  delle  nicchie,  non  sembra 
antica. 


Dal  n.  35  di  via  .li  mezzo  della  Rotonda,  attraversando  un  cortile  e  scendendo  pei 
una  scala,  si  può  vedere  il  seguito  di  questo  secondo  corridoio,  in  una  cantina  di  proprietà 
dei  fratelli  stella  di  Albano  sottostante  alla  casa  della  signora  Sofìa  Ronca.  Quivi  riman- 
gono altre  quattro  nicchie  della  parete  di  destra  urna  quinta  è  stata  tagliata  dalla  scala) 
Costruite  e  chiuse   allo   stesso    modo  Mie.    19).    Nella    pareti     li  sinisl    L,  ad    un    livello   più  alto. 

s >  cinque  nicchiette  minori    i  finestrelle,  anche  esse  richiuse  da  muro  reticolato,   la 

cm.  60,  con   pilastri   intermedi   di  cm.  45.   Il   muro  di   fondo  della    cantina  è   moderno;   da 
un  foto  aperto  in  alto  si  ve  li   il  proseguimento  del  i  itico  per  altri  4  metri  almeno, 

interrato  però  fin   quasi   al   livello  della   \ 


! 


b'  difficile  poter  dire  a  che  scopo  servisse  il  desi  ritto  corridoio;  la  migliore  ipotesi  è  che 
fosse  un  criptoportico  termale,  come  fanno  pensare  il  suo  livello  molto  basso,  le  nicchie  o 
finestrelle  nelle    pareti  e  il  rivestimento  in  signino.    Siamo  di  fronte  ad  un  notevole    fab- 
bricato del  castro,  contemporaneo  alla  torretta  rotonda  esistente  nel  mezzo  dell'ango 
e  ai  muri  poco  distanti   a  sud,  fab- 
bricato costruito  in  un'epoca  già  de- 
cadente e  non  certo    per  gli   usi  di 
una  villa  imperiale.  Stante  la  fattura 
così  trascurata  e  fuori  del  commune, 
il   reticolato  non  offre  una  datazione 
precisa;  lo  stesso  si  dica  del  musaico 
del  pavimenti i.   Ad  ogni  modo  esso 
rappresenta    uno    degli    ultimissimi 
esempi   di  reticolato  nella  campagna 
rumana,    assai    posteriore    a    Domi- 
ziano,    del    quale    abbiamo    a    poca 
distanza  esempi   molto  belli   per  pa- 
ragone ;     approssimativamente     può 

t'issarsi  tra  l'età  degli  Antonini  e  quella  Severiana,   e    il  suo  uso  si  spiega  soltanto  con  la 
presenza  del  materiale  sul  luogo,  che    venne  cavato  e  lavorato  ivi  stessi,. 

11  secondo  gruppo  si  trova,  come  si  è  detto,  a  sud-ovest  della  chiesa  della  Rotonda, 
(fìg.  i  ?j  e  vi  si  accede  dalla  piazza  del  Plebiscito  n.  12,  traversando  un  cortiletto  e  scen- 
dendo per  una  cantina;  le  aperture  moderne  hanno  guastato  Li  disposizione  originale  1 
rendono  difficile  lo  studio;  tuttavia  si  possono  distinguere  due  grandi  stanze  .1  contatto, 
con  una  intercapedine  tra  le  pareti,  riempita  di  condutture  rettangolari  di  terracotta 
(cm.  11X6;  spessore  cui.  1,  2<  poste  tra  due  strati  di  bipedali.  Il  livello  odierno  dello 
cantine  è  di  circa  2  metri  più  basso  dell'antico  e  quindi  taglia  1  muri  delle  stan 
il  pavimento;  si  tratta  dell'ipocausto  di  un  edifìcio  termale.  Alla  destra  del  muro  di  divi- 
sione delle  due  stanze  si  apre  un  cunicolo  d'acqua  a  sezione  rettangolare,  coperto  da  uno 
stratn  di  bipedali  in  piani'.  Il  cunicolo,  largo  m.  0,54  e  alto  m.  0,29,  appare  di  immissione 
per  la  pendenza  verso  l'interno. 

Abbiamo  il  modo  di  datare  queste  stanze:  i  due  primi  bipedali  the  formano  la  coper- 
tura del  cunicolo,  portano  impresso,  a  caratteri  chiarissimi,  il  bollo  del  ( ..  I.  !..  \\  n.  40S  b, 
dell'età    di    Caracalla;    1:  ire    probabile    che    tutto    l'edificio      saia   a  Caracalla. 

Anche  il  laterizie  delle  stanze  va  d'accordo  con  l'epoca  dei  bipedali,  pia   lo  spessi 
la  malta. 

Risalendo  la  collina,  a  lev  ante  della  chiesa  J(        Rol       la,   ritroviamo  una  . 
conserva  d'acqua,  situata  in   parte  sotto  la  sui;   e  in    parte    sotto  1   fabbricati 


—   -'34   — 

si  elevano  alla  sua  destra  segnati  coi  numeri  civici  42,  44  e  46  ;  è  divisa  in  tre  am- 
bientili) con  tramezzi  moderni  e  misura  una  lunghezza  totale  di  circa  m.  30,  su  di  una 
larghezza  di  m.  4,16.  Nel  lato  corti»  di  ponente  (situato  nel  primo  ambiente,  accessibile 
dal  n.  42),  si  apre  il  cunicolo  di  scolo,  alto  m.  1,60  e  coperto  a  volta  in  muratura,  che  si 
può  percorrere  per  parecchi  metri.  La  costruzione  della  lunga  conserva  è  in  opera  laterizia, 
alquanto  scadente,  intonacata  con  signino  a  grosse  scaglie  di  cotto:  la  volta  è  a  mezza 
botte  (2). 

Dobbiamo  ricordare  infine  gli  avanzi  di  muri  venuti  in  luce  nel  1914  presso  il  lato 
nord-ovest  13),  alcuni  dei  quali  erano  in  opera  quadrata  simile  a  quella  del  recinto,  altri  a 
laterizi  e  tufelli  alternati,  altri  intonacati  a  coccio  pesto  con  segni  del  fuoco,  e  uno  soltanto 
in  opera  laterizia;  in  questo  ultimo  fu  trovato  un  mattone  col  bollo  C.  I.  L.  XV  962  b, 
di  età  adrianea.  fa  importante  ricordare  che  i  muri,  quantunque  paralleli  tra  di  loro  non 
erano  a  squadro  col  muro  perimetrale  di  recinto,  ma  formanti  angolo  con  esso,  ciò  che  fa 
pensare  che  i  muri  fossero  anteriori  al  castro  e  demoliti  per  la  sua  costruzione  (4), 

II"  gruppo.  —  Visto  quanto  esisteva  dell'interno  del  campo  fino  al  1915,  veniamo 
alle  odierne  scoperte.  Esse  saranno  illustrate  con  la  nota  competenza,  dal  sig.  Gatti,  tecnico 
della  Soprintendenza  agli  Scavi  di  Roma,  nelle  Notizie  degli  Scavi  del  191 7,  per  cui  io 
mi  limiterò  a  riassumerle,  fermandomi  su  alcuni  punti  che  per  il  presente  lavoro  hanno  un 
particolare  interesse. 

1  ritrovamenti  principali  sono  avvenuti  lungo  le  due  vie  che  tagliano  Albano  per  tutto 
il  senso  della  profondità  a  monte:  la  via  Aurelio  Sarti  e  la  via  dell'Antiteatro  di  Domiziano. 
Cominciamo  da  quest'ultima  per  seguire  a  un  di  presso  lo  stesso  ordine  da  sinistra  verso 
destra  tenuto  finora.  Il  taglio  della  fognatura  fu  cominciato  alquanto  a  sud  del  punto  in 
cui  il  lato  nord-est  attraversa  la  via,  all'altezza,  circa,  della  torretta  rettangolare.  Da  questo 
punto  fino  davanti  dil&porta  principalis  sinistra  si  è  ritrovata  una  fitta  rete  di  celle,  costruite 
quasi  tutte  nella  stessa  maniera  (fig.  201  in  opus  mix///»/,  di  laterizi  e  tufelli  alternati, 
con  le  pareti  e  il  piano  rivestiti  di  COCCiopesto:  l'orientamento  era  identico  a  quello  del 
castro.  Le  misure  delle  celle  avevano  una  media  di  m.  4,50  X  4,50,  e  uno  spessore  di 
m.  o,4S-  Nella  demolizione  fu  rinvenuto  un  solo  laterizio  con  bollo,  rettangolare,  in  cui  si 
leggeva  in  ottimi  caratteri  L.  V.  F.  (C.  1.  !..  XV  23701,  di  età  incerta  e  di  fabrica  subur- 
bana. Fra  1  muri  in  opus  mixtutn  erano  incorporati  alcuni  muri  in  opus  reticulaium,  di 
ottima  fattura,  evidentemente  di  età  anteriore,  appartenenti  forse  al   I   sec.  a.  C. 


(1)  Il  terzo  ambiente  è  difficilmente  accessibile  e  poi  ripresa  con    muro  moderno.  Sul  pavimento  vi 
in  stesso,  che  I"  vidi  una  prima  volta  nel  1913,  do-  sono  costruite  delle  vasche. 

vetti  lo  scorso  anno  rinunciare  a  visitarlo  di  nuovo.  (3)  Notizie  degli  Scivi.    1004.    pag.    52  (figura). 

\  in  ricordo  se  vi  rimanga  lo  ^peoi  di  immissione.  eli.  pianta  generale  alla  tav.  IX. 

(2)  La  volta  del  primo  ambiente  fu  rotta  durante  (4)  Questa  ip  tesi  sarà  confermata  quando  avre- 
,  lavori  della  fognatura    nella    vìa    Aurelio  Sarti  e  ino  fissato  l'età  della  fondazione  del  ca>tro. 


—  235  - 

Più  ad  est  si  trovarono  alcuni  cunicoli  di  scolo  con  le  sponde  in  laterizio  e  la  coper- 
tura a  cappuccina,  di  cui  uno  sotto  la  via  Cavour,  largo  m.  0,90  costituiva  probabilmente 
il  tronco  principale  della  fognatura  (cf.  tav.  IX)  che  nel  bassi,  del  castro  raccoglieva  le 
acque  e  le  conduceva  allo  scarico  (1 1. 

Quasi  di  fronte  alla  porta  del  Seminario  Apostolico,  in  via  dell'Anfiteatro,  avvenne  la 
scoperta  più  notevole.  A  ni.  1,10  di  profondità  si  trovò  una  larga  strada  selciata  col  noto 
sistema  a  poligoni  di  selce,  tornita  ai  lati  delle  crepidini  in  peperino  e  di  un  canaletto  di 
scolo  fra  le  crepidini  e  l'inizio  della  selciatura  (ti;;.  21  e  22).  La  parte  selciata  era  larga 
m.   2,10.   b  fuori  di  dubbio  che  questa  strada  fosse  la  via  principalìs  che   riuniva   le  due 


dell'Anfiteatro 


porte  omonime,  ciò  che  è  provato  dalla  vicinanza  con  la  porta   principali*   sinistra,  nella 
quale  imbocca  perfettamente. 

Pochi  avanzi  dette  il  taglio  della  via  del  Plebiscito  quasi  parallela  al  lato  sud-ovest, 
sia  perchè  è  sollevata  di  due  metri,  dal  piano  antico,  sia  perchè  si  trova  in  gran  parte- 
sopra  la  via  di  circonvallazione  interna.   I)i  questa  via,    Vintervallum,  situata    fra    il   primo 


(1)  La  grande  quantità  di  spechi  e  fognoli  che 
si  rinvenne  entn>  tutto  il  recinto  dell'accampa- 
mento mostra  come  essi,  fosse  ampiamente  irri- 
gato. Vrive  il  Giorni  (Albano,  p.  70)  «Molti 
acquedotti  e  \o  ne  scopri  Battista  Alberti  al  tempo 
di  Pio  II  si  partivano  da  questo  di  cisternone  nel- 
l'alto del  c.istroi   portando  l'acqua  ai   rispettiva  luo- 


ghi, massime  alle  terme  (intende  quelle  di  Cello- 
maio  presso  1.1  stazione  ferroviaria)  e  degli  archi 
di  questi  se  ne  scoprirono  nei  sotterrenei  del  pa- 
lazzo Savelli,  mentre  di  fuori  erano  vaghe  fontane 
con  stìngi  "  cf.  Riccy,  Memorie,  p.  [32  ' 
[  \\,  '312-2313  (fistole  di  piombo  col  nome  del 
plumbai  ius  )- 


!;  celle,  attaccate  al  muro  di  cinta,  e  le  altre  celle  dei  riparti  interni,  venne  in  luce 
un  bei  tratto,  lastricato  allo  stesso  modo  della    via  principalis.  Ijì  essa  però    non   si  potè 

misurali-  la  larghezza,  a  causa  dello  stretto  tagli0 
del  cavo.   Un  complicato    intreccio   di    muri  dette 
a  piazza  del  Plebiscito,  in  cui  si  videro  molti 
blocchi   di  opera   quadrata  caduti  dal   vicino  muro 
nta    li.:.   [3).  Altri  muri  di  celle  in  opera  mista 
a  tufelli  e  mattoni   si   videro  nella  via  dell'abbazia 
di  S.  Paolo  e  nel  vicolo    l'Aste,  ove  tornarono  in 
luce  anche  blocchi  poligonali  di  antica  selciatura. 
In  generale  da  tutti  gli  avanzi  visti    in  questi 
lavori   possiamo   stabilire   che   le   celle   del   castro 
nano  costruite  preferibilmente   in  opera   mista  con 
laterizio   sottile   e    rossastro  della  fine  del  n"  sec. 

Se  zi  e  ne 

0  principio  del   in     d.  C.  e  con  blocchetti  di  ma- 
Fi^'.  21.  —  Via  principalis. 

teriale  locale,  a  guisa  dei  tufelli.  Lo  stesso  laterizio 
eia  adoperato  nelle  sponde  dei  cunicoli  sotterranei.  Soltanto  presso  il  muro  di  cinta  troviamo 
alcuni  muri  in  opera  quadrata,  simili  a  quelli  che  servivano  di  fortificazione  alla  porta  pretoria, 
il  che  fa  pensare  che  le  stanze  che  si  attaccavano  al  muro  di  cinta  fossero  costruite  nella 


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stessa  maniera  per  maggiore  simmetria  e  solidità.  In  opera  reticolata  invece,  erano  costruiti  gli 
ambienti  presso  la  chiesa  della  Rotonda  1  quali  probabilmente  tacevano  parte  di  un  com- 
plesso termale,  insieme  con  ^li  altri  vicini  in  laterizio  —  e  la  torretta  rotonda  dell'angolo  ovest. 


—  237  — 

Dell'accampamenti!  di  Albano  non  conosciamo  altro:  troppo  poco  invero  per  poterlo 
studiare  con  cognizioni  precise  e  potersi  tonnare  un  concetto  del  suo  notevole  svil 
terno.  Esso  pero  non  è  completamente  distrutto,  anzi  si  conserva,  meglio  di  quanto  non  si 
possa  credere,  al  di  sotto  delle  case  moderne,  che  sono  per  la  maggior  pane  fondate  sui 
muri  antichi,  allo  stesso  modo  che  molte  vie  seguono  il  tracciato  delle  vie  antiche.  Uno 
sguardo  alla  pianta  (tav.  I)  lo  mostra  molto  chiaramente.  Importante  sarebbe  per  noi  cono- 
scere qualche  cosa  del  praetorium,  che  secondo  l'uso  comune  sorgeva  al  di  sopra  dell' in- 
crocio formato  dalla  via  prìncipalìs  con  la  via  praetoria  (i),  di  fronte  a  questa  porta,  sito 
che  è  oggi  indicati.)  dall'isola  ad  est  della  via  Amelio  Salti,  Ira  la  via  di  Castro  pretorio 
e  la  via  di  Propaganda.  Ma  questo  luogo,  totalmente  racchiuso  tra  case  civiche,  e  per  la 
maggior  parte  inesplorabile. 

_'.  —  EDIFICIO  ROTONDO.  —  È  oggi  occupato  dalla  chiesa  di  S.  Maria  Maggiore, 
comunemente  detta  .s'.  Maria  della  Rotonda,  dalla  forma  interna  dell'edificio.  Il  passaggio 
al  culto  cristiano  avvenne  in  epoca  molto  antica  e  anzi  questa  chiesa  si  considera  per  an- 
tichità  la  seconda  di   Albano,  dopo  la  basilica  costantiniana. 

Narra  la  tradizione  che  nel  sec.  Vili,  durante  la  persecuzione  degli  Iconoclasti,  da  al- 
cune monache  dell'ordine  di  S.  Agostino,  fuggite  dall'(  )riente,  vi  fosse  trasportata  una  mi- 
racolosa immagine  della  Madonna  e  l'edificio  le  venne  perciò  consacrato.  All'opera  del 
Giorni  (21  rimando  per  le  vicende  della  chiesa  nel  medioevo,  fino  al  sec.  passato.  Noi  con- 
sideriamo invece  l'edificio  antico,     nel   doppio  aspetto,   interno   ed   esterno. 

A.  —  Intano.  —  La  chiesa  odierna  conserva  evidentemente  nell'interno  lo  stesso 
giro  antico,  sebbene  il   muro  originale  non  sia  pili   visibile  a  causa  .  he  lo  ri- 

copre. 11  diametro  misura  m.  15,00,  e  la  circonferenza  m,  49,10.  Dobbiamo  però  ricono- 
scere nel  muro  antico  alcune  particolarità  che  lo  rendevano  assai  piti  vario  e  complesso.  E 
prima  di  tutto  dobbiamo  togliere  l'abside,  (fìg.  23)  che  per  la  decorazione  esterna  a  pic- 
cole mensole  di  peperino  e  a  mattoni  posti  a  punta  di  diamante  si  rivela  all'  incirca  del 
sec.  XII".  Esaminata  la  costruzione  tino  allo  strato  più  basso  non  vi  si  riconosca  alcun 
indizio  di  antichità,  per  cui  si  può  asserire  con  certezza  che  l'edificio  primitivo  non  era 
absidato.     ^ 

(1)  Il  Rosa  (t.i\.  \)  segna  invece  il  pretorio  una  intercapedine,  nella  quale  si  penetra  dal  solaio 
più  in  alto,  quasi  al  di  sopra  della  conserva  d'acqua,  del  retrochiesa,  pei  Ilo,  situato 
e  ne  dà  una  pianta  che  è  una  semplice  supposi-  dietro  alla  immagine  della  Madonna.  Quivi  si  può 
zione.  Cf.  Canina,    Edifizi,   Vi,  tav.   I.IX.  vedere  l'abside  per  intero  nella             1        ig  naie  e 

(2)  Giorni,    V,  .    riche    villa  <ui/!,,i  prò-  studiarne  i  vari  adattamenti  fino  al  secolo  passato. 

Immagine   iti  -V   Maria    della    Rotonda,  Nell'abside  origina                  1   dapprima    un    vano, 

Velletri  1840:  hi..  Storia  di  Albano,  ./•■  rsg.  1  1  irma  di  nicchi  1. 

;     I  'abside  ha  doppi. 1  forma:  all'esterno  ^irco-  che  fu  in  una  data  epoca  chiuso  con  una  leu. ita: 

lare  e  all' interno  trapezoidale  ;  fra  i  due  muri  esisti-  dalla  parte  interna  è  scornii                     ittro  stipiti 


Dopo  di  ciò  dobbiamo  aprire  nella  parete  curvilinea  quattro  grandi  nicchie  a  distanze 
eguali,  nei  punti  ove  il  cerchio  iscritto  nel  quadrato  della  figura  esterna,  lasciava  uno  spazio 
rivelante  (fig.  23  A).  Che  cosi  fosse,  abbiamo  la  prova  in  una  nicchia  ancora  ben  visibile 
dietro  la  sacrestia  e  nel  vuoto  delle  altre  che  si  sente  nei  lunghi  corrispondenti  della  parete 
odierna.  La  nicchia  rimasta  t'orma  ora  un  piccolo  stanzino  oscuro,  che  si  apre  alla  sinistra  del 
corridoio  che  dalla  sacrestia  conduce  alla  chiesa  (fig.  24).  La  nicchia  è  dimezzata,  essendo 
l'altra  metà  stata  rotta  per  aprirvi  il  corridoio;  il  fronte  fu  poi  chiuso  con  un  tramezzo  al 
paro  della  parete  della  chiesa.  La  copertura  è  a  mezza  calotta  gettata.  Tanto  essa  quanto 
la  parete  conservano  parte  dell'intonaco  medievale,  colorato  con  fascie  rosse,  gialle  e  verdi  ; 


B-  S^itoue  €t//  '1  >nj3oat&  dell*  croi  la. 
ta  .Iella  •<  Rotonda  ». 

in  basso  si  nota  il  viso  di  un  santo  con  nimbo  giallastro,  dipinto  su  campo  rosso,  a  gran- 
dezza quasi  naturale.  La  nicchia  misura  un  diametro  approssimativo  di  ni.  4,40.  La  costru- 
zione è  parte  in  laterizio  e  parte  in  reticolato. 

Circa  l'esistenza  della  nicchia  situata  all'opposto  di  questa  (cioè  alla  sinistra,  entrando, 
all'ingresso  della  chiesa)  abbiamo  la  testimonianza  l'i  alcuni  canonici  di  Albano,  i  quali,  una 
ventina  di  anni  or  sono,  in  occasione  dei  restauri    al  coretto  superiore,  videro  nella  parete 


ica  romana,  e  vi  doveva  essere  collocata  an-  periore   dell'abside    sono    incastrati    vari   pezzi   di 

ticamente  la  immagine  della   Madonna;  intorni!  :il  cornicioni  romani  del   II  e   III    secolo,    risegati    per 

vano  è  dipinto  un  baldacchino  di  stile  barocco,  ter-  altri  usi  e  ivi  posti  in  epoca  piuttosto  recente,  seb- 

minante  in  alto  con  due  fiocchi,  legati  con  un  cor-  bene  prima  della  costruzione  del  secondo  abside  tra- 

done  e  appesi  ad  un  tinto  chiodo.   Nella  patte  su-  pezoidale. 


—  230  - 

un  largo  vuoto  semicircolare  ornato  con  pitture,  che  scendeva  a  tre  metri  di  profondità  dal 
piano  della  chiesa:  nel  pavimento  «  antico  »  furono  raccolti  avanzi  di  musaico  bianco  e 
nero,   simili  a  quelli  che  sono  ora   incastrati   presso  la  balaustra  dell'altare  maggiore. 

Anche  la  nicchia  dell'angolo  est  deve  essere  conservata  quasi  per  intero,  al  di  dietro 
della  parete,  di  Al  contrarili  quella  di  ovest  none  più  visibile,  almeno  dal  pavimento  odierno 
in  su,  perchè  è  stata  malamente  traforata  per  l'ingresso  alla  sacrestia  dalla  piazza  del 
Plebiscito.   È   notevole  però  che  la  copertura  dell'ingresso  mantiene  la  torma  di    calotta. 

B.  —  Esterno.  —  Vediamo  ora  quale  tosse  la  torma  esterna,  che  dal  solo  esame  della 
chiesa  allo  stato  attuale,  non  appare  chiara.  La  facciata  della  chiesa,  opera  del  secolo  pas- 
sato, nasconde  con   i   due  larghi   pilastri  aggiunti,   il   muro  antico.  Questo  muro  fu  visto    lai 


Labruzzi  e  disegnato  con  molta  esattezza  in  una  delle  sue  vignette,  riprodotta  alla  tav.  XI,  2, 
dagli  originali  conservati  presso  la  Biblioteca  Sarti  di  Roma  (2),  dove  appare  la  costru- 
zione antica  a  reticolato  con  fascioni  laterizi  fino  quasi  al  tetto,  e  la  parete  perfettamente 
rettilinea.    La  porta    della   chiesa   era  ancora    ornata    al    suo  tempo  (3)   con    l'architrave   111 


(1)  L'esistenza  delle  due  nicchie  è  confermata 
dal  <ji>>rni  (Notizie  isteriche  sull'antica  prodig. 
imagìne...,  />■  ss.)  il  quale  aggiunge  che  ■  osser- 
vatesi entrambe  nel  1829  serbar  si  videro  a  vivi 
coluri  le  loro  pitture,  consistenti  in  quanto  ad  una 
nel  Battista  in  carcere  coll'immagine  a  lato  di  un 
divoto  e  l'iscrizione  sotto  alla  ferriata  del  carcere 
Mutius  Aretius  pio  sua  devotione;  ed  in  quanto 
alla  seconda  (che  però  il  Giorni  non  vide)  nel  fe- 
retro di  un  Santo  portato  da  quattro  diaconi,  che 
io  lo  direi  S.  Agostino,  i  cui  funerali,  abbiamo, 
che    celebrati    vennero    con    magnifica    pompa    dal 


clero  ».  Sarebbe  opera  molto  meritoria  riaprire  le 
nicchie  descritte  e  rimettere  in  luce  le  pitture.  Meglio 
ancora  sarebbe  approfondire  la  chiesa  tino  al  piano 
antico  e  togliere  l'intonaco  moderno  a  tutti  i  muri, 
entro  e  fuori,  facendo  sì  che  il  monumento  possa 
apparire  di  nuovo  nel  suo  vero  aspetto. 
(2)  Cf.  Ashby,  Dessins  v.  111.  25. 
ìi  Cf.  l'ir  mesi,  voi.  XI.  tav.  \l\.  fig.  1.  e 
tav.  XX.  Iig.  1.  <•  disegno  di  due  antiche  cornici 
Oggi  stipiti  della  porta  della  chiesa  detta  la  Rotonda 
in  Albano  ...  Il  terzo  stipite  e  eguale  a  quello  della 
tav.  XX  del  Piranesi  e  della  nostra  ng.  26. 


—  240  — 

marmo,  lavoro  romano  di  molto  pregio  e  di  finissimo  intaglio  che  fu  tolto  nel  secolo  pas- 
sato per  1   restauri   alla  tacciata  e  trasportato  nel  cortile  del  Seminario,  ove  già  si  trova 
gli  altri  due  stipiti  (fig.  25  <■"  26)  tolti  in  epoca  anteriore. 

Un  lato  dunque  era  rettilineo.  Ma  abbiamo  la  prova   anche    per  un  altro  lato,  quello 
consecutivo  di  destra.  Nella  via  di  Mezzo  della  Rotonda,  per  una  pori  ta  al  numero 

civico   i<S,    '  ittraversato  un  piccolo  recinto  tenuto  a  rimessa,  si  discende  in  una 

cantina  situata  a  tre  nielli  di  profondità  dal  [Mano  stradale  e  a  circa  m.  2,^0  dal  piano 
della  chiesa.  La  cantina,  di  forma  quasi  rettangolare,  e  lunga  m.  io  —  divisa  in  due  da 
un  muro  trasversale  per  rinforzo  dello  stabile  mperiore.  Questa  cantina,  pei  tutta  la  sua 
lunghezza,  ha  la  pareti'  di  destra  formata  dallo  stesso  unno  antico  estern  1  dell'edificio.  Il 
muro  è  in  ottimo  laterizio  di  grosso  spessore  e  unito  con  torte  malta  (fig.  _'7>;  si  notano 
a  distanze  eguali  i  rinforzi  di  bipedali  nella  costruzione,  indizio  dell'et'i  domizianea.    La  pa- 


Avanzo    '■       I 


norea   (dalla  chiesa  della  «  Ro   >n  I 


rete,  sebbene  rettilinea,  non  è  tutta  liscia;  ogni  m.  1,72  di  muro,  vi  sono  alcuni  pilastri 
(larghi  cui.  89)  leggermente  sporgenti,  anch'essi  in  laterizio,  posti  per  rinforzo  e  forse  anche 
per  decorazione.  I  pilastri,  in  numero  di  sei,  erano  certamente  visibili  all'esterno,  perché  tutta 
questa  parte,  ora  sotterranea,  era  in  antico  sopra  terra.  Infatti  in  alcuni  punti  si  distingue 
rasente  al  pavimento  la  risela  delle  tonda/ioni  in  opus  caemeniicium,  a  piccole  s<  aglie  di 
peperino. 

Dimostrato  che  due  lati  contigui  dell'esterno  erano  rettilinei  sarà  tacile  concluderne 
che  tutto  l'edificio  avesse  la  forma  rettangolare.  1  pochi  avanzi  che  si  possono  riconoscere 
degli  altri  due  lati  lo  confermano  pienamente. 

Il  lato  di  nord-ovest,  cioè  quello  dell'abside,  è  visibile  nella  parte  alta,  perchè  nel  basso 
l'adattamento  della  chiesa  e  della  sacrestia  hanno  guastato  ogni  cosa.  La  parte  alta  si  vede 
in  parte  dall'esterno,  in  parte  dall'interno  dello  stabile  che  gli  è  addossato.  All'esterno  (dalla 
via  di  Mezzo  della  Rotondai  si  nota  un  grande  arco,  chiuso  nel  medioevo,  situato  quasi  ad 
eguale  distanza  tra  lo  spigolo   nord   e   l'abside.    Penetrando  nello  stabile  indicato,  al  portone 


241 

n.  17  (appartamento  di  destra)  si  può  accedere  fino  all'ambiente  retrostante  all'arco,  ove 
rimane  una  bellissima  nicchia  semicircolare  allungata,  di  grandi  dimensioni  e  in  origine 
del  tutto  aperta.  La  nicchia  è  larga  in.  5,01,  profonda,  senza  la  chiusura  un- 
ni. 2,78  e  ricoperta  di  Lina  volta  in  muratura  a  sacco.  I  muri  parietali,  dal  basso  fino 
alla  spinta  della  volta,  sono  in  reticolato  a  ricorsi  laterizi;  il  reticolato  è  perfetto,  in  pe- 
perini!, e  1  laterizi  suini  spessi,  ben  cementati  con  uno  strato  compatto  di  malta.  Retico- 
lato e  ricusi  si  succedono  nel  modo  seguente,  procedendo  dall'alto  in  basso: 

1°  —  volta  a  sacco,  a  forma  di  mezza  calotta,  con   raggio  di  m.    i,so 

2°    —   cm.   64  di  laterizi,  di  cui  uno  strato  superiore  di  bipedali  e  1  1  strati   al   di     itto 
di  mattoni  triangolari,  dello  spessore  di   min.   33   ;l  45- 

3"   —  cm.   8}   di   reticolato;   base  media,  cm.   8  \  8. 

4"   —   cm.   23   di   laterizi,  divisi   in    5    filari. 


{dalla  chiesa  della  ..  Rotonda 


5°    —   cm.  83   di   reticolato;  eguale  a  quello  superiore. 

Il  pavimento  della  stanza  è  lo  stessi,  antico  e  si  trova  a  m.  2,55  sotto  la  imposta 
della  volta;  esso  corrisponde  al  disopra  del  breve  corridoio  che  dalla  sacrestia  conduce  alla 
chiesa. 

La  costruzione  di  questa  nicchia  è  certamente  di  età  domizianea,  età  che  corrisponde 
e  trova  anzi   il   riscontro  perfetto  nel   laterizio    esaminato    nel   lato    nord-est.   ha    ultimo  gli 
avanzi  di  of>i/s  reliculatum  del  lato  sud-est,  secondo  il   disegno  del  Labruzzi,  e  un  tratto  di 
bel  reticolato  ancora  vi  ibile  nel  solajo  del  corridoio  che  gira  dietro  l'abside,  dimosti 
tutto  l'edifìcio  è  di  un  epoca  sola,  cio<    che  e  tutto  opera  di   Di 

Una  seconda    nicchia  quasi   identica  alla   descritta  si   può  vedere   incora  intani  ; 
di  sud-ovest,  a  ridosso  dell'angolo  ovest  (fig.   281.   Vi  pei    una   boi 

soffitto  del  retrochiesa  da  questa   parte,   la   stessa    botola  che  immette    nel  solajo  sopra   ri- 
Alla   nicchia  1  <     imente  1    --cala  in   muratura,  di  cui 

rimangono  gli   ultimi   tre  gradini    addossati   al   lato    di   nord-  idifìcio,    nel   quale   si 


—    242    — 

apre  l'ingrèsso  (fig.  23  /?).   La  parete  .li  fondo  della   nicchia  è  leggermente  arcuata  e  non 
semi-circolare  come  l'altra:  il  fronl  0  da   un  tramezzo  moderno.    La  costruzione  è 

in  tutto  laterizio  nei  pilastri  d'ingresso  e  in  opus  mixtum  nelle    pareti,  con  questa  dispo- 
sizione dall'alto  in  basso: 

1     —  volta  a  sacco,  mezza  botte  sul  davanti  e  a  conchiglia  sul  fondo, 

con  la  imposta  a  m.    i,88   .'al   pavimento. 

cm.   70  .li  1  iteii/i  >  con  Mrati  di  bipedali  intermedi. 

30  —    cm.  89  di  reticolato;  base  media,  cm.  8  x  8. 

4"  —  cm.   29  di  laterizi  e  bipedali  che  attaccano  col  pavim 


27.  —  I  .ilo  non I  est  dell  ■      Rotoli 

La  qualità  e  la  disposizione  del   materiale  sono  identiche  a  quelle  esaminate  per  l'altra 
nicchia,  per  cui  anche  l'epoca  di  costruzione  è  la   medesima.    La  forma  invece  è  diffi 
ciò  che  fa  pensare  che  tosse  differente  anche  l'uso  delle  due  nicchie:  infatti  la  prima,  se- 
micircolare e  apeit  1   soltanto  sul   davanti,    senza    alcun    accesso  praticabile,   appare  soltanto 

itiva;  mentre  la  seconda,  leggermente  arcuata,  alla  quale  conduceva  una  apposita  scala, 
sembra  piuttosto    una  stanzetta,    posta  ad  un  piano   elevato  e  riconnessa    con  altre  stanze 
In   tal   modo  si  spiega   anche   la   asimmetria  della  loro  collocazione  nell'edificio. 

Erano   queste    le   sole   nicchie    ricavate   nei   quattro    lati?    Sebbene   lo   stato   odierni   del 
monumento  non  permetta  di   riconoscerne  altre,  tuttavia  è  tacile  supporre  che  anche  i  lati 


243 


di  sud-est  e  nord-est  avessero  le  loro:  specialmente  il  lato  di  sud-est,  l'attuale  fao 
che  doveva  formare  anche-  anticamente  il  lato  principale,  e  quindi  ornato  ra  più  no- 

tevole.  L'altro  lato  è  addossato  a  case    private,    che   si  sono    servite  di  esso  per  poggiarvi 
h'  travature  dei  piani  ed  è  perciò  molto  rovinato. 

Cerchiamo  ora  di  rintracciare  li  quale  profondità  m  trovi  il  piano  antico,  ciò  che  pos- 
siamo fare  soltanto  pei  induzione,  essendo  oggi  il  sottosuolo  inesplorabile.  Gli  antichi  scrit- 
tori si  occuparono  della  questione,  con  qualche  divergenza:  il  Nibb)  (2)  dice:  «  il  pavimento 
antico  è  di  circa  sei  piedi  (m.  1,80)  sotto  l'attuale  ed  è  di  mosaico  bianco  e  nero  ornato 
di  arabeschi  »;  il  Giorni  (3):  <•  dodici  palmi  circa  (m.  2,66)  più  sotto  dell'odierno,  ove  si 
profondano  le  sepolture  >>  ;  il  Riccy  41  infine  dà  la  stessa  misura,  ma  la  correda  di  alcune 
notizie  importantissime.  <•  11  suo  piano  resta  dodici  palmi  più  sotto  del  moderno,  chi  1 
dire  al  piano  delle  sepolture,  il  quale  è  tutto  coperto  di  antico  mosaico  bianco  ,■  uno 
rappresentante  fiorami,  per  quanto 
mi  fu  lecito  osservare.  Restava  la 
sommità  del  Tempio  scoperto  nel- 
I'  istessa  torma  del  Pantheon  di 
Roma,  fin' a  che  il  Cardinal  Virginio 
Orsini,  Vescovo  d'Albano,  nell'anno 
[673  la  fece  coprire  di  un  lanternino 
foderato  di  piombo,  come  si  vede  al 
presente  •>.  La  profondità  di  1  2  palmi, 
data  dal  Rice)  e  dal  (nomi  è-  la  più 
accettabile  e  corrisponde  presso  a 
poco  a  quella  delle  fondamenta  del 
lato  nord-est.  (5)  Dobbiamo  però  no- 
tare che  il  mosaico  che  ricopre  questo 
pavimento  non  è  romano,  ma  cosmatesco,  come  -1   vede  dai   pi  :zi  che  sono  stati  tratti  dal 

pavimento  in  varie  epoche  e  che  a. ioni. ira  il   moderno  piancito  nel  contro  della  chiesa 

t    presso  la  balaustra  dell'aitai    maggiore.    Questo    pavimento,  pe 


■ 


(  1 1  Penetrando  nelle  soffitte  dello  stabile  situato 
11  via  di  Mezzo  della  Rotonda  V  18  (apparta- 
mento di  sinistra)  si  vede  ancora  lo  spigolo  sud 
del  monumento  con  un  tratto  del  lato  sud-est  e 
della  volta  ;  a  poca  distanza  dello  spigolo,  resta  un 
foro  molto  ampio  e  profon  lo 
i. .  essi  1  altro  che  ad  una    ni 

in.    Per    questo    motivo,   nella  fig.   23,   B,    sono 
state    ricostruite    nel    lato   di    sud-esl 


simmetriche,  simili  alla  prima  de; 
1  2)   .  Incitisi,    1 .    . 

1  I  ~  - 
tvì   che  questa  profondità  è  presso 
stessa  delle  ..ili  di  età  seve- 

del  tasi:  ;tri  di  distanza 


—  244  — 

in   epoca   anche   ignota,  (i)  fu  rialzato  di  quasi    tre  metri    e    nel    sottosuolo  si    stabili    un 
sepolcreto  >_>i  prati    ibi  le  li   chiusini  dal   piano  della  chiesa. 

Ma  la  notizia  più  preziosa    lata    lai    Ri  cy,  è  il  ri  01  I"  di  una  apertura  semicircolare 
nella  volta;  la  quale  dimostra  che  l'edificio  doveva  essere  scarsamente  illuminato  dalle  pa- 

e  quindi  avere  accessi  piuttosto  ristretti.  Questi  erano  due,  probabilmente;  uno  ove  è 
l'ingresso  odiern  >,  e  l'altro  ove  è  l'absi  le.  I.'  ingresso  odiern  i,  spogliato  delle  cornici  man: 
nel  secolo  passato,  (3)  misura  m.  2,70  di  larghezza  per  m.  3  circa  di  altezza  ;  ipprofondito 
di  in.  2,50  tino  al  piano  anti ffre  un  vano  di  m.  ióo  X  2>7°>  sufficiente  per  un  in- 
gresso. Circa  l'altm  ingresso  dalla  parte  dell'abside,  ne  abbiamo  la  prova  in  un  muro  an- 
tico ortogonale  alla  parete  nord-ovest  (4)  che  fu  incorporato  nell'abside  6g.  33  I-i  ;  è  rive- 
stito a  mattoni  triangolari  e  è  visibile  dal  soppalco  del  retrochiesa,  ove  l'intonaco  dell'abside 
è  caduto.  Questo  muro  comporta  l'esisten/a  di  un  altro  eguale  dall'altra  parte  dell'abside 
e  quindi  di  un  corridoio  che  immetteva  nella  sala  rotonda.  Che  gli  ingressi  stessero  sol- 
tanto nei  siti  suddetti  e  non  agli  estremi  del  diametro  opposto,  sta  il  tatto  che  il  muro 
esterno  di  nord-est,  conservato  per  intero  lino  al  pian  1  antico,  non  presenta  alcuna  apertura. 
I  due  ingressi  descritti,  l'attacco  del  muro  trasversale  dietro  l'abside,  le  nicchie  0  stan- 
zette .he  si  aprono  all'esterno,  all'altezza  di  un  secondo  piano,  >  gli  a(  essi  di  scala  sono 
prò  più  che  sufficienti  per  dimostrare  che  l'edificio  non  era  isolato,  ma  faceva  parte  di 
un   complessi,  di   costruzioni,   pur  essendo  la  costruzione  principale. 


Passiamo  ora  ad  esaminare  a  quale  uso  servì  l'è  lificio  rotond  1  e  quale  imp  irtanza  ebbe 
nell'interno  del   castro. 

Sino  ad  ora  la  tradizione  lo  aveva  creduto  s-nza  discussione  un  tempio,  e  poiché  Do- 
miziano era  specialmente  devoto  di  Minerva  e  le  celebrava  ogni  anno  nell'Albano  le  feste 


(1)  Il  Giorni  (Notizie  {storiche  suW  immagine  cadaveri,  per  cui  è  necess; provvedere. 

J<ila    Rotonda  p.  rj),    crede   che    l'innalzamento  (j)   Come  si  è  detto    pia    sopra    le  bellissime 

del    piano  sia   avvenuto  nel    1484,   quandi'    Paolo  cornici,  di  età    posteriore  .1  Domiziano   e  non  ap- 

'  '      ...    messi  di  Sisto    IV.  vinse  i  .S'avelli    e  di-  partenenti  al  monumento  originale,  si  trovano    ra 

strusse  il  loro    1  istello  con  le   adiacenze.    A  quel  nel  giardino  del    Seminario,     \ltre  comici  più  ro- 

|'epo<  1    risalitone  anche,  secondo    lui.  i  due  altari  vinate   ma   di    la\  I     simile   si  v,ms 

minori  del  Crocifisso  e  di  S.  Giuseppe  Calasanzio  murate   a   ^uisa  di  finestra  nel    passaggio   coperto 

hi  dedicati    1  s-  Bari  lomeo  e   1  S.    \nni>  che  fiancheggia   la   chiesa  .1  p  inente,  fra  la  piazza 

che  sorgono  .ilio  stesso  piano  odierno.  dello  Rotonda  e  quello  del  Plebiscil   . 

(2)  In  un    punto  del    lato    nord-est,    entro  la  (4)  Fu  riconosciuto  anche  dal  Canina,  che  lo 
cantina  al  n.   18,  è  limata  la  poietee  cadono  con  segnò  nella  tavola  59  del  volume  VI  dei  suoi  Edi- 

lente    dall'interno    rottami    misti    ad    ossa.  fisi,  ma    credendolo    parte  di  uno    grande    nicchia 

1    da  questo    buco  un  forte   fetore  di  rettangolare. 


-   245  — 

Quinquatrie,  (i)  lo  aveva  attribuito  senz'altro  a  Minerva.  (2)  Soltanto  il  De  Rossi  (3),  stu- 
diando le  prime  memorie  cristiane  di  Albano,  aveva  pensato  che  il  tempio  fosse  dedicato 
al  Sole  e  alla  Luna;  an/.i  nella  relazione  dell'adunanza  dell'Istituto  (21  marzo  1884)  in  cui 
egli  tenne  la  sua  dissertazione,  I"  si  dà  per  dimostrato  <•  Restituì  il  vero  nome  al  tempio 
rotondo,  creduto  comunemente  di   Minerva  e  provò  essere  stato  dominato:  So/is  et  Lunat   ». 

Non  sappiamo  quali  motivi  ebbe  l'illusile  autore  per  tale  identificazione  (4)  poiché  la  sua 
conferenza  non  fu  pubblicata;  ad  ogni  modo  ciò  che  e  ceri",  come  ora  vedremo,  e  che 
l'edificio  non  fu  un  tempio,  0  per  lo  meno  tu  crealo  con  attribuzioni  del  tutto  differenti 
e  secondo  lc  comuni  conoscenze  non  passi',  mai  a  tempio,  tranne  che  m  età  cristiana. 

Gli  argomenti  per  escludere  che  ossi  fosse  un  tempio  sono  veramente  ovvii,  e  fa 
meraviglia  come  nessuno,  neppure  il  I  )e  Rossi  e  il  Tomassetti,  vi  abbiano  pensato.  Basta 
esaminare  la  pianta  (fig.  _'  ^  A-B):  quando  inai  un  tempio  e  .1  v  nell'interno  la  forma  cir- 
colare e   nell'esterno  quadrata,   senza   un   portico  0   un  pronaos  sul   fronte? 

Conosciamo  bene  come  tosse  fatto  il  tempio  romano:  sia  che  tosse  rettangolare,  su 
che  fosse  rotondo,  esso  conservava  sempre  lo  stesso  aspetto  dentei  e  turni,  edera  inoltre 
tornito  di  molti  altri  elementi  architettonici,  quali  la  crepidine,  il  portico,  il  pronao,  ecc., 
necessari  per  completare  la  sua  architettura.  Ora  non  solo  il  nostro  edificio  riunisce,  ina- 
deguatamente per  un  tempio,  le  due  torme,  rotonda  e  rettangola,  ma  si  presenta  del  tutto 
restio  alla  aggiunta  delle  altre   pam  accessorie  cornimi  ai  templi.  (5) 

Osservando  i   vari  generi   di  costruzioni   romane,   due  soli  si  prestano  pei    raffroi 
nostro:    il    genere   sepolcrale   e   il    genere   termale. 

Fra  i  sepolcri  ve  ne  sono  alcuni  che  hanno,  in  pianta,  la  doppia  torma.  Citeremo, 
come  esempio,  nell'ambito  della  città:  il  sepolcro  di  P.  Aelius  (rutta  Caìpurnianus  sulla 
via  Flaminia,  poco  fuori  della  porta,  scoperto  verso  la  fine  del  secolo  passato  o e;  ||  mau- 
soleo di   Cornelia,  figlia  di   Scipione  e  moglie  di   Vazieno,  alla  sinistra   della    porta    Sai  1  ia, 

(1)  Suet.,  Ih»,,.  4.  ..  Celebrabat  et  ,,,  Albano  saldati  della  legione  11  Partici  e.  I.  I ..  XIV,  22561. 
quotannis  Quinquatria  Minerz'ae,  cui  collegium  (s)  Il  Pantheon  di  Roma  e  l'unico  tempio  che 
instituerat:  ex  quo   sorte  diteti  magìsterio funge-       si   potrebbe,  sotto  qualche  aspetto,    paraj 

rentur  ederentque  eximias    venationei  ri  scenicos  nostro    edilizio;   ma  —  a   parte    il    fatto    idie    esso 

ludos,  superque oratorum  ac poetar uni  cerlamhia»  conserva  anche   all'esterno    la    turni. 1    rotonda,  ha 

Cf.  Ca-.s    hi...  o-,    1,    14;   luven.,    10  v.    114  ss.  un    portico    frontale    a    doppio   ordine    di    i 

Per  l'origine  e  il  cerimoniale  delle  feste,  v.  Darem-  e   un   timpano   al   di    sopra         bisogna    ricordarsi 

Sagao,   Dictionnaire  IV.   1   p.  802  ss.  che  assai  probabilmente  ess, ,  n.u que  le  un   am- 

(2)  Le  due  stanze  conservate  sotto  n  palo/,-,  biente  delle  terme  di  Agrippa,  forse  un  calidarium, 
Giorni  furono  ritenute  una  specie  di  sacrestia  an-  e  solo  nelle  successive  ricostruzioni  fu  ridotto 
nessa  al  tempio  ove  solevano  radunarsi  i  sacerdoti  all'uso  religios  '  'ga  infatti  la  sua  forma 
e  prepararsi  al  culto.  Cf.  Giorni,  Albano  p.  72  strana  e  la  incomprensibile   unione   di    un   tempio 

5)  Bull.  Kt.    1884   p     84.  con  uno  stabilimento  terni  ile.   '   I    I 

14,  La  sola  memoria  del  deus  Sol  che  io  conosca      and  Ex  avalions  p.  475  s. 
per  Albano  è  una  iscrizione  a  lui  dedicata  da  alcuni  (6    I  anciani,   Eorma   1  \  tav.    1. 


in  parti-  ancora  visibile  (i);  il  grande  sepolcro,  detto  nel  medioevo  la  Casa  Tonda,  nel 
giardino  di  piazza  \ittniio  Emanuele  (2)  ;  e  sopra  tutti  ii  mausoleo  di  Adriano,  circondato 
da  un  alto  basamento  quadrato,  in  mezzo  al  quale  si  erge  il  maschio  rotondo  (3).  Fuori 
di  Roma,  sulle  antiche  vie  consolari,  sono  specialmente  degni  dinota:  il  bel  se  pi 
«  Tono  Selce  »  fra  il  VI0  e  il  VII  km.  della  via  Appia  (4),  il  mausoleo  dei  Plautii  sulla 
11  I  ihui tuia,  a  ponte  Lucano  1  ;  1,  e  un  altro  piccolo  sepolcro  attribuito  a  M.  Liberale  poco 
appresso,  sulla  stessa  via  (6). 

I  aratteristico    è    anche    un    grande    sepolcro    in    Adalia,    chiusi    fra    le    mura    della 
città  (7). 

Questi  sepolcri  poro  hanno  una  particolarità  che  li  distingue  assai  nettamente  dal- 
l'edificio di  Alluno;  cioè  non  sono  all'esterno  del  tutto  quadrati,  ma  poggiano  soltanto 
opra  un  plinto  quadrato,  di  altezza  variante,  mentre  il  corpo  principale  rimane  rotondo  e 
porcili  non  dà  origine  ad  un  vero  cambiamento  di  torma:  si  noti  poi  che  i  sepolcri  cosi 
tatti  difficilmente  hanno  nicchie  decorative  all'  interno,  che  è  invece  occupato  da  una  0 
più   stanze  sepolcrali,   spesso   molto  ristrette,   alle  quali  si  accede   per  mezzo  di  un   con 

Nel  caso  nostro,  alle  divergenze  ora  accennate  di  carattere  generale,   per  ricono 
un  sepolcro,   si   aggiungono  la  troppa   lontananza  dalla  via  Appia  (più  di  100  metri  1,  l'unioni 
con  altri  ambienti  che  .li  sepolcrale  non   hanno  alcun  aspetto,  e  infine  l'età  domizianea  del- 
l'olili, m,  cioè  contemporanea  alla  villa  impellale  entro  alla  quale  sorgeva,  ciò  che  esclude 
nettamente  la  presenza  di   un  sepolc  ro  in  qi  el   luogo 

Assai  più  proficuo,  al  contrario,  risulta  il  confronto  con  alcune  sale,  molto  comuni 
negli  stabilimenti  balneari  romani,  le  quali  traggono  la  doppia  forma  dalla  loro  posi 
nel  mezzo  di  altre  sale  a  pianta  rettangolare  (Cf.  fig.  29  e  50).  Sono  geni  almente  sale 
secondarie,  situate  più  0  meno  distanti  dalle  maggiori,  in  condizioni  però  di  speciale  inte- 
resse: la  ricca  decorazione  a  incelile,  talvolta  di  forma  complessa  (fig.  29,  B)  e  tutta  la 
architettura  curata  con  molto  sfoggio,  dimostrano  che  il  loro  uso  era  in  prevalenza  deco- 
rativo, borse  dobbiamo  riconoscere  in  essi  i  celebri  nimphaea  sìve  musaea,  luoghi  di  ri- 
tro  1  dopo  il  bagno,  allietati  da  statue  e  da  lontane,  cosi  cari  ai  Romani  per  i  loro  con- 
vegni  politici   e  letterari. 

Ne  abbiamo  molti  esempi,  in  quasi  tutte  le  terme  di   Roma  (8)  alami  dei  quali,  per 
la  forma   maggiormente  istruttiva,  sono  riprodotti  nelle  fig.   29  e   50,  in  parte  ripresi  dagli 


in   Lanciarti,  ib.  tav.    ;.  (6)  Canina,  ib.,  tav.  CXXII 

l  anciani,  ib.  tav.  24  (sulla  antica  via  Labi-          (7)  Paribeni  e  Romanelli,  Studi  e  ricerche  ar- 
cana), cheologiche  nella  Anatolia  Meridionale.,  in:    too- 

1      Lanciani,  ib.  tav.  ;    e    14;    Borgatti,  Castel      nutrienti  dei  Lincei,  XXIII  (1914)  p.  39-40,  figg.  2-4. 

S.  Ai;         Roma  1889  5)  Quasi  sempre  queste  sale  sono  due.   eguali, 

(4)  Canina,    Edifì  i,  VI  tav.   \l  III.                        in  ogni  edificio,  poste  simmetricamente  0  nel 

1   I     mini,   ib.,    te  1    \\l    e  (    XXII.                         centrale,   0   nel   recinto   perimetrale. 


-    247  — 


originali,  in   parte  da  disegni  eseguiti  in  altre  epoche.   Essi  sono: 

i.  Sala  delle  tenne  di   Agrippa,  detta  l'Arco  della  Ciambella  (fig.  29,  ./),  nella  quale, 
però,  si  deve  riconoscere  piuttosto  un  frigi dar htm  (1)'; 


W 


I)  Terme  di   Agi  i]  ipa 


2.  Sala  delle  tenne  di  Traiano  (fìg.  29,  fì\.  Oggi   non  è  più  visibile,  ma  fu    dise- 
gnata dagli  architetti  del  secolo  \vi  121; 

3.  Sala  delle  terme  di  Costantino  sul   Quirinale  (fìg.    30,  A)    unita    con    altra  sala 
ottagonale  molto  simile  (3)  ; 


lì  Terme  .1.   Co 


li  Decio. 


1  ig.    jo.   —  Sale  di  edifìci  termali. 

4.  Sala  delle  terme  di   Decio,  secondo  il  disegno  del   Palladio  (fìg.  30,  fi),  riprodotto 
per  la  prima   volta   dal    Lanciani  (4). 

11)  Infatti  è  questa  l'unica  sala    delle   terme  di  altro  che  una  variante  di  quelle  a  piani  1  rotonda 

Agrippa  che  si  presti   per  nimi,  con   le  sono  anch'esse  molto  comuni,  specie  nel  111  e  IV  sec, 

grandi  finestre  e  con  la  sua  posizione  centrale.  ni  rmali    Se  ne  vedano,  ad  esen 

(2)  Lanciani,  Forma  (,'ròistav.  23-29;  Huelsen-  tipi  nelle  terme  di  Caracalla  e  in  quelle  di  Diocleziano. 
Kiepert,  Nomenc/ator,  tav.  Ili  (particolare'.  |.)  Lancia 

(3)  Le  sale  a  na  poligonale  non  sona 


-    248    - 

A  queste,  che  sono  le  più  affini  per  la  pianta  con  l'edificio  di  Albano.se  ne  possono 
aggiungere  altre,  un  poco  diverse,  ma  fondate  sullo  stesso  tipo: 

5.  Stanza  di  terme  pubbliche  nel  vicus  Pairicius,  presso  S.  Pudentiana,  disegnata 
nel  sec.  wi  da  Sallustio  Peruzzi(i); 

6.  Varie  aule  del  recinto  perimetrali'  delle  terme  di  Caracalla  e  due  del  corpo  centrali 

7.  Le  due  rotonde  delle  terme  di  Diocleziano,  agli  estremi  est  e  ovest  del  fabbri- 
cato, una  delle  quali  è  occupata  oggi  dalla  chiesa  di  S.  Bernardo  e  l'altra  t'orma  un  in- 
gresso dell'Ospizio  Regina   Margherita  sulla  via  Viminale  (3)  ; 

8.  Ninfeo  dei  giardini   di   Sallustio  141  ; 

9.  Ninfeo  degli   orti    l.icmiani,   detto  tempio  di    Minerva   Medica    ;   . 

io.   Quattro  sale  angolari  dell'antico  stabilimento  termale  alle  acque  Albule  di  Tivoli  (6); 

11.  La  cosi  detta  «  Rocca  Bruna  •>  della  villa  di  Adriano,  creduta  da  alcuni  una 
spemla,  da  altri   un   santuario  per  divinità  orientali  1 7)  ; 

12.  La  terma  del  Piano  della  Busseta,  presso  Viterbo.  Simile  è  anche  la  grande 
terma  del   Bacucco,   nello  stesso  territorio,   sotto  il   monte  Jugo  (8). 

Esaminate  attentamente  le  varie  sale  sopra  ricordate  e  vista  la  grande  affinità  che 
esiste  nella  loro  struttura,  ne  viene  di  conseguenza  che  anche  l'aula  di  Albano 
avere  un  carattere  termale  ed  essere  anche  essa  un  ninfeo.  Fortunatamente  abbiamo  una 
prova  che  porta  una  valida  conferma  a  questa  attribuzione:  a  pochi  passi  dall'aula,  sotto 
il  palazzo  Savelli,  ora  sede  del  Municipio,  tu  iruvata  e  copiata  nel  sec.  XVI  dal  Si 
una  grossa  fistola  acquarla  di  piombo,  che  portava  sopra  la  seguente  dicitura  ••  IMI'. 
CAESARIS  ■  D0MITIAN1  ■  AUG  •  GERMANICI-».  Questa  fistola  va  unita,  come 
crede  il  l.anciam,  cor.  l'altra  trovata  ivi  stessi,  e  avente  il  bollo:  jj.AVTEIVS  FOR- 
TVNA1  VS  ■  FECIT{g). 

(1)  Lanciarli,  ib..  p.   (90,  fig.   148.  se^ni  di  Michelangelo   e  del  Sangallo  della  terma 

12)  Lanciani,    Forma    tav.    4.    e  42:    Ivanoff-  del    Bacucco.    Disgraziatamente    della    terma    del 

Huelsen.    Arkitektonìsche  Studìen   (Berlin    1898),  Piano,  che  è  quasi  identica  al  nostro  edificio,  non 

III,  tav.   I  e  II.  esiste  una   pianta. 

(3)  Canina.   Edifizì  IV  tav.  CCXXV;  Lanciani  (9)  C.  I.  L.  XIV  2306  e  2311  :  Lanciani,  Sylloge 

I-orma,  tav.   io  e    17:    Paulìn,    Restauration  des  n.  205  e  207. 
/kermes  de  Dìocl.  (Paris  1890).  Il  Suarez  le  disse  trovate  in  balneis  Domitìani, 

(41  Lanciani,   Forma,  tav.   10.  dando  tale  denominazione  a  quegli  avanzi  di  ampi 

(5)  Lanciani,  ib.,  tav.  24.  corridoi  sui  quali  è  fondato,  verso  la  via  Appia  il 

(6)  Canina.   Edifizì,    VI,   tav.   (    \\  palazzo  Savelli,    tali    avanzi    vanno    invece  attri- 

(7)  Canina.  Edifizì,  VI,  tav.  CI  \V  :  Gusman,  Imiti  alla  c<  nserva  d'acqua  delle  thermae  della  le- 
/.a  villa  d'Hadrien  près  ile  Tivoli  il'aris  njoS)  gione  II  Partica,  di  cui  mi  occuperò  in  un  articolo 
p.  100  -..  ne.  62;  Ci.  1.1. .  La  villa  imperiai  de  successivo.  Altri  tubi  di  piombo  simili,  col  nome 
Tibtir  (Pan-   1904)  p.    165  ss.,  figure  230-254-  di  Domiziano,  furono  rinvenuti  nella  villa   Barbe- 

(S)  Zei.   /.<■   terme  romane  di   Viterbo,  in   Boll.       ri  ni  tra  1  Castel   Gandolfo  e  Albano,   cf.    C.    I.    L. 
d'Arte  del   Ministero  della   P.   I-.    1917,   p.  idi   ss.        XV,   n.  2)04-2305. 
Alle    pagine   168  ti    alcuni  di- 


Evidentemente  ambedue  le  fistule    servivano  per  lo  scolo  delle  acque  dell'edificio    e 
le  conducevano  ad  altre  costruzioni,  o  direttamente  a  valle.   È  opportuno  a    tale  scopo  ri- 
cordare che  nei  pressi  del   palazzo  Savelli,  il   Giorni  (i)    scoprì    alcuni  avanzi    di   « 
tornane  con  sfingi  >■  le  quali  comprovano  sempre  meglio  l'uso  del  fabbricato. 

lutine  a   poca  distanza  dall'edificio  troviamo   una  costruzione  certamente   tenui.' 
le  due  stanze   sotto  le  Scuole  Comunali,   le  quali   furono  costruite    al    tempo   di    Caracalla 
quasi  a  ridosso  del  grande  edificio,  a  causa  dell'affinità  di  uso  con  questo.  Anche  gli  avanzi 
di  criptoportico  che  sono  più  a  est  hanno  attinenza  con  ambienti  termali. 

Dobbiamo  però  tare  una  osservazione  circa  l'entità  e  la  natura  precisa  di  questo  fab- 
bricato: stando  agli  avanzi  già  visti,  non  si  può  paragonarli  né  con  le  terme  pubbliche  di 
Roma  né  con  quelle  di  altre  ville  imperiali,  come  ad  esempio  della  villa  di  Adriano,  in 
cui  in  un  solo  fabbricato,  assai  vasto,  oltre  alle  vere  tenne,  trovavano  luogo  molte  altre 
costruzioni,  quali  portici,  palestre,  xysti,  ambulai iones,  biblioteche,  musei,  destinato  ad 
allietale  in  mille  modi  i  frequentatori.  Nella  villa  di  Albano  le  vere  tenne  erano  unite  al  pa- 
lazzo di  abitazione,  col  quale  formavano  un  unico  isolato,  come  si  vede  ancora  nella  villa 
Barberini  in  Castel  Gandolfo  (21.  La  sala  rotonda,  quindi,  eia  materialmente  distinta  dalle 
terme  e  aveva  funzioni  a  sé,  salvo  a  formare  parte  di  tutto  un  piano  monumentale  che 
univa  il  palazzo,  situato  sul  secondo  colle  (colle  dei  Riformati),  alle  fabbriche  distaccate 
del  terzo  scoile  dei  Cappuccini)  (3).  Infatti  la  sala  rotonda,  con  la  scarsità  della  luce,  ad 
aumentare  la  quale  era  stato  costruito  l'occhialone  nella  volta,  e  con  la  mancanza  di  veri 
ambienti  termali  vicini,  quali  un  calidarium,  un  frigidarium*  ecc.,  non  presenta  caratteri 
termali  nel  vero  senso  della  parola,  ma  appare  piuttosto  come  un  ninfeo  isolato,  simile  a 
quelli  dei  giardini  Sallustiani  e  dei  giardini  Liciniani,  già  più  sopra  paragonati  col  nostro. 
In  tal  modo  possiamo  farci  una  idea  dì  quello  che  tosse  tutta  la  regione  sotto  Domiziano, 
cioè  un  vasto  e  meraviglioso  giardino,  decorato  con  ricchi  editici  e  cori  tutte  quelle  ricer- 
catezze che  l'arte  del  giardinaggio  sapeva  olirne  ai  Romani.  Basterebbe  ciò  per  escludere 
in  questo  periodo  la  presenza  di  un  accampamento  fortificato,  non  certo  compatibile  con  una 
larga  zona   coltivata  a  giardino  e  con  costruzioni  termali  141;   ma  su  ciò  torneremo  in  seguito 


1, 1)  Giorni,  .  libano  p.  70. 

12)  Alle  tenne  appartengono  quei  ruderi  situati 
nella  parte  sud-est  del  palazzo  antico,  Ira  il  bo- 
schetto dei  platani  e  il  viale  die  conduce  all'uli- 
veto, la  parte  a  monte  e  tagliata  dalla  proprietà 
del  collegio  di  Propaganda  Kide.  già  dei  padri  Ri- 
formati. 

(3)  Nella  piccola  e  oblunga   insenatura 
dai  due  colli  si  trovano  ^li  avanzi  di  una  costru- 
zione rettangolare  ciré  ndata  da  pi  derosi  muri  che 
si   protendono   per   quasi     200    metri,     nei   quali    si 


deve  risL-  riconoscere  un  ippodromo.  Ivi  presso  è 
una  graziosa  lontani  e  vari  bracci  di  muri,  di 
non  chiara  attribuzione. 

(41  È  noto  infatti  che    tino   all'età    di    Settimio 
Severo  nessun  accampamento  fortificato  ebbe  nel- 
in  edificio  termale  e    il  primo    fu  quello 
di  Lambesi  costruito  sotto  questo  imperai 

I    1.    Manuel  d'arcìiéo/.  romaine,  , 
l'ale  fatto  trova  conferma  anche    in    Alba 
le   terme  del   castro,  cioè  le  due   sale  sotti 
Comunali,  portano  i   bolli 


con  più  ampi  argomenti.  Ora  passiamo  all'altro  edificio  esistente  nell'interno    del    castro, 
che  è  col  precedente  strettamente  collegato. 

3.  _  Conserva    d'acqua.   —   È  situata  nella  parti-  più  elevata  del    colle,   perchè 
potesse  fornire  acqua  a  tutte  le  fabbriche  sottostanti,  a  metri  77  di  distanza  dal  lato  nord- 


!          ii.  —   Pianta  dell  i     i  li 


e  .1  metri  no  dal  lato  sud-est.  Per  costruire  questa  conserva  d'acqua  l'architetto 
si  sciai  il  più  possibile  della  roccia  naturale;  cercò  un  luogo  ove  il  peperino  offrisse  un  gia- 
cimento ininterrotto  e  quivi  scavò  il  piano  della  piscina  dall'alt..,  per  una  profondità  me- 
dia dai   ì,   ai   4   metri.    Il   piano  dello  scavo  risultò    COSÌ    fatto:   (v.   pianta    alla    g.    S31)    »J 


—  25i  — 

tracchi  un  gran  quadrilatero  a  forma  di  trapezio  irregolare  delle  seguenti  misure:  lato  nord- 
est metri  29.62,  lato  sud-est  metri  45,50;  lato  sud-ovest  metri  31,90;  lato  nord-ovest 
metri  47, 'io  (1).  11  quadrilatero  si  divise  longitudinalmente  in  ;  navate,  larghe  in  alto 
metri  4,45  e  in  basso  metri  4,90  distinte  da  pilastri  ricavati  nel  suolo  medesimo  durante 
lo  scavo;  ì  pilastri  ebbero  per  dimensioni  metri  2,82  <  [,78  21.  L'altezza  di  essi,  costituiti 
fin  qui  di  sola  roccia  naturale,  tu  elevata  ove  più,  ove  meni  ,  secondo  la  necessità,  con  opera 
a  mattoni  tino  a  raggiungere  1  metri  6,50  ifig.  52);  sui  pilastri  si  costruirono  in  bipedali 
gli  archi  di  congiunzione  e  nello  stessa  tempo  si  innalzarono  le  pareti  tino  all'altezza  degli 
archi  ifig.  53):  di  ultimo  si  coprirono  le  navate  con  volta  a  tutto  sesto  di  piccole  scaglie  di 
tufo  e  nulla  compatta.  Le  pareti  furono  costruite  parte  in  reticolato,  1  on  ricorsi  laterizi  di  ; 
o  6  filar',  e  parte  in  solo  laterizio;  il  reticolato  non  si  trova  mai  sopra  1  muri  di  divisione 
delle  navate,  mentre,  al  disotto  dell'  imposta  delle  volte,  vi  e  un.'  strato  di  un  paio  di  me- 
tri di  sola  opera  laterizia.  Tutta  la  conserva  ha  il  pavimento  e  le  pareti  rivestite  di  si- 
gnino,  il  quale  forma  cordone  agli  angoli,  mentre  in  bassi,,  tutto  in  giro  al  recinto  peri- 
metrale, dà  origine  ad   una  cunetta  destinata  a  raccogliere  Ji   scoli   di   infiltrazione. 

Nella  parete  di  ponente  si  aprivano  in  origine  cinque  grandi  finestroni,  larghi  quasi 
quanto  1  corridoi  e  copeiti  da  archi  in  bipedali,  Col  piano  a  circa  metri  9  dal  pavimento. 
Al  presente  sono  alquanto  ristretti  per  precauzione  sulla  stabilita  del  monumento.  Altre 
finestre,  con  imbeccatura  a  scivolo,  si  aprivano  nelle  pareti  di  sud-est  e  di  nord-ovest, 
o^ui  richiuse.  Oltre  ciò,  per  rendere  più  arieggiati  gli  ambienti,  furono  lasciati  nel  centro 
delle  volte,  quasi   a   metà  della   lunghezza,  dei  fori    circolari    di    cm.  60  di  diametro. 

L'ingresso  alla  conserva  è  dal  primo  finestrone,  lungo  il  quale  si  estende    un  piane- 
rottolo, che  dà   adito,  sia  alla  scaletta  che  conduce    al    cunicolo    di    scolo,   sia  alla  grande 
scala  di    ;i    gradini,  che  scende  fino  al   piano  degli  ambienti.   La   grande  scala,  chi 
in   larghezza   metà   della   prima   navata,   è  addossata   al    muro  longitudinale  di   sinistra  e  pog- 
giata  su   due  archi. 

Un  solo  acquedotto  di  immissione  era  sinora  conosciuto,  acquedotto  ben  descritto  dal 
Salustri-Tomassetti  (3)  che  tutti    possono  vedere   nella   parete  di  tondo  della    prima   navata 


ir  l..i  toraia  cosi  caratteristica  fu  fatta  per  fa- 
cilitare 1"  spurgo  dell'acqua  dalla  conserva  dando 
a  tutte  le  pareti  una  lederà  inclina/ione  verso  il 
cunicolo  di  emissione. 

(2)  La  superficie  lorda  dell. 1  conserva  è,  quindi, 
di  irr.  1436, so  mentre  la  netta,  cioè  senza  calco- 
lare i  pilastri,  è  di  111"  1265, so.  Il  Tomassetti 
n  una  contr  iddizione,  poiché,  mentre  a 
paK-  [84  del  voi.  Il  (et.  v.  I  pag.  82)  le  do  una 
capacità  di  metri  cubi  20.950,56,  a  p.i£.  1 
stesso  volume  dice  che  poteva  contenere  «  oltre 
10.000  metri  cubi  d'acqua  ■.   La    cifra    vera    è    la 


seconda,  perchè  l'acqua  poteva  arrivare  tutt'al  più 

a  ricoprire  kIi  archi   fra  1   corridoi,  cioè 

di  altezza,  per  cui  la  capacità  massima  di 

serva   poteva   e--sete    di     metri    cubi    io.i;2.    La   ti- 

gura   54  riproduce  la  consei  ■■  1   | 

al  livello  di   quasi  6    metri;    é    inoli,,  interessante, 

perchè   ripresa    quando    ancora     la     ; 

Albano  se  ne  serviva  per    bere,    mentre 

sciata  per  l' inaffiamento  de^li  orti  circostanti,  non 

viene  riempita  che  per  pochi  decimetri. 

cassetti.  La  campagna,  Il  p.  202.   (   -,  Pi- 
ranesi,   1  ',"■;.•■.   XI,  v.  tav.  \!ll. 


—    252    — 

zza  di  circa  metri  6  (fìg.   32).   Ai   piedi  di  esso,  perchè  il  pavimento  non  si  logorasse 
i      n'acqua,  fu  posto  un  largo  strato    di    bipedali,    formato  di    5  tilt-  in  lun- 
ghezza, per  7  in  profondità  (1). 

Fra  tanta  simmetria  e  maestosità  di  costruzione  è  strano  che  questo  acquedotti 
chi  nella  conserva  in  maniera  così  irregolare,  cioè  spostato  verso  sinistra  e  aperto  nel  cor- 
ridoio più  basso  della  conserva. 

La  spiegazione  la  troviamo  nel  fatto  che  questo  acquedotto  non  era    il    solo.   Percor- 


Fifc-  Grai  eduta  li  ingttudinale. 

rendo  la  navata  centrale,  si  nota,  fra  il  3°  e  il  4"  pilastro,  uno  strato  alquanto  rialzato  di 
10  bipedali,  uniti  nelle  connessale  in  modo  perfetto  e  disposti  tome  nella  fìg.  ji.  È  degno 
di  osservazione  l'andamento  dei  bipedali,  non  parallelo  ai  piloni  della  navata,  ma  rivolto 
verso  il  chiusino  di  scolo,  situato  sotto  la  scala.  Non  si  è  dubbio  che  questo  pianato 
servisse  per  diminuire  l'attrito  dell'acqua  che  in  quel  luogo  doveva  cadere  dall'alto  e  la 
dirigesse  con  leggera  pendenza  verso  il  chiusino.  Infatti  in  corrispondenza  quasi  perfetta    • 

in  II  Salustri-Tomassetti    (loc.    cit.    p,    202  s.i      derido,  formava  una  traiettoria   e  quindi    la 
parla  erroneamente  di  un  lastrone  di  peperino.  d'acqua  si  trova  alquanto  più  indietro  del  piano  dei 

Debbiamotene:    presente   ^he    l'acqua,   ca-      bipedali. 


-  253 

di  questo  filare  di   bipedali  si  vede  nella  volta  un'apertura  circolare  che  non    ha 
con  le  altre  navate.  L'esame  dell'apertura  e  dei  bipedali  dimostrano  che  essi  sopì 
il  passaggio  dell'acqua  e  che  costituirono  quindi   un  sistema  di  irrigazione. 

Dal  confronto  con  l'altra  conduttura,  questa  si  rileva   anteriore:    innanzi    tutto  il    si- 
stema di  far  cadere  l'acqua  dall'alto  era  anticamente    il    più  usato;    in    secondo  luogo   1" 
speco  rettangolare  si  apre  proprio  nel  corridoio  più  basso,  mentre  por    sistema    si    doveva. 
aprire  nel  punto  più  alto,  pei    favorire  il  lavaggio  e  lo  spurgo  della  conserva;  infili 


edut.i  l,r. 


ito  spe<  i  si   presenta  in    un  modo    così  asimmetrico  che    appare  evidentemente  come    un 
e  non  come  un  lavoro  originale.  Infatti  il  cunicolo  veniva  fiti  itro, 

e  a    enea    quindici    metri    di    distanza  della    conserva,  dopo  ;o  cammino    in  linea 

retta,  volgeva  a  di  guiva  ancora  in  linea  retta  per  un    lungo    tra 

mente  sino  alla  via    Aurelio  Saffi.   È  evidente  che,  qua 

della  conserva,  essendone  cresciuti  i  bisogni,  si  volle  immetl  re  in  essa  anche  questo  nuovo 
acquedotto  che  passava    a  poca    distanza,    se  ne    derivò    un  ramo, 
la  parete  di  tondo  del  primo  i  orridoio. 


—  - 

Con  ciò  risulta  certo  idotto  primitivo  di  immissione  fu  quello  centrale  che 

ava  dall'alto  e  non  quello  aperto  n  Ila   pareti    di  fondo. 

L'acqua  che,  par  mezzo  del  chiusino  sotto    la    scala,    era  condotta  via   dalla  pi 
veniva  incanalata  in  un  largo  cunicolo,  più  basso  enea  un  metro  del  piano  delle  conserve, 
l,   |  iegan  I-  alquanto  a  sinistra,  verso  un  luogo  a  noi  >.  11  cunicolo 

è  alto  metri   1,80  e  largo    lai   56  ai  60  cm.  ;  nella  parte  inferiore  è    scavato  nella  roccia, 
mentre  la  copertura  è  in  costruzione,  foderata  di  tegole  poste    .1    cappuccina.    Ciò    indica 
che  il  cunicolo  fu  scavato  dall'alto.   A  dati  intervalli  si  aprono  nelle  pareti  alcune  ni 
semicircolari  tolse  per  maggiore  comodità  di  accesso.  Se  ne  percorrono  ancora  al  presente  una 


11  ivantina  di  metri  e  quindi  termina,  al  di  sotto  della  via  Propaganda  1  1  1.  Non  si  nota  nelle 
tegole  della  copertura  alcun  bollo  figulino. 

Molto  interessanti  sono  i  particolari  della  costruzione  della  conserva,  dai  quali  possiamo 
ricavare  una  datazione  abbastanza  esatta.  Si  è  detto  che  la  costruzione  generale  è  in  opera 
mista  di  reticolato  e  laterizio,  il  primo  rozzo  e  irregolare,  il  secondo  di  pasta  rossiccia,  ben 

.  e  di  spessore  sottile.  Tra  questo  ultimo  si  nota  molto  materiale  di  riporto  e  un  largo 
impiego  di  tegole:  soltanto  in  rari  punti  -1  trovano  alcuni  bipedali  posti  in  piano  per  raffor- 
zare la  muratura;  altrimenti  i  bipedali  non  sono  usati  che  negli  archi  di  passaggio  fra  1 
corridoi. 


(11  Amhe  al  presento  il  cimi,  icqua  dalla  piscina,  mediante  una  conduttura 

poggiata  sui 


La  poca  superficie  che  è  priva  di  intonaco  nell'interni)  della  conserva,  visibile  gene- 
ralmente da  grande  altezza,  non  permette  di  tare  ivi  uno  studio  più  accurato.  Ciò  -  in- 
vece possibile  nella  scaletta  che  scende  al  chiusino  di  emissione.  Essa  è  larga  cm.  90  e 
tornita  di  10  gradini  nel  primo  braccio  e  di  6  nel  secondo.  Le  puri;  sono  in  opera  retico- 
lata della  stessa  natura  dozzinale  di  quella  della  conserva,  e  gli  angoli  parte  a  tufelli  e 
parte  a  strati  laterizi,  a  guisa  di  morse;  a  mezza  parete  corre  una  fascia  di  5  (ilari  di 
mattoni.  La  volta  e  a  sacco,  ma  al  gomito  tra  1  due  bracci  della  scala  è  rinforzata  da  un 
archetto  rampante  a  sesto  leggero,  di  tegoloni,  sul  quale  poggiano  so  cm.  di  tritelli,  lino 
a  toccare  la  volta.  I  gradini,  di  cm.  30  X  io,  sono  costituiti  di  3  strati  di  tritelli  col  piano 
di    mattoni. 

Tutta  la  muratura,  sebbene  a  prima  vista  per  l'uso  del  reticolato  coi  ricorsi  laterizi 
si  avvicini  all'epoca  di  Adriano,  tuttavia,  per  l'impasto  del  laterizio,  spesso  di  riporto,  per 
l'impiego  vano  dei  tufelli,  per  la  malta  poco  passata  e  adoperata  in  abbondanza  e  infine 
per  quel  carattere  di  trascuratezza  che  informa  tutta  la  costruzione,  ci  costringe  a  scen- 
dere fino  alla  fine  del  11  sec.  e  manali  al  principio  del  III;  il  materiale  laterizio  special- 
mente lo  mostra  con  evidenza.  Rispetto  all'uso  del  reticolato,  non  abbiamo  che  ripetere 
quello  che  ma  si  è  detto  altre  volte,  cioè  che  esso  non  fa  nessuna  meraviglia,  anche  in 
epoca  tarda,  quando  si  trovi  sul  luogo  il  materiale  necessario.  bel  resto  basta  uno  sguardo 
per  accorgersi  come  neppure  un  chiodo  abbia  la  superfìcie  regolarmente  quadrata  e  siano 
tutti  di  grandezze  differenti,  da   un   lato  di  cm.    15.   a   un   lato  di    ?   a  4  centimetri. 

Una  tale  costruzione  non  si  può  fissare  che  all'età  fra  Settimio  Severo  e  Caracalla, 
indipendentemente  da  qualsiasi  altra  considerazione  che  potremo  tare  nel  paragrafo  se- 
guente sull'origine   del   recinto  fortificato. 

Anche  questa  conserva  è  stata  generalmente  attribuita  a  Domiziano  per  1  bisogni  della 
sua  valla  e  della  guarnigione  pretoriana;  ed  essendo  indissolubilmente  legata  al  castro,  tu 
creduta  anteriore  da  quelli  che  ritennero  il  castro  di  epoca  anteriore.  Tra  costoro  sono  il 
Tomasetti  e  il  Salustri,  1  quali,  nella  loro  illustrazione  di  Albano  (p.  201),  riportano  timi- 
damente una  opinione  che  è  di  altri,  ma  che  dimostrano  di  accettare  0  per  lo  meno  di 
tenere  in  qualche  considerazione.  «  Si  tiene  da  alcuni  che  anche  questo  monumento  (si 
è  parlato  prima  del  castroi  risalga  all'età  repubblicana  di  Roma;  ma  non  è  certo  ...  Il  solo 
ammettere  una  tale  ipotesi   è   un  grave   errore. 

La  conserva  d'acqua  descritta  era  conosciuta  tm  da  epoca  molto  antica,  sebbene  in- 
terrata per  quasi  due  terzi.  La  Reiasione  dell'antico  anfiteatro  di  Albano,  compilata  nel   1704 

dai  monaci  del    vicino    convento    di  S.   Paol ,  cosi    la    ricorda:   <•  Le    grandi    conserve 

d'acqua  sottoposte  al  piano  dell'antiteatro  nel  declivio  del  colle,  osservate  e  descritte  da 
Pio  11  e  dall'Alberti,  parte  delle  quali  oggi  .incoia  si   veggono  nel  giai  lino  dell' Eminentis- 

1)   Piranesi,   Opere  complete,  v.   XI   (testo),  p.  4  sg. 


-256- 

simo  Abate  Commendatario,  di  a  lo)    ricevevano   le   acque,    siccome   dal- 

sa  cima  del  monte  oggidì  le  riceve  tutto  Albano  •>.  Furono  disegnate  in  modo  mira- 
bile dal  Piranesi  (i),  dal  Labru  •  lai  Canina  (3),  <  illustrate  dal  G  1.  per  quanto 
con  pi                      e  dal  1  orna  51  ti    Salustri  1  ;  1. 

Nel  1884  il  Municipio  di  Albano  venne  nella  determinazione  di  ripristinare  la  pi- 
scina (6)  e  adibirla  agli  usi  del  paese:  ciò  fu  fatto  nei  due  anni  seguenti,  immettendovi 
l'acqua  dell  li   Palafitto       Pescacelo  presso  Palazzolo,  per  la  quale  fu  riadattato 

il  più  basso  dei  due  acquedotti  domizianei,  quello  che  segue  il  cratere  di 

moderna  strada    l;   Pala  zolo  .       forte  profondità,  il  colle  dei 

■  .   D  qua,   a   causa  delle   mal   fatte   condotture,  la 

piscina  fu  dovuta  abbandonare  nel   191  1  |ua  potabile  e  lasciata  soltanto  per  l'in- 

naffiamento degli  orti  attigui  e  per  lo  spurgo  delle  fogne;  in  tal  guisa  essa  è  priva  s| 
di  acqua  e  si  può  \  isitare  comodam 


III.      -LA  LEGIONE  II  PARTICA. 

1.  —  Fondazioni-:  dei  castra.        Ora  che  abbiamo  studiato  tutti  gli   avanzi  co- 

:         istrj,       rcando  di  datarli  uno  per  uno,  il  più  esattami  ile,  passiamo 

ad  esaminare  la  questione  più  importante,  ciò  li  fondazione  dei 

che  li  racchiudono.  La  teoria  più  generale  e  più  accettata  è  che  essi  fossero   costruiti   da 

Domiziano,  imperatore  ccupato  della   sua    vita,    per    mantenere 

costantemente  nell'Albano,  a  non  molta  distanza  dal  palazzo  e  nell'interno  della   villa,   un 

di  pretoriani  (7).   Perciò  il  castro  ha  avuto,  e  ha  tuttora,  la  denominazione  di  castro 

,  poi,  vi  prese  alloggio  la  legione  11   l'artica  portata  in  Italia  da 

Settimi'    S  la  quale  vi  rimase  fino  quasi  all'età  di  Costantino, 

l       iscio  di  confutare  quei  pochi  semi  1  anteriore  a   Domiziano, 

come  il   Volpi  che  lo  fa  risalire  al  tempo  di    Uigusto  (8),  il  Rice)  chi  fondato  dopo 


Op.  cit.,  v.  XI,  tav.  XIII,  pianta  e  sezione  ;  (7    Nibby,  Analisi,  I,    p.   95   sg.  ;   Giorni,  Al- 
ta*.   XIV.    prospettiva    della    scala    e    dell'angolo  bano,  p.  68  sg  ;  Lucidi,  Ariccia,  p.  485  ;  Henzen- 

!     1   1         1,                         nterrata,  è  segnata  Rosa,  /.'.■<//.  fs/.,  1853,  p.  8;  Des   Jardin, 

erroneamente  a  due  rampate  nella  tav.   \lll  .  sur  In  topogr.  du  Latium,  p.   \iz. 

'tu  du  C.  Labruszi,  111  n.  23.  (8)  Egli  fu  indotto    in    errore   da    quei   versi  di 

(3)   Edilizi,  tav.  LIX  —  non  si  comprende  perchè  Orazio  nel  carme  secolare,  in  cui   il    ; 

lina  non  la  abbia  risegnata  anche  nella  pianta  le  milizie  di   Roma  e  le  chiama  col  nome  tra 

naie  di  .  Ubanae: 

''ano.   p.   60.  ,                 -,                                 .    ,      . 

J  Jcìiii  man  tcrraque  manus  potente* 
etti,   I.a  campagna,  II.  p. 

'  tus  Albanasque  ttmet  secai 
.  itizie  degli  See.  1.   1884,  i'.  .^4- 


la  guerra  di  Annibale  (i),  pei  i  istodia  di  Uba  nuova  municipio  romano  («V),  e  il  Tot  ■■ 
che  nientemeno  volle  riconoscervi  l'arx  d'Alba  Longa,  con  la  Rotonda  per  tempio  di  Vesl  i 
e  con  la  via  Appia  deviata  nel  suo  interno  per  farle  da  andò.  Costoro  sono  confutati  da 
quel  passo  di  Tacito  iHlst.  4,  2)  il  quale,  parlando  delle  milizie  che  furono  mandate  da 
Ruma  nel  69  d.  C,  contro  L.  Vitellio  che  veniva  da  ferracina  in  aiuto  del  fratello  im- 
peratore, dice  ciré  le  milizie  di  Roma  --1  fermarono  per  la  via  Appia,  parte  ad  Ariccia  e 
parte  a  Boville;  <•  praemissl  Ariclam  equites,  agmen  legìonum  intra  Bovil/as  stetit  ». 
Ariccia  e  Boville  erano  dunaue  gli  unici  due  punti  ove  si  potessero  accampale  1  soldati 
in  quel  tratto  dell'Appia.  Se  intermedio  alle  due  città  vi  tosso  stato  già  allora  un  castro, 
così  grande  e  cosi  munito  come  quello  che  vediamo  oggi,  ne  avrebbero  certamente  usu- 
fruito, senza  dividere  le  milizie  fra  due  campi  distanti   più  di   <;   miglia. 

Non  resta  allora  che  confutile  l'ipotesi  dei  pretoriani.  Un  argomento  fortissimo  si  op- 
pone subito  a  tale  ipotesi;  di  pretoriani  nell'Albano  non  abbiamo  alcun  ricordo,  né  attra- 
verso le  notizie  storiche,  ne  attraverso  le  numerose  iscrizioni  di  essi  che  ci  son  perve- 
nute (3).  Eppure  nel  periodo  di  più  di  un  secolo,  da  Domiziano  a  Settimio  Severo,  in  cui 
1  pretoriani  avrebbero  fatto  guarnigione  nella  villa,  qualche  memoria  sarebbe  dovuta  rima- 
nere. Avrebbero  anch'essi,  come  1  legionari  Partici,  stabilito  nelle  vicinanze  del  castro  un 
sepolcreto  particolare,  senza  esser  sepolti  con  gli  altri  servi  oppure  trasportati  a  Roma. 
Qualcuno,  poi,  anche  se  trasportato  a  Roma,  avrebbe  ricordato  nella  sua  epigrafe  la 
mansione  e  la  morte  nel  Castro  Albano.  Invece  nulla  di  tutto  ciò,  e  mentre  abbiamo 
importanti  notizie  intorno  al  distaccamento  dei  vigili  ad  Ostia,  dei  pretoriani  ad  Albano 
non   sappiamo  nulla. 

Altro  valido  argomento  in  contrario  è  la  grandezza  del  castro.  I  suoi  lati  misurano  in 
media  m.  43S  ><  2^2;  paragonandolo  col  castro  pretorio  di  Roma,  che  misura  m.  4,0  $71, 
ne  risulta  che  il  castro  di  Albano  è  piti  della  metà  di  quello  di  Roma,  cioè  poteva  con- 
tenere più  della  metà  della  guarnigione  di  Roma,  lira  adeguato  un  tal  numeri'  di  preto- 
riani, cioè  almeno  tre  coorti  delle  nove  a  cui  le  ridusse  Vespasiano  (4),  pei  la  si, la  sorve- 
glianza  della   villa?   Evidentemente,    no. 

Ultimo  argomento,  di  cui  non  vi  sarebbe  neppur  bisogno  dopo  1  due  esposti,  e  la  for- 
tificazione del   castro.    Il   suo   muro  di   cinta  è   rinforzato  agli   angoli,    nel   lato    di    fronte    al- 


ti) Memorie,  p  105:  «si  volle,  come  io  penso, 
che  quel  presidio  posto  già  sul  Monte  Albano  fosse 
qui  trasportato  pei  guardia  continua  dell' Appia,  e 
fin  d'allora,  per  decreto  del  Senato,  vi  alloggiò  un 
buon  numero  Ji  snidati,  col  nome  Jì  Mansione 
Albana  ». 

(2)  Tocco  E.  L..  Il  .astro  di  Minuto,  in  «Il 
Buonarroti  »,  V.    1870.   p.    is  sg. 

lì)    Non     dobbiamo     prendere     Come   tale    l'iscri- 


zione del  C.  I.   I  ..   VI,    !2=;6;.  I.    ìi    che    nomina 
un  pretoriano  «  d(omo)    Alban(a)  »    poiché    ivi    la 
parola   domus    ha    il    solito    significai  1 
Inoltre  si  lenita  presente  che  un   pio  ir   ifago 

cinerario,  con  l'iscrizione   di    un    preioru: 
coorte  VII,  <  onservato  in  Castel  <  i 

;io  Cittadini,  non    fu  ritrovato  sul  luojjo. 

■ne  da  Roma.  cf.  C.  9,  I  .  VI,  204  ,. 
41  C.   I.   L.,   IH.   p.  855,   dipi.   mil.    12. 


—  258  — 

l'Appia,  con  torrette  rotonde,  ha  le  porte  munite  secondo  il  sistema  dei  castri  legionari  e 
ha  torri  di  segnalazione  nei  punti  più  elevati  Ora  tutto  ciò  non  avrebbe  avuto  ragione  di 
essere,  per  un  semplice  distaccamento  di  preti  mani,  a  guardia  di  una  villa  imperiale  così 
vicina  a  Roma. 

Da  quanto  si  è  detto,  risulta  certo  che  il  castro  fu  posteriore  a  Domiziano  e  1  preto- 
riani non  vi  ebbero  mai  sede.  Ciò  premesso,  la  soluzione  viene  da  sé.  Basta  considerare 
fatti  sturici  che  seguirono  l'occupazione  di  Domiziano  e  vedere  quale  potè  esserne  la  causa. 
Circa  la  villa  imperiale  abbiamo  poche  notizie  di  dimore  di  imperatori,  specialmente  di 
M.  Aurelio,  che  fu  solito  intrattenervisi  spesso  (i),  mentre  dai  ritrovamenti  sappiamo  che  vi 
furono  fatti  lavori  sotto  Adriano  (2)  e  sotto  Commodo  131.  Si  tratta  di  lavori  di  poco  conto, 
più  che  altro,  restauri,  i  quali  non  dimostrano  nessun  interesse  speciale;  d'altra  parte  la 
costi u/ii me  della  nuova  villa  di  Tivoli,  fatta  da  Adriano,  appagò  pei  lungo  tempo  ogni 
fastosità  imperiale  e  domini  su  tutte  le  altre  mandandole  .1  rapida  decadenza.  La  villa  di 
Albano  in  particola!  modo,  ricca  di  tesori  e  di  opere  d'arte  —  il  nome  di  Domiziano  ne 
fa   tede  dovè  essere   laicamente  spogliata   pei    ornare  quella  tiburtina,  come   tanno  cre- 

dere '■  pò,  In  ritrovamenti  statuari  fatti  sinora  nel  suo  territorio.  All' infuori  di  ciò,  e  di 
qualche  iscrizione  sepolcrale  di  nessuna  entità,  fino  alla  fine  del  11  sec,  dell'Agro  Albano 
non  abbiamo  alcun'altra  notizia.  Col  periodo  che  unisce  il  II  sec.  al  IH,  sorge  invece  un 
fatto  nuovo  di  straordinaria  importanza  che  sconvolge  la  topografia  e  la  storia  di  tutta  la 
regione.  Un  corpo  legionario  viene  a  stabilire  le  sue  tende  nell'Albano,  per  ordine  avuto 
da  Settimio  Severo  e  quivi  si  adatta  con  le  donne  e  le  masserizie  per  la  durata  di  quasi 

Un    sedilo. 

Settimio  Severo,  disciolto  momentaneamente,  appena  salito  al  trono,  il  corpo  dei  pre- 
toriani, che  aveva  sempre  costituito  una  seria  minaccia  al  potere  imperiale,  chiamo  a  so- 
stituirlo una  delle  tre  legioni  partiche  da  lui  fondate  141  e  precisamente  la  legione  seconda. 
Erano  troppo  forti  ancora  le  leggi  tradizionali  romane  per  poter  ammettere  un  corpo  legio- 
nario nell'interno  della  città,  e  quindi  adibire  la  legione  seconda  Partica  a  completa  so- 
stituzione dei  pretoriani;  perciò  Severo  si  accontento  di  pone  la  legione  alle  porte  di  Roma, 
il  più  vicino  possibile,  in  un  luogo  che  fosse  strategicamente  importante  e  che  desse  ga- 
ranzie per  la  sicurezza  della  città.  Questo  luogo  fu  l'Albano,  il  punto  più  eminente  e  più 
fortificabile  della  via  Appia,  quasi  la  chiave  di  tutte  le  comunicazioni  con  la  parte  me- 
ridionale  d'  Italia. 


(i>  Script,  hisl.   Aug..  Ovidius  Cassitts,  9,  6-1 1  ;  (fondò),  tó  te  Jtp  òStov  xai  to  tpt-ov  -ò  èv  Mt  jor.ora(jita, 

C.   I.   1..,  XIV,  2307.  ''■*'■  ~r>  8ià  ;j.;j'.j  ro  Sììteoov  rò  Èv  rij  'IiaXia».  Non 

(2)  Notizie   degli    Scavi,     1889,    p.    227   e   247  spiega  però  se    la    II    Partica   fu    fondata    diretta- 
(Lanciani).  mente  in  Italia  0  quivi  fatta  venire  dalla  Mesopo- 

(3)  C.  I.  L.  XIV,  2308.  tamia.   Essa  fu  la  prima  legione   che    risiedette  in 
(.1    Cass.  Dio,    55,    24    «  Eiouìjpos    :>    LlopSixi  Italia 


—    250 

La  notizia  non  ci  è  tramandata  dalle  fonti  storiche,  ma  ce  lo  provano  ad  esuberanza 
le  memorie  epigrafiche  dei  soldati  della  legione  che  si  rinvengono  negli  antichi  sepolcreti 
in  località  Selvotta,  ad  oriente  di  Albano,  presso  il  parco  del  principe  Chigi,  e  Bologna. 
lungo  la  via  Appia,  fra  Albano  e  Ariccia  (i). 

lui  legione,  che  si  acquartiera  per  un  periodo  piuttosto  King"  di  tempo  in  un  luogo, 
ha  bisogno  del  suo  accampamento  fortificato,  anche  se  il  nemico  non  è  direttamente  alle 
porte.  Sappiamo  che  i  Romani  usavano  di  tracciare  il  vallo  e  la  fossa  intorno  all'accam- 
pamento, anche  se  vi  pernottavano  per  poche  notti  (2),  e  che  arrivati  nel  luogo  assegnato, 
prima  cura  era  quella  di  costruirsi  1  loro  castra,  con  tutte  le  fortificazioni  imposte  dai 
canoni   militari  1  3). 

Ora  lo  stesso  fatto  avvenne  nell'Albano.  La  legione  II  Partica,  chiamata  quivi  per 
la  guardia  dell'Imperatore  e  per  la  difesa  del  trono,  si  costruì  l'accampamento  nel  luogo 
assegnato  e  questo  accampamento  è  quello  che  vediamo  anche  oggi  e  che  abbiamo  de- 
scritto. Dunque  i  castra  Albana  sono  dell'epoca  di  Settimio  Severo,  e  possiamo  anche 
dire  dei  primi  anni  del  suo  impero,  e  ci  rappresentano  uno  dei  rari  esempi  di  castra  in 
Italia,  e  l'unico  così  vicino  a  Roma,  in  un'epoca  in  cui  la  città  era  ancora  ben  lontana  da 
aggressioni   nemiche. 


Quanto  siamo  venuti  esponendo  relativamente  alle  fonti  storiche,  trova  ampia  con- 
ferma nelle  condizioni  topografiche  del  luogo  e  ci  permette  di  risolvere  quasi  tutte  le  que- 
stioni che  si   sono  presentate   nel   corso  del   lavoro. 

Si  è  detto  che  il  castro  non  è  parallelo  alla  via  Appia.  ina  è  inclinato  \erso  sud,  in 
modo  che  l'angolo  ovest  dista  dalla  via  Appia  i\  metri  più  dell'angolo  sud;  oltre  ciò  ha 
la  forma  più   allungata  di  quanti  esistano  ed  è   posto  sulla  collina  più  elevata  e  più  ripida 


(il  È  merito  assoluto  dell' illustre  Henzen  (Ann. 
Ist.,  [867  p.  8j  Sg.)  l'aver  riconosciuto  per  primo 
e  studiai"  la  permanenza  della  legione  II  Partici 
nell'Albano.  Base  del  suo  lavoro  furono  un  gran 
numern  di  iscrizioni  funerarie  trovate  dal  giovane 
studioso  russo  Nicola  Wendt  nella  località  Sel- 
votta, sopra  il  parco  Chini,  tra  Albano  e  Ariccia. 
1.' Henzen  si  fere  questa  domanda:  «  Rare  in  ge- 
nere sono  le  iscrizioni  della  legione  II  Panica  : 
come  adunque  addiviene  che  un  numero  così  grande 
se  ne  ritrovi  in  questa  sepolcreto  d'Albano?  La 
risposta  credo  sia  semplice,  vuol  dire  che  questo 
s*t'-s,i  era  il  cimitei  1  particolare  di  quelli  legione, 
la  quale  al  parer  mio.  era  acquartierata  nel  cosi- 
detto   castro   pretori-    di    Alban-,  situato  vicinissimo 


al   o>lle,   in   cui   quello   s,   trova.   Che   ivi,    oltre   gli 
stessi   militi,  anche  le  loro    famiglie    si    siano    se- 
polte, non  abbisogna  di  giustificare     ce  1 
un  esempio  le  numerose  lapidi   lambesitane  appar- 
tenenti .il  tasto'  della  legione  III  augusta  ». 

L' Henzen  aggiunge  poi  una  completa  trattazione 

storica  .ii  questa  legione   pei    provare    .-me   essa 

fosse  collocata  nell'Albano  fin    dal    tempo   Ji  Set- 

:vero  e    ne    prosegue    rapidamente  lo  svi- 

0  a  Costantino.  Egli,  però,  trascura  quasi 

completamente  la  parte  monumentale,   e  ammette 

che  il  castro  esistesse  puma   di   Settimio   Severo. 

(2)   Liv.,   44.    39- 

1    ,-b.,  6,  27     IP  gin.,  l.  1. 


—    2Ó0    — 

di  Albano.  Tali  inconvenienti  hanno  la  loro  causi  nelle  condizioni  antecedenti  del  luogo. 
\  tempo  di  Domiziano,  la  regione,  tenuti  a  giardini  con  edifici  decorativi  sparsi  qua  e  là, 
non  faceva  sentire  il  dislivello  del  terreno,  anzi  1"  stesso  dislivello  porgeva  modo  di  ren- 
derla più  variata  e  adornata  con  arte  maggiore,  ("mando  invece  vitto  Settimio  Severo  si 
volle  costruire  il  castro,  si  presentarono  difficoltà  non  poche,  inerenti  in  parte  alle  esigi 
della  nuova  costruzione  e  in  parte  agli  edifici  che  già  esistevano  della  villa  domizianea. 

Innanzi  tutto  l'architetto  del  castro,  scelto  il  luogo  preciso  Iella  villa  ove  doveva  sor- 
gere il   monumenti i,   stabili   quali  editici   potevano   rimanere  e  quali    bisognava    distruggere; 

fra  i  primi  si  trovò  il  grande    ninfe tondo;   esso  però   subì  una  trasformazione,    pi 

le  parti  accessorie  furono  demolite  e  il  ninfeo  rimase  isolato  nella  forma  in  cui  lo  ve- 
diamo oggi.  Il  motivo,  per  cui  il  corpo  centrale  fu  conservato,  non  sappiamo;  forse  fu 
adibito  ad  uso  di  torre,  data  la  sua  altezza  e  la   forma   massiccia. 

Procurò  dunque  l'architetto  del  castro  di  tal  entrare  questo  edificio  nel  recinto,  senza 
che  disturbasse  le  linee  generali  della  castrametazi ■.  Visto  che  non  era  opportuno  esclu- 
dere il  ninfeo  dall'interno  e  lasciarlo  vicino  al  muro  di  cinta,  per  non  intralciare  la  difesa, 
pensò  di  collocarlo  ad  una  giusta  distanza  fra  il  muro,  la  porta  principalis  dextra  e  il 
praetorìum,  in  un  luogo  di  poca  importanza,  ove  di  solito  avevan  sede  una  coorte  ed 
un'ala  miliana  1 1  i.  Parallelo  ad  esso,  nel  lato  di  nord-ovest,  alla  distanza  di  m.  18,  fu 
tirato  uno  dei  lati  lunghi  e  tutti  gli  altri  lati  furono  orientati  con  questo.  Perciò  il  castro 
risultò  obliquo  all'asse   della   via     \ppia.2i. 

La  seconda  difficoltà  è  la  torma  cosi  allungata  del  castro  verso  l'alto  della  collina.  Di 

questa  non  possiamo  dare  una   spiegaz e  esauriente:  soltanto  possiamo  ricercarne  la  causa 

in  quello  stesso  ordine  di  idee  che  consigliò  di  costruire  il  castro  in  quel  luogo.  A  prima 
vista  il  luogo  può  sembrare  poco  adatto  per  un  accampamento,  specie  di  fronte  a  tanto 
terreno  pianeggiante  situato  dall'altro  lato  della  via  Appia,  fino  sotto  Ariccia.  Ma  quando 
si  pensi  che  dalla  sommità  della  Collina  si  domina  utr.  fig.  7)  l'immensa  legione  che  si 
estende  a  nord-ovest,  fino  a  Roma,  e  a  sud-est,  tino  alle  macchie  di  Anzio  e  di  Nettuno, 
avendo  di  fronte  la  vista  del  mare  dalle  foci  del  Tevere  ad  Anzio,  si  comprenderà  bene 
quale  importanza  aveva  quel  sito  per  la  sorveglianza  delle  vie  di  accesso  dal  mezzogiorno 
d'Italia  alla  Capitale.  L'unico  versante  che  restava  coperto,  il  nord-est,  era  protetto  1 
lago  e  dalla  catena  dei  monti  Laziali,  di  cui  il  monte  Cavo  costituiva  il  principale  ba- 
luardo.  Se   pure   non   vi   tu   nella   mente  del  costruttore,    0    dell'imperatore    che    lordino,   la 

111  (.ir.  Daremberg   e   Soglio,    Dietimi.,    I.    2.  che  tutto  il  castro  fu  orientato  con  questo   e  non 

p.  955,  flg.    1220.  con   la  via  Appia.  come    era    più    naturale,    prova 

(2)  Non  conosciamo  che  quoto  edificio  di  epoca  che  i;  ninfeo  era  soltanto  una  parte   di    tutto    un 

re,  che  si,,  rimasto,  però  1  muri  in  buon  re-  pian.,  monumentale  assai  regolare,  che  il    costruì 

1  ■!    in  1..1  le  tarde   celle   del    castro,  de  tore  del  castro,  pur  adattando  alle  nuove  esigenze, 

mostrano  che  ve  ne  erano  altri,   bel   resto  il   Int..  preferì   in   massima  di  conservare. 


2ÓI    — 

preoccupazione  di  una  vera  difesa,  certo  vi  fu  la  cura  di  fare  dell'accampamento  un  am- 
mirabile osservatorio  sulla  via  Appia,  l'arteria  massima  di  Roma.  Oltre  ciò,  il  terreno  era 
all'intoni"    per    largo    tratto    di  proprietà  imperiale   e  favoriva   l'espansione  e  il  movimento 

richiesti   da   un  campo  militare. 

Lo  scopo  Ji  fare  del  castro  un  osservatorio,  spinse  ad  estenderlo  verso  la  sommità 
del  colle,  anche  a  costo  di  maggiori  difficoltà,  e  ne  nacque  cosi  quella  torma  alimi-, ita  e 
anormale  1 1  i  che  lo  caratterizza. 

La  terza  difficoltà  cui  si  è  accennato  nel  principio  del  lavoro,  è  l'aspetto  dell'opera 
quadrata,  così  differente  dalle  altre  costruzioni  della  campagna  romana.  Questa  lifferenza 
è  ora  spiegata  dalla  tarda  epoca  di  fondazione  del  castro,  epoca  in  cui  questo  genere  di 
costruzioni-  era  in  completa  decadenza  e  fu  usato  solo  perchè  il  materiale  era  nel  luogo 
stesso,   ed   era   molto   pratico   per    un    muro   di   cinta. 

2.  —  Notizie  storiche.  —  Le  misure  considerevoli  dei  castra  Albana  rendono 
certi  die  essi  contennero  l'intera  legione.  l.'Henzen,  fondandosi  sulla  pianta  del  Rosa 
(tav.  X)  che  è  quasi  tutta  ricostruita,  pensò  (2)  che  vi  dimorasse  soltanto  una  coorte  di 
6  centone  ;  ma  la  cifra  è  troppo  esigua  di  fronte  ad  una  superficie  di  più  di  10  ettari, 
dei   quali    almeno    7   occupati    da   celle. 

La  legione  11  Partica  —  acquartierata  forse,  in  origine,  soltanto  provvisoriamente  - 
vi  si  cominciò  presto  a  stabilire  in  modo  da  assumere  un  aspetto  permanente  (3).  Intorno  al 
castro  stabilirono  le  loro  abitazioni  le  famiglie  dei  legionari,  occupando  in  prevalenza  la 
regione  a  ponente,  quella  dove  poi  sorse,  appunto  in  seguito  a  questo  sviluppo,  la  basilica 
costantiniana.  Fino  da  allora  questi  soldati,  insieme  con  le  famiglie,  presero  volgarmente 
il  nome  di  Albani  (4),  e  la  legione  si  chiami'  «  to'  ' A/.[iaivicv  TTpZTo'-ìòov  »(5);  anzi 
Albanui  e  Albanius  (6)  diventarono  più  tardi  gentilizi  di  alcuni  soldati  che  traevano  ori- 
gine dal  castro   Albano. 

Tra  le  memorie  epigrafiche  di  questo  periodo  menta  singolare  importanza  una  bellis- 
sima iscrizione  1 71,  ora  conservata  nella  biblioteca  del  Seminario  di  Albano,  che  nomina 
Settimio  Severo,  Giulia  sua  moglie  e  Caracalla;  Geta  vi  è  escluso  e  per  quanto  non  siano 
evidenti  i  segni  dell'abrasione,  tuttavia  il  suo  nome  doveva  occupare  il  posto  che  presero 
alla    sua     morte    1    titoli    di    Caracalla    imperatore:     Farth\icus\    max{imus\     firìlannijcusì 

(il  Su  questa  forma  anormale  influì  anche,    se-  voro  dell' Henzen,  cfr.  anche  Cagnat,  in  I  >an 

condo  me,  la  conserva  d'acqua,  la  quale  richiedeva  e  Saglio,    Dici.,  IV,  p.    1078 

un  lar^n  e  ininterrotto  giacimento  di   peperino  per  (4)  Cass.   Dio,   78,    54;   79,   2. 

la  sua  fondazione  e  una  /una  di   protezione    piut-  (5)  Cass.  Dio,  78,   s;. 

tosto  vasta  ira  essa  e  il  muro  di  cinta  di  nord-est.  (          /-.  Albanius  Primipiamus,  in  C.  I.  L, 

(2)  Bull.  Ist.,  1853,  p.  8.  Egli  però  corresse  in  parte  VI,  830.  che  il   Mommsen    fa    derivare    dai    prin- 
la  sua  idea  negli  Annali  dell'Istituto.    1867,  p.  82.  i                1»      Ubanorum. 

(3)  Per  la  storia  della  legione,  oltre  il  citatola-  (7)  C.  I.  I   .   XIV,  2255         VI,   um. 


—    2Ò2    — 

nus  ,  p(ater)  p(atriae).   L'iscrizione  è  importante  per  la  dedica  a  Minerva  (i):  «  Mi- 
ai i  Aug(uslae)  sacrium)  ».  Questa  dedica,  posta  in  una  iscrizione  che  stava  probabil- 
mente  nell'inte del  castro,  e  il  nome  di  Augusta  dato  a  Minerva,  elle  ricorda  una  spe- 
ciale  piote/ione  della  divinità   sulla  famiglia   imperiale,  fanno    pensare    ad    un    santuario  di 
Minerva  nella  stessa  regione,  che  potrebbe  essere  il  famoso,  costruito  da  Domiziano. 

Con  Caracalla  entriamo  per  la  stona  della  legione  in  una  nuova  fase.  Questi  soldati 
Albani  avevano  in  poco  tempo  assunto  una  tale  importanza  da  compromettere  persino  la 
sicurezza   di  Roma.  Quando  '  ara  alla  fece  uccidere  il  fratello  (  ìeta,  i  legionari    partici  si 

ribellai ,  assai  più  minacciosamente  che  non  facessero  i  pretoriani  in  Roma,  e  Caracalla 

In  costretto  ad  andare  in  persona  a  placarli  (2).  •<  Pars  militimi  apud  Album.  Getam  oc- 
cisum  aegerrime  acceplt,  dicentibus  cunctis,  dùobus  se  fidem  promisisst  liberti  Severi, 
duobus  servare  debere,  clausisque  portis,  din  impera/or  non  admissus  nisi  delinitis  animis, 
non  solum  quereliti  de  Geta  et  criminafionis  ediiis,  sed  enormitate  stipendi'/  miliiibus.  ut 
wlel,  placatis  :  atipie   inde    Romani   redit  ». 

I  1.1  gli  altri  donativi  fatti  da  Caracalla  ai  soldati,  dobbiamo  forse  annoverare  la  co- 
struzione del  grande  stabilimento  termale  che  si  ammira  alla  destra  dell'Appia,  nel  quar- 
tiere di  Albano,  chiamato  Cellomaio.  Queste  thermae,  simili  piuttosto  a  quelle  monumen- 
tali di  Roma  che  non  ai  modesti  balinea  degli  accampamenti  militari  0  delle  piccole  città, 
furono  erette,  come  credo,  m  questa  circostanza  per  rappacificare  gli  animi  a  lui  ancora 
ostili  e  per  renderseli  favorevoli. 

Nella  spedizione  fatta  nel  216  contro  i  Parti,  Caracalla  portò  con  sé  una  parte  di 
questa  legione;  dinante  la  guerra  egli  fu  ucciso  '217  d.  C.)  e  gli  fu  eletto  a  successore 
Macrino;  i  legionari  Albani  non  lo  vollero  riconoscere  e  stanchi  della  guerra  si  ribellarono, 
desiderando  di   ritornare  nell'Albano,   dove  avevano  lasciato  le  loro  famiglie    ;  . 

Questi  stessi  soldati  di  ritorno  dalla  Sina  (4),  oppure  altri  nuovi  venuti  dai  castra 
Albana,  aiutarono  Massimino,  il  nuovo  imperatole  eletto  dalle  legioni  che  avevano  ucciso 
Severo  Alessandro  a  Magonza,  a  marciare  verso  Ruini  per  occupare  il  trono,  contrastato 
dal  senato  in  favore  dei  due  Gordiani,  prima,  e  di  Balbino  e  Pupieno,  poi.  Massimino, 
giunto  ad  Aquileia,  trovò  il  passo  sbarrato  da  questa  città  che  si  opponeva  al  suo  cammino 
e  la  assediò;  lungo  e  pieno  di  disagi  tu  questo  assedio  pei  gli  assediami,  tanto  più  che 
Massimmo  era  inviso  a  tutti,  e  giungevano  notizie  a  lui  ostili  da  ogni  parte  d'Italia  5) 
quare  timentes  mililes,  quorum  adfectus  in  Aliano  monti  erant,  medio  forte  die  non  a  piotilo 
quiescerentur,  et  Maximinum  et  l'illuni  eius  in  lentorìo   positos  oa  idei  uni  eorumque  capita 

in  Avverte  giustamente  il  Dessau   che    Innanzi  (4)  Due  Inscrizioni  ritrovate  nella    Palestii 

all'iscrizione,  punii  dei  nomi  della  famìglia  impe-  minano    la    legione  II    Partici   -  CU..    Ili    add. 

riale,   si  deve  supplire  un  prò  'salute.  i-  969,   n.    115:  p.  972.  n.    187. 

(2)  Script,   hist.   Ani;..    t',n„...  i,  .| .  (5]   s^ipt.  hist.   Aug..   .Un  1  imiti    Hfaior,  zj,  6; 

(3)  (.  1       Dio     -s.  84.  'i.  Herodian,  8,  >.  8 


—  263  —  • 

transjìxa  contis,  Aquileiensibus  demonstrarunt.  Dopo  l'uccisione  di  Massimino  e  del  suo 
prefetto  del  pretorio,  terminò  l'assedio  di  Aquileia  e  dalla  città  venne  agli  assedianti  ingens 
commeatus  in  castra,  quae  laborabant  jame.  Grande  fu  la   gioia  in  tutta  l'Italia  per  questa 

uccisione  e  anche  nel  campo  di  Aquileia  furono  fatte  grandi  feste  per  la  liberazione  del- 
l'esercito,  il  quale   potè  così  tornare  nei  suoi   accampamenti  e  i  legionari  Partici  nell'Albano. 

Del  regno  di  Elagabalo  rimane  una  iscrizione  (i),  dedicata  dalla  legione:  Victoriae 
aeter(nae)  d.  n.  />np.  Caes.  Marci  .litichi*  Antonini  Piì  felic.  Aug.  L'iscrizione  è  datata 
col  111  consolato  e  la  terza  potestà  tribunicia  dell'imperatore,  all'anno  220.  Secondo  l'uso 
comune  invalso  in  quest'epoca,  la  legione  dedicante  si  chiama  Antoniniana,  cioè  prende  il 
nome  dell'imperatore  regnante;  così  in  alcune  iscrizioni  del  tempo  di  Severo  Alessandro 
si  chiama  Severiana  \i)  e  in  una  dei  due  Filippi  (3)  Philippìana.  Questa  ultima  iscrizione, 
di  carattere  monumentale,  fu  dedicata  anch'essa  Victoriae  reducis  (sic)  dd.  fin.  /////>. 
Caes.  M.  Ialii  Phìlippi\  Piì  Felicis  Aug.  et  Otaci]lìae  Se'werae  Ano.  con\ingi, 
nel    244   d.  C,   dai  miììtes,   centuriones  et  evokatus   Augustorum   nostrornm. 

Un'altra  iscrizione  dedicata  dalla  legione  ai  due  Filippi  fu  trovata  nel  febbrajo  del  1913 
presso  la  stazione  ferroviaria  di  Albano  (4  ,  tacendosi  imo  sterro  per  la  costruzione  della 
nuova  cantina  sociale.  L'iscrizione,  in  due  pezzi,  era  fra  la  terra  di  riempimento  di  antico 
edifìcio.  Mancano  le  prime  righe  dove  era  il  nome  dei  Filippi  abraso  per  la  damnatio  e 
forse  anche  quello  dell'imperatrice  Otacilia,  come  nella  precedente.  L'iscrizione  fu  posta  in 
loro  onore  qualche  giorno  prima  degli  idi  di  febbrajo  del  249  (l'anno  stesso  della  loro  incutei 
da  Claudìus  Silvanus  praefectus  legionìs  supra  scriptae,  a  mini  di  tutta  la  legione,  forse 
per  qualche  speciale  donazione  avuta  dai   Filippi. 

Claudio  Silvano  non  è  il  solo  prefetto  di  questa  legione  che  conosciamo.  Nella  vita 
di  Caracalla  1 5  )  si  parla  di  un  Recianus,  pyaefectus  lezionis  //  Partìcae,  che  fu  complice, 
0  per  lo  meno  conscio,  della  uccisione  di  questo  imperatore;  giustamente  PHenzen  16)  ha 
identificato  costui  Col  \ zv/. /.'.x  i'j'i  -<j-i  to'j  '  AX[Ì2cvq'j  7T33Ctott='^o'j  Zv/ovix,  ricordato 
da  Dione  178,1  ;i  al  tempo  stesso  di  Caracalla.  Questo  Aeìius  Decius  Triccianus  coman- 
dava la  legione  ancora  sotto   IWacrino  (7). 

Dalle  iscrizioni  abbiamo  anche  ricordo  di  un  tempietto  0  sacrario  dedicato  nell'interno 
del  castro,  dai   legionari,   a  Giove.    Le   iscrizioni   sono  due  181  di   cui   la   prima  porta   il   con- 
dì CIL,   XIV   22S7  (=  VI   3734':  cf.  XIV.  22X5.  1  5)  C1L.   XIV   2258  (=   Vi   793). 
421  j.  (4»  Notizie  degli  Scavi,   1913,   p.   ìj  (Mancini). 

(2)  CIL.   XIV    2274.    2276,    2285,    2200,    2201,  (5)  Script,  hist.   Aug'.,   Carac,  6. 

2203,  2294,  2206.   l.'Henzen  dimostri'  negli  Annali  (6)   Henzen,   Ann.  Ist  ,    18(17.  p.  8;:  cf.  Dessau, 

dell'lst.  (1858   p.   27)    come    questo    titolo    non    si       CIL.     XIV,     pai;.    217;    id..     Prosopographia ,    I. 
debba    riferire  a  Settimio    Severo    bensì    a  Severo       n.    126. 
Alessandro  :     riguardo    al    singolare    attributo    di  (7)  Cass.   Dio,   79,  4. 

acterna    che    ha    la    legione.     I' Henzen    lo    crede  (8)  CIL.   XIV,   2253  e  2254. 

unico  della  II   Partica. 


—   2<q    — 

solato  illecito  di  Quinlianus,  Si  tratta  forse  dello  stesso  Quinziano  che  nominano  altre  due 
iscrizioni  trovate  presso  \quileia  (i),  giacché  abbiamo  visto  che  parte  della  legione  aiutò 
nel  238  d.  G.  IWassiminó  nell'assedio  di  Aquileia.  La  seconda  è  probabilmente  dell'età  di 
Massenzio,  come  pensò  il  De  Rossi  (2)  per  la  grafìa  dei  nomi  propri;  è  dedicata  da  un 
ofii:o:  hoiii  0(ptitno)  M(aximo  C(pnset  itori  et  g  nìum  (sic)  centuria*.  Queste  due  iscri- 
zioni, insiemi-  con  una  ter/a  appartenente  ad  un'ara  dedicata  al  Sole  (C.  I.  L.  XIV  22561 
dagli  stessi  legionari,  sono  runica  notizia  storica  di  editici  interni  del  castro  che  ci  sia 
pervenuta. 

Dopo  1  Filippi  le  memorie  della  legione  vanno  a  mano  a  mano  scomparendo.  Nella 
seconda  meta  del  sec.  Ili  abbiamo  un  ricordo  isolato  nelle  monete  di  Gallieno  (3),  in  cui 
la  legione  prende  i  titoli  di  V,  VI  e  VII  pia  e  di  \,  VI  e  \ll  fidelis,  e  poi  dobbiamo  fare 
un  salto  fino  quasi  a  Costantino  senza  sapere  più  nulla.  Anche  con  Costantino  abbiamo 
una  notizia  soltanto  negativa:  la  legione,  sotto  di  lui,  non  stava  più  nell'Albano.  N 011  sap- 
piamo da  chi  e  per  quali  ragioni  la  legione  fu  allontanata  dall'Albano  con  tutte  le  famiglie 
e  le  masserizie,  né  dove  fu  destinata.  Solamente  sotto  Giuliano  '^60  d.  C.  la  ritroviamo 
in  Mesopotamia,  insieme  alle  legioni:  seconda  Flavia  e  seconda  Armeniaca,  alla  difesa  della 
città  di  Bezabden  (4).  In  Mesopotamia  rimase  ancora  per  molto  tempo,  almeno  fino  a  quando 
vien  nominata  dalla  Notitìa  d'udii 'taluni  (5),  come  di  permanenza  a  Cefa.  A  questo  periodo 
appartengono  alcune  iscrizioni  sepolcrali  di  legionari  trovate  nella  Mesopotamia  e  nella 
Pannonia  inferiore  (6). 

Per  ultimare  le  memorie  che  si  riferiscono  alla  legione  ricorderò  i  tre  latercoli  militari 
ritrovati  nell'Albano  e  dintorni,  che  portano  nel  Corpus  (XIV)  i  numeri  2267,  2268,  !393- 
Il  primo  latercolo  (n.  22671,  il  più  antico,  ha  le  date  consolari  del  226  e  del  2^1  :  il  secondo, 
che  è  il  più  recente,  fu  rinvenuto  nelle  fondamenta  della  cattedrale  ed  è  importante  perchè 
nomina  almeno  cinque  coorti  della  legione  e  ci  dà  un  esempio  dei  nomi  più  in  uso  fra  i 
legionari,  tra  cui  primeggia  quello  di  Aurelius;  il  terzo  è  molto  frammentario  e  non  è  che 
un  elenco  di   nomi. 

Da  ultimo  menta  una  speciale  attenzione  una  tegola  rinvenuta  presso  il  lago  di  \em: 
nel  [884,  con  l'esplicito  ricordo  di  una  Aglina:  1.  E  (  i.  Il  P  (ARTH1C  A  Hi  (7).  È  il  primo 
esempio,  e  fino  a  poco  tempo  fa  l'unico  in  tutto  il  Lazio,  di  un  laterizio  con  l'indicazione  di 
apposite  figline  per  un  corpo  militare.  Il  secondo  esempio  tu  ritrovato  dal  Vaglieli  in  Ostia 
nel     U)lo,    appartenente   alla    sesta    Co, irte    del    vigili  (8). 


(i)  CU..  V,  865  e  866.  (6)  CU..  III.  1464.  1683 ;  suppl.  14405. 

12)  Bull.  Crist.,   1869,  p.  :;.  C)  Notizie  Scavi.  1884.  p.  238  (Lanciarti);  CIL- 

(?)  Cohen.   Monti,  iinp.   V.   n.  478  sg.  XIV   4090,   1:  ci.   XV   pag.  6,  n.   Vili. 

(41  Amm.   Mi XX,  7,  1.  18)  Notizie  Scavi,   mio.  p.  ^14  (Vaglieli). 

(5)  Not.  digli,  irnp.   rum.,  XXXVI,   30. 


-  265  - 

Si  è  detto  che  sotto  Costantino  la  legione  non  era  più  nell'Albano:  sappiamo  ciò  dal 
Liber  pontificalìs  (i),  a  propositi)  della  fondazione  della  basilica  di  S.  Giovanni  Battista  in 
civiìalt:  Albanensi,  per  opera  di  Costantino.  Fra  le  donazioni  fatte  da  questo  imperatore 
alla  nuova  basilica  sono  nominate  le  sceneca  deserta  vel  domos  civitatis,  cioè  le  caserme 
lasciate  vuote  dalla  legione.  Oltre  che  alla  basilica  esse  furono  date  in  dono  a  tutto  quel 
complesso  di  persone  che  si  era  venuto  formando  intorno  ai  casba  e  che  era  rimasto  anche 
dopo  la  partenza  dei  legionari.  Era  costituito  dal  personale  della  villa  domizianea  e  delle 
altre  ville  vicine,  delle  terme,  dell'anfiteatro,  de^li  horrea,  dai  contadini  venuti  dalle  cam- 
pagne presso  l'abitato  e  da  tutti  quei  piccoli  commercianti  ed  industriali  che  formano 
gli  annessi  indispensabili   di   un  accampamento  militare. 

11  Mommsen  illustrò  molto  bene  (2)  questo  carattere  quasi  municipale  dei  castra  e  la 
trasformazione  delle  canabae  a  centro  indipendente,  con  magistrati  propri,  trasformazione 
che  cominciò  sin  dai  tempi  di  racito  (3  e  si  accentuò  poi  nel  peiiodo  fra  Costantino  e 
Teodosio. 

Siamo  in  tal  modo  giunti  all'origine  della  città  di  Albano,  la  quale,  rimasta  oscura  per 
pochi  decenni,  si  presenta  già  verso  la  fine  del  secolo  iv"  come  un  centro  molto  impor- 
tante, sede  di  un  vescovo  e  dotata  di  un  vasto  territorio.  Il  vescovo  è  un  tal  Ursinus, 
di  cui  si  è  scoperto  pochi  anni  addietro  il  nome  in  una  lapide  del  cimitero  di  Dom  ' 
Posteriore  di  quasi  un  secolo  è  il  vescovo  Romanus,  prete,  che  prese  parte  al  concilio  di 
Roma  del  465  (5);  poco  dopo,  nel  concilio  del  487,  tra  i  firmatari,  trovasi  un  altro  vescovo 
di  Albano,  Anastasio  (6).  Dopo  di  lui  comincia  la  serie  quasi  ininterrotta  dei  vescovi  Alba- 
nensi, sotto  i  quali  Albano  si  acquistò  nella  storia  un  posto  particolare,  assai  notevole  e 
influente  nelle  lotte  che  agitarono  il  Lazio  per  tutto  il   Medioevo. 

G.  Lugli 


(1)  Lih.  Pont. (ed.  Duchesne) Silvester  I.  pag.  185, 
XXX 

(2)  Mommsen,  Romischen  Lagerstàdte ,   in  Her- 
mes, VII.  p.  299  sg. 

(;i  Tac,  Historiae,  1.  66;  IV.  22. 
r    Nuovo  bull,  crist.,  1S99  p.  24  -^.  Il    Cluver 
{Italia  Antiqua,  p.  914),  I' Ughelli   {Italia   'sacra, 
I  p.  288)  e  ultimamente    lo    Iozzi    (Series  ponti/. 


Alban.,  p.  52-  attribuirono  ad  Albano  anche  il 
vescovo  Dionisio,  che  è  ricordato  come  vescovo  di 
Alba  nel  ììì:  ma  il  Nibby  (Analisi,  I  p.  80)  notò 
con  più  ragione  trattarsi  di  Alba  Pompeia  e  non 
già  della  civitas  Albanensis. 

151  Mansi,  Ai  la  condì.,  7.  p.  95g. 

10)   Mansi,   Ine  cit..  7.  p.    1171. 


VARIETÀ    *    RECENSION 


VARIETÀ 


MATERIALI   PREISTORICI 
DEL  MVSEO   DI   GEOLOGIA   IN    PALERMO 


Il  Museo  dell'Istituto  Universitario  di  Geologia 
in  Palermo  possiede  una  piccola  ma  interessante 
raccolta  di  oggetti  preistorici,  formata  verso  la 
metà  del  secolo  scorso,  per  la  liberalità  e  !e  cure 
del  Bar.  Francesco  Anca  e  del  Prof.  Gaetano  Gior- 
gio Gemmellaro  (1  i 

Tali  avanzi  furono  divulgati  in  parte  da  questi 
due  benemeriti  antesignani  degli  studi  preistorici, 
in  parte  da!  barone  Ferdinando  von  Andrian  nella 
sua  nota  opera  Prtlhistorische  Studien  aus  Siti- 
lien  (2).  Resta  però  ancora  materiale  inedito  e, 
fra  quello  già  pubblicato  ve  n'  è  meritevole  di 
ulteriore  esame.  Ho  ritenuto  pertanto  che  potesse 
giovare  al  progresso  dell'archeologia  preistorica 
della  Sicilia  occidentale,  ancora  assai  scarsamente 
coltivata,  Io  studio  di  questa  piccola  collezione  ge- 
neralmente ignota  ai  paletnologi  moderni.  In  questo 
disegno  mi  ha  incoraggiato  il  giudizio  del  Prof.  An- 
tonio Taramelli,  che  in  una  sua  fugace  visita  a  Pa- 
lermo potè  constatarne  l'importanza  ;  mentre  ogni 


agevolazione  ho  ricevuto  dall'illustre  direttore  del- 
l'Istituto di  Geologia,  Prof.  Giovanni  Di  Stefano  e 
dal  Prof.  Mariano  Gemmellaro,  cui  mi  è  pertanto 
grato  rivolgere  vivi  ringraziamenti. 

I.    BRECCE   PALEOLITICHE. 

La  parte  principile  della  raccolta  è  costituita  da 
alcune  brecce  con  avanzi  di  industria  umana,  car- 
bone e  relitti  di  cucina,  provenienti  in  parte  da 
grotte  ormai  ben  note  nel  campo  dei  nostri 
studi  (3),  in  parte  invece  da  altre  stazioni  assolu- 
tamente nuove  o  di  cui  l'inora  è  conosciuto  ap- 
pena il  nome,  ma  nessun  dato  di  fatto  (4).  Esse 
sono  : 

Grotta  dei  Puntali. 

In  questa  grandiosa  grotta  clic  si  apre  nelle  vi- 
cinanze immediate  di  Carini,  il  Gemmellaro  rin- 
venne i  resti  di  un  grande  numero  di  esemplari  di 


(i)  Cfr.  Salinas,  del  R.  Museo  il:  Palermo,  relazione.  Pa- 
lermi, 1875.  P-  3', 

G.  G.  Gemmellaro  11832  t  1004)  donò  fra  l'altro  alcuni  og. 
getti  preistorici  raccolti  dal  padre.  Carlo  Gemmellaro  117S7-18Ó0). 
il  celebre  illustratore  dell'Etna,  il  quale  va  perciò  considerato 
come  uno  dei  precursori  degli  studi  paletnologia.  A  questo  pro- 
posito ricordo,  poiché  e  un  fatto  generalmente  ignorato,  che 
nelle  collezioni  del  Museo  Biscari  di  Catania,  trovarono  posto 
anche  alcune  ascie  neolitiche  e  di  bronzo  (cfr.  F.  Mina  Pa- 
LLìMBO.  Rivista  Siculo,  1869,  II.  p.  210).  Questo  Museo  fu 
fondato,  cotti'  é  noto,  dal  P.pe  Ignazio  Paterno  Castello  di  Bi- 
scari. nel  1758  e  continuò  ad  arricchirsi  di  oggetti  per  non  oltre 
cinquant'anni.  Il  nome  del  Biscari  è  pertanto  da  mettere  a  lato 
a  quello  del  celebre  palermitano  padre  Cupani.  che 
attenzione  a  due  raschiatoi  di  selce  fin  dal  sec.  XVII  (cfr.  il  suo 
Pamphytum  ticulum,  ed.  Palermo,  1815,  voi.  III.  lav.  ,.  16  e 
tav.   15J.  [0  sono  lieto  di    aggiungere    poi    .1    questo 

ilutamente  ignorato,  quello  del  Carmelitano  P.re  Pizzo- 
lauti  Filiberto,  il  quale  nei  principi  del'  7"".  ricavò  dalle  campa- 
gne di  Licata  una  raccoltina  di  oggetti  antichi,  di  cui  alcuni  e 
cioè  .  vetri  dorati  bizantini,  una  lekythos    a    f.    r..  una  a  f.  n.. 


con  lotta  di  Teseo  contro    il    Minotauro,    un'  anfore-: 
rinzia.    un'ansa    di    anfora    rodia.    4  signacula    di  bronzo  e  tic 
scalpelli  preistorici,    furono    disegnati    ed    musi    dal! 
trapanese  Frane.  Nicoletti  apd.  D'Orville.  Sicilia,    Amsueied- 
dami   1764,   I,   p.    i-m  A-B. 

(21  Supplemento    alla    Xeitscliiift    fi»     Ethn    'ogie,    Berlin. 
1878.  Qualche  cenno    su    al.  uni    oggetti     di 
trova    in    O.    SCHOETENSACK,     /   ir-imd    Fiiilij    tchiclitliclies 
aus  den  italiei  len,  in  Zcitscltv.    fin    l-.tln 

1  ioè  le  : Mi      ign  me    !  'ei     ita     S.     1  eodoro,  <  ai 

burancili.  Addaura  grande  e  piccala,  Tonn.ua  e  ( 
Monte  Fanio.  —  Cfi     Falci  ini  6,   -  '•■ 

'ne,  in  /  >u*n, 
A  w   di  u  r  noi, 

:..  t.  XVII. 
G.  G     t.l  «MI  I  I  «.Ri  I, 

1  1  ermo    1867; 

von  Andrian,  op.  cit.,  p.  Colini,   Bull,  a 

"aleti  OH  11 

\NE»RI  \s    ]  ,    .  e  -. 


elefanti  (Elephas  antiquus),  fra  i  quali  un  cranio 
«  an  welchen  zahlreiche  kaum  zu  verkennende  In- 
cisionen  zu  beobachten  sind  »  (von  Andrian,  pa- 
gina 10).  Hans  Pohlig,  die  lia  più  minutamente 
studiato  quegli  esemplari,  accenna  vagamente  alla 
presenza,  fra  di  essi,  di  avanzi  manufatti  (1).  Il 
Museo  Geologico  ne  possiede  in  buon  numero. 
Sono  punte,  raschiatoi  e  grossolane  schegge  di 
selce  piromaca  di  vario  colore  (bruna,  giallastra, 
rossa)  di  cui  presento  una  scelta  alla  fig.  1  ;  esse 
si  trovano  fra  un  impasto  terroso,  nello  strato  più 
superficiale  della  spaziosa  caverna,  miste  a  carboni 


Grotta  della  zia  Menico;  sul  monte  Colom- 
brina  presso  Carini  sulla  via  di  Capaci:  scoperta 
dal  Prof.  Di  Stefano. 

Armi  di  selce,  impastate  con  carboni,  argilla 
bruciata,  avanzi  di  ossa  (Bos?j  e  conchiglie  ma- 
rine (Trochus  turbinatus,  Born.)  e  terrestri  Helix 
sp.,  Bulimus,  sp.). 

Grotta  delle  Vitelle;  sul  monte  Gallo. 
Breccia  con  frammenti  di  carbone,  armi  ed  uten- 
sili di  selce,  denti  di  cervo  e  di  bove  e  conchiglie 
eduli  terrestri   (Helix  Mazzulli  San.;  fi.  vermicu- 


Fipir 


ed  a  gusci  di  conchiglie  eduli  (Trochus,  [Trocho- 
cochlea]  turbinatus  Born.). 

Gli  avanzi  di  animali  raccolti  nella  grotta  sono: 
Sus  scrofa  L.,  Cervus  (elaphus)  Siciliae  Poni., 
Biscn  (priscus)  Siciliae  Polii.,  tìos  (primigeniusi 
Siciliae  Pohl.,  Elephas  (antiquus)  Melitae  Falc. 

Un  cranio  di  bisonte  (inv.  566  =  inv.  1880, 
n.  330),  ha  le  corna  con  due  cavità  nella  parte 
anteriore  verso  la  punta,  che  per  la  simmetria 
vanno  ritenute  opera  dell'uomo.  11  fatto,  va  tenuto 
presente,  insieme  con  l'altro  segnalato  dal  von  An- 
drian, per  la  pretesa  contemporaneità,  non  docu- 
mentabile tra  gli  avanzi  umani  e  queste  specie 
animali  estinte  od  emigrate.  Le  incisioni  nel  cranio 
dell'elefante  del  von  Andrian,  può  darsi  però  che 
non  siano  state  eseguite  sull'animale  vivo.  È  ad 
ogni  modo  un  fatto  molto  interessante,  sul  quale 
voglio  richiamare  tutta  l'attenzione  degli  studiosi, 
che  gli  avanzi  umani  si  trovano  nella  crosta  super- 
ficiale  assolutamente  distinta  dalla  breccia  ossifera 
con  avanzi  di  elefanti  (_'). 


lata  L.i  e  marine  (Trochus  turbinatus,  Brn.  ;  T.  ar- 
ticulatus  Lk.  ;  Turbo  rugosus  L.  ;  Patella  ferruginea 
(ìm.  ;  /'.  caerulea  L.). 

Presento  alla  fig.    2    una    raccolta   di   tipi  delle 
armi  di  selce  rinvenute   nella  grotta,   la   quale  ha 


anche  dato,  negli  strati  più  bassi,  avanzi  di  Elephas 
Africanus  (3). 


in  Bine  Elephanlhìjhle  Sicilie™,  in  Ahhandl.  der  k.  bayer. 
Ikad.  de,    WS».,  Il  ci.  XVIII    Bd.   i    Ablh..    Miinchen,    i8<,5, 

p.  82.  —  A  p.  78,  fig.  1.      sezione   iella  grotta. 

(21  Anche   nella    grotta  di   S.  Teodoro  (cfr.  col.  2,  nota    i), 
come  si  rileva  dalle   accurate    sezioni   dell'Anca,    lo   strato   con 


avanzi  umani    è    nettamente   distinto    da    quello    con   avanzi  di 
elefanti. 

|  \-.'   * GBMMBLLARO.    Uonagr.    degli    ele- 

fanti /ossili  in  Sicilia,  Palermo.  1867,  p.  21. 


Grotta  del  Capraio;  sul    declivio    settentrio- 
nale del  Monte  Gallo,  presso  la  Grotta  Perciata. 

Punte,  raschiatoi  e  schegge  di  selce  (vedi  fìg.  3); 
un  nucleo  di  diaspro. 

Conglomerato  con  denti  mascellari  di  Cervus 
(sp.)  e  Bos  (sp.)  e  conchiglie  eduli  marine  [Troclms 
turbinatus  Brn.;  T.  articulatus  Lk.;  Turbo  rugina  L.; 
Triton  nodiferum  Lk.  ;  Patella  ferruginea  Gm.  ; 
P.  coerulea  L.  var.  aspera). 

Grotta  dei  Ben/rateili. 

Proviene  da  questa  grotta  un  vero  impasto  di 
conchiglie  eduli  terrestri  (Helix  sp.)  con  cemento 
travertincso. 

Essa  ha  dato  negli  strati  inferiori,  avanzi  di 
Elephas  antiquus  Falc.  e  denti  di  ippopotamo  (1  ). 


Queste  cinque  grotte  sono  tutte  nel  territorio 
tra  Palermo  e  Carini,  al  quale  si  riferiscono  le 
altre  grotte  con  avanzi  preistorici  di  Maccagnone, 
Carburancili,  Tonnara  o  Mollica,  Perciata,  Addaura 
grande  e  piccola  (2)  :  le  une  e  le  altre  insieme  con  le 
stazioni  accertate  all'Acqua  dei  Corsari  (3)  e,  forse, 
alle  falde  del  Monte  Pellegrino  (4),  costituiscono 
un  gruppo  omogeneo  distribuito  intorno  a  quei 
due  singolari  monti  che  sono  il  Pellegrino  ed  il 
Gallo. 


Se  le  nostre  constatazioni  arricchiscono  singo- 
larmente questo  gruppo  sì  da  renderlo  il  più  am- 
pio fra  i  siciliani,  esse  inoltre  ci  fanno  riprendere, 
sebbene  non  le  risolvano  pienamente,  le  questioni 
fondamentali,  che  questa  facies  di  civiltà  solleva 
nei  rapporti  con  la  vita  primitiva  del  resto  del- 
l'Isola. 

Di  certo  risulta,  a  giudizio  stesso  dei  naturalisti, 
che  nessun  argomento  di  natura  geologica  o  pa- 
leontologica ci  impone  di  attribuire  grandissima 
antichità  a  queste  brecce.  Non  è  infatti  provata 
la  commistione  degli  avanzi  umani  ad  ossa  di 
specie  estinte  od  emigrate,  mentre  pare  invece  che 
si  tratti  semplicemente  di  sovrapposizione.  Ciò 
concorda  con  la  foggia  di  lavorazione  degli  og- 
getti di  selce,  che  non  sono  certamente  dei  tipi 
più  antichi,  ma  invece,  come  s'  è  visto,  di  quello 
alquanto  più  progredito  detto  moustérien,  e  tal- 
volta anzi,  sembrano  più  evoluti.  Essi  tuttavia  re- 
stano i  più  antichi  avanzi  dell'industria  umana  in 
Sicilia  ;  se  pure,  come  è  stato  rilevato  ampiamente 
nel  resto  d' Italia,  in  parte  risalgono  invece  ad 
epoca  in  cui  ormai,  l'uso  della  pietra  scheggiata 
era  stato  generalmente  abbandonato.  Resta  sempre 
oscuro  perchè  mai  questi  avanzi  così  rari  nel  resto 
dell'  Isola,  esistano  nella  plaga  palermitana  in  così 
grande  numero  (5),  e  quali  rapporti  di  tempo  e  di 
civiltà  intercedano  tra  essi  ed  il  neolitico,  anche 
esso  qui  più  che  altrove  diffuso  ed  evoluto,  mentre 
mancano  del  tutto  le  caratteristiche  fasi  della  ci- 
viltà siciliana  del  bronzo. 


(i)  Anca  e  Gemmellaro.  op.  cit.,  p.  m. 

(2)  Cfr.  nota  3  a  col.  2. 

(j)  EMMANUELE  Salinas  (Aic/i.  Star.  Sic.,  XXXII.  I907, 
p.  265  segg  ;  Rctui.  dei  Lincei,  <7.  d.  si.  tìs.,  XVI,  1907, 
p.  ri-'i  annunzio  di  aver  scoperto  in  questa  località  avanzi 
paleolitici  Slitto  un  potente  strato  di  travertino.  Egli  annetteva 
grande  importanza  a  questo  tatto  giudicandolo  prova  dell'altis- 
sima antichità  della  stazione.  Il  Pigorini  {.B.  d.  P.  /..  XXXIII. 
p.  43),  sollevava  dei  dubbi,  affermando  giustamente  che  allo 
stadio  attuale  dei  nostri  studi,  non  si  può  prescindere  dall'esame 
dei  manufatti.  Trovandomi  a  lavorare  fra  geologi  ho  voluto 
sentire  che  cosa  essi  pensassero  della  questione  che  pareva  dalla 
geologia  ricevesse  cosi  incrollabile  base,  mentre  lasciava  sceltici 
i  non  geologi.  Sono  lieto  di  riferire  pertanto,  che  un  simile  dis- 
sidio non  esiste,  perchè  il  travertino  terroso  che  contiene  questi 
tenui  avanzi  è  da  giudicare  con  sicurezza  di  formazione  recente, 
e  non  può  documentarci  una  remota  cronologia,  trattandosi  di 
roccia  che  si  va  formando  ai  nostri  giorni  e  si  può  accu- 
mulare in  grande  quantità,  in  tempo  relativamente  breve  e  non 
certamente  in  quel  centinaio  di  secoli  ammessi  da  Emmanuele 
Salinas  (Arch  .  Stor.,  p.  269). 

Sulla  reale  disposizione  degli  strati  In  quel  pesto  vedi  le  sezioni 
fotografiche  date  dal  Dr  Avariano  Gem.mellaro,  Escursione  nel 


giacimento  /ossili/ero  di  Ficarazzi  presso  Palermo,  in  Boll. 
della  Soc,  Geo!.  Italiana,  voi.  XXVIII.  1909,  p.  1  \M\  -e,; 
(fot.  a  p.  CU  se.;).  Cfr.  anche  M.  GlGNOUX,  Lei    foimations 

marines,    Paris.    1QI3,   p.   196.   seg.,   tìg.   26. 

Aggiungo  che  le  armi  di  selce  sono  di  tipo  moustérien  ana- 
logo a  quello  delle  nostre  grotte,  e  vi  e  anzi  qualche  frammento 
di  coltellino  che  si  direbbe  neolitico.  Paiono  in  complesso  og- 
getti della   grotta   Fanio,   cfr    la   nota  5. 

(4    i  w\\.  Salinas,  Xot.  degli  Siavi.   1907,  p-  307. 

(5)  Oltre  che  nel  gruppo  Palermitani',  si  sono  rinvenuti 
avanzi  paleolitici  a  S.  Fratello  in  prov.  di  Messina  (gr.  S.  Teo- 
doro, vedi  col.  2  nota),  e  nei  dintorni  di  Termini  Imeiese  (gr. 
Ianni,  gr.  Di  Nuoro,  gr.  del  Castello  cfr.  Colini.  Ihiìl.  ili 
Paletn..  XXIII.  p.  22;;  Pigorini.  ivi,  XXXIII.  p.  189; 
SCHWEINFURT  G  ,  Ueber  dai  Hohlenpatftolithikum  von 
in  Zeithschrift  fur  Ethnol.,  1907).  Non  si  hanno  elementi  suf- 
heienti  per  giudicare  delle  caverne  del  Siracusano,  della  pro- 
vincia di  Trapani  e  delle  Egadi;  Colini,  Boll.  Ji  Paletn.. 
XXIII.  p.  226-7. 

A  completare  l'elenco  delle  constatazioni  del  paleolitico  nel- 
I'  Isola,  conviene  ricordare  pezzi  sporadici  dei  dintorni  di  Ca- 
strogiovanni  iORM.  Bull,  di  Paletn.,  XXXIV.  p.  iuii  ed  una 
scure,  di  tipo  chellèen,  da  Alcamo  [ivi,  XXV,  p     J17) 


II.   OGGETTI   NEOLITICI. 

Tra  edite  ed  inedite,  nel  Museo    si   conservano 
una  trentina  di  ascie  di  pietra  levigata  provenienti 

Provenienl.i 


Bosco  di  Nicolosi. 

Lentini 

Castrogiovanni   . 

Catania 


da  vari  luoghi  dell'Isola.  Poiché  raramente  accade 
di  poter  studiare  questi  preziosi  oggetti  con  l'aiuto 
di  un  geologo  del  valore  del  Prof.  Di  Stefano, 
presento  qui  un  quadro  di  esse,  classificate  secondo 
la  provenienza  e  la  natura  delle  pietre  ili: 


Gtidette  vcrde-chtjirj 

0.  •verdescura 

31 

92,   94 

80 

81 

75 

— 

83,  86, 

88 

82,  84,  85, 
87,  88-r>is 

Catania  (Piano  della  Statua  i 

Corleone 

Isole  Lipari 

Palermo  (Monte  Pellegrino) 
Palermo  -  Dono  Airoldi .  . 
Ignota  provenienza 


30 


La  scure  di  basalto  n.  89,  lunga  cm.  21  (fig.  4) 
dono  del  Cav.  Cesare  Airoldi;  è  pertanto  pro- 
babile che  provenga 
dall<<  Villa  dei  Leoni, 
proprietà  di  quella  fa- 
miglia, prossima  alla 
contrada  Valdesi,  sotto 
il  Monte  Pellegrino,  la 
cui  necropoli  neolitica 
fu  scavata  dal  Prof.  Sa- 
lina* (2). 

Pure  dai  pressi  del 
Monte  Pellegrino  pro- 
viene la  piccola  scure 
(cm.  6)  formata  di  un 
nucleo  di  selce  cornea 
ed  un  orcioletto  mono- 
ansato, alto  cm.  8  di 
rozzissimo  impasto. 

Da  S.  Ninfa,  lungo 
la  linea  ferroviaria,  pro- 
viene un  coltelluccio  di 
selce  piromaca  lungo 
cm.  5. 

L'accetta  n.30,  lunga 
Figura  4.  cm.    9,    larga  4]2,   di 

(il  Per  la  provenienza  della  Giadeite,  il  l"r. .r .  DI  Siefano.  è 
propenso  a  seguire  i  risultati  esposti  dall'  ING.  Sei  ONDO  FRAN- 
CHI, Iloti,  del  Comitato  Geologico,  'iiuo,  n.  II,  e  Send.  dei 
Lincei,  ci,  di  t,  .  aulir.  IX.  p.  w  segi:.  'riassunto  dello 
ISSEL,  liuti,  d:  latrili..  XXVII.  p.  i  seKg.  i,  che  ne  ha  tro- 
vato nella  Catena  del  MoncenlSlO  e  nell'Appennino  Ligure. 

Nfi  nostro'quadro  viene  segnato  il  numero  che  gli  oggetti 
portano  nell' in .  lei    materiale  preistorico,    che 

trovasi  scritto  nei  pezzi  stessi  ed  «■  ripetuto  nell'inventario  ge- 
nerale dii   VI  llato  dal  Prof.  Di  Ulasi  nel  189). 

Di  queste  serie,  le  ascie  elle  non  saranno  esaminale  appresso 
paratamente,    si    trovano    pubblicate   o    almeno    menzionate   in 


nerastra 

Basalto 

òti^e 



93 

— 

79 

— 

— 

77 

76 

— 

- 

— 

— 



45 

_ 

_ 

27 

— 

— 

66-74 

— 

— 

— 

senza  numero 

forma  appiattita  (spessore  cm.  1,3)  e  di  cui  è  ignota 
la    provenienza,    merita    speciale    menzione.   Essa 
reca  su  uno  dei  lati,  delle  profonde  incisioni  (vedi 
fig.  5),   ripiene    di    una 
sostanza     rossastra,    in 
forma  di  cerchi  e  semi- 
cerchi   dentro    e    sopra 
ima     figura    geometrica 
che  potremmo  rassomi- 
gliare   ad    una    piccola 
edicola. 

Nell'altra  faccia  le  in- 
cisioni lineari,  sono  li- 
mitate ai  contorni  e  sem- 
brano illanguiditela  ul- 
teriore strofinamento  del- 
l'ascia. Vi  sono  ancora 
due  buchi  tra  lo  spes- 
sore dello  strumento  ed 
il  Iato  posteriore.  Trat- 
tasi, com'  è  probabile, 
di  una  scure  di  carattere 
sacro  ;  non  altrimenti  sa- 
prei spiegarne  la  decorazione,  della  quale  non  co- 
nosco riscontri  molto  precisi,  potendo  compararsi 
con   la    nostra  scure,  solo  lontanamente,  quelle  di 

von  Andrian,  p.  70  e  tav.  111.  n.  io  (Nicolosi);  tav.  III.  n.  13 
(Lentini):  pag.  67  e  tav.  Ili,  16  segg.  (Castrogiovanni)  p.  70 
e  tav.  1.  n.  3  (Catania);  p.  65  (Corleone):  p.  72  'Isole  Lipari). 

Del  materiale  neolitico  del  Museo  il  von  Andrian  pubblica 
anche  due  raschiatoi  di  ossidiana  da  Cammarata  ^Rocca  Daparo) 
p.  Iis.  ed  un  coltello  di  selce  da  Peltineo.  tav.  1,  n.  4. 

(a)  A.  SAL1NAS,  Rend.  dei  Lincei  ■',  di  e.  mo..  .8g6. 
p.  346:  Bull,  di  Pttleln.,  XXIV,  p.  264;  Lissauer.  Zeil- 
■in  Etimologie,  XXXV.  p.  ioij  ;  E««-  Salisas  Nat. 
degli  Sran.  1007,  p.  307.  —  Del  materiale  di  Valdesi  son 
pronti,  al  Museo  Nazionale.  ,|uasi  tutti  i  disegni  per  la  pubbli- 
cazione che  ne  preparava  Emmanuele  Salinas. 


rocce  verdi  e  lapislazzulo  trovate  nel  secondo 
strato  d!  Troia,  ornate  di  incisioni  geometriche 
che  si  è  creduto  vogliano  imitare  il  bronzo.  Anche 
queste  ascie  è  probabile  siano  servite  ad  uso  reli- 
gioso (1). 

Dalle  grotte  di  Villafrati,  nei  pressi  di  Palermo, 
che  hanno  dato  abbondante  materiale  preistorico, 
il  museo  possiede  una  notevole  serie  di  avanzi 
ossei  umani,  provenienti 
dalla  grotta  Porcospino, 
ed  illustrati  dal  Dr.  Zu- 
sterkandl  (2).  Inediti  sono 
invece  due  vasetti  dei 
quali  uno  alto  cm.  12 
(n.  G4  =  inv.  1880 
n.  353),  frammentario,  è 
un  depas  a  superficie 
rossastra  un  po'  levi- 
gata ;  l'altro  (n.  63)  è 
un  pentolino  a  doppia 
ansa,  fatto  a  mano  e  di 
impasto  e  superficie  roz- 
zissima  (alto  cm.  7  54; 
diametro  alla  bocca 
cm.  6).  Il  terzo  e  più 
importante  (cm.  16),  ad 
alto  collo,  monoansato, 
è  anch'esso  fatto  a  mano.  Ma  la  superficie  lucidata, 
ha  un  colorito  rossastro  e  reca  decorazioni  di  dop- 
pie linee  riunite  da  tratti  a' scala,  ripiene  di  punti 
(v.  fig.  6).  E  una  ceramica  neolitica  di  tipo  non 
comune  e  di  aspetto  singolarmente  progredito  che 
per  il  suo  effetto  d'insieme  arieggia  in  qualche 
modo  alla  ceramica  caratteristica  del  I  periodo  Si- 
culo di  Orsi;  fra  le  meno  lontane  analogie  dob- 
biamo ricordare  i  cosidetti  idoli  di  Villafrati,  del 
Museo  Nazionale  di  Palermo,  provenienti  a  quanto 
pare  da  tombe  di  Piazza  dei  Leoni,  alla  Favorita, 


Figura 


i  quali  sulla  lucida  superficie  nerastra  propria  alle 
ceramiche  neolitiche,  recano  dei  fregi  in  rosso 
nettamente  rilevati  dalla  recente  pulitura  (3). 

III.    BRONZI. 

11  Museo  possiede  anche  i  seguenti  oggetti  di 
metallo,  tutti  inediti: 

n.  95.  Accetta  di  bronzo  (4)  a  fiocchi  rilevati, 
lunga  cm.  15,  larga  al  taglio  5;  spessore  cm.  2. 
Proviene  da  Qiarre  (prov.  di  Catania),  (fig.  7-<ì); 

n.  99.  Accetta  di  bronzo  simile  alla  prece- 
dente, lunga  cm.  15  'ó,  larga  al  taglio  cm.  5,  spes- 
sore sui  bordi  cm.  1  12,  dono  del  Prof.  Terrachini. 
Rinvenuta  in  Girgenti  presso  i  templi  »  (fig.  7-b). 
—  Queste  due  rare  armi  sono  di  quel  tipo  appar- 
tenente alla  più  antica  fase  della  civiltà  enea, 
chi. un. itu  anche  coltello-ascia  molto  diffuso  in 
Sardegna,  appare  anche  nell'Italia  centrale  e  su- 
periore e  nelle  stazioni  dell'  Europa  Settentrio- 
nale (5),  mentre  manca  assolutamente  nella  penisola 
Iberica  e  nel  Mediterraneo  Egeo.  In  Sicilia,  questo 
tipo  è  sostituito  dalle  scuri  piatte  (6)  che  appar- 
tengono al  ben  noto  tipo  diffuso  da  Troia  e  Cipro 
all'Italia  settentrionale  (7); 

n.  '.!().  Accetta  di  bronzo,  ad  occhio  (lungh. 
cm.  16;  foro  di  cm.  4  y2)  munita  di  bottone  nel 
tallone  (Qg.  7-r);  rinvenuta  nel  bosco  di  Nicolosi 
sull'Etna  (8).  Essa  appartiene  ad  un  tipo  di  cui 
in  Sicilia  conosciamo  diversi  esemplari  e  cioè  : 
undici  al  Museo  di  Palermo  da  un  ripostiglio  di 
Biancavilla  (9);  cinque  al  Museo  dei  Benedettini  di 
Catania  (10)  e  tre,  forse  da  Spaccaforno  nella  rac- 
colta Castelluccio  di  Catania  (11); 

n.  98.  Accetta  di  bronzo  ad  occhio  (lung. 
cm.  20,  larga  al  taglio  cm.  2;  spessore  sotto 
l'occhio  cm.  2;  occhio  ovolare  di  cm.  4  U  X  3) 
(fig.  7  d).  rinvenuta  ad  Ad  Trezza  (Catania)   negli 


(i)  Goetze,  apd  Doerpfeld,  Troja  and  liion,  I,  p.  359. 
Non  occorrono  speciali  citazioni  per  il  significato  sacro  e  sim- 
bolico dell'ascia  in  molte  religioni  antichissime, 

(2)  apd.  VON  ANDRIAN,  p.  44-65.  Sulle  antichità  preistoriche 
di  Villafrati,  scoperte  nelle  grotte  Porcospino,  Buffa  1  e  Buffa  M, 
da!  P.pe  di  Mirto,   I  l    e    G.    G.    Gemmellaro   cfr. 

von  Adrian,  p.   j6  segg.  ;  G.  Di  G  in 

trapresi  e  suiti   scoperte  fatte   negli    antichi    monumenti    di 
Sicilia  da!  ••       ■  Palermo,   tS66,  p.  30 

segg..  Salinas,  Del  R.  Museo  di  Palermo,  p     ,1  segg.,ecc. 

(3!  Fu  fatta  da  Emm.  Sai  i  i  documenti  da  cui 

risulta    la    loro    reale    provenienza,    vfr     Palermo 
a' Oro,  p.   241-45- 

(4)  L'esame  del  metallo  di  questa  accetta  e  della  seguente  è 
stato  eseguito  nell'Istituto  Chimico  della  R.   Università    di    Pa- 


(5)  Cfr.  Colini,  Bnll.  di   Paletn. 

.   XXIV,  tav.  Vili,  6  iRe- 

medello);  XXVI,  tav.  IX.  ;,.  7  (Cortona 

1  :  XXXV.   p.  log.  notai-; 

lEtruria).  etc. 

Boll,    di    Paletn.,    XXIV, 

p.    287.    fig.   48;   XXVI, 

p.   e  4   e   225. 

-    Si  hi  •  kardt,   v  hliemanni  A 

usgr.,   2a  ed..   189:,  p.  84, 

"  strato    Ji    Troja        1 

a,  Civi             -     ■ 

2»  ed.,  p.  258  (Cipro);  Colini.  Boll. 

tn.,  XXVII.  tav.  1, 

fig.  g  1  Italia). 

(8)  Di   egual    provenienza    il    Mus. 

;o   conserva  una  punta  di 

treccia  Ji   bronzo,    con    alette    (inv.    il 

IV.    n.   96     lunga  mm.  95, 

che   pare     . 

.  di  Paletn..  XVI,  p.  f>. 

d:  Paletn.,  XVI,  p.  m. 

./,    Paletn.,  XVI,  p.   49- 

scavi  del  traforo  della  ferrovia.  È  di  un  tipo  molto 
semplice,  ovvio  fra  di  noi,  e  ripetuto  anche  in 
piccoli  esemplari  di  uso  religioso,  che  insieme  a 
quello  rappresentato  dal  numero  precedente  -  sup- 
plisce in  Sicilia  il  paalstab  mancante  »  e  si  riferisce 
agli  strati  della  fine  dell'età  del  bronzo  e  primis- 
simi tempi  del  ferro  (1); 


cuni  esemplari  che  vanno   attribuiti  al  II  e  HI  pe- 
riodo di  Orsi  (3). 

Dobbiamo  da  ultimo  accennare  ad  alcuni  crani 
umani  e  frani  nenti  di  armi  di  ferro,  fra  cui  una 
punta  di  lancia,  rinvenuti  nel  1881  nel  sottosuolo 
del  R.  Educatorio  Maria  Adelaide  in  Palermo,  che 
trovarono  posto  in  questa  raccolta,    perchè   allora 


n.  78.  Punta  di  lancia  di  bronzo  a  cannone, 
con  alette,  lunga  complessivamente  cm.  13,  pro- 
veniente da  Castrogiovanni  (fìg.  7  e»;  è  di  una 
forma  largamente  diffusa  nella  civiltà  del  bronzo 
di  tutta  Europa  (2).  In  Sicilia  se  ne  conoscono  al- 


erà di  moda  parlar  di  Fenici  antichissimi  ;  ma 
quei  sepolcri  costituiscono  la  necropoli  di  Panormo 
punica  non  più  antica  del  sec.  v  av.  Cr.  (1). 

Biagio  Pace. 


(i)  ORSI,  Boll,  d,  Palrln..  XXV'I.  p.   167,  tav.  XII 
RIZZO,  ivi.  XXIII.  tav.  V,  2.   ecc. 

[a)  <  ti.    ad    es,       MONTEL1US,     /'"'   CI,,, in.    dei     . 

■   ih  Nord  Deutschland,   Jooo,  p.  50.  lig.  1 

u)  RIZZO,   Boll,  d,  Palttn.,  XXIII,  tav.  V,  ti n.  ij 


(4)  Questa  necropoli,  poco  studiata,  si  stende  con  le  sue 
camerette  sotterranee,  lungo  il  Corso  Calatatimi  da  Piazza  Indi- 
pendenza in  su.  Per  le  antiche  scoperte  cfr.  la  bibliografia  in 
Di  Giovanni.  Top.  antica  di  Palermo,  Pai.,  iS8g.  p.  160.  Vedi 
oltre,  Noi.  degli  Scavi,  1887,  p.  428;  1395,  p.  aio. 


IL  TEMPIO  DI  AFRODITE  VRANIA   IN   ATENE 


Riferisce  Pausarli. i  che  in  Atene,  presso  il  tem- 
pio di  Efesto,  si  trovava  il  santuario  di  Afrodite 
Urania,  con  una  statua  marmorea  della  dea,  o- 
pera  di  Fidia,  e  dopo  aver  narrato  le  origini  orien- 
tali di  questo  culto,  afferma  ch'esso  fu  introdotto 
in  Atene  da  Egeo,  il  mitico  re  figlio  di  Pandione.  (1) 

Con  una  delle  abituali  violenze  al  testo  del  pe- 
riegeta  si  è  pensato  che  questa  leggenda  debba  ri- 
ferirsi a  quell'altra  Afrodite  Urania  della  regione 
dell' Olimpieio  èv  xr,-oi;  (cfr.  gli  autori  citati  da 
Dùmmler,  Aphrodite,  in  Pauly-Wissowa,  R.  E.,  I, 
2733).  Ma  il  ricordo  che  si  ha  di  altre  memorie 
di  Egeo  in  quel  quartiere,  non  ci  può  autorizzare 
a  questa  arbitraria  correzione;  non  si  vede  infatti 
perchè  tutte  le  memorie  di  un  personaggio  mitico 
debbano  necessariamente  essere  riunite  in  un  solo 
posto,  quando  sappiamo  altronde  che  l'heroon  di 
Egeo  sorgeva  sulle  pendici  meridionali  dell'Acro- 
poli (cfr.  il  mio  scritto  Aigeus,  in  R.  C.  dell' Ac- 
cad.  dei  Lincei,  ci.  di  se  morali,  1915  p.  473  seggi. 
Dobbiamo  pertanto  attribuire,  con  Pausania,  al  san- 
tuario presso  il  tempio  di  Efesto,  la  leggenda  re- 
lativa ad  Egeo. 

L'indicazione  assai  vaga  del  periegeta,  non  ha 
permesso  di  identificare  il  sito  del  nostro  tempio. 

Non  è  infatti  da  credere  ch'esso  vada  cercato 
nel  tratto  compreso  fra  il  t.  di  Efesto,  riconosciuto 
ormai  nel  cosidetto  Theseion,  ed  il  portico  Pecile 
alla  cui  descrizione  si  passa  subito  dopo  ;  poiché 
Pausania  è  solito  col  Kkrpiov  indicare  una  vici- 
nanza relativa  rispetto  al  punto  di  riferimento, 
nel  caso  nostro  al  t.  di  Efesto,  anche  in  tutt'altra  di- 
rezione di  quella  seguita  nella  periegesi.  Mancando 
ogni  altro  più  preciso  riferimento,  gli  studiosi  di  an- 
tica topografia  ateniese  si  sono  perciò  limitati  ad 
indicare  approssimativamente   il  sito  nell'agorà  o 


nelle  vicinanze:  it  probably  stood  on  the  marked  Hill, 
dice  il  Frazer  (Coment,  on  Pausanias  eie,  voi.  Il, 
128),  mentre  lo  Judeich,  ancor  più  vagamente  lo 
colloca  nelle  vicinanze  W.  della  collina  del  mercato 
{Topogr.  von  At/ien,  p.  328).  A  me  sembra  però 
di  poter  cavare  un  indizio  topografico  al  di  fuori 
dalle  fonti  scritte  e  degli  avanzi  monumentali. 


Dalla  collina  detta  delle  Ninfe,  oggi  dell'Osser- 
vatorio, che  s' eleva  a  modesta  altezza  nella  re- 
gione occidentale  di  Atene,  si  protende  verso  la 
spianata  del  xoXtovòs  «700010;  (cioè  in  sito  che  è 
davvero  reX^atov  al  tempio  di  Efesto),  una  roccia 
chiamata  'Ayta  Mapiva  dalla  piccola  chiesa  che  vi 
sorge  sopra.  L'angolo  sud-est  di  questa  roccia, 
presenta  una  superlìce  levigata,  da  cui  le  donne 
Ateniesi  hanno  l'abitudine,  od  almeno  l'avevano 
fino  a  pochi  anni  addietro,  di  lasciarsi  scivolare 
reputando  quest'atto  come  un  efficace  rimedio  ma- 
gico contro  la  sterilità  (2). 

Se  ricordiamo  che  la  leggenda  ateniese  riferita 
da  Pausania,  riconnetteva  la  fondazione  del  tempio 
di  Afrodite  Urania  col  desiderio  di  Egeo  di  avere 
discendenti,  onde  è  chiaro  che  gli  antichi  Ateniesi 
dovevano  vedere  nella  dea  di  quel  santuario  una 
patrona  della  fecondità,  non  stenteremo  a  convin- 
cerci che  la  moderna  superstizione  ci  rappresenti 
forse  un  avanzo  dell'antico  culto  locale  di  Afro- 
dite e  che  perciò  la  cappella  dell'Agia  Marina  se- 
gni approssimativamente  il  sito  del  tempio  che  si 
diceva  fondato  da  Egeo. 

Questa  induzione  non  può  sembrare  arbitraria 
ove  si  consideri  che  l'indiscutibile  sopravvivenza 
di  motivi  pagani,  non  soltanto  è  provata  in  linea 


(o  7c).r,<riov  'A  Ispóv  Èttiv  'AspoSttr,;  Ovpavia;  .  .  .  . 

'A6r,vaioi;  5s  ■/. ititt^tit'j  A'.vì'J:.    i'j;'.t   - 

~XiKlZ     VOU.Uf.)V    —     OU    YÌC    -'■>    T'i    Ti    r.Ttv    —    /.al    Ta".: 

'aSsXsaì;  -iiì^'ir:  rr,v  <rJ[i.30pày  Ex  •i.rt'i':\ix'rr.  -.1,:    O'j 
patvia;.  tòòè  is'  i:.><">  ".-.:  i-;a/va  UBou  flapiQ'J 


'l>£'.v.o\>.   *Wjh:   5s   ::pò;   ty,v 

tt'ìÌv    (XW/ùr^)  ...    Pausa- 

(2) Quest"  usanza    di  cui    alme 

no  il    ricorda    è  ancor  vivo  -.ul 

■     ■".  1  ari.,  he   :  \i  ■  't da t.i   11 

i  molti  libri,  tri.  ,tJe*-.   Lolling, 

in  Baedeker.   Grece,  p.  73     Varv 

aro-Pojero.  Rie.  .;' 

Firenze,  Barbera.   iSgo,  p,  442. 

"5 


generale  in  molte  pratiche  popolari  di  carattere 
magico,  fra  cui  mi  piace  ricordare,  perchè  si  rife- 
riscono ad  Atene  e  son  poco  noti,  certi  misteriosi 
riti  propiziatori  del  fato,  compiuti  daile  donne  a- 
tiuicsi  ancora  sotto  il  dominio  ottomano,  e  de- 
scritti dal  nostro  Pomardi,  nel  suo  prezioso  Viag- 
gio in  Grecia  (voi.  I  p.  154  segg.  Roma  1820); 
ma  ancora  che  queste  sopravvivenze  si  riscontrano 
quasi  sempre  in  relazione  con  luoghi  del  culto 
Cristiano.  E  questo  un  fatto,  ammesso  largamente 
anche  da  scrittori  cattolici  Ira  i  quali  basta  ricor- 


dare il  p.  Delahaye.  Per  non  uscire  dalla  Grecia, 
meglio  che  ricordare  particolari  esempi  che  ci  ver- 
rebbero forniti  in  larga  misura,  soprattutto  dalle 
fontane  sacre  dell'antichità  classica  (son  celebri  le 
leggende  moderne  sul  fonte  delfico  delle  Castalie 
cfr.  Bourguet,  Les  ruines  de  Delphes,  p.  294),  rinvio 
ad  un  notevole  articolo  largamente  documentato 
di  G.  N.  Politis,  su  "  l'importanza  delle  Chiese 
greche  per  il  riconoscimento  dei  templi  antichi,,  (1). 

B.  Pace. 


n  »  AaoYpafia,  BeXtiov  t^;  éXXtjvix?)?,  Xaoypaiptxrjs  sxat- 
póia:,  Atene  iqw.  A*  12-21.  Cfr.  anche  dello  stesso  autore 
MtXhxi    Titpì  to'j   pioy  y.ai  t^;  y) ''"777;;  xoù   ÉXXv|vnioiJ 


Xaoù:  Il  zpaSótTStC,  Atene  1904,  n.  123.  19:,  205  etc;  Pkrrot, 
Ann.  </<-  tass.  pour  /' encouraR.  des  ètud,  Grecq..  I8--4,  p. 
404.  etc. 


NVOVO   E    SINGOLARE    ESEMPIO 
DELL'ANTICHISSIMO   RITO   DELL' «  OSSILEGIVM  » 

PRATICATO  SOPRA  V\'A  STATVETTA  DI   BRONZO 


Il  caso  che  mi  accingo  ad  esaminare,  si  presenta 
fino  ad  ora  unico  e  di  carattere  veramente  ecce- 
zionale nella  storia  del  rito  funebre  e  religioso 
degli  antichi. 

Circa  tre  anni  addietro,  in  Chieti  ebbi  occasione 
d'acquistare,  per  la  mia  privata  collezione,  una  sta- 
tuetta di  bronzo  contenente  una  peculiarità  assai 
notevole  e  curiosa,  della  quale  sino  ad  oggi  non 
si  era  riscontrato  esempio  in  altre  consimili  figu- 
rine, abbastanza  comuni.  Dalle  informazioni  as- 
sunte, che  la  dicevano  proveniente  da  Manoppello, 
e  più  specialmente  dal  tipo  molto  somigliante  a 
quello  d'un  esemplare  conservato  nel  Gabinetto 
Archeologico  di  Vasto,  sono  indotto  a  supporre 
che  la  statuetta  sia  stata  realmente  rinvenuta  in 
qualche  paese  dell'Abruzzo  chietino. 

L'originale  è  alto  era.  12  e  mezzo  e  rappresenta 
un  guerriero  seminudo,  nell'atto  d'impugnare  la 
lancia  con  la  mano  destra  che  tiene  sollevata. 
La  parte  mediana  del  corpo  è  coperta  dal  costume 
succinto  dei  guerrieri  primitivi,  cioè  da  un  breve 
cìnctus  o  rc£pi£<ofi.a,  sostenuto  all'  estremità  dalla 
mano  sinistra  che  vi  si  nasconde  sotto.  La  testa 
di  forma  allungata,  elissovoidale,  arieggia  il  tip.. 
negroide,  anche  per  la  ricciutezza  dei  capelli,  seb- 
bene forse  tutto  il  complesso  della  figura  tenda  a 
rappresentare  un  personaggio  della  razza  sannitica, 
dall'aspetto  adusto  e  membruto.  (Vedi  appresso, 
fig.).  Quello  che  v'ha  di  peculiare  e  di  eccezionale 
in  questa  figurina  dij'guerriero,  è  un  piccolo  foro 
praticato  in  mezzo  al  torace,  da  cui  si  scopre  una 
non  molto  ampia  cavità,  nell'interno  della  quale 
è  situato  un  frammento  d'ossicino  che,  per  la  sua 
piccolezza,  potrebbe  assomigliarsi  alla  falange  d'un 
dito  mignolo  della  mano  o  del  piede. 

Che  si  tratti  di  un  osso,  non  può  mettersi  in 
dubbio,  avendone  fatta  praticare  l'analisi  microsco- 


pica sopra  una  molecola  distaccata.  E  nemmeno 
può  nascere  il  sospetto  che  il  foro  che  si  scorge  sul 
petto  della  figurina,  sia  prodotto  di  casualità  e  non 
praticato  a  scopo  intenzionale,  poiché  esso  pro- 
viene dall'assottigliamento  del  metallo,  ottenuto 
mercè  l'impiego  d'una  lima  ;  e  le  traccie  di  questa, 
abbastanza  visibili,  sono  coperte  dalla  stessa  pa- 
tina verde-smalto.  Sicché  la  parte  limata  e  la  con- 
seguente apparizione  del  buco,  rivelano  fattura  pri- 
mitiva, assolutamente  intenzionale,  dovuta  a  pratica 
rituale,  >imbolica  o   religiosa. 

L'ossicino  contenuto  nel  cavo  toracico,  rappre- 
senta evidentemente  una  reliquia,  molto  somigliante 
alle  reliquie  cristiane  che  siamo  soliti  osservare  in 
quelle  teche  di  metallo  o  di  legno  costituite  da 
mezzi  busti  di  santi,  aventi  in  mezzo  al  petto  una 
apertura  munita  di  sportellino. 

Il  fatto,  sinora  unico,  ha  carattere  di  somma  im- 
portanza, come  vedremo,  per  la  storia  del  rito  fu- 
nebre primitivo,  dipendente  dal  culto  per  gli  avanzi 
sacri  del  defunto. 

Com'è  noto,  la  credenza  nella  virtù  inerente  al 
corpo  d'un  morto,  la  quale  consente  anche  l'effi- 
cacia soprannaturale  di  ciò  che  gli  appartenne,  co- 
stituisce il  principio  superstizioso,  comune  ai  po- 
poli primitivi,  dal  quaie  emana  il  culto  delle  reliquie. 
Assimilarsi  la  virtù  del  defunto  mediante  il  con- 
tatto o  la  presenza  di  tutto  ciò  che  fu  suo,  è  un  i 
pratica  di  substrato  animistico,  di  cui  non  man- 
cano esempi  nella  stessa  religione  neolitica.  Ed  il 
più  importante  è  costituito  dell'uso  amuletico  delle 
rolelle  craniche,  ovvero  delle  ossa  craniali  ricavate 
dal  teschio,  mediante  la  trapanazione,  e  portate 
addosso  come  reliquie  o  amuleti  atti  a  prevenirsi 
da  quella  stessa  malattia  che  il  morto  aveva 
avuta,  che  fu  già  detta  <  la  malattia  sacra  il). 
Ma  non  delle  sole  rotelle    craniali    erano   muniti  i 


■ 
amuleltes  cran  ■      ■  <••     (in     Congress. 

Intera.  d'Archéol.  Préhist.  (Vili).  Budapest,  [876,  p.  101  etsuiv.)- 


RIMI  L.    Le  pi 


Manuel  d 


.  —  Pico- 


l'I 


pendagli  neolitici;  vi  facevano  parte  anche  i  denti 
del  morto  ed  altri  frammenti  delle  sue  ossa  (1). 
Un'altra  pratica  di  carattere  identico,  dalla  quale  è 
anche  manifesto  il  culto  prestato  alle  reliquie  del 
defunto,  era  poi  quella  della  scarnitura  e  coloritura 
delle  ossa  del  cadavere  (cranio  di  Scurcola). 

Queste  manifestazioni  religiose  rivelano,  sopra- 
tutto presso  i  popoli  neolitici,  la  credenza  nelle 
virtù  magiche  delle  reliquie,  considerate  come  amu- 
leti o  talismani,  ed  il  culto  dei  morti  ritenuto  come 
fede  nella  sopravvivenza  dell'anima.  La  virtù  che 
si  assorbe  dai  resti  del  morto,  divenuto  essere  di- 
vino, era  considerata  dagli  antichi  quale  veicolo 
del  potere  soprannaturale. 

La  continuità  di  questo  principio  si  rinviene  an- 
che oggi  presso  le  altre  religioni  dei  popoli  sel- 
vaggi :  «  Non  v'è  differenza  (osserva  il  Clodd)  per 
il  selvaggio  che  porta  seco  il  teschio  del  suo  an- 
tenato come  amuleto  o  sede  di  oracolo,  e  il  bud- 
dista che  pone  le  reliquie  dei  santi  nel  topè,  e  il 
cattolico  che  depone  i  frammenti  dei  santi  o  dei 
martiri  entro  l'altare  che  la  loro  presenza  santifica, 
mentre  la  madre  conservando  pietosamente  i  ca- 
pelli del  bambino  morto,  è  esempio  della  vitalità 
dei  sentimenti  derivati  dalle  fonti  perenni  della 
umana  natura      (2). 

Secondo  il  principio  animistico  primitivo,  comune 
oggi  ai  selvaggi,  l'individualità  del  morto  si  con- 
fonde con  i  suoi  resti  mortali,  e  lo  spirito  dei  tra- 
passati abbandona  l'altra  vita  per  venire  a  rianimare 
il  proprio  cadavere.  Presso  i  Caraibi  si  credeva  che 
l'anima  d'un  trapassato  potesse  albergare  in  uno 
dei  suoi  ossi.  Si  soleva,  perciò,  prendere  uno  di 
tali  ossi,  invilupparlo  di  cotone  e  conservarlo  come 
oracolo.  Da  siffatti  pregiudizi,  osserva  il  Tylor,  ne 
deriva  che  «  ces  restes  humains  deviennent  des 
fétiches  habités  par  les  àmes  que  Ics  animaient 
autrefois,  ou,  tout  au  moins,  qu'ils  sont  encore 
plac  s  sous  l'influcnce  de  ces  àmes,  on  pourra 
s'éxplìquer  de  facon  raisonnable  le  eulte  des  reli- 
ques  qui  est  autrement  très-obscur  »  (3). 

Queste  credenze  si  riannodano,  senza  dubbio, 
alle  dottrine  dell'esistenza  futura  e  della  resurre- 
zione dei  corpi.  Tanto  presso  i  popoli  primitivi  che 
presso  le  razze  selvagge  presenti,  i  resti  del  corpo 
si  compongono  talora  d'un  osso  solo  o  frammento 
di  osso,  talora  dell'intero  corpo  disseccato  o  mum- 
mificato. La  ragione  pratica  di  tale  uso  di  conser- 


vare per  venerazione  i  resti  mortali,  è  fondata  so- 
pratutto nella  credenza  che  l'anima  viene  spesso 
a  visitare  il  corpo,  concetto  espresso  dai  neolitici 
con  le  aperture  praticate  nei  dolmens,  sotto  i  quali 
è  interrato  il  cadavere. 

Ma  lino  a  qual  punto  si  può  stabilire  un  rap 
porto  fra  la  conservazione  delle  reliquie  del  morto 
e  l'idea  della  resurrezione  dei  corpi,  tanto  fra  le  razze 
indigene  presenti,  che  fra  i  popoli  della  preistoria, 
dell'Egitto  e  delle  altre  regioni  del  mondo  antico? 
È  qui  .sto  un  problema  che  allo  stato  dei  fatti  non 
è  facile  risolvere.  Il  Tylor  appellandosi  alla  dottrina 
della  metempsicosi,  richiama  a  tale  proposito  l'at- 
tenzione sulla  credenza  nella  trasmigrazione  delle 
anime  in  un  nuovo  corpo  umano,  ciò  che  costi- 
tuisce una  risurrezione  terrestre.  Mettendo  la  qui- 
stionc  sotto  uno  stesso  punto  di  vista,  si  potrebbe 
sostenere  che  la  resurrezione  dei  corpi,  sia  in  cielo 
che  negli  inferni  dell'antica  mitologia,  non  è,  dopo 
tutto,  che  una  trasmigrazione  di  anime.  Ciò  si  rende 
evidente  dai  sistemi  religiosi  delle  razze  superiori, 
ove  siffatte  dottrine  sono  più  chiaramente  definite 
ed  acquistano  un  senso  più  pratico.  Il  Rig  Veda 
parla  espressamente  della  risurrezione  dei  corpi  e 
ragiona  del  morto  come  d'un  essere  glorificato  il 
quale  riveste  le  proprie  spoglie  (tana),  e  promette 
all'uomo  giusto  di  rinascere  nel  mondo  futuro  col 
proprio  corpo,  tutto  intero  (sorvatanù).  Presso  il 
brahmanismo  e  il  buddhismo  la  reincarnazione  dei 
corpi  abitanti  nei  diversi  cieli  e  nei  diversi  inferni, 
costituisce  tanti  casi  particolari  di  trasmigrazione. 
Anche  la  dottrina  persiana  relativa  alla  resurrezione 
dei  corpi,  che  alcuni  autori  hanno  voluto  rilegare 
alla  dottrina  giudaica,  è  tuttora  di  origine  abba- 
stanza oscura  (1|. 

Ma  sorvolando,  nel  caso  presente,  a  siffatte 
quistioni  metafisiche,  giova  riflettere  che  nel  con- 
cetto primitivo  gl'idoli  non  costituiscono  soltanto 
l'immagine  del  trapassato,  ma  la  custodia  del  suo 
corpo  stesso.  Presso  gli  Egiziani  la  mummia  era 
custodita  nella  sua  cassa  la  quale  nascondeva  i 
tratti  della  persona  defunta.  L'immagine  di  Amem, 
di  Khem,  di  Osiride,  di  Ptah  è  abitualmente  quella 
di  una  mummia  nella  sua  cassa.  Di  solito,  nell'an- 
tico concetto  funerario,  l'idolo  che  deve  rappresen- 
tare il  defunto,  e  ne  contiene  tutta  o  una  parte  del 
corpo,  prende  addirittura  il  posto  di  quello.  Presso 
i  selvaggi    primitivi,    nel   Vucat.m,    si    costruivano 


(i)  CarTAILHAC:   Distribution 

ì      vi    n  (Coner.  Int.  J'Anthrop.   Paris.  1S67.P,  188), 

l'i  1    li •     !..    p.    574-711. 

(2)  Clodd  E.:    I  I 1  ad.    Nobili. 

Torino,  Bocca,   iqoo,  p.   s8. 


i;i  TYLOR  E  li  .  La  civilisation  primitive,  TraJ.  Barbier. 
Paris,    1878.   tom.   II.   p.    ro7. 

(ti  lue»,  ivi.  p.  25  et  suiv.  Cosi  per  l'individualità  decli 
Idoli  contenenti  i  resti  del  morto  e  l'anima  dei  trapassati,  ved.  ivi. 


degl'idoli  di  legno,  rappresentanti  gli  antenati,  e  vi 
si  mettevano  dentro  le  ceneri  o  qualche  resto  del 
corpo.  Queste  immagini  poi  si  collocavano  nel  la- 
rario domestico. 

Fra  le  popolazioni  primitive  dell'Africa,  della 
razza  dei  Bantu,  si  usava  conservare  nell'abitazione 
una  particella  o   reliquia  del    corpo  degli  antenati 


di  uomo,  e  sopra  di  esso  erano  eretti  dei  tem- 
pli. In  altri  casi,  afferma  Io  Spencer,  si  procedeva 
all'adorazione  delle  reliquie,  insieme  con  la  figura 
rappresentativa,  non  per  inclusione,  ma  solo  per 
prossimità. 

I  messicani  antichi  usavano  anche  di  bruciare  il 
corpo  del  loro  re  defunto  e  dopo  averne  raccolte  le 


dentro  statuette  alle  quali  si  facevano  anche  offerte 
funerarie  (  1). 

Spencer  ha  raccolto  molti  esempì  importanti  di 
questo  stadio  di  transizione  tra  il  cadavere,  la  mum- 
mia e  l'idolo  che  li  rappresenta  o  li  sostituisce.  Gli 
antichi  Messicani,  che  seguivano  il  rito  della  crema- 
zione, usavano  bruciare  il  loro  capo  defunto,  e  dopo 
averne  impastate  le  ceneri  con  sangue  umano,  ne 
facevano  un  idolo  che  rappresentava  il  trapassato 
stesso.  Qualche  volta,  come  nel  Yucatan,  le  ceneri 
venivano  collocate  in  un  ricettacolo  d'argilla  in  forma 


(1)  s(  uni  mi  s  W  .  Di  R,  ligi  m  d,  ?  Afi 
vòlt  >.  iYlunsrer,  iSqi.  —  Achelis  Th..  / 
.\raturvò'lkei   un  Cwriss,    Lipsia.   1909. 

(3)  Cfr,   GRANT-ALI  EN,   L  •-. 
indagine  sull'otigine  delle  religioni,    frad. 
Bocca,    ioli,  p.   71    e    sgg.    (Dal  cullo  dei   n 


miselien  .Valli 


ossa  combuste,  i  gioielli,  ecc.,  costruivano  una  figura 
vestita  dinanzi  alla  quale,  come  pure  dinanzi  alle 
reliquie,  deponevano  le  loro  offerte.  È  un  fatto  in- 
negabile, osserva  il  Grant  Alien,  che  la  cremazione 
presso  tutti  i  popoli  si  prestava  ad  una  spontanea 
sostituzione  di  una  imagine  al  cadavere  effettivo. 
Cosi  sui  sarcofagi  di  pietra  o  di  terracotta  degli 
Etruschi,  i  quali  contengono  le  ceneri  dei  morti, 
si  vede  il  ritratto  del  defunto  coricato  come  ad  un 
banchetto,  con  una  coppa  in  mano  (2). 
Tralasciando   adesso    i    popoli    della    preistoria, 

gine  dell.i  credenza  religiosa  presso  tutti  i  popoli      —CAPITAN 

aci   '.         dans    r  \mhique   antistiti,      in  Conf.  Guimet, 

n    XXXII    della  liibl.   de  Vulgarisation).  —  HAMY,    <  royancei 

et  pratici  ■   n     <>    Mexicaim  (in  Coni    cit..  n.  XXV 

cit.)  e.l  altri  autori  ricordati    J.n  Li  11  al  [Lei  antig 


24 


presso  i  quali,  come  abbiamo  visto,  il  culto  dei  resti 
mortali  aveva  per  iscopo  di  assimilarsi  le  virtù  già 
inerenti  al  trapassato,  sappiamo  che  presso  gl'Indo- 
europei, fin  dal  scc.  vi  a.  C,  vigeva  l'adorazione 
delle  reliquie.  Il  rito  dell'inumazione  aveva  ceduto 
ben  presto  a  quello  della  cremazione,  ed  il  culto 
dei  morti,  attraverso  la  religione  degli  Arii  del- 
l'India, secondo  la  testimonianza  dei  Rig-Véda  e 
del  libro  di  Manu,  era  considerato  come  il  più  an- 
tico che  l'uomo  abbia  avuto.  Da  esso  trassero  ispi- 
razione i  Greci,  gli  Etruschi,  i  Latini,  i  Sabini  ed 
altri  popoli  italici  (1).  I  morti  erano  tenuti  come 
tanti  esseri  divini  sotto  l'aspetto  di  I.ares,  Manes, 
Genti,  e  la  loro  virtù  era  parificata  a  quella  dei  de- 
moni od  eroi  greci  (2),  Dionigi  d'Alicarnasso  tra- 
duce Lar  familiaris  per  '•  z/.'  oìxiav  i  y-<:  (3). 

L'uso  di  riconoscere  la  santità  e  l'effii 
resti  mortali,  sempre  sotto  l'aspetto  di  reliquie,  si 
rinviene  largamente  presso  i  Greci  (t).  Per  gli 
Etruschi,  invece,  quello  di  sovrapporre  l'immagine 
del  defunto  ai  sarcofagi  che  ne  contenevano  le  ce- 
neri, corrisponde,  ccìme  abbiamo  visto,  alla  spon- 
tanea sostituzione  d'una  effigie  del  defunto  al  cada- 
vere eflettivo.  Però  un  esempio  abbastanza  signi- 
lu  itivn,  paragonabile  a  quello  della  nostra  figurina, 
m'induce  a  credere,  che  in  realtà  l'uso  di  staccare 
qualche  osso  dal  cadavere  per  includerlo  in  una 
imaginctta  o  simulacro,  fosse  comune  anche  a  quel 
popolo.  Infatti  nel  Musco  Civico  di  Perugia  si  con- 
serva una  statuetta  etrusca  o  prectrusca  in  ambra, 
raffigurante  un  bambino,  dell'altezza  di  circa  7  cent., 
la  quale  posteriormente  presenta  una  cavità  rettan- 
golare clic  doveva  essere  chiusa  da  una  tavoletta 
pure  in  ambra  e  nella  quale  era  forse  conservato 
qualche  ossicello  o  reliquia  del  bambino  (5). 

Non  conosciamo  altri  esempi  del  genere;  ma  ad  un 
rito  analogo  di  consacrazione  postuma  dei  resti  del 
morto,  ci  richiama  i'ossilegium  dei  romani,  il  quale 
succedeva  alla  cremazione.  Questo  rito  era  invalso 
anche  presso  gli  altri  popoli  italici,  come  lasciano 
supporre  i  resti  di  alcune  tombe  a  cremazione  del- 
l'Alta Italia,  nelle  quali  si  rinviene,  insieme  agli 
avanzi  di  carboni  situati  in  fondo  del  bustum,  l'urna 


contenente  i  resti  staccati,  segno  evidente  che  il 
rito  dcWossilegium  era  stato  praticato  (fi). 

Ora  la  presenza  dell'os  resectum  del  cavo  to- 
racico di  una  statuetta,  dovrà  considerarsi  come 
effetto  del  rito  deWossilegium,  ovvero  è  conse- 
guenza di  un  culto  puro  e  semplice  prestato  alle 
reliquie,  secondo  il  concetto  animistico  più  sopra 
ricordato  ? 

La  quistione  è  difficile  a  risolversi,  trattandosi 
d'un  caso  che  si  presenta  finora  unico. 

Nel  suo  carattere  mistico  ed  artistico  la  nostra 
figurina,  fornita  di  reliquia,  dovrebbe  corrispondere 
a  quella  dei  Lemures  latini,  le  cui  immagini  po- 
polavano il  sacrario  familiare.  La  presenza  del- 
l'os resectum,  contenuto  nel  cavo  del  petto,  farebbe 
supporre  di  esser  derivata  in  seguito  alla  cerimonia 
dell'incinerazione  ed  al  conseguente  rito  ddl'ossile- 
gium  ;  con  questa  differenza  però,  che  all'umetta 
oppure  al  vasetto  destinati  a  contenere  l'osso,  si 
sarebbe  sostituita  una  figura  del  defunto,  che  do- 
vrebbe esserne  ['imago  familiaris.  In  questo  caso 
però  la  pratica  ordinata  dal  rito  pontificale  romano 
glebam  in  os  injicere)  come  mezzo  indispensabile 
di  purificazione,  sarebbe  venuta  a  mancare,  e  la 
figurina  con  \'os  resectum  non  sarebbe  già  stata 
seppellita  con  gli  altri  resti  incinerati,  ma  avrebbe 
fatto  parte  del  larario  domestico, 

È  verosimile  tutto  questo?  In  altri  termini,  l'os- 
sicello  contenuto  nell'imago,  è  da  considerarsi  come 
simbolo  di  lustrazione  familiare,  secondo  il  con- 
cetto derivato  dal  rito  dell' ossilegium,  ovvero  cor- 
risponde ad  un  avanzo  sacro  dell'individuo  de- 
funto ? 

Com'è  noto,  \'os  resectum  non  costituiva  una 
reliquia,  ma  simbolizzava  una  cerimonia.  Infatti 
l'ossilegio  era  strettamente  connesso  al  rito  della 
cremazione  come  sopravivenza  di  quello  precedente 
della  inumazione.  Fin  dal  sec.  vi  a.  C.  e  dal  principio 
del  v,  tanto  nell'Etruria  meridionale  che  nel  Lazio, 
i  due  riti  dell'inumazione  e  cremazione  procedono 
di  pari  grado.  Al  v  secolo,  secondo  il  testo  delle 
XII  tavole,  i  due  termini  sepelire  e  urere  si  leggono 
promiscuamente  (7).   Quando    l'inumazione  fu  ab 


(i)  Sopra  il  culi"  del  morii,  ved  FUSTEI  DE  i.oulanges, 
l.u  citi  antique,  al  cap.  II.  —  De  Milloi  i  I  .  i  ultes  et  ci- 
rimonies  ni  Vhonneur  dei  morti  dans  V  Extrème  Orient  ,in 
Cunf.  au  Mus.  Guimtt.  1807-001).  Paris,  IQ03.  pp.  133-50.  — 
■  PAULUS,  Le  eulte  dei  morti  dans  VAnnam  et 
iipari  uu  culle  dei  ani 
Vantiquili  Paris,    1895.    Per  gli  Egiziani  e  per  l 

Semiti,  cfr.  i    lavori  dell' Amelineau.  Jet  GolJziher,  del  Delaltre. 
JeMiu>;rinot  e  segnatamente  il  B0U1  H 
Paris,  Hachette,  igoo,  eh.  I. 


(2)  Ved.  Cu:..  De  leg.  II.   g.   22.  —  S.  AUGUST.,  De  Civ. 
lì;  Vili.  26. 
■     ,,.,.;.   IV.   2. 
U)  Ved.  PFISTER  F.,  />■■•  Reliquienkult  im  Altertum.  1  «  Dos 
Obiekt  de*  ReKquienskutles  ».  Giessen,   iqoq  ii£  il  voi,  V  Jella 
colle*.    R.  V.    V),  <_tr.    anche    K     In.  Pyl.    Ih,   griechùcne* 
Rundbautcn.  Grelfswald,   1^';.  p.  62. 

eia  comunicatami  dal   eh.  Prof.  Giuseppe  Bellucci. 

(6)  MOAUISBN-MaRQUaRDT,  La    vie  firmie    dei   Romains. 

mry.   l'aris.   isqi,  pai;.  446.  n.  1. 

(7)  ClC.  De  /<■.<!..  11.  23,  58. 


25 


bandonata,  il  diritto  pontificale  romano  introdusse 
l'ossilegio  sotto  forma  di  piaculum,  cioè  ridi  es- 
senziale di  tutti  i  funerali.  Ma  tale  prescrizione 
riposa  unicamente  sopra  il  ricordo  derivato  da- 
rito  anteriore  dell'inumazione;  essa  infatti  non  col 
stituisce  che  l'atto  espiatorio  per  avere  omesso  di 
gettare  il  pugno  di  terra  sul  cadavere  insepolto  : 
concetto  primitivo,  antichissimo,  di  cui  il  rito  del- 
l'ossilegio  non  è  che  una  sopravvivenza  il). 

Vos  resectum  non  aveva,  dunque,  carattere  di 
reliquia  privata  da  asportarsi  dal  cadavere  per  uso 
di  venerazione  familiare,  ma  doveva  essere  sep- 
pellito a  parte,  poiché  senz'adempiere  alla  cerimonia 
buttarvi  sopra  la  gleba,  la  famiglia  del  morto 
continuava  a  rimanere  funesta.  L'uso  o  culto  delle 
reliquie  familiari  non  ha  per  conseguenza  alcun 
rapporto  col  rito  dell'ossilegio.  Questo  non  con- 
sentiva che  l'ossicello  venisse  asportato,  perchè 
doveva  necessariamente  partecipare  ad  una  novella 
cerimonia,  cioè  venire  interrato  subito  appresso  alla 
cremazione  del  corpo,  nelle  feriae  denicales.  Senza 
di  che,  come  si  è  detto,  la  famiglia  continuava  ad 
essere  funesta  :  «  Neque  necesse  est,  edisseri  a 
nobis,  qui  finis  funestile  familiae,  quod  genus  sa- 
crifica Lari  vervecibus  fiat,  quemadmodum  os 
resectum  terra  obtegatur     (2). 

Tutto  ciò  è  naturale,  anche  perchè  nel  rito  fune- 
rario primitivo  è  fondamentale  il  concetto  che  il 
cadavere  debba  venire  seppellito  in  tutta  la  sua  inte- 
grità, né  deve  lasciarsene  un  avanzo  qualsiasi  in- 
sepolto. Appena  morto  l'individuo,  incominciava 
per  lui  un'altra  vita  sotterranea,  la  quale  non  era  che 
la  continuazione  della  sua  vita  mortale  :  Sub  terra 
censebant  reliquam  vitam  agi  mortuorum  •  3  ). 
La  preoccupazione  degli  antichi,  specie  nelle  re- 
gioni dell'Oriente,  era  quella  che  il  cadavere  sep- 
pellito   mancasse    di    alcuna    delle    sue   parti.  Nel 


testo  funerario  egiziano  era    prescritto    eli 
fosse  interrato    al   completo  di  tutti  i  membri.  «  Il 
faut  (dice  il  Pierret)  qu'aucun  membre,   qu'aucune 
substance  ne  manque  à  l'appel  ;  la  renai 
à  ce  prix  ■  (4). 

Questo  principio,  costante  anche  presso  tutte  le 
religioni  italiche,  prodotto  dal  sincretismo  orientale, 
basterebbe  a  determinare  il  dubbio  che  l'ossicello 
frammentario  contenuto  nel  cavo  della  nostra  sta- 
tuetta, non  sia  propriamente  una  reliquia  d'essere 
defunto,  staccata  dal  cadavere  e  destinata  a  scopo 
di  venerazione  o  ricordo  familiare.  Ma  ritornando, 
in  questo  caso,  al  concetto  dell'ossilegium,  è  am- 
missibili' la  supposizione  che  nell'antichissimo  rito 
italico  all'uso  dell'umetta  o  del  vasetto  destinati  a 
contenere  il  simbolico  ossicino,  si  fosse  sostituito 
quello  d'una  imago  ovvero  efiigie  del  defunto, 
sulla  quale  pei  venisse  esercitato  il  gettito  della 
gleba,  simbclo  dell' humatio,  come  abbiamo  detto? 

L'ipotesi  e  molto  arrischiata,  trattandosi  d'un 
esempio  finora  unico.  L'idea  che  maggiormente  mi 
seduce  di  fronte  al  nuovo  e  singolarissimo  esempio 
offerto  dalla  nortra  statuetta,  è  quella  di  ritenere 
che  anche  qui  possa  trattarsi  d'un  caso  sporadico 
d'ossilegium,  ma  nella  forma  già  consueta  d'offerta 
funebre,  pari  a  quella  che  facevano  gli  Etruschi  di 
figurine  informi,  simbolizzanti  il  defunto,  le  quali 
si  rinvengono  spesso  nelle  vecchie  necropoli  ad 
incinerazione  (5).  La  presenza  dell'ossicello  nel  cavo 
toracico,  secondo  l'antichissima  concezione  animi- 
stica sopra  esposta,  comune  anche  ai  popoli  italici, 
avrebbe  avuto  lo  scopo  d'integrare  la  figura  del 
morto,  di  comunicare  all'effigie  di  lui  quel  carat- 
tere di  continuità,  quel  principio  di  vitalità  prove- 
niente dall'efficacia  riconosciuta  ai  resti  che  gli  ap- 
partennero (6).  Questo  concetto  dipende  da  quello 
più  sopra  ricordato,  che  cioè  presso  le  popolazioni 


I  istN-MARQfARDT.    Lr  Romains . 

Trad.   Brissaui.   Paris.    iSSo,   I,  p.   570. 

.Al     •■',-'     -MARQ     \     n     La 
1,   139. 

13)  Cic.   Tusc.  I,  16. 

(4)  PlERRET  P.  Le  dogme  de  la  •  airi  tion,  eie,  p.  io. 
La  legge  VII  del  Digesto  (,'  -  r.lina  che  i 
corpi  non  si  tocchino.  Nella  legge  IV  del  Cniue,  al  titolo  me- 
desimo, s'impone  la  pena   del    sacrilegio    non    soli. 111 

che  violano    i  sepolcri,    ma     a  tutti  >ora       pulta 

rint. 

(5)  Ritenendo,    come   sembra    più    verosimile,    che 
statuetta  provenga    dall'Abruzzo,  occorre  osservare 
antiche  necropoli   delle   popolazioni    umbrn--..t 

ad  inumazione.  Parrebbe  quindi   es 

dipendente  dal  rito   dell'incinerazione.  Ma    è  possibile,  tuttavia, 

secondo  alcuni,    che    anche    quest-.    rito   sia 

Sanniti,  sebbene    non    se  ne  abbiano    linor.i 


M.  1  in  Monm 

307  18.  —  Modi 

etc,    trad.    Reinach.   Pari 

W  ILKl XSDN,      il 

a 
la  sua  spiegazione  nei  famosi  scheletri  rinvenuti  in  un 
1  les  i       heleti  1  non  hann 

■  ias:hera    di    cera    con    gì 

(ASHPITI  I 

■ 

5 

lo    la    ma  ratti.    1 

.. 

ed  a  Roma  si  adattavano  alla 


IX 


27 


primitive,  come  oggi  presso  i  selvaggi,  gl'idoli  non 
costituivano  soltanto  l'immagine  d'una  persona 
morta,  ma  la  custodia  del  suo  corpo  stes 
non  debbono,  secondo  l'antico  costume  funerario, 
rappresentare  il  defunto,  esserne  l'immagine,  ma 
contenere  tutto  o  parte  del  suo  corpo. 

Presso  i  popoli  antichi,  specie  gli  orientali,  era 
in  uso  di  seppellire  col  defunto  la  eflìgie  di  lui. 
In  Egitto  la  presenza  delle  statuette  smaltate  ser- 
viva di  corredo  alle  tombe;  e  quelle  statuette  por 


tano  sempre  impressa  l'iscrizione  col  nome  del 
defunto.  Nell'antica  credenza  egizia  il  Ka  di  una 
persona  poteva  essere  trasferito  ad  una  figura  di 
cera  per  quella  stessa  soluzione  di  continuità  fra 
l'individuo  e  la  sua  imagine,  ch'esercitò  cosi  largo 
influsso  nelle  credenze  magiche  e  superstiziose  dei 
popoli  dell'Oriente 

\SI    P.\N's\. 


d'oro,    d'argento,    di    bronzo,    di    feri 

mani  l'ufficio    del  r«  are  là  maschera 

in  cera  del  morto,  la  quale  si  api  al    cadavere    che 

ai  un  fantoccio  che  lo  rappresentava.  Queste  maschere,  ovvero 
i    fantocci,    venivano    anche     I 


vere  ej  in  questo  caso  se  ne  facevano  altre  impronte  Ja  ci  ri- 
servarsi presso  l'atrio  detta  casa  del  morto.  (O  BENNDORF, 
Antike  GesichUhelme  u.Sej  ^S.  pag.65- 

76.   Cfr.    MOMMSEN  MARQUARD1 

t'>m       I        p.      Z84     e! 


RECENSIONI 


Bendiseli.!  G.,  Antichità  Tudertine  del  Museo  Xa- 
zionale  di  \  Illa  Giulia  e  Tomba  con  vasi  e 
bronzi  del  V  sec  a  br.  scoperta  nella  necropoli 
di  Todi  in  Monumenti  Antichi  pubblicati  per  cura 
della  R.  Acc.  dei  Lincei,  voi.  XXIII  e  XXIV. 

Il  dottor  Bendinelli  ha  illustrato  la  suppellettile 
rara  e  preziosa  della  tomba  scoperta  nel  predio  Pe- 
schiera a  Todi  nel  1886,  di  cui  si  erano  dati  solo 
accenni  riassuntivi,  riunendo  ad  essa  altro  mate- 
riale inedito  proveniente  dalla  stessa  necropoli  e 
un'altra  ricchissima  tomba  da  lui  trovata  pure  a 
Todi,  provvista  tra  l'altro  di  un  magnific.  elmo  di 
bronzo  con  paragnatidi  figurate  e  di  una  bella  Kv- 
lise  a  figure  rosse  firmata  dal  pittore  Pamphaios. 
Non  solo  ne  guadagnamo  una  conoscenza  più  do- 
cumentata di  cospicui  oggetti  di  oreficeria,  di  metal- 
lotecnica,  e  di  ceramica,  ma  anche  se  ne  avvantaggia 
il  quadro  della  civiltà  etrusca  nel  tv  e  ni  secolo, 
specialmente  per  certe  buone  e  giuste  osservazioni 
dell'autore  sull'uso  di  deporre  nelle  tombe  un  simu- 
lacro della  porta  di  casa  dell'estinto,  e  sulla  impor- 
tanza grande  dei  piccoli  oggetti  d'arte  industriale 
per  una  più  esatta  valutazione  dell'arte  etrusca  che 
in  essi  si  palesa  più  libera  e  più  innovatrice. 

R.   Pariblni. 

Pace  Biagio,  Arti  ed  artisti  d'Ila  Sicilia  antica 
in  Memorie  della  R.  Acc.  dei  Lincei,  Classe  di 
Se.  Morali,  serie  V,  voi.  XV  a.  1917  p.  469-624. 

Se  anche  la  memoria  del  dott.  Pace  non  avesse 
alcun  valore  scientifico,  loderei  ugualmente  l'averla 
concepita,  perchè  mi  appare  quale  un  segno  di 
sana  e  necessaria  reazione  a  quell'indirizzo  esclu- 
sivamente analitico  che  fu  sinora  il  solo  consigliato, 
imposto,  pregiato  nelle  nostre  Università.  Con  que- 
sti non  brillanti  risultati  :  impreparazione  e  insuf- 
ficienza a  trarre  qualche  po'  di  succo  da  tante  osser- 
vazioni, supino  adattamento  dello  spirito  ad  una  sup- 
posta, se  pur  non  confessata,  sterilità  della  scienza, 
costruzione  del  proprio  edificio  scientifico  su  basi 
troppo  anguste,  con  luce  meridiana  in  alcune  aule 
o  non  di  rado  in  alcuni  recessi  oltre  modo  secon- 
dari, e  tenebre  fitte  tutt'all'intorno.  Ma  di  questo  si 
potrebbe  a  lungo   discutere. 

Biagio  Pace,  giovanissimo  tra  gli  archeologi  ita- 
liani, forse  più  per  virtù  di  sano  amore  alla  propria 


terra  che  per  virtù  di  ragionamento,  [studium  è  del 

resto  amorei  batte  curi  questo  lavoro  la  nuova  strada, 
e  alla  sua  nobile  audacia  risponde  in  modo  degno 
la  bontà  del  lavoro.  Egli  si   e  posto   il  problema, 
come  mai  la  Sicilia,  che  fu  nell'età  classi,, 
di  civiltà  ohe  ebbe  filosofi,  matematici, 

poeti  e  storici,  tiranni  intelligenti  e  fastosi,  e  olire 
ancora  resti  di  edifici  superbi  e  grandiosi,  rappre- 
senti una  cosi  piccola  parte  nella  storia  dell'arte 
greca,  a  tal  segno  che  anche  le  scarse  opere  d'arte 
che  gli  antichi  scrittori  ricordano  nelle  sue  città, 
sono  generalmente  attribuite  ad  attività  e  ad  in- 
fluenza straniera. 

11  Pace  osserva  clic  prima  di  con 
insufficienza  artistica  dei  Sicelioti  occorra  esaminare, 
se  fu  completa  la  ricerca  e  l'esame  cosi  deile  no- 
tizie sia  pure  scarse  date  nelle  fonti  scritte,  come- 
dei  monumenti  e  degli  oggetti  d'arte.  E  tale  rac- 
colta di  materiale  scritto  e  figurato  egli  compie 
accuraiamente  e  in  modo  organico,  distribuendo  in 
quattro  capitoli  tutti  i  fatti  che  in  base  alle  sco- 
perte e  agli  studi  di  autori  vecchi  e  ree 
si  possono  accertare  intorno  alle  arti  m; 
minori  della  Sicilia,  dai  principi  della  colonizza- 
zione ellenica  sino  alla  tarda  decadenza  romana. 
Viene  cosi  a  potersi  per  lo  meno  delineare  il  pro- 
blema della  esistenza  di  un'arte  en< 
cilia  antica,  dei  suoi  caratteri,  della  sua  maggiore 
o  minore  autonomia,  delle  sue  relazioni  con  le 
scuole,  con  gli  indirizzi  artistici  della  Grecia  propria. 
S'intende  che  questo  primo  lavoro  non  può  pre- 
tendere di  risolvere  questi  ardui  quesiti  ai  quali 
altro  lungo  esame  dovrà  essere  rivolto,  ma  e  già 
pregevolissimo  risultato  aver  quasi  raddoppiato  il 
numero  dei  dati  letterari  e  aver  raccolto  e  coordi- 
nato una  quantità  di  materiale  disperso  e  addirit- 
tura incognito.  Ci  auguriamo,  che  il  Pace  non  si 
contenti  di  quanto  ha  fatto,  ma  voglia  ancora  de- 
dicare le  sue  perspicaci  indagini  a  questo  nobilis- 
simo argomento,  e  che  nel  trattarlo  voglia  porre 
ogni  più  scrupolosa  diligenza  nel! 
ogni  singolo  fatto,  nella  esatta  trascrizione  e  in- 
terpretazione dei  testi,  nelle  citazioni,  perchè  non 
possa  a  lui  farsi  quel  rimprovero  di  scu- 
cile fu  unico  e  solo  a  procurare  all'indirizzo  gret- 
tamente analitic  :;»leto  per 

K.    1 


INDICE  DEL  VOLVME  IX 


BEND1N1  ili  G.  -    Vntii  hi  vasi  puglies 
scene  nunziali P  li 

Calza  c;.  -    Afrodite  armata    ....     «172 

Della  G  irti   M.  -  Novacula     .    .    .    ■■    139 

,  G.  -  Monumenti  egizi  in  Italia.  I.  Mu- 

seo  Nazionale  Romano »        1 

FORNAR]  F.  -  Studi  p  ilignotei.     ...»      03 

Lanci. \m  R.-HERMANIN  F.-PAR1BENI  R.  - 
Sull'autenticità  di  una  testa  di  brom  1.  123 

LEVI  A.  -  Gruppo  di  Bacco  con  un  Satiro.     »       55 

LUGLI  G.  -  Castra  Albana.  -  Un  accam- 
pamento romano  1  irtificato  al  XV  miglio 
della  Via  Appia "211 

MINTO  A.  -Corteo  nuziale  in  un  frammento 
di  tazza  attica »      65 

MINTO  A.  -  La  corsa  di  Calante  e  Llippo- 
menes  figurata  in  alcuni  oggetti  antichi.     »       78 

Minto  A.  -  Di  una  leggiadra  figurina  in 
bronzo »       87 

PERNIER  L.  -  Ricordi  di  storia  etrusca  e  di 
arte  greca  della  città  di   Vetulonia   .     .     »        11 


PETITTI  DI  RORETO  A.   -   Ritrovamenl 
Cherasco  di  due  I ipidi  romane  già  pubbli- 
co-   1    forino  dal  Pingone     .     .     .    Pag.     161 


VARIETÀ: 

Pace  B.  -  Materiali  preistorici  del  Museo  di 
Geologia  in    Palermo Col. 

PACE  B.  -  Il  tempio  di  Afrodite    Urania    in 
Atene » 

PANSA  G.  -  Nuovo  e  singolare  esempi 
l'antichissimo  rito  dell'"  Ossilegium  »  pra- 
ticato sopra  una  statuetta  di  bronzo     .     » 


RECENSIONI: 

PARIBEN1  R.  -  Opere  di  G.  Bendinelli,  B. 
Pace » 


AVSONiA   IX-MCMXIV. 


AUSONIA.   IX.   MCMXIV. 


TERRECOTTE    DI    UN'EDICOLA    DI    VETULON1A    (ai 


AVSONIA.   IX    MCMXIV. 


DIONISO   E   SATIRO   DEL   MUSEO   ARCHEOLOGICO   DI    VENEZIA 


AVSONIA    IX.  MCMXIV. 


AVSONIA    IX,  MCMXIV 


^— , 


AVSONIA.   IX    MCMXIV. 


-y^ 


TESTA    IN    BRONZO 


AVSONIA.   IX.    MCMXIV. 


PELIKE   DEL   MVSEO   NAZIONALE    DI    NAPOLI 


AVSONIA     IX     MCMXIV. 


PIANTA    GENERALE    DEI    "  CASTRA    ALBANA 


AVSONIA     IX.  MCMXiV 


* 


\ 


"Sv. 


PIANTA   hi   ALBANO  E  DEL  CASTRO 
(Dall'autografo  del  Rosa) 


AVSONIA     IX.    MCMXIV 


TAV.   XI. 


A  -  LATO   NORD-EST   DEL  CASI  R<  • 
(Disegno  del  Labruzzi) 


R-  FACCIATA   DELLA    <  MESA   DELI   \   "ROTONDA,, 
(Disegno  del  I  al 


INDICE  DEL  VOLVME  IX 


BENDINELLI  G.  -  Antichi  vasi  pugliesi  con 
^cene  nunziali Pag. 

CALZA  G.  -  Afrodite  armata    ....     » 

DELLA  CORTE  M.  -  Novacula      ...» 

FARINA  G.  -  Monumenti  egizi  in  Italia.  I.  Mu- 
seo Nazionale  Romano » 

FORNARI  F.  -  Studi  polignotei.  ...» 
ANCIANI  R.-HERMANIN  F.-PARIBENI  R.  - 
Sull'autenticità  di  una  te^ta  di  bronzo.    » 

LEVI  A.  -  Gruppo  di  Bacco  con  un  Satiro.    » 

LUGLI  G.  -  Castra  Albana.  -  Un  accam- 
pamento romano  fortificato  al  XV  miglio 
della  Via  Appia » 

MINTO  A.  -Corteo  nuziale  in  un  frammento 
di  tazza  attica » 

MINTO  A.  -  La  corsa  di  Atalante  e  Hippo- 
menes  figurata  in  alcuni  oggetti  antichi.     » 

MINTO  A.  -  Di  una  leggiad  i  figurina  in 
bronzo t » 

PERNIER  L.  -  Ricordi  di  storia  etrusca  e  di 
arte  greca  della  città  di  Vetulonia   .     .     » 


■  85 
172 
139 


123 

55 


PETITTI  DI  RORETO  A.  -  Ritrovamento  a 
Cherasco  di  due  lapidi  romane  già  pubbli- 
cate a  Torino  dal  Pingone     .     .     .    Pag.     161 


VARIETÀ: 

PACE  B.  -  Materiali  preistorici  del  Museo  di 
Geologia  in   Palermo Col. 

PACE  B.  -  Il  tempio  di  Afrodite  Urania  in 
Atene » 

PANSA  G.  -  Nuovo  e  singolare  esempio  del- 
l'antichissimo rito  dell'»  Ossilegium  »  pra- 
ticato sopra  una  statuetta  di  bronzo    .     » 


RECENSIONI 


Paribeni  R. 
Pace   .     . 


Opere  di  G.  Bendinelli,  B. 


yrpr* 


Ausonia 
5320 
A8 
v.9 


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