BOLLETTINO
DELLA
SOCIETÀ: DI NATURALITI
PENIAENEAFEZIORLE
SERIE I. — VOLUME IX.
CATENERINEORELTO=
1895
NAPOLI
R. TIPOGRAFIA FRANCESCO GIANNINI & FIGLI
Cisterna dell’Olio, casa propria
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BOLLETTINO
DELLA
SOCIETÀ DI NATURALISTI
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BOLLETTINO
DELLA
SOCIETÀ: DI NATURALKTI
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SERIE I. VOLUME IX.
1895
F'ascicolo PErimo
(Pubblicato il 15 Agosto 1895 )
NAPOLI
R. TIPOGRAFIA FRANCESCO GIANNINI & FIGLI
Cisterna dell’ Olio, casa propria
1595
Intorno ai centri nervosi dell’ Orthagoriscus (Tetrodon )
mola. Notizie anatomiche e critiche di Giunio TAGLIANI.
(Tornata del 3 Marzo 1895)
L’ Orthagoriscus mola appartiene a’ pesci pelagici del Tirreno, se
non rari, non frequenti. Gli esemplari esaminati quasi tutti son
pervenuti nelle mani degli studiosi in condizioni ben altro che
soddisfacenti, sicchè pochissimo si è potuto appurare dell’ anato-
mia di questa specie, la cui esatta conoscenza, di certo, avrebbe
contribuito molto a illustrare taluni punti della morfologia ittio-
logica. Anche le sommarie notizie, che qua e là si trovan disperse,
non sempre sono conformi al vero, e quel che è peggio, ben spesso,
vengon riferite da altri con veste travisata. Ciò considerando, stimo
utile di esporre l’ esterna configurazione del cervello di questo sin-
golare abitante de’ mari, e di dare poche altre notizie sull’ ana-
tomia della midolla spinale, a complemento e rettifica di quanto
già da me in proposito è stato pubblicato altrove [9]. !)
I rapporti tra il volume del cervello e della cavità cranica for-
maron lo studio prediletto de’ zoologi, che, primi, sì occuparono
dell’ anatomia esterna de’ centri nervosi ne’ pesci, e notarono, e
giustamente, come nell’ Ormagoriseus mola il cervello con tutti i
suoi involucri non occupasse che una parte ristrettissima della ca-
vità del cranio. Ma bisogna arrivare alla classica dissertazione del-
l’Arsaky [1] e alla memoria dell’ Harting [3] °), per avere le
prime notizie sulla midolla spinale di questo Gimnodonte, e a’ re-
centi lavori dell’ Ussow [7], del Vignal [11], del Moreau [5] e del-
l Haller [2], per trovarvi alcune considerazioni anatomiche, non
sempre esatte, sul cervello.
Gl’involucri meningei, che rivestono il cervello e la midolla,
sono di connettivo lasco ; da essi partono, attaccandosi alla pa-
rete interna del cranio, e sovra tutto alla volta, setti e trabecole
!) I numeri grassi nelle parentesi quadre rimandano a’ corrispondenti numeri
dell’ indice bibliografico.
2) Non mi è riuscito finora di consultare direttamente la memoria dell’ Hart-
ing, e, non avendo potuto trarre vantaggio alcuno da quello, che troppo som -
mariamente ne riferiscono e 1° Ussow e il Trois, ho stimato assai meglio di
sorpassare senz’ altro sulle citazioni de’ mentovati autori, anzichè pericolare
in errori e inesattezze di critica.
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più o meno sviluppate, nelle cui maglie scorre, quale mezzo di
protezione, un liquido siero-gelatinoso. Nello speco rachideo il
connettivo diviene più compatto, e circonda, come in una guaina
fibrosa, la coda equina.
Le affermazioni dell’ Arsaky [1 pag. 4], del Vignal [11 pag. 370]
e dell’ Ussow [7 pag. 632], che, cioè, il cervello e la midolla oc-
cupino non solo la cavità cranica, ma anche una piccola parte
dello speco vertebrale, sono assolutamente inesatte. Il Moreau |5
pag. 56] sostiene giustamente, invece, che la midolla spinale fi-
nisce nel cranio; è, però, in errore quando parla di un rigonfia-
mento terminale abbastanza voluminoso, che a me non è riuscito
mai di trovare, nemmeno su di un esemplare dissecato ancora vivo.
Dal cono terminale della midolla, contrariamente alle ferme
denegazioni dell’ Ussow [7 pag. 637] e del Moreau [5 pag. 56] ‘),
parte, confuso tra’ nervi della serrata cauda equina, un lunghis-
simo e sottile filum terminale, che 10 ho seguito sulle sezioni per
la lunghezza di poco più di 20 centimetri. Dove il filum terminale
sl arresti e come non posso dir per ora. L’ Haller ha veduto e di-
segnato il filum terminale, ma ha voluto dargli una strana inter-
pretazione [2 pag. 205; tav. XIII fig. 1-2]. Egli ha pensato che
l’ultimo paio de’ nervi spinali di senso, all’ uscita dall’estremo
caudale delle colonne superiori, decorresse sulla faccia dorsale
delle colonne inferiori, e che emergesse all’ estremo di queste , i
due nervi rimanendo sempre strettamente accollati, simulando un
filum terminale. Se V Haller avesse potuto studiare la struttura
1) Riguardo al filum terminale così il Moreau scrive : « D’après Vulpian, la
moelle de ce poisson aurait aussi un filum terminale qui manquerait seulement
de ganglion caudal. Malgré l’autorité du savant physiologiste, je ne suis mnulle-
ment convaincu de ce mode de terminaison ». Ora il Vulpian [13 pag . 313-314]
dice: « Chez le Poisson-lune, la moelle épinière se termine bien certainement vers
la partie posterieure de la cavilé craànienne, par deux «ordons très-gréles et
contigus, d’apparence ligamenteuse, répondant aux deux moitiés de la moelle, et
que lon perd presque aussitot de vue, au milieu des nombreua nerfs qui forment
une touffe volumineuse en arrière de la moelle. Le canal vertébral, ouvert
Jusquà lextremité du corps, ne contient que les prolongements de cette touffe con-
stituant la queue de cheval. Il n'y a pas de cordon grisàtre situé au miliew
des nombreux nerfs qui constituent cette queue de cheval, comme chez lo Bau-
droie; et, à l’extrémité postérieure du canal vertébral, on ne trouve aucun ren-
flement ganglionnaire terminal ». Io non rilevo per nulla dalle precedenti pa-
role, come ha cercato di rilevare il Moreau, che il Vulpian abbia avuto esatta
conoscenza del /ilum terminale; mi pare, piuttosto, che della sua presenza o
mancanza l’illustre fisiologo non si sia preoccupato gran fatto, e che del modo
di terminarsi della midolla spinale dell’ Orthagoriscus mola, non abbia potuto
formarsi un concetto chiaro abbastanza.
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interna dell’ ultimo tratto della midolla, il quale gli andò nelle
manipolazioni malauguratamente rovinato , avrebbe espresso, ne
son sicuro, ben altra opinione, e anche un po’ diverse sarebbero
state le sue deduzioni morfologiche. Chè noi dobbiamo nella
midolla spinale dell’ Orthagoriscus mola non già t ro-
vare un semplice fatto di concentrazione della sostanza
nervosa, dovuto, come avanza l’Haller [2 pag. 249], al rac-
corciamento del corpo dell'animale, ma uno sviluppo vi-
cariante della sua porzione intracranica, per supplire
alla funzione soppressa della porzione intrarachidea
trasformata in filum terminale. Quali cause, poi, ab-
hian contribuito a stabilire questo peculiare atteggiamento della
midolla spinale nell’ Orthagoriscus mola non oso indagare ; man-
cano affatto su’ Plectognati ricerche embriologiche , dalle quali
fosse possibile la deduzione di un'ipotesi, tale da far fronte, con
relativa sicurezza, a una critica sana e imparziale. Le ricerche
del Trois [10 pag. 1302-1304] sulla Ranzania (Orthagoriscus) trun-
cata, superficialissime per ciò che riguarda il sistema nervoso,
dell’Haller stesso [2 pag. 208-211] sul Zetrodon cutaneus, le mie
non ancora a termine sul Balistes capriscus, sul Lophius piscato-
rius, sulle Trigla e sullo Zeus faber non gittano luce abbastanza
per una soluzione prossima di sì importante problema morfologico
de’ centri nervosi.
A condizioni puramente individuali deve ascriversi, se la mi-
dolla sia di qualche millimetro più lunga o più corta del cervel-
lo. L’Haller [2 pag. 202 e 204] stabilisce, su di un solo esemplare
esaminato, che la midolla sia sempre più lunga del cervello ; le
misure mie , istituite su tre esemplari, confermano invece i dati
del Moreau [5 pag. 56], che la midolla è più corta del cervello,
non computatovi, s'intende, il filum terminale.
Per studiare convenientemente il cervello è necessario di al-
lontanare gl’ involucri meningei con estrema delicatezza. I lo bi
anteriori sono piccoli in confronto de’ lobi ottici, e di forma
prismatico-ovoidale ; essi sono l’uno all’altro accollati per le facce
mediali, e divergono appena nella loro porzione anteriore , non
così esageratamente, però, come vuole l’Haller [2 pag. 203, tav.
XIII fig. 1]. Ove si faccia astrazione di un leggerissimo solco cir-
colare, che occupa il margine laterale di ciascun lobo, non ho os-
servato mai quelle notevoli impressioni (windungsartige Eindriicke),
di cui parla il mentovato autore. In avanti e in sotto de’lobi an-
teriori si trovano gl’impercettibili bulbi olfattorii, da cui par-
tono esili nervi olfattorii, riposanti su’ nervi ottici.
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I lobi ottici (lobi centrales) hanno forma ovoidale, quasi sfe-
rica, e sono sviluppatissimi, certo in rapporto al cospicuo svilup-
po degli occhi; essi sono strettamente tra loro accollati per le
facce mediali e posteriormente toccano il cervelletto, sì da coprire
per intero la valvula cerebelli, come hanno bene ritratto nelle
loro figure 1’ Arsaky [4 tav. II fig. 8] e il Vignal [11 pag. 371
fig. 1 e 12 pag. 145 fig. le 3], e, meglio ancora, l’Ussow [7 tav.
XXVI fig. 6]. Non conformi al vero sono e il disegno de’ lobi
ottici e la descrizione che di essi l’Haller espone [2 pag. 203-204
tav. XIII fig. 1]. L’Haller dice : « Nel mesencefalo i lobi centra-
les sono sviluppati molto, così come nel Tetrodon ; una notevole
differenza tra queste due forme di Plectognati sta nel fatto :
che mentre nel Tetrodon i lobi centrales, meno ben arrotondati ,
si accollano strettamente per tutta la loro lunghezza e ricovrono
tutto il rimanente mesencefalo, urtando posteriormente al cer-
velletto ( Hinterhirn), nel primo, nell Orthagoriscus mola cioè ,
essi possono solo anteriormente venir a contatto pe’ loro mar-
gini interni, mentre posteriormente divergono in modo note-
vole, sì da limitare uno spazio triangolare, nel quale viene a
trovarsi allo scoverto la valvula cerebelli ( Fritsch), altrimenti
eminentia lobata (Baudelot). » Un’ assoluta corrispondenza, invece,
come io debbo fermamente ritenere, è ne’rapporti di posizione
tra’ lobi ottici e 11 cervelletto e dell’Orthagorisceus mola e di altri
Plectognati, quali il Tetrodon cutaneus |2 tav. XIII fig. 3], il
Tetrodon lunaris |4 pag. 45; tav. V fig. 71 a] e il Balistes ca-
priscus.
Mi sia permesso qui di movere spassionatamente un appunto
all’Haller, come quegli, che più a noi vicino e con maggior lar-
ghezza, ha riferito su’ centri nervosi della specie in questione.
Sono state le ricerche di quest’osservatore condotte proprio sul
l’Orthagoriscus mola o su di un altro Gimnodonte ? Se veramente
la figura da lui dataci corrisponde alla più scrupolosa esattezza,
o il materiale di studio fu esaminato non fresco, o non in sito
nel cranio , ma nuotante in un liquido , previo allontanamento
delle meningi con manovra poco delicata di trazione , sicchè i
lobi anteriori in avanti, i lobi ottici posteriormente, ne’ punti di
loro minor resistenza, han dovuto venire divaricati.
E una grave circostanza milita ancora in favore del dubbio ,
che io sollevo. Come va che sono sfuggite completamente all’Hal-
ler le gigantesche cellule de’nuclei spinali accessori? Mentre nel
suo pregevole lavoro egli affida sì largo posto a divagazioni spe-
culative, non una parola spende per negare o affermare la pre-
Mil) e
senza di questi notevoli elementi nervosi, veduti la prima volta
dall’Ussow [7 pag. 639; tav. XXVII fig. 13] e da me ultimamente
meglio illustrati | 9 pag. 255-256 ]. Io non debbo pensare che
strappando bruscamente le meningi, sieno state strappate anche
le cellule giganti, perchè, in tal caso, non avrebbero dovuto sfug-
gire all’Haller i due fascetti accessorii, situati dorsalmente e di lato
al canal centrale, tanto più che egli giustamente nota l'assenza
delle grosse fibre del Mauthner [2 pag. 218], con le quali facil-
mente avrebbe potuto scambiarli. Nè è lecito supporre che, in questa
specie, i nuclei spinali accessorii ora si trovino ed ora no, che è
proprio il sistema nervoso centrale quello, che, meno degli altri,
sl presta a troppo notevoli variazioni individuali. E, poi, ho tro-
vato nel Lophius piscatorius e nel Lophius parvipinnis, come pure
nel Bulistes capriscus e nella Trigla lineata, di cui riferirò prossi-
mamente, le cellule giganti de’ nuclei in parola (lobi nervi lateralis
del Fritsch) con tale sorprendente costanza e in numerosi indivi-
dui molto giovani, e in individui di mole notevolissima , sì che
ritengo per fermo che non debba e non possa diversamente av-
venire per l’OrMhagoriscus mola.
I nervi ottici sono molto sviluppati e s’imcrociano in avanti
de’lobi anteriori, quello di sinistra passando su quello di destra;
immediatamente presso il punto di emergenza hanno forma di due
bendelle ripetutamente plicate.
In sotto del punto d’incrocio de’nervi ottici sta una voluminosa
ipofisi, che riposa in una escavazione ovoidale della metà ante-
riore della parete cranica inferiore.
Posteriormente all’ ipofisi seguono i lobi inferiores, anch’ essi
bene sviluppati, i quali vengono di lato a contatto con i lobi
ottici.
Il cervelletto ha un discreto sviluppo ed è scutiforme-ovoi-
dale, con la faccia superiore molto convessa, specie nel segmento
posteriore; esso ricovre affatto la fossa romboidale e si estende
anche di uno o due millimetri a ricovrire la faccia dorsale della
midolla spinale, un portamento, che è più accentuato ancora nel
Balistes capriscus.
La midolla allungata, alquanto corta e larga, si restringe
posteriormente in un colletto , il quale può chiaramente vedersi,
quando si solleva un tantino il cervelletto.
L’Arsaky nelle sue figure ritrae la midolla spinale dell’Or-
thagoriscus mola come se fosse costituita da una serie impari di
gangli, situati 1’ un dietro l’altro [1 tav. III fig. 8 e 10]. Il Ge-
SIRIO
genbaur !) nelle diverse edizioni del suo classico manuale di A-
natomia comparata ha riprodotta una delle figure dell’ Arsaky ,
esagerandola anche un tantino; e il Claus, ispirandosi ad essa,
nella quarta edizione della sua zoologia, afferma che alla origine
de’'nervi spinali nell’ Orthagoriscus mola corrispondono rigonfia-
menti impari della midolla. L’Ussow, in una nota preliminare [6],
parla di rigonfiamenti pari veduti sulla faccia dorsale della mi-
dolla spinale di questo pesce, e pensa che sieno dilatazioni meta-
meriche del segmento anteriore, e li omologa a’'primi gangli della
catena ventrale degli Articolati. Nel suo lavoro più esteso , al
quale mi riferisco esclusivamente nelle citazioni critiche , lavoro
riprodotto dopo qualche anno integralmente in lingua russa [8],
lo stesso autore, riparlando di questi rigonfiamenti, ch’ei chiama
lobi accessorii dissimulati o lobi pseudo-accessorii [7 pag. 639 e
642], ritorna sul concetto già precedentemente enunciato, e li
ascrive a una persistenza di uno stato embrionale della midolla
spinale [7 pag. 641], anzi aggiunge che i lobi spinali accessorii del-
l’Orthagoriscus mola, come quelli del Lophius piscatorius, sembrano
presentare de’ caratteri provvisorii [7 pag. 639].
Poichè degl’individui osservati, quelli pescati a Messina offri-
vano evidentissimi i rigonfiamenti in questione, mentre ne difet-
tavano quelli pescati presso l'isola d’Ischia, 1’ Ussow crede possi-
bile una variabilità individuale nella costituzione anatomica ester-
na del midollo spinale dell’ Orthagoriscus mola [7 pag. 635]. Io
sospetto che il materiale di Messina fosse in condizioni di studio
peggiori che il materiale d’ Ischia, e che inoltre l’TJssow abbia
') Relativamente alla figura dell’ Arsaky [1 tav. Ill fig. 8], riprodotta dal
Gegenbaur |Grundziige der vergleichenden Anatomie. — Leipzig 1859. S. 491
fig. 156 A; II Aufl. Leipzig 1870. S. 736 fig. 244 A.— Grundriss der verglei-
chenden Anatomie. — Leipzig 1874 S. 533 fig. 258 A; II Aufl. Leipzig 1878 S.
535 fig. 289 A.|, il Vignal [11 pag. 369-370] così si esprime: « A mon retour à
Paris j'ai consulté le mémoire d’Arsaky, mémoire dans lequel il étudie la moelle
de l’Orthagoriseus mola, qu'il nomme Tetrodontis Mola, et je n'y ai pas vu que
cet auteur dit que la moelle de cet animal fiùt formée de ganglions, ou méme
qu'elle presentàt des renflements; une seule chose, à mon avis, peut expliquer la
raison pour laquelle Gegenbauer eùt pu penser qu’ Arsaky ait cru que la moelle
de ce Vertébré était formée par des ganglions, e’ est un des dessins joints à la
thèse de cet auteur ». Io son di parere, invece, che il Gegenbaur abbia voluto
schematizzare di più la figura dell’ Arsaky, riferendosi, forse, anche al se-
guente passo della memoria del naturalista epirota [1 pag. 9], completamente
sfuggito al Vignal: «....... de Tetrodonte mola id tantum observans, funem
eius medullae spinalis superiorem tum a lateribus, tum, et multo quidem ma-
gis, a parte superiore, incisuris quinque, minime tamen profundis, simili modo
esse divisam ».
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ritenuto per vero quanto apparteneva ad artifizii di una tecnica
deficiente. Pare che alla descrizione dell’ Ussow siasi ispirato il
Wiedersheim nelle prime edizioni del suo manuale, quando in-
voca i rapporti esterni della midolla spinale dell’ Orthagoriscus
mola, per venire in appoggio del concetto di una neuromeria
primitiva (palingenetica) del tubo midollare, sicchè l’ inarticolata
midolla spinale de’ Vertebrati sarebbe derivata da una forma pri-
mitiva pari ed articolata. Nella terza recentissima edizione l’illu-
stre Professore di Freiburg non accenna più a tali rapporti e
decisamente sostiene il concetto del Froriep, per cui la neurome-
ria sarebbe un fatto secondario (cenogenetico) e meccanico , di-
pendente, nè più, nè meno, dalla comparsa de’ somiti. Nè il Vi-
gnal [11 pag. 369-370 e 372 e 12 pag. 146], nè 1’ Haller [2 pag.
200 e 202; tav. XIII fig. 1] hanno mai notato rigonfiamenti di
sorta, meno ancora il Moreau, che non vi accenna neppure, e
negli individui da essi esaminati la midolla spinale si è presen-
tata sempre liscia del tutto. Per quanto io avessi con la massima
diligenza cercato di scoprire anche il minimo accenno a una di-
visione lobare della faccia dorsale della midolla spinale, ne’ tre
individui da me studiati, ho dovuto definitivamente convincermi
della completa assenza di rigonfiamenti speciali, e della esattezza,
a questo riguardo, delle osservazioni del Vignal e dell’Haller.
Napoli, Stazione Zoologica, 3 Marzo 1895.
P. S. La dissezione di due giovani Orthagoriscus mola vivi,
messi, per cortese liberalità del Cav. Salvatore Lo Bianco, a mia
disposizione, mi ha fornito la riconferma di quanto sopra ho e-
sposto. Aggiungo poche altre parole. Anche nell’ Orthagoriscus
mola, come in tutti 1 Teleostei, il volume relativo del cervello, è
minore negl’ individui adulti che ne’ giovani. In un individuo di
m. 0,70 il cervello occupava intorno a un decimo del cavo cranico,
mentre ne’ due ultimi esemplari, lunghi circa mezzo metro , il
volume suo rappresentava un sesto o poco meno del volume della
cavità cranica. È certo, come del resto ha lasciato giustamente
notare l’ Harting, che negl’ individui adulti, lunghi oltre il metro,
il volume e il peso relativo del cervello debbano scendere enor-
memente. Se davvero l Orthagoriscus mola sia quello tra’ Teleo-
stei, che, più degli altri, abbia il cervello piccolissimo , in rap-
porto alla mole del corpo, non saprei affermare categoricamente.
Tale notevole picciolezza relativa del cervello io ho osservato
anche in un gigantesco esemplare di Lophius piscatorius , e, tra
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DO
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le tante specie di Teleostei avute in esame, pare che debba oc-
correre anche nell’ Uramoscopus scaber e nelle Scorpaena, per quanto
meno accentuatamente. Infine nell’ Orthagoriscus mola i lobi an-
teriori rimangono nel loro ulteriore sviluppo, di fronte alle altre
parti del cervello, assai indietro, mentre uno sviluppo straordi-
nario assume l’ipofisi, che, nascosta ne’ giovani individui in sotto
de’ lobi ottici, negli adulti si spinge in direzione orale, al di là
de’ lobi anteriori, sì che questi, per intero, e i nervi ottici e ol-
fattorii, nel loro tratto prossimale, vengono a riposarvi sopra.
Napoli, Stazione Zoologica, 2 aprile 1895.
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sertatio inauguralis. Halae 181.
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de’Teleostei. Kasan 1886. Con 4 tavole. (& il precedente lavoro sem-
plicemente riprodotto in lingua russa. Quantunque apparso qualche anno
dopo, in esso non è tenuto conto del lavoro del Vignal pubblicato nel 1881).
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spinale dell’«Orthagoriscus mola». Mon. Zool. Ital. Anno
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truncata. Atti d. ÈR. Ist. Ven. di Sc. Lett. ed Arti. Ser. VI, t. II (1884),
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11. W. VienaL — Note sur l’Anatomie des centres nerveux
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Mémoires de la soc. de biologie (Paris) Sér. VITI, t. ITI (1886), p.: 144-146.
13. A. Vurprian — Legonssur la Physiologie générale et com-
parée du système nerveux. Paris 1886.
I corpuscoli surrenali di Stannius ed i corpìi del ca-
vo addominale dei teleostei — Notizie anatomiche e mor-
fologiche di V. DIAMARE.
(Tornata del 3 marzo 1395)
I. — 1 CORPUSCOLI SURRENALI DI STANNIUS
Stannius !) descrisse per il primo, brevemente, alcuni corpic-
ciuoli bianchi o gialletti situati nel rene di pochi teleostei, cor-
picciuoli che, precipuamente per la loro posizione, per la presenza
in essi di vasi sanguigni e per la mancanza di un condotto e-
scretore , interpetrò per <« primitive capsule surrenali ». I suoi
scarsi e vaghi dati istologici non sono meglio completati nei suoi
posteriori lavori, *) che anzi, in questi ultimi, non pare abbia
più una chiara idea della sua scoperta, giungendo persino a rite-
nerli come organi non costanti e patologiche formazioni.
Ecker 4 di poi ha meglio studiato i corpuscoli di Stannius, e,
quantunque siasi spesso ingannato in riguardo alla struttura isto-
logica, pertanto è il primo che, con un certo fondamento, asserisca
esistere omologia tra essi e le capsule surrenali dei mammiferi. Dopo
Ecker, il cui lavoro del resto è tenuto, a torto, in poco conto
dallo stesso Stannius 3), Hyrtl 5) ha ritrovati i corpuscoli in pa-
recchie altre specie di teleostei, e ne riduce tutta la struttura ad
<« una massa granulosa, i cui nuclei appartengono probabilmente
a globuli linfatici » (!). Finalmente un vago accenno alla presenza
1) Srannius — Ueber Nebennieren in Knochenfische — Miller’ s
Archiv 1839 tab. IV p. 95.
2) SrannIius — Anatomie der Wirbelthiere — Berlin 1846 p. 118-119.
3) StanniUs — Z ootomie der Fische und Amphibien— Berlin p. 265
Q71 1854.
4) Ecxer — Recherches sur la structure intime des corps sur-
renaux chez l’Homme et dans les quatre classes d’animaux.
Amnal. d. scien. nat. Paris Ser. III (Zool) 1847 p. 111-113.
5) HyvrrL — Das uropoétische System der Knochenfische —
Denkschr. d. Naturwiss. Classe d. k. k. Acad, Wien 1850.
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di questi corpuscoli lo troviamo nel trattato di Wagner ') e nel-
l’articolo di Eberth ?) sulle capsule surrenali.
Da questi in poi i corpuscoli di Stannius vennero completamente
dimenticati, e gli autori si sono sforzati di trovare gli omologhi
delle capsule surrenali nei teleostei, ora (Weldon 8), nella massa
linfatica anteriore (Kopfmiere), ora in formazioni embrionali di cui
non rimane alcuna traccia nell’adulto (Van Wijhe * Semon ?).
Senonchè, non è guari, il Grosglik ®?), rispondendo ad Emery 5)
che aveva trovato il pronefro larvale funzionante in teleostei adulti,
accenna ai corpuscoli di Stannius, a proposito d’ una sua dottrina
morfologica sulla capsula surrenale dei teleostei, riflesso , a sua
volta, della teoria di Balfour *19) della separazione delle due sostan-
ze, corticale e midollare della capsula surrenale, nei bassi vertebrati.
Per il citato autore in fatti, nei teleostei la sostanza corticale sa-
rebbe rappresentata dalla massa linfatica anteriore del rene, la so-
1) Wagner— Lehrbuch der Vergl. Anatomie der Wirbelthiere—
Leipzig 1843 p. 287. i
2) Eserra — Die Nebennieren— Stricker's Handbuch der Gewebenlehre des
Menschen und d. Thiere — Leipzig 1871 p. 508-516 Bd. 1.
3) WeLpon — On the suprarenal bodies of vertebrata — Quarterly
Journal of Micros. Scienc. London p. 137 1885.
4) van Wyng — Ueber die Mesodermsegmente des Rumpfes und
die Entwickelung des Excretionsystems bei Selachiern—Archiv.
fir Mikr. Anat. Bd 32 1889.
5) Semon — Studien iiber den Bauplan des Urogenitalsystems
der Wirbelthiere (Icthyophis) — Jena 1891.
6) Groserig — Zur Morphologie der Kopfniere der Fische — Zoo-
log. Anzeiger VIII Jahrg. N.° 207 1885.
7) Groserigt—Zur Frage ueber die Persistenz der Kopfniere der
Teleostier— Zoolog. Anzeiger IX Jahrg. p. 196 1886.
8) Emery — Studii intorno alla morfologia edallo sviluppo del
rene nei Teleostei — Mem. Accad. Linceì — Roma Vol. XIII. Ser. III;
1881-82.
9) Barroor-Ueber die Entwickelung und der Morphologie der
Suprarenalkòrper — Biologisches Centralblatt 1881-82, pag. 136-158.
10) BaLroor — The Works — Vol. III. p. 664 e seg. London 1885.
Secondo questo eminente embriologo, il corpo soprarenale degli Elasmobran-
chi (cuori ascellari di Leydig) sarebbe un derivato del simpatico; l’organo in-
terrenale degli stessi pesci trarrebbe origine dal mesoderma : il primo, cioè il
complesso dei corpi annessi ai ganglii simpatici sarebbe omologo della so-
stanza midollare della capsula surrenale dei mammiferi, ritenuta in fatti come
un derivato del simpatico, il secondo della corticale, cioé della parte mesoder-
mica della capsula stessa.
Tralasciando ogni apprezzamento su questa teoria, è chiaro che il Grosglik
la segue, applicandola ai Teleostei.
DEI, ere
stanza midollare dai corpicciuoli scoperti da Stannius e studiati
da Ecker.
In questa breve nota esporrò qualcuno dei fatti più importanti
della intima struttura. dei corpuscoli di Stannius, stralciandoli da
un lavoro generale sulle capsule surrenali nella serie dei vertebrati,
nell’ intendimento di contribuire ad una loro più esatta interpre-
tazione morfologica, quale, a mio parere, non è quella del Gro-
sglik certamente.
Come Ecker intravide pel primo, i corpuscoli di Stannius sono
formati di una capsula connettivale dalla quale dipende lo stroma
interno, in cui sono racchiuse vescicole rotonde od ellittiche, con-
tenenti cellule, granuli di grasso e nuclei. |
Le mie ricerche modificano però molto le osservazioni di Ecker.
Anzitutto, piuttostochè vescicole rotonde od ellittiche, si tratta
di otricole tubulari le quali decorrono tortuosamente, circondate da
una fitta rete di vasi sanguigni. In qualche specie le otricole con-
servano calibro press’ a poco eguale, in altre invece presentano
dei tratti più dilatati, ellissoidali o rotondi (le vescicole di Ecker),
mentre in altre si mostrano ramose.
Il contorno delle otricole si colora debolmente con i mezzi d’ in-
tingimento (eosina); esse sono riempite di cellule piccolissime la
cui parete non è molto nettamente visibile, sia per 1’ estrema pic-
colezza, sia perchè sono molto stivate tra loro. I piccoli elementi
presentano un protoplasma granulose che si colora abbastanza con
l’eosina e contiene un piccolo nucleo ricco di granuli cromatici.
Non ho mai trovato un cavo centrale nelle otricole; in qualche
specie un certo interstizio tra le cellule più interne è riempito di
finissime granulazioni.
Il cavo però apparisce non di rado allorchè si esaminano cor-
puscoli in dissoluzione, la quale, allorchè è completa, tutto il cor-
puscolo sembra risultare di una massa granulosa piena di nuclei
informi 1).
L’ opinione di Hyrtl innanzi citata e quella di Stannius rela-
tivamente alla natura patologica dei corpuscoli si spiega, oltrechè
per l’ imperfetto metodo di tecnica seguito , coll’aver ritenute co-
me proprie caratteristiche le rilevanti e svariate alterazioni post-
mortali. Inoltre Stannius ha preso, senza dubbio, per genuini cor-
puscoli, le cisti di entozoi che, frequentemente, si trovano nel rene;
1) Una mezz’ ora dopo la morte, anche d’ inverno, l’ interno del corpuscolo
presenta già le descritte alterazioni.
2a opa
come è risaputo esse soggiacciono, non di rado, ad un processo di
sclerosi o calcificazione, ed appariscono dure e secche — sono
questi 1 corpuscoli « duri e disseccati, privi di vasi » che
egli scrive d’ aver trovati.
Tutti i fatti descritti da Ecker relativamente alla genesi delle
vescicole sono dovuti ad un ideale ricostruzione dei scarsissimi
dati istologici che la dissociazione permettevagli di scorgere.
Secondo Ecker in fatti il contenuto dei corpuscoli risulta di
nuclei, cellule mononucleate, bi-tri-decem-nucleate;—passa dal nu-
cleo alla cellula mediante la precipitazione del protoplasma intorno
ad esso (e, scrive «< ciò potersi constatare nel modo più evidente » !);
dalla cellula con un sol nucleo a quella con molti nuclei, ed in
fine « quest’ ultima rassomigliaintale stato, ad una ve-
scicola, è anzi una vescicola ».
Io invece non trovo nei corpuscoli che otricole tubulari piene;
che gli elementi di cui risultano possano moltiplicarsi è naturale
supporre, certamente però non esistono le cellule ed i nuclei li-
beri, nè la serie di forme intermedie sino alla vescicola. Ecker,
dissociando, staccava lembi di vescicole i cui soli nuclei erano vi-
sibili, poichè i limiti delle cellule non si possono vedere che su
preparati colorati e sui tagli. Naturalmente un lembo, secondo i
nuclei che conteneva, era da lui considerato come una cellula mono-
bi-tri-plurinucleata. Si comprenderà allora facilmente come Ecker
non solo non ha distinte le reali otricole tubulari, ma anche non
ha veduto le piccole cellule che le formano.
D’ altronde ognuno comprende il valore da annettere a siffatta
embriologia fatta su corpi di giovani ma adulti lucci, come del
pari quanto poco chiaramente avrà potuto vedere formarsi il pro-
toplasma intorno al nucleo per precipitazione, sol perchè avrà
trovati dei nuclei staccatisi, circondati da una zona più o meno
scarsa di protoplasma, come se ne rinvengono nelle dissociazioni
di tutti gli organi.
Nè del pari esiste la membrana che involgerebbe, secondo lo
stesso Ecker, il contenuto vescicolare del corpuscolo, formata, a
suo parere, dal saldarsi delia parete esterna delle vescicole più
esterne: il semplice fatto della presenza di gittate connettivali
che separano in gruppi distinti (lobi) le otricole, prova già che
è una gratuita assertiva.
Ad ogni modo, lasciando da canto gli erronei apprezzamenti
istologici di Ecker, scusabili del resto per l’ epoca in cui scri-
veva (1847), le mie ricerche tendono ad appoggiare perfettamente
le LS
l’ opinione sua intorno alla affinità che trovasi tra i corpuscoli di
Stannius e le glandule vascolari in generale degli altri vertebrati.
E se tale dunque è la struttura dei corpicciuoli del rene quale
analogia esiste tra essi e la sostanza midollare della capsula sur-
renale? Ed ammesso pure che nei mammiferi questa sostanza de-
rivi dal simpatico, quali prove militano in favore della genesi dei
corpuscoli stessi dal simpatico ?
Il Grosglik ') scrive che,nel Cyprinus carpio, « il loro contenuto
risulta quasi esclusivamente di cellule tonde, poligonali, per lo più
informi, con protoplasma granuloso, il cui carattere morfologico
è completamente d’ accordo con quello delle note cellule midollari
della capsula surrenale. »
Io veramente non so che pensare delle sue cellule tonde, poli-
gonali, informi e via dicendo. Grazie ad un lungo soggiorno nella
Stazione zoologica (ed alla liberalità sopratutto del cav. Lo Bian-
co) ho potuto esaminare i corpuscoli di numerosissime specie di
teleostei ed ho trovato costantemente la struttura esposta sche-
maticamente più sopra. Ora debbo credere che, nel caso, si tratti
di omologie presupposte , non trovate. In verità la prima parte
della teoria del Grosglik sulla separazione delle due sostanze della
capsula surrenale nei teleostei, quella riguardante la sostanza
corticale che verrebbe rappresentata dalla massa del Kopfniere,
già strana dopo gli studii di Balfour *), dopo i lavori di Emery *4)
e quello di Bizzozero e Torre ’) diventa insostenibile.
L’ Emery infatti ha provato che essa non è altro che un ac-
cumulo dello stesso tessuto interstiziale del rene ; tessuto che si
sviluppa a spese del residuo mesonefrico non utilizzato alla for-
mazione dei tubulmi uriniferi. Bizzozero e Torre °) hanno a loro
volta dimostrato che in esso si formano i globuli rossi del san-
1) Grosaux.--Zur Morphologie der Kopfniere der Fische
Zool. Anzeiger VIII Jahrg. p. 196, 1886.
2) BaLcouR. — On the nature of the organ in adult teleosteans
and ganoids which usually regarded as the head-kidney or pro-
nefros — Quarterly Journ. of Micr. science (2). Vol. 22 p. 16—1882.
3) Emeryr.-Studii intorno alla morfologia ed allo svilu p-
po del rene nei teleostei. Mem. Accad. dei Lincei. Roma Vol. XIII
Ser. III. 1881-82.
4) Emerr.—-Zur Morphologie der Kopfniere der Teleostier.
Zoolog. Anzeiger Jahr. 8 p. 742, 1885.
5) Brzzozero E Torre. — Sulla produzione dei globuli rossi
nellaclassedeivertebrati. Mem. Accad. dei Lincei. Roma Vol. XVIII
1883-84.
SEE e
gue, come Balfour aveva supposto; e Ziegler ') ha confermato le
loro ricerche.
Stabilita dunque la natura ed il significato morfologico di quel
tessuto, nonchè la sua importanza nella emapoesi, ogni omologia
con la sostanza corticale è affatto da scartarsi.
Ora le mie ricerche non danno alla seconda parte un appoggio
migliore.
Pur ritenendo l’ analogia tra essi e la sostanza midollare, il
Grosglik dice di non aver potuto investigare i rapporti che esi-
stono tra 1 corpicciuoli di Stannius ed il simpatico. Io per con-
trario ho appunto investigato cotesti rapporti ed ecco ciò che ho
trovato.
La faccia dorsale del rene (in cui ordinariamente sono situati
i corpuscoli, in numero variabile, spesso pari) al pari della ven-
trale e degli ureteri (in cui non di rado parimenti si trovano )
presenta una straordinaria quantità di rami ganglionari simpa-
tici. Essi decorrono secondo le ramificazioni arteriose le quali
spesso allacciano come capestri; ogni più piccola arteriola è prov-
veduta d’un filetto in cui sono interpolati piccoli ganglii o cel-
lule ganglionari. Stante dunque la vicinanza di questi corpuscoli
al rene od all’ uretere sono sempre vicini al numerosi rami sim-
patici del ricco plesso.
Irioltre in una Scorpaena ustulata dal capestro ganglionare che
allaccia alcune arterie estrarenali ho veduto spiccarsi direttamente
un filetto e portarsi ad un’ arteriola che entrava nella capsula
esterna di un corpuscolo di Stannius. In un altro esemplare di
Scorpaena trovai la stessa immagine, anzi il ganglio era più vicino
al corpuscolo e spiccava diversi ramuscoli di cui uno, molto esile,
entrava con l’arteriola nella capsula. In entrambi i casi un certo
numero di fibre saranno entrate e si saranno disperse con le ra-
mificazioni interne dell’ arteriola; però giammai ho trovato gan-
ghi o rami ganglionari nel parenchima vescicolare. Quindi a me
pare proprio che si tratti di una semplice e necessaria vicinanza
al ganglii simpatici, per le condizioni speciali di posizione dei
corpuscoli, e che, i rapporti certi, non ideali, sieno di innervazione,
prevalentemente vasale.
Che, se in prosieguo si troveranno anche elementi ganglionari
nell’ interno del corpuscolo, come io certamente non ho trovati,
1) Zieerer—Die Entstehung des blutes der Wirbelthiere.
Bericht der Naturforsch. Gesellsch. Freiburg IV. Bd. 1889.
ip
non per ciò la natura di glandula vascolare del medesimo sarà
meno certa, inquantochè è risaputo che se ne trovano più o me-
no in tutti gli organi, senza che perciò fossimo autorizzati a sup-
porre un rapporto genetico ad es. tra la milza, il timo, la tiroide,
le glandule linfatiche e le vascolari in generale, etc. ed il simpatico.
Diguisachè i corpuscoli di Stannius nella loro struttura e nei
loro rapporti col simpatico, contrariamente alla opinione del Gros-
glik (ed in parte anche di Stannius stesso) non ne accennano ad
alcuno genetico : quindi si debbono ritenere come formazioni af-
fatto distinte dal simpatico, ed ogni omologia con la sostanza mi-
dollare della capsula surrenale (derivi o non derivi dal simpatico)
è affatto arbitraria.
To trovo per contrario notevoli analogie tra i corpuscoli di
Stannius dei teleostei ‘e l’ organo interrenale degli Elasmobran-
Chu)
Anche a primo aspetto si scorge manifesta somiglianza tra i
corpicciuoli incolori o gialletti, rotondi od ellittici, pari od impari,
incassati nella faccia dorsale, qualche volta ventrale, del rene dei
teleostei, e l’organo interrenale, specialmente di certe specie di
Flasmobranchi es. Rajidi ( Raja, Torpedo ) in cui si può ridurre
appunto ad un corpuscolo gialletto, qualche volta pari (£a)a), sl-
tuato sulla faccia dorsale del rene.
Se ai caratteri di posizione ed ai rapporti col rene noi aggiun-
giamo l'esame della struttura troviamo che, parimenti, come me-
glio dimostrerò a suo tempo, l’organo interrenale risulta di com-
plessi otricolari chiusi °) immersi e sostenuti da uno stroma connet-
tivale e da una fitta rete di vasi sanguigni. I rapporti col simpatico
1) Stannius credette invero che i corpi dei teleostei fossero , al pari dello
interrenale, organi analoghi alle capsule surrenali; però i suoi concetti sono
così mutabili e così scarse le sue cognizioni anatomiche ed istologiche al ri-
guardo, che finisce, come feci notare, non solo col dubitare della loro esisten-
za in tutte le specie, ma col ritenerli quali prodotti morbosi.
2) Come si vede, io sono d’accordo più con le prime osservazioni di Balfour
anzichè con le recentissime di Chevrel, riguardo alla struttura dell’interrenale.
In fatti il reticolo congiuntivo nelle cui maglie sono situati nuclei e masse gra-
nulari. descritto da Cheyrel, come dimostrerò in un lavoro comparativo sul-
l'organo interrenale dei sisi ed elasmobranchi, è l’effetto di alterazioni
postmortali delle vescicole. Lo stroma connettivale al quale alludo è quello
di Balfour, non di Chevrel. Alterandosi le cellule dei complessi, il protoplasma
si mostra sgranato, le pareti, in sezione, sembrano maglie nel cui interstizio
è situato il nucleo — questo è lo stroma di Chevrel.
SAM 7 A
si mostrano identici (vicinanza ed innervazione prevalentemente
vasale).
Le differenze cominciano allorchè troviamo le cellale delle otri-
cole più grandi negli Elasmobranchi, la loro parete più evidente ;
ma si tratta solo di varianti, ed il piano generale di struttura
è fondamentalmente identico. |
Nei limiti di questa nota io non posso entrare in discussioni
relativamente al significato morfologico dell’ organo interrenale.
Esiste al riguardo un dedalo di ipotesi e teorie, a cominciare da
quella più volte cennata di Leydig ') e Balfour?) sulla separazio-
delle due sostanze della capsula surrenale, corticale e midollare,
nei bassi vertebrati, a quella più recente del Fusari 3), esclusivi-
sta sino al punto da ritenere che nessuna parte della capsula sur-
renale è omologa all’ organo interrenale. Pur, ripeto, non essendo
questa l’ occasione migliore per tentare una qualsiasi interpreta-
zione, non posso però esimermi, a questo riguardo, dal dichiarare
che, in favore delle omologie tra 1 organo interrenale e per lo
meno la sostanza corticale della capsula surrenale, sta 1’ intiera
anatomia comparata. Le divergenze cominciano allorchè si è di
fronte al quesito dell’ origine e natura della sostanza midollare ;
se essa cioè derivi dal simpatico (Leydig, Balfour, Fusari), ovve-
ro è una trasformazione della sostanza corticale (Gottschau 4). E
mentre le mie ricerche provano la presenza dell’organo interre-
nale nei teleostei, nè le mie stesse nè quelle di Chevrel ®) che, re-
centemente, ha accuratamente studiato il simpatico dei teleostel,
ci additano quella del soprarenale. Per ora fo notare la mancanza
di questo derivato del simpatico, quantunque sia il caso di ulte-
riori ricerche. È chiaro peraltro che, i corpuscoli di Stannius ,
come rappresentanti dell’ organo interrenale, nello stato attuale
1) Levpie. —- Lehrbuch der Histologie des Menschen und
dex Thiere. Frankfurt, 1857 p. 188-192.
2) BaLrour.:—T he Works. Vol. III, London 1885 p. 664 e seg.
3) Fusari.—Contribuzione allo studio dello sviluppo delle
capsule surrenali e del simpatico nel pollo e neimammi-
feri. Archivio per le scienze mediche. Torino Vol. XVI. n.° 14 p. 249-301 ta-
vola IV-VI.
4) Gorrscnau.—Structur und Embryonale Entwickelung der
Nebennieren bei Saugthiere. Archiv. fir Anat. u. Phys. Anat.
Abth. Bd. IX. pag. 412-458 taf. XVIII-XIX. 1889.
5) CHEVREL. -— Sur l’anatomie du Système nerveux grand
sympatiquedes Elasmobranches et des poissons osseux.
Arch. de Zool. Expér. Vol. 5 bis 19, 1890.
DO
®
— 13 — \
della morfologia delle capsule surrenali, debbono ritenersi, contra-
riamente al Grosglik, come gli omologhi non della sostanza mi-
dollare (soprarenale) ma, proprio inversamente, della corticale.
II.—I CORPI DEL CAVO ADDOMINALE.
Stannius, chiudendo il capitolo dove tratta dei corpuscoli surre-
nali, parla, di speciali corpi che si troverebbero nel cavo addo-
minale dei teleostei, « ora in numero di uno come nel Cottus e
nel Cyclopterus al disopra della milza, or di due, come nel Zoarces,
in cui il secondo è situato in prossimità dell’arteria epatica ». In
altri dice che si trovano sul decorso dell’arteria celiaco-mesente-
rica e delle appendici piloriche. Essi risulterebbero formati di un
inviluppo esterno e « di un contenuto bianco-latteo , variabile
molto che consiste di granuli di grasso e di cellule » di cui al-
cune sarebbero grandi all'incirca quanto le cellule del cervello,
altre avrebbero proprio l'aspetto ed il significato di cellule gan-
glionari simpatiche. Ritiene che taluni di questi corpi si debbono
riferire a glandule linfatiche mesenteriche ; altri a blastemi del
simpatico.
Impressionato dalla scoperta di Stannius e dalla novità del ca-
so, mi posi a rintracciare 1 corpi in parola. In fatti nella regione
percorsa dall’arteria celiaco-mesenterica, e sui suoi differenti ra-
mi, nonchè tra le appendici piloriche sono stato fortunato d’im-
battermi in corpicciuoli rotondi, più o meno grandi, che aserivo
al corpi di Stannius.
Senonchè , quest’ osservatore, ignorava che la regione percor-
sa dai rami principali dell’arteria celiaco-mesenterica, quella tra
la milza ed il fegato, sotto lo stomaco o le appendici piloriche,
tra le due lamine mesenteriche, è appunto la regione in cui si
addensa o si ramifica il pancreas ').
Laonde anzichè di corpi del cavo addominale si tratta proprio
di corpuscoli appartenenti al pancreas.
Nel pancreas a tipo diffluente?), essi raggiungono le mag-
giori dimensioni: ed io ne trovai qualcuno della grandezza di un
pisello in un enorme Lophius piscatorius. Nel pancreas più com-
patto i corpuscoli visibili ad occhio nudo sono scarsi, ed invece
1) Questa speciale disposizione del pancreas dei teleostei fu posta in luce
più tardi dal Leeovis (Annal. des sciene. nat. V. Ser. Tom. XVII. 1872-73).
2) Tipo del Legouis (op. cit.)
— a
si trovano in gran numero piccoli corpi microscopici aventi la
stessa struttura dei grandi.
Esistono nel pancreas dei teleostei 1.° corpi visibili ad occhio
nudo, sopratutto nel pancreas molto diffuso nel mesentere ( Lo-
phius). 2.° Corpicciuoli microscopici più o meno rotondi immersi
nel connettivo del pancreas senza alcuno speciale rivestimento. 3.°
Speciali formazioni che io trovo analoghe alle isole o muc-
chi di Langerhans del pancreas dell’uomo e dei mammi-
feri. Questa distinzione è però soltanto apparente ed io l'ho fatta
per comodo di descrizione, inquantochè si passa dall’una alle altre
mediante una serie di forme intermedie, quindi si riferiscono a spe-
ciali atteggiamenti di un’ unica formazione, sinora non descritta
nei pesci, il mucchio di Langerhans.
Pigliando come punto di partenza una microscopica formazio-
ne del 3.° tipo da me indicato, piuttosto grossa, si scorge sul ta-
gli, che essa è formata di otricole più o meno ben delimitate
separate da vasi, risultanti di elementi molto piccoli, contenenti
un nucleo grande all’ incirca quanto il nucleo delle cellule pan-
creatiche. A differenza di queste ultime il protoplasma è scarso,
st colora con difficoltà, ed apparisce appena granuloso e molto
chiaro. Contrariamente alle otricole del corpuscolo del rene gli
elementi di coteste formazioni hanno una parete molto ben vi-
sibile.
I contorni delle formazioni non sono sempre netti; spesso non
è possibile scorgere alcun limite di separazione tra esse e gli acini
del pancreas, sopratutto nelle piccolissime, e dagli acini stessi si
differenziano solo per l’aspetto chiaro del loro protoplasma e per
lo scarso colorito del nucleo. Le più grosse presentano un con-
torno , giammai un vero involucro ; qualche volta la presenza
di più abbondante connettivo che, mentre le separa dai vicini
lobulini pancreatici, li rende meglio appariscenti, simula una
capsula. |
In quest’ultimo caso hanno forma esattamente sferica, laddove
le formazioni molto stivate assumono forme irregolari. Non di
rado se ne trovano di bilobe; qualche volta due sono unite da
istmo molto stretto della stessa costituzione (come se tendessero
a riunirsi ').
I grandi corpi si trovano prevalentemente nel pancreas molto
diffuso nel mesentere, la cui tela vi forma d’ intorno una sorta
1) Potrebbe anche darsi che tal tendenza sia una pura apparenza.— Queste
forme si riscontrano sopratutto nel pancreas dei murenoidi.
NOE
di capsula. È da notare che il contenuto dei corpi, soprattutto
molto grandi, non offre una spiccata aderenza alla capsula avven-
tizia, contrariamente a quanto osservai a proposito dei corpi del
rene in cui da essa dipende lo stroma nel quale sono situate le
otricole tubulari. In fatti, sui tagli, nei corpi del pancreas, tra il
contenuto e la capsula, si notano spazii più o meno grandi, ed
il contenuto stesso mostrasi molto raggrinzato. Oltre & ciò esi-
stono rilevanti alterazioni e disorganizzazioni nelle otricole. In
sul principio 10 supposi che fossero dovuti ad una rapida decom-
posizione post-mortale ; nei numerosi tentativi fatti con corpu-
scoli strappati agli animali viventi e rapidamente fissati, costan-
temente le ho rinvenute, laddove giammai le ho riscontrate nei
corpi del rene, sia piccolissimi, sia molto grandi.
Avendo avuto sott'occhio tutta una serie di forme intermedie
io non esito a ritenere come analoghe tutte le formazioni da me
descritte.
Menato anche qui dalla descrizione di Stannius a rintracciare
i rapporti che per avventura esistono tra esse ed il simpatico non
ho trovato alcun fatto che possa giustificare l'opinione sua, che
sieno, cioè, blastemi del simpatico. A prescindere che parlar di
blastema (in individui adulti) è cosa insostenibile oggi, il simpa-
tico si comporta con esse nella stessa guisa degli altri organi che
innerva. È naturale che, trovandosi nel pancreas e nel mesentere,
(in cui si diffonde quest’ organo) siano avvicinati ai numerosi ra-
mi simpatici del mesentere ed al ramuscoli mesenterico -pancrea-
tici. Qualche volta ho trovati in esse inclusi dei fascetti nervosi
1 quali vi erano penetrati dalla capsula mesenterica e l’ attraver-
savano; nel maggior numero dei casi, ripeto, le contornano o pe-
netrano tra le fibre della capsula e fuorescono.
Nel loro interno non ho trovato ganglii, nè del resto, se ne
avessi trovati, la struttura generale dei corpi giustificherebbe il
sospetto d’ un rapporto genetico col simpatico. E la presenza dei
nervi che si spingono, non di rado, nel loro interno, si spiegherà
agevolmente quando si pensi (e ciò sarà tra poco meglio chiarito)
che i corpi in discorso non sono altro che un derivato della so-
stanza glandolare del pancreas, in cui esistono, come è noto, e
nervi e gangli.
Probabilmente a Stannius sarà accaduto, nel dissociare dei
corpi, di includere nel preparato qualche vicino ganglio dei rami
mesenterico-pancreatici. Del resto quanto egli espone sul conte-
nuto dei corpi « bianco-latteo, ricco di grasso e di cellule, di cui
alcune sono grandi o più piccole o all’incirca tanto grandi quanto
RG Maia
quelle del sangue, altre analoghe a quelle del cervello ed altre
infine aventi tutto l'aspetto delle cellule simpatiche » ci può di-
mostrare quale concetto avesse delle formazioni in discorso.
Nel pancreas del coniglio Langerhans *) scoprì pel primo ta-
lune formazioni risultanti di ammassi di cellule poligonali ,, con
protoplasma chiaro, brillante, omogeneo, munite di un nucleo e
di un nucleolo; egli le denominò semplicemente gruppi o muc-
chi cellulari (Héuflein, Zellhiuflein) senza dare alcuna spiega-
zione della loro natura, tranne ad accennare ad un certo rap-
porto o vicinanza tra essi ed i ganglii nervosi. I lavori di Sa-
viotti °) v. Ebner *) Kiùhne e Lea‘) Heidenhain °) Harris e Gow °)
Renaut ") e qualche altro autore, non spiegano meglio la loro
natura, moltiplicando anzi le ipotesi.
Le ricerche sperimentali di Lewaschew *) rischiarerebbero in
modo soddisfacente quelle enigmatiche formazioni. Egli riscontra
forme di passaggio tra le cellule pancreatiche normali e quelle
del mucchio ; anzi il mucchio di Langerhans si va formando a
spese della metamorfosi regressiva dei singoli elementi dell’ aci-
«no pancreatico; 1 vasi dell’ acino conservano la loro disposizione
reticolare, soltanto per l’impiccolimento delle cellule essi si mo-
strano più evidenti e più dilatati, perchè lo spazio diventa più
ampio. A ciò è dovuto l’ aspetto di glandula vascolare dell’ am-
masso. Non di rado egli è riuscito ad iniettare gli ammassi dal
dotto pancreatico, e ciò proverebbe l’esistenza del dottolino pri-
mario, mascherato dalla forma assunta dall’ acino stesso o com-
1) LANGERHANS — Beitrige zur mikroskopische Anatomie der
Bauchspeicheldriise. Inaug. diss. Berlin 1869.
2) Saviorti — Untersuchungen iiber den feineren Bau des Pan-
creas. Archiv. fiir Mikr. Anat. Bd. V 1869.
3) v. EsneRr — Ueber der Anfànge der Speichelgànge in den
Alveolen der Speicheldriisen. Arch. fiir Mik. Anat. Bd. VIII. p.
481-513 1872.
4) KurgNE u. Lri. - Beobachtungen ueber die Absonderung des
Pancreas. Untersuch. aus d. Phys. Inst. d. Universitit Heidelberg Bd. 11 Heft
IV 1882.
5) HEIDENHAIN — Die Bauchspeicheldriisen — Hermann's Handbuch
des Phys. (Absond. pag. 173) 1883.
6) Harris AND Gow — Note upon one or two points on the compa-
rative histology of the pancreas — The Journal of Phys. 1893 p. 549.
7) Renaur — Sur les organes lympho—glandulaires et le pan-
créas des vertébrés— C. R. de l’ Acad. des sciences. Tom. 49 p. 247, 1879.
8) LewascHew — Ueber eine eigenthimliche Verànderung der
Pankreaszelle warmblitiger Thiere bei starker Absonder
ungsthatigkeit der Driise — Arch. fin Mikr. Anat. pag. 453-485, tav.
XVII, bd. 36 1886.
Beggi
plessi di acini. Ha trovato che, negli animali fatti morire di fa-
me, essi si trovano, in generale, in numero più abbondante che in
quelli sazii. Nei conigli ai quali furono somministrate dosi gene-
rose di pilocarpina essi invece erano quasi del tutto scomparsi.
Dalla somma dei suoi esperimenti ha dedotto che, allorchè l' at-
tività secretoria del pancreas è stato molto stimolata, quelle for-
mazioni spariscono, laddove aumentano nello stato d’inerzia del-
l'organo. Quindi il mucchio di Langerhans rappresenterebbe una
altra e più duratura forma di riposo del pancreas oltre quella
descritto da Heidenhain come riposo periodico delle cellule dopo
ciascuna secrezione, inquantochè i suoi singoli elementi possono
riprendere la forma primitiva e ricostruirsi l’ acino pancreatico.
In tal modo si spiega la deficienza dei mucchi negli animali pi-
locarpinizzati, ed uccisi parecchi giorni dopo la somministrazio-
ne del veleno.
Dogiel') appoggia le vedute di Lewaschew in quanto alla de-
rivazione dei mucchi dalla sostanza glandulare del pancreas, ma
non ammette che possano ripristinarsi, inquantochè rappresen-
tano una metamorfosi regressiva che finisce con la loro totale
sparizione. Anche il Laguesse*) ritiene che si debbano riferire al
pancreas; non può condividere però 1’ opinione di Lewaschew
che siano, cioè, acini stanchi, inquantochè li ha trovati nel neo-
nato e nel feto, in cui anzi si trovano in gran numero, diminuen-
do alla nascita. Essi per contrario rappresentano un modo di ac-
crescimento del pancreas ed una speciale funzione secretoria: cioè
nello stato di acino pancreatico si ha una secrezione esterna ,
nello stato di mucchio di Langerhans, una secrezione interna, in-
quantochè, per la sua struttura, rappresenta una piccola glandula
vascolare i cui elementi si dissolvono in parte, mentre i granuli
che si formano in altri vengono riassorbiti.
A me in verità è riuscita molto oscura questa opinione del La-
guesse, e non oserei sottoscrivermi ad essa, sopratutto tenendo
presenti i lavori di Lewaschew e Dogiel.
Comunque sia 1 citati autori sono di accordo nello ammettere
che i mucchi di Langerhans derivino dalla sostanza glandulare
del pancreas, sieno destinati a ripristinarsi (Lewaschew, Laguesse)
o a sparire (Dogiel).
) DocueL-Zur Frage iiber die Ausfilhrungsgaànge des Pan-
kreas des Menschen. Archiv fiir Anat. u. Entwickelungsgesch. 1893,
p. 117-122. Tav. X. Nega la presenza del dottolino escretore.
2) Laguesse. Formation des îlots de Langerhans dans le
pancréas. Oompt. rend. Soc. Biol. Paris—T. V. Ser. 9—1893, p. 8 19-20.
on e.
Gli studii da me fatti sul pancreas dei mammiferi fanno in-
clinarmi a riferire parimenti la genesi dei mucchi al pancreas ,
per quanto però non mi forniscano argomenti per appoggiare di-
rettamente le conclusioni di Lewaschew o quelle di Dogiel, sul
loro destino ulteriore.
Dal confronto però ho le prove le più convincenti per ritenere
le formazioni da me trovate nel pancreas dei teleostei, come iden-
tiche a quelle dei mammiferi ed uccelli.
Im migliore occasione ritornerò sulle speciali modificazioni che
esse presentano, ed estendendo le ricerche agli altri vertebrati a
sangue freddo, tenterò se è possibile rintracciarne il significato
ultimo, con una più ampia raccolta di fatti.
Dall’ esposto si rileva che non sono affatto da confondersi i
corpi del rene con quelli del pancreas, come a primo aspetto
parrebbe.
Oltre le differenze strutturali innanzi indicate, mentre una se-
rie di forme intermedie provano la derivazione dal pancreas dei
secondi, niente milita in favore di una analoga genesi renale per
i primi. E mentre i corpi del rene, presentano una certa regola-
rità nella loro disposizione (per quanto variabile sembri a chi
giudicasse superficialmente ) i corpi del pancreas sono costante-
mente irregolarissimi per numero e distribuzione. Sopratutto, la
struttura dei corpi del rene è sempre uniforme, così nei piccoli
come nei grossissimi, laddove nei corpi del pancreas si notano
rilevanti alterazioni e disorganizzazioni. L’analogia strutturale è
data dal solo fatto che i lobulini pancreatici in regresso assumo-
no l’aspetto di otricole ed i vasi, più dilatati, diventano maggior-
mente evidenti, ma i caratteri istologici dei rispettivi elementi
sono molto diversi.
Possiamo compendiare tutte le differenze in una distinzione
embriologica capitale: i corpi del rene sono formazioni mesoder-
miche e primarie, quelli del pancreas formazioni endodermiche e
secondarie (derivati dal pancreas).
Conchiudendo dunque: I corpuscoli surrenali di Stan-
nius rappresentano l'organo interrenale nei te-
leostei.
Icorpidelcavo addominale scoperti da Stan-
nius non sono glandule linfatiche mesenteri
che, nè parti del sistema gran simpatico; dif
Pista GRIS
feriscono essenzialmente dai corpuscoli surrenali,
e spettano al pancreas; essi sono analoghi alle
cosidette isole o mucchi di Langerhans del pan-
creas dell’uomo e dei mammiferi.
Napoli, Stazione Zoologica, Marzo 1895.
Sopra alcune piante a funzione mirmecofoba. — Nota
di A. DE GASPARIS.
(Tornata del 13 marzo 1895).
Mentre lo studio sulla funzione mirmecofila ha dato tanta luce
alla importante quistione della simbiosi, come risulta dalle osser-
vazioni d’illustri scienziati come Belt e Delpino, il quale ha trat-
tato la quistione in un modo assolutamente completo, esistono altre
fuzioni, che pare abbiano uno scopo affatto opposto.
In un gran numero di piante ') l’accesso alle formiche e ad al-
tri insetti è reso impossibile dalla presenza di peli costituenti o-
stacoli insormontabili.
In un’altra categoria si trovano piante, le quali impediscono
l’accesso mediante escrezioni viscose, così nella Bartsi& viscosa,
Robinia viscosa, Linum viscosum, Euphrasia viscosa, Silene viscosa,
Dianthus viscidus, Senecio viscosus, Holosteum glutinosum, Salvia
glutinosa etc. La sostanza viscosa si trova frequentemente ed in
più grande abbondanza sui peduncoli fiorali o sopra 1 fiori stessi.
Nell Epimedium alpinum per esempio le foglie e le parti basse
del fusto sono glabre, mentre i peduncoli sono ricoperti di peli
glandulosi e vischiosi ed il numero dei piccoli insetti, che peri-
scono sopra queste piante, è enorme.
Un caso assai interessante a proposito della funzione mirme-
cofoba è quello del Polygonum amphibium; i suoi piccoli fiori sono
ricchi di nettare e sarebbero certamente visitati dalle formiche
qualora non esistesse un fatto assai rimarchevole. La specie in
quistione vive tanto nel terreno quanto nell'acqua; gl’individui, i
quali vivono sul terreno sono coperti da un’ innumerevole quan-
tità di peli glandulosi, vischiosi, che costituiscono una protezione
efficace contro le formiche ; gl’ individui nati nell’ acqua, essendo
naturalmente protetti, non sono coperti da questi peli.
1) LusBocx J. Les Fourmis, Vol. I, pag. 49,
IO e
Avendo avuto occasione di studiare alcune piante nelle quali
tale funzione è oltremodo spiccata, ho creduto far cosa utile darne
un cenno in questa nota.
La Dombeya Ameliae Guill. 1) è un magnifico albero del Mada-
gascar, esistente in ottimo stato nella nostra serra temperata da
moltissimi anni. La funzione destinata a preservare le gemme e
le foglie dalle formiche assume un carattere oltremodo interes-
sante, poichè le parti sulle quali si compie siffatta funzione sono
le basi, gli apici dei peduncoli e le parti basse delle foglie che
circondano le gemme ; in modo che pare, la funzione sia proprio
diretta ad impedire l’ ingresso alle formiche.
Verso le ore mattutine delle giornate di està, vien fuori in
grande copia dall’ apertura di alcuni dutti situati sulla parte
slargata del picciuolo, proprio dove si partono le nervature della
foglia, un liquido di consistenza sciropposa, di odore resinoso, di
color giallo, il quale si spande e scende per circa quattro centimetri
lungo il picciuolo e diventa fortemente vischioso dopo poco tempo ;
dalle gemme vien fuori un liquido simile. Pare, che le formiche
siano fortemente attirate dall’odore di questa sostanza, poichè in
gran numero accorrono verso le parti, dove l’escrezione si compie
e vi restano immediatamente impigliate; mentre è da notare, che
le formiche hanno generalmente l’ abitudine di allontanarsi dai
punti sui quali si trova del vischio, come mi è stato facile dimo-
strare spalmando circolarmente alcuni fusti di piante frequentate
da questi insetti. Anzi debbo in questo punto aggiungere, che mi
e qualche volta riuscito di vedere le formiche adattare dei piccoli
sassolini sul vischio sovrapponendoli in modo da ristabilire la via
interrotta, la qual cosa ci fa supporre, che la sostanza escreta dalla
Dombeya abbia un’ azione speciale in questi insetti in modo forse
da inebbriarli, poichè è certo supporre che essi hanno completa
conoscenza del pericolo. Sopra i peduncoli delle foglie di questa
pianta si osserva sempre un grandissimo numero di formiche morte,
frequentemente altri piccoli imenotteri, raramente qualche micro-
lepidottero e qualche dittero; le specie, che più facilmente mi è
occorso di osservare, appartengono tutte agli imenotteri. Esse sono:
Lasius niger
>» flavus
1) Guinuemn. Arch. d. bot. 1, 367.— VAn HourtE. Flore des Serres VI
225 tab. 605.
Formica rufa L.
I ligniperda
Myrmica rubra Latr. (frequentissima)
> caespitum
Cymips fol L.
Rhodites rosae L.
Dopo molti giorni gl’ insetti immersi in questa sostanza subi-
scono una speciale decomposizione e pare che siano lentamente
distrutti.
È difficile stabilire se questa escrezione sia destinata ad impe-
dire alle formiche il trasporto o la difesa degli afidi nelle parti
della pianta in via di sviluppo; ovvero sia destinata a proteg-
gere la pianta da specie di formiche devastatrici, simili a quelle
che nelle regioni tropicali di America, sono tanto frequenti, e che
si attaccano anche alle foglie adulte, riducendole in frammenti 1).
L’ altra pianta da me studiata è la Psoralea bituminosa , la
quale anche presenta una escrezione limitata alla base dei pedun-
coli ed alle parti circostanti alla gemma terminale.
Le foglie di questa pianta presentano lunghi picciuoli e sono
composte da tre foglioline ovali bislunghe o lanceolate; l’escrezione
si compie alla base del picciuolo, che appare rigonfio e di un
colorito bruno; nelle vicinanze della gemma terminale si ha una
escrezione simile e più copiosa.
La materia escreta è una resina di un colorito nerastro, di un
odore fortemente bituminoso ed è attaccaticcia quando è di re-
cente escreta, poscia si rapprende rapidamente. Anche in questo
caso l’ escrezione è destinata a proteggere la pianta dalle escur-
sioni delle formiche, essendo essa limitata ai soli punti di pas-
saggio.
Pare, che questa sostanza allontani le formiche semplicemente
per l’ ingrato odore, poichè non mi è mai riuscito di vedere degli
insetti impigliati; e qualche volta ho notato che, ponendo alcune
formiche sulle foglie della Psoralea, esse o si lasciavano imme-
diatamente cadere sul terreno o dopo aver percorso la foglia, ar-
rivate alla metà del picciuolo, risalivano sulla foglia per ripetere
più volte questa operazione.
La Psoralea non sempre presenta spiccatamente il detto carat-
tere; gli esemplari di questa specie, che meglio si prestano per
1), Belt. The naturalist in Nicaragua — Bares. H. W. The
naturalist on the Amazons.
SO ASI
l’ osservazione di una escrezione abbondante, appartengono ai
terreni lapillari nei punti più esposti ai raggi solari.
Adunque da ciò che ho detto si rileva, che la localizzazione
degli escreti, avverantesi lungo i picciuoli, ha per iscopo di pre-
servare la pianta dalle visite degli insetti non alati, massima-
mente dalle formiche, che in certo modo potrebbero arrecarle
danno.
Giordano Bruno nella storia della Geologia — Nota di
Giuseppe DE LorENZO.
(Tornata del 28 aprile 1895 )
Dopo che Kepler ebbe dato ai pensieri di Giordano Bruno, cui
egli insigniva del nobile titolo di « defensor infinitatis », onorevole
posto tra le idee che Galileo e altri astronomi a lui contempora-
nei andavano esponendo, circa due secoli di silenzio pesarono sulla
vita e sulle opere del filosofo Nolano, prima che una schiera di
pensatori e di scrittori, quasi tutti tedeschi, da Jacobi e Schelling
fino a Brunnhofer e Tocco, mostrasse quale vasta orma quell’in-
gegno ha lasciato nella storia del pensiero umano. E quelli che,
come Brocchi, Lyell, D’ Archiac e altri, hanno scritto di storia
della Geologia, non han curato di conoscere quel che Bruno pen-
sasse sulla costituzione della Terra, mentre, accanto alle limpide
concezioni del gran Vinci e alle dimostrazioni audaci di Palissy,
essi hanno accuratamente segnato le assurde disquisizioni di Mat-
tioli e di Falloppio e le scempiaggini di un Olivi da Cremona. E
pure nelle opere di Bruno germogliano di nuovo e con più vigore
le sane dottrine della scuola di Pitagora, di Democrito e di Epi-
curo da lui allargate e perfezionate, e devesi quindi riconoscenza
a Tocco, e più specialmente a Brunnhofer, i quali ci hanno indi-
cato, come la mente di Bruno precorse quasi all'evoluzione storica,
anticipando sulla conoscenza della Terra molte delle idee da noi at-
tualmente acquisite per naturale eredità di studî.
Le idee geologiche di Bruno riguardano specialmente la mor-
fologia della superficie terrestre, e fa non poca meraviglia trovare
fra esse un’ audace affermazione, la quale par che anticipi di due
secoli il risultato delle moderne misure geodetiche. Egli infatti nega
che la superficie terrestre sia una superficie perfettamente sferica.
Nel poema De Immenso et innumerabilibus questa idea si trova
espressa nel Lib. IV, Cap. XVI con le parole: < Il quapropter
forma est cognata globosa » ed è chiarita poi nel comento in pro-
sa: « Nosque, sì ad umiversum Telluris globum respiciamus..... verius
globosam machinam (minime tamen ad geometricam formam) agnosce-
remus.» Nel Cap. XVIII ripete: « Nume iterum sensus, mentis re-
vocato sub alas, Atque vides ut Tellus formam non usque globosam
— 30 —
Concipiat », e nel comento in prosa al Cap. XVII spiega: <..... quare
necessario ab orbiculari illa partium unione recedit. Hac quoque ra-
tione neque Tellus secundum reliquas partes sphaericitatem servare
potest regularem illam; neque secundum totum, exacte. Necessarium
est enim ab omni initio in illa prominere montes, subsidere valles,
acquora protensa tum aquarum tum aridae conterminari..... ». Le
ricerche di Laplace, Fischer, Pratt, Clarke, Thomson e Helmert
(v. Helmert, Die mathematischen und physikalischen Theorien der
hoheren Geodtisie) ci hanno appunto mostrato come e quanto il
geoide differisca dall’ellissoide o sferoide teoretico, e le parole di
Bruno sembrano quasi un oscuro abbozzo di queste ultimamente
scritte da Eduard Reyer: « I materiali terrestri sono disegualmente
mescolati ed inviluppati. In molte regioni dominano le masse ba-
siche pesanti, in altre al contrario le leggiere. Un,corpo cosmico
di tale natura deve già nello stadio liquido scostarsi dalla forma
regolare di un ellissoide di rotazione. Se in regioni di raggi vi-
cipi esistevano masse di varia densità, l’ equilibrio si stabilì quando
la regione corrispondente alle masse più dense fu depressa più
profondamente. Dunque durante lo stadio liquido non dovette for-
marsi un ellissoide di rotazione, ma un geoide. ».
Molto esatti e corrispondenti ai nostri concetti moderni sono i
pensieri sulla morfologia statica della superficie terrestre, i quali
si trovano sparsi tanto nelle opere italiane che nelle latine. Per
le prime, non avendo potuto procurarmi la nuova edizione di La-
garde, seguo quella vecchia di Wagner; per le altre mi attengo
alla bella edizione curata da Fiorentino, Imbriani, Tallarigo, Tocco
e Vitelli. Nella Cena de le Ceneri accenna in un punto (Wagn.,
I, 167) al modo complesso con cui sul nostro pianeta si integrano
e si confondono la terra, l’acqua e l’aria, che non sono affatto
disposte secondo il concetto aristotelico: «..... Questo aere, per il
quale discorrono le nuvole e li venti, è parte de la terra; per che
sotto nome di terra vuol lui (il Nolano) e deve essere così al pro-
posito, che s’ imtenda tutta la macchina, e tutto l’animale intiero
che consta di sue parti dissimilari: onde li fiumi, li sassi, li mari,
tutta l’aria vaporosa e turbulenta, la quale è rinchiusa ne gli al-
tissimi monti, appartiene a la terra, come membro di quella, o
pur come l’aria, che è nel pulmone et altre cavità de gli animali,
per cui respirano, si dilatano le arterie, et altri effetti necessaril
a la vita s' adempiscono. » E più avanti, a pag. 169: « Però per
gli altissimi (monti) non intendiamo, come l’ Alpe e li Pirenei e
simili, ma come la Francia tutta, ch’ è tra dui mari, settentrio-
nale Oceano, e australe Mediterraneo; da quei mari verso l’ Al-
— 31
vernia sempre si va montando, come anco da le Alpe e li Pire-
nei..... per che secondo la verità tutta questa isola Britannia è un
monte, che alza il capo sopra l’ onde del mare Oceano, del quale
monte la cima si deve comprendere nel loco più eminente de l’i-
sola..... » Nel grandioso dialogo De l infinito universo e mondi,
allarga e approfondisce sempre di più il suo pensiero ( Wagn.,
IL, 60 e 61): « In questi dunque astri, o mondi, come li vogliam
dire, non altrimenti s’ intendono ordinate queste parti dissimilari
secondo varie e diverse complessioni di pietre, stagni, fiumi, fon-
ti, mari, arene, metalli, caverne, monti, piani, et altre simili spe-
cie di corpi composti, di siti e figure, che ne gli animali sono le
parti dette eterogenee..... Chi non vede che da per tutto de la terra
escono isole e monti sopra l acqua..... Chi non sa, che nelle pro-
fonde caverne e concavitadi de la terra son le congregazioni prin-
cipali de l’ acqua ?..... Lascio, che l’ altitudine de l’ acqua sopra la
faccia de la terra, che noi abitiamo, detta il mare, non può es-
sere e non è tanta, che sia degna di compararsi a la mole di que-
sta spera; e non è veramente circa, come gl’ insensati credono ,
ma dentro quella..... » Questi concetti sono trattati con maggior
precisione nel poema De Immenso et Innumerabilibus. Nel Lab.
IV, Cap. XVI, v. 48, nota la poca importanza delle monta-
gne ove le si paragonino alla mole della Terra: « Excusant, cum
se adtollunt versum aethera montes, Hos mihil ad magnam Tel-
luris ducere molem Plusquam et exigui repolito in corpore sulci. In
porri passim asperitas tuberesque figuram Non ilo variant..... » E
nel comento in prosa al Cap. XVII: « Quamvis montium celsitudo
et vallium imitas, umiversam terrae rotumditatem variare videantur,
haec apud vulgariter hac de re definientes, respeciu totius, iudican-
tur quasi tuberositates vel asperitates illae in superficie pomi; ut et
certe non potest esse globus adeo artificialiter perpolitus, in quo,
quamvis minimum; ad sensum alterare videantur, sic tamen suppres-
storum eminentiorumque partium differentia. Nobis vero et montes
altissimi sunt et valles profundissimae , in quibus tam qui degunt,
non magis se esse in plamtie existimant, quam alti alibi vere sint.....
Stc totius Galliae regionem montem unum esse comperio, qui sen-
sim ab Oceano septemtrionali crescit usque in Alverniam ubi est eius
cacumen, ex Occidente a Pyreneis montibus qua fluit Garumna, ex
Oriente a Rhodano, ex Meridie a Mediterraneo mari ; vulgariore
autem oculo iudicantibus ti soli videntur esse montes, qui repentina
eminentia promptius adsurgunt, ad sensumque nostrum elati super
plano mole sua sensibilis horizontis aspectum imperturbant: sed haud
aliter inter sensum vulgarem atque sensum philosoplicum interest,
MO GE
quam ‘inter oculum formicae et humanum..... » Più tardi, nel Lib. V,
Cap. XIII, v. 48, insiste sulla esiguità dei veli liquidi che noi
chiamiamo mari: « Lecirco maris non plus valet esse profundum,
Quam siet excelsi a sublimi vertice montis Usque ad subiectas ra-
dices illius..... Milla conferte passinm post haec diametro Telluris,
veniatque proportio lecta fideli Mensura, et videam nun sudorque ex-
tra amimalis Pellem, aut membranae eriguae spissamen habendum
Im proprio genere esse minus, quam sit mare in isto. » E nel co-
mento in prosa aggiunge: « Minima pars aquae (si ad totam com-
paretur qua Telluris corpus compingitur) est haec quae maris umi-
versi speciem refert..... Mare non extra Tellurem, sed interiora Tel-
luris tenet, si umiversum astri corpus inspiciamus, ut saepe dictum
est. » Tutto il Cap. XI del Lib. VI è quasi una sintesi delle idee
di Bruno sulle relazioni di quantità e di limiti intercorrenti fra
il mare e la terra, e io ne trascrivo qui il riassunto datone da
Tocco nel suo lavoro Le opere latine di Giordano Bruno (pagina
2353): « Egli è vero che i mari coprono la superficie della terra,
ma la profondità loro non è certo maggiore delle più alte montagne
le quali giacevano pur un tempo nel fondo dei mari, come lo at-
testano i vestigii in esse scoperti di nicchi e conchiglie marine.
Non si può dunque dire nè che il mare circondi la terra, nè la
terra il mare, ma luna e 1’ altra formano come un tutto, cui so-
vrasta l’ aria, allo stesso modo che mal si direbbe il sangue ricin-
gere le arterie e la cute degli animali. E se pur si voglia pre-
scindere dall’ aria, certo non il mare ma i monti toccano più da
vicino il cielo. » Oltre a questi concetti teoretici di indole gene-
rale il Nostro non trascura di fare delle osservazioni analitiche :
così nel comento in prosa al Cap. III del Lib. IV nota l’allinea-
mento dei vulcani sulle coste marine e attribuisce le eruzioni vul-
caniche ad azioni chimiche esercitate dall’ acqua sui materiali della
crosta terrestre: « Apud nos nusquam inconsistere sine aqua vide-
tur ignis, et validiores flammas humiditate simplicis aquae alimus,
alitur Vulcanus, Vesuvius et Acthna vicinitate maris, ignes etiam
veluti mortui, aqua (ut in calce viva constat) excitantur. >» E più
tardi, nel Lib. VI. Cap. XIV, v. 11, considera tutte le manife-
stazioni vulcaniche e termali come modificazioni di uno stesso fe-
nomeno: « Hinc Thermae, hinc calidi fontes, hinc sunt freta salsa,
Sulphurei hinc montes; hinc est bitumen amarum, multiplici hine
Stygius regioni aperitur Avernus, Hinc celebris Siculis praeruptus
hiatibus Aethma, Cinerei hinc montes, vidui partusque Vesevi, Vul-
cani, Lypares, Prochitue, Ibernacque fucinae..... « Bellissimi sono i
versi del Cap. IX nel Lib. VI, in cui descrive la circolazione delle
pr
LE SE
acque sotterranee: « Ste gyrant lymphae, terrae excurrendo per al-
vum, Non etenim magis ascendunt vaga flumina nostras Ad parteis,
quam descendant repetendo profundum, Ut rursum emergant, instau-
ratique reportent Mud idem fontes, quod iam retulere. Quid esset,
Quodam mi gyro naturac cuneta redirent Ortus ad proprium rur-
sum; si sorbeat ommeis Pontus aquas, totum non restituatque perenni
Ordine, qui posset rerum consistere vita ? »
A mostrare quanto le su accennate idee di Bruno si avvicinino
a quelle della moderna geografia fisica, basta leggere questi pe-
riodi di Die Entstehung der Alpen, in cui uno dei principi della
attuale Geologia, Eduard Suess, spiegando gli stessi concetti, ado-
pera quasi le medesime parole del filosofo Nolano: « Es ist nun
vor Allem nòthig, dass man sich gegenwàartig halte , wie gering
doch die Dimensionen jener Runzeln der Erdoberfliche , welche
wir Gebirge nennen, im Verhéltnisse zum Durchmesser des Plane-
ten sind... Kann man wohl auch die Erde in Hiillen theilen, deren
Jede allerdings in vielfacher Verbindung mit der nachstfolgenden
steht. Die erste ist die Atmosphére, die zweite die Hydrosphàre,
die dritte di Lithosphire. Die Hydrosphire gibt Diinste in die
Atmosphire ab, diese verdichten sich und kehren zuriick. Die
poròsen Theile der Lithosphire nehmen Wasser auf, lassen es
circuliren und als Quellen wieder aufsteigen. Viel Wasser wird
chemisch gebunden. Fortwàhrend werden lose Theile der Litho-
sphéàre an tiefere Stellen getragen..... Die Unebenheiten der Ober-
fiche der Lithosphire und das unzureichende Volum der Hy-
drosphére bringen es mit sich, dass die letzere unvollstàndig ist
und durch diese Unvollstàndigkeit entsteht der Gegensatz von
Meer und trockenem Land.....» Brunnhofer nel suo Giordano Bru-
nos Weltanschauung notò come il Bruno anticipasse di molto quelle
idee sulle elevazioni delle masse continentali di cui si tenne sco-
pritore Oskar Peschel nei suoi Neue Probleme der vergleichenden
Erdkunde. Io fo qui osservare con quanta serenità di giudizio
il Nostro riconoscesse l’assurdità dei vari Diluvi universali sparsi
nelle antiche leggende religiose. Nello Spaccio della bestia trion-
fante (Wagner, II, 235), Giove, temendo la critica degli uo-
mini sulla universalità del Diluvio, manda ad essi l’ Aquario
con l’incarico di raffermarli nella religiosa convinzione: « Vada a
trovar gli uomini, e sciorli quella quistione del Diluvio, e dichia-
rar come quello ha possuto essere generale, per che s’ apersero
tutte cataratte del cielo; e faccia, che non si creda oltre, quello es-
sere stato particolare, per che è impossibile, che l’ acqua del
mare e fiumi possa li doi ambi emisferi ricoprire, anzi nè pur
(n)
(9)
RENI I E
un medesimo citra et oltre i tropici e l’ equinoziale..... » Solo
ultimamente Eduard Suess in Das Antlitz der Erde ha chiara-
mente dimostrato a che si riduce il Diluvio universale: « Das
unter dem Namen Sintfluth bekannte Naturereigniss ist am un-
teren Euphrat eingetreten und war mit einer ausgedehnten und
verheerenden Ueberfluthung der mesopotamischen Niederung ver-
bunden..... Die Traditionen anderer Voòlker berechtigen in kei-
ner Weise zu der Behauptung, dass die Fluth iber den Unter-
lauf des Euphrat und Tigris hinaus oder gar iber die ganze
Erde gereicht habe ».
Ma se nell’ osservare l arditezza delle idee di Bruno sulla mor-
fologia, che io ho chiamata statica, della superficie terrestre grande
è stata la nostra meraviglia, questa cresce non poco quando si
passi ad esaminare i pensieri di lui sulla morfologia che dirò di-
namica, pensieri che con ragione trassero il Brunnhofer ad escla-
mare: «< Von wahrem Erstaunen wird man aber ergriffen, wenn
man Bruno’s Ideen iiber die allmàlig vor sich gehenden Veràn-
derungen der Erdoberfliche und ihrer Temperaturverhaltnisse
liest. » I concetti infatti manifestati in questo campo dal filosofo
epicureo trecento anni indietro sono appunto quelli che servono
di base alla moderna Geologia, e io ne riporterò i principali, spi-
golando qua e là nelle sue opere.
Nella Cena de le Ceneri (Wagn., I, 169) si trova: « L’Alpe e
li Pirenei sono stati altre volte la testa d’ un monte altissimo, la
qual, venendo tutta via fracassata dal tempo, che ne produce in
altra parte per la vicissitudine de la rinovazione de le parti de
la terra, forma tante montagne particolari, le quali noi chia-
miamo monti. » Questo periodo par quasi un vaticinio delle pa-
role pronunziate da Eduard Suess due anni or sono a Géorlitz
nella sua conferenza Ueber nevere Ziele der Geologie: « Was wir
als Gebirge vor uns sehen, sind die mehr oder minder abgetra-
genen Ruinen jener viel michtigeren Hòhen, welche die Natur
einst aufbaute. Hat man gelernt, die urspringliche Gestalt dieser
Ruinen im Geiste annàhernd wiederherzustellen, so erlangt man
ein wesentlich anderes und weit grossartigeres Bild der meisten
Gebirge. » Nelle pagine 191, 192 e 193 si legge: « Però a questa
massa intiera, de la qual consta questo globo, questo astro, non
essendo conveniente la morte e la dissoluzione, et essendo a tutta
natura impossibile l’ annichilazione, a tempi a tempi con certo
ordine viene a rinovarsi, alterando, cangiando, mutando le sue
parti tutte..... E questo l’ esperienza d’ ogni giorno nel dimostra;
che nel grembo e viscere de la terra altre cose s’ accogliono, et
PIRO IE
altre cose da quelle ne si mandan fuori..... Però quel, che fu et
è mare, non sempre è stato e sarà mare; quello che sarà et è
stato terra, non è, nè fu sempre terra; ma con certa vicissitu-
dine, determinato circolo et ordine, si de’ credere, che dov'è l’uno,
sarà l’ altro, e dov’ è l’ altro sarà l’ uno..... Le quali mutazioni veg-
giamo farsi a poco a poco, come le già dette, e come ne fan ve-
dere le corrosioni di monti altissimi e lontanissimi dal mare, che,
quasi fusser freschi, mostrano li vestigii de l’ onde impetuose. È
ne consta da l’ istorie di Felice Martire Nolano, quali dichiarano
al tempo suo, ch'è stato poco più o meno di mill’ anni passati,
era il mare vicino a le mura de la città, dov è un tempio, che
ritiene il nome di Porto, onde al presente è discosto dodici milia
passi. Non si vede il medesimo in tutta la Provenza? Tutte le
pietre, che son sparse per li campi, non mostrano un tempo es-
ser state agitate da l’ onde?..... » Quando in questo stesso lavoro
Bruno cerca di spiegare perchè queste modificazioni della super-
ficie terrestre sfuggano agli uomini, la sagacia delle sue osserva-
zioni richiama allo spirito il finissimo racconto di Kidhz scritto
da Mohammed Kazwini, l’arguto scrittore arabo del secolo deci-
moterzo.
Nell’ altro dialogo De infinito umiverso e mondi ritorna in
campo il medesimo argomento (Wagn., IL, 94): «..... tutte le
parti de la terra si cangiano successivamente di sito, luogo e tem-
peramento; mentre per longo corso di secoli non è parte centrale,
che non si faccia circonferenziale, nè parte circonferenziale, che
non si faccia del centro, o verso quello. » In varî punti del poema
De Immenso si accenna alle stesse quistioni. Nel Lib. IV,
Cap. VII, v. 74 è scritto : « Nam mare quam procul ex una
regione recessit, Tam prope se ad reliquam convertit, quamque
retusa Unius adtendis tumidi sublimia montis, Subdita tantundem
sublato tergore vallis Consurxit, verrensque solum vis fluminis,
alveum Permutansque cavat circum exraequatque rotando Campis,
se sursum iubet ultro adtollere monteis, Planitie humilius se sub-
sternente ». Nel Lib. V, Cap. XII , v. 39 si trovano i bellis-
simi versi: « Sed rursum corpus telluris contueamur, Et videumus
ubi tanta ipsum in mole pusillum, Nec primo reputemus cam tellu-
ris haberi Partem contectam maribus non ordine eodem Distinctam
in planum, valles, montesque superbos; Nam quae nunc pontus su-
per occupat, haec aliquando Sydera tranquillo spectabant acre pro-
na; Et contra maris aspicimus vestigia celsis Montibus impressa,
celsa usque cacumina sursum ». E nel comento in prosa al Cap.
XVIII del Lib. VI: « Omnia circuunt, et Telluris partes, et ma-
Bano GRISO
ria, et flumina variant, infleco refleroque quodam maturae ordine,
vicissitudines: sicut materia hinc inde, influendo effluendoque, va-
gatur, ita etiam circa materiam, formae. ».
Finalmente tutte le idee di Bruno sui cambiamenti della su-
perficie terrestre si trovano condensate e cristallizzate in questi
stupendi e limpidissimi periodi dello Acrotismus camoeracensis :
« Effluxus igitur influrusque partium continuus est in terra,
sicut et in animalibus particularibus ; unde evenit ut partes centra-
les quandoque circumferentiales evadant, vicissimque de circumfe-
rentia centrum, aliasque locorum differentia repetant. Hinc continue
facies telluris variatur, ut modo mare sit, ubi undae fuerant, modo
montes appareant, ubi valles subsederant, (quodque frequentius ap-
paret) modo vaporum exaltatio, modo pluviarum casus eveniat, modo
lutosum aliquid in lapides inspissetur, modo spissi lapides in pul-
verem resolvantur; in quibus ommibus nullum violentum concesserim
sed naturalem prorsus omnem motum: ilud enim violentum tantum-
modo appello, quod extra vel contrae naturae opus atque finem
contigerit. >
Se da quel che si è fin qui detto traspare come nelle opere di
Bruno siano contenuti i principî fondamentali della moderna geo-
logia per ciò che riguarda i cambiamenti della superficie terre-
stre, dall’ altro, che ora aggiungerò, risulta chiaramente che nel
giudicare della lentezza e della naturalità con cui questi cambia-
menti si verificano il Bruno, passando al di sopra di Descartes e
di Leibnitz, si rivela quasi un precursore di Lyell. Già la frase
dell’ Acrotismus camoeracensis qui innanzi citata : c..... im quibus
ommibus nullum wviolentum concesserim, sed naturalem prorsus
omnem motum..... » riassume in sè l’idea capitale che informò
più tardi i Principles of Geology, ma il filosofo Nolano non manca di
esplicare il suo concetto sia nelle altre opere latine, che nelle ita-
liane. Nella Cena de le Ceneri (Wagn. I, 192 e 193) infatti egli
dice: « E da questo, che li fiumi si cascano, proviene, che per ne-
cessaria conseguenza si tolgano i stagni e mutinsi li mari; il che
però accadendo successivamente circa la terra a tempi lunghis-
simi e tardi, a gran pena la nostra, e di nostri padri la vita può
giudicare..... Però come veggiamo , che molti luoghi, che prima
erano acquosi, ora son continenti, così a molti altri è sopravve-
nuto il mare. Le quali mutazioni veggiamo farsi a poco a poco..... »
E nell’ altro dialogo De l infinito universo e mondi parlando
della luna, la cui costituzione egli ritiene analoga a quella della
terra si esprime così (Wagn. Il, 58): «.... la sua faccia non vien
cangiata se non per grandissimo intervallo di etadi e secoli, per
VOTO
Il corso de’ quali li mari si cangiano in continenti, e li continenti
in mari. » Nel poema De immenso , imaginando di poter guar-
dare la terra dalla luna (Lib. III, Cap. IV, v. 19), scrive: « E
lunae specula huc igitur si advertere lumen Concessum fuerit ,
quod tu concedere posses Ipse tibi sapiens, mentisque profunda re-
visens, Quid (rogo) comprendes aliud quam lumen et umbram, Op-
postum ad solem quae dat mare, et insula semper? Horum permul-
tis loca sunt variantia seclis Pauxillo, ut vix cognoscat generatio
praesens: Qui fit ut et possint discrimina tanta videre Longinqua
usque adeo spectantes e regione ?..... » E nel Cap. II del Lib. IV,
continuando la medesima imagine : « Splendens nostra maris spe-
cies cum corpore opaco, Tempore praesenti quum prospiciantur ab
hisce Oris, credentur per plurima secla fisse. Obvia forte secus ?
Nunquid Cerealia regna, Neptuni imperiumque datas confundere
sorteis, Contemerando suos fines, magis ista videbit Gens, quam mon-
strarit longa experientia nobis? Quam modica est illic multo varia-
tio seclo, Incola ne proprius vix ullam existimet esse?..... Per quae
mosse licet, sero quantumlibet aevo, Tethios ut Cereris prata obruit,
haccque vicissim Pascere Pana iubet tumidi per tergora montis, Qui
quondam, scopuli in specie, surgebat ab antris Coeruleum excipiens
agitantem Prothea phocas. Exigua est nimium ‘in tanto variatio
fiuxu Temporis, in nostrae vultu Telluris adacta.... I nume, crede.
homines istos, aetatibus actis Permultis, potwisse aliquid Telluris in
orbe Mutatum vidisse magis, quam Cynthiae in ore De mostro li-
cuit mundo..... ».
In questa Nota ho cercato di raccogliere dalle opere di Bruno
quei punti principali 1 quali mostrano, che il forte filosofo epicu-
reo, come nella sintesi cosmogonica etica e metafisica, così anche
nella sintesi particolare della conoscenza della Terra ha esposto
idee chiare e profonde, che racchiudono i principî fondamentali
della scienza moderna ; e così restano ancora una volta confer-
mate le parole del nostro De Sanctis, che quante volte l’umanità,
stanca di aggirarsi nell’ infinita varietà, sente il bisogno di risa-
lire al tutto ed uno, le si affaccia sull’ ingresso del mondo mo-
derno la statua colossale di Bruno.
Della ramificazione nelle Solanacee—Studio di GiusEPPE
Viro.
(Tornata del 24 marzo 1895)
L’emersione degli organi assili fuori delle ascelle foliari, feno-
meno che si riproduce in tante specie di piante angiospermiche
appartenenti a famiglie diverse, ha dato luogo a non poche contro-
versie ed in certi casi furono proposte da varii autori ben quattro
o cinque interpretazioni differenti.
Intanto può ritenersi col Delpino !, che la legge, la quale
governa l'emersione degli assi principali, segnatamente degli assi
fiorenti, sia una sola in tutte quante le fanerogame.
Tutte le ramificazioni, salvo quelle provenienti da gemme av-
ventizie, debbono essere fondate all’ascella delle foglie e sempre
che l'emersione degli assi riesce estrascellare, ciò è dovuto ad ade-
renze organiche ovvero ad altro fenomeno.
Se questo punto di vista è conforme al vero, cade l'ipotesi ac-
campata dal Warming °) e dal Pedersen ?) per alcuni casi, nella
famiglia delle Solanacee; ipotesi fondata sopra una pretesa bipar-
tizione del punto vegetativo. Veramente non può negarsi, che
talvolta avvenga una siffatta vera dicotomia. Lo stesso Delpino *)
ne ha riscontrati esempii bellissimi nella Olea europaea ed in altre
piante; ma era un puro fenomeno teratologico, dovuto a sdoppia-.
mento. ;
Eliminata l’interpetrazione del Warming e del Pedersen, non
restano possibili, che due interpetrazioni. Si tratta nei singoli
casi o diun monopodio o di un simpodio. Ben si comprende, che,
1) Sento il dovere di esternare all’Illustre Professore Federico Delpino, Di-
rettore del nostro R. Orto botanico, i sensi della mia più viva riconoscenza,
per gli ammaestramenti da lui ricevuti nelle presenti mie ricerche.
2) Warmine.—Recherches sur la ramification des Phanerogames,
principalement au pointdevue de la partition du point végé-
tatif Copenhagen 1872. :
5) Rasmus Pepersen.—H v ilken rolle spiller vaxtspidsens Klow-
ming ved forgrenigen hos blomster-planterne. Copenhagen 1873.
4) FepERICo DeLPINo.—Teoria generale della Fillotassi. Atti della
R. Università di Genova. Vol. IV. P. II. pag. 209. Genova 1883.
Logi
dato un monopodio, se gli assi contraggono per certo tratto ade-
renza coll’asse generatore, essi riescono sollevati sopra della loro
fondazione ascellare e quindi emergono estrascellarmente. Dato
poi un simpodio, l’ emersione estrascellare di certi assi si riduce
ad una mera apparenza, perchè si tratta, non già di vera emer-
sione, ma di una semplice deflessione, accompagnata da un re-
pentino straordinario assottigliamento.
Adunque, qualunque volta si presenti un tale fenomeno, ove se
ne voglia indagare la vera natura morfologica, necessita dapprima
investigare e porre in chiaro se si tratta di un monopodio o di
un simpodio.
Ma qui sta la grave difficoltà, questo è il nodo della questione.
Vi sono simpodii monopodiiformi, che hanno tutte le appa-
renze di monopodii e credo pure, che esistono monopodii sim-
podiiformi, che hanno tutte le apparenze dei simpodii. Forse
tali sono i tralci delle Ampelidee e delle Cucurbitacee; ma non
posso insistere sopra ciò, perchè i risultati degli studii al riguardo,
fatti fin qui, sono tutt'altro che definitivi e soddisfacenti.
La grave difficoltà di risolvere tali questioni spiega la strana
discrepanza delle opinioni manifestate dagli autori riguardo alla
famiglia delle Solanacee. Essendo intricatissima la ramificazione
di queste piante ed essendo numerosi i fallaci aspetti di aderenze
degli organi assili e fiorali, non è facile portar giudizio tra le due
teorie monopodiale e simpodiale, per stabilire la legge, che governa
la composizione morfologica di dette piante.
Avendo fatto oggetto dei miei studii questo interessante pro-
blema, intendo esporne qui i risultati.
Con queste ricerche !) credo di portare un nuovo contributo di
osservazioni, le quali da una parte dimostrano affatto erronea
l'opinione di quei, che col Warming ritengono queste forme come
monopodiali, da un’altra parte mettono in evidenza gli errori, nei
quali sono incorsi gli autori, che hanno riconosciuto la forma sim-
podiale in queste piante, come il Duchartre °), l’Eichler °), il Van
Tieghem ‘ ed altri.
1) Nel presente lavoro ho esteso i miei studii a parecchie specie della fa-
miglia, ricorrendo al metodo della morfologia comparata. — Fino poi a qual
punto ai caratteri morfologici di queste specie corrispondono i caratteri in-
terni istogenetici, farò rilevare in altro lavoro, che ho in animo di completare.
) Duonarmre.—Eleménts de Botanique 1867.
3) ErcHLer.—Bluthendiagramma 1875
4) Van Trecaem.—Traité de Botanique 1584
Prima di procedere all'analisi delle specie da me esaminate ,
torna utile far precedere uno sguardo complessivo sulle istruttive
omologie generali e parziali, che si rilevano presso le Solanacee,
quanto alla composizione delle colonie, degl’individui componenti
le colonie, delle loro diverse caste e dei loro organi. Perchè poi
queste omologie riescano più chiare ed evidenti, è necessario ri-
correre ad una speciale nomenclatura, che propongo in via prov-
visoria, senz’altra pretesa, allo scopo di segnalare con proprio e
distinto nome le suddette omologie.
Le piante appartenenti alle Solanacee sono colonie, le quali
offrono una regolarità di struttura tale da poter essere espressa
con formole algebriche assai semplici.
Tutti gl’ individui sono sessuali e terminati tutti o da fiori o
da infiorescenze (cime scorpioidi, monocasii, dicasii semplici o ra-
mificati).
Le caste degl’individui in una colonia sogliono essere cinque, cioè :
la l’individuo primario, che procede dall’allungamento
della piumetta embrionale e che è come il piedistallo di tutta la
colonia ed è inoltre il fondatore del simpodio di primo ordine;
2a gl’individui ripetitori della pianta, designati a fon-
dare una nuova colonia parziale, di svolgimento simile a quella»
da cui sono stati generati. Essi sono prodotti dalla parte infe-
riore dell’individuo primario e perciò meritano il nome d’in-
dividui anafitici;
8a gl’individui, che forniscono il secondo, terzo ecc. membro
dei simpodii d’ogni ordine. Sono di natura più robusta ed il loro
caule fortissimo, innestandosi a lato del caule materno, si rettilinea
con esso e sembra continuarlo; meritano perciò il nome d’indi-
vidui continuatori (d’un dato simpodio);
4a gl’individui fondatori di nuovi simpodii, i quali distinguerò
col nome d’individui anasimpodici o innovatori;
5a gl’individui, che provengono da una sopragemmazione ossia
da un fenomeno di ecblastesi e che perciò si denomineranno indi-
vidui ecblastetici.
Per individuo in largo senso s'intende (nel nostro caso) una
gemma e il suo sviluppo. Ma la gemma propriamente non è che
l'individuo allo stato nascente. Quindi possono distinguersi 1° la
gemmula (embrionale); 2° le gemme anafitiche; 3° 1e gemme
continuatrici; 4° le gemme anasimpodiche; 5° le gemme
ecblastetiche.
Gemma e individuo in astratto è una cosa sola, ma in pratica
conviene distinguere tre stadii cioè, 1° gemma rudimentale ossia
— 441 —
gemma dormente; 2° gemma fogliata ossia gemma quie-
s cente; 3° individuo (funzionante).
La gemma rudimentale rimane perpetuamente tale e non si
sviluppa a meno che l’amputazione della vegetazione soprastante
non riverberi in essa l'eccedenza di forze, che altrimenti non
avrebbero sfogo. Essa dorme.
La gemma fogliata giunge fino a sviluppare le foglie prime,
ma poi, salvo casi di amputazioni e lesioni di parti soprastanti,
non si sviluppa di più. Essa riposa.
L'individuo funzionante acquista solo esso maturità, svolgendo
foglie, fiori e frutti.
Quanto alla collezione degl’individui, oltre la pianta, la quale
è il complesso di tutti i simpodii, conviene distinguere un sim-
podio di primo ordine, fondato sull’individuo primario; un numero
indeterminato di simpodii di secondo ordine, fondati sopra indi-
vidui anasimpodici, prodotti dal simpodio primario; un numero
indeterminato di simpodii di terz'ordine fondati sopra individui
anasimpodici prodotti dai simpodi! secondarii e così via dicendo.
Dopo gl’individui, la nomenclatura concerne gli organi ossia
le foglie.
Variabile è il numero delle foglie prodotte da ciascun individuo.
L'individuo primario è quello, che ne produce di più. Spesso ec-
‘cedono la trentina. Vengono poi con produttività fogliare decre-
scente gl’individui anafitici, gl’individui anasimpodici, gl’individui
ecblastetici.
Il minor numero di foglie per solito tocca agl’individui continua-
tori. In poche specie sono polifilli, in parecchie sono. quadrifilli
o trifilli, in molte sono difilli, monofilli e perfino afilli.
Consideriamo il caso più generale, la varietà delle foglie ne-
gl'individui polifilli. In un individuo polifillo, di qualunque ordine
esso sia ea qualunque casta appartenga, bisogna distinguere dap-
prima la foglia ultima prodotta, che è la più importante e che
chiameremo col nome appropriato di teleutofillo. Rispetto a
questa tutte le altre foglie occupano una posizione inferiore e
furono prodotte anteriormente. Le denomineremo catafilli. Frai
catafilli giova notare il catafillo superiore, immediatamente sotto-
posto e subopposto al teleutofillo, al quale diamo il nome di c a-
tafillo dominante. Il catafillo, che viene subito dopo, talvolta
nella sua funzione rivaleggia col dominante. In questo caso merita
di essere distinto col nome di catafillo aggiunto. Le restanti
foglie, non diversificando tra loro, le denomineremo catafilli
Inferiori. |
O TI
Questa distinzione di foglie è giustificata dalla diversità della
loro funzione in ordine alle gemme o individui, che si formano
alla loro ascella.
Nell’individuo primario infatti, i catafilli inferiori producono
alla loro ascella esclusivamente gl’individui anafitici. Negl’individui
successivi invece, producono all’ ascella gemme o individui ana-
simpodici.
Negl’individui poi di qualunque ordine, così nel primario come
nei successivi, il catafillo dominante e il catafillo aggiunto, quando
questo esiste, producono individui anasimpodici. Se esiste sola-
mente il catafillo dominante, ha luogo nna dicotomia; se esiste
anche il catafillo aggiunto, succede una tricotomia.
Grande significato negl’ individui di qualunque ordine hanno i
teleutofilli. È dalla loro ascella, che partono esclusivamente gl’in-
dividui continuatori dei simpodii. E quando vi ha formazione
di gemme ecblastetiche, è pure esclusivamente dalla loro ascella
che queste si producono. Di più questi teleutofilli, salvo in alcuni
casi, come nella Petunia, contraggono, per un tratto più o meno
lungo, aderenza coll’asse dell’individuo continuatore, generato alla
loro ascella. Questa aderenza talvolta è di pochi millimetri, tal’altra
invece può superare il decimetro, come nella Physalis, nel Capsi-
cum ecc.
Per regola generale, in ogni individuo il vigore vegetativo del
prodotto ascellare decresce dall’alto verso la base. Così massimo
è tal vigore pel prodotto ascellare del teleutofillo , minore per
quello del catafillo dominante, ancora minore per quello del ca-
tafillo aggiunto, minimo per quello dei catafilli medii e minimissimo
per quello dei catafilli inferiori, ove spesso si pronunziano gemme
dormenti.
Se gl’individui sono trifilli, vi ha soltanto presenza del teleu-
tofillo, del catafillo dominante e dell’aggiunto. Se gl’individui sono
difilli, esistono solamente il teleutofillo ed il catafillo dominante.
Gli altri catafilli mancano, non per aborto, ma per insita natura
della specie. i
Se gl’individui sono monofilli, esiste solamente il teleutofillo. Le
brattee di Hyosciamus sono teleutofilli. Se gl’individui sono afilli,
allora è il caso, non di mancanza, ma di aborto, e la foglia abor-
tita è il teleutofillo. Si hanno allora le cime scorpioidi nude e la
revoluzione scorpioide è determinata in gran parte da questo aborto.
Questa nomenclatura non è che un riflesso della grande rego-
larità, che domina nella costituzione delle colonie presso le So-
lanacee, per quanto diversifichino le une dalle altre nei diversi
generi e spesso anche nelle diverse specie d’un genere.
Adoperando la suesposta nomenclatura, posso descrivere con
brevità le specie prese in esame.
Lycopersicum cerasiforme. Dun.
Questa specie presenta una struttura affatto regolare e sem-
plice , che si discerne con facilità e fu quella, che m’ illuminò
completamente nelle mie ricerche.
Una pianta ben nutrita si divide fin dalla base in molti tralci
robusti e lunghissimi, ciascuno dei quali rappresenta un simpodio
regolarissimo. Ho scelto un lungo tralcio di primo ordine , che
verso la base aveva prodotto un tralcio di secondo ordine al-
quanto meno lungo, il quale a sua volta aveva prodotto un tral-
cio sempre più debole di terzo ordine. Ebbi così a studiare la
composizione morfologica di tre tralci, uno di primo ordine, lun-
go circa tre metri, uno di secondo ordine, lungo circa due metri
e mezzo, e uno di terzo ordine, lungo circa un metro. Ciascuno
di essi è decomponibile colla massima evidenza in individui o
membri simpodialmente uniti.
La composizione del tralcio di primo ordine è la seguente. L’in-
dividuo primario produsse sei foglie, delle quali 1’ infima e la
quarta con gemma dormente alla loro ascella, la seconda e la terza
con gemma sviluppata ma quiescente, la quinta, o catafillo domi-
nante, producente all’ascella il tralcio di secondo ordine, la sesta,
cioè il teleutofillo, avente all’ascella il secondo individuo continua-
tore del simpodio. .Si noti, che il teleutofillo ha contratto aderenza
con esso per circa un centimetro. Dopo ciò l’individuo primario,
gittato da banda, termina in una cima scorpioide nuda, semplice,
di circa otto fiori.
L'individuo secondo continuatore produsse tre foglie, delle quali
il catafillo inferiore con una gemma quiescente all’ascella, il ca-
tafillo dominante con un tralcio abortito, il teleutofillo col terzo
individuo del simpodio, cui aderiva per circa due centimetri. Dopo
ciò l'individuo secondo si gitta da banda e termina in una cima
scorpioide semplice di otto fiori.
L'individuo terzo continuatore produsse tre foglie, delle quali
l’ infima con gemma dormente all’ ascella, il catafillo dominante
con gemma quiescente, il teleutofillo avente all’ ascella il quarto
individuo continuatore, col quale ha contratto aderenza per circa
tre centimetri. Di più aveva all’ascella una piccola gemma ecbla-
stetica. Dopo ciò l'individuo terzo si getta da un lato terminando
in una cima scorpioide simile alle precedenti.
di AD
L'individuo quarto continuatore produsse tre foglie, di cui il
catafillo inferiore con un tralcio abortito all’ ascella , il catafillo
dominante con un tralcio pure abortito, ma meno debole del
primo , il teleutofillo col quinto individuo continuatore del sim-
podio.
Qui è manifesta la legge, per cui nei membri simpodiali poli-
filli il vigore vegetativo delle gemme cresce dal basso all’alto.
L'individuo quinto è pure trifillo, Il teleutofillo aveva all’ascella
il sesto individuo continuatore del simpodio e di più una gemma
ecblastetica assai vigorosa ma quiescente. L’aderenza del teleuto-
fillo è qui salita a ben quattro centimetri. Dopo ciò l’ individuo
si gitta da banda a somiglianza dei precedenti.
Gl’individui sesto, settimo, ottavo hanno sviluppo eguale ai pre-
cedenti, ma all’ascella del catafillo inferiore si svolge un rigoglioso
tralcio di secondo ordine, composto di più individui, di cui l’infe-
riore è pentafillo, gli altri tutti trifilli.
Gl’'individui nono, decimo, undecimo...... sono in via di sviluppo
e costituiscono la cima vegetante del tralcio.
In questa specie, adunque, si tratta indubbiamente di un sim-
podio regolarissimo, composto d’individui costantemente trifilli.
Dimostrata la natura simpodiale dei tralci del Lycopersicum,
resta a dimostrare la simpodialità delle infiorescenze, con cui ter-
minano i singoli individui simpodici.
Le cime scorpioidi hanno per lo più da 8 a 13 fiori, Ciascun pe-
dicello è generato da quello dell’ ordine antecedente, come spe-
cialmente può vedersi osservando l’ultimo, il quale si vede emer-
gere lateralmente come un piccolo bottone. Se questo non si
svolge, la cima è terminata; se, in caso di maggior robustezza,
si svolge, allora produce un asse di più, e così di seguito.
In alcune infiorescenze, tutti i fiori abbozzati sono venuti a
completo ed integrale sviluppo, così queste infiorescenze sono to-
talmente definite ed il decimo, undecimo, ecc. fiore, che avrebbe
dovuto ancora venire, se non altro in uno stato rudimentale,
rimane totalmente abortivo per esaurimento. In queste infiorescenze,
l’ultimo fiore è sempre evidentemente un’ emanazione dell’ asse
precedente. i
In ogni caso queste cime scorpioidi sono nude. Per altro credo
di poter considerare come indizii di foglie abortite o brattee certe
nodosità, che si scorgono nel mezzo di ciascun pedicello. Ciò in-
dicherebbe, che la brattea è rimasta aderente per la parte infe-
riore del pedicello e non si è svolta oltre l’ aderenza.
EROI (2 UA
Petuma nyctaginiflora. Juss. (Tav. I, fig. 1 @)
Siccome in questa specie tutte le foglie sono libere e non hanno
contratto alcuna aderenza radiale con altri organi, così non è
punto mascherato il vero andamento della ramificazione, che pro-
cede simpodialmente colla massima regolarità. Ecco come si co-
stituisce il simpodio.
L’individuo primario, dopo essersi notevolmente elevato, produ-
cendo in ordine quinconciale un numero variabile di foglie alterne
(di 19 e più), con altrettante semme all’ascella di esse o dormenti
o, talune, quiescenti, verso il suo apice produce un catafillo do-
minante ed un teleutofillo, approssimatissimi, in guisa da sembrare
opposti. Appena fatto ciò, esce (estrascellarmente ben si può cre-
dere) in forma di peduncolo unifloro e così termina.
All’ascella del catafillo dominante si svolge una gemma robusta
anafitica, la quale si sviluppa in un individuo anafitico, che, dopo
aver prodotto circa una diecina di catafilli, con gemme dormenti
o quiescenti all’ ascella, termina ugualmente con un catafillo do-
minante e con un teleutofillo. Dopo di che fiorisce.
Dall’ascella, invece del teleutofillo, si svolge la gemma continua-
trice, dando luogo ad un individuo continuatore del simpodio.
Questo individuo, nato in tal maniera, si allunga alquanto, pro-
duce un teleutofillo ed un catafillo dominante opposti e poi fiorisce.
Nel rispettivo nodo succede quel che abbiamo visto nel nodo
precedente e così di seguito.
Si noti, che in ogni membro il teleutofillo è un poco più gran-
de del catafillo dominante e resta alquanto più alto dello stesso.
In tal modo si continua e si va completando la formazione
del simpodio primario , fino ad esaurimento , mediante la conti-
nuata aggiunta di nuovi membri difilli. In qualche caso ho con-
statato, che il loro numero si eleva fino ad una quindicina ed è
variabile secondo la robustezza della pianta.
Non si può adunque desiderare uno schema (tav. I, fig. 1), più
semplice e più regolare di simpodio, ove la provenienza d’un in-
dividuo da quello dell'ordine antecedente è innegabile ed inoppu-
gnabile.
Questa specie è interessante per varii fatti caratteristici.
In primo luogo per la polifillia straordinaria degl’indi-
vidui anasimpodici, per cui, laddove questi pochissimo differi-
scono dagl’individui anafitici, differiscono invece , straordinaria-
mente dagl’individui continuatori. Vedremo come, in altre specie
REA
tali termini di dissomiglianza e di somiglianza sieno affatto inver-
titi. E per verità, già nel Zycopersicum è minima la differenza tra
gl’ individui anasimpodici, che sono quinquefilli , e gl’ individui
continuatori, che sono costantemente trifilli.
In secondo luogo, per la libertà dei teleutofilli , i quali nel
maggior numero di piante Solanacee sono più o meno altamente
aderenti all’ asse generato alla loro ascella.
In terzo luogo questa specie è interessante per 1’ estrema ap-
prossimazione del catafillo dominante al teleutofillo, in guisa tale
da simulare un nodo oppositofogliare. Siccome poi in ogni mem-
bro simpodiale , ad ogni aggiunta di un nuovo individuo conti-
nuatore , si dà un’ approssimazione consimile di altre due foglie,
alternando le foglie di un nodo con quelle del nodo soprastante
e del nodo sottostante, ne risulta un’ apparenza di decussazione.
Laonde questa pianta, che è essenzialmente alternifogliare , nei
tratti simpodiali riesce decussata. In tale decussazione tutti i te-
leutofilli sono disposti in due serie da un lato (lato esteriore) e
tutti i catafilli dominanti in due serie dall’ altro lato (lato inte-
riore). Di tutto questo dà ragione il diagramma espresso nella
figura (Tav. I, fig. 1, c).
Cresce poi l’ importanza di questa pianta per altri motivi di
maggior. rilievo.
Questa forma di Solanacea apparentemente sembra confermare la
teoria di coloro , che fanno derivare la cima scorpioide , che è
un monocasio per eccellenza, da un dicasio, ove un solo dei mem-
bri in ogni nodo si sviluppi mentre 1’ opposto abortisca. Ed in
Vero, a prima vista, essendo nei nodi opposte (subopposte) le fo-
glie, sembrerebbe, che un ramo del dicasio sia rappresentato dalla
gemma continuatrice e l’altro ramo dalla gemma ripetitrice. Ma
questa teoria , forse vera'in altri casi di piante di altri ordini,
qui non trova applicazione ed è fallace. Infatti, nel dicasio , i
rami sono equivalenti morfologicamente , sono rami della stessa
natura morfologica. Evidentemente qui non è questo il caso. Di
più si consideri, che la composizione di siffatti simpodii nelle
Solanacee è affatto indipendente dal numero delle foglie nei sin-
goli membri, Se qui si hanno membri bifilli, abbiamo già visto,
che nel Lycopersicum i membri sono. trifilli e vedremo, che, in
altre Solanacee 1 membri simpodiali sono polifilli, monofilli, afilli.
Di più si ha una dimostrazione dell’insussistenza di questa teoria,
nella Petunia stessa.
Nei simpodii di questa pianta talvolta l’ infimo membro è tri-
fillo (Tav. I, fig. 1, b) e allora si ha conseguentemente un’ acco-
SSA LT E
modazione diversa; cioè vi sono inferiormente due foglie opposte,
dalle cui ascelle parte una gemma ripetitrice polifilla alternifoglia-
re, e più in alto si libera il peduncolo e la foglia, che produce
all’ascella la gemma continuatrice.
Adunque qui il simpodio è indubbiamente un monocasio, non
deducibile da nessun dicasio.
Salpichroa rhomboideum. Miers. (Tav. I, fig. 2).
La costituzione simpodiale di questa specie offre caratteri spe-
ciali ed è interessante rilevarli.
In questa specie, il catafillo dominante di ciascun membro (bi-
fillo) è approssimato al rispettivo teleutofillo. All’ascella del cata-
fillo dominante si sviluppa una gemma anasimpodica, la quale dà
luogo ad un individuo anasimpodico. Con questo la foglia ascellante
contrae aderenza sino al nodo successivo. Nel qual punto il primo
individuo anasimpodico produce similmente un catafillo dominante
ed un teleutofillo. All’ ascella di questo si sviluppa un individuo
continuatore di secondo ordine, ed all’ascella del catafillo dominante
si sviluppa una gemma anasimpodica, la quale sovente dà luogo
ad un individuo anasimpodico di secondo ordine. Tanto il teleu-
tofillo, quanto il catafillo dominante contraggono aderenza coi ri-
spettivi assi generati alla loro ascella ; e così nei membri suc-
cessivi.
All’ascella poi del teleutofillo dell’ individuo primario, si svi-
luppa un individuo continuatore del simpodio. Si noti però, che
il teleutofillo non contrae aderenza col nuovo individuo nato alla
sua ascella. In tal modo si comportano i successivi individui con-
tinuatori del simpodio principale.
Datura Stramonium. L. (Tav. I, fig. 3).
Ogni individuo simpodico è bifolio. All’ascella di ciascuna fo-
glia si svolge un individuo. Sono tutti simili e morfologicamente
equivalenti, salvo che, uno, l’ inferiore, è costantemente più de-
bole e l’altro, il superiore, opposto o subopposto , è più robusto.
Il primo corrisponde all’ individuo ripetitore, il secondo all’ indi-
viduo continuatore della serie. L’ individuo ripetitore, però, oltre
all’essere più debole è anche refratto rispetto all’ asse generatore.
In altre specie di Datura, a nodi più contratti, e però a seguito di
Sd
membri dei simpodii molto più numerosi e robusti, vi è lo stesso
modo di costituzione. In questa specie , tanto il catafillo domi-
nante quanto il teleutofillo di ogni membro contraggono aderenza
sovente straordinariamente lunga coll’asse dell’ individuo rispet-
tivo nato alla loro ascella. In ciascun membro il teleutofillo pre-
senta sempre la sua lamina maggiore di quella del catafillo do-
minante.
Withania sommifera. Dun.
La costituzione simpodiale di questa specie è analoga a quella
della specie precedente. Salvo che, raramente le gemme anasim-
podiche, prodotte all’ascella del catafillo dominante, si sviluppano
in individui anasimpodici robusti. Dove poi nella Datura spunta
un fiore, nella Wtkhania spunta un’ ombrella multiflora.
Capsicum annuum. L.
Il simpodio è costituito da individui bifilli, a foglie opposte e
per solito non molto elevate in alto. Poichè queste foglie sono
quasi sempre fertili alla loro ascella, così le piante di questa spe-
cie riescono ramosissime per dicotomie ripetute in breve spazio,
e non vengono a formare quei simpodii monopodiiformi tanto
spiccati in altre specie.
Physalis pubescens. L. (Tav. I, fig. 4)
La struttura simpodiale di questa specie è la stessa di quella
della specie precedente, salvo le seguenti modificazioni. Raramente
nei membri simpodiali le due foglie sono fertili alla loro ascella
e, quando questo avviene, il fusto si biforca. Inoltre il teleutofillo
ascellante al nuovo asse continuatore del simpodio, ha con esso
un’aderenza assai lunga per tutto un internodio. In siffatti sim-
podii allungati vi è questo di particolare, che nell’ ascella delle
piccole foglie, ossia dei catafilli dominanti dei singoli membri, es-
sendo sterili, non vi è il menomo accenno di gemme dormenti ;
così le foglie mancano di quell’allungamento picciuolare aderente,
che è tanto considerevole nei teleutofilli e sembra perciò, che il
pedicello sia scaturito all’ascella delle piccole foglie. Quindi ogni
nodo ha foglie gemine, fuorchè dove si ramifica, perchè in quello
si è sviluppata una lunga aderenza picciuolare.
Oa
Atropa Belladonna. L.
La forma simpodiale di questa specie è la stessa di quella della
precedente. Si noti però, che laddove è affatto abortita la gemma
all’ascella dei catafilli dominanti in ciascun membro , all’ ascella
dei teleutofilli si trova sempre una gemma iperblastetica allo
stato di quiescenza, ciò che non ha luogo nella Physulis.
Solanum sisymbrifolium. Lam.
I membri simpodiali sono bifilli, a foglie allontanate. Queste
non contraggono affatto aderenze cogli assi nati alle loro ascelle,
in modo che la struttura simpodiale di questa specie è del tutto
semplice ed evidente. Ogni individuo poi termina in una cima
scorpioide nuda, di 5 a Y fiori, la quale emerge oppostamente al
teleutofillo.
Le cime scorpioidi del Solanum sisymbrifolium ripetono lo
stesso tenore delle infiorescenze del Lycopersicum, ma con minore
produttività fiorale. Altre specie di Solanacee presentano siffatte
infiorescenze. Le ombrelle della Withania, dell’ Jocroma ecc. pos-
sono considerarsi come infiorescenze scorpioidi contratte.
Solanum nigrum. L. (Tav. I, fig. 5).
Gli studii fatti sulle specie precedenti mi schiusero la via ad
intendere la struttura morfologica del Solanum migrum, la quale,
se prima mi sembrava una questione affatto irresolubile tanto
colla teoria monopodiale, quanto colla simpodiale, mi si è poi
palesata oltremodo chiara ed evidente.
Infatti le colonie del Solanum nigrum (e talune varietà policrome,
miniate, gialle, verdi), per quanto in apparenza complicate, sono
regolarissime. Nella costituzione di queste colonie abbiamo la se-
guente repartizione d’ individui. Individuo primario polifillo a fil-
lotassi in perfetta regola quinconciale. All’ascella dei catafilli in-
feriori, il cui numero è variabile secondo la robustezza della
pianta, da 10 a 20 anni e più, si sviluppano altrettanti individui
anafitici. Di questi, alcuni rimangono allo stato di gemme quie-
scenti, altri, nel maggior numero e quasi tutti in caso di gran-
de nutrimento e robustezza, si sviluppano e fondano altret-
tante colonie aggiunte alla principale. Il catafillo dominante pro-
duce all’ascella un individuo anasimpodico, con cui contrae ade-
4
SR er
renza fino al primo internodio ed emerge sotto apparenza di fo-
glia geminata, e si ha il caso di un’apparente dicotomia. Il te-
leutofillo poi, produce all’ ascella 1’ individuo continuatore e con
esso contrae aderenza. Tanto l individuo anasimpodico quanto
l’ individuo continuatore sono entrambi bifilli a foglie disgiunte;
cioè, il catafillo dominante emerge alla base di ciascun membro,
ed il teleutofillo si libera in alto. In caso di eccezionale robustezza,
all’ascella del teleutofillo di ciascun membro si sviluppano indi-
vidui iperblastetici. Questi hanno due piccole foglie e terminano
in una piccola ombrella. Altro non producono, se sono deboli. Ma,
se sono più robusti, all’ascella del teleutofillo si produce un secondo
membro analogo.
In conclusione, lo sviluppo del Solanum nigrum avviene con
perfetta evoluzione matematica e vi si contano ben cinque cate-
gorie d’individui; cioè 1, individuo primario polifillo ; 2, un nu-
mero variabile (5 a 10 e più) d’individui anafitici; 3, un numero
indefinito d’individui anasimpodici, costantemente bifilli ; 4, un
numero indeterminato d’individui continuatori (ne ho contati si-
no a 15), tutti bifilli; 5, un numero scarso d’individui iperbla-
stetici.
La spiegazione qui data intorno alla costituzione delle colonie
di questa specie è tanto chiara da non lasciar luogo a nessun
dubbio.
Fui però alquanto sorpreso scorgendo, come varii autori, anche
fra quelli che ammettono per le Solanacee la struttura simpo-
diale, siano incorsi in gravi errori circa questo punto.
Il Van Tieghem 1) cita le infiorescenze del Solanum nigrum come
un caso di concrescenza del pedicello fiorale col fusto e colla
fewille mère.
Ora i peduncoli di Solanum non offrono alcun tratto di con-
crescenza. Essi emergono come peduncoli e sono continui col-
l’asse, di cui sono la terminazione.
La figura 162 poi, riportata dall’autore, oltre ad implicare que-
sto errore, è anche sbagliata, perchè in essa la foglia opposito-
peduncolare emerge ad un livello inferiore all’ emersione del pe-
dicello. Questo fatto non avviene mai nelle Solanacee, ove anzi
è piùo meno, spesso moltissimo, sollevata sopra di esso per ade-
renza contratta coll’asse nato alla sua ascella. Tutto al più è allo
stesso livello come nella Petunia.
DO piciu 02/00)
POR O
Questo errore è ripetuto 4!) ove dice: « Dans les Solanum chaque
article du sympode se termine... par une cime; de plus le pédi-
celle y est concrescent avec le rameau né au dessous de lui
Jusque vers le milieu du premier entrenoeud. ».
Il Duchartre cita ?) il genere Solanum come un esempio di a-
derenza assile dei peduncoli e adduce una figura rappresentante
un frammento di Solanum quineense. La figura è esatta, ma l’in-
terpretazione è sbagliata.
L’Eichler riporta *) una figura del Solanum nigrum, ove trat-
teogia la pretesa saldatura della parte inferiore del pedicello fio-
rale, che in tale ipotesi avrebbe generato sè stesso; il che non può
essere. L'Eichler dice di riportare le interpretazioni da Wydler, co-
sicchè l'errore dipenderebbe da quest’ultimo autore.
S'intende poi come i detti autori rispetto al Solanum siano in-
corsi in tale errore, derivato dal confronto di questa specie
coll’Atropa e colla Datura. In queste il pedicello si libera imme-
diatamente dal seno delle sue due foglie, che sono opposte (una
però è sollevata assai per aderenza), laddove il pedicello del So-
lanum si libera colla foglia inferiore molto allontanata dalla su-
periore. Insomma, nell’ un caso 1 singoli membri bifogliati dei
simpodiit hanno foglie approssimate fino ad opposizione, laddove
nel caso dei Solanum le due foglie d’ogni membro, non che op-
poste, sono distantissime l’una dall’altra. Eichler e Wydler non
hanno interpretato questa differenza, che è pura differenza di
sviluppo e non implica nessuna differenza morfologica e nessu-
n’aderenza pedicellare.
La mia interpretazione trova una dimostrazione inoppugna-
bile nella osservazione degli stadi primi di tali organi, ove fin
dall'inizio manca ogni aderenza pedicellare. Questo è il caso, in
cui l’ organogenia , 0, più precisamente , l’ indagine degli stadi
anteriori e delle sommità vegetative serve a chiarire le vere re-
lazioni morfologiche. La ragione di ciò si comprende assai bene,
perchè in questi casi gli stadii anteriori sono più regolari, non
essendo ancora avvenute quelle eccedenze e deformazioni, che
in seguito hanno luogo per insolita ineguaglianza di sviluppo.
1) Op. cit. pag. 485.
2) Op. cit. pag. 537.
3) Op. cit. Parte I. pag. 200.
La One
Solanum glaucum. Dun. (Tav. I, fig. 6)
È} questa una pianta cespitosa, che mette dei robusti polloni
spiccatamente rettilinei o semplici o parcamente ramificati (con
appena due o tre rami). Anche questi polloni sono simpodii e
ogni membro continuatore del simpodio col suo robusto caule si
adatta tanto bene al caule generatore, che pare trattarsi di un
monopodio e non di un simpodio e allora i peduncoli infiore-
scenziali sembrano aver proprio contratto aderenza coll’ asse del
monopodio per un buon tratto. Ma non è che un’apparenza, molto
istruttiva per altro. L'indagine degli stadii anteriori dimostra
chiaramente, che anche qui si tratta di un simpodio.
TI membri simpodiali sono tutti straordinariamente polifilli e
questa è una circostanza, che ha favorito la produzione per ogni
pollone di un’insolita apparenza monopodiale.
È bene far seguire qui 1’ analisi di alcuni polloni, che ho esa-
minati.
Pollone (tav. I fig. 6) tripartito, cioè A, B, C. L’ individuo pri-
mario 4 ha un numero di foglie, che non ho potuto contare,
perchè reciso alla sommità. Le ultime sue foglie corrispondono
al catafillo dominante c ed al teleutofillo #. Il catafillo dominante
produce all’ascella il ramo 5.Il teleutofillo è senza dubbio ascel-
lante all’ individuo € continuatore del simpodio. Ma chi ricono-
scerebbe qui la vera sua natura per la strana apparenza mono-
podiale assunta dalla continuazione del simpodio? i
TL’ individuo €, secondo continuatore , ha sette foglie , delle
quali il catafillo dominante ha all’ascella una gemma dormiente e
il teleutofillo è ascellante all’asse del terzo individuo continuatore
ed emerge un poco più sollevato, come il teleutofillo analogo t.
L'individuo terzo conta nove foglie. Dall’ ascella del catafillo
dominante si sviluppa una diramazione , che non analizzeremo,
perchè sarebbe una vipetizione inutile. Dall’ascella del teleutofillo
sl sviluppa il quarto individuo continuatore del simpodio. La fo-
glia ascellante è sollevata oltre due centimetri sul peduncolo fio-
rale emerso.
L'individuo quarto produce sei foglie. Del resto come sopra.
L’ individuo quinto ha otto foglie, come sopra.
L’ individuo sesto ed ultimo ha sei foglie, come sopra.
A NZASI
Branca B. Individuo primario (relativamente) 16 foglie
» secondo 6 >
» terzo td »
» quarto GUCE
» quinto ed ultimo 8 »
Robusto pollone rimasto semplice.
Individuo primario con oltre una ventina di foglie.
Individuo secondo con 54 foglie.
> terzo TOO
> quarto D 0
» quinto ed ult. 4 0?
È inutile far seguire altre analisi, perchè i risultati concorda-
no tutti.
Adunque la forma simpodiale di questa specie è interessante,
perchè il numero delle foglie nei singoli membri simpodici è va-
riabilissimo (da 30 a 20, a 10 a meno), e perchè è uno dei casi
più notevoli in cui il corpo del membri simpodiali decorre tanto
stranamente da sembrare a dirittura un monopodio.
E ancora da notare, che tutti i catafilli inferiori di ciascun
membro simpodiale hanno all’ascella una gemma, la quale è sem-
pre dormiente eccetto quella, che è all’ascella del catafillo domi-
nante, la quale si sviluppa in un nuovo individuo anasimpodico.
All’ ascella poi dei teleutofilli di ciascun membro vi è sempre
una rudimentalissima gemma iperblastetica, che normalmente non
si sviluppa mai.
In sostanza, per chi giudica dalla semplice ispezione d’un pol-
lone adulto o invecchiato , è impossibile non prenderlo a prima
vista per un monopodio. Manca ogni carattere esterno di diffe-
renze; tanto più che l’anomala estrascellarità del peduncolo fio-
rale può aversi in conto di una saldatura di asse proveniente
dalla foglia e gemma inferiore, cui infatti sovrasta.
Era interessante seguire la fillotassi nei singoli membri di
questo simpodio monopodiiforme.
Nei singoli membri le foglie sono disposte in perfetto ordine
quinconciale; ma occorre un fenomeno singolare. Seguendo la di-
rezione della spirale in un membro e passando alla fillotassi del
membro successivo , avviene sovente, che la direzione dell’ elica
fillotassica s’inverte; di sinistrorsa diventa destrorsa e viceversa.
Ma molte volte ancora la spirale è omodroma non solo per due
membri successivi, ma talvolta ancora per tre membri simpodiali.
Non so capire le ragioni di questa differenza. Prevalendo il caso,
in cui ad ogni aggiunzione la direzione s'inverte, abbiamo allora
SE e
la quasi unica prova macroscopica, che si tratta propriamente di
struttura simpodiale, giacchè la direzione s’ inverte precisamente
colla prima foglia del nuovo membro del simpodio.
Così anche questa specie conferma la mia interpretazione in-
torno alla vera struttura tectologica delle Solanacee.
Solanum Dulcamara. L.
Pianta subscandente a lunghi tralci. Ciascun tralcio è un sim-
podio spesso lungo parecchi metri. Ogni membro del tralcio è
polifillo con un numero di foglie, che decresce considerevolmen-
te dal basso all’alto. Così in un lungo tralcio o simpodio l’indi-
viduo inferiore (primario) aveva 23 foglie, con una gemma dor-
mente all’ ascella, una inferiore soltanto sviluppatasi in tralcio
secondario. L'individuo successivo (secondo) continuatore ha 12
foglie soltanto ; 1’ individuo terzo 9, il quarto 8; il quinto ed
ultimo 6. Adunque qui abbiamo la decrescenza proporzionale alle
cifre 23, 12, 9, 8, 6, All’ ascella delle foglie sta una gemma o
dormiente o quiescente o sviluppata in simpodio d’ordine successivo,
a quanto pare senza regole fisse. Questi numeri sono soggetti a
variare a tenore della vigoria della pianta.
In ogni caso si ha, che i membri dei simpodii sono polifilli a
un alto grado.
Nicandra Physaloides. Gaert. (Tav. I, fig. 7)
Questa specie è interessante a studiare perchè, avendo le sue
foglie spiccatamente decorrenti sia nella regione aderente picciuo-
lare sia nella fillopodiale, conferma in ogni punto la teoria del
simpodio solanaceo da me data. 2
È una pianta, che secondo la robustezza si divide in più bran-
che, le quali si comportano tutte ad un modo.
L'individuo primario di primo ordine è polifillo , con gemme
ripetitrici per solito dormienti, salvo le due o tre foglie verso
l apice, che hanno gemme svolgentisi. Proprio all’ apice , dove
l’asse primario termina nel fiore , cioè esce sotto forma di pedi-
cello unifloro, a destra ed a sinistra (meglio a 2/8 di circonferen-
za) vi sono due gemme, una continuatrice e 1’ altra, l’inferiore,
ripetitrice.
Le foglie ascellanti all'una e all’altra gemma contraggono ade-
renza col relativo asse. Però l’ascellante all'asse continuatore li-
bera la sua lamina ove si rende libero il pedicello fiorale di se-
condo ordine, esso pure unifloro. Questo nuovo membro è mono-
fillo e l’unica sua foglia è ascellante all’asse continuatore di ter-
zo ordine, con cui si connette ed eleva; e così, via dicendo, sì
ha una successione d’individui tutti uniflori e monofilli con per-
fetta corrispondenza alla figura (Tav. I, fig. 7). Qui I’ inclimazione
del simpodio è manifestamente incurvata invece di essere excurvata
e scorpioide. Ma la ragione è evidente. È il grande sviluppo delle
coste fogliari, che ha controbilanciata, anzi superata la forza pre-
mente dei teneri pedicelli fiorali, laddove notoriamente succede
l’opposto nelle inflessioni scorpioidi, sia perchè le foglie sono com-
pletamente abortive, sia perchè sono ridotte a piccole e deboli
brattee.
Ho avuto occasione di esaminare una pianta di grandi dimen-
sioni, che produceva un robusto ceppo. Così ho potuto constatare
una struttura mirabilmente regolare e razionale.
Il robusto individuo di primo ordine aveva prodotto altri ven-
ticinque catafilli, all’ ascella dei quali si erano svolti individui a-
finatici.
Ciascuno di questi ripeteva naturalmente l andamento all’ indi-
viduo primario , essendo polifillo con catafilli aventi all’ ascella
gemme quiescenti, che gradatamente dal basso all’alto diminuivano
di forze. L’infimo individuo aveva 19 foglie, gli altri rispettiva-
mente 17, 16, 16, 15, fino al supremo, producente solo 8 catafilli,
oltre i due catafilli aggiunti e dominanti, ed i teleutofilli.
Dopo ciò, l’ imdividuo primario termina in un fiore; ma prima
produce, quasi allo stesso livello, due catafilli, 11 dominante e 1 ag-
giunto, opposti l’ uno all’ altro, ed 31 teleutofillo. T'utti e tre con-
traggono aderenza per un tratto più o meno lungo coll’ asse pro-
dotto all’ ascella. Il teleutofillo aderisce al secondo membro del
simpodio principale; il catafillo dominante aderisce ad un robusto
individuo anasimpodico, e il catafillo aggiunto anche ad un indivi-
duo anasimpodico , ma meno rigoglioso. Così in questo punto il
fusto si tricotomizza.
L’ individuo anasimpodico sviluppato all’ ascella del catafillo
aggiunto svolge tre catafilli inferiori, due catafilli opposti, I ag-
giunto e il dominante, e il teleutofillo. Dopo di che esce sotto
forma di pedicello unifloro, producendo così sotto il fiore un’ al-
tra tricotomia (secondaria), i cui assi ripetono il tenore della tri-
cotomia primaria.
Identico è lo sviluppo dell’ individuo anasimpodico , svilup-
pato all’ascella del catafillo dominante, salvo una maggiore vigoria
in tutti i suoi prodotti. Esso svolge quattro catafilli inferiori in-
LE
vece di tre, ecc. L’ individuo poi, nato all’ ascella del teleutofillo
primario , forma il secondo membro continuatore del simpodio,
principale. Esso è monofillo, cioè manca affatto del catafillo do-
minante, e produce soltanto il teleutofillo, alla cui ascella si forma
il terzo membro del simpodio, esso pure monofillo. Così il quarto,
il quinto membro,... tutti monofilli. In tutti i membri simpodiali
Il teleutofillo contrae plenaria aderenza coll’ asse generato alla
sua ascella fino al nodo soprastante.
E notevole, che all’ ascella d’ ogni teleutofillo vi ha lo sviluppo
d’una grossa gemma ecblastetica, la quale rimane allo stato di
quiescenza, salvo accidentali lesioni.
Così compiesi la vita coloniale di questa singolare regolarissima
specie, la quale visibilmente inizia le cime scorpioidi fogliate.
Hyosciamus niger. L.
In questa specie, il simpodio è costituito regolarmente da indi-
vidui monofilli, analogamente alla specie precedente. Si noti però,
che i teleutofilli vanno riducendosi a semplici brattee, alla quale
riduzione è dovuta in parte l’ inflessione della cima scorpioide
pronunziata in questa specie.
OSSERVAZIONI.
I diversi tipi di simpodii, esaminati nelle Solanacee, possono ri-
ferirsi al tipo rappresentato dalla Petunia, tipo che abbiamo os-
servato essere affatto semplice e regolare.
Infatti il tipo di simpodio di questa specie spiega i membri
bifilli oppositofogliari, a foglie aderenti, quali abbiamo incon-
trati in non poche specie.
Ammettendo in questa forma (Petunia), che il catafillo dominante
d'ogni membro del simpodio principale contragga aderenza col-
l'individuo nato alla sua ascella, si ha il tipo del simpodio della
Salpichroa.
Se, tanto il catafillo dominante, quanto il teleutofillo d’ ogni
membro, restano aderenti ai rispettivi assi, cui ascellano, si ha la
forma simpodica della Datura ecc.
Il tipo della Petunia spiega i simpodii a foglie geminate tanto
frequenti nelle Solanacee, segnatamente nel genere Physalis.
Per arrivare a questa spiegazione occorre soltanto ammettere ,
che la grande foglia ascellante all’ asse continuatore abbia nella
propria regione picciuolare contratto aderenza coll’ asse stesso sino
CSSZini
al nodo superiore. Così la sua lamina maggiore si vedrebbe emer-
gere dal fianco della lamina fogliare minore, costituendo una
coppia di foglie geminate, delle quali 1° una, la maggiore, appar-
tiene all’ asse generatore, l altra la minore, all’ asse generato.
Da questa forma alla spiegazione dei simpodii a membri mo-
nofilli della Nicandra, del Hyosciamus ecc.. non vi è che un passo.
Basta ammettere 1’ aborto o la mancanza di formazione della fo-
glia minore e della relativa gemma ripetitrice.
E finalmente, dato l’ aborto di questa lamina, che corrisponde
al teleutofillo , si hanno le cime scorpioidi nude (Tav. I, fig. 8),
che abbiamo studiate nelle infiorescenze del Lycopersicum, ece.
CONCLUSIONE.
La ramificazione delle Solanacee è ridotta alla legge, che governa
le diramazioni normali delle fanerogame; ciascuna delle quali pre-
suppone un organo ascellante.
L’estrascellarità degli assi, che si avvera nelle piante di questa
famiglia non è dovuta nè a sdoppiamento di assi, nè a concre-
scenze assili. i
Le piante delle Solanacee presentano una struttura regolarissima,
che deve ritenersi essenzialmente simpodiale. In questo caso l’e-
mersione estrascellare degli assi fiorali si riduce ad una mera ap-
parenza,trattandosi d’una deflessione dell'asse accompagna-
ta da un repentino assottigliamento.
Avendo riguardo al numero e posizione delle foglie prodotte
dagl’ individui continuatori dei simpodii, nonchè alla natura delle
gemme prodotte alle ascelle di queste foglie, possono riconoscersi
diversi tipi di simpodii, che riassumo nel seguente quadro.
I CHET
polfilli Solanum glaucum
_ S. Dulcamara.
tetrapentafilli S. argenteum.
S. auriculatum.
trifilli Lycopersicum ce-
rasiforme.
/ ‘ libere. Solanum sisymbri-
| allontanate folium
‘| aderenti, Solanum nigrum.
entrambe. Petumia.
libere
bifilli a foglie una sola . Salpichroa.
© | entrambe
Se; SRaS RS Datura, Capsicum.
Di approssi- ertili
i ARPLOSS all’ ascella)
«n mate
3 | (subopposte)
Td all’ascella del
‘n I | teleutofillo u-
2 aderenti | na gemma 1-
= (nella re-Je infime di|perblastetica.
da SCA ciascun Atropa.
9 ciuolare al- Li
S meno le su-f{PYem or ste-
\periori). rili
È (salvo dove il
32 , Carlo mancanza di
3% | sl biforca)
= | tale gemma
6 | Physalis, Withania
monofilli a foglie normali. Nicandra physa-
| (a foglie sempre (isofilli) loides.
più o meno al-
tamente aderen- se E
: nella recionel® foglie ridotte o bratteali 3
| ti nella regione S ofilli Hyosciamus.
picciuolare) (eterofill1)
| afilli. Cime scorpioidi nude Lycopersicum cera-
| siforme.
| Solanum sisymbri-
| folium.
R. Orto Botanico, Napoli Marzo 1895.
TAVOLA I.
Fig. 1 a. Petumia nyctaginiflora. I, individuo primario con c catafillo dominante
%
»
»
»
»
»
»
e t teleutofillo ; a individuo anasimpodico. II, individuo continua-
tore del simpodio con c’, catafillo dominante e #, teleutofillo;
a’individuo anasimpodico....
1 b. Id., I, individuo trifillo; c, e’, catafilli; £, teleutofillo; IT, individuo conti-
nuatore.
1 c. Id. Diagramma t, t,’ #,” teleutofilli; c, c, c,” catafilli dominanti; a, @.
9)
da
gemme anasimpodiche.
Salpichroa rhomboideum. I, individuo primario con t, teleutofillo libero,
c, catafillo aderente all’individuo 4, anasimpodico. II, individuo con-
tinuatore con # teleutofillo libero e e’, catafillo aderente all’ indi-
viduo anasimpodico.
Datura Stramonium. I, individuo primario con #, teleutofillo aderente
all’ individuo II, continuatore, e c, catafillo dominante aderente al-
l’ individuo a, anasimpodico, che decorre presso a poco identico;
©, teleutofillo aderente; c’, catafillo dominante aderente, ecc.
Physalis pubescens. I, individuo principale con t, teleutofillo aderente
e c catafillo dominante. II, individuo continuatore, ecc.
Solanum nigrum.I, Individuo primario con #, teleutofillo aderente, c,ca-
tafillo dominante aderente; a, individuo anasimpodico, II, individuo
continuatore, t, teleutofillo e’ catafillo dominante; a’ individuo ana-
simpodico £, gemma ecblastetica ...
Solanum glaucum.A,individuo primario con c, catafillo dominante e #,
teleutofillo. C, individuo continuatore; B, individuo anasimpodico.
Nicandra Physaloides. I, individuo primario , t, teleutofillo aderente;
TI, individuo continuatore con #, teleutofillo aderente, ec...
Cima scorpioide nuda. I, individuo primario. II, individuo continua-
tore, ecc.
Intorno a’ così detti lobi accessorii e alle cellule gi-
ganti della midolla spinale di alcuni Teleostei. —
Notizie storiche anatomiche e morfologiche preliminari di Giu-
LIO TAGLIANI.
(Tornata del 50 Giugno 1895)
È in tempi remoti abbastanza, nel 1685, che il Collins ') per
il primo vide e disegnò, senza però descriverle, quelle simgolari
prominenze mammillari, che si sollevano dalla faccia superiore
della midolla spinale delle Trigle, immediatamente dietro della
fossa romboidale.
La scoverta del Collins. passò inosservata, pare, anzi, ignorata
del tutto, chè di essa non è fatta menzione nè dagli anatomici
contemporanei, nè da quelli del secolo XVIII.
L’Arsaky ?) ci dette la prima descrizione di queste prominenze
o lobi accessorit nelle Trigle, breve ma esatta; e volle anche, pur
rimanendo nel dubbio, stabilire un certo rapporto tra la presenza
loro e lo sviluppo notevole delle pinne pettorali.
Pochi anni dopo il Tiedemann 3), studiando la 7yigla adriatica,
affermò recisamente, che le prominenze spinali rappresentassero
un aumento della sostanza nervosa armonizzante con lo sviluppo
de’ nervi destinati alle pinne pettorali e in modo speciale alle
appendici digitiformi, organi di progressione e di tatto.
Il Cuvier e il Valenciennes 4), il Gottsche °), lo Stannius 9), il
1) S. COLMI, — System of comparative Anatomy. Vol. II (1685)
Tab. 70 Fig. 3. The lower region of the Medulla oblongata of a Gurnard. (La
citazione è Gatto dal lavoro del Tiedemann).
2) A. ARSAKY — De piscium cerebro et medulla spinali disser-
tatio inauguralis. Halae 1815.
3) F. Trepemann — Von dem Hirn und den fingerfòormigen
Fortsàtzen der Triglen. Meckel's Archiv. f. d. Physiol. Bd. II (1816)
S. 103-110 Tfl. Fig. 4-6.
4 G. Cuvier et M. VALENCIENNES — Histoire natur alle des Pois-
sons. Tom. I. Paris 1828.
5) C. M. GortscnE —V er sleichonde Anatomie des Gehirnsder
Graàatenfische. Miller?s Archiv f. Anat. u. Physiol. Jahrg. 1835 S. 244-294,
433-486 TA. IV, VI.
6) H. Srannius— Das peripherische Nervensystem der Fi-
sche. Rostock 1849.
— Gi —
Jobert 1), lo Zincone *) successivamente riportarono o confermarono
quasi per intero le osservazioni del Tiedemann.
A confutare le vedute del Tiedemann sorse prima 1 Ussow ?),
poco dopo il Fritsch 4. L’ Ussow osservò che i lobi accessorii
nelle Trigle e nell’ Orthagoriscus non potevano aver nesso alcuno
con il maggiore sviluppo delle pinne pettorali, mancando essi nel
Dactylopterus e negli Exrocoetus, e opinò, invece, che dovean rite-
nersi quali dilatazioni metameriche della porzione anteriore del
midollo spinale, determinate da una deviazione evolutiva ne’ pri-
mordi della formazione del sistema nervoso.
Le ricerche microscopiche furono iniziate dallo Zincone °). Egli
ammise che le prominenze spinali nelle Trigle derivassero da un
aumento della sostanza grigia centrale, espansa sulla faccia libera
delle prominenze stesse in una specie di strato corticale, e che la
parte centrale di esse fosse in prevalenza data dalle fibre radico-
lari superiori. Descrisse pure, senza poterne precisare i rapporti,
alcune grosse e rare cellule nervose, ch’ei denominò cellule com-
messurali, situate in sopra della commessura dorsale, tra due pro-
minenze dello stesso paio; notò la mancanza delle grosse fibre
del Mauthner.
Qualche anno dopo l’ Ussow 5) confermò in massima parte le
osservazioni dello Zincone, concernenti la struttura anatomica
1) Josert — Etudes d’anatomie comparée surlesorganes
du toucher chez divers mammifères, oiseaux, poissons et
insectes, Ann. d. sc. nat. (Zool.) sér. V tom. XVI(1872) art. n. 5 pl. ITI- X,
2) A. Zycone — Osservazioni anatomiche sudi alcune ap-
pendicitattili dei pesci. Rend. dell’Accad. delle sc. fis. e matem. Anno
XV (1876) pag. 182-195 tav. I-II.
3) M. M. Ussow—Ueber einige Eigenthiimlichkeitenim Bau
des Nervensystems bei Trigla und Orthagoriscus (Rus-
sisch). Arbeiten d. St. Petersburger Ges. d. Naturfoscher Bd. VII (1876), S.
LXXII: Ref. v. Hoyer in: Hofmann-Schwalbe s Jahresber. ib. d. Fortschr. d.
Anat. u. Physiol. Bd. V (1878) S. 292-293.
4) G. Frirsca — Untersuchungen iiber den feineren Bau des
Fischgehirns.— Berlin 1878.
5) A. Zincone— Sulle prominenze del midollo spinale delle
Trigle. Napoli 1878. (Il lavoro dello Zincone mi è noto solamente per quello
che ne riporta l’Ussow, e per quello che ne riferisce lo Schwalbe in: Hof-
mann-Schwvalbe?s Jahresber. ib. d. Fortschr. d. Anat. u. Plysiol. Bd. VII (1879)
S. 263-264).
6) M. M. Ussow—. De la structure des lobes accessoires de
la moelle épinière de quelques poissons osseux. Archives de
biol. t. III (1882) p. 605-658 pl. XXVI-XXX.
BESROZA
delle prominenze spinali, ed aggiunse nuovi particolari, non sem-
pre esatti, bene spesso troppo ipotetici. A-ffermò che la zona cor-
ticale de’ lobi accessorii dovesse considerarsi come un centro di
origine di fibre nervose supplementari deputate a rinforzare in
modo notevole le radici posteriori de’ primi nervi spinali, e che
gli elementi cellulari, che concorrevano alla costituzione di essa,
derivassero dalle cellule indifferenti della parete posteriore del
tubo midollare primitivo. Abbandonò il primo suo concetto, e
rivenne su quello del Tiedemann, per cui i lobi accessorii rap-
presentavano una complicanza strutturale della midolla e de’ nervi,
che se ne dipartivano, stabilitasi per lo sviluppo delle pinne pet-
torali in organi aliformi e in appendici digitate.
L’Ussow studiò anche, ma di volo, il midollo spinale del Lo-
phius piscatorius e dell’Orthagoriscus mola; accennò alle omologie
delle due prominenze claviformi di quello e delle colonne supe-
riori (dorsali) di questo con i lobi accessorii delle Trigle, e rico-
nobbe anche le omologie delle cellule giganti, cui dette il nome
di cellule commissurali, con le cellale commissurali delle Trigle
stesse. Notò anch'egli la mancanza delle fibre del Mauthner nelle
Trigle, nel Lophius piscatorius, nell’Orthagoriscus mola e nel Da-
ctylopterus volitans.
Del midollo spinale del Lophius piscatorius trattò il Fritsch 1),
rivolgendo l’ attenzione sua semplicemente sulle gigantesche cel-
lule nervose, le quali sono annidate nella porzione anteriore del
solco dorsale, per tutto il tratto segnato dalle prominenze clavi-
formi. Il Fritsch si preoccupò sovra tutto della ricca vascolariz-
zazione, ch’ei ritenne quasi una condizione necessaria alla vitalità
delle cellule giganti, poichè a queste i capillari non solo darebbero
il mezzo di sostegno, ma addurebbero anche i materiali nutritizii
necessarii, specie l’ossigeno, alcuni attraversandone perfino il pro-
toplasma. Seguì pure il decorso de’ cilindrassi nel midollo spinale
e nel bulbo, sostenendo che essi in massima parte, sempre rima-
nendo amielinici, si aggregassero alle fibre sensitive del trigemino,
in minima parte a quelle del vago, accompagnandole fino a’ loro
gangli di origine. E accarezzò anche l’ ipotesi che, al di là dei
gangli, le fibre affondassero rispettivamente nel truncus lateralis
trigemini e nel truncus lateralis vagi, innervando così tanto l'ap -
1) G. Frirsca. Ueber den Angelapparat des Lophius pisca-
torius. Sitzungsber. d. kgl. Preuss. Akad. d. Wiss. zu Berlin Jahrg. 1884 S.
1145-1651. Ueber einige bemerkenswerthe Elemente des Cen-
tralnervensystems von Lophius piscatorius. Archiv. f. mikr
Anatom. Bd. XXVII (1886) S. 13-31 Tfl. ILI-IV.
parato pescatore, quanto le strane appendici cutanee, che ornano
il margine esterno del labbro inferiore. All’ assieme delle promi -
nenze claviformi e delle cellule giganti il Fritsch assegnò la de-
nominazione di lobus nervi lateralis.
Studiò le cellule giganti del Lophius piscatorius anche il Rohde 1).
Ki trattò solo de’ loro rapporti con il tessuto nevroglico, ed am-
mise la strana ipotesi di una nevroglia intracellulare, la quale si
risolverebbe nell’interno della cellula nervosa stessa, per ricosti-
tuire diuturnamente il protoplasma, nevroglia intraprotoplasmatica,
che, a sua volta, verrebbe rinnovata dall’incessante proliferazione
della nevroglia intercellulare, meglio pericellulare. In tal modo la
nevroglia non sarebbe più un tessuto nervoso, come vuole il Nan-
sen e come inclina ad ammettere il Cajal con i suoi allievi, o un
tessuto di sostegno, come avanzano la maggior parte de’ nevro-
logi, o un tessuto, che assorbirebbe da’ vasi i succhi nutritizii,
per trasportarli alle cellule nervose, come pensa il Golgi, ma una
specie di materiale alimentare passivamente accumulato nel mi-
dollo spinale e nell’ encefalo, e che le cellule nervose, a secondo
de’ loro bisogni, ingloberebbero nel protoplasma e digerirebbero,
per rigenerare sè stesse,
Delle prominenze e delle cellule giganti dell’Orthagoriscus mola
ha detto brevemente e superficialmente l’ Ussow; il Vignal ?) e
l'Haller 3), che han trattato con maggior larghezza dell'anatomia
interna della midolla spinale di questo pesce, non ne parlano.
L’esiguo materiale, di cui disposi per la mia nota preliminare 4)
non mi permise di omologare le così dette colonne posteriori del
midollo spinale dell’Orthagoriscus mola alle prominenze claviformi
del Lophius piscatorius. Ammisi 1 omologia delle cellule giganti
tanto nell’ una, che nell’ altra specie, e stabilii alcuni probabili
rapporti associativi tra’ centri spinali e bulbari, per mezzo delle
cellule giganti.
1) E. Roape — Ganglienzelle und Neuroglia. Archiv. f. mikr.
Anatom. Bd. XLII (1893) S. 423-442 Tfl. XXVI.
2) W. VienaL — Note sur l’Anatomie des centres nerveux
du mole (Orthagoriscus mola). Moelle et bulbe. Archives de
zool. expérim. et genér. t. IX (1881) p. 369-376, pl. XXI.
3) B. HaLLer — Ueber dasCentralnervensystem, insbeso n-
_dere iiber das Ritckenmark von Orthagoriscus mola. Mor-
phol. Jahrb. Bd. XVII (1891) S. 198-270 TA. XIII-XV.
4) G. Tagziani — Ricerche anatomiche intorno alla midolla
spinale dell’ « Orthagoriscus mola ». Mon. Zool. Ital. Anno V
(1894) p. 248-258.
ne gi
Cellule nervose omologhe alle cellule giganti del Lophius pi-
scatorius e dell’ Orthagoriscus mola, ma sovra tutto a quelle del
Balistes capriscus, sono .state descritte dal Rohon !) nella midolla
spinale di embrioni e di adulti di T'rutta farzo. Il Rohon ha de-
nominate queste cellule, cellule del Isissner, e le ha giustamente
omologate alle cellule nervose giganti del midollo spinale dell’Am-
phioxus lanceolatus, e alle cellule nervose dorsali (Minterzellen) del
midollo spinale de’ Petromizonti; ha pure ammesso che avessero
rapporti con le radici spinali dorsali omolaterali e contralaterali.
A complemento di queste notizie storiche aggiungo che promi-
nenze mammillari, simili a quelle delle Trigle, sono state notate
dal Miller 2) nel Polynemus paradiseus, e dal Vaillant 3) ne’ Ba-
thypterois e nel Dicrolene intromiger.
Il nome di prominenze (Anschwellungen) dato alle formazioni
spinali in parola, è assai meglio appropriato di quello di lobi ac-
cessorî proposto dall’Ussow. Per la disposizione loro e per la for-
ma, le prominenze nelle Trigle possono dirsi mammillari. D’ordi-
nario, come nella Trigla corax, se ne trovano dieci, cinque da un
lato e cinque dall’altro del sulcus longitudinalis superior, simme-
tricamente disposte.
Esaminate a debole ingrandimento le prominenze presentano
all’ esterno uno straterello corticale di nevroglia e una massa
centrale discretamente compatta. Lo strato corticale ha uno spes-
sore pressocchè costante ovunque; qua e là, non di rado, s'ispes-
sisce un tantino, spiccando anche verso l’interno piccole gittate.
La massa centrale è, in prevalenza, di sostanza grigia; concorrono
a formarla anche le fibre radicolari superiori.
Un’osservazione attenta e minuziosa ci lascia notare che l’in-
tima tessitura di queste prominenze non offre in vero, nulla di
speciale. Se noi per poco ammettiamo che le corna grigie dorsali
(superiori) abbiano assunto nelle Trigle, nella porzione anteriore
del midollo spinale, uno sviluppo enorme intorno al punto di en-
trata delle radici di senso, tale da spingersi fino alla periferia del
1) V. RoHtony — Zur Histiogenese des Rickenmarkes der Fo-
relle. Sitzungsber. d. math.-phys. OI. d. k. b. Akad. d. Wiss. zu Miinchen Bd.
XIV (1884) S. 39-57 TA. I-II. i
2) F. Mirer — Ueber den Bau des Rickenmarkes bei Poly-
nemus. Berichte iiber die Fortschritte der vergleichenden Anatomie der. Wir-
belthiere im Jahre 1845 S. 54-55, in Miiller?s Archiv. f. Anat. n. Physiol. Jahrg.
1844 — Vedi anche: Froriep's Neue Notizen Bd. XXX (1843) S. 74,
3) L. VAarranr—Les rayons tactiles des Bathypterois. Compt. rend.
hebd. des séances de l’ Acad. des sciences Tom. CV (1887) pag. 619-621.
I SRI
midollo, e che la. nevroglia centrale si sia espansa a rivestirne la
superficie libera, e se noi pensiamo ancora alla mancanza de’cordoni
superiori (dorsali), fatto tanto ovvio ne’ Teleostei, la struttura di
queste prominenze è bella e spiegata. E infatti lo strato nevro-
glico corticale è una diretta emanazione della nevroglia centrale,
e di questa ha tutti i caratteri, e la porzione grigia della massa
centrale, a parte la mancanza di gruppi di grosse cellule, è, per
l'aspetto e per la struttura, identica alla sostanza grigia delle corna
ventrali. Sparse e immediatamente in sotto dello strato corticale
e nella massa centrale si trovano in grande numero piccole cellule
nervose tripolari e fusiformi a nucleo discreto e poco protoplasma.
I loro intimi rapporti non sono chiari abastanza; forse si tratta
di cellule nervose, che insieme alle cellule nevrogliche stabili-
scono relazioni associative necessarie alla normale funzionalità de-
gli altri elementi nervosi specifici.
Menzione speciale meritano alcune rarissime cellule multipolari,
poco meno grosse delle cellule motorie ventrali, situate in sopra
della commessura dorsale, tra due prominenze simmetriche : il
loro protoplasma è finamente granulare e fortemente cromofilo ;
i rispettivi cilindrassi un po’ grossi si dirigono ventralmente e,
assottigliandosi presto, si disperdono nella trama fibrillare grigia.
Queste cellule, in tutta la regione delle prominenze, non superano
le cinque o sei; in piccolo numero, da quattro a otto, se ne in-
contrano ancora immediatamente dietro delle due prominenze po-
steriori, sulla faccia dorsale del midollo spinale.
Mancano davvero nelle Trigle le fibre del Mauthner ? Lo scarso
materiale avuto a disposizione non mi ha permesso fin'ora di ri-
solvere la questione in un modo o nell’altro. Fibre mieliniche no-
tevoli per grossezza, rammentanti benissimo le fibre del Mauthner,
s'incontrano nella porzione sopracommisurale dei cordoni ventrali,
fin sotto il pavimento del quarto ventricolo. Il loro numero, al-
meno nella Zrigla corax, non è costante come in altri Teleostei
(Labrus turdus, Crenilabrus pavo, Labrax lupus, Zeus faber, Scor-
paena porcus), potendosene talvolta trovar due per ogni lato, ra-
rissimamente più. Il calibro di queste fibre è soggetto a discrete
variazioni; talora sono grosse abbastanza tal’altra, invece, diven-
tano così sottili da confondersi con gli altri tubi de’ cordoni ven-
trali; e non è raro il caso di notare tra’ cordoni ventrali subcom-
missurali fibre di un calibro anche maggiore e in un numero non
esiguo.
E probabile, non posso sicuramente dimostrarlo , che le più
grosse fibre de’cordoni ventrali sopracommessurali abbiano rapporti
D)
—,,66 e
diretti con alcune grosse cellule nervose, a protoplasma grossola-
namente granulare e cromofilo , situate verso la base del corno
anteriore, nel gruppo centrale. Si distinguono dalle cellule di questo
gruppo specialmente per i loro rapporti: uno de’ dendriti (pro-
cessi protoplasmatici), il più notevole per dimensione, va in dire-
zione dorsale e laterale, verso il campo di entrata delle radici
superiori, il grosso cilindrasse si dirige, un po’ ripiegato ad arco,
in direzione mediale e ventrale, verso la regione delle grosse fibre.
Nel Lophius piscatorius le prominenze hanno forma di due grosse
clave disposte simmetricamente l’una accanto l’altra, a partire dal-
l'angolo posteriore della fossa romboidale ; la parte grossa della
clava sta in avanti, la parte affusata insensibilmente si disperde
indietro sulla faccia dorsale del midollo spinale. Mentre nelle Tri -
gle le prominenze si trovano in rapporto con lo speco vertebrale,
nel Lophius piscatorius esse si trovano, con la corrispondente por-
zione di midollo spinale, nel cranio, così come nell’ Orthagoriscus
mola. L’intima loro tessitura non offre nulla di speciale, anche qui
trovandosi esse principalmente costituite dalle corna dorsali e cir-
condate da uno strato sottile di nevroglia, più spesso un tantino
sulle facce mediali. i
In mezzo alle due prominenze, in uno spazio di forma clavato-
prismatica , denominato impropriamente solco longitudinale dor-
sale, in sopra della commessura dorsale, si adagia in un tessuto
nevroglico lasco, riccamente vascolarizzato, un numero notevole di
gigantesche cellule nervose, visibili sulle sezioni anche ad occhio
nudo. Questo gruppo di elementi nervosi, anche esso claviforme,
non occupa tutta la lunghezza delle prominenze; in alto sì arresta,
per lo più, a qualche millimetro dell’angolo posteriore della fossa
romboidale, e in via generale si può stabilire che l’ estremo suo
anteriore si trova sulla medesima linea dell’estremo posteriore del
nucleo del X, in corrispondenza del segmento più largo delle pro-
minenze ; posteriormente si arresta assai prima della coda delle
prominenze stesse. Le cellule più grosse e numerose, cui meglio
calza l’epiteto di giganti, costituiscono il terzo anteriore del gruppo.
Cellule giganti, e con frequenza, ho veduto a’ lati del canal cen-
trale, dorsalmente e in prossimità del gruppo cellulare centrale,
aventi i caratteri e i rapporti delle cellule giganti situate tra le
prominenze.
Il corpo protoplasmatico delle cellule giganti, tutto pieno d’in-
senature e di anfrattuosità, con dentriti esili, è finamente granu-
lare e fortemente cromofilo; i granuli si accumulano in maggior
numero nella zona interna, e nel margine esterno sono piuttosto
SL gg
rari; la grandezza loro varia un tantino, entro limiti ristrettissimi
però, chè mai arrivano ad uguagliare i grossi granuli delle cellule
spinali ventrali, mai, come in queste, assumono forma allungata
a fuso. Il nucleo è voluminoso, e, ne’ caratteri chimici e fisici,
ripete i nuclei di tutte le altre cellule nervose. Voluminoso assai
è il nucleolo: esso nelle cellule più grosse presenta una membrana,
talvolta finestrata, che si colora con una certa intensità, e un
contenuto quasi incolore, in cui sono alcuni granuli più o meno
grossi e tinti pallidamente.
Il grosso cilindrasse si distacca da un punto qualunque del corpo
protoplasmatico, situato, per lo più, di fronte alla faccia dorso-
mediale delle prominenze; in questo punto il corpo protoplasma-
tico è privo affatto di granuli, talora un po’ anfrattuoso, giammai
perforato. I cilindrassi tutti costeggiano ad arco la faccia mediale
delle prominenze, per un tratto più o men lungo, si affondano
nella regione mediana dorsale del midollo spinale, a’ lati del canal
centrale, ripiegano quivi verso l’ alto, e si raccolgono in due fa-
scetti amielinici simmetrici, decorrenti, paralleli sempre al canal
centrale, verso il bulbo, fin nel campo del vago e del trigemino.
Ciascun fascetto amielinico raccoglie i cilindrassi delle cellule gi-
ganti del proprio lato, molto di rado qualche cilindrasse passa nel
fascetto contralaterale, decussandosi prima sul fondo del così detto
solco longitudinale dorsale. Le cellule giganti, che si trovano in
sotto della commessura dorsale, e a destra e a sinistra del canal
centrale, inviano costantemente il loro cilindrasse dorsalmente nel
fascetto amielinico del lato omologo. Ho praticato tagli in tutte
le direzioni, avendo disposto di un materiale copioso, ma oltre il
bulbo non mi è stato possibile seguire i due fascetti amielimici.
Ricerche ulteriori potranno stabilire se veramente o no i cilindrassi
delle cellule giganti prendano parte alla costituzione de’ nervi la-
terales vagi et trigemini.
Su’ rapporti delle cellule giganti con i vasi e la nevroglia non
sempre si è stati esatti. Solo le cellule di minori dimensioni, spe-
cie quelle del terzo posteriore, possono non contrarre rapporti con
i vasi, tutte le altre vengono a contatto con i capillari, i quali,
in numero vario, penetrano ne’ seni e negli anfratti, talvolta co-
stituendo attorno alle cellule una specie di rete a larghe maglie,
giammai, però, ne perforano il corpo protoplasmatico.
La nevroglia circonda le cellule giganti, accompagnandone an-
che il cilindrasse. Essa è lascamente disposta intorno a’ corpi pro-
toplasmatici, dove più, dove meno abbondante, e penetra anche
nelle insenature di questi, assieme a’ capillari. Gli esilissimi pro-
PRI (12 PARA
lungamenti gliali vengono a contatto tra loro e con il protoplasma
delle cellule giganti, mai si fondono con esso, mai lo traversano.
La presenza di una nevroglia intracellulare rimane per me asso-
lutamente esclusa; al più si tratterebbe di un fatto postmortale.
Intorno alle prominenze e alle cellule giganti dell’Orthagoriscus
mola ho detto altrove diffusamente. Qui aggiungo: che le colonne
dorsali sono omologhe alle prominenze claviformi del Lophius pi-
scatorius, e presentano la struttura delle corna superiori; e che le
cellule giganti non solo occupano il margine mediale delle promi-
nenze, ma un certo numero si trova anche in sotto della commes-
sura dorsale, a’ lat del canal centrale. Aggiungo pure che le cel-
lule giganti dell’ Orthagoriscus mola per struttura e rapporti ram-
mentano affatto le cellule giganti del Lophius piscatorius, con la
differenza che la loro vascolarizzazione periprotoplasmatica è meno
ricca, e più rada anche, intorno ad esse, è la nevroglia.
Il midollo spinale del Balistes capriscus non ha, fin qui, costi-
tuito oggetto di ricerche, forse perchè la sua configurazione ester-
na, non discostandosi da quella della maggior parte de’ T'eleostei,
non poteva richiamare in modo speciale l’attenzione degli studiosi.
Mancano assolutamente prominenze spinali. La struttura interna
ci rivela una costruzione midollare bene evoluta, quale si riscon-
tra in molti Teleostei superiori, e quale certamente non troviamo
in un altro Plectognate, nell’ Orthagoriscus mola. È da considerarsi
in modo speciale lo sviluppo delle corna superiori; queste tuttavia,
per quanto grosse, non raggiungono mai la superficie dorsale del
midollo, essendone separate da un fascio di fibre radicolari arcuate,
e solo nel tratto anteriore del midollo vengono a contatto diretto
della pia meninge, senza mai far sporgenza allo esterno. Notevole
è la presenza di un discreto numero di cellule giganti. Queste si
trovano disposte, dietro della fossa romboidale, per breve tratto,
su due file, al margine interno delle corna dorsali, di lato al solco
longitudinale superiore, quelle di avanti a due a due simmetriche,
le posteriori alternanti, sicchè su’ tagli ora appare quella di un
lato ora quella dell’ altro. I rispettivi cilindrassi si dirigono nella
trama nervosa delle corna dorsali del proprio lato, e quivi, in pros-
simità del canal centrale, si disperdono. Scarsi attorno ad esse i
capillari e la nevroglia.
Mancano sicuramente e nel Lophixs piscatorius, e nell’ Orthago-
riscus mola, e nel Bulistes capriscus le grosse fibre del Mauthner.
Dalle mie ricerche, esposte a sommi capi, ricavo le conclusioni
seguenti.
SERI
Le prominenze spinali de’ Teleostei non rappresentano organi
nuovi, nè complicanze strutturali del midollo spinale ; esse son
date da uno sviluppo notevole delle corna dorsali. I momenti,
che han determinato l’apparizione delle prominenze, debbono ri-
cercarsi ne’ primordi della evoluzione embrionale (fatti meccanici),
e non nella presenza di organi periferici speciali. Questi possono
trovarsi (pinne aliformi e appendici digitate nelle Trigle, apparato
pescatore e cirri labiali nel Lophius piscatorius), o mancare anche
(Orthagoriscus mola), e inversamente possono aversi organi peri-
ferici dello stesso valore morfologico e mancare le prominenze
spinali (Dactylopterus, Exococetus).
Insieme alle prominenze, almeno nelle specie fin qui studiate,
mancando ancora ricerche sulla struttura del midollo spinale del
Polynemus paradiseus, de’ Bathypterois e del Dicrolene intromiger,
si presentano le cellule giganti; queste, pero. possono stare senza di
quelle (Balistes capriscus, Trutta fario), anzi sembrano formazioni
indipendenti. Le cellule giganti debbono apparire precocemente
nell’embrione, e formarsi non a spese degli elementi della piastra
dorsale del tubo midollare, da cui origina il solo setto ependimale
superiore, ma a spese di taluni neuroblasti della piastra dorso-la-
terale, i quali in maggior parte emigrano in alto, in minima parte
restano sopra luogo, come lo attesta la presenza di cellule giganti
a’ lati del canal centrale.
TI significato delle cellule giganti rimane tuttavia oscuro; è pro-
babile che abbiano rapporti indiretti, per mezzo del trigemino e
del vago, con la linea laterale di senso; è anche probabile una
certa relazione tra la presenza loro e la mancanza delle fibre del
Mauthner.
Intorno alle cellule giganti la nevroglia si raccoglie sempre in
maggior o minor quantità, a secondo de’ bisogni, e non per dare
a queste cellule nervose un semplice sostegno o per apportar loro,
in un modo o nell’ altro, l’alimento, ma per associare la funzione
di esse a quella di tutti gli altri elementi nervosi centrali. La
nevroglia è un tessuto epiblastico nervoso, e come tale un tessuto
attivo conduttore.
Napoli, Stazione Zoologica, 30 Giugno 1595.
Per Gavino Cano — Commemorazione fatta dal socio GiusEPPE
JATTA,
(Tornata del 24 marzo 1895)
L’animo nostro, egregî colleghi, contristato dall’ annunzio
doloroso della immatura morte del socio, Dott. G. Cano, trova
oggi conforto nel rendere all’ amico defunto questo doveroso tri-
buto di stima ed affetto. Della vita e della operosità scientifica
di lui nel campo della Zoologia brevemente dirò, come meglio
so e posso, procurando con ogni studio di tenermi lontano da
qualsiasi esagerazione, che offenderebbe la memoria, a noi cara,
dell’ estinto e la sincerità dei sentimenti nostri.
Gavino il 24 maggio 1862 nacque da Ignazio Cano e da
Maria Solinas in Sassari ed in questa città morì il giorno 3 mar-
zo 1895, non avendo ancora compiuto il trentatreesimo anno di
vita. Nel 1877, ancora giovanetto, perdè il padre e se ne accorò
tanto da farne una grave malattia. Ristabilitosi comprese, che
per lui non vi era tempo nè luogo alla spensieratezza giovanile.
Divenne serio e malimconico. La sventura aveva fatto del fan-
ciullo un uomo! Compenetrato dal sentimento di dovere verso la
famiglia rinunziò il modesto patrimonio , lasciatogli dal padre, «
vantaggio della madre e delle otto sorelle, e si dedicò con pas-
sione ed ardore allo studio.
Quando morì il padre, Gavino aveva già compiuti gli studi
classici e, presa la licenza liceale, era stato dichiarato in seguito
a concorso meritevole di occupare un posto nel Collegio Carlo Al-
berto di Torino; ma, non potendo in quel tempo abbandonare la
famiglia, continuò gli studii nella Università di Sassari.
Quivi nel 1886 si laureò in Medicina e Chirurgia. Assistente
alla cattedra di Zoologia si innamorò degli studii zoologici e dopo,
che il prof. Fanzago per malattia dovette abbandonare l’insegna-
mento , egli sentì il bisogno di svolgere in luogo più adatto la
sua attività scientifica. Lasciò quindi l’isola nativa e si recò a
Roma, ove divenne assistente al Museo di Zoologia di quella Uni-
versità. Ansioso, com’egli era, di apprendere per potere poi spa-
ziare nel campo della ricerca, sperava ivi lavorare serenamente e,
tutto dedito allo studio, vivere tranquillo. Vana speranza ! Lo at-
Sri paesi
tendeva un’ amara delusione! Trascinato dalla perfidia degli uo-
mini in una lotta bassa ed ingrata molto ebbe a soffrire. Torti
ricevuti da coloro, da cui si doveva giustizia; raggiri tenebrosi,
nei quali si tentava da più parti di attirarlo; accuse sanguinose,
ingiuste e volgari non valsero ad abbattere la sua anima forte, a
deviare la sua onesta e retta coscienza! Uscì vittorioso da
quella lotta, benchè molto ne soffrisse nel fisico e nel morale. Lu-
minosamente ed anche ufficialmente riabilitato venne a Napoli nel
1888, e noi avemmo allora l’occasione di conoscerlo, la ventura di
annoverarlo fra i nostri socii più operosi, l'opportunità di stimarlo
ed amarlo.
Ottenuto un posto alla Stazione zoologica si dedicò con ar-
dore ai suoi studii prediletti; contemporaneamente si iscrisse alla
Università come studente di scienze naturali, conseguendone la
laurea nell’anno 1890. Ebbe per concorso un posto di perfe-
zionamento all’interno, poi la cattedra di scienze naturali per gl I-
stituti tecnici ed ultimamente un posto di perfezionamento all’e-
stero. Per necessità , lasciando a malincuore la Stazione zoolo-
gica, andò ad insegnare nell’ Istituto tecnico di Modica; ove ben
presto seppe guadagnarsi la stima dei superiori e dei colleghi,
l’affetto degli scolari.
La vita però, che egli prediligeva, era quella dello studioso.
Il lavoro scientifico era per lui unica sorgente di vera con-
tentezza. Laborioso, instancabile, paziente ed accurato lavoratore
si appassionava della ricerca; si immedesimava nel problema scien-
tifico, del quale volentieri soleva discutere con vivacità e calore!
Con mirabile prontezza, messosi nell’indirizzo moderno degli studil
zoologici, nei quattro anni, che serenamente potè dedicare al lavoro,
mise insieme molte osservazioni importanti, di cui attestano le
sue numerose pubblicazioni.
I lavori del Dott. Cano vertono tutti sopra i Crostacei De-
capodi; sono quindici e si possono dividere in tre gruppi. Un
primo gruppo comprende i lavori esclusivamente sistematici : un
secondo quelli, in cui si studiano le forme larvali dei Crostacei
Decapodi: un terzo quelli, in cui si tiene anche conto dello svi-
luppo embrionale e di questioni embriologiche di indole generale.
I lavori sistematici fatti in gran parte sopra Crostacei esotici
raccolti dalla CarAccIoLo, dal Raro e dalla Verror Pisani det-
tero all’autore l'opportunità di acquistare quella estesa conoscenza
di forme, che poi costituì la solida base alle sue ricerche morfo-
logiche. Descrisse alcuni nuovi generi e molte nuove specie.
Artirgi
Tutti gli altri lavori mirano a stabilire per mezzo dello studio
delle forme larvali i rapporti di affinità fra i diversi gruppi, fa-
miglie, generi e specie di Crostacei Decapodi viventi nel nostro golfo.
Descrisse molte nuove forme larvali; molte altre poco conosciute
illustrò, e con le sue ricerche riuscì a portar nuova luce sopra la
morfologia e la filogenesi dei Crostacei.
Pervenne a. conchiusioni interessanti, che qui non posso
tutte riportare; ma non mancherò di richiamare la vostra atten-
zione sopra quelle, che, a me sembra, abbiano una importanza
maggiore. Ricorderò, come a proposito dei T'alassinidi conchiuse,
che tali Crostacei si sviluppino secondo una triplice serie evolutiva
di forme strettamente affini e derivate da un unico tipo fondamentale
(Axius) Studiando lo sviluppo postlarvale dello Sfenopus spinosus,
vi riconobbe una forma di transizione tra i Peneidi, propriamente
detti (Peneus, Sicyonia), e gli Eukyphotes. Descrisse nei Dorippi-
dei un ciclo evolutivo , il quale è strettamente in rapporto con
quello dei Brachiuri. Si occupò distesamente dei Cancridi ed os-
servato, che fra essii Xantidi rappresentano forme più elevate ri-
spetto all’Eriphia ed al Pilummnas, trovò, che la Pirimela ha uno
sviluppo concordante interamente con quello di Carcinus moenas,
e concluse proponendo un nuovo ordinamento della famiglia.
Dimostrò, che gli Oxyrhinchi hanno rapporti stretti di affinità
con la Latreillia, fra 1 Dromiacei, e propose dividerli in tre fami-
glie (Inachidae , Parthenopidae e Majidae), cui assegnò precisa-
mente i limiti, mentre ne stabili le sottodivisioni. E nel lavoro
sopra lo sviluppo dei Dromiacei tentò sintetizzare in un ordina-
mento sistematico tutte le sue osservazioni e rappresentare in un
quadro i rapporti morfologici, risultanti dalla Storia dello sviluppo
degli Anomuri e Brachiuri.
Superate felicemente le molte difficoltà tecniche, nei lavori, in
cui oltre che lo sviluppo postlarvale studiò anche l’ embrionale,
si adoperò a portare nuova luce sopra la forma sastrulare, l’ori-
gine e la formazione dei foglietti, 1’ origine e lo sviluppo degli
organi. À me rincresce, che la natura medesima di tali ricerche
mi impedisca di parlarne diffusamente.
Negli ultimi anni malgrado, che dovesse dedicare parte del suo
tempo all'insegnamento, ed il male, che lo ha condotto così im-
maturamente alla tomba, lentamente rodendolo, togliesse energia
all’ animo e forza al suo corpo, pure aveva menato a termine uno
studio sopra il Phylosoma. Dal prof. Dòhrn era stato messo a
sua disposizione un ricco materiale , parte prodotto di una lunga
serie di ricerche fatte nel nostro golfo, parte proveniente dalla
SRI peri
raccolta della Vertor PisANI e parte dalle collezioni del Museo di
Berlino. Il lavoro, di cui egli tante volte agli amici aveva par-
lato, è rimasto inedito, ma forse era completo. So, che le tavole
sono presentemente presso il nostro collega Dott. Russo, mentre
il manoscritto, mandato al Ministero per il concorso di perfezio-
namento all’ estero, ignoro, ove ora si trovi. A me consta, per
averlo appreso dalla bocca dello stesso autore, che aveva ottenuti
risultati importanti, fra 1 quali merita di essere notato quello di
aver trovate alcune nuove forme di passaggio fra il Phyllosoma
e lo Scellarus adulto. Tali forme, invano finora ricercate dagli stu-
diosi, hanno un grande e speciale interesse per gli studii carcino-
logici.
Fo voto, che quest’ ultimo lavoro del nostro socio possa essere
pubblicato sia per l intrinseco valore, che esso ha, sia perchè
esso valga a mostrare quanto grande fosse in lui la passione per
la ricerca zoologica, cui volle fino agli ultimi momenti dedicare
con frutto ed amore la sua attività ed intelligenza.
Questa la vita, questa la operosità scientifica del Dr. G. Cano!
Toccato dalla sventura fin dai primi anni, la sventura lo accom-
pagnò per tutta la vita breve, ma operosa. Anima onesta, sin-
cera ed aperta: carattere tenace: mente colta: ingegno pronto
fecero di lui un uomo stimato, un amico impareggiabile ed amato.
Î triste, triste assai, egregî colleghi, vedere troncata una così
travagliata esistenza proprio quando colui, che con tanta forza
di animo l’aveva vissuta, era riuscito a guadagnare la stima dei
buoni, ad imporre il silenzio a tutti i suoi nemici, e, combattuta
vittoriosamente la sua aspra lotta della vita, intravedeva , forse
per la prima volta, un lieto avvenire ! Bitto mala
tristezza nostra deve trovare un conforto nel pensiero, che il socio,
l’amico, di cui piangiamo la perdita, può essere additato come
uno splendido esempio di virtù , che non frequentemente si tro-
vano personificate negli uomini. La operosità scientifica del Dr.
Cano dimostra ancora una volta, che malgrado le difficoltà, gli
ostacoli, le privazioni e le amarezze della vita la meta agognata
non è preclusa a chi vuole e fortemente vuole. E le vicende della
sua vita mostrano ancora una volta, che il putridume del mondo
non giunge mai a contaminare un'anima veramente onesta, la quale
anzi al contatto di quello, come oro nel fuoco, fa rifulgere tutto
lo splendore delle sue virtù.
Vorrei metter termine al mio dire con una sincera parola di
conforto per la desolata famiglia. Ma penso, che nessuna parola
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possa valere tanto a confortare, se è possibile, l’animo angosciato
della madre, del fratello, delle sorelle e degli altri parenti, quanto
il sapere, che il loro Gavino ha lasciata qui presso tutti coloro,
che lo conobbero, grata e cara memoria di sè, e che questa So-
cietà di Naturalisti in Napoli con affetto ne ricorda oggi e ne
ricorderà sempre le rare doti di mente e di cuore !
Pubblicazioni del D.r Gavino Cano
Crostaceiraccolti dalla Regia Corvetta Caracciolo nel
viaggio intorno al globo durante gli anni 1881, 82,
83, e 84.
Bollettino della Società di Naturalisti in Napoli, Anno 2°, vol. 2°, fase. 29,
1888. Con tre figure nel testo.
Crostacei del R. Avviso Rapido.
Bollettino della Società di Naturalisti in Napoli, Anno 2°, vol. 2°, fase. 2°
1888. S
Crostacei Brachiuri ed Anomuri raccolti nel viaggio
della Vettor Pisaniintorno alglobo. Studio preli-
minare.
Bollettino della Società di Naturalisti in Napoli. Anno 3°, fasc. 1° 1889.
Viaggio della R. Corvetta Vettor Pisani attorno al
globo. — Crostacei Brachiuri ed Anomuri. (Con 1 ta-
vola).
Bollettino della Società di Naturalisti in Napoli. Anno 3°, fasc. 2°, 1859.
Specie nuove o poco conosciute di Crostacei Decapodi
del Golfo di Napoli (con una tavola).
Bollettino della Società di Naturalisti in Napoli. Anno 4°, vol. 4°, fasc. 19,
1890.
Morfologia dell'apparecchio sessuale femminile, glan-
dole del cemento e fecondazione nei Crostacei De-
capodi (con tavola).
Mitlheilungen aus der Zoologischen Station zu Neapel, IX. Band., 4 Heft. 1890.
Sviluppo postembrionale della Gebia, Axius, Callia-
nassa e Calliaxis.—Morfologia dei Talassinidi (ta-
viol'enquatiuro):
Bollettino della Società di Naturalisti in Napoli, Anno 5°, vol. 5°, 1891.
Sviluppo postembrionale dei Gonoplacidi.
Atti della R. Accademia di Scienze di Torino, vol. XXVI, 1891.
Sviluppo postembrionale dello Stenopus spinosus. — Studio
morfologico.
Bollettino della Società di Naturalisti in Napoli, Anno 5°, vol. 5%, 1891.
Sviluppo postembrionale dei Dorippidei, Leucosiadi,
Corystoidei e Grapsidi (con 3 tavole).
Memoria estratta dal Tomo VIII, serie III, n. 4, della Società Italiana
delle scienze (detta deù XL), 1891.
ARTE
Sviluppo postembrionale dei Cancridi (con due tavole).
Bollettino della Società Entomologica Italiana, Anno XXITI, 1891.
Sviluppo dei Portunidi. — Morfologia dei Portunidi e
dei Corystoidei (con 3 tavole).
Memoria estratta dal Tomo VIII, serie IIL® n. 6, della Società Italiana
delle scienze (detta dei XL), 1892.
Sviluppo e Morfologia degli Oxyrhinchi (con 3 tavole.
Mittheilungen aus der Zoologischen Station zu Neapel, Band X, 4 Heft. 1892.
Sviluppo dei Dromidei (con 2 tavole).
Atti della R. Accademia di scienze fisiche e matematiche di Napoli ; vol.
Wlfiserie 22m 21895.
Dorippe.—Studio morfologico (con 2 tavole).
Atti della R. Accademia delle scienze fisiche e matematiche di Napoli; vol.
VI, serie 22, n. 9, 1893.
Per Oscar Visart. Commemorazione fatta dal Socio FeDE-
RICO RAFFAELE.
(Tornata del 9 giugno 1895)
Pareva che la nostra Società, fatta di giovani, non dovesse
avere altro ufficio che quello di raccogliere i frutti della giova-
nile attività dei suoi membri, compiacersi del loro successi, in-
coraggiare i loro passi nell’arduo cammino e plaudire alle vittorie
riportate. Ma purtroppo eccoci, a breve distanza, riuniti per la
seconda volta a compiere 1l mesto dovere di ricordare uno dei
nostri rimasto a mezza strada, senz’ aver potuto raggiungere la
meta.
Fra pochi giorni compirà l’anno che il Dottore Oscar Visart
fu ammesso come socio ordinario residente nella nostra Società ,
e quando cominciavamo a conoscerlo e speravamo aver acquistato
in lui un altro amico e un attivo collaboratore ai nostri lavori ,
egli ci è stato tolto! — Ma il suo breve passaggio in mezzo a
noi ha lasciato una traccia, che se ci conforta, permettendoci di
conservare un durevole ricordo di lui, rende anche più amaro il
rimpianto della sua dipartita, perchè ci fa pensare che egli, rima-
nendo fra noi, avrebbe utilmente contribuito ai lavori della no-
stra Società.
Oscar Visart nacque nel 1863, in Santa Croce presso Como, dal
conte Raffaele e dalla contessa Maria Platamone e compì gli studi
universitarii parte a Torino e parte a Pisa, dove conseguì la laurea
in scienze naturali. Fece poi il volontariato in un reggimento di
Alpini. Appena libero, si dedicò agli studii prediletti, occupandosi
di ricerche zoologiche e di anatomia comparata. Stette alcun tempo
in Pisa, come aiuto del professor Richiardi, poi andò assistente a
Cagliari, poi nella Scuola superiore d’ agricoltura in Portici.
Lasciato quest’ ultimo posto, tornò al suo paese natio, dove spe-
rava forse di ritemprare, in mezzo alle cure della famiglia, la
malferma salute. Negli ultimi tempi visse in Napoli e lavorava ,
sperando di potere, in un prossimo avvenire, conquistare una
ri ESS
posizione che gli permettesse di continuare i suoi studii in con-
dizioni più favorevoli.
Ma il male, che da varit anni insidiosamente lo combatteva ,
andò rapidamente aggravandosi e lo condusse in breve alla tomba
a soli 32 anni!
Chi lo avvicinò negli ultimi anni della sua vita fu penosamente
impressionato dal suo aspetto macilento e dalla sua voce fioca ;
che chiaramente palesavano le gravi condizioni della sua salute.
Egli, come tanti altri, s' illudeva, e, agitato da quella febbre
di lavoro che, in casi simili, è spesso foriera di prossima fine,
s’ affaticava a compiere alcuni studii cominciati, quasi temesse di
non giungere in tempo ! Ma la fibra esausta mal rispondeva all’ar-
dente volontà e spesso egli dovette cedere alla stanchezza e fu
costretto a fare molto meno di quello che s’ era proposto.
Pur nondimeno nello scorso anno, ultimo di sua vita, ei con-
dusse a termine tre lavori, che sono stati stampati nel Bollettino
della nostra Società, illustrandoli con tavole, che egli stesso, con
non comune abilità incideva su pietra.
Questi lavori contengono osservazioni intorno al tubo digerente
degli Artropodi, studiato specialmente negli Insetti e nei Miria-
podi. In uno, il Visart studia comparativamente 1’ istologia del
mesointestino soffermandosi particolarmente sul processo di secre-
zione delle cellule epiteliali; 1’ altro è esclusivamente dedicato alla
rigenerazione cellulare dell’ epitelio intestinale, di cui già nel pre-
cedente lavoro era fatto largo cenno. Il terzo ed ultimo è un con-
tributo alla conoscenza delle glandule ceripare negli Afidi e nelle
Cocciniglie, dove è accuratamente studiata la questione molto con-
troversa della secrezione della cera e sono descritte le varie ma-
niere di glandule deputate a questo ufficio e i diversi aspetti sotto
cui la secrezione si presenta.
. Da questi seritti del Visart, di cui mi son limitato a dare un
brevissimo cenno, poichè molti fra noi ne hanno ascoltata la let-
tura, appare com’ egli fosse accurato nella osservazione e dotato
di buon senso critico, e come non si sgomentasse dall’ affrontare
problemi di non facile soluzione, lo studio dei quali richiede lunghe
e faticose ricerche. Le buone attitudini, che i lavori prodotti di-
mostrano essere state in lui, si sarebbero certamente affermate e
più completamente esplicate, se la sua energia non fosse stata
fiaccata dal morbo. Chè, anzi, desta meraviglia il vedere tanta
costanza e pazienza nel lavoro in un organismo stremato e pros-
simo ad estinguersi.
SITE
La contessa Visart, cortesemente rispondendo a una mia lettera
con cui le chiedevo alcune notizie biografiche del suo caro defunto,
mi scriveva: « In quanto al suo ingegno, non tocca a me il giu-
dicarne, a me tocca solo il dire che ho perduto un affettuosis-
simo figlio ».
Noi non avemmo il tempo di conoscere a fondo il Visart e di
| poterne pienamente apprezzare le qualità morali ed intellettuali;
ma la sua fine immatura lascia un vuoto in mezzo a noi ed io
credo d’ interpretare un sentimento comune a tutti dicendo che
noi sinceramente ci associamo al dolore della povera madre.
PUBBLICAZIONI DEL D. OSCAR VISART
Ricerche sul pigmento rosso dei Cromatofori dell’ Euglena
sanguinea (Processi verbali della Società Toscana di Scienze Naturali, mag-
gio 1890)
Contribuzione allo studio del tubo digerente degli Artropodi.
Ricerche istologiche e fisiologiche sultubo digerente
degli Ortotteri. (Nota preventiva. Società Toscana di Scienze Naturali,
10 maggio 1891).
Elenco delle specie Italiane appartenenti al genere Cala-
thus. Descrizione di una varietà nuova del Calathus Giganteus,
Var. Impressicollis, Mihi Ro verbali Società Toscana di Scienze Natu-
rali 4 maggio 1890).
Contribuzione allo studio del tubo digerentedegliArtro-
podi. Rigenerazione cellulare e modalità della medesima
nella mucosa intestinale, con tav. IV (Bollettino Società Naturali-
sti di Napoli Serie I, Vol. VIII). Î
Saggio di studio critico sperimentale su di un caso di mum-
mificazione spontanea (Lo sperimentale, Firenze Tomo LXVI).
Sugli Afidi delle piante e sui modi di combatterli, con par-
ticolare riguardo alla Schizoneura Lanigera Hausm. (Boll. N. 22, R.
Sc. Sup. d’ Agricoltura Portici).
La Porthesia Chrysorroea L. Liparis Chrysorroea, bruco peloso degli
Alberi da frutto (Bull. N. 23 R. Sc. Sup. Portici).
Contribuzione allo studio deltubo digerente degli Artro-
podi. Ricerche istologiche e fisiologiche sultubo dige-
rente degli Ortotteri (Atti della Società Toscana di Scienze Naturali
Memorie Vol. XIII).
Contribuzione allo studio delle glandule ceripare delle
Cocciniglie (Rivista di Patologia Vegetale Anno III, N. 1-4).
Contribuzione allo studio del sistema digerente degli
Artropodi. Sull’intima struttura deltubo digerente dei
Er (OI
Miriapodi (Chilognati), con tav. II e III (Boll. della Società di
Naturalisti di Napoli Serie I, vol. VINI
Contribuzione alla conoscenza delle glandule ceripare ne-
gli Afidi e nelle Cocciniglie, con tav. VI. (Boll. della Società di
Naturalisti in Napoli, Serie I, Vol. VITI.
sO,
di
StlitA Serino: Napo
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