1888. - Anno XIX.
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BOLLETTINO
DEL
R
COMITATO GEOLOGICO
D’ ITALIA
Volume Diciannovesimo
(9° della 2a Serie)
N. 1 a 12
ROMA
TIPOGRAFIA. NAZIONALE
di Reggiani & soci
1 888.
BOLLETTINO
DEL
lì. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA
1 888.
Anno XIX.
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1888. - Anno XIX
BOLLETTINO
DEL
R. COMITATO GEOLOGICO
D’ ITALIA
Volume Diciannovesimo
(9° della 2a Serie)
N. 1 a 12
ROMA
TIPOGRAFIA NAZIONALE
di Reggiani k soci
1888
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R. COMITATO GEOLOGICO
D’ITALIA.
1888
Bollettino N.° 1 e 2
Gennaio e Febbraio
ROMA
TIPOGRAFIA NAZIONALE
di Reggiani & soci
1888.
ELENCO
del personale componente il Comitato e l’Ufficio Geologico
R. Comitato Geologico.
Meneghini Giuseppe, prof, di geologia nella R. Università di Pisa, Presici.
Capellini Giovanni, prof, di geologia nella R. Università di Bologna.
Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze.
Cossa Alfonso, prof, di chimica nella R. Scuola di applicazione per gli
ingegneri in Torino.
De Zigno Achille, membro nel R. Istituto Veneto, a Padova.
Gemmellaro Gaetano Giorgio, professore di geologia' nella R. Università
di Palermo.
Scacchi Arcangelo, prof, di mineralogia nella R. Università di Napoli.
Scarabelli Giuseppe, senatore del Regno, a Imola.
Silvestri Orazio, prof, di geologia nella R. Università di Catania.
Stoppini Antonio, professore di geologia nel R. Istituto tecnico supe-
riore di Milano.
Struver Giovanni^ prof, di mineralogia nella R. Università di Roma.
Taramelli Torquato, prof, di geologia nella R. Università di Pavia.
Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze.
Giordano Felice, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, a Roma.
Pellati Niccolò, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, a Roma.
Personale addetto ai lavori della Carta Geologica.
Direzione superiore :
Ing. Giordano Felice, Direttore.
Ing. Pellati Niccolò.
Ufficio centrale (in Poma) :
Ing. Zezi Pietro, Capo d’ufficio e Segretario del Comitato.
Ing. Sormani Claudio.
Geologi operatori :
Ing. Baldacci Luigi, Roma.
Ing. Lotti Bernardino, Pisa.
Ing. Cortese Emilio, Roma.
Ing. Zaccagna Domenico, Pisa.
Ing. Novarese Vittorio, Roma.
Ing. Aichino Giovanni, Roma.
Sig. Fossen Pietro, aiutante, Pisa.
Sig. Cassetti Michele, aiutante, Roma.
Sig. Moderni Pompeo, aiutante, Roma.
Personale distaccato :
Ing. Mattirolo Ettore, Torino (analisi delle roccie)
Dott. Canavari Mario, Pisa (paleontologo).
La sede dell’Ufficio geologico in Roma è nel Museo agrario-geologico,
via .Santa Susanna, n. 1-A.
BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO
D’ ITALIA.
Serie IL Voi. IX. Gennaio e Febbraio 1888. N. 1 e 2.
SOMMARIO.
Introduzione.
Memorie originali. — I. Sul modo di formazione dei conglomerati miocenici
dell’Appennino ligure, di L. Mazzuoli. — II. Un problema stratigrafico net
Monte Pisano, di B. Lotti (con una tavola). — III. Sui terreni attraversati
dal confine franco-italiano nelle Alpi Marittime, di A. PORTIS. — IV. Contri-
buzione allo studio petrografìco dei vulcani viterbesi, di L. Bucca.
Notizie diverse. I fosfati di calce nell’Algeria. — L’amianto del Canada.
Avviso di pubblicazione della Carta geologica d’Italia.
Tavole ed incisioni. — Tav. I: Sezioni geologiche nel Monte Pisano (B. Lotti),
a pag. 42.
Riassumiamo brevemente i risultati ottenuti nel lavoro
della Carta geologica d’Italia durante l’anno 1887, riman-
dando al solito il lettore per maggiori dettagli alla Rela-
zione annuale che sarà presentata dall’ Ispettore-capo, diret-
tore dei lavori, all’adunanza del R. Comitato Geologico nella
prossima primavera.
Incominciando dai lavori di campagna, distinti in rile-
vamenti a piccola scala o di semplice ricognizione, .ed in ri-
levamenti di dettaglio a grande scala 1 per 25m o 50m, secondo
i casi, osserviamo come i primi abbiano essenzialmente due
scopi ; e cioè il completamento della Carta generale in piccola
scala (1 per 500m) che in progresso di tempo dovrà essere
pubblicata e la preparazione a rilevamenti di dettaglio, in
quanto servono a stabilire le grandi linee tettoniche di una
regione ed a limitare la serie dei terreni che in essa appa-
riscono. A questo duplice scopo vennero i medesimi assai
spinti nella regione delle Alpi occidentali (Marittime, Graie
e Cozie), dove esistevano ancora molti dubbi , studiando
2 —
anche con dettaglio certe parti di quella importante catena
montuosa in relazione con i lavori francesi e svizzeri sinora
pubblicati. I risultati di tale studio in quella regione alpina
furono assai interessanti, in quanto poterono stabilire con
sicurezza la serie dei terreni in essa rappresentati, oltre a
molti fatti importantissimi di tettonica, la cognizione dei
quali costituisce un vero progresso nella geologia delle Alpi
occidentali, sinora tanto controversa fra i geologi delle nazioni
limitrofe. Siffatti risultati furono esposti dall’ing. Zaccagna in
un suo lavoro, con Carta geologica e tavole di sezioni, inse-
rito nel fascicolo ultimo del Bollettino 1887. Altro campo di
estesa ricognizione fù gran parte dell’Appennino tosco-roma-
gnolo, dove si avevano dubbi intorno al riferimento crono-
logico di un’ampia zona occupata da roccie sinora ritenute
interamente eoceniche; e fu riconosciuto con fatti certi che
molta parte di esse va riferita al miocene (in ispecie quelle del
versante adriatico) mentre dall’altro lato si hanno estesi lembi
di epoca certamente cretacica. Fra siffatte roccie occupa un
posto importante il cosidetto macigno , il quale si estenderebbe
dal Miocene al Cretacico attraverso tutto l’Eocene. Di tali in-
novazioni nella Carta generale dell’Italia centrale verrà fra
breve resa pubblica la ragione da parte dell’ ing. Lotti e del
paleontologo dott. Canavari, che ne furono gli autori. Ana-
loghi rilevamenti a grandi tratti furono eseguiti nell’ampia
vallata del Tronto e luoghi circostanti, dove tanto sviluppo
hanno i terreni terziarii e in ispecie il Miocene; sul versante
nord-orientale della Majella, dove fu riconosciuta l’età eoce-
nica di quei gessi sinora riferiti al Miocene ; e finalmente
nella regione delle Puglie compresa tra Barletta e Brindisi,
tanto lungo il littorale che nell’ interno delle Murgie sino a
Gravina e Matera.
— 3 —
Risultato immediato di siffatte ricognizioni, unite a
quelle eseguite negli anni precedenti, fu quello di migliorare
assai la Carta generale in piccola scala e ridurla ad esattezza
sufficiente da potersi ripubblicare (essendo quella del 1881
assai imperfetta ed ora anche esaurita), il che sperasi di poter
fare nel primo semestre 1888.
Di pari passo procedettero i rilevamenti di dettaglio,
specialmente nell’ Italia centrale e meridionale, dove si po-
teva disporre di qualche personale non ad altro occupato)
compiendosi T esame generale della zona mediterranea dalla
foce della Fiora, presso l’antico confine toscano-romano, sino
a Salerno, e spingendosi verso l’Adriatico nella valle del
Pescara sino oltre Popoli. La zona specialmente rilevata
nel 1887 si estende su gran parte dalle provincie di Aquila,
Caserta e Napoli, parzialmente in quelle di Teramo, Chieti,
Campobasso, Benevento e Salerno
Nella Toscana, oltre alle estese ricognizioni anzi indi-
cate, furono studiati con dettaglio i dintorni di Firenze, e in
particolare la zona a ponente della città : l’area rilevata non
fu certamente molto estesa, ma si ottennero risultati note-
voli circa la classificazione cronologica di terreni finora cre-
duti esclusivamente dell’Eocene. — Uno studio dettagliato fu
pure eseguito nel gruppo della Montagnola Senese, ricono-
scendo l’età triassica di quei terreni, con perfetto parallelismo
fra essi e gli analoghi delle Alpi Apuane. — Ulteriori osser-
vazioni ebbero luogo sulle roccie massiccie del Campigliese,
da cui risultò l’intimo legame tra i graniti e le trachiti di
quei dintorni ; e così pure sui giacimenti di cinabro del Monte
Amiata, risultando con molta probabilità che i medesimi
appartengono a due livelli diversi, l’uno eocenico, l’altro cre-
tacico. — Si fece infine qualche studio dettagliato nel gruppo
)
4 —
di Cetona, pure nella Toscana meridionale, in particolar modo
per ricerche paleontologiche entro terreni giuresi e liasici.
Nella estrema Calabria il lavoro, che già era quasi ul-
timato sino all’istmo di Catanzaro, fu poco avanzato a causa
degli incarichi diversi affidati al personale colà destinato, e
può dirsi che il rilevamento regolare non fu ripreso se non
alla fine d’anno. Con tutto ciò si riconobbero vaste regioni
al nord di Catanzaro, anche per esercizio del personale in
parte nuovo, e si fecero rilevamenti di dettaglio nelle tavo-
lette di Catanzaro, Badolato e Cotrone.
Un lavoro che appartiene alla categoria dei rilevamenti
di dettaglio è quello della Carta gè agnostico -idrografica della
vallata del Po, che procede sotto la direzione del professore
Taramelli con l’opera di speciali osservatori. Siffatto lavoro
ebbe molto sviluppo nella regione piemontese sulla sinistra
del Po per opera del sig. L. Bruno di Ivrea, e qualche cosa
si fece pure sulla destra dal dott. Sacco di Torino è in
Lombardia dallo stesso prof. Taramelli. Sperasi peraltro di
svilupparlo maggiormente col nuovo anno, comprendendovi
anche l’Emilia e tutta l’ampia regione del delta padano,
almeno sin dove lo permetteranno le carte topografiche a
grande scala sinora pubblicate.
Continuarono, e in parte passarono a compimento, le
ricerche dei nostri geologi-operatori per forniture di acque
d’irrigazione nell’Emilia e in altre parti d’Italia; talché si
spera di averne presto risultati dinon dubbia importanza pra-
tica. Siffatti studii, se da una parte distrassero parte del perso-
nale dal regolare rilevamento della Carta geologica, dall’altra
però furono utili per la ricognizione di certe regioni, sulle
quali si avevano da prima idee incomplete.
Passando alle pubblicazioni, oltre alla solita del Boi-
— 5 —
lettino annuale, si ebbe quella di un terzo volume di Me-
morie descrittive contenente la Relazione sulle miniere di ferro
dell' Isola d'Elia dell5 ingegnere Fabri, con un atlante di
tavole in grande formato, e si preparò quella di un quarto
volume che conterrà la descrizione geologico-mineraria del-
Flglesiente (Sardegna) delFing. Zoppi, pure corredato di
molte tavole e di una Carta geologica : contemporaneamente
a quest’ultimo sperasi anche di pubblicare uno studio del
prof. Meneghini sui fossili dei terreni antichi di Sardegna,
col quale e con altro lavoro paleontologico del dott. Ca-
riava ri verrà ripresa la stampa delle antiche memorie in grande
formato. - — Fu pure disposto per la pubblicazione dei fogli della
Carta d’Italia al 100m, sospesa dopo quella della Sicilia, inco-
minciando da quelli dei dintorni di Roma in numero di sei,
che vedranno la luce nel 1° semestre 1888. Contasi pure
di avere nello stesso periodo la seconda edizione migliorata
e corretta della Carta generale in scala di l/l 000 000, es-
sendo quella del 1881 completa mente esani ita. Si spera poi di
pubblicare entro l’anno anche una Carta dettagliata di Roma
e dintorni alla scala di 1/25 000.
Proseguirono regolarmente tutti gli altri lavori accessorii
relativi alla Carta geologica, come ordinamento di collezioni,
aumento della Biblioteca ed Archivio carte, ecc., ecc., e spe-
cialmente i lavori paleontologici, litologici e chimici, ese-
guiti come per T addietro nel Museo geologico di Pisa e
nella Regia Scuola di applicazione per gli Ingegneri in To-
rino. Ed a proposito di questi ultimi giova osservare che,
verificatosi- qualche avanzo nel bilancio a causa della dimi-
nuita pubblicazione di carte, si spera entro il nuovo anno
di potere fornire l’Ufficio Geologico di un proprio laboratorio
chimico, soddisfacendo per tal modo ad un voto più volte
— 6 —
espresso dal Comitato. Si osserva poi che per lo studio mi-
croscopico delle roccie si è già in parte provveduto nell’uf-
ficio stesso con l’opera parziale del dott. Bucca addetto al
Museo mineralogico della Regia Università di Roma.
Facciamo ora seguire l’elenco delle tavolette della Carta
generale d’Italia che trova vansi per intiero rilevate geologica-
mente alla fine del 1887. Per quello dei fogli al 100 000 e
delle Carte speciali che erano pubblicate in detta epoca, veg-
gasi il solito annunzio di pubblicazione alla fine del fascicolo.
NB. - Si indicano con carattere maiuscolo il nome dei fogli, col
rotondo ordinario quello delle tavolette alla scala di 1 per 50 000 e
con carattere corsivo quello delle tavolette alla scala di 1 per 25 000.
Foglio N. 42. Ivrea ( Ivrea , Strambino , Castellamonte).
» 43. Biella (Gattinara, Carpignano , Roasenda ; Arboro, Vii -
lata , San Gennaro , Buronzo ; Salussola , Santhià , Bor-
gomasino, Azeglio ; Cossato ).
» 56. Torino ( Caluso , Chivasso , Volpiano , Rivarolo; Gassino ;
Venaria Reale , Torino , Rivoli , Pianezza).
» 67. Pinerolo (Cavour; Monte Viso).
» 68. Carmagnola (Villanova Solano).
» 79. Dronero (Sampeyre).
» 80. Cuneo (Cheraseo , Bene Vagienna , Marene ; Mondovì ,
Villanova , Morozzo ; Beinette).
» 81. Ceva (Ceva).
» 91. Boves (Frabosa Soprana ; Ormea; Boves).
» 92. Albenga (Garessio).
» 95. Spezia (Vejzzano, Lerici , Portovenere , Spezia).
» 96. Massa (Castelnuovo di Garfagnana , Gallicano , Monte
Altissimo, Vagli ddT~S otto; Monte Sagro , Massa,
Ameglia, Sarzana). .
» 97. Bagni di Lucca ( Pracehia , S. Marcello Pistojese ; Bagni
di Lucca, Barga).
» 104. Pisa ( Pescaglia , Massarosa , Viareggio, Pietrasanta ; Vec-
ehiano, Pisa, S. Rossore , Torre del Lago; Forte dei
Marmi). — Completo.
- 7 —
Foglio N. 105. Lucca ( Pistoia , Serravalle Pistoiese , Buggiano Mar-
liana; Lamporecchio, San Miniato , Fucecchio , Padule
di Fucecchio ; Attopascio , Vicopisano, Cascina , Monte
Serra ; Villa Basilica , Pescia , Lucca, Borgo a Moz-
zano). — Completo.
» 106. Firenze (Campi Bisenzio , Aa Romola , Montelupo, Car-
mi guano).
» 111. Livorno (Guasticceì Saldano, Livorno, Tombolo; Mon-
tenero). — Completo.
» 112. Volterra (Castelnuovo, Montajone, Peccioli, Pala; a ;
Volterra; Rosignano Marittimo; Pontedera , Lari, Fau-
glia, Colle Salvetti). — Completo.
» 126. Isola d’Elba (Capo Castello; Portolongone, Capoliveri,
Marina di Campo, Portoferrajo ; Marciana, Pomonte ;
Lsola di Capraja). — Completo.
» 139. Aquila degli Abruzzi (Aquila degli Abruzzi; Antrodoco).
» 140. Teramo (Gran Sasso d’Italia).
» 142. Civitavecchia (Corneto Tarquinia; Tolfa , Santa Mari-
nella, Torre Marangone, Civitavecchia ; Torre di Mon-
talto). — Completo.
» 143. Bracciano (Ronciglione; Campagnano di Roma, Formello,
Santa Maria di Galera, Anguillara ; Bracciano, Ca-
stel Giuliano, Santa Severa, Bagni di Stigliano ; Ve-
tralla). — Completo.
» 144. Palombara Sabina (Fara in Sabina; Orvinio, Vicovaro,
Palombara Sabina, Montelibretti ; Passo Corese, Mon-
terotondo, Casale Marcigliana, Castelnuovo di Porto ;
Poggio Mirteto). — Completo.
» 145. Avezzano (Borgocollefegato; Avezzano; Carsoli; Fiami-
gnano). — Completo.
» 146. Solmona (Popoli; Solmona; Celano; Barisciano). - Completo.
» 149. Cerveteri (Monte Mario, Maglianella, Maccarese, Tor-
rimpietra; Ponte Galera, Castelporziano, Foce del
Tevere, Fiumicino; Cerveteri, Torre Palidovo, Fur-
bara). — Completo.
» 150. Roma (Castelmadama, Palestrina, Colonna, Tivoli; Vai-
montone, Artena , Velletri, Rocca di Papa; Frascati,
Albano Laziale, Castel Romano, Cecchignola ; Torre
Cervaro , Cervelletta, Roma, Castelgiubileo). - Completo.
— 8 —
Foglio N. 151. ìVlatri (Cìvitellaroveto; Alatri; Anagni; Subiaco.) —
Completo.
» 152. Sora (Scanno; Alvito; Sora; Trasacco), — Completo.
» 158. Cori (Cori; Fogliano; Nettuno; Ardea). — Completo.
» 159. Frosinone (Frosinone; Fondi; Sezze; Carpineto Romano).
— Completo.
» 160. Cassino (Atina; Cassino; Pontecorvo; Arpino). — Com-
pleto.
» 161. Isernia (Piedimonte d’Alife; Venafro).
» 164. Foggia (Foggia).
» 170. Terracina (Terracina; S. Felice Circeo).
» 171. Gaeta (Sessa Aurtinca; Mondragone; Gaeta). — Completo.
» 172. Caserta (Cajazzo; Caserta; Casal di Principe; Teano). —
Completo.
» 173. Benevento (S. Giorgio la Molara; Cervinara; Cerreto
Sannita).
» 183. Isola dTschia (Isola dTschia). — Completo.
» 184. Napoli (Napoli; Monte Vesuvio; Pozzuoli; Marano di
Napoli). — Completo.
» 185. Salerno (Castellammare di Stabia; Nola).
» 196. Vico Equense (Vico Equense). — Completo.
» 197. Amalfi (Amalfi).
» 241. Nicastro (Filadelfia; Monteleone di Calabria).
» 242. Catanzaro (Borgia).
» 245. Palmi (Palmi).
» 246. Cittanova (Caulonia; Cittanova).
» 247. Badolato (Stilo; Badolato). — Completo.
» 254. Messina (Bagnara Calabra; S. Lorenzo; Reggio di Ca-
labria; Messina). — Completo.
» 255. Gerace (Gerace; Bianco; Ardore). — Completo.
» 263. Bova (Bova; Capo dell’ Armi). — Completo.
» 264. Staiti (Staiti). — Completo.
ISOLA DI SICILIA. — Completamente rilevata e pubblicata nei se-
guenti fogli :
N. 244. (Isole Eolie) N. 248. (Trapani) N. 249. (Palermo)
» 250. (Bagheria) » 251. (Cefalù) » 252. (Naso)
» 253. (Castroreale) » 254. (Messina) » 256. (Isole Egadi)
— 9 —
N. 257. (Castelvetrano) N. 258. (Corleone) N. 259. (Termini Imer.)
» 260. (Nicosia) » 261. (Bronte) » 262. (Monte Etna)
» 265. (Mazzara del Vallo) » 266. (Sciacca) » 267. (Canicattì)
» 268. (Caltanissetta) » 269. (Paternò) » 270. (Catania)
» 271. (Girgenti) » 272. (Terranova) » 273. (Caltagirone)
» 274. (Siracusa) » 275. (Scoglitti) » 276. (Modica)
» 277. (Noto)
NB. - Come dipendenze della Sicilia restano a rilevarsi le Isole
Pelagie (Pantelleria, Lampedusa, Linosa e Lampione).
MEMORIE ORIGINALI
I.
Sul modo di formazione dei conglomerati miocenici dell' Ap-
pennino ligure; nota di L. Mazzuoli.
In una pubblicazione fatta alcuni anni addietro dal prof. Issel e da
me, 1 nella quale si aveva principalmente per scopo lo studio della zona
di coincidenza delle formazioni serpentinose eoceniche e trmsiche della
Liguria occidentale, si accennava incidentalmente ai conglomerati mio-
cenici che si distendono sulla falda settentrionale dell’Appennino, fra la
valle della Scrivia e quella della Stura di Ovada, indicando in modo
molto sommario una ipotesi sulla loro origine. Nei diversi rilievi geo-
logici compiuti negli anni successivi avendo dovuto percorrere altre
regioni in cui quei conglomerati si manifestano, credo opportuno di
riassumere ora qui le osservazioni fatti sul terreno. Dopo di che e dopo
avere dimostrato come V ipotesi avanzata dal compianto Gastaldi sul-
l’origine glaciale dei conglomerati miocenici sia, a parer mio, inconci-
liabile coi fatti osservati, darò più ampio sviluppo all’ipotesi espressa
nella succitata pubblicazione e proverò come con quella si possa tro-
1 Mazzuoli ed Issel, Nota sulla zona di coincidenza delle formazioni ojìo-
litiche eocenica e triasica della Liguria occidentale (Boll, del R. Com. Geol.,
n. 1-2, 1884).
— 10-
vare, per quanto a me sembra, una spiegazione soddisfacente del modo
di essere dell’interessante formazione che sta alla base del miocene
inferiore.
Descrizione dei conglomerati.
Per procedere con ordine descriverò prima i conglomerati del ver-
sante settentrionale dell’Appennino, poi quelli del versante meridionale,
seguendoli da levante a ponente, secondo che vedonsi delineati nella
carta geologica delle Riviere Liguri e delle Alpi Marittime di Issel,
Mazzuoli e Zaccagna pubblicata nel maggio dell’anno decorsp.
Risalendo la valle della Borbera per la strada rotabile che da Ser-
ravalle Seri via conduce a Rocchetta Ligure, si attraversa dapprima una
ubertosa pianura leggermente ondulata, la quale è costituita dai depo-
siti arenacei ed argillosi del Miocene medio. Oltrepassati di poco i
casolari di Persi la valle diviene ad un tratto molto angusta, e le pen-
dici montuose, brulle e scoscese danno al paesaggio un marcato carat-
tere alpestre. Sì brusco cambiamento è dovuto ai conglomerati del Mio-
cene inferiore, i quali per la loro grande tenacità, presentano diffìcile
presa agli agenti meteorici e non Si lasciano attraversare dai corsi di
acqua che con solchi molto stretti e profondamente incassati. In questa
regione i conglomerati appariscono formati da cògoli di svariate dimen-
sioni; però i frammenti grossi sono in prevalenza e spesso se ne hanno
dei grossissimi. I ciottoli sono di natura o calcarea o arenacea o sci-
stosa; essi rappresentano cioè le roccie del vicino Eocene. Fra quello
sfasciume, solidamente cementato, vedonsi di tratto in tratto strate-
relli di un’arenaria finissima, la quale fa singolare contrasto coi volu-
minosi cògoli da cui è circondata.
Alla confluenza del Bizante colla Borbera la valle si allarga di
nuovo, i villaggi ritornano ad essere-itequenti, e sui dolci declivi dei
colli l’agricoltore ritrova terreni adatti all’arte sua. Tutto ciò dipende
dacché, attraversati i conglomerati miocenici, si è entrati nella forma-
zione dell’Eocene inferiore, la quale, per i fossili che ivi racchiude, do-
vrebbe forse meglio ascriversi al nummulitico. Però mentre i calcari,
le arenarie, e gli scisti nummulitici si estendono verso levante a per-
dita di vista, dal lato di ponente invece si osserva una specie di mu
— 11 —
paglione ciclopico di quasi 400 metri di altezza, il quale si innalza pres-
soché verticalmente sul fondo della valle. Quel muraglione corrisponde
all’estremo limite della formazione conglomeratica, il cui confine col
sottostante nummulitico si dirige all’ incirca N-S, e coincide quasi esat-
tamente, nella nuova Carta dello Stato Maggiore a curve orizzontali
(foglio di Rocchetta Ligure, scala di 1: 25 000), colla linea che separa
la parte molto scura da quella chiara; giacché appena cessano i con-
glomerati, le curve, prima quasi contigue, si allargano notevolmente.
Il detto confine, dopo essere rimasto parallelo all’asse dei torrenti Bor-
bera e Sisola, in faccia al villaggio di Pagliaro superiore si ripiega gra-
datamente verso Sud-Ovest; quindi lambendo i casolari di Roccaforte,
si dirige ad occidente e con alcune flessuosità raggiunge la Scrivia
presso Pietrabissara.
A Pietrabissara, lungo la vallata del Rio Borlasca, si hanno in at-
tività, aperte nei conglomerati miocenici, diverse cave, da cui si otten-
gono buone pietre da lavoro. Con queste cave si utilizzano i banchi arena-
cei frapposti ai veri conglomerati, i quali sono quivi formati da ciottoli
di piccole dimensioni; fra i ciottoli predomina l’elemento ofiolitico.
Da Pietrabissara la linea di confine fra l’Eocene e il conglomerato
miocenico si dirige verso Sud e descrivendo un’ampia curva raggiunge
il monte Alpe per poi discendere a Voltaggio. In questo tratto conti-
nuano a prevalere sugli altri i ciottoli ofìolitici ; però in alcune località
anche i cògoli calcarei e scistosi sono assai abbondanti.
Prima di lasciare la valle Scrivia devo far parola di due grandi
isole di conglomerato, che distinguerò coi nomi di Monte Maggio e
Monte Reale. Queste due isole, che dovevano già essere riunite, rima-
sero verosimilmente disgiunte per le erosioni verificatesi lungo la valle
della Seminella.
L’isola di Monte Maggio vedesi in tutto il suo contorno terminata
da una specie di muraglione quasi a picco, che si erge per circa
200 metri di altezza sulle sottostanti formazioni eoceniche. Ne consegue
che la superficie superiore dell’isola è di difficilissimo accesso; questa
circostanza, congiunta colla naturale aridità della roccia, è causa che
nella regione occupata dall’isola regna una grande sterilità, per cui
ivi mancano strade e villaggi. Invece tanto le prime che i secondi si
incontrano tosto che alle pareti scoscese e dirupate del conglomerato
— 12 —
succedono i dossi tondeggianti dell’Eocene; cosi il confine tra le due for-
mazioni coincide di frequente coi sentieri che pongono in comunicazione
tra loro i gruppi di casolari situati al piede dei muraglioni miocenici.
Lungo il confine orientale dell’ isola nei pressi di Sorrive, il conglo-
merato apparisce costituito da frammenti di diverse forme e dimensioni,
cogli spigoli il più delle volte arrotondati. I cògoli, il cui volume su-
pera difficilmente i 2 o 3 decimetri cubi, sono per la massima parte
di calcare eocenico, con qualche raro e piccolo frammento di diabase;
essi stanno solidamente collegati tra loro da un cemento siliceo; ed è j
appunto alla grande tenacità di questo cemento che io credo dovuta
1’esistenza stessa non solo di questa, ma di tutte le altre isole mioce-
niche di cui farò menzione più innanzi.
Presso i casolari di Monte Maggio si coltiva una cava di pietre
da lavoro di qualità quasi uguale a quella dei materiali che si estrag-
gono dalle cave di Pietrabissara.
A Nord del paese di Savignone i cògoli diabasici vanno via via
divenendo più frequenti e più voluminosi.
Nei pressi di Croce Fieschi, sulla stretta falda eocenica esistente
tra le isole di Monte 'Maggio e di Monte Reale, si osservano grossi
frammenti isolati di conglomerato, i quali, mentre comprovano l’antico ]
congiungimenti delle due isole, devono considerarsi come residui sfug-
giti alle azioni erosive, che ivi si svilupparono con tale potenza da
aprire in una roccia tenacissima una valle profonda.
L’ isola di Monte Reale si presenta in condizioni affatto simili a 1
quelle già indicate per l’isola di Monte Maggio. Anche qui si hanno j
lungo i contorni dell’isola le solite pareti a picco; anche qui ai cò-
goli, prevalentemente calcarei e scistosi della falda orientale, si asso-
ciano frammenti diabasici, a mano a mano che ci si avvicina a quella ;
occidentale. Quest’isola è attraversata in direzione Sud-Est-Nord-Ovest
dalla valle di Vobia, la quale è così profóndamente incassata che spesso
sul suo fondo presenta appena 5 a 6 metri di larghezza. Tanta ristret- ;
tezza, congiunta alla grande pendenza delle nude pareti, dà a questa J
parte della valle di Vobia un aspetto così orrido e desolato, come mai
ne vidi di simile in tutto il resto della Liguria. Sul versante destro di
questa valle è posto il Castello di Pietra , avanzo pittoresco di una
costruzione medioevale eseguita in un luogo sommamente dirupato.
'
- 13 —
A Nord dell’isola di Monte Reale si hanno le altre due piccole isole
di Monte Castellazzo e di Monte Canne, di cui basta fare appena
menzione.
Procedendo verso Ovest, sulla sommità del contrafforte che separa
la valle della Scrivia da quella del Lemmo, si trova l’isolotto di Monte
Fiaccone, costituito da grossi massi di roccie serpentinose. Un centi-
naio di metri più innanzi s’incontra un enorme blocco formato da una
roccia cristallina, molto mineralizzata con minerale di ferro. Esso sembra
penetrare negli scisti rasati eocenici sui quali riposa. La parte fuori del
suolo presenta un volume di quasi 60 metri cubi. Evidentemente questo
masso deve considerarsi come un elemento di una porzione di conglo-
merato disfatta dalle erosioni.
Due altri piccolissimi lembi di conglomerato esistono nella valle
dell’ Acquastriata; il più basso trovasi sulla sponda sinistra di una val-
lecola che discendendo da Sud a Nord si congiunge colla valle princi-
pale a circa 650 metri verso levante della cascina Carrosina; la sua
altitudine è di circa 500 metri. L’ altro, più esteso e più elevato del
primo, s’ incontra alle prime origini della valle, a circa 250 metri verso
Nord dalla cascina suddetta. Anche in questi lembi i cògoli sono esclu-
sivamente di roccie serpentinose. Si noti qui che la serpentina è la
roccia di gran lunga predominante in tutta la valle dell’ Acquastriata.
Riprendendo presso Voltaggio la linea di confine del Miocene in-
feriore colle formazioni più antiche, dirò che quella linea, dopo essersi
spinta a Nord per circondare una specie di promontorio eocenico,
si ripiega verso Sud e viene sul versante destro del Morsone ad ap-
poggiarsi sull’estrema pendice settentrionale della grande formazione
serpentinosa, che costituisce quella parte della Riviera di Ponente com-
presa fra la valle del Chiaravagna e Varazze, e che vedesi esattamente
indicata nella già citata carta geologica. Essendo tale formazione in-
terposta a scisti grigi talcosi, a cloritoscisti, a calcescisti, a quarziti,
ad anageniti e ad altri elementi di quella serie rocciosa che si trova
in intimi legami col soprastante calcare dolomitico, contenente i fossili
caratteristici del Trias medio, ne consegue che essa deve considerarsi
come prodottasi durante il Trias inferiore, ciò che fu dal prof. Issel e
da me ampiamente dimostrato in precedenti pubblicazioni.
Nella valle del Morsone il conglomerato è costituito quasi esclusi-
— 14 —
vamente da massi serpentinosi ; la sua potenza, misurata dal fondo
della valle, raggiunge talora i 400 metri. La linea di confine dopo es-
sere risalita sulla pendice settentrionale del Monte Tobbio, discende
in vai Gorsente e rimane per circa 4 chilometri prossima al corso di
questo torrente ; quindi, continuando a dirigersi verso Ovest, raggiunge
la valle di Stura a circa 2 chilometri a monte di Ovada. In tutto questo
tratto i massi hanno grandi dimensioni e spesso misurano più metri
cubi di volume; la loro natura corrisponde sempre a quella delle roccie
che costituiscono la catena montuosa su cui i conglomerati si ap-
poggiano.
Fra la valle di Stura e quella delfi Erro il limite fra il Miocene
inferiore e le formazioni antiche apparisce molto frastagliato. Dopo
quest’ultima valle la linea di confine presenta, è vero, molte sinuosità;
ma il suo andamento generale è pressoché parallelo a quello della
Bormida di Spigno, si dirige cioè all’incirca da Nord a Sud. Anche qui,
lungo il contatto tra il Miocene e le formazioni triasiche, s’incontrano
spesso massi di grande volume, i quali o fanno ancora parte del con-
glomerato o stanno nelle sue vicinanze, quali residui di lembi disfatti
dalle erosioni. Un bell’esempio di massi appartenenti a quest’ultima
categoria si osserva nel Prà Garbarino, presso il torrente Miojola con-
fluente dell"’ Erro, a circa 250 metri a valle delle cascine Premanè. Ivi
si vede un grosso blocco di quarzite, appena appoggiato sul suolo,
cogli spigoli smussati, del volume di circa 50 metri cubi. Sul letto del
vicino torrente esistono molti altri massi, ma di più piccole dimensioni.
E da notare che nella valle di Bormida il Miocene inferiore as-
sume una larghezza assai superiore a quella che presenta nella re-
gione già descritta; però non conviene credere che tutta quella distesa
miocenica sia occupata dal conglomerato, mentre essa è per la mas-
sima parte costituita da arenarie e mollasse a grana finissima. Il con-
glomerato rimane per lo più limitatomi una stretta fascia che circonda
le roccie triasiche, o riapparisce intorno a quelle masse rocciose che
affiorano ripetutamente lungo la Bormida tra Dego e Spigno. Fra questi
affioraménti meritano di essere ricordati quelli situati nei pressi di
Piana Crixia, i quali si trovano in relazione con una zona conglome-
ratica molto istruttiva e che fa d’uopo esaminare con qualche dettaglio.
Dalla stazione ferroviaria di Piana Crixia risalendo la valle della
— 15 —
Bormida, si osserva che questa ripiega il suo corso secondo diverse
curve molto pronunziate, colla prima delle quali circonda quello sprone
roccioso su cui è posto l’antico borgo di Piana. In questa località il
letto della Bormida è profondamente incassato, in modo che la diffe-
renza di livello fra l’alveo del fiume e il piano su cui venne costruito
il borgo di Piana è di circa 40 metri. Quello sprone è costituito da
un conglomerato formato da blocchi di enorme dimensione, confusi
con frammenti di ogni grandezza. La natura dei detriti è assai varia,
però l’anfìbolite è la roccia predominante. Per quanto questa imponente
massa detritica sia solidamente cementata, pure le azioni meteoriche
tendono a disaggregare la ripida superfìcie di quell’argine immane, e
talvolta accade che qualche grosso masso del conglomerato, venendo
ad essere isolato e fuori d’equilibrio, precipita sul letto del fiume, ed
ivi rimane, non potendo la corrente avere forza bastante per smuoverlo.
Uno di questi blocchi, di una forma presso che sferoidale, del volume
di circa una trentina di metri cubi, a mano a mano che per il disfa-
cimento di quell’argine veniva a trovarsi allo scoperto, difese dall’ero-
sione una porzione del conglomerato ad esso sottostante, e coll’andar
del tempo finì per non restare appoggiato che sopra una specie di
tronco di cono formato dal conglomerato protetto; e siccome la base
superiore di quel tronco presenta una superfìcie assai minore della
superficie inferiore del masso, così questo finì per assumere l’appa-
renza di un cappello di un fungo colossale, il cui gambo sarebbe rap-
presentato dal tronco suddetto. Insomma si è qui verificato un feno-
meno che ha molta analogia con quello delle tavole dei ghiacciai.
Discendendo dal borgo di Piana sulla strada provinciale, in mezzo
alla massa dei conglomerati si osserva un grosso banco di arenaria
che si può seguire per una notevole lunghezza.
A partire da Carcare la solita linea di confine si dirige nuova-
mente verso Ovest ed ha termine al suo incontro colla valle dell’ Ellero,
la quale segna il limite orientale di quell’enorme deposito alluvionale
che riempie la grande pianura esistente fra Torino e Cuneo. In tutto
questo lungo tratto il conglomerato si presenta sempre colle stesse
modalità, ricinge cioè a guisa di fascia le formazioni antiche su cui
si appoggia, e da cui vennero tratti gli elementi che lo costituiscono;
però i cògoli sono d’ordinario poco voluminosi, nè più si osservano
— 16 —
con frequenza quei grossi massi tanto comuni nei pressi della forma-
zione serpentinosa.
A viemmeglio riconoscere Pintima connessione esistente fra il
conglomerato e le roccie più antiche conviene portarsi nella valle del
Tanaro, un po’ a monte di Bagnasco. Ivi il Miocene si adagia sul
calcare dolomitico del Trias medio; ebbene in quella località il con-
glomerato è quasi esclusivamente formato da frammenti del detto calcare.
Dovrei qui occuparmi delle diverse isole di conglomerati esistenti
fra la valle della Stura di Ovada e quella della. Bormida di Spigno;
ma per non allungarmi di troppo farò appena cenno dell’isola di Sas-
sello, la quale, berchè importante per la sua estensione e per i fossili
che racchiude, pure essendo quasi esclusivamente costituita da mollasse,
non presenta grande interesse per lo studio che ne occupa.
Passerò ora sul versante meridionale dell’Appennino ligure, dove
invece .dell’ininterrotto manto miocenico, che si distende su quello op-
posto, non si hanno che pochi lembi isolati, i quali ci rappresentano
i residui di una formazione continua.
II. lembo più orientale è quello che costituisce l’estrema sporgenza
del promontorio di Portofino. Qui il conglomerato si appoggia sui
calcari e sugli scisti eocenici, e si presenta in strati dello spessore
complessivo di circa 150 metri, regolarmente inclinati verso il mare,
cioè verso Sud. Mentre poi quella parte di crinale, che è formata dal-
l’ Eocene, ha un andamento quasi pianeggiante, là ove comincia il con-
glomerato la linea spartiacque si rialza bruscamente; per modo che
il confine tra le due formazioni può essere rilevato anche a grande
distanza. I ciottoli del conglomerato sono principalmente di piccoli
calcari e di scisti eocenici; però si osservano talvolta fra essi alcuni
frammenti di roccie ofiolitiche, i quali appariscono più frequenti e più
voluminosi presso la località detta Le Pietre Strette , la cui altitudine
è di circa 450 metri. Discendendo vm*so il paese di Portofino i cògoli
ofiolitici vanno via via divenendo più rari.
Procedendo verso Ovest s’incontra un’altra importante isola di con-
glomerato fra Varazze e Albissola. Questo conglomerato è format - da
frammenti, talora di grandi dimensioni, di serpentina, di quarzite, di
scisti talcosi ; vi è così rappresentata tutta quella serie rocciosa che
ivi costituisce il Trias inferiore su cui il Miocene si appoggia. Fa
17 —
cl’uopo poi notare che verso Albissola cessano nel conglomerato i cògoli
ofiolitici, i quali sono sostituiti da ciottoli di anfibolite e di appenninite
derivanti dalle rocche del vicino Permiano. E pure rimarchevole il fatto
che nelle sezioni naturali, in mezzo a potenti banchi con cògoli di
grandi dimensioni, si osservano, qui come altrove, depositi arenacei
lenticolari talvolta di ragguardevole spessore e di pochi metri di lun-
ghezza.
A qualche distanza dal mare si hanno diversi altri lembi di Mio-
cene inferiore, i quali furono accuratamente descritti dal mio collega
prof. Issel in una sua recnnte pubblicazione, in cui diede pure interes-
santi notizie sopra quelle parti della medesima formazione che trovansi
comprese nei fogli di Cairo Montenotte e Varazze, della Carta topo-
grafica militare. 1
Da questa rapida rassegna dei conglomerati miocenici risultano
due fatti che fa d’uopo porre bene in rilievo, e che consistono :
1° nell’intimo legame generalmente esistente fra la natura dei
cògoli e quella delle roccie su cui i conglomerati si appoggiano;
2° nella disposizione stessa dei conglomerati, i quali abitual-
mente ricingono a guisa di fascia le sottostanti formazioni.
Come non si possa ammettere l’ipotesi di un trasporto glaciale
degli elementi dei conglomerati.
L’ipotesi sull’origine glaciale dei conglomerati miocenici del Pie-
monte fu, come ho già detto, avanzata e sviluppata dal Gastaldi in un
suo interessante lavoro 2 di cui credo opportuno dare qui un breve
sunto, limitato a quelle parti della memoria che hanno più diretta re-
lazione colla tesi che mi sono proposto di svolgere.
L’esimio geologo, dopo aver dichiarato che i conglomerati della
Collina di Torino sono strati marini del Miocene, ce ne porge una ac-
1 A. ISSEL, Note intorno al rilevamento geologico del territorio compreso
nei fogli di Cairo Montenotte e Varazze della Carta topografica militare.
(Boll, del R. Corri. Geol., n. 9-10, 1885).
2 B. Gastaldi, Frammenti di geologia del Piemonte. Sugli elementi che
compongono i conglomerati miocenici del Piemonte (Memorie deU’Accademia
delle Scienze di Torino, Serie Seconda, Tomo XX, 1863).
2
— 18 —
curata descrizione separandoli in due orizzonti, uno superiore e l’altro
inferiore. Il calcare è frequentissimo nei conglomerati inferiori , nei
quali trovansi pure in gran copia porfidi, graniti, protogini, diaspri,
arenarie porfìriche, melafìri, ecc., tutte roccie che non vennero mai
incontrate nei letti dei tornanti alpini posti fra il Po e la Baltea, nè
segnalate nei loro bacini. Le ultime roccie si rinvengono anche nei
conglomerati superiori, dove però invece del calcare predominano gli
elementi ofìolitici e specialmente i serpentinosi. Il calcare è dal lato
industriale la roccia più importante poiché viene utilizzato per la fab-
bricazione della calce. Esso varia moltissimo sia nel colore che nella
grana e nella composizione; trovasi in ciottoli d’ogni grossezza e fre-
quentemente in massi di gran volume.
Interessantissima è la nota posta in fondo alla pagina 304, dove
si accenna alla costante associazione che si osserva fra i ciottoli e i
massi di calcare da un lato, e quelli di serpentina, porfido quarzifero,
diaspri e graniti dall’altro. Il legame fra queste diverse roccie è tale
da ritenere che abbiano tutte la medesima provenienza.
L’autore passa quindi a descrivere i conglomerati miocenici del-
l’Appennino ligure, e particolarmente quelli di Croce Fieschi, Fiac-
cone, Voltaggio, valle del Gorzente e Lerma. Qui giova riferire testual-
mente l’ultimo periodo di questo importante capitolo.
« A riassunto di quanto abbiamo esposto nell’ intero capitolo di-
remo :
« 1° Che su quella parte deH’Appennino la quale si estende a
destra della Scrivia, notasi un enorme sviluppo di conglomerati per lo
più formati di soli ciottoli, soprastanti al calcare a fucoidi (alberese),
calcare di cui contengono a dovizia ciottoli;
« 2° Che sulla sinistra della Scrivia notasi altresì un enorme
sviluppo di conglomerati per lo più racchiudenti massi giganteschi,
quasi esclusivamente serpentinosi, e riposanti non più sull’alberese,
calcare che più non vedesi da questa parte della Scrivia, ma bensì sui
calcari e scisti più antichi. »
Nel capitolo successivo l’autore comincia col dichiarare di aver ri-
soluto il problema relativo alla provenienza di alcuni degli elementi
che costituiscono i conglomerati della collina di Torino, ed in partico-
lare dei calcari. Tale soluzione sarebbe stata il risultato di una escur-
— 19 —
sione da lui fatta nella alta valle della Staffora e più specialmente
lungo il rivo Montagnola, dove presso a colossali massi di granito, che
avevano formato l’oggetto precipuo della gita, trovò altri massi di di-
verse varietà di un calcare i cui caratteri esteriori sono simili a quelli
del calcare di Superga. Risalendo quindi dal letto del suddetto torrente
al castello di S. Margherita di Bobbio, l’autore rinvenne a posto non
solo tutte le varietà di calcare già riconosciute nei massi del rio Mon-
tagnola, ma anche la serpentina ed una brecciola cui in altre sue pub-
blicazioni aveva dato il nome di porfido quarzifero. In seguito a queste
scoperte egli ritenne che si dovesse considerare avverata la previsione
già da lui fatta circa alla provenienza dalla stessa regione di queste
tre roccie, che sono così abbondanti nei conglomerati della Collina di
Torino, e concluse affermando che alcuni degli elementi dei conglo-
merati inferiori di detta collina sono provenuti dai monti che circon-
dano il Penice.
Nel capitolo seguente l’autóre si occupa dell’estensione dei conglo-
merati in Piemonte; e dopo avere ricordato i diversi punti in cui i con-
glomerati si manifestano, dice che congiungendoli tra loro ne risulte-
rebbe un arco diretto da ponente a levante, e da levante a settentrione,
il quale sembra segnare il perimetro dell’Adriatico all’epoca miocenica.
Però questo mare doveva comunicare col Mediterraneo almeno per i
due stretti di Cadibona e di Sassello. Siccome poi la pendenza generale
dei conglomerati del versante settentrionale dell’Appennino è verso N.
e N.O, mentre quelli di Moncalieri inclinano verso S.E e S.O, così
per questo e per altri argomenti, che per brevità ometto di riferire,
l’autore è portato ad ammettere che i conglomerati dell’Appennino e
quelli della Collina di Torino non siano che affioramenti dei medesimi
strati, cosicché fra Pozzuolo del Groppo (valle di Staffora) e Superga
si deve avere un letto continuo di conglomerato.
In un altro capitolo, riassumendo le cose esposte nei capitoli pre-
cedenti, l’autore dice che dal lato della provenienza gli elementi che
compongono i conglomerati della Collina di Torino possono dividersi
in due grandi categorie, l’una proveniente dalle Alpi l’altra dagli Ap-
pennini. I ciottoli e massi sì dell’una che dell’altra provenienza devono
avere percorso 100 e più chilometri per venirsi a trovare insieme colà
ove oggi li vediamo depositati. Dopo di che l’autore fa un’osservazione
— 20 —
importante, che a me preme 'molto di rilevare, ed è che nei conglome-
rati di Superga sono rare le roccie che trovansi comunissime nelle
alte Alpi, meno rare quelle che formano l’ultimo gradino delle Alpi
verso il Piemonte, ed in grande maggioranza quelle che egli ritiene
venute dall’Appennino.
Ma di quale veicolo, l’autore si domanda, la natura si è servita
per trasportare così lungi nel mare tanta copia di materiali svelti alle
Alpi e all’Appennino? L’idea di un trasporto per correnti marine non
solo non può sostenersi, ma non è neppure concepibile, mentre è noto
che le acque dell’oceano non trasportano massi se non quando questi
trovansi racchiusi in zattere di ghiaccio. L’autore è quindi portato a
concludere che il deposito dei massi, che compongono tutti i conglo-
merati miocenici descritti nel corso del suo lavoro, è da considerarsi
come dovuto ad un fenomeno analogo a quello per il quale si vanno
attualmente accumulando sulle coste dell’Atlantico presso Terranova i
massi provenienti dalle regioni polari.
Mi sia ora permesso di esporre, con tuPo il rispetto dovuto all’il-
lustre scienziato, le ragioni per cui a me sembra che la formazione
dei conglomerati miocenici dell’Appennino ligure non possa in alcun
modo considerarsi come dovuta ad un trasporto glaciale.
Prima di tutto ricorderò che i conglomerati della Collina di Torino
devono, secondo il Gastaldi, ritenersi in gran parte formati da mate-
riali derivanti dall’ Appennino e colà trasportati con zattere di ghiaccio;
e siccome alla medesima azione glaciale sarebbero pure dovuti i con-
glomerati esistenti alle falde dello stesso Appennino, ne consegue che
i medesimi ghiacciai appenninici dovevano non solo deporre presso la
riva del mare miocenico gli elementi di quella zona conglomeratica, che
senza interruzione si distende dalle rive della Borbera a quelle del-
l’Ellero, ma anche dare alimento a zattere di ghiaccio capaci di tra-
sportare massi colossali a un centinakrttT chilometri di distanza. Ora
se è concepibile o l’una o l’altra di queste due azioni, non parmi si
possa ammettere la loro simultaneità. Ed invero come si potrebbe af-
fermare che oggi i ghiacciai delle terre circostanti al polo, mentre di-
scendendo in mare e spezzandovisi danno origine a quelle enormi mon-
tagne di ghiaccio ( iee-bergs ), le quali disciogliendosi sotto un clima più
mite vanno a deporre i detriti in esse racchiusi sulle coste dell’Ame-
-lì-
rica, possano contemporaneamente produrre attorno alle regioni polari
una formazione litorale analoga a quella dei nostri conglomerati ?
Ma facendo astrazione dalla Collina di Torino, prendiamo a consi-
derare i supposti ghiacciai dell’Appennino, soltanto in relazione coi
conglomerati che sono tanta parte di detta catena montuosa.
Se questi conglomerati, di formazione indubbiamente marina, fu-
rono il prodotto di un trasporto glaciale, come mai può spiegarsi la
loro regolare continuità sopra un’estensione litorale di oltre 120'chilo-
metri ? E come un trasporto effettuatosi con zattere di ghiaccio potrebbe
conciliarsi col fatto, in parte riconosciuto dallo stesso Gastaldi, della
costante relazione che esiste tra la natura degli elementi dei conglo-
merati e quella delle roccie a posto immediatamente sovraincombenti ?
Voglio ammettere che a taluno riesca di rispondere soddisfacen-
temente ai suesposti quesiti. Nessuno però potrà non convenire in ciò,
che per avere iee-bergs capaci di deporre una sì smisurata congerie di
materiale detritico, si dovevano pure avere ghiacciai di enorme esten-
sione e di grande potenza. Vediamo quindi se le condizioni dell’Appen-
nino ligure al principio dell’epoca miocenica fossero tali da permet-
tere l’esistenza di simili ghiacciai.
Gettando uno sguardo sulla già menzionata Carta geologica si ri-
leva facilmente che nel tratto di paese compreso fra Genova e Savona,
il confine del Miocene inferiore, quale venne tracciato sul versante set-
tentrionale dell’Appennino, dista mediamente dall’attuale mare Medi-
terraneo di circa 20 chilometri. Ma si è visto che anche sul versante
meridionale si ebbe una formazione conglomeratica di cui oggi non re-
stano che pochi lembi sparsi, come sono quelli di Portofino, di Va-
razze, ecc. Di più è noto, e lo stesso Gastaldi ebbe a riconoscerlo, che
i due mari comunicavano tra loro almeno per i due stretti di S.ta Giu-
stina e di Cadibona. Si deve pure porre mente all’altitudine dei con-
glomerati, i quali sul versante settentrionale costituiscono le vette di
Monte Maggio (979m), di Monte Reale (902m), di Monte Alpe (841 m), di
Monte Panzone (804m) ecc., mentre sul versante opp )sto li troviamo sulla
cima di Portofìno all'alt. tudine di 610 metri. Si esservi infine l’anda-
mento della linea spartiacque, la quale, per il tratto considerato, rag-
giunge la massima altezza al Monte Ermetta (1262m). Se ora con questi
dati, pur tenendo conto dei mutamenti che dai successivi movimenti
— 22 —
del suolo possono essere stati causati nei rapporti di posizione fra il
Miocene e i terreni sottostanti, uno si provi a delineare i confini dei
mari Adriatico e Mediterraneo, quali dovevano essere verso la fine dei
depositi dei conglomerati, si troverà che TAppennino ligure rimane ri-
dotto ad alcune isole di pochi chilometri di larghezza, allungate in di-
rezione da N.E a S.O ed emergenti, nei punti più elevati, di poche
centinaia di metri sulla superficie delle acque. E dopo essere giunti a
questo risultato, come si potrà sostenere che da simili isolotti potessero
trarre origine ed alimento ghiacciai capaci di produrre gli effetti sud-
descritti, mentre poi, la catena nordica alpina, assai più vasta ed ele-
vata, avrebbe dovuto rimanere quasi priva di ghiaccio ?
Un ultimo grave argomento contro l’ipotesi glaciale può ricavarsi
dalla paleontologia, la quale ci dà prova che mentre si deponevano i
conglomerati miocenici avevano vita e sviluppo una fauna e una flora
di tipo tropicale. Certo io non credo che per spiegare una qualunque
epoca glaciale faccia d’uopo di supporre un forte abbassamento di tem-
peratura; anzi ritengo con Tyndall 1 che per avere grandi masse di
ghiaccio sia necessaria l’esistenza nell’atmosfera di grandi quantità di
vapore acqueo, per la cui produzione occorre una grande energia solare.
Però neppure potrei acconciarmi all’idea che un clima tropicale possa
ritenersi favorevole alla produzione e allo sviluppo dei ghiacciai.
Dopo tutto ciò parafi di avere sufficientemente dimostrato come
non si possa ammettere l’ipotesi, secondo cui gli elementi che costi-
tuiscono i conglomerati miocenici sarebbero sfati trasportati da zattere di
ghiaccio colà dove ora li vediamo.
Modo di formazione dei conglomeratL
Qualunque sia la località in cui uno pongasi ad osservare nell’Ap-
pennino ligure le stratificazioni eoceniche, troverà che queste si pre-
sentano oltremodo ripiegate, contorte e rotte. Ove invece si passi sul
versante settentrionale dalle regioni occupate dall’Eocene a quelle co-
stituite dai depositi del Miocene e del Pliocene, si rimarrà colpiti dalla
grande regolarità che gli strati di queste ultime formazioni presentano,
1 Tyndall J, La chaleur. Mode de mouvement. Paris, 1874.
23
tanto da farli apparire in posizione assai poco diversa da quella che
essi dovevano occupare sul fondo del mare, prima della loro emersione.
Questo fatto ci dimostra in modo evidente che le pressioni verificatesi
durante il sollevamento posteocenico furono potentissime e di gran
lunga superiori a quelle che, manifestatesi dopo il pliocene, diedero ori-
gine airorografia attuale.
Ter effetto di quelle enormi pressioni la massa rocciosa sollevata
dovè incurvarsi in numerosissime pieghe, presentando una fitta rete di
sinclinali e di anticlinali con vòlte spezzate, con gambe tronche, con
lembi di strati strapiombanti. Chi col pensiero risalisse dall’odierno
paesaggio alla superficie emersa d’allora troverebbe una differenza
analoga a quella che passa tra la statua di valente artefice e l’in-
forme blocco di marmo da cui fu tratta. Ben s’intende quindi come da
quelle terre di poco uscite dalle acque, terminate da balze e rupi sco-
scese, battute in breccia dalle onde, soggette all’azioni meteoriche,
dovesse, specialmente verso il mare, avere origine un immenso sfa-
sciume costituito da massi immani frammisti a detriti di ogni dimen-
sione. Si ebbero così le prime assise della formazione di cui ci occu-
piamo.
Se i conglomerati miocenici non avessero che pochi metri di spes-
sore, basterebbe forse quanto si è detto per spiegarne l’origine. Ma si
è già visto che essi presentano tale potenza da raggiungere ed anche
sorpassare i 400 metri. Come può essere ciò avvenuto?
Finito il sollevamento post-eocenico, acquetate le forze che lo de-
terminarono, deve essersi verificato nei terreni emersi un movimento
direi quasi di reazione, per il quale le masse rocciose si accasciarono
su loro stesse, dando così luogo ad un lento abbassamento del suolo.
Durante quel lungo periodo i massi devono di tratto in tratto aver
continuato a precipitare in mare, mentre i detriti accumulandosi sui
detriti andavano via via crescendo l’altezza di quel deposito litorale,
la cui superficie, per, il graduale avvallamento del fondo, doveva rima-
nere quasi sempre a fior d’acqua.
Qui sì potrà obbiettare che per l’abbassamento del suolo, il mare
sarebbe stato costretto ad occupare nuove terre, causando una lenta e
progressiva sommersione delle spiaggie, per modo che i conglomerati
avrebbero potuto estendersi bensì in larghezza, ma non aumentare nello
— 24 —
spessore. A questa possibile obbiezione si risponde facilmente, facendo
osservare che a quell’epoca le spiaggie non potevano sommergersi
perchè ancora non esistevano, essendo mancato il tempo necessario
per la loro formazione. Lungo la linea di confine tra le acque e la
parte emersa si dovevano avere rupi scoscese, simili a quelle che pure
oggidì costituiscono gran parte delle coste liguri. E non solo le roccie
dovevano innalzarsi quasi verticalmente sul mare, ma per rovescia-
mento di pieghe riuscire spesso strapiombanti. Attualmente si può os-
servare un bell’esempio di pieghe rovesciate a Bergeggi e aCogoIeto;
e nella valle del Letimbro l’andamento delle stratificazioni è tale da
far ritenere che quel rovesciamento abbia fatto sentire la sua influenza
sopra una notevole estensione di paese. È quindi naturale l’ammettere
che durante un sollevamento avvenuto per effetto di pressioni potentis-
sime ed accompagnato da pieghe e rotture innumerevoli si sia prodotta
una costa ripida e scoscesa, quale fu necessaria per dar luogo alla
grande potenza che presenta la formazione conglomeratica.
Un’altra obbiezione potrebbe basarsi sul fatto, ripetutamente ac-
cennato, della costante corrispondenza che ha luogo tra la natura degli
elementi dei conglomerati e quella delle roccie da cui questi sono li-
mitati. Ed invero, come mai i detriti caduti in balìa delle onde non
furono da queste disseminati sopra una estensione maggiore di quella
che in realtà si verifica?
A questa dimanda dà piena e soddisfacente risposta l’osservazione
delle attuali spiaggie liguri, ove si trova, come fu dimostrato in una
precedente mia pubblicazione *, che i materiali che arrivano al mare si
muovono entro confini molto ristretti; e se fra due spiaggie si ha una
sporgenza rocciosa, per cui le acque acquistino una profondità di 15
a 20 metri, ciò basta perchè non avvenga alcun miscuglio fra i mate-
riali di una spiaggia con quelli della spiaggia vicina.
Nel riassumere i fatti risultati dathl studio del Miocene inferiore
dissi più sopra che i conglomerati ricingono a guisa di fascia la for-
mazione su cui si appoggiano. Avviene però talvolta ,che da quella
1 L. Mazzuoli, Sulla relazione esistente nelle Riviere Liguri fra la natura
litologica della costa e quella dei detriti che costituiscono la spiaggia (Bol-
lettino del R. Com. Geo!., 1887, n. 9-10).
— 25 —
fascia sì distaccano alcune masse conglomeratìche le quali, in forma
di apofisi, si protendono assai innanzi tra i depositi arenacei con una
direzione pressoché normale alla linea che doveva corrispondere alla
costa del mare miocenico. In quelle apofisi spesso si osservano massi
di gran mole, i quali si trovano troppo lontani dalle roccie a posto per
supporre che da esse direttamente derivino.
Accade pure di dover riconoscere che i conglomerati sono in parte
costituiti da cògoli di natura diversa da quella dille roccie vicine.
Questo fatto si verifica più specialmente nelle isole di Monte Maggio
e di Monte Reale ed anche a Pietrabissara, dove ai frammenti di calcare
e di scisti eocenici si uniscono numerosi ciottoli ofiolitici, benché la
serpentina e le altre roccie che le fanno corona distino di molti chi-
lometri da quelle località.
In simili casi sembra che l’ipotesi da me sostenuta debba riuscire
insufficiente. Ove però si ricordi quanto già dissi sui fenomeni che
devono avere dato origine nell’Appennino al sollevamento post-eocenico,
s’ intenderà facilmente come i contorni delle terre recentemente emerse
dovessero essere molto frastagliati, e presentare spesso strette lingue
rocciose che si spingevano molto addentro nel mare, ovvero scogli
isolati, offrendo le une e gli altri rupi e balze diroccate all’urto \idento
delle onde. Da quelle rupi, da quelle balze i massi dovevano precipitare
numerosi; inoltre per il lento abbassamento del suolo la parie più alta
di quei promontori e di quelle isole dovè ad un certo momento trovarsi
a fior d’acqua, e battuta in breccia dai flutti ridursi completamente in
frantumi. Ed ecco come di quelle lingue, di quegli scogli oggi non re-
stano che le apofisi conglomeratiche suaccennate. Se poi quei pro-
montori o quelle isole contenevano roccie diverse da quelle della cosia
vicina, cireos-anza questa facilissima a verificarsi per le roccie intruse
come le ofìolitiche, è naturale che i conglomerati risultanti dal loro
disfacimento si presentino come ora si vedono a Monte Maggio, Monte
Reale e Pietrabissara.
Qui fa duopo soggiungere che nell’ interno delle suddette apofisi
conglomeratiche devono esistere nuclei di roccie a posto di natura
analoga a quella dei conglomerati circostanti, da cui quei nuclei ri-
mangono ordinariamente occultati. Avviene però talvolta che essi furono
posti allo scoperto dalle erosioni successive, e di simili accidentalità
— 26 —
sì hanno esempi molto istruttivi nella valle della Bormida di Spìgno,
e più specialmente a Piana Crixia, in vicinanza di quello sprone roc-
cioso, il quale, come si è visto, trovasi costituito da massi di grandi
dimensioni. Tali esempi ci porgono, se non erro, una dimostrazione
efficace del modo di origine delle apofìsi sopradescritte.
Dissi già che fra i ciottoli e i frammenti di ogni dimensione i
conglomerati spesso presentano banchi arenacei di notevole estensione,
od anche zone sabbiose molto ristrette. Ritengo che i primi corrispon-
dano a lunghi periodi di calma simili a quelli che si hanno nelle no-
stre stagioni estive, mentre le altre potrebbero rappresentare piccolis-
simi seni marini, difesi per breve tempo dall’ irrompere delle onde per
la caduta di qualche grosso masso, che avrà formato come una specie
di diga.
Da quanto sono venuto fin qui esponendo chiaro risulta che la
base fondamentale dell’ipotesi da me sostenuta consiste in quel lento
abbassamento del suolo eh’ io ritengo debba essersi verificato subito
dopo il sollevamento post-eocenico. E quindi di grande interesse il
ricercare se si abbiano prove dirette di simili abbassamenti avvenuti
in seguito ad altri sollevamenti.
Da una importante comunicazione fatta all’Accademia delle Scienze
di Parigi dal mio collega prof. Issel 1 risulta che nel recente rilievo della
Carta idrografica della regione occidentale del golfo di Genova, eseguito
dal piroscafo Washington della regia marina, comandato dal capitano
Magnaghi, di fronte agli attuali corsi d’acqua e più specialmente al
Bisagno, alla Polcevera, al Quiliano, all’Arma, alla Nervia ed al Roja,
si riscontrarono dei solchi profondi, che evidentemente corrispondono
al prolungamento di quelle vallate. Il maggiore di quei solchi, situato
di faccia al fiume Roja, raggiunse e superò i 900 metri di profondità
(931 m.) alla distanza di poco più dr'CTniglia dalla costa. Non vi ha
dubbio che quelle depressioni ci rappresentano un avvallamento, il cui
valore non può essere stato inferiore ai 900 metri. Resta ora a deter-
minare l’epoca di queiravvallamento.
1 Issel A., Sur V existence de vallées submergées dans le golfe de Génes.
(Comptes rendus des séances de l’Académie des Sciences, 24 janvier 1887).
27 —
Il prof. Issel, in una successiva comunicazione fatta alla medesima
Accademia delle Scienze \ procedendo per eliminazione ha inteso di dimo-
strare che l’avvallamento di cui si tratta ebbe a verificarsi durante il
periodo messiniano. Mi consenta, l’egregio mio collega, che dopo es-
sermi seco lui trovato d’accordo in questioni di assai maggiore im-
portanza, esprima in questo caso un parere diverso dal suo. Ed invero
a me sembra che se la sommersione della regione ligure occidentale
fosse avvenuta durante il periodo messiniano, i solchi, posti in evi-
denza dai rilievi della regia marina, sarebbero stati colmati dai nume-
rosi depositi verificatisi nei periodi successivi (piacentino, astiano)
della stessa epoca pliocenica. Insomma a me pare che l’abbassamento
delle vallate liguri non possa essersi verificato che durante il quater-
nario, verso la fine del periodo glaciale, ossia poco dopo il solleva-
mento post-pliocenico.
Anche il prof. Taramelli in quella parte di un suo lavoro 1 2 in cui
si occupa dei laghi compresi nel bacino del fiume Ticino, ha consi-
derato la continuazione in mare delle valli liguri come una prova di
una sommersione succeduta al sollevamento post-pliocenico, sommer-
sione che secondo lui varrebbe pure a spiegare resistenza delle conche
lacuali prealpine, il cui fondo trovasi, come è noto, molto al di sotto
del livello del mare.
Lo stesso prof. Taramelli, in quél medesimo suo lavoro, esprime
l’ipotesi che la grande espansione glaciale siasi verificata appunto al-
lora quando la massa alpina, per effetto del sollevamento post-plioce-
nico, si trovò portata ad un altitudine assai maggiore di quella che
oggi conserva. Ed è forse in quella maggiore altitudine che ha consi-
stito quel potente apparato condensatore, il quale era, secondo Tyn-
dall, 3 necessario non solo per condensare le grandi masse di vapore
acqueo che dovevano durante l’epoca glaciale esistere nell’atmosfera,
ma per far cadere quei vapori sulle Alpi sotto forma di neve.
1 Issel A., Sur Vépoque du creusement des vallées submergées du gol/e de
Gènes. (Gomptes rendus de l’Académie des Sciences, 31 janvier 1887).
2 Taramelli T., Note geologiche sul bacino idrografico del fiume Ticino.
(Boll, della Soc. geo!, italiana, Voi. IV, 1885).
3 Tyndall, 1. c.
Ecco dunque da diversi fatti dimostrato che alle azioni che origi-
narono il sollevamento post-pliocenico successe un periodo di reazione,
per il quale in Liguria una parte delle terre emerse dovè nuovamente
.sommergersi. Nulla quindi havvi d’improbabile nell’ammettére che alla
fine del sollevamento post-eocenico siasi verificata una lenta sommer-
sione, la quale ci permette di renderci pienamente conto del modo con
cui ebbero origine i conglomerati miocenici.
Prima di porre termine a questa nota non parmi inopportuno il
ritornare per un momento sul lavoro del Gastaldi, prendendo più spe~
cialmente a considerare la Collina di Torino.
Il fatto precipuo che indusse il Gastaldi a proporre la ipotesi gla-
ciale per spiegare la formazione dei conglomerati miocenici consiste
nell’ identità litologica da lui riconosciuta fra i calcari, le serpentine e
e le breccie esistenti in massi e in frammenti di ogni dimensione nella
Collina di Torino, e le stesse roccie trovate a posto sul poggio di Santa
Margherita nella valle della Stafferà. Da questo fatto egli trasse la
deduzione che i materiali della detta Collina dovevano in gran parte
provenire dal versante settentrionale dell’Appennino.
Nelle pagine precedenti ho già dimostrato come non era possibile
ammettere l’esistenza dei ghiacciai appenninici al principio dell’epoca
miocenica. Escluso quindi il trasporto con zattere di ghiaccio degli ele-
menti che costituiscono i conglomerati della Collina di Torino, resta a
dire come questi conglomerati possano essersi formati.
Devo anzitutto premettere che non solo non ho studiato ma nep-
pure ho visitato nè la Collina di Torino, nè la valle della Staffora.
Tuttavia dalla dettagliata descrizione che il Gastaldi ci porge dei cal-
cari, delle serpentine e delle breccie di quelle due località, parmi di
inferire che queste roccie sono del tutto simili a quelle che, pure as-
sociate tra loro, si ritrovano con frequenza tra le formazioni ofiolitiche
della riviera orientale, formazione di cui fu dal prof. Issel e da me
rilevata una circonsanziata Carta litologica alla scala di 1 a 10 000
Quindi i calcari, le serpentine e le breccie dei conglomerati di Su-
perga non devono considerarsi come una specialità della valle Staffora,
ma si ritrovano con eguali caratteri quasi ovunque si abbiano forma-
zioni serpentmose dell’epoca eocenica. Ora non è inverosimile che al
— 29 —
posto attualmente occupato dalla Collina di Torino abbia esistito, al
principio dell’epoca miocenica, un’isola di terreni eocenici includenti
roccie serpentinose prodottesi sul medesimo fondo marino in cui si
deposero le serpentine della valle della Staffora e quelle della Riviera
orientale. Sarebbe quindi naturale che ivi si avessero tipi litologici
identici a quelli che si ritrovano in formazioni sincrone di altre lo-
calità.
Quanto alla frantumazione di una parte di quell’isola e al manto
di conglomerati che oggi completamente la ricuopre, credo che ciò
potrebbe essere avvenuto in modo conforme a quello suddescritto per
le apofisi conglomeratiche esistenti sul versante settentrionale del-
l’Appennino.
Certo non posso pretendere di avere risoluto il problema della
formazione della Collina di Torino senza averla neppure visitata; ho
voluto solo accennare alla probabilità che colà si sieno ripetuti i me-
desimi fenomeni che, a mio credere, hanno dato luogo ai conglomerati
dell’Appennino ligure. Sarò poi grato ai colleghi che avranno agio di
studiare i dintorni di Torino se vorranno prendere in considerazione
l’accennata probabilità, riconoscendo sul terreno se la si debba o no
ritenere priva di fondamento.
CONCLUSIONE.
Dalle considerazioni e dai fatti esposti in questa nota si possono
trarre le seguenti conclusioni:
1° Non è ammissibile che al principio dell’epoca miocenica quella
parte dell’Appennino ligure, che allora trovavasi emersa, abbia potuto
accogliere ghiacciai; non è quindi ammissibile che i conglomerati for-
matisi in quell’epoca possano considerarsi dovuti ad un trasporto gla-
ciale ;
2° I conglomerati miocenici dell’Appennino ligure devono ritenersi
come depositi di spiaggia, fattisi tutt’attorno alle terre emerse d’ allora,
coi materiali risultanti dallo sfasciume di quelle coste frastagliate,
rotte e dirupate ;
3° Alla fine del sollevamento post-eocenico si ebbe un lento av-
— 30 —
vaìlamento, per il quale i conglomerati poterono assumere una potenza
di più cent: naia di metri;
4° I conglomerati si formarono non solo attorno alle coste ma
anche attorno alle isole e ai promontori, dei quali talvolta ora non
resta che un nucleo completamente occultato da un manto conglo-
meratico ;
5° L’abbassamento del suolo avvenuto alla fine del sollevamento
post-eocenico trova un perfetto riscontro nella sommersione verificatasi
dopo il sollevamento post-pliocenico, sommersione di cui si hanno per
la Liguria occidentale prove evidenti nel proseguimento in mare, fino
alla profondità di 900 metri, delle attuali vallate.
IL
Un problema stratigrafico nel Monte Pisano ; nota di
B. Lotti.
(con una tavola)
In altro mio scritto, 1 nel quale esposi alcune nuove osservazioni
fatte nei monti di Pisa in occasione del rilevamento geologico in grande
scala, eseguito nel 1881, feci rimarcare come fra la serie stratigrafica
del Monte Pisano e quella dei prossimi monti d’ Oltre Serchio, che
formano le ultime propaggini meridionali delle Alpi Apuane, esistesse
ad un certo punto una notevole anomalia, abbenchè la detta serie fosse
compresa fra gli stessi limiti e costituita nella massima parte dalle
stesse roccie. Si aveva cioè nel Monte Pisano fra certi diaspri, rico-
nosciuti ora per titoniani, e gli strati a Posidonomya Bronni del Lias
superiore, una serie di formazioni, in perfetta concordanza colle supe-
riori e colle inferiori e dello spessore complessivo di oltre un chilometro,
delle quali non si aveva traccia nei monti d’ Oltre Serchio, abbenchè
i vari terreni che si corrispondono HeiT due gruppi d’alture non distino
fra loro che di quattro o cinque chilometri.
1 Lotti B., Serie stratigr. dei monti pisani , eco. (Proc. verb. Soc. tose. se.
nat., 12 marzo 1882).
— 31
Ricerche ulteriori nello stesso Monte Pisano, nelle Alpi Apuane,
nella Montagnola Senese ed in altre parti della Toscana, mi hanno
messo in grado di stabilire che quel potente complesso di roccie del
Monte Pisano estranee ai monti (l’Oltre Serchio, non è là nella sua
serie naturale, ma vi si trova per effetto di un notevole dislocamento
di strati.
La successione dei terreni dall’alto al basso nei monti d’ Oltre
Serchio 1 è la seguente (v. Tav. I, fìg. I e II) a cominciare daH’Locene :
e{ arenaria (macigno).
e2 calcare nummulitico.
e3 scisti argillosi policromi.
crl calcare bianco e grigio chiaro con selce.
ti1 scisti, calcari argillosi e diaspri.
ti 2 calcare grigio cupo con selce.
Z1 scisti e calcari a Posidonomya Bronni.
Z2' calcare grigio chiaro con selce ad ammoniti del Lias
medio.
Z3 calcare rosso ad Arietites.
Z4 calcari bianchi a gasteropodi e coralli.
tr{ calcare nero ad Aoicula contorta e scisti a Bactrilli.
stratigrafica discendente nel Monte Pisano risulta invece
come appresso:
Ìel arenaria (macigno).
e2 calcare nummulitico.
e3 scisti argillosi policromi.
Creta . - cr calcare bianco e grigio chiaro con selce.
1 Le due sezioni geologiche sono nella stessa scala per le altezze e per le
distanze orizzontali ; sono inoltre parallele fra loro e distano l’una dall’altra di
poco più che due chilometri. La prima è la più settentrionale. I monti pisani son
posti alla destra e quelli d’Oltre Serchio alla sinistra dell’osservatore. Le con-
dizioni geologiche espresse da quella parte dei due tagli che sta sopra alla linea
di livello del mare sono quelli che effettivamente risultano dalla osservazione
diretta; il resto è stato tracciato soltanto allo scopo di dare una spiegazione del
supposto dislocamento. Merita d’essere notato il fatto, che pure feci rimarcare
altra volta, della notevole discordanza fra le roccie eoceniche e quelle più antiche,
come viene indicato dalla fìg. I.
Eocene . . .
Creta . ... -
Titonìano .
Lias ....
Trias . . . -
La serie
— 32 —
?
Titoniano .
Titoniano . - ii{ scisti, calcari argillosi e diaspri.
trl calcare cavernoso dolomitico.
pm puddinga quarzosa, arenaria quarzitica e scisti mi-
caceo-arenacei.
ir% arenaria, scisti arenacei, scisti ardesiaci verdi e vio-
letti, calcari scistosi e calcescisti cristallini.
ti{ scisti, diaspri e calcari argillosi con Aptici.
ti 2 calcare picchiettato e calcare grigio cupo con selce,
Ìll scisti e calcari con P. Bronni.
P calcare grigio chiaro con selce ad ammoniti del Lias
.... medio.
1 P calcare rosso ad Arietites'.
\ P calcare bianco a gasteropodi e coralli.
Trias. ... - trl calcare cavernoso dolomitico.
Permico . . - pm scisti micaceo-arenacei, arenaria quarzitica e pud-
dinga quarzosa (Verrucano).
Vedesi pertanto che le due serie differiscono fra loro unicamente
per la presenza nel Monte Pisano delle formazioni tr\ pm e tr% com-
prese fra strati marnoso-diasprini ti\ le quali formazioni mancano af-
fatto nei monti d’ Oltre Serchio.
E da notarsi intanto che la serie stratigrafìca dei monti d’ Oltre
Serchio è precisamente quella di tutto il resto delle Alpi Apuane e
delle altre località toscane, nelle quali compariscono roccie secondarie.
In nessun luogo agli strati titoniani ti1 si è trovata associata la benché
minima traccia delle formazioni tr{, pm e tr1 del Monte Pisano, mentre,
come vedremo, tali formazioni si ritrovano ad un livello molto più basso
della serie stratigrafìca. Nella Montagnola Senese queste stesse roccie
compariscono sopra- al marmo giallo, di cui alcune tavole levigate pre-
sentano sezioni incomplete di ammoniti ritenute in passato del Lias ',
e si citava la Montagnola per spiegare l’anomalia del Monte Pisano
ed il Monte Pisano per sostenere l’età liasica dei marmi della Mon-
tagnola. Evidentemente si faceva un circolo vizioso.
1 Queste sezioni sono ora riconosciute insufficienti per la determinazione spe-
cifica. Esporrò in altra circostanza le ragioni che mi hanno condotto a ritenere
triasici i marmi della Montagnola.
— 33 —
Pasciamo ora ad analizzare questo complesso problematico di
roccie del Monte Pisano.
Esse si presentano nel seguente ordine di successione dalTalto
al basso:
Calcare cavernoso dolomitico;
Calcare nero o grigio in strati sottili;
Puddinga quarzosa, arenaria quarzitica e scisti micaceo-arenacei ;
Arenaria micacea e scisti marnosi decomposti;
Scisti argillosi ardesiaci verdi e violetti;
Calcescisti verdi e violetti, compatti e cristallini.
Il calcare dolomitico, che comparisce nel Monte Maggiore sotto
ai diaspri titoniani e che estendesi poi nei monti di Parignana ed in lembi
isolati presso Rigoli e Corliano, è spesso brecciforme, cavernoso,
fetido, talvolta grigio cupo, venato di calcite e senza apparente stra-
tificazione; come varietà subordinate si osservano calcari giallastri e
rosei con reticolature di calcite, calcare microcristallino giallo chiaro
con vene calcitiche giallo-cupe e calcare microcristallino grigio com-
patto. Nella parte alta della valle della Molina si ha in qualche punto
un vero e proprio portoro come quello infraliasico della Spezia.
Tutte queste varietà di calcare sono le più caratteristiche di quella
formazione che, nelle Alpi Apuane, nei monti della Spezia e nel resto
della Catena Metallifera, per dati paleontologici e stratigrafici fu ri-
ferita allTnfralias o al Retico in genere; la varietà microcristallina
giallastra con vene spatiche la ritroviamo poi a poca distanza presso
S. Maria del Giudice e a Vaccoli sotto alla serie basica (Tav. I, fig. I),
e quella rosea comparisce presso Caprona nella stessa posizione stra-
tigrafica.
I calcari sottilmente stratificati che stanno alla base del calcare
cavernoso dolomitico presentano al microscopio in sezioni sottili alcune
minute forme organiche sulle quali il dottor Canavari, che le ha stu-
diate, mi comunica quanto appresso :
« I calcari nerastri superiori al verrucano di Rupe Cava e dell’alta
valle della Molina, esaminati al microscopio in sezioni sottili, si pre-
sentano costituiti da una quantità di corpiccioli, di forma cilindroide
allungata, limitati da parete propria e riempiti da cristallini di calcita
che serve anche di cemento tra corpicciolo e corpicciolo. »
3
— 34 —
« In sezione trasversale si presentano irregolarmente circolari, talora
depressi e più o meno ellittici. Queste produzioni trovano le analoghe
nei grezzoni triasici delle Alpi Apuane ed in special modo in quelli
raccolti nella regione di Vinca dall’ingegnere Zaccagna. Ivi per altro
nella roccia esposta alle intemperie sono visibili anche macroscopica-
mente, inquantochè raggiungono dimensioni un poco maggiori (circa
2 mill. di lunghezza) di quelle del Monte Pisano. Per quanto sembri si-
curo che queste produzioni sieno di natura organica, non è ben certa
tuttavia la loro posizione nella sistematica. Dai molteplici studi fatti
risulterebbe che la parete limitante quei corpiccioli, anche con i più
forti ingrandimenti, si presenta più o meno omogenea e mai con indizi
di tessuto speciale; ciò farebbe escludere trattarsi di protozoari: la va-
riabilità della loro forma, ora diritti, ora arcuati o contorti, più o meno
depressi, accennerebbe ad organismi appartenenti al regno vegetale.
Essi corpiccioli trovano, tra le cose note, le più strette affinità, con og-
getti analoghi frequenti nel Muschelkalk di Turingia e che il Borne-
mann considera come alghe calcarifere, proponendo per esse il nome
generico di Calcinema. 1 »
« Da queste brevi considerazioni parrebbe potersi dedurre che tanto
i grezzoni delle Alpi Apuane quanto i calcari del Monte Pisano deb-
bano considerarsi come fitogenici. »
« Infine è da notarsi che tanto nei grezzoni triasici come nel cal-
care nerastro del Monte Pisano, ma più frequentemente in questo che
in quelli, si trovano, oltre ai citati corpiccioli, sezioni circolari assai
piccole, aventi un foro centrale e linee radiali che ricordano crinoidi,
senza per altro averne la tessitura a maglie esagonali, che anche la
fossilizzazione conserva visibile in questo gruppo di echinodermi. »
Questi calcari in strati sottili compariscono frequentemente nelle
Alpi Apuane sotto il Retico e fanno passaggio agli scisti triasici. Io li
ho citati altra volta 2 sotto il nome di calcari a lastre. Nel Monte Pi-
sano li troviamo sotto ai calcari ad Avicula contorta di Caprona, presso
il contatto cogli scisti del Verrucano.ryijB
Le roccie che presso Rupe Cava succedono in basso a questi cal-
1 Jahrb. der kònigl. preuss. geol. Landesansta.lt fur 1885, p. 284, 290, T. XI.
2 Lotti B., Piega con rovesciamento, ecc. (Boll. geol. n. 3-4, 1881).
— 35 —
cari constano di scisti violetti o verdastri micacco-arenacei, arenaria
violetta o verde cjuarzitica e puddinga quarzosa a grossi elementi:
sono, in una parola, assolutamente quelle più tipiche del prossimo Ver-
rucano. Tanto queste di Rupe Cava, quanto quelle sottostanti ai calcari
retici di tutto il Monte Pisano e specialmente quelle di Cucigliana, rac-
chiudono quarzo roseo e frammenti di una roccia nera, durissima, che
il dott. Busatti riconobbe per tormalinite. 1 II loro affioramento però è
limitatissimo; forse non giunge ad un ettaro di estensione. Ne ricom-
parisce poi una traccia a breve distanza nell’alto della valle della Mu-
lina, nella stessa posizione stratigrafìca. In tutto il resto del Monte
Pisano al calcare cavernoso della zona di roccie in discussione, suc-
cedono, con o senza intermezzo dei calcari a lastre, l’arenaria micacea
(pseudomacigno del Savi) e gli scisti argillosi ardesiaci.
L’arenaria, salvo poche interruzioni, comparisce quasi sempre fra
il calcare cavernoso e gli scisti ardesiaci e si distingue dal macigno
eocenico solo per essere prevalentemente scistosa. Vi si associano
quasi dappertutto scisti marnosi che per alterazione divennero gialla-
stri, allappanti, simili a quelli che più sotto racchiudono la Posidonomya
Bronni. Ad onta delle accurate e ripetute ricerche non riuscii a scuo-
prirvi traccia di fossili.
Questo pseudomacigno lo ritroviamo con caratteri analoghi sotto
ai calcari retici di una gran parte delle Alpi Apuane e specialmente
nei pressi di Vagli e di Stazzema.
Gli scisti ardesiaci verdi e violetti che seguono in basso all’ are-
naria nel Monte Pisano offrono pure le più strette analogie con quelli
triasici sottostanti all’arenaria nelle Alpi Apuane. Quelli, come questi,
hanno offerto delle fucoidi 2 e certi corpi fusiformi che si direbbero
siphonites , ma che forse non sono che secrezioni aragonitiche della
roccia. Nondimeno l’associazione di questi corpi alle fucoidi in roccie
aventi la stessa natura litologica ed aspetto identico, tanto nel Monte
Pisano, quanto nelle Alpi Apuane, non può che accrescere il grado
di probabilità che esse roccie appartengano ad uno stesso piano geo-
1 BusAtti L., Studi petrografìci (Proc. verb. Soc. tose. Se. nat., 8 maggio 1887).
2 Savi e Meneghini, Considerazioni, ecc. (Firenze, 1851). — De Stefani C.,
Alghe fossili nelle roccie delle Alpi Apuane (Proc. verb. Soc. tose. Se. nat., 7 lu-
glio 1881).
— 36 —
logico. Si aggiunga inoltre che questi scisti argillosi, e precisamente
i verdi, presentano nel Monte Pisano, sulle superficie di scistosità, ri-
fioriture di carbonato di rame, alla stessa guisa che quelli analoghi
triasici dei dintorni di Vagli nelle Alpi Apuane.
Questa formazione scistosa nella sua parte inferiore è costituita da
calcescisti che mantengono prevedenti, come i sovrapposti scisti arde-
siaci, le colorazioni verdi e violette, e che in vari punti, come nei pressi
di Castel Passerino e sopra il Grottone, acquistano una tessitura marca-
tamente cristallina. Anche nelle Alpi Apuane questi calcescisti succedono
in basso agli scisti ardesiaci e divengono cristallini per metamorfismo
regionale, laddove più forti furono i dislocamenti stratigrafici. Anche in
quella parte del Monte Pisano, dove i calcescisti sono divenuti cristal-
lini, si possono notare vari fenomeni che accennano ad energiche azioni
meccaniche. Così al Molino della Polla, sotto Rupe Cava, gli scisti sono
fortemente contorti e stirati in direzione obliqua alla stratificazione,
ed in tutto il contiguo Monte Orma, si avvertono negli strati disposi-
zioni tali che ne palesano gli intensi dislocamenti.
Il complesso di se sti e calcescisti, compatti e cristallini, di questa
zona di roccie del Monte Pisano, si assomiglia talmente, in tutte le sue
varietà, a quello triasico delle Alpi Apuane da non lasciare il minimo
dubbio sulla loro corrispondenza cronologica. Nei dintorni di Vagli spe-
cialmente predominano i calcescisti verdi e violetti analoghi a questi
del Monte Pisano e i cipollini verdi-chiari micacei scavati a Pruno e
Volegno nelle Alpi Apuane si scambierebbero con quelli di Castel Pas-
serino nel Monte Pisano.
Fra i calcescisti di Corliano trovasi una breccia simile al pao-
nazzetto di Carrara, e ad un cipollino brecciato triasico del Capo
Corvo nei monti della Spezia, del quale esistono esemplari nel Museo
di Pisa.
L’analogia di queste roccie del Monte Pisano con quelle triasiche
delle Alpi Apuane non era sfuggita al Savi, il quale le sincronizzava
nei primi tempi, comprendendole setter la stessa denominazione di
scisti varicolori. Riferiva però queste e quelle al periodo giurassico
non essendo stato allora peranco scoperto dal Capellini l’Infralias della
Spezia e quindi il corrispondente delle Alpi Apuane sotto al quale
quelle roccie apparivano.
— 37 —
Sotto ai calcescisti segue costantemente nel Monte Pisano una
zona di diaspri e scisti rossi allappanti, ai quali succede altra zona
non interrotta, ma di esiguo spessore, di calcari grigi con selce,
aventi di solito nella loro massa disseminati porfìricamente frammenti
cristallini di calcite e che perciò furon detti dal D’Achiardi picchiettati.
Essi ritrovansi presso i Bagni di Casciana in connessione con diaspri
titoniani 1 e sono quindi da ritenersi essi pure titoniani. Se poi notasi
che nel Monte Pisano vi si associa un calcare grigio-cupo con selce
analogo a quello tP dei monti d’Oltre Serchio, è facile riconoscere
che i due calcari si corrispondono perfettamente.
Tutte queste roccie, di cui abbiamo discorso, sono apparentemente
fra loro concordanti e riposano, pure con concordanza, sugli strati a
Posidonomya Bronni, coi quali si apre la serie basica. Esse furono
dai vari autori diversamente determinate riguardo alla loro età.
Il calcare cavernoso dolomitico fu riferito dal Savi, dal De Bo-
sniaski e da me al neocomiano; è però da notarsi che quando scrisse
il Savi tutto il calcare cavernoso della Catena Metallifera, riconosciuto
poi come retico, era riferito al neocomiano. Il De Stefani ritenne quello
in questione del Monte Pisano e quello della Montagnola Senese per
titoniano. 2
Le arenarie, gli scisti ardesiaci e i calcescisti, compresi sotto la
denominazione complessiva di scisti varicolori , nei quali però entra-
vano anche i diaspri sottostanti e gli strati a P. Bronni , furon ritenuti
giurassici dal Savi, del Lias superiore dal De Stefani. Io divisi questo
complesso in due gruppi, riferendo il superiore, fino al calcare pic-
chiettato inclusive, al Giura e Y inferiore, comprendente i soli strati a
P. Bronni , al Lias superiore. Alcune recenti scoperte paleontologiche
hanno permesso di ben determinare i limiti fra i quali la serie in
questione è compresa. Le roccie calcareo-argilloso-diasprine, che nei
monti d’Oltre Serchio (Tav. I, fig. I e II), in tutte le Alpi Apuane e
nella Val di Lima dividono, con una costanza sorprendente, due zone
1 Lotti B., Terreni secondari nei dintorni dei Bagni di Casciana (Proc.
verb. Soc. Tose. Se. nat., 10 genn. 1886).
2 De Stefani C., Geol. del Monte Pisano (Mem. del R. Com. geol. d’Italia,
Voi. HI, Roma 1876).
— 38 —
di calcari con selce l’una all’altra sovrapposte, offersero al Zaccagna 1
fossili titoniani (Apti/hus Beyriehi e Belemnites semisulcatus ). Queste
stesse sono le roccie che nel Monte Pisano cuoprono direttamente il
calcare cavernoso della serie in discussione. Nei calcari argillosi as-
sociati ai diaspri rossi che compariscono alla base di questa stessa
serie e che per alterazione divennero roccie argillose allappanti, furon
raccolti di recente dal dott. Canavari alcuni aptici, fra i quali VApty-
chus punctatus Woltz. 2 Nei diaspri poi si rinvennero radiolarie come
in quelli associati ai calcari marnosi ad aptici titoniani della Val di
Nievole. 3
Resta così incontestabilmente provato che la serie di roccie in
questione è compresa fra strati a fossili titoniani, e che perciò non
può ritenersi nè basica, nè giurassica. Non rimangono che due ipo-
tesi; o che esse roccie siano tutte titoniane, o che esista in questa
parte del Monte Pisano un forte disturbo stratigrafìco il quale abbia
prodotto V inserzione di roccie più antiche fra strati titoniani.
La prima ipotesi non ha in suo favore che l’apparente regolarità
colla quale queste formazioni sembrano inserite fra quelle superiori e
quelle inferiori ed ha contro tutte le osservazioni fatte altrove, non
conoscendosi affatto roccie titoniane di questo tipo e con tale enorme
spessore in tutto l’Appennino settentrionale e nella Catena Metallifera,
dove invece il titoniano o manca o è rappresentato da pochi strati, come
avviene appunto nei prossimi monti d’Oltre Serchio.
L’altra ipotesi è appoggiata segnatamente dal fatto della completa
analogia che queste roccie presentano con quelle del Trias superiore
delle Alpi Apuane. E non trattasi già di una sola roccia, ma di un
complesso di roccie le quali oltre ad assomigliare nei più minuti det-
tagli a quelle del Trias superiore apuano, presentano altresì lo stesso
ordine di successione.
L’incontestabile analogia di queste formazioni con quelle della
1 Zaccagna D., Lembi titoniani a foraggio e a Casale in Lunigiana (Proc.
verb. Soc. Tose. Se. nat., 14 genn. 1883).
2 Canavari M., Fossili titoniani del Monte Pisano (Proc. verb. Soc. Tose.
Se. nat., 9 genn. 1887).
3 Lotti B., Fossili titoniani in vai di Nievole (Boll. Geol. n. 3 e 4, 1887).
— 39 —
Montagnola Senese, altre ve Ite invocata a sostegno della loro età giu-
rassica o liasica aggiunge ora un nuovo argomento in favore della
ipotesi da me sostenuta. Ivi infatti l’analogia col Trias superiore apuano
non si limita al calcare cavernoso, all’arenaria ed agli scisti e calce-
scisti più o meno cristallini, ma si estende anche ai marmi ed ai
cosidetti grezzoni che sono le roccie più caratteristiche del Trias nelle
Alpi Apuane. 1 I crinoidi da me raccolti nei marmi della Montagnola
Senese, se pel loro stato di conservazione non hanno potuto esser de-
terminati con sicurezza, presentano cionondimeno caratteri tali da farli
ritenere piuttosto triasici che liasici. 2 Anche certe sezioni di am-
moniti che si osservano in una tavola levigata del Museo Castelli di
Livorno, mostrano secondo il Canavari, alcune particolarità nelle linee
lobali che ricordano tipi di ammoniti triasici.
Apparentemente contrario alla ipotesi che esista nel Monte Pisano
un dislocamento stratigrafìco, in forza del quale le roccie triasiche si
sarebbero quasi direi intruse fra gli strati titoniani, starebbe il fatto
che a breve distanza fra il vero calcare cavernoso retico, sottostante
alla serie liasica, e il verrucano permico non compariscono gli scisti
e i calcescisti simili a quelli segnati tr 2 nelle sezioni I e II della tavola.
Ma se tale difficoltà fosse grave essa esisterebbe anche per la ipotesi
opposta, poiché ad una distanza quasi uguale, nei monti d’Oltre Serchio,
non solo non vi ha la benché minima traccia di questa stessa forma-
zione tr*, ma neppure del calcare cavernoso tr1 al posto in cui dovrebbero
trovarsi tali roccie se fossero titoniane. E poi a tutto rigore non può
dirsi che non esista un qualche indizio di questa formazione tr2 fra il
Retico e il Permico, perchè, come accennai più sopra, presso Caprona
al loro contatto si hanno dei calcari in strati sottili come quelli di
Rupe Cava, e certi scisti ardesiaci variamente colorati, che iniziano
dappertutto la serie del verrucano, presentano notevoli analogie con
quelli della formazione tr ì.
Altro argomento contrario, e questo d’una certa gravità, lo tro-
viamo nel fatto che gli scisti tr*, in un’area ristretta compresa fra il
1 Lotti R, Sui marmi della Montagnola Senese (Proc;, verb. Soc. Tose. Se.
nat., 13 nov. 1887).
2 Simonelli V., Fossili del marmo giallo della Montagnola Senese (Ibidem).
— 4Ò —
Monte alle Croci e il Grottone, sembrano ricuoprìre in anticlinale le
roccie basiche; in seguito ad un accurato esame mi persuasi però
che in questo tratto gli scisti tr 2 sono da riguardarsi come frammenti
più o meno grandi di una massa franata. La fìg. I rappresenta nel
punto x una parte di questa massa scistosa frammentaria attraversata
dalla sezione.
Quando poi, ad onta degli argomenti addotti, non si volessero ritenere
triasiche le roccie tr resterebbe un problema insolubile la comparsa del
verrucano presso Rupe Cava tra formazioni che in tal caso sarebbero
titoniane. Soltanto a spiegazione di questo fatto sarebbe necessario invo-
care dislocamenti stratigrafìci ben più forti di quello supposto. Nè alcuno
potrà mai sostenere che le roccie di Rupe Cava siano esse pure tito-
niane. Esse, dallo scisto quarzoso micaceo alla puddinga grossolana o
anagenite, sono letteralmente identiche a quelle del verrucano permico
e contengono gli stessi elementi allotigeni di quarzo bianco e roseo e
di tormalinite nera, cementati da un minerale micaceo autigeno. Si
dovrebbe ammettere pertanto che in due periodi geologici, fra loro
lontanissimi, si fossero potute formare roccie clastiche, identiche per
il modo d’aggregazione, per la provenienza degli elementi e per il
metamorfismo successivamente sofferto. Mentre poi si comprende assai
bene come in una zona disturbata di roccie argillose, plastiche, come
le tr possa essersi intruso qualche strato del verrucano sottostante,
non ci potremmo render ragione della origine di una formazione tanto
caratteiistiea, limitata a poche diecine di metri d’affioramento.
Devesi ritenere adunque che in questa parte del Monte Pisano
roccie triasiche e permiche si sono intruse fra quelle titoniane in
forza di un dislocamento stratigrafico. Resta a vedersi come può essere
concepito tale fenomeno e quali ragioni possono avere presieduto alla
sua attuazione.
Le sezioni I e II della tavola indicano chiaramente il processo del
supposto dislocamento. Nell’area occupata ora dai terreni in questione
formossi una piega isoclinale ribaltata verso Est, nella quale ebbe
luogo lo schiacciamento e lo stiramento delle roccie costituenti la
gamba ribaltata. Questa, perdurando l’azione sollevatrice, fu rotta ed
al suo posto si produsse una spaccatura FF, lungo la quale le masse
rocciose sovrastanti scorsero salendo sulle sottoposte.
»
Boll. del R.Com.Geol.d'Ilaìia.
Sezioni geologici
NO
Anno 1888 Tav. I (B. Loffi
nel Monte Pisano
ig. Ili
la di 1 a 50 000
R.Lit. Goz anni, Pisa.'
— 41 -
Non è questo un f nomeno nuovo di geologia orotettonica e l’Heim
ne cita esempi nelle Alpi svizzere. 1 2 * * In piccola scala poi è frequentis-
sima l’osservazione di questo fatto nelle roccie scistose fortemente
pieghettate di regioni montuose. La rottura o faglia che ne deriva
vien chiamata dalFHeim Faltenverwerf ung , cioè faglia di piega , per
distinguerla dalle ordinarie faglie di spaccatura che egli chiama Spai-
tenverwerfung. 1
Ne è questa la sola faglia del Monte Pisano; altra se ne avverte,
pressoché parallela, ad un chilometro circa di distanza, lungo la strada
dai Bagni San Giuliano a Santa Maria del Giudice. Quivi osservasi
l’apparente sovrapposizione degli scisti del verrucano al calcare bianco
del Lias inferiore ed al calcare retico.
Alcune considerazioni finali mostreranno che il dislocamento ac-
cennato non solo era possibile, ma che le condizioni geologiche si
prestavano alla sua attuazione.
Le formazioni liasiche, e specialmente quella potentissima del
calcare bianco l\ costituiscono masse amigdaloidi che terminano rapida-
mente in cuneo. Feci già notare questo fatto altrove 5 ed aggiunsi che
esso verificavasi pure pei calcari liasici dell’ Elba e della Pania nelle
Alpi Apuane. Dissi allora che il calcare bianco del Monte Pisano co-
stituisce una massa irregolarmente amigdaloide, grossa e poco estesa
in tutte le direzioni, la quale vedesi terminare bruscamente in cuneo.
Mentre infatti presso le cave di Santa Maria dei Giudice, fra i calcari
del Lias medio e il Retico, il calcare bianco a gasteropodi ha uno spes-
sore di parecchie centinaia di metri, a meno d’un chilometro di di-
stanza, presso la villa De Bosniaski, si assottiglia talmente da essere
ridotto a qualche metro di potenza e poco al disotto della detta villa
si ha la sovrapposizione immediata del Lias medio al Retico.
Se ora ci riportiamo alla fìg. Ili della tavola, nella quale ho tentato di
ricostituire approssimativamente le condizioni preesistenti al disloca-
1 Heim A., Mechanismus der Gebirgsbildurig (B. II, pag. 44, tav. XV, fìg. 14).
2 Una serie di tali pieghe addossate V un, a all’ altra costituisce ciò che il
Suess chiama Schuppenstructur (Das Antlitz der Erde, B. I, pag. 149).
5 Lotti B., Descr. geoL dell’isola d’Elba (Mem. descr. della Carta geolo-
gica d’Italia, II, 1886, pag. 44).
— 42 —
mento, noi vediamo che la piega ribaltata sarebbe avvenuta appunto
lungo una zona di roccie prevalentemente plastiche e che la ingente
massa rigida dei calcari basici, opponendo una notevole resistenza
alla flessione, avrebbe potuto determinare la rottura F F ed il succes-
sivo scorrimento in alto delle roccie piegate sulle sottostanti.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
Sezioni geologiche nel Monte Pisano.
Quaternario ree. .
Eocene
Neocomiano - cr
\ ^
Tit ontano <
( ti*
. ll
. 1 2
i
( *
. trl
tr 2
Permico - pm.
Lias
Trias
sup. . .
medio .
inf. . . .
(retico) .
Alluvione.
Arenaria.
Calcare nummulitico.
Calcari, galestri, pietraforte e scisti policromi.
Calcari grigio-chiari con selce.
Scisti e diaspri con Aptici.
Calcari grigio-cupi con selce e calcari picchiettati.
Scisti e calcari con Posydonomya Bronni.
Calcari con selce ad Harpoceras.
Calcari rossi ad Arietites.
Calcari bianchi.
Calcari dolomitici, calcari ad A cicuta contorta e Bac-
trilli, calcari cavernosi.
Arenarie, scisti e cipollini.
Scisti, puddinghe ed arenarie quarzose (verrucano).
III.
Sui terreni attraversati dal confine franco-italiano nelle
Alpi marittime; nota dèi dott. Alessandro Portis.
Chi ha rilevato geologicamente un lembo anche piccolo di terri-
torio, generalmente vi si affeziona e si interessa perchè i lavori suc-
cessivamente eseguiti sul territorio stesso servano a confermare od a
correggere le osservazioni fatte e perchè, completandosi e parzialmente
sovrapponendosi coi risultati dei rilevamenti geologici eseguiti su
territorii finitimi, servano a far viemeglio conoscere l’andamento e la
— 43 —
ragione delPandamento dei singoli terreni per una maggior area di
territorio; così da studi isolati risulterà poi agevole la compilazione
di una carta geologica buona e fedele.
Quindi dopo aver rivolta la mia attenzione a decifrare la costi-
tuzione geologica del tratto italiano di Alpi Marittime compreso fra il
Monte Viso e la sommità della valle della Tinea, attendevo con im-
pazienza il risultato degli studi di chi primo si sarebbe applicato a
studiarne il versante francese. In questo momento in cui è imminente
la pubblicazione della grande Carta geologica d’Europa intiera, aveva
tale mio voto un’importanza più che personale: da un perfetto accordo
sui terreni affioranti ai confini tra Stato e Stato può infatti derivare il
vantaggio che certi terreni cessino di affiorare e di scomparire brusca-
mente proprio in coincidenza di un confine politico, assumendo invece
un andamento più naturale, più vero.
Sventuratamente dal tempo abbastanza lontano in cui per l’amicizia
personale che univa l’ Elie de Beaumont e il Sismonda Angelo e per essere
la scuola geologica piemontese quasi affigliata alla francese, erano in
Francia ed in Piemonte comuni le provvisorie vedute sulla costituzione
delle Alpi che l’uno dall’altro separano i due paesi e sui terreni in
esse affioranti, da quel tempo non fu più possibile di ottenere, se non
un accordo, almeno un modus vivendi tollerabile fra l’andamento dei
terreni alpini francesi e dei piemontesi. La scuola piemontese ha dovuto
per il naturale progresso delle cognizioni scientifiche rigettare molte
delle teorie su cui basava l’antico relativo accordo e rifacendo sul
proprio territorio la Carta geologica, giunta ai confini di Stato si è tro-
vata di fronte a terreni che, apparendo pur cogli stessi caratteri di
quelli fino a quel punto conosciuti ed assegnati a determinati livelli,
pigliavan tuttavia per opera dei geologi francesi altri posti nella serie
stratigrafica, posti talor molto distanti da quelli in cui erano stati in
Italia collocati. Onde, quale effetto, l’inconveniente dianzi accennato che,
su di una Carta geologica delle Alpi occidentali combinata sui risultati
delle indipendenti ricerche dei geologi delle due nazioni, si riscontri
una quantità di terreni, i quali subitamente scompaiono od appaiono iti
coincidenza del confine e che la Carta geologica ne risulti necessaria-
mente imperfetta e disadatta a fornire una idea della costituzione geo-
logica della regione e dei terreni in essa affioranti.
— 44 —
Àncora una volta ed ancor più accentuato questo fatto mi si af-
faccia leggendo la nota del sig. Goret intitolata Geologie du bassin
de l’Ubaye , inserta nei numeri 6 e 7 del voi. XV (3a serie) del Bollettino
della Società geologica francese, ed esaminando la Carta geologica an-
nessa (testo, pag. 539-555; carta geol., tav. X - Parigi 1887).
Appare dalla nota, ma più ancora dalla Carta, che se 1* egregio
autore ha data molta importanza ai terreni affioranti verso il centro e
verso il limite occidentale della zona da lui presa a rilevare, ne ha
data molto di meno, vuoi pnr maggior difficoltà di percorrerne il suolo
relativo, vuoi per altre ragioni, a quelli affioranti verso il limite orien-
tale della regione stessa, a quelli che si avrebbero dovuto attaccare
ai terreni venenti dall’ Italia dalla provincia di Cuneo.
Il mio tentativo di coordinare i due lembi vicini, in modo da for-
marne uno solo più grande e continuo, fallisce quasi completamente
dinanzi alla diversità d’ interpretazione data nei due rilevamenti agli
stessi terreni.
Se il rilevamento da me fatto segue dal Colle Traversette il confine
franco -italiano sino al Colle di Pouriac, il rilevamento Goret incomincia
alquanto più giù al Colle della Niera e va, sempre lungo il confine,
sino al Colle di Pouriac; là se ne scosta verso oriente per seguir l’an-
tico confine dalla Francia alla Contea di Nizza. Avremmo avuta, così
una linea di confine abbastanza sinuosa, lunga circa sessanta chi-
lometri e su di essa vi sarebbe stato posto a veder terreni comuni
ai due rilevamenti trascorrere dall’uno all’altro e trovarsi di quà e di
là in relazione con altri terreni più vecchi e più giovani dei quali più
naturali e più logiche sarebbero state le relazioni e le posizioni.
Niente di tutto questo succede esaminando e mettendo vicino i due
rilievi. Io, partendo dal nucleo dei gneiss e scisti cristallini che forma
il piede piemontese delle Alpi occidentali (Cozie e Marittime) attraversai,
andando verso occidente il primo mantello costituito dalle antiche quar-
ziti uroniane che, provenendo dalla Val Pellice, entra per il Monte
Frioland nel vallone di Ostana e quindi discende sin vicino ad Ostana,
si interrompe per buon tratto attraversando l’alta valle del Po, ma ri-
piglia ad Oncino e si distende, sempre addossato al gneiss, in ampia zona
verso Sud, sino a San Damiano Macra; là si assottiglia e scompare.
Al disopra di questo mantello attraversai l’altro, concordantemente
— 45
disposto e sovrapposto, costituito da calcari nettamente stratificati, incli-
nati generalmente, salvo numerosi accidenti di ripiegature e fratture locali,
verso occidente; essi rappresentano per me il paleozoico inferiore (Silu-
riano e Devoniano) ed, entrando in Valle Po tra il Colle dell’Escontera e
le Roccie Fons, formano una zona o benda di quattro chilometri di lar-
ghezza, la quale nel suo percorso da Nord a Sud, si va in qualche punto
restringendo, ma che generalmente accenna ad allargarsi e si ripiega
poi verso il Piemonte quando, oltrepassata l’estinzione dell’Uroniano
presso S. Damiano Macra, ne piglia la posizione rispettivamente al
gneiss e, costituendo la metà orientale della valle montuosa di Grana,
va a nascondersi a Caraglio ed a Bernezzo sotto le alluvioni.
Oltrepassato il mantello silurico-devoniano, ho nelle mie sezioni attra-
versato costantemente il massiccio di anfiboliti, eufotidi e serpentine che
costituisce il Monte Granerò e tutta la cresta del Monte Viso, e, restrin-
gendosi a Sud di Casteldelfìno e scomparendo al Colle Cavallina in Val
Maira, accenna a ricomparire (sempre nella stessa posizione tra i calcari
stratificati siluriani ed i calcescisti del Carbonifero, che vengono più
ad occidente) accenna a ricomparire dicevo dal Nord di Pradleves al
Monte Bram e dal Monte Grum sino a Bernezzo dove a sua volta si
nasconde sotto alle alluvioni.
Per me adunque tutta questa serie di massicci di pietre verdi, per
quanto alcune di esse affatto d’ indole eruttiva, ha una importanza consi-
derevole sotto il punto di vista stratigrafico; esse mi segnano, dappertutto
dove io le incontro, il limite occidentale dello sviluppo delle roccie si-
luriano e devoniane, il limite orientale della formazione carbonifera.
E realmente ho battezzata zona carbonifera una vasta estensione
di calcescisti ed argilloscisti, i quali entrano in Italia al di dietro
(ad occidente) della serie delle punte del Viso e costituiscono un vasto
mantello che, subito, ha una larghezza da occidente ad oriente di al-
meno otto chilometri.
E questa benda tenuta nettamente separata dal sistema delle roccie
Viso per mezzo della valle Vallanta, che, per tutta la sua lunghezza,
ha un fianco costituito di roccie verdi ed uno di calcescisti; poscia
questa benda anche materialmente si adagia sul nucleo stesso e, giunta
al Colle della Cavallina, si adagia sui calcari silurico- devoniani dai quali
soltanto localmente vien separata con piccolissimi nuclei o sottilissime
46 —
bende di roccie verdi che appaiono sulla linea di confine fra i due ter-
reni; questa linea corre dal Nord a S.E, dal Colle Cavallina, per Stroppo,
Bossura, Castellaro, Soglio, Paglieres, Punta Gagetta a Pradleves. Da
Pradleves al Monte Bram abbiamo sempre, al limite fra le due forma-
zioni, il nucleo allungato di ruccie verdi che termina al Monte Bram e,
dal Monte Grum a Bernezzo, una nuova zona di pietre verdi, qui sovrat-
tutto diventata di talcoscisti, assunta una direzione da Ovest ad Est,
separa ancor sempre i calcari cristallino-stratificati del Silurico-devo-
niano dai calcescisti carboniferi.
Il nucleo di pietre verdi Pradleves-Monte Bram è allargato verso
Est da una benda parallela di quarziti la quale gira pure il lato me-
ridionale del nucleo stesso, poi si allunga verso Est e, toccato al Monte
Grum il secondo nucleo (quello Monte Grum-Bernezzo), vi si adagia
strettamente contro e lo seguita per tutta la sua lunghezza fino a per-
dersi con esso sotto le alluvioni a Bernezzo. Però se nella distesa
Pradleves-Monte Bram le quarziti si frammettevano tra i calcari stra-
tificati e le roccie verdi che sopportavano i calcescisti, nella distesa
Monte Grum-Bernezzo la posizione relativa è cambiata e i calcari cri-
stallino-stratificati del Silurico-devoniano toccano direttamente le roccie
verdi e, fra queste e i calcescisti si intercala la benda di quarziti. Ne
viene di conseguenza che non si possa considerare altrimenti che come
contemporanee o quasi, e come costituenti una sola benda o linea, tutte
le roccie di questa estensione di pietre verdi e quarziti che da Pradleves
scorre verso sud ripiegando un pò ad Est per raggiungere il Monte
Bram, e poi va quasi direttamente fino a Bernezzo, sempre tenendo
separati i calcari cristallino-stratificati silurico-devoniani dai calcescisti
carboniferi.
Ho detto che questi calcescisti carboniferi entravano in Italia
mostrando una estensione, da occidente ad oriente, di oltre otto chi-
lometri; da Nord a Sud costituiscono essi una vasta zona adagiata
mediatamente sopra ai calcari silurico-devoniani, una zona che conserva
generalmente la sua larghezza e cheTaccenna a ripiegarsi verso Est;
e realmente, oltrepassato il Colle Cavallina, noi vediamo i calcescisti
invadere ancor più verso Est e la benda assumere una estensione verso
Sud-Est dapprima, e poi, in vicinanza del Monte Bram, direttamente
verso Est. Quest’ultimo cambiamento di direzione avviene con notevole
— 47 —
restringimento della benda stessa, la quale in seguito torna poi ad
allargarsi e, nascostasi sotto le alluvioni, allorchò cessano verso la
pianura i contrafforti che formano il fianco sinistro della Valle Stura
di Cuneo, riappare più ad Est nelle montagne che separano la Liguria
dal Piemonte.
Questa zona vastissima e lunghissima e facile ad osservarsi è
contornata verso il suo margine (dapprima occidentale e poscia, per la
mutata direzione, meridionale) da altra zona non meno evidente di
quarziti ed anageniti che tutti i geologi italiani, che recentemente rile-
varono ne’le Alpi Marittime, son d’accordo di collocare nel Permiano.
Ma questa zona, se generalmente ha la posizione indicata, nei suoi
particolari però si frammette eziandio ai calcescisti carboniferi del
margine e, sovrattutto là dove la zona entra in Italia, noi vediamo
frequentemente avverarsi il fatto di piccole isole costituite da quarziti
ed anageniti interrompere la continuità dei calcescisti carboniferi e
sconvolgere localmente l’andamento e l’inclinazione degli strati loro.
Soventi volte in queste isole, alle quarziti si associano roccie verdi :
serpentine, talcoscisti ed anfìboliti; e sovt nti ancora queste ultime, la-
sciata la compagnia delle quarziti ed anageniti, compaiono da sole for-
mando isole proprie in mezzo ai calcescisti.
Ma coll’accennare all’andamento dell’or ricordata principale zona
dei calcescisti carboniferi, non ho esaurito quanto ho da dire su questa
formazione, poiché la zona permiana che, partendo da Pietralunga, at-
traversando la Varaita di Bellino, costituisce il Pelvo d’Elva ed il
Chersogno, e va, oltre Acceglio, ad acquistare una enorme estensione
sulla destra della Valle di Maira e poi, assottigliandosi, ad attraversare
la Stura di Cuneo in corrispondenza di Mojola, è, per tutto il suo tratto
segnato dalla direzione N-S, fiancheggiata ad Ovest da una seconda
estensione di carbonifero sempre costituito da calcescisti ed argillo-
scisti la quale solo accenna ad assottigliarsi e. poi perdersi tra Pon-
temaira e Villar di Acceglio. Egli è in questa zona secondaria carbo-
nifera che nel Vallone Traversiera, ad Est della Chiapera, si scoprono
i banchi di antracite; allo stesso modo che, nella zona principale, si
scoprono i letti di antracite di Demonte e di Valloriate e poi i giaci-
menti a piante carbonifere delle Alpi Marittime piemontesi-liguri. Questa
zona secondaria carbonifera è, allo stesso modo che la primaria, fian-
48 —
cheggiata ad Ovest da una benda permiana costituita da quarziti, ana-
geniti e roccie serpentinose, e questa benda secondaria permiana non
ha più l’andamento continuo e regolare della primaria, ben più essa si
mostra sotto forma di piccole elissoidi allineate lungo , il margine oc-
cidentale dei calcescisti che, in complesso, separa dai successivi calcari
triasici: talora sporgono queste piccole elissoidi anche in mezzo alla
distesa dei calcescisti.
Egli è in questo modo che il confine franco-italiano scorre per
27 chilometri di lunghezza (tutte le sinuosità di esso seguite) sempre
su roccie carbonifere o permiane, ciò attraversando la zona carbonifera
principale dal colle di Vallante al colle di St. Veran, poi, cambiando
direzione e lungheggiando la qui sottile zona permiana principale, dal
colle di St. Veran al Col Longet, poi ancora, attraversando la zona
carbonifera secondaria od occidentale, dal Col Longet al colle dei-
fi Autaret, e finalmente attraversando 1’ ultima espansione di questa
stessa zona carbonifera e la stretta zona permiana dal colle dell’ Autaret
al Monte Maniglia, dove cade poi sui calcari triasici.
Ma questi ultimi non pigliano ancora definitivamente la loro posi
zione, poiché una nuova distesa di roccie carbonifere e permiane li inter-
rompe, costituendo a sè una terza distesa di calcescisti ed argilloscisti,
di quarziti ed anageniti, di roccie serpentinose che, molto più larga in
Francia, si restringe per entrare in Italia tra il colle di Ciabriera e
l’Aiguille di Chambeyron; e poi, restringendosi in dicco sottile, passa
sotto la Testa di Ciarm donde manda un’apofisi verso N.E a raggiun-
gere, a Nord del Monte Abrage, la descritta zona carbonifero-permiana
secondaria; poi si allarga nella parte bassa del Vallone Marin, ripie-
gando lievemente ad Est sin sotto il Saretto; infine al di là di Pontemaira
va ad unirsi alla zona carbonifero-permiana primaria. Egli è in questa
terza od eccentrica zona carbonifera che si scoprono ad Ovest ed in
faccia all’abitato della Chiapera nuovi ed assai potenti banchi di antra-
cite. Sarebbe dunque per noi sommamente interessante il vedere come
si comporti verso Nord questa inclusione di roccie triasiche in mezzo
a due zone curvilinee, di andamento per lungo tratto quasi parallelo
e costituite da roccie carbonifere e permiane, ed entrambe fornite di
banchi conosciuti e vistosi di combustibile antracitico.
Ecco il momento di consultar la nuova Carta del Goret. Comin-
— 49 —
ciancio essa poco a Nord del Col Longet trovo colà riportato, con forma
analoga, un piccolo nucleo che io stesso ho a suo tempo rilevato, ben-
è chè io gli avessi dati alquanto più angusti confini. Ma questo nucleo
stato da me osservato siccome costituito da quarziti ed anageniti aventi
ad oriente una cortina di serpentine; per me esso costituirebbe uno dei
tanti nuclei secondari nei quali, come ho detto sopra, è verso il Nord
di questa interessante regione smembrata la zona permiana principale
prima di acquistare il grande sviluppo che piglierà tra il colle di Raissas-
sena ed il monte Pietralunga. Il Goret invece ne fa la frazione di un
nucleo di gneiss 1 e così lo disegna, da render probabile nel limitrofo
territorio italiano una grande estensione di questo nucleo a spese di
quello stesso terreno che osservai costituito dai calcescisti carboniferi.
Stando a quanto esposi più sopra, dal Col Longet all’Autaret ci trovia-
mo costantemente nella zona carbonifero- permiana secondaria, zona
posta ad occidente della principale e limitata essa stessa ad occidente
da una benda di quarziti ed anageniti; tal zona è larghissima e
dalla Francia, attraverso il confine, entra in Italia. Or bene lo stesso
terreno è segnato collo stesso limite meridionale dal Goret: esso costi-
tuisce uniformemente l’estremità Nord della sua cartina; si vede che
deve estendersi più a Nord e più ad Ovest dei limiti di dipartimento
da lui presi a colorire, ma esso ci viene indicato siccome terreno di
scisti cristallini e dal Goret viene espressamente fatta menzione in
tale zona della cava del marmo di Maurin, una breccia ad elementi di
serpentina, che per me non è altro che il protendimento e la rappre-
sentanza della benda secondaria od occidentale permiana.
Dissi che dalla testa dell’Autaret, lungo il confine, fino al colle di
Maurin si incontrano calcari triasici; poi dal colle stesso alla Aiguille
de Chambeyron si incontrino dapprima argillo-scisti, poi serpentine e poi
quarziti ed anageniti della terza zona carbonifero-permiana entrante in
Italia. Egli è quindi soltanto a Sud-Ovest dell’Aiguille de Chambeyron
che noi torniamo a spaziare sui calcari triasici ad Enerinus liliiformìs ,
calcari che, seguendo la linea di confine, si incontrano fino al monte
Sautron dove lasciano posto a calcari più recenti e probabilmente
1 E questo egli espone inoltre graficamente nella sezione Fig. 2 a pag. 554
del testo.
4
— 50 —
liasici. Niente che mi indichi la continuazione di tutto questo nella carta
del Goret; là tutto il confine dall’Autaret al Vallonet è dato al Trias
inferiore o arenarie variegate ed è affatto trascurato il visibilissimo
ed importantissimo afiioramento carbonifero -permiano che costituisce
per me la terza zona, la più periferica di questi due terreni per rispetto
al Piemonte.
È bene di notare come tutti i geologi della scuola piemontese, per
quanto abbiano lavorato individualmente ciascuno nella sola area
che si erano prefìssi di rilevare, per quanto talora abbiano ignorato
o voluto di proposito trascurare studi fatti sulla stessa area o su aree
vicine dai loro maestri o colleghi, tutti però son sempre venuti al ri-
sultato di riconoscere, a partir dalla pianura piemontese e andando
verso occidente e la Francia, di riconoscere di attraversare zone suc-
cessivamente più giovani, le quali tendevano a circondare i nuclei an-
tichi dai quali partivano: non sempre si fu d’accordo nel definire l’età
relativa di ciascuna nuova zona attraversata, ma l’andamento generale
di esse fu stabilito e sempre confermato.
Per i piemontesi adunque il mare che durante i periodi lauren-
ziano ed uroniano spaziava uniforme o quasi sulla località or tenuta
dalle Alpi Cozie e Marittime, avrebbe trovato nei periodi cambriano
e siluriano un’ emersione di terreno là dove esiste oggidì il piede pie-
montese di queste Alpi. Tale emersione si sarebbe andata estendendo
verso occidente a misura che si passava dal periodo siluriano al
carbonifero, al permiano, al triasic'ò, al liasico. Il mare veniva quindi
respinto gradatamente e continuamente verso occidente ed il piede
francese delle stesse Alpi Cozie e Marittime. Questo avanzamento re-
golare non subì che una apparente eccezione durante il Permiano, al-
lorquando il Carbonifero sollevato a frantumi lasciò passare il mare
permiano dietro, cioè ad oriente di ciascuno dei due frantumi estremi
e lasciò così che si formassero depositi permiani fra consecutivi rilievi o
frantumi più o meno parallelamente jìliineati. Anzi la depressione fra
questi due estremi frantumi essendo ancor sotto il livello del mare
triasico, avvenne, durante quest’ ultimo periodo, una deposizione nuova
di materiale. Così si spiegherebbe la presenza delle tre bende carbo-
nifero-permiane e V inclusione del Trias fra le due bende estreme.
Ed i geologi piemontesi trovarono, ad ogni volta che spinsero le
— 51 -
loro ricerche in Francia, la continuazione di questo modo di presentarsi
dei terreni e parve loro dovesse, varcato il confine politico, piu facile
mostrarsi la risoluzione del problema pel fatto che là molti dei terreni
affioranti contengono fossili.
Ciò vuol dire che la disposizione indicata era molto evidente e vi
sarebbe stato da aspettarsi, almeno nelle linee generali, che chi stu-
diasse di proposito al di là dello spartiacque, designerebbe andamenti
di terreno un po’ cc nformi a quelli ritrovati al di qua. Il Goret invece non
solo chiama arenarie variegate o Trias inferiore le roccie del Trias medio,
ma le fa mutare radicalmente di direzione e le fa estendere molto da Ovest
ad Est per addossarsi a mantello, girando addosso ed a Sud1 al supposto
nucleo di gneiss del Col Lónget ed al suo vasto manto di scisti cristallini
discendente fino all’Autaret. Ne viene che i calcescisti, le roccie ser-
pentinose, le quarziti e le anageniti del Carbonifero e del Permiano che
vengono dall’ Italia, entrerebbero da Francia sotto il nome di scisti cri-
stallini (Uroaiano) cambiando la direzione Nord Nord-Ovest in quella
di Ovest Nord-Ovest e che per il tratto di confine dall’Autaret al Val-
lonet i calcari triasici, poi gli argilloscisti della zona carbonifero-per-
miana terza od occidentale, e le roccie verdi e le anageniti che vi son
strettamente legate, entrerebbero tutti insieme in Francia sotto il nome
di Trias inferiore; ciò cambiando la direzione generale ed involgendo a
mantello quei calcescisti che io chiamo della seconda zona carboni-
fera e che il Goret chiama scisti cristallini siccome dissi or ora.
Descrivendo sommariamente e successivamente l’andamento ed il
percorso delle tre zone carbonifero permiane da me rilevate ho fatto no-
tare come allo esterno, ad occidente della terza di esse, si sovrapponga
una vasta distesa di calcari triasici ad Encrinus liliiformis. Questi tra-
verserebbero il confine entrando in Italia sotto un angolo molto acuto colla
direzione locale della linea di confine. Dalla Aiguille de Chambeyron per
la Testa della Ferma, il Monte Chambeyron, il colle e monte Nubiera fino
alla Roccia Bianca di Sautron, quindi per una lunghezza di circa 7 chilo-
metri, la linea di confine viene per conseguenza a trovarsi nuovamente sul
Trias il di cui limite occidentale però, quasi in corrispondenza del Monte
Sautron, accenna a modificare lievemente il suo andamento dapprima
Veli anche la sezione qui indicata.
— 52 —
Nord-Sud col piegare un pochino ad oriente e continua poi sino alla
Sca^tta in direzione Sud Sud-Est, Dal Monte Sautron anche il confine
italo-francese, piegando allo stesso modo verso 1* Italia, conserva pure
fino alla Scaletta presso a poco la stessa direzione, menò una più mar-
cata enclave nel nostro territorio tra il colle Villadel ed il monte della
Signora.
Ed appunto dal Monte Sautron, al di qua del confine, ma stretta-
mente addossato ad esso e quasi ad esso parallelo, potei, fino oltrepas-
sato il colle Villadel, osservare una zona di calcari più recenti del Trias
e pei quali non mi fu dato accertare con fossili se spettassero al Lias
o ad altri piani del Giura. Questi calcari che incominciano al di qua
del confine vidi avere al di là considerevole sviluppo, vidi costituire
il versante occidentale del Monte Oronaie; essi, forse ripiegando alquanto
verso occidente per passar sotto al lago di Oronaie già sito in terri-
torio francese, vengono a confondersi col giacimento giurassico che
entra in Italia per il contrafforte che, bruscamente terminato col monte
della Signora, separa il vallone di Roburent da quello della Maddalena.
In grazia della menzionata apofìsi del confine francese nel nostro
territorio e del ripiegarsi del Giura in senso opposto, appunto in corri-
spondenza dell’apofisi stessa, il Trias sporge e fa gozzo un'altra volta
in Francia e benché il gozzo non abbia più una estensione considere-
vole tuttavia, per la sua sinuosità, il confine stesso si trova a correre, dal
colle Villadel al colle Roburent, per almeno cinque chilometri sempre
sul calcare triasico. Al colle Roburent il confine taglia una piccola
espansione di porfido rossastro, poi dei tufi porfirici verdi, poi un banco
potente di anagenite; tuttociò in meno di mezzo chilometro: quindi il
confine passa sul calcare giurassico superiore del monte della Signora e,
traversandolo dapprima obliquamente poi traversalmente, viene a trovar-
visi sopra per 2 chilometri; infine riattraversa una nuova piccola esten-
sione di calcare triasico ed, allora soltanto che è giunto presso la strada
internazionale al piano della Maddalena e poco sopra di essa strada,
entra nel Flisch.
Il rilevamento Goret ci indicherebbe delle condizioni molto diffe-
renti da quelle che ora ho indicate. Egli, come ho già detto, invece
di ammettere un nucleo di roccie antiche lontano e ad occidente della
sua area, ne ammette uno più prossimo ed a Nord, e vi dispone sopra ed
53 —
attorno tanti mantelli sempre costituiti da terreni più giovani. Cosi, dalla
testa del Vallonet (dove io avevo trovato gli strati raddrizzati di roccie
verdi e di anageniti entranti in Francia con direzione Nord-Ovest) egli
fa entrare quelle stesse roccie, chiamandole del Kouper e le fa entrare con
direzione decisamente ad occidente ed in seguito curvilinea e ripiegante
verso il Nord per girare, quale cornice, attorno a quella sua estensione
di terreno che io ritengo carbonifera e che egli ritiene un mantello di
Trias inferiore attorno al suo nucleo di gneiss e scisti cristallini.
Dal Vallonet fino ad un chilometro a Nord del colle di Nubiera il
Goret fa passare il confine su roccie giurass’che (normalmente traversan-
done la direzione) le quali, disposte a mantelli successivi sulla indicata
cornice di Keuper, dovrebbero avere una direzione presso a poco da
Est ad Ovest o meglio da Nord-Est a Sud-Ovest, fare un’apofisi o gozzo
verso Sud in faccia a Metronnes, e poi ripiegarsi verso Nord-Ovest
ed andare nel dipartimento delle Alte Alpi ad involgere, dal lato di oc-
cidente, sempre quel benedetto nucleo gneissico del Col Longet e gli
scisti cristallini che gli starebbero attorno; esse continuerebbero sem-
pre ad essere separate da questi ultimi, dapprima per mezzo del vasto
mantello che egli fa di Trias inferiore e poi dalla cornice di Keuper.
Ma il curioso si è che dal colle di Nubiera fino sotto il monte della
Signora, il Goret fa passare il confine italo-francese sopra una nuova vasta
distesa di Trias inferiore proveniente dallTtalia e facente una mezza
elissi in Francia; questa elissi sarebbe incorniciata nella parte fran-
cese qua e là da minori affioramenti di Keuper. In tal modo mentre il
suo sistema giurese, costituito (per faglia) da Lias due volte affiorante e
due volte nascondentesi sotto il Giura superiore, corrisponderebbe per
me soltanto a calcari ad Encrinus liliiformis , tutta la sua nuova elissi
di Trias inferiore comprenderebbe, secondo il mio modo di vedere, tutti
i terreni diversissimi che ho detto attraversarsi nel percorrere la linea,
di confine dal colie di Nubiera. al colie della Maddalena, cioè: 1° Trias
medio dal colle Nubiera fino a mezzo chilometro a Nord-Ovest de la vetta
di Sautron. 2° Terreni giurassici da tale punto fino al colle Villadeh
3° Trias medio dal colle Villadel al colle Roburent. 4° Porfidi, tufi por-
firici e anageniti del Permiano sul colle e contrafiorte di Roburent per
mezzo chilometro. 5° Giura superiore ai monti Pierassin e della Signora.
6° Trias medio sul versante occidentale del monte della Signora e fin
— 54 —
presso all’ incontro della nuova strada internazionale sul colle della
Maddalena.
Giunti una volta sul piano della Maddalena, ci troviamo in una vasta
estensione di Flisch, che io potei per parte mia riconoscere verso l’Italia
sin presso Bersezio e lì interrotto, ripigliare dal Monte Giordano, verso
Est sino alla Cima Piconera e poi, verso Sud-Est, sino al Corso del
Cavallo (senza contare la sua ulteriore estensione ad Est nelle Alpi Ma-
rittime liguri): meno male che anche in Francia il Goret lo riconosce
e lo fa continuare verso Ovest, pigliandolo dal confine presso a poco
allo stesso punto ove io lo potei accompagnare, cioè poco a Nord del-
l’intersecazione del confine stesso colla strada internazionale. Ma sul-
l’estensione verso Sud torniamo ad essere in completo disaccordo. Io
sul confine trovai il Flisch soltanto fino al Ventassuso; dopo trovai, in
un chilometro di percorso da Nord a Sud, prima: strati di calcari bianco-
grigiastri che credetti cretacei, poi altri strati di calcare nero in cui
trovai abbondanti fossili titoniani; e questi strati giurassici finivano
con l’essere quasi normalmente traversati dal confine solo al passo
di Bail. Di lì, seguitando il confine stesso, che corre decisamente da
Nord a Sud, passai, per la lunghezza di un chilometro e mezzo sulle
testate di strati di arenarie eoceniche e poi sopra una piccola pila di
strati scistosi ricchissimi in nummuliti, coralli e grandi gasteropodi
che incorniciava a Sud la vetta dello Enchastraye. E nel burrone che
costituisce la parete meridionale di questa stessa montagna, affiorano
numerosi gli strati di calcare grigiastro ad ippuritidi : poi, più verso
Sud fino alla Punta dei Tre vescovi si incontrano i calcari neri del Giu-
rassico superiore e medio ed infine, nella parete meridionale di questa
ultima montagna, là dove essa apresi nelle due coste (di cui l’una,
dirigendosi a Ovest-Sud Ovest, segue l’antico confine tra la Francia e
la Contea di Nizza od il moderno confine fra i dipartimenti francesi
delle Basse Alpi e delle Alpi Marittime e l’altra, dirigendosi dapprima
quasi ad Est, segue il nuovo confine tra Francia e Italia) si trova
quella zona a fossili basici che segnalai nell’81, che rividi in se-
guito e la di cui esistenza è facilissima a constatare.
Se il Cretaceo ed il Giura, che entrano in Italia pel tratto di con-
fine compreso tra il Ventassuso ed il passo Bail, poca estensione hanno
sul nostro territorio ed appena riescono a toccare il basso del vallone
— 55 —
dì Pourìac senza risalirne la destra sponda, altrettanto non può dirsi
dei terreni che vengono in seguito, chè il macigno e lo scisto nummu-
litico ed il Cretaceo scendono, girando attorno la Cima delle Lose, a rag-
giungere presso Bersezio la Valle Stura, ad attraversarla interrompendosi
su breve tratto per ricomparire sulla sinistra sponda dove, addossandosi
strettamente al Flisch che ha presso a poco le, stessa direzione, e contor-
nati strettamente a Sud dal Giura, formano quella lista di terreni meso-
zoici e terziarii antichi che percorre per il lungo tutta o quasi la Valle
Stura tenendone generalmente la sinistra sponda. Infatti la sinistra sponda
non viene abbandonata da questa benda che sotto Demonte, allorquando,
girato il grande nucleo gneissico del Mercantour, possono i terreni più
recenti passare in Val Gesso ed in Val Vermenagna ed assumere infine
il noto loro sviluppo nelle Alpi Marittime liguri.
Che cosa troviamo nella carta Goret per il percorso ulteriore verso
Ovest di questi svariati terreni? Niente assolutamente. Tutti i terreni or
menzionati, riconosciuti (forse in minor complicatezza e numero) da altri
prima di me, confermati in seguito, dovrebbero, stando al Goret, proprio
imbattersi in una vasta zona uniforme di Flisch, V unico terreno che
continui ad occidente il Flisch, il Nummulitico, il Cretaceo, il Giura ed
il Lias. È il caso veramente di dire che questi terreni non vollero
nemmeno di un passo sconfinare dal territorio italiano. *
Eppure dal sommo dell’ Enchastraye si vede molto bene il Nummu-
litico calare in territorio francese e invader porzione del Vallon di Lau-
zannier: per conseguenza l’isoletta di Nummulitico dal Goret posta al-
l’alto di quel vallone, e per lui perduta in mezzo al Flisch, dovrebbe venir
per me un po’ abbassata e collegata col Nummulitico scendente dall’En-
1 Per maggiore esattezza debbo aggiungere che a pagina 551 nel testo vien
fatta menzione del Nummulitico riposante sul Cretaceo alla montagna dei Tre
Vescovi. La montagna intesa sotto questo nome dal Goret è, come si rileva dal
testo stesso, situata presso Saint Vincent, molto più ad occidente quindi della
montagna omonima di cui si parla nella presente nota. Così queste due montagne
omonime sarebbero costituite entrambe da Nummulitico riposante sul Cretaceo ;
nell’una però il Nummulitico è concordante col sottoposto Cretaceo, nell’altra esso
riposa sulle testate degli strati del Cretaceo. Debbo aggiungere pure, per essere
esatto, che, se il Goret non ha creduto bene adottare per la vasta estensione di
macigno un colore od un segno particolare, egli però non mancò di osservarlo,
di parlarne nel testo e di unirvelo al Flisch.
— 56 —
chastraye stesso. Così potrà anche collegarvisi l’altra ìsoletta posta più
ad Ovest e dal Goret disegnata in mezzo ai due rami dell’ Abries.
Similmente dall’alto del colle di Pouriac o discendendo nella valle
della Tinea non può, nemanco ad occhi chiusi, venir trascurato il giaci-
mento di calcari neri a fossili liasici, in mezzo al quale si apre il varco
della Cavale dalla contea di Nizza, pel vallone di Lauzannier, al diparti
mento delle Basse Alpi. Questo ultimo giacimento si complica qui an-
cora con altri terreni fino al mare. Come va che anche là il Goret
seguita a darci dall’altra parte sempre Flisch e nient’ altro che Flisch?
Poco dopo oltrepassato il colle di Pouriac il nuovo confine franco-
italiano passa su roccie gneissiche. D’altronde qui si intercala a cuneo
il territorio della Contea di Nizza tra il territorio a me noto per averlo
percorso passo a passo ed il territorio rilevato dal Goret: cessa adunque
la possibilità della discussione.
Il risultato dell’esame che precede è quindi sufficientemente scon-
*
fortante. Se i geologi francesi adotteranno senz’altro i risultati della ri-
cerca Goret, sarà ritardato per un tempo considerevole un desiderabile
accordo sull’andamento dei terreni che si trovano attraversati dal con-
fine franco-italiano per quanto esso tocca la provincia di Cuneo. Fino
a nuove ricerche per parte francese, o fatte di comune accordo sullo
stesso terreno da geologi delle due nazioni, vedremo i terreni regolar-
mente svolti su di un territorio arrestarsi, scomparire bruscamente
di contro ad altri terreni di ben diversa età che regolarmente affiorereb-
bero nel territorio finitimo; nè italiani, nè francesi potranno farsi un
esatto e sicuro concetto del come si colleghino i terreni più recenti
ai terreni antichi che costituiscono una parte considerevole delle Alpi
occidentali.
Roma , 15 dicembre 1887.
— 57 —
IV.
m
Contribuzione allo studio p etnografico dei mdcani viterbesi ,
di L. Bucci.
Le roccie qui descritte provengono da località dove compaiono con-
temporaneamente trachiti, leucititi e altre roccie leucitiche; servono
perciò a gettare un po’ più di luce sulla vera natura e forse anche sul-
l’origine delle roccie trachitiche con leucite. Alcune di esse sono com-
pletamente prive di leucite: in altre questa anziché accessoria, è affatto
accidentale; in altre infine ve n’ha in tale quantità da obbligarci ad
adoperare le denominazioni di leucitojìro o di tefrite leucitica.
I. Roccie trachitiche.
Le due trachiti qui descritte meritano la nostra speciale attenzione
per contenere dell’olivina.
1. Casaccio , sul lago di Vico. — Roccia grigio-chiara, un po’ sco-
riacea, con grosse segregazioni di feldspato. Nella massa mostra anche
delle segregazioni nere di augite è dei granuli color giallo miele di
olivina.
Micr. Roccia a struttura molto cristallina, formata principalmente da
feldspato. Le segregazioni sono di sanidino, in geminati di Carlsbad, ric-
che d’inclusioni vetrose, disposte in zone parallele al loro contorno ester-
no; di plagioclase, a contorno integro; d’ augite verde oscura, fortemente
pleocroitica (verde asparagio, verde giallognolo, giallo chiaro), alcune
volte con z.one a colorazione e pleocroismo assai più deboli; di biotite
bruna, ricca di granuli di magnetite; di olivina, in granuli, benissimo
conservata, con sottile orlo rosso-bruno, dovuto all’ossido di ferro spri-
gionatosi dalla stessa olivina.
La massa fondamentale è formata da un fitto aggregato di feld-
spato, riferibile in gran parte al sanidino, in parte anche a plagio-
clase; da granuli di augite verde sbiadita; da lamelle brune di biotite e
granelli di magnetite. Spesso è anche visibile un fondo vetroso incoloro,
3 accessoriamente degli aciculi d’apatite.
4
— 58 — .
2. Madonna della Quercia , presso Viterbo. — Roccia grigia, un
poco oscura, leggermente tendente al bruno; compatta, con rare segre-
gazioni bianche di sanidino, più rare ancora di biotite e augite; infine
con frequenti granuli giallognoli vitrei di olivina.
Micr. In questa roccia la massa fondamentale è abbondante e co-
stituita principalmente da feldspato ortoclasico e plagioclasico, da gra-
nuli di augite verde pallida, e da granelli di magnetite: di biotite non
mi fu possibile riscontrare alcuna lamella.
Le segregazioni sono principalmente di augite verde pallida, come
nella massa fondamentale, anzi talvolta completamente incolora; essa
è però superata in quantità dall'olivina, benissimo conservata, con un
sottile orlo rosso bruno d’ossido di ferro, in granuli o più spesso in cri-
stalli semplici o in geminati secondo la faccia (101): infatti in uno di
questi geminati, tagliato quasi parallelamente al pinacoide comune (100),
tutti e due gl’individui mostrano alla luce convergente una bisettrice
acuta, e l’ angolo d’ estinzione fra i due individui, o, ciò che vale lo
stesso, l’angolo fra gli assi verticali dei due individui misura circa 60°.
II. Roccie trachitiche con leucite.
3. Lava di Bagnorea. — Roccia grigio-oscura, molto cavernosa,
ruvida al tatto : le sue cavità schiacciate e disposte parallelamente se-
condo dei piani paralleli, rendono la roccia facile a fratturarsi secondo
quelli; appunto per questo essa viene adoperata per lastre da mar-
ciapiedi. Nella cavità si trovano frequenti lamelle di biotite. Nella massa
della roccia si distinguono nettamente alcuni cristalli di leucite.
Micr. La roccia è costituita da una massa cristallina feldspatica
e da segregazioni di augite, biotite e leucite.
Il feldspato della massa fondamentale è in cristallini rettangolari,
talvolta tanto allungati da diventare fibre; per la mancanza di gemi-
nazioni e per l’estinsione quasi sempre parallela alla loro lunghezza?
devesi riferire in gran parte a sanidino. Raramente questo feldspato
cresce tanto in dimensione da formare delle segregazioni. In mezzo
alle fitte maglie formate dal feldspato, spiccano i granuli di augite ver-
dastra o grigiastra, i granelli di magnetite e le lamelle brune di biotite.
Laddove il feldspato scarseggia, là è visibile anche un fondo vetroso
— 59 —
incoloro o ricco di microfelsite giallastra. L’ augite delle segregazioni
è in cristalli, di colore verde vivo, fortemente pleocroitica (verde
asparagio, verde giallastro, giallo arancio) e contiene molte inclusioni
vetrose. La biotite è in grosse lamine, spesso ricca di granelli di ma-
gnetite, e allora molto scolorata, anzi talvolta completamente rimpiaz-
zata da un ammasso di granelli di magnetite.
In questa roccia, a tipo veramente trachitico compaiono dei rari
frammenti di cristallo di leucite, limpida, o caolinizzata un poco solo
alla parte esterna, priva d’inclusioni; la quale nulla ha da vedere
colla roccia in cui si trova.
4. Madonna dei Ruscelli ( Capranica ). — Un bel tipo di trachite
porfirica. Essa presenta una massa grigio-oscura sulla quale spiccano
delle grosse segregazioni cristalline di sanidino, in geminati di Carlsbad,
accanto alle quali compaiono anche delle leuciti completamente caoli-
nizzate. Nella massa sono visibili anche ad occhio nudo cristalli neri
di augite e lamelle di biotite.
Micr. Massa fondamentale abbondante e a struttura cristallina,
formata principalmente da feldspato ricco d’inclusioni vetrose brune;
da molta augite, verde pallida ; da biotite e magnetite. Raramente si
scorge anche un fondo vetroso incoloro. Alcune lamelle feldspatiche
della massa ingrandendosi formano delle vere segregazioni, che per la
struttura polisintetica, si fanno riferire a plagioclase. Le più grandi se-
gregazioni feldspatiche sono però di sanidino: esse sono visibili anche
ad occhio nudo. È singolare però che il plagioclase, da considerarsi
come un elemento più recente, si trovi talvolta incluso nel sanidino;
forse trattasi di un’ inclusione apparente, dovuta ad infiltrazione della
massa fondamentale nel cristallo di sanidino.
L’ augite delle segregazioni è in piccoli frammenti di cristallo, di co-
lore verde sbiadito, come quello della massa fondamentale. La biotite
è ricca di granulazione nera di magnetite, che in certi casi la rim-
piazza completamente.
Benché sotto il microscopio non sia capitato alcun frammento di
leucite, però i cristalli visibili ad occhio nudo non lasciano alcun
dubbio sulla loro determinazione: ed è anzi a notare, che mentre il
feldspato è benissimo conservato, la leucite è completamente càoliniz-
zata. Anche qui compare, la leucite accidentalmente.
- 60 —
5. Casaecia, sul lago di Vico. — Roccia grigio-oscura, con nu-
merose macchie bianche di leucite, più o meno caolinizzata, accanto
alla quale compaiono anche molte segregazioni di sanidino. Nella massa
grigia si distinguono numerose macchiette nere di augite e lamelle di
biotite. Questa roccia giace direttamente sulla trachite olivinica della
stessa località, già innanzi descritta.
Micr. Roccia essenzialmente tra,chitica, formata da abbondante
copia di feldspato, e ricca di vetro incoloro. Il feldspato si presenta
anche in grosse segregazioni, ora profondamente corrose dal magma,
e riferibili a sanidino; ora benissimo conservate, ricche d’inclusioni ve-
trose e riferibili a plagioclase.
La massa fondamentale, eh’ è assai vetrosa, contiene un numero
straordinario di lamelle e microliti feldspatici, talvolta tanto esili da
diventare fibre; accompagnate da granelli neri di magnetite, da lamelle
di biotite e da granuli di augite.
Le segregazioni, oltre a quelle già cennate di feldspato sono d’au-
gite, verde oscura, fortemente pleocroitica (verde, verde-giallastro e
giallo arancio), in cristalli o frammenti di cristallo, ben conservata,
racchiudente talvolta la biotite; di biotite, in lamelle brune, ricche di
magnetite, anzi spesso da questa in parte o totalmente rimpiazzata.
In questa roccia è notevole la presenza dell’ antibolo, in piccoli cristalli
bruni, fortemente pleocroitico (bruno chiaro o bruno oscuro), che per la
sua tinta si potrebbe confondere facilmente colla biotite, ma che per
la forma cristallina, la sfaldatura e pel suo comportamento alla luce
polarizzata non lascia alcun dubbio sulla sua determinazione. Non è im-
probabile che parte di ciò che noi abbiamo descritto per biotite, nella
massa fondamentale di questa roccia e delle altre, qui citate, debba
riferirsi pure aH’anfìbolo.
La leucite è per lo più in frammenti di cristallo, limpidissima, priva
d’inclusioni e sotto al suo contatto colla roccia circostante mostra un
sottile orlo caolinizzato.
Anche qui abbiamo da fare con una roccia trachitica contenente
accidentalmente delle leuciti.
Questa roccia contiene anche dell’olivina in granuli o cristalli, coi
noti caratteri, più volte descritti, in modo eh’ essa corrisponde quasi
esattamente alla trachite olivinica sottostante, e dalla quale si distin-
— Bi-
glie per la presenza della leucite e per un color grìgio più oscuro e
un aspetto più fresco.
III. Roccie leucitiche con feldspato.
6. Fontanile di Fiesole , presso Viterbo. — Roccia grigia a strut-
tura porfìrica, ricchissima di piccole segregazioni di leucite, fra le
quali compare anche, benché raramente, il sanidino. La massa è un
pò cavernosa e mostra cristallini neri di augite e granuli giallo rossastri
di olivina.
Mier. — In questa roccia bisogna distinguere due parti: una co-
stituita essenzialmente dalla leucite ; il resto invece forma una roccia
simile a quelle già descritte. Quest’ultima è essenzialmente feldspatica
e ricca di parte vetrosa. Il feldspato predominante è il plagioclase, ma
v’ha anche sanidino: tutti in cristaHi ricchi d’inclusioni vetrose, distri-
buite in una o più zone parallele al contorno esterno. La massa fon
damentale e poi costituita da molti microliti feldspatici, accanto ai quali
compaiono molti granelli e dentriti di magnetite o granuli di augite:
non mi fu possibile, riscontrarvi la biotite.
L’augite compare anche in grandi segregazioni cristalline; essa è
di color verde oscuro e fortemente pleocroitica.
La leucite è in bei cristalli, conservatissimi e di dimensioni mag-
giori alle segregazioni feldspatiche; talvolta però si rimpicciolisce a
formare dei cristallini assai minuti, ma non tanto da pigliar parte alla
costituzione della massa fondamentale.
Anche qui si potrebbe considerare la leucite come accessoria, ossia
riguardare la roccia come una trachite ricchissima di leucite; intanto
facciamo notare che tanto nella leucite che nell’augite compare incluso
il feldspato, in lamelle del tutto identiche a quelle della roccia fonda-
mentale. Queste inclusioni però probabilmente non sono che apparenti,
dovendo riferirsi aH’insè.aatura del magma della roccia Rachitica nelle
cavità della leucite.
7. Madonna del L'iuro {Vetralla). — Roccia porfìrica, con abbon-
dante copia di grosse segregazioni leucitiche ed un fondo grigio oscuro
afanitico, piuttosto scoriaceo. Fra le segregazioni compare ogni tanto
anche qualche cristallo di sanidino.
— 62 —
Micr. — Il fondo della ròccia è a tipo Rachitico, esso risulta for-
mato da un minuto aggregato cristallino di microliti feldspatici, granuli
di augite, granelli di magnetite e lamelle di biotite. Le grandi segre-
gazioni sono formate da grossi cristalli di feldspato plagioclasico (più
raramente di sanidino) e di augite verde oscura e fortemente pleoeroi-
tica, come quella descritta neHe roccie precedenti. Allato a queste
segregazioni compare limpidissima la leucite, in cristalli o frammenti
di cristallo, con numerose inclusioni vetrose disposte in più zone. Anche
qui la leucite racchiude delle lamelle di feldspato identico a quello
della roccia fondamentale, e per esso vale la spiegazione data per la
roccia precedente. Questa riccia si avvicina più ad una tefrite leuci-
tica, e puossi considerare come un’andesite augitica ricchissima di
leucite.
8. Lava di Capo d’ Acqua ( Vetralla ). — Roccia grigia molto oscura,
minutamente porfirica, con segregazioni bianchissime di piccole leuciti
caolinizzate, e più raramente di sanidino.
Micr . — Questa roccia mostra una massa minutamente cristallina,
formala principalmente da elementi colorati, cioè: da granuli di augite
verde chiara, da granelli di magnetite e lamelle di biotite. Fra questi
elementi compare il feldspato in microliti o in cristallini, che crescendo
in dimensioni formano delle vere segregazioni e allora si possono riferire
a plagioclase. Tra le grandi segregazioni è da notare, oltre al citato
plagioclase, anche l’augite verde oscura, fortemente pleocroitica e l’o-
livina in granuli ben conservati, con un sottile orlo esterno rosso
bruno d’ossido di ferro. La leucite è spesso caolinizzata, ma talvolta
si mantiene ancora intatta: essa si presenta in frammenti di grossi
cristalli o in piccoli cristalli, con struttura zonata ben distinta, dovuta
alla distribuzione di minutissime inclusioni (forse un inizio di caoliniz-
zazione). Come si vede qui siamo in presenza di una tefrite leucitica,
non dando tanto peso alla presenza dell’olivina; o sotto altro punto di
vista la nostra roccia può considerarsi come un’ andesite (e non un
vero basalte) contenente molta leucite.
Dallo studio già fatto, e dalla distribuzione geologica di queste
roccie, appare chiaramente che in questo territorio vulcanico bisogna
distinguere due tipi completamente differenti; uno essenzialmente tra-
— G3 —
chitìco (così la trachite del Monte Cimino, di Bagnorea, ecc.); l’altro
puramente leucitico (leucitite). Questi due tipi compaiono spesso isolati
e nettamente distinti; altre volte invece è avvenuto un miscuglio del-
l’uno coH’altro. Il fondo, la base di tutte, resta allora di natura trachi-
tica. Può darsi che la roccia conservi l’aspetto trachiiico e la leucite
vi compaia in pochi cristalli isolati, sparsi irregolarmente e che non
hanno nulla da vedere colla roccia fondamentale; può essere invece che
il continente leucitico sia abbondantissimo, tanto da obbligarci a dare le
denominazioni di leucitofìro e tefrite leucitica. La trachite dunque è
di formazione posteriore; essa ha strappato alle leucititi la parte leu-
citica pigliando aspetti differentissimi. In favore di tale supposizione
parla lo stato di buonissima conservazione del sanidino, di fronte alla
leucite sempre più o meno caolinizzata, specialmente al contatto colla
roccia che lo racchiude.
Questo fatto parlerebbe per un’aumento di acidità nei prodotti
vulcanici successivamente eruttati in questo territorio, concordemente
a quanto fu pure osservato per la trachite quarzifera di Monte Virginio
presso Manziana.
NOTIZIE DIVERSE
I fosfati di calca nell’Algeria. 1 — La meravigliosa fecondità in
cereali del suolo algerino e tunisino, che valse a queste regioni la qua-
lifica di granai di Roma diciotto secoli or sono, trova oggidì la sua spie-
gazione nella ricchezza eccezionale di quel suolo in acido fosforico
combinato colla calce.
Le ricerche sommarie eseguite finora in Tunisia dai membri della
missione geologica organizzata dal Ministero francese della Pubblica
Istruzione, portano a concludere sull’esistenza di giacimenti immensi di
fosfato di calce nelle formazioni suessoniane e albiane di questo paese
e sulla probabile loro estensione nelle formazioni simili dell’Algeria.
1 Da una nota di Ph. Thomas pubblicata nei Comptes Rendus de VAcade-
mie des Sciences a Paris} 30 janvier 1888.
— 64 —
Da personali ricerche fatte dal signor Thomas nel 1885 e 1886 nel
Sud e neirOvest della Tunisia, risulta che su numerosi punti del vasto
territorio compresi fra le latitudini di Kairouan e dei Chotts, come
anche lungo tutta la frontiera algerina da Kef sino a Gafsa, esiste un
gran numero di giacimenti di fosfato terziarii e secondarii, dei quali
taluni contengono fino a 32 % d’acido fosforico. Nello stesso tempo il
signor Rolland della missione geologica, ingegnere delle miniere, con-
statava la presenza dell’ acido fosforico nei calcari eocenici inferiori
del potente massiccio che separa Kairouan dalla Medjerda. Infine ulti-
mamente il signor G. Le Mesle, pure della missione, constatava l’esten-
sione di questi medesimi strati a fosfato al Nord della Medjerda sul
limite orientale della Kroumiria.
Nell’Algeria fino al presente non si conoscevano che alcuni giaci-
menti di fosfato di calce assai distanti gli uni dagli altri e in appa-
renza non collegati tra loro da alcun deposito intermediario. Il signor
G. Le Mesle specialmente aveva da molto tempo scoperto nel djebel
Bou-Thaleb (dipartimento di Costantina) un affioramento marnoso del
piano del gault, contenente fino al 50 % di fosfato di calce. Per parte
sua l’ingegnere in capo delle miniere, Tissot, segnalava nella sua
Notice mineralogique sur le Departement, de Constantine degli indizii
di fosfato di calce nei terreni terziarii dei Sellaouas e dei dintorni di
Duvivier, facendo giustamente notare che la relazione costante del ter-
reno suessoniano con le regioni fertili in cereali permette di supporvi
l’esistenza del fosfato di calce.
Finalmente il Journal Officiel del 27 dicembre ultimo rivelava resi-
stenza a Nedroma, nel Nord-Ovest del dipartimento di Orano, di un giaci-
mento, di già in coltivazione, consistente in una vena principale di 100m
in direzione, situata nel piano titonico e contenente circa 1200 tonnel-
late di fosfato tribasico a 38,51 per cento d’acido fosforico; giacimento
che- una recente comunicazione alla Società climatologica d’Algeri
estende fino nel territorio dei Beni-Dmarsous all’Est di Nedroma.
Ma ecco che una nuova scoperta ci fa conoscere nei terreni num-
mulitico e . suessoniano dei dintorni di Souk Ahras (dipartimento di Co-
stantina), importantissimi giacimenti di fosfato di calce. Questa scoperta
è dovuta ad un negoziante di Souk-Ahras, il signor G. Vetterlé. I gia-
cimenti di cui si tratta sembrano stendersi, sulla riva destra della
- 65 —
Medjerda dai dintorni di Souk-Abras sino alla frontiera tunisina; essi
ricordano, sotto molti rapporti, i giacimenii tunisini del Kef e del
Guelaat-esSenam e sembrano tutti tanto ricchi corre quest’ultimo in
acido fosforico. Vi si trovane le stesse marne calcaree fosfatate, stratifi-
cate regolarmente; inoltre dei possenti depositi tufacei e concrezio-
nati vi formano rivestimento sopra le roccie nummulitiche e riempiono
le fenditure profonde delle roccie stesse, alla guisa di quei tufi zonati
e concrezionati che sono depositati dalle acque dei Geyser. Secondo
il signor Wetterlé l’estensione e la potenza di tali giacimenti sarebbero
considerevoli.
Ne si limita a ciò quanto si conosce sui fosfati algerini, chè si
possono indicare altri giacimenti nel dipartimento d’Algeri. 11 più im-
portante si trova nel massiccio di M’fatah al Sud di Boghar sulla riva
destra del Chelif. Esso consiste in una lunga striscia di calcari mar-
nosi grigi impastali di grani a fosfato ed aventi un tenore medio del
27 per cento di acido fosforico. Questi calcari sono in rapporto diretto
colle marne suessoniane a Ostrea multicostata, alle quali è sovrappo-
sto ad Est il sistema nummulitico di Saneg e di Birin, e quello di Kef
Iroud a Ovest.
Più a Nord, nello stesso dipartimento, si citano nei dintorni di Aumale,
di Berrouagbia e di Medeah degli affioramenti marnosi del piano del
gault, a fossili fortemente fosfatati. Alcuni fossili dei dintorni di Aumale
raccolti dal signor Peron hanno dato 10 per cento di acido fosforico.
Da ciò che precede sembra si possa concludere che il suolo dell’Alge-
ria è altrettanto ricco in fosfati naturali che quello della Tunisia. L’agri-
coltura di questi due paesi potrà quindi trovarvi una preziosa risorsa
per aumentare la sua produzione in cereali il cui rendimento su molti
punti va d’anno in anno diminuendo.
L’amianto del Canadà. — 1 L’amianto del Canada è una varietà
fibrosa del serpentino conosciuta sotto il nome mineralogico di Crisotilo :
esso differisce quindi dall’amianto italiano la cui composizione e quella
dell’anfìbolo. Nel commercio gli si da indifferentemente il nome d’amianto
o di asbesto indicandone la origine. Gli indigeni del Canadà gli danno
1 Da una nota di J. Obalski pubblicata nel Bulletìn mensuel de V Asso-
ciatici des élèves de V Ecole des Mines a Paris, N. 5.
— 66 —
anche volgarmente il nome di pietra di cotone. — Esso ha le seguenti
proprietà mineralogiche: color bianco verdastro brillante nel senso delle
fibre; densità in roccia, di circa 2,50 analoga a quella della serpentina;
inattaccabile dagli acidi, infusibile ma però vetrificabile ad alte tempera-
ture. Si trova in vene sparse irregolarmente nella massa serpentinosa, le
quali hanno uno spessore sino a 0m,15; si ritengono buone quelle che
hanno una larghezza da 0m,05 a 0m,07 e ottime quelle di 0m,10. Le fibre
sono disposte nelle vene sia normalmente sia un po’ obliquamente al!e
pareti. La qua’ità dell’amianto si distingue per la lunghezza delle fibre,
per il colore bianco brillante e la nettezza, le quali proprietà debbono
trovarsi riunite per avere una buona prima qualità. Nelle miniere si sta-
biliscono generalmente tre classi su queste basi, più una classe di
rifiuti: il prezzo varia del resto assai per ciascuna classe secondo
l’aspetto; i prezzi seguenti possono essere presi come tipi:
la Classe: 350 a 550 franchi la tonnellata, (quest’ultimo prezzo è
raramente raggiunto).
2a » 200 a 300 franchi.
3a » 125 a 200 »
Rifiuti 50 »
Tali prezzi sono fìssati per la tonnellata di 2000 libbre (92 ) kg) in
sacchi, alla miniera o al porto d’imbarco al Canadà e allo stato greggio
in roccia, netto per quanto è possibile.
Si trova l’amianto del Canadà nei cantoni dell’Est della provincia
di Quebec e specialmente nei punti denominati Thetford, Coleraine,
Broughton entro grandi zone serpentinose che raggiungono talora lo
spessore di più di un chilometro e che sembrano avere una direzione
generale di Nord-Est. Queste serpentine sono frequentemente attraver-
sate da masse quarzose é da graniti. I terreni circostanti sono formati
da scisti e da arenarie del siluriano inferiore.
L’estrazione si fa con lavori di cava affatto elementari sulle col-
line serpentinose denudate e la cuRarltezza non oltrepassa 250 metri.
L’abbattimento è quindi facile e si possono anche impiegare delle perfo-
ratrici a vapore o ad aria compressa. Non c’è da preoccuparsi nè di
armamento, nè di estrazione d’acqua. Il lavoro più difficile e più dispen-
dioso è la cernita, poiché la proporzione d’ amianto contenuto nella
roccia è relativamente tenue e assai variabile. Non si è cercato di con-
— 67 —
statare la proporzione di materia utile, ma l’autore ritiene che un rap-
porto di 7-20 0 di */'8o sarebbe assai vantaggioso specialmente colla prima
qualità.
La cernita si fa esclusivamente a mano; tale operazione è lunga e
non si possono adoperare i trituratori ordinarii per non rompere le fibre.
In tali condizioni, e tenuto conto del prezzo elevato della mano d’opera,
la cernita d’una tonnellata d’amianto raggiunge il costo di franchi 30
a 100. Malgrado l’abbondanza della serpentina non si trova ovunque
l’amianto estraibile, ma esistono delle parti dove la roccia è più ricca.
Fino ad ora i lavori sono tutti alla superfìcie ma si è riconosciuto
che l’amianto più bello si trovava a profondità, e senza farne una
regola generale i coltivatori ammettono questo principio, e sperano
che lavori più profondi daranno un miglioramento nella qualità ed un
aumento nella quantità.
Si ve le facilmente che l’irregolarità del rendimento in materia utile,
la grande differenza di prezzo fra le qualità (125 a 350 franchi), la dif-
ficoltà ed il prezzo elevato d Ila cernita, possono rendere incerta la
lavorazione; incert.zza che fortunatamente viene compensata per la
semplicità dell’abattimento della roccia, la mancanza di spese acces-
sorie è la facilità dei trasporti: infatti le miniere sono poste lungo la
ferrovia Quebec centrale che comunica coi porli del golfo di S. Lorenzo
e le linee degli Stati Uniti. Quest’industria è rimuneratrice e ha dato
buuni risultati ai coltivatori.
La coltivazione delle miniere d’amianto al Canadà non data che
dal 1878 e la produzione totale non ohrepassa le 8000 tonnellate, quella
dell’ultima annata essendo stata di 1400. La quantità estraibile è con-
siderevolissima, ma la domanda è limitata poiché le applicazioni di
questo prodotto non ne richieggono che piccole quantità.
— 68 -
PUBBLICAZIONE BELLA CARTA GEOLOGICA D’ITALIA
PER CURA DEL R. UFFICIO GEOLOGICO
PARTI PUBBLICATE (al 1° marzo 1888)
Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/100,000:
Foglio N. 244 (Isole Eolie) prezzo L. 3 00
Foglio N.
262 (Monte Etna) .
. L.
5 00
»
248 (Trapani) ...»
3 00
»
265 (Mazzara del Vallo)»
3 00
»
249 (Palermo) ...»
4 00
»
266 (Sciacca) . .
. »
4 00
»
250 (Bagheria). . . »
3 00
»
267 (Canicattì) . .
• »
5 00
»
251 (Cefalù) .... »
3 00
»
268 (Caltanissetta)
. »
5 00
»
252 (Naso) .... »
4 00
»
269 (Paterno) . .
. »
5 00
»
253 (Castroreale) . . »
4 00
»
270 (Catania) . .
. »
3 00
»
254 (Messina) . . . »
4 00
»
271 (Girgenti) . .
. »
3 00
»
256 (Isole Egadi) . . »
3 00
»
272 (Terranova) .
. »
4 00
»
257 (Castelvetrano) . »
4 00
»
273 (Caltagirone) .
. »
5 00
»
258 (Corleone) ...»
5 00
»
274 (Siracusa) . .
. »
4 00
»
259 (Termini Imerese). »
5 00
275 (Scoglitti) . .
. »
3 00
»
260 (Nicosia) ...»
5 00
»
276 (Modica) . .
. »
3 00
»
261 (Bronte). . . . »
5 00
»
277 (Noto) . . .
»
3 00
Tavola di sez. N. I (annessa ai fogli 249 e 258) L. 4 00
» » N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 4 00
» » N. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » 4 00
» » N. IV (annessa ai fogli 257 e 266)' » 4 00
» » N. V (annessa ai fogli 273 e 274) » 4 00
W.I*. — L'intiera Carta della Sicilia, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d'unione
e copertina, è in vendita al prezzo di lire 100.
Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/500,000 (serve anche di foglio di
unione della precedente) con sezioni prezzo L. 5 00
Descrizione geologica dell’Isola di Sicilia, con una Carta geologica, tavole
in zincotipia ed incisioni, dell* Ing. L. Baldacci prezzo L. 10 00
Carta geologica dell* Isola d’ Elba, nella scala di 1/25,000 con sezioni annesse
(in due fogli) prezzo L. 15 00
Descrizione geologica dell’ Isola d’ Elba con Carta annessa nella scala di
1/50,000, dellTrig. B. Lotti prezzo L. 10 00
Relazione sulle miniere di ferro dell’Isola d’Elba, con un atlante di carte e
sezioni geologiche, dellTng. A. Fabri . . . prezzo L. 20 00
IN CORSO DI STAMPA
Carta geologica dell’Italia Centrale neilaTscala di 1/100,000: Foglio N. 142
(Civitavecchia); F. N. 143 (Bracciano); F. N. 144 (Palombara Sabina);
F. N. 149 (Cerveteri) ; F. N. 150 (Roma); F. N. 158 (Cori).
Descrizione geologico-mineraria dell’Iglesiente (Sardegna), con un atlante di
carte e sezioni geologiche, dell’ ing. GL Zoppi.
Per le commissioni rivolgersi al R. Ufficio Geologico, ovvero alla Libreria
E. Loescher, in Roma.
MUSr
Pubblicazioni in vendita presso l’Ufficio Geologico
Bttino del R. Comitato Geologico d’Italia; Voi. I a XVII, dal 1870
Prezzo di ciascun volume ^
Idem di un fascicolo separato . . . • • - • •
N.B. - Il prezzo di abbonamento annuo e di L. 8 per l’interno
e di L . 10 per V estero.
lorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia; Voi. I,
II e III (Parte la).
Voi. I. Firenze, 1872 >
Voi. II. Firenze, 1873-74 5
Voi. IH. Parte 1*; Firenze, 1876 * 5
'occhi. — Brevi cenni sui principali Istituti e Comitati geologici e sul
R. Comitato Geologico d’ Italia. Firenze, 1871. . ... • . •
Zezi. — Cenni intorno ai lavori per la Carta geologica in grande scala.
Boma, 1875
Giordano. — Esposizione in ordine cronologico delle principali disposi-
zioni successivamente emanate relativamente alla Carta geologica d’Italia.
Boma, 1879
Giordano. — Sopra un progetto di legge per il compimento della Carta
geologica d’Italia. Boma, 1880 • • • • • •
Giordano. — Cenni sull’organizzazione e sui lavori degli Istituti geologici
esistenti nei vari paesi. Èoma, 1881.
Capellini. - Relazione a S. E. il Ministro di Agr. Ind. e Comm. sul
Congresso geologico internazionale del 1881. Boma, 1881 .... »
lo c chi. — Carta geologica della parte orientale dell’ Isola d’Elba; scala
di 1/50,000. Firenze, 1871 . * • * *
W. C. Fuchs. — Carta geologica dell’Isola d’ Ischia; scala di 1/25,000.
Firenze, 1878 ' *
Doelter. — Carta geologica delle isole Ponza, Palmarola e Zannone;
scala di 1/20,000. Boma, 1876 . . • • • •
De Giorgi. — Abbozzo di Carta geologica della Basilicata; scala di
1/400,000. Boma, 1879 5
De Giorgi. — Carta geologica della provincia di Lecce; scala di 1/400,000.
Boma, 1880 . . . . » • * * * ' 1
Capellini. — Carta geologica dei monti di Livorno, di Castellina Ma-
rittima e di parte del Volterrano ; scala di 1/100,000. Boma, 1881 .
Capellini. — Carta geologica della provincia di Bologna ; scala
di 1/100,000. Boma, 1881 • * *
Capellini. — Carta geologica dei dintorni del golfo di Spezia e Val di
Magra inferiore; 2a edizione; scala di 1/50,000. Boma, 1881 . .
Taramelli. — Carta geologica del Friuli, con testo descrittivo; scala
di 1/200,000. Udine, 1881 ...... ^ ; * *
iliographie géologique et paleontologique de l’Italie. Bologne, 1881 . .
biografia geologica e paleontologica della provincia di Roma. Boma, 1886
l 1886
10 —
2 —
35 —
80 —
10 —
1 50
1 —
1 —
1 50
1 50
1 —
2 50
. 2 —
. —2
► 2 —
^ 2 —
» 8 —
» 4 -
» 3 —
» 7 —
» 10 —
» 2 —
Annunzi di pubblicazioni
A. Goiran. — Appendice e note al catalogo dei terremoti veronesi
Verona, Ì887; pag. 28 in-8°.
•G. Struever. — Ulteriori osservazioni sui giacimenti minerali di V
d’Aia in Piemonte. — Roma, 1887; pag. 18 in-4 con una tavola.
G. A. Pirona. — Nuova contribuzione alla fauna fossile del terrea
cretaceo del Friuli (Atti del R. Istituto Veneto, serie VI, T. V, disp. 1(
— Venezia, 1887; pag. 6 in-8° con una tavola. !
A. Issel. — La nuova Carta geologica delle Riviere liguri e delle A
marittime (Bollettino della Società Geologica Italiana, voi. VI. fase 3°G
Roma, 1887; pag. 16 in-8°.
C. De Stefani. — L’ Appennino fra il Colle dell’ Altare e la Polcevei
(ibidem). — Roma, 1887; pag. 40 in-8° con una tavola.
Idem. — Il terreno terziario nella valle del Mesima (ibidem) — Roma 18$
pag. 8 in-8°.
A. Verri. - Rapporti tra le formazioni con ofìoliti dell’ Umbria e
breccie granitiche del Sannio (ibidem). — Roma, 1837; pag. 12 in -8°.
A. Tommasi. — A proposito del permiano nell’ Appennino (ibidem). ?
Roma, 1887 ; pag. 4 in-8°.
C. F. Parona. — Appunti per la paleontologia miocenica della Sardeqn
(ibidem). — Roma, 1887; pag. 70 in 8°.
L. Foresti. — Alcune forme nuove di molluschi fossili del Boloqnes
(ibidem). — Roma, 1887 ; pag. 10 in-8°.
C. Fornasini. — Di alcuni foraminiferi provenienti dalla spiaggia di Ci
vitavecchia (ibidem). — Roma, 1887; pag. 6 in-8°. •
Idem. — Tre note sulle textularie (ibidem). — Roma, 1887; pag. 30 in-l
con tre tavole. -
E. Clerici. — La vitìs vinifera fossile nei dintorni di Roma (ibidem). 1
Roma, 1887; pag. 6 in-8°. J
S. Squinabol. — Nota preliminare su alcune impronte fossili nel cai>
bonifero superiore di Pietratagliata (Giornale della Società di letter
e conversazioni scientifiche di Genova). — Genova, 1887; pag. 6 in 8°. ]
G. G. Gemmellaro. — La fauna dei calcari con Fusulina della valle de
fiume Sosio nella provincia di Palermo. Fascicolo 1°. — Palermo, 1881
pag. 96 in-4° con 10 tavole.
G. Spezia. — Sulla origine del gesso micaceo e anfìbolico di Val Che
rasca nell’Ossola (Atti della R. Accademia delle Scienze, voi. XXII
Disp. la). — Torino, 1887 ; pag. 12 in-8°.
M. Lanzi. — Le diatomee fossili del terreno quaternario di Roma. -
Roma, 1887; pag. 8 in-4°.
T. Taramelli. — Dei terreni terziari presso il Capo la Mortola in Liguri!
(Rendiconti *del R. Istituto Lombardo, S. Il, voi. XX, fase. 19) — Mj
lano 1888; pag. 14 in- 8°. t
D. Pantanelli. — Descrizione di conchiglie mioceniche nuove o pò©
note (Bollettino delia Società malacologica italiana voi. XIII). — Pisa 1888
pag. 6 in-8°.
F . Sacco. — Studio geologico dei dintorni di Guarene d’ Alba (Atti delli
R. Accademia delle scienze di Torino, voi. XXIII, disp. 3a). — Torino 1888,
pag. 13 in-8° con una tavola.
M. Lanzi. — Le diatomee fossili del Monte delle Piche e della via
Ostiense. — Roma 1888; pag. 10 in-4°.
C. F. Parona. — Contributo allo studio dei magalodonti (Atti Soc. Italiani
di Se. Nat., voi. XXX, fase. 4°). — Milano 1888; pag. 8 in-8° con tre tavole. I
L. Bozzi. — Sopra una specie pliocenica di pino trovata a Castelsardc
in Sardegna (ibidem). — Milano 1888; pag. 6 in-8°.
G. Mercalli. — Le lave di Radicofani (ibidem). — Milano 1888; pag. 14
in-8° con una tavola.
R. COMITATO GEOLOGICO
D’ITALIA.
1888
Bollettino N.° 3 e 4
Marzo e Aprile
■ - —
KOMA
TIPOGRAFIA NAZIONALE
di Reggiani & soci
32?.
1888.
• ELENCO
del personale componente il Comitato e l’Ufficio Geologico
R. Comitato Geologico.
Meneghini Giuseppe, prof, di geologia nella R. Università di Pisa, Presii.
Capellini Giovanni, prof, di geologia nella R. Università di Bologna.
Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze.
Cossa Alfonso, prof, di chimica nella R. Scuola di applicazione per gli
ingegneri in Torino. ~
De Zigno Achille, membro nel R. Istituto Veneto, a Padova.
Gemmellaro Gaetano Giorgio, professore di geologia nella R. Università
di Palermo.
Scacchi Arcangelo, prof, di mineralogia nella R. Università di Napoli.
Scarabelli Giuseppe, senatore deh Regno, a Imola.
Silvestri Orazio, prof, di geologia nella R. Università di Catania.
Stoppani Antonio, professore di geologia nel R. Istituto tecnico supe-
riore di Milano.
Struver Giovanni, prof, di mineralogia nella R. Università di Roma. j
Taramele i Torquato, prof, di geologia nella R. Università di Pavia.
Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze.
Giordano Felice, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, a Roma. ì
Pellati Niccolò, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, a Roma.
Personale addetto ai lavori della Carta Geologica.
Direzione superiore :
Ing. Giordano Felice, Direttore.
Ing. Pellati Niccolò.
Ufficio centrale (in Doma):
Ing. Zezi Pietro, Capo d’ufficio e Segretario del Comitato.
Ing. Sormani Claudio.
Geologi operatori :
Ing. Baldacci Luigi, Roma.
Ing. Lotti Bernardino, Pisa.
Ing. Cortese Emilio, Roma.
Ing. Zaccagna Domenico, Pisa.
Ing. Novarese Vittorio, Roma.
Ing. Aichino Giovanni, Roma.
Sig. Fossen Pietro, aiutante, Pisa.
Sig. Cassetti Michele, aiutante, Roma.
Sig. Moderni Pompeo, aiutante, Roma.
Personale distaccato :
Ing. Mattirolo Ettore, Torino (analisi delle roccie)
Dott. Canavari Mario, Pisa (paleontologo).
La sede dell’Ufficio geologico in Roma è nel Museo agrario-geologico,
via Santa Susanna, n. 1-A.
BOLLETTINO DEL B. COMITATO GEOLOGICO
F ITALIA.
Serie IL Voi. IX. Marzo e Aprile 1888. N. 3 e 4.
SOMMARIO.
Memorie originali. — I. Studio geologico delle colline di Cherasco e della Morra,
in Piemonte, di F. SACCO (con una Carta geologica). — IT. Sul modo di for-
mazione dei conglomerati miocenici della Collina di Torino, di A. Portis. —
III. Le piante fossili nel. travertino ascolano, di A. MASCARINI. — IV. Appunti
geologici sull’isola di Madagascar, di E. CORTESE (con una tavola). — V. Sopra
alcune lave antiche e moderne del vulcano Kilauea nelle Isole Sandwich, di
O. Silvestri.
Notizie bibliografiche. — Justus Roth, AUyemeine und chemische Geologie;
Berlin, 1879-87.
Avviso di pubblicazione della Carta geologica d’Italia.
Tavole ed incisioni. — Tav. Il: Carta geologica dei dintorni di Cherasco e della
Morra (F. Sacco), a pag. 80. — Tav. III. Carta geologica dell’isola di Ma-
dagascar (E. Cortese), a pag. 128.
MEMORIE ORIGINALI
I.
Studio geologico delle colline di Cherasco e della Morra
in Piemonte ; nota del dott. E. Sacco.
(con una Carta geologica).
Se si osserva in complesso la parte meridionale del bacino ter-
ziario del Piemonte si nota come nella porzione sua occidentale i ter-
reni che lo costituiscono, mentre per lungo tratto si dirigono ad un
dipresso da Sud a Nord, cioè dalle falde delle Alpi Marittime verso il
centro del bacino, dopo un notevole sviluppo in tale direzione si vol-
gono piuttosto rapidamente ad Est, proseguendo in seguito con una
direzione media da Ovest ad Est per modo da costituire così le re-
gioni collinose delle Langhe settentrionali, dell’alto Monferrato e della
Liguria settentrionale.
L’indicata disposizione a curva dei terreni terziari nella parte S.O
5
— 70 —
del bacino piemontese credo si debba attribuire ad una catena rocciosa
paleozoica diretta appunto ad un dipresso da S.E a N.O., catena ora
quasi completamente mascherata dai terreni terziari, ma di cui troviamo
ancora gli ultimi affioramenti isolati presso Spigno, Cartosio ed Acqui.
Orbene i terreni miocenici superiori ed i terreni pliocenici inferiori
costituenti le colline della Morra, che formano l’oggetto di questa nota,
si trovano precisamente a far parte della sovraccennata curva e, come
generalmente si verifica lungo l’asse delle elissoidi di sollevamento,
essi si trovano quivi sollevati ad elevazioni relativamente assai note-
voli; così ad esempio il Messiniano ad oltre 550 m. sul livello marino,
che è l’altezza massima raggiunta da tale terreno in Piemonte.
Per essere la curva in questione abbastanza regolare, ed i terreni
che vi prendono parte assai dolcemente inclinati, ne consegue che essi,
per quanto relativamente di poco spessore, quivi si allargano notevol-
mente a guisa di ampie placche sovrapposte le une alle altre.
Dato tale schema stratigrafìco parrebbe esser facile lo studio geo-
logico della regione collinosa della Morra; ma se si considera che al-
cuni dei terreni che la costituiscono non sono veri piani continui, ma
bensì lenti di vario sviluppo e di vario spessore ; che altri sono ora
ridotti talvolta a lembi sparsi e sottilissimi; che questi terreni spesso
si distinguono tra loro quasi solo pei resti fossili che contengono ; se
si tien conto della orografia non molto semplice della regione in esame;
ed inoltre se si considera lo sviluppo grandissimo che ha quivi la colti-
vazione, specialmente viticola, che maschera talora completamente e
per tratti vastissimi la natura geologica del terreno, ne consegue che
effettivamente il rilevamento geologico delle colline della Morra pre-
senta non poche difficoltà e lascia anzi talora dei dubbi nella deli-
mitazione dei vari piani geologici che le costituiscono.
Per chiarezza e brevità di esposizione esaminerò particolarmente
ciascuno degli orizzonti geologici che affiorano nelle colline della Morra,
cominciando da quelli più antichi.
Elveziano.
I terreni elveziani compaiono solo per brevissimo tratto nelle col-
line in esame e sono caratterizzati dal presentare potenti banchi are-
nacei, grigio-giallastri, spesso assai ricchi in fossili per lo più litto—
— 71 —
ranei ( Ostrea , Pecten , Balanus , ecc.)> ma generalmente infranti e
quindi di difficile determinazione specifica.
Il paese di Barolo è precisamente fondato sopra tali banchi are-
nacei, che nella parte loro inferiore danno origine a sorgenti acquee
che hanno una certa importanza a causa della generale scarsità di
acqua che si osserva in queste regioni.
Però gli indicati banchi non formano che una particolarità dell’ Elve-
ziano , giacché questo piano geologico nella sua parte superiore è essen-
zialmente costituito da un’alternanza di banchi marnosi e sabbiosi gri-
giastri i quali servono di passaggio gradualissimo al Tortoniano in-
feriore, per modo che una netta delimitazione tra questi due orizzonti,
quale si deve segnare nelle carte geologiche in realtà non esiste ed è
quindi in gran parte arbitraria.
Se però non esiste assolutamente una vera linea di separazione
tra Elveziano e Tortoniano , ciò che è d’altronde affatto naturale in
terreni formatisi successivamente senza salti, esiste invece realmente
una distinzione notevole fra questi due piani geologici se vengono os-
servati in complesso, essendo l’uno essenzialmente sabbioso e l’altro
prevalentemente marnoso.
Tortoniano.
I terreni tortoniani delle colline della Morra, per quanto in com-
plesso presentino quella facies principalmente marnosa che caratterizza
in generale questo orizzonte geologico in Piemonte, tuttavia inglobano
■eziandio dei potenti banchi arenacei, ciò che influisce molto sulla oro-
grafia della regione in esame, dando luogo cioè sia agli sproni di
0. Ramelli, di Cerequio, ecc., sia specialmente a quella rilevata cresta
collinosa che collega il Castello della Volta al paese di Novello e che,
per la disposizione stratigrafica, presenta un pendìo ripido ad Est ed
invece dolcissimo ad Ovest.
La parte inferiore del Tortoniano è costituita in modo assai si-
mile a quella dell 'Elveziano superiore, cioè di un’alternanza più volte
ripetuta di strati marnosi e sabbiosi grigio-bluastri con pochi fossili,
con accentramenti limonitici, ecc., solo che in generale si nota una
maggior predominanza delle marne che si possono molto bene esa-
minare nei profondi burroni di Val Bergeisa, di Val Porretto, ecc.
— ;;72 —
Nelle colline di Barolo, un centinaio di metri circa sopra aNEloe-
ziano superiore, compaiono gli accennati banchi sabbioso-arenacei del
Tortoniano medio-inferiore, che verso Nord si vanno assottigliando-
finché perdono ogni importanza, mentre verso Sud divengono più po-
tenti, costituendo colla loro resistenza quella specie di lungo ed alta
terrazzo, dolcemente inclinato ad Ovest, su cui stanno il Castello-
delia Volta, S. Grato, C. Serra e il paese di Novello.
Questo caratteristico orizzonte secondario e locale viene a termi-
nare, poco a Sud di Novello, nella parte alta della collina di S. Nicola.
Ad Ovest invece si può esaminare per lungo tratto e minutamente, par-
ticolarmente in Val Bergera sin sotto la borgata Tarditi ad un dipresso
e nelle sue vallette tributarie di Ciocchini, Corini, ecc., come pure nello
piccole valli di C. Rossi, di C. Rostagno, di Madonna dei Fiori, ecc.
In tutte queste località i banchi in questione si distinguono facil-
mente anche ai caratteri oroidrografìci per ripide balze, lunghe gradi-
nate e fresche sorgenti acquee; vi si incontrano pure sottili lenti ligniT
tiche di nessuna importanza industriale.
Questa particolare formazione di litorale e di bassofondo marino è poi
assai importante dal lato paleontologico poiché, se in questi banchi are-
nacei del Tortoniano abbondano in modo straordinario i fossili (così sotto
Novellò, presso i Corini, i Ciocchini, ecc.), particolarmente foramini-
feri, ostriche, pettini, balanidi, ecc., r egli strati marnoso-sabbiosi,
grigio-giallastri, fogliettati, che stanno sopra all’orizzonte arenaceo,
trovansi talora in quantità straordinaria resti di piante (filliti), di
pesci, ecc.; così tra il castello della Volta e la Chiesuola di S. Pietro*
sotto la borgata Crovera presso la C. Fontanazza, ecc.
Abbiamo cioè qui a constatare localmente nella metà superiore della
serie tortoniana una facies sarmatiana abbastanza tipica. Dal lato
orografico poi questa formazione sarmatiana , per la sua costituzione,
che ricorda più quella ào\Y Elee ziano superiore che non quella del Mes-
sicano inferiore, e per la sua posizione, fa nascere a prima vista l’idea-
che siansi verificati dei grandiosi scoscendimenti per cui i banchi are-
nacei dalla primitiva altezza siano parzialmente precipitati al livello
della terrazza di Novello e del bassopiano di Barolo.
Il Tortoniano superiore consta essenzialmente di una pila di banchi
marnosi, grigiastri, alternati talora con strati sabbiosi, ma in generale
<di poca potenza. Lo si può esaminare assai bene nell’incassato vallone
di Praosta, ma specialmente nelle profonde valli di R. Gallinotti e di
R. Torbido, come pure lungo le sponde del Tanaro.
I fossili non vi sono molto abbondanti e specialmente difficili ad
•estrarsi completi perchè tenacemente inglobati nella marna.
L’inclinazione dei banchi tortoniani generalmente è piuttosto de-
bole, cioè di circa 8° o 10° ed anche meno, come si verifica pure nel-
T Elveziano superiore, e la direzione è costante verso l’O.N.O, ciò che
ci spiega diversi fatti orografici della regione in esame; così ad esempio
il presentarsi le valli di R. Torbido, di R. Bergera, ecc. scoscese a destra
ed a pendìo dolcissimo sul lato sinistro.
Messiniano.
I terreni messiniani formano la parte più interessante della regione
in esame. Di essi ebbi già ad occuparmi trattando dello sviluppo di
questo orizzonte geologico attraverso al Piemonte \ ed a tale lavoro
rimando chi volesse conoscere i rapporti esistenti fra il Messiniano
dei colli della Morra e quello del restante Piemonte.
Entro i limiti della presente nota si possono distinguere nella for-
mazione messiniana due orizzonti principali; uno inferiore, potente, rap-
presentato da banchi sabbioso-arenacei od anche ciottolosi, e da gran-
diose lenti gessifere frammischiate a strati marnosi; e uno superiore,
generalmente più sottile, marnoso-argilloso.
Notiamo però subito che mentre verso Nord l’orizzonte gessifero
diventa sempre più potente e scompare quasi completamente quello
arenaceo, il contrario invece si verifica verso Sud. Così pure vediamo,
ad esempio presso Narzole, che mentre le marne del Messiniano supe-
riore raggiungono una potenza di oltre 50 metri, i banchi del Messi-
niano inferiore non sono quasi più rappresentati.
Questi fenomeni ci indicano l’irregolare modo di deposizione dei
terreni messiniani , fatto che è in diretta relazione colla natura lito-
ranea, deltoide e maremmana di questo speciale piano geologico.
Esaminando la formazione arenacea del Messiniano inferiore, ve-
1 SACCO F., Il piano messiniano in Piemonte; Parte I, Mondovì-Guarene ;
Parte II, Guarene-Tortona, con tav. (Boll. soc. geol. ital., voi. V, 1886).
— 74
diamo come essa verso Verduno sia ridotta a pochi strati grigio-gial-
lastri che inglobano numerosi resti fossili, di littorale, generalmente
però rotolati ed infranti, essendo invece sviluppatissima la formazione
marnoso-gessifera.
Verso la Morra invece, mentre la lente gessosa si va rapidamente
assottigliando, i letti sabbioso-arenacei, commisti con strati marnosi, di-
ventano veri banchi assai potenti, ed anzi verso la base si cangiano
spesso in banchi ciottolosi, ad elementi talora voluminosissimi (per lo
più di 5 a 15 centimetri di diametro, raramente di oltre mezzo metro) e
talvolta cementati così fortemente da costituire un vero conglomerato,
utilizzato un tempo per estrarne macine da molino, come presso i
Crovera.
E precisamente sopra questi banchi sabbioso-arenacei, alternati con
banchi marnosi grigio-giallastri o brunicci, che è fondato il paese della
Morra, ed è pure alla loro durezza che è dovuta la notevole elevazione
del Messiniano inferiore di queste regioni, essendo quivi tale terreno
spinto all’altezza massima del Messiniano piemontese, cioè di oltre i 550
metri, copie alla cresta del Eric del Dente, dove forma, verso Est, un
vero gradino scosceso sopra alle marne tortoniane.
Le località più opportune per esaminare minutamente questi banchi
arenaceo-conglomeratici del Messiniano inferiore sono appunto le parti
alte delle colline della Morra (dove sonvi parecchie ampie cave per
estrazione di ghiaia e di materiale da costruzione), le ripide balze di
C. Sorelli e di C. Gallinotti e la vai di Rio Torbido sotto la borgata di
Sant’Antonio.
In quest’ultima località si può con un attento esame osservare
come la formazione gessifera si innesti colla formazione arenacea
assai gradualmente, per modo che la distinzione indicata fra di esse
sulla unita Carta geologica risulta spesso alquanto arbitraria; tant’ è
per esempio che anche nelle arenarie del Bric del Dente, nelle arenarie
della borgata Quaranta, ecc., possiamo constatare assai sovente delle
lenti od almeno delle incrostazioni gessose.
Pare che da ciò si possa quindi dedurre come la formazione sab-
bioso-ciottolosa, per la sua natura e per il suo modo alquanto tumul-
tuoso di deposizione, impedì localmente la formazione dei depositi
gessiferi che vediamo tanto potenti a Sud ed a Nord. Noto però subito
che in molte altre regioni piemontesi mancano pure nel Messiniano i
depositi gessosi, per quanto esso sia colà rappresentato solo da marne,
il che ci avverte che il formarsi o no dei depositi gessiféri dipese da
circostanze varie, di cui quella indicata non è probabilmente la più
importante.
Ad Est della borgata S. Antonio la zona arenacea si sviluppa assai
considerevolmente, per modo da formare una specie di alto gradino
dirupato che passando per la borgata Bernocchi continua sino al Ta-
naro, scomparendo quasi completamente in seguito.
Infatti verso la base delle cosidette rocche di Trifoglietto troviamo
ancora bensì strati sabbiosi-arenacei, ma predominano i banchi mar-
nosi più o meno fogliettati, i quali corrispondono alle marne simil-
mente fogliettate che esistono in più punti sulle colline della Morra,
così presso il cimitero della Morra, ad Ovest del Bric del Dente, nelle
vicinanze della borgata Berri, ecc., nelle quali località tali banchi mar-
nosi sono spesso utilizzati per laterizi.
E probabilmente da queste marne argillose grigio-bluastre, a
fauna marina (Arca diluvii Lk., Nassa semistriata Br., ecc.), e ricor-
danti alquanto le marne piacentine, che il Sismonda fu tratto nell’er-
rore di credere che esistesse una larghissima placca pliocenica sulle
colline della Morra e di Barolo, come indicò sulla sua Carta geologica
del Piemonte. Queste marne e questi fossili marini inglobati nella for-
mazione messiniana , osservansi pure tra Verduno e C. Prandonio, nella
valle dei Berri, ecc.
L’errore precitato dal Sismonda venne poi ricopiato nella Carta
geologica d'Italia pubblicata per cura del R. Ufficio geologico nel 1881,
nonché nella Carta geologica di Francia , di Carez e Vasseur, pubbli-
cata nel 1887, nella Carta geologica delle Piviere liguri e delle Alpi
Marittime , pubblicata da Issel, Mazzuoli e Zaccagna nel 1887, e nella
recente Carta geologica delle Alpi occidentali di Zaccagna.
Talvolta nel Messiniano inferiore osservansi pure lenti calcaree,
però di poca importanza. Verso Sud, sulla sponda sinistra del Tanaro,
il Messiniano presenta in quasi tutto il suo sviluppo la facies mar-
nosa ; tuttavia per quasi un chilometro sotto la borgata Priosa osser-
vasi sotto alla marna un banco arenaceo-conglomerati^o, della potenza
di tre o quattro metri, che come di solito dà luogo a sorgenti acquee
— 76
(di cui alcune solforose) e corrisponde perfettamente alla formazione
della stessa natura che si è notata tra i casali Quaranta e la Morra.
Quanto ai resti fossili dell’orizzonte littoraneo ora esaminato ac-
cennerò solo come vi siano particolarmente abbondanti resti fìllitici
(foglie di Corylus , Quercus, Cyperites, ecc.), rami o tronchi d’albero (ta-
lora gessificati), frutti di noce (tramutati in calcare), nonché resti d’ani-
mali marini, per lo più molluschi, ma anche antozoi, ecc., sempre
però d’indole littoranea.
La formazione gessifera per quanto ampiamente sviluppata nella
regione in esame non ha realmente una grande potenza, costituendo
solo una sottile placca leggermente inclinata verso N.O; essa è rap-
presentata da banchi marnosi o marnoso-sabbiosi inglobanti strate-
relli e grosse lenti di gesso cristallizzato. Per lo più i cristalli sono
assai grossi, spesso raggruppati assieme in accentramenti speciali più
o meno grandi, che vediamo ora talvolta isolati alla superficie del ter-
reno a guisa di grossi monoliti; talvolta invece, come ad esempio si
può vedere in molti punti lungo la sponda destra del Tanaro ad Est di
Cherasco, i cristalli gessosi sono piccoli, disposti in straterelli alter-
nali cogli straterelli marnosi; in quest’ultimo caso sono frequenti i
resti fossili (pesci, insetti, filliti, ecc.) fra queste marne sabbiose fo-
gliettate che si aprono come le pagine di un libro.
Raramente si incontrano sottilissime lenti solfifere frammezzo a
questi strati gessosi.
La gran lente gessifera di Verduno-Alferi si va rapidamente assot-
tigliando verso Nord, sino a ridursi a lenti piccolissime sparse fra le
sabbie, mentre in sua vece si va sviluppando la formazione arenacea •
ma a S.O della borgata S. Antonio, mentre la zona sabbiosa va scompa-
rendo, di nuovo si estende la zona gessifera, utilizzata su vasta scala
nelle vicinanze di Meane.
Sulla sinistra del Tanaro la formazione gessosa, di cui veggonsi
solo più le testate degli strati, appareTcome un grosso banco che verso
Narzole si va perdendo; però mostrasi ancora qua e là in sottili lenti,
ricomparendo di nuovo potente in vai Geminella dove è pure larga-
mente escavato.
Riguardo ai ^fossili di questo orizzonte, oltre a ciò che già sopra
accennammo, bisogna ancor notare come talvolta fra le marne gessifere
o non gessifere del Messiniano inferiore esistono fossili marini molto
simili a quelli del Piacentino ; questo fatto importante, che già os-
servasi in diversi punti sull’alto nelle colline della Morra, si può poi
esaminare molto bene in alcuni punti lungo la destra del Tanaro,
specialmente presso C. Manzoni.
Quanto alla configurazione esterna delle regioni gessifere devesi
accennare al fatto che soventi vi si osservano gradinate irregolari
(così ad esempio nelle colline di Meane) dovute precisamente alle lenti
gessose più resistenti dei terreni vicini, oppure originate da quei mo-
vimenti parziali che spesso disturbano la stratigrafia delle formazioni
gessifere, tanto che talora i banchi gessosi si presentano fortemente
sollevati per brevi tratti.
Si osservano inoltre talora, (specialmente sulle colline della borgata
Alferi e di Verduno), corsi d’acqua che divengono per un certo tratto
sotterranei, ed anche non di rado certi incavi imbutiformi più o meno
vasti simili a quelli che spesso si osservano pure nelle regioni montuose
dove sonvi banchi gessosi; questi fenomeni sono dovuti essenzial-
mente alle dissoluzioni del gesso.
Il Messiniano superiore a facies marnosa Gonsta di strati grigia-
stri, talvolta nerastri, carboniosi, (come si osserva ad esempio sotto il
Bric del Diavolo sulla sponda destra del Tanaro ed anche altrove nelle
colline della Morra), talora ricchi in fossili di maremma, come Melanopsis,
Melania , Hydrobia , Neritodonta , Dreissena , Adacliua , ecc. Tali fossili
si ritrovano abbastanza frequenti nella vailetta di Rio Malboschetto,
ma sono poi straordinariamente abbondanti assieme a fìlliti, a qualche
echinoderma, ecc., sulla sponda sinistra di Val Tanaro, specialmente
sotto la borgata Priosa presso Narzole.
Questa famosa località, scoperta sin dal principio del presente
secolo dal Bonelli, mi fornì una fauna maremmana ricca bensì in forme
ma più ancora in individui. Fra le forme quivi più abbondanti e carat-
teristiche è specialmente da segnalare la Melanopsis Matheroni Mayer
var. narzolina Bori.;1 questa forma, derivata dalla M. Matheroni del
Torioniano , fin dal 1827 venne già indicata dal Bonelli come specie di-
1 SACCO F., Aggiunte alla fauna malacologica esetramarina fossile del
Piemonte (Mem. R. Ac-c. Se. di Torino, 1888).
78 —
stinta col nome di M. narzolina , solo che non essendo essa stata descritta
e figurata che assai tardi, devesi ora considerare solo come una varietà
della M. Matheroni descritta nel 1871.
A Sud di Narzole il Messiniano superiore scompare all’occhio del-
l’osservatore poiché si dirige verso S.O, sotto al velo alluvionale del-
l’altipiano narzolese.
Piacentino.
In complesso la formazione pliocenica inferiore presenta nella re-
gione in studio la tipica facies marnosa, grigio-bluastra, del Piacen-
tino subappennino, ma con un esame più minuto si osserva che assieme
colle marne argillose si alternano frequentemente strati e banchi sab-
biosi grigio-giallastri ed anche straterelli ghiaiosi.
Queste alternanze si possono osservare specialmente sia nel Pia-
centino inferiore (così alla base della collina di Cherasco, dove tro-
viamo banchi sabbiosi giallastri a Cardium ed altri fossili littoranei),
sia nel Piacentino superiore (come nei valloni che verso Ovest inci-
dono profondamente l’altipiano di Cherasco e di Narzole).
Però le tipiche marne argillose bluastre sono pure assai svilup-
pate e son quelle che, ad esempio sotto Cherasco, forniscono una gran*
dissima quantità di fossili marini ben conservati.
Tra questi fossili è specialmente tipica e comune VOstrea cochlear
Poli, che spesso riesce molto utile al geologo, giacché le placche più
o meno vaste e di varia forma che osservansi sopra al Messiniano
sulla destra del Tanaro, quantunque a limiti incerti, si poterono rico-
noscere e tracciare specialmente tenendo conto dei frammenti che della
specie sovraccennata trovansi sparsi qua e là alla superficie del suolo.
Però, oltre che dai caratteri paleontologici, generalmente le placche
piacentine si distinguono anche ai caratteri esterni per un color grigio-
biancastro che presenta il terreno alla superfìcie, dove esso non è ma-
scherato dalla vegetazione, ed anche talora per una maggiore umidità
che non nelle regioni messiniane.
Il passaggio tra il Messiniano ed il Piacentino è talora difficile
a segnarsi, quantunque si debba sovente ammettere un piccolo hyatus
nella serie stratigrafica tra questi due piani geologici, specialmente là
dove vediamo le marne piacentine poggiare direttamente sulla forma-
zione gessifera che sappiamo rappresentare la porzione inferiore e
media del Messiniano.
La facile erosione delle argille piacentine ci spiega, sia l’ampio
altipiano (di erosione) di Cherasco e Narzole, sia il notevole allargarsi
del fondo di Val Tanaro a Nord di Isorella.
Notiamo ancora come le marne argillose piacentine di Cherasco,
specialmente in Val Crosio, si mostrano talora impregnate di olio mi-
nerale che non credo però affatto utilizzabile industrialmente perchè
sparso irregolarmente e solo in piccola quantità.
La stratigrafia del Piacentino è semplice e regolare, inclinando i
suoi banchi di appena 2, 3 o 4 gradi verso N.O circa; tuttavia local-
mente si osservano talora delle ripetute ripiegature causate solo dalla
pressione che si verificò sugli strati argillosi; anche di questo feno-
meno possiamo vedere i migliori esempi in Val Crosio. 1
U Astiano non compare che fuori del campo della regione in esame,
poco a N.O di Cherasco ed è rappresentato dalle solite sabbie gial-
lastre fossilifere. 2
Terrazziano.
Il Terrazziano antico (o Diluvium II, in confronto al Diluvium I
dell’epoca glaciale propriamente detta) è tipicamente rappresentato
dalle alluvioni ciottoloso-sabbiose, spesso coperte da un sottile velo di
loess, che costituiscono la parte superficiale dell’altipiano di Narzole
e di Cherasco con una potenza di 3 o 4 metri in media.
Tali alluvioni riposano affatto discordantemente sulle marne argil
lose poco permeabili del Piacentino , dando così luogo ad una regola-
rissima ed importante falda acquea che compare in tutti i tagli un pò
profondi ed alimenta tutti i pozzi dell’altipiano suddetto.
Il deposito terrazziano in questione si potrebbe veramente ancora
distinguere in due, rispetto all’età della sua deposizione, essendo più
antico quello dell’altipiano di Narzole e Priosa, più recente invece quello
1 Sacco F., Sopra alcuni fenomeni stratigrajici osservati nei terreni plio-
cenici delValta valle padana. (Atti R. Acc. Se. di Torino, voi. XX, 1885).
2 Sacco F., Carta geologica di Cherasco e Cervere - Scala di Kj, „ 000.
Torino, 1888.
C. Bianchetta e Cherasco; infatti il primo fa deposto dal Tanaro quando
con alveo vastissimo si riuniva alle acque di Grana e di Maira presso
il Motturone invece il secondo fu deposto, ancora dal Tanaro, ma
in un periodo successivo, quando cioè con alveo assai più stretto questo
fiume si congiungeva colle acque di Grana e di Maira tra Caramagna
e Carmagnola all’ incirca. Di ciò è prova evidente, lasciando gli altri
argomenti svolti nel preaccennato lavoro, la nettissima terrazza (Priosa-
Castel Varolfo) di 15 a 20 metri di altezza che divide l’altipiano di
Narzole da quello di Cherasco.
Sulla destra del Tanaro troviamo ancora conservati alcuni lembi
sparsi di Terrazziano, come sui piccoli altipiani dei Neri, di Biavasca
e di La Murata, indicandoci l’azione erodente esercitata dalle acque
del Tanaro sulle falde occidentali delle Langhe sul principio del pe-
riodo delle terrazze.
Questi lembi residui di Terrazziano antico sono rappresentati da
sottili depositi sabbioso-ciottolosi, ad elementi talora voluminosissimi,
di color giallo-rossastro, spesso coperti da un irregolare velo di loess.
Alluvium.
Notiamo infine come nella parte bassa di Val Tanaro tutte le re-
gioni pianeggianti sono coperte da depositi alluvionali, essenzialmente
sabbioso-ciottolosi, anch’essi per lo più coperti da un sottile velo di Icess
che costituisce V humus.
L’età di questi depositi alluvionali è assai varia, essendo ad esem-
pio più antichi quelli di Costangaresca e di Isorella alta, che non quelli
di Isorella bassa, di R. Cravessania, ecc., come d’altronde lo indica la
loro diversa elevazione sull’attuale livello del Tanaro.
1 Sacco F., L’alta valle padana durante l'epoca delle terrazze, in relazione
col contemporaneo sollevamento della circostante catena alpino-appenninica.
(Atti R. Acc. Se. di Torino, voi. XIX, 1884).
Boll? del R. Com GeoI . d' Italia
Anno 1888.Tav.lt. ( F. SACCO
CARTA GEOLOGICA
DELLE COLLINE
D I
CHERASCOedellaMORRA
rilevata dal
DOTT. FEDERICO. SACCO
18 8 6
Scala chilometrica di la25,000
Equidistanza frale curve:metri S.
SERIE DEI TERRENI
Terrazziano antico
Piacentino
Trevcdcntcmmte marne
Messiniano \Prevale,nt" sabbiejghiaie
Zona, gessifera,
Tortoniano ili
Elveziano 1 ,n.IB8S
Verduno
- 81 —
Concludendo possiamo dunque dire che alla costituzione geologica
delle colline della Morra concorrono i seguenti terreni:
Piacentino.
i facies prevalentemente marnosa.
Messiniano j » » arenacea.
( formazione gessifera.
Tortoniano
Elveziano
i quali con regolare e dolce inclinazione verso N.O circa si sovrap-
pongono P un P altro concordemente e per lo più con graduale pas-
saggio tra di loro, e sono poi variamente ammantati di depositi terraz-
ziani ed alluviali.
IL
Sul modo di formazione dei conglomerati miocenici della
Collina di Torino / osservazioni, a proposito della nota di
L. Mazzuoli: Sul modo di formazione dei conglomerati miocenici
deir Appennino Ligure , 1 del dott. A. PoRTIS.
Il Sig. Ing. Mazzuoli, nell’ultimo fascicolo del Bollettino, ci dà uno
studio di altissima importanza ed interesse circa il modo di formazione
dei conglomerati miocenici appenninici; e dal fatto della continuità
di questi conglomerati con quelli aventi cotanta parte nella serie col-
lina torinese, è tratto a generalizzare e ad ammettere anche per questi
ultimi un modo di formazione simile a quello che egli propugna per
quelli deirAppenriino ligure.
Sono lieto di veder questo lavoro che ci permette di studiare sotto
un nuovo punto di vista un vecchio quesito e, col segnalare allo egregio
autore delia Nota alcuni fatti e modi di vedere tanto vecchi che nuovi
relativi ai conglomerati della Collina di Torino, è mio desiderio, più che
1 Boll, del R. Com. Geol. d’Italia, Serie II,. Voi. IX, fase. 1-2, Roma 1888 ;
pag. 9-30.
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di aprire una discussione, l’ottenere completa luce anche su punti ri-
masti ancora alquanto oscuri malgrado la ingegnosa ed in molte parti
soddisfacente teoria emessa.
Secondo il Mazzuoli, i depositi di conglomerati miocenici esistenti
sugli opposti versanti dell’Appennino ligure possono, o poterono, derivare
ciascuno i proprii elementi da roccie litoranee vicine; oppure trarre in
parte questi elementi da strette lingue di particolari roccie che, in
seguito alla degradazione ed erosione dei meno consistenti materiali che
le comprendevano si trovarono molto addentrate nel mare; o da scogli
che offrivano condizioni particolarmente favorevoli all’azione demoli-
trice delle onde (pag. 24-25). Secondo lo stesso autore, l’origine dei
conglomerati sul territorio attualmente occupato dalla Collina di Torino
si potrebbe spiegare colla totale o quasi totale frantumazione di un
isola costituita di materiali eocenici inchiudenti roccie serpentinose ed
esistente nella località al principio dell’epoca miocenica (pag. 29).
Non avrei gravi obbiezioni a fare per ammettere che una porzione
di ciottoli e frantumi riscontrati nei conglomerati della cosidetta Col-
lina di Torino traesse la sua origine da scogli di roccie preformate
(da tempo anche relativamente breve) sporgenti dal fondo o dal livello
del mare nella stessa od in località vicine a quelle ove noi incontriamo
i soli conglomerati; e questa ipotesi già ammisi implicitamente nel mio
lavoro: { Sulla vera posizione del calcare di Gassino nella Collina di
Torino (inserito in questo Bollettino nell’anno 1886) nella nota .alla
pag. 200 ed a pag. 201.
Ma appunto riferendomi a quelle due pagine, risulta da quelle: che
materiale formatosi durante la fase bartoniana si trova già allo stato
detritico dentro a formazioni della fase liguriana affioranti in località
poco distante dalfunico nucleo oggidì localmente conosciuto di roccie
bartoniane. Così pure: il materiale depositatosi durante la fase liguriana
può benissimo trovarsi come elemento di conglomerato formatosi al
volgere della fase tongriana e durante tutta l’aquitaniana. Tuttavia il
caso risulta meno semplice, dovendo noi ammettere per due formazioni
eoceniche diverse, ma immediatamente consecutive, un raddrizzamento
1 Boli, del R. Gora. Geol. d’Italia, Serie II, Voi, VII, fase, 5-6, Roma 1886 ;
pag. 170-211.
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ed un sollevamento considerevole dei depositi formati, in tempi poco
posteriori alla loro formazione. Con tuttociò il caso stesso non diventa
nè impossibile nè improbabile, ed i numerosi elementi di calcare ligu-
riano frammezzo ai conglomerati ne sono la prova.
Ma volendo proseguir nella strada stessa ed estendere la spiega-
zione del Mazzuoli anche all’origine dei molto più abbondanti materiali
serpentinosi, mi troverei molte volte reso difficile e dubbioso il cammino
dovendo lungo il medesimo dare soddisfazione ai seguenti quesiti:
1° Come va che nei conglomerati della Collina di Torino predo-
minano roccie serpentinose, mentre fra le roccie ancora in posto, e che
sappiamo aver col loro sfacelo potuto contribuire allo accumulamento
dei conglomerati stessi, non abbiamo che roccie calcaree di due di-
stinte fasi eoceniche: le bartoniane di Gassino, le liguriane di Piazzo-
Brozolo-Verrua e di Cocconatò? E ciò quando il fatto ci prova che e
l’uno e l’altro materiale son resistenti abbastanza da venir ridotti in
ciottoli conservabili negli stessi conglomerati?
2° Come va che di tutte le colate di roccie serpentinose eruttive
eoceniche, che avrebbero dovuto esistere in quantità ed estensione più
che considerevole per dar luogo alla straordinaria quantità e preva-
lenza di materiali detritici che attualmente notiamo, non una potè re-
sistere in tutto od in parte solo quel tanto da conservarci una prova
palpabile (col lasciarci un brano in posto) della propria esistenza di
una volta; e ciò mentre le formazioni calcaree, che diedero pure minor
quantitativo di materiale ai detriti e che sono generalmente men re-
sistenti tanto in generale quanto e più nel caso locale, ci lasciarono
lembi molto estesi delle lor roccie in posto?
3° Come va che nei brani di roccie calcari eoceniche, (esistenti
ancora nella serie collina torinese) sovratutto in quelli di calcare al-
berese e di argille scagliose noi non incontriamo la minima inclusione,
il minimo attraversamento per parte di roccie eruttive serpentinose;
ciò quando noi incontriamo estensioni continue di territorio misuranti
parecchi chilometri quadrati e nelle quali affiora il solo terreno delle
argille scagliose sopportante direttamente i conglomerati, nei cui elementi
predominano le roccie serpentinose?
4° Oppure ammetteremo per la Collina di Torino ciò che il Maz-
zuoli nega per 1’ Appennino ligure, cioè il trasporto a grande distanza
S4 —
degli elementi serpentinosi, e li faremo tutti derivare da una maggiore
espansione (per quanto maggiore, sempre molto limitata e circoscritta
in proporzione dell’area che occupano i conglomerati oggidì) dell’ ora
unica e piccola massa scoperta dal Pareto e dal Gastaldi al Castel-
letto dei Merli e distante dalla estremità Moncalieri della collina di
circa una quarantina di chilometri in linea retta?
5° Ammettendo col Mazzuoli che i primi ed inferiori strati di con-
glomerati ricchi di materiali serpentinosi provengano dallo sfacelo di ma-
teriale in posto emergente sotto forma di scogli ed isolette dal fondo e
dalla superficie marina, come potè avvenire che i numerosissimi e poten-
tissimi strati che nella Collina di Torino troviamo sovrastanti a quelli che,
formatisi per la distruzione degli scogli ed isolette residui, ne ricoprirono
le profonde propaggini, sieno ancora costituiti da elementi prevalente-
mente serpentinosi? e ciò senza che gli strati inferiori sieno interrotti
e forati dagli spuntoni della roccia che seguitava a dar materiale per
formare i banchi superiori, senza che essi dimostrino di essersi formati
in bacino accidentatissimo che li obbligasse a disporsi in cintura at-
torno allo irregolarità e rilievi ancora emergenti?
6° Come spiegheremo la presenza dei materiali serpentinosi allo
stato di ciottoli, benché piccoli, per entro agli strati di calcari barto-
niani di Gassino; la deposizione dei quali avvenne per necessità ante-
riormente alla iniezione di roccie serpentinose nei calcari liguriani?
Quindi, ammettendo un parziale incremento dei conglomerati dovuto
alla formazione di elementi ciottolosi provenienti da scogli calcarei
sporgenti dal fondo e dalle onde del mare miocenico in mezzo al ter-
ritorio della attuale Collina di Torino, debbo tuttavia credere che que-
sti conglomerati abbiano avute altre sorgenti dalle quali trarre tutti
gli elementi serpentinosi contenuti, elementi che signoreggiano per nu-
mero e dimensione dei pezzi su tutti gli altri materiali rocciosi presi
insieme. Bisogna bene ammettere che questi elementi serpentinosi ve-
nissero o cadessero man mano dal disopra: e scartiamo pure, pel mo-
mento, la teoria gastaldiana delle zattere di ghiaccio solcanti il maro
miocenico, portanti sul loro dosso o nella lor massa ed a volta a volta
rovescianti o lascianti cader per fusione gli elementi serpentinosi ed
eterogenei. Per sostituir questo agente bisognerebbe immaginare che
una immensa scogliera di roccie serpentinose si fosse trovata durante
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le fasi posteriori alla liguriana (fino almeno a comprender la elveziana)
frapposta fra le Alpi Cozie, Graie, Pennine, Leponzie e la regione
attualmente occupata dalla Collina (ma vicina a quest’ultima) e che
i prodotti della distruzione di questa scogliera abbiano potuto man mano
fornir sempre nuovi materiali alla formazione di sempre nuovi strati
sovrapponentisi a quelli precedentemente formatisele dinanzi: e, non
bastando nemmanco questa immensa scogliera a fornirci tutta Tingente
massa di elementi che noi riscontriamo oggidì (dato ancora che noi la
conosciamo tutta), bisognerebbe immaginare altre ed altre scogliere
pur gigantesche frapposte fra TAppennino ligure e la regione della
Collina di Torino.
Ammesso che questi nuclei, queste scogliere avessero bastato, noi,
per la regione interposta alTAppennino e la Collina, ne dovremmo trovar
le traccie ; tanto più ora che, per effetto della erosione, molti strati supe-
riori già furono quasi totalmente esportati, che qualche corso d’acqua
si tagliò profondissimo varco in questa regione intermedia e che un
potente raddrizzamento ci permette di veder molto in basso della po-
tente pila di strati dai conglomerati miocenici costituita.
E, per la regione interposta fra Tarco delle Alpi e la Collina bisogne-
rebbe supporre che la parte basale della supposta potente scogliera, dopo
esser stata lungo tempo elevata per modo da sporgere al di sopra-, a
fior d’acqua e poco sotto il livello delle onde, si sia, dopo la chiusa del
miocene (e non prima) più o men lentamente inabissata di tanto da per-
mettere sopra di se la formazione del maggiore abisso di mare plio-
cenico insufficientemente colmato dai potentissimi depositi pliocenici
ed emerso soltanto oggidì in seguito allo ingente accumulo di materiali
giù trascinati dalle Alpi nelle fasi che seguirono l’ultima pliocenica.
Ma l’osservazione dei fatti, la distinzione dei terreni stratificati,
contemporanei o successivi a quello dei conglomerati miocenici della
Collina di Torino, nelle tre parti dell’ampia valle del Po (cioè 1° quella
avente direzione Sud-Nord cioè a monte della Collina, 2° quella che
corre da Moncalieri a Casale e 3° quella ad oriente, cioè a valle della
Collina) urtano contro siffatta ipotesi e la rendono per lo meno im-
probabile.
E qui è il caso di richiamare alla memoria una lettera del Gastaldi
al Cornalia: Sugli elementi che compongono i conglomerati miocenici
6
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del Piemonte 1 scritta nel dicembre del 1861 e stampata nel febbraio
del 1862.
Questalettera, benché apparentemente anteriore, è tuttavia di parecchi
mesi consecutiva alla memoria sullo stesso argomento pubblicata dal
Gastaldi medesimo nelle Memorie della Reale Accademia delle Scienze di
Torino, serie II, Tomo XX (anno di pubblicazione del volume 1863, degli
estratti 1861) e commentata dal Mazzuoli. Molte cose dette nella me-
moria vengono od amplificate o corrette o discusse in questa lettera.
Fra gli altri fatti viene ammessa la presenza di parecchi scogli cal-
carei nella regione che ci occupa, viene avanzata l’idea del Pareto
sulla esistenza del serpentino in posto nelle colline del Monferrato (idea
che venne in seguito confermata, sempre dal Gastaldi, con apposita
nota presentata alla Accademia delle Scienze di Torino 2). In quella
lettera il Gastaldi, malgrado le molte obbiezioni che egli si pone (molte
delle quali precorrono i fatti e le obbiezioni ultimamente opposte dal
Mazzuoli), persiste a credere che molti dei materiali costituenti i con-
glomerati miocenici della Collina di Torino provengano dalle Alpi.
Ed invero il Gastaldi già nella memoria del 1861-63 segnalava
nei conglomerati miocenici non solo la presenza di calcari alberesi e
di roccie serpentinose, ma eziandio quella di parecchie varietà di roccie
porfiriche, di qualche roccia granitica, di arenaria carbonifera con
antracite inclusa; e mentre, nella memoria, il Gastaldi ammette il tra-
sporto probabile dalle Alpi e dall’Appennino di tutte le roccie (comprese le
serpentinose) che compongono i conglomerati, nella lettera, egli afferma
con maggior sicurezza che le roccie o parti delle roccie non serpen-
tinose provengano dalle Alpi. (Vedasi perciò il tenore della conclusione
della lettera stessa).
Tutte le roccie indicate dal Gastaldi nei due scritti di cui parlo, io
ho indipendentemente incontrate nei conglomerati della Collina di To-
rino in occasione di ripetute perlustrazioni fattevi. Nello stesso territorio
collino ritrovai oltre parecchie varietà di diaspro, anche il calcare
1 Inserita nel Voi. IV degli Atti della Società Italiana di Scienze Naturali di
Milano. Consta di pagine 5 in-8°.
2 Sulla esistenza del serpentino in posto nelle colline del Monferrato.
(E-str. di pag. 7 in-8° dagli Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino, Voi. I, 1866).
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rosso a terebratule di Gozzano e quest’ultimo (lo seppi di poi) avevano,
ancora indipendentemente l’un dall’altro, ritrovato in addietro il Si-
smonda A., ed il Bsllardi. Ond’ è che in un mio microscopico scritto,
il quale allora come adesso non aveva affatto il carattere di essere
r ultima parola in fatto di conoscenze sui conglomerati delle colline
torinesi, accennai nel 1885 1 alla presenza di parecchie roccie prove-
nienti sia dalle Alpi che stanno in faccia alla collina dal lato Nord di
essa, sia dalle Alpi che da Sud ne guardano la estremità occidentale.
Poiché l’occasione mi si presenta, dirò che percorrendo la serie
collina torinese da Moncalieri verso Casale, chi non si stacchi dai
conglomerati osserva una continua sostituzione delle roccie che ac-
compagnano gli elementi serpentinosi. Prima abbiamo diaspri e por-
fidi, poi calcari alberesi, poi altri porfidi, poi graniti o roccie graniti-
che, poi, giunti vicino a Brusasco (ma ancor sempre nei conglomerati),
il calcare di Gozzano. I materiali serpentinosi stessi vanno man mano
scemando di proporzione e sovratutto di volume da occidente verso
oriente; però, anche nel pùnto di lor minor prevalenza, costituiscono
sempre una massa maggiore di quella risultante dal complesso delle
roccie che li accompagnano prese insieme. Da occidente verso oriente
parmi inoltre aver notato una minor ricchezza di diallagio nella co-
stituzione dei singoli elementi serpentinosi.
In quel mio scritto che ho dovuto ora ricordare, accennavo al proba-
bile punto di origine nelle Alpi di alcune delle roccie accompagnanti gli
elementi serpentinosi. Mentre in generale ripeto l’ idea colà abbozzata,
posso aggiungere che nelle mie perlustrazioni dirette sulla Collina da
occidente ad oriente sempre ottenni, per questa sostituzione di mate-
riali che successivamente incontravo e poi, rimpiazzati da altri, perdevo
di vista, la impressione che molti dei materiali che hanno una diffu-
sione locale e limitata per entro gli strati di conglomerato della Collina
dovevano provenire da particolari località di quel tratto delle Alpi
che guardano la Collina dal lato di settentrione.
E come anche oggi conservo la stessa idea, così, in seguito alla
* Breve cenno sulle condizioni geologiche della collina di Torino. (Nel
volume^ iSoperga e la sua ferrovia funicolare, in-12°, edito da F. Casanova 1885;
da pag. 109 a pag. 123).
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lettura della nota del Mazzuoli presentemente in questione,, mi pongo il
quesito se si possa supporre ed ammettere che i materiali provenienti
dalle prospicienti Alpi abbiano potuto raggiungere nel mar miocenico
l’ubicazione della odierna Collina di Torino in cui li troviamo depositati
scendendo o scivolando ed inoltrandosi sott’ acqua lungo una fossa,
0 solco o valle o piano inclinato, di origine simile a quelle segnalate
dall’Issel siccome attualmente esistenti nel golfo di Genova e ricor-
date dal Mazzuoli. Data però la distanza che separa il piede meridio-
nale delle Alpi dalla attuale Collina, è certo che questa ipotesi pre-
senta difficoltà gravissime a venir adottata.
Infatti per spiegarci la presenza di un blocco di roccia granitica,
non rotolato, a spigoli vivi e cubante una ventina di metri, quali sono
1 parecchi che incontrai sulle creste trasversali da Soperga a Gassino
bisognerebbe ammettere che esso fosse scivolato lungo un’erta che
costantemente avesse conservata una pendenza mai minore di 40°; ciò
per poter superare la resistenza dell’acqua, la resistenza dei molli od
incoerenti depositi preformati, per eliminar l’ ipotesi dei cambiamenti
di posizione del masso relativamente al piano di scorrimento e i con-
seguenti rotolamenti e contundimene. Ora questi blocchi distano ora, in
linea retta, di circa 40 chilometri da Ivrea e noi (nella miglior delle
ipotesi, che il piano inclinato avesse la direzione più vicina a quella
congiungente in linea retta i due punti estremi ed una inclinazione
costante e regolare, non minore in qualche punto e per conseguenza
non di molto maggiore in altri, di circa 40° gradi) saremmo quindi
costretti ad ammettere che essi, guidati da una vallata inabissantesi
precipitosamente, fossero stati trascinati ad un fondo distante, al mo-
mento in cui il blocco si fermava sugli strati già formati di conglomerato,
di 35 chilometri dalla superfìcie!!!
Più spaventosa dovrebbe essere la profondità se noi facessimo i
nostri conti in base alla presenza jlei minori blocchi (non rotolati) del
calcare di Gozzano: si tratta di una distanza, in linea retta, dei mate-
riali (dalla ubicazione odierna al punto origine) di 75 chilometri circa;
e, trattandosi di materiali od elementi più piccoli, più facilmente fer-
mabili dalla resistenza dell’acqua, e da interruzioni pianeggianti o vi-
cine all’orizzontale del piano inclinato su cui dovevano scorrere, ^come
pure dalla presenza dei depositi molli od incoerenti necessariamente
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preesistenti, mi è duopo esagerare ancóra la caduta della precipitosa
valle sottomarina portandola a 45 od a 50 gradi. Noi dovremmo quindi
ammettere (sempre nella quasi impossibile ipotesi di riunione di tutte
le circostanze le più regolari e favorevoli), supponendo soli 45° di inclina-
zione alla valle, un mare profondo 75 chilometri almeno! o più profondo
se la valle era tortuosa, se l’ inclinazione sua era in qualche località
minore dell’ indicata !!!
E per le roccie carbonifere provenienti necessariamente o dalle
Alpi marittime, o dallo Appennino ligure, o dal sommo delle attuali
valli di Susa e di Aosta?
Taccio molte spontanee e naturali altre domande sul perchè alcuni
blocchi od anche minori frammenti sarebbero giunti allo attuale loro
deposito con angoli e spigoli intatti mentre blocchi e minori frammenti
depositati a loro accanto in uno stesso strato venivano ridotti com-
pletamente a ciottoli arrotondati o modificati su tutte le faccie, sul
come si spiegherebbe la formazione dei ciottoli (essendo, foggiata a
ciottoli la maggioranza degli elementi petrosi) nei profondi abissi ma-
rini, sul perchè molti elementi ciottolosi si ritrovino oggi rigati o
striati, poiché Tenorme dislivello che vengo di segnalare come neces-
saria conseguenza del fare arrivare con questa via i materiali dal punto
di origine a quello di giacimento, mi vieta di ammettere e di ulterior-
mente ingolfarmi nelle particolarità di questa ipotesi.
E certo che l’ipotesi glaciale-miocenica del Gastaldi presenta fianchi
vulnerabili a molte e moltissime obbiezioni. Una, e non ultima, è quella
di indole paleontologica invocata dal Mazzuoli e presentatasi al Gastaldi
stesso ed a chiunque abbia preso a riflettere sulla questione. Un’altra
si potrebbe così esprimere: data condizione di clima e di abbondanza
di precipitati atmosferici tale, da permettere in tutta la cerchia delle
Alpi occidentali e dello Appennino ligure (durante la prima metà del
miocene) la presenza di ghiacciai così potenti ed estesi da raggiun-
gere il bacino marittimo da quelle alture circoscritto, è egli possibile
che tale limitato bacino si trovasse sufficiente ed in sufficienti con-
dizioni di temperatura da bastare ad eliminare e fondere tutti i ghiacci
galleggianti che gli venivano consegnati da tutte le parti? ed ancora
colla circostanza aggravante della probabile o possibile presenza di
bassifondi o di scogli costituiti da roccie eoceniche esistenti in mezzo
al bacino nella ubicazione della attuale Collina di Torino?
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Concludo: nè la spiegazione del Gastaldi, nè quella del Mazzuoli
paionmi sufficienti a spiegar da sole l’origine ed il modo di formazione
e composizione dei conglomerati miocenici della Collina di Torino.
Ancora dobbiamo cercare, discutendo ed esaminando il modo di agire
delle diverse forze che sulla terra producono determinati effetti, un
agente così continuato, ed energico, e potente, dall’azione del quale noi
otteniamo soddisfacente spiegazione sul come si trovino in così gran
copia accumulati, al centro dello antico miocenico seno padano, mate-
riali e piccini e voluminosi rapiti a tutto il rilievo roccioso che ne
circoscriveva l’ampissima conca.
Forse il desiderato lume otterremo quando riesciremo pure a spie-
garci come si sieno formati i molto più estesi, più potenti, più numerosi
strati di conglomerati grossolani che, depostisi essi ancora a conside-
revoli distanze da emersioni rocciose durante il permiano, occupano
oggidì tanta area di territorio nelle Alpi occidentali ed orientali, nel-
l’Appennino e nell’Europa centrale.
Roma, 12 aprile 1888.
III.
Le piante fossili nel travertino ascolano; nota di A. Ma-
scagni.
Fin da quando nel novembre del 1881 scrissi una breve memoria
sul travertino ascolano che fu poi pubblicata col titolo di Lapis iibur-
tina apud Asculum nel n° 3 dell’anno 1882 della Rivista scientifico-
industriale di Firenze e nella quale enumerava i molluschi terrestri e
d’acqua dolce da me raccolti in questa formazione, aveva pure intendi-
mento, non di illustrarne la flora, compito per sè stesso abbastanza
ardito, ma almeno di enumerare quelle specie di piante che per avven-
tura mi fossero venute alle mani studiando la suddetta formazione.
Peraltro molte furono sempre le difficoltà che si opposero a questa
mia idea, nè certo avrei potuto attuare il mio proposito se una favo-
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revolissima circostanza non fosse in seguito sopraggiunta a togliermi
d’impaccio. Nel 1885 il prof. cav. Giovanni Tranquilli mi affidava il
gradito incarico di riordinare il Museo lasciatogli in eredità dallo zio
senatore Antonio Orsini, esperto naturalista ascolano, morto nel 1870.
E siccome uno dei migliori ornamenti di questo museo è per l’appunto
una collezione di fossili sul travertino ascolano, questa osservando e
studiando, ho potuto compilare l’elenco che ora presento agli amatori
delle cose naturali, sieno essi paleontologici, sieno botanici, lieto se
potrò contribuire con questo materiale, per quanto scarso, allo studio
sulle origini delle piante enumerate.
Non credo necessarie considerazioni d’indole generale da aggiun-
gere alla mia memoria anzi citata, della quale il presente scritto po-
trebbe considerarsi come la seconda parte. Solo dirò che la formazione
del travertino ascolano per l’abbondantissimo svolgimento di anidride
carbonica dovette essere l’effetto di un processo rapidissimo. E ciò si
può ritenere osservando in questa roccia impronte di bruchi di lepi-
dotteri e d’altri corpi organici per sè stessi abbastanza molli e di facile
decomposizione, quantunque a dire il vero le piante che meglio vi siano
rappresentate siano quelle a stelo legnoso, più che le vere erbe, le
quali forse non poterono conservarsi intatte all’ infuriare delle acque
che dai sovrastanti monti le trassero nel posto ove ora si trovano.
Riguardo alla determinazione delle specie molte volte ho seguito
quella lasciata dallo stesso Orsini, qualche volta ho creduto correg-
gerla; ma tanto nell’uno, quanto nell’altro caso si può asserire con
certezza di non essere incorsi in errori? Anche il celebre paleofitologo
Massalongo dice che gravissime sono le difficoltà che si incontrano
nell’esame delle flore fossili; quindi anche in vista di ciò spero venia
dai lettori per le inesattezze di determinazione che si potranno riscon-
trare in questo lavoro.
Per la classificazione finalmente ho creduto seguire il Conspectus
Florce Europaece alidore Carolo Frider. Nyman , insieme alle relative
citazioni, come il metodo oggi universalmente adottato dai più illustri
botanici.
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CI. I. - DICOTYLEDONE^E.
Subcl. I. - Thalamiflorae.
CaPPARIDEìE Juss.
1. Capparis rupestris S. et S. Syll. 210 — Exs. Bill. 2220 (Hetr.)
Di questa specie si ha solo nel travertino ascolano qualche
mediocre fillite che si conserva nella collezione Orsini, come quasi
tutte le specie seguenti.
ClSTINEvE DC.
2. Cistus salvifolius L. sp. 738 — Exs. Boug. hisp. a. 1863. 2399. pyr.
his. 430, 431.
Per questa si può ripetere quanto si è detto per la specie
precedente.
Lineai DC.
3. Linurn usitatissimum L. sp. 397. Colitur in omni fere Europa et
etiam subsponte oeeurrit .
Di questa pianta, che forse un giorno cresceva spontanea nel
bacino del Tronto, l’Orsini rinvenne nel travertino ascolano una
bellissima carpolite. Oltre questa il Museo Orsini possiede ancora
un’altra carpolite del genere Linum, di specie non determinata.
Tiliace^e Juss.
4. Tilia plathyphylla Scop. (1772) carn. 1,373 = T. grandifolia Ehrh.
(1790) Exs. Fr. XIV. 33. Bill. 336. Rchb. 1996.
Anche questa pianta forse^bbondava nelle nostre vicinanze
* Le specie segnate con asterisco esistono anche nel Museo di Geologia della
R. Università di Roma per essere state inviate dal nostro Orsini al suo amico e
corrispondente Prof. G.' Ponzi. Debbo esser grato di questa notizia al sig. E. Cle-
rici, il quale con tanta diligenza si occupa di questi studi e che per la maggior
parte ne ha riveduto la classificazione.
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all’epoca della formazione del travertino; perciò il Museo Orsini
possiede di essa belle filiti.
Acerine^e DC.
*5. Acer pseudo-Platanus L. sp. 1054 — Exs. Rchb. 2592 (Banat) —
Bill. 2233.
*6. Acer campestre L. sp. 1055 — Exs. Rg. II. 37 — Bill. 948. 948 b.
7. » » » var. austriacum Ten. Syll. p. 193 n° 7 A. B.
*8. » Opalus Willd. sp. pi. 4 part. 2. p. 990.
9. » » » var. neapolitanum Ten. Syll. p. 192 n° 3 A.B.C.
10. » platanoìdes L. var. Lobelii Ten. Syll. 169 et App. alt. p. 69.
11. » monspessulanum L. sp. 1056 — Exs. Bill. 1634 — Bourg. pyr.
hisp. 20 — Rchb. 793.
Il genere Acer è uno dei meglio rappresentati nel travertino
ascolano, ed il Museo Orsini possiede duplicate e belle fillìti di
tutte le sette specie superiormente elencate.
Ampelide^e H.B.K.
12. Vìtis vinifera L. sp. 202 Exs. Rchb. 1464.
Come afferma l’egregio signor Enrico Clerici nella sua bella
nota sulla Vitis vinifera fossile nei dintorni di Roma (Bollettino
della Società geologica italiana, voi. VI, fase. 3) la presenza del
genere Vitis è bene accertata dall’eocene in poi tanto in Europa
quanto nell’America settentrionale. Senza citare tutte le località
dove questa importantissima specie siasi rinvenuta, dirò solo che
essa ha rappresentanti nel travertino ascolano, come lo provano
gli esemplari esistenti nel Museo Orsini e da lui stesso raccolti e
determinati, ed altro da me molti anni indietro inviato al profes-
sore Regazzoni, che si conserva nella collezione del R. Liceo Volta
in Como (V. E. Clerici, nota anzi citata).
Subcl. II. - Calycìflorse.
Celastrine^e Br.
13. Staphylea p innata L. sp. 270 — Rchb. 2087 — Bill. 2038.
Questa specie è rara nel travertino, e di essa si ha solo qual-
che imperfetta fillite.
— 94 —
14. Evonimus europceus L. sp. 197.
Per questa specie si può ripetere quanto si è detto per la
specie precedente.
15. Ilex aquifolìum L. sp. 125 — Exs. Sieb. 354 — Bill. 2820.
16. » » » var. foliis inermis.
Invece V Ilex aquifolìum vi si rinviene in filliti conservatis-
sime; ma vi è meglio rappresentata la varietà che la specie.
Rhamne^e Br.
17. Rhamnus Alaternus L. sp. 193 — Exs. Rchb. 2390 — Bill. 527.
Di questa specie si ha solo qualche scadente Jìllite.
Drupacea L.
18. Amygdalus communis L. sp. 473 — Exs. Rchb. 1900 — Bill. 3570.
Per questa specie si può ripetere quanto si è detto per la
specie precedente.
19. Prunus Cerasus L. sp. 473 — Exs. Bill. 1860.
20. » spinosa L. sp. 475 — Exs. Bill. 352 — Bourg. hisp. a. 1854.
Invece il genere Prunus è bene rappresentato, e d’ambedue le
specie citate nel Museo Orsini si conservano filliti e carpoliti.
PoMACEiE L.
21. Sorbus Aria Cr. — Exs. Fr. VI. 38 — Rchb. 2251 — Bill. 1872, ecc.
22. » » » var. foliis ellipticis.
23. » terminalis Cr. — Exs. Bill. 1873 — Bourg. pyr. hisp. 485.
Anche questo genere è bene rappresentato nel travertino asco-
lano, anzi del Sorbus terminalis il Museo Orsini possiede una
fillite di perfetta conservazione, rinvenuta nel travertino spugnoso
di Acquasanta.
Crassulace^e DC.
24. Sempervivum tectorum L. sp. 464.
Non di una sola foglia, ma dell’ intiera pianta ho rinvenuto
l’impronta nel nostro travertino e la ritengo di massima impor-
tanza.
Umbellifera L.
25. Bupleurum fruticosum L. sp. 238 — Exs. Welw. 442 — Bourg. hisp.
a 1851.
Per questa specie ho qualche dubbio sulla determinazione fatta
dall’Orsini medesimo di alcune Jìlliti che si conservano nel suo
Museo.
Araliacea Suss.
26. Hedera Helix L. sp. 202 — Exs. Fr. XIII. 39 — Bill. 1215.
Di questa specie esistono nel Museo Orsini varie filiti di me-
diocre conservazione.
Cornea DC.
*27. Cornus sanguinea L. sp. 117 — Exs. Rg. II. 35. Rchb. 820 —
Bill. 244.
Dicasi per questa quanto si è detto per la specie precedente.
Caprifoliacea Rich.
28. Viburnum Lantana L. sp. 268. — Exs. Bill. 246.
29. » Tinus L. sp. 267 — Exs. Rchb. 732 — Ces. Car. ital.
bor. 259.
Anche per queste due specie valga il precedentemente detto.
Composita.
30. Tussilago Farfara L. sp. 865 — Exs. Fellm. 124 — Bill. 2080.
Il grande ordine delle Composite^, comprendendo tutte erbe,
non è rappresentato nel travertino ascolano altro che da qualche
scadente fillite della Tussilago Farfara.
Bicornes L.
31. Arbutus TJnedo L. sp. 595 — Exs. Welw. lusit. 277 — Bourg.
hisp. lusit. 1947.
Di questa specie si ha solo qualche fillite.
— 96 —
Subcl. III. - Corolliflor».
Oleacea Lindi.
32. Olea europcea L. sp. 8 — Exs. Bourg. hisp. a. 1850. 646 — Bill.
3149.
La presenza di questa specie nel travertino ascolano è lumi-
nosa prova che la temperatura media della nostra contrada al-
l’epoca della formazione del travertino era eguale alla presente.
Di essa si hanno Jìlliti.
33. Phillyrea latifolia L. ■ — Exs. Welw. lusit. cont. 226.
Anche di questa si hanno solo Jìlliti.
*34. Ligustrum vulgare L. sp. 7 — Exs. Bill. 271.
Valga quanto si è detto per la specie precedente.
35. Fraxinus Ornus L. sp. 1057 — Exs. Bourg. hisp. a. 1852. 1616 —
Bill. 3148 (Hetr.)
*36. Fraxinus excelsior L. sp. 1057 — Exs. Bill. 1529 — Boug. telon.277.
Il medesimo si può dire anche per queste due, osservando però
che pel Fraxinus excelsior se ne hanno delle conservatissime e
caratteristiche.
Labiata Juss.
*37, Mentha aquatica L. sp. 805 — Exs. Rg. II. 25. Fr. IV. 16 (var.)
Molto comune è questa pianta nel travertino ascolano, ed il
Museo Orsini possiede di essa bellissime jìlliti.
Primulace^e Vent.
38. Cyclamen europceum L. sp. 145 — Exs. Bill. 166 (Sab.) 1138 (Bav.)
Rchb. 630.
39. Cyclamen neapolitanum Ten. prodr. suppl. II. 66 (ex ipso in syll.
app. V. 8).
Ritengo che a quest’ultima specie debba riferirsi almeno qual-
cuna delle Jìlliti che nella collezione Orsini si conservano colla
determinazione di Cyclamen europceum L. e perciò le noto en-
trambe.
— 97 —
Subcl. IV. - Monochlamydese.
Laurine^: DC.
• 40. Laurus nobilis L. sp. 369. — Exs. Welw. lusit. 62. cont. 116. —
Tod. 1244.
Questa specie è benissimo rappresentata nel travertino asco-
lano, e di essa il Museo Orsini possiede ottime filliti e carpohti.
Euphorbiace,® A. Juss.
*41. Buxus sempervirens L. sp. 893 — Exs. Orph. 697 (Olymp.) Rchb. 2485.
Anche di questa il Museo Orsini possiede buone filliti.
ArtocarpEìE DC.
*42. Ficus carica L. sp. 1059 — Exs. Rchb. 1847 — Cesat. 602.
Questa specie è degnamente rappresentata nel travertino asco-
lano e vi sono ovvie non tanto le filliti quanto le carpoliti dei
giovani frutti; delle une e delle altre il Museo Orsini possiede
ottimi esemplari.
Ulmace^ Mirb.
43. Ulmus campestris L. Sm. — Exs. Bill. 1763 (Vosg.) 1763. b (Cher.)
L’olmo è rappresentato solo da qualche mal caratteristica
fillite nel Museo Orsini, ma di questa specie ne possiede una la
collezione di E. Clerici.
44. Celtis australis L. sp. 1043 — Exs. Bourg. hisp. 879. Cesat. ita 1.
379 — Bill. 320. b.
Il Museo Orsini possiede belle e caratteristiche filliti di questa
specie che ancora vive spontanea nelle vicinanze di Ascoli.
JuGLANDE.® DC.
*45. Juglans regia L. sp. 1415.
Invece di questa specie esiste solo un frammento apppna ap-
pena riconoscibile.
— 98 —
CuPULIFERjfS Rich.
*46. Fagus sglvatica L. sp. 998 — Exs. Rchb. 2327 — Bill. 2137 —
Bourg. pyr. hisp. 692.
Di questa specie il Museo Orsini non solo possiede buone fil-
ini, ma ancora qualche bellissima carpolite.
*47. Castanea sativa (Mill. 1768). Scop. 1772 = Cast, vulgarìs Lam.
(1783) = Cast, vesca Gaertn. (1788) — Exs. Bill. 2531.
Di questa invece si hanno solo fittiti e non sempre in ottimo
stato di conservazione.
48. Quercus pedunculata Ehrh. — Exs. Bill. 2532.
49. » sessilijlora Slsb. — Exs. Rchb. 1640 — Tod. 1372 (var.)
50. » Esculus L. = Quer. Dalechampii Ten. (1850).
51. » lanuginosa Th. par. 502 (1798) - Quer. pubescens W. (1805)
— Exs. Rchb. 21 var.
*52. Quercus Cerris L. sp. 997 = Quer . crinita Lam. — Exs. Rchb. 1515
— Bill. 2362 — Huet. neap. 496 — Tod. Sic. 973 var.
*53. Quercus Ilex L. sp. 995 — Exs. Bourg. hisp. 873. 874 (var.)
Ottimamente rappresentato nel travertino ascolano è il genere
Quercus , ed il Museo Orsini possiede bellissime fittiti di parecchie
delle specie dianzi nominate, come pure varie carpoliti. Ritengo
che meritino speciale menzione varii gruppi del Quercus Ilex , del
Quercus Cerris ed una grande fillite isolata del Quercus Esculus
che ancora vegeta come le altre sui nostri monti.
*54. Ostrya carpinifolia Scop. = Ost. vulgaris W. — Exs. Rchb. 816.
Orph. 286.
Anche di questa specie si hanno buone fittiti.
*55. Carpinus Betulus L. sp. 998 — Exs. Rchb. 1637 — Bill. 460.
56. » duinensis Scop. (1772) = Carp. orientalis Lam. (1783) —
Exs. Rchb. 1637.
Il Museo Orsini possiede varie fittiti discretamente conservate
delle due specie enumerate del genere Carpinus.
— 99 —
57. Corylus Avellana L. sp. 998 — Exs. Bill. 459.
La specie Corylus Avellana anche oggi cresce spontanea nei
nostri monti; non farà quindi meraviglia se a pari delle altre specie
è bene rappresentata nel travertino ascolano tanto per le filliti ,
quanto per le cartoliti.
Salicine^: Rich.
58. Populus alba L. sp. 1034 — Exs. Fr. XIII. 69.
*59. » canescens Sm. fi. brit. 1080 — Exs. Rchb. 2018 (Pesth.)
*60. » tremula L. sp. 1034 — Exs. Fr. XIV. 61. var. — Bill. 2742.
61. » nigra L. sp. 1034 — Exs. Fr. XII. 64 (adv.) — Tod. 1370.
Questo genere se è discretamente rappresentato pel numero
delle specie, non lo è del pari per la buona conservazione degli
esemplari; anzi non posso nascondere che per qualche specie ho
ancora qualche dubbio.
62. Salix alba L. sp. 1021 — Exs. Rg. I. 62 — Bill. 847 - Tod. 483.
63. » caprea L. sp. 1020 — Exs. Rchb. 1031 — Bill. 462.
64 » viminalis L. sp. 1021 — Exs. Rg. I. 64 — Bill. 1958.
65. » pliylicifolia Whlnb . — S. nigricaus Sm. (Fr.) — Exs. Fr. V.
62 — Rchb. 568 — Bill. 1990.
Meglio rappresentato invece per la conservazione degli esem-
plari è il genere Salix , poiché di tutte le quattro specie enumerate
il Museo Orsini possiede buone filliti.
Betulinejs Bartl.
66. Alnus glutinosa Gaertn. fr. II. 54 — Exs. Maill. 1693 (Suec.) —
Bill. 647.
Questa è forse la specie meglio rappresentata nel travertino
ascolano, esistendo nel Museo Orsini non solo molte caratteristi-
che ed ottime filliti, ma ancora qualche stupenda carpolite.
Conifera L.
67. Abies alba Mill. dict. n° 1 (1768) — A. vulgaris Poir. ap. Lam.
— 100 —
(1804) Syll. 347 = Pinus Picea L. sp. 1420 = P. Abies Duroi
= A. pedinata DC. (1805).
Di questa specie esistono nella collezione Orsini non solo fil-
liti bellissime, ma anche qualche rara carpolite.
*68. Pinus halepensis Mill. dict. 8 — Exs. Bourg. hisp. 884 (var.) Bill.
17 66 — Cesat. ital. 557-600 — Tod. Sic. 578.
Ottime specialmente sono le carpoliti del genere Pinus che
di frequente si rinvengono nel travertino ascolano, e delle quali
non poche si conservano nel Museo Orsini sotto questo nome.
Non debbo però tacere che qualche paleontologo vorrebbe appar-
tenessero piuttosto al Pinus sylvestris L.
69. Juniperus communis L. sp. 1040 — Exs. Bill. 2743 — Bourg.
hisp. 882.
Di questa specie esiste solo qualche scadente fillite.
70. Taxus baccata L. — Exs. Sz. hb. norm. 944.
Invece del Taxus se ne conservano nel Museo Orsini alcune
assai belle e caratteristiche.
Cl. II. - MONOCOTYLEDONEtE.
Smilace^e Lindi.
71. Smilax aspera L. sp. 1028 — Exs. Rchb. 552 — Pett. 358 — Bourg.
hisp. 1678 — Dur. astur. 222.
Di questa specie esistono nella collezione Orsini ottime e ca-
ratteristiche filliti.
Asparage^e DC.
72. Ruscus aculeatus L. sp. 1041 — Exs. Rchb. 551.
Di questa lo scrivente ha rinvenuto nel travertino ascolano
una bella impronta di ramo trasformato, la quale è stata deposta
nel Museo suddetto.
— 101 —
Dioscore^: Br.
73. Tamus communio L. sp. 1028 — Exs. Rchb. 1511 (Frey) — Bourg.
pyr. hisp. 656.
Solo qualche imperfetta Jillite esiste di questa specie nel
Museo Orsiniano.
Gramine^e Juss.
74. Arundo Donax L. sp. 81 — Exs. Rchb. 528 — Bill. 2385 — Tod.
Sic. 1399 — Bourg. hisp. 1550 — Welw. lusit. 478.
Assai di frequente si rinvengono nel travertino ascolano fram-
menti di Jilliti di Graminacee; ma sommamente difficile è la de-
terminazione di esse. Tuttavia con molta probabilità si può asserire
che tanto di questa quanto della specie seguente vi siano i rap-
presentanti.
75. Phragmites communis Trin., fund. agr. 134 — Exs. Bill. 90 — ■
Rchb. 2124 — Tod. Sic. 1262, ecc.
*76. Lolium perenne L. sp. 83 — Exs. Bill. 2778 — Bourg. pyr. hisp. 191.
Di questa specie si ha nel Museo Orsini una bellissima An-
tolite ed un’ altra pure bellissima se ne conserva nel Museo del-
1? Università Romana.
Cl. III. - ACOTYLEDONE^E VASCULARES.
P OLYPODIACE-iE Br.
77. Pteris aquilina L. — Exs. Fr. Vili. 98 — Bill. 195 — Bourg. pyr.
hisp. 398.
Di questa felce, che comunissima vegeta ora nelle nostre vi-
cinanze, si ha appena nel Museo Orsini una scadente jillite rin-
venuta nel travertino spugnoso di Acquasanta.
78. Polypodium vulgare L. — Exs. Bill. 98 — Rab. 55 — Bourg. pyr.
hisp. 391.
Invece di questa seconda specie se ne hanno varie conserva-
tissime rinvenute nel travertino compatto di Colle S. Marco.
7
— 102 —
E queste sono le piante che del travertino ascolano finora sono
state raccolte e determinate. Altre però se ne potrebbero raccogliere,
come anche studiare meglio le molte che ancora rimangono specifica-
mente indeterminate e che senza dubbio appartengono ai seguenti
generi: Prunus , Linum , Lamium , Quercus , Tilia , Salix , Pinus , Tri-
ticum , Equisetum , non che varie gramineae ed una polypodiacea.
Come accennammo nell’ introduzione a questo scritto, assai difficile è
lo studio delle filiti; è molto probabile quindi che il presente elenco
possa essere in seguito aumentato.
Per quanto è a mia cognizione delle piante ascolane hanno
parlato :
1. Gaudin Ch. et Strozzi C., Contribution à la fiore fossile italienne :
IV mém ., Travertins toscans, 1860, pag. 16-18.
Le specie citate in questo lavoro sono :
Pinus sylvestris Celtis australis
Fagus sylvatica Laurus nobilis
Quercus Ilex Fraxinus Ornus
Quercus apennina var. lobulata
2. Ponzi G., Cronaca subappennina o abbozzo d’ un quadro generale
del periodo glaciale , 1875, pag. 57.
Le specie citate in questo secondo lavoro sono:
Ficus carica Quercus apennina^
Quercus robur Acer Opulus
» llex » campestre
» » var. angustifolia Laurus nobilis
Di queste 15 specie e varietà quelle che mancherebbero nel mio
elenco sono: Quercus robur , Q. apennina var. lobulata ., Q. Ilex var.
angustifolia. Siccome per altro del genere Quercus esistono molti esem-
plari specificamente indeterminatq'^ molto probabile che le stesse
specie esistano anche nel Museo Orsini.
Ascoli-Picenoì 15 aprile 1888.
— 103 —
IV.
Appunti geologici sull'isola di Madagascar , di E. Cortese.
(con una tavola)
Madagascar, la grande isola africana, la cui superfìcie è quasi
doppia di quella delPItalia (circa 600000 chil. quadrati), fu descritta da
molti autori stranieri, dal punto di vista geografico o etnografico.
Lo scrivente che ebbe occasione di farvi una breve dimora, man-
dava di là alcuni brevi appunti sulla geognosia di quella regione, che
figuravano in questo stesso Bollettino. 1
Ritornatone, mentre si riserva di far note altrove le osservazioni
di indole generale, da lui fattevi, crede opportuno riassumere qui bre-
vemente, tutte quelle che hanno rapporto alla struttura geologica del-
l’isola. Crede necessario però premettere, che, stante le condizioni spe-
ciali e poco propizie in cui fu fatto il viaggio, e non avendo potuto fare
studi speciali sui campioni di roccie raccolti, questa esposizione som-
maria delle osservazioni geologiche fatte, avrà piuttosto un carattere
di una rivista alla geognosia della regione, che una vera descrizione
geologica di essa.
Si comincierà dalle roccie più antiche, per venire alle più recenti,
ed, anzi, alle formazioni attuali.
Una cartina geologica sommaria in scala di 1/8 000 000, che ac-
compagna questo scritto, gioverà opportunamente per riscontrare le
località e regioni citate.
Roccie cristalline.
Le roccie cristalline massiccie, che formano realmente l’ossatura,
e che occupano una grande zona dell’isola, sono anche quelle che
meno chiaramente appaiono all’osservatore.
Anno 1887, numeri 3-4 e 5-6.
i
— 104 —
Una vasta regione, del versante orientale, chiamata Bétanimena,
ossia la gran terra rossa , appunto per il colore del suolo, è tutta for-
mata da gneiss e micascisti antichi; ma attualmente, non vi si vede
dominare che un’argilla rossa o violacea, apparentemente uniforme.
Esaminando però da vicino la roccia, specialmente in certi tagli o
dirupi naturali, si vede che questa argilla non è che la decomposi-
zione, in posto, dei gneiss e dei micascisti.
Vi si scorgono benissimo la mica e Tanfibolo, ridotti in pasta, ma.
ancora tinte in bruno o in verde. 11 feldspato, trasformato in argilla
rossa, involge e maschera i granelli di quarzo; se è abbondante, o
tanto predominante che la roccia primitiva sia una pegmatite, piuttosto*
che uno gneiss, si vedono abbondanti le macchie e le sfumature di un
color rosa-violaceo, come masse di caolino, fra l’argilla rossa. Ma.
l’ inesorabile sopraossidazione del ferro di tutte le roccie, e quello che
si dice per queste valga per tutte quelle del Madagascar, ha dato a
tutti i materiali di alterazione, delle tinte rossastre che dominano su
tutta l’isola, e che tingono lo stesso caolino, per quanto puro esso*
potrebbe essere.
In presenza a tale alterazione della roccia, è inutile ricercarne la-
costituzione esatta.
Nè si creda che con pazienza, si possano rintracciare dei tagli,
lungo i fiumi e i torrenti, in cui la roccia si possa ritrovare sana e-
intatta. Come fu inesorabile la sopraossidazione dei sali di ferro, con-
tenuti nelle roccie, altrettanto lo fu l’azione degli agenti esterni. In
quei paese tropicale, dove i geli non possono intervenire per disgre-
gare le roccie, queste sono profondamente trasformate tuttavia, e ri-
dotte in uno stato di caolinizzazione quasi completa. Le colline, sono
tondeggianti, i profili sono dolci, e dovunque è la roccia trasformata,
che si presenta, mai quella originaria, e mai si hanno dei tagli freschi.
1 Ricordiamo qui che la pronuncia malgàscia somiglia molto l’italiana, meno
che Yo è costantemente pronunciato come il nostro u, e Yau come un ó largo.
La lettera j ha suono analogo a quella della z, e la a non preceduta da t si pro-
nuncia grassa, quasi come se, quantunque con suono alquanto più sibilante.
Molti nomi si troveranno scritti qui con ortografia diversa di quella adope-
rata nelle due note dell’anno decorso. Ciò dipende da che in quell’epoca, non co-
noscendo la lingua, essi venivano erroneamente trascritti.
— 105 —
Al nord della capitale, vi è una vasta regione, in cui le colline, benché
tondeggianti, si slamano, sono anzi realmente sventrate, da frane, che
lasciano a nudo delle pareti verticali di 15 o 20 metri di altezza; ciò
nonostante, quelle pareti mostrano la stessa argilla rossa o rosa-vio-
lacea, con la mica o Fanfìbolo alterati e visibili, e i cristallini di quarzo
nascosti nella massa.
Non si può negare tuttavia, che in tutta la regione del Bétanimena,
non si mostrino delie roccie cristalline ancora compatte, scoperte, ma
si tratta sempre di roccie speciali, che non rappresentano, evidente-
mente, la grande massa costituente tutta la regione.
A Maroaomby, in riva al torrente Lavena, si possono vedere dei
massi di una diorite a fini elementi.
Ad ovest di quel paese, verso Analamiuraka e Ambatolampy, si
trovano dei grossi massi tondeggianti di una specie di sienite, cioè,
un granito anfibolico pochissimo quarzifero, con due feldspati, di cui
uno roseo, ed uno in lunghi cristalli appariscenti. Questa roccia, du-
rissima, costituiva certo dei nuclei nella roccia massiccia, e, avendo
resistito alla alterazione che distrusse quella, rimase colà, in posto,
o vi fu trasportata rotolando sulle pendici di terra rossa. Questa pre-
senta qualche vena quarzosa di color bianco ceruleo, e, per la sua
struttura zonata, sembra realmente provenire da uno gneiss decomposto.
Anzi, passato Sakafombazaha, si direbbe realmente che si ricono-
scono gli scisti dioritici, da cui proviene, i quali si estenderebbero oltre
Ranomafana, fin verso Bédara, dove, molti blocchi rotondi, a grossi
cristalli di ortose si incontrano sul sentiero, mentre nel fiumiciattolo
li presso, si scorge un po' di gneiss anfibolico, non ancora perfetta-
mente alterato. I molti ciottoli di quarzo, che si trovano fra le varie
frazioni del villaggio, ed i meandri del fiume Ambatoharanana proven-
gono da pudinghe di cui parleremo in seguito.
A metà strada, fra questo villaggio, e Mahéla, si passa una collina,
che separa il fiume del nome di quello, dal fiume di Mahéla, e là si
avrebbero veramente delle dioriti in cui si può riconoscere una specie
di clivaggio o di stratificazione, che colà pende 35° ad ovest.
Forse queste roccie, che rimangono intatte sono, come dissi, delle
accidentalità, assia delle zone dure, nella massa di roccie più o meno
scistose, decomposte.
— 106 —
La zona di foresta, che comincia dopo Mahéla, maschera molto
più la natura delle roccie, quantunque massi e affioramenti di roccie
speciali, si vedano qua e là.
Passato Sahanitelo, risalendo il rivo omonimo, lo si passa in un
punto chiamato Ambatomalama (alla pietra liscia), e quivi si vede che
esso corre in una gola di roccie, speciali, composte di antibolo, con
minor proporzione di quarzo, e contenenti dei granelli d’oro.
Questa roccia, che è qui abbastanza sana di struttura, forma la
collina, che separa quel punto da Béforona, ma ivi è molto più al-
terata.
Altra diorite visibile, si ha sulla montagna di Marovoalavo, ad oc-
cidente di Béforona, fino a Rihitra, ma, nelle colline che si salgono e
contornano, dopo questo villaggio, si vede la roccia fondamentale, lo
gneiss, decomposto, talvolta a feldspato rosato (ortose). Quantunque la
roccia sia alterata, vi si riconosce la direzione dei piani di clivaggio,
che varia da 10° a 35° gradi di inclinazione verso Est.
Si è allora nella valle del fiume Hiasina, il quale ha formato di-
versi laghi, prima di aprirsi il varco attraverso quelle roccie cristal-
line. Di queste si vedono ancora dei grossi blocchi intatti, e, nelle gole,
si vedono le roccie decomposte, mentre in quei bacini si hanno delle
pudinghe, veri depositi lacustri, di cui parleremo appresso.
E nella foresta fìtta di Arongaronga, ad ovest di Ambavanihiasina,
che si scorge la gran montagna detta Andriambavibé (la gran regina)
che si estolle a 1200m sul mare, e che è, per 200m almeno, terminata
da appicchi di gneiss anfìbolico, o di diorite.
Il colle, al piede di questa rupe, è formato da gneiss micaceo, de-
composto, che si seguita a vedere, fino ad Anevoka, ed Analamazaotra.
E, quantunque, anche qui si abbiano delle formazioni lacustri in tutte
le colline, che separano il fiume di Analamazaotra dal Sahanitany e
questo dalla vallata di Ampasimpoisj, non si manca mai di riconoscere,
nella terra rossa, o nelle roccie alterate, il gneiss decomposto.
Non è che nel fiume di Béhena, che si vedono delle argille bian-
che, che ricordano molto il caolino, ma poi, nelle colline tondeggianti
e intralciate che dividono questa vallata da quella del Mangorona, cioè
tra Amboditangainy e Moramanga, si trova ancora la solita roccia
decomposta, con qualche blocco tondeggiante, a struttura granitica.
— 107 —
La pianura di Moramanga fu il fondo di un antico lago, ed è for-
mata da depositi alluvionali, prababilmente quaternarii. Veramente, il
nome di pianura le compete piuttosto, comparandola alle regioni acci-
dentate e montuose, fra cui è compresa, che per essere assolutamente
pianeggiante. Il Mangorona, 1’ ha solcata profondamente, lasciando alla
sua destra un alto terrazzo, al cui piede scorre adesso, mentre Taltro
terrazzo, larghissimo (oltre 15 chilometri), su cui è Moramanga, è pro-
fondamente inciso da numerosi corsi d’acqua affluenti di quello.
Dalla valle del Mangorona, si passa in quella, dell’Andjozoro attra-
verso la catena del Fody (1150) che ha la solita costituzione.
La larga vallata, che si stende fra la catena del Fody e quella
dell’Angavo è solcata dall’Andjozoro e da un’altro fiume (il Mahazine),
e in essa pure si hanno dei terrazzi di origine lacustre, solcati e ri-
dotti a piccole catene di colline, dagli attuali corsi d’acqua.
Nella pianura alluvionale però si trovano dei grossi blocchi di una
splendida roccia, un granito a due feldspati, poco quarzitico, e poco
anfibolico, una specie di sienite, color rosso carneo, che darebbe della
magnifica pietra da costruzione ornamentale. La catena dell’Angavo si
allunga da N 15° E a S 15° O, parallela del resto a quella del Fody.
Ma essa non corre per molta lunghezza. Dalla parte orientale è
tagliata quasi a picco da una faglia caratteristica, la quale mette a
nudo un granito sienitico, del genere di quello formante i blocchi sopra
indicati.
Ma, come in tutto Madagascar, anche qui gli agenti esterni hanno
raddolcito i lineamenti della fìsiononomia del suolo. L’appicco è smus-
sato in alto e in basso, e sembra una gran parete convessa. La catena
termina al Sud, con un gran torrione conico (1350m), analogo alla « gran
regina » e ad altre montagne che si incontrano nell’ isola.
Il granito è, superficialmente, alterato. La falda orientale dell’An-
gavo è coperta di terra rossa, e non è che nella profonda e stretta
gola in cui scorre spumeggiante il fiume Mandraka, che si rivedono
le roccie granitiche.
E dall’Angavo, fino ad Antananarivo, non si hanno che graniti,
superficialmente trasformati in argilla rossa. Fra questa, sono nume-
rosi i blocchi grossissimi, e sempre smussati o tondeggianti, di gra-
nito puro, talvolta a due feldspati, talora di color grigio rosato, tal’altra
— 108 —
grigio violaceo. Ma si trovano pure delle masse, o delle vene, nel gra-
nito, di una anfibolite compatta, verde, assai dura.
Si direbbe che non si hanno più gneiss, se, in varie località, in-
vece dell’argilla rossa, compatta, che non manifesta più la struttura
della roccia, non si avesse ancora l’argilla un po’ violacea, o a mac-
chie biancastre e rosa-violacee, manifestante ancora la natura della
roccia da cui proviene.
Questa argilla, talvolta vero caolino rosso, lo si ha al Nord di
Antananarivo, verso Ilafy e verso Béloha; ma lo si ha pure al monte
Ambohijanahary, che sta fra la città ed il fiume.
Ora, bisogna avvertire che, la lunga collina su cui è posta la città,
è terminata dal lato occidentale, da un lungo dirupo, verticale alto
140ra, di granito, analogo a quello del versante orientale dell’Angavo.
Il monte Ambohijanahary è al di là di questo dirupo, che sta ad indi-
viduare una bella e caratteristica faglia, avente la solita direzione
N 15° E a S15°0; è tondeggiante, ed ha quindi tutte le caratteristiche
delle colline di gneiss decomposto.
Potrebbe darsi dunque che le due faglie, dell’Angavo e di Antana-
narivo, limitassero una zona granitica, compresa fra grandissime masse
di gneiss e scisti, micacei e anfibolici.
Ad Antananarivo, oltre al buon granito, tipico, si ha anche un
arkoseì ossia una specie di granito ricostituito. Mentre del primo si
fanno delle lastre, scavate col metodo che si dirà in seguito, col se-
condo si fanno delle pietre da taglio, profittando della sua durezza li-
mitata, che però aumenta coll’esposizione all’aria.
Il granito forma, decomponendosi, una argilla rossa, in cui però
il quarzo si ritrova sotto forma di ciottolini o di granelli. Il feldspato,
generalmente di due specie, predomina straordinariamente nella roccia,
la quale ha spesso un bell’aspetto, e non è sempre così profonda-
mente decomposta come gli gneiss, in modo che si può, in molti luo-
ghi trovarla allo scoperto e aprirvi delle cave.
Il granito continua a N.O della capitale, e lo si trova ad Ambohi-
driatrimo; forma i monti di Ambohimirimo, di Manankasina, l’Ambohi-
saro di Fihaonanana, l’Ambohidambina e il Tsiafabalala di Antoby.
Dapertutto, si trovano grossi blocchi tondeggianti, di quella roccia,
ma spesso si vede tutta la montagna formata da essa.
f
— ICO —
Dopo Antoby, veramente, si cominciano a vedere delle montagne
di aspetto speciale. Sopra falde piuttosto dolci, formate di roccia de-
composta, si ergono degli appicchi di una roccia cristallina, quasi
stratificata, che è una specie di diorite.
Questa diorite forma le montagne a N.O di Ankazobé, forma l’An-
gavokely, montagna di aspetto identico all’Angavo già descritto, termi-
nata al N.E da un torrione alto 1550m e, al versante S.E, da una parete
di faglia, diretta da N.E a S.O.
L’alternanza di pareti a picco, con pendici o falde, più dolci, po-
trebbe corrispondere ad una alternanza di roccie feldspatiche, con
roccie dioritiche; le prime analoghe ai graniti, e più facili ad alterarsi,
darebbero le zone argillose, e le pendici più regolari; le dioriti si con-
serverebbero, e produrrebbero gli appicchi.
E certo, che blocchi di granito, tondeggianti, si trovano perfino
fra Tsarasaotra e Mèvatanano, molto più al Nord; ma però tutte le roccie
che si incontrano dopo PAngavokely, sono riferibili al tipo dioritico,
più che a quello del granito propriamente detto. Esse cominciano qui
ad essere frequentemente attraversate da filoncelli di quarzo bianco,
vetroso, o granulare.
Traversata la montagna di Ambohimèna, che separa la valle del-
l’Antroby da quella del Manankazo, è più visibile quella disposizione
di dirupi di roccia solida, soprastanti a falde argillose rosse.
Sulla destra del Manankazo, si ha una serie di questi dirupi, al
cui piede si ha qualche volta delle sorgenti.
Quello di Kiangara è caratteristico. In questa regione però si man-
tiene come nella parte orientale dell’isola già descritta, una predomi-
nante inclinazione delle roccie ad Ovest o a 0. S.O. Tanto che, nella val-
lata seguente, ddl’Andranorazina, che è diretta a N. N.O, si hanno, sulla
destra, delle falde poco acclivi, coincidenti coll’inclinazione delle roccie,
in modo che i ruscelli corrono sopra liscioni di diorite, mentre sulla
sinistra si hanno dei dirupi, delle coste ripide.
L’inclinazione è di 28°, circa, come a Kiangara, dove però è di-
retta quasi ad Ovest, assoluto.
Al Nord di Ambohinaorina, si vedono le dioriti formare il letto del
fiume, e pendere ad Ovest, e procedendo, a mezza strada fra quel villaggio
ed Ampotaka, i liscioni di roccia scoperti, hanno talvolta la pendenza
di 40°, rivolta ad Ovest, o Ovest leggermente Nord.
— 110 —
Nella valle seguente, del Mamokomita, il sentiero corre su una
cornice di roccia, che forma un dirupo di oltre 200 metri di altezza, a
picco sulla valle, che è diretta al Nord.
Scendendo poi al fiume, per andare a Mangasoavina, le dioriti si
mostrano inclinate a N.O, colle testate normali al fiume, che ha quella
direzione.
Tutti i dirupi si presentano dal lato S.O delle colline.
Le roccie diventano molto anfiboliche. Lo sono poi straordinaria-
mente sotto Andriba, montagna dioritica isolata e dirupata da tutti i
lati, alta 1250m sul mare. Ai piedi di Andriba si trovano delle masse
di puro antibolo, verde o violaceo, e allora cominciano a divenire più
frequenti le venature di quarzo. Anzi qui, fra queste, si hanno delle
cristallizzazioni di quarzo ametista.
Alcune volte, nei cristalli di quarzo, sono disseminate delle pa-
gliette d’oro, le quali danno a quello l’aspetto dell’avventurina.
Passato il fiume Kamolandy e Malatsy, si risale la valle di un
affluente di quello, il Rano Miongana è là, si trova che le dioriti pen-
dono, a N18°0, ma questo cambiamento di direzione, quantunque gra-
duato, dopo Kiangara, è però alquanto locale. Infatti, nelle regioni ad
oriente di questa, nelle vallate del Manantana e del Mananary, che
concorrono a formare il Bétsiboka, si vedono le stesse dioriti pendere
ancora verso Ovest, e questa pendenza, si riscontra anche al Nord del
Rano Miongana; così appena varcato la catena che separa il bacino
del Kamolandy, da quello dell’Andriantoandro, si trovano le dioriti in-
clinate ad Ovest, come le si vedono alla caratteristica montagna tabulare
di Vohimbohitra (1200m) alla destra del Bétsiboka, che è terminata su
tutta la sua lunghezza, verso Est, da un dirupo, e perfino a Ravenafo,
al Nord di Ambohidriamontana.
L’Andriantoandro corre in una vallata diretta a N.N.E, ed ha alla
sinistra un dirupo, che sembra coincidere con una linea di frattura.
Insisto su questa frequenza degli allineamenti da N.N.E a S.S.O. di molte
vallate e molti grandi dirupi, nel Madagascar, perchè dovrò ricordare,
e dare molta importanza, a questo fatto nel riassunto finale.
Seguitando verso il Nord, ci si avvicina sempre più alla zona auri-
fera, che, se si può dire cominciata sotto Andriba, ove è il quarzo
avventurinato, non può acquistare tal nome, veramente, che tra la ca-
tena da cui nasce PAndriantoandro e Mèvatanana.
— Ili —
In tutta questa regione dominano le roccie anfiboliche, ma tanto
variate che il solo campionario completo di tutte le roccie che esistono
colà, sarebbe sufficiente ad arricchire un museo di geologia.
Vi sono dioriti in cui le proporzioni e la disposizione dei minerali
componenti variano in tutti i modi.
Si hanno vere anfiboliti, ma si hanno anche roccie granitiche, e
specialmente, gneiss micacei, tanto che le acque dei ruscelli traspor-
tano delle abbondanti pagliuzze dorate, di mica, cui i malgasci hanno
dato perciò il nome di eladrano (ala dell’acqua).
Splendide sono delle sieniti, qualche volta, zonate, dai bei colori
rosso e verde e delle pegmatiti di quarzo bianco e feldspato roseo,
talvolta con due feldspati, come le sieniti, talvolta tanto quarzose, che
il feldspato roseo è solo in noduli o cristalli disseminati nel quarzo
bianco. Altre volte, si ha la vera pegmatite grafica, di feldspato rosso,
con frammenti angolari di quarzo jalino, di cui la più bella si ha nel
fiume Nahandronjy e nel ruscello Androfiamadinika.
Vi è poi una roccia a pasta color caffè, con zone di una sostanza
cristallizzata nera, dura, a riflesso metallico, di cui non sarà forse pos-
sibile dare la vera costituzione, senza farne una analisi chimica, con-
temporaneamente a quella microscopica.
Queste roccie variate, presentano come una stratificazione regola-
rissima, e sono traversate da infiniti fìloncelli di quarzo bianco.
Le stratificazioni pendono di 45° e 50° all’ O.N.O, nei dintorni di
Ampasiry, nel fiume omonimo e nel Firingalava. Pendono invece, anche
di 55°, ma ad .Ovest, nel Nahandronjy, e ad O.S.O e perfino 0 35° S nelle
vicinanze di Mèvatanàna. Queste roccie contengono l’oro in pagliuzze,
o in granelli. Ma non in tutte si trova il prezioso metallo. Principal-
mente lo si trova nell’ anfibolite compatta, nella sienite zonata, in uno
gneiss anfibolico-micaceo; mai mi occorse di vederlo nelle pegmatiti,
o nelle roccie quarzose.
I fìloncelli di quarzo non presentano pagliette o grani di oro; in-
vece, talvolta, presentano delle nebulosità verdi le quali, se alcune
volte sono dovute ad aghetti d’anfibolo, altre volte sono costituite da
esilissima polvere d’oro. Oltre l’oro, in quelle roccie, si trovano altri
metalli allo stato nativo, come il platino e l’argento, ma in piccola
quantità.
— 112 —
Strano a dirsi, dunque, non è nel quarzo, nè nelle roccie a strut-
tura granitica, che si deve cercare Toro, bensì in quelle ove predo-
mina l’anfìbolo. Così poi, nelle sabbie d’alluvione, principalmente for-
mate da granelli di quarzo, si ricerca l’oro là dove si vede esservi
una grande proporzione di sabbia nera, di antibolo. Infatti questa sabbia
essendo più pesante di quella quarzosa, si comporta in presenza al
lavaggio naturale eseguito dalle acque, e rispetto alla sabbia quarzosa,
quasi come l’oro, e più facilmente accompagna questo.
Anche dove le roccie di questa zona sono profondamente alterate,
è soltanto là dove prendono un color rosso straordinariamente vivace,
specialmente nei tagli freschi, che converrebbe, ove si volesse farlo,
andare a ricercare l’oro, e non dove l’argilla di decomposizione ha il
solito rosso, ed è mista a molti granelli di quarzo.
Sulla destra del Bètsiboka, non si può rintracciare l’esistenza di
queste roccie che all’Ovest di Antongodrahoja, fra questo forte e il fiume
Kalamilotra.
Il passaggio dalle dioriti, propriamente dette, a questa zona, è
mascherato, come diremo in seguito, dal basalto.
Queste roccie speciali furono qui descritte insieme alle roccie cri-
stalline perchè realmente sono a struttura cristallina. È però difficile
spiegarne la regolare stratificazione, perchè non si può dire, visto la
varietà della forma delle roccie, da uno strato all’altro, che esse sieno
roccie modificate da azioni posteriori, quale per esempio quelle del
quarzo iniettatovi, e che forma i numerosi filoncelli che le attraver-
sano.
Veramente, per tutto ove le roccie antiche, sono dioritiche, si vede
una specie di stratificazione, la quale non si ha naturalmente, nel gra-
nito della regione elevata, centrale.
Ma questo accenno di stratificazione, debolissimo, nel versante
orientale, dove predominando gli grxeiss è piuttosto un clivaggio, è più
forte nella regione tra l’Antroby e Ampasiry, diventa assolutamente
marcato, al Nord e all'Ovest di questa regione.
Riassumendo; le roccie cristalline, si estendono su tutto il ver-
sante orientale dell’isola, eccezion fatta dalle basse regioni alluvionali,
almeno nella regione percorsa dallo scrivente.
Si sviluppano sull’altro versante (lo spiovente essendo ad Ankéra-
— 113 —
madinika, 30 chilometri ad Est dalla capitale Antananarivo), fino a
Mévatanàna e fino al fiume Andranofasika, alla destra del Bétsiboka.
Al Sud e S.O di Antananarivo, formano l’Ankaratra, il più alto gruppo
di monti dell’isola (2600m). Colà si hanno pure altre roccie aurifere, e
molte granatifere. Dal versante orientale di queste montagne mi furono
infatti portati dei rubini spinelli, dei zaffiri, e, in gran copia, dei gros-
sissimi granati, tutti però decomposti.
Questa estesissima formazione potrebbe colle diverse varietà, cor-
rispondere a divisioni diverse delle più antiche epoche geologiche.
Non sarebbe forse opportuno riferire tutte quelle roccie all’azoico,
ossia al laurenziano e all’uroniano. Forse le roccie stratificate, auri-
fere sono di età cambriana o siluriana. Certo è però che non occorse
allo scrivente di veder alcuna roccia sicuramente riferibile a questi
ultimi periodi. Gli scisti neri, che si dicono esistere al Nord-Est di
Majangà e di Mévatanàna, potrebbero esser antichi, ma non essendo
stati veduti, non si può dir nulla sulla loro età.
Fermo-carbonifero %
Fu più volte ricordata dagli autori francesi che parlarono del Ma-
dagascar, la miniera di litantrace ( houille ) di Vavatobé, verso il Nord
dell’ isola, in faccia al possedimento francese di Nosybè.
La coltivazione di quella miniera fu fatta da un francese che morì
poi assassinato, dicesi per mandato della regina allora regnante (1862?).
Non fu più ripresa in seguito, e non si potrebbe qui dire se si tratta
di litantrace o di lignite.
L’esistenza del carbonifero è dunque ben lungi dall’esser provata
al Madagascar, benché essa non sia impossibile. Vavatobé troverebbesi
anzi nella zona in cui potrebbe affiorare il carbonifero.
Sulla sinistra dell’Jkopa, nella regione detta Menavava, si ha, tra
la zona di roccie cristalline, ed i depositi quaternarii, di cui parleremo
in seguito, una zona di arenarie grigiastre a cemento siliceo, con parti
diasprigne, rosse o verdastre. Queste roccie non contengono fossili,
meno chè, forse qualche pianta nelle parti diasprizzate. Senza arre-
statisi troppo, si può però qui esprimere l’idea che questa zona rap-
presenti il permiano, e ciò per analogia colle roccie permiane di
eguale aspetto della Germania.
— 114 —
L’esistenza del permo-carbonifero è dunque molto dubbia, e perciò
bisogna mettere dubitativamente questa formazione, fra quelle che co-
stituiscono il Madagascar.
Terreni secondari.
Anche il secondario ha una estensione molto limitata, almeno a
giudicare da quanto si è veduto nella parte dell’ isola percorsa.
Non si vide alcuna roccia riferibile al Trias, nè al Lias; quelle
poche vedute che, per i fossili; e per l’aspetto litologico sarebbero da
riferire al giurese e al cretaceo, si trovano in una zona prossima alla
costa occidentale.
Dopo passata una vasta regione terziaria e quaternaria, si trovano
delle colline terrazzate, che si distendono lungo la costa formando un
cordone fortemente intagliato da baie profonde, come quelle di Boina,
Bambetoka (o Mojangà), Mahajamba, Narendry, ecc. ecc. Forse queste
formazioni si estendono anche più al Sud, nella foresta di Manérinérina,
e costituiscono la catena di Bongolava (lunga collina). Questa zona è
terminata, tanto all’Est e S.E verso terra, quanto all’Ovest e N.O sul
mare, da dirupi, o pendici assai ripide, mantenendosi quindi compieta-
mente indipendente dal resto delle formazioni confinanti.
Nel salire dalla parte di terra, su quei ripiani si trova: alla base
delle argille rosse, con macchie biancastre irregolari, intercalate verso
la parte superiore, con straterelli di calcari a crinoidi. Sopra a queste
argille posano dei calcari bianchi alquanto sabbiosi, con grosse griphee
e altri fossili, e, talvolta con delle concrezioni di un calcare giallastro
simili a nemertìliti.
Verso il mare invece, a Mojangà si vedono delle dolomie color
grigio giallastro* a piccolissimi fori, con piccoli gasteropodi turricolati
e, sopra queste un calcare bianco un pò marnoso.
I ripiani, che hanno la quota massima di 125, sono ricoperti da una
crosta tufacea, biancastra, molto simile a quella caratteristica che
forma il sottosuolo del terreno vegetale, e la copertura delle roccie
calcari, in molte parti delle Puglie.
E, essendo analoghi ai calcari del Gargano e delle Puglie, le do-
lomie e i calcari bianchi di Mojangà, li riferiremo pure, per ora, al
titonio e al neocomiano.
— 1.15 —
Le argille rosse ed i calcari a crinoidi e a griphee, potrebbero
pure ascriversi alPoolite superiore, per analogia colle roccie di quel-
l’epoca, che si possono vedere in altre regioni d’ Europa.
Il primo ministro possiede delle ammoniti (falciferi) e delle be-
lemniti, piatte e fusate, piritizzate, che si crede provengono da Mané-
rinérina, ma siccome non si poterono ottenere, per studiarli, quei fossili,
nè rinvenirli nelle località visitate, si può difficilmente dire a che ter-
reno appartengano. Probabilmente però sono giuresi e forse del giurese
medio e inferiore.
Eocene e Miocene.
Più ricca è la serie terziaria.
In essa possiamo distinguere, l’eocene, il miocene e il pliocene.
L’eocene è rappresentato da calcari marnosi rossi, fossiliferi, da
calcari giallognoli nummulitici, e da argille rosse, con gesso. Inoltre
si hanno delle argille scagliose, variegate di rosso, di turchino e di
verde, che appaiono frequentemente nelle erosioni, fra i terreni poste-
riori, e che, per analogia con quelle nostre, si dovrebbero pure ascri-
vere all’eocene.
Infatti tutta questa varietà di roccie si potrebbe riferire anche per
le nummuliti che contiene, all’eocene medio.
Le argille variegate appaiono nella discesa da Mèvatanana al
Nahandronjy, in una erosione; colà pendono da 10° a 15° a Est. Si
trovano al di là di Amparihibè, sulla destra del Betsiboka, e in una
pianura al Nord di Ambalanjanakomby ; finalmente presso Ankoala, e
fra Tsilakanina e Trabonjy. In queste ultime località si vedono anche
di quelle concrezioni di argilla ferrugginosa, che sono tanto caratte-
ristiche nelle argille variegate scagliose, della Calabria e della Sicilia.
Argille analoghe si hanno sotto Mahabo, sulla sinistra del Bètsi-
boka, e in tutta la regione detta Ambongo, verso la valle del Mahavavy,
nelle regioni dette Ambondrona e Antsiketraka, dove però sono ricoperte
da colate di basalto e da tufi basaltici.
Nelle stesse condizioni, riapparisce più ad Est, sotto ai basalti
che ricoprono gli altipiani (1350m) di Antampokejy e Antongodrahoja.
I calcari rossi fossiliferi, furono veduti veramente, solo presso
Ankoala. Sono probabilmente della stessa epoca.
— 116 —
Il miocene inferiore è rappresentato da arenarie silicee, saccaroidi,
giallastre e da sabbie marnose, variegate, o argille sabbiose a con-
crezioni ferrugginose.
Queste roccie appaiono a mezza strada, fra Ambalanjanakomby e
Ankoala, e, dopo Trabonjy, all’entrata della foresta di Angarafatsy. Le
taglia il Bétsiboka, fra Bépako, Maroakato e Tsinjorano.
Finalmente furono vedute: alla collina di Mahabo immediatamente
sopra alle argille variegate, e poco ad Ovest di Ampanifora, verso-
Béseva. Qui pendono alquanto a Est, a Bépako pendono a N.E.
Il miocene medio è rappresentato da calcari duri, sabbiosi, fossi-
liferi, ben stratificati, che talvolta passano a marne calcari dure, mac-
chiate o zonate di rosso.
Si vedono questi fra Ambalanjanakondy e Ankoala, lungo l’Ikopa
di cui formano le sponle e gli isolotti, poco prima della sua con-
fluenza col Bétsiboka e finalmente, assai belli e estesi, a Marolaona.
Qui anzi, come ad Ankoala si vedono posare sopra le argille sabbioso
a concrezione ferrugginosa, del miocene inferiore, e fu per errore che,
in una delle note precedenti, furono descritti come più antichi di
queste.
Il miocene superiore è rappresentato dalle arenarie grossolane di
Ampanifora, sulla sinistra del Bétsiboka e dalle argille sabbiose, con-
tenenti grosse masse tondeggianti di calcare marnoso, che appaiono
nella foresta di Angarafatsy.
Lungo la destra del Bétsiboka apparirebbero in una zona che non
fu veduta perchè percorsa da un ramo del fiume, non visitato.
Pliocene e Quaternario.
Il pliocene veduto dallo scrivente, non è fossilifero, quindi non è
che per la sua posizione stratigrafìca, che potè venire classificato.
In generale è rappresentato da un sabbione bianco quarzoso, poco
cementato. Nel versante occidentale esso comincia da Mévatanàna, e
va fino ad una zona bassa paludosa, che corre al piede delle collino
secondarie.
Nel versante orientale, esso forma qualche catena di colline, fra
cui quelle di Sakaleha, che dall’Ovest di Tamatava, vanno a finire a
Foulepointe.
Questo sabbione sarebbe da riferirsi al pliocene superiore, per la
perfetta concordanza che esso ha colla formazione superiore, che ab-
biamo ragioni per ritenere quaternaria.
Non è che presso Maroaomby, che si vedono su certi piani ad
Ovest del villaggio, delle marne sabbiose bianche, con vene sabbiose,
in cui pare vi sia qualche foraminifera, e che potrebbero rappresentare
il pliocene inferiore.
Una specie di arenaria, a falsa stratificazione, poco solidamente
cementata, si vede a Mahabo, sopra al miocene medio, alla montagna
di Malaho, all’occidente da quel forte; sul Betsiboka in corrispondenza
dell’isola di Anendy, sulla destra del fiume pendente di 15° a S.E e
finalmente, poco a monte di Tsinjorano, si ritrova, posante sopra le
argille variegate del miocene inferiore, e immediatamente sottostante
al sabbione bianco descritto.
Per quanto questa arenaria a falsa stratificazione stia sotto ai
sabbioni bianchi, deve però far ancora parte del pliocene superiore,
sia per la sua concordanza con quelli, sia per la sua rassomiglianza
colle roccie della stessa epoca, che abbiamo fra noi.
Il quaternario è quasi sempre rappresentato da argille sabbiose
rosse, compatte piene di granelli quarzosi e, alternanti con strati, o
contenenti lenti, di ciottoli cristallini, principalmente quarzosi.
Queste argille coprano tutta la vasta regione ove è il sabbione
bianco, e sono in grande concordanza con questo.
Le catene di colline quaternarie al piede del versante orientale,
sono invece formate da conglomerati a cemento argillo-sabbioso, di ir-
regolari pezzi di gradito e di scisti, completamente trasformati in un
materiale rosso, come le argille che li cementano.
Queste roccie quaternarie formano dei cordoni di colline paralleli
alla costa orientale, che si trovano: a Mahanoro, sull’Ivoline, a Ma-
hasoa, sull’ Ivondrona, ed a Marovato e Maromandeha, sull’Iharoka.
L’altezza massima cui giunge il quaternario, sul versante occi-
dentale è quella della collina su cui è Mèvatanàna, cioè 175m sul mare.
Quasi di faccia a Mèvatanàna, sulla sinistra dell’Ikopa, e al suo con-
fluente col Menavava, è una piccola catena di colline, chiamate Ma-
vorò, costituite da ciottoli rotondi, di quarzo, o di roccie cristallini,
alquanto cementati con sabbie. In mezzo a queste sabbie si hanno
delle belle cristallizzazioni di quarzo, fatte a rosa.
— 118 —
Sai versante orientale si hanno delle parti pianeggianti, racchiuse
fra i monti e che si riconoscono essere fondi di antichi laghi.
Ne abbiamo uno, nella vallata che sta fra la catena del Fody e
quella dell’Angavo, un’altro molto più grande, si ha nella valle del
Mangoro, altri si hanno finalmente, nella vallata del Sahanitany (fra
Analamazaotra e Ampasimpotsy) in quella della Hiasina (appunto ad
Ambavanìhiasina) ad Ampasimté, ad Ambatoharanana e lungo il fiume
di Bédara.
Si tratta evidentemente di località ove le acque dei fiumi, prima
di aprirsi il varco, hanno dovuto soggiornare e formare dei laghi. I più
caratteristici sono i primi due, perchè racchiusi fra catene parallele
che hanno dovuto poi essere segate per dar passaggio ulteriore alle
acque, e quello di Ambavanìhiasina dove, come lo dice questo nome,
si ha la chiusa, ossia la bocca, della vallata del fiume Hiasina.
Nelle prime due località, si ha un'argilla sabbiosa, con strati o
lenti di ciottoli o di piccoli granelli di quarzo, solo in certe zone pre-
domina l’argilla sabbiosa rossa, analoga a quella di decomposizione
dello gneiss ; così sul terrazzo della destra del Mangoro, e quello al
piede dell’Angavo, sulle colline dove è il mercato di Sabotsy.
In tutte le altre località citate, compresa Ambavanihiasina, invece,
si hanno delle ghiaie formanti talvolta delle pudinghe.
Alluvioni recenti.
Veramente è difficile dire precisamente se i depositi suddetti appar-
tengono al periodo quaternario, o non siano più recenti.
Però mi pare che, almeno quelli a terrazzi, sieno appunto del pe-
riodo da questi denominato, e che gli altri debbano indicare un periodo
più recente.
Il fatto è che nei paesi tropicali, la alterazione profonda delie
roccie, e l’abbondanza delle acque, portano che in un periodo relati-
vamente breve di tempo, si producono enormi erosioni e grandi depo-
siti; quindi, molti di questi, che sembrano, per la loro estensione e
potenza, dover corrispondere ad un lungo periodo, non appartengono
invece che ad una formazione relativamente poco lontana da noi.
Così è che le molte linee di dune parallele, e piuttosto elevate,
— 119 —
che corrono lungo la costa orientale, vanno riferite all’età recente,
essendo, alcune di esse, ancora in via di formazione.
Queste dune corrono per centinaia di chilometri, parallele a quella
costa, e formano dei cordoni abbastanza continui, salvo le interruzioni
dei grandi fiumi, o dei laghi litorali. Le grandi lagune, e gli scarichi
dei fiumi secondarii, si allineano generalmente fra le diverse dune,
parallele a queste.
Ma di questa configurazione speciale si parlerà più a lungo, nel
descrivere la formazione dell’isola.
Tutte queste dune, sono formate di sabbioni hianchi, analoghi a
quelli pliocenici. In qualche luogo si ha qualche lente di caolino, o di
una terra magnesiaca bianca, proveniente da decomposizione di steatiti
o di asbesti, ma in generale, non si vede che il sabbione bianco, non
cementato.
È strano che, in due periodi diversi, si sian generati depositi così
esclusivamente sabbiosi mentre, in quello intermedio, il quaternario,
si formarono depositi assolutamente in rapporto col prodotto ordinario
dell’alterazione delle roccie dominanti, cioè argillo-sabbiosi, e tinti
in rosso.
La parte più meridionale dell’isola, cioè l’Antanosy, l’Antandroy e
il Tanala, è bassa, paludosa, in gran parte inesplorata.
Pare che negli stagni di quella regione si trovino i gusci delle
gigantesche uova di Aepr/ornis, che arrivano alla lunghezza di 0,35.
Gran parte di quella regione, probabilmente, è di costituzione re-
cente, però le piccole catene di monti, che si hanno alla estremità
meridionale dell’isola, potrebbero esser di formazioni più antiche che
lungo la costa orientale poi, dove il mare ha delle profondità li-
mitate, appunto per la grande estensione delle alluvioni sabbiose, si
hanno dei frequenti atolli di coralli. E una regione dove si hanno
delle correnti sensibili, e delle forti burrasche, eppure i coralli fabbri-
cano degli estesi isolotti, di cui i principali, sono raggruppati verso
Tamatava.
Alla punta di Tamatava stessa, si ha un piccolo atollo, che fu
invaso e riunito alla terra, dal protendersi della spiaggia sabbiosa.
Più lontano, circa è un altro atollo più grande, detto il grande scoglio,
che lascia fra i due, la piccola entrata, larga un miglio, del porto; e
— 120 —
verso questo, come verso il piccolo, tende un'altra punta, detta Capo
Taniò.
Più lungi finalmente al Nord, è l’isola delle Prugne (Nosy Ala-
nana) e al Sud, in faccia alla punta di Ankarefo, l’isola Fongue dei
francesi (N. Faho) '.
I coralli di queste isole, sono molto variati. Le varietà principali
raccolte a Tamatava, non sono però ancora state esaminate.
È indubitato che il periodo di attività di questi polipai non ò an-
cora terminato e che altri isolotti staranno fabbricandosi, in quella,
regione, sul fondo dell’oceano indiano.
Roccie eruttive.
Fra le roccie eruttive, si citano prima quelle essenzialmente prò-,
dotte dai vulcani, che formano tutta la parte Nord dell’ isola. Vengono
indicate, per le prime, poiché non essendo state quelle regioni visi-
tate dallo scrivente, se ne parla qui solo in quanto ha rapporto alla
costituzione geologica dell’isola, ed alla distribuzione delle varie for-
mazioni sulla sua superficie.
Tutto il Capo d’Ambra, colla baia di Diego Soarez, e il territorio
degli Ankara, ossia l’Antanikara, fino al Sud di Nosi Bé, sono formati
da prodotti vulcanici (lave, lapilli, ceneri, ecc.).
Molto più estesi invece sono i basalti.
Sono bei basalti, compatti, talvolta con piccole geodi tappezzate-
internamente di zeoliti (principalmente mesotijpo). Essi formano delle
espansioni che, ricoprono generalmente le argille variegate eoceniche,
ma anche delle roccie più antiche, quali le dioriti e gli gneiss.
Si potrebbe anzi dire che essi segnano una linea continua, se si
riuniscono tutti i punti in cui furono veduti, nei viaggi eseguiti dallo
scrivente.
In alcuni punti si tratta di semplici affioramenti di filoni, in altri,,
di vere colate.
1 Alanana può voler dire: sabbiosa, o formata come una ciambella da met-
tere in capo per portare un peso.
Faho è il nome della Cycas eircinalis, che fa un frutto globoso, come una
piccola zucca.
— 121 —
Cominciando dal N.O, diremo che il basalto forma colline pianeg-
gianti e larghe colate, tra i fiumi Ambondrona e Antsiketraka, all’Ovest
<li Mahabo, fino al fiume Mahavary e al lago Kikony. Si ritrova a
Béseva, nello stesso modo, e si ritagliano poi col Bétsiboka, ad Am-
batomainty, e anche a monte, prima di Anendy, dove forma dei veri
filoni assai importanti. Questi filoni continuano ad Androtra, a N.O di
Trabonjy; si mostrano nell’alta valle del Taratarano e si trasformano
poi in larghe colate, ad Antongodrahoja e ai piani di Antampokejy e
Ambatovadiny.
Manifestazioni basaltiche si hanno fra Ambohidriamontana e Ma-
roféno, e là si vedono continuare verso S.E.
I filoni basaltici si ritrovarono poi fra Ambatolampy, Manambonhitra
o Sacafombazaha e fra le varie sezioni del villaggio di Ambatoharanana.
Siccome queste località si trovano sul prolungamento della linea che
unisce le precedenti, è naturale supporre che le eruzioni basaltiche
sotto forma di filoni o di espansioni, si manifestino su una zona con-
tinua, quasi assolutamente rettilinea, diretta da N.O a S.E.
Questa zona comincierebbe sul canale di Mozambico, a Tsiombikibo
e finirebbe sulla costa orientale dell’oceano indiano a Vatomandry, e
taglierebbe obliquamente tutta l’isola.
Essa è segnata sulla cartina che accompagna questo scritto. E
segnata tutta continua perchè, data la natura della roccia e la sua
origine, la continuità delie apparizioni sopra un gran tratto della zona,
l’allineamento di tutte le apparizioni constatate su una stessa direzione,
non è troppo ardita l’ ipotesi che essa sia continua. Inoltre si tratta
qui di uno schizzo geologico, non di una carta esatta, fatto per dare
un’idea di insieme, da sviluppare dal geologo che avrà la fortuna di
percorrere con più comodità e maggiori mezzi di osservazione, questa
grande isola africana.
II basalto è accompagnato da tufi che risentono della vicinanza
<li questa roccia, nella loro costituzione.
NelPAmbongo, al di là di Mahabo e a Béseva, sono tufi grigi,
pieni di granelli di olivina alquanto decomposta, e con delle boccie di
basalto alterato, racchiuso nella masse.
Sono dunque veri tufi basaltici, in parte di origine contemporanea
— 122 —
forse, a quella della roccia, e che, come questo, coprono delle colline
tabulari che danno il nome a quella regione. 1
Verso Béseva, Andotra, Antongodrahoja, ecc., domina quel prodotto
speciale di decomposizione delle roccie basaltiche, specie di argilla,,
molto ferrugginosa, che conglomera talvolta noduletti di quarzo o
di ossidi di ferro e maganese, e che, per la rassomiglianza ai prodotti
di terra cotta, fu detta laterite.
Quantunque questo non sia prodotto la cui origine sia connessa a.
quella del basalto, se ne cita qui la presenza, perchè e materiale ca-
ratteristico, e di origine direttamente dipendente dalla presenza del
basalto.
Come si disse, se ne trovano vaste distese, nella foresta di An-
garafatsy fra Trabonjy ed Andotra, ad Antampokéjy, a Manjaka, ecc.
Un tufo palagonitico, giallastro, si trova fra Maroaomby e Anala-
mioraka, presso Mananbonhitra, e ad Ambatoharanana. Si tratta di un
vero tufo, che accompagna e manifesta la dipendenza, dal dicco ba-
saltico, ma esso sembra meno peridotico di quello della regione di
Am bongo.
Fra questi tufi si hanno dei calcedoni, molto regolarmente zonati,
ma di colori poco belli. Sono a zone giallastre, o bianche, o grigiastre,
formanti noduli, in cui raramente si hanno geodi tappezzate di cristalli
di quarzo. In generale si tratta di quarzo bianco, o leggermente tinto
in color ametista.
Sono frequenti ad Antongadrahoja, e in tutto l’Ambongo. Però la
monotonia delle tinte, e la scarsità di belle geodi toglie molto valore
a questi calcedonii.
L'olivina dei granuli è completamente alterata, opaca e color verde
chiaro.
Materiali utili.
I materiali utili sono meno abbondanti di quello che, la vastità
della regione e la natura delle roccie dominanti potrebbe far sperare.
Cominceremo dai minerali metallici, per parlare poi di quelli com-
bustibili e dei litoidi.
«
{ Ambongo significa: alle colline.
— 123 —
L’oro si trova nativo, come già fu detto, nelle roccie anfiboliche.
Dalle sabbie d’alluvione, viene ricavato con lavaggi a mano entro
\assoi di latta, chiamati sivana.
Se si volesse ricavare dalle alluvioni quaternarie, bisognerebbe
trasportare queste in riva ai fiumi, ed operarne il lavaggio.
I grandi fiumi, che formano dei vasti depositi alluvionali, arrivando
alla zona aurifera sono già troppo espansi e non depositano che ma-
teriali leggieri, non contenenti oro.
I piccoli ruscelli formano limitati depositi di sabbie, i quali variano
molto in ricchezza d’oro, ma presi nell’insieme, non sono molto ricche. 1
Bisognerebbe sottoporre le roccie a triturazione e ritirare l’oro
coll’ amalgamazione.
Non si crede troppo alla esistenza di molto rame nativo poiché i
campioni portati ad esaminare, si accompagnavano con delle scorie
verdi, di fusione, che i malgasci dicevano esser l’ indizio dell’esistenza
del rame nativo.
II rame si troverebbe nelle regioni Sakalave del N.O; forse a Ma-
nérinérina e, al Sud della capitale, presso l’Ankaratra.
Esaminammo delle galene, mediamente argentifere (20 a 30 grammi
d’argento per chilogramma di piombo), provenienti pure dalle falde
dell’Ànkaratra.
Il ferro è allo stato di sesquiossidi, più o meno puri, e di magnetite.
Si trova specialmente all’Ovest e S.O di Antananarivo ; ma anche nelle
regioni dei Bétsileo e dei Tanala orientali.
Non vedemmo vero litantrace, bensì della lignite proveniente da
un giacimento nella valle superiore dal fiume Kalamilotra ad Ovest di
Amparihibé, ma non ci fu permesso di visitare il giacimento e non
possiamo dire di quanta importanza esso sia.
Si tratta di una lignite di qualità mediocre, non ricca, ma superiore
però al legno fossile.
Dalle regioni al N.O del gruppo dell’Ankaratra provengono dei
1 Prendendo in massa le sabbie del fiume Nahandronjy, non vi trovammo che
il tenore di mezzo grammo d’oro per metro cubo. Scegliendo la sabbia dove è
più anfìbolica, o dove è accumulata dietro un ostacolo qualunque (grosse pietre,
strati duri di roccia, ecc.) si constatò la ricchezza massima di 4 grammi.
— 124 —
grossissimi granati, ma tutti alterati e quindi inservibili. È probabile
che cercando meglio, si troverebbero di quelli ancora lavorabili e belli,
ma la difficoltà di trovarli, e il prezzo limitato di queste gemme, anche
in Europa, fa sì che non possono fornire al Madagascar un oggetto
di speculazione.
Meglio potrebbero forse utilizzarsi i rubini e gli zaffiri che pro-
vengono dalle stesse località. Si tratta però di rubini balasci, e di be-
rilli azzurri, non di gemme orientali, propriamente dette.
Il quarzo ametista è abbondante, ma essendo il suo valore picco-
lissimo, il medesimo non ha utilità industriale.
Altri materiali utili sono quelli ordinarii da costruzione.
Manca, si può dire, l’argilla da laterizii, poiché quell’argilla rossa
dominante, se è eccellente per formare, impastata coll’acqua, dei blocchi
per fabbricare, non è atta per l’arte figulina. Di quélla più fina si
fanno le pentole, i vasi, le tegole, ma non viene mai cotta, e questi si
adoprano dopo averli seccati al sole, semplicemente.
La calce non si trova che sulla costa occidentale. In tutta la parte
centrale dell’ isola, manca completamente, e quindi non è mai adoperata.
Sulla costa di Tamatava, si fa la calce col calcare a polipai, degli
scogli emersi, ma è adoprata Caramente.
Eccettuata la capitale, dove, sotto la direzione di europei, si fecero
delle fabbriche in muratura ordinaria, con calce portata da lontano,
non vedemmo al Madagascar altre costruzioni in calce, che, la bat-
teria di Tamatava, e le case di Mojangà.
Le pietre da costruzioni, non mancano; oltre all’arkose di Anta-
nanarivo, che si lavora facilmente e fornisce della buona pietra, si
adoperano tutti i magnifici graniti, e sieniti, della regione centrale.
La grande compattezza di queste roccie, ne rende difficile l’estra-
zione, ma aprendo delle cave, là dove si presentano in grandi masse,
e in posto, si potrebbero cavarne industrialmente delle grandi quantità.
I malgasci, non adoperano la pietra per la costruzione delle case,
che fanno in terra, o in legno e canne. Adoperano però larghe lastre
di roccia per coprire le tombe.
Sia pel bel granito grigio di Manankasina e di Andraysora o per
quello rosato di Ambohimalaza, o anche per la sienite rossa tanto
vaga d’aspetto, il sistema usato per staccare queste lastre, è sempre
quello, già indicato altra volta.
— 1.25 —
Si mette allo scoperto una superfìcie naturale della roccia e la si
bagha; poi si accende un fuoco di paglia e sterco di vacca, sulla roccia
stessa. Il fuoco è mantenuto per diverse ore, durante le interruzioni,
Si batte la roccia con mazze di legno, e talvolta, quella si ribagna.
Evidentemente razione del calore, dilatando la crosta superiore
della roccia ne provoca il distacco secondo una superficie di clivaggio.
Siccome la superfìcie naturale della roccia, è già naturalmente,
una superfìcie di clivaggio, è naturale che quella di distacco sia più
o meno, parallela ad essa. Tuttavia, molte volte le lastre staccate sono
curve, o di spessore non uniforme, perchè appunta, quelle superfìcie di
sfaldatura non sono nè piane, nè rigorosamente parallele.
Si assicura dai malgasci, e da qualche europeo, che la grossezza
della lastra è in rapporto colla durata del fuoco (fino a 36 ore).
Ma è piuttosto da credere che il distacco, operandosi nel modo
indicato (nè altra spiegazione è ammissibile) la grossezza della lastra
dipenda dalla distanza che colà separa due superficie di clivaggio
marcate.
Il caolino puro manca, e non pare si possano fare buone porcel-
lane, e nemmeno buone maioliche, coi prodotti di decomposizione dei
feldspati.
Una terra bianca, chiamata appunto tanifotsy , che significa al-
quanto magnesiaca, serve per dare le tinte bianche neH’interno delle
case. Si usa semplicemente stemperata nell’acqua.
L’isola del Madagascar fu evidentemente sollevata dall’oriente,
verso l’occidente. Lo dimostrano le inclinazioni dominanti, nelle roccie
antiche, la ripi dità del versante orientale, e la mancanza, su questo, dei
terreni secondari e terziari, che si mostrano assai sviluppati sull’altro
versante, il quale è molto più dolce.
Questo sollevamento però, non si compiè senza interruzioni e salti
bruschi, percui si hanno delle fratture parallele e dei ripiani che cor-
rispondono appunto a quelle discontinuità nell’azione dislocante.
Il sistema di fratture dominanti è quello che ha per direzione
quella dal N.N E al S.S.O.
— 126 —
È questa una direzione che domina in tutti i fatti geologici e geo-
gnostici delPisola, e sarebbe uno dei più belli esempi, per i fautori
della teoria degli allineamenti.
Certo è che la ripetuta successione di roccie a forma gneissica, si
deve in gran parte a questa serie di fratture parallele, che hanno rial-
zato successivamente i diversi scaglioni.
In tal modo si comprende come il versante orientale, oltre all’es- !
sere poco esteso, sia anche costituito da ripide pendici, interrotte da
vallate longitudinali, ossia parallele all’asse della catena principale.
Il secondario depositatosi, molto più all’occidente, non ha risentito ,
molto di questi movimenti bruschi, che hanno spinto in alto i terreni
cristallini; movimenti che dovettero iniziarsi prima dell’epoca mesozoica.
Si deve così esser generato un mare interno, colle rive orientali
di terreno cristallino, e quelle occidentali di terreni secondari.
Il fondo di quel mare poteva esser formato dai depositi carboniferi
e permiani.
In quel mare di epoca terziaria, si generarono i depositi eocenici
e miocenici, segnalati fra Mèvatanàna e Marovoay.
Il pliocene seguitò a deporsi in quel grande bacino, e fu seguito !
dal quaternario, ma questi depositi invasero anche il versante orientale.
Generandosi coi detriti delle roccie preesistenti, non solo vi figu-
rano i sabbioni quarzosi e le argille sabbiose rosse, coi conglomerati,
ma anche i tufi palagonitici e basaltici, che hanno potuto generarsi lai
dove la grande zona di basalti dell’eocene superiore, traversa e si
espande sui terreni più antichi.
Finalmente, nell’epoca recente intervennero i depositi litoranei che
hanno importanza specialmente sul versante orientale.
La grande corrente dell’oceano indiano, viene a dirigersi sul Ma-
dagascar, che incontra alla punta di Fénoarivo, e là si bipartisce, ma
il ramo più grosso e veloce, scende al Sud, lambendo la costa orientale
dell’isola.
È abbastanza forte, per impedire il diretto sbocco dai corsi d’acqua,
che, discesi precipitosamente sul versante ripido, sono poi già impe-
lagati nella zona di bassure litoranee, e tanto più lo divengono, quante
più linee di dune si generano.
L’effetto naturale che si produce, è uno spostamento verso il Sud,
— 127 —
w
delle foci stesse. Questo spostamento è minore per i fiumi che recano
una grande massa d’acqua, maggiori per quelli che scaricano soltanto
i bacini o le lagune interne.
Per esempio il fiume di Andavakaménarana, che scarica i laghi
di Rasoa Bé, e Rasoa Masay, esce da quei laghi a Vavony, e si sca-
rica in mare 16 chilometri più a mezzogiorno, correndo tatto quel
tempo parallelo alla costa, e separato dal mare da una duna larga,
talvolta, pochi metri.
In tal modo, si generarono quei cordoni litorali, paralleli, che ar-
rivano poi a saltare da un promontorio alPaltro, in modo che, poco
alla volta, la costa orientale del Madagascar, diverrà uniforme, e quasi
rigorosamente rettilinea.
NeH’interno, restano così racchiusi dei laghi, delle lagune e dei
lunghi canali di scarico di questi, paralleli alla costa.
Però per spiegare l’emersione successiva di questi cordoni, è ne-
cessario ammettere un sollevamento lento e graduale della costa orien-
tale, quasi ultimo strascico, dipendente dalla continuazione delle cause
che hanno provocato i primi e bruschi sollevamenti dell’isola.
Il versante occidentale termina invece con una costa ripida, solcata
da baie profonde, specie di fiórds. Evidentemente colà si hanno delle
profondità rilevanti e, se vi è graduale abbassamento, si spiega la
nessuna creazione di spiaggie recenti.
E probabile dunque che, intorno all’asse generale; diretto da N.N.E
a S.S.O, l’isola abbia ancora un leggero movimento di rotazione, con
sollevamento della parte orientale rispetto all’occidentale.
I materiali trasportati dai fiumi, variano pure. Sul versante occi-
dentale, che è molto esteso, i fiumi arrivano nelle parti basse, non
trascinando che argilla rossa e pagliuzze di mica.
Invece sul versante orientale, i fiumi non forniscono che sabbia
quarzosa- bianca, che forma tutte le dune, identica a quella al piede
della parte ripida del versante opposto, formò i sabbioni bianchi, plio-
cenici. Forse, quando la zona delle dune, si sarà molto ingrandita, anche
i fiumi orientali non potranno più trasportare che materiali tenui, e si
creerà un’altra sovrapposizione di argille rosse, sabbiose, sopra i sab-
bioni bianchi, come è successo pel quaternario riposante sul pliocene
superiore, del versante occidentale.
— 128 —
Il poco di quaternario che si ha presso la costa Est, è, come si
disse, costituito piuttosto da conglomerati, a cemento argilloso rosso, I
è vero, ma formati di pezzi di roccia, che i fiumi che si precipitano }
per le cascate caratteristiche di quelle regioni, potevano rotolare.
Sulle spiaggie orientali attuali oltre i frammenti di coralli, strap-
pati dalle onde ai banchi madreporici, giungono, portate dalle correnti
dell’Oceano Indiano, persino le pomici dei vulcani dell’Arcipelago della :
Sonda.
V.
Sopra alcune lave antiche e moderne del vulcano Kilauea
nelle Isole Sandwich; studi petrografici del prof. 0. Sil-
vestri.
Il chiarissimo prof. P. Tacchini nel 1883 dopo avere intrapreso un
viaggio astronomico fino alle Isole Caroline, per lo studio dell’ecclissi
totale di sole che avvenne in quell’anno; traversando il Pacifico per I
ritornare in Europa, in una fermata che fece alle Isole Sandwich, si
recò a visitare il celebre vulcano Kilauea che, come è noto, rappre- i
senta il più vasto cratere vulcanico attivo del globo terrestre.
Nell’essere sul luogo, egli molto opportunamente, raccolse alquanti |
campioni di lave antiche e moderne che rappresentano principalmente
la costituzione geologica di quel vulcano e di tale interessante raccolta
fece prezioso dono all’Istituto vulcanologico da me fondato nella Regia ,j
Università di Catania. Mentre restai fino d’allora obbligato e adesso
rendo pubbliche azioni di grazie al gentile donatore; d’altra- parte mi
proposi di studiare uno per uno gli esemplari della raccolta e lo scopo i
della presente memoria è di fare conoscere succintamente i resultati
dello studio intrapreso.
Prima però di entrare in materia speciale, credo utile per maggiore i
intelligenza di quanto sarò per esporre, di richiamare alla memoria di
chi non ha presenti certe speciali conoscenze' sui vulcani, le condizioni
Boll del R Com. Ceol d'Italia
Anno 1888.Tav. IH (ECortese)
— 129 —
fisiche generali che caratterizzano l’importante vulcano di cui è parola.
— Il Kil auea è un vasto vulcano che ha per carattere di presentarsi
situato sopra un fianco di un altro monte vulcanico, di molto maggiore
mole. Questo è il Mauna-Loa , il quale si eleva al sud nell’isola Ilawai
ed è uno dei 4 vulcani che ardono in quella isola che è la principale
tra le Isole Sandwich. Il Mauna-Loa è una grande montagna di forma
conica ad apice troncato e nella sua parte estrema (che si eleva a 4303
metri sul livello del mare) apresi un’ampia voragine che ne rappresenta
il cratere (detto Mokuawéowéo).
Questo frequentemente alterna il suo stato ordinario di semplici ema-
nazioni gassose o solfatariano, con formidabili eruzioni. È precisamente
sul fianco orientale del Mauna-Loa a 25 chilometri di distanza dalla
cima e a soli 1200 metri di altitudine sul mare che si eleva, a guisa
di modesta prominenza di cono tronco a larga base, il Kilauea il cui
cratere si presenta come un ampio recinto di figura ellittica, che secondo
Brigham 1 ha il diametro maggiore che raggiunge circa 6 chilom., il
minore circa 4 e perciò rappresenta un circuito di quasi 16 chilom., che
limitano un bacino di presso a poco 19 chilom. quadrati di superfìcie.
Ciò lo fa ritenere come il più vasto bacino vulcanico che si conosca
sulla faccia del globo.
Oltre il carattere speciale di situazione e di grandiosità; il Kilauea
ha anche quello di essere, nei fenomeni vulcanici che presenta, indi-
pendente dal Mauna Loa; quantunque su di esso comparisca a guisa
di cratere avventizio. Di crateri avventizj ce ne porge classico esempio
l’Etna, ma l’attività di questi si spegne col terminare della eruzione,
che diede loro origine: invece il Kilauea è un’ampia bocca che agisce
da emuntorio laterale del grande vulcano che lò sostiene, i cui pa-
rossismi eruttivi quando si presentano non disturbano per niente i
fenomeni che permanentemente si compiono nell’interno di questo im-
menso cratere. Humboldt nel Cosmos lo descrive come un grande lago
di fuoco in attività incessante, analogamente a quello che avviene nel
vulcano Masaya dell’America centrale e nel nostro Stromboli: anzi
questo ultimo per avere una storia più conosciuta ha dato nella scienza
1 Notes on thè uolcaTiic phenomena of thè Hawaiian Islaiid (Boston Soc.
of. Nat. Hist., Memoirs, Voi. I, part. III, 1868;.
moderna il nome di attività stromboliana all’attività permanente carat-
teristica di questi tre vulcani, che in generale è moderata, ma di tanto
in tanto viene alternata da periodi di recrudescenza che assumono la
veemenza di grandi eruzioni.
Tutti i viaggiatori restano meravigliati nel visitare l’immenso ba- *
cino del Kilauea, circondato da pareti di circa 300 metri di altezza,
tagliate quasi a picco dalle continue frane che mettono al nudo le te-
state di numerose stratificazioni che si succedono dal basso aU’alto e
che rappresentano le antichissime lave preistoriche dalle quali si scopre
T anatomia del monte: analogamente alle stratificazioni di antiche lave
che si vedono allo scoperto sull’Etna nelle pareti franose che formano
il grande recinto della Valle del Bove. Nell’interno del bacino del Ki-
lauea in corrispondenza all’asse eruttivo che si trova nella parte sud,
esiste un lago di lava chiamato Halemaumau , ove la lava si alza e
si abbassa di livello, bolle, ribolle e si agita per lo sprigionamento con-
tinuo di vapori compressi; mentre nel rimanente della superficie la lava -
viva è coperta all’esterno da uno strato già consolidato della medesima,
qua e là interrotto da molte crepature che lasciano vedere il fuoco sot-
tostante. Questi meati aperti fanno anche assistere in varj punti a fe-
nomeni eruttivi più limitati, ma non meno interessanti. Tra questi de-
stano maggiore impressione quelli che costituiscono dei crateri speciali
di sfogo i quali cambiano spesso di situazione e quelli rappresentati
dalle così dette fontane di fuoco. Tali fontane sono delle sorgenti di
lava ardente che zampilla all' esterno per mezzo di apparecchi singo-
lari in forma di piccoli coni semplici o multipli, molto allungati, con
un orifizio in cima circondato da colaticci della stessa lava che giun-
gendo via via all’esterno si riversa e si raffredda tutta all’ intorno ed
inalza sempre più il suo punto di scaturigine.
La storia assicura che talvolta negli straordinarj parossismi erut-
tivi del Kilauea, la lava fluida riempie tutto lo intiero bacino ed au-
menta in modo così notevole di volume da raggiungere l’orlo superiore
del medesimo. Allora per effetto della enorme pressione il fondo o le
pareti si rompono, si determinano delle fessure che si estendono a
qualche punto più basso del monte e la grande caldaia presto si vuota,
dando origine a fiumi estesi di fuoco che scendono impetuosissimi fino
a notevole distanza: l’esempio più recente di ciò avvenne nel 1839,
— 131 —
epoca in cui la lava raggiunse in breve tempo il mare alla distanza
di 48 chilometri.
Per qualunque altra notizia particolareggiata sulla storia dei feno-
meni del Kilauea si potrà consultare principalmente la interessante me-
moria originale già citata di W. Brigham e per qualche studio spe-
ciale più recente gli autori che ho avuto occasione di citare nel corso
di questa memoria.
A me era necessario di premettere la brevissima descrizione che
ho fatto del Kilauea, desunta dalle narrazioni degli autori che hanno
avuto la fortuna di visitarlo e dalle più recenti notizie che mi ha co-
municato il prelodato Prof. Tacchini, per far comprendere meglio il gia-
cimento e, sotto un punto di vista generale, la cronologia dei campioni
di lava raccolti dal professore medesimo dei quali vengo ora dettagliata-
mente a parlare.
Questi in numero di 28 ho potuto distinguere dietro le indicazioni
annesse, nelle 3 seguenti categorie.
1. Lave recentissime raccolte o nella parte centrale del bacino
presso un nuovo cono, formatosi nel maggio 1883 o al Nord del cra-
tere ove la lava bolle e ribolle continuamente; ovvero presso delle fon-
tane attive di fuoco.
2. Lave moderne raccolte già consolidate e fredde alla parte
periferica del bacino.
3. Lave antiche preistoriche le quali stratificate formano le pa-
reti del circuito che limita tutto all’intorno il bacino. Stabilita questa
classificazione ecco la descrizione dei campioni di roccie che ho tro-
vato in ciascuna categoria e che rappresentano tutta la collezione.
I. Lave recentissime.
Campione N. 1. — Lava vetrosa basica appartenente ad una eru-
zione del maggio 1883.
Caratteri macroscopici e fisici. — Roccia compatta apparentemente
nera, di aspetto piceo, vetrosa e semivetrosa; formata cioè da una
parte vetrosa che passa gradatamente ad una parte di aspetto preva-
lentemente litoide.
La parte vetrosa ha frattura decisamente concoide, sembra nera ed
132 —
opaca in massa, ma ridotta in sottili scheggi è trasparente ed ha un
color verde-bruno-bottiglia. La parte che ha un prevalente aspetto li-
toide non ha frattura perfettamente concoide, nè lucentezza vitrea, tranne
in piccoli punti qua e là nelle superfici di rottura. — Non spiega azione
sensibile sull’ago magnetico. — E dura, tenace e pesante. Dur.: 6—6,5; 1
P. sp.: 2,97. 2
Caratteri microscopici e petrograjìei. — Nella roccia ridotta in la-
mine sottili e sottoposta ad un ingrandimento di 27 diam. lineari, la
parte vetrosa in generale non si mostra completamente omogenea, ma
invece per un principio di devetrificazione presenta un certo numero
di microliti, cristallai, che come la pasta vitrea matrice sono senza bi-
refrangenza: di più vi sono molte concrezioni sferolitiche di colore ca-
stagno scuro che somigliano perfettamente a quelle dichiarate dal pro-
fessore Mohl di magnetite titanica per il basalto vetroso di Sababurg j
(Hessen) senza però che vi si veda nessun granulo o cristallo opaco
nero distinto, ma piuttosto attraverso alla trasparenza, molto difficile j
in un colore scuro, comparisce una struttura quasi fibrosa irradiante
da centri distinti. I centri sono formati o da cristallini isolati o da
gruppi cristallini sia allo stato microlitico, sia allo stato di maggiore
sviluppo con forme e caratteri ottici specifici. Vi si notano numerosi
cristallini perfettamente incolori romboidali di feldispato labradorite,
numerosi cristallini parimente incolori prismatici e molto bacillari che
hanno tutto l’abito dell’oligoclasio e somigliano perfettamente ai cri-
stalli riconosciuti pure per oligoclasio nel già nominato basalto vetroso
di Sababurg. Vi sono piccoli aggruppamenti cristallini di augite con
pleocroismo debole o mancante, ma con manifesti colori di polarizza- !
1 Le lave del Kilauea che formano argomento di questa memoria essendo in
generale a struttura omogenea microcristallina o criptocristallina o assolutamente
afanitica, mi hanno offerto delle condizioni favorevoli per determinarne la durezza;
il quale carattere riesce di importanza anche per le roccie nei confronti tra ùtipi
normali e quelli metamorfici per più o meno profonde alterazioni sofferte.
2 Le determinazioni del peso specifico sono state fatte con molta cura dal
sig. Antonio Di Blasi allievo ingegnere praticante nel mio laboratorio. È stata ap-
plicata la bilancia del Jolly tranne in quei casi nei quali era necessità di ricorrere
all’uso del picnometro. — Le cifre, adottate rappresentano la media di almeno 3
esperienze che in ciascun caso hanno dato resultati molto approssimati tra loro.
— 133 —
zione: infine si vedono piccole incipienti segregazioni di olivina e qual-
che cristallino di apatite le cui sezioni parallele alla base del prisma
sono isotrope tra i Nicol incrociati e le altre parallele all’asse princi-
pale mostrano coi caratteri della birefrangenza dei colori di polarizza-
zione assai vivi: di più sono attaccabili facilmente dall’acido nitrico e
se si applica al microscopio col metodo di Streng la reazione del mo-
libdato ammonico, si hanno segni non dubbi dell’ acido fosforico.
La parte prevalentemente litoidea della roccia si rende difficilmente
trasparente anche nelle lamine sottili e resulta da una massa fondamen-
tale vitrea di color verde bruno bottiglia molto scuro; come se quelle
concentrazioni sferolitiche sparse qua e là come ho detto nella roccia
vitrea avessero invaso tutta la pasta del vetro primitivo facendogli per-
dere il color chiaro e molta trasparenza. In questa massa fondamen-
tale scura si vedono più grandi, più spiccati, più frequenti e porfìrica-
mente disseminati quei medesimi cristalli isolati o gruppi di cristalli
che dimostrano più evidenti le segregazioni dei minerali sopra indicati.
I cristallini diafani incolori molto bacillari riferiti all’ oligoclasio (senza
però poterlo provare chimicamente per le loro dimensioni microsco-
piche) si presentano spesso incrociati in mezzo a numerosi gruppi
cristallini di labradorite e di augite.
La magnetite in forme distinte o di polvere o di granuli o di mi-
nuti cristalli, non si osserva nemmeno in questa parte litoide; solo nel-
l’esame sorge facile il giudizio della esistenza di una pasta fondamen-
tale vitrea molto ricca di ferro, per il colore scurissimo che presenta
e sul punto di segregare un minerale ferrugginoso opaco, come dimo-
stra la difficoltà con cui si può ottenere anche un debole grado di tra-
sparenza nelle preparazioni in lamine sottili.
Caratteri chimici. — La parte vetrosa della roccia rassomiglia alla
ossidiana, ossia al comune vetro vulcanico; ma non lo è di fatto perchè
la roccia in esame è basica per la sua composizione, come ora vedremo,
mentre l’ossidiana come è noto rappresenta lo stato vetroso delle roccie
silicate acide, come le trachiti etc. Tanto la parte vetrosa quanto la
parte litoide della roccia sono pochissimo o niente attaccate dagli acidi
sì a freddo che a caldo: perciò la prima potrebbe chiamarsi Ialomelano
che, secondo Rosenbusch, tra i vetri basici o basaltici differisce dalla
tachilite per il suo carattere di insolubilità negli acidi; mentre la ta-
9
— 134 —
chilite facilmente è attaccata da questi *. A me sembra per dire il vero
che tale carattere distintivo sia poco sicuro, perchè rattaccabilità o non
attaccabilità dei silicati per mezzo degli acidi dipende dal modo come
si procede. Per es., il vetro basico di cui è parola, mentre come ho già
detto è quasi inattaccabile dagli acidi nel modo ordinario, l’ho potuto at-
taccare facilmente ‘mettendolo in polvere finissima a contatto di un mi-
scuglio a parti presso a poco eguali di acido cloridrico e solforico con-
centrati, in un tubo di vetro a pareti grosse e chiuso alla lampada.
Esposto così alla temperatura di 240° e agitando di tanto in tanto, ho
osservato che in 7 ore se ne è sciolta una proporzione del 32, 7 per 100
sul peso primitivo della polvere e se si tiene conto della silice che via
via precipita insolubile nel tubo, si può dire che la roccia è rimasta
con tale metodo e nel tempo indicato, quasi completamente, attaccata
e disgregata.
Polverizzando dei frammenti di roccia parte vetrosi e parte litoidi
si ha una polvere di colore misto tra il bigio e il verdognolo chiaro,
che scaldata subisce una leggerissima perdita per una minima propor- j
zione di acqua e quando sente la temperatura del calore rosso inci-
piente comincia a fondersi in un vetro. — All’analisi chimica ha dato I
i seguenti resultati che ne rappresentano la composizione cente-
simale. 1 2
1 11 Prof K. de Kroustchof nel suo recente lavoro sui vetri basaltici di Ross-
berg presso Darmstadt, descrive un vetro basaltico che molto somiglia per le prò- 1
prietà tìsiche e chimiche al nostro ed egli pure lo classifica il suo come Ialome- fi
lano, separandolo dalle tachiliti tra le quali era stato precedentemente compreso i-
da Petersen associandolo anzi con le vere Idrotachiliti che sono una specialità di
quel giacimento (V. per il lavoro di Kroustchof — Bull. Soc. Min. Frane., fase. 2, ]
fevrier 1885 — per il lavoro di Petersen — Neues Iahrbuch f. Min. u. Geol., |
1869, p. 32).
2 Devo dichiarare che nel lungo lavoro di analisi chimiche delle roccie che
formano argomento di questa memoria, mi ha prestato assidua cooperazione il
prof. Sebastiano Consiglio assistente nel mio laboratorio.
La disgregazione è stata fatta, col carbonato sodico potassico. Per la deter-
minazione degli alcali le roccie si sono fuse con la calce : per la valutazione del
sesquiossido e protossido di ferro si sono fuse col borace in atmosfera inerte e
quindi si è fatto uso della soluzione titolata di permanganato di potassico.
— 135 —
SiO*
49,
20
P205
• 0,
42
TiO*
1,
72
ALO5
14,
90
Fe203
4,
51
FeO
12,
75
MnO
........ 0,
28
CaO
9,
20
MgO
3,
90
Na20
1,
96
KPO ........
0,
95
H20 . .
0,
10
99,
89
La quantità di ferro che è contenuta nella composizione di questa
lava coi suoi ossidi FeO ed Fe203 dà assai nell’occhio, perchè è supe-
riore alla quantità ordinaria appartenente alle rocce vulcaniche. Da *
prima ho ritenuto questa quantità come erronea, ma nel ripetere le ana-
lisi ho ottenuto sempre delle cifre poco discordanti tra loro, sia per il
sesquiossido, sia per il protossido ed ho adottato la media di queste
cifre la quale ho visto poi che trova riscontro nelle analisi, quantunque
incomplete, di lave recenti vetrose del Kilauea fatte da Iachson, da
Peabody e da altri autori pubblicate nella memoria di Brigham l. Ed
in quelle di Hague e di Cohen più accurate che credo utile di ripor-
tare qui sotto 2.
1 Brigham, mem. cit. pag. 460.
2 Kilauea
SÌ02
TÌ 02
APO3
CD
<3^
03
Feo
Inolino! CaO
CD
evi
1
K20
PO
1
somme
1. Lava sco-
riacea vetrosa
bigio-scura
(recente) ....
50,69
0,70
16,19
5,51
11,02
trac.
4,28
10,49
0,94
1,36
101,18/
A. Hague, Iahrb.
) Minerai. 1865
p. 3 OS.
2. Colaticcio
di lava basal-
tica (recente) .
51,42
_
15,17
2,71
13,94
id.
4,72
10,20
1,79
0,96
100,91 ,
3. Basaltossi-
diana vetroso
(Lava del 1843).
P. sp. 2,69. .
51,41
2,61
12,92
2,87
9,29
0,16
5,45
11,46
2,92
0,70
0,32
100,11
Cohen, Iahrb.
Minerai 188 0
II p. 41.
— 136 —
In compenso trovasi minore la quantità di allumina e specialmente
di calce, magnesia e di ossidi alcalini.
Il fatto chimico dell’eccesso di ossido ferroso-ferrico in relazione
agli altri ossidi metallici, dà una ragione della meno difficile fusibilità
e permanente fase vitrea del magma basico che dà origine a questa
lava *. Mentre da altra parte il fatto di non osservare nessuna delle forme
ordinarie con le quali suole presentarsi la magnetite nelle roccie vul-
caniche, è in relazione al carattere chimico della crescente quantità
del sesquiossido di ferro in ragione della minore o maggiore spugno-
sità che presenta spesso questa lava: il che trova spiegazione nella
sopraossidazione che deve subire il magma vitreo della lava, che per
le fasi di permanente attività del vulcano, bolle e ribolle nell’interno
della grande caldaja a contatto dell’aria esterna e sotto l’influenza di
correnti gassose nelle quali, in tale grado di attività vulcanica, trovasi
sempre presente l’ossigeno. Questa deduzione ha trovato una conferma
•nello studio della medesima lava in due varietà che si mostrano più
tormentate dall’azione delle correnti gassose. Queste due varietà sono
rappresentate dai due campioni che portano i n.ri 2 e 3 della collezione.
Campione N. 2. — Rappresenta della lava recentissima ma anteriore
a quella ora studiata del maggio 1883. E come questa in parte vetrosa,
in parte litoide ed hai medesimi caratteri fisici e petrografici .esenziali :
Durez. 6 — 6,5, P. sp. 2,92; non ha azione sensibile sull’ago magnetico;
ma è tutta bollosa per grandi e piccoli vacui che la rendono quasi sco-
riacea ed ha una superfìcie formata come da corde arrotolate. Non ho
fatto di questa lava un’analisi chimica completa, ma dai saggi eseguiti
e dalle precedenti osservazioni debbo ritenere che la sua composizione
non differisce sostanzialmente dalla precedente; meno che per il carat-
tere di una proporzione maggiore (5,9 per %) di sesquiossido di ferro.
Sotto questo punto di vista è anche più dimostrativo il seguente:
Campione N. 3. — E lava recentissima presa da una delle così dette
fontane di fuoco che sono in attività nel recinto del grande cratere, ma
1 Mi resulta da un’ esperienza di laboratorio che mescolando con ossido di
ferro la polvere del tipo di lava basaltica N. 24 scelto tra le lave preistoriche del
Kilauea più refrattarie al calore, si ottiene facilmente un vetro che somiglia a
quello della lava recente.
?
— 137 —
al di fuori del lago centrale di lava. È in forma di gocciole o di colaticci
che si consolidano tutti all’intorno degli orifizi da cui scaturiscono i
getti di materia fusa. Si presenta, alla parte esterna delle gocciole o
colaticci, a superficie liscia di color nero con screziature bianche le
quali corrispondono a delle solcaturè ove con evidenza apparisce ra-
zione di vapori acidi che ha spiegato una corrosione ed ha messo in
libertà della silice bianca. La sua massa interna è per la massima parie
vitrea e tutta porosa e bollosa ed è come una tumida spuma consoli-
data che in qualunque punto si rompa mostra la superficie di frattura
vagamente iridescente, tanto da richiamare alla memoria le belle limo-
niti iridescenti dell’isola d’Elba. Anche questa lava ha i medesimi ca-
ratteri fisici delle precedenti: Dur. 6-6,5; P. sp. 2,90: non ha azione sen-
sibile sull’ago magnetico, osservata in lamine sottili è un vetro di color
verde-bottiglia-bruno, trasparente con le solite segregazioni cristalline
e concrezioni sferolitiche. Nella composizione chimica il carattere dif-
ferenziale che emerge è la maggior proporzione dell’ossido ferrico e così
pure un aumento sensibile nell’acqua.
La media dell’ossido ferrico giunge fino a 6,8, quella dell’acqua a
1,7 per %
Dietro di ciò i tre campioni di lava studiati si possono specificare
nel modo seguente. — N. 1. Lava di tipo basico compatta vetrosa che
passa gr adatamente a semivetrosa o litoide , a struttura microcristal-
lina porfirica con massa fondamentale di jalomelano — Secondo Ro-
senbusch 1 2 si può chiamare Vitrofiro basaltico. Secondo Cohen 2 Basal-
tossidiana. — N. 2. Idem , idem come sopra , ma molto cellulare per
inclusioni gassose. — N. 3. Varietà del N. 2. con ossido ferrico in
parte limonitizzato.
A questi precedenti tre campioni si connettono per tutti i caratteri
i campioni che faccio seguire coi numeri 4 e 5 presi intorno al nuovo
piccolo cratere osservato dal prof. Tacchini e formatosi nel maggio
1883, quando venne fuori da questo un copioso volume della lava che
forma il campione N. 1. della quale anzi si può dire che rappresentano
la parte scoriacea.
1 Rosenbusch, Mikr. Phi/siogr. der mass. Gest., Stuttgart 1877, pag. 444 —
(Glasigen Basalte).
2 Cohen, Jahrb. Minerai. 1876, pag. 744.
— 138 —
Campione N. 4. — Scoria minutamente bucherellata da vacui che
la rendono voluminosa, leggiera e quasi pomicea. — Nello strato supe-
riore corrispondente allo esterno è vetrosa e iridescente quando si rom-
pe, come il campione. N. 3. — E a superfìcie cordiforme, vitrea, di color
bruno con screziature bianche analogamente solcate per l’attacco di va-
pori acidi. Al di sotto dello strato superficiale si mantiene porosa in
tutta la massa che è di color nero tendente al rossiccio, senza lucen-
tezza vitrea. — Dur. 6— 6,5; P. sp. 2,62; non ha azione sensibile sull’ago
magnetico. È petrografìcamente eguale ai campioni precedenti 1, 2, 3
sicché anche di questo come del campione seguente ho creduto super-
fluo di fare l’analisi chimica. — In conclusione ritengo che il campione
N. 4 è una varietà meno vetrosa e meno limonitizzata del campione N. 3.
Campione N. 5. — Altra scoria molto porosa e leggiera di forma ir-
regolare bitorsoluta, con l’aspetto stalattitico, ovvero regolare come di
cordicelle di 1 a 2 cent, di diametro che irradiano come da un centro.
La superfìcie ha una certa lucidità e apparenza che rammentano quelle
del biscotto. Internamente ed esternamente presenta nei vari esemplari i
del campione o un colore rosso ematitico, o un giallo rossiccio, o un
colore rosso nerastro di fegato. E ciò per la ematizzazione o limonitiz-
zazione di parte del ferro.
Nessuna azione sull’ago magnetico. Dur. 6—6,5; P. sp. 2,57.
Caratteri petrografìci identici ai campioni precedenti. Si può ritenere
il N. 5. come varietà del N. 4 distinta per la notevole ematizzazione I
di più o meno grande quantità di ferro.
Campione N. 6. — E una singolare forma vetrosa della stessa lava
N. 1 e rappresenta il vetro basico (jalomelano) in forma di fili capillari
chiamati dagli inglesi e conosciuti col nome di Pele's hair o capelli
della Dea Pelò che secondo gl’indigeni risiede nelle profondità del vul-
cano.
Questa forma filamentosa di vetro dimostra nel modo il più evidente
lo stato viscoso del magna vitreo delle attuali lave del Kilauea, le quali
nelle projezioni determinate dallo sprigionamento dei vapori compressi
attraverso la massa fusa del lago di fuoco, non danno (come ordina-
riamente avviene nei vulcani) sabbia, lapilli o altri prodotti frammen-
tari; ma invece gli spruzzi di materia fusa mentre si allontanano ra-
pidamente dalla massa che li produce, vi rimangono in relazione traendone
— 139 —
e anche risolvendosi in filamenti sottilissimi che si prolungano per la
celerità delle proiezioni per lungo tratto. — Sono fatti dello stesso vetro
che ho descritto di color verde-bruno-bottiglia, trasparentissimi, senza
mostrare segregazioni cristalline di nessun genere. — Sono per lo più
perfettamente cilindrici, pieni o perforati longitudinalmente da un sottile
foro; spesso però presentano degl’ingrossamenti o lungo la loro esten-
sione longitudinale, ovvero alle due estremità dove finiscono: in questi
ingrossamenti risiede una materia gassosa formante una o più bolle e
che determinò il distaccarsi delle goccie vitree delle quali gli ingros-
samenti ci rappresentano i residui dopo di aver filato. Tra i più grossi
filamenti ve ne hanno di 6 a 7 cinquantesimi di mill., ma tra i più fini
ne ho misurato alcuni che raggiungono appena la grossezza di 7500 ^i
mill., vale a dire ne occorrono in quest’ultimo caso 25 per fare la gros-
sezza di un capello ordinario. Non fa quindi meraviglia se gli indigeni
li hanno paragonati a delicati capelli soprannaturali; come pure non sor-
prende se per la loro leggerezza i venti li trasportano anche a grandi
distanze. Per lo più vengono raccolti nelle fessure delle roccie dentro
al grande bacino ed ivi nell’accumularsisi intrecciano tra di loro costi-
tuendo un feltro filamentoso molto simile alla così detta lana di scorie.
Oltre alla forma filamentosa rettilinea e regolare ve ne sono in mezzo
molte varietà in forma di spirale, di staffa, di racchetta e tante altre
in mille guise contorti ecc. — Il p. sp. determinato col picnometro alla
temp. di 15° C., ha dato come media di 3 esp. 2, 80: non hanno azione
sensibile sull’ago calamitato, sono difficilmente, come il vetro da cui
provengono, attaccabili dagli acidi e in quanto alla composizione chi-
mica l’analisi già fatta sui Pele’s hair del 1864 da C. T. Iackson e quella
di I. Peabody sopra altri del 1840 (Unit. Stat. exploring expedition *)
dimostrano che essa tranne poche varianti (che forse dipendono dai
metodi dei varj analisti) non è dissimile da quella già studiata nella
lava vetrosa N. 1 e sempre col carattere spiccato di sovrabbondanza
di ferro e scarsa quantità di altri ossidi metallici specialmente alcalini.
La singolare forma di vetro che costituisce il campione N. 6 si
può dunque classificare come Lava vetrosa basica ( calomelano ) in sot-
tili filamenti capilli formi.
1 Brioham, Mem. cit., pag. 460.
— 140 —
II. Lave moderne.
L’interno del grande bacino del Kilauea si mostrava nel 1883, al
di fuori del lago di lava o attuale cratere che occupa la parte centrale,
riempito da un ammasso di lave più o meno scoriacee che costituivano
una superficie irregolare e confusa attraversata da profonde spaccature,
da cui (secondo le varie situazioni) o uscivano rivoli di lava ardente
o zampillavano fontane di fuoco, ovvero emanavano tali copiosi e con-
tinui effluvj gassosi acidi e solfurei da caratterizzare nello stesso ba-
cino, condizioni di attività vulcanica differente ma per lo più di 3° grado
o solfatariana : ragione per cui vi è tutta la regione Sud-Est del bacino
stesso che porta il nome di solfatara o di sulphur degli inglesi.
Ho già esposto lo studio fatto della lava di un recente cratere del
maggio 1883 e delle altre che contemporaneamente venivano al giorno
in forma di rivoli o di fontane di fuoco. Ora il mio compito è di de-
scrivere i campioni di roccie che nella collezione ho trovato di epoca
moderna, che sono state raccolte fredde e indurite verso la parte pe-
riferica del bacino. I campioni presi in tale giacimento portano i se-
guenti caratteri:
Campione N. 7.
Caratteri macroscopici e fisici. — Lava di color bigio scuro molto
simile alle doleriti dell’Etna, assai porosa per numerosi vacuoli interni:
ha l’apparenza di un impasto omogeneo senza tessitura cristallina: frat-
tura irregolare. — Debole azione sull’ago magnetico. — Durez. 6 — 6,5;
P. sp. 2,72.
Caratteri microscopici e petrografici — Con un ingrandimento non
minore di 240 diam. (obiett. 7, ocul. 1 Hartnack) questa lava presenta
una massa fondamentale subvitrea, quasi opaca e perciò vedesi con
difficoltà la sua costituzione minutamente granulosa per incipienti se-
gregazioni magnetiche: in mezzo a questa sono porfiricamente disse-
minati aggruppamenti cristallini di augite, plagioclasio e olivina a cui
si aggiungono i soliti cristalli trasparenti incolori e molto bacillari di
feldispato, che credo probabile essere oligoclasio piuttosto che labra-
dorite come nel caso del campione N. 1 della cui parte semivetrosa o
litoide questo N. 7 ripete il tipo: con la differenza della struttura molto
— 141 —
porosa e di una molto maggiore frequenza di segregazione cristallina
o di una minutissima, però discernibile granulosità di magnetite. L’au-
gite e il feldispato sono predominanti alla olivina che invece si mostra
in concentrazioni che presentano dimensioni relativamente maggiori.
Non vi ho potuto scorgere alcun cristallino distinto di apatite.
Caratteri chimici. — Con la porfìrizzazione da una polvere bigia
che riscaldata perde una quantità appena sensibile di acqua e al calore
rosso si fonde.
L’analisi chimica ha dato la seguente composizione:
SiO2 49, 80
P205 ........ > 0, 22
TiO2 0,95
A1203 . . . . 13, 76
Fe203 3, 09
FeO 11, 97
MnO 0, 10
CaO 10, 25
MgO 5, 02
Na20 . 3, 00
K20 . 1, 15
H20 0, OOtraccie
99, 31
Tale composizione dimostra che come somiglia petrograficamente
alla parte più de vetrificata della lava recente del 1883, così ne è poco
dissimile per la sua natura chimica. — Tutto l’assieme dei caratteri
autorizza a ritenere che il campione N. 7 rappresenti una lava doleri-
tica minutamente cellulare a base fondamentale subvitrea e a struttura
microcristallina porfirica.
Campione N. 8. — E perfettamente simile alla precedente lava N. 7 ;
ne differisce solo apparentemente per avere un color bigio più scuro
tendente al nero. Questa apparenza trova la sua ragione nei caratteri
petrografici che mentre sono sostanzialmente eguali, mostrano però
nella pasta subvitrea una segregazione più evidente e più abbondante
di magnetite granulosa, che nella lava 7 era solo rudimentale. Tale
— 142 —
carattere trova riscontro in due fatti fisici che cioè la roccia spiega
una azione più sensibile sull’ago magnetico ed ha un peso specifico un
poco superiore. — Dur. : 6—6,5; P. sp. 2,76. Il N. 8 si può dunque rite-
nere come varietà del N. 7 più ricca di magnetite.
Campione N. 9. — E una sabbia grossolana mescolata a lapilli di
color bigio più o meno scuro. Piuttosto che originata da projezioni vul- !
caniche, ritengo per la forma generalmente angolosa dei frammenti che
sia un detrito formatosi per azioni meccaniche sulle lave precedenti 7
e 8, ove deve essere stata raccolta. D’altronde l’esame di sottili sezioni
dimostra i medesimi caratteri petrografìci. Contiene piuttosto frequenti
granuli di olivina giallo-verdastra. — P. sp. medio determinato col picno-
metro 2, 95 a temp. 15° C.
Campioni N.rI 10, 11, 12, 13. — Sono delle scorie più o meno leggiere
raccolte qua e là in varj punti del grande bacino. Presentano un colore
0 biancastro o giallo o rossiccio per essere alterate dall’azione di ema-
nazioni acide che hanno più o meno profondamente attaccato i loro sili-
cati. Gli esemplari del N. 10 presi in vicinanza del margine del lago
di fuoco si vede che provengono da impasto vetroso; tutti gli altri da i
impasto litoide. La loro durezza nei punti interni meno attaccati e dove
si conserva il colore bigio scuro primitivo della roccia è al solito di
6 a 6,5; ma nel rimanente è al di sotto di 6 e molto variabile fino ad
1 a seconda del grado dì decompozione. Non manifestano azione sul-
l’ago magnetico o un’azione appena appena sensibile. Il loro peso spe- j
cifico è il seguente N. 10 = 2, 48; N. 11 = 2, 37; N. 12 = 2, 41; N. 13 = 2. I
Studiandole nei loro caratteri petrografìci in quei punti interni ove non
è arrivata la decomposizione, si vede che corrispondono alle lave pre- :
cedentemente esaminate a tipo o prevalentemente vetroso o prevalen- |
temente litoide; in ogni caso la massa fondamentale è vitrea o subvi-
trea e in questa sono porfiricamente disseminate, ora rare (tipo vetroso)
ora più o meno frequenti (tipo litoide) aggregazioni microcristalline dei
soliti minerali plagioclasio, augite, olivina, con segregazione più o meno
manifesta di magnetite minutamente granulare.
Campioni N. 14 e 15 — Lave in origine compatte o minutamente
porose e anche scoriacee le quali presentano un grado di alterazione \
molto più avanzato delle scorie precedenti; anzi si può dire che esse
sono in gran parte (negli esemplari del N. 14) e completamente (negli
esemplari del N. 15) caolinizzate per cui il loro impasto bigio scuro
che dovevano avere in origine si è trasformato in una materia bianca
tenera che ha una Dur = l e che si disgrega Ira le mani. Il N. 14 ha
un P. sp. di 2,12 ed è stato preso in una fessura del grande bacino.
Il N. 15 ha un P. sp. di 2,07 ed è in frammenti minuti raccolti nella
regione S.E del grande bacino detta la zolfara. I frammenti mostrano
infatti in mezzo alla materia bianca delle condensazioni cristalline di
zolfo dell’ordinario color giallo. Somigliano perfettamente queste lave
caolinizzate a quelle che si osservano alla solfatara di Pozzuoli con le
quali si fa il biachetto e a quelle che in generale si raccolgono nel-
l’interno dei crateri vulcanici sui vecchi strati decomposti. Da quello
che ho osservato studiando questo processo di caolinizzazione nell’in-
terno del cratere dell’Etna è necessario il concorso delle emanazioni
di acido cloridrico e di anidride solforosa; questi prodotti ambedue gas-
sosi penetrano facilmente nelle porosità delle lave e sotto l’influenza
dell’umidità e dell’aria, mentre il primo attacca più facilmente il ferro
della magnetite e lo trasforma in cloruro ferrico solubilissimo; il primo
ed il secondo (che presto nelle dette condizioni si cambia in acido sol-
forico) c mcomitanti costituiscono un’azione energicamente attiva per
la disgregazione delle roccie silicate. Con una simile azione associata,
mentre in laboratorio si ottiene l’effetto in poche ore (vedi pag. 8)
agendo ad elevata temperatura e sotto forte pressione, la natura giunge
allo stesso resultato col tempo e con un’azione incessante e continua
degli agenti vulcanici e meteorici. Il ferro, la magnesia, la soda, la po-
tassa, molta parte della calce, parte dell’allumina e della silice, se ne
vanno sotto forma di composti solubili che compariscono poi nelle efflo-
rescenze e incrostazioni tanto comuni nei vulcani: e delle lave primi
tive non resta che il caolino e silicato di allumina, mescolato a sol-
fato di calce e a zolfo proveniente dalla nota reazione.
E tale è la interpetrazione che si deve dare circa le lave caolinizzate
del Kilauea, le quali nella composizione della materia bianca mostrano
silicato di allumina in grande prevalenza, mescolato a solfato di calce
a piccoli residui di magnesia e di ferro (e a sublimazioni di zolfo nel
solo campione N. 15). (Continua)
— 144 —
NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE
Justus Roth. — Allgemeine und chemische Geologie. —
Berlin, 1879-87. Due volumi in-8°.
Scopo di questa importantissima pubblicazione è quello di dare
un’idea esatta dello stato odierno delle nostre conoscenze in geologia
mineralogica e petrografia, offrendo allo stesso tempo un repertorio I
ragionato di tutte le pubblicazioni fatte su questo vasto campo di scienza. |
A causa però del lungo tempo (dal 1879 al 1887) eh’ è durata la pubbli-
cazione, molti dei lavori comparsi in quest’ultimo decennio di febbrile ]
attività scientifica, non sono stati presi in considerazione: e quindi è j
da sperare che l’autore voglia completare l’opera, colmando questa la-
cuna con un fascicolo d’appendice. Intanto l’autore fa sperare di pros- j
sima pubblicazione un volume di critica storica della geologia teorica, j
Come appare chiaramente quest’ opera colossale potrebbe formare il
fondamento, il punto di partenza di una rivista periodica di una gran-
dissima importanza.
Ci occuperemo qui del 2° volume, che tratta specialmente della
Geologia peirograjìca. Sono 700 pagine di materia condensatissima, |
della quale una descrizione sommaria non può dare che un’ idea assai !
sbiadita. Per ogni singola roccia sono riportate tutte le provenienze co- |
nosciute e citate le opere che la illustrano e alle quali si possano at-
tingere maggiori dettagli. E senza ostentazione il nome dell’infaticabile
J. Roth spesseggia e frequentemente viene citato per lavori su roccie
italiane.
Nelle generalità sulle roccie si occupa l’autore molto della strut- j
tura e dà una breve, ma splendida esposizione delle teorie emesse da
Credner, Lossen, Baltzer, Studer, ecc. per spiegare il modo di forma-
zione delle roccie scistose. Importante è anche l’argomento delle masse
fondamentali amorfe (vetri, felsite, microfelsite, ecc.).
L’autore divide le roccie in due grandi categorie: plutoniche e se- ;
— 145 —
w
dimentarie. Nelle plutoniche, oltre alle roccie vulcaniche antiche e re-
centi, vengono messi gli scisti cristallini, considerati dall’autore come
la prima consolidazione della crosta terrestre.
Roccie eruttive antiche. — Pei graniti l’autore segue la classifica-
zione adottata da Rosenbusch (pegmatite, granitite, granito pr. detto,
granito anfibolico); più vi associa il granito porfirico. Le roccie grani-
tiche italiane sono ampliamento rappresentate.
Fra i porfidi felsitici (porfidi quarziferi) vengono annoverati quelli
di .Canapiglia marittima, dell’ Iglesiente, dell’ Elba; fra le retinite quella
di Lugano.
Per le sieniti ammette la sottodivisione minetta , per le varietà
compatte (a preferenza micacee). Alle sieniti associa le roccie eleoli-
tiche (sienite eleolitica) che consiglia giustamente di chiamare sem-
plicemente nefeliniche.
Divide le dioriti in micacee e anfiboliche, notando come, special-
mente queste ultime, spesso si confondano cogli scisti anfibolici. L’autore
accenna come la presenza del granato sia un indizio sicuro per la sci-
stosità della roccia.
Nella diabase è importante la parte relativa alla variolite. Anche
interessanti sono le descrizioni delle diabasi oliviniche che per scar-
sezza di feldspato passano a picriti e per alterazione a serpentini.
Ampliamente trattati sono le porfiriti, e i melafiri.
La denominazione di gabbro è poi riserbata dall’autore esclusiva-
mente alle roccie diallaggiche massiccie, per le corrispondenti scistose
invece propone e adotta l’antico nome dato da von Buch cioè di zobienite.
Un capitolo speciale è dedicato alle ofiti.
Per le roccie plagioclasiche a nefelina (teschenite) l’autore rimane
ancora in dubbio se debbano trattarsi fra le roccie antiche o le recenti
(tefriti), a causa dell’incertezza dell’epoca geologica a cui esse vengono
riferite.
In ultimo vengano le peridotiti e come appendice i serpentini, con-
siderati quali prodotti di alterazione di altre roccie.
Chiude questa prima parte un capitolo riguardante i tufi vulcanici
antichi (dei porfidi, della diabase, del melafìro).
Roccie vulcaniche moderne. — Viene adottata per queste roccie una
classificazione analoga alle roccie antiche, però vi ha un gruppo di
— 146 —
roccie (leucitiche e nefeliniche) molto più sviluppato, trattato a parte
completamente.
A proposito delle lipariti e delle trachiti si parla molto sulla strut-
tura di queste roccie : nelle provenienze, Y Italia vi è largamente rap-
presentata dagli Euganei al Monte Amiata, alla Tolta, alle isole Ponza,
Lipari e Pantelleria, nonché diverse località della Sardegna.
A questo primo gruppo di roccie trachitiche sono annesse le fono-
liti, per le quali tranne poche località di Sardegna, l’Italia non vi figura.
La Germania invece vi è largamente rappresentata.
Un secondo gruppo è quello costituito da roccie essenzialmente
leucitiche e nefeliniche (leucititi, nefeliniti), o associate ad olivina (ba
salti leucitici e nefelinici), o a plagioclase (tefriti), o a plagioclase ed
olivina (basaniti). E interessante notare che mentre le roccie leucitiche
sono così sparse in Italia (lago di Bolsena, Monti Albani, Roccamon-
fìna, Vulture, Campi flegrei, Somma, Vesuvio, Sardegna, ecc.); le nefe-
liniche, tanto abbondanti in Germania, vi mancano assolutamente.
Fra le roccie plagioclasiche acide bisogna noiare le daciti, e le ;
andesiti micacee e anfìboliche, tanto celebri nella Transilvania; sono
rappresentati negli Euganei. Però l’Italia è assai più splendida nelle
andesiti augitiche, così all’Etna, alla Pantelleria, alle Lipari, ecc. Ma
più ancora nei basalti. I Monti Berici, Radicofani, Roccamonfina, le
isole Ponza, le Lipari, le roccie preetnee (Motta S. Anastasia), e le più
antiche etnee, la Pantelleria, l’isola Ferdinandea, ecc.
Un capitolo speciale è dedicato ai vetri basaltici e alla limburgite.
Infine è fatto un amplio cenno delle augititi (pirosseniti di Doelter).
La parte delle roccie vulcaniche recenti termina colla descrizione
dei tufi corrispondenti. Questa parte importantissima è stata però sinora i
poco studiata, o studiata poco profondamente. Vengono descritti parti-
tamente i tufi trachitici, fonolitici, leucitici, nefelinici e basaltici.
Scisti cristallini. — Per la struttura dei gneiss è adottata la classi-
ficazione del Naumann; una lunga e dettagliata descrizione è data per
questa roccia. L’Italia vi compare citata spessissimo colle Alpi, colla
Calabria, la Sicilia, ecc. Importantissimi sono i capitoli relativi ai mi-
cascisti e alla fillade, e con quest’ultima sono collegati i famosi scisti
(principalmente sericei) del Taunus. Importanti sono anche i capitoli
dove vengono descritti gli altri scisti: scisti anfibolici, calcarei, magne-
— 147 —
siferi, diallagici (zobtenite), ecc. ; e le altre associazioni minerali tanto
interessanti e tanto frequenti nella serie degli scisti cristallini.
Un'altra serie di roccie viene considerata dall’autore come derivata
da altri scisti per alterazione; comprende i talcóscisti, i cloroscisti e
i serpentini. E superfluo aggiungere che per tutti gli scisti l’Italia dà
un grandissimo contingente di località.
Termina questa parte un quadro comparativo di tutte le roccie plu-
toniche, classificate mineralogicamente.
Roccie sedimentarie . — È questo il gruppo di roccie meno studiato,
e che non di meno meriterebbe 1’ attenzione dei petrografì. Solo da
qualche tempo sono stati scoperti in queste roccie dei minerali non
comuni (dai lavori di Dieulafait) e anche rari, come rutilo, anatasio,
zircone, tormalina, ecc. (dai lavori di Thurach). L’autore comincia dal
descrivere i veri depositi minerali. In un primo gruppo abbraccia: sal-
gemma, anidride, gesso, baritina. In un secondo: pietra focaia, diaspro,
scisto siliceo. In un terzo: calcare, dolomia, marne, argille. In un
quarto : sabbia, arenaria, arcose, quarzite, grauvacca.
Un quinto gruppo comprende il ghiaccio e i depositi d’acqua dolce.
Il sesto gruppo si occupa di roccie fossilifere, o esclusivamente fito-
gene (torba, lignite, antracite, carbon fossile e bitumi) per le quali è data
la composizione chimica anche delle ceneri; o esclusivamente zoogene
(come le sabbie a diatomee, ecc.).
Chiude la parte delle roccie sedimentarie un importantissimo capi-
tolo sui conglomerati.
Per la descrizione delle roccie sedimentarie generalmente è adot-
tata la classificazione geologica più che quella geografica, tenuta per
le roccie plutoniche.
Le considerazioni argutissime, le numerosissime e fedeli citazioni
e l’imparzialità dei giudizii in tutto il lavoro, .rendono quest’opera uti-
lissima a tutii gli studiosi; indispensabile poi a chi si cimenta in lavori
petrografici e a .chi vuole dare un indirizzo serio alle collezioni lito-
logiche.
(L. B.)
— 148 —
PUBBLICAZIONE DELLA CARTA GEOLOGICA D’ITALIA
PER CURA DEL R. UFFICIO GEOLOGICO
PARTI PUBBLICATE (al 1° maggio 1888)
Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/100,000 :
Foglio N. 244 (Isole Eolie) prezzo L. 3 00
» 248 (Trapani) . . . » 3 00
» 249 (Palermo) . . . » 4 00
» 250 (Bagheria) . . . » 3 00
» 251 (Cefalù) . . . . » 3 00
« 252 (Naso) . . . . » 4 00
» 253 (Castroreale) . . » 4 00
» 254 (Messina) . . . »-4 00
» 256 (Isole Egadi) . . » 3 00
» 257 (Castelvetrano) . » 4 00
» 258 (Corleone) . . . » 5 00
» 259 (Termini Imerese). » 5 00
» 260 (Nicosia) . . . » 5 00
» 261 (Bronte) , . . . » 5 00
Foglio N. 262 (Monte Etna). . L. 5 00
» 265 (Mazzara del Vallo)» 3 00
» 266 (Sciacca) . . . » 4 00
» 267 (Canicattì) . . . » 5 00
» 268 (Caltanissetta) . » 5 00
« 269 (Paterno) . . . » 5 00
» 270 (Catania) . . . » 3 00
» 271 (Girgenti) . . . » 3 00
» 272 (Terranova) . . » 4 00
» 273 (Calta girone) . . » 5 00
» 274 (Siracusa) . . . » 4 00
» 275 (Scoglitti) . . . » 3 00
» 276 (Modica) , . . » 3 00
» 277 (Noto) .... » 3 00
Tavola di sez. N. I (annessa ai fogli 249 e 258) L. 4 00
» » N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 4 00
» » N. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » 4 00
» » N. IV (annessa ai fogli 257 e 266) .» 4 00
» » N. V (annessa ai fogli 273 e 274) » 4 00
JV.B. — L'intiera Carta della Sicilia, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d'unione
e copertina, è in vendita al prezzo di lire iOO.
Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/500,000 (serve anche di foglio di
unione della precedente) con sezioni. . . . . prezzo L. 5 00
Descrizione geologica dell’Isola di Sicilia, con una Carta geologica, tavole
in zincotipia ed incisioni, dell’Ing. L. Baldacci prezzo L. 10 00
Carta geologica dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1/25,000 con sezioni annesse
(in due fogli) prezzo L. 15 00
Descrizione geologica dell’ Isola d’ Elba con Carta annessa nella scala di
1/50,000, dellTng. B. Lotti prezzo L. 10 00
Relazione sulle miniere di ferro dellTsola d’Elba, con un atlante di carte e
sezioni geologiche, dellTng. A. Fabri . . . prezzo L. 20 00
IN CORSO DI STAMPA
Carta geologica dell’Italia Centrale nella scala di 1/100,000: Foglio N. 142
(Civitavecchia); F. N. 143 (Bracciano) ; F. N. 144 (Palombara Sabina);
F. N. 149 (Cerveteri) ; F. N. 150 (Roma); F. N. 158 (Cori).
Carta geologica dell’Italia, in due fogli, nella scala di 1/1,000,000 (edizione ri-
veduta e migliorata della Carta pubblicata nel 1881).
Descrizione geologico-mineraria dell’Iglesiente (Sardegna), con un atlante di
carte e sezioni geologiche, dell’ ing. G. Zoppi.
Per le commissioni rivolgersi al R. Ufficio Geologico, ovvero alla Libreria
E. Loescher, in Roma.
Pubblicazioni in vendita presso l’Ufficio Geologico
Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia; Voi. I a XVII, dal 1870 al 1886
— Prezzo di ciascun volume L. 10 —
Idem di un fascicolo separato » 2 —
N.B. - II prezzo di abbonamento annuo e di L. 8 per l’interno
e di L. 10 per l’estero.
Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia; Voi. I,
II e III (Parte la).
Voi. I. Firenze, 1872 » 35 —
Voi. IL Firenze, 1873-74 » 30 —
Voi. III. Parte la; Firenze, 1876. . . » 10 —
I. Cocchi. — Brevi cenni sui principali Istituti e Comitati geologici e sul
R. Comitato Geologico d’ Italia. Firenze, 1871 » 1 50
P. Zezi. — Cenni intorno ai lavori per la Carta geologica in grande scala.
Roma, 1875 » 1 —
F. Giordano. — Esposizione in ordine cronologico delle principali disposi-
zioni successivamente emanate relativamente alla Carta geologica d’Italia.
I Roma, 1879 » 1 —
F. Giordano. — Sopra un progetto di legge per il compimento della Carta
geologica d’Italia. Roma, 1880. , . » 1 50
F. Giordano. — Cenni sull’organizzazione e sui lavori degli Istituti geologici
esistenti nei vari paesi. Roma, 1881 . » 1 50
G. Capellini. — Relazione a S. E. il Ministro di Agr. Ind. e Comm. sul
Congresso geologico internazionale del 1881. Roma, 1881 .... » 1 —
I. Cocchi. — Carta geologica della parte orientale dell’ isola d’Elba; scala
di 1/50,000. Firenze, 1871 » 2 50
C. W. C. Fuchs. — Carta geologica dell’Isola d’ Ischia; scaladi 1/25,000.
Firenze, 1873 » 2 —
C. Doelter. — Carta geologica delle isole Ponza, Palmarola e Zannone;
! scala di 1/20,000. Roma, 1876 » 2 —
C. De Giorgi. — Abbozzo di Carta geologica della Basilicata; scala di
1/400,000. Roma, 1879 . . » 2 —
C. De Giorgi. — Carta geologica della provincia di Lecce; scala di 1/400,000.
Roma, 1880 » 2 —
G. Capellini. — Carta geologica dei monti di Livorno, di Castellina Ma-
rittima e di parte del Volterrano ; scala di 1/100,000. Roma, 1881 . » 3 —
G. Capellini. — Carta geologica della provincia di .Bologna ; scala
di 1/100,000. Roma, 1881 .-....■ » 4 —
G. Capellini. — Carta geologica dei dintorni del golfo di Spezia e Val di
Magra inferiore; 2a edizione; scala di 1/50,000. Roma, 1881 . . » 3 —
T. Taramelli. — Carta geologica del Friuli, con testo descrittivo ; scala
di 1/200,000. Udine, 1881 » 7 —
Bibliographie géologique et paleontologique de l’Italie. Bologne, 1881 . . » 10 —
Bibliografia geologica e paleontologica della provincia di Roma. Roma, 1886 » 2 —
Bibliografia geologica italiana per l’anno 1886. Roma, 1887 ..... » 1 50
Annunzi di pubblicazioni
g.
g.
G. Gemmellaro. — La fauna dei calcari con Fusulìna della valle del
fiume Sosio nella provincia di Palermo. Fascicolo 1°. — Palermo, 1887;
pag. 96 in-4° con 10 tavole.
Spezia. — Sulla origine del gesso micaceo e anfìbolico di Val Che-
rasca nell’Ossola (Atti della R. Accademia delle Scienze, voi. XXIII,
M.
T.
Disp. la). — Torino, 1887 ; pag. 12 in-8°.
D.
F.
M.
C.
L.
G.
F.
M.
T.
Lanzi. — Le diatomee fossili del terreno quaternario di Roma. —
Roma, 1887; pag. 8 in- 4°.
Taramelli. — Dei terreni terziari presso il Capo la Mortola in Liguria
(Rendiconti del R. Istituto Lombardo, S. II, voi. XX, fase. 19). — Mi-
lano, 1888 j pag. 14 in- 8°.
Pantanelli. — Descrizione di conchiglie mioceniche nuove o poco
note (Bollettino della Società malacologica italiana voi. XIII). — Pisa, 1888 É|
pag. 6 in-8°.
Sacco. — Studio geologico dei dintorni di Guarene d’ Alba (Atti della
R. Accademia delle scienze di Torino, voi. XXIII, disp. 3a). — Torino, 1888;
pag. 18 in-8° con una tavola.
Lanzi. — Le diatomee fossili del Monte delle Piche e della via
Ostiense. — Roma, 1888; pag. 10 in-4°.
F. Parona. — Contributo allo studio dei megalodonti (Atti Soc. Italiana
di Se. Nat., voi. XXX, fase. 4°). — Milano, 1888 ; pag. 8 in-8 ’ con tre tavole.
Bozzi. — Sopra una specie pliocenica di pino trovata a Castelsardo
in Sardegna (Ibidem). — Milano, 1888; pag. 6 in-8°.
Mercalli. — Le lave di Radicofani (Ibidem). — Milano, 1888; pag. 141
in*8° con una tavola.
Sacco. — Il passaggio tra il liguriano ed il tongriano. — (Boll. Soc.
Geol. Ital., VI, fase. 4°). — Roma, 1888; pag. 14 in-8° con una tavola.
Malagoli. — Fauna miocenica a foraminiferi del vecchio castello
Baiso (Ibidem). — Roma, 1888; pag. 8 im8° con una tavola.
Taramelli. — Osservazioni geologiche sul terreno raibliano nei din-
torni di Gorno in Val Seriana (Provincia di Bergamo) (Ibidem).
Roma, 1888 ; pag. 20 in-8°.
G.
F.
D.
Cl
Squinabol. — Contribuzioni alla flora fossile dei terreni terziari della
Liguria: fucoidi ed elmintoidee (Ibidem). — Roma, 1888; pag. 18 in-8°
con 6 tavole.
Toni. — Della collezione geologica, paleontologica e paleoetnologica
da lui raccolta, con appendice di A. Ricci sull’età della pietra e l’uomo
preistorico nel territorio spoletino (Atti dell’Accademia spoletina, anno 1888).
— Foligno, 1888 ; pag. 156 in-8°.
B. Negri. — Gmelinite della regione veneta (Rivista di mineralogia
cristallografìa italiana, voi. II, fase. I e II). — Padova, 1888; pag. 10 in
Piolti. — Sulla cossaite del colle di Bousson nell’alta valle di Susa
(Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, voi. XXIII, disp. 6a).
Torino 1888. .
Basile. — Le bombe vulcaniche dell’ Etna. — Catania, 1888 ; pag. 82 in-4°
con tre tavole.
Sacco. — Sopra alcuni Potamides del bacino terziario del Piemonte
(Bollettino della società malacologica italiana, voi. XIII). — Pisa, 1888;
pag. 26 in-8° con 4 tavole. .
Lovisato. — Sopra gli sferoidi di Ghistorrai presso Fonni in Sardegna;
nota IV (Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, voi. IV, fase. 7°). —
Roma, 1888 ; pag. 5 in-4°. _ 3
. Montemartini. — Sulla composizione chimica e mineralogica delle
roccie serpentinose del colle di Cassimoreno e del monte Bagola in
Val di Nure (Ibidem). — Roma, 1888; pag. 8 in-4°.
ito
R. COMITATO GEOLOGICO
D’ITALIA.
1888
Bollettino N.° 5 e 6
Maggio e Giugno
ROMA
TIPOGRAFIA NAZIONALE
di Reggiani & soci
1888.
ELENCO
del personale componenteJljComitato e l’Ufficio Geologico
R. Comitato Geologico.
Meneghini Giuseppe, prof, di geologia nella R. Università di Pisa, Presid.
Capellini Giovanni, prof, di geologia nella R. Università di Bologna.
Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze.
Cossa Alfonso, prof, di chimica nella R. Scuola di applicazione per gli
ingegneri in Torino.
De Zigno Achille, membro nel R. Istituto Veneto, a Padova.
Gemmellako Gaetano Giorgio, professore di geologia nella R. Università
di Palermo. „ „ TT. . . T ..
Scacchi Arcangelo, prof, di mineralogia nella R. Università di Napoli.
Scarabelli Giuseppe, senatore del Regno, a Imola. _
Silvestri Orazio, prof, di geologia nella R. Università di Catania.
Stoppani Antonio, professore di geologia nel R. Istituto tecnico supe-
riore di Milano.
Stri) ver Giovanni, prof, di mineralogia nella R. Università di Roma.
Taramelli Torquato, prof, di geologia nella R. Università di Pavia.
Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze.
Giordano Felice, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, a Roma.
Pellati Niccolò, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, a Roma.
Personale addetto ai lavori della Carta Geologica.
Direzione superiore :
Ing. Giordano Felice, Direttore.
Ing. Pellati Niccolò.
Ufficio centrale (in Roma):
Ing. Zezi Pietro, Capo d’ufficio e Segretario del Comitato.
Ing. Sormani Claudio.
Geologi operatori :
Ing. Baldacci Luigi, Roma.
Ing. Lotti Bernardino, Pisa.
Ing. Cortese Emilio, Roma.
Ing. Zaccagna Domenico, Pisa.
Ing. Viola Carlo, Roma.
Ing. Novarese Vittorio, Roma.
Ing. Aichino Giovanni, Roma.
Ing. Sabatini Venturino, Roma.
Ing. Franchi Secondo, Torino. .
Sig. Fossen Pietro, aiutante, Pisa.
Sig. Cassetti Michele, aiutante, Roma.
Sig. Moderni Pompeo, aiutante, Roma.
Personale distaccato :
Ing. Mattirolo Ettore, Torino (analisi delle roccie)
Dott. Canavari Mario, Pisa (paleontologo).
La sede dell’Ufficio geologico in Roma è nel Museo agrario-geologico,
via Santa Susanna, n. 1-A.
BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO
D’ITALIA.
Serie II. Voi. IX. Maggio e Giugno 1888. N. 5 e 6.
SOMMARIO.
Memorie originali. — I. Sopra alcune specie di felini della Caverna al Monte
delle Gioje presso Roma, di E. Clerici (con una tavola). — II. Sopra alcune
lave antiche e moderne del vulcano Kilauea nelle Isole Sandwich, di O. Sil-
vestri (continuazione e fine, vedi fase 3 e 4).
Notizie bibliografiche. — Hans ReuSCH, Bomthelóén og Karmòen med omgi -
velser geologisk beskrevne . (Descrizióne geologica delle Tsole di B >mmel
e di Karm coi dintorni); Kristiania, 1888. — E. DE MargERIE ET A. Heim,
Les dis'oaations de V ecoree terrestre (Die Disloca tionen der Erdrinde).
Essai de deftnition et de nomenclature-, Zùrich, 1888.
Notizie diverse. — Ricerca di fosfati.
Necrologia. — Gerhard vom Rath.
Avviso di pubblicazione della Carta geologica d’Italia.
Tavole *d incisioni. — Tav. IV: Resti di felini trovati nella Caverna al Monte
delle Gioje presso Roma (E. Clerici), a pag. 167.
Parte utfL iau. Lettera con la quale il Presidente del Comitato trasmette al
Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio i verbali delle sedute 28 e 29
maggio 1888. — Verbali delle adunanze 28 e 29 maggio 1888. — Relazione
annuale dell’Ispettore-Capo al R. Comitato geologico sul lavoro della Carta
geologica (1887-88).
MEMORIE ORIGINALI
I.
Sopra alcune specie di felini della Caverna al Monte delle
Gioie presso Roma; nota di E. Clerici.
(con una tavola)
Per lo studio di dettaglio sul quaternario del bacino di Roma, ri-
tenni di speciale interesse l’esatta conoscenza dei vertebrati della ca-
verna al Monte delle Gioie, scoperta dal Frère Indes; ma, per averla
questi completamente esaurita, in molte esplorazioni che vi ho fatto
non ho potuto ricavare che minuto e ben scarso materiale.
Il monte delle Gioie forma l’estremità di una collina, elevata di una
trentina di metri sul piano della valle, alla destra dell’Aniene presso
10
— 150 -
il ponte Salario. È costituito da una specie di isolotto di tufo litoide
giacente su ghiaia e, analogamente a quanto si osserva incontro all’altra
sponda dell’Aniene, ricoperto da tufo omogeneo stratificato, e quindi
da marna giallognola, ora simile ad un sabbione ad elementi vulcanici,
ora sostituita da ghiaia conglomerata con augiti, leuciti, ecc. I fossili
che vi ho estratto sono:
Limax sp.
Helix profuga Schm.
» nemoralis Lin.
Limnaea stagnalis Lin. (Helix)
» palustris Miill. (Buccinum)
Bgthinia tentaculata Lin. (Helix)
Bythinella marginata Mich. (Paludina)
Planorbis albus Muli.
» umbilicatus Miill.
Valvatd piscinalis Muli. (Nerita)
Neritina ftuviatilis Lin.
Pisidium amnieum Miill. (Tellina)
Insieme ad ossa di Cervus ed ossa e denti di Bos primigenius Boj.
Percorrendo la collina verso il Nord, il tufo cessa ed è sostituito
da marna argillosa giallastra, ricca di Helix profuga Schm., Helix car-
thusiana Muli. var. minor , che dal lato guardante l’Aniene è alternata
con incrostazioni calcaree mostranti le impronte di vegetali palustri
( Cgperacee , Tgphacee , ecc).
La caverna, o meglio la cavità a cui fu dato questo nome, ora
quasi demolita per l’esercizio delle sottostanti cave di tufo, è formata
dalle concrezioni travertinose frammezzate nella marna. La sua aper-
tura rivolgesi all’Aniene sulle acque del quale è elevata di circa 36
metri. Le pareti sono tutte rivestite di calcare in grossi mammelloni a strati
concentrici sottilissimi. Il fondo, nelle propaggini trascurate dall’Indes,
è ricoperto da strati marnosi e sabbiosi ad elementi vulcanici nei quali
ho trovato pochi resti fossili, specialmente vertebre di pesci, ossicini di
batraci e di roditori, insieme alle stesse specie di molluschi su citati.
Possedendo così scarso materiale non mi restava che ricorrere alla
collezione Indes della quale, potei avere gentilmente in comunicazione
— 151 —
gli esemplari di alcune specie su cui avevo dei dubbi, come p. es. YHyper-
felis Verneuili Indes ed il Felis minimus Indes, di cui intendo ora
occuparmi.
Il Frère Indes nella sua prima lettera sur la formation des tufs dans
la campagne romaine et sur une caverne à ossements 1 descrive fon-
dando anche un nuovo genere, un nuovo felino della grandezza del leone,
col nome di Hyper felis Verneuili) caratterizzato dalla formola dentaria
i. -J-, c. y, pm. y, m. y j dai canini senza solchi longitudinali, dal
2° premolare inferiore differente per la forma da quello dei felini; e per
il tallone del ferino superiore posto verso il mezzo. Egli soggiunge
inoltre che i molari mancano tanto ai mascellari superiori che agli
inferiori, ma che il posto da essi occupato è evidente, ed arguisce da
ciò che i molari non fossero destinati a persistere per tutta la vita
delFanimale.
La descrizione è troppo breve per potere, senza soccorso di annessa
figura, farsi la giusta idea di questa specie. Intanto i felini propriamente
detti hanno per formola i. y, c. y , pm. J-, m. y da cui differisce infatti
quella d q\Y Hyperfelis.
Il genere Machairodus offre bensì la formola i. y , c. y t pm. j-, m. y
eguale a quella dell’ Hyperfelis^ ma di nessuno dei caratteri di questo
genere, e specialmente della forma dei canini viene fatta parola dal-
T Indes. Gli altri carnivori sono tutti più ricchi di denti e per ottenere
il numero di 28 dell’ Hyperfelis bisogna riferirsi alle dentizioni decidue.
Quella dei Felini dà y, y = 26; ma i Viverridi, i Canidi, le
Iene hanno — > y > y = 28.
Ed esistendo maggiori analogie fra le Iene ed i Felini, si sarebbe
condotti a sospettare essere V Hyperfelis un giovane individuo di Hyaena.
A questa conclusione ero giunto quando, non conoscendo ancora
la collezione Indes, potei consultare la memoria dal titolo: Paléonto-
logie quaternaire de la Campagne Romaine. 2 In questa il Frère
Indes riprendendo la descrizione del suo Hyperfelis Verneuili , insiste
nel ritenerlo differente da tutti i felini e non esser punto un giovane
1 Bull, de la Soc. Géol. de France, II sèrie, voi. XXVI, 1869.
2 Matériauos polir Vhis , primit. et nat. de Vhomme ; 2.e sér., voi. Ili, 1872.
— 152 —
Felis spelaea come alcuno aveagli fatto notare *; poiché la completa
formazione delle ossa (mascellari, vertebre, radio) e la grandezza delle
coproliti accennano ad animale giunto al completo sviluppo. Aggiunge
inoltre che il tallone del ferino superiore è differente da quello del deciduo
di Felis spelaea e che nell’interno della mascella inferiore, rotta fra
il 1° o il 2° premolare, non si vedono traccie dei denti di ricambio.
Ammessa, esattezza della formola i. -| , c. A, prm A, m. A data
per r Hyper felis, per quanto ho riportato precedentemente, non è evi-
dente come sia possibile il riferimento dei resti in questione ad un gio-
vane individuo di Felis spelaea , tanto più che l’Indes dice essere il
tallone del ferino superiore, differente da quello che si osserva nel
F. spelaea .
Ma questa volta la figura, però del solo mascellare inferiore sini-
stro, accompagna la descrizione. Il mascellare è incompleto verso l’a-
pofìsi ed i processi, e mostra solo due premolari; poiché il vero mo-
lare come avvisa l’Indes è mancante.
Dallo studio di questa figura si scorge essere caduto l’Indes in
errore; ma resta sempre il dubbio per il mascellare superiore.
Allora domandai ed ottenni in comunicazione questi mascellari supe-
riori ed inferiori ai quali annettevo maggiore importanza che non alle
altre ossa attribuite a questa specie.
Dalle figure che ne dò, come dalla dettagliata descrizione che segue,
apparirà facilmente che V Hyperfelis Verneuili è un giovane individuo
di Felis spelaea.
Intanto avverto che la formola dentaria come l’aveva posta l’Indes
è errata: invece essa è i. c. y,m. , eguale cioè a quella decidua
dei Felis.
Alla mascella inferiore il foro alveolare che deve dar passaggio
al molare persistente non ancora uscito era stato scambiato per la
cavità da esso lasciata nel cadere. Quanto a non aver egli trovato i
germi fra il 1° e 2° premolare, ciò è giustissimo, perchè le loro radici
1 Facendo ricerche a questo scopo, ho trovato, quando la presente nota era
già scritta, che il Gervais, Coup d'ceil sur les Mammìfères jfossiles de V Italie
(Bull. Soc. Géol. de France, 2.e sér., voi. XXIX, 1872), ritiene il gener e Hyperfelis
fondato su di un giovane Felis.
— 153
sono ivi quasi a contatto ed i germi invece si trovano fra le due ra-
dici di ciascun premolare.
Con un colpo ben riuscito ho spezzato il mascellare oltre il 2° pre-
molare e si è reso evidentissimo il germe del molare persistente. Quanto
al tallone del ferino superiore esso è perfettamente, colla sua posi-
zione nel mezzo del dente, identico a quello di tutti i giovani felini
come del Felis spelaea.
Mascella inferiore. — La collezione Indes possiede i due mascel-
lari inferiori riuniti nella posizione naturale. Sono un poco avariati per
la grande difficolta incontrata nel liberarli dalie tenacissime concre-
zioni calcaree da cui erano avvolti. Ambedue sono mancanti delPapofisi
coronoide e del processo condiloide. I mascellari hanno inferiormente
un contorno leggermente convesso, e concavo in corrispondenza del
foro dentale, nelle cui vicinanze subiscono un restringimento nel senso
verticale ed un rigonfiamento sulla faccia esterna, il quale è prodotto
dallo sviluppo del molare persistente.
Il sinistro ha i due molari, il canino ed il 3° incisivo, il destro due
incisivi frammentati, il canino pure frammentato ed il 2° molare.
Dimensioni dei maseellari.
Lunghezza occupata da tutti gP incisivi. mm. 25
Lunghezza del diastema » 15
Spazio occupato dai molari (dmj, dm2) » 38
Distanza fra i bordi alveolari interni dei canini .... » 24
Distanza fra la cuspide più elevata del dm2 di un mascellare
a quella dell’altro » 68
Distanza fra Porlo del foro dentale di un mascellare a quello
dell’altro » 58
Distanza fra l’interno della base della sinfisi e Porlo del
foro dentale » 84
Altezza verticale del mascellare, presa a partire dalla metà
del diastema » 35
Altezza misurata dall’interstizio fra dml e dm2 » 32
Massimo spessore del mascellare sotto l’interstizio ... » 18
Massimo spessore del mascellare in corrispondenza del-
l’alveolo del molare persistente mt . » 13
Incisivi : DI3. Il terzo incisivo deciduo sporge dall’alveolo in forma
di cilindro che a metà dell’altezza si espande in senso orizzontale e si !
affila nel verticale, formando la cuspide principale un pò ottusa e volta !
verso gli altri incisivi, ed un’altra piccola cuspide verso il canino, ben ;
marcata, a cui manca per raggiungere la cuspide principale, tanto
quanto questa è larga.
DI2. Il secondo incisivo deciduo è uguale per forma al 3°, ma di di-
mensioni più piccole, colla cuspide accessoria meno appariscente.
Canino: DC. È appiattito nel senso della lunghezza del mascellare,
non ha solchi longitudinali, come avviene nei canini decidui dei Fe-
lini. In tutti e due i mascellari il canino è assai avariato, non si vede
la caratteristica cuspide accessoria interna. La forma generale sembra
molto ricurva.
Molari : DMr II 1° molare deciduo ha una posizione obliqua rispetto :
al mascellare, si getta cioè all’indietro. Si compone di tre punte ben mar- '
cate di cui la mediana o cuspide principale sorpassa molto in altezza
le altre, in modo che l’aspetto generale del contorno verticale del dente
risulta triangolare; la cuspide anteriore è tozza e rotondeggiante, di-
visa da un profondo e stretto solco della mediana, che è proprio trian-
golare, appiattita nel senso della lunghezza del dente, e con bordi ta- |
glienti. La cuspide posteriore è più piccola dell’anteriore, ma è più alta
di essa, e più approssimata alla principale, da cui è divisa con un
solco assai meno marcato, ed a cui è simile per la forma generale.
Un’altra piccola cuspide accessoria sembra rinforzare la base della
cuspide posteriore; essa è triangolare vista orizzontalmente, retta ed un
po’ inclinata e tagliente nell’altro senso ; è formata dal cingolo che
in questo dente è molto visibile. In pianta il dente è subovale ante-
riormente, poi ha un piccolo restringimento sotto la cuspide principale,
poi ha la massima larghezza alla base della cuspide posteriore ed in-
fine termina ad angolo quasi retto formando la cuspide accessoria.
DM2. Il 2° molare deciduo è impiantato verticalmente. È formato da
due cuspidi taglienti quasi eguali in grandezza, e da una secondaria
piccola e puntuta seguita alla base da una specie di rigonfiamento for-
matovi dal cingolo che in questo dente è poco marcato.
La prima cuspide è triangolare con un angolo al vertice ottuso; la
faccia esterna è pianeggiante o leggermente cilindrica, l’interna è con-
— 155 —
vessa; i due lati sono taglienti, l'anteriore leggermente arrotondato ed
in complesso questa cuspide si spinge in avanti.
La seconda cuspide che è più alta della prima, da cui è profon-
damente divisa, mentre lo è poco dalla, secondaria posteriore, si spinge
airindietro. La superficie interna, come Testerna, è convessa. In pianta
il dente ha un contorno convesso esternamente, concavo internamente,
più largo anteriormente che posteriormente. I taglienti delle due cu-
spidi principali sono disposti ad arco uno rispetto l’altro facendo un
angolo ottusissimo.
Mt. Il molare persistente non ancora sviluppato si è reso visibile
per la rottura già. detta. Come è noto esso ha due cuspidi taglienti
analoghe a quelle del dm„ di esse la anteriore è quella che si è posta
in evidenza (fìg. 3, 6).
Mascella superiore. — Si ha un solo mascellare superiore destro,
che per le condizioni in cui è stato trovato, come per le dimensioni,
appartiene insieme alla mascella già descritta allo stesso individuo.
E quasi completo esternamente, mancante però alla volta palatina.
Mostra bene il foro sottorbitale di forma subovale posto verticalmente
al disopra della cuspide principale del ferino.
Si può apprezzare anche la grandezza del foro orbitale poiché al
mascellare è unita una parte dell’osso molare.
Il mascellare offre il canino frammentato, la sezione del 1° molare,
il ferino ben conservato e le tracce dell’alveolo del 3° molare.
Dimensioni del mascellare.
Lunghezza compresa dal bordo alveolare anteriore del ca-
nino al termine posteriore sulla linea dei molari .... mm. 74
Altezza misurata verticalmente dal bordo alveolare del fe-
rino in corrispondenza della sua cuspide principale al-
l’orlo del foro orbitale » 41
Massima lunghezza del foro sottorbitale, misurata obliqua-
mente » 12,5
Massima larghezza del foro sottorbitale, misurata normal-
mente alla precedente posizione » 8,5
Minima distanza fra l’orlo del foro orbitale e del sottor-
bitale » 7,5
— 156 -
Minima distanza fra l’orlo del foro orbitale ed il bordo al-
veolare esterno del canino
Distanza fra i bordi alveolari del 1° molare e del canino .
Distanza fra i bordi alveolari del 1° molare e del 2° . . .
Canino: DC. È molto schiacciato con sezione subtriangolare a
vertici arrotondati; un lato è quasi parallelo al contorno esterno del
mascellare, il vertice opposto guarda perciò gl’incisivi.
Non ha solchi longitudinali.
Molari : DMt. Il primo molare deciduo posto ad eguale distanza dal
canino e dal 2° molare, è stato spezzato perciò è visibile la sezione
quasi circolare della radice.
DM4. Questo secondo molare deciduo è perfettamente conservato.
Presenta quattro cuspidi. L’anteriore è subcilindrica, affilata verso la
fine presentendo un tagliente ottuso.
La seconda è alta e grande quanto la prima da cui è mettamente
divisa. Il tagliente è costituito da due piccoli lati formanti un angolo
molto ottuso sia visto di faccia che in pianta. La posizione di questa
cuspide è molto interna ed è tutta compresa nella metà interna della
corona, suppostane la base divisa longitudinalmente in due.
La terza cuspide è la maggiore di tutte; vista di faccia è un trian-
golo equilatero, connesso per un lato alla corona, diviso dalle cuspidi
laterali, specialmente da quella posteriore da incavi profondi. La su-
perficie esterna è regolarmente convessa; pianeggiante 1’ interna. Gli
orli sono molto taglienti.
L’ultima cuspide è alta quanto le due prime, ma la lunghezza è
maggiore delle due prime prese insieme. La forma generale è quella
di uno scalpello col tagliente orizzontale lievemente arrotondato alle
sue estremità. La faccia interna è pianeggiante, l’esterna presenta
due rigonfiamenti agli -estremi come se questa cuspide fosse formata
dall’unione di altre due analoghe alle, due anteriori; la protube-
ranza posteriore si spinge all’ indietro. Il contorno generale della
base della corona è un elesse assai allungato, l’insieme degli orli ta-
glienti è vicinissimo al contorno di cui segue la curvatura, però fra le
due prime cuspidi ed il res,to avviene una specie di risega. Due radici
appiattite e molto divergenti sorreggono la corona.
» 55
» 6
» 6
La cuspide principale è sostenuta per meta da ciascuna, ed inter-
namente da un contrafforte impiantato alla metà del dente a questo
normalmente, che si protende tanto quanto Y attacco colla cuspide
dista dalla estremità anteriore e posteriore della corona.
I fianchi del contrafforte sono paralleli, l’estremità ne è arrotondata,
e così pure la superfìcie la quale si. raccorda dolcemente con quella
della cuspide principale.
DM3. Su questo molare non si può dir nulla, poiché le tracce del
suo alveolo sono appena visibili. La sua posizione però è quasi nor-
male alla linea degli altri due molari.
Dimensioni dei denti.
Mascella inferiore.
3° incisivo (di3):
Altezza della corona 5
Massima larghezza » 45
Grossezza }) 3 5
Diametro della radice 3
Canino (de) :
Lunghezza antero-posteriore mm. 14,5
Larghezza # ^5
Periferia }) 30
1° molare (dm^) : 1
Lunghezza antero-posteriore 16,5
Altezza della cuspide, centrale . . » po,5
Massimo spessore alla prima cuspide » 5?5
Massimo spessore alla cuspide centrale » 6
| Massimo spessore alla cuspide posteriore » 7
’ Periferia . )} 33
2° molare (dmj : *
Lunghezza antero-posteriore mm. 20
1 Altezza della prima cuspide » 40
Altezza della seconda » 12
r - 1 dm3 colla notazione di Boyd Dawkins.
5 dm4 (Boyd Dawkins).
— 158 —
Massimo spessore alla base della prima mm. 7,5
Massimo spessore alla base della seconda » 7
Lunghezza alla base della prima » 8
Lunghezza alla base della seconda » 9
Spessore al tallone » 6,5
Periferia » 45
Mascella superiore.
Canino (de) :
Lunghezza antero-posteriore mm. 12
Massima larghezza » 8
Periferia » 35
1° Molare (dm^ : 4
Diametro longitudinale mm. 4
Diametro trasversale » 3,5
2° Molare (dm2): 2
Lunghezza antero-posteriore (massima) mm. 29
Altezza della cupide principale » 12,5
Lunghezza della cuspide principale alla base » 9
Sporgenza della cuspide principale dalla linea delle altre . » 5
Lunghezza della prima cuspide anteriore » 5
Lunghezza della seconda cuspide anteriore » 4
Lunghezza della cuspide posteriore » 11
Massimo spessore alla base della cuspide principale . . » 8
Lunghezza del tallone » 11,5
Larghezza del tallone » 6
Periferia » 64
Le dimensioni riportate oscillano fra quelle date da Boyd Dawkins
e Ayshford Sandford nella pregevolissima memoria sui mammiferi plei-
stocenici d’Inghilterra. 5
1 dm2 (Boyd Dawkins).
3 dm3 (Boyd Dawkins).
s The British pleistocene Mammalia , Parte II (Palaeontogr. Soc. of Lon-
don, 1868).
— 159 —
È quindi completamente dimostrato che i resti suddescritti non ap-
partengono a specie nuova, ma al giovane leone delle caverne; e
quanto al nome preciso si presenterebbe il dubbio, se scegliere quello
di Felis spelaea Goldf. o quello di Felis leo Lin. var. spelaea Goldf. ;
poiché col primo si ritiene il leone delle caverne specie tutta affatto
distinta dal leone attuale ; mentre col secondo soltanto come una va-
rietà.
Numerosa è la schiera dei naturalisti che con validi lavori hanno
militato per l’una o per l’altra opinione, poiché i resti di questa spe-
cie furono trovati da John Hain nel bacino ungherese del Danubio fin
dal 1672. Non essendo mio scopo di parlare di quanti si occuparono
del leone delle caverne , ricorderò che la descrizione specifica fu pub-
blicata nel 1810 da Goldfuss il quale lo riteneva più vicino alla pan-
tera che al leone od alla tigre.
Cuvier lo credeva differente tanto dal leone che dalla tigre, ma
avente qualche affinità con lo jaguaro.
Boyd Dawkins ed Ayshford Sandford nell’opera già citata, lo riten-
gono quale varietà più grande e più robusta dell’attuale leone.
Blainville esita fra la tigre e lo jaguaro benché da essi distinto
come dal leone di cui ha pure importanti caratteri.
E. Filhol ed H. Filhol 1 in un accuratissimo lavoro discutendo le
opinioni dei predecessori e da una numerosa serie di misure compa-
rative concludono che il Felis spelaea partecipa dei caratteri del leone
come della tigre ma che pertanto deve considerarsi come specie distinta.
Ed infine il Gaudry 2 ha trovato a Louverné resti di Felis leo
(razza spelaea) insieme ad altri indubitatamente riferibili al leone
attuale.
Ma appoggiandosi, come il Boyd Dawkins e Sandford, anche alle
| scarse notizie storiche sull’esistenza del leone in Europa, da cui è
| scomparso da 1.7 secoli per l’accanita guerra fattagli dall’uomo, sembra
abbastanza ragionevole ritenere il Felis spelaea varietà del vivente
Felis leo.
1 Description des ossements de Felis spelaea découverts dans la caverne
de Lherm . (Ann. des Sciences nat., sér. 5.e Voi. XIY) Paris, 1871.
2 Matériaax pour Vhistoire des temps quaternaires ; Paris, 1876.
— 160 —
Nell’epoca quaternaria si mostrano assai abbondanti i resti del
Felis spelaea in tutta l’Europa meridionale ed occidentale, tanto sul
continente che sulle isole.
Anche nelle epoche preistoriche figura il Felis spelaea.
Secondo la storia, 480 anni prima dell’era volgare i leoni erano
tanto abbondanti nella Macedonia e nella Tessalia che fecero strage
delle carovane di Serse prima della battaglia delle Termopili.
Il quale fatto raccontato da Erodoto è noto a noi per caso; per aver
recato maraviglia che i leoni scegliessero a loro preda i camelli an-
ziché i buoi e gli altri animali domestici che doveano già cono-
scere.
Altri scrittori in epoche meno remote parlano ancora dei leoni e
dello stretto territorio in Tessalia, in cui l’uomo con mille insidie era
giunto a confinarlo; ma la scomparsa completa dall’Europa non è
avvenuta di certo prima dell’anno 100 d. G.
E, per terminare, la differenza fra le dimensioni del Felis leo e
del Felis leo var. spelaea , mentre può attribuirsi alla persecuzione che
data per così dire dalla comparsa dell’uomo, e che deve aver influito,
al pari di tante altre cause naturali alla modificazione della specie;
può anche sembrare così forte perchè i leoni presi come termine di
confronto provenivano da serragli in cui aveano passato parte della
vita, o perchè erano individui non giunti al completissimo sviluppo. In
ogni modo la diminuzione della grandezza in questa specie non è i
un fatto isolato, perchè si è già riscontrata in molti altri animali nel
passare dal quaternario alle epoche preistoriche ed attuale.
11 Felis minimus è un’altra nuova specie fondata dal Frère Indes;!
anch’essa è descritta e figurata nella memoria sulla Paléontologie de
la Campagne Romaine. I caratteri distintivi sarebbero la piccolezza
della mascella, la forma speciale deH’apofisi coronoide; la forma del
secondo premolare che per una maggiore grossezza della cuspide an- |
teriore e colla posizióne della cuspide media, somiglia al ferino dei
Felis.
La figura che l’ Indes ne dà differisce un poco dal vero e da
quella che io ho disegnato; con tuttociò si vede assai agevolmente!
che la creduta forma speciale dell’apofisi coronoide dipende dal modo !
— 161 —
w
con cui si è rotta l’apofisi stessa; e che rispetto ai denti si ha anche
qui una dentatura decidua sul punto di essere sostituita da quella
permanente. Infatti il molare permanente è quasi completamente uscito
e presso il canino deciduo sporge la punta di quello di ricambio.
Mascellare. Nella collezione ho trovato un solo mascellare in-
feriore destro, quello stesso figurato dall’Indes ; avariato verso l’estre-
mità del processo condiloide e mancante degli incisivi.
Dimensioni del mascellare.
Distanza dalla base della sinfisi alla base del processo an-
golare
Distanza dalla base della sinfisi all’orlo del foro dentale .
Distanza del processo angolare (inf.) alla sommità dell’apo-
fisi condiloide
Altezza del mascellare dalla metà del diastema alla base
della sinfisi
Altezza in corrispondenza dell’ interstizio fra i due molari
decidui
Spessore nella suddetta posizione
Spessore in corrisponza del molare persistente
Canini: DC. Il canino è assai appiattito nel senso della lunghezza
del mascellare, quasi tagliente nell’orlo interno. È molto ricurvo, non ha
solchi longitudinali, e dal lato degli incisivi verso la base della corona
ha una sporgenza o cuspide accessoria ben marcata. La radice è egual-
mente larga, schiacciata e scanalata sulla faccia che si rivolge alla
sinfisi, per dar posto al canino di ricambio.
C. Il canino persistente già sviluppato e mostrante i solchi longi-
tudinali, si affaccia per più d’un millimetro al bordo alveolare al fianco
interno del canino deciduo che era sul punto di sostituire.
Molari : DMt. È impiantato quasi verticalmente sul mascellare,
si spinge un poco all’ indietro. E costituito da quattro cuspidi, una
anteriore, poi la principale, una posteriore ed una accessoria formata
dal cingolo. La cuspide anteriore è perfettamente conica, alquanto
larga, ha l’aspetto di una punta ottusa; per la posizione rispetto alla
mm. 39
» 30
» 9,5
» 8
» 9
» 4
» 5
162 —
pianta del dente trovasi tutta nella metà interna, ed è totalmente iso-
lata dalla cuspide principale.
La cuspide principale si spinge molto più in alto della anteriore;
ha forma lanceolare col tagliente posteriore più vivo dell’ anteriore;
la cuspide posteriore trovasi relativamente più alta dell’anteriore; sembrai
anch’essa una punta ottusa, addossata alla cuspide principale da cui
è divisa da un intacco. Il cingolo forma una quarta cuspide accesso-!
ria, grande quasi come la terza, che si spinge all’indietro.
Le radici di questo dente sono assai divergenti.
DM2. Anche in questo si distinguono quattro punte. La prima cu-j
spide è appiattita nella direzione del mascellare; i taglienti sono con-
vessi, l’anteriore arrotondato, il posteriore molto affilato. La faccia;
esterna è cilindrica o pianeggiante.
La seconda cuspide è un po’ più piccola della precedente, ma più
alta e si spinge indietro. Il tagliente anteriore è affilato, e verso la
base mostra come un piccolissimo tubercolo; il posteriore è arroton-i
dato. Un incavo conico divide, dal lato interno del dente, le due cuspidi
che esternamente, sono separate da leggerissimo solco. La faccia esterna
è la continuazione di quella della prima cuspide.
Segue una piccola punta che è impiantata tutta nella metà interna del
dente, restando così assai discostata dalla linea, leggermente arcuata
ed esternamente convessa, delle altre due cuspidi.
Infine una piccolissima cuspide accessoria formata dal cingolo
è addossata, a guisa di tallone, alla base della cuspide precedente.
M,. II molare persistente è formato da due cuspidi quasi eguali,
divise internamente da un profondo incavo conico ed esteriormente da
un solco, la prima più gonfia è più larga; i taglienti adiacenti sono più
affilati degli altri che risultano invece arrotondati. Quello della cuspide
posteriore si protende alla base con una specie di rigonfiamento. La
faccia esterna è cilindrica e verticale.
Dimensioni dei molari.
1° molare deciduo (dm,):
Lunghezza antero-posteriore mm. 5
Altezza della cuspide principale » 4
m- *
163 —
Altezza della la cuspide mm. 2
Altezza della 3a cuspide » 2,7
Altezza della 4a cuspide » 1,5
Massimo spessore alla base della cuspide principale. . . » 2
Periferia » 12,5
2° molare decìduo (dm2) :
Lunghezza antero-posteriore mm. 6,5
Altezza della prima cuspide » 3,5
Altezza della seconda cuspide » 4,5
Altezza della terza cuspide » 2,3
Massimo spessore della prima cuspide » 2
Massimo spessore della seconda cuspide » 1,5
Spessore al tallone » 2,4
Lunghezza alla base della prima cuspide ....... » 3
Lunghezza alla base della seconda cuspide » 2
Distanza fra le estremità superiori delle due cuspidi ... » 4
Periferia » 14,5
Molare persistente (mt):
Lunghezza antero-posteriore mm. 7,5
Altezza della prima cuspide » 4,5
Altezza della seconda cuspide » 5,2
Distanza fra le estremità superiori delle cuspidi .... » 6
Spessore in base alla parte posteriore della 2a cuspide . . » 3,2
Resta quindi fuori di dubbio che non si tratti di nuova specie, ma
di un giovane individuo di Felis catus Lin.
Il gatto allo stato fossile non è troppo frequente; pure si cono-
scono parecchie località : in Inghilterra a Grays (Owen), Bleadon
Cave, Long Hole, Ravenscliff, Brixham e Crayford (Boyd Dawkins);
nelle caverne della provincia di Liegi (Schmerling) ; di quella di Namur
(Arnould); di Lunel-Viel (M. de Serres), di Mialet nel Gard, di Echenoz
nelFHaute-Saóne, Avison nella Gironda (Gervais), a Quina nello Chia-
rente (Rivière); nei Pfahlbauten di Wauwyl, Moosseedorf e Roben-
hausen (Rutimeyer); nei Kjókkenmódding (Morlot); nelle grotte di
Mentone (Rivière), nelle terremare di Gorzano (Coppi) e di Montale
— 164 —
nel Modenese (Crespellani), nella necropoli di Marzabotto (Gozzadini),
nei pozzi sepolcrali di Campeggine e Servirola nel Reggiano (Strobel) U
Era mio desiderio di accompagnare questa determinazione con qual-
che appunto comparativo del mascellare suddescritto con l’analogo vi-
vente del gatto selvatico come del domestico, ma la grandissima dif-
ficoltà di procurarmi sufficiente materiale del primo me lo ha impedito.)
In generale tutti i resti fossili di gatto vengono senza alcuna esi-
tazione ascritti al gatto selvatico poiché il gatto domestico si crede
sia stato importato in Europa dall’ Egitto in cui era assai venerato.
Non si conosce con precisione l’epoca, ma nel X secolo era ancora poco)
diffuso, ma tenuto in grande conto, dal fatto che leggi speciali ne re-J
golavano le condizioni di vendita.
> : — |
1 Boyd Dawkins W. e àyshford Sandford, British. pleist . ecc. op. cit.
Boyd Dawkins W., DieHohlen und die Ureinwohner Europa’ § (trad. Sprengel),)
Leipzig 1876.
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del Bull, di paletn. it. pel 1876).
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storia patria deirEmilia, n. ser., Voi. VII., 1882).
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Rivière E., De V antiquité de Vhomme dans les Alpes maritim.es , Paris 1887.
Rivière E., Sur la station quaternaire de Quina (Charente) (Comptes ren-
dus hebd. de l’Acad. des se., n. 8, 1888).
Rììtimeyer L., Die Fauna der Pfahlbauten der Schweiz, Basel 1861.
Strobel P., Avanzi animali dei fondi di capanne del Reggiano (Bull, di
paletn. it., an. Ili, 1887).
Strobel P., Specie di vertebrati di cui si trovarono avanzi nelle mariere
dell’Alta Italia (Bull, di paletn, it., an. IX, 1883).
— 165 —
I naturalisti sono poco concordi sulle origini del gatto domestico.
Alcuni ritengono non sia altro che la varietà domestica del vero Felis
catus Lin. {Felis fera auct.) gatto selvatico, altri che sia una specie
distinta da questo ma affine al Felis maniculatus Rup. della Nubia: altri
ne fanno una specie a se {Felis domestica). Owen 1 che è fra i primi,
avvisa che il 1° molare deciduo inferiore del F. maniculatus ha la co-
rona più grossa e sorretta da tre radici, mentre nel gatto domestico
e nel selvatico è più piccola e sorretta da due sole radici. Il gatto
selvatico è bensì più grande del domestico, da cui sembra differire per
alcuni caratteri esterni, come p. es. per la coda che è più corta e cilin-
drica; ma l’Owen ritiene questo carattere di poco conto, essendo questa
parte assai modificabile dal fatto che esistono gatti senza coda. Le
mie ricerche (che riconosco insufficienti), limitate alla testa ed ai denti,
s’accorderebbero con la prima ipotesi. Probabilmente Y esatta cono-
scenza della specie fossile porterà un po’ più di luce alla questione.
Al presente il gatto selvatico essendo una delle specie persegui-
tate dall’uomo è in continua diminuzione e tra non molto sarà scom-
parso anche dall’Italia.
Le due credute nuove specie, V Hyperfelis Verneuili , cioè, ed il
Felis minimus , sono rispettivamente il Felis leo {spelaea) ed il Felis
catus, che restano le sole specie, finora ben conosciute, di felini per
la provincia di Roma, in cui i resti di questa famiglia di mammiferi
sono oltremodo scarsi.
Come appendice riporto quanto è a mia cognizione in proposito.
Sembra che il primo a darne notizia sia il Pianciani 2 * * 5, il quale
figurò un frammento di mascellare con due denti ed un dente isolato,
riferendoli al leone od altra fiera congenere , provenienti da Magognano
1 Owen R-., A 'History of Brit. foss. eec., op. cit.
Il prof. Strobel (/ pozzi sepolcrali ecc., mem. cit.) ritiene assai più proba-
bile che sia stata addomesticata una specie indigena anziché una esotica; ed in
pari tempo possibile che razze provenienti dall’uno e dall’altra abbiano potuto in-
crociarsi. Ricorda inoltre che il gatto era domestico in Grecia 5 secoli a. C. ed
in Italia nel 6° dopo C.
5 Pianciani G. B., Delle ossa fossili di Magognano nel territorio di Vi-
terbo. Bologna 1817.
11
— 166 —
nel Viterbese. Questi resti si conservano nel Museo universitario di Roma
ed appartengono al Felis leo ( spelaea) ; il frammento di mascellare
inferiore destro ha il molare (m,) ed il quarto premolare (pm4) ; il dente
separato è il terzo premolare (pm3) superiore sinistro.
Da essi ho ricavato le seguenti dimensioni:
pm4 (inferiore)
Altezza della cuspide principale mm. 21
Massima larghezza alla base della corona » 16
mt
Lunghezza antero-posteriore mm. 30
Massima larghezza alla base (in corrispondenza della fessura) » 16
Distanza fra l’estremità superiore delle due cuspidi ... » 21
Altezza della cuspide posteriore » 15 %
Id. anteriore . » 17,5
Periferia » 75
pm3 (superiore)
Altezza della cuspide principale (misurata dal fianco esterno) mm. 15,5
Id. id. interno » 23
Larghezza della radice posteriore . . . . » 13,5
Id. (misurata sul fianco esterno) » 32
Il Ponzi 1 fra i fossili di Ponte Molle annovera il Felis brevirostris
Croiz. et Job.
Il Ceselli 2 dice d'aver ritrovato nelle ghiaie, insieme alle selci
scheggiate nei dintórni di Roma, il Felis spelaea ed il Machairodus
cultridens ; ma si ha ragione di dubitare assai di queste determi-
nazioni. 3
1 Ponzi G., Sulle ossa fossili della campagna romana (Atti dell’ Vili riunione
degli scienz. It., Genova 1847).
2 Ceselli L. ftromenti in silice della prima epoca della pietra nella cam-
pagna romana. Roma, 1866.
3 In fatti nell’elenco dei fossili trovati insieme alle selci scheggiate, oltre ad
esservi comprese specie affatto sconosciute per il quaternario romano, ve ne figu-
rano altre di epoca e di località ben differenti: Amphìcyon major, Lopliiodon
Parisiense ■' Schclidotherium , Palaeochoerus , ecc.
Boll, del R. Corri. Geol. di Italia
Enrico Clerici die.
Anno 1888 Tav. IV (E. Clerico)
ROMA FOTOTIPIA DANESI
167
L’Indes oltre i due felini già descritti trovò nella caverna il Felix
catus ed il Felis lynx.
Del primo ho anch’io un molare inferiore sinistro (mj colle seguenti
dimensioni :
Lunghezza
Massima larghezza alla base . . .
Altezza della cuspide anteriore. . .
» » posteriore. . .
Distanza fra le estremità delle cuspidi
Periferia
Larghezza della radice anteriore . .
Spessore id. id. . .
Lunghezza id. id. . .
Diametro della radice posteriore . .
Il Felis lynx non sembra esistere nella sua collezione : secondo
l’Indes questa specie era più grande della lince vivente.
E finalmente il Ponzi, in una pubblicazione più recente *, riporta
il Felis spelaea di Magognano ed un felino indeterminato (il Felis
brevirostris della prima pubblicazione) che a lui sembra un guepard.
Museo di Geologia della R. Università di Roma. — Maggio 1888.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA.
(Tutte le figure sono in grandezza naturale).
Fig. 1. — Mascellare inferiore sinistro di Felis leo Lin. ( spelaea Goldf.)
juv. — Hyper/elis Yerneuili Indes.
» 3-6. — Parte del suddetto mostrante il germe del molare persistente.
» 4. — Altra parte del suddetto mascellare, veduto internamente.
» 2. — Mascellare superiore destro della stessa specie.
» 5. — Mascellare superiore veduto in pianta.
» 7. — Vista interna del 2° premolare dello stesso mascellare.
» 8-9. — Mascellare inferiore di Felis catus Lin., juv. = Felis minimus
Indes.
» 4
» 5,5
» 6,5
» 6,5
» 20,5
» 6
» 3
» 9
» 2
1 Le ossa fossili subapennine dei contorni di Roma (Mem. R. Accademia
dei Lincei, 1878).
— 168 —
IL
Sopra alcune lave antiche e moderne del vulcano Kilauea
nelle Isole Sandwich; studi petrografie! del prof. 0. Sil-
vestri.
(Continuazione e fine, vedi fascio. 3-4).
Zìi. Lave preistoriche stratificate le quali costituiscono le pareti
all’ intorno del grande bacino del Kilauea.
Distinguo tutte queste lave preistoriche in tre categorie, cioè in
basalioidi in basalti e in andesiti augitiehe.
CATEGORIA PRIMA.
Basaltoidi.
Vi comprendo una numerosa varietà di roccie che danno la com-
posizione mineralogica dei basalti, cioè sono basalti secondo i carat-
teri petrografìe! assegnati da Zirkel a queste roccie da lui distinte col
nome di basalti feldispatici; 1 e da Rosenbusch chiamate semplice-
mente col nome più semplice di basalti. 2 Non hanno però la comj
pattezza dei basalti ed il loro modo di presentarsi conferisce loroj
una certa tal quale diversità che ne riesce spontanea una distinzione.!
Hanno porosità più o meno ampie per cui non danno l’ idea del mas-j
siccio basaltico, ma piuttosto di materiali scoriacei che durante la loro)
eruzione devono essere stati tanto tormentati da energiche correnti!
gassose e vaporose, sopra riscaldate per alta pressione, da aver dovuto'
non solo rigonfiare, ma sentire anche una influenza chimica di meta-
morfismo fino dalla loro origine.
Campione N. 16.
Caratteri macroscopici e fisici. — Roccia compatta a grana mi-
nutamente fina, omogenea, di colore rosso mattone carico, a frattura
1 Zirkel, Unters. uber die mikr. Zusamm. u. Struct. d. Basaltgesteine;
Bonn, 1870 — Die mikr. Beschaff. d. Min. u. Gest.; Leipzig 1873, pag. 420.
2 Rosenbusch, Mikr. Phys. d. massig. Gest.; Stuttgart, 1877, pag. 348 e 423. j
— 109 —
subconcoide come se fosse terra cotta, della quale ha tutta l’apparenza.
Nella frattura presenta qua e là dei punti lucenti formati da materia
vetrosa. È assai tenace, mentre in generale non è molto dura, giacché
si lascia graffiare facilmente : solo nei pùnti vetrosi è assai più dura.
Non ha azione sull’ago magnetico. Dur. della massa generale = 3;
dei punti vetrosi = 6; P. sp. ; 2, 80.
Caratteri microscopici e petrografici. — Se non si riduce in la-
mine estremamente sottili, si presenta opaca tranne in certi punti che
corrispondono a piccole concentrazioni vetrose ove traspariscono delle
aree rosse. Quando abbia raggiunto la sottigliezza necessaria, resa
possibile dalla sua compattezza e tenacità, allora assume una traspa-
renza sufficiente per potere osservare con un ingrandimento di 240 diam.
(obiett. 7 ocul. 2 Hartn.) che essa resulta da una base vetrosa isotropa
di color rosso giallastro vivo, che si presenta in forma di aree gene-
ralmente microscopiche, ma non di rado anche macroscopiche a con-
torno irregolare variabile la cui pasta si diffonde in mezzo ad una
minuta granulosità di color rosso tendente al ruggine, simile a materia
argillosa ferrifera senza alcuna idea di cristallizzazione. Però in certi
rari punti della massa compariscono particelle luminose tra i Nicol
incrociati, le quali hanno tutta P apparenza di residui feldispatici appar-
tenenti alla roccia primitiva, ora molto profondamente metamorfosata :
niente vi si scorge che abbia i caratteri dell’ augite, del peridoto, della
magnetite.
Caratteri chimici . — La roccia polverizzata minutamente man-
tiene il color rosso ocraceo. Scaldata in tale condizione perde sotto
forma di acqua 1, 87 per 100 del suo peso e al calor rosso incipiente
comincia a fondersi in un vetro. Difficilmente si lascia attaccare dal-
l’ acido nitrico tanto a freddo quanto a caldo. L’ analisi chimica ha
dato la seguente composizione centesimale :
SiO* 48, 60 *
P2Os 0, 00 (traccie sensibili)
TiO2 0, 00 idem
APO3 25, 45
Fe203. . 17, 55
FeO 1, 20
MnO 0, 00 (tr. molto sensibili)
CaO 2, 20
MgO 0, 98
Na20 )
ni *• 38
H20 1, 87
99, 23
I caratteri chimici insieme ai petrografici dimostrano che è una
roccia metamorfica proveniente da una lava basaltica (probabilmente
sul tipo delle roccie vitrofìriche già descritte) la quale ha subito
una specie di caolinizzazione sotto la influenza di emanazioni acide e
del calore. La pasta è da ritenersi in origine formata da segregazioni
dei vari minerali, plagioclasio, augite, olivina in mezzo ad un residuo
di magma vitreo primitivo. Per tali azioni metamorfiche con la decom-
posizione dei minerali indicati è scomparsa la maggior parte degli
alcali, della calce e della magnesia ed il ferro proveniente della scom-
posizione dei silicati e specialmente dalla alterazione della magnetite, j
parte si è diffuso nel residuo vetroso, che ha resistito di più alla
decomposizione, e l’ha colorato in rosso vivo ematitico; parte si è
combinato contribuendo alla formazione delle particelle di colore rosso
ruggine che sono da ritenersi come formate prevalentemente da un
silicato alluminico ferrico e queste insieme al vetro ematitico rappre-
sentano essenzialmente la roccia. Il campione N. 16 resulta dunque
formato da roccia metamorfica proveniente da una lava primitiva
basaltoide, microcristallina o criptocristallina vitrofirica , ora profon-'
damente alterata per processi metamorfici di caolinizzazione ed ematiz-
zazione.
Campione N. 17.
Caratteri macroscopici e fisici. — Roccia di aspetto terroso, com-
patta, omogenea, di color feccia di vino secca (alla quale somiglia
moltissimo) con punteggiature e talvolta piccole venature nere : frattura
granulosa: piuttosto tenace: non ha azione sull’ago magnetico: Dur.
6-6,5 ; P. sp. 2, 77.
Caratteri microscopici e petrografici. — Una laminetta molto
sottile della roccia osservata col solo ingrandimento di 70 diametri
— 171 —
(ocul. 2 (-f- obiett. 4 Hartn.) presenta un campo uniforme poroso di colore
ruggine chiaro di aspetto tigrato, cioè cosparso di macchie più scure
dello stesso colore. In questo campo si vedono porfìricamente disse-
minati dei granuli di olivina e qua e là vi compariscono delle chiazze
nere, meno trasparenti, con dentro delle piccole segregazioni parimente
di olivina ed anche dei vacui a sezione ellittica prodotti da inclusioni
gassose.
Se si adopra un ingrandimento di 240 diam. (ocul. 2 + obiett.
7 Hartn.) il campo di colore ruggine tigrato si risolve in un’agglo-
merazione di minutissime particelle uniformi e amorfe nel senso geome-
trico mentre le chiazze nere resultano formate da un tessuto di elementi
mineralogici inalterati, augite granulare, plagioclasio, olivina, magnetite
pulverulenta, che insieme rappresentano la massa fondamentale cripto-
cristallina della roccia primitiva.
Nello stesso campo di colore ruggine tigrato oltre a comparire
più spiccate le relativamente grandi concentrazioni di olivina a superfìcie
granulare e con vivi colori di polarizzazione, si vedono anche dei
cristalli di plagioclasio o soli o annidati in piccole geodi, i quali
tra i Nicol incrociati presentano la striatura caratteristica polisin-
tetica."
Caratteri chimici. — Triturata finamente costituisce una polvere
di colore rosso nerastro tendente al violaceo : quasi inattaccabile dal-
l’ acido nitrico tanto a freddo che a caldo : al calore cede piccolissima
quantità di acqua ed appena che sente l’ azione del calore rosso inci-
piente si fonde in un vetro.
L’analisi chimica ha dato la seguente composizione:
SiO2 50, 00
P2Os 0, 00 (traccie molto sens.)
TiO2 0, 42
A1205 22, 80
Fe203 14, 15
FeO 4, 05
MnO 0, 97
CaO 3, 17
MgO 1, 93
— 172 -
1, 99
0, 33
99, 81
Dalle esposte resultanze si deduce che anche in questa roccia
(come nella precedente) molto alterata, è abbandonante un silicato
allumiuico-ferrico. La presenza di un residuo del FeO primitivo appar-
tenente ai polisilicati della olivina e dell’augite è in corrispondenza
al fatto petrografìco della esistenza della olivina inalterata e dei ri-
masugli di augite granulare, ai quali come a quelli del plagioclasio si
riferiscono le discrete quantità di CaO e di MgO. Il poco alcali ap-
partenente al plagioclasio dimostra che la maggior parte dell’AFO3 è
combinata con la silice alla quale combinazione è da ritenersi asso-
ciato il Fe203.
Dal complesso dei caratteri si può dedurre che la roccia in esame
è metamorfica e proviene da una roccia basaltoide nera (molto vicinai
a quella descritta più avanti nel Campione N. 26) a struttura compatta
e a massa fondamentale criptocristallina. Questa roccia ha subito
una profonda alterazióne per mezzo della quale mentre sono rimasti \
nell1 impasto i vestigi del basalto primitivo con gli elementi minerà -J
logici propri , del i esto si è messo chimicamente in evidenza un sili- ;
cato alluminico-ferrico inforrna di un aggregato di particelle di colore
ruggine che ne formano la massa principale.
Campione N. 18.
Caratteri microscopici e fisici. — Roccia di colore rossastro scuro
a struttura granulare, assai compatta, ma disseminata di numerosi pic-
coli vacui rivestiti di materia di colore rosso ocraceo e spesso tappez-
zati di cristalli bianchi prismatici di aragonite. Nell’impasto piuttosto
omogeneo si vedono sparsi frequenti piccoli granuli di lucentezza vitrea
insieme ad altri più rari e più grossi giallo-verdastri che raggiungono il
diametro di un piccolo cece, della stessa natura dei primi e che per le
loro dimensioni si riconoscono anche ad occhio nudo, come appartenenti
al peridoto (olivina). Questi nella frattura irregolare della roccia se re-
stano in posto producono delle sporgenze vetrigne subdiafane, attra-
versate da screpolature; se si staccano dalla matrice lasciano dei va-
Na*0 j
K20 (
H20 .
— 173 —
cui piuttosto grandi, rivestiti da straterelli sottili di color rosso ocraceo
o giallo limonitico e di tali straterelli mostransi rivestiti anche i gra-
nuli di olivina alla superficie generalmente alterati.
La roccia non ha azione sull’ago magnetico, è tenace, dura e pe-
sante: Dur. 6-6,5; P. sp. 2,94.
Caratteri microscopici e petrograjìci. — In un impasto fondamentale
prevalentemente formato da grossolane agglomerazioni cristalline di
color verde rossiccio chiaro di augite, sono visibili con ingrandimento
di 240 diam. (ocul. 2-f-obiett. 7 Hartn.) i granuli di magnetite e certe
placche nere opache oblunghe smangiate che rassomigliano molto alle
forme di ferro titanato trovato da Vèlain nei serpentini dell’Isola della
Reunione. Ma abbondano specialmente notevoli segregazioni di olivina
associate a frequenti cristalli di plagiocasio: talché ne risulta al mi-
croscopio, una decisa struttura microgranitica in cui però i granuli di
olivina predominano assumendo come ho già detto anche delle grandi
dimensioni.
Oltre a ciò si osservano in alcune geodi della roccia dei minuti
cristalli aciculari prismatici, insolubili negli acidi che hanno tutto l’a-
spetto della natrolite; prodotto zeolitico di formazione secondaria. Per
effetto della incipiente decomposizione della olivina e della magnetite
si vedono nella roccia anche delle infiltrazioni di esudati trasparenti
ematitici di color rosso, mentre non si scorge alcun vestigio di magma
vitreo.
Caratteri chimici. — La polvere finissima della roccia è di color
bigio rossiccio chiaro. E difficilmente attaccabile dall’acido nitrico: ai
calore cede una piccolissima quantità di acqua e subisce lieve perdita
di peso : alla temperatura del calor rosso non si fonde. Presenta la se-
guente composizione :
SiO*
P2Os ,
TiO* ,
APO3.
Fe*05.
FeO
MnO ,
45, 61
0, 72
1, 15
15, 98
8, 25
11, 60
1, 20
— 174 —
CaO
6,
42
MgO
3,
75
Na20
3,
50
K20
1.
82
H20
• . o,
27
100,
27
Le proporzioni molto elevate di protossido di ferro e di magnesia
corrispondono al carattere petrografico della sovrabbondanza del pe-
ridoto: circa a questo qualora si consideri come mescolanza dei sili-
cati isomorfi di Mg2Si04 (Forsterite) e Fe2Si04 (Fayalite) il confronto
tra le quantità trovate di FeO e di MgO accenna alla prevalenza del
silicato di ferro a quello di magnesia nella di lui costituzione e ciò
corrisponde con la varietà giallo-verdastra (olivina). La quantità ele-
vata dell’allumina associata a quella del protossido di ferro, della calce
e della magnesia, è pure in relazione con la massa fondamentale au-
gitica della roccia. Così pure la proporzione di ossidi alcalini dimostra
la notevole quantità di plagioclasio : d’altra parte l’anidride titanica in
discreta quantità sta a provare la presenza effettiva del titanato di
ferro: mentre il quantitativo di sesquiossido di ferro va d’accordo con
l’osservazione petrografia dell’esudato ematitico diffuso nella roccia,
proveniente da un principio di alterazione da questa subito specialmente
nella magnetite e nella olivina.
Il Campione N. 18 rappresenta dietro ciò, una laoa hasaltoide mi-
crogranitica, molto ricca in peridoto (olivina), lieoemente metamorfo-
sata da un primo grado di decomposizione. Se la roccia si considera
solo macroscopicamente si potrebbe anche chiamare un peridotòjìro
basaltico.
Campione N. 19.
Caratteri macroscopici e fisici. — Roccia a fondo di color bigio
scuro con porosità molto aperte, tanto da assumere un aspetto quasi
scoriaceo: le porosità sono rivestite nella loro superfìcie interna da uno
strato di materia rossiccia ematitica per cui presenta un’apparenza va-
riegata. Nella sua superfìcie fresca di frattura, dà nell’occhio qualche più
o meno grossa segregazione vetrosa di peridoto (olivina). È molto te-
nace, ha frattura irregolare: presenta forte azione sull’ago calamitato
con manifesti segni di polarità. Dur. 6-6,5; P. sp. 2, 78.
— 175 —
** '
Caratteri microscopici e petrografici. — Con un ingrandimemento
di 70 diam. (ocul. 2+obbiett. 4 Hartn.) mostra un impasto quasi nero ed
opaco ove sono porfiricamente disseminati: 1° numerosi granuli di olivina
di prima consolidazione con qualche contorno angoloso relativo alla sua
originaria forma cristallina; 2° numerosi cristalli prismatici incolori e
trasparenti di plagioclasio; 3° molte lacune a sezione ellissoidale che
ripetono microscopicamente il carattere della aperta porosità macrosco-
pica. Ciascuna lacuna è rivestita nel suo interno da uno strato rosso
trasparente ematitico: ed in qualcuna scorgonsi annidati dei cristallini
aghiformi zeolitici insolubili negli acidi, che hanno l’apparenza della
natrolite. Con più forte ingrandimento di 240 diam. (ocul. 2 -f- obbiet.
7 Hartn.) l’impasto fondamentale quasi nero e difficilmente trasparente
si risolve in una minuta granulazione, formata da granuli bianchi o di
color biondo di natura augitica e feldispatica mescolati a fitta e minuta
punteggiatura nera, opaca, e in qualche punto di color ruggine scuro.
La punteggiatura nera è di magnetite intatta; quella di color ruggine
è magnetite che ha sofferto alterazione. La magnetite è molto abbon-
dante e si rivela anche in granuli poliedrici (cristallini ottaedrici): ed
è a questa che deve il suo color nero e la opacità la massa fondamen-
tale della roccia. Talvolta la magnetite si vede con numerose inclusio-
ni trichitiche nei granuli cristallini di olivina, disposte irregolarmente
a guisa di serpiciattoli che attraversano il minerale includente in tutte
le direzioni. Spesso invece di avere apparenza filamentosa sono anche
dei cristallini ottaedrici riuniti a coroncina formando delle serie a curve
irregolari.
Caratteri chimici. — La polvere sottile della roccia è di color bi-
gio scuro tendente al rossiccio : non è attaccata dall’acido nitrico, nè a
freddo, nè a caldo. Riscaldata non subisce alcuna perdita di peso, nè si
fonde al calore rosso. L’analisi ha dato la seguente composizione :
SiO2 48, 04
P208 ........ 0, 45
TiO2 0, 00 (tracce molto sensibili)
Al203 14, 62
Fe203 9, 18
FeO 11, 68
— 176 -
MnO . . .
. ... 1, 91
CaO ....
. ... 7, 66
MgO . . . .
. ... 2, 17
Na90. . . .
. ... 4, 00
K*0 ....
. ... 1, 28
H2Q ....
. ... 0, 00
100, 99
I caratteri petrografìci della roccia hanno già dimostrato che questa
si avvicina alla precedente N. 18 da cui differisce più specialmente per
contenere una maggior quantità di magnetite e di plagiocasio, mentre
viceversa sono diminuite le quantità di augite e di olivina. La compo-;
sizione della roccia in esame dimostra lo stesso fatto ; giacché in pa-j
ragone alla composizione del N. 18 vediamo aumentata sensibilmente
la quantità del ferro nei due stati di ossidazione, vediamo aumentata
la quantità di alcali e viceversa diminuite l’allumina e la magnesia. No- j
tiamo pure una notevole quantità del Fe203 e ciò è in relazione con la
ematizzazione di parte del FeO della magnetite che è passato a rivestire
con uno strato rosso o rosso giallastro le porosità e i vacui della roccia
la quale nell’ insieme dimostra di aver sofferto un principio di altera-;
zione. Sorprende però che essa non contenga quantità sensibile di ac-
qua, tanto più che nella sua tessitura si trova qualche rappresentante
(quantunque scarso e in forme microscopiche) di minerale zeolitico
(natrolite).
II campione N. 19 si può dunque definire come una lava basaltoide
parzialmente alterata , minutamente cellulare , a massa fondamentale
omogenea criptocristallina (augite, plagioclasio, magnetite) con disse-
minazioni porfiriche di plagioclasio e olivina (dominante).
Campione N. 20.
Caratteri microscopici e fisici. — Roccia minutamente molto porosa,
formata da un impasto di colore rosso tendente al nerastro in cui si
vedono disseminati dei punti o macchie nere dovuti a cristalli di questo
colore in via di decomposizione, alcuno dei quali però con piani di sfal-
dature assai lucenti. Tali cristalli sono in generale minuti, ma ve n’è
qualcuno che raggiunge il diametro di 3 e anche 4 mill. E dura tenace
e a frattura irregolare: ha distinte proprietà magnetiche e spiega viva
— 177 -
azione sull’ago calamitato con manifesti segni di polarità. Dur. 6-6,5;
P. sp. 2, 74.
Caratteri microscopici e petrograjici. — Ridotta in lamine molto
sottili e osservata al microscopio presenta una massa fondamentale
rossa semitrasparente che con deboli ingrandimenti comparisce com-
pletamente omogenea, mentre con i forti incominciando da 240 diam.
(ocul. 2, obiett. 7 Hartn.) si risolve in una fìtta e minuta granulosità di
color rosso sbiadito. Questa massa fondamentale uniforme è interrotta
nella sua continuità da frequenti lacune a sezione circolare, ellittica o
in forme oblunghe, irregolari, corrispondenti alle porosità della roccia.
Di più contiene una disseminazione microporfìrica piuttosto scarsa di
cristallini prismatici diafani e incolori di plagioclasio a striatura carat-
teristica polisintetica e di segregazioni di olivina, presso a poco nella
medesima proporzione dei primi. In mezzo a ciò riesce caratteristica
e spiccata un’altra disseminazione (e più frequente) micro e macropor-
fìrica di macchie nerastre a contorni variabili irregolari, ma spesso an-
golosi o rombici, di minuti e grandi cristalli quasi logorati, vuotati o
rifusi parzialmente nella massa. Questi cristalli presentano le seguenti
particolarità: nella loro parte più vicina al centro fanno vedere una
materia trasparente quasi incolora, la quale è gremita di inclusioni di
magnetite in forma di aggregazioni meandriformi e la stessa magnetite
costituisce una specie di orlo o margine nero alle sezioni specialmente
trasversali esagone. La materia trasparente è pochissimo o niente pleo-
croitica per quanto è possibile vedere attraverso le fitte inclusioni di ma-
gnetite. Tra i Nicol incrociati presenta vivi colori di interferenza: ha
piani di sfaldatura alcuni dei quali, nelle sezioni, oblique all’asse prin-
cipale, si incrociano quasi ad angolo retto come nell’augite, però nelle
sezioni normali o parallele all’asse principale di cristallizzazione, mi
sembra (senza poterlo accertare per la imperfezione dei cristalli in via
di decomposizione) che le inclinazioni dei piani di sfaldatura siano più
vicini a quelli dell’orneblenda che a quelli dell’augite e pare che a questo
riferimento corrisponda anche l’angolo di estinsione. Senza dunque po-
terlo affermare, credo però dal complesso dolle osservazioni che questi
cristalli deformati si possano riferire ad orneblenda, arrotondati e cor-
rosi in conseguenza di una rifusione parziale.
Caratteri chimici. — La polvere è del colore rosso scuro della roc-
eia; non è quasi attaccata dall’acido nitrico, nè a freddo nè a caldo.
Esposta al calore perde del suo peso eliminando dell’acqua: non si fonde
alla temperatura del calore rosso. La sua composizione chimica resulta
come segue:
SiO2 49, 45
P205 0, 16
TiO2 trac, molto sens.
A1205 13, 97
Fe203 8, 10
FeO 11, 17
MnO 0, 85
CaO 5, 92
MgO 1, 90
Na20 5, 05
K20 1, 75
H20 1, 19
99, 51
In questi resultati dà nell’occhio la piccola proporzione di magnesia
e quella elevata di soda. Dalla piccola quantità di magnesia può rica-
varsi un dato in conferma del giudizio sulla natura dei grossi cristalli
riferiti, solo con probabilità, all’orneblenda, che tra i silicati isomorfi,
che entrano nella sua costituzione, contiene di magnesia assai meno
dell’augite. Lo eccesso di soda può stare a dimostrare insieme alla quan-
tità di allumina, che si mantiene elevata, la natura molto feldispatica
della magma fondamentale criptocristallino della roccia. La sovrabbon-
danza dell’ossido ferrico, come anche la presenza dell’acqua fanno co-
noscere il grado di metamorfismo della roccia la cui magnetite (della
quale doveva essere ricchissima) non si vede intatta che nelle inclusioni
che presentano i cristalli riferiti all’orneblenda.
Dietro ciò il campione N. 20 si può classificare come lava basai -
tolde a massa fondamentale uniforme microgranulitica , con dissemina-
zioni microporfiriche di plagioclasio , olivina , orneblenda (dominante)
e disseminazioni macropor firiche di sola orneblenda. Sicché conside-
rata la roccia macroscopicamente si può anche chiamare un y orneblenda-
firo basaltico , parzialmente metamorfosato.
— 179 —
Campione N. 21.
Caratteri macroscopici e fisici. — Roccia a fondo bigio scuro la
cui massa è interrotta da numerose cavità, grandi e minute, rive-
stite internamente da uno strato di materia limonitica gialla con gra-
dazioni fino al color ruggine, per cui assume un aspetto variegato.
La massa bigio scura è formata da un impasto che ad occhio
nudo comparisce omogeneo, afanitico. Ha frattura irregolare, è dura e
.tenace. Non ha alcuna azione sull’ago magnetico. Dur. 6-6,5; P. sp. 2,79.
Caratteri microscopici e petrografici. — Col solo ingrandimento
di 70 diam. (ocul. 2, obiett. 4 Hartn.) presenta su di una massa fonda-
mentale omogenea nera con gradazioni al castagno scuro, disseminati
abbondantemente e porfiricamente dei cristalli prismatici allungati
diafani, senza 'olore, trasparenti, di plagioclasio con striature carat-
teristiche della loro costituzione polisintetica : questi sono intimamente
associati ad agglomerazioni del pari abbondanti, ma di forme indeter-
minate e confuse di augite, insieme a rari granuli di olivina. L’olivina
comparisce però più distinta con qualche granulo cristallino più grosso
che si vede isolatamente incluso nell’impasto nero. Questo è oltre a
ciò interrotto da piccoli e grandi lacune o vacui a superfìcie interna
rivestita da uno strato di apparenza limonitica gialla o ematitica rossa
che tende ad infiltrarsi: intorno ad essa superfìcie i suddetti minerali
segregati presentano talvolta una struttura fìuidale. L’impasto nero
osservato con forte ingrandimento, almeno di 300 diam., si vede a
(stento formato da minutissime granulazioni di colore bruno, mescolate a
granulazioni nere di magnetite che talvolta si presenta con poligemi-
nazioni cristalline in forma di pettine e di reticolazioni. La magnetite
(quantunque scarsamente) vedesi sparsa anche tra i cristalli di plagio-
clasio e le segregazioni di augite: l’augite non presenta pleocroismo
distinto, dà però vivi colori d’ interferenza.
Caratteri chimici. — La polvere si presenta di color bigio chiaro
e resulta da predominanti particelle trasparenti incolore (plagioclasio)
o verdognole (augite), mescolate ad altre nere ed opache e ad altre,
relativamente poche, di colore giallo o rosso. E leggiermente attaccata
dall’acido nitrico tanto a freddo, quanto a caldo. Esposta al calore
perde dell’ acqua (1, 20 per 100) ed alla temperatura del calore rosso
non si fonde. L’analisi chimica ha dato :
— 180 —
SiO2 45, 30
P*08 0, 25
TiO2 0, 00 (traccie molto sens.)
A1203 14, 90
Fe205 10, 87
FeO 8, 20
MnO 0, 91
CaO . . 6, 58
MgO . 3, 78
Na20 5, 23
K20 1, 77
H20 . . . 1, 20
98, 99 c
Riflettendo alle quantità di calce, magnesia, allumina, ferro e alcali
si trova dimostrata chimicamente la prevalente quantità dei polisilicati
(plagioclasio e augite) e l’abbondanza della magnetite, mentre la pro-
porzione elevata del Fe203 e la quantità di acqua provano che la roccia
ha subito una notevole trasformazione.
11 campione N. 22 è dunque, una lava basaltoide cellulare notevoli
mente metamorfosata ; a massa fondamentale uniforme microgranulitica
con disseminazioni micropor firiche abbondanti di plagioclasio, augite
ed olivina (scarsissima).
Campione N. 22.
Caratteri microscopici e fisici. — Roccia a fondo di color bigio
scuro tendente al violaceo, a tessitura fìtta, ma interrotta da molte cavità
piuttosto grandi, irregolari che la rendono cavernosa. Frattura irre-
golare. È dura e tenace. Presenta una sensibile azione sull’ago magne-
tico. Dur. 6-6,5; P. sp. 2, 76.
Caratteri microscopici e petrografici. — Mentre l’aspetto di questa
roccia è differente da quello della precedente N. 21, pure vi somiglia
molto per la sua tessitura microscopica. E un impasto fondamentale nero
o molto scuro quasi opaco, ove sono disseminati quasi uniformemente
associazioni cristalline di feldispato, plagioclasio, augite e olivina. I cri-1
stalli di alcuni di tali minerali si vedono anche isolati e più grandi. La
tessitura della parte cristallina della roccia è però assai più fitta del
N. 21 e il fondo nero scuro di essa è alquanto ristretto rispetto alla se^
gregazione cristallina, tanto che si può dire che costituisca un passaggio
dalla struttura microporfìrica alla struttura microgranitica delle roccie
basaltiche. Il fondo nero o scuro resulta prevalentemente di magnetite,
con materia silicata minutamente granulare la quale è colorata in giallo
o rosso di ruggine dalle alterazioni che ha subito la magnetite, special-
mente sui contorni delle lacune, ovvero in corrispondenza alla superfìcie
delle cellule e porosità della roccia.
Caratteri chimici. — La polvere presenta un colore bigio tendente
al violaceo. Al microscopio si mostra composta di frammenti incolori o
leggermente giallo-verdastri, trasparenti, mescolati ad altri di colore
ruggine o rosso, insieme a numerosi frammenti neri ed opachi: è ap-
pena attaccata dall’acido nitrico, tanto a freddo che a caldo. Esposta
al calore, sviluppa il 0, 30 per 100 di acqua: al calore rosso non si fonde.
La sua composizione chimica è la seguente:
SiO4
p*0»
TiO2
Al*Os
Fe’O5
FeO
MnO
CaO
MgO
Na40
K20
H*0
99, 59
47, 63
0, 08
0, 12
15, 02
8, 15
10, 40
0, 80
6, 87
3, 50
4, 92
1, 80
0, 30
Anche per la composizione chimica somiglia alla lava basaltica
N. 21. L’anidride silicica dei silicati è un pò cresciuta, però il com-
plesso del ferro è diminuito per minore quantità di magnetite in para-
gone alla roccia precedente : circa la quale la minor quantità di acqua
e di ossido ferrico dimostrano anche un grado inferiore di metamorfismo.
Il campione N. 22 è dunque una lava basaltoide metamorfosata , a
12
- 182 -
massa fondamentale uniforme microgranulitica , interposta in un tes-
suto microgranitoide , formato da abbondanti segregazioni cristalline
di plagioclasio , augite (dominanti) e olivina .
Campione N. 23.
Caratteri microscopici e fisici. — Roccia a fondo color bigio scuro,
picchiettato di bianco e qua e là con macchie più o meno estese di colore
ruggine scuro. È a tessitura fitta, a grana finissima con aspetto terroso,
interrotta da radi e piuttosto grandi vacui. Frattura irregolare. È dura
e tenace. Ha un’azione assai sensibile sull’ago calamitato. Dur. 6 — 6,5;
P. sp. 2,93.
Caratteri microscopici e petrografici. — Le. lamine sottili osservate
con un debole ingrandimento di 25 a 30 diam. fanno vedere una massa
fondamentale apparentemente omogenea, quantunque formata da un
denso feltro criptocristallino, bigio scuro, con chiazze qua e là di
colore ruggine.
In questa sono disseminati porfiricamente dei gruppetti di cristalli
o dei cristalli semplici, incolori, trasparenti; alcuni dei quali informa
di prismi allungati, altri in forme cristalline confuse e compenetrantisi
reciprocamente. I cristalli prismatici appartengono al feldispato plagio-
clasio : le forme cristalline confuse appartengono in parte maggiore al-
l’augite ed in parte minore alla olivina. La massa fondamentale che
comparisce, come ho detto, come un denso feltro criptocristallino omo-
geneo, se si osserva con un ingrandimento di 250 diam; (ocul. 7, obiett.
2 Hart.) si risolve in un ammasso di granulazioni o forme cristalline
rudimentali di augite di color verdiccio chiaro, senza pleocroismo e quasi
senza colori di polarizzazione, dominante e intimamente associato a cri-
stalli microlitici (ma decisamente prismatici) di plagioclasio, tra i quali
non manca (quantunque scarsamente rappresentata) la olivina in forma
di granuli. In mezzo al tessuto di questi elementi mineralogici, vedesi
disseminata non omogeneamente, ma in aggregazioni lineari che assu-
mono l’aspetto o dentritico o di ramificazioni arborescenti, la magnetite
in granuli cristallini, come se questi dotati di libero movimento nel ma-
gma primitivo della roccia, si fossero riuniti per mezzo di attrazioni
polari in modo da formare delle serie allungate. In una parola la ma-
gnetite nelle preparazioni sottili della roccia, presenta la stessa dispo-
sizione che si può ottenere artificialmente allorquando alla superficie
— 183 —
di un preparato microscopico di magnetite inclusa nel balsamo del Ca-
nada ancora fluido, si fa scorrere una sbarretta calamitata. Tanto l’augi-
te quanto la olivina sono qua e là nella massa parzialmente decomposte,
per cui mentre da una parte l’augite ha preso qua e là un colore rug-
gine per la sopraossidazione del ferro; dall’altra per la stessa ragione
l’olivina presenta i cristalli rivestiti e compenetrati nelle screpolature
di un velo rosso ematitico. Ciò da ragione delle macchie di colore rug-
gine che interrompono la uniformità della tinta bigia scura che ha la
massa fondamentale.
Caratteri chimici. — La polvere fina della roccia presenta un co-
lor bigio chiaro ed è formata da particelle vetrigne trasparenti o senza
colore o di color verdiccio chiaro, mescolate ad altre di colore ruggine
o nere.
E quasi inattaccabile dall’acido nitrico tanto a freddo che a caldo.
Esposta al calore perde poca quantità di acqua: al calore rosso non
si fonde. L’analisi ha dato la seguente composizione chimica:
SiO4 47, 61
P205 0, 00 traccie molto sens.
TiO4 0, 39
ALO3 16, 09
Fe403 7, 00
FeO 10, 60
MnO 1, 72
CaO 8, 15
MgO 3, 10
Na40 2, 98
K40 1, 15
H40 0, 70
99, 49
Questa composizione chimica della roccia conferma il carattere pe-
trografie© della predominanza dell’augite sugli altri componenti mine-
ralogici: conferma la parziale trasformazione della roccia stessa, spe-
cialmente per la sopraossidazione del ferro della magnetite.
Il campione dunque N. 23 rappresenta una lava basaltoide con prin-
— 184 —
cipio di metamorfismo : a massa fondamentale criptocristallina , disse-
minata porfiricamente di segregazioni di plagioclasio, di augite (do-
minante) di magnetite e di olivina.
CATEGORIA SECONDA.
Basalti.
In questa categoria comprendo le roccie compatte, pesanti, ricche
di magnetite in una massa fondamentale silicata con o senza segre-
gazioni distinte di feldispato e di augite e contenente olivina. Ciò non
corrisponde del tutto alla definizione dei basalti detti feldispatici da
Zirkel 1 o ai basalti definiti come roccie essenzialmente plagioclasico-
augitiche con olivina da Rosenbusch2. Ma sono obbligato a non stare
strettamente nei limiti dei caratteri imposti ai basalti da questi illu-
stri petrografì, perchè dovrei smembrare da questa categoria alcune
roccie che non vi corrispondono esattamente, mentre hanno tutto il tipo
di veri basalti, come può giudicarsi dalle descrizioni che seguono.
Campione N. 24.
Caratteri macroscopici e fisici. — Roccia di colore nero o quasi
nero con rare punteggiature di lucentezza vitrea e colore di miele;
compattissima; a frattura concoide o subconcoide, riducendosi a scaglie
con spigoli vivi. E dura, tenace e pesante. Spiega una debole azione
sull’ago magnetico. Dur: 6-6,5; P. sp. 3,01.
Caratteri microscopici e petrografici. — Una sezione sottile di
questa roccia osservata con ingrandimento di 27 diam. si vede quasi
opaca e non mostra che un campo nero omogeneo; la preparazione
presenta quà e là dei rari punti di aspetto vitreo e generalmente di
segregazioni cristalline, di color giallastro, a superfìcie ruvida e con
vivi colori d’interferenza caratteristici dell’olivina. Raggiungono dimen-
sioni talvolta notevoli, tanto da esser visibili anche ad occhio nudo e
talvolta si presentano compenetrati dello stesso magma fondamentale
della roccia che sotto vengo a descrivere. Oltre a ciò con un più forte
ingrandimento si osservano spars^ altre più rare, generalmente micro-
scopiche, segregazioni cristalline incolore e trasparenti che tra i Nicol
incrociati presentano la striatura polisintetica e i caratteri ottici spe-
* Zirkel, op. cit.
2 Rosenbusch, op. cit.
— 185 —
ciati del plagioclasio. Fuori delle dette segregazioni le lamine sottili
per quanto ridotte esilissime, non raggiungono altro che un debole grado
di trasparenza e non vi si scorge che una massa fondamentale silicata,
assolutamente omogenea, senza colore, che alla luce polarizzata non si
estingue completamente, ma presenta una debole luce generale, oltre a
numerosi punti che compariscono luminosi. È piena zeppa di minutis-
simi granuli di magnetite pulverulenta, i quali sono talmente fitti che
danno alla massa un aspetto nero ed opaco. La magnetite in tale stato
non è distribuita però uniformemente giacché in certi punti è anche più
addensata, in modo da far comparire delle chiazze più scure o asso-
lutamente nere in mezzo ad un campo che ha un debole grado di tra-
sparenza. La compattezza di questa roccia è, direi assoluta, giacché non
vi si osserva nemmeno al microscopio la più piccola porosità. In una
roccia di struttura così compatta, ho trovato la proprietà singolare ; che
mentre se ne fanno le preparazioni in lamine sottili e queste si com-
primono anche leggermente per includerle nel balsamo tra le due la-
strine di vetro, esse non resistono alla pressione e si rompono in modo
per lo più regolare e con linee di sfaldatura che seguono una legge
geometrica, dividendosi più facilmente nella direzione di due piani che
fanno tra di loro un angolo di 105° che corrisponde a quello del rom-
boedro della calcite. Questo fatto presentato dalla intima struttura di
una roccia così compatta ed omogenea è molto interessante e sommi-
nistra un esempio meritevole di speciale attenzione nello studio sul fe-
nomeno naturale complesso, relativo allo pseudomorfìsmo o divisione
poliedrica delle roccie di origine vulcanica.
Caratteri chimici. — La polvere fina è di color bigio scuro: non
è attaccata quasi affatto dagli acidi, tanto a freddo quanto a caldo ope-
rando in un tubo aperto e nel modo ordinario. L’analisi chimica ha dato
la seguente composizione:
SiO2 48, 82
P208 0, 00 (traccia molto sens.)
TiO2 . ^ 1, 16
A1205 15, 22
Fe203 5, 72
FeO . 9, 65
MnO 0. 67
— 186 —
CaO
..... 10,
40
MgO
4,
55
Na20
2,
10
K20
0,
90
H20
0,
00
99,
19
La mancanza di acqua dimostra come questo tipo di roccia non
abbia subito alcuna alterazione; mentre la relativamente notevole quan-
tità di Fe203 dipende dall’abbondanza della magnetite. D’altra parte il
complesso generale della composizione chimica sta a provare che quan-
tunque povera di segregazioni cristalline è molto simile alle roccie dello
stesso giacimento, ricche di segregazioni di plagioclasio e di augite. Il
campione N. 24 è da ritenersi come un basalto afanitico a base fon-
damentale silicata, omogenea , ricca di magnetite pulverulenta, oltre la
quale non presenta che rare segregazioni micro cristalline di plagio-
clasio ed altre (anche macroscopiche) di olivina. A questa roccia che
è un basalto, mentre quasi manca delle segregazioni dei minerali rite-
nuti fin’ora come essenziali e dominanti nei basalti ed ha un insieme
di caratteri petrografici e fisici da non trovare riscontro in nessun’ al-
tro tipo di basalto comune, io assegno, tanto per metterla in evidenza,
il nome di Kilaueite , nome che al tempo stesso sta a dichiarare la sua
provenienza.
Campione N. 25.
Caratteri macroscopici e fisici. — Roccia compatta a grana finis-
sima di colore bigio verdognolo piuttosto chiaro: sul fondo omogeneo
si vedono porfiricamente disseminate, ma senza uniformità delle minute
e grandi concentrazioni di materia vitrea di aspetto nero. Ha frattura
irregolare. È dura, tenace e pesante. Non ha nessuna azione sull’ago
calamitato. Dur. 6-6,5; P. sp. 2,99.
Caratteri microscopici e petrografici. — * Con un ingrandimento di
250 diam. (ocul. 7, obiett. 2 Hart.) presenta una base fondamentale ve-
trosa in gran parte devetrificata con la comparsa di un tessuto minu-
tamente cristallino, formato da cristalli un po’ arrotondati di augite di
color verdognolo chiaro e a vive colorazioni d’ interferenza: a queste
sono graniticamente associati dei cristalli prismatici incolori, di feldispato
— 187 —
plagioclasio, con strie di geminazioni caratteristiche, i quali presentano
in generale delle dimensioni maggiori a quelle dei cristalli di augite. 1
prismi allungati di plagioclasio sembra che abbiano avuto origine da
molti centri di cristallizzazione, per cui danno all’insieme del tessuto
microcristallino della roccia un carattere di struttura radiata. In mezzo
a questo tessuto microcristallino si vedono rare segregazioni di olivina a
contorni generalmente angolosi, proprj della sua cristallizzazione: e co-
me accessorj compariscono in forma di lamine lunghe, a contorni si-
nuosi, il ferro titanato insieme a qualche granulo sparso qua e la di
magnetite. Tali caratteri petrografici sono accompagnati dal fatto che
la base fondamentale vetrosa isotropa, di color castagno oltre a vedersi
diffusa generalmente ed infiltrata nel tessuto microcristallino, si pre-
senta qua e là disseminata sotto forma di concentrazioni microscopiche
e macroscopiche subsferiche che nelle sezioni compariscono a guisa di
aree rotondeggianti.
Sui limiti delle concentrazioni vetrose si vedono dei cristalli di au-
gite e di plagioclasio più sviluppati ed in forme nitide come più liberi
di crescere, rivolgendo il loro asse maggiore verso il centro del magma
vitreo subsferico : anche in mezzo al vetro si osserva notante qualche
nitido cristallo isolato dei medesimi minerali in forme ben riconoscibili.
Caratteri chimici. — La polvere fina presenta lo stesso color della
roccia, ma più chiaro : non è quasi attaccata dagli acidi tanto a freddo
quanto a caldo. Esposta al calore non perde nulla di peso e vicina al
calore rosso principia a fondere.
L’analisi chimica ha dato la seguente composizione:
SiO* ....
. ' . . . .48,
71
P205 ....
. ..... 0,
00
(traccie sensibili)
TiO* . . . .
1,
81
AFO3 ....
18,
87
Fe203 ....
3,
18
FeO. . . . .
8,
00
MnO ....
0,
00
(id. molto sens.)
CaO ....
9,
87
MgO ....
4,
85
Na’O ....
4,
15
K20
H20
— 188
1, 52
0, 00
100, 96
Il non contenere alcuna quantità di acqua è un fatto che dimostra
che la roccia non ha subito sensibile alterazione. La relativa scarsità
del ferro prova chimicamente la scarsità in cui trovasi la magnetite,
mentre tutto Y insieme della composizione corrisponde al carattere pe-
trografico dell’augite e del plagioclasio. Si può ritenere questa roccia
come un passaggio tra i basalti e le andesiti dalle quali si stacca solo
per contenere dell’olivina (quantunque in scarsa quantità) e per un carat-
tere di basicità maggiore, al quale però per le ragioni che dirò qui
appresso non mi sembra che si debba dare una importanza assoluta.
Il campione N. 25 è da ritenersi come un basalto a struttura mi-
crogranitica., poverissimo di magnetite e a magma fondamentale vitreo.
CATEGORIA TERZA.
ANDESITI AUGITICHE.
Limiti assoluti di demarcazione che separino i basalti dalle andesiti
augitiche non vi sono. Si è detto da Rosenbusch 1 che sono da classi-
ficarsi tra le andesiti le roccie plagioclasiche senza olivina. Frattanto
è provato che vi possono essere basalti non contenenti olivina. Anche
in un recente interessante lavoro petrografìco fatto dal Dott. L. Bucca2,
questi per fondati criteri ha dovuto comprendere tra i basalti anche
delle roccie plagioclasiche e augitiche senza olivina. Secondo Leopoldo
von Buch (che per il primo distinse tra le roccie vulcaniche il gruppo
delle andesiti) le andesiti vanno separate dai basalti non solo per la
presenza del plagioclasio invece del sanidino, ma anche per il loro
aspetto trachitico. Finalmente è stato detto che sotto il criterio chimico
si dovrebbero ritenere le andesiti come caratterizzate da una quantità
di anidride silicica intermedia tra le roccie acide (trachiti) e le roccie
basiche (basalti). In conclusione s’è ritenuto che le andesiti augitiche
1 Rosenbusch, op. cit. pag. 407.
2 L. BUCCA, Il monte di Roccamonfìna (Boll. Comit. geol., 1886, fase. 7-8, pa-
gina 249 e 252).
— 189 -
(equivalenti recenti delle antiche diabasi non peridotifere) mentre hanno
un aspetto trachitico, raggiungono in media la sola quantità del 57 per
100 di anidride silicica. Ma nello studio delle roccie di varie provenienze,
qualunque sia la fonte dei caratteri distintivi, questi presentano tali
gradazioni e sfumature da dovere ritenere che nessuno ha realmente
un’assoluta importanza nella distinzione. Sicché per fare delle distinzioni
bisogna prendere di mira il complesso dei caratteri generali della roccia,
cioè il suo modo di presentarsi. Io infatti ho riferito a questa categoria,
delle andesiti, due tipi di roccie che indipendentemente dal carattere
di non contenere olivina e dal loro carattere trachitico, mi hanno pre-
sentato un aspetto generale sui generis da doverli anche prima di
sottoporli allo studio, avvicinare tra loro e separarli dai basaltoidi e
dai basalti: quantunque sieno come dimostrerò con questi in stretta
parentela per la loro basicità. I due tipi di roccia a cui mi riferisco
sono rappresentati dai due campioni che seguono.
Campione N. 26.
Caratteri macroscopici e fisici. — Roccia compatta a fondo di color
croceo scuro, picchiettato di bianco e con macchie di color giallo limo-
nitico, presenta superficie di frattura irregolare, ruvida al tatto e di
aspetto minutamente cristallino quasi saccaroide. Non ha alcuna azione
sull’ ago magnetico. È dura, tenace e pesante, mentre ha 1’ aspetto di
roccia alterata. Dur. 6-6,5; P. sp. 3,03.
Caratteri microscopici e petrografici. ■ — Una lamina sottile della
roccia con ingrandimento di 27 diam. fa vedere su di un fondo oscuro
poco trasparente di color castagno più o meno intenso con qualche punto
di colore rosso giallastro, una disseminazione granitica di cristalli
prismatici di plagioclasio, associati a segregazioni cristalline di augite
ed a piccole masse globuliformi incolore e leggermente opaline che a
prima giunta si direbbero di un peridoto perfettamente incoloro. Per
vedere però meglio la composizione petrografia della roccia è neces-
sario ricorrere ad un ingrandimento più forte, per es. di 250 diam.
(ocul. 2, obiett. 7 Hartn.). L’ augite di color verdognolo si può dire domi-
nante, presenta mediocre pleocroismo e colori assai vivi d’interferenza.
I cristalli prismatici di feldispato mostrano sotto i Nicol incrociati oltre
a vivi colori d’ interferenza spesso in tutta la lunghezza o parzialmente
la striatura caratteristica della loro geminazione polisintetica. Le masse
— 190
globuliformi che si vedono disseminate in mezzo al plagioclasio ed
all’augite e che a prima vista risvegliano l’ idea di una olivina bianca
presentano realmente come questa la superficie delle sezioni con il
carattere di ruvidità; ma sotto i Nicol incrociati in parte si estinguono,
in parte mantengono solo un debole grado di luminosità, in parte si
presentano perfettamente luminose: in questo caso non comparisce
alcun colore d’ interferenza. Sono formate dunque da una materia dura
che ha rispetto alla luce proprietà isotrope ed anisotrope. Per questo
carattere ottico si avvicina al caolino, al leucite, all’analcime; per il
carattere della durezza potrebbe essere opale, ma per Y insieme dei
caratteri e del modo di presentarsi non corrisponde nè all’uno nè
all’altro; nè mi si presenta alcun minerale tra quelli comuni nelle roccie
a cui io lo possa riferire. Mi riserbo quindi di intraprendere uno studio
speciale di questo minerale per farne conoscere i resultati in altra occa-
sione. Frattanto però a quello che ho detto aggiungo che le masse glo-
buliformi di cui è parola, sono inattaccabili dagli acidi e mostrano nel
loro interno delle inclusioni in forma sferica od ovoide in mezzo alle
quali vedesi spesso ben distinta una bolla gassosa la quale non ho
visto muovere, nè crescere di volume sotto l’ influenza "del calore il che
mi fa ritenere che la sostanza includente la bolla non sia di materia
liquida, ma piuttosto rappresenti un residuo del magma vitreo primitivo
della roccia. Nello interno delle segregazioni cristalline di augite che
si presentano confuse, vedonsi talvolta inclusi numerosi microliti e
anche dei niditi cristallini prismatici macrolitici di plagioclasio; fatto
che serve di prova alla prima consolidazione del feldispato delle roccie
per il maggior grado di fusibilità dell’augite rispetto al plagioclasio. La
prima consolidazione del plagioclasio dà alla roccia il carattere petro-
grafico che i cristalli di plagioclasio formano quasi l’orditura del tessuto
cristallino, le cui maglie sono riempite di augite, senza forme poliedriche
distinte, ma piuttosto a segregazioni geometricamente amorfe, traver-
sate da screpolature e da solchi in direzioni molto irregolari. Manca
nella roccia la presenza dell’olivina e della magnetite la quale ultima
non ho potuto scorgere in nessuna condizione nemmeno pulverulenta.
Invece vedonsi distintamente delle segregazioni nere opache che hanno
tutto l’aspetto del ferro titanato; specialmente queste si vedono nella
superficie di contatto tra l’augite e il plagioclasio; dove comparisce
— 191 —
infiltrato e diffuso un esudato di colore ruggine o ematitico che in qualche
minuta porosità della roccia si osserva condensato anche sotto forma
di particelle granulose.
Potrebbe darsi che quest’esudato provenisse dalla trasformazione
completa di una scarsa quantità di magnetite, appartenenente in ori-
gine alla roccia; ma io sono piuttosto di parere che esso provenga
da un principio di alterazione che hanno subito l’augite e il plagioclasio
nella loro superficie di contatto, ovvero dall’alterazione di qualche
piccolo residuo di magma vitreo primitivo.
Caratteri chimici. — La roccia da una minuta polvere di color
bigio chiaro tendente al giallastro, quasi color di cece, è appena attac-
cata dall’acido nitrico, tanto a freddo che a caldo. Scaldata perde di
peso per poca acqua che sviluppa: al calore rosso non presenta prin-
cipio di fusione. Dall’analisi è risultata la seguente composizione:
SiO2 50, 16
P205 0, 00 (traccie sensibili)
TiO2 0, 00 id. id.
A1203 17, 97
Fe203 2, 23
Fe20 . . 6, 25
MnO 0, 30
CaO ... 11, 85
MgO 4, 70
Na20 . . . 3, 50
K20 2, 80
H20 0, 90
100, 66
La quantità di SiCP ossia la basicità della ròccia dimostra che il
minerale indeterminato non può essere opale: le quantità di sesquios-
sido di ferro e di acqua che vi si trovano dimostrano che la roccia è
alterata; mentre la proporzione superiore di potassa accenna alla esi-
stenza probabile in essa di qualche mescolanza feldispatica di ortoclasio
col plagioclasio che tanto vi abbonda. Essendo la roccia a struttura
192 —
microcristallina non è possibile di isolare e di studiare separatamente
con analisi chimica gli elementi mineralogici: è quindi anche impos-
sibile la determinazione esatta- incontestabile delle varietà di feldispato
che vi possono comparire, ma nulla si oppone, specialmente nelle roccie
vulcaniche, alla possibilità della esistenza di miscugli feldispatiei.
Riassumendo lo studio fatto sul campione N. 26 si può dire che questo
rappresenti un andesite augitiea molto basica, con abbondanza di
plagioclasio , mancante di magnetite , a struttura micro granitica; par-
zialmente metamorfosata.
Campione N. 27.
Caratteri macroscopici e fisici. — Roccia minutamente porosa a
struttura granuloso-cristallina, a fondo di color bigio rossastro scuro,
asperso di numerose punteggiature bianche cristalline. Frattura granu-
losa, ruvida al tatto, tenace, ha una debole azione sulbago calamitato.
Dur. 6-6,5; P. sp. 2, 85.
Caratteri microscopici e petrografici. — Con debole ingrandimento
presenta su di un fondo color castagno molto scuro quasi nero, diffi-
cilmente trasparente, disseminate in associazione granitica delle masse
cristalline trasparenti compenetrate tra loro, di plagioclasio incolore e
di augite verde chiaro.
Con forte ingrandimento di 220 a 300 diam. nel fondo quasi nero e
quasi opaco si arriva in qualche punto a scorgervi un ammasso di parti-
celle di color biondo, mescolate ad una congerie di minutissimi granuli
di magnetite talmente fìtti che tale massa fondamentale si direbbe quasi
costituita da chiazze di magnetite compatta. Questa in parte decomposta
vedesi sui bordi delle chiazze stesse circondata da sfumature di colore
rosso ematitico; le quali oltre a ciò si presentano come infiltrazioni gene-
rali attraverso la parte cristallina microgranitica della roccia. Non vi ho
potuto distinguere alcun granulo di olivina.
Caratteri chimici. — Polverizzata minutamente conserva il color bi-
gio rossastro proprio della roccia in massa, ma più sbiadito. La pol-
vere al microscopio si presenta composta di una mescolanza di fram-
menti trasparenti e a frattura vetrosa, bianchi e verdognoli insieme a
numerose particelle nere opache ed altre di colore rosso vivo o di color
castagno. Le particelle nere sono attraibili dalla calamita. La polvere
al calore subisce leggiera perdita per piccola quantità di acqua che esala.
— 193
È appena sensibilmente attaccata dagli acidi che sciolgono un poco di
ferro: al calore rosso incipiente comincia a fondersi. L’analisi ha dato:
SiO2
.... 48,
65
P208
0,
00 (traccie molto sens.)
TiO2
.... 0,
36
A1203 . . . .
.... 16,
47
Fe203 . . . .
.... 8,
90
FeO . . . .
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70
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28
99, 15
La quantità di ferro comparisce relativamente maggiore a quella
delle lave precedenti per l’abbondante magnetite che in gran parte es-
sendo ematitizzata, dà origine alla prevalenza del F203 al FeO.
Sicché in conclusione si può ritenere che il campione N. 27 è una
andesite augitiea molto basica con abbondante plagioelasio e magne-
tite; a struttura micro granitica e parzialmente metamorfosata.
CONCLUSIONE.
Nel mettere in rilievo i fatti più notevoli che derivano dallo studio
intrapreso sulle lave moderne ed antiche del Kilauea, riassumo nel
seguente prospetto i risultati chimico-fìsici ottenuti da ciascun campione.
(V. Prospetto alla pagina seguente).
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Le lave del Kilauea rappresentano tutte delle varietà di roccie
sul tipo basaltico-feldispatico ovvero sul tipo andesite-augitico non
contenendo nè leucite e nemmeno nefelina.
Considerate sotto il punto di vista della loro struttura macroscopica
si può dire che nell’essere compatte o porose, nessuna presenta i ca-
ratteri delle vere doleriti perchè sono generalmente microcristalline,
cioè con la struttura delle anamesiti; qualcuna è criptocristallina o
afanitica con la struttura delle basaltiti. Solo in rari casi hanno pre-
sentato delle disseminazioni cristalline di olivina ed orneblenda, in dimen-
sioni macroscopiche. Per tali ragioni non ho potuto corredare queste
ricerche come avrei desiderato con l’analisi immediata delle roccie,
applicando i metodi del Thoulet e di altri: analisi tanto utile quando è
possibile applicarla per conoscere con approssimazione il rapporto
quantitativo tra i varj componenti mineralogici. Sotto il riguardo dei
caratteri fisici , tranne poche che sono in uno stato di decomposizione
molto profonda, sono del resto molto dure e pesanti e quelle più o
meno ricche di magnetite, non decomposta, godono di proprietà magne-
tiche più o meno pronunziate e alcune anche con distinta polarità.
Lo studio dei caratteri microscopici e petrograjìci ha dimostrato
che vi sono lave del Kilauea che hanno la massa fondamentale vetrosa,
altre l’hanno microcristallina o granulare minutissima omogenea; altre
l’hanno amorfa senza essere vetrosa.
I loro componenti mineralogici essenziali nella mescolanza che le
forma sono: il feldspato ordinariamente plagioclasio (senza escludere
l’associazione di altri feldispati), l’augite (in qualche caso orneblenda),
la magnetite, l’olivina: solo in pochi casi manca la magnetite o l’oli-
vina o si ha una base fondamentale amorfa solo con rare segregazioni
speciali, tranne la magnetite. In qualcuna soltanto, si osserva petrogra-
fìcamente distinta l’apatite e l’ilmenite, mentre in tutte dobbiamo ammet-
tere la esistenza degli elementi di questi minerali, perchè tutte presentano
quantità più o meno sensibile di anidride fosforica e di anidride titanica.
Tranne pochi casi in cui hanno presentato un aspetto di freschezza
e di integrità, per lo più sono lave che hanno subito poco o molto
l’azione di cause metamorfiche e nelle loro alterazioni tra i minerali
di formazione secondaria si può citare la natrolite ed il caolino tra i
silicati; la ematite e la limonile tra gli ossidi: tutti evidentemente for-
— 198 —
mati dall’azione dei corpi ossidanti e quella lissiviatrice delle acque
sui silicati e sulla magnetite.
Finalmente per quanto concerne i caratteri chimici , le lave del
Kilauea hanno presentato nelle analisi una grande facilità speciale di
disgregazione ed alcune hanno mostrato una grande facilita alla fusione
diretta, anche al calore rosso incipiente. Sono tutte basiche come lo
dimostra la quantità di anidride silicica che non oltrapassa il 50,16 per
100, quantunque ve ne siano alcune che si sono dovute petrografica-
mente riferire al gruppo delle andesite augitiche. Eccettuati pochi casi
di lave che si possono dire caolinizzate per profonda alterazione, in
generale sono molto ferrifere e la proporzione dell’ossido ferrico sul
ferroso può servire (quando non vi sia un abbondanza eccezionale di
magnetite) di criterio sicuro per giudicare del loro grado di metamor-
fismo. In quanto al resto della loro composizione si notano dei rapporti
fluttuanti tra i varj ossidi metallici, i quali dipendono o dal differente
grado di metamorfismo o da differenze nelle proporzioni di miscugli
tra i polisilicati e la magnetite, ovvero dalle associazioni feldispati-
che secondo la legge di Tschermak: ciò però non disturba i legami
di somiglianza che si mostrano evidenti tra una roccia e l’altra e questo
caso è comune alla petrogenesi in tutti quei centri vulcanici ove l’at-
tività vulcanica si è mantenuta nelle stesse geologiche condizioni.
Le lave recenti, moderne ed antiche del Kilauea rappresentano
dunque o dei tipi di roccie intatte caratteristiche o una serie di varietà
dovute a metamorfismo secondario; ma essenzialmente non si sepa-
rono tra loro, sicché da questo studio generale ora intrapreso si ricava
il fatto importante che l’attività vulcanica del Kilauea durante un
lungo periodo geologico si è mantenuta e luti’ ora si mantiene con
gli stessi prodotti.
Catania — R. Istituto vulcanologico etneo.
NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE
Dr. Hans Eeusch, — Bómmelòen og Karmòen med om-
beskrevne. (Descrizione
Isole di Bommel e di Kami coi dintorni). - Kristiana, 1888,
pag. 422 in-8° grande con 3 tavole in cromolitografìa, 20 figure
intercalate ed un riassunto dell'opera in inglese.
Questo lavorerei dotto geologo norvegese non è soltanto una de-
scrizione dettagliata ed accuratissima di una importante regione del
suolo scandinavo, ma è altresì uno studio di alto interesse scientifico
inquantochè è destinato indubbiamente ad apportare gran luce sopra
ardui problemi di geologia genetica, quali il metamorfismo regionale
e l’origine del granito e di altre roccie eruttive.
La regione studiata stendesi fra Bergen a Nord e Stavanger a Sud
ed è formata di gneiss e granito in gran parte d’età arcaica, scisti cri-
stallini e fìlla dici con fossili primordiali, roccie vulcaniche e plutoniche
con calcari e scisti argillosi nei quali presso Bergen, Storen e Bommel
l’autore rinvenne fossili del siluriano superiore *.
Nella penisola di Sveen compariscono principalmente roccie cri-
stalline granulari a struttura massiccia, talvolta scistosa per disposizione
parallela delle lamelle di mica, nel qual caso la roccia vien chiamata
granito gneissico.
La struttura dovuta allo stiramento ed alla compressione nelle
roccie granitiche vedesi o combinata colla scistosità o senza questa
e nell’ultimo caso le faccie della roccia tagliate nella direzione dello
4 Reusch H., Silur/ossiler og presiede conglomerai ater i Bergenskifrene .
Kristiania, 1882.
13
— 198 —
stiramento presentano una disposizione parallela degli elementi mentre
quelle trasversali hanno aspetto granitoide. I minerali componenti mo-
strano al microscopio contorni irregolari. In queste roccie gneissiche
trovasi presso la costa occidentale della penisola un dicco di quarzo auri-
fero. Le lenti quarzose sono allungate nella direzione dello stiramento.
Qui come nelle isole di Fjeldberg nonché presso Husnes oltre il
gneiss e il granito, compariscono degli scisti argillosi fìlladici composti
di lamelle di muscovite miste a quarzo finamente cristallino e talvolta
con un poco di talco che colora la roccia in verdognolo. Vi sono pure
varietà criptocristalline di colore scuro. Il gneiss dell’isola di Halsen, è
attraversato da dicchi di diabase alterata, spesso scistosa, che nella
parte mediana presenta cristalli porfìrici di plagioclasio cogli spigoli ar-
rotondati, sebbene le faccie siano piane.
I cristalli non sono spianati abbenchè la roccia sia stata resa fìs-
sile dalla pressione. La scistosità della roccia è parallela alle pareti
del dicco, il quale racchiude inoltre frammenti delle' roccie circostanti
e manda in esse delle apofìsi.
La regione a Nord dell’ isola Bòmmel è costituita da roccie gra-
nitiche, dioritiche e stratificate. La sua costa occidentale fu specialmente
studiata dall’autore, il quale ne presenta una carta geologica alla scala
di 1: 15000. Vi predominano scisti finamente cristallini verdastri con la-
minazione obliqua alla stratificazione. L’autore li riguarda come tufi dia-
basici. Sono attraversati da filoni di diabase alterata con vene di quarzo
piritoso ed aurifero e con scistosità parallela a quella delle roccie
circostanti. Vi comparisce pure quà e là una porfìrite scistosa con massa
criptocristallina, costituita di plagioclasio e lamelle cìoritiche, e con cri-
stalli porfìrici compressi di plagioclasio.
Questa roccia presentasi in parte massiccia, in parte stratificata e
può riguardarsi nel primo caso come una vera porfìrite, nel secondo
come un tufo porfìritico.
Nella regione fra il fjord di Nòkling e il torrente Kammare predo-
minano roccie dioritiche granulari o finamente cristalline costituite da
orneblenda, in parte associata a diallaggio, e plagioclasio bianco, tal-
volta pieno di piccoli individui d’epidoto e zoisite, facendo così passaggio
alla saussurrite; la roccia viene allora chiamata gabbro (eufotide) a
saussurrite. Apparisce talvolta manifesto che l’orneblenda fibrosa riempie
199 —
gli interstizi fra i cristalli di feldespato ed in tal caso sembra all’autore
trattarsi di diabase nella quale l’augite fu uralitizzata. La clorite vi
si trova spesso in gran quantità.
Le differenti varietà di roccie dioritiche si trovano in parte com-
miste senza regola alcuna^ in parte distintamente stratificate, differenzian-
dosi uno strato dall’altro principalmente per la diversa quantità di or-
neblenda e di clorite.
Il porfido quarzifero e il tufo porfìrico che compariscono in questi
dintorni sono difficilmente distinguibili, essendo stata cancellata la loro
struttura originaria dalle pressioni e da altre cause di metamorfismo.
In alcuni casi la struttura frammentaria è manifesta, in altri la roccia
presenta decisa forma eruttiva in dicchi a tessitura compatta presso le
pareti. Senza dubbio nel primo caso si ha una roccia clastica, nel secondo
una roccia intrusiva. Ma talora l’osservatore non saprebbe decidere.
Anche queste roccie sono attraversate da filoni di diabase alterata
e da vene lenticolari di quarzo aurifero, che corrono per lo più al con-
tatto fra la diabase e le roccie circostanti. La diabase presso il con-
tatto diviene fissile e cloritosa finché passa ad un cloritoscisto. La
scistosità non è sempre parallela alle pareti della roccia incassante,
specialmente nei grandi dicchi. Il porfido quarzifero passa talvolta a
roccia granitica.
Presso Uren a Sud compariscono roccie serpentinose compatte che
al microscopio appaiono quali diabasi alterate, finamente granulari.
Sulla sinistra del torrente Kammare incontrasi il giacimento auri-
fero di Hangesund, uno dei più promettenti dell’isola di Bòmmel. Il fi-
lone quarzoso ha da un lato lo scisto, dall’altro un dicco di diabase al-
terata che lo accompagna forse per tutta la sua lunghezza. Il conte-
nuto in oro è di circa 15 grammi per tonnellata. La diabase non ne
contiene traccia. Poco appresso verso Est osservasi il filone Daw e a
Nord il filone Oscar pressoché nelle stesse condizioni geologiche. Poi
viene il filone Olsen che insieme all’oro racchiude i solfuri di piombo
e di zinco, quindi quello di Risviken. Quivi predomina il porfido quar-
zifero avente struttura decisamente granitica. Le lenti quarzose non
sono sempre a contatto nettamente distinto dalla roccia granitica cir-
costante e sono accompagnate dalla solita diabase alterata, in parte
convertita in roccia verde scistosa.
Una roccia dioritica come quella che trovasi tra il fjord di Nòkling
e il torrente Kammare raggiunge una estenzione considerevole a Nord
e ad Ovest nella parte media dell’Isola Bòmmel. Al microscopio questa
roccia mostra fenomeni di schiacciamento. I suoi componenti sono : feld-
spato, per lo più plagioclasio, e quarzo, e la sua massa è attraversata
da innumerevoli venuzze di clorite con calcite in cristalli schiacciati nella
direzione delle lamelle cloritiche per effetto di una pressione che agì
posteriormente alla formazione di questi minerali secondari. Presso Al-
svaag si osservano delle piriti di rame in masse scistose orneblendiche
racchiuse nella roccia dioritica. Un grande filone quarzoso con traccie
d’oro comparisce presso il podere di Meland.
Il monte Siggen è formato di diorite, porfido quarzifero, diabase
porfìritica, conglomerato e diabase alterata con scisti verdi. Quest’ultima
è ricca di cavità amigdaloidi, spesso ripiene di calcite e si presenta
talvolta in masse ellissoidali schiacciate, composte di strati concentrici
in parte con cavità amigdaloidi, in parte senza. Questo fenomeno, comu-
nissimo nelle diabasi eoceniche italiane, è dovuto, secondo l’autore, ad
un processo di raffreddamento in un’antica corrente di lava.
Nell’isola di Gjeitung l’autore avrebbe riconosciuto dei lapilli vul-
canici in certe masse porfiritiche finamente cristalline e vacuolari, gia-
centi in uno scisto cloritico; esse 'sono appiattite per effetto di pressione.
Nella parte più meridionale di Bòmmel si osservano effetti rimarche-
voli di compressione dove strati sottili di scisti argillosi alternano con are-
naria. Primieramente gli strati arenacei sono stati frantumati e la roccia
argillosa si è increspata. In seguito questa ultima divenne scistosa e
i frammenti d’arenaria spesso s’incurvarono. Un terzo stadio negli ef-
fetti della pressione consiste nell’avere cambiato in sottili lenti i fram-
menti arenacei. In questo caso è facile scambiare l’andamento della
stratificazione, prendendo le lenti d’arenaria per strati.
La roccia dioritica di questa località in alcuni casi è realmente un
gabbro (eufotide) alterato. 11 diallaggio convertito in orneblenda, vi si
osserva tuttora ed è percorso da vene di serpentino e talvolta intiera-
mente da questo sostituito. Il plagioclasio è epidotizzato. Il quarzo è di
origine secondaria. Il feldspato e l’orneblenda furono ridotti in frammenti
separati da serpentino.
Nelle piccole isole a Sud di Bòmmel si osservano tufi, breccie vul-
— 201 —
caniche, colate porfìritiche con letti di scorie alla loro base e strati
di lapilli. Dicchi di roccia dioritica, compatta presso le salbande, attra-
versano queste formazioni.
Il granito delle isole Bommel e Mògster è spesso con sola biotite,
talvolta con due miche ed è cambiato per compressione nel cosidetto
granito gneissico. Sulla costa orientale di Bommel fu osservata una
speciale roccia granitica cosparsa di macchie scure più ricche di bio-
tite, frammenti di gneiss, di quarzite feldispatica e di quarzo; questi ultimi
angolosi. Venendo meno questi frammenti la roccia passa al comune
granito. L’autore ritiene che questa roccia fosse originariamente una
puddinga di elementi granitici e gneissici; quelli soltanto di tali ele-
menti che contenevano molto quarzo si conservarono, gli altri furono
convertiti in massa granitica. Questa massa deve essere stata plastica
e in movimento, come vien dimostrato dai frammenti, allungati quasi
tutti nella stessa direzione.
Nel granito dell’isola Mògster compariscono numerose masse estra-
nee di notevole estensione; roccie oliviniche, serpentina, marmo, cal-
cescisti cristallini, anfìbolite. Queste masse e lo stesso granito sono
spesso attraversati da filoni granitici di differente struttura. Il calcare
cristallino contiene piccoli grani di differenti silicati augite, plagioclasio,
flogopite e un minerale serpentinoso.
L'isola di Karm è in parte formata di roccie granitiche e gneissi-
che in parte di scisti verdi orneblendici e cloritici e di roccie dioritiche
simili a quelle dell’isola Bommel. Negli scisti cloritici trovasi il ricco
giacimento cuprifero di Visnes. L’estremità S.E dell’ isola è formata
da un conglomerato poligenico compresso. Sulla costa S.O compari-
sce invece il conglomerato metamorfico anologo a quello dell’isola Bòm-
mel. La roccia consta di una massa fondamentale granitica in cui sono
sparsi frammenti di gneiss e di quarzo, non che macchie ricche di mica
e di orneblenda. Vene sottili della massa fondamentale, penetrano nei
frammenti. Questo conglomerato granitico passa gradatamente nel gneiss
quarzifero occhiatino (Quarzaugengneiss).
Già l’autore nell’altro suo erudito lavoro 1 aveva accennato alla pro-
babilità che il gneiss dei dintorni di Bergen fosse in origine una roc-
Reusoh H., Silarfossiler etc.
- 202 —
eia elastica di cui gli elementi per effetto di pressione acquistarono
forme appiattite, talvolta fino al punto da essere ridotti in sottilissime
lenti. Sovrabbondando la mica e la clorite si poteva allora notare il
passaggio a decisi micascisti.
L’autore opina che tanto il gneiss quarzifero di Karm, quanto il
granito delle isole di Bommel e di Mògster siano stati in origine roc-
cie clastiche. Le masse di anfìbolite, serpentina, calcescisti, marmi, etc.
rappresenterebbero residui di roccie originariamente interposte nella
roccia frammentaria da cui provenne il granito.
Questa opinione resta convalidata anche dal fatto che tale granito
trovasi ora in forma manifestamente eruttiva nel centro di un’antica
regione vulcanica ed iniettato nelle roccie circostanti. Non è quindi
impossibile che il tufo di porfido quarzifero e il porfido quarzifero stesso
rappresentino respettivamente i tufi, le correnti laviche e i dicchi
del granito presso la superficie.
L’autore conclude che nessuna differenza sostanziale può farsi tra
le cosidette roccie plutoniche e quelle vulcaniche, se non che le prime
consolidarono più lentamente e a maggior profondità delle altre, e che
in alcuni casi roccie originariamente sedimentarie possono subire il
metamorfismo regionale fino al punto dà essere rese eruttive o suscet-
tibili di fare eruzione.
Il riferente trovasi in pieno accordo colla suesposta opinione avendo
avuto agio di studiare dettagliatamente il processo di transizione da
una roccia scistosa sedimentaria al granito nell’isola d’Elba, 1 2 e nella
stessa circostanza, come anche in varie altre pubblicazioni sulle roccie
ofiolitiche * sostenne la tesi della scuola geologica di Paolo Savi 3 che
le roccie cosidette plutoniche rappresentino soltanto una forma di con-
solidamento di quelle vulcaniche, dovuta a condizioni diverse nelle quali
tale consolidamento avvenne.
(B. L.)
1 Lotti. B., Descriz. geol. dell'isola d'Elba. Roma, 1886 ; pag. 191-192.
2 Lotti. B., Paragone fra le roccie ojìol. terz. italiane e quelle basi-
che della Scozia, ecc. (Boll. Geol. 3-4, 1886).
3 Atti III Riun. Scienz. italiani in Firenze, 1841.
— 203
E. de Margerie et A. Heim. — Les dislocations de l’e-
corce terrestre {Die Dislocationen der Erdrìnde). Essai
de definition et de nomenclature. — Ziirich, 1888;
pag. 154 in-8.°
Opera altamente commendevole,, sia per la pratica che per l’inse-
gnamento della geologia, è questa dei geologi Heim e de Margerie.
Essa consiste in un saggio di nomenclatura delle dislocazioni terrestri
ed è tanto più importante in quantochè, essendo scritta nelle due lingue
francese e tedesca, può esser compresa da tutti e la sinonimia nelle
varie lingue affini riesce della massima facilità.
Vi son prese in esame e chiaramente definite tutte le dislocazioni risul-
tanti da movimenti verticali, come sarebbero : le faglie nei loro differenti
tipi; le ripiegature ed i diversi modi di aggruppamento di queste con le
faglie; quelle risultanti da movimenti orizzontali, cioè le pieghe in generale
e nei loro diversi tipi, le pieghe-faglie e loro rapporti con le prime; gli
effetti dei movimenti combinati laterali e verticali localizzati, e quelli
di nuove spinte sopra strati già ripiegati e finalmente le deformazioni in-
terne delle roccie, prodotte dai fenomeni di dislocazione, quali sarebbero
la frammentazione semplice, la frammentazione con spostamento laterale,
le minute ripiegature interne, la scistosità ed il metamorfismo di na-
tura meccanica con trasformazione completa dell’assetto molecolare.
Il De Margerie ha poi corredata l’opera di numerose note e citazioni,
non che di un’appendice sulla terminologia dei rapporti di posizione degli
strati e della loro inclinazione, sui processi grafici e plastici impiegati
per rappresentare l’andamento delle dislocazioni e su altre denominazioni
geologiche per le quali non è mai abbastanza raccomandata la unità.
Questo ottimo lavoro, che dovrebbe essere nelle mani di tutti co-
loro che scrivono di cose geologiche, termina con un indice alfabetico
dei vocaboli esprimenti i vari fenomeni tettonici e stratigrafici in fran-
cese, in tedesco ed in inglese.
La terminologia italiana in generale può farsi italianizzando o
traducendo letteralmente le rispettive denominazioni francesi.
(B. L.)
204 —
NOTIZIE DIVERSE
Ricerca di fosfati. — Per corrispondere al desiderio dell’agricol-
tura, più volte espresso anche dal Comitato geologico, sempre venne
raccomandato agli ingegneri geologi rilevatori dalla Carta geologica del
Regno, di usare ogni attenzione per la possibile scoperta di giacimenti di
fosfato di calce (sia apatite, sia fosforite o sieno noduli) nel territorio ita-
liano. Diverse traccie di tali giacimenti vennero infatti segnalate prin-
cipalmente nella regione pugliese, dal Tavoliere alle Murgie e sino al
Capo di Leuca; però sempre il tenore in fosfato vi si rinvenne tanto
tenue da non poter venire industrialmente utilizzato. Di tale stato di
cose già veniva reso conto più di una volta nel presente Bollettino,
come si può vedere, per esempio, in un articolo inserito dalla Direzione
nel fascicolo N. 3-4 dell’anno 1880. Ivi si accennavano diverse località
in cui erasi ritenuto esistessero delle roccie fosforiche da poter servire
almeno come ammendamento, se non alla fabbricazione industriale dei
fosfati del commercio. Si citavano appunto fra le altre, come le più
importanti per l’estensione dei giacimenti, il Tavoliere di Puglia per
la sua crosta, e i dintorni di Cerignola, Canosa ed altre località per
il tufo ; due roccie che da alcuni erano state segnalate come abba-
stanza ricche. Ma le indagini colà fatte fare dall’ing. Niccoli, 1 seguite
da analisi nel laboratorio del prof. Cossa in Torino, mostrarono in
quelle un tenore di fosfato di calce inferiore in media ad 1 per 100,
tenore o proporzione che non è superiore a quelle di un ordinario terreno
calcareo appena mediocremente fertile: cosicché simili roccie non servi-
rebbero nemmeno come buoni ammendamenti. Quanto a fosfati ricchi da
servire per la fabbricazione industriale degli ingrassi fosforici, oggidì
con la depressione dei prezzi ed altre circostanze, si ritiene dai pratici
industriali che un giacimento non possa venire escavato con profitto
se non contenga almeno un 45 o 50 per 100 di fosfato calcico, ossia
1 Vedi articolo nel Bollettino 7-8 del 1879.
— 205 -
oltre ad un 20 per 100 di anidride fosforica, che è il vero principio
fertilizzante.
Ora le ricerche fatte negli ultimi anni al Capo di Leuca, mostra-
rono ivi resistenza di roccia calcarifera assai ricca, e con parti che
contengono anche oltre al 15 e 18 per 100 di anidride, ma nella media
poi meno del 9. Dunque anche questa località non corrisponderebbe
per ora alUesigenze industriali, onde la Casa Vogel di Milano, che vi
fece eseguire lavori, non avrebbe per ora convenienza a proseguirli.
Intanto si udiva da qualche tempo ripetere che diverse altre località
delle stesse Puglie contenessero abbondanti roccie calcaree ricche di
fosfato, e ciò con tanta maggiore apparenza di realtà, che in talune di
queste roccie apparivano masse dure a forma di noduli tanto importanti
in altri paesi. Le località anzidette erano principalmente nelle Murgie
di Gravina, nei possessi del principe Orsini; e l’ing. Zezi, in occasione
di ricognizioni geologiche che doveva eseguire in quella regione, fecevi,
-coll’assenso del proprietario, raccolta di campioni diversi, presi nelle
località nominate come probabilmente ricche in fosfato. Ognuno di essi
campioni, come pure altri raccolti in località diverse delle Murgie baresi,
furono ridotti in polvere e divisi in tre parti, mandandone ad analiz-
zare una al laboratorio del Valentino in Torino (Prof. Cossa), l’altra alla
Stazione agraria di Pisa (Prof. Sestini), la terza alla casa Vogel di
Milano.
Le tre analisi, fatte indipendentemente Puna dall’altra, combinarono
pur troppo nel rivelare che la ricchezza in fosfato era minima, cioè
in media meno di 1/10 per cento del calcare, e circa eguale a quelle
della crosta e del tufo analizzati nel 1879.
Al laboratorio del prof. Cossa in Torino, ove lavorava l’ingegnere
E. Mattirolo dell’Ufficio geologico, erasi raccomandata la massima cura
ed esattezza, e questa venne infatti usata, conducendo tuttavia a me-
schine conclusioni, analoghe a quelle ottenute dai chimici degli altri
due citati laboratori di Pisa e di Milano.
Ancora nella recente adunanza del Comitato geologico, cui tale
risultato negativo fu comunicato, esso Comitato raccomandò di non
scoraggiarsi, ma perseverare nelle indagini, rivolgendo anche l’atten-
* tenzione alla ricerca di altre materie fertilizzanti, tra cui si possono
citare il fosfato di ferro (vivianite), non infrequente in diversi terreni v
— 206 —
nonché i depositi delle stazioni preistoriche dell’ Emilia dette terre-
mare.
Si riferisce ora intanto, a testimonianza degli studi chimici ultima-
mente fatti sui calcari delle Puglie, la relazione con cui l’Ing. Matti-
rolo accompagnava all’Ispezione delle Miniere le analisi da lui fatte
nel laboratorio del Valentino in Torino.
Determinazione dell’ anidride fosforica
contenuta in dieci campioni di materiali raccolti nel Barese.
Avendo l’Ufficio geologico richiesta la Direzione della R. Scuola di applica-
zione per gli Ingegneri in Torino di fare eseguire delle ricerche analitiche in rap-
porto alla quantità di anidride fosforica che potesse contenersi in dieci campioni
di materiali raccolti in quel di Bari, ed essendomene stato affidato l’incarico, mi
trovo in grado di riferirne il risultato come in appresso.
Premetto però che mi vi sono accinto dopo che per indagini qualitative già
mi ero persuaso che l’anidride fosforica era in quei campioni in quantità relativa-
mente minima, onde si trattava di materiali assolutamente privi di valore indu-
striale ; e dopo che l’Ispettore Capo delle Miniere, al quale avevo accennato
codesto esito, volle tuttavia ch’io addivenissi ad una accurata determinazione
quantitativa dell’anidride fosforica totale.
I dieci campioni sono tutti di calcari tufacei più o meno grossolanamente
polverizzati, di colore variamente biancastro con leggera tendenza al giallo terreo
e sono rispettivamente contrassegnati come segue, da numeri progressivi e dalle
relative indicazioni:
1.
Tufo calcareo
di Canosa.
2.
id.
di Bari (varietà suppigno).
3.
id.
di Bari (varietà carparo).
4.
id.
di Gravina (varietà mazzaro ).
5.
id.
di Gravina (varietà cozzarolo).
6.
id.
di Gravina (varietà arrone).
7.
id.
di Gravina (varietà carpino ).
8. Crosta calcarea di Gravina (località Crocevia).
9. Noduli calcarei di Gravina 1 (località Crocevia).
10. Tufo calcareo di Fasano.
Dopo che i campioni sostarono qualche giorno nell’ambiente del laboratorio alla
1 Questi noduli bianchi, piuttosto pesanti, si trovano sparsi entro sabbioni gialli sot-
tostanti alla crosta di cui al n. 8.
— 207 —
temperatura di circa 15°, ho determinato in ciascuno di essi, l’acqua igroscopica,
la silice colle sostanze insolubili negli acidi cloridrico e nitrico, e l’anidride fo-
sforica.
Dei due metodi ora in maggior credito per la determinazione della anidride
fosforica, di quello cioè detto nitro-molibdico e del citro-uranico, mi servii del primo,
deducendo il peso dell’anidride fosforica da quello del pirofosfato di magnesia,
metodo dal quale ebbi sempre attendibili risultati.
Eseguii con tutta cura due serie di saggi, usando di quelle cautele e di quei
mezzi che la pratica suggerisce. Nella prima precipitai l’anidride fosforica seguendo
le indicazioni del Fresenius, { nella seconda praticai come consiglia il Grandeau1 2.
I due valori così ottenuti per ogni campione, quando non risultarono identici,
differirono fra loro di meno di 0,01 p. %, fatta astrazione del primo campione in
cui la differenza fu di circa 0,02.
Ed ecco ora il prospetto dei risultati che ottenni, i quali dimostrano senza
più come i materiali esaminati non si possono in alcun modo utilizzare nell’agri-
eoltura come sostanze contenenti fosfati.
Su tali valori però, in relazione alla speciale indagine affidatami, credo poter
fare pieno assegnamento.
1
Z
3
4
5
6
8
»
IO
Acqua igroscopica per
100
0,39
0,22
0,32
0,09
0,13
0,10
0,06
1,44
0,17
0,20
Silice e parte insolubile
negli acidi cloridrico
e nitrico per 100 . .
3,70
0,63
3,29
0,37
0,94
0,46
0,51
19,39
4,55
0,72
Anidride fosforica per
100
0,09
0,06
0,06
0,05
0,09
0,07
0,14
0,01
0,02
0,04
Torino, 30 marzo 1888.
Ettore Mattjrolo
Ing. nel R. Corpo delle Miniere .
1 Traiti cCanalyse chimique quantitative. — Paris, 1879.
2 Traiti d’qnalyse des mcttières agricoles. — Paris, 1883.
— 208 —
NECROLOGIA
Una vita preziosissima per la scienza si spense il 23 aprile p. p.
— L’infaticabile mineralogista e geologo G. vom Rath, professore nella
Università di Bonn, mentre veniva in Italia per chiedere ad essa un
ristoro alla sua salute, come più volte le aveva chiesto avidamente il
pascolo per la sua nobile intelligenza, incontrò una morte quasi im-
provvisa presso Coblenza nella età di 58 anni.
Innumerevoli sono i suoi lavori geologici e mineralogici e tutti
improntati alla verità, e tutti ricchi di osservazioni e di utili resultati.
La sua prima pubblicazione, una dissertazione inaugurale sulla com-
posizione della scapolite, comparve l’anno 1853 nel Voi. 1° degli Annali
di Poggendorff.
I lavori sul nostro suolo sono forse fra i suoi più importanti e servi-
ranno sempre di solida base per le ulteriori investigazioni; per questi
l’ illustre scienziato deve annoverarsi fra i più benemeriti della geo-
logia d’Italia, la quale ben a ragione deve deplorarne ora la perdita.
II dare un elenco completo delle sue pubblicazioni sarebbe impresa
ardua, visto lo straordinario numero di esse ; qui ci limiteremo pertanto
ad indicare i titoli delle più importanti fra quelle riguardanti le geo-
logia italiana, alcune delle quali vennero pubblicate nello Zeitsckrift
der k. k. geol. Gesellschaft sotto il titolo generico di Geologische Frag-
menten aus Italien.
G. vom Rath. — Ueber die Zusammensetzung des Mizzonits vom Ve -
suv. (Zeits. d. deuts. geol. Gesells.). Berlin 1863.
» — Geognostische Mittheilungen uber die Euganài -
schen Berge bei Padua. (Ibidem) 1864.
» — Ueber die Queeksilbergrube Validità in den Vene -
tianischen Alpen. (Ibidem) 1864.
» — Ueber das Gesteindes Adamello Gebirges (Ibidem) 1864.
» — Ein Besuch JRadicofani’s und des Monte Amiata
in Toskana. (Ibidem) 1865.
— 209 —
G. vom Ratti. — E in Besueh der Kupfergrube Montecatini in TosJcana
und einiger Punkte ihrer Umgebung. (Ibidem) 18G5.
» — Der Zustand des Vesuvì am 3 Aprii 18G5. (Sitz. Ber.
d. Niederrh. Naturf. Gesells.). Bonn 1865.
» — Rom und die Rómische Campagna. (Zeits. etc.) 1866.
» — Das Albaner Gebirge. (Ibidem) 1866.
» — Die Gegend con Bracciano und Viterbo. (Ibidem) 1866.
» — Das Bergland con Tolfa. (Ibidem) 1866.
» — Monte di Cuma , Ischia und Pianura (Ibidem) 1866.
» — Quarzfiìhrender Tracliit con Campiglia Marittima.
(Ibidem) 1866.
» — Ueber der Meneghinit con der Grube Bottino in To-
skana. (Poggendorff ’s Ann.; cxxxii). Leipzig 1867.
» — Die Berge con Campiglia Marittima in der Toskani-
schen Maremme. (Zeits. etc.) 1868.
» — Die Umgebungen des Bolsener Sees. (Ibidem) 1868.
» — Oligoklas vom Vesuv. (Pogg. Ann. ; cxxxvm). Lei-
prig 1869.
» — Orthit vom Vesuv. (Ibidem) 1869.
» — Ueber die Zwillingsgesetze des Anorthits vom Vesuv.
(Sitz. Ber. d. Niederrh. etc.J 1869.
» — Ueber Humitkristalle der zioeiten Tgpus vomVesuv.
(Pogg. Ann.; cxxxvm). Leipzig 1869.
» — Ueber den Wollastonit vom Vesuv. (Ibidem). 1869.
» — Krgstallisirter Lasurstein vom Vesuv. (Ibidem) 1869.
» — Orthit und Oligoklas in den alten Auswurflingen
des Vesuv. (Sitz. Ber. etc.) 1870.
» — Der Aetna in den Jahren 1863-66. (Neues Jahrb. f.
Min. etc.). Stuttgart 1870.
» — Die Insel Elba. (Zeits. etc.) 1870.
» — Ueber die letzte Eruption des Vesuv und uber Erd-
beben von Cosenza. (Verhandl. d. Naturh. Ver. d.
Preuss. Rheinl. und Westph., xxviti). Bonn 1871.
» — E in interessanter Wollastonit - Auswurfling von
Monte Somma. (Sitz. Ber. d. K. bayr. Akad. d.
Wissens., III). Mùnchen 1871.
— 210 -
G. vom Rath. — Der Vesuo am 6 und 17 Aprii 1871. (Zeits. etc.) 1871.
» — E in Ausfiug nach Calabrien. (8. vo, pag. 157). Bonn 1871.
» — Ueber den Zustand des Vesuv vor der letzten Erup-
tion (Sitz. Ber. der Niederrh etc.). 1872.
» • — Ueber vesuvìsche Auswurflinge der Eruption von
26 Aprii 1872. (Ibidem) 1872.
» — Ueber einem merkwurdigen Lavablock des Vesuv .
(Ibidem) 1872.
» — - Ueber einige Leucit- Auswurflinge vom Vesuv. (Pogg.
Ann.; cxlvii) 1872.
» — Der Aetna. (Verhandl. d. naturhist. Vereins f. Rheinl.
etc.) 1872. '
» — Aus der Umgebung von Massa Marittima. (Zeits.
etc.) 1878.
» — Geognostisch-geographische Bemerkungen ùber Cala-
brien. (Zeits. etc.) 1873.
» — Ein Beitrag zur Kenntniss des Vesuv* s (Ibidem) 1873.
» Z wei Gesteine der Rocca Monfìna. (Zeits. etc.) 1873.
» — Ueber die chemische Zusammensetzung der durch
Sublimation in vesuviselien Auswùrflingen gebilde -
ten Kry stalle von Augit und Hornblende. (Pogg.
Ann. etc.; cxlvii) 1873.
» — Ueber die verschiedenen Formen der vesuviselien
Augite. (Ibidem) 1873.
» — Ueber die Glimmerkry stalle vom Vesuv. (Ibidem) 1873.
» — Ueber den angeblichen Epidot vom Vesuv. (Ibi-
dem) 1873.
» — Das Erdbeben von Belluno am 29 Juni 1873. (N.
Jahrb. etc.) 1873.
» — Tridymit in Neapolitanischen vulkan. Gebiete (Pogg.
Ann. etc.; cxlvii) 1873.
» — Ein Ausfiug nach den Schwefelgruben von Gir genti.
(N. Jahrb etc.) 1873.
» — Ueber die chemische Zusammensetzung des gelben
Augits vom Vesuv. (Monatsber. d. K. Akad. der
Wissens.). Berlin 1875.
— 211 —
G. vom Rath. — Ueber den Monzoni im sudóstlichen Tyrol. (Sitz. Ber. d.
Niederrh. Gesells.f. Natur und Ilei 1 k.) 1875.
» — Ueber das neu entdeekte Vorkommen des Zinnsteins
unfern Campiglia. (Sitz. Ber. etc.) 1877.
» — Ueber die sogenannten oktaedrischen Krystalle
des Eisenglanzes vom Vesuv. (Verhand. des Na-
turh. Ver. etc.) 1877.
» — Ueber einige [dureh vulkanische Dàmpfe gebildete
Mineralien des Vesuv. (Ibidem) 1877.
» — Einige geologische Blieke auf Italien. (Sitz. Ber.
etc.) 1878.
» — Ueber das Erdbeben von Ischia (Ibidem) 1881.
» — Ueber einen Besuch des Vultur bei Melfi (Ibidem) 1881.
» — Ueber einige Mineralien aus Piemont (Sitz. Ber.
etc.) 1882.
» — Die Flusor-spath fùhrenden vulcanischen Einschlusse
von Sarno Novera (Ibidem) 1882-83.
» — Ueber den Cuspidin vom Vesuv (Zeits. fiir Krystall.
etc.) 1883.
» — Reisen auf der Insel Sardinien 23-29 sept. 1882,
13-30 aprii 1883 (Sitz. Ber. etc) 1883.
» — Mittheilungen uber Sardinien (Sitz. Ber. etc.) 1883.
» — Ueber einen Besuch der Insel Ponza (Ibidem) 1886.
» — Ueber den Andesin vom Berge Arcuentu Insel Sar-
dinien (Festschrift d. Vereins f. Naturkunde zu
Cassel) 1886.
» — Bemerkungen iìber den Zustanddes Vesuv' s im Decem-
ber 1886 (Sitz. Ber. ecc.) 1887.
— 212 -
PUBBLICAZIONE DELLA CARTA GEOLOGICA D’ ITALIA
PER CURA DEL R. UFFICIO GEOLOGICO
PARTÌ PUBBLICATE (al 1° luglio 1888)
Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/100,000:
Foglio N. 244 (Isole Eolie) prezzo L. 3 00
Foglio N. 262 (Monte Etna) .
. L.
5 00
»
248 (Trapani) . . .
» 3 00
»
265 (Mazzara del Vallo)»
3 00
»
249 (Palermo) . . .
» 4 00
»
266 (Sciacca) . .
. »
4 00
»
250 (Bagheria) . . .
» 3 00
»
267 (Canicattì) . .
. »
5 00
»
251 (Cefalù) ....
» 3 00
»
268 (Caltanissetta)
. »
5 00
»
(Naso) ....
» 4 00
»
269 (Paterno) . .
. »
5 00
»
253 (Castroreale) . .
» 4 00
»
270 (Catania) . .
. »
3 00
»
254 (Messina) . . .
» 4 00
»
271 (Girgenti) . .
272 (Terranova) .
. »
3 00
»
256 (Isole Egadi) . .
« 3 00
»
. »
4 00
»
257 (Castelvetrano) .
» 4 00
»
273 (Caltagirone) .
. »
5 00
»
258 (Corleone) . . .
» 5 00
»
274 (Siracusa) . .
. »
4 00
»
259 (Termini Imerese).
» 5 00
»
275 (Scoglitti) . .
. »
3 00
»
260 (Nicosia) . . .
» 5 00
»
276 (Modica) . .
. »
3 00
»
261 (Bronte), . . .
» 5 00
»
277 (Noto) . . .
. »
3 00
Tavola di sez. N. I (annessa ai fogli 249 e 258) L. 4 00
» » N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 4 00
» » N. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » 4 00
» » N. IV (annessa ai fogli 257 e 266) » 4 00
» » N. V (annessa ai fogli 273 e 274) » 4 00
HT.B. — L'intiera Carta della Sicilia, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d'unione
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unione della precedente) con sezioni prezzo L. 5 00
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(in due fogli) prezzo L. 15 00
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1/50,000, dell’Ing. B. Lotti prezzo L. 10 00
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sezioni geologiche, dell’Ing. A. Fabri . . . prezzo L. 20 00
DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE.
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tavole e una Carta geologica, dell’ ing. GL Zoppi.
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fogli con una tavola di sezioni.
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veduta e migliorata della Carta pubblicata nel 1881).
IN PREPARAZIONE.
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Per le commissioni rivolgersi al R. Ufficio Geologico, ovvero alla Libreria
E. Lolscher, in Roma.
Pubblicazioni in vendita presso l’Ufficio Geologico
Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia; Voi. I a XVII, dal 1870 al 1886
— Prezzo di ciascun volume L. 10 —
Idem di un fascicolo separato » 2 —
N.B. - Il prezzo di abbonamento annuo e di L. 8 per l'interno
e di L. 10 per V estero.
Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia; Voi. I,
II e III (Parte la).
Voi. I. Firenze, 1872 » 35 —
Voi. IL Firenze, 1873-74 » 30 —
Voi. III. Parte la; Firenze, 1876 » 10 —
I. Cocchi. — Brevi cenni sui principali Istituti e Comitati geologici e sul
R. Comitato Geologico d’Italia. Firenze, .1871 » 1 50
P. Zezi. — Cenni intorno ai lavori per la Carta geologica in grande scala.
Roma, 1875 » 1 —
F. Giordano. — Esposizione in ordine cronologico delle principali disposi-
zioni successivamente emanate relativamente alla Carta geologica d’Italia.
Roma, 1879 » 1 —
F. Giordano. — Sopra un progetto di legge per il compimento della Carta
geologica d’Italia. Roma, 1880 » 1 50
F. Giordano. — Cenni sull’organizzazione e sui lavori degli Istituti geologici
esistenti nei vari paesi. Roma, 1881. ........... » 1 50
G. Capellini. — Relazione a S. E. il Ministro di Agr. Ind. e Comm. sul
Congresso geologico internazionale del 1881. Roma, 1881 .... » 1 —
I. Cocchi. — Carta geologica della parte orientale dell’ Isola d’Elba; scala
di 1/50,000. Firenze, 1871 » 2 50
C. W. C. Fuchs. — Carta geologica dell’Isola d’ Ischia; scala di 1/25,000.
Firenze, 1873 » 2 —
t C. Doelter. — Carta geologica delle isole Ponza, Palmarola e Zannone;
scala di 1/20,000. Roma, 1876 » 2 —
? C. De Giorgi. — Abbozzo di Carta geologica della Basilicata; scala di
1/400,000. Roma, 1879 » 2 —
C. De Giorgi. — Carta geologica della provincia di Lecce; scala di 1/400,000.
Roma, 1880 » 2 —
G. Capellini. — Carta geologica dei monti di Livorno, di Castellina Ma-
rittima e di parte del Volterrano; scala di 1/100,000. Roma, 1881 . » 3 —
G. Capellini. — Carta geologica della provincia di Bologna; scala
di 1/100,000. Roma, 1881 ............... » 4 —
G. Capellini. — Carta geologica dei dintorni del golfo di Spezia e Val di
Magra inferiore; 2a edizione; scala di 1/50,000. Roma, 1881 . . » 3 —
T. Taramelli. — Carta geologica del Friuli, con testo descrittivo ; scala
di 1/200,000. Udine, 1881 » .7 —
Bibliographie géologique et paleontologique de l’Italie. Bologne, 1881 . . » 10 —
Bibliografia geologica e paleontologica della provincia di Roma. Roma, 1886 » 2 —
Bibliografia geologica italiana per l’anno 1886. Roma, 1887 » 1 50
Annunzi di pubblicazioni
G. B. Negri. — Gmelinite della regione veneta (Rivista di mineralogia e
cristallografìa italiana, voi. II, fase. I e II). — Padova, 1888; pag. 10 in-8°.
G. Piolti. — Sulla cossaite del colle di Bousson nell’alta valle di Susa
(Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, voi. XXIII, disp. 6a). —
Torino 1888.
G. Basile. — Le bombe vulcaniche dell’ Etna. — Catania, 1888; pag. 82 in4°
con tre tavole.
F. Sacco. — Sopra alcuni Potamides del bacino terziario del Piemonte
(Bollettino della società malacologica italiana, voi. XIII). — Pisa, 1888;
pag. 26 in-8° con 4 tavole.
D. Lovisato. — Sopra gli sferoidi di Ghistorrai presso Fonni in Sardegna;
nota IV (Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, voi. IV, fase. 7°). —
Roma, 1888 ; pag. 5 in-4°.
Cl. Montemartini. — Sulla composizione chimica e mineralogica delle
roccie serpentinose del colle di Cassimoreno e del monte Ragola in
Val di Nure (Ibidem). — Roma, 1888; pag. 8 in-4°.
E. Artini. — Alcune nuove osservazioni sulle zeoliti di Montecchio Mag-
giore (Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, voi. IV, fase. 9). — -
Koma 1888, pag. 6 in-4°.
T. Taramelli. — Di una vecchia idea sulla causa del clima quater-
nario ( Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, voi.) XXI,
fase. IX). — Milano 1888; pag. 10 in-8°.
S. Ciofalo e A. Battaglia. — Sull’ Hippopotamus Pentlamdi delle con-
trade d’imera. — Termini-Imerese, 1888 ; pag. 28 in-4° con una tavola.
A. De Zigno. — Nuove aggiunte all’ittiofauna dell’epoca eocena. — Ve-
nezia 1888 ; pag. 24 in-4 con una tavola.
Fr. Bassani. — Colonna vertebrale di Oxyrhina Mantelli Agassiz, sco-
perta nel calcare senoniano di Castellavazzo nel Bellunese. —
Napoli 1888; pag. 6 in-4° con 8 tavole.
A. Tommasi. — I terremoti nel Friuli dal 1116 al 1887. — Roma 1888;
pag. 22 in-4°.
D. Pantanelli. — Descrizione di specie mioceniche nuove o poco note.
— Parte 2\ (Bollettino della Società malacologica italiana, voi. XIII. —
Pisa 1888; pag. 9 in-8°.
E. Mariani. — Foraminiferi della collina di S. Colombano Lodigiano.
(Rendiconti del R. Istituto Lombardo, voi. XXI, fase. X-XI). — Milano 1888;
pag. 8 in-4°.
L. Foresti, — Di una varietà di Strombus coronatus Defr. e di un’altra di
Murex torularius Lk. del pliocene di Castel-Viscardo (Umbria). —
(Bollettino della Società geologica italiana, voi. VII, fase. 1°). — Roma 1888;
pag. 8 in-8° con due tavole.
A. Del Prato. — Sopra alcune perforazioni della pianura parmense.
(Ibidem). — Roma 1888; pag. 9 in-8°.
C. Fornasini. — Tavola paleo-protistografìca (Ibidem). — Roma 1888;
pag. 5 in-8° con una tavola.
A. Verri. — Osservazioni geologiche sui crateri vulsinii (Ibidem). —
Roma 1888; pag. 50 in-8°.
E. Clerici. — Sopra una sezione geologica presso Roma (Ibidem). —
Roma 1888; pag. 5 in-8°.
D. Pantanelli. — Le acque sotterranee nella provincia modenese. —
Modena 1888; pag. 12 in-8°
G. Tuccimei. — Bradisismi pliocenici nella regione sabina. — Roma 1888 ;
pag. 16 in-4° con una tavola.
Voi. XIX della Raccolta
■ScjEjjvTTA rrcPtrsTEì
lì. COMITATO GEOLOGICO
O’ITAIJA
Luglio e Agosto
pi
N- 7 e 8
Voi. IX della 2a Serie
.
ROMA
TIPOGRAFIA NAZIONALE
di Reggiani & soci
3?.
1888.
ELENCO
del personale componente il Comitato e l’Ufficio (Teologico
R. Comitato Geologico.
Meneghini Giuseppe, prof, di geologia nella R. Università di Pisa, Presid.
Capellini Giovanni, prof, di geologia nella R. Università di Bologna.
Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze.
Cossa Alfonso, prof, di chimica nella R. Scuola di applicazione per gli
ingegneri in Torino.
De Zigno Achille, membro nel R. Istituto Veneto, a Padova.
Gemmellaro Gaetano Giorgio, professore di geologia nella R. Università
di Palermo.
Scacchi Arcangelo, prof, di mineralogia nella R. Università di Napoli.
Scarabelli Giuseppe, senatore del Regno, a Imola.
Silvestri Orazio, prof, di geologia nella R. Università di Catania.
Stoppani Antonio, professore di geologia nel R. Istituto tecnico supe-
riore di Milano.
Stri) ver Giovanni, prof, di mineralogia nella R. Università di Roma.
Taramele i Torquato, prof, di geologia nella R. Università di Pavia.
Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze.
Giordano Felice, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, a Roma.
Pellati Niccolò, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, a Roma.
Personale addetto ai lavori della Carta Geologica.
Direzione superiore :
ing. Giordano Felice, Direttore.
Ing. Pellati Niccolò.
Ufficio centrale (in Roma):
lag. Zezi Pietro, Capo d’ufficio e Segretario del Comitato. '
Ing. Sormani Claudio.
Geologi operatori :
Ing. Baldacci Luigi, Roma.
Ing. Lotti Bernardino, Pisa.
Ing. Cortese Emilio, Roma.
Ing. Zaccagna Domenico, Pisa.
Ing. Viola Carlo, Roma.
Ing. Novarese Vittorio, Roma
Ing. Aichino Giovanni, Roma.
Ing. Sabatini Venturino, Roma.
Ing. Franchi Secondo, Torino.
Sig. Fossen Pietro, aiutante, Pisa.
Sig. Cassetti Michele, aiutante, Roma.
Sig. Moderni Pompeo, aiutante, Roma.
Personale distaccato:
lag. Mattirolo Ettore, Torino (analisi delle roccie)
Dott. Canavari Mario, Pisa (paleontologo).
La sede dell’Ufficio geologico in Roma è nel Museo agrario-geologico,
via Santa Susanna, n. 1-A.
BOLLETTINO DEL 15. COMITATO GEOLOGICO
D’ ITALIA.
Serie IL Voi. IX. Luglio e Agosto 1888. N. 7 e 8.
SOMMARIO.
Memorie originali. — I. L’ eruzione dell’ Isola Vulcano veduta nel settembre 1888,
di E. Cortese. — II. Appunti sopra roccie vulcaniche della Toscana, di C. de
Stefani. — III. Esame microscopico di una trachite del Monte Amiata, di
V. NOVARESE. — IV. Il Monte di Canino in provincia di Roma, di B. Lotti.
Estratti e Riviste. — Il cratere di Fossa Lupara nei Campi Flegrei, di W. Deecke.
Notizie bibliografiche. — E. Reyer, Teoretiche Geologie ; Stuttgart, 1888. —
G. De la Noè (avec la collaboration de E. de Margerie), Les formes du
terrain ; Paris, 1888. — Bibliografìa geologica italiana per l’anno 1887.
Notizie diverse. — Giacimenti solfiferi nella Luigiana.
Avviso di pubblicazione della Carta geologica d’Italia.
AVVERTENZA.
MEMORIE ORIGINALI
I.
V eruzione dell’ Isola Vulcano , veduta nel settembre 1888';
appunti dell’ing. E. Cortese.
L’isola di Vulcano, la più meridionale delle Eolie, ha forma quasi
elittica allungata dal N.N.O al S.S.E, e la sua massima lunghezza in
questa direzione è di chilom. 7 £ circa.
Alla estremità Nord di essa si stacca un promontorio quasi cir-
colare, di chil. 1 è di diametro, costituito da lave nerastre, e sul cui
lembo N.E sorge Vulcanello, piccolo cratere di 123m di altezza sul mare.
Esattamente al Sud di Vulcanello, a chil. 2 \ di distanza, misurati fra i
centri dei crateri, è il Vulcano grande.
* Avendosi dovuto, per motivi estranei alla Direzione, ritardare d’alquanto la
pubblicazione del presente fascicolo, si è creduto opportuno di inserirvi anche questo
articolo, benché porti la data di settembre. La Direzione.
14
— 214 —
Questo non è che un cratere relativamente recente sorto nel mezzo
di uno più grande, slabbrato verso N.N.E, il cui perimetro sarebbe in-
dividuato, procedendo dal Nòrd al Sud e all’Est, dai monti : Lentia, Sa-
raceno, Rosso, Molinello, mentre declina, al Nord, a Capo Grosso, e
al N.E, alla punta di Luccia.
In qualche modo, il Vulcano grande è nelle condizioni del Vesuvio
rispetto al Somma. L’analogia si ripete anche nella valle che circonda
ad Est, Sud e Ovest il cono del cratere attuale, la quale è divisa in
due pioventi, uno che circonda ad Est il piede del cono, l’altro che lo
circuisce al Sud ed all’ Ovest. Questa valle è nelle condizioni dell’Atrio
del Cavallo nel Vesuvio.
Il grande ed antico Vulcano, quello del cratere largo e slabbrato,
ha eruttato delle lave trachitiche, a sanidino, di due tipi diversi, di cui
uno, analogo a quello della lave dei monti Gallina e Guardia, di Lipari,
accompagnata anche qui da ossidiane imperfettamente vetrose, domina
sul versante occidentale, e l’altro, più scuro, che domina sull’altro ver-
sante, ed è eguale a quello delle lave di Vulcanello.
Questo secondo tipo di lave, anche pel loro dividersi in'prismi pen-
tagonali, mi parve un tipo intermedio fra il basaltico e il trachitico,
e così lo definii all’epoca in cui feci il rilevamento geologico di quelle
isole (anni 1881 e 1882).
Si hanno poi delle grandi estensioni coperte da scorie laviche tra-
chitiche, le quali formano il Monte Saraceno, colla sua pendice fino al
mare, e tutta la cresta del Serro dell’Arpa, Serro Conigliara, la Som-
mata, Serro delle Felicicchie, e le pendici fino all’antico faro.
Tufi regolarmente stratificati, intercalati colle lave, si hanno sotto
il Serro Conigliara, fino al mare, e su tutto il versante orientale, dalla
Chiesa fino a Monte Luccia.
I tufi di lapilli impastati ricoprono 1’ esteso piano superiore, che
si stende da Monte Molinello e Serro dell’Arpa, Serro Felicicchie e Monte
Aria, per oltre 4 chilometri quadrati. Sono tufi di origine più recente
dei primi.
II cono attuale di Vulcano poi, che ha una base circolare di chil. 2
di diametro, è tutto formato da ceneri grigie, più o meno impastate,
meno in qualche punto in cui appare la lava trachitica. E però cosparso
di massi di lave scoriacee, gettati dalle eruzioni antecedenti.
Il braccio di mare che rimaneva fra Vulcanello e Vulcano, fu col-
mato da queste ceneri e fra i due porti, di Ponente e di Levante, il
suolo è tanto depresso che, in alcuni punti non si eleva che di 0rn,70
sul mare.
Prodotti speciali, di fumaiole, si avevano nel fondo del cratere e
intorno ad esso, e i più antichi formavano i così detti Faraglioni . Da
questi prodotti di fumaiole si estraevano, colla lessiviazione, Tacido bo-
rico è i! sale ammoniaco e, colla fusione, il solfo.
Non starò qui a descrivere i processi usati per ottenere questi
prodotti.
L’attuale coltivatore, un inglese (sig. E. Narlian), aveva alquanto
migliorati questi trattamenti, utilizzando anche gli acidi che rimane-
vano nelle acque madri.
10 aveva visitato Vulcano quattro volte, una nel giugno 1881, una
nel novembre dello stesso anno, e due nel luglio 1882. Allora il bordo
del cratere era di pianta esattamente circolare, ed aveva il diametro
di 450m circa. Era più basso dal lato Nord (290m) ove sì aveva il piano
della Fossa o delle Fumaiole, e più alto dal lato opposto, ove raggiun-
geva i 350m ed anzi, una punta arrivava alla quota di 386m sul mare.
Anche questo cratere mostrava dunque di aver avuto una tendenza a
slabbrarsi verso tramontana, come già aveva fatto il grande cratere
esterno. Da quel lato, infatti, si vedeva una colata di lava trachitica,
e si apriva la Forgia Vecchia, piccolo cratere laterale, il cui fondo è
a 1201 sul mare.
E interessante notare che il centro del cratere attuale, quello della
Forgia Vecchia e quello di Vulcanello sono su una retta esattamente
orientata S-N.
11 cratere presentava un fondo piano, alla quota 220m sul mare, se
mal non mi appongo, simile a quello delle solfatara di Pozzuoli; però
in un angolo (N.N.E) presentava una grotta, di dove usciva un forte
soffione e dove, se non era. illusione dovuta alla rapidità e saltuarietà
delle osservazioni che il soffiare dei vapori permetteva, apparivano
talvolta dei riflessi di materie incandescenti.
L’attività di questo vulcano, da molto tempo si era ridotta ad ema-
nazioni di vapori, ceneri e lapilli, ed infatti pare che da oltre 400 anni
non si avessero avuto vere e proprie eruzioni, con uscita di lava. Da
— 216 —
oltre un secolo poi non aveva avuto manifestazioni violente; tutta la
sua attività si riduceva alle fumaiole dell’interno ed a quelle del Piana
della Fossa. Queste ultime davano dei depositi di solfo giallo o rosso
(forse per la presenza dell’arsenico) in aghi finissimi, identici a quelli
che si hanno fondendo il solfo in un crogiuolo e poi versandone una
parte mentre comincia a solidificarsi, e che appartengono al sistema
monoclino.
Queste manifestazioni identiche a quelle che si hanno sul labbro
esterno del cratere di Stromboli, indicavano che l’attività non era del
tutto cessata, ma la tranquillità del vulcano, rotta solo a lunghi in-
tervalli da qualche rombo poteva far credere, come credetti io, ad una
progressiva e totale estinzione di esso, a somiglianza di tutti i suoi
simili, sparsi nelle altre isole Eolie.
Invece la notte del 3 agosto, prima dell’alba, il vecchio Vulcano
si ridestava inopinatamente. Nel giorno seguente lanciò pietre fino
presso Vulcanello, cioè a 2 chilometri di distanza dal centro del
cratere.
Alcune di queste pietre sfondarono il tetto della casa abitata dal
sig. Narlian, nonché quelli dei magazzini ove si lavoravano i diversi
prodotti, e delle case ove alloggiavano gli operai, fra cui quella ove
si rinchiudevano i lavoranti della colonia di coatti di Lipari.
Questo primo periodo dell’eruzione fu veramente violento, a giudi-
care dalla distanza cui furono progettati i massi. Uno di questi, caduto
al di là della casa del direttore suddetto, presso un pozzo attiguo alla
vigna, ha prodotto una fossa profonda 1,50, con 4m di diametro alla
bocca. Scavato il fondo per oltre un metro, non fu possibile rinvenire
il masso caduto, tanto profondamente esso erasi sepolto.
Questo primo periodo di attività non durò molti giorni ed, anzi,
il Vulcano rientrò in una calma relativa, tanto chè, nella seconda metà
del mese di agosto, fu possibile al prof. 0. Silvestri salire sulle cime
del cratere.
Però verso la ‘fine di agosto, Vulcano ricominciò a fare delle eru-
zioni assai violente; la cenere, portata dal vento, che già pioveva a
Lipari e a Salina, giungeva, spinta dai venti di ponente, fino in Cala-
bria, a Villa S. Giovanni.
Avendo terminato i lavori che mi tenevano occupato altrove, ho
potuto pensare a recarmi a Vulcano, Vi feci infatti due visite, il 5 e
il 6 settembre, ed ecco le osservazioni che vi ho fatte:
La mattina del 5 si aveva calma di scirocco in mare, ma in alto re-
gnava un vento di levante, che spingeva le ceneri e il fumo verso po-
nente. Dal basso . giudicai che le pietre erano preferibilmente lanciate
in quella direzione, mentre le fumaiole, che numerose e cospicue ap-
parivano al bordo del piano della Fossa, sembravano immuni da ca-
dute di massi. Risolsi di salire prontamente per il vecchio sentiero
della Forgia Vecchia, passare dalle fumaiole ed andare sul bordo me-
ridionale del cratere.
Al piccolo cratere della Forgia Vecchia, trovai le traccie di una
fumaiola recente, di vapor d’acqua. Vi era infatti, nel. mezzo, una ca-
vità perfettamente circolare, coperta di cenere, ma formata di un fango
giallo rosato, ancora troppo molle per essere plastico.
Giunto verso i 200m di altezza, vidi che i massi, lanciati da una
eruzione più forte, andavano a ricadere, in gran parte, nelle fumaiole,
anzi uno assai voluminoso, cadendo in una grossa cui era prossima
(la fumaiola Caputo) “ne alterò per qualche tempo il regime.
Rinunziai adunque ad avvicinarmi alle fumaiole stesse e mi diressi
ad una piccola cresta, che separa due vallatelle, una ad Est ed una ad
Ovest, la quale ultima confina col bordo del cratere.
Un appicco di 4 metri di altezza, di cenere impastata, richiese un
po’ di tempo ad essere da me superato 1 dovendo scavare i gradini
coi martello. Ciò diede tempo al vulcano di fare un’altra delle sue eru-
zioni più forti le quali, come dirò, avvengono ogni 35 minuti, e quando
ebbi superato l’appicco, vidi i massi cadere nella vallatella a ponente,
a 50 metri da me.
Era evidente che i massi cominciavano a cadere prevalentemente
verso Est, e quindi mi affrettai per giungere al culmine di 386m, che
domina il cratere.
Prima che giungessi, un’altra forte eruzione lanciava sassi volu-
minosi al di là della piccola cresta suddetta, coprendo il sentiero da
ine tracciato, di lapilli e pietre. Dalla vetta spingendo lo sguardo nel-
1 Le guide si rifiutarono assolutamente, quel giorno e il seguente, di accom-
pagnarmi.
— 218 —
l’interno del cratere, non vidi che una massa di fumo. Le emanazioni-
di vapori e ceneri, avvenivano ogni 5 minuti e, stante la calma del-
l’aria, si spingevano verticalmente finché, incontrando gli strati supe-
riori dell’aria, in movimento, piegavano ad Ovest. L’intervallo però era
troppo breve, perchè il cratere fosse mai sgombro di fumo. Solo alla
eruzione più forte, seguente (ore 11 57') vidi il getto luminoso di ma-
teriali incandescenti, squarciare momentaneamente le tenebre.
11 fondo del cratere apparve sfondato, come è naturale, e l’esplo-
sione avveniva nel canto N.N.E, dove era anche primitivamente la grotta
colle fumaiole, di cui parlai sopra.
Però, tutto il cratere conservava quell’aspetto di simmetria (un vero
imbuto) come aveva pel passato. Nessuno squarcio nelle pareti e nes-
suno sprofondamento sugli orli, almeno per la parte che si vedeva.
Il barometro ribatteva la quota di 386 per la vetta su cui mi trovava.
Ma la pioggia di massi, di quella eruzione, ricadde vicissima. Dalla
velocità con cui scendevano, e dal loro numero, era evidente Timpos-
sibilità di scansarne i colpi, cosa che aveva potuto fare a Stromboli.
Mi ritirai un poco a ponente, ma la successiva eruzione mi tornò a
dimostrare che il getto dei massi aveva realmente cambiato direzione,,
ed avveniva preferibilmente nel 1° e 2° quadrante.
Dovetti scendere e, percorrendo il piede occidentale del cono tra-
versai una zona, larga un chilometro circa, in cui pioveva, abbondante
e molesta la cenere.
L’indomani 6 settembre, tentai ancora l’ascensione, dalla così detta
strada nuova , dalla parte N.O, e ciò perchè vedeva che, nelle eruzioni
precedenti, i massi cadevano 'preferibilmente verso N.E. Ma anche quir
in diverse eruzioni forti, la caduta di pietre si accentuò verso ovest e,
giunto sull’orlo del cratere, potei persuadermi che in nessun punto di
questo si poteva rimanere, tante e sì violenti erano le cadute di pietra.
Non riscontrai alcuna deformazione di quest’orlo.
Avendo, del resto, veduto abbastanza, ossia tutto il possibile, del
cratere, scesi, e mi occupai della raccolta di campioni.
Ecco ora i resultati delle osservazioni fatte, che, se valgono per
il periodo in cui presenziai i fenomeni, possono del resto variare molto
in seguito.
Il vulcano faceva delle emissioni di fumo, ogni 5 minuti ; il fumo
— 219 —
saliva verticalmente, diffondendosi poi nella direzione dove dominava
il vento dell’alto.
Il fumo appare nero, dalla parte contro il sole, e bianco, ma opaco,
dove è illuminato; sale in dense volute e si spinge almeno a G00m di
altezza sul cratere.
Ogni 35 minuti ha luogo una eruzione più forte, con rombi e deto-
nazioni. Allora si spingono in alto dei massi di forme diverse, roteanti
con velocità, mentre i lapilli e le ceneri più grosse, ricadono in cor-
tina, mascherando le volute del fumo, che si vedono solo più in alto.
I massi ricadono con velocità vertiginosa; infatti, se spinti a
soli 300m di altezza sul cratere e ricadenti da 500m sulla parete esterna
del cono, la loro velocità (y 2 gioì) è di circa m. 100 al 1". ’L’ occhio li
segue quando si trovano in alto e cominciano a discendere, ma poi
acquistano tale velocità, che non si può dire dove vadano a cadere.
Un sibilo e una nuvoletta di cenere sollevata, indicano il momento e
il luogo della caduta.
Alle 9 25' antimeridiane del 6 settembre, ne caddero molti sulla
Forgia Vecchia, e uno fin presso alla casa detta dei coatti. Sotto il
calore irradiato dai massi, le ginestre che sono vicine, si disseccano
e poi si incendiano. Spezzandoli, si vedono svilupparsi delle fiamme
dalle cavità interne, mentre appaiono perfettamente incandescenti. Bi-
sognava ricorrere ad artifizii speciali, per portar via quei pezzi, alcuni dei
quali, dopo 4 ore dalla caduta, non erano ancora perfettamente raffreddati.
Quel calore può essere iniziale, e può essere anche prodotto, in
parte, dallo sfregamento dell’aria nella caduta, o dall’urto.
I massi più grossi che vidi, potevano avere il volume di un quarto
di metro cubo, e quindi un peso di 425 chilogrammi circa (essendo di
lava scoriacea). Per la loro caduta da oltre 500 m., ossia all’arrivo in
terra con più di 100 m. di velocità, dovevano avere una forza viva di
circa 450 000 chilogrammetri e sviluppare un lavoro di 225 000, ossia
500 calorie.
II grosso masso caduto presso il pozzo, e scomparso, doveva ca-
dere da un’ altezza anche maggiore, e la sua forza viva essere enorme.
Le ceneri sono brune quando cadono umide, grigiastre quando
asciutte. La cenere tenue che si lascia trasportare a distanza, arriva
asciutta ed è bianchiccia o grig'o-giallastra.
— 220 —
Nei giorni 5 e 6, il barometro aneroide che io portava, segnava,
alle 9 di mattina, al mare, mm. 771, 5.
Presenziai le seguenti eruzioni:
Nel giorno 5, le eruzioni forti, alle ore :
10 12',
10 47',
11 22',
11 57',
12 32'.
Le piccole avvenivano ogni 5 minuti.
Nel giorno 6:
la alle 6 26' prolungata fino alle 6 29', fortissima ,
2a » 6 31' debole,
3a » 6 35' debole,
4a » 6 40' più forte,
5a » 6 46' più forte,
6a » 6 51' più forte,
7a » 6 56' continuata fino alle 6 59', fortissima ,
8a » 7 4',
14a » 7 32' fortissima ,
21a » 8 7' prolungata fino alle 8 10', fortissima,
28a » 8 45' fortissima ,
35a » 9 25' »
42a » 10 2' »
47a » 10 28' »
Nel pomeriggio del giorno 6, le forti eruzioni erano quasi cessate,
ma alle 5 50' e alle 6 30' di sera, si sentirono dal mare, dove navigava
a certa distanza, due fortissime detonazioni, e si videro grandi colonne
di fumo salire dal vulcano e dirigendosi verso Sud.
Riassumendo:
1° Le eruzioni succedono ad intervalli, quasi assolutameute re-
golari, di 5 minuti; ogni 7 eruzioni se ne ha una forte;
2° I massi gettati sono di lava trachitica scura, analoga a quella
221 —
delle antiche eruzioni, ma più scoriacea; talvolta sono di prodotti di
fumaiola, con solfo, ecc. Non furono mai proiettati ad un raggio mag-
giore di 2 chilometri ; ora lo sono generalmente entro un raggio di
500 m., che raramente oltrepassano;
3° Le ceneri sono identiche a quelle che hanno colmato la zona
fra Vulcano e Vulcanello;
4° Il cretere non è deformato, solo ne sprofondò il fondo, e le
emissioni avvengono preferibilmente nell’angolo N.E;
5° I danni prodotti sono rilevanti, quanto ai fabbricati dell’auenda
industriale, e alla distruzione dei depositi di solfo e altri sali, accu-
mulati nel cratere. Nessun danno alle vigne, o trascurabili. Gli incendi
alle ginestre selvatiche, provocati per irradiazione di calore dei massi
caduti, sempre limitati in estensione e prontamente estinti ;
6° Tutte le parti al di fuori della cerchia del vecchio e grande
-cratere, sono perfettamente immuni dalle cadute di massi o da altri
pericoli. Non si avverte nessun fenomeno nelle cisterne, e a Lipari si
sente solo qualche scossa, quando avvengono forti esplosioni.
Catanzaro, 9 settembre 1888.
IL
Appunti sopra roccie vulcaniche della Toscana studiate dal
Rosenbusch; del prof. 0. de Stefani.
Tre anni fa e più tardi mandai al Rosenbusch parecchi esem-
plari delle roccie vulcaniche recenti di Toscana, acciocché se ne gio-
vasse palla sua classica Mikroskopische Physiograpliie der Minerò -
lien und Gesteine di cui è uscito, pochi mesi sono, il volume II (Stutt-
gart, E. Schweizerbart’ sche Verlagshandlung; 1887). Dopo rinvio che
io feci sono usciti sopra le stesse roccie, in brevissimo tempo, parec-
chi lavori, tutti accurati e fatti coi criteri che oggi si richiedono, di
Bucca, Busatti, Dalmer, Klein, Mercalli, Williams, per modo che d’un
tratto quella regione vulcanica è diventata quasi delle meglio cono*
— 222 —
sciute d’Italia. Le osservazioni che il Rosenbusch ha pubblicato e
le altre inedite che in parte mi ha comunicato aumentano d’ assai le
cognizioni sopra quelle roccie ed io, acciocché siano meglio cono-
sciute e non se ne perda il grande valore, ne pubblico un breve sunto.
Nei dintorni d’Orciatico il Capellini e il Lotti hanno distinto delle
varietà dì trachite che credono differente da quella vicina di Monte-
catini: io però credo si tratti di una semplice varietà microfelsitica. Ivi
la trachite è superficialmente più bollosa e quasi pumicea, prova che
fece eruzione allo scoperto, e riposa sul Pliocene ; rimane quindi
escluso il dubbio, ancora giustificabile quando io lo esposi, che si tratti
di una eruzione forse miocenica e più antica di tutte le altre eruzioni
postplioceniche della Toscana. La trachite d’ Orciatico non è ancora
stata esaminata dal Rosenbusch. Quella identica di Montecatini in Val
di Cecina, che già prima aveva studiato, il Rosenbusch la pone fra
le vere trachiti del tipo di Drachenfels, come alcune trachiti degli
Euganei; la grande ricchezza delle inclusioni di Biotite e di Augite,
mentre i feldispati appartengono alla massa fondamentale, le danno un
carattere decisamente lamprofìrico. Come n,ei lamprofiri vi sono abbon-
danti pseudomorfosi di Pilite derivata da Olivina ( Mik . Phys .II, p.597).
Della trachite del gruppo di Roccastrada-Sassoforte il Rosenbusch
descrive un esemplare di Torniella, avuto credo dal D’Achiardi, ed uno
avuto da me, che egli indica come proveniente dal Monte Amiata, ma che
è di Roccastrada. Egli la attribuisce alle Lipariti e specialmente al
tipo delle Nevaditi assai raro in Europa e non ancora sufficientemente
studiato. La più distinta rappresentante delle Hyalonevaditi è la tra-
chite di Roccastrada, creduta del Monte Amiata (p. 541 e XIV). Ha
aspetto granitico: numerose inclusioni di Sanidino, Plagioclasio, Quarzo
e Biotite stanno in una massa fondamentale vetrosa, limpida, conte-
nente Biotite di seconda generazione, ed alcuni sferocristalli di natura
microfelsitica. La massa vetrosa sotto i Nikol incrociati, a debole in-
grandimento, pare un aggregato granuloso allotriomorfo ed olocristal-
lino: mai si vede una colorazione. La Hyalonenadiie di Torniella è
molto vicina alla predetta; quale accessorio vi son pure Ipersteno (p. 5,
34) e Cordierite. Alcune trachiti del Lazio sono Nevaditi e vi si avvi-
cinano assai quelle di Canapiglia. Anche le trachiti di Roccastrada-
Sassoforte sono postplioceniche perchè si riversarono sopra il Pliocene.
— 223 —
Postplioceniche sono pure le trachiti del Monte Amiata, le quali
si riversarono in banchi quasi orizzontali o leggermente inclinati a
mantello sopra terreni eocenici e più antichi, già spostati e denudati ;
di esse niuna ghiaia si- trova ne’circostanti conglomerati pliocenici, che
sono formati a spese delle rocce eoceniche. Il Williams ha determinato
quella roccia come una Trachite iperstenolabradoritica , la quale in
certi punti accenna alle Andesiti, in altri alle Lipariti ma conserva
sempre natura chimica identica. Il Williams crede che la forma por-
firoide più liparitica predomini nel centro, 1’ altra più andesitica al-
T esterno, e che le varietà derivino da differente modo di solidifica-
mento, più lento all’interno del monte, più veloce all* esterno, sebbene
poi egli trovi delle eccezioni non poche nella distribuzione topografica
di dette varietà. Una circostanza osservata da quasi tutti, anche dal Wil-
liams, ma non presa sufficientemente in considerazione, prova che il
modo di vedere del dotto americano non è accettabile. Le trachiti cioè,
sono disposte, come dicevo, a banchi, nei quali alternano le differenti
varietà ora porfìroidi e quasi liparitiche, ora quasi andesitiche , se-
condo le circostanze che via via si verificarono; questo, insieme col-
Y abbondanza dei tufi intercalati, prova che il Monte Amiata fu un
vulcano come tutti gli altri, il quale fece lunghe eruzioni. Mandai al
Rosenbusch vari esemplari; uno dei dintorni di Seggiano egli lo fece
studiare all’ ing. Novarese, il quale conferma le osservazioni del Wil-
liams, meglio comprovando la presenza dell’Augite monoclina. Alcune
altre osservazioni sui componenti la detta trachite le ha pubblicate il
Rosenbusch, contemporaneamente al Williams, chiamandola trachite
biotito-iperstenica (p. 534, 579, 581, 584, 586, 600, 601): egli vi nota
inclusioni di Bronzite intrecciate con quelle di Plagioclasio e di
Augite, non però con quelle di Sanidino (pag. 534) e alterazioni del-
ripersteno in Bastite (pag. 586); fra le inclusioni è pur lo Zircone
(pag. 601 . Dai dintorni di Seggiano proviene una varietà che « ha
r aspetto di certe minette e ricorda un poco la trachite micacea di
Montecatini, benché la composizione sia diversa. Essa consiste in
grandi cristalli di mica bruna, in lunghi prismi d’augite ed in feldispati
diversi con struttura affatto insolita nelle trachiti. »
La trachite del Monte Amiata abbonda di massi inclusi ricchi
di grafite : il Rosenbusch ha trovato « in un esemplare grigio con
224 —
lunghi cristalli bianchi, prismatici, delle varietà di Biotite, cristalli
e grani di uno Spinellide o di un Granato non ancora determinato,
materia carboniosa e un poco di feldspato e quarzo. La roccia è un
poco schistoide e sono assolutamente sicuro (egli scrive con ragione)
che si tratta di una roccia sedimentaria metamorfosata. »
Il piccolo lembo di Radicofani è stato studiato di recente da Bucca
e Mercalli. La roccia è una dolerite sanidinica facente passaggio ta-
lora ad andesite olivinica, affatto distinta anche litologicamente dai
Prossimi prodotti vulcanici vulsinii. Il Rosenbusch mi scriveva (19 ot-
tobre 1887) di avervi trovato < nella mesostasi o massa fondamentale
intercalata ai cristalli di prima generazione,' dei microliti prismatici rossi
o gialli, che non aveva potuto ancora determinare, a estinzione destra,
di cui Tasse più lungo coincide col minore asse di elasticità. »
La roccia è superiormente scoriacea e bollosa, evidentemente in
quella parte che emergeva sopra il suolo pliocenico circostante e si
mostra quindi posteriore alla emersione di questo.
Nel vulcano Vulsinio e sue adiacenze la successione delle correnti,
come del resto negli altri vulcani dell’Italia centrale, e la serie crono-
logica delle eruzioni si possono stabilire accuratamente notando le in-
tercalazioni delle lave entro i tufi sui margini del cratere sventrato oc-
cupato dal lago. Di questo criterio cosi semplice niuno si è finora
servito pel vulcano di Bolsena : Leucititi, Leucotefriti, Fonoliti, sono
ordinariamente le roccie più antiche di questo vulcano, ed anche le
più recenti nel cratere laterale di Latera-Valentano; una Leucitite
passante a Leucotefrite di Sorano, avuta da me, è citata dal Rosen-
busch. Andesiti augitiche sono le roccie più recenti del vulcano Vul-
sinio.
Mandavo pure al Rosenbusch una roccia verdognola che si trova
nel Monte Elceto alla base delle trachiti della Tolfa, fra queste e le
roccie cretacee; egli la trovava essere una « Leucitite perfettamente
identica alle roccie leucitiche delle montagne d’Albano e dei dintorni
di Roma. >
Questa roccia dunque formò le più antiche colate della regione,
mentre le trachiti sono più recenti. Nelle Lipariti o Nevaditi di
Campiglia il Rosenbusch nota la conversione della Cordierite in Pinite
(pag. 535) già osservata da altri e rammenta la loro affinità col tipo
dei porfidi pinitici ; in quelle di S. Vincenzo egli trova pure quà e là
Bronzite in microliti colla Biotite di seconda generazione (p. 534). Que-
ste Lipariti o Nevaditi di Campiglia, cosi somiglianti a quelle recenti
di Torniella e Roccastrada, appartengono secondo me all’Eocene su-
periore, della qual cosa, che andrebbe considerata più a lungo, ragio-
nerò altra volta.
III.
Esame microscopico di una varietà di trachite del Monte
Amiata; nota dell’ing. V. Novarese.
Il materiale che ha servito per il presente studio fu preso da una
raccolta di roccie toscane che il prof. Carlo De Stefani inviò tempo
fa al prof. Rosenbusch ad Heidelberg, e proviene dai dintorni di Seg-
giano sul versante settentrionale del Monte Amiata. Alcuni dei risul-
tati principali dello studio, compiuto nei primi mesi del 1887 nell’ Isti
tuto petrografico della Università di Heidelberg, furono già publicati
dal Rosenbusch stesso nella seconda metà del 2° volume della sua
Pliysiographie der massigen Gesteine , II Edizione, Stuttgart 1887
(pag. 601).
Questa varietà di trachite del Monte Amiata è di struttura porfi-
rica molto evidente, carattere che deve principalmente ai cristalli di
sanidino di discreta grandezza che spiccano sul suo fondo bruno
cupo. La roccia contiene ancora, discernibili ad occhio nudo, cristalli
porfirici di plagioclase vitreo con un nucleo decomposto, foglietti di
mica nera e cristalli di minerale pirossenico, in individui però di gran
lunga minori di quelli di sanidino.
L’esame microscopico delle sezioni sottili della roccia non fa che
confermare la sua natura porfirica. I cristalli dei minerali segregati
sono disseminati in una parte amorfa di color bruno con marcatissima
struttura fluidale, contenente microliti numerose.
I cristalli porfirici appartengono a due generazioni: sono della
prima i cristalli di biotite, iperstene, augite, plagioclase e sanidino che
si vedono ad occhio nudo, alla seconda sono da assegnarsi i cristalli
— 226 —
di biotite, augite e feldispato che sotto un non forte ingrandimento
appaiono come microliti diffuse nella massa fondamentale della roccia.
Fra i minerali della prima generazione la biotite si presenta in
cristalli tabulari assai bene sviluppati. La colorazione bruna è inten-
sissima per modo che le sezioni basali sono a mala pena trasparenti.
Sottilissimi foglietti ottenuti per sfaldatura sono sensibilmente pleocroi-
tici, onde si ha
a — giallo bruno.
b — bruno verdastro.
C — bruno rossastro.
b > c > a
Mediante tali foglietti di sfaldatura si può alla luce polarizzata con-
vergente verificare come il piano degli assi ottici coincida col piano
di simmetria, rimanendo così fuor di dubbio il carattere biotitico della
mica. L’angolo degli assi ottici è piccolo e la dispersione è tale
che p < v.
I minerali pirossenici sono rappresentati da un pirosseno rombico
che sembra nei suoi caratteri avvicinarsi più all ’ iperstene che non agli
altri due minerali del gruppo. Si presenta sotto forma di prismi al-
quanto allungati; in lamine di sfaldatura e nelle sezioni sottili stesse
esso è pleocroitico in modo apprezzabile. Nelle sezioni secondo il pi-
nacoide 100 si ha
b — giallo pallido.
C — verde chiaro.
La bisettrice acuta negativa è normale ad 100. Nelle sezioni sottili
si osservano linee di sfaldatura secondo il prisma 110 ed uno dei pi-
nacoidi: di quale dei due pinacoidi si tratti è difficile stabilire con si-
curezza; il fatto che i frammenti d’iperstene, ottenuti frantumando la
roccia onde separarne meccanicamente gli elementi, mostrano per la
massima parte di avere le faccie più estese normali alla bisettrice acuta,
porterebbe a credere che tale pinacoide fosse quello 100, mentre di
solito pei pirosseni rombici si adduce come faccia di sfaldabilità più
perfetta la 010.
II pirosseno monoclino è un augite di color verde chiaro, in lunghi
prismi, ed in generale in cristalli di dimensioni molto minori che non
— 227 —
quelli d’iperstene. Si distingue facilmente da questo per la mancanza
di pleocroismo, per l’ordine elevato dei suoi colori d’interferenza nella
sezione sottile, e per la grande obliquità delle sue direzioni d’estinzione
rispetto all’asse c. La sfaldatura prismatica è sempre più o meno chia-
ramente accennata.
Tali sono i caratteri dei due pirosseni quando si presentano in
cristalli isolati; nella roccia però si osservano ancora noduli formati
da aggregazioni di tutti i minerali in essa porfiricamente diffusi 1 ed
in cui i pirosseni hanno caratteri alquanto differenti da quelli ora esposti.
Tali aggregazioni arrivano a qualche millimetro di dimensione e in esse
scompare fra i cristalli la massa fondamentale; il loro nucleo princi-
pale è formato dalla mica e dai due pirosseni in individui di maggior
grossezza che non quelli isolati nella roccia; intorno a questo nucleo
v’ha ancora una zona di cristalli di feldispato, i quali al contrario di
ciò che si è detto pei minerali colorati, sono più piccoli dei feldispati
isolati. Questi aggregati fanno l’effetto di centri di cristallizzazione,
intorno a cui si sieno aggruppati successivamente i cristalli che nella
loro vicinanza si segregavano dal magma. In questi noduli i cristalli
d’iperstene si mostrano formati da un intreccio regolare dei due piros-
seni, del rombico e del monoclino, in modo che lamelle sottilissime del
pirosseno monoclino attraversano nella direzione delle facce del prisma
110 il cristallo d’iperstene. Inoltre porzioni di iperstene a contorni
irregolari sono contenute entro cristalli di augite, ed il tutto è a sua
volta inviluppato da iperstene; non mi fu possibile determinare se in
in quest’ultimo caso l’associazione dei due minerali si compia secondo
una data legge. Per l’augite delle aggregazioni è caratteristica una
finissima geminazione secondo la base, in grazia della quale numerose
lamelle di straordinaria esiguità attraversano nella direzione della base
l’individuo principale, onde questo appare sotto il microscopio sottilis-
simamente striato.
Tutti i cristalli finora descritti contengono inclusi numerosi della
1 Tali aggregati e gruppetti si trovano pure nella varietà principale della tra-
chite dell’ Amiata. Vedasi J. F. Williams, II Monte Amiata (N. Jahr. f. Min.,
Geol. und Pai.; V. B.-Band, Stuttgart 1887, pag. 437.) Di questo lavoro è stato
dato un estratto nei numeri 9 e 10 dell’annata 1887 del presente Bollettino.
— 22&2—
massa fondamentale, ed esigui aciculi incolori che potrebbero essere
di apatite.
Importanza e diffusione assai maggiore della biotite e dei pirosseni
hanno i due feldispati, il plagioclasio ed il sanidino.
Il plagioclasio è generalmente in individui a contorni arrotondati
ed irregolari, raramente limitati da facce cristallografiche; non oltre-
passa in nessuna dimensione i 2 o 3 mm. Le sezioni sottili mostrano
la geminazione secondo la legge dell’albite, solita nei plagioclasii;
spesso poi due individui polisintetici sono combinati secondo la legge
di Carlsbad, e più raramente secondo quella del periclino: quasi tutti
gli individui hanno una struttura zonare, e la differenza fra i diversi
angoli d’estinzione delle diverse zone è molto sensibile. Infine l’angolo
d’estinzione è in media piuttosto grande.
La determinazione del peso specifico del plagioclasio si fece iso-
lando mediante un elettromagnete la parte feldispatica della roccia
dagli altri minerali fin qui descritti e dalla massa fondamentale, atti-
ragli tutti dalla calamita: il plagioclasio fu indi separato dal sanidino
usando la soluzione di Thoulet. Il peso specifico del plagioclasio, de-
terminato con minerale in grana minuta scelto sotto il microscopio,
mediante la soluzione ora citata, risulta essere di 2,69 che è il peso
specifico della labradorite. A questo riguardo è però conveniente no-
tare che i plagioclasi contengono moltissimi inclusi della pasta vetrosa
della roccia, che hanno per effetto di rendere minore il peso specifico
degli individui, onde il peso specifico della sostanza del feldispato tri-
clino in realtà dev’ essere alquanto maggiore del numero trovato. La
struttura zonare prova del resto che la natura del plagioclasio non è
la stessa nò per le diverse zone dello stesso cristallo, nè forse per
tutti i cristalli, onde anche con determinazioni più esatte non si avrebbe
che la sua composizione media.
Sembra che i feldispati triclini di questa roccia si decompongano
assai facilmente. Fu già accennato trovarsi nei cristalli di plagioclasio
un nucleo bianchiccio opaco, mentre i contorni sono ancora trasparenti
e d’aspetto vitreo. Durante l’operazione dell’assottigliamento della se-
zione di roccia il nucleo, formato da sostanza incoerente, scompare,
e nella sezione finita non si osserva che l’orlo indecomposto dei cristalli.
Il sanidino appare in grossi cristalli allungati secondo l’ asse c e
— 229 —
geminati secondo la legge di Carlsbad. La sfaldatura secondo la base 001
è molto perfetta: quella invece secondo il clinopinacoide 010 si scorge
soltanto in preparati sottilissimi. In compenso però i cristalli si sfo-
gliano in frammenti tabulari a faccie molto irregolari e scabre paralle-
lamente alla faccia 100. Preparati secondo quest’ultima faccia si com-
portano fra i nicol incrociati in luce parallela, quasi come corpo iso-
tropi; in luce convergente si osserva che essi sono normali alla biset-
trice acuta negativa, che l’angolo degli assi è piccolo e la dispersione
è p < v. I preparati secondo 001, se hanno spessore sufficiente, mo-
strano in luce polarizzata convergente di incontrare sotto una piccola
obliquità la bisettrice ottusa. Questa circostanza, congiunta col ca-
rattere della dispersione, prova che nel sanidino in questione il piano
degli assi, invece di essere nella posizione normale, coincide col piano
di simmetria del cristallo. La dispersione inclinata dev’essere però
molto debole, perchè non se ne può scorgere traccio nelle figure d’in-
terferenza in luce polarizzata convergente.
Il peso specifico del sanidino alla temperatura di 17° c. è di 2,555;
quindi alquanto minore del consueto (2,56), il che si spiega colla pre-
senza delle inclusioni di pasta vetrosa. La reazione microchimica col-
l’acido fluosilicico dimostra che il sanidino della roccia è essenzial-
mente un feldispato di potassa; la soda non compare che in piccolis-
sima quantità.
I feldispati contengono numerosissime inclusioni cosi di pasta ve-
trosa come di minerali (mica, pirosseno); speciale menzione meritano
gli inclusi di massa fondamentale in forma di cristalli negativi, conte-
nenti spesso bolle di gaz.
Fra i minerali accessorii sono da accennarsi i minerali metallici,
probabilmente di ferro, in forma di lamelle opache assai parcamente
diffuse nella roccia. Fu già detto che a \Y apatite potrebbero riferirsi i
lunghi aghi incolori inclusi nei cristalli porfirici, specialmente nella
biotite e nel pirosseno.
L’ordine con cui i minerali fin qui annoverati, eccezion fatta natu-
ralmente degli accessorii, vennero segregati è quello stesso con cui
furono descritti. Da quanto è stato detto però risulta che la segrega-
zione dei due pirosseni, per un certo periodo di tempo almeno, avvenne
simultaneamente.
15
— 230 —
Nel fondo vetroso della roccia è diffusa una seconda generazione
di cristalli. Prima fra questi è da accennarsi la biotite in sottili la-
mine brune e cogli stessi caratteri di quella della prima generazione ;
il pirosseno in prismettini minutissimi è pure diffuso in tutta la massa
fondamentale abbastanza regolarmente ; infine sono ancora numerosi i
cristalli di un minerale feldispatico, che per la estrema loro piccolezza
riescono di difficile determinazione, onde è diffìcile dire se la ricor-
renza delle generazioni si fermi al plagioclasio, oppure vada ancora
fino al feldispato monoclino.
La base è nella sezione sottile leggermente colorata in bruno, e
non diventa incolore che in vicinanza di cristalli porfirici: tal fatto
però è lungi dal verificarsi per ogni cristallo. La colorazione non è
neppure sempre uniforme ed il variare della sua intensità rende evi-
dente la struttura fìuidale. Nella base si osservano ancora in alcuni
punti dei cumuli di una sostanza pulverulenta opaca, forse resti di mi-
nerali precedentemente segregati e riassorbiti dal magma in seguito;
non si ha però indizio alcuno di qual natura questi minerali possano
essere stati.
Per la sua composizione mineralogica e per la sua struttura la
roccia finora studiata è da assegnarsi al gruppo delle trachiti ande-
sitiche ed al tipo della trachite ad iperstene e biotite del Rosenbusch:
al qual tipo appartiene del resto, secondo J. F. Williams, l’intiera massa
del Monte Amiata. Dal tipo più diffuso nel monte differisce però que-
sta varietà per la non dubbia presenza dell’augite e per le particolari
proprietà ottiche del sanidino.
— 231 —
IV.
Il Monte di Canino in provincia di Roma; nota dell Ing.
B. Lotti.
In una breve escursione, eseguita nei dintorni di Canino, insieme
coiring. P. Zezi, allo scopo di stabilire se quel monte ellissoidale ‘ iso-
lato in mezzo ad una regione depressa ed appena ondulata, costituita di
materiali vulcanici e di travertini, fosse da ascriversi alla creta od
alinocene, dappoiché all’uno o alTaltro periodo geologico veniva dagli
autori indifferentemente riferito, potemmo constatare con nostra sor-
presa che esso era formato da terreni Passici ed in parte anche più
antichi.
Camminando da S.O verso N.E, nel senso cioè della maggiore
lunghezza del monte, si percorre tutta la serie del lias dall* alto al
basso. S’ incontrano dapprima diaspri e scisti argillosi rosso-cupi con
calcari grigio-plumbei associati, nei quali comparisce non raramente la
Posidonomya Bronni. Questo fossile, alla stessa guisa che nelle roccie
anologhe di tutta la Catena Metallifera, si appalesa solo in quelle por-
zioni del calcare che furono decomposte e ridotte allappanti per aspor-
tamelo del carbonato di calce. Si associano a questi dei calcari con selce
alternanti con scisti argillosi, coi quali si fa passaggio ad una pila po-
tente di calcari grigio-chiari, pure con selce, riferibili al lias medio. Essi
sono letteralmente identici ai calcari del lias medio di tutta la Catena
Metallifera e come quelli racchiudono certe secrezioni limonitiche e pi-
ritose tanto caratteristiche.
Vi si associa qualche strato di un calcare screziato che direbbesi
il nummulitico delTeocene. Nè sotto la lente, nè sotto al microscopio
in lamine sottili vi si rinvennero però traccie organiche.
1 Questo monte, il quale di poco supera i 400 metri di altezza sul mare, è,
per la sua posizione, distintamenta visibile a chi percorre il tratto di ferrovia
compreso tra la stazione di Corneto e quella di Montalto. Esso dista all’incirca
-una ventina di chilometri da quest’ultima, in direzione di N.E.
— 232 —
Sotto a questi calcari, nei quali non dovrebbe esser difficile di tro-
vare qualche ammonite limonitizzato, comparisce il calcare rosso del
lias inferiore, nel quale non mancano i caratteristici Arietites.
Succede poi un calcare dolomitico chiaro, che forse rappresenta
quello analogo a gasteropodi del Monte Pisano e che dovrebbe essere
riferito alla parte inferiore del lias inferiore, ed infine un calcare dolomi-
tico brecciforme grigio-ceruleo, che dappertutto nella Catena Metallifera
trovasi associato al calcare cavernoso e vien riferito al retico.
Quanto alla tettonica di queste formazioni può dirsi che esse sono
disposte in cupola ellissoidale avente l’asse maggiore di circa chil. 4 e
l’asse minore di circa 1,50. La parte orientale di questa cupola è par-
zialmente asportata.
Come abbiamo detto, tutte queste roccie del Monte di Canino sono
identiche fino nei più piccoli dettagli a quelle sincrone della Catena
Metallifera e dell’Appennino settentrionale, e non vi ha dubbio che questo
monte isolato rappresenti un lembo secondario di detta Catena. Le al-
ture eoceniche della Tolfa, che seguono più a Sud, farebbero pur esse
parte dello stesso sistema montuoso e ne formerebbero l’estremo lembo
meridionale.
Qui, come in quasi tutti i gruppi della Catena Metallifera, dove i
terreni quaternari vengono direttamente a contatto colle roccie secon-
darie e, come sempre, nel lato volto verso la costa tirrena, si hanno
sorgenti termali e masse di travertino, testimoni di rotture in connes-
sione manifesta collo sprofondamento tirrenico.
— 233 —
ESTRATTI E RIVISTE
W.'Deecke. — 11 cratere di Fessa Lupara nei Campi Fle-
grei presso Napoli. (Da uno studio del signor W. Deecke pub-
blicato nello Zeitschrift der deuts. geol. Gesellschaft , XL Band,
I. Heft, Berlin 1888).
Fra i vari centri d’eruzione ne’ Campi Flegrei, all’ Ovest di Napoli,
havvene uno, di rado visitato e perciò meno noto, il cratere, vale a dire,
di Fossa Lupara, o come altrimenti vien detto, il cratere di Campana.
Lo Scacchi ce ne diede nel 1849 una breve descrizione geologico-to-
pografica. 1
Il cratere di Campana è situato tra il limite Nord degli Astroni ed
il Monte Viticella dal quale è formata la cinta Sud del gran Piano di
Quarto. Si eleva nel punto più ristretto delll’altipiano tufaceo inter-
posto fra Campigìione e la piana craterica di Pianura, e divide detto
altipiano in due parti comunicanti fra loro mediante una larga strada
carrozzabile che passa alle falde del Monte Viticella. Questa strada
attraversa, inferiormente alla prominenza su cui sta la Torre Poerio,
la cinta craterica di Fossa Lupara e mena poi sino alla base degli
Astroni, percorrendone il piede orientale. In questo punto sbocca nella
strada maestra, un sentiero tagliato nel tufo, che viene da Cigliano
con direzione Nord e che parimenti raggiunge e circonda dal lato Sud
il cratere in parola.
Questo centro d’eruzione consta visibilmente di tre parti, vale a
dire, di una cinta esterna, di una interna e di un cono centrale, tronco
e depresso.
La cinta esterna ha la forma di elissi coll’asse maggiore diretto
N.O-S.E e lungo 840 m., mentre la sua maggior larghezza è di
700 m. Questa cinta esterna è più marcata nella parte Sud ed Est, dove,
1 A. Scacchi, Memorie geologiche sulla Campania (Rendiconti della R. Ac c,
delle Se. fìs. e mat., voi. Vili). — Napoli 1849.
relativamente, raggiunge la maggior altezza e il massimo declivio-
verso l’interno. Verso nord, questo versante interno diminuisce in pem
denza ed in elevazione nel punto ove è ricoperto dal bosco di Mara-
nisi, e finisce poi a confondersi col declivio esterno della seconda-
cinta, ossia interna, la quale è più elevata; cosicché non altro vi rimane
che un angusto terrazzo pianeggiante per indicare il posto dell’antica
valle annulare e l’andamento dei ciglio craterico esterno. Sull’esterno
versante di questa cinta esterna giace dalla parte Ovest la masseria
di S. Martino, e questo stesso versante raggiunge a Nord, nel punto
■ove prende il nome di Maranisi, la strada postale ed il piede del Monte
Viticella. Dal lato Sud la cinta esterna craterica pende fortemente verso
la valle detta Bosco della Femmina, al di là della quale principia la
regione degli Astroni. Finalmente a S.O, dove un appendice degli Astroni
passa con direzione N.O in vicinanza al cratere di Campagna, manca
affatto ogni indizio di versante esterno, bensì la cinta esterna viene a
confondersi presso un antico columbarìum , detto la Grotta dL Polli-
cino, colla collina tufacea, più alta e più antica, così che in questo
punto le masse vulcaniche locali disposte quasi orizzontalmente for-
mano un ristretto terrazzo.
La cinta interna ha forma di un cerchio che giace entro l’elisse
della cinta esterna in modo da toccare quest’ultima dalla parte N.E e
Sud. Fra le due cinte corre una valle circolare che però non è ovunque
così ben marcata, per profondità e per pendenza delle sue pareti, quanto
nel suo tratto orientale, dove prende il nome speciale di Fossa Schianata.
Da questo punto la valle va rapidamente appianandosi verso Sud, talché
a S.O tutte e due le cinte che la racchiudono vengono a confondersi
ed a formare una cinta unica. Dal lato di N.E invece la Fossa Schia-
nata è tagliata in due da una piccola prominenza che dalla cinta in-
terna si dirige all’esterna. Finalmente, dalla parte Ovest presso la
masseria di S. Martino, come si è già detto, i due versanti opposti
della cinta esterna ed interna si confondono quasi tra loro e l’anda-
mento della valle non vi è contrassegnato che da un terrazzo legger-
mente concavo.
Dentro di questa seconda cinta s’eleva un cono depresso, a profilo
ovale, nella cui cima si apre un cratere rotondo, del diametro di 100 m.,
della profondità di 40, a pareti in parte ripidissime. Questa è la vera
— 235 —
Fossa Lupara che ci rappresenta la voragine più interna di tutto il
sistema e che fino all’ultimo fu in attività.
La regione collinare testé descritta si compone geologicamente di
un accumulamento di scorie e di ceneri. Il loro colore varia dal grigio-
turchino cupo al nero intenso, il loro habitus è trachiiico, caratteriz-
zato da molti e grandi cristalli tabulari di sanidina incastonati entro
una massa vitrea bruna od oscura, ovvero avviluppati dalla medesima.
Fra gli altri componenti figurano in ispecie degli individui isolati di
augite e delle grandi squame di mica, in parte rosseggianti per su-
bita decomposizione: con ciò queste scorie somigliano ai prodotti degli
altri crateri de’ Campi Flegrei.
La struttura varia tra quella della pomice bollosa e quella della
massa vitrea omogenea o della trachite compatta. Anche la grandezza
de’ lapilli è varia, dalla più fina polvere nera sino a masse di mezzo
metro cubo. Di regola, come in tutti i vulcani dei dintorni di Pozzuoli,
anche qui la grandezza e la struttura de’proietti stanno fra loro nel sem-
plice rapporto giusta il quale le maggiori bombe sono d’ordinario bol-
lose, le più piccole sono più compatte. Non appare che sia avvenuta una
visibile separazione per ragione di grandezza e di struttura di queste
masse disciolte, presentandosi le medesime, ovunque si possono vedere,
sempre a disposizione caotica, eccetto che nei tagli inferiori e più
profondi ove si appalesa una stratificazione con leggera pendenza al
di fuori.
È caratteristica per questo vulcano, a differenza degli altri crateri
dei Campi Flegrei, la mancanza di pomici chiare ed affatto incoerenti,
come si veggono predominare, per esempio, nel tufo del Lago d’ Averno,
negli Astroni e persino nel Monte Nuovo. Non pertanto alcune delle
scorie leggere e porose s’avvicinano alle pomici di Monte Nuovo ed
anzi alcuni esemplari di esse persino a quelle degli Astroni. All’ incontro
si trovano in altri punti, per esempio nel lato Nord della cinta craterica
interna, delle masse d’ossidiana di un bruno cupo al nero intenso, assai
lucente e di natura vitrigna, ricca ovunque di cristalli inclusi di feld-
spato. Questa sostanza vitrea incrosta molte volte anche dei blocchi
più grandi i quali mostrano in allora internamente una struttura af-
fatto trachitica, senza che però queste masse vitree abbiano qui la stessa
diffusione ed importanza che hanno nello strato a lapilli della Foce
— 236 —
del Fusaro, del lato occidentale del Monte Rotaro nell’ isola d’ Ischia,
e del Lago d’Averno, nei quali punti esse costituiscono un elemento
principale del tufo entro il quale sono distribuite con sufficiente rego-
larità.
Questi projetti si estendono dalla parte di Nord e di Sud al di là
della regione speciale di Fossa Lupara, rinvenendosene al pie’ della col"
lina su cui sta la Torre Poerio. nel qual punto sono accumulati a
forti strati arcuati, con pendenza ad Ovest e ad Est. Ciò dà a vedere
che in tali punti le scorie caddero su di un’altura poco elevata, diretta
da Nord a Sud e si disposero analogamente alla pendenza dei fianchi
della medesima.
Anche tutto il versante Sud dell’anzidetta collina è ricoperto di
ceneri Rachitiche e di lapilli, a masse incoerenti, non stratificate, di
poco spessore, intimamente mescolate col materiale degli strati tufacei,
più elevati e più antichi di loro.
Non parrebbe fuor di luogo l’attribuire in parte una tale separazione
di queste bombe in ragione di grossezza all’azione stessa degli agenti
atmosferici i quali avrebbero lentamente portato in basso i pezzi più
pesanti: fors’anco durante l’eruzione stessa avvenne una specie di se-
parazione, dal momento che sulla schiena del Monte Viticella non si
riscontrano che strati di fina sabbia Rachitica e di ceneri, dello
spessore massimo di m. 2,50 e che spariscono, stremandosi subitanea-
mente, verso il Nord dalla parte del Piano di Quarto.
Una identica sovrapposizione del materiale scoriaceo Rachitico al
tufo chiaro e ricco di pomici la si osserva anche al Sud, vale a dire,
aU’estramità N.O della serie di colline che va dagli Astroni a Fossa
Lupara. Questo punto, al pari della collina di Torre Poerio, domina il
centro d’eruzione, ma gli è più vicino di quella, e perciò il suo vertice
trovasi ricoperto non soltanto da uno strato di sabbia fina, ma puranco
da potenti strati di scorie agglutinate. Il sentiero che mena alla via
Campana taglia profondamente questa altura e pone allo scoperto
il contatto fra il tufo inferiore, chiaro, qua e là rossiccio e gli strati di
10 e 12 m. di lapilli trachitici di Fossa Lupara, più recenti e deposi-
t iti orizzontalmente.
Il cratere di Campana è scarso di masse di trachite. Lo Scacchi
fa menzione nel 1849 di un dicco da lui scoperto nell’interno del era-
— 237 —
tere e tutt’ora riconoscibile, specialmente pel locale accumulamento di
grandi blocchi rotondi. La roccia è di un grigio chiaro tendente al
violetto, abbonda di sanidine tabulari e somiglia macroscopicamente
alla trachite del Monte Vetta nell’ isola d’ Ischia.
In vicinanza di questa colata esiste secondo lo Scacchi ed il
Breislak una spaccatura, la così detta Senga di Campana, profonda
39 m., originata a quanto dicesi dal ritiro della lava sgorgante; ciò
che costituirebbe un fenomeno analogo a quello della caverna lunga
60 m. che si trova .sotto i Monti Rossi presso Nicolosi, sull’Etna, ovvero
a quello della grotta di lava nelle Azzore descritta dall’Hartung.
Lo S-acchi fa inoltre menzione di un’altra colata di lava che tro-
verebbesi nella parte Sud-Ovest della seconda cinta, ossia interna, la
quale colala, fluida soltanto per breve tratto, presenterebbe un aspetto
del tutto scoriaceo. Dalla fattane descrizione parrebbe piuttosto indu-
bitato che trattisi di una colata di scorie, vale a dire, di un accumu-
lamento di bombe incandescenti la di cui massa e pesantezza hanno
guarentito le porzioni inferiori da un raffreddamento troppo rapido ;
così che quest’ultime in forza del mantenuto calore si agglutinarono,
anzi si fusero in parte, dando così origine ad una breve colata il cui
corso cessò rapidamente. Di tali scorie fuse in banchi se ne trovano
in parecchi punti di Fossa Lupara, p. es., ad Ovest della Casetta, a
Nord del Bosco della Femmina, sul versante Ovest della cinta interna
e sulla strada incassata che da Nord di Fossa Schianata mena dentro
al sistema craterico. Anche a Monte Nuovo si ritrovano di queste
masse, dapprima eruttate allo stato incoerente e poi agglutinate e fuse;
la breve colata diretta verso\S.O non può avere diversa origine. Un
caso snalogo è riferito dal Silvestri nell’eruzione dell’Etna del 1865,
colla differenza che relativamente alle maggiori dimensioni di questo
vulcano anche la lunghezza della colata è assai maggiore (2000 m.).
Giudicando dalla forma e dalle condizioni dei prodotti del cratere di
Campana, si può tracciare il seguente quadro della sua genesi.
Fra Astroni e Monte Viticella si formò una spaccatura nella crosta
terrestre, dalla quale eruttarono scorie, sabbia e cenere in gran copia,
quantunqne con impeto relativamente debole, le quali formarono sulla
pianura tufacea un cono elittico e depresso. Sotto questi prodotti rimase
completamente sepolto il piede della collina di Poerio, mentre il suo
— 238
versante Sud coprivasi di fina sabbia e di cenere. Nell’interno del vul-
cano deve essere esistito durante un periodo di pausa un cratere ab-
bastanza profondo. Alla prima eruzione ne seguì un’altra, più debole,
ma di maggior durata, in forza della quale si formò entro la prima
cinta la seconda di maggior altezza. Entro quest’ultima poi si è for-
mato, prima ancora che il vulcano fosse spento definitivamente, il cono
centrale sulla cui sommità rimase conservato il cratere ultimamente
attivo. Questo è situato quasi precisamente nel centro di tutto il si-
stema, così che è mestieri supporre in questo punto la prima spac-
catura d’eruzione.
Il vulcano di Fossa Lupara ha questo di comune con gli altri dei
Campi Flegrei che anch’esso si attiene rigorosamente al primitivo punto
d’eruzione; similmente va equiparato ad essi per la brevità della ri-
spettiva spaccatura, in causa di che non si poterono affatto formare
coni d’eruzione allineati: differisce però dalla maggior parte dei detti
vulcani flegrei per altre due circostanze. Anzitutto il cratere di Cam-
pana non è un vulcano tufaceo, bensì è costituito da masse di lava
trachitica, da cenere, sabbia e scorie: in ciò non ha di simile nel con-
tinente che il Monte Nuovo, il cui cono presenta un materiale identico,
misto però a frammenti di masse di tufo grigio chiaro eruttate nel 1538.
Appartengono alla medesima categoria i coni laterali dell’Epomeo,
quali, p. es., il Monte Montagnone ed il Monte Rotaro e forse anche
il semicerchio delle Cremate attorno al punto d’origine della lava del-
l’Arso. E da notare però che questi tre punti emisero anche delle
colate di lava che giunsero fino al mare e dentro di esso, e che man-
cano affatto nei due vulcani continentali sopraindicati.
L’altra caratteristica della Fossa Lupara è la grande durata
relativa di attività ed il graduato decrescimento della medesima,
in forza del quale si è potuto formare un sistema di tre coni concen-
trici. Tutti gli altri crateri dei dintorni di Pozzuoli (Astroni, Campi-
gliano, Cigliano, Lago d’ Averno) indicano colla ripidità dei loro fianchi
e colla loro voragine unica, ampia e profonda, una eruzione unica
la quale è cessata così repentinamente come è avvenuta.
Per questi due caratteri, per la sua costituzione trachitica e per
lo spegnersi lento di sua attività la Fossa Lupara è da annoverarsi
tra i più recenti crateri dell’intera regione, compresa l’isola d’ Ischia.
La mancanza di pomice sembra provare che l’eruzione avvenne entro
terra e non entro mare come per una parte dei vulcani circostanti.
Inoltre anche tutti i centri d’eruzione più recenti, quelli cioè del 1538
e del 1302, come pure i vulcani anticamente attivi di Monte Rotaro e
di Monte Zale nell’isola d’ Ischia sono analogamente costituiti da mate-
riale lavico trachitico. Non ostante un tale habitus recente, l’eruzione
del cratere di Campana deve ritenersi preistorica, e ad ogni modo an-
teriore all’immigrazione de’ Greci ed al loro stabimento sulla roccia
di Cuma; in caso diverso se ne avrebbe avuto notizie, per quanto travi-
sate, alla stessa guisa che ne venne tramandato il fatto dell’eruzione
del Monte Zale avvenuta nel quinto secolo avanti Cristo.
In prossimità immediata della Fossa Lupara è rimarchevole un
altro centro eruttivo, più antico, quello, vale a dire, di Montagna Spac-
cata. Questo colle ha la forma di un arco di cerchio, aperto verso Sud,
ed appoggiato ad Ovest alla cinta del Campiglione, e ad Est al Monte
Viticella. Lo attraversa la Via Campana, profondamente intagliandolo
e ponendovi a nudo la seguente serie di strati in ordine ascendente:
Tufo giallo con frammenti di pomice; scorie nere con inclusi blocchi
di tufo giallo divenuti rossi per azione del calore; tufo grigio, fine, con
piccole pomici; lo stesso tufo con frammenti di tufo giallo; tufo grigio,
grossolano con roccie e frammenti di tufo giallo; tufo pomiceo grigio;
tufo fine (pozzolana) con piccoli frammenti di pomice. Il terzo e l’ultimo
degli indicati banchi contengono in coppia variabile, talvolta abbondante,
della pomice trachitica, grigio chiara, sericea, in pezzi di mediocre
grandezza. L’intero sistema ha pendenza uniforme di 20° circa verso
Nord.
Giudicando dal surriferito profilo, nel quale è evidente una ripeti-
zione de’prodotti d’eruzione, si distinguono due fasi nell’attività di
questo vulcano, ognuna delle quali principiò coll’emissione di frammenti
del tufo giallo stato attraversato e finì con una pioggia di ceneri.
A mezzo dell’eruzione si ebbero le scorie, in quantità maggiore nella
prima che non nella seconda fase.
La cinta di questo vulcano, formata di tufo grigio con inclusi fram-
menti di tufo giallo, lo indica di una età relativamente recente, coevo
forse del Cigliano, del Campiglione e degli Astroni, senza che si possa
maggiormente precisare il suo posto entro la serie cronologica di queste
— 240 —
diverse eruzioni. Comunque sia, la sua cinta tuttora ben conservata non
s’è formata di certo sotto le acque del mare, abbenchè non sia inammis-
sibile che anche Fazione delle onde abbia concorso alla demolizione
del margine Sud della cinta stessa; nel qual caso però questo vulcano
dovrebbe ritenersi più antico di tutti gli altri sopra nominati.
Secondo lo Scacchi la situazione del rispettivo cratere è sconosciuta;
anzi secondo il Roth gli strati superiori, pomicei della Montagna Spac-
cata sono riferibili al Monte Nuovo.
La più semplice ipotesi pare sia quella di collocare il cratere
verso Sud, nella pianura situata davanti al semicerchio di Montagna
Spaccata, per modo che questa prominenza rappresenterebbe la cinta
Nord di un vulcano distrutto, già esistente al Sud, come lo indicano
anche la sua forma ad arco e la sua stratificazione.
Si noti inoltre che nella pianura tra la strada maestra e la mas-
seria di S. Martino esiste una piccola elevazione terrazzata, la quale
dalla parte S.E è dolcemente inclinata, più ripidamente però dalla
parte N.O. Si potrebbe benissimo vedere nella medesima un lembo
della cinta craterica meridionale, dal che si dedurrebbe anche resi-
stenza di una voragine elittica diretta N-S, il cui maggior diametro
avrebbe avuto 800 m. di lunghezza, mentre poi il vero canale d’eru-
zione verrebbe a trovarsi fra la strada e la masseria del Carmine.
Risulta ad ogni modo, sia dalla posizione, come dai caratteri to-
pografici della Montagna Spaccata che quest’ultima non può assoluta-
mente appartenere al Piano di Quarto, nel senso di rappresentarne la
cinta craterica Sud. Nel caso però che questa grande superficie circo-
lare dovesse effettivamente rappresentare un cratere la cui cinta Sud
forse costituita dalle alture che vanno da Monte Vitieella sino al Cam-
piglione, si dovrebbe di necessità ammettere che la cinta fosse stata
bassissima nel punto ove oggidì la Via Campana, provenendo da Sud,
entra nel Piano di Quarto, ovvero che la medesima sia stata quasi to-
talmente distrutta dalle eruzioni della Montagna Smaccata; e tutto ciò
per la ragione che oggidì non si trova in detto punto nessun strato di
tufo che abbia inclinazione verso il Sud.
Roccie principali della Fossa Lupara. — I tipi più frequenti sono
cinque, vale a dire:
— 241 —
wr
1. Trachite augitica, sotto forma di dicco nella parte Sud del
cratere centrale.
2. Trachite augitica ricca di sostanza vitrea, nella colata di scorie
che trovasi sul versante Nord della cinta craterica interna.
3 e 4. Ossidiane trachitico-augitiche, allo stato di proietti, in parte
impastati nell’anzidetto agglomerato, in parte sciolti fra i lapilli.
5. Scoria trachitico-augitica simile a pomice, sia inalterata che
decomposta, la quale è il prodotto più frequente del vulcano di Fossa
Lupara.
Vediamo ora brevemente i caratteri di dette roccie.
1. Trachite augitica con biotite. — Roccia di un grigio-chiaro
uniforme con indizi di struttura d’eutaxite. Si compone di una pasta
di fondo macroscopicamente omogenea, molto prevalente, ad habitus
eminentemente trachitico, e di pochi e piccoli individui disseminativi
di feldspato lamellare e tabulare, di prismi d ’ augite e di pagliette di
mica. Il microscopio vi scopre i seguenti elementi: feldspato (sanidina
e plagioclasio), augite, biotite affatto alterata, apatite, minerali metal-
lici opachi, sodalite e squamette di un minerale incerto che potrebbe
essere dell’orneblenda.
La sanidina si presenta a grandi individui disseminati, inalterati,
a profili ben determinati, disposti talvolta a zone e con inclusi vitrei
e liquidi aventi la stessa forma degli includenti. Alla sanidina è as-
sociato abbondantemente il plagioclasio, il quale si presenta anche in
aggregazioni globulari assieme al feldspato monoclino. Oltre che dai
comuni suoi caratteri è facilmente riconoscibile per le molte inclusioni
vitree, di color bruno-giallo e di forma irregolare.
L’augite è di color verde chiaro, con pleocroismo assai debole,
ben caratterizzata dalla sfaldatura e dai profili. Fra i pochi suoi inclusi
va notata specialmente l’apatite.
La mica è quasi tutta convertita in sostanza opaca ed a mala pena
riconoscibile dai profili.
I minerali metallici sono disseminati con uniformità, abbondanti e
non di rado associati ad augite ed apatite.
L’apatite è a preferenza associata ad augite e a biotite e si pre-
senta a prismi pleocroitici, imperfettamente terminati quando hanno
— 242 —
forma allungata. Contiene le caratteristiche interposizioni nere, bacu-
lari, tanto frequenti specialmente nelle roccie più recenti.
*■ La sodalite si presenta a grani piuttosto grandi, arrotondati, a
sei faccie, disseminati uniformemente entro la roccia. Alcuni individui
più piccoli presentano nettamente il dodecaedro romboidale. Nessun
incluso all’infuori di piccoli granellini d’augite. La presenza della so-
dalite è inoltre confermata, trattando con acido nitrico la roccia polve-
rizzata, dalla reazione di cloro, più forte di quella che è prodotta dalla
sola presenza dell’apatite. Del resto la sodalite venne già' constatata
come elemento accessorio frequentissimo e caratteristico in molte roccie
dei Campi Flegrei.
Il minerale incerto, ritenuto per orneblenda si presenta a squa-
mette pleocroitiche, brune, a profili irregolari. L’angolo d’estinzione
giace tra 35° e 38°; sfaldatura d’ordinario pochissimo apparente.
Finalmente la pasta di fondo componesi di piccole lamelle di sani-
dina, di grani e prismetti d’augite verde, tra cui è intercalato occa-
sionalmente alcun poco di sostanza vitrea, trasparente, bruna, la quale
soltanto quando circonda degli individui di maggiore grandezza pre-
senta una struttura debolmente fluidaìe.
2. Trachite augitica ricca di sostanza vitrea. Roccia di color
grigio-turchino oscuro, a struttura generalmente compatta, e solo in
qualche punto scoriacea. Entro la pasta di fondo compatta e oscura
sono disseminati abbondantemente degli individui di feldspato assai
fessurato, aventi all’ incirca 5mm. di grandezza. Assieme ad essi vi è
qualche paglietta di mica e qualche prisma d’augite. Al microscopio
la roccia si rivela in massima composta di sostanza vitrea ricca di
microliti e di parti ora incolori, ora brune. L’ alternanza di queste
masse vitree che spesso si compenetrano ed impastano tra loro caoti-
camente dà origine ad una struttura fìuidale ben definita. La massa
vitrea più chiara è specialmente piena di individui di sanidina aghi-
forme, spesso a gruppi di forma diversa. Talvolta, una laminetta più
grande avendo servito di punto d’attacco, veggonsi gli aghi più piccoli
aderire ad essa sotto angoli diversi: da ciò la totale mancanza di re-
golarità nella disposizione dei feldspati aghiformi, lo che è indizio pure
della poca mobilità del magma durante il processo di cristallizzazione.
— 243 —
All’incontro le parti vitree più oscure contengono precipuamente,
assieme a poche lamelle di feldspato, dei minutissimi granellini, che
fanno apparire la roccia come aspersa di finissima polvere. Questi gra-
nellini del resto non mancano anche nella massa vitrea incolora, di-
ventano sotto un forte ingrandimento trasparenti e verdi e non di rado
s’agglomerano a guisa di concrezioni attorno alle lamine isolate di
feldspato: sono forse granellini d’augite.
I più grandi individui disseminati nella massa consistono, come
nella roccia precedente, in feldspati ben definiti (plagioclasio e sani-
dina), in augite di color chiaro ed in biotite inalterata. Accessoria-
mente vi si riscontrano anche qui l’apatite e i minerali di ferro opachi.
Macroscopicamente questa roccia presenta molta somiglianza colla
trachite un po’ più chiara del monte Montagnone dell’isola d’Ischia e
che fa parte delle trachiti compatte indicate da C. W. C. Fuchs.1 Tale
analogia è confermata dall’analisi microscopica.
3. Ossidiana trachitico-angitica. — E geologicamente in stretta
relazione colla precedente trachite vitrea. Alla luce incidente ha l’ap-
parenza di sostanza, vitrea bruno-verdognola, con lucentezza grassa
a speciali riflessi in qualche punto e sparsa di cavità vescicolari iso-
late. Contiene porfiricamente disseminati soltanto dei feldspati lamel-
lari assai fessurati. Al microscopio la sostanza vitrea diventa traspa-
rente e di color bruniccio chiaro e si mostra tutta piena di pori i
quali producono gli accennati riflessi. I pori più piccoli hanno forma
sferica e soltanto i più grandi sono leggermente elittici, mentre di or-
dinario nelle roccie acide i pori hanno forma allungata. Parziali ad-
densamenti di microliti feldspatici, entro i quali s’osservano anche
delle accumulazioni diverse granulari e fibrose minutissime, imparti-
scono alla massa quella tinta più oscura sopra accennata.
I minerali più grandi disseminati nella massa sono gli stessi che
nelle precedenti roccie; vi manca solo la sodalite, mentre anche la
sanidina vi è scarsa in confronto del feldspato. Questa ossidana espo-
sta al calor bianco si trasforma rapidamente e con grande aumento di
1 C. W. C. Fuchs, Monografia geologica dell1 Isola d' Ischia (Memorie del
R. Comitato Geologico d’Italia, Voi. II, P. la). — Firenze, 1873.
— 244 —
volume in pietra pomice; lo stesso fenomeno fu rilevato dall’Àbich e
da altri nelle masse vitree della Foce del Fusaro. Del resto pare sia
comune a tutte le sostanze vitreo-trachitiche dei Campi Flegrei, perchè
oltre alle ossidiane delle predette due località anche quelle degli
Astroni, di Cigliano e di Monte Rotaro si convertono in pomice sotto !
l’azione del calore.
4. Altri blocchi di ossidiana trachitica. — Si distinguono, macro-
scopicamente, per un maggior numero di individui disseminati, consi-
stenti in feldspato ed in squame di mica bruna dorata. Al microscopio
sono caratterizzati dall’ abbondanza dei .sopramenzionati prodotti di di-
vitrifìcazione.
5. Scoria trachitico-augitica, ovvero anche pomice trachitico-
a u gòtica. — E intimamente connessa colle due ultime roccie sudde-
scritte, ed assai diffusa a Fossa Lupara, tanto sotto forma di proietti
che sotto quella di lapilli, e finalmente sotto forma di potenti banchi
d’agglomerato di limitata estensione. Allo stato inalterato è di color
grigio-scuro sino a nero, che passa al grigio-cenere nei punti dei banchi
di lapillo più esposti all’azione atmosferica.
Anche le fumarole hanno agito moltissimo su questa roccia che
assunse' il colore giallastro o grigio-bruno, in seguito a quasi com-
pleta decomposizione e per susseguente caolinizzazione con separa-
zione d’idrossidi di ferro. E difficile il potere ora definire quale sia
stata la natura speciale di queste fumarole. L’ habitus dei prodotti di
trasformazione che si osservano nella trachite della Solfatara di Poz-
zuoli, identico al precedente, ne farebbe ritenere che si trattasse del-
l’azione di combinazioni solfuree gazzose. La reazione chimica della
roccia decomposta paragonata a quella della roccia inalterata lo con-
fermerebbe, in armonia col fatto che anche oggidì quasi tutte le fuma-
role dei Campi Flegrei e dell’ Ischia emanano grandi quantità di idro-
geno solforato o di acido solforoso e che le tante acque termali di
questa regione contengono in soluzione principalmente dei solfati e dei
solfiti.
La roccia non alterata, bollosa, si compone di una massa vitrea o
oscura con entro isolati cristalli di feldspato e pagliette di biotite.
Al microscopio acquista poca trasparenza, tuttavia lascia scorgere una
— 245 —
sostanza vitrea biancastra, disseminata di pori rotondi e di molte e
minute lamelle incolori di feldspato, di prodotti di divitrificazione e
di qualche feldspato ed augite di maggiori dimensioni.
La varietà un po’ alterata, di color grigio-cenere, dà migliori pre-
parati nei quali la massa principale si mostra straordinariamente ricca
di microliti di feldspato, tra cui è intercalata della sostanza vitrea a
grani bruni, indeterminabili.
Nella roccia affatto alterata la sostanza vitrea co’ suoi granellini
oscuri è trasformata in una massa torbida, poco trasparente (caolino? .
I microliti di feldspato non sono conservati che in parte, ed i cristalli
più grandi sono alterati in tutto o parzialmente: nell’ultimo caso hanno
sofferto soltanto i loro margini esterni, rimanendone intatto il nucleo.
Gli individui decomposti spiccano sulla massa grigia di fondo pel loro
colore giallo-chiaro.
Al contrario, alcuni singoli individui isolati di biotite si mostrano
talmente inalterati entro la roccia decomposta da poter riconoscere nei
medesimi una mica a base di magnesia, ad angoli assiali relativamente
grandi.
(G. B. C.).
16
NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE
D.r E. Beyer. — Tìieoretische Geologie. Stuttgart, 1888. (Pag. 867,
in-8°, con 700 incisioni intercalate e 3 carte geologiche).
Questo distinto geologo viennese, a noi specialmente noto per le
sue interessantissime ricerche storiche, tecniche e geologiche sulla
Toscana, 1 col presente lavoro, che è la sintesi di precedenti sue pub-
blicazioni, non che di lunghi e profondi stadi, oltre all’aver portato
nella scienza un grosso contributo d’idee e di osservazioni, ha addi-
mostrato la sua non comune competenza nella trattazione dei più ardui
problemi geologici.
L’ordinamento delle materie in quest’opera, che è destinata a comple-
tare ed ampliare in varie parti gli ordinari trattati di geologia, è inti-
mamente nuovo, come nuove sono quasi in totalità le figure esplicative.
Nel primo capitolo si tratta degli accumulamenti di materiali eruttivi,
che vengono classificati in vulcani veri e propri ed in traboccamenti
in massa (Massenergùsse). Per studiare la tettonica dei vulcani l’autore
ricorre giustamente a quelli spenti, nei quali le parti profonde ed in-
terne sono messe a nudo, trovando buoni tipi nei vulcani di Roma e
nei Colli Eugenei, i quali ultimi vengono descritti dettagliatamente ed
illustrati da una bella carta geologica. Quanto ai traboccamenti in massa,
l’ autore ne analizza le parti e ne investiga gli elementi tettonici,
esponendo il suo modo di vedere, intieramente nuovo, sulla origine
di tali masse.
Nel secondo capitolo, dedicato alla fìsica delle eruzioni, Fautore
tratta anzitutto dell’ assorbimento dei gaz nelle masse fluide incande-
scenti, concludendo che nel magma eruttivo le sostanze gassose pos-
sono esservi giunte attraverso le roccie o vi poterono esser racchiuse
in origine. Dimostra quindi con buone ragioni che la terra nel suo
interno deve essere solida, e che tale solidità non è affatto in contra-
E. Reyeb, A us Toskana. Wien, 1888.
— 247 —
dizione colle dottrine di un magma generale suscettibile di fare eru-
zione in determinate condizioni. Nè segue l’ardua questione dello stato
interno del pianeta e della causa delle eruzioni. Vengono successiva-
mente studiati i tipi minerali e strutturali delle roccie eruttive e le
condizioni chimiche e genetiche per 1’esistenza e l’associazione dei vari
minerali che le compongono, facendo poi un interessante parallelo fra
le associazioni elementari nel magma tellurico e in quello meteorico,
concludendo infine sulla costanza di certe associazioni determinate.
È questo un campo quasi nuovo ed altamente interessante di geologia
petrogenetica che Fautore tratta maestrevolmente.
11 terzo capitolo è dedicato allo studio delle masse componenti la
crosta terrestre, tanto sedimentarie che eruttive, e per queste ultime
sostiene giustamente la tesi della indipendenza della loro nomenclatura
dalla età, perchè vi sono graniti recenti come vi sono lave antiche, ed
il modo di comportarsi di queste formazioni in rapporto al livello ed
alla denudazione può trarre in errore sul loro significato cronologico.
Formano soggetto del quarto capitolo le trasformazioni che av-
vengono nella crosta terrestre, quindi i movimenti di masse, quelli
molecolari di corpi solidi, le deformazioni delle roccie con e senza
rottura, i ripiegamenti degli strati e le loro cause che l’autore non
vuol vedere nelle contrazione del nucleo terrestre, sibbene nello scor-
rimento di masse su piani inclinati. Si chiude il capitolo colla tratta-
zione del metamorfismo meccanico e regionale.
Delle dislocazioni per movimenti verticali, come spaccature, cli-
vaggi, sprofondamenti, doline, sistemi di fratture, nonché della durata
della età di tali dislocazioni vien trattato nel capitolo quinto.
La dottrina dei fenomeni sismici, che fino ad ora si riteneva col-
legata a quella dei vulcani, viene dall’autore esposta nel capitolo sesto
di seguito ai dislocamenti, perchè a questi e non alle eruzioni crede
doversi attribuire i più notevoli ed estesi terremoti. Sono pertanto presi
in esame in questo capitolo i vari modi di scuotimento, il metodo per
studiarli, la velocità di propagazione del moto nei diversi materiali, i
rapporti dei terremoti colla pressione atmosferica, colle linee tettoniche
e coi fenomeni cosmici.
Il settimo ed ultimo capitolo è dedicato allo studio delle grandi
deformazioni della crosta terrestre, le aree di sprofondamento e le ca-
248 —
tene montuose. Vi si parla delle rotture tossali ( Grabenbruche ) e della
formazione delle valli; del riempimento delle aree di depressione e
della comparsa in esse di formazioni eruttive. Son poi presi in esame
i tipi delle depressioni e delle elevazioni e vien data ragione della
asimmetrica disposizione di queste ultime. Infine viene fatta un'analisi
critica sui metodi di osservazione dei cambiamenti di livello, sulle loro
cause e sulla probabilità di un legame causale fra sollevamenti ed
abbassamenti.
In una parola il libro racchiude quanto di più nuovo offre la
scienza geologica ed è a considerarsi come una esposizione ordinata
delle più moderne investigazioni.
(B. L.)
6. De La Noè (avec la collaboration de m. E. De Margerie). —
Ics formes du tvrrain. Paris, 1888. (Pag. 205 m-4“, e un atlante
di 49 tavole).
Questo libro fu pubblicato per cura del servizio geografico del-
l’esercito, di cui l’autore fa parte nella qualità di luogotenente colonnello^
E un importante capitolo di geologia topografica che viene com-
pletamente sviluppato in quest’opera commendevolissima. L’autore vuol
dimostrare che la maggior parte delle forme del terreno son dovute
alle acque correnti. Allorché, egli dice, le masse sedimentarie deposte
nel fondo dei mari emersero per formare i continenti, non potevano pre-
sentare alla superficie quelle incisioni ramificate che osserviamo oggi;
la superficie primitiva era come un blocco non sgrossato, sul quale
certi agenti son venuti in seguito a scolpire le mille forme topografiche
attuali. La ricerca di questi agenti d’erosione e lo studio delle leggi
che li regolano, non che delle forme che ne risultano, formano l’oggetto
principale della prima e seconda parte dell’opera. Nella terza ed ultima
parte sono prese in esame sommariamente le forme dovute ad altri
agenti.
(B. L.)
— 249 —
BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA PER L’ANNO 1887.
R. Ufficio Geologico. — Relazione sulle miniere di ferro dell ’ Isola
d'Elba dell’ing. A. Fabri. — Roma.
Questa relazione è il risultato di uno studio speciale di quelle miniere fatto
dietro rilevamenti dettagliati e lavori di scandaglio, eseguiti a spese del Ministero
delle finanze, dal personale del R. Corpo delle miniere sotto la direzione del-
l’autore. Scopo precipuo di tale lavoro era la valutazione della quantità di mine-
rale ancora disponibile.
La prima parte della memoria comprende i dati topografici e storici su quelle
miniere, ed un esame delle leggi e statuti relativi alla amministrazione nei tempi
andati e nell’epoca presente; nonché sui varii progetti di porti, ferrovie, ponti d’ im-
barco, ecc., per il trasporto del minerale. Seguono i dati statistici riguardanti i
prezzi di vendita e la quantità di minerale esportato dal 1752al884 che ammonta
a tonnellate 5 446 419. Vengono presentate infine le proposte per la delimitazione
.delle miniere, adducendone le ragioni.
La seconda parte riguarda i giacimenti e la lavorazione delle miniere. Queste
vengono divise in gruppi e di ciascuno si descrivono i varii giacimenti, riguardo alla
loro importanza, alla qualità del minerale ed al modo di lavorazione, aggiungendo le
analisi chimiche nonché alcuni cenni geologici relativi alle formazioni ove essi si
trovano. Vi è dato infine il computo del .minerale ancora esistente che in totale,
nelle sei miniere di Rio, Vigneria, Rio Albano, Terranera e Capobianco, Calamita
e Ginevro, ritiensi possa ammontare a 7 990 000 tonnellate.
A questa relazione va unito un atlante di 9 tavole, e cioè una carta dell’isola
e della costa toscana adiacente, una carta geologica della sua parte orientale, ed
i piani delle varie miniere colle relative sezioni.
Bombicci L. — Sulla costituzione fisica del globo terrestre, sull" origine
della sua crosta litoide , e sulle cause dei moti sismici che più
frequentemente vi avvengono. (Mem. Acc. Istituto Boi., S. IV,
T. 8°). — Bologna.
Nella prima parte di questa memoria, svolta la tesi che nella genesi e nelle
antiche fasi del globo terrestre si debba riferirsi a fenomeni caratteristici delle fasi
— 250 —
attuali del sole, l’autore tende a mostrare che la massa sferica interna del globo-
si può ritenere composta quasi esclusivamente di materia metallica. Per un pro-
cesso di liquazione la distribuzione in essa deve essere proceduta in ragione della
rispettiva densità dei metalli dal centro alla periferia.
Un attivissimo assorbimento d’idrogeno devesi esser prodotto prima che sf
formasse la crosta superficiale: l’atmosfera attuale sarebbe il residuo della fotosfera
di questo pianeta raffreddato. La crosta terrestre sarebbe effetto non tanto del
semplice raffreddamento quanto di ossidazione e solidificazione dei metalli più super-
ficiali per azione dell’ ossigeno della fotosfera terrestre. Quanto alla temperatura-
delia terra non può essere superiore a quella della fusione del platino ed anzi
il grado medio non deve superare di molto quello della fusione del ferro puro.
La seconda parte tratta delle cause dei moti sismici. Di queste alcune più
localizzate possono ridursi a franamento di roccie stratificate, ad esplosioni di gas
per reazioni accidentali a poca profondità e a conati di eruzioni vulcaniche. Le
altre più generali le trova negli svolgimenti e accumulamenti di gas detonante
nelle vacuità profonde della crosta solida e nelle forti tensioni che i gas e i va-
pori del sottosuolo possono raggiungere per ragione di temperatora e di natura
chimica. Tali gas sarebbero prodotti dal concorso dell’ idrogeno libero sprigio-
natosi dal nucleo metallico del globo, e da carburi da esso generati, con 1’ os-
sigeno tratto a profondità dalla circolazione acquea per le screpolature della
crosta terrestre.
Analizzando le varie manifestazioni del terremoto nei suoi particolari, l’autore
cerca di spiegarle colla teoria da lui proposta. Alla memoria va unito uno schema
dell’ideale disposizione dei componenti metallici del globo terrestre.
Bombicci L. — Sulla ipotesi dell1 azione e selezione magnetica del globo
terrestre sulle materie cosmiche interplanetarie contenenti ferro .
(Mem. Acc. Istituto Boi., S. IV, T. 8°). — Bologna.
Riferendosi a un precedente studio sulla probabile costituzione metallica del
globo, l’autore in questa nota fa conoscere le obbiezioni formulate e la soluzione
rispettiva sull’ipotesi già altra volta da lui enunciata e così formulata. « Le masse
metalliche attirate a se dalla terra contengono tutte del ferro per la buona ra-
gione che la terra col suo inerente magnetismo obbliga quelle soltanto conte-
nenti ferro a deviare dalla loro orbita di gravitazione, mentre fascia tutte le altro
masse prive di ferro al loro anello cosmico, interplanetario che probabilmente ruota,
a distanza maggiore dell’orbita lunare intorno alla terra istessa. »
— 251 —
W7
Bucca L. — Le roeeie dell1 isola di Capraja nelVarcipela go toscano.
(Boll. Com. Geol., 7-8). — Roma.
In base ad uno studio accurato delle molte varietà di roccie di quest’isola
l’autore le raggruppa in due categorie. Nella prima riunisce tutte quelle a tinta al-
quanto chiara, a massa piuttosto vitrea e ruvide al tatto, che classifica come an-
desiti. Nella seconda pone tutte quelle a struttura compatta, tenaci, a tinta scura,
grigie generalmente, che risultano essere basalti.
Dei campioni delle singole località dà una minuta descrizione tanto per i ca-
ratteri macroscopici che microscopici.
Bucca L. — Studio micrografico sulle roccie eruttive di Radicofani in
Toscana. (Boll. Com. Geol., 9-10). — Roma.
L’autore divide queste roccie in tre tipi: 1° Roccie grigio-chiare a struttura
molto compatta. 2° Roccie grigio-scure per lo più di aspetto doleritico e più ra-
ramente a tipo veramente basaltico. 3° Roccie rossastre di tipo simile al primo
ma la massa di color rossastro con macchiette nere riferibili a segregazioni di
augite. Di ciascun tipo egli dà la descrizione, esponendo il risultato delle osser-
vazioni al microscopio ; osserva che l’analisi data dal v. Rath su queste roccie
deve riferirsi a quelle del primo tipo. Confrontando poi queste roccie con quelle
dell’isola di Capraja già prima studiate dall’ autore, dice che nessuno dei tipi di
Radicofani può paragonarsi alle andesiti di Capraja. Esiste però una certa anala-
gia fra le roccie del secondo tipo di Radicofani e i basalti di Capraja.
Busatti L. — Studi petrografici sopra roccie serpentinose toscane.
(Proc. verb. Soc. toscana, Voi. V). — Pisa.
L’autore annuncia la presenza delle lherzolite nelle masse serpentinose di
Rocca di Sillano (Monte Castelli) e di Rosignano (Monti Livornesi) riconosciuta
nei vari campioni di roccie raccolte ivi dall’ingegnere Lotti.
La composizione di queste roccie è olivina, enstatite, diallagio, picotite, insieme
a prodotti secondarii che sono: principalissimo ed abbondante il serpentino, ba-
stite, magnetite, idrossido di ferro e silice.
Nei varii campioni di roccie è sempre distinto il modo di serpentinizzazione
della lherzolite, la quale trasformazione proviene in prima linea da metamorfosi
del peridoto, secondariamente dall’enstatite, più raramente e limitatamente dal dial-
lagio, e si possono in tutti e tre i casi seguire passo passo tutti i graduali muta-
menti apportati dalle azioni secondarie negli elementi della roccia originaria.
— 252
Busatti L. — Tormalinolite di Cucigliana e Rupe Cava ( Monte Pisano)
e di Jano presso Volterra. (Proc. verb. Soc. toscana, Voi. V). — Pisa.
I campioni di questa roccia dei quali si occupa 1’ autore sono identici per i ,
caratteri petrografia all’esemplare trovato dal Prof. D’Achiardi nella miniera plumbo-
argentifera del Bottino nelle Alpi Apuane, ma ne diversifica per il modo di trovarsi |
che è identico nelle tre località sopra indicate, essendo la tormalinolite impigliata !
in un conglomerato o puddinga quarzosa (anagenite) a ciottoli ora arrotondati |
ora no e di dimensioni svariatissime.
Essa è un masso di color grigio nero con macchie bianche. Al microscopio
risulta di pura tormalina che in altre parti si presenta in aggregato di cristalli
senza alcuna determinata orientazione. Alcuni cristalli quasi isolati sono immersi
nel quarzo, ma senza contorni poliedrici ben netti. Nella tormalinolite di Jano si hanno
cristallini raccolti in geodi, in alcuni punti i cristallini sono fra loro intricatissimi.
La provenienza tanto dei ciottoli che quella della tormalinolite è assai problematica.
Canavari M. — Di alcuni tipi di foraminifere appartenenti alla fami-
glia delle Nummulinidae raccolti nel Trias delle Alpi Apuane.
(Proc. verb. Soc. toscana, Voi. V). — Pisa.
Espone il risultato dell’esame microscopico eseguito sopra oltre 50 sezioni
sottili di un calcare grigio screziato quasi tutto costituito da individui di una pic-
cola foraminifera, calcare trovato dagli ingegneri Lotti e Zaccagna in lenti negli
scisti superiori ai marmi ed inferiori ai calcari cavernosi del retico. Un tipo di
queste foraminifere di cui presenta la fotografia ha un’organizzazione al tutto si-
mile a quella delle nummuliti eoceniche, un secondo tipo ha invece molta analogia
col genere Orbitoides. Ricordando che il genere nummulitico è stato da molti
considerato esclusivo dell’èra terziaria, dà la lista delle specie credute nummuliti
raccolte nei terreni del carbonifero, del lias, del giura e della creta. Fa quindi una
succinta storia delle credute nummuliti raccolte in terreni diversi dall’eocene e nel-
l’attualità, dalla quale risulta quanta cautela si debba avere nel riferire al genere
Nummulites organismi che ne hanno tutte le apparenze ; notando intanto che i
tipi raccòlti nel sistema triasico delle Alpi Apuane per il loro elevato grado di
organizzazione, se non vere nummuliti devono però considerarsi come i precursori
di quel genere che ebbe tanta importanza nel periodo eocenico.
Canavari M. — Fossili titoniani nel Monte Pisano. (Proc. verb. Soc.
toscana, Voi. V). — Pisa.
Vengono presentati alla Società alcuni aptici trovati nei calcari selciferi as-
— 253 —
sodati a diaspri con radiolarie presso il Monte Cupola. Tali aptici sono da rife-
rirsi alla specie titoniana Aptychus punctatus Woltz.
Capellini G. — Delfinorinco fossile dei dintorni di Sassari. (Memorie
Aec. Se. Ist. Bologna, S. IV, T. 8°). — Bologna.
I resti di questo delfinorinco furono scoperti dal prof. Lovisato nel calcare
grossolano miocenico presso Sassari nella località detta il Molino a Vento ed in-
viati all’autore. Alla descrizione di questi resti fossili egli premette alcuni cenni
generali sui delfinorinchi descrivendo i caratteri principali di questa famiglia di
cetodonti, passando in rivista le scoperte fattene in diverse località fino dallo scorso
secolo tanto all’estero che in Italia e fra queste indicando come più importante
quella dei resti trovati nella pietra leccese già illustrati dall’autore. Descrive quindi
gli avanzi del delfinorinco di Sassari consistente in una porzione di rostro e pro-
pone per esso il nome specifico di Eurhinodelphis Sassariensis Cap. Circa al gia-
cimento di questo delfinorinco resta accertata secondo l’autore la corrispondenza
cronologica del calcare grossolano di Sassari con la pietra leccese, con le sabbie
nere d’ Anversa e col celebre giacimento di Baltringen.
Una tavola litografata va unita a questa memoria.
Castracane F. — I tripoli marini della valle melaurense. (Boll. Soc.
Geol., V, 3). — Roma.
Premesse varie considerazioni sui tripoli marini italiani che per la comunanza
•dei tipi di diatomee ritiene formino un solo e medesimo giacimento, espone la
scoperta da lui fatta in una sostanza bianca entro marne scistose provenienti da
un fondo detto Tombolina fra Fano e Fossombrone, ove sono stati eseguiti la-
vori di ricerca per miniere di solfo.
Dei tipi da esso determinati finora, dà un elenco alfabetico. Fra essi vi sono
due generi e due specie di recentissima introduzione: Thalassiotrix Cstr., Etmo-
discus Cstr., Coscinodiscus Atlanticus Cstr., Euodia orbicularis Cstr., dei quali
■dà infine della nota la definizione, riportandola dalla relazione redatta dall’autore
stesso sulle diatomee recate dalla spedizione del Challenger e stampata ad
Edimburgo.
Cavara Fr. — Sulla flora fossile di Mongardino, studii stratigrafici e
paleontològici. (Mem. Acc. Scienze Ist. Boi., S. IV, T. 7°, fase. 4 e
T. 8°, fase. 1). — Bologna.
Mongardino appartiene ad un gruppo di colline poste fra il Reno ed il
Larino nel versante settentrionale dell’ Appennino emiliano, costituite in gran parte
— 254 —
-da depositi del terziario superiore. Nella parte più elevata di questi, depositi ven-
nero raccolte dall’ autore . le numerose fiditi che vengono illustrate in questa
memoria.
Premessi alcuni cenni storici bibliografici sulla flora pliocenica, dà la serie
stratigrafìca che si può osservare dal basso all’alto in quelle colline : 1° argille
scagliose che l’autore riferisce al cretaceo superiore ; 2° marne biancastre silicifere
corrispondenti allo Schlier del bacino di Vienna (miocene medio); 3° marne gial-
lastre e turchiniccia a foraminifere, coralli e nuclei di Aturi-% sp., intercalate a
strati di molassa ofiolitica (messiniano inferiore) ; 4° sabbie quarzose grossolane
ad Ostrea cuculiata (messin. sup.) ; 5° argille turchine sabbiose fossilifere e sabbie
gialle marnose con ricca fauna malacologica, echinidi, resti di mammiferi e fiditi
(pliocene inf.). Dalle osservazioni paleontologiche risulta che tanto le sabbie gialle
che le argille turchine, anziché rappresentare piani distinti cronologicamente, rap-
presentano una differenza solo batimetrica. Da una nota dei fossili raccolti dal-
l’autore insieme alle fiditi risulta il valore stratigrafico di questo piano. Seguono
alcune considerazioni botaniche e paleontologiche suda flora pliocenica e quindi
un quadro sinottico comparativo delle piante fossili di Mongardino e di altri gia-
cimenti dal quale risulta che- 26 specie sono comuni con Oeningen, 30 coda To-
scana, 10 con Meximieux, 8 con giacimenti quaternarii e 15 coll’attualità. Vi
sono 12 specie non segnalate finora nei depositi pliocenici.
Chiude la memoria coda descrizione dettagliata delle specie, corredata da sei
tavole litografate.
Cavara Fr. — Le sabbie marnose plioceniche di Mongardino e i lóro
fossili (Boll. Soc. Geo!., V, 3). — Roma. *
È un sunto del lavoro dello stesso autore pubblicato nella Memorie dell’Isti-
tuto delle Scienze di Bologna. Oltre l’elenco delle fiditi, dei mulluschi e di alcuni
vertebrati descrive una specie nuova di stellaridi V Astropecten Bononiensis, illu-
strandola con una tavola litografata.
Clerici E. — Sopra alcuni fossili recentemente trovati nel tufo grigio
di Peperino presso Roma. (Boll. Soc. Geo!., VI, 1). — Roma.
Del rinvenimento di questi fossili l’autore diede relazione alla Società geolo-
gica nella sua adunanza generale tenuta in Firenze nel 1887.
Il tufo di cui è parola è situato nella via Flaminia a circa 6 chilometri da
Roma: esso giace sopra una marna sabbiosa con molluschi terrestri e di acqua
dolce: è compatto di color scuro simile al peperino di Albano; è ricoperto da
marna sabbiosa con ghiaia e quindi da un potente banco di tufo litoide giallo-
gnolo ad elementi trachitici. In questi tufi ove già vennero rinvenuti dal prof. Meli
molluschi e alcune fìlliti* furono dall’ autore scoperti inoltre, un resto di Cèroux
caprèolus Lin., specie ancora vivente, e altre fiditi delle quali ha determinato le
seguenti specie: Carex pendala Huds. ( C . maxima Lin.), Potamogeton natanti
Lin., Hedera hèlia Lin., Buscus sempervirens Lin., Juniperus communi s Lin.,
Taxus baccata Lin. Tutti appartengono a specie viventi.
Clerici. E. — La vitis vinifera, fossile nei dintorni di Roma. (Boli. Soc.
Geol., VI, 3). — Roma.
Premesse alcune considerazioni sulle varie opinioni circa la regione originaria
di questa specie, e citate le varie località sì estere che italiane ove fu rinvenuta
questa pianta fossile, l’autore cita e descrive gli esemplari di impronte di foglie
e semi da esso scoperte nei travertino di Fiano Romano, non che quella trovata
nel tufo della località Peperino presso Roma. Enumerati quindi gli altri fossili
rinvenuti insieme nelle suddette località, accenna alla presenza della vite nelle
epoche preistoriche e conclude col ritenere che il genere Vitis sia apparso nel-
1’ Europa al principio dell’èra terziaria e che la specie Vitis vinifera sia origina-
ria tanto dell’Europa meridionale che dell’Asia, contrariamente all’opinione di molti
che l’escludono completamente dall’ Europa.
Clerici E. — Il travertino di Fiano Romano. (Boll. Com. Geol., 3-4).
— Roma.
In questa nota l’autore descrive i fossili da lui rinvenuti nel deposito di tra-
vertino nelle vicinanze del paese di Fiano alla destra del Tevere. Nell’ elenco dei
fossili figura una sola pianta di specie estinta, cioè la Pianera Ungeri Ett. Inoltre
vi sono abbastanza frequenti il Buxus sempervirens Lin. ed il Laurus nobilis
Lin., che sono rari allo stato spontaneo in Italia e può dirsi più non si trovino
oltre l’Alpi. Osserva inoltre che la Hyalina nitens Mich. e la Pupa dolium Drap,
non vivono nella provincia e sono raramente rappresentate nell’Italia del Nord,
e che sono rare in tutta l’Italia la Hyalina diaphana Studila Cionella lubrica
Miill., la Pupa polyodon Drap, e la Succinea oòlong a Drap.
Clerici E. — Sopra i resti di castoro finora rinvenuti nei dintorni
di Roma. (Boll. Com. Geol., 9-10). — Roma.
I resti di castoro illustrati in questa nota appartengono ad una collezione
del Collegio francese e furono rinvenuti dal Frère Indes nelle ghiaie del Monte
Sacro a 4 chilom. da Roma sulla Via Nomentana. Premette la descrizione di
questa collinetta prodotta dall’erosione dell’antico Aniene: essa è costituita da
varii strati orizzontali di materie vulcaniche ad elementi più o meno fini; ad essa
sono, verso il fiume, addossate ghiaie calcaree e silicee con elementi vulcanici,
— 256 —
più o meno cementate, nonché delle marne e dei travertini. Enumerati i fossili
rinvenuti tanto nelle marne che nei travertini e nelle ghiaie, l’autore passa a de-
scrivere i resti del Castor jìber Lin. Cita quindi le località in cui questo fossile
venne rinvenuto tanto . in Italia che all’ estero concludendo che la tendenza ad
estinguersi di questa specie in Europa, è dovuta alla caccia attivissima che
se ne fa.
Comes 0. — Le lave , il terreno vesuviano e la loro vegetazione (Lo
spettatore del Vesuvio e dei Campi Flegrei, Nuova Serie, Voi. 1°).
— Napoli.
In questo lavoro l’autore dimostra l’influenza che i prodotti vulcanici del Ve-
suvio hanno sulla vegetazione. Passando a rassegna le diverse piante che vege-
tano nelle diverse zone della regione vesuviana, fa vedere come queste si adattino
alla natura del suolo e del sottosuolo e dà ragione al sistema di coltivazione
adottato dagli agricoltori. Rileva l’azione degli agenti esterni a decomporre la
lava, a cui concorrono le stesse piante a cominciare dalle prime crittogame che
si sviluppano sulle lave stesse. Dimostra come alla feracità del suolo contribui-
scano le ceneri vulcaniche portando materiale utile alle piante coltivate e aiutando,
colla loro acidità insieme al calore che per la tinta scura del terreno è da questo
assorbito, la mobilizzazione e l’assimilazione dei principii fìssi del suolo.
Cossa A. — Sulla composizione della colombite di Cr ave g già in Val
Vigezzo. (Rendiconti Acc. Lincei, S. IV, Voi. Ili, fase. 3). — Roma.
Il materiale per questo studio fu dall’autore raccolto nelle masse di pegmatite
sparse nel Piano dei Lavonchi ed in altre località lungo la mulattiera che a destra
del torrente Vasca conduce all’ Alpe di Marco. L’analisi fu eseguita su cristalli
neri a splendore metallico non troppo pronunciato, di densità di 5,67: la polvere
è di color bruno-rossastro simile all’ematite. Descritti i processi seguiti nell’ ana-
lisi di una quantità di minerale del peso di grammi 0,922, nè dà il seguente ri-
sultato :
Acido niobico e tantalico .... 78. 52
Ossido ferroso 9. 84
Ossido di manganese 8. 98
Acido stannico » 23
Ossido di calcio 1. 17
Ossido di magnesio traccie
98. 74
— 257 —
Per determinare approssimativamente le quantità relative di acido niobico e
tantalico, l’autore ha seguito il metodo di Marignac basato sulla differenza di
solubilità del fluotantalato o del fluossiniobiato di potassio.
Termina la nota facendo osservazioni sulla forma cristallina del fluotantalato
di potassa che secondo il Marignac apparterrebbe al sistema trimetrico, mentre
coll’esame ottico eseguito su cristalli puri ottenuti dall’autore colla coiombite di
Brancheville (Connecticut) si scorgerebbe una forma clinoedrica.
D’Achiardi A. — Roccie ottrelitiche delle Alpi Apuane. (Memorie Soc.
toscana Se. Nat., Voi. Vili, 2). — Pisa.
Le roccie ottrelitiche studiate dall’autore occupano nelle Alpi Apuane due
posizioni distinte nella serie dei terreni cristallini, al disotto cioè e al disopra dei
marmi saccaroidi.
Nella zona inferiore distingue in primo luogo una breccia o mischio ottreli-
tico conosciuto sotto il nome di mischio o brecciato di Serravezza. I frammenti
ne sono calcari quasi esclusivamente, il ceménto rosso-ferrugginoso contiene copia
di ottrelite, e tanto degli uni che dell’altro sono dall’autore esposti i risultati dello
studio fatto al microscopio. In secondo luogo descrive un ottrelitifiro che risulta
composto da quarzo* feldspato, mica bianca, rutilo, tormalina, magnetite, ottrelite
e forse limonite.
Nella zona superiore indica : 1° un ottrelitoscisto, roccia scistosa a noduli di
quarzo che contiene i minerali seguenti: quarzo, damourite, ottrelite, tormalina,
rutilo, zircone, ematite ; 2° una breccia ottrelitica in cui i noduli quarzosi sono
di maggior dimensione e la mica funge da cemento. Questa roccia è paragona-
bile alle forme congeneri che si rinvengono ad Ottrez nel Belgio.
De Giorgi C. — I terremoti aquilani ed il primo congresso geodina-
mico italiano in Aquila. — Lecce, 1887.
Rendendo conto, quale segretario, dei lavori compiuti in questo Congresso
geodinamico, passa dapprima a rivista le località di Aquila danneggiate dai ter-
remoti, specialmente da quelli del 1462 e del 1703: viene quindi a parlare dei
varii istrumenti ed apparecchi inventati particolarmente per determinare i movi-
menti e le direzioni prevalenti dei terremoti ondulatorii. Dimostra come gli studii
sismologici coadiuvati da quelli geologici hanno valso a stabilire che la direzione
prevalente delle ondulazioni sismiche è normale all’ asse delle fratture terrestri.
Riassumendo quindi quanto fu lasciato scritto sui terremoti aquilani a partire
dal 1315 in poi e degli effetti di questi sugli edifìcii, ne ricava dei corollari utili
all’arte edilizia, e dato un cenno sulla geologia della valle dell’Aterno, espone
infine alcune norme da tenersi nelle nuove costruzioni della città.
— 258 —
De Gregorio A. — Intorno a un deposito di roditori e di carnivori
sulla vetta di Monte Pellegrino. (Memoria Soc. toscana Se. Nat.,
Voi. Vili, 1). - Pisa.
Occupandosi da prima della geologia della valle ove sorge Palermo, distingue
il calcare conchigliare postpliocenico i cui fossili sono in buona parte di specie
tuttora vivente. Crede però debba distinguersi questo dal quaternario ossifero
delle grotte che è più recente e che ritiene si possa dividere in due zone, una
comprendente i depositi di mammiferi che si rinvengono tanto nelle grotte che
nei terreni alluvionali, l’altra che comprende i depositi esostorici. Gli sembra che
l’ultima fase del postpliocene sia contemporanea del quaternario ossifero. Per
questo postpliocene propone il nome di Frigidiano. — Descritta la successione
dèi terreni della vallata, viene a parlare dei depositi ossiferi accennando a quelli
di Bellolampo presso le cave di Castellana e venendo poi a quelli di Mcfnte
Pellegrino. Lo strato fossilifero di questa località, a 550 metri sul mare, è di pic-
colissima estensione e spessore ; risulta di una breccia rossa argillosa calcarifera
assai tenace contenente modelli di conchiglie e frammenti di ossa fragilissimi.
Osserva che questo deposito è affatto simile a quello di Castellana. Le ossa ap-
partengono a tre specie di roditori e ad un carnivoro, le conchiglie sono di specie
tuttora viventi ( Helisc pio ty chéta Ziegler, H. Mazzulli (Jan) Phil., Clausilia nobilis
Pfeiffer, Cyclostoma sulcatum Drap.'. Ne conclude che il deposito ossifero di
Monte Pellegrino come quello di Castellana è coevo all’ultima fase del periodo
Frigidiano (postpliocene).
Dato quindi uno schizzo geologico dei dintorni di Palermo, passa a descrivere
i resti dei fossili ( Pellegrinia Panormensis De Greg., Mustela arzilla D. G., Lepus
n. s., Mus piletus D. G.) che vengono figurati in 4 tavole litografate.
De Stefani C. — Il piano politico nei monti della Tolfa. (Proc. verb.
Soc. toscana Se. Nat., Voi. V). — Pisa.
L’autore con questo nome di piano pontico intende gli strati gessosi a con-
gerie assai sviluppati nei monti della Tolfa. Egli passa in rassegna tutte le località
dove affiorano queste masse gessose, osservando che ove è la trachite questo
piano non manca mai perchè protetto da questa roccia che generalmente si è
versata su di esso. Queste marne benché abbiano molta analogia con quelle
plioceniche di mare profondo se ne distinguono sia per i fossili, sia per la posi-
zione stratigrafìca. Il gesso vi si trova in cristalli isolati e più raramente in masse
alabastrine. Le marne sono scistose e arenacee, sempre in banchi regolari e oriz-
zontali. La presenza di fìlliti e le larve di Libellula cfr. Doris H., trovate dall’au-
tore presso la Farnesiana e a Poggio Pagano, méttono fuori di dubbio l’età di
questi terreni.
— 259 —
De Stefani C. — Gli schisti cristallini dell’ Appennino savonese. (Proc.
verb. Soc. toscana, Voi. V). — Pisa.
Descrive le roccie antiche che appaiono nel Savonese formanti un anticlinale
in parte rovesciato pendente a Sud, il cui asse sarebbe normale al confine natu-
rale fra le Alpi e l’Appennino. La più antica di queste roccie è un micascisto con
quarzo e biotite passante a gneiss e talora a vero granito: alternano con questo
in varie località, anfiboliti e dioriti. Succede alle precedenti l’appenninite. — Tali
roccie per la loro natura di scisti eminentemente cristallini, sono senza dubbio
corrispondenti a quelle delle Alpi e che il Gastaldi ascrisse alla parte superiore
della zona delle pietre verdi; zona che l’autore nell’Appennino meridionale attribuì
al cambriano e al huroniano — Osserva infine che nella valle del Tanaro e
della Bormida a causa di rovesciamento queste roccie appaiono sovrastanti al
terreno antracitifero attribuito al carbonifero, e furono quindi erroneamente poste
nel permiano, ma queste, come altri terreni di altre parti dell’Appennino setten-
trionale pure attribuiti per pretese analogie con esse al permiano, non hanno alcun
rapporto colle medesime.
De Stefani C. — / depositi glaciali nell’ Appennino di Reggio e di
Modena. (Proc. verb. Soc. toscana, Voi. V). — Pisa.
La presenza nello spartiacque fra Enza e Secchia e nel crinale appenninico
tra Reggio e Parma di depositi avventizi costituiti da massi e ghiaie e arenaria
dalla quale sono costituite quelle alture, ed i numerosi laghetti che stanno in
rapporto con quei depositi, inducono l’autore a ritenerli depositi glaciali come lo
sono quelli contigui della valle della Parma. Descrive in questa nota le varie lo-
calità ove essi s’incontrano, la loro disposizione e posizione relativamente alle
valli ed ai laghetti e la presenza di ciottoli striati per provare la sua tesi. —
Osserva che tali depositi, come quelli delle Alpi Apuane, si formarono dopo che
le valli avevano assunto l’attuale conformazione ed essere quindi geologicamente
recentissimi. — Al prof. Pantanelli che nega l’esistenza di ghiacciai nell’Appennino
modenese e reggiano ed attribuisce a frane quei depositi, risponde che queste
hanno un aspetto assai diverso da quello dei depositi glaciali: cita in appoggio
l’opinione del Major, del prof. Marangoni, dello Stoppani ed infine del prof. Ta-
ramelli che ha trovato morene in rapporto con laghetti al Monte Ragola nel
Piacentino.
De Stefani C. — La Creta nei monti della Tolfa. (Proc. verb. Soc.
toscana, Voi. V). — Pisa.
Dei terreni di questi monti, ritenuti in gran parte eocenici, l’autore descrive
— 260 —
le varie, roccie da cui sono rappresentati, paragonandole a quelle di altre località.
Afferma di non aver trovato trapcia di roccie nummulit'che e quindi, sia per le
impronte dei pesci determinati dal Bosniaski che per la presenza di un I noce -
ramus scoperto dall’autore, come per altri fossili, da altri rinvenuti, ritiene che
la grandissima parte dei monti della Tolfa appartenga ai piani fra il neocomiano
superiore e il senoniano e che l’eocene sia affatto mancante o forse scarsissimo.
De Stefani C. — La Lueina Pomum sinonimo della Lueina Dieomani
Mgh. (Proc. verb. Soc. toscana, Voi. V). — Pisa
Su questa sinonimia l’autore, a proposito di uno studio del dott. Gioii sulla
Lucina pomum , richiama quanto esso più volte pubblicò per concludere che a
Dicomano oltre al Loripes globulosus chiamato dal Gioii Lucina Dieomani vi è
una vera Lucina affatto identica alla Lucina pomum dei luoghi vicinissimi, dal
Gioii citati e di tutto l’Appennino e che deve portare il nome di Lucina Dieomani
Mgh. se pure non è più antico quello di Lucina pomum Duj., il che si ignora
affatto.
De Stefani C. — LI miocene inferiore di Renno nel modenese (Proc.
verb. Soc. tose., Voi. V). — Pisa.
Premesso che sono da farsi importanti trasformazioni nell’ordinamento dei
terreni miocenici e che quelli dell’Appennino settentrionale, ad eccezione del Pie-
monte e di qualche lembo nel Pavese, sono quasi tutti più recenti del miocene
inferiore, l’autore cita come indubbiamente del miocene inferiore il calcare ceroide
cristallino sovrastante alla formazione serpentinosa presso Renno nel modenese.
È una formazione coralligena nella quale ha potuto distinguere traccie di Stylo-
coenia, Heliastraea, Trochoseris, ecc., identica a quella del Rio dei Zunini presso
Sassello in Liguria.
De Stefani C. — Il permiano ed il carbonifero nelle Alpi Marittime.
(Proc. verb. Soc. toscana, Voi. VI). — Pisa.
Espresso il dubbio sulla permicità di molti terreni dell’Appennino e delle re-
gioni contigue, descrive i terreni dell’alta valle della Bormida. Cominciando dai più
antichi, essi sono rappresentati da conglomerati quarzosi biancastri compatti. Se-
guono alternanze di quarziti o arenarie verdognole e fìlladi con lenti di antracite
e rari strati di gneiss simili a quelli della zona superiore degli scisti paleozoici
nelle Alpi Apuane. Superiormente si sviluppano per altezza considerevole dei gneiss,
quasi senza altra roccia, da molti geologi attribuiti al Permiano. In alto vengono
i terreni triasici rappresentati da roccie identiche a quelle delle Alpi Apuane, molto
fossiliferi, e si termina con la serie dei micascisti superiori e con strati limitati
— 201 —
di gneiss. Enumera quindi i fossili rinvenuti nelle filladi antracitifere di Pietrata-
gliata, dall’esame dei quali risulta che quei terreni appartengono al carbonifero
e forse alla sua parte inferiore.
De Stefani C. — I grezzoni triassici nell1 Appennino ligure e nelle
Aljpi Marittime. (Proc. verb. Soc. toscana, Voi. VI). — Pisa.
Paragonando la serie delle roccie triasiche di queste regioni con quelle della
Toscana l’autore osserva che nell’una e nell’altra essa è uguale. 1 grezzoni spe-
cialmente nella loro parte inferiore sono identici. Mentre però i fossili finora stu-
diati nelle Alpi Apuane si trovano nella loro parte superiore, nell’Appennino ligure
e nelle Alpi Marittime abbondano invece nella parte inferiore. Dà quindi una in-
dicazione sommaria dei fossili da lui trovati in queste, indicandone le località, ed
espone le analogie e le differenze fra questi che si trovano nella zona più antica
dei grezzoni e quelli della parte superiore dei grezzoni apuani ; concludendone che
i grezzoni non sono più antichi dalla parte inferiore del Trias medio e che la
parte inferiore fossilifera delle Alpi Marittime equivale forse al Musch clkalk mentre
la parte superiore colle roccie successive rientra nel Trias superiore.
De Stefani C. — Il permiano nell* Appennino (Boll. Soc. Geol., VI, I).
— Roma.
Passando in rassegna i terreni delle varie località dell’Appennino finora at-
tribuiti al permiano ne deduce che : 1° gli scisti cristallini del Savonese sono an-
teriori al carbonifero: 2° gli scisti gneissici delle Alpi Apuane appartengono al
siluriano medio: 3° i fossili trovati nel Monte Pisano non sono distintivi del per-
miano: 4° le filladi e le quarziti delle altre località dell’Appennino settentrionale
sono anziché permiane più verossimilmente triasiche: 5° le filladi dell’Appennino
meridionale sono più antiche del permiano: 6° nessun documento si conosce per
ora dell’esistenza di terreni permiani nell’Appennino.
De Stefani C. — L’ Appennino fra il colle dell’Altare e la Polcevera.
(Boll. Soc. Geol., VI, 3). — Roma.
L’autore premesso che divide l’opinione di coloro che pongono il confine fra
le Alpi e l’Appennino al colle dell’Altare sopra Savona, dà in questo lavoro la
descrizione dei terreni di quella località cominciando dai più antichi, enumeran-
done le varie roccie, i fossili che contengono e citando i vari autori che se ne
occuparono. Dà quindi un quadro dei terreni e la loro disposizione stratigrafica,
facendo notare la grande estensione del piano delle serpentine, la mancanza del
siluriano medio delle Alpi Apuane e probabilmente del carbonifero della Toscana
e delle Alpi Marittime.
17
— 262 —
Sull’andamento degli strati e delle pieghe in questa regione e nelle Alpi Ma-
rittime nota che essi sono nell’immediata continuazione di quelle delle Alpi Cozìe,
delle quali la direzione da N.E si cambia deviando verso Est, formando così una
curva quasi regolare colla concavità verso la valle padana. Esternamente a questa
curva fra il Nizzardo ed Albenga sono disposti i terreni eocenici che hanno la
loro continuazione nell’ Appennino. Nel tratto però fra Genova ed Albenga la cor-
rosione marina ha messo allo scoperto i terreni più antichi i quali nella parte più
orientale si veggono giungere al mare. Nella parte montuosa più interna le stra-
tificazioni non turbate mostrano regolarmente gli strati fìUadici e i calcoscisti
cerulei sotto le dioriti e le serpentine antiche ; ma lungo il litorale, 1’ andamento
delle pieghe si mostra complicato dal grandioso rovesciamento contro terra, con
pendenza al mare, dell’ellissoide cristallina savonese, della quale il lato meridionale j
fu distrutto dal Tirreno che colà esiste fino dal miocene inferiore e che trovasi in
una sinclinale dovuta all’ accartocciamento naturale degli strati nel loro movi-
mento, anziché a sprofondamento di terreni emersi preesistenti, come molti ere-
dono. A spiegare tale rovesciamento prende ad esame anche le roccie cristalline j
dal mare presso Bergeggi seguendole pei monti di Roviasco e di Altare. Osserva
che le roccie attribuite da Issel, Mazzuoli e Zaccagna al permiano, poggianti su '
di un anticipale del carbonifero inferiore, dovrebbero essere posti nel trias supe-
riore e medio, sovraincombendo esse nei monti da Montenotte a Varazze agli scisti
cerulei dai medesimi autori attribuiti al trias inferiore. Anzi tra Bergeggi e Spo- .
torno essi stanno evidentemente sopra calcari certamente del trias medio e superiore;
quindi, a meno di attribuire tali terreni al lias, conviene ammettere il rovescia-
mento, ed ammesso qui devesi ammettere ovunque verifìcansi le stesse condizioni.
Indica quindi i varii tratti verso terra di quest’ anticipale rovesciato, che si ripete
con identiche circostanze lungo il litorale tirreno nella Liguria orientale.
Accompagna questo studio una tavola di sezioni nelle quali è posto in evi- .j
denza l’andamento delle stratificazioni nelle regioni dall’autore indicate.-
De Stefani C. — 11 terreno terziario nella valle del Mesima. (Boll.
Soc. Geol., VI, 3). — Roma.
Rammentati i precedenti studi dei geologi sulla costituzione di questa vallata
del Catanzarese, l’autore ne descrive la serie consecutiva dei terreni, discutendo
al tempo -stesso le contrarie opinioni emesse in proposito.
Risulta da questo lavoro che detti terreni costituenti sono, in ordine ascen-
dente, i seguenti :
Scisti cristallini del piano Montavano ed Huroniano. Marne del miocene me- ;
dio equivalenti allo Schlier, al Langhiano ed alle marne, fogliettate, alternanti, o
ricoperte, con calcare parimenti miocenico. Argille marnose, sabbie e ghiaiette |
postplioceniche, direttamente sovrastanti al miocene, mancando cosi il terreno clas-
sico pliocenico.
De Stefani C. — Le ligniti del bacino di Castelnuovo di Garfagnana.
(Boll. Com. Geol., 7-8). — Roma.
Questa memoria, avente carattere di rapporto al Ministero italiano dell’agr.
ind. e comm., comprende una parte geologica ed una tecnico-economica sul ba-
cino sunnotato il quale è posto nella valle del Serchio, fra le Alpi Apuane e
l’Appennino.
Nella prima parte sono dettagliatamente descritti i limiti del bacino stesso
d’origine lacustre, la disposizione topografica e la natura delle sue roccie, la pro-
venienza di quest’ultime, la potenza degli strati lignitiferi coll’indicazione dei fos-
sili che racchiudono: da ultimo vi si trova esposta anche una succinta storia geo-
logica del bacino.
Dall’analisi dei fossili è risultato che le argille, le sabbie e le ghiaie, costi-
tuenti dal sotto in su e nell’ordine sunnotato la stratigrafia del bacino, sono in-
dubbiamente plioceniche. I banchi poi di lignite stanno inclusi tra le sabbie e le
argille, vale a dire fra gli strati più antichi, mentre invece sterili sono i conglo-
merati che rappresentano gli strati più recenti.
Nella parte tecnico-economica, sono indicate la disposizione, estensione e po-
tenza dei banchi di lignite, i caratteri fisici e chimici di questa ed il presuntivo
suo costo alle prossime stazioni ferroviarie.
La memoria è corredata di una tavola di sezioni geologiche del bacino
descritto.
Di Poggio E. — Sulle esalazioni solfidriche di Montemiccioli. ( Proc.
verb. Soc. toscana Se. Nat., Voi. V). — Pisa.
La località in Toscana nella quale avviene il fenomeno trovasi nel bosco di
Brenta, lungo le rive del torrentello delle Foci e a tre ehm. da Montemiceioli, si-
tuato sulla strada da Volterra a Colle di Val d’Elsa.
Le descritte esalazióni d’acido solfìdrico e d’ anidride carbonifica si sprigio-
nano da cavità nel calcare alberese convertito in gesso ed incrostato di solfo al
loro contatto. L’autore spiega colla teoria chimica la formazione del gesso, del-
1’ anidride e del solfo e dà ragione di altri fatti concomitanti al fenomeno che
-egli ritiene, per la natura e per l’allineamento delle esalazioni, in stretto legame
con quello identico di Larderello.
— 264 —
Di Stefano G. — Tre lettere sulla struttura geologica del Capo S.
Andrea presso Taormina. (Naturalista Siciliano, anni VI e VII). —
Palermo.
In base a studio locale e minuzioso delle condizioni tettoniche e paleontolo-
giche dell’intero Capo S. Andrea l’autore addiviene alla conclusione che i terreni
costituenti il medesimo sono i seguenti:
Eocene. — Marne scistose, grigio-giallastre, rosse, talvolta variegate, con in-
elusi piccoli strati di calcare cristallino sabbioso verdiccio, con larghe macchie
spatiche bianche e contenenti piccole mummuliti.
Strati con Aptychus. — Nella parte inferiore composti di calcari compatti,
cristallini, talvolta marnosi, con crinoidi, rossi, carnei, venati di spato calcare,
macchiati di giallo-verdiccio, sino a divenire interamente chiari. Contengono Sphe -
nodus longidens, Pygope Bouei , P. rupicola , Aptychus punctatus, A. Bey-
richi ecc. Nella parte superiore constano di scisti marnosi rossi, grigio-chiari,
grigio-verdicci, con calcari compatti degli stessi colori, con noduli di selce dia-
sproidea. Contengono Belemnites cfr. semisulcatus, Aptychus punctatus, A.
Beyrichi, ecc.
Zona con Peltoceras transoersarium. Quest, sp. — Calcare compatto, talora
subcristallino, bruniccio, con macchie, venature ~e dendriti nere ecc. ecc. Con-
tiene Perisphinctes Bocconii.
Strati con Posidonomya alpina Gras. — Calcari rossi, carnei, rosei, grigia- I
stri, macchiati e venati di nero, con dendriti nere, cristallini, con crinoidi, con pre- |
valenza talvolta di brachiopodi, talvolta di piccoli cefalopodi. Abbonda la Posid. j
alpina; inoltre Rhynchonella Berchta, Rh. Atla, R. Suberchinata, ecc. Pygope
pteroconcha, P. Gemmellaroi, ecc. Stephanoceras Brogniarti, Crioceras annu-
latum, Haploceras psilodiscum, H. monacum, ecc.
Strati con Rhynchonella Vigilii Leps. — Calcare cristallino con crinoidi, tal-
volta saccaroide, rosso, roseo, carneo, venato, con ammassi d’individui di Rhynclio - !
nellae costate fra le quali sono abbondantissime la Rh. Vigilii e la Rh. Clesiana.
Lias superiore. — Marne grigie con fucoidi, passanti superiormente a marne
scistose rosse, alternanti con calcare cristallino rosso, macchiato di giallo ver-
diccio, con Hildoceras bifrons, H. Lecisoni, Phylloceras cfr. Nilsoni, Nautilus
astacoide s.
Lias medio. — Calcare con crinoidi, grigio, roseo, rossastro, con Harpoceras
algocianum, Spiriferina rostrata , Pecten Stoliczkai ecc.
Lias inferiore. — Calcare cristallino grigio, bruniccio, rossastro, ecc. venato di
spato, con Pecten Hehlii, P. textorius, P . Di Blasii, Terebratula punctatar
Rynchonella rimosa, Rh. jonica ecc., Spiriferina rostrata, ecc.
— 235 —
Di Stefano G. — L’età delle roccie credute triadiche del territorio
di Taormina. (Giornale di Scienze nat. ed economiche, Voi. 18). —
Palermo.
, La memoria consta di due parti. Nella prima, ossia geologica, l’autore tende
a provare, mediante l’esame dettagliato degli strati e dei loro fossili, che la serie
potente di strati calcareo-dolomitici formanti la rupe del Belvedere, l’altura del
Teatro, la Rocca di Taormina, la montagna di Castelmola ecc., e che resta com-
preso fra il conglomerato rosso e gli strati del Lias superiore, rappresenta la
porzione inferiore del Lias inferiore mediterraneo. Questo complesso può dividersi
praticamente in due parti, le quali però sono tra loro in intima relazione stratigra-
fica e paleontologica. La parte inferiore che comincia con marne, calcari rossi e
calcari marnosi giallastri termina superiormente con calcari brunicci ricchi di pic-
coli gasteropodi e contiene principalmente la fauna del calcare cristallino della
provincia di Palermo: la parte superiore con dolomie e calcari grigi, finisce con
calcari nero-lionati, cristallini, ne’quali abbonda la Plicatula intus striata.
La seconda parte della memoria, ossia la paleontologica, illustra i fossili
raccolti dall’autore negli strati inferiori del descritto complesso calcareo- dolo-
mitico. Le specie descritte sono 26 di cui molte sono nuove; appartengono ai ge-
neri Rhynchonella, Terebratula, Zeilleria , Anomia, Pectcn, Pinna, Amberleya,
Scaeoola, Nerita, Neritopsis, Natica e Chemnitzia.
La memoria è corredata da una tavola di sezioni geologiche e da due tavole
di figure di fossili.
Di Stefano G. — Osservazioni alla nota del prof. G Seguenza : Gli
strati con Rhynchonella BercKta Oppel presso Taormina. (Rend.
Acc. Lincei, Voi. Ili, 1° sem.). — Roma.
L’autore richiama e riconferma le proprie opinioni già emesse in precedenti
pubblicazioni circa la struttura geologica del Capo S. Andrea, presso Taormina.
Ferretti A. — La miocenicità delle argille scagliose e la forma-
zione di Montegibbio. — Reggio Emilia, 1887.
In una prima parte di questo lavoro l’autore espone le condizioni orografiche
fielle argille scagliose delle varie località del Subappennino e dell’ Appennino reg-
giano ed in ispecie della zona che dal Serchio presso S. Antonino va sino al
Crostolo che bagna la città di Reggio d’Emilia; descrive le argille stratificate e
le caotiche coi loro interclusi, e ne deduce anzitutto la loro spettanza ad un solo
piano, ad una sola epoca di formazione, e riassume dipoi le prove della miocenicità
— 266 —
%
loro, basate principalmente sui rapporti fra esse argille e le roccie contigue dE
epoca ben definita.
In una seconda parte del lavoro l’autore indica i fossili da lui rinvenuti nella
formazione di Montegibbio, di alcuni dei quali riporta o dà la descrizione, facendo'
da ultimo rilevare come la relativa fauna, giudicata complessivamente, attesti la
pliocenicità di quei depositi, convalidata anche dalle condizioni stratigrafiche.
E parimenti plioceniche, sia pei fossili inclusi, sia per le correlazioni strati'
grafiche, risultano all’autore anche le formazioni di Castellarano, di S. Valentino
e di S. Ruffino.
Foresti L. — Sopra alcuni fossili illustrati e descritti nel Musaeum
metallicum di Ulisse Aldrovandi. (Boll. Soc. Geol., VI, 2). —
Roma.
Contiene l’interpretazione paleontologica di 92 specie fossili che trovansi, fra
molte altre, descritte e figurate nella sopracitata opera dell’Aldovrandi, pubblicata
in Bologna nel 1648. — Questo lavoro è preceduto #da notizie sul complesso del
l’opera e sulla nomenclatura scientifica usata in quei tempi.
Foresti L. — Alcune forme nuove di molluschi fossili del Bolognese _
(Boll. Soc. Geo!., VI, 3). — Roma.
Contiene la descrizione di cinque forme, quattro delle quali appartengono al
pliocene, piano astiano del Mayer, ed una al miocene medio. Le descritte forme
sono: Fusus Bononiensis, Borsonia laevis, Purpura felsinea , P. funiculata e
Conus zebrinus.
La nota è corredata di una tavola con le figure dei fossili descritti.
Fornasini C. — Di alcuni foraminiferi provenienti dagli strati mio-
cenici dei dintorni di Cagliari. (Boll. Soc. Geol., VI, 1). — Roma.
I fossili illustrati dalla presente nota provengono dalle località S. Michele e
Fangario dei dintorni immediati di Cagliari, e fuiono raccolti dal prof. Lovisato,
in parte nel calcare farinoso, detto anche pietra cantone , della prima località ed
in parte nelle argille della seconda.
Le specie determinate ed in parte anche descritte sommano a 24 per S. Mi-
chele ed a 9 per Fangario. Le prime rappresentano 13 generi, si distinguono per
le loro grandi dimensioni e sono per la maggior parte comuni agli strati mioce-
nici e pliocenici e certune anche agli oligocenici. Quelle di Fangario si riferiscono
a 4 generi e presentano nel loro assieme somiglianza colla fauna di Mongardino
nel Bolognese, corrispondente a quella della marna di S. Rufflllo giudicata dal
De Hantken rispondente alla fauna di Malta.
— 267 —
Va premessa alla nota una lettera del prof. Lovisato indicante la natura c
le condizioni geologiche delle roccie contenenti i fossili descritti.
Fornasini C. — Foraminiferi illustrati da Bianchi e da Gualtieri.
(Boll. Soc. Geol., VI, 1). — Roma.
Riporta dalle opere de’ suindicati autori, pubblicate nella prima metà dell’ ul-
timo decorso secolo, le descrizioni originali latine di 20 e più specie di forami-
niferi, coll’indicazione delle località di Romagna, di Toscana, del Veneto el
in ispecie del Riminese, nelle quali furono con maggior o minor frequenza rin-
venute.
Il lavoro è corredato da una ricca sinonimia delle specie figurate e descritte
in altre opere e da numerose annotazioni interpretative, premessivi alcuni cenni
sull’importanza scientifica dell’antico lavoro e sul significato della nomenclatura
adoperata da suoi autori.
Fornasini C. — Textularia gibbosa e T. tuberosa. (Boll. Soc. Geol.,
VI, 2). — Roma.
Descrive le anzinotate due specie, enumerate nel Tableau del d’Orbigny, le
quali non erano state posteriormente illustrate se non sotto differenti denominazioni,
o riferendo ad esse delle forme che si scostavano dal tipo, ovvero confondendo
le due specie tra loro.
Alla sinonimia delle specie sono aggiunte le indicazioni delle località e delle
formazioni geologiche d’Italia in cui dette specie si presentano e sulle condizioni
loro di habitat nei mari italiani attuali.
Correda il testo una tavola figurativa delle specie in parola.
Fornasini C. — Di alcuni foraminiferi provenienti dalla spiaggia di
Civitavecchia (Boll. Soc. Geol., VI, 3). — Roma.
Offre la determinazione di 12 specie di foraminiferi raccolte dal prof. Meli
sulla spiaggia sopraindicata, ed indica per ognuna le condizioni di habitat attuale
e la loro presenza o meno allo stato fossile negli strati terziari e post-terziari
d’ Italia.
Le specie determinate appartengono ai generi Miliolina, Peneroplis, Nodo-
saria, Marginulina, Cristellaria , Truncatulina, Puloinulina, Rotalia e Po-
ly stornella.
Fornasini C. — Tre note sulle Textularie. (Boll. Soc. Geol., VI, 3). —
Roma.
La prima nota indica i caratteri esterni delle Textularie. La seconda contiene
268
l’elenco alfabetico ragionato delle Textularie italiane, coll’indicazione, per ogni
specie, dell’autore che l’ha illustrata, delle località e delle geologiche formazioni
in cui venne sin’ora constatata. Le specie e varietà registrate sommano a 95.
Nella terza ed ultima nota l’autore espone i caratteri distintivi delle Textu-
larie abbreviate.
Ogni singola nota è accompagnata da una tavola con figure di foraminiferi.
Franco P. — II Vesuvio ai tempi di Spartaco e di Strabane. { Atti
Acc. Pontaniana, Voi. XVII). — Napoli.
*
La descrizione del Vesuvio ai tempi suindicati, dataci dall’autore, è basata
specialmante sui dati geognostici e sui ricordi storici, anzicchè sui soli affreschi
pompeiani com’era stato fin’ora. Egli riesce a dimostrare che oltre a cambiamento
di forma vi fu anche un lieve spostamento del centro del cratere, relativamente
alla sua posizione nell’eruzione pliniana, verso sud-ovest. Resterebbe ora a deter-
minarsi quale sia stata la causa di tale spostamento dell’asse eruttivo.
Gemmellaro G. G. — La fauna dei calcari con Fusulina della valle
del fiume Sosio nella provincia di Palermo. Fascicolo 1°. — Pa-
lermo, 1887.
I calcari della cui fauna si occupa la presente monografìa formano nella suin-
dicata valle tre rupi isolate e distinte per età e natura della roccia dai terreni
frammezzo i quali affiorano nel tratto che corre tra la Serra di S. Benedetto e
la Portella di Gebbro. Queste rupi sono la Rocca di S. Benedetto, la Rupe del
Passo di Burzio e la Pietra di Salomone.
Questi calcari che rappresentano le roccie più antiche di tutta la serie dei
terreni della parte occidentale di Sicilia contengono una fauna abbondantissima,
massime nella parte loro inferiore (calcare grigio compatto) rispetto alla superiore
(calcare bianco grossolano), la quale li caratterizza come appartenenti ad una
serie di roccie che lega il carbonifero al permiano. Essi risultano coevi ai calcari
con Fusulina delle Alpi.
Questo primo fascicolo dell’enunciata monografia contiene la descrizione par-
ticolareggiata de’ fossili cefalopodi ammonoidei i quali trovansi pressocchè esclu-
sivamente nella parte inferiore dei calcari in parola, e che sono rappresentati da
54 specie tutte nuove, riferibili a 18 generi dei quali 14 sono pure nuovi. — I ge-
neri descritti sono: W aagenoceras con 2 specie; Hyatloceras , 3 specie; Popa-
noceras , 4 sp. ; Stacheoceras, 11 sp. ; Adrianites, 6 sp. ; Medlicottia, 5 sp. ; Pro-
pinacoceras, 3 sp. ; Parapronorites , 1 sp. ; Sicanites, 2 sp. ; Daraelites, 1 sp. ;
Thalassoceras, 4 sp.; Paraceltites, 2 sp. ; Agathiceras, 3 sp. ; Doryceras, 1 sp. ;
Qlinolobus, 1 sp. ; Gastrioceras , 3 sp. ; Glyphioceras, 2 sp.
— 269 —
Questo primo fascicolo è corredato di una tavola di profili della località fos-
silifera e di 10 tavole con figure dei fossili descritti.
Gioli G. — Fossili della Oolite di San Vigilio. (Proc. verb. Soc. tose.
Se. Nat., Voi. V). — Pisa.
Presenta una nota preliminare dei generi e delle specie che l’autore ha po-
tuto osservare fra gli esemplari di gasteropodi, di lamellibranchi e di echinodermi
conservati nel Museo paleontologico di Pisa e spettanti alla fauna sopraenunciata
del cui studio è incaricato. Risulta da questo elenco che oltre alle specie citate
dal Vacek nella sua opera recente sulla fauna medesima, la collezione anzidetta
contiene altri 13 generi che per buona parte non figurano ancora menzionati in
in ne>ssun’altro elenco.
Gioli G. — La Lueina pomum Duj. (Memorie Soc. toscana Se. Nat.,
Voi. Vili, 2). — Pisa.
Per risolvere la questione se le lueine indicate dai geologi coi nomi specifici
di Lucina pomum, globolosa, appenninica, miocenica, Dettosi e Dicomani e ri-
tenute caratteristiche di dati piani miocenici, rappresentino altrettante e diverse
forme oppure forme sinonime, l’autore sottopose ad esame comparativo diversi
individui delle indicate specie, derivati da differenti località.
Egli prende a base d’esame la Lucina pomum del tipo orbicolare del quale
espone l’analisi dettagliatissima, e dai rapporti e differenze risultanti fra queste e
le altre specie l’autore è indotto a ritenere che la L. pomum, Duj. è sinonima
de\Y appenninica, Dod. e specie distinte fra loro tutte le altre.
Due tavole con figure rappresentanti la L. pomum e la L. Dicomani corre-
dano il testo.
Goiran A. — Appendice e note al catalogo dei terremoti veronesi. —
(Accad. di Agric., Arti e Commercio di Verona, S. Ili, Voi. LXIII).
— Verona.
È l’indice cronologico dei terremoti avvenuti nel Veronese dal 1633 al 1859,
coll’ indicazione de’ concomitanti fenomeni disastrosi, e con riferimento a moti sismici
contemporaneamente avvenuti in altre parti d’Italia.
Grattarola G. — Cerussite di Val Fontana , media Valtellina. (Proc.
verb. Soc. tose. Se. Nat., Voi. V). — Pisa.
Contiene l’analisi cristallografica e chimica del minerale, praticata quest’ultima
mediante un processo speciale speditivo e raccomandabile per piccole quantità
di materiale disponibile. La combinazione cristallografica risultò composta del
macropinacoide (100), del brachipinacoide (010), del prisma 110 eAeì macrodoma 101.
— 270 —
Grattarola G. — Sulla determinazione della cerussite di Val Fon-
tana (Proc. verb. Soc. toscana Se. Nat, Voi. V). — Pisa.
In risposta ad una recensione pubblicata nella Rivista di mineralogia e cri-
stallografia italiana, colla quale contestavasi la bontà del processo d’analisi
seguito dall’autore per la cerussite di Val Fontana, questi, ripetuto l’assaggio collo
stesso metodo sul medesimo minerale e su cerussite pura, n’ebbe risultati confer-
manti l’esattezza della sua precedente determinazione.
A. Issel, L. Mazzuoli e D. Zaccagna. — Carta geologica delle Riviere
liguri e delle Alpi Marittime , nella scala di 1 a 200 000. — Ge-
nova, 1887.
Questa Carta, stata pubblicata per cura del Club Alpino italiano (sezione li-
' gure), consta di un foglio grande in cromolitografia e di una pagina stampata,
con avvertenze e coll’indicazione della serie cronologica dei terreni delimitati. È
pure corredata da sezioni geologiche in scala di 1 a 100 000. Il territorio da essa
compreso è limitato : a Nord da un parallelo passante a due km. a Nord d’Acqui,
ad Est dal meridiano di Corniglia; ad Ovest da un meridiano che quasi tocca la
città di Monaco. La serie dei terreni è la seguente:
Precarbonifero . — Gneiss e graniti, inferiormente; gneiss, scisti cristallini e_ ser-
pentine, superiormente.
Carbonifero . — Piano inferiore: Arenarie, scisti arenacei e grafitici, antraciti. —
Piano superiore: Calcari marmorei.
Permiano. — Anageniti e scisti quarzosi, talcosi, micacei e feldspatici.
Trias. — Scisti cristallini con roccie ofiolitiche interstratificate, quarziti ed ana-
geniti ( Buntsandstein ); calcari dolomitici ( Muschelkalk e Keuper).
Infralias. — Scisti e Bactrilli, calcari neri fossiliferi, marmo portoro.
Giuralias. — (Lias, Coralliano e Titonico). Calcari e scisti ammonitiferi, scisti a
Posidonomya Bronni, calcari ceroidi, calcari a polipai.
Cretaceo. — (Neocomiano e senoniano). Calcari a Belemnites dilatatus, calcari
con Gryphaea colamba, scisti calcareo-argillosi (scaglia).
Eocene. — (Batoniano, Infraliguriano e Liguriano). Calcari nummulitici, roccie ser-
pentinose, calcari a fucoidi ecc.
Miocene inferiore. — (Tongriano). Conglomerati, scisti e molasse con lignite, are-
narie calcarifere, fossilifere.
(Continua).
— 271 —
NOTIZIE DIVERSE
Giacimenti solfiferi nella Luigiana. 1 — Nel l’anno 1869 la Società
del petrolio e carboni della Luigiana (Nord-America) scoperse in questo
Stato nel fare delle trivellazioni per la ricerca del petrolio, un giaci-
mento di solfo di straordinaria potenza, in una località situata a 228
miglia inglesi da New Orleans, ad un miglio dalla ferrovia meridionale
del Pacifico e ad 8 miglia dal fiume navigabile Calcasieu.
Dai registri di trivellazione si ricavano i dati seguenti:
Foro 1.
Argilla gialla e turchina . .
spess.
m.
48,80
profond.
m.
48,80
Sabbia grigia e gialla . . .
>
»
52,76
»
»
101,56
Roccia solida
»
»
0,61
»
»
102,17
Calcare sabbioso turchino . .
>
>
14,64
»
3>
116,81
Calcare bianco friabile . . .
»
»
18,30
»
S>
135,11
Solfo puro
»
»
32,94
>
»
168,05
Gesso solfifero
»
»
30,19
»
»
198,24
Solfo puro
»
»
1,83
»
»
200,07
Gesso solfifero
»
»
7,32
>>
))
207,39
Gesso ricchissimo di solfo . .
»
»
134,20
»
))
341,59
Gesso solfifero
»
»
30,50
)>
»
372,09
In seguito a tale scoperta
insorse
lite
tra la
Compagnia
del pe-
trolio ed i proprietari del suolo, la quale fu decisa nel 1870 coll’accor-
dare a quest’ultimi la proprietà del giacimento di solfo; dietro di che
si costituì una nuova Società sotto il nome di Compagnia degli solfi
e miniere del Calcasieu per la coltivazione dello solfo.
Questa Compagnia intraprese sotto la direzione del signor Grani,
raccomandato e proposto dal Governo francese, un secondo foro di
trivellazione a m. 30 dal primo; se n’ottenne il seguente risultato:
1 Da un Rapporto del sig. Preussner alla Società geologica tedesca.
Argilla gialla e turchina . .
spess.
m.
50,32
profond.
m.
50,32
Sabbia grigia e gialla . . .
»
»
54,59
»
»
104,91
Roccia solida
»
»
0,76
»
»
105,67
Calcare bianco e turchino . .
»
»
24,86
»
»
130,53
Solfo
»
»
34,16
»
»
164,69
Gesso
»
»
3,66
»
»
168,35
Raggiunta quest’ultima quota si passò ad approfondire un pozzo
per raggiungere il giacimento di solfo, nella quale operazione s’in-
contrò la sabbia grigio-gialla talmente pregna d’acqua da doversi ap-
plicare il sistema Kind-Chaudron, al qual uopo si fecero venire dal
Belgio macchine ed apparecchi per un valore di 150000 dollari, pari
a lire 770 000.
Con tutto ciò l’approfondimento del pozzo non riuscì, la Società
fallì e la miniera venne in seguito acquistata dalla Compagnia sulfu-
rea della Luigiana, attualmente proprietaria.
Durante il 1886 furono praticate dai sig. A. Grant e F. H. Elliot
due nuove trivellazioni le quali constatarono la presenza dèlio solfo
nelle medesime proporzioni di prima, come risulta dai dati seguenti:
Argilla gialla e turchina
spessore
m.
Foro 3 (Orant)
10,06 profondità
m. 10,06
Argilla turchina e sabbia
fine
»
»
43,00
»
»
53,06
Sabbia grigia fine . . .
»
»
36,90
»
»
89,96
Ghiaia
»
»
39,95
»
»
129,91
Calcare
»
»
21,35
»
»
151,26
Solfo
. ■ .
>
»
36,29
»
»
187,55
Gesso
»
»
1,83
»
>
189,38
Argilla gialla e turchina
spessore
m.
Foro 4 (Elliot)
25,92 profondità
m. 25,92
Argilla turchina e sabbia
fine
»
»
50,32
»
>
76,24
Sabbia grigia fine . . .
»
»
53,68
»
»
129,92
Ghiaia
»
»
1,83
»
»
131,75
Calcare
.
»
>
42,09
»
»
173,84
Solfo . . . ... . .
»
»
13,72
»
>
187,56
— 273 —
Appena il foro Elliot ebbe raggiunta la profondità di m. 183 di
cui m. 13.72 nello solfo, s’impigliò la trivella.
L’analisi dello solfo del foro di trivellazione n. 2, diede il seguente
contenuto utile:
Profondità
m.
130,54
solfo
62
%
»
»
134,60
»
70
»
»
»
139,99
»
80
»
»
»
142,13
»
83
»
»
»
148,23
»
90
»
»
»
151,28
»
80
»
»
»
154,33
»
75
»
»
»
156,16
»
80
»
»
»
157,38
»
75
»
»
»
160,43
»
70
»
»
»
164,70
»
68
»
»
»
165,21
»
25
»
L’analisi del materiale del foro n. 3 diede:
Profondità m. 153,41 solfo 70 %
» » 162,56 » 60 »
» » 167,64 » 81 »
» » 168,36 » 91 »
» » 184,22 » 98 »
In base ai risultati della trivellazione si valuta il contenuto del
giacimento principale a circa un milione e mezzo di tonnellate di puro
solfo, mentre il giacimento inferiore ove il minerale ha in media soltanto
il 33 % di solfo conterrebbe 10 milioni in circa di tonn., dalle quali si
potrebbero produrre 3 milioni di tonn. di solfo puro.
Avendo lo solfo un peso del 50 % più elevato del litantrace, può
ammettersi che le spese di sua produzione non s’eleveranno a tanto
come per quest’ultimo, anche se si dovessero applicare identici sistemi
di coltivazione. Nel caso abbisognassero armature interne per poter
scavare tutto lo solfo, si troverebbe il necessario legname sul posto
ed a prezzi non elevati. Si ritiene di poter escavare il minerale del
giacimento principale a circa 60 cents, pari a lire 3 circa per tonnel-
— 274 —
lata, cosicché quando la miniera sarà aperta, le spese di produzione
pel solfo grezzo o nero, conosciuto sul mercato americano sotto il nome
di tertia , verranno ad essere di 1,50 dollari, pari a lire 7,70 alla bocca
dei pozzi e di 7,25 dollari pari a lire 37, 56 a Liverpool.
La massima parte dello solfo del commercio proviene dai mine-
rali solfìferi di Sicilia o da piriti. I minerali di solfo di Sicilia conten-
gono in media 15 a 20 % di puro solfo. Per mancanza di legna si
produce costì lo solfo con processo di fusione servendosi per combu-
stibile dello solfo stesso, lo che fa sì che occorrono da 7 a 9 tonn.
di minerale per ottenere 1 tonn. di solfo. Presentemente lo solfo è caro,
costando la tertia 17,75 dollari pari a lire 91,94 per tonn.; in media le
spese di produzione di una tonn. di solfo tertia ammontano a 15 doli,
ossia a lire 77,70. Tali condizioni sfavorevoli hanno per conseguenza
la diminuzione della produzione la quale è stimata oggidì di circa
350000 tonn.
Il maggior rivale dello solfo di Sicilia è odiernamente 'la p’rite
che serve alla fabbricazione dell’acido solforico; le miniere spagnuole
di Rio Tinto, Tharsis e Mason e Barry sono le più grandi del mondo.
Non ostante le favorevoli condizioni alle quali questi minerali ven-
gono offerti alle industrie, ritiensi di poter far loro valida concorrenza
mediante gii solfi della Luigiana, se non di escluderli affatto dai mer-
cati. Conseguentemente i lavori per approfondire i pozzi nelle miniere»
della Luigiana verranno ripresi con nuova energia, al qual uopo s’intende
di applicare il sistema a congelazione Poetsch, dal quale si attendono
grandi risultati, ad onta che il medesimo non li abbia sin’ora dati in
Germania.
— 275 —
PUBBLICAZIONE DELLA CARTA GEOLOGICA D’ ITALIA
PER CURA DEL R. UFFICIO GEOLOGICO
PARTI PUBBLICATE (al 1° settembre 1888)
Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/100,000 :
Foglio N. 244 (Isole Eolie) prezzo L. 3 00
Eoglio N. 262 (Monte Etna) . .
L. 5 00
»
248 (Trapani) . . .
» 3 00
» 265 (Mazzara del Vallo)» 3 00
»
249 (Palermo) . . .
» 4 00
» 266 (Sciacca) . . .
» 4 00
»
250 (Bagheria). . .
» 3 00
» 267 (Canicattì) . . .
» 5 00
»
251 (Cefalù). . . .
» 3 00
» 268 (Caltanissetta) .
» 5 00
»
252 (Naso) ....
» 4 00
» 269 (Paterno) . . .
» 5 00
»
253 (Castroreale) . .
» 4 00
» 270 (Catania) . . .
» 3 00
»
254 (Messina) . . .
» 4 00
» 271 (Girgenti) . . .
» 3 00
»
256 (Iso)e Egadi) . .
<x 3 00
» 272 (Terranova) . .
» 4 00
»
257 (Castelvetrano) .
» 4 00
» 273 (Caltagirone) . .
» 5 00
»
258 (Corleone) . . .
» 5 00
» 274 (Siracusa) . . .
» 4 00
»
259 (Termini Imerese).
» 5 00
» 275 (Scoglitti) . . .
» 3 00
»
260 (Nicosia) . . .
» 5 00
» 276 (Modica) . . .
» 3 00
»
261 (Bronte), . . .
» 5 00
» 277 (Noto) ....
» 3 00
Tavola di sez. N. I (annessa ai fogli 249 e 258) L. 4 00
» » N. II (annessa ai
fogli 252, 260 e 261) » 4 00
» » N. Ili (annessa ai
fogli 253; 254 e 262) » 4 00
» » N. IV (annessa ai fogli 257 e 266) » 4 00
» » N. V (annessa ai fogli 273 e 274) » 4 00
li.B. — L’intiera Carta della Sicilia, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione
e copertina, è in vendita al prezzo di lire 100.
Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/500,000 (serve anche di foglio di
unione della precedente) con sezioni prezzo L. 5 00
Descrizione geologica dell’Isola di Sicilia, con una Carta geologica, tavole
in zincotipia ed incisioni, dell’Ing. L^ Baldacci prezzo L. 10 00
Carta geologica dell’ Isola d5 Elba, nella scala di 1/25,000 con sezioni annesse
(in due fogli) prezzo L. 15 00
Descrizione geologica dell5 Isola d5 Elba con Carta annessa nella scala di
1/50,000, dellTng. B. Lotti . . . . . . . prezzo L. 10 00
Relazione sulle miniere di ferro delFIsola d’Elba, con un atlante di carte e
sezioni geologiche, dellTng. A. Fabri . . . prezzo L. 20 00
Descrizione geologico-miner. dell’Iglesiente (Sardegna), con un atlante di XXX
tavole e una Carta geologica, dell’ ing. GL Zoppi, prezzo L. 15 00
Carta geologico-mineraria dell’Iglesiente (Sardegna), nella scala di 1/50.000.
(in un foglio) prezzo L. 5 00
IN CORSO DI LAVORO
Carta geologica di parte dell5 Italia Centrale nella scala di 1/100,000. Sei
fogli con una tavola di sezioni.
Carta geologica delTItalia, in due fogli, nella scala di 1/1,000,000 (seconda edizione
riveduta e migliorata della Carta pubblicata nel 1881).
Per le commissioni rivolgersi al R. Ufficio Geologico, ovvero alla Libreria
E. Loescher, in Roma.
276
AVVERTENZA
E’ stato pubblicato un fascicolo di Supplemento. >
al Volume XVIII del Bollettino, contenente la Rela-
zione sul terremoto del 1887 in Liguria del Pro-
fessore A. Issel; pag. 208, con quattro tavole ed una
grande carta topografica di parte della Liguria e della
Provenza con le indicazioni sismiche. — Prezzo L. 5.
Pubblicazioni in vendita presso l'Ufficio Geologico
Bollettino del R. Comitato Gei logico d’Italia; Voi. I a XVII, dal 1870 al Ì88G
— Prezzo di ciascun volume L. IO —
Idem di un fascicolo separato . . » 2 —
N.B. - Il prezzo di abbonamento annuo e di 7>. 8 per l’interno
e di L, IO per l’estero.
Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia; Voi. I,
II e III (Parte la).
Voi. I. Firenze, 1872 » 35 —
Voi. IL Firenze, 1873-74 » 30 —
Voi. III. Parte la; Firenze, 1876 . . . . . . . . . . . » 10 —
I. Cocòhi. — Brevi cenni sui principali Istituti e Comitati geologici e sul
R. Comitato Geologico d’ Italia. Firenze, 1871 » 1 50
P. Zezi. — Cenni intorno ai lavori per la Carta geologica in grande scala.
Poma, 1875 » 1 —
F. Giordano. — Esposizione in ordine cronologico delle principali disposi-
zioni successivamente emanate relativamente aila Carta geologica d’Italia.
Poma, 1879 . » 1 —
F. Giordano. — Sopra un progetto di legge per il compimento della Carta
geologica d’Italia. Poma, 1880. ............. » D50
F. Giordano. — Cenni sull’organizzazione e sui lavori degli Istituti geologici
esistenti nei vari paesi. Poma, 1881 » 1 50
G. Capellini. — Relazione a S. E. il Ministro di Agr. Ind. e Comm. sul
Congresso geologico internazionale del 1881. Poma, 1881 .... » 1 —
I. Cocchi. — Carta geologica della parte orientale dell’ Isola d’Elba; scala
di 1/50,000. Firenze, 1871 » 2 50
C. W. C. Fuchs. — Carta geologica dell’ Isola, d’ Ischia; scala di 1/25,000.
Firenze, 1873. » 2 —
C. Doelter. — Carta geologica delle ‘sole Ponza, Palmarola e Zannone;
scala di 1/20,000. Poma, 1876 . . . .... . . , ' . . » 2 —
C. De Giorgi. — Abbozzo di Carta geologica della Basilicata; scala di
1/400,000. Poma, 1879 » 2 —
C. De Giorgi. — Carta geologica della provincia di Lecce; scala di 1/400,000.
Poma, 1880 » 2 —
G. Capellini. — Carta geologica dei monti di Livorno, di Castellina Ma-
rittima e di parte del Volterrano; scala di 1/100,000. Poma, 1881 . » 3 —
G. Capellini. — Carta geologica della provincia di Bologna; scala
di 1/100,000. Poma, 1881 » 4 —
G. Capellini. — Carta geologica dei dintorni del golfo di Spezia e Val di
Magra inferiore; 2a edizione; scala di 1/50,000. Roma, 1881 . . » 3 —
,T. Taramelli. — Carta geologica del Friuli, con testo descrittivo ; scala
di 1/200,000. Udine, 1881 » 7 —
Bibliographie géologique et paleontologique de l’Italie. Bologne, 1881 . . » 10 —
Bibliografia geologica e paleontologica della provincia di Roma. Poma, 1886 » 2 —
Bibliografia geologica italiana per l’anno 1886. Roma, 1887 » 1 50
di pubblicazioni
A. Del Prato. — Sopra alcune perforazioni della pianura parmense.
(Bollettino della Società geologica italiana, voi. VI, fase. 1°). — Poma, 1888;
pag. 9 in-81’.
C. Fornasini. — Tavola paleo-protistografìca (Ibidem). — Roma, 1888; '
pag. 5 in-8° con una tavola.
À. Verri. — Osservazioni geologiche sui crateri vulsinii (Ibidem). —
Roma, 18:8; pag. 50 in-8°.
E. Clerici. — Sopra una sezione geologica presso Roma (Ibidem). —
Roma, 1888 ; pag. 5 in-8°.
D. Pantanelli. — Le acque sotterranee nella provincia modenese. —
Modena, 1888; pag. 12 in-8°
G. Tuccimei. — Bradisismi pliocenici nella regione sabina. — Roma, 1888;
pag. 16 in-4° con una tavola.
C. Montemartini. — Sulla composizione di alcune roccie della Riviera
di Nizza (Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, voi. XXIII,
disp. I2a). — Torino, 1888; pag. 10 in-8°.
A. Scacchi. — Seconda appendice alla Memoria sulla regione vulcanica
fluorifera della Campania (Rendiconti dell’ Accademia delle Scienze di ;
Napoli, S. II, voi 2°, fase, 4° e 5°). — Napoli 1888; pag. 4 in-4°.
G. Freda. — Sulla composizione del Piperno trovato nella collina del
Vomero, e sulla origine probabile di questa roccia (Ibidem, fase. 6')
— Napoli, 1888; pag. 4 in-4°.
F. Bassani. — Sopra un nuovo genere di fìsostomi scoperto nell’ eocene
medio del Friuli. — Napoli, 1888; pag. 4 in-4°, con una tavola.
Idem. — Ricerche sui pesci fossili di Chiavon. Napoli, 1888 ; pag. 10 in-41.
A. De Zigno. — Antracoterio di Monteviale. — Venezia, 1888; pag. 10 in-4°, I
con una tavola
M. Malagoli. — Descrizione di alcuni foraminiferi nuovi del tortoniano
di Montegibio (Memorie della Società dei Naturalisti, S. Ili, voi. VII, i
fase. 1°). — Modena, 1888; pag. 6 in-8°.
Idem. — Note paleontologiche sopra un Astrogonium e una Chinodota, i
del pliocene (Ibidem). — Modena, 1888; pag. 4, in 8°. 8
R. Panebianco. — Sulla nomenclatura dei minerali. — Venezia, 1888; 3
pag. 10, in-8°.
T. Taramelli e G. Mercalli. — Alcuni risultati di uno studio sul terre-
moto ligure del 23 febbraio 1887 (Rendiconti della R. Accademia dei
Lincei, voi. IV, fase. 1°) — Roma, 1888; pag. 14 in-4°.
P. Franco. — Sull’ origine dei noduli di fosforite del Capo di Leuca. —
Napoli, 1838; pag. 4 in-4°.
F. Sacco. — Aggiunte alla fauna malacologica estramarina fossile del
Piemonte e della Liguria. — Torino, 1888; pag. 3< in-4° con 2 tavole.
Idem. — Note di. paleoicnologia italiana. — Milano, 1888 ; pag. 40 in-8° con
due tavole.
L. Ricciardi. — Confronto fra le roccie degli Euganei, del Monte Amiata
e della Pantelleria. — Milano, 1883; pag. 14 in-8°.
Idem. — Sulle roccie vulcaniche di Rossena nell’Emilia. — Milano, 1883; ,
pag. 10 in-8°.
E. Clerici. — Sulla Corbicula fluminalis dei dintorni di Roma e sui fossili ^
che 1’ accompagnano. — Romi, 1883 ; pag. 24 in-8° con due tavole. gg
P. Strobel. — Barboi (salse) del Parmigiano. — Parma 1883; pag. 18 in-80,,
con una tavola.
r-
4
R. COMITATO GEOLOGICO
D'ITALIA
188 8
Bollettino N.° 9 e IO
ELENCO
del personale componente il Comitato e l’Ufficio Geologico
R. Comitato Geologico.
Meneghini Giuseppe, prof, di geologia nella R. Università di Pisa, Presici •
Capellini Giovanni, prof, di geologia nella R. Università di Bologna.
Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze.
Cossa Alfonso, prof, di chimica nella R. Scuola di applicazione per gli
ingegneri in Torino.
De Zigno Achille, membro nel R. Istituto Veneto, a Padova.
Gemmellaro Gaetano Giorgio, professore di geologia nella R. Università
di Palermo.
Scacchi Arcangelo, prof, di mineralogia nella R. Università di Napoli.- |
Scarabellt Giuseppe, senatore del Regno, a Imola.
Silvestri Orazio, prof, di geologia nella R. Università di Catania.
Stoppani Antonio, professore di geologia nel R. Istituto tecnico supe-
riore di Milano.
Struver Giovanni, prof, di mineralogia nella R. Università di Roma.
Taramele t Torquato, prof, di geologia nella R. Università di Pavia.
Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze.
Giordano Felice, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, a Roma.
Pellati Niccolò, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, a Roma.
Personale addetto ai lavori della Carta Geologica.
Direzione superiore :
Ing. Giordano Felice, Direttore.
Ing. Pellati Niccolò.
Ufficio centrale (in Roma):
lag. Zezi Pietro, Capo d’ufficio e Segretario del Comitato.
Ing. Sormani Claudio.
Geologi operatori :
Ing. Baldacci Luigi, Roma.
Ing. Lotti Bernardino, Pisa.
Ing. Cortese Emilio, Roma.
Ing. Zaccagna Domenico, Pisa.
Ing. Viola Carlo, Roma.
Ing. Novarese Vittorio, Roma
Ing. Aichino Giovanni, Roma.
Ing. Sabatini Venturino, Roma.
Ing. Franchi Secondo, Torino.
Sig. Fossen Pietro, aiutante, Pisa.
Sig. Cassetti Michele, aiutante, Roma.
Sig. Moderni Pompeo, aiutante, Roma.
Personale distaccato :
Ing. Mattirolo Ettore, Torino (analisi delle roccie)
Dott. Canavari Mario, Pisa (paleontologo).
La sede dell’ Ufficio geologico in Roma è nel Museo agrario-geologico,
via Santa Susanna, n. 1-A.
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BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO
D’ITALIA.
Serie II. Voi. IX. Settembre e Ottobre 1888. N. 9 e 10
SOMMARIO.
Memorie originali. — I. Il pliocene entroalpino di Valsesia, di F. Sacco (con
una Carta geologica). — II. I giacimenti cupriferi dei dintorni di Vagli nelle
Alpi Apuane, di B. Lotti.
Notizie bibliografiche. — Bibliografìa geologica italiana per 1’ anno 1887 ( con-
tinuazione).
Congresso geologico internazionale : Sessione IV a Londra nel settembre 1888.
Relazione del prof. Capellini a S. E. il Ministro di Agricoltura, Industria e
Commercio.
Avviso di pubblicazione della Carta geologica d’Italia.
Tavole ed incisioni. — Tav. V: Carta del pliocene entroalpino di Valsesia
(F. Sacco), a pag. 294.
MEMORIE ORIGINALI
I.
Il Pliocene entroalpino di Valsesia; studio del Dott. Fe-
derico Sacco.
(con una Carta geologica)
Non è relativamente molto lontana l’epoca in cui si riteneva gene-
ralmente dai geologi che in Italia mancasse affatto il Pliocene al piede
delle Alpi. Ma per mezzo delle ricerche specialmente di Sismonda e
Gastaldi in Piemonte, di Stoppani, Taramelli e Parona in Lombardia,
poco a poco si andò scoprendo una numerosa serie d’affioramenti plio-
cenici alle falde delle Alpi centrali; anzi in questa febbre, direi, di
riuscire a mettere a giorno gli sparsi lembi pliocenici subalpini, non
rare volte si considerarono come plioceniche formazioni sabbioso-
marnose bleuastre deposte dai ghiacciai quaternari.
Ma, a parte questi errori parziali, su cui giova sorvolare a scanso
di polemiche inutili anzi dannose, dai sovraccennati studi risultò chiaro
il fatto che al piede delle Alpi viene ad affiorare una vera zona di
18
terreni pliocenici, zona sovente interrotta sia per esser coperta dai depo-
siti quaternari, sia per esser stata erosa dalle correnti acquee del qua-
ternario.
Messo così in chiaro il fatto generale rimaneva a studiarlo nei
particolari, specialmente per conoscere l’età precisa a cui appartene-
vano i depositi pliocenici in questione, giacche credo sia affatto da scar-
tarsi Tipotesi, emessa da alcuni geologi, che parte dei suddetti affiora-
menti terziari debbasi attribuire al Miocene.,
Dagli studi paleontologici istituiti in proposito risultò generalmente
c,he trattasi di depositi appartenenti al Pliocene inferiore o Piacentino
ed è pure a questa conclusione che, per citare gli studi più recenti,
giunse il Parona nel suo Esame comparativo della fauna dei vari
lembi pliocenici lombardi (Rendiconti Ist. Lomb., 1883), come pure
nel suo lavoro su Valsesia e Lago d'Orta.
Ma in verità l’esame accurato non solo paleontologico, ma eziandio
geologico di questa zona pliocenica subalpina mi dimostrò chiarissima-
mente che, almeno in Piemonte, essa è costituita non solo dell’oriz-
zonte inferiore Piacentino , ma eziandio dell’orizzonte superiore Astiano.
I responsi paleontologici dati finora in proposito sono contrari ap-
parentemente al mio modo di vedere, ciò che dipende non solo dall’es-
sere stati i depositi pliocenici superiori più facilmente e quindi più co-
munemente abrasi, ma anche semplicemente dal fatto che sono appunto
solo i banchi piacentini che presentano numerosi e ben conservati fos-
sili, mentre invece i terreni pliocenici superiori o mancano affatto di
fossili o ne presentano solo più allo stato di impronte poco determi-
nabili e che quindi non vengono quasi mai raccolte e studiate.
Quésto fatto dell’esistenza della completa serie pliocenica al piede
delle Alpi mi limito ora ad accennarlo, avendolo trattato in disteso in
due recenti lavori 1 muniti di relative carte geologiche che mettono
in chiaro il sovradetto assai meglio di qualunque descrizione, per quanto
particolareggiata, é fanno vedere come per un tratto estesissimo lungo
le falde delle Alpi centrali esista una fascia pliocenica con tutto l’a-
spetto della famosa regione astigiana.
1 F. SACCO, Il cono di deiezione della Stura di Lanzo (Boll. Soc. Geol.
Ita!., 1888). — Idem, I terreni terziari e quaternari del Biellese. Torino, 1888.
— 279 —
m
Si nota generalmente che questa formazione pliocenica s’ arresta
al piede delle Alpi senza insinuarsi nella regione alpina, anche là dove
esistono vallate largamente aperte, ciò che devesi attribuire in parte
alle correnti quaternarie che distrussero lembi di Pliocene entro-alpino,
ma specialmente al fatto che l’oroidrografìa alpina fu durante il Plio-
cene assai diversa da quella che è ora.
Però alla regola generale sovramenzionata osserviamo esistere
qua e là alcune eccezioni, rappresentateci ad esempio dal lembo
pliocenico di Angera (sul Lago Maggiore) trovato dal Taramelli e da
quello di C. del Vescovo (presso il Lago d’Orta) che rintracciai pochi
anni or sono facendo lo studio geologico del Motterone. 1
Ma l’eccezione più bella e più grandiosa ci è rappresentata dalla
formazione pliocenica che, quantunque fortemente abrasa dalle acque qua-
ternarie e grandemente ridotta quindi rispetto alla sua estensione ori-
ginaria, occupa tuttora una parte assai considerevole della bassa Valsesia.
Di questi terreni pliocenici di Valsesia già si occuparono il Sismonda 2,
il Gastaldi 3, il Calderini 4, lo Spreafìco 5, il Bonardi 6 ed il Parona7.
Malgrado però le numerose osservazioni di tali egregi geologi man-
cava tuttavia una carta geologica ed uno studio alquanto dettagliato
di questa interessantissima regione terziaria la quale, esclusa affatto
l’ipotesi emessa da alcuno che possa in parte attribuirsi al Miocene,
credo si debba non già riferire ad un solo orizzonte del Pliocene, ma
1 M. BAretti e F. SACCO, II Margozzolo (Boll, del Club Alpino Italiano
toI. XVIII, N. 51, 1885).
2 A. Sismonda, Carta geologica di Savoia, Piemonte e Liguria . Torino, 1862.
3 B. Gastaldi, Studi geologici sulle Alpi Occidentali (Mem. R. Com. geol.
ital., voi. I, 1871).
4 P. Calderini, La Geognosia e la Geologia del M. Penerà allo sbocco di
Valsesia (Atti Soc. ital. Se. Nat., voi. XI, 1868).
5 E. Spreafìco, Osservazioni geologiche nei dintorni del lago d’Orta e nella
Valle Sesia (Mem. postume, Atti Soc. ital. Se. Nat., voi. XXIH, 1880).
6 E. Bonardi, Analisi chimica di alcune argille glaciali e plioceniche del-
l’Alta Italia. (Boll. Soc. Geol. ital., 1883).
7 C. F. Parona, Sopra i lembi pliocenici situati fra il bacino del lago di
Orta e la Valsesia (Boll. Soc. Geol. ital., 1882). — Id., Valsesia e Lago d’Orta
(Atti Slc. ital. Se. Nat., voi. XXIX, 1886).
— 280 —
bensì a due ben distinti che sono, come di solito, il Piacentino e
YAstiano , quest’ultimo spesso colla facies fossaniana.
Credo inutile esaminare le formazioni antiche su cui basano i terreni
pliocenici, sia perchè esse hanno un’importanza secondaria rispetto al
presente studio, sia perchè esse furono già ampiamente descritte dai
sovraindicati geologi ; basti accennare in generale come mentre a
Nord di Borgosesia si sviluppano i gneiss ed i graniti , verso Sud in-
vece prendono un assoluto predominio le roccie porfiriehe che soppor-
tano qua e là lembi più o meno ampi di calcare triasico e liasico .
Ciò premesso passiamo senz'altro all’esame delle formazioni plio-
ceniche, cominciando naturalmente dalle più antiche.
Piacentino.
Il Pliocene inferiore o Piacentino , in causa della sua posizione
appare solo qua e là alle falde alpine, così presso Levone, presso San
Martino Canavese, nelle vicinanze di Borgomasino, presso Chiavozza,
nelle famose località fossilifere di Cossato e Masserano, presso Boca
e Maggiora, in diversi punti di Valle Agogna, a Taino pressa Angera,
in Val del Faido, alla Folla di Induno ecc., ecc.; ma in causa appunto
della sua posizione inferiore all’ Astiano e della sua natura marnoso-
argillosa compatta, esso potè conservarsi più facilmente che non il
soprastante orizzonte marnoso-sabbioso Astiano là dove si verificarono
grandi erosioni glaciali o fluviali; questo ci spiega come i lembi plio-
cenici subalpini affioranti in Lombardia siano in gran parte solo pia-
centini.
Fatti consimili esistono in Val sesia. Infatti rimontando attenta-
mente questa valle osservansi talora lembi piacentini , taluni dei quali
anzi veggonsi solo sott’acqua nell’alveo stesso del fiume, come è il
caso presso Vintebbio dove gli strati marnosi pendono leggermente
verso Sud all’incirca.
Nella conca di Piane di Serravalle compaiono le marne sabbiose
piacentine che, coi soliti fossili, si possono esaminare bene specialmente
presso la chiesa di borgata Mazzone.
Lo stesso dicasi per le vicinanze di Serravalle dove il Piacentino'
appare sotto alle alluvioni del Terrazziano.
Ben noto è il lembo piacentino di C. Bianca, presso il ponte sul tor-
rente Sessera, per esser stata descritto e figurato dal Gastaldi nella sua
sovraccennata Memoria; questo placca marnoso-argillosa bleuastra,
inclinata leggermente ad Est, appoggiata direttamente sulle roccie por-
firiche, di cui ingloba qualche frammento, presenta numerosi fossili, di
cui però molti (specialmente grosse bivalvi) sonoridotti a semplici im-
pronte, però ben nette e ben conservate.
I residui di Piacentino che, quantunque in gran parte mascherati
dalle alluvioni e dalla vegetazione, esistono tuttora abbastanza estesi
in Val Sessera presso Vardella, Guardabosone, Crevacuore e Pianceri,
furono già esaminati in un mio precedente lavoro sul terziario del Biel-
lese (V. ante); basterà quindi accennare in proposito come essi siano
riccamente fossiliferi, specialmente nel Croso di Vaipiana, come essi
solievinsi in alcuni punti oltre i 400 m , e che nella parte loro superiore
presentino talora un graduale passaggio &\Y Astiano per mezzo di banchi
sabbiosi giallastri alternati con lenti e straterelli ghiaiosi e sabbiosi
grigio-azzurrognoli, come si può osservare in modo particolarmente
chiaro presso il cimitero di Crevacuore e lungo la strada incassata
che sale da Pianezza a Pianceri.
Ritornando in Valsesia vi dobbiamo constatare come, mentre
manca ora completamente la formazione piacentina sulla destra del
fiume, sviluppatissima invece essa si presenta sulla sinistra tra Bor-
gosesia e Valduggia ed anche per un certo tratto a Nord di Borgosesia,
giacché ne possiamo ad esempio osservare diversi banchi, appoggiati
sul granito decomposto, nelle colline di Pianezza, specialmente presso la
borgata Caggi dove essi sono ricoperti da pochi banchi di Astiano .
L’ orizzonte piacentino ampiamente sviluppato, poggiante diretta-
mente sul granito, sui micaschisti e sul porfido, forma il substratum ,
direi, della collina di Valbusaga, di Plello, di Crabbia inferiore e di
Lebbia inferiore, apparendo al fondo dei burroni e nei tagli artificiali ed
essendo coperto regolarmente ào\Y Astiano a cui fa regolare passaggio.
Quanto alla natura litologica del Piacentino di queste regioni
giova osservare anzitutto che, pur conservandosi in complesso la tinta
azzurrognola caratteristica di questo orizzonte, prendono pure parte
alla sua costituzione numerosi banchi grigio-giallastri, ed inoltre che
coi tipici strati marnoso-argillosi si alternano non soltanto banchi sab-
biosi e ghiaiosi, ma anche estese lenti ciottolose (ad elementi talora
— 282 —
di anche 30 centim. di diametro), come ad esempio si può vedere net
tissimamente sulla destra di Val Introna, quasi di fronte alla Cartiera
Baraggione.
Tale grossolana natura di deposito dipende solo dalla vicinanza
dello sbocco di qualche corrente terrestre in quel tranquillo golfo pia-
centino e d’altronde si osserva pure in altri banchi piacentini subal-
pini, come ad esempio presso Levone, Chiavazza, ecc. È poi notevole
come nella suddetta località di Val Strona nei banchi sabbioso-ciotto-
losi abbondino i soliti fossili piacentini più o meno ben conservati.
Siccome rinclinazione degli strati piacentini della regione in esame,
per quanto leggiera, mostrasi ad un dipresso abbastanza costante verso
il Sud-Sud-Ovest, così verso Nord essi sollevansi sin oltre i 400
e i 420 metri di elevazione.
Ridiscendendo la Valesia dalla parte sinistra trovasi mancare
per lungo tratto il terreno pliocenico a causa della stretta rocciosa di
Bornate-Serravalle, dove esso fu facilmente esportato dalle grandiose
correnti acquee del quaternario. Pare tuttavia che al fondo della valle,
sotto alle alluvioni, esista ancora un velo, direi, di marne argillose
piacentine , poiché oltre ai lembi già constatati di Bornate, Serravalle,
Piane e Vintebbio osservasene anche uno sulla sinistra della valle
nelle vicinanze del Ponte S. Quirico, anche qui colla facies tipica e
colla solita abbondanza di fossili.
Ma a Sud di Ara, allargandosi notevolmente la valle alpina, la for-
mazione pliocenica potè essere in gran parte conservata e si presenta
infatti ampiamente sviluppata nelle colline di Grignasco, Sagliasco e
Baraggiotta, delle quali, come di solito, il Piacentino costituisce la parte
basale essendo solo interrotto dalla diga porfirica di Colle di Mezzo.
Anche in queste regioni 1* orizzonte geologico in esame oltre
che delle tipiche marne azzurre consta di marne e sabbie grigie
e gialle, come possiamo osservare molto bene ad esempio lungo la
strada che sale da Grignasco alla borgata Carola. Il Piacentino è messo
nudo al fondo di quasi tutti i torrentelli che solcano queste regioni
collinose, ma si mostra poi specialmente ben visibile in Valle di Fré
dove esso è profondamente inciso. In nessun punto quivi i banchi pia -
centini raggiungono i 400 metri, in causa dell’esser già alquanto lontani
dalla regione centrale del sollevamento che chiuse l’epoca pliocenica.
A Sud di borgata Baraggiotta manca ogni traccia di Piacentino
sia perchè in parte esportato dalle correnti acquee quaternarie, sia
perchè in parte nascosto dai terreni deposti da tali acque, ma è certo
ad ogni modo che esisteva originariamente una specie di istmo, direi, pia-
centino che collegava le formazioni plioceniche entroalpine di Valsesia
con quelle subalpine che stendonsi ad Est ed Ovest di questa valle.
Riguardo ai fossili che presentano quasi ovunque abbondantemente
le formazioni piacentine di Valsesia io non credo opportuno ora di
trattarne, perchè vari elenchi ne furono già dati dal Parona nei suoi
sovraccennati lavori ed inoltre tali fossili non presentano differenze
notevoli da quelli del Piacentino dell’Alta Italia; giova solo notare che
specialmente fra gli straterelli marnoso-sabbiosi, alternati talora coi
banchi marnoso-argillosi, trovansi soventissimo resti vegetali, sia rami
e strobili lignitizzati od anche piritizzati, sia fìlliti, ciò che d’altronde
si verifica anche in altri giacimenti piacentini del Piemonte.
Astiano.
Come ho già detto innanzi la zona pliocenica subalpina ed entroal-
pina è rappresentata dall’intiera serie stratigrafica per cui presentasi
anche assai sviluppato il Pliocene superiore ben caratterizzato sia lito-
logicamente che paleontologicamente, e riferibile in parte all 'Astiano
tipico ed in parte al Fossaniano.
È presso il paese di Piane di Serravalle che, risalendo la Valsesia
sul lato destro, incominciamo ad incontrare il Pliocene superiore, quivi
conservato contro l’erosione per trovarsi in una specie di profonda conca
rocciosa, e costituito dalle tipiche sabbie gialle dell’Asiano come si
può vedere assai bene salendo dalla parrocchia di Piane alla borgata
Bertola. In tali sabbie, specialmente nei banchi straterellati, si possono
raccogliere, oltre ad impronte di molluschi, numerosissime fìlliti abba-
stanza ben conservate, ciò che anche si osserva nelle sabbie marnose
fogliettate del piccolo lembo astiano che forma quasi una placca sulla
roccia porfìrica presso Gattera.
A Nord di Gattera sino alla Valle Sessera V Astiano venne com-
pletamente abraso dalle correnti acquee del quaternario le quali ab-
biamo visto che quivi rispettarono appena pochi lembi piacentini.
Ma in Val Sessera dove minori e quindi meno distruttrici dovettero
— 284 —
essere le correnti diluviali che non in Valsesia incontriamo importanti
residui di Pliocene superiore rappresentato dalle sabbie gialle di Var-
della, di Guardabosone, di C. Vacchera, di Pianceri, ecc.
Notiamo però subito che i tipici banchi astiarti in queste regioni
osservansi generalmente solo nella parte bassa del Pliocene superiore,
giacché compaiono tosto verso l’alto i letti ghiaiosi e ciottolosi che
inglobo già nel Fossaniano\ anzi a dire il vero notasi in alcuni punti
che i suddetti straterelli ghiaiosi esistono anche nAV Astiano sin quasi
al Piacentino , il che non deve sorprendere dopo ciò che si è osservato
nel Piacentino della bassa valle Strona.
Anche in queste regioni Y Astiano, che passa gradatissimamente al
Piacentino per mezzo di ripetute alternanze di banchi sabbiosi e mar-
nosi giallastri ed azzurrastri, presenta resti fossili di molluschi e di
echinodermi a facies littoranea e per lo più ridotti ora a semplici
impronte; abbondano poi in molti strati i resti finitici.
Nell’osservare la distribuzione del Pliocene in Val Sessera, anche
tenendo conto delle abrasioni fatte dalle acque quaternarie su questo
terreno, nasce la supposizione che l’antica valle pliocenica fosse diversa
dall’attuale, che cioè passasse, direi, per Vardella, Guardabosone, Ci-
mitero di Crevacuore, Crevacuore, S. Rocco, Pianceri, Pray ecc., men-
tre invece la vallata in cui passa ora il torrente Sessera si sarebbe pro-
dotta solo nel quaternario per erosione, forse anche in parte per spacca-
tura, almeno da Fabbrica Cerino-Zegna a Vardella.
Ritornando in Valsesia osserviamo un lembo di Astiano che esiste
tuttora sotto al Diluvium di Pianezza, mentre però la massima parte di
questo terreno, che doveva originariamente spingersi sin quasi al rialzo
granitico di Vanzone, fu abraso appunto da quelle correnti acquee che
deposero il Diluvium.
Ma nella profonda e tranquilla insenatura esistente nella regione
montuosa tra Borgosesia e Valduggia, la formazione astiana ampia-
mente sviluppata potè rimanere in massima parte conservata, costi-
tuendo notevole porzione delle colline di Valbusaga, Plello, Crabbia e
Lebbia.
È notevole come anche in questa regione si ripeta il fenomeno
segnalato poco sopra rispetto alla Val Sessera, cioè che la valle qua-
ternaria ed attuale è diversa da quella pliocenica ed è pure portata più a
Sud. Siccome parrebbe naturale a priori che le correnti acquee quaternarie
avrebbero dovuto scavarsi il loro letto nelle molli formazioni plioceniche
piuttosto che non nelle dure roccie porfìriche, così per spiegare questa
specie di contraddizione, se non si accetta l’ipotesi di una frattura
avvenuta pel potente movimento sismico che chiuse l’epoca pliocenica,
bisogna almeno ammettere che per tale grandioso movimento la re-
gione alpina centrale venne sollevata assai più che non quella peri-
ferica (ciò che già deducemmo dalle varie altezze raggiunte dal Plio-
cene) in modo che le correnti acquee aventi una direzione ad un di-
presso parallela alla catena alpina furono fortemente respinte contro il
loro fianco meridionale e quindi durante l’epoca quaternaria incisero il
loro alveo a Sud di quello pliocenico.
Nelle colline plioceniche ora in esame Y Astiano è abbastanza
tipico, molto simile a quello indicato presso Piane di Serravalle, spesso
costituito di marne sabbiose gialle, compatte, fissili, straordinariamente
ricche in bellissime filliti \ L’intiera formazione pende in complesso
verso il Sud-Sud-Ovest, ma di solo pochi gradi.
Sovente V Astiano forma la parte superiore delle colline a cui dà
una particolare configurazione pianeggiante; talora invece termina con
banchi inglobanti lenti e straterelli ghiaioso-ciottolosi che si possono
già riferire al Fossaniano (ricoperto o no a sua volta dal Diluvium
sahariano ), quantunque si verifichi anche quivi il fatto già accennato
altrove, che cioè lenti di ghiaie e ciottoli incontransi eziandio qua e
là nel vero Astiano , anche verso la sua base; d’altro lato soventi si
incontrano ancora yìq\Y Astiano letti marnosi bleuastri affatto simili a
quelli piacentini , ciò che ci prova sempre più quanto sia graduale il
passaggio fra questi vari orizzonti geologici.
Notiamo ancora rispetto alla regione collinosa in esame che i
supremi banchi astiani si spingono talora sin oltre i 500 m-, talora
anzi raggiungendo i 525 m- come osservasi presso i casolari Forcola
sopra Plello. E certamente questo un fatto interessante che ci porge
un dato sicuro per giudicare dell’intensità del sollevamento postplio-
1 Alcune delle filliti plioceniche di Valsesia studiate dal Sordelli furono pub-
blicate dal Parona nel suo sovraccennato lavoro su « Valsesia e Lago d’Orta ».
- 286
cenico verificatosi in queste regioni alpine, come d’altronde, con vario
grado, in quasi tutta la catena delle Alpi.
Per prendersi un’idea chiara e complessiva dell’intiero bacino
pliocenico Borgosesia-Valduggia è consigliabile di salire al M. Fenera
che, oltre agli interessantissimi fenomeni che presenta lungo i suoi
fianchi riguardo ai terreni triasici \ e basici, ed oltre alla stupenda
vista che offre dalla sua cima, permette anche di abbracciare in
un tratto solo l’intiera formazione terziaria sovraccennata in modo
che, sostituendo coll’immaginazione all’attuale deposito marino l’ele-
mento in cui esso si è formato, riesce facile il raffigurarsi l’antico
fyord pliocenico, foggiato a zampa d’oca, che, collegandosi a Sud col
grande golfo padano per mezzo dello stretto canale di Serravalle,
spingevasi verso Est sino a Valduggia, verso Nord sino al rialzo gra-
nitico di Vanzone, mentre insinuavasi verso Ovest sin oltre Guarda-
bosone e Pray.
A Sud della stretta di Serravalle, dove l’erosione acquea eliminò
ogni traccia di Astiano , ritroviamo questo terreno ampiamente svilup-
pato sopra alla già descritta formazione -piacentina di Grignasco-Ba-
raggiotta. Si tratta però solo delle solite sabbie gialle, più o meno
commiste a strati ghiaiosi, in complesso poco ricche in resti fossili
ridotti quasi sempre a semplici impronte.
Questa formazione astiana , sollevatesi al più sino ai 430 m-, leg-
germente inclinata a Sud circa, per la erosione dei torrentelli discen-
denti dal gruppo montuoso di M. Lovagone fu ora ridotta ad una serie
di placche più o meno strette e sottili; anzi si può vedere che verso Sud,
come nelle colline di Baraggiotta, vi si dovette anche verificare una
certa erosione per opera della fiumana sahariana di Valsesia che vi
lasciò come residuo sparsi lembi di Diluvium. D’altronde è da rite-
nersi che sulla fine dell’epoca pliocenica tutta la bassa Valsesia fosse
occupata da un velo abbastanza potente di Astiano che venne spaz-
zato via dalle grandiose correnti quaternarie.
1 Noto incidentalmente la presenza di un lembo di calcare dolomitico triasico
presso Valduggia ^ìlla destra di Val Strona, poiché non lo trovai accennato finora
da altri.
Ad ogni modo, dall'esame dei terreni astiarli tuttora esistenti in
Valsesia e dal paragone coi terreni piacentini possiamo concludere
che quivi durante l’epoca pliocenica non si dovettero verificare grandi
mutamenti eccetto che un graduale riempimento della conca marina,
per mezzo dei depositi che vi si andavano formando, ciò che s’accorda
con quello che ricavasi anche in generale dall’osservazione delle altre
regioni plioceniche del Piemonte.
Fossaniano.
Tenendo conto della speciale posizione entroalpina del Pliocene
di Valsesia, e dal fatto che quivi il Piacentino è qua e là rappresen-
tato parzialmente da letti ghiaioso-ciottolosi, parrebbe a priori che la
porzione superiore del Pliocene dovrebbe essere in massima parte
rappresentata dai depositi d’ indole littoraneo-deltoide che costituiscono
il Fossaniano *, come si osserva nella massima parte delle forma-
zioni superiori del Pliocene subalpino.
Ma in verità le cose stanno alquanto diversamente, giacché per
quanto il Fossaniano sia abbastanza rappresentato in Valsesia, è però
specialmente Y Astiano tipico che, come si è sopra osservato, costi-
tuisce quasi ovunque il Pliocene superiore.
Infatti alle Piane di Serravalle e nelle alture Grignasco-Baraggiotta
se incontrasi qualche straterello ghiaioso fra le sabbie o qualche
banco di argille a tinte variegate che indicano un deposito litoraneo
o maremmano, in complesso predomina la tipica facies astiana.
Però in Val Sessera il Pliocene superiore assume in massima
parte una facies fossaniana assai spiccata; possiamo osservare ciò mi-
nutamente nella placca pliocenica di Guardabosone poiché quivi la parte
superiore è costituita essenzialmente di un grosso banco conglomera-
tico, abbastanza fortemente cementato, inclinato leggermente a Sud
circa, di color giallastro, ad elementi di grossezza anche assai note-
vole (talora alquanto brecciosi), come si può osservare nettissimamente
presso la Cappella Lupia. Questo potente banco che chiude la serie
1 F. SACCO, Le Fossanien, nouvel étage da Pliocène d' Italie (Bull. Soc. gèol. de
France, 3e serie, tome XV, 1886).
— 288 —
stratigrafica del Pliocene ci rappresenta un vero deposito deltoide for-
matosi tumultuosamente verso la fine dell’epoca pliocenica e che si
deve ascrivere assolutamente al Fossaniano.
Fenomeni simili osservansi pure nelle colline plioceniche di Pian-
ceri, solo che i banchi ghiaiosi e ciottolosi sono generalmente meno
cementati che non quello ora accennato di Guardabosone, ed inoltre
ad elementi per lo più meno grossolani, e ripetutamente alternati con
banchi sabbiosi e marnosi giallastri o giallo-rossicci, talora fìllitiferi.
Si può quindi dire che nelle colline di Pianceri il Pliocene supe-
riore assume in massima parte quella facies fossaniana che è tanto
sviluppata nei depositi subalpini del Piemonte. L'osservazione di questi
fatti è resa facile dai tagli artificiali in cui sono incassate le strade che
salgono a Pianceri, sia da Pianezza, sia direttamente da Val Sessera
presso Fabbrica Cerino-Zegna.
Notiamo infine rispetto al Fossaniano di Pianceri come esso si
sollevi sino ai 520 metri, elevazione che corrisponde quasi perfetta-
mente a quella già notata per V Astiano di Plello e ci prova sempre
più la possanza del sollevamento postpliocenico verificatosi nelle re-
gioni alpine.
Quanto al Pliocene superiore delle colline Borgosesia-Valduggia,
dobbiamo anche notare come, specialmente in quelle di Valbusaga e
di Plello, i banchi superiori inglobino sovente degli strati ciottolosi
che si possono riferire al Fossaniano , il quale serve anzi quasi di pas-
saggio ai depositi sahariani costituenti la parte superiore dei suddetti
colli di Valbusaga, tanto che là dove non esistono tagli un po’ profondi
riesce talora difficile distinguere nettamente i banchi ciottolosi plio-
cenici da quelli sahariani.
Bellissimi esempi di depositi fossaniani possonsi osservare presso
Cadegatti, presso C. Orello, mentre manca generalmente questa facies
verso Valduggia ciò che ci prova sia la deposizione quivi relativamente
tranquilla delle formazioni plioceniche superiori, sia la libera comuni-
cazione che dovette esistere sino alla fine dell’epoca pliocenica tra
il fyord di Valsesia ed il grande golfo padano.
Sahariano.
I depositi che si formarono in Valsesia durante il primo periodo
dell’era quaternaria, cioè durante il Sahariano furono assai ampi e
potenti; ma aneli’ essi, come i terreni pliocenici, ebbero a subire un
tale lavacro ed una così potente erosione per causa delle acque del
seguente periodo ierrazziano, che sono ora ridotti a lembi sparsi e
poco ampi, i quali ci servono però molto bene a delineare 1* antico
corso delle acque sahariane.
Le formazioni sahariane della regione in esame furono in mas-
sima parte deposte dalle correnti acquee (Diluvium) e solo in piccola
parte dalle correnti glaciali ( morene ); esaminiamole successivamente.
Diluvium. — I depositi più settentrionali di Diluvium sahariano della
Valsesia costituiscono l’altipiano di Pianezza, poggiando direttamente
sulle roccie granitiche decomposte in sommo grado oppure in parte
anche sulle sabbie astiane ; essi sono rappresentati da ammassi ciot
tolosi inglobati più o meno irregolarmente in depositi sabbioso-terrosi
rossastri che costituiscono poi anche da soli dei potenti veli di vero
loess diluvio-glaciale.
Verso la loro base i banchi sahariani danno origine a copiose
sorgenti acquee che si possono osservare specialmente lungo il tor-
rentello che discende da Pianezza a Borgosesia.
Gli elementi ciottolosi di questo Diluvium sono spesso di volume
assai considerevole ciò che è in diretto rapporto col fatto che il depo-
sito in questione forma graduale passaggio verso Nord al terreno mo-
renico che costituisce le colline di Castiglia.
L’altimetria del Diluvium di Pianezza ci prova come V erosione
compiuta dalle acque del T errazziano in questo punto di Valsesia sia
nei terpeni diluviali sia nei terreni rocciosi, in massima parte grani-
tici, fu di circa 100 metri.
Sull’alto delle colline di Valbusaga osservasi pure un’ ampio depo-
sito di Diluvium che era originariamente collegato con quello di Pia-
nezza, ma che per le erosioni del Terrazziano fu ora ridotta ad una
placca irregolarissima, talora abbastanza potente, costituita, oltre che
dai banchi ciottolosi e sabbioso-ciottolosi, da un notevole velo di loess
rossastro come osservasi molto bene nelle vicinanze di borgata Val-
busaga.
La grande corrente diluviale di Valsesia non si espanse molto
verso Est, giacché non troviamo più traccie notevoli di Diluvium nel-
l’alto delle colline di Plello.
Invece ridiscendendo la Valsesia incontriamo nuovamente traccie
diluviali in forma di placche poggiate direttamente sulla roccia porfì-
rica o calcarea, come osservasi sugli altipiani delle tre borgate Fenera,
altipiani formati non solo dalle deposizioni del Diluvium , ma anche
dalla erosione che dovettero esercitare le correnti acquee sul principio
del Sahariano ; essi ci segnano cioè l’antico alveo della fiumana Sesia.
Più a valle si osserva che sulla destra della Sesia il Diluvium
venne quasi completamente spazzato via dalle correnti acquee terraz-
ziane per la loro tendenza a portarsi verso Ovest, tendenza che in com-
plesso presenta anche l’attuale corso del fiume. Si conservarono perciò
quivi soltanto piccoli lembi sahariani rappresentati essenzialmente da
Icess , sotto cui stanno talora banchi ciottolosi, come osservasi, per
esempio, sull’altipiano di C. Piano Cordova.
Quest’ultimo deposito, formato in parte dalle deiezioni di Val Mora,
colla sua elevazione sul fondo della valle ci indica come l’incisione
prodotta dalle acque durante il Terrazziano fu quivi molto meno pro-
fonda, cioè di soli 50 metri, che non più a monte dove costatammo
un’erosione di circa 100 metri.
D’altronde se si proseguisse l’esame del Diluvium ancor più a
Sud si potrebbe constatare, tanto per la Sesia come in generale per
le altre correnti acquee, che la profondità dell’ alveo scavato durante
il periodo terrazziano va continuamente e gradatamente diminuendo
finché il piano dell’alveo quasi si confonde colla pianura circostante
ed anzi talvolta l’alveo si trova portato ad un livello più alto che la
regione pianeggiante che attraversa.
Sulla sinistra della Valsesia i depositi diluviali del Sahariano
furono in gran parte rispettati dalle correnti acquee terrazziane che si
gettarono invece specialmente sul lato destro della valle. Incominciamo
quindi ad incontrare sottili banchi di Diluvium sull’alto delle colline
plioceniche di Baraggiotta. Tali banchi sono talora appena rappresentati
da qualche ciottolo sparso sulla sabbia astiana e quindi scompariranno
— 291. —
presto ; altri constano di qualche lente ciottolosa inglobata o coperta
da loess rossastro. Ma poco più a valle, cioè a Sud dello sprone porfi-
rico di Cresta del Guercio, la formazione diluviale si sviluppa ampia-
mente e diviene potentissima, cioè dello spessore di oltre 40 o 50 me-
tri, costituendo il grandioso altipiano sahariano o barraggia che dalle
vicinanze di Cavallirio, di Boca e di Maggiora si estende ampiamente
a Sud verso il c,entro della valle padana.
Questo potentissimo Diluvium sahariano di una tinta complessiva
giallo-rossiccia è rappresentato da una serie di banchi ciottolosi, ad
elementi abbastanza grossolani e più o meno decomposti, alternati
ripetutamente con banchi ghiaiosi, sabbiosi ed anche talora marnoso-ter-
rosi; nella sua parte superiore questo Diluvium , che rappresenta per-
fettamente il ferretto dei geologi lombardi, è quasi ovunque coperto
da un velo più o meno potente di loess argilloso, rossastro, soventi
utilizzato per fabbrica di laterizi.
La costituzione di questo Diluvium si può osservare minutamente
in diversi profondissimi burroni che lo incidono per lunghi tratti, così
ad esempio nel Rio Campatone nella cui parte più bassa vediamo apparire
diversi banchi sabbiosi giallastri che ricordano quelli del Fossaniano.
È curioso poi osservare come nelle colline di Cresta del Guercio
la roccia porfirica è così profondamente decomposta che non riesce
sempre facile il distinguerla dal loess rossastro sahariano ; d’altronde
quivi questo deriva in gran parte direttamente da quella.
Terreno morenico. — Nella regione della bassa Valsesia che ci
occupa nel presente studio, non troviamo molto sviluppati i depositi
morenici, ma essi sono però assai importanti poiché rappresentano a
mio parere l’apparato morenico frontale del ghiacciaio di Valsesia, e
quindi servono molto bene a delimitare lo sviluppo massimo raggiunto
da tale ghiacciaio durante il Sahariano.
Già trattando del Diluvium di Pianezza si è detto come vi appa-
rissero qua e là verso la sua superficie grossi ciottoloni del diametro
talora anche di 1 metro, ciò che già ci indica la vicinanza dello sbocco
di un antico ghiacciaio. Infatti avanzandoci da Pianezza verso Nord
vediamo come tosto il terreno diviene fortemente ondulato e si innalza
rapidamente a formare vere colline che si riconoscono facilmente per
tipiche colline moreniche.
— 292 —
Tali colline nella parte meridionale sono essenzialmente costituite
di potente Icess rossastro, quale appunto si incontra quasi sempre al
margine esterno degli anfiteatri morenici e negli altri casi di passaggio
graduale tra le regioni moreniche e le regioni diluviali. Ma tosto poi
compaiono verso Castiglia i grossi ciottoloni glaciali che divengono
sempre più abbondanti e caratteristici nelle vicinanze di Castiglia di
sotto e di Castiglia di sopra sino a Vanzone; abbiamo cioè qui un
tipico ed abbastanza potente deposito morenico che credo si possa
considerare come un residuo dell’apparato morenico frontale del ghiac-
ciaio di Valsesia. Questo deposito glaciale fu formato durante il -periodo
degli anfiteatri morenici e venne sbrecciato ed eroso potentemente in
seguito per l’azione delle correnti acquee terrazziane che lo ridussero
ad una placca allungata quale osserviamo attualmente.
Notiamo che anche in questo caso come ovunque in generale, la
formazione morenica pur collegandosi ed intrecciandosi abbastanza
regolarmente con quella diluviale, si sovrappone ad essa; ciò ci prova
sempre più chiaramente che la massima parte del tipico Diluvium
si formò nella prima metà dell’epoca glaciale, quando cioè i ghiacciai
rapidamente si avanzavano verso lo sbocco delle vallate alpine ma
non erano ancora giunti al massimo loro sviluppo, durante il quale
depositarono i tipici anfiteatri morenici .
Oltre alla morena frontale di Castiglia esistono ancora nella re-
gione in esame alcuni residui di terreno glaciale più o meno com-
misto a depositi alluvio-brecciosi su ambi i fianchi della valle come
sui declivi di Bastia, di Foresto e di Calco di Mezzo; essi servono
ad indicarci l’alveo dell’antica corrente diluvio-glaciale del periodo
sahariano e quindi anche a precisarci la profondità della erosione
verificatasi durante il periodo terrazziano.
Terrazzano.
Comprendo con questo appellativo 1 i depositi alluvionali formatisi
durante il periodo delle terrazze che tenne dietro immediatamente al
1 F. Sacco, Sulla costituzione geologica degli altipiani isolati di Fossano ,
Salmour e Banale (Atti R. Accademia d’Agricoltura di Torino, voi. XXIX, 1886).
— 293 —
r
periodo sahariano e col quale si collega perfettamente per transizione
spesso graduatissima.
Nella parte di Valsesia esaminata in questo lavoro non esistono
generalmente i più antichi depositi terrazziamo quelli che nello studio
sovraccennato che feci sul biellese indicai col nome di Terrazziano I,
poiché in questa prima fase del periodo terrazziano le correnti acquee
furono ancora tanto grandiose e tanto impetuose entro la valle alpina
da erodere quivi senza quasi depositare.
Invece numerosi sono i resti di alluvioni terrazzate della seconda
fase del Terrazziano , includibile cioè nel Terrazziano II; tali alluvioni
sono soventi dello spessore di 4 o 5 metri, ad elementi talora volumino-
sissimi, specialmente verso Borgosesia, sia perchè trattasi di regione
più a monte, sia perchè questi materiali grossolani derivano in parte
dal lavacro dei depositi diluvio-glaciali. Per lo più esiste anche sopra
ai depositi ciottolosi e ciottoloso-sabbiosi un velo di loess , generalmente
però piuttosto sottile, quantunque talora raggiunga anche lo spessore
di due o tre metri, nel qual caso viene sovente utilizzato per fabbrica
di laterizi.
Fra le più antiche alluvioni del Terrazziano II notiamo quelle del
piano di Agnona-borgata Cascine, di fronte a Borgosesia, quelle del
piano di Bornate-Serravalle-Mazzone, e quelle del piano di Grignasco-
Prato Sesia che collegansi poi quivi a valle^colle pianure di Gattinara-
Lenta ecc., e di Romagnasco-Ghemme, ecc.
Sono invece alquanto più recenti, come si può dedurre dalla loro
altimetria, i piani di Borgosesia, di Crevacuore, di C. Giarda ecc.,
finché per mezzo di piccole terrazze ancor più recenti si passa alle
alluvioni attuali.
A dire il vero distinzioni nette fra questi vari depositi non si pos-
sono sempre fare, nè è sempre logico il farle, sia perchè questi piani
terrazzati, riguardo all’epoca della loro formazione, si col legano spesso
graduatamente gli uni cogli altri, in particolar modo tra un lato e l’altro
della vallata, sia perchè trattasi talora solo di fenomeni locali e senza
grande importanza intrinseca. E perciò che tanto nella presente de-
scrizione come nell’unita carta geologica ho creduto di non discendere
a minuti particolari sul Terrazziano e di indicarne solo i caratteri e
le distinzioni principali.
19
294 —
Conclusioni.
Riassumendo i fatti esposti nel presente lavoro possiamo trarne
le seguenti conclusioni più importanti :
1. Durante l’epoca pliocenica il mare penetrò per molti chilometri a
guisa di fyord tripartito entro laValsesia, sino a Pray, Isolella e Valduggia;
2. Il Pliocene di Valsesia è di carattere unicamente marino ed è
rappresentato da tutti i suoi tipici orizzonti, cioè Piacentino , Astiano
e Fossaniano ;
3. Il Piacentino , quasi sempre riccamente fossilifero, sollevato
talora ad oltre 400 m., è per lo più costituito dalle tipiche marne o
sabbie azzurre, che però talora sono interrotte da strati giallastri e
lenti ghiaiose ed anche ciottolose;
4. Li Astiano è quasi sempre rappresentato dalle solite sabbie
gialle, talora alquanto ghiaiose, spesso straterellate e ricchissime in
belle fìlliti ; si solleva in alcuni punti oltre i 500 m.
5. Il Fossaniano costituito da un’alternanza di banchi ghiaiosi j
e ciottolosi con banchi sabbioso-marnosi, spinti talvolta oltre i 500 m.,
rappresenta un deposito deltoide-littoraneo che si mostra però solo
sviluppato in alcuni punti di Valsesia;
6. * Il sollevamento post-pliocenico fu più intenso verso Tinterno
(oltre 500 metri) che verso la periferia della regione alpina. Esso
cagionò notevoli cangiamenti nella oro-idrografia alpina;
7. Il Diluvium sahariano , piuttosto sottile entro la Valsesia, di-
venta di tratto potentissimo allo sbocco della vallata alpina;
8. Il ghiacciaio di Valsesia si spinse sino ad 1 chilometro a
monte di Borgosesia costruendo la morena di Castiglia sul Diluvium (
poco prima deposto ;
9. L'erosione verificatasi nella bassa Valsesia durante il Ter -
razziano per opera delle correnti acquee sui terreni sahariani , pliocenici
e primari , fu di circa 100 m. verso monte e di 50 m. ad un dipresso
verso valle;
10. Nella bassa Valsesia solo nella seconda fase del periodo
terrazziano si cominciarono generalmente a deporre alluvioni e si pote-
rono costituire i piani terrazzati che continuarono a formarsi più o
meno regolarmente sino al giorno d’oggi.
no/./.. ///:/. //. com. r;/w.. //'/tazza
295 —
IL
1 giacimenti cupriferi dei dintorni di Vagli nelle Alpi
Apuane; nota dell’Ing. B. Lotti.
Allorquando dovetti percorrere la regione della Tambura, forse la
più inospite e desolata del gruppo montuoso apuano, allo scopo di
districarne le complicatissime condizioni tettoniche, 1 fui ben fortunato
di potere approfittare ripetutamente della gentile ospitalità dell’egregio
signor maggiore P. Stella, dal quale, praticissimo dei luoghi ed intel-
ligente di cose minerarie, fui altresì validamente coadiuvato nello studio
dei numerosi filoni cupriferi di quella località; chè altrimenti sarebbe
stato difficilissimo, per non dire impossibile, imbattersi nei vari affio-
ramenti metalliferi, seguirne l’andamento ed apprezzarne il valore scien-
tifico ed industriale. Potei farmi in tal guisa un’ idea chiara delle con-
dizioni di giacitura di quei minerali; condizioni le quali, colla semplice
ispezione dei vari affioramenti e dei pochi lavori di ricerca ivi eseguiti,
sarebbero rimaste inesplicate, se allo studio dei giacimenti stessi non
si fosse collegato il rilevamento geologico in grande scala delle for-
mazioni che li racchiudono.
È appunto questo studio geologico, unitamente all’esame accurato
dei vari filoni che oggi, dopo ulteriori revisioni dei luoghi, mi pone in
grado di esporre brevemente le mie osservazioni e l’opinione che mi
sono formato sulla origine e sulla importanza industriale di tali gia-
citure metallifere.
I minerali cupriferi di questa regione sono intimamente asso-
ciati alla formazione scistosa immediatamente sovrapposta ai marmi
apuani e riferibile alla parte superiore del sistema triasico. Essa
consta di arenarie prevalentemente scistose, di scisti e calcescisti ar-
1 II rilevamento geologico nella scala di 1/25 000, ormai compiuto fino dal
1881 dallo scrivente e dall’ingegnere Zaccagna, coudiuvati dall’ aiut. P. Fossen,
sarà reso di pubblica ragione entro il prossimo anno.
— 296 —
desiaci verdi e violetti e di strati diasprini di solito colorati in ro-
seo. 1 La pirite e la calcopirite sono disseminate in minime particelle
nello scisto ardesiaco o sono concentrate in fìloncelli e vene, a ma-
trice di quarzo, o più raramente di calcite, che ordinariamente tagliano
gli strati scistosi. In quest’ultimo caso il minerale di rame vi si trova
anche allo stato di erubescite compatta, in forma di venule e di mas-
serelle amigdaloidi.
Dal rilevamento geologico sopra accennato risultò che le forma-
zioni di cui sono costituite le Alpi Apuane, si presentano sconvolte e
ripiegate nel modo più bizzarro, invertendo spesso la loro originaria
posizione relativa. Io esposi già altrove la sintesi dei numerosi dislo-
camenti osservati, in una sezione geologica traversale dell’ intiero
gruppo montuoso, 2 dalla quale risultava che la formazione scistosa
della valle d’Arnetola, dove appunto si hanno i vari affioramenti
cupriferi, era conformata a ventaglio rovescio. Abbenchè tale disloca-
mento sia quivi meno pronunziato di quello corrispondente della valle
d’Arni, dove la doppia piega calcarea che lo racchiude acquista il
suo massimo sviluppo, pure è manifesta la sottoposizione degli scisti
alla formazione marmorea da ambedue i lati della valle, come è altresì
manifesto che essi scisti non si approfondano indefinitamente sotto le
masse calcaree laterali del M. Tambura e del M. Croce, come si sa-
rebbe portati a credere qualora si ritenessero normali i rapporti di
posizione, ma, ripiegandosi a fondo di battello, ricuoprono con spes-
sore non grande la sottostante massa marmorea, come si osserva di-
fatti presso lo sbocco della valle d’Arnetola verso Vagli di Sopra.
Nei calcari marmorei non penetrano mai i filoni cupriferi che*
come fu detto, sono intimamente collegati alla formazione scistosa
e questo fatto porta intanto ad escludere la convenienza di lavori di
esplorazioni minerarie in tutta la valle d’ Arnetola, dove appunto tali
1 In una prima sezione di questi diaspri il prof. Pantanelli osservò un im-
pasto di forme organiche della grandezza delle radiolarie e delle orbuline. In altri
preparati potè constatare la presenza di radiolarie riferibili ai generi Etmospliaera,
Lithocampium, Rophalastrum.
2 B. Lotti, La doppia piega d'Arni e la sezione trasversale delle Alpi-
Apuane (Boll. Com. geol., 1881).
— 297 —
esplorazioni furono eseguite di preferenza, come era naturale prima
che fosse stato messo in evidenza il fenomeno stratigrafico suaccen-
nato, poiché gli scisti coi filoni metalliferi associati sembravano ap-
profondarsi sotto i monti laterali e non sarebbe stato possibile, visi-
tando la sola valle d’Arnetola, avvertire un fatto che unicamente da
un rilevamento geologico dettagliato poteva esser messo in rilievo.
La formazione scistosa d’Arnetola risale il versante occidentale
del M. Croce, rivestendone in parte l’ossatura marmorea, e scende poi
nel versante opposto ove forma le pendici di Bascugliani e del Fa-
niello fino a Vagli di Sotto. I filoni metalliferi, seguendo 1’ andamento
della formazione che li racchiude, non mancano di ricomparire in vari
punti di quel versante al Faniello, a Nocchia, a Bascugliani e nel Rio
del Cuore.
Una breve descrizione dei principali fra questi filoni cupriferi ba-
sterà a farne conoscere il carattere e l’importanza.
I filoni d’Arnetola sono tutti a matrice quarzosa, hanno uno spes-
sore variabile, che supera raramente i 20 centimetri, ed attraversano in
vari sensi gli scisti ardesiaci e silicei. Presso S. Viano queste roccie
sono ricoperte per estesi tratti di carbonato di rame abbandonato dalle
acque d’infiltrazione. Quivi non si osservano filoni o vene metallifere,
ma lo scisto mostrasi impregnato di minute particelle di calcopirite.
L’affioramento del Faniello, situato a 1261 metri sul livello del mare,
attraversa una formazione di scisti arenaceo-argillosi, i cui strati hanno
la direzione di N. 40° O. e l’inclinazione di 15° verso N.E. La direzione
del filone è invece di N. 45° E., cioè quasi normale a quella degli strati,
e l’ inclinazione 85° verso N.O alla superficie. Circa 4 metri sotto l’af-
fioramento, nell’interno delle escavazioni esistenti, l’inclinazione cam-
bia bruscamente, divenendo di 45°. Il filone è a matrice di calcite, nella
quale sta disseminata la calcopirite, e il suo spessore oscilla fra 15
e 40 centimetri. Tutto intorno si osservano fitte vene di quarzo con
-pirite e lamelle d’oligisto. Presso la sommità del monte, dal lato di
Bascugliani, gli scisti sono dia'sprini, fortemente contorti ed impre-
gnati di pirite e calcopirite.
II giacimento di Nocchia consta di un insieme di vene e filoncelli
nella maggior parte quarzosi, raramente spatici, con calcopirite e man-
dorle di erubescite. La vena principale, di circa 20 centimetri di spes-
— 298 —
sore, ha direzione N. 46° 0, e inclinazione irregolarmente variabile verso
S.O. La formazione che li racchiude è uno scisto verde argilloso as-
sociato a calcescisti, i quali sembrano avere schiacciato in vari punti
la massa plastica scistosa delle vene rendendone così quanto mai ir-
regolare r andamento.
Il filone di Bascugliani è della stessa natura di quello di Nocchia
e s’ incrocia con questo, avendo direzione N. 80° E. ed inclinazione forte
verso N.O. Anch’esso è irregolare e viene compresso e dislocato dalle
roccie calcaree più dure circostanti.
Gli scisti violetti della regione compresa fra Bascugliani e il Fa-
niello racchiudono frequenti vene di quarzo con oligisto lamellare.
Sulla pendice sinistra del Rio del Cuore si hanno due affioramenti
principali. Il più alto va da N.O a S.E e inclina verso N.E. E costi-
tuito, come al solito, di vene di quarzo con calcopirite e mandorle di
7 a 8 centimetri di erubescite, entro a scisti verdi argillosi. Gli scisti
violetti associati ai verdi racchiudono invece vene di oligisto. Questo
complesso di vene metallifere ha lo stesso andamento del filone di
Nocchia, però inclina in verso opposto.
Un altro affioramento più basso, presso Poggio a Moriano tro-
vasi, come il precedente, negli scisti ardesiaci verdi sottostanti a quelli
violetti ed ha la stessa direzione e inclinazione poco diversa. Gli scisti
violetti offrono, come sempre, vene di oligisto.
Oltreché nelle località prese in esame, compariscono minerali cu-
priferi quasi dappertutto nelle Alpi Apuane non che nel M. Pisano e
nella Montagnola Senese, sempre associati agli scisti del Trias supe-
riore. Nelle Alpi Apuane se ne hanno presso Corfìgliano, nello Staz-
zemese ed in Arni. In quest’ultima località gli scisti sono alquanto
alterati per metamorfismo regionale e fanno passaggio a quelli de-
cisamente cristallini del versante occidentale. Sono scisti micacei
lucenti verdi e violetti impregnati di carbonato di rame e percorsi
da venuzze di quarzo con calcopirite. Presso il passo di Sella e per
la via di Fatonero vi furono praticati infruttuosamente dei saggi. Nel
Monte Pisano, presso le Mulina, gli scisti ardesiaci e i calcescisti
triasici, che vi compariscono in una piega ribaltata con scorrimento
verso Paltò, 1 presentano in vari punti rifioriture di carbonato di rame
1 B. Lotti, Un problema stratigrafico nel M. Pisano (Boll. Com. geol , 1888).
— 299 —
che accennano alla presenza di solfuri di questo metallo. Lo stesso
verificasi nella Montagnola Senese presso Marmoraia.
Efflorescenze cuprifere ed anche particelle di calcopirite le ho pure
osservate in certi scisti policromi associati al nummulitico nell’Eocene
dell’Appennino presso Prato Fiorito in Val di Lima ed è sorprendente
l’analogia litologica di tali scisti con quelli triasici di cui ò parola.
Dall’ insieme dei fatti esposti mi è parso di dover concludere che
questi giacimenti cupriferi delle Alpi Apuane sono intimamente colle-
gate alla roccia che li racchiude. Dalle minute particelle cuprifere in
essa diffuse si passa a piccole concentrazioni venuliformi e quindi a
filoncelli ben caratterizzati. Non vi ha dubbio pertanto che tali filoni
siano da ritenersi quali secrezioni laterali degli scisti che li rac-
chiudono.
I minerali di ferro e di rame disseminati nella roccia in minute
particelle debbono riguardarsi come originari e di formazione contem-
poranea a quella della roccia che li racchiude. Le vene ed i filoni in-
vece sono posteriori e la loro formazione risalirà probabilmente al
principio del corrugamento del gruppo apuano.
— 300 -
NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE
BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA PER L’ANNO 1887.
( Continuazione , v. fase. 7-8 )
A. Issel. — La nuooa Carta geologica delle Riviere liguri e delle
Alpi Marittime (Boll. Soc. Geol. VI, 3). — Roma.
Ad illustrazione della Carta suindicata l’autore, passando in rivista i terreni
sulla medesima rappresentati rettifica in qualche punto il lavoro, ne aumenta i
dettagli e ne sviluppa i criteri direttivi. Fa poi rilevare la novità ed originalità
del lavoro, citando a tal proposito: il collocamento nel permiano e nel trias
della zona cristallina, estesa dai gruppi del Clapier e del Besimauda fino al lito-
rale del Finalese e del Savonese ; la delimitazione dei bacini carboniferi delle
Bormide e dell’ Alpi marittime ; il riferimento delle serpentine a tre diversi periodi
(eocene, trias e precarbonifero) e delle masse del Finalese all’ Elveziano.
Segue un prospetto cronologico dei terreni della Liguria ed in parte di quelli
dell’ Alpi marittime, con indicazione altresì della natura e distribuzione delle rispet-
tive formazioni e dei fossili caratteristici.
Jatta A. — Appunti sulla geologia e paletnologia della provincia
di Bari. (Rassegna Pugliese di scienze, lettere ed arti, Anno 1°
e 2°). — Trani.
Esposta l’orografìa e l’idrografìa del Barese, con speciale riferimento altresì
ai presenti rapporti tra l’Appennino e la catena delle Murgie, ed alla probabilità
di ricchi depositi di acqua potabile nel sottosuolo, 1’ autore descrive partitamente
le roccie componenti i terreni geologici della provincia e poscia quest’ ultimi, sia
dal punto di loro distribuzione che da quello dei loro caratteri stratigrafìci e paleon-
tologici. Numerose liste di fossili raccoltivi accompagnano le descrizioni. Alle modi-
ficazioni tettoniche del suolo avvenute in conseguenza del succedersi delle varie epo-
— 301 —
che geologiche è rivolta speciale attenzione ; cosi all’ hiatus esistente nel Barese
tra le formazioni del periodo secondario e quelle del terziario, e parimenti ai de-
positi d’ocra rossa nel calcare cretaceo, 1’ origine idrotermale dei quali viene avva-
lorata con parecchi argomenti.
La seconda parte di questo lavoro è dedicata alla paletnologia. Esposti i
caratteri generali degli avanzi preistorici del Barese, descrive le grotte abitate'
dall’ uomo preistorico e specialmente quella del Pulo di Molfetta con gli oggetti
ivi rinvenuti. Circa alle stazioni preistoriche dell’uomo fuori delle grotte, osserva
che indizii sicuri non ne furono ancora trovati nella provincia di Bari.
Da quindi un elenco delle località più rinomate per il rinvenimento di armi
litiche e termina col ricordare gli avanzi della prima età dei metalli.
Johnston-Lavis H. — Diario dei fenomeni avvenuti al Vesuvio dal
luglio 1882 alV agosto 1886. (Lo spettatore del Vesuvio e dei Campi
Flegrei, Nuova Serie, Voi. 1°). — Napoli.
Alla cronaca assai decifrata degli avvenimenti eruttivi, colle conseguenti mo-
dificazioni subite dall’apparato craterico, è premessa l’esposizione dei criteri in base
ai quali 1’ autore ha stabilito una scala di 5 gradi per giudicare localmente (da
Napoli) la forza di attività ejettiva del Vesuvio. Partendo dal principio che l’atti-
vità di qualsiasi vulcano dipende principalmente dalla quantità di lava fornita e
dalla quantità di materia acquosa che è contenuta in soluzione nella lava, egli ha
formato la seguente gradazione:
Primo grado . — Leggero barlume alternato con intera oscurità sul cono di-
eruzione.
Secondo grado. — Il barlume è continuo, ma le eiezioni giungono solo a pic-
colissima altezza.
Terzo grado. — Barlume continuo e notevolissimo. Le eiezioni sono chiara-
mente percettibili sia quando s’innalzano che quando ricadono sui fianchi del cono
di eruzione.
Quarto grado. — Le eiezioni raggiungono un’altezza considerevole, sono
brillanti e rischiarano la cima del gran cono.
Quinto grado. — Approssimandosi ad una eruzione parossismale, le
eiezioni sono slanciate molto in alto, si seguono con molta rapidità e sono ac-
compagnate da boati che si possono sentire dalla parte Ovest e Sud della base
del cono.
La narrazione dei fatti osservati è completata da 13 vedute fotografiche e da
figure schematiche dell’apparato d’eruzione.
— 302 —
Lanzi M. — Le cliatomee fossili del terreno quaternario di Roma,
(Annuario dell'Istituto botanico, Voi. Ili, fase. 1°). — Roma.
Contiene l’elenco dei 21 generi e delle 142 specie e varietà fin’ora rinvenute,
coll’indicazione delle località rispettive. Per il numero delle specie predominano
i generi: Namcula , Cymbella, Gomphonema, Nitsschia, Cyclotellay ecc.
Lotti B. — Le roeeie eruttive feldspatiche dei dintorni di Campiglia
Marittima. (Boll. Com. Geol., 1-2). — Roma.
Lo studio minuzioso della regione, il rilevamento della medesima in grande
scala, 1’ analisi microscopica comparata delle varie roccie osservatevi fatta dal
signor Dalmer di Sassonia, portarono l’autore alle seguenti conclusioni, dopo che
ebbe esposte dettagliatamente le circostanze di fatto ed i risultati analitici su cui
esse si basano.
Le varie roccie trachitiche, in masse e in dicchi, ed il granito del Campigliese
sono in stretta correlazione tra di loro e colle roccie similari dell’Elba e di altre
isole toscane, per caratteri strutturali, mineralogici e di giacitura, non che per la
presenza e l’andamento di una zona metamorfica di roccie sedimentarie, nella
quale sono in parte comprese.
Tutte queste roccie risulterebbero di un’età più recente dell’ eocene, ed anzi,
ammettendo la loro diretta relazione colle roccie elbane, l’età sarebbe compresa
tra l’eocene ed il miocene superiore.
I fatti accertati nel Campigliese unitamente e quelli constatati all’Elba e nel-
l’altre isole toscane appoggerebbero l’ ipotesi di una stretta analogia in queste
contrade fra granito e trachite, secondo la quale quello e questa sarebbero a
riguardarsi come semplici modalità di consolidamento di un medesimo magma
eruttivo.
La memoria è corredata di una Carta geologica, cromolitografata, della
regione studiata alla scala di 1 per 50 mila e di alcune sezioni geologiche.
Lotti B. — Fossili titoniani nelValta Val di Nievole. (Boll. Com. Geo-
logico, 3-4), — Roma.
L’autore annunzia di aver rinvenuto nei diaspri alternanti con calcari rossi,
presso il Molino di Vico, oltre a fucoidi anche numerosi rèsti di aptici (A. Beiri-
chi, A. punctatus). I diaspri suddetti contengono, come quelli eocenici, anche delle
radiolarie. Egli fa notare da ultimo che in questa parte dell’Appennino, come nel-
l’Alpi Apuane, il titoniano è rappresentato da due facies diverse, l’una delle
quali è prevalentemente argilloso-diasprina, mentre l’altra è di preferenza cal-
carea.
Lotti B. — Roecie dell ’ isola di Capraja. (Boll. Com. Geol., 3-4). —
Roma.
In attesa di pubblicare coll’ing. Mattirolo una dettagliata descrizione petrogra-
fia e geologica dell’isola, l’autore dà un resoconto sommario dell’esame preli-
minare delle roccie relative fatta dal sunnominato analizzatore. Risulterebbe al
medesimo che tutte le roccie in parola sono da riguardarsi come varietà di an-
desiti pirosseniche, in alcuna delle quali l’olivina entra come elemento essenziale,
e che per le analogie riscontrate può ritenersi che nell’isola di Capraja trovansi rap-
presentate le roccie dei vari centri eruttivi della regione vulcanica del Monte Amiata.
Lotti B. — Lembo di verrucano presso Castiglione della Pescaja.
(Boll. Com. Geol., 3-4). — Roma.
Vengono giudicati dall’autore come appartenenti al permiano certi calcari
grigi non fossiliferi che nella suindicata località stanno sotto ad arenarie eoceni-
che e sopra una massa di verrucano, e nei quali, come in quest’ultimo, sono inter-
stratificati degli scisti micacei violetti.
Lotti B. ■ — Calcari marini quaternarii presso Castiglione della Pe-
scaja:. (Boll. Com. Geol., 3-4). — Roma.
Dà notizia di alcuni lembi di panchina che 1’ autore ha incontrati lungo la
costa, ad un’altezza di 150 m. sul mare, i quali attestano anche nella suddesi-
gnata regione il sollevamento recente constatato lungo tutta la costa tirrenica da
Livorno a Civitavecchia.
Lotti B. — Lherzolite di Rocca a Sillano e dei Monti livornesi.
(Boll. Com. Geol., 3-4). — Roma.
L’autore ha riscontrato frequentissima la lherzolite anche nelle serpentine di
Toscana. Essa veniva confusa colla serpentina diallagica o bastitica, riconosciuta
del resto come un prodotto d’alterazione della lherzolite stessa. È quindi da rite-
nersi che la massa principale delle anzidette serpentine sia composta di questo
minerale, più o meno idratato.
Lotti B. — Minerali cupriferi presso Gambassi. (Boll. Com. Geol., 3-4).
— • Roma.
Segnala la presenza di vene di calcopirite e di erubescite nell’eufotide di Botro
Melaio presso Gambassi, in provincia di Firenze, e fa notare come, a differenza di
analoghi giacimenti toscani, la roccia incassante non sia alterata, ma soltanto di-
venuta marcatamente scistosa al contatto del minerale incassato.
— 304 —
Lotti B. — Lavori d’ esplorazione nel giacimento salifero di Volterra .
(Boll. Com. Geol., 3-4). — Roma.
I recenti^ lavori sotterranei (galleria di metri 200 per mettere in comunicazione
i pozzi S. Giusto e S. Giovanni) confermarono le deduzioni del Savi basate sulle
trivellazioni, sia circa la serie stratigrafìca della formazione salifera, sia riguardo
alla forma e disposizione dei banchi saliferi, addimostrando che questi ultimi non
sono disposti a strati regolari e continui, ma costituiscono masse amigdaloidi di
limitata estensione e variabili per numero e spessore nei diversi punti.
Lotti B. — I giacimenti ferriferi del Sanato e quelli delV Elba .
(Boll. Com. Geol., 7-8). — Roma.
La pubblicazione di una memoria del sig. Sjògren sui giacimenti ferriferi di
Moravicza e Dognacska nel Banato diede occasione all’autore d’istituire raffronti
tra detti giacimenti e quelli pure ferriferi dell’Isola d’Elba, in seguito a che egli
ha potuto constatare la perfetta analogia degli uni cogli altri per condizioni mi-
neralogiche e geologiche. In conseguenza l’autore intravede per ambedue anche
l’identicità d’origine e di epoca di formazione. Al qual proposito, basandosi sugli
argomenti comprovanti l’età posteocenica dei depositi elbani e la loro genesi per chi-
mica sostituzione, si oppone all’opinione del Sjògren, il quale ritiene quelli del Banato
quali sedimenti contemporanei alle roccie incassanti, le quali spettano all’età arcaica.
Lotti B. — Sulla frana di Monteterzi presso Volterra. (Boll. Com.
Geol., 7-8). — Roma.
Descritto il fenomeno e le condizioni geologiche della regione circostante ed
in particolare del terreno nel quale avvenne la frana, l’autore ne riconosce le
cause in uno scalzamento alla base per opera delle acque e nella presenza nel
terreno stesso di strati molli ed acquiferi interposti tra soprastanti calcari assor-
benti e sottostanti argille impermeabili; sulle quali ultime avvenne lo sdrucciola-
mento della massa, privata di sua scarpata naturale. Emette parere da ultimo
sul modo di provvedere al consolidamento del terreno il quale si trova tuttora
in condizioni di equilibrio instabile.
La nota è accompagnata da una tavola contenente la topografìa e tre sezioni
geologiche del terreno franato.
Lotti B. — Le condizioni geologiche di Firenze per le trivellazioni
artesiane. (Boll. Com. Geol., 9-10). — Roma.
Il rilevamento geologico in grande scala dei dintorni di Firenze ed i lavori
di perforazione eseguitivi somministrarono all’autore positivi criteri per giudicare
— 305 —
*
della probabilità o meno di provvedere d’abbondanti acque potabili la città anzi
detta col mezzo di pozzi artesiani. La costituzione geologica e la tettonica della
regione circostante, delle quali l’autore rende esatto conto, lo fanno pronunciare
in senso favorevole. Egli'constata la presenza, continuata anche sotto il piano di
Firenze, di una formazione calcareo-argillosa impermeabile, susseguita inferiormente
da un terreno arenaceo eminentemente assorbente, il quale riposa a sua volta su
strati, nuovamente calcareo-argillosi, impermeabili. L’assieme dei suddetti terreni
appartenenti all’eocene ed al cretaceo forma una sinclinale nel mezzo della quale
siede la città. Dall’inclinazione degli strati risulta inoltre che la linea di contatto
tra le formazioni impermeabili e l’acquifera trovasi probabilmente non al di là
dei 300 metri sotto il terreno detritico della pianura, con un dislivello tra questa
e la linea di carico (affioramento presso San Domenico sotto Fiesole) di circa
100 metri.
Una tavola di sezioni geologiche alla scala di 1 per 50 000 è unita al testo
Lotti B. — Sui marmi della Montagnola Senese. (Proc. verb. Soc.
toscana, Voi. VI). — Pisa.
Questi marmi riferiti per lo addietro al lias sono ritenuti triasici dall’autore,
per le condizioni di giacitura e per l’analogia loro colla sene triasica delle Alpi
Apuane.
Mariani E. — Descrizione dei terreni miocenici fra la Scrivia e la
Staffora. (Boll. Soc. Geol., V, 3). — Roma.
Nella parte geologica della memoria l’autore passa in rivista tutti i precedenti
studi e pubblicazioni sulla regione in parola e, fatte alcune osservazioni sul signi-
ficato e sulla presenza in Italia del piano oligocenico, passa ad indicare la costi-
tuzione litologica e stratigrafica ed i limiti dei diversi piani formanti la serie mio-
cenica nella regione predetta. Termina coll’esporre le vicende di quel suolo
durante il periodo miocenico e stabilisce per esso la seguente cronologia dei
terreni :
Piano Bormidiano : arenarie micacee, molasse, conglomerati ofìolitici e
*
marne scistose.
» Langhiano: marne grigie scistose e più compatte, molasse con
straterelli di conglomerati ofiolitici.
» Elveziano : molasse sabbiose e giallastre, calcari arenacei.
» Tortoniano : marne azzurre a pleurotome, calcari marnosi a lueine.
» Messiniano : arenarie con filladi, calcari marnosi, marne fogliet-
tate, gessi.
La seconda parte del lavoro contiene l’elenco dei fossili dall’autore raccolti
— 306 —
e finora determinati, colla citazione di tutti quei lavori nei quali ogni singola
specie venne descritta e figurata e delle località in cui ne rinvenne degli esemplari.
Mariani E. — La molassa miocenica di Varano. (Atti Soc. It. di scienze
naturali, Voi. XXX, 3). — Milano.
All’elenco sistematico ed in parte anche descrittivo di 36 specie fossili, tra le
quali predominano i molluschi lamellibranchi, l’autore premise delle notizie sulla
serie stratigrafica che accompagna la molassa in parola, e delle considerazioni
sull’analogia o meno della fauna illustrata con altre faune italiane ed estere. Gli
è risultato che i più stretti rapporti colla medesima si trovano nelle faune del
Langhiano di Stilo, Guardavalle, ecc., in provincia di Reggio di Calabria, dei colli
di Torino, dello Schlier di Ottnang, degli strati di Leytha, ecc. Conclude col ri-
tenere che la molassa di Varano, in un col conglomerato soprastante, appartenga
al Langhiano (parte inferiore del miocene medio), e che la fauna inclusa, se non
affatto litoranea, sia però di mare non molto profondo.
Mariani E. e Parona C. F. — Fossili tortoniani di Capo S. Marco
in Sardegna (Atti Soc. It. se. nat., Voi. XXX. fase. 8). — Milano.
Dalle considerazioni svolte dagli autori sulla serie stratigrafìca da cui è co-
stituita detta punta, formante l’estremità Nord del golfo d’Oristano, ed in base
specialmente ad esame comparativo sulla distribuzione dei fossili in questi ed in
corrispondenti terreni d’ Italia, deducesi che il giacimento di S. Marco deve
essere riferito al miocene superiore e precisamente al piano tortoniano.
A queste considerazioni tien dietro l’elenco sistematico e ragionato dei fossili,
rappresentati da 94 generi e 197 specie, tra cui 30 generi di foraminiferi e 31 di
lamellibranchi, sussidiato inoltre da indicazioni dei luoghi di rinvenimento di specie
identiche in altre località italiane.
Mattirolo E. — Sugli scisti argillosi della nuova galleria dei Giovi.
(Boll. Com. Geol., 3-4). — Roma.
Incaricato da una Commissione ministeriale dell’esame fisico, chimico e petro-
grafìco di alcuni campioni della roccia attraversata dalla suindicata galleria in co-
struzione, l’autore partecipa i risultati delle prime osservazioni. La roccia vien ca-
ratterizzata per argillo-scisto carbonióso e calcarifero, ossia, per galestro, d’epoca
eocenica, e spettante al piano liguriano. In base all’analisi chimica, all’esame mi-
croscopico ed al comportarsi della roccia nelle esperienze atte a constatarne la
facoltà assorbente dell’umidità, l’autore esprime il convincimento che i movimenti
avveratisi nella costruzione della galleria sieno dovuti al rigonfiamento dello scisto
— 307 —
argilloso stesso in causa dell’ idratazione delle sue parti marnose e dell’alterarsi
delle piriti che esso contiene.
Mazzuoli L. — Sul carbonifero della Liguria occidentale. (Boll. Corri.
Geol., 1-2). — Roma.
Questo studio descrittivo analitico, col quale l’autore accompagna il rileva-
mento geologico da lui eseguito della regione superiore della Bormida, conferma
le precedenti deduzioni dell’autore stesso, secondo le quali i terreni antracitiferi
dell’ Appennino ligure occidentale venivano riferiti al carbonifero. Il medesimo
coll’aiuto di analisi petrografìche e chimiche, ha inoltre dimostrato che le roccie
del terreno in parola sono conformi per natura e per ordine di sovrapposizione
a quelle dei lembi carboniferi studiati da diversi geologi in varie località delle
Alpi.
In quanto ai giacimenti d’antracite, di cui la formazione della Bormida pre-
senta numerose traccie che diedero luogo a molti lavori d’esplorazione, l’autore si
pronuncia riserbatamente, notando però che per le condizioni tettoniche dei bacini,
per la scontinuità dei giacimenti, per la qualità e potenza dei carboni, V industria
nazionale non avrebbe a fare grande assegnamento su quest’ultimi.
Unita alla memoria è la Carta geologica del terreno carbonifero della Liguria
occidentale, in scala dell’l per 50 000 ed una sezione stratigrafica attraverso della
medesima.
Mazzuoli L. — Sulla relazione esistente nelle Riviere Liguri fra la
natura litologica della costa e quella dei detriti che costituiscono
la spiaggia. (Boll. Com. Geol., 9-10). — Roma.
Indicata la costituzione litologica delle coste liguri, l’autore esamina la natura,
l’estensione e la provenienza dei vari tipi di detrito costituenti le spiaggie della
Riviera di Levante e di quella di Ponente, ed in base a questo studio conclude
che per le riviere liguri rimane pienamente confermato dai fatti il principio sta-
bilito dal Cornaglia, che cioè : « i materiali che arrivano al mare rimangono nei
bacini di loro origine. »
Meneghini G. — Actinocrinus del Sarrabus in Sardegna. (Proc. verb.
Soc. toscana, Voi. V). — Pisa.
L’autore presenta alla Società toscana di scienze naturali alcuni pezzi di cal-
cescisto con molte sezioni di Actinocrinus provenienti dagli scisti siluriani del
Sarrabus nella località Gennarela presso Villaputzu. È lo stesso fossile trovato
dagli Ing. Lotti e Zaccagna nelle Alpi Apuane.
— 308 —
Mercalli G. — Il terremoto di Lecco del 20 maggio 1887. (Atti Soc.
It. di scienze naturali, Voi. XXX, fase. 4). — Milano.
In base alle notizie raccolte sul fenomeno, l’autore stabilisce l’area, l’epicentro ì
e il centro di scuotimento, e fa notare come l’osservata trasformazione del movi- i
mento sismico da sussultorio in ondulatorio addimostri che anche nei piccoli '
terremoti, tra i quali classifica questo di Lecco, si può distinguere un verticale si- (j
smico ed un’ area esterna ad esso, dove il movimento emerge con inclinazione j
che sempre più si approssima all’orizzontale. Attribuisce il terremoto descritto ad j
esplosione gazosa e non ammette rapporto diretto e causale tra questo ed i fe* \
nomeni tellurici che si verificarono in Liguria nello stesso anno.
. - * ■ - 1
Mercalli G. — Le lave di Radieofani. (Atti Soc. It. se. nat., Voi. XXX,
4). — Milano.
L’autore sottopose a studio microscopico e chimico, di cui rende minuto conto, j
diversi campioni di lave di Radieofani. per vedere se tutte si potevano riferire, !.
come comunemente asserivasi, ad una massa eruttiva unica per il modo e per il
tempo di sua eruzione.
In base ai risultati ottenuti egli ritiene che le anzidette lave rappresentino la ;
seconda fase di attività del focolare vulcanico dell’Amiata, il quale cambiando
la natura de’suoi prodotti mutò pure l’asse eruttivo. Nella prima fase vennero alla
luce le trachiti molto acide (65,89 0/0 di silice) a pasta vitrea o microfelsitica, che
sarebbero un di mezzo tra le vere rioliti e le trachiti più acide. Nella seconda
fase l’asse si è spostato d’alcuni chilometri più ad Est e le materie eruttate di-
vennero doleriti ed andesiti oliviniche molto meno acide (53 a 55 0/0 di silice), e
con esse si chiuse definitivamente l’attività del vulcano Amiata-Radicofani. L’epoca
delle eruzioni di Radieofani è probabilmente postpliocenica.
È unita al testo una tavola di figure rappresentanti alcune sezioni sottili delle
lave esaminate, quali si mostrarono a luce naturale sotto il microscopio.
Meunier St. — Observations relatives au tremblement de terre qui s'est
fait sentir en Ligurie le 23 fevrier 1887. (Bull. Soc. Geol. de Fr.,
T. XV, n. 6). — Paris.
L’autore rileva dapprima la distribuzione simmetrica ben decisa delle zone
più scosse e di quelle più preservate dagli effetti del terremoto del 23 febbraio,
a destra e a sinistra di un asse che dal Colle di Tenda va a Barcelonnette pas-
sando per Diano Marina, che fu il punto più colpito. Alle due estremità di questa
zona stanno Genova e Cannes che- ne andarono quasi immuni.
Osserva quindi che vi ha anche una specie di parallelismo fra i due ordini
— 309 —
di fatti geologici e dinamici. Diano Marina è sul prolungamento della cresta gra-
nitica principale della catena alpina. Presso Genova e Cannes affiorano roccie
cristalline e gl’intervalli sono formati da terreni sedimentari dal giurassico alinocene,
fatta astrazione da depositi superficiali pliocenici e da alcune roccie eruttive. Trova
una certa analogia fra i fenòmeni acustici ed i sismici, cioè un’ alternanza in pro-
fondità di ventri e nodi.
Il contrasto poi che si presenta di spaventose ruine a lato di località quasi
intatte, crede dovuto oltre che alla natura delle costruzioni, all’ influenza manifesta
delle roccie superficiali.
Espone infine l’opinione che gli pare più verosimile sul meccanismo per il
quale l’acqua, causa ormai incontestata del fenomeno, penetra nel laboratorio sot-
terraneo ove si produce la sua forza esplosiva istantanea.
L’acqua che per azione capillare penetra nelle regioni profonde, trova un
ostacolo nelle alte temperature infragranitiche : si hanno così due zone concen-
triche sovrapposte, la più esterna satura di umidità, la più profonda assolutamente
secca. Ora contraendosi di quantità ineguali la crosta solida ed il nocciolo an-
cora fluido, ne derivano in quella delle fenditure e stiramenti che devono produrre
il trituramento delle parti interne: così accadrà che dei blocchi della zona
impregnata d’umidità giungano negli spazi incandescenti, producendo per la
forza elastica del vapore esplosioni, tremiti, rombi sotterranei, insomma tutti i
fenomeni sismici. Con tali ipotesi l’autore si dà ragione dei diversi fatti osservati
nei terremoti, nonché nelle eruzioni vulcaniche che non sarebbero che un semplice
epifenomeno di essi.
Mierisch Br. — Die Auswurfsblóeke des Monte Somma. (Tschermak,
Minerai, und petrogr. Mittheilungen, B. Vili). — Wien.
L’autore distingue nei projetti del Monte Somma due specie principali, vale
a dire : frammenti di antiche lave (leucitofiro e trachite) senza elementi metamor-
fici ; blocchi di calcare o di silicati, ricchi d’elementi neogenici. Il presente studio
micro-petrografico s’occupa esclusivamente di questa seconda specie di projetti, dei
quali analizza l’organizzazione e i singoli costituenti ed indaga l’origine probabile.
La massa o nucleo principale dei blocchi projettati si compone di calcite,
augite, mica ed olivina, mentre allo stato semplicemente drusiforme l’autore vi
ha riscontrato i minerali seguenti : vesuviana, forsterite, humite, chondrodite, clino-
humite, quasi tutte le varietà del granato, sarcolite, mejonite. bumboldtilite, leucite,
nefelina, microsommite, sodalite, hauyna, berzelina, wòllastonite, orneblenda, sa-
nidina, andesina, anortite, titanite, spinello, magnetite, pirite marziale e pirite
magnetica.
20
— 310 -
Moderni P. — Note geologiche sul gruppo vulcanico di Roccamonfina.
(Boll. Com. Geol., 3-4). — Roma.
Basandosi sulla distribuzione dei diversi prodotti d’eruzione, sull’ordine di loro
sovrapposizione e sull’analisi petrografia dei medesimi eseguita' dal Dott. Bucca,
l’autore distingue nel sistema vulcanico di Roccamonfina tre successive grandi
fasi d’eruzione, delle quali la più antica sarebbe la leucitica, la seconda la trachi-
tica e la terza ed ultima la basaltica. La prima fase viene inoltre da lui suddivisa
in due periodi, il più antico dei quali è caratterizzato dalla leucitite èd il secondo
dalla tefrite leucitica.
Questo studio è corredato da una carta geologica cromo-litografica del
gruppo vulcanico descritto, in scala di 1 a 100 000, stata rilevata dallo stesso
autore.
Molinari Fr. — Le funzioni della silice nella crosta terrestre. (Atti
Soc. It. se. nat., Voi. XXX, 4). — Milano.
L’autore, col proposito d’ iniziare uno studio sintetico delle funzioni della silice
nella crosta terrestre, ha eseguito durante parecchi anni una serie di esperimenti
chimico-fìsici nel laboratorio del civico Museo di storia naturale in Milano, ed in
base ai risultati dei medesimi ha compilato la presente memoria nella quale è in-
terpretata scientificamente l’origine di diversi minerali e roccie, tra cui il quarzo,
l’opale, la calcedonia, il diaspro, le ftaniti ed i silicati naturali in genere.
Negri A. — L’ anfiteatro morenico dell' Astieo e l’epoca glaciale nei
Sette Comuni. (Atti R. Ist. Veneto, S. VI, T. V, 6). — Venezia.
Dallo studio particolareggiato sulla distribuzione dei depositi glaciali nella
regione sopraindicata, sulla natura litologica dei medesimi, sulle condizioni delle
prealpi venete in correlaziene col sistema orografico e glaciale delle Alpi orientali
l’autore deduce:
Che vi fu un’ epoca in cui i Sette Comuni e le valli adiacenti, al pari di tutto
il resto della catena alpina furono sepolti sotto un forte mantello di nevi e di
ghiacci.
Che vi furono ghiacciai relativamente potenti nella Val d’Assa e nella valle
dell’Astico, oltreché in quella del Brenta.
Che questi ghiacciai ebbero diretto rapporto con quelli della Val di Pusteria
potendo così convogliare detrito di roccie anche molto lontane, come per esempio^
del gneiss di Brunecco.
Che il ghiacciaio dell’Astico si mantenne colla sua fronte presso allo sbocco
della valle un tempo sufficientemente lungo per poter costruire un piccolo anfiteatro
morenico, il quale riproduce molte particolarità caratteristiche dei più giganteschi
anfiteatri alpini.
Negri G. B. — Nota cristallografica sulla apofillite di Montecchio
Maggiore. (Atti R. Ist. Veneto, S. VI, T. V, 1). — Venezia.
Espone il risultato dello studio cristallografico intrapreso su questa spe-
cie minerale posseduta dal Museo mineralogico di Padova, sia in piccoli cri-
stalli di 2 mill. X 2mm X I” nel basalto amigdaloide, sia in bei cristalli nitidi di
5 mill. X 5““ X 2mm in geodi entro ad un basalto in parte decomposto. In due pro-
spetti sono consegnati gli elementi misurati e calcolati dei cristalli stessi, ed infine
segue un elenco bibliografico sull’ apofillite.
Negri G. B. — Nota cristallografica sullo zircone di Lonedo (Vicenza).
(Atti R. Ist. Veneto, S. VI, T. V, 6). — Venezia.
Fra i detriti gemmiferi di Lonedo lo zircone si rinviene in grande abbon-
danza. Si presenta non tanto in granuli di color rosso giacinto o giallo paglie-
rino, quanto in cristalli ; e di questi 1’ autore si è occupato nella presente nota.
Le combinazioni rinvenute su cento cristalli studiati sono le seguenti: (100) (111)
10 volte ; (100) (110) (111) 52 volte; (100) (110) (111 (331) 1 volta ; (100) (110) (111)
(311) 32 volte ; (100) (111) (311) 1 volta ; (100) (110) (111) (331) (311) 4 volte, Di
ciascuna combinazione dà i caratteri fìsici e cristallografici, e fa seguire i pro-
spetti cogli elementi misurati e calcolati, dando in fine un elenco bibliografico su
questo minerale. In una tavola sono disegnati i cristalli delle singole combina-
zioni.
Neviani A. — Contribuzione alla paleontologia della provincia di Ca-
tanzaro. (Boll. Soc. Geol., VI, 1). — Roma.
Rende conto della scoperta fatta al Monte Pecorella, nella località detta Scaf-
falino presso Borgia, di varie ossa fossili di delfino che secondo ilv prof. Ca-
pellini sono da riferirsi al genere Eudelphinus. Fa seguire la descrizione della
successione delle roccie in quella regione, costituita dal basso all’ alto : 1° da
roccie cristalline paleozoiche (gneiss) ; 2° roccie gessoso-marnose degli strati a
congerie ; 3° conglomerato del pliocene inferiore ; 4° argille turchine marnose ;
5° argille sabbiose e sabbie argillose ; 6° sabbie gialle ; 7° arenarie e conglo-
merati del quaternario.
Il Monte Pecorella consta in basso di marne argillose che salendo diventano
sempre più sabbiose, sicché passano alle sabbie gialle. Da queste argille sabbiose
provengono le ossa fossili suindicate, insieme ad altri fossili dei quali è dato
1’ elenco. Dalle sabbie si passa insensibilmente alle arenarie e al conglomerato
— 312 —
quaternario, nel quale ultimo 1* autore ha trovato ciottoli improntati. Questo con- j
glomerato quaternario fu dallo stesso osservato da Squillace fino a Borgia, diviso I
in varii strati intercalati alle arenarie silicee che formano gli altipiani a Nord I
della Calabria meridionale.
Dà infine il catalogo dei mammiferi marini rinvenuti fossili in Calabria.
Neviani A. — Contribuzioni alla geologia del Catanzarese. (Boll. Soc*
Geol., VI, 2). — Roma.
Nella prima parte di questo lavoro l’autore si occupa delle formazioni ter-
ziarie della valle del Mesima. Passa prima in rassegna i lavori pubblicati su
questo argomento da varii geologi ; espone in seguito come egli ritenga formata. |
la serie stratigrafica che, sui dati dei fossili ivi raccolti, così riepiloga :
Posterziario. — Sahariano (arenarie silicee).
^ Siciliano (calcare grossolano a brachiopodi e briozoi).
Pliocene . — < Astiano (argille turchine).
/ Zancleano (marna bianca a Pecten histrix e P. coniitatus).
? Conglomerato di Soriano.
Miocene. — Elveziano (arenaria a clipeastri e calcare madreporico).
Paleozoico ? — Roccie cristalline diverse.
Nella seconda parte prende ad esame la regione posta fra i due grandi fiumi
della Calabria, il Tacina ed il Neto. In essa predominano i terreni pliocenici. Solo
a N.O, cioè sotto Cutronei, sonovi arenarie micacee probabilmente dell’aquita-
niano poggianti su roccie cristalline. Il messiniano è rappresentato da piccoli affio-
ramenti di gesso presso la stazione di Rocca Bernarda. L 'astiano e il sahariano , •
dominanti, sono rappresentati da argille e da sabbie.
Fatta una descrizione topografica della regione, cita le diverse località fossilifere,
enumerando i fossili raccoltivi e quelli citati da varii autori. L’ inclinazione pre-
dominante degli strati è quella da N. E a S.O ; la variazione dipende da
condizioni batimetriche del fondo del mare terziario, ritenendo 1’ autore che la
zona pliocenica si sia uniformemente sollevata. La formazione quaternaria è rap-
presentata da banchi calcarei discordanti colle roccie plioceniche, e forma gli
altipiani che si estendono da Isola Capo Rizzuto al Capo Colonne.
Riporta da ultimo un elenco complessivo di tutti i fossili conosciuti di queste
regioni, indicando la provenienza di ciascuna specie, sia delle sabbie che delle
argille, distinguendo pure quelle della collezione dell’ autore da quelle citate da
altri. Le forme raccolte sono 229, riunite in 113 generi, delle quali 46 esclusive
delle sabbie, 124 delle argille e 24 comuni; il rapporto delle specie viventi è di
circa il 45 %, delle quali 34 appartengono alle sabbie e 63 alle argille.
— 313 —
Nicolis E. — Le marne di Porcino Veronese ed i loro paralleli.
(Atti R. Ist. Veneto, S. VI, T. V, 7). — Venezia.
Sul livello delle argille di questa valle erano finora divisi i pareri dei geologi,
ritenendole alcuni plioceniche altre mioceniche (tortoniane). L’ autore, che nelle
sue note illustrative alla Carta geologica della provincia di Verona da esso rile-
vata, aveva già accennato a questo lembo terziario, ne tratta ora ampiamente in
questo lavoro ; e basandosi su argomenti oro-idrografici, tettonici, stratigrafici e
specialmente paleontologici svolti con molta dottrina, conclude col ritenere che
questa valle è una propagine meridionale della catena baldense; che vi mancano
i depositi marini, riscontrandovisi invece le traccio di una fase di superficie conti-
nentale; che le marne di Porcino non sono in posto, ma ivi scivolarono, sul finire
dell’epoca glaciale, dall’ampia valle sinclinale baldense di Novezza, Ferrara e
Spiazzi, ove esistono analoghi e coevi sedimenti ; e che infine la fauna fossile di
questa valle di Porcino offre le maggiori analogie con quella dell’ oligocene in-
feriore, alla quale la riferisce, notando che la differenza fra essa ed altre faune
oligoceniche del Veneto dipende dall’ avere la prima una facies di mare pro-
fondo, mentre le altre vissero in una zona batimetrica più elevata.
Palmeri P. — Il pozzo artesiano dell ’ Arenacela del 1880 confrontato
con quello del Palazzo Reale di Napoli del 1847. (Lo spettatore
del Vesuvio e dei Campi Flegrei, Nuova Serie, Voi. 1°). — Napoli.
Riporta i risultati dell’ analisi fisico-chimica delle acque e delle roccie diverse
incontratesi nella trivellazione di un pozzo artesiano eseguita nell’ officina del gas
di Napoli e constata la grande somiglianza di esse roccie con quelle perforate
dal pozzo del Palazzo Reale, sia per la natura loro che per 1’ ordine di succes-
sione. Dal confronto poi di questi prodotti con quelli vesuviani e dei Campi Flegrei,
1’ autore deduce che la formazione flegrea spingesi sino all’ Arenacela, la quale
dista dal mare 400 m. e dal pozzo della Reggia 2700 m. più verso il Vesuvio; e che
in quella medesima località alternano lembi di detta formazione con lembi di produ-
zione vesuviana in corrispondenza all’alternata attività or dell’ uno ed ora dell’ altro
dei centri rispettivi d’ eruzione.
La memoria è accompagnata da una tavola di sezioni geologiche dei due pozzi
-artesiani.
Palmieri L. — Il Vesuvio e la sua storia . (Lo spettatore del Vesu-
vio, ecc., N. Serie, Voi. 1°). — Napoli.
Racconta minutamente e per ordine cronologico le più grandi conflagrazioni
vesuviane avvenute nell’ epoca storica dal 79 al 1882, deducendone le notizie dagli
— 314 —
storici, dai cronisti, dagli scrittori speciali di cose vesuviane e dagli annali del- j
l’Osservatorio. L’ autore riguarda queste fasi di grande violenza, come avvenute
per lo più a compimento d’ uri periodo eruttivo, preceduto quasi sempre da mode-
rata attività e susseguito da alcuni anni di riposo, durante i quali il vulcano ha
presentato soltanto il consueto lavorio delle sue fumarole.
Panebianco R. — Berillo ed altre gemme di Lonedo . (Atti R. Istituto
Veneto, S. VI, T. V, 4). — Venezia.
Il berillo, lo studio cristallografico del quale è oggetto della nota, esiste
sino dal 1823 nel Museo mineralogico dell’Università di Padova e proviene dalle
sabbie gemmifere di Lonedo nel Vicentino, scoperte sino dal 1764 da Giovanni
Arduino. Le varietà rappresentate sono lo smeraldo, l’acquamarina ed il berillo
incolore. I cristalli sono piccoli e di rado completi. La combinazione spiccante è
il prisma esagono con la base.
L’ autore, che ha visitato più volte i campi gemmiferi di Lonedo, ha constatato
che le loro sabbie, composte di frammenti di pleonasto, di menaccanite, di limo-
nite, di quarzo, di feldspati, d’olivina, magnetite, pirosseno ecc. contengono oltre
al berillo anche i seguenti minerali accessori: zircone, corindone, spinello e to-
pazio, dei quali egli indica le principali caratteristiche fìsiche e cristallografiche.
In una tavola annessa sono figurate e sviluppate le forme del berillo analizzato, j
Pantanelli D. — Specie nuove di molluschi del miocene medio, (Boll.
Soc. Malac. It., Voi. XII). — Pisa.
Continua la descrizione formulata delle seguenti 17 specie nuove di molluschi,,
provenienti dai terreni di Pavullo in provincia di Modena e da quelli di Pantano in
provincia di Reggio: Eburnee sphaerica, Halia praecedens, H. striata , Clathu -
rella Marolae, Daphnella De Stefani, Xenophora depressa, Sealaria Bellardii,
Scalaria ( Cirsotrema) Marolae , S. ( Cir .) Hórnesi, S. ( Cir .) Michelotti, S. ( Clatrus )
Doderleini , S. (CI.) Seguenzai, Erato incrassata, Psammobia ornatissima ,
Tapes infata, Cryptodon obliquatum, Lucina Isseli.
I fossili descritti sono figurati su di una tavola annessa al testo.
Pantanelli D. — I cosi detti ghiacciai apenninici. (Proc. verb. Soc.
toscana, Voi. V). — Pisa.
L’ autore risponde ad alcuni appunti fattigli dal prof. De Stefani alle sue co- j
municazioni del 14 novembre 1886 sui così detti ghiacciai appenninici, riferendosi
alle obbiezioni già fatte, per le quali nega che gli Appennini abbiano avuto dei
ghiacciai e che questi abbiano lasciato traccie di sè.
— 315 —
Pantanelli D. — Radiolarie nei diaspri. (Proc. verb. Soc. toscana,
Voi. VI). — Pisa.
Espone da quali motivi lo Haeckel nel Report of thè scientific resulti on
thè voyage of H. M. S. Challdnger fu indotto a mettere in dubbio 1’ età eoce-
nica attribuita dall’ autore della presente comunicazione alle radiolarie da lui stu-
diate nei diaspri di Toscana. Sostiene con nuovi argomenti 1’ emessa opinione, di-
mostrando la non dubbia eocenicità dei diaspri esaminati.
Pantanelli D. e Mazzetti G. — Cenno monografico intorno alla fauna
fossile di Monte se ; parte II. (Mem. Società Naturalisti, S. Ili,
Voi. IV). — Modena.
In questi cenni, che fanno seguito a quelli pubblicati nel voi. VI degli Atti
della stessa Società (1885), sono descritti esclusivamente i molluschi. Vi è però
premessa un’ appendice per gli echinodermi che furono raccolti nel periodo fra
questa e la precedente pubblicazione. I molluschi provengono principalmente dalle
tre località di Montese, Pantano e Pavullo. Tali località per gli strati contenenti
molluschi, che sono superiori a quelli che hanno fornito il maggior numero di
echinidi, contengono una fauna che gli autori ritengono sincrona a quella di Su-
perga. A questi due strati fossiliferi, ben distinti dai molluschi e dagli echinidi,
del miocene medio, seguirebbero marne, arenarie e calcari ricchissimi di forami-
nifere, con rari molluschi, pure del miocene. In una tavola litografata sono dise-
gnate le specie nuove descritte.
Parona C. F. — Appunti per la paleontologia miocenica della Sar-
degna. (Boll. Soc. Geol., VI, 3). — Roma.
In questa seconda nota sulla fauna miocenica della Sardegna, l’autore pre-
senta un catalogo ragionato dei fossili raccolti dal prof. Lovisato in diversi lembi
terziarii più antichi di quello di Capo S. Marco, riferito già dall’autore e dal Ma-
riani al miocene superiore; dove la presenza di parecchie specie di Pecten comuni
al miocene medio, fa vedere il legame tra la fauna di questo lembo con quella
dei depositi del miocene medio delle varie parti dell’ isola. La fauna di questi
lembi è assai varia, e con fossili numerosi: oltre le foraminifere delle argille del
Fangario, illustrate dal Fornasini, furono riconosciute dall’autore più che 184 specie;
il Bassani vi determinò 26 pesci e due specie di crostacei il dott. Ristori.
Nel mentre che viene dimostrata la mancanza del pliocene nell’ isola, si ven-
gono distinguendo con qualche sicurezza alcuni piani importanti del miocene; e
l’autore, come resultato dello studio di questa fauna, crede di potere asserire che
i giacimenti di Isili e di Fontanazzo spettano probabilmente aLÌVaquitaniano, quello
di Castelsardo al langhiano, e quelli di Fangario, S. Michele e S. Bartolomeo
all ’elveziano, e lo comprova passando a rassegna i fossili caratteristici per cia-
scuno di questi depositi.
Piatti A. — La sorgente termo-solforosa di Sermione nel lago di
Garda. (Boll. Com. Geol., 5-6). — Roma.
L’autore rende conto di alcune osservazioni fatte su questa sorgente, che sca-
turisce a levante della penisola di Sermione, di fronte quasi alle ruine dette grotte
di Catullo. Essa si manifesta con bolle, che a circa 170 metri dalla spiaggia, da
parecchi punti del fondo vengono a scoppiare alla superficie, diffondendo odore di
acido solfìdrico. Di alcune di esse ha, mediante scandagli, determinata la termi-
cità che gli risultò di 43°, mentre la temperatura dell’acqua del lago era di 18°.
La profondità del fondo da cui scaturiscono queste polle è di circa 17 metri dalla
superfìcie. Siccome da misure attendibili eseguite nel 1828, tale profondità resul-
tava di metri 30, si avrebbe avuto, in sessantanni, un innalzamento del fondo di
circa 13 metri. L’autore si propone di accertare tale fatto con scandagli che dieno
la natura ed il livello del fondo, intorno a tale sorgente.
Pirona G. A. — Nuova contribuzione alla fauna fossile del terreno
cretaceo del Friuli. (Atti R. Istituto Veneto, S. VI, T. V, disp. 10). —
Venezia.
È la descrizione di due nuove forme di rudiste, Hippurites hirudo e Sphae-
rulites macrodon, rinvenute dall’autore nel calcare fossilifero di Col dei Schiosi,
su quel di Polcenigo nel Friuli. Per tale scoperta esso è indotto a stabilire che
quel deposito fossilifero, che dapprima, per la frequenza in esso di una Chamacea
identificata nella forma esterna colla Requienia Lonsdalei Sow., aveva ritenuto
rappresentare il piano urgoniano nelle Alpi del Friuli, è invece da riferirsi ad
uno dei piani della creta inferiore e molto probabilmente al turoniano.
Ponzi G. e Meli R. — Molluschi fossili del Monte Mario presso
Moma. (Memorie Acc. Lincei, S. IV, Voi. III). — Roma.
Questa memoria, cominciata nel 1877 e rimasta incompiuta per la morte del
prof. Ponzi, portava per titolo: «Nuovo Catalogo dei fossili di Monte Mario »,
poiché era intenzione degli autori di pubblicare l’enumerazione di tutti i fossili ivi
raccolti. In questo lavoro, dopo un’ introduzione scritta quasi totalmente dal Ponzi,
nella quale sono esposte le ragioni dell’opera, e dati alcuni cenni geologici e stra-
tigrafìci sulla località, segue l’ indicazione delle prime 153 specie di molluschi
conchiferi fossili raccolti nelle marne sabbiose grigie e nelle sabbie gialle di Monte
Mario, classificati in ordine di famiglia, generi, specie e varietà. Delle 150 specie
— 317 —
enumerate, 30 sono estinte, 6 emigrate, le rimanenti si riconoscono ancora viventi
nel Mediterraneo, e quantunque non rappresentino che una parte della fauna fos-
sile di Monte Mario, si ritiene che gli strati, fossiliferi di questa località siano da
collocarsi nella parte superiore del pliocene recente.
In una tavola litografata sono disegnate, come meritevoli di studio speciale,
le specie seguenti: Venus lamellosa, Ponz.-Reyn. ; Venus libellus , Ponz.-Reyn. ;
Pectunculus insubricus, Brocc. ; P. obliquatus, Ponz.-Reyn.
Portis A. — Contribuzioni alla ornitologia italiana ; Parte 2a. (Mem.
Accademia delle Scienze di Torino, Serie II, Tomo XXXVIII). —
Torino.
In continuazione di un lavoro pubblicato nel 1884 nel voi. XXXYI di queste
stesse Memorie, l’autore raccoglie in questa seconda parte tutte le notizie che si
riferiscono all’ornitologia italiana, segnalate sino alla data presente. Le singole
descrizioni riguardano le ornitoliti di- Sinigaglia, dell’Anconitano, del Gabbro (pro-
vincia di Pisa), gli uccelli sovrapliocenici di Palermo, quelli della stazione prei-
storica di Castello nel Trentino, del Buco della Volpe sopra Rovenna (Lago di
Como), della torbiera della Cataragna (anfiteatro morenico del Garda), delle breccie
e depositi quaternari di varie località toscane, della terramara del Castellacelo
(Imola) e della valle della Vibrata (Abruzzo Ulteriore). In una tabella è esposto
il complesso della fauna ornitica fossile fin qui conosciuta in Italia, ordinato se-
condo le divisioni dei terreni terziarii proposta dal Mayer, limitandosi a segnare
le specie riscontrate in piani anteriori alla fase glaciale.
La memoria è corredata da una tavola litografata.
Portis A. — I ehelonii quaternarii del bacino di Leffe in Lombardia .
(Boll. Com. Geol., 1-2). — Roma.
Ricordato un lavoro del Sordelli, col quale, fino dal 1872, faceva conoscere
la presenza nelle ligniti di Leffe di piccole tartarughe palustri di specie identiche
alla vivente Emys europaea ( Lutremys europaea di Gray), l’autore espone lo
studio da lui nuovamente intrapreso, non tanto sugli stessi avanzi fossili di Leffe
già determinati dal Sordelli, quanto su altri materiali avuti dal Museo Civico di
Milano, provenienti dalle torbiere della Cataragna (provincia di Brescia) e da
quelle presso Desenzano. Dall’esame di questi fossili ha potuto assicurarsi che
essi appartengono tutti ad una sola ed unica specie vivente ancora (benché più
limitata topograficamente) in Italia. Concordando colle idee del Sordelli sulla for-
mazione del bacino di Leffe e sulla attuale distribuzione topografica della Lutre-
mys europaea, conclude che il clima della valle padana, cessata la fase di espan-
sione glaciale, t aveva raggiunto, presso a poco, la media che esso aveva prima
— 318 —
della suddetta fase, e che in seguito andò gradatamente e lentamente raffreddan-
dosi, obbligando questa specie a lasciare un sempre più vasto territorio inabitato.
Portis A. — Sulla scoperta delle piante fossili carbonifere di Vìozene
nelValta valle del Tanaro. (Boll. Com. Geol., 11-12). — Roma.
A proposito di una nota del dott. Squinabol su alcune impronte fossili nel
carbonifero di Pietratagliata, l’autore reclama la priorità della scoperta di piante
fossili del carbonifero delle Alpi marittime per l’ ing. Zaccagna, che le trovò
fino dal 1885. Tali piante studiate dall’autore, provengono dalla Valle Negrone,
sotto Pian del Fò (alta valle del Tanaro). La lista delle piante caratterizzanti
questo giacimento delle Alpi marittime, unendo il resultato delle ricerche fatte
dall’autore con quelle dello Squinabol, è la seguente: Annulo.ria longifolia Brog.,
Pecopteris nodosa Goepp., cfr. Sen/tenbergìa ( Pecopteris ) elegans Corda, Poa-
Cordaitest. ind., Dora-Cordaites ? ind.
Rath G. (vom) — Mineralien von Monteponi und Montevecchio auf
Sardinien . — Vesuvische Mineralien. — Ueber den Zustand des
Vesuvs im Deeember 1886. — Ueber die Tuff bruche von Nocera .
(Sitzungsberichten der Niederrhein. Gesellschaft, 6 juni). — Bonn.
In questa seduta della Società di Bonn, l’autore espone dapprima l’analisi cri-
stallografica di alcuni minerali della Sardegna, inviatigli dal prof. Lovisato: sono
campioni di solfato di piombo provenienti da Monteponi, rimarchevoli per le variate
forme di combinazione ; e campioni di fosgenite con galena e cerussite ed altri di
baritina e solfo provenienti da Montevecchio. Presenta poi alcuni campioni di mi-
nerali vesuviani, in parte assai rari, e ne descrive i caratteri cristallografici e la
roccia da cui provengono. Essi sono: augite gialla, augite giallo-verdognola, sar-
colite, due campioni di leucite e due di humboldtilite.
Nella stessa seduta dà conto delle condizioni del Vesuvio nel dicembre 1886.
La sua attenzione fu specialmente rivolta ad una delle ultime colate, emessa al
piede del vulcano dalla parte di S.O e diretta verso Bosco-tre-case. Il carattere
distintivo di questa lava è una ricchezza eccezionale di leuciti, parte in cristalli
isolati, parte ad aggregazioni, notando, oltre alle inclusioni (leucite, plagioclasio,
augite e magnetite), la pasta bruno-giallognola e le secrezioni di cristallai, osser-
vate al microscopio.
Riferisce infine intorno ad una visita fatta col dott. E. Fraas alle tufare di
Nocera, presso Napoli dove la massa tufacea, come tant’ altre che s’incontrano dal
Volturno sino a Capri per Nola e Sarno, giace in una insenatura della montagna
calcarea. La serie di strati osservatavi è la seguente, procedendo dall’alto in basso:
uno strato di tufo pomiceo incoerente dello spessore di 1 m.; una breccia di pa-
— 319 —
recclii metri, composti di grandi blocchi di trachite tufacea e di calcare; da ulti-
mo una massa non stratificata avente più di 10 m. di potenza. Ritiene lo strato pomiceo
prodotto dall’attività del Vesuvio in tempi storici, come la pomice di Pompei, e crede
di recente formazione anche la breccia sottoposta. Il metamorfismo che presentano le
inclusioni nella roccia trachitica (trasformazione di calcare in fluorina ed in nocerina)
ritiene dovuto all’azione della roccia incassante: cita in proposito le teorie dello
Scacchi, non ammettendo però che il tufo abbia assunto l’aspetto di trachite per
posteriore fusione ; ritiene invece che la pietra delle tufare di Nocera e di Sarno
non sia che una trachite simile al così detto piperno. Con ciò le straordinarie in-
clusioni di Sarno-Nocera non si spiegano, ma però vengono ravvicinate ad altri
fenomeni. Realmente è noto che una roccia allo stato di fusione ignea può agire
nelle sue inclusioni metamorfosandole; ma mancano affatto i dati positivi che spie-
ghino come ciò possa avvenire anche in una roccia clasitca per effetto di poste-
riori eruzioni vulcaniche.
Ricciardi L. — Sull * allineamento dei vulcani italiani. — Reggio
Emilia, 1887.
Riassunte le opinioni dei diversi autori che si occuparono di quest’ argo-
mento ed osservato che quasi tutti si accordano nella coevità delle roccie cristalline
delle Alpi, dell’Elba, delle isole Ponza e della Calabria, ritiene non debba escludersi
l’ipotesi del Pilla sulla connessione delle Alpi alle Calabrie nella linea Elba-Ponza
formante l’antica catena litoranea ; ed ai fatti acquisiti dalla geologia aggiunge in
appoggio l’analoga composizione chimica fra le roccie, riportando le cifre che danno
la quantità di silice contenuta nei graniti delle Alpi, nei graniti e porfidi della To-
scana e dell’Elba, nei graniti e gneiss della Calabria non che nelle trachiti delle
Isole Ponza.
L’ Ischia ed i Campi Flegrei li ritiene centri eruttivi formatisi sopra frattura
secondaria e non aventi relazione col centro Somma-Vesuvio, come risulta dal
diverso loro tenore di silice.
Data quindi l’analisi dei prodotti dei centri vulcanici del versante mediterraneo del-
l’Appennino, fa risaltare la differenza in silice fra questi e quelli della Catena litoranea.
Ammette poi che nello sprofondamento della Catena metallifera si sieno formate
altre fratture oltre a quella che dalle Alpi giunge alla Calabria, e tra queste una
quasi parallela al meridiano che passando per il Monte Amiata mette capo alle
Alpi Carniche e nella quale si trovano i centri eruttivi dei colli Euganei e Berici,
l’Amiata e la Pantelleria. Altra linea di frattura partirebbe dal centro vulcanico
sottomarino affricano e giungerebbe nella Basilicata comprendendo i centri di Capo
Passero, di Val di Noto, dell’Etna, di Stromboli e del Vulture. Le Eolie si sareb-
— 320 —
bero formate sopra frattura secondaria della grande fenditura predetta o forma- j
tasi all’epoca del distacco della Sicilia dal continente.
Tali ipotesi sono appoggiate alla composizione chimica dei prodotti dei vari
centri eruttivi. A questo studio è unita una carta sulla quale sono segnati gli alli- >
neamenti dei vulcani ammessi da varii autori.
Ricciardi L. — Sulle roeeie eruttive subaeree e submarine e loro
classificazione in due periodi. — Reggio Emilia, 1887.
Dallo studio delle roccie vulcaniche italiane e dall’analisi che di esse presenta
a cominciare dai graniti per venire sino alle lave più recenti, 1’ autore è indotto a
distinguere in esse due grandi periodi, nel primo dei quali comprende i graniti, i
gneiss, i porfidi, le sieniti, le dioriti, le roccie pirosseniche in genere ed i basalti.
Nel secondo si raggruppano le trachiti, le lipariti, le pantelleriti, le fonoliti, le ande-' |
siti, ecc. e le lave moderne. Messo a confronto il tenore di silice nelle roccie di J
. 1 v \v
I
Secondo periodo
74. 78 Trachite quarzifera.
68. 33 Pantellerite.
60. 24 Andesite.
55. 08 Trachite leucitica (Roccamonfìna).
54. 41 Leucitofìro (Viterbo).
49. 66 Lava dell’Etna (1879).
Notata la uniforme diminuzione della silice nei due periodi, ritiene che le roccie
del primo periodo furono eruttate da vulcani submarini che poi emersero; il gra-
nito sarebbe la più antica, il basalto la più recente. Coll’ emersione degli Appen- i
nini avvennero altre eruzioni che portarono sopra le roccie più profonde di tipo
granitico, le trachiti, che rappresentano il principio del secondo grande periodo. I
Colle successive eruzioni si andarono le roccie modificando alla stessa guisa di !
quelle del primo periodo. Avvalora la sua opinione colla citazione di varii autori i
e citando varie località ove è palese il passaggio dall’ una all’altra roccia, conclu-
dendo che le prime eruzioni trachitiche non rappresentano che i graniti modificati
nell’aspetto fìsico e non nella composizione chimica, e che le successive eruzioni
della stessa bocca vulcanica ejettarono roccie di un altro tipo, come, quasi simili I
modificazioni presentano le altre roccie che accompagnano il granito.
Ricciardi L. — Sullo sviluppo delV acido cloridrico , dell' anidride solfo -
rosa e del jodio dai vulcani. - — Reggio Emilia, 1887.
Espone il risultato di esperienze eseguite cimentando il granito ed alcune roccie j
vulcaniche polverizzate con diversi sali che indubbiamente prendono parte ai feno-
questi due periodi risulta:
Primo periodo
Granito 74. 09
Porfido 69. 40
Diorite 60. 12
Eufotide 55. 58
Dolerite 53. 36
Basalto 49. 92
meni vulcanici, quali il clururo di sodio, il solfato di magnesio e di calcio ed il
joduro di potassio. Da tali esperienze deduce che 1* acido cloridrico si sviluppa
per la decomposizione dei cloruri alcalini che penetrano per infiltrazione a pro-
fondità colle acque marine ; così pure l’anidride solforosa sarebbe dovuta alla de-
composizione dei solfati che pure si trovano nelle acque marine ed in altre che
s’infiltrano nella fucina vulcanica. Così anche si spiegherebbe la presenza del jodio
nelle emanazioni dell’isola Vulcano.
Ricciardi L. — Sul graduale passaggio delle roccie acide alle roccie
basiche. — Reggio Emilia, 1887.
Dimostrato coll’esame della silice contenuta nelle roccie vulcaniche italiane,
che i vulcani subaerei e submarini hanno emesso prodotti di composizione chi-
mica differente e che tra le roccie antiche e quelle moderne la quantità di silice
sta come 75 a 48 %, 1’ autore si propone di spiegare con risultati di analisi questo
fatto importante. Prese perciò ad esame le sostanze che le acque del mare por-
tano nei focolari vulcanici, cerca di provare che i prodotti di questi subirono radi-
cali modificazioni fino a divenire basici per l’azione dei materiali provenienti dalle
acque del mare consistenti in sali e basi di metalli alcalini e alcalino-terrosi.
Stabilita quindi la composizione centesimale dei materiali solubili ed insolubili
che le acque del mare introducono nei focolari vulcanici, l’autore espone il risultato
delle esperienze da lui eseguite facendo agire una miscela corrispondente a quelle
composizione con cento parti di granito, che considera come la roccia più antica, e
mettendo a confronto il risultato delle diverse esperienze fatte con queste miscele in
proporzioni diverse con la composizione delle varie roccie vulcaniche italiane, dimo-
stra come avvenga il graduale passaggio delle roccie eruttive da tipo acido a tipo
basico per il reagire successivo degli elementi suddetti delle acque marine sul
magma lavico già modificato da precedente reazione. Nota poi che a queste mo-
dificazioni concorrono pure i materiali sia sedimentari sia di eruzioni precedenti,
che nella eruzione vengono ad unirsi al magma vulcanico. Estendendo le conside-
razioni fatte sulle roccie dei vulcani italiani a quelle di altre parti del globo
delle quali è noto il contenuto di silice, ne conclude che il fenomeno delle vulca-
cinità è simile ovunque e che la materia prima elaborata dai vulcani è la stessa
ed unica, il granito.
{Continua).
— 322 —
IL CONGRESSO GEOLOGICO INTERNAZIONALE
DI LONDRA
nel settembre 1888.
Nella seconda metà del settembre del volgente anno, si tenne in
Londra la quarta sessione del Congresso Geologico internazionale, le
cui prime tre avevano avuto luogo successivamente la prima nel 1878
in Parigi, la seconda nel 1881 in Bologna, la terza nel 1885 a Berlino.
L’intervallo di tempo da una all’altra è di regola di tre anni, e
solo vi fu eccezione per quella di Berlino causa il colera manifestatosi
nel 1884. La prossima riunione pel 1891 venne fissata in Filadelfia.
Scopo, come sappiamo, di questi congressi internazionali è l’uni-
ficazione della geologia delle varie parti del globo, sia in quanto con-
cerne la classificazione dei terreni sedimentari e delle roccie con la
loro nomenclatura, sia nei modi di loro rappresentazione mediante co-
lori e segni diversi sulle carte geologiche.
Per preparare materia e programma alle discussioni del Congresso
circa aH’unificazione delle classificazione e nomenclatura dei terreni e
roccie, era stata nominata una Commissione internazionale che do-
veva tenere, nell’ intervallo fra l’una e l’altra sessione, delle riunioni
preparatorie. A suo presidente era stato eletto il prof. Capellini. La
medesima aveva tenuto siffatte riunioni nel 1886 a Ginevra e nel 1887
a Manchester, e daf comitati di varie delle nazioni interessate erano
stati preparati e pubblicati dei programmi e delle memorie.
Quanto alla unificazione dei colori e dei segni delle carte, tale la-
voro era stato praticamente avviato sin dal Congresso di Bologna nel
1881, col decidere la formazione e pubblicazione di una Carta geologica
dell’ Europa a spese comuni e sotto la sorveglianza di un Comitato
internazionale. Simile Carta dovea essere eseguita a cura dell’Istituto
geologico di Berlino.
Nel presente Congresso di Londra, doveano trattarsi diverse que-
stioni di classificazioni non state ancora risolte nelle precedenti ses-
sioni, sovratutto quelle concernenti i terreni più antichi, cioè i paleo-
zoici, nonché gli scisti cristallini, e della suaccennata Carta d’Europa
la Direzione dell’ Istituto di Berlino doveva presentare dei saggi
stampati.
La convocazione del Congresso era pel 17 del settembre, e la chiu-
sura il 22, per far poi luogo alle escursioni geologiche organizzate in
diverse parti dell’Inghilterra.
La quota per essere membro, fissata a scellini 10, dovea supplire
da sola alle spese, in quanto che in Inghilterra non suole il Governo
dare sovvenzioni, e non era il caso di pensare ad altre risorse. In
quanto al locale pel Congresso erasi il medesimo ottenuto gratuita-
mente nel palazzo dell’Università, situato in posizione centralissima e
comoda. Per le escursioni succedenti al Congresso ogni membro che
vi prendesse parte doveva pagare la sua tangente di spesa, attenuata
però da qualche agevolezza ottenuta dalle ferrovie e dai proprietari
degli alberghi.
Il Congresso , dovea comprendere una Esposizione di carte ed opere
geologiche delle varie nazioni, nonché di roccie caratteristiche. Per
tale mostra era destinata la vasta sala della Biblioteca della stessa
Università in cui avean luogo le sedute e così tutto era qui riunito in
un solo edificio, comodità che non si ebbe nè a Bologna nè a Berlino.
Circa alle sedute del Congresso ed agli argomenti di geologia stati
nelle medesime trattati, si può vedere più avanti la Relazione in data
10 novembre, presentata dal prof. Capellini al Ministero di Agricoltura,
Industria e Commercio. Perciò qui appresso se ne farà soltanto breve
cenno, mentre invece si toccherà di qualche altro particolare, e di quelli
specialmente che più interessano i lavori del nostro Ufficio geologico.
Il numero dei membri inscritti al Congresso sorpassava 830 che
rappresentavano 25 nazioni. Dei medesimi quasi la metà erano pre-
senti a Londra. Gl’inglesi formavano la gran maggioranza, e dopo essi
venivano per numero la Germania, gli Stati Uniti del Nord-America, la
Francia, il Belgio, la Russia, eec.; gli italiani iscritti erano 36 di cui un
terzo circa presenti, che furono : il prof. Capellini, presidente della Com-
— 324 —
missione della nomenclatura, ring. Giordano, direttore del servizio geolo-
gico, l’ing. Mattirolo deirUfficio geologico, incaricato di vari incumbenti
di cui in appresso, l’ ing. Mezzena dell’Ufficio stesso che già era in In-
ghilterra per studi geologici e che molto coadiuvò all’opera nostra nel
Congresso, l’ ing. Sabatini pure dell’Ufficio, venuto per conto proprio e
che pure spontaneamente coodiuvava a quell’opera. Vi erano poi con
mandati diversi il dott. Fornasini di Bologna, il prof. A. Issel della
Università di Genova, ring. prof. Meli di Roma, il dott. Botti di Reggio
Calabria ed il dott. Sacco di Torino.
Fu precidente del Congresso il prof. Prestwich e segretari gene-
rali i geologi Topley e Hulke.
L’apertura effettiva ebbe luogo il 18 con i soliti discorsi e con la
nomina del Consiglio, dei vicepresidenti e segretari. La presidenza
attribuita al prof. Prestwich, venne poi successivamente tenuta da altri
scienziati aventi pratica speciale nel guidare le discussioni, e princi-
palmente dal prof. Capellini. Fra i consiglieri venne nominato il pro-
fessor Issel e fra i segretari il dott. Fornasini che già come tale aveva
funzionato nei Congressi di Bologna e di Berlino.
Come sopra fu detto, si ometterà di riferire qui distesamente sulle se-
dute del Congresso, rimettendosi per ciò alla relazione del prof. Capellini.
Gli argomenti che si avevano da trattare concernevano principalmente
la classificazione dei terreni paleozoici a partire da quelli del permiano
e carbonifero sino all’arcaico più antico, nonché la costituzione ed ori-
gine delle grandi masse degli scisti cristallini che ancora presentano
tanti problemi insoluti. E l’argomento interessava anche non poco
l’Italia, che di simili terreni antichissimi contiene assai vaste zone
nell’Alpi che la ricingono, nonché nelle Apuane, e poi nella Calabria
ed in Sicilia. Però il Consiglio del Congresso, pur riconoscendo utile
una profonda discussione, quale ebbe luogo, su di tali argomenti, non
credette opportuno che in questa sessione si avessero a prendere dal
medesimo definitive deliberazioni circa alle suddivisioni di quei terreni
antichi e che presentano tante difficoltà. Alla considerazione delle dif-
ficoltà potevasi aggiungere quella dell’intervento assai numeroso dei
geologi stranieri e specialmente del Nord-America, regione in cui i
terreni in questione sono estesissimi ed erano stati recentemente l’og-
getto di molto seri studi. Con simile circostanza il problema della clas-
325 —
sificazione dei terreni geologici, che nei precedenti Congressi essen-
zialmente concerneva quelli dell’ Europa, si complicò alquanto, ovvero
si allargò a quelli di altri paesi. E ciò fortunatamente per la classifi-
cazione geologica considerata in sè, la quale non dovrebbe essere li-
mitata ad una sola parte del globo, col rischio di rimanere poi incom-
pleta ed anche erronea, ma dovrebbe estendersi a tutta la terra. Col
ritardare alquanto le decisioni relative a certi gruppi di terreni si
avrebbe quindi a suo tempo un vero vantaggio.
Quanto alla Carta geologica dell’Europa, il direttore Hauchecorne
dell’Istituto di Berlino, riferì sullo stato di avanzamento del lavoro, e
presentò anche un foglio stampato di saggio con i colori e segni della
nuova gamma stata perciò adottata.
La sessione venne chiusa il giorno 22, scegliendo per sito delia
nuova da tenersi nel 1891 la città di Filadelfia negli Stati-Uniti,
dove i geologi europei avranno campo appunto di fare utili paragoni,
nel senso, e con lo scopo sovraindicato.
Venne intanto rinnovata la Commissione internazionale per la uni-
ficazione e per preparare materia alla seguente sessione, costituendola
di 24 membri rappresentanti di 24 nazioni. A rappresentare l’Italia fu
scelto il professore Capellini che venne pure confermato nella presi-
denza della Commissione.
Questa sessione del congresso di Londra si passò molto sempli-
cemente, senza feste, nè banchetti, nè grandi spese, come fu detto
sopra. Nulla però vi mancava dell’essenziale per lo studio che si avea
di mira: poiché i convenuti ebbero intanto ogni facilità, ed anzi inviti,
per visitare i grandi musei, giardini e collezioni di vario genere, di
cui ora Londra è così ricca. Si ebbero pure due serate di ricevimento,
oltre quella del presidente Prestwich; una del direttore dell’Ufficio
geologico D. Geikie nel museo della Surwey, e l’ altra del D. Blanford
presidente della Società geologica, nella sede della società istessa.
Ambedue quei siti di ricevimento erano riccamente forniti di oggetti
di studio geologico interessantissimi.
Alle sedute del Congresso seguirono infine le escursioni in diverse
parti dell’Inghilterra, per le quali erano preparati programmi stampati,
e servivano da guide i geologi stessi della Surwey. Il prof. Capellini
e l’ing. Mattirolo presero parte a quelle nel Galles settentrionale e
21
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nella Scozia meridionale che, con i loro terreni antichi e certe roccie
vulcaniche, presentavano maggiore analogia con alcune delle nostre
regioni.
Oraveniamo aqualche particolare sulla nostra speciale partecipazione,
che ebbe principalmente luogo mediante esposizione di carte e di roccie.
In fatto di carte vennero presentate, oltre a quelle già da tempo
stampate, cioè della Sicilia e dell’Elba a varie scale, con il testo che
le accompagna, quelle delle ultime pubblicazioni in corso, cioè Carta
dello Iglesiente (Sardegna) al gg^gg con atlante e relazione descrittiva
dell’ing. Zoppi, Carta generale d’Italia in piccola scala cioè, al t 00q qqJ
in 2 fogli; ed i primi fogli della Carta in grande scala jqq^qq dell’Ita-
lia centrale, cioè n. 6 fogli con uno di sezioni della Campagna romana
e Urritorii limitrofi.
Venne anche esposta la Carta generale d’Italia alla scala di g^^ :
che è la scala stabilita per le carte d’insieme delle varie nazioni, e :
sulla quale eransi esattamente riportati tutti i rilevamenti sin’ora ese-
guiti dall’Ufficio geologico in diverse parti del territorio. Questa Carta, I
formata valendosi della edizione piana della mappa recentemente ese-
guita dall’Istituto geografico militare, era soltanto colorata a mano,
non essendo tuttavia il caso di darla alla stampa, ma dovendosi per
ciò attendere che sia più completata da ulteriori studi. Quanto alla
sovra citata Carta al 100q000 che doveva rimpiazzare quella pubblicata
or son sette anni circa, non erasi esposta a Londra che qualche copia
di prova, non essendosi fatto in tempo per la tiratura accurata di nume-
rose copie da distribuire nel Congresso ; ma questa tiratura si sta ora i
facendo dopo avere corretto diversi piccoli difetti occorsi nella fretta
del primo lavoro. E lecito osservare che questa nuova Carta, come
altre e sovratutto quella al jòòW della Campagna romana, attrassero
molto favorevolmente l’attenzione degli intelligenti e si ebbero sovra-
tutto dai geologi ed istituti esteri numerose domande, che verranno
man mano soddisfatte a misura che si avranno disponibili delle copie
debitamente eseguite. In genere poi la nostra esposizione, comunque
stata dapprima alquanto ritardata da inusitato ritardo nell’arrivo delle
nostre casse dall’Italia, può dirsi fra le meglio riuscite in quella mostra
delle varie nazioni.
i
Nò meno pregiata fu la collezione di roccie cristalline metamorfi-
che da noi colà esposta, dietro invito speciale che ce ne era stato
fatto dal comitato inglese. Ciò che ci veniva essenzialmente richiesto
era di presentare delle roccie metamorfiche la cui età geologica fosse
precisamente determinata.
Non essendo stato possibile occuparsi in tempo di tale collezione
e dovendosi la medesima eseguire appositamente ed in poco tempo,
si dovette limitare a pochi casi ben scelti. Dietro il consiglio delT in-
gegnere Zaccagna, che aveva pratica speciale dell’argomento, i casi
prescelti furono due, cioè del terreno permiano e del triadico , poiché
sia nelle Alpi Apuane, che nelle Occidentali, questi due terreni, la cui
età in quelle regioni era stata dai recenti nostri studi bene definita,
presentavano degli esempi notevolissimi di roccie trasformate per meta-
morfismo, in scisti cristallini e in roccie gneissiche. Circa 150 campioni,
metà delle Alpi Apuane raccolti dagli ingegneri Zaccagna e Lotti e
metà delle Alpi Occidentali e marittime raccolti dall’ing. Matdrolo, figu-
ravano a quella esposizione accompagnati dai profili che ne indica-
vano il livello geologico. Ben caratteristico era sovratutto il caso del
terreno permiano, trasformato in scisto gneissico, sia nell’alta valle
d’Aosta presso Courmayeur, sia nel gruppo del Monte Besimauda presso
Cuneo, dove è sviluppatissimo, onde si credette opportuno designare
tale roccia col nome di besimaudite.
L’ing. Mattirolo, andato a Londra con diversi incarichi, tra cui
quello di fare ivi provvista di apparecchi per il laboratorio da mon-
tare presso l’Ufficio geologico in Roma, coordinò i succennati campioni
per la loro esposizione e nella seduta del Congresso del giorno 19,
destinata specialmente alle roccie metamorfiche, faceva sui medesimi
una succinta comunicazione che destò un meritato interesse.
La nostra Carta geologica, in quella zona che comprende le Alpi
Occidentali, limite fra l’Italia, la Francia e la Svizzera, differiva note-
volmente da quelle sin’ora esistenti e da quella stessa che ultimamente
i geologi francesi presentavano. Si è che questi geologi non avevano
ancora praticate le lunghe e precise indagini che i nostri, come Zac-
cagna e Mattirolo, nonché l’ ing. Mazzuoli ed i prof. Issel e Portis, ma
specialmente i due primi, avevano in questi ultimi tempi colà con ot-
timi risultati compiute, come venne esposto nelle relazioni annuali al
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Comitato geologico. La differenza spiccava principalmente appunto
nella relativa estensione dei succitati terreni permiano e triasico di cui
si erano esposte le roccie e nei limiti fra essi e 1’ arcaico. La Dire-
zione dell’ Istituto geologico di Berlino, incaricata della Carta geologica
d'Europa, trovavasi perciò nel dubbio di quale fra le versioni accettare
per la zona alpina da segnarsi in simile carta internazionale; ma le
discussioni avute con l’ing. Mattirolo, il quale poteva esibire i rilievi
e profili dettagliati presi col Zaccagna sul terreno anche in Savoia,
fecero decidere per la nostra. E tale conclusione veniva poi anche
accettata da quei geologi francesi che avevano più recentemente
seguita l’ intricata questione.
Per noi adunque, indipendentemente dalle altre considerazioni,
questo Congresso di Londra riusciva fecondo ed onorevole campo di
cooperazione scientifica e sprone a futuri studi nei quali la riputazione
nostra potrà sorgere ad alto grado.
Un cenno ancora sulla Carta geologica dell'Europa. Circa allo*
stato attuale di questo lavoro altamente pratico di unificazione geolo-
gica, stato deciso nella sessione di Bologna, riferiva al Congresso,
come sopra fu detto, il Direttore dell’ Istituto geologico di Berlino a cura
del quale doveva stamparsi. Tale Carta alla scala di 1 500*000? doveva
comprendere 49 fogli, ed uno di questi, quello C-IV che comprende le
provincie renane, venne presentato stampato come saggio. Il lavoro
eseguito dallo stabilimento litografico Dietrich di Berlino, era quanto
all’esecuzione assai commendevole. Quanto alla classificazione dei ter-
reni e roccie in simile Carta adottata, la medesima va tenuta in gran
conto, come il risultato degli studi e decisioni dei più reputati geologi
delle varie nazioni, decisioni che già ebbero luogo nei passati con-
gressi e per certe formazioni dovranno avere luogo nei futuri. Non
tutte forse tali decisioni potranno convenire al nostro territorio, ma ad
ogni modo vanno tenute in gran conto, per adottarle dove ed in quanto
siano per noi applicabili.
In tale Carta era poi applicata , per i colori la gamma proposta ed
ammessa nelle precedenti sessioni, e per questa è il caso di fare per
ora qualche riserva. Simile gamma, la quale in certe parti assai si
scosta da quelle già da anni adottata nelle carte delle principali na-
zioni e che invero doveva solo considerarsi dapprima come per prova,
non sarebbe scevra di qualche inconveniente, ed in ogni caso per la
Carta nostra rimane preferibile quella attualmente usata dal nostro
Ufficio geologico, gamma stata scelta or fa qualche anno dopo non
pochi studi e prove e che infatti risponde assai bene alle esigenze. In
quella nuova gamma, per esempio, mentre per le formazioni sedimen-
tarie posteriori al trias, cioè giurassica, cretacica e terziaria sono
conservati, e molto opportunamente, i tre colori fondamentali turchino,
verde e giallo, invece per le formazioni antiche a partire dal trias, si
fecero mutamenti notevoli. Così per questo terreno invece del rancione
forte, che tanto bene spiccava, venne adottato il violetto molto meno
vantaggioso; al bigio del carbonifero così caratteristico, venne sosti-
tuito un verdone quale prima era usato per le serpentine; e per queste,
come per tutte le altre roccie ritenute emersone, quali i graniti, por-
fidi, melafiri e le roccie vulcaniche, venne adottato un solo colore, il
rosso con varie gradazioni. L’effetto di simile gamma meglio poteva
apprezzarsi in una Carta della Francia al 500 qqq~ fatta stampare a Parigi
ed esposta dai dott. Vasseur e Carez. L’edizione era bellissima e per
certe formazioni la gamma assai riuscita; ma non per tutte e special-
mente per le più antiche, la cui tinta generale molto oscura rende più
difficile la distinzione dei diversi terreni. Nelle regioni montagnose
sovratutto, come le Alpi, e adoperando mappe col tratteggio, come
sono quelle esistenti e generalmente usate, la confusione è assai facile,
e massime laddove si trovano a contatto ed in esili zone, i terreni del
trias e del carbonifero, con i porfidi, i melafiri e le roccie ofìolitiche,
i quali terreni e roccie hanno nella nuova gamma tinte rosso-brune
poco diversificanti fra loro. Analoga difficoltà si presenta quando si
trovano a contatto o vicine varie formazioni di roccie eruttive diverse,
per cui la tinta rossa generale, comunque alquanto variata, rende
alla prima assai difficile la distinzione. Assai rincrescevole sovratutto
riesce l’abbandono per le roccie ofìolitiche di quel colore verde cupo
tanto natufale e caratteristico, sin’ora da noi e da altri paesi, usato con
tanto vantaggio.
In occasione del Congresso di Berlino delle osservazioni in pro-
posito erano state fatte dal nostro commissario, nelle sedute prepa-
ratorie del Consiglio onde far soprassedere a certi cambiamenti: ma
— 330 —
sul riflesso che alcuni di questi già erano stati adottati nella sessione
precedente, e nella premura di adottare una scala che permettesse in-
tanto di mostrare al Congresso di Londra un saggio della Carta stessa,
venne accordata alla Direzione di Berlino la facoltà di adottare quei
cambiamenti ed altri cui ritenesse utile per raggiungere tale scopo.
Ne risultava la suddescritta gamma, non scevra come fu detto di
qualche inconveniente, ciò che giustifica la riserva fin’ ora usata dal
nostro Ufficio geologico nell’adottarla nelle sue pubblicazioni, e l’avere
persistito per ora nell’antica che è assai conveniente. E del resto ora
che già la pubblicazione della nostra Carta in grande e piccola scala
con l’antica gamma è assai avanzata, non si potrebbe cambiare, come
pur non la cambiano le altre nazioni in pari circostanza. Si vedrà
meglio col tempo e dietro ulteriori esperimenti ciò che si possa fare
in proposito, se non altro per certe carte d’insieme e di carattere in-
ternazionale.
Dal sovraesposto circa il recente Congresso di Londra appare
adunque che se non vi furono prese nuove importanti decisioni sulla
unificazione, sulla classificazione dei terreni geologici e sulla nomen-
clatura, si concertarono tuttavia dei preparativi all’avvenire, mentre
diversi risultati utili pel nostro paese già furono ottenuti.
Facciamo ora seguire la Relazione del prof. Capellini al Ministero
di Agricoltura, Industria e Commercio.
La Direzione.
Relazione a S, E. il Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio.
Eccellenza !
Appena ultimato il quarto Congresso geologico internazionale
cui l’ E. V., con lettera deli’8 aprile scorso, gentilmente mi con-
sentiva di prender parte, senza indugio avrei inviato all’ E. V. questa
mia relazione, se le gravi cure deirufficio rettorale che doveva lasciare
dopo pochi giorni e il desiderio di corredare il mio scritto con alcuni
interessanti documenti, non mi avessero obbligato a ritardare quanto
affrettava col pensiero.
E rinnovando all’ E. V. le più distinte grazie per Y interesse vivis-
simo con cui intende sempre al maggiore incremento degli studi geo-
logici in Italia, dirò che, recatomi a Londra alla metà di settembre in
compagnia del comm. Giordano, ispettore delle miniere e direttore dei
lavori geologici, fino dal primo giorno in cui si riunì il Consiglio mi
adoperai perchè ai geologi italiani fosse mantenuto il posto conqui-
stato a Bologna e riconosciuto a Berlino.
Nell’ufficio di presidenza ottenni, infatti, che il comm. Giordano
fosse proposto alla assemblea come uno dei vice-presidenti, che il
prof. Issel fosse nominato consigliere, e che il cav. Fornasini, come
già a Berlino ed a Bologna, fosse uno dei segretari.
Le sedute furono inaugurate la sera del 17 settembre ; il professore
Beyrich occupò temporaneamente il seggio presidenziale, sir Douglas
Galton salutò i congressisti da parte del Comitato di organizzazione
ed io, per incarico dei colleghi, ringraziai in nome degli stranieri.
Il prof. Prestwich lesse quindi il suo discorso già stampato, rias-
sumendo i lavori dei Congressi precedenti, insistendo in modo parti-
colare sui frutti del Congresso di Bologna.
Accennerò appena, che la organizzazione del Congresso e della
relativa Esposizione geologica fu fatta senza alcun concorso governativo,
ben diversamente da quanto fu necessario di fare pei Congressi di
Bologna e di Berlino; inoltre, come nelle precedenti sessioni, erano
state preparate importanti pubblicazioni tutte dirette ad agevolare il
lavoro dei congressisti.
Nella Esposizione geologica, della quale spero che all’ E. V. avrà
reso conto il mio collega comm. Giordano, l’Italia figurava assai van-
taggiosamente e, per questo, non esiterò a dire che ima parte del
merito è pure da attribuirsi ai due ingegneri del Comitato geologico
Mattirolo e Mezzena. Le pubblicazioni destinate a servire di guida per
le escursioni furono distribuite alla fine delle sedute, delle quali, con
assai regolarità e molta sollecitudine, venivano pure stampati ogni
giorno abbastanza estesi resoconti.
Al Congresso, fino dal primo giorno, erano rappresentate 25 nazioni ;
i membri inscritti ascendevano a ben 835, dei quali furono constatati
presenti circa quattrocento; gli italiani inscritti erano 36, ma i presenti
appena 11, cioè la metà di quanti intervennero a Berlino nel 1885.
Quantitativamente devo dire che, fra gli stranieri presenti, occupava
il primo posto la Germania, 27 presenti e 40 assenti; poscia gli Stati
Uniti d’America e la Francia erano rappresentati ciascuna nazione
da 17 geologi, vi erano 14 belgi e 13 russi.
La prima adunanza regolare del Congresso ebbe luogo il 18 set-
tembre, e per essa il presidente Prestwich dichiarò all’assemblea che
mi cedeva il seggio; all’ordine del giorno era stata posta una questione
abbastanza intricata e difficile: la classificazione del Cambriano e Silu-
riano.
E qui devo anzitutto avvertire che in quella stessa mattina il Con-
siglio si era occupato degli inconvenienti verificatisi nei Congressi
precedenti, riguardo al modo di risolvere per votazione talune gravi
questioni. Gli inconvenienti erano evidenti e fu nominata una Commis-
sione con incarico di fare sollecitamente opportune proposte.
La Commissione essendo riuscita composta dei professori Blanford,
Capellini, Inostranzeff, De Lapparent, Neumayr, Sterry Hunt e von Zittel,
fui eletto presidente; ma poiché il parere non poteva essere subito
elaborato, si credette opportuno di condurre i lavori del Congresso in
modo da non dover ricorrere ad alcuna votazione. Sulla questione della
classificazione del Cambriano-Siluriano invitai a parlare pel primo il
dott. Hicks e, per agevolare, gli permisi di esporre in inglese facendo
— 333 —
poscia riassumere in francese dal bravo segretario Barrois. Parlarono
successivamente Marr per la scuola di Cambridge, proponendo le di-
visioni Cambriano, Barrandiano, Siluriano; mentre il Lapworth, adot-
tando le tre divisioni, sostiene il nome di Ordoviciano come termine
di conciliazione fra le due scuole e propone di nominare l’ insieme
Protozoico.
Walcott rese conto delle sue osservazioni sul Cambriano in Ame-
rica, che pur vorrebbe suddividere in inferiore, medio e superiore.
Sterry Hunt, Torell, Gosselet, Dewalque, Kayser, Geikie, Blake, De
Lapparent, Delgado, Hull, Barrois, Gilbert, esposero le loro vedute in
appoggio della divisione in due o in tre, basandosi alcuni su dati stra,
tigrafìci, altri su dati paleontologici; si ebbe così su questo argomento
il parere il più autorevole, non solo dei geologi della Gran Bretagna*
degli Stati Uniti d’America e del Canada, ma altresì degli svedesi,
francesi, belgi, tedeschi e portoghesi: dopo di che riassumendo, mi
limitai a constatare che la divisione in tre pareva raccogliere il voto
della maggioranza, ma che pure mi pareva preferibile di non votare e
cosi nulla fu deliberato.
Alla fine della seduta ricordai i servigi resi alla scienza da Quin-
tino Sella che fu presidente onorario del Congresso di Bologna, e in-
formando che due giorni dopo la sua città natale gli inaugurava un
monumento, proposi di mandare un telegramma al sindaco di Biella,
ciò che fu approvato per acclamazione.
Il telegramma spedito per cura della presidenza era così con-
cepito :
« Sindaco della città di Biella.
« Per inaugurazione monumento Quintino Sella, 500 geologi, quarto
« Congresso internazionale plaudenti proposta presidenza Capellini,
« associansi onoranze memoria scienziato eminente, patriota, uomo
« di Stato, presidente onorario Congresso Bologna. Congratulandosi
« municipio, pregano vossignoria condoglianze famiglia.
« Firmato. — Presidente Prestwich. »
— 334 —
La seduta del 19 era riservata per discutere intorno agli schisti
cristallini; otto memorie su questo argomento già erano depositate e
note ai membri del Congresso ed altre ne furono presentate durante
llPseduta stessa. Su questo importantissimo argomento riescirono in-
teressanti una comunicazione dell’ ing. Mattirolo sovra esempi tratti
dai recenti nostri studi nelle Alpi Occidentali e del Carrarese, non
che alcune osservazioni del prof. Issel.
L'argomento era importantissimo, ma fu, a mio avviso, appena
sfiorato.
Pel 20 settembre era posta all’ordine del giorno la quistione sui
limiti del terziario e del quaternario, e poiché in Belgio presenta par-
ticolare interesse, i geologi belgi invitarono i colleghi a visitare i
dintorni di Mons dopo la chiusura del Congresso.
La discussione fu animata e non ristretta alla determinazione dei
limiti fra i due terreni; infatti si trattò anche della terminologia. Pre-
sero parte al dibattimento Renevier, De Lapparent, Gaudry, Blanford,
Gosselet, Pilar; il dott. Sacco in favore della separazione del terziario
dal quaternario invocò anche la sismologia.
Furono ascoltate con vivo interesse le considerazioni del presi-
dente Prestwich, di cui sono noti a tutti i profondi studi su questo
argomento.
Nella seduta del 21 fu presentato al Congresso! il primo foglio
della Carta geologica internazionale d’ Europa, che noi possiamo van-
tare come uno dei frutti del Congresso di Bologna. In questo primo
foglio, colorito secondo la gamma della seconda sessione nel 1881, con
poche modificazioni riconosciute indispensabili e suscettibili di ulteriori
perfezionamenti, vi hanno 24 tinte per le formazioni sedimentarie, 3 per
i terreni archeani e 9 per le roccie eruttive.
Il Congresso riconobbe che il lavoro è eseguito con ammirabile
perfezione e meritevole di ogni encomio; lodò e ringraziò il Comitato
esecutivo dF’cui il prof. Hauchecorne è l’anima e fece voti perchè se
ne affretti il compimento.
Ho raccomandato che si pubblichino subito i fogli che compren-
dono l’Italia, avendo il Comitato geologico già da tempo inviato
quanto era necessario.
Nell’ultima seduta del 22 settembre si parlò della sede del futuro
— 335 —
Congresso; e l’assemblea fu informata che, per deliberazione già presa
in proposito dal Consiglio, la città di Filadelfia era stata scelta per
sede della quinta sessione e che ad un Comitato provvisorio era affidato
l’ incarico di disporre per un definitivo Comitato di organizzazione.
Frazer, a nome anche dei suoi colleghi americani, ringraziò per
l’onore che era concesso a quella antica sede di studi, ove nel 1876
il Congresso geologico internazionale fu fondato in occasione dei cen-
tenario dell’Indipendenza; annunziò che pel 1891 si preparava il cente-
nario della Università, la quale, benché con una sola eccezione sia la
meglio provvista di istituti e laboratorii fra quelle degli Stati Uniti,
pensa di spendere ancora l’egregia somma di circa sedici milioni di
lire (3 000 000 di dollari) per ampliamenti e migliorie.
Le feste centenarie saranno verso la fine di settembre e il Con-
gresso avrà modo di servirsi prima dei locali universitari. La rappresen-
tanza municipale e governativa di Filadelfia, i presidenti delle banche,
delle grandi linee di strade ferrate e delle grandi società industriali, il
ceto degli avvocati, i professori e gran numero di cittadini hanno sot-
toscritto la domanda e preso impegno di procurare che i geologi eu-
ropei possano recarsi a Filadelfia con forti riduzioni sulle spese di
viaggio attraverso l’Atlantico e, dopo il Congresso, si faranno escur-
sioni alle Montagne Rocciose, ai grandi laghi e forse ancora nel Canadà.
Inutile dire che già si prevede un immenso successo per quel Con-
gresso, trattandosi di un continente cosi importante per gli studi geo-
logici e dove nulla fin qui si è risparmiato per dare valido impulso
alle ricerche a alle pubblicazioni che, con grande generosità, sono dif-
fuse per tutto il mondo ed hanno così tanto contribuito al rapido pro-
gresso della scienza.
In quell’ultima seduta fu letto ed approvato all’unanimità il rapporto
relativo al miglior modo di votazione per le discussioni scientifiche, al
fine di evitare gli inconvenienti che talora derivano dalla grande su-
periorità numerica dei geologi della nazione ove ha luogo il Con-
gresso.
Stabilito che le materie d’ordine puramente teorico potranno essere
utilmente discusse nelle sedute del Congresso, ma che non dovranno
essere sottoposte al voto, fu ammesso che le deliberazioni del Con-
gresso non debbano applicarsi che a questioni le quali sia indispen-
— 336 —
sabile di risolvere per agevolare i rapporti dei geologi delle varie nazioni.
I geologi nazionali ed i geologi stranieri voteranno separatamente
e a maggioranza relativa.
Se i voti dei due gruppi saranno concordanti, il resultato sarà con-
siderato come favorevole; se invece si verificherà discordanza si di-
chiarerà che la questione posta ai voti non era ancora matura e sarà
aggiornata.
Riconosciuta la necessità di mantenere la Commissione internazio-
nale, ne furono però modificate le attribuzioni, affidando alla medesima
non soltanto la continuazione degli studi relativi alle questioni di no-
menclatura, ma eziandio Tesarne di altre questioni che potrebbero es-
serle presentate per il Congresso futuro.
La Commissione rinnovata e scelta dal Consiglio riesci composta
di 24 geologi rappresentanti 24 diverse nazioni ove si costituiranno
altrettante sotto- commissioni.
Nella votazione per schede, per l’elezione del presidente e del se-
gretario, il professore De Lapparent annunziò all’assemblea che Capel-
lini, già confermato nelTufficio di rappresentante per T Italia, aveva ot-
tenuto la maggioranza assoluta come presidente; fu rieletto segretario
il prof. Dewalque di Liegi. 1
1 La Commissione internazionale per T unificazione della nomenclatura geolo-
gica, nominata dal Congresso di Londra il 2£ settembre 1888, riuscì composta
come segue:
Presidente: G. Capellini.
Membri :
Australia — A. Liversidge, professore ali’ Università di Sydney.
Austria — M. Neumayr, professore all’ Università di Vienna.
Belgio — G. Dewalque, professore all’ Università di Liegi.
Bulgaria — G. IL Zlatarski, geologo del Principato a Sofìa.
Canada — R. Bell, membro del Geological survey a Ottawa.
Danimarca — F. Jhonstrupp, professore all’ Università di Copenhagen.
Francia — A. De Lapparent, professore all’ Istituto Cattolico di Parigi.
Germania — Oh. von Zitte!, professore all'Università di Monaco.
Gran Brettagna — T. Me. Kenny Hughes, professore all’ Università di Cambridge.
India — W.BÌanford, a Londra.
Italia — G. Capellini, professore all’ Università di Bologna.
Norvegia — P. Kjerulf, professore all’Università di Christiania. 1
Olanda — F. J. P. van Calker, professore all’ Università di Groninga.
Fortogallo — J. F. N. Delgado, direttore del servizio geologico a Lisbona.
Repubblica Argentina — L. Brackebusch, membro dell’Accademia Nazionale Argen-
tina a Cordova.
j Romania — G. Stefanescu, professore all’Università di Bucarest.
Russia — A. Inostranzeff, professore all’Università di Pietroburgo.
Spagna — J. Vilanova, professore all’Università di Madrid.
St ti-TJniti — J. Hall, direttore del Museo di St. Nat. a Albany.
Svezia — O. Torell, direttore del servizio geologico a Stoccolma.
Svizzera — E. Reneviei’, professore all’ Accademia di Losanna.
Ungheria — J. Szabò, professore all’Università di Budapest.
’ Morto dopo il Congresso.
— 337 —
v
Dopo ciò il presidente Prestwich fece un breve riassunto dei lavori
del Congresso e quindi ebbero luogo le votazioni per ringraziamenti e
fu annunziata chiusa la IVa Sessione che tutti dichiararono ben riuscita,
quantunque non sia stata presa nessuna nuova deliberazione veramente
importante, e piuttosto siasi riconosciuta la necessità di correggere
parte di quanto era già stato avviato nel Congresso di Berlino, per
dare ai futuri Congressi un nuovo e forse più proficuo indirizzo.
Ed ora dirò brevemente delle escursioni, per le quali il segretario
generale del Congresso Topley aveva preparato e distribuito un bel
volume di oltre 200 pagine corredato di molte carte e incisioni.
Tacendo delle importanti visite ai musei di storia naturale a Ken-
sington e al Museo britannico di antichità, avvenute nei giorni del Con-
gresso, ricorderò che pel giovedì 20 settembre erano state organizzate
escursioni ai giardini botanici a Kew, al castello di Windsor e ad Erith
e Crayford, per poter distribuire in tre gruppi i congressisti secondo la
preferenza per l’una o l’altra gita.
Le vere escursioni però ebbero luogo dopo la chiusura del Con-
gresso e per esse, come già accennai, erano preparate e furono distri-
buite parecchie pubblicazioni.
Le escursioni organizzate sotto la direzione dei colleghi che ave-
vano studiato egregiamente le regioni da visitare, non potevano a meno
di avere una grande attrattiva per tutti e a più d’uno increbbe di dover
scegliere e di non poterle far tutte.
Fin da principio erano state distribuite note geologiche illustrative
delle linee delle strade ferrate per arrivare a Londra da Southampton,
da Newhaven, da Boulogne, da Calais, da Harwich ; si fecero le grandi
escursioni nel Nord del paese di Galles, nell’Ovest della Contea di York,
nell’isola diWight, nell’Est della Contea di York e nella regione del
Crag e delle coste di Norfolk.
Essendomi inscritto per la escursione nel paese di Galles, regione
interessantissima per le roccie antiche e quindi pei confronti possibili
con le antiche formazioni italiane, fui ben lieto che l’ ingegnere Matti-
rolo facesse altrettanto, trovandosi così in campagna per parecchi giorni
con alcuni dei più valenti litologi europei e americani.
Dopo avere speso la domenica in una seconda visita all’insupera-
— 338 —
bile privata collezione preistorica del dott. J. Evans a Nash Mills, partii
da Londra la mattina del lunedì 24 settembre con circa 50 colleghi di
diverse nazionalità e ci dirigemmo a Chester ove fummo ricevuti dalla
rappresentanza cittadina e dalla Società dei naturalisti, assistendo la
sera stessa alla distribuzione dei premi e ad una conversazione scien-
tifica. In una sala ammiravasi una esposizione di ogni sorta di interes-
santi preparazioni con circa 150 microscopi.
La mattina seguente partimmo per Bangor e nel pomeriggio si fece
una prima escursione alle celebri cave di ardesie di Lord Penrhym nella
contea di Carnarvon, per esaminare la serie delle roccie schistose cam-
briane, dopo avere studiato i conglomerati precambriani alla base delle
medesime. Il 26 da Bangor ci recammo ad Anglesea e dopo avere esa-
minato schisti nodulosi antichissimi analoghi alla Penninite o Besimau-
dite di alcuni geologi italiani, studiammo schisti cloritici e vere dioriti
nelle vicinanze del monumento del marchese d’ Anglesea e ci dirigemmo
al capo Holyhead ove trovammo belli esempi di pieghe negli schisti
cloritici e nelle quarziti.
Altre escursioni si fecero a Snowdon, a Llamberis ove sono pure
importantissime cave di ardesie, le quali producono annualmente per
oltre un milione e cinquecento mila lire di rendita netta, e finalmente
alle miniere d’oro che trovansi presso Dolgelly e per le quali di re-
cente si sono concepite le più liete speranze.
Lasciando il paese di Galles, mi recai per un giorno a Windermeere
e di là ad Edimburgo per visitare rapidamente i musei e rendermi conto
di quanto vi era da imparare.
A Edimburgo fu pure l’ingegnere Mattirolo per un paio di giorni;
la cattiva stagione non permise di approfittare di quella gita quanto
avrei desiderato.
A questa mia breve relazione mi permetto di aggiungere come alle-
gati il catalogo dei membri del Congresso, il discorso del presidente
e i resoconti delle adunanze del Consiglio.
Inoltre, a nome ancora del segretario generale del Congresso di
Berlino prof. Hauchecorne, prego l’E. V. di voler gradire un esemplare
del resoconto del III Congresso tenutosi a Berlino nel 1885 e una prova
— 339 —
di stampa del 1° foglio della Carta geologica internazionale di Europa
con la relativa gamma.
Dal resoconto del Congresso di Berlino spero che TE. V. rileverà
con compiacenza la parte avuta dagli italiani in quella sessione e, nei
tempo stesso, potrà convincersi che la II Sessione di Bologna, per im-
portanza, non fu superata nè dalla III Sessione di Berlino, nè dalla
IV Sessione tenutasi a Londra nel settembre scorso.
Bologna , 10 novembre 1888.
Prof. G. Capellini.
— 340 —
PUBBLICAZIONE BELLA CARTA GEOLOGICA D’ITALIA
PER CURA DEL R. UFFICIO GEOLOGICO
PARTS PUBBLICATE (al 1° novembre 1888)
Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/100,000 :
Foglio N. 244 (Isole Eolie) prezzo L. 3 00
Foglio N. 262 (Monte Etna) .
. L.
5 00
»
248 (Trapani) . . .
»
3 00
»
265 (Mazzara del Vallo)»
3 00
»
249 (Palermo) . . .
»
4 00
»
266 (Sciacca) . .
. »
4 00
»
250 (Bagheria) . . .
»
3 00
»
267 (Canicattì) . .
. »
5 00
»
251 (Cefalù) . . . .
»
3 00
»
268 (Caltanissetta)
. »
5 00
»
252 (Naso) ....
»
4 00
»
269 (Paterno) . .
. »
5 00
»
253 (Castroreale) . .
»
4 00
»
270 (Catania) . .
. »
3 00
»
254 (Messina) . . .
»
4 00
»
271 (Girgenti) . .
. »
3 00
»
256 (Isole Egadi) . .
«
3 00
»
272 (Terranova) .
. »
4 00
»
257 (Castelvetrano) .
»
4 00
»
273 (Caltagirone) .
. »
5 00
»
258 (Corleone) . . .
»
5 00
»
274 (Siracusa) . .
. »
4 00
»
259 (Termini Imerese).
»
5 00
»
275 (Scoglitti) . .
. »
3 00
»
260 (Nicosia) . . .
»
5 00
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276 (Modica) . .
. »
3 00
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261 (Bronte), . . .
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5 00
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277 (Noto) . . .
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Tavola di sez. N. I (annessa ai fogli 249 e 258) L. 4 00
» » N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 4 00
» » N. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » 4 00
» » N. IV (annessa ai fogli 257 e 266) » 4 00
» » N. V (annessa ai fogli 273 e 274) » 4 00
N.B. — L’intiera Carta della Sicilia, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d’unione
e copertina, è in vendita al prezzo di lire 100.
Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/500,000 (serve anche di foglio di
unione della precedente) con sezioni prezzo L. 5 00
Descrizione geologica delFIsola di Sicilia, con una Carta geologica, tavole
in zincotipia ed incisioni, dell’Ing. L. Baldacci prezzo L. 10 00
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(in due fogli) prezzo L. 15 00
Descrizione geologica dell’ Isola d’Elba con Carta annessa nella scala di
1/50,000, dell’Ing. B. Lotti prezzo L. 10 00
Relazione sulle miniere di ferro dell’Isola d’Elba, con un atlante di carte e
sezioni geologiche, dellTng. A. Fabri . . . prezzo L. 20 00
Descrizione geologico-miner. delTIglesiente (Sardegna), con un atlante di XXX
tavole e una Carta geologica, dell’ Ing. GL Zoppi, prezzo L. 15 00
Carta geologico-mineraria dell’Iglesiente (Sardegna), nella scala di 1/50,000
(in un foglio) prezzo L. 5 00
IN CORSO DI LAVORO
Carta geologica di parte dell’Italia Centrale nella scala di 1/100,000. Sei
fogli con una tavola di sezioni.
Carta geologica dell’Italia, in due fogli, nella scala di 1/1,000,000 (seconda edizione
riveduta e migliorata della Carta pubblicata nel 1881).
Per le commissioni rivolgersi al R. Ufficio Geologico, ovvero alla Libreria
E. Loescher, in Roma.
Pubblicazioni in vendita presso l’Ufficio Geologico
Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia; Voi. I a XVII, dal 1870 al 1886
— Prezzo di ciascun volume L. 10 —
Idem di un fascicolo separato ' » 2 —
N.B. - II prezzo di abbonamento annuo e di !.. 8 per l'interno
e di L. IO per V estero.
Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia; Voi. I,
II e III (Parte la).
Voi. I. Firenze, 1872 » 85 —
Voi. II. Firenze, 1873-74 » 80 —
Voi. III. Parte la; Firenze, 1876 » 10 —
I. Cocchi. — Brevi cenni sui principali Istituti e Comitati geologici e sul
R. Comitato Geologico d’ Italia. Firenze, 1871 » 1 50
P. Zezi. — Cenni intorno ai lavori per la Carta geologica in grande scala.
Poma, 1875 . » 1 —
F. Giordano. — Esposizione in ordine cronologico delle principali disposi-
zioni successivamente emanate relativamente alla Carta geologica d’Italia.
Roma, 1879 » 1 —
F. Giordano. — Sopra un progetto di legge per il compimento della Carta
geologica d’Italia, Roma, 1830. ............. » 1 50
F. Giordano. — Cenni sull’organizzazione e sui lavori degli Istituti geologici
esistenti nei vari paesi. Roma, 1881 » 1 50
G. Capellini. — Relazione a S. E. il Ministro di Agr. Ind. e Comm. sul
Congresso geologico internazionale del 1881. Roma, 1881 .... » 1 —
I. Cocchi. — Carta geologica della parte orientale dell’Isola d’Elba; scala
di 1/50,000. Firenze, 1871 .-...* » 2 50
C. W. C. Fuchs. — Carta geologica dell’Isola d’ Ischia; scala di 1/25,000.
Firenze, 1878. . » 2 —
C. Doelter. — Carta geologica delle ìsole Ponza, Palmarola e Zannone;
scala di 1/20,000. Roma, 1876 » 2 —
C. De Giorgi. — Abbozzo di Carta geologica della Basilicata; scala di
1/400,000. Roma, 1879 » 2 —
C. De Giorgi. — Carta geologica della provincia di Lecce; scala di 1/400,000.
Roma, 1880 » 2 —
G. Capellini. — Carta geologica dei monti di Livorno, di Castellina Ma-
rittima e di parte del Volterrano ; scala di 1/100, OCO. Roma, 1881 . » 3 —
G. Capellini. — Carta geologica della provincia di Bologna ; scala
di 1/100,000. Roma, 1881 » 4 —
G. Capellini. — Carta geologica dei dintorni del golfo di Spezia e Val di
Magra inferiore; 2a edizione; scala di 1/50,000. Roma, ISSI . . » 3 —
T. Taramelli. — Carta geologica del Friuli, con testo descrittivo; scala
di 1/200,000. Udine, 1881 » 7 —
Bibliographie géologique et paleontologique de l’Italie. Bologne, 1881 . . » 10 —
Bibliografia geologica e paleontologica della provincia di Roma. Roma, 1886 » 2 —
Bibliografia geologica italiana per l’anno 1886. Roma, 1887 » 1 50
Annunzi di pubblicazioni
M. Malagoli. — Descrizione di alcuni foraminiferi nuovi del tortoniano
di Montegibip (Memorie della Società dei Naturalisti, S. Ili, voi. VII,
fase. 1°). - — Modena, 1888; pag. 6 in-3°.
Idem. — Note paleontologiche sopra un Astrogonium e una Chinodota,
del pliocene (Ibidem). — Modena, 1888; pag. 4, m ò°.
R. Panebianco. — Sulla nomenclatura dei minerali. — Venezia, 1888;
pag. 10, in- 8°.
T. Taramelli e G. Mercalli. — Alcuni risultati di uno studio sul terre-
moto ligure del 23 febbraio 1887 (Rendiconti della R. Accademia dei
Lincei, voi. IV, fase. 1°) — Roma, 1888; pag. 14 in-4°.
P. Franco. — Sull’ origine dei noduli di fosforite del Capo di Leuca. —
Napoli, 1888; pag. 4 in-4°.
F. Sacco. — Aggiunte alla fauna malacologica estramarina fossile del
Piemonte e della Liguria. — Torino, 1888; pag. 3' in-4° con 2 tavole.
Idem. — Note di paleoicnologia italiana. — Milano, 1888; pag. 40 in-8° con
due tavole.
L. Ricciardi. — Confronto fra le roccie degli Euganei, del Monte Amiata
e della Pantelleria. — Milano, 1888; pag. 14 in-8°.
Idem. — Sulle roccie vulcaniche di Rossena nelfEmilia. — Milano, 1883;
pag. 10 in-8°.
E. Clerici. — Sulla Corbicula fiuminalis dei dintorni di Roma e sui fossili
che T accompagnano. — Roma, 1883; pag. 24 in-8° con due tavole.
P. Strobel. — Barboi (salse) del Parmigiano. — ■ Parma 1888; pag. 18 in-8°‘
con una tavola.
E. Artini. — Epidoto dell’Elba (Memorie della R. Accademia dei Lincei,
S. IV, Voi. IV). — Roma, 1888; pag. 26 in-4°, con una tavola.
A. Sella. — Sulla sellaite e sui minerali che l’accompagnano (Ibidem). —
Roma, 1888; pag. 18 in-4°, con una tavola.
F. Sacco. — 11 cono di dejezione della Stura di Lanzo. Roma, 1888;
pag. 16, in-8°, con una carta geologica.
Idem. — 1 terreni terziarii e quaternarii del Biellese. - Torino, 1888;
pag. 26, in-4°, con una carta geologica.
C. De Stefani. — Iconografìa dei nuovi molluschi pliocenici d’ intorno
Siena. (Boll, della Società Malacologica italiana, Voi. XIII). — Pisa, 1888;
pag. 28, in-4°.
A. Secco. — 11 piano ad Aspidoceras Acanthicum. Op. inCollalto di So-
logna. (Bollettino della Società geologica italiana. Voi. VII, fase. 2°)
Roma, 1888; pag. 26, in 8 , con una tavola.
A. Neviani. — Le formazioni terziarie nella valle del Mesima. (Ibidem). —
Roma, 1888; pag. 8, in 8°.
A. Tellini. — Le nummulitidee terziarie dell’Alta Italia occidentale.
(Ibidem). — Roma, 1888; pag. 62, in-8°, con una tavola.
C. De Stefani. — Origine del porto di Messina e di alcuni interrimenti
lungo lo stretto. (Ibidem), — Roma, 1888; pag. 10, in-4°.
E. Mariani. — Foraminiferi delle marne plioceniche di Savona. (Atti della
Società Italiana di Scienze Naturali, Voi. XXXI, fase. 1°). — Milano 1888;
pag. 88, in-8°, con una tavola.
A. Issel. — La caverna della Giacheira presso Pigna. (Liguria Occiden-
tale) (Memorie della Società toscana di Scienze nat., Voi. IX). — Pisa, 1888;
pag. 10, in-8°, con una tavola.
A. Ristori. — Alcuni crostacei del miocene medio italiano. (Ibidem). —
Pisa 18S8; pag. 8, in-8°, con una tavola.
E. Di Poggio. — Cenni di geologia sopra Matera in Bas licata. (Ibidem). —
Pisa, 1888; pag. 12, in -8°.
Bollettino N.° 11 e 12
Novembre e Dicembre
'
-
.
ROMA
TIPOGRAFIA NAZIONALE
di Reggiani & soci
1888.
ELENCO
del personale componente il Comitato e l’Ufficio Geologico
alla fine del 1888
R. Comitato Geologico.
Meneghini Giuseppe, prof, di geologia nella E. Università di Pisa, Presici .
Capellini Giovanni, prof, di geologia nella E. Università di Bologna.
Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze.
Cossa Alfonso, prof, di chimica nella E. Scuola di applicazione per gli
ingegneri in Torino.
De Zigno Achille, membro nel E. Istituto Veneto, a Padova.
Gemmellaro Gaetano Giorgio, prof, di geologia, E. Università di Palermo.
Scacchi Arcangelo, prof, di mineralogia nella E. Università di Napoli.
Scarabelli Giuseppe, senatore del Eegno, a Imola.
Silvestri Orazio, prof, di geologia nella E. Università di Catania.
Stoppani Antonio, professore di geologia nel E. Istituto tecnico supe-
riore di Milano.
StrIìver Giovanni, prof, di mineralogia nella E. Università di Eoma.
Taramele t Torquato, prof, di geologia nella E. Università di Pavia.
Il Direttore del E. Istituto geografico militare in Firenze.
Giordano Felice, ispettore-capo del E. Corpo delle Miniere, a Eoma.
Pellati Niccolò, ispettore nel E. Corpo delle Miniere, a Eoma.
Personale addetto ai lavori della Carta Geologica.
Direzione superiore :
Ing. Giordano Felice, Direttore.
Ing. Pellati Niccolò.
Ufficio centrale (in Poma):
Ing. Zezi Pietro, Capo d’ufficio e Segretario del Comitato.
Ing. Sormani Claudio.
Geologi operatori :
Ing. Baldacci Luigi, Eoma.
Ing. Lotti Bernardino, Pisa.
Ing. Cortese Emilio, Eoma.
Ing. Zaccagna Domenico, Pisa.
Ing. Viola Carlo, Eoma.
Ing. Novarese Vittorio, Eoma
Ing. Aichino Giovanni, Eoma.
Ing. Sabatini Venturino, Eoma.
Ing. Franchi Secondo, Torino.
Sig. Fossen Pietro, aiutante, Pisa.
Sig. Cassetti Michele, aiutante, Eoma.
Sig. Moderni Pompeo, aiutante, Eoma.
Personale distaccato :
Ing. Mattirolo Ettore, Torino (analisi delle roccie).
Dott. Canavari Mario, Pisa (paleontologo).
La sede dell’Ufficio geologico in Roma è nel Museo agrario-geologico,
via Santa Susanna, n. 1-A.
BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO
D’ITALIA.
Serie IL Voi. IX. Novembre e Dicembre 1888. N. 11 e 12.
SOMMARIO.
Memorie originali. — I. Nuove osservazioni sulla geologia della Montagnola
Senese, di B. Lotti ,(con una tavola). — II. Alcune osservazioni sulla fauna
delle ligniti di Oasteani e di Montebamboli (Toscana), di K. A. WEITHOFER.
Notizie bibliografiche. — Bibliografìa geologica italiana per l’anno 1887 ( con-
tinuazione e fine).
Notizie diverse. < — Nuove osservazioni fatte in Napoli e dintorni.
Avviso di pubblicazione della Carta geologica d’Italia.
Tavole ed incisioni. — Tav. VI: Sezioni geologiche nella Montagnola Senese
(B. Lotti), a pag. 362.
Elenco del personale del Comitato ed Ufficio Geologico alla fine del 1888.
Indice delle materie contenute nel Bollettino del 1888.
MEMORIE ORIGINALI
I.
Nuove osservazioni sulla geologia della Montagnola Senese,
dell’ing. B. Lotti.
(con una tavola)'
Sono ormai dieci anni che dal prof. Pantanelli e dallo scrivente,
in seguito a reiterate escursioni in vari punti della Montagnola Senese,
si giunse a conclusioni diverse da quelle cui eran giunti i precedenti
osservatori a riguardo del posto occupato nella serie stratigrafìca e
cronologica da quella formazione marmifera che racchiude il noto giallo
di Siena od anche broccatello di Siena o di Montarrenti. — Questi
marmi, che venivano riferiti al Lias e ritenuti sovrapposti ad un cal-
care cavernoso retico, furono da noi1 riconosciuti sottostanti al detto
1 Pantanelli e Lotti, I marnfi della Montagnola Senese (Boll. Coni. Geol.
}8?8, n, 9-10).
2£
342 —
calcare e quindi, per analogia litologica colla formazione marmifera
delle Alpi Apuane, riferibili con molta probabilità al Trias superiore.
Il prof. De Stefani, in una erudita descrizione geologica di questo
gruppo della Catena Metallifera, 1 confermò di poi il fatto stratigra-
fìco della sovrapposizione del calcare cavernoso al marmo, ma, volendo
mantener questo nel Lias, credè di dover riferire quello al Titoniano.
Dovendosi, per cura del R. Ufficio Geologico procedere ad una
nuova edizione migliorata della Carta geologica d'Italia in piccola scala,
si credè opportuno, in vista del disaccordo esistente fra i precitati au-
tori circa l’età di quei terreni della Montagnola, di eseguirne il rileva-
mento geologico dettagliato, allo scopo di acquistare con più accurate
osservazioni prove sufficienti a stabilire con maggior precisione il posto
occupato nella serie cronologica dalle formazioni controverse. Tale la-
voro fu affidato allo scrivente, cui fu immensamente facilitato il còm-
pito per la gentilezza del marchese Chigi, intelligente cultore di scienze
archeologiche e naturali e proprietario di una vasta tenuta situata nel
cuore della regione da studiarsi.
Dopo la memoria del prof. De Stefani, essendo a mio parere su-
perfluo il rifare da capo una descrizione topografica e geologica della
Montagnola Senese, abbenchè su vari capìtoli di essa sia completo
il disaccordo col prelodato autore, ho creduto opportuno limitare questo
mio scritto alla esposizione dei nuovi fatti osservati ed alle conclusioni
che ne derivano, rimandando alla detta memoria per ulteriori dettagli.
Il rilevamento geologico della Montagnola Senese è reso estrema-
mente difficile dalla fìtta vegetazione boschiva che nasconde quasi
dappertutto il sottosuolo roccioso. Occorre mettere il piede dovunque,
percorrere palmo a palmo il terreno se voglionsi tracciare limiti me-
diocremente giusti delle varie formazioni. Il difetto di marcate acci-
dentalità orografiche non che le frequenti, sebbene lievi, ondulazioni
degli strati, oppongono notevoli difficoltà per ben stabilire i rapporti di
posizione delle varie formazioni fra loro e ciò spiega appunto come
tali rapporti fossero stati scambiati da alcuni chiarissimi geologi.
La natura della vegetazione aiuta invero nelle ricerche, essendo
1 C. De Stefani, La Montagnola Senese (Boll. Com, Geol. 1879 e 1880).
— 343 —
in stretta relazione con quella del suolo; ma ciò verificasi dal punto
di vista litologico, non geologico, poiché, ad esempio, sui calcari, siano
essi quelli marmorei triasici o quelli cavernosi retici, vegetano pre-
valentemente i lecci, mentre gli scisti, siano del Trias come del Per-
mico, sono ricoperti di castagni.
Fermico. — Gli strati più antichi della Montagnola sono costituiti
da scisti micacei, in parte argillosi, in parte arenacei, da arenarie
quarzitiche. e da conglomerati quarzosi. È la formazione caratteristica
della Verruca nei monti di Pisa (da cui il nome di verrucano ), che io
per ragioni esposte altrove, ho creduto di poter riferire al sistema
permico, anziché al Trias superiore, come fu fatto dal De Stefani.
I Queste roccie affiorano in lembi isolati, di solito non molto estesi,
in vari punti della Montagnola, ed erano già conosciute dai precedenti
autori lungo la valle del torrente Rosia, tra Tantino castello di Mon-
tarrenti e il paese di Rosia, ove acquistano un notevole sviluppo, alle
Cetine di Cotorniano ed a Personata presso Cetinale, ove furono se-
gnalate dal Chigi al Congresso degli scienziati del 1872. Io le ho tro-
vate dipoi in varie altre località.
Sotto il calcare cavernoso retico, presso Prugliano, nel lato orien-
tale della Montagnola, affiora un lembo assai esteso di scisti arenacei
e di arenarie quarzitiche violette, cui sovrappongonsi pochi strati di
scisti argillosi alternanti con straterelli di un calcare giallastro impuro
intimamente collegato al calcare retico. Poco lungi, presso Fungaia,
osservasi altro piccolo affioramento nelle identiche condizioni. Nel lato
occidentale il verrucano comparisce con discreto sviluppo nel Poggio
alla Pigna, presso la Fattoria di Cerbaia (Tav. VI, sez. B-B) », ed e rico-
perto in parte direttamente dal calcare cavernoso, in parte dalla forma-
zione marmifera. La parte inferiore di questa massa è formata di pud-
dinga quarzosa con tormalinite e da arenarie quarzitiche violetto-cupe
e verdi; la parte inferiore è formata da scisti silicei e da scisti micacei
violetti con lenti selciose.
Nella puddinga quarzosa di questa massa si osservano belle vene
1 Le sezioni della tavola annessa al presente scritto sono alla scala di 1 : 25 000
tanto per le altezze quanto per le distanze.
di oligisto lamellare. A circa un chilometro di distanza, nel fosso del
Varco a Pelli sotto il Palazzo al Piano, affiorano per buon tratto le
roccie permiche al disotto dei calcari triasici in parte cristallini
(marmi), in parte subcristallini (grezzoni). Presso Bellaria sotto Pie-
tralata, sempre sul confine occidentale della Montagnola compariscono
scisti micacei violetti, arenarie quarzitiche verdastre e puddinga quar- |
zosa, cui sovraincombono in parte il calcare cavernoso, in parte gli
scisti della formazione marmifera. Questi ultimi lembi di roccie permi-
che furono scambiati dal De Stefani con^quelli triasici 1 e quindi ri-
feriti al Lias. La presenza della puddinga quarzosa, che qui, come in
altri punti della Montagnola e come nbl verrucano tipico del Monte
Pisano e di altre località della Catena Metallifera, racchiude frammenti
di tormalinite, esclude ogni dubbio in proposito.
Trias. Grezzoni. — Uno dei più notevoli risultati ottenuti dal rile-
vamento geologico di questa regione fu la scoperta di vari affioramenti
di grezzone , ossia di quel calcare compatto o subcristallino che nelle
Alpi Apuane trovasi quasi dappertutto alla base delle masse marmoree
e che racchiude, insieme ad altri fossili, raramente in stato da permet-
tere una esatta determinazione, Y Encrinus liliiformis abituale del Trias
medio.
Nella Montagnola, per dire il vero, questo calcare non ha offerto
fossili determinabili e tanto meno caratteristici, ma la sua posizione
stratigrafica, l’aspetto della roccia e certe peculiarità di struttura non
lasciano dubbio sulla perfetta corrispondenza cronologica di esso cal-
care col grezzone delle Alpi Apuane.
Oltrepassato di poco il ponte di S. Lucia, andando verso Montar-
renti, lungo il torrente Rosia vedesi un piccolo anticlinale di verrucano
ricoperto sul lato Ovest da un calcare compatto di tinta variabile fra
il grigio-chiaro e il grigio-cupo. Esso presenta una marcata sfaldatura
in pseudoromboedri, è fetido alla percossa e talora brecciforme. Il De
Stefani scambiò* questo calcare con quello retico (per lui titoniano),
come ne scambiò i rapporti di posizione col marmo, 2 poiché non ri-
1 C. Db Stefani, 1. c., pag. 336.
2 0. De Stefani-, 1. c., pag, 349.
- 345 —
r
posa su questo, ma è da questo ricoperto. Tali rapporti sono' indicati
dalla sezione C-C (Tav. VI) e possono essere verificati percorrendo atten-
tamente il taglio lungo la strada provinciale tra il fosso che scende
da Tonni e il castello di Montarrenti.
Il grezzone, che sul lato Ovest deiranticlinale di verrucano passa
gradatamente al marmo delle cave di Montarrenti, manca sul lato Est
ed il marmo riposa quindi direttamente sul verrucano; risalendo però
il fosso vedesi il grezzone anche da questo lato, ove termina in cuneo,
come mostra la citata sezione.
Nel fondo del fosso di Varco a Pelli i grezzoni affiorano nuova-
mente al disotto del marmo ed acquistano un notevole sviluppo esten-
dendosi specialmente sulla destra fin sul Poggio a Seta verso Simi-
gnano. Essi ricuoprono in parte una piccola massa di verrucano ed in
tutti i più minuti dettagli assomigliano a quelli delle Alpi Apuane;
sono compatti o minutamente cristallini, grigi, giallastri ed anche rosei,
come una varietà speciale del Campaccio presso Massa, e percuoten-
doli odorano di carburo idrico. Sulle superficie logorate dalle intemperie
presentano dei rilievi organici indeterminabili, che nelle sezioni micro-
scopiche appariscono come corpi di forma circolare od ellittica allun-
gata, molto analoghi a quelli osservati nei grezzoni delle Alpi Apuane
ed in un calcare triasico del Monte Pisano *. La struttura della roccia
al microscopio è quella caratteristica dei grezzoni apuani; essa appa^
risce come una massa granulare in cui son disseminati porfìricamente
rari cristallini di calcite orientati in varie direzioni.
I due accennati affioramenti di grezzone trovansi sopra una stessa
piega anticìinale, avente l’asse diretto da N.NiO a S.S.E.
Queste masse calcaree sono manifestamente di forma amigdalaré,
per cui i vari lembi di roccie permiche o sono solo in parte da esso
ricoperte o lo sono totalmente dal marmOi Un tal fatto è assai fre-
quente anche nelle Alpi Apuane.
Marmi e scisti. — La formazione marmifera, costituita dà calcari
Cristallini, calcescisti^ calcari compatti ò subcristallini con selce, scisti
1 B. Lotti, Un problema stratigrafìoo nel M. Pisano (Boli. Com. Geoì.
1888, n. 1-2).
.
I
— 346 —
argillosi e scisti silicei, è intimamente collegata ai grezzoni sottostanti
ed al calcare retico sovrapposto, mentre è dappertutto indipendente
da quella del verrucano colla quale viene in contatto ove mancano i
grezzoni.
Sopra Cetinale, per la via degli Incrociati, il contatto fra il calcare
retico e gli scisti è formato da calcescisti e da calcari sottilmente
stratificati, impuri, di solito giallastri, che poco sopra, al Poggio degli
Orgiali, divengono cristallini, bianchi o violetti, e racchiudono lenti di
selce, crinoidi e vene di quarzo con oligisto. Talvolta si osservano nelle
alture accumulamenti di detriti selciosi, residui della dissoluzione del
calcare. Nella detta località sotto a questi calcari seguono scisti gial-
lastri, grigi e violetti, con vene di quarzo, talvolta in nitidi cristalli di
cui il marchese Chigi possiede una copiosa collezione.
Procedendo verso Gabbreta questi calcari vedonsi sostituiti da scisti
argillosi dendritici gialli, verdastri o variegati. Gli scisti gialli assomi-
gliano a quelli del Lias superiore contenenti la Posidonomya Bronni',
però mentre questi ultimi provengono dalla decomposizione di un cal-
care molto argilloso, quelli sono formati di sola argilla. Scisti triasici
analoghi li ho trovati pure alle Mulina nel Monte Pisano e in vari punti
^delle Alpi Apuane. Invano vi ricercai la Posidonomya Bronni .
Poco lungi, presso La Chiostra, la parte superiore della formazione
marmifera consta di calcare cristallino bianco o giallo cui succedono
inferiormente scisti violetti e verdastri, calcescisti cristallini, verdi,
cloritosi, analoghi a quelli triasici di Castel Passerino \ nel M. Pisano
e di Pruno nelle Alpi Apuane.
Per la via vecchia di Tegoia incominciano la serie marmifera, in
senso discendente, certi scisti micacei lucenti, verdastri, calcariferi,
al disotto dei quali succedono scisti argillosi violetti che fanno pas-
saggio a calcescisti cristallini, comprendenti talora grosse lenti di
marmo bianco saccaroide o giallo, finamente granulare con crinoidi e
sezioni di gasteropodi. Più in alto, verso Molli, sono calcari grigi a
lastre, spesso micacei, che racchiudono tali lenti marmoree. Il marmo
bianco, talora a grana di statuario, viene scavato presso Tegoia pei re-
1 B. Lotti, Un probi, strat. nel M . Pisano (Boli. Corri. Geol. 1888, n. 1-2).
stauri del Duomo di Siena; è però alquanto difettoso presentando una
marcata fissilità in varie direzioni e contenendo vene sottili e mosche
giallo-chiare dovute a secrezioni e concrezioni ferruginose che impe-
discono di ottenere blocchi colle necessarie dimensioni. Il passaggio dal
marmo bianco al giallo è graduale e possono osservarsi alcune masse
gialle all’esterno che sfumano in .bianco candido nella parte centrale.
A Molli il calcare cavernoso retico del Monte Ferraia (Tavola VI,
sez. B-B), ricopre scisti verdi ardesiaci lucenti e calcescisti cristallini,
mentre fra Molli e il Campino riposa su calcari a lastre grigi o ve-
nati, compatti o finamente granulari che ricordano in modo sorpren-
dente quelli di Mosceta nelle Alpi Apuane, che stanno tra il calcare
retico della Pania e il marmo triasico della Corchia.
Nelle vicinanze di Cerbaia notasi che gli scisti silicei del Trias
sovraincombono direttamente al verrucano.
Presso allo sbocco del torrente Rigo Taglio in Rosia tutta la for-
mazione marmifera è rappresentata da pochi strati sottili di calcare
cristallino bianco che fa passaggio al sovrapposto calcare retico. Se-
condo le conclusioni del De Stefani, essi dovrebbero rappresentare un
lembo di Lias compreso fra il Titoniano e il Trias. In questi straterelli
marmorei si osserva che lateralmente a certe litoclasi il calcare è
sostituito da ematite calcari fera che conserva la struttura, granulare del
marmo; la sostituzione si estende per quattro o cinque centimetri da
ambo i lati della frattura.
Presso Montarrenti, ove si hanno varie cave del famoso giallo di
Siena> il marmo succede direttamente al calcare retico (Tavola VI,
sez. C-C) e forma in questi dintorni le masse più notevoli. In nessun
altro punto apparisce come qui manifesta la impossibilità di tener di-
stinti, come vuole il De Stefani, i marmi gialli da quelli bianchi; essi
alternano qui più volte fra loro e sfumano l’uno sull’altro. Il più bel
marmo è quello brecciato giallo, con vene di ematite; questa varietà
trovasi associata al marmo giallo uniforme, cha passa talvolta in
roseo* e ad una breccia di marmo giallo e bianco.
La massa marmorea di Montarrenti, nella quale prevale di gran
lunga il calcare cristallino bianco, si estende in direzione N.O-S.E fin
presso Gallena, formando una zona continua di circa 8 chilometri di
lunghezza per uno di ampiezza. Scendendo dalla fattoria di Cerbaia
— 348 —
verso la rotabile della valle d’ Elsa si attraversa questa zona percor-
rendo la serie discendente. Sotto il calcare retico seguono scisti silicei
giallastri e scisti argillosi violetti, quindi pochi marmi gialli e final-
mente una potente massa di marmo bianco.
Presso la estremità settentrionale di questa zona marmorea, al
principio della rotabile di Gallona vedesi un sinclinale di calcare con
selce alquanto scistoso, cui si associano certi scisti gialli allappanti
che si direbbero quelli a Posidonomya Bronni del Lias superiore. A
parte la notevole differenza litologica che esiste fra questi di Gallena,
micaceo-argillosi, e quelli del Lias, argilloso-calcarei, differenza che
risalta immediatamente all’occhio di chi ha in pratica queste roccie,
una ricerca accuratissima non mi fece ritrovare in questi la benché
minima traccia di quel fossile caratteristico che non manca mai nei
veri strati del Lias superiore. Fu già notato del resto che questa
forma litologica si ripete nel Trias superiore delle Alpi Apuane e del
Monte Pisano, pure in connessione a calcari con selce.
Poco sopra al podere Salvi questi scisti sono fittamente pieghettati
e racchiudono un’amigdala di marmo grigio-chiaro e qua e là qualche
strato di marmo giallo con articoli di crinoidi. Più in alto, presso il
cimitero di Gallena, divengono scisti silicei.
Sopra Gallena riacquistano sviluppo i marmi bianchi spesso venati
di cui esistono varie escavazioni, alcune attive, altre abbandonate. È
la continuazione della grande zona marmorea preaccennata che par-
tendosi da Montarrenti forma i monti di Caprazoppa e di Radi.
Da questo punto fino alle alture di Marmoraia e di Lucerena pre-
dominano i calcari retici e gli scisti ; solo qua e là si associano a
questi ultimi alcune lenti marmoree di non grandi dimensioni. Così se
ne hanno a Mantiano, in vai di Ripoli, fra Bracaletto e le Fonti, a
Caggio e alla Chiostra, senza parlare delle masse già ricordate di Molli,
di Tegoia e del Campino. La massa di Marmoraia è la più estesa e
potente dopo quella di Montarrenti.
Tra Scorgiano e Marmoraia sotto il calcare retico seguono marmi
e calcari a lastre, quindi scisti verdi e violetti argillosi che presene
tano efflorescenze di carbonato di rame, come quelli triasici di Vagli
e d’Arni nelle Alpi Apuane e delle Mulina nel Monte Pisano. Ad essi
associansi bei cipollini con mandorle di statuario purissimo ed una
— 349 —
breccia colorata che ricorda il paonazzetto di Carrara. Tra Marmoraia
e Mucellena vi è un bel marmo grigio-cupo variegato ( bardiglio fiorito),
molto somigliante a quello di Stazzema nelle Alpi Apuane. Predomina
in questi dintorni il marmo bianco, mentre a poca distanza, sulla via
di Lucerena, ricomparisce il giallo e quivi ripieno di crinoidi e di se-
zioni di gasteropodi. Il dott. Simonelli ne imprese lo studio, ma per la
loro imperfetta conservazione non potè giungere a determinazioni pre-
cise ; tuttavia non potè non riconoscere l’analogia di alcuni degli articoli
di crinoidi con quelli di certi encrini e segnatamente de\Y Encrinus gra-
nulosus Mùnst., del Trias di S. Cassiano, senza però nascondere la so-
miglianza che hanno coi millericrini giurassici, come il Millericrinus
adnetieus Quenstedt, per esempio. 1 2 Già il prof. Meneghini aveva de-
terminato fra questi fossili un Pentacrinus cfr. psilonoti Quenst. e un
Millericrinus cfr. Hausmanni et adnetieus (ab utroque dio Le traccie
d’ammoniti che si osservano sopra alcune tavole levigate di marmo
giallo di Siena nel Museo di fisiologia, nella chiesa dell’Annunziata e
nel Palazzo Pitti in Firenze, non che nel Museo privato del dott. Fe-
derigo Castelli in Livorno, non escludono che esse possano apparte-
nere a tipi triasici e tanto meno poi autorizzano a ritenerle liasiche.
Quasi sempre si presentano in sezione obliqua, cosicché i setti ri-
sultano poco o punto caratteristici e ciò che si vede è insufficiente
per una determinazione specifica. Sopra una tavola del Museo di fisio-
logia si osservano in sezione lobi alquanto sviluppati, ma ciò non im-
plica che 1J ammonite cui si riferiscono debba essere basico, perchè
molti ammoniti triasici ebbero lobi assai sviluppati. Nella tavola del
Museo Castelli, in una sezione pressoché tangenziale, si osserva che
la linea lobale risulta di alcune selle pochissimo frastagliate e assai
slanciate che ricordano quelle di alcuni tipi triasici. 3 Quand’ anche
del resto il carattere basico risultasse dall’ insieme della scarsa fauna
dei marmi senesi, non dovrebbe ciò sorprendere, poiché lo stesso fatto
1 V. SimonHLli, Fossili del marmo giallo della Montagnola Senese (Proc?4
Verb. Soc. tose. Se. nat., 13 nov. 1$8 1).
2 Pàntanelli e Lotti, Le.
3 Comunicazioni verbali del dott. Canavari,
— 350 —
verificasi per i marmi apuani, per i quali nondimeno l’età triasica è
indiscutibile.
Nei dintorni di Marmoraia e Lucerena si hanno le più belle va-
rietà di marmi; ve ne sono verdi e neri, o almeno grigio-cupi, a Gioma;
bianchi o giallo-chiari alle Marmoraie; grigi venati al Poggio alle Case,
violetti, carnicini e brecciati ( broccatelli ) presso Lucerena. Questi ultimi
sono costituiti da frammenti o piccole amigdale di marmo giallo, car-
nicino e violetto, impastati da uno scisto violetto di tinta più intensa.
11 marmo violetto è spesso ripieno d’articoli di cr inoidi.
A Sud e ad Ovest di Lucerena predominano gli scisti. Presso Pie-
tralata sono scisti argillosi violetti con vene di clorite, ricoperti da
calcescisti grigio-cupi. Poco sopra, a Ripostena, vi è uno scisto grigio,
quasi intieramente micaceo, che ne ricorda certi di Pietrasanta e di
Seravezza; superiormente seguono scisti novaculitici simili a quelli di
Resceto nel Massese. 1 È degna di nota la decomposizione di questi
scisti in terra bianca finissima di cui vedonsi quà e là delle piccole esca-
vazioni. Mentre lo scisto inalterato è costituito da Silice 21,75; Carb. di
calce 75,20; Carb. di magnesia 1,21; Ossido di ferro 0,60, 2 il prodotto della
sua decomposizione consta di Silice 15,00; Carb. di calce 82,00; Carb.
di magnesia 0,74; Ossido di ferro 0,60. 3 Esaminata al microscopio que-
sta terra presenta degli aciculi che sono probabilmente d'apatite.
Scisti analoghi a questo di Ripostena, non che calcescisti fogliet-
tati si ritrovano pure sotto S. Michele per la via di Pietralata.
Nella parte orientale della Montagnola le roccie triasiche man-
cano o sono rappresentate solo da pochi strati argillosi, come, per
esempio, presso il Poggiolo.
Nel fosso Rigo, fra Lecceto e le Masse di Siena, alla estremità
orientale della Montagnola, compariscono questi scisti dove il calcare
1 Questa roccia polverizzata e trattata con acido cloridrico produce discreta effer-
vescenza sciogliendosi in piccolissima parte. La parte indisciolta esaminata al micro-
scopio mostrasi formata da granelli di quarzo e da sottilissime scagliette di talco.
La lamina sottile della roccia offre al microscopio un fittissimo aggregato lamellare
di talco, alternato da granuli di quarzo, disposti isolatamente o, più spesso, in
gruppi lenticolari o venuiiformi ( Comunicazioni scritte del dott. Bucca)»
2 Analisi chimica gentilmente eseguitami dal prof. Funaro.
5 Idem.
— 351 —
retico è più profondamente eroso. Qui, come altrove si osservano ma-
nifestamente certe intrusioni dello scisto nel calcare sovrastante; fe-
nomeno dovuto probabilmente al fatto che il calcare al contatto cogli
scisti più o meno impermeabili venne percorso da acque sotterranee e
disciolto, donde cavità che furono poi riempite dalla roccia relativa-
mente plastica sottostante.
Retico. — In vari punti fra il calcare retico e gli scisti si osserva
un prodotto di decomposizione che in parte deriva dal calcare, in
parte dallo scisto argilloso; nel primo caso consta di sabbia calcarea
bianca, sottile, purissima, nel secondo di argilla che potrebbe chiamarsi
un vero e proprio caolino. Le due sostanze sono di solito associate e
sembrano essere in rapporto con uno stesso fenomeno.
In vari punti, alla base del calcare marnoso massiccio, vedonsi
protrusioni di una roccia calcarea cristallina stratificata e bizzarra-
mente contorta; quivi appunto osservasi di preferenza la formazione
della terra bianca sabbiosa. Anche presso Prugliano questa sabbia ap-
parisce come prodotto della disgregazione di calcari cristallini sottil-
mente stratificati, che quivi pure trovansi alla base del calcare caver-
noso. Calcari cristallini giallastri, in strati sottili, si ritrovano anche
nella valle di Merse presso Monteriggioni.
Talvolta è lo stesso calcare cavernóso non stratificato che si di-
sgrega riducendosi in terra bianca, ma ciò verificasi solo dove esso
presenta struttura granulare e maggiore compattezza, come può vedersi
tra Fungaia e Ricciano, non che sotto Campo alla Pania in quel di
Personata. Quivi la produzione della terra bianca è stata imponente,
avendosene per uno spessore di 8 o 10 metri, mentre gli scisti argil-
losi sottostanti sono ridotti in caolino che viene scavato per usi di
ceramica. L’escavazione vien fatta in parte a cielo aperto, in parte con
pozzi e cunicoli. La terra calcarea ha la seguente composizione chi-
mica: Silice 17,50; Carb. di calce 81,25; Carb. di magnesia 0,37. Quella
argillosa contiene: Silice 86,70 a 95,20; Carb. di calce 4,60 a 0.50; Carb.
di magnesia 0,76 a 0,57 ; Ossido di ferro 1,75 a 0,75. Il calcare cristal-
lino che produce la sabbia calcarea è composto da Silice 1,05; Carb.
di calce 98,10; Carb. di magnesia 0,68. 1 Vedesi pertanto che la pro-
1 Analisi del prof. Funaro.
i
— 852 —
duzione della terra bianca deve essere determinata dalla sottrazione di
carbonati dalla roccia madre: le acque sotterranee che scorrevano I
presso il contatto di roccie diversamente permeablili, esercitando la !
loro azione dissolvente di preferenza lungo i piani di contatto dei gra-
nelli calcarei, provocarono il disgregamento della roccia ed al tempo
stesso il suo arricchimento in silice, poiché la parte disciolta dovette
essere puramente calcarea o calcareo-magnesiaca. Un fenomeno ana- j
logo lo notai già all’Elba nei calcari cristallini dolomitici presilurici 1
ed anche in alcuni marmi delle Alpi Apuane, sempre al contatto colla !
formazione scistosa sottostante. L’azione delle acque sugli scisti argil- j
losi dovette consistere unicamente in un disgregamento meccanico e
nella epurazione dagli ossidi di ferro e di manganese che contenevano.
Lungo il contatto fra il calcare retico e gli scisti triasici si os- j
serva in generale che esso calcare è ferruginoso e che contiene delle
masse, benché industrialmente poco importanti, di limonite. Fra la Cetina
e Fontevecchia il calcare è tutto compenetrato di minuti cristallini
pentagonododecaedrici di limonite.pseudomorfica di pirite. Anche questo
fenomeno, come quello del disgregamento, è dovuto probabilmente alle
acque sotterranee più o meno ferruginose, che più facilmente si accu-
mularono e circolarono lungo questo contatto depositandovi il ferro.
Il calcare retico é il terreno che presenta il maggiore sviluppo
nella Montagnola ed in generale è cavernoso, grigio, dolomitico. Presso
l’Abadia ed il Petraio, a Nord del Monte Maggio, questo calcare è spic-
catamente cristallino a grana fine, bianco, grigio-chiaro, grigio-cupo ed
anche roseo, talora brecciforme coi frammenti cristallini ed il cemento
ferruginoso. Il calcare grigio è sempre alquanto fetido, però non
sembra che questa colorazione sia dovuta a sostanze organiche poiché
persiste anche col riscaldamento della roccia; del resto questi calcari
retici, come anche i grezzoni, odorano di idrocarburi anche quando
sono di color chiaro.
Il calcare bianco possiede quella lucentezza madreperlacea propria
delle roccie dolomitiche. In alcuni punti di questi dintorni si associa al
calcare cavernoso un calcare minutamente cristallino rosso o roseo
1 Lotti B., Descrizione geologica dell' Isola d'Elba. Roma, 1886, pag. 15.
che potrebbesi credere liasico, se non fosse già conosciuto altrove
nella parte superiore del terreno retico, come nelle Alpi Apuane presso
Carrara e nel Monte Pisano presso Caprona. Mentre in generale il
calcare di cui è parola non presenta traccia di stratificazione, in questi
dintorni manifesta localmente strati regolari di 5 a 10 centimetri di
spessore; in tal caso è più omogeneo, non è varicolore e mantiene
una grana cristallina uniforme.
Nelle vicinanze dell’Abadia di S. Dalmazio, presso le Masse di Siena,
il calcare retico, che affiora immediatamente di sotto al pliocene ma-
rino, è compatto e bucherellato dai litofagi. Nella valle di Merse, presso
Monteriggioni, è perfettamente cristallino, a grana di pario, omogeneo,
grigio o, più spesso, chiaro, stratificato e fetido. Fra Scorgiano e Mar-
moraia se ne ha una bella varietà rosea, con vene e geodi di calcite
e concavità ripiene di polvere dolomitica rossiccia.
La struttura cavernosa è del resto quella che predomina in questo
calcare retico ed è ormai constatato che è dovuta alla natura ma-
gnesiaca della roccia. Le sue cellule hanno forma irregolare e sono
o completamente vuote o parzialmente ripiene da una polvere grigia,
dolomitica, finissima. Il calcare grigio-cupo non cavernoso risulta co-
stituito da: Silice 0,77; Carb. di calce 69,00; Oarb. di magnesia 27,69;
Acqua, materie organiche e perdite 2,54 h è quindi un calcare do-
lomitico. Il calcare cavernoso tipico, esclusa la parte pulverulenta,
ha la seguente composizione: Silice 1,00; Carb. di calce 73,00; Carb.
di magnesia 21,94; Acqua e materie organiche 4,00 * 2 3 4. La sostanza pul-
verulenta che ne riempiva le cavità è invece costituita come appresso:
Silice 0,75; Carb. di calce 54,00; Carb. di magnesia 48,82 3: sì tratta
adunque di vera e propria dolomite. Sembra pertanto che la caver-
nosità sia dovuta alla sottrazione del carbonato di calce dalla roccia
dolomitica primitiva; ma tale fenomeno non può avere avuto luogo
nelle regioni superficiali della crosta terrestre, come opina il De Stefani 4,
poiché il carb. di calce è meno solubile di quello di magnesia alla
‘ Analisi del prof. Funaro.
2 Idem.
3 Idem.
4 0. De Stefani, La Montagnola Senese, 1, c., p. 355.
— 354 —
temperatura . ordinaria, mentre avviene il contrario per temperature ele-
vate. Se adunque il fenomeno fosse superficiale, il residuo pulverulento
del calcare cavernoso dovrebbe essere prevalentemente composto di
carbonato di calce, anziché di carbonato di magnesia. L’argomento por-
tato dal De Stefani in appoggio della sua opinione consisterebbe nel
fatto che lungo il torrente Rosia, dove il calcare è stato più difeso
dagli agenti atmosferici non è diventato cavernoso come negli altri
luoghi ove fu esposto alle intemperie. Io credo che il citato autore
noti questo fatto avendo scambiato per calcare retico (secondo lui tito-
niano) il grezzone, da esso non riconosciuto e che comparisce appunto
lungo la Rosia presso Montarrenti.
Ma il punto più controverso relativamente ai calcari dolomitici caver-
nosi della Montagnola sì è la loro età, ed è altresì d’ importanza capi-
tale poiché dalla età di questi dipende in gran parte la risoluzione del
problema, se la formazione marmifera sottostante sia da riferirsi al
Trias, come opinammo ed opiniamo io ed il Pantanelli, ovvero al Lias,
come vuole il De Stefani.
Disgraziatamente il calcare cavernoso della Montagnola non è rico-
perto, come altrove, da terreni immediatamente consecutivi, ma una
grossa lacuna fa sì che su di esso riposino con discordanza formazioni
assai più giovani, spettanti all’Eocene, al Miocene ed anche al Pliocene.
Nessun criterio pertanto esse possono offrirci per giudicare sulla età
controversa del sottostante calcare. Devesi però notare che il detto cal-
care continuasi quasi ininterrotto fino alle colline, della Maremma gros-
setana, ove a luoghi, come al monte di Moscona, è ricoperto dal calcare
basico, ed anche fino ai monti di Prata, ove pure sta sotto a calcari
bianchi e rossi fossiliferi del Lias inferiore. In tutta la vasta regione
che dalla Montagnola estendesi a S.O verso il mare e a S.E fino al
fiume Fiora questi calcari, aventi sempre identici caratteri, sovrain-
combono costantemente a roccie scistose permiche e triasiche, mentre
sono in generale ricoperti da roccie eoceniche ed anche più giovani
e solo in pochi luoghi, come fu detto, da lembi di calcari e di scisti ba-
sici.
Qualora si dovesse ritenere titoniano il calcare cavernoso della
Montagnola, sarebbe forza concludere analogamente per tutti o quasi i
calcari cavernosi della regione suaccennata, mentre il De Stefani stesso
ascrive all’infralias 1 il calcare cavernoso di San Gimignano che compa-
risce asoli 10 km. di distanza dalla Montagnola. Fuori di questa regione,
all’Elba, nelle Alpi Apuane, nei monti della Spezia ed altrove il calcare
cavernoso dolomitico, associato e sottostante al calcare ad Avicula
contorta e sovrapposto direttamente al Trias, fa parte senza dubbio del
terreno retico e, se volessimo dare un certo peso per la determina-
zione dell’età di una roccia alla sua natura e struttura litologica, do-
vremmo concludere senz’altro, vista la straordinaria* rassomiglianza dei
calcari in questione con quelli cronologicamente ben definiti, che essi,
come questi, spettano al retico. In tesi generale potrà invero ritenersi
che l’aspetto litologico non possa servire incontestabilmente a fissare
la corrispondenza cronologica, potendo roccie analoghe riprodursi in
epoche differenti; pure non è possibile non tener conto della rassomi-
glianza litologica in una regione relativamente ristretta e quando trat-
tasi di una roccia tanto caratteristica come il calcare cavernoso. Per
asserire che questo della Montagnola non è quello ordinario retico,
bisognerebbe dimostrare con dati paleontologici incontestabili che i marmi
sottostanti sono liasici, la qual cosa, come vedemmo, non è provata;
e per ritenerlo titoniano occorrerebbe almeno dimostrare la esistenza
di altri calcari cavernosi titoniani in località più o meno vicine. Questo
invero tentò di fare il De Stefani, citando come titoniani il calcare caver-
noso delle Mulina nel Monte Pisano, quello della valle di Gallicano
fra Bruciano e Vergemoli nelle Alpi Apuane e quello del Monte di Co-
tona.
Per ciò che riguarda il calcare cavernoso del Monte Pisano ad-
dussi altrove gli argomenti per dimostrare che la sua posizione stra-
tigrafica, la quale poteva prestarsi a farlo ritenere più giovane del
Lias, era anormale 2 e notai come tutte le sue varietà fossero le più
caratteristiche del calcare retico ordinario, mentre le roccie che ad
esso fanno seguito in basso, calcari a lastre, arenaria, scisti ardesiaci
e calcescisti, sono le forme più comuni del Trias superiore delle Alpi
Apuane.
Quello della valle di Gallicano è indubbiamente retico perchè vi è
1 C. De Stefani, La Montagnola Senese, 1. c., p. 267.
2 B. Lotti, Un probi, strat. nel M. Pisano (Boll. Cgm. Geol. 1888, n. 1-2.).
356 —
associato un calcare compatto, ove io stesso rinvenni un frammento
di Avicula contorta e perchè sovr’esso fanno seguito successivamente
il calcare rosso ad arietiti, il calcare grigio-chiaro con selce e gli
strati a Posidonomya Bronni.
Quanto al calcare carvernoso di Cetona, il collega dott. Canavari,
che imprese il rilevamento geologico di quella regione nella decorsa
estate, mi assicura non esistere affatto in quella località. Vi sarebbe
bensì un calcare dolomitico alquanto cariato che, per essere interposto
a banchi di calcare compatto con fossili del Lias inferiore, deve indub-
biamente riferirsi a questo piano geologico.
È da ritenersi pertanto, finché non sia provato incontestabilmente
il contrario, che il calcare dolomitico cavernoso segna in tutta la Ca-
tena Metallifera, come anche in gran parte delle Alpi, un piano geolo-
gico ben determinato del periodo retico.
Eocene. — In varie parti della Catena Metallifera fu constatata
una discontinuità fra il Lias superiore e il Titoniano ed un’altra, anche
più marcata, fra il Neocomiano ed il Cretacico superiore. Quest’ultimo
intervallo diNempo fu contrassegnato da una estesa emersione e con-
seguente denudazione, la quale a luoghi si spinse fino ai terreni più
antichi. Così nell’Isola d’Elba gli strati eocenici ricuoprono immedia-
tamente gli scisti presilurici, i permici, il calcare retico e le roccie
basiche; nel Monte Pisano si trovano sul Permico, nonché sulle varie
formazioni più giovani; nelle Alpi Apuane e nel prossimo Appennino
l’Eocene col Cretacico superiore riposano sugli scisti triasici, sul Lias,
sul Titoniano e sul Neocomiano.
La Montagnola Senese presenta analoghe condizioni stratigrafiche;
la denudazione non risparmiò qui, come altrove, la più piccola por-
zione dei terreni basici, titoniani e neocomiani, dimodoché si osser-
vano le roccie eoceniche a luoghi sugli scisti triasici, a luoghi sui
calcari retici.
Quanto alla natura di questi terreni e alle loro condizioni geolo-
giche nulla avrei da aggiungere a quanto sappiamo per altre località
toscane. Sono le solite roccie calcareo-argillose con masse ófiolitiche,
le quali, presso il limite occidentale del gruppo, formano i monti Gi-
neprone, Castiglione e Vasone, presso quello settentrionale le pendici
di Rencine e di Trasqua.
Miocene. — Il calcare retico della Montagnola, specialmente nelle
parti più basse, è ricoperto da una breccia costituita da frammenti
della roccia sottostante cementati da calcare concrezionato giallastro,
simile al comune travertino. Essa predomina nei dintorni di Cetinale e
di S. Colomba ed estendesi poi verso le Masse di Siena, ove vedesi affio-
rare in Val di Tressa, al Piètriccio e a Poggiarla di sotto alle sabbie ma-
rine plioceniche e dove viene scavata come materiale da fabbrica. Presso
Motrano in Val di Ripoli questa breccia racchiude strati di sabbia
grossolana cementata e presso Marciano passa ad un conglomerato
, dello stesso materiale. Un fenomeno analogo verificasi presso Mon-
teriggioni, ove la breccia divenendo conglomerato esce fuori dal-
P area occupata dal calcare retico ed estendesi verso levante fino
alla miniera lignitifera del Casino. Quivi riposa su marne sabbiose e
ciottoli, forse d’origine lacustre, riferibili al Miocene superiore. Lungo
la trincea della ferrovia, fra Monterjggioni e la galleria di Fontebecci,
il conglomerato di calcare cavernoso apparisce stratificato in banchi
leggermente inclinali, con alternanze sabbiose e calcaree. Il calcare è
in letti sottili, concrezionato, bianco e rosso mattone; le sabbie sono
calcaree. Questa formazione vedesi sottostare alle sabbie marine plio-
ceniche presso Uopini e Farneta e serve di prezioso orizzonte per la
separazione del Pliocene dal Miocene che altrimenti sarebbe difficilis-
sima, essendo la parte del Miocene immediatamente sottostante al con-
glomerato costituita da sabbie gialle simili a quelle plioceniche.
La serie dei terreni nei pressi della miniera lignitifera del Casino
è la seguente, dall’alto in basso:
a) Sabbie marine fossilifere.
b) Conglomerato di calcare cavernoso, sabbie e calcare con-
crezionato.
e) Sabbie e argille sabbiose.
d) Argille grigio-cupe con lignite.
Il conglomerato di calcare cavernoso ritrovasi inoltre presso il Ca-
stello di Montarrenti (Tav. VI, sez. C-C.) e all’Osteria presso il Palazzo
al Piano, lungo la via rotabile di Colle.
Questa formazione, e per conseguenza la breccia travertinosa cui
è strettamente collegata, può appartenere al Pliocene, come opinò il
— 358 -
De Stefani *, oppure al Miocene, come io sarei inclinato a credere per
ragioni che vado esponendo. Presso Rencine questo conglomerato di
calcare cavernoso nella sua parte inferiore fa passaggio graduato ad
una formazione ciottolosa simile in tutti i particolari ai conglomerati
tortoniani dei monti di Livorno e della Maremma; essa è formata cioè j
di ciottoli d’alberese e più raramente di roccie serpentinose, spalmate |
d’argilla rossa ed in esso ravvolte. Presso Spicchiaiola e al Cornocchio,
tra Siena e Volterra, a breve distanza dalla regione di cui ci occu-
piamo, il conglomerato in questione è indubbiamente miocenico, poiché
trovasi sotto alle argille gessifere, e come tale, del resto, fu ricono-
sciuto anche dal De Stefani. Parmi adunque che in mancanza di dati
paleontologici sia da preferirsi il riferimento di questa formazione al
Miocene piuttosto che al Pliocene.
Tale formazione ciottolosa, sia che essa segni la fine del periodo mio-
cenico o il principio del pliocenico, contrassegna evidentemente un’epoca
di denudazione e quindi di emersione senza dubbio anteriore al depo-
sito del vero e proprio terreno pliocenico costituito dalle argille e dalle
sabbie marine; ed in questo fatto io credo che debbasi vedere la prova
più chiara di un abbassamento corrispondente alla fine del Miocene o
al principio del Pliocene, checché ne pensi in contrario il De Stefani1 2.
Pliocene. — Il Pliocene tanto esteso e sviluppato tutt’intorno alla
Montagnola Senese, appena comparisce nell’area da essa occupata o
presso i suoi margini.
A Castiglione, non lungi dalla stazione di Castellina, si osservano
sabbie con ciottoli coperte da banchi d’ostriche e da calcare ad An-
fìstegine e Nullipore. Il calcare passa lateralmente a ' sabbie gialle.
Tra Casa al Bosco e Strove vedesi la sovrapposizione diretta del cal-
care marinò pliocenico al calcare cavernoso. Una piccola collina presso
S. Colomba è formata di sabbia pliocenica pure direttamente sovrap-
posta al calcare cavernoso.
Se si eccettuano i pochi punti più sopra rammentati nei quali com-
parisce il conglomerato miocenico, il pliocene sovraimcombe per tutto
altrove immediatamente ai terreni più antichi, ed anche questo fatto
1 C. Db Stefani, 1. c.
% G. De Stefani, 1. c.
— 359 —
sta a dimostrare che la Montagnola fu, in parte almeno, sommersa du-
rante il Pliocene ed emersa nel Miocene.
Quaternario. — La parte più antica del terreno quaternario è co-
stituita da ciottoli in terrazze, che s’incontrano lungo le valli princi-
pali lateralmente ai corsi d’acqua e ad altezze di 10 a 15 metri sul loro
letto, e da travertini che sono specialmente sviluppati a Nord della
Montagnola.
Alla parte più recente *del quaternario si dovranno forse riferire
la terra rossa , che cuopre qui la parte pianeggiante delle colline for-
mate di calcare cavernoso e il fondo delle valli in esso scavate, non
che certi depositi di colmata che riempono i bacini palustri di Toiano
e di Pian di Lago.
Il travertino occupa la regione depressa, leggermente ondulata, del
Casone, a Nord della Montagnola, e presso S. Antonio al Bosco pre-
senta due curiose cavità crateriformi, a sezione quasi esattamente cir-
colare, ripiene d’acqua. Esse hanno un diametro pressoché uguale, ma
lo specchio d’acqua presenta dimensioni assai diverse. Il diametro delle
cavità è di oltre 100 metri, mentre quello dello specchio d’ acqua può
esser di circa 60 per una e 20 per l’altra. La massima profondità del
lago più grande fu misurata, dicesi, in circa 50 metri e non trovereb-
besi nel mezzo del bacino, ma presso il suo margine. Il terreno ntl
quale sono scavati è un prodotto del disfacimento del travertino ed è
costituito da un argilla rosso-giallastra calcarifera in cui sono impi-
gliati grossi e piccoli frammenti di travertino.
L’acqua che si accoglie in questi laghetti non è quella che ha
scolato superfìéialmente, poiché si e notato qualche volta che il suo
livello si è alzato senza che sia piovuto sul posto, come è stato
altresì notato che la copia d’acqua non ha diminuito notevolmente
anche in seguito a lunghi periodi di siccità. Trattasi però ad ogni
modo di acque circolanti a non grande profondità, poiché le variazioni
di livello succedono di solito rapidamente alle vicende atmosferiche.
I pochi fabbricati circostanti al lago più grande sono tutti screpo-
lati ed una chiesa (S. Antonio) fu interdetta da circa sei anni in
seguito a minacciose fenditure manifestatesi. Evidentemente queste
cavità ebbero origine per sprofondamento determinato dalla erosione,
sotterranea della massa travertinosa per azione di acque circolanti tra.
— 360 —
essa ed una formazione impermeabile sottostante. Questa formazione
è probabilmente costituita dalle argille plioceniche le piali vedonsi
infatti affiorare nel Botro del Castagneto presso Abbadia.
Il fenomeno di cui è parola, è evidentemente analogo a quello delle
doline del Carso, che ha pure riscontro in certe depressioni crateri- |
formi del calcare cavernoso nel Massetano l * 3.
Forse un’origine analoga dovrebbero ripeterla i due bacini palustri
di Toiano e di Pian di Lago al limite orientale della Montagnola, i
quali, come le accennate depressioni del Massetano, trovansi intiera-
mente nel calcare cavernoso.
Questa roccia, analoga per composizione e per struttura al traver-
tino, e sovrapposta a roccie impermeabili, venne in parte disciolta, come
vedemmo, presso il contatto dalle acque sotterranee, producendo a
luoghi delle cavità che col tempo determinarono lo sprofondamento
delle parti superficiali sovraincombenti.
I detti bacini sono ora intieramente colmati da un deposito sab-
bioso-argilloso, ocraceo, talvolta stratificato. Il bacino di Pian di Lago
è tutto circondato da colline di calcare cavernoso e le acque che vi
accorrono vengono ora smaltite per mezzo d’un canale sotterraneo, di
cui la costruzione fu intrapresa nel secolo passato da Francesco Bindi-
Sergardi, mentrechè prima trovavano solo uno sfogo parziale attraverso
il sottosuolo calcareo per mezzo di quattro voragini naturali *. Quello
di Toiano presenta una stretta apertura a Sud, per la quale passa il
fosso d’Arnano, che raccoglie le acque del bacino e le immette nel
torrente Serpenna.
Depressioni crateriformi più piccole, ma che pure devono ripetere
la origine da fenomeni analoghi sono da considerarsi quelle di Fun-
gaia, di Cetinale, di Ancaiano, degli Incrociati, non che altre sparse in
vari punti del Monte Maggio e che dalla gente di campagna si riten-
gono come indizi di antichi vulcani dei quali sarebbero una conseguenza
i frequenti terremoti del Senese.
Che esistano delle cavità sotterranee neicalcare retico, al franamento
1 Lotti e Deferrari, Le sorgenti delV Aronna, eco. (Boll. Com. Geol. , 1886,
n. 3-4).
3 A. Dei, Il prosciugamento del Pian di Lago. Siena, 1887.
— 361 —
delle quali sarebbero dovute tali depressioni imbutiformi, non può esser
messo in dubbio. La maggior parte delle numerose caverne ossifere e non
ossifere della Toscana sono escavate nei calcari retici ed anche nellaMon*
tagnola del resto ne fu esplorata una del marchese Chigi presso Cetinale.
La terra rossa che cuopre di solito le parti pianeggianti e quelle
più depresse del calcare cavernoso trovasi specialmente sviluppata
nella parte orientale del Monte Maggio e nei dintorni di Cetinale e di
S. Colomba. Essa rappresenta evidentemente il residuo ferruginoso
della dissoluzione del calcare retico e forma un terreno eminentemente
adatto alla coltura delle viti e dei cereali.
In Bagnaia, presso Cetinale, e al Lecceto più ad oriente, misti
alla terra rossa e a ciottoli di roccie permiche trovansi in copia cri-
stalli bipiramidati di quarzo nero, sìmili a quelli che si rinvengono
nei gessi di Chianciano e di S. Filippo presso il Monte Amiata, non
che nei gessi di varie altre località italiane ed estere. La loro prove-
nienza è molto problematica per la Montagnola, ove non esiste traccia
di gesso, come del resto ne è incerto per ora il processo genetico anche
quando essi occupano la loro sede abituale nelle masse gessose. Uno
studio accurato su questi cristalli, cui attende al presente il prof. Bu-
satti, non mancherà al certo di portar luce sulla questione.
Prima di terminare la presente relazione credo opportuno di dare
un cenno sopra la curiosa sorgente avventizia del Luco, che scaturisce a
Barigiano presso Rosia, al limite fra il monte calcareo e la pianura, e
precisamente sul margine della via provinciale. L’efflusso dell’ acque di
questa sorgente ha luogo assai di rado e sempre 4 o 5 mesi dopo un pe-
riodo estremamente piovoso. Essa offre intervalli di inattività variabili da
3 a 10 anni ed il periodo attivo dura di solito pochi mesi. Comincia dap-
prima a tirare lentamente ed impiega qualche mese avanti di giungere al
massimo della sua portata, quindi gradatamente declina. Questo massimo
è variabile nelle diverse emissioni e può oscillare fra 6 e 40 litri al 1",
giusta i calcoli del marchese Chigi. In addietro l’efflusso dovette persistere
per un tempo assai lungo, poiché in prossimità della sorgente fu costruito
un molino, che però fu ben presto abbandonato ed ora non ne riman-
gono che i ruderi. Il Gigli *, parlando del Luco, dice che in antico de-
1 Gigli, Diario Senese. Siena, 1854. (II, pag. 232).
— 362 -
nomìnavasi Muglioné, perchè sotto i massi sentivasi mugliare l’acqua
sotterranea.
Questo fenomeno è per gli abitanti un segno precursore di pros-
sime disgrazie e fino ab antiquo dicevasi che quando il Luco tira , fa
carestia o son prossimi i terremoti. Forse tali idee non erano, nè sono
del tutto superstiziose, se ridettesi che come 1’ attività del Luco, così
anche la scarsità dei raccolti e la frequenza dei terremoti succedono
di solito a periodi estremamente piovosi. La prima parte di questo as-
serto non ha bisogno di esser dimostrata, l’altra è fondata sopra osser-
vazioni registrate con cura dal marchese Chigi.
Attualmente la sorgente dei Luco tira da circa 10 mesi, e tale at-
tività corrisponde alle copiose pioggie che si ebbero dall’ottobre 1887
al febbraio 1888. La sua portata può essere di circa 6 o 7 litri al 1",
ma sembra che sia in continuo aumento.
Il marchese Chigi vorrebbe vedere nella intermittenza del Luco il
fenomeno del vuotamento d’una cavità sotterranea ripiena d’acqua per
mezzo d’un sifone naturale; ed è così infatti che si spiegano in generale
le sorgenti intermittenti, lo ritengo però che l’intermittenza del Luco possa
essere intesa in una maniera assai più semplice; trattasi a mio parere d’un
corso d’acqua sotterraneo che mantiensi tale in condizioni meteorologiche
normali, mentrechè diviene in parte superficiale in seguito a periodi
eccezionalmente piovosi. Le condizioni stratigrafìche appoggiano com-
pletamente questa idea, poiché da esse risulta che l’acqua che alimenta
questa sorgente si raccoglie presso il contatto fra i calcari cavernosi,
roccia assorbente per eccellenza, e gli scisti argillosi sottostanti i quali
funzionano da letto impermeabile. Ora se ricordiamo che 1’ ubicazione
di detta sorgente avventizia è precisamente alla base di un gruppo di
poggi calcarei e se notiamo che gli strati scistosi in quei dintorni
inclinano verso di essa, è ragionevole il supporre che il contatto fra
le due roccie, e quindi il corso d’acqua sotterranea, possa trovarsi pros-
simo alla superficie nel punto di scaturigine del Luco e che solo in
seguito a periodi estremamente piovosi la copia delle sue acque sia
tale da farlo traboccare al di fuori. Ciò sarebbe in armonia col fenomeno
del rumoreggiare sotterraneo che procacciò alla sorgente in antico il
nome di Muglioné.
La esposta spiegazione rende ragione dell’aumento e decrescimento
341 Moniarrervti
Boll. del R.Com.Geol. d'Italia
Anno 1888 Tav.VI (B Lotti
Sezioni geologiche nella
Montagnola Senese
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3
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Cg- conglomeralo miocenici) de calcare, cavernoso.
C -
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calcare •/ cavernoso velico-
scesti/ ardesiacù e calcescisto del' trias superiore)
calcari) cristailiivi/ idem/.
calcari cripto cristalUnv dolomitici (grezzonv) del trias medio
puddinghe, quarzoso e scisto micacei (veivucano) del per meco
V
— 363 —
graduale della portata di questa sorgente, della variabilità dei massimi
di questa portata nei vari periodi d’attività, non che della irregolarilà
nella intermittenza, fatti questi che sarebbero insufficientemente spie-
gati coll’altra ipotesi.
IL
Alcune osservazioni sulla fauna delle ligniti di Casteani e di
Montelamboli ( Toscana ); del dott. K. Ant. Weithofer.
Nel museo paleontologico del R. Istituto di studii superiori in Fi-
renze si conservano alcuni avanzi di mammiferi provenienti dalle ligniti
di Casteani (provincia di Grosseto), i quali insieme ad altri delle loca-
lità circonvicine si prestano assai a rendere più compiute le nostre
cognizioni sulla fauna di quel tempo. Le dette ligniti sono contempo-
ranee ed uguali a quelle di Montebamboli e rappresentano insieme a
queste, e ad altre consimili poste nelle vicinanze, un bacino probabil-
mente unico.
Ecco la lista dei vertebrati delle ligniti di Casteani secondo gli
avanzi esistenti nella collezione suddetta, che soli finora mi fu dato
di conoscere:
1. Enhydriodon Campami , Menegh.
2. Antilope Haapti , Major.
3. Antilope ( Palceoryx ) sp.
4. Sus choeroideSy Pom.
5. Emys sp.
6. Crocodilus sp.
N. 1. — La prima delle nostre specie, chiamata dal prof. Meneghini
Lutra Campanii *, appartiene al gener q Enhydriodon Falc.1 2 Non mi trat-
terrò qui a giustificare il ristabilimento di codesta denominazione del
1 G. Meneghini, Descrizione dei resti di due fiere trovati nelle ligniti
mioceniche di Montebamboli (Atti Soc. Ital. Se. nat., Milano, 1862).
2 Paleont. Memoirs (London, 1868, voi. I, pag. 331, tav. XXVII).
— 364 -
dotto paleontologo inglese, avendo a discorrerne in altro luogo più op-
portuno; solo osserverò che il Lydekker *, credendo di poter toglier di
mezzo questo nome generico, cadde in errore poiché egli attribuì le tre
figure, che ne diede il prof. Meneghini, a due individui (mentre non ap-
partengono se non a uno solo), i quali poi, secondo lui, formerebbero
una transizione esatta dalle vere lontre a ÌYEnhydriodon,
L’ Enhydriodon Campanti, di fatti, è tanto differente dalla Lutra ,
quanto la specie delle colline Siwalik.
Fra gli avanzi di questa specie conservati nel museo fiorentino ci
interessano anzitutto due frammenti di mandibola forniti ancora dei
denti, mandibola che fino ad ora era rimasta sconosciuta.
Il primo frammento della mandibola (con — M2) si trovò unito a
una parte della mascella superiore, ambedue esattamente corrispondenti
tra di loro. Il dente ferino della mandibola ha presso a poco la forma
dello stesso dente della lontra; però esso è considerevolmente più largo
ed il lembo posteriore è troncato. Il cosidetto tallone è basso e forma
una conca piatta con margini elevati onde, alla parte esteriore,
sporge un piccolo tubercolo.
Il M, è di forma traverso-elittica ed ha una concavità un poco
più profonda di quella del Mt.
Oltre a questi due esemplari esiste a Firenze, proveniente dalla
stessa località, un’altra mandibola più completa e annessovi un fram-
mento di mascella superiore coi Pr2 e Pr3.
La mandibola contiene il Pr3, Pr^ e Pr* (di quest’ultimo soltanto il
ramo anteriore della radice), ed ambedue i molari. Si differenziano
abbastanza dai primi, i quali sono di dimensioni maggiori.
Ecco la lunghezza e la larghezza del Pr3 e Pr2 della mascella
confrontate
con quelle
dell’esemplare del
prof. Meneghini :
Enh. Camp.
Museo fiorentino
t Lunghezza
mm. 9
mm. 7
( Larghezza
mm. 6
mm. 4
Pr2
J Lunghezza
mm. 10
mm. 8* 5
( Larghezza
mm. 8
mm. 5. 5
* R. LYDEKKER, Siwalik and Narbada Carnivora (Pai. Ind., Ser. X, voi. Il,
Part. VI, p. 197 [20]).
- 365 —
Rispetto alle due mandibole è quasi impossibile di dare misure
comparative del e M2, perchè quasi sempre dove 1’ uno è completo
l’altro è mutilato. Del resto, le proporzioni di ambedue riusciranno chiare
dalle figure che pubblicherò fra poco.
È notevole per altro, che, mentre il suddetto frammento della ma-
scella superiore coi M, e M2 è più piccolo dell’originale dell* Enhy-
driodon Campanti , codesta differenza viene ancora maggiormente ac-
centuata da quest’ultimi esempi. Essa è nei varii denti del 20, anzi tal-
volta del 30 per cento. Tuttavia, considerate le somiglianze che esi-
stono fra questi frammenti, non entrerei nella difficile questione se dalla
suddetta differenza si possa argomentare trattarsi di una nuova specie.
Vero è che la variazione specifica per lo più non supera il 10 per
cento; tuttavia in casi straordinarii, secondo lo Schlosser 1 2 * e il Winter-
feld4, raggiunge anche il 30 per cento.
N. 2. — Il nome Antilope Haupti fu usato dal Forsyth Major in
schedis per avanzi di antilopi conservati nel museo fiorentino. Esistono
parecchie corna e ancora molti frammenti di mandibole e di mascelle.
Le prime sono conservate molto male ed in maggior parte schiacciate:
sono senza traccie di creste e, da quanto se ne può indurre, pressoché
in forma di lira. I denti hanno carattere evidentemente ipsolodonte.
Vi sono, ad esempio, molari superiori dell’ altezza di 43 mm. e della
larghezza massima di 20 mm., e molari inferiori di simili dimensioni.
Questo fatto è uno dei più sorprendenti e straordinari, quando si pensi
all’orizzonte di questi giacimenti, il quale generalmente viene parago-
nato a quello di Sansan, Simorre, Steinheim* ecc.
N. 3. — Antilope (Palceoryxf)sp.: chiamo così un frammento mascel-
lare, coi M2 — Pr2 conservati, sebbene molto male dall’una e dall’altra
parte. I denti certo hanno una tal quale analogia con quelli di Ceruus ,
ma la parete esterna è intieramente formata come nelle antilopi.
Quanto alle dimensioni e alla forma essi si avvicinano alla Falce oryx
Pallasii di Pikermi.
1 M. Schlosser, Die Nager des europàischen Tertidrs (Palseontogr., voi. XXXI.
Cassel, 1884, pag. 32).
2 Fr. Winterfeld, Ueber quartare Mustelidenreste Deutschlands (Zeitschr.
deutsch. geol. Ges. 1885, p. 826).
— 3 66 —
N. 4. Sul genere Sus il Forsyth Major prepara una mono-
grafia, sicché mi astengo di parlare di questi avanzi.
N. 5. Oltre queste quattro specie di mammiferi si trovano an-
cora numerosi frammenti d’una Emys.
N. 6. — Un coccodrillo è indicato per un solo dente.
Proveniente dalle miniere di Monte-Massi si rinviene nel museo
suddetto un certo numero di avanzi dell’ Antilope Haupti: trovasi ancora
nel museo paleontologico della Università di Pisa un dente molare su-
periore d’un Anthracotherium.
Non havvi quindi, come risulta dalla mia lista, che due sole specie
comuni tra la fauna di Montebamboli (della quale pure non conosciamo
che quattro specie) e quella di Casteani : Enhydriodon Campami e
Sus choeroides. Ma ulteriori ricerche nelle ligniti di Montebamboli por-
ranno fuor di dubbio proba bilmente resistenza in questa località dell’An-
tilope Haupti , la quale abbonda evidentemente nelle ligniti di Casteani.
A queste specie di Montebamboli già conosciute mi è dato ora di
aggiungerne due altre:
1. Mustela Majori n. sp.
2. Antilope graeillima n. sp.
N. 1. — La detta mustela è di grandezza notevole; i Pr, — Pr3, p. es.,
misurano insieme 27 mm., mentre la stessa distanza nella nostra Mu-
stela foina ammonta soltanto presso a poco a 20 — 22 mm. Più che a
qualunque altra forse si potrebbe metter a canto alla Mustela Pentelici
di Pikermi; però anche questa è un poco più piccola.
Must. Peni. Must. Maj.
M, inf. mm. 13 mm. 15
I caratteri che distinguono la Mustela Majori sono: Nel PrA supe- ;
riore il grande tubercolo interno, non strozzato, ma annesso con larga
base al corpo del dente ; nel M, superiore il margine posteriore paral-
lelo all* anteriore, come nella Mustela paloeattica di Pikermi 1 ; nel
Mt inferiore, unicamente conosciuto della dentizione mandibolare, la
preponderanza della parte anteriore sul tallone.
1 K. A. WKITHOPER, Fauna von Pikermi (Beitr. zur Paloeontologie Oester-
reich-Ungarns, Bd. VI, Wien 1888, p. 228, [4]).
Per quanto finora è possibile, il confronto di questa specie con
altre già note, la mostra ben distinta da queste ; la chiamo dunque col
nome del benemerito e riverito paleontologo signor dottore C. Forsyth
Major : Mustela Majorì.
N. 2. — Della nuova antilope si trovano nella collezione suddetta
due frammenti di mandibole ed uno di mascella. Essa è molto piccola, e
i denti mostrano anche in questo caso carattere evidentemente ipsolo-
donte. L’altezza d’un molare superiore è di mm. 14, 5 e la larghezza mas-
sima di mm. 9. Dalla forma graziosa la denomino Antilope gracillima.
Nella determinazione precisa dell’età dell’orizzonte geologico a cui
appartengono queste ligniti, secondo i resti dei mammiferi finora
conosciuti, bisogna procedere colla massima precauzione.
La fauna di Montebamboli si compone delle seguenti specie:
Oreopithecus Bambolii , Gerv.
Enhydriodon Campanti, Menegh.
Mustela Majori , Weith.
Hyoenarctos antrhaeitis, Weith.
Antilope graeillima , Weith.
Sus choeroides, Pom.
Anas lignitiphila , Salvad.
Triony* Sp. (2 spJ) j
Sauriano. \
Vi si aggiungano le due antilopi, la Emys e il coccodrillo di Ca-
steani, ancora non rinvenuti a Montebamboli:
Antilope Haupti, Maj.
Antilope ( Paloeoryx ?J sp.
Crocodilus sp.
Emys sp.
come pure Y Anthracotherium di Monte-Massi*
Se dunque prendiamo in considerazione, dove e in che circostanze
gli stessi, o almeno animali consimili, sono stati trovati, si viene alle
seguenti osservazioni :
1 D. Pantanelli, Monografia degli strati pontiei del Miocene superiore
nelVItalia settentrionale e centrale (Mem. R. Acc. Se., Lett. ed Arti di Modena.
Sez. di Scienze, T. IV, Sez. II, p. 12).
— 368 —
UOreopithecus è da porsi micino al genere odierno Cynocephalus' ;
una specie dell ’Enhydriodon è stata fornita dalle colline Siwalik dei-
fi India 2 ; Hycenarctos fu trovato finora principalmente in giacimenti
dell’età di Pikermi o in strati più recenti 5; le antilopi mostrano, come
abbiamo visto, caratteristiche molto moderne. Fino a che punto il Sus
contribuisca a precisare l’età del relativo orizzonte, prenderà in esame
il Forsyth Major nella sua monografia4. Solo l’unico dente d’ un An-
tracoterio, che di sopra ho menzionato, indicherebbe un orizzonte più
antico; però a dire del Kaup codesto genere sarebbe stato trovato an-
cora negli strati d’Eppelsheim (secondo il Forsyth Major8).
Concludendo aggiungerò che il suddetto Hycenarctos anthracitis
è identico aXYAmphicyon Laurillardi , che fu descritto e figurato dal
Meneghini 6. Come osservò già il Gervais 7, appartiene la mandibola,
che è l’oggetto della dissertazione dell’illustre professore di Pisa, ad
un Hycenarctos .
L ’Amphicyon Laurillardi invece, secondo le figure del Blainville,
è un vero Amphicyon , come già risulta dal confronto dei Mi — M3.
Da un paragone fra la presente e le altre specie di Hycenarctos
trovate in Europa e nell’India (l’America non ne ha fornito che resti
dubbiosi) ne consegue che i nostri avanzi non possono identificarsi con
alcuna delle specie conosciute, per la qual ragione ho creduto bene di
farne una nuova specie, denominandola Hycenarctos anthracitis.
Firenze, il 1° ottobre 1888.
1 M. SCHLOSSER, Die Affen, Lemuren, etc. des europ. Tertiàrs (Beitr. zur
Pai Oesterr. Ung., Bd. V., Wien, 1887, p. 16). — Idem, Die fossilen Affen (Archiv f.
Antrhopol., Bd. XVII, p. 291).
2 1. c.
8 Alcoy, Montpellier, Red Crag, Pikermi e Siwalik. In quanto a Kieferstàdt
(Slesia), l’età è ancora incerta.
4 In questo luogo vorrei soltanto aggiungere che questa specie, secondo il
Gervais (Bull. Soc. géol. Fr., Sér. II, T. X, 1850; tav. 6, fig. 7*10), è probabilmente
identica a quella trovata presso Alcoy (Spagna, provincia di Alicante h
8 Forsyth Major, La faune des Vertébrés de Montebamboli (Atti Soc.
Ital. Se. nat. Milano, voi. XV, 1872, p. 290). — Però questi strati contengono pure
avanzi di specie del miocene superiore ed anzi d’orizzonti più antichi.
6 1. c.
7 P. Gervais, %ool. et Pai. génér., Sér. II, 1875, p. 22.
- 369 —
NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE
BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA PER
L’ANNO 1887.
(Continuazione e fine, v. fase. 9-10 )
Ricciardi L. — Ricerche di chimica vulcanologica sulle roccie e mine-
rali del Vulture. (Gazzetta Chimica italiana T. XVII). — Palermo.
Premessi alcuni cenni topografici e geologici su questo vulcano, presenta
l’analisi dei minerali che vi si rinvengono, e sono: hauina, augite, mica, leucite,
magnetite ; non che la composizione centesimale delle varie lave e dei tufi di
quella regione vulcanica. Ricordati gli studi di diversi autori, richiama un suo
precedente lavoro sull’ allineamento dei vulcani italiani nel quale dimostrò che
questo vulcano dei dintorni di Melfi si trova sopra una fenditura che parte dal centro
vulcanico sottomarino africano e giunge in Basilicata, facendo rilevare che le roccie
del Vulture sono in generale le più povere di silice, ciò dovuto alla grande ab-
bondanza di hauina. Aggiunge che a questo vulcano, ritenuto finora 1* unico nel
versante adriatico dell’Appennino, deve aggiungersi un altro cratere presso Canossa
nell’Emilia scoperto dall’autore e che costituisce la Rocca di Rossena del quale
si sta ora occupando.
Ricciardi L. — Sopra i terreni derivanti dalle argille scagliose degli
Appennini. (L’Agricoltura italiana, Anno XIII). — Firenze.
Accennato alle argille scagliose dell’ Emilia ed alla loro origine idrotermale,
si occupa di quelle dei dintorni di Canossa delle quali descrive i caratteri fìsici e
chimici, dandone la composizione centesimale. Esposta quindi la composizione
della roccia di Rossena ne mostra l’analogia con quella delle argille scagliose.
La sterilità che presentano tali argille di fronte alla fertilità del terreno dei
dintorni di Rossena egli fa dipendere dalle loro proprietà fìsiche e ritiene che la fer-
tilità stessa sia dovuta all’azione emendatrice delle sabbie vulcaniche di quel cra-
tere di Rossena mescolate alle argille suddette.
— 370 —
Ricciardi L. — Genesi e successione delle roccie eruttive . (Atti Soc. It.
Se. Nat-, Voi. XXX, fase. 3). — Milano.
In questa nota è sviluppato lo stesso concetto svolto dall’ autore nel prece-
dente lavoro « sulle roccie eruttive subaeree e submarine e loro classificazione in
due periodi ».
Riccio L. — Un altro documento sulla eruzione del Vesuvio del 1649
(Lo spettatore dei Vesuvio ecc., N. Serie, Voi. 1°). — Napoli.
L’autore riporta da un manoscritto autentico di Silvestro Viola una relazione
di questa eruzione che conferma quanto ne lasciarono scritti altri autori. Da
essa apparisce che nel novembre 1649 il Vesuvio cominciò, dopo 18 anni di ri-
poso, ad entrare in nuovo periodo di attività, che si manifestò poi anche nel 1652
e 1654 e che probabilmente ebbe la sua maggiore manifestazione coll’eruzione
del 1660.
Ristori G. — Fillìti nei travertini delle Sugher elle presso Rio nell’Isola
d’Elba . (Proc. verb. Soc. toscana, Voi. V). — Pisa.
Indica le specie ed i generi di resti vegetali trovati in alcuni campioni dei
travertini delle Sugherelle esistenti nel Museo di Firenze: esse sono: Carex sp.
ind. (affinis al C. penduta’, Smilax mauritanica Desf. ; Carpinus orientali s
Ostrya Lam.; Fagus sp. ind. e Quercus sp. ind .; Q. Ilex I..; Laurus Guiscardii
Gaud.; Laurus nobilis L.; Persea speciosa Herr; Rhamnus sp. ind.; Cassia
sp. ind.
Ristori G. — I dintorni di Orciatico in provincia di Pisa. (Proc. verb.
Soc. toscana, Voi. V). — Pisa.
Alla descrizione complessiva geologica dei dintorni di Orciatico, che già venne
fatta dal Capellini e dal Lotti, l’autore aggiunge alcuni particolari. Osservando
dapprima che qui come a Montecatini sono sviluppate assai le roccie ofiolitiche
dalle serpentine propriamente dette alle eufotidi e alle diabasi, passa in rassegna
le varie località ove tali roccie si presentano, e nota che dove predominano le
serpentine mancano o sono assai scarse le diabasi. Tali roccie sorgono da roccie
eoceniche delle quali predominante è V alberese. La serie stratigrafica dal basso
all’alto ne è la seguente:
1° Roccie ofiolitiche ; 2° ftaniti e diaspri ; 3° galestri; 4° scisti argillosi; 5° al-
beresi. — A queste soprastanno i terreni miocenici, la cui successione in senso
ascendente è:
1° Conglomerati ofiolitici a grossi elementi; conglomerati a fini elementi si-
mili ad arenarie; 2° Conglomerato litoraneo impastato con argilla ocracea ; argille
lignitifere d’acqua dolce; 3° Gessi; 4° Argille a pteropodi; 5° Formazione delle
argille plioceniche.
Parlando della trachite di Orciatico, di cui è costituito il Poggio dell’Annun-
ziata, e accennato a quanto ne scrissero il Capellini ed il Lotti, ritiene che essa
debba essere stata eruttata dopo la deposizione delle argille e delle sabbie plio-
ceniche e quindi durante il periodo quaternario. Gli argomenti in favore di questa
opinione, benché pochi, non sono privi di valore, mentre alcuno non ve ne ha per
ritenere che l’eruzione trachitica sia avvenuta durante il pliocene.
Sacco F. — Le Fossanien , nouvel etage du Pliocène d’ Italie. (Bull.
Soc. Geol. de France, T. XV). — Paris.
Facendo lo studio dettagliato del pliocene nel Piemonte l’autore ha potuto
constatare che fra i depositi fluviali del Villafranchiano e le sabbie gialle marine
dell’Astiano esisteva un orizzonte assai potente ed esteso costituito da sabbie grigie
giallastre passanti a letti sabbiosi e a marne argillose con fossili appartenenti
esclusivamente ai generi Ostrea, Balanus, Cardium , Cerithium , ecc. Tale orizzonte
a facies salmastra non essendo un fatto puramente locale, ma avendolo individuato
in molte altre località, l’autore ha creduto di costituirne un sotto piano speciale
al quale ha dato il nome di Fossaniano dalla città di Fossano ove lo ha ricono-
sciuto per la prima volta e dove si presenta assai fossilifero, tipico e facilmente
osservabile.
Indicato sommariamente lo sviluppo notevole (circa 150 chil.) di quest’ oriz-
zonte nel Piemonte, e che anche in altre parti d’Italia si trovono dei letti di sabbie
e ghiaie con fossili salmastri che non possono confondersi nè coll’ Astiano tipico
nè col Villafranchiano, osserva che questo sotto-piano acquista la più grande po-
tenza ed estensione dove i grandi corsi d’acqua venivano a sboccare nel mare o
nelle maremme plioceniche, mentre diminuisce di spessore ed anche scompare
dove queste correnti erano poco importanti o nulle. Nota però che l’assenza del
Fossaniano può provenire nelle vicinanze delle Alpi dall’essere l’Astiano coperto
immediatamente dai depositi lacustri fluviali del Villafranchiano, senza che si
sia costituito un periodo lagunare, ed anche da un sollevamento locale più po-
tente per il quale le regioni occupate dal mare astiano si possono cangiare in
regioni lagunari tagliate da corsi d’acqua irregolari, formanti depositi villafranchiani.
Sacco F. — Le tremblement de terre du 23 Février 1887 en Italie .
(Bull. Soc. belge de Geol. Pai. et Hydrol., T. I). — Bruxelles.
L’autore rende conto del terremoto avvenuto nella Riviera ligure di ponente
il 23 febbraio. Fra le varie cause dei disastri avvenuti accenna alla cattiva
— 372 —
costruzione delle case e all’essere la maggior parte di esse fabbricate su depo-
siti pliocenici o quaternari di sabbie, argille o ghiaie di poca potenza, poggianti
direttamente sulle roccie antiche della catena alpino-appenninica che si elevano
rapidamente a grande altezza; condizioni, queste, che rendono assai sfavorevole la
trasmissione regolare e tranquilla delle onde sismiche. Quanto all’origine di que-
sto terremoto, crede che si debba escludere ogni idea di vulcanismo, ma che esso
sia stato causato da rottura di equilibro nelle stratificazioni dell’ Appennino ligure ;
in seguito a quella forza che dalle epoche più remote tende a sollevare quella
regione montuosa. Tali movimenti, dovuti a pressioni laterali, producono di tempo
in tempo delle rotture vincendo la resistenza e la elasticità delle masse stratifi-
cate, producendo così forti scosse, come questa che ebbe tanto funeste conseguenze.
Sacco F. — Il piano messiniano nel Piemonte ; parte II. (Boll. Soc.
Geol., V, 3). — Roma.
In questa seconda parte l’autore, prosegue lo studio del Messiniano, già inco-
minciato lo scorso anno, prendendo ad esame la zona da Guarene d’Alba a Tor-
tona. Passa in rassegna le varie località più interessanti, tanto geologicamente
che paleontologicamente, per i nuovi giacimenti fossiliferi con forme finora sco-
nosciute in Piemonte, non che industrialmente, in causa dei potenti giacimenti
di gesso che vengono attivamente scavati.
Conclude il suo lavoro dando prima una lista della flora e della fauna mes-
siniana della regione descritta. Nota che i resti dalla flora trovansi specialmente
nelle marne fogliettate includenti i gessi ; non mancano però anche nelle marne
sabbiose intercalate a banchi arenaceo-ghiaiosi e talora nelle marne superiori con
fossili salmastri. Tale flora indica un clima caldo ed abbastanza umido. Per la
fauna si limita all’enumerazione delle specie tipiche salmastre.
Riassume infine sommariamente la serie delle vicende che si verificarono
nella regione studiata durante il periodo messiniano.
A questo lavoro va unita una tavola di sezioni geologiche delle località più
tipiche e più interessanti della regione studiata.
Sacco F. — Studio geologico dei dintorni di Voltaggio. (Atti della R.
Acc. delle Scienze, Voi. XXII, Disp. II). — Torino.
È una descrizione sommaria dei terreni della regione qui sopra indicata.
Cominciando dalle serpentine preterziarie, che costituiscono una grossa massa
a S.O di Voltaggio, l’autore opina che questa zona ofiolitica ritenuta triasica da vari
autori, sia piuttosto paleozoica, collegandosi meglio colle roccie scistose paleozoi-
t
che che coi calcari del trias.
Il Liguriano è rappresentato da serpentine, da calcari e dal fly&ch. Quanto
alle prime, nota che i banchi serpentinosi di Voltaggio sono assolutamente eocenici.
La roccia serpentinosa che spunta a Carrosio, ritenuta dal Sismonda serpentina
in posto, è invece un conglomerato-breccia ad elementi serpentinosi con cemento
serpentinoso-calcareo del Tongriano inferiore.
Oltre l’alberese con Helminthoidea labyrinthica vi sono presso Voltaggio
dei calcari dolomitici in contatto colle serpentine antiche e colle roccie eoceniche,
che l’autore opina sieno una facies speciale del Liguriano. Vi sono inoltre dei
calcari pure eocenici diversi dall’alberese e dai calcari dolomitici, di color bruno,
compatti e ben stratificati e passanti talora ad ipoftaniti. Il Jlisch è costituito
da scisti argillosi e talcosi passanti a calcescisti di color grigio, con lenti pieghet-
tate o frantumate di arenaria.
Il Tongriano inferiore è rappresentato da conglomerati ad elementi calcareo-
serpentinosi con resti di vegetali e banchi lignitiferi, con breccia calcarea e ser-
pentinosa verso la base. La sua potenza è varia: da 300 metri si riduce a sottili
lembi irregolari. Dei banchi di marne, sabbie e ghiaie con molti fossili (nummu-
liti orbitoidi, ecc.) segnano il passaggio dal Tongriano inferiore al superiore.
Questo è rappresentato da banchi di marna grigio-verdastra poco compatta. Nella
loro parte superiore vi si alternano banchi arenacei resistenti, costituenti un gra-
duale passaggio all’Aquitaniano.
Sopra le marne tongriane si appoggiano banchi arenacei che l’autore ritiene
dell’Aquitaniano inferiore. Superiormente vi hanno potenti banchi sabbioso-marnosi
ben stratificati, fossiliferi. Tali banchi marnosi si fanno in alto più potenti, scar-
seggiano gli strati arenacei, e si passa gradatamente al Langhiano, costituito dai
banchi marnosi grigio-azzurrognoli. L’Elveziano non compare e le glauconie delle
vicinanze di Voltaggio indicate dal Taramelli come elveziane, sono indubbiamente
del Tongriano inferiore.
A questo studio va unita una carta geologica dei dintorni di Voltaggio.
Sacco F. — Rivista della fauna malacologica fossile terrestre, lacustre
e salmastra del Piemonte. (Boll. Soc. Malac. It., Voi. XII). — Pisa.
In questa nota l’autore ha redatto una succinta rivista della fauna malacolo-
gica terrestre del Piemonte che, dietro le sue investigazioni, da poche specie prima
conosciute è ora portata al numero di 250, delle quali 100 sono nuove per la
scienza. Nel catalogo delle forme conosciute finora, indica oltre quelle terrestri
e d’acqua dolce, anche quelle d’acqua salmastra che con esse si collegano. Dà
quindi una diagnosi succinta delle sole forme nuove, riservandosi di fare un la-
voro più completo in seguito. Indica anche gli autori da consultarsi per la cono-
scenza della fauna di cui si occupa.
Dà infine un elenco delle specie descritte, classificate secondo il manuale
- 374 -
conchigliologico del Fischer, solo invertendone l’ordine. In tale elenco sono di-
stinte le specie viventi, quelle di fondo di torbiera, quelle dei depositi glaciali,
quelle del lehm , nonché quelle dei varii piani del terziario dal Villafranchiano al
Tongriano.
Sacco F. — V anfiteatro morenico di Rivoli. (Boll. Com. Geol., 5-6). —
Roma.
Fatto un rapido cenno dei lavori di varia indole finora pubblicati sull’ anfiteatro
morenico di Rivoli, passa a studiare e a descrivere i depositi che lo compongono,
premettendo alcune notizie sulla costituzione dei terreni antichi che formano in
gran parte l’ossatura di questo anfiteatro. Questi terreni antichi, probabilmente
presiluriani, sono gneiss, graniti, calcari cristallini, micascisti, scisti dioritici ed
anfìbolici, serpentine, eufotidi e lherzoliti. Tali terreni sono in generale allineati
da N.O a S.E, fortemente inclinati, o verticali, o rovesciati. Superiormente a questi
si distendono i depositi quaternarii costituenti la parte più importante dell’anfiteatro
di Rivoli. Riguardo alla loro origine vengono distinti in depositi di correnti acquee
e in depositi di ghiacciai. Essendovi però sviluppati anche terreni di origine mista,
l’autore nel descrivere dettagliatamente questi depositi segue l’ordine cronologico.
Comincia quindi dal Diluvium , comprendendo sotto questo nome un deposito ciotto-
loso di indole torrenziale ad elementi di vario volume, cementato o disciolto, gene-
ralmente disposto in stratificazione abbastanza regolare. Segue il terreno morenico
che si presenta coi noti caratteri di tutte le regioni moreniche. Il Pseudo-dilu-
vium o TerrazZiano antico , deposito che si formava nel periodo di regresso dei
ghiacciai per le correnti acquee che, erodendo i depositi che ne impedivano il
corso, deponevano sulle terrazze che costruivano un’ alluvione a grossi elementi
ciottolosi, la quale, per i caratteri e per il tempo collegandosi col Diluvium e col-
YAlluvium, si avvicinava però alquanto al primo, costituendo talora una vera
alluvione sulle prime terrazze quaternarie, corrispondenti al TerraZziano antico.
L’ autore riferisce pure a quest’epoca i depositi argillosi, sabbiosi, ghiaiosi che,
facendo profonde trincee, si trovano alla sponda del lago di Avigliana, nei quali
depositi si trovano moltissimi resti di molluschi quasi tutti lacustri, dei quali dà
l’ elenco. Nell’ epoca del regresso dei ghiacciai si costituirono le varie conche
lacustri, fra le quali quelle di Trana e d’ Avigliana, nelle quali si formarono i de-
positi torbosi che l’autore descrive indicandone i resti fossili di piante e di mol-
luschi, e accennando anche alla loro composizione chimica. Nota che vi furono
trovati oggetti di bronzo e ossa che indicano la presenza dell’uomo. L’ultimo
deposito è Y Alluvium, cioè le alluvioni deposte in epoca recente dalle correnti
acquee attuali.
Una carta geologica alla scala di 1 a 100 000 illustra questo studio,
— 375 —
Sacco F. — / terreni quaternarii della collina di Torino . (Atti Soc.
ltal. Se. Nat., Voi. XXX, 3). — Milano.
Scopo del presente lavoro è di far conoscere la natura dei varii terreni qua-
ternari che, con spessore più o meno considerevole, ricoprono grandi estensioni
di questa collina costituita in massima parte da terreni miocenici. L’autore riduce
questi terreni quaternarii a due tipi principali, cioè conglomerati e sabbie marnose ;
queste ultime vengono poi suddivise, a secondo del colore e della quantità di
sabbia che contengono, in Loess e sabbioni.
Nel capitolo primo parla brevemente dei conglomerati. Essi si rinvengono alle
falde e spesso al fondo dei colli torinesi e l’autore li ritiene sincroni dei depositi
diluvio-glaciali, rappresentando nella collina il sahariano della pianura. Questi
conglomerati vennero trasportati e deposti specialmente dalle acque scendenti
dalla collina, in relazione però, quanto ai depositi più bassi, colle acque della
pianura, poiché durante l’epoca glaciale le acque del Po-Tanaro dovevano rialzarsi
alquanto sulle falde delle colline. — Nel secondo capitolo si occupa delle marne
sabbiose azzurrognole che si mostrano in fondo di certe vallate od ove esisteva
qualche corso lento di acque: sono simili alle marne azzurre del Piacentino, ma
se ne distinguono per la natura dei fossili in massima parte terrestri: ne attri-
buisce la origine a lento trasporto e deposito per opera delle acque che, discen-
dendo, trascinavano in basso le conchiglie, e sia per rigurgito delle acque della
pianura, sia per la conformazione del terreno, si raccoglievano in conche dove si
sviluppavano molluschi d’acqua dolce. I depositi ghiaiosi e ciottolosi che si alter-
nano con queste marne sono da attribuirsi a precipitazioni d’acqua più abbondanti
con maggiore erosione e forza di trasporto nelle correnti. La presenza in queste
marne di specie e varietà di molluschi estinte o non esistenti nella collina di Torino,
induce l’autore a considerarle come deposito della fine dell’epoca diluviale. Infatti
sono sempre superiori al conglomerato, spesso inferiori al Loess, ma talora lo
rappresentano completamente e sembrano quasi contemporanee ad esso. — Nel
terzo capitolo si occupa diffusamente del Loess, che è una marna sabbiosa di
colore giallastro e di composizione chimica variabilissima, che si mostra senza
vera stratificazione, talora attraversata da banchi di sabbia marnosa fortemente
cementata. Il colore ne è vario dal giallo al rosso, al grigio azzurrognolo, e la
potenza da due a quattro metri, arriva talora fino ad otto o dieci. Circa alla po-
sizione del loess, fa notare l’importanza della sua ubicazione in rapporto colla
idrografia della collina e la sua relazione costante coi conglomerati, nonché la
sua disposizione in terrazzo inclinato verso la pianura. Quanto all’età, dai carat-
teri paleontologici e dai rapporti stratigrafici con altri terreni quaternari, risulta
chiaramente che il loess tipico si deve attribuire al quaternario medio, cioè alla
— 376 —
fine della vera epoca diluvio-glaciale. — Nel quarto capitolo si occupa brevemente
dei sabbioni, per i quali ammette un origine alquanto simile a quella del loess della
collina al quale passano gradatamente, benché essi siano più in rapporto per la
loro origine colle correnti fluviali della pianura.
In una carta geologica annessa sono segnati i terreni descritti in questa
memoria.
Sacco F. — Sulla costituzione geologica degli altipiani isolati di Fos-
sanOj Salmour e Banale. (Annali della R. Accademia di Agricol-
tura di Torino, Voi. XXIX). — Torino.
Dallo studio di questi altipiani è risultato all’autore che essi facevano parte
della grande regione pianeggiante che nell’epoca glaciale si estendeva verso N.O
dalle colline di Bra, dalle Langhe e dalle Alpi marittime meridionali, andando a
riunirsi alle conoidi di dejezione delle Alpi marittime settentrionali e delle Cozie.
Essa venne incisa dalle correnti acquee durante il periodo delle terrazze. Le acque
correnti cangiarono molto di direzione da quell’epoca al giorno d’oggi, special-
mente riguardo al Tanaro e al Gesso, ed i sollevamenti che ebbero luogo dopo
l’epoca glaciale furono diretti per l’alta valle padana, specialmente verso il Nord
circa. Le profonde incisioni fatte dalle acque correnti hanno dato modo all’autore
di studiare la natura geologica di questi altipiani ed in questo lavoro sono det-
tagliatamente descritti i terreni stessi litologicamente, presentandone molti spac-
cati naturali colle relative quote altimetriche e citando i fossili rinvenuti. La serie
dei terreni della regione studiata consta dei seguenti piani: Terreni quaternarii:
Alluvium, Terrazzano, Sahariano recente e antico; Terreni ter ziarii: Villafran-
chiano, Fossaniano, Astiano, Piacentino, Messiniano, Tortoniano. Ai depositi recenti
sono da aggiungere dei travertini e dei depositi torbosi ove le abbondanti sor-
genti ristagnano.
Annesso allo studio è una carta geologica della regione descritta.
Sacco F. — On thè origin of thè great alpine lakes. (Proceedings
of thè R. Society of Edimburg, Voi. XIV). — Edimburg.
L’autore premette che i bacini lacustri in generale debbano la loro origine a
diverse cause, e crede si possano classificare: 1° in bacini formati da cause ora-
grafiche (pieghe di strali, fratture, sollevamenti, ecc.); 2° in bacini formati da sbar-
ramenti o barriere (morene, dune, banchi litorali di sabbie, ecc.); 3° in bacini for-
mati per erosione (azione dell’acqua, del ghiaccio, ecc.).
Venendo ai grandi laghi alpini dà uno schizzo dei fenomeni geologici con-
nessi colla struttura e coll’origine di essi, facendo la storia degli avvenimenti
geologici a cominciare dai potenti movimenti terrestri che avvennero al finire del
— 377 —
periodo miocènico. Come conclusione generale di tale studio l’autore emette Topi*
ni one che i bacini lacustri alpini si produssero durante il sollevamento che chiuse
l’epoca pliocenica e che essi sono il risultato diretto di tale movimento. Tali bacini
debbono la loro origine in parte alle fratture ed a ripiegamenti degli strati, in
parte ad abbassamenti e a rialzamenti. Durante il periodo glaciale si conservarono
perchè occupati dai ghiacciai e furono solo leggermente modificati dalle ostruzioni
moreniche e dalla erosione glaciale e fluviale.
La forma e la distribuzione dei laghi alpini viene spiegata colla direzione
delle pieghe rispetto alla catena alpina, alle fratture prodottesi e col non eguale
sollevamento al quale parteciparono le diverse parti della catena alpina.
In un quadro vengono riassunti i diversi avvenimenti nella valle padana in
corrispondenza dei periodi pliocenici e quaternari.
Sacco F. — / terreni terziarii del Piemonte e della Liguria setten-
trionale. — Torino, 1887.
In continuazione della pubblicazione fatta con talé titolo nel 1886, l’autore ha
pubblicato diversi altri fogli della Carta geologica di questa regione, valendosi
delle carte topografiche del R. Istituto geografico militare. Essi sono i seguenti:
Capriata d’Orba, Acqui, Nizza Monferrato e Sezzè Ovest, Calamandrana, Moin*
bercelli e Canelli Nord, Costigliele d’Asti, Canale e Monteu Roero Est, Fossano,
Colli Torinesi, tutti alla scala di 1: 25 000. Ovada Nord, Voltaggio Nord, Cava Sud
e Garessio Nord, Cairo Montenotte Ovest, alla scala di 1: 50 000.
Nella serie dei terreni ha seguito la classificazione di Mayer e nelle catte
pubblicate esiste tutta la serie dal Bartoniano al Terrazziano antico.
Scacchi A. — I composti fluorici dei vulcani del Lazio. (Rend. R. Acc.
delle Scienze fìs. e mat. di Napoli, anno 1887, fase. 2°). — Napoli.
L’analisi che l’autore ha fatto di alcune geodi provenienti dalle pozzolane
delle cave delle Tre Fontane e di S. Sebastiano presso Roma gli ha rivelato la
presenza in esse di composti fluorici quali furono già da lui rinvenuti in grande
abbondanza nei tufi della Campania. Probabilmente anche l’origine loro è identica
a quella constatata pei fluoruri di quest’ultimi prodotti d’eruzione vulcanica, vale
a dire dovuti all’azione metamorfizzante esercitata da antiche emanazioni dì fluoridi
di silicio su frammenti di calcari inclusi nelle pozzolane.
Scacchi A. — La regione vulcanica fluorifera della Campania. (Atti
R. Acc. Se. fìs. e mat. di Napoli, S. 2a, Voi. II, n. 2). — Napoli.
A seguito ed in conformità a precedenti sue pubblicazioni sull’argomento
l’autore distingue nel Napoletano con questa nuova e più estesa memoria, oltre
ài gruppi vulcanici di Roccamonfìna, dei Campi Flegrei e del Vesuvio, un quarto
gruppo o complesso ch’egli denomina la regione vulcanica iluorifera della Cam-
pania. Tale formazione è caratterizzata da sparsi depositi tufacei includenti più
o meno abbondanti materiali fluoriferi (fluorina per la più gran parte) allo stato
di geodi o di massi e distribuiti nelle valli, interposti a colline ed a monti di
Calcare 0 nelle sottostanti pianure. Ogni singolo giacimento viene considerato dal-
l*autore come provenuto da parziale esplosione avvenuta nel luogo stesso del de-
posito, e la mancanza di crateri, nonché le speciali condizioni di giacitura di tali
tufi, vengono da lui spiegati attribuendo a quest’ultimi un’origine fangosa. I ma-
teriali fluoriferi inclusi sono prodotti di metamorfismo cagionato da esalazioni di
fluorido silicico.
L’autore descrive paratamente con sistema analitico i principali centri eruttivi
ed i loro prodotti sparsi su di una regione estesissima che va da Cassino a Sa-
lerno e Sorrento, e da Mirabella al mare, passando per Capùa e Caserta.
La memoria è accompagnata da Una Carta del vulcani della Campania, su
scala di 1 a 250 000, da uha carta topografica dei dintorni di Sarno al 20 000 e
da una tavola di vedute illustrative.
Scacchi A. Catalogo dei minerali Vesuviani con la notizia della
loro composizione e del loro giacimento. (Lo spettatore del Ve-
suvio, ecc., N* Ser., Voi. 1°). — Napoli.
L’autore distingue in questo catalogo ragionato:
1° Minerali cristallini eruttati negli incendi del M. Somma, d’origine meta*
tnorfìca, cioè a dire derivati per contatto endogeno delle materie fuse con sovrap-
poste roccie nettuniane degli Appennini.
2° Minerali contenuti nei projetti lavici del Somma.
3° Minerali che si rinvengono nei conglomerati, ordinariamente metamor-
fosati del Somma.
4° Minerali derivati dalle scambievoli reazioni delle sostanze gassose ema-
nate dalle fumarole.
5° Minerali che si generano nella massa delle lave durante il raffreddamento
di quest’ ultime.
6° Minerali aderenti alle pareti delle fenditure delle lave: sono prodotti di
sublimazione.
Sommano a 110 le specie registrate ed a 26 gli elementi chimici mineraliz-
zanti, tra cui 10 metalloidi (O, H, Az, Cl, S, Ph, C, Fi, Bo) e 10 metalli (Ka, Na,
Ca, Mg, Zr, Si, Al, Ti, Fe, Mn, Ni, Cu, Pb, Vd).
— 379 —
r
Scarabelli G. — Stazione preistorica del monte del Castellacelo presso
Imola. — Imola, 1887.
Nel capitolo d’introduzione di questa monografìa sono contenuti alcuni cenni
topografici e geologici sul monte del Castellacelo. Concorrono a formare questo
ultimo, in serie ascendente: sabbie gialle del pliocene superiore includenti dei
banchi di sabbie consolidate; ghiaie quaternarie con ciottoli calcarei e d’arenaria;
argille e marne giallastre parimenti quaternarie. Indica allo stesso tempo i fossili
predominanti negli anzidetti depositi, ed in. ispecie nelle sabbie gialle plioceniche.
Una delle molte tavole che corredano l’opera contiene la pianta topografica
e due sezioni geologiche della località in parola, su scala di 1 a 1000.
Sequenza G. — Gli strati con Rhynchonella Berchta Oppel presso
Taormina. (Rend. Acc. Lincei, Voi. Ili, fase. 1). — Roma.
L’autore annunzia di aver scoperto al Capo S. Andrea in territorio di Taor-
mina degli strati di calcare rosso a crinoidi contenente una fauna importante,
costituita sopratutto da bràchiopodi tra i quali predominano le Rhynchonella prive
di costole. Egli dà per ora l’elenco dei fossili riconosciuti ad un ' primo esame ed
in base ad essi riferisce gli strati in parola alla zona con Posidonomya alpina
Gras, o piano Vesulliano di Mayer.
Riguarda poi come coetanei ai medesimi certi strati quasi neri dì calcare
cristallino e di scisti marnosi che l’autore stesso ha rilevati lungo il Seiina ed
il Tirone nello stesso territorio di Taormina, per modo che, per la diversità lito-
logica e paleontologica di questi e di quelli, sì avrebbe un vero caso di vicarii
eteropici.
SeguenZa G. — I calcari con Stephanoceras (Sphaeroceras) Brongnìartii
Sow. presso Taormina . (Rend. R. Acc. Lincei, Voi. Ili, fase. 5). —
Roma.
L’autore premette l’esposizione dei risultati ottenuti dalle sue ricerche intornò
al mesozoico di Taormina, mercè i quali può ritenersi completa in questo territorio
la serie normale dei piani giurassici ed iniziato lo studio delle zone speciali a
ciascun piano.
Riferisce quindi diffusamente sul recente rinvenimento eh’ egli fece presso al
Capo S. Andrea di un lembo di calcare a crinoidi contenente una fauna che la
caratterizza appartenente al Dogger e propriamente al membro inferiore o Bajo*
ciano del d’Orbigny. Dà l’elenco ragionato dei fossili che sìn*ora ha determinato.
I più abbondanti appartengono ai cefalopodi e propriamente agli ammonitidì: la
famiglia più rappresentata da generi e specie è quella degli stefanoceratidi. As-
— 380 —
Sodato agli ammonitidi è un importante gruppo di brachiopodi con terebratuìe e
rinchonelle. Ora mentre la descritta fauna ad ammonitidi ha il suo migliore
riscontro con quella del bacino anglo-francese, nel . Calvados a Bayeux, il gruppo
di brachiopodi ha un tipo proprio ed esclusivo della provincia mediterranea.
Seguenza G. — Intorno al giurassico medio ( Dogger ) presso Taormina;
nota la. (Rend. Acc. Lincei, Voi. Ili, fase. 10). — Roma.
L’autore riferendosi a precedenti sue comunicazioni sulle scoperte al Capo
S. Andrea presso Taormina di due lembi di giurassico medio, appartenente 1’ uno
al vero piano Baiociano, l’altro al Vesulliano, si propone di esporre i rapporti
reciproci colleganti tra loro e colle altre roccie della contrada, questi due membri del
Dogger; di descrivere taluni altri strati che pure appartengono a quest’ultimo e
di esaminare ed illustrare le faune riscontratevi.
Questa prima nota contiene la descrizione topografica e stratigrafìco-litologica
del Capo S. Andrea nel quale l’autore riconobbe la seguente costituzione geolo-
gica, in ordine ascendente:
Paleozoico. — Filladi.
Lias inferiore. — Piano Sinemuriano. Calcari con terebratuìe, zeillerie, rin-
chonelle e spiriferine, associate a Pecten Helii. Questo piano costi-
tuisce la vera base di tutta la serie stratigrafìca del promontorio.
Lias medio . — Piano Sciarmuziano. Calcari saccaroidi senza fossili e calcari
a crinoidi con resti specialmente di brachiopodi e lamellibranchiati.
Giurassico medio o Dogger. — Consta di 4 distinti membri che sono: 1° Cal-
care con rinchonella costate; 2° Calcari con pentacrini ed altri
crinoidi; 3° Calcari con Stephanoceras Brongniartii\ 4° Calcare con
Rhynchonella Berchta.
Giurassico superiore. — Piani Calloviano, Osfordiano, Chimmeridgiano e Tito-
lano. Calcari a crinoidi, limoniti, scisti marnosi e calcarei, ecc.,
con resti di Sphoenodus, Pygope, Oxyrhyna , Lamna, Notidamus,
Rhynchoteutis, Belemnites, Phylloceras, Aptychus, Perisplxinctes ,
Simocerasì Aspidoceras, ecc., ecc.
Cretaceo. — Calcari erratici neocomiani con Aptychus Seranonis.
Terziario . — Eocene: Calcari e scisti marnosi, con nummuliti. Pliocene:
Calcari con Pecten mtreuSj Trochus, Hyalaea, ecc.
Quaternario. — Sedimenti sabbiosi, sovente fossiliferi, con elementi vulcanici
e ghiaie cementate.
Seguenza G. — Intorno al giurassico medio (Dogger) presso Taormina;
nota 2a. (Rend. R. Acc. Lincei, Voi. Ili, fase. 12). — Roma,
In questa seconda nota l’autore descrive in ordine di successione stratigrafica
i quattro membri del Dogger di S. Andrea, riferendoli a tre distinti piani che
sono l’Aacheniano, il Baiociano e il Vesulliano, il primo dei quali è formato dal
calcare con Rhynchonella Vigilii e dallo strato con Pentacrinus crista-galli, il
secondo da calcari con Stephanoceras Brongniartii e il terzo dai calcari con
Rhynchonella Berchta.
L’Aacheniano contiene rinchonelle proprie delle provincie venete e pentacrini. Il
Baiociano è distinto da una importante fauna di cefalopodi, che manca in Italia
e che risponde perfettamente a quella del Baiociano di Francia. I pochi brachio-
podi invece trovansi nell’Italia settentrionale. Il Vesulliano infine offre una bella
serie di brachiopodi che sono propri di vari luoghi d’Italia e della stessa Sicilia
e molti furono dall’Oppel rinvenuti nelle Alpi di Klaus.
La serie del giurassico medio del Capo S. Andrea confrontata con quella
della valle Seiina, non è somigliante a quest’ultima serie in veruno dei suoi membri,
come in nessuno del suoi caratteri, abbenchè le due serie sieno indubbiamente
sincrone.
Seguenza G. — Gli strati a Posidonomya alpina Gras nella serie
giurassica del Taorminese. (Boll. Soc. Geol., V, 3). — Roma.
Indicate le località estere ed italiane ed in particolare specie di Sicilia nella
quali venne constatata 1’esistenza della zona a Posidonomya alpina Gras, ed
indicati i caratteri petrografìci dei singoli orizzonti, l’autore descrive gli strati
spettanti all’ indicata zona da lui scoperta in territorio di Taormina lungo la valle
del Seiina e nella località Tirone e Calvario.
Più che dai fossili mal conservati la zona in discorso rimane determinata
dalla posizione occupata da suoi strati entro la serie giurassica. A tal riguardo
l’autore passa a rassegna la geologica costituzione di un’estesa sezione di terreno
lungo l’alveo del Seiina, la quale consta dei seguenti membri che si sovrappon-
gono in perfetto ordine stratigrafico.
Lias superiore. — Piano Taorsiano: Zona con Hildoceras serpentinum; zona
con Coeloceras Desplacei ; zona con Hildoceras b;frons e zona
con Harpoceras efr. opalinum.
Dogger. — Piano Baiociano con Harpoceras opalinum ed H. Murchisonae *
Piano Vesulliano Mayer, con Posidonomya alpina ♦
Piano Titonico, con Sphenodus thitonius, S. Virgai, Belemnites
thitonius, Apthycus Beyrichii , ecc»
— 382 —
Cretaceo . — Piano Neocomiano con Aptychus anguHcostatus e Macrosca-
phites Icanù
Seguenza G. — Studio della fauna toarsiana che distìngue la zona di
marne rosso-variegate nel liàs superiore di Taormina. (Boll. Soc.
Geol., VI, 1). — Roma.
Le sopracitate marne costituiscono la quinta zona del lias superiore di Taor-
mina, secondo la suddivisione adottata dall’autore e già nota per le precedenti
sue pubblicazioni. Tale zona oltre che da WHarpoceras bi/rons è caratterizzata
da una fauna importante formata d’ammoniti, e che l’autore si propone di studiare
estesamente. La presente nota contiene i preliminari di tale studio, indicando le
sei zone in cui va diviso il lias superiore taorminese, i caratteri distintivi della
quinta zona e l’estensione della medesima.
Aggiunge quindi un cenno storico intorno la scoperta, lo studio e le opinioni
emesse in riguardo alle suddette marne ed inizia da ultimo lo studio speciale dei
fossili coll’indicarne la distribuzione entro detta zona e lo stato speciale dei medesimi.
Simonelli V. — Sulla struttura microscopica della Serpula spirulaea
Lam. (Proc. verb. Soc. toscana Se. Nat., Voi. V). — Pisa.
Dallo studio microscopico della struttura della Serpula spirulaea, della S. ver-
tebralis e della S. Heliciformis risulta 1’ anologia di queste tre specie ed il loro
distacco dalle vere serpule e dagli anellidi tubicoli in generale.
Tali risultanze costituiscono a giudizio dell’autore un argomento nuovo e de-
cisivo per la separazione della Serpula spirulaea non solo dal genere, ma for-
s’anche dalla classe zoologica cui attualmente viene dai più riferito l’anzidetto
fossile.
Simonelli V. — Fossili del marmo giallo della Montagnola Senese.
(Proc. verb. Soc. toscana, Voi. VI). — Pisa.
L’esame dei frammenti di fossili rinvenuti dall’ing. Lotti nei marmi della sopra
indicata località non diede all’autore, in causa dello stato cattivo di conservazione
di detti residui, sufficienti risultati per poterli determinare specificatamente, così
che nel presente caso il criterio palenteologico non soccorre lo stratigrafìco nello
stabilire l’età geologica dei marmi in parola, ritenuti dal Lotti per triasici.
Spezia G. — Sulla fusibilità dei minerali. (Atti della R. Acc. delle
Scienze, Voi. XXII). — Torino.
Riferisce i risultati ottenuti da esperimenti fatti dall’ autore stesso trattando
col cannello, sia ad aria calda che ad ossigeno, buon numero dei minerali clas-
— 383 —
silicati per infusibili in causa della resistenza loro alla fiamma del cannello ordi-
nario. La maggior parte di detti minerali se non fonde al cannello ad aria calda
fonde facilmente a quello ad ossigeno ; tali, p. es., la molibdenite, il corindone,
il rutilo, il diaspro, l’opale, il crisoberillo, lo spinello, la cianite, il topazio, la
staurolite, l’olivina, ecc.
Conseguentemente l’autore conclude che se la fusibilità dei minerali può essere
tenuta in conto come caratteristica per la loro determinazione, non v’è ragione
di fare un gruppo di minerali infusibili, come avviene adoperando il cannello or-
dinario e di non tener conto della fusibilità a maggior temperatura.
Spezia G. — Sulla origine del gesso micaceo e anfibolico di Val Che-
rasca nelVOssola. (Atti della R. Acc. delle Scienze, Voi. XXIII,
disp. la). — Torino.
Il gesso in parola si presenta in grosse lenti inchiuse in uno scisto micaceo
anfibolico il quale inquina la massa gessosa e talvolta in modo da costituire un
graduale passaggio di essa ad una roccia in cui predominano mica, antibolo
e quarzo.
Basandosi sulla natura delle roccie includenti e circostanti, sulla presenza lo-
cale d’acque mineralizzanti, nell’analisi della massa gessosa, nonché su criteri di
decomposizione e sostituzione chimica, l’autore ritiene che questo gesso di Val
Cherasca sia un prodotto dell’alterazione di calcari micacei ed anfibolici e di
micascisti anfibolici con calcare, ricchi di solfati di ferro.
Squinabol S. — Nota preliminare su alcune impronte fossili nel car-
bonifero superiore di Pietratagliata. (Giornale della Soc. di let-
ture ecc.). — Genova.
Accennate le diverse classificazioni adottate dai geologi per gli scisti antra-
citiferi di Mallare e d’altri punti della Liguria occidentale e la scoperta fattavi
dai congressisti di Savona d’impronte di Cordaites e d ' Annularia, l’autore de-
scrive altre impronte di vegetali fossili da lui di recente rinvenute negli scisti di
Pietratagliata. Di queste alcune appartengono indubbiamente sAYOdontópteris (Mix.)
obtusaBrogn. ed altre, con riserva, alle famiglie delle Poa-Cordaites e Dory-Cor-
daites.
Tali scoperte, unitamente ai caratteri litologici ed alle condizioni stratigrafiche
dei terreni di Mallare confermano l’esatezza della classificazione adottata pei me-
desimi dai sigg. Issel e Mazzuoli, i quali li collocarono nel carbonifero superiore.
E unita al testo una tavola litografata in cui sono riprodotte le impronte de-
scritte.
— 384 —
Strobel P. — Notizie litologiche sulla provincia di Parma. (Dalla
Guida storica, artistica e monumentale della città e provincia di
Parma). — Parma.
Queste notizie, destinate a servire di guida ai visitatori della mostra scienti- J
fica ed industriale parmense, nell’esame delle pietre esposte considera le diverse
roccie occorrenti nella provincia dal lato della utilizzazione loro nelle industrie,
indicandone le qualità efficienti e le località in cui si riscontrano più abbondanti.
Alle notizie suddette è premessa la descrizione alquanto circonstanziata della
costituzione geologica del suolo parmense e dei più interessanti fenomeni connessivi.
La serie dei terreni costituenti il suolo della provincia è la seguente:
Eocene medio. — Arenaria macigno.
Oligocene. — Calcari alberesi o marnosi con fucoidi, argille galestrine, argille
scagliose con diaspri, serpentine e conglomerati serpentinosi.
Miocene inferiore. — Conglomerati a ciottoli di granito, di gneiss, di calcare, di
quarzo, ecc. ed arenarie fini biancastre.
Miocene medio. — Arenarie e calcarie fossilifere e molasse serpentinose.
Miocene superiore. — Marne dello schlier e molasse micacee intercalate a marne
sabbiose, ad argille e a ghiaie.
Pliocene. — Marne azzurre e sabbie gialle, fossilifere.
Postpliocene. — Molasse sabbiose con torba, sabbie, ghiaie e pisoliti mangano -
ferrosi.
Recente. — Sabbie calcaree, argille sabbiose e ghiaie.
Va unita al testo una carta topografica della provincia di Parma, con indi-
cazioni sulla medesima delle salse, delle sorgenti e dei giacimenti di serpentina
e di granito.
Struever G. — Sopra un cristallo di berillo dell’Elba con inclusione j
interessante. (Rend. Acc. Lincei, 1* serie, Voi. III). — Roma.
L’inclusione, di cui sopra, venne osservata dall’autore in un cristallo prove-
niente da Lamia, e consiste in un cristallino negativo il quale dai caratteri che
presenta è ritenuto dall’autore, secondo le maggiori probabilità, per polluce. Ha
la forma dell’ icositetraedro comune (211) ed il diametro massimo di 0,5 mm.
Struever G. — Ulteriori osservazioni sui giacimenti minerali di Val
d? Ala in Piemonte . (Mem. Acc. Lincei, Voi. IV). — Roma,
In questa memoria l’autore si propone di descrivere dettagliatamente i mine_
rali racchiusi nella serpentina della Testa Ciarva al Piano della Mussa sopra
Balme e la loro paragenesi.
— 385 —
Questa prima parte del lavoro contiene le osservazioni relative all’idocrasio
del banco di granato e vi si discutono l’abito dei cristalli, le forme semplici, le
combinazioni, la frequenza relativa delle faceie e le misure geometriche. Le forme
semplici constatate sono quelle dei due prismi (110) e (100), della base (D01) della
piramide a sezione quadrata di primo ordine (111) e delle due piramidi diottagone
(311) e (312): Le combinazioni sono: (110) (100) (001); (HO) (100) (311) (111);
(110) (100) (311) (111) (001); (110) (100) (311) (111) (312) (001).
Una tavola d’incisioni unita al testo contiene le figure dei cristalli e dei
gruppi di cristalli analizzati.
Terrenzi G. — Il pliocene dei dintorni di Narni. (Boll. Soc. Geol., V, 3).
— Roma,
Fatto un breve sunto storico di questa città e dato un rapido cenno sulle
principali formazioni geologiche che si osservano nel territorio narnese, l’autore passa
in rivista le varie località ove si manifesta il pliocene rappresentato da marne
con ligniti, da sabbie, ora cementate, ora sciolte, e da breccie; osservando che
in qualche località sopra i sedimenti pliocenici si trovano depositi di materiali
vulcanici mescolati a ghiaie sabbie e marne, e la presenza di fori di Lithodomus
nelle roccie mesozoiche che spuntano fuori dal pliocene a Schifanoia. Presenta
infine la nota dei fossili pliocenici rinvenuti nelle descritte località, nota che
presenta come complemento e correzione di altra breve nota pubblicata dallo
stesso autore nella Rivista scientifico-industriale di Firenze nell’aprile 1880.
Terrigi G. — Relazione della commissione per lo studio delle acque
del sottosuolo della città di Roma. (Boll. R. Ac c, medica, Anno
XIII, fase. 6). — Roma.
Accennato alle condizioni del sottosuolo di Roma nei tempi antichi ed attuali,
dove un abbondante zona acquifera scorre sulla superficie ondulata di un deposito
argilloso lacustre quaternario, l’autore riferisce quanto fu constatato dalla Com-
missione intorno alle peggiorate condizioni del sottosuolo stesso nelle parti più
basse della città. Il pelo di queste acque fu trovato sopraelevato di circa un
metro sulla destra del Tevere nei luoghi ove era stato ultimato il muraglione di
arginatura. Tale fatto fu pure riscontrato in altri punti sulla sinistra, dove il rista-
gno delle acque è causa di febbri malariche. Da questi fatti conclude che l’argi-
natura in muro lungo le sponde del Tevere porterà inevitabilmente un innalza-
mento e ristagnamento delle acque del sottosuolo con gran danno per la pub-
blica igiene, se non si provede allo scarico pronto di tali acque nel Tevere,
Tommasi A. — Alcuni brachiopodi delta zona taibèliana di Dogna
nel Canal del Ferro . (Annali R. Istituto Tecnico A. Zanon, S. 2*,
Anno V). — Udine.
%
I fossili di cui l'autore si occupa nella presente nota essendo associati negli
stessi strati colla Myophoria Kefersteini e M. Whateleyae sono indubbiamente
raibeliani e per quanto gli consta sono i primi brachiopodi trovati in questo piano,
almeno nelle Alpi meridionali. Poche ne sono le specie, ma due di esse rappre-
sentate da buon numero d’individui e ben conservati e sono la Ccenothyris Piro-
niana e la C. Paronica.
Per i rapporti stratigrafìci dei terreni in cui furono raccolti questi fossili ri-
porta l’indicazione già datane dal prof. Taramelli nella sua memoria: « Osserva-
zioni stratigrafìche sulle valli dell’Aupa e del Fella ». Segue quindi la descrizione
dei brachicopodi che sono: Ccenothyris Pironiona n. sp.; C. Pironiana var. eu-
prontyca ; C. Paronica n. sp.; Ccenothyris sp.; C. delta n. sp.; Piscina sp. (cfr. Ba-
beana d’Orb.). Queste specie sono illustrate in un? tavola in litografìa.
Tommasi A. — A proposito del permiano nell' Appennino. (Boll.. Soc.
Geol., VI, 3). — Roma.
II prof. De-Stefani avendo in una recente nota su questo argomento soste-
nuta la tesi che non si trovano nelFAppennino terreni permiani e che non sono
tali quelli riferiti da altri geologi a quest’epoca, l’autore risponde in questa nota
per quanto lo riguarda, intorno ai fossili trovati negli scisti della Verruca dal Lotti
e da esso studiati, che egli non ha mai recisamente dichiarati permiani e tanto
meno distintivi del permiano tali fossili e che piuttosto che triasici o di epoca
più recente come asseriva il De Stefani, è inclinato a ritenerli anche anteriori al
permiano finché ulteriori e più decisive scoperte non provino il contrario.
Trabucco G. — La petrificazione. — Pavia, 1887.
L’autore accenna prima ai diversi modi di fossilizzazione degli organismi
animali e vegetali, che chiama col nome generico di pseudomorfosi divisa in
zoomorfosi e fitomorfosi che a sua volta distingue in petrificazione e minerà - _
lizzazione. Si limita in questo studio a trattare della petrificazione e specialmente
di quella più comune che è la calcificazione e la silicizzazione.
Distingue la petrificazione in accidentale (piccola scala) e abbondante (gran-
de scala). Quanto alla prima dimostra che le petrificazioni (calcificazioni e sili-
cizzazionij accidentali degli organismi hanno origine dai sali calcarei disciolti e
dalla silice in istato nascente, abbandonata nella decomposizione dei silicati alca-
rr - '
— 387 —
lini per via delucido carbonico sviluppato nella lenta scomposizione delle mate-
rie organiche quando il fatto avvenga in favorevoli condizioni.
Venendo alle petrifìcazioni su larghissima scala, comincia dail’esporre le osser-
vazioni fatte nel bacino pliocenico di Rio Orsecco nell’ alto Monferrato, dove rac-
colse un grandissino numero di fìlliti, di tronchi con teredini, ligniti con pirite e
molte conchiglie. Per le osservazioni estese ad altre località e nei piani del pliocene
e del miocene l’autore ha notato che, mentre sono numerosissime tali petrifica-
zioni nei piani ove abbonda il gesso e lo solfo, cioè nel Piacentino e nel Messi-
cano, nei piani susseguenti del Tortoniano, Elveziano ecc. mancano i gessi e sono
scarsissime o mancano affatto tali petrifìcazioni. Rifacendo pertanto la storia
delle fasi per cui passò l’alto Monferrato, negli ultimi periodi geologici, si ferma
specialmente al periodo dì attività endogena, che in questa come in tante altre
regioni d’ Italia si manifestò nel periodo messiniano con grande sviluppo di
sorgenti termali. A queste l’autore attribuisce la petrificazione in grande scala e
con argomenti tratti da fenomeni di petrificazione che si manifestano anche ora con
depositi prodotti da sorgenti termali, per l’azione metamorfosante di esse nei
terreni che attraversano, e citando in appoggio fatti e teorie esposti da vari autori,
dimostra concludendo che le petrifìcazioni su grande scala hanno origine da sor-
genti termali (talora sottomarine) che portano nei bacini: 1° grande quantità di
acido carbonico; 2° silice, allo stato nascente; 3° alta temperatura e pressione
atte a dissolvere i sali calcarei e decomporre i silicati, temperatura e pressione
che moltiplicano le reazioni dei materiali di sedimento con produzione di silice
libera; materiali che devono reagire l’uno Sull’altro o come quando si calcina un
calcare argilloso o come quando si espongono lungamente all’azione del calore
solare i materiali sedimentari.
Trabucco G. — Considerazioni paleo- geologiche sui resti di Arctomys
marmota scoperti nelle tane del colle di S. Pancrazio presso Sii*
vano d’Orba. — Pavia, 1887.
Citate le varie località ove furono trovati i resti di marmotta dell’epoca qua-
ternaria ed osservato come nessuno abbia finora constato la loro esistenza nel-
l’Appennino ligure e tanto me no nelle valli dell’alto Monferrato, descrive le ossa
di Arctomys marmota Schreb. e di altri animali, trovate al piede del colle di
S. Pancrazio nel comune di Silvano d’Orba entro certe cavità fra gli strati cal-
carei, dette tane, cavità formatesi pel ripiegamento degli strati stessi e in seguito
a circolazione d’acqua. Svolge quindi ampiamente le seguenti proposizioni : 1°
L’A. spelaeus , A. primigenia, A. Lecoqui} A. Gastaldi, Mioxus primigenius, A.
avernensis , A./ossilis, A.bobac (fossile) devonsi ritenere sinonimi dell Arctomys
marmota (marmotta delle Alpi) della quale non differiscono specifìcarnente, -=■
— 388 —
2° Le ossa di À . marmota trovate nelle tane del Colle di S. Pancrazio appar-
tennero ad individui che vissero numerosi nei luoghi dove se ne rinvennero gli
avanzi. — 3° Il soggiorno della marmotta nel colle di S. Pancrazio coincide col
periodo glaciale ossia col massimo sviluppo dei ghiacciai ed abbassamento del
limite delle nevi ed è legato ad una temperatura un po’ piu bassa di quella che
attualmente gode l’alto Monferrato.
Tuccimei G. — II sistema liassieo di Roccantiea e i suoi fossili.
(Boll. Soc. Geo]., VI, 2). — Roma.
I monti che sono oggetto di questo studio sono costituiti da due creste paral-
lele vicinissime dirette secondo il meridiano, aventi per loro punti culminanti il
Monte Tancia (12821*1) ed il Monte Acuto detto anche M. Menicòzzo (1254m).
Essi fanno parte dello spartiacque fra le valli del Tevere e del Turano. I terreni di
questi monti sono disposti in una anticlinale fiancheggiata da due sinclinali una delle
quali coricata. NeH’anticlinale, in gran parte demolita, si trova il nucleo o elissoide
di sollevamento del quale è rimasta la parte più antica, ossia il lias inferiore.
L’asse di tale elissoide è situato ad est di Roccantiea diretto circa N-S. La pic-
cola sinclinale appoggiantesi ad ovest deH’anticlinale è formata dai terreni più
recenti fino al titonico. L’asse di tale sinclinale non si mantiene parallela a quello
dell’ anticlinale centrale, ma convergono a sud e le due curve si restringono in
modo che il lias inferiore si spinge a contatto del titonico. Sulle esterne testate
della piccola sinclinale si appoggiano gli strati inclinati del pliocene salmastro
sormontato dal tufo pomiceo. La sinclinale coricata è posta ad est e ne fanno
parte i monti della Tancia, alla cui pendice si presenta un rovesciamento. Nell’asse
di questa piega sono i scisti varicolori e i calcari rosati del cretaceo medio. I
terreni rappresentati in questo sistema sono: il lias inferiore (Sinemuriano), il lias
medio (Ciarmuziano), il lias superiore (Toarsiano) diviso in due zone, il giura infe-
riore (Dogger) (l’autore è assai dubbioso sulla esatta determinazione di questo
piano), il giura superiore (Titonico), il cretaceo inferiore (Neocomiano), il cretaceo
medio (Albiano) e dubitativamente il cretaceo superiore (Senoniano).
*
I molti fossili rinvenuti dall’autore sono descritti ampiamente nella seconda
parte di questo studio, in fine del quale è dato un quadro nel quale sono indi-
cate le specie che si trovano nei tre piani del lias.
Uzielli G. — Le commozioni telluriche e il terremoto del 23 febbraio 1887.
— Torino, 1887.
L’autore pubblica le tre conferenze da lui tenute sull’argomento sopraindicato
nella R. Università di Torino nel 1887, colle quali ha esposto i principii fonda-
mentali di cosmogonia e dj fisica terrestre che sono in maggior correlazione coi
fenomeni sismici della crosta terrestre. Accennata quindi alla costituzione litologica
di quest’ultima per riferirvi i diversi gradi di propagazione delle onde sismiche e
conseguenti fenomeni, ha riportato la storia di alcuni più famosi terremoti italiani
e commentati quelli più disastrosi avvenuti in Italia e specialmente in* Piemonte
e Liguria da tempi remotissimi al giorno d’oggi. Particolare menzione vi è fatta
del terremoto ligure del febbraio 1887. Nel testo e nelle numerose note aggiun-
tevi in appendice l’autore ha riferito le opinioni ed i consigli dei sismologi e
degli architetti sulle migliori provvidenze a prendersi in ordine all’edilizia nei paesi
soggetti ai terremoti.
Uzielli G. — Sopra un cranio di coccodrillo trovato nel Modenese.
(Boll. Soc. Geol., V, 3). — Roma.
Il fossile descritto proviene da uno strato di ghiaie, probabilmente rimaneg-
giate, che si trova sulla sinistra del Rio Marangone in provincia di Reggio, nelle
vicinanze di S. Valentino. Dall’esame di esso fossile l’autore è condotto a con-
cludere che il cranio di S. Valentino, indubbiamente riferibile ad un coccodrillo, è
oltre il doppio dell’esemplare del Crocodylus Arduini descritto dal De Zigno;
che tenuto conto di tal grandezza la formula dentaria del nuovo cranio sarebbe
15_15 ; che una tal grandezza è convalidata dall’essere i denti di questo cranio
quasi il doppio di quelli descritti dal De Zigno relativi al C. Arduini . Conseguen-
temente il fossile rinvenuto costituirebbe una specie nuova dell’età geologica della
quale e dei suoi rapporti colle specie eoceniche e mioceniche dell’Alpi dovranno
decidere studi ulteriori.
Verri A. — Azione delle forze nell1 assetto delle valli , con appendice
sulla distribuzione dei fossili nella Valdichiana e nell' Umbria
interna settentrionale. (Boll. Soc. Geol., V, 3). — Roma.
L’autore si è proposto di dimostrare come le forze ordinarie degli agenti
meteorici e delle acque correnti moltiplicate per la durata del sollevamento pos"
sono bastare a render ragione della larghezza acquistata da alcune valli e del
conseguente effetto di colmata che ne rialza il piano.
Egli distingue valli assettate per la sola azione delle forze esterne e valli
assettate pel concorso delle forze interne ed esterne, prendendo a tipo delle prime
la pianura fra Terni e Narni e delle seconde la Valdichiana, estendendo però le
esposte teorie anche alle conche di Sulmona, del Fucino e ad altre dell’Appen-
nino abbruzzese e sannita.
Nell’appendice che tratta della distribuzione dei fossili nella Valdichiana e
nell’Umbria settentrionale l’autore dà l’elenco d’altre 500 specie quasi tutte plio-
ceniche ed appartenenti alla zone marina, fluvio-marina e maremmana.
Verri A. — Rapporti tra le formazioni con ofioliti dell’Umbria e le
breccie granitiche del Sannio. (Boll. Soc. Geol., VI, 3). — Roma.
L’autore dai rapporti geologici che corrono tra le formazioni con ofioliti del
bacino del Chiasco, di Candeggio e d* altri punti dell’ Umbria settentrionale
e le formazioni parimenti con ofioliti della valle superiore tiberina, ritiene che le
une e le altre appartengono ad un medesimo piano il quale in base ai fossili
rinvenutivi verrebbe giudicato per tortoniano secondo gli uni, per oligocenico
secondo altri. Ad ogni modo questo piano risulterebbe superiore a quello conte-
nente le ofioliti del Monte Amiata e della Valdichiana.
Inoltre, per le osservazioni fatte dall’autore su vari punti delle montagne del
Sannio, apparterrebbero al medesimo piano delle ofioliti umbre anche le breccie
granitico-porfìrico-ofiolitiche di Campobasso, di Schifanoja, ecc., le quali rappre-
senterebbero l’estremo lembo di un antico continente già scomparso nel periodo
tra l’eocene superiore ed il miocene medio, ed il cui posto è oggidì occupato in
parte dalla zona dei gessi, in parte dalla zona^pliocenica e per la parte maggiore
dall’Adriatico.
Viola C. — Contribuzione allo studio delle roecie : Fisiografia del
granito detto San Fedelino. (Boll. Soc. Geol., VI, 2). — Roma.
L’autore ha- sottoposto ad analisi microscopica comparativa alcuni campion
del granito che si cava a S. Fedele sul lago di Como, una parte dei quali era fresca^
di cava, mentre altri erano stati levati dal lastricato di via Rizzoli di Bologna, col.
l’intento di studiare gli effetti prodotti da un lungo e continuo logoramento,
congiunto colla pressione, sulla struttura ed in genere sulla fisiografia delle
roccie.
Dall’esame delle speciali condizioni presentate dai singoli costituenti della
roccia in parola, sia fresca che logorata, l’autore ha potuto dedurre che la pre-
senza della mica e specialmente della muscovite, in un granito aumenta la sta-
bilità di quest’ultimo contro la cimentazione delle forze esterne e che l’abbondanza
di essa, fino ad un certo limite, determina il grado dell’anzidetta stabilità.
Williams J. Fr. — Ueber den Monte Amiata in Toscana und seine
Gesteine. (Neues Jahrbuch fiir Min. ecc., V. Beil.-Band). — Stuttgart.
Dall’analisi dettagliata, chimica e microscopica, delle varie roccie componenti
il gruppo vulcanico dell’ Amiata risulta non solamente una somiglianza grandis-
sima delle diverse roccie fra di loro, ma anche 1’esistenza per tutte di un magma
unico, salvo qualche piccola differenza. Quest’ultima circostauza permette di rite-
nere che geneticamente non esista nell’ Amiata che una roccia unica la quale,
— 391 —
consolidatasi sotto 1* influenza di circostanze locali, avrebbe assunto in diversi
punti del gruppo, caratteri diversi.
In generale la roccia centrale è una trachite tipica contenente ipersteno e
labradorite, mentre quelle della periferia sono varietà di andesite ovvero di liparite
secondo l’abbondanza in esse di plagioclasio o di sostanza vitrea. Tale fatto sa-
rebbe conseguenza della maggiore rapidità di raffreddamento in quest’ ultime a
confronto della roccia centrale.
Zaccagna D. — Nota sulla geologia delle Alpi occidentali. (Boll. Com.
Geol., 11-12). — Roma.
Questo importante lavoro è il riassunto degli studii fatti dall’autore nelle
Alpi marittime, Cozie .e Graje a cominciare dal 1883 in poi. Con essi vengono
risoluti i più complessi problemi sulla tettonica e sulla stratigrafia cronologica
delle Alpi occidentali e ben stabiliti i limiti fra terreni dapprima confusi o mal
determinati. Riportiamo qui brevemente le principali conclusioni alle quali è ad-
divenuto l’autore :
1° Gli gneiss centrali tengono un posto costante nella serie e formano la
base ed il nucleo dei varii elissoidi di sollevamento.
2° Il gruppo potentissimo delle roccie cristalline ( pietre verdi del Gastaldi)
che sta sopra i gneiss centrali, ha una certa legge di successione, cioè anfiboliti
compatte in basso con scisti anfibolici serpentinosi ed eufotidi a facies gneissica;
in alto di nuovo scisti anfibolici ma con serpentine massiccie, eufotidi, granitoidi e
con diabasi.
3° Il gruppo Dora-Val Maira col Monte Viso è una piega laterale com-
pressa e rovesciata verso la pianura, con asse arcuato concentrico a quello rap-
presentato dall’allineamento delle elissoidi del Monte Rosa, del Gran Paradiso e
■del Mercantour. Esteriormente a questo grande allineamento e a ponente di esso
si trova l’altro ancora più vasto risultante dai tre gruppi del Monte Bianco, di
Belledonne e del Gran Pelvouxc
4° Il massiccio del Mercantour è quasi completamente di gneiss centrale e
di graniti, mancandovi quasi totalmente le pietre verdi. È quindi probabile resi-
stenza di una gran faglia fra questo gruppo e quello di Dora-Val Maira, diretta
prossimamente secondo la valle della Stura, faglia avvenuta prima del deposito
delle roccie paleozoiche e triasiche, che si depositarono nella depressione cosi
formatasi congiungendo i terreni stratificati della parte orientale delle Alpi ma-
rittime con quelli del versante francese delle Cozie.
5° Non esiste passaggio graduale tra le roccie cristalline delle Alpi e quelle
della serie fossilifera: vi è anzi una marcatissima discordanza fra queste due
classi di roccie. Un lungo periodo di erosione è certamente intervenuto prima della
— 592 —
deposizione delle roccie fossilìfere, cosicché si ha il contattò di roccie carbonifere,
permiane, triasiche ed eoceniche, con le roccie cristalline antiche.
6° Le più antiche roccie fossilifere appartengono al carbonifero, e si mo"
strano come roccie centrali nella parte orientale delle Alpi marittime ed in lembi
staccati nel circuito alpino.
7°. Il permiano, tanto sviluppato nelle Alpi marittime, attraversa la Val
Stura e penetra in Francia nella valle dell’Ubaye.
8°. La configurazione tettonica delle Alpi occidentali dimostra la esistenza
di tre grandi sollevamenti, di cui il primo anteriore al carbonifero con emersione
dei massicci cristallini, il secondo verso la fine del lias che portò a giorno i ter-
reni paleozoici e mesozoici inferiori, il terzo sul finire dell’eocene che diede alla
catena alpina l’attuale sua elevazione.
Molti altri fatti, e tutti importanti, sono registrati nel lavoro del Zaccagna,
il quale è corredato da una Carta geologica delle Alpi occidentali e da due tavole
di grandi sezioni attraverso la catena alpina.
Zezi P. — La lava di Capo di Bòve presso Roma . (Boll. Com. Geol., 7-8).
— Roma.
Riferisce sui risultati interessanti la geologia dell’Agro romano ottenuti durante
la perforazione d’un pozzo artesiano praticato attraverso la colata di lava basaltina
di Capo di Bove o della Via Appia antica.
Detta lava venne attraversata dal pozzo per uno spessóre di ll,m50. — La
roccia venne analizzata al microscopio dal dott. Bucca. Essa è di natura porfirica
con segregazioni di leucite, augite e melilite e secondariamente di nefelina; la sua
massa fondamentale si compone di leucite, augite, biotite, magnetite ed apatite. La
roccia descritta riposa su di un banco di tufo granulare il quale al contatto colla
lava presenta una parte vetrosa dovuta a fusione per il calore della colata. Allo
stesso contatto il tufo ha struttura porosa ed abbonda di limonite, lo che è do-
vuto ad azione di vapore acqueo ad alta temperatura sopra il tufo stesso.
— 393 —
NOTIZIE DIVERSE
Nuove osservazioni fatte in Napoli e dintorni. — Da una rela-
zione del dott. Johnston-Lavis pubblicata di recente a Londra 1 togliamo
le seguenti importanti informazioni sopra escavazioni praticate nella
città di Napoli e nei suoi dintorni.
Ferrovia Cumana. — La perforazione della nuova galleria attra-
verso il promontorio di Posillipo ha fatto conoscere resistenza di estese
masse trachitiche su questo colle ritenuto finora unicamente formato
di tufo giallo. A 530 metri dall’ingresso verso Monte Santo s’ incontra,
dopo diverse varietà di tufo, una massa di trachite che continua per
circa mezzo chilometro, ora compatto a grana fina, ora leggiera e
spugnosa: essa è coperta ora da strati di scoria sodalitica, ora da
scoria nera, in posizione tale come se provenisse da un vicino cono
eruttivo. Alla trachite fanno seguito dei tufi gialli più o meno grosso-
lani o compatti e di vario aspetto, che passano gradatamente a tufi
verde-grigi con macchie di tufo giallo e talora a tufo puramente verde-
grigio. Il tufo giallo si vede formarsi gradatamente da una massa com-
patta di frammenti di pomice e scorie, a quanto sembra per processo
di idratazione della parte vetrosa di questi elementi.
Un’altra gran massa di trachite s’incontra a 1890 metri dall’ im-
bocco e continua per 110 metri* Questo resterà probabilmente il più
bel tipo di trachite sodalitica che si conosca; dove essa è vescicolare,
le cavità sono incrostate da sei o sette specie di minerali. Le estremità
di questa massa di trachite terminano in pendio, sul quale si appoggia
un talus dei blocchi della stessa roccia e su questi, con la stessa
inclinazione, numerosi strati di pomice e cenere susseguiti da tufo
compatto. Il resto della galleria è scavato nel tufo compatto giallo,
e solo verso la bocca esso è coperto dalla comune pozzolana disgre-
gata.
1 Report of thè Committee appointed for thè investigation of thè volcanic
phenolnena of Vesuoius and its neighbourhood, London 1888.
- 394 —
Al di là dei bagni teihnó-minerali dei Bagnoli è stato tagliato lin
tufo giallo sotto del quale esiste un terrazzo composto di grossi blocchi
più o meno arrotondati del medesimo tufo, fra gli interstizi dei quali
aderiscono delle masse effbrescenti di gesso dovute ad emanazioni
solforose.
Poco lungi di là una galleria in costruzione, a pochi metri della
superficie e parallela alla spiaggia e alla strada, taglia al suo imbocco
verso Napoli della sabbia, breccia e ciottoli costituenti la spiaggia sol-
levata che fu sottoposta alle eruzioni trachitiche della solfatara, tra-
versando talora le scorie nere della medesima. La temperatura vi è
tanto elevata che non si poterono proseguire i lavori senza provvedere
alla ventilazione con finestre e pozzi. Le stesse difficoltà s’ incontrano
nella galleria che deve attraversare la collina di Baia* passando sotto
i BagLi di Nerone, dove la crescente temperatura e la natura del ter-
reno renderanno assai arduo il lavoro.
Collettoré pluviale delle colline. — Nella costruzione di questo
collettore che corre parallelamente alla ferrovia cumana, ma a qualche
distanza e ad un livello inferiore, fu attraversata una massa di trachite
per 28 metri di lunghezza. Differisce un pò per alcuni caratteri dalle
due masse di trachite sopra ricordate, approssimandosi però più assai
alla minorej alla quale è anche più vicina. Questa trachite che non è
vescicolare, presenta delle fenditure tappezzate da bei ottaedri e pseu-
doprismi cristallini di sodalite, che è però quasi ovunque alterata e
sostituita da un miscuglio di sostanze di color rosso. Accompagnano
questo minerale molti aghi di titanite, antibolo, alcune zeoliti, ecc.
La trachite è circondata dal tufo grigio del Rione Amedeo, il
quale verso Ovest è ricoperto dal solito tufo giallo e talora da poz-
zolana. Vicino alla trachite furono trovati blocchi di peperino e, nel
Rione Amedeo, delle estese masse di argilla plastica grigia (pliocenica)
affatto inalterata e con molti fossili.
Ferrovia funicolare del Rione Amedeo. — Lungo il tracciato di
questa, parte in trincea e parte in galleria sotto la ferrovia Cu-
mana e ad angolo retto con la medesima, si è trovato nella parte più
bassa il tufo grigio del Rione Amedeo* sopra il quale si appoggiano
strati dì pomici e ceneri in continuazione colla ben nota piega sin-
clinale di questi strati nel Corso Vittorio Emanuele. Sopra questi mate-
riali viene il tufo giallo comune.
Ferrovia funicolare di Monte Santo. — All’ingresso della galleria
del Corso Vittorio Emanuele si presenta la seguente serie di strati dal
basso all’alto:
Metri 4 di pozzolana bruna sciolta, talora con pomice biancastra
a struttura fina, ricoperta da un letto di piccoli lapilli di pomice bianca
senza accessori o proietti accidentali sovrapposti ;
Metri 4 di pomice simile interstratificata con sottili lembi di
pozzolana rossa o giallo-bruna;
Metri 0, 80 di pomice bianco-grigia composta di masse grandi
fino alle dimensioni di oltre un decimetro. Nella parte superiore questa
pomice ha preso un colore rosso particolare;
Metri 0, 10 di ceneri nere ;
Metri 4,50 di tufo grigio pipernoide, del quale 30 centimetri nella
Parte inferiore è di color rosso che sfuma nel grigio superiormente*
Questo tufo é identico per carattere ai tufi di Sorrento, Nocera, Capua
e Roccamonfina; conteneva un piccolo blocco di piperno con ampi
cristalli di marialite;
Metri 2, 50 di breccia grossolana di pomice rossiccia, con molti
grossi blocchi risultanti di piperno vetroso, trachite sodalitica, una
roccia basica vescicolare di colore rosso vivo (andesite?), lava piros-
senica (dolerite?), tufi di varia specie e pezzi di ossidiana nera.
All’ingresso opposto della galleria non si è incontrato finora che
tufo giallo.
Confrontando la serie di questa regione con quella di altre loca-
lità, risulta che lo strato di breccia è identico a quello che sta sopra
il piperno di Pianura e Soccavo.
I lembi di cenere ed i letti di pomice sono identici ad alcuni sot-
tostanti alla surricordata breccia dietro Soccavo, ed il tufo grigio pi-
pernoide è stratigraficamente nella stessa posizione che il piperno di
quella località; inoltre vi si rinvenne un frammento il più caratteristico di
questa roccia, reso maggiormente certo per i cristalli di marialite»
Da tali fatti si può arguire che il piperno ed il tufo grigio piper-
— 396 —
noide hanno una stessa origine. A ciò si deve aggiungere che lo stesso
tufo grigio di Fossa Lupara (fra Nocera e Sarno) è rosso alla sua
parte inferiore e riposa sopra una pomice arrossata simile a quella
della sezione della funicolare di Monte Santo: se non chè, alia galleria
di Codola presso Nocera, sotto il tufo grigio, si trova un sottile letto
di pomice bianca. In entrambi i casi la pomice è più piccola e nel se-
condo anche in quantità piccola, come se fosse stata trasportata col-
l’aria da grande distanza.
Qui viene a proposito la vecchia questione, non ancora risolta,
sulla natura del piperno di Pianura e Soccavo. Esso ha quivi tutta la
compattezza di una lava, con evidente struttura di corrente nei suoi
componenti: altrove invece sembra un tufo. Da alcuni si suppone sia
un tufo metamorfosato o rifuso in parte; ma se ciò fosse le sottoposte
pomici a Soccavo dovrebbero essere state in simil modo alterate.
Inoltre a Soccavo, sulla parte occidentale della sezione, s’incontrano
due distinti letti di piperno interstratificato con materiali simili e che
il calore avrebbe dovuto influenzare, mentre la striscia pipernoide di
blocchi proiettati che sta loro immediatamente al disopra è orientata
in tutte le direzioni, il qual fatto impugna ogni questione di rifusione
o di metamorfismo. Finalmente, frammenti di tufo giallo inclusi entro
il piperno compatto nei blocchi della soprastante breccia a Pianura, a
Soccavo ed anche a Napoli, sono affatto immuni da fusione o alterati
non più di quello che avverrebbe se fossero stati presi entro una cor-
rente di lava raffreddatasi rapidamente. Restano quindi due spiegazioni.
Prima: il piperno è una vera lava, della quale i tufi grigi sono le ce-
neri ed i lapilli della fase esplosiva della eruzione o delle eruzioni.
Contro questa spiegazione si ha la struttura stratificata del piperno,
indipendentemente dalla forma zonata dovuta alla presenza di un più
o meno grande numero di lenti più nere incluse e poi il lungo e sot-
tile strato di uniforme spessore del piperno superiore di Soccavo.
Seconda: esso proviene dalla emissione di un magma sul finire o al
principio di una eruzione, libero da inclusioni acquee, il quale cadendo
ancora caldo, divenne più o meno fuso nell’immediata vicinanza del-
l’uscita, come può osservarsi in un vulcano attivo. In appoggio di
questa seconda ipotesi sta il fatto che spesso il piperno appare com-
posto di frammenti in parte fusi insieme come se il calore fosse in-
— 397 —
sufficiente a completare Poperazione. In entrambi i casi si può supporre
una miscela di due magma, ovvero anche di uno solo proveniente in
parte dalla porzione superiore più fredda del camino ed in parte dalla
più bassa, più calda e più acquifera, appunto come avviene nella trachite
zonata di Palmarola (Isole Ponza), la quale è sostenuta dai blocchi proiet-
tati aventi la parte nera composta di ossidiana, mentre la grigia è
assai più vetrosa che la roccia compatta.
Fori artesiani e sezioni a Pozzuoli. — Diverse trivellazioni arte-
siane eseguite presso Pozzuoli, tanto sulla costa che in mare a circa
100 o 150 metri dal tempio di Serapide, hanno attraversato a varia
profondità dei depositi di laterizi, di frammenti di stoviglie e di marmi,
che stanno a confermare la depressione subita da quella regione.
Nel taglio della nuova strada di contro all’ingresso del cantiere
Armstrong, si è scoperta una spiaggia sollevata di età post-romana,
con sabbia pura e frammenti di stoviglie, mattoni e marmi. Masse di
muro cadute dalla riva mostrano di essere state tagliate fuori dal mare
cogli spigoli e gli angoli arrotondati dalle onde. Il punto più elevato
di questa spiaggia trovasi a metri 3, 75 dall’attuale livello del mare.
Un simile fatto si verifica al piede della villa di Cicerone e a
ponente dell’estremità della valle nella quale è stato costruito il nuovo
serbatoio. Colà la stessa spiaggia è stata trovata a 5 metri sopra l’at-
tuale livello marino.
Tutti questi fatti dimostrano che la costa ha subito in epoca rela-
tivamente recente una depressione che raggiunse almeno i 5 metri
sotto il piano attuale, cui tenne dietro il sollevamento presente. Al
momento che il suolo era al suo punto più depresso, la sponda doveva
trovarsi tagliata molto ripidamente, per il che le antiche fondazioni
d’epoca romana erano facilmente esposte ad essere rovinate ed arro-
tondate per l’azione del mare.
Finalmente in un pozzo scavato all’ ingresso principale del cantiere
Armstrong, alla profondità di 15 metri, 12 dei quali sotto il livello del
mare, furono incontrati varii strati di lapilli e pomici e, quasi al fondo
dei proietti di una trachite speciale insieme a tufo, talora alterato dah
l’azione della solfatara. Oltre ciò si rinvenne una singolare sienite
micacea con piriti, che formerà oggetto di studio speciale. In questo
— 398 -
pozzo, mentre dalla parte del mare entrava acqua salsa, dal lato di
terra una cascata di acqua minerale calda entrava per una fenditura,
esigendo il lavoro costante di una pompa di 20 cavalli per estrarla.
L’autore termina il suo rapporto con le seguenti conclusioni sulla
geologia dei Campi Flegrei.
Le roccie più antiche finora conosciute in massa presso Napoli sono
le trachiti sodalitiche delia galleria di Cuma; queste sono ricoperte
dai tufi del Rione Amedeo, che probabilmente sono i prodotti eruttivi
di esplosione dello stesso magma.''
Fa seguito a questo il vulcano di Pianura, la parte meridionale
del quale è stata tutta distrutta da posteriori eruzioni esplosive e dal-
l’erosione del mare, che depose il terrazzo sollevato del Lago Lucrino,
demolì la parte meridionale di Monte Barbaro, depositò la spiaggia di
Starza ed il terrazzo sollevato di Stabia e Castellammare.
Questo vulcano fu la bocca principale (forse con altre) dalla quale
provennero il tufo grigio della Campania e gli strati di breccia, ed
al quale appartiene lo strato di lapilli presso il Parco Grifeo sul Corso
Vittorio Emanuele.
Le eruzioni di Roccamonfina precedettero quelle del vulcano di
Pianura, ma il Vesuvio fu in gran parte posteriore, perchè nessuna
traccia di tufo grigio s’incontra entro la regione dell’Atrio e perchè
la serie quasi completa delle pomici del Somma si può vedere sopra-
stante al tufo grigio di Nocera.
L’attività vulcanica ha quindi seguito nel continente italiano un
corso regolare in direzione di Sud.
Il tufo giallo di Posillipo e di altre località, che con il sottoposto
segmento del vulcano di Pianura, forma il punto più elevato presso
Napoli, cioè la collina dei Camaldoli, dovette provenire, almeno in parte,
dal Monte Barbaro e dal vulcano di Campigliene.
— S90 —
PUBBLICAZIONE DELLA CARTA GEOLOGICA D’ITALIA
PER CURA DEL R. UFFICIO GEOLOGICO
PARTI PUBBLICATE (al 31 dicembre 1888)
Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/100,000 :
Foglio N. 244 (Isole Eolie) prezzo L. 3 00
» 248 (Trapani) . . . » 3 00
» 249 (Palermo) . . . » 4 00
» 250 (Bagheria) . . . » 3 00
» 251 (Cefalù) . . . . » 3 00
« 252 (Naso) . . . . » 4 00
» ' 253 (Castroreale) . . » 4 00
» 254 (Messina) . . . » 4 00
» 256 (Isole Egadi) . . « 3 00
» 257 (Castelvetrano) . » 4 00
» 258 (Corleone) . . . » 5 00
» 259 (Termini Imerese). » 5 00
» 260 (Nicosia) . . . » 5 00
» 261 (Bronte), . . . » 5 00
Foglio N. 262 (Monte Etna) . . L. 5 00
» 265 (Mazzara del Vallo)» 3 00
» 266 (Sciacca) . . . » 4 00
» 267 (Canicattì) . . . » 5 00
» 268 (Caltanissetta) . » 5 00
» 269 (Paterno) . . . » 5 00
» 270 (Catania) . . . » 3 00
» 271 (Girgenti) . . . » 3 00
» 272 (Terranova) . . » 4 00
» 273 (Caltagirone) . . » 5 00
» 274 (Siracusa) . . . » 4 00
» 275 (Scoglitti) . . . » 3 00
» 276 (Modica) . . . » 3 00
» 277 (Noto) . . . . » 3 00
Tavola di sez. N. I (annessa ai fogli 249 e 258) L. 4 00
» » N. II (annessa ai fogli 252, 260 e 261) » 4 00
» » N. Ili (annessa ai fogli 253, 254 e 262) » 4 00
» » N. IV (annessa ai fogli 257 e 266) » 4 00
» » N. V (annessa ai fogli 273 e 274) » 4 00
Ilr.B. — L'intiera Carta della Sicilia, in 28 fogli e 5 tavole di sezioni, con quadro d'unione
e copertina, è in vendita al prezzo di lire 100.
Carta geologica della Sicilia nella scala di 1/500,000 (serve anche di foglio di
unione della precedente) con sezioni prezzo L. 5 00
Descrizione geologica dell’Isola di Sicilia, con una Carta geologica, tavole
in zincotipia ed incisioni, dell* Ing. L. Baldacci prezzo L. 10 00
Carta geologica dell’ Isola d’ Elba, nella scala di 1/25,000 con sezioni annesse
(in due fogli) prezzo L. 15 00
Descrizione geologica dell' Isola d’ Elba con Carta annessa nella scala di
1/50,000, dellTng. B. Lotti prezzo L. 10 00
Relazione sulle miniere di ferro dell’Isola d'Elba, con un atlante di carte e
sezioni geologiche, dellTng. A. Fabri . . . prezzo L. 20 00
Descrizione geologico-miner. dell’Iglesiente (Sardegna), con un atlante di XXX
tavole e una Carta geologica, dell’ Ing. GL Zoppi, prezzo L. 15 00
Carta geologico-mineraria dellTglesiente (Sardegna), nella scala di 1/50,000
(in un foglio) ‘ prezzo L. 5 00
Carta geologica della Campagna Romana e regioni limitrofe, nella scala
di 1/100,000 (sei fogli e una tavola di sezioni) . prezzo L. 25 00
IN CORSO DI LAVORO
Carta geologica dellTtalia, in due fogli, nella scala di 1/1,000,000 (seconda edizione
riveduta e migliorata della Carta pubblicata nel 1881).
Per le commissioni rivolgersi al R. Ufficio Geologico, ovvero alla Libreria
E. Loescher, in Roma.
— 400 —
ELENCO
del personale componente il Comitato e l’Ufficio Geologico
alla fine del 18 8 8
R. Comitato Geologico.
Meneghini Giuseppe, prof, di geologia nella R. Università di Pisa, Presici.
Capellini Giovanni, prof, di geologia nella R. Università di Bologna.
Cocchi Igino, prof, di geologia, a Firenze.
Cossa Alfonso, prof, di chimica nella R. Scuola di applicazione per gli
ingegneri in Torino.
De Zigno Achille, membro nel R. Istituto Veneto, a Padova.
Gemmellaro Gaetano Giorgio, prof, di geologia, R. Università di Palermo.
Scacchi Arcangelo, prof, di mineralogia nella R. Università di Napoli.
Scarabelli Giuseppe, senatore del Regno, a Imola.
Silvestri Orazio, prof, di geologia nella R. Università di Catania.
Stoppani Antonio, professore di geologia nel R. Istituto tecnico supe-
riore di Milano.
Stri) ver Giovanni, prof, di mineralogia nella R» Università di Roma.
Taramelli Torquato, prof, di geologia nella R. Università di Pavia.
Il Direttore del R. Istituto geografico militare in Firenze.
Giordano Felice, ispettore-capo del R. Corpo delle Miniere, a Roma.
Pellati Niccolò, ispettore nel R. Corpo delle Miniere, a Roma.
Personale addetto ai lavori della Carta Geologica.
Direzione superiore :
Ing. Giordano Felice, Direttore.
Ing. Pellati Niccolò.
Ufficio centrale (in Poma):
Ing. Zezi Pietro, Capo d’ufficio e Segretario del Comitato.
Ing. Sormani Claudio.
Geologi operatori :
Ing. Baldacci Luigi, Roma.
Ing. Lotti Bernardino, Pisa.
Ing* Cortese Emilio, Roma.
Ing. Zaccagna Domenico, Pisa.
Ing. Viola Carlo, Roma.
Ing. Novarese Vittorio, Roma.
Ing. Aichino Giovanni, Roma.
Ing. Sabatini Venturino, Roma.
Ing. Franchi Secondo, Torino.
Sig. Fossen Pietro, aiutante, Pisa.
Sig. Cassetti Michele, aiutante, Roma.
Sig. Moderni Pompeo, aiutante, Roma.
Personale distaccato :
Ing. Mattirolo Ettore, Torino (analisi delle roccie).
Dott. Canavari Mario, Pisa (paleontologo).
La sede dell’Ufficio geologico in Roma è nel Museo agrario-geologico,
via Santa Susanna, n. 1-A.
INDICE
DELLE MATERIE CONTENUTE NEL BOLLETTINO DEL 1888
(Volume decimonono o nono della 2a serie)
Introduzione . . . . Pag. 1
MEMORIE ORIGINALI.
L. Mazzuoli. — Sul modo di formazione dei conglomerati miocenici dell’Appen-
nino ligure » 9
B. Lotti. — Un problema stratigrafico nel Monte Pisano (con una tavola). » 30
A. Portis. — Sui terreni attraversati dal confine franco-italiano nelle Alpi
Marittime » 42
L. Bucca. — Contribuzione allo studio petrografico dei vulcani viterbesi . » 57
F. Sacco. — Studio geologico delle colline di Cherasco e della Morra in
Piemonte (con una Carta geologica) » 69
A. Portis. — Sul modo di formazione dei conglomerati miocenici della Col-
lina di Torino >81
A. Mascarini. — Le piante fossili nel travertino ascolana » 90
E. Cortese. — Appunti geologici sull’ isola di Madagascar (con una tavola) . » 103
0. Silvestri. — Sopra alcune lave antiche e moderne del vulcano Kilauea
nelle Isole Sandwich » 128
E. Clerici. — Sopra alcune specie di felini della Caverna al Monte delle
Gioje presso Roma (con una tavola) » 149
0. Silvestri. — Sopra alcune lave antiche e moderne del vulcano Kilauea
nelle Isole Sandwich (continuazione e fine) » 168
E. Cortese. — L’eruzione dell’Isola Vulcano veduta nel settembre 1888 . » 213
C. De Stefani. — Appunti sopra roccie vulcaniche della Toscana ...» 221
V. Novarese. — Esame microscopico di una trachite del Monte Amiata . » 225
B. Lotti. — Il Monte di Canino in provincia di Roma. 231
— 402 —
F. Sacco. — Il pliocene entroalpino di Yalsesia (con una Carta geologica) Pag. 277
B. Lotti. — I giacimenti cupriferi dei dintorni di Vagli nelle Alpi Apuane . » 295
Idem. — Nuove osservazioni sulla geologia della Montagnola Senese (con
una tavola) » 341
K. A. Weithofer. — Alcune osservazioni sulla fauna delle ligniti di Casteani
e Montebamboli » 363
ESTRATTI E RIVISTE.
W. Deceke. — Il cratere di Fossa Lupara nei Campi Flegrei » 323
NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE.
J. Roth. — Allgemeine und chemische Geologie; Berlin 1879-87 .... » 144
H. Reusch. — Bòmmelòen og Karmòen med omgivelser geologisk beskrevne ;
Kristiania 1888 » 197
E. de Margerie et A. Heim. — Les dislocations de l’ecorce terrestre;
Zùrich 1888 » 263
E. Reyer. — Teoretiche Geologie ; Stuttgart 1888 » 246
G . De la Noe. — Les formes du terrain ; Paris 1888 . » 248
Bibliografia geologica italiana per l’anno 1887 » 249
Idem Idem .... ( continuazione ) . . . . > 300
Idem Idem .... ( continuazione e fine) . . » 369
NOTIZIE DIVERSE.
I fosfati di calce nell’Algeria » 63
L’amianto del Canada >65
Ricerca di fosfati in Italia » 204
Giacimenti solfiferi nella Luigiana » 271
Nuove osservazioni fatte in Napoli e dintorni » 393
Congresso Geologico Internazionale, Sessione IV » 322
Necrologia: Gerhard vom Rath » 208
TAVOLE ED INCISIONI.
Sezioni geologiche nel Monte Pisano (Tav. ì) » 42
Carta geologica dei dintorni di Cherasco e della Morra (Tav. II). ...» 80
- 403 —
Carta geologica dell’ Isola di Madagascar (Tav. Ili) Pag. 128
Resti di felini trovati nella Caverna al Monte delle Gioie (Tav. IV) . . . » 167
Carta del pliocene entroalpino di Valsesia (Tav. V) » 294
Sezioni geologiche nella Montagnola Senese (Tav. VI) . » 362
PARTE UFFICIALE.
Lettera con la quale il Presidente del Comitato trasmette al Ministero [di
Agricoltura, Ind. e Comm. il verbale delle sedute 28 e 29 Maggio. . » 3
Verbale dell’adunanza 28 Maggio 1888 » 5
Verbale dell’adunanza 29 Maggio 1888 » 10
Relazione annuale dell’Ispettore-Capo al R. Comitato Geologico sul lavoro
della Carta geologica (1887-88) » 15
Elenco del personale del Comitato ed Ufficio geologico alla fine del 1888. » 400
Indice delle materie contenute nel Bollettino del 1888 ...» 401
INDICE DEI FASCICOLI.
Gennaio e Febbraio (1 e 2)
1
a
pag.
68
Marzo e Aprile (3 e 4)
69
a
»
148
Maggio e Giugno (5 e 6)
149
a
»
212
Luglio e Agosto (7 e 8)
»
213
a
»
276
Settembre e Ottobre (9 e 10)
277
a
»
340
Novembre e Dicembre (11 e 12) . . . .
341
a
»
404
BOLLETTINO DEL E. COMITATO GEOLOGICO.
Serie IP — Anno IX0
1888
ATTI UFFICIALI.
l m
BOLLETTINO DEL K. COMITATO GEOLOGICO
PARTE UFFICIALE
Lettera con la quale il Presidente del Comitato trasmette al Mini-
stero di Agricoltura , Industria e Commercio il verbale delle se-
dute 28 e 29 maggio.
Napoli , 2 giugno 1888.
A S. E. il Ministro di agricoltura, industria e commercio — Roma.
Nelle adunanze tenute dal R. Comitato geologico nei giorni 28 e 29 del testé
decorso mese di maggio, mancando per indisposizione di salute il presidente
prof. Meneghini, ed il prof. Capellini che aveva tenuto la presidenza nello scorso
anno non avendo potuto intervenire, i colleghi del Comitato mi hanno fatto l’onore
di eleggermi loro presidente.
Egli è però che rimetto all’ E. V. i verbali delle medesime adunanze, dai
quali scorgerà come dal Comitato sono stati trattati gli argomenti esposti nella
relazione annuale del direttore dei lavori, e le proposte dei membri del Comitato
che sono state prese in considerazione.
Mi gode l’animo nel riconoscere che il lavoro della Carta geologica dell’Italia
progredisca il meglio che sia possibile con i mezzi -che si hanno disponibili, sia
per l’assegno che il Governo concede, sia per lo scarso numero degli ingegneri
addetti a raccogliere i fatti che costituiscono l’elemento principale di una buona
Carta geologica.
Prego intanto l’E. V. di accogliere con favore le diverse proposte riportate
nei verbali, e che il Comitato ha stimato opportuno di raccomandare al Ministero.
Accolga intanto i sentimenti della mia distinta osservanza.
Per il presidente del R. Comitato geologico
A. Scacchi.
Verbale dell’adunanza 28 maggio 1888.
La seduta è aperta alle ore 9 1\2 ant.
Sono presenti i membri: Cossa, De-Zigno, Ferrerò, Gemmellaro, Scacchi, Sil-
vestri, Stoppani, Struver, Taramelli, Giordano, Pellati e il segretario Zezi.
Il presidente Meneghini giustifica la sua assenza per causa di malattia; i
membri: Capellini, Cocchi e Scarabelli, hanno dichiarato di non potere interve-
nire per altre cause.
A nome del Ministero l’ispettore Giordano prega il Comitato di scegliersi un
presidente. All’unanimità è scelto il prof. Scacchi, il quale accetta ed invita il
predetto ispettore ad esporre le cose da trattarsi.
L’ispettore Giordano presenta la sua relazione annuale, della quale fu già
data comunicazione agli altri membri, ed espone quale sia lo stato attuale dei
lavori di rilevamento nelle varie parti d’Italia.
Il rilevamento geologico trovasi attualmente diviso nelle quattro zone se-
guenti :
1. La Calabria, come seguito del rilevamento di Sicilia, con una squadra
di operatori condotti dall’ing. Cortese. Questo lavoro presenta il vantaggio di
offrire molti termini di confronto con le Alpi, per cui sarà anche di giovamento
agli studi che si dovranno fare su questa catena. Esso dà anche risultati utili
per i lavori ferroviari e di altra uatura che si vanno eseguendo in quella regione,
oltre che per gli studii che furono ordinati dal Ministero per rimediare alle frane
ed alle enormi alluvioni dei torrenti.
2. Le Alpi occidentali, dove l’ingegnere Zaccagna con l’aiuto dell’ ingegnere
Mattirolo eseguirono parziali rilevamenti ed estese ricognizioni, le quali hanno d
già dato importanti risultati, specialmente rivelando l’esistenza su vasta scala
del terreno permiano, e che modificano profondamente la geologia delle Alpi pie-
montesi, non che quella delle vicine regioni francesi. Siffatti lavori nelle Alpi fu-
rono molto apprezzati all’estero, e preme sieno awanzati sollecitamente anche
per prevenire i lavori che i geologi esteri si preparano di fare lungo la frontiera.
In appoggio di che legge qualche brano di comunicazioni avute da distinti geologi
tedeschi.
Gemmellaro, a proposito delle osservazioni fatte sul terreno permiano delle
Alpi occidentali, fa cenno alla recente constatazione di terreno consimile in
qualche località di Sicilia.
— 6 —
Taramelli parla in favore di questi lavori nelle Alpi occidentali, che col
tempo potranno coordinarsi con quelli delle Alpi lombarde; ed il Comitato con-
viene unanimamente nella necessità di spingerli alacremente, impiegandovi tutti
quei mezzi di cui si potrà disporre, tanto per il rilevamento, quanto per la più
sollecita pubblicazione, onde stabilire la priorità di siffatti studii.
3. L’Italia centrale nella zona fra Roma, Napoli e gli Abbruzzi, con ope-
ratori diretti dall’ingegnere Zezi. Di questa furono già studiate, per quanto oc-
corre ai bisogni di una Carta generale, la provincia di Roma e regioni limitrofe,
ed attualmente il rilevamento viene spinto verso levante nella regione abbruzzese.
Il presidente a proposito della zona vulcanica napoletana, parla di un lavoro
di dettaglio sul Vesuvio e Monte Somma eseguito dal dott. Johnston-Lavis, il
quale sarebbe pronto a pubblicarlo qualora il Comitato volesse accordargliene
i mezzi. Egli dice che si tratta di un lavoro assai dettagliatole importante come
raccolta di fatti, ed osservando che la spesa relativa potrà ammontare dalle 5
alle 6 mila lire, ne appoggia la pubblicazione purché ciò non turbi l’equilibrio
del bilancio. Aggiunge a questo che egli sorveglierebbe volentieri l’esecuzione di
questa pubblicazione.
Giordano osserva che una spesa siffatta non è eccessiva per i mezzi di cui
dispone l’ Ufficio, tanto più se il bilancio per la Carta geologica sarà nel venturo
esercizio restituito nei limiti primitivi, osservando anche che la medesima potrà
essere all’occorrenza divisa fra due esercizi.
Propone quindi che si debba in massima accettare per la pubblicazione il
lavoro del dott. Johnston-Lavis, salvo a provvedere in seguito secondo le condi-
zioni del bilancio.
Il Comitato, considerando che un lavoro ricco di dettagli può agevolare ed
accelerare il rilevamento della Carta in grande scala di quella interessante regione,
approva lo proposta del presidente.
Lo stesso Scacchi parla ancora della nota sua pubblicazione sui vulcani
fluoriferi della Campania, ed esprime il desiderio che per cura dell’ufficio la me-
desima venga ripubblicata più ni succinto, con diverse aggiunte per scoperte fatte
posteriormente, le quali danno maggiore importanza al lavoro, e con una Carta
geologica migliore di quella unita alla prima edizione, la quale sotto il rapporto
artistico lascia molto a desiderare.
Giordano, considerando che la spesa relativa sarebbe assai tenue, è d’ opi-
nione che si debba pubblicare tale lavoro, il quale potrà anche servire di guida
a futuri rilevamenti di dettaglio.
Il Comitato approva in massima.
4. La Toscana dove con l’opera dell’ ingegnere Lotti e del dott. Canavari
venne proseguito il rilevamento che ebbe dapprincipio centro nelle Alpi Apuane, e
- 7 —
che ora va estendendosi nelle altre parti della Toscana tanto verso il Sud quanto
verso l’Est.
Lo stesso Giordano parla quindi delle estese ricognizioni che vennero fatte
per completare la Carta generale in piccola scala di prossima pubblicazione : ed
osserva come queste abbiano avuto luogo specialmente nell’ Appennino toscano e
nei dintorni di Firenze, dove risultarono divisioni alquanto diverse nei terreni
finora ritenuti dell’eocene, assegnandone una parte al miocene ed altra al cretacico.
Gemmellaro a proposito di studi nel cretacico accenna alla necessità di ri-
stabilire le divisioni in questo terreno con uno studio generale di esso in Sicilia
e nell’Italia centrale e meridionale, inquantochè nuove scoperte fatte in Sicilia, e
lo studio dei fossili trovati, hanno dimostrato la necessità di una riforma e di un
coordinamento in tutta quella serie.
De Zigno e Taramelli trovarono nelle Alpi venete diversi riscontri con tali
nuove scoperte: il secondo poi, citando diversi esempi tratti dall’Appennino set-
tentrionale, crede necessario anche per la piccola Carta di prossima pubblicazione,
di provvedere alla delimitazione di alcune piccole zone di terreno cretacico esi-
stenti in detta regione.
Giordano dichiara che a quest’ultimo bisogno sarà subito provveduto di ac-
cordo con il professore Taramelli, e che per il cretacico in generale si avrà at-
tenzione di raccogliere il massimo numero di dati stratigrafìci e paleontologici
che in seguito daranno molta luce sull’argomento.
Lo stesso Giordano fa parola del rilevamento della vallata del Po che si va
facendo da diversi operatori sotto la direzione del prof. Taramelli. Questo lavoro,
avente un duplice scopo scientifico e di applicazione all’agricoltura, entra pure
nel quadro generale della Carta geologica d’ Italia.
Taramelli espone quale sia lo stato attuale di questo lavoro già sufficiente-
mente avviato, in specie per opera del sig. Bruno d’ Ivrea ed in parte anche del
dottor Sacco di Torino.
Il rilevamento sulla sinistra del Po arriva già al Ticino, e nel corrente anno
egli spera di continuarlo in Lombardia. Intanto si è giunti a mettere d’accordo
alcuni piani del quaternario del Piemonte con degli analoghi di Lombardia, e
spera che in progresso si potranno risolvere alcuni dubbi tuttora esistenti.
Giordano accenna quindi alle pubblicazioni fatte nell’anno, cioè ai due volumi
di Memorie descrittive contenenti, il primo la descrizione della Sicilia dell’inge-
gnere Baldacci, l’altro la Relazione sulle Miniere dell’Elba dell’ingegnere Fabri. In
corso di lavoro trovansi presentemente sei fogli al l00/m dell’Italia Centrale, la
Carta generale d’Italia in piccola scala, la Carta speciale dei dintorni di Roma, la
descrizione geologica dell’Iglesiente con carta annessa dellTng. Zoppi, la memoria
del prof. Meneghini sulle trilobiti della Sardegna, e quella del dott. Canavari sui
' '}
- 8 —
fossili della Spezia; tutti lavori approvati nella adunanza dell’anno decorso, e
per i quali si hanno i fondi disponibili sul bilancio attuale.
Circa a nuove pubblicazioni, non proporrà grandi cose in vista della diminu-
zione di fondi nel bilancio dell’anno prossimo, e ritiene doversi limitare al puro
necessario per l’ordine stabilito di alcune pubblicazioni, tra cui accenna ad una
Carta della zona centrale delle Alpi Apuane, corredata da importanti sezioni in
relazione anche col lavoro che si va facendo in quella regione marmifera.
Fa cenno quindi di una domanda fatta dal dott. Sacco per la pubblicazione
di un suo lavoro sul bacino terziario del Piemonte, di cui per altro non crede sia
pronto il manoscritto : siccome trattasi di lavoro che può aver relazione collo
studio generale della vallata del Po, lascia al Comitato il decidere se debba ac-
cettarsi la domanda. /'
Cossa ritiene necessario doversi stabilire per massima che non si possano
dare simili pareri senza conoscere il lavoro, ed avere altresì la sicurezza che il
medesimo non venga pubblicato altrove.
Strùver e Stoppani sono della medesima opinione, la quale viene accettata
dal Comitato.
Si parla quindi del materiale di confronto che sarebbe utile di avere nel
Museo specialmente per gli studi paleontologici, e a questo proposito il Tara-
melli, ritenendo, non sufficiente un solo paleontologo, propone che, in vista anche
del vasto studio del cretacico di cui sopra, venga assunto un secondo paleonto^
logo, il quale risieda in ufficio, e alla occorrenza possa eseguire escursioni con
gli operatori, indicando all’uopo il dott. Di Stefano di Palermo.
Gemmellaro appoggia tale proposta e dimostra ancora più la necessità del-
l’aiuto di un paleontologo che si occupi dei fossili cretacei, aggiungendo che la
persona indicata sarebbe un ottimo acquisto per l’uS'cio.
Giordano ammette la grande utilità di avere dei paleontologi a disposizione
dell’ufficio, in vista anche del molto materiale già accumulato ; ma vorrebbe che
ciò non avesse a recar danno al dott. Canavari, il quale dopo 10 anni di lavoro
utilissimo, trovasi tutt’ora nelle condizioni di straordinario.
Il Comitato appoggia in questi termini la proposta.
Lo stesso Giordano accenna quindi alla istituzione di un laboratorio nei lo-
cali dell’Ufficio, il quale servirà, sia per la chimica, sia per la petrografìa secondo
il voto fatto dal Comitato nello scorso anno: la^spesa per tale laboratorio è assai
limitata e sarà fatta con alcuni fondi rimasti disponibili sul bilancio attuale: la
sua esecuzione sarà fatta secondo le indicazioni date dall’ing. Mattirolo, e sperasi
potrà essere pronto entro l’autunno prossimo.
Annuncia in seguito l’avvenuta costituzione del Consiglio superiore dei lavori
geodetici, il quale come sappiamo ha per^scopo di indicare anno per anno quello
— 9 -
che occorre ai diversi ministeri in fatto di carte topografiche. Si trattava di dare
principio in qualche modo all’opera sua, e colse l’occasione dei prossimi lavori
del Catasto per prender parte al rilevamento ed alla pubblicazione di una carta
dettagliata dell’ isola d’ Ischia, per la quale spetterebbe al Ministero di agricol-
tura una spesa di circa lire 2000.
Il gen. Ferrerò fa alcune osservazioni relative a detta carta la quale sarebbe
motivata dai lavori per il Catasto della provincia di Napoli.
Per tale scopo dovrà farsi una carta puramente pianimetrica nella scala di
1/2000, ed ora si tratterebbe di aggiungervi l’altimetria con curve di 2 o di 5 metri
secondo i luoghi onde avere un lavoro completo.
I segnali posti nell’ isola dopo la catastrofe di Casamicciola, per constatare
i movimenti del suolo, non che i punti trigonometrici stabilitivi più tardi, giove-
ranno assai per un rilevamento dettagliato, il quale sarà anche un buon principio
per dare un carattere scientifico ai lavori del Catasto.
Se si ottiene il concorso del Ministero di agricoltura, egli ritiene potrà dare il
lavoro compiuto entro l’anno venturo. Lo Stesso gen. Ferrerò osserva poi che, in
causa dei ritardi che si verificano in certe amministrazioni, il regolamento di detto
Consiglio superiore, benché già pronto, non ha ancora ottenuto la sanzione supe-
riore, e però prega il Comitato, il quale fu l’iniziatore di tale istituzione, di voler
spingere il Ministero di agricoltura a sollecitare l’approvazione del regolamento.
II Comitato unanimemente approva ed emette il seguente voto da trasmet-
tersi al Ministero di agricoltura : « Il Comitato geologico, nell’ intento di rendere
efficace l’opera del Consiglio superiore dei lavori geodetici, istituito con R. De-
creto 7 novembre 1886, esprime il voto che il R. Governo approvi nel più breve
tempo possibile il regolamento proposto dal Consiglio stesso dei lavori geodetici
nelle sue prime adunanze. »
Taramelli, a proposito di rilevamenti topografici, esprime l’idea che si po-
trebbe fare rilevare dagli stessi operatori topografici una serie di fatti naturali che
possono essere riconosciuti facilmente, e propone si faccia un questionario relativo.
Ferrerò non crede si possono avere risultati molto utili in questo senso j ri-
tiene ad ogni modo opportuno di preparare il questionario in quanto chè, in casi
determinati, si potranno fare osservazioni di tal genere, quando cioè si crederà
di poterne ricavare risultati sicuri e di qualche utilità.
La seduta è levata ad ore 11 e 45, rimandando il seguito delle discussioni al
giorno successivo alle ore 9 antimeridiane.
Per il Presidente
A. Scacchi.
Il Segretario
P. Zezi.
Verbale dell'adunanza 29 maggio 1888.
La seduta è aperta alle ore 9 1{2 ant.
Sono presenti i membri: De Zigno, Gemmellaro, Scacchi, SiWestri, Strùver,
Taramelli, Giordano, Pellati e il segretario Zezi.
Si legge il verbale della seduta precedente, che viene approvato.
Il Presidente Scacchi invita l’ispettore Giordano a continuare l’esposizione
delle sue proposte interrotta nella seduta di ieri.
L’ispettore Giordano incomincia col parlare del prossimo Congresso interna-
zionale di Londra, nel quale dovranno venire discusse parecchie questioni rimaste
sospese nei precedenti Congressi, relative alla unificazione della classificazione
geologica ed altre varie, per lo studio delle quali vi sono speciali commissioni, tra
cui quella internazionale per la nomenclatura geologica presieduta dal professore
Capellini. In vista dell’ importanza delle discussioni che avranno luogo in tale
occasione, ed agli insegnamenti che se ne possono trarre egli crederebbe oppor-
tuno che alcuni dei geologi più provetti dell’ufficio assistessero alla riunione di
Londra, come già fu fatto per quella di Berlino nel 1885, e però desidera che
il Comitato si esprima in proposito e raccomandi la cosa al Ministero perchè
acconsenta alla spesa relativa. Il presidente accetta volentieri la raccomandazione
per i geologi dell’ufficio e la vorrebbe estesa anche a qualche membro del Comitato
che mostrasse desiderio di intervenire al Congresso di Londra. Silvestri appoggia
la proposta del presidente che viene ad unanimità accettata dal Comitato, il quale
proporrebbe il prof. Taramelli.
Fra i lavori d’ordine secondario che si potrebbero fare prossimamente ed in
stagione opportuna, l’ispettore Giordano accenna ad uno studio almeno sommario,
del territorio di Massaua ed Assab da eseguirsi col mezzo per esempio di uno
dei geologi più adatti dell’ufficio. Simile studio risponde ad un desiderio già più
volte espresso in quella colonia in vista di utili scopi, come quella di provvista
d’acqua potabile e di buoni materiali da costruzione. Il Comitato appoggia questa
proposta, e viene indicato all’uopo l’ ingegnere Baldacci.
Si passa quindi a trattare della organizzazione del servizio geologico secondo
la domanda fatta lo scorso anno dal Ministero, cioè sulla ripartizione e compiti
del personale tanto nell’Ufficio centrale che in uffici secondari cui può convenire
di stabilire temporariamente nelle principali zone di rilevamento della Carta geo-
logica. L’ anno scorso diverse circostanze, citate nel verbale della riunione,
— 11 —
non avovano permesso di occuparsene minutamente, e del resto non ve ne era
urgenza, sia perchè il personale era meno completo e intanto le cose, malgrado
qualche contraria apparenza, procedevano nell’ordine già da tempo e ponderata-
mente stabilito. Il relatore entra in spiegazioni rispondendo anche alle domande
di vari membri del Comitato. Due sistemi infatti si possono seguire nei diversi
paesi o regioni in vista principalmente del clima ; uno cioè di tenere abitualmente
tutto il personale riunito nell’Ufficio centrale, mandandolo solo in campagna nei
mesi di buona stagione, sistema che conviene in paesi di clima nordico; l’altro
invece più conveniente alle località di clima temperato come è gran. parte dell’Italia
media e meridionale, con le grandi isole, dove cioè si può lavorare quasi tutto
l’anno e dove perciò si possono tenere con vantaggio uffici secondari distaccati
nelle principali zone di rilevamento. Del resto si ha l’esperienza dei decorsi anni,
in cui si cominciò con un ufficio distaccato in Sicilia, il quale nel seguito fu
portato in Calabria ed ora dovrà man mano emigrare coll’avanzamento dei lavori
verso il Nord. Al Nord di Roma si ebbe l’ufficio distaccato di Pisa, il quale es-
sendo molto opportunamente collocato, potè per diverse e speciali ragioni sussi-
stere con vantaggio da diversi anni, come ancora potrebbe sussistere qualche
tempo, sino cioè ad avere ultimato lo studio della grande ed interessante zona
dell’Italia etrusca. L’ufficio poi che, per l’importanza eccezionale delle Alpi occi-
dentali, venne da poco modestamente istituito in Torino, aveva oltre ciò la sua
ragione nell’esistenza del laboratorio del prof. Co ssa ove lavorava il nostro inge-
gnere Mattirolo. Qualora venisse tale laboratorio/come venne proposto, sostituito
da uno in Roma, esso ingegnere potrebbe venire chiamato all’Ufficio centrale,
almeno nella stagione invernale, dove potrebbe attendere al laboratorio adde-
strandovi pure qualche altro giovine ingegnere. Poiché osserva subito che stante
l’urgenza del lavoro delle Alpi occidentali e lo stato di salute ora decaduto del-
l’ingegnere Zaccagna, occorre assolutamente che l’ingegnere Mattirolo, l’unico
ora iniziato a quel lavoro cui già prese molta parte, possa attendervi per qualche
tempo nella buona stagione. Altro assai vi sarebbe da dire, riguardo alla distri-
buzione del personale, sovratutto in vista dello avvenire; ma una cosa essenziale,
osserva il relatore, da aversi presente è che niun sistema si può applicare in
modo esclusivo anche tenuto conto della varietà delle esigenze talvolta improvvise
del servizio, non che poi dello stato di salute e della diversa attitudine del per-
sonale che talvolta arrecano difficoltà grandissime.
Per avere una organizzazione perfetta tanto dell’Ufficio centrale che dei di-
staccati, occorrerebbe disporre di un personale più che doppio di quello consentito
dall’attuale assegno in bilancio; ma fu sempre studio della direzione quello di
badare all’essenziale, che è l’avanzamento del lavoro sul terreno fatto dal perso-
nale più capace, facendo anche nei casi più difficili visitare certe località da per-
— 12 —
sonale diverso, oltre al sottoporli, quando si può, ai membri del Comitato che
s’occuparono di quelle regioni. Ed è anche in tal modo che l’azione del Comi-
tato si rende veramente utile, non già solo con la riunione annuale, ma bensì
con l’azione diuturna di speciali suoi membri in continua relazione cogli operatori.
Insiste il relatore sul fatto che date le nostre circostanze, non si può essere
troppo esclusivi circa il sistema da usare, ma variarlo secondo le circostanze
stesse, utilizzandovi i mezzi, comunque talvolta incompleti di cui si dispone, ado-
perandoli in modo opportuno per ottenere nel minor tempo il maximum di lavoro
utile. Ed è così facendo, che si è giunti nei pochi decorsi anni ad eseguire un
lavoro ingentissimo, di cui molto è latente ancora, ma potrà fra breve essere
visibile. Del che del resto egli deve attribuire il merito allo zelo ed alla valentia
di quei colleglli che compierono lavori come quelli di Sicilia, Elba, Alpi Apuane
ed Alpi occidentali, lavori che li resero assai stimati al paro dei più valenti geo-
logi esteri.
Il prof. Gemmellaro attesta la realtà dell’esposto riguardo agli operatori che
compierono in Sicilia gli studi cui egli ben conosce, e così fa il Taramelli per
gli altri.
Il presidente Scacchi riassume la discussione insistendo sulla importanza che
anzitutto vengano coi lavori accurati sul terreno, raccolti in gran numero i dati
di fatto, i quali costituiscono poi la Carta geologica; e dietro sua proposta il Comi-
tato approva in massima l’organizzazione quale si va attuando, essenzialmente
intesa a raggiungere coi mezzi disponibili, quel finale risultato.
Segue il relatore esponendo alcune particolarità sui modi pratici usati per
l’andamento del servizio, tanto per la parte amministrativa, che per la scientifica,
fa cenno delle norme seguite sinora; norme state a più riprese già impartite ai
geologi, come furono quelle date sin dai primi lavori per la Sicilia, ed altre che
successivamente l’esperienza consigliava: ora per comodità del personale si sareb-
bero raccolte in una specie di istruzione da diramare agli operatori, la quale però
nulla ha di ben nuovo. Si tratta dei dati scientifici e tecnici diversi da osservare
e registrare, dei campioni di roccie e fossili, dell’itinerario giornaliero da registrare
e segnare su apposito diagramma e di tante altre particolarità, che devono essere
attuate in modo regolare ed uniforme. In ultimo vi si sarebbero aggiunte le norme,
già pure per gran parte in uso pel pratico funzionamento degli uffici, sia centrale
che di sezione, secondo le vigenti disposizioni regolamentari ed altre dal Ministero
impartite. Il Comitato riconosce l’opportunità di avere ora raccolte simili norme
in una sola istruzione, come in uso in tutti gli Istituti, per regola e comodità del
personale.
Seguitando il relatore nell’argomento delle succennate norme, osserva che
resterebbe a stabilire meglio certe indennità per le quali non provvede la legge
13 —
del Genio civile del 1882, a cui è tuttavia soggètto il Corpo delle Miniere; e sa-
rebbe per esempio per i lavori in certe regioni deserte e diffìcilissime come le
alte Alpi ed anche certe località degli Appennini meridionali. Per queste si deve
provvedere in modo sufficiente e cita qualche esempio come quello dell’ ing. Zac-
cagna che lavorò già più anni nelle Alpi marittime e occidentali con scarso
compenso e vi perdè anche la salute. Un altro caso a cui sarebbe bene di
provvedere, e lo si potrebbe anche fare in modo regolare senza grave dispendio,
è quello di accordare una distinzione ai geologi provetti, che sono messi a
capo di una Sezione geologica. Può accadere, stante la strettezza della pianta
del personale del Corpo, che l’ingegnere posto a capo di una Sezione per la sua
capacità, non abbia tuttavia che grado e classe eguale a quelli dei colleghi cui
egli deve dirigere. Non potendosi elevare di classe si potrebbe almeno accordargli
l’indennità di campagna di ingegnere capo, ciò che alfine non fa che L. 1, 50 in
più per ogni giornata di lavoro, gli si potrebbe dare inoltre il posto di la classe
in ferrovia. La differenza è poca cosa materialmente, ma basterebbe allo scopo.
Si rammenta infine un reclamo del Capo dell’Ufficio geologico, il quale ha nume-
rose incombenze e responsabilità, oltre quella della contabilità dell’Ufficio stesso.
Per tali mansioni eragli stato accordato un modesto compenso di L. 500 annue,
e ciò sin dal tempo in cui il Comitato era ancora a Firenze. Più tardi, tale assegno
gli venne soppresso, pare in considerazione di un corso di geologia che doveva
professare in Roma. Ma tale incarico presto cessò ed egli rimase con nulla,
benché il lavoro sia ora grandemente moltiplicato.
Diversi membri fanno riflessioni sulle cose esposte, osservando che trattasi di
un personale attivo già molto benemerito e non largamente contribuito, al quale
converrebbe perciò avere molto riguardo, sovr atutto a quelli che hanno la capacità
di capo di una Sezione, largheggiando anzi ove il bilancio lo permettesse.
Udite tali dichiarazioni, il Comitato, dietro l’avviso del Presidente, accettando
le osservazioni e proposte del relatore, le raccomanda vivamente al Ministero.
Esaurito questo tema il Presidente, a proposito dello studio dei terreni e della
raccolta di campioni, crede si debba raccomandare agli operatori della Carta geo-
logica, di fare minute ricerche dei fosfati utili per l’agricoltura, e ciò specialmente
nella regione delle Puglie, osservando che oltre ai fosfati di calce si porti l’atten-
zione dei rilevatori sopra altri fosfati che sono parimenti applicabili all’agricoltura,
ad esempio sul fosfato di ferro o vivianite. A questo proposito Giordano osserva
che tale raccomandazione fu sempre fatta ai rilevatori, ma che finora le ricerche
fatte riescirono pressoché infruttuose avendo l’analisi chimica dimostrato il poco
tenore in acido fosforico nelle materie che furono sottoposte ad esame. Anche
nello scorso anno furono fatte dall’ ing. Zezi ricerche a questo scopo nella prò-
vincia di Bari, e in particolar modo nei dintorni di Gravina; si raccolsero 10 cani-
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pioni di località diverse, i quali però analizzati contemporaneamente a Torino, a
Milano ed a Pisa, diedero un risultato meschinissimo. Il prof. Scacchi raccomanda
di non stancarsi per questi insuccessi e di continuare nelle ricerche; e a tale pro-
posito il prof. Silvestri accenna alle così dette crete senesi le quali in qualche
località contengono la vivianite in gran copia, mentre il Taramelli raccomanda le
ricerche sulle terremare dell’Emilia, dove si hanno materiali concimanti di molta
utilità per l’agricoltura.
Si fanno poi alcune osservazioni sulle collezioni di vario genere, sia industriale
che scientifico che deve possedere il Museo di un Istituto geologico, ed a tale
riguardo lo Strùver osserva che in fatto di collezioni scientifiche l’Università e
la Scuola d’Applicazione di Roma ne possiedono oggidì di assai notevoli. A pro-
posito di collezioni il Taramelli accenna al bisogno di avere ancora nell’Ufficio
un buon raccoglitore di fossili il quale, indipendentemente dai campioni isolati
che possono essere raccolti dai rilevatori, si occupi della formazione di collezioni
locali, le quali, in seguito agli studii del palentologo sarebbero di grande giovamento
per i confronti ulteriori. Il Comitato fa pertanto una raccomandazione in proposito.
Infine il relatore accenna al fatto che ultimamente, in seguito ad una forte ri-
duzione stata fatta dalla Commissione parlamentare del bilancio su quello del Mi-
nistero di Agricoltura, industria e commercio per il prossimo esercizio 1888-89, era
stato fatto un diffalco all’assegno annuo della Carta geologica di L. 40,800 ridu-
cendolo a I.. 120,000. Venne fatto sperare che simile riduzione abbia ad essere
solo temporaria, cioè che verrebbe ripristinato il fondo in altro successivo eser-
cizio ; e veramente è a desiderare che così accada, poiché il succennato grande
diffalco turberebbe seriamente quell’andamento che dopo tanto tempo e fatiche
appena si andava ora a raggiungere. Per l’esercizio prossimo, simile diffalco non
porterebbe grande disturbo, in grazia del notevole risparmio fatto negli ultimi
mesi per le ragioni nella relazione accennate, e con ciò che rimane disponibile si
potrà fare fronte alle spese di costruzione, laboratorio ed acquisti diversi, non
che di quelle piccole indennità che vennero proposte per i capi-squadra, per il
Congresso di Londra ed altro. Ma ove dopo l’esercizio prossimo l’assegno non
venisse reintegrato, se ne risentirebbe l’avanzamento dell’opera e per Io meno
le pubblicazioni dovrebbero notevolmente diminuirsi.
Dietro simili riflessioni il Comitato esprime il voto caldissimo che il Mi-
nistero abbia ad interessarsi in quanto gli sarà possibile per il ripristinamento
nei futuri esercizi dell’assegno, che permetta all’opera ora così avviata della Carta
geologica di procedere alacremente al suo compimento.
La seduta è levata alle ore 11 antim.
Per il Presidente
A. SCACCHI.
Il Segretario
P. ZEZI.
Relazione annuale dell’ Ispettore-Capo al R. Comitato geologico
SUL LAVORO DELLA CARTA GEOLOGICA (1887-88).
Presento al R. Comitato l’annuale Relazione sul lavoro della Carta geologica
pel decorso anno 1887 e sul da farsi nel seguente.
L’esposizione delle materie verrà fatta nell’ordine stesso e con le stesse norme
degli ultimi anni, tra le quali norme vi è quella di riferire sui lavori non seguendo
l’anno finanziario, luglio-giugno, adottato pei bilanci nel 1886, ma secondo l’anno
solare che è molto più naturale.
Avvertirò pure che malgrado il desiderio di brevità, si dovette tratto tratto
ripetere qualche precedente già riferito in altre relazioni, e ciò per comodità del
lettore stesso onde non sia costretto ricorrere penosamente ad altri scritti per
comprendere 1’ argomento.
Operato nel 1887.
I rilevamenti in grande scala nelle varie regioni d’Italia, e le ricognizioni e
revisioni che occorrono in diverse parti del territorio per il coordinamento gene-
rale della classificazione dei terreni, vennero ancora proseguiti secondo il noto
piano generale adottato dal R. Comitato nei decorsi anni, piano che si venne
sempre svolgendo e di cui rendono conto le annuali relazioni. Si seguiterà per-
tanto a riferirne con l’ordine medesimo e con le medesime avvertenze.
L’avanzamento stesso del lavoro in grande scala è inoltre graficamente indi-
cato nella Carta diagramma che unita si presenta e nella quale sono segnate
in tinta più o meno cupa le varie zone del lavoro, secondo il loro stato di avan-
zamento, cioè dal primo grado che è di semplice ricognizione sino all’ ultimo
che è di rilevamento completo e riveduto in modo da essere pronto per la pub-
blicazione. Devesi aver presente che quanto al lavoro geologico ci convenne pure
di regolarsi secondo l’avanzamento della Carta topografica a cui si sta tuttavia
lavorando dall’Istituto geografico militare, e del cui stato attuale si presenta
eziandio uno speciale diagramma.
Quanto agli studi di ricognizione del territorio dello Stato per il coordina-
mento generale delle formazioni geologiche di cui è costituito, coordinamento che
— 16 —
è in relazione anche a quelle degli Stati vicini, esso venne quest’anno avanzato
abbastanza, sciogliendo diverse dubbiezze e colmando certe lacune, là dove ancora
manca il rilevamento dettagliato; e ciò principalmente nell’Appennino centrale e
neìl’Alpi occidentali ove simili problemi si presentavano di maggiore interesse ed
importanza. Così intanto veniva con non lieve fatica portata a più soddisfacente
stato di esattezza la Carta generale d’Italia in piccola scala, una edizione della
quale al ’/i ooo ooo potrà entro l’anno 1888 venire pubblicata. E simile Carta gene-
rale potrebbe anzi venire pubblicata a scala maggiore, per esempio al */r00 000 ove
si avesse dal suddetto Istituto geografico la relativa Carta corografica dello Stato,
poiché i rilevamenti geologici anche sommari, sono generalmente valevoli per si-
mile scala ed anche maggiore.
Ora cenneremo brevemente e per ordine i diversi rilevamenti eseguiti nel
decorso 1887.
Rilevamenti nell’Italia centrale e meridionale. — Il rilevamento dell’Italia
centrale ebbe per primo centro la capitale Roma, ed al fine del 1886 raggiungeva
di già 17 800 km*; venne esteso durante il 1887 ad altri 5100 km2 circa, onde si
avrebbe ora un totale complessivo di oltre 23 000 km2. La parte rilevata in que-
st’anno fù alla scala del 7soooo> ci°è quella della Carta topografica generale che
sola si possedeva, e comprende le tavolette di Sulmona, Alvito, Atina, Cajazzo,
Cervinara, Nola, Vesuvio e tutta la penisola sorrentina. Qualche lembo delle regioni
più elevate nel Matese e nel gruppo della Meta esigono tuttavia qualche revisione.
Verso l’Umbria, ove sarebbe stato interessante spingere il rilevamento, non potè
farsi per il ritardo in quella parte della Carta topografica già nello scorso anno
lamentata, Carta che pur troppo si dovrà ancora attendere qualche tempo, poiché le
squadre dei mappatori dell’Istituto geografico furono oggidì portate di preferenza
nelle Alpi piemontesi e lombarde. Perciò la zona rilevata è assai sottile in quel
lato settentrionale, mentre al mezzodì già estendesi lungo il Mediterraneo sino al
golfo di Salerno.
In siffatto rilevamento, che come si disse ha avuto come principio i dintorni
di Roma, si è finora completata la zona vulcanica mediterranea, ad eccezione della
sua porzione più settentrionale (monti Cimini e Vulsinii) per la quale mancano
tuttora le carte topografiche ; restano però a farsi in gran parte tutti gli studi
chimici e petrografici sulle roccie relative. Il lavoro si trova attualmente molto
avanzato verso l’ Appennino, specialmente negli Abbruzzi, dove fu in gran parte
rilevata la catena del Gran Sasso, e nei gruppi più meridionali del Velino, della
Meta e del Matese. Ad eccezione del Gran Sasso e dell’alto Appennino aquilano,
dove la serie dei terreni discende sino al Trias superiore, per tutto il rimanente
non si va oltre il cretacico, ed anche questo limitatamente ai suoi piani superiori
e medii: grandissimo sviluppo vi hanno invece i terreni eocenici inferiori e medii,
e, con maggior limitazione, gli altri terreni terziari.
A questo lavoro di rilevamento furono occupati soltanto, come in gran parte
dello scorso anno, l’ing. Zezi coi due aiutanti Cassetti e Moderni.
Oltre però al nuovo rilevamento venivano ultimamente praticate diverse revi-
sioni, specialmente nei fogli della Carta al Vioo ooo intorno a Roma per prepararli
alla pubblicazione, revisioni alle quali contribuiva anche l’ ing. Baldacci pei terreni
secondari.
Vennero pur fatte dall’ ing. Zezi delle importanti ricognizioni e rettifiche della
Carta generale in grande e in piccola scala, per esempio nelle Puglie lungo il
litorale adriatico dalla foce dell’Ofanto sino a Brindisi e nell’ interno del Murgie,
occupandosi anche della ricerca di fosfati principalmente nel territorio di Gravina.
Del risultato di questa ricerca sarà riferito a suo luogo. — Altre ricognizioni infine
vennero da lui eseguite nelle alte regioni dell’ Appennino abruzzese, mentre l’ing.
Baldacci rivedeva il versante N E della Majella che avea tuttora qualche zona poco
nota; in tale lavoro fu riconosciuta la eocenicità di una parte dei gessi del-
1’ Abbruzzo ohietino, finora attribuiti al miocene.
Rilevo mento nella Calabria. — Questo lavoro della Calabria, che era in parte
il proseguimento di quello già pubblicato della Sicilia, veniva, nell’anno 1885 affi-
dato all’ ing. Cortese, al quale poi era stato aggiunto l’ing. Aichino di recente
tornato dall’estero. Però nello stesso anno 1886 diversi incarichi speciali affidati
al Cortese medesimo, principalmente studii idrologici per provvedere di acque le
Puglie ed altre provincie, lo costrinsero a lunghe interruzioni. Al principio poi del 1887
una missione al Madagascar promossa dall’ agente consolare italiano in quel-
l’isola presso il nostro Ministero, lo fece partire a quella volta per studi relativi
a miniere e ferrovie, in vista di possibili intraprese colà pei nostri industriali e
coloni. Simile missione lo trattenne all’estero sino al fine d’agosto 1887, e quindi
la redazione dei rapporti di viaggio impedivagli di riprendere il regolare suo
lavoro in Calabria sino al fine d’ottobre. — Durante l’assenza del Cortese, la di-
rezione del lavoro venne affidata all’ ing. Baldacci, il quale conduceva contempo-
raneamente altri studi in diverse parti d’Italia. — Al lavoro di Calabria rimaneva
soltanto applicato l’ing. Aichino; però nel giugno vf fu pur destinato l’ing. V. No-
varese tornato poco prima dagli studi all’estero. Al fine di ottobre, come dicevasi,
tornato definitivamente l’ing. Cortese, il lavoro si potè avviare in modo più regolare
e venne così costituita una piccola sezione dell’ Ufficio geologico in Calabria. Il
centro dapprima scelto per la sua residenza normale era stato Reggio; ma quando
il rilevamento ebbe alquanto proceduto verso il Nord, la residenza venne trasfe-
rita a Catanzaro ove tuttora si trova. Nella distribuzione del lavoro veniva inca-
ricato T ing. Aichino di studiare di preferenza i terreni sedimentari del terziario
molto estesi in diverse parti, mentre all’ ing. Novarese, che all’estero molto s’era
occupato di petrografìa, venne principalmente affidato lo studio delle formazioni
di roccie cristalline che formano l’ossatura di quella estrema penisola. — Anzi-
tutto convenne praticare ricognizioni nelle varie parti sino alla Sila ed al Cosen-
tino, ed impratichire il personale ancor nuovo, e soltanto sul fine dell’anno, e
quando già frequenti erano le pioggie, si potè lavorare con qualche assiduità nei
fogli di Catanzaro, Badolato e Cotrone. Il rilevamento in grande scala fu pertanto
in quest’anno solo di mediocre estensione, cioè di poco più di 800 km2 nei sud-
detti fogli, malgrado le escursioni fatte sieno state molto estese, misurando fra i
tre operatori più di 5000 km'2 senza quelle dell’ ing. Baldacci.
Lo studio dettagliato della Carta geologica della Calabria avrà diversi utili
risultati, oltre quello normale della Carta stessa. Uno sarà scientifico, cioè il para-
gone della geologica costituzione di questa estrema parte della penisola italiana
con quella della grande massa delle Alpi occidentali, ambedue di formazioni cri-
stalline consimili ; talché la Calabria appare come un lembo di quelle Alpi che,
coperto sovra una distesa di 1000 km. da formazioni più recenti, ricompare a
giorno verso lo stretto di Messina formando anche l’estremo Capo Nord-Est
della Sicilia. — L’altro risultato sarà pratico, in rapporto cioè alla questione della
stabilità delle opere pubbliche, principalmente delle ferrovie, ed all’altra anche più
grave delle immense e minacciose alluvioni dei torrenti dovute alla pendenza e
allo sgretolamento che le roccie vi presentano. Pel quale ultimo oggetto veniva
nominata apposita Commissione, come già nella Relazione dello scorso anno si è
annunciato, Commissione che dalla Carta di Calabria avrà dati utilissimi.
Rilevamenti nella regione toscana e nell7 Appennino centrale. — Il lavoro
della Carta in questa regione centrale d’ Italia venne proseguito col poco personale
della Sezione di Pisa, cioè dell’ ing. Lotti e paleontologo Canavari, il quale oltre
allo studio speciale dei fossili cooperò anche ai rilevamenti e ricognizioni. L’inge-
gnere Zaccagna non potè per difetto di salute eseguire molti lavori in Toscana,
ma nella state potè tuttavia proseguire nelle Alpi occidentali quell’ interessantis-
simo studio che ave a avuto sua base in quello già prima da lui eseguito nelle
Alpi Apuane.
Il lavoro regolare di rilevamento venne principalmente praticato sulla mappa
al Va 5 ooo nei dintorni di Firenze (Monte Albano e Gonfolina) e poi nella Monta- |
gnola Senese di cui venne così più esattamente studiata la costituzione. L’area
totale del rilevamento in grande scala non fu grande (circa 600 km5) ma ne emer-
sero notevoli risultati di cui sotto si farà cenno. Per parte sua il Canavari intra-
prendeva lo studio dettagliato, pure sulla Carta al Vjbooo; del Monte di Cetona
che contiene ricca fauna di tutta la serie giura-liasica.
Intanto delle grandi ricognizioni vennero pure fatte da essi geologi riuniti,
sovra estese zone del territorio tosco-romagnolo, ed in ambi i versanti dell’Ap-
pennino centrale, dall’Alpe della Luna sino al Pistoiese. Certe zone del versante
nordico furono specialmente esaminate dal Canavari verso il Catria, il Monte San-
vicino e sino ad Ascoli ed Amatrice. Simili ricognizioni avevano per scopo prin-
cipale di verificare in quei siti, ciò che il dettagliato studio dei dintorni di Firenze
e di Borgo S. Sepolcro ed altre regioni avevano dimostrato, esservi cioè dei note-
voli cambiamenti da introdurre nella classificazione stratigrafica di certi terreni
di Toscana, già da tempo, ma imperfettamente, rilevati, sovratutto per la mancanza
di buone carte topografiche in grande scala.
Questi cambiamenti non sono cosa da poco, modificando essi sensibilmente la
Carta geologica in questa regione centrale della penisola, già illustrata dagli studi
di tanti geologi, ma che sempre avea presentate difficoltà e dubbiezze alla esatta
suddivisione in determinati piani geologici per l’uniformità della fàcies general-
mente arenaceo-argillosa e la scarsità di resti organici. Ora dunque lo studio più
esatto della tettonica sulle nuove mappe ed il rinvenimento di fossili (inocerami
e nurnmuliti) in nuove località, indurrebbero a certi mutamenti nella Carta geo-
logica. Uno dei principali consisterebbe nel far passare al terziario miocenico in-
feriore e medio varie zone sin qui ritenute eoceniche ed anche talune pure già rite-
nute cretaciche. L’altro cambiamento, che avrebbe ora luogo principalmente nei
monti intorno a Firenze, consiste nel riferire invece al cretacico superiore certi
terreni precipuamente di macigno, dapprima ritenuti appartenere all’eocene come
i macigni di Fiesole. Simili cambiamenti del resto concorderebbero con l’osserva-
zioni già fatte in qualche punto dal Cocchi, da Capellini e Manzoni nel Bolognese,
dal Pantanelli nel Modenese.
Non si nasconde che alcuno dei suddetti cambiamenti dovrebbe ancora venire
suffragato da più ampio studio di tettonica fatto su buone carte topografiche, col-
legato a quello dei rari fossili che vi si possono trovare; e tanto più che i detti
cambiamenti potrebbero poi estendersi ancora ben oltre il territorio fiorentino.
Nello stato delle cose, ed in attesa del suddetto ampio studio, quei cambiamenti
andrebbero limitati alle località ove dei fatti abbastanza precisi li suggeriscono.
Fra i diversi altri risultati di qualche importanza ottenuti nei succitati studii,
si può citare il rilevamento della Montagnola Senese, accuratamente eseguito nella
state decorsa dal Lotti, onde sarebbe accertata da nuovi particolari la età triasica
anzi che basica de’ suoi marmi la cui serie coinciderebbe nei più minuti partico-
lari con quella delle Alpi Apuane, compresi i grezzoni che di quella sono così
caratteristici. Diversi fossili, in gran parte crinoidi, confermano abbastanza simile
determinazione.
Ulteriori studi del Lotti medesimo sui graniti e sulle trachiti del Campigliese
in Toscana, i cui risultati concordano con le ricerche petrografiche del Dalmer, con-
fermarono il già prima enunciato intimo legame, con passaggio graduale, fra le
due categorie di roccie, oltre a diversi interessanti particolari di giacitura che per
brevità si omettono.
Finalmente può citarsi uno studio speciale dei due giacimenti cinabriferi di
Siele e Cornacchino sotto , al Monte Amiata, eseguito dal Canavari che vi accom-
pagnò il geologo Becker degli Stati Uniti d’America. Era dubbio se questi due
assai ricchi giacimenti che trovansi interstratificati nei calcari alberesi, ma in loca-
lità piuttosto fra loro distanti, si trovassero nella medesima formazione terziaria,
od altrimenti in due formazioni di epoche diverse. Dal fatto studio appariva molta
probabilità che quello di Siele stesse nell’ eocene, e l’altro nel cretacico. Uno
studio successivo dell’ing. Baldacci confermava poi questa opinione del Canavari.
Prima di lasciare la regione toscana, si rammenterà l’importante lavoro topo-
grafìco-geognostico della carta marmifera del Carrarese in grande scala, cioè al
1/2000 che in quest’anno venne proseguita con le norme già dette nella Relazione
dello scorso anno, con l’opera principalmente dell’aiutante-ingegnere P. Fossen
coadiuvato dall’ aiutante-ing. C. Tissi, sotto la direzione degli ingegneri del Di-
stretto di Firenze.
Alpi occidentali. — Ciò che fu detto nella Relazione dello scorso anno 1886
riguardo al lavoro di rilevamento delle Alpi occidentali, cioè all’ utilità di uno
studio dettagliato e profondo di questa regione diffìcilissima, per averne al più
presto una Carta geologica esente dagli errori ed inesattezze che tuttavia si riscon-
trano nelle migliori carte moderne, e all’iniziamento avvenuto dello studio stesso
per opera degli ingegneri Zaccagna e Mattirolo, si può letteralmente ripetere pei
lavori eseguiti nel 1887. Malgrado che lo stato di salute dell’ ing. Zaccagna non
gli abbia permesso di estendere e prolungare il suo lavoro quanto sarebbe stato
desiderevole, tuttavia una certa quantità di rilevamento, parte di dettaglio, parte di
massima, venne eseguito, in unione al succitato ing. Mattirolo, principalmente nelle
regioni della Moriana e della Tarantasia che tuttora formavano lacuna, e ciò sulla
mappa dello stato maggiore francese dell’1/80 000. Venne ivi riscontrata in tutte le
osservazioni la serie dei terreni stati da loro osservati nelle altre parti delle Alpi Ma-
rittime, Graje e Cozie precedentemente - studiate ; vi si precisò la posizione d’impor-
tanti lembi di Carbonifero non che di uno gneiss anagenitico che corrisponde al
Suretta- gneiss dello Spluga, e che Zaccagna dimostrava essere permiano. Simile
gneiss si potrebbe chiamare besimaudite , dal cospicuo monte di Besimauda al Sud
di Cuneo, dove simile roccia ha un’enorme sviluppo. Sovratutto poi venne determi-
nato su grandi estensioni il limite preciso fra gli scisti arcaici ed i terreni paleozoici,
limite sovente non facile a distinguere, sovratutto dove predominano estese for-
mazioni di calcescisto, il cui facies è simile sia nell’arcaico sia nei suddetti terreni
paleozoici e specialmente nel Trias dove abbondano.
Lo Zaccagna eseguì poi anche una revisione del territorio nizzardo e pro-
venzale sino oltre Antibo, Cannes e l’Esterel, rivedendo ivi la parte della carta
francese al 1/500 000 che ci interessava per le nostre pubblicazioni.
Per parte sua l’ ing. Mattirolo dopo avere presa gran parte nella state ai sud-
detti lavori, rivedeva nell’autunno l’interessante zona dioritica che si estende paralle-
lamente alle Alpi dai dintorni di Biella, per Varallo e Cannobio sino verso Locamo.
Venne così intanto completata la revisione della Carta geologica delle Alpi
occidentali in piccola scala, in modo da renderla atta alla pubblicazione nella car-
tina generale d’Italia di cui fa parte.
I suddetti studi e lavori di rilevamento nelle Alpi occidentali vennero poi de-
scritti dall’ ing. Zaccagna in un articolo accompagnato da grandi sezioni geolo-
giche attraverso la catena alpina, pubblicato nell’ultimo fascicolo del Bollettino
Geologico dell’anno 1887. Quest’ articolo, che riassumeva importantissimi risultati
e vere scoperte in quella diffìcile regione alpina, destò l’ammirazione di reputati
geologi esteri, i quali riconobbero in tali fatti, così bene stabiliti, dei veri capisaldi
per riformare la geologia, anche in diversi punti del rimanente della catena alpina
Lavori speciali di ricognizione e revisione. — Sotto questo titolo poco resta
a dire, essendosene sopra trattato nella descrizione dei lavori di rilevamento dei
quali le suddette ricognizioni e revisioni furono sovente un preliminare od un com-
plemento. Giova tuttavia rammentare le revisioni su vasto spazio fatte dal Lotti
e Canavari nella regione tosco-romagnola e che condusse al suaccennato notevole
ampliamento del miocene a spese dell’eocene e del cretacico : quelle del Canavari
sul versante adriatico dell’ Appennino centrale, dal Monte C atri a al Monte Vettore,
che venne riferito al Trias; quelle dell’ ing. Zezi negli Abbruzzi, nelle Murgie ed
in alcune altre parti del Barese; quelle dell’ ing. Baldacci coll’ ing. Mazzuoli nella
Liguria in seguito alla riunione geologica tenuta in Savona, ed infine diverse fatte
in Sardegna dall’ ing. Mazzetti, intese a meglio pressare l’estensione del cambriano
ed una più esatta suddivisione del terziario; nella quale il miocene guadagnò
estensione a spese del pliocene.
Finalmente è da menzionare un viaggio dell’ ing. Baldacci all’isola di Pan-
telleria. Quest’isola remota assai e quasi africana, non era ancora stata visitata
da alcuno dei geologi del Comitato, e nessun museo d’ Italia possedeva una vera
raccolta delle sue roccie onde si aveano continue richieste di dati e di campioni, tra
cui dal rinomato petrografo Rosenbusch di Heidelberg, che intendeva fare studii
sulle roccie di quell’isola in confronto a quelle di altre località. Come sin dallo
scorso anno erasi proposto, venne colà inviato l’ ing. Baldacci, ed egli vi fece
nell’aprile una ricognizione riportandone una copiosa raccolta, con la quale non
solo si potè provvedere il nostro museo, ma se ne fece copia ai musei di Palermo
e di Catania, ed inoltre ne vennero inviate al suddetto prof. Rosenbusch.
Carta geo gnostico-idrografica della : vallata del Po. — Questo lavoro, che
è parte della Carta geologica generale, ma compilata con speciali particolari utili
alle pratiche applicazioni, veniva iniziato secondo il programma tracciato dal pro-
fessore Taramelli e stato approvato dal Comitato nelle sedute 30 e 31 maggio
dello scorso anno. Simile programma è inserito nel Bollettino stesso in appendice
ai verbali di quelle sedute.
Per l’ eseguimento del lavoro il prof. Taramelli che ne ebbe la direzione,
valendosi della facoltà accordatagli, scelse a collaboratori diversi geologi che
volontariamente vi si prestano e che già eseguivano studii in questa regione. I due
primi prescelti furono il geometra Bruno d’ Ivrea, ed il prof. Sacco di Torino con
T opera dei quali già si ebbe il rilievo di parecchie tavolette della Carta al Vatrooo
deli’ alta pianura sotto Ivrea e di quella sotto Cuneo.
Intanto si tenne una riunione dei suddetti geologi coll’ ing. Zezi, rappresen-
tante l'Ufficio geologico, onde concertare il lavoro dell’avvenire, quale lavoro
veniva poi suddiviso fra loro in quanto concerne la parte superiore della vallata
sino al Mincio, e sino al Reno nell’ Emilia, chiamando a parteciparvi per questa
regione il dott. Pantanelli ora professore a Modena. A suo tempo verrà chiamato
qualche altro geologo, secondo l’ occorrenza, per far progredire man mano il lavoro
verso il basso della vallata sino alle foci del Po. Queste foci poi presentano un’ in-
teresse speciale in relazione alle grandi variazioni che le medesime ed il proten-
dimento del litorale adriatico subirono anche in tempi non troppo remoti. Simile
tema, unitamente a quello degli spostamenti successivi dell’ alveo nella bassa e
media vallata del fiume, verrebbe affidato all’ ing. Stella, allievo del professore
Taramelli in geologia, il quale potrà occuparsene.
Venne intanto stabilita una norma per le indennità di campagna agli opera-
tori in questa vallata, analogarfiente a quanto si fa per gli ingegneri dell’Ufficio
geologico, onde tutto sia equamente regolato.
Nel laboratorio dell’ Istituto tecnico di Pavia si proseguì nell’analisi del suolo,
limitatamente per ora al territorio di quel circondario. Procedendo poi il lavoro
nella vallata, tale esame potrà venire eseguito anche in altri laboratori, tenendo
conto delle osservazioni che in proposito vennero fatte nelle suddette sedute del
Comitato.
Esplorazione dell* isola di Madùgascar. — Sul fine del 1886 l’agente Con-
solare d’Italia al Madagascar (Sig. Maigrot) aveva esposto al Ministero nostro
il desiderio che un ingegnere geologo del governo italiano venisse delegato a fare
una visita all’isola di Madagascar per esaminarvi dei giacimenti minerali e di
carbon fossile, non che il progetto di alcune ferrovie di cui il medesimo sperava
avere la concessione dal governo malgascio. Simili intraprese potendo in tal caso
venire assunte da capitalisti italiani, anche degli emigranti dal nostro paese avreb-
bero potuto trovarvi occupazione. Esso console d’ altronde si proponeva di sup-
plire alle spese del viaggio — Per diverse ragioni venne scelto all’uopo l’ingegnere
Cortese, il quale partiva perciò da Marsiglia alla volta dell’isola nei primi del
gennaio. Colà giunto diverse peripezie da lui indipendenti ne contrariarono alquanto
la missione, cui tuttavia egli compiè interamente in meno di 8 mesi, essendo di
ritorno al fine di ottobre al suo lavoro di Calabria.
La conclusione del suo rapporto sugli studi fatti in quell’ isola, almeno nelle
località che gli fu dato di percorrere, non fu molto favorevole al successo delle
sperate intraprese, avendo egli trovato che i giacimenti di carbone non erano che
di mediocri ligniti, diversi giacimenti auriferi non presentavano esito sicuro, e le
proposte linee di ferrovie erano difficili di costruzione e di magrissimo traffico.
Simili intraprese erano poco convenienti ai capitalisti italiani, e d’ altra parte la re-
gione offerta alla colonizzazione ad una latitudine media di 20°, e malgrado che
assai elevata sul mare, appariva non molto adatta ad emigranti europei.
Se il risultato della missione non fu molto lusinghiero al punto di vista indu-
striale, riuscì tuttavia non privo di interesse per la geologia di quell’isola, cui
l’ingegnere Cortese descrive per una grande estensione; cioè da un lato all’altro
dell’ isola nel senso Est-Ovest e per una grande zona nel senso del meridiano
al Nord della capitale Antananarivo. Delle sue osservazioni vennero pubblicati
diversi articoli nel Bollettino geologico, uno dei quali accompagnato da una
cartina dell’isola, ove oltre all’itinerario percorso sono indicate le principali for-
mazioni geologiche. Le roccie granitiche e dioritiche formano la base generale
dell’isola, ricoperte su vasti spazi da terreni sedimentari, principalmente dell’epoca
terziaria. Le roccie cristalline sono talora decomposte su vaste estensioni e sotto
tale aspetto quell’ isola presenta una certa analogia con la Calabria : soltanto che
i profili dell’isola essendo molto meno risentiti, il suo paesaggio riesce general-
mente assai più monotono.
Carta geologica dell’ Europa. — La compilazione di un saggio della Carta
geologica dell’Europa, stata decretata al Congresso di Bologna ed affidata all’Istituto
Geologico di Berlino, venne ivi proseguita : però non venne fatta durante l’anno 1887
alcuna convocazione del Comitato direttivo di quell’ opera. Quel saggio però do-
vrebbe venir presentato al prossimo Congresso del 1888 in Londra.
Intanto avendosi qualche residuo disponibile nel bilancio se ne profittava per
pagare nell’ottobre una nuova rata di L. 1875 (marchi 1500) sul nostro impegno
per 100 copie, il cui totale ammontare è di L. 10,000. Avendo già pagate sin ora
insieme al Ministero di Pubblica Istruzione L. 7,500, non ne restano più a pagare
che 2,500 per il saldo.
Commissione della unificazione geologica. — La Commissione internazio-
nale per T unificazione della classificazione e nomenclatura geologica, nominata
nel 1885 a Berlino per preparare il programma del Congresso di Londra, riuni-
vasi al fine di agosto in Manchester in occasione dell’annuale convegno della
Società inglese per 1’ avanzamento delle scienze, tenutosi quest’ anno in quella città.
Vennero dalla medesima esaminati diversi punti relativi al programma del futuro
Congresso, e di quelli emise un resoconto a stampa il prof. Capellini che è il
presidente della Commissione stessa.
Riunione della Società geologica a Savona. — L’annuale riunione estiva
della Società geologica italiana ebbe luogo in quest’ anno nel settembre in Savona
sotto la presidenza del prof. Cocchi. Vi presero parte oltre i professori ed amatori
membri della Società, molti ingegneri dell’Ufficio geologico. Le adunanze si alter-
narono con escursioni fatte a S. Giustina, a Sestri Ponente ed alle Mallare presso
Altare sul versante Nord dell’ Appennino. Si ebbe campo di esaminare diverse
interessanti questioni, come sarebbero l’età delle roccie cristalline dei dintorni di
Savona e quella delle masse serpentinose fra Varazze e Sestri-Ponente; ma la diffi-
coltà non lieve del soggetto avrebbe richiesto assai maggior tempo di quello che
si potè destinare alle escursioni, sempre assai rapide di simili numerose comitive.
Però ora che le difficoltà sono avvertite, riesce meglio tracciato il compito perla
loro risoluzione, la quale nelle parti dubbie molto può attendere dai geologi che
si occuperanno del rilievo della Carta in grande scala della regione.
Nell’adunanza ultima del giorno 15, venne eletto a nuovo vice presidente il
prof. Capellini, il quale però era allora a Manchester con la suddetta Commissione
internazionale. La società ebbe intanto dal bilancio della Carta geologica, come
nell’ anno precedente, un sussidio di L. 1,200.
Paleontologia. — Lo studio dei fossili più difficili a determinare, che man
mano si trovarono nei rilevamenti della Carta, vennero, come- di solito, trasmessi
al gabinetto paleontologico del museo di Pisa diretto dal prof. Meneghini ed ivi
studiati principalmente dal paleontologo Canavari. Questi fece inoltre la determina-
zione di quelli da lui stesso trovati nelle sue escursioni, le quali nel decorso anno
furono assai estese nelle regioni dell’ Italia centrale. È inutile riferire in dettaglio
simili studi, i cui risultati appajono del resto di tratto in tratto unitamente a quelli
— 25 —
di altri geologi, in articoli del Bollettino o negli atti di società ed accademie scien-
tifiche. Tuttavia si può rammentare fra i risultati quello di avere meglio precisato
T età di certe formazioni ancora dubbiose, e corretta quella che era stata meno
esattamente determinata, come venne esposto a proposito della regione tosco-roma-
gnola, e di varie speciali località come il Monte di Cetona, il Catria ed il Vettore.
I fossili della regione marmifera di Vinca nelle Apuane ritrovati dall’ inge-
gnere Zaccagna e dal Canavari, e da questi studiati e disegnati, possono fare oggetto
di una speciale pubblicazione. Stante però la loro speciale importanza doveano
ancora venire meglio controllati in riscontro a quelli analoghi che si trovano nei
musei di Monaco di Baviera e di Vienna.
Intanto il prof. Meneghini, malgrado che afflitto da malattia assai lunga la
quale per qualche mese lo impediva di occuparsi, terminava la sua Memoria sulla
fauna cambriana dell’ Iglesiente in Sardegna, che potrà così affine stamparsi e
servirà di corredo scientifico alla descrizione geologico-mineraria di quella regione
dell’ ing. Zoppi che sarà pure prossimamente pubblicata.
Studio di roccie. — Le roccie raccolte nei rilevamenti della Carta geologica,
e sovratutto quelle numerose raccolte dall’ ing. Mattirolo nei lavori alpini, furono
oggetto di studio nel solito laboratorio del Valentino in Torino diretto dal profes-
sore Cossa; nel quale lo stesso ingegnere eseguì pure diverse analisi e saggi per
scopo industriale, come per es. su diversi minerali auriferi e sovra ghiaie ferrifere
dell’ isola d’ Elba, per constatare se erano minerali esportabili. Fra gli studi a
scopo pratico va notato quello degli scisti argillosi costituenti gran parte della
catena dei Giovi, attraversata dalla galleria della nuova ferrovia tra Genova e Novi,
la quale presenta le note gravissime difficoltà di costruzione. Simile studio, unita-
mente a quello geognostico dell’ ing. Mazzuoli, procurava utili informazioni sulla
causa della facile alterazione di quella roccia che è sorgente di tali difficoltà. —
Altre analisi colà ‘eseguite sono quelle dei creduti fosfati delle Puglie, a controllo
di analisi consimili eseguite in altri laboratori, e del cui risultato sarà fatto cenno
a suo luogo. È da notare intanto che al punto di vista industriale quei fosfati sa-
rebbero poverissimi.
II dottor L. Bucca, che di tempo in tempo esegue in Roma degli studi petro-
grafìci pel museo geologico, si occupò delle roccie trachitiche di Capraia, di Ra-
dicofani dei monti Cimini e Sabatini, della Tolfa, di Roccamonfìna ed altre località
a corredo dei lavori dell’ ing. Zezi e di altri dell’ Ufficio geologico.
Su di alcuno degli anzicennati lavori chimico-petrografici si fecero delle pub-
blicazioni nel Bollettino geologico.
Studi geologici in connessione ad opere di pubblica utilità. — Simili studi
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sono sovratutto quelli concernenti le ferrovie, le frane e la provvista d’ acqua alle
regioni che più ne mancano, specialmente mediante laghi artificiali; ed anche nel 1887
si dovettero compiere dai nostri geologi non pochi studi di tal genere.
Ferrovie. — Diverse visite e studi ebbero a fare in proposito alcuni dei
geologi per incarico dell’ Ispettorato generale delle ferrovie.
Sulle linee di Calabria, fece diversi studi 1’ ing. Baldacci. Prima sulla tratta
Bagnara-Reggio, visitava diverse opere e specialmente la galleria sotto Bagnara
in vista dei danni temuti per quell’ abitato ; e studiava quindi il consolidamento
di frane e gallerie sul 3° tronco Bagnara-Palmi, ed ebbe poi ancora a studiare
la importante questione del miglior tracciato della linea trasversale Cantanzaro-
Stretto Veraldi in vicinanze di Catanzaro, concludendo per il tracciato pel vallone
Sansinato con galleria sotto la Fiumarella. Più tardi praticò una visita al ponte
del Sinnio, sulla strada nazionale Sapri-Jonio. Nel novembre infine visitava unita-
mente all’ ing. Cortese i tracciati per la galleria di Marcellinara sulla anzicitata
linea Catanzaro - Stretto Veraldi. Su questi studi vennero redatte apposite relazioni
trasmesse all’ Ispettorato generale delle ferrovie.
Nel marzo si svolse grave questione tra 1’ amministrazione governativa e
1’ impresa della galleria sulla linea succursale dei Giovi tra Genova e Novi, la
quale impresa non era stata capace di condurre a termine quel lavoro prete-
stando eccezionale difficoltà in un tratto della galleria stessa per la cattiva natura
della roccia. Questa è uno scisto -argilloso che a primo scavo si presenta duro
assai, tanto da esigere la dinamite, mentre lasciato pochi mesi all’ aria ed all’umido
si disfa talvolta quasi in poltiglia. Furono nominate commissioni ed arbitri a cui
era d’ uopo fornire dati tecnici positivi sull’ argomento. Ed a tale uopo venne no-
minata una Commissione di cui faceva parte l’ Ispettore Giordano, cui si aggiun-
gevano per gli studi di dettaglio gli ingegneri Mazzuoli e Mattirolo. Questi fece
analisi e saggi appositi su quella roccia, dietro i quali fù rischiarata la questione
del suo rigonfiamento. Le analisi vennero riportate nel Bollettino.
Finalmente si può citare qualche altro studio fatto dietro domanda delle So-
cietà ferroviarie, come quello della difficile linea Cuneo-Ventimiglia fatto dall’in-
gegnere Cortese, e della Lucca-Aulla dagli ingegneri Zaccagna e Baldacci.
Profili geologici di grandi gallerie . — Nella relazione dello scorso anno
erasi fatta notare la convenienza di fare in tempo una raccolta dei profili o se-
zioni geologiche delle grandi gallerie state aperte od attualmente in lavoro per
le ferrovie, nell’Appennino e nelle Alpi, non che in Sicilia, per conservare memoria
tanto dei dati geologici cui le medesime presentarono, quanto delle difficoltà più
0 meno grandi che in esse vennero incontrate per la natura talvolta pessima delle
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roccie. Simile raccolta potrebbe a suo tempo formare oggetto di una interessante
pubblicazione.
Coerentemente a simile idea venne distribuito il compito fra diversi inge-
gneri geologi, i quali mediante apposite visite locali dovranno assumere i dati
occorrenti, valendosi poi, per le gallerie già da tempo costrutte, delle infor-
mazioni e documenti di vario genere che potranno raccogliere. Venne quindi in-
caricato l’ing. Mazzuoli di compilare i profili delle gallerie che attraversano
l’Appennino settentrionale, comprese alcune ora tuttavia in progetto, nella zona
che si estende dal Colle di Tenda sino alla linea in costruzione Firenze-Faenza :
l’ing. Zezi di quelle dell’Appennino centrale e meridionale e l’ing. Conti di quelle
della Sicilia.
Fra gli studi aventi scopo di pratica applicazione, eseguiti nel 1887, si possono
ancora catare i seguenti: uno dell’ing. Lotti sovra la grande frana avvenuta in
gennaio 1887 a Monteterzi presso Volterra e sulla quale venne pubblicato un
articolo nel Bollettino.
Uno studio del medesimo ingegnere sui lavori di allacciamento delle acque
salse sotterranee della salina demaniale di Volterra.
Uno studio dell’ing. Mazzuoli sulla relazione esistente nelle Riviere Liguri
fra la natura litologica della costa e quella delle sabbie o detriti costituenti le
spiaggie, dal quale studio risulterebbe il fatto, ammesso d’altronde da ingegneri
-idrografici, che malgrado la forza delle burrasche i materiali detritici che arrivano
al mare rimangono nei bacini sottomarini che fan seguito a quelli di loro origine.
Uno studio analogo venne pur fatto dall’ ing. Zezi, sui materiali trasportati
dal mare lungo la costa adriatica da Barletta a Bari, per riconoscere la causa
dell’interrimento del porto di questa città. Simili studi sulle coste ligure e pugliese
vennero fatti dietro richiesta di un ispettore del Genio Civile, in relazione a que-
stioni di porti che il medesimo avea incarico di risolvere.
Studi per la provvista di acque alla irrigazione ed altri usi. — Già nelle
relazioni degli anni precedenti, e sovratutto in quella dell’anno 1886, veniva esposto
l’ incarico stato affidato a diversi ingegneri delle miniere, specialmente dell’Ufficio
geologico, di studiare il mezzo di provvedere acque d’ irrigazione, e ciò in ese-
guimento della legge 28 giugno 1885, alle regioni che più ne mancano. Una com-
missione idraulica appositamente nominata dal Ministero di agricoltura, industria
e commercio deve sopraintendere ai relativi studi.
Nella stessa relazione per lo scorso anno 1886 era stato esposto come le
regioni sin’ora prescielte erano state principalmente l’Emilia, in vista però non
del bisogno assoluto di acqua, ma per alimentare il progettato canale Emiliano ;
le Puglie, la Sicilia orientale e qualche punto della Sardegna. In tutte queste
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località, essendosi ravvisati insufficienti gli altri mezzi, come sono i pozzi forati,
erasi studiata la possibilità di costrurre ampli serbatoi o laghi artificiali, sbar-
rando delle vallate che presentassero una opportuna disposizione topografica e
geologica. Gran parte di simili studi erano stati eseguiti od avviati nel detto
anno 1886 ; però una parte ancora ne era rimasta a finire, e questa venne poi
compiuta nel 1887.
Brevemente quanto possibile si farà un cenno di questi studi per darne almeno
un idea, in quanto che poi i medesimi occuparono per molto tempo alcuni dei
nostri geologi.
Nell’ Emilia lo studio era stato affidato all’ ing. Baldacei, al quale vennero
di poi aggiunti, per fare i rilievi particolareggiati, gli ingegneri Viola e Colale.
Sul principio vennero esplorate più di 20 valli di fiumi dell’ Appennino emiliano,
da quella della Trebbia, anzi dal Tidone, sino alla Marecchia. Ma Tessane speci-
ficato delle condizioni geologiche delle varie strette in cui poteano costruirsi le
dighe, e ciò anche mediante appositi scandagli stativi praticati, non che quello
delle condizioni tecniche ed economiche della intrapresa, condussero tosto ad una
grande eliminazione. Così, ad es., per i serbatoi studiati in ultimo sul Senio e
Santerno, le strette sarebbero discrete, ma la natura ed inclinazione degli strati co-
stituenti le pareti lasciano temere forti disperdimenti. Per altri sorsero consimili
difficoltà, dovute alla natura troppo argillosa e franosa delle strette, onde infine
rimasero soltanto da prendere in considerazione alcune di esse valli, cioè quelle
del Tidone, Arda, Ceno (confluente del Taro), Baganza, Enza e Secchia. Su questi
due ultimi già esistevano studi tecnici degli ingegneri Torricelli e Miani; ma le
esplorazioni geognostiche ivi fatte indussero poi a notevoli modificazioni. Per quattro
altri vennero dai suddetti nostri ingegneri eseguiti i rilievi ed i progetti di massima
dei serbatoi, mediante dighe in muro alte da 40 a 45 metri, ed il risultato fu rias-
sunto in una finale relazione dell’ ing. Baldacei che visitava più volte le diverse
località. Quanto al primitivo scopo, cioè di accrescere alimento al canale emiliano»
veramente il volume fornito da questi serbatoi non presterebbe grande risorsa:
ma ormai il nuovo progetto di esso canale ne farebbe a meno. Resterebbe quindi
l’uso per l’irrigazione locale, che non è disprezzabile. Parlando solo dei suddetti
quattro serbatoi studiati dai nostri ingegneri sul Tidone, Arda, Ceno e Baganza, si
avrebbe disponibile un volume totale annuo di oltre 80 milioni di metri cubi d’acqua
per l’irrigazione estiva, volume che può bagnare più di 16000 ettari. Questo sa-
rebbe sempre un risultato benefico, indipendentemente dalle condizioni finanziarie
in cui troverebbesi chi eseguisse simili opere, condizioni alquanto difficili a valu-
tarsi a priori.
Circa ai serbatoi sull* Enza e sulla Seccjiia le osservazioni geognostiche state
fatte indurrebbero ad abbandonare la diga dapprima progettata per l’ Enza al
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punto di Corazzeto, trasportandola più a monte, cioè alle Gazze, ove sarebbe pos-
sibile un serbatoio di circa 40 milioni di m1 * 3. Sulla Secchia si troverebbe possi-
bile al punto di Pescale un serbatoio di 12 milioni. Dietro le osservazioni del-
l’ing. Baldacci sarebbe poi da rinunciare, per cattiva qualità del fondo, a quello
progettato dall’ing. Carli sul Tresignano presso Scandiano, non che ad alcun altro
stato proposto nell’Italia centrale e presso Sulmona.
Venne poi ancora studiato altro serbatoio a Frasassi, località stata indicata
dal geologo senatore Scarabelli sul fìumicello Sentino, confluente dell’Esino
lungo la ferrovia Roma- Ancona. La località Frasassi stata dapprima esaminata
dagli ingegneri Cortese e Baldacci, presenta una stretta angustissima fra solide
pareti di calcare triasico. Lo studio particolareggiato venne poi eseguito dal-
l’ing. Viola, secondo il quale con una diga di 42 metri si avrebbe un discreto
serbatoio di circa 16 milioni di m3. L’acqua però troverebbe ivi difficilmente im-
piego per l’irrigazione, ma piuttosto per forza motrice, potendo crearsi presso alla
diga stessa una caduta di 30 metri con una potenza perenne di circa 150 cavalli.
Nelle Puglie molto studio e lavoro veniva fatto, come è noto, nel 1886 dal-
l’ing. Cortese incaricato di quella regione con la cooperazione dell’aiutante Cas-
setti. Ed anzitutto vennero provati in varie località più opportune del Tavoliere
dei pozzi, ma ciò più che altro per provare col fatto la già presunta loro inef-
ficacia, come in fatti si verificò. Venuti allora all’ idea dei serbatoi, e scartate di-
verse valli meno favorevoli, se ne progettava uno assai grandioso nella valle del-
l’Ofanto sotto al bosco di Monticehio. Ivi la carta topografica mostrava una stretta
così disposta che con una diga di 50 metri, avente il ciglio alla quota di circa 300
metri sul mare, si creava un serbatoio di 120 milioni di m.3, capace quindi di
alimentare un canale perenne della portata di 12 m.3 al lrr. Questo volume potea
dare l’irrigazione a più di 15000 ettari, e fornire inoltre dell’acqua per tutti gli
usi della vita alle due provincie di Foggia e di Bari, con una spesa totale, com-
presa la diramazione, di circa 25 milioni.
Alla costruzione di simile opera ostava però l’intralcio che la medesima
poteva creare al tracciato della progettata ferrovia Ponte Sta Venere-Avellino che
la deve percorrere. Oltrecciò restava dubbio sulla solidità del fondo e fianchi della
valle per rimpianto d’una diga così colossale. Quel fondo è costituito prevalen-
temente di arenarie eoceniche alternanti ad argille e se la proporzione di queste
fosse alquanto grande, l’opera certo potrebbe pericolare. Venne quindi deciso di
praticare nel sito progettato sufficienti scandagli con trincee e pozzi, di cui taluno
di oltre 20 metri. *
1 Questi lavori di scandaglio benché fatti con molta economia costarono L. 7705. Essi vennero pagati come i
pozzi del Tavoliere (L. 2275) ed altri diversi, sopra un fondo speciale accordato dalla Legge 28 giugno 1885 per
gli studi idrografici affidati al Ministero di agricoltura, industria e commercio.
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Questi lavori vennero eseguiti sotto la sorveglianza dell’aiutante Cassetti, es-
sendo l’ing. Cortese partito allora pel Madagascar. Essi erano finiti ai primi di
marzo e vennero visitati da una Commissione composta degli ingegneri Zoppi,
Baldacci, ed uno del Genio Civile. Il loro rapporto constatava la presenza di molti
banchi o lenti argillose, anche di più che un metro di potenza, oltre che la sponda
sinistra era in parte costituita da una frana assai profonda cui la folta bo-
scaglia mascherava. Simile costituzione della stretta pur troppo non era favore-
vole, onde venne deciso che volendosi tuttavia costrurre ivi un serbatoio, l’altezza
della diga s’avesse a ribassare notevolmente. E diverse considerazioni, oltre alle
geologiche, quella principalmente relativa al passaggio della succitata ferrovia Ponte
Sta Yenere-Avellino, indussero a ridurre quell’altezza a 25 metri. Con ciò pur-
troppo il volume del serbatoio veniva ridotto a meno di 20 milioni, onde rimar-
rebbe esclusa, od almeno molto scarsa l’ irrigazione. Però con tal volume po-
trebbero tuttavia provvedersi ampiamente le provincie pugliesi, ora così siti-
bonde, dell'acqua per gli usi comuni. E questo sarebbe tuttavia un grande benefìzio
ove non vi fosse obbiezione per la qualità dell’acqua stessa, almeno durante le
siccità estive, e per gli scoli di alcuni popolosi abitati che trovansi nei versanti
superiori al serbatoio. Veramente le acque di questa vallata che attraversano
terreni terziari ricchi di marne piuttosto salifere, possono contenere in tempi di
magra una certa dose di solfato di calce e di sali amari, oltre poi ai succennati
scoli. Quella dose di sali potea ritenersi di niun effetto nel caso del grande
serbatoio prima progettato, mentre potrebbe forse riuscire di effetto non intera-
mente insensibile nel caso del serbatoio ridotto ed in epoche almeno di straordi-
narie siccità. Alcune analisi si fecero fare, ma la raccolta dei campioni di acque
non potè farsi a dovere. La questione adunque della qualità va ancora studiata
ed accuratamente con nuove analisi ben fatte nella prossima state del 1888.
E simile questione va studiata parallelamente ad un progetto, già antico, ma
stato riproposto sotto forma concreta dall’ ing. Zampari, già del Corpo delle mi-
niere ed ora privato, che consiste in derivare una parte delle copiose sorgenti di
Capo Seie che sgorgano sul versante tirreno e con un traforo dell’ Appennino
presso Conza girarle nell’alto della valle stessa dell’ Ofanto, di dove poi si può
facilmente diramare a tutte le Puglie. Se la diversione di queste acque dall’ uno
all’altro versante sarà concessa, e salva la difficoltà della spesa che sarebbe in-
gente, simile progetto provvederebbe molto bene per lo meno all’acqua potabile,
onde per questa sarebbe allora inutile altro studio ; ed è ciò che delle pratiche
ora in corso mostreranno. Prima però di abbandonare l’Ofanto conviene dire che
quando i succitati scandagli a Monticchio indussero a diminuire di tanto la capa-
cità del serbatoio e rinunciare perciò alla irrigazione, venne ancora studiato assai
dagli ingegneri delle miniere se non fosse possibile il provvedervi con altri ser-
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batoi, benché di minore capacità, costruiti nella vallata stessa, sia a monte
che a valle di Monticchio ; e di alcuno di essi faceasi lo schema dall’ing. Zoppi
coll’aiutante Perrone. Però la costituzione geologica dei terreni terziari più o
meno arenacei od argillosi che predominano in quella vallata sino al suo sbocco
a S.ta Venere, e le indagini fatte in proposito daH’ing. Baldacci ed altri, come pure
l’intralcio che simili serbatoi creerebbero alla menzionata ferrovia S.taVenere-
Avellino, fecero rinunciare all’idea di proporli. Cosicché alfine si sarebbe oggidì
ridotti a progettare quello soltanto di Monticchio, ridotto ad una ritenuta di 25 metri,
e con la riserva ancora relativa alla qualità delle acque ; sul quale argomento,
come fu avvertito, dovranno ancora farsi indagini alquanto approfondite.
In Sicilia, come è detto nella relazione dello scorso anno, l’ing. Travaglia,
che aveva molto lavorato alla Carta geologica dell’isola, incaricato di concretare
gli studi idrografici sui serbatoi possibili, avea presentato un progetto corredato
di grande atlante per 10 serbatoi, di cui 6 sul Simeto e suo confluente da servire
per la piana di Catania, 2 sull’Anapo per V Agro Siracusano, 1 sul Gela per la
piana di Terranova ed 1 suIlTmera o Salso meridionale per la piana di Licata.
Il volume totale era assai grande, cioè di quasi 500 milioni di m3; ma restava anche
qui da fare indagini sulla natura del terreno su cui doveansi fondare le dighe,
indagini che non potevano allora eseguirsi per la spesa notevolissima in certe loca-
lità necessaria, nonché per il tempo a ciò occorrente. Oltre ciò eravi qualche
dubbio sulla quantità dell’acqua di pioggia da potersi realmente raccogliere, come
infine sulla possibilità di smaltirla alle terre con benefizio. Riguardo al primo
soggetto, della natura cioè e solidità del terreno, venne poi fatta nell’ aprile al-
tra visita dallo stesso ing. Travaglia unitamente all’ing. Baldacci, constatando
come il terreno, in parte di buone arenarie, in parte di argille, ed infine di lave, pre-
sentava per alcune delle dighe qualche difficoltà ; onde si proposero alcune riduzioni
sia nel numero dei serbatoi che nell’ altezza della diga. Diversi altri mutamenti si fe-
cero ancora ai primitivi progetti dietro le succennate considerazioni concernenti la
pioggia ; onde in complesso sui 10 serbatoi stati studiati non si proporrebbe per
ora la esecuzione immediata che di alcuni di essi nelle località più opportune, e che
sarebbero i seguenti. Per la piana di Catania, invece di sei, se ne farebbero tre soli
aventi la complessiva capacità di circa 200 milioni di m5. I due serbatoi sull’ Anapo
per l’ Agro Siracusano, con capacità complessiva di un 50 milioni di m3 esigerebbero
dighe di circa 50 metri e quindi un po’ eccessive, però bene fondate sovra buoni
calcari marnosi. Per la pianura di Terranova si provvederebbe 1’ acqua con un
serbatoio di 24 milioni di capacità, elevando sul fiume Gela una diga di 30 metri,
la quale troverebbe discreta fondazione su grossi banchi di gesso e di tripoli. Per
la pianura di Licata infine si progettava un serbatoio di oltre 60 milioni di m3, di
cui però solo una parte si può bene utilizzare, e ciò mediante una diga di 35
metri, fondata su terreno simile al precedente. — In complesso i serbatoi che per
ora si potrebbero con qualche convenienza proporre in Sicilia, avrebbero un vo-
lume di oltre 300 milioni di m3, capaci di fornire irrigazione a 20 o 25 000 ettari.
Però vi sono delie riserve a fare relative alla convenienza agricola e finanziaria
del problema, questione indipendente dal problema tecnico geologico, e che an-
drebbe ancora studiato da persone competenti.
Quanto alla Sardegna già venne esposto nella relazione dell’anno scorso lo
studio fatto dagli ingegneri Zoppi, Mazzetti e De Castro di una serie di serbatoi
per l’irrigazione dei Campidani di Cagliari e di Oristano.
Fra i serbatoi studiati nel detto anno 1887, alcuni minori se ne possono ancora
menzionare* Uno sarebbe sul torrente Calopinace in Calabria per provvista di acque
potabili a Reggio, ed una bellissima stretta in roccia granitica molto opportuna-
mente vi si presterebbe. Questo serbatoio, ed alcun altro nell’Italia centrale, fu
studiato dall’ ing. Zoppi con l’aiutante Perrone.
Uno infine ne veniva studiato sul torrente Majano per alimentare l’attuale
scarso acquedotto della città di Grosseto, ove per la parte geognostica collabo-
rarono gli ingegneri Giordano e Lotti. — Lo stesso Lotti faceva qualche studio
teorico sulle acque sotterranee di Firenze di cui un sunto fu pubblicato nel Bol-
lettino geologico.
Finalmente un interessante studio venne eseguito dall’ing. Baldacci, d’accordo
coll’ing. Zoppi, sulla possibilità di ottenére acque assai copiose dai pozzi che si
potrebbero aprire nel territorio di Lecce, attingendo ivi una vasta lama acquifera
che deve esistere nel terreno cretacico a pochi metri sul livello del mare.
E lo stesso ing. Zoppi, che è ora a capo della Divisione idraulica al Ministero,
oltre agli studi sul terreno da lui fatti, ebbe sempre ad occuparsi della raccolta
e controllo degli studi eseguiti tratto tratto dai diversi geologi, onde preparare
gli elementi sui quali l’Ispettore Capo delle miniere deve compilare i rappòrti da
presentare alla Commissione idraulica.
Dal complesso di tanti studi geognostico-idrografici per la creazione di ser-
batoi in quei punti ove le Carte topografiche indicavano una stretta adatta all’uopo,
risultava dunque che oltre la metà dei progetti dovette poi venire scartato quando
si venne allo studio geologico. Intanto si credette opportuno dare così un som-
mario resoconto di simili studi, in quanto i medesimi occuparono molto tempo ai
nostri geologi.
E qui non è fuor di proposito informare che negli Stati Uniti del Nord-Ame-
rica, un consimile incarico, ma più vasto, venne affidato al geological Survey per
tentare l’ irrigazione con serbatoi di vastissime terre ora aride, lungo le montagne
rocciose dal Canada sino al Messico, ove le medesime occupano almeno 300 mi-
lioni di ettari.
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Sarebbe ancora dà menzionare in connessione ai suddetti nostri studii geo-
gnostico-idrografici/ quelli della commissione nominata nel 1886 per la regolazione
dei torrenti cercando di diminuire i danni delle loro alluvioni, ma diverse cause
ne limitarono in quest’anno il lavoro, il quale sperasi, sarà maggiormente avanzato
nell’anno prossimo.
Nota sul servizio geodinamico. — Nella relazione dello scorso anno già
veniva annunciato come il servizio geodinamico fosse stato provvisoriamente affi-
dato ad una speciale commissione istituita con R. Decreto del 20 dicembre 1883,
la quale dovea proporre il nuovo ordinamento del servizio stesso con estensione
a tutta l’Italia. E già erasi nel frattempo statuito per la costruzione di alcuni
osservatori geodinamici principali nelle provincie meridionali, cioè sull’Etna,, nel-
l’ isola d’Ischia ed a Rocca di Papa presso Roma. In tre sedute che si tennero
1’ 8, 9, 10 gennaio, il prof. Taramelli relatore facea le sue proposte per il resto
dell’Italia continentale ed il prof. Silvestri per la Sicilia. Venne proposta la crea-
zione di altri osservatorii di diversa importanza, però profittando a scopo di eco-
nomia degli osservatorii meteorologici già esistenti, ed in quanto possibile del loro
personale. Osservatorii principali dovevano stabilirsi per ora a Firenze, Pavia, Ve-
rona; oltre poi ad un certo numero di altri di secondo ordine, non che di semplici
stazioni in molti punti del territorio opportunamente scelti. Altre proposte con-
cernevano l’organamento del servizio. Questo schema sottoposto al Ministero do-
vrebbe avere attuazione gradatamente ed a seconda delle allocazioni in bilancio,
le quali, stante la succennata combinazione col servizio meteorologico, non avreb-
bero ad essere molto gravi.
Il terremoto intanto che nel febbraio 1887 scosse la Liguria, richiamò l’atten-
zione sugli osservatorii che si avrebbero da attivare in quella regione, e provocò
importanti studi specialmente dei prof. Taramelli, Mercalli ed Issel.
Il Ministero, dopo ponderate le proposte della suddetta commissione, promoveva
il R. Decreto 9 giugno 1887 col quale, sciolto il Consiglio direttivo di meteorologia
del 1876 e la Commissione geodinamica del 1883, veniva ora istituito un Consiglio
direttivo di meteorologia e geodinamica composto di 12 membri, rappresentanti
i ministeri di Agricoltura, industria e commercio, dei Lavori pubblici, della Ma-
rina e dell’Istruzione pubblica. Ne fa parte il Direttore dell’ osservatorio centrale
di meteorologia e vi è fra i membri un Ispettore delle miniere. Il Consiglio è
alla diretta dipendenza del ministero di Agricoltura, industria e commercio.
Con tale provvedimento il servizio geodinamico veniva riunito al meteorologico,
facendo in molte località profittare il primo degli osservatorii e del personale
del secondo, essendovi d’altronde una certa analogia fra i due generi di osserva-
zioni. I particolari del servizio riunito, vennero poi studiati e stabiliti dal nuovo
3
34 —
Consiglio in varie sedute che ebbero luogo dal 18 al 22 dicembre. Nelle medesime
furono classificati i diversi osservatorii e stazioni per la geodinamica secondo le
proposte dell’antica Commissione e venne stabilito l’organismo del servizio riunito
alla dipendenza del suddetto Osservatorio meteorologico centrale di Roma. In questo
nuovo organismo la geodinamica costituisce una sezione speciale, e viene tuttavia
conservato in Roma, sotto la direzione del prof. De Rossi, l’Archivio centrale geo-
dinamico prima da lui fondato. Quanto alle pubblicazioni, le medesime avrebbero
luogo nel Bollettino medesimo della meteorologia, ma pure in speciale sezione.
Lavori speciali di geodinamica non vennero in quest’anno eseguiti dai nostri
geologi come erasi fatto nel 1883-84 in seguito al disastro d’Ischia. Per quello di
Liguria vennero incaricati, come dicevasi, dello esame delle località i prof. Taramelli,
Mercalli, e Issel, i quali visitarono i siti del disastro e scrissero in proposito im-
portanti note. Più tardi però l’ing. Cortese scrisse sul terremoto di Bisignano in
Calabria avvenuto il 3 dicembre 1887, un articolo che fu poi pubblicato nella suc-
cennata sezione del nuovo Bollettino per il servizio riunito della meteorologia
e geodinamica.
Consiglio superiore dei lavori geodetici dello Stato. — Nella relazione dello
scorso anno già veniva annunciato come questo Consiglio, pel quale il Comitato
geologico avea più volte fatto sollecitazione al Ministero, venisse effettivamente
istituito con R. Decreto del 7 novembre 1886,
Nel decorso 1887 veniva nominato presidente di questo Consiglio il generale
A. Ferrerò direttore dell’Istituto geografico e membro nato del Comitato geologico.
Nella stessa relazione dello scorso anno, veniva esposto quali fossero le carte
topografiche delle quali l’Ufficio geologico avea maggior premura per fare la
pubblicazione dei suoi lavori ; tra le quali prima era la Carta generale d’Italia
al 1/500 000, quindi l’edizione chiara, ossia con la sola planimetria, della Carta
all’1/100 000 di varie regioni già geologicamente rilevate, oltre varie altre cui ora
è inutile menzionare. Parecchie di simili carte dovrebbero venire raccomandate
alla sollecitudine del nuovo Consiglio.
Stante diverse cause di ritardo esso Consiglio non potè tuttavia venire riunito
nel 1887 e solo quindi lo sarà nel 1888.
Pubblicazioni fatte. — Nella relazione per l’anno precedente 1886 era dato
un resoconto dello stato delle cose riguardo alle nostre pubblicazioni di Carte
e Memorie, con la relativa spesa, la quale computavasi pel detto anno in 83 370
lire; cifra notevole, la quale però oltre a lavori diversi comprendeva il saldo della
pubblicazione precedentemente fatta di un lavoro molto importante, cioè la Carta
geologica della Sicilia in grande scala con sezioni, il cui ammontare era di
lire ,96 070.
Per l’anno 1887 si avea da proseguire nelle diverse pubblicazioni già votate
dal Comitato, parte però delle quali, specialmente in fatto di carte, non potea
essere compiuta che dentro il susseguente 1888.
Nel 1887 intanto videro la luce due volumi delle Memorie descrittive della
Carta geologica d’Italia in grande scala. Uno era il Voi. I contenente la descri-
zione della Sicilia scritta dall’ing. Baldacci, il quale ne era stato incaricato. Simile
volume che accompagnava la Carta geologica dell’ispla all’1/1 00 000, in 28 fogli
con tavole di sezioni, era stato da varie circostanze ritardato.
L’altro era il Voi. Ili contenente la descrizione speciale delle miniere ferrifere
dell’isola d’Elba, dell’ing. Fabri.
Il Voi. Il di tali memorie, contenente la descrizione geologica della stessa isola
d’Elba deH’ing. Lotti, già era escito prima, insieme alla Carta dell’isola, alle due
scale di 1/50 000 e 1/25 000.
La stampa dei volumi delle Memorie descrittive è fatta con caratteri speciali
assai distinti e venne eseguita dalla stessa Tipografìa Nazionale che pubblica il
Bollettino geologico, stabilitasi ora presso l’Ospizio di S. Michele in Trastevere.
La stampa delle Carte e Sezioni venne eseguita al solito stabilimento cro-
molitografico C. Virano in Roma. Il medesimo soffriva negli ultimi tempi una crisi
che vi recò qualche disturbo, con pericolo della buona riuscita delle pubblicazioni.
Per parte dell’Ufficio geologico la difficoltà venne superata mediante continua e
talvolta giornaliera sorveglianza sul lavoro dell’ officina. Il quale compito venne
perfettamente adempito con la costante solerzia dall’ ingegnere Sorniani, che dirige
specialmente il ramo cartografico.
Non starò a rilevare qui il valore di quelle pubblicazioni, sia dal lato del
merito intrinseco che di quello tipografico, essendo il medesimo stato abbastanza
pregiato dagli intelligenti tanto d’Italia che dell’estero.
Noterò solo che in testa al primo volume, col quale fu iniziata la pubblicazione
delle Memorie descrittive della Carta geologica in grande scala, venne posta in
caratteri distinti una prefazione nella quale si rende conto del concetto e delle
norme con cui fu iniziata e si esegue tale opera, tanto nel rilevamento sul terreno
quanto nella sua pubblicazione.
Fra le pubblicazioni poi si può ancora citare quella del Bollettino, nell’ultimo
fascicolo del quale è inserito un’articolo dell’ ingegnere Zaccagna sulla geologia
delle Alpi occidentali, con carta e varie grandi sezioni geologiche attraverso la
detta catena e quella delle Alpi marittime. Simile articolo corredato delle cennate
sezioni è di grande importanza, contenendo gli elementi più recenti ed esatti della
geologia di quella regione alpina che fu campo di tanti problemi e discussioni fra
i più reputati geologi, mentre le carte geologiche che se ne possiedono, eziandio
le estere più recenti, contengono tuttavia notevoli errori od inesattezze. Tale arti-
— 36 — .
colo, la cui pubblicazione fu molto ritardata dallo stato di salute dell’autore, pre-
lude ad una pubblicazione più completa su quella catena, che potrà aver luogo
non appena sia alquanto più avanzato il rilevamento geologico sulle nuove carte
topografiche in grande scala che da poco tempo l’Istituto geografico ci va for-
nendo.
In fatto di carte in corso di pubblicazione van citate quelle state dal Comitato
decise e che sono la Carta generale d’Italia in piccola scala, cioè al 1/1 000 000,
e diversi fogli dei dintorni di Roma al 1/100 000, oltre a quella della città e im-
mediati dintorni in scala maggiore.
Simili carte vennero preparate nell’ Ufficio geologico e sono attualmente in
lavoro per la stampa nello stabilimento Virano. Quella generale d’ Italia si spera
sarà finita per il Congresso geologico internazionale che si aprirà nel prossimo
autunno in Londra. Veramente, come nella relazione dello scorso anno cennavasi,
erasi sperato di poter pubblicare per tale occasione non solo quella carta in pic-
cola scala, ma anche quella a scala doppia, cioè del 1/500 000, che è la scala
stata scelta per le carte d’insieme dei diversi Stati; ma la relativa carta coro-
grafica non venne ancora messa fuori dall’Istituto geografico. Ed in riguardo
alla Carta topografica al 1/100 000, si osserverà come non essendo ancora stati
pubblicati i fogli della Toscana, non potè pubblicarsi la Carta geologica a simile
scala delle Alpi Apuane, già da parecchi anni rilevata. E così dicasi per altre
regioni d’Italia, per esempio della Calabria di cui si attende tuttavia la carta
topografica in edizione chiara con la semplice planimetria, la sola che possa ser-
vire alla pubblicazione geologica.
Personale addetto alla Geologia. — Anche in quest’anno 1887 non avvenne
molta variazione nel personale, tanto del Comitato quanto dell’ Ufficio geologico.
Si aggiunse soltanto l’ingegnere Novarese che, tornato dagli studi in Germania
nel marzo, veniva destinato nel maggio successivo al lavoro di Calabria insieme
all’ingegnere Aichino sotto la direzione dell’ingegnere Cortese. Essendo però
allora assente il Cortese, che trovavasi all’ isola di Madagascar, la sorveglianza
al rilevamento veniva esercitata dall’ingegnere Baldacci sino alla fine di ottobre,
epoca in cui detto ingegnere Cortese faceva ritorno da quella lontana missione.
Il Comitato teneva la sua annuale riunione in due sedute al fine di maggio,
e delle materie trattate risulta dal verbale delle sedute stesse 30 e 31 detto mese,
come anche dalla lettera con cui il presidente trasmetteva simile verbale al Mi-
nistero, il tutto inserito nel Bollettino geologico. La presidenza veniva questa volta
tenuta dal prof. Capellini, essendo in quell’epoca il presidente Meneghini trattenuto
a Pisa da malattia.
Il Ministero intanto con sua lettera avea mossa al Comitato la questione sulla
— 37
migliore organizzazione del personale, specialmente se più o meno giovasse lo
stabilire degli uffici o centri secondarii nelle provincie, oltre all’ Ufficio centrale
di Roma; sistema che del resto già si pratica, per es. per la Calabria, per la
Toscana e in parte per le Alpi occidentali. Visto però l’assenza del presidente,
e visto che al momento non era tuttavia al completo il personale occorrente pel
servizio geologico, inquantochè diversi allievi ingegneri trovavansi tuttora agli
studi all’estero, visto infine che infrattanto i lavori procedevano alacremente,
procacciando anche giornaliera esperienza per l’avvenire, il ff. di presidente con-
sigliava ed il Comitato accettava di rimandare il trattamento della questione
a più opportuno momento.
Credo utile intanto di notare come, oltre alle utili discussioni sovra sog-
getti diversi di geologia che ebbero luogo nelle sedute del Comitato geologico
non che nella riunione della Società geologica in Savona, diverse conferenze si
tennero da alcuni fra i geologi nostri per discutere sulle difficoltà insorte durante
i rilevamenti geologici e ciò sovratutto per intendersi con quelli distaccati a Pisa
ed altrove. E così più volte gli ingegneri Baldacci, Lotti, Cortese, Niccoli, Maz-
zuoli, Zaccagna, dottor Canavari ed altri si trovarono assieme, non che con mem-
bri del Comitato, a Genova, a Firenze, a Bologna ed infine anche a Carrara, dove
trovavasi ammalato l’ingegnere Zaccagna autore di importanti studi nell’Appen-
nino e nelle Alpi. Simili riunioni furono della massima utilità non solo, ma ne-
cessarie, e converrà non esserne avaro nell’avvenire.
Per finire circa al personale si rammenterà che al principio del 1887 si ave-
vano agli studi all’estero 4 allievi ingegneri; di cui due, V. Sabatini e S. Franchi,
all’Ecole des Mines di Parigi, e due, V. Novarese ed E. Monaco, alla Bergaka-
demie di Berlino. Il Novarese, dopo un certo tirocinio supplementare di petrografia
fatto in Heidelberg, tornava in Italia e, come sovra fu detto, veniva nel maggio
applicato alla Carta di Calabria. I due allievi di Parigi praticarono diverse eser-
citazioni speciali, tra cui lo studio petrografìco delle roccie nel laboratorio del
professor Fouqué al Collège de France e coll’uso dei più perfezionati microscopi
moderni, due dei quali vennero poi acquistati per uso del nostro Ufficio geologico.
Essi fecero anche, sotto la guida di professori della scuola, dei viaggi geologici, tra
cui uno nelle Alpi occidentali ove ebbero ad incontrarsi cogli ingegneri Zaccagna
e Mattirolo che colà lavoravano al rilevamento. All’ anno nuovo essi dovevano
fare ritorno.
L’ingegnere Monaco che studiava a Berlino, giovane di ottima presenza,
purtroppo quando venne l’epoca delle escursioni geologiche si sentì venire meno
la salute; e dopo vario tempo di prova e di visite mediche, dovette rinunciare alla
carriera lasciando il Corpo delle Miniere.
A proposito di questo caso rincrescevolissimo non posso a meno di notare
la difficoltà che si trova a reclutare' per il servizio geologico un personale, che
all’intelligenza, buon senso ed alacrità riunisca anche la resistenza fìsica indi-
spensabile per tale servizio, specialmente in tante regioni d’Italia montuose, poco
abitate e dove sono scarsi i mezzi della vita. L’apparenza esterna di un giovane stu-
dente ed i certificati medici, purtroppo non bastano a guarentirne la solidità e già
s’ebbero parecchi casi di individui all’ apparenza idonei, ma che fra non molto
tempo decaddero in modo da non poterne più far conto sicuro.
Di simili fatti e sue conseguenze conviene tener conto nel reclutare il per-
sonale nuovo, non che nella distribuzione di quello esistente alle varie destina-
zioni.
Di tale argomento, cioè della organizzazione del personale verrà a suo luogo
fatto parola: soltanto si è creduto in quest’occasione far cenno della difficoltà
materiale che ad un completo e stabile ordinamento del personale si presenta per
la qualità e il numero del personale stesso, di cui converrebbe poter disporre e
che sovente non si possiede.
In questa occasione intanto si rammenterà che per il ramo della paleontologia
il Comitato tiene a sua disposizione il dottor Mario Canavari, il quale già da 9 anni,
presta buonissimo servizio, ma non vi tiene ancora che una posizione provvisoria
cioè di straordinario. Già il Comitato raccomandò altre volte al Ministero di trovar
modo di rendere stabile e regolare la sua posizione; ed il Ministero tiene ora
presente il caso per la prima occasione in cui, secondo le norme amministrative,
sia ciò possibile.
Museo geologico , locali e collezioni. — A misura dell’avanzamento dei ri-
lievi della Carta geologica continuarono a riceversi e sistemarsi le collezioni nel
Museo dell’Ufficio geologico, nel quale convenne perciò di accrescere in propor-
zione le vetrine. Una parte però dei campioni raccolti si dovette provvisoriamente
lasciare nei subcentri di provincia ove lavorano squadre di geologi, come Pisa,
Torino e Catanzaro, per venire ivi passati ad un primo studio, e ridotti al numero
necessario, onde non ingombrare inutilmente i locali del suddetto Museo che non
sono eccedenti.
Nell’occasione dello scoprimento della facciata del Duomo di Firenze avve-
nuta nel maggio, venne aperta in Firenze una Esposizione regionale di materiali
edilizii, alla quale dovette prendere parte il Museo geologico e vi mandò una mo-
desta ma sufficiente collezione dei materiali delle provinole toscane, compresi i
marmi delle Alpi Apuane.
Del resto nessun mutamento avveniva in quest’anno nelle costruzioni dell’edi-
fìzio della Vittoria, salvo che al primo piano, presso alle sale ove si raduna il Co-
mitato e dove stanno esposte le nostre Carte geologiche, due sale in cui era l’ar-
— 39 —
chivio geodinamico con esposizione di disegni, modelli di case baraccate, ed altri
oggetti relativi a terremoti, vennero tolte al servizio geologico formandone labo-
ratorio per una stazione di patologia vegetale: ciò che costrinse a dare ricetto
al suindicato archivio e suoi accessorii in altre sale prima addette al Museo geo-
logico. Quanto occorra e si possa fare nel prossimo anno in fatto di locali per
collezioni e di laboratorio sarà esposto più sotto.
Resoconto delle spese dell'anno 1887. — Sempre seguitando, per le ragioni
esposte nelle Relazioni degli ultimi anni, il sistema di suddividere i lavori e le
spese del servizio geologico secondo l’anno solare o civile e non secondo l’anno
finanziario (da luglio a giugno) si riferisce qui il resoconto finale pel decorso
anno 1887.
Resoconto delle spese dell’anno 1887.
I. Assegni al personale :
Per un paleontologo (ora pareggiato ad ingegnere di 2a classe). . L. 3 500 —
Onorario a 4 ingegneri di 3a classe (di cui 3 agli studi all’ estero). » 12 000 —
Id. ad altri 2 ingegneri (uno solo dal 1° settembre, l’altro dal
1° novembre) » 1 500 —
Due disegnatori » 3 600 —
U no scrivano » 1 200 —
Due inservienti » 2 100 —
L. 23 900 - L; 23 900 -
II. Indennità di campagna e trasferte diverse :
Rilevamento in grande scala (Campania, Calabria, Abbr uzzi, Toscana) » 14 124,50
Id. in piccola scala e ricognizioni (Alpi-occidentali, Ab-
bruzzi, Toscana) . . . . » 12 082,60
Id. nella vallata del Po (Carta geognostico-idrografìca). . » 2 451,70
Id. speciale nel Carrarese ed Iglesiente » 981,55
Escursioni Ispettori L. 601 65 — Viaggio a Manchester (prof. Capel-
lini) 1034 90 » 1 636,55
Trasferte membri Comitato per le adunanze. » 678,80
L. 31 955,70 » 31 955,70
Ili. Spese d’ ufficio, biblioteca, (strumenti e varie :
Oggetti di cancelleria, posta, trasporti (compresi gli uffici delle
sezioni) » 3 091,35
Provvista di carte topografiche » 320,00
Biblioteca ed archivio » 1 158,65
Bussole e altri strumenti di campagna . » 876,00
L. 5 446 — » 5 446 —
IV. Pubblicazioni diverse (state pagate) :
Tavole di grandi sezioni delle Alpi-occidentali » 7 800 —
Piccola carta geologica che accompagna le sezioni (pel Bollettino). » 1 075 —
Relazione sulle miniere di ferro dell’Elba dell’ ing. Fabri, — Testo —
(solo 200 copie per altre 600 avendo pagato il Demanio) .... » 170,50
Da riportarsi ,
L. 9 045,50 L. 61 301,70
— 40 —
Riporto . . . L. 9 045,50 L. 61 301,70
Atlante unito alla Relazione (solo 200 copie) . » 1 706,50
Memoria descrittiva della Sicilia dell’ ingegnere Baldacci — Testo —
(1000 copie) 2 630,00
Piccola carta geologica e quadro d’unione uniti a tale memoria
L. 1400 50 ; i frontispizi pei volumi memorie L. 120 » 1 520,50
Bollettino del 1887 — Testo L. 2 362,50 ; estratti L. 254,50 ; tavole
L. 1 441.20 . * 4 058,20
L. 18 96^,70 » 18 960,70
NB. Diverse pubblicazioni state iniziate non furono ancora pagate
perchè non ancora compiute.
V. Carta geologica dell’Europa:
Circolare del prof. Capellini » 71,60
Terzo acconto (di 1500 marchi) per 100 copie Carta, pagati a Berlino » 1 875 —
L 1 946,60 » 1 946,60
VI. Arredi pel museo :
Provvista mobilio nuovo e riparazioni » 1 902 —
Tènde per sala grande collezioni » 530 —
L. 2 432 — » 2 432 —
VII. Spese diverse :
Sussidio alla Società geologica » 1 200 —
Indennità di viaggio per 3 ingegneri all’estero L. 1.500 — ed altra
per un ingegnere allievo (Mezzena) — L. 1 200 » 2 700 —
Compenso al paleontologo (D. Bucca) per lavori speciali » 350 —
Id. ad un ingegnere dell’Ufficio geologico per sorveglianza
pubblicazioni » 400 —
Rimunerazioni ad un aiuto in prova (Leonardelli) e ad uno scrivano » 340 —
Contributo spese analisi terre al Comizio Agrario di Pavia ...» 333,33
Rimborso spese analisi laboratorio Valentino di Torino » 72 —
Concorso spese Esposizione edilizia di Firenze. » 273,27
Assicurazione al fabbricato dell’ufficio » 466,40
L. <3 135,00 » 6 135 —
Totale delle spese state liquidate e pagate L. 90 776 —
Restano a compimento dell’assegno di L. 160,800 per spese non an-
cora liquidate, impegni per stampa di Carte ed altro » 70 024 —
Totale a pareggio dell’assegno . . . L. 160 800,00
Come si vede, la cifra di spese che si possono inserire come liquidate nel
resoconto dell’anno 1887, non ammonterebbe che a poco più di L. 90 000, onde
ne rimarrebbero oltre 70 000 ad esaurire l’assegno attuale che è di L. 160 800. Questa
notevole somma non deve però considerarsi tutta come una economia, poiché una
parte notevole venne ritenuta come vincolata per pagare diverse pubblicazioni, le
quali furono iniziate ma non poterono avanzare di molto, e solo saranno finite e
quindi pagabili nell’anno prossimo. Una parte però di tale cifra rappresenterebbe
realmente una economia ottenuta, e questa non già per eccedenza del danaro asse-
gnato in bilancio, ma perchè si vollero e si potevano fare risparmi su certi rami
— 41 —
di spesa, oltre a quelli sulle pubblicazioni, cioè principalmente sulle indennità di
trasferta. — Infatti, oltre allo aver limitate simili indennità dove era possibile
farlo senza danno, si ebbe la circostanza dei molti studi idrografici, pei quali
si pagarono le escursioni su altro capitolo, non chè degli studi per ferrovie i
quali si pagano da altro dicastero. Vi furono infine altre cause che permisero
de’ risparmi, come le lunghe pioggie, facilitazioni sulle ferrovie, ed altre delle
quali si profittò ; cosicché infine si avrebbe una certa somma disponibile di cui si
potrà fare uso per provvedere a certi lavori molto necessari, come sarà detto
più sotto.
Da parsi nel 1888.
Già sappiamo come, dovendosi pei lavori di rilevamento seguire il piano pre-
ventivamente tracciato e nei decorsi anni mantenuto, il compito per il prossimo
anno rimane in gran parte determinato, dovendo massimamente consistere nel
proseguimento del lavoro nelle varie zone di territorio state a suo tempo prescelte
e che sono le seguenti :
Regioni dell’Italia centrale irradiando da Roma.
Regioni meridionali, da Napoli sino alla estrema Calabria ed all’Adriatico.
Regione toscana, irradiando da Pisa nelle varie direzioni sino al Lazio, al-
l’Emilia ed alla Liguria.
Regione delle Alpi occidentali.
Simile distribuzione del lavoro è giustificata da ragioni complesse già più
volte esposte, cioè dalla esigenza di un regolare rilevamento delle diverse forma-
zioni geologiche, combinata coi mezzi di esecuzione, quali sono l’ esistenza delle
carte topografiche necessarie e la quantità e qualità del personale disponibile.
Malgrado quanto già fu detto in proposito negli anni antecedenti per giustificare
simile distribuzione del lavoro egli è opportuno ritornarvi sopra per poco, dacché
negli ultimi tempi diverse circostanze alquanto mutarono.
Ed anzitutto in quanto concerne la carta topografica, base indispensabile dei
lavori geologici, lo stato di avanzamento tanto della sua levata che della sua
pubblicazione, indicata nel qui unito diagramma, ci da ragione della suindicata
distribuzione dei lavori geologici. La levata topografica è compiuta nella parte
meridionale della penisola sino poco sopra Roma, ma ivi è interrotta a poca di-
stanza al Nord della capitale, mancando interamente per l’Umbria, le Marche ecc.
Tale lacuna reca assai grave disturbo al rilevamento geologico dell’ Italia centrale,
perchè lascia incompleta la grande zona settentrionale della medesima dove sono
meglio sviluppate le formazioni secondarie che ivi formano l’ossatura dell’ Appen-
— 42 —
nino. La levata topografica, stata qui sospesa fu invece portata, principalmente
per motivi strategici, nelle Alpi, cominciando dalle occidentali, per avanzarla quindi
poco a poco nelle lombarde e poi nelle venete. Simile circostanza contribuiva
pure a farci portare nelle Alpi occidentali una squadra di operatori pel rileva-
mento geologico, ciò che del resto rispondeva ad un bisogno da noi molto sen-
tito da assai tempo, cioè di compiere quanto prima la geologia di quella ardua
regione alpina, ricca di problemi scientifici, nella quale già eransi esercitati nei
decorsi anni molti geologi italiani ed esteri senza averli ancora interamente risolti.
Ed infatti le. carte alpine, sia nostre che estere, specialmente le francesi, contene-
vano tuttavia non poche inesattezze. Quest’ argomento del resto può vedersi trattato
nella prefazione ad un articolo dell’ ing. Zaccagna sulle Alpi occidentali che trovasi
nell’ ultimo fascicolo del Bollettino dell’ anno 1887.
Un altro motivo per attaccare senza indugio il lavoro nelle Alpi occidentali,
era l’ analogia delle loro formazioni geologiche' cristalline con quelle della punta
N.E della Sicilia e della Calabria il cui rilevamento è già bene avviato, e la
necessità quindi di condurre di fronte il lavoro delle due regioni per poterne de-
durre d’ accordo la geologica classificazione generale.
Molta influenza poi ebbe ancora sul piano dei nostri lavori lo stato della
pubblicazione della stessa carta topografica al 1/100 000, carta che è la base delle
nostre pubblicazioni. Per esempio già venne assai avanzata la pubblicazione della
mappa al 1/100 000 delle suddette Alpi occidentali, e ciò in due edizioni; l’una col
solito tratteggio scuro, 1’ altra chiara con la sola planimetria, e che è la più adatta
alle carte geologiche. La medesima invece non è ancora fatta, come più volte dicevasi,
per altre regioni delle quali è da molto tempo rilevata la geologia, come per esempio
di una gran zona della Toscana, specialmente della catena delle Alpi Apuane. Tale
mappa già esiste bensì stampata per le regioni meridionali, ma essendo ombreggiata
da forte tratteggio e con luce zenitale, riesce talmente oscura che una carta geolo-
guica sulla medesima, su certi fogli sovratutto della Calabria e degli Abruzzi, può
quasi dirsi impossibile. Si è da più anni reclamato per avere anche per tali regioni
l’ edizione chiara senza tratteggio, ma occorrendo perciò il rifare i modelli stati
distrutti, occorre tempo ed una spesa che l’Istituto pare non abbia ancora potuto
affrontare. — Simile stato di cose dovea naturalmente influire sull’ andamento
delle nostre pubblicazioni e quindi pure su quello del rilevamento che deve più
o meno da vicino precederle.
Considerazioni sulla migliore distribuzione del personale. — Rammentate
così le conseguenze dello esistere o meno le carte topografiche, veniamo ad un cenno
sulla distribuzione del personale. — Nel progetto che sino dal 1880 fu ventilato
per il piano dei lavori, in relazione anche alla somma annualmente disponibile
— 43 —
sul bilancio, veniva ammesso per base che il personale dei geologi operatori,
il cui numero è l’elemento fondamentale di tutti gli altri lavori e quindi delle
spese, fosse almeno di 12 ingegneri per potere ultimare la carta in un tempo
non troppo lungo, seguendo dappresso la pubblicazione della carta topografica,
la quale pubblicazione avrebbe luogo, per quanto è dato presumere, poco prima
del 1900. — Bene inteso che insieme agli ingegneri operatori occorre qualche
subalterno in loro aiuto, nonché qualche paleontologo e chimico; e non deve poi
dimenticarsi come peravere un dato numero, per es. 12 operatori effettivi sul ter-
reno, sempre occorrerebbe qualche individuo in più per riserva onde provvedere
ai vuoti che pur troppo si fanno frequenti in un servizio così faticoso.
Già nello scorso anno il Ministero, nell’ipotesi che il suddetto personale fosse
al completo, aveva chiesto al Gomitato un parere sul miglior modo di distribuirlo
fra l’ Ufficio centrale ed il territorio da rilevare, e segnatamente sulla convenienza
di stabilire in punti convenienti del territorio stesso degli uffici secondari o sub-
centri, come già ne esistono ora alcuni, per esempio, a Pisa nella regione toscana
e a Catanzaro in Calabria. Nello scorso anno però diverse circostanze indussero a
sospendere una risposta ai Ministero, tra cui quella che veramente il personale
disponibile non era tuttavia al completo, essendovi parecchi allievi ancora all’ estero.
Ora questi allievi sono tornati, rimanendone al momento uno soltanto in Inghilterra;
ma pur troppo un altro che era da due anni in Germania dovette per mancata
salute desistere dal servizio. Il personale attualmente addetto alla Carta geologica
sarebbe ora appunto di una dozzina di ingegneri, tre aiutanti ed un paleontologo. 1
Nell’ Ufficio geologico, havvi poi ancora qualche altro impiegato per lavori
diversi, non che qualche disegnatore e copista, ma pel lavoro geologico vera-
l Ecco ora il quadro del personale attuale :
Zezi Pietro, Ingegnere capo di 2a classe. Segretario del Comitato e Capo dell’Ufficio.
Baldacci Luigi Ingegi
Novarese Vittorio
Aichino Orio vanni
Sabatini Venturino id. 3a id.
Franchi Secondo id. 3a id.
Mezzena Elvino id. 3a id.
Canavari Mario Paleontologo.
Sorniani Claudio
Lotti Bernardino
Cortese Emilio
Zaccagna Domenico
Mattirolo Ettore
Viola Carlo
NB. A rendere questo quadro veramente significativo
circa alla entità del personale, occorrerebbe aggiungervi
per ogni individuo la sua età, stato di salute, e le spe-
. , ( lUiUdUA V IO
id. )
id. | All’estero.
Tornati ora dall’estero.
Fossen Pietro Aiutante la id.
Cassetti Michele id. la id.
Moderni Pompeo id. 2* id.
mente detto della carta solo vale il personale suindicato, notando poi che anche
questo non tutto è disponibile per ogni genere di lavori, specialmente cpiei più
faticosi di campagna, dovendosi per alcuni individui tener conto della età, della
salute più o meno deperita, senza contare poi della varia attitudine.
Il Comitato potrà esaminare la questione per una risposta al succennato que-
sito del Ministero ; qui si esporranno intanto, alcune, benché ornai viete, considera-
zioni sull’argomento, di cui talune suggerite dalla già fatta esperienza di più anni.
Due sistemi, come sappiamo, possono seguirsi circa alla distribuzione del perso-
nale. Il primo consiste nel tenerlo tutto normalmente applicato all’ufficio centrale,
distaccandone delle squadre o singoli individui a tempo opportuno per rilevare date
regioni o località. Tale sistema conviene sopratutto nei paesi, che come quelli
dell’ Europa settentrionale e media, hanno una lunga stagione cattiva inadatta ai
lavori di campagna e durante cui il personale deve rimanere applicato nell’ ufficio
centrale a lavori di tavolino, come sono lo studio delle proprie collezioni, redazione di
memorie, e talvolta anche professare un’ insegnamento. Questo sistema ha implicita-
mente il vantaggio di mantenere il personale d’ ogni categoria per assai tempo
in relazione reciproca ed a contatto dei superiori, con giovamento all’ unità di con-
cetto dei lavori, oltreché di mantenere gli individui a corrente degli studi scien-
tifici professati negli istituti di una capitale. Ha pure il vantaggio della comodità
per gli individui e loro famiglie, che possono così avere una residenza fissa in
una capitale, ove eziandio si trovano mezzi di educazione pei figli. — Per altro
lato il sistema porta seco una certa lentezza nell’ avanzamento del lavoro, limi-
tato come trovasi al tempo di buona stagione e talvolta cagione anche maggiori
spese di trasferta.
Il secondo sistema consiste nello avere bensì un’ufficio centrale, ove risiede
la Direzione e dove si raccolgono i lavori di rilevamento per prepararne la pub-
blicazione ; ma per quanto concerne esso rilevamento il tenere, come si cenno poco
sopra, alcuni uffici secondari opportunamente scelti nel centro di determinate
regioni e dove gli operatori distaccati vi tengono la ordinaria residenza. Essi pos-
sono così utilizzare molto meglio i periodi di bel tempo in quelle regioni ove il
clima è favorevole in diverse stagioni dell’ anno, avanzando così più rapidamente
il lavoro. Tale sistema è pure più economico per le trasferte, diminuendosi molto
le spese di accesso e recesso alle residenze le quali riescono meno lontane
dal campo del lavoro. Occorrerebbe però che quegli uffici secondari potessero
venire stabiliti in città di qualche importanza, sia per i mezzi di vivere che per
quelli di studio, cioè che non vi manchi qualche museo, laboratorio, biblioteca,
per eseguirvi di tempo in tempo gli studi che devono sempre accompagnare più
o meno quelli di campagna. E contuttociò sempre ancora gioverà che gli, stessi
operatori di simili squadre distaccate vengano chiamati di tempo in tempo
— 45 —
all’ ufficio centrale per conferire con la Direzione, per coordinare i lavori fatti
con quelli di altre regioni già rilevate, per consegnare le collezioni al museo cen-
trale, e per compiervi all’ occorrenza studi ulteriori sovratutto di roccie e fossili.
Ora è da osservare come il territorio dell’Italia così allungato da Nord a Sud,
quindi con regioni di clima diverso, e grandi isole nel mezzogiorno, non bene si
presta ad uno solo dei due indicati sistemi. L’ Italia superiore è di clima analogo al
Nord d’Europa, dove si può soltanto lavorare da mezza primavera a mezzo autunno,
ed ancora in modo vario secondo le località: poiché nelle Alte Alpi per esempio,
è diffìcile lavorare salvo per tre mesi o poco più, ed oltre ciò con fatica e spesa
assai notevole. Ivi pertanto potrebbe valere il primo sistema ; a meno che in vista
di maggiore comodità e di economia, si possano stabilire dei subcentri in città
piuttosto importanti e dotate di speciali mezzi di studio come sono, per esempio,
Pisa, Bologna, Torino e Milano.
Nell’ Italia meridionale invece e nella media, almeno sul versante Sud del-
l’Appennino, come anche nelle due grandi isole di Sicilia e Sardegna, il clima, non
troppo rigido nell’ inverno, permette di lavorare interpolatamente in quasi tutte le
stagioni, e se vi è eccezione, questa ha luogo piuttosto nei forti calori estivi o durante
la malaria, che non per rigore di stagione. Riguardo poi alle lunghe pioggia,
non vi è regola fìssa per prevederne un po’ esattamente l’ epoca, onde conviene
adattarsi alle contingenze delle variabilità del clima. In simili condizioni giova lo
stabilire dei subcentri prossimi alle regioni da rilevare, i quali permettano di
utilizzare il più di tempo possibile. Ed infatti con tale sistema, come già la
esperienza dei molti lavori eseguiti ha insegnato, si può ottenere un rilevamento
assai rapido ed anche economico, purché si disponga di personale attivo e resistente.
Quanto ai subcentri da scegliere, alcuni ve ne sono molto adattati, come
Pisa per esempio, utile per tutta la regione toscana, non che per parte della li-
gure meridionale, stante la comodità della ferrovia tirrena. L’esistenza della Uni-
versità con distinti professori ed un Museo geologico e paleontologico dei più
ricchi d’ Italia, non che la prossimità di regioni classiche per la loro geologica
costituzione rendevano questo punto l’uno dei più opportuni, e lo averlo avuto da
parecchi anni per centro di una sezione, ossia per sede di un’uffìzio secondario,
permise di compiere in breve tempo dei lavori geologici molto importanti come
le Alpi Apuane, l’Elba ed altri assai che ora non sono ancora tutti conosciuti. Ed
oltreciò si realizzava notevole economia di spese di trasferta in paragone, con la
residenza a Roma, economia che per un’operatore alquanto attivo non è in com-
plesso minore di L. 800 annue. La sezione di Pisa esistendo da 8 anni, e con tre
operatori di cui 2 attivissimi, si sarebbe realizzata così un’economia se non di
L. 18000 almeno di L. 15000.
Roma, come centro principale, può estendere assai la sua azione, tanto al Nord
che ài. Sud, ed in quest’ultima direzione già toccò Napoli dove infatti già venne
esteso il rilevamento. Al di là di Napoli le distanze d’accesso e recesso dalla
capitale divengono ornai troppo grandi, e converrà scegliere qualche altro subcentro.
Per l’estremità della penisola, cioè per la Calabria già vedemmo come un sottocentro
prima stabilito a Reggio progredendo il lavoro verso Nord già venne trasferito a
Catanzaro; ma fra non molto anche questa città sarà incomoda e converrà trasfe-
rirlo a Cosenza od a Castrovillari benché piccolo centro e lungi dalla ferrovia. Dopo
questo punto, e per tutta la regione sino a Salerno ed all’Adriatico, non è facile
trovare degli abitati che possano servire di comodo centro per un certo numero d’anni.
Le sole città un po’ convenienti sarebbero Salerno sul Tirrèno, e Lecce, Bari
o Foggia sull’Adriatico. Non deve però nascondersi quanto simile peregrina-
zione successiva della residenza possa riuscire incomoda e gravosa ai funzionari,
onde in ogni caso converrebbe risarcirli con qualche equo compenso, il quale po-
trebbe consistere nel considerarli come applicati all’Ufficio centrale e perciò con
l’ indennità di soggiorno accordata ai residenti in Roma. Ciò bene inteso senza
pregiudizio del lavoro sul terreno il quale andrebbe sempre continuato, onde do-
vrebbe essere obbligatoria l’abituale residenza nel sottocentro della sezione.
Riguardo alla indennità giornaliera di campagna, detta la diaria (che è di
L. 6 per gli aiutanti, L. 7. 50 per gli ingegneri ordinari e di L. 9 per gli ingegneri
capi), la medesima si usa pagarla ai residenti nel subcentro della sezione, soltanto
nei giorni di lavoro effettivo in campagna, ciò che naturalmente permette .una certa
economia ed è appunto uno dei vantaggi di avere tali sezioni o subcentri. Però agli
ingegneri fungenti da capo-squadra, ossia capo-sezione, occorrerebbe qualche ragio-
nevole distinzione, materiale o morale dai dipendenti talora di egual grado gerar-
chico cui essi dirigono. Ma questi sono particolari fìnanziarii, ai quali qui non mi
estendo ed a cui dovrebbe poi provvedere l’amministrazione, applicando il più retta-
mente possibile determinate norme in modo che il personale sia equamente trattato.
Dopo esposti così i due sistemi generali possibili di riparto del lavoro, con-
viene però aver presente che diverse circostanze, come sono lo scarso numero di
provetti geologici, la diversa attitudine scientifica e fìsica, talvolta inattese esigenze
delle amministrazioni, ed infine tante altre circostanze possono rendere impossibile
od inopportuna l’applicazione esclusiva, anche per una data regione, dell’uno od
altro sistema, come anche non permettono talvolta la formazione di squadra d’ope-
ratori in tutto complete. In simili casi, pur frequenti in Italia come all’estero si
deve fare come meglio si può purché l’essenziale, cioè il lavoro della Carta, pro-
ceda bene e rapidamente. Si è ciò che si fece più d’una volta e con buon risultato.
Dopo tali considerazioni, visto che intanto col ritorno degli ultimi ingegneri
dall’ estero, sarebbesi ornai prossimi a possedere il personale di operatori occor-
rente ad un più regolare andamento del lavoro, si potrebbe ora prendere qualche
nuova disposizione in proposito. E nel fatto, istituendo soltanto una nuova sezione
tra la Calabria e Napoli si avrebbe quanto è concesso di fare nelle attuali circo-
stanze. Le sezioni distaccate sarebbero quindi quelle di Calabria (centro per ora
Catanzaro), delle provincie napolitane intermedie (centro per ora Salerno), della
Toscana (centro per ora Pisa), e delle Alpi occidentali (centro per ora Torino).
La distribuzione del lavoro di rilevamento risulterebbe quindi quale verrà qui
sotto sommariamente indicata, con il personale relativo.
Lavori nella regione centrale. — Come venne avvertito nella prima parte
della Relazione il lavoro di rilevamento in questa regione centrale, che ebbe Roma
per punto di partenza, essendo stato impedito di avanzare verso Nord stante la
mancanza della carta topografica, si fece proseguire al Sud-Est dove già raggiunse
Napoli. Il medesimo potrebbe ancora estendersi in tale direzione sino circa al me-
ridiano di Foggia. Ma oltre questo la distanza da Roma sarebbe troppa, onde
meglio si rileverebbe da un altro centro da stabilirsi come verrà detto qui appresso.
Quanto al personale della squadra esso sempre ancora consisterebbe nell’ inge-
gnere Zezi coi soli due aiutanti Cassetti e Moderni; e ciò senza inconvenienti,
poiché in buona parte del territorio di questa sezione dominano formazioni vul-
caniche o terziarie od altre di cui tanto l’ing. Zezi che i suoi subalterni acquistarono
pratica. Per certi lembi di terreni più antichi e più difficili assai a riconoscere si
può provvedere, come infatti talvolta si fece con qualche visita dell’ing. Baldacci
od altro, già pratico pei rilevamenti altrove fatti, di simili formazioni. In quanto
poi a qualche lavoro a poca distanza dalla città può concorrere l’ing. Sormani, al
quale è peraltro affidata la direzione della pubblicazione delle Carte, ciò che esige
continua e minuta sorveglianza.
Regioni meridionali. — Si intende per queste la gran zona della penisola
che rimane fra quella sopra definita, limitata dal meridiano di Foggia, sino all’e-
strema Calabria ed alla penisola salentina. Il personale da destinare al rileva-
mento di queste regioni potrà essere composto degli ingegneri Baldacci e Cortese,
come ingegneri direttori, e degli ingegneri Aichino e Novarese già ora operanti in
Calabria, più degli ingegneri Viola e Sabatini da destinare a qualche altra zona.
Questa per ora potrebbe essere la regione tirrena che si estende da Salerno sino
alle provincie calabresi. Più tardi si potrà avanzare man mano nell’ interno verso
l’Adriatico. Questa vasta regione meridionale è una di quelle dove, come già ac-
cennammo, non esistono centri importanti (se si eccettui Napoli), nei quali potere
stabilire i subcentri od uffici secondari in comoda situazione per il rilevamento. Que-
sti subcentri non potranno quindi durare se non poco tempo, dovendo gradata-
mente traslocarsi. Cosi si rammenterà che nelle Calabrie, prima servì Reggio,
— 48
ora serve Catanzaro, e fra un anno forse Cosenza o Castrovillari. Per il rima-
nente potrebbero servire Salerno, Potenza e Bari. Naturalmente questa mobilità
di residenza è una difficoltà, od almeno causa di incomodo e spesa non lieve agli
operatori, onde converrebbe in qualche modo indennizzarli, per il che basterebbe,
come si disse, considerare questo personale come applicato all’Ufficio centrale.
In questi paesi meridionali, oltre al rilevamento regolare e progressivo della
Carta, hanvi studi speciali da curare, come sarebbero quelli relativi a certe impor-
tanti formazioni vulcaniche, tra cui, per esempio il Vesuvio, che sono meritevoli
di molta attenzione. Su queste formazioni abbiamo già diversi lavori avviati da
speciali geologi e che forse si potrebbero utilizzare.
Regione toscana. — In questa regione, con centro a Pisa, seguiterebbero
l’ing. Lotti ed il dott. Canavari, ed in certe stagioni dell’ anno anche l’ ing. Zac-
cagna. Oltre al completare il rilevamento in grande scala delle regioni circostanti
al Fiorentino ed alla Garfagnana, per le quali esiste la nuova carta topografica,
vi si proseguirebbe lo studio della importante questione già con tanto successo
iniziata lo scorso anno e che condusse a diversi cambiamenti nella Carta geolo-
gica della Toscana, modificandovi i limiti sin qui stabiliti fra i terreni cretacico,
eocenico e miocenico, nel modo che venne a suo luogo descritto. Simile riforma
dovrà forse estendersi ancora a qualche altra parte, ed in ogni caso potrà venire
portata a maggior perfezione nelle zone ove già fu introdotta.
Havvi poi un lavoro importante e che ornai più non conviene ritardare, av-
viare cioè la pubblicazione della Carta geologica delle Alpi Apuane, ed anzi di
tutta l’interessante regione che comprende le più antiche formazioni dal golfo di
Spezia sino al Monte pisano, regione il cui rilevamento venne già da qualche tempo
eseguito. Non è il caso di qui ripetere l’importanza sia scientifica quanto indu-
striale di simile regione, e già si sarebbe potuto pubblicare almeno la generale
geologia ove se ne fosse avuta la carta topografica a scala uniforme del 1/100 000,
la quale pur troppo ancora non esiste.
Però vi è una parte di quella regione, di tutte la più interessante anche al
punto di vista industriale, in grazia della sua grande produzione di marmi, ed è
la zona centrale che comprende i territori di Carrara, Massa, Serravezza, la
quale meriterebbe una pubblicazione non solo alla suddetta scala generale del
1/100 000, ma a quella maggiore possibile. Già per le zone più ricche di cave
trovasi, come sappiamo, in corso di rilevamento una Carta speciale in grandissima
scala cioè del 1/2 000 che è una vera scala censuaria, stata incominciata pel
territorio di Carrara coll’opera principalmente degli aiutanti Fossen e Tissi, sotto
la direzione dell’Ufficio minerario di Firenze. Ma una simile Carta, che deve ser-
— 49 —
vire a diversi scopi e riuscirà assai grande, non potrebbe ancora pubblicarsi oggidì
e d’altronde non comprenderebbe che una superficie relativamente piccola della
totale regione marmifera delle Apuane sovra menzionata. Per questa regione, come
del resto per tutta la catena apuana, occorrerebbe una carta generale in scala
conveniente, che potrebbe essere quella della levata originale dell’ Istituto geografico
cioè il 1/25 000 con curve orizzontali, carta assai adatta allo scopo. Si potrebbe
incominciare con la pubblicazione delle zone che più interessano per i giacimenti
marmiferi e che sono nelle tavolette di Monte Sagro, Vagli, Monte Altissimo,
Massa, Pietrasanta, ecc.
Per procedere poi a tale pubblicazione occorrevano tuttavia alcuni lavori com-
plementari al rilevamento della catena stato già eseguito dall’ ingegneri Lotti e
Zaccagna qualche anno addietro, occorreva cioè risolvere anzitutto certe difficoltà
scientifiche sorte dietro la scoperta di nuovi fossili fatta dallo Zaccagna a Vinca
e altro v'e nelle gran zona marmifera; fossili a facies terziaria inferiore, mentre
secondo i rilievi dello Zaccagna sarebbero inclusi nel Trias. La questione èssendo
difficile esigeva anche dal paleontologo Canavari accurato studio dei fossili cui in
parte dovè compiere a Monaco e Vienna. — Risolte simili difficoltà occorre di
rilevare, per unirle alla Carta geologica, diverse sezioni o profili. Una parte di
questi, già vennero rilevati dallo Zaccagna nella regione elevata settentrionale
della catena, e sono opera paziente di molta esattezza, che potrebbero anche
pubblicarsi a parte come studio speciale interessantissimo. Ma ne occorrono altri
ancora, come occorrono vedute panoramiche e fotografìe a corredo della impor-
tante pubblicazione su quella catena.
Quanto alla Carta marmifera propriamente detta che ora si rileva dal Fossen
col Tissi pel Carrarese alla grandissima scala di 1/2 000, essa sarebbe oggetto
di una futura successiva pubblicazione con la descrizione delle masse marmifere
e altri dati interessanti l’industria, come si fece per le miniere ferrifere dell’Elba.
— Ma di ciò vi sarà tempo ad occuparsi in appresso e dopo ultimato il rileva-
mento sul terreno. — Per ora premerebbe soltanto di cominciare una bella copia
della suddetta mappa al 1/2 000 che trovasi nell’ufficio del Fossen in Carrara.
Regione delle Alpi occidentali. — Di questa regione e sua importanza già
assai risulta da quanto più volte ed anche poco sopra ne fu detto. Ora ciò che
preme è di compiere il rilevamento, già nei due ultimi anni abbozzato, di un certo
numero di fogli lungo la frontiera dalle Alpi Marittime sino alle Pennine, deter-
minandone così esattamente la geognostica costituzione. Simile lavoro preme anche
assai, perchè i lavori nostri in quella regione segnano in certe parti un passo
avanti a quelli fatti oltr’ Alpe, tanto in Francia che in Svizzera ed Austria ; onde è
necessario mettere ora le cose in sodo e quanto prima pubblicarle per non per-
4
dere il vantaggio della priorità. — Preme anche ultimare la geologia di queste
Alpi occidentali per la ragione che la loro geologica costituzione essendo simile
a quella dell’estremità della penisola, cioè della Calabria, dove è già ben avviato
il rilevamento, importa assai alla definitiva classificazione delle nostre più antiche
formazioni che lo studio di tali due estremità della penisola sia fatto contempo-
raneamente.
Questo lavoro assai arduo andrebbe affidato a chi già così felicemente lo
iniziò, cioè all’ing. Zaccagna coadiuvato però dall’ing. Mattirolo che negli ultimi
tempi gli fu collega, poiché essendo da qualche tempo la salute del primo no-
tevolmente alterata non gli permetterà, forse così presto, di lavorare alacremente
come prima in quelle difficili località. Intanto avendosi ora disponibile il giovane
ingegnere S. Franchi, recentemente tornato dagli studii all’estero, si potrebbe
applicare a questa stessa squadra dell’ ing. Zaccagna, la quale avrebbe da lavo-
rare in Piemonte per tutta la buona stagione. Cessata questa, e dovendo allora
l’ing. Mattirolo trasferirsi a Roma pel laboratorio che si ha in idea di costruirvi,
si prenderebbero poi opportune disposizioni per 1’ avvenire secondo le circostanze.
Tale sarebbe la generale distribuzione dei lavori e del personale, almeno per
l’anno prossimo, distribuzione comandata dalle condizioni geologiche delle varie
regioni e dal personale disponibile.
Insieme ai diversi lavori speciali di rilevamento in più o meno grande scala,
non deve perdersi di vista la necessità di perfezionare sempre più la Carta gene-
rale d’ Italia in piccola scala. Presto, come vedemmo, si dovrebbe avere pubblicata
la seconda edizione di quella al 1/1 000 000, edizione molto migliorata; ma la scala
sua e molto piccola, ed ora premerebbe di mettere mano alla pubblicazione di
quella a scala doppia, cioè del 1/500 000 che è la convenuta per le carte d’ insieme
d’uso internazionale. Per noi tale pubblicazione fu sinora impossibile perchè an-
cora non aveasi dall’ Istituto geografico la nuova carta che da gran tempo vi sì
preparava; ma abbiamo ora fiducia che nel prossimo 1888 questa carta ci sarà
data e quindi si potrà sulla medesima tracciare meglio la nostra geologia ge-
nerale, riportandovi il risultato dei lavori e tutti i perfezionamenti da ottenersi
all’uopo con apposite ricognizioni.
Carta geognostico-idrograjìca della vallata del Po. — Di questo lavoro,
che nel decorso anno venne iniziato, e che, come vedemmo, già si trova discretamente
avviato nella parte superiore della pianura, poco vi è da dire dopo il programma
che ne venne sopra esposto. Ora non resta che proseguirlo alacremente col
— 51 —
personale sovra indicato stato messo a disposizione del prof. Taramelli, membro
del Comitato, e con raccordo e la cooperazione dell’ Ufficio geologico.
Esplorazione di Massaua ed Assab. — Già da qualche tempo da varie per-
sone occupate ai lavori di vario genere cui dà luogo l’occupazione di quella costa
africana, si ebbe domanda di informazioni sulla geologica sua costituzione, princi-
palmente in quanto interessa la provvista di acqua, non che di certi materiali da
costruzione. Diversi dati di fatto si possiedono è vero ottenuti da libri di viag-
giatori che visitarono quelle località, nonché dai lavori ultimamente colà eseguiti ;
ma ornai è desiderabile un qualche studio apposito dell’Ufficio geologico. Sino ad ora
la precarietà delle condizionici quei luoghi, e la scarsità del nostro personale già
troppo impegnato altrove, non permisero di occuparsene. Però nell’avvenire e forse
dentro l’anno stesso, ove nuove e diffìcili circostanze non sopravvengano, sarebbe
caso di delegarvi alcuno dei nostri più attivi ingegneri, almeno per una prima ispezione.
Pubblicazioni. — Da quanto venne a suo luogo riferito circa alle nostre
pubblicazioni, bene risulta, senza ulteriori spiegazioni, quali si possono fare nel 1888
e che sarebbero le seguenti:
Carta generale d’Italia in piccola scala al 1/1 000 000 in due fogli e da tirare
a gran numero di copie, dovendo servire a farne smercio e distribuzione per un
certo numero ad Istituti e Congressi. Questo numero dovrebbe essere almeno di 3000.
Carta del territorio romano e limitrofi, alla scala normale del 1/100 000
partendo dalla capitale come centro e irradiando intorno gradatamente. — Per
l’anno prossimo si pubblicherebbero intanto i primi sei fogli intorno alla città,
che sono quelli di Roma, Cerveteri, Cori, Civitavecchia, Bracciano e Palombara.
Si pubblicherebbe inoltre una Carta della città stessa e dintorni in un raggio
di circa sette chilom., alla scala quadrupla, cioè di 1/25 000 con sezioni. Questa
Carta è reclamata non meno della prima, potendo servire anche agli usi edilizi.
Carta geologica delle Alpi Apuane alla scala del 1/25 000. — Secondo le spie-
gazioni a suo luogo fornite, questa pubblicazione cui ora preme assai per diverse
ragioni di non più ritardare, potrà incominciarsi colle tavolette della regione cen-
trale (Monte Sagro, Vagli di Sotto, Monte Altissimo, Massa, Pietrasanta, Forte dei
Marmi) che contiene le zone marmifere. Insieme a questa carta devono pubbli-
carsi le interessanti sezioni geologiche che le corredano.
Carta geologico-mineraria della regione dell’ Iglesiente in Sardegna al 1/50 000
con un’ atlante di 29 tavole ed una memoria descrittiva dell’ ing. Zoppi. Questo
lavoro è già molto avanzato.
Finalmente si pubblicherebbero le due memorie paleontologiche state da assai
tempo annunciate : l’una del professore Meneghini sulla fauna paleozoica dell’ Igle-
— 52 —
siente che Farebbe appunto il complemento scientifico della suddetta opera del-
l’ing. Zoppi, ed una del paleontologo dott. Canavari sulla fauna del Lias inferiore
della Spezia. — Questa pubblicazione paleontologica sarebbe fatta nelle Memorie
in gran formato (4° grande) di cui già escivano nel 1871 e 1873 i primi due vo-
lumi, l e II, in Firenze coi tipi Barbèra, ed il III era iniziato nel 1876 con la sua
prima parte, ma rimaneva sin da allora interrotto per ragioni che già furono altra
volta esposte. Ed ora si tratta di completare questo terzo volume, formandone la
seconda parte con le anzidette due memorie paleontologiche. Naturalmente questa
pubblicazione andrebbe fatta dal medesimo editore Barbèra che già pubblicava i
volumi precedenti.
Quanto alle suddette carte geologiche, le medesime devono venire pubblicate
dal solito stabilimento Virano in Roma, col quale si ha il contratto del 1886 per
l’ammontare di L, 150,000, sulla qual somma restano ancora a farsi lavori per più
di un terzo della medesima.
Circa alla parte scientifica di tali pubblicazioni non è il caso di estendersi
ora a spiegazioni, le quali sarebbero lunghissime e d’altronde si vedranno nelle
Memorie da annettere alle Carte stesse. ; — Si farà solo qui un breve cenno sulla
Carta generale d’Italia al 1/1 000 000, la quale è opera di lena, ed anche dal
punto di vista dell’esecuzione artistica è lavoro di certa difficoltà, onde esigerà
una spesa di qualche entità. — Circa alla serie dei terreni geologici nella mede-
sima rappresentati, si è dovuto naturalmente limitare il numero delle suddivisioni
in riguardo alla piccolezza della scala, onde non cadere in troppa complicazione,
e quindi non si poterono comprendere tutte quelle state raccomandate nel Con-
gresso di Berlino. Così, per esempio, non venne rappresentato a parte l’Oligocene,
nè separato il Lias dal Giurassico ; però si farà possibilmente qualche suddivisione
nel Trias, specialmente alpino — Quanto alla leggenda ed alla gamma dei colori
si mantengono presso a poco quelle della prima edizione del 1881, le quali dalla
esperienza ci vennero dimostrate assai convenienti per il -nostro territorio e per
la scala adottata della Carta, mentre non conviene avventurarsi alle novità pro-
gettate a Berlino.
Si noterà infine che cadendo nel foglio inferiore di questa Carta una lunga
zona della costa settentrionale dell’Africa, e specialmente della Tunisia, di cui
non era fatto ancora, nemmeno dalla Francia, il rilevamento geologico, si ha non
poca pena a supplirvi con speciali ricerche ed informazioni che debbonsi racco-
gliere da varie sorgenti, onde non lasciarla in bianco, ciò che sarebbe una lacuna
poco conveniente.
Carta geologica dell'Europa. — A questo lavoro stato affidato all’Istituto geolo-
gico di Berlino più non abbiamo per ora da contribuire coll’opera nostra diretta, e
— 53
cotìviene attendere per do meno il saggio di essa Carta che quell’istituto dovrebbe
esporre nel prossimo Congresso di Londra. Sarebbe certo opportuno per noi se
nella detta Carta si fossero potuti introdurre ancora quei certi perfezionamenti di
classificazione che introducemmo anche ora da ultimo nella nostra cartina gene-
rale al 1/1 000 000, perfezionamenti che tuttavia pochi anni fa non possedevamo
quando dovemmo mandare la nostra Carta a Berlino; ma ormai ciò è impossibile,
e d’altronde questa prima edizione non dovrebbe essere che un saggio, sovratutto
in vista della gamma di colori da adottare.
Cènnerò intanto che prima del Congresso di Londra si sarebbe dovuto con-
vocare almeno due volte il Comitato di sorveglianza della suddetta Carta dell’Eu-
ropa ; però fin ’ora ciò non fu fatto e solo potrebbe aver luogo una volta prima
della estate, ma ormai con poco o niun effetto su di ciò che a Berlino sarà infrat-
tanto stato eseguito.
Riguardo al contributo pecuniario cui l’Italia è tenuta, e che per le 100 copie
obbligatorie è di fr. 10 000, riferimmo sopra come sin’ora si pagassero a Berlino
fr. 7 500, onde solo resterebbero a pagare altri fr. 2 500. Visto l’appello fatto
tempo fa dalla Direzione per. avere dalle varie nazioni un anticipo di fondi onde
far fronte alle notevoli spese che intanto la Direzione stessa va facendo, osserverò
che per mantenere all’ Italia quel primato che ebbe sempre per l’ incoraggiamento
di questa scientifica intrapresa a partire dal Congresso di Bologna nel quale venne
proposta, dato che si avessero fondi disponibili, sarebbe di convenienza il compiere
all’occasione del Congresso di Londra il pagamento di tutta la nostra quota, me-
diante i fr. 2 500 che ancora dobbiamo, liberandoci così anche da questo peso
per 1’ avvenire.
Al proposito però dell’ obbligo che si ha con la Direzione di Berlino, con-
viene rammentare come oltre all’impegno obbligatorio per 100 copie, ossia per
fr. 10 000, preso dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, se ne prese
poi per altre 200 copie in complesso fra diverse amministrazioni, ma principal-
mente dal Ministero di Pubblica Istruzione, allo scopo di fornirne a suo tempo i
principali istituti scientifici e tecnici del Regno. Queste 200 copie però non si ha
obbligo di pagarle che ad opera finita, ciò che non avrà probabilmente luogo se non
fra parecchi anni. Intanto il suddetto Ministero già, due anni or sono, anticipava a
quello di Agricoltura in due volte una somma di lire 3 325 le quali furono spedite
a Berlino e fanno parte delle lire 7 500 fin’ora colà pagate. Queste cifre si ram-
mentano qui onde averle presenti nella liquidazione che a suo tempo occorresse
fare di questa partita fra i suaccennati ministeri.
Congresso geologico internazionale di Londra. — La riunione di questo Con-
gresso in Londra, dopo un triennio da quello di Berlino del 1885, già venne dal
suo Comitato ordinatore stabilito pel 17 prossimo settembre.
Il Comitato ordinatore venne costituito con presidente il prof. Prestwich, vice-
presidenti: il prof. Hughes, il presidente della Società geologica ed il Diret-
tore del servizio geologico ; segretari generali Hulke e Topley, tesoriere Rudler.
Vi sono inoltre molti membri onorari, tra cui spiccano notabilità scientifiche ed
alti funzionari, ed è presidente onorario il prof. Huxley.
La quota d’iscrizione a membro è fissata a 10 scellini. Simile contributo deve
servire a ricoprire le spese, poiché in Inghilterra di raro il governo assegna delle
somme a simili scopi.
Il programma del Congresso e segnatamente delle materie da trattarsi nelle
riunioni, verrà fissato tenendo presenti le decisioni del Congresso di Berlino e le
discussioni preparatorie della Commissione internazionale per l’unificazione geolo-
gica, riunitasi nell’autunno del 1887 in Manchester e della quale pubblicò il reso-
conto il suo presidente Capellini.
Simile Congresso di Londra avrà grande importanza, sovratutto perchè vi
converranno numerosi i geologi non solo dell’Inghilterra, ma probabilmente anche
del Nord America, le due nazioni più sparse sul globo. Cosicché può dirsi che le deci-
sioni le quali saranno prese a Londra nel 1888 serviranno forse di norma princi-
pale alla geologia internazionale dell’avvenire.
E sarà certo molto opportuno che alcuni dei geologi del nostro ufficio non
manchino a tale Congresso. Alcuni di essi erano stati a quello di Berlino, e diversi
per loro conto. Per andare in Inghilterra il sagrificio sarebbe forse troppo forte,
e per ciò sarebbe equo che venisse accordato un giusto sussidio per tale scopo a
quelli dei quali sarebbe più utile l’intervento, e sono quelli che o non furono a
Berlino, o per la posizione che già occupano nel servizio geologico potranno
trarre da simile viaggio il maggiore profitto a benefizio del servizio stesso.
Museo geologico, collezioni e laboratorio. — Coi diversi lavori addizionali
eseguiti negli ultimi tre anni nella parte superiore dell’edifizio della Vittoria si era
guadagnato qualche spazio per le collezioni, ma siccome queste andranno gradual-
mente crescendo coll’avanzare della Carta geologica, cosi di già nella Relazione
dello scorso anno erasi proposto un qualche aumento di locale, mediante la co-
struzione di una galleria al livello del terrazzo del secondo piano che riunisca, dal
lato di via Santa Susanna, i due bracci esistenti in cui stanno le collezioni geologiche.
Questa galleria non sarebbe invero molto grande, cioè solo metri 20 X 3 = 60
m2. Oltrecciò, dovendo costruirsi in materiale leggiero, sarà forse un po’ calda
nella estate ; difetto del resto già comune a tutte le sale di quell’ edilìzio. L’ anno
scorso se ne era soltanto discorso in massima, poiché non potendo il Ministero di-
sporre di fondi per costruzioni, sarebbe stato necessario prenderli sull’assegno della
Carta geologica Ciò non poteva farsi allora, essendo d’ altronde la relativa spesa
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assai rilevante, cioè circa lire 13 000; rrla ora grazie a certi avanzi assai notevoli
che si avranno nel volgente esercizio, come verrà detto più sotto, la cosa diventa
possibile. Venne già preparato il progetto e preventivo dal nostro aiutante sig. Lu-
swergh addetto all’Ufficio geologico, progetto il quale, ove venga approvato dal
Consiglio superiore dei Lavori Pubblici, potrà venire eseguito entro la stagione
estiva.
Circa alle collezioni vi sarebbe per quest’anno qualche proposta da fare, in
quanto è supponibile che stante le economie fatte, rimanga disponibile sul bilancio
una certa somma.
Anzitutto si deve avere presente che le esposizioni industriali sono diventate
cosa usuale e che si ripetono anche a brevi intervalli. A queste devono quasi
sempre prendere parte i musei governativi, come ne ebbimo ancora di recente
esempio, con la esposizione edilizia di Firenze, con quella ora in preparazione
a Londra, ed altre che non mancheranno. Talora anche succede che queste
esposizioni vengono notificate quasi improvvisamente, onde non si ha tempo a porsi
in relazione con gli industriali, per eccitarli a concorrere, ovvero è necessario di
incorrere in molto fastidio e lavoro per riuscire. Sarebbe molto opportuno, per non
dire necessario, il possedere bella e pronta una sufficiente raccolta di marmi e mi-
nerali, in bene adatti campioni, da farsi servire in simili contingenze. Si eviterebbe lo
sconcio assai grave di dover tratto tratto scomporre le raccolte del museo per
inviarne una parte all’esposizione, lasciando intanto per mesi e mesi semisguar-
nite le vetrine e colla certezza quasi che i campioni esposti torneranno avariati.
Con mediocre spesa, per esempio, 2000 o 3000 lire, profittando della circostanza
si potrebbe provvedere a tale bisogno.
Un’ altra occorrenza del Museo geologico-industriale, sarebbe di possedere una
sufficiente collezione modello di minerali, roccie e fossili caratteristici per guida
e paragone nello studio del molto materiale che si va sempre accumulando. Non
sarà difficile, ricorrendo a qualche collettore sia in Italia che all’estero ove di
simili collezioni si fa gran commercio, il procurarsi quanto ci occorre, e ciò forse
con poche migliaia di lire. Del resto già per una collezione di fossili adatta al-
l’uso nostro, furono presi appunti dal paleontologo Canavari onde in poco tempo
si potrebbe avere.
Così pure sarebbe il caso di procurarci dalla Stazione agraria di Torino, una
raccolta di lastre sottili delle nostre roccie statevi studiate nei decorsi anni dal
prof. Cossa e dall’ing. Mattirolo.
Finalmente sta sempre ancora depositata nel nostro museo geologico, e sino
dal 1855, la collezione di marmi e graniti, ad uso edilizio, del fu generale Pescetto,
sul merito della quale già s’ era fatto cenno nella relazione del 1886-87, e che si
sarebbe dovuta acquistare se non fosse stato per la somma piuttosto rilevante
— 56 —
di circa L. 25 000 che gli eredi ne volevano e che d’altronde non si aveva punto
disponibile. Circa al merito della collezione, che è composta di oltre un migliaio
di pezzi lisciati su tutte le faccie, non si potrebbe che ripetere quanto allora se
ne asseriva, essere cioè una collezione pregievole quanto mai, non solo dal punto
di vista edilizio antico e moderno, ma eziandio come esempio della svariatissima
struttura che possono presentare i diversi giacimenti delle roccie di uso orna-
mentale. Veramente una collezione così ricca ed originale nel suo genere sarà
diffìcile trovare altrove, onde potendolo fare senza inconvenienti, sarebbe il caso
di non perderne l’occasione. In tale modo sarebbe assai bene utilizzato quel re-
siduo del bilancio che rimanesse disponibile, dovendosi anche riflettere che simile
occasione difficilmente si presenterà nell’avvenire.
Certo non è possibile al momento il fare tutti simili acquisti, il complesso dei
quali ammonterebbe a qualche decina di migliaia di lire: quindi converrà restringersi
alla somma che sarà disponibile verso il fine dell’esercizio finanziario corrente,
anno 1887-88, somma che d’altronde si tratta di utilizzare in tempo perchè non
vada in economia. Dei vari acquisti converrà quindi fare a momento opportuno
quelli che, e per l’entità e per il modo di praticarli, meglio si prestino all’anzi-
detto scopo.
Quanto ad un proprio laboratorio, è noto quante volte sia stato raccomandato
dal R. Comitato di provvedervi, e notevolmente nelle sedute dello scorso anno in
cui lo stesso prof. Cossa, il quale sino ad ora avea concesso l’uso di quello della
R. Scuola degli ingegneri di Torino al nostro ing. Mattirolo, avea fatto capire
come, forse col tempo, mutandosi Direttore, ciò più non sarebbe ottenibile. Sempre
però era stato impossibile soddisfare tale occorrenza, tanto per deficienza di da-
naro, quanto per difficoltà di locale opportuno. Ma ora le cose mutarono quanto
al danaro, per la stessa ragione poco dianzi esposta, almeno se la spesa occor-
rente si potrà mantenere in modesti limiti. Restava e resta la difficoltà del locale;
e perciò si escogitarono diversi progetti, i quali poi si riducevano a due possibili:
1° partito, costruirsi appositi ambienti presso all’ attuale laboratorio della Stazione
agraria, che è nell’orto aderente all’edifizio, ovvero anche alzare di un piano una
parte di questo. Simile partito cagionerebbe, per la sola costruzione degli ambienti
una spesa di circa 12,000 lire. 2° partito, adattare a laboratorio alcune delle
grandi sale del piano ultimo deU’edifizio della Vittoria sotto al terrazzo, ora desti-
nate ai disegnatori. Astraendo dagli adattamenti speciali ed apparecchi ad uso labo-
ratorio, la riduzione del locale in tre o quattro ambienti non costerebbe in questo
caso che circa un migliaio di lire.
Quanto ai suddetti adattamenti a laboratorio, cioè fornelli a vento e per
muffole, cappe di evaporazione, diramazione di acqua e gas, ci occorrono circa
L. 5000, in tutto quindi poco più di L, 6000, alle quali aggiungendo di poi un
57 —
4 o 5000 lire per provviste di oggetti diversi, comprese le bilancie, arredi e prov-
viste relative, può dirsi che si avrebbe pronto un laboratorio piccolo, ma sufficiente
ai lavori ordinari, con meno di L. 12,000.
Si noti che in fatto di microscopi per la petrografia, già si è ora bene prov-
visti, avendone uno di fabbrica tedesca e due nuovi perfezionati del Nachet di Parigi,
ultimamente colà acquistati dietro consiglio dei professori Fouquè e Michel-Levy, dai
nostri allievi Sabatini e Franchi che testé li portarono.
Di ambedue i progetti di laboratorii vennero fatti i disegni dal suddetto aiutante
Luswergh e fattone il preventivo. Ma al primo, quello cioè di costruire appositi
locali nell’orto, ovvero sopra la Stazione agraria, oltre alla maggiore spesa
osta il fatto che dietro lo schema di costruzione del palazzo definitivo del Mini-
stero di Agricoltura, industria e commercio, in quell’orto stesso della Vittoria,
vi riuscirebbe impossibile qualsiasi costruzione accessoria e lo stesso laboratorio at-
tuale della Stazione agraria dovrebbe venire demolito.
In simile stato di cose volendo presto un laboratorio, non resta che il partito,
d’altronde assai economico, di adattarvi i suddetti locali all’ultimo piano, ciò che
in un paio di mesi o tre, potrebbe farsi.
Cenno sull’assegno in bilancio per la Carta geologica. — Come è noto,
l’assegno annuale in bilancio per la Carta geologica, che nei primordi era molto
esile, venne gradualmente accresciuto a misura del bisogno ed attinse, a partire
dall’esercizio 1886-87, la cifra di L. 160,800. Con questa somma, ottenuta non
senza difficoltà, si poteva finalmente provvedere all’andamento del servizio ed alle
necessarie pubblicazioni. È vero che l’ultimo accrescimento di personale avvenuto
pel ritorno di allievi-ingegneri dall’estero, portando un certo aumento nel passivo,
diminuirà ciò che poteva apparire come un eccedente, ma non porterà tuttavia
sbilancio. E così pure col suddetto assegno si potrà far fronte ad uno dei più
forti rami di spesa, che è quella delle pubblicazioni delle carte geologiche. Simile
ramo di spesa veniva concretato per ora, come sappiamo, nell’ obbligo contratto in
febbraio 1886 con la ditta C. Virano per l’ammontare di L. 150,000 da esaurirsi
entro i tre anni fìnanziarii 1885-86, 1886-87 e 1887-88. A tale riguardo si é
oggidì in ordine, in quanto che tra i lavori già eseguiti e saldati, e quelli in corso
tuttavia, ma per il cui pagamento venne impegnata la somma nel corrente eser-
cizio finanziario 1887-88, il suddetto impegno verrà soddisfatto. Per l’avvenire,
cioè dopo il volgente esercizio 1887-88, essendo cessato quell’ impegno saremo
liberi di regolare secondo le convenienze questo ramo dispesa; però è presumibile
che, durando l’attuale assegno, sempre si potrà provvedere abbastanza largamente
alle pubblicazioni di Carte e Memorie, frutto principale dei nostri lavori che si
attende dal pubblico.
5
— 58 —
A proposito della pubblicazione di carte geologiche, sarebbesi anzi potuto
fare di più, senza una difficoltà, già più volte segnalata e che pur giova ram-
mentare. È quella di non possedere ancora per tutte le regioni una carta topo-
grafica stampata in edizione chiara, cioè senza il forte tratteggio impiegato per la
nostra al 1/100 000 e adattata quindi a ricevere i colori della figurazione geologica.
Tale inconveniente si verifica ora appunto per le carte delle regioni meridionali.
Ove si disponesse di somma più notevole in bilancio sarebbe il caso di dedicarne
una parte sufficiente per procurarsi tale edizione chiara e nitida di simili carte
allo scopo della pubblicazione. Potevasi sperare che a ciò provvedesse fra non molto
il Consiglio Superiore dei lavori geodetici, il quale venne ultimamente istituito, onde
non fosse necessario sacrificarvi del danaro assegnato alla geologia, il quale in
tal caso potrebbe riuscire troppo scarso. Per ora intanto giovi lo avere rammentata
questa difficoltà e causa di ritardo a certe pubblicazioni.
Resta ora a giustificare la proposta, che sopra venne fatta, di spese non in
differenti per nuove costruzioni, come quella di un laboratorio e di un nuovo ramo
di galleria per museo, non che di collezioni di una certa entità. La cosa però si
spiega grazia a diverse economie o ritardi di spese cui speciali circostanze cagio-
narono nell’attuale esercizio od anno finanziario 1887-88.
Una delle cause della fatta economia fu appunto il non avere potuto dare
alla pubblicazione delle carte tutto lo sviluppo che sarebbe stato desiderabile, sia
per il difetto poco sopra menzionato delle carte topografiche, sia anche per la lentezza
di essa pubblicazione nei nostri stabilimenti quando vogliasi ottenere bene eseguita.
L’altra causa, la principale forse, fu il risparmio realizzato sulle trasfèrte di campa-
gna, e ciò per diversi motivi : uno è la quantità di visite dovutesi praticare da pa-
recchi geologi per scopi utilitari alle costruzioni di strade ferrate ed altro; quindi gli
studi dei serbatoi d’acqua che molto tempo li occuparono, e per le quali mansioni le
indennità erano pagate su altri capitoli del bilancio. Alcuni poi degli ingegneri che si
occuparono di ferrovie ebbero delle agevolezze a viaggiare sulle medesime, che molto
giovarono anche per il resto dei loro lavori relativi alla Carta geologica. In questi
ultimi tempi poi fu realmente straordinaria la persistenza delle pioggie che furono
quasi incessanti dall’ottobre del 1887 in poi e che impedirono le lavorazioni in
campagna. — Questo cumolo di circostanze adunque cagionò economie ed un ritardo
di spese, ciò che permette di avere a disposizione una somma di forse L. 35 000 al
fine dell’esercizio finanziario 1887-88, somma della quale si può profittare per
dotare l’Ufficio di un laboratorio, di qualche nuovo locale e di parte almeno delle
collezioni a suo luogo accennate. Simili circostanze non si riprodurranno forse più,
onde la convenienza di profittarne in quest’anno nel modo che venne proposto, per
dotare la nostra istituzione del complemento di alcuni mezzi di studio e lavoro
che tuttavia le mancavano.
Questa relazione era già alla stampa quando si seppe che la Commissione
parlamentare del Bilancio, nello esigere dal Ministero di Agricoltura, industria e
commercio, rilevanti economie sull’esercizio finanziario 1888-89, toglieva alla Carta
geologica L. 40 800, riducendo così l’assegno annuo da L. 160 800 a L. 120 000.
Simile diffalco, di {/x dell’ assegno totale, porterebbe grave disturbo ove avesse
a ripetersi anche in altri successivi esercizii. Oltre al danno della deficienza di
fondi che impedirebbe certi lavori, sovratutto di pubblicazione, un simile diffalco
così improvvisamente fatto sopra un assegno che erasi ottenute da due anni appena’
produce il dubbio sull’ avvenire e trattiene da cercar di dare una più stabile
organizzazione al personale ed altri mezzi d’azione per V andamento dell’opera.
È quindi da fare voto che il Ministero per un’opera da tutti ritenuta utile e pro-
duttiva anche di vantaggi materiali, possa ottenere almeno in un successivo eser-
cizio il reintegro dell’ assegno quale era stato da poco tempo ottenuto.
Pubblicazioni in vendita presso l’Ufficio Geologico
Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia; Voi. I a XIX, dal 1870 al 1888
— Prezzo di ciascun volume L. 10 —
Idem di un fascicolo bimensile separato » 2 —
N.B. - Il prezzo di abbonamento annuo e di L. 8 per l’interno
e di L. 10 per l’estero.
Memorie per servire alla descrizione della Carta geologica d’Italia:
Voi. I. Firenze, 1872 . » o5 —
Voi. IL Firenze, 1873-74 . . . . * . » 30 —
Voi. III. Parte la; Firenze, 1876 » 10 —
Voi. III. Parte 2a; Firenze, 1888 . . . >15 —
I. Cocchi. — Brevi cenni sui principali Istituti e Comitati geologici e sul
R. Comitato Geologico d’ Italia. Firenze, 1871 > 1 50
P. Zezi. — Cenni intorno ai lavori per la Carta geologica in grande scala.
Poma, 1875 » 1 —
F. Giordano. — Esposizione in ordine cronologico delle principali disposi-
zioni successivamente emanate relativamente alla Carta geologica d’Italia.
Poma, 1879 » 1 —
F. Giordano. — Sopra un progetto di legge per il compimento della Carta
geologica d’ Italia. Poma, ISSO. . . » 1 50
F. Giordano. — Cenni sull’organizzazione e sui lavori degli Istituti geologici
esistenti nei vari paesi. Poma, 1881 » 1 50
G. Capellini. — Relazione a S. E. il Ministro di Agr. Ind. e Comm. sul
Congresso geologico internazionale del 1881. Roma, 1881 .... » 1 —
I. Cocchi. — Carta geologica della parte orientale dell’ Isola d’Elba; scala
di 1/50,000. Firenze, 1871 » 2 50
C. W. C. Fqchs. — Carta geologica dell’Isola d’ Ischia; scaladi 1/25,000.
Firenze, 1873. . » 2 —
C. Doelter. — Carta geologica delle isole Ponza, Palmarola e Zannone;
scala di 1/20,000. Roma, 1876 » 2 —
C. De Giorgi. — Abbozzo di Carta geologica della Basilicata; scala di
1/400,000. Poma, 1879 » 2 —
C. De Giorgi. — Carta geologica della provincia di Lecce; scala di 1/400,000.
Poma, 1880 » 2 —
G. Capellini. — Carta geologica dei monti di Livorno, di Castellina Ma-
rittima e di parte del Volterrano; scala di 1/100,000. Poma, 1881 . » 3 —
G. Capellini. — Carta geologica della provincia di Bologna ; scala
di 1/100, OCO. Roma, 1881 » 4 —
G. Capellini. — Carta geologica dei dintorni del golfo di Spezia e Val di
Magra inferiore; 2a edizione; scala di 1/50,000. Roma, 1881 . . » 3 —
T. Taramelli. — Carta geologica del Friuli, con testo descrittivo ; scala
di 1/200,000. Udine, 1881 » 7 —
Bibliographie géologique et paleontologique de l’Italie. Bologne, 1881 . . » 10 —
Bibliografia geologica e paleontologica della provincia di Roma. Poma, 1886 » 2 —
Bibliografia geologica italiana per l’anno 1886. Roma, 1887 » 1 50
Annunzi di pubblicazioni
F. Sacco. — 11 cono di dejezione della Stura di Lanzo. — Roma, 1888;
pag. 16, in-8'J, con una carta geologica.
Idem. — 1 terreni terziarii e quaternarii del Biellese. — Torino, 1888;
pag. 26, in-4°, con una carta geologica.
C. De Stefani. — Iconografìa dei nuovi molluschi pliocenici d’ intorno
Siena. (Boll, della Società Malacologica italiana, Yol. XIII). — Pisa, 1888Ì
pag. 28, in-4°.
A. Secco. — 11 piano ad Aspidoceras acanthicum Op. in Collalto di So-
lagna. (Bollettino della Società geologica italiana, Voi. VII, fase. 2°). —
Roma, 1888; pag. 26, in 8 , con una tavola.
A. Neviani. — Le formazioni terziarie nella valle del Mesima. (Ibidem) —
Roma, 1888; pag. 8, in 8°.
A. Tellini. — Le nummulitidee terziarie dell’Alta Italia occidentale.
(Ibidem). — Roma, 1888; pag. 62, in-8°, con una tavola.
C. De Stefani. — Origine del porto di Messina e di alcuni interrimenti
lungo lo stretto. (Ibidem). — Roma, .1888; pag. 10, in-4°.
E. Mariani. — Foraminiferi delle marne plioceniche di Savona. (Atti della
Società Italiana di Scienze Naturali, Voi. XXXT, fase. 1°). — Milano 1888;
pag. 38, in-8’, con una tavola.
A. Issel. — La caverna della Giacheira presso Pigna (Liguria Occiden-
tale). (Memorie della Società toscana di Scienze nat., Voi. IX). — Pisa, 1888;
pag. 10, in-8°, con una tavola.
A. Ristori. — Alcuni crostacei- del miocene medio italiano. (Ibidem). —
Pisa 18 SS ; pag. 8, in-8°, con una tavola.
E. Di Poggio. — Cenni di geologia sopra Matera in Basilicata. (Ibidem) —
Pisa, 1888; pag. 12, in -8°.
T. Taramelli e G. Mercalli. — Il terremoto ligure del 23 febbraio 1887.—
Roma, 18 8; pag. 296 in-41’, con 4 tavole.
G. Terrenzi. — Il Cast.or fiber trovato fossile al Colle dell’Oro presso Terni
(Rivista scientifico-industriale, anno XX, pag. 20 21). — Firenze, 1888;
pag. 6 in-^°.
P. Franco — Ricerche micropetrografìche intorno aduna pirossenandesite
trovata nella regione vesuviana (Rendiconti della Acc. delle Se. Fis.
e Mat., voi. II, fase. 11°). — Napoli, 1888; pag. 8 in-4°.
T. Taramelli. — Lo scoscendimento di Bracca in Val Serina. — Torino, 1888
pag. 8 in-8°.
G. Di Stefano. — Studi stratigrafìci e paleontologici sul sistema creta-
ceo della Sicilia. — 1° Gli strati con Caprotina di Termini Imerese. —
Palermo, 1888 ; pag. 60 in-41, con 11 tavole.
M. Malagoli. — Il calcare di Bismantova e i suoi fossili microscopici
(Atti della Società dei Naturalisti, voi. VII, fase. 2°). — Modena, 1888;
pag. 10 in-8°, con 3 tavole.
G. Struever. — Ulteriori osservazioni sui giacimenti di Val d'Aia in Pie-
monte. Memoria II. — Roma, 1888; pag. 28 in-4°, con una tavola.
G. Mercalli. — L’isola Vulcano e lo Stromboli dal 1886 al 1888. — Mi-
lano, 1888; pag 16 in-8°.
E. Clerici e S. Squinabol. — La duna quaternaria al Capo delle Mele in
Liguria; pag. 8 in-8°.
A. Scacchi. — Il vulcanetto di Puccianello (Rendiconti della Acc. delle Se.
Fis. e Mat., voi. II, fasc.^120). — Napoli, 1888 ; pag. 2 in-40. v
(E. Scacchi. — Contribuzioni mineralogiche. Memoria IV (Ibidem). — Napoli,
1888; pag. 9 in-4°.