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Full text of "Bollettino del R. Comitato Geologico d'Italia"

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1888.  - Anno  XIX. 


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BOLLETTINO 


DEL 


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COMITATO  GEOLOGICO 

D’ ITALIA 


Volume  Diciannovesimo 
(9°  della  2a  Serie) 

N.  1 a 12 


ROMA 

TIPOGRAFIA.  NAZIONALE 
di  Reggiani  & soci 

1 888. 


BOLLETTINO 


DEL 

lì.  COMITATO  GEOLOGICO  D’ITALIA 


1 888. 


Anno  XIX. 


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1888.  - Anno  XIX 


BOLLETTINO 

DEL 

R.  COMITATO  GEOLOGICO 


D’ ITALIA 


Volume  Diciannovesimo 
(9°  della  2a  Serie) 

N.  1 a 12 


ROMA 

TIPOGRAFIA  NAZIONALE 

di  Reggiani  k soci 


1888 


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R.  COMITATO  GEOLOGICO 


D’ITALIA. 


1888 


Bollettino  N.°  1 e 2 

Gennaio  e Febbraio 


ROMA 

TIPOGRAFIA  NAZIONALE 

di  Reggiani  & soci 


1888. 


ELENCO 

del  personale  componente  il  Comitato  e l’Ufficio  Geologico 

R.  Comitato  Geologico. 

Meneghini  Giuseppe,  prof,  di  geologia  nella  R.  Università  di  Pisa,  Presici. 
Capellini  Giovanni,  prof,  di  geologia  nella  R.  Università  di  Bologna. 
Cocchi  Igino,  prof,  di  geologia,  a Firenze. 

Cossa  Alfonso,  prof,  di  chimica  nella  R.  Scuola  di  applicazione  per  gli 
ingegneri  in  Torino. 

De  Zigno  Achille,  membro  nel  R.  Istituto  Veneto,  a Padova. 
Gemmellaro  Gaetano  Giorgio,  professore  di  geologia' nella  R.  Università 
di  Palermo. 

Scacchi  Arcangelo,  prof,  di  mineralogia  nella  R.  Università  di  Napoli. 
Scarabelli  Giuseppe,  senatore  del  Regno,  a Imola. 

Silvestri  Orazio,  prof,  di  geologia  nella  R.  Università  di  Catania. 
Stoppini  Antonio,  professore  di  geologia  nel  R.  Istituto  tecnico  supe- 
riore di  Milano. 

Struver  Giovanni^  prof,  di  mineralogia  nella  R.  Università  di  Roma. 
Taramelli  Torquato,  prof,  di  geologia  nella  R.  Università  di  Pavia. 

Il  Direttore  del  R.  Istituto  geografico  militare  in  Firenze. 

Giordano  Felice,  ispettore-capo  del  R.  Corpo  delle  Miniere,  a Roma. 
Pellati  Niccolò,  ispettore  nel  R.  Corpo  delle  Miniere,  a Roma. 

Personale  addetto  ai  lavori  della  Carta  Geologica. 

Direzione  superiore  : 

Ing.  Giordano  Felice,  Direttore. 

Ing.  Pellati  Niccolò. 

Ufficio  centrale  (in  Poma)  : 

Ing.  Zezi  Pietro,  Capo  d’ufficio  e Segretario  del  Comitato. 

Ing.  Sormani  Claudio. 

Geologi  operatori : 

Ing.  Baldacci  Luigi,  Roma. 

Ing.  Lotti  Bernardino,  Pisa. 

Ing.  Cortese  Emilio,  Roma. 

Ing.  Zaccagna  Domenico,  Pisa. 

Ing.  Novarese  Vittorio,  Roma. 

Ing.  Aichino  Giovanni,  Roma. 

Sig.  Fossen  Pietro,  aiutante,  Pisa. 

Sig.  Cassetti  Michele,  aiutante,  Roma. 

Sig.  Moderni  Pompeo,  aiutante,  Roma. 

Personale  distaccato : 

Ing.  Mattirolo  Ettore,  Torino  (analisi  delle  roccie) 

Dott.  Canavari  Mario,  Pisa  (paleontologo). 

La  sede  dell’Ufficio  geologico  in  Roma  è nel  Museo  agrario-geologico, 
via  .Santa  Susanna,  n.  1-A. 


BOLLETTINO  DEL  R.  COMITATO  GEOLOGICO 

D’ ITALIA. 

Serie  IL  Voi.  IX.  Gennaio  e Febbraio  1888.  N.  1 e 2. 

SOMMARIO. 

Introduzione. 

Memorie  originali.  — I.  Sul  modo  di  formazione  dei  conglomerati  miocenici 
dell’Appennino  ligure,  di  L.  Mazzuoli.  — II.  Un  problema  stratigrafico  net 
Monte  Pisano,  di  B.  Lotti  (con  una  tavola).  — III.  Sui  terreni  attraversati 
dal  confine  franco-italiano  nelle  Alpi  Marittime,  di  A.  PORTIS.  — IV.  Contri- 
buzione allo  studio  petrografìco  dei  vulcani  viterbesi,  di  L.  Bucca. 

Notizie  diverse.  I fosfati  di  calce  nell’Algeria.  — L’amianto  del  Canada. 

Avviso  di  pubblicazione  della  Carta  geologica  d’Italia. 

Tavole  ed  incisioni.  — Tav.  I:  Sezioni  geologiche  nel  Monte  Pisano  (B.  Lotti), 
a pag.  42. 


Riassumiamo  brevemente  i risultati  ottenuti  nel  lavoro 
della  Carta  geologica  d’Italia  durante  l’anno  1887,  riman- 
dando al  solito  il  lettore  per  maggiori  dettagli  alla  Rela- 
zione annuale  che  sarà  presentata  dall’  Ispettore-capo,  diret- 
tore dei  lavori,  all’adunanza  del  R.  Comitato  Geologico  nella 
prossima  primavera. 

Incominciando  dai  lavori  di  campagna,  distinti  in  rile- 
vamenti a piccola  scala  o di  semplice  ricognizione,  .ed  in  ri- 
levamenti di  dettaglio  a grande  scala  1 per  25m  o 50m,  secondo 
i casi,  osserviamo  come  i primi  abbiano  essenzialmente  due 
scopi  ; e cioè  il  completamento  della  Carta  generale  in  piccola 
scala  (1  per  500m)  che  in  progresso  di  tempo  dovrà  essere 
pubblicata  e la  preparazione  a rilevamenti  di  dettaglio,  in 
quanto  servono  a stabilire  le  grandi  linee  tettoniche  di  una 
regione  ed  a limitare  la  serie  dei  terreni  che  in  essa  appa- 
riscono. A questo  duplice  scopo  vennero  i medesimi  assai 
spinti  nella  regione  delle  Alpi  occidentali  (Marittime,  Graie 
e Cozie),  dove  esistevano  ancora  molti  dubbi , studiando 


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anche  con  dettaglio  certe  parti  di  quella  importante  catena 
montuosa  in  relazione  con  i lavori  francesi  e svizzeri  sinora 
pubblicati.  I risultati  di  tale  studio  in  quella  regione  alpina 
furono  assai  interessanti,  in  quanto  poterono  stabilire  con 
sicurezza  la  serie  dei  terreni  in  essa  rappresentati,  oltre  a 
molti  fatti  importantissimi  di  tettonica,  la  cognizione  dei 
quali  costituisce  un  vero  progresso  nella  geologia  delle  Alpi 
occidentali,  sinora  tanto  controversa  fra  i geologi  delle  nazioni 
limitrofe.  Siffatti  risultati  furono  esposti  dall’ing.  Zaccagna  in 
un  suo  lavoro,  con  Carta  geologica  e tavole  di  sezioni,  inse- 
rito nel  fascicolo  ultimo  del  Bollettino  1887.  Altro  campo  di 
estesa  ricognizione  fù  gran  parte  dell’Appennino  tosco-roma- 
gnolo, dove  si  avevano  dubbi  intorno  al  riferimento  crono- 
logico di  un’ampia  zona  occupata  da  roccie  sinora  ritenute 
interamente  eoceniche;  e fu  riconosciuto  con  fatti  certi  che 
molta  parte  di  esse  va  riferita  al  miocene  (in  ispecie  quelle  del 
versante  adriatico)  mentre  dall’altro  lato  si  hanno  estesi  lembi 
di  epoca  certamente  cretacica.  Fra  siffatte  roccie  occupa  un 
posto  importante  il  cosidetto  macigno , il  quale  si  estenderebbe 
dal  Miocene  al  Cretacico  attraverso  tutto  l’Eocene.  Di  tali  in- 
novazioni nella  Carta  generale  dell’Italia  centrale  verrà  fra 
breve  resa  pubblica  la  ragione  da  parte  dell’  ing.  Lotti  e del 
paleontologo  dott.  Canavari,  che  ne  furono  gli  autori.  Ana- 
loghi rilevamenti  a grandi  tratti  furono  eseguiti  nell’ampia 
vallata  del  Tronto  e luoghi  circostanti,  dove  tanto  sviluppo 
hanno  i terreni  terziarii  e in  ispecie  il  Miocene;  sul  versante 
nord-orientale  della  Majella,  dove  fu  riconosciuta  l’età  eoce- 
nica di  quei  gessi  sinora  riferiti  al  Miocene  ; e finalmente 
nella  regione  delle  Puglie  compresa  tra  Barletta  e Brindisi, 
tanto  lungo  il  littorale  che  nell’  interno  delle  Murgie  sino  a 
Gravina  e Matera. 


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Risultato  immediato  di  siffatte  ricognizioni,  unite  a 
quelle  eseguite  negli  anni  precedenti,  fu  quello  di  migliorare 
assai  la  Carta  generale  in  piccola  scala  e ridurla  ad  esattezza 
sufficiente  da  potersi  ripubblicare  (essendo  quella  del  1881 
assai  imperfetta  ed  ora  anche  esaurita),  il  che  sperasi  di  poter 
fare  nel  primo  semestre  1888. 

Di  pari  passo  procedettero  i rilevamenti  di  dettaglio, 
specialmente  nell’ Italia  centrale  e meridionale,  dove  si  po- 
teva disporre  di  qualche  personale  non  ad  altro  occupato) 
compiendosi  T esame  generale  della  zona  mediterranea  dalla 
foce  della  Fiora,  presso  l’antico  confine  toscano-romano,  sino 
a Salerno,  e spingendosi  verso  l’Adriatico  nella  valle  del 
Pescara  sino  oltre  Popoli.  La  zona  specialmente  rilevata 
nel  1887  si  estende  su  gran  parte  dalle  provincie  di  Aquila, 
Caserta  e Napoli,  parzialmente  in  quelle  di  Teramo,  Chieti, 
Campobasso,  Benevento  e Salerno 

Nella  Toscana,  oltre  alle  estese  ricognizioni  anzi  indi- 
cate, furono  studiati  con  dettaglio  i dintorni  di  Firenze,  e in 
particolare  la  zona  a ponente  della  città  : l’area  rilevata  non 
fu  certamente  molto  estesa,  ma  si  ottennero  risultati  note- 
voli circa  la  classificazione  cronologica  di  terreni  finora  cre- 
duti esclusivamente  dell’Eocene.  — Uno  studio  dettagliato  fu 
pure  eseguito  nel  gruppo  della  Montagnola  Senese,  ricono- 
scendo l’età  triassica  di  quei  terreni,  con  perfetto  parallelismo 
fra  essi  e gli  analoghi  delle  Alpi  Apuane.  — Ulteriori  osser- 
vazioni ebbero  luogo  sulle  roccie  massiccie  del  Campigliese, 
da  cui  risultò  l’intimo  legame  tra  i graniti  e le  trachiti  di 
quei  dintorni  ; e così  pure  sui  giacimenti  di  cinabro  del  Monte 
Amiata,  risultando  con  molta  probabilità  che  i medesimi 
appartengono  a due  livelli  diversi,  l’uno  eocenico,  l’altro  cre- 
tacico. — Si  fece  infine  qualche  studio  dettagliato  nel  gruppo 


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di  Cetona,  pure  nella  Toscana  meridionale,  in  particolar  modo 
per  ricerche  paleontologiche  entro  terreni  giuresi  e liasici. 

Nella  estrema  Calabria  il  lavoro,  che  già  era  quasi  ul- 
timato sino  all’istmo  di  Catanzaro,  fu  poco  avanzato  a causa 
degli  incarichi  diversi  affidati  al  personale  colà  destinato,  e 
può  dirsi  che  il  rilevamento  regolare  non  fu  ripreso  se  non 
alla  fine  d’anno.  Con  tutto  ciò  si  riconobbero  vaste  regioni 
al  nord  di  Catanzaro,  anche  per  esercizio  del  personale  in 
parte  nuovo,  e si  fecero  rilevamenti  di  dettaglio  nelle  tavo- 
lette di  Catanzaro,  Badolato  e Cotrone. 

Un  lavoro  che  appartiene  alla  categoria  dei  rilevamenti 
di  dettaglio  è quello  della  Carta  gè  agnostico -idrografica  della 
vallata  del  Po,  che  procede  sotto  la  direzione  del  professore 
Taramelli  con  l’opera  di  speciali  osservatori.  Siffatto  lavoro 
ebbe  molto  sviluppo  nella  regione  piemontese  sulla  sinistra 
del  Po  per  opera  del  sig.  L.  Bruno  di  Ivrea,  e qualche  cosa 
si  fece  pure  sulla  destra  dal  dott.  Sacco  di  Torino  è in 
Lombardia  dallo  stesso  prof.  Taramelli.  Sperasi  peraltro  di 
svilupparlo  maggiormente  col  nuovo  anno,  comprendendovi 
anche  l’Emilia  e tutta  l’ampia  regione  del  delta  padano, 
almeno  sin  dove  lo  permetteranno  le  carte  topografiche  a 
grande  scala  sinora  pubblicate. 

Continuarono,  e in  parte  passarono  a compimento,  le 
ricerche  dei  nostri  geologi-operatori  per  forniture  di  acque 
d’irrigazione  nell’Emilia  e in  altre  parti  d’Italia;  talché  si 
spera  di  averne  presto  risultati  dinon  dubbia  importanza  pra- 
tica. Siffatti  studii,  se  da  una  parte  distrassero  parte  del  perso- 
nale dal  regolare  rilevamento  della  Carta  geologica,  dall’altra 
però  furono  utili  per  la  ricognizione  di  certe  regioni,  sulle 
quali  si  avevano  da  prima  idee  incomplete. 

Passando  alle  pubblicazioni,  oltre  alla  solita  del  Boi- 


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lettino  annuale,  si  ebbe  quella  di  un  terzo  volume  di  Me- 
morie descrittive  contenente  la  Relazione  sulle  miniere  di  ferro 
dell'  Isola  d'Elia  dell5  ingegnere  Fabri,  con  un  atlante  di 
tavole  in  grande  formato,  e si  preparò  quella  di  un  quarto 
volume  che  conterrà  la  descrizione  geologico-mineraria  del- 
Flglesiente  (Sardegna)  delFing.  Zoppi,  pure  corredato  di 
molte  tavole  e di  una  Carta  geologica  : contemporaneamente 
a quest’ultimo  sperasi  anche  di  pubblicare  uno  studio  del 
prof.  Meneghini  sui  fossili  dei  terreni  antichi  di  Sardegna, 
col  quale  e con  altro  lavoro  paleontologico  del  dott.  Ca- 
riava ri  verrà  ripresa  la  stampa  delle  antiche  memorie  in  grande 
formato.  - — Fu  pure  disposto  per  la  pubblicazione  dei  fogli  della 
Carta  d’Italia  al  100m,  sospesa  dopo  quella  della  Sicilia,  inco- 
minciando da  quelli  dei  dintorni  di  Roma  in  numero  di  sei, 
che  vedranno  la  luce  nel  1°  semestre  1888.  Contasi  pure 
di  avere  nello  stesso  periodo  la  seconda  edizione  migliorata 
e corretta  della  Carta  generale  in  scala  di  l/l  000  000,  es- 
sendo quella  del  1881  completa  mente  esani  ita.  Si  spera  poi  di 
pubblicare  entro  l’anno  anche  una  Carta  dettagliata  di  Roma 
e dintorni  alla  scala  di  1/25  000. 

Proseguirono  regolarmente  tutti  gli  altri  lavori  accessorii 
relativi  alla  Carta  geologica,  come  ordinamento  di  collezioni, 
aumento  della  Biblioteca  ed  Archivio  carte,  ecc.,  ecc.,  e spe- 
cialmente i lavori  paleontologici,  litologici  e chimici,  ese- 
guiti come  per  T addietro  nel  Museo  geologico  di  Pisa  e 
nella  Regia  Scuola  di  applicazione  per  gli  Ingegneri  in  To- 
rino. Ed  a proposito  di  questi  ultimi  giova  osservare  che, 
verificatosi- qualche  avanzo  nel  bilancio  a causa  della  dimi- 
nuita pubblicazione  di  carte,  si  spera  entro  il  nuovo  anno 
di  potere  fornire  l’Ufficio  Geologico  di  un  proprio  laboratorio 
chimico,  soddisfacendo  per  tal  modo  ad  un  voto  più  volte 


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espresso  dal  Comitato.  Si  osserva  poi  che  per  lo  studio  mi- 
croscopico delle  roccie  si  è già  in  parte  provveduto  nell’uf- 
ficio  stesso  con  l’opera  parziale  del  dott.  Bucca  addetto  al 
Museo  mineralogico  della  Regia  Università  di  Roma. 

Facciamo  ora  seguire  l’elenco  delle  tavolette  della  Carta 
generale  d’Italia  che  trova vansi  per  intiero  rilevate  geologica- 
mente alla  fine  del  1887.  Per  quello  dei  fogli  al  100  000  e 
delle  Carte  speciali  che  erano  pubblicate  in  detta  epoca,  veg- 
gasi  il  solito  annunzio  di  pubblicazione  alla  fine  del  fascicolo. 

NB.  - Si  indicano  con  carattere  maiuscolo  il  nome  dei  fogli,  col 
rotondo  ordinario  quello  delle  tavolette  alla  scala  di  1 per  50  000  e 
con  carattere  corsivo  quello  delle  tavolette  alla  scala  di  1 per  25  000. 

Foglio  N.  42.  Ivrea  ( Ivrea , Strambino , Castellamonte). 

» 43.  Biella  (Gattinara,  Carpignano , Roasenda  ; Arboro,  Vii - 

lata , San  Gennaro , Buronzo ; Salussola , Santhià , Bor- 
gomasino,  Azeglio ; Cossato ). 

» 56.  Torino  ( Caluso , Chivasso , Volpiano , Rivarolo;  Gassino ; 

Venaria  Reale , Torino , Rivoli , Pianezza). 

» 67.  Pinerolo  (Cavour;  Monte  Viso). 

» 68.  Carmagnola  (Villanova  Solano). 

» 79.  Dronero  (Sampeyre). 

» 80.  Cuneo  (Cheraseo , Bene  Vagienna , Marene ; Mondovì , 

Villanova , Morozzo  ; Beinette). 

» 81.  Ceva  (Ceva). 

» 91.  Boves  (Frabosa  Soprana  ; Ormea;  Boves). 

» 92.  Albenga  (Garessio). 

» 95.  Spezia  (Vejzzano,  Lerici , Portovenere , Spezia). 

» 96.  Massa  (Castelnuovo  di  Garfagnana , Gallicano , Monte 

Altissimo,  Vagli  ddT~S otto;  Monte  Sagro , Massa, 
Ameglia,  Sarzana).  . 

» 97.  Bagni  di  Lucca  ( Pracehia , S.  Marcello  Pistojese ; Bagni 

di  Lucca,  Barga). 

» 104.  Pisa  ( Pescaglia , Massarosa , Viareggio,  Pietrasanta ; Vec- 

ehiano,  Pisa,  S.  Rossore , Torre  del  Lago;  Forte  dei 
Marmi).  — Completo. 


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Foglio  N.  105.  Lucca  ( Pistoia , Serravalle  Pistoiese , Buggiano  Mar- 
liana;  Lamporecchio,  San  Miniato , Fucecchio , Padule 
di  Fucecchio ; Attopascio , Vicopisano,  Cascina , Monte 
Serra ; Villa  Basilica , Pescia , Lucca,  Borgo  a Moz- 
zano). — Completo. 

» 106.  Firenze  (Campi  Bisenzio , Aa  Romola , Montelupo,  Car- 

mi guano). 

» 111.  Livorno  (Guasticceì  Saldano,  Livorno,  Tombolo;  Mon- 

tenero). — Completo. 

» 112.  Volterra  (Castelnuovo,  Montajone,  Peccioli,  Pala; a ; 

Volterra;  Rosignano  Marittimo;  Pontedera , Lari,  Fau- 
glia,  Colle  Salvetti).  — Completo. 

» 126.  Isola  d’Elba  (Capo  Castello;  Portolongone,  Capoliveri, 

Marina  di  Campo,  Portoferrajo ; Marciana,  Pomonte ; 
Lsola  di  Capraja).  — Completo. 

» 139.  Aquila  degli  Abruzzi  (Aquila  degli  Abruzzi;  Antrodoco). 

» 140.  Teramo  (Gran  Sasso  d’Italia). 

» 142.  Civitavecchia  (Corneto  Tarquinia;  Tolfa , Santa  Mari- 

nella, Torre  Marangone,  Civitavecchia ; Torre  di  Mon- 
talto).  — Completo. 

» 143.  Bracciano  (Ronciglione;  Campagnano  di  Roma,  Formello, 

Santa  Maria  di  Galera,  Anguillara ; Bracciano,  Ca- 
stel Giuliano,  Santa  Severa,  Bagni  di  Stigliano ; Ve- 
tralla).  — Completo. 

» 144.  Palombara  Sabina  (Fara  in  Sabina;  Orvinio,  Vicovaro, 

Palombara  Sabina,  Montelibretti ; Passo  Corese,  Mon- 
terotondo, Casale  Marcigliana,  Castelnuovo  di  Porto ; 
Poggio  Mirteto).  — Completo. 

» 145.  Avezzano  (Borgocollefegato;  Avezzano;  Carsoli;  Fiami- 

gnano).  — Completo. 

» 146.  Solmona  (Popoli;  Solmona;  Celano;  Barisciano).  - Completo. 

» 149.  Cerveteri  (Monte  Mario,  Maglianella,  Maccarese,  Tor- 

rimpietra;  Ponte  Galera,  Castelporziano,  Foce  del 
Tevere,  Fiumicino;  Cerveteri,  Torre  Palidovo,  Fur- 
bara).  — Completo. 

» 150.  Roma  (Castelmadama,  Palestrina,  Colonna,  Tivoli;  Vai- 

montone,  Artena , Velletri,  Rocca  di  Papa;  Frascati, 
Albano  Laziale,  Castel  Romano,  Cecchignola ; Torre 
Cervaro , Cervelletta,  Roma,  Castelgiubileo).  - Completo. 


— 8 — 


Foglio  N.  151.  ìVlatri  (Cìvitellaroveto;  Alatri;  Anagni;  Subiaco.)  — 
Completo. 

» 152.  Sora  (Scanno;  Alvito;  Sora;  Trasacco),  — Completo. 

» 158.  Cori  (Cori;  Fogliano;  Nettuno;  Ardea).  — Completo. 

» 159.  Frosinone  (Frosinone;  Fondi;  Sezze;  Carpineto  Romano). 

— Completo. 

» 160.  Cassino  (Atina;  Cassino;  Pontecorvo;  Arpino).  — Com- 

pleto. 

» 161.  Isernia  (Piedimonte  d’Alife;  Venafro). 

» 164.  Foggia  (Foggia). 

» 170.  Terracina  (Terracina;  S.  Felice  Circeo). 

» 171.  Gaeta  (Sessa  Aurtinca;  Mondragone;  Gaeta).  — Completo. 

» 172.  Caserta  (Cajazzo;  Caserta;  Casal  di  Principe;  Teano).  — 

Completo. 

» 173.  Benevento  (S.  Giorgio  la  Molara;  Cervinara;  Cerreto 

Sannita). 

» 183.  Isola  dTschia  (Isola  dTschia).  — Completo. 

» 184.  Napoli  (Napoli;  Monte  Vesuvio;  Pozzuoli;  Marano  di 

Napoli).  — Completo. 

» 185.  Salerno  (Castellammare  di  Stabia;  Nola). 

» 196.  Vico  Equense  (Vico  Equense).  — Completo. 

» 197.  Amalfi  (Amalfi). 

» 241.  Nicastro  (Filadelfia;  Monteleone  di  Calabria). 

» 242.  Catanzaro  (Borgia). 

» 245.  Palmi  (Palmi). 

» 246.  Cittanova  (Caulonia;  Cittanova). 

» 247.  Badolato  (Stilo;  Badolato).  — Completo. 

» 254.  Messina  (Bagnara  Calabra;  S.  Lorenzo;  Reggio  di  Ca- 

labria; Messina).  — Completo. 

» 255.  Gerace  (Gerace;  Bianco;  Ardore).  — Completo. 

» 263.  Bova  (Bova;  Capo  dell’ Armi).  — Completo. 

» 264.  Staiti  (Staiti).  — Completo. 

ISOLA  DI  SICILIA.  — Completamente  rilevata  e pubblicata  nei  se- 
guenti fogli  : 

N.  244.  (Isole  Eolie)  N.  248.  (Trapani)  N.  249.  (Palermo) 

» 250.  (Bagheria)  » 251.  (Cefalù)  » 252.  (Naso) 

» 253.  (Castroreale)  » 254.  (Messina)  » 256.  (Isole  Egadi) 


— 9 — 


N.  257.  (Castelvetrano)  N.  258.  (Corleone)  N.  259.  (Termini  Imer.) 

» 260.  (Nicosia)  » 261.  (Bronte)  » 262.  (Monte  Etna) 

» 265.  (Mazzara  del  Vallo)  » 266.  (Sciacca)  » 267.  (Canicattì) 

» 268.  (Caltanissetta)  » 269.  (Paternò)  » 270.  (Catania) 

» 271.  (Girgenti)  » 272.  (Terranova)  » 273.  (Caltagirone) 

» 274.  (Siracusa)  » 275.  (Scoglitti)  » 276.  (Modica) 

» 277.  (Noto) 

NB.  - Come  dipendenze  della  Sicilia  restano  a rilevarsi  le  Isole 
Pelagie  (Pantelleria,  Lampedusa,  Linosa  e Lampione). 


MEMORIE  ORIGINALI 

I. 

Sul  modo  di  formazione  dei  conglomerati  miocenici  dell'  Ap- 
pennino ligure;  nota  di  L.  Mazzuoli. 

In  una  pubblicazione  fatta  alcuni  anni  addietro  dal  prof.  Issel  e da 
me,  1 nella  quale  si  aveva  principalmente  per  scopo  lo  studio  della  zona 
di  coincidenza  delle  formazioni  serpentinose  eoceniche  e trmsiche  della 
Liguria  occidentale,  si  accennava  incidentalmente  ai  conglomerati  mio- 
cenici che  si  distendono  sulla  falda  settentrionale  dell’Appennino,  fra  la 
valle  della  Scrivia  e quella  della  Stura  di  Ovada,  indicando  in  modo 
molto  sommario  una  ipotesi  sulla  loro  origine.  Nei  diversi  rilievi  geo- 
logici compiuti  negli  anni  successivi  avendo  dovuto  percorrere  altre 
regioni  in  cui  quei  conglomerati  si  manifestano,  credo  opportuno  di 
riassumere  ora  qui  le  osservazioni  fatti  sul  terreno.  Dopo  di  che  e dopo 
avere  dimostrato  come  V ipotesi  avanzata  dal  compianto  Gastaldi  sul- 
l’origine glaciale  dei  conglomerati  miocenici  sia,  a parer  mio,  inconci- 
liabile coi  fatti  osservati,  darò  più  ampio  sviluppo  all’ipotesi  espressa 
nella  succitata  pubblicazione  e proverò  come  con  quella  si  possa  tro- 

1 Mazzuoli  ed  Issel,  Nota  sulla  zona  di  coincidenza  delle  formazioni  ojìo- 
litiche  eocenica  e triasica  della  Liguria  occidentale  (Boll,  del  R.  Com.  Geol., 
n.  1-2,  1884). 


— 10- 


vare,  per  quanto  a me  sembra,  una  spiegazione  soddisfacente  del  modo 
di  essere  dell’interessante  formazione  che  sta  alla  base  del  miocene 
inferiore. 

Descrizione  dei  conglomerati. 

Per  procedere  con  ordine  descriverò  prima  i conglomerati  del  ver- 
sante settentrionale  dell’Appennino,  poi  quelli  del  versante  meridionale, 
seguendoli  da  levante  a ponente,  secondo  che  vedonsi  delineati  nella 
carta  geologica  delle  Riviere  Liguri  e delle  Alpi  Marittime  di  Issel, 
Mazzuoli  e Zaccagna  pubblicata  nel  maggio  dell’anno  decorsp. 

Risalendo  la  valle  della  Borbera  per  la  strada  rotabile  che  da  Ser- 
ravalle  Seri  via  conduce  a Rocchetta  Ligure,  si  attraversa  dapprima  una 
ubertosa  pianura  leggermente  ondulata,  la  quale  è costituita  dai  depo- 
siti arenacei  ed  argillosi  del  Miocene  medio.  Oltrepassati  di  poco  i 
casolari  di  Persi  la  valle  diviene  ad  un  tratto  molto  angusta,  e le  pen- 
dici montuose,  brulle  e scoscese  danno  al  paesaggio  un  marcato  carat- 
tere alpestre.  Sì  brusco  cambiamento  è dovuto  ai  conglomerati  del  Mio- 
cene inferiore,  i quali  per  la  loro  grande  tenacità,  presentano  diffìcile 
presa  agli  agenti  meteorici  e non  Si  lasciano  attraversare  dai  corsi  di 
acqua  che  con  solchi  molto  stretti  e profondamente  incassati.  In  questa 
regione  i conglomerati  appariscono  formati  da  cògoli  di  svariate  dimen- 
sioni; però  i frammenti  grossi  sono  in  prevalenza  e spesso  se  ne  hanno 
dei  grossissimi.  I ciottoli  sono  di  natura  o calcarea  o arenacea  o sci- 
stosa; essi  rappresentano  cioè  le  roccie  del  vicino  Eocene.  Fra  quello 
sfasciume,  solidamente  cementato,  vedonsi  di  tratto  in  tratto  strate- 
relli  di  un’arenaria  finissima,  la  quale  fa  singolare  contrasto  coi  volu- 
minosi cògoli  da  cui  è circondata. 

Alla  confluenza  del  Bizante  colla  Borbera  la  valle  si  allarga  di 
nuovo,  i villaggi  ritornano  ad  essere-itequenti,  e sui  dolci  declivi  dei 
colli  l’agricoltore  ritrova  terreni  adatti  all’arte  sua.  Tutto  ciò  dipende 
dacché,  attraversati  i conglomerati  miocenici,  si  è entrati  nella  forma- 
zione dell’Eocene  inferiore,  la  quale,  per  i fossili  che  ivi  racchiude,  do- 
vrebbe forse  meglio  ascriversi  al  nummulitico.  Però  mentre  i calcari, 
le  arenarie,  e gli  scisti  nummulitici  si  estendono  verso  levante  a per- 
dita di  vista,  dal  lato  di  ponente  invece  si  osserva  una  specie  di  mu 


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paglione  ciclopico  di  quasi  400  metri  di  altezza,  il  quale  si  innalza  pres- 
soché verticalmente  sul  fondo  della  valle.  Quel  muraglione  corrisponde 
all’estremo  limite  della  formazione  conglomeratica,  il  cui  confine  col 
sottostante  nummulitico  si  dirige  all’ incirca  N-S,  e coincide  quasi  esat- 
tamente, nella  nuova  Carta  dello  Stato  Maggiore  a curve  orizzontali 
(foglio  di  Rocchetta  Ligure,  scala  di  1:  25  000),  colla  linea  che  separa 
la  parte  molto  scura  da  quella  chiara;  giacché  appena  cessano  i con- 
glomerati, le  curve,  prima  quasi  contigue,  si  allargano  notevolmente. 
Il  detto  confine,  dopo  essere  rimasto  parallelo  all’asse  dei  torrenti  Bor- 
bera  e Sisola,  in  faccia  al  villaggio  di  Pagliaro  superiore  si  ripiega  gra- 
datamente verso  Sud-Ovest;  quindi  lambendo  i casolari  di  Roccaforte, 
si  dirige  ad  occidente  e con  alcune  flessuosità  raggiunge  la  Scrivia 
presso  Pietrabissara. 

A Pietrabissara,  lungo  la  vallata  del  Rio  Borlasca,  si  hanno  in  at- 
tività, aperte  nei  conglomerati  miocenici,  diverse  cave,  da  cui  si  otten- 
gono buone  pietre  da  lavoro.  Con  queste  cave  si  utilizzano  i banchi  arena- 
cei frapposti  ai  veri  conglomerati,  i quali  sono  quivi  formati  da  ciottoli 
di  piccole  dimensioni;  fra  i ciottoli  predomina  l’elemento  ofiolitico. 

Da  Pietrabissara  la  linea  di  confine  fra  l’Eocene  e il  conglomerato 
miocenico  si  dirige  verso  Sud  e descrivendo  un’ampia  curva  raggiunge 
il  monte  Alpe  per  poi  discendere  a Voltaggio.  In  questo  tratto  conti- 
nuano a prevalere  sugli  altri  i ciottoli  ofìolitici  ; però  in  alcune  località 
anche  i cògoli  calcarei  e scistosi  sono  assai  abbondanti. 

Prima  di  lasciare  la  valle  Scrivia  devo  far  parola  di  due  grandi 
isole  di  conglomerato,  che  distinguerò  coi  nomi  di  Monte  Maggio  e 
Monte  Reale.  Queste  due  isole,  che  dovevano  già  essere  riunite,  rima- 
sero verosimilmente  disgiunte  per  le  erosioni  verificatesi  lungo  la  valle 
della  Seminella. 

L’isola  di  Monte  Maggio  vedesi  in  tutto  il  suo  contorno  terminata 
da  una  specie  di  muraglione  quasi  a picco,  che  si  erge  per  circa 
200  metri  di  altezza  sulle  sottostanti  formazioni  eoceniche.  Ne  consegue 
che  la  superficie  superiore  dell’isola  è di  difficilissimo  accesso;  questa 
circostanza,  congiunta  colla  naturale  aridità  della  roccia,  è causa  che 
nella  regione  occupata  dall’isola  regna  una  grande  sterilità,  per  cui 
ivi  mancano  strade  e villaggi.  Invece  tanto  le  prime  che  i secondi  si 
incontrano  tosto  che  alle  pareti  scoscese  e dirupate  del  conglomerato 


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succedono  i dossi  tondeggianti  dell’Eocene;  cosi  il  confine  tra  le  due  for- 
mazioni coincide  di  frequente  coi  sentieri  che  pongono  in  comunicazione 
tra  loro  i gruppi  di  casolari  situati  al  piede  dei  muraglioni  miocenici. 

Lungo  il  confine  orientale  dell’ isola  nei  pressi  di  Sorrive,  il  conglo- 
merato apparisce  costituito  da  frammenti  di  diverse  forme  e dimensioni, 
cogli  spigoli  il  più  delle  volte  arrotondati.  I cògoli,  il  cui  volume  su- 
pera difficilmente  i 2 o 3 decimetri  cubi,  sono  per  la  massima  parte 
di  calcare  eocenico,  con  qualche  raro  e piccolo  frammento  di  diabase; 
essi  stanno  solidamente  collegati  tra  loro  da  un  cemento  siliceo;  ed  è j 
appunto  alla  grande  tenacità  di  questo  cemento  che  io  credo  dovuta 
1’esistenza  stessa  non  solo  di  questa,  ma  di  tutte  le  altre  isole  mioce- 
niche di  cui  farò  menzione  più  innanzi. 

Presso  i casolari  di  Monte  Maggio  si  coltiva  una  cava  di  pietre 
da  lavoro  di  qualità  quasi  uguale  a quella  dei  materiali  che  si  estrag- 
gono dalle  cave  di  Pietrabissara. 

A Nord  del  paese  di  Savignone  i cògoli  diabasici  vanno  via  via 
divenendo  più  frequenti  e più  voluminosi. 

Nei  pressi  di  Croce  Fieschi,  sulla  stretta  falda  eocenica  esistente 
tra  le  isole  di  Monte  'Maggio  e di  Monte  Reale,  si  osservano  grossi 
frammenti  isolati  di  conglomerato,  i quali,  mentre  comprovano  l’antico  ] 
congiungimenti  delle  due  isole,  devono  considerarsi  come  residui  sfug- 
giti alle  azioni  erosive,  che  ivi  si  svilupparono  con  tale  potenza  da 
aprire  in  una  roccia  tenacissima  una  valle  profonda. 

L’ isola  di  Monte  Reale  si  presenta  in  condizioni  affatto  simili  a 1 
quelle  già  indicate  per  l’isola  di  Monte  Maggio.  Anche  qui  si  hanno  j 
lungo  i contorni  dell’isola  le  solite  pareti  a picco;  anche  qui  ai  cò- 
goli, prevalentemente  calcarei  e scistosi  della  falda  orientale,  si  asso- 
ciano frammenti  diabasici,  a mano  a mano  che  ci  si  avvicina  a quella  ; 
occidentale.  Quest’isola  è attraversata  in  direzione  Sud-Est-Nord-Ovest 
dalla  valle  di  Vobia,  la  quale  è così  profóndamente  incassata  che  spesso 
sul  suo  fondo  presenta  appena  5 a 6 metri  di  larghezza.  Tanta  ristret-  ; 
tezza,  congiunta  alla  grande  pendenza  delle  nude  pareti,  dà  a questa  J 
parte  della  valle  di  Vobia  un  aspetto  così  orrido  e desolato,  come  mai 
ne  vidi  di  simile  in  tutto  il  resto  della  Liguria.  Sul  versante  destro  di 
questa  valle  è posto  il  Castello  di  Pietra , avanzo  pittoresco  di  una 
costruzione  medioevale  eseguita  in  un  luogo  sommamente  dirupato. 

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A Nord  dell’isola  di  Monte  Reale  si  hanno  le  altre  due  piccole  isole 
di  Monte  Castellazzo  e di  Monte  Canne,  di  cui  basta  fare  appena 
menzione. 

Procedendo  verso  Ovest,  sulla  sommità  del  contrafforte  che  separa 
la  valle  della  Scrivia  da  quella  del  Lemmo,  si  trova  l’isolotto  di  Monte 
Fiaccone,  costituito  da  grossi  massi  di  roccie  serpentinose.  Un  centi- 
naio di  metri  più  innanzi  s’incontra  un  enorme  blocco  formato  da  una 
roccia  cristallina,  molto  mineralizzata  con  minerale  di  ferro.  Esso  sembra 
penetrare  negli  scisti  rasati  eocenici  sui  quali  riposa.  La  parte  fuori  del 
suolo  presenta  un  volume  di  quasi  60  metri  cubi.  Evidentemente  questo 
masso  deve  considerarsi  come  un  elemento  di  una  porzione  di  conglo- 
merato disfatta  dalle  erosioni. 

Due  altri  piccolissimi  lembi  di  conglomerato  esistono  nella  valle 
dell’ Acquastriata;  il  più  basso  trovasi  sulla  sponda  sinistra  di  una  val- 
lecola  che  discendendo  da  Sud  a Nord  si  congiunge  colla  valle  princi- 
pale a circa  650  metri  verso  levante  della  cascina  Carrosina;  la  sua 
altitudine  è di  circa  500  metri.  L’  altro,  più  esteso  e più  elevato  del 
primo,  s’ incontra  alle  prime  origini  della  valle,  a circa  250  metri  verso 
Nord  dalla  cascina  suddetta.  Anche  in  questi  lembi  i cògoli  sono  esclu- 
sivamente di  roccie  serpentinose.  Si  noti  qui  che  la  serpentina  è la 
roccia  di  gran  lunga  predominante  in  tutta  la  valle  dell’ Acquastriata. 

Riprendendo  presso  Voltaggio  la  linea  di  confine  del  Miocene  in- 
feriore colle  formazioni  più  antiche,  dirò  che  quella  linea,  dopo  essersi 
spinta  a Nord  per  circondare  una  specie  di  promontorio  eocenico, 
si  ripiega  verso  Sud  e viene  sul  versante  destro  del  Morsone  ad  ap- 
poggiarsi sull’estrema  pendice  settentrionale  della  grande  formazione 
serpentinosa,  che  costituisce  quella  parte  della  Riviera  di  Ponente  com- 
presa fra  la  valle  del  Chiaravagna  e Varazze,  e che  vedesi  esattamente 
indicata  nella  già  citata  carta  geologica.  Essendo  tale  formazione  in- 
terposta a scisti  grigi  talcosi,  a cloritoscisti,  a calcescisti,  a quarziti, 
ad  anageniti  e ad  altri  elementi  di  quella  serie  rocciosa  che  si  trova 
in  intimi  legami  col  soprastante  calcare  dolomitico,  contenente  i fossili 
caratteristici  del  Trias  medio,  ne  consegue  che  essa  deve  considerarsi 
come  prodottasi  durante  il  Trias  inferiore,  ciò  che  fu  dal  prof.  Issel  e 
da  me  ampiamente  dimostrato  in  precedenti  pubblicazioni. 

Nella  valle  del  Morsone  il  conglomerato  è costituito  quasi  esclusi- 


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vamente  da  massi  serpentinosi  ; la  sua  potenza,  misurata  dal  fondo 
della  valle,  raggiunge  talora  i 400  metri.  La  linea  di  confine  dopo  es- 
sere risalita  sulla  pendice  settentrionale  del  Monte  Tobbio,  discende 
in  vai  Gorsente  e rimane  per  circa  4 chilometri  prossima  al  corso  di 
questo  torrente  ; quindi,  continuando  a dirigersi  verso  Ovest,  raggiunge 
la  valle  di  Stura  a circa  2 chilometri  a monte  di  Ovada.  In  tutto  questo 
tratto  i massi  hanno  grandi  dimensioni  e spesso  misurano  più  metri 
cubi  di  volume;  la  loro  natura  corrisponde  sempre  a quella  delle  roccie 
che  costituiscono  la  catena  montuosa  su  cui  i conglomerati  si  ap- 
poggiano. 

Fra  la  valle  di  Stura  e quella  delfi  Erro  il  limite  fra  il  Miocene 
inferiore  e le  formazioni  antiche  apparisce  molto  frastagliato.  Dopo 
quest’ultima  valle  la  linea  di  confine  presenta,  è vero,  molte  sinuosità; 
ma  il  suo  andamento  generale  è pressoché  parallelo  a quello  della 
Bormida  di  Spigno,  si  dirige  cioè  all’incirca  da  Nord  a Sud.  Anche  qui, 
lungo  il  contatto  tra  il  Miocene  e le  formazioni  triasiche,  s’incontrano 
spesso  massi  di  grande  volume,  i quali  o fanno  ancora  parte  del  con- 
glomerato o stanno  nelle  sue  vicinanze,  quali  residui  di  lembi  disfatti 
dalle  erosioni.  Un  bell’esempio  di  massi  appartenenti  a quest’ultima 
categoria  si  osserva  nel  Prà  Garbarino,  presso  il  torrente  Miojola  con- 
fluente dell"’ Erro,  a circa  250  metri  a valle  delle  cascine  Premanè.  Ivi 
si  vede  un  grosso  blocco  di  quarzite,  appena  appoggiato  sul  suolo, 
cogli  spigoli  smussati,  del  volume  di  circa  50  metri  cubi.  Sul  letto  del 
vicino  torrente  esistono  molti  altri  massi,  ma  di  più  piccole  dimensioni. 

E da  notare  che  nella  valle  di  Bormida  il  Miocene  inferiore  as- 
sume una  larghezza  assai  superiore  a quella  che  presenta  nella  re- 
gione già  descritta;  però  non  conviene  credere  che  tutta  quella  distesa 
miocenica  sia  occupata  dal  conglomerato,  mentre  essa  è per  la  mas- 
sima parte  costituita  da  arenarie  e mollasse  a grana  finissima.  Il  con- 
glomerato rimane  per  lo  più  limitatomi  una  stretta  fascia  che  circonda 
le  roccie  triasiche,  o riapparisce  intorno  a quelle  masse  rocciose  che 
affiorano  ripetutamente  lungo  la  Bormida  tra  Dego  e Spigno.  Fra  questi 
affioraménti  meritano  di  essere  ricordati  quelli  situati  nei  pressi  di 
Piana  Crixia,  i quali  si  trovano  in  relazione  con  una  zona  conglome- 
ratica  molto  istruttiva  e che  fa  d’uopo  esaminare  con  qualche  dettaglio. 

Dalla  stazione  ferroviaria  di  Piana  Crixia  risalendo  la  valle  della 


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Bormida,  si  osserva  che  questa  ripiega  il  suo  corso  secondo  diverse 
curve  molto  pronunziate,  colla  prima  delle  quali  circonda  quello  sprone 
roccioso  su  cui  è posto  l’antico  borgo  di  Piana.  In  questa  località  il 
letto  della  Bormida  è profondamente  incassato,  in  modo  che  la  diffe- 
renza di  livello  fra  l’alveo  del  fiume  e il  piano  su  cui  venne  costruito 
il  borgo  di  Piana  è di  circa  40  metri.  Quello  sprone  è costituito  da 
un  conglomerato  formato  da  blocchi  di  enorme  dimensione,  confusi 
con  frammenti  di  ogni  grandezza.  La  natura  dei  detriti  è assai  varia, 
però  l’anfìbolite  è la  roccia  predominante.  Per  quanto  questa  imponente 
massa  detritica  sia  solidamente  cementata,  pure  le  azioni  meteoriche 
tendono  a disaggregare  la  ripida  superfìcie  di  quell’argine  immane,  e 
talvolta  accade  che  qualche  grosso  masso  del  conglomerato,  venendo 
ad  essere  isolato  e fuori  d’equilibrio,  precipita  sul  letto  del  fiume,  ed 
ivi  rimane,  non  potendo  la  corrente  avere  forza  bastante  per  smuoverlo. 
Uno  di  questi  blocchi,  di  una  forma  presso  che  sferoidale,  del  volume 
di  circa  una  trentina  di  metri  cubi,  a mano  a mano  che  per  il  disfa- 
cimento di  quell’argine  veniva  a trovarsi  allo  scoperto,  difese  dall’ero- 
sione una  porzione  del  conglomerato  ad  esso  sottostante,  e coll’andar 
del  tempo  finì  per  non  restare  appoggiato  che  sopra  una  specie  di 
tronco  di  cono  formato  dal  conglomerato  protetto;  e siccome  la  base 
superiore  di  quel  tronco  presenta  una  superfìcie  assai  minore  della 
superficie  inferiore  del  masso,  così  questo  finì  per  assumere  l’appa- 
renza di  un  cappello  di  un  fungo  colossale,  il  cui  gambo  sarebbe  rap- 
presentato dal  tronco  suddetto.  Insomma  si  è qui  verificato  un  feno- 
meno che  ha  molta  analogia  con  quello  delle  tavole  dei  ghiacciai. 

Discendendo  dal  borgo  di  Piana  sulla  strada  provinciale,  in  mezzo 
alla  massa  dei  conglomerati  si  osserva  un  grosso  banco  di  arenaria 
che  si  può  seguire  per  una  notevole  lunghezza. 

A partire  da  Carcare  la  solita  linea  di  confine  si  dirige  nuova- 
mente verso  Ovest  ed  ha  termine  al  suo  incontro  colla  valle  dell’ Ellero, 
la  quale  segna  il  limite  orientale  di  quell’enorme  deposito  alluvionale 
che  riempie  la  grande  pianura  esistente  fra  Torino  e Cuneo.  In  tutto 
questo  lungo  tratto  il  conglomerato  si  presenta  sempre  colle  stesse 
modalità,  ricinge  cioè  a guisa  di  fascia  le  formazioni  antiche  su  cui 
si  appoggia,  e da  cui  vennero  tratti  gli  elementi  che  lo  costituiscono; 
però  i cògoli  sono  d’ordinario  poco  voluminosi,  nè  più  si  osservano 


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con  frequenza  quei  grossi  massi  tanto  comuni  nei  pressi  della  forma- 
zione serpentinosa. 

A viemmeglio  riconoscere  Pintima  connessione  esistente  fra  il 
conglomerato  e le  roccie  più  antiche  conviene  portarsi  nella  valle  del 
Tanaro,  un  po’  a monte  di  Bagnasco.  Ivi  il  Miocene  si  adagia  sul 
calcare  dolomitico  del  Trias  medio;  ebbene  in  quella  località  il  con- 
glomerato è quasi  esclusivamente  formato  da  frammenti  del  detto  calcare. 

Dovrei  qui  occuparmi  delle  diverse  isole  di  conglomerati  esistenti 
fra  la  valle  della  Stura  di  Ovada  e quella  della.  Bormida  di  Spigno; 
ma  per  non  allungarmi  di  troppo  farò  appena  cenno  dell’isola  di  Sas- 
sello,  la  quale,  berchè  importante  per  la  sua  estensione  e per  i fossili 
che  racchiude,  pure  essendo  quasi  esclusivamente  costituita  da  mollasse, 
non  presenta  grande  interesse  per  lo  studio  che  ne  occupa. 

Passerò  ora  sul  versante  meridionale  dell’Appennino  ligure,  dove 
invece  .dell’ininterrotto  manto  miocenico,  che  si  distende  su  quello  op- 
posto, non  si  hanno  che  pochi  lembi  isolati,  i quali  ci  rappresentano 
i residui  di  una  formazione  continua. 

II.  lembo  più  orientale  è quello  che  costituisce  l’estrema  sporgenza 
del  promontorio  di  Portofino.  Qui  il  conglomerato  si  appoggia  sui 
calcari  e sugli  scisti  eocenici,  e si  presenta  in  strati  dello  spessore 
complessivo  di  circa  150  metri,  regolarmente  inclinati  verso  il  mare, 
cioè  verso  Sud.  Mentre  poi  quella  parte  di  crinale,  che  è formata  dal- 
l’ Eocene,  ha  un  andamento  quasi  pianeggiante,  là  ove  comincia  il  con- 
glomerato la  linea  spartiacque  si  rialza  bruscamente;  per  modo  che 
il  confine  tra  le  due  formazioni  può  essere  rilevato  anche  a grande 
distanza.  I ciottoli  del  conglomerato  sono  principalmente  di  piccoli 
calcari  e di  scisti  eocenici;  però  si  osservano  talvolta  fra  essi  alcuni 
frammenti  di  roccie  ofiolitiche,  i quali  appariscono  più  frequenti  e più 
voluminosi  presso  la  località  detta  Le  Pietre  Strette , la  cui  altitudine 
è di  circa  450  metri.  Discendendo  vm*so  il  paese  di  Portofino  i cògoli 
ofiolitici  vanno  via  via  divenendo  più  rari. 

Procedendo  verso  Ovest  s’incontra  un’altra  importante  isola  di  con- 
glomerato fra  Varazze  e Albissola.  Questo  conglomerato  è format  - da 
frammenti,  talora  di  grandi  dimensioni,  di  serpentina,  di  quarzite,  di 
scisti  talcosi  ; vi  è così  rappresentata  tutta  quella  serie  rocciosa  che 
ivi  costituisce  il  Trias  inferiore  su  cui  il  Miocene  si  appoggia.  Fa 


17  — 


cl’uopo  poi  notare  che  verso  Albissola  cessano  nel  conglomerato  i cògoli 
ofiolitici,  i quali  sono  sostituiti  da  ciottoli  di  anfibolite  e di  appenninite 
derivanti  dalle  rocche  del  vicino  Permiano.  E pure  rimarchevole  il  fatto 
che  nelle  sezioni  naturali,  in  mezzo  a potenti  banchi  con  cògoli  di 
grandi  dimensioni,  si  osservano,  qui  come  altrove,  depositi  arenacei 
lenticolari  talvolta  di  ragguardevole  spessore  e di  pochi  metri  di  lun- 
ghezza. 

A qualche  distanza  dal  mare  si  hanno  diversi  altri  lembi  di  Mio- 
cene inferiore,  i quali  furono  accuratamente  descritti  dal  mio  collega 
prof.  Issel  in  una  sua  recnnte  pubblicazione,  in  cui  diede  pure  interes- 
santi notizie  sopra  quelle  parti  della  medesima  formazione  che  trovansi 
comprese  nei  fogli  di  Cairo  Montenotte  e Varazze,  della  Carta  topo- 
grafica militare.  1 

Da  questa  rapida  rassegna  dei  conglomerati  miocenici  risultano 
due  fatti  che  fa  d’uopo  porre  bene  in  rilievo,  e che  consistono  : 

1°  nell’intimo  legame  generalmente  esistente  fra  la  natura  dei 
cògoli  e quella  delle  roccie  su  cui  i conglomerati  si  appoggiano; 

2°  nella  disposizione  stessa  dei  conglomerati,  i quali  abitual- 
mente ricingono  a guisa  di  fascia  le  sottostanti  formazioni. 

Come  non  si  possa  ammettere  l’ipotesi  di  un  trasporto  glaciale 
degli  elementi  dei  conglomerati. 

L’ipotesi  sull’origine  glaciale  dei  conglomerati  miocenici  del  Pie- 
monte fu,  come  ho  già  detto,  avanzata  e sviluppata  dal  Gastaldi  in  un 
suo  interessante  lavoro  2 di  cui  credo  opportuno  dare  qui  un  breve 
sunto,  limitato  a quelle  parti  della  memoria  che  hanno  più  diretta  re- 
lazione colla  tesi  che  mi  sono  proposto  di  svolgere. 

L’esimio  geologo,  dopo  aver  dichiarato  che  i conglomerati  della 
Collina  di  Torino  sono  strati  marini  del  Miocene,  ce  ne  porge  una  ac- 

1 A.  ISSEL,  Note  intorno  al  rilevamento  geologico  del  territorio  compreso 
nei  fogli  di  Cairo  Montenotte  e Varazze  della  Carta  topografica  militare. 
(Boll,  del  R.  Corri.  Geol.,  n.  9-10,  1885). 

2 B.  Gastaldi,  Frammenti  di  geologia  del  Piemonte.  Sugli  elementi  che 
compongono  i conglomerati  miocenici  del  Piemonte  (Memorie  deU’Accademia 
delle  Scienze  di  Torino,  Serie  Seconda,  Tomo  XX,  1863). 


2 


— 18  — 


curata  descrizione  separandoli  in  due  orizzonti,  uno  superiore  e l’altro 
inferiore.  Il  calcare  è frequentissimo  nei  conglomerati  inferiori , nei 
quali  trovansi  pure  in  gran  copia  porfidi,  graniti,  protogini,  diaspri, 
arenarie  porfìriche,  melafìri,  ecc.,  tutte  roccie  che  non  vennero  mai 
incontrate  nei  letti  dei  tornanti  alpini  posti  fra  il  Po  e la  Baltea,  nè 
segnalate  nei  loro  bacini.  Le  ultime  roccie  si  rinvengono  anche  nei 
conglomerati  superiori,  dove  però  invece  del  calcare  predominano  gli 
elementi  ofìolitici  e specialmente  i serpentinosi.  Il  calcare  è dal  lato 
industriale  la  roccia  più  importante  poiché  viene  utilizzato  per  la  fab- 
bricazione della  calce.  Esso  varia  moltissimo  sia  nel  colore  che  nella 
grana  e nella  composizione;  trovasi  in  ciottoli  d’ogni  grossezza  e fre- 
quentemente in  massi  di  gran  volume. 

Interessantissima  è la  nota  posta  in  fondo  alla  pagina  304,  dove 
si  accenna  alla  costante  associazione  che  si  osserva  fra  i ciottoli  e i 
massi  di  calcare  da  un  lato,  e quelli  di  serpentina,  porfido  quarzifero, 
diaspri  e graniti  dall’altro.  Il  legame  fra  queste  diverse  roccie  è tale 
da  ritenere  che  abbiano  tutte  la  medesima  provenienza. 

L’autore  passa  quindi  a descrivere  i conglomerati  miocenici  del- 
l’Appennino  ligure,  e particolarmente  quelli  di  Croce  Fieschi,  Fiac- 
cone,  Voltaggio,  valle  del  Gorzente  e Lerma.  Qui  giova  riferire  testual- 
mente l’ultimo  periodo  di  questo  importante  capitolo. 

« A riassunto  di  quanto  abbiamo  esposto  nell’  intero  capitolo  di- 
remo : 

« 1°  Che  su  quella  parte  deH’Appennino  la  quale  si  estende  a 
destra  della  Scrivia,  notasi  un  enorme  sviluppo  di  conglomerati  per  lo 
più  formati  di  soli  ciottoli,  soprastanti  al  calcare  a fucoidi  (alberese), 
calcare  di  cui  contengono  a dovizia  ciottoli; 

« 2°  Che  sulla  sinistra  della  Scrivia  notasi  altresì  un  enorme 
sviluppo  di  conglomerati  per  lo  più  racchiudenti  massi  giganteschi, 
quasi  esclusivamente  serpentinosi,  e riposanti  non  più  sull’alberese, 
calcare  che  più  non  vedesi  da  questa  parte  della  Scrivia,  ma  bensì  sui 
calcari  e scisti  più  antichi.  » 

Nel  capitolo  successivo  l’autore  comincia  col  dichiarare  di  aver  ri- 
soluto il  problema  relativo  alla  provenienza  di  alcuni  degli  elementi 
che  costituiscono  i conglomerati  della  collina  di  Torino,  ed  in  partico- 
lare dei  calcari.  Tale  soluzione  sarebbe  stata  il  risultato  di  una  escur- 


— 19  — 


sione  da  lui  fatta  nella  alta  valle  della  Staffora  e più  specialmente 
lungo  il  rivo  Montagnola,  dove  presso  a colossali  massi  di  granito,  che 
avevano  formato  l’oggetto  precipuo  della  gita,  trovò  altri  massi  di  di- 
verse varietà  di  un  calcare  i cui  caratteri  esteriori  sono  simili  a quelli 
del  calcare  di  Superga.  Risalendo  quindi  dal  letto  del  suddetto  torrente 
al  castello  di  S.  Margherita  di  Bobbio,  l’autore  rinvenne  a posto  non 
solo  tutte  le  varietà  di  calcare  già  riconosciute  nei  massi  del  rio  Mon- 
tagnola, ma  anche  la  serpentina  ed  una  brecciola  cui  in  altre  sue  pub- 
blicazioni aveva  dato  il  nome  di  porfido  quarzifero.  In  seguito  a queste 
scoperte  egli  ritenne  che  si  dovesse  considerare  avverata  la  previsione 
già  da  lui  fatta  circa  alla  provenienza  dalla  stessa  regione  di  queste 
tre  roccie,  che  sono  così  abbondanti  nei  conglomerati  della  Collina  di 
Torino,  e concluse  affermando  che  alcuni  degli  elementi  dei  conglo- 
merati inferiori  di  detta  collina  sono  provenuti  dai  monti  che  circon- 
dano il  Penice. 

Nel  capitolo  seguente  l’autóre  si  occupa  dell’estensione  dei  conglo- 
merati in  Piemonte;  e dopo  avere  ricordato  i diversi  punti  in  cui  i con- 
glomerati si  manifestano,  dice  che  congiungendoli  tra  loro  ne  risulte- 
rebbe un  arco  diretto  da  ponente  a levante,  e da  levante  a settentrione, 
il  quale  sembra  segnare  il  perimetro  dell’Adriatico  all’epoca  miocenica. 
Però  questo  mare  doveva  comunicare  col  Mediterraneo  almeno  per  i 
due  stretti  di  Cadibona  e di  Sassello.  Siccome  poi  la  pendenza  generale 
dei  conglomerati  del  versante  settentrionale  dell’Appennino  è verso  N. 
e N.O,  mentre  quelli  di  Moncalieri  inclinano  verso  S.E  e S.O,  così 
per  questo  e per  altri  argomenti,  che  per  brevità  ometto  di  riferire, 
l’autore  è portato  ad  ammettere  che  i conglomerati  dell’Appennino  e 
quelli  della  Collina  di  Torino  non  siano  che  affioramenti  dei  medesimi 
strati,  cosicché  fra  Pozzuolo  del  Groppo  (valle  di  Staffora)  e Superga 
si  deve  avere  un  letto  continuo  di  conglomerato. 

In  un  altro  capitolo,  riassumendo  le  cose  esposte  nei  capitoli  pre- 
cedenti, l’autore  dice  che  dal  lato  della  provenienza  gli  elementi  che 
compongono  i conglomerati  della  Collina  di  Torino  possono  dividersi 
in  due  grandi  categorie,  l’una  proveniente  dalle  Alpi  l’altra  dagli  Ap- 
pennini. I ciottoli  e massi  sì  dell’una  che  dell’altra  provenienza  devono 
avere  percorso  100  e più  chilometri  per  venirsi  a trovare  insieme  colà 
ove  oggi  li  vediamo  depositati.  Dopo  di  che  l’autore  fa  un’osservazione 


— 20  — 


importante,  che  a me  preme  'molto  di  rilevare,  ed  è che  nei  conglome- 
rati di  Superga  sono  rare  le  roccie  che  trovansi  comunissime  nelle 
alte  Alpi,  meno  rare  quelle  che  formano  l’ultimo  gradino  delle  Alpi 
verso  il  Piemonte,  ed  in  grande  maggioranza  quelle  che  egli  ritiene 
venute  dall’Appennino. 

Ma  di  quale  veicolo,  l’autore  si  domanda,  la  natura  si  è servita 
per  trasportare  così  lungi  nel  mare  tanta  copia  di  materiali  svelti  alle 
Alpi  e all’Appennino?  L’idea  di  un  trasporto  per  correnti  marine  non 
solo  non  può  sostenersi,  ma  non  è neppure  concepibile,  mentre  è noto 
che  le  acque  dell’oceano  non  trasportano  massi  se  non  quando  questi 
trovansi  racchiusi  in  zattere  di  ghiaccio.  L’autore  è quindi  portato  a 
concludere  che  il  deposito  dei  massi,  che  compongono  tutti  i conglo- 
merati miocenici  descritti  nel  corso  del  suo  lavoro,  è da  considerarsi 
come  dovuto  ad  un  fenomeno  analogo  a quello  per  il  quale  si  vanno 
attualmente  accumulando  sulle  coste  dell’Atlantico  presso  Terranova  i 
massi  provenienti  dalle  regioni  polari. 

Mi  sia  ora  permesso  di  esporre,  con  tuPo  il  rispetto  dovuto  all’il- 
lustre scienziato,  le  ragioni  per  cui  a me  sembra  che  la  formazione 
dei  conglomerati  miocenici  dell’Appennino  ligure  non  possa  in  alcun 
modo  considerarsi  come  dovuta  ad  un  trasporto  glaciale. 

Prima  di  tutto  ricorderò  che  i conglomerati  della  Collina  di  Torino 
devono,  secondo  il  Gastaldi,  ritenersi  in  gran  parte  formati  da  mate- 
riali derivanti  dall’ Appennino  e colà  trasportati  con  zattere  di  ghiaccio; 
e siccome  alla  medesima  azione  glaciale  sarebbero  pure  dovuti  i con- 
glomerati esistenti  alle  falde  dello  stesso  Appennino,  ne  consegue  che 
i medesimi  ghiacciai  appenninici  dovevano  non  solo  deporre  presso  la 
riva  del  mare  miocenico  gli  elementi  di  quella  zona  conglomeratica,  che 
senza  interruzione  si  distende  dalle  rive  della  Borbera  a quelle  del- 
l’Ellero,  ma  anche  dare  alimento  a zattere  di  ghiaccio  capaci  di  tra- 
sportare massi  colossali  a un  centinakrttT  chilometri  di  distanza.  Ora 
se  è concepibile  o l’una  o l’altra  di  queste  due  azioni,  non  parmi  si 
possa  ammettere  la  loro  simultaneità.  Ed  invero  come  si  potrebbe  af- 
fermare che  oggi  i ghiacciai  delle  terre  circostanti  al  polo,  mentre  di- 
scendendo in  mare  e spezzandovisi  danno  origine  a quelle  enormi  mon- 
tagne di  ghiaccio  ( iee-bergs ),  le  quali  disciogliendosi  sotto  un  clima  più 
mite  vanno  a deporre  i detriti  in  esse  racchiusi  sulle  coste  dell’Ame- 


-lì- 


rica, possano  contemporaneamente  produrre  attorno  alle  regioni  polari 
una  formazione  litorale  analoga  a quella  dei  nostri  conglomerati  ? 

Ma  facendo  astrazione  dalla  Collina  di  Torino,  prendiamo  a consi- 
derare i supposti  ghiacciai  dell’Appennino,  soltanto  in  relazione  coi 
conglomerati  che  sono  tanta  parte  di  detta  catena  montuosa. 

Se  questi  conglomerati,  di  formazione  indubbiamente  marina,  fu- 
rono il  prodotto  di  un  trasporto  glaciale,  come  mai  può  spiegarsi  la 
loro  regolare  continuità  sopra  un’estensione  litorale  di  oltre  120'chilo- 
metri  ? E come  un  trasporto  effettuatosi  con  zattere  di  ghiaccio  potrebbe 
conciliarsi  col  fatto,  in  parte  riconosciuto  dallo  stesso  Gastaldi,  della 
costante  relazione  che  esiste  tra  la  natura  degli  elementi  dei  conglo- 
merati e quella  delle  roccie  a posto  immediatamente  sovraincombenti  ? 

Voglio  ammettere  che  a taluno  riesca  di  rispondere  soddisfacen- 
temente ai  suesposti  quesiti.  Nessuno  però  potrà  non  convenire  in  ciò, 
che  per  avere  iee-bergs  capaci  di  deporre  una  sì  smisurata  congerie  di 
materiale  detritico,  si  dovevano  pure  avere  ghiacciai  di  enorme  esten- 
sione e di  grande  potenza.  Vediamo  quindi  se  le  condizioni  dell’Appen- 
nino  ligure  al  principio  dell’epoca  miocenica  fossero  tali  da  permet- 
tere l’esistenza  di  simili  ghiacciai. 

Gettando  uno  sguardo  sulla  già  menzionata  Carta  geologica  si  ri- 
leva facilmente  che  nel  tratto  di  paese  compreso  fra  Genova  e Savona, 
il  confine  del  Miocene  inferiore,  quale  venne  tracciato  sul  versante  set- 
tentrionale dell’Appennino,  dista  mediamente  dall’attuale  mare  Medi- 
terraneo  di  circa  20  chilometri.  Ma  si  è visto  che  anche  sul  versante 
meridionale  si  ebbe  una  formazione  conglomeratica  di  cui  oggi  non  re- 
stano che  pochi  lembi  sparsi,  come  sono  quelli  di  Portofino,  di  Va- 
razze,  ecc.  Di  più  è noto,  e lo  stesso  Gastaldi  ebbe  a riconoscerlo,  che 
i due  mari  comunicavano  tra  loro  almeno  per  i due  stretti  di  S.ta  Giu- 
stina e di  Cadibona.  Si  deve  pure  porre  mente  all’altitudine  dei  con- 
glomerati, i quali  sul  versante  settentrionale  costituiscono  le  vette  di 
Monte  Maggio  (979m),  di  Monte  Reale  (902m),  di  Monte  Alpe  (841 m),  di 
Monte  Panzone  (804m)  ecc.,  mentre  sul  versante  opp  )sto  li  troviamo  sulla 
cima  di  Portofìno  all'alt. tudine  di  610  metri.  Si  esservi  infine  l’anda- 
mento della  linea  spartiacque,  la  quale,  per  il  tratto  considerato,  rag- 
giunge la  massima  altezza  al  Monte  Ermetta  (1262m).  Se  ora  con  questi 
dati,  pur  tenendo  conto  dei  mutamenti  che  dai  successivi  movimenti 


— 22  — 

del  suolo  possono  essere  stati  causati  nei  rapporti  di  posizione  fra  il 
Miocene  e i terreni  sottostanti,  uno  si  provi  a delineare  i confini  dei 
mari  Adriatico  e Mediterraneo,  quali  dovevano  essere  verso  la  fine  dei 
depositi  dei  conglomerati,  si  troverà  che  TAppennino  ligure  rimane  ri- 
dotto ad  alcune  isole  di  pochi  chilometri  di  larghezza,  allungate  in  di- 
rezione da  N.E  a S.O  ed  emergenti,  nei  punti  più  elevati,  di  poche 
centinaia  di  metri  sulla  superficie  delle  acque.  E dopo  essere  giunti  a 
questo  risultato,  come  si  potrà  sostenere  che  da  simili  isolotti  potessero 
trarre  origine  ed  alimento  ghiacciai  capaci  di  produrre  gli  effetti  sud- 
descritti,  mentre  poi,  la  catena  nordica  alpina,  assai  più  vasta  ed  ele- 
vata, avrebbe  dovuto  rimanere  quasi  priva  di  ghiaccio  ? 

Un  ultimo  grave  argomento  contro  l’ipotesi  glaciale  può  ricavarsi 
dalla  paleontologia,  la  quale  ci  dà  prova  che  mentre  si  deponevano  i 
conglomerati  miocenici  avevano  vita  e sviluppo  una  fauna  e una  flora 
di  tipo  tropicale.  Certo  io  non  credo  che  per  spiegare  una  qualunque 
epoca  glaciale  faccia  d’uopo  di  supporre  un  forte  abbassamento  di  tem- 
peratura; anzi  ritengo  con  Tyndall  1 che  per  avere  grandi  masse  di 
ghiaccio  sia  necessaria  l’esistenza  nell’atmosfera  di  grandi  quantità  di 
vapore  acqueo,  per  la  cui  produzione  occorre  una  grande  energia  solare. 
Però  neppure  potrei  acconciarmi  all’idea  che  un  clima  tropicale  possa 
ritenersi  favorevole  alla  produzione  e allo  sviluppo  dei  ghiacciai. 

Dopo  tutto  ciò  parafi  di  avere  sufficientemente  dimostrato  come 
non  si  possa  ammettere  l’ipotesi,  secondo  cui  gli  elementi  che  costi- 
tuiscono i conglomerati  miocenici  sarebbero  sfati  trasportati  da  zattere  di 
ghiaccio  colà  dove  ora  li  vediamo. 

Modo  di  formazione  dei  conglomeratL 

Qualunque  sia  la  località  in  cui  uno  pongasi  ad  osservare  nell’Ap- 
pennino  ligure  le  stratificazioni  eoceniche,  troverà  che  queste  si  pre- 
sentano oltremodo  ripiegate,  contorte  e rotte.  Ove  invece  si  passi  sul 
versante  settentrionale  dalle  regioni  occupate  dall’Eocene  a quelle  co- 
stituite dai  depositi  del  Miocene  e del  Pliocene,  si  rimarrà  colpiti  dalla 
grande  regolarità  che  gli  strati  di  queste  ultime  formazioni  presentano, 


1 Tyndall  J,  La  chaleur.  Mode  de  mouvement.  Paris,  1874. 


23 


tanto  da  farli  apparire  in  posizione  assai  poco  diversa  da  quella  che 
essi  dovevano  occupare  sul  fondo  del  mare,  prima  della  loro  emersione. 
Questo  fatto  ci  dimostra  in  modo  evidente  che  le  pressioni  verificatesi 
durante  il  sollevamento  posteocenico  furono  potentissime  e di  gran 
lunga  superiori  a quelle  che,  manifestatesi  dopo  il  pliocene,  diedero  ori- 
gine airorografia  attuale. 

Ter  effetto  di  quelle  enormi  pressioni  la  massa  rocciosa  sollevata 
dovè  incurvarsi  in  numerosissime  pieghe,  presentando  una  fitta  rete  di 
sinclinali  e di  anticlinali  con  vòlte  spezzate,  con  gambe  tronche,  con 
lembi  di  strati  strapiombanti.  Chi  col  pensiero  risalisse  dall’odierno 
paesaggio  alla  superficie  emersa  d’allora  troverebbe  una  differenza 
analoga  a quella  che  passa  tra  la  statua  di  valente  artefice  e l’in- 
forme blocco  di  marmo  da  cui  fu  tratta.  Ben  s’intende  quindi  come  da 
quelle  terre  di  poco  uscite  dalle  acque,  terminate  da  balze  e rupi  sco- 
scese, battute  in  breccia  dalle  onde,  soggette  all’azioni  meteoriche, 
dovesse,  specialmente  verso  il  mare,  avere  origine  un  immenso  sfa- 
sciume costituito  da  massi  immani  frammisti  a detriti  di  ogni  dimen- 
sione. Si  ebbero  così  le  prime  assise  della  formazione  di  cui  ci  occu- 
piamo. 

Se  i conglomerati  miocenici  non  avessero  che  pochi  metri  di  spes- 
sore, basterebbe  forse  quanto  si  è detto  per  spiegarne  l’origine.  Ma  si 
è già  visto  che  essi  presentano  tale  potenza  da  raggiungere  ed  anche 
sorpassare  i 400  metri.  Come  può  essere  ciò  avvenuto? 

Finito  il  sollevamento  post-eocenico,  acquetate  le  forze  che  lo  de- 
terminarono, deve  essersi  verificato  nei  terreni  emersi  un  movimento 
direi  quasi  di  reazione,  per  il  quale  le  masse  rocciose  si  accasciarono 
su  loro  stesse,  dando  così  luogo  ad  un  lento  abbassamento  del  suolo. 
Durante  quel  lungo  periodo  i massi  devono  di  tratto  in  tratto  aver 
continuato  a precipitare  in  mare,  mentre  i detriti  accumulandosi  sui 
detriti  andavano  via  via  crescendo  l’altezza  di  quel  deposito  litorale, 
la  cui  superficie,  per,  il  graduale  avvallamento  del  fondo,  doveva  rima- 
nere quasi  sempre  a fior  d’acqua. 

Qui  sì  potrà  obbiettare  che  per  l’abbassamento  del  suolo,  il  mare 
sarebbe  stato  costretto  ad  occupare  nuove  terre,  causando  una  lenta  e 
progressiva  sommersione  delle  spiaggie,  per  modo  che  i conglomerati 
avrebbero  potuto  estendersi  bensì  in  larghezza,  ma  non  aumentare  nello 


— 24  — 


spessore.  A questa  possibile  obbiezione  si  risponde  facilmente,  facendo 
osservare  che  a quell’epoca  le  spiaggie  non  potevano  sommergersi 
perchè  ancora  non  esistevano,  essendo  mancato  il  tempo  necessario 
per  la  loro  formazione.  Lungo  la  linea  di  confine  tra  le  acque  e la 
parte  emersa  si  dovevano  avere  rupi  scoscese,  simili  a quelle  che  pure 
oggidì  costituiscono  gran  parte  delle  coste  liguri.  E non  solo  le  roccie 
dovevano  innalzarsi  quasi  verticalmente  sul  mare,  ma  per  rovescia- 
mento di  pieghe  riuscire  spesso  strapiombanti.  Attualmente  si  può  os- 
servare un  bell’esempio  di  pieghe  rovesciate  a Bergeggi  e aCogoIeto; 
e nella  valle  del  Letimbro  l’andamento  delle  stratificazioni  è tale  da 
far  ritenere  che  quel  rovesciamento  abbia  fatto  sentire  la  sua  influenza 
sopra  una  notevole  estensione  di  paese.  È quindi  naturale  l’ammettere 
che  durante  un  sollevamento  avvenuto  per  effetto  di  pressioni  potentis- 
sime ed  accompagnato  da  pieghe  e rotture  innumerevoli  si  sia  prodotta 
una  costa  ripida  e scoscesa,  quale  fu  necessaria  per  dar  luogo  alla 
grande  potenza  che  presenta  la  formazione  conglomeratica. 

Un’altra  obbiezione  potrebbe  basarsi  sul  fatto,  ripetutamente  ac- 
cennato, della  costante  corrispondenza  che  ha  luogo  tra  la  natura  degli 
elementi  dei  conglomerati  e quella  delle  roccie  da  cui  questi  sono  li- 
mitati. Ed  invero,  come  mai  i detriti  caduti  in  balìa  delle  onde  non 
furono  da  queste  disseminati  sopra  una  estensione  maggiore  di  quella 
che  in  realtà  si  verifica? 

A questa  dimanda  dà  piena  e soddisfacente  risposta  l’osservazione 
delle  attuali  spiaggie  liguri,  ove  si  trova,  come  fu  dimostrato  in  una 
precedente  mia  pubblicazione  *,  che  i materiali  che  arrivano  al  mare  si 
muovono  entro  confini  molto  ristretti;  e se  fra  due  spiaggie  si  ha  una 
sporgenza  rocciosa,  per  cui  le  acque  acquistino  una  profondità  di  15 
a 20  metri,  ciò  basta  perchè  non  avvenga  alcun  miscuglio  fra  i mate- 
riali di  una  spiaggia  con  quelli  della  spiaggia  vicina. 

Nel  riassumere  i fatti  risultati  dathl  studio  del  Miocene  inferiore 
dissi  più  sopra  che  i conglomerati  ricingono  a guisa  di  fascia  la  for- 
mazione su  cui  si  appoggiano.  Avviene  però  talvolta  ,che  da  quella 


1 L.  Mazzuoli,  Sulla  relazione  esistente  nelle  Riviere  Liguri  fra  la  natura 
litologica  della  costa  e quella  dei  detriti  che  costituiscono  la  spiaggia  (Bol- 
lettino del  R.  Com.  Geo!.,  1887,  n.  9-10). 


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fascia  sì  distaccano  alcune  masse  conglomeratìche  le  quali,  in  forma 
di  apofisi,  si  protendono  assai  innanzi  tra  i depositi  arenacei  con  una 
direzione  pressoché  normale  alla  linea  che  doveva  corrispondere  alla 
costa  del  mare  miocenico.  In  quelle  apofisi  spesso  si  osservano  massi 
di  gran  mole,  i quali  si  trovano  troppo  lontani  dalle  roccie  a posto  per 
supporre  che  da  esse  direttamente  derivino. 

Accade  pure  di  dover  riconoscere  che  i conglomerati  sono  in  parte 
costituiti  da  cògoli  di  natura  diversa  da  quella  dille  roccie  vicine. 
Questo  fatto  si  verifica  più  specialmente  nelle  isole  di  Monte  Maggio 
e di  Monte  Reale  ed  anche  a Pietrabissara,  dove  ai  frammenti  di  calcare 
e di  scisti  eocenici  si  uniscono  numerosi  ciottoli  ofiolitici,  benché  la 
serpentina  e le  altre  roccie  che  le  fanno  corona  distino  di  molti  chi- 
lometri da  quelle  località. 

In  simili  casi  sembra  che  l’ipotesi  da  me  sostenuta  debba  riuscire 
insufficiente.  Ove  però  si  ricordi  quanto  già  dissi  sui  fenomeni  che 
devono  avere  dato  origine  nell’Appennino  al  sollevamento  post-eocenico, 
s’ intenderà  facilmente  come  i contorni  delle  terre  recentemente  emerse 
dovessero  essere  molto  frastagliati,  e presentare  spesso  strette  lingue 
rocciose  che  si  spingevano  molto  addentro  nel  mare,  ovvero  scogli 
isolati,  offrendo  le  une  e gli  altri  rupi  e balze  diroccate  all’urto  \idento 
delle  onde.  Da  quelle  rupi,  da  quelle  balze  i massi  dovevano  precipitare 
numerosi;  inoltre  per  il  lento  abbassamento  del  suolo  la  parie  più  alta 
di  quei  promontori  e di  quelle  isole  dovè  ad  un  certo  momento  trovarsi 
a fior  d’acqua,  e battuta  in  breccia  dai  flutti  ridursi  completamente  in 
frantumi.  Ed  ecco  come  di  quelle  lingue,  di  quegli  scogli  oggi  non  re- 
stano che  le  apofisi  conglomeratiche  suaccennate.  Se  poi  quei  pro- 
montori o quelle  isole  contenevano  roccie  diverse  da  quelle  della  cosia 
vicina,  cireos-anza  questa  facilissima  a verificarsi  per  le  roccie  intruse 
come  le  ofìolitiche,  è naturale  che  i conglomerati  risultanti  dal  loro 
disfacimento  si  presentino  come  ora  si  vedono  a Monte  Maggio,  Monte 
Reale  e Pietrabissara. 

Qui  fa  duopo  soggiungere  che  nell’ interno  delle  suddette  apofisi 
conglomeratiche  devono  esistere  nuclei  di  roccie  a posto  di  natura 
analoga  a quella  dei  conglomerati  circostanti,  da  cui  quei  nuclei  ri- 
mangono ordinariamente  occultati.  Avviene  però  talvolta  che  essi  furono 
posti  allo  scoperto  dalle  erosioni  successive,  e di  simili  accidentalità 


— 26  — 

sì  hanno  esempi  molto  istruttivi  nella  valle  della  Bormida  di  Spìgno, 
e più  specialmente  a Piana  Crixia,  in  vicinanza  di  quello  sprone  roc- 
cioso, il  quale,  come  si  è visto,  trovasi  costituito  da  massi  di  grandi 
dimensioni.  Tali  esempi  ci  porgono,  se  non  erro,  una  dimostrazione 
efficace  del  modo  di  origine  delle  apofìsi  sopradescritte. 

Dissi  già  che  fra  i ciottoli  e i frammenti  di  ogni  dimensione  i 
conglomerati  spesso  presentano  banchi  arenacei  di  notevole  estensione, 
od  anche  zone  sabbiose  molto  ristrette.  Ritengo  che  i primi  corrispon- 
dano a lunghi  periodi  di  calma  simili  a quelli  che  si  hanno  nelle  no- 
stre stagioni  estive,  mentre  le  altre  potrebbero  rappresentare  piccolis- 
simi seni  marini,  difesi  per  breve  tempo  dall’ irrompere  delle  onde  per 
la  caduta  di  qualche  grosso  masso,  che  avrà  formato  come  una  specie 
di  diga. 

Da  quanto  sono  venuto  fin  qui  esponendo  chiaro  risulta  che  la 
base  fondamentale  dell’ipotesi  da  me  sostenuta  consiste  in  quel  lento 
abbassamento  del  suolo  eh’  io  ritengo  debba  essersi  verificato  subito 
dopo  il  sollevamento  post-eocenico.  E quindi  di  grande  interesse  il 
ricercare  se  si  abbiano  prove  dirette  di  simili  abbassamenti  avvenuti 
in  seguito  ad  altri  sollevamenti. 

Da  una  importante  comunicazione  fatta  all’Accademia  delle  Scienze 
di  Parigi  dal  mio  collega  prof.  Issel  1 risulta  che  nel  recente  rilievo  della 
Carta  idrografica  della  regione  occidentale  del  golfo  di  Genova,  eseguito 
dal  piroscafo  Washington  della  regia  marina,  comandato  dal  capitano 
Magnaghi,  di  fronte  agli  attuali  corsi  d’acqua  e più  specialmente  al 
Bisagno,  alla  Polcevera,  al  Quiliano,  all’Arma,  alla  Nervia  ed  al  Roja, 
si  riscontrarono  dei  solchi  profondi,  che  evidentemente  corrispondono 
al  prolungamento  di  quelle  vallate.  Il  maggiore  di  quei  solchi,  situato 
di  faccia  al  fiume  Roja,  raggiunse  e superò  i 900  metri  di  profondità 
(931  m.)  alla  distanza  di  poco  più  dr'CTniglia  dalla  costa.  Non  vi  ha 
dubbio  che  quelle  depressioni  ci  rappresentano  un  avvallamento,  il  cui 
valore  non  può  essere  stato  inferiore  ai  900  metri.  Resta  ora  a deter- 
minare l’epoca  di  queiravvallamento. 


1 Issel  A.,  Sur  V existence  de  vallées  submergées  dans  le  golfe  de  Génes. 
(Comptes  rendus  des  séances  de  l’Académie  des  Sciences,  24  janvier  1887). 


27  — 


Il  prof.  Issel,  in  una  successiva  comunicazione  fatta  alla  medesima 
Accademia  delle  Scienze  \ procedendo  per  eliminazione  ha  inteso  di  dimo- 
strare che  l’avvallamento  di  cui  si  tratta  ebbe  a verificarsi  durante  il 
periodo  messiniano.  Mi  consenta,  l’egregio  mio  collega,  che  dopo  es- 
sermi seco  lui  trovato  d’accordo  in  questioni  di  assai  maggiore  im- 
portanza, esprima  in  questo  caso  un  parere  diverso  dal  suo.  Ed  invero 
a me  sembra  che  se  la  sommersione  della  regione  ligure  occidentale 
fosse  avvenuta  durante  il  periodo  messiniano,  i solchi,  posti  in  evi- 
denza dai  rilievi  della  regia  marina,  sarebbero  stati  colmati  dai  nume- 
rosi depositi  verificatisi  nei  periodi  successivi  (piacentino,  astiano) 
della  stessa  epoca  pliocenica.  Insomma  a me  pare  che  l’abbassamento 
delle  vallate  liguri  non  possa  essersi  verificato  che  durante  il  quater- 
nario, verso  la  fine  del  periodo  glaciale,  ossia  poco  dopo  il  solleva- 
mento post-pliocenico. 

Anche  il  prof.  Taramelli  in  quella  parte  di  un  suo  lavoro 1  2 in  cui 
si  occupa  dei  laghi  compresi  nel  bacino  del  fiume  Ticino,  ha  consi- 
derato la  continuazione  in  mare  delle  valli  liguri  come  una  prova  di 
una  sommersione  succeduta  al  sollevamento  post-pliocenico,  sommer- 
sione che  secondo  lui  varrebbe  pure  a spiegare  resistenza  delle  conche 
lacuali  prealpine,  il  cui  fondo  trovasi,  come  è noto,  molto  al  di  sotto 
del  livello  del  mare. 

Lo  stesso  prof.  Taramelli,  in  quél  medesimo  suo  lavoro,  esprime 
l’ipotesi  che  la  grande  espansione  glaciale  siasi  verificata  appunto  al- 
lora quando  la  massa  alpina,  per  effetto  del  sollevamento  post-plioce- 
nico, si  trovò  portata  ad  un  altitudine  assai  maggiore  di  quella  che 
oggi  conserva.  Ed  è forse  in  quella  maggiore  altitudine  che  ha  consi- 
stito quel  potente  apparato  condensatore,  il  quale  era,  secondo  Tyn- 
dall,  3 necessario  non  solo  per  condensare  le  grandi  masse  di  vapore 
acqueo  che  dovevano  durante  l’epoca  glaciale  esistere  nell’atmosfera, 
ma  per  far  cadere  quei  vapori  sulle  Alpi  sotto  forma  di  neve. 


1 Issel  A.,  Sur  Vépoque  du  creusement  des  vallées  submergées  du  gol/e  de 
Gènes.  (Gomptes  rendus  de  l’Académie  des  Sciences,  31  janvier  1887). 

2 Taramelli  T.,  Note  geologiche  sul  bacino  idrografico  del  fiume  Ticino. 
(Boll,  della  Soc.  geo!,  italiana,  Voi.  IV,  1885). 

3 Tyndall,  1.  c. 


Ecco  dunque  da  diversi  fatti  dimostrato  che  alle  azioni  che  origi- 
narono il  sollevamento  post-pliocenico  successe  un  periodo  di  reazione, 
per  il  quale  in  Liguria  una  parte  delle  terre  emerse  dovè  nuovamente 
.sommergersi.  Nulla  quindi  havvi  d’improbabile  nell’ammettére  che  alla 
fine  del  sollevamento  post-eocenico  siasi  verificata  una  lenta  sommer- 
sione, la  quale  ci  permette  di  renderci  pienamente  conto  del  modo  con 
cui  ebbero  origine  i conglomerati  miocenici. 

Prima  di  porre  termine  a questa  nota  non  parmi  inopportuno  il 
ritornare  per  un  momento  sul  lavoro  del  Gastaldi,  prendendo  più  spe~ 
cialmente  a considerare  la  Collina  di  Torino. 

Il  fatto  precipuo  che  indusse  il  Gastaldi  a proporre  la  ipotesi  gla- 
ciale per  spiegare  la  formazione  dei  conglomerati  miocenici  consiste 
nell’  identità  litologica  da  lui  riconosciuta  fra  i calcari,  le  serpentine  e 
e le  breccie  esistenti  in  massi  e in  frammenti  di  ogni  dimensione  nella 
Collina  di  Torino,  e le  stesse  roccie  trovate  a posto  sul  poggio  di  Santa 
Margherita  nella  valle  della  Stafferà.  Da  questo  fatto  egli  trasse  la 
deduzione  che  i materiali  della  detta  Collina  dovevano  in  gran  parte 
provenire  dal  versante  settentrionale  dell’Appennino. 

Nelle  pagine  precedenti  ho  già  dimostrato  come  non  era  possibile 
ammettere  l’esistenza  dei  ghiacciai  appenninici  al  principio  dell’epoca 
miocenica.  Escluso  quindi  il  trasporto  con  zattere  di  ghiaccio  degli  ele- 
menti che  costituiscono  i conglomerati  della  Collina  di  Torino,  resta  a 
dire  come  questi  conglomerati  possano  essersi  formati. 

Devo  anzitutto  premettere  che  non  solo  non  ho  studiato  ma  nep- 
pure ho  visitato  nè  la  Collina  di  Torino,  nè  la  valle  della  Staffora. 
Tuttavia  dalla  dettagliata  descrizione  che  il  Gastaldi  ci  porge  dei  cal- 
cari, delle  serpentine  e delle  breccie  di  quelle  due  località,  parmi  di 
inferire  che  queste  roccie  sono  del  tutto  simili  a quelle  che,  pure  as- 
sociate tra  loro,  si  ritrovano  con  frequenza  tra  le  formazioni  ofiolitiche 
della  riviera  orientale,  formazione  di  cui  fu  dal  prof.  Issel  e da  me 
rilevata  una  circonsanziata  Carta  litologica  alla  scala  di  1 a 10  000 
Quindi  i calcari,  le  serpentine  e le  breccie  dei  conglomerati  di  Su- 
perga  non  devono  considerarsi  come  una  specialità  della  valle  Staffora, 
ma  si  ritrovano  con  eguali  caratteri  quasi  ovunque  si  abbiano  forma- 
zioni serpentmose  dell’epoca  eocenica.  Ora  non  è inverosimile  che  al 


— 29  — 


posto  attualmente  occupato  dalla  Collina  di  Torino  abbia  esistito,  al 
principio  dell’epoca  miocenica,  un’isola  di  terreni  eocenici  includenti 
roccie  serpentinose  prodottesi  sul  medesimo  fondo  marino  in  cui  si 
deposero  le  serpentine  della  valle  della  Staffora  e quelle  della  Riviera 
orientale.  Sarebbe  quindi  naturale  che  ivi  si  avessero  tipi  litologici 
identici  a quelli  che  si  ritrovano  in  formazioni  sincrone  di  altre  lo- 
calità. 

Quanto  alla  frantumazione  di  una  parte  di  quell’isola  e al  manto 
di  conglomerati  che  oggi  completamente  la  ricuopre,  credo  che  ciò 
potrebbe  essere  avvenuto  in  modo  conforme  a quello  suddescritto  per 
le  apofisi  conglomeratiche  esistenti  sul  versante  settentrionale  del- 
l’Appennino. 

Certo  non  posso  pretendere  di  avere  risoluto  il  problema  della 
formazione  della  Collina  di  Torino  senza  averla  neppure  visitata;  ho 
voluto  solo  accennare  alla  probabilità  che  colà  si  sieno  ripetuti  i me- 
desimi fenomeni  che,  a mio  credere,  hanno  dato  luogo  ai  conglomerati 
dell’Appennino  ligure.  Sarò  poi  grato  ai  colleghi  che  avranno  agio  di 
studiare  i dintorni  di  Torino  se  vorranno  prendere  in  considerazione 
l’accennata  probabilità,  riconoscendo  sul  terreno  se  la  si  debba  o no 
ritenere  priva  di  fondamento. 


CONCLUSIONE. 

Dalle  considerazioni  e dai  fatti  esposti  in  questa  nota  si  possono 
trarre  le  seguenti  conclusioni: 

1°  Non  è ammissibile  che  al  principio  dell’epoca  miocenica  quella 
parte  dell’Appennino  ligure,  che  allora  trovavasi  emersa,  abbia  potuto 
accogliere  ghiacciai;  non  è quindi  ammissibile  che  i conglomerati  for- 
matisi in  quell’epoca  possano  considerarsi  dovuti  ad  un  trasporto  gla- 
ciale ; 

2°  I conglomerati  miocenici  dell’Appennino  ligure  devono  ritenersi 
come  depositi  di  spiaggia,  fattisi  tutt’attorno  alle  terre  emerse  d’ allora, 
coi  materiali  risultanti  dallo  sfasciume  di  quelle  coste  frastagliate, 
rotte  e dirupate  ; 

3°  Alla  fine  del  sollevamento  post-eocenico  si  ebbe  un  lento  av- 


— 30  — 


vaìlamento,  per  il  quale  i conglomerati  poterono  assumere  una  potenza 
di  più  cent: naia  di  metri; 

4°  I conglomerati  si  formarono  non  solo  attorno  alle  coste  ma 
anche  attorno  alle  isole  e ai  promontori,  dei  quali  talvolta  ora  non 
resta  che  un  nucleo  completamente  occultato  da  un  manto  conglo- 
meratico  ; 

5°  L’abbassamento  del  suolo  avvenuto  alla  fine  del  sollevamento 
post-eocenico  trova  un  perfetto  riscontro  nella  sommersione  verificatasi 
dopo  il  sollevamento  post-pliocenico,  sommersione  di  cui  si  hanno  per 
la  Liguria  occidentale  prove  evidenti  nel  proseguimento  in  mare,  fino 
alla  profondità  di  900  metri,  delle  attuali  vallate. 


IL 

Un  problema  stratigrafico  nel  Monte  Pisano ; nota  di 
B.  Lotti. 

(con  una  tavola) 

In  altro  mio  scritto,  1 nel  quale  esposi  alcune  nuove  osservazioni 
fatte  nei  monti  di  Pisa  in  occasione  del  rilevamento  geologico  in  grande 
scala,  eseguito  nel  1881,  feci  rimarcare  come  fra  la  serie  stratigrafica 
del  Monte  Pisano  e quella  dei  prossimi  monti  d’ Oltre  Serchio,  che 
formano  le  ultime  propaggini  meridionali  delle  Alpi  Apuane,  esistesse 
ad  un  certo  punto  una  notevole  anomalia,  abbenchè  la  detta  serie  fosse 
compresa  fra  gli  stessi  limiti  e costituita  nella  massima  parte  dalle 
stesse  roccie.  Si  aveva  cioè  nel  Monte  Pisano  fra  certi  diaspri,  rico- 
nosciuti ora  per  titoniani,  e gli  strati  a Posidonomya  Bronni  del  Lias 
superiore,  una  serie  di  formazioni,  in  perfetta  concordanza  colle  supe- 
riori e colle  inferiori  e dello  spessore  complessivo  di  oltre  un  chilometro, 
delle  quali  non  si  aveva  traccia  nei  monti  d’  Oltre  Serchio,  abbenchè 
i vari  terreni  che  si  corrispondono  HeiT due  gruppi  d’alture  non  distino 
fra  loro  che  di  quattro  o cinque  chilometri. 

1 Lotti  B.,  Serie  stratigr.  dei  monti  pisani , eco.  (Proc.  verb.  Soc.  tose.  se. 
nat.,  12  marzo  1882). 


— 31 


Ricerche  ulteriori  nello  stesso  Monte  Pisano,  nelle  Alpi  Apuane, 
nella  Montagnola  Senese  ed  in  altre  parti  della  Toscana,  mi  hanno 
messo  in  grado  di  stabilire  che  quel  potente  complesso  di  roccie  del 
Monte  Pisano  estranee  ai  monti  (l’Oltre  Serchio,  non  è là  nella  sua 
serie  naturale,  ma  vi  si  trova  per  effetto  di  un  notevole  dislocamento 
di  strati. 

La  successione  dei  terreni  dall’alto  al  basso  nei  monti  d’  Oltre 
Serchio  1 è la  seguente  (v.  Tav.  I,  fìg.  I e II)  a cominciare  daH’Locene  : 
e{  arenaria  (macigno). 
e2  calcare  nummulitico. 
e3  scisti  argillosi  policromi. 
crl  calcare  bianco  e grigio  chiaro  con  selce. 
ti1  scisti,  calcari  argillosi  e diaspri. 
ti 2 calcare  grigio  cupo  con  selce. 

Z1  scisti  e calcari  a Posidonomya  Bronni. 

Z2'  calcare  grigio  chiaro  con  selce  ad  ammoniti  del  Lias 
medio. 

Z3  calcare  rosso  ad  Arietites. 

Z4  calcari  bianchi  a gasteropodi  e coralli. 
tr{  calcare  nero  ad  Aoicula  contorta  e scisti  a Bactrilli. 
stratigrafica  discendente  nel  Monte  Pisano  risulta  invece 
come  appresso: 

Ìel  arenaria  (macigno). 
e2  calcare  nummulitico. 
e3  scisti  argillosi  policromi. 

Creta  . - cr  calcare  bianco  e grigio  chiaro  con  selce. 

1 Le  due  sezioni  geologiche  sono  nella  stessa  scala  per  le  altezze  e per  le 
distanze  orizzontali  ; sono  inoltre  parallele  fra  loro  e distano  l’una  dall’altra  di 
poco  più  che  due  chilometri.  La  prima  è la  più  settentrionale.  I monti  pisani  son 
posti  alla  destra  e quelli  d’Oltre  Serchio  alla  sinistra  dell’osservatore.  Le  con- 
dizioni geologiche  espresse  da  quella  parte  dei  due  tagli  che  sta  sopra  alla  linea 
di  livello  del  mare  sono  quelli  che  effettivamente  risultano  dalla  osservazione 
diretta;  il  resto  è stato  tracciato  soltanto  allo  scopo  di  dare  una  spiegazione  del 

supposto  dislocamento.  Merita  d’essere  notato  il  fatto,  che  pure  feci  rimarcare 

altra  volta,  della  notevole  discordanza  fra  le  roccie  eoceniche  e quelle  più  antiche, 

come  viene  indicato  dalla  fìg.  I. 


Eocene  . . . 

Creta  . ...  - 
Titonìano  . 

Lias  .... 

Trias  . . . - 
La  serie 


— 32  — 


? 


Titoniano  . 


Titoniano  . - ii{  scisti,  calcari  argillosi  e diaspri. 

trl  calcare  cavernoso  dolomitico. 

pm  puddinga  quarzosa,  arenaria  quarzitica  e scisti  mi- 
caceo-arenacei. 

ir%  arenaria,  scisti  arenacei,  scisti  ardesiaci  verdi  e vio- 
letti, calcari  scistosi  e calcescisti  cristallini. 
ti{  scisti,  diaspri  e calcari  argillosi  con  Aptici. 
ti 2 calcare  picchiettato  e calcare  grigio  cupo  con  selce, 

Ìll  scisti  e calcari  con  P.  Bronni. 

P calcare  grigio  chiaro  con  selce  ad  ammoniti  del  Lias 
....  medio. 

1 P calcare  rosso  ad  Arietites'. 

\ P calcare  bianco  a gasteropodi  e coralli. 

Trias.  ...  - trl  calcare  cavernoso  dolomitico. 

Permico  . . - pm  scisti  micaceo-arenacei,  arenaria  quarzitica  e pud- 
dinga quarzosa  (Verrucano). 

Vedesi  pertanto  che  le  due  serie  differiscono  fra  loro  unicamente 
per  la  presenza  nel  Monte  Pisano  delle  formazioni  tr\  pm  e tr%  com- 
prese fra  strati  marnoso-diasprini  ti\  le  quali  formazioni  mancano  af- 
fatto nei  monti  d’ Oltre  Serchio. 

E da  notarsi  intanto  che  la  serie  stratigrafìca  dei  monti  d’ Oltre 
Serchio  è precisamente  quella  di  tutto  il  resto  delle  Alpi  Apuane  e 
delle  altre  località  toscane,  nelle  quali  compariscono  roccie  secondarie. 
In  nessun  luogo  agli  strati  titoniani  ti1  si  è trovata  associata  la  benché 
minima  traccia  delle  formazioni  tr{,  pm  e tr1  del  Monte  Pisano,  mentre, 
come  vedremo,  tali  formazioni  si  ritrovano  ad  un  livello  molto  più  basso 
della  serie  stratigrafìca.  Nella  Montagnola  Senese  queste  stesse  roccie 
compariscono  sopra- al  marmo  giallo,  di  cui  alcune  tavole  levigate  pre- 
sentano sezioni  incomplete  di  ammoniti  ritenute  in  passato  del  Lias  ', 
e si  citava  la  Montagnola  per  spiegare  l’anomalia  del  Monte  Pisano 
ed  il  Monte  Pisano  per  sostenere  l’età  liasica  dei  marmi  della  Mon- 
tagnola. Evidentemente  si  faceva  un  circolo  vizioso. 


1 Queste  sezioni  sono  ora  riconosciute  insufficienti  per  la  determinazione  spe- 
cifica. Esporrò  in  altra  circostanza  le  ragioni  che  mi  hanno  condotto  a ritenere 
triasici  i marmi  della  Montagnola. 


— 33  — 


Pasciamo  ora  ad  analizzare  questo  complesso  problematico  di 
roccie  del  Monte  Pisano. 

Esse  si  presentano  nel  seguente  ordine  di  successione  dalTalto 
al  basso: 

Calcare  cavernoso  dolomitico; 

Calcare  nero  o grigio  in  strati  sottili; 

Puddinga  quarzosa,  arenaria  quarzitica  e scisti  micaceo-arenacei  ; 

Arenaria  micacea  e scisti  marnosi  decomposti; 

Scisti  argillosi  ardesiaci  verdi  e violetti; 

Calcescisti  verdi  e violetti,  compatti  e cristallini. 

Il  calcare  dolomitico,  che  comparisce  nel  Monte  Maggiore  sotto 
ai  diaspri  titoniani  e che  estendesi  poi  nei  monti  di  Parignana  ed  in  lembi 
isolati  presso  Rigoli  e Corliano,  è spesso  brecciforme,  cavernoso, 
fetido,  talvolta  grigio  cupo,  venato  di  calcite  e senza  apparente  stra- 
tificazione; come  varietà  subordinate  si  osservano  calcari  giallastri  e 
rosei  con  reticolature  di  calcite,  calcare  microcristallino  giallo  chiaro 
con  vene  calcitiche  giallo-cupe  e calcare  microcristallino  grigio  com- 
patto. Nella  parte  alta  della  valle  della  Molina  si  ha  in  qualche  punto 
un  vero  e proprio  portoro  come  quello  infraliasico  della  Spezia. 

Tutte  queste  varietà  di  calcare  sono  le  più  caratteristiche  di  quella 
formazione  che,  nelle  Alpi  Apuane,  nei  monti  della  Spezia  e nel  resto 
della  Catena  Metallifera,  per  dati  paleontologici  e stratigrafici  fu  ri- 
ferita allTnfralias  o al  Retico  in  genere;  la  varietà  microcristallina 
giallastra  con  vene  spatiche  la  ritroviamo  poi  a poca  distanza  presso 
S.  Maria  del  Giudice  e a Vaccoli  sotto  alla  serie  basica  (Tav.  I,  fig.  I), 
e quella  rosea  comparisce  presso  Caprona  nella  stessa  posizione  stra- 
tigrafica. 

I calcari  sottilmente  stratificati  che  stanno  alla  base  del  calcare 
cavernoso  dolomitico  presentano  al  microscopio  in  sezioni  sottili  alcune 
minute  forme  organiche  sulle  quali  il  dottor  Canavari,  che  le  ha  stu- 
diate, mi  comunica  quanto  appresso  : 

« I calcari  nerastri  superiori  al  verrucano  di  Rupe  Cava  e dell’alta 
valle  della  Molina,  esaminati  al  microscopio  in  sezioni  sottili,  si  pre- 
sentano costituiti  da  una  quantità  di  corpiccioli,  di  forma  cilindroide 
allungata,  limitati  da  parete  propria  e riempiti  da  cristallini  di  calcita 
che  serve  anche  di  cemento  tra  corpicciolo  e corpicciolo.  » 


3 


— 34  — 


« In  sezione  trasversale  si  presentano  irregolarmente  circolari,  talora 
depressi  e più  o meno  ellittici.  Queste  produzioni  trovano  le  analoghe 
nei  grezzoni  triasici  delle  Alpi  Apuane  ed  in  special  modo  in  quelli 
raccolti  nella  regione  di  Vinca  dall’ingegnere  Zaccagna.  Ivi  per  altro 
nella  roccia  esposta  alle  intemperie  sono  visibili  anche  macroscopica- 
mente, inquantochè  raggiungono  dimensioni  un  poco  maggiori  (circa 
2 mill.  di  lunghezza)  di  quelle  del  Monte  Pisano.  Per  quanto  sembri  si- 
curo che  queste  produzioni  sieno  di  natura  organica,  non  è ben  certa 
tuttavia  la  loro  posizione  nella  sistematica.  Dai  molteplici  studi  fatti 
risulterebbe  che  la  parete  limitante  quei  corpiccioli,  anche  con  i più 
forti  ingrandimenti,  si  presenta  più  o meno  omogenea  e mai  con  indizi 
di  tessuto  speciale;  ciò  farebbe  escludere  trattarsi  di  protozoari:  la  va- 
riabilità della  loro  forma,  ora  diritti,  ora  arcuati  o contorti,  più  o meno 
depressi,  accennerebbe  ad  organismi  appartenenti  al  regno  vegetale. 
Essi  corpiccioli  trovano,  tra  le  cose  note,  le  più  strette  affinità,  con  og- 
getti analoghi  frequenti  nel  Muschelkalk  di  Turingia  e che  il  Borne- 
mann  considera  come  alghe  calcarifere,  proponendo  per  esse  il  nome 
generico  di  Calcinema.  1 » 

« Da  queste  brevi  considerazioni  parrebbe  potersi  dedurre  che  tanto 
i grezzoni  delle  Alpi  Apuane  quanto  i calcari  del  Monte  Pisano  deb- 
bano considerarsi  come  fitogenici.  » 

« Infine  è da  notarsi  che  tanto  nei  grezzoni  triasici  come  nel  cal- 
care nerastro  del  Monte  Pisano,  ma  più  frequentemente  in  questo  che 
in  quelli,  si  trovano,  oltre  ai  citati  corpiccioli,  sezioni  circolari  assai 
piccole,  aventi  un  foro  centrale  e linee  radiali  che  ricordano  crinoidi, 
senza  per  altro  averne  la  tessitura  a maglie  esagonali,  che  anche  la 
fossilizzazione  conserva  visibile  in  questo  gruppo  di  echinodermi.  » 

Questi  calcari  in  strati  sottili  compariscono  frequentemente  nelle 
Alpi  Apuane  sotto  il  Retico  e fanno  passaggio  agli  scisti  triasici.  Io  li 
ho  citati  altra  volta  2 sotto  il  nome  di  calcari  a lastre.  Nel  Monte  Pi- 
sano li  troviamo  sotto  ai  calcari  ad  Avicula  contorta  di  Caprona,  presso 
il  contatto  cogli  scisti  del  Verrucano.ryijB 

Le  roccie  che  presso  Rupe  Cava  succedono  in  basso  a questi  cal- 


1 Jahrb.  der  kònigl.  preuss.  geol.  Landesansta.lt  fur  1885,  p.  284,  290,  T.  XI. 

2 Lotti  B.,  Piega  con  rovesciamento,  ecc.  (Boll.  geol.  n.  3-4,  1881). 


— 35  — 


cari  constano  di  scisti  violetti  o verdastri  micacco-arenacei,  arenaria 
violetta  o verde  cjuarzitica  e puddinga  quarzosa  a grossi  elementi: 
sono,  in  una  parola,  assolutamente  quelle  più  tipiche  del  prossimo  Ver- 
rucano.  Tanto  queste  di  Rupe  Cava,  quanto  quelle  sottostanti  ai  calcari 
retici  di  tutto  il  Monte  Pisano  e specialmente  quelle  di  Cucigliana,  rac- 
chiudono quarzo  roseo  e frammenti  di  una  roccia  nera,  durissima,  che 
il  dott.  Busatti  riconobbe  per  tormalinite.  1 II  loro  affioramento  però  è 
limitatissimo;  forse  non  giunge  ad  un  ettaro  di  estensione.  Ne  ricom- 
parisce poi  una  traccia  a breve  distanza  nell’alto  della  valle  della  Mu- 
lina, nella  stessa  posizione  stratigrafìca.  In  tutto  il  resto  del  Monte 
Pisano  al  calcare  cavernoso  della  zona  di  roccie  in  discussione,  suc- 
cedono, con  o senza  intermezzo  dei  calcari  a lastre,  l’arenaria  micacea 
(pseudomacigno  del  Savi)  e gli  scisti  argillosi  ardesiaci. 

L’arenaria,  salvo  poche  interruzioni,  comparisce  quasi  sempre  fra 
il  calcare  cavernoso  e gli  scisti  ardesiaci  e si  distingue  dal  macigno 
eocenico  solo  per  essere  prevalentemente  scistosa.  Vi  si  associano 
quasi  dappertutto  scisti  marnosi  che  per  alterazione  divennero  gialla- 
stri, allappanti,  simili  a quelli  che  più  sotto  racchiudono  la  Posidonomya 
Bronni.  Ad  onta  delle  accurate  e ripetute  ricerche  non  riuscii  a scuo- 
prirvi  traccia  di  fossili. 

Questo  pseudomacigno  lo  ritroviamo  con  caratteri  analoghi  sotto 
ai  calcari  retici  di  una  gran  parte  delle  Alpi  Apuane  e specialmente 
nei  pressi  di  Vagli  e di  Stazzema. 

Gli  scisti  ardesiaci  verdi  e violetti  che  seguono  in  basso  all’  are- 
naria nel  Monte  Pisano  offrono  pure  le  più  strette  analogie  con  quelli 
triasici  sottostanti  all’arenaria  nelle  Alpi  Apuane.  Quelli,  come  questi, 
hanno  offerto  delle  fucoidi  2 e certi  corpi  fusiformi  che  si  direbbero 
siphonites , ma  che  forse  non  sono  che  secrezioni  aragonitiche  della 
roccia.  Nondimeno  l’associazione  di  questi  corpi  alle  fucoidi  in  roccie 
aventi  la  stessa  natura  litologica  ed  aspetto  identico,  tanto  nel  Monte 
Pisano,  quanto  nelle  Alpi  Apuane,  non  può  che  accrescere  il  grado 
di  probabilità  che  esse  roccie  appartengano  ad  uno  stesso  piano  geo- 

1 BusAtti  L.,  Studi  petrografìci  (Proc.  verb.  Soc.  tose.  Se.  nat.,  8 maggio  1887). 

2 Savi  e Meneghini,  Considerazioni,  ecc.  (Firenze,  1851).  — De  Stefani  C., 
Alghe  fossili  nelle  roccie  delle  Alpi  Apuane  (Proc.  verb.  Soc.  tose.  Se.  nat.,  7 lu- 
glio 1881). 


— 36  — 


logico.  Si  aggiunga  inoltre  che  questi  scisti  argillosi,  e precisamente 
i verdi,  presentano  nel  Monte  Pisano,  sulle  superficie  di  scistosità,  ri- 
fioriture di  carbonato  di  rame,  alla  stessa  guisa  che  quelli  analoghi 
triasici  dei  dintorni  di  Vagli  nelle  Alpi  Apuane. 

Questa  formazione  scistosa  nella  sua  parte  inferiore  è costituita  da 
calcescisti  che  mantengono  prevedenti,  come  i sovrapposti  scisti  arde- 
siaci,  le  colorazioni  verdi  e violette,  e che  in  vari  punti,  come  nei  pressi 
di  Castel  Passerino  e sopra  il  Grottone,  acquistano  una  tessitura  marca- 
tamente cristallina.  Anche  nelle  Alpi  Apuane  questi  calcescisti  succedono 
in  basso  agli  scisti  ardesiaci  e divengono  cristallini  per  metamorfismo 
regionale,  laddove  più  forti  furono  i dislocamenti  stratigrafici.  Anche  in 
quella  parte  del  Monte  Pisano,  dove  i calcescisti  sono  divenuti  cristal- 
lini, si  possono  notare  vari  fenomeni  che  accennano  ad  energiche  azioni 
meccaniche.  Così  al  Molino  della  Polla,  sotto  Rupe  Cava,  gli  scisti  sono 
fortemente  contorti  e stirati  in  direzione  obliqua  alla  stratificazione, 
ed  in  tutto  il  contiguo  Monte  Orma,  si  avvertono  negli  strati  disposi- 
zioni tali  che  ne  palesano  gli  intensi  dislocamenti. 

Il  complesso  di  se  sti  e calcescisti,  compatti  e cristallini,  di  questa 
zona  di  roccie  del  Monte  Pisano,  si  assomiglia  talmente,  in  tutte  le  sue 
varietà,  a quello  triasico  delle  Alpi  Apuane  da  non  lasciare  il  minimo 
dubbio  sulla  loro  corrispondenza  cronologica.  Nei  dintorni  di  Vagli  spe- 
cialmente predominano  i calcescisti  verdi  e violetti  analoghi  a questi 
del  Monte  Pisano  e i cipollini  verdi-chiari  micacei  scavati  a Pruno  e 
Volegno  nelle  Alpi  Apuane  si  scambierebbero  con  quelli  di  Castel  Pas- 
serino nel  Monte  Pisano. 

Fra  i calcescisti  di  Corliano  trovasi  una  breccia  simile  al  pao- 
nazzetto  di  Carrara,  e ad  un  cipollino  brecciato  triasico  del  Capo 
Corvo  nei  monti  della  Spezia,  del  quale  esistono  esemplari  nel  Museo 
di  Pisa. 

L’analogia  di  queste  roccie  del  Monte  Pisano  con  quelle  triasiche 
delle  Alpi  Apuane  non  era  sfuggita  al  Savi,  il  quale  le  sincronizzava 
nei  primi  tempi,  comprendendole  setter  la  stessa  denominazione  di 
scisti  varicolori.  Riferiva  però  queste  e quelle  al  periodo  giurassico 
non  essendo  stato  allora  peranco  scoperto  dal  Capellini  l’Infralias  della 
Spezia  e quindi  il  corrispondente  delle  Alpi  Apuane  sotto  al  quale 
quelle  roccie  apparivano. 


— 37  — 


Sotto  ai  calcescisti  segue  costantemente  nel  Monte  Pisano  una 
zona  di  diaspri  e scisti  rossi  allappanti,  ai  quali  succede  altra  zona 
non  interrotta,  ma  di  esiguo  spessore,  di  calcari  grigi  con  selce, 
aventi  di  solito  nella  loro  massa  disseminati  porfìricamente  frammenti 
cristallini  di  calcite  e che  perciò  furon  detti  dal  D’Achiardi  picchiettati. 
Essi  ritrovansi  presso  i Bagni  di  Casciana  in  connessione  con  diaspri 
titoniani  1 e sono  quindi  da  ritenersi  essi  pure  titoniani.  Se  poi  notasi 
che  nel  Monte  Pisano  vi  si  associa  un  calcare  grigio-cupo  con  selce 
analogo  a quello  tP  dei  monti  d’Oltre  Serchio,  è facile  riconoscere 
che  i due  calcari  si  corrispondono  perfettamente. 

Tutte  queste  roccie,  di  cui  abbiamo  discorso,  sono  apparentemente 
fra  loro  concordanti  e riposano,  pure  con  concordanza,  sugli  strati  a 
Posidonomya  Bronni,  coi  quali  si  apre  la  serie  basica.  Esse  furono 
dai  vari  autori  diversamente  determinate  riguardo  alla  loro  età. 

Il  calcare  cavernoso  dolomitico  fu  riferito  dal  Savi,  dal  De  Bo- 
sniaski  e da  me  al  neocomiano;  è però  da  notarsi  che  quando  scrisse 
il  Savi  tutto  il  calcare  cavernoso  della  Catena  Metallifera,  riconosciuto 
poi  come  retico,  era  riferito  al  neocomiano.  Il  De  Stefani  ritenne  quello 
in  questione  del  Monte  Pisano  e quello  della  Montagnola  Senese  per 
titoniano.  2 

Le  arenarie,  gli  scisti  ardesiaci  e i calcescisti,  compresi  sotto  la 
denominazione  complessiva  di  scisti  varicolori , nei  quali  però  entra- 
vano anche  i diaspri  sottostanti  e gli  strati  a P.  Bronni , furon  ritenuti 
giurassici  dal  Savi,  del  Lias  superiore  dal  De  Stefani.  Io  divisi  questo 
complesso  in  due  gruppi,  riferendo  il  superiore,  fino  al  calcare  pic- 
chiettato inclusive,  al  Giura  e Y inferiore,  comprendente  i soli  strati  a 
P.  Bronni , al  Lias  superiore.  Alcune  recenti  scoperte  paleontologiche 
hanno  permesso  di  ben  determinare  i limiti  fra  i quali  la  serie  in 
questione  è compresa.  Le  roccie  calcareo-argilloso-diasprine,  che  nei 
monti  d’Oltre  Serchio  (Tav.  I,  fig.  I e II),  in  tutte  le  Alpi  Apuane  e 
nella  Val  di  Lima  dividono,  con  una  costanza  sorprendente,  due  zone 


1 Lotti  B.,  Terreni  secondari  nei  dintorni  dei  Bagni  di  Casciana  (Proc. 
verb.  Soc.  Tose.  Se.  nat.,  10  genn.  1886). 

2 De  Stefani  C.,  Geol.  del  Monte  Pisano  (Mem.  del  R.  Com.  geol.  d’Italia, 
Voi.  HI,  Roma  1876). 


— 38  — 


di  calcari  con  selce  l’una  all’altra  sovrapposte,  offersero  al  Zaccagna  1 
fossili  titoniani  (Apti/hus  Beyriehi  e Belemnites  semisulcatus ).  Queste 
stesse  sono  le  roccie  che  nel  Monte  Pisano  cuoprono  direttamente  il 
calcare  cavernoso  della  serie  in  discussione.  Nei  calcari  argillosi  as- 
sociati ai  diaspri  rossi  che  compariscono  alla  base  di  questa  stessa 
serie  e che  per  alterazione  divennero  roccie  argillose  allappanti,  furon 
raccolti  di  recente  dal  dott.  Canavari  alcuni  aptici,  fra  i quali  VApty- 
chus  punctatus  Woltz.  2 Nei  diaspri  poi  si  rinvennero  radiolarie  come 
in  quelli  associati  ai  calcari  marnosi  ad  aptici  titoniani  della  Val  di 
Nievole.  3 

Resta  così  incontestabilmente  provato  che  la  serie  di  roccie  in 
questione  è compresa  fra  strati  a fossili  titoniani,  e che  perciò  non 
può  ritenersi  nè  basica,  nè  giurassica.  Non  rimangono  che  due  ipo- 
tesi; o che  esse  roccie  siano  tutte  titoniane,  o che  esista  in  questa 
parte  del  Monte  Pisano  un  forte  disturbo  stratigrafìco  il  quale  abbia 
prodotto  V inserzione  di  roccie  più  antiche  fra  strati  titoniani. 

La  prima  ipotesi  non  ha  in  suo  favore  che  l’apparente  regolarità 
colla  quale  queste  formazioni  sembrano  inserite  fra  quelle  superiori  e 
quelle  inferiori  ed  ha  contro  tutte  le  osservazioni  fatte  altrove,  non 
conoscendosi  affatto  roccie  titoniane  di  questo  tipo  e con  tale  enorme 
spessore  in  tutto  l’Appennino  settentrionale  e nella  Catena  Metallifera, 
dove  invece  il  titoniano  o manca  o è rappresentato  da  pochi  strati,  come 
avviene  appunto  nei  prossimi  monti  d’Oltre  Serchio. 

L’altra  ipotesi  è appoggiata  segnatamente  dal  fatto  della  completa 
analogia  che  queste  roccie  presentano  con  quelle  del  Trias  superiore 
delle  Alpi  Apuane.  E non  trattasi  già  di  una  sola  roccia,  ma  di  un 
complesso  di  roccie  le  quali  oltre  ad  assomigliare  nei  più  minuti  det- 
tagli a quelle  del  Trias  superiore  apuano,  presentano  altresì  lo  stesso 
ordine  di  successione. 

L’incontestabile  analogia  di  queste  formazioni  con  quelle  della 


1 Zaccagna  D.,  Lembi  titoniani  a foraggio  e a Casale  in  Lunigiana  (Proc. 
verb.  Soc.  Tose.  Se.  nat.,  14  genn.  1883). 

2 Canavari  M.,  Fossili  titoniani  del  Monte  Pisano  (Proc.  verb.  Soc.  Tose. 
Se.  nat.,  9 genn.  1887). 

3 Lotti  B.,  Fossili  titoniani  in  vai  di  Nievole  (Boll.  Geol.  n.  3 e 4,  1887). 


— 39  — 


Montagnola  Senese,  altre  ve  Ite  invocata  a sostegno  della  loro  età  giu- 
rassica o liasica  aggiunge  ora  un  nuovo  argomento  in  favore  della 
ipotesi  da  me  sostenuta.  Ivi  infatti  l’analogia  col  Trias  superiore  apuano 
non  si  limita  al  calcare  cavernoso,  all’arenaria  ed  agli  scisti  e calce- 
scisti più  o meno  cristallini,  ma  si  estende  anche  ai  marmi  ed  ai 
cosidetti  grezzoni  che  sono  le  roccie  più  caratteristiche  del  Trias  nelle 
Alpi  Apuane.  1 I crinoidi  da  me  raccolti  nei  marmi  della  Montagnola 
Senese,  se  pel  loro  stato  di  conservazione  non  hanno  potuto  esser  de- 
terminati con  sicurezza,  presentano  cionondimeno  caratteri  tali  da  farli 
ritenere  piuttosto  triasici  che  liasici.  2 Anche  certe  sezioni  di  am- 
moniti che  si  osservano  in  una  tavola  levigata  del  Museo  Castelli  di 
Livorno,  mostrano  secondo  il  Canavari,  alcune  particolarità  nelle  linee 
lobali  che  ricordano  tipi  di  ammoniti  triasici. 

Apparentemente  contrario  alla  ipotesi  che  esista  nel  Monte  Pisano 
un  dislocamento  stratigrafìco,  in  forza  del  quale  le  roccie  triasiche  si 
sarebbero  quasi  direi  intruse  fra  gli  strati  titoniani,  starebbe  il  fatto 
che  a breve  distanza  fra  il  vero  calcare  cavernoso  retico,  sottostante 
alla  serie  liasica,  e il  verrucano  permico  non  compariscono  gli  scisti 
e i calcescisti  simili  a quelli  segnati  tr 2 nelle  sezioni  I e II  della  tavola. 
Ma  se  tale  difficoltà  fosse  grave  essa  esisterebbe  anche  per  la  ipotesi 
opposta,  poiché  ad  una  distanza  quasi  uguale,  nei  monti  d’Oltre  Serchio, 
non  solo  non  vi  ha  la  benché  minima  traccia  di  questa  stessa  forma- 
zione tr*,  ma  neppure  del  calcare  cavernoso  tr1  al  posto  in  cui  dovrebbero 
trovarsi  tali  roccie  se  fossero  titoniane.  E poi  a tutto  rigore  non  può 
dirsi  che  non  esista  un  qualche  indizio  di  questa  formazione  tr2  fra  il 
Retico  e il  Permico,  perchè,  come  accennai  più  sopra,  presso  Caprona 
al  loro  contatto  si  hanno  dei  calcari  in  strati  sottili  come  quelli  di 
Rupe  Cava,  e certi  scisti  ardesiaci  variamente  colorati,  che  iniziano 
dappertutto  la  serie  del  verrucano,  presentano  notevoli  analogie  con 
quelli  della  formazione  tr ì. 

Altro  argomento  contrario,  e questo  d’una  certa  gravità,  lo  tro- 
viamo nel  fatto  che  gli  scisti  tr*,  in  un’area  ristretta  compresa  fra  il 


1 Lotti  R,  Sui  marmi  della  Montagnola  Senese  (Proc;,  verb.  Soc.  Tose.  Se. 
nat.,  13  nov.  1887). 

2 Simonelli  V.,  Fossili  del  marmo  giallo  della  Montagnola  Senese  (Ibidem). 


— 4Ò  — 


Monte  alle  Croci  e il  Grottone,  sembrano  ricuoprìre  in  anticlinale  le 
roccie  basiche;  in  seguito  ad  un  accurato  esame  mi  persuasi  però 
che  in  questo  tratto  gli  scisti  tr 2 sono  da  riguardarsi  come  frammenti 
più  o meno  grandi  di  una  massa  franata.  La  fìg.  I rappresenta  nel 
punto  x una  parte  di  questa  massa  scistosa  frammentaria  attraversata 
dalla  sezione. 

Quando  poi,  ad  onta  degli  argomenti  addotti,  non  si  volessero  ritenere 
triasiche  le  roccie  tr resterebbe  un  problema  insolubile  la  comparsa  del 
verrucano  presso  Rupe  Cava  tra  formazioni  che  in  tal  caso  sarebbero 
titoniane.  Soltanto  a spiegazione  di  questo  fatto  sarebbe  necessario  invo- 
care dislocamenti  stratigrafìci  ben  più  forti  di  quello  supposto.  Nè  alcuno 
potrà  mai  sostenere  che  le  roccie  di  Rupe  Cava  siano  esse  pure  tito- 
niane. Esse,  dallo  scisto  quarzoso  micaceo  alla  puddinga  grossolana  o 
anagenite,  sono  letteralmente  identiche  a quelle  del  verrucano  permico 
e contengono  gli  stessi  elementi  allotigeni  di  quarzo  bianco  e roseo  e 
di  tormalinite  nera,  cementati  da  un  minerale  micaceo  autigeno.  Si 
dovrebbe  ammettere  pertanto  che  in  due  periodi  geologici,  fra  loro 
lontanissimi,  si  fossero  potute  formare  roccie  clastiche,  identiche  per 
il  modo  d’aggregazione,  per  la  provenienza  degli  elementi  e per  il 
metamorfismo  successivamente  sofferto.  Mentre  poi  si  comprende  assai 
bene  come  in  una  zona  disturbata  di  roccie  argillose,  plastiche,  come 
le  tr possa  essersi  intruso  qualche  strato  del  verrucano  sottostante, 
non  ci  potremmo  render  ragione  della  origine  di  una  formazione  tanto 
caratteiistiea,  limitata  a poche  diecine  di  metri  d’affioramento. 

Devesi  ritenere  adunque  che  in  questa  parte  del  Monte  Pisano 
roccie  triasiche  e permiche  si  sono  intruse  fra  quelle  titoniane  in 
forza  di  un  dislocamento  stratigrafico.  Resta  a vedersi  come  può  essere 
concepito  tale  fenomeno  e quali  ragioni  possono  avere  presieduto  alla 
sua  attuazione. 

Le  sezioni  I e II  della  tavola  indicano  chiaramente  il  processo  del 
supposto  dislocamento.  Nell’area  occupata  ora  dai  terreni  in  questione 
formossi  una  piega  isoclinale  ribaltata  verso  Est,  nella  quale  ebbe 
luogo  lo  schiacciamento  e lo  stiramento  delle  roccie  costituenti  la 
gamba  ribaltata.  Questa,  perdurando  l’azione  sollevatrice,  fu  rotta  ed 
al  suo  posto  si  produsse  una  spaccatura  FF,  lungo  la  quale  le  masse 
rocciose  sovrastanti  scorsero  salendo  sulle  sottoposte. 


» 


Boll. del  R.Com.Geol.d'Ilaìia. 


Sezioni  geologici 


NO 


Anno  1888 Tav.  I (B. Loffi 


nel  Monte  Pisano 


ig.  Ili 


la  di  1 a 50  000 


R.Lit.  Goz  anni,  Pisa.' 


— 41  - 


Non  è questo  un  f nomeno  nuovo  di  geologia  orotettonica  e l’Heim 
ne  cita  esempi  nelle  Alpi  svizzere.  1 2 * * In  piccola  scala  poi  è frequentis- 
sima l’osservazione  di  questo  fatto  nelle  roccie  scistose  fortemente 
pieghettate  di  regioni  montuose.  La  rottura  o faglia  che  ne  deriva 
vien  chiamata  dalFHeim  Faltenverwerf ung , cioè  faglia  di  piega , per 
distinguerla  dalle  ordinarie  faglie  di  spaccatura  che  egli  chiama  Spai- 
tenverwerfung.  1 

Ne  è questa  la  sola  faglia  del  Monte  Pisano;  altra  se  ne  avverte, 
pressoché  parallela,  ad  un  chilometro  circa  di  distanza,  lungo  la  strada 
dai  Bagni  San  Giuliano  a Santa  Maria  del  Giudice.  Quivi  osservasi 
l’apparente  sovrapposizione  degli  scisti  del  verrucano  al  calcare  bianco 
del  Lias  inferiore  ed  al  calcare  retico. 

Alcune  considerazioni  finali  mostreranno  che  il  dislocamento  ac- 
cennato non  solo  era  possibile,  ma  che  le  condizioni  geologiche  si 
prestavano  alla  sua  attuazione. 

Le  formazioni  liasiche,  e specialmente  quella  potentissima  del 
calcare  bianco  l\  costituiscono  masse  amigdaloidi  che  terminano  rapida- 
mente in  cuneo.  Feci  già  notare  questo  fatto  altrove  5 ed  aggiunsi  che 
esso  verificavasi  pure  pei  calcari  liasici  dell’  Elba  e della  Pania  nelle 
Alpi  Apuane.  Dissi  allora  che  il  calcare  bianco  del  Monte  Pisano  co- 
stituisce una  massa  irregolarmente  amigdaloide,  grossa  e poco  estesa 
in  tutte  le  direzioni,  la  quale  vedesi  terminare  bruscamente  in  cuneo. 
Mentre  infatti  presso  le  cave  di  Santa  Maria  dei  Giudice,  fra  i calcari 
del  Lias  medio  e il  Retico,  il  calcare  bianco  a gasteropodi  ha  uno  spes- 
sore di  parecchie  centinaia  di  metri,  a meno  d’un  chilometro  di  di- 
stanza, presso  la  villa  De  Bosniaski,  si  assottiglia  talmente  da  essere 
ridotto  a qualche  metro  di  potenza  e poco  al  disotto  della  detta  villa 
si  ha  la  sovrapposizione  immediata  del  Lias  medio  al  Retico. 

Se  ora  ci  riportiamo  alla  fìg.  Ili  della  tavola,  nella  quale  ho  tentato  di 
ricostituire  approssimativamente  le  condizioni  preesistenti  al  disloca- 


1 Heim  A.,  Mechanismus  der  Gebirgsbildurig  (B.  II,  pag.  44,  tav.  XV,  fìg.  14). 

2 Una  serie  di  tali  pieghe  addossate  V un, a all’  altra  costituisce  ciò  che  il 

Suess  chiama  Schuppenstructur  (Das  Antlitz  der  Erde,  B.  I,  pag.  149). 

5 Lotti  B.,  Descr.  geoL  dell’isola  d’Elba  (Mem.  descr.  della  Carta  geolo- 

gica d’Italia,  II,  1886,  pag.  44). 


— 42  — 


mento,  noi  vediamo  che  la  piega  ribaltata  sarebbe  avvenuta  appunto 
lungo  una  zona  di  roccie  prevalentemente  plastiche  e che  la  ingente 
massa  rigida  dei  calcari  basici,  opponendo  una  notevole  resistenza 
alla  flessione,  avrebbe  potuto  determinare  la  rottura  F F ed  il  succes- 
sivo scorrimento  in  alto  delle  roccie  piegate  sulle  sottostanti. 

SPIEGAZIONE  DELLA  TAVOLA 


Sezioni  geologiche  nel  Monte  Pisano. 


Quaternario  ree.  . 
Eocene  


Neocomiano - cr 

\ ^ 

Tit  ontano < 

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Permico - pm. 


Lias 


Trias 


sup.  . . 
medio  . 

inf.  . . . 

(retico) . 


Alluvione. 

Arenaria. 

Calcare  nummulitico. 

Calcari,  galestri,  pietraforte  e scisti  policromi. 

Calcari  grigio-chiari  con  selce. 

Scisti  e diaspri  con  Aptici. 

Calcari  grigio-cupi  con  selce  e calcari  picchiettati. 
Scisti  e calcari  con  Posydonomya  Bronni. 

Calcari  con  selce  ad  Harpoceras. 

Calcari  rossi  ad  Arietites. 

Calcari  bianchi. 

Calcari  dolomitici,  calcari  ad  A cicuta  contorta  e Bac- 
trilli,  calcari  cavernosi. 

Arenarie,  scisti  e cipollini. 

Scisti,  puddinghe  ed  arenarie  quarzose  (verrucano). 


III. 

Sui  terreni  attraversati  dal  confine  franco-italiano  nelle 
Alpi  marittime;  nota  dèi  dott.  Alessandro  Portis. 

Chi  ha  rilevato  geologicamente  un  lembo  anche  piccolo  di  terri- 
torio, generalmente  vi  si  affeziona  e si  interessa  perchè  i lavori  suc- 
cessivamente eseguiti  sul  territorio  stesso  servano  a confermare  od  a 
correggere  le  osservazioni  fatte  e perchè,  completandosi  e parzialmente 
sovrapponendosi  coi  risultati  dei  rilevamenti  geologici  eseguiti  su 
territorii  finitimi,  servano  a far  viemeglio  conoscere  l’andamento  e la 


— 43  — 


ragione  delPandamento  dei  singoli  terreni  per  una  maggior  area  di 
territorio;  così  da  studi  isolati  risulterà  poi  agevole  la  compilazione 
di  una  carta  geologica  buona  e fedele. 

Quindi  dopo  aver  rivolta  la  mia  attenzione  a decifrare  la  costi- 
tuzione geologica  del  tratto  italiano  di  Alpi  Marittime  compreso  fra  il 
Monte  Viso  e la  sommità  della  valle  della  Tinea,  attendevo  con  im- 
pazienza il  risultato  degli  studi  di  chi  primo  si  sarebbe  applicato  a 
studiarne  il  versante  francese.  In  questo  momento  in  cui  è imminente 
la  pubblicazione  della  grande  Carta  geologica  d’Europa  intiera,  aveva 
tale  mio  voto  un’importanza  più  che  personale:  da  un  perfetto  accordo 
sui  terreni  affioranti  ai  confini  tra  Stato  e Stato  può  infatti  derivare  il 
vantaggio  che  certi  terreni  cessino  di  affiorare  e di  scomparire  brusca- 
mente proprio  in  coincidenza  di  un  confine  politico,  assumendo  invece 
un  andamento  più  naturale,  più  vero. 

Sventuratamente  dal  tempo  abbastanza  lontano  in  cui  per  l’amicizia 
personale  che  univa  l’ Elie  de  Beaumont  e il  Sismonda  Angelo  e per  essere 
la  scuola  geologica  piemontese  quasi  affigliata  alla  francese,  erano  in 
Francia  ed  in  Piemonte  comuni  le  provvisorie  vedute  sulla  costituzione 
delle  Alpi  che  l’uno  dall’altro  separano  i due  paesi  e sui  terreni  in 
esse  affioranti,  da  quel  tempo  non  fu  più  possibile  di  ottenere,  se  non 
un  accordo,  almeno  un  modus  vivendi  tollerabile  fra  l’andamento  dei 
terreni  alpini  francesi  e dei  piemontesi.  La  scuola  piemontese  ha  dovuto 
per  il  naturale  progresso  delle  cognizioni  scientifiche  rigettare  molte 
delle  teorie  su  cui  basava  l’antico  relativo  accordo  e rifacendo  sul 
proprio  territorio  la  Carta  geologica,  giunta  ai  confini  di  Stato  si  è tro- 
vata di  fronte  a terreni  che,  apparendo  pur  cogli  stessi  caratteri  di 
quelli  fino  a quel  punto  conosciuti  ed  assegnati  a determinati  livelli, 
pigliavan  tuttavia  per  opera  dei  geologi  francesi  altri  posti  nella  serie 
stratigrafica,  posti  talor  molto  distanti  da  quelli  in  cui  erano  stati  in 
Italia  collocati.  Onde,  quale  effetto,  l’inconveniente  dianzi  accennato  che, 
su  di  una  Carta  geologica  delle  Alpi  occidentali  combinata  sui  risultati 
delle  indipendenti  ricerche  dei  geologi  delle  due  nazioni,  si  riscontri 
una  quantità  di  terreni,  i quali  subitamente  scompaiono  od  appaiono  iti 
coincidenza  del  confine  e che  la  Carta  geologica  ne  risulti  necessaria- 
mente imperfetta  e disadatta  a fornire  una  idea  della  costituzione  geo- 
logica della  regione  e dei  terreni  in  essa  affioranti. 


— 44  — 


Àncora  una  volta  ed  ancor  più  accentuato  questo  fatto  mi  si  af- 
faccia leggendo  la  nota  del  sig.  Goret  intitolata  Geologie  du  bassin 
de  l’Ubaye , inserta  nei  numeri  6 e 7 del  voi.  XV  (3a  serie)  del  Bollettino 
della  Società  geologica  francese,  ed  esaminando  la  Carta  geologica  an- 
nessa (testo,  pag.  539-555;  carta  geol.,  tav.  X - Parigi  1887). 

Appare  dalla  nota,  ma  più  ancora  dalla  Carta,  che  se  1*  egregio 
autore  ha  data  molta  importanza  ai  terreni  affioranti  verso  il  centro  e 
verso  il  limite  occidentale  della  zona  da  lui  presa  a rilevare,  ne  ha 
data  molto  di  meno,  vuoi  pnr  maggior  difficoltà  di  percorrerne  il  suolo 
relativo,  vuoi  per  altre  ragioni,  a quelli  affioranti  verso  il  limite  orien- 
tale della  regione  stessa,  a quelli  che  si  avrebbero  dovuto  attaccare 
ai  terreni  venenti  dall’ Italia  dalla  provincia  di  Cuneo. 

Il  mio  tentativo  di  coordinare  i due  lembi  vicini,  in  modo  da  for- 
marne uno  solo  più  grande  e continuo,  fallisce  quasi  completamente 
dinanzi  alla  diversità  d’ interpretazione  data  nei  due  rilevamenti  agli 
stessi  terreni. 

Se  il  rilevamento  da  me  fatto  segue  dal  Colle  Traversette  il  confine 
franco -italiano  sino  al  Colle  di  Pouriac,  il  rilevamento  Goret  incomincia 
alquanto  più  giù  al  Colle  della  Niera  e va,  sempre  lungo  il  confine, 
sino  al  Colle  di  Pouriac;  là  se  ne  scosta  verso  oriente  per  seguir  l’an- 
tico confine  dalla  Francia  alla  Contea  di  Nizza.  Avremmo  avuta,  così 
una  linea  di  confine  abbastanza  sinuosa,  lunga  circa  sessanta  chi- 
lometri e su  di  essa  vi  sarebbe  stato  posto  a veder  terreni  comuni 
ai  due  rilevamenti  trascorrere  dall’uno  all’altro  e trovarsi  di  quà  e di 
là  in  relazione  con  altri  terreni  più  vecchi  e più  giovani  dei  quali  più 
naturali  e più  logiche  sarebbero  state  le  relazioni  e le  posizioni. 

Niente  di  tutto  questo  succede  esaminando  e mettendo  vicino  i due 
rilievi.  Io,  partendo  dal  nucleo  dei  gneiss  e scisti  cristallini  che  forma 
il  piede  piemontese  delle  Alpi  occidentali  (Cozie  e Marittime)  attraversai, 
andando  verso  occidente  il  primo  mantello  costituito  dalle  antiche  quar- 
ziti uroniane  che,  provenendo  dalla  Val  Pellice,  entra  per  il  Monte 
Frioland  nel  vallone  di  Ostana  e quindi  discende  sin  vicino  ad  Ostana, 
si  interrompe  per  buon  tratto  attraversando  l’alta  valle  del  Po,  ma  ri- 
piglia ad  Oncino  e si  distende,  sempre  addossato  al  gneiss,  in  ampia  zona 
verso  Sud,  sino  a San  Damiano  Macra;  là  si  assottiglia  e scompare. 

Al  disopra  di  questo  mantello  attraversai  l’altro,  concordantemente 


— 45 


disposto  e sovrapposto,  costituito  da  calcari  nettamente  stratificati,  incli- 
nati generalmente,  salvo  numerosi  accidenti  di  ripiegature  e fratture  locali, 
verso  occidente;  essi  rappresentano  per  me  il  paleozoico  inferiore  (Silu- 
riano e Devoniano)  ed,  entrando  in  Valle  Po  tra  il  Colle  dell’Escontera  e 
le  Roccie  Fons,  formano  una  zona  o benda  di  quattro  chilometri  di  lar- 
ghezza, la  quale  nel  suo  percorso  da  Nord  a Sud,  si  va  in  qualche  punto 
restringendo,  ma  che  generalmente  accenna  ad  allargarsi  e si  ripiega 
poi  verso  il  Piemonte  quando,  oltrepassata  l’estinzione  dell’Uroniano 
presso  S.  Damiano  Macra,  ne  piglia  la  posizione  rispettivamente  al 
gneiss  e,  costituendo  la  metà  orientale  della  valle  montuosa  di  Grana, 
va  a nascondersi  a Caraglio  ed  a Bernezzo  sotto  le  alluvioni. 

Oltrepassato  il  mantello  silurico-devoniano,  ho  nelle  mie  sezioni  attra- 
versato costantemente  il  massiccio  di  anfiboliti,  eufotidi  e serpentine  che 
costituisce  il  Monte  Granerò  e tutta  la  cresta  del  Monte  Viso,  e,  restrin- 
gendosi a Sud  di  Casteldelfìno  e scomparendo  al  Colle  Cavallina  in  Val 
Maira,  accenna  a ricomparire  (sempre  nella  stessa  posizione  tra  i calcari 
stratificati  siluriani  ed  i calcescisti  del  Carbonifero,  che  vengono  più 
ad  occidente)  accenna  a ricomparire  dicevo  dal  Nord  di  Pradleves  al 
Monte  Bram  e dal  Monte  Grum  sino  a Bernezzo  dove  a sua  volta  si 
nasconde  sotto  alle  alluvioni. 

Per  me  adunque  tutta  questa  serie  di  massicci  di  pietre  verdi,  per 
quanto  alcune  di  esse  affatto  d’ indole  eruttiva,  ha  una  importanza  consi- 
derevole sotto  il  punto  di  vista  stratigrafico;  esse  mi  segnano,  dappertutto 
dove  io  le  incontro,  il  limite  occidentale  dello  sviluppo  delle  roccie  si- 
luriano e devoniane,  il  limite  orientale  della  formazione  carbonifera. 

E realmente  ho  battezzata  zona  carbonifera  una  vasta  estensione 
di  calcescisti  ed  argilloscisti,  i quali  entrano  in  Italia  al  di  dietro 
(ad  occidente)  della  serie  delle  punte  del  Viso  e costituiscono  un  vasto 
mantello  che,  subito,  ha  una  larghezza  da  occidente  ad  oriente  di  al- 
meno otto  chilometri. 

E questa  benda  tenuta  nettamente  separata  dal  sistema  delle  roccie 
Viso  per  mezzo  della  valle  Vallanta,  che,  per  tutta  la  sua  lunghezza, 
ha  un  fianco  costituito  di  roccie  verdi  ed  uno  di  calcescisti;  poscia 
questa  benda  anche  materialmente  si  adagia  sul  nucleo  stesso  e,  giunta 
al  Colle  della  Cavallina,  si  adagia  sui  calcari  silurico- devoniani  dai  quali 
soltanto  localmente  vien  separata  con  piccolissimi  nuclei  o sottilissime 


46  — 


bende  di  roccie  verdi  che  appaiono  sulla  linea  di  confine  fra  i due  ter- 
reni; questa  linea  corre  dal  Nord  a S.E,  dal  Colle  Cavallina,  per  Stroppo, 
Bossura,  Castellaro,  Soglio,  Paglieres,  Punta  Gagetta  a Pradleves.  Da 
Pradleves  al  Monte  Bram  abbiamo  sempre,  al  limite  fra  le  due  forma- 
zioni, il  nucleo  allungato  di  ruccie  verdi  che  termina  al  Monte  Bram  e, 
dal  Monte  Grum  a Bernezzo,  una  nuova  zona  di  pietre  verdi,  qui  sovrat- 
tutto  diventata  di  talcoscisti,  assunta  una  direzione  da  Ovest  ad  Est, 
separa  ancor  sempre  i calcari  cristallino-stratificati  del  Silurico-devo- 
niano  dai  calcescisti  carboniferi. 

Il  nucleo  di  pietre  verdi  Pradleves-Monte  Bram  è allargato  verso 
Est  da  una  benda  parallela  di  quarziti  la  quale  gira  pure  il  lato  me- 
ridionale del  nucleo  stesso,  poi  si  allunga  verso  Est  e,  toccato  al  Monte 
Grum  il  secondo  nucleo  (quello  Monte  Grum-Bernezzo),  vi  si  adagia 
strettamente  contro  e lo  seguita  per  tutta  la  sua  lunghezza  fino  a per- 
dersi con  esso  sotto  le  alluvioni  a Bernezzo.  Però  se  nella  distesa 
Pradleves-Monte  Bram  le  quarziti  si  frammettevano  tra  i calcari  stra- 
tificati e le  roccie  verdi  che  sopportavano  i calcescisti,  nella  distesa 
Monte  Grum-Bernezzo  la  posizione  relativa  è cambiata  e i calcari  cri- 
stallino-stratificati del  Silurico-devoniano  toccano  direttamente  le  roccie 
verdi  e,  fra  queste  e i calcescisti  si  intercala  la  benda  di  quarziti.  Ne 
viene  di  conseguenza  che  non  si  possa  considerare  altrimenti  che  come 
contemporanee  o quasi,  e come  costituenti  una  sola  benda  o linea,  tutte 
le  roccie  di  questa  estensione  di  pietre  verdi  e quarziti  che  da  Pradleves 
scorre  verso  sud  ripiegando  un  pò  ad  Est  per  raggiungere  il  Monte 
Bram,  e poi  va  quasi  direttamente  fino  a Bernezzo,  sempre  tenendo 
separati  i calcari  cristallino-stratificati  silurico-devoniani  dai  calcescisti 
carboniferi. 

Ho  detto  che  questi  calcescisti  carboniferi  entravano  in  Italia 
mostrando  una  estensione,  da  occidente  ad  oriente,  di  oltre  otto  chi- 
lometri; da  Nord  a Sud  costituiscono  essi  una  vasta  zona  adagiata 
mediatamente  sopra  ai  calcari  silurico-devoniani,  una  zona  che  conserva 
generalmente  la  sua  larghezza  e cheTaccenna  a ripiegarsi  verso  Est; 
e realmente,  oltrepassato  il  Colle  Cavallina,  noi  vediamo  i calcescisti 
invadere  ancor  più  verso  Est  e la  benda  assumere  una  estensione  verso 
Sud-Est  dapprima,  e poi,  in  vicinanza  del  Monte  Bram,  direttamente 
verso  Est.  Quest’ultimo  cambiamento  di  direzione  avviene  con  notevole 


— 47  — 


restringimento  della  benda  stessa,  la  quale  in  seguito  torna  poi  ad 
allargarsi  e,  nascostasi  sotto  le  alluvioni,  allorchò  cessano  verso  la 
pianura  i contrafforti  che  formano  il  fianco  sinistro  della  Valle  Stura 
di  Cuneo,  riappare  più  ad  Est  nelle  montagne  che  separano  la  Liguria 
dal  Piemonte. 

Questa  zona  vastissima  e lunghissima  e facile  ad  osservarsi  è 
contornata  verso  il  suo  margine  (dapprima  occidentale  e poscia,  per  la 
mutata  direzione,  meridionale)  da  altra  zona  non  meno  evidente  di 
quarziti  ed  anageniti  che  tutti  i geologi  italiani,  che  recentemente  rile- 
varono ne’le  Alpi  Marittime,  son  d’accordo  di  collocare  nel  Permiano. 
Ma  questa  zona,  se  generalmente  ha  la  posizione  indicata,  nei  suoi 
particolari  però  si  frammette  eziandio  ai  calcescisti  carboniferi  del 
margine  e,  sovrattutto  là  dove  la  zona  entra  in  Italia,  noi  vediamo 
frequentemente  avverarsi  il  fatto  di  piccole  isole  costituite  da  quarziti 
ed  anageniti  interrompere  la  continuità  dei  calcescisti  carboniferi  e 
sconvolgere  localmente  l’andamento  e l’inclinazione  degli  strati  loro. 
Soventi  volte  in  queste  isole,  alle  quarziti  si  associano  roccie  verdi  : 
serpentine,  talcoscisti  ed  anfìboliti;  e sovt  nti  ancora  queste  ultime,  la- 
sciata la  compagnia  delle  quarziti  ed  anageniti,  compaiono  da  sole  for- 
mando isole  proprie  in  mezzo  ai  calcescisti. 

Ma  coll’accennare  all’andamento  dell’or  ricordata  principale  zona 
dei  calcescisti  carboniferi,  non  ho  esaurito  quanto  ho  da  dire  su  questa 
formazione,  poiché  la  zona  permiana  che,  partendo  da  Pietralunga,  at- 
traversando la  Varaita  di  Bellino,  costituisce  il  Pelvo  d’Elva  ed  il 
Chersogno,  e va,  oltre  Acceglio,  ad  acquistare  una  enorme  estensione 
sulla  destra  della  Valle  di  Maira  e poi,  assottigliandosi,  ad  attraversare 
la  Stura  di  Cuneo  in  corrispondenza  di  Mojola,  è,  per  tutto  il  suo  tratto 
segnato  dalla  direzione  N-S,  fiancheggiata  ad  Ovest  da  una  seconda 
estensione  di  carbonifero  sempre  costituito  da  calcescisti  ed  argillo- 
scisti  la  quale  solo  accenna  ad  assottigliarsi  e.  poi  perdersi  tra  Pon- 
temaira  e Villar  di  Acceglio.  Egli  è in  questa  zona  secondaria  carbo- 
nifera che  nel  Vallone  Traversiera,  ad  Est  della  Chiapera,  si  scoprono 
i banchi  di  antracite;  allo  stesso  modo  che,  nella  zona  principale,  si 
scoprono  i letti  di  antracite  di  Demonte  e di  Valloriate  e poi  i giaci- 
menti a piante  carbonifere  delle  Alpi  Marittime  piemontesi-liguri.  Questa 
zona  secondaria  carbonifera  è,  allo  stesso  modo  che  la  primaria,  fian- 


48  — 


cheggiata  ad  Ovest  da  una  benda  permiana  costituita  da  quarziti,  ana- 
geniti  e roccie  serpentinose,  e questa  benda  secondaria  permiana  non 
ha  più  l’andamento  continuo  e regolare  della  primaria,  ben  più  essa  si 
mostra  sotto  forma  di  piccole  elissoidi  allineate  lungo , il  margine  oc- 
cidentale dei  calcescisti  che,  in  complesso,  separa  dai  successivi  calcari 
triasici:  talora  sporgono  queste  piccole  elissoidi  anche  in  mezzo  alla 
distesa  dei  calcescisti. 

Egli  è in  questo  modo  che  il  confine  franco-italiano  scorre  per 
27  chilometri  di  lunghezza  (tutte  le  sinuosità  di  esso  seguite)  sempre 
su  roccie  carbonifere  o permiane,  ciò  attraversando  la  zona  carbonifera 
principale  dal  colle  di  Vallante  al  colle  di  St.  Veran,  poi,  cambiando 
direzione  e lungheggiando  la  qui  sottile  zona  permiana  principale,  dal 
colle  di  St.  Veran  al  Col  Longet,  poi  ancora,  attraversando  la  zona 
carbonifera  secondaria  od  occidentale,  dal  Col  Longet  al  colle  dei- 
fi  Autaret,  e finalmente  attraversando  1’  ultima  espansione  di  questa 
stessa  zona  carbonifera  e la  stretta  zona  permiana  dal  colle  dell’  Autaret 
al  Monte  Maniglia,  dove  cade  poi  sui  calcari  triasici. 

Ma  questi  ultimi  non  pigliano  ancora  definitivamente  la  loro  posi 
zione,  poiché  una  nuova  distesa  di  roccie  carbonifere  e permiane  li  inter- 
rompe, costituendo  a sè  una  terza  distesa  di  calcescisti  ed  argilloscisti, 
di  quarziti  ed  anageniti,  di  roccie  serpentinose  che,  molto  più  larga  in 
Francia,  si  restringe  per  entrare  in  Italia  tra  il  colle  di  Ciabriera  e 
l’Aiguille  di  Chambeyron;  e poi,  restringendosi  in  dicco  sottile,  passa 
sotto  la  Testa  di  Ciarm  donde  manda  un’apofisi  verso  N.E  a raggiun- 
gere, a Nord  del  Monte  Abrage,  la  descritta  zona  carbonifero-permiana 
secondaria;  poi  si  allarga  nella  parte  bassa  del  Vallone  Marin,  ripie- 
gando lievemente  ad  Est  sin  sotto  il  Saretto;  infine  al  di  là  di  Pontemaira 
va  ad  unirsi  alla  zona  carbonifero-permiana  primaria.  Egli  è in  questa 
terza  od  eccentrica  zona  carbonifera  che  si  scoprono  ad  Ovest  ed  in 
faccia  all’abitato  della  Chiapera  nuovi  ed  assai  potenti  banchi  di  antra- 
cite. Sarebbe  dunque  per  noi  sommamente  interessante  il  vedere  come 
si  comporti  verso  Nord  questa  inclusione  di  roccie  triasiche  in  mezzo 
a due  zone  curvilinee,  di  andamento  per  lungo  tratto  quasi  parallelo 
e costituite  da  roccie  carbonifere  e permiane,  ed  entrambe  fornite  di 
banchi  conosciuti  e vistosi  di  combustibile  antracitico. 

Ecco  il  momento  di  consultar  la  nuova  Carta  del  Goret.  Comin- 


— 49  — 


ciancio  essa  poco  a Nord  del  Col  Longet  trovo  colà  riportato,  con  forma 
analoga,  un  piccolo  nucleo  che  io  stesso  ho  a suo  tempo  rilevato,  ben- 
è chè  io  gli  avessi  dati  alquanto  più  angusti  confini.  Ma  questo  nucleo 
stato  da  me  osservato  siccome  costituito  da  quarziti  ed  anageniti  aventi 
ad  oriente  una  cortina  di  serpentine;  per  me  esso  costituirebbe  uno  dei 
tanti  nuclei  secondari  nei  quali,  come  ho  detto  sopra,  è verso  il  Nord 
di  questa  interessante  regione  smembrata  la  zona  permiana  principale 
prima  di  acquistare  il  grande  sviluppo  che  piglierà  tra  il  colle  di  Raissas- 
sena  ed  il  monte  Pietralunga.  Il  Goret  invece  ne  fa  la  frazione  di  un 
nucleo  di  gneiss  1 e così  lo  disegna,  da  render  probabile  nel  limitrofo 
territorio  italiano  una  grande  estensione  di  questo  nucleo  a spese  di 
quello  stesso  terreno  che  osservai  costituito  dai  calcescisti  carboniferi. 

Stando  a quanto  esposi  più  sopra,  dal  Col  Longet  all’Autaret  ci  trovia- 
mo costantemente  nella  zona  carbonifero- permiana  secondaria,  zona 
posta  ad  occidente  della  principale  e limitata  essa  stessa  ad  occidente 
da  una  benda  di  quarziti  ed  anageniti;  tal  zona  è larghissima  e 
dalla  Francia,  attraverso  il  confine,  entra  in  Italia.  Or  bene  lo  stesso 
terreno  è segnato  collo  stesso  limite  meridionale  dal  Goret:  esso  costi- 
tuisce uniformemente  l’estremità  Nord  della  sua  cartina;  si  vede  che 
deve  estendersi  più  a Nord  e più  ad  Ovest  dei  limiti  di  dipartimento 
da  lui  presi  a colorire,  ma  esso  ci  viene  indicato  siccome  terreno  di 
scisti  cristallini  e dal  Goret  viene  espressamente  fatta  menzione  in 
tale  zona  della  cava  del  marmo  di  Maurin,  una  breccia  ad  elementi  di 
serpentina,  che  per  me  non  è altro  che  il  protendimento  e la  rappre- 
sentanza della  benda  secondaria  od  occidentale  permiana. 

Dissi  che  dalla  testa  dell’Autaret,  lungo  il  confine,  fino  al  colle  di 
Maurin  si  incontrano  calcari  triasici;  poi  dal  colle  stesso  alla  Aiguille 
de  Chambeyron  si  incontrino  dapprima  argillo-scisti,  poi  serpentine  e poi 
quarziti  ed  anageniti  della  terza  zona  carbonifero-permiana  entrante  in 
Italia.  Egli  è quindi  soltanto  a Sud-Ovest  dell’Aiguille  de  Chambeyron 
che  noi  torniamo  a spaziare  sui  calcari  triasici  ad  Enerinus  liliiformìs , 
calcari  che,  seguendo  la  linea  di  confine,  si  incontrano  fino  al  monte 
Sautron  dove  lasciano  posto  a calcari  più  recenti  e probabilmente 


1 E questo  egli  espone  inoltre  graficamente  nella  sezione  Fig.  2 a pag.  554 
del  testo. 


4 


— 50  — 


liasici.  Niente  che  mi  indichi  la  continuazione  di  tutto  questo  nella  carta 
del  Goret;  là  tutto  il  confine  dall’Autaret  al  Vallonet  è dato  al  Trias 
inferiore  o arenarie  variegate  ed  è affatto  trascurato  il  visibilissimo 
ed  importantissimo  afiioramento  carbonifero -permiano  che  costituisce 
per  me  la  terza  zona,  la  più  periferica  di  questi  due  terreni  per  rispetto 
al  Piemonte. 

È bene  di  notare  come  tutti  i geologi  della  scuola  piemontese,  per 
quanto  abbiano  lavorato  individualmente  ciascuno  nella  sola  area 
che  si  erano  prefìssi  di  rilevare,  per  quanto  talora  abbiano  ignorato 
o voluto  di  proposito  trascurare  studi  fatti  sulla  stessa  area  o su  aree 
vicine  dai  loro  maestri  o colleghi,  tutti  però  son  sempre  venuti  al  ri- 
sultato di  riconoscere,  a partir  dalla  pianura  piemontese  e andando 
verso  occidente  e la  Francia,  di  riconoscere  di  attraversare  zone  suc- 
cessivamente più  giovani,  le  quali  tendevano  a circondare  i nuclei  an- 
tichi dai  quali  partivano:  non  sempre  si  fu  d’accordo  nel  definire  l’età 
relativa  di  ciascuna  nuova  zona  attraversata,  ma  l’andamento  generale 
di  esse  fu  stabilito  e sempre  confermato. 

Per  i piemontesi  adunque  il  mare  che  durante  i periodi  lauren- 
ziano  ed  uroniano  spaziava  uniforme  o quasi  sulla  località  or  tenuta 
dalle  Alpi  Cozie  e Marittime,  avrebbe  trovato  nei  periodi  cambriano 
e siluriano  un’  emersione  di  terreno  là  dove  esiste  oggidì  il  piede  pie- 
montese di  queste  Alpi.  Tale  emersione  si  sarebbe  andata  estendendo 
verso  occidente  a misura  che  si  passava  dal  periodo  siluriano  al 
carbonifero,  al  permiano,  al  triasic'ò,  al  liasico.  Il  mare  veniva  quindi 
respinto  gradatamente  e continuamente  verso  occidente  ed  il  piede 
francese  delle  stesse  Alpi  Cozie  e Marittime.  Questo  avanzamento  re- 
golare non  subì  che  una  apparente  eccezione  durante  il  Permiano,  al- 
lorquando il  Carbonifero  sollevato  a frantumi  lasciò  passare  il  mare 
permiano  dietro,  cioè  ad  oriente  di  ciascuno  dei  due  frantumi  estremi 
e lasciò  così  che  si  formassero  depositi  permiani  fra  consecutivi  rilievi  o 
frantumi  più  o meno  parallelamente  jìliineati.  Anzi  la  depressione  fra 
questi  due  estremi  frantumi  essendo  ancor  sotto  il  livello  del  mare 
triasico,  avvenne,  durante  quest’  ultimo  periodo,  una  deposizione  nuova 
di  materiale.  Così  si  spiegherebbe  la  presenza  delle  tre  bende  carbo- 
nifero-permiane  e V inclusione  del  Trias  fra  le  due  bende  estreme. 

Ed  i geologi  piemontesi  trovarono,  ad  ogni  volta  che  spinsero  le 


— 51  - 


loro  ricerche  in  Francia,  la  continuazione  di  questo  modo  di  presentarsi 
dei  terreni  e parve  loro  dovesse,  varcato  il  confine  politico,  piu  facile 
mostrarsi  la  risoluzione  del  problema  pel  fatto  che  là  molti  dei  terreni 
affioranti  contengono  fossili. 

Ciò  vuol  dire  che  la  disposizione  indicata  era  molto  evidente  e vi 
sarebbe  stato  da  aspettarsi,  almeno  nelle  linee  generali,  che  chi  stu- 
diasse di  proposito  al  di  là  dello  spartiacque,  designerebbe  andamenti 
di  terreno  un  po’  cc  nformi  a quelli  ritrovati  al  di  qua.  Il  Goret  invece  non 
solo  chiama  arenarie  variegate  o Trias  inferiore  le  roccie  del  Trias  medio, 
ma  le  fa  mutare  radicalmente  di  direzione  e le  fa  estendere  molto  da  Ovest 
ad  Est  per  addossarsi  a mantello,  girando  addosso  ed  a Sud1  al  supposto 
nucleo  di  gneiss  del  Col  Lónget  ed  al  suo  vasto  manto  di  scisti  cristallini 
discendente  fino  all’Autaret.  Ne  viene  che  i calcescisti,  le  roccie  ser- 
pentinose,  le  quarziti  e le  anageniti  del  Carbonifero  e del  Permiano  che 
vengono  dall’ Italia,  entrerebbero  da  Francia  sotto  il  nome  di  scisti  cri- 
stallini (Uroaiano)  cambiando  la  direzione  Nord  Nord-Ovest  in  quella 
di  Ovest  Nord-Ovest  e che  per  il  tratto  di  confine  dall’Autaret  al  Val- 
lonet  i calcari  triasici,  poi  gli  argilloscisti  della  zona  carbonifero-per- 
miana  terza  od  occidentale,  e le  roccie  verdi  e le  anageniti  che  vi  son 
strettamente  legate,  entrerebbero  tutti  insieme  in  Francia  sotto  il  nome 
di  Trias  inferiore;  ciò  cambiando  la  direzione  generale  ed  involgendo  a 
mantello  quei  calcescisti  che  io  chiamo  della  seconda  zona  carboni- 
fera e che  il  Goret  chiama  scisti  cristallini  siccome  dissi  or  ora. 

Descrivendo  sommariamente  e successivamente  l’andamento  ed  il 
percorso  delle  tre  zone  carbonifero  permiane  da  me  rilevate  ho  fatto  no- 
tare come  allo  esterno,  ad  occidente  della  terza  di  esse,  si  sovrapponga 
una  vasta  distesa  di  calcari  triasici  ad  Encrinus  liliiformis.  Questi  tra- 
verserebbero il  confine  entrando  in  Italia  sotto  un  angolo  molto  acuto  colla 
direzione  locale  della  linea  di  confine.  Dalla  Aiguille  de  Chambeyron  per 
la  Testa  della  Ferma,  il  Monte  Chambeyron,  il  colle  e monte  Nubiera  fino 
alla  Roccia  Bianca  di  Sautron,  quindi  per  una  lunghezza  di  circa  7 chilo- 
metri, la  linea  di  confine  viene  per  conseguenza  a trovarsi  nuovamente  sul 
Trias  il  di  cui  limite  occidentale  però,  quasi  in  corrispondenza  del  Monte 
Sautron,  accenna  a modificare  lievemente  il  suo  andamento  dapprima 


Veli  anche  la  sezione  qui  indicata. 


— 52  — 

Nord-Sud  col  piegare  un  pochino  ad  oriente  e continua  poi  sino  alla 
Sca^tta  in  direzione  Sud  Sud-Est,  Dal  Monte  Sautron  anche  il  confine 
italo-francese,  piegando  allo  stesso  modo  verso  1* Italia,  conserva  pure 
fino  alla  Scaletta  presso  a poco  la  stessa  direzione,  menò  una  più  mar- 
cata enclave  nel  nostro  territorio  tra  il  colle  Villadel  ed  il  monte  della 
Signora. 

Ed  appunto  dal  Monte  Sautron,  al  di  qua  del  confine,  ma  stretta- 
mente  addossato  ad  esso  e quasi  ad  esso  parallelo,  potei,  fino  oltrepas- 
sato il  colle  Villadel,  osservare  una  zona  di  calcari  più  recenti  del  Trias 
e pei  quali  non  mi  fu  dato  accertare  con  fossili  se  spettassero  al  Lias 
o ad  altri  piani  del  Giura.  Questi  calcari  che  incominciano  al  di  qua 
del  confine  vidi  avere  al  di  là  considerevole  sviluppo,  vidi  costituire 
il  versante  occidentale  del  Monte  Oronaie;  essi,  forse  ripiegando  alquanto 
verso  occidente  per  passar  sotto  al  lago  di  Oronaie  già  sito  in  terri- 
torio francese,  vengono  a confondersi  col  giacimento  giurassico  che 
entra  in  Italia  per  il  contrafforte  che,  bruscamente  terminato  col  monte 
della  Signora,  separa  il  vallone  di  Roburent  da  quello  della  Maddalena. 

In  grazia  della  menzionata  apofìsi  del  confine  francese  nel  nostro 
territorio  e del  ripiegarsi  del  Giura  in  senso  opposto,  appunto  in  corri- 
spondenza dell’apofisi  stessa,  il  Trias  sporge  e fa  gozzo  un'altra  volta 
in  Francia  e benché  il  gozzo  non  abbia  più  una  estensione  considere- 
vole tuttavia,  per  la  sua  sinuosità,  il  confine  stesso  si  trova  a correre,  dal 
colle  Villadel  al  colle  Roburent,  per  almeno  cinque  chilometri  sempre 
sul  calcare  triasico.  Al  colle  Roburent  il  confine  taglia  una  piccola 
espansione  di  porfido  rossastro,  poi  dei  tufi  porfirici  verdi,  poi  un  banco 
potente  di  anagenite;  tuttociò  in  meno  di  mezzo  chilometro:  quindi  il 
confine  passa  sul  calcare  giurassico  superiore  del  monte  della  Signora  e, 
traversandolo  dapprima  obliquamente  poi  traversalmente,  viene  a trovar- 
visi  sopra  per  2 chilometri;  infine  riattraversa  una  nuova  piccola  esten- 
sione di  calcare  triasico  ed,  allora  soltanto  che  è giunto  presso  la  strada 
internazionale  al  piano  della  Maddalena  e poco  sopra  di  essa  strada, 
entra  nel  Flisch. 

Il  rilevamento  Goret  ci  indicherebbe  delle  condizioni  molto  diffe- 
renti da  quelle  che  ora  ho  indicate.  Egli,  come  ho  già  detto,  invece 
di  ammettere  un  nucleo  di  roccie  antiche  lontano  e ad  occidente  della 
sua  area,  ne  ammette  uno  più  prossimo  ed  a Nord,  e vi  dispone  sopra  ed 


53  — 


attorno  tanti  mantelli  sempre  costituiti  da  terreni  più  giovani.  Cosi,  dalla 
testa  del  Vallonet  (dove  io  avevo  trovato  gli  strati  raddrizzati  di  roccie 
verdi  e di  anageniti  entranti  in  Francia  con  direzione  Nord-Ovest)  egli 
fa  entrare  quelle  stesse  roccie,  chiamandole  del  Kouper  e le  fa  entrare  con 
direzione  decisamente  ad  occidente  ed  in  seguito  curvilinea  e ripiegante 
verso  il  Nord  per  girare,  quale  cornice,  attorno  a quella  sua  estensione 
di  terreno  che  io  ritengo  carbonifera  e che  egli  ritiene  un  mantello  di 
Trias  inferiore  attorno  al  suo  nucleo  di  gneiss  e scisti  cristallini. 

Dal  Vallonet  fino  ad  un  chilometro  a Nord  del  colle  di  Nubiera  il 
Goret  fa  passare  il  confine  su  roccie  giurass’che  (normalmente  traversan- 
done la  direzione)  le  quali,  disposte  a mantelli  successivi  sulla  indicata 
cornice  di  Keuper,  dovrebbero  avere  una  direzione  presso  a poco  da 
Est  ad  Ovest  o meglio  da  Nord-Est  a Sud-Ovest,  fare  un’apofisi  o gozzo 
verso  Sud  in  faccia  a Metronnes,  e poi  ripiegarsi  verso  Nord-Ovest 
ed  andare  nel  dipartimento  delle  Alte  Alpi  ad  involgere,  dal  lato  di  oc- 
cidente, sempre  quel  benedetto  nucleo  gneissico  del  Col  Longet  e gli 
scisti  cristallini  che  gli  starebbero  attorno;  esse  continuerebbero  sem- 
pre ad  essere  separate  da  questi  ultimi,  dapprima  per  mezzo  del  vasto 
mantello  che  egli  fa  di  Trias  inferiore  e poi  dalla  cornice  di  Keuper. 

Ma  il  curioso  si  è che  dal  colle  di  Nubiera  fino  sotto  il  monte  della 
Signora,  il  Goret  fa  passare  il  confine  italo-francese  sopra  una  nuova  vasta 
distesa  di  Trias  inferiore  proveniente  dallTtalia  e facente  una  mezza 
elissi  in  Francia;  questa  elissi  sarebbe  incorniciata  nella  parte  fran- 
cese qua  e là  da  minori  affioramenti  di  Keuper.  In  tal  modo  mentre  il 
suo  sistema  giurese,  costituito  (per  faglia)  da  Lias  due  volte  affiorante  e 
due  volte  nascondentesi  sotto  il  Giura  superiore,  corrisponderebbe  per 
me  soltanto  a calcari  ad  Encrinus  liliiformis , tutta  la  sua  nuova  elissi 
di  Trias  inferiore  comprenderebbe,  secondo  il  mio  modo  di  vedere,  tutti 
i terreni  diversissimi  che  ho  detto  attraversarsi  nel  percorrere  la  linea, 
di  confine  dal  colie  di  Nubiera.  al  colie  della  Maddalena,  cioè:  1°  Trias 
medio  dal  colle  Nubiera  fino  a mezzo  chilometro  a Nord-Ovest  de  la  vetta 
di  Sautron.  2°  Terreni  giurassici  da  tale  punto  fino  al  colle  Villadeh 
3°  Trias  medio  dal  colle  Villadel  al  colle  Roburent.  4°  Porfidi,  tufi  por- 
firici  e anageniti  del  Permiano  sul  colle  e contrafiorte  di  Roburent  per 
mezzo  chilometro.  5°  Giura  superiore  ai  monti  Pierassin  e della  Signora. 
6°  Trias  medio  sul  versante  occidentale  del  monte  della  Signora  e fin 


— 54  — 


presso  all’ incontro  della  nuova  strada  internazionale  sul  colle  della 
Maddalena. 

Giunti  una  volta  sul  piano  della  Maddalena,  ci  troviamo  in  una  vasta 
estensione  di  Flisch,  che  io  potei  per  parte  mia  riconoscere  verso  l’Italia 
sin  presso  Bersezio  e lì  interrotto,  ripigliare  dal  Monte  Giordano,  verso 
Est  sino  alla  Cima  Piconera  e poi,  verso  Sud-Est,  sino  al  Corso  del 
Cavallo  (senza  contare  la  sua  ulteriore  estensione  ad  Est  nelle  Alpi  Ma- 
rittime liguri):  meno  male  che  anche  in  Francia  il  Goret  lo  riconosce 
e lo  fa  continuare  verso  Ovest,  pigliandolo  dal  confine  presso  a poco 
allo  stesso  punto  ove  io  lo  potei  accompagnare,  cioè  poco  a Nord  del- 
l’intersecazione del  confine  stesso  colla  strada  internazionale.  Ma  sul- 
l’estensione verso  Sud  torniamo  ad  essere  in  completo  disaccordo.  Io 
sul  confine  trovai  il  Flisch  soltanto  fino  al  Ventassuso;  dopo  trovai,  in 
un  chilometro  di  percorso  da  Nord  a Sud,  prima:  strati  di  calcari  bianco- 
grigiastri che  credetti  cretacei,  poi  altri  strati  di  calcare  nero  in  cui 
trovai  abbondanti  fossili  titoniani;  e questi  strati  giurassici  finivano 
con  l’essere  quasi  normalmente  traversati  dal  confine  solo  al  passo 
di  Bail.  Di  lì,  seguitando  il  confine  stesso,  che  corre  decisamente  da 
Nord  a Sud,  passai,  per  la  lunghezza  di  un  chilometro  e mezzo  sulle 
testate  di  strati  di  arenarie  eoceniche  e poi  sopra  una  piccola  pila  di 
strati  scistosi  ricchissimi  in  nummuliti,  coralli  e grandi  gasteropodi 
che  incorniciava  a Sud  la  vetta  dello  Enchastraye.  E nel  burrone  che 
costituisce  la  parete  meridionale  di  questa  stessa  montagna,  affiorano 
numerosi  gli  strati  di  calcare  grigiastro  ad  ippuritidi  : poi,  più  verso 
Sud  fino  alla  Punta  dei  Tre  vescovi  si  incontrano  i calcari  neri  del  Giu- 
rassico superiore  e medio  ed  infine,  nella  parete  meridionale  di  questa 
ultima  montagna,  là  dove  essa  apresi  nelle  due  coste  (di  cui  l’una, 
dirigendosi  a Ovest-Sud  Ovest,  segue  l’antico  confine  tra  la  Francia  e 
la  Contea  di  Nizza  od  il  moderno  confine  fra  i dipartimenti  francesi 
delle  Basse  Alpi  e delle  Alpi  Marittime  e l’altra,  dirigendosi  dapprima 
quasi  ad  Est,  segue  il  nuovo  confine  tra  Francia  e Italia)  si  trova 
quella  zona  a fossili  basici  che  segnalai  nell’81,  che  rividi  in  se- 
guito e la  di  cui  esistenza  è facilissima  a constatare. 

Se  il  Cretaceo  ed  il  Giura,  che  entrano  in  Italia  pel  tratto  di  con- 
fine compreso  tra  il  Ventassuso  ed  il  passo  Bail,  poca  estensione  hanno 
sul  nostro  territorio  ed  appena  riescono  a toccare  il  basso  del  vallone 


— 55  — 


dì  Pourìac  senza  risalirne  la  destra  sponda,  altrettanto  non  può  dirsi 
dei  terreni  che  vengono  in  seguito,  chè  il  macigno  e lo  scisto  nummu- 
litico  ed  il  Cretaceo  scendono,  girando  attorno  la  Cima  delle  Lose,  a rag- 
giungere presso  Bersezio  la  Valle  Stura,  ad  attraversarla  interrompendosi 
su  breve  tratto  per  ricomparire  sulla  sinistra  sponda  dove,  addossandosi 
strettamente  al  Flisch  che  ha  presso  a poco  le,  stessa  direzione,  e contor- 
nati strettamente  a Sud  dal  Giura,  formano  quella  lista  di  terreni  meso- 
zoici e terziarii  antichi  che  percorre  per  il  lungo  tutta  o quasi  la  Valle 
Stura  tenendone  generalmente  la  sinistra  sponda.  Infatti  la  sinistra  sponda 
non  viene  abbandonata  da  questa  benda  che  sotto  Demonte,  allorquando, 
girato  il  grande  nucleo  gneissico  del  Mercantour,  possono  i terreni  più 
recenti  passare  in  Val  Gesso  ed  in  Val  Vermenagna  ed  assumere  infine 
il  noto  loro  sviluppo  nelle  Alpi  Marittime  liguri. 

Che  cosa  troviamo  nella  carta  Goret  per  il  percorso  ulteriore  verso 
Ovest  di  questi  svariati  terreni?  Niente  assolutamente.  Tutti  i terreni  or 
menzionati,  riconosciuti  (forse  in  minor  complicatezza  e numero)  da  altri 
prima  di  me,  confermati  in  seguito,  dovrebbero,  stando  al  Goret,  proprio 
imbattersi  in  una  vasta  zona  uniforme  di  Flisch,  V unico  terreno  che 
continui  ad  occidente  il  Flisch,  il  Nummulitico,  il  Cretaceo,  il  Giura  ed 
il  Lias.  È il  caso  veramente  di  dire  che  questi  terreni  non  vollero 
nemmeno  di  un  passo  sconfinare  dal  territorio  italiano.  * 

Eppure  dal  sommo  dell’ Enchastraye  si  vede  molto  bene  il  Nummu- 
litico calare  in  territorio  francese  e invader  porzione  del  Vallon  di  Lau- 
zannier:  per  conseguenza  l’isoletta  di  Nummulitico  dal  Goret  posta  al- 
l’alto di  quel  vallone,  e per  lui  perduta  in  mezzo  al  Flisch,  dovrebbe  venir 
per  me  un  po’  abbassata  e collegata  col  Nummulitico  scendente  dall’En- 

1 Per  maggiore  esattezza  debbo  aggiungere  che  a pagina  551  nel  testo  vien 
fatta  menzione  del  Nummulitico  riposante  sul  Cretaceo  alla  montagna  dei  Tre 
Vescovi.  La  montagna  intesa  sotto  questo  nome  dal  Goret  è,  come  si  rileva  dal 
testo  stesso,  situata  presso  Saint  Vincent,  molto  più  ad  occidente  quindi  della 
montagna  omonima  di  cui  si  parla  nella  presente  nota.  Così  queste  due  montagne 
omonime  sarebbero  costituite  entrambe  da  Nummulitico  riposante  sul  Cretaceo  ; 
nell’una  però  il  Nummulitico  è concordante  col  sottoposto  Cretaceo,  nell’altra  esso 
riposa  sulle  testate  degli  strati  del  Cretaceo.  Debbo  aggiungere  pure,  per  essere 
esatto,  che,  se  il  Goret  non  ha  creduto  bene  adottare  per  la  vasta  estensione  di 
macigno  un  colore  od  un  segno  particolare,  egli  però  non  mancò  di  osservarlo, 
di  parlarne  nel  testo  e di  unirvelo  al  Flisch. 


— 56  — 


chastraye  stesso.  Così  potrà  anche  collegarvisi  l’altra  ìsoletta  posta  più 
ad  Ovest  e dal  Goret  disegnata  in  mezzo  ai  due  rami  dell’ Abries. 

Similmente  dall’alto  del  colle  di  Pouriac  o discendendo  nella  valle 
della  Tinea  non  può,  nemanco  ad  occhi  chiusi,  venir  trascurato  il  giaci- 
mento di  calcari  neri  a fossili  liasici,  in  mezzo  al  quale  si  apre  il  varco 
della  Cavale  dalla  contea  di  Nizza,  pel  vallone  di  Lauzannier,  al  diparti 
mento  delle  Basse  Alpi.  Questo  ultimo  giacimento  si  complica  qui  an- 
cora con  altri  terreni  fino  al  mare.  Come  va  che  anche  là  il  Goret 
seguita  a darci  dall’altra  parte  sempre  Flisch  e nient’ altro  che  Flisch? 

Poco  dopo  oltrepassato  il  colle  di  Pouriac  il  nuovo  confine  franco- 
italiano passa  su  roccie  gneissiche.  D’altronde  qui  si  intercala  a cuneo 
il  territorio  della  Contea  di  Nizza  tra  il  territorio  a me  noto  per  averlo 
percorso  passo  a passo  ed  il  territorio  rilevato  dal  Goret:  cessa  adunque 
la  possibilità  della  discussione. 

Il  risultato  dell’esame  che  precede  è quindi  sufficientemente  scon- 

* 

fortante.  Se  i geologi  francesi  adotteranno  senz’altro  i risultati  della  ri- 
cerca Goret,  sarà  ritardato  per  un  tempo  considerevole  un  desiderabile 
accordo  sull’andamento  dei  terreni  che  si  trovano  attraversati  dal  con- 
fine franco-italiano  per  quanto  esso  tocca  la  provincia  di  Cuneo.  Fino 
a nuove  ricerche  per  parte  francese,  o fatte  di  comune  accordo  sullo 
stesso  terreno  da  geologi  delle  due  nazioni,  vedremo  i terreni  regolar- 
mente svolti  su  di  un  territorio  arrestarsi,  scomparire  bruscamente 
di  contro  ad  altri  terreni  di  ben  diversa  età  che  regolarmente  affiorereb- 
bero nel  territorio  finitimo;  nè  italiani,  nè  francesi  potranno  farsi  un 
esatto  e sicuro  concetto  del  come  si  colleghino  i terreni  più  recenti 
ai  terreni  antichi  che  costituiscono  una  parte  considerevole  delle  Alpi 
occidentali. 


Roma , 15  dicembre  1887. 


— 57  — 


IV. 

m 

Contribuzione  allo  studio  p etnografico  dei  mdcani  viterbesi , 
di  L.  Bucci. 

Le  roccie  qui  descritte  provengono  da  località  dove  compaiono  con- 
temporaneamente trachiti,  leucititi  e altre  roccie  leucitiche;  servono 
perciò  a gettare  un  po’  più  di  luce  sulla  vera  natura  e forse  anche  sul- 
l’origine delle  roccie  trachitiche  con  leucite.  Alcune  di  esse  sono  com- 
pletamente prive  di  leucite:  in  altre  questa  anziché  accessoria,  è affatto 
accidentale;  in  altre  infine  ve  n’ha  in  tale  quantità  da  obbligarci  ad 
adoperare  le  denominazioni  di  leucitojìro  o di  tefrite  leucitica. 

I.  Roccie  trachitiche. 

Le  due  trachiti  qui  descritte  meritano  la  nostra  speciale  attenzione 
per  contenere  dell’olivina. 

1.  Casaccio , sul  lago  di  Vico.  — Roccia  grigio-chiara,  un  po’  sco- 
riacea, con  grosse  segregazioni  di  feldspato.  Nella  massa  mostra  anche 
delle  segregazioni  nere  di  augite  è dei  granuli  color  giallo  miele  di 
olivina. 

Micr.  Roccia  a struttura  molto  cristallina,  formata  principalmente  da 
feldspato.  Le  segregazioni  sono  di  sanidino,  in  geminati  di  Carlsbad,  ric- 
che d’inclusioni  vetrose,  disposte  in  zone  parallele  al  loro  contorno  ester- 
no; di  plagioclase,  a contorno  integro;  d’ augite  verde  oscura,  fortemente 
pleocroitica  (verde  asparagio,  verde  giallognolo,  giallo  chiaro),  alcune 
volte  con  z.one  a colorazione  e pleocroismo  assai  più  deboli;  di  biotite 
bruna,  ricca  di  granuli  di  magnetite;  di  olivina,  in  granuli,  benissimo 
conservata,  con  sottile  orlo  rosso-bruno,  dovuto  all’ossido  di  ferro  spri- 
gionatosi dalla  stessa  olivina. 

La  massa  fondamentale  è formata  da  un  fitto  aggregato  di  feld- 
spato, riferibile  in  gran  parte  al  sanidino,  in  parte  anche  a plagio- 
clase; da  granuli  di  augite  verde  sbiadita;  da  lamelle  brune  di  biotite  e 
granelli  di  magnetite.  Spesso  è anche  visibile  un  fondo  vetroso  incoloro, 

3 accessoriamente  degli  aciculi  d’apatite. 


4 


— 58  — . 

2.  Madonna  della  Quercia , presso  Viterbo.  — Roccia  grigia,  un 
poco  oscura,  leggermente  tendente  al  bruno;  compatta,  con  rare  segre- 
gazioni bianche  di  sanidino,  più  rare  ancora  di  biotite  e augite;  infine 
con  frequenti  granuli  giallognoli  vitrei  di  olivina. 

Micr.  In  questa  roccia  la  massa  fondamentale  è abbondante  e co- 
stituita principalmente  da  feldspato  ortoclasico  e plagioclasico,  da  gra- 
nuli di  augite  verde  pallida,  e da  granelli  di  magnetite:  di  biotite  non 
mi  fu  possibile  riscontrare  alcuna  lamella. 

Le  segregazioni  sono  principalmente  di  augite  verde  pallida,  come 
nella  massa  fondamentale,  anzi  talvolta  completamente  incolora;  essa 
è però  superata  in  quantità  dall'olivina,  benissimo  conservata,  con  un 
sottile  orlo  rosso  bruno  d’ossido  di  ferro,  in  granuli  o più  spesso  in  cri- 
stalli semplici  o in  geminati  secondo  la  faccia  (101):  infatti  in  uno  di 
questi  geminati,  tagliato  quasi  parallelamente  al  pinacoide  comune  (100), 
tutti  e due  gl’individui  mostrano  alla  luce  convergente  una  bisettrice 
acuta,  e l’ angolo  d’  estinzione  fra  i due  individui,  o,  ciò  che  vale  lo 
stesso,  l’angolo  fra  gli  assi  verticali  dei  due  individui  misura  circa  60°. 

II.  Roccie  trachitiche  con  leucite. 

3.  Lava  di  Bagnorea.  — Roccia  grigio-oscura,  molto  cavernosa, 
ruvida  al  tatto  : le  sue  cavità  schiacciate  e disposte  parallelamente  se- 
condo dei  piani  paralleli,  rendono  la  roccia  facile  a fratturarsi  secondo 
quelli;  appunto  per  questo  essa  viene  adoperata  per  lastre  da  mar- 
ciapiedi. Nella  cavità  si  trovano  frequenti  lamelle  di  biotite.  Nella  massa 
della  roccia  si  distinguono  nettamente  alcuni  cristalli  di  leucite. 

Micr.  La  roccia  è costituita  da  una  massa  cristallina  feldspatica 
e da  segregazioni  di  augite,  biotite  e leucite. 

Il  feldspato  della  massa  fondamentale  è in  cristallini  rettangolari, 
talvolta  tanto  allungati  da  diventare  fibre;  per  la  mancanza  di  gemi- 
nazioni e per  l’estinsione  quasi  sempre  parallela  alla  loro  lunghezza? 
devesi  riferire  in  gran  parte  a sanidino.  Raramente  questo  feldspato 
cresce  tanto  in  dimensione  da  formare  delle  segregazioni.  In  mezzo 
alle  fitte  maglie  formate  dal  feldspato,  spiccano  i granuli  di  augite  ver- 
dastra o grigiastra,  i granelli  di  magnetite  e le  lamelle  brune  di  biotite. 
Laddove  il  feldspato  scarseggia,  là  è visibile  anche  un  fondo  vetroso 


— 59  — 


incoloro  o ricco  di  microfelsite  giallastra.  L’  augite  delle  segregazioni 
è in  cristalli,  di  colore  verde  vivo,  fortemente  pleocroitica  (verde 
asparagio,  verde  giallastro,  giallo  arancio)  e contiene  molte  inclusioni 
vetrose.  La  biotite  è in  grosse  lamine,  spesso  ricca  di  granelli  di  ma- 
gnetite, e allora  molto  scolorata,  anzi  talvolta  completamente  rimpiaz- 
zata da  un  ammasso  di  granelli  di  magnetite. 

In  questa  roccia,  a tipo  veramente  trachitico  compaiono  dei  rari 
frammenti  di  cristallo  di  leucite,  limpida,  o caolinizzata  un  poco  solo 
alla  parte  esterna,  priva  d’inclusioni;  la  quale  nulla  ha  da  vedere 
colla  roccia  in  cui  si  trova. 

4.  Madonna  dei  Ruscelli  ( Capranica ).  — Un  bel  tipo  di  trachite 
porfirica.  Essa  presenta  una  massa  grigio-oscura  sulla  quale  spiccano 
delle  grosse  segregazioni  cristalline  di  sanidino,  in  geminati  di  Carlsbad, 
accanto  alle  quali  compaiono  anche  delle  leuciti  completamente  caoli- 
nizzate.  Nella  massa  sono  visibili  anche  ad  occhio  nudo  cristalli  neri 
di  augite  e lamelle  di  biotite. 

Micr.  Massa  fondamentale  abbondante  e a struttura  cristallina, 
formata  principalmente  da  feldspato  ricco  d’inclusioni  vetrose  brune; 
da  molta  augite,  verde  pallida  ; da  biotite  e magnetite.  Raramente  si 
scorge  anche  un  fondo  vetroso  incoloro.  Alcune  lamelle  feldspatiche 
della  massa  ingrandendosi  formano  delle  vere  segregazioni,  che  per  la 
struttura  polisintetica,  si  fanno  riferire  a plagioclase.  Le  più  grandi  se- 
gregazioni feldspatiche  sono  però  di  sanidino:  esse  sono  visibili  anche 
ad  occhio  nudo.  È singolare  però  che  il  plagioclase,  da  considerarsi 
come  un  elemento  più  recente,  si  trovi  talvolta  incluso  nel  sanidino; 
forse  trattasi  di  un’  inclusione  apparente,  dovuta  ad  infiltrazione  della 
massa  fondamentale  nel  cristallo  di  sanidino. 

L’ augite  delle  segregazioni  è in  piccoli  frammenti  di  cristallo,  di  co- 
lore verde  sbiadito,  come  quello  della  massa  fondamentale.  La  biotite 
è ricca  di  granulazione  nera  di  magnetite,  che  in  certi  casi  la  rim- 
piazza completamente. 

Benché  sotto  il  microscopio  non  sia  capitato  alcun  frammento  di 
leucite,  però  i cristalli  visibili  ad  occhio  nudo  non  lasciano  alcun 
dubbio  sulla  loro  determinazione:  ed  è anzi  a notare,  che  mentre  il 
feldspato  è benissimo  conservato,  la  leucite  è completamente  càoliniz- 
zata.  Anche  qui  compare,  la  leucite  accidentalmente. 


- 60  — 


5.  Casaecia,  sul  lago  di  Vico.  — Roccia  grigio-oscura,  con  nu- 
merose macchie  bianche  di  leucite,  più  o meno  caolinizzata,  accanto 
alla  quale  compaiono  anche  molte  segregazioni  di  sanidino.  Nella  massa 
grigia  si  distinguono  numerose  macchiette  nere  di  augite  e lamelle  di 
biotite.  Questa  roccia  giace  direttamente  sulla  trachite  olivinica  della 
stessa  località,  già  innanzi  descritta. 

Micr.  Roccia  essenzialmente  tra,chitica,  formata  da  abbondante 
copia  di  feldspato,  e ricca  di  vetro  incoloro.  Il  feldspato  si  presenta 
anche  in  grosse  segregazioni,  ora  profondamente  corrose  dal  magma, 
e riferibili  a sanidino;  ora  benissimo  conservate,  ricche  d’inclusioni  ve- 
trose e riferibili  a plagioclase. 

La  massa  fondamentale,  eh’ è assai  vetrosa,  contiene  un  numero 
straordinario  di  lamelle  e microliti  feldspatici,  talvolta  tanto  esili  da 
diventare  fibre;  accompagnate  da  granelli  neri  di  magnetite,  da  lamelle 
di  biotite  e da  granuli  di  augite. 

Le  segregazioni,  oltre  a quelle  già  cennate  di  feldspato  sono  d’au- 
gite,  verde  oscura,  fortemente  pleocroitica  (verde,  verde-giallastro  e 
giallo  arancio),  in  cristalli  o frammenti  di  cristallo,  ben  conservata, 
racchiudente  talvolta  la  biotite;  di  biotite,  in  lamelle  brune,  ricche  di 
magnetite,  anzi  spesso  da  questa  in  parte  o totalmente  rimpiazzata. 
In  questa  roccia  è notevole  la  presenza  dell’ antibolo,  in  piccoli  cristalli 
bruni,  fortemente  pleocroitico  (bruno  chiaro  o bruno  oscuro),  che  per  la 
sua  tinta  si  potrebbe  confondere  facilmente  colla  biotite,  ma  che  per 
la  forma  cristallina,  la  sfaldatura  e pel  suo  comportamento  alla  luce 
polarizzata  non  lascia  alcun  dubbio  sulla  sua  determinazione.  Non  è im- 
probabile che  parte  di  ciò  che  noi  abbiamo  descritto  per  biotite,  nella 
massa  fondamentale  di  questa  roccia  e delle  altre,  qui  citate,  debba 
riferirsi  pure  aH’anfìbolo. 

La  leucite  è per  lo  più  in  frammenti  di  cristallo,  limpidissima,  priva 
d’inclusioni  e sotto  al  suo  contatto  colla  roccia  circostante  mostra  un 
sottile  orlo  caolinizzato. 

Anche  qui  abbiamo  da  fare  con  una  roccia  trachitica  contenente 
accidentalmente  delle  leuciti. 

Questa  roccia  contiene  anche  dell’olivina  in  granuli  o cristalli,  coi 
noti  caratteri,  più  volte  descritti,  in  modo  eh’  essa  corrisponde  quasi 
esattamente  alla  trachite  olivinica  sottostante,  e dalla  quale  si  distin- 


— Bi- 


glie per  la  presenza  della  leucite  e per  un  color  grìgio  più  oscuro  e 
un  aspetto  più  fresco. 

III.  Roccie  leucitiche  con  feldspato. 

6.  Fontanile  di  Fiesole , presso  Viterbo.  — Roccia  grigia  a strut- 
tura porfìrica,  ricchissima  di  piccole  segregazioni  di  leucite,  fra  le 
quali  compare  anche,  benché  raramente,  il  sanidino.  La  massa  è un 
pò  cavernosa  e mostra  cristallini  neri  di  augite  e granuli  giallo  rossastri 
di  olivina. 

Mier.  — In  questa  roccia  bisogna  distinguere  due  parti:  una  co- 
stituita essenzialmente  dalla  leucite  ; il  resto  invece  forma  una  roccia 
simile  a quelle  già  descritte.  Quest’ultima  è essenzialmente  feldspatica 
e ricca  di  parte  vetrosa.  Il  feldspato  predominante  è il  plagioclase,  ma 
v’ha  anche  sanidino:  tutti  in  cristaHi  ricchi  d’inclusioni  vetrose,  distri- 
buite in  una  o più  zone  parallele  al  contorno  esterno.  La  massa  fon 
damentale  e poi  costituita  da  molti  microliti  feldspatici,  accanto  ai  quali 
compaiono  molti  granelli  e dentriti  di  magnetite  o granuli  di  augite: 
non  mi  fu  possibile,  riscontrarvi  la  biotite. 

L’augite  compare  anche  in  grandi  segregazioni  cristalline;  essa  è 
di  color  verde  oscuro  e fortemente  pleocroitica. 

La  leucite  è in  bei  cristalli,  conservatissimi  e di  dimensioni  mag- 
giori alle  segregazioni  feldspatiche;  talvolta  però  si  rimpicciolisce  a 
formare  dei  cristallini  assai  minuti,  ma  non  tanto  da  pigliar  parte  alla 
costituzione  della  massa  fondamentale. 

Anche  qui  si  potrebbe  considerare  la  leucite  come  accessoria,  ossia 
riguardare  la  roccia  come  una  trachite  ricchissima  di  leucite;  intanto 
facciamo  notare  che  tanto  nella  leucite  che  nell’augite  compare  incluso 
il  feldspato,  in  lamelle  del  tutto  identiche  a quelle  della  roccia  fonda- 
mentale.  Queste  inclusioni  però  probabilmente  non  sono  che  apparenti, 
dovendo  riferirsi  aH’insè.aatura  del  magma  della  roccia  Rachitica  nelle 
cavità  della  leucite. 

7.  Madonna  del  L'iuro  {Vetralla).  — Roccia  porfìrica,  con  abbon- 
dante copia  di  grosse  segregazioni  leucitiche  ed  un  fondo  grigio  oscuro 
afanitico,  piuttosto  scoriaceo.  Fra  le  segregazioni  compare  ogni  tanto 
anche  qualche  cristallo  di  sanidino. 


— 62  — 


Micr.  — Il  fondo  della  ròccia  è a tipo  Rachitico,  esso  risulta  for- 
mato da  un  minuto  aggregato  cristallino  di  microliti  feldspatici,  granuli 
di  augite,  granelli  di  magnetite  e lamelle  di  biotite.  Le  grandi  segre- 
gazioni sono  formate  da  grossi  cristalli  di  feldspato  plagioclasico  (più 
raramente  di  sanidino)  e di  augite  verde  oscura  e fortemente  pleoeroi- 
tica,  come  quella  descritta  neHe  roccie  precedenti.  Allato  a queste 
segregazioni  compare  limpidissima  la  leucite,  in  cristalli  o frammenti 
di  cristallo,  con  numerose  inclusioni  vetrose  disposte  in  più  zone.  Anche 
qui  la  leucite  racchiude  delle  lamelle  di  feldspato  identico  a quello 
della  roccia  fondamentale,  e per  esso  vale  la  spiegazione  data  per  la 
roccia  precedente.  Questa  riccia  si  avvicina  più  ad  una  tefrite  leuci- 
tica,  e puossi  considerare  come  un’andesite  augitica  ricchissima  di 
leucite. 

8.  Lava  di  Capo  d’ Acqua  ( Vetralla ).  — Roccia  grigia  molto  oscura, 
minutamente  porfirica,  con  segregazioni  bianchissime  di  piccole  leuciti 
caolinizzate,  e più  raramente  di  sanidino. 

Micr . — Questa  roccia  mostra  una  massa  minutamente  cristallina, 
formala  principalmente  da  elementi  colorati,  cioè:  da  granuli  di  augite 
verde  chiara,  da  granelli  di  magnetite  e lamelle  di  biotite.  Fra  questi 
elementi  compare  il  feldspato  in  microliti  o in  cristallini,  che  crescendo 
in  dimensioni  formano  delle  vere  segregazioni  e allora  si  possono  riferire 
a plagioclase.  Tra  le  grandi  segregazioni  è da  notare,  oltre  al  citato 
plagioclase,  anche  l’augite  verde  oscura,  fortemente  pleocroitica  e l’o- 
livina in  granuli  ben  conservati,  con  un  sottile  orlo  esterno  rosso 
bruno  d’ossido  di  ferro.  La  leucite  è spesso  caolinizzata,  ma  talvolta 
si  mantiene  ancora  intatta:  essa  si  presenta  in  frammenti  di  grossi 
cristalli  o in  piccoli  cristalli,  con  struttura  zonata  ben  distinta,  dovuta 
alla  distribuzione  di  minutissime  inclusioni  (forse  un  inizio  di  caoliniz- 
zazione). Come  si  vede  qui  siamo  in  presenza  di  una  tefrite  leucitica, 
non  dando  tanto  peso  alla  presenza  dell’olivina;  o sotto  altro  punto  di 
vista  la  nostra  roccia  può  considerarsi  come  un’  andesite  (e  non  un 
vero  basalte)  contenente  molta  leucite. 

Dallo  studio  già  fatto,  e dalla  distribuzione  geologica  di  queste 
roccie,  appare  chiaramente  che  in  questo  territorio  vulcanico  bisogna 
distinguere  due  tipi  completamente  differenti;  uno  essenzialmente  tra- 


— G3  — 


chitìco  (così  la  trachite  del  Monte  Cimino,  di  Bagnorea,  ecc.);  l’altro 
puramente  leucitico  (leucitite).  Questi  due  tipi  compaiono  spesso  isolati 
e nettamente  distinti;  altre  volte  invece  è avvenuto  un  miscuglio  del- 
l’uno coH’altro.  Il  fondo,  la  base  di  tutte,  resta  allora  di  natura  trachi- 
tica.  Può  darsi  che  la  roccia  conservi  l’aspetto  trachiiico  e la  leucite 
vi  compaia  in  pochi  cristalli  isolati,  sparsi  irregolarmente  e che  non 
hanno  nulla  da  vedere  colla  roccia  fondamentale;  può  essere  invece  che 
il  continente  leucitico  sia  abbondantissimo,  tanto  da  obbligarci  a dare  le 
denominazioni  di  leucitofìro  e tefrite  leucitica.  La  trachite  dunque  è 
di  formazione  posteriore;  essa  ha  strappato  alle  leucititi  la  parte  leu- 
citica pigliando  aspetti  differentissimi.  In  favore  di  tale  supposizione 
parla  lo  stato  di  buonissima  conservazione  del  sanidino,  di  fronte  alla 
leucite  sempre  più  o meno  caolinizzata,  specialmente  al  contatto  colla 
roccia  che  lo  racchiude. 

Questo  fatto  parlerebbe  per  un’aumento  di  acidità  nei  prodotti 
vulcanici  successivamente  eruttati  in  questo  territorio,  concordemente 
a quanto  fu  pure  osservato  per  la  trachite  quarzifera  di  Monte  Virginio 
presso  Manziana. 


NOTIZIE  DIVERSE 


I fosfati  di  calca  nell’Algeria.  1 — La  meravigliosa  fecondità  in 
cereali  del  suolo  algerino  e tunisino,  che  valse  a queste  regioni  la  qua- 
lifica di  granai  di  Roma  diciotto  secoli  or  sono,  trova  oggidì  la  sua  spie- 
gazione nella  ricchezza  eccezionale  di  quel  suolo  in  acido  fosforico 
combinato  colla  calce. 

Le  ricerche  sommarie  eseguite  finora  in  Tunisia  dai  membri  della 
missione  geologica  organizzata  dal  Ministero  francese  della  Pubblica 
Istruzione,  portano  a concludere  sull’esistenza  di  giacimenti  immensi  di 
fosfato  di  calce  nelle  formazioni  suessoniane  e albiane  di  questo  paese 
e sulla  probabile  loro  estensione  nelle  formazioni  simili  dell’Algeria. 

1 Da  una  nota  di  Ph.  Thomas  pubblicata  nei  Comptes  Rendus  de  VAcade- 
mie  des  Sciences  a Paris}  30  janvier  1888. 


— 64  — 


Da  personali  ricerche  fatte  dal  signor  Thomas  nel  1885  e 1886  nel 
Sud  e neirOvest  della  Tunisia,  risulta  che  su  numerosi  punti  del  vasto 
territorio  compresi  fra  le  latitudini  di  Kairouan  e dei  Chotts,  come 
anche  lungo  tutta  la  frontiera  algerina  da  Kef  sino  a Gafsa,  esiste  un 
gran  numero  di  giacimenti  di  fosfato  terziarii  e secondarii,  dei  quali 
taluni  contengono  fino  a 32  % d’acido  fosforico.  Nello  stesso  tempo  il 
signor  Rolland  della  missione  geologica,  ingegnere  delle  miniere,  con- 
statava la  presenza  dell’  acido  fosforico  nei  calcari  eocenici  inferiori 
del  potente  massiccio  che  separa  Kairouan  dalla  Medjerda.  Infine  ulti- 
mamente il  signor  G.  Le  Mesle,  pure  della  missione,  constatava  l’esten- 
sione di  questi  medesimi  strati  a fosfato  al  Nord  della  Medjerda  sul 
limite  orientale  della  Kroumiria. 

Nell’Algeria  fino  al  presente  non  si  conoscevano  che  alcuni  giaci- 
menti di  fosfato  di  calce  assai  distanti  gli  uni  dagli  altri  e in  appa- 
renza non  collegati  tra  loro  da  alcun  deposito  intermediario.  Il  signor 
G.  Le  Mesle  specialmente  aveva  da  molto  tempo  scoperto  nel  djebel 
Bou-Thaleb  (dipartimento  di  Costantina)  un  affioramento  marnoso  del 
piano  del  gault,  contenente  fino  al  50  % di  fosfato  di  calce.  Per  parte 
sua  l’ingegnere  in  capo  delle  miniere,  Tissot,  segnalava  nella  sua 
Notice  mineralogique  sur  le  Departement,  de  Constantine  degli  indizii 
di  fosfato  di  calce  nei  terreni  terziarii  dei  Sellaouas  e dei  dintorni  di 
Duvivier,  facendo  giustamente  notare  che  la  relazione  costante  del  ter- 
reno suessoniano  con  le  regioni  fertili  in  cereali  permette  di  supporvi 
l’esistenza  del  fosfato  di  calce. 

Finalmente  il  Journal  Officiel  del  27  dicembre  ultimo  rivelava  resi- 
stenza a Nedroma,  nel  Nord-Ovest  del  dipartimento  di  Orano,  di  un  giaci- 
mento, di  già  in  coltivazione,  consistente  in  una  vena  principale  di  100m 
in  direzione,  situata  nel  piano  titonico  e contenente  circa  1200  tonnel- 
late di  fosfato  tribasico  a 38,51  per  cento  d’acido  fosforico;  giacimento 
che-  una  recente  comunicazione  alla  Società  climatologica  d’Algeri 
estende  fino  nel  territorio  dei  Beni-Dmarsous  all’Est  di  Nedroma. 

Ma  ecco  che  una  nuova  scoperta  ci  fa  conoscere  nei  terreni  num- 
mulitico  e . suessoniano  dei  dintorni  di  Souk  Ahras  (dipartimento  di  Co- 
stantina), importantissimi  giacimenti  di  fosfato  di  calce.  Questa  scoperta 
è dovuta  ad  un  negoziante  di  Souk-Ahras,  il  signor  G.  Vetterlé.  I gia- 
cimenti di  cui  si  tratta  sembrano  stendersi,  sulla  riva  destra  della 


- 65  — 

Medjerda  dai  dintorni  di  Souk-Abras  sino  alla  frontiera  tunisina;  essi 
ricordano,  sotto  molti  rapporti,  i giacimenii  tunisini  del  Kef  e del 
Guelaat-esSenam  e sembrano  tutti  tanto  ricchi  corre  quest’ultimo  in 
acido  fosforico.  Vi  si  trovane  le  stesse  marne  calcaree  fosfatate,  stratifi- 
cate regolarmente;  inoltre  dei  possenti  depositi  tufacei  e concrezio- 
nati  vi  formano  rivestimento  sopra  le  roccie  nummulitiche  e riempiono 
le  fenditure  profonde  delle  roccie  stesse,  alla  guisa  di  quei  tufi  zonati 
e concrezionati  che  sono  depositati  dalle  acque  dei  Geyser.  Secondo 
il  signor  Wetterlé  l’estensione  e la  potenza  di  tali  giacimenti  sarebbero 
considerevoli. 

Ne  si  limita  a ciò  quanto  si  conosce  sui  fosfati  algerini,  chè  si 
possono  indicare  altri  giacimenti  nel  dipartimento  d’Algeri.  11  più  im- 
portante si  trova  nel  massiccio  di  M’fatah  al  Sud  di  Boghar  sulla  riva 
destra  del  Chelif.  Esso  consiste  in  una  lunga  striscia  di  calcari  mar- 
nosi grigi  impastali  di  grani  a fosfato  ed  aventi  un  tenore  medio  del 
27  per  cento  di  acido  fosforico.  Questi  calcari  sono  in  rapporto  diretto 
colle  marne  suessoniane  a Ostrea  multicostata,  alle  quali  è sovrappo- 
sto ad  Est  il  sistema  nummulitico  di  Saneg  e di  Birin,  e quello  di  Kef 
Iroud  a Ovest. 

Più  a Nord,  nello  stesso  dipartimento,  si  citano  nei  dintorni  di  Aumale, 
di  Berrouagbia  e di  Medeah  degli  affioramenti  marnosi  del  piano  del 
gault,  a fossili  fortemente  fosfatati.  Alcuni  fossili  dei  dintorni  di  Aumale 
raccolti  dal  signor  Peron  hanno  dato  10  per  cento  di  acido  fosforico. 

Da  ciò  che  precede  sembra  si  possa  concludere  che  il  suolo  dell’Alge- 
ria è altrettanto  ricco  in  fosfati  naturali  che  quello  della  Tunisia.  L’agri- 
coltura di  questi  due  paesi  potrà  quindi  trovarvi  una  preziosa  risorsa 
per  aumentare  la  sua  produzione  in  cereali  il  cui  rendimento  su  molti 
punti  va  d’anno  in  anno  diminuendo. 

L’amianto  del  Canadà.  — 1 L’amianto  del  Canada  è una  varietà 
fibrosa  del  serpentino  conosciuta  sotto  il  nome  mineralogico  di  Crisotilo  : 
esso  differisce  quindi  dall’amianto  italiano  la  cui  composizione  e quella 
dell’anfìbolo.  Nel  commercio  gli  si  da  indifferentemente  il  nome  d’amianto 
o di  asbesto  indicandone  la  origine.  Gli  indigeni  del  Canadà  gli  danno 

1 Da  una  nota  di  J.  Obalski  pubblicata  nel  Bulletìn  mensuel  de  V Asso- 
ciatici des  élèves  de  V Ecole  des  Mines  a Paris,  N.  5. 


— 66  — 


anche  volgarmente  il  nome  di  pietra  di  cotone.  — Esso  ha  le  seguenti 
proprietà  mineralogiche:  color  bianco  verdastro  brillante  nel  senso  delle 
fibre;  densità  in  roccia,  di  circa  2,50  analoga  a quella  della  serpentina; 
inattaccabile  dagli  acidi,  infusibile  ma  però  vetrificabile  ad  alte  tempera- 
ture. Si  trova  in  vene  sparse  irregolarmente  nella  massa  serpentinosa,  le 
quali  hanno  uno  spessore  sino  a 0m,15;  si  ritengono  buone  quelle  che 
hanno  una  larghezza  da  0m,05  a 0m,07  e ottime  quelle  di  0m,10.  Le  fibre 
sono  disposte  nelle  vene  sia  normalmente  sia  un  po’ obliquamente  al!e 
pareti.  La  qua’ità  dell’amianto  si  distingue  per  la  lunghezza  delle  fibre, 
per  il  colore  bianco  brillante  e la  nettezza,  le  quali  proprietà  debbono 
trovarsi  riunite  per  avere  una  buona  prima  qualità.  Nelle  miniere  si  sta- 
biliscono generalmente  tre  classi  su  queste  basi,  più  una  classe  di 
rifiuti:  il  prezzo  varia  del  resto  assai  per  ciascuna  classe  secondo 
l’aspetto;  i prezzi  seguenti  possono  essere  presi  come  tipi: 

la  Classe:  350  a 550  franchi  la  tonnellata,  (quest’ultimo  prezzo  è 
raramente  raggiunto). 

2a  » 200  a 300  franchi. 

3a  » 125  a 200  » 

Rifiuti  50  » 

Tali  prezzi  sono  fìssati  per  la  tonnellata  di  2000  libbre  (92  ) kg)  in 
sacchi,  alla  miniera  o al  porto  d’imbarco  al  Canadà  e allo  stato  greggio 
in  roccia,  netto  per  quanto  è possibile. 

Si  trova  l’amianto  del  Canadà  nei  cantoni  dell’Est  della  provincia 
di  Quebec  e specialmente  nei  punti  denominati  Thetford,  Coleraine, 
Broughton  entro  grandi  zone  serpentinose  che  raggiungono  talora  lo 
spessore  di  più  di  un  chilometro  e che  sembrano  avere  una  direzione 
generale  di  Nord-Est.  Queste  serpentine  sono  frequentemente  attraver- 
sate da  masse  quarzose  é da  graniti.  I terreni  circostanti  sono  formati 
da  scisti  e da  arenarie  del  siluriano  inferiore. 

L’estrazione  si  fa  con  lavori  di  cava  affatto  elementari  sulle  col- 
line serpentinose  denudate  e la  cuRarltezza  non  oltrepassa  250  metri. 
L’abbattimento  è quindi  facile  e si  possono  anche  impiegare  delle  perfo- 
ratrici a vapore  o ad  aria  compressa.  Non  c’è  da  preoccuparsi  nè  di 
armamento,  nè  di  estrazione  d’acqua.  Il  lavoro  più  difficile  e più  dispen- 
dioso è la  cernita,  poiché  la  proporzione  d’ amianto  contenuto  nella 
roccia  è relativamente  tenue  e assai  variabile.  Non  si  è cercato  di  con- 


— 67  — 


statare  la  proporzione  di  materia  utile,  ma  l’autore  ritiene  che  un  rap- 
porto di  7-20  0 di  */'8o  sarebbe  assai  vantaggioso  specialmente  colla  prima 
qualità. 

La  cernita  si  fa  esclusivamente  a mano;  tale  operazione  è lunga  e 
non  si  possono  adoperare  i trituratori  ordinarii  per  non  rompere  le  fibre. 
In  tali  condizioni,  e tenuto  conto  del  prezzo  elevato  della  mano  d’opera, 
la  cernita  d’una  tonnellata  d’amianto  raggiunge  il  costo  di  franchi  30 
a 100.  Malgrado  l’abbondanza  della  serpentina  non  si  trova  ovunque 
l’amianto  estraibile,  ma  esistono  delle  parti  dove  la  roccia  è più  ricca. 

Fino  ad  ora  i lavori  sono  tutti  alla  superfìcie  ma  si  è riconosciuto 
che  l’amianto  più  bello  si  trovava  a profondità,  e senza  farne  una 
regola  generale  i coltivatori  ammettono  questo  principio,  e sperano 
che  lavori  più  profondi  daranno  un  miglioramento  nella  qualità  ed  un 
aumento  nella  quantità. 

Si  ve  le  facilmente  che  l’irregolarità  del  rendimento  in  materia  utile, 
la  grande  differenza  di  prezzo  fra  le  qualità  (125  a 350  franchi),  la  dif- 
ficoltà ed  il  prezzo  elevato  d Ila  cernita,  possono  rendere  incerta  la 
lavorazione;  incert.zza  che  fortunatamente  viene  compensata  per  la 
semplicità  dell’abattimento  della  roccia,  la  mancanza  di  spese  acces- 
sorie è la  facilità  dei  trasporti:  infatti  le  miniere  sono  poste  lungo  la 
ferrovia  Quebec  centrale  che  comunica  coi  porli  del  golfo  di  S.  Lorenzo 
e le  linee  degli  Stati  Uniti.  Quest’industria  è rimuneratrice  e ha  dato 
buuni  risultati  ai  coltivatori. 

La  coltivazione  delle  miniere  d’amianto  al  Canadà  non  data  che 
dal  1878  e la  produzione  totale  non  ohrepassa  le  8000  tonnellate,  quella 
dell’ultima  annata  essendo  stata  di  1400.  La  quantità  estraibile  è con- 
siderevolissima, ma  la  domanda  è limitata  poiché  le  applicazioni  di 
questo  prodotto  non  ne  richieggono  che  piccole  quantità. 


— 68  - 

PUBBLICAZIONE  BELLA  CARTA  GEOLOGICA  D’ITALIA 

PER  CURA  DEL  R.  UFFICIO  GEOLOGICO 


PARTI  PUBBLICATE  (al  1°  marzo  1888) 

Carta  geologica  della  Sicilia  nella  scala  di  1/100,000: 


Foglio  N.  244  (Isole  Eolie)  prezzo  L.  3 00 

Foglio  N. 

262  (Monte  Etna) . 

. L. 

5 00 

» 

248  (Trapani)  ...» 

3 00 

» 

265  (Mazzara  del  Vallo)» 

3 00 

» 

249  (Palermo)  ...» 

4 00 

» 

266  (Sciacca)  . . 

. » 

4 00 

» 

250  (Bagheria).  . . » 

3 00 

» 

267  (Canicattì)  . . 

• » 

5 00 

» 

251  (Cefalù) ....  » 

3 00 

» 

268  (Caltanissetta) 

. » 

5 00 

» 

252  (Naso)  ....  » 

4 00 

» 

269  (Paterno)  . . 

. » 

5 00 

» 

253  (Castroreale)  . . » 

4 00 

» 

270  (Catania)  . . 

. » 

3 00 

» 

254  (Messina)  . . . » 

4 00 

» 

271  (Girgenti)  . . 

. » 

3 00 

» 

256  (Isole  Egadi)  . . » 

3 00 

» 

272  (Terranova)  . 

. » 

4 00 

» 

257  (Castelvetrano)  . » 

4 00 

» 

273  (Caltagirone)  . 

. » 

5 00 

» 

258  (Corleone)  ...» 

5 00 

» 

274  (Siracusa)  . . 

. » 

4 00 

» 

259  (Termini  Imerese).  » 

5 00 

275  (Scoglitti)  . . 

. » 

3 00 

» 

260  (Nicosia)  ...» 

5 00 

» 

276  (Modica)  . . 

. » 

3 00 

» 

261  (Bronte).  . . . » 

5 00 

» 

277  (Noto)  . . . 

» 

3 00 

Tavola  di  sez.  N.  I (annessa  ai  fogli  249  e 258)  L.  4 00 

» » N.  II  (annessa  ai  fogli  252,  260  e 261)  » 4 00 

» » N.  Ili  (annessa  ai  fogli  253,  254  e 262)  » 4 00 

» » N.  IV  (annessa  ai  fogli  257  e 266)'  » 4 00 

» » N.  V (annessa  ai  fogli  273  e 274)  » 4 00 

W.I*.  — L'intiera  Carta  della  Sicilia,  in  28  fogli  e 5 tavole  di  sezioni,  con  quadro  d'unione 
e copertina,  è in  vendita  al  prezzo  di  lire  100. 

Carta  geologica  della  Sicilia  nella  scala  di  1/500,000  (serve  anche  di  foglio  di 
unione  della  precedente)  con  sezioni prezzo  L.  5 00 

Descrizione  geologica  dell’Isola  di  Sicilia,  con  una  Carta  geologica,  tavole 
in  zincotipia  ed  incisioni,  dell*  Ing.  L.  Baldacci  prezzo  L.  10  00 

Carta  geologica  dell*  Isola  d’  Elba,  nella  scala  di  1/25,000  con  sezioni  annesse 
(in  due  fogli)  prezzo  L.  15  00 

Descrizione  geologica  dell’  Isola  d’ Elba  con  Carta  annessa  nella  scala  di 
1/50,000,  dellTrig.  B.  Lotti prezzo  L.  10  00 

Relazione  sulle  miniere  di  ferro  dell’Isola  d’Elba,  con  un  atlante  di  carte  e 
sezioni  geologiche,  dellTng.  A.  Fabri  . . . prezzo  L.  20  00 


IN  CORSO  DI  STAMPA 

Carta  geologica  dell’Italia  Centrale  neilaTscala  di  1/100,000:  Foglio  N.  142 
(Civitavecchia);  F.  N.  143  (Bracciano);  F.  N.  144  (Palombara  Sabina); 
F.  N.  149  (Cerveteri)  ; F.  N.  150  (Roma);  F.  N.  158  (Cori). 

Descrizione  geologico-mineraria  dell’Iglesiente  (Sardegna),  con  un  atlante  di 
carte  e sezioni  geologiche,  dell’  ing.  GL  Zoppi. 


Per  le  commissioni  rivolgersi  al  R.  Ufficio  Geologico,  ovvero  alla  Libreria 
E.  Loescher,  in  Roma. 


MUSr 


Pubblicazioni  in  vendita  presso  l’Ufficio  Geologico 


Bttino  del  R.  Comitato  Geologico  d’Italia;  Voi.  I a XVII,  dal  1870 

Prezzo  di  ciascun  volume ^ 

Idem  di  un  fascicolo  separato  . . . • • - • • 

N.B.  - Il  prezzo  di  abbonamento  annuo  e di  L.  8 per  l’interno 
e di  L . 10  per  V estero. 

lorie  per  servire  alla  descrizione  della  Carta  geologica  d’Italia;  Voi.  I, 

II  e III  (Parte  la). 

Voi.  I.  Firenze,  1872  > 

Voi.  II.  Firenze,  1873-74 5 

Voi.  IH.  Parte  1*;  Firenze,  1876  * 5 

'occhi.  — Brevi  cenni  sui  principali  Istituti  e Comitati  geologici  e sul 
R.  Comitato  Geologico  d’ Italia.  Firenze,  1871.  . ...  • . • 

Zezi.  — Cenni  intorno  ai  lavori  per  la  Carta  geologica  in  grande  scala. 

Boma,  1875  

Giordano.  — Esposizione  in  ordine  cronologico  delle  principali  disposi- 
zioni successivamente  emanate  relativamente  alla  Carta  geologica  d’Italia. 

Boma,  1879  

Giordano.  — Sopra  un  progetto  di  legge  per  il  compimento  della  Carta 

geologica  d’Italia.  Boma,  1880 • • • • • • 

Giordano.  — Cenni  sull’organizzazione  e sui  lavori  degli  Istituti  geologici 

esistenti  nei  vari  paesi.  Èoma,  1881.  

Capellini.  - Relazione  a S.  E.  il  Ministro  di  Agr.  Ind.  e Comm.  sul 
Congresso  geologico  internazionale  del  1881.  Boma,  1881  ....  » 

lo c chi.  — Carta  geologica  della  parte  orientale  dell’ Isola  d’Elba;  scala 

di  1/50,000.  Firenze,  1871  . * • * * 

W.  C.  Fuchs.  — Carta  geologica  dell’Isola  d’ Ischia;  scala  di  1/25,000. 

Firenze,  1878 ' * 

Doelter.  — Carta  geologica  delle  isole  Ponza,  Palmarola  e Zannone; 

scala  di  1/20,000.  Boma,  1876  . . • • • • 

De  Giorgi.  — Abbozzo  di  Carta  geologica  della  Basilicata;  scala  di 

1/400,000.  Boma,  1879  5 

De  Giorgi.  — Carta  geologica  della  provincia  di  Lecce;  scala  di  1/400,000. 

Boma,  1880  . . . . » • * * * ' 1 

Capellini.  — Carta  geologica  dei  monti  di  Livorno,  di  Castellina  Ma- 
rittima e di  parte  del  Volterrano  ; scala  di  1/100,000.  Boma,  1881  . 
Capellini.  — Carta  geologica  della  provincia  di  Bologna  ; scala 

di  1/100,000.  Boma,  1881 • * * 

Capellini.  — Carta  geologica  dei  dintorni  del  golfo  di  Spezia  e Val  di 
Magra  inferiore;  2a  edizione;  scala  di  1/50,000.  Boma,  1881  . . 

Taramelli.  — Carta  geologica  del  Friuli,  con  testo  descrittivo;  scala 

di  1/200,000.  Udine,  1881  ......  ^ ; * * 

iliographie  géologique  et  paleontologique  de  l’Italie.  Bologne,  1881  . . 
biografia  geologica  e paleontologica  della  provincia  di  Roma.  Boma,  1886 


l 1886 
10  — 

2 — 

35  — 
80  — 
10  — 

1 50 

1 — 

1 — 

1 50 

1 50 
1 — 

2 50 
. 2 — 

. —2 

► 2 — 

^ 2 — 

» 8 — 

» 4 - 

» 3 — 

» 7 — 

» 10  — 
» 2 — 


Annunzi  di  pubblicazioni 

A.  Goiran.  — Appendice  e note  al  catalogo  dei  terremoti  veronesi 

Verona,  Ì887;  pag.  28  in-8°. 

•G.  Struever.  — Ulteriori  osservazioni  sui  giacimenti  minerali  di  V 
d’Aia  in  Piemonte.  — Roma,  1887;  pag.  18  in-4  con  una  tavola. 

G.  A.  Pirona.  — Nuova  contribuzione  alla  fauna  fossile  del  terrea 
cretaceo  del  Friuli  (Atti  del  R.  Istituto  Veneto,  serie  VI,  T.  V,  disp.  1( 
— Venezia,  1887;  pag.  6 in-8°  con  una  tavola.  ! 

A.  Issel.  — La  nuova  Carta  geologica  delle  Riviere  liguri  e delle  A 
marittime  (Bollettino  della  Società  Geologica  Italiana,  voi.  VI.  fase  3°G 
Roma,  1887;  pag.  16  in-8°. 

C.  De  Stefani.  — L’  Appennino  fra  il  Colle  dell’  Altare  e la  Polcevei 

(ibidem).  — Roma,  1887;  pag.  40  in-8°  con  una  tavola. 

Idem.  — Il  terreno  terziario  nella  valle  del  Mesima  (ibidem)  — Roma  18$ 

pag.  8 in-8°. 

A.  Verri.  - Rapporti  tra  le  formazioni  con  ofìoliti  dell’  Umbria  e 
breccie  granitiche  del  Sannio  (ibidem).  — Roma,  1837;  pag.  12  in -8°. 
A.  Tommasi.  — A proposito  del  permiano  nell’ Appennino  (ibidem).  ? 

Roma,  1887  ; pag.  4 in-8°. 

C.  F.  Parona.  — Appunti  per  la  paleontologia  miocenica  della  Sardeqn 
(ibidem).  — Roma,  1887;  pag.  70  in  8°. 

L.  Foresti.  — Alcune  forme  nuove  di  molluschi  fossili  del  Boloqnes 

(ibidem).  — Roma,  1887  ; pag.  10  in-8°. 

C.  Fornasini.  — Di  alcuni  foraminiferi  provenienti  dalla  spiaggia  di  Ci 

vitavecchia  (ibidem).  — Roma,  1887;  pag.  6 in-8°.  • 

Idem.  — Tre  note  sulle  textularie  (ibidem).  — Roma,  1887;  pag.  30  in-l 
con  tre  tavole.  - 

E.  Clerici.  — La  vitìs  vinifera  fossile  nei  dintorni  di  Roma  (ibidem).  1 

Roma,  1887;  pag.  6 in-8°.  J 

S.  Squinabol.  — Nota  preliminare  su  alcune  impronte  fossili  nel  cai> 

bonifero  superiore  di  Pietratagliata  (Giornale  della  Società  di  letter 
e conversazioni  scientifiche  di  Genova).  — Genova,  1887;  pag.  6 in  8°.  ] 
G.  G.  Gemmellaro.  — La  fauna  dei  calcari  con  Fusulina  della  valle  de 
fiume  Sosio  nella  provincia  di  Palermo.  Fascicolo  1°.  — Palermo,  1881 
pag.  96  in-4°  con  10  tavole. 

G.  Spezia.  — Sulla  origine  del  gesso  micaceo  e anfìbolico  di  Val  Che 
rasca  nell’Ossola  (Atti  della  R.  Accademia  delle  Scienze,  voi.  XXII 
Disp.  la).  — Torino,  1887  ; pag.  12  in-8°. 

M.  Lanzi.  — Le  diatomee  fossili  del  terreno  quaternario  di  Roma.  - 

Roma,  1887;  pag.  8 in-4°. 

T.  Taramelli.  — Dei  terreni  terziari  presso  il  Capo  la  Mortola  in  Liguri! 

(Rendiconti  *del  R.  Istituto  Lombardo,  S.  Il,  voi.  XX,  fase.  19)  — Mj 
lano  1888;  pag.  14  in- 8°.  t 

D.  Pantanelli.  — Descrizione  di  conchiglie  mioceniche  nuove  o pò© 

note  (Bollettino  delia  Società  malacologica  italiana  voi.  XIII).  — Pisa  1888 
pag.  6 in-8°. 

F . Sacco.  — Studio  geologico  dei  dintorni  di  Guarene  d’  Alba  (Atti  delli 

R.  Accademia  delle  scienze  di  Torino,  voi.  XXIII,  disp.  3a).  — Torino  1888, 
pag.  13  in-8°  con  una  tavola. 

M.  Lanzi.  — Le  diatomee  fossili  del  Monte  delle  Piche  e della  via 
Ostiense.  — Roma  1888;  pag.  10  in-4°. 

C.  F.  Parona.  — Contributo  allo  studio  dei  magalodonti  (Atti  Soc.  Italiani 
di  Se.  Nat.,  voi.  XXX,  fase.  4°).  — Milano  1888;  pag.  8 in-8°  con  tre  tavole.  I 
L.  Bozzi.  — Sopra  una  specie  pliocenica  di  pino  trovata  a Castelsardc 
in  Sardegna  (ibidem).  — Milano  1888;  pag.  6 in-8°. 

G.  Mercalli.  — Le  lave  di  Radicofani  (ibidem).  — Milano  1888;  pag.  14 

in-8°  con  una  tavola. 


R.  COMITATO  GEOLOGICO 


D’ITALIA. 

1888 

Bollettino  N.°  3 e 4 

Marzo  e Aprile 

■ - — 

KOMA 

TIPOGRAFIA  NAZIONALE 

di  Reggiani  & soci 


32?. 


1888. 


• ELENCO 

del  personale  componente  il  Comitato  e l’Ufficio  Geologico 
R.  Comitato  Geologico. 

Meneghini  Giuseppe,  prof,  di  geologia  nella  R.  Università  di  Pisa,  Presii. 
Capellini  Giovanni,  prof,  di  geologia  nella  R.  Università  di  Bologna. 
Cocchi  Igino,  prof,  di  geologia,  a Firenze. 

Cossa  Alfonso,  prof,  di  chimica  nella  R.  Scuola  di  applicazione  per  gli 
ingegneri  in  Torino.  ~ 

De  Zigno  Achille,  membro  nel  R.  Istituto  Veneto,  a Padova. 
Gemmellaro  Gaetano  Giorgio,  professore  di  geologia  nella  R.  Università 
di  Palermo. 

Scacchi  Arcangelo,  prof,  di  mineralogia  nella  R.  Università  di  Napoli. 
Scarabelli  Giuseppe,  senatore  deh  Regno,  a Imola. 

Silvestri  Orazio,  prof,  di  geologia  nella  R.  Università  di  Catania. 
Stoppani  Antonio,  professore  di  geologia  nel  R.  Istituto  tecnico  supe- 
riore di  Milano. 

Struver  Giovanni,  prof,  di  mineralogia  nella  R.  Università  di  Roma.  j 
Taramele i Torquato,  prof,  di  geologia  nella  R.  Università  di  Pavia. 

Il  Direttore  del  R.  Istituto  geografico  militare  in  Firenze. 

Giordano  Felice,  ispettore-capo  del  R.  Corpo  delle  Miniere,  a Roma.  ì 
Pellati  Niccolò,  ispettore  nel  R.  Corpo  delle  Miniere,  a Roma. 

Personale  addetto  ai  lavori  della  Carta  Geologica. 

Direzione  superiore  : 

Ing.  Giordano  Felice,  Direttore. 

Ing.  Pellati  Niccolò. 

Ufficio  centrale  (in  Doma): 

Ing.  Zezi  Pietro,  Capo  d’ufficio  e Segretario  del  Comitato. 

Ing.  Sormani  Claudio. 

Geologi  operatori : 

Ing.  Baldacci  Luigi,  Roma. 

Ing.  Lotti  Bernardino,  Pisa. 

Ing.  Cortese  Emilio,  Roma. 

Ing.  Zaccagna  Domenico,  Pisa. 

Ing.  Novarese  Vittorio,  Roma. 

Ing.  Aichino  Giovanni,  Roma. 

Sig.  Fossen  Pietro,  aiutante,  Pisa. 

Sig.  Cassetti  Michele,  aiutante,  Roma. 

Sig.  Moderni  Pompeo,  aiutante,  Roma. 

Personale  distaccato : 

Ing.  Mattirolo  Ettore,  Torino  (analisi  delle  roccie) 

Dott.  Canavari  Mario,  Pisa  (paleontologo). 

La  sede  dell’Ufficio  geologico  in  Roma  è nel  Museo  agrario-geologico, 
via  Santa  Susanna,  n.  1-A. 


BOLLETTINO  DEL  B.  COMITATO  GEOLOGICO 

F ITALIA. 


Serie  IL  Voi.  IX.  Marzo  e Aprile  1888.  N.  3 e 4. 


SOMMARIO. 


Memorie  originali.  — I.  Studio  geologico  delle  colline  di  Cherasco  e della  Morra, 
in  Piemonte,  di  F.  SACCO  (con  una  Carta  geologica).  — IT.  Sul  modo  di  for- 
mazione dei  conglomerati  miocenici  della  Collina  di  Torino,  di  A.  Portis.  — 
III.  Le  piante  fossili  nel.  travertino  ascolano,  di  A.  MASCARINI.  — IV.  Appunti 
geologici  sull’isola  di  Madagascar,  di  E.  CORTESE  (con  una  tavola).  — V.  Sopra 
alcune  lave  antiche  e moderne  del  vulcano  Kilauea  nelle  Isole  Sandwich,  di 
O.  Silvestri. 

Notizie  bibliografiche.  — Justus  Roth,  AUyemeine  und  chemische  Geologie; 
Berlin,  1879-87. 

Avviso  di  pubblicazione  della  Carta  geologica  d’Italia. 

Tavole  ed  incisioni.  — Tav.  Il:  Carta  geologica  dei  dintorni  di  Cherasco  e della 
Morra  (F.  Sacco),  a pag.  80.  — Tav.  III.  Carta  geologica  dell’isola  di  Ma- 
dagascar (E.  Cortese),  a pag.  128. 


MEMORIE  ORIGINALI 


I. 

Studio  geologico  delle  colline  di  Cherasco  e della  Morra 
in  Piemonte ; nota  del  dott.  E.  Sacco. 

(con  una  Carta  geologica). 

Se  si  osserva  in  complesso  la  parte  meridionale  del  bacino  ter- 
ziario del  Piemonte  si  nota  come  nella  porzione  sua  occidentale  i ter- 
reni che  lo  costituiscono,  mentre  per  lungo  tratto  si  dirigono  ad  un 
dipresso  da  Sud  a Nord,  cioè  dalle  falde  delle  Alpi  Marittime  verso  il 
centro  del  bacino,  dopo  un  notevole  sviluppo  in  tale  direzione  si  vol- 
gono piuttosto  rapidamente  ad  Est,  proseguendo  in  seguito  con  una 
direzione  media  da  Ovest  ad  Est  per  modo  da  costituire  così  le  re- 
gioni collinose  delle  Langhe  settentrionali,  dell’alto  Monferrato  e della 
Liguria  settentrionale. 

L’indicata  disposizione  a curva  dei  terreni  terziari  nella  parte  S.O 

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del  bacino  piemontese  credo  si  debba  attribuire  ad  una  catena  rocciosa 
paleozoica  diretta  appunto  ad  un  dipresso  da  S.E  a N.O.,  catena  ora 
quasi  completamente  mascherata  dai  terreni  terziari,  ma  di  cui  troviamo 
ancora  gli  ultimi  affioramenti  isolati  presso  Spigno,  Cartosio  ed  Acqui. 

Orbene  i terreni  miocenici  superiori  ed  i terreni  pliocenici  inferiori 
costituenti  le  colline  della  Morra,  che  formano  l’oggetto  di  questa  nota, 
si  trovano  precisamente  a far  parte  della  sovraccennata  curva  e,  come 
generalmente  si  verifica  lungo  l’asse  delle  elissoidi  di  sollevamento, 
essi  si  trovano  quivi  sollevati  ad  elevazioni  relativamente  assai  note- 
voli; così  ad  esempio  il  Messiniano  ad  oltre  550  m.  sul  livello  marino, 
che  è l’altezza  massima  raggiunta  da  tale  terreno  in  Piemonte. 

Per  essere  la  curva  in  questione  abbastanza  regolare,  ed  i terreni 
che  vi  prendono  parte  assai  dolcemente  inclinati,  ne  consegue  che  essi, 
per  quanto  relativamente  di  poco  spessore,  quivi  si  allargano  notevol- 
mente a guisa  di  ampie  placche  sovrapposte  le  une  alle  altre. 

Dato  tale  schema  stratigrafìco  parrebbe  esser  facile  lo  studio  geo- 
logico della  regione  collinosa  della  Morra;  ma  se  si  considera  che  al- 
cuni dei  terreni  che  la  costituiscono  non  sono  veri  piani  continui,  ma 
bensì  lenti  di  vario  sviluppo  e di  vario  spessore  ; che  altri  sono  ora 
ridotti  talvolta  a lembi  sparsi  e sottilissimi;  che  questi  terreni  spesso 
si  distinguono  tra  loro  quasi  solo  pei  resti  fossili  che  contengono  ; se 
si  tien  conto  della  orografia  non  molto  semplice  della  regione  in  esame; 
ed  inoltre  se  si  considera  lo  sviluppo  grandissimo  che  ha  quivi  la  colti- 
vazione, specialmente  viticola,  che  maschera  talora  completamente  e 
per  tratti  vastissimi  la  natura  geologica  del  terreno,  ne  consegue  che 
effettivamente  il  rilevamento  geologico  delle  colline  della  Morra  pre- 
senta non  poche  difficoltà  e lascia  anzi  talora  dei  dubbi  nella  deli- 
mitazione dei  vari  piani  geologici  che  le  costituiscono. 

Per  chiarezza  e brevità  di  esposizione  esaminerò  particolarmente 
ciascuno  degli  orizzonti  geologici  che  affiorano  nelle  colline  della  Morra, 
cominciando  da  quelli  più  antichi. 

Elveziano. 

I terreni  elveziani  compaiono  solo  per  brevissimo  tratto  nelle  col- 
line in  esame  e sono  caratterizzati  dal  presentare  potenti  banchi  are- 
nacei, grigio-giallastri,  spesso  assai  ricchi  in  fossili  per  lo  più  litto— 


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ranei  ( Ostrea , Pecten , Balanus , ecc.)>  ma  generalmente  infranti  e 
quindi  di  difficile  determinazione  specifica. 

Il  paese  di  Barolo  è precisamente  fondato  sopra  tali  banchi  are- 
nacei, che  nella  parte  loro  inferiore  danno  origine  a sorgenti  acquee 
che  hanno  una  certa  importanza  a causa  della  generale  scarsità  di 
acqua  che  si  osserva  in  queste  regioni. 

Però  gli  indicati  banchi  non  formano  che  una  particolarità  dell’ Elve- 
ziano , giacché  questo  piano  geologico  nella  sua  parte  superiore  è essen- 
zialmente costituito  da  un’alternanza  di  banchi  marnosi  e sabbiosi  gri- 
giastri i quali  servono  di  passaggio  gradualissimo  al  Tortoniano  in- 
feriore, per  modo  che  una  netta  delimitazione  tra  questi  due  orizzonti, 
quale  si  deve  segnare  nelle  carte  geologiche  in  realtà  non  esiste  ed  è 
quindi  in  gran  parte  arbitraria. 

Se  però  non  esiste  assolutamente  una  vera  linea  di  separazione 
tra  Elveziano  e Tortoniano , ciò  che  è d’altronde  affatto  naturale  in 
terreni  formatisi  successivamente  senza  salti,  esiste  invece  realmente 
una  distinzione  notevole  fra  questi  due  piani  geologici  se  vengono  os- 
servati in  complesso,  essendo  l’uno  essenzialmente  sabbioso  e l’altro 
prevalentemente  marnoso. 

Tortoniano. 

I terreni  tortoniani  delle  colline  della  Morra,  per  quanto  in  com- 
plesso presentino  quella  facies  principalmente  marnosa  che  caratterizza 
in  generale  questo  orizzonte  geologico  in  Piemonte,  tuttavia  inglobano 
■eziandio  dei  potenti  banchi  arenacei,  ciò  che  influisce  molto  sulla  oro- 
grafia della  regione  in  esame,  dando  luogo  cioè  sia  agli  sproni  di 
0.  Ramelli,  di  Cerequio,  ecc.,  sia  specialmente  a quella  rilevata  cresta 
collinosa  che  collega  il  Castello  della  Volta  al  paese  di  Novello  e che, 
per  la  disposizione  stratigrafica,  presenta  un  pendìo  ripido  ad  Est  ed 
invece  dolcissimo  ad  Ovest. 

La  parte  inferiore  del  Tortoniano  è costituita  in  modo  assai  si- 
mile a quella  dell  'Elveziano  superiore,  cioè  di  un’alternanza  più  volte 
ripetuta  di  strati  marnosi  e sabbiosi  grigio-bluastri  con  pochi  fossili, 
con  accentramenti  limonitici,  ecc.,  solo  che  in  generale  si  nota  una 
maggior  predominanza  delle  marne  che  si  possono  molto  bene  esa- 
minare nei  profondi  burroni  di  Val  Bergeisa,  di  Val  Porretto,  ecc. 


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Nelle  colline  di  Barolo,  un  centinaio  di  metri  circa  sopra  aNEloe- 
ziano  superiore,  compaiono  gli  accennati  banchi  sabbioso-arenacei  del 
Tortoniano  medio-inferiore,  che  verso  Nord  si  vanno  assottigliando- 
finché  perdono  ogni  importanza,  mentre  verso  Sud  divengono  più  po- 
tenti, costituendo  colla  loro  resistenza  quella  specie  di  lungo  ed  alta 
terrazzo,  dolcemente  inclinato  ad  Ovest,  su  cui  stanno  il  Castello- 
delia  Volta,  S.  Grato,  C.  Serra  e il  paese  di  Novello. 

Questo  caratteristico  orizzonte  secondario  e locale  viene  a termi- 
nare, poco  a Sud  di  Novello,  nella  parte  alta  della  collina  di  S.  Nicola. 
Ad  Ovest  invece  si  può  esaminare  per  lungo  tratto  e minutamente,  par- 
ticolarmente in  Val  Bergera  sin  sotto  la  borgata  Tarditi  ad  un  dipresso 
e nelle  sue  vallette  tributarie  di  Ciocchini,  Corini,  ecc.,  come  pure  nello 
piccole  valli  di  C.  Rossi,  di  C.  Rostagno,  di  Madonna  dei  Fiori,  ecc. 

In  tutte  queste  località  i banchi  in  questione  si  distinguono  facil- 
mente anche  ai  caratteri  oroidrografìci  per  ripide  balze,  lunghe  gradi- 
nate e fresche  sorgenti  acquee;  vi  si  incontrano  pure  sottili  lenti  ligniT 
tiche  di  nessuna  importanza  industriale. 

Questa  particolare  formazione  di  litorale  e di  bassofondo  marino  è poi 
assai  importante  dal  lato  paleontologico  poiché,  se  in  questi  banchi  are- 
nacei del  Tortoniano  abbondano  in  modo  straordinario  i fossili  (così  sotto 
Novellò,  presso  i Corini,  i Ciocchini,  ecc.),  particolarmente  foramini- 
feri,  ostriche,  pettini,  balanidi,  ecc.,  r egli  strati  marnoso-sabbiosi, 
grigio-giallastri,  fogliettati,  che  stanno  sopra  all’orizzonte  arenaceo, 
trovansi  talora  in  quantità  straordinaria  resti  di  piante  (filliti),  di 
pesci,  ecc.;  così  tra  il  castello  della  Volta  e la  Chiesuola  di  S.  Pietro* 
sotto  la  borgata  Crovera  presso  la  C.  Fontanazza,  ecc. 

Abbiamo  cioè  qui  a constatare  localmente  nella  metà  superiore  della 
serie  tortoniana  una  facies  sarmatiana  abbastanza  tipica.  Dal  lato 
orografico  poi  questa  formazione  sarmatiana , per  la  sua  costituzione, 
che  ricorda  più  quella  ào\Y  Elee  ziano  superiore  che  non  quella  del  Mes- 
sicano inferiore,  e per  la  sua  posizione,  fa  nascere  a prima  vista  l’idea- 
che  siansi  verificati  dei  grandiosi  scoscendimenti  per  cui  i banchi  are- 
nacei dalla  primitiva  altezza  siano  parzialmente  precipitati  al  livello 
della  terrazza  di  Novello  e del  bassopiano  di  Barolo. 

Il  Tortoniano  superiore  consta  essenzialmente  di  una  pila  di  banchi 
marnosi,  grigiastri,  alternati  talora  con  strati  sabbiosi,  ma  in  generale 


<di  poca  potenza.  Lo  si  può  esaminare  assai  bene  nell’incassato  vallone 
di  Praosta,  ma  specialmente  nelle  profonde  valli  di  R.  Gallinotti  e di 
R.  Torbido,  come  pure  lungo  le  sponde  del  Tanaro. 

I fossili  non  vi  sono  molto  abbondanti  e specialmente  difficili  ad 
•estrarsi  completi  perchè  tenacemente  inglobati  nella  marna. 

L’inclinazione  dei  banchi  tortoniani  generalmente  è piuttosto  de- 
bole, cioè  di  circa  8°  o 10°  ed  anche  meno,  come  si  verifica  pure  nel- 
T Elveziano  superiore,  e la  direzione  è costante  verso  l’O.N.O,  ciò  che 
ci  spiega  diversi  fatti  orografici  della  regione  in  esame;  così  ad  esempio 
il  presentarsi  le  valli  di  R.  Torbido,  di  R.  Bergera,  ecc.  scoscese  a destra 
ed  a pendìo  dolcissimo  sul  lato  sinistro. 

Messiniano. 

I terreni  messiniani  formano  la  parte  più  interessante  della  regione 
in  esame.  Di  essi  ebbi  già  ad  occuparmi  trattando  dello  sviluppo  di 
questo  orizzonte  geologico  attraverso  al  Piemonte  \ ed  a tale  lavoro 
rimando  chi  volesse  conoscere  i rapporti  esistenti  fra  il  Messiniano 
dei  colli  della  Morra  e quello  del  restante  Piemonte. 

Entro  i limiti  della  presente  nota  si  possono  distinguere  nella  for- 
mazione messiniana  due  orizzonti  principali;  uno  inferiore,  potente,  rap- 
presentato da  banchi  sabbioso-arenacei  od  anche  ciottolosi,  e da  gran- 
diose lenti  gessifere  frammischiate  a strati  marnosi;  e uno  superiore, 
generalmente  più  sottile,  marnoso-argilloso. 

Notiamo  però  subito  che  mentre  verso  Nord  l’orizzonte  gessifero 
diventa  sempre  più  potente  e scompare  quasi  completamente  quello 
arenaceo,  il  contrario  invece  si  verifica  verso  Sud.  Così  pure  vediamo, 
ad  esempio  presso  Narzole,  che  mentre  le  marne  del  Messiniano  supe- 
riore raggiungono  una  potenza  di  oltre  50  metri,  i banchi  del  Messi- 
niano inferiore  non  sono  quasi  più  rappresentati. 

Questi  fenomeni  ci  indicano  l’irregolare  modo  di  deposizione  dei 
terreni  messiniani , fatto  che  è in  diretta  relazione  colla  natura  lito- 
ranea, deltoide  e maremmana  di  questo  speciale  piano  geologico. 

Esaminando  la  formazione  arenacea  del  Messiniano  inferiore,  ve- 


1 SACCO  F.,  Il  piano  messiniano  in  Piemonte;  Parte  I,  Mondovì-Guarene  ; 
Parte  II,  Guarene-Tortona,  con  tav.  (Boll.  soc.  geol.  ital.,  voi.  V,  1886). 


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diamo  come  essa  verso  Verduno  sia  ridotta  a pochi  strati  grigio-gial- 
lastri che  inglobano  numerosi  resti  fossili,  di  littorale,  generalmente 
però  rotolati  ed  infranti,  essendo  invece  sviluppatissima  la  formazione 
marnoso-gessifera. 

Verso  la  Morra  invece,  mentre  la  lente  gessosa  si  va  rapidamente 
assottigliando,  i letti  sabbioso-arenacei,  commisti  con  strati  marnosi,  di- 
ventano veri  banchi  assai  potenti,  ed  anzi  verso  la  base  si  cangiano 
spesso  in  banchi  ciottolosi,  ad  elementi  talora  voluminosissimi  (per  lo 
più  di  5 a 15  centimetri  di  diametro,  raramente  di  oltre  mezzo  metro)  e 
talvolta  cementati  così  fortemente  da  costituire  un  vero  conglomerato, 
utilizzato  un  tempo  per  estrarne  macine  da  molino,  come  presso  i 
Crovera. 

E precisamente  sopra  questi  banchi  sabbioso-arenacei,  alternati  con 
banchi  marnosi  grigio-giallastri  o brunicci,  che  è fondato  il  paese  della 
Morra,  ed  è pure  alla  loro  durezza  che  è dovuta  la  notevole  elevazione 
del  Messiniano  inferiore  di  queste  regioni,  essendo  quivi  tale  terreno 
spinto  all’altezza  massima  del  Messiniano  piemontese,  cioè  di  oltre  i 550 
metri,  copie  alla  cresta  del  Eric  del  Dente,  dove  forma,  verso  Est,  un 
vero  gradino  scosceso  sopra  alle  marne  tortoniane. 

Le  località  più  opportune  per  esaminare  minutamente  questi  banchi 
arenaceo-conglomeratici  del  Messiniano  inferiore  sono  appunto  le  parti 
alte  delle  colline  della  Morra  (dove  sonvi  parecchie  ampie  cave  per 
estrazione  di  ghiaia  e di  materiale  da  costruzione),  le  ripide  balze  di 
C.  Sorelli  e di  C.  Gallinotti  e la  vai  di  Rio  Torbido  sotto  la  borgata  di 
Sant’Antonio. 

In  quest’ultima  località  si  può  con  un  attento  esame  osservare 
come  la  formazione  gessifera  si  innesti  colla  formazione  arenacea 
assai  gradualmente,  per  modo  che  la  distinzione  indicata  fra  di  esse 
sulla  unita  Carta  geologica  risulta  spesso  alquanto  arbitraria;  tant’  è 
per  esempio  che  anche  nelle  arenarie  del  Bric  del  Dente,  nelle  arenarie 
della  borgata  Quaranta,  ecc.,  possiamo  constatare  assai  sovente  delle 
lenti  od  almeno  delle  incrostazioni  gessose. 

Pare  che  da  ciò  si  possa  quindi  dedurre  come  la  formazione  sab- 
bioso-ciottolosa,  per  la  sua  natura  e per  il  suo  modo  alquanto  tumul- 
tuoso di  deposizione,  impedì  localmente  la  formazione  dei  depositi 
gessiferi  che  vediamo  tanto  potenti  a Sud  ed  a Nord.  Noto  però  subito 


che  in  molte  altre  regioni  piemontesi  mancano  pure  nel  Messiniano  i 
depositi  gessosi,  per  quanto  esso  sia  colà  rappresentato  solo  da  marne, 
il  che  ci  avverte  che  il  formarsi  o no  dei  depositi  gessiféri  dipese  da 
circostanze  varie,  di  cui  quella  indicata  non  è probabilmente  la  più 
importante. 

Ad  Est  della  borgata  S.  Antonio  la  zona  arenacea  si  sviluppa  assai 
considerevolmente,  per  modo  da  formare  una  specie  di  alto  gradino 
dirupato  che  passando  per  la  borgata  Bernocchi  continua  sino  al  Ta- 
naro,  scomparendo  quasi  completamente  in  seguito. 

Infatti  verso  la  base  delle  cosidette  rocche  di  Trifoglietto  troviamo 
ancora  bensì  strati  sabbiosi-arenacei,  ma  predominano  i banchi  mar- 
nosi più  o meno  fogliettati,  i quali  corrispondono  alle  marne  simil- 
mente fogliettate  che  esistono  in  più  punti  sulle  colline  della  Morra, 
così  presso  il  cimitero  della  Morra,  ad  Ovest  del  Bric  del  Dente,  nelle 
vicinanze  della  borgata  Berri,  ecc.,  nelle  quali  località  tali  banchi  mar- 
nosi sono  spesso  utilizzati  per  laterizi. 

E probabilmente  da  queste  marne  argillose  grigio-bluastre,  a 
fauna  marina  (Arca  diluvii  Lk.,  Nassa  semistriata  Br.,  ecc.),  e ricor- 
danti alquanto  le  marne  piacentine,  che  il  Sismonda  fu  tratto  nell’er- 
rore di  credere  che  esistesse  una  larghissima  placca  pliocenica  sulle 
colline  della  Morra  e di  Barolo,  come  indicò  sulla  sua  Carta  geologica 
del  Piemonte.  Queste  marne  e questi  fossili  marini  inglobati  nella  for- 
mazione messiniana , osservansi  pure  tra  Verduno  e C.  Prandonio,  nella 
valle  dei  Berri,  ecc. 

L’errore  precitato  dal  Sismonda  venne  poi  ricopiato  nella  Carta 
geologica  d'Italia  pubblicata  per  cura  del  R.  Ufficio  geologico  nel  1881, 
nonché  nella  Carta  geologica  di  Francia , di  Carez  e Vasseur,  pubbli- 
cata nel  1887,  nella  Carta  geologica  delle  Piviere  liguri  e delle  Alpi 
Marittime , pubblicata  da  Issel,  Mazzuoli  e Zaccagna  nel  1887,  e nella 
recente  Carta  geologica  delle  Alpi  occidentali  di  Zaccagna. 

Talvolta  nel  Messiniano  inferiore  osservansi  pure  lenti  calcaree, 
però  di  poca  importanza.  Verso  Sud,  sulla  sponda  sinistra  del  Tanaro, 
il  Messiniano  presenta  in  quasi  tutto  il  suo  sviluppo  la  facies  mar- 
nosa ; tuttavia  per  quasi  un  chilometro  sotto  la  borgata  Priosa  osser- 
vasi sotto  alla  marna  un  banco  arenaceo-conglomerati^o,  della  potenza 
di  tre  o quattro  metri,  che  come  di  solito  dà  luogo  a sorgenti  acquee 


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(di  cui  alcune  solforose)  e corrisponde  perfettamente  alla  formazione 
della  stessa  natura  che  si  è notata  tra  i casali  Quaranta  e la  Morra. 

Quanto  ai  resti  fossili  dell’orizzonte  littoraneo  ora  esaminato  ac- 
cennerò solo  come  vi  siano  particolarmente  abbondanti  resti  fìllitici 
(foglie  di  Corylus , Quercus,  Cyperites,  ecc.),  rami  o tronchi  d’albero  (ta- 
lora gessificati),  frutti  di  noce  (tramutati  in  calcare),  nonché  resti  d’ani- 
mali marini,  per  lo  più  molluschi,  ma  anche  antozoi,  ecc.,  sempre 
però  d’indole  littoranea. 

La  formazione  gessifera  per  quanto  ampiamente  sviluppata  nella 
regione  in  esame  non  ha  realmente  una  grande  potenza,  costituendo 
solo  una  sottile  placca  leggermente  inclinata  verso  N.O;  essa  è rap- 
presentata da  banchi  marnosi  o marnoso-sabbiosi  inglobanti  strate- 
relli  e grosse  lenti  di  gesso  cristallizzato.  Per  lo  più  i cristalli  sono 
assai  grossi,  spesso  raggruppati  assieme  in  accentramenti  speciali  più 
o meno  grandi,  che  vediamo  ora  talvolta  isolati  alla  superficie  del  ter- 
reno a guisa  di  grossi  monoliti;  talvolta  invece,  come  ad  esempio  si 
può  vedere  in  molti  punti  lungo  la  sponda  destra  del  Tanaro  ad  Est  di 
Cherasco,  i cristalli  gessosi  sono  piccoli,  disposti  in  straterelli  alter- 
nali cogli  straterelli  marnosi;  in  quest’ultimo  caso  sono  frequenti  i 
resti  fossili  (pesci,  insetti,  filliti,  ecc.)  fra  queste  marne  sabbiose  fo- 
gliettate  che  si  aprono  come  le  pagine  di  un  libro. 

Raramente  si  incontrano  sottilissime  lenti  solfifere  frammezzo  a 
questi  strati  gessosi. 

La  gran  lente  gessifera  di  Verduno-Alferi  si  va  rapidamente  assot- 
tigliando verso  Nord,  sino  a ridursi  a lenti  piccolissime  sparse  fra  le 
sabbie,  mentre  in  sua  vece  si  va  sviluppando  la  formazione  arenacea  • 
ma  a S.O  della  borgata  S.  Antonio,  mentre  la  zona  sabbiosa  va  scompa- 
rendo, di  nuovo  si  estende  la  zona  gessifera,  utilizzata  su  vasta  scala 
nelle  vicinanze  di  Meane. 

Sulla  sinistra  del  Tanaro  la  formazione  gessosa,  di  cui  veggonsi 
solo  più  le  testate  degli  strati,  appareTcome  un  grosso  banco  che  verso 
Narzole  si  va  perdendo;  però  mostrasi  ancora  qua  e là  in  sottili  lenti, 
ricomparendo  di  nuovo  potente  in  vai  Geminella  dove  è pure  larga- 
mente escavato. 

Riguardo  ai  ^fossili  di  questo  orizzonte,  oltre  a ciò  che  già  sopra 
accennammo,  bisogna  ancor  notare  come  talvolta  fra  le  marne  gessifere 


o non  gessifere  del  Messiniano  inferiore  esistono  fossili  marini  molto 
simili  a quelli  del  Piacentino  ; questo  fatto  importante,  che  già  os- 
servasi in  diversi  punti  sull’alto  nelle  colline  della  Morra,  si  può  poi 
esaminare  molto  bene  in  alcuni  punti  lungo  la  destra  del  Tanaro, 
specialmente  presso  C.  Manzoni. 

Quanto  alla  configurazione  esterna  delle  regioni  gessifere  devesi 
accennare  al  fatto  che  soventi  vi  si  osservano  gradinate  irregolari 
(così  ad  esempio  nelle  colline  di  Meane)  dovute  precisamente  alle  lenti 
gessose  più  resistenti  dei  terreni  vicini,  oppure  originate  da  quei  mo- 
vimenti parziali  che  spesso  disturbano  la  stratigrafia  delle  formazioni 
gessifere,  tanto  che  talora  i banchi  gessosi  si  presentano  fortemente 
sollevati  per  brevi  tratti. 

Si  osservano  inoltre  talora,  (specialmente  sulle  colline  della  borgata 
Alferi  e di  Verduno),  corsi  d’acqua  che  divengono  per  un  certo  tratto 
sotterranei,  ed  anche  non  di  rado  certi  incavi  imbutiformi  più  o meno 
vasti  simili  a quelli  che  spesso  si  osservano  pure  nelle  regioni  montuose 
dove  sonvi  banchi  gessosi;  questi  fenomeni  sono  dovuti  essenzial- 
mente alle  dissoluzioni  del  gesso. 

Il  Messiniano  superiore  a facies  marnosa  Gonsta  di  strati  grigia- 
stri, talvolta  nerastri,  carboniosi,  (come  si  osserva  ad  esempio  sotto  il 
Bric  del  Diavolo  sulla  sponda  destra  del  Tanaro  ed  anche  altrove  nelle 
colline  della  Morra),  talora  ricchi  in  fossili  di  maremma,  come  Melanopsis, 
Melania , Hydrobia , Neritodonta , Dreissena , Adacliua , ecc.  Tali  fossili 
si  ritrovano  abbastanza  frequenti  nella  vailetta  di  Rio  Malboschetto, 
ma  sono  poi  straordinariamente  abbondanti  assieme  a fìlliti,  a qualche 
echinoderma,  ecc.,  sulla  sponda  sinistra  di  Val  Tanaro,  specialmente 
sotto  la  borgata  Priosa  presso  Narzole. 

Questa  famosa  località,  scoperta  sin  dal  principio  del  presente 
secolo  dal  Bonelli,  mi  fornì  una  fauna  maremmana  ricca  bensì  in  forme 
ma  più  ancora  in  individui.  Fra  le  forme  quivi  più  abbondanti  e carat- 
teristiche è specialmente  da  segnalare  la  Melanopsis  Matheroni  Mayer 
var.  narzolina  Bori.;1  questa  forma,  derivata  dalla  M.  Matheroni  del 
Torioniano , fin  dal  1827  venne  già  indicata  dal  Bonelli  come  specie  di- 


1 SACCO  F.,  Aggiunte  alla  fauna  malacologica  esetramarina  fossile  del 
Piemonte  (Mem.  R.  Ac-c.  Se.  di  Torino,  1888). 


78  — 


stinta  col  nome  di  M.  narzolina , solo  che  non  essendo  essa  stata  descritta 
e figurata  che  assai  tardi,  devesi  ora  considerare  solo  come  una  varietà 
della  M.  Matheroni  descritta  nel  1871. 

A Sud  di  Narzole  il  Messiniano  superiore  scompare  all’occhio  del- 
l’osservatore poiché  si  dirige  verso  S.O,  sotto  al  velo  alluvionale  del- 
l’altipiano narzolese. 

Piacentino. 

In  complesso  la  formazione  pliocenica  inferiore  presenta  nella  re- 
gione in  studio  la  tipica  facies  marnosa,  grigio-bluastra,  del  Piacen- 
tino subappennino,  ma  con  un  esame  più  minuto  si  osserva  che  assieme 
colle  marne  argillose  si  alternano  frequentemente  strati  e banchi  sab- 
biosi grigio-giallastri  ed  anche  straterelli  ghiaiosi. 

Queste  alternanze  si  possono  osservare  specialmente  sia  nel  Pia- 
centino inferiore  (così  alla  base  della  collina  di  Cherasco,  dove  tro- 
viamo banchi  sabbiosi  giallastri  a Cardium  ed  altri  fossili  littoranei), 
sia  nel  Piacentino  superiore  (come  nei  valloni  che  verso  Ovest  inci- 
dono profondamente  l’altipiano  di  Cherasco  e di  Narzole). 

Però  le  tipiche  marne  argillose  bluastre  sono  pure  assai  svilup- 
pate e son  quelle  che,  ad  esempio  sotto  Cherasco,  forniscono  una  gran* 
dissima  quantità  di  fossili  marini  ben  conservati. 

Tra  questi  fossili  è specialmente  tipica  e comune  VOstrea  cochlear 
Poli,  che  spesso  riesce  molto  utile  al  geologo,  giacché  le  placche  più 
o meno  vaste  e di  varia  forma  che  osservansi  sopra  al  Messiniano 
sulla  destra  del  Tanaro,  quantunque  a limiti  incerti,  si  poterono  rico- 
noscere e tracciare  specialmente  tenendo  conto  dei  frammenti  che  della 
specie  sovraccennata  trovansi  sparsi  qua  e là  alla  superficie  del  suolo. 

Però,  oltre  che  dai  caratteri  paleontologici,  generalmente  le  placche 
piacentine  si  distinguono  anche  ai  caratteri  esterni  per  un  color  grigio- 
biancastro che  presenta  il  terreno  alla  superfìcie,  dove  esso  non  è ma- 
scherato dalla  vegetazione,  ed  anche  talora  per  una  maggiore  umidità 
che  non  nelle  regioni  messiniane. 

Il  passaggio  tra  il  Messiniano  ed  il  Piacentino  è talora  difficile 
a segnarsi,  quantunque  si  debba  sovente  ammettere  un  piccolo  hyatus 
nella  serie  stratigrafica  tra  questi  due  piani  geologici,  specialmente  là 
dove  vediamo  le  marne  piacentine  poggiare  direttamente  sulla  forma- 


zione  gessifera  che  sappiamo  rappresentare  la  porzione  inferiore  e 
media  del  Messiniano. 

La  facile  erosione  delle  argille  piacentine  ci  spiega,  sia  l’ampio 
altipiano  (di  erosione)  di  Cherasco  e Narzole,  sia  il  notevole  allargarsi 
del  fondo  di  Val  Tanaro  a Nord  di  Isorella. 

Notiamo  ancora  come  le  marne  argillose  piacentine  di  Cherasco, 
specialmente  in  Val  Crosio,  si  mostrano  talora  impregnate  di  olio  mi- 
nerale che  non  credo  però  affatto  utilizzabile  industrialmente  perchè 
sparso  irregolarmente  e solo  in  piccola  quantità. 

La  stratigrafia  del  Piacentino  è semplice  e regolare,  inclinando  i 
suoi  banchi  di  appena  2,  3 o 4 gradi  verso  N.O  circa;  tuttavia  local- 
mente si  osservano  talora  delle  ripetute  ripiegature  causate  solo  dalla 
pressione  che  si  verificò  sugli  strati  argillosi;  anche  di  questo  feno- 
meno possiamo  vedere  i migliori  esempi  in  Val  Crosio.  1 

U Astiano  non  compare  che  fuori  del  campo  della  regione  in  esame, 
poco  a N.O  di  Cherasco  ed  è rappresentato  dalle  solite  sabbie  gial- 
lastre fossilifere.  2 

Terrazziano. 

Il  Terrazziano  antico  (o  Diluvium  II,  in  confronto  al  Diluvium  I 
dell’epoca  glaciale  propriamente  detta)  è tipicamente  rappresentato 
dalle  alluvioni  ciottoloso-sabbiose,  spesso  coperte  da  un  sottile  velo  di 
loess,  che  costituiscono  la  parte  superficiale  dell’altipiano  di  Narzole 
e di  Cherasco  con  una  potenza  di  3 o 4 metri  in  media. 

Tali  alluvioni  riposano  affatto  discordantemente  sulle  marne  argil 
lose  poco  permeabili  del  Piacentino , dando  così  luogo  ad  una  regola- 
rissima ed  importante  falda  acquea  che  compare  in  tutti  i tagli  un  pò 
profondi  ed  alimenta  tutti  i pozzi  dell’altipiano  suddetto. 

Il  deposito  terrazziano  in  questione  si  potrebbe  veramente  ancora 
distinguere  in  due,  rispetto  all’età  della  sua  deposizione,  essendo  più 
antico  quello  dell’altipiano  di  Narzole  e Priosa,  più  recente  invece  quello 


1 Sacco  F.,  Sopra  alcuni  fenomeni  stratigrajici  osservati  nei  terreni  plio- 
cenici delValta  valle  padana.  (Atti  R.  Acc.  Se.  di  Torino,  voi.  XX,  1885). 

2 Sacco  F.,  Carta  geologica  di  Cherasco  e Cervere  - Scala  di  Kj, „ 000. 
Torino,  1888. 


C.  Bianchetta  e Cherasco;  infatti  il  primo  fa  deposto  dal  Tanaro  quando 
con  alveo  vastissimo  si  riuniva  alle  acque  di  Grana  e di  Maira  presso 
il  Motturone  invece  il  secondo  fu  deposto,  ancora  dal  Tanaro,  ma 
in  un  periodo  successivo,  quando  cioè  con  alveo  assai  più  stretto  questo 
fiume  si  congiungeva  colle  acque  di  Grana  e di  Maira  tra  Caramagna 
e Carmagnola  all’ incirca.  Di  ciò  è prova  evidente,  lasciando  gli  altri 
argomenti  svolti  nel  preaccennato  lavoro,  la  nettissima  terrazza  (Priosa- 
Castel  Varolfo)  di  15  a 20  metri  di  altezza  che  divide  l’altipiano  di 
Narzole  da  quello  di  Cherasco. 

Sulla  destra  del  Tanaro  troviamo  ancora  conservati  alcuni  lembi 
sparsi  di  Terrazziano,  come  sui  piccoli  altipiani  dei  Neri,  di  Biavasca 
e di  La  Murata,  indicandoci  l’azione  erodente  esercitata  dalle  acque 
del  Tanaro  sulle  falde  occidentali  delle  Langhe  sul  principio  del  pe- 
riodo delle  terrazze. 

Questi  lembi  residui  di  Terrazziano  antico  sono  rappresentati  da 
sottili  depositi  sabbioso-ciottolosi,  ad  elementi  talora  voluminosissimi, 
di  color  giallo-rossastro,  spesso  coperti  da  un  irregolare  velo  di  loess. 

Alluvium. 

Notiamo  infine  come  nella  parte  bassa  di  Val  Tanaro  tutte  le  re- 
gioni pianeggianti  sono  coperte  da  depositi  alluvionali,  essenzialmente 
sabbioso-ciottolosi,  anch’essi  per  lo  più  coperti  da  un  sottile  velo  di  Icess 
che  costituisce  V humus. 

L’età  di  questi  depositi  alluvionali  è assai  varia,  essendo  ad  esem- 
pio più  antichi  quelli  di  Costangaresca  e di  Isorella  alta,  che  non  quelli 
di  Isorella  bassa,  di  R.  Cravessania,  ecc.,  come  d’altronde  lo  indica  la 
loro  diversa  elevazione  sull’attuale  livello  del  Tanaro. 


1 Sacco  F.,  L’alta  valle  padana  durante  l'epoca  delle  terrazze,  in  relazione 
col  contemporaneo  sollevamento  della  circostante  catena  alpino-appenninica. 
(Atti  R.  Acc.  Se.  di  Torino,  voi.  XIX,  1884). 


Boll?  del  R.  Com  GeoI . d'  Italia 


Anno  1888.Tav.lt.  ( F.  SACCO 


CARTA  GEOLOGICA 

DELLE  COLLINE 

D I 

CHERASCOedellaMORRA 

rilevata  dal 

DOTT.  FEDERICO.  SACCO 

18  8 6 

Scala  chilometrica  di  la25,000 
Equidistanza  frale  curve:metri  S. 


SERIE  DEI  TERRENI 

Terrazziano  antico 

Piacentino 

Trevcdcntcmmte  marne 

Messiniano  \Prevale,nt"  sabbiejghiaie 
Zona,  gessifera, 

Tortoniano  ili 

Elveziano  1 ,n.IB8S 


Verduno 


- 81  — 


Concludendo  possiamo  dunque  dire  che  alla  costituzione  geologica 
delle  colline  della  Morra  concorrono  i seguenti  terreni: 

Piacentino. 

i facies  prevalentemente  marnosa. 
Messiniano  j » » arenacea. 

( formazione  gessifera. 

Tortoniano 

Elveziano 

i quali  con  regolare  e dolce  inclinazione  verso  N.O  circa  si  sovrap- 
pongono P un  P altro  concordemente  e per  lo  più  con  graduale  pas- 
saggio tra  di  loro,  e sono  poi  variamente  ammantati  di  depositi  terraz- 
ziani  ed  alluviali. 


IL 

Sul  modo  di  formazione  dei  conglomerati  miocenici  della 
Collina  di  Torino / osservazioni,  a proposito  della  nota  di 
L.  Mazzuoli:  Sul  modo  di  formazione  dei  conglomerati  miocenici 
deir  Appennino  Ligure , 1 del  dott.  A.  PoRTIS. 

Il  Sig.  Ing.  Mazzuoli,  nell’ultimo  fascicolo  del  Bollettino,  ci  dà  uno 
studio  di  altissima  importanza  ed  interesse  circa  il  modo  di  formazione 
dei  conglomerati  miocenici  appenninici;  e dal  fatto  della  continuità 
di  questi  conglomerati  con  quelli  aventi  cotanta  parte  nella  serie  col- 
lina torinese,  è tratto  a generalizzare  e ad  ammettere  anche  per  questi 
ultimi  un  modo  di  formazione  simile  a quello  che  egli  propugna  per 
quelli  deirAppenriino  ligure. 

Sono  lieto  di  veder  questo  lavoro  che  ci  permette  di  studiare  sotto 
un  nuovo  punto  di  vista  un  vecchio  quesito  e,  col  segnalare  allo  egregio 
autore  delia  Nota  alcuni  fatti  e modi  di  vedere  tanto  vecchi  che  nuovi 
relativi  ai  conglomerati  della  Collina  di  Torino,  è mio  desiderio,  più  che 

1 Boll,  del  R.  Com.  Geol.  d’Italia,  Serie  II,.  Voi.  IX,  fase.  1-2,  Roma  1888  ; 
pag.  9-30. 


82  — 


di  aprire  una  discussione,  l’ottenere  completa  luce  anche  su  punti  ri- 
masti ancora  alquanto  oscuri  malgrado  la  ingegnosa  ed  in  molte  parti 
soddisfacente  teoria  emessa. 

Secondo  il  Mazzuoli,  i depositi  di  conglomerati  miocenici  esistenti 
sugli  opposti  versanti  dell’Appennino  ligure  possono,  o poterono,  derivare 
ciascuno  i proprii  elementi  da  roccie  litoranee  vicine;  oppure  trarre  in 
parte  questi  elementi  da  strette  lingue  di  particolari  roccie  che,  in 
seguito  alla  degradazione  ed  erosione  dei  meno  consistenti  materiali  che 
le  comprendevano  si  trovarono  molto  addentrate  nel  mare;  o da  scogli 
che  offrivano  condizioni  particolarmente  favorevoli  all’azione  demoli- 
trice delle  onde  (pag.  24-25).  Secondo  lo  stesso  autore,  l’origine  dei 
conglomerati  sul  territorio  attualmente  occupato  dalla  Collina  di  Torino 
si  potrebbe  spiegare  colla  totale  o quasi  totale  frantumazione  di  un 
isola  costituita  di  materiali  eocenici  inchiudenti  roccie  serpentinose  ed 
esistente  nella  località  al  principio  dell’epoca  miocenica  (pag.  29). 

Non  avrei  gravi  obbiezioni  a fare  per  ammettere  che  una  porzione 
di  ciottoli  e frantumi  riscontrati  nei  conglomerati  della  cosidetta  Col- 
lina di  Torino  traesse  la  sua  origine  da  scogli  di  roccie  preformate 
(da  tempo  anche  relativamente  breve)  sporgenti  dal  fondo  o dal  livello 
del  mare  nella  stessa  od  in  località  vicine  a quelle  ove  noi  incontriamo 
i soli  conglomerati;  e questa  ipotesi  già  ammisi  implicitamente  nel  mio 
lavoro:  { Sulla  vera  posizione  del  calcare  di  Gassino  nella  Collina  di 
Torino  (inserito  in  questo  Bollettino  nell’anno  1886)  nella  nota  .alla 
pag.  200  ed  a pag.  201. 

Ma  appunto  riferendomi  a quelle  due  pagine,  risulta  da  quelle:  che 
materiale  formatosi  durante  la  fase  bartoniana  si  trova  già  allo  stato 
detritico  dentro  a formazioni  della  fase  liguriana  affioranti  in  località 
poco  distante  dalfunico  nucleo  oggidì  localmente  conosciuto  di  roccie 
bartoniane.  Così  pure:  il  materiale  depositatosi  durante  la  fase  liguriana 
può  benissimo  trovarsi  come  elemento  di  conglomerato  formatosi  al 
volgere  della  fase  tongriana  e durante  tutta  l’aquitaniana.  Tuttavia  il 
caso  risulta  meno  semplice,  dovendo  noi  ammettere  per  due  formazioni 
eoceniche  diverse,  ma  immediatamente  consecutive,  un  raddrizzamento 


1 Boli,  del  R.  Gora.  Geol.  d’Italia,  Serie  II,  Voi,  VII,  fase,  5-6,  Roma  1886  ; 
pag.  170-211. 


— 83  — 


ed  un  sollevamento  considerevole  dei  depositi  formati,  in  tempi  poco 
posteriori  alla  loro  formazione.  Con  tuttociò  il  caso  stesso  non  diventa 
nè  impossibile  nè  improbabile,  ed  i numerosi  elementi  di  calcare  ligu- 
riano  frammezzo  ai  conglomerati  ne  sono  la  prova. 

Ma  volendo  proseguir  nella  strada  stessa  ed  estendere  la  spiega- 
zione del  Mazzuoli  anche  all’origine  dei  molto  più  abbondanti  materiali 
serpentinosi,  mi  troverei  molte  volte  reso  difficile  e dubbioso  il  cammino 
dovendo  lungo  il  medesimo  dare  soddisfazione  ai  seguenti  quesiti: 

1°  Come  va  che  nei  conglomerati  della  Collina  di  Torino  predo- 
minano roccie  serpentinose,  mentre  fra  le  roccie  ancora  in  posto,  e che 
sappiamo  aver  col  loro  sfacelo  potuto  contribuire  allo  accumulamento 
dei  conglomerati  stessi,  non  abbiamo  che  roccie  calcaree  di  due  di- 
stinte fasi  eoceniche:  le  bartoniane  di  Gassino,  le  liguriane  di  Piazzo- 
Brozolo-Verrua  e di  Cocconatò?  E ciò  quando  il  fatto  ci  prova  che  e 
l’uno  e l’altro  materiale  son  resistenti  abbastanza  da  venir  ridotti  in 
ciottoli  conservabili  negli  stessi  conglomerati? 

2°  Come  va  che  di  tutte  le  colate  di  roccie  serpentinose  eruttive 
eoceniche,  che  avrebbero  dovuto  esistere  in  quantità  ed  estensione  più 
che  considerevole  per  dar  luogo  alla  straordinaria  quantità  e preva- 
lenza di  materiali  detritici  che  attualmente  notiamo,  non  una  potè  re- 
sistere in  tutto  od  in  parte  solo  quel  tanto  da  conservarci  una  prova 
palpabile  (col  lasciarci  un  brano  in  posto)  della  propria  esistenza  di 
una  volta;  e ciò  mentre  le  formazioni  calcaree,  che  diedero  pure  minor 
quantitativo  di  materiale  ai  detriti  e che  sono  generalmente  men  re- 
sistenti tanto  in  generale  quanto  e più  nel  caso  locale,  ci  lasciarono 
lembi  molto  estesi  delle  lor  roccie  in  posto? 

3°  Come  va  che  nei  brani  di  roccie  calcari  eoceniche,  (esistenti 
ancora  nella  serie  collina  torinese)  sovratutto  in  quelli  di  calcare  al- 
berese e di  argille  scagliose  noi  non  incontriamo  la  minima  inclusione, 
il  minimo  attraversamento  per  parte  di  roccie  eruttive  serpentinose; 
ciò  quando  noi  incontriamo  estensioni  continue  di  territorio  misuranti 
parecchi  chilometri  quadrati  e nelle  quali  affiora  il  solo  terreno  delle 
argille  scagliose  sopportante  direttamente  i conglomerati,  nei  cui  elementi 
predominano  le  roccie  serpentinose? 

4°  Oppure  ammetteremo  per  la  Collina  di  Torino  ciò  che  il  Maz- 
zuoli nega  per  1’  Appennino  ligure,  cioè  il  trasporto  a grande  distanza 


S4  — 


degli  elementi  serpentinosi,  e li  faremo  tutti  derivare  da  una  maggiore 
espansione  (per  quanto  maggiore,  sempre  molto  limitata  e circoscritta 
in  proporzione  dell’area  che  occupano  i conglomerati  oggidì)  dell’  ora 
unica  e piccola  massa  scoperta  dal  Pareto  e dal  Gastaldi  al  Castel- 
letto dei  Merli  e distante  dalla  estremità  Moncalieri  della  collina  di 
circa  una  quarantina  di  chilometri  in  linea  retta? 

5°  Ammettendo  col  Mazzuoli  che  i primi  ed  inferiori  strati  di  con- 
glomerati ricchi  di  materiali  serpentinosi  provengano  dallo  sfacelo  di  ma- 
teriale in  posto  emergente  sotto  forma  di  scogli  ed  isolette  dal  fondo  e 
dalla  superficie  marina,  come  potè  avvenire  che  i numerosissimi  e poten- 
tissimi strati  che  nella  Collina  di  Torino  troviamo  sovrastanti  a quelli  che, 
formatisi  per  la  distruzione  degli  scogli  ed  isolette  residui,  ne  ricoprirono 
le  profonde  propaggini,  sieno  ancora  costituiti  da  elementi  prevalente- 
mente serpentinosi?  e ciò  senza  che  gli  strati  inferiori  sieno  interrotti 
e forati  dagli  spuntoni  della  roccia  che  seguitava  a dar  materiale  per 
formare  i banchi  superiori,  senza  che  essi  dimostrino  di  essersi  formati 
in  bacino  accidentatissimo  che  li  obbligasse  a disporsi  in  cintura  at- 
torno allo  irregolarità  e rilievi  ancora  emergenti? 

6°  Come  spiegheremo  la  presenza  dei  materiali  serpentinosi  allo 
stato  di  ciottoli,  benché  piccoli,  per  entro  agli  strati  di  calcari  barto- 
niani  di  Gassino;  la  deposizione  dei  quali  avvenne  per  necessità  ante- 
riormente alla  iniezione  di  roccie  serpentinose  nei  calcari  liguriani? 

Quindi,  ammettendo  un  parziale  incremento  dei  conglomerati  dovuto 
alla  formazione  di  elementi  ciottolosi  provenienti  da  scogli  calcarei 
sporgenti  dal  fondo  e dalle  onde  del  mare  miocenico  in  mezzo  al  ter- 
ritorio della  attuale  Collina  di  Torino,  debbo  tuttavia  credere  che  que- 
sti conglomerati  abbiano  avute  altre  sorgenti  dalle  quali  trarre  tutti 
gli  elementi  serpentinosi  contenuti,  elementi  che  signoreggiano  per  nu- 
mero e dimensione  dei  pezzi  su  tutti  gli  altri  materiali  rocciosi  presi 
insieme.  Bisogna  bene  ammettere  che  questi  elementi  serpentinosi  ve- 
nissero o cadessero  man  mano  dal  disopra:  e scartiamo  pure,  pel  mo- 
mento, la  teoria  gastaldiana  delle  zattere  di  ghiaccio  solcanti  il  maro 
miocenico,  portanti  sul  loro  dosso  o nella  lor  massa  ed  a volta  a volta 
rovescianti  o lascianti  cader  per  fusione  gli  elementi  serpentinosi  ed 
eterogenei.  Per  sostituir  questo  agente  bisognerebbe  immaginare  che 
una  immensa  scogliera  di  roccie  serpentinose  si  fosse  trovata  durante 


— 85  - 


le  fasi  posteriori  alla  liguriana  (fino  almeno  a comprender  la  elveziana) 
frapposta  fra  le  Alpi  Cozie,  Graie,  Pennine,  Leponzie  e la  regione 
attualmente  occupata  dalla  Collina  (ma  vicina  a quest’ultima)  e che 
i prodotti  della  distruzione  di  questa  scogliera  abbiano  potuto  man  mano 
fornir  sempre  nuovi  materiali  alla  formazione  di  sempre  nuovi  strati 
sovrapponentisi  a quelli  precedentemente  formatisele  dinanzi:  e,  non 
bastando  nemmanco  questa  immensa  scogliera  a fornirci  tutta  Tingente 
massa  di  elementi  che  noi  riscontriamo  oggidì  (dato  ancora  che  noi  la 
conosciamo  tutta),  bisognerebbe  immaginare  altre  ed  altre  scogliere 
pur  gigantesche  frapposte  fra  TAppennino  ligure  e la  regione  della 
Collina  di  Torino. 

Ammesso  che  questi  nuclei,  queste  scogliere  avessero  bastato,  noi, 
per  la  regione  interposta  alTAppennino  e la  Collina,  ne  dovremmo  trovar 
le  traccie  ; tanto  più  ora  che,  per  effetto  della  erosione,  molti  strati  supe- 
riori già  furono  quasi  totalmente  esportati,  che  qualche  corso  d’acqua 
si  tagliò  profondissimo  varco  in  questa  regione  intermedia  e che  un 
potente  raddrizzamento  ci  permette  di  veder  molto  in  basso  della  po- 
tente pila  di  strati  dai  conglomerati  miocenici  costituita. 

E,  per  la  regione  interposta  fra  Tarco  delle  Alpi  e la  Collina  bisogne- 
rebbe supporre  che  la  parte  basale  della  supposta  potente  scogliera,  dopo 
esser  stata  lungo  tempo  elevata  per  modo  da  sporgere  al  di  sopra-,  a 
fior  d’acqua  e poco  sotto  il  livello  delle  onde,  si  sia,  dopo  la  chiusa  del 
miocene  (e  non  prima)  più  o men  lentamente  inabissata  di  tanto  da  per- 
mettere sopra  di  se  la  formazione  del  maggiore  abisso  di  mare  plio- 
cenico insufficientemente  colmato  dai  potentissimi  depositi  pliocenici 
ed  emerso  soltanto  oggidì  in  seguito  allo  ingente  accumulo  di  materiali 
giù  trascinati  dalle  Alpi  nelle  fasi  che  seguirono  l’ultima  pliocenica. 

Ma  l’osservazione  dei  fatti,  la  distinzione  dei  terreni  stratificati, 
contemporanei  o successivi  a quello  dei  conglomerati  miocenici  della 
Collina  di  Torino,  nelle  tre  parti  dell’ampia  valle  del  Po  (cioè  1°  quella 
avente  direzione  Sud-Nord  cioè  a monte  della  Collina,  2°  quella  che 
corre  da  Moncalieri  a Casale  e 3°  quella  ad  oriente,  cioè  a valle  della 
Collina)  urtano  contro  siffatta  ipotesi  e la  rendono  per  lo  meno  im- 
probabile. 

E qui  è il  caso  di  richiamare  alla  memoria  una  lettera  del  Gastaldi 
al  Cornalia:  Sugli  elementi  che  compongono  i conglomerati  miocenici 

6 


— 86 


del  Piemonte  1 scritta  nel  dicembre  del  1861  e stampata  nel  febbraio 
del  1862. 

Questalettera,  benché  apparentemente  anteriore,  è tuttavia  di  parecchi 
mesi  consecutiva  alla  memoria  sullo  stesso  argomento  pubblicata  dal 
Gastaldi  medesimo  nelle  Memorie  della  Reale  Accademia  delle  Scienze  di 
Torino,  serie  II,  Tomo  XX  (anno  di  pubblicazione  del  volume  1863,  degli 
estratti  1861)  e commentata  dal  Mazzuoli.  Molte  cose  dette  nella  me- 
moria vengono  od  amplificate  o corrette  o discusse  in  questa  lettera. 
Fra  gli  altri  fatti  viene  ammessa  la  presenza  di  parecchi  scogli  cal- 
carei nella  regione  che  ci  occupa,  viene  avanzata  l’idea  del  Pareto 
sulla  esistenza  del  serpentino  in  posto  nelle  colline  del  Monferrato  (idea 
che  venne  in  seguito  confermata,  sempre  dal  Gastaldi,  con  apposita 
nota  presentata  alla  Accademia  delle  Scienze  di  Torino  2).  In  quella 
lettera  il  Gastaldi,  malgrado  le  molte  obbiezioni  che  egli  si  pone  (molte 
delle  quali  precorrono  i fatti  e le  obbiezioni  ultimamente  opposte  dal 
Mazzuoli),  persiste  a credere  che  molti  dei  materiali  costituenti  i con- 
glomerati miocenici  della  Collina  di  Torino  provengano  dalle  Alpi. 

Ed  invero  il  Gastaldi  già  nella  memoria  del  1861-63  segnalava 
nei  conglomerati  miocenici  non  solo  la  presenza  di  calcari  alberesi  e 
di  roccie  serpentinose,  ma  eziandio  quella  di  parecchie  varietà  di  roccie 
porfiriche,  di  qualche  roccia  granitica,  di  arenaria  carbonifera  con 
antracite  inclusa;  e mentre,  nella  memoria,  il  Gastaldi  ammette  il  tra- 
sporto probabile  dalle  Alpi  e dall’Appennino  di  tutte  le  roccie  (comprese  le 
serpentinose)  che  compongono  i conglomerati,  nella  lettera,  egli  afferma 
con  maggior  sicurezza  che  le  roccie  o parti  delle  roccie  non  serpen- 
tinose provengano  dalle  Alpi.  (Vedasi  perciò  il  tenore  della  conclusione 
della  lettera  stessa). 

Tutte  le  roccie  indicate  dal  Gastaldi  nei  due  scritti  di  cui  parlo,  io 
ho  indipendentemente  incontrate  nei  conglomerati  della  Collina  di  To- 
rino in  occasione  di  ripetute  perlustrazioni  fattevi.  Nello  stesso  territorio 
collino  ritrovai  oltre  parecchie  varietà  di  diaspro,  anche  il  calcare 


1 Inserita  nel  Voi.  IV  degli  Atti  della  Società  Italiana  di  Scienze  Naturali  di 
Milano.  Consta  di  pagine  5 in-8°. 

2 Sulla  esistenza  del  serpentino  in  posto  nelle  colline  del  Monferrato. 
(E-str.  di  pag.  7 in-8°  dagli  Atti  della  R.  Acc.  delle  Scienze  di  Torino,  Voi.  I,  1866). 


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rosso  a terebratule  di  Gozzano  e quest’ultimo  (lo  seppi  di  poi)  avevano, 
ancora  indipendentemente  l’un  dall’altro,  ritrovato  in  addietro  il  Si- 
smonda  A.,  ed  il  Bsllardi.  Ond’  è che  in  un  mio  microscopico  scritto, 
il  quale  allora  come  adesso  non  aveva  affatto  il  carattere  di  essere 
r ultima  parola  in  fatto  di  conoscenze  sui  conglomerati  delle  colline 
torinesi,  accennai  nel  1885  1 alla  presenza  di  parecchie  roccie  prove- 
nienti sia  dalle  Alpi  che  stanno  in  faccia  alla  collina  dal  lato  Nord  di 
essa,  sia  dalle  Alpi  che  da  Sud  ne  guardano  la  estremità  occidentale. 

Poiché  l’occasione  mi  si  presenta,  dirò  che  percorrendo  la  serie 
collina  torinese  da  Moncalieri  verso  Casale,  chi  non  si  stacchi  dai 
conglomerati  osserva  una  continua  sostituzione  delle  roccie  che  ac- 
compagnano gli  elementi  serpentinosi.  Prima  abbiamo  diaspri  e por- 
fidi, poi  calcari  alberesi,  poi  altri  porfidi,  poi  graniti  o roccie  graniti- 
che, poi,  giunti  vicino  a Brusasco  (ma  ancor  sempre  nei  conglomerati), 
il  calcare  di  Gozzano.  I materiali  serpentinosi  stessi  vanno  man  mano 
scemando  di  proporzione  e sovratutto  di  volume  da  occidente  verso 
oriente;  però,  anche  nel  pùnto  di  lor  minor  prevalenza,  costituiscono 
sempre  una  massa  maggiore  di  quella  risultante  dal  complesso  delle 
roccie  che  li  accompagnano  prese  insieme.  Da  occidente  verso  oriente 
parmi  inoltre  aver  notato  una  minor  ricchezza  di  diallagio  nella  co- 
stituzione dei  singoli  elementi  serpentinosi. 

In  quel  mio  scritto  che  ho  dovuto  ora  ricordare,  accennavo  al  proba- 
bile punto  di  origine  nelle  Alpi  di  alcune  delle  roccie  accompagnanti  gli 
elementi  serpentinosi.  Mentre  in  generale  ripeto  l’ idea  colà  abbozzata, 
posso  aggiungere  che  nelle  mie  perlustrazioni  dirette  sulla  Collina  da 
occidente  ad  oriente  sempre  ottenni,  per  questa  sostituzione  di  mate- 
riali che  successivamente  incontravo  e poi,  rimpiazzati  da  altri,  perdevo 
di  vista,  la  impressione  che  molti  dei  materiali  che  hanno  una  diffu- 
sione locale  e limitata  per  entro  gli  strati  di  conglomerato  della  Collina 
dovevano  provenire  da  particolari  località  di  quel  tratto  delle  Alpi 
che  guardano  la  Collina  dal  lato  di  settentrione. 

E come  anche  oggi  conservo  la  stessa  idea,  così,  in  seguito  alla 


* Breve  cenno  sulle  condizioni  geologiche  della  collina  di  Torino.  (Nel 
volume^  iSoperga  e la  sua  ferrovia  funicolare,  in-12°,  edito  da  F.  Casanova  1885; 
da  pag.  109  a pag.  123). 


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lettura  della  nota  del  Mazzuoli  presentemente  in  questione,,  mi  pongo  il 
quesito  se  si  possa  supporre  ed  ammettere  che  i materiali  provenienti 
dalle  prospicienti  Alpi  abbiano  potuto  raggiungere  nel  mar  miocenico 
l’ubicazione  della  odierna  Collina  di  Torino  in  cui  li  troviamo  depositati 
scendendo  o scivolando  ed  inoltrandosi  sott’ acqua  lungo  una  fossa, 

0 solco  o valle  o piano  inclinato,  di  origine  simile  a quelle  segnalate 
dall’Issel  siccome  attualmente  esistenti  nel  golfo  di  Genova  e ricor- 
date dal  Mazzuoli.  Data  però  la  distanza  che  separa  il  piede  meridio- 
nale delle  Alpi  dalla  attuale  Collina,  è certo  che  questa  ipotesi  pre- 
senta difficoltà  gravissime  a venir  adottata. 

Infatti  per  spiegarci  la  presenza  di  un  blocco  di  roccia  granitica, 
non  rotolato,  a spigoli  vivi  e cubante  una  ventina  di  metri,  quali  sono 

1 parecchi  che  incontrai  sulle  creste  trasversali  da  Soperga  a Gassino 
bisognerebbe  ammettere  che  esso  fosse  scivolato  lungo  un’erta  che 
costantemente  avesse  conservata  una  pendenza  mai  minore  di  40°;  ciò 
per  poter  superare  la  resistenza  dell’acqua,  la  resistenza  dei  molli  od 
incoerenti  depositi  preformati,  per  eliminar  l’ ipotesi  dei  cambiamenti 
di  posizione  del  masso  relativamente  al  piano  di  scorrimento  e i con- 
seguenti rotolamenti  e contundimene.  Ora  questi  blocchi  distano  ora,  in 
linea  retta,  di  circa  40  chilometri  da  Ivrea  e noi  (nella  miglior  delle 
ipotesi,  che  il  piano  inclinato  avesse  la  direzione  più  vicina  a quella 
congiungente  in  linea  retta  i due  punti  estremi  ed  una  inclinazione 
costante  e regolare,  non  minore  in  qualche  punto  e per  conseguenza 
non  di  molto  maggiore  in  altri,  di  circa  40°  gradi)  saremmo  quindi 
costretti  ad  ammettere  che  essi,  guidati  da  una  vallata  inabissantesi 
precipitosamente,  fossero  stati  trascinati  ad  un  fondo  distante,  al  mo- 
mento in  cui  il  blocco  si  fermava  sugli  strati  già  formati  di  conglomerato, 
di  35  chilometri  dalla  superfìcie!!! 

Più  spaventosa  dovrebbe  essere  la  profondità  se  noi  facessimo  i 
nostri  conti  in  base  alla  presenza  jlei  minori  blocchi  (non  rotolati)  del 
calcare  di  Gozzano:  si  tratta  di  una  distanza,  in  linea  retta,  dei  mate- 
riali (dalla  ubicazione  odierna  al  punto  origine)  di  75  chilometri  circa; 
e,  trattandosi  di  materiali  od  elementi  più  piccoli,  più  facilmente  fer- 
mabili  dalla  resistenza  dell’acqua,  e da  interruzioni  pianeggianti  o vi- 
cine all’orizzontale  del  piano  inclinato  su  cui  dovevano  scorrere, ^come 
pure  dalla  presenza  dei  depositi  molli  od  incoerenti  necessariamente 


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preesistenti,  mi  è duopo  esagerare  ancóra  la  caduta  della  precipitosa 
valle  sottomarina  portandola  a 45  od  a 50  gradi.  Noi  dovremmo  quindi 
ammettere  (sempre  nella  quasi  impossibile  ipotesi  di  riunione  di  tutte 
le  circostanze  le  più  regolari  e favorevoli),  supponendo  soli  45°  di  inclina- 
zione alla  valle,  un  mare  profondo  75  chilometri  almeno!  o più  profondo 
se  la  valle  era  tortuosa,  se  l’ inclinazione  sua  era  in  qualche  località 
minore  dell’ indicata !!! 

E per  le  roccie  carbonifere  provenienti  necessariamente  o dalle 
Alpi  marittime,  o dallo  Appennino  ligure,  o dal  sommo  delle  attuali 
valli  di  Susa  e di  Aosta? 

Taccio  molte  spontanee  e naturali  altre  domande  sul  perchè  alcuni 
blocchi  od  anche  minori  frammenti  sarebbero  giunti  allo  attuale  loro 
deposito  con  angoli  e spigoli  intatti  mentre  blocchi  e minori  frammenti 
depositati  a loro  accanto  in  uno  stesso  strato  venivano  ridotti  com- 
pletamente a ciottoli  arrotondati  o modificati  su  tutte  le  faccie,  sul 
come  si  spiegherebbe  la  formazione  dei  ciottoli  (essendo,  foggiata  a 
ciottoli  la  maggioranza  degli  elementi  petrosi)  nei  profondi  abissi  ma- 
rini, sul  perchè  molti  elementi  ciottolosi  si  ritrovino  oggi  rigati  o 
striati,  poiché  Tenorme  dislivello  che  vengo  di  segnalare  come  neces- 
saria conseguenza  del  fare  arrivare  con  questa  via  i materiali  dal  punto 
di  origine  a quello  di  giacimento,  mi  vieta  di  ammettere  e di  ulterior- 
mente ingolfarmi  nelle  particolarità  di  questa  ipotesi. 

E certo  che  l’ipotesi  glaciale-miocenica  del  Gastaldi  presenta  fianchi 
vulnerabili  a molte  e moltissime  obbiezioni.  Una,  e non  ultima,  è quella 
di  indole  paleontologica  invocata  dal  Mazzuoli  e presentatasi  al  Gastaldi 
stesso  ed  a chiunque  abbia  preso  a riflettere  sulla  questione.  Un’altra 
si  potrebbe  così  esprimere:  data  condizione  di  clima  e di  abbondanza 
di  precipitati  atmosferici  tale,  da  permettere  in  tutta  la  cerchia  delle 
Alpi  occidentali  e dello  Appennino  ligure  (durante  la  prima  metà  del 
miocene)  la  presenza  di  ghiacciai  così  potenti  ed  estesi  da  raggiun- 
gere il  bacino  marittimo  da  quelle  alture  circoscritto,  è egli  possibile 
che  tale  limitato  bacino  si  trovasse  sufficiente  ed  in  sufficienti  con- 
dizioni di  temperatura  da  bastare  ad  eliminare  e fondere  tutti  i ghiacci 
galleggianti  che  gli  venivano  consegnati  da  tutte  le  parti?  ed  ancora 
colla  circostanza  aggravante  della  probabile  o possibile  presenza  di 
bassifondi  o di  scogli  costituiti  da  roccie  eoceniche  esistenti  in  mezzo 
al  bacino  nella  ubicazione  della  attuale  Collina  di  Torino? 


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Concludo:  nè  la  spiegazione  del  Gastaldi,  nè  quella  del  Mazzuoli 
paionmi  sufficienti  a spiegar  da  sole  l’origine  ed  il  modo  di  formazione 
e composizione  dei  conglomerati  miocenici  della  Collina  di  Torino. 
Ancora  dobbiamo  cercare,  discutendo  ed  esaminando  il  modo  di  agire 
delle  diverse  forze  che  sulla  terra  producono  determinati  effetti,  un 
agente  così  continuato,  ed  energico,  e potente,  dall’azione  del  quale  noi 
otteniamo  soddisfacente  spiegazione  sul  come  si  trovino  in  così  gran 
copia  accumulati,  al  centro  dello  antico  miocenico  seno  padano,  mate- 
riali e piccini  e voluminosi  rapiti  a tutto  il  rilievo  roccioso  che  ne 
circoscriveva  l’ampissima  conca. 

Forse  il  desiderato  lume  otterremo  quando  riesciremo  pure  a spie- 
garci come  si  sieno  formati  i molto  più  estesi,  più  potenti,  più  numerosi 
strati  di  conglomerati  grossolani  che,  depostisi  essi  ancora  a conside- 
revoli distanze  da  emersioni  rocciose  durante  il  permiano,  occupano 
oggidì  tanta  area  di  territorio  nelle  Alpi  occidentali  ed  orientali,  nel- 
l’Appennino  e nell’Europa  centrale. 

Roma,  12  aprile  1888. 


III. 

Le  piante  fossili  nel  travertino  ascolano;  nota  di  A.  Ma- 

scagni. 

Fin  da  quando  nel  novembre  del  1881  scrissi  una  breve  memoria 
sul  travertino  ascolano  che  fu  poi  pubblicata  col  titolo  di  Lapis  iibur- 
tina  apud  Asculum  nel  n°  3 dell’anno  1882  della  Rivista  scientifico- 
industriale  di  Firenze  e nella  quale  enumerava  i molluschi  terrestri  e 
d’acqua  dolce  da  me  raccolti  in  questa  formazione,  aveva  pure  intendi- 
mento, non  di  illustrarne  la  flora,  compito  per  sè  stesso  abbastanza 
ardito,  ma  almeno  di  enumerare  quelle  specie  di  piante  che  per  avven- 
tura mi  fossero  venute  alle  mani  studiando  la  suddetta  formazione. 
Peraltro  molte  furono  sempre  le  difficoltà  che  si  opposero  a questa 
mia  idea,  nè  certo  avrei  potuto  attuare  il  mio  proposito  se  una  favo- 


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revolissima  circostanza  non  fosse  in  seguito  sopraggiunta  a togliermi 
d’impaccio.  Nel  1885  il  prof.  cav.  Giovanni  Tranquilli  mi  affidava  il 
gradito  incarico  di  riordinare  il  Museo  lasciatogli  in  eredità  dallo  zio 
senatore  Antonio  Orsini,  esperto  naturalista  ascolano,  morto  nel  1870. 
E siccome  uno  dei  migliori  ornamenti  di  questo  museo  è per  l’appunto 
una  collezione  di  fossili  sul  travertino  ascolano,  questa  osservando  e 
studiando,  ho  potuto  compilare  l’elenco  che  ora  presento  agli  amatori 
delle  cose  naturali,  sieno  essi  paleontologici,  sieno  botanici,  lieto  se 
potrò  contribuire  con  questo  materiale,  per  quanto  scarso,  allo  studio 
sulle  origini  delle  piante  enumerate. 

Non  credo  necessarie  considerazioni  d’indole  generale  da  aggiun- 
gere alla  mia  memoria  anzi  citata,  della  quale  il  presente  scritto  po- 
trebbe considerarsi  come  la  seconda  parte.  Solo  dirò  che  la  formazione 
del  travertino  ascolano  per  l’abbondantissimo  svolgimento  di  anidride 
carbonica  dovette  essere  l’effetto  di  un  processo  rapidissimo.  E ciò  si 
può  ritenere  osservando  in  questa  roccia  impronte  di  bruchi  di  lepi- 
dotteri e d’altri  corpi  organici  per  sè  stessi  abbastanza  molli  e di  facile 
decomposizione,  quantunque  a dire  il  vero  le  piante  che  meglio  vi  siano 
rappresentate  siano  quelle  a stelo  legnoso,  più  che  le  vere  erbe,  le 
quali  forse  non  poterono  conservarsi  intatte  all’ infuriare  delle  acque 
che  dai  sovrastanti  monti  le  trassero  nel  posto  ove  ora  si  trovano. 

Riguardo  alla  determinazione  delle  specie  molte  volte  ho  seguito 
quella  lasciata  dallo  stesso  Orsini,  qualche  volta  ho  creduto  correg- 
gerla; ma  tanto  nell’uno,  quanto  nell’altro  caso  si  può  asserire  con 
certezza  di  non  essere  incorsi  in  errori?  Anche  il  celebre  paleofitologo 
Massalongo  dice  che  gravissime  sono  le  difficoltà  che  si  incontrano 
nell’esame  delle  flore  fossili;  quindi  anche  in  vista  di  ciò  spero  venia 
dai  lettori  per  le  inesattezze  di  determinazione  che  si  potranno  riscon- 
trare in  questo  lavoro. 

Per  la  classificazione  finalmente  ho  creduto  seguire  il  Conspectus 
Florce  Europaece  alidore  Carolo  Frider.  Nyman , insieme  alle  relative 
citazioni,  come  il  metodo  oggi  universalmente  adottato  dai  più  illustri 
botanici. 


— 92  — 


CI.  I.  - DICOTYLEDONE^E. 

Subcl.  I.  - Thalamiflorae. 

CaPPARIDEìE  Juss. 

1.  Capparis  rupestris  S.  et  S.  Syll.  210  — Exs.  Bill.  2220  (Hetr.) 

Di  questa  specie  si  ha  solo  nel  travertino  ascolano  qualche 
mediocre  fillite  che  si  conserva  nella  collezione  Orsini,  come  quasi 
tutte  le  specie  seguenti. 

ClSTINEvE  DC. 

2.  Cistus  salvifolius  L.  sp.  738  — Exs.  Boug.  hisp.  a.  1863.  2399.  pyr. 
his.  430,  431. 

Per  questa  si  può  ripetere  quanto  si  è detto  per  la  specie 
precedente. 

Lineai  DC. 

3.  Linurn  usitatissimum  L.  sp.  397.  Colitur  in  omni  fere  Europa  et 
etiam  subsponte  oeeurrit . 

Di  questa  pianta,  che  forse  un  giorno  cresceva  spontanea  nel 
bacino  del  Tronto,  l’Orsini  rinvenne  nel  travertino  ascolano  una 
bellissima  carpolite.  Oltre  questa  il  Museo  Orsini  possiede  ancora 
un’altra  carpolite  del  genere  Linum,  di  specie  non  determinata. 

Tiliace^e  Juss. 

4.  Tilia  plathyphylla  Scop.  (1772)  carn.  1,373  = T.  grandifolia  Ehrh. 
(1790)  Exs.  Fr.  XIV.  33.  Bill.  336.  Rchb.  1996. 

Anche  questa  pianta  forse^bbondava  nelle  nostre  vicinanze 

* Le  specie  segnate  con  asterisco  esistono  anche  nel  Museo  di  Geologia  della 
R.  Università  di  Roma  per  essere  state  inviate  dal  nostro  Orsini  al  suo  amico  e 
corrispondente  Prof.  G.'  Ponzi.  Debbo  esser  grato  di  questa  notizia  al  sig.  E.  Cle- 
rici, il  quale  con  tanta  diligenza  si  occupa  di  questi  studi  e che  per  la  maggior 
parte  ne  ha  riveduto  la  classificazione. 


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all’epoca  della  formazione  del  travertino;  perciò  il  Museo  Orsini 
possiede  di  essa  belle  filiti. 

Acerine^e  DC. 

*5.  Acer  pseudo-Platanus  L.  sp.  1054  — Exs.  Rchb.  2592  (Banat)  — 
Bill.  2233. 

*6.  Acer  campestre  L.  sp.  1055  — Exs.  Rg.  II.  37  — Bill.  948.  948  b. 

7.  » » » var.  austriacum  Ten.  Syll.  p.  193  n°  7 A.  B. 

*8.  » Opalus  Willd.  sp.  pi.  4 part.  2.  p.  990. 

9.  » » » var.  neapolitanum  Ten.  Syll.  p.  192  n°  3 A.B.C. 

10.  » platanoìdes  L.  var.  Lobelii  Ten.  Syll.  169  et  App.  alt.  p.  69. 

11.  » monspessulanum  L.  sp.  1056  — Exs.  Bill.  1634  — Bourg.  pyr. 
hisp.  20  — Rchb.  793. 

Il  genere  Acer  è uno  dei  meglio  rappresentati  nel  travertino 
ascolano,  ed  il  Museo  Orsini  possiede  duplicate  e belle  fillìti  di 
tutte  le  sette  specie  superiormente  elencate. 

Ampelide^e  H.B.K. 

12.  Vìtis  vinifera  L.  sp.  202  Exs.  Rchb.  1464. 

Come  afferma  l’egregio  signor  Enrico  Clerici  nella  sua  bella 
nota  sulla  Vitis  vinifera  fossile  nei  dintorni  di  Roma  (Bollettino 
della  Società  geologica  italiana,  voi.  VI,  fase.  3)  la  presenza  del 
genere  Vitis  è bene  accertata  dall’eocene  in  poi  tanto  in  Europa 
quanto  nell’America  settentrionale.  Senza  citare  tutte  le  località 
dove  questa  importantissima  specie  siasi  rinvenuta,  dirò  solo  che 
essa  ha  rappresentanti  nel  travertino  ascolano,  come  lo  provano 
gli  esemplari  esistenti  nel  Museo  Orsini  e da  lui  stesso  raccolti  e 
determinati,  ed  altro  da  me  molti  anni  indietro  inviato  al  profes- 
sore Regazzoni,  che  si  conserva  nella  collezione  del  R.  Liceo  Volta 
in  Como  (V.  E.  Clerici,  nota  anzi  citata). 

Subcl.  II.  - Calycìflorse. 

Celastrine^e  Br. 

13.  Staphylea  p innata  L.  sp.  270  — Rchb.  2087  — Bill.  2038. 

Questa  specie  è rara  nel  travertino,  e di  essa  si  ha  solo  qual- 
che imperfetta  fillite. 


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14.  Evonimus  europceus  L.  sp.  197. 

Per  questa  specie  si  può  ripetere  quanto  si  è detto  per  la 
specie  precedente. 

15.  Ilex  aquifolìum  L.  sp.  125  — Exs.  Sieb.  354  — Bill.  2820. 

16.  » » » var.  foliis  inermis. 

Invece  V Ilex  aquifolìum  vi  si  rinviene  in  filliti  conservatis- 
sime; ma  vi  è meglio  rappresentata  la  varietà  che  la  specie. 

Rhamne^e  Br. 

17.  Rhamnus  Alaternus  L.  sp.  193  — Exs.  Rchb.  2390  — Bill.  527. 

Di  questa  specie  si  ha  solo  qualche  scadente  Jìllite. 

Drupacea  L. 

18.  Amygdalus  communis  L.  sp.  473  — Exs.  Rchb.  1900  — Bill.  3570. 

Per  questa  specie  si  può  ripetere  quanto  si  è detto  per  la 

specie  precedente. 

19.  Prunus  Cerasus  L.  sp.  473  — Exs.  Bill.  1860. 

20.  » spinosa  L.  sp.  475  — Exs.  Bill.  352  — Bourg.  hisp.  a.  1854. 

Invece  il  genere  Prunus  è bene  rappresentato,  e d’ambedue  le 
specie  citate  nel  Museo  Orsini  si  conservano  filliti  e carpoliti. 

PoMACEiE  L. 

21.  Sorbus  Aria  Cr.  — Exs.  Fr.  VI.  38  — Rchb.  2251  — Bill.  1872,  ecc. 

22.  » » » var.  foliis  ellipticis. 

23.  » terminalis  Cr.  — Exs.  Bill.  1873  — Bourg.  pyr.  hisp.  485. 

Anche  questo  genere  è bene  rappresentato  nel  travertino  asco- 
lano, anzi  del  Sorbus  terminalis  il  Museo  Orsini  possiede  una 
fillite  di  perfetta  conservazione,  rinvenuta  nel  travertino  spugnoso 
di  Acquasanta. 

Crassulace^e  DC. 

24.  Sempervivum  tectorum  L.  sp.  464. 

Non  di  una  sola  foglia,  ma  dell’  intiera  pianta  ho  rinvenuto 


l’impronta  nel  nostro  travertino  e la  ritengo  di  massima  impor- 
tanza. 

Umbellifera  L. 

25.  Bupleurum  fruticosum  L.  sp.  238  — Exs.  Welw.  442  — Bourg.  hisp. 
a 1851. 

Per  questa  specie  ho  qualche  dubbio  sulla  determinazione  fatta 
dall’Orsini  medesimo  di  alcune  Jìlliti  che  si  conservano  nel  suo 
Museo. 

Araliacea  Suss. 

26.  Hedera  Helix  L.  sp.  202  — Exs.  Fr.  XIII.  39  — Bill.  1215. 

Di  questa  specie  esistono  nel  Museo  Orsini  varie  filiti  di  me- 
diocre conservazione. 

Cornea  DC. 

*27.  Cornus  sanguinea  L.  sp.  117  — Exs.  Rg.  II.  35.  Rchb.  820  — 
Bill.  244. 

Dicasi  per  questa  quanto  si  è detto  per  la  specie  precedente. 

Caprifoliacea  Rich. 

28.  Viburnum  Lantana  L.  sp.  268.  — Exs.  Bill.  246. 

29.  » Tinus  L.  sp.  267  — Exs.  Rchb.  732  — Ces.  Car.  ital. 
bor.  259. 

Anche  per  queste  due  specie  valga  il  precedentemente  detto. 

Composita. 

30.  Tussilago  Farfara  L.  sp.  865  — Exs.  Fellm.  124  — Bill.  2080. 

Il  grande  ordine  delle  Composite^,  comprendendo  tutte  erbe, 
non  è rappresentato  nel  travertino  ascolano  altro  che  da  qualche 
scadente  fillite  della  Tussilago  Farfara. 

Bicornes  L. 

31.  Arbutus  TJnedo  L.  sp.  595  — Exs.  Welw.  lusit.  277  — Bourg. 
hisp.  lusit.  1947. 

Di  questa  specie  si  ha  solo  qualche  fillite. 


— 96  — 


Subcl.  III.  - Corolliflor». 

Oleacea  Lindi. 

32.  Olea  europcea  L.  sp.  8 — Exs.  Bourg.  hisp.  a.  1850.  646  — Bill. 
3149. 

La  presenza  di  questa  specie  nel  travertino  ascolano  è lumi- 
nosa prova  che  la  temperatura  media  della  nostra  contrada  al- 
l’epoca della  formazione  del  travertino  era  eguale  alla  presente. 
Di  essa  si  hanno  Jìlliti. 

33.  Phillyrea  latifolia  L.  ■ — Exs.  Welw.  lusit.  cont.  226. 

Anche  di  questa  si  hanno  solo  Jìlliti. 

*34.  Ligustrum  vulgare  L.  sp.  7 — Exs.  Bill.  271. 

Valga  quanto  si  è detto  per  la  specie  precedente. 

35.  Fraxinus  Ornus  L.  sp.  1057  — Exs.  Bourg.  hisp.  a.  1852.  1616  — 
Bill.  3148  (Hetr.) 

*36.  Fraxinus  excelsior  L.  sp.  1057  — Exs.  Bill.  1529  — Boug.  telon.277. 

Il  medesimo  si  può  dire  anche  per  queste  due,  osservando  però 
che  pel  Fraxinus  excelsior  se  ne  hanno  delle  conservatissime  e 
caratteristiche. 

Labiata  Juss. 

*37,  Mentha  aquatica  L.  sp.  805  — Exs.  Rg.  II.  25.  Fr.  IV.  16  (var.) 

Molto  comune  è questa  pianta  nel  travertino  ascolano,  ed  il 
Museo  Orsini  possiede  di  essa  bellissime  jìlliti. 

Primulace^e  Vent. 

38.  Cyclamen  europceum  L.  sp.  145  — Exs.  Bill.  166  (Sab.)  1138  (Bav.) 
Rchb.  630. 

39.  Cyclamen  neapolitanum  Ten.  prodr.  suppl.  II.  66  (ex  ipso  in  syll. 
app.  V.  8). 

Ritengo  che  a quest’ultima  specie  debba  riferirsi  almeno  qual- 
cuna delle  Jìlliti  che  nella  collezione  Orsini  si  conservano  colla 
determinazione  di  Cyclamen  europceum  L.  e perciò  le  noto  en- 
trambe. 


— 97  — 


Subcl.  IV.  - Monochlamydese. 

Laurine^:  DC. 

• 40.  Laurus  nobilis  L.  sp.  369.  — Exs.  Welw.  lusit.  62.  cont.  116.  — 
Tod.  1244. 

Questa  specie  è benissimo  rappresentata  nel  travertino  asco- 
lano, e di  essa  il  Museo  Orsini  possiede  ottime  filliti  e carpohti. 

Euphorbiace,®  A.  Juss. 

*41.  Buxus  sempervirens  L.  sp.  893  — Exs.  Orph.  697  (Olymp.)  Rchb.  2485. 

Anche  di  questa  il  Museo  Orsini  possiede  buone  filliti. 

ArtocarpEìE  DC. 

*42.  Ficus  carica  L.  sp.  1059  — Exs.  Rchb.  1847  — Cesat.  602. 

Questa  specie  è degnamente  rappresentata  nel  travertino  asco- 
lano e vi  sono  ovvie  non  tanto  le  filliti  quanto  le  carpoliti  dei 
giovani  frutti;  delle  une  e delle  altre  il  Museo  Orsini  possiede 
ottimi  esemplari. 

Ulmace^  Mirb. 

43.  Ulmus  campestris  L.  Sm.  — Exs.  Bill.  1763  (Vosg.)  1763.  b (Cher.) 

L’olmo  è rappresentato  solo  da  qualche  mal  caratteristica 
fillite  nel  Museo  Orsini,  ma  di  questa  specie  ne  possiede  una  la 
collezione  di  E.  Clerici. 

44.  Celtis  australis  L.  sp.  1043  — Exs.  Bourg.  hisp.  879.  Cesat.  ita  1. 
379  — Bill.  320.  b. 

Il  Museo  Orsini  possiede  belle  e caratteristiche  filliti  di  questa 
specie  che  ancora  vive  spontanea  nelle  vicinanze  di  Ascoli. 

JuGLANDE.®  DC. 

*45.  Juglans  regia  L.  sp.  1415. 

Invece  di  questa  specie  esiste  solo  un  frammento  apppna  ap- 
pena riconoscibile. 


— 98  — 


CuPULIFERjfS  Rich. 

*46.  Fagus  sglvatica  L.  sp.  998  — Exs.  Rchb.  2327  — Bill.  2137  — 
Bourg.  pyr.  hisp.  692. 

Di  questa  specie  il  Museo  Orsini  non  solo  possiede  buone  fil- 
ini, ma  ancora  qualche  bellissima  carpolite. 

*47.  Castanea  sativa  (Mill.  1768).  Scop.  1772  = Cast,  vulgarìs  Lam. 
(1783)  = Cast,  vesca  Gaertn.  (1788)  — Exs.  Bill.  2531. 

Di  questa  invece  si  hanno  solo  fittiti  e non  sempre  in  ottimo 
stato  di  conservazione. 

48.  Quercus  pedunculata  Ehrh.  — Exs.  Bill.  2532. 

49.  » sessilijlora  Slsb.  — Exs.  Rchb.  1640  — Tod.  1372  (var.) 

50.  » Esculus  L.  = Quer.  Dalechampii  Ten.  (1850). 

51.  » lanuginosa  Th.  par.  502  (1798)  - Quer.  pubescens  W.  (1805) 

— Exs.  Rchb.  21  var. 

*52.  Quercus  Cerris  L.  sp.  997  = Quer . crinita  Lam.  — Exs.  Rchb.  1515 
— Bill.  2362  — Huet.  neap.  496  — Tod.  Sic.  973  var. 

*53.  Quercus  Ilex  L.  sp.  995  — Exs.  Bourg.  hisp.  873.  874  (var.) 

Ottimamente  rappresentato  nel  travertino  ascolano  è il  genere 
Quercus , ed  il  Museo  Orsini  possiede  bellissime  fittiti  di  parecchie 
delle  specie  dianzi  nominate,  come  pure  varie  carpoliti.  Ritengo 
che  meritino  speciale  menzione  varii  gruppi  del  Quercus  Ilex , del 
Quercus  Cerris  ed  una  grande  fillite  isolata  del  Quercus  Esculus 
che  ancora  vegeta  come  le  altre  sui  nostri  monti. 

*54.  Ostrya  carpinifolia  Scop.  = Ost.  vulgaris  W.  — Exs.  Rchb.  816. 
Orph.  286. 

Anche  di  questa  specie  si  hanno  buone  fittiti. 

*55.  Carpinus  Betulus  L.  sp.  998  — Exs.  Rchb.  1637  — Bill.  460. 

56.  » duinensis  Scop.  (1772)  = Carp.  orientalis  Lam.  (1783)  — 

Exs.  Rchb.  1637. 

Il  Museo  Orsini  possiede  varie  fittiti  discretamente  conservate 
delle  due  specie  enumerate  del  genere  Carpinus. 


— 99  — 


57.  Corylus  Avellana  L.  sp.  998  — Exs.  Bill.  459. 

La  specie  Corylus  Avellana  anche  oggi  cresce  spontanea  nei 
nostri  monti;  non  farà  quindi  meraviglia  se  a pari  delle  altre  specie 
è bene  rappresentata  nel  travertino  ascolano  tanto  per  le  filliti , 
quanto  per  le  cartoliti. 

Salicine^:  Rich. 

58.  Populus  alba  L.  sp.  1034  — Exs.  Fr.  XIII.  69. 

*59.  » canescens  Sm.  fi.  brit.  1080  — Exs.  Rchb.  2018  (Pesth.) 

*60.  » tremula  L.  sp.  1034  — Exs.  Fr.  XIV.  61.  var.  — Bill.  2742. 

61.  » nigra  L.  sp.  1034  — Exs.  Fr.  XII.  64  (adv.)  — Tod.  1370. 

Questo  genere  se  è discretamente  rappresentato  pel  numero 
delle  specie,  non  lo  è del  pari  per  la  buona  conservazione  degli 
esemplari;  anzi  non  posso  nascondere  che  per  qualche  specie  ho 
ancora  qualche  dubbio. 

62.  Salix  alba  L.  sp.  1021  — Exs.  Rg.  I.  62  — Bill.  847  - Tod.  483. 

63.  » caprea  L.  sp.  1020  — Exs.  Rchb.  1031  — Bill.  462. 

64  » viminalis  L.  sp.  1021  — Exs.  Rg.  I.  64  — Bill.  1958. 

65.  » pliylicifolia  Whlnb . — S.  nigricaus  Sm.  (Fr.)  — Exs.  Fr.  V. 
62  — Rchb.  568  — Bill.  1990. 

Meglio  rappresentato  invece  per  la  conservazione  degli  esem- 
plari è il  genere  Salix , poiché  di  tutte  le  quattro  specie  enumerate 
il  Museo  Orsini  possiede  buone  filliti. 

Betulinejs  Bartl. 

66.  Alnus  glutinosa  Gaertn.  fr.  II.  54  — Exs.  Maill.  1693  (Suec.)  — 
Bill.  647. 

Questa  è forse  la  specie  meglio  rappresentata  nel  travertino 
ascolano,  esistendo  nel  Museo  Orsini  non  solo  molte  caratteristi- 
che ed  ottime  filliti,  ma  ancora  qualche  stupenda  carpolite. 

Conifera  L. 

67.  Abies  alba  Mill.  dict.  n°  1 (1768)  — A.  vulgaris  Poir.  ap.  Lam. 


— 100  — 


(1804)  Syll.  347  = Pinus  Picea  L.  sp.  1420  = P.  Abies  Duroi 
= A.  pedinata  DC.  (1805). 

Di  questa  specie  esistono  nella  collezione  Orsini  non  solo  fil- 
liti  bellissime,  ma  anche  qualche  rara  carpolite. 

*68.  Pinus  halepensis  Mill.  dict.  8 — Exs.  Bourg.  hisp.  884  (var.)  Bill. 
17 66  — Cesat.  ital.  557-600  — Tod.  Sic.  578. 

Ottime  specialmente  sono  le  carpoliti  del  genere  Pinus  che 
di  frequente  si  rinvengono  nel  travertino  ascolano,  e delle  quali 
non  poche  si  conservano  nel  Museo  Orsini  sotto  questo  nome. 
Non  debbo  però  tacere  che  qualche  paleontologo  vorrebbe  appar- 
tenessero piuttosto  al  Pinus  sylvestris  L. 

69.  Juniperus  communis  L.  sp.  1040  — Exs.  Bill.  2743  — Bourg. 
hisp.  882. 

Di  questa  specie  esiste  solo  qualche  scadente  fillite. 

70.  Taxus  baccata  L.  — Exs.  Sz.  hb.  norm.  944. 

Invece  del  Taxus  se  ne  conservano  nel  Museo  Orsini  alcune 
assai  belle  e caratteristiche. 

Cl.  II.  - MONOCOTYLEDONEtE. 

Smilace^e  Lindi. 

71.  Smilax  aspera  L.  sp.  1028  — Exs.  Rchb.  552  — Pett.  358  — Bourg. 
hisp.  1678  — Dur.  astur.  222. 

Di  questa  specie  esistono  nella  collezione  Orsini  ottime  e ca- 
ratteristiche filliti. 

Asparage^e  DC. 

72.  Ruscus  aculeatus  L.  sp.  1041  — Exs.  Rchb.  551. 

Di  questa  lo  scrivente  ha  rinvenuto  nel  travertino  ascolano 
una  bella  impronta  di  ramo  trasformato,  la  quale  è stata  deposta 
nel  Museo  suddetto. 


— 101  — 


Dioscore^:  Br. 

73.  Tamus  communio  L.  sp.  1028  — Exs.  Rchb.  1511  (Frey)  — Bourg. 
pyr.  hisp.  656. 

Solo  qualche  imperfetta  Jillite  esiste  di  questa  specie  nel 
Museo  Orsiniano. 

Gramine^e  Juss. 

74.  Arundo  Donax  L.  sp.  81  — Exs.  Rchb.  528  — Bill.  2385  — Tod. 
Sic.  1399  — Bourg.  hisp.  1550  — Welw.  lusit.  478. 

Assai  di  frequente  si  rinvengono  nel  travertino  ascolano  fram- 
menti di  Jilliti  di  Graminacee;  ma  sommamente  difficile  è la  de- 
terminazione di  esse.  Tuttavia  con  molta  probabilità  si  può  asserire 
che  tanto  di  questa  quanto  della  specie  seguente  vi  siano  i rap- 
presentanti. 

75.  Phragmites  communis  Trin.,  fund.  agr.  134  — Exs.  Bill.  90  — ■ 
Rchb.  2124  — Tod.  Sic.  1262,  ecc. 

*76.  Lolium perenne  L.  sp.  83  — Exs.  Bill.  2778  — Bourg.  pyr.  hisp.  191. 

Di  questa  specie  si  ha  nel  Museo  Orsini  una  bellissima  An- 
tolite  ed  un’  altra  pure  bellissima  se  ne  conserva  nel  Museo  del- 
1?  Università  Romana. 

Cl.  III.  - ACOTYLEDONE^E  VASCULARES. 

P OLYPODIACE-iE  Br. 

77.  Pteris  aquilina  L.  — Exs.  Fr.  Vili.  98  — Bill.  195  — Bourg.  pyr. 
hisp.  398. 

Di  questa  felce,  che  comunissima  vegeta  ora  nelle  nostre  vi- 
cinanze, si  ha  appena  nel  Museo  Orsini  una  scadente  jillite  rin- 
venuta nel  travertino  spugnoso  di  Acquasanta. 

78.  Polypodium  vulgare  L.  — Exs.  Bill.  98  — Rab.  55  — Bourg.  pyr. 
hisp.  391. 

Invece  di  questa  seconda  specie  se  ne  hanno  varie  conserva- 
tissime rinvenute  nel  travertino  compatto  di  Colle  S.  Marco. 


7 


— 102  — 


E queste  sono  le  piante  che  del  travertino  ascolano  finora  sono 
state  raccolte  e determinate.  Altre  però  se  ne  potrebbero  raccogliere, 
come  anche  studiare  meglio  le  molte  che  ancora  rimangono  specifica- 
mente  indeterminate  e che  senza  dubbio  appartengono  ai  seguenti 
generi:  Prunus , Linum , Lamium , Quercus , Tilia , Salix , Pinus , Tri- 
ticum , Equisetum , non  che  varie  gramineae  ed  una  polypodiacea. 
Come  accennammo  nell’  introduzione  a questo  scritto,  assai  difficile  è 
lo  studio  delle  filiti;  è molto  probabile  quindi  che  il  presente  elenco 
possa  essere  in  seguito  aumentato. 

Per  quanto  è a mia  cognizione  delle  piante  ascolane  hanno 
parlato  : 

1.  Gaudin  Ch.  et  Strozzi  C.,  Contribution  à la  fiore  fossile  italienne : 

IV  mém .,  Travertins  toscans,  1860,  pag.  16-18. 

Le  specie  citate  in  questo  lavoro  sono  : 

Pinus  sylvestris  Celtis  australis 

Fagus  sylvatica  Laurus  nobilis 

Quercus  Ilex  Fraxinus  Ornus 

Quercus  apennina  var.  lobulata 

2.  Ponzi  G.,  Cronaca  subappennina  o abbozzo  d’ un  quadro  generale 

del  periodo  glaciale , 1875,  pag.  57. 

Le  specie  citate  in  questo  secondo  lavoro  sono: 

Ficus  carica  Quercus  apennina^ 

Quercus  robur  Acer  Opulus 

» llex  » campestre 

» » var.  angustifolia  Laurus  nobilis 

Di  queste  15  specie  e varietà  quelle  che  mancherebbero  nel  mio 
elenco  sono:  Quercus  robur , Q.  apennina  var.  lobulata .,  Q.  Ilex  var. 
angustifolia.  Siccome  per  altro  del  genere  Quercus  esistono  molti  esem- 
plari specificamente  indeterminatq'^  molto  probabile  che  le  stesse 
specie  esistano  anche  nel  Museo  Orsini. 

Ascoli-Picenoì  15  aprile  1888. 


— 103  — 


IV. 

Appunti  geologici  sull'isola  di  Madagascar , di  E.  Cortese. 

(con  una  tavola) 

Madagascar,  la  grande  isola  africana,  la  cui  superfìcie  è quasi 
doppia  di  quella  delPItalia  (circa  600000  chil.  quadrati),  fu  descritta  da 
molti  autori  stranieri,  dal  punto  di  vista  geografico  o etnografico. 

Lo  scrivente  che  ebbe  occasione  di  farvi  una  breve  dimora,  man- 
dava di  là  alcuni  brevi  appunti  sulla  geognosia  di  quella  regione,  che 
figuravano  in  questo  stesso  Bollettino.  1 

Ritornatone,  mentre  si  riserva  di  far  note  altrove  le  osservazioni 
di  indole  generale,  da  lui  fattevi,  crede  opportuno  riassumere  qui  bre- 
vemente, tutte  quelle  che  hanno  rapporto  alla  struttura  geologica  del- 
l’isola. Crede  necessario  però  premettere,  che,  stante  le  condizioni  spe- 
ciali e poco  propizie  in  cui  fu  fatto  il  viaggio,  e non  avendo  potuto  fare 
studi  speciali  sui  campioni  di  roccie  raccolti,  questa  esposizione  som- 
maria delle  osservazioni  geologiche  fatte,  avrà  piuttosto  un  carattere 
di  una  rivista  alla  geognosia  della  regione,  che  una  vera  descrizione 
geologica  di  essa. 

Si  comincierà  dalle  roccie  più  antiche,  per  venire  alle  più  recenti, 
ed,  anzi,  alle  formazioni  attuali. 

Una  cartina  geologica  sommaria  in  scala  di  1/8  000  000,  che  ac- 
compagna questo  scritto,  gioverà  opportunamente  per  riscontrare  le 
località  e regioni  citate. 

Roccie  cristalline. 

Le  roccie  cristalline  massiccie,  che  formano  realmente  l’ossatura, 
e che  occupano  una  grande  zona  dell’isola,  sono  anche  quelle  che 
meno  chiaramente  appaiono  all’osservatore. 


Anno  1887,  numeri  3-4  e 5-6. 


i 


— 104  — 


Una  vasta  regione,  del  versante  orientale,  chiamata  Bétanimena, 
ossia  la  gran  terra  rossa , appunto  per  il  colore  del  suolo,  è tutta  for- 
mata da  gneiss  e micascisti  antichi;  ma  attualmente,  non  vi  si  vede 
dominare  che  un’argilla  rossa  o violacea,  apparentemente  uniforme. 

Esaminando  però  da  vicino  la  roccia,  specialmente  in  certi  tagli  o 
dirupi  naturali,  si  vede  che  questa  argilla  non  è che  la  decomposi- 
zione, in  posto,  dei  gneiss  e dei  micascisti. 

Vi  si  scorgono  benissimo  la  mica  e Tanfibolo,  ridotti  in  pasta,  ma. 
ancora  tinte  in  bruno  o in  verde.  11  feldspato,  trasformato  in  argilla 
rossa,  involge  e maschera  i granelli  di  quarzo;  se  è abbondante,  o 
tanto  predominante  che  la  roccia  primitiva  sia  una  pegmatite,  piuttosto* 
che  uno  gneiss,  si  vedono  abbondanti  le  macchie  e le  sfumature  di  un 
color  rosa-violaceo,  come  masse  di  caolino,  fra  l’argilla  rossa.  Ma. 
l’ inesorabile  sopraossidazione  del  ferro  di  tutte  le  roccie,  e quello  che 
si  dice  per  queste  valga  per  tutte  quelle  del  Madagascar,  ha  dato  a 
tutti  i materiali  di  alterazione,  delle  tinte  rossastre  che  dominano  su 
tutta  l’isola,  e che  tingono  lo  stesso  caolino,  per  quanto  puro  esso* 
potrebbe  essere. 

In  presenza  a tale  alterazione  della  roccia,  è inutile  ricercarne  la- 
costituzione  esatta. 

Nè  si  creda  che  con  pazienza,  si  possano  rintracciare  dei  tagli, 
lungo  i fiumi  e i torrenti,  in  cui  la  roccia  si  possa  ritrovare  sana  e- 
intatta.  Come  fu  inesorabile  la  sopraossidazione  dei  sali  di  ferro,  con- 
tenuti nelle  roccie,  altrettanto  lo  fu  l’azione  degli  agenti  esterni.  In 
quei  paese  tropicale,  dove  i geli  non  possono  intervenire  per  disgre- 
gare le  roccie,  queste  sono  profondamente  trasformate  tuttavia,  e ri- 
dotte in  uno  stato  di  caolinizzazione  quasi  completa.  Le  colline,  sono 
tondeggianti,  i profili  sono  dolci,  e dovunque  è la  roccia  trasformata, 
che  si  presenta,  mai  quella  originaria,  e mai  si  hanno  dei  tagli  freschi. 

1 Ricordiamo  qui  che  la  pronuncia  malgàscia  somiglia  molto  l’italiana,  meno 
che  Yo  è costantemente  pronunciato  come  il  nostro  u,  e Yau  come  un  ó largo. 
La  lettera  j ha  suono  analogo  a quella  della  z,  e la  a non  preceduta  da  t si  pro- 
nuncia grassa,  quasi  come  se,  quantunque  con  suono  alquanto  più  sibilante. 

Molti  nomi  si  troveranno  scritti  qui  con  ortografia  diversa  di  quella  adope- 
rata nelle  due  note  dell’anno  decorso.  Ciò  dipende  da  che  in  quell’epoca,  non  co- 
noscendo la  lingua,  essi  venivano  erroneamente  trascritti. 


— 105  — 


Al  nord  della  capitale,  vi  è una  vasta  regione,  in  cui  le  colline,  benché 
tondeggianti,  si  slamano,  sono  anzi  realmente  sventrate,  da  frane,  che 
lasciano  a nudo  delle  pareti  verticali  di  15  o 20  metri  di  altezza;  ciò 
nonostante,  quelle  pareti  mostrano  la  stessa  argilla  rossa  o rosa-vio- 
lacea, con  la  mica  o Fanfìbolo  alterati  e visibili,  e i cristallini  di  quarzo 
nascosti  nella  massa. 

Non  si  può  negare  tuttavia,  che  in  tutta  la  regione  del  Bétanimena, 
non  si  mostrino  delie  roccie  cristalline  ancora  compatte,  scoperte,  ma 
si  tratta  sempre  di  roccie  speciali,  che  non  rappresentano,  evidente- 
mente, la  grande  massa  costituente  tutta  la  regione. 

A Maroaomby,  in  riva  al  torrente  Lavena,  si  possono  vedere  dei 
massi  di  una  diorite  a fini  elementi. 

Ad  ovest  di  quel  paese,  verso  Analamiuraka  e Ambatolampy,  si 
trovano  dei  grossi  massi  tondeggianti  di  una  specie  di  sienite,  cioè, 
un  granito  anfibolico  pochissimo  quarzifero,  con  due  feldspati,  di  cui 
uno  roseo,  ed  uno  in  lunghi  cristalli  appariscenti.  Questa  roccia,  du- 
rissima, costituiva  certo  dei  nuclei  nella  roccia  massiccia,  e,  avendo 
resistito  alla  alterazione  che  distrusse  quella,  rimase  colà,  in  posto, 
o vi  fu  trasportata  rotolando  sulle  pendici  di  terra  rossa.  Questa  pre- 
senta qualche  vena  quarzosa  di  color  bianco  ceruleo,  e,  per  la  sua 
struttura  zonata,  sembra  realmente  provenire  da  uno  gneiss  decomposto. 

Anzi,  passato  Sakafombazaha,  si  direbbe  realmente  che  si  ricono- 
scono gli  scisti  dioritici,  da  cui  proviene,  i quali  si  estenderebbero  oltre 
Ranomafana,  fin  verso  Bédara,  dove,  molti  blocchi  rotondi,  a grossi 
cristalli  di  ortose  si  incontrano  sul  sentiero,  mentre  nel  fiumiciattolo 
li  presso,  si  scorge  un  po'  di  gneiss  anfibolico,  non  ancora  perfetta- 
mente alterato.  I molti  ciottoli  di  quarzo,  che  si  trovano  fra  le  varie 
frazioni  del  villaggio,  ed  i meandri  del  fiume  Ambatoharanana  proven- 
gono da  pudinghe  di  cui  parleremo  in  seguito. 

A metà  strada,  fra  questo  villaggio,  e Mahéla,  si  passa  una  collina, 
che  separa  il  fiume  del  nome  di  quello,  dal  fiume  di  Mahéla,  e là  si 
avrebbero  veramente  delle  dioriti  in  cui  si  può  riconoscere  una  specie 
di  clivaggio  o di  stratificazione,  che  colà  pende  35°  ad  ovest. 

Forse  queste  roccie,  che  rimangono  intatte  sono,  come  dissi,  delle 
accidentalità,  assia  delle  zone  dure,  nella  massa  di  roccie  più  o meno 
scistose,  decomposte. 


— 106  — 

La  zona  di  foresta,  che  comincia  dopo  Mahéla,  maschera  molto 
più  la  natura  delle  roccie,  quantunque  massi  e affioramenti  di  roccie 
speciali,  si  vedano  qua  e là. 

Passato  Sahanitelo,  risalendo  il  rivo  omonimo,  lo  si  passa  in  un 
punto  chiamato  Ambatomalama  (alla  pietra  liscia),  e quivi  si  vede  che 
esso  corre  in  una  gola  di  roccie,  speciali,  composte  di  antibolo,  con 
minor  proporzione  di  quarzo,  e contenenti  dei  granelli  d’oro. 

Questa  roccia,  che  è qui  abbastanza  sana  di  struttura,  forma  la 
collina,  che  separa  quel  punto  da  Béforona,  ma  ivi  è molto  più  al- 
terata. 

Altra  diorite  visibile,  si  ha  sulla  montagna  di  Marovoalavo,  ad  oc- 
cidente di  Béforona,  fino  a Rihitra,  ma,  nelle  colline  che  si  salgono  e 
contornano,  dopo  questo  villaggio,  si  vede  la  roccia  fondamentale,  lo 
gneiss,  decomposto,  talvolta  a feldspato  rosato  (ortose).  Quantunque  la 
roccia  sia  alterata,  vi  si  riconosce  la  direzione  dei  piani  di  clivaggio, 
che  varia  da  10°  a 35°  gradi  di  inclinazione  verso  Est. 

Si  è allora  nella  valle  del  fiume  Hiasina,  il  quale  ha  formato  di- 
versi laghi,  prima  di  aprirsi  il  varco  attraverso  quelle  roccie  cristal- 
line. Di  queste  si  vedono  ancora  dei  grossi  blocchi  intatti,  e,  nelle  gole, 
si  vedono  le  roccie  decomposte,  mentre  in  quei  bacini  si  hanno  delle 
pudinghe,  veri  depositi  lacustri,  di  cui  parleremo  appresso. 

E nella  foresta  fìtta  di  Arongaronga,  ad  ovest  di  Ambavanihiasina, 
che  si  scorge  la  gran  montagna  detta  Andriambavibé  (la  gran  regina) 
che  si  estolle  a 1200m  sul  mare,  e che  è,  per  200m  almeno,  terminata 
da  appicchi  di  gneiss  anfìbolico,  o di  diorite. 

Il  colle,  al  piede  di  questa  rupe,  è formato  da  gneiss  micaceo,  de- 
composto, che  si  seguita  a vedere,  fino  ad  Anevoka,  ed  Analamazaotra. 
E,  quantunque,  anche  qui  si  abbiano  delle  formazioni  lacustri  in  tutte 
le  colline,  che  separano  il  fiume  di  Analamazaotra  dal  Sahanitany  e 
questo  dalla  vallata  di  Ampasimpoisj,  non  si  manca  mai  di  riconoscere, 
nella  terra  rossa,  o nelle  roccie  alterate,  il  gneiss  decomposto. 

Non  è che  nel  fiume  di  Béhena,  che  si  vedono  delle  argille  bian- 
che, che  ricordano  molto  il  caolino,  ma  poi,  nelle  colline  tondeggianti 
e intralciate  che  dividono  questa  vallata  da  quella  del  Mangorona,  cioè 
tra  Amboditangainy  e Moramanga,  si  trova  ancora  la  solita  roccia 
decomposta,  con  qualche  blocco  tondeggiante,  a struttura  granitica. 


— 107  — 

La  pianura  di  Moramanga  fu  il  fondo  di  un  antico  lago,  ed  è for- 
mata da  depositi  alluvionali,  prababilmente  quaternarii.  Veramente,  il 
nome  di  pianura  le  compete  piuttosto,  comparandola  alle  regioni  acci- 
dentate e montuose,  fra  cui  è compresa,  che  per  essere  assolutamente 
pianeggiante.  Il  Mangorona,  1’ ha  solcata  profondamente,  lasciando  alla 
sua  destra  un  alto  terrazzo,  al  cui  piede  scorre  adesso,  mentre  Taltro 
terrazzo,  larghissimo  (oltre  15  chilometri),  su  cui  è Moramanga,  è pro- 
fondamente inciso  da  numerosi  corsi  d’acqua  affluenti  di  quello. 

Dalla  valle  del  Mangorona,  si  passa  in  quella,  dell’Andjozoro  attra- 
verso la  catena  del  Fody  (1150)  che  ha  la  solita  costituzione. 

La  larga  vallata,  che  si  stende  fra  la  catena  del  Fody  e quella 
dell’Angavo  è solcata  dall’Andjozoro  e da  un’altro  fiume  (il  Mahazine), 
e in  essa  pure  si  hanno  dei  terrazzi  di  origine  lacustre,  solcati  e ri- 
dotti a piccole  catene  di  colline,  dagli  attuali  corsi  d’acqua. 

Nella  pianura  alluvionale  però  si  trovano  dei  grossi  blocchi  di  una 
splendida  roccia,  un  granito  a due  feldspati,  poco  quarzitico,  e poco 
anfibolico,  una  specie  di  sienite,  color  rosso  carneo,  che  darebbe  della 
magnifica  pietra  da  costruzione  ornamentale.  La  catena  dell’Angavo  si 
allunga  da  N 15°  E a S 15°  O,  parallela  del  resto  a quella  del  Fody. 

Ma  essa  non  corre  per  molta  lunghezza.  Dalla  parte  orientale  è 
tagliata  quasi  a picco  da  una  faglia  caratteristica,  la  quale  mette  a 
nudo  un  granito  sienitico,  del  genere  di  quello  formante  i blocchi  sopra 
indicati. 

Ma,  come  in  tutto  Madagascar,  anche  qui  gli  agenti  esterni  hanno 
raddolcito  i lineamenti  della  fìsiononomia  del  suolo.  L’appicco  è smus- 
sato in  alto  e in  basso,  e sembra  una  gran  parete  convessa.  La  catena 
termina  al  Sud,  con  un  gran  torrione  conico  (1350m),  analogo  alla  « gran 
regina  » e ad  altre  montagne  che  si  incontrano  nell’  isola. 

Il  granito  è,  superficialmente,  alterato.  La  falda  orientale  dell’An- 
gavo  è coperta  di  terra  rossa,  e non  è che  nella  profonda  e stretta 
gola  in  cui  scorre  spumeggiante  il  fiume  Mandraka,  che  si  rivedono 
le  roccie  granitiche. 

E dall’Angavo,  fino  ad  Antananarivo,  non  si  hanno  che  graniti, 
superficialmente  trasformati  in  argilla  rossa.  Fra  questa,  sono  nume- 
rosi i blocchi  grossissimi,  e sempre  smussati  o tondeggianti,  di  gra- 
nito puro,  talvolta  a due  feldspati,  talora  di  color  grigio  rosato,  tal’altra 


— 108  — 


grigio  violaceo.  Ma  si  trovano  pure  delle  masse,  o delle  vene,  nel  gra- 
nito, di  una  anfibolite  compatta,  verde,  assai  dura. 

Si  direbbe  che  non  si  hanno  più  gneiss,  se,  in  varie  località,  in- 
vece dell’argilla  rossa,  compatta,  che  non  manifesta  più  la  struttura 
della  roccia,  non  si  avesse  ancora  l’argilla  un  po’  violacea,  o a mac- 
chie biancastre  e rosa-violacee,  manifestante  ancora  la  natura  della 
roccia  da  cui  proviene. 

Questa  argilla,  talvolta  vero  caolino  rosso,  lo  si  ha  al  Nord  di 
Antananarivo,  verso  Ilafy  e verso  Béloha;  ma  lo  si  ha  pure  al  monte 
Ambohijanahary,  che  sta  fra  la  città  ed  il  fiume. 

Ora,  bisogna  avvertire  che,  la  lunga  collina  su  cui  è posta  la  città, 
è terminata  dal  lato  occidentale,  da  un  lungo  dirupo,  verticale  alto 
140ra,  di  granito,  analogo  a quello  del  versante  orientale  dell’Angavo. 
Il  monte  Ambohijanahary  è al  di  là  di  questo  dirupo,  che  sta  ad  indi- 
viduare una  bella  e caratteristica  faglia,  avente  la  solita  direzione 
N 15°  E a S15°0;  è tondeggiante,  ed  ha  quindi  tutte  le  caratteristiche 
delle  colline  di  gneiss  decomposto. 

Potrebbe  darsi  dunque  che  le  due  faglie,  dell’Angavo  e di  Antana- 
narivo, limitassero  una  zona  granitica,  compresa  fra  grandissime  masse 
di  gneiss  e scisti,  micacei  e anfibolici. 

Ad  Antananarivo,  oltre  al  buon  granito,  tipico,  si  ha  anche  un 
arkoseì  ossia  una  specie  di  granito  ricostituito.  Mentre  del  primo  si 
fanno  delle  lastre,  scavate  col  metodo  che  si  dirà  in  seguito,  col  se- 
condo si  fanno  delle  pietre  da  taglio,  profittando  della  sua  durezza  li- 
mitata, che  però  aumenta  coll’esposizione  all’aria. 

Il  granito  forma,  decomponendosi,  una  argilla  rossa,  in  cui  però 
il  quarzo  si  ritrova  sotto  forma  di  ciottolini  o di  granelli.  Il  feldspato, 
generalmente  di  due  specie,  predomina  straordinariamente  nella  roccia, 
la  quale  ha  spesso  un  bell’aspetto,  e non  è sempre  così  profonda- 
mente decomposta  come  gli  gneiss,  in  modo  che  si  può,  in  molti  luo- 
ghi trovarla  allo  scoperto  e aprirvi  delle  cave. 

Il  granito  continua  a N.O  della  capitale,  e lo  si  trova  ad  Ambohi- 
driatrimo;  forma  i monti  di  Ambohimirimo,  di  Manankasina,  l’Ambohi- 
saro  di  Fihaonanana,  l’Ambohidambina  e il  Tsiafabalala  di  Antoby. 

Dapertutto,  si  trovano  grossi  blocchi  tondeggianti,  di  quella  roccia, 
ma  spesso  si  vede  tutta  la  montagna  formata  da  essa. 


f 


— ICO  — 

Dopo  Antoby,  veramente,  si  cominciano  a vedere  delle  montagne 
di  aspetto  speciale.  Sopra  falde  piuttosto  dolci,  formate  di  roccia  de- 
composta, si  ergono  degli  appicchi  di  una  roccia  cristallina,  quasi 
stratificata,  che  è una  specie  di  diorite. 

Questa  diorite  forma  le  montagne  a N.O  di  Ankazobé,  forma  l’An- 
gavokely,  montagna  di  aspetto  identico  all’Angavo  già  descritto,  termi- 
nata al  N.E  da  un  torrione  alto  1550m  e,  al  versante  S.E,  da  una  parete 
di  faglia,  diretta  da  N.E  a S.O. 

L’alternanza  di  pareti  a picco,  con  pendici  o falde,  più  dolci,  po- 
trebbe corrispondere  ad  una  alternanza  di  roccie  feldspatiche,  con 
roccie  dioritiche;  le  prime  analoghe  ai  graniti,  e più  facili  ad  alterarsi, 
darebbero  le  zone  argillose,  e le  pendici  più  regolari;  le  dioriti  si  con- 
serverebbero, e produrrebbero  gli  appicchi. 

E certo,  che  blocchi  di  granito,  tondeggianti,  si  trovano  perfino 
fra  Tsarasaotra  e Mèvatanano,  molto  più  al  Nord;  ma  però  tutte  le  roccie 
che  si  incontrano  dopo  PAngavokely,  sono  riferibili  al  tipo  dioritico, 
più  che  a quello  del  granito  propriamente  detto.  Esse  cominciano  qui 
ad  essere  frequentemente  attraversate  da  filoncelli  di  quarzo  bianco, 
vetroso,  o granulare. 

Traversata  la  montagna  di  Ambohimèna,  che  separa  la  valle  del- 
l’Antroby  da  quella  del  Manankazo,  è più  visibile  quella  disposizione 
di  dirupi  di  roccia  solida,  soprastanti  a falde  argillose  rosse. 

Sulla  destra  del  Manankazo,  si  ha  una  serie  di  questi  dirupi,  al 
cui  piede  si  ha  qualche  volta  delle  sorgenti. 

Quello  di  Kiangara  è caratteristico.  In  questa  regione  però  si  man- 
tiene come  nella  parte  orientale  dell’isola  già  descritta,  una  predomi- 
nante inclinazione  delle  roccie  ad  Ovest  o a 0. S.O.  Tanto  che,  nella  val- 
lata seguente,  ddl’Andranorazina,  che  è diretta  a N. N.O,  si  hanno,  sulla 
destra,  delle  falde  poco  acclivi,  coincidenti  coll’inclinazione  delle  roccie, 
in  modo  che  i ruscelli  corrono  sopra  liscioni  di  diorite,  mentre  sulla 
sinistra  si  hanno  dei  dirupi,  delle  coste  ripide. 

L’inclinazione  è di  28°,  circa,  come  a Kiangara,  dove  però  è di- 
retta quasi  ad  Ovest,  assoluto. 

Al  Nord  di  Ambohinaorina,  si  vedono  le  dioriti  formare  il  letto  del 
fiume,  e pendere  ad  Ovest,  e procedendo,  a mezza  strada  fra  quel  villaggio 
ed  Ampotaka,  i liscioni  di  roccia  scoperti,  hanno  talvolta  la  pendenza 
di  40°,  rivolta  ad  Ovest,  o Ovest  leggermente  Nord. 


— 110  — 


Nella  valle  seguente,  del  Mamokomita,  il  sentiero  corre  su  una 
cornice  di  roccia,  che  forma  un  dirupo  di  oltre  200  metri  di  altezza,  a 
picco  sulla  valle,  che  è diretta  al  Nord. 

Scendendo  poi  al  fiume,  per  andare  a Mangasoavina,  le  dioriti  si 
mostrano  inclinate  a N.O,  colle  testate  normali  al  fiume,  che  ha  quella 
direzione. 

Tutti  i dirupi  si  presentano  dal  lato  S.O  delle  colline. 

Le  roccie  diventano  molto  anfiboliche.  Lo  sono  poi  straordinaria- 
mente sotto  Andriba,  montagna  dioritica  isolata  e dirupata  da  tutti  i 
lati,  alta  1250m  sul  mare.  Ai  piedi  di  Andriba  si  trovano  delle  masse 
di  puro  antibolo,  verde  o violaceo,  e allora  cominciano  a divenire  più 
frequenti  le  venature  di  quarzo.  Anzi  qui,  fra  queste,  si  hanno  delle 
cristallizzazioni  di  quarzo  ametista. 

Alcune  volte,  nei  cristalli  di  quarzo,  sono  disseminate  delle  pa- 
gliette d’oro,  le  quali  danno  a quello  l’aspetto  dell’avventurina. 

Passato  il  fiume  Kamolandy  e Malatsy,  si  risale  la  valle  di  un 
affluente  di  quello,  il  Rano  Miongana  è là,  si  trova  che  le  dioriti  pen- 
dono, a N18°0,  ma  questo  cambiamento  di  direzione,  quantunque  gra- 
duato, dopo  Kiangara,  è però  alquanto  locale.  Infatti,  nelle  regioni  ad 
oriente  di  questa,  nelle  vallate  del  Manantana  e del  Mananary,  che 
concorrono  a formare  il  Bétsiboka,  si  vedono  le  stesse  dioriti  pendere 
ancora  verso  Ovest,  e questa  pendenza,  si  riscontra  anche  al  Nord  del 
Rano  Miongana;  così  appena  varcato  la  catena  che  separa  il  bacino 
del  Kamolandy,  da  quello  dell’Andriantoandro,  si  trovano  le  dioriti  in- 
clinate ad  Ovest,  come  le  si  vedono  alla  caratteristica  montagna  tabulare 
di  Vohimbohitra  (1200m)  alla  destra  del  Bétsiboka,  che  è terminata  su 
tutta  la  sua  lunghezza,  verso  Est,  da  un  dirupo,  e perfino  a Ravenafo, 
al  Nord  di  Ambohidriamontana. 

L’Andriantoandro  corre  in  una  vallata  diretta  a N.N.E,  ed  ha  alla 
sinistra  un  dirupo,  che  sembra  coincidere  con  una  linea  di  frattura. 
Insisto  su  questa  frequenza  degli  allineamenti  da  N.N.E  a S.S.O.  di  molte 
vallate  e molti  grandi  dirupi,  nel  Madagascar,  perchè  dovrò  ricordare, 
e dare  molta  importanza,  a questo  fatto  nel  riassunto  finale. 

Seguitando  verso  il  Nord,  ci  si  avvicina  sempre  più  alla  zona  auri- 
fera, che,  se  si  può  dire  cominciata  sotto  Andriba,  ove  è il  quarzo 
avventurinato,  non  può  acquistare  tal  nome,  veramente,  che  tra  la  ca- 
tena da  cui  nasce  PAndriantoandro  e Mèvatanana. 


— Ili  — 

In  tutta  questa  regione  dominano  le  roccie  anfiboliche,  ma  tanto 
variate  che  il  solo  campionario  completo  di  tutte  le  roccie  che  esistono 
colà,  sarebbe  sufficiente  ad  arricchire  un  museo  di  geologia. 

Vi  sono  dioriti  in  cui  le  proporzioni  e la  disposizione  dei  minerali 
componenti  variano  in  tutti  i modi. 

Si  hanno  vere  anfiboliti,  ma  si  hanno  anche  roccie  granitiche,  e 
specialmente,  gneiss  micacei,  tanto  che  le  acque  dei  ruscelli  traspor- 
tano delle  abbondanti  pagliuzze  dorate,  di  mica,  cui  i malgasci  hanno 
dato  perciò  il  nome  di  eladrano  (ala  dell’acqua). 

Splendide  sono  delle  sieniti,  qualche  volta,  zonate,  dai  bei  colori 
rosso  e verde  e delle  pegmatiti  di  quarzo  bianco  e feldspato  roseo, 
talvolta  con  due  feldspati,  come  le  sieniti,  talvolta  tanto  quarzose,  che 
il  feldspato  roseo  è solo  in  noduli  o cristalli  disseminati  nel  quarzo 
bianco.  Altre  volte,  si  ha  la  vera  pegmatite  grafica,  di  feldspato  rosso, 
con  frammenti  angolari  di  quarzo  jalino,  di  cui  la  più  bella  si  ha  nel 
fiume  Nahandronjy  e nel  ruscello  Androfiamadinika. 

Vi  è poi  una  roccia  a pasta  color  caffè,  con  zone  di  una  sostanza 
cristallizzata  nera,  dura,  a riflesso  metallico,  di  cui  non  sarà  forse  pos- 
sibile dare  la  vera  costituzione,  senza  farne  una  analisi  chimica,  con- 
temporaneamente a quella  microscopica. 

Queste  roccie  variate,  presentano  come  una  stratificazione  regola- 
rissima, e sono  traversate  da  infiniti  fìloncelli  di  quarzo  bianco. 

Le  stratificazioni  pendono  di  45°  e 50°  all’  O.N.O,  nei  dintorni  di 
Ampasiry,  nel  fiume  omonimo  e nel  Firingalava.  Pendono  invece,  anche 
di  55°,  ma  ad  .Ovest,  nel  Nahandronjy,  e ad  O.S.O  e perfino  0 35°  S nelle 
vicinanze  di  Mèvatanàna.  Queste  roccie  contengono  l’oro  in  pagliuzze, 
o in  granelli.  Ma  non  in  tutte  si  trova  il  prezioso  metallo.  Principal- 
mente lo  si  trova  nell’ anfibolite  compatta,  nella  sienite  zonata,  in  uno 
gneiss  anfibolico-micaceo;  mai  mi  occorse  di  vederlo  nelle  pegmatiti, 
o nelle  roccie  quarzose. 

I fìloncelli  di  quarzo  non  presentano  pagliette  o grani  di  oro;  in- 
vece, talvolta,  presentano  delle  nebulosità  verdi  le  quali,  se  alcune 
volte  sono  dovute  ad  aghetti  d’anfibolo,  altre  volte  sono  costituite  da 
esilissima  polvere  d’oro.  Oltre  l’oro,  in  quelle  roccie,  si  trovano  altri 
metalli  allo  stato  nativo,  come  il  platino  e l’argento,  ma  in  piccola 
quantità. 


— 112  — 


Strano  a dirsi,  dunque,  non  è nel  quarzo,  nè  nelle  roccie  a strut- 
tura granitica,  che  si  deve  cercare  Toro,  bensì  in  quelle  ove  predo- 
mina l’anfìbolo.  Così  poi,  nelle  sabbie  d’alluvione,  principalmente  for- 
mate da  granelli  di  quarzo,  si  ricerca  l’oro  là  dove  si  vede  esservi 
una  grande  proporzione  di  sabbia  nera,  di  antibolo.  Infatti  questa  sabbia 
essendo  più  pesante  di  quella  quarzosa,  si  comporta  in  presenza  al 
lavaggio  naturale  eseguito  dalle  acque,  e rispetto  alla  sabbia  quarzosa, 
quasi  come  l’oro,  e più  facilmente  accompagna  questo. 

Anche  dove  le  roccie  di  questa  zona  sono  profondamente  alterate, 
è soltanto  là  dove  prendono  un  color  rosso  straordinariamente  vivace, 
specialmente  nei  tagli  freschi,  che  converrebbe,  ove  si  volesse  farlo, 
andare  a ricercare  l’oro,  e non  dove  l’argilla  di  decomposizione  ha  il 
solito  rosso,  ed  è mista  a molti  granelli  di  quarzo. 

Sulla  destra  del  Bètsiboka,  non  si  può  rintracciare  l’esistenza  di 
queste  roccie  che  all’Ovest  di  Antongodrahoja,  fra  questo  forte  e il  fiume 
Kalamilotra. 

Il  passaggio  dalle  dioriti,  propriamente  dette,  a questa  zona,  è 
mascherato,  come  diremo  in  seguito,  dal  basalto. 

Queste  roccie  speciali  furono  qui  descritte  insieme  alle  roccie  cri- 
stalline perchè  realmente  sono  a struttura  cristallina.  È però  difficile 
spiegarne  la  regolare  stratificazione,  perchè  non  si  può  dire,  visto  la 
varietà  della  forma  delle  roccie,  da  uno  strato  all’altro,  che  esse  sieno 
roccie  modificate  da  azioni  posteriori,  quale  per  esempio  quelle  del 
quarzo  iniettatovi,  e che  forma  i numerosi  filoncelli  che  le  attraver- 
sano. 

Veramente,  per  tutto  ove  le  roccie  antiche,  sono  dioritiche,  si  vede 
una  specie  di  stratificazione,  la  quale  non  si  ha  naturalmente,  nel  gra- 
nito della  regione  elevata,  centrale. 

Ma  questo  accenno  di  stratificazione,  debolissimo,  nel  versante 
orientale,  dove  predominando  gli  grxeiss  è piuttosto  un  clivaggio,  è più 
forte  nella  regione  tra  l’Antroby  e Ampasiry,  diventa  assolutamente 
marcato,  al  Nord  e all'Ovest  di  questa  regione. 

Riassumendo;  le  roccie  cristalline,  si  estendono  su  tutto  il  ver- 
sante orientale  dell’isola,  eccezion  fatta  dalle  basse  regioni  alluvionali, 
almeno  nella  regione  percorsa  dallo  scrivente. 

Si  sviluppano  sull’altro  versante  (lo  spiovente  essendo  ad  Ankéra- 


— 113  — 


madinika,  30  chilometri  ad  Est  dalla  capitale  Antananarivo),  fino  a 
Mévatanàna  e fino  al  fiume  Andranofasika,  alla  destra  del  Bétsiboka. 

Al  Sud  e S.O  di  Antananarivo,  formano  l’Ankaratra,  il  più  alto  gruppo 
di  monti  dell’isola  (2600m).  Colà  si  hanno  pure  altre  roccie  aurifere,  e 
molte  granatifere.  Dal  versante  orientale  di  queste  montagne  mi  furono 
infatti  portati  dei  rubini  spinelli,  dei  zaffiri,  e,  in  gran  copia,  dei  gros- 
sissimi granati,  tutti  però  decomposti. 

Questa  estesissima  formazione  potrebbe  colle  diverse  varietà,  cor- 
rispondere a divisioni  diverse  delle  più  antiche  epoche  geologiche. 

Non  sarebbe  forse  opportuno  riferire  tutte  quelle  roccie  all’azoico, 
ossia  al  laurenziano  e all’uroniano.  Forse  le  roccie  stratificate,  auri- 
fere sono  di  età  cambriana  o siluriana.  Certo  è però  che  non  occorse 
allo  scrivente  di  veder  alcuna  roccia  sicuramente  riferibile  a questi 
ultimi  periodi.  Gli  scisti  neri,  che  si  dicono  esistere  al  Nord-Est  di 
Majangà  e di  Mévatanàna,  potrebbero  esser  antichi,  ma  non  essendo 
stati  veduti,  non  si  può  dir  nulla  sulla  loro  età. 

Fermo-carbonifero  % 

Fu  più  volte  ricordata  dagli  autori  francesi  che  parlarono  del  Ma- 
dagascar, la  miniera  di  litantrace  ( houille ) di  Vavatobé,  verso  il  Nord 
dell’  isola,  in  faccia  al  possedimento  francese  di  Nosybè. 

La  coltivazione  di  quella  miniera  fu  fatta  da  un  francese  che  morì 
poi  assassinato,  dicesi  per  mandato  della  regina  allora  regnante  (1862?). 
Non  fu  più  ripresa  in  seguito,  e non  si  potrebbe  qui  dire  se  si  tratta 
di  litantrace  o di  lignite. 

L’esistenza  del  carbonifero  è dunque  ben  lungi  dall’esser  provata 
al  Madagascar,  benché  essa  non  sia  impossibile.  Vavatobé  troverebbesi 
anzi  nella  zona  in  cui  potrebbe  affiorare  il  carbonifero. 

Sulla  sinistra  dell’Jkopa,  nella  regione  detta  Menavava,  si  ha,  tra 
la  zona  di  roccie  cristalline,  ed  i depositi  quaternarii,  di  cui  parleremo 
in  seguito,  una  zona  di  arenarie  grigiastre  a cemento  siliceo,  con  parti 
diasprigne,  rosse  o verdastre.  Queste  roccie  non  contengono  fossili, 
meno  chè,  forse  qualche  pianta  nelle  parti  diasprizzate.  Senza  arre- 
statisi troppo,  si  può  però  qui  esprimere  l’idea  che  questa  zona  rap- 
presenti il  permiano,  e ciò  per  analogia  colle  roccie  permiane  di 
eguale  aspetto  della  Germania. 


— 114  — 

L’esistenza  del  permo-carbonifero  è dunque  molto  dubbia,  e perciò 
bisogna  mettere  dubitativamente  questa  formazione,  fra  quelle  che  co- 
stituiscono il  Madagascar. 

Terreni  secondari. 

Anche  il  secondario  ha  una  estensione  molto  limitata,  almeno  a 
giudicare  da  quanto  si  è veduto  nella  parte  dell’ isola  percorsa. 

Non  si  vide  alcuna  roccia  riferibile  al  Trias,  nè  al  Lias;  quelle 
poche  vedute  che,  per  i fossili;  e per  l’aspetto  litologico  sarebbero  da 
riferire  al  giurese  e al  cretaceo,  si  trovano  in  una  zona  prossima  alla 
costa  occidentale. 

Dopo  passata  una  vasta  regione  terziaria  e quaternaria,  si  trovano 
delle  colline  terrazzate,  che  si  distendono  lungo  la  costa  formando  un 
cordone  fortemente  intagliato  da  baie  profonde,  come  quelle  di  Boina, 
Bambetoka  (o  Mojangà),  Mahajamba,  Narendry,  ecc.  ecc.  Forse  queste 
formazioni  si  estendono  anche  più  al  Sud,  nella  foresta  di  Manérinérina, 
e costituiscono  la  catena  di  Bongolava  (lunga  collina).  Questa  zona  è 
terminata,  tanto  all’Est  e S.E  verso  terra,  quanto  all’Ovest  e N.O  sul 
mare,  da  dirupi,  o pendici  assai  ripide,  mantenendosi  quindi  compieta- 
mente  indipendente  dal  resto  delle  formazioni  confinanti. 

Nel  salire  dalla  parte  di  terra,  su  quei  ripiani  si  trova:  alla  base 
delle  argille  rosse,  con  macchie  biancastre  irregolari,  intercalate  verso 
la  parte  superiore,  con  straterelli  di  calcari  a crinoidi.  Sopra  a queste 
argille  posano  dei  calcari  bianchi  alquanto  sabbiosi,  con  grosse  griphee 
e altri  fossili,  e,  talvolta  con  delle  concrezioni  di  un  calcare  giallastro 
simili  a nemertìliti. 

Verso  il  mare  invece,  a Mojangà  si  vedono  delle  dolomie  color 
grigio  giallastro*  a piccolissimi  fori,  con  piccoli  gasteropodi  turricolati 
e,  sopra  queste  un  calcare  bianco  un  pò  marnoso. 

I ripiani,  che  hanno  la  quota  massima  di  125,  sono  ricoperti  da  una 
crosta  tufacea,  biancastra,  molto  simile  a quella  caratteristica  che 
forma  il  sottosuolo  del  terreno  vegetale,  e la  copertura  delle  roccie 
calcari,  in  molte  parti  delle  Puglie. 

E,  essendo  analoghi  ai  calcari  del  Gargano  e delle  Puglie,  le  do- 
lomie e i calcari  bianchi  di  Mojangà,  li  riferiremo  pure,  per  ora,  al 
titonio  e al  neocomiano. 


— 1.15  — 


Le  argille  rosse  ed  i calcari  a crinoidi  e a griphee,  potrebbero 
pure  ascriversi  alPoolite  superiore,  per  analogia  colle  roccie  di  quel- 
l’epoca, che  si  possono  vedere  in  altre  regioni  d’  Europa. 

Il  primo  ministro  possiede  delle  ammoniti  (falciferi)  e delle  be- 
lemniti,  piatte  e fusate,  piritizzate,  che  si  crede  provengono  da  Mané- 
rinérina,  ma  siccome  non  si  poterono  ottenere,  per  studiarli,  quei  fossili, 
nè  rinvenirli  nelle  località  visitate,  si  può  difficilmente  dire  a che  ter- 
reno appartengano.  Probabilmente  però  sono  giuresi  e forse  del  giurese 
medio  e inferiore. 

Eocene  e Miocene. 

Più  ricca  è la  serie  terziaria. 

In  essa  possiamo  distinguere,  l’eocene,  il  miocene  e il  pliocene. 

L’eocene  è rappresentato  da  calcari  marnosi  rossi,  fossiliferi,  da 
calcari  giallognoli  nummulitici,  e da  argille  rosse,  con  gesso.  Inoltre 
si  hanno  delle  argille  scagliose,  variegate  di  rosso,  di  turchino  e di 
verde,  che  appaiono  frequentemente  nelle  erosioni,  fra  i terreni  poste- 
riori, e che,  per  analogia  con  quelle  nostre,  si  dovrebbero  pure  ascri- 
vere all’eocene. 

Infatti  tutta  questa  varietà  di  roccie  si  potrebbe  riferire  anche  per 
le  nummuliti  che  contiene,  all’eocene  medio. 

Le  argille  variegate  appaiono  nella  discesa  da  Mèvatanana  al 
Nahandronjy,  in  una  erosione;  colà  pendono  da  10°  a 15°  a Est.  Si 
trovano  al  di  là  di  Amparihibè,  sulla  destra  del  Betsiboka,  e in  una 
pianura  al  Nord  di  Ambalanjanakomby  ; finalmente  presso  Ankoala,  e 
fra  Tsilakanina  e Trabonjy.  In  queste  ultime  località  si  vedono  anche 
di  quelle  concrezioni  di  argilla  ferrugginosa,  che  sono  tanto  caratte- 
ristiche nelle  argille  variegate  scagliose,  della  Calabria  e della  Sicilia. 

Argille  analoghe  si  hanno  sotto  Mahabo,  sulla  sinistra  del  Bètsi- 
boka,  e in  tutta  la  regione  detta  Ambongo,  verso  la  valle  del  Mahavavy, 
nelle  regioni  dette  Ambondrona  e Antsiketraka,  dove  però  sono  ricoperte 
da  colate  di  basalto  e da  tufi  basaltici. 

Nelle  stesse  condizioni,  riapparisce  più  ad  Est,  sotto  ai  basalti 
che  ricoprono  gli  altipiani  (1350m)  di  Antampokejy  e Antongodrahoja. 

I calcari  rossi  fossiliferi,  furono  veduti  veramente,  solo  presso 
Ankoala.  Sono  probabilmente  della  stessa  epoca. 


— 116  — 


Il  miocene  inferiore  è rappresentato  da  arenarie  silicee,  saccaroidi, 
giallastre  e da  sabbie  marnose,  variegate,  o argille  sabbiose  a con- 
crezioni ferrugginose. 

Queste  roccie  appaiono  a mezza  strada,  fra  Ambalanjanakomby  e 
Ankoala,  e,  dopo  Trabonjy,  all’entrata  della  foresta  di  Angarafatsy.  Le 
taglia  il  Bétsiboka,  fra  Bépako,  Maroakato  e Tsinjorano. 

Finalmente  furono  vedute:  alla  collina  di  Mahabo  immediatamente 
sopra  alle  argille  variegate,  e poco  ad  Ovest  di  Ampanifora,  verso- 
Béseva.  Qui  pendono  alquanto  a Est,  a Bépako  pendono  a N.E. 

Il  miocene  medio  è rappresentato  da  calcari  duri,  sabbiosi,  fossi- 
liferi, ben  stratificati,  che  talvolta  passano  a marne  calcari  dure,  mac- 
chiate o zonate  di  rosso. 

Si  vedono  questi  fra  Ambalanjanakondy  e Ankoala,  lungo  l’Ikopa 
di  cui  formano  le  sponle  e gli  isolotti,  poco  prima  della  sua  con- 
fluenza col  Bétsiboka  e finalmente,  assai  belli  e estesi,  a Marolaona. 
Qui  anzi,  come  ad  Ankoala  si  vedono  posare  sopra  le  argille  sabbioso 
a concrezione  ferrugginosa,  del  miocene  inferiore,  e fu  per  errore  che, 
in  una  delle  note  precedenti,  furono  descritti  come  più  antichi  di 
queste. 

Il  miocene  superiore  è rappresentato  dalle  arenarie  grossolane  di 
Ampanifora,  sulla  sinistra  del  Bétsiboka  e dalle  argille  sabbiose,  con- 
tenenti grosse  masse  tondeggianti  di  calcare  marnoso,  che  appaiono 
nella  foresta  di  Angarafatsy. 

Lungo  la  destra  del  Bétsiboka  apparirebbero  in  una  zona  che  non 
fu  veduta  perchè  percorsa  da  un  ramo  del  fiume,  non  visitato. 

Pliocene  e Quaternario. 

Il  pliocene  veduto  dallo  scrivente,  non  è fossilifero,  quindi  non  è 
che  per  la  sua  posizione  stratigrafìca,  che  potè  venire  classificato. 

In  generale  è rappresentato  da  un  sabbione  bianco  quarzoso,  poco 
cementato.  Nel  versante  occidentale  esso  comincia  da  Mévatanàna,  e 
va  fino  ad  una  zona  bassa  paludosa,  che  corre  al  piede  delle  collino 
secondarie. 

Nel  versante  orientale,  esso  forma  qualche  catena  di  colline,  fra 
cui  quelle  di  Sakaleha,  che  dall’Ovest  di  Tamatava,  vanno  a finire  a 
Foulepointe. 


Questo  sabbione  sarebbe  da  riferirsi  al  pliocene  superiore,  per  la 
perfetta  concordanza  che  esso  ha  colla  formazione  superiore,  che  ab- 
biamo ragioni  per  ritenere  quaternaria. 

Non  è che  presso  Maroaomby,  che  si  vedono  su  certi  piani  ad 
Ovest  del  villaggio,  delle  marne  sabbiose  bianche,  con  vene  sabbiose, 
in  cui  pare  vi  sia  qualche  foraminifera,  e che  potrebbero  rappresentare 
il  pliocene  inferiore. 

Una  specie  di  arenaria,  a falsa  stratificazione,  poco  solidamente 
cementata,  si  vede  a Mahabo,  sopra  al  miocene  medio,  alla  montagna 
di  Malaho,  all’occidente  da  quel  forte;  sul  Betsiboka  in  corrispondenza 
dell’isola  di  Anendy,  sulla  destra  del  fiume  pendente  di  15°  a S.E  e 
finalmente,  poco  a monte  di  Tsinjorano,  si  ritrova,  posante  sopra  le 
argille  variegate  del  miocene  inferiore,  e immediatamente  sottostante 
al  sabbione  bianco  descritto. 

Per  quanto  questa  arenaria  a falsa  stratificazione  stia  sotto  ai 
sabbioni  bianchi,  deve  però  far  ancora  parte  del  pliocene  superiore, 
sia  per  la  sua  concordanza  con  quelli,  sia  per  la  sua  rassomiglianza 
colle  roccie  della  stessa  epoca,  che  abbiamo  fra  noi. 

Il  quaternario  è quasi  sempre  rappresentato  da  argille  sabbiose 
rosse,  compatte  piene  di  granelli  quarzosi  e,  alternanti  con  strati,  o 
contenenti  lenti,  di  ciottoli  cristallini,  principalmente  quarzosi. 

Queste  argille  coprano  tutta  la  vasta  regione  ove  è il  sabbione 
bianco,  e sono  in  grande  concordanza  con  questo. 

Le  catene  di  colline  quaternarie  al  piede  del  versante  orientale, 
sono  invece  formate  da  conglomerati  a cemento  argillo-sabbioso,  di  ir- 
regolari pezzi  di  gradito  e di  scisti,  completamente  trasformati  in  un 
materiale  rosso,  come  le  argille  che  li  cementano. 

Queste  roccie  quaternarie  formano  dei  cordoni  di  colline  paralleli 
alla  costa  orientale,  che  si  trovano:  a Mahanoro,  sull’Ivoline,  a Ma- 
hasoa,  sull’ Ivondrona,  ed  a Marovato  e Maromandeha,  sull’Iharoka. 

L’altezza  massima  cui  giunge  il  quaternario,  sul  versante  occi- 
dentale è quella  della  collina  su  cui  è Mèvatanàna,  cioè  175m  sul  mare. 
Quasi  di  faccia  a Mèvatanàna,  sulla  sinistra  dell’Ikopa,  e al  suo  con- 
fluente col  Menavava,  è una  piccola  catena  di  colline,  chiamate  Ma- 
vorò,  costituite  da  ciottoli  rotondi,  di  quarzo,  o di  roccie  cristallini, 
alquanto  cementati  con  sabbie.  In  mezzo  a queste  sabbie  si  hanno 
delle  belle  cristallizzazioni  di  quarzo,  fatte  a rosa. 


— 118  — 


Sai  versante  orientale  si  hanno  delle  parti  pianeggianti,  racchiuse 
fra  i monti  e che  si  riconoscono  essere  fondi  di  antichi  laghi. 

Ne  abbiamo  uno,  nella  vallata  che  sta  fra  la  catena  del  Fody  e 
quella  dell’Angavo,  un’altro  molto  più  grande,  si  ha  nella  valle  del 
Mangoro,  altri  si  hanno  finalmente,  nella  vallata  del  Sahanitany  (fra 
Analamazaotra  e Ampasimpotsy)  in  quella  della  Hiasina  (appunto  ad 
Ambavanìhiasina)  ad  Ampasimté,  ad  Ambatoharanana  e lungo  il  fiume 
di  Bédara. 

Si  tratta  evidentemente  di  località  ove  le  acque  dei  fiumi,  prima 
di  aprirsi  il  varco,  hanno  dovuto  soggiornare  e formare  dei  laghi.  I più 
caratteristici  sono  i primi  due,  perchè  racchiusi  fra  catene  parallele 
che  hanno  dovuto  poi  essere  segate  per  dar  passaggio  ulteriore  alle 
acque,  e quello  di  Ambavanìhiasina  dove,  come  lo  dice  questo  nome, 
si  ha  la  chiusa,  ossia  la  bocca,  della  vallata  del  fiume  Hiasina. 

Nelle  prime  due  località,  si  ha  un'argilla  sabbiosa,  con  strati  o 
lenti  di  ciottoli  o di  piccoli  granelli  di  quarzo,  solo  in  certe  zone  pre- 
domina l’argilla  sabbiosa  rossa,  analoga  a quella  di  decomposizione 
dello  gneiss  ; così  sul  terrazzo  della  destra  del  Mangoro,  e quello  al 
piede  dell’Angavo,  sulle  colline  dove  è il  mercato  di  Sabotsy. 

In  tutte  le  altre  località  citate,  compresa  Ambavanihiasina,  invece, 
si  hanno  delle  ghiaie  formanti  talvolta  delle  pudinghe. 

Alluvioni  recenti. 

Veramente  è difficile  dire  precisamente  se  i depositi  suddetti  appar- 
tengono al  periodo  quaternario,  o non  siano  più  recenti. 

Però  mi  pare  che,  almeno  quelli  a terrazzi,  sieno  appunto  del  pe- 
riodo da  questi  denominato,  e che  gli  altri  debbano  indicare  un  periodo 
più  recente. 

Il  fatto  è che  nei  paesi  tropicali,  la  alterazione  profonda  delie 
roccie,  e l’abbondanza  delle  acque,  portano  che  in  un  periodo  relati- 
vamente breve  di  tempo,  si  producono  enormi  erosioni  e grandi  depo- 
siti; quindi,  molti  di  questi,  che  sembrano,  per  la  loro  estensione  e 
potenza,  dover  corrispondere  ad  un  lungo  periodo,  non  appartengono 
invece  che  ad  una  formazione  relativamente  poco  lontana  da  noi. 

Così  è che  le  molte  linee  di  dune  parallele,  e piuttosto  elevate, 


— 119  — 


che  corrono  lungo  la  costa  orientale,  vanno  riferite  all’età  recente, 
essendo,  alcune  di  esse,  ancora  in  via  di  formazione. 

Queste  dune  corrono  per  centinaia  di  chilometri,  parallele  a quella 
costa,  e formano  dei  cordoni  abbastanza  continui,  salvo  le  interruzioni 
dei  grandi  fiumi,  o dei  laghi  litorali.  Le  grandi  lagune,  e gli  scarichi 
dei  fiumi  secondarii,  si  allineano  generalmente  fra  le  diverse  dune, 
parallele  a queste. 

Ma  di  questa  configurazione  speciale  si  parlerà  più  a lungo,  nel 
descrivere  la  formazione  dell’isola. 

Tutte  queste  dune,  sono  formate  di  sabbioni  hianchi,  analoghi  a 
quelli  pliocenici.  In  qualche  luogo  si  ha  qualche  lente  di  caolino,  o di 
una  terra  magnesiaca  bianca,  proveniente  da  decomposizione  di  steatiti 
o di  asbesti,  ma  in  generale,  non  si  vede  che  il  sabbione  bianco,  non 
cementato. 

È strano  che,  in  due  periodi  diversi,  si  sian  generati  depositi  così 
esclusivamente  sabbiosi  mentre,  in  quello  intermedio,  il  quaternario, 
si  formarono  depositi  assolutamente  in  rapporto  col  prodotto  ordinario 
dell’alterazione  delle  roccie  dominanti,  cioè  argillo-sabbiosi,  e tinti 
in  rosso. 

La  parte  più  meridionale  dell’isola,  cioè  l’Antanosy,  l’Antandroy  e 
il  Tanala,  è bassa,  paludosa,  in  gran  parte  inesplorata. 

Pare  che  negli  stagni  di  quella  regione  si  trovino  i gusci  delle 
gigantesche  uova  di  Aepr/ornis,  che  arrivano  alla  lunghezza  di  0,35. 

Gran  parte  di  quella  regione,  probabilmente,  è di  costituzione  re- 
cente, però  le  piccole  catene  di  monti,  che  si  hanno  alla  estremità 
meridionale  dell’isola,  potrebbero  esser  di  formazioni  più  antiche  che 
lungo  la  costa  orientale  poi,  dove  il  mare  ha  delle  profondità  li- 
mitate, appunto  per  la  grande  estensione  delle  alluvioni  sabbiose,  si 
hanno  dei  frequenti  atolli  di  coralli.  E una  regione  dove  si  hanno 
delle  correnti  sensibili,  e delle  forti  burrasche,  eppure  i coralli  fabbri- 
cano degli  estesi  isolotti,  di  cui  i principali,  sono  raggruppati  verso 
Tamatava. 

Alla  punta  di  Tamatava  stessa,  si  ha  un  piccolo  atollo,  che  fu 
invaso  e riunito  alla  terra,  dal  protendersi  della  spiaggia  sabbiosa. 
Più  lontano,  circa  è un  altro  atollo  più  grande,  detto  il  grande  scoglio, 
che  lascia  fra  i due,  la  piccola  entrata,  larga  un  miglio,  del  porto;  e 


— 120  — 


verso  questo,  come  verso  il  piccolo,  tende  un'altra  punta,  detta  Capo 
Taniò. 

Più  lungi  finalmente  al  Nord,  è l’isola  delle  Prugne  (Nosy  Ala- 
nana) e al  Sud,  in  faccia  alla  punta  di  Ankarefo,  l’isola  Fongue  dei 
francesi  (N.  Faho)  '. 

I coralli  di  queste  isole,  sono  molto  variati.  Le  varietà  principali 
raccolte  a Tamatava,  non  sono  però  ancora  state  esaminate. 

È indubitato  che  il  periodo  di  attività  di  questi  polipai  non  ò an- 
cora terminato  e che  altri  isolotti  staranno  fabbricandosi,  in  quella, 
regione,  sul  fondo  dell’oceano  indiano. 

Roccie  eruttive. 

Fra  le  roccie  eruttive,  si  citano  prima  quelle  essenzialmente  prò-, 
dotte  dai  vulcani,  che  formano  tutta  la  parte  Nord  dell’ isola.  Vengono 
indicate,  per  le  prime,  poiché  non  essendo  state  quelle  regioni  visi- 
tate dallo  scrivente,  se  ne  parla  qui  solo  in  quanto  ha  rapporto  alla 
costituzione  geologica  dell’isola,  ed  alla  distribuzione  delle  varie  for- 
mazioni sulla  sua  superficie. 

Tutto  il  Capo  d’Ambra,  colla  baia  di  Diego  Soarez,  e il  territorio 
degli  Ankara,  ossia  l’Antanikara,  fino  al  Sud  di  Nosi  Bé,  sono  formati 
da  prodotti  vulcanici  (lave,  lapilli,  ceneri,  ecc.). 

Molto  più  estesi  invece  sono  i basalti. 

Sono  bei  basalti,  compatti,  talvolta  con  piccole  geodi  tappezzate- 
internamente  di  zeoliti  (principalmente  mesotijpo).  Essi  formano  delle 
espansioni  che,  ricoprono  generalmente  le  argille  variegate  eoceniche, 
ma  anche  delle  roccie  più  antiche,  quali  le  dioriti  e gli  gneiss. 

Si  potrebbe  anzi  dire  che  essi  segnano  una  linea  continua,  se  si 
riuniscono  tutti  i punti  in  cui  furono  veduti,  nei  viaggi  eseguiti  dallo 
scrivente. 

In  alcuni  punti  si  tratta  di  semplici  affioramenti  di  filoni,  in  altri,, 
di  vere  colate. 

1 Alanana  può  voler  dire:  sabbiosa,  o formata  come  una  ciambella  da  met- 
tere in  capo  per  portare  un  peso. 

Faho  è il  nome  della  Cycas  eircinalis,  che  fa  un  frutto  globoso,  come  una 
piccola  zucca. 


— 121  — 


Cominciando  dal  N.O,  diremo  che  il  basalto  forma  colline  pianeg- 
gianti e larghe  colate,  tra  i fiumi  Ambondrona  e Antsiketraka,  all’Ovest 
<li  Mahabo,  fino  al  fiume  Mahavary  e al  lago  Kikony.  Si  ritrova  a 
Béseva,  nello  stesso  modo,  e si  ritagliano  poi  col  Bétsiboka,  ad  Am- 
batomainty,  e anche  a monte,  prima  di  Anendy,  dove  forma  dei  veri 
filoni  assai  importanti.  Questi  filoni  continuano  ad  Androtra,  a N.O  di 
Trabonjy;  si  mostrano  nell’alta  valle  del  Taratarano  e si  trasformano 
poi  in  larghe  colate,  ad  Antongodrahoja  e ai  piani  di  Antampokejy  e 
Ambatovadiny. 

Manifestazioni  basaltiche  si  hanno  fra  Ambohidriamontana  e Ma- 
roféno,  e là  si  vedono  continuare  verso  S.E. 

I filoni  basaltici  si  ritrovarono  poi  fra  Ambatolampy,  Manambonhitra 
o Sacafombazaha  e fra  le  varie  sezioni  del  villaggio  di  Ambatoharanana. 
Siccome  queste  località  si  trovano  sul  prolungamento  della  linea  che 
unisce  le  precedenti,  è naturale  supporre  che  le  eruzioni  basaltiche 
sotto  forma  di  filoni  o di  espansioni,  si  manifestino  su  una  zona  con- 
tinua, quasi  assolutamente  rettilinea,  diretta  da  N.O  a S.E. 

Questa  zona  comincierebbe  sul  canale  di  Mozambico,  a Tsiombikibo 
e finirebbe  sulla  costa  orientale  dell’oceano  indiano  a Vatomandry,  e 
taglierebbe  obliquamente  tutta  l’isola. 

Essa  è segnata  sulla  cartina  che  accompagna  questo  scritto.  E 
segnata  tutta  continua  perchè,  data  la  natura  della  roccia  e la  sua 
origine,  la  continuità  delie  apparizioni  sopra  un  gran  tratto  della  zona, 
l’allineamento  di  tutte  le  apparizioni  constatate  su  una  stessa  direzione, 
non  è troppo  ardita  l’ ipotesi  che  essa  sia  continua.  Inoltre  si  tratta 
qui  di  uno  schizzo  geologico,  non  di  una  carta  esatta,  fatto  per  dare 
un’idea  di  insieme,  da  sviluppare  dal  geologo  che  avrà  la  fortuna  di 
percorrere  con  più  comodità  e maggiori  mezzi  di  osservazione,  questa 
grande  isola  africana. 

II  basalto  è accompagnato  da  tufi  che  risentono  della  vicinanza 
<li  questa  roccia,  nella  loro  costituzione. 

NelPAmbongo,  al  di  là  di  Mahabo  e a Béseva,  sono  tufi  grigi, 
pieni  di  granelli  di  olivina  alquanto  decomposta,  e con  delle  boccie  di 
basalto  alterato,  racchiuso  nella  masse. 

Sono  dunque  veri  tufi  basaltici,  in  parte  di  origine  contemporanea 


— 122  — 


forse,  a quella  della  roccia,  e che,  come  questo,  coprono  delle  colline 
tabulari  che  danno  il  nome  a quella  regione.  1 

Verso  Béseva,  Andotra,  Antongodrahoja,  ecc.,  domina  quel  prodotto 
speciale  di  decomposizione  delle  roccie  basaltiche,  specie  di  argilla,, 
molto  ferrugginosa,  che  conglomera  talvolta  noduletti  di  quarzo  o 
di  ossidi  di  ferro  e maganese,  e che,  per  la  rassomiglianza  ai  prodotti 
di  terra  cotta,  fu  detta  laterite. 

Quantunque  questo  non  sia  prodotto  la  cui  origine  sia  connessa  a. 
quella  del  basalto,  se  ne  cita  qui  la  presenza,  perchè  e materiale  ca- 
ratteristico, e di  origine  direttamente  dipendente  dalla  presenza  del 
basalto. 

Come  si  disse,  se  ne  trovano  vaste  distese,  nella  foresta  di  An- 
garafatsy  fra  Trabonjy  ed  Andotra,  ad  Antampokéjy,  a Manjaka,  ecc. 

Un  tufo  palagonitico,  giallastro,  si  trova  fra  Maroaomby  e Anala- 
mioraka,  presso  Mananbonhitra,  e ad  Ambatoharanana.  Si  tratta  di  un 
vero  tufo,  che  accompagna  e manifesta  la  dipendenza,  dal  dicco  ba- 
saltico, ma  esso  sembra  meno  peridotico  di  quello  della  regione  di 
Am  bongo. 

Fra  questi  tufi  si  hanno  dei  calcedoni,  molto  regolarmente  zonati, 
ma  di  colori  poco  belli.  Sono  a zone  giallastre,  o bianche,  o grigiastre, 
formanti  noduli,  in  cui  raramente  si  hanno  geodi  tappezzate  di  cristalli 
di  quarzo.  In  generale  si  tratta  di  quarzo  bianco,  o leggermente  tinto 
in  color  ametista. 

Sono  frequenti  ad  Antongadrahoja,  e in  tutto  l’Ambongo.  Però  la 
monotonia  delle  tinte,  e la  scarsità  di  belle  geodi  toglie  molto  valore 
a questi  calcedonii. 

L'olivina  dei  granuli  è completamente  alterata,  opaca  e color  verde 
chiaro. 


Materiali  utili. 

I materiali  utili  sono  meno  abbondanti  di  quello  che,  la  vastità 
della  regione  e la  natura  delle  roccie  dominanti  potrebbe  far  sperare. 

Cominceremo  dai  minerali  metallici,  per  parlare  poi  di  quelli  com- 
bustibili e dei  litoidi. 


« 


{ Ambongo  significa:  alle  colline. 


— 123  — 


L’oro  si  trova  nativo,  come  già  fu  detto,  nelle  roccie  anfiboliche. 
Dalle  sabbie  d’alluvione,  viene  ricavato  con  lavaggi  a mano  entro 
\assoi  di  latta,  chiamati  sivana. 

Se  si  volesse  ricavare  dalle  alluvioni  quaternarie,  bisognerebbe 
trasportare  queste  in  riva  ai  fiumi,  ed  operarne  il  lavaggio. 

I grandi  fiumi,  che  formano  dei  vasti  depositi  alluvionali,  arrivando 
alla  zona  aurifera  sono  già  troppo  espansi  e non  depositano  che  ma- 
teriali leggieri,  non  contenenti  oro. 

I piccoli  ruscelli  formano  limitati  depositi  di  sabbie,  i quali  variano 
molto  in  ricchezza  d’oro,  ma  presi  nell’insieme,  non  sono  molto  ricche.  1 

Bisognerebbe  sottoporre  le  roccie  a triturazione  e ritirare  l’oro 
coll’  amalgamazione. 

Non  si  crede  troppo  alla  esistenza  di  molto  rame  nativo  poiché  i 
campioni  portati  ad  esaminare,  si  accompagnavano  con  delle  scorie 
verdi,  di  fusione,  che  i malgasci  dicevano  esser  l’ indizio  dell’esistenza 
del  rame  nativo. 

II  rame  si  troverebbe  nelle  regioni  Sakalave  del  N.O;  forse  a Ma- 
nérinérina  e,  al  Sud  della  capitale,  presso  l’Ankaratra. 

Esaminammo  delle  galene,  mediamente  argentifere  (20  a 30  grammi 
d’argento  per  chilogramma  di  piombo),  provenienti  pure  dalle  falde 
dell’Ànkaratra. 

Il  ferro  è allo  stato  di  sesquiossidi,  più  o meno  puri,  e di  magnetite. 
Si  trova  specialmente  all’Ovest  e S.O  di  Antananarivo  ; ma  anche  nelle 
regioni  dei  Bétsileo  e dei  Tanala  orientali. 

Non  vedemmo  vero  litantrace,  bensì  della  lignite  proveniente  da 
un  giacimento  nella  valle  superiore  dal  fiume  Kalamilotra  ad  Ovest  di 
Amparihibé,  ma  non  ci  fu  permesso  di  visitare  il  giacimento  e non 
possiamo  dire  di  quanta  importanza  esso  sia. 

Si  tratta  di  una  lignite  di  qualità  mediocre,  non  ricca,  ma  superiore 
però  al  legno  fossile. 

Dalle  regioni  al  N.O  del  gruppo  dell’Ankaratra  provengono  dei 


1 Prendendo  in  massa  le  sabbie  del  fiume  Nahandronjy,  non  vi  trovammo  che 
il  tenore  di  mezzo  grammo  d’oro  per  metro  cubo.  Scegliendo  la  sabbia  dove  è 
più  anfìbolica,  o dove  è accumulata  dietro  un  ostacolo  qualunque  (grosse  pietre, 
strati  duri  di  roccia,  ecc.)  si  constatò  la  ricchezza  massima  di  4 grammi. 


— 124  — 


grossissimi  granati,  ma  tutti  alterati  e quindi  inservibili.  È probabile 
che  cercando  meglio,  si  troverebbero  di  quelli  ancora  lavorabili  e belli, 
ma  la  difficoltà  di  trovarli,  e il  prezzo  limitato  di  queste  gemme,  anche 
in  Europa,  fa  sì  che  non  possono  fornire  al  Madagascar  un  oggetto 
di  speculazione. 

Meglio  potrebbero  forse  utilizzarsi  i rubini  e gli  zaffiri  che  pro- 
vengono dalle  stesse  località.  Si  tratta  però  di  rubini  balasci,  e di  be- 
rilli azzurri,  non  di  gemme  orientali,  propriamente  dette. 

Il  quarzo  ametista  è abbondante,  ma  essendo  il  suo  valore  picco- 
lissimo, il  medesimo  non  ha  utilità  industriale. 

Altri  materiali  utili  sono  quelli  ordinarii  da  costruzione. 

Manca,  si  può  dire,  l’argilla  da  laterizii,  poiché  quell’argilla  rossa 
dominante,  se  è eccellente  per  formare,  impastata  coll’acqua,  dei  blocchi 
per  fabbricare,  non  è atta  per  l’arte  figulina.  Di  quélla  più  fina  si 
fanno  le  pentole,  i vasi,  le  tegole,  ma  non  viene  mai  cotta,  e questi  si 
adoprano  dopo  averli  seccati  al  sole,  semplicemente. 

La  calce  non  si  trova  che  sulla  costa  occidentale.  In  tutta  la  parte 
centrale  dell’  isola,  manca  completamente,  e quindi  non  è mai  adoperata. 

Sulla  costa  di  Tamatava,  si  fa  la  calce  col  calcare  a polipai,  degli 
scogli  emersi,  ma  è adoprata  Caramente. 

Eccettuata  la  capitale,  dove,  sotto  la  direzione  di  europei,  si  fecero 
delle  fabbriche  in  muratura  ordinaria,  con  calce  portata  da  lontano, 
non  vedemmo  al  Madagascar  altre  costruzioni  in  calce,  che,  la  bat- 
teria di  Tamatava,  e le  case  di  Mojangà. 

Le  pietre  da  costruzioni,  non  mancano;  oltre  all’arkose  di  Anta- 
nanarivo,  che  si  lavora  facilmente  e fornisce  della  buona  pietra,  si 
adoperano  tutti  i magnifici  graniti,  e sieniti,  della  regione  centrale. 

La  grande  compattezza  di  queste  roccie,  ne  rende  difficile  l’estra- 
zione, ma  aprendo  delle  cave,  là  dove  si  presentano  in  grandi  masse, 
e in  posto,  si  potrebbero  cavarne  industrialmente  delle  grandi  quantità. 

I malgasci,  non  adoperano  la  pietra  per  la  costruzione  delle  case, 
che  fanno  in  terra,  o in  legno  e canne.  Adoperano  però  larghe  lastre 
di  roccia  per  coprire  le  tombe. 

Sia  pel  bel  granito  grigio  di  Manankasina  e di  Andraysora  o per 
quello  rosato  di  Ambohimalaza,  o anche  per  la  sienite  rossa  tanto 
vaga  d’aspetto,  il  sistema  usato  per  staccare  queste  lastre,  è sempre 
quello,  già  indicato  altra  volta. 


— 1.25  — 


Si  mette  allo  scoperto  una  superfìcie  naturale  della  roccia  e la  si 
bagha;  poi  si  accende  un  fuoco  di  paglia  e sterco  di  vacca,  sulla  roccia 
stessa.  Il  fuoco  è mantenuto  per  diverse  ore,  durante  le  interruzioni, 
Si  batte  la  roccia  con  mazze  di  legno,  e talvolta,  quella  si  ribagna. 

Evidentemente  razione  del  calore,  dilatando  la  crosta  superiore 
della  roccia  ne  provoca  il  distacco  secondo  una  superficie  di  clivaggio. 

Siccome  la  superfìcie  naturale  della  roccia,  è già  naturalmente, 
una  superfìcie  di  clivaggio,  è naturale  che  quella  di  distacco  sia  più 
o meno,  parallela  ad  essa.  Tuttavia,  molte  volte  le  lastre  staccate  sono 
curve,  o di  spessore  non  uniforme,  perchè  appunta,  quelle  superfìcie  di 
sfaldatura  non  sono  nè  piane,  nè  rigorosamente  parallele. 

Si  assicura  dai  malgasci,  e da  qualche  europeo,  che  la  grossezza 
della  lastra  è in  rapporto  colla  durata  del  fuoco  (fino  a 36  ore). 

Ma  è piuttosto  da  credere  che  il  distacco,  operandosi  nel  modo 
indicato  (nè  altra  spiegazione  è ammissibile)  la  grossezza  della  lastra 
dipenda  dalla  distanza  che  colà  separa  due  superficie  di  clivaggio 
marcate. 

Il  caolino  puro  manca,  e non  pare  si  possano  fare  buone  porcel- 
lane, e nemmeno  buone  maioliche,  coi  prodotti  di  decomposizione  dei 
feldspati. 

Una  terra  bianca,  chiamata  appunto  tanifotsy , che  significa  al- 
quanto magnesiaca,  serve  per  dare  le  tinte  bianche  neH’interno  delle 
case.  Si  usa  semplicemente  stemperata  nell’acqua. 


L’isola  del  Madagascar  fu  evidentemente  sollevata  dall’oriente, 
verso  l’occidente.  Lo  dimostrano  le  inclinazioni  dominanti,  nelle  roccie 
antiche,  la  ripi dità  del  versante  orientale,  e la  mancanza,  su  questo,  dei 
terreni  secondari  e terziari,  che  si  mostrano  assai  sviluppati  sull’altro 
versante,  il  quale  è molto  più  dolce. 

Questo  sollevamento  però,  non  si  compiè  senza  interruzioni  e salti 
bruschi,  percui  si  hanno  delle  fratture  parallele  e dei  ripiani  che  cor- 
rispondono appunto  a quelle  discontinuità  nell’azione  dislocante. 

Il  sistema  di  fratture  dominanti  è quello  che  ha  per  direzione 
quella  dal  N.N  E al  S.S.O. 


— 126  — 


È questa  una  direzione  che  domina  in  tutti  i fatti  geologici  e geo- 
gnostici delPisola,  e sarebbe  uno  dei  più  belli  esempi,  per  i fautori 
della  teoria  degli  allineamenti. 

Certo  è che  la  ripetuta  successione  di  roccie  a forma  gneissica,  si 
deve  in  gran  parte  a questa  serie  di  fratture  parallele,  che  hanno  rial- 
zato successivamente  i diversi  scaglioni. 

In  tal  modo  si  comprende  come  il  versante  orientale,  oltre  all’es-  ! 
sere  poco  esteso,  sia  anche  costituito  da  ripide  pendici,  interrotte  da 
vallate  longitudinali,  ossia  parallele  all’asse  della  catena  principale. 

Il  secondario  depositatosi,  molto  più  all’occidente,  non  ha  risentito  , 
molto  di  questi  movimenti  bruschi,  che  hanno  spinto  in  alto  i terreni 
cristallini;  movimenti  che  dovettero  iniziarsi  prima  dell’epoca  mesozoica. 

Si  deve  così  esser  generato  un  mare  interno,  colle  rive  orientali 
di  terreno  cristallino,  e quelle  occidentali  di  terreni  secondari. 

Il  fondo  di  quel  mare  poteva  esser  formato  dai  depositi  carboniferi 
e permiani. 

In  quel  mare  di  epoca  terziaria,  si  generarono  i depositi  eocenici 
e miocenici,  segnalati  fra  Mèvatanàna  e Marovoay. 

Il  pliocene  seguitò  a deporsi  in  quel  grande  bacino,  e fu  seguito  ! 
dal  quaternario,  ma  questi  depositi  invasero  anche  il  versante  orientale. 

Generandosi  coi  detriti  delle  roccie  preesistenti,  non  solo  vi  figu- 
rano i sabbioni  quarzosi  e le  argille  sabbiose  rosse,  coi  conglomerati, 
ma  anche  i tufi  palagonitici  e basaltici,  che  hanno  potuto  generarsi  lai 
dove  la  grande  zona  di  basalti  dell’eocene  superiore,  traversa  e si 
espande  sui  terreni  più  antichi. 

Finalmente,  nell’epoca  recente  intervennero  i depositi  litoranei  che 
hanno  importanza  specialmente  sul  versante  orientale. 

La  grande  corrente  dell’oceano  indiano,  viene  a dirigersi  sul  Ma- 
dagascar, che  incontra  alla  punta  di  Fénoarivo,  e là  si  bipartisce,  ma 
il  ramo  più  grosso  e veloce,  scende  al  Sud,  lambendo  la  costa  orientale 
dell’isola. 

È abbastanza  forte,  per  impedire  il  diretto  sbocco  dai  corsi  d’acqua, 
che,  discesi  precipitosamente  sul  versante  ripido,  sono  poi  già  impe- 
lagati nella  zona  di  bassure  litoranee,  e tanto  più  lo  divengono,  quante 
più  linee  di  dune  si  generano. 

L’effetto  naturale  che  si  produce,  è uno  spostamento  verso  il  Sud, 


— 127  — 


w 


delle  foci  stesse.  Questo  spostamento  è minore  per  i fiumi  che  recano 
una  grande  massa  d’acqua,  maggiori  per  quelli  che  scaricano  soltanto 
i bacini  o le  lagune  interne. 

Per  esempio  il  fiume  di  Andavakaménarana,  che  scarica  i laghi 
di  Rasoa  Bé,  e Rasoa  Masay,  esce  da  quei  laghi  a Vavony,  e si  sca- 
rica in  mare  16  chilometri  più  a mezzogiorno,  correndo  tatto  quel 
tempo  parallelo  alla  costa,  e separato  dal  mare  da  una  duna  larga, 
talvolta,  pochi  metri. 

In  tal  modo,  si  generarono  quei  cordoni  litorali,  paralleli,  che  ar- 
rivano poi  a saltare  da  un  promontorio  alPaltro,  in  modo  che,  poco 
alla  volta,  la  costa  orientale  del  Madagascar,  diverrà  uniforme,  e quasi 
rigorosamente  rettilinea. 

NeH’interno,  restano  così  racchiusi  dei  laghi,  delle  lagune  e dei 
lunghi  canali  di  scarico  di  questi,  paralleli  alla  costa. 

Però  per  spiegare  l’emersione  successiva  di  questi  cordoni,  è ne- 
cessario ammettere  un  sollevamento  lento  e graduale  della  costa  orien- 
tale, quasi  ultimo  strascico,  dipendente  dalla  continuazione  delle  cause 
che  hanno  provocato  i primi  e bruschi  sollevamenti  dell’isola. 

Il  versante  occidentale  termina  invece  con  una  costa  ripida,  solcata 
da  baie  profonde,  specie  di  fiórds.  Evidentemente  colà  si  hanno  delle 
profondità  rilevanti  e,  se  vi  è graduale  abbassamento,  si  spiega  la 
nessuna  creazione  di  spiaggie  recenti. 

E probabile  dunque  che,  intorno  all’asse  generale;  diretto  da  N.N.E 
a S.S.O,  l’isola  abbia  ancora  un  leggero  movimento  di  rotazione,  con 
sollevamento  della  parte  orientale  rispetto  all’occidentale. 

I materiali  trasportati  dai  fiumi,  variano  pure.  Sul  versante  occi- 
dentale, che  è molto  esteso,  i fiumi  arrivano  nelle  parti  basse,  non 
trascinando  che  argilla  rossa  e pagliuzze  di  mica. 

Invece  sul  versante  orientale,  i fiumi  non  forniscono  che  sabbia 
quarzosa-  bianca,  che  forma  tutte  le  dune,  identica  a quella  al  piede 
della  parte  ripida  del  versante  opposto,  formò  i sabbioni  bianchi,  plio- 
cenici. Forse,  quando  la  zona  delle  dune,  si  sarà  molto  ingrandita,  anche 
i fiumi  orientali  non  potranno  più  trasportare  che  materiali  tenui,  e si 
creerà  un’altra  sovrapposizione  di  argille  rosse,  sabbiose,  sopra  i sab- 
bioni bianchi,  come  è successo  pel  quaternario  riposante  sul  pliocene 
superiore,  del  versante  occidentale. 


— 128  — 


Il  poco  di  quaternario  che  si  ha  presso  la  costa  Est,  è,  come  si 
disse,  costituito  piuttosto  da  conglomerati,  a cemento  argilloso  rosso,  I 
è vero,  ma  formati  di  pezzi  di  roccia,  che  i fiumi  che  si  precipitano  } 
per  le  cascate  caratteristiche  di  quelle  regioni,  potevano  rotolare. 

Sulle  spiaggie  orientali  attuali  oltre  i frammenti  di  coralli,  strap- 
pati dalle  onde  ai  banchi  madreporici,  giungono,  portate  dalle  correnti 
dell’Oceano  Indiano,  persino  le  pomici  dei  vulcani  dell’Arcipelago  della  : 
Sonda. 


V. 

Sopra  alcune  lave  antiche  e moderne  del  vulcano  Kilauea 
nelle  Isole  Sandwich;  studi  petrografici  del  prof.  0.  Sil- 
vestri. 

Il  chiarissimo  prof.  P.  Tacchini  nel  1883  dopo  avere  intrapreso  un 
viaggio  astronomico  fino  alle  Isole  Caroline,  per  lo  studio  dell’ecclissi 
totale  di  sole  che  avvenne  in  quell’anno;  traversando  il  Pacifico  per  I 
ritornare  in  Europa,  in  una  fermata  che  fece  alle  Isole  Sandwich,  si 
recò  a visitare  il  celebre  vulcano  Kilauea  che,  come  è noto,  rappre-  i 
senta  il  più  vasto  cratere  vulcanico  attivo  del  globo  terrestre. 

Nell’essere  sul  luogo,  egli  molto  opportunamente,  raccolse  alquanti  | 
campioni  di  lave  antiche  e moderne  che  rappresentano  principalmente 
la  costituzione  geologica  di  quel  vulcano  e di  tale  interessante  raccolta 
fece  prezioso  dono  all’Istituto  vulcanologico  da  me  fondato  nella  Regia  ,j 
Università  di  Catania.  Mentre  restai  fino  d’allora  obbligato  e adesso 
rendo  pubbliche  azioni  di  grazie  al  gentile  donatore;  d’altra- parte  mi 
proposi  di  studiare  uno  per  uno  gli  esemplari  della  raccolta  e lo  scopo  i 
della  presente  memoria  è di  fare  conoscere  succintamente  i resultati 
dello  studio  intrapreso. 

Prima  però  di  entrare  in  materia  speciale,  credo  utile  per  maggiore  i 
intelligenza  di  quanto  sarò  per  esporre,  di  richiamare  alla  memoria  di 
chi  non  ha  presenti  certe  speciali  conoscenze'  sui  vulcani,  le  condizioni 


Boll  del  R Com.  Ceol  d'Italia 


Anno  1888.Tav.  IH  (ECortese) 


— 129  — 


fisiche  generali  che  caratterizzano  l’importante  vulcano  di  cui  è parola. 
— Il  Kil auea  è un  vasto  vulcano  che  ha  per  carattere  di  presentarsi 
situato  sopra  un  fianco  di  un  altro  monte  vulcanico,  di  molto  maggiore 
mole.  Questo  è il  Mauna-Loa , il  quale  si  eleva  al  sud  nell’isola  Ilawai 
ed  è uno  dei  4 vulcani  che  ardono  in  quella  isola  che  è la  principale 
tra  le  Isole  Sandwich.  Il  Mauna-Loa  è una  grande  montagna  di  forma 
conica  ad  apice  troncato  e nella  sua  parte  estrema  (che  si  eleva  a 4303 
metri  sul  livello  del  mare)  apresi  un’ampia  voragine  che  ne  rappresenta 
il  cratere  (detto  Mokuawéowéo). 

Questo  frequentemente  alterna  il  suo  stato  ordinario  di  semplici  ema- 
nazioni gassose  o solfatariano,  con  formidabili  eruzioni.  È precisamente 
sul  fianco  orientale  del  Mauna-Loa  a 25  chilometri  di  distanza  dalla 
cima  e a soli  1200  metri  di  altitudine  sul  mare  che  si  eleva,  a guisa 
di  modesta  prominenza  di  cono  tronco  a larga  base,  il  Kilauea  il  cui 
cratere  si  presenta  come  un  ampio  recinto  di  figura  ellittica,  che  secondo 
Brigham  1 ha  il  diametro  maggiore  che  raggiunge  circa  6 chilom.,  il 
minore  circa  4 e perciò  rappresenta  un  circuito  di  quasi  16  chilom.,  che 
limitano  un  bacino  di  presso  a poco  19  chilom.  quadrati  di  superfìcie. 
Ciò  lo  fa  ritenere  come  il  più  vasto  bacino  vulcanico  che  si  conosca 
sulla  faccia  del  globo. 

Oltre  il  carattere  speciale  di  situazione  e di  grandiosità;  il  Kilauea 
ha  anche  quello  di  essere,  nei  fenomeni  vulcanici  che  presenta,  indi- 
pendente  dal  Mauna  Loa;  quantunque  su  di  esso  comparisca  a guisa 
di  cratere  avventizio.  Di  crateri  avventizj  ce  ne  porge  classico  esempio 
l’Etna,  ma  l’attività  di  questi  si  spegne  col  terminare  della  eruzione, 
che  diede  loro  origine:  invece  il  Kilauea  è un’ampia  bocca  che  agisce 
da  emuntorio  laterale  del  grande  vulcano  che  lò  sostiene,  i cui  pa- 
rossismi eruttivi  quando  si  presentano  non  disturbano  per  niente  i 
fenomeni  che  permanentemente  si  compiono  nell’interno  di  questo  im- 
menso cratere.  Humboldt  nel  Cosmos  lo  descrive  come  un  grande  lago 
di  fuoco  in  attività  incessante,  analogamente  a quello  che  avviene  nel 
vulcano  Masaya  dell’America  centrale  e nel  nostro  Stromboli:  anzi 
questo  ultimo  per  avere  una  storia  più  conosciuta  ha  dato  nella  scienza 


1 Notes  on  thè  uolcaTiic  phenomena  of  thè  Hawaiian  Islaiid  (Boston  Soc. 
of.  Nat.  Hist.,  Memoirs,  Voi.  I,  part.  III,  1868;. 


moderna  il  nome  di  attività  stromboliana  all’attività  permanente  carat- 
teristica di  questi  tre  vulcani,  che  in  generale  è moderata,  ma  di  tanto 
in  tanto  viene  alternata  da  periodi  di  recrudescenza  che  assumono  la 
veemenza  di  grandi  eruzioni. 

Tutti  i viaggiatori  restano  meravigliati  nel  visitare  l’immenso  ba-  * 
cino  del  Kilauea,  circondato  da  pareti  di  circa  300  metri  di  altezza, 
tagliate  quasi  a picco  dalle  continue  frane  che  mettono  al  nudo  le  te- 
state di  numerose  stratificazioni  che  si  succedono  dal  basso  aU’alto  e 
che  rappresentano  le  antichissime  lave  preistoriche  dalle  quali  si  scopre 
T anatomia  del  monte:  analogamente  alle  stratificazioni  di  antiche  lave 
che  si  vedono  allo  scoperto  sull’Etna  nelle  pareti  franose  che  formano 
il  grande  recinto  della  Valle  del  Bove.  Nell’interno  del  bacino  del  Ki- 
lauea in  corrispondenza  all’asse  eruttivo  che  si  trova  nella  parte  sud, 
esiste  un  lago  di  lava  chiamato  Halemaumau , ove  la  lava  si  alza  e 
si  abbassa  di  livello,  bolle,  ribolle  e si  agita  per  lo  sprigionamento  con- 
tinuo di  vapori  compressi;  mentre  nel  rimanente  della  superficie  la  lava  - 
viva  è coperta  all’esterno  da  uno  strato  già  consolidato  della  medesima, 
qua  e là  interrotto  da  molte  crepature  che  lasciano  vedere  il  fuoco  sot- 
tostante. Questi  meati  aperti  fanno  anche  assistere  in  varj  punti  a fe- 
nomeni eruttivi  più  limitati,  ma  non  meno  interessanti.  Tra  questi  de- 
stano maggiore  impressione  quelli  che  costituiscono  dei  crateri  speciali 
di  sfogo  i quali  cambiano  spesso  di  situazione  e quelli  rappresentati 
dalle  così  dette  fontane  di  fuoco.  Tali  fontane  sono  delle  sorgenti  di 
lava  ardente  che  zampilla  all'  esterno  per  mezzo  di  apparecchi  singo- 
lari in  forma  di  piccoli  coni  semplici  o multipli,  molto  allungati,  con 
un  orifizio  in  cima  circondato  da  colaticci  della  stessa  lava  che  giun- 
gendo via  via  all’esterno  si  riversa  e si  raffredda  tutta  all’ intorno  ed 
inalza  sempre  più  il  suo  punto  di  scaturigine. 

La  storia  assicura  che  talvolta  negli  straordinarj  parossismi  erut- 
tivi del  Kilauea,  la  lava  fluida  riempie  tutto  lo  intiero  bacino  ed  au- 
menta in  modo  così  notevole  di  volume  da  raggiungere  l’orlo  superiore 
del  medesimo.  Allora  per  effetto  della  enorme  pressione  il  fondo  o le 
pareti  si  rompono,  si  determinano  delle  fessure  che  si  estendono  a 
qualche  punto  più  basso  del  monte  e la  grande  caldaia  presto  si  vuota, 
dando  origine  a fiumi  estesi  di  fuoco  che  scendono  impetuosissimi  fino 
a notevole  distanza:  l’esempio  più  recente  di  ciò  avvenne  nel  1839, 


— 131  — 


epoca  in  cui  la  lava  raggiunse  in  breve  tempo  il  mare  alla  distanza 
di  48  chilometri. 

Per  qualunque  altra  notizia  particolareggiata  sulla  storia  dei  feno- 
meni del  Kilauea  si  potrà  consultare  principalmente  la  interessante  me- 
moria originale  già  citata  di  W.  Brigham  e per  qualche  studio  spe- 
ciale più  recente  gli  autori  che  ho  avuto  occasione  di  citare  nel  corso 
di  questa  memoria. 

A me  era  necessario  di  premettere  la  brevissima  descrizione  che 
ho  fatto  del  Kilauea,  desunta  dalle  narrazioni  degli  autori  che  hanno 
avuto  la  fortuna  di  visitarlo  e dalle  più  recenti  notizie  che  mi  ha  co- 
municato il  prelodato  Prof.  Tacchini,  per  far  comprendere  meglio  il  gia- 
cimento e,  sotto  un  punto  di  vista  generale,  la  cronologia  dei  campioni 
di  lava  raccolti  dal  professore  medesimo  dei  quali  vengo  ora  dettagliata- 
mente  a parlare. 

Questi  in  numero  di  28  ho  potuto  distinguere  dietro  le  indicazioni 
annesse,  nelle  3 seguenti  categorie. 

1.  Lave  recentissime  raccolte  o nella  parte  centrale  del  bacino 
presso  un  nuovo  cono,  formatosi  nel  maggio  1883  o al  Nord  del  cra- 
tere ove  la  lava  bolle  e ribolle  continuamente;  ovvero  presso  delle  fon- 
tane attive  di  fuoco. 

2.  Lave  moderne  raccolte  già  consolidate  e fredde  alla  parte 
periferica  del  bacino. 

3.  Lave  antiche  preistoriche  le  quali  stratificate  formano  le  pa- 
reti del  circuito  che  limita  tutto  all’intorno  il  bacino.  Stabilita  questa 
classificazione  ecco  la  descrizione  dei  campioni  di  roccie  che  ho  tro- 
vato in  ciascuna  categoria  e che  rappresentano  tutta  la  collezione. 

I.  Lave  recentissime. 

Campione  N.  1.  — Lava  vetrosa  basica  appartenente  ad  una  eru- 
zione del  maggio  1883. 

Caratteri  macroscopici  e fisici.  — Roccia  compatta  apparentemente 
nera,  di  aspetto  piceo,  vetrosa  e semivetrosa;  formata  cioè  da  una 
parte  vetrosa  che  passa  gradatamente  ad  una  parte  di  aspetto  preva- 
lentemente litoide. 

La  parte  vetrosa  ha  frattura  decisamente  concoide,  sembra  nera  ed 


132  — 


opaca  in  massa,  ma  ridotta  in  sottili  scheggi  è trasparente  ed  ha  un 
color  verde-bruno-bottiglia.  La  parte  che  ha  un  prevalente  aspetto  li- 
toide non  ha  frattura  perfettamente  concoide,  nè  lucentezza  vitrea,  tranne 
in  piccoli  punti  qua  e là  nelle  superfici  di  rottura.  — Non  spiega  azione 
sensibile  sull’ago  magnetico.  — E dura,  tenace  e pesante.  Dur.:  6—6,5;  1 
P.  sp.:  2,97.  2 

Caratteri  microscopici  e petrograjìei.  — Nella  roccia  ridotta  in  la- 
mine sottili  e sottoposta  ad  un  ingrandimento  di  27  diam.  lineari,  la 
parte  vetrosa  in  generale  non  si  mostra  completamente  omogenea,  ma 
invece  per  un  principio  di  devetrificazione  presenta  un  certo  numero 
di  microliti,  cristallai,  che  come  la  pasta  vitrea  matrice  sono  senza  bi- 
refrangenza:  di  più  vi  sono  molte  concrezioni  sferolitiche  di  colore  ca- 
stagno scuro  che  somigliano  perfettamente  a quelle  dichiarate  dal  pro- 
fessore Mohl  di  magnetite  titanica  per  il  basalto  vetroso  di  Sababurg  j 
(Hessen)  senza  però  che  vi  si  veda  nessun  granulo  o cristallo  opaco 
nero  distinto,  ma  piuttosto  attraverso  alla  trasparenza,  molto  difficile  j 
in  un  colore  scuro,  comparisce  una  struttura  quasi  fibrosa  irradiante 
da  centri  distinti.  I centri  sono  formati  o da  cristallini  isolati  o da 
gruppi  cristallini  sia  allo  stato  microlitico,  sia  allo  stato  di  maggiore 
sviluppo  con  forme  e caratteri  ottici  specifici.  Vi  si  notano  numerosi 
cristallini  perfettamente  incolori  romboidali  di  feldispato  labradorite, 
numerosi  cristallini  parimente  incolori  prismatici  e molto  bacillari  che 
hanno  tutto  l’abito  dell’oligoclasio  e somigliano  perfettamente  ai  cri- 
stalli riconosciuti  pure  per  oligoclasio  nel  già  nominato  basalto  vetroso 
di  Sababurg.  Vi  sono  piccoli  aggruppamenti  cristallini  di  augite  con 
pleocroismo  debole  o mancante,  ma  con  manifesti  colori  di  polarizza-  ! 


1 Le  lave  del  Kilauea  che  formano  argomento  di  questa  memoria  essendo  in 
generale  a struttura  omogenea  microcristallina  o criptocristallina  o assolutamente 
afanitica,  mi  hanno  offerto  delle  condizioni  favorevoli  per  determinarne  la  durezza; 
il  quale  carattere  riesce  di  importanza  anche  per  le  roccie  nei  confronti  tra  ùtipi 
normali  e quelli  metamorfici  per  più  o meno  profonde  alterazioni  sofferte. 

2 Le  determinazioni  del  peso  specifico  sono  state  fatte  con  molta  cura  dal 
sig.  Antonio  Di  Blasi  allievo  ingegnere  praticante  nel  mio  laboratorio.  È stata  ap- 
plicata la  bilancia  del  Jolly  tranne  in  quei  casi  nei  quali  era  necessità  di  ricorrere 
all’uso  del  picnometro.  — Le  cifre,  adottate  rappresentano  la  media  di  almeno  3 
esperienze  che  in  ciascun  caso  hanno  dato  resultati  molto  approssimati  tra  loro. 


— 133  — 


zione:  infine  si  vedono  piccole  incipienti  segregazioni  di  olivina  e qual- 
che cristallino  di  apatite  le  cui  sezioni  parallele  alla  base  del  prisma 
sono  isotrope  tra  i Nicol  incrociati  e le  altre  parallele  all’asse  princi- 
pale mostrano  coi  caratteri  della  birefrangenza  dei  colori  di  polarizza- 
zione assai  vivi:  di  più  sono  attaccabili  facilmente  dall’acido  nitrico  e 
se  si  applica  al  microscopio  col  metodo  di  Streng  la  reazione  del  mo- 
libdato  ammonico,  si  hanno  segni  non  dubbi  dell’  acido  fosforico. 

La  parte  prevalentemente  litoidea  della  roccia  si  rende  difficilmente 
trasparente  anche  nelle  lamine  sottili  e resulta  da  una  massa  fondamen- 
tale vitrea  di  color  verde  bruno  bottiglia  molto  scuro;  come  se  quelle 
concentrazioni  sferolitiche  sparse  qua  e là  come  ho  detto  nella  roccia 
vitrea  avessero  invaso  tutta  la  pasta  del  vetro  primitivo  facendogli  per- 
dere il  color  chiaro  e molta  trasparenza.  In  questa  massa  fondamen- 
tale scura  si  vedono  più  grandi,  più  spiccati,  più  frequenti  e porfìrica- 
mente  disseminati  quei  medesimi  cristalli  isolati  o gruppi  di  cristalli 
che  dimostrano  più  evidenti  le  segregazioni  dei  minerali  sopra  indicati. 
I cristallini  diafani  incolori  molto  bacillari  riferiti  all’ oligoclasio  (senza 
però  poterlo  provare  chimicamente  per  le  loro  dimensioni  microsco- 
piche) si  presentano  spesso  incrociati  in  mezzo  a numerosi  gruppi 
cristallini  di  labradorite  e di  augite. 

La  magnetite  in  forme  distinte  o di  polvere  o di  granuli  o di  mi- 
nuti cristalli,  non  si  osserva  nemmeno  in  questa  parte  litoide;  solo  nel- 
l’esame sorge  facile  il  giudizio  della  esistenza  di  una  pasta  fondamen- 
tale vitrea  molto  ricca  di  ferro,  per  il  colore  scurissimo  che  presenta 
e sul  punto  di  segregare  un  minerale  ferrugginoso  opaco,  come  dimo- 
stra la  difficoltà  con  cui  si  può  ottenere  anche  un  debole  grado  di  tra- 
sparenza nelle  preparazioni  in  lamine  sottili. 

Caratteri  chimici.  — La  parte  vetrosa  della  roccia  rassomiglia  alla 
ossidiana,  ossia  al  comune  vetro  vulcanico;  ma  non  lo  è di  fatto  perchè 
la  roccia  in  esame  è basica  per  la  sua  composizione,  come  ora  vedremo, 
mentre  l’ossidiana  come  è noto  rappresenta  lo  stato  vetroso  delle  roccie 
silicate  acide,  come  le  trachiti  etc.  Tanto  la  parte  vetrosa  quanto  la 
parte  litoide  della  roccia  sono  pochissimo  o niente  attaccate  dagli  acidi 
sì  a freddo  che  a caldo:  perciò  la  prima  potrebbe  chiamarsi  Ialomelano 
che,  secondo  Rosenbusch,  tra  i vetri  basici  o basaltici  differisce  dalla 
tachilite  per  il  suo  carattere  di  insolubilità  negli  acidi;  mentre  la  ta- 

9 


— 134  — 


chilite  facilmente  è attaccata  da  questi  *.  A me  sembra  per  dire  il  vero 
che  tale  carattere  distintivo  sia  poco  sicuro,  perchè  rattaccabilità  o non 
attaccabilità  dei  silicati  per  mezzo  degli  acidi  dipende  dal  modo  come 
si  procede.  Per  es.,  il  vetro  basico  di  cui  è parola,  mentre  come  ho  già 
detto  è quasi  inattaccabile  dagli  acidi  nel  modo  ordinario,  l’ho  potuto  at- 
taccare facilmente  ‘mettendolo  in  polvere  finissima  a contatto  di  un  mi- 
scuglio a parti  presso  a poco  eguali  di  acido  cloridrico  e solforico  con- 
centrati, in  un  tubo  di  vetro  a pareti  grosse  e chiuso  alla  lampada. 
Esposto  così  alla  temperatura  di  240°  e agitando  di  tanto  in  tanto,  ho 
osservato  che  in  7 ore  se  ne  è sciolta  una  proporzione  del  32,  7 per  100 
sul  peso  primitivo  della  polvere  e se  si  tiene  conto  della  silice  che  via 
via  precipita  insolubile  nel  tubo,  si  può  dire  che  la  roccia  è rimasta 
con  tale  metodo  e nel  tempo  indicato,  quasi  completamente,  attaccata 
e disgregata. 

Polverizzando  dei  frammenti  di  roccia  parte  vetrosi  e parte  litoidi 
si  ha  una  polvere  di  colore  misto  tra  il  bigio  e il  verdognolo  chiaro, 
che  scaldata  subisce  una  leggerissima  perdita  per  una  minima  propor-  j 
zione  di  acqua  e quando  sente  la  temperatura  del  calore  rosso  inci- 
piente comincia  a fondersi  in  un  vetro.  — All’analisi  chimica  ha  dato  I 
i seguenti  resultati  che  ne  rappresentano  la  composizione  cente- 
simale. 1 2 


1 11  Prof  K.  de  Kroustchof  nel  suo  recente  lavoro  sui  vetri  basaltici  di  Ross- 
berg  presso  Darmstadt,  descrive  un  vetro  basaltico  che  molto  somiglia  per  le  prò-  1 
prietà  tìsiche  e chimiche  al  nostro  ed  egli  pure  lo  classifica  il  suo  come  Ialome-  fi 
lano,  separandolo  dalle  tachiliti  tra  le  quali  era  stato  precedentemente  compreso  i- 
da  Petersen  associandolo  anzi  con  le  vere  Idrotachiliti  che  sono  una  specialità  di 
quel  giacimento  (V.  per  il  lavoro  di  Kroustchof  — Bull.  Soc.  Min.  Frane.,  fase.  2,  ] 
fevrier  1885  — per  il  lavoro  di  Petersen  — Neues  Iahrbuch  f.  Min.  u.  Geol.,  | 
1869,  p.  32). 

2 Devo  dichiarare  che  nel  lungo  lavoro  di  analisi  chimiche  delle  roccie  che 
formano  argomento  di  questa  memoria,  mi  ha  prestato  assidua  cooperazione  il 
prof.  Sebastiano  Consiglio  assistente  nel  mio  laboratorio. 

La  disgregazione  è stata  fatta,  col  carbonato  sodico  potassico.  Per  la  deter- 
minazione degli  alcali  le  roccie  si  sono  fuse  con  la  calce  : per  la  valutazione  del 
sesquiossido  e protossido  di  ferro  si  sono  fuse  col  borace  in  atmosfera  inerte  e 
quindi  si  è fatto  uso  della  soluzione  titolata  di  permanganato  di  potassico. 


— 135  — 


SiO* 

49, 

20 

P205 

• 0, 

42 

TiO* 

1, 

72 

ALO5 

14, 

90 

Fe203 

4, 

51 

FeO 

12, 

75 

MnO 

........  0, 

28 

CaO 

9, 

20 

MgO 

3, 

90 

Na20 

1, 

96 

KPO  ........ 

0, 

95 

H20  . . 

0, 

10 

99, 

89 

La  quantità  di  ferro  che  è contenuta  nella  composizione  di  questa 
lava  coi  suoi  ossidi  FeO  ed  Fe203  dà  assai  nell’occhio,  perchè  è supe- 
riore alla  quantità  ordinaria  appartenente  alle  rocce  vulcaniche.  Da  * 
prima  ho  ritenuto  questa  quantità  come  erronea,  ma  nel  ripetere  le  ana- 
lisi ho  ottenuto  sempre  delle  cifre  poco  discordanti  tra  loro,  sia  per  il 
sesquiossido,  sia  per  il  protossido  ed  ho  adottato  la  media  di  queste 
cifre  la  quale  ho  visto  poi  che  trova  riscontro  nelle  analisi,  quantunque 
incomplete,  di  lave  recenti  vetrose  del  Kilauea  fatte  da  Iachson,  da 
Peabody  e da  altri  autori  pubblicate  nella  memoria  di  Brigham  l.  Ed 
in  quelle  di  Hague  e di  Cohen  più  accurate  che  credo  utile  di  ripor- 
tare qui  sotto  2. 


1 Brigham,  mem.  cit.  pag.  460. 


2 Kilauea 

SÌ02 

TÌ  02 

APO3 

CD 

<3^ 

03 

Feo 

Inolino!  CaO 

CD 

evi 

1 

K20 

PO 

1 

somme 

1.  Lava  sco- 
riacea vetrosa 
bigio-scura 
(recente) .... 

50,69 

0,70 

16,19 

5,51 

11,02 

trac. 

4,28 

10,49 

0,94 

1,36 

101,18/ 

A.  Hague,  Iahrb. 

) Minerai.  1865 
p.  3 OS. 

2.  Colaticcio 
di  lava  basal- 
tica (recente)  . 

51,42 

_ 

15,17 

2,71 

13,94 

id. 

4,72 

10,20 

1,79 

0,96 

100,91 , 

3.  Basaltossi- 
diana  vetroso 
(Lava  del  1843). 
P.  sp.  2,69.  . 

51,41 

2,61 

12,92 

2,87 

9,29 

0,16 

5,45 

11,46 

2,92 

0,70 

0,32 

100,11 

Cohen,  Iahrb. 
Minerai  188  0 
II  p.  41. 

— 136  — 


In  compenso  trovasi  minore  la  quantità  di  allumina  e specialmente 
di  calce,  magnesia  e di  ossidi  alcalini. 

Il  fatto  chimico  dell’eccesso  di  ossido  ferroso-ferrico  in  relazione 
agli  altri  ossidi  metallici,  dà  una  ragione  della  meno  difficile  fusibilità 
e permanente  fase  vitrea  del  magma  basico  che  dà  origine  a questa 
lava  *.  Mentre  da  altra  parte  il  fatto  di  non  osservare  nessuna  delle  forme 
ordinarie  con  le  quali  suole  presentarsi  la  magnetite  nelle  roccie  vul- 
caniche, è in  relazione  al  carattere  chimico  della  crescente  quantità 
del  sesquiossido  di  ferro  in  ragione  della  minore  o maggiore  spugno- 
sità che  presenta  spesso  questa  lava:  il  che  trova  spiegazione  nella 
sopraossidazione  che  deve  subire  il  magma  vitreo  della  lava,  che  per 
le  fasi  di  permanente  attività  del  vulcano,  bolle  e ribolle  nell’interno 
della  grande  caldaja  a contatto  dell’aria  esterna  e sotto  l’influenza  di 
correnti  gassose  nelle  quali,  in  tale  grado  di  attività  vulcanica,  trovasi 
sempre  presente  l’ossigeno.  Questa  deduzione  ha  trovato  una  conferma 
•nello  studio  della  medesima  lava  in  due  varietà  che  si  mostrano  più 
tormentate  dall’azione  delle  correnti  gassose.  Queste  due  varietà  sono 
rappresentate  dai  due  campioni  che  portano  i n.ri  2 e 3 della  collezione. 

Campione  N.  2.  — Rappresenta  della  lava  recentissima  ma  anteriore 
a quella  ora  studiata  del  maggio  1883.  E come  questa  in  parte  vetrosa, 
in  parte  litoide  ed  hai  medesimi  caratteri  fisici  e petrografici .esenziali : 
Durez.  6 — 6,5,  P.  sp.  2,92;  non  ha  azione  sensibile  sull’ago  magnetico; 
ma  è tutta  bollosa  per  grandi  e piccoli  vacui  che  la  rendono  quasi  sco- 
riacea ed  ha  una  superfìcie  formata  come  da  corde  arrotolate.  Non  ho 
fatto  di  questa  lava  un’analisi  chimica  completa,  ma  dai  saggi  eseguiti 
e dalle  precedenti  osservazioni  debbo  ritenere  che  la  sua  composizione 
non  differisce  sostanzialmente  dalla  precedente;  meno  che  per  il  carat- 
tere di  una  proporzione  maggiore  (5,9  per  %)  di  sesquiossido  di  ferro. 
Sotto  questo  punto  di  vista  è anche  più  dimostrativo  il  seguente: 

Campione  N.  3.  — E lava  recentissima  presa  da  una  delle  così  dette 
fontane  di  fuoco  che  sono  in  attività  nel  recinto  del  grande  cratere,  ma 


1 Mi  resulta  da  un’  esperienza  di  laboratorio  che  mescolando  con  ossido  di 
ferro  la  polvere  del  tipo  di  lava  basaltica  N.  24  scelto  tra  le  lave  preistoriche  del 
Kilauea  più  refrattarie  al  calore,  si  ottiene  facilmente  un  vetro  che  somiglia  a 
quello  della  lava  recente. 


? 


— 137  — 

al  di  fuori  del  lago  centrale  di  lava.  È in  forma  di  gocciole  o di  colaticci 
che  si  consolidano  tutti  all’intorno  degli  orifizi  da  cui  scaturiscono  i 
getti  di  materia  fusa.  Si  presenta,  alla  parte  esterna  delle  gocciole  o 
colaticci,  a superficie  liscia  di  color  nero  con  screziature  bianche  le 
quali  corrispondono  a delle  solcaturè  ove  con  evidenza  apparisce  ra- 
zione di  vapori  acidi  che  ha  spiegato  una  corrosione  ed  ha  messo  in 
libertà  della  silice  bianca.  La  sua  massa  interna  è per  la  massima  parie 
vitrea  e tutta  porosa  e bollosa  ed  è come  una  tumida  spuma  consoli- 
data che  in  qualunque  punto  si  rompa  mostra  la  superficie  di  frattura 
vagamente  iridescente,  tanto  da  richiamare  alla  memoria  le  belle  limo- 
niti iridescenti  dell’isola  d’Elba.  Anche  questa  lava  ha  i medesimi  ca- 
ratteri fisici  delle  precedenti:  Dur.  6-6,5;  P.  sp.  2,90:  non  ha  azione  sen- 
sibile sull’ago  magnetico,  osservata  in  lamine  sottili  è un  vetro  di  color 
verde-bottiglia-bruno,  trasparente  con  le  solite  segregazioni  cristalline 
e concrezioni  sferolitiche.  Nella  composizione  chimica  il  carattere  dif- 
ferenziale che  emerge  è la  maggior  proporzione  dell’ossido  ferrico  e così 
pure  un  aumento  sensibile  nell’acqua. 

La  media  dell’ossido  ferrico  giunge  fino  a 6,8,  quella  dell’acqua  a 
1,7  per  % 

Dietro  di  ciò  i tre  campioni  di  lava  studiati  si  possono  specificare 
nel  modo  seguente.  — N.  1.  Lava  di  tipo  basico  compatta  vetrosa  che 
passa  gr adatamente  a semivetrosa  o litoide , a struttura  microcristal- 
lina porfirica  con  massa  fondamentale  di  jalomelano  — Secondo  Ro- 
senbusch  1 2 si  può  chiamare  Vitrofiro  basaltico.  Secondo  Cohen  2 Basal- 
tossidiana.  — N.  2.  Idem , idem  come  sopra , ma  molto  cellulare  per 
inclusioni  gassose.  — N.  3.  Varietà  del  N.  2.  con  ossido  ferrico  in 
parte  limonitizzato. 

A questi  precedenti  tre  campioni  si  connettono  per  tutti  i caratteri 
i campioni  che  faccio  seguire  coi  numeri  4 e 5 presi  intorno  al  nuovo 
piccolo  cratere  osservato  dal  prof.  Tacchini  e formatosi  nel  maggio 
1883,  quando  venne  fuori  da  questo  un  copioso  volume  della  lava  che 
forma  il  campione  N.  1.  della  quale  anzi  si  può  dire  che  rappresentano 
la  parte  scoriacea. 

1 Rosenbusch,  Mikr.  Phi/siogr.  der  mass.  Gest.,  Stuttgart  1877,  pag.  444  — 
(Glasigen  Basalte). 

2 Cohen,  Jahrb.  Minerai.  1876,  pag.  744. 


— 138  — 


Campione  N.  4.  — Scoria  minutamente  bucherellata  da  vacui  che 
la  rendono  voluminosa,  leggiera  e quasi  pomicea.  — Nello  strato  supe- 
riore corrispondente  allo  esterno  è vetrosa  e iridescente  quando  si  rom- 
pe, come  il  campione.  N.  3.  — E a superfìcie  cordiforme,  vitrea,  di  color 
bruno  con  screziature  bianche  analogamente  solcate  per  l’attacco  di  va- 
pori acidi.  Al  di  sotto  dello  strato  superficiale  si  mantiene  porosa  in 
tutta  la  massa  che  è di  color  nero  tendente  al  rossiccio,  senza  lucen- 
tezza vitrea.  — Dur.  6— 6,5;  P.  sp.  2,62;  non  ha  azione  sensibile  sull’ago 
magnetico.  È petrografìcamente  eguale  ai  campioni  precedenti  1,  2,  3 
sicché  anche  di  questo  come  del  campione  seguente  ho  creduto  super- 
fluo di  fare  l’analisi  chimica.  — In  conclusione  ritengo  che  il  campione 
N.  4 è una  varietà  meno  vetrosa  e meno  limonitizzata  del  campione  N.  3. 

Campione  N.  5.  — Altra  scoria  molto  porosa  e leggiera  di  forma  ir- 
regolare bitorsoluta,  con  l’aspetto  stalattitico,  ovvero  regolare  come  di 
cordicelle  di  1 a 2 cent,  di  diametro  che  irradiano  come  da  un  centro. 
La  superfìcie  ha  una  certa  lucidità  e apparenza  che  rammentano  quelle 
del  biscotto.  Internamente  ed  esternamente  presenta  nei  vari  esemplari  i 
del  campione  o un  colore  rosso  ematitico,  o un  giallo  rossiccio,  o un 
colore  rosso  nerastro  di  fegato.  E ciò  per  la  ematizzazione  o limonitiz- 
zazione  di  parte  del  ferro. 

Nessuna  azione  sull’ago  magnetico.  Dur.  6—6,5;  P.  sp.  2,57. 

Caratteri  petrografìci  identici  ai  campioni  precedenti.  Si  può  ritenere 
il  N.  5.  come  varietà  del  N.  4 distinta  per  la  notevole  ematizzazione  I 
di  più  o meno  grande  quantità  di  ferro. 

Campione  N.  6.  — E una  singolare  forma  vetrosa  della  stessa  lava 
N.  1 e rappresenta  il  vetro  basico  (jalomelano)  in  forma  di  fili  capillari 
chiamati  dagli  inglesi  e conosciuti  col  nome  di  Pele's  hair  o capelli 
della  Dea  Pelò  che  secondo  gl’indigeni  risiede  nelle  profondità  del  vul- 
cano. 

Questa  forma  filamentosa  di  vetro  dimostra  nel  modo  il  più  evidente 
lo  stato  viscoso  del  magna  vitreo  delle  attuali  lave  del  Kilauea,  le  quali 
nelle  projezioni  determinate  dallo  sprigionamento  dei  vapori  compressi 
attraverso  la  massa  fusa  del  lago  di  fuoco,  non  danno  (come  ordina- 
riamente avviene  nei  vulcani)  sabbia,  lapilli  o altri  prodotti  frammen- 
tari; ma  invece  gli  spruzzi  di  materia  fusa  mentre  si  allontanano  ra- 
pidamente dalla  massa  che  li  produce,  vi  rimangono  in  relazione  traendone 


— 139  — 


e anche  risolvendosi  in  filamenti  sottilissimi  che  si  prolungano  per  la 
celerità  delle  proiezioni  per  lungo  tratto.  — Sono  fatti  dello  stesso  vetro 
che  ho  descritto  di  color  verde-bruno-bottiglia,  trasparentissimi,  senza 
mostrare  segregazioni  cristalline  di  nessun  genere.  — Sono  per  lo  più 
perfettamente  cilindrici,  pieni  o perforati  longitudinalmente  da  un  sottile 
foro;  spesso  però  presentano  degl’ingrossamenti  o lungo  la  loro  esten- 
sione longitudinale,  ovvero  alle  due  estremità  dove  finiscono:  in  questi 
ingrossamenti  risiede  una  materia  gassosa  formante  una  o più  bolle  e 
che  determinò  il  distaccarsi  delle  goccie  vitree  delle  quali  gli  ingros- 
samenti ci  rappresentano  i residui  dopo  di  aver  filato.  Tra  i più  grossi 
filamenti  ve  ne  hanno  di  6 a 7 cinquantesimi  di  mill.,  ma  tra  i più  fini 
ne  ho  misurato  alcuni  che  raggiungono  appena  la  grossezza  di  7500  ^i 
mill.,  vale  a dire  ne  occorrono  in  quest’ultimo  caso  25  per  fare  la  gros- 
sezza di  un  capello  ordinario.  Non  fa  quindi  meraviglia  se  gli  indigeni 
li  hanno  paragonati  a delicati  capelli  soprannaturali;  come  pure  non  sor- 
prende se  per  la  loro  leggerezza  i venti  li  trasportano  anche  a grandi 
distanze.  Per  lo  più  vengono  raccolti  nelle  fessure  delle  roccie  dentro 
al  grande  bacino  ed  ivi  nell’accumularsisi  intrecciano  tra  di  loro  costi- 
tuendo un  feltro  filamentoso  molto  simile  alla  così  detta  lana  di  scorie. 
Oltre  alla  forma  filamentosa  rettilinea  e regolare  ve  ne  sono  in  mezzo 
molte  varietà  in  forma  di  spirale,  di  staffa,  di  racchetta  e tante  altre 
in  mille  guise  contorti  ecc.  — Il  p.  sp.  determinato  col  picnometro  alla 
temp.  di  15°  C.,  ha  dato  come  media  di  3 esp.  2,  80:  non  hanno  azione 
sensibile  sull’ago  calamitato,  sono  difficilmente,  come  il  vetro  da  cui 
provengono,  attaccabili  dagli  acidi  e in  quanto  alla  composizione  chi- 
mica l’analisi  già  fatta  sui  Pele’s  hair  del  1864  da  C.  T.  Iackson  e quella 
di  I.  Peabody  sopra  altri  del  1840  (Unit.  Stat.  exploring  expedition  *) 
dimostrano  che  essa  tranne  poche  varianti  (che  forse  dipendono  dai 
metodi  dei  varj  analisti)  non  è dissimile  da  quella  già  studiata  nella 
lava  vetrosa  N.  1 e sempre  col  carattere  spiccato  di  sovrabbondanza 
di  ferro  e scarsa  quantità  di  altri  ossidi  metallici  specialmente  alcalini. 

La  singolare  forma  di  vetro  che  costituisce  il  campione  N.  6 si 
può  dunque  classificare  come  Lava  vetrosa  basica  ( calomelano ) in  sot- 
tili filamenti  capilli formi. 


1 Brioham,  Mem.  cit.,  pag.  460. 


— 140  — 


II.  Lave  moderne. 

L’interno  del  grande  bacino  del  Kilauea  si  mostrava  nel  1883,  al 
di  fuori  del  lago  di  lava  o attuale  cratere  che  occupa  la  parte  centrale, 
riempito  da  un  ammasso  di  lave  più  o meno  scoriacee  che  costituivano 
una  superficie  irregolare  e confusa  attraversata  da  profonde  spaccature, 
da  cui  (secondo  le  varie  situazioni)  o uscivano  rivoli  di  lava  ardente 
o zampillavano  fontane  di  fuoco,  ovvero  emanavano  tali  copiosi  e con- 
tinui effluvj  gassosi  acidi  e solfurei  da  caratterizzare  nello  stesso  ba- 
cino, condizioni  di  attività  vulcanica  differente  ma  per  lo  più  di  3°  grado 
o solfatariana  : ragione  per  cui  vi  è tutta  la  regione  Sud-Est  del  bacino 
stesso  che  porta  il  nome  di  solfatara  o di  sulphur  degli  inglesi. 

Ho  già  esposto  lo  studio  fatto  della  lava  di  un  recente  cratere  del 
maggio  1883  e delle  altre  che  contemporaneamente  venivano  al  giorno 
in  forma  di  rivoli  o di  fontane  di  fuoco.  Ora  il  mio  compito  è di  de- 
scrivere i campioni  di  roccie  che  nella  collezione  ho  trovato  di  epoca 
moderna,  che  sono  state  raccolte  fredde  e indurite  verso  la  parte  pe- 
riferica del  bacino.  I campioni  presi  in  tale  giacimento  portano  i se- 
guenti caratteri: 

Campione  N.  7. 

Caratteri  macroscopici  e fisici.  — Lava  di  color  bigio  scuro  molto 
simile  alle  doleriti  dell’Etna,  assai  porosa  per  numerosi  vacuoli  interni: 
ha  l’apparenza  di  un  impasto  omogeneo  senza  tessitura  cristallina:  frat- 
tura irregolare.  — Debole  azione  sull’ago  magnetico.  — Durez.  6 — 6,5; 
P.  sp.  2,72. 

Caratteri  microscopici  e petrografici  — Con  un  ingrandimento  non 
minore  di  240  diam.  (obiett.  7,  ocul.  1 Hartnack)  questa  lava  presenta 
una  massa  fondamentale  subvitrea,  quasi  opaca  e perciò  vedesi  con 
difficoltà  la  sua  costituzione  minutamente  granulosa  per  incipienti  se- 
gregazioni magnetiche:  in  mezzo  a questa  sono  porfiricamente  disse- 
minati aggruppamenti  cristallini  di  augite,  plagioclasio  e olivina  a cui 
si  aggiungono  i soliti  cristalli  trasparenti  incolori  e molto  bacillari  di 
feldispato,  che  credo  probabile  essere  oligoclasio  piuttosto  che  labra- 
dorite come  nel  caso  del  campione  N.  1 della  cui  parte  semivetrosa  o 
litoide  questo  N.  7 ripete  il  tipo:  con  la  differenza  della  struttura  molto 


— 141  — 


porosa  e di  una  molto  maggiore  frequenza  di  segregazione  cristallina 
o di  una  minutissima,  però  discernibile  granulosità  di  magnetite.  L’au- 
gite  e il  feldispato  sono  predominanti  alla  olivina  che  invece  si  mostra 
in  concentrazioni  che  presentano  dimensioni  relativamente  maggiori. 
Non  vi  ho  potuto  scorgere  alcun  cristallino  distinto  di  apatite. 

Caratteri  chimici.  — Con  la  porfìrizzazione  da  una  polvere  bigia 
che  riscaldata  perde  una  quantità  appena  sensibile  di  acqua  e al  calore 
rosso  si  fonde. 

L’analisi  chimica  ha  dato  la  seguente  composizione: 


SiO2 49,  80 

P205  ........  > 0,  22 

TiO2  0,95 

A1203  . . . . 13,  76 

Fe203 3,  09 

FeO 11,  97 

MnO 0,  10 

CaO 10,  25 

MgO 5,  02 

Na20 . 3,  00 

K20  . 1,  15 

H20 0,  OOtraccie 


99,  31 


Tale  composizione  dimostra  che  come  somiglia  petrograficamente 
alla  parte  più  de  vetrificata  della  lava  recente  del  1883,  così  ne  è poco 
dissimile  per  la  sua  natura  chimica.  — Tutto  l’assieme  dei  caratteri 
autorizza  a ritenere  che  il  campione  N.  7 rappresenti  una  lava  doleri- 
tica  minutamente  cellulare  a base  fondamentale  subvitrea  e a struttura 
microcristallina  porfirica. 

Campione  N.  8.  — E perfettamente  simile  alla  precedente  lava  N.  7 ; 
ne  differisce  solo  apparentemente  per  avere  un  color  bigio  più  scuro 
tendente  al  nero.  Questa  apparenza  trova  la  sua  ragione  nei  caratteri 
petrografici  che  mentre  sono  sostanzialmente  eguali,  mostrano  però 
nella  pasta  subvitrea  una  segregazione  più  evidente  e più  abbondante 
di  magnetite  granulosa,  che  nella  lava  7 era  solo  rudimentale.  Tale 


— 142  — 


carattere  trova  riscontro  in  due  fatti  fisici  che  cioè  la  roccia  spiega 
una  azione  più  sensibile  sull’ago  magnetico  ed  ha  un  peso  specifico  un 
poco  superiore.  — Dur.  : 6—6,5;  P.  sp.  2,76.  Il  N.  8 si  può  dunque  rite- 
nere come  varietà  del  N.  7 più  ricca  di  magnetite. 

Campione  N.  9.  — E una  sabbia  grossolana  mescolata  a lapilli  di 
color  bigio  più  o meno  scuro.  Piuttosto  che  originata  da  projezioni  vul-  ! 
caniche,  ritengo  per  la  forma  generalmente  angolosa  dei  frammenti  che 
sia  un  detrito  formatosi  per  azioni  meccaniche  sulle  lave  precedenti  7 
e 8,  ove  deve  essere  stata  raccolta.  D’altronde  l’esame  di  sottili  sezioni 
dimostra  i medesimi  caratteri  petrografìci.  Contiene  piuttosto  frequenti 
granuli  di  olivina  giallo-verdastra.  — P.  sp.  medio  determinato  col  picno- 
metro 2,  95  a temp.  15°  C. 

Campioni  N.rI  10,  11, 12,  13.  — Sono  delle  scorie  più  o meno  leggiere 
raccolte  qua  e là  in  varj  punti  del  grande  bacino.  Presentano  un  colore 

0 biancastro  o giallo  o rossiccio  per  essere  alterate  dall’azione  di  ema- 
nazioni acide  che  hanno  più  o meno  profondamente  attaccato  i loro  sili- 
cati. Gli  esemplari  del  N.  10  presi  in  vicinanza  del  margine  del  lago 
di  fuoco  si  vede  che  provengono  da  impasto  vetroso;  tutti  gli  altri  da  i 
impasto  litoide.  La  loro  durezza  nei  punti  interni  meno  attaccati  e dove 
si  conserva  il  colore  bigio  scuro  primitivo  della  roccia  è al  solito  di 
6 a 6,5;  ma  nel  rimanente  è al  di  sotto  di  6 e molto  variabile  fino  ad 

1 a seconda  del  grado  dì  decompozione.  Non  manifestano  azione  sul- 
l’ago magnetico  o un’azione  appena  appena  sensibile.  Il  loro  peso  spe-  j 
cifico  è il  seguente  N.  10  = 2,  48;  N.  11  = 2,  37;  N.  12  = 2,  41;  N.  13  = 2.  I 
Studiandole  nei  loro  caratteri  petrografìci  in  quei  punti  interni  ove  non 
è arrivata  la  decomposizione,  si  vede  che  corrispondono  alle  lave  pre-  : 
cedentemente  esaminate  a tipo  o prevalentemente  vetroso  o prevalen-  | 
temente  litoide;  in  ogni  caso  la  massa  fondamentale  è vitrea  o subvi- 
trea e in  questa  sono  porfiricamente  disseminate,  ora  rare  (tipo  vetroso) 
ora  più  o meno  frequenti  (tipo  litoide)  aggregazioni  microcristalline  dei 
soliti  minerali  plagioclasio,  augite,  olivina,  con  segregazione  più  o meno 
manifesta  di  magnetite  minutamente  granulare. 

Campioni  N.  14  e 15  — Lave  in  origine  compatte  o minutamente 
porose  e anche  scoriacee  le  quali  presentano  un  grado  di  alterazione  \ 
molto  più  avanzato  delle  scorie  precedenti;  anzi  si  può  dire  che  esse 
sono  in  gran  parte  (negli  esemplari  del  N.  14)  e completamente  (negli 


esemplari  del  N.  15)  caolinizzate  per  cui  il  loro  impasto  bigio  scuro 
che  dovevano  avere  in  origine  si  è trasformato  in  una  materia  bianca 
tenera  che  ha  una  Dur  = l e che  si  disgrega  Ira  le  mani.  Il  N.  14  ha 
un  P.  sp.  di  2,12  ed  è stato  preso  in  una  fessura  del  grande  bacino. 
Il  N.  15  ha  un  P.  sp.  di  2,07  ed  è in  frammenti  minuti  raccolti  nella 
regione  S.E  del  grande  bacino  detta  la  zolfara.  I frammenti  mostrano 
infatti  in  mezzo  alla  materia  bianca  delle  condensazioni  cristalline  di 
zolfo  dell’ordinario  color  giallo.  Somigliano  perfettamente  queste  lave 
caolinizzate  a quelle  che  si  osservano  alla  solfatara  di  Pozzuoli  con  le 
quali  si  fa  il  biachetto  e a quelle  che  in  generale  si  raccolgono  nel- 
l’interno dei  crateri  vulcanici  sui  vecchi  strati  decomposti.  Da  quello 
che  ho  osservato  studiando  questo  processo  di  caolinizzazione  nell’in- 
terno del  cratere  dell’Etna  è necessario  il  concorso  delle  emanazioni 
di  acido  cloridrico  e di  anidride  solforosa;  questi  prodotti  ambedue  gas- 
sosi penetrano  facilmente  nelle  porosità  delle  lave  e sotto  l’influenza 
dell’umidità  e dell’aria,  mentre  il  primo  attacca  più  facilmente  il  ferro 
della  magnetite  e lo  trasforma  in  cloruro  ferrico  solubilissimo;  il  primo 
ed  il  secondo  (che  presto  nelle  dette  condizioni  si  cambia  in  acido  sol- 
forico) c mcomitanti  costituiscono  un’azione  energicamente  attiva  per 
la  disgregazione  delle  roccie  silicate.  Con  una  simile  azione  associata, 
mentre  in  laboratorio  si  ottiene  l’effetto  in  poche  ore  (vedi  pag.  8) 
agendo  ad  elevata  temperatura  e sotto  forte  pressione,  la  natura  giunge 
allo  stesso  resultato  col  tempo  e con  un’azione  incessante  e continua 
degli  agenti  vulcanici  e meteorici.  Il  ferro,  la  magnesia,  la  soda,  la  po- 
tassa, molta  parte  della  calce,  parte  dell’allumina  e della  silice,  se  ne 
vanno  sotto  forma  di  composti  solubili  che  compariscono  poi  nelle  efflo- 
rescenze e incrostazioni  tanto  comuni  nei  vulcani:  e delle  lave  primi 
tive  non  resta  che  il  caolino  e silicato  di  allumina,  mescolato  a sol- 
fato di  calce  e a zolfo  proveniente  dalla  nota  reazione. 

E tale  è la  interpetrazione  che  si  deve  dare  circa  le  lave  caolinizzate 
del  Kilauea,  le  quali  nella  composizione  della  materia  bianca  mostrano 
silicato  di  allumina  in  grande  prevalenza,  mescolato  a solfato  di  calce 
a piccoli  residui  di  magnesia  e di  ferro  (e  a sublimazioni  di  zolfo  nel 
solo  campione  N.  15).  (Continua) 


— 144  — 


NOTIZIE  BIBLIOGRAFICHE 


Justus  Roth.  — Allgemeine  und  chemische  Geologie.  — 
Berlin,  1879-87.  Due  volumi  in-8°. 

Scopo  di  questa  importantissima  pubblicazione  è quello  di  dare 
un’idea  esatta  dello  stato  odierno  delle  nostre  conoscenze  in  geologia 
mineralogica  e petrografia,  offrendo  allo  stesso  tempo  un  repertorio  I 
ragionato  di  tutte  le  pubblicazioni  fatte  su  questo  vasto  campo  di  scienza.  | 
A causa  però  del  lungo  tempo  (dal  1879  al  1887)  eh’ è durata  la  pubbli- 
cazione, molti  dei  lavori  comparsi  in  quest’ultimo  decennio  di  febbrile  ] 
attività  scientifica,  non  sono  stati  presi  in  considerazione:  e quindi  è j 
da  sperare  che  l’autore  voglia  completare  l’opera,  colmando  questa  la- 
cuna con  un  fascicolo  d’appendice.  Intanto  l’autore  fa  sperare  di  pros-  j 
sima  pubblicazione  un  volume  di  critica  storica  della  geologia  teorica,  j 
Come  appare  chiaramente  quest’  opera  colossale  potrebbe  formare  il 
fondamento,  il  punto  di  partenza  di  una  rivista  periodica  di  una  gran- 
dissima importanza. 

Ci  occuperemo  qui  del  2°  volume,  che  tratta  specialmente  della 
Geologia  peirograjìca.  Sono  700  pagine  di  materia  condensatissima,  | 
della  quale  una  descrizione  sommaria  non  può  dare  che  un’  idea  assai  ! 
sbiadita.  Per  ogni  singola  roccia  sono  riportate  tutte  le  provenienze  co-  | 
nosciute  e citate  le  opere  che  la  illustrano  e alle  quali  si  possano  at- 
tingere  maggiori  dettagli.  E senza  ostentazione  il  nome  dell’infaticabile 
J.  Roth  spesseggia  e frequentemente  viene  citato  per  lavori  su  roccie 
italiane. 

Nelle  generalità  sulle  roccie  si  occupa  l’autore  molto  della  strut-  j 
tura  e dà  una  breve,  ma  splendida  esposizione  delle  teorie  emesse  da 
Credner,  Lossen,  Baltzer,  Studer,  ecc.  per  spiegare  il  modo  di  forma- 
zione delle  roccie  scistose.  Importante  è anche  l’argomento  delle  masse 
fondamentali  amorfe  (vetri,  felsite,  microfelsite,  ecc.). 

L’autore  divide  le  roccie  in  due  grandi  categorie:  plutoniche  e se-  ; 


— 145  — 


w 


dimentarie.  Nelle  plutoniche,  oltre  alle  roccie  vulcaniche  antiche  e re- 
centi, vengono  messi  gli  scisti  cristallini,  considerati  dall’autore  come 
la  prima  consolidazione  della  crosta  terrestre. 

Roccie  eruttive  antiche.  — Pei  graniti  l’autore  segue  la  classifica- 
zione adottata  da  Rosenbusch  (pegmatite,  granitite,  granito  pr.  detto, 
granito  anfibolico);  più  vi  associa  il  granito  porfirico.  Le  roccie  grani- 
tiche italiane  sono  ampliamento  rappresentate. 

Fra  i porfidi  felsitici  (porfidi  quarziferi)  vengono  annoverati  quelli 
di  .Canapiglia  marittima,  dell’ Iglesiente,  dell’ Elba;  fra  le  retinite  quella 
di  Lugano. 

Per  le  sieniti  ammette  la  sottodivisione  minetta , per  le  varietà 
compatte  (a  preferenza  micacee).  Alle  sieniti  associa  le  roccie  eleoli- 
tiche (sienite  eleolitica)  che  consiglia  giustamente  di  chiamare  sem- 
plicemente nefeliniche. 

Divide  le  dioriti  in  micacee  e anfiboliche,  notando  come,  special- 
mente  queste  ultime,  spesso  si  confondano  cogli  scisti  anfibolici.  L’autore 
accenna  come  la  presenza  del  granato  sia  un  indizio  sicuro  per  la  sci- 
stosità della  roccia. 

Nella  diabase  è importante  la  parte  relativa  alla  variolite.  Anche 
interessanti  sono  le  descrizioni  delle  diabasi  oliviniche  che  per  scar- 
sezza di  feldspato  passano  a picriti  e per  alterazione  a serpentini. 

Ampliamente  trattati  sono  le  porfiriti,  e i melafiri. 

La  denominazione  di  gabbro  è poi  riserbata  dall’autore  esclusiva- 
mente  alle  roccie  diallaggiche  massiccie,  per  le  corrispondenti  scistose 
invece  propone  e adotta  l’antico  nome  dato  da  von  Buch  cioè  di  zobienite. 

Un  capitolo  speciale  è dedicato  alle  ofiti. 

Per  le  roccie  plagioclasiche  a nefelina  (teschenite)  l’autore  rimane 
ancora  in  dubbio  se  debbano  trattarsi  fra  le  roccie  antiche  o le  recenti 
(tefriti),  a causa  dell’incertezza  dell’epoca  geologica  a cui  esse  vengono 
riferite. 

In  ultimo  vengano  le  peridotiti  e come  appendice  i serpentini,  con- 
siderati quali  prodotti  di  alterazione  di  altre  roccie. 

Chiude  questa  prima  parte  un  capitolo  riguardante  i tufi  vulcanici 
antichi  (dei  porfidi,  della  diabase,  del  melafìro). 

Roccie  vulcaniche  moderne.  — Viene  adottata  per  queste  roccie  una 
classificazione  analoga  alle  roccie  antiche,  però  vi  ha  un  gruppo  di 


— 146  — 


roccie  (leucitiche  e nefeliniche)  molto  più  sviluppato,  trattato  a parte 
completamente. 

A proposito  delle  lipariti  e delle  trachiti  si  parla  molto  sulla  strut- 
tura di  queste  roccie  : nelle  provenienze,  Y Italia  vi  è largamente  rap- 
presentata dagli  Euganei  al  Monte  Amiata,  alla  Tolta,  alle  isole  Ponza, 
Lipari  e Pantelleria,  nonché  diverse  località  della  Sardegna. 

A questo  primo  gruppo  di  roccie  trachitiche  sono  annesse  le  fono- 
liti, per  le  quali  tranne  poche  località  di  Sardegna,  l’Italia  non  vi  figura. 
La  Germania  invece  vi  è largamente  rappresentata. 

Un  secondo  gruppo  è quello  costituito  da  roccie  essenzialmente 
leucitiche  e nefeliniche  (leucititi,  nefeliniti),  o associate  ad  olivina  (ba 
salti  leucitici  e nefelinici),  o a plagioclase  (tefriti),  o a plagioclase  ed 
olivina  (basaniti).  E interessante  notare  che  mentre  le  roccie  leucitiche 
sono  così  sparse  in  Italia  (lago  di  Bolsena,  Monti  Albani,  Roccamon- 
fìna,  Vulture,  Campi  flegrei,  Somma,  Vesuvio,  Sardegna,  ecc.);  le  nefe- 
liniche, tanto  abbondanti  in  Germania,  vi  mancano  assolutamente. 

Fra  le  roccie  plagioclasiche  acide  bisogna  noiare  le  daciti,  e le  ; 
andesiti  micacee  e anfìboliche,  tanto  celebri  nella  Transilvania;  sono 
rappresentati  negli  Euganei.  Però  l’Italia  è assai  più  splendida  nelle 
andesiti  augitiche,  così  all’Etna,  alla  Pantelleria,  alle  Lipari,  ecc.  Ma 
più  ancora  nei  basalti.  I Monti  Berici,  Radicofani,  Roccamonfina,  le 
isole  Ponza,  le  Lipari,  le  roccie  preetnee  (Motta  S.  Anastasia),  e le  più 
antiche  etnee,  la  Pantelleria,  l’isola  Ferdinandea,  ecc. 

Un  capitolo  speciale  è dedicato  ai  vetri  basaltici  e alla  limburgite. 
Infine  è fatto  un  amplio  cenno  delle  augititi  (pirosseniti  di  Doelter). 

La  parte  delle  roccie  vulcaniche  recenti  termina  colla  descrizione 
dei  tufi  corrispondenti.  Questa  parte  importantissima  è stata  però  sinora  i 
poco  studiata,  o studiata  poco  profondamente.  Vengono  descritti  parti- 
tamente  i tufi  trachitici,  fonolitici,  leucitici,  nefelinici  e basaltici. 

Scisti  cristallini.  — Per  la  struttura  dei  gneiss  è adottata  la  classi- 
ficazione del  Naumann;  una  lunga  e dettagliata  descrizione  è data  per 
questa  roccia.  L’Italia  vi  compare  citata  spessissimo  colle  Alpi,  colla 
Calabria,  la  Sicilia,  ecc.  Importantissimi  sono  i capitoli  relativi  ai  mi- 
cascisti  e alla  fillade,  e con  quest’ultima  sono  collegati  i famosi  scisti 
(principalmente  sericei)  del  Taunus.  Importanti  sono  anche  i capitoli 
dove  vengono  descritti  gli  altri  scisti:  scisti  anfibolici,  calcarei,  magne- 


— 147  — 


siferi,  diallagici  (zobtenite),  ecc.  ; e le  altre  associazioni  minerali  tanto 
interessanti  e tanto  frequenti  nella  serie  degli  scisti  cristallini. 

Un'altra  serie  di  roccie  viene  considerata  dall’autore  come  derivata 
da  altri  scisti  per  alterazione;  comprende  i talcóscisti,  i cloroscisti  e 
i serpentini.  E superfluo  aggiungere  che  per  tutti  gli  scisti  l’Italia  dà 
un  grandissimo  contingente  di  località. 

Termina  questa  parte  un  quadro  comparativo  di  tutte  le  roccie  plu- 
toniche, classificate  mineralogicamente. 

Roccie  sedimentarie . — È questo  il  gruppo  di  roccie  meno  studiato, 
e che  non  di  meno  meriterebbe  1’  attenzione  dei  petrografì.  Solo  da 
qualche  tempo  sono  stati  scoperti  in  queste  roccie  dei  minerali  non 
comuni  (dai  lavori  di  Dieulafait)  e anche  rari,  come  rutilo,  anatasio, 
zircone,  tormalina,  ecc.  (dai  lavori  di  Thurach).  L’autore  comincia  dal 
descrivere  i veri  depositi  minerali.  In  un  primo  gruppo  abbraccia:  sal- 
gemma, anidride,  gesso,  baritina.  In  un  secondo:  pietra  focaia,  diaspro, 
scisto  siliceo.  In  un  terzo:  calcare,  dolomia,  marne,  argille.  In  un 
quarto  : sabbia,  arenaria,  arcose,  quarzite,  grauvacca. 

Un  quinto  gruppo  comprende  il  ghiaccio  e i depositi  d’acqua  dolce. 
Il  sesto  gruppo  si  occupa  di  roccie  fossilifere,  o esclusivamente  fito- 
gene  (torba,  lignite,  antracite,  carbon  fossile  e bitumi)  per  le  quali  è data 
la  composizione  chimica  anche  delle  ceneri;  o esclusivamente  zoogene 
(come  le  sabbie  a diatomee,  ecc.). 

Chiude  la  parte  delle  roccie  sedimentarie  un  importantissimo  capi- 
tolo sui  conglomerati. 

Per  la  descrizione  delle  roccie  sedimentarie  generalmente  è adot- 
tata la  classificazione  geologica  più  che  quella  geografica,  tenuta  per 
le  roccie  plutoniche. 

Le  considerazioni  argutissime,  le  numerosissime  e fedeli  citazioni 
e l’imparzialità  dei  giudizii  in  tutto  il  lavoro,  .rendono  quest’opera  uti- 
lissima a tutii  gli  studiosi;  indispensabile  poi  a chi  si  cimenta  in  lavori 
petrografici  e a .chi  vuole  dare  un  indirizzo  serio  alle  collezioni  lito- 
logiche. 


(L.  B.) 


— 148  — 


PUBBLICAZIONE  DELLA  CARTA  GEOLOGICA  D’ITALIA 

PER  CURA  DEL  R.  UFFICIO  GEOLOGICO 


PARTI  PUBBLICATE  (al  1°  maggio  1888) 

Carta  geologica  della  Sicilia  nella  scala  di  1/100,000  : 


Foglio  N.  244  (Isole  Eolie)  prezzo  L.  3 00 
» 248  (Trapani)  . . . » 3 00 

» 249  (Palermo)  . . . » 4 00 

» 250  (Bagheria) . . . » 3 00 

» 251  (Cefalù) . . . . » 3 00 

« 252  (Naso)  . . . . » 4 00 

» 253  (Castroreale)  . . » 4 00 

» 254  (Messina)  . . . »-4  00 

» 256  (Isole  Egadi)  . . » 3 00 

» 257  (Castelvetrano)  . » 4 00 

» 258  (Corleone)  . . . » 5 00 

» 259  (Termini  Imerese).  » 5 00 

» 260  (Nicosia)  . . . » 5 00 

» 261  (Bronte)  , . . . » 5 00 


Foglio  N.  262  (Monte  Etna).  . L.  5 00 
» 265  (Mazzara  del  Vallo)»  3 00 


» 266  (Sciacca)  . . . » 4 00 

» 267  (Canicattì)  . . . » 5 00 

» 268  (Caltanissetta)  . » 5 00 

« 269  (Paterno)  . . . » 5 00 

» 270  (Catania)  . . . » 3 00 

» 271  (Girgenti)  . . . » 3 00 

» 272  (Terranova)  . . » 4 00 

» 273  (Calta girone)  . . » 5 00 

» 274  (Siracusa)  . . . » 4 00 

» 275  (Scoglitti)  . . . » 3 00 

» 276  (Modica)  , . . » 3 00 

» 277  (Noto)  ....  » 3 00 


Tavola  di  sez.  N.  I (annessa  ai  fogli  249  e 258)  L.  4 00 
» » N.  II  (annessa  ai  fogli  252,  260  e 261)  » 4 00 

» » N.  Ili  (annessa  ai  fogli  253,  254  e 262)  » 4 00 

» » N.  IV  (annessa  ai  fogli  257  e 266)  .»  4 00 

» » N.  V (annessa  ai  fogli  273  e 274)  » 4 00 

JV.B.  — L'intiera  Carta  della  Sicilia,  in  28  fogli  e 5 tavole  di  sezioni,  con  quadro  d'unione 
e copertina,  è in  vendita  al  prezzo  di  lire  iOO. 


Carta  geologica  della  Sicilia  nella  scala  di  1/500,000  (serve  anche  di  foglio  di 
unione  della  precedente)  con  sezioni.  . . . . prezzo  L.  5 00 

Descrizione  geologica  dell’Isola  di  Sicilia,  con  una  Carta  geologica,  tavole 
in  zincotipia  ed  incisioni,  dell’Ing.  L.  Baldacci  prezzo  L.  10  00 

Carta  geologica  dell’  Isola  d’  Elba,  nella  scala  di  1/25,000  con  sezioni  annesse 
(in  due  fogli)  prezzo  L.  15  00 

Descrizione  geologica  dell’  Isola  d’ Elba  con  Carta  annessa  nella  scala  di 
1/50,000,  dellTng.  B.  Lotti prezzo  L.  10  00 

Relazione  sulle  miniere  di  ferro  dellTsola  d’Elba,  con  un  atlante  di  carte  e 
sezioni  geologiche,  dellTng.  A.  Fabri  . . . prezzo  L.  20  00 


IN  CORSO  DI  STAMPA 

Carta  geologica  dell’Italia  Centrale  nella  scala  di  1/100,000:  Foglio  N.  142 
(Civitavecchia);  F.  N.  143  (Bracciano)  ; F.  N.  144  (Palombara  Sabina); 
F.  N.  149  (Cerveteri)  ; F.  N.  150  (Roma);  F.  N.  158  (Cori). 

Carta  geologica  dell’Italia,  in  due  fogli,  nella  scala  di  1/1,000,000  (edizione  ri- 
veduta e migliorata  della  Carta  pubblicata  nel  1881). 

Descrizione  geologico-mineraria  dell’Iglesiente  (Sardegna),  con  un  atlante  di 
carte  e sezioni  geologiche,  dell’  ing.  G.  Zoppi. 


Per  le  commissioni  rivolgersi  al  R.  Ufficio  Geologico,  ovvero  alla  Libreria 
E.  Loescher,  in  Roma. 


Pubblicazioni  in  vendita  presso  l’Ufficio  Geologico 


Bollettino  del  R.  Comitato  Geologico  d’Italia;  Voi.  I a XVII,  dal  1870  al  1886 


— Prezzo  di  ciascun  volume L.  10  — 

Idem  di  un  fascicolo  separato » 2 — 


N.B.  - II  prezzo  di  abbonamento  annuo  e di  L.  8 per  l’interno 
e di  L.  10  per  l’estero. 

Memorie  per  servire  alla  descrizione  della  Carta  geologica  d’Italia;  Voi.  I, 

II  e III  (Parte  la). 

Voi.  I.  Firenze,  1872  » 35  — 

Voi.  IL  Firenze,  1873-74  » 30  — 

Voi.  III.  Parte  la;  Firenze,  1876.  . . » 10  — 

I.  Cocchi.  — Brevi  cenni  sui  principali  Istituti  e Comitati  geologici  e sul 

R.  Comitato  Geologico  d’ Italia.  Firenze,  1871 » 1 50 

P.  Zezi.  — Cenni  intorno  ai  lavori  per  la  Carta  geologica  in  grande  scala. 

Roma,  1875  » 1 — 

F.  Giordano.  — Esposizione  in  ordine  cronologico  delle  principali  disposi- 
zioni successivamente  emanate  relativamente  alla  Carta  geologica  d’Italia. 

I Roma,  1879  » 1 — 

F.  Giordano.  — Sopra  un  progetto  di  legge  per  il  compimento  della  Carta 

geologica  d’Italia.  Roma,  1880.  , . » 1 50 

F.  Giordano.  — Cenni  sull’organizzazione  e sui  lavori  degli  Istituti  geologici 

esistenti  nei  vari  paesi.  Roma,  1881 . » 1 50 

G.  Capellini.  — Relazione  a S.  E.  il  Ministro  di  Agr.  Ind.  e Comm.  sul 

Congresso  geologico  internazionale  del  1881.  Roma,  1881  ....  » 1 — 

I.  Cocchi.  — Carta  geologica  della  parte  orientale  dell’  isola  d’Elba;  scala 

di  1/50,000.  Firenze,  1871 » 2 50 

C.  W.  C.  Fuchs.  — Carta  geologica  dell’Isola  d’ Ischia;  scaladi  1/25,000. 

Firenze,  1873 » 2 — 

C.  Doelter.  — Carta  geologica  delle  isole  Ponza,  Palmarola  e Zannone; 

! scala  di  1/20,000.  Roma,  1876  » 2 — 

C.  De  Giorgi.  — Abbozzo  di  Carta  geologica  della  Basilicata;  scala  di 

1/400,000.  Roma,  1879  . . » 2 — 

C.  De  Giorgi.  — Carta  geologica  della  provincia  di  Lecce;  scala  di  1/400,000. 

Roma,  1880  » 2 — 

G.  Capellini.  — Carta  geologica  dei  monti  di  Livorno,  di  Castellina  Ma- 
rittima e di  parte  del  Volterrano  ; scala  di  1/100,000.  Roma,  1881  . » 3 — 

G.  Capellini.  — Carta  geologica  della  provincia  di  .Bologna  ; scala 

di  1/100,000.  Roma,  1881  .-....■ » 4 — 

G.  Capellini.  — Carta  geologica  dei  dintorni  del  golfo  di  Spezia  e Val  di 

Magra  inferiore;  2a  edizione;  scala  di  1/50,000.  Roma,  1881  . . » 3 — 

T.  Taramelli.  — Carta  geologica  del  Friuli,  con  testo  descrittivo  ; scala 

di  1/200,000.  Udine,  1881  » 7 — 

Bibliographie  géologique  et  paleontologique  de  l’Italie.  Bologne,  1881  . . » 10  — 

Bibliografia  geologica  e paleontologica  della  provincia  di  Roma.  Roma,  1886  » 2 — 

Bibliografia  geologica  italiana  per  l’anno  1886.  Roma,  1887  .....  » 1 50 


Annunzi  di  pubblicazioni 


g. 

g. 


G.  Gemmellaro.  — La  fauna  dei  calcari  con  Fusulìna  della  valle  del 
fiume  Sosio  nella  provincia  di  Palermo.  Fascicolo  1°.  — Palermo,  1887; 
pag.  96  in-4°  con  10  tavole. 

Spezia.  — Sulla  origine  del  gesso  micaceo  e anfìbolico  di  Val  Che- 
rasca  nell’Ossola  (Atti  della  R.  Accademia  delle  Scienze,  voi.  XXIII, 


M. 

T. 


Disp.  la).  — Torino,  1887  ; pag.  12  in-8°. 


D. 

F. 


M. 

C. 

L. 
G. 
F. 

M. 
T. 


Lanzi.  — Le  diatomee  fossili  del  terreno  quaternario  di  Roma.  — 

Roma,  1887;  pag.  8 in- 4°. 

Taramelli.  — Dei  terreni  terziari  presso  il  Capo  la  Mortola  in  Liguria 

(Rendiconti  del  R.  Istituto  Lombardo,  S.  II,  voi.  XX,  fase.  19).  — Mi- 
lano, 1888  j pag.  14  in-  8°. 

Pantanelli.  — Descrizione  di  conchiglie  mioceniche  nuove  o poco 

note  (Bollettino  della  Società  malacologica  italiana  voi.  XIII).  — Pisa,  1888 É| 
pag.  6 in-8°. 

Sacco.  — Studio  geologico  dei  dintorni  di  Guarene  d’  Alba  (Atti  della 
R.  Accademia  delle  scienze  di  Torino,  voi.  XXIII,  disp.  3a).  — Torino,  1888; 
pag.  18  in-8°  con  una  tavola. 

Lanzi.  — Le  diatomee  fossili  del  Monte  delle  Piche  e della  via 


Ostiense.  — Roma,  1888;  pag.  10  in-4°. 


F.  Parona.  — Contributo  allo  studio  dei  megalodonti  (Atti  Soc.  Italiana 

di  Se.  Nat.,  voi.  XXX,  fase.  4°).  — Milano,  1888  ; pag.  8 in-8  ’ con  tre  tavole. 
Bozzi.  — Sopra  una  specie  pliocenica  di  pino  trovata  a Castelsardo 
in  Sardegna  (Ibidem).  — Milano,  1888;  pag.  6 in-8°. 

Mercalli.  — Le  lave  di  Radicofani  (Ibidem).  — Milano,  1888;  pag.  141 
in*8°  con  una  tavola. 

Sacco.  — Il  passaggio  tra  il  liguriano  ed  il  tongriano.  — (Boll.  Soc. 
Geol.  Ital.,  VI,  fase.  4°).  — Roma,  1888;  pag.  14  in-8°  con  una  tavola. 
Malagoli.  — Fauna  miocenica  a foraminiferi  del  vecchio  castello 
Baiso  (Ibidem).  — Roma,  1888;  pag.  8 im8°  con  una  tavola. 

Taramelli.  — Osservazioni  geologiche  sul  terreno  raibliano  nei  din- 
torni di  Gorno  in  Val  Seriana  (Provincia  di  Bergamo)  (Ibidem). 


Roma,  1888  ; pag.  20  in-8°. 


G. 

F. 


D. 

Cl 


Squinabol.  — Contribuzioni  alla  flora  fossile  dei  terreni  terziari  della 
Liguria:  fucoidi  ed  elmintoidee  (Ibidem).  — Roma,  1888;  pag.  18  in-8° 

con  6 tavole. 

Toni.  — Della  collezione  geologica,  paleontologica  e paleoetnologica 

da  lui  raccolta,  con  appendice  di  A.  Ricci  sull’età  della  pietra  e l’uomo 
preistorico  nel  territorio  spoletino  (Atti  dell’Accademia  spoletina,  anno  1888). 
— Foligno,  1888  ; pag.  156  in-8°. 

B.  Negri.  — Gmelinite  della  regione  veneta  (Rivista  di  mineralogia 
cristallografìa  italiana,  voi.  II,  fase.  I e II).  — Padova,  1888;  pag.  10  in 
Piolti.  — Sulla  cossaite  del  colle  di  Bousson  nell’alta  valle  di  Susa 
(Atti  della  R.  Accademia  delle  Scienze  di  Torino,  voi.  XXIII,  disp.  6a). 
Torino  1888.  . 

Basile.  — Le  bombe  vulcaniche  dell’  Etna.  — Catania,  1888  ; pag.  82  in-4° 
con  tre  tavole. 

Sacco.  — Sopra  alcuni  Potamides  del  bacino  terziario  del  Piemonte 
(Bollettino  della  società  malacologica  italiana,  voi.  XIII).  — Pisa,  1888; 
pag.  26  in-8°  con  4 tavole.  . 

Lovisato.  — Sopra  gli  sferoidi  di  Ghistorrai  presso  Fonni  in  Sardegna; 
nota  IV  (Rendiconti  della  R.  Accademia  dei  Lincei,  voi.  IV,  fase.  7°).  — 
Roma,  1888  ; pag.  5 in-4°.  _ 3 

. Montemartini.  — Sulla  composizione  chimica  e mineralogica  delle 
roccie  serpentinose  del  colle  di  Cassimoreno  e del  monte  Bagola  in 


Val  di  Nure  (Ibidem).  — Roma,  1888;  pag.  8 in-4°. 


ito 


R.  COMITATO  GEOLOGICO 

D’ITALIA. 

1888 


Bollettino  N.°  5 e 6 


Maggio  e Giugno 


ROMA 

TIPOGRAFIA  NAZIONALE 
di  Reggiani  & soci 


1888. 


ELENCO 

del  personale  componenteJljComitato  e l’Ufficio  Geologico 

R.  Comitato  Geologico. 

Meneghini  Giuseppe,  prof,  di  geologia  nella  R.  Università  di  Pisa,  Presid. 
Capellini  Giovanni,  prof,  di  geologia  nella  R.  Università  di  Bologna. 

Cocchi  Igino,  prof,  di  geologia,  a Firenze. 

Cossa  Alfonso,  prof,  di  chimica  nella  R.  Scuola  di  applicazione  per  gli 
ingegneri  in  Torino. 

De  Zigno  Achille,  membro  nel  R.  Istituto  Veneto,  a Padova. 
Gemmellako  Gaetano  Giorgio,  professore  di  geologia  nella  R.  Università 

di  Palermo.  „ „ TT. . . T .. 

Scacchi  Arcangelo,  prof,  di  mineralogia  nella  R.  Università  di  Napoli. 
Scarabelli  Giuseppe,  senatore  del  Regno,  a Imola.  _ 

Silvestri  Orazio,  prof,  di  geologia  nella  R.  Università  di  Catania. 
Stoppani  Antonio,  professore  di  geologia  nel  R.  Istituto  tecnico  supe- 
riore di  Milano. 

Stri) ver  Giovanni,  prof,  di  mineralogia  nella  R.  Università  di  Roma. 
Taramelli  Torquato,  prof,  di  geologia  nella  R.  Università  di  Pavia. 

Il  Direttore  del  R.  Istituto  geografico  militare  in  Firenze. 

Giordano  Felice,  ispettore-capo  del  R.  Corpo  delle  Miniere,  a Roma. 
Pellati  Niccolò,  ispettore  nel  R.  Corpo  delle  Miniere,  a Roma. 

Personale  addetto  ai  lavori  della  Carta  Geologica. 

Direzione  superiore  : 

Ing.  Giordano  Felice,  Direttore. 

Ing.  Pellati  Niccolò. 

Ufficio  centrale  (in  Roma): 

Ing.  Zezi  Pietro,  Capo  d’ufficio  e Segretario  del  Comitato. 

Ing.  Sormani  Claudio. 

Geologi  operatori  : 

Ing.  Baldacci  Luigi,  Roma. 

Ing.  Lotti  Bernardino,  Pisa. 

Ing.  Cortese  Emilio,  Roma. 

Ing.  Zaccagna  Domenico,  Pisa. 

Ing.  Viola  Carlo,  Roma. 

Ing.  Novarese  Vittorio,  Roma. 

Ing.  Aichino  Giovanni,  Roma. 

Ing.  Sabatini  Venturino,  Roma. 

Ing.  Franchi  Secondo,  Torino.  . 

Sig.  Fossen  Pietro,  aiutante,  Pisa. 

Sig.  Cassetti  Michele,  aiutante,  Roma. 

Sig.  Moderni  Pompeo,  aiutante,  Roma. 

Personale  distaccato  : 

Ing.  Mattirolo  Ettore,  Torino  (analisi  delle  roccie) 

Dott.  Canavari  Mario,  Pisa  (paleontologo). 

La  sede  dell’Ufficio  geologico  in  Roma  è nel  Museo  agrario-geologico, 
via  Santa  Susanna,  n.  1-A. 


BOLLETTINO  DEL  R.  COMITATO  GEOLOGICO 

D’ITALIA. 

Serie  II.  Voi.  IX.  Maggio  e Giugno  1888.  N.  5 e 6. 

SOMMARIO. 

Memorie  originali.  — I.  Sopra  alcune  specie  di  felini  della  Caverna  al  Monte 
delle  Gioje  presso  Roma,  di  E.  Clerici  (con  una  tavola).  — II.  Sopra  alcune 
lave  antiche  e moderne  del  vulcano  Kilauea  nelle  Isole  Sandwich,  di  O.  Sil- 
vestri (continuazione  e fine,  vedi  fase  3 e 4). 

Notizie  bibliografiche.  — Hans  ReuSCH,  Bomthelóén  og  Karmòen  med  omgi - 
velser  geologisk  beskrevne . (Descrizióne  geologica  delle  Tsole  di  B >mmel 
e di  Karm  coi  dintorni);  Kristiania,  1888.  — E.  DE  MargERIE  ET  A.  Heim, 
Les  dis'oaations  de  V ecoree  terrestre  (Die  Disloca  tionen  der  Erdrinde). 
Essai  de  deftnition  et  de  nomenclature-,  Zùrich,  1888. 

Notizie  diverse.  — Ricerca  di  fosfati. 

Necrologia.  — Gerhard  vom  Rath. 

Avviso  di  pubblicazione  della  Carta  geologica  d’Italia. 

Tavole  *d  incisioni.  — Tav.  IV:  Resti  di  felini  trovati  nella  Caverna  al  Monte 
delle  Gioje  presso  Roma  (E.  Clerici),  a pag.  167. 

Parte  utfL  iau.  Lettera  con  la  quale  il  Presidente  del  Comitato  trasmette  al 
Ministro  di  Agricoltura,  Industria  e Commercio  i verbali  delle  sedute  28  e 29 
maggio  1888.  — Verbali  delle  adunanze  28  e 29  maggio  1888.  — Relazione 
annuale  dell’Ispettore-Capo  al  R.  Comitato  geologico  sul  lavoro  della  Carta 
geologica  (1887-88). 


MEMORIE  ORIGINALI 


I. 

Sopra  alcune  specie  di  felini  della  Caverna  al  Monte  delle 
Gioie  presso  Roma;  nota  di  E.  Clerici. 

(con  una  tavola) 

Per  lo  studio  di  dettaglio  sul  quaternario  del  bacino  di  Roma,  ri- 
tenni di  speciale  interesse  l’esatta  conoscenza  dei  vertebrati  della  ca- 
verna al  Monte  delle  Gioie,  scoperta  dal  Frère  Indes;  ma,  per  averla 
questi  completamente  esaurita,  in  molte  esplorazioni  che  vi  ho  fatto 
non  ho  potuto  ricavare  che  minuto  e ben  scarso  materiale. 

Il  monte  delle  Gioie  forma  l’estremità  di  una  collina,  elevata  di  una 
trentina  di  metri  sul  piano  della  valle,  alla  destra  dell’Aniene  presso 

10 


— 150  - 


il  ponte  Salario.  È costituito  da  una  specie  di  isolotto  di  tufo  litoide 
giacente  su  ghiaia  e,  analogamente  a quanto  si  osserva  incontro  all’altra 
sponda  dell’Aniene,  ricoperto  da  tufo  omogeneo  stratificato,  e quindi 
da  marna  giallognola,  ora  simile  ad  un  sabbione  ad  elementi  vulcanici, 
ora  sostituita  da  ghiaia  conglomerata  con  augiti,  leuciti,  ecc.  I fossili 
che  vi  ho  estratto  sono: 

Limax  sp. 

Helix  profuga  Schm. 

» nemoralis  Lin. 

Limnaea  stagnalis  Lin.  (Helix) 

» palustris  Miill.  (Buccinum) 

Bgthinia  tentaculata  Lin.  (Helix) 

Bythinella  marginata  Mich.  (Paludina) 

Planorbis  albus  Muli. 

» umbilicatus  Miill. 

Valvatd  piscinalis  Muli.  (Nerita) 

Neritina  ftuviatilis  Lin. 

Pisidium  amnieum  Miill.  (Tellina) 

Insieme  ad  ossa  di  Cervus  ed  ossa  e denti  di  Bos  primigenius  Boj. 

Percorrendo  la  collina  verso  il  Nord,  il  tufo  cessa  ed  è sostituito 
da  marna  argillosa  giallastra,  ricca  di  Helix  profuga  Schm.,  Helix  car- 
thusiana  Muli.  var.  minor , che  dal  lato  guardante  l’Aniene  è alternata 
con  incrostazioni  calcaree  mostranti  le  impronte  di  vegetali  palustri 
( Cgperacee , Tgphacee , ecc). 

La  caverna,  o meglio  la  cavità  a cui  fu  dato  questo  nome,  ora 
quasi  demolita  per  l’esercizio  delle  sottostanti  cave  di  tufo,  è formata 
dalle  concrezioni  travertinose  frammezzate  nella  marna.  La  sua  aper- 
tura rivolgesi  all’Aniene  sulle  acque  del  quale  è elevata  di  circa  36 
metri.  Le  pareti  sono  tutte  rivestite  di  calcare  in  grossi  mammelloni  a strati 
concentrici  sottilissimi.  Il  fondo,  nelle  propaggini  trascurate  dall’Indes, 
è ricoperto  da  strati  marnosi  e sabbiosi  ad  elementi  vulcanici  nei  quali 
ho  trovato  pochi  resti  fossili,  specialmente  vertebre  di  pesci,  ossicini  di 
batraci  e di  roditori,  insieme  alle  stesse  specie  di  molluschi  su  citati. 

Possedendo  così  scarso  materiale  non  mi  restava  che  ricorrere  alla 
collezione  Indes  della  quale,  potei  avere  gentilmente  in  comunicazione 


— 151  — 


gli  esemplari  di  alcune  specie  su  cui  avevo  dei  dubbi,  come  p.  es.  YHyper- 
felis  Verneuili  Indes  ed  il  Felis  minimus  Indes,  di  cui  intendo  ora 
occuparmi. 


Il  Frère  Indes  nella  sua  prima  lettera  sur  la formation  des  tufs  dans 
la  campagne  romaine  et  sur  une  caverne  à ossements  1 descrive  fon- 
dando anche  un  nuovo  genere,  un  nuovo  felino  della  grandezza  del  leone, 
col  nome  di  Hyper felis  Verneuili)  caratterizzato  dalla  formola  dentaria 
i.  -J-,  c.  y,  pm.  y,  m.  y j dai  canini  senza  solchi  longitudinali,  dal 
2°  premolare  inferiore  differente  per  la  forma  da  quello  dei  felini;  e per 
il  tallone  del  ferino  superiore  posto  verso  il  mezzo.  Egli  soggiunge 
inoltre  che  i molari  mancano  tanto  ai  mascellari  superiori  che  agli 
inferiori,  ma  che  il  posto  da  essi  occupato  è evidente,  ed  arguisce  da 
ciò  che  i molari  non  fossero  destinati  a persistere  per  tutta  la  vita 
delFanimale. 

La  descrizione  è troppo  breve  per  potere,  senza  soccorso  di  annessa 
figura,  farsi  la  giusta  idea  di  questa  specie.  Intanto  i felini  propriamente 
detti  hanno  per  formola  i.  y,  c.  y , pm.  J-,  m.  y da  cui  differisce  infatti 
quella  d q\Y  Hyperfelis. 

Il  genere  Machairodus  offre  bensì  la  formola  i.  y , c.  y t pm.  j-,  m.  y 
eguale  a quella  dell’ Hyperfelis^  ma  di  nessuno  dei  caratteri  di  questo 
genere,  e specialmente  della  forma  dei  canini  viene  fatta  parola  dal- 
T Indes.  Gli  altri  carnivori  sono  tutti  più  ricchi  di  denti  e per  ottenere 
il  numero  di  28  dell’ Hyperfelis  bisogna  riferirsi  alle  dentizioni  decidue. 

Quella  dei  Felini  dà  y,  y = 26;  ma  i Viverridi,  i Canidi,  le 
Iene  hanno  — > y > y = 28. 

Ed  esistendo  maggiori  analogie  fra  le  Iene  ed  i Felini,  si  sarebbe 
condotti  a sospettare  essere  V Hyperfelis  un  giovane  individuo  di  Hyaena. 

A questa  conclusione  ero  giunto  quando,  non  conoscendo  ancora 
la  collezione  Indes,  potei  consultare  la  memoria  dal  titolo:  Paléonto- 
logie  quaternaire  de  la  Campagne  Romaine. 2 In  questa  il  Frère 
Indes  riprendendo  la  descrizione  del  suo  Hyperfelis  Verneuili , insiste 
nel  ritenerlo  differente  da  tutti  i felini  e non  esser  punto  un  giovane 


1 Bull,  de  la  Soc.  Géol.  de  France,  II  sèrie,  voi.  XXVI,  1869. 

2 Matériauos  polir  Vhis , primit.  et  nat.  de  Vhomme ; 2.e  sér.,  voi.  Ili,  1872. 


— 152  — 


Felis  spelaea  come  alcuno  aveagli  fatto  notare  *;  poiché  la  completa 
formazione  delle  ossa  (mascellari,  vertebre,  radio)  e la  grandezza  delle 
coproliti  accennano  ad  animale  giunto  al  completo  sviluppo.  Aggiunge 
inoltre  che  il  tallone  del  ferino  superiore  è differente  da  quello  del  deciduo 
di  Felis  spelaea  e che  nell’interno  della  mascella  inferiore,  rotta  fra 
il  1°  o il  2°  premolare,  non  si  vedono  traccie  dei  denti  di  ricambio. 

Ammessa,  esattezza  della  formola  i.  -| , c.  A,  prm  A,  m.  A data 
per  r Hyper felis,  per  quanto  ho  riportato  precedentemente,  non  è evi- 
dente come  sia  possibile  il  riferimento  dei  resti  in  questione  ad  un  gio- 
vane individuo  di  Felis  spelaea , tanto  più  che  l’Indes  dice  essere  il 
tallone  del  ferino  superiore,  differente  da  quello  che  si  osserva  nel 
F.  spelaea . 

Ma  questa  volta  la  figura,  però  del  solo  mascellare  inferiore  sini- 
stro, accompagna  la  descrizione.  Il  mascellare  è incompleto  verso  l’a- 
pofìsi  ed  i processi,  e mostra  solo  due  premolari;  poiché  il  vero  mo- 
lare come  avvisa  l’Indes  è mancante. 

Dallo  studio  di  questa  figura  si  scorge  essere  caduto  l’Indes  in 
errore;  ma  resta  sempre  il  dubbio  per  il  mascellare  superiore. 

Allora  domandai  ed  ottenni  in  comunicazione  questi  mascellari  supe- 
riori ed  inferiori  ai  quali  annettevo  maggiore  importanza  che  non  alle 
altre  ossa  attribuite  a questa  specie. 

Dalle  figure  che  ne  dò,  come  dalla  dettagliata  descrizione  che  segue, 
apparirà  facilmente  che  V Hyperfelis  Verneuili  è un  giovane  individuo 
di  Felis  spelaea. 

Intanto  avverto  che  la  formola  dentaria  come  l’aveva  posta  l’Indes 
è errata:  invece  essa  è i.  c.  y,m.  , eguale  cioè  a quella  decidua 
dei  Felis. 

Alla  mascella  inferiore  il  foro  alveolare  che  deve  dar  passaggio 
al  molare  persistente  non  ancora  uscito  era  stato  scambiato  per  la 
cavità  da  esso  lasciata  nel  cadere.  Quanto  a non  aver  egli  trovato  i 
germi  fra  il  1°  e 2°  premolare,  ciò  è giustissimo,  perchè  le  loro  radici 


1 Facendo  ricerche  a questo  scopo,  ho  trovato,  quando  la  presente  nota  era 
già  scritta,  che  il  Gervais,  Coup  d'ceil  sur  les  Mammìfères  jfossiles  de  V Italie 
(Bull.  Soc.  Géol.  de  France,  2.e  sér.,  voi.  XXIX,  1872),  ritiene  il  gener e Hyperfelis 
fondato  su  di  un  giovane  Felis. 


— 153 


sono  ivi  quasi  a contatto  ed  i germi  invece  si  trovano  fra  le  due  ra- 
dici di  ciascun  premolare. 

Con  un  colpo  ben  riuscito  ho  spezzato  il  mascellare  oltre  il  2°  pre- 
molare e si  è reso  evidentissimo  il  germe  del  molare  persistente.  Quanto 
al  tallone  del  ferino  superiore  esso  è perfettamente,  colla  sua  posi- 
zione nel  mezzo  del  dente,  identico  a quello  di  tutti  i giovani  felini 
come  del  Felis  spelaea. 

Mascella  inferiore.  — La  collezione  Indes  possiede  i due  mascel- 
lari inferiori  riuniti  nella  posizione  naturale.  Sono  un  poco  avariati  per 
la  grande  difficolta  incontrata  nel  liberarli  dalie  tenacissime  concre- 
zioni calcaree  da  cui  erano  avvolti.  Ambedue  sono  mancanti  delPapofisi 
coronoide  e del  processo  condiloide.  I mascellari  hanno  inferiormente 
un  contorno  leggermente  convesso,  e concavo  in  corrispondenza  del 
foro  dentale,  nelle  cui  vicinanze  subiscono  un  restringimento  nel  senso 
verticale  ed  un  rigonfiamento  sulla  faccia  esterna,  il  quale  è prodotto 
dallo  sviluppo  del  molare  persistente. 

Il  sinistro  ha  i due  molari,  il  canino  ed  il  3°  incisivo,  il  destro  due 
incisivi  frammentati,  il  canino  pure  frammentato  ed  il  2°  molare. 


Dimensioni  dei  maseellari. 

Lunghezza  occupata  da  tutti  gP  incisivi.  mm.  25 

Lunghezza  del  diastema » 15 

Spazio  occupato  dai  molari  (dmj,  dm2) » 38 

Distanza  fra  i bordi  alveolari  interni  dei  canini  ....  » 24 

Distanza  fra  la  cuspide  più  elevata  del  dm2  di  un  mascellare 

a quella  dell’altro » 68 

Distanza  fra  Porlo  del  foro  dentale  di  un  mascellare  a quello 

dell’altro » 58 

Distanza  fra  l’interno  della  base  della  sinfisi  e Porlo  del 

foro  dentale  » 84 

Altezza  verticale  del  mascellare,  presa  a partire  dalla  metà 

del  diastema » 35 

Altezza  misurata  dall’interstizio  fra  dml  e dm2 » 32 

Massimo  spessore  del  mascellare  sotto  l’interstizio  ...  » 18 

Massimo  spessore  del  mascellare  in  corrispondenza  del- 
l’alveolo del  molare  persistente  mt . » 13 


Incisivi : DI3.  Il  terzo  incisivo  deciduo  sporge  dall’alveolo  in  forma 
di  cilindro  che  a metà  dell’altezza  si  espande  in  senso  orizzontale  e si  ! 
affila  nel  verticale,  formando  la  cuspide  principale  un  pò  ottusa  e volta  ! 
verso  gli  altri  incisivi,  ed  un’altra  piccola  cuspide  verso  il  canino,  ben  ; 
marcata,  a cui  manca  per  raggiungere  la  cuspide  principale,  tanto 
quanto  questa  è larga. 

DI2.  Il  secondo  incisivo  deciduo  è uguale  per  forma  al  3°,  ma  di  di- 
mensioni più  piccole,  colla  cuspide  accessoria  meno  appariscente. 

Canino:  DC.  È appiattito  nel  senso  della  lunghezza  del  mascellare, 
non  ha  solchi  longitudinali,  come  avviene  nei  canini  decidui  dei  Fe- 
lini. In  tutti  e due  i mascellari  il  canino  è assai  avariato,  non  si  vede 
la  caratteristica  cuspide  accessoria  interna.  La  forma  generale  sembra 
molto  ricurva. 

Molari : DMr  II  1°  molare  deciduo  ha  una  posizione  obliqua  rispetto  : 
al  mascellare,  si  getta  cioè  all’indietro.  Si  compone  di  tre  punte  ben  mar-  ' 
cate  di  cui  la  mediana  o cuspide  principale  sorpassa  molto  in  altezza 
le  altre,  in  modo  che  l’aspetto  generale  del  contorno  verticale  del  dente 
risulta  triangolare;  la  cuspide  anteriore  è tozza  e rotondeggiante,  di- 
visa da  un  profondo  e stretto  solco  della  mediana,  che  è proprio  trian- 
golare, appiattita  nel  senso  della  lunghezza  del  dente,  e con  bordi  ta-  | 
glienti.  La  cuspide  posteriore  è più  piccola  dell’anteriore,  ma  è più  alta 
di  essa,  e più  approssimata  alla  principale,  da  cui  è divisa  con  un 
solco  assai  meno  marcato,  ed  a cui  è simile  per  la  forma  generale. 
Un’altra  piccola  cuspide  accessoria  sembra  rinforzare  la  base  della 
cuspide  posteriore;  essa  è triangolare  vista  orizzontalmente,  retta  ed  un 
po’  inclinata  e tagliente  nell’altro  senso  ; è formata  dal  cingolo  che 
in  questo  dente  è molto  visibile.  In  pianta  il  dente  è subovale  ante- 
riormente, poi  ha  un  piccolo  restringimento  sotto  la  cuspide  principale, 
poi  ha  la  massima  larghezza  alla  base  della  cuspide  posteriore  ed  in- 
fine termina  ad  angolo  quasi  retto  formando  la  cuspide  accessoria. 

DM2.  Il  2°  molare  deciduo  è impiantato  verticalmente.  È formato  da 
due  cuspidi  taglienti  quasi  eguali  in  grandezza,  e da  una  secondaria 
piccola  e puntuta  seguita  alla  base  da  una  specie  di  rigonfiamento  for- 
matovi dal  cingolo  che  in  questo  dente  è poco  marcato. 

La  prima  cuspide  è triangolare  con  un  angolo  al  vertice  ottuso;  la 
faccia  esterna  è pianeggiante  o leggermente  cilindrica,  l’interna  è con- 


— 155  — 


vessa;  i due  lati  sono  taglienti,  l'anteriore  leggermente  arrotondato  ed 
in  complesso  questa  cuspide  si  spinge  in  avanti. 

La  seconda  cuspide  che  è più  alta  della  prima,  da  cui  è profon- 
damente divisa,  mentre  lo  è poco  dalla,  secondaria  posteriore,  si  spinge 
airindietro.  La  superficie  interna,  come  Testerna,  è convessa.  In  pianta 
il  dente  ha  un  contorno  convesso  esternamente,  concavo  internamente, 
più  largo  anteriormente  che  posteriormente.  I taglienti  delle  due  cu- 
spidi principali  sono  disposti  ad  arco  uno  rispetto  l’altro  facendo  un 
angolo  ottusissimo. 

Mt.  Il  molare  persistente  non  ancora  sviluppato  si  è reso  visibile 
per  la  rottura  già.  detta.  Come  è noto  esso  ha  due  cuspidi  taglienti 
analoghe  a quelle  del  dm„  di  esse  la  anteriore  è quella  che  si  è posta 
in  evidenza  (fìg.  3,  6). 

Mascella  superiore.  — Si  ha  un  solo  mascellare  superiore  destro, 
che  per  le  condizioni  in  cui  è stato  trovato,  come  per  le  dimensioni, 
appartiene  insieme  alla  mascella  già  descritta  allo  stesso  individuo. 
E quasi  completo  esternamente,  mancante  però  alla  volta  palatina. 
Mostra  bene  il  foro  sottorbitale  di  forma  subovale  posto  verticalmente 
al  disopra  della  cuspide  principale  del  ferino. 

Si  può  apprezzare  anche  la  grandezza  del  foro  orbitale  poiché  al 
mascellare  è unita  una  parte  dell’osso  molare. 

Il  mascellare  offre  il  canino  frammentato,  la  sezione  del  1°  molare, 
il  ferino  ben  conservato  e le  tracce  dell’alveolo  del  3°  molare. 

Dimensioni  del  mascellare. 

Lunghezza  compresa  dal  bordo  alveolare  anteriore  del  ca- 
nino al  termine  posteriore  sulla  linea  dei  molari  ....  mm.  74 


Altezza  misurata  verticalmente  dal  bordo  alveolare  del  fe- 
rino in  corrispondenza  della  sua  cuspide  principale  al- 
l’orlo del  foro  orbitale » 41 

Massima  lunghezza  del  foro  sottorbitale,  misurata  obliqua- 
mente   » 12,5 

Massima  larghezza  del  foro  sottorbitale,  misurata  normal- 
mente alla  precedente  posizione » 8,5 

Minima  distanza  fra  l’orlo  del  foro  orbitale  e del  sottor- 
bitale   » 7,5 


— 156  - 

Minima  distanza  fra  l’orlo  del  foro  orbitale  ed  il  bordo  al- 
veolare esterno  del  canino 

Distanza  fra  i bordi  alveolari  del  1°  molare  e del  canino  . 

Distanza  fra  i bordi  alveolari  del  1°  molare  e del  2° . . . 

Canino:  DC.  È molto  schiacciato  con  sezione  subtriangolare  a 
vertici  arrotondati;  un  lato  è quasi  parallelo  al  contorno  esterno  del 
mascellare,  il  vertice  opposto  guarda  perciò  gl’incisivi. 

Non  ha  solchi  longitudinali. 

Molari : DMt.  Il  primo  molare  deciduo  posto  ad  eguale  distanza  dal 
canino  e dal  2°  molare,  è stato  spezzato  perciò  è visibile  la  sezione 
quasi  circolare  della  radice. 

DM4.  Questo  secondo  molare  deciduo  è perfettamente  conservato. 
Presenta  quattro  cuspidi.  L’anteriore  è subcilindrica,  affilata  verso  la 
fine  presentendo  un  tagliente  ottuso. 

La  seconda  è alta  e grande  quanto  la  prima  da  cui  è mettamente 
divisa.  Il  tagliente  è costituito  da  due  piccoli  lati  formanti  un  angolo 
molto  ottuso  sia  visto  di  faccia  che  in  pianta.  La  posizione  di  questa 
cuspide  è molto  interna  ed  è tutta  compresa  nella  metà  interna  della 
corona,  suppostane  la  base  divisa  longitudinalmente  in  due. 

La  terza  cuspide  è la  maggiore  di  tutte;  vista  di  faccia  è un  trian- 
golo equilatero,  connesso  per  un  lato  alla  corona,  diviso  dalle  cuspidi 
laterali,  specialmente  da  quella  posteriore  da  incavi  profondi.  La  su- 
perficie esterna  è regolarmente  convessa;  pianeggiante  1’  interna.  Gli 
orli  sono  molto  taglienti. 

L’ultima  cuspide  è alta  quanto  le  due  prime,  ma  la  lunghezza  è 
maggiore  delle  due  prime  prese  insieme.  La  forma  generale  è quella 
di  uno  scalpello  col  tagliente  orizzontale  lievemente  arrotondato  alle 
sue  estremità.  La  faccia  interna  è pianeggiante,  l’esterna  presenta 
due  rigonfiamenti  agli  -estremi  come  se  questa  cuspide  fosse  formata 
dall’unione  di  altre  due  analoghe  alle,  due  anteriori;  la  protube- 
ranza posteriore  si  spinge  all’  indietro.  Il  contorno  generale  della 
base  della  corona  è un  elesse  assai  allungato,  l’insieme  degli  orli  ta- 
glienti è vicinissimo  al  contorno  di  cui  segue  la  curvatura,  però  fra  le 
due  prime  cuspidi  ed  il  res,to  avviene  una  specie  di  risega.  Due  radici 
appiattite  e molto  divergenti  sorreggono  la  corona. 


» 55 
» 6 
» 6 


La  cuspide  principale  è sostenuta  per  meta  da  ciascuna,  ed  inter- 
namente da  un  contrafforte  impiantato  alla  metà  del  dente  a questo 
normalmente,  che  si  protende  tanto  quanto  Y attacco  colla  cuspide 
dista  dalla  estremità  anteriore  e posteriore  della  corona. 

I fianchi  del  contrafforte  sono  paralleli,  l’estremità  ne  è arrotondata, 
e così  pure  la  superfìcie  la  quale  si.  raccorda  dolcemente  con  quella 
della  cuspide  principale. 

DM3.  Su  questo  molare  non  si  può  dir  nulla,  poiché  le  tracce  del 
suo  alveolo  sono  appena  visibili.  La  sua  posizione  però  è quasi  nor- 
male alla  linea  degli  altri  due  molari. 

Dimensioni  dei  denti. 

Mascella  inferiore. 

3°  incisivo  (di3): 

Altezza  della  corona 5 

Massima  larghezza » 45 

Grossezza })  3 5 

Diametro  della  radice 3 

Canino  (de)  : 

Lunghezza  antero-posteriore mm.  14,5 

Larghezza # ^5 

Periferia })  30 

1°  molare  (dm^)  : 1 

Lunghezza  antero-posteriore 16,5 

Altezza  della  cuspide,  centrale  . . » po,5 

Massimo  spessore  alla  prima  cuspide  » 5?5 

Massimo  spessore  alla  cuspide  centrale » 6 

| Massimo  spessore  alla  cuspide  posteriore » 7 

’ Periferia . )}  33 

2°  molare  (dmj  : * 

Lunghezza  antero-posteriore mm.  20 

1 Altezza  della  prima  cuspide » 40 

Altezza  della  seconda » 12 

r - 1 dm3  colla  notazione  di  Boyd  Dawkins. 

5 dm4  (Boyd  Dawkins). 


— 158  — 


Massimo  spessore  alla  base  della  prima mm.  7,5 

Massimo  spessore  alla  base  della  seconda » 7 

Lunghezza  alla  base  della  prima » 8 

Lunghezza  alla  base  della  seconda » 9 

Spessore  al  tallone » 6,5 

Periferia » 45 

Mascella  superiore. 

Canino  (de)  : 

Lunghezza  antero-posteriore mm.  12 

Massima  larghezza » 8 

Periferia » 35 

1°  Molare  (dm^  : 4 

Diametro  longitudinale mm.  4 

Diametro  trasversale » 3,5 

2°  Molare  (dm2):  2 

Lunghezza  antero-posteriore  (massima)  mm.  29 

Altezza  della  cupide  principale » 12,5 

Lunghezza  della  cuspide  principale  alla  base » 9 

Sporgenza  della  cuspide  principale  dalla  linea  delle  altre  . » 5 

Lunghezza  della  prima  cuspide  anteriore » 5 

Lunghezza  della  seconda  cuspide  anteriore » 4 

Lunghezza  della  cuspide  posteriore » 11 

Massimo  spessore  alla  base  della  cuspide  principale  . . » 8 

Lunghezza  del  tallone » 11,5 

Larghezza  del  tallone » 6 

Periferia » 64 


Le  dimensioni  riportate  oscillano  fra  quelle  date  da  Boyd  Dawkins 
e Ayshford  Sandford  nella  pregevolissima  memoria  sui  mammiferi  plei- 
stocenici d’Inghilterra.  5 

1 dm2  (Boyd  Dawkins). 

3 dm3  (Boyd  Dawkins). 

s The  British  pleistocene  Mammalia , Parte  II  (Palaeontogr.  Soc.  of  Lon- 
don, 1868). 


— 159  — 


È quindi  completamente  dimostrato  che  i resti  suddescritti  non  ap- 
partengono a specie  nuova,  ma  al  giovane  leone  delle  caverne;  e 
quanto  al  nome  preciso  si  presenterebbe  il  dubbio,  se  scegliere  quello 
di  Felis  spelaea  Goldf.  o quello  di  Felis  leo  Lin.  var.  spelaea  Goldf.  ; 
poiché  col  primo  si  ritiene  il  leone  delle  caverne  specie  tutta  affatto 
distinta  dal  leone  attuale  ; mentre  col  secondo  soltanto  come  una  va- 
rietà. 

Numerosa  è la  schiera  dei  naturalisti  che  con  validi  lavori  hanno 
militato  per  l’una  o per  l’altra  opinione,  poiché  i resti  di  questa  spe- 
cie furono  trovati  da  John  Hain  nel  bacino  ungherese  del  Danubio  fin 
dal  1672.  Non  essendo  mio  scopo  di  parlare  di  quanti  si  occuparono 
del  leone  delle  caverne , ricorderò  che  la  descrizione  specifica  fu  pub- 
blicata nel  1810  da  Goldfuss  il  quale  lo  riteneva  più  vicino  alla  pan- 
tera che  al  leone  od  alla  tigre. 

Cuvier  lo  credeva  differente  tanto  dal  leone  che  dalla  tigre,  ma 
avente  qualche  affinità  con  lo  jaguaro. 

Boyd  Dawkins  ed  Ayshford  Sandford  nell’opera  già  citata,  lo  riten- 
gono quale  varietà  più  grande  e più  robusta  dell’attuale  leone. 

Blainville  esita  fra  la  tigre  e lo  jaguaro  benché  da  essi  distinto 
come  dal  leone  di  cui  ha  pure  importanti  caratteri. 

E.  Filhol  ed  H.  Filhol  1 in  un  accuratissimo  lavoro  discutendo  le 
opinioni  dei  predecessori  e da  una  numerosa  serie  di  misure  compa- 
rative concludono  che  il  Felis  spelaea  partecipa  dei  caratteri  del  leone 
come  della  tigre  ma  che  pertanto  deve  considerarsi  come  specie  distinta. 

Ed  infine  il  Gaudry  2 ha  trovato  a Louverné  resti  di  Felis  leo 
(razza  spelaea)  insieme  ad  altri  indubitatamente  riferibili  al  leone 
attuale. 

Ma  appoggiandosi,  come  il  Boyd  Dawkins  e Sandford,  anche  alle 
| scarse  notizie  storiche  sull’esistenza  del  leone  in  Europa,  da  cui  è 
| scomparso  da  1.7  secoli  per  l’accanita  guerra  fattagli  dall’uomo,  sembra 
abbastanza  ragionevole  ritenere  il  Felis  spelaea  varietà  del  vivente 
Felis  leo. 


1 Description  des  ossements  de  Felis  spelaea  découverts  dans  la  caverne 
de  Lherm . (Ann.  des  Sciences  nat.,  sér.  5.e  Voi.  XIY)  Paris,  1871. 

2 Matériaax  pour  Vhistoire  des  temps  quaternaires  ; Paris,  1876. 


— 160  — 


Nell’epoca  quaternaria  si  mostrano  assai  abbondanti  i resti  del 
Felis  spelaea  in  tutta  l’Europa  meridionale  ed  occidentale,  tanto  sul 
continente  che  sulle  isole. 

Anche  nelle  epoche  preistoriche  figura  il  Felis  spelaea. 

Secondo  la  storia,  480  anni  prima  dell’era  volgare  i leoni  erano 
tanto  abbondanti  nella  Macedonia  e nella  Tessalia  che  fecero  strage 
delle  carovane  di  Serse  prima  della  battaglia  delle  Termopili. 

Il  quale  fatto  raccontato  da  Erodoto  è noto  a noi  per  caso;  per  aver 
recato  maraviglia  che  i leoni  scegliessero  a loro  preda  i camelli  an- 
ziché i buoi  e gli  altri  animali  domestici  che  doveano  già  cono- 
scere. 

Altri  scrittori  in  epoche  meno  remote  parlano  ancora  dei  leoni  e 
dello  stretto  territorio  in  Tessalia,  in  cui  l’uomo  con  mille  insidie  era 
giunto  a confinarlo;  ma  la  scomparsa  completa  dall’Europa  non  è 
avvenuta  di  certo  prima  dell’anno  100  d.  G. 

E,  per  terminare,  la  differenza  fra  le  dimensioni  del  Felis  leo  e 
del  Felis  leo  var.  spelaea , mentre  può  attribuirsi  alla  persecuzione  che 
data  per  così  dire  dalla  comparsa  dell’uomo,  e che  deve  aver  influito, 
al  pari  di  tante  altre  cause  naturali  alla  modificazione  della  specie; 
può  anche  sembrare  così  forte  perchè  i leoni  presi  come  termine  di 
confronto  provenivano  da  serragli  in  cui  aveano  passato  parte  della 
vita,  o perchè  erano  individui  non  giunti  al  completissimo  sviluppo.  In 
ogni  modo  la  diminuzione  della  grandezza  in  questa  specie  non  è i 
un  fatto  isolato,  perchè  si  è già  riscontrata  in  molti  altri  animali  nel 
passare  dal  quaternario  alle  epoche  preistoriche  ed  attuale. 


11  Felis  minimus  è un’altra  nuova  specie  fondata  dal  Frère  Indes;! 
anch’essa  è descritta  e figurata  nella  memoria  sulla  Paléontologie  de 
la  Campagne  Romaine.  I caratteri  distintivi  sarebbero  la  piccolezza 
della  mascella,  la  forma  speciale  deH’apofisi  coronoide;  la  forma  del 
secondo  premolare  che  per  una  maggiore  grossezza  della  cuspide  an-  | 
teriore  e colla  posizióne  della  cuspide  media,  somiglia  al  ferino  dei 
Felis. 

La  figura  che  l’ Indes  ne  dà  differisce  un  poco  dal  vero  e da 
quella  che  io  ho  disegnato;  con  tuttociò  si  vede  assai  agevolmente! 
che  la  creduta  forma  speciale  dell’apofisi  coronoide  dipende  dal  modo  ! 


— 161  — 


w 


con  cui  si  è rotta  l’apofisi  stessa;  e che  rispetto  ai  denti  si  ha  anche 
qui  una  dentatura  decidua  sul  punto  di  essere  sostituita  da  quella 
permanente.  Infatti  il  molare  permanente  è quasi  completamente  uscito 
e presso  il  canino  deciduo  sporge  la  punta  di  quello  di  ricambio. 

Mascellare.  Nella  collezione  ho  trovato  un  solo  mascellare  in- 
feriore destro,  quello  stesso  figurato  dall’Indes  ; avariato  verso  l’estre- 
mità del  processo  condiloide  e mancante  degli  incisivi. 

Dimensioni  del  mascellare. 

Distanza  dalla  base  della  sinfisi  alla  base  del  processo  an- 
golare  

Distanza  dalla  base  della  sinfisi  all’orlo  del  foro  dentale  . 

Distanza  del  processo  angolare  (inf.)  alla  sommità  dell’apo- 

fisi  condiloide 

Altezza  del  mascellare  dalla  metà  del  diastema  alla  base 

della  sinfisi 

Altezza  in  corrispondenza  dell’ interstizio  fra  i due  molari 

decidui 

Spessore  nella  suddetta  posizione 

Spessore  in  corrisponza  del  molare  persistente 

Canini:  DC.  Il  canino  è assai  appiattito  nel  senso  della  lunghezza 
del  mascellare,  quasi  tagliente  nell’orlo  interno.  È molto  ricurvo,  non  ha 
solchi  longitudinali,  e dal  lato  degli  incisivi  verso  la  base  della  corona 
ha  una  sporgenza  o cuspide  accessoria  ben  marcata.  La  radice  è egual- 
mente larga,  schiacciata  e scanalata  sulla  faccia  che  si  rivolge  alla 
sinfisi,  per  dar  posto  al  canino  di  ricambio. 

C.  Il  canino  persistente  già  sviluppato  e mostrante  i solchi  longi- 
tudinali, si  affaccia  per  più  d’un  millimetro  al  bordo  alveolare  al  fianco 
interno  del  canino  deciduo  che  era  sul  punto  di  sostituire. 

Molari : DMt.  È impiantato  quasi  verticalmente  sul  mascellare, 
si  spinge  un  poco  all’  indietro.  E costituito  da  quattro  cuspidi,  una 
anteriore,  poi  la  principale,  una  posteriore  ed  una  accessoria  formata 
dal  cingolo.  La  cuspide  anteriore  è perfettamente  conica,  alquanto 
larga,  ha  l’aspetto  di  una  punta  ottusa;  per  la  posizione  rispetto  alla 


mm.  39 
» 30 

» 9,5 

» 8 

» 9 

» 4 

» 5 


162  — 


pianta  del  dente  trovasi  tutta  nella  metà  interna,  ed  è totalmente  iso- 
lata dalla  cuspide  principale. 

La  cuspide  principale  si  spinge  molto  più  in  alto  della  anteriore; 
ha  forma  lanceolare  col  tagliente  posteriore  più  vivo  dell’  anteriore; 
la  cuspide  posteriore  trovasi  relativamente  più  alta  dell’anteriore;  sembrai 
anch’essa  una  punta  ottusa,  addossata  alla  cuspide  principale  da  cui 
è divisa  da  un  intacco.  Il  cingolo  forma  una  quarta  cuspide  accesso-! 
ria,  grande  quasi  come  la  terza,  che  si  spinge  all’indietro. 

Le  radici  di  questo  dente  sono  assai  divergenti. 

DM2.  Anche  in  questo  si  distinguono  quattro  punte.  La  prima  cu-j 
spide  è appiattita  nella  direzione  del  mascellare;  i taglienti  sono  con- 
vessi, l’anteriore  arrotondato,  il  posteriore  molto  affilato.  La  faccia; 
esterna  è cilindrica  o pianeggiante. 

La  seconda  cuspide  è un  po’  più  piccola  della  precedente,  ma  più 
alta  e si  spinge  indietro.  Il  tagliente  anteriore  è affilato,  e verso  la 
base  mostra  come  un  piccolissimo  tubercolo;  il  posteriore  è arroton-i 
dato.  Un  incavo  conico  divide,  dal  lato  interno  del  dente,  le  due  cuspidi 
che  esternamente,  sono  separate  da  leggerissimo  solco.  La  faccia  esterna 
è la  continuazione  di  quella  della  prima  cuspide. 

Segue  una  piccola  punta  che  è impiantata  tutta  nella  metà  interna  del 
dente,  restando  così  assai  discostata  dalla  linea,  leggermente  arcuata 
ed  esternamente  convessa,  delle  altre  due  cuspidi. 

Infine  una  piccolissima  cuspide  accessoria  formata  dal  cingolo 
è addossata,  a guisa  di  tallone,  alla  base  della  cuspide  precedente. 

M,.  II  molare  persistente  è formato  da  due  cuspidi  quasi  eguali, 
divise  internamente  da  un  profondo  incavo  conico  ed  esteriormente  da 
un  solco,  la  prima  più  gonfia  è più  larga;  i taglienti  adiacenti  sono  più 
affilati  degli  altri  che  risultano  invece  arrotondati.  Quello  della  cuspide 
posteriore  si  protende  alla  base  con  una  specie  di  rigonfiamento.  La 
faccia  esterna  è cilindrica  e verticale. 

Dimensioni  dei  molari. 


1°  molare  deciduo  (dm,): 

Lunghezza  antero-posteriore mm.  5 

Altezza  della  cuspide  principale » 4 


m-  * 

163  — 

Altezza  della  la  cuspide mm.  2 

Altezza  della  3a  cuspide » 2,7 

Altezza  della  4a  cuspide » 1,5 

Massimo  spessore  alla  base  della  cuspide  principale.  . . » 2 

Periferia » 12,5 

2°  molare  decìduo  (dm2)  : 

Lunghezza  antero-posteriore mm.  6,5 

Altezza  della  prima  cuspide » 3,5 

Altezza  della  seconda  cuspide » 4,5 

Altezza  della  terza  cuspide » 2,3 

Massimo  spessore  della  prima  cuspide » 2 

Massimo  spessore  della  seconda  cuspide » 1,5 

Spessore  al  tallone  » 2,4 

Lunghezza  alla  base  della  prima  cuspide  .......  » 3 

Lunghezza  alla  base  della  seconda  cuspide » 2 

Distanza  fra  le  estremità  superiori  delle  due  cuspidi ...  » 4 

Periferia » 14,5 

Molare  persistente  (mt): 

Lunghezza  antero-posteriore mm.  7,5 

Altezza  della  prima  cuspide » 4,5 

Altezza  della  seconda  cuspide » 5,2 

Distanza  fra  le  estremità  superiori  delle  cuspidi  ....  » 6 

Spessore  in  base  alla  parte  posteriore  della  2a  cuspide  . . » 3,2 


Resta  quindi  fuori  di  dubbio  che  non  si  tratti  di  nuova  specie,  ma 
di  un  giovane  individuo  di  Felis  catus  Lin. 

Il  gatto  allo  stato  fossile  non  è troppo  frequente;  pure  si  cono- 
scono parecchie  località  : in  Inghilterra  a Grays  (Owen),  Bleadon 
Cave,  Long  Hole,  Ravenscliff,  Brixham  e Crayford  (Boyd  Dawkins); 
nelle  caverne  della  provincia  di  Liegi  (Schmerling)  ; di  quella  di  Namur 
(Arnould);  di  Lunel-Viel  (M.  de  Serres),  di  Mialet  nel  Gard,  di  Echenoz 
nelFHaute-Saóne,  Avison  nella  Gironda  (Gervais),  a Quina  nello  Chia- 
rente (Rivière);  nei  Pfahlbauten  di  Wauwyl,  Moosseedorf  e Roben- 
hausen  (Rutimeyer);  nei  Kjókkenmódding  (Morlot);  nelle  grotte  di 
Mentone  (Rivière),  nelle  terremare  di  Gorzano  (Coppi)  e di  Montale 


— 164  — 


nel  Modenese  (Crespellani),  nella  necropoli  di  Marzabotto  (Gozzadini), 
nei  pozzi  sepolcrali  di  Campeggine  e Servirola  nel  Reggiano  (Strobel)  U 

Era  mio  desiderio  di  accompagnare  questa  determinazione  con  qual- 
che appunto  comparativo  del  mascellare  suddescritto  con  l’analogo  vi- 
vente del  gatto  selvatico  come  del  domestico,  ma  la  grandissima  dif- 
ficoltà di  procurarmi  sufficiente  materiale  del  primo  me  lo  ha  impedito.) 

In  generale  tutti  i resti  fossili  di  gatto  vengono  senza  alcuna  esi- 
tazione ascritti  al  gatto  selvatico  poiché  il  gatto  domestico  si  crede 
sia  stato  importato  in  Europa  dall’  Egitto  in  cui  era  assai  venerato. 
Non  si  conosce  con  precisione  l’epoca,  ma  nel  X secolo  era  ancora  poco) 
diffuso,  ma  tenuto  in  grande  conto,  dal  fatto  che  leggi  speciali  ne  re-J 
golavano  le  condizioni  di  vendita. 

> : — | 

1 Boyd  Dawkins  W.  e àyshford  Sandford,  British.  pleist . ecc.  op.  cit. 

Boyd  Dawkins  W.,  DieHohlen  und  die  Ureinwohner  Europa’ § (trad.  Sprengel),) 
Leipzig  1876. 

Chierici  G.  e Strobel  P.,  I pozzi  sepolcrali  di  Sanpolo  d’Enza  (Strenna 
del  Bull,  di  paletn.  it.  pel  1876). 

Coppi  F.,  Monografia  ed  iconografia  della  terramara  di  Gorzano,  Mo- 
dena 1871-76. 

Crespellani  à.,  Scavi  del  Modenese  (1880)  (Atti  e mem.  della  Deput.  di 
storia  patria  deirEmilia,  n.  ser.,  Voi.  VII.,  1882). 

Crespellani  A.,  Di  alcuni  oggetti  delle  terremare  modenesi  (Ann.  della  Soc. 
dei  naturalisti  in  Modena,  an.  XV,  1881). 

Gervais  P.,  Zoologie  et  Paleontologie  frangaise,  Paris  1859. 

Gozzadini  G.,  Di  un’antica  necropoli  a Marzabotto  nel  Bolognese,  Bolo- 
gna 1865. 

Morlot  A.,  Ètudes  géologico-archéologiques  en  Danemark  et  en  Suisse, 
(Soc.  vàudoise  des  se.  nat.,  Voi.  VI,  1859). 

Owen  R,  A History  of  British  fossil  mammals  and  birds,  London  1846. 

Rivière  E.,  De  V antiquité  de  Vhomme  dans  les  Alpes  maritim.es , Paris  1887. 

Rivière  E.,  Sur  la  station  quaternaire  de  Quina  (Charente)  (Comptes  ren- 
dus  hebd.  de  l’Acad.  des  se.,  n.  8,  1888). 

Rììtimeyer  L.,  Die  Fauna  der  Pfahlbauten  der  Schweiz,  Basel  1861. 

Strobel  P.,  Avanzi  animali  dei  fondi  di  capanne  del  Reggiano  (Bull,  di 
paletn.  it.,  an.  Ili,  1887). 

Strobel  P.,  Specie  di  vertebrati  di  cui  si  trovarono  avanzi  nelle  mariere 
dell’Alta  Italia  (Bull,  di  paletn,  it.,  an.  IX,  1883). 


— 165  — 


I naturalisti  sono  poco  concordi  sulle  origini  del  gatto  domestico. 
Alcuni  ritengono  non  sia  altro  che  la  varietà  domestica  del  vero  Felis 
catus  Lin.  {Felis  fera  auct.)  gatto  selvatico,  altri  che  sia  una  specie 
distinta  da  questo  ma  affine  al  Felis  maniculatus  Rup.  della  Nubia:  altri 
ne  fanno  una  specie  a se  {Felis  domestica).  Owen 1 che  è fra  i primi, 
avvisa  che  il  1°  molare  deciduo  inferiore  del  F.  maniculatus  ha  la  co- 
rona più  grossa  e sorretta  da  tre  radici,  mentre  nel  gatto  domestico 
e nel  selvatico  è più  piccola  e sorretta  da  due  sole  radici.  Il  gatto 
selvatico  è bensì  più  grande  del  domestico,  da  cui  sembra  differire  per 
alcuni  caratteri  esterni,  come  p.  es.  per  la  coda  che  è più  corta  e cilin- 
drica; ma  l’Owen  ritiene  questo  carattere  di  poco  conto,  essendo  questa 
parte  assai  modificabile  dal  fatto  che  esistono  gatti  senza  coda.  Le 
mie  ricerche  (che  riconosco  insufficienti),  limitate  alla  testa  ed  ai  denti, 
s’accorderebbero  con  la  prima  ipotesi.  Probabilmente  Y esatta  cono- 
scenza della  specie  fossile  porterà  un  po’  più  di  luce  alla  questione. 

Al  presente  il  gatto  selvatico  essendo  una  delle  specie  persegui- 
tate dall’uomo  è in  continua  diminuzione  e tra  non  molto  sarà  scom- 
parso anche  dall’Italia. 

Le  due  credute  nuove  specie,  V Hyperfelis  Verneuili , cioè,  ed  il 
Felis  minimus , sono  rispettivamente  il  Felis  leo  {spelaea)  ed  il  Felis 
catus,  che  restano  le  sole  specie,  finora  ben  conosciute,  di  felini  per 
la  provincia  di  Roma,  in  cui  i resti  di  questa  famiglia  di  mammiferi 
sono  oltremodo  scarsi. 

Come  appendice  riporto  quanto  è a mia  cognizione  in  proposito. 

Sembra  che  il  primo  a darne  notizia  sia  il  Pianciani 2 * * 5,  il  quale 
figurò  un  frammento  di  mascellare  con  due  denti  ed  un  dente  isolato, 
riferendoli  al  leone  od  altra  fiera  congenere , provenienti  da  Magognano 


1 Owen  R-.,  A 'History  of  Brit.  foss.  eec.,  op.  cit. 

Il  prof.  Strobel  (/  pozzi  sepolcrali  ecc.,  mem.  cit.)  ritiene  assai  più  proba- 
bile che  sia  stata  addomesticata  una  specie  indigena  anziché  una  esotica;  ed  in 
pari  tempo  possibile  che  razze  provenienti  dall’uno  e dall’altra  abbiano  potuto  in- 

crociarsi. Ricorda  inoltre  che  il  gatto  era  domestico  in  Grecia  5 secoli  a.  C.  ed 

in  Italia  nel  6°  dopo  C. 

5 Pianciani  G.  B.,  Delle  ossa  fossili  di  Magognano  nel  territorio  di  Vi- 
terbo. Bologna  1817. 


11 


— 166  — 


nel  Viterbese.  Questi  resti  si  conservano  nel  Museo  universitario  di  Roma 
ed  appartengono  al  Felis  leo  ( spelaea) ; il  frammento  di  mascellare 
inferiore  destro  ha  il  molare  (m,)  ed  il  quarto  premolare  (pm4)  ; il  dente 


separato  è il  terzo  premolare  (pm3)  superiore  sinistro. 

Da  essi  ho  ricavato  le  seguenti  dimensioni: 
pm4  (inferiore) 

Altezza  della  cuspide  principale  mm.  21 

Massima  larghezza  alla  base  della  corona » 16 

mt 

Lunghezza  antero-posteriore mm.  30 

Massima  larghezza  alla  base  (in  corrispondenza  della  fessura)  » 16 

Distanza  fra  l’estremità  superiore  delle  due  cuspidi  ...  » 21 

Altezza  della  cuspide  posteriore » 15  % 

Id.  anteriore  . » 17,5 

Periferia » 75 

pm3  (superiore) 

Altezza  della  cuspide  principale  (misurata  dal  fianco  esterno)  mm.  15,5 
Id.  id.  interno  » 23 

Larghezza  della  radice  posteriore  . . . . » 13,5 

Id.  (misurata  sul  fianco  esterno)  » 32 


Il  Ponzi 1 fra  i fossili  di  Ponte  Molle  annovera  il  Felis  brevirostris 
Croiz.  et  Job. 

Il  Ceselli  2 dice  d'aver  ritrovato  nelle  ghiaie,  insieme  alle  selci 
scheggiate  nei  dintórni  di  Roma,  il  Felis  spelaea  ed  il  Machairodus 
cultridens ; ma  si  ha  ragione  di  dubitare  assai  di  queste  determi- 
nazioni. 3 


1 Ponzi  G.,  Sulle  ossa  fossili  della  campagna  romana  (Atti  dell’ Vili  riunione 
degli  scienz.  It.,  Genova  1847). 

2 Ceselli  L.  ftromenti  in  silice  della  prima  epoca  della  pietra  nella  cam- 
pagna romana.  Roma,  1866. 

3 In  fatti  nell’elenco  dei  fossili  trovati  insieme  alle  selci  scheggiate,  oltre  ad 
esservi  comprese  specie  affatto  sconosciute  per  il  quaternario  romano,  ve  ne  figu- 
rano altre  di  epoca  e di  località  ben  differenti:  Amphìcyon  major,  Lopliiodon 
Parisiense ■'  Schclidotherium , Palaeochoerus , ecc. 


Boll,  del  R. Corri.  Geol.  di  Italia 


Enrico  Clerici  die. 


Anno  1888  Tav.  IV  (E.  Clerico) 


ROMA  FOTOTIPIA  DANESI 


167 


L’Indes  oltre  i due  felini  già  descritti  trovò  nella  caverna  il  Felix 
catus  ed  il  Felis  lynx. 

Del  primo  ho  anch’io  un  molare  inferiore  sinistro  (mj  colle  seguenti 
dimensioni  : 

Lunghezza  

Massima  larghezza  alla  base  . . . 

Altezza  della  cuspide  anteriore.  . . 

» » posteriore.  . . 

Distanza  fra  le  estremità  delle  cuspidi 

Periferia 

Larghezza  della  radice  anteriore  . . 

Spessore  id.  id.  . . 

Lunghezza  id.  id.  . . 

Diametro  della  radice  posteriore  . . 

Il  Felis  lynx  non  sembra  esistere  nella  sua  collezione  : secondo 
l’Indes  questa  specie  era  più  grande  della  lince  vivente. 

E finalmente  il  Ponzi,  in  una  pubblicazione  più  recente  *,  riporta 
il  Felis  spelaea  di  Magognano  ed  un  felino  indeterminato  (il  Felis 
brevirostris  della  prima  pubblicazione)  che  a lui  sembra  un  guepard. 

Museo  di  Geologia  della  R.  Università  di  Roma.  — Maggio  1888. 


SPIEGAZIONE  DELLA  TAVOLA. 

(Tutte  le  figure  sono  in  grandezza  naturale). 

Fig.  1.  — Mascellare  inferiore  sinistro  di  Felis  leo  Lin.  ( spelaea  Goldf.) 
juv.  — Hyper/elis  Yerneuili  Indes. 

» 3-6.  — Parte  del  suddetto  mostrante  il  germe  del  molare  persistente. 

» 4.  — Altra  parte  del  suddetto  mascellare,  veduto  internamente. 

» 2.  — Mascellare  superiore  destro  della  stessa  specie. 

» 5.  — Mascellare  superiore  veduto  in  pianta. 

» 7.  — Vista  interna  del  2°  premolare  dello  stesso  mascellare. 

» 8-9.  — Mascellare  inferiore  di  Felis  catus  Lin.,  juv.  = Felis  minimus 

Indes. 


» 4 

» 5,5 

» 6,5 

» 6,5 

» 20,5 
» 6 
» 3 

» 9 

» 2 


1 Le  ossa  fossili  subapennine  dei  contorni  di  Roma  (Mem.  R.  Accademia 
dei  Lincei,  1878). 


— 168  — 


IL 

Sopra  alcune  lave  antiche  e moderne  del  vulcano  Kilauea 
nelle  Isole  Sandwich;  studi  petrografie!  del  prof.  0.  Sil- 
vestri. 

(Continuazione  e fine,  vedi  fascio.  3-4). 

Zìi.  Lave  preistoriche  stratificate  le  quali  costituiscono  le  pareti 
all’  intorno  del  grande  bacino  del  Kilauea. 

Distinguo  tutte  queste  lave  preistoriche  in  tre  categorie,  cioè  in 
basalioidi in  basalti  e in  andesiti  augitiehe. 

CATEGORIA  PRIMA. 

Basaltoidi. 

Vi  comprendo  una  numerosa  varietà  di  roccie  che  danno  la  com- 
posizione mineralogica  dei  basalti,  cioè  sono  basalti  secondo  i carat- 
teri petrografìe!  assegnati  da  Zirkel  a queste  roccie  da  lui  distinte  col 
nome  di  basalti  feldispatici;  1 e da  Rosenbusch  chiamate  semplice- 
mente  col  nome  più  semplice  di  basalti.  2 Non  hanno  però  la  comj 
pattezza  dei  basalti  ed  il  loro  modo  di  presentarsi  conferisce  loroj 
una  certa  tal  quale  diversità  che  ne  riesce  spontanea  una  distinzione.! 
Hanno  porosità  più  o meno  ampie  per  cui  non  danno  l’ idea  del  mas-j 
siccio  basaltico,  ma  piuttosto  di  materiali  scoriacei  che  durante  la  loro) 
eruzione  devono  essere  stati  tanto  tormentati  da  energiche  correnti! 
gassose  e vaporose,  sopra  riscaldate  per  alta  pressione,  da  aver  dovuto' 
non  solo  rigonfiare,  ma  sentire  anche  una  influenza  chimica  di  meta- 
morfismo fino  dalla  loro  origine. 

Campione  N.  16. 

Caratteri  macroscopici  e fisici.  — Roccia  compatta  a grana  mi- 
nutamente fina,  omogenea,  di  colore  rosso  mattone  carico,  a frattura 

1 Zirkel,  Unters.  uber  die  mikr.  Zusamm.  u.  Struct.  d.  Basaltgesteine; 
Bonn,  1870  — Die  mikr.  Beschaff.  d.  Min.  u.  Gest.;  Leipzig  1873,  pag.  420. 

2 Rosenbusch,  Mikr.  Phys.  d.  massig.  Gest.;  Stuttgart,  1877,  pag.  348  e 423.  j 


— 109  — 


subconcoide  come  se  fosse  terra  cotta,  della  quale  ha  tutta  l’apparenza. 
Nella  frattura  presenta  qua  e là  dei  punti  lucenti  formati  da  materia 
vetrosa.  È assai  tenace,  mentre  in  generale  non  è molto  dura,  giacché 
si  lascia  graffiare  facilmente  : solo  nei  pùnti  vetrosi  è assai  più  dura. 
Non  ha  azione  sull’ago  magnetico.  Dur.  della  massa  generale  = 3; 
dei  punti  vetrosi  = 6;  P.  sp.  ; 2,  80. 

Caratteri  microscopici  e petrografici.  — Se  non  si  riduce  in  la- 
mine estremamente  sottili,  si  presenta  opaca  tranne  in  certi  punti  che 
corrispondono  a piccole  concentrazioni  vetrose  ove  traspariscono  delle 
aree  rosse.  Quando  abbia  raggiunto  la  sottigliezza  necessaria,  resa 
possibile  dalla  sua  compattezza  e tenacità,  allora  assume  una  traspa- 
renza sufficiente  per  potere  osservare  con  un  ingrandimento  di  240  diam. 
(obiett.  7 ocul.  2 Hartn.)  che  essa  resulta  da  una  base  vetrosa  isotropa 
di  color  rosso  giallastro  vivo,  che  si  presenta  in  forma  di  aree  gene- 
ralmente microscopiche,  ma  non  di  rado  anche  macroscopiche  a con- 
torno irregolare  variabile  la  cui  pasta  si  diffonde  in  mezzo  ad  una 
minuta  granulosità  di  color  rosso  tendente  al  ruggine,  simile  a materia 
argillosa  ferrifera  senza  alcuna  idea  di  cristallizzazione.  Però  in  certi 
rari  punti  della  massa  compariscono  particelle  luminose  tra  i Nicol 
incrociati,  le  quali  hanno  tutta  P apparenza  di  residui  feldispatici  appar- 
tenenti alla  roccia  primitiva,  ora  molto  profondamente  metamorfosata  : 
niente  vi  si  scorge  che  abbia  i caratteri  dell’  augite,  del  peridoto,  della 
magnetite. 

Caratteri  chimici . — La  roccia  polverizzata  minutamente  man- 
tiene il  color  rosso  ocraceo.  Scaldata  in  tale  condizione  perde  sotto 
forma  di  acqua  1,  87  per  100  del  suo  peso  e al  calor  rosso  incipiente 
comincia  a fondersi  in  un  vetro.  Difficilmente  si  lascia  attaccare  dal- 
l’ acido  nitrico  tanto  a freddo  quanto  a caldo.  L’ analisi  chimica  ha 
dato  la  seguente  composizione  centesimale  : 


SiO*  48,  60  * 

P2Os 0,  00  (traccie  sensibili) 

TiO2 0,  00  idem 

APO3 25,  45 

Fe203.  . 17,  55 

FeO 1,  20 


MnO 0,  00  (tr.  molto  sensibili) 

CaO 2,  20 

MgO 0,  98 

Na20  ) 

ni *• 38 

H20 1,  87 


99,  23 

I caratteri  chimici  insieme  ai  petrografici  dimostrano  che  è una 
roccia  metamorfica  proveniente  da  una  lava  basaltica  (probabilmente 
sul  tipo  delle  roccie  vitrofìriche  già  descritte)  la  quale  ha  subito 
una  specie  di  caolinizzazione  sotto  la  influenza  di  emanazioni  acide  e 
del  calore.  La  pasta  è da  ritenersi  in  origine  formata  da  segregazioni 
dei  vari  minerali,  plagioclasio,  augite,  olivina  in  mezzo  ad  un  residuo 
di  magma  vitreo  primitivo.  Per  tali  azioni  metamorfiche  con  la  decom- 
posizione dei  minerali  indicati  è scomparsa  la  maggior  parte  degli 
alcali,  della  calce  e della  magnesia  ed  il  ferro  proveniente  della  scom- 
posizione dei  silicati  e specialmente  dalla  alterazione  della  magnetite, j 
parte  si  è diffuso  nel  residuo  vetroso,  che  ha  resistito  di  più  alla 
decomposizione,  e l’ha  colorato  in  rosso  vivo  ematitico;  parte  si  è 
combinato  contribuendo  alla  formazione  delle  particelle  di  colore  rosso 
ruggine  che  sono  da  ritenersi  come  formate  prevalentemente  da  un 
silicato  alluminico  ferrico  e queste  insieme  al  vetro  ematitico  rappre- 
sentano essenzialmente  la  roccia.  Il  campione  N.  16  resulta  dunque 
formato  da  roccia  metamorfica  proveniente  da  una  lava  primitiva 
basaltoide,  microcristallina  o criptocristallina  vitrofirica , ora  profon-' 
damente  alterata  per  processi  metamorfici  di  caolinizzazione  ed  ematiz- 
zazione. 

Campione  N.  17. 

Caratteri  macroscopici  e fisici.  — Roccia  di  aspetto  terroso,  com- 
patta, omogenea,  di  color  feccia  di  vino  secca  (alla  quale  somiglia 
moltissimo)  con  punteggiature  e talvolta  piccole  venature  nere  : frattura 
granulosa:  piuttosto  tenace:  non  ha  azione  sull’ago  magnetico:  Dur. 
6-6,5  ; P.  sp.  2,  77. 

Caratteri  microscopici  e petrografici.  — Una  laminetta  molto 
sottile  della  roccia  osservata  col  solo  ingrandimento  di  70  diametri 


— 171  — 


(ocul.  2 (-f-  obiett.  4 Hartn.)  presenta  un  campo  uniforme  poroso  di  colore 
ruggine  chiaro  di  aspetto  tigrato,  cioè  cosparso  di  macchie  più  scure 
dello  stesso  colore.  In  questo  campo  si  vedono  porfìricamente  disse- 
minati dei  granuli  di  olivina  e qua  e là  vi  compariscono  delle  chiazze 
nere,  meno  trasparenti,  con  dentro  delle  piccole  segregazioni  parimente 
di  olivina  ed  anche  dei  vacui  a sezione  ellittica  prodotti  da  inclusioni 
gassose. 

Se  si  adopra  un  ingrandimento  di  240  diam.  (ocul.  2 + obiett. 
7 Hartn.)  il  campo  di  colore  ruggine  tigrato  si  risolve  in  un’agglo- 
merazione di  minutissime  particelle  uniformi  e amorfe  nel  senso  geome- 
trico mentre  le  chiazze  nere  resultano  formate  da  un  tessuto  di  elementi 
mineralogici  inalterati,  augite  granulare,  plagioclasio,  olivina,  magnetite 
pulverulenta,  che  insieme  rappresentano  la  massa  fondamentale  cripto- 
cristallina  della  roccia  primitiva. 

Nello  stesso  campo  di  colore  ruggine  tigrato  oltre  a comparire 
più  spiccate  le  relativamente  grandi  concentrazioni  di  olivina  a superfìcie 
granulare  e con  vivi  colori  di  polarizzazione,  si  vedono  anche  dei 
cristalli  di  plagioclasio  o soli  o annidati  in  piccole  geodi,  i quali 
tra  i Nicol  incrociati  presentano  la  striatura  caratteristica  polisin- 
tetica." 

Caratteri  chimici.  — Triturata  finamente  costituisce  una  polvere 
di  colore  rosso  nerastro  tendente  al  violaceo  : quasi  inattaccabile  dal- 
l’ acido  nitrico  tanto  a freddo  che  a caldo  : al  calore  cede  piccolissima 
quantità  di  acqua  ed  appena  che  sente  l’ azione  del  calore  rosso  inci- 
piente si  fonde  in  un  vetro. 

L’analisi  chimica  ha  dato  la  seguente  composizione: 


SiO2  50,  00 

P2Os 0,  00  (traccie  molto  sens.) 

TiO2 0,  42 

A1205  22,  80 

Fe203 14,  15 

FeO 4,  05 

MnO  0,  97 

CaO 3,  17 

MgO  1,  93 


— 172  - 

1,  99 
0,  33 
99,  81 

Dalle  esposte  resultanze  si  deduce  che  anche  in  questa  roccia 
(come  nella  precedente)  molto  alterata,  è abbandonante  un  silicato 
allumiuico-ferrico.  La  presenza  di  un  residuo  del  FeO  primitivo  appar- 
tenente ai  polisilicati  della  olivina  e dell’augite  è in  corrispondenza 
al  fatto  petrografìco  della  esistenza  della  olivina  inalterata  e dei  ri- 
masugli di  augite  granulare,  ai  quali  come  a quelli  del  plagioclasio  si 
riferiscono  le  discrete  quantità  di  CaO  e di  MgO.  Il  poco  alcali  ap- 
partenente al  plagioclasio  dimostra  che  la  maggior  parte  dell’AFO3  è 
combinata  con  la  silice  alla  quale  combinazione  è da  ritenersi  asso- 
ciato il  Fe203. 

Dal  complesso  dei  caratteri  si  può  dedurre  che  la  roccia  in  esame 
è metamorfica  e proviene  da  una  roccia  basaltoide  nera  (molto  vicinai 
a quella  descritta  più  avanti  nel  Campione  N.  26)  a struttura  compatta 
e a massa  fondamentale  criptocristallina.  Questa  roccia  ha  subito 
una  profonda  alterazióne  per  mezzo  della  quale  mentre  sono  rimasti  \ 
nell1  impasto  i vestigi  del  basalto  primitivo  con  gli  elementi  minerà -J 
logici  propri , del  i esto  si  è messo  chimicamente  in  evidenza  un  sili-  ; 
cato  alluminico-ferrico  inforrna  di  un  aggregato  di  particelle  di  colore 
ruggine  che  ne  formano  la  massa  principale. 

Campione  N.  18. 

Caratteri  microscopici  e fisici.  — Roccia  di  colore  rossastro  scuro 
a struttura  granulare,  assai  compatta,  ma  disseminata  di  numerosi  pic- 
coli vacui  rivestiti  di  materia  di  colore  rosso  ocraceo  e spesso  tappez- 
zati di  cristalli  bianchi  prismatici  di  aragonite.  Nell’impasto  piuttosto 
omogeneo  si  vedono  sparsi  frequenti  piccoli  granuli  di  lucentezza  vitrea 
insieme  ad  altri  più  rari  e più  grossi  giallo-verdastri  che  raggiungono  il 
diametro  di  un  piccolo  cece,  della  stessa  natura  dei  primi  e che  per  le 
loro  dimensioni  si  riconoscono  anche  ad  occhio  nudo,  come  appartenenti 
al  peridoto  (olivina).  Questi  nella  frattura  irregolare  della  roccia  se  re- 
stano in  posto  producono  delle  sporgenze  vetrigne  subdiafane,  attra- 
versate da  screpolature;  se  si  staccano  dalla  matrice  lasciano  dei  va- 


Na*0  j 
K20  ( 
H20  . 


— 173  — 


cui  piuttosto  grandi,  rivestiti  da  straterelli  sottili  di  color  rosso  ocraceo 
o giallo  limonitico  e di  tali  straterelli  mostransi  rivestiti  anche  i gra- 
nuli di  olivina  alla  superficie  generalmente  alterati. 

La  roccia  non  ha  azione  sull’ago  magnetico,  è tenace,  dura  e pe- 
sante: Dur.  6-6,5;  P.  sp.  2,94. 

Caratteri  microscopici  e petrograjìci.  — In  un  impasto  fondamentale 
prevalentemente  formato  da  grossolane  agglomerazioni  cristalline  di 
color  verde  rossiccio  chiaro  di  augite,  sono  visibili  con  ingrandimento 
di  240  diam.  (ocul.  2-f-obiett.  7 Hartn.)  i granuli  di  magnetite  e certe 
placche  nere  opache  oblunghe  smangiate  che  rassomigliano  molto  alle 
forme  di  ferro  titanato  trovato  da  Vèlain  nei  serpentini  dell’Isola  della 
Reunione.  Ma  abbondano  specialmente  notevoli  segregazioni  di  olivina 
associate  a frequenti  cristalli  di  plagiocasio:  talché  ne  risulta  al  mi- 
croscopio, una  decisa  struttura  microgranitica  in  cui  però  i granuli  di 
olivina  predominano  assumendo  come  ho  già  detto  anche  delle  grandi 
dimensioni. 

Oltre  a ciò  si  osservano  in  alcune  geodi  della  roccia  dei  minuti 
cristalli  aciculari  prismatici,  insolubili  negli  acidi  che  hanno  tutto  l’a- 
spetto della  natrolite;  prodotto  zeolitico  di  formazione  secondaria.  Per 
effetto  della  incipiente  decomposizione  della  olivina  e della  magnetite 
si  vedono  nella  roccia  anche  delle  infiltrazioni  di  esudati  trasparenti 
ematitici  di  color  rosso,  mentre  non  si  scorge  alcun  vestigio  di  magma 
vitreo. 

Caratteri  chimici.  — La  polvere  finissima  della  roccia  è di  color 
bigio  rossiccio  chiaro.  E difficilmente  attaccabile  dall’acido  nitrico:  ai 
calore  cede  una  piccolissima  quantità  di  acqua  e subisce  lieve  perdita 
di  peso  : alla  temperatura  del  calor  rosso  non  si  fonde.  Presenta  la  se- 
guente composizione  : 


SiO* 
P2Os  , 
TiO*  , 
APO3. 
Fe*05. 
FeO 
MnO  , 


45,  61 

0,  72 

1,  15 
15,  98 

8,  25 
11,  60 
1,  20 


— 174  — 


CaO 

6, 

42 

MgO 

3, 

75 

Na20 

3, 

50 

K20 

1. 

82 

H20 

• . o, 

27 

100, 

27 

Le  proporzioni  molto  elevate  di  protossido  di  ferro  e di  magnesia 
corrispondono  al  carattere  petrografico  della  sovrabbondanza  del  pe- 
ridoto:  circa  a questo  qualora  si  consideri  come  mescolanza  dei  sili- 
cati isomorfi  di  Mg2Si04  (Forsterite)  e Fe2Si04  (Fayalite)  il  confronto 
tra  le  quantità  trovate  di  FeO  e di  MgO  accenna  alla  prevalenza  del 
silicato  di  ferro  a quello  di  magnesia  nella  di  lui  costituzione  e ciò 
corrisponde  con  la  varietà  giallo-verdastra  (olivina).  La  quantità  ele- 
vata dell’allumina  associata  a quella  del  protossido  di  ferro,  della  calce 
e della  magnesia,  è pure  in  relazione  con  la  massa  fondamentale  au- 
gitica  della  roccia.  Così  pure  la  proporzione  di  ossidi  alcalini  dimostra 
la  notevole  quantità  di  plagioclasio : d’altra  parte  l’anidride  titanica  in 
discreta  quantità  sta  a provare  la  presenza  effettiva  del  titanato  di 
ferro:  mentre  il  quantitativo  di  sesquiossido  di  ferro  va  d’accordo  con 
l’osservazione  petrografia  dell’esudato  ematitico  diffuso  nella  roccia, 
proveniente  da  un  principio  di  alterazione  da  questa  subito  specialmente 
nella  magnetite  e nella  olivina. 

Il  Campione  N.  18  rappresenta  dietro  ciò,  una  laoa  hasaltoide  mi- 
crogranitica, molto  ricca  in  peridoto  (olivina),  lieoemente  metamorfo- 
sata da  un  primo  grado  di  decomposizione.  Se  la  roccia  si  considera 
solo  macroscopicamente  si  potrebbe  anche  chiamare  un  peridotòjìro 
basaltico. 

Campione  N.  19. 

Caratteri  macroscopici  e fisici.  — Roccia  a fondo  di  color  bigio 
scuro  con  porosità  molto  aperte,  tanto  da  assumere  un  aspetto  quasi 
scoriaceo:  le  porosità  sono  rivestite  nella  loro  superfìcie  interna  da  uno 
strato  di  materia  rossiccia  ematitica  per  cui  presenta  un’apparenza  va- 
riegata. Nella  sua  superfìcie  fresca  di  frattura,  dà  nell’occhio  qualche  più 
o meno  grossa  segregazione  vetrosa  di  peridoto  (olivina).  È molto  te- 
nace, ha  frattura  irregolare:  presenta  forte  azione  sull’ago  calamitato 
con  manifesti  segni  di  polarità.  Dur.  6-6,5;  P.  sp.  2,  78. 


— 175  — 


**  ' 


Caratteri  microscopici  e petrografici.  — Con  un  ingrandimemento 
di  70  diam.  (ocul.  2+obbiett.  4 Hartn.)  mostra  un  impasto  quasi  nero  ed 
opaco  ove  sono  porfiricamente  disseminati:  1°  numerosi  granuli  di  olivina 
di  prima  consolidazione  con  qualche  contorno  angoloso  relativo  alla  sua 
originaria  forma  cristallina;  2°  numerosi  cristalli  prismatici  incolori  e 
trasparenti  di  plagioclasio;  3°  molte  lacune  a sezione  ellissoidale  che 
ripetono  microscopicamente  il  carattere  della  aperta  porosità  macrosco- 
pica. Ciascuna  lacuna  è rivestita  nel  suo  interno  da  uno  strato  rosso 
trasparente  ematitico:  ed  in  qualcuna  scorgonsi  annidati  dei  cristallini 
aghiformi  zeolitici  insolubili  negli  acidi,  che  hanno  l’apparenza  della 
natrolite.  Con  più  forte  ingrandimento  di  240  diam.  (ocul.  2 -f-  obbiet. 
7 Hartn.)  l’impasto  fondamentale  quasi  nero  e difficilmente  trasparente 
si  risolve  in  una  minuta  granulazione,  formata  da  granuli  bianchi  o di 
color  biondo  di  natura  augitica  e feldispatica  mescolati  a fitta  e minuta 
punteggiatura  nera,  opaca,  e in  qualche  punto  di  color  ruggine  scuro. 
La  punteggiatura  nera  è di  magnetite  intatta;  quella  di  color  ruggine 
è magnetite  che  ha  sofferto  alterazione.  La  magnetite  è molto  abbon- 
dante e si  rivela  anche  in  granuli  poliedrici  (cristallini  ottaedrici):  ed 
è a questa  che  deve  il  suo  color  nero  e la  opacità  la  massa  fondamen- 
tale della  roccia.  Talvolta  la  magnetite  si  vede  con  numerose  inclusio- 
ni trichitiche  nei  granuli  cristallini  di  olivina,  disposte  irregolarmente 
a guisa  di  serpiciattoli  che  attraversano  il  minerale  includente  in  tutte 
le  direzioni.  Spesso  invece  di  avere  apparenza  filamentosa  sono  anche 
dei  cristallini  ottaedrici  riuniti  a coroncina  formando  delle  serie  a curve 
irregolari. 

Caratteri  chimici.  — La  polvere  sottile  della  roccia  è di  color  bi- 
gio scuro  tendente  al  rossiccio  : non  è attaccata  dall’acido  nitrico,  nè  a 
freddo,  nè  a caldo.  Riscaldata  non  subisce  alcuna  perdita  di  peso,  nè  si 
fonde  al  calore  rosso.  L’analisi  ha  dato  la  seguente  composizione  : 


SiO2  48,  04 

P208  ........  0,  45 

TiO2 0,  00  (tracce  molto  sensibili) 

Al203  14,  62 

Fe203  9,  18 

FeO 11,  68 


— 176  - 


MnO  . . . 

. ...  1,  91 

CaO  .... 

. ...  7,  66 

MgO . . . . 

. ...  2,  17 

Na90.  . . . 

. ...  4,  00 

K*0  .... 

. ...  1,  28 

H2Q  .... 

. ...  0,  00 

100,  99 


I caratteri  petrografìci  della  roccia  hanno  già  dimostrato  che  questa 
si  avvicina  alla  precedente  N.  18  da  cui  differisce  più  specialmente  per 
contenere  una  maggior  quantità  di  magnetite  e di  plagiocasio,  mentre 
viceversa  sono  diminuite  le  quantità  di  augite  e di  olivina.  La  compo-; 
sizione  della  roccia  in  esame  dimostra  lo  stesso  fatto  ; giacché  in  pa-j 
ragone  alla  composizione  del  N.  18  vediamo  aumentata  sensibilmente 
la  quantità  del  ferro  nei  due  stati  di  ossidazione,  vediamo  aumentata 
la  quantità  di  alcali  e viceversa  diminuite  l’allumina  e la  magnesia.  No-  j 
tiamo  pure  una  notevole  quantità  del  Fe203  e ciò  è in  relazione  con  la 
ematizzazione  di  parte  del  FeO  della  magnetite  che  è passato  a rivestire 
con  uno  strato  rosso  o rosso  giallastro  le  porosità  e i vacui  della  roccia 
la  quale  nell’ insieme  dimostra  di  aver  sofferto  un  principio  di  altera-; 
zione.  Sorprende  però  che  essa  non  contenga  quantità  sensibile  di  ac- 
qua, tanto  più  che  nella  sua  tessitura  si  trova  qualche  rappresentante 
(quantunque  scarso  e in  forme  microscopiche)  di  minerale  zeolitico 
(natrolite). 

II  campione  N.  19  si  può  dunque  definire  come  una  lava  basaltoide 
parzialmente  alterata , minutamente  cellulare , a massa  fondamentale 
omogenea  criptocristallina  (augite,  plagioclasio,  magnetite)  con  disse- 
minazioni porfiriche  di  plagioclasio  e olivina  (dominante). 

Campione  N.  20. 

Caratteri  microscopici  e fisici.  — Roccia  minutamente  molto  porosa, 
formata  da  un  impasto  di  colore  rosso  tendente  al  nerastro  in  cui  si 
vedono  disseminati  dei  punti  o macchie  nere  dovuti  a cristalli  di  questo 
colore  in  via  di  decomposizione,  alcuno  dei  quali  però  con  piani  di  sfal- 
dature assai  lucenti.  Tali  cristalli  sono  in  generale  minuti,  ma  ve  n’è 
qualcuno  che  raggiunge  il  diametro  di  3 e anche  4 mill.  E dura  tenace 
e a frattura  irregolare:  ha  distinte  proprietà  magnetiche  e spiega  viva 


— 177  - 


azione  sull’ago  calamitato  con  manifesti  segni  di  polarità.  Dur.  6-6,5; 
P.  sp.  2,  74. 

Caratteri  microscopici  e petrograjici.  — Ridotta  in  lamine  molto 
sottili  e osservata  al  microscopio  presenta  una  massa  fondamentale 
rossa  semitrasparente  che  con  deboli  ingrandimenti  comparisce  com- 
pletamente omogenea,  mentre  con  i forti  incominciando  da  240  diam. 
(ocul.  2,  obiett.  7 Hartn.)  si  risolve  in  una  fìtta  e minuta  granulosità  di 
color  rosso  sbiadito.  Questa  massa  fondamentale  uniforme  è interrotta 
nella  sua  continuità  da  frequenti  lacune  a sezione  circolare,  ellittica  o 
in  forme  oblunghe,  irregolari,  corrispondenti  alle  porosità  della  roccia. 
Di  più  contiene  una  disseminazione  microporfìrica  piuttosto  scarsa  di 
cristallini  prismatici  diafani  e incolori  di  plagioclasio  a striatura  carat- 
teristica polisintetica  e di  segregazioni  di  olivina,  presso  a poco  nella 
medesima  proporzione  dei  primi.  In  mezzo  a ciò  riesce  caratteristica 
e spiccata  un’altra  disseminazione  (e  più  frequente)  micro  e macropor- 
fìrica  di  macchie  nerastre  a contorni  variabili  irregolari,  ma  spesso  an- 
golosi o rombici,  di  minuti  e grandi  cristalli  quasi  logorati,  vuotati  o 
rifusi  parzialmente  nella  massa.  Questi  cristalli  presentano  le  seguenti 
particolarità:  nella  loro  parte  più  vicina  al  centro  fanno  vedere  una 
materia  trasparente  quasi  incolora,  la  quale  è gremita  di  inclusioni  di 
magnetite  in  forma  di  aggregazioni  meandriformi  e la  stessa  magnetite 
costituisce  una  specie  di  orlo  o margine  nero  alle  sezioni  specialmente 
trasversali  esagone.  La  materia  trasparente  è pochissimo  o niente  pleo- 
croitica  per  quanto  è possibile  vedere  attraverso  le  fitte  inclusioni  di  ma- 
gnetite. Tra  i Nicol  incrociati  presenta  vivi  colori  di  interferenza:  ha 
piani  di  sfaldatura  alcuni  dei  quali,  nelle  sezioni,  oblique  all’asse  prin- 
cipale, si  incrociano  quasi  ad  angolo  retto  come  nell’augite,  però  nelle 
sezioni  normali  o parallele  all’asse  principale  di  cristallizzazione,  mi 
sembra  (senza  poterlo  accertare  per  la  imperfezione  dei  cristalli  in  via 
di  decomposizione)  che  le  inclinazioni  dei  piani  di  sfaldatura  siano  più 
vicini  a quelli  dell’orneblenda  che  a quelli  dell’augite  e pare  che  a questo 
riferimento  corrisponda  anche  l’angolo  di  estinsione.  Senza  dunque  po- 
terlo affermare,  credo  però  dal  complesso  dolle  osservazioni  che  questi 
cristalli  deformati  si  possano  riferire  ad  orneblenda,  arrotondati  e cor- 
rosi in  conseguenza  di  una  rifusione  parziale. 

Caratteri  chimici.  — La  polvere  è del  colore  rosso  scuro  della  roc- 


eia;  non  è quasi  attaccata  dall’acido  nitrico,  nè  a freddo  nè  a caldo. 
Esposta  al  calore  perde  del  suo  peso  eliminando  dell’acqua:  non  si  fonde 
alla  temperatura  del  calore  rosso.  La  sua  composizione  chimica  resulta 
come  segue: 


SiO2 49,  45 

P205 0,  16 

TiO2 trac,  molto  sens. 

A1205 13,  97 

Fe203  8,  10 

FeO 11,  17 

MnO 0,  85 

CaO 5,  92 

MgO 1,  90 

Na20 5,  05 

K20 1,  75 

H20 1,  19 


99,  51 


In  questi  resultati  dà  nell’occhio  la  piccola  proporzione  di  magnesia 
e quella  elevata  di  soda.  Dalla  piccola  quantità  di  magnesia  può  rica- 
varsi un  dato  in  conferma  del  giudizio  sulla  natura  dei  grossi  cristalli 
riferiti,  solo  con  probabilità,  all’orneblenda,  che  tra  i silicati  isomorfi, 
che  entrano  nella  sua  costituzione,  contiene  di  magnesia  assai  meno 
dell’augite.  Lo  eccesso  di  soda  può  stare  a dimostrare  insieme  alla  quan- 
tità di  allumina,  che  si  mantiene  elevata,  la  natura  molto  feldispatica 
della  magma  fondamentale  criptocristallino  della  roccia.  La  sovrabbon- 
danza dell’ossido  ferrico,  come  anche  la  presenza  dell’acqua  fanno  co- 
noscere il  grado  di  metamorfismo  della  roccia  la  cui  magnetite  (della 
quale  doveva  essere  ricchissima)  non  si  vede  intatta  che  nelle  inclusioni 
che  presentano  i cristalli  riferiti  all’orneblenda. 

Dietro  ciò  il  campione  N.  20  si  può  classificare  come  lava  basai - 
tolde  a massa  fondamentale  uniforme  microgranulitica , con  dissemina- 
zioni microporfiriche  di  plagioclasio , olivina , orneblenda  (dominante) 
e disseminazioni  macropor firiche  di  sola  orneblenda.  Sicché  conside- 
rata la  roccia  macroscopicamente  si  può  anche  chiamare  un y orneblenda- 
firo  basaltico , parzialmente  metamorfosato. 


— 179  — 


Campione  N.  21. 

Caratteri  macroscopici  e fisici.  — Roccia  a fondo  bigio  scuro  la 
cui  massa  è interrotta  da  numerose  cavità,  grandi  e minute,  rive- 
stite internamente  da  uno  strato  di  materia  limonitica  gialla  con  gra- 
dazioni fino  al  color  ruggine,  per  cui  assume  un  aspetto  variegato. 

La  massa  bigio  scura  è formata  da  un  impasto  che  ad  occhio 
nudo  comparisce  omogeneo,  afanitico.  Ha  frattura  irregolare,  è dura  e 
.tenace.  Non  ha  alcuna  azione  sull’ago  magnetico.  Dur.  6-6,5;  P.  sp.  2,79. 

Caratteri  microscopici  e petrografici.  — Col  solo  ingrandimento 
di  70  diam.  (ocul.  2,  obiett.  4 Hartn.)  presenta  su  di  una  massa  fonda- 
mentale  omogenea  nera  con  gradazioni  al  castagno  scuro,  disseminati 
abbondantemente  e porfiricamente  dei  cristalli  prismatici  allungati 
diafani,  senza  'olore,  trasparenti,  di  plagioclasio  con  striature  carat- 
teristiche della  loro  costituzione  polisintetica  : questi  sono  intimamente 
associati  ad  agglomerazioni  del  pari  abbondanti,  ma  di  forme  indeter- 
minate e confuse  di  augite,  insieme  a rari  granuli  di  olivina.  L’olivina 
comparisce  però  più  distinta  con  qualche  granulo  cristallino  più  grosso 
che  si  vede  isolatamente  incluso  nell’impasto  nero.  Questo  è oltre  a 
ciò  interrotto  da  piccoli  e grandi  lacune  o vacui  a superfìcie  interna 
rivestita  da  uno  strato  di  apparenza  limonitica  gialla  o ematitica  rossa 
che  tende  ad  infiltrarsi:  intorno  ad  essa  superfìcie  i suddetti  minerali 
segregati  presentano  talvolta  una  struttura  fìuidale.  L’impasto  nero 
osservato  con  forte  ingrandimento,  almeno  di  300  diam.,  si  vede  a 
(stento  formato  da  minutissime  granulazioni  di  colore  bruno,  mescolate  a 
granulazioni  nere  di  magnetite  che  talvolta  si  presenta  con  poligemi- 
nazioni  cristalline  in  forma  di  pettine  e di  reticolazioni.  La  magnetite 
(quantunque  scarsamente)  vedesi  sparsa  anche  tra  i cristalli  di  plagio- 
clasio e le  segregazioni  di  augite:  l’augite  non  presenta  pleocroismo 
distinto,  dà  però  vivi  colori  d’ interferenza. 

Caratteri  chimici.  — La  polvere  si  presenta  di  color  bigio  chiaro 
e resulta  da  predominanti  particelle  trasparenti  incolore  (plagioclasio) 
o verdognole  (augite),  mescolate  ad  altre  nere  ed  opache  e ad  altre, 
relativamente  poche,  di  colore  giallo  o rosso.  E leggiermente  attaccata 
dall’acido  nitrico  tanto  a freddo,  quanto  a caldo.  Esposta  al  calore 
perde  dell’  acqua  (1,  20  per  100)  ed  alla  temperatura  del  calore  rosso 
non  si  fonde.  L’analisi  chimica  ha  dato  : 


— 180  — 


SiO2 45,  30 

P*08 0,  25 

TiO2 0,  00  (traccie  molto  sens.) 

A1203  14,  90 

Fe205  10,  87 

FeO 8,  20 

MnO 0,  91 

CaO . . 6,  58 

MgO  . 3,  78 

Na20 5,  23 

K20 1,  77 

H20  . . . 1,  20 


98,  99  c 

Riflettendo  alle  quantità  di  calce,  magnesia,  allumina,  ferro  e alcali 
si  trova  dimostrata  chimicamente  la  prevalente  quantità  dei  polisilicati 
(plagioclasio  e augite)  e l’abbondanza  della  magnetite,  mentre  la  pro- 
porzione elevata  del  Fe203  e la  quantità  di  acqua  provano  che  la  roccia 
ha  subito  una  notevole  trasformazione. 

11  campione  N.  22  è dunque,  una  lava  basaltoide  cellulare  notevoli 
mente  metamorfosata ; a massa  fondamentale  uniforme  microgranulitica 
con  disseminazioni  micropor firiche  abbondanti  di  plagioclasio,  augite 
ed  olivina  (scarsissima). 

Campione  N.  22. 

Caratteri  microscopici  e fisici.  — Roccia  a fondo  di  color  bigio 
scuro  tendente  al  violaceo,  a tessitura  fìtta,  ma  interrotta  da  molte  cavità 
piuttosto  grandi,  irregolari  che  la  rendono  cavernosa.  Frattura  irre- 
golare. È dura  e tenace.  Presenta  una  sensibile  azione  sull’ago  magne- 
tico. Dur.  6-6,5;  P.  sp.  2,  76. 

Caratteri  microscopici  e petrografici.  — Mentre  l’aspetto  di  questa 
roccia  è differente  da  quello  della  precedente  N.  21,  pure  vi  somiglia 
molto  per  la  sua  tessitura  microscopica.  E un  impasto  fondamentale  nero 
o molto  scuro  quasi  opaco,  ove  sono  disseminati  quasi  uniformemente 
associazioni  cristalline  di  feldispato,  plagioclasio,  augite  e olivina.  I cri-1 
stalli  di  alcuni  di  tali  minerali  si  vedono  anche  isolati  e più  grandi.  La 
tessitura  della  parte  cristallina  della  roccia  è però  assai  più  fitta  del 


N.  21  e il  fondo  nero  scuro  di  essa  è alquanto  ristretto  rispetto  alla  se^ 
gregazione  cristallina,  tanto  che  si  può  dire  che  costituisca  un  passaggio 
dalla  struttura  microporfìrica  alla  struttura  microgranitica  delle  roccie 
basaltiche.  Il  fondo  nero  o scuro  resulta  prevalentemente  di  magnetite, 
con  materia  silicata  minutamente  granulare  la  quale  è colorata  in  giallo 
o rosso  di  ruggine  dalle  alterazioni  che  ha  subito  la  magnetite,  special- 
mente  sui  contorni  delle  lacune,  ovvero  in  corrispondenza  alla  superfìcie 
delle  cellule  e porosità  della  roccia. 

Caratteri  chimici.  — La  polvere  presenta  un  colore  bigio  tendente 
al  violaceo.  Al  microscopio  si  mostra  composta  di  frammenti  incolori  o 
leggermente  giallo-verdastri,  trasparenti,  mescolati  ad  altri  di  colore 
ruggine  o rosso,  insieme  a numerosi  frammenti  neri  ed  opachi:  è ap- 
pena attaccata  dall’acido  nitrico,  tanto  a freddo  che  a caldo.  Esposta 
al  calore,  sviluppa  il  0,  30  per  100  di  acqua:  al  calore  rosso  non  si  fonde. 
La  sua  composizione  chimica  è la  seguente: 

SiO4 
p*0» 

TiO2 
Al*Os 
Fe’O5 
FeO 
MnO 
CaO 
MgO 
Na40 
K20 
H*0 

99,  59 


47,  63 
0,  08 
0,  12 
15,  02 
8,  15 
10,  40 
0,  80 
6,  87 

3,  50 

4,  92 
1,  80 
0,  30 


Anche  per  la  composizione  chimica  somiglia  alla  lava  basaltica 
N.  21.  L’anidride  silicica  dei  silicati  è un  pò  cresciuta,  però  il  com- 
plesso del  ferro  è diminuito  per  minore  quantità  di  magnetite  in  para- 
gone alla  roccia  precedente  : circa  la  quale  la  minor  quantità  di  acqua 
e di  ossido  ferrico  dimostrano  anche  un  grado  inferiore  di  metamorfismo. 

Il  campione  N.  22  è dunque  una  lava  basaltoide  metamorfosata , a 

12 


- 182  - 


massa  fondamentale  uniforme  microgranulitica , interposta  in  un  tes- 
suto microgranitoide , formato  da  abbondanti  segregazioni  cristalline 
di  plagioclasio , augite  (dominanti)  e olivina . 

Campione  N.  23. 

Caratteri  microscopici  e fisici.  — Roccia  a fondo  color  bigio  scuro, 
picchiettato  di  bianco  e qua  e là  con  macchie  più  o meno  estese  di  colore 
ruggine  scuro.  È a tessitura  fitta,  a grana  finissima  con  aspetto  terroso, 
interrotta  da  radi  e piuttosto  grandi  vacui.  Frattura  irregolare.  È dura 
e tenace.  Ha  un’azione  assai  sensibile  sull’ago  calamitato.  Dur.  6 — 6,5; 
P.  sp.  2,93. 

Caratteri  microscopici  e petrografici.  — Le.  lamine  sottili  osservate 
con  un  debole  ingrandimento  di  25  a 30  diam.  fanno  vedere  una  massa 
fondamentale  apparentemente  omogenea,  quantunque  formata  da  un 
denso  feltro  criptocristallino,  bigio  scuro,  con  chiazze  qua  e là  di 
colore  ruggine. 

In  questa  sono  disseminati  porfiricamente  dei  gruppetti  di  cristalli 
o dei  cristalli  semplici,  incolori,  trasparenti;  alcuni  dei  quali  informa 
di  prismi  allungati,  altri  in  forme  cristalline  confuse  e compenetrantisi 
reciprocamente.  I cristalli  prismatici  appartengono  al  feldispato  plagio- 
clasio : le  forme  cristalline  confuse  appartengono  in  parte  maggiore  al- 
l’augite  ed  in  parte  minore  alla  olivina.  La  massa  fondamentale  che 
comparisce,  come  ho  detto,  come  un  denso  feltro  criptocristallino  omo- 
geneo, se  si  osserva  con  un  ingrandimento  di  250  diam;  (ocul.  7,  obiett. 
2 Hart.)  si  risolve  in  un  ammasso  di  granulazioni  o forme  cristalline 
rudimentali  di  augite  di  color  verdiccio  chiaro,  senza  pleocroismo  e quasi 
senza  colori  di  polarizzazione,  dominante  e intimamente  associato  a cri- 
stalli microlitici  (ma  decisamente  prismatici)  di  plagioclasio,  tra  i quali 
non  manca  (quantunque  scarsamente  rappresentata)  la  olivina  in  forma 
di  granuli.  In  mezzo  al  tessuto  di  questi  elementi  mineralogici,  vedesi 
disseminata  non  omogeneamente,  ma  in  aggregazioni  lineari  che  assu- 
mono l’aspetto  o dentritico  o di  ramificazioni  arborescenti,  la  magnetite 
in  granuli  cristallini,  come  se  questi  dotati  di  libero  movimento  nel  ma- 
gma primitivo  della  roccia,  si  fossero  riuniti  per  mezzo  di  attrazioni 
polari  in  modo  da  formare  delle  serie  allungate.  In  una  parola  la  ma- 
gnetite nelle  preparazioni  sottili  della  roccia,  presenta  la  stessa  dispo- 
sizione che  si  può  ottenere  artificialmente  allorquando  alla  superficie 


— 183  — 

di  un  preparato  microscopico  di  magnetite  inclusa  nel  balsamo  del  Ca- 
nada ancora  fluido,  si  fa  scorrere  una  sbarretta  calamitata.  Tanto  l’augi- 
te  quanto  la  olivina  sono  qua  e là  nella  massa  parzialmente  decomposte, 
per  cui  mentre  da  una  parte  l’augite  ha  preso  qua  e là  un  colore  rug- 
gine per  la  sopraossidazione  del  ferro;  dall’altra  per  la  stessa  ragione 
l’olivina  presenta  i cristalli  rivestiti  e compenetrati  nelle  screpolature 
di  un  velo  rosso  ematitico.  Ciò  da  ragione  delle  macchie  di  colore  rug- 
gine che  interrompono  la  uniformità  della  tinta  bigia  scura  che  ha  la 
massa  fondamentale. 

Caratteri  chimici.  — La  polvere  fina  della  roccia  presenta  un  co- 
lor bigio  chiaro  ed  è formata  da  particelle  vetrigne  trasparenti  o senza 
colore  o di  color  verdiccio  chiaro,  mescolate  ad  altre  di  colore  ruggine 
o nere. 

E quasi  inattaccabile  dall’acido  nitrico  tanto  a freddo  che  a caldo. 
Esposta  al  calore  perde  poca  quantità  di  acqua:  al  calore  rosso  non 
si  fonde.  L’analisi  ha  dato  la  seguente  composizione  chimica: 


SiO4 47,  61 

P205  0,  00  traccie  molto  sens. 

TiO4 0,  39 

ALO3 16,  09 

Fe403 7,  00 

FeO 10,  60 

MnO 1,  72 

CaO 8,  15 

MgO 3,  10 

Na40 2,  98 

K40 1,  15 

H40 0,  70 


99,  49 

Questa  composizione  chimica  della  roccia  conferma  il  carattere  pe- 
trografie© della  predominanza  dell’augite  sugli  altri  componenti  mine- 
ralogici: conferma  la  parziale  trasformazione  della  roccia  stessa,  spe- 
cialmente per  la  sopraossidazione  del  ferro  della  magnetite. 

Il  campione  dunque  N.  23  rappresenta  una  lava  basaltoide  con  prin- 


— 184  — 


cipio  di  metamorfismo : a massa  fondamentale  criptocristallina , disse- 
minata porfiricamente  di  segregazioni  di  plagioclasio,  di  augite  (do- 
minante) di  magnetite  e di  olivina. 

CATEGORIA  SECONDA. 

Basalti. 

In  questa  categoria  comprendo  le  roccie  compatte,  pesanti,  ricche 
di  magnetite  in  una  massa  fondamentale  silicata  con  o senza  segre- 
gazioni distinte  di  feldispato  e di  augite  e contenente  olivina.  Ciò  non 
corrisponde  del  tutto  alla  definizione  dei  basalti  detti  feldispatici  da 
Zirkel  1 o ai  basalti  definiti  come  roccie  essenzialmente  plagioclasico- 
augitiche  con  olivina  da  Rosenbusch2.  Ma  sono  obbligato  a non  stare 
strettamente  nei  limiti  dei  caratteri  imposti  ai  basalti  da  questi  illu- 
stri petrografì,  perchè  dovrei  smembrare  da  questa  categoria  alcune 
roccie  che  non  vi  corrispondono  esattamente,  mentre  hanno  tutto  il  tipo 
di  veri  basalti,  come  può  giudicarsi  dalle  descrizioni  che  seguono. 

Campione  N.  24. 

Caratteri  macroscopici  e fisici.  — Roccia  di  colore  nero  o quasi 
nero  con  rare  punteggiature  di  lucentezza  vitrea  e colore  di  miele; 
compattissima;  a frattura  concoide  o subconcoide,  riducendosi  a scaglie 
con  spigoli  vivi.  E dura,  tenace  e pesante.  Spiega  una  debole  azione 
sull’ago  magnetico.  Dur:  6-6,5;  P.  sp.  3,01. 

Caratteri  microscopici  e petrografici.  — Una  sezione  sottile  di 
questa  roccia  osservata  con  ingrandimento  di  27  diam.  si  vede  quasi 
opaca  e non  mostra  che  un  campo  nero  omogeneo;  la  preparazione 
presenta  quà  e là  dei  rari  punti  di  aspetto  vitreo  e generalmente  di 
segregazioni  cristalline,  di  color  giallastro,  a superfìcie  ruvida  e con 
vivi  colori  d’interferenza  caratteristici  dell’olivina.  Raggiungono  dimen- 
sioni talvolta  notevoli,  tanto  da  esser  visibili  anche  ad  occhio  nudo  e 
talvolta  si  presentano  compenetrati  dello  stesso  magma  fondamentale 
della  roccia  che  sotto  vengo  a descrivere.  Oltre  a ciò  con  un  più  forte 
ingrandimento  si  osservano  spars^  altre  più  rare,  generalmente  micro- 
scopiche, segregazioni  cristalline  incolore  e trasparenti  che  tra  i Nicol 
incrociati  presentano  la  striatura  polisintetica  e i caratteri  ottici  spe- 


* Zirkel,  op.  cit. 

2 Rosenbusch,  op.  cit. 


— 185  — 


ciati  del  plagioclasio.  Fuori  delle  dette  segregazioni  le  lamine  sottili 
per  quanto  ridotte  esilissime,  non  raggiungono  altro  che  un  debole  grado 
di  trasparenza  e non  vi  si  scorge  che  una  massa  fondamentale  silicata, 
assolutamente  omogenea,  senza  colore,  che  alla  luce  polarizzata  non  si 
estingue  completamente,  ma  presenta  una  debole  luce  generale,  oltre  a 
numerosi  punti  che  compariscono  luminosi.  È piena  zeppa  di  minutis- 
simi granuli  di  magnetite  pulverulenta,  i quali  sono  talmente  fitti  che 
danno  alla  massa  un  aspetto  nero  ed  opaco.  La  magnetite  in  tale  stato 
non  è distribuita  però  uniformemente  giacché  in  certi  punti  è anche  più 
addensata,  in  modo  da  far  comparire  delle  chiazze  più  scure  o asso- 
lutamente nere  in  mezzo  ad  un  campo  che  ha  un  debole  grado  di  tra- 
sparenza. La  compattezza  di  questa  roccia  è,  direi  assoluta,  giacché  non 
vi  si  osserva  nemmeno  al  microscopio  la  più  piccola  porosità.  In  una 
roccia  di  struttura  così  compatta,  ho  trovato  la  proprietà  singolare  ; che 
mentre  se  ne  fanno  le  preparazioni  in  lamine  sottili  e queste  si  com- 
primono anche  leggermente  per  includerle  nel  balsamo  tra  le  due  la- 
strine di  vetro,  esse  non  resistono  alla  pressione  e si  rompono  in  modo 
per  lo  più  regolare  e con  linee  di  sfaldatura  che  seguono  una  legge 
geometrica,  dividendosi  più  facilmente  nella  direzione  di  due  piani  che 
fanno  tra  di  loro  un  angolo  di  105°  che  corrisponde  a quello  del  rom- 
boedro della  calcite.  Questo  fatto  presentato  dalla  intima  struttura  di 
una  roccia  così  compatta  ed  omogenea  è molto  interessante  e sommi- 
nistra un  esempio  meritevole  di  speciale  attenzione  nello  studio  sul  fe- 
nomeno naturale  complesso,  relativo  allo  pseudomorfìsmo  o divisione 
poliedrica  delle  roccie  di  origine  vulcanica. 

Caratteri  chimici.  — La  polvere  fina  è di  color  bigio  scuro:  non 
è attaccata  quasi  affatto  dagli  acidi,  tanto  a freddo  quanto  a caldo  ope- 
rando in  un  tubo  aperto  e nel  modo  ordinario.  L’analisi  chimica  ha  dato 
la  seguente  composizione: 

SiO2 48,  82 

P208  0,  00  (traccia  molto  sens.) 

TiO2  . ^ 1,  16 

A1205 15,  22 

Fe203 5,  72 

FeO  . 9,  65 

MnO 0.  67 


— 186  — 


CaO 

.....  10, 

40 

MgO 

4, 

55 

Na20 

2, 

10 

K20 

0, 

90 

H20 

0, 

00 

99, 

19 

La  mancanza  di  acqua  dimostra  come  questo  tipo  di  roccia  non 
abbia  subito  alcuna  alterazione;  mentre  la  relativamente  notevole  quan- 
tità di  Fe203  dipende  dall’abbondanza  della  magnetite.  D’altra  parte  il 
complesso  generale  della  composizione  chimica  sta  a provare  che  quan- 
tunque povera  di  segregazioni  cristalline  è molto  simile  alle  roccie  dello 
stesso  giacimento,  ricche  di  segregazioni  di  plagioclasio  e di  augite.  Il 
campione  N.  24  è da  ritenersi  come  un  basalto  afanitico  a base  fon- 
damentale silicata,  omogenea , ricca  di  magnetite  pulverulenta,  oltre  la 
quale  non  presenta  che  rare  segregazioni  micro cristalline  di  plagio- 
clasio ed  altre  (anche  macroscopiche)  di  olivina.  A questa  roccia  che 
è un  basalto,  mentre  quasi  manca  delle  segregazioni  dei  minerali  rite- 
nuti fin’ora  come  essenziali  e dominanti  nei  basalti  ed  ha  un  insieme 
di  caratteri  petrografici  e fisici  da  non  trovare  riscontro  in  nessun’ al- 
tro tipo  di  basalto  comune,  io  assegno,  tanto  per  metterla  in  evidenza, 
il  nome  di  Kilaueite , nome  che  al  tempo  stesso  sta  a dichiarare  la  sua 
provenienza. 

Campione  N.  25. 

Caratteri  macroscopici  e fisici.  — Roccia  compatta  a grana  finis- 
sima di  colore  bigio  verdognolo  piuttosto  chiaro:  sul  fondo  omogeneo 
si  vedono  porfiricamente  disseminate,  ma  senza  uniformità  delle  minute 
e grandi  concentrazioni  di  materia  vitrea  di  aspetto  nero.  Ha  frattura 
irregolare.  È dura,  tenace  e pesante.  Non  ha  nessuna  azione  sull’ago 
calamitato.  Dur.  6-6,5;  P.  sp.  2,99. 

Caratteri  microscopici  e petrografici.  — * Con  un  ingrandimento  di 
250  diam.  (ocul.  7,  obiett.  2 Hart.)  presenta  una  base  fondamentale  ve- 
trosa in  gran  parte  devetrificata  con  la  comparsa  di  un  tessuto  minu- 
tamente cristallino,  formato  da  cristalli  un  po’  arrotondati  di  augite  di 
color  verdognolo  chiaro  e a vive  colorazioni  d’ interferenza:  a queste 
sono  graniticamente  associati  dei  cristalli  prismatici  incolori,  di  feldispato 


— 187  — 

plagioclasio,  con  strie  di  geminazioni  caratteristiche,  i quali  presentano 
in  generale  delle  dimensioni  maggiori  a quelle  dei  cristalli  di  augite.  1 
prismi  allungati  di  plagioclasio  sembra  che  abbiano  avuto  origine  da 
molti  centri  di  cristallizzazione,  per  cui  danno  all’insieme  del  tessuto 
microcristallino  della  roccia  un  carattere  di  struttura  radiata.  In  mezzo 
a questo  tessuto  microcristallino  si  vedono  rare  segregazioni  di  olivina  a 
contorni  generalmente  angolosi,  proprj  della  sua  cristallizzazione:  e co- 
me accessorj  compariscono  in  forma  di  lamine  lunghe,  a contorni  si- 
nuosi, il  ferro  titanato  insieme  a qualche  granulo  sparso  qua  e la  di 
magnetite.  Tali  caratteri  petrografici  sono  accompagnati  dal  fatto  che 
la  base  fondamentale  vetrosa  isotropa,  di  color  castagno  oltre  a vedersi 
diffusa  generalmente  ed  infiltrata  nel  tessuto  microcristallino,  si  pre- 
senta qua  e là  disseminata  sotto  forma  di  concentrazioni  microscopiche 
e macroscopiche  subsferiche  che  nelle  sezioni  compariscono  a guisa  di 
aree  rotondeggianti. 

Sui  limiti  delle  concentrazioni  vetrose  si  vedono  dei  cristalli  di  au- 
gite e di  plagioclasio  più  sviluppati  ed  in  forme  nitide  come  più  liberi 
di  crescere,  rivolgendo  il  loro  asse  maggiore  verso  il  centro  del  magma 
vitreo  subsferico  : anche  in  mezzo  al  vetro  si  osserva  notante  qualche 
nitido  cristallo  isolato  dei  medesimi  minerali  in  forme  ben  riconoscibili. 

Caratteri  chimici.  — La  polvere  fina  presenta  lo  stesso  color  della 
roccia,  ma  più  chiaro  : non  è quasi  attaccata  dagli  acidi  tanto  a freddo 
quanto  a caldo.  Esposta  al  calore  non  perde  nulla  di  peso  e vicina  al 
calore  rosso  principia  a fondere. 

L’analisi  chimica  ha  dato  la  seguente  composizione: 


SiO*  .... 

. ' . . . .48, 

71 

P205  .... 

. .....  0, 

00 

(traccie  sensibili) 

TiO*  . . . . 

1, 

81 

AFO3  .... 

18, 

87 

Fe203  .... 

3, 

18 

FeO.  . . . . 

8, 

00 

MnO  .... 

0, 

00 

(id.  molto  sens.) 

CaO  .... 

9, 

87 

MgO  .... 

4, 

85 

Na’O  .... 

4, 

15 

K20 

H20 


— 188 


1,  52 

0,  00 


100,  96 

Il  non  contenere  alcuna  quantità  di  acqua  è un  fatto  che  dimostra 
che  la  roccia  non  ha  subito  sensibile  alterazione.  La  relativa  scarsità 
del  ferro  prova  chimicamente  la  scarsità  in  cui  trovasi  la  magnetite, 
mentre  tutto  Y insieme  della  composizione  corrisponde  al  carattere  pe- 
trografico  dell’augite  e del  plagioclasio.  Si  può  ritenere  questa  roccia 
come  un  passaggio  tra  i basalti  e le  andesiti  dalle  quali  si  stacca  solo 
per  contenere  dell’olivina  (quantunque  in  scarsa  quantità)  e per  un  carat- 
tere di  basicità  maggiore,  al  quale  però  per  le  ragioni  che  dirò  qui 
appresso  non  mi  sembra  che  si  debba  dare  una  importanza  assoluta. 

Il  campione  N.  25  è da  ritenersi  come  un  basalto  a struttura  mi- 
crogranitica., poverissimo  di  magnetite  e a magma  fondamentale  vitreo. 

CATEGORIA  TERZA. 

ANDESITI  AUGITICHE. 

Limiti  assoluti  di  demarcazione  che  separino  i basalti  dalle  andesiti 
augitiche  non  vi  sono.  Si  è detto  da  Rosenbusch  1 che  sono  da  classi- 
ficarsi tra  le  andesiti  le  roccie  plagioclasiche  senza  olivina.  Frattanto 
è provato  che  vi  possono  essere  basalti  non  contenenti  olivina.  Anche 
in  un  recente  interessante  lavoro  petrografìco  fatto  dal  Dott.  L.  Bucca2, 
questi  per  fondati  criteri  ha  dovuto  comprendere  tra  i basalti  anche 
delle  roccie  plagioclasiche  e augitiche  senza  olivina.  Secondo  Leopoldo 
von  Buch  (che  per  il  primo  distinse  tra  le  roccie  vulcaniche  il  gruppo 
delle  andesiti)  le  andesiti  vanno  separate  dai  basalti  non  solo  per  la 
presenza  del  plagioclasio  invece  del  sanidino,  ma  anche  per  il  loro 
aspetto  trachitico.  Finalmente  è stato  detto  che  sotto  il  criterio  chimico 
si  dovrebbero  ritenere  le  andesiti  come  caratterizzate  da  una  quantità 
di  anidride  silicica  intermedia  tra  le  roccie  acide  (trachiti)  e le  roccie 
basiche  (basalti).  In  conclusione  s’è  ritenuto  che  le  andesiti  augitiche 

1 Rosenbusch,  op.  cit.  pag.  407. 

2 L.  BUCCA,  Il  monte  di  Roccamonfìna  (Boll.  Comit.  geol.,  1886,  fase.  7-8,  pa- 
gina 249  e 252). 


— 189  - 


(equivalenti  recenti  delle  antiche  diabasi  non  peridotifere)  mentre  hanno 
un  aspetto  trachitico,  raggiungono  in  media  la  sola  quantità  del  57  per 
100  di  anidride  silicica.  Ma  nello  studio  delle  roccie  di  varie  provenienze, 
qualunque  sia  la  fonte  dei  caratteri  distintivi,  questi  presentano  tali 
gradazioni  e sfumature  da  dovere  ritenere  che  nessuno  ha  realmente 
un’assoluta  importanza  nella  distinzione.  Sicché  per  fare  delle  distinzioni 
bisogna  prendere  di  mira  il  complesso  dei  caratteri  generali  della  roccia, 
cioè  il  suo  modo  di  presentarsi.  Io  infatti  ho  riferito  a questa  categoria, 
delle  andesiti,  due  tipi  di  roccie  che  indipendentemente  dal  carattere 
di  non  contenere  olivina  e dal  loro  carattere  trachitico,  mi  hanno  pre- 
sentato un  aspetto  generale  sui  generis  da  doverli  anche  prima  di 
sottoporli  allo  studio,  avvicinare  tra  loro  e separarli  dai  basaltoidi  e 
dai  basalti:  quantunque  sieno  come  dimostrerò  con  questi  in  stretta 
parentela  per  la  loro  basicità.  I due  tipi  di  roccia  a cui  mi  riferisco 
sono  rappresentati  dai  due  campioni  che  seguono. 

Campione  N.  26. 

Caratteri  macroscopici  e fisici.  — Roccia  compatta  a fondo  di  color 
croceo  scuro,  picchiettato  di  bianco  e con  macchie  di  color  giallo  limo- 
nitico,  presenta  superficie  di  frattura  irregolare,  ruvida  al  tatto  e di 
aspetto  minutamente  cristallino  quasi  saccaroide.  Non  ha  alcuna  azione 
sull’  ago  magnetico.  È dura,  tenace  e pesante,  mentre  ha  1’  aspetto  di 
roccia  alterata.  Dur.  6-6,5;  P.  sp.  3,03. 

Caratteri  microscopici  e petrografici.  ■ — Una  lamina  sottile  della 
roccia  con  ingrandimento  di  27  diam.  fa  vedere  su  di  un  fondo  oscuro 
poco  trasparente  di  color  castagno  più  o meno  intenso  con  qualche  punto 
di  colore  rosso  giallastro,  una  disseminazione  granitica  di  cristalli 
prismatici  di  plagioclasio,  associati  a segregazioni  cristalline  di  augite 
ed  a piccole  masse  globuliformi  incolore  e leggermente  opaline  che  a 
prima  giunta  si  direbbero  di  un  peridoto  perfettamente  incoloro.  Per 
vedere  però  meglio  la  composizione  petrografia  della  roccia  è neces- 
sario ricorrere  ad  un  ingrandimento  più  forte,  per  es.  di  250  diam. 
(ocul.  2,  obiett.  7 Hartn.).  L’  augite  di  color  verdognolo  si  può  dire  domi- 
nante, presenta  mediocre  pleocroismo  e colori  assai  vivi  d’interferenza. 
I cristalli  prismatici  di  feldispato  mostrano  sotto  i Nicol  incrociati  oltre 
a vivi  colori  d’ interferenza  spesso  in  tutta  la  lunghezza  o parzialmente 
la  striatura  caratteristica  della  loro  geminazione  polisintetica.  Le  masse 


— 190 


globuliformi  che  si  vedono  disseminate  in  mezzo  al  plagioclasio  ed 
all’augite  e che  a prima  vista  risvegliano  l’ idea  di  una  olivina  bianca 
presentano  realmente  come  questa  la  superficie  delle  sezioni  con  il 
carattere  di  ruvidità;  ma  sotto  i Nicol  incrociati  in  parte  si  estinguono, 
in  parte  mantengono  solo  un  debole  grado  di  luminosità,  in  parte  si 
presentano  perfettamente  luminose:  in  questo  caso  non  comparisce 
alcun  colore  d’ interferenza.  Sono  formate  dunque  da  una  materia  dura 
che  ha  rispetto  alla  luce  proprietà  isotrope  ed  anisotrope.  Per  questo 
carattere  ottico  si  avvicina  al  caolino,  al  leucite,  all’analcime;  per  il 
carattere  della  durezza  potrebbe  essere  opale,  ma  per  Y insieme  dei 
caratteri  e del  modo  di  presentarsi  non  corrisponde  nè  all’uno  nè 
all’altro;  nè  mi  si  presenta  alcun  minerale  tra  quelli  comuni  nelle  roccie 
a cui  io  lo  possa  riferire.  Mi  riserbo  quindi  di  intraprendere  uno  studio 
speciale  di  questo  minerale  per  farne  conoscere  i resultati  in  altra  occa- 
sione. Frattanto  però  a quello  che  ho  detto  aggiungo  che  le  masse  glo- 
buliformi di  cui  è parola,  sono  inattaccabili  dagli  acidi  e mostrano  nel 
loro  interno  delle  inclusioni  in  forma  sferica  od  ovoide  in  mezzo  alle 
quali  vedesi  spesso  ben  distinta  una  bolla  gassosa  la  quale  non  ho 
visto  muovere,  nè  crescere  di  volume  sotto  l’ influenza  "del  calore  il  che 
mi  fa  ritenere  che  la  sostanza  includente  la  bolla  non  sia  di  materia 
liquida,  ma  piuttosto  rappresenti  un  residuo  del  magma  vitreo  primitivo 
della  roccia.  Nello  interno  delle  segregazioni  cristalline  di  augite  che 
si  presentano  confuse,  vedonsi  talvolta  inclusi  numerosi  microliti  e 
anche  dei  niditi  cristallini  prismatici  macrolitici  di  plagioclasio;  fatto 
che  serve  di  prova  alla  prima  consolidazione  del  feldispato  delle  roccie 
per  il  maggior  grado  di  fusibilità  dell’augite  rispetto  al  plagioclasio.  La 
prima  consolidazione  del  plagioclasio  dà  alla  roccia  il  carattere  petro- 
grafico  che  i cristalli  di  plagioclasio  formano  quasi  l’orditura  del  tessuto 
cristallino,  le  cui  maglie  sono  riempite  di  augite,  senza  forme  poliedriche 
distinte,  ma  piuttosto  a segregazioni  geometricamente  amorfe,  traver- 
sate da  screpolature  e da  solchi  in  direzioni  molto  irregolari.  Manca 
nella  roccia  la  presenza  dell’olivina  e della  magnetite  la  quale  ultima 
non  ho  potuto  scorgere  in  nessuna  condizione  nemmeno  pulverulenta. 
Invece  vedonsi  distintamente  delle  segregazioni  nere  opache  che  hanno 
tutto  l’aspetto  del  ferro  titanato;  specialmente  queste  si  vedono  nella 
superficie  di  contatto  tra  l’augite  e il  plagioclasio;  dove  comparisce 


— 191  — 


infiltrato  e diffuso  un  esudato  di  colore  ruggine  o ematitico  che  in  qualche 
minuta  porosità  della  roccia  si  osserva  condensato  anche  sotto  forma 
di  particelle  granulose. 

Potrebbe  darsi  che  quest’esudato  provenisse  dalla  trasformazione 
completa  di  una  scarsa  quantità  di  magnetite,  appartenenente  in  ori- 
gine alla  roccia;  ma  io  sono  piuttosto  di  parere  che  esso  provenga 
da  un  principio  di  alterazione  che  hanno  subito  l’augite  e il  plagioclasio 
nella  loro  superficie  di  contatto,  ovvero  dall’alterazione  di  qualche 
piccolo  residuo  di  magma  vitreo  primitivo. 

Caratteri  chimici.  — La  roccia  da  una  minuta  polvere  di  color 
bigio  chiaro  tendente  al  giallastro,  quasi  color  di  cece,  è appena  attac- 
cata dall’acido  nitrico,  tanto  a freddo  che  a caldo.  Scaldata  perde  di 
peso  per  poca  acqua  che  sviluppa:  al  calore  rosso  non  presenta  prin- 
cipio di  fusione.  Dall’analisi  è risultata  la  seguente  composizione: 


SiO2 50,  16 

P205  0,  00  (traccie  sensibili) 

TiO2 0,  00  id.  id. 

A1203 17,  97 

Fe203  2,  23 

Fe20 . . 6,  25 

MnO 0,  30 

CaO ...  11,  85 

MgO 4,  70 

Na20  . . . 3,  50 

K20 2,  80 

H20 0,  90 


100,  66 

La  quantità  di  SiCP  ossia  la  basicità  della  ròccia  dimostra  che  il 
minerale  indeterminato  non  può  essere  opale:  le  quantità  di  sesquios- 
sido  di  ferro  e di  acqua  che  vi  si  trovano  dimostrano  che  la  roccia  è 
alterata;  mentre  la  proporzione  superiore  di  potassa  accenna  alla  esi- 
stenza probabile  in  essa  di  qualche  mescolanza  feldispatica  di  ortoclasio 
col  plagioclasio  che  tanto  vi  abbonda.  Essendo  la  roccia  a struttura 


192  — 


microcristallina  non  è possibile  di  isolare  e di  studiare  separatamente 
con  analisi  chimica  gli  elementi  mineralogici:  è quindi  anche  impos- 
sibile la  determinazione  esatta- incontestabile  delle  varietà  di  feldispato 
che  vi  possono  comparire,  ma  nulla  si  oppone,  specialmente  nelle  roccie 
vulcaniche,  alla  possibilità  della  esistenza  di  miscugli  feldispatiei. 

Riassumendo  lo  studio  fatto  sul  campione  N.  26  si  può  dire  che  questo 
rappresenti  un  andesite  augitiea  molto  basica,  con  abbondanza  di 
plagioclasio , mancante  di  magnetite , a struttura  micro granitica;  par- 
zialmente metamorfosata. 

Campione  N.  27. 

Caratteri  macroscopici  e fisici.  — Roccia  minutamente  porosa  a 
struttura  granuloso-cristallina,  a fondo  di  color  bigio  rossastro  scuro, 
asperso  di  numerose  punteggiature  bianche  cristalline.  Frattura  granu- 
losa, ruvida  al  tatto,  tenace,  ha  una  debole  azione  sulbago  calamitato. 
Dur.  6-6,5;  P.  sp.  2,  85. 

Caratteri  microscopici  e petrografici.  — Con  debole  ingrandimento 
presenta  su  di  un  fondo  color  castagno  molto  scuro  quasi  nero,  diffi- 
cilmente trasparente,  disseminate  in  associazione  granitica  delle  masse 
cristalline  trasparenti  compenetrate  tra  loro,  di  plagioclasio  incolore  e 
di  augite  verde  chiaro. 

Con  forte  ingrandimento  di  220  a 300  diam.  nel  fondo  quasi  nero  e 
quasi  opaco  si  arriva  in  qualche  punto  a scorgervi  un  ammasso  di  parti- 
celle  di  color  biondo,  mescolate  ad  una  congerie  di  minutissimi  granuli 
di  magnetite  talmente  fìtti  che  tale  massa  fondamentale  si  direbbe  quasi 
costituita  da  chiazze  di  magnetite  compatta.  Questa  in  parte  decomposta 
vedesi  sui  bordi  delle  chiazze  stesse  circondata  da  sfumature  di  colore 
rosso  ematitico;  le  quali  oltre  a ciò  si  presentano  come  infiltrazioni  gene- 
rali attraverso  la  parte  cristallina  microgranitica  della  roccia.  Non  vi  ho 
potuto  distinguere  alcun  granulo  di  olivina. 

Caratteri  chimici.  — Polverizzata  minutamente  conserva  il  color  bi- 
gio rossastro  proprio  della  roccia  in  massa,  ma  più  sbiadito.  La  pol- 
vere al  microscopio  si  presenta  composta  di  una  mescolanza  di  fram- 
menti trasparenti  e a frattura  vetrosa,  bianchi  e verdognoli  insieme  a 
numerose  particelle  nere  opache  ed  altre  di  colore  rosso  vivo  o di  color 
castagno.  Le  particelle  nere  sono  attraibili  dalla  calamita.  La  polvere 
al  calore  subisce  leggiera  perdita  per  piccola  quantità  di  acqua  che  esala. 


— 193 


È appena  sensibilmente  attaccata  dagli  acidi  che  sciolgono  un  poco  di 
ferro:  al  calore  rosso  incipiente  comincia  a fondersi.  L’analisi  ha  dato: 


SiO2 

....  48, 

65 

P208 

0, 

00  (traccie  molto  sens.) 

TiO2 

....  0, 

36 

A1203  . . . . 

....  16, 

47 

Fe203  . . . . 

....  8, 

90 

FeO  . . . . 

....  7, 

70 

MnO  . . . . 

0, 

99 

CaO  . . . 

7, 

60 

MgO  . . . , 

. . . . , 3, 

20 

Na’O  ) 

....  5, 

00 

K20  1 ’ * * * 

H20  . . . . 

....  0, 

28 

99,  15 

La  quantità  di  ferro  comparisce  relativamente  maggiore  a quella 
delle  lave  precedenti  per  l’abbondante  magnetite  che  in  gran  parte  es- 
sendo ematitizzata,  dà  origine  alla  prevalenza  del  F203  al  FeO. 

Sicché  in  conclusione  si  può  ritenere  che  il  campione  N.  27  è una 
andesite  augitiea  molto  basica  con  abbondante  plagioelasio  e magne- 
tite; a struttura  micro granitica  e parzialmente  metamorfosata. 

CONCLUSIONE. 

Nel  mettere  in  rilievo  i fatti  più  notevoli  che  derivano  dallo  studio 
intrapreso  sulle  lave  moderne  ed  antiche  del  Kilauea,  riassumo  nel 
seguente  prospetto  i risultati  chimico-fìsici  ottenuti  da  ciascun  campione. 


(V.  Prospetto  alla  pagina  seguente). 


— 194  — 


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Le  lave  del  Kilauea  rappresentano  tutte  delle  varietà  di  roccie 
sul  tipo  basaltico-feldispatico  ovvero  sul  tipo  andesite-augitico  non 
contenendo  nè  leucite  e nemmeno  nefelina. 

Considerate  sotto  il  punto  di  vista  della  loro  struttura  macroscopica 
si  può  dire  che  nell’essere  compatte  o porose,  nessuna  presenta  i ca- 
ratteri delle  vere  doleriti  perchè  sono  generalmente  microcristalline, 
cioè  con  la  struttura  delle  anamesiti;  qualcuna  è criptocristallina  o 
afanitica  con  la  struttura  delle  basaltiti.  Solo  in  rari  casi  hanno  pre- 
sentato delle  disseminazioni  cristalline  di  olivina  ed  orneblenda,  in  dimen- 
sioni macroscopiche.  Per  tali  ragioni  non  ho  potuto  corredare  queste 
ricerche  come  avrei  desiderato  con  l’analisi  immediata  delle  roccie, 
applicando  i metodi  del  Thoulet  e di  altri:  analisi  tanto  utile  quando  è 
possibile  applicarla  per  conoscere  con  approssimazione  il  rapporto 
quantitativo  tra  i varj  componenti  mineralogici.  Sotto  il  riguardo  dei 
caratteri  fisici , tranne  poche  che  sono  in  uno  stato  di  decomposizione 
molto  profonda,  sono  del  resto  molto  dure  e pesanti  e quelle  più  o 
meno  ricche  di  magnetite,  non  decomposta,  godono  di  proprietà  magne- 
tiche più  o meno  pronunziate  e alcune  anche  con  distinta  polarità. 

Lo  studio  dei  caratteri  microscopici  e petrograjìci  ha  dimostrato 
che  vi  sono  lave  del  Kilauea  che  hanno  la  massa  fondamentale  vetrosa, 
altre  l’hanno  microcristallina  o granulare  minutissima  omogenea;  altre 
l’hanno  amorfa  senza  essere  vetrosa. 

I loro  componenti  mineralogici  essenziali  nella  mescolanza  che  le 
forma  sono:  il  feldspato  ordinariamente  plagioclasio  (senza  escludere 
l’associazione  di  altri  feldispati),  l’augite  (in  qualche  caso  orneblenda), 
la  magnetite,  l’olivina:  solo  in  pochi  casi  manca  la  magnetite  o l’oli- 
vina o si  ha  una  base  fondamentale  amorfa  solo  con  rare  segregazioni 
speciali,  tranne  la  magnetite.  In  qualcuna  soltanto,  si  osserva  petrogra- 
fìcamente  distinta  l’apatite  e l’ilmenite,  mentre  in  tutte  dobbiamo  ammet- 
tere la  esistenza  degli  elementi  di  questi  minerali,  perchè  tutte  presentano 
quantità  più  o meno  sensibile  di  anidride  fosforica  e di  anidride  titanica. 
Tranne  pochi  casi  in  cui  hanno  presentato  un  aspetto  di  freschezza 
e di  integrità,  per  lo  più  sono  lave  che  hanno  subito  poco  o molto 
l’azione  di  cause  metamorfiche  e nelle  loro  alterazioni  tra  i minerali 
di  formazione  secondaria  si  può  citare  la  natrolite  ed  il  caolino  tra  i 
silicati;  la  ematite  e la  limonile  tra  gli  ossidi:  tutti  evidentemente  for- 


— 198  — 


mati  dall’azione  dei  corpi  ossidanti  e quella  lissiviatrice  delle  acque 
sui  silicati  e sulla  magnetite. 

Finalmente  per  quanto  concerne  i caratteri  chimici , le  lave  del 
Kilauea  hanno  presentato  nelle  analisi  una  grande  facilità  speciale  di 
disgregazione  ed  alcune  hanno  mostrato  una  grande  facilita  alla  fusione 
diretta,  anche  al  calore  rosso  incipiente.  Sono  tutte  basiche  come  lo 
dimostra  la  quantità  di  anidride  silicica  che  non  oltrapassa  il  50,16  per 
100,  quantunque  ve  ne  siano  alcune  che  si  sono  dovute  petrografica- 
mente  riferire  al  gruppo  delle  andesite  augitiche.  Eccettuati  pochi  casi 
di  lave  che  si  possono  dire  caolinizzate  per  profonda  alterazione,  in 
generale  sono  molto  ferrifere  e la  proporzione  dell’ossido  ferrico  sul 
ferroso  può  servire  (quando  non  vi  sia  un  abbondanza  eccezionale  di 
magnetite)  di  criterio  sicuro  per  giudicare  del  loro  grado  di  metamor- 
fismo. In  quanto  al  resto  della  loro  composizione  si  notano  dei  rapporti 
fluttuanti  tra  i varj  ossidi  metallici,  i quali  dipendono  o dal  differente 
grado  di  metamorfismo  o da  differenze  nelle  proporzioni  di  miscugli 
tra  i polisilicati  e la  magnetite,  ovvero  dalle  associazioni  feldispati- 
che  secondo  la  legge  di  Tschermak:  ciò  però  non  disturba  i legami 
di  somiglianza  che  si  mostrano  evidenti  tra  una  roccia  e l’altra  e questo 
caso  è comune  alla  petrogenesi  in  tutti  quei  centri  vulcanici  ove  l’at- 
tività vulcanica  si  è mantenuta  nelle  stesse  geologiche  condizioni. 

Le  lave  recenti,  moderne  ed  antiche  del  Kilauea  rappresentano 
dunque  o dei  tipi  di  roccie  intatte  caratteristiche  o una  serie  di  varietà 
dovute  a metamorfismo  secondario;  ma  essenzialmente  non  si  sepa- 
rono  tra  loro,  sicché  da  questo  studio  generale  ora  intrapreso  si  ricava 
il  fatto  importante  che  l’attività  vulcanica  del  Kilauea  durante  un 
lungo  periodo  geologico  si  è mantenuta  e luti’ ora  si  mantiene  con 
gli  stessi  prodotti. 


Catania  — R.  Istituto  vulcanologico  etneo. 


NOTIZIE  BIBLIOGRAFICHE 


Dr.  Hans  Eeusch,  — Bómmelòen  og  Karmòen  med  om- 


beskrevne.  (Descrizione 


Isole  di  Bommel  e di  Kami  coi  dintorni).  - Kristiana,  1888, 

pag.  422  in-8°  grande  con  3 tavole  in  cromolitografìa,  20  figure 
intercalate  ed  un  riassunto  dell'opera  in  inglese. 

Questo  lavorerei  dotto  geologo  norvegese  non  è soltanto  una  de- 
scrizione dettagliata  ed  accuratissima  di  una  importante  regione  del 
suolo  scandinavo,  ma  è altresì  uno  studio  di  alto  interesse  scientifico 
inquantochè  è destinato  indubbiamente  ad  apportare  gran  luce  sopra 
ardui  problemi  di  geologia  genetica,  quali  il  metamorfismo  regionale 
e l’origine  del  granito  e di  altre  roccie  eruttive. 

La  regione  studiata  stendesi  fra  Bergen  a Nord  e Stavanger  a Sud 
ed  è formata  di  gneiss  e granito  in  gran  parte  d’età  arcaica,  scisti  cri- 
stallini e fìlla dici  con  fossili  primordiali,  roccie  vulcaniche  e plutoniche 
con  calcari  e scisti  argillosi  nei  quali  presso  Bergen,  Storen  e Bommel 
l’autore  rinvenne  fossili  del  siluriano  superiore  *. 

Nella  penisola  di  Sveen  compariscono  principalmente  roccie  cri- 
stalline granulari  a struttura  massiccia,  talvolta  scistosa  per  disposizione 
parallela  delle  lamelle  di  mica,  nel  qual  caso  la  roccia  vien  chiamata 
granito  gneissico. 

La  struttura  dovuta  allo  stiramento  ed  alla  compressione  nelle 
roccie  granitiche  vedesi  o combinata  colla  scistosità  o senza  questa 
e nell’ultimo  caso  le  faccie  della  roccia  tagliate  nella  direzione  dello 


4 Reusch  H.,  Silur/ossiler  og  presiede  conglomerai  ater  i Bergenskifrene . 


Kristiania,  1882. 


13 


— 198  — 


stiramento  presentano  una  disposizione  parallela  degli  elementi  mentre 
quelle  trasversali  hanno  aspetto  granitoide.  I minerali  componenti  mo- 
strano al  microscopio  contorni  irregolari.  In  queste  roccie  gneissiche 
trovasi  presso  la  costa  occidentale  della  penisola  un  dicco  di  quarzo  auri- 
fero. Le  lenti  quarzose  sono  allungate  nella  direzione  dello  stiramento. 

Qui  come  nelle  isole  di  Fjeldberg  nonché  presso  Husnes  oltre  il 
gneiss  e il  granito,  compariscono  degli  scisti  argillosi  fìlladici  composti 
di  lamelle  di  muscovite  miste  a quarzo  finamente  cristallino  e talvolta 
con  un  poco  di  talco  che  colora  la  roccia  in  verdognolo.  Vi  sono  pure 
varietà  criptocristalline  di  colore  scuro.  Il  gneiss  dell’isola  di  Halsen,  è 
attraversato  da  dicchi  di  diabase  alterata,  spesso  scistosa,  che  nella 
parte  mediana  presenta  cristalli  porfìrici  di  plagioclasio  cogli  spigoli  ar- 
rotondati, sebbene  le  faccie  siano  piane. 

I cristalli  non  sono  spianati  abbenchè  la  roccia  sia  stata  resa  fìs- 
sile dalla  pressione.  La  scistosità  della  roccia  è parallela  alle  pareti 
del  dicco,  il  quale  racchiude  inoltre  frammenti  delle'  roccie  circostanti 
e manda  in  esse  delle  apofìsi. 

La  regione  a Nord  dell’  isola  Bòmmel  è costituita  da  roccie  gra- 
nitiche, dioritiche  e stratificate.  La  sua  costa  occidentale  fu  specialmente 
studiata  dall’autore,  il  quale  ne  presenta  una  carta  geologica  alla  scala 
di  1:  15000.  Vi  predominano  scisti  finamente  cristallini  verdastri  con  la- 
minazione obliqua  alla  stratificazione.  L’autore  li  riguarda  come  tufi  dia- 
basici.  Sono  attraversati  da  filoni  di  diabase  alterata  con  vene  di  quarzo 
piritoso  ed  aurifero  e con  scistosità  parallela  a quella  delle  roccie 
circostanti.  Vi  comparisce  pure  quà  e là  una  porfìrite  scistosa  con  massa 
criptocristallina,  costituita  di  plagioclasio  e lamelle  cìoritiche,  e con  cri- 
stalli porfìrici  compressi  di  plagioclasio. 

Questa  roccia  presentasi  in  parte  massiccia,  in  parte  stratificata  e 
può  riguardarsi  nel  primo  caso  come  una  vera  porfìrite,  nel  secondo 
come  un  tufo  porfìritico. 

Nella  regione  fra  il  fjord  di  Nòkling  e il  torrente  Kammare  predo- 
minano roccie  dioritiche  granulari  o finamente  cristalline  costituite  da 
orneblenda,  in  parte  associata  a diallaggio,  e plagioclasio  bianco,  tal- 
volta pieno  di  piccoli  individui  d’epidoto  e zoisite,  facendo  così  passaggio 
alla  saussurrite;  la  roccia  viene  allora  chiamata  gabbro  (eufotide)  a 
saussurrite.  Apparisce  talvolta  manifesto  che  l’orneblenda  fibrosa  riempie 


199  — 


gli  interstizi  fra  i cristalli  di  feldespato  ed  in  tal  caso  sembra  all’autore 
trattarsi  di  diabase  nella  quale  l’augite  fu  uralitizzata.  La  clorite  vi 
si  trova  spesso  in  gran  quantità. 

Le  differenti  varietà  di  roccie  dioritiche  si  trovano  in  parte  com- 
miste senza  regola  alcuna^  in  parte  distintamente  stratificate,  differenzian- 
dosi uno  strato  dall’altro  principalmente  per  la  diversa  quantità  di  or- 
neblenda  e di  clorite. 

Il  porfido  quarzifero  e il  tufo  porfìrico  che  compariscono  in  questi 
dintorni  sono  difficilmente  distinguibili,  essendo  stata  cancellata  la  loro 
struttura  originaria  dalle  pressioni  e da  altre  cause  di  metamorfismo. 
In  alcuni  casi  la  struttura  frammentaria  è manifesta,  in  altri  la  roccia 
presenta  decisa  forma  eruttiva  in  dicchi  a tessitura  compatta  presso  le 
pareti.  Senza  dubbio  nel  primo  caso  si  ha  una  roccia  clastica,  nel  secondo 
una  roccia  intrusiva.  Ma  talora  l’osservatore  non  saprebbe  decidere. 

Anche  queste  roccie  sono  attraversate  da  filoni  di  diabase  alterata 
e da  vene  lenticolari  di  quarzo  aurifero,  che  corrono  per  lo  più  al  con- 
tatto fra  la  diabase  e le  roccie  circostanti.  La  diabase  presso  il  con- 
tatto diviene  fissile  e cloritosa  finché  passa  ad  un  cloritoscisto.  La 
scistosità  non  è sempre  parallela  alle  pareti  della  roccia  incassante, 
specialmente  nei  grandi  dicchi.  Il  porfido  quarzifero  passa  talvolta  a 
roccia  granitica. 

Presso  Uren  a Sud  compariscono  roccie  serpentinose  compatte  che 
al  microscopio  appaiono  quali  diabasi  alterate,  finamente  granulari. 

Sulla  sinistra  del  torrente  Kammare  incontrasi  il  giacimento  auri- 
fero di  Hangesund,  uno  dei  più  promettenti  dell’isola  di  Bòmmel.  Il  fi- 
lone quarzoso  ha  da  un  lato  lo  scisto,  dall’altro  un  dicco  di  diabase  al- 
terata che  lo  accompagna  forse  per  tutta  la  sua  lunghezza.  Il  conte- 
nuto in  oro  è di  circa  15  grammi  per  tonnellata.  La  diabase  non  ne 
contiene  traccia.  Poco  appresso  verso  Est  osservasi  il  filone  Daw  e a 
Nord  il  filone  Oscar  pressoché  nelle  stesse  condizioni  geologiche.  Poi 
viene  il  filone  Olsen  che  insieme  all’oro  racchiude  i solfuri  di  piombo 
e di  zinco,  quindi  quello  di  Risviken.  Quivi  predomina  il  porfido  quar- 
zifero avente  struttura  decisamente  granitica.  Le  lenti  quarzose  non 
sono  sempre  a contatto  nettamente  distinto  dalla  roccia  granitica  cir- 
costante e sono  accompagnate  dalla  solita  diabase  alterata,  in  parte 
convertita  in  roccia  verde  scistosa. 


Una  roccia  dioritica  come  quella  che  trovasi  tra  il  fjord  di  Nòkling 
e il  torrente  Kammare  raggiunge  una  estenzione  considerevole  a Nord 
e ad  Ovest  nella  parte  media  dell’Isola  Bòmmel.  Al  microscopio  questa 
roccia  mostra  fenomeni  di  schiacciamento.  I suoi  componenti  sono  : feld- 
spato, per  lo  più  plagioclasio,  e quarzo,  e la  sua  massa  è attraversata 
da  innumerevoli  venuzze  di  clorite  con  calcite  in  cristalli  schiacciati  nella 
direzione  delle  lamelle  cloritiche  per  effetto  di  una  pressione  che  agì 
posteriormente  alla  formazione  di  questi  minerali  secondari.  Presso  Al- 
svaag  si  osservano  delle  piriti  di  rame  in  masse  scistose  orneblendiche 
racchiuse  nella  roccia  dioritica.  Un  grande  filone  quarzoso  con  traccie 
d’oro  comparisce  presso  il  podere  di  Meland. 

Il  monte  Siggen  è formato  di  diorite,  porfido  quarzifero,  diabase 
porfìritica,  conglomerato  e diabase  alterata  con  scisti  verdi.  Quest’ultima 
è ricca  di  cavità  amigdaloidi,  spesso  ripiene  di  calcite  e si  presenta 
talvolta  in  masse  ellissoidali  schiacciate,  composte  di  strati  concentrici 
in  parte  con  cavità  amigdaloidi,  in  parte  senza.  Questo  fenomeno,  comu- 
nissimo nelle  diabasi  eoceniche  italiane,  è dovuto,  secondo  l’autore,  ad 
un  processo  di  raffreddamento  in  un’antica  corrente  di  lava. 

Nell’isola  di  Gjeitung  l’autore  avrebbe  riconosciuto  dei  lapilli  vul- 
canici in  certe  masse  porfiritiche  finamente  cristalline  e vacuolari,  gia- 
centi in  uno  scisto  cloritico;  esse  'sono  appiattite  per  effetto  di  pressione. 

Nella  parte  più  meridionale  di  Bòmmel  si  osservano  effetti  rimarche- 
voli di  compressione  dove  strati  sottili  di  scisti  argillosi  alternano  con  are- 
naria. Primieramente  gli  strati  arenacei  sono  stati  frantumati  e la  roccia 
argillosa  si  è increspata.  In  seguito  questa  ultima  divenne  scistosa  e 
i frammenti  d’arenaria  spesso  s’incurvarono.  Un  terzo  stadio  negli  ef- 
fetti della  pressione  consiste  nell’avere  cambiato  in  sottili  lenti  i fram- 
menti arenacei.  In  questo  caso  è facile  scambiare  l’andamento  della 
stratificazione,  prendendo  le  lenti  d’arenaria  per  strati. 

La  roccia  dioritica  di  questa  località  in  alcuni  casi  è realmente  un 
gabbro  (eufotide)  alterato.  11  diallaggio  convertito  in  orneblenda,  vi  si 
osserva  tuttora  ed  è percorso  da  vene  di  serpentino  e talvolta  intiera- 
mente da  questo  sostituito.  Il  plagioclasio  è epidotizzato.  Il  quarzo  è di 
origine  secondaria.  Il  feldspato  e l’orneblenda  furono  ridotti  in  frammenti 
separati  da  serpentino. 

Nelle  piccole  isole  a Sud  di  Bòmmel  si  osservano  tufi,  breccie  vul- 


— 201  — 


caniche,  colate  porfìritiche  con  letti  di  scorie  alla  loro  base  e strati 
di  lapilli.  Dicchi  di  roccia  dioritica,  compatta  presso  le  salbande,  attra- 
versano queste  formazioni. 

Il  granito  delle  isole  Bommel  e Mògster  è spesso  con  sola  biotite, 
talvolta  con  due  miche  ed  è cambiato  per  compressione  nel  cosidetto 
granito  gneissico.  Sulla  costa  orientale  di  Bommel  fu  osservata  una 
speciale  roccia  granitica  cosparsa  di  macchie  scure  più  ricche  di  bio- 
tite, frammenti  di  gneiss,  di  quarzite  feldispatica  e di  quarzo;  questi  ultimi 
angolosi.  Venendo  meno  questi  frammenti  la  roccia  passa  al  comune 
granito.  L’autore  ritiene  che  questa  roccia  fosse  originariamente  una 
puddinga  di  elementi  granitici  e gneissici;  quelli  soltanto  di  tali  ele- 
menti che  contenevano  molto  quarzo  si  conservarono,  gli  altri  furono 
convertiti  in  massa  granitica.  Questa  massa  deve  essere  stata  plastica 
e in  movimento,  come  vien  dimostrato  dai  frammenti,  allungati  quasi 
tutti  nella  stessa  direzione. 

Nel  granito  dell’isola  Mògster  compariscono  numerose  masse  estra- 
nee di  notevole  estensione;  roccie  oliviniche,  serpentina,  marmo,  cal- 
cescisti cristallini,  anfìbolite.  Queste  masse  e lo  stesso  granito  sono 
spesso  attraversati  da  filoni  granitici  di  differente  struttura.  Il  calcare 
cristallino  contiene  piccoli  grani  di  differenti  silicati  augite,  plagioclasio, 
flogopite  e un  minerale  serpentinoso. 

L'isola  di  Karm  è in  parte  formata  di  roccie  granitiche  e gneissi- 
che  in  parte  di  scisti  verdi  orneblendici  e cloritici  e di  roccie  dioritiche 
simili  a quelle  dell’isola  Bommel.  Negli  scisti  cloritici  trovasi  il  ricco 
giacimento  cuprifero  di  Visnes.  L’estremità  S.E  dell’ isola  è formata 
da  un  conglomerato  poligenico  compresso.  Sulla  costa  S.O  compari- 
sce invece  il  conglomerato  metamorfico  anologo  a quello  dell’isola  Bòm- 
mel.  La  roccia  consta  di  una  massa  fondamentale  granitica  in  cui  sono 
sparsi  frammenti  di  gneiss  e di  quarzo,  non  che  macchie  ricche  di  mica 
e di  orneblenda.  Vene  sottili  della  massa  fondamentale,  penetrano  nei 
frammenti.  Questo  conglomerato  granitico  passa  gradatamente  nel  gneiss 
quarzifero  occhiatino  (Quarzaugengneiss). 

Già  l’autore  nell’altro  suo  erudito  lavoro  1 aveva  accennato  alla  pro- 
babilità che  il  gneiss  dei  dintorni  di  Bergen  fosse  in  origine  una  roc- 


Reusoh  H.,  Silarfossiler  etc. 


- 202  — 


eia  elastica  di  cui  gli  elementi  per  effetto  di  pressione  acquistarono 
forme  appiattite,  talvolta  fino  al  punto  da  essere  ridotti  in  sottilissime 
lenti.  Sovrabbondando  la  mica  e la  clorite  si  poteva  allora  notare  il 
passaggio  a decisi  micascisti. 

L’autore  opina  che  tanto  il  gneiss  quarzifero  di  Karm,  quanto  il 
granito  delle  isole  di  Bommel  e di  Mògster  siano  stati  in  origine  roc- 
cie  clastiche.  Le  masse  di  anfìbolite,  serpentina,  calcescisti,  marmi,  etc. 
rappresenterebbero  residui  di  roccie  originariamente  interposte  nella 
roccia  frammentaria  da  cui  provenne  il  granito. 

Questa  opinione  resta  convalidata  anche  dal  fatto  che  tale  granito 
trovasi  ora  in  forma  manifestamente  eruttiva  nel  centro  di  un’antica 
regione  vulcanica  ed  iniettato  nelle  roccie  circostanti.  Non  è quindi 
impossibile  che  il  tufo  di  porfido  quarzifero  e il  porfido  quarzifero  stesso 
rappresentino  respettivamente  i tufi,  le  correnti  laviche  e i dicchi 
del  granito  presso  la  superficie. 

L’autore  conclude  che  nessuna  differenza  sostanziale  può  farsi  tra 
le  cosidette  roccie  plutoniche  e quelle  vulcaniche,  se  non  che  le  prime 
consolidarono  più  lentamente  e a maggior  profondità  delle  altre,  e che 
in  alcuni  casi  roccie  originariamente  sedimentarie  possono  subire  il 
metamorfismo  regionale  fino  al  punto  dà  essere  rese  eruttive  o suscet- 
tibili di  fare  eruzione. 

Il  riferente  trovasi  in  pieno  accordo  colla  suesposta  opinione  avendo 
avuto  agio  di  studiare  dettagliatamente  il  processo  di  transizione  da 
una  roccia  scistosa  sedimentaria  al  granito  nell’isola  d’Elba,  1 2 e nella 
stessa  circostanza,  come  anche  in  varie  altre  pubblicazioni  sulle  roccie 
ofiolitiche  * sostenne  la  tesi  della  scuola  geologica  di  Paolo  Savi  3 che 
le  roccie  cosidette  plutoniche  rappresentino  soltanto  una  forma  di  con- 
solidamento di  quelle  vulcaniche,  dovuta  a condizioni  diverse  nelle  quali 
tale  consolidamento  avvenne. 

(B.  L.) 

1 Lotti.  B.,  Descriz.  geol.  dell'isola  d'Elba.  Roma,  1886  ; pag.  191-192. 

2 Lotti.  B.,  Paragone  fra  le  roccie  ojìol.  terz.  italiane  e quelle  basi- 
che della  Scozia,  ecc.  (Boll.  Geol.  3-4,  1886). 

3 Atti  III  Riun.  Scienz.  italiani  in  Firenze,  1841. 


— 203 


E.  de  Margerie  et  A.  Heim.  — Les  dislocations  de  l’e- 
corce  terrestre  {Die  Dislocationen  der  Erdrìnde).  Essai 
de  definition  et  de  nomenclature.  — Ziirich,  1888; 
pag.  154  in-8.° 

Opera  altamente  commendevole,,  sia  per  la  pratica  che  per  l’inse- 
gnamento della  geologia,  è questa  dei  geologi  Heim  e de  Margerie. 
Essa  consiste  in  un  saggio  di  nomenclatura  delle  dislocazioni  terrestri 
ed  è tanto  più  importante  in  quantochè,  essendo  scritta  nelle  due  lingue 
francese  e tedesca,  può  esser  compresa  da  tutti  e la  sinonimia  nelle 
varie  lingue  affini  riesce  della  massima  facilità. 

Vi  son  prese  in  esame  e chiaramente  definite  tutte  le  dislocazioni  risul- 
tanti da  movimenti  verticali,  come  sarebbero  : le  faglie  nei  loro  differenti 
tipi;  le  ripiegature  ed  i diversi  modi  di  aggruppamento  di  queste  con  le 
faglie;  quelle  risultanti  da  movimenti  orizzontali,  cioè  le  pieghe  in  generale 
e nei  loro  diversi  tipi,  le  pieghe-faglie  e loro  rapporti  con  le  prime;  gli 
effetti  dei  movimenti  combinati  laterali  e verticali  localizzati,  e quelli 
di  nuove  spinte  sopra  strati  già  ripiegati  e finalmente  le  deformazioni  in- 
terne delle  roccie,  prodotte  dai  fenomeni  di  dislocazione,  quali  sarebbero 
la  frammentazione  semplice,  la  frammentazione  con  spostamento  laterale, 
le  minute  ripiegature  interne,  la  scistosità  ed  il  metamorfismo  di  na- 
tura meccanica  con  trasformazione  completa  dell’assetto  molecolare. 

Il  De  Margerie  ha  poi  corredata  l’opera  di  numerose  note  e citazioni, 
non  che  di  un’appendice  sulla  terminologia  dei  rapporti  di  posizione  degli 
strati  e della  loro  inclinazione,  sui  processi  grafici  e plastici  impiegati 
per  rappresentare  l’andamento  delle  dislocazioni  e su  altre  denominazioni 
geologiche  per  le  quali  non  è mai  abbastanza  raccomandata  la  unità. 

Questo  ottimo  lavoro,  che  dovrebbe  essere  nelle  mani  di  tutti  co- 
loro che  scrivono  di  cose  geologiche,  termina  con  un  indice  alfabetico 
dei  vocaboli  esprimenti  i vari  fenomeni  tettonici  e stratigrafici  in  fran- 
cese, in  tedesco  ed  in  inglese. 

La  terminologia  italiana  in  generale  può  farsi  italianizzando  o 
traducendo  letteralmente  le  rispettive  denominazioni  francesi. 


(B.  L.) 


204  — 


NOTIZIE  DIVERSE 


Ricerca  di  fosfati.  — Per  corrispondere  al  desiderio  dell’agricol- 
tura, più  volte  espresso  anche  dal  Comitato  geologico,  sempre  venne 
raccomandato  agli  ingegneri  geologi  rilevatori  dalla  Carta  geologica  del 
Regno, di  usare  ogni  attenzione  per  la  possibile  scoperta  di  giacimenti  di 
fosfato  di  calce  (sia  apatite,  sia  fosforite  o sieno  noduli)  nel  territorio  ita- 
liano. Diverse  traccie  di  tali  giacimenti  vennero  infatti  segnalate  prin- 
cipalmente nella  regione  pugliese,  dal  Tavoliere  alle  Murgie  e sino  al 
Capo  di  Leuca;  però  sempre  il  tenore  in  fosfato  vi  si  rinvenne  tanto 
tenue  da  non  poter  venire  industrialmente  utilizzato.  Di  tale  stato  di 
cose  già  veniva  reso  conto  più  di  una  volta  nel  presente  Bollettino, 
come  si  può  vedere,  per  esempio,  in  un  articolo  inserito  dalla  Direzione 
nel  fascicolo  N.  3-4  dell’anno  1880.  Ivi  si  accennavano  diverse  località 
in  cui  erasi  ritenuto  esistessero  delle  roccie  fosforiche  da  poter  servire 
almeno  come  ammendamento,  se  non  alla  fabbricazione  industriale  dei 
fosfati  del  commercio.  Si  citavano  appunto  fra  le  altre,  come  le  più 
importanti  per  l’estensione  dei  giacimenti,  il  Tavoliere  di  Puglia  per 
la  sua  crosta,  e i dintorni  di  Cerignola,  Canosa  ed  altre  località  per 
il  tufo ; due  roccie  che  da  alcuni  erano  state  segnalate  come  abba- 
stanza ricche.  Ma  le  indagini  colà  fatte  fare  dall’ing.  Niccoli,  1 seguite 
da  analisi  nel  laboratorio  del  prof.  Cossa  in  Torino,  mostrarono  in 
quelle  un  tenore  di  fosfato  di  calce  inferiore  in  media  ad  1 per  100, 
tenore  o proporzione  che  non  è superiore  a quelle  di  un  ordinario  terreno 
calcareo  appena  mediocremente  fertile:  cosicché  simili  roccie  non  servi- 
rebbero nemmeno  come  buoni  ammendamenti.  Quanto  a fosfati  ricchi  da 
servire  per  la  fabbricazione  industriale  degli  ingrassi  fosforici,  oggidì 
con  la  depressione  dei  prezzi  ed  altre  circostanze,  si  ritiene  dai  pratici 
industriali  che  un  giacimento  non  possa  venire  escavato  con  profitto 
se  non  contenga  almeno  un  45  o 50  per  100  di  fosfato  calcico,  ossia 


1 Vedi  articolo  nel  Bollettino  7-8  del  1879. 


— 205  - 


oltre  ad  un  20  per  100  di  anidride  fosforica,  che  è il  vero  principio 
fertilizzante. 

Ora  le  ricerche  fatte  negli  ultimi  anni  al  Capo  di  Leuca,  mostra- 
rono ivi  resistenza  di  roccia  calcarifera  assai  ricca,  e con  parti  che 
contengono  anche  oltre  al  15  e 18  per  100  di  anidride,  ma  nella  media 
poi  meno  del  9.  Dunque  anche  questa  località  non  corrisponderebbe 
per  ora  alUesigenze  industriali,  onde  la  Casa  Vogel  di  Milano,  che  vi 
fece  eseguire  lavori,  non  avrebbe  per  ora  convenienza  a proseguirli. 

Intanto  si  udiva  da  qualche  tempo  ripetere  che  diverse  altre  località 
delle  stesse  Puglie  contenessero  abbondanti  roccie  calcaree  ricche  di 
fosfato,  e ciò  con  tanta  maggiore  apparenza  di  realtà,  che  in  talune  di 
queste  roccie  apparivano  masse  dure  a forma  di  noduli  tanto  importanti 
in  altri  paesi.  Le  località  anzidette  erano  principalmente  nelle  Murgie 
di  Gravina,  nei  possessi  del  principe  Orsini;  e l’ing.  Zezi,  in  occasione 
di  ricognizioni  geologiche  che  doveva  eseguire  in  quella  regione,  fecevi, 
-coll’assenso  del  proprietario,  raccolta  di  campioni  diversi,  presi  nelle 
località  nominate  come  probabilmente  ricche  in  fosfato.  Ognuno  di  essi 
campioni,  come  pure  altri  raccolti  in  località  diverse  delle  Murgie  baresi, 
furono  ridotti  in  polvere  e divisi  in  tre  parti,  mandandone  ad  analiz- 
zare una  al  laboratorio  del  Valentino  in  Torino  (Prof.  Cossa),  l’altra  alla 
Stazione  agraria  di  Pisa  (Prof.  Sestini),  la  terza  alla  casa  Vogel  di 
Milano. 

Le  tre  analisi,  fatte  indipendentemente  Puna  dall’altra,  combinarono 
pur  troppo  nel  rivelare  che  la  ricchezza  in  fosfato  era  minima,  cioè 
in  media  meno  di  1/10  per  cento  del  calcare,  e circa  eguale  a quelle 
della  crosta  e del  tufo  analizzati  nel  1879. 

Al  laboratorio  del  prof.  Cossa  in  Torino,  ove  lavorava  l’ingegnere 
E.  Mattirolo  dell’Ufficio  geologico,  erasi  raccomandata  la  massima  cura 
ed  esattezza,  e questa  venne  infatti  usata,  conducendo  tuttavia  a me- 
schine conclusioni,  analoghe  a quelle  ottenute  dai  chimici  degli  altri 
due  citati  laboratori  di  Pisa  e di  Milano. 

Ancora  nella  recente  adunanza  del  Comitato  geologico,  cui  tale 
risultato  negativo  fu  comunicato,  esso  Comitato  raccomandò  di  non 
scoraggiarsi,  ma  perseverare  nelle  indagini,  rivolgendo  anche  l’atten- 
* tenzione  alla  ricerca  di  altre  materie  fertilizzanti,  tra  cui  si  possono 
citare  il  fosfato  di  ferro  (vivianite),  non  infrequente  in  diversi  terreni v 


— 206  — 

nonché  i depositi  delle  stazioni  preistoriche  dell’  Emilia  dette  terre- 
mare. 

Si  riferisce  ora  intanto,  a testimonianza  degli  studi  chimici  ultima- 
mente fatti  sui  calcari  delle  Puglie,  la  relazione  con  cui  l’Ing.  Matti- 
rolo  accompagnava  all’Ispezione  delle  Miniere  le  analisi  da  lui  fatte 
nel  laboratorio  del  Valentino  in  Torino. 

Determinazione  dell’ anidride  fosforica 
contenuta  in  dieci  campioni  di  materiali  raccolti  nel  Barese. 

Avendo  l’Ufficio  geologico  richiesta  la  Direzione  della  R.  Scuola  di  applica- 
zione per  gli  Ingegneri  in  Torino  di  fare  eseguire  delle  ricerche  analitiche  in  rap- 
porto alla  quantità  di  anidride  fosforica  che  potesse  contenersi  in  dieci  campioni 
di  materiali  raccolti  in  quel  di  Bari,  ed  essendomene  stato  affidato  l’incarico,  mi 
trovo  in  grado  di  riferirne  il  risultato  come  in  appresso. 

Premetto  però  che  mi  vi  sono  accinto  dopo  che  per  indagini  qualitative  già 
mi  ero  persuaso  che  l’anidride  fosforica  era  in  quei  campioni  in  quantità  relativa- 
mente minima,  onde  si  trattava  di  materiali  assolutamente  privi  di  valore  indu- 
striale ; e dopo  che  l’Ispettore  Capo  delle  Miniere,  al  quale  avevo  accennato 
codesto  esito,  volle  tuttavia  ch’io  addivenissi  ad  una  accurata  determinazione 
quantitativa  dell’anidride  fosforica  totale. 

I dieci  campioni  sono  tutti  di  calcari  tufacei  più  o meno  grossolanamente 
polverizzati,  di  colore  variamente  biancastro  con  leggera  tendenza  al  giallo  terreo 
e sono  rispettivamente  contrassegnati  come  segue,  da  numeri  progressivi  e dalle 
relative  indicazioni: 


1. 

Tufo  calcareo 

di  Canosa. 

2. 

id. 

di  Bari  (varietà  suppigno). 

3. 

id. 

di  Bari  (varietà  carparo). 

4. 

id. 

di  Gravina  (varietà  mazzaro ). 

5. 

id. 

di  Gravina  (varietà  cozzarolo). 

6. 

id. 

di  Gravina  (varietà  arrone). 

7. 

id. 

di  Gravina  (varietà  carpino ). 

8.  Crosta  calcarea  di  Gravina  (località  Crocevia). 

9.  Noduli  calcarei  di  Gravina  1 (località  Crocevia). 

10.  Tufo  calcareo  di  Fasano. 

Dopo  che  i campioni  sostarono  qualche  giorno  nell’ambiente  del  laboratorio  alla 


1 Questi  noduli  bianchi,  piuttosto  pesanti,  si  trovano  sparsi  entro  sabbioni  gialli  sot- 
tostanti alla  crosta  di  cui  al  n.  8. 


— 207  — 


temperatura  di  circa  15°,  ho  determinato  in  ciascuno  di  essi,  l’acqua  igroscopica, 
la  silice  colle  sostanze  insolubili  negli  acidi  cloridrico  e nitrico,  e l’anidride  fo- 
sforica. 

Dei  due  metodi  ora  in  maggior  credito  per  la  determinazione  della  anidride 
fosforica,  di  quello  cioè  detto  nitro-molibdico  e del  citro-uranico,  mi  servii  del  primo, 
deducendo  il  peso  dell’anidride  fosforica  da  quello  del  pirofosfato  di  magnesia, 
metodo  dal  quale  ebbi  sempre  attendibili  risultati. 

Eseguii  con  tutta  cura  due  serie  di  saggi,  usando  di  quelle  cautele  e di  quei 
mezzi  che  la  pratica  suggerisce.  Nella  prima  precipitai  l’anidride  fosforica  seguendo 
le  indicazioni  del  Fresenius,  { nella  seconda  praticai  come  consiglia  il  Grandeau1 2. 

I due  valori  così  ottenuti  per  ogni  campione,  quando  non  risultarono  identici, 
differirono  fra  loro  di  meno  di  0,01  p.  %,  fatta  astrazione  del  primo  campione  in 
cui  la  differenza  fu  di  circa  0,02. 

Ed  ecco  ora  il  prospetto  dei  risultati  che  ottenni,  i quali  dimostrano  senza 
più  come  i materiali  esaminati  non  si  possono  in  alcun  modo  utilizzare  nell’agri- 
eoltura  come  sostanze  contenenti  fosfati. 

Su  tali  valori  però,  in  relazione  alla  speciale  indagine  affidatami,  credo  poter 
fare  pieno  assegnamento. 


1 

Z 

3 

4 

5 

6 

8 

» 

IO 

Acqua  igroscopica  per 
100 

0,39 

0,22 

0,32 

0,09 

0,13 

0,10 

0,06 

1,44 

0,17 

0,20 

Silice  e parte  insolubile 
negli  acidi  cloridrico 
e nitrico  per  100  . . 

3,70 

0,63 

3,29 

0,37 

0,94 

0,46 

0,51 

19,39 

4,55 

0,72 

Anidride  fosforica  per 
100 

0,09 

0,06 

0,06 

0,05 

0,09 

0,07 

0,14 

0,01 

0,02 

0,04 

Torino,  30  marzo  1888. 


Ettore  Mattjrolo 
Ing.  nel  R.  Corpo  delle  Miniere . 


1 Traiti  cCanalyse  chimique  quantitative.  — Paris,  1879. 

2 Traiti  d’qnalyse  des  mcttières  agricoles.  — Paris,  1883. 


— 208  — 


NECROLOGIA 


Una  vita  preziosissima  per  la  scienza  si  spense  il  23  aprile  p.  p. 
— L’infaticabile  mineralogista  e geologo  G.  vom  Rath,  professore  nella 
Università  di  Bonn,  mentre  veniva  in  Italia  per  chiedere  ad  essa  un 
ristoro  alla  sua  salute,  come  più  volte  le  aveva  chiesto  avidamente  il 
pascolo  per  la  sua  nobile  intelligenza,  incontrò  una  morte  quasi  im- 
provvisa presso  Coblenza  nella  età  di  58  anni. 

Innumerevoli  sono  i suoi  lavori  geologici  e mineralogici  e tutti 
improntati  alla  verità,  e tutti  ricchi  di  osservazioni  e di  utili  resultati. 

La  sua  prima  pubblicazione,  una  dissertazione  inaugurale  sulla  com- 
posizione della  scapolite,  comparve  l’anno  1853  nel  Voi.  1°  degli  Annali 
di  Poggendorff. 

I lavori  sul  nostro  suolo  sono  forse  fra  i suoi  più  importanti  e servi- 
ranno sempre  di  solida  base  per  le  ulteriori  investigazioni;  per  questi 
l’ illustre  scienziato  deve  annoverarsi  fra  i più  benemeriti  della  geo- 
logia d’Italia,  la  quale  ben  a ragione  deve  deplorarne  ora  la  perdita. 

II  dare  un  elenco  completo  delle  sue  pubblicazioni  sarebbe  impresa 
ardua,  visto  lo  straordinario  numero  di  esse  ; qui  ci  limiteremo  pertanto 
ad  indicare  i titoli  delle  più  importanti  fra  quelle  riguardanti  le  geo- 
logia italiana,  alcune  delle  quali  vennero  pubblicate  nello  Zeitsckrift 
der  k.  k.  geol.  Gesellschaft  sotto  il  titolo  generico  di  Geologische  Frag- 
menten  aus  Italien. 

G.  vom  Rath.  — Ueber  die  Zusammensetzung  des  Mizzonits  vom  Ve - 
suv.  (Zeits.  d.  deuts.  geol.  Gesells.).  Berlin  1863. 

» — Geognostische  Mittheilungen  uber  die  Euganài - 

schen  Berge  bei  Padua.  (Ibidem)  1864. 

» — Ueber  die  Queeksilbergrube  Validità  in  den  Vene - 

tianischen  Alpen.  (Ibidem)  1864. 

» — Ueber  das  Gesteindes  Adamello  Gebirges  (Ibidem)  1864. 

» — Ein  Besuch  JRadicofani’s  und  des  Monte  Amiata 

in  Toskana.  (Ibidem)  1865. 


— 209  — 


G.  vom  Ratti.  — E in  Besueh  der  Kupfergrube  Montecatini  in  TosJcana 
und  einiger  Punkte  ihrer  Umgebung.  (Ibidem)  18G5. 
» — Der  Zustand  des  Vesuvì  am  3 Aprii  18G5.  (Sitz.  Ber. 

d.  Niederrh.  Naturf.  Gesells.).  Bonn  1865. 

» — Rom  und  die  Rómische  Campagna.  (Zeits.  etc.)  1866. 

» — Das  Albaner  Gebirge.  (Ibidem)  1866. 

» — Die  Gegend  con  Bracciano  und  Viterbo.  (Ibidem)  1866. 

» — Das  Bergland  con  Tolfa.  (Ibidem)  1866. 

» — Monte  di  Cuma , Ischia  und  Pianura  (Ibidem)  1866. 

» — Quarzfiìhrender  Tracliit  con  Campiglia  Marittima. 

(Ibidem)  1866. 

» — Ueber  der  Meneghinit  con  der  Grube  Bottino  in  To- 

skana.  (Poggendorff  ’s  Ann.;  cxxxii).  Leipzig  1867. 
» — Die  Berge  con  Campiglia  Marittima  in  der  Toskani- 

schen  Maremme.  (Zeits.  etc.)  1868. 

» — Die  Umgebungen  des  Bolsener  Sees.  (Ibidem)  1868. 

» — Oligoklas  vom  Vesuv.  (Pogg.  Ann.  ; cxxxvm).  Lei- 

prig  1869. 

» — Orthit  vom  Vesuv.  (Ibidem)  1869. 

» — Ueber  die  Zwillingsgesetze  des  Anorthits  vom  Vesuv. 

(Sitz.  Ber.  d.  Niederrh.  etc.J  1869. 

» — Ueber  Humitkristalle  der  zioeiten  Tgpus  vomVesuv. 

(Pogg.  Ann.;  cxxxvm).  Leipzig  1869. 

» — Ueber  den  Wollastonit  vom  Vesuv.  (Ibidem).  1869. 

» — Krgstallisirter  Lasurstein  vom  Vesuv.  (Ibidem)  1869. 

» — Orthit  und  Oligoklas  in  den  alten  Auswurflingen 

des  Vesuv.  (Sitz.  Ber.  etc.)  1870. 

» — Der  Aetna  in  den  Jahren  1863-66.  (Neues  Jahrb.  f. 

Min.  etc.).  Stuttgart  1870. 

» — Die  Insel  Elba.  (Zeits.  etc.)  1870. 

» — Ueber  die  letzte  Eruption  des  Vesuv  und  uber  Erd- 

beben  von  Cosenza.  (Verhandl.  d.  Naturh.  Ver.  d. 
Preuss.  Rheinl.  und  Westph.,  xxviti).  Bonn  1871. 
» — E in  interessanter  Wollastonit  - Auswurfling  von 

Monte  Somma.  (Sitz.  Ber.  d.  K.  bayr.  Akad.  d. 
Wissens.,  III).  Mùnchen  1871. 


— 210  - 


G.  vom  Rath.  — Der  Vesuo  am  6 und  17  Aprii  1871.  (Zeits.  etc.)  1871. 
» — E in  Ausfiug  nach  Calabrien.  (8.  vo,  pag.  157).  Bonn  1871. 

» — Ueber  den  Zustand  des  Vesuv  vor  der  letzten  Erup- 

tion  (Sitz.  Ber.  der  Niederrh  etc.).  1872. 

» • — Ueber  vesuvìsche  Auswurflinge  der  Eruption  von 

26  Aprii  1872.  (Ibidem)  1872. 

» — Ueber  einem  merkwurdigen  Lavablock  des  Vesuv . 

(Ibidem)  1872. 

» — - Ueber  einige  Leucit- Auswurflinge  vom  Vesuv.  (Pogg. 

Ann.;  cxlvii)  1872. 

» — Der  Aetna.  (Verhandl.  d.  naturhist.  Vereins  f.  Rheinl. 

etc.)  1872.  ' 

» — Aus  der  Umgebung  von  Massa  Marittima.  (Zeits. 

etc.)  1878. 

» — Geognostisch-geographische  Bemerkungen  ùber  Cala- 

brien. (Zeits.  etc.)  1873. 

» — Ein  Beitrag  zur  Kenntniss  des  Vesuv* s (Ibidem)  1873. 

» Z wei  Gesteine  der  Rocca  Monfìna.  (Zeits.  etc.)  1873. 

» — Ueber  die  chemische  Zusammensetzung  der  durch 

Sublimation  in  vesuviselien  Auswùrflingen gebilde - 
ten  Kry stalle  von  Augit  und  Hornblende.  (Pogg. 
Ann.  etc.;  cxlvii)  1873. 

» — Ueber  die  verschiedenen  Formen  der  vesuviselien 

Augite.  (Ibidem)  1873. 

» — Ueber  die  Glimmerkry stalle  vom  Vesuv.  (Ibidem)  1873. 

» — Ueber  den  angeblichen  Epidot  vom  Vesuv.  (Ibi- 

dem) 1873. 

» — Das  Erdbeben  von  Belluno  am  29  Juni  1873.  (N. 

Jahrb.  etc.)  1873. 

» — Tridymit  in  Neapolitanischen  vulkan.  Gebiete  (Pogg. 

Ann.  etc.;  cxlvii)  1873. 

» — Ein  Ausfiug  nach  den  Schwefelgruben  von  Gir  genti. 

(N.  Jahrb  etc.)  1873. 

» — Ueber  die  chemische  Zusammensetzung  des  gelben 

Augits  vom  Vesuv.  (Monatsber.  d.  K.  Akad.  der 
Wissens.).  Berlin  1875. 


— 211  — 


G.  vom  Rath.  — Ueber  den  Monzoni  im  sudóstlichen  Tyrol.  (Sitz.  Ber.  d. 

Niederrh.  Gesells.f.  Natur  und  Ilei  1 k.)  1875. 

» — Ueber  das  neu  entdeekte  Vorkommen  des  Zinnsteins 

unfern  Campiglia.  (Sitz.  Ber.  etc.)  1877. 

» — Ueber  die  sogenannten  oktaedrischen  Krystalle 

des  Eisenglanzes  vom  Vesuv.  (Verhand.  des  Na- 
turh.  Ver.  etc.)  1877. 

» — Ueber  einige  [dureh  vulkanische  Dàmpfe  gebildete 

Mineralien  des  Vesuv.  (Ibidem)  1877. 

» — Einige  geologische  Blieke  auf  Italien.  (Sitz.  Ber. 

etc.)  1878. 

» — Ueber  das  Erdbeben  von  Ischia  (Ibidem)  1881. 

» — Ueber  einen  Besuch  des  Vultur  bei  Melfi  (Ibidem)  1881. 

» — Ueber  einige  Mineralien  aus  Piemont  (Sitz.  Ber. 

etc.)  1882. 

» — Die  Flusor-spath  fùhrenden  vulcanischen  Einschlusse 

von  Sarno  Novera  (Ibidem)  1882-83. 

» — Ueber  den  Cuspidin  vom  Vesuv  (Zeits.  fiir  Krystall. 

etc.)  1883. 

» — Reisen  auf  der  Insel  Sardinien  23-29  sept.  1882, 

13-30  aprii  1883  (Sitz.  Ber.  etc)  1883. 

» — Mittheilungen  uber  Sardinien  (Sitz.  Ber.  etc.)  1883. 

» — Ueber  einen  Besuch  der  Insel  Ponza  (Ibidem)  1886. 

» — Ueber  den  Andesin  vom  Berge  Arcuentu  Insel  Sar- 

dinien (Festschrift  d.  Vereins  f.  Naturkunde  zu 
Cassel)  1886. 

» — Bemerkungen  iìber  den  Zustanddes  Vesuv' s im  Decem- 

ber  1886  (Sitz.  Ber.  ecc.)  1887. 


— 212  - 

PUBBLICAZIONE  DELLA  CARTA  GEOLOGICA  D’  ITALIA 

PER  CURA  DEL  R.  UFFICIO  GEOLOGICO 


PARTÌ  PUBBLICATE  (al  1°  luglio  1888) 

Carta  geologica  della  Sicilia  nella  scala  di  1/100,000: 


Foglio  N.  244  (Isole  Eolie)  prezzo  L.  3 00 

Foglio  N.  262  (Monte  Etna)  . 

. L. 

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» 

248  (Trapani)  . . . 

» 3 00 

» 

265  (Mazzara  del  Vallo)» 

3 00 

» 

249  (Palermo)  . . . 

» 4 00 

» 

266  (Sciacca)  . . 

. » 

4 00 

» 

250  (Bagheria) . . . 

» 3 00 

» 

267  (Canicattì)  . . 

. » 

5 00 

» 

251  (Cefalù) .... 

» 3 00 

» 

268  (Caltanissetta) 

. » 

5 00 

» 

(Naso)  .... 

» 4 00 

» 

269  (Paterno)  . . 

. » 

5 00 

» 

253  (Castroreale)  . . 

» 4 00 

» 

270  (Catania)  . . 

. » 

3 00 

» 

254  (Messina)  . . . 

» 4 00 

» 

271  (Girgenti)  . . 

272  (Terranova)  . 

. » 

3 00 

» 

256  (Isole  Egadi)  . . 

« 3 00 

» 

. » 

4 00 

» 

257  (Castelvetrano)  . 

» 4 00 

» 

273  (Caltagirone)  . 

. » 

5 00 

» 

258  (Corleone)  . . . 

» 5 00 

» 

274  (Siracusa)  . . 

. » 

4 00 

» 

259  (Termini  Imerese). 

» 5 00 

» 

275  (Scoglitti)  . . 

. » 

3 00 

» 

260  (Nicosia)  . . . 

» 5 00 

» 

276  (Modica)  . . 

. » 

3 00 

» 

261  (Bronte),  . . . 

» 5 00 

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277  (Noto)  . . . 

. » 

3 00 

Tavola  di  sez.  N.  I (annessa  ai  fogli  249  e 258)  L.  4 00 
» » N.  II  (annessa  ai  fogli  252,  260  e 261)  » 4 00 

» » N.  Ili  (annessa  ai  fogli  253,  254  e 262)  » 4 00 

» » N.  IV  (annessa  ai  fogli  257  e 266)  » 4 00 

» » N.  V (annessa  ai  fogli  273  e 274)  » 4 00 

HT.B.  — L'intiera  Carta  della  Sicilia,  in  28  fogli  e 5 tavole  di  sezioni,  con  quadro  d'unione 
e copertina,  è in  vendita  al  prezzo  di  lire  iOO. 

Carta  geologica  della  Sicilia  nella  scala  di  1/500,000  (serve  anche  di  foglio  di 
unione  della  precedente)  con  sezioni prezzo  L.  5 00 

Descrizione  geologica  dell’Isola  di  Sicilia,  con  una  Carta  geologica,  tavole 
in  zincotipia  ed  incisioni,  dell'Ing.  L.  Raldacci  prezzo  L.  10  00 

Carta  geologica  dell’  Isola  d’  Elba,  nella  scala  di  1/25,000  con  sezioni  annesse 
(in  due  fogli)  prezzo  L.  15  00 

Descrizione  geologica  dell*  Isola  d’ Elba  con  Carta  annessa  nella  scala  di 
1/50,000,  dell’Ing.  B.  Lotti prezzo  L.  10  00 

Relazione  sulle  miniere  di  ferro  dell’Isola  d'Elba,  con  un  atlante  di  carte  e 
sezioni  geologiche,  dell’Ing.  A.  Fabri  . . . prezzo  L.  20  00 

DI  PROSSIMA  PUBBLICAZIONE. 

Descrizione  geologico-mineraria  dell’Iglesiente  (Sardegna),  con  un  atlante  di 
tavole  e una  Carta  geologica,  dell’  ing.  GL  Zoppi. 

Carta  geologica  di  parte  dell’Italia  Centrale  nella  scala  di  1/100,000.  Sei 

fogli  con  una  tavola  di  sezioni. 

Carta  geologica  dell’Italia,  in  due  fogli,  nella  scala  di  1/1,000,000  (edizione  ri- 
veduta e migliorata  della  Carta  pubblicata  nel  1881). 

IN  PREPARAZIONE. 

Carta  geologica  dei  dintorni  di  Roma,  in  scala  di  1/25,000. 

Carta  geologica  delle  Alpi  Apuane,  in  scala  di  1/25,000. 


Per  le  commissioni  rivolgersi  al  R.  Ufficio  Geologico,  ovvero  alla  Libreria 
E.  Lolscher,  in  Roma. 


Pubblicazioni  in  vendita  presso  l’Ufficio  Geologico 


Bollettino  del  R.  Comitato  Geologico  d’Italia;  Voi.  I a XVII,  dal  1870  al  1886 
— Prezzo  di  ciascun  volume L.  10  — 


Idem  di  un  fascicolo  separato » 2 — 

N.B.  - Il  prezzo  di  abbonamento  annuo  e di  L.  8 per  l'interno 
e di  L.  10  per  V estero. 

Memorie  per  servire  alla  descrizione  della  Carta  geologica  d’Italia;  Voi.  I, 

II  e III  (Parte  la). 

Voi.  I.  Firenze,  1872  » 35  — 

Voi.  IL  Firenze,  1873-74  » 30  — 

Voi.  III.  Parte  la;  Firenze,  1876  » 10  — 

I.  Cocchi.  — Brevi  cenni  sui  principali  Istituti  e Comitati  geologici  e sul 

R.  Comitato  Geologico  d’Italia.  Firenze, .1871 » 1 50 

P.  Zezi.  — Cenni  intorno  ai  lavori  per  la  Carta  geologica  in  grande  scala. 

Roma,  1875  » 1 — 

F.  Giordano.  — Esposizione  in  ordine  cronologico  delle  principali  disposi- 
zioni successivamente  emanate  relativamente  alla  Carta  geologica  d’Italia. 

Roma,  1879  » 1 — 

F.  Giordano.  — Sopra  un  progetto  di  legge  per  il  compimento  della  Carta 

geologica  d’Italia.  Roma,  1880 » 1 50 

F.  Giordano.  — Cenni  sull’organizzazione  e sui  lavori  degli  Istituti  geologici 

esistenti  nei  vari  paesi.  Roma,  1881.  ...........  » 1 50 

G.  Capellini.  — Relazione  a S.  E.  il  Ministro  di  Agr.  Ind.  e Comm.  sul 

Congresso  geologico  internazionale  del  1881.  Roma,  1881  ....  » 1 — 

I.  Cocchi.  — Carta  geologica  della  parte  orientale  dell’  Isola  d’Elba;  scala 

di  1/50,000.  Firenze,  1871 » 2 50 

C.  W.  C.  Fuchs.  — Carta  geologica  dell’Isola  d’ Ischia;  scala  di  1/25,000. 

Firenze,  1873 » 2 — 

t C.  Doelter.  — Carta  geologica  delle  isole  Ponza,  Palmarola  e Zannone; 

scala  di  1/20,000.  Roma,  1876  » 2 — 

? C.  De  Giorgi.  — Abbozzo  di  Carta  geologica  della  Basilicata;  scala  di 

1/400,000.  Roma,  1879  » 2 — 

C.  De  Giorgi.  — Carta  geologica  della  provincia  di  Lecce;  scala  di  1/400,000. 

Roma,  1880  » 2 — 

G.  Capellini.  — Carta  geologica  dei  monti  di  Livorno,  di  Castellina  Ma- 
rittima e di  parte  del  Volterrano;  scala  di  1/100,000.  Roma,  1881  . » 3 — 

G.  Capellini.  — Carta  geologica  della  provincia  di  Bologna;  scala 

di  1/100,000.  Roma,  1881  ...............  » 4 — 

G.  Capellini.  — Carta  geologica  dei  dintorni  del  golfo  di  Spezia  e Val  di 

Magra  inferiore;  2a  edizione;  scala  di  1/50,000.  Roma,  1881  . . » 3 — 

T.  Taramelli.  — Carta  geologica  del  Friuli,  con  testo  descrittivo  ; scala 

di  1/200,000.  Udine,  1881  » .7  — 

Bibliographie  géologique  et  paleontologique  de  l’Italie.  Bologne,  1881  . . » 10  — 

Bibliografia  geologica  e paleontologica  della  provincia  di  Roma.  Roma,  1886  » 2 — 

Bibliografia  geologica  italiana  per  l’anno  1886.  Roma,  1887  » 1 50 


Annunzi  di  pubblicazioni 


G.  B.  Negri.  — Gmelinite  della  regione  veneta  (Rivista  di  mineralogia  e 
cristallografìa  italiana,  voi.  II,  fase.  I e II).  — Padova,  1888;  pag.  10  in-8°. 
G.  Piolti.  — Sulla  cossaite  del  colle  di  Bousson  nell’alta  valle  di  Susa 

(Atti  della  R.  Accademia  delle  Scienze  di  Torino,  voi.  XXIII,  disp.  6a).  — 
Torino  1888. 

G.  Basile.  — Le  bombe  vulcaniche  dell’  Etna.  — Catania,  1888;  pag.  82  in4° 

con  tre  tavole. 

F.  Sacco.  — Sopra  alcuni  Potamides  del  bacino  terziario  del  Piemonte 

(Bollettino  della  società  malacologica  italiana,  voi.  XIII).  — Pisa,  1888; 
pag.  26  in-8°  con  4 tavole. 

D.  Lovisato.  — Sopra  gli  sferoidi  di  Ghistorrai  presso  Fonni  in  Sardegna; 

nota  IV  (Rendiconti  della  R.  Accademia  dei  Lincei,  voi.  IV,  fase.  7°).  — 
Roma,  1888  ; pag.  5 in-4°. 

Cl.  Montemartini.  — Sulla  composizione  chimica  e mineralogica  delle 
roccie  serpentinose  del  colle  di  Cassimoreno  e del  monte  Ragola  in 
Val  di  Nure  (Ibidem).  — Roma,  1888;  pag.  8 in-4°. 

E.  Artini.  — Alcune  nuove  osservazioni  sulle  zeoliti  di  Montecchio  Mag- 

giore (Rendiconti  della  R.  Accademia  dei  Lincei,  voi.  IV,  fase.  9).  — - 
Koma  1888,  pag.  6 in-4°. 

T.  Taramelli.  — Di  una  vecchia  idea  sulla  causa  del  clima  quater- 
nario ( Rendiconti  del  R.  Istituto  Lombardo  di  scienze  e lettere,  voi.)  XXI, 
fase.  IX).  — Milano  1888;  pag.  10  in-8°. 

S.  Ciofalo  e A.  Battaglia.  — Sull’ Hippopotamus  Pentlamdi  delle  con- 
trade d’imera.  — Termini-Imerese,  1888  ; pag.  28  in-4°  con  una  tavola. 

A.  De  Zigno.  — Nuove  aggiunte  all’ittiofauna  dell’epoca  eocena.  — Ve- 
nezia 1888  ; pag.  24  in-4  con  una  tavola. 

Fr.  Bassani.  — Colonna  vertebrale  di  Oxyrhina  Mantelli  Agassiz,  sco- 
perta nel  calcare  senoniano  di  Castellavazzo  nel  Bellunese.  — 
Napoli  1888;  pag.  6 in-4°  con  8 tavole. 

A.  Tommasi.  — I terremoti  nel  Friuli  dal  1116  al  1887.  — Roma  1888; 


pag.  22  in-4°. 

D.  Pantanelli.  — Descrizione  di  specie  mioceniche  nuove  o poco  note. 

— Parte  2\  (Bollettino  della  Società  malacologica  italiana,  voi.  XIII.  — 
Pisa  1888;  pag.  9 in-8°. 

E.  Mariani.  — Foraminiferi  della  collina  di  S.  Colombano  Lodigiano. 

(Rendiconti  del  R.  Istituto  Lombardo,  voi.  XXI,  fase.  X-XI).  — Milano  1888; 
pag.  8 in-4°. 

L.  Foresti,  — Di  una  varietà  di  Strombus  coronatus  Defr.  e di  un’altra  di 
Murex  torularius  Lk.  del  pliocene  di  Castel-Viscardo  (Umbria).  — 

(Bollettino  della  Società  geologica  italiana,  voi.  VII,  fase.  1°).  — Roma  1888; 
pag.  8 in-8°  con  due  tavole. 

A.  Del  Prato.  — Sopra  alcune  perforazioni  della  pianura  parmense. 

(Ibidem).  — Roma  1888;  pag.  9 in-8°. 

C.  Fornasini.  — Tavola  paleo-protistografìca  (Ibidem).  — Roma  1888; 

pag.  5 in-8°  con  una  tavola. 

A.  Verri.  — Osservazioni  geologiche  sui  crateri  vulsinii  (Ibidem).  — 

Roma  1888;  pag.  50  in-8°. 

E.  Clerici.  — Sopra  una  sezione  geologica  presso  Roma  (Ibidem).  — 

Roma  1888;  pag.  5 in-8°. 

D.  Pantanelli.  — Le  acque  sotterranee  nella  provincia  modenese.  — 

Modena  1888;  pag.  12  in-8° 

G.  Tuccimei.  — Bradisismi  pliocenici  nella  regione  sabina.  — Roma  1888  ; 

pag.  16  in-4°  con  una  tavola. 


Voi.  XIX  della  Raccolta 


■ScjEjjvTTA  rrcPtrsTEì 


lì.  COMITATO  GEOLOGICO 


O’ITAIJA 


Luglio  e Agosto 


pi 


N-  7 e 8 

Voi.  IX  della  2a  Serie 


. 




ROMA 

TIPOGRAFIA  NAZIONALE 

di  Reggiani  & soci 


3?. 


1888. 


ELENCO 

del  personale  componente  il  Comitato  e l’Ufficio  (Teologico 

R.  Comitato  Geologico. 

Meneghini  Giuseppe,  prof,  di  geologia  nella  R.  Università  di  Pisa,  Presid. 
Capellini  Giovanni,  prof,  di  geologia  nella  R.  Università  di  Bologna. 
Cocchi  Igino,  prof,  di  geologia,  a Firenze. 

Cossa  Alfonso,  prof,  di  chimica  nella  R.  Scuola  di  applicazione  per  gli 
ingegneri  in  Torino. 

De  Zigno  Achille,  membro  nel  R.  Istituto  Veneto,  a Padova. 
Gemmellaro  Gaetano  Giorgio,  professore  di  geologia  nella  R.  Università 
di  Palermo. 

Scacchi  Arcangelo,  prof,  di  mineralogia  nella  R.  Università  di  Napoli. 
Scarabelli  Giuseppe,  senatore  del  Regno,  a Imola. 

Silvestri  Orazio,  prof,  di  geologia  nella  R.  Università  di  Catania. 
Stoppani  Antonio,  professore  di  geologia  nel  R.  Istituto  tecnico  supe- 
riore di  Milano. 

Stri) ver  Giovanni,  prof,  di  mineralogia  nella  R.  Università  di  Roma. 
Taramele i Torquato,  prof,  di  geologia  nella  R.  Università  di  Pavia. 

Il  Direttore  del  R.  Istituto  geografico  militare  in  Firenze. 

Giordano  Felice,  ispettore-capo  del  R.  Corpo  delle  Miniere,  a Roma. 
Pellati  Niccolò,  ispettore  nel  R.  Corpo  delle  Miniere,  a Roma. 

Personale  addetto  ai  lavori  della  Carta  Geologica. 

Direzione  superiore  : 

ing.  Giordano  Felice,  Direttore. 

Ing.  Pellati  Niccolò. 

Ufficio  centrale  (in  Roma): 

lag.  Zezi  Pietro,  Capo  d’ufficio  e Segretario  del  Comitato.  ' 

Ing.  Sormani  Claudio. 

Geologi  operatori  : 

Ing.  Baldacci  Luigi,  Roma. 

Ing.  Lotti  Bernardino,  Pisa. 

Ing.  Cortese  Emilio,  Roma. 

Ing.  Zaccagna  Domenico,  Pisa. 

Ing.  Viola  Carlo,  Roma. 

Ing.  Novarese  Vittorio,  Roma 
Ing.  Aichino  Giovanni,  Roma. 

Ing.  Sabatini  Venturino,  Roma. 

Ing.  Franchi  Secondo,  Torino. 

Sig.  Fossen  Pietro,  aiutante,  Pisa. 

Sig.  Cassetti  Michele,  aiutante,  Roma. 

Sig.  Moderni  Pompeo,  aiutante,  Roma. 

Personale  distaccato: 

lag.  Mattirolo  Ettore,  Torino  (analisi  delle  roccie) 

Dott.  Canavari  Mario,  Pisa  (paleontologo). 

La  sede  dell’Ufficio  geologico  in  Roma  è nel  Museo  agrario-geologico, 
via  Santa  Susanna,  n.  1-A. 


BOLLETTINO  DEL  15.  COMITATO  GEOLOGICO 

D’ ITALIA. 

Serie  IL  Voi.  IX.  Luglio  e Agosto  1888.  N.  7 e 8. 


SOMMARIO. 

Memorie  originali.  — I.  L’  eruzione  dell’  Isola  Vulcano  veduta  nel  settembre  1888, 
di  E.  Cortese.  — II.  Appunti  sopra  roccie  vulcaniche  della  Toscana,  di  C.  de 
Stefani.  — III.  Esame  microscopico  di  una  trachite  del  Monte  Amiata,  di 
V.  NOVARESE.  — IV.  Il  Monte  di  Canino  in  provincia  di  Roma,  di  B.  Lotti. 

Estratti  e Riviste.  — Il  cratere  di  Fossa  Lupara  nei  Campi  Flegrei,  di  W.  Deecke. 

Notizie  bibliografiche.  — E.  Reyer,  Teoretiche  Geologie  ; Stuttgart,  1888.  — 
G.  De  la  Noè  (avec  la  collaboration  de  E.  de  Margerie),  Les  formes  du 
terrain  ; Paris,  1888.  — Bibliografìa  geologica  italiana  per  l’anno  1887. 

Notizie  diverse.  — Giacimenti  solfiferi  nella  Luigiana. 

Avviso  di  pubblicazione  della  Carta  geologica  d’Italia. 

AVVERTENZA. 


MEMORIE  ORIGINALI 


I. 


V eruzione  dell’  Isola  Vulcano , veduta  nel  settembre  1888'; 
appunti  dell’ing.  E.  Cortese. 


L’isola  di  Vulcano,  la  più  meridionale  delle  Eolie,  ha  forma  quasi 
elittica  allungata  dal  N.N.O  al  S.S.E,  e la  sua  massima  lunghezza  in 
questa  direzione  è di  chilom.  7 £ circa. 

Alla  estremità  Nord  di  essa  si  stacca  un  promontorio  quasi  cir- 
colare, di  chil.  1 è di  diametro,  costituito  da  lave  nerastre,  e sul  cui 
lembo  N.E  sorge  Vulcanello,  piccolo  cratere  di  123m  di  altezza  sul  mare. 
Esattamente  al  Sud  di  Vulcanello,  a chil.  2 \ di  distanza,  misurati  fra  i 
centri  dei  crateri,  è il  Vulcano  grande. 


* Avendosi  dovuto,  per  motivi  estranei  alla  Direzione,  ritardare  d’alquanto  la 
pubblicazione  del  presente  fascicolo,  si  è creduto  opportuno  di  inserirvi  anche  questo 
articolo,  benché  porti  la  data  di  settembre.  La  Direzione. 


14 


— 214  — 


Questo  non  è che  un  cratere  relativamente  recente  sorto  nel  mezzo 
di  uno  più  grande,  slabbrato  verso  N.N.E,  il  cui  perimetro  sarebbe  in- 
dividuato, procedendo  dal  Nòrd  al  Sud  e all’Est,  dai  monti  : Lentia,  Sa- 
raceno, Rosso,  Molinello,  mentre  declina,  al  Nord,  a Capo  Grosso,  e 
al  N.E,  alla  punta  di  Luccia. 

In  qualche  modo,  il  Vulcano  grande  è nelle  condizioni  del  Vesuvio 
rispetto  al  Somma.  L’analogia  si  ripete  anche  nella  valle  che  circonda 
ad  Est,  Sud  e Ovest  il  cono  del  cratere  attuale,  la  quale  è divisa  in 
due  pioventi,  uno  che  circonda  ad  Est  il  piede  del  cono,  l’altro  che  lo 
circuisce  al  Sud  ed  all’  Ovest.  Questa  valle  è nelle  condizioni  dell’Atrio 
del  Cavallo  nel  Vesuvio. 

Il  grande  ed  antico  Vulcano,  quello  del  cratere  largo  e slabbrato, 
ha  eruttato  delle  lave  trachitiche,  a sanidino,  di  due  tipi  diversi,  di  cui 
uno,  analogo  a quello  della  lave  dei  monti  Gallina  e Guardia,  di  Lipari, 
accompagnata  anche  qui  da  ossidiane  imperfettamente  vetrose,  domina 
sul  versante  occidentale,  e l’altro,  più  scuro,  che  domina  sull’altro  ver- 
sante, ed  è eguale  a quello  delle  lave  di  Vulcanello. 

Questo  secondo  tipo  di  lave,  anche  pel  loro  dividersi  in'prismi  pen- 
tagonali, mi  parve  un  tipo  intermedio  fra  il  basaltico  e il  trachitico, 
e così  lo  definii  all’epoca  in  cui  feci  il  rilevamento  geologico  di  quelle 
isole  (anni  1881  e 1882). 

Si  hanno  poi  delle  grandi  estensioni  coperte  da  scorie  laviche  tra- 
chitiche, le  quali  formano  il  Monte  Saraceno,  colla  sua  pendice  fino  al 
mare,  e tutta  la  cresta  del  Serro  dell’Arpa,  Serro  Conigliara,  la  Som- 
mata, Serro  delle  Felicicchie,  e le  pendici  fino  all’antico  faro. 

Tufi  regolarmente  stratificati,  intercalati  colle  lave,  si  hanno  sotto 
il  Serro  Conigliara,  fino  al  mare,  e su  tutto  il  versante  orientale,  dalla 
Chiesa  fino  a Monte  Luccia. 

I tufi  di  lapilli  impastati  ricoprono  1’  esteso  piano  superiore,  che 
si  stende  da  Monte  Molinello  e Serro  dell’Arpa,  Serro  Felicicchie  e Monte 
Aria,  per  oltre  4 chilometri  quadrati.  Sono  tufi  di  origine  più  recente 
dei  primi. 

II  cono  attuale  di  Vulcano  poi,  che  ha  una  base  circolare  di  chil.  2 
di  diametro,  è tutto  formato  da  ceneri  grigie,  più  o meno  impastate, 
meno  in  qualche  punto  in  cui  appare  la  lava  trachitica.  E però  cosparso 
di  massi  di  lave  scoriacee,  gettati  dalle  eruzioni  antecedenti. 


Il  braccio  di  mare  che  rimaneva  fra  Vulcanello  e Vulcano,  fu  col- 
mato da  queste  ceneri  e fra  i due  porti,  di  Ponente  e di  Levante,  il 
suolo  è tanto  depresso  che,  in  alcuni  punti  non  si  eleva  che  di  0rn,70 
sul  mare. 

Prodotti  speciali,  di  fumaiole,  si  avevano  nel  fondo  del  cratere  e 
intorno  ad  esso,  e i più  antichi  formavano  i così  detti  Faraglioni . Da 
questi  prodotti  di  fumaiole  si  estraevano,  colla  lessiviazione,  Tacido  bo- 
rico è i!  sale  ammoniaco  e,  colla  fusione,  il  solfo. 

Non  starò  qui  a descrivere  i processi  usati  per  ottenere  questi 
prodotti. 

L’attuale  coltivatore,  un  inglese  (sig.  E.  Narlian),  aveva  alquanto 
migliorati  questi  trattamenti,  utilizzando  anche  gli  acidi  che  rimane- 
vano nelle  acque  madri. 

10  aveva  visitato  Vulcano  quattro  volte,  una  nel  giugno  1881,  una 
nel  novembre  dello  stesso  anno,  e due  nel  luglio  1882.  Allora  il  bordo 
del  cratere  era  di  pianta  esattamente  circolare,  ed  aveva  il  diametro 
di  450m  circa.  Era  più  basso  dal  lato  Nord  (290m)  ove  sì  aveva  il  piano 
della  Fossa  o delle  Fumaiole,  e più  alto  dal  lato  opposto,  ove  raggiun- 
geva i 350m  ed  anzi,  una  punta  arrivava  alla  quota  di  386m  sul  mare. 
Anche  questo  cratere  mostrava  dunque  di  aver  avuto  una  tendenza  a 
slabbrarsi  verso  tramontana,  come  già  aveva  fatto  il  grande  cratere 
esterno.  Da  quel  lato,  infatti,  si  vedeva  una  colata  di  lava  trachitica, 
e si  apriva  la  Forgia  Vecchia,  piccolo  cratere  laterale,  il  cui  fondo  è 
a 1201  sul  mare. 

E interessante  notare  che  il  centro  del  cratere  attuale,  quello  della 
Forgia  Vecchia  e quello  di  Vulcanello  sono  su  una  retta  esattamente 
orientata  S-N. 

11  cratere  presentava  un  fondo  piano,  alla  quota  220m  sul  mare,  se 
mal  non  mi  appongo,  simile  a quello  delle  solfatara  di  Pozzuoli;  però 
in  un  angolo  (N.N.E)  presentava  una  grotta,  di  dove  usciva  un  forte 
soffione  e dove,  se  non  era.  illusione  dovuta  alla  rapidità  e saltuarietà 
delle  osservazioni  che  il  soffiare  dei  vapori  permetteva,  apparivano 
talvolta  dei  riflessi  di  materie  incandescenti. 

L’attività  di  questo  vulcano,  da  molto  tempo  si  era  ridotta  ad  ema- 
nazioni di  vapori,  ceneri  e lapilli,  ed  infatti  pare  che  da  oltre  400  anni 
non  si  avessero  avuto  vere  e proprie  eruzioni,  con  uscita  di  lava.  Da 


— 216  — 


oltre  un  secolo  poi  non  aveva  avuto  manifestazioni  violente;  tutta  la 
sua  attività  si  riduceva  alle  fumaiole  dell’interno  ed  a quelle  del  Piana 
della  Fossa.  Queste  ultime  davano  dei  depositi  di  solfo  giallo  o rosso 
(forse  per  la  presenza  dell’arsenico)  in  aghi  finissimi,  identici  a quelli 
che  si  hanno  fondendo  il  solfo  in  un  crogiuolo  e poi  versandone  una 
parte  mentre  comincia  a solidificarsi,  e che  appartengono  al  sistema 
monoclino. 

Queste  manifestazioni  identiche  a quelle  che  si  hanno  sul  labbro 
esterno  del  cratere  di  Stromboli,  indicavano  che  l’attività  non  era  del 
tutto  cessata,  ma  la  tranquillità  del  vulcano,  rotta  solo  a lunghi  in- 
tervalli da  qualche  rombo  poteva  far  credere,  come  credetti  io,  ad  una 
progressiva  e totale  estinzione  di  esso,  a somiglianza  di  tutti  i suoi 
simili,  sparsi  nelle  altre  isole  Eolie. 

Invece  la  notte  del  3 agosto,  prima  dell’alba,  il  vecchio  Vulcano 
si  ridestava  inopinatamente.  Nel  giorno  seguente  lanciò  pietre  fino 
presso  Vulcanello,  cioè  a 2 chilometri  di  distanza  dal  centro  del 
cratere. 

Alcune  di  queste  pietre  sfondarono  il  tetto  della  casa  abitata  dal 
sig.  Narlian,  nonché  quelli  dei  magazzini  ove  si  lavoravano  i diversi 
prodotti,  e delle  case  ove  alloggiavano  gli  operai,  fra  cui  quella  ove 
si  rinchiudevano  i lavoranti  della  colonia  di  coatti  di  Lipari. 

Questo  primo  periodo  dell’eruzione  fu  veramente  violento,  a giudi- 
care dalla  distanza  cui  furono  progettati  i massi.  Uno  di  questi,  caduto 
al  di  là  della  casa  del  direttore  suddetto,  presso  un  pozzo  attiguo  alla 
vigna,  ha  prodotto  una  fossa  profonda  1,50,  con  4m  di  diametro  alla 
bocca.  Scavato  il  fondo  per  oltre  un  metro,  non  fu  possibile  rinvenire 
il  masso  caduto,  tanto  profondamente  esso  erasi  sepolto. 

Questo  primo  periodo  di  attività  non  durò  molti  giorni  ed,  anzi, 
il  Vulcano  rientrò  in  una  calma  relativa,  tanto  chè,  nella  seconda  metà 
del  mese  di  agosto,  fu  possibile  al  prof.  0.  Silvestri  salire  sulle  cime 
del  cratere. 

Però  verso  la  ‘fine  di  agosto,  Vulcano  ricominciò  a fare  delle  eru- 
zioni assai  violente;  la  cenere,  portata  dal  vento,  che  già  pioveva  a 
Lipari  e a Salina,  giungeva,  spinta  dai  venti  di  ponente,  fino  in  Cala- 
bria, a Villa  S.  Giovanni. 

Avendo  terminato  i lavori  che  mi  tenevano  occupato  altrove,  ho 


potuto  pensare  a recarmi  a Vulcano,  Vi  feci  infatti  due  visite,  il  5 e 
il  6 settembre,  ed  ecco  le  osservazioni  che  vi  ho  fatte: 

La  mattina  del  5 si  aveva  calma  di  scirocco  in  mare,  ma  in  alto  re- 
gnava un  vento  di  levante,  che  spingeva  le  ceneri  e il  fumo  verso  po- 
nente. Dal  basso . giudicai  che  le  pietre  erano  preferibilmente  lanciate 
in  quella  direzione,  mentre  le  fumaiole,  che  numerose  e cospicue  ap- 
parivano al  bordo  del  piano  della  Fossa,  sembravano  immuni  da  ca- 
dute di  massi.  Risolsi  di  salire  prontamente  per  il  vecchio  sentiero 
della  Forgia  Vecchia,  passare  dalle  fumaiole  ed  andare  sul  bordo  me- 
ridionale del  cratere. 

Al  piccolo  cratere  della  Forgia  Vecchia,  trovai  le  traccie  di  una 
fumaiola  recente,  di  vapor  d’acqua.  Vi  era  infatti,  nel.  mezzo,  una  ca- 
vità perfettamente  circolare,  coperta  di  cenere,  ma  formata  di  un  fango 
giallo  rosato,  ancora  troppo  molle  per  essere  plastico. 

Giunto  verso  i 200m  di  altezza,  vidi  che  i massi,  lanciati  da  una 
eruzione  più  forte,  andavano  a ricadere,  in  gran  parte,  nelle  fumaiole, 
anzi  uno  assai  voluminoso,  cadendo  in  una  grossa  cui  era  prossima 
(la  fumaiola  Caputo)  “ne  alterò  per  qualche  tempo  il  regime. 

Rinunziai  adunque  ad  avvicinarmi  alle  fumaiole  stesse  e mi  diressi 
ad  una  piccola  cresta,  che  separa  due  vallatelle,  una  ad  Est  ed  una  ad 
Ovest,  la  quale  ultima  confina  col  bordo  del  cratere. 

Un  appicco  di  4 metri  di  altezza,  di  cenere  impastata,  richiese  un 
po’  di  tempo  ad  essere  da  me  superato  1 dovendo  scavare  i gradini 
coi  martello.  Ciò  diede  tempo  al  vulcano  di  fare  un’altra  delle  sue  eru- 
zioni più  forti  le  quali,  come  dirò,  avvengono  ogni  35  minuti,  e quando 
ebbi  superato  l’appicco,  vidi  i massi  cadere  nella  vallatella  a ponente, 
a 50  metri  da  me. 

Era  evidente  che  i massi  cominciavano  a cadere  prevalentemente 
verso  Est,  e quindi  mi  affrettai  per  giungere  al  culmine  di  386m,  che 
domina  il  cratere. 

Prima  che  giungessi,  un’altra  forte  eruzione  lanciava  sassi  volu- 
minosi al  di  là  della  piccola  cresta  suddetta,  coprendo  il  sentiero  da 
ine  tracciato,  di  lapilli  e pietre.  Dalla  vetta  spingendo  lo  sguardo  nel- 


1 Le  guide  si  rifiutarono  assolutamente,  quel  giorno  e il  seguente,  di  accom- 
pagnarmi. 


— 218  — 


l’interno  del  cratere,  non  vidi  che  una  massa  di  fumo.  Le  emanazioni- 
di  vapori  e ceneri,  avvenivano  ogni  5 minuti  e,  stante  la  calma  del- 
l’aria, si  spingevano  verticalmente  finché,  incontrando  gli  strati  supe- 
riori dell’aria,  in  movimento,  piegavano  ad  Ovest.  L’intervallo  però  era 
troppo  breve,  perchè  il  cratere  fosse  mai  sgombro  di  fumo.  Solo  alla 
eruzione  più  forte,  seguente  (ore  11  57')  vidi  il  getto  luminoso  di  ma- 
teriali incandescenti,  squarciare  momentaneamente  le  tenebre. 

11  fondo  del  cratere  apparve  sfondato,  come  è naturale,  e l’esplo- 
sione avveniva  nel  canto  N.N.E,  dove  era  anche  primitivamente  la  grotta 
colle  fumaiole,  di  cui  parlai  sopra. 

Però,  tutto  il  cratere  conservava  quell’aspetto  di  simmetria  (un  vero 
imbuto)  come  aveva  pel  passato.  Nessuno  squarcio  nelle  pareti  e nes- 
suno sprofondamento  sugli  orli,  almeno  per  la  parte  che  si  vedeva. 

Il  barometro  ribatteva  la  quota  di  386  per  la  vetta  su  cui  mi  trovava. 

Ma  la  pioggia  di  massi,  di  quella  eruzione,  ricadde  vicissima.  Dalla 
velocità  con  cui  scendevano,  e dal  loro  numero,  era  evidente  Timpos- 
sibilità  di  scansarne  i colpi,  cosa  che  aveva  potuto  fare  a Stromboli. 
Mi  ritirai  un  poco  a ponente,  ma  la  successiva  eruzione  mi  tornò  a 
dimostrare  che  il  getto  dei  massi  aveva  realmente  cambiato  direzione,, 
ed  avveniva  preferibilmente  nel  1°  e 2°  quadrante. 

Dovetti  scendere  e,  percorrendo  il  piede  occidentale  del  cono  tra- 
versai una  zona,  larga  un  chilometro  circa,  in  cui  pioveva,  abbondante 
e molesta  la  cenere. 

L’indomani  6 settembre,  tentai  ancora  l’ascensione,  dalla  così  detta 
strada  nuova , dalla  parte  N.O,  e ciò  perchè  vedeva  che,  nelle  eruzioni 
precedenti,  i massi  cadevano  'preferibilmente  verso  N.E.  Ma  anche  quir 
in  diverse  eruzioni  forti,  la  caduta  di  pietre  si  accentuò  verso  ovest  e, 
giunto  sull’orlo  del  cratere,  potei  persuadermi  che  in  nessun  punto  di 
questo  si  poteva  rimanere,  tante  e sì  violenti  erano  le  cadute  di  pietra. 

Non  riscontrai  alcuna  deformazione  di  quest’orlo. 

Avendo,  del  resto,  veduto  abbastanza,  ossia  tutto  il  possibile,  del 
cratere,  scesi,  e mi  occupai  della  raccolta  di  campioni. 

Ecco  ora  i resultati  delle  osservazioni  fatte,  che,  se  valgono  per 
il  periodo  in  cui  presenziai  i fenomeni,  possono  del  resto  variare  molto 
in  seguito. 

Il  vulcano  faceva  delle  emissioni  di  fumo,  ogni  5 minuti  ; il  fumo 


— 219  — 


saliva  verticalmente,  diffondendosi  poi  nella  direzione  dove  dominava 
il  vento  dell’alto. 

Il  fumo  appare  nero,  dalla  parte  contro  il  sole,  e bianco,  ma  opaco, 
dove  è illuminato;  sale  in  dense  volute  e si  spinge  almeno  a G00m  di 
altezza  sul  cratere. 

Ogni  35  minuti  ha  luogo  una  eruzione  più  forte,  con  rombi  e deto- 
nazioni. Allora  si  spingono  in  alto  dei  massi  di  forme  diverse,  roteanti 
con  velocità,  mentre  i lapilli  e le  ceneri  più  grosse,  ricadono  in  cor- 
tina, mascherando  le  volute  del  fumo,  che  si  vedono  solo  più  in  alto. 

I massi  ricadono  con  velocità  vertiginosa;  infatti,  se  spinti  a 
soli  300m  di  altezza  sul  cratere  e ricadenti  da  500m  sulla  parete  esterna 
del  cono,  la  loro  velocità  (y  2 gioì)  è di  circa  m.  100  al  1".  ’L’  occhio  li 
segue  quando  si  trovano  in  alto  e cominciano  a discendere,  ma  poi 
acquistano  tale  velocità,  che  non  si  può  dire  dove  vadano  a cadere. 
Un  sibilo  e una  nuvoletta  di  cenere  sollevata,  indicano  il  momento  e 
il  luogo  della  caduta. 

Alle  9 25'  antimeridiane  del  6 settembre,  ne  caddero  molti  sulla 
Forgia  Vecchia,  e uno  fin  presso  alla  casa  detta  dei  coatti.  Sotto  il 
calore  irradiato  dai  massi,  le  ginestre  che  sono  vicine,  si  disseccano 
e poi  si  incendiano.  Spezzandoli,  si  vedono  svilupparsi  delle  fiamme 
dalle  cavità  interne,  mentre  appaiono  perfettamente  incandescenti.  Bi- 
sognava ricorrere  ad  artifizii  speciali,  per  portar  via  quei  pezzi,  alcuni  dei 
quali,  dopo  4 ore  dalla  caduta,  non  erano  ancora  perfettamente  raffreddati. 

Quel  calore  può  essere  iniziale,  e può  essere  anche  prodotto,  in 
parte,  dallo  sfregamento  dell’aria  nella  caduta,  o dall’urto. 

I massi  più  grossi  che  vidi,  potevano  avere  il  volume  di  un  quarto 
di  metro  cubo,  e quindi  un  peso  di  425  chilogrammi  circa  (essendo  di 
lava  scoriacea).  Per  la  loro  caduta  da  oltre  500  m.,  ossia  all’arrivo  in 
terra  con  più  di  100  m.  di  velocità,  dovevano  avere  una  forza  viva  di 
circa  450  000  chilogrammetri  e sviluppare  un  lavoro  di  225  000,  ossia 
500  calorie. 

II  grosso  masso  caduto  presso  il  pozzo,  e scomparso,  doveva  ca- 
dere da  un’ altezza  anche  maggiore,  e la  sua  forza  viva  essere  enorme. 

Le  ceneri  sono  brune  quando  cadono  umide,  grigiastre  quando 
asciutte.  La  cenere  tenue  che  si  lascia  trasportare  a distanza,  arriva 
asciutta  ed  è bianchiccia  o grig'o-giallastra. 


— 220  — 


Nei  giorni  5 e 6,  il  barometro  aneroide  che  io  portava,  segnava, 
alle  9 di  mattina,  al  mare,  mm.  771,  5. 

Presenziai  le  seguenti  eruzioni: 

Nel  giorno  5,  le  eruzioni  forti,  alle  ore  : 

10  12', 

10  47', 

11  22', 

11  57', 

12  32'. 

Le  piccole  avvenivano  ogni  5 minuti. 

Nel  giorno  6: 

la  alle  6 26'  prolungata  fino  alle  6 29',  fortissima , 

2a  » 6 31'  debole, 

3a  » 6 35'  debole, 

4a  » 6 40'  più  forte, 

5a  » 6 46'  più  forte, 

6a  » 6 51'  più  forte, 

7a  » 6 56'  continuata  fino  alle  6 59',  fortissima , 

8a  » 7 4', 

14a  » 7 32'  fortissima , 

21a  » 8 7'  prolungata  fino  alle  8 10',  fortissima, 

28a  » 8 45'  fortissima , 

35a  » 9 25'  » 

42a  » 10  2'  » 

47a  » 10  28'  » 

Nel  pomeriggio  del  giorno  6,  le  forti  eruzioni  erano  quasi  cessate, 
ma  alle  5 50'  e alle  6 30' di  sera,  si  sentirono  dal  mare,  dove  navigava 
a certa  distanza,  due  fortissime  detonazioni,  e si  videro  grandi  colonne 
di  fumo  salire  dal  vulcano  e dirigendosi  verso  Sud. 

Riassumendo: 

1°  Le  eruzioni  succedono  ad  intervalli,  quasi  assolutameute  re- 
golari, di  5 minuti;  ogni  7 eruzioni  se  ne  ha  una  forte; 

2°  I massi  gettati  sono  di  lava  trachitica  scura,  analoga  a quella 


221  — 


delle  antiche  eruzioni,  ma  più  scoriacea;  talvolta  sono  di  prodotti  di 
fumaiola,  con  solfo,  ecc.  Non  furono  mai  proiettati  ad  un  raggio  mag- 
giore di  2 chilometri  ; ora  lo  sono  generalmente  entro  un  raggio  di 
500  m.,  che  raramente  oltrepassano; 

3°  Le  ceneri  sono  identiche  a quelle  che  hanno  colmato  la  zona 
fra  Vulcano  e Vulcanello; 

4°  Il  cretere  non  è deformato,  solo  ne  sprofondò  il  fondo,  e le 
emissioni  avvengono  preferibilmente  nell’angolo  N.E; 

5°  I danni  prodotti  sono  rilevanti,  quanto  ai  fabbricati  dell’auenda 
industriale,  e alla  distruzione  dei  depositi  di  solfo  e altri  sali,  accu- 
mulati nel  cratere.  Nessun  danno  alle  vigne,  o trascurabili.  Gli  incendi 
alle  ginestre  selvatiche,  provocati  per  irradiazione  di  calore  dei  massi 
caduti,  sempre  limitati  in  estensione  e prontamente  estinti  ; 

6°  Tutte  le  parti  al  di  fuori  della  cerchia  del  vecchio  e grande 
-cratere,  sono  perfettamente  immuni  dalle  cadute  di  massi  o da  altri 
pericoli.  Non  si  avverte  nessun  fenomeno  nelle  cisterne,  e a Lipari  si 
sente  solo  qualche  scossa,  quando  avvengono  forti  esplosioni. 

Catanzaro,  9 settembre  1888. 


IL 

Appunti  sopra  roccie  vulcaniche  della  Toscana  studiate  dal 
Rosenbusch;  del  prof.  0.  de  Stefani. 

Tre  anni  fa  e più  tardi  mandai  al  Rosenbusch  parecchi  esem- 
plari delle  roccie  vulcaniche  recenti  di  Toscana,  acciocché  se  ne  gio- 
vasse palla  sua  classica  Mikroskopische  Physiograpliie  der  Minerò - 
lien  und  Gesteine  di  cui  è uscito,  pochi  mesi  sono,  il  volume  II  (Stutt- 
gart, E.  Schweizerbart’  sche  Verlagshandlung;  1887).  Dopo  rinvio  che 
io  feci  sono  usciti  sopra  le  stesse  roccie,  in  brevissimo  tempo,  parec- 
chi lavori,  tutti  accurati  e fatti  coi  criteri  che  oggi  si  richiedono,  di 
Bucca,  Busatti,  Dalmer,  Klein,  Mercalli,  Williams,  per  modo  che  d’un 
tratto  quella  regione  vulcanica  è diventata  quasi  delle  meglio  cono* 


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sciute  d’Italia.  Le  osservazioni  che  il  Rosenbusch  ha  pubblicato  e 
le  altre  inedite  che  in  parte  mi  ha  comunicato  aumentano  d’  assai  le 
cognizioni  sopra  quelle  roccie  ed  io,  acciocché  siano  meglio  cono- 
sciute e non  se  ne  perda  il  grande  valore,  ne  pubblico  un  breve  sunto. 

Nei  dintorni  d’Orciatico  il  Capellini  e il  Lotti  hanno  distinto  delle 
varietà  dì  trachite  che  credono  differente  da  quella  vicina  di  Monte- 
catini:  io  però  credo  si  tratti  di  una  semplice  varietà  microfelsitica.  Ivi 
la  trachite  è superficialmente  più  bollosa  e quasi  pumicea,  prova  che 
fece  eruzione  allo  scoperto,  e riposa  sul  Pliocene  ; rimane  quindi 
escluso  il  dubbio,  ancora  giustificabile  quando  io  lo  esposi,  che  si  tratti 
di  una  eruzione  forse  miocenica  e più  antica  di  tutte  le  altre  eruzioni 
postplioceniche  della  Toscana.  La  trachite  d’  Orciatico  non  è ancora 
stata  esaminata  dal  Rosenbusch.  Quella  identica  di  Montecatini  in  Val 
di  Cecina,  che  già  prima  aveva  studiato,  il  Rosenbusch  la  pone  fra 
le  vere  trachiti  del  tipo  di  Drachenfels,  come  alcune  trachiti  degli 
Euganei;  la  grande  ricchezza  delle  inclusioni  di  Biotite  e di  Augite, 
mentre  i feldispati  appartengono  alla  massa  fondamentale,  le  danno  un 
carattere  decisamente  lamprofìrico.  Come  n,ei  lamprofiri  vi  sono  abbon- 
danti pseudomorfosi  di  Pilite  derivata  da  Olivina  ( Mik . Phys  .II,  p.597). 

Della  trachite  del  gruppo  di  Roccastrada-Sassoforte  il  Rosenbusch 
descrive  un  esemplare  di  Torniella,  avuto  credo  dal  D’Achiardi,  ed  uno 
avuto  da  me,  che  egli  indica  come  proveniente  dal  Monte  Amiata,  ma  che 
è di  Roccastrada.  Egli  la  attribuisce  alle  Lipariti  e specialmente  al 
tipo  delle  Nevaditi  assai  raro  in  Europa  e non  ancora  sufficientemente 
studiato.  La  più  distinta  rappresentante  delle  Hyalonevaditi  è la  tra- 
chite di  Roccastrada,  creduta  del  Monte  Amiata  (p.  541  e XIV).  Ha 
aspetto  granitico:  numerose  inclusioni  di  Sanidino,  Plagioclasio,  Quarzo 
e Biotite  stanno  in  una  massa  fondamentale  vetrosa,  limpida,  conte- 
nente Biotite  di  seconda  generazione,  ed  alcuni  sferocristalli  di  natura 
microfelsitica.  La  massa  vetrosa  sotto  i Nikol  incrociati,  a debole  in- 
grandimento, pare  un  aggregato  granuloso  allotriomorfo  ed  olocristal- 
lino:  mai  si  vede  una  colorazione.  La  Hyalonenadiie  di  Torniella  è 
molto  vicina  alla  predetta;  quale  accessorio  vi  son  pure  Ipersteno  (p.  5, 
34)  e Cordierite.  Alcune  trachiti  del  Lazio  sono  Nevaditi  e vi  si  avvi- 
cinano assai  quelle  di  Canapiglia.  Anche  le  trachiti  di  Roccastrada- 
Sassoforte  sono  postplioceniche  perchè  si  riversarono  sopra  il  Pliocene. 


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Postplioceniche  sono  pure  le  trachiti  del  Monte  Amiata,  le  quali 
si  riversarono  in  banchi  quasi  orizzontali  o leggermente  inclinati  a 
mantello  sopra  terreni  eocenici  e più  antichi,  già  spostati  e denudati  ; 
di  esse  niuna  ghiaia  si- trova  ne’circostanti  conglomerati  pliocenici,  che 
sono  formati  a spese  delle  rocce  eoceniche.  Il  Williams  ha  determinato 
quella  roccia  come  una  Trachite  iperstenolabradoritica , la  quale  in 
certi  punti  accenna  alle  Andesiti,  in  altri  alle  Lipariti  ma  conserva 
sempre  natura  chimica  identica.  Il  Williams  crede  che  la  forma  por- 
firoide  più  liparitica  predomini  nel  centro,  1’  altra  più  andesitica  al- 
T esterno,  e che  le  varietà  derivino  da  differente  modo  di  solidifica- 
mento,  più  lento  all’interno  del  monte,  più  veloce  all*  esterno,  sebbene 
poi  egli  trovi  delle  eccezioni  non  poche  nella  distribuzione  topografica 
di  dette  varietà.  Una  circostanza  osservata  da  quasi  tutti,  anche  dal  Wil- 
liams, ma  non  presa  sufficientemente  in  considerazione,  prova  che  il 
modo  di  vedere  del  dotto  americano  non  è accettabile.  Le  trachiti  cioè, 
sono  disposte,  come  dicevo,  a banchi,  nei  quali  alternano  le  differenti 
varietà  ora  porfìroidi  e quasi  liparitiche,  ora  quasi  andesitiche , se- 
condo le  circostanze  che  via  via  si  verificarono;  questo,  insieme  col- 
Y abbondanza  dei  tufi  intercalati,  prova  che  il  Monte  Amiata  fu  un 
vulcano  come  tutti  gli  altri,  il  quale  fece  lunghe  eruzioni.  Mandai  al 
Rosenbusch  vari  esemplari;  uno  dei  dintorni  di  Seggiano  egli  lo  fece 
studiare  all’  ing.  Novarese,  il  quale  conferma  le  osservazioni  del  Wil- 
liams, meglio  comprovando  la  presenza  dell’Augite  monoclina.  Alcune 
altre  osservazioni  sui  componenti  la  detta  trachite  le  ha  pubblicate  il 
Rosenbusch,  contemporaneamente  al  Williams,  chiamandola  trachite 
biotito-iperstenica  (p.  534,  579,  581,  584,  586,  600,  601):  egli  vi  nota 
inclusioni  di  Bronzite  intrecciate  con  quelle  di  Plagioclasio  e di 
Augite,  non  però  con  quelle  di  Sanidino  (pag.  534)  e alterazioni  del- 
ripersteno  in  Bastite  (pag.  586);  fra  le  inclusioni  è pur  lo  Zircone 
(pag.  601  . Dai  dintorni  di  Seggiano  proviene  una  varietà  che  « ha 
r aspetto  di  certe  minette  e ricorda  un  poco  la  trachite  micacea  di 
Montecatini,  benché  la  composizione  sia  diversa.  Essa  consiste  in 
grandi  cristalli  di  mica  bruna,  in  lunghi  prismi  d’augite  ed  in  feldispati 
diversi  con  struttura  affatto  insolita  nelle  trachiti.  » 

La  trachite  del  Monte  Amiata  abbonda  di  massi  inclusi  ricchi 
di  grafite  : il  Rosenbusch  ha  trovato  « in  un  esemplare  grigio  con 


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lunghi  cristalli  bianchi,  prismatici,  delle  varietà  di  Biotite,  cristalli 
e grani  di  uno  Spinellide  o di  un  Granato  non  ancora  determinato, 
materia  carboniosa  e un  poco  di  feldspato  e quarzo.  La  roccia  è un 
poco  schistoide  e sono  assolutamente  sicuro  (egli  scrive  con  ragione) 
che  si  tratta  di  una  roccia  sedimentaria  metamorfosata.  » 

Il  piccolo  lembo  di  Radicofani  è stato  studiato  di  recente  da  Bucca 
e Mercalli.  La  roccia  è una  dolerite  sanidinica  facente  passaggio  ta- 
lora ad  andesite  olivinica,  affatto  distinta  anche  litologicamente  dai 
Prossimi  prodotti  vulcanici  vulsinii.  Il  Rosenbusch  mi  scriveva  (19  ot- 
tobre 1887)  di  avervi  trovato  < nella  mesostasi  o massa  fondamentale 
intercalata  ai  cristalli  di  prima  generazione,'  dei  microliti  prismatici  rossi 
o gialli,  che  non  aveva  potuto  ancora  determinare,  a estinzione  destra, 
di  cui  Tasse  più  lungo  coincide  col  minore  asse  di  elasticità.  » 

La  roccia  è superiormente  scoriacea  e bollosa,  evidentemente  in 
quella  parte  che  emergeva  sopra  il  suolo  pliocenico  circostante  e si 
mostra  quindi  posteriore  alla  emersione  di  questo. 

Nel  vulcano  Vulsinio  e sue  adiacenze  la  successione  delle  correnti, 
come  del  resto  negli  altri  vulcani  dell’Italia  centrale,  e la  serie  crono- 
logica delle  eruzioni  si  possono  stabilire  accuratamente  notando  le  in- 
tercalazioni delle  lave  entro  i tufi  sui  margini  del  cratere  sventrato  oc- 
cupato dal  lago.  Di  questo  criterio  cosi  semplice  niuno  si  è finora 
servito  pel  vulcano  di  Bolsena  : Leucititi,  Leucotefriti,  Fonoliti,  sono 
ordinariamente  le  roccie  più  antiche  di  questo  vulcano,  ed  anche  le 
più  recenti  nel  cratere  laterale  di  Latera-Valentano;  una  Leucitite 
passante  a Leucotefrite  di  Sorano,  avuta  da  me,  è citata  dal  Rosen- 
busch. Andesiti  augitiche  sono  le  roccie  più  recenti  del  vulcano  Vul- 
sinio. 

Mandavo  pure  al  Rosenbusch  una  roccia  verdognola  che  si  trova 
nel  Monte  Elceto  alla  base  delle  trachiti  della  Tolfa,  fra  queste  e le 
roccie  cretacee;  egli  la  trovava  essere  una  « Leucitite  perfettamente 
identica  alle  roccie  leucitiche  delle  montagne  d’Albano  e dei  dintorni 
di  Roma.  > 

Questa  roccia  dunque  formò  le  più  antiche  colate  della  regione, 
mentre  le  trachiti  sono  più  recenti.  Nelle  Lipariti  o Nevaditi  di 
Campiglia  il  Rosenbusch  nota  la  conversione  della  Cordierite  in  Pinite 
(pag.  535)  già  osservata  da  altri  e rammenta  la  loro  affinità  col  tipo 


dei  porfidi  pinitici ; in  quelle  di  S.  Vincenzo  egli  trova  pure  quà  e là 
Bronzite  in  microliti  colla  Biotite  di  seconda  generazione  (p.  534).  Que- 
ste Lipariti  o Nevaditi  di  Campiglia,  cosi  somiglianti  a quelle  recenti 
di  Torniella  e Roccastrada,  appartengono  secondo  me  all’Eocene  su- 
periore, della  qual  cosa,  che  andrebbe  considerata  più  a lungo,  ragio- 
nerò altra  volta. 

III. 

Esame  microscopico  di  una  varietà  di  trachite  del  Monte 
Amiata;  nota  dell’ing.  V.  Novarese. 

Il  materiale  che  ha  servito  per  il  presente  studio  fu  preso  da  una 
raccolta  di  roccie  toscane  che  il  prof.  Carlo  De  Stefani  inviò  tempo 
fa  al  prof.  Rosenbusch  ad  Heidelberg,  e proviene  dai  dintorni  di  Seg- 
giano  sul  versante  settentrionale  del  Monte  Amiata.  Alcuni  dei  risul- 
tati principali  dello  studio,  compiuto  nei  primi  mesi  del  1887  nell’ Isti 
tuto  petrografico  della  Università  di  Heidelberg,  furono  già  publicati 
dal  Rosenbusch  stesso  nella  seconda  metà  del  2°  volume  della  sua 
Pliysiographie  der  massigen  Gesteine , II  Edizione,  Stuttgart  1887 
(pag.  601). 

Questa  varietà  di  trachite  del  Monte  Amiata  è di  struttura  porfi- 
rica  molto  evidente,  carattere  che  deve  principalmente  ai  cristalli  di 
sanidino  di  discreta  grandezza  che  spiccano  sul  suo  fondo  bruno 
cupo.  La  roccia  contiene  ancora,  discernibili  ad  occhio  nudo,  cristalli 
porfirici  di  plagioclase  vitreo  con  un  nucleo  decomposto,  foglietti  di 
mica  nera  e cristalli  di  minerale  pirossenico,  in  individui  però  di  gran 
lunga  minori  di  quelli  di  sanidino. 

L’esame  microscopico  delle  sezioni  sottili  della  roccia  non  fa  che 
confermare  la  sua  natura  porfirica.  I cristalli  dei  minerali  segregati 
sono  disseminati  in  una  parte  amorfa  di  color  bruno  con  marcatissima 
struttura  fluidale,  contenente  microliti  numerose. 

I cristalli  porfirici  appartengono  a due  generazioni:  sono  della 
prima  i cristalli  di  biotite,  iperstene,  augite,  plagioclase  e sanidino  che 
si  vedono  ad  occhio  nudo,  alla  seconda  sono  da  assegnarsi  i cristalli 


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di  biotite,  augite  e feldispato  che  sotto  un  non  forte  ingrandimento 
appaiono  come  microliti  diffuse  nella  massa  fondamentale  della  roccia. 

Fra  i minerali  della  prima  generazione  la  biotite  si  presenta  in 
cristalli  tabulari  assai  bene  sviluppati.  La  colorazione  bruna  è inten- 
sissima per  modo  che  le  sezioni  basali  sono  a mala  pena  trasparenti. 
Sottilissimi  foglietti  ottenuti  per  sfaldatura  sono  sensibilmente  pleocroi- 
tici,  onde  si  ha 

a — giallo  bruno. 

b — bruno  verdastro. 

C — bruno  rossastro. 

b > c > a 

Mediante  tali  foglietti  di  sfaldatura  si  può  alla  luce  polarizzata  con- 
vergente verificare  come  il  piano  degli  assi  ottici  coincida  col  piano 
di  simmetria,  rimanendo  così  fuor  di  dubbio  il  carattere  biotitico  della 
mica.  L’angolo  degli  assi  ottici  è piccolo  e la  dispersione  è tale 

che  p < v. 

I minerali  pirossenici  sono  rappresentati  da  un  pirosseno  rombico 
che  sembra  nei  suoi  caratteri  avvicinarsi  più  all ’ iperstene  che  non  agli 
altri  due  minerali  del  gruppo.  Si  presenta  sotto  forma  di  prismi  al- 
quanto allungati;  in  lamine  di  sfaldatura  e nelle  sezioni  sottili  stesse 
esso  è pleocroitico  in  modo  apprezzabile.  Nelle  sezioni  secondo  il  pi- 
nacoide  100  si  ha 

b — giallo  pallido. 

C — verde  chiaro. 

La  bisettrice  acuta  negativa  è normale  ad  100.  Nelle  sezioni  sottili 
si  osservano  linee  di  sfaldatura  secondo  il  prisma  110  ed  uno  dei  pi- 
nacoidi:  di  quale  dei  due  pinacoidi  si  tratti  è difficile  stabilire  con  si- 
curezza; il  fatto  che  i frammenti  d’iperstene,  ottenuti  frantumando  la 
roccia  onde  separarne  meccanicamente  gli  elementi,  mostrano  per  la 
massima  parte  di  avere  le  faccie  più  estese  normali  alla  bisettrice  acuta, 
porterebbe  a credere  che  tale  pinacoide  fosse  quello  100,  mentre  di 
solito  pei  pirosseni  rombici  si  adduce  come  faccia  di  sfaldabilità  più 
perfetta  la  010. 

II  pirosseno  monoclino  è un  augite  di  color  verde  chiaro,  in  lunghi 
prismi,  ed  in  generale  in  cristalli  di  dimensioni  molto  minori  che  non 


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quelli  d’iperstene.  Si  distingue  facilmente  da  questo  per  la  mancanza 
di  pleocroismo,  per  l’ordine  elevato  dei  suoi  colori  d’interferenza  nella 
sezione  sottile,  e per  la  grande  obliquità  delle  sue  direzioni  d’estinzione 
rispetto  all’asse  c.  La  sfaldatura  prismatica  è sempre  più  o meno  chia- 
ramente accennata. 

Tali  sono  i caratteri  dei  due  pirosseni  quando  si  presentano  in 
cristalli  isolati;  nella  roccia  però  si  osservano  ancora  noduli  formati 
da  aggregazioni  di  tutti  i minerali  in  essa  porfiricamente  diffusi  1 ed 
in  cui  i pirosseni  hanno  caratteri  alquanto  differenti  da  quelli  ora  esposti. 
Tali  aggregazioni  arrivano  a qualche  millimetro  di  dimensione  e in  esse 
scompare  fra  i cristalli  la  massa  fondamentale;  il  loro  nucleo  princi- 
pale è formato  dalla  mica  e dai  due  pirosseni  in  individui  di  maggior 
grossezza  che  non  quelli  isolati  nella  roccia;  intorno  a questo  nucleo 
v’ha  ancora  una  zona  di  cristalli  di  feldispato,  i quali  al  contrario  di 
ciò  che  si  è detto  pei  minerali  colorati,  sono  più  piccoli  dei  feldispati 
isolati.  Questi  aggregati  fanno  l’effetto  di  centri  di  cristallizzazione, 
intorno  a cui  si  sieno  aggruppati  successivamente  i cristalli  che  nella 
loro  vicinanza  si  segregavano  dal  magma.  In  questi  noduli  i cristalli 
d’iperstene  si  mostrano  formati  da  un  intreccio  regolare  dei  due  piros- 
seni, del  rombico  e del  monoclino,  in  modo  che  lamelle  sottilissime  del 
pirosseno  monoclino  attraversano  nella  direzione  delle  facce  del  prisma 
110  il  cristallo  d’iperstene.  Inoltre  porzioni  di  iperstene  a contorni 
irregolari  sono  contenute  entro  cristalli  di  augite,  ed  il  tutto  è a sua 
volta  inviluppato  da  iperstene;  non  mi  fu  possibile  determinare  se  in 
in  quest’ultimo  caso  l’associazione  dei  due  minerali  si  compia  secondo 
una  data  legge.  Per  l’augite  delle  aggregazioni  è caratteristica  una 
finissima  geminazione  secondo  la  base,  in  grazia  della  quale  numerose 
lamelle  di  straordinaria  esiguità  attraversano  nella  direzione  della  base 
l’individuo  principale,  onde  questo  appare  sotto  il  microscopio  sottilis- 
simamente striato. 

Tutti  i cristalli  finora  descritti  contengono  inclusi  numerosi  della 


1 Tali  aggregati  e gruppetti  si  trovano  pure  nella  varietà  principale  della  tra- 
chite  dell’  Amiata.  Vedasi  J.  F.  Williams,  II  Monte  Amiata  (N.  Jahr.  f.  Min., 
Geol.  und  Pai.;  V.  B.-Band,  Stuttgart  1887,  pag.  437.)  Di  questo  lavoro  è stato 
dato  un  estratto  nei  numeri  9 e 10  dell’annata  1887  del  presente  Bollettino. 


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massa  fondamentale,  ed  esigui  aciculi  incolori  che  potrebbero  essere 
di  apatite. 

Importanza  e diffusione  assai  maggiore  della  biotite  e dei  pirosseni 
hanno  i due  feldispati,  il  plagioclasio  ed  il  sanidino. 

Il  plagioclasio  è generalmente  in  individui  a contorni  arrotondati 
ed  irregolari,  raramente  limitati  da  facce  cristallografiche;  non  oltre- 
passa in  nessuna  dimensione  i 2 o 3 mm.  Le  sezioni  sottili  mostrano 
la  geminazione  secondo  la  legge  dell’albite,  solita  nei  plagioclasii; 
spesso  poi  due  individui  polisintetici  sono  combinati  secondo  la  legge 
di  Carlsbad,  e più  raramente  secondo  quella  del  periclino:  quasi  tutti 
gli  individui  hanno  una  struttura  zonare,  e la  differenza  fra  i diversi 
angoli  d’estinzione  delle  diverse  zone  è molto  sensibile.  Infine  l’angolo 
d’estinzione  è in  media  piuttosto  grande. 

La  determinazione  del  peso  specifico  del  plagioclasio  si  fece  iso- 
lando mediante  un  elettromagnete  la  parte  feldispatica  della  roccia 
dagli  altri  minerali  fin  qui  descritti  e dalla  massa  fondamentale,  atti- 
ragli tutti  dalla  calamita:  il  plagioclasio  fu  indi  separato  dal  sanidino 
usando  la  soluzione  di  Thoulet.  Il  peso  specifico  del  plagioclasio,  de- 
terminato con  minerale  in  grana  minuta  scelto  sotto  il  microscopio, 
mediante  la  soluzione  ora  citata,  risulta  essere  di  2,69  che  è il  peso 
specifico  della  labradorite.  A questo  riguardo  è però  conveniente  no- 
tare che  i plagioclasi  contengono  moltissimi  inclusi  della  pasta  vetrosa 
della  roccia,  che  hanno  per  effetto  di  rendere  minore  il  peso  specifico 
degli  individui,  onde  il  peso  specifico  della  sostanza  del  feldispato  tri- 
clino  in  realtà  dev’  essere  alquanto  maggiore  del  numero  trovato.  La 
struttura  zonare  prova  del  resto  che  la  natura  del  plagioclasio  non  è 
la  stessa  nò  per  le  diverse  zone  dello  stesso  cristallo,  nè  forse  per 
tutti  i cristalli,  onde  anche  con  determinazioni  più  esatte  non  si  avrebbe 
che  la  sua  composizione  media. 

Sembra  che  i feldispati  triclini  di  questa  roccia  si  decompongano 
assai  facilmente.  Fu  già  accennato  trovarsi  nei  cristalli  di  plagioclasio 
un  nucleo  bianchiccio  opaco,  mentre  i contorni  sono  ancora  trasparenti 
e d’aspetto  vitreo.  Durante  l’operazione  dell’assottigliamento  della  se- 
zione di  roccia  il  nucleo,  formato  da  sostanza  incoerente,  scompare, 
e nella  sezione  finita  non  si  osserva  che  l’orlo  indecomposto  dei  cristalli. 

Il  sanidino  appare  in  grossi  cristalli  allungati  secondo  l’ asse  c e 


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geminati  secondo  la  legge  di  Carlsbad.  La  sfaldatura  secondo  la  base  001 
è molto  perfetta:  quella  invece  secondo  il  clinopinacoide  010  si  scorge 
soltanto  in  preparati  sottilissimi.  In  compenso  però  i cristalli  si  sfo- 
gliano in  frammenti  tabulari  a faccie  molto  irregolari  e scabre  paralle- 
lamente alla  faccia  100.  Preparati  secondo  quest’ultima  faccia  si  com- 
portano fra  i nicol  incrociati  in  luce  parallela,  quasi  come  corpo  iso- 
tropi; in  luce  convergente  si  osserva  che  essi  sono  normali  alla  biset- 
trice acuta  negativa,  che  l’angolo  degli  assi  è piccolo  e la  dispersione 
è p < v.  I preparati  secondo  001,  se  hanno  spessore  sufficiente,  mo- 
strano in  luce  polarizzata  convergente  di  incontrare  sotto  una  piccola 
obliquità  la  bisettrice  ottusa.  Questa  circostanza,  congiunta  col  ca- 
rattere della  dispersione,  prova  che  nel  sanidino  in  questione  il  piano 
degli  assi,  invece  di  essere  nella  posizione  normale,  coincide  col  piano 
di  simmetria  del  cristallo.  La  dispersione  inclinata  dev’essere  però 
molto  debole,  perchè  non  se  ne  può  scorgere  traccio  nelle  figure  d’in- 
terferenza in  luce  polarizzata  convergente. 

Il  peso  specifico  del  sanidino  alla  temperatura  di  17°  c.  è di  2,555; 
quindi  alquanto  minore  del  consueto  (2,56),  il  che  si  spiega  colla  pre- 
senza delle  inclusioni  di  pasta  vetrosa.  La  reazione  microchimica  col- 
l’acido fluosilicico  dimostra  che  il  sanidino  della  roccia  è essenzial- 
mente un  feldispato  di  potassa;  la  soda  non  compare  che  in  piccolis- 
sima quantità. 

I feldispati  contengono  numerosissime  inclusioni  cosi  di  pasta  ve- 
trosa come  di  minerali  (mica,  pirosseno);  speciale  menzione  meritano 
gli  inclusi  di  massa  fondamentale  in  forma  di  cristalli  negativi,  conte- 
nenti spesso  bolle  di  gaz. 

Fra  i minerali  accessorii  sono  da  accennarsi  i minerali  metallici, 
probabilmente  di  ferro,  in  forma  di  lamelle  opache  assai  parcamente 
diffuse  nella  roccia.  Fu  già  detto  che  a \Y apatite  potrebbero  riferirsi  i 
lunghi  aghi  incolori  inclusi  nei  cristalli  porfirici,  specialmente  nella 
biotite  e nel  pirosseno. 

L’ordine  con  cui  i minerali  fin  qui  annoverati,  eccezion  fatta  natu- 
ralmente degli  accessorii,  vennero  segregati  è quello  stesso  con  cui 
furono  descritti.  Da  quanto  è stato  detto  però  risulta  che  la  segrega- 
zione dei  due  pirosseni,  per  un  certo  periodo  di  tempo  almeno,  avvenne 
simultaneamente. 


15 


— 230  — 


Nel  fondo  vetroso  della  roccia  è diffusa  una  seconda  generazione 
di  cristalli.  Prima  fra  questi  è da  accennarsi  la  biotite  in  sottili  la- 
mine brune  e cogli  stessi  caratteri  di  quella  della  prima  generazione  ; 
il  pirosseno  in  prismettini  minutissimi  è pure  diffuso  in  tutta  la  massa 
fondamentale  abbastanza  regolarmente  ; infine  sono  ancora  numerosi  i 
cristalli  di  un  minerale  feldispatico,  che  per  la  estrema  loro  piccolezza 
riescono  di  difficile  determinazione,  onde  è diffìcile  dire  se  la  ricor- 
renza delle  generazioni  si  fermi  al  plagioclasio,  oppure  vada  ancora 
fino  al  feldispato  monoclino. 

La  base  è nella  sezione  sottile  leggermente  colorata  in  bruno,  e 
non  diventa  incolore  che  in  vicinanza  di  cristalli  porfirici:  tal  fatto 
però  è lungi  dal  verificarsi  per  ogni  cristallo.  La  colorazione  non  è 
neppure  sempre  uniforme  ed  il  variare  della  sua  intensità  rende  evi- 
dente la  struttura  fìuidale.  Nella  base  si  osservano  ancora  in  alcuni 
punti  dei  cumuli  di  una  sostanza  pulverulenta  opaca,  forse  resti  di  mi- 
nerali precedentemente  segregati  e riassorbiti  dal  magma  in  seguito; 
non  si  ha  però  indizio  alcuno  di  qual  natura  questi  minerali  possano 
essere  stati. 

Per  la  sua  composizione  mineralogica  e per  la  sua  struttura  la 
roccia  finora  studiata  è da  assegnarsi  al  gruppo  delle  trachiti  ande- 
sitiche  ed  al  tipo  della  trachite  ad  iperstene  e biotite  del  Rosenbusch: 
al  qual  tipo  appartiene  del  resto,  secondo  J.  F.  Williams,  l’intiera  massa 
del  Monte  Amiata.  Dal  tipo  più  diffuso  nel  monte  differisce  però  que- 
sta varietà  per  la  non  dubbia  presenza  dell’augite  e per  le  particolari 
proprietà  ottiche  del  sanidino. 


— 231  — 


IV. 

Il  Monte  di  Canino  in  provincia  di  Roma;  nota  dell  Ing. 

B.  Lotti. 

In  una  breve  escursione,  eseguita  nei  dintorni  di  Canino,  insieme 
coiring.  P.  Zezi,  allo  scopo  di  stabilire  se  quel  monte  ellissoidale  ‘ iso- 
lato in  mezzo  ad  una  regione  depressa  ed  appena  ondulata,  costituita  di 
materiali  vulcanici  e di  travertini,  fosse  da  ascriversi  alla  creta  od 
alinocene,  dappoiché  all’uno  o alTaltro  periodo  geologico  veniva  dagli 
autori  indifferentemente  riferito,  potemmo  constatare  con  nostra  sor- 
presa che  esso  era  formato  da  terreni  Passici  ed  in  parte  anche  più 
antichi. 

Camminando  da  S.O  verso  N.E,  nel  senso  cioè  della  maggiore 
lunghezza  del  monte,  si  percorre  tutta  la  serie  del  lias  dall*  alto  al 
basso.  S’ incontrano  dapprima  diaspri  e scisti  argillosi  rosso-cupi  con 
calcari  grigio-plumbei  associati,  nei  quali  comparisce  non  raramente  la 
Posidonomya  Bronni.  Questo  fossile,  alla  stessa  guisa  che  nelle  roccie 
anologhe  di  tutta  la  Catena  Metallifera,  si  appalesa  solo  in  quelle  por- 
zioni del  calcare  che  furono  decomposte  e ridotte  allappanti  per  aspor- 
tamelo del  carbonato  di  calce.  Si  associano  a questi  dei  calcari  con  selce 
alternanti  con  scisti  argillosi,  coi  quali  si  fa  passaggio  ad  una  pila  po- 
tente di  calcari  grigio-chiari,  pure  con  selce,  riferibili  al  lias  medio.  Essi 
sono  letteralmente  identici  ai  calcari  del  lias  medio  di  tutta  la  Catena 
Metallifera  e come  quelli  racchiudono  certe  secrezioni  limonitiche  e pi- 
ritose  tanto  caratteristiche. 

Vi  si  associa  qualche  strato  di  un  calcare  screziato  che  direbbesi 
il  nummulitico  delTeocene.  Nè  sotto  la  lente,  nè  sotto  al  microscopio 
in  lamine  sottili  vi  si  rinvennero  però  traccie  organiche. 


1 Questo  monte,  il  quale  di  poco  supera  i 400  metri  di  altezza  sul  mare,  è, 
per  la  sua  posizione,  distintamenta  visibile  a chi  percorre  il  tratto  di  ferrovia 
compreso  tra  la  stazione  di  Corneto  e quella  di  Montalto.  Esso  dista  all’incirca 
-una  ventina  di  chilometri  da  quest’ultima,  in  direzione  di  N.E. 


— 232  — 


Sotto  a questi  calcari,  nei  quali  non  dovrebbe  esser  difficile  di  tro- 
vare qualche  ammonite  limonitizzato,  comparisce  il  calcare  rosso  del 
lias  inferiore,  nel  quale  non  mancano  i caratteristici  Arietites. 

Succede  poi  un  calcare  dolomitico  chiaro,  che  forse  rappresenta 
quello  analogo  a gasteropodi  del  Monte  Pisano  e che  dovrebbe  essere 
riferito  alla  parte  inferiore  del  lias  inferiore,  ed  infine  un  calcare  dolomi- 
tico brecciforme  grigio-ceruleo,  che  dappertutto  nella  Catena  Metallifera 
trovasi  associato  al  calcare  cavernoso  e vien  riferito  al  retico. 

Quanto  alla  tettonica  di  queste  formazioni  può  dirsi  che  esse  sono 
disposte  in  cupola  ellissoidale  avente  l’asse  maggiore  di  circa  chil.  4 e 
l’asse  minore  di  circa  1,50.  La  parte  orientale  di  questa  cupola  è par- 
zialmente asportata. 

Come  abbiamo  detto,  tutte  queste  roccie  del  Monte  di  Canino  sono 
identiche  fino  nei  più  piccoli  dettagli  a quelle  sincrone  della  Catena 
Metallifera  e dell’Appennino  settentrionale,  e non  vi  ha  dubbio  che  questo 
monte  isolato  rappresenti  un  lembo  secondario  di  detta  Catena.  Le  al- 
ture eoceniche  della  Tolfa,  che  seguono  più  a Sud,  farebbero  pur  esse 
parte  dello  stesso  sistema  montuoso  e ne  formerebbero  l’estremo  lembo 
meridionale. 

Qui,  come  in  quasi  tutti  i gruppi  della  Catena  Metallifera,  dove  i 
terreni  quaternari  vengono  direttamente  a contatto  colle  roccie  secon- 
darie e,  come  sempre,  nel  lato  volto  verso  la  costa  tirrena,  si  hanno 
sorgenti  termali  e masse  di  travertino,  testimoni  di  rotture  in  connes- 
sione manifesta  collo  sprofondamento  tirrenico. 


— 233  — 

ESTRATTI  E RIVISTE 


W.'Deecke.  — 11  cratere  di  Fessa  Lupara  nei  Campi  Fle- 

grei  presso  Napoli.  (Da  uno  studio  del  signor  W.  Deecke  pub- 
blicato nello  Zeitschrift  der  deuts.  geol.  Gesellschaft , XL  Band, 

I.  Heft,  Berlin  1888). 

Fra  i vari  centri  d’eruzione  ne’  Campi  Flegrei,  all’  Ovest  di  Napoli, 
havvene  uno,  di  rado  visitato  e perciò  meno  noto,  il  cratere,  vale  a dire, 
di  Fossa  Lupara,  o come  altrimenti  vien  detto,  il  cratere  di  Campana. 
Lo  Scacchi  ce  ne  diede  nel  1849  una  breve  descrizione  geologico-to- 
pografica.  1 

Il  cratere  di  Campana  è situato  tra  il  limite  Nord  degli  Astroni  ed 
il  Monte  Viticella  dal  quale  è formata  la  cinta  Sud  del  gran  Piano  di 
Quarto.  Si  eleva  nel  punto  più  ristretto  delll’altipiano  tufaceo  inter- 
posto fra  Campigìione  e la  piana  craterica  di  Pianura,  e divide  detto 
altipiano  in  due  parti  comunicanti  fra  loro  mediante  una  larga  strada 
carrozzabile  che  passa  alle  falde  del  Monte  Viticella.  Questa  strada 
attraversa,  inferiormente  alla  prominenza  su  cui  sta  la  Torre  Poerio, 
la  cinta  craterica  di  Fossa  Lupara  e mena  poi  sino  alla  base  degli 
Astroni,  percorrendone  il  piede  orientale.  In  questo  punto  sbocca  nella 
strada  maestra,  un  sentiero  tagliato  nel  tufo,  che  viene  da  Cigliano 
con  direzione  Nord  e che  parimenti  raggiunge  e circonda  dal  lato  Sud 
il  cratere  in  parola. 

Questo  centro  d’eruzione  consta  visibilmente  di  tre  parti,  vale  a 
dire,  di  una  cinta  esterna,  di  una  interna  e di  un  cono  centrale,  tronco 
e depresso. 

La  cinta  esterna  ha  la  forma  di  elissi  coll’asse  maggiore  diretto 
N.O-S.E  e lungo  840  m.,  mentre  la  sua  maggior  larghezza  è di 
700  m.  Questa  cinta  esterna  è più  marcata  nella  parte  Sud  ed  Est,  dove, 


1 A.  Scacchi,  Memorie  geologiche  sulla  Campania  (Rendiconti  della  R.  Ac c, 
delle  Se.  fìs.  e mat.,  voi.  Vili).  — Napoli  1849. 


relativamente,  raggiunge  la  maggior  altezza  e il  massimo  declivio- 
verso l’interno.  Verso  nord,  questo  versante  interno  diminuisce  in  pem 
denza  ed  in  elevazione  nel  punto  ove  è ricoperto  dal  bosco  di  Mara- 
nisi,  e finisce  poi  a confondersi  col  declivio  esterno  della  seconda- 
cinta,  ossia  interna,  la  quale  è più  elevata;  cosicché  non  altro  vi  rimane 
che  un  angusto  terrazzo  pianeggiante  per  indicare  il  posto  dell’antica 
valle  annulare  e l’andamento  dei  ciglio  craterico  esterno.  Sull’esterno 
versante  di  questa  cinta  esterna  giace  dalla  parte  Ovest  la  masseria 
di  S.  Martino,  e questo  stesso  versante  raggiunge  a Nord,  nel  punto 
■ove  prende  il  nome  di  Maranisi,  la  strada  postale  ed  il  piede  del  Monte 
Viticella.  Dal  lato  Sud  la  cinta  esterna  craterica  pende  fortemente  verso 
la  valle  detta  Bosco  della  Femmina,  al  di  là  della  quale  principia  la 
regione  degli  Astroni.  Finalmente  a S.O,  dove  un  appendice  degli  Astroni 
passa  con  direzione  N.O  in  vicinanza  al  cratere  di  Campagna,  manca 
affatto  ogni  indizio  di  versante  esterno,  bensì  la  cinta  esterna  viene  a 
confondersi  presso  un  antico  columbarìum , detto  la  Grotta  dL  Polli- 
cino, colla  collina  tufacea,  più  alta  e più  antica,  così  che  in  questo 
punto  le  masse  vulcaniche  locali  disposte  quasi  orizzontalmente  for- 
mano un  ristretto  terrazzo. 

La  cinta  interna  ha  forma  di  un  cerchio  che  giace  entro  l’elisse 
della  cinta  esterna  in  modo  da  toccare  quest’ultima  dalla  parte  N.E  e 
Sud.  Fra  le  due  cinte  corre  una  valle  circolare  che  però  non  è ovunque 
così  ben  marcata,  per  profondità  e per  pendenza  delle  sue  pareti,  quanto 
nel  suo  tratto  orientale,  dove  prende  il  nome  speciale  di  Fossa  Schianata. 
Da  questo  punto  la  valle  va  rapidamente  appianandosi  verso  Sud,  talché 
a S.O  tutte  e due  le  cinte  che  la  racchiudono  vengono  a confondersi 
ed  a formare  una  cinta  unica.  Dal  lato  di  N.E  invece  la  Fossa  Schia- 
nata  è tagliata  in  due  da  una  piccola  prominenza  che  dalla  cinta  in- 
terna si  dirige  all’esterna.  Finalmente,  dalla  parte  Ovest  presso  la 
masseria  di  S.  Martino,  come  si  è già  detto,  i due  versanti  opposti 
della  cinta  esterna  ed  interna  si  confondono  quasi  tra  loro  e l’anda- 
mento della  valle  non  vi  è contrassegnato  che  da  un  terrazzo  legger- 
mente concavo. 

Dentro  di  questa  seconda  cinta  s’eleva  un  cono  depresso,  a profilo 
ovale,  nella  cui  cima  si  apre  un  cratere  rotondo,  del  diametro  di  100  m., 
della  profondità  di  40,  a pareti  in  parte  ripidissime.  Questa  è la  vera 


— 235  — 


Fossa  Lupara  che  ci  rappresenta  la  voragine  più  interna  di  tutto  il 
sistema  e che  fino  all’ultimo  fu  in  attività. 

La  regione  collinare  testé  descritta  si  compone  geologicamente  di 
un  accumulamento  di  scorie  e di  ceneri.  Il  loro  colore  varia  dal  grigio- 
turchino cupo  al  nero  intenso,  il  loro  habitus  è trachiiico,  caratteriz- 
zato da  molti  e grandi  cristalli  tabulari  di  sanidina  incastonati  entro 
una  massa  vitrea  bruna  od  oscura,  ovvero  avviluppati  dalla  medesima. 
Fra  gli  altri  componenti  figurano  in  ispecie  degli  individui  isolati  di 
augite  e delle  grandi  squame  di  mica,  in  parte  rosseggianti  per  su- 
bita decomposizione:  con  ciò  queste  scorie  somigliano  ai  prodotti  degli 
altri  crateri  de’  Campi  Flegrei. 

La  struttura  varia  tra  quella  della  pomice  bollosa  e quella  della 
massa  vitrea  omogenea  o della  trachite  compatta.  Anche  la  grandezza 
de’ lapilli  è varia,  dalla  più  fina  polvere  nera  sino  a masse  di  mezzo 
metro  cubo.  Di  regola,  come  in  tutti  i vulcani  dei  dintorni  di  Pozzuoli, 
anche  qui  la  grandezza  e la  struttura  de’proietti  stanno  fra  loro  nel  sem- 
plice rapporto  giusta  il  quale  le  maggiori  bombe  sono  d’ordinario  bol- 
lose, le  più  piccole  sono  più  compatte.  Non  appare  che  sia  avvenuta  una 
visibile  separazione  per  ragione  di  grandezza  e di  struttura  di  queste 
masse  disciolte,  presentandosi  le  medesime,  ovunque  si  possono  vedere, 
sempre  a disposizione  caotica,  eccetto  che  nei  tagli  inferiori  e più 
profondi  ove  si  appalesa  una  stratificazione  con  leggera  pendenza  al 
di  fuori. 

È caratteristica  per  questo  vulcano,  a differenza  degli  altri  crateri 
dei  Campi  Flegrei,  la  mancanza  di  pomici  chiare  ed  affatto  incoerenti, 
come  si  veggono  predominare,  per  esempio,  nel  tufo  del  Lago  d’ Averno, 
negli  Astroni  e persino  nel  Monte  Nuovo.  Non  pertanto  alcune  delle 
scorie  leggere  e porose  s’avvicinano  alle  pomici  di  Monte  Nuovo  ed 
anzi  alcuni  esemplari  di  esse  persino  a quelle  degli  Astroni.  All’  incontro 
si  trovano  in  altri  punti,  per  esempio  nel  lato  Nord  della  cinta  craterica 
interna,  delle  masse  d’ossidiana  di  un  bruno  cupo  al  nero  intenso,  assai 
lucente  e di  natura  vitrigna,  ricca  ovunque  di  cristalli  inclusi  di  feld- 
spato. Questa  sostanza  vitrea  incrosta  molte  volte  anche  dei  blocchi 
più  grandi  i quali  mostrano  in  allora  internamente  una  struttura  af- 
fatto trachitica,  senza  che  però  queste  masse  vitree  abbiano  qui  la  stessa 
diffusione  ed  importanza  che  hanno  nello  strato  a lapilli  della  Foce 


— 236  — 


del  Fusaro,  del  lato  occidentale  del  Monte  Rotaro  nell’ isola  d’ Ischia, 
e del  Lago  d’Averno,  nei  quali  punti  esse  costituiscono  un  elemento 
principale  del  tufo  entro  il  quale  sono  distribuite  con  sufficiente  rego- 
larità. 

Questi  projetti  si  estendono  dalla  parte  di  Nord  e di  Sud  al  di  là 
della  regione  speciale  di  Fossa  Lupara,  rinvenendosene  al  pie’  della  col" 
lina  su  cui  sta  la  Torre  Poerio.  nel  qual  punto  sono  accumulati  a 
forti  strati  arcuati,  con  pendenza  ad  Ovest  e ad  Est.  Ciò  dà  a vedere 
che  in  tali  punti  le  scorie  caddero  su  di  un’altura  poco  elevata,  diretta 
da  Nord  a Sud  e si  disposero  analogamente  alla  pendenza  dei  fianchi 
della  medesima. 

Anche  tutto  il  versante  Sud  dell’anzidetta  collina  è ricoperto  di 
ceneri  Rachitiche  e di  lapilli,  a masse  incoerenti,  non  stratificate,  di 
poco  spessore,  intimamente  mescolate  col  materiale  degli  strati  tufacei, 
più  elevati  e più  antichi  di  loro. 

Non  parrebbe  fuor  di  luogo  l’attribuire  in  parte  una  tale  separazione 
di  queste  bombe  in  ragione  di  grossezza  all’azione  stessa  degli  agenti 
atmosferici  i quali  avrebbero  lentamente  portato  in  basso  i pezzi  più 
pesanti:  fors’anco  durante  l’eruzione  stessa  avvenne  una  specie  di  se- 
parazione, dal  momento  che  sulla  schiena  del  Monte  Viticella  non  si 
riscontrano  che  strati  di  fina  sabbia  Rachitica  e di  ceneri,  dello 
spessore  massimo  di  m.  2,50  e che  spariscono,  stremandosi  subitanea- 
mente, verso  il  Nord  dalla  parte  del  Piano  di  Quarto. 

Una  identica  sovrapposizione  del  materiale  scoriaceo  Rachitico  al 
tufo  chiaro  e ricco  di  pomici  la  si  osserva  anche  al  Sud,  vale  a dire, 
aU’estramità  N.O  della  serie  di  colline  che  va  dagli  Astroni  a Fossa 
Lupara.  Questo  punto,  al  pari  della  collina  di  Torre  Poerio,  domina  il 
centro  d’eruzione,  ma  gli  è più  vicino  di  quella,  e perciò  il  suo  vertice 
trovasi  ricoperto  non  soltanto  da  uno  strato  di  sabbia  fina,  ma  puranco 
da  potenti  strati  di  scorie  agglutinate.  Il  sentiero  che  mena  alla  via 
Campana  taglia  profondamente  questa  altura  e pone  allo  scoperto 
il  contatto  fra  il  tufo  inferiore,  chiaro,  qua  e là  rossiccio  e gli  strati  di 
10  e 12  m.  di  lapilli  trachitici  di  Fossa  Lupara,  più  recenti  e deposi- 
t iti  orizzontalmente. 

Il  cratere  di  Campana  è scarso  di  masse  di  trachite.  Lo  Scacchi 
fa  menzione  nel  1849  di  un  dicco  da  lui  scoperto  nell’interno  del  era- 


— 237  — 


tere  e tutt’ora  riconoscibile,  specialmente  pel  locale  accumulamento  di 
grandi  blocchi  rotondi.  La  roccia  è di  un  grigio  chiaro  tendente  al 
violetto,  abbonda  di  sanidine  tabulari  e somiglia  macroscopicamente 
alla  trachite  del  Monte  Vetta  nell’ isola  d’ Ischia. 

In  vicinanza  di  questa  colata  esiste  secondo  lo  Scacchi  ed  il 
Breislak  una  spaccatura,  la  così  detta  Senga  di  Campana,  profonda 
39  m.,  originata  a quanto  dicesi  dal  ritiro  della  lava  sgorgante;  ciò 
che  costituirebbe  un  fenomeno  analogo  a quello  della  caverna  lunga 
60  m.  che  si  trova  .sotto  i Monti  Rossi  presso  Nicolosi,  sull’Etna,  ovvero 
a quello  della  grotta  di  lava  nelle  Azzore  descritta  dall’Hartung. 

Lo  S-acchi  fa  inoltre  menzione  di  un’altra  colata  di  lava  che  tro- 
verebbesi  nella  parte  Sud-Ovest  della  seconda  cinta,  ossia  interna,  la 
quale  colala,  fluida  soltanto  per  breve  tratto,  presenterebbe  un  aspetto 
del  tutto  scoriaceo.  Dalla  fattane  descrizione  parrebbe  piuttosto  indu- 
bitato che  trattisi  di  una  colata  di  scorie,  vale  a dire,  di  un  accumu- 
lamento di  bombe  incandescenti  la  di  cui  massa  e pesantezza  hanno 
guarentito  le  porzioni  inferiori  da  un  raffreddamento  troppo  rapido  ; 
così  che  quest’ultime  in  forza  del  mantenuto  calore  si  agglutinarono, 
anzi  si  fusero  in  parte,  dando  così  origine  ad  una  breve  colata  il  cui 
corso  cessò  rapidamente.  Di  tali  scorie  fuse  in  banchi  se  ne  trovano 
in  parecchi  punti  di  Fossa  Lupara,  p.  es.,  ad  Ovest  della  Casetta,  a 
Nord  del  Bosco  della  Femmina,  sul  versante  Ovest  della  cinta  interna 
e sulla  strada  incassata  che  da  Nord  di  Fossa  Schianata  mena  dentro 
al  sistema  craterico.  Anche  a Monte  Nuovo  si  ritrovano  di  queste 
masse,  dapprima  eruttate  allo  stato  incoerente  e poi  agglutinate  e fuse; 
la  breve  colata  diretta  verso\S.O  non  può  avere  diversa  origine.  Un 
caso  snalogo  è riferito  dal  Silvestri  nell’eruzione  dell’Etna  del  1865, 
colla  differenza  che  relativamente  alle  maggiori  dimensioni  di  questo 
vulcano  anche  la  lunghezza  della  colata  è assai  maggiore  (2000  m.). 

Giudicando  dalla  forma  e dalle  condizioni  dei  prodotti  del  cratere  di 
Campana,  si  può  tracciare  il  seguente  quadro  della  sua  genesi. 

Fra  Astroni  e Monte  Viticella  si  formò  una  spaccatura  nella  crosta 
terrestre,  dalla  quale  eruttarono  scorie,  sabbia  e cenere  in  gran  copia, 
quantunqne  con  impeto  relativamente  debole,  le  quali  formarono  sulla 
pianura  tufacea  un  cono  elittico  e depresso.  Sotto  questi  prodotti  rimase 
completamente  sepolto  il  piede  della  collina  di  Poerio,  mentre  il  suo 


— 238 


versante  Sud  coprivasi  di  fina  sabbia  e di  cenere.  Nell’interno  del  vul- 
cano deve  essere  esistito  durante  un  periodo  di  pausa  un  cratere  ab- 
bastanza profondo.  Alla  prima  eruzione  ne  seguì  un’altra,  più  debole, 
ma  di  maggior  durata,  in  forza  della  quale  si  formò  entro  la  prima 
cinta  la  seconda  di  maggior  altezza.  Entro  quest’ultima  poi  si  è for- 
mato, prima  ancora  che  il  vulcano  fosse  spento  definitivamente,  il  cono 
centrale  sulla  cui  sommità  rimase  conservato  il  cratere  ultimamente 
attivo.  Questo  è situato  quasi  precisamente  nel  centro  di  tutto  il  si- 
stema, così  che  è mestieri  supporre  in  questo  punto  la  prima  spac- 
catura d’eruzione. 

Il  vulcano  di  Fossa  Lupara  ha  questo  di  comune  con  gli  altri  dei 
Campi  Flegrei  che  anch’esso  si  attiene  rigorosamente  al  primitivo  punto 
d’eruzione;  similmente  va  equiparato  ad  essi  per  la  brevità  della  ri- 
spettiva spaccatura,  in  causa  di  che  non  si  poterono  affatto  formare 
coni  d’eruzione  allineati:  differisce  però  dalla  maggior  parte  dei  detti 
vulcani  flegrei  per  altre  due  circostanze.  Anzitutto  il  cratere  di  Cam- 
pana non  è un  vulcano  tufaceo,  bensì  è costituito  da  masse  di  lava 
trachitica,  da  cenere,  sabbia  e scorie:  in  ciò  non  ha  di  simile  nel  con- 
tinente che  il  Monte  Nuovo,  il  cui  cono  presenta  un  materiale  identico, 
misto  però  a frammenti  di  masse  di  tufo  grigio  chiaro  eruttate  nel  1538. 
Appartengono  alla  medesima  categoria  i coni  laterali  dell’Epomeo, 
quali,  p.  es.,  il  Monte  Montagnone  ed  il  Monte  Rotaro  e forse  anche 
il  semicerchio  delle  Cremate  attorno  al  punto  d’origine  della  lava  del- 
l’Arso. E da  notare  però  che  questi  tre  punti  emisero  anche  delle 
colate  di  lava  che  giunsero  fino  al  mare  e dentro  di  esso,  e che  man- 
cano affatto  nei  due  vulcani  continentali  sopraindicati. 

L’altra  caratteristica  della  Fossa  Lupara  è la  grande  durata 
relativa  di  attività  ed  il  graduato  decrescimento  della  medesima, 
in  forza  del  quale  si  è potuto  formare  un  sistema  di  tre  coni  concen- 
trici. Tutti  gli  altri  crateri  dei  dintorni  di  Pozzuoli  (Astroni,  Campi- 
gliano,  Cigliano,  Lago  d’ Averno)  indicano  colla  ripidità  dei  loro  fianchi 
e colla  loro  voragine  unica,  ampia  e profonda,  una  eruzione  unica 
la  quale  è cessata  così  repentinamente  come  è avvenuta. 

Per  questi  due  caratteri,  per  la  sua  costituzione  trachitica  e per 
lo  spegnersi  lento  di  sua  attività  la  Fossa  Lupara  è da  annoverarsi 
tra  i più  recenti  crateri  dell’intera  regione,  compresa  l’isola  d’ Ischia. 


La  mancanza  di  pomice  sembra  provare  che  l’eruzione  avvenne  entro 
terra  e non  entro  mare  come  per  una  parte  dei  vulcani  circostanti. 
Inoltre  anche  tutti  i centri  d’eruzione  più  recenti,  quelli  cioè  del  1538 
e del  1302,  come  pure  i vulcani  anticamente  attivi  di  Monte  Rotaro  e 
di  Monte  Zale  nell’isola  d’ Ischia  sono  analogamente  costituiti  da  mate- 
riale lavico  trachitico.  Non  ostante  un  tale  habitus  recente,  l’eruzione 
del  cratere  di  Campana  deve  ritenersi  preistorica,  e ad  ogni  modo  an- 
teriore all’immigrazione  de’ Greci  ed  al  loro  stabimento  sulla  roccia 
di  Cuma;  in  caso  diverso  se  ne  avrebbe  avuto  notizie,  per  quanto  travi- 
sate, alla  stessa  guisa  che  ne  venne  tramandato  il  fatto  dell’eruzione 
del  Monte  Zale  avvenuta  nel  quinto  secolo  avanti  Cristo. 

In  prossimità  immediata  della  Fossa  Lupara  è rimarchevole  un 
altro  centro  eruttivo,  più  antico,  quello,  vale  a dire,  di  Montagna  Spac- 
cata. Questo  colle  ha  la  forma  di  un  arco  di  cerchio,  aperto  verso  Sud, 
ed  appoggiato  ad  Ovest  alla  cinta  del  Campiglione,  e ad  Est  al  Monte 
Viticella.  Lo  attraversa  la  Via  Campana,  profondamente  intagliandolo 
e ponendovi  a nudo  la  seguente  serie  di  strati  in  ordine  ascendente: 

Tufo  giallo  con  frammenti  di  pomice;  scorie  nere  con  inclusi  blocchi 
di  tufo  giallo  divenuti  rossi  per  azione  del  calore;  tufo  grigio,  fine,  con 
piccole  pomici;  lo  stesso  tufo  con  frammenti  di  tufo  giallo;  tufo  grigio, 
grossolano  con  roccie  e frammenti  di  tufo  giallo;  tufo  pomiceo  grigio; 
tufo  fine  (pozzolana)  con  piccoli  frammenti  di  pomice.  Il  terzo  e l’ultimo 
degli  indicati  banchi  contengono  in  coppia  variabile,  talvolta  abbondante, 
della  pomice  trachitica,  grigio  chiara,  sericea,  in  pezzi  di  mediocre 
grandezza.  L’intero  sistema  ha  pendenza  uniforme  di  20°  circa  verso 
Nord. 

Giudicando  dal  surriferito  profilo,  nel  quale  è evidente  una  ripeti- 
zione de’prodotti  d’eruzione,  si  distinguono  due  fasi  nell’attività  di 
questo  vulcano,  ognuna  delle  quali  principiò  coll’emissione  di  frammenti 
del  tufo  giallo  stato  attraversato  e finì  con  una  pioggia  di  ceneri. 
A mezzo  dell’eruzione  si  ebbero  le  scorie,  in  quantità  maggiore  nella 
prima  che  non  nella  seconda  fase. 

La  cinta  di  questo  vulcano,  formata  di  tufo  grigio  con  inclusi  fram- 
menti di  tufo  giallo,  lo  indica  di  una  età  relativamente  recente,  coevo 
forse  del  Cigliano,  del  Campiglione  e degli  Astroni,  senza  che  si  possa 
maggiormente  precisare  il  suo  posto  entro  la  serie  cronologica  di  queste 


— 240  — 


diverse  eruzioni.  Comunque  sia,  la  sua  cinta  tuttora  ben  conservata  non 
s’è  formata  di  certo  sotto  le  acque  del  mare,  abbenchè  non  sia  inammis- 
sibile che  anche  Fazione  delle  onde  abbia  concorso  alla  demolizione 
del  margine  Sud  della  cinta  stessa;  nel  qual  caso  però  questo  vulcano 
dovrebbe  ritenersi  più  antico  di  tutti  gli  altri  sopra  nominati. 

Secondo  lo  Scacchi  la  situazione  del  rispettivo  cratere  è sconosciuta; 
anzi  secondo  il  Roth  gli  strati  superiori,  pomicei  della  Montagna  Spac- 
cata sono  riferibili  al  Monte  Nuovo. 

La  più  semplice  ipotesi  pare  sia  quella  di  collocare  il  cratere 
verso  Sud,  nella  pianura  situata  davanti  al  semicerchio  di  Montagna 
Spaccata,  per  modo  che  questa  prominenza  rappresenterebbe  la  cinta 
Nord  di  un  vulcano  distrutto,  già  esistente  al  Sud,  come  lo  indicano 
anche  la  sua  forma  ad  arco  e la  sua  stratificazione. 

Si  noti  inoltre  che  nella  pianura  tra  la  strada  maestra  e la  mas- 
seria di  S.  Martino  esiste  una  piccola  elevazione  terrazzata,  la  quale 
dalla  parte  S.E  è dolcemente  inclinata,  più  ripidamente  però  dalla 
parte  N.O.  Si  potrebbe  benissimo  vedere  nella  medesima  un  lembo 
della  cinta  craterica  meridionale,  dal  che  si  dedurrebbe  anche  resi- 
stenza di  una  voragine  elittica  diretta  N-S,  il  cui  maggior  diametro 
avrebbe  avuto  800  m.  di  lunghezza,  mentre  poi  il  vero  canale  d’eru- 
zione verrebbe  a trovarsi  fra  la  strada  e la  masseria  del  Carmine. 

Risulta  ad  ogni  modo,  sia  dalla  posizione,  come  dai  caratteri  to- 
pografici della  Montagna  Spaccata  che  quest’ultima  non  può  assoluta- 
mente  appartenere  al  Piano  di  Quarto,  nel  senso  di  rappresentarne  la 
cinta  craterica  Sud.  Nel  caso  però  che  questa  grande  superficie  circo- 
lare dovesse  effettivamente  rappresentare  un  cratere  la  cui  cinta  Sud 
forse  costituita  dalle  alture  che  vanno  da  Monte  Vitieella  sino  al  Cam- 
piglione,  si  dovrebbe  di  necessità  ammettere  che  la  cinta  fosse  stata 
bassissima  nel  punto  ove  oggidì  la  Via  Campana,  provenendo  da  Sud, 
entra  nel  Piano  di  Quarto,  ovvero  che  la  medesima  sia  stata  quasi  to- 
talmente distrutta  dalle  eruzioni  della  Montagna  Smaccata;  e tutto  ciò 
per  la  ragione  che  oggidì  non  si  trova  in  detto  punto  nessun  strato  di 
tufo  che  abbia  inclinazione  verso  il  Sud. 

Roccie  principali  della  Fossa  Lupara.  — I tipi  più  frequenti  sono 
cinque,  vale  a dire: 


— 241  — 


wr 


1.  Trachite  augitica,  sotto  forma  di  dicco  nella  parte  Sud  del 
cratere  centrale. 

2.  Trachite  augitica  ricca  di  sostanza  vitrea,  nella  colata  di  scorie 
che  trovasi  sul  versante  Nord  della  cinta  craterica  interna. 

3 e 4.  Ossidiane  trachitico-augitiche,  allo  stato  di  proietti,  in  parte 
impastati  nell’anzidetto  agglomerato,  in  parte  sciolti  fra  i lapilli. 

5.  Scoria  trachitico-augitica  simile  a pomice,  sia  inalterata  che 
decomposta,  la  quale  è il  prodotto  più  frequente  del  vulcano  di  Fossa 
Lupara. 

Vediamo  ora  brevemente  i caratteri  di  dette  roccie. 

1.  Trachite  augitica  con  biotite.  — Roccia  di  un  grigio-chiaro 
uniforme  con  indizi  di  struttura  d’eutaxite.  Si  compone  di  una  pasta 
di  fondo  macroscopicamente  omogenea,  molto  prevalente,  ad  habitus 
eminentemente  trachitico,  e di  pochi  e piccoli  individui  disseminativi 
di  feldspato  lamellare  e tabulare,  di  prismi  d ’ augite  e di  pagliette  di 
mica.  Il  microscopio  vi  scopre  i seguenti  elementi:  feldspato  (sanidina 
e plagioclasio),  augite,  biotite  affatto  alterata,  apatite,  minerali  metal- 
lici opachi,  sodalite  e squamette  di  un  minerale  incerto  che  potrebbe 
essere  dell’orneblenda. 

La  sanidina  si  presenta  a grandi  individui  disseminati,  inalterati, 
a profili  ben  determinati,  disposti  talvolta  a zone  e con  inclusi  vitrei 
e liquidi  aventi  la  stessa  forma  degli  includenti.  Alla  sanidina  è as- 
sociato abbondantemente  il  plagioclasio,  il  quale  si  presenta  anche  in 
aggregazioni  globulari  assieme  al  feldspato  monoclino.  Oltre  che  dai 
comuni  suoi  caratteri  è facilmente  riconoscibile  per  le  molte  inclusioni 
vitree,  di  color  bruno-giallo  e di  forma  irregolare. 

L’augite  è di  color  verde  chiaro,  con  pleocroismo  assai  debole, 
ben  caratterizzata  dalla  sfaldatura  e dai  profili.  Fra  i pochi  suoi  inclusi 
va  notata  specialmente  l’apatite. 

La  mica  è quasi  tutta  convertita  in  sostanza  opaca  ed  a mala  pena 
riconoscibile  dai  profili. 

I minerali  metallici  sono  disseminati  con  uniformità,  abbondanti  e 
non  di  rado  associati  ad  augite  ed  apatite. 

L’apatite  è a preferenza  associata  ad  augite  e a biotite  e si  pre- 
senta a prismi  pleocroitici,  imperfettamente  terminati  quando  hanno 


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forma  allungata.  Contiene  le  caratteristiche  interposizioni  nere,  bacu- 
lari,  tanto  frequenti  specialmente  nelle  roccie  più  recenti. 

*■  La  sodalite  si  presenta  a grani  piuttosto  grandi,  arrotondati,  a 
sei  faccie,  disseminati  uniformemente  entro  la  roccia.  Alcuni  individui 
più  piccoli  presentano  nettamente  il  dodecaedro  romboidale.  Nessun 
incluso  all’infuori  di  piccoli  granellini  d’augite.  La  presenza  della  so- 
dalite è inoltre  confermata,  trattando  con  acido  nitrico  la  roccia  polve- 
rizzata,  dalla  reazione  di  cloro,  più  forte  di  quella  che  è prodotta  dalla 
sola  presenza  dell’apatite.  Del  resto  la  sodalite  venne  già'  constatata 
come  elemento  accessorio  frequentissimo  e caratteristico  in  molte  roccie 
dei  Campi  Flegrei. 

Il  minerale  incerto,  ritenuto  per  orneblenda  si  presenta  a squa- 
mette  pleocroitiche,  brune,  a profili  irregolari.  L’angolo  d’estinzione 
giace  tra  35°  e 38°;  sfaldatura  d’ordinario  pochissimo  apparente. 

Finalmente  la  pasta  di  fondo  componesi  di  piccole  lamelle  di  sani- 
dina,  di  grani  e prismetti  d’augite  verde,  tra  cui  è intercalato  occa- 
sionalmente alcun  poco  di  sostanza  vitrea,  trasparente,  bruna,  la  quale 
soltanto  quando  circonda  degli  individui  di  maggiore  grandezza  pre- 
senta una  struttura  debolmente  fluidaìe. 

2.  Trachite  augitica  ricca  di  sostanza  vitrea.  Roccia  di  color 
grigio-turchino  oscuro,  a struttura  generalmente  compatta,  e solo  in 
qualche  punto  scoriacea.  Entro  la  pasta  di  fondo  compatta  e oscura 
sono  disseminati  abbondantemente  degli  individui  di  feldspato  assai 
fessurato,  aventi  all’  incirca  5mm.  di  grandezza.  Assieme  ad  essi  vi  è 
qualche  paglietta  di  mica  e qualche  prisma  d’augite.  Al  microscopio 
la  roccia  si  rivela  in  massima  composta  di  sostanza  vitrea  ricca  di 
microliti  e di  parti  ora  incolori,  ora  brune.  L’  alternanza  di  queste 
masse  vitree  che  spesso  si  compenetrano  ed  impastano  tra  loro  caoti- 
camente dà  origine  ad  una  struttura  fìuidale  ben  definita.  La  massa 
vitrea  più  chiara  è specialmente  piena  di  individui  di  sanidina  aghi- 
forme, spesso  a gruppi  di  forma  diversa.  Talvolta,  una  laminetta  più 
grande  avendo  servito  di  punto  d’attacco,  veggonsi  gli  aghi  più  piccoli 
aderire  ad  essa  sotto  angoli  diversi:  da  ciò  la  totale  mancanza  di  re- 
golarità nella  disposizione  dei  feldspati  aghiformi,  lo  che  è indizio  pure 
della  poca  mobilità  del  magma  durante  il  processo  di  cristallizzazione. 


— 243  — 


All’incontro  le  parti  vitree  più  oscure  contengono  precipuamente, 
assieme  a poche  lamelle  di  feldspato,  dei  minutissimi  granellini,  che 
fanno  apparire  la  roccia  come  aspersa  di  finissima  polvere.  Questi  gra- 
nellini del  resto  non  mancano  anche  nella  massa  vitrea  incolora,  di- 
ventano sotto  un  forte  ingrandimento  trasparenti  e verdi  e non  di  rado 
s’agglomerano  a guisa  di  concrezioni  attorno  alle  lamine  isolate  di 
feldspato:  sono  forse  granellini  d’augite. 

I più  grandi  individui  disseminati  nella  massa  consistono,  come 
nella  roccia  precedente,  in  feldspati  ben  definiti  (plagioclasio  e sani- 
dina),  in  augite  di  color  chiaro  ed  in  biotite  inalterata.  Accessoria- 
mente vi  si  riscontrano  anche  qui  l’apatite  e i minerali  di  ferro  opachi. 

Macroscopicamente  questa  roccia  presenta  molta  somiglianza  colla 
trachite  un  po’  più  chiara  del  monte  Montagnone  dell’isola  d’Ischia  e 
che  fa  parte  delle  trachiti  compatte  indicate  da  C.  W.  C.  Fuchs.1  Tale 
analogia  è confermata  dall’analisi  microscopica. 

3.  Ossidiana  trachitico-angitica.  — E geologicamente  in  stretta 
relazione  colla  precedente  trachite  vitrea.  Alla  luce  incidente  ha  l’ap- 
parenza di  sostanza,  vitrea  bruno-verdognola,  con  lucentezza  grassa 
a speciali  riflessi  in  qualche  punto  e sparsa  di  cavità  vescicolari  iso- 
late. Contiene  porfiricamente  disseminati  soltanto  dei  feldspati  lamel- 
lari assai  fessurati.  Al  microscopio  la  sostanza  vitrea  diventa  traspa- 
rente e di  color  bruniccio  chiaro  e si  mostra  tutta  piena  di  pori  i 
quali  producono  gli  accennati  riflessi.  I pori  più  piccoli  hanno  forma 
sferica  e soltanto  i più  grandi  sono  leggermente  elittici,  mentre  di  or- 
dinario nelle  roccie  acide  i pori  hanno  forma  allungata.  Parziali  ad- 
densamenti di  microliti  feldspatici,  entro  i quali  s’osservano  anche 
delle  accumulazioni  diverse  granulari  e fibrose  minutissime,  imparti- 
scono alla  massa  quella  tinta  più  oscura  sopra  accennata. 

I minerali  più  grandi  disseminati  nella  massa  sono  gli  stessi  che 
nelle  precedenti  roccie;  vi  manca  solo  la  sodalite,  mentre  anche  la 
sanidina  vi  è scarsa  in  confronto  del  feldspato.  Questa  ossidana  espo- 
sta al  calor  bianco  si  trasforma  rapidamente  e con  grande  aumento  di 


1 C.  W.  C.  Fuchs,  Monografia  geologica  dell1  Isola  d' Ischia  (Memorie  del 
R.  Comitato  Geologico  d’Italia,  Voi.  II,  P.  la).  — Firenze,  1873. 


— 244  — 


volume  in  pietra  pomice;  lo  stesso  fenomeno  fu  rilevato  dall’Àbich  e 
da  altri  nelle  masse  vitree  della  Foce  del  Fusaro.  Del  resto  pare  sia 
comune  a tutte  le  sostanze  vitreo-trachitiche  dei  Campi  Flegrei,  perchè 
oltre  alle  ossidiane  delle  predette  due  località  anche  quelle  degli 
Astroni,  di  Cigliano  e di  Monte  Rotaro  si  convertono  in  pomice  sotto  ! 
l’azione  del  calore. 

4.  Altri  blocchi  di  ossidiana  trachitica.  — Si  distinguono,  macro- 
scopicamente, per  un  maggior  numero  di  individui  disseminati,  consi- 
stenti in  feldspato  ed  in  squame  di  mica  bruna  dorata.  Al  microscopio 
sono  caratterizzati  dall’  abbondanza  dei  .sopramenzionati  prodotti  di  di- 
vitrifìcazione. 

5.  Scoria  trachitico-augitica,  ovvero  anche  pomice  trachitico- 
a u gòtica. — E intimamente  connessa  colle  due  ultime  roccie  sudde- 
scritte,  ed  assai  diffusa  a Fossa  Lupara,  tanto  sotto  forma  di  proietti 
che  sotto  quella  di  lapilli,  e finalmente  sotto  forma  di  potenti  banchi 
d’agglomerato  di  limitata  estensione.  Allo  stato  inalterato  è di  color 
grigio-scuro  sino  a nero,  che  passa  al  grigio-cenere  nei  punti  dei  banchi 
di  lapillo  più  esposti  all’azione  atmosferica. 

Anche  le  fumarole  hanno  agito  moltissimo  su  questa  roccia  che 
assunse'  il  colore  giallastro  o grigio-bruno,  in  seguito  a quasi  com- 
pleta decomposizione  e per  susseguente  caolinizzazione  con  separa- 
zione d’idrossidi  di  ferro.  E difficile  il  potere  ora  definire  quale  sia 
stata  la  natura  speciale  di  queste  fumarole.  L’  habitus  dei  prodotti  di 
trasformazione  che  si  osservano  nella  trachite  della  Solfatara  di  Poz- 
zuoli, identico  al  precedente,  ne  farebbe  ritenere  che  si  trattasse  del- 
l’azione di  combinazioni  solfuree  gazzose.  La  reazione  chimica  della 
roccia  decomposta  paragonata  a quella  della  roccia  inalterata  lo  con- 
fermerebbe, in  armonia  col  fatto  che  anche  oggidì  quasi  tutte  le  fuma- 
role dei  Campi  Flegrei  e dell’  Ischia  emanano  grandi  quantità  di  idro- 
geno solforato  o di  acido  solforoso  e che  le  tante  acque  termali  di 
questa  regione  contengono  in  soluzione  principalmente  dei  solfati  e dei 
solfiti. 

La  roccia  non  alterata,  bollosa,  si  compone  di  una  massa  vitrea  o 
oscura  con  entro  isolati  cristalli  di  feldspato  e pagliette  di  biotite. 
Al  microscopio  acquista  poca  trasparenza,  tuttavia  lascia  scorgere  una 


— 245  — 


sostanza  vitrea  biancastra,  disseminata  di  pori  rotondi  e di  molte  e 
minute  lamelle  incolori  di  feldspato,  di  prodotti  di  divitrificazione  e 
di  qualche  feldspato  ed  augite  di  maggiori  dimensioni. 

La  varietà  un  po’  alterata,  di  color  grigio-cenere,  dà  migliori  pre- 
parati nei  quali  la  massa  principale  si  mostra  straordinariamente  ricca 
di  microliti  di  feldspato,  tra  cui  è intercalata  della  sostanza  vitrea  a 
grani  bruni,  indeterminabili. 

Nella  roccia  affatto  alterata  la  sostanza  vitrea  co’  suoi  granellini 
oscuri  è trasformata  in  una  massa  torbida,  poco  trasparente  (caolino?  . 
I microliti  di  feldspato  non  sono  conservati  che  in  parte,  ed  i cristalli 
più  grandi  sono  alterati  in  tutto  o parzialmente:  nell’ultimo  caso  hanno 
sofferto  soltanto  i loro  margini  esterni,  rimanendone  intatto  il  nucleo. 
Gli  individui  decomposti  spiccano  sulla  massa  grigia  di  fondo  pel  loro 
colore  giallo-chiaro. 

Al  contrario,  alcuni  singoli  individui  isolati  di  biotite  si  mostrano 
talmente  inalterati  entro  la  roccia  decomposta  da  poter  riconoscere  nei 
medesimi  una  mica  a base  di  magnesia,  ad  angoli  assiali  relativamente 
grandi. 

(G.  B.  C.). 


16 


NOTIZIE  BIBLIOGRAFICHE 


D.r  E.  Beyer.  — Tìieoretische  Geologie.  Stuttgart,  1888.  (Pag.  867, 

in-8°,  con  700  incisioni  intercalate  e 3 carte  geologiche). 

Questo  distinto  geologo  viennese,  a noi  specialmente  noto  per  le 
sue  interessantissime  ricerche  storiche,  tecniche  e geologiche  sulla 
Toscana,  1 col  presente  lavoro,  che  è la  sintesi  di  precedenti  sue  pub- 
blicazioni, non  che  di  lunghi  e profondi  stadi,  oltre  all’aver  portato 
nella  scienza  un  grosso  contributo  d’idee  e di  osservazioni,  ha  addi- 
mostrato  la  sua  non  comune  competenza  nella  trattazione  dei  più  ardui 
problemi  geologici. 

L’ordinamento  delle  materie  in  quest’opera,  che  è destinata  a comple- 
tare ed  ampliare  in  varie  parti  gli  ordinari  trattati  di  geologia,  è inti- 
mamente nuovo,  come  nuove  sono  quasi  in  totalità  le  figure  esplicative. 

Nel  primo  capitolo  si  tratta  degli  accumulamenti  di  materiali  eruttivi, 
che  vengono  classificati  in  vulcani  veri  e propri  ed  in  traboccamenti 
in  massa  (Massenergùsse).  Per  studiare  la  tettonica  dei  vulcani  l’autore 
ricorre  giustamente  a quelli  spenti,  nei  quali  le  parti  profonde  ed  in- 
terne sono  messe  a nudo,  trovando  buoni  tipi  nei  vulcani  di  Roma  e 
nei  Colli  Eugenei,  i quali  ultimi  vengono  descritti  dettagliatamente  ed 
illustrati  da  una  bella  carta  geologica.  Quanto  ai  traboccamenti  in  massa, 
l’ autore  ne  analizza  le  parti  e ne  investiga  gli  elementi  tettonici, 
esponendo  il  suo  modo  di  vedere,  intieramente  nuovo,  sulla  origine 
di  tali  masse. 

Nel  secondo  capitolo,  dedicato  alla  fìsica  delle  eruzioni,  Fautore 
tratta  anzitutto  dell’  assorbimento  dei  gaz  nelle  masse  fluide  incande- 
scenti, concludendo  che  nel  magma  eruttivo  le  sostanze  gassose  pos- 
sono esservi  giunte  attraverso  le  roccie  o vi  poterono  esser  racchiuse 
in  origine.  Dimostra  quindi  con  buone  ragioni  che  la  terra  nel  suo 
interno  deve  essere  solida,  e che  tale  solidità  non  è affatto  in  contra- 


E.  Reyeb,  A us  Toskana.  Wien,  1888. 


— 247  — 


dizione  colle  dottrine  di  un  magma  generale  suscettibile  di  fare  eru- 
zione in  determinate  condizioni.  Nè  segue  l’ardua  questione  dello  stato 
interno  del  pianeta  e della  causa  delle  eruzioni.  Vengono  successiva- 
mente studiati  i tipi  minerali  e strutturali  delle  roccie  eruttive  e le 
condizioni  chimiche  e genetiche  per  1’esistenza  e l’associazione  dei  vari 
minerali  che  le  compongono,  facendo  poi  un  interessante  parallelo  fra 
le  associazioni  elementari  nel  magma  tellurico  e in  quello  meteorico, 
concludendo  infine  sulla  costanza  di  certe  associazioni  determinate. 
È questo  un  campo  quasi  nuovo  ed  altamente  interessante  di  geologia 
petrogenetica  che  Fautore  tratta  maestrevolmente. 

11  terzo  capitolo  è dedicato  allo  studio  delle  masse  componenti  la 
crosta  terrestre,  tanto  sedimentarie  che  eruttive,  e per  queste  ultime 
sostiene  giustamente  la  tesi  della  indipendenza  della  loro  nomenclatura 
dalla  età,  perchè  vi  sono  graniti  recenti  come  vi  sono  lave  antiche,  ed 
il  modo  di  comportarsi  di  queste  formazioni  in  rapporto  al  livello  ed 
alla  denudazione  può  trarre  in  errore  sul  loro  significato  cronologico. 

Formano  soggetto  del  quarto  capitolo  le  trasformazioni  che  av- 
vengono nella  crosta  terrestre,  quindi  i movimenti  di  masse,  quelli 
molecolari  di  corpi  solidi,  le  deformazioni  delle  roccie  con  e senza 
rottura,  i ripiegamenti  degli  strati  e le  loro  cause  che  l’autore  non 
vuol  vedere  nelle  contrazione  del  nucleo  terrestre,  sibbene  nello  scor- 
rimento di  masse  su  piani  inclinati.  Si  chiude  il  capitolo  colla  tratta- 
zione del  metamorfismo  meccanico  e regionale. 

Delle  dislocazioni  per  movimenti  verticali,  come  spaccature,  cli- 
vaggi, sprofondamenti,  doline,  sistemi  di  fratture,  nonché  della  durata 
della  età  di  tali  dislocazioni  vien  trattato  nel  capitolo  quinto. 

La  dottrina  dei  fenomeni  sismici,  che  fino  ad  ora  si  riteneva  col- 
legata a quella  dei  vulcani,  viene  dall’autore  esposta  nel  capitolo  sesto 
di  seguito  ai  dislocamenti,  perchè  a questi  e non  alle  eruzioni  crede 
doversi  attribuire  i più  notevoli  ed  estesi  terremoti.  Sono  pertanto  presi 
in  esame  in  questo  capitolo  i vari  modi  di  scuotimento,  il  metodo  per 
studiarli,  la  velocità  di  propagazione  del  moto  nei  diversi  materiali,  i 
rapporti  dei  terremoti  colla  pressione  atmosferica,  colle  linee  tettoniche 
e coi  fenomeni  cosmici. 

Il  settimo  ed  ultimo  capitolo  è dedicato  allo  studio  delle  grandi 
deformazioni  della  crosta  terrestre,  le  aree  di  sprofondamento  e le  ca- 


248  — 


tene  montuose.  Vi  si  parla  delle  rotture  tossali  ( Grabenbruche ) e della 
formazione  delle  valli;  del  riempimento  delle  aree  di  depressione  e 
della  comparsa  in  esse  di  formazioni  eruttive.  Son  poi  presi  in  esame 
i tipi  delle  depressioni  e delle  elevazioni  e vien  data  ragione  della 
asimmetrica  disposizione  di  queste  ultime.  Infine  viene  fatta  un'analisi 
critica  sui  metodi  di  osservazione  dei  cambiamenti  di  livello,  sulle  loro 
cause  e sulla  probabilità  di  un  legame  causale  fra  sollevamenti  ed 
abbassamenti. 

In  una  parola  il  libro  racchiude  quanto  di  più  nuovo  offre  la 
scienza  geologica  ed  è a considerarsi  come  una  esposizione  ordinata 
delle  più  moderne  investigazioni. 

(B.  L.) 


6.  De  La  Noè  (avec  la  collaboration  de  m.  E.  De  Margerie).  — 

Ics  formes  du  tvrrain.  Paris,  1888.  (Pag.  205  m-4“,  e un  atlante 
di  49  tavole). 

Questo  libro  fu  pubblicato  per  cura  del  servizio  geografico  del- 
l’esercito, di  cui  l’autore  fa  parte  nella  qualità  di  luogotenente  colonnello^ 
E un  importante  capitolo  di  geologia  topografica  che  viene  com- 
pletamente sviluppato  in  quest’opera  commendevolissima.  L’autore  vuol 
dimostrare  che  la  maggior  parte  delle  forme  del  terreno  son  dovute 
alle  acque  correnti.  Allorché,  egli  dice,  le  masse  sedimentarie  deposte 
nel  fondo  dei  mari  emersero  per  formare  i continenti,  non  potevano  pre- 
sentare alla  superficie  quelle  incisioni  ramificate  che  osserviamo  oggi; 
la  superficie  primitiva  era  come  un  blocco  non  sgrossato,  sul  quale 
certi  agenti  son  venuti  in  seguito  a scolpire  le  mille  forme  topografiche 
attuali.  La  ricerca  di  questi  agenti  d’erosione  e lo  studio  delle  leggi 
che  li  regolano,  non  che  delle  forme  che  ne  risultano,  formano  l’oggetto 
principale  della  prima  e seconda  parte  dell’opera.  Nella  terza  ed  ultima 
parte  sono  prese  in  esame  sommariamente  le  forme  dovute  ad  altri 
agenti. 


(B.  L.) 


— 249  — 


BIBLIOGRAFIA  GEOLOGICA  ITALIANA  PER  L’ANNO  1887. 


R.  Ufficio  Geologico.  — Relazione  sulle  miniere  di  ferro  dell ’ Isola 
d'Elba  dell’ing.  A.  Fabri.  — Roma. 

Questa  relazione  è il  risultato  di  uno  studio  speciale  di  quelle  miniere  fatto 
dietro  rilevamenti  dettagliati  e lavori  di  scandaglio,  eseguiti  a spese  del  Ministero 
delle  finanze,  dal  personale  del  R.  Corpo  delle  miniere  sotto  la  direzione  del- 
l’autore. Scopo  precipuo  di  tale  lavoro  era  la  valutazione  della  quantità  di  mine- 
rale ancora  disponibile. 

La  prima  parte  della  memoria  comprende  i dati  topografici  e storici  su  quelle 
miniere,  ed  un  esame  delle  leggi  e statuti  relativi  alla  amministrazione  nei  tempi 
andati  e nell’epoca  presente;  nonché  sui  varii  progetti  di  porti,  ferrovie,  ponti  d’ im- 
barco, ecc.,  per  il  trasporto  del  minerale.  Seguono  i dati  statistici  riguardanti  i 
prezzi  di  vendita  e la  quantità  di  minerale  esportato  dal  1752al884  che  ammonta 
a tonnellate  5 446  419.  Vengono  presentate  infine  le  proposte  per  la  delimitazione 
.delle  miniere,  adducendone  le  ragioni. 

La  seconda  parte  riguarda  i giacimenti  e la  lavorazione  delle  miniere.  Queste 
vengono  divise  in  gruppi  e di  ciascuno  si  descrivono  i varii  giacimenti,  riguardo  alla 
loro  importanza,  alla  qualità  del  minerale  ed  al  modo  di  lavorazione,  aggiungendo  le 
analisi  chimiche  nonché  alcuni  cenni  geologici  relativi  alle  formazioni  ove  essi  si 
trovano.  Vi  è dato  infine  il  computo  del  .minerale  ancora  esistente  che  in  totale, 
nelle  sei  miniere  di  Rio,  Vigneria,  Rio  Albano,  Terranera  e Capobianco,  Calamita 
e Ginevro,  ritiensi  possa  ammontare  a 7 990  000  tonnellate. 

A questa  relazione  va  unito  un  atlante  di  9 tavole,  e cioè  una  carta  dell’isola 
e della  costa  toscana  adiacente,  una  carta  geologica  della  sua  parte  orientale,  ed 
i piani  delle  varie  miniere  colle  relative  sezioni. 

Bombicci  L. — Sulla  costituzione  fisica  del  globo  terrestre,  sull" origine 
della  sua  crosta  litoide , e sulle  cause  dei  moti  sismici  che  più 
frequentemente  vi  avvengono.  (Mem.  Acc.  Istituto  Boi.,  S.  IV, 
T.  8°).  — Bologna. 

Nella  prima  parte  di  questa  memoria,  svolta  la  tesi  che  nella  genesi  e nelle 
antiche  fasi  del  globo  terrestre  si  debba  riferirsi  a fenomeni  caratteristici  delle  fasi 


— 250  — 

attuali  del  sole,  l’autore  tende  a mostrare  che  la  massa  sferica  interna  del  globo- 
si può  ritenere  composta  quasi  esclusivamente  di  materia  metallica.  Per  un  pro- 
cesso di  liquazione  la  distribuzione  in  essa  deve  essere  proceduta  in  ragione  della 
rispettiva  densità  dei  metalli  dal  centro  alla  periferia. 

Un  attivissimo  assorbimento  d’idrogeno  devesi  esser  prodotto  prima  che  sf 
formasse  la  crosta  superficiale:  l’atmosfera  attuale  sarebbe  il  residuo  della  fotosfera 
di  questo  pianeta  raffreddato.  La  crosta  terrestre  sarebbe  effetto  non  tanto  del 
semplice  raffreddamento  quanto  di  ossidazione  e solidificazione  dei  metalli  più  super- 
ficiali per  azione  dell’  ossigeno  della  fotosfera  terrestre.  Quanto  alla  temperatura- 
delia  terra  non  può  essere  superiore  a quella  della  fusione  del  platino  ed  anzi 
il  grado  medio  non  deve  superare  di  molto  quello  della  fusione  del  ferro  puro. 

La  seconda  parte  tratta  delle  cause  dei  moti  sismici.  Di  queste  alcune  più 
localizzate  possono  ridursi  a franamento  di  roccie  stratificate,  ad  esplosioni  di  gas 
per  reazioni  accidentali  a poca  profondità  e a conati  di  eruzioni  vulcaniche.  Le 
altre  più  generali  le  trova  negli  svolgimenti  e accumulamenti  di  gas  detonante 
nelle  vacuità  profonde  della  crosta  solida  e nelle  forti  tensioni  che  i gas  e i va- 
pori del  sottosuolo  possono  raggiungere  per  ragione  di  temperatora  e di  natura 
chimica.  Tali  gas  sarebbero  prodotti  dal  concorso  dell’  idrogeno  libero  sprigio- 
natosi dal  nucleo  metallico  del  globo,  e da  carburi  da  esso  generati,  con  1’  os- 
sigeno tratto  a profondità  dalla  circolazione  acquea  per  le  screpolature  della 
crosta  terrestre. 

Analizzando  le  varie  manifestazioni  del  terremoto  nei  suoi  particolari,  l’autore 
cerca  di  spiegarle  colla  teoria  da  lui  proposta.  Alla  memoria  va  unito  uno  schema 
dell’ideale  disposizione  dei  componenti  metallici  del  globo  terrestre. 

Bombicci  L.  — Sulla  ipotesi  dell1 azione  e selezione  magnetica  del  globo 
terrestre  sulle  materie  cosmiche  interplanetarie  contenenti  ferro . 
(Mem.  Acc.  Istituto  Boi.,  S.  IV,  T.  8°).  — Bologna. 

Riferendosi  a un  precedente  studio  sulla  probabile  costituzione  metallica  del 
globo,  l’autore  in  questa  nota  fa  conoscere  le  obbiezioni  formulate  e la  soluzione 
rispettiva  sull’ipotesi  già  altra  volta  da  lui  enunciata  e così  formulata.  « Le  masse 
metalliche  attirate  a se  dalla  terra  contengono  tutte  del  ferro  per  la  buona  ra- 
gione che  la  terra  col  suo  inerente  magnetismo  obbliga  quelle  soltanto  conte- 
nenti ferro  a deviare  dalla  loro  orbita  di  gravitazione,  mentre  fascia  tutte  le  altro 
masse  prive  di  ferro  al  loro  anello  cosmico,  interplanetario  che  probabilmente  ruota, 
a distanza  maggiore  dell’orbita  lunare  intorno  alla  terra  istessa.  » 


— 251  — 


W7 


Bucca  L.  — Le  roeeie  dell1  isola  di  Capraja  nelVarcipela  go  toscano. 
(Boll.  Com.  Geol.,  7-8).  — Roma. 

In  base  ad  uno  studio  accurato  delle  molte  varietà  di  roccie  di  quest’isola 
l’autore  le  raggruppa  in  due  categorie.  Nella  prima  riunisce  tutte  quelle  a tinta  al- 
quanto chiara,  a massa  piuttosto  vitrea  e ruvide  al  tatto,  che  classifica  come  an- 
desiti.  Nella  seconda  pone  tutte  quelle  a struttura  compatta,  tenaci,  a tinta  scura, 
grigie  generalmente,  che  risultano  essere  basalti. 

Dei  campioni  delle  singole  località  dà  una  minuta  descrizione  tanto  per  i ca- 
ratteri macroscopici  che  microscopici. 

Bucca  L.  — Studio  micrografico  sulle  roccie  eruttive  di  Radicofani  in 
Toscana.  (Boll.  Com.  Geol.,  9-10).  — Roma. 

L’autore  divide  queste  roccie  in  tre  tipi:  1°  Roccie  grigio-chiare  a struttura 
molto  compatta.  2°  Roccie  grigio-scure  per  lo  più  di  aspetto  doleritico  e più  ra- 
ramente a tipo  veramente  basaltico.  3°  Roccie  rossastre  di  tipo  simile  al  primo 
ma  la  massa  di  color  rossastro  con  macchiette  nere  riferibili  a segregazioni  di 
augite.  Di  ciascun  tipo  egli  dà  la  descrizione,  esponendo  il  risultato  delle  osser- 
vazioni al  microscopio  ; osserva  che  l’analisi  data  dal  v.  Rath  su  queste  roccie 
deve  riferirsi  a quelle  del  primo  tipo.  Confrontando  poi  queste  roccie  con  quelle 
dell’isola  di  Capraja  già  prima  studiate  dall’  autore,  dice  che  nessuno  dei  tipi  di 
Radicofani  può  paragonarsi  alle  andesiti  di  Capraja.  Esiste  però  una  certa  anala- 
gia  fra  le  roccie  del  secondo  tipo  di  Radicofani  e i basalti  di  Capraja. 

Busatti  L.  — Studi  petrografici  sopra  roccie  serpentinose  toscane. 
(Proc.  verb.  Soc.  toscana,  Voi.  V).  — Pisa. 

L’autore  annuncia  la  presenza  delle  lherzolite  nelle  masse  serpentinose  di 
Rocca  di  Sillano  (Monte  Castelli)  e di  Rosignano  (Monti  Livornesi)  riconosciuta 
nei  vari  campioni  di  roccie  raccolte  ivi  dall’ingegnere  Lotti. 

La  composizione  di  queste  roccie  è olivina,  enstatite,  diallagio,  picotite,  insieme 
a prodotti  secondarii  che  sono:  principalissimo  ed  abbondante  il  serpentino,  ba- 
stite,  magnetite,  idrossido  di  ferro  e silice. 

Nei  varii  campioni  di  roccie  è sempre  distinto  il  modo  di  serpentinizzazione 
della  lherzolite,  la  quale  trasformazione  proviene  in  prima  linea  da  metamorfosi 
del  peridoto,  secondariamente  dall’enstatite,  più  raramente  e limitatamente  dal  dial- 
lagio, e si  possono  in  tutti  e tre  i casi  seguire  passo  passo  tutti  i graduali  muta- 
menti apportati  dalle  azioni  secondarie  negli  elementi  della  roccia  originaria. 


— 252 


Busatti  L.  — Tormalinolite  di  Cucigliana  e Rupe  Cava  ( Monte  Pisano) 
e di  Jano presso  Volterra.  (Proc.  verb.  Soc.  toscana,  Voi.  V).  — Pisa. 

I campioni  di  questa  roccia  dei  quali  si  occupa  1’  autore  sono  identici  per  i , 
caratteri  petrografia  all’esemplare  trovato  dal  Prof.  D’Achiardi  nella  miniera  plumbo- 
argentifera  del  Bottino  nelle  Alpi  Apuane,  ma  ne  diversifica  per  il  modo  di  trovarsi  | 
che  è identico  nelle  tre  località  sopra  indicate,  essendo  la  tormalinolite  impigliata  ! 
in  un  conglomerato  o puddinga  quarzosa  (anagenite)  a ciottoli  ora  arrotondati  | 
ora  no  e di  dimensioni  svariatissime. 

Essa  è un  masso  di  color  grigio  nero  con  macchie  bianche.  Al  microscopio 
risulta  di  pura  tormalina  che  in  altre  parti  si  presenta  in  aggregato  di  cristalli 
senza  alcuna  determinata  orientazione.  Alcuni  cristalli  quasi  isolati  sono  immersi 
nel  quarzo,  ma  senza  contorni  poliedrici  ben  netti.  Nella  tormalinolite  di  Jano  si  hanno 
cristallini  raccolti  in  geodi,  in  alcuni  punti  i cristallini  sono  fra  loro  intricatissimi. 
La  provenienza  tanto  dei  ciottoli  che  quella  della  tormalinolite  è assai  problematica. 

Canavari  M.  — Di  alcuni  tipi  di  foraminifere  appartenenti  alla  fami- 
glia delle  Nummulinidae  raccolti  nel  Trias  delle  Alpi  Apuane. 
(Proc.  verb.  Soc.  toscana,  Voi.  V).  — Pisa. 

Espone  il  risultato  dell’esame  microscopico  eseguito  sopra  oltre  50  sezioni 
sottili  di  un  calcare  grigio  screziato  quasi  tutto  costituito  da  individui  di  una  pic- 
cola foraminifera,  calcare  trovato  dagli  ingegneri  Lotti  e Zaccagna  in  lenti  negli 
scisti  superiori  ai  marmi  ed  inferiori  ai  calcari  cavernosi  del  retico.  Un  tipo  di 
queste  foraminifere  di  cui  presenta  la  fotografia  ha  un’organizzazione  al  tutto  si- 
mile a quella  delle  nummuliti  eoceniche,  un  secondo  tipo  ha  invece  molta  analogia 
col  genere  Orbitoides.  Ricordando  che  il  genere  nummulitico  è stato  da  molti 
considerato  esclusivo  dell’èra  terziaria,  dà  la  lista  delle  specie  credute  nummuliti 
raccolte  nei  terreni  del  carbonifero,  del  lias,  del  giura  e della  creta.  Fa  quindi  una 
succinta  storia  delle  credute  nummuliti  raccolte  in  terreni  diversi  dall’eocene  e nel- 
l’attualità, dalla  quale  risulta  quanta  cautela  si  debba  avere  nel  riferire  al  genere 
Nummulites  organismi  che  ne  hanno  tutte  le  apparenze  ; notando  intanto  che  i 
tipi  raccòlti  nel  sistema  triasico  delle  Alpi  Apuane  per  il  loro  elevato  grado  di 
organizzazione,  se  non  vere  nummuliti  devono  però  considerarsi  come  i precursori 
di  quel  genere  che  ebbe  tanta  importanza  nel  periodo  eocenico. 

Canavari  M.  — Fossili  titoniani  nel  Monte  Pisano.  (Proc.  verb.  Soc. 
toscana,  Voi.  V).  — Pisa. 

Vengono  presentati  alla  Società  alcuni  aptici  trovati  nei  calcari  selciferi  as- 


— 253  — 


sodati  a diaspri  con  radiolarie  presso  il  Monte  Cupola.  Tali  aptici  sono  da  rife- 
rirsi alla  specie  titoniana  Aptychus  punctatus  Woltz. 

Capellini  G.  — Delfinorinco  fossile  dei  dintorni  di  Sassari.  (Memorie 
Aec.  Se.  Ist.  Bologna,  S.  IV,  T.  8°).  — Bologna. 

I resti  di  questo  delfinorinco  furono  scoperti  dal  prof.  Lovisato  nel  calcare 
grossolano  miocenico  presso  Sassari  nella  località  detta  il  Molino  a Vento  ed  in- 
viati all’autore.  Alla  descrizione  di  questi  resti  fossili  egli  premette  alcuni  cenni 
generali  sui  delfinorinchi  descrivendo  i caratteri  principali  di  questa  famiglia  di 
cetodonti,  passando  in  rivista  le  scoperte  fattene  in  diverse  località  fino  dallo  scorso 
secolo  tanto  all’estero  che  in  Italia  e fra  queste  indicando  come  più  importante 
quella  dei  resti  trovati  nella  pietra  leccese  già  illustrati  dall’autore.  Descrive  quindi 
gli  avanzi  del  delfinorinco  di  Sassari  consistente  in  una  porzione  di  rostro  e pro- 
pone per  esso  il  nome  specifico  di  Eurhinodelphis  Sassariensis  Cap.  Circa  al  gia- 
cimento di  questo  delfinorinco  resta  accertata  secondo  l’autore  la  corrispondenza 
cronologica  del  calcare  grossolano  di  Sassari  con  la  pietra  leccese,  con  le  sabbie 
nere  d’ Anversa  e col  celebre  giacimento  di  Baltringen. 

Una  tavola  litografata  va  unita  a questa  memoria. 

Castracane  F.  — I tripoli  marini  della  valle  melaurense.  (Boll.  Soc. 
Geol.,  V,  3).  — Roma. 

Premesse  varie  considerazioni  sui  tripoli  marini  italiani  che  per  la  comunanza 
•dei  tipi  di  diatomee  ritiene  formino  un  solo  e medesimo  giacimento,  espone  la 
scoperta  da  lui  fatta  in  una  sostanza  bianca  entro  marne  scistose  provenienti  da 
un  fondo  detto  Tombolina  fra  Fano  e Fossombrone,  ove  sono  stati  eseguiti  la- 
vori di  ricerca  per  miniere  di  solfo. 

Dei  tipi  da  esso  determinati  finora,  dà  un  elenco  alfabetico.  Fra  essi  vi  sono 
due  generi  e due  specie  di  recentissima  introduzione:  Thalassiotrix  Cstr.,  Etmo- 
discus  Cstr.,  Coscinodiscus  Atlanticus  Cstr.,  Euodia  orbicularis  Cstr.,  dei  quali 
■dà  infine  della  nota  la  definizione,  riportandola  dalla  relazione  redatta  dall’autore 
stesso  sulle  diatomee  recate  dalla  spedizione  del  Challenger  e stampata  ad 
Edimburgo. 

Cavara  Fr.  — Sulla  flora  fossile  di  Mongardino,  studii  stratigrafici  e 
paleontològici.  (Mem.  Acc.  Scienze  Ist.  Boi.,  S.  IV,  T.  7°,  fase.  4 e 
T.  8°,  fase.  1).  — Bologna. 

Mongardino  appartiene  ad  un  gruppo  di  colline  poste  fra  il  Reno  ed  il 
Larino  nel  versante  settentrionale  dell’ Appennino  emiliano,  costituite  in  gran  parte 


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-da  depositi  del  terziario  superiore.  Nella  parte  più  elevata  di  questi,  depositi  ven- 
nero raccolte  dall’  autore  . le  numerose  fiditi  che  vengono  illustrate  in  questa 
memoria. 

Premessi  alcuni  cenni  storici  bibliografici  sulla  flora  pliocenica,  dà  la  serie 
stratigrafìca  che  si  può  osservare  dal  basso  all’alto  in  quelle  colline  : 1°  argille 
scagliose  che  l’autore  riferisce  al  cretaceo  superiore  ; 2°  marne  biancastre  silicifere 
corrispondenti  allo  Schlier  del  bacino  di  Vienna  (miocene  medio);  3°  marne  gial- 
lastre e turchiniccia  a foraminifere,  coralli  e nuclei  di  Aturi-%  sp.,  intercalate  a 
strati  di  molassa  ofiolitica  (messiniano  inferiore)  ; 4°  sabbie  quarzose  grossolane 
ad  Ostrea  cuculiata  (messin.  sup.)  ; 5°  argille  turchine  sabbiose  fossilifere  e sabbie 
gialle  marnose  con  ricca  fauna  malacologica,  echinidi,  resti  di  mammiferi  e fiditi 
(pliocene  inf.).  Dalle  osservazioni  paleontologiche  risulta  che  tanto  le  sabbie  gialle 
che  le  argille  turchine,  anziché  rappresentare  piani  distinti  cronologicamente,  rap- 
presentano una  differenza  solo  batimetrica.  Da  una  nota  dei  fossili  raccolti  dal- 
l’autore insieme  alle  fiditi  risulta  il  valore  stratigrafico  di  questo  piano.  Seguono 
alcune  considerazioni  botaniche  e paleontologiche  suda  flora  pliocenica  e quindi 
un  quadro  sinottico  comparativo  delle  piante  fossili  di  Mongardino  e di  altri  gia- 
cimenti dal  quale  risulta  che- 26  specie  sono  comuni  con  Oeningen,  30  coda  To- 
scana, 10  con  Meximieux,  8 con  giacimenti  quaternarii  e 15  coll’attualità.  Vi 
sono  12  specie  non  segnalate  finora  nei  depositi  pliocenici. 

Chiude  la  memoria  coda  descrizione  dettagliata  delle  specie,  corredata  da  sei 
tavole  litografate. 

Cavara  Fr.  — Le  sabbie  marnose  plioceniche  di  Mongardino  e i lóro 
fossili  (Boll.  Soc.  Geo!.,  V,  3).  — Roma.  * 

È un  sunto  del  lavoro  dello  stesso  autore  pubblicato  nella  Memorie  dell’Isti- 
tuto delle  Scienze  di  Bologna.  Oltre  l’elenco  delle  fiditi,  dei  mulluschi  e di  alcuni 
vertebrati  descrive  una  specie  nuova  di  stellaridi  V Astropecten  Bononiensis,  illu- 
strandola con  una  tavola  litografata. 

Clerici  E.  — Sopra  alcuni  fossili  recentemente  trovati  nel  tufo  grigio 
di  Peperino  presso  Roma.  (Boll.  Soc.  Geo!.,  VI,  1).  — Roma. 

Del  rinvenimento  di  questi  fossili  l’autore  diede  relazione  alla  Società  geolo- 
gica nella  sua  adunanza  generale  tenuta  in  Firenze  nel  1887. 

Il  tufo  di  cui  è parola  è situato  nella  via  Flaminia  a circa  6 chilometri  da 
Roma:  esso  giace  sopra  una  marna  sabbiosa  con  molluschi  terrestri  e di  acqua 
dolce:  è compatto  di  color  scuro  simile  al  peperino  di  Albano;  è ricoperto  da 
marna  sabbiosa  con  ghiaia  e quindi  da  un  potente  banco  di  tufo  litoide  giallo- 
gnolo ad  elementi  trachitici.  In  questi  tufi  ove  già  vennero  rinvenuti  dal  prof.  Meli 


molluschi  e alcune  fìlliti*  furono  dall’  autore  scoperti  inoltre,  un  resto  di  Cèroux 
caprèolus  Lin.,  specie  ancora  vivente,  e altre  fiditi  delle  quali  ha  determinato  le 
seguenti  specie:  Carex  pendala  Huds.  ( C . maxima  Lin.),  Potamogeton  natanti 
Lin.,  Hedera  hèlia  Lin.,  Buscus  sempervirens  Lin.,  Juniperus  communi s Lin., 
Taxus  baccata  Lin.  Tutti  appartengono  a specie  viventi. 

Clerici.  E.  — La  vitis  vinifera,  fossile  nei  dintorni  di  Roma.  (Boli.  Soc. 
Geol.,  VI,  3).  — Roma. 

Premesse  alcune  considerazioni  sulle  varie  opinioni  circa  la  regione  originaria 
di  questa  specie,  e citate  le  varie  località  sì  estere  che  italiane  ove  fu  rinvenuta 
questa  pianta  fossile,  l’autore  cita  e descrive  gli  esemplari  di  impronte  di  foglie 
e semi  da  esso  scoperte  nei  travertino  di  Fiano  Romano,  non  che  quella  trovata 
nel  tufo  della  località  Peperino  presso  Roma.  Enumerati  quindi  gli  altri  fossili 
rinvenuti  insieme  nelle  suddette  località,  accenna  alla  presenza  della  vite  nelle 
epoche  preistoriche  e conclude  col  ritenere  che  il  genere  Vitis  sia  apparso  nel- 
1’  Europa  al  principio  dell’èra  terziaria  e che  la  specie  Vitis  vinifera  sia  origina- 
ria tanto  dell’Europa  meridionale  che  dell’Asia,  contrariamente  all’opinione  di  molti 
che  l’escludono  completamente  dall’  Europa. 

Clerici  E.  — Il  travertino  di  Fiano  Romano.  (Boll.  Com.  Geol.,  3-4). 
— Roma. 

In  questa  nota  l’autore  descrive  i fossili  da  lui  rinvenuti  nel  deposito  di  tra- 
vertino nelle  vicinanze  del  paese  di  Fiano  alla  destra  del  Tevere.  Nell’  elenco  dei 
fossili  figura  una  sola  pianta  di  specie  estinta,  cioè  la  Pianera  Ungeri  Ett.  Inoltre 
vi  sono  abbastanza  frequenti  il  Buxus  sempervirens  Lin.  ed  il  Laurus  nobilis 
Lin.,  che  sono  rari  allo  stato  spontaneo  in  Italia  e può  dirsi  più  non  si  trovino 
oltre  l’Alpi.  Osserva  inoltre  che  la  Hyalina  nitens  Mich.  e la  Pupa  dolium  Drap, 
non  vivono  nella  provincia  e sono  raramente  rappresentate  nell’Italia  del  Nord, 
e che  sono  rare  in  tutta  l’Italia  la  Hyalina  diaphana  Studila  Cionella  lubrica 
Miill.,  la  Pupa  polyodon  Drap,  e la  Succinea  oòlong a Drap. 

Clerici  E.  — Sopra  i resti  di  castoro  finora  rinvenuti  nei  dintorni 
di  Roma.  (Boll.  Com.  Geol.,  9-10).  — Roma. 

I resti  di  castoro  illustrati  in  questa  nota  appartengono  ad  una  collezione 
del  Collegio  francese  e furono  rinvenuti  dal  Frère  Indes  nelle  ghiaie  del  Monte 
Sacro  a 4 chilom.  da  Roma  sulla  Via  Nomentana.  Premette  la  descrizione  di 
questa  collinetta  prodotta  dall’erosione  dell’antico  Aniene:  essa  è costituita  da 
varii  strati  orizzontali  di  materie  vulcaniche  ad  elementi  più  o meno  fini;  ad  essa 
sono,  verso  il  fiume,  addossate  ghiaie  calcaree  e silicee  con  elementi  vulcanici, 


— 256  — 


più  o meno  cementate,  nonché  delle  marne  e dei  travertini.  Enumerati  i fossili 
rinvenuti  tanto  nelle  marne  che  nei  travertini  e nelle  ghiaie,  l’autore  passa  a de- 
scrivere i resti  del  Castor  jìber  Lin.  Cita  quindi  le  località  in  cui  questo  fossile 
venne  rinvenuto  tanto  . in  Italia  che  all’  estero  concludendo  che  la  tendenza  ad 
estinguersi  di  questa  specie  in  Europa,  è dovuta  alla  caccia  attivissima  che 
se  ne  fa. 

Comes  0.  — Le  lave , il  terreno  vesuviano  e la  loro  vegetazione  (Lo 
spettatore  del  Vesuvio  e dei  Campi  Flegrei,  Nuova  Serie,  Voi.  1°). 
— Napoli. 

In  questo  lavoro  l’autore  dimostra  l’influenza  che  i prodotti  vulcanici  del  Ve- 
suvio hanno  sulla  vegetazione.  Passando  a rassegna  le  diverse  piante  che  vege- 
tano nelle  diverse  zone  della  regione  vesuviana,  fa  vedere  come  queste  si  adattino 
alla  natura  del  suolo  e del  sottosuolo  e dà  ragione  al  sistema  di  coltivazione 
adottato  dagli  agricoltori.  Rileva  l’azione  degli  agenti  esterni  a decomporre  la 
lava,  a cui  concorrono  le  stesse  piante  a cominciare  dalle  prime  crittogame  che 
si  sviluppano  sulle  lave  stesse.  Dimostra  come  alla  feracità  del  suolo  contribui- 
scano le  ceneri  vulcaniche  portando  materiale  utile  alle  piante  coltivate  e aiutando, 
colla  loro  acidità  insieme  al  calore  che  per  la  tinta  scura  del  terreno  è da  questo 
assorbito,  la  mobilizzazione  e l’assimilazione  dei  principii  fìssi  del  suolo. 

Cossa  A.  — Sulla  composizione  della  colombite  di  Cr ave g già  in  Val 
Vigezzo.  (Rendiconti  Acc.  Lincei,  S.  IV,  Voi.  Ili,  fase.  3).  — Roma. 

Il  materiale  per  questo  studio  fu  dall’autore  raccolto  nelle  masse  di  pegmatite 
sparse  nel  Piano  dei  Lavonchi  ed  in  altre  località  lungo  la  mulattiera  che  a destra 
del  torrente  Vasca  conduce  all’  Alpe  di  Marco.  L’analisi  fu  eseguita  su  cristalli 
neri  a splendore  metallico  non  troppo  pronunciato,  di  densità  di  5,67:  la  polvere 
è di  color  bruno-rossastro  simile  all’ematite.  Descritti  i processi  seguiti  nell’  ana- 
lisi di  una  quantità  di  minerale  del  peso  di  grammi  0,922,  nè  dà  il  seguente  ri- 
sultato : 

Acido  niobico  e tantalico  ....  78.  52 


Ossido  ferroso 9.  84 

Ossido  di  manganese 8.  98 

Acido  stannico » 23 

Ossido  di  calcio 1. 17 

Ossido  di  magnesio traccie 

98.  74 


— 257  — 


Per  determinare  approssimativamente  le  quantità  relative  di  acido  niobico  e 
tantalico,  l’autore  ha  seguito  il  metodo  di  Marignac  basato  sulla  differenza  di 
solubilità  del  fluotantalato  o del  fluossiniobiato  di  potassio. 

Termina  la  nota  facendo  osservazioni  sulla  forma  cristallina  del  fluotantalato 
di  potassa  che  secondo  il  Marignac  apparterrebbe  al  sistema  trimetrico,  mentre 
coll’esame  ottico  eseguito  su  cristalli  puri  ottenuti  dall’autore  colla  coiombite  di 
Brancheville  (Connecticut)  si  scorgerebbe  una  forma  clinoedrica. 

D’Achiardi  A.  — Roccie  ottrelitiche  delle  Alpi  Apuane.  (Memorie  Soc. 
toscana  Se.  Nat.,  Voi.  Vili,  2).  — Pisa. 

Le  roccie  ottrelitiche  studiate  dall’autore  occupano  nelle  Alpi  Apuane  due 
posizioni  distinte  nella  serie  dei  terreni  cristallini,  al  disotto  cioè  e al  disopra  dei 
marmi  saccaroidi. 

Nella  zona  inferiore  distingue  in  primo  luogo  una  breccia  o mischio  ottreli- 
tico  conosciuto  sotto  il  nome  di  mischio  o brecciato  di  Serravezza.  I frammenti 
ne  sono  calcari  quasi  esclusivamente,  il  ceménto  rosso-ferrugginoso  contiene  copia 
di  ottrelite,  e tanto  degli  uni  che  dell’altro  sono  dall’autore  esposti  i risultati  dello 
studio  fatto  al  microscopio.  In  secondo  luogo  descrive  un  ottrelitifiro  che  risulta 
composto  da  quarzo*  feldspato,  mica  bianca,  rutilo,  tormalina,  magnetite,  ottrelite 
e forse  limonite. 

Nella  zona  superiore  indica  : 1°  un  ottrelitoscisto,  roccia  scistosa  a noduli  di 
quarzo  che  contiene  i minerali  seguenti:  quarzo,  damourite,  ottrelite,  tormalina, 
rutilo,  zircone,  ematite  ; 2°  una  breccia  ottrelitica  in  cui  i noduli  quarzosi  sono 
di  maggior  dimensione  e la  mica  funge  da  cemento.  Questa  roccia  è paragona- 
bile alle  forme  congeneri  che  si  rinvengono  ad  Ottrez  nel  Belgio. 

De  Giorgi  C.  — I terremoti  aquilani  ed  il  primo  congresso  geodina- 
mico italiano  in  Aquila.  — Lecce,  1887. 

Rendendo  conto,  quale  segretario,  dei  lavori  compiuti  in  questo  Congresso 
geodinamico,  passa  dapprima  a rivista  le  località  di  Aquila  danneggiate  dai  ter- 
remoti, specialmente  da  quelli  del  1462  e del  1703:  viene  quindi  a parlare  dei 
varii  istrumenti  ed  apparecchi  inventati  particolarmente  per  determinare  i movi- 
menti e le  direzioni  prevalenti  dei  terremoti  ondulatorii.  Dimostra  come  gli  studii 
sismologici  coadiuvati  da  quelli  geologici  hanno  valso  a stabilire  che  la  direzione 
prevalente  delle  ondulazioni  sismiche  è normale  all’  asse  delle  fratture  terrestri. 

Riassumendo  quindi  quanto  fu  lasciato  scritto  sui  terremoti  aquilani  a partire 
dal  1315  in  poi  e degli  effetti  di  questi  sugli  edifìcii,  ne  ricava  dei  corollari  utili 
all’arte  edilizia,  e dato  un  cenno  sulla  geologia  della  valle  dell’Aterno,  espone 
infine  alcune  norme  da  tenersi  nelle  nuove  costruzioni  della  città. 


— 258  — 


De  Gregorio  A.  — Intorno  a un  deposito  di  roditori  e di  carnivori 
sulla  vetta  di  Monte  Pellegrino.  (Memoria  Soc.  toscana  Se.  Nat., 
Voi.  Vili,  1).  - Pisa. 

Occupandosi  da  prima  della  geologia  della  valle  ove  sorge  Palermo,  distingue 
il  calcare  conchigliare  postpliocenico  i cui  fossili  sono  in  buona  parte  di  specie 
tuttora  vivente.  Crede  però  debba  distinguersi  questo  dal  quaternario  ossifero 
delle  grotte  che  è più  recente  e che  ritiene  si  possa  dividere  in  due  zone,  una 
comprendente  i depositi  di  mammiferi  che  si  rinvengono  tanto  nelle  grotte  che 
nei  terreni  alluvionali,  l’altra  che  comprende  i depositi  esostorici.  Gli  sembra  che 
l’ultima  fase  del  postpliocene  sia  contemporanea  del  quaternario  ossifero.  Per 
questo  postpliocene  propone  il  nome  di  Frigidiano.  — Descritta  la  successione 
dèi  terreni  della  vallata,  viene  a parlare  dei  depositi  ossiferi  accennando  a quelli 
di  Bellolampo  presso  le  cave  di  Castellana  e venendo  poi  a quelli  di  Mcfnte 
Pellegrino.  Lo  strato  fossilifero  di  questa  località,  a 550  metri  sul  mare,  è di  pic- 
colissima estensione  e spessore  ; risulta  di  una  breccia  rossa  argillosa  calcarifera 
assai  tenace  contenente  modelli  di  conchiglie  e frammenti  di  ossa  fragilissimi. 
Osserva  che  questo  deposito  è affatto  simile  a quello  di  Castellana.  Le  ossa  ap- 
partengono a tre  specie  di  roditori  e ad  un  carnivoro,  le  conchiglie  sono  di  specie 
tuttora  viventi  ( Helisc  pio ty chéta  Ziegler,  H.  Mazzulli  (Jan)  Phil.,  Clausilia  nobilis 
Pfeiffer,  Cyclostoma  sulcatum  Drap.'.  Ne  conclude  che  il  deposito  ossifero  di 
Monte  Pellegrino  come  quello  di  Castellana  è coevo  all’ultima  fase  del  periodo 
Frigidiano  (postpliocene). 

Dato  quindi  uno  schizzo  geologico  dei  dintorni  di  Palermo,  passa  a descrivere 
i resti  dei  fossili  ( Pellegrinia  Panormensis  De  Greg.,  Mustela  arzilla  D.  G.,  Lepus 
n.  s.,  Mus  piletus  D.  G.)  che  vengono  figurati  in  4 tavole  litografate. 

De  Stefani  C.  — Il  piano  politico  nei  monti  della  Tolfa.  (Proc.  verb. 
Soc.  toscana  Se.  Nat.,  Voi.  V).  — Pisa. 

L’autore  con  questo  nome  di  piano  pontico  intende  gli  strati  gessosi  a con- 
gerie assai  sviluppati  nei  monti  della  Tolfa.  Egli  passa  in  rassegna  tutte  le  località 
dove  affiorano  queste  masse  gessose,  osservando  che  ove  è la  trachite  questo 
piano  non  manca  mai  perchè  protetto  da  questa  roccia  che  generalmente  si  è 
versata  su  di  esso.  Queste  marne  benché  abbiano  molta  analogia  con  quelle 
plioceniche  di  mare  profondo  se  ne  distinguono  sia  per  i fossili,  sia  per  la  posi- 
zione stratigrafìca.  Il  gesso  vi  si  trova  in  cristalli  isolati  e più  raramente  in  masse 
alabastrine.  Le  marne  sono  scistose  e arenacee,  sempre  in  banchi  regolari  e oriz- 
zontali. La  presenza  di  fìlliti  e le  larve  di  Libellula  cfr.  Doris  H.,  trovate  dall’au- 
tore presso  la  Farnesiana  e a Poggio  Pagano,  méttono  fuori  di  dubbio  l’età  di 
questi  terreni. 


— 259  — 

De  Stefani  C.  — Gli  schisti  cristallini  dell’ Appennino  savonese.  (Proc. 
verb.  Soc.  toscana,  Voi.  V).  — Pisa. 

Descrive  le  roccie  antiche  che  appaiono  nel  Savonese  formanti  un  anticlinale 
in  parte  rovesciato  pendente  a Sud,  il  cui  asse  sarebbe  normale  al  confine  natu- 
rale fra  le  Alpi  e l’Appennino.  La  più  antica  di  queste  roccie  è un  micascisto  con 
quarzo  e biotite  passante  a gneiss  e talora  a vero  granito:  alternano  con  questo 
in  varie  località,  anfiboliti  e dioriti.  Succede  alle  precedenti  l’appenninite.  — Tali 
roccie  per  la  loro  natura  di  scisti  eminentemente  cristallini,  sono  senza  dubbio 
corrispondenti  a quelle  delle  Alpi  e che  il  Gastaldi  ascrisse  alla  parte  superiore 
della  zona  delle  pietre  verdi;  zona  che  l’autore  nell’Appennino  meridionale  attribuì 
al  cambriano  e al  huroniano  — Osserva  infine  che  nella  valle  del  Tanaro  e 
della  Bormida  a causa  di  rovesciamento  queste  roccie  appaiono  sovrastanti  al 
terreno  antracitifero  attribuito  al  carbonifero,  e furono  quindi  erroneamente  poste 
nel  permiano,  ma  queste,  come  altri  terreni  di  altre  parti  dell’Appennino  setten- 
trionale pure  attribuiti  per  pretese  analogie  con  esse  al  permiano,  non  hanno  alcun 
rapporto  colle  medesime. 

De  Stefani  C.  — / depositi  glaciali  nell’ Appennino  di  Reggio  e di 
Modena.  (Proc.  verb.  Soc.  toscana,  Voi.  V).  — Pisa. 

La  presenza  nello  spartiacque  fra  Enza  e Secchia  e nel  crinale  appenninico 
tra  Reggio  e Parma  di  depositi  avventizi  costituiti  da  massi  e ghiaie  e arenaria 
dalla  quale  sono  costituite  quelle  alture,  ed  i numerosi  laghetti  che  stanno  in 
rapporto  con  quei  depositi,  inducono  l’autore  a ritenerli  depositi  glaciali  come  lo 
sono  quelli  contigui  della  valle  della  Parma.  Descrive  in  questa  nota  le  varie  lo- 
calità ove  essi  s’incontrano,  la  loro  disposizione  e posizione  relativamente  alle 
valli  ed  ai  laghetti  e la  presenza  di  ciottoli  striati  per  provare  la  sua  tesi.  — 
Osserva  che  tali  depositi,  come  quelli  delle  Alpi  Apuane,  si  formarono  dopo  che 
le  valli  avevano  assunto  l’attuale  conformazione  ed  essere  quindi  geologicamente 
recentissimi.  — Al  prof.  Pantanelli  che  nega  l’esistenza  di  ghiacciai  nell’Appennino 
modenese  e reggiano  ed  attribuisce  a frane  quei  depositi,  risponde  che  queste 
hanno  un  aspetto  assai  diverso  da  quello  dei  depositi  glaciali:  cita  in  appoggio 
l’opinione  del  Major,  del  prof.  Marangoni,  dello  Stoppani  ed  infine  del  prof.  Ta- 
ramelli  che  ha  trovato  morene  in  rapporto  con  laghetti  al  Monte  Ragola  nel 
Piacentino. 

De  Stefani  C.  — La  Creta  nei  monti  della  Tolfa.  (Proc.  verb.  Soc. 
toscana,  Voi.  V).  — Pisa. 

Dei  terreni  di  questi  monti,  ritenuti  in  gran  parte  eocenici,  l’autore  descrive 


— 260  — 


le  varie,  roccie  da  cui  sono  rappresentati,  paragonandole  a quelle  di  altre  località. 
Afferma  di  non  aver  trovato  trapcia  di  roccie  nummulit'che  e quindi,  sia  per  le 
impronte  dei  pesci  determinati  dal  Bosniaski  che  per  la  presenza  di  un  I noce - 
ramus  scoperto  dall’autore,  come  per  altri  fossili,  da  altri  rinvenuti,  ritiene  che 
la  grandissima  parte  dei  monti  della  Tolfa  appartenga  ai  piani  fra  il  neocomiano 
superiore  e il  senoniano  e che  l’eocene  sia  affatto  mancante  o forse  scarsissimo. 

De  Stefani  C.  — La  Lueina  Pomum  sinonimo  della  Lueina  Dieomani 
Mgh.  (Proc.  verb.  Soc.  toscana,  Voi.  V).  — Pisa 

Su  questa  sinonimia  l’autore,  a proposito  di  uno  studio  del  dott.  Gioii  sulla 
Lucina  pomum , richiama  quanto  esso  più  volte  pubblicò  per  concludere  che  a 
Dicomano  oltre  al  Loripes  globulosus  chiamato  dal  Gioii  Lucina  Dieomani  vi  è 
una  vera  Lucina  affatto  identica  alla  Lucina  pomum  dei  luoghi  vicinissimi,  dal 
Gioii  citati  e di  tutto  l’Appennino  e che  deve  portare  il  nome  di  Lucina  Dieomani 
Mgh.  se  pure  non  è più  antico  quello  di  Lucina  pomum  Duj.,  il  che  si  ignora 
affatto. 

De  Stefani  C.  — LI  miocene  inferiore  di  Renno  nel  modenese  (Proc. 
verb.  Soc.  tose.,  Voi.  V).  — Pisa. 

Premesso  che  sono  da  farsi  importanti  trasformazioni  nell’ordinamento  dei 
terreni  miocenici  e che  quelli  dell’Appennino  settentrionale,  ad  eccezione  del  Pie- 
monte e di  qualche  lembo  nel  Pavese,  sono  quasi  tutti  più  recenti  del  miocene 
inferiore,  l’autore  cita  come  indubbiamente  del  miocene  inferiore  il  calcare  ceroide 
cristallino  sovrastante  alla  formazione  serpentinosa  presso  Renno  nel  modenese. 
È una  formazione  coralligena  nella  quale  ha  potuto  distinguere  traccie  di  Stylo- 
coenia,  Heliastraea,  Trochoseris,  ecc.,  identica  a quella  del  Rio  dei  Zunini  presso 
Sassello  in  Liguria. 

De  Stefani  C.  — Il  permiano  ed  il  carbonifero  nelle  Alpi  Marittime. 
(Proc.  verb.  Soc.  toscana,  Voi.  VI).  — Pisa. 

Espresso  il  dubbio  sulla  permicità  di  molti  terreni  dell’Appennino  e delle  re- 
gioni contigue,  descrive  i terreni  dell’alta  valle  della  Bormida.  Cominciando  dai  più 
antichi,  essi  sono  rappresentati  da  conglomerati  quarzosi  biancastri  compatti.  Se- 
guono alternanze  di  quarziti  o arenarie  verdognole  e fìlladi  con  lenti  di  antracite 
e rari  strati  di  gneiss  simili  a quelli  della  zona  superiore  degli  scisti  paleozoici 
nelle  Alpi  Apuane.  Superiormente  si  sviluppano  per  altezza  considerevole  dei  gneiss, 
quasi  senza  altra  roccia,  da  molti  geologi  attribuiti  al  Permiano.  In  alto  vengono 
i terreni  triasici  rappresentati  da  roccie  identiche  a quelle  delle  Alpi  Apuane,  molto 
fossiliferi,  e si  termina  con  la  serie  dei  micascisti  superiori  e con  strati  limitati 


— 201  — 


di  gneiss.  Enumera  quindi  i fossili  rinvenuti  nelle  filladi  antracitifere  di  Pietrata- 
gliata, dall’esame  dei  quali  risulta  che  quei  terreni  appartengono  al  carbonifero 
e forse  alla  sua  parte  inferiore. 

De  Stefani  C.  — I grezzoni  triassici  nell1  Appennino  ligure  e nelle 
Aljpi  Marittime.  (Proc.  verb.  Soc.  toscana,  Voi.  VI).  — Pisa. 

Paragonando  la  serie  delle  roccie  triasiche  di  queste  regioni  con  quelle  della 
Toscana  l’autore  osserva  che  nell’una  e nell’altra  essa  è uguale.  1 grezzoni  spe- 
cialmente nella  loro  parte  inferiore  sono  identici.  Mentre  però  i fossili  finora  stu- 
diati nelle  Alpi  Apuane  si  trovano  nella  loro  parte  superiore,  nell’Appennino  ligure 
e nelle  Alpi  Marittime  abbondano  invece  nella  parte  inferiore.  Dà  quindi  una  in- 
dicazione sommaria  dei  fossili  da  lui  trovati  in  queste,  indicandone  le  località,  ed 
espone  le  analogie  e le  differenze  fra  questi  che  si  trovano  nella  zona  più  antica 
dei  grezzoni  e quelli  della  parte  superiore  dei  grezzoni  apuani  ; concludendone  che 
i grezzoni  non  sono  più  antichi  dalla  parte  inferiore  del  Trias  medio  e che  la 
parte  inferiore  fossilifera  delle  Alpi  Marittime  equivale  forse  al  Musch clkalk  mentre 
la  parte  superiore  colle  roccie  successive  rientra  nel  Trias  superiore. 

De  Stefani  C.  — Il  permiano  nell* Appennino  (Boll.  Soc.  Geol.,  VI,  I). 
— Roma. 

Passando  in  rassegna  i terreni  delle  varie  località  dell’Appennino  finora  at- 
tribuiti al  permiano  ne  deduce  che  : 1°  gli  scisti  cristallini  del  Savonese  sono  an- 
teriori al  carbonifero:  2°  gli  scisti  gneissici  delle  Alpi  Apuane  appartengono  al 
siluriano  medio:  3°  i fossili  trovati  nel  Monte  Pisano  non  sono  distintivi  del  per- 
miano: 4°  le  filladi  e le  quarziti  delle  altre  località  dell’Appennino  settentrionale 
sono  anziché  permiane  più  verossimilmente  triasiche:  5°  le  filladi  dell’Appennino 
meridionale  sono  più  antiche  del  permiano:  6°  nessun  documento  si  conosce  per 
ora  dell’esistenza  di  terreni  permiani  nell’Appennino. 

De  Stefani  C.  — L’  Appennino  fra  il  colle  dell’Altare  e la  Polcevera. 
(Boll.  Soc.  Geol.,  VI,  3).  — Roma. 

L’autore  premesso  che  divide  l’opinione  di  coloro  che  pongono  il  confine  fra 
le  Alpi  e l’Appennino  al  colle  dell’Altare  sopra  Savona,  dà  in  questo  lavoro  la 
descrizione  dei  terreni  di  quella  località  cominciando  dai  più  antichi,  enumeran- 
done le  varie  roccie,  i fossili  che  contengono  e citando  i vari  autori  che  se  ne 
occuparono.  Dà  quindi  un  quadro  dei  terreni  e la  loro  disposizione  stratigrafica, 
facendo  notare  la  grande  estensione  del  piano  delle  serpentine,  la  mancanza  del 
siluriano  medio  delle  Alpi  Apuane  e probabilmente  del  carbonifero  della  Toscana 
e delle  Alpi  Marittime. 


17 


— 262  — 


Sull’andamento  degli  strati  e delle  pieghe  in  questa  regione  e nelle  Alpi  Ma- 
rittime nota  che  essi  sono  nell’immediata  continuazione  di  quelle  delle  Alpi  Cozìe, 
delle  quali  la  direzione  da  N.E  si  cambia  deviando  verso  Est,  formando  così  una 
curva  quasi  regolare  colla  concavità  verso  la  valle  padana.  Esternamente  a questa 
curva  fra  il  Nizzardo  ed  Albenga  sono  disposti  i terreni  eocenici  che  hanno  la 
loro  continuazione  nell’ Appennino.  Nel  tratto  però  fra  Genova  ed  Albenga  la  cor- 
rosione marina  ha  messo  allo  scoperto  i terreni  più  antichi  i quali  nella  parte  più 
orientale  si  veggono  giungere  al  mare.  Nella  parte  montuosa  più  interna  le  stra- 
tificazioni non  turbate  mostrano  regolarmente  gli  strati  fìUadici  e i calcoscisti 
cerulei  sotto  le  dioriti  e le  serpentine  antiche  ; ma  lungo  il  litorale,  1’  andamento 
delle  pieghe  si  mostra  complicato  dal  grandioso  rovesciamento  contro  terra,  con 
pendenza  al  mare,  dell’ellissoide  cristallina  savonese,  della  quale  il  lato  meridionale  j 
fu  distrutto  dal  Tirreno  che  colà  esiste  fino  dal  miocene  inferiore  e che  trovasi  in 
una  sinclinale  dovuta  all’  accartocciamento  naturale  degli  strati  nel  loro  movi- 
mento, anziché  a sprofondamento  di  terreni  emersi  preesistenti,  come  molti  ere- 
dono.  A spiegare  tale  rovesciamento  prende  ad  esame  anche  le  roccie  cristalline  j 
dal  mare  presso  Bergeggi  seguendole  pei  monti  di  Roviasco  e di  Altare.  Osserva 
che  le  roccie  attribuite  da  Issel,  Mazzuoli  e Zaccagna  al  permiano,  poggianti  su  ' 
di  un  anticipale  del  carbonifero  inferiore,  dovrebbero  essere  posti  nel  trias  supe- 
riore e medio,  sovraincombendo  esse  nei  monti  da  Montenotte  a Varazze  agli  scisti 
cerulei  dai  medesimi  autori  attribuiti  al  trias  inferiore.  Anzi  tra  Bergeggi  e Spo-  . 
torno  essi  stanno  evidentemente  sopra  calcari  certamente  del  trias  medio  e superiore; 
quindi,  a meno  di  attribuire  tali  terreni  al  lias,  conviene  ammettere  il  rovescia- 
mento, ed  ammesso  qui  devesi  ammettere  ovunque  verifìcansi  le  stesse  condizioni. 
Indica  quindi  i varii  tratti  verso  terra  di  quest’ anticipale  rovesciato,  che  si  ripete 
con  identiche  circostanze  lungo  il  litorale  tirreno  nella  Liguria  orientale. 

Accompagna  questo  studio  una  tavola  di  sezioni  nelle  quali  è posto  in  evi-  .j 
denza  l’andamento  delle  stratificazioni  nelle  regioni  dall’autore  indicate.- 

De  Stefani  C.  — 11  terreno  terziario  nella  valle  del  Mesima.  (Boll. 
Soc.  Geol.,  VI,  3).  — Roma. 

Rammentati  i precedenti  studi  dei  geologi  sulla  costituzione  di  questa  vallata 
del  Catanzarese,  l’autore  ne  descrive  la  serie  consecutiva  dei  terreni,  discutendo 
al  tempo  -stesso  le  contrarie  opinioni  emesse  in  proposito. 

Risulta  da  questo  lavoro  che  detti  terreni  costituenti  sono,  in  ordine  ascen- 
dente, i seguenti  : 

Scisti  cristallini  del  piano  Montavano  ed  Huroniano.  Marne  del  miocene  me-  ; 
dio  equivalenti  allo  Schlier,  al  Langhiano  ed  alle  marne,  fogliettate,  alternanti,  o 
ricoperte,  con  calcare  parimenti  miocenico.  Argille  marnose,  sabbie  e ghiaiette  | 


postplioceniche,  direttamente  sovrastanti  al  miocene,  mancando  cosi  il  terreno  clas- 
sico pliocenico. 

De  Stefani  C.  — Le  ligniti  del  bacino  di  Castelnuovo  di  Garfagnana. 
(Boll.  Com.  Geol.,  7-8).  — Roma. 

Questa  memoria,  avente  carattere  di  rapporto  al  Ministero  italiano  dell’agr. 
ind.  e comm.,  comprende  una  parte  geologica  ed  una  tecnico-economica  sul  ba- 
cino sunnotato  il  quale  è posto  nella  valle  del  Serchio,  fra  le  Alpi  Apuane  e 
l’Appennino. 

Nella  prima  parte  sono  dettagliatamente  descritti  i limiti  del  bacino  stesso 
d’origine  lacustre,  la  disposizione  topografica  e la  natura  delle  sue  roccie,  la  pro- 
venienza di  quest’ultime,  la  potenza  degli  strati  lignitiferi  coll’indicazione  dei  fos- 
sili che  racchiudono:  da  ultimo  vi  si  trova  esposta  anche  una  succinta  storia  geo- 
logica del  bacino. 

Dall’analisi  dei  fossili  è risultato  che  le  argille,  le  sabbie  e le  ghiaie,  costi- 
tuenti dal  sotto  in  su  e nell’ordine  sunnotato  la  stratigrafia  del  bacino,  sono  in- 
dubbiamente plioceniche.  I banchi  poi  di  lignite  stanno  inclusi  tra  le  sabbie  e le 
argille,  vale  a dire  fra  gli  strati  più  antichi,  mentre  invece  sterili  sono  i conglo- 
merati che  rappresentano  gli  strati  più  recenti. 

Nella  parte  tecnico-economica,  sono  indicate  la  disposizione,  estensione  e po- 
tenza dei  banchi  di  lignite,  i caratteri  fisici  e chimici  di  questa  ed  il  presuntivo 
suo  costo  alle  prossime  stazioni  ferroviarie. 

La  memoria  è corredata  di  una  tavola  di  sezioni  geologiche  del  bacino 
descritto. 

Di  Poggio  E.  — Sulle  esalazioni  solfidriche  di  Montemiccioli.  ( Proc. 
verb.  Soc.  toscana  Se.  Nat.,  Voi.  V).  — Pisa. 

La  località  in  Toscana  nella  quale  avviene  il  fenomeno  trovasi  nel  bosco  di 
Brenta,  lungo  le  rive  del  torrentello  delle  Foci  e a tre  ehm.  da  Montemiceioli,  si- 
tuato sulla  strada  da  Volterra  a Colle  di  Val  d’Elsa. 

Le  descritte  esalazióni  d’acido  solfìdrico  e d’  anidride  carbonifica  si  sprigio- 
nano da  cavità  nel  calcare  alberese  convertito  in  gesso  ed  incrostato  di  solfo  al 
loro  contatto.  L’autore  spiega  colla  teoria  chimica  la  formazione  del  gesso,  del- 
1’  anidride  e del  solfo  e dà  ragione  di  altri  fatti  concomitanti  al  fenomeno  che 
-egli  ritiene,  per  la  natura  e per  l’allineamento  delle  esalazioni,  in  stretto  legame 
con  quello  identico  di  Larderello. 


— 264  — 


Di  Stefano  G.  — Tre  lettere  sulla  struttura  geologica  del  Capo  S. 
Andrea  presso  Taormina.  (Naturalista  Siciliano,  anni  VI  e VII).  — 
Palermo. 

In  base  a studio  locale  e minuzioso  delle  condizioni  tettoniche  e paleontolo- 
giche dell’intero  Capo  S.  Andrea  l’autore  addiviene  alla  conclusione  che  i terreni 
costituenti  il  medesimo  sono  i seguenti: 

Eocene.  — Marne  scistose,  grigio-giallastre,  rosse,  talvolta  variegate,  con  in- 
elusi  piccoli  strati  di  calcare  cristallino  sabbioso  verdiccio,  con  larghe  macchie 
spatiche  bianche  e contenenti  piccole  mummuliti. 

Strati  con  Aptychus.  — Nella  parte  inferiore  composti  di  calcari  compatti, 
cristallini,  talvolta  marnosi,  con  crinoidi,  rossi,  carnei,  venati  di  spato  calcare, 
macchiati  di  giallo-verdiccio,  sino  a divenire  interamente  chiari.  Contengono  Sphe - 
nodus  longidens,  Pygope  Bouei , P.  rupicola , Aptychus  punctatus,  A.  Bey- 
richi  ecc.  Nella  parte  superiore  constano  di  scisti  marnosi  rossi,  grigio-chiari, 
grigio-verdicci,  con  calcari  compatti  degli  stessi  colori,  con  noduli  di  selce  dia- 
sproidea. Contengono  Belemnites  cfr.  semisulcatus,  Aptychus  punctatus,  A. 
Beyrichi,  ecc. 

Zona  con  Peltoceras  transoersarium.  Quest,  sp.  — Calcare  compatto,  talora 
subcristallino,  bruniccio,  con  macchie,  venature  ~e  dendriti  nere  ecc.  ecc.  Con- 
tiene Perisphinctes  Bocconii. 

Strati  con  Posidonomya  alpina  Gras.  — Calcari  rossi,  carnei,  rosei,  grigia-  I 
stri,  macchiati  e venati  di  nero,  con  dendriti  nere,  cristallini,  con  crinoidi,  con  pre-  | 
valenza  talvolta  di  brachiopodi,  talvolta  di  piccoli  cefalopodi.  Abbonda  la  Posid.  j 
alpina;  inoltre  Rhynchonella  Berchta,  Rh.  Atla,  R.  Suberchinata,  ecc.  Pygope 
pteroconcha,  P.  Gemmellaroi,  ecc.  Stephanoceras  Brogniarti,  Crioceras  annu- 
latum,  Haploceras  psilodiscum,  H.  monacum,  ecc. 

Strati  con  Rhynchonella  Vigilii  Leps.  — Calcare  cristallino  con  crinoidi,  tal- 
volta saccaroide,  rosso,  roseo,  carneo,  venato,  con  ammassi  d’individui  di  Rhynclio - ! 
nellae  costate  fra  le  quali  sono  abbondantissime  la  Rh.  Vigilii  e la  Rh.  Clesiana. 

Lias  superiore.  — Marne  grigie  con  fucoidi,  passanti  superiormente  a marne 
scistose  rosse,  alternanti  con  calcare  cristallino  rosso,  macchiato  di  giallo  ver- 
diccio,  con  Hildoceras  bifrons,  H.  Lecisoni,  Phylloceras  cfr.  Nilsoni,  Nautilus 
astacoide  s. 

Lias  medio.  — Calcare  con  crinoidi,  grigio,  roseo,  rossastro,  con  Harpoceras 
algocianum,  Spiriferina  rostrata , Pecten  Stoliczkai  ecc. 

Lias  inferiore.  — Calcare  cristallino  grigio,  bruniccio,  rossastro,  ecc.  venato  di 
spato,  con  Pecten  Hehlii,  P.  textorius,  P . Di  Blasii,  Terebratula  punctatar 
Rynchonella  rimosa,  Rh.  jonica  ecc.,  Spiriferina  rostrata,  ecc. 


— 235  — 


Di  Stefano  G.  — L’età  delle  roccie  credute  triadiche  del  territorio 
di  Taormina.  (Giornale  di  Scienze  nat.  ed  economiche,  Voi.  18).  — 
Palermo. 

, La  memoria  consta  di  due  parti.  Nella  prima,  ossia  geologica,  l’autore  tende 
a provare,  mediante  l’esame  dettagliato  degli  strati  e dei  loro  fossili,  che  la  serie 
potente  di  strati  calcareo-dolomitici  formanti  la  rupe  del  Belvedere,  l’altura  del 
Teatro,  la  Rocca  di  Taormina,  la  montagna  di  Castelmola  ecc.,  e che  resta  com- 
preso fra  il  conglomerato  rosso  e gli  strati  del  Lias  superiore,  rappresenta  la 
porzione  inferiore  del  Lias  inferiore  mediterraneo.  Questo  complesso  può  dividersi 
praticamente  in  due  parti,  le  quali  però  sono  tra  loro  in  intima  relazione  stratigra- 
fica e paleontologica.  La  parte  inferiore  che  comincia  con  marne,  calcari  rossi  e 
calcari  marnosi  giallastri  termina  superiormente  con  calcari  brunicci  ricchi  di  pic- 
coli gasteropodi  e contiene  principalmente  la  fauna  del  calcare  cristallino  della 
provincia  di  Palermo:  la  parte  superiore  con  dolomie  e calcari  grigi,  finisce  con 
calcari  nero-lionati,  cristallini,  ne’quali  abbonda  la  Plicatula  intus striata. 

La  seconda  parte  della  memoria,  ossia  la  paleontologica,  illustra  i fossili 
raccolti  dall’autore  negli  strati  inferiori  del  descritto  complesso  calcareo- dolo- 
mitico. Le  specie  descritte  sono  26  di  cui  molte  sono  nuove;  appartengono  ai  ge- 
neri Rhynchonella,  Terebratula,  Zeilleria , Anomia,  Pectcn,  Pinna,  Amberleya, 
Scaeoola,  Nerita,  Neritopsis,  Natica  e Chemnitzia. 

La  memoria  è corredata  da  una  tavola  di  sezioni  geologiche  e da  due  tavole 
di  figure  di  fossili. 

Di  Stefano  G.  — Osservazioni  alla  nota  del  prof.  G Seguenza : Gli 
strati  con  Rhynchonella  BercKta  Oppel  presso  Taormina.  (Rend. 
Acc.  Lincei,  Voi.  Ili,  1°  sem.).  — Roma. 

L’autore  richiama  e riconferma  le  proprie  opinioni  già  emesse  in  precedenti 
pubblicazioni  circa  la  struttura  geologica  del  Capo  S.  Andrea,  presso  Taormina. 

Ferretti  A.  — La  miocenicità  delle  argille  scagliose  e la  forma- 
zione di  Montegibbio.  — Reggio  Emilia,  1887. 

In  una  prima  parte  di  questo  lavoro  l’autore  espone  le  condizioni  orografiche 
fielle  argille  scagliose  delle  varie  località  del  Subappennino  e dell’ Appennino  reg- 
giano ed  in  ispecie  della  zona  che  dal  Serchio  presso  S.  Antonino  va  sino  al 
Crostolo  che  bagna  la  città  di  Reggio  d’Emilia;  descrive  le  argille  stratificate  e 
le  caotiche  coi  loro  interclusi,  e ne  deduce  anzitutto  la  loro  spettanza  ad  un  solo 
piano,  ad  una  sola  epoca  di  formazione,  e riassume  dipoi  le  prove  della  miocenicità 


— 266  — 


% 

loro,  basate  principalmente  sui  rapporti  fra  esse  argille  e le  roccie  contigue  dE 
epoca  ben  definita. 

In  una  seconda  parte  del  lavoro  l’autore  indica  i fossili  da  lui  rinvenuti  nella 
formazione  di  Montegibbio,  di  alcuni  dei  quali  riporta  o dà  la  descrizione,  facendo' 
da  ultimo  rilevare  come  la  relativa  fauna,  giudicata  complessivamente,  attesti  la 
pliocenicità  di  quei  depositi,  convalidata  anche  dalle  condizioni  stratigrafiche. 

E parimenti  plioceniche,  sia  pei  fossili  inclusi,  sia  per  le  correlazioni  strati' 
grafiche,  risultano  all’autore  anche  le  formazioni  di  Castellarano,  di  S.  Valentino 
e di  S.  Ruffino. 

Foresti  L.  — Sopra  alcuni  fossili  illustrati  e descritti  nel  Musaeum 
metallicum  di  Ulisse  Aldrovandi.  (Boll.  Soc.  Geol.,  VI,  2).  — 
Roma. 

Contiene  l’interpretazione  paleontologica  di  92  specie  fossili  che  trovansi,  fra 
molte  altre,  descritte  e figurate  nella  sopracitata  opera  dell’Aldovrandi,  pubblicata 
in  Bologna  nel  1648.  — Questo  lavoro  è preceduto  #da  notizie  sul  complesso  del 
l’opera  e sulla  nomenclatura  scientifica  usata  in  quei  tempi. 

Foresti  L.  — Alcune  forme  nuove  di  molluschi  fossili  del  Bolognese _ 
(Boll.  Soc.  Geo!.,  VI,  3).  — Roma. 

Contiene  la  descrizione  di  cinque  forme,  quattro  delle  quali  appartengono  al 
pliocene,  piano  astiano  del  Mayer,  ed  una  al  miocene  medio.  Le  descritte  forme 
sono:  Fusus  Bononiensis,  Borsonia  laevis,  Purpura  felsinea , P.  funiculata  e 
Conus  zebrinus. 

La  nota  è corredata  di  una  tavola  con  le  figure  dei  fossili  descritti. 

Fornasini  C.  — Di  alcuni  foraminiferi  provenienti  dagli  strati  mio- 
cenici dei  dintorni  di  Cagliari.  (Boll.  Soc.  Geol.,  VI,  1).  — Roma. 

I fossili  illustrati  dalla  presente  nota  provengono  dalle  località  S.  Michele  e 
Fangario  dei  dintorni  immediati  di  Cagliari,  e fuiono  raccolti  dal  prof.  Lovisato, 
in  parte  nel  calcare  farinoso,  detto  anche  pietra  cantone , della  prima  località  ed 
in  parte  nelle  argille  della  seconda. 

Le  specie  determinate  ed  in  parte  anche  descritte  sommano  a 24  per  S.  Mi- 
chele ed  a 9 per  Fangario.  Le  prime  rappresentano  13  generi,  si  distinguono  per 
le  loro  grandi  dimensioni  e sono  per  la  maggior  parte  comuni  agli  strati  mioce- 
nici e pliocenici  e certune  anche  agli  oligocenici.  Quelle  di  Fangario  si  riferiscono 
a 4 generi  e presentano  nel  loro  assieme  somiglianza  colla  fauna  di  Mongardino 
nel  Bolognese,  corrispondente  a quella  della  marna  di  S.  Rufflllo  giudicata  dal 
De  Hantken  rispondente  alla  fauna  di  Malta. 


— 267  — 


Va  premessa  alla  nota  una  lettera  del  prof.  Lovisato  indicante  la  natura  c 
le  condizioni  geologiche  delle  roccie  contenenti  i fossili  descritti. 

Fornasini  C.  — Foraminiferi  illustrati  da  Bianchi  e da  Gualtieri. 
(Boll.  Soc.  Geol.,  VI,  1).  — Roma. 

Riporta  dalle  opere  de’ suindicati  autori,  pubblicate  nella  prima  metà  dell’ ul- 
timo decorso  secolo,  le  descrizioni  originali  latine  di  20  e più  specie  di  forami- 
niferi, coll’indicazione  delle  località  di  Romagna,  di  Toscana,  del  Veneto  el 
in  ispecie  del  Riminese,  nelle  quali  furono  con  maggior  o minor  frequenza  rin- 
venute. 

Il  lavoro  è corredato  da  una  ricca  sinonimia  delle  specie  figurate  e descritte 
in  altre  opere  e da  numerose  annotazioni  interpretative,  premessivi  alcuni  cenni 
sull’importanza  scientifica  dell’antico  lavoro  e sul  significato  della  nomenclatura 
adoperata  da  suoi  autori. 

Fornasini  C.  — Textularia  gibbosa  e T.  tuberosa.  (Boll.  Soc.  Geol., 
VI,  2).  — Roma. 

Descrive  le  anzinotate  due  specie,  enumerate  nel  Tableau  del  d’Orbigny,  le 
quali  non  erano  state  posteriormente  illustrate  se  non  sotto  differenti  denominazioni, 
o riferendo  ad  esse  delle  forme  che  si  scostavano  dal  tipo,  ovvero  confondendo 
le  due  specie  tra  loro. 

Alla  sinonimia  delle  specie  sono  aggiunte  le  indicazioni  delle  località  e delle 
formazioni  geologiche  d’Italia  in  cui  dette  specie  si  presentano  e sulle  condizioni 
loro  di  habitat  nei  mari  italiani  attuali. 

Correda  il  testo  una  tavola  figurativa  delle  specie  in  parola. 

Fornasini  C.  — Di  alcuni  foraminiferi  provenienti  dalla  spiaggia  di 
Civitavecchia  (Boll.  Soc.  Geol.,  VI,  3).  — Roma. 

Offre  la  determinazione  di  12  specie  di  foraminiferi  raccolte  dal  prof.  Meli 
sulla  spiaggia  sopraindicata,  ed  indica  per  ognuna  le  condizioni  di  habitat  attuale 
e la  loro  presenza  o meno  allo  stato  fossile  negli  strati  terziari  e post-terziari 
d’ Italia. 

Le  specie  determinate  appartengono  ai  generi  Miliolina,  Peneroplis,  Nodo- 
saria,  Marginulina,  Cristellaria , Truncatulina,  Puloinulina,  Rotalia  e Po- 
ly  stornella. 

Fornasini  C.  — Tre  note  sulle  Textularie.  (Boll.  Soc.  Geol.,  VI,  3).  — 
Roma. 

La  prima  nota  indica  i caratteri  esterni  delle  Textularie.  La  seconda  contiene 


268 


l’elenco  alfabetico  ragionato  delle  Textularie  italiane,  coll’indicazione,  per  ogni 
specie,  dell’autore  che  l’ha  illustrata,  delle  località  e delle  geologiche  formazioni 
in  cui  venne  sin’ora  constatata.  Le  specie  e varietà  registrate  sommano  a 95. 

Nella  terza  ed  ultima  nota  l’autore  espone  i caratteri  distintivi  delle  Textu- 
larie  abbreviate. 

Ogni  singola  nota  è accompagnata  da  una  tavola  con  figure  di  foraminiferi. 

Franco  P.  — II  Vesuvio  ai  tempi  di  Spartaco  e di  Strabane.  { Atti 
Acc.  Pontaniana,  Voi.  XVII).  — Napoli. 

* 

La  descrizione  del  Vesuvio  ai  tempi  suindicati,  dataci  dall’autore,  è basata 
specialmante  sui  dati  geognostici  e sui  ricordi  storici,  anzicchè  sui  soli  affreschi 
pompeiani  com’era  stato  fin’ora.  Egli  riesce  a dimostrare  che  oltre  a cambiamento 
di  forma  vi  fu  anche  un  lieve  spostamento  del  centro  del  cratere,  relativamente 
alla  sua  posizione  nell’eruzione  pliniana,  verso  sud-ovest.  Resterebbe  ora  a deter- 
minarsi quale  sia  stata  la  causa  di  tale  spostamento  dell’asse  eruttivo. 

Gemmellaro  G.  G.  — La  fauna  dei  calcari  con  Fusulina  della  valle 
del  fiume  Sosio  nella  provincia  di  Palermo.  Fascicolo  1°.  — Pa- 
lermo, 1887. 

I calcari  della  cui  fauna  si  occupa  la  presente  monografìa  formano  nella  suin- 
dicata valle  tre  rupi  isolate  e distinte  per  età  e natura  della  roccia  dai  terreni 
frammezzo  i quali  affiorano  nel  tratto  che  corre  tra  la  Serra  di  S.  Benedetto  e 
la  Portella  di  Gebbro.  Queste  rupi  sono  la  Rocca  di  S.  Benedetto,  la  Rupe  del 
Passo  di  Burzio  e la  Pietra  di  Salomone. 

Questi  calcari  che  rappresentano  le  roccie  più  antiche  di  tutta  la  serie  dei 
terreni  della  parte  occidentale  di  Sicilia  contengono  una  fauna  abbondantissima, 
massime  nella  parte  loro  inferiore  (calcare  grigio  compatto)  rispetto  alla  superiore 
(calcare  bianco  grossolano),  la  quale  li  caratterizza  come  appartenenti  ad  una 
serie  di  roccie  che  lega  il  carbonifero  al  permiano.  Essi  risultano  coevi  ai  calcari 
con  Fusulina  delle  Alpi. 

Questo  primo  fascicolo  dell’enunciata  monografia  contiene  la  descrizione  par- 
ticolareggiata de’ fossili  cefalopodi  ammonoidei  i quali  trovansi  pressocchè  esclu- 
sivamente nella  parte  inferiore  dei  calcari  in  parola,  e che  sono  rappresentati  da 
54  specie  tutte  nuove,  riferibili  a 18  generi  dei  quali  14  sono  pure  nuovi.  — I ge- 
neri descritti  sono:  W aagenoceras  con  2 specie;  Hyatloceras , 3 specie;  Popa- 
noceras , 4 sp.  ; Stacheoceras,  11  sp.  ; Adrianites,  6 sp.  ; Medlicottia,  5 sp.  ; Pro- 
pinacoceras,  3 sp.  ; Parapronorites , 1 sp.  ; Sicanites,  2 sp.  ; Daraelites,  1 sp.  ; 
Thalassoceras,  4 sp.;  Paraceltites,  2 sp.  ; Agathiceras,  3 sp.  ; Doryceras,  1 sp.  ; 
Qlinolobus,  1 sp.  ; Gastrioceras , 3 sp.  ; Glyphioceras,  2 sp. 


— 269  — 


Questo  primo  fascicolo  è corredato  di  una  tavola  di  profili  della  località  fos- 
silifera e di  10  tavole  con  figure  dei  fossili  descritti. 

Gioli  G.  — Fossili  della  Oolite  di  San  Vigilio.  (Proc.  verb.  Soc.  tose. 

Se.  Nat.,  Voi.  V).  — Pisa. 

Presenta  una  nota  preliminare  dei  generi  e delle  specie  che  l’autore  ha  po- 
tuto osservare  fra  gli  esemplari  di  gasteropodi,  di  lamellibranchi  e di  echinodermi 
conservati  nel  Museo  paleontologico  di  Pisa  e spettanti  alla  fauna  sopraenunciata 
del  cui  studio  è incaricato.  Risulta  da  questo  elenco  che  oltre  alle  specie  citate 
dal  Vacek  nella  sua  opera  recente  sulla  fauna  medesima,  la  collezione  anzidetta 
contiene  altri  13  generi  che  per  buona  parte  non  figurano  ancora  menzionati  in 
in  ne>ssun’altro  elenco. 

Gioli  G.  — La  Lueina  pomum  Duj.  (Memorie  Soc.  toscana  Se.  Nat., 

Voi.  Vili,  2).  — Pisa. 

Per  risolvere  la  questione  se  le  lueine  indicate  dai  geologi  coi  nomi  specifici 
di  Lucina  pomum,  globolosa,  appenninica,  miocenica,  Dettosi  e Dicomani  e ri- 
tenute caratteristiche  di  dati  piani  miocenici,  rappresentino  altrettante  e diverse 
forme  oppure  forme  sinonime,  l’autore  sottopose  ad  esame  comparativo  diversi 
individui  delle  indicate  specie,  derivati  da  differenti  località. 

Egli  prende  a base  d’esame  la  Lucina  pomum  del  tipo  orbicolare  del  quale 
espone  l’analisi  dettagliatissima,  e dai  rapporti  e differenze  risultanti  fra  queste  e 
le  altre  specie  l’autore  è indotto  a ritenere  che  la  L.  pomum,  Duj.  è sinonima 
de\Y  appenninica,  Dod.  e specie  distinte  fra  loro  tutte  le  altre. 

Due  tavole  con  figure  rappresentanti  la  L.  pomum  e la  L.  Dicomani  corre- 
dano il  testo. 

Goiran  A.  — Appendice  e note  al  catalogo  dei  terremoti  veronesi.  — 

(Accad.  di  Agric.,  Arti  e Commercio  di  Verona,  S.  Ili,  Voi.  LXIII). 

— Verona. 

È l’indice  cronologico  dei  terremoti  avvenuti  nel  Veronese  dal  1633  al  1859, 
coll’  indicazione  de’  concomitanti  fenomeni  disastrosi,  e con  riferimento  a moti  sismici 
contemporaneamente  avvenuti  in  altre  parti  d’Italia. 

Grattarola  G.  — Cerussite  di  Val  Fontana , media  Valtellina.  (Proc. 

verb.  Soc.  tose.  Se.  Nat.,  Voi.  V).  — Pisa. 

Contiene  l’analisi  cristallografica  e chimica  del  minerale,  praticata  quest’ultima 
mediante  un  processo  speciale  speditivo  e raccomandabile  per  piccole  quantità 
di  materiale  disponibile.  La  combinazione  cristallografica  risultò  composta  del 
macropinacoide  (100),  del  brachipinacoide  (010),  del  prisma  110  eAeì  macrodoma  101. 


— 270  — 

Grattarola  G.  — Sulla  determinazione  della  cerussite  di  Val  Fon- 
tana (Proc.  verb.  Soc.  toscana  Se.  Nat,  Voi.  V). — Pisa. 

In  risposta  ad  una  recensione  pubblicata  nella  Rivista  di  mineralogia  e cri- 
stallografia italiana,  colla  quale  contestavasi  la  bontà  del  processo  d’analisi 
seguito  dall’autore  per  la  cerussite  di  Val  Fontana,  questi,  ripetuto  l’assaggio  collo 
stesso  metodo  sul  medesimo  minerale  e su  cerussite  pura,  n’ebbe  risultati  confer- 
manti l’esattezza  della  sua  precedente  determinazione. 

A.  Issel,  L.  Mazzuoli  e D.  Zaccagna.  — Carta  geologica  delle  Riviere 
liguri  e delle  Alpi  Marittime , nella  scala  di  1 a 200  000.  — Ge- 
nova, 1887. 

Questa  Carta,  stata  pubblicata  per  cura  del  Club  Alpino  italiano  (sezione  li- 
' gure),  consta  di  un  foglio  grande  in  cromolitografia  e di  una  pagina  stampata, 
con  avvertenze  e coll’indicazione  della  serie  cronologica  dei  terreni  delimitati.  È 
pure  corredata  da  sezioni  geologiche  in  scala  di  1 a 100  000.  Il  territorio  da  essa 
compreso  è limitato  : a Nord  da  un  parallelo  passante  a due  km.  a Nord  d’Acqui, 
ad  Est  dal  meridiano  di  Corniglia;  ad  Ovest  da  un  meridiano  che  quasi  tocca  la 
città  di  Monaco.  La  serie  dei  terreni  è la  seguente: 

Precarbonifero . — Gneiss  e graniti,  inferiormente;  gneiss,  scisti  cristallini  e_  ser- 
pentine, superiormente. 

Carbonifero . — Piano  inferiore:  Arenarie,  scisti  arenacei  e grafitici,  antraciti.  — 
Piano  superiore:  Calcari  marmorei. 

Permiano.  — Anageniti  e scisti  quarzosi,  talcosi,  micacei  e feldspatici. 

Trias.  — Scisti  cristallini  con  roccie  ofiolitiche  interstratificate,  quarziti  ed  ana- 
geniti ( Buntsandstein );  calcari  dolomitici  ( Muschelkalk  e Keuper). 

Infralias.  — Scisti  e Bactrilli,  calcari  neri  fossiliferi,  marmo  portoro. 

Giuralias.  — (Lias,  Coralliano  e Titonico).  Calcari  e scisti  ammonitiferi,  scisti  a 
Posidonomya  Bronni,  calcari  ceroidi,  calcari  a polipai. 

Cretaceo.  — (Neocomiano  e senoniano).  Calcari  a Belemnites  dilatatus,  calcari 
con  Gryphaea  colamba,  scisti  calcareo-argillosi  (scaglia). 

Eocene.  — (Batoniano,  Infraliguriano  e Liguriano).  Calcari  nummulitici,  roccie  ser- 
pentinose,  calcari  a fucoidi  ecc. 

Miocene  inferiore.  — (Tongriano).  Conglomerati,  scisti  e molasse  con  lignite,  are- 
narie calcarifere,  fossilifere. 


(Continua). 


— 271  — 


NOTIZIE  DIVERSE 


Giacimenti  solfiferi  nella  Luigiana.  1 — Nel  l’anno  1869  la  Società 
del  petrolio  e carboni  della  Luigiana  (Nord-America)  scoperse  in  questo 
Stato  nel  fare  delle  trivellazioni  per  la  ricerca  del  petrolio,  un  giaci- 
mento di  solfo  di  straordinaria  potenza,  in  una  località  situata  a 228 
miglia  inglesi  da  New  Orleans,  ad  un  miglio  dalla  ferrovia  meridionale 
del  Pacifico  e ad  8 miglia  dal  fiume  navigabile  Calcasieu. 

Dai  registri  di  trivellazione  si  ricavano  i dati  seguenti: 

Foro  1. 


Argilla  gialla  e turchina  . . 

spess. 

m. 

48,80 

profond. 

m. 

48,80 

Sabbia  grigia  e gialla  . . . 

> 

» 

52,76 

» 

» 

101,56 

Roccia  solida 

» 

» 

0,61 

» 

» 

102,17 

Calcare  sabbioso  turchino  . . 

> 

> 

14,64 

» 

3> 

116,81 

Calcare  bianco  friabile  . . . 

» 

» 

18,30 

» 

S> 

135,11 

Solfo  puro 

» 

» 

32,94 

> 

» 

168,05 

Gesso  solfifero 

» 

» 

30,19 

» 

» 

198,24 

Solfo  puro 

» 

» 

1,83 

» 

» 

200,07 

Gesso  solfifero 

» 

» 

7,32 

>> 

)) 

207,39 

Gesso  ricchissimo  di  solfo  . . 

» 

» 

134,20 

» 

)) 

341,59 

Gesso  solfifero 

» 

» 

30,50 

)> 

» 

372,09 

In  seguito  a tale  scoperta 

insorse 

lite 

tra  la 

Compagnia 

del  pe- 

trolio  ed  i proprietari  del  suolo,  la  quale  fu  decisa  nel  1870  coll’accor- 
dare  a quest’ultimi  la  proprietà  del  giacimento  di  solfo;  dietro  di  che 
si  costituì  una  nuova  Società  sotto  il  nome  di  Compagnia  degli  solfi 
e miniere  del  Calcasieu  per  la  coltivazione  dello  solfo. 

Questa  Compagnia  intraprese  sotto  la  direzione  del  signor  Grani, 
raccomandato  e proposto  dal  Governo  francese,  un  secondo  foro  di 
trivellazione  a m.  30  dal  primo;  se  n’ottenne  il  seguente  risultato: 


1 Da  un  Rapporto  del  sig.  Preussner  alla  Società  geologica  tedesca. 


Argilla  gialla  e turchina  . . 

spess. 

m. 

50,32 

profond. 

m. 

50,32 

Sabbia  grigia  e gialla  . . . 

» 

» 

54,59 

» 

» 

104,91 

Roccia  solida 

» 

» 

0,76 

» 

» 

105,67 

Calcare  bianco  e turchino  . . 

» 

» 

24,86 

» 

» 

130,53 

Solfo 

» 

» 

34,16 

» 

» 

164,69 

Gesso  

» 

» 

3,66 

» 

» 

168,35 

Raggiunta  quest’ultima  quota  si  passò  ad  approfondire  un  pozzo 
per  raggiungere  il  giacimento  di  solfo,  nella  quale  operazione  s’in- 
contrò la  sabbia  grigio-gialla  talmente  pregna  d’acqua  da  doversi  ap- 
plicare il  sistema  Kind-Chaudron,  al  qual  uopo  si  fecero  venire  dal 
Belgio  macchine  ed  apparecchi  per  un  valore  di  150000  dollari,  pari 
a lire  770  000. 

Con  tutto  ciò  l’approfondimento  del  pozzo  non  riuscì,  la  Società 
fallì  e la  miniera  venne  in  seguito  acquistata  dalla  Compagnia  sulfu- 
rea della  Luigiana,  attualmente  proprietaria. 

Durante  il  1886  furono  praticate  dai  sig.  A.  Grant  e F.  H.  Elliot 
due  nuove  trivellazioni  le  quali  constatarono  la  presenza  dèlio  solfo 
nelle  medesime  proporzioni  di  prima,  come  risulta  dai  dati  seguenti: 


Argilla  gialla  e turchina 

spessore 

m. 

Foro  3 (Orant) 
10,06  profondità 

m.  10,06 

Argilla  turchina  e sabbia 

fine 

» 

» 

43,00 

» 

» 

53,06 

Sabbia  grigia  fine  . . . 

» 

» 

36,90 

» 

» 

89,96 

Ghiaia 

» 

» 

39,95 

» 

» 

129,91 

Calcare 

» 

» 

21,35 

» 

» 

151,26 

Solfo 

. ■ . 

> 

» 

36,29 

» 

» 

187,55 

Gesso 

» 

» 

1,83 

» 

> 

189,38 

Argilla  gialla  e turchina 

spessore 

m. 

Foro  4 (Elliot) 

25,92  profondità 

m.  25,92 

Argilla  turchina  e sabbia 

fine 

» 

» 

50,32 

» 

> 

76,24 

Sabbia  grigia  fine  . . . 

» 

» 

53,68 

» 

» 

129,92 

Ghiaia 

» 

» 

1,83 

» 

» 

131,75 

Calcare  

. 

» 

> 

42,09 

» 

» 

173,84 

Solfo  . . . ...  . . 

» 

» 

13,72 

» 

> 

187,56 

— 273  — 


Appena  il  foro  Elliot  ebbe  raggiunta  la  profondità  di  m.  183  di 
cui  m.  13.72  nello  solfo,  s’impigliò  la  trivella. 

L’analisi  dello  solfo  del  foro  di  trivellazione  n.  2,  diede  il  seguente 
contenuto  utile: 


Profondità 

m. 

130,54 

solfo 

62 

% 

» 

» 

134,60 

» 

70 

» 

» 

» 

139,99 

» 

80 

» 

» 

» 

142,13 

» 

83 

» 

» 

» 

148,23 

» 

90 

» 

» 

» 

151,28 

» 

80 

» 

» 

» 

154,33 

» 

75 

» 

» 

» 

156,16 

» 

80 

» 

» 

» 

157,38 

» 

75 

» 

» 

» 

160,43 

» 

70 

» 

» 

» 

164,70 

» 

68 

» 

» 

» 

165,21 

» 

25 

» 

L’analisi  del  materiale  del  foro  n.  3 diede: 

Profondità  m.  153,41  solfo  70  % 

» » 162,56  » 60  » 

» » 167,64  » 81  » 

» » 168,36  » 91  » 

» » 184,22  » 98  » 


In  base  ai  risultati  della  trivellazione  si  valuta  il  contenuto  del 
giacimento  principale  a circa  un  milione  e mezzo  di  tonnellate  di  puro 
solfo,  mentre  il  giacimento  inferiore  ove  il  minerale  ha  in  media  soltanto 
il  33  % di  solfo  conterrebbe  10  milioni  in  circa  di  tonn.,  dalle  quali  si 
potrebbero  produrre  3 milioni  di  tonn.  di  solfo  puro. 

Avendo  lo  solfo  un  peso  del  50  % più  elevato  del  litantrace,  può 
ammettersi  che  le  spese  di  sua  produzione  non  s’eleveranno  a tanto 
come  per  quest’ultimo,  anche  se  si  dovessero  applicare  identici  sistemi 
di  coltivazione.  Nel  caso  abbisognassero  armature  interne  per  poter 
scavare  tutto  lo  solfo,  si  troverebbe  il  necessario  legname  sul  posto 
ed  a prezzi  non  elevati.  Si  ritiene  di  poter  escavare  il  minerale  del 
giacimento  principale  a circa  60  cents,  pari  a lire  3 circa  per  tonnel- 


— 274  — 


lata,  cosicché  quando  la  miniera  sarà  aperta,  le  spese  di  produzione 
pel  solfo  grezzo  o nero,  conosciuto  sul  mercato  americano  sotto  il  nome 
di  tertia , verranno  ad  essere  di  1,50  dollari,  pari  a lire  7,70  alla  bocca 
dei  pozzi  e di  7,25  dollari  pari  a lire  37,  56  a Liverpool. 

La  massima  parte  dello  solfo  del  commercio  proviene  dai  mine- 
rali solfìferi  di  Sicilia  o da  piriti.  I minerali  di  solfo  di  Sicilia  conten- 
gono in  media  15  a 20  % di  puro  solfo.  Per  mancanza  di  legna  si 
produce  costì  lo  solfo  con  processo  di  fusione  servendosi  per  combu- 
stibile dello  solfo  stesso,  lo  che  fa  sì  che  occorrono  da  7 a 9 tonn. 
di  minerale  per  ottenere  1 tonn.  di  solfo.  Presentemente  lo  solfo  è caro, 
costando  la  tertia  17,75  dollari  pari  a lire  91,94  per  tonn.;  in  media  le 
spese  di  produzione  di  una  tonn.  di  solfo  tertia  ammontano  a 15  doli, 
ossia  a lire  77,70.  Tali  condizioni  sfavorevoli  hanno  per  conseguenza 
la  diminuzione  della  produzione  la  quale  è stimata  oggidì  di  circa 
350000  tonn. 

Il  maggior  rivale  dello  solfo  di  Sicilia  è odiernamente  'la  p’rite 
che  serve  alla  fabbricazione  dell’acido  solforico;  le  miniere  spagnuole 
di  Rio  Tinto,  Tharsis  e Mason  e Barry  sono  le  più  grandi  del  mondo. 
Non  ostante  le  favorevoli  condizioni  alle  quali  questi  minerali  ven- 
gono offerti  alle  industrie,  ritiensi  di  poter  far  loro  valida  concorrenza 
mediante  gii  solfi  della  Luigiana,  se  non  di  escluderli  affatto  dai  mer- 
cati. Conseguentemente  i lavori  per  approfondire  i pozzi  nelle  miniere» 
della  Luigiana  verranno  ripresi  con  nuova  energia,  al  qual  uopo  s’intende 
di  applicare  il  sistema  a congelazione  Poetsch,  dal  quale  si  attendono 
grandi  risultati,  ad  onta  che  il  medesimo  non  li  abbia  sin’ora  dati  in 
Germania. 


— 275  — 


PUBBLICAZIONE  DELLA  CARTA  GEOLOGICA  D’ ITALIA 

PER  CURA  DEL  R.  UFFICIO  GEOLOGICO 


PARTI  PUBBLICATE  (al  1°  settembre  1888) 

Carta  geologica  della  Sicilia  nella  scala  di  1/100,000  : 


Foglio  N.  244  (Isole  Eolie)  prezzo  L.  3 00 

Eoglio  N.  262  (Monte  Etna) . . 

L.  5 00 

» 

248  (Trapani)  . . . 

» 3 00 

» 265  (Mazzara  del  Vallo)»  3 00 

» 

249  (Palermo)  . . . 

» 4 00 

» 266  (Sciacca)  . . . 

» 4 00 

» 

250  (Bagheria).  . . 

» 3 00 

» 267  (Canicattì)  . . . 

» 5 00 

» 

251  (Cefalù).  . . . 

» 3 00 

» 268  (Caltanissetta)  . 

» 5 00 

» 

252  (Naso)  .... 

» 4 00 

» 269  (Paterno)  . . . 

» 5 00 

» 

253  (Castroreale)  . . 

» 4 00 

» 270  (Catania)  . . . 

» 3 00 

» 

254  (Messina)  . . . 

» 4 00 

» 271  (Girgenti)  . . . 

» 3 00 

» 

256  (Iso)e  Egadi)  . . 

<x  3 00 

» 272  (Terranova)  . . 

» 4 00 

» 

257  (Castelvetrano)  . 

» 4 00 

» 273  (Caltagirone)  . . 

» 5 00 

» 

258  (Corleone)  . . . 

» 5 00 

» 274  (Siracusa)  . . . 

» 4 00 

» 

259  (Termini  Imerese). 

» 5 00 

» 275  (Scoglitti)  . . . 

» 3 00 

» 

260  (Nicosia)  . . . 

» 5 00 

» 276  (Modica)  . . . 

» 3 00 

» 

261  (Bronte),  . . . 

» 5 00 

» 277  (Noto)  .... 

» 3 00 

Tavola  di  sez.  N.  I (annessa  ai  fogli  249  e 258)  L.  4 00 

» » N.  II  (annessa  ai 

fogli  252,  260  e 261)  » 4 00 

» » N.  Ili  (annessa  ai 

fogli  253;  254  e 262)  » 4 00 

» » N.  IV  (annessa  ai  fogli  257  e 266)  » 4 00 

» » N.  V (annessa  ai  fogli  273  e 274)  » 4 00 

li.B.  — L’intiera  Carta  della  Sicilia,  in  28  fogli  e 5 tavole  di  sezioni,  con  quadro  d’unione 
e copertina,  è in  vendita  al  prezzo  di  lire  100. 

Carta  geologica  della  Sicilia  nella  scala  di  1/500,000  (serve  anche  di  foglio  di 
unione  della  precedente)  con  sezioni prezzo  L.  5 00 

Descrizione  geologica  dell’Isola  di  Sicilia,  con  una  Carta  geologica,  tavole 
in  zincotipia  ed  incisioni,  dell’Ing.  L^  Baldacci  prezzo  L.  10  00 

Carta  geologica  dell’  Isola  d5  Elba,  nella  scala  di  1/25,000  con  sezioni  annesse 
(in  due  fogli)  prezzo  L.  15  00 

Descrizione  geologica  dell5  Isola  d5  Elba  con  Carta  annessa  nella  scala  di 
1/50,000,  dellTng.  B.  Lotti  . . . . . . . prezzo  L.  10  00 

Relazione  sulle  miniere  di  ferro  delFIsola  d’Elba,  con  un  atlante  di  carte  e 
sezioni  geologiche,  dellTng.  A.  Fabri  . . . prezzo  L.  20  00 

Descrizione  geologico-miner.  dell’Iglesiente  (Sardegna),  con  un  atlante  di  XXX 
tavole  e una  Carta  geologica,  dell’  ing.  GL  Zoppi,  prezzo  L.  15  00 

Carta  geologico-mineraria  dell’Iglesiente  (Sardegna),  nella  scala  di  1/50.000. 
(in  un  foglio)  prezzo  L.  5 00 

IN  CORSO  DI  LAVORO 

Carta  geologica  di  parte  dell5  Italia  Centrale  nella  scala  di  1/100,000.  Sei 
fogli  con  una  tavola  di  sezioni. 

Carta  geologica  delTItalia,  in  due  fogli,  nella  scala  di  1/1,000,000  (seconda  edizione 
riveduta  e migliorata  della  Carta  pubblicata  nel  1881). 


Per  le  commissioni  rivolgersi  al  R.  Ufficio  Geologico,  ovvero  alla  Libreria 
E.  Loescher,  in  Roma. 


276 


AVVERTENZA 


E’  stato  pubblicato  un  fascicolo  di  Supplemento. > 
al  Volume  XVIII  del  Bollettino,  contenente  la  Rela- 
zione sul  terremoto  del  1887  in  Liguria  del  Pro- 
fessore A.  Issel;  pag.  208,  con  quattro  tavole  ed  una 
grande  carta  topografica  di  parte  della  Liguria  e della 
Provenza  con  le  indicazioni  sismiche.  — Prezzo  L.  5. 


Pubblicazioni  in  vendita  presso  l'Ufficio  Geologico 


Bollettino  del  R.  Comitato  Gei  logico  d’Italia;  Voi.  I a XVII,  dal  1870  al  Ì88G 


— Prezzo  di  ciascun  volume L.  IO  — 

Idem  di  un  fascicolo  separato  . . » 2 — 


N.B.  - Il  prezzo  di  abbonamento  annuo  e di  7>.  8 per  l’interno 
e di  L,  IO  per  l’estero. 

Memorie  per  servire  alla  descrizione  della  Carta  geologica  d’Italia;  Voi.  I, 

II  e III  (Parte  la). 

Voi.  I.  Firenze,  1872  » 35  — 

Voi.  IL  Firenze,  1873-74  » 30  — 

Voi.  III.  Parte  la;  Firenze,  1876  . . . . . . . . . . . » 10  — 

I.  Cocòhi.  — Brevi  cenni  sui  principali  Istituti  e Comitati  geologici  e sul 

R.  Comitato  Geologico  d’ Italia.  Firenze,  1871 » 1 50 

P.  Zezi.  — Cenni  intorno  ai  lavori  per  la  Carta  geologica  in  grande  scala. 

Poma,  1875  » 1 — 

F.  Giordano.  — Esposizione  in  ordine  cronologico  delle  principali  disposi- 
zioni successivamente  emanate  relativamente  aila  Carta  geologica  d’Italia. 

Poma,  1879  . » 1 — 

F.  Giordano.  — Sopra  un  progetto  di  legge  per  il  compimento  della  Carta 

geologica  d’Italia.  Poma,  1880.  .............  » D50 

F.  Giordano.  — Cenni  sull’organizzazione  e sui  lavori  degli  Istituti  geologici 

esistenti  nei  vari  paesi.  Poma,  1881 » 1 50 

G.  Capellini.  — Relazione  a S.  E.  il  Ministro  di  Agr.  Ind.  e Comm.  sul 

Congresso  geologico  internazionale  del  1881.  Poma,  1881  ....  » 1 — 

I.  Cocchi.  — Carta  geologica  della  parte  orientale  dell’  Isola  d’Elba;  scala 

di  1/50,000.  Firenze,  1871 » 2 50 

C.  W.  C.  Fuchs.  — Carta  geologica  dell’  Isola,  d’ Ischia;  scala  di  1/25,000. 

Firenze,  1873.  » 2 — 

C.  Doelter.  — Carta  geologica  delle  ‘sole  Ponza,  Palmarola  e Zannone; 

scala  di  1/20,000.  Poma,  1876  . . . ....  . . , ' . . » 2 — 

C.  De  Giorgi.  — Abbozzo  di  Carta  geologica  della  Basilicata;  scala  di 

1/400,000.  Poma,  1879  » 2 — 

C.  De  Giorgi.  — Carta  geologica  della  provincia  di  Lecce;  scala  di  1/400,000. 

Poma,  1880  » 2 — 

G.  Capellini.  — Carta  geologica  dei  monti  di  Livorno,  di  Castellina  Ma- 
rittima e di  parte  del  Volterrano;  scala  di  1/100,000.  Poma,  1881  . » 3 — 

G.  Capellini.  — Carta  geologica  della  provincia  di  Bologna;  scala 

di  1/100,000.  Poma,  1881 » 4 — 

G.  Capellini.  — Carta  geologica  dei  dintorni  del  golfo  di  Spezia  e Val  di 

Magra  inferiore;  2a  edizione;  scala  di  1/50,000.  Roma,  1881  . . » 3 — 

,T.  Taramelli.  — Carta  geologica  del  Friuli,  con  testo  descrittivo  ; scala 

di  1/200,000.  Udine,  1881 » 7 — 

Bibliographie  géologique  et  paleontologique  de  l’Italie.  Bologne,  1881 . . » 10  — 

Bibliografia  geologica  e paleontologica  della  provincia  di  Roma.  Poma,  1886  » 2 — 

Bibliografia  geologica  italiana  per  l’anno  1886.  Roma,  1887  » 1 50 


di  pubblicazioni 


A.  Del  Prato.  — Sopra  alcune  perforazioni  della  pianura  parmense. 

(Bollettino  della  Società  geologica  italiana,  voi.  VI,  fase.  1°).  — Poma,  1888; 
pag.  9 in-81’. 

C.  Fornasini.  — Tavola  paleo-protistografìca  (Ibidem).  — Roma,  1888;  ' 

pag.  5 in-8°  con  una  tavola. 

À.  Verri.  — Osservazioni  geologiche  sui  crateri  vulsinii  (Ibidem).  — 

Roma,  18:8;  pag.  50  in-8°. 

E.  Clerici.  — Sopra  una  sezione  geologica  presso  Roma  (Ibidem).  — 

Roma,  1888  ; pag.  5 in-8°. 

D.  Pantanelli.  — Le  acque  sotterranee  nella  provincia  modenese.  — 

Modena,  1888;  pag.  12  in-8° 

G.  Tuccimei.  — Bradisismi  pliocenici  nella  regione  sabina.  — Roma,  1888; 

pag.  16  in-4°  con  una  tavola. 

C.  Montemartini.  — Sulla  composizione  di  alcune  roccie  della  Riviera 
di  Nizza  (Atti  della  R.  Accademia  delle  Scienze  di  Torino,  voi.  XXIII, 
disp.  I2a).  — Torino,  1888;  pag.  10  in-8°. 

A.  Scacchi.  — Seconda  appendice  alla  Memoria  sulla  regione  vulcanica 
fluorifera  della  Campania  (Rendiconti  dell’ Accademia  delle  Scienze  di  ; 
Napoli,  S.  II,  voi  2°,  fase,  4°  e 5°).  — Napoli  1888;  pag.  4 in-4°. 

G.  Freda.  — Sulla  composizione  del  Piperno  trovato  nella  collina  del 
Vomero,  e sulla  origine  probabile  di  questa  roccia  (Ibidem,  fase.  6') 

— Napoli,  1888;  pag.  4 in-4°. 

F.  Bassani.  — Sopra  un  nuovo  genere  di  fìsostomi  scoperto  nell’  eocene 

medio  del  Friuli.  — Napoli,  1888;  pag.  4 in-4°,  con  una  tavola. 

Idem.  — Ricerche  sui  pesci  fossili  di  Chiavon.  Napoli,  1888  ; pag.  10  in-41. 

A.  De  Zigno.  — Antracoterio  di  Monteviale.  — Venezia,  1888;  pag.  10  in-4°,  I 

con  una  tavola 

M.  Malagoli.  — Descrizione  di  alcuni  foraminiferi  nuovi  del  tortoniano 
di  Montegibio  (Memorie  della  Società  dei  Naturalisti,  S.  Ili,  voi.  VII,  i 
fase.  1°).  — Modena,  1888;  pag.  6 in-8°. 

Idem.  — Note  paleontologiche  sopra  un  Astrogonium  e una  Chinodota,  i 
del  pliocene  (Ibidem).  — Modena,  1888;  pag.  4,  in  8°.  8 

R.  Panebianco.  — Sulla  nomenclatura  dei  minerali.  — Venezia,  1888;  3 
pag.  10,  in-8°. 

T.  Taramelli  e G.  Mercalli.  — Alcuni  risultati  di  uno  studio  sul  terre- 
moto  ligure  del  23  febbraio  1887  (Rendiconti  della  R.  Accademia  dei 
Lincei,  voi.  IV,  fase.  1°)  — Roma,  1888;  pag.  14  in-4°. 

P.  Franco.  — Sull’  origine  dei  noduli  di  fosforite  del  Capo  di  Leuca.  — 

Napoli,  1838;  pag.  4 in-4°. 

F.  Sacco.  — Aggiunte  alla  fauna  malacologica  estramarina  fossile  del 
Piemonte  e della  Liguria.  — Torino,  1888;  pag.  3<  in-4°  con  2 tavole. 
Idem.  — Note  di.  paleoicnologia  italiana.  — Milano,  1888  ; pag.  40  in-8°  con 
due  tavole. 

L.  Ricciardi.  — Confronto  fra  le  roccie  degli  Euganei,  del  Monte  Amiata 
e della  Pantelleria.  — Milano,  1883;  pag.  14  in-8°. 

Idem.  — Sulle  roccie  vulcaniche  di  Rossena  nell’Emilia.  — Milano,  1883;  , 

pag.  10  in-8°. 

E.  Clerici.  — Sulla  Corbicula  fluminalis  dei  dintorni  di  Roma  e sui  fossili ^ 

che  1’  accompagnano.  — Romi,  1883  ; pag.  24  in-8°  con  due  tavole.  gg 
P.  Strobel.  — Barboi (salse) del  Parmigiano.  — Parma  1883;  pag.  18  in-80,, 
con  una  tavola. 


r- 

4 


R.  COMITATO  GEOLOGICO 


D'ITALIA 


188  8 


Bollettino  N.°  9 e IO 


ELENCO 

del  personale  componente  il  Comitato  e l’Ufficio  Geologico 

R.  Comitato  Geologico. 

Meneghini  Giuseppe,  prof,  di  geologia  nella  R.  Università  di  Pisa,  Presici • 
Capellini  Giovanni,  prof,  di  geologia  nella  R.  Università  di  Bologna. 

Cocchi  Igino,  prof,  di  geologia,  a Firenze. 

Cossa  Alfonso,  prof,  di  chimica  nella  R.  Scuola  di  applicazione  per  gli 
ingegneri  in  Torino. 

De  Zigno  Achille,  membro  nel  R.  Istituto  Veneto,  a Padova. 

Gemmellaro  Gaetano  Giorgio,  professore  di  geologia  nella  R.  Università 
di  Palermo. 

Scacchi  Arcangelo,  prof,  di  mineralogia  nella  R.  Università  di  Napoli.-  | 
Scarabellt  Giuseppe,  senatore  del  Regno,  a Imola. 

Silvestri  Orazio,  prof,  di  geologia  nella  R.  Università  di  Catania. 
Stoppani  Antonio,  professore  di  geologia  nel  R.  Istituto  tecnico  supe- 
riore di  Milano. 

Struver  Giovanni,  prof,  di  mineralogia  nella  R.  Università  di  Roma. 
Taramele t Torquato,  prof,  di  geologia  nella  R.  Università  di  Pavia. 

Il  Direttore  del  R.  Istituto  geografico  militare  in  Firenze. 

Giordano  Felice,  ispettore-capo  del  R.  Corpo  delle  Miniere,  a Roma. 
Pellati  Niccolò,  ispettore  nel  R.  Corpo  delle  Miniere,  a Roma. 

Personale  addetto  ai  lavori  della  Carta  Geologica. 

Direzione  superiore  : 

Ing.  Giordano  Felice,  Direttore. 

Ing.  Pellati  Niccolò. 

Ufficio  centrale  (in  Roma): 

lag.  Zezi  Pietro,  Capo  d’ufficio  e Segretario  del  Comitato. 

Ing.  Sormani  Claudio. 

Geologi  operatori : 

Ing.  Baldacci  Luigi,  Roma. 

Ing.  Lotti  Bernardino,  Pisa. 

Ing.  Cortese  Emilio,  Roma. 

Ing.  Zaccagna  Domenico,  Pisa. 

Ing.  Viola  Carlo,  Roma. 

Ing.  Novarese  Vittorio,  Roma 
Ing.  Aichino  Giovanni,  Roma. 

Ing.  Sabatini  Venturino,  Roma. 

Ing.  Franchi  Secondo,  Torino. 

Sig.  Fossen  Pietro,  aiutante,  Pisa. 

Sig.  Cassetti  Michele,  aiutante,  Roma. 

Sig.  Moderni  Pompeo,  aiutante,  Roma. 

Personale  distaccato  : 

Ing.  Mattirolo  Ettore,  Torino  (analisi  delle  roccie) 

Dott.  Canavari  Mario,  Pisa  (paleontologo). 

La  sede  dell’ Ufficio  geologico  in  Roma  è nel  Museo  agrario-geologico, 
via  Santa  Susanna,  n.  1-A. 

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BOLLETTINO  DEL  R.  COMITATO  GEOLOGICO 

D’ITALIA. 


Serie  II.  Voi.  IX.  Settembre  e Ottobre  1888.  N.  9 e 10 


SOMMARIO. 


Memorie  originali.  — I.  Il  pliocene  entroalpino  di  Valsesia,  di  F.  Sacco  (con 
una  Carta  geologica).  — II.  I giacimenti  cupriferi  dei  dintorni  di  Vagli  nelle 
Alpi  Apuane,  di  B.  Lotti. 

Notizie  bibliografiche.  — Bibliografìa  geologica  italiana  per  1’  anno  1887  ( con- 
tinuazione). 

Congresso  geologico  internazionale  : Sessione  IV  a Londra  nel  settembre  1888. 
Relazione  del  prof.  Capellini  a S.  E.  il  Ministro  di  Agricoltura,  Industria  e 
Commercio. 

Avviso  di  pubblicazione  della  Carta  geologica  d’Italia. 

Tavole  ed  incisioni.  — Tav.  V:  Carta  del  pliocene  entroalpino  di  Valsesia 
(F.  Sacco),  a pag.  294. 


MEMORIE  ORIGINALI 


I. 

Il  Pliocene  entroalpino  di  Valsesia;  studio  del  Dott.  Fe- 
derico Sacco. 

(con  una  Carta  geologica) 

Non  è relativamente  molto  lontana  l’epoca  in  cui  si  riteneva  gene- 
ralmente dai  geologi  che  in  Italia  mancasse  affatto  il  Pliocene  al  piede 
delle  Alpi.  Ma  per  mezzo  delle  ricerche  specialmente  di  Sismonda  e 
Gastaldi  in  Piemonte,  di  Stoppani,  Taramelli  e Parona  in  Lombardia, 
poco  a poco  si  andò  scoprendo  una  numerosa  serie  d’affioramenti  plio- 
cenici alle  falde  delle  Alpi  centrali;  anzi  in  questa  febbre,  direi,  di 
riuscire  a mettere  a giorno  gli  sparsi  lembi  pliocenici  subalpini,  non 
rare  volte  si  considerarono  come  plioceniche  formazioni  sabbioso- 
marnose  bleuastre  deposte  dai  ghiacciai  quaternari. 

Ma,  a parte  questi  errori  parziali,  su  cui  giova  sorvolare  a scanso 
di  polemiche  inutili  anzi  dannose,  dai  sovraccennati  studi  risultò  chiaro 
il  fatto  che  al  piede  delle  Alpi  viene  ad  affiorare  una  vera  zona  di 


18 


terreni  pliocenici,  zona  sovente  interrotta  sia  per  esser  coperta  dai  depo- 
siti quaternari,  sia  per  esser  stata  erosa  dalle  correnti  acquee  del  qua- 
ternario. 

Messo  così  in  chiaro  il  fatto  generale  rimaneva  a studiarlo  nei 
particolari,  specialmente  per  conoscere  l’età  precisa  a cui  appartene- 
vano i depositi  pliocenici  in  questione,  giacche  credo  sia  affatto  da  scar- 
tarsi Tipotesi,  emessa  da  alcuni  geologi,  che  parte  dei  suddetti  affiora- 
menti terziari  debbasi  attribuire  al  Miocene., 

Dagli  studi  paleontologici  istituiti  in  proposito  risultò  generalmente 
c,he  trattasi  di  depositi  appartenenti  al  Pliocene  inferiore  o Piacentino 
ed  è pure  a questa  conclusione  che,  per  citare  gli  studi  più  recenti, 
giunse  il  Parona  nel  suo  Esame  comparativo  della  fauna  dei  vari 
lembi  pliocenici  lombardi  (Rendiconti  Ist.  Lomb.,  1883),  come  pure 
nel  suo  lavoro  su  Valsesia  e Lago  d'Orta. 

Ma  in  verità  l’esame  accurato  non  solo  paleontologico,  ma  eziandio 
geologico  di  questa  zona  pliocenica  subalpina  mi  dimostrò  chiarissima- 
mente che,  almeno  in  Piemonte,  essa  è costituita  non  solo  dell’oriz- 
zonte inferiore  Piacentino , ma  eziandio  dell’orizzonte  superiore  Astiano. 

I responsi  paleontologici  dati  finora  in  proposito  sono  contrari  ap- 
parentemente al  mio  modo  di  vedere,  ciò  che  dipende  non  solo  dall’es- 
sere stati  i depositi  pliocenici  superiori  più  facilmente  e quindi  più  co- 
munemente abrasi,  ma  anche  semplicemente  dal  fatto  che  sono  appunto 
solo  i banchi  piacentini  che  presentano  numerosi  e ben  conservati  fos- 
sili, mentre  invece  i terreni  pliocenici  superiori  o mancano  affatto  di 
fossili  o ne  presentano  solo  più  allo  stato  di  impronte  poco  determi- 
nabili e che  quindi  non  vengono  quasi  mai  raccolte  e studiate. 

Quésto  fatto  dell’esistenza  della  completa  serie  pliocenica  al  piede 
delle  Alpi  mi  limito  ora  ad  accennarlo,  avendolo  trattato  in  disteso  in 
due  recenti  lavori  1 muniti  di  relative  carte  geologiche  che  mettono 
in  chiaro  il  sovradetto  assai  meglio  di  qualunque  descrizione,  per  quanto 
particolareggiata,  é fanno  vedere  come  per  un  tratto  estesissimo  lungo 
le  falde  delle  Alpi  centrali  esista  una  fascia  pliocenica  con  tutto  l’a- 
spetto della  famosa  regione  astigiana. 


1 F.  SACCO,  Il  cono  di  deiezione  della  Stura  di  Lanzo  (Boll.  Soc.  Geol. 
Ita!.,  1888).  — Idem,  I terreni  terziari  e quaternari  del  Biellese.  Torino,  1888. 


— 279  — 


m 


Si  nota  generalmente  che  questa  formazione  pliocenica  s’  arresta 
al  piede  delle  Alpi  senza  insinuarsi  nella  regione  alpina,  anche  là  dove 
esistono  vallate  largamente  aperte,  ciò  che  devesi  attribuire  in  parte 
alle  correnti  quaternarie  che  distrussero  lembi  di  Pliocene  entro-alpino, 
ma  specialmente  al  fatto  che  l’oroidrografìa  alpina  fu  durante  il  Plio- 
cene assai  diversa  da  quella  che  è ora. 

Però  alla  regola  generale  sovramenzionata  osserviamo  esistere 
qua  e là  alcune  eccezioni,  rappresentateci  ad  esempio  dal  lembo 
pliocenico  di  Angera  (sul  Lago  Maggiore)  trovato  dal  Taramelli  e da 
quello  di  C.  del  Vescovo  (presso  il  Lago  d’Orta)  che  rintracciai  pochi 
anni  or  sono  facendo  lo  studio  geologico  del  Motterone.  1 

Ma  l’eccezione  più  bella  e più  grandiosa  ci  è rappresentata  dalla 
formazione  pliocenica  che,  quantunque  fortemente  abrasa  dalle  acque  qua- 
ternarie e grandemente  ridotta  quindi  rispetto  alla  sua  estensione  ori- 
ginaria, occupa  tuttora  una  parte  assai  considerevole  della  bassa  Valsesia. 

Di  questi  terreni  pliocenici  di  Valsesia  già  si  occuparono  il  Sismonda 2, 
il  Gastaldi 3,  il  Calderini 4,  lo  Spreafìco  5,  il  Bonardi 6 ed  il  Parona7. 

Malgrado  però  le  numerose  osservazioni  di  tali  egregi  geologi  man- 
cava tuttavia  una  carta  geologica  ed  uno  studio  alquanto  dettagliato 
di  questa  interessantissima  regione  terziaria  la  quale,  esclusa  affatto 
l’ipotesi  emessa  da  alcuno  che  possa  in  parte  attribuirsi  al  Miocene, 
credo  si  debba  non  già  riferire  ad  un  solo  orizzonte  del  Pliocene,  ma 


1 M.  BAretti  e F.  SACCO,  II  Margozzolo  (Boll,  del  Club  Alpino  Italiano 
toI.  XVIII,  N.  51,  1885). 

2 A.  Sismonda,  Carta  geologica  di  Savoia,  Piemonte  e Liguria . Torino,  1862. 

3 B.  Gastaldi,  Studi  geologici  sulle  Alpi  Occidentali  (Mem.  R.  Com.  geol. 
ital.,  voi.  I,  1871). 

4 P.  Calderini,  La  Geognosia  e la  Geologia  del  M.  Penerà  allo  sbocco  di 
Valsesia  (Atti  Soc.  ital.  Se.  Nat.,  voi.  XI,  1868). 

5 E.  Spreafìco,  Osservazioni  geologiche  nei  dintorni  del  lago  d’Orta  e nella 
Valle  Sesia  (Mem.  postume,  Atti  Soc.  ital.  Se.  Nat.,  voi.  XXIH,  1880). 

6 E.  Bonardi,  Analisi  chimica  di  alcune  argille  glaciali  e plioceniche  del- 
l’Alta Italia.  (Boll.  Soc.  Geol.  ital.,  1883). 

7 C.  F.  Parona,  Sopra  i lembi  pliocenici  situati  fra  il  bacino  del  lago  di 
Orta  e la  Valsesia  (Boll.  Soc.  Geol.  ital.,  1882).  — Id.,  Valsesia  e Lago  d’Orta 
(Atti  Slc.  ital.  Se.  Nat.,  voi.  XXIX,  1886). 


— 280  — 

bensì  a due  ben  distinti  che  sono,  come  di  solito,  il  Piacentino  e 
YAstiano , quest’ultimo  spesso  colla  facies  fossaniana. 

Credo  inutile  esaminare  le  formazioni  antiche  su  cui  basano  i terreni 
pliocenici,  sia  perchè  esse  hanno  un’importanza  secondaria  rispetto  al 
presente  studio,  sia  perchè  esse  furono  già  ampiamente  descritte  dai 
sovraindicati  geologi  ; basti  accennare  in  generale  come  mentre  a 
Nord  di  Borgosesia  si  sviluppano  i gneiss  ed  i graniti , verso  Sud  in- 
vece prendono  un  assoluto  predominio  le  roccie  porfiriehe  che  soppor- 
tano qua  e là  lembi  più  o meno  ampi  di  calcare  triasico  e liasico . 

Ciò  premesso  passiamo  senz'altro  all’esame  delle  formazioni  plio- 
ceniche, cominciando  naturalmente  dalle  più  antiche. 

Piacentino. 

Il  Pliocene  inferiore  o Piacentino , in  causa  della  sua  posizione 
appare  solo  qua  e là  alle  falde  alpine,  così  presso  Levone,  presso  San 
Martino  Canavese,  nelle  vicinanze  di  Borgomasino,  presso  Chiavozza, 
nelle  famose  località  fossilifere  di  Cossato  e Masserano,  presso  Boca 
e Maggiora,  in  diversi  punti  di  Valle  Agogna,  a Taino  pressa  Angera, 
in  Val  del  Faido,  alla  Folla  di  Induno  ecc.,  ecc.;  ma  in  causa  appunto 
della  sua  posizione  inferiore  all’ Astiano  e della  sua  natura  marnoso- 
argillosa  compatta,  esso  potè  conservarsi  più  facilmente  che  non  il 
soprastante  orizzonte  marnoso-sabbioso  Astiano  là  dove  si  verificarono 
grandi  erosioni  glaciali  o fluviali;  questo  ci  spiega  come  i lembi  plio- 
cenici subalpini  affioranti  in  Lombardia  siano  in  gran  parte  solo  pia- 
centini. 

Fatti  consimili  esistono  in  Val  sesia.  Infatti  rimontando  attenta- 
mente questa  valle  osservansi  talora  lembi  piacentini , taluni  dei  quali 
anzi  veggonsi  solo  sott’acqua  nell’alveo  stesso  del  fiume,  come  è il 
caso  presso  Vintebbio  dove  gli  strati  marnosi  pendono  leggermente 
verso  Sud  all’incirca. 

Nella  conca  di  Piane  di  Serravalle  compaiono  le  marne  sabbiose 
piacentine  che,  coi  soliti  fossili,  si  possono  esaminare  bene  specialmente 
presso  la  chiesa  di  borgata  Mazzone. 

Lo  stesso  dicasi  per  le  vicinanze  di  Serravalle  dove  il  Piacentino' 
appare  sotto  alle  alluvioni  del  Terrazziano. 

Ben  noto  è il  lembo  piacentino  di  C.  Bianca,  presso  il  ponte  sul  tor- 


rente  Sessera,  per  esser  stata  descritto  e figurato  dal  Gastaldi  nella  sua 
sovraccennata  Memoria;  questo  placca  marnoso-argillosa  bleuastra, 
inclinata  leggermente  ad  Est,  appoggiata  direttamente  sulle  roccie  por- 
firiche,  di  cui  ingloba  qualche  frammento,  presenta  numerosi  fossili,  di 
cui  però  molti  (specialmente  grosse  bivalvi)  sonoridotti  a semplici  im- 
pronte, però  ben  nette  e ben  conservate. 

I residui  di  Piacentino  che,  quantunque  in  gran  parte  mascherati 
dalle  alluvioni  e dalla  vegetazione,  esistono  tuttora  abbastanza  estesi 
in  Val  Sessera  presso  Vardella,  Guardabosone,  Crevacuore  e Pianceri, 
furono  già  esaminati  in  un  mio  precedente  lavoro  sul  terziario  del  Biel- 
lese  (V.  ante);  basterà  quindi  accennare  in  proposito  come  essi  siano 
riccamente  fossiliferi,  specialmente  nel  Croso  di  Vaipiana,  come  essi 
solievinsi  in  alcuni  punti  oltre  i 400 m , e che  nella  parte  loro  superiore 
presentino  talora  un  graduale  passaggio  &\Y  Astiano  per  mezzo  di  banchi 
sabbiosi  giallastri  alternati  con  lenti  e straterelli  ghiaiosi  e sabbiosi 
grigio-azzurrognoli,  come  si  può  osservare  in  modo  particolarmente 
chiaro  presso  il  cimitero  di  Crevacuore  e lungo  la  strada  incassata 
che  sale  da  Pianezza  a Pianceri. 

Ritornando  in  Valsesia  vi  dobbiamo  constatare  come,  mentre 
manca  ora  completamente  la  formazione  piacentina  sulla  destra  del 
fiume,  sviluppatissima  invece  essa  si  presenta  sulla  sinistra  tra  Bor- 
gosesia  e Valduggia  ed  anche  per  un  certo  tratto  a Nord  di  Borgosesia, 
giacché  ne  possiamo  ad  esempio  osservare  diversi  banchi,  appoggiati 
sul  granito  decomposto,  nelle  colline  di  Pianezza,  specialmente  presso  la 
borgata  Caggi  dove  essi  sono  ricoperti  da  pochi  banchi  di  Astiano . 

L’  orizzonte  piacentino  ampiamente  sviluppato,  poggiante  diretta- 
mente  sul  granito,  sui  micaschisti  e sul  porfido,  forma  il  substratum , 
direi,  della  collina  di  Valbusaga,  di  Plello,  di  Crabbia  inferiore  e di 
Lebbia  inferiore,  apparendo  al  fondo  dei  burroni  e nei  tagli  artificiali  ed 
essendo  coperto  regolarmente  ào\Y  Astiano  a cui  fa  regolare  passaggio. 

Quanto  alla  natura  litologica  del  Piacentino  di  queste  regioni 
giova  osservare  anzitutto  che,  pur  conservandosi  in  complesso  la  tinta 
azzurrognola  caratteristica  di  questo  orizzonte,  prendono  pure  parte 
alla  sua  costituzione  numerosi  banchi  grigio-giallastri,  ed  inoltre  che 
coi  tipici  strati  marnoso-argillosi  si  alternano  non  soltanto  banchi  sab- 
biosi e ghiaiosi,  ma  anche  estese  lenti  ciottolose  (ad  elementi  talora 


— 282  — 


di  anche  30  centim.  di  diametro),  come  ad  esempio  si  può  vedere  net 
tissimamente  sulla  destra  di  Val  Introna,  quasi  di  fronte  alla  Cartiera 
Baraggione. 

Tale  grossolana  natura  di  deposito  dipende  solo  dalla  vicinanza 
dello  sbocco  di  qualche  corrente  terrestre  in  quel  tranquillo  golfo  pia- 
centino e d’altronde  si  osserva  pure  in  altri  banchi  piacentini  subal- 
pini, come  ad  esempio  presso  Levone,  Chiavazza,  ecc.  È poi  notevole 
come  nella  suddetta  località  di  Val  Strona  nei  banchi  sabbioso-ciotto- 
losi  abbondino  i soliti  fossili  piacentini  più  o meno  ben  conservati. 

Siccome  rinclinazione  degli  strati  piacentini  della  regione  in  esame, 
per  quanto  leggiera,  mostrasi  ad  un  dipresso  abbastanza  costante  verso 
il  Sud-Sud-Ovest,  così  verso  Nord  essi  sollevansi  sin  oltre  i 400 
e i 420  metri  di  elevazione. 

Ridiscendendo  la  Valesia  dalla  parte  sinistra  trovasi  mancare 
per  lungo  tratto  il  terreno  pliocenico  a causa  della  stretta  rocciosa  di 
Bornate-Serravalle,  dove  esso  fu  facilmente  esportato  dalle  grandiose 
correnti  acquee  del  quaternario.  Pare  tuttavia  che  al  fondo  della  valle, 
sotto  alle  alluvioni,  esista  ancora  un  velo,  direi,  di  marne  argillose 
piacentine , poiché  oltre  ai  lembi  già  constatati  di  Bornate,  Serravalle, 
Piane  e Vintebbio  osservasene  anche  uno  sulla  sinistra  della  valle 
nelle  vicinanze  del  Ponte  S.  Quirico,  anche  qui  colla  facies  tipica  e 
colla  solita  abbondanza  di  fossili. 

Ma  a Sud  di  Ara,  allargandosi  notevolmente  la  valle  alpina,  la  for- 
mazione pliocenica  potè  essere  in  gran  parte  conservata  e si  presenta 
infatti  ampiamente  sviluppata  nelle  colline  di  Grignasco,  Sagliasco  e 
Baraggiotta,  delle  quali,  come  di  solito,  il  Piacentino  costituisce  la  parte 
basale  essendo  solo  interrotto  dalla  diga  porfirica  di  Colle  di  Mezzo. 

Anche  in  queste  regioni  1*  orizzonte  geologico  in  esame  oltre 
che  delle  tipiche  marne  azzurre  consta  di  marne  e sabbie  grigie 
e gialle,  come  possiamo  osservare  molto  bene  ad  esempio  lungo  la 
strada  che  sale  da  Grignasco  alla  borgata  Carola.  Il  Piacentino  è messo 
nudo  al  fondo  di  quasi  tutti  i torrentelli  che  solcano  queste  regioni 
collinose,  ma  si  mostra  poi  specialmente  ben  visibile  in  Valle  di  Fré 
dove  esso  è profondamente  inciso.  In  nessun  punto  quivi  i banchi  pia - 
centini  raggiungono  i 400  metri,  in  causa  dell’esser  già  alquanto  lontani 
dalla  regione  centrale  del  sollevamento  che  chiuse  l’epoca  pliocenica. 


A Sud  di  borgata  Baraggiotta  manca  ogni  traccia  di  Piacentino 
sia  perchè  in  parte  esportato  dalle  correnti  acquee  quaternarie,  sia 
perchè  in  parte  nascosto  dai  terreni  deposti  da  tali  acque,  ma  è certo 
ad  ogni  modo  che  esisteva  originariamente  una  specie  di  istmo,  direi,  pia- 
centino che  collegava  le  formazioni  plioceniche  entroalpine  di  Valsesia 
con  quelle  subalpine  che  stendonsi  ad  Est  ed  Ovest  di  questa  valle. 

Riguardo  ai  fossili  che  presentano  quasi  ovunque  abbondantemente 
le  formazioni  piacentine  di  Valsesia  io  non  credo  opportuno  ora  di 
trattarne,  perchè  vari  elenchi  ne  furono  già  dati  dal  Parona  nei  suoi 
sovraccennati  lavori  ed  inoltre  tali  fossili  non  presentano  differenze 
notevoli  da  quelli  del  Piacentino  dell’Alta  Italia;  giova  solo  notare  che 
specialmente  fra  gli  straterelli  marnoso-sabbiosi,  alternati  talora  coi 
banchi  marnoso-argillosi,  trovansi  soventissimo  resti  vegetali,  sia  rami 
e strobili  lignitizzati  od  anche  piritizzati,  sia  fìlliti,  ciò  che  d’altronde 
si  verifica  anche  in  altri  giacimenti  piacentini  del  Piemonte. 

Astiano. 

Come  ho  già  detto  innanzi  la  zona  pliocenica  subalpina  ed  entroal- 
pina  è rappresentata  dall’intiera  serie  stratigrafica  per  cui  presentasi 
anche  assai  sviluppato  il  Pliocene  superiore  ben  caratterizzato  sia  lito- 
logicamente che  paleontologicamente,  e riferibile  in  parte  all  'Astiano 
tipico  ed  in  parte  al  Fossaniano. 

È presso  il  paese  di  Piane  di  Serravalle  che,  risalendo  la  Valsesia 
sul  lato  destro,  incominciamo  ad  incontrare  il  Pliocene  superiore,  quivi 
conservato  contro  l’erosione  per  trovarsi  in  una  specie  di  profonda  conca 
rocciosa,  e costituito  dalle  tipiche  sabbie  gialle  dell’Asiano  come  si 
può  vedere  assai  bene  salendo  dalla  parrocchia  di  Piane  alla  borgata 
Bertola.  In  tali  sabbie,  specialmente  nei  banchi  straterellati,  si  possono 
raccogliere,  oltre  ad  impronte  di  molluschi,  numerosissime  fìlliti  abba- 
stanza ben  conservate,  ciò  che  anche  si  osserva  nelle  sabbie  marnose 
fogliettate  del  piccolo  lembo  astiano  che  forma  quasi  una  placca  sulla 
roccia  porfìrica  presso  Gattera. 

A Nord  di  Gattera  sino  alla  Valle  Sessera  V Astiano  venne  com- 
pletamente abraso  dalle  correnti  acquee  del  quaternario  le  quali  ab- 
biamo visto  che  quivi  rispettarono  appena  pochi  lembi  piacentini. 

Ma  in  Val  Sessera  dove  minori  e quindi  meno  distruttrici  dovettero 


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essere  le  correnti  diluviali  che  non  in  Valsesia  incontriamo  importanti 
residui  di  Pliocene  superiore  rappresentato  dalle  sabbie  gialle  di  Var- 
della,  di  Guardabosone,  di  C.  Vacchera,  di  Pianceri,  ecc. 

Notiamo  però  subito  che  i tipici  banchi  astiarti  in  queste  regioni 
osservansi  generalmente  solo  nella  parte  bassa  del  Pliocene  superiore, 
giacché  compaiono  tosto  verso  l’alto  i letti  ghiaiosi  e ciottolosi  che 
inglobo  già  nel  Fossaniano\  anzi  a dire  il  vero  notasi  in  alcuni  punti 
che  i suddetti  straterelli  ghiaiosi  esistono  anche  nAV  Astiano  sin  quasi 
al  Piacentino , il  che  non  deve  sorprendere  dopo  ciò  che  si  è osservato 
nel  Piacentino  della  bassa  valle  Strona. 

Anche  in  queste  regioni  Y Astiano,  che  passa  gradatissimamente  al 
Piacentino  per  mezzo  di  ripetute  alternanze  di  banchi  sabbiosi  e mar- 
nosi giallastri  ed  azzurrastri,  presenta  resti  fossili  di  molluschi  e di 
echinodermi  a facies  littoranea  e per  lo  più  ridotti  ora  a semplici 
impronte;  abbondano  poi  in  molti  strati  i resti  finitici. 

Nell’osservare  la  distribuzione  del  Pliocene  in  Val  Sessera,  anche 
tenendo  conto  delle  abrasioni  fatte  dalle  acque  quaternarie  su  questo 
terreno,  nasce  la  supposizione  che  l’antica  valle  pliocenica  fosse  diversa 
dall’attuale,  che  cioè  passasse,  direi,  per  Vardella,  Guardabosone,  Ci- 
mitero di  Crevacuore,  Crevacuore,  S.  Rocco,  Pianceri,  Pray  ecc.,  men- 
tre invece  la  vallata  in  cui  passa  ora  il  torrente  Sessera  si  sarebbe  pro- 
dotta solo  nel  quaternario  per  erosione,  forse  anche  in  parte  per  spacca- 
tura, almeno  da  Fabbrica  Cerino-Zegna  a Vardella. 

Ritornando  in  Valsesia  osserviamo  un  lembo  di  Astiano  che  esiste 
tuttora  sotto  al  Diluvium  di  Pianezza,  mentre  però  la  massima  parte  di 
questo  terreno,  che  doveva  originariamente  spingersi  sin  quasi  al  rialzo 
granitico  di  Vanzone,  fu  abraso  appunto  da  quelle  correnti  acquee  che 
deposero  il  Diluvium. 

Ma  nella  profonda  e tranquilla  insenatura  esistente  nella  regione 
montuosa  tra  Borgosesia  e Valduggia,  la  formazione  astiana  ampia- 
mente sviluppata  potè  rimanere  in  massima  parte  conservata,  costi- 
tuendo notevole  porzione  delle  colline  di  Valbusaga,  Plello,  Crabbia  e 
Lebbia. 

È notevole  come  anche  in  questa  regione  si  ripeta  il  fenomeno 
segnalato  poco  sopra  rispetto  alla  Val  Sessera,  cioè  che  la  valle  qua- 
ternaria ed  attuale  è diversa  da  quella  pliocenica  ed  è pure  portata  più  a 


Sud.  Siccome  parrebbe  naturale  a priori  che  le  correnti  acquee  quaternarie 
avrebbero  dovuto  scavarsi  il  loro  letto  nelle  molli  formazioni  plioceniche 
piuttosto  che  non  nelle  dure  roccie  porfìriche,  così  per  spiegare  questa 
specie  di  contraddizione,  se  non  si  accetta  l’ipotesi  di  una  frattura 
avvenuta  pel  potente  movimento  sismico  che  chiuse  l’epoca  pliocenica, 
bisogna  almeno  ammettere  che  per  tale  grandioso  movimento  la  re- 
gione alpina  centrale  venne  sollevata  assai  più  che  non  quella  peri- 
ferica (ciò  che  già  deducemmo  dalle  varie  altezze  raggiunte  dal  Plio- 
cene) in  modo  che  le  correnti  acquee  aventi  una  direzione  ad  un  di- 
presso parallela  alla  catena  alpina  furono  fortemente  respinte  contro  il 
loro  fianco  meridionale  e quindi  durante  l’epoca  quaternaria  incisero  il 
loro  alveo  a Sud  di  quello  pliocenico. 

Nelle  colline  plioceniche  ora  in  esame  Y Astiano  è abbastanza 
tipico,  molto  simile  a quello  indicato  presso  Piane  di  Serravalle,  spesso 
costituito  di  marne  sabbiose  gialle,  compatte,  fissili,  straordinariamente 
ricche  in  bellissime  filliti  \ L’intiera  formazione  pende  in  complesso 
verso  il  Sud-Sud-Ovest,  ma  di  solo  pochi  gradi. 

Sovente  V Astiano  forma  la  parte  superiore  delle  colline  a cui  dà 
una  particolare  configurazione  pianeggiante;  talora  invece  termina  con 
banchi  inglobanti  lenti  e straterelli  ghiaioso-ciottolosi  che  si  possono 
già  riferire  al  Fossaniano  (ricoperto  o no  a sua  volta  dal  Diluvium 
sahariano ),  quantunque  si  verifichi  anche  quivi  il  fatto  già  accennato 
altrove,  che  cioè  lenti  di  ghiaie  e ciottoli  incontransi  eziandio  qua  e 
là  nel  vero  Astiano , anche  verso  la  sua  base;  d’altro  lato  soventi  si 
incontrano  ancora  yìq\Y Astiano  letti  marnosi  bleuastri  affatto  simili  a 
quelli  piacentini , ciò  che  ci  prova  sempre  più  quanto  sia  graduale  il 
passaggio  fra  questi  vari  orizzonti  geologici. 

Notiamo  ancora  rispetto  alla  regione  collinosa  in  esame  che  i 
supremi  banchi  astiani  si  spingono  talora  sin  oltre  i 500  m-,  talora 
anzi  raggiungendo  i 525 m-  come  osservasi  presso  i casolari  Forcola 
sopra  Plello.  E certamente  questo  un  fatto  interessante  che  ci  porge 
un  dato  sicuro  per  giudicare  dell’intensità  del  sollevamento  postplio- 


1 Alcune  delle  filliti  plioceniche  di  Valsesia  studiate  dal  Sordelli  furono  pub- 
blicate dal  Parona  nel  suo  sovraccennato  lavoro  su  « Valsesia  e Lago  d’Orta  ». 


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cenico  verificatosi  in  queste  regioni  alpine,  come  d’altronde,  con  vario 
grado,  in  quasi  tutta  la  catena  delle  Alpi. 

Per  prendersi  un’idea  chiara  e complessiva  dell’intiero  bacino 
pliocenico  Borgosesia-Valduggia  è consigliabile  di  salire  al  M.  Fenera 
che,  oltre  agli  interessantissimi  fenomeni  che  presenta  lungo  i suoi 
fianchi  riguardo  ai  terreni  triasici  \ e basici,  ed  oltre  alla  stupenda 
vista  che  offre  dalla  sua  cima,  permette  anche  di  abbracciare  in 
un  tratto  solo  l’intiera  formazione  terziaria  sovraccennata  in  modo 
che,  sostituendo  coll’immaginazione  all’attuale  deposito  marino  l’ele- 
mento in  cui  esso  si  è formato,  riesce  facile  il  raffigurarsi  l’antico 
fyord  pliocenico,  foggiato  a zampa  d’oca,  che,  collegandosi  a Sud  col 
grande  golfo  padano  per  mezzo  dello  stretto  canale  di  Serravalle, 
spingevasi  verso  Est  sino  a Valduggia,  verso  Nord  sino  al  rialzo  gra- 
nitico di  Vanzone,  mentre  insinuavasi  verso  Ovest  sin  oltre  Guarda- 
bosone  e Pray. 

A Sud  della  stretta  di  Serravalle,  dove  l’erosione  acquea  eliminò 
ogni  traccia  di  Astiano , ritroviamo  questo  terreno  ampiamente  svilup- 
pato sopra  alla  già  descritta  formazione  -piacentina  di  Grignasco-Ba- 
raggiotta.  Si  tratta  però  solo  delle  solite  sabbie  gialle,  più  o meno 
commiste  a strati  ghiaiosi,  in  complesso  poco  ricche  in  resti  fossili 
ridotti  quasi  sempre  a semplici  impronte. 

Questa  formazione  astiana , sollevatesi  al  più  sino  ai  430  m-,  leg- 
germente inclinata  a Sud  circa,  per  la  erosione  dei  torrentelli  discen- 
denti dal  gruppo  montuoso  di  M.  Lovagone  fu  ora  ridotta  ad  una  serie 
di  placche  più  o meno  strette  e sottili;  anzi  si  può  vedere  che  verso  Sud, 
come  nelle  colline  di  Baraggiotta,  vi  si  dovette  anche  verificare  una 
certa  erosione  per  opera  della  fiumana  sahariana  di  Valsesia  che  vi 
lasciò  come  residuo  sparsi  lembi  di  Diluvium.  D’altronde  è da  rite- 
nersi che  sulla  fine  dell’epoca  pliocenica  tutta  la  bassa  Valsesia  fosse 
occupata  da  un  velo  abbastanza  potente  di  Astiano  che  venne  spaz- 
zato via  dalle  grandiose  correnti  quaternarie. 


1 Noto  incidentalmente  la  presenza  di  un  lembo  di  calcare  dolomitico  triasico 
presso  Valduggia  ^ìlla  destra  di  Val  Strona,  poiché  non  lo  trovai  accennato  finora 
da  altri. 


Ad  ogni  modo,  dall'esame  dei  terreni  astiarli  tuttora  esistenti  in 
Valsesia  e dal  paragone  coi  terreni  piacentini  possiamo  concludere 
che  quivi  durante  l’epoca  pliocenica  non  si  dovettero  verificare  grandi 
mutamenti  eccetto  che  un  graduale  riempimento  della  conca  marina, 
per  mezzo  dei  depositi  che  vi  si  andavano  formando,  ciò  che  s’accorda 
con  quello  che  ricavasi  anche  in  generale  dall’osservazione  delle  altre 
regioni  plioceniche  del  Piemonte. 

Fossaniano. 

Tenendo  conto  della  speciale  posizione  entroalpina  del  Pliocene 
di  Valsesia,  e dal  fatto  che  quivi  il  Piacentino  è qua  e là  rappresen- 
tato parzialmente  da  letti  ghiaioso-ciottolosi,  parrebbe  a priori  che  la 
porzione  superiore  del  Pliocene  dovrebbe  essere  in  massima  parte 
rappresentata  dai  depositi  d’ indole  littoraneo-deltoide  che  costituiscono 
il  Fossaniano  *,  come  si  osserva  nella  massima  parte  delle  forma- 
zioni superiori  del  Pliocene  subalpino. 

Ma  in  verità  le  cose  stanno  alquanto  diversamente,  giacché  per 
quanto  il  Fossaniano  sia  abbastanza  rappresentato  in  Valsesia,  è però 
specialmente  Y Astiano  tipico  che,  come  si  è sopra  osservato,  costi- 
tuisce quasi  ovunque  il  Pliocene  superiore. 

Infatti  alle  Piane  di  Serravalle  e nelle  alture  Grignasco-Baraggiotta 
se  incontrasi  qualche  straterello  ghiaioso  fra  le  sabbie  o qualche 
banco  di  argille  a tinte  variegate  che  indicano  un  deposito  litoraneo 
o maremmano,  in  complesso  predomina  la  tipica  facies  astiana. 

Però  in  Val  Sessera  il  Pliocene  superiore  assume  in  massima 
parte  una  facies  fossaniana  assai  spiccata;  possiamo  osservare  ciò  mi- 
nutamente nella  placca  pliocenica  di  Guardabosone  poiché  quivi  la  parte 
superiore  è costituita  essenzialmente  di  un  grosso  banco  conglomera- 
tico,  abbastanza  fortemente  cementato,  inclinato  leggermente  a Sud 
circa,  di  color  giallastro,  ad  elementi  di  grossezza  anche  assai  note- 
vole (talora  alquanto  brecciosi),  come  si  può  osservare  nettissimamente 
presso  la  Cappella  Lupia.  Questo  potente  banco  che  chiude  la  serie 


1 F.  SACCO,  Le  Fossanien,  nouvel  étage  da  Pliocène  d' Italie  (Bull.  Soc.  gèol.  de 
France,  3e  serie,  tome  XV,  1886). 


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stratigrafica  del  Pliocene  ci  rappresenta  un  vero  deposito  deltoide  for- 
matosi tumultuosamente  verso  la  fine  dell’epoca  pliocenica  e che  si 
deve  ascrivere  assolutamente  al  Fossaniano. 

Fenomeni  simili  osservansi  pure  nelle  colline  plioceniche  di  Pian- 
ceri,  solo  che  i banchi  ghiaiosi  e ciottolosi  sono  generalmente  meno 
cementati  che  non  quello  ora  accennato  di  Guardabosone,  ed  inoltre 
ad  elementi  per  lo  più  meno  grossolani,  e ripetutamente  alternati  con 
banchi  sabbiosi  e marnosi  giallastri  o giallo-rossicci,  talora  fìllitiferi. 

Si  può  quindi  dire  che  nelle  colline  di  Pianceri  il  Pliocene  supe- 
riore assume  in  massima  parte  quella  facies  fossaniana  che  è tanto 
sviluppata  nei  depositi  subalpini  del  Piemonte.  L'osservazione  di  questi 
fatti  è resa  facile  dai  tagli  artificiali  in  cui  sono  incassate  le  strade  che 
salgono  a Pianceri,  sia  da  Pianezza,  sia  direttamente  da  Val  Sessera 
presso  Fabbrica  Cerino-Zegna. 

Notiamo  infine  rispetto  al  Fossaniano  di  Pianceri  come  esso  si 
sollevi  sino  ai  520  metri,  elevazione  che  corrisponde  quasi  perfetta- 
mente a quella  già  notata  per  V Astiano  di  Plello  e ci  prova  sempre 
più  la  possanza  del  sollevamento  postpliocenico  verificatosi  nelle  re- 
gioni alpine. 

Quanto  al  Pliocene  superiore  delle  colline  Borgosesia-Valduggia, 
dobbiamo  anche  notare  come,  specialmente  in  quelle  di  Valbusaga  e 
di  Plello,  i banchi  superiori  inglobino  sovente  degli  strati  ciottolosi 
che  si  possono  riferire  al  Fossaniano , il  quale  serve  anzi  quasi  di  pas- 
saggio ai  depositi  sahariani  costituenti  la  parte  superiore  dei  suddetti 
colli  di  Valbusaga,  tanto  che  là  dove  non  esistono  tagli  un  po’  profondi 
riesce  talora  difficile  distinguere  nettamente  i banchi  ciottolosi  plio- 
cenici da  quelli  sahariani. 

Bellissimi  esempi  di  depositi  fossaniani  possonsi  osservare  presso 
Cadegatti,  presso  C.  Orello,  mentre  manca  generalmente  questa  facies 
verso  Valduggia  ciò  che  ci  prova  sia  la  deposizione  quivi  relativamente 
tranquilla  delle  formazioni  plioceniche  superiori,  sia  la  libera  comuni- 
cazione che  dovette  esistere  sino  alla  fine  dell’epoca  pliocenica  tra 
il  fyord  di  Valsesia  ed  il  grande  golfo  padano. 


Sahariano. 


I depositi  che  si  formarono  in  Valsesia  durante  il  primo  periodo 
dell’era  quaternaria,  cioè  durante  il  Sahariano  furono  assai  ampi  e 
potenti;  ma  aneli’ essi,  come  i terreni  pliocenici,  ebbero  a subire  un 
tale  lavacro  ed  una  così  potente  erosione  per  causa  delle  acque  del 
seguente  periodo  ierrazziano,  che  sono  ora  ridotti  a lembi  sparsi  e 
poco  ampi,  i quali  ci  servono  però  molto  bene  a delineare  1*  antico 
corso  delle  acque  sahariane. 

Le  formazioni  sahariane  della  regione  in  esame  furono  in  mas- 
sima parte  deposte  dalle  correnti  acquee  (Diluvium)  e solo  in  piccola 
parte  dalle  correnti  glaciali  ( morene );  esaminiamole  successivamente. 

Diluvium.  — I depositi  più  settentrionali  di  Diluvium  sahariano  della 
Valsesia  costituiscono  l’altipiano  di  Pianezza,  poggiando  direttamente 
sulle  roccie  granitiche  decomposte  in  sommo  grado  oppure  in  parte 
anche  sulle  sabbie  astiane  ; essi  sono  rappresentati  da  ammassi  ciot 
tolosi  inglobati  più  o meno  irregolarmente  in  depositi  sabbioso-terrosi 
rossastri  che  costituiscono  poi  anche  da  soli  dei  potenti  veli  di  vero 
loess  diluvio-glaciale. 

Verso  la  loro  base  i banchi  sahariani  danno  origine  a copiose 
sorgenti  acquee  che  si  possono  osservare  specialmente  lungo  il  tor- 
rentello che  discende  da  Pianezza  a Borgosesia. 

Gli  elementi  ciottolosi  di  questo  Diluvium  sono  spesso  di  volume 
assai  considerevole  ciò  che  è in  diretto  rapporto  col  fatto  che  il  depo- 
sito in  questione  forma  graduale  passaggio  verso  Nord  al  terreno  mo- 
renico che  costituisce  le  colline  di  Castiglia. 

L’altimetria  del  Diluvium  di  Pianezza  ci  prova  come  V erosione 
compiuta  dalle  acque  del  T errazziano  in  questo  punto  di  Valsesia  sia 
nei  terpeni  diluviali  sia  nei  terreni  rocciosi,  in  massima  parte  grani- 
tici, fu  di  circa  100  metri. 

Sull’alto  delle  colline  di  Valbusaga  osservasi  pure  un’ ampio  depo- 
sito di  Diluvium  che  era  originariamente  collegato  con  quello  di  Pia- 
nezza, ma  che  per  le  erosioni  del  Terrazziano  fu  ora  ridotta  ad  una 
placca  irregolarissima,  talora  abbastanza  potente,  costituita,  oltre  che 
dai  banchi  ciottolosi  e sabbioso-ciottolosi,  da  un  notevole  velo  di  loess 


rossastro  come  osservasi  molto  bene  nelle  vicinanze  di  borgata  Val- 
busaga. 

La  grande  corrente  diluviale  di  Valsesia  non  si  espanse  molto 
verso  Est,  giacché  non  troviamo  più  traccie  notevoli  di  Diluvium  nel- 
l’alto delle  colline  di  Plello. 

Invece  ridiscendendo  la  Valsesia  incontriamo  nuovamente  traccie 
diluviali  in  forma  di  placche  poggiate  direttamente  sulla  roccia  porfì- 
rica  o calcarea,  come  osservasi  sugli  altipiani  delle  tre  borgate  Fenera, 
altipiani  formati  non  solo  dalle  deposizioni  del  Diluvium , ma  anche 
dalla  erosione  che  dovettero  esercitare  le  correnti  acquee  sul  principio 
del  Sahariano ; essi  ci  segnano  cioè  l’antico  alveo  della  fiumana  Sesia. 

Più  a valle  si  osserva  che  sulla  destra  della  Sesia  il  Diluvium 
venne  quasi  completamente  spazzato  via  dalle  correnti  acquee  terraz- 
ziane  per  la  loro  tendenza  a portarsi  verso  Ovest,  tendenza  che  in  com- 
plesso presenta  anche  l’attuale  corso  del  fiume.  Si  conservarono  perciò 
quivi  soltanto  piccoli  lembi  sahariani  rappresentati  essenzialmente  da 
Icess , sotto  cui  stanno  talora  banchi  ciottolosi,  come  osservasi,  per 
esempio,  sull’altipiano  di  C.  Piano  Cordova. 

Quest’ultimo  deposito,  formato  in  parte  dalle  deiezioni  di  Val  Mora, 
colla  sua  elevazione  sul  fondo  della  valle  ci  indica  come  l’incisione 
prodotta  dalle  acque  durante  il  Terrazziano  fu  quivi  molto  meno  pro- 
fonda, cioè  di  soli  50  metri,  che  non  più  a monte  dove  costatammo 
un’erosione  di  circa  100  metri. 

D’altronde  se  si  proseguisse  l’esame  del  Diluvium  ancor  più  a 
Sud  si  potrebbe  constatare,  tanto  per  la  Sesia  come  in  generale  per 
le  altre  correnti  acquee,  che  la  profondità  dell’  alveo  scavato  durante 
il  periodo  terrazziano  va  continuamente  e gradatamente  diminuendo 
finché  il  piano  dell’alveo  quasi  si  confonde  colla  pianura  circostante 
ed  anzi  talvolta  l’alveo  si  trova  portato  ad  un  livello  più  alto  che  la 
regione  pianeggiante  che  attraversa. 

Sulla  sinistra  della  Valsesia  i depositi  diluviali  del  Sahariano 
furono  in  gran  parte  rispettati  dalle  correnti  acquee  terrazziane  che  si 
gettarono  invece  specialmente  sul  lato  destro  della  valle.  Incominciamo 
quindi  ad  incontrare  sottili  banchi  di  Diluvium  sull’alto  delle  colline 
plioceniche  di  Baraggiotta.  Tali  banchi  sono  talora  appena  rappresentati 
da  qualche  ciottolo  sparso  sulla  sabbia  astiana  e quindi  scompariranno 


— 291.  — 


presto  ; altri  constano  di  qualche  lente  ciottolosa  inglobata  o coperta 
da  loess  rossastro.  Ma  poco  più  a valle,  cioè  a Sud  dello  sprone  porfi- 
rico  di  Cresta  del  Guercio,  la  formazione  diluviale  si  sviluppa  ampia- 
mente e diviene  potentissima,  cioè  dello  spessore  di  oltre  40  o 50  me- 
tri, costituendo  il  grandioso  altipiano  sahariano  o barraggia  che  dalle 
vicinanze  di  Cavallirio,  di  Boca  e di  Maggiora  si  estende  ampiamente 
a Sud  verso  il  c,entro  della  valle  padana. 

Questo  potentissimo  Diluvium  sahariano  di  una  tinta  complessiva 
giallo-rossiccia  è rappresentato  da  una  serie  di  banchi  ciottolosi,  ad 
elementi  abbastanza  grossolani  e più  o meno  decomposti,  alternati 
ripetutamente  con  banchi  ghiaiosi,  sabbiosi  ed  anche  talora  marnoso-ter- 
rosi;  nella  sua  parte  superiore  questo  Diluvium , che  rappresenta  per- 
fettamente il  ferretto  dei  geologi  lombardi,  è quasi  ovunque  coperto 
da  un  velo  più  o meno  potente  di  loess  argilloso,  rossastro,  soventi 
utilizzato  per  fabbrica  di  laterizi. 

La  costituzione  di  questo  Diluvium  si  può  osservare  minutamente 
in  diversi  profondissimi  burroni  che  lo  incidono  per  lunghi  tratti,  così 
ad  esempio  nel  Rio  Campatone  nella  cui  parte  più  bassa  vediamo  apparire 
diversi  banchi  sabbiosi  giallastri  che  ricordano  quelli  del  Fossaniano. 

È curioso  poi  osservare  come  nelle  colline  di  Cresta  del  Guercio 
la  roccia  porfirica  è così  profondamente  decomposta  che  non  riesce 
sempre  facile  il  distinguerla  dal  loess  rossastro  sahariano  ; d’altronde 
quivi  questo  deriva  in  gran  parte  direttamente  da  quella. 

Terreno  morenico.  — Nella  regione  della  bassa  Valsesia  che  ci 
occupa  nel  presente  studio,  non  troviamo  molto  sviluppati  i depositi 
morenici,  ma  essi  sono  però  assai  importanti  poiché  rappresentano  a 
mio  parere  l’apparato  morenico  frontale  del  ghiacciaio  di  Valsesia,  e 
quindi  servono  molto  bene  a delimitare  lo  sviluppo  massimo  raggiunto 
da  tale  ghiacciaio  durante  il  Sahariano. 

Già  trattando  del  Diluvium  di  Pianezza  si  è detto  come  vi  appa- 
rissero qua  e là  verso  la  sua  superficie  grossi  ciottoloni  del  diametro 
talora  anche  di  1 metro,  ciò  che  già  ci  indica  la  vicinanza  dello  sbocco 
di  un  antico  ghiacciaio.  Infatti  avanzandoci  da  Pianezza  verso  Nord 
vediamo  come  tosto  il  terreno  diviene  fortemente  ondulato  e si  innalza 
rapidamente  a formare  vere  colline  che  si  riconoscono  facilmente  per 
tipiche  colline  moreniche. 


— 292  — 


Tali  colline  nella  parte  meridionale  sono  essenzialmente  costituite 
di  potente  Icess  rossastro,  quale  appunto  si  incontra  quasi  sempre  al 
margine  esterno  degli  anfiteatri  morenici  e negli  altri  casi  di  passaggio 
graduale  tra  le  regioni  moreniche  e le  regioni  diluviali.  Ma  tosto  poi 
compaiono  verso  Castiglia  i grossi  ciottoloni  glaciali  che  divengono 
sempre  più  abbondanti  e caratteristici  nelle  vicinanze  di  Castiglia  di 
sotto  e di  Castiglia  di  sopra  sino  a Vanzone;  abbiamo  cioè  qui  un 
tipico  ed  abbastanza  potente  deposito  morenico  che  credo  si  possa 
considerare  come  un  residuo  dell’apparato  morenico  frontale  del  ghiac- 
ciaio di  Valsesia.  Questo  deposito  glaciale  fu  formato  durante  il  -periodo 
degli  anfiteatri  morenici  e venne  sbrecciato  ed  eroso  potentemente  in 
seguito  per  l’azione  delle  correnti  acquee  terrazziane  che  lo  ridussero 
ad  una  placca  allungata  quale  osserviamo  attualmente. 

Notiamo  che  anche  in  questo  caso  come  ovunque  in  generale,  la 
formazione  morenica  pur  collegandosi  ed  intrecciandosi  abbastanza 
regolarmente  con  quella  diluviale,  si  sovrappone  ad  essa;  ciò  ci  prova 
sempre  più  chiaramente  che  la  massima  parte  del  tipico  Diluvium 
si  formò  nella  prima  metà  dell’epoca  glaciale,  quando  cioè  i ghiacciai 
rapidamente  si  avanzavano  verso  lo  sbocco  delle  vallate  alpine  ma 
non  erano  ancora  giunti  al  massimo  loro  sviluppo,  durante  il  quale 
depositarono  i tipici  anfiteatri  morenici . 

Oltre  alla  morena  frontale  di  Castiglia  esistono  ancora  nella  re- 
gione in  esame  alcuni  residui  di  terreno  glaciale  più  o meno  com- 
misto a depositi  alluvio-brecciosi  su  ambi  i fianchi  della  valle  come 
sui  declivi  di  Bastia,  di  Foresto  e di  Calco  di  Mezzo;  essi  servono 
ad  indicarci  l’alveo  dell’antica  corrente  diluvio-glaciale  del  periodo 
sahariano  e quindi  anche  a precisarci  la  profondità  della  erosione 
verificatasi  durante  il  periodo  terrazziano. 

Terrazzano. 

Comprendo  con  questo  appellativo  1 i depositi  alluvionali  formatisi 
durante  il  periodo  delle  terrazze  che  tenne  dietro  immediatamente  al 


1 F.  Sacco,  Sulla  costituzione  geologica  degli  altipiani  isolati  di  Fossano , 
Salmour  e Banale  (Atti  R.  Accademia  d’Agricoltura  di  Torino,  voi.  XXIX,  1886). 


— 293  — 


r 


periodo  sahariano  e col  quale  si  collega  perfettamente  per  transizione 
spesso  graduatissima. 

Nella  parte  di  Valsesia  esaminata  in  questo  lavoro  non  esistono 
generalmente  i più  antichi  depositi  terrazziamo  quelli  che  nello  studio 
sovraccennato  che  feci  sul  biellese  indicai  col  nome  di  Terrazziano  I, 
poiché  in  questa  prima  fase  del  periodo  terrazziano  le  correnti  acquee 
furono  ancora  tanto  grandiose  e tanto  impetuose  entro  la  valle  alpina 
da  erodere  quivi  senza  quasi  depositare. 

Invece  numerosi  sono  i resti  di  alluvioni  terrazzate  della  seconda 
fase  del  Terrazziano , includibile  cioè  nel  Terrazziano  II;  tali  alluvioni 
sono  soventi  dello  spessore  di  4 o 5 metri,  ad  elementi  talora  volumino- 
sissimi, specialmente  verso  Borgosesia,  sia  perchè  trattasi  di  regione 
più  a monte,  sia  perchè  questi  materiali  grossolani  derivano  in  parte 
dal  lavacro  dei  depositi  diluvio-glaciali.  Per  lo  più  esiste  anche  sopra 
ai  depositi  ciottolosi  e ciottoloso-sabbiosi  un  velo  di  loess , generalmente 
però  piuttosto  sottile,  quantunque  talora  raggiunga  anche  lo  spessore 
di  due  o tre  metri,  nel  qual  caso  viene  sovente  utilizzato  per  fabbrica 
di  laterizi. 

Fra  le  più  antiche  alluvioni  del  Terrazziano  II  notiamo  quelle  del 
piano  di  Agnona-borgata  Cascine,  di  fronte  a Borgosesia,  quelle  del 
piano  di  Bornate-Serravalle-Mazzone,  e quelle  del  piano  di  Grignasco- 
Prato  Sesia  che  collegansi  poi  quivi  a valle^colle  pianure  di  Gattinara- 
Lenta  ecc.,  e di  Romagnasco-Ghemme,  ecc. 

Sono  invece  alquanto  più  recenti,  come  si  può  dedurre  dalla  loro 
altimetria,  i piani  di  Borgosesia,  di  Crevacuore,  di  C.  Giarda  ecc., 
finché  per  mezzo  di  piccole  terrazze  ancor  più  recenti  si  passa  alle 
alluvioni  attuali. 

A dire  il  vero  distinzioni  nette  fra  questi  vari  depositi  non  si  pos- 
sono sempre  fare,  nè  è sempre  logico  il  farle,  sia  perchè  questi  piani 
terrazzati,  riguardo  all’epoca  della  loro  formazione,  si  col  legano  spesso 
graduatamente  gli  uni  cogli  altri,  in  particolar  modo  tra  un  lato  e l’altro 
della  vallata,  sia  perchè  trattasi  talora  solo  di  fenomeni  locali  e senza 
grande  importanza  intrinseca.  E perciò  che  tanto  nella  presente  de- 
scrizione come  nell’unita  carta  geologica  ho  creduto  di  non  discendere 
a minuti  particolari  sul  Terrazziano  e di  indicarne  solo  i caratteri  e 
le  distinzioni  principali. 


19 


294  — 


Conclusioni. 

Riassumendo  i fatti  esposti  nel  presente  lavoro  possiamo  trarne 
le  seguenti  conclusioni  più  importanti  : 

1.  Durante  l’epoca  pliocenica  il  mare  penetrò  per  molti  chilometri  a 
guisa  di  fyord  tripartito  entro  laValsesia,  sino  a Pray,  Isolella  e Valduggia; 

2.  Il  Pliocene  di  Valsesia  è di  carattere  unicamente  marino  ed  è 
rappresentato  da  tutti  i suoi  tipici  orizzonti,  cioè  Piacentino , Astiano 
e Fossaniano ; 

3.  Il  Piacentino , quasi  sempre  riccamente  fossilifero,  sollevato 
talora  ad  oltre  400  m.,  è per  lo  più  costituito  dalle  tipiche  marne  o 
sabbie  azzurre,  che  però  talora  sono  interrotte  da  strati  giallastri  e 
lenti  ghiaiose  ed  anche  ciottolose; 

4.  Li  Astiano  è quasi  sempre  rappresentato  dalle  solite  sabbie 
gialle,  talora  alquanto  ghiaiose,  spesso  straterellate  e ricchissime  in 
belle  fìlliti ; si  solleva  in  alcuni  punti  oltre  i 500  m. 

5.  Il  Fossaniano  costituito  da  un’alternanza  di  banchi  ghiaiosi  j 
e ciottolosi  con  banchi  sabbioso-marnosi,  spinti  talvolta  oltre  i 500  m., 
rappresenta  un  deposito  deltoide-littoraneo  che  si  mostra  però  solo 
sviluppato  in  alcuni  punti  di  Valsesia; 

6. *  Il  sollevamento  post-pliocenico  fu  più  intenso  verso  Tinterno 
(oltre  500  metri)  che  verso  la  periferia  della  regione  alpina.  Esso 
cagionò  notevoli  cangiamenti  nella  oro-idrografia  alpina; 

7.  Il  Diluvium  sahariano , piuttosto  sottile  entro  la  Valsesia,  di- 
venta di  tratto  potentissimo  allo  sbocco  della  vallata  alpina; 

8.  Il  ghiacciaio  di  Valsesia  si  spinse  sino  ad  1 chilometro  a 
monte  di  Borgosesia  costruendo  la  morena  di  Castiglia  sul  Diluvium  ( 
poco  prima  deposto  ; 

9.  L'erosione  verificatasi  nella  bassa  Valsesia  durante  il  Ter - 
razziano  per  opera  delle  correnti  acquee  sui  terreni  sahariani , pliocenici 
e primari , fu  di  circa  100  m.  verso  monte  e di  50  m.  ad  un  dipresso 
verso  valle; 

10.  Nella  bassa  Valsesia  solo  nella  seconda  fase  del  periodo 
terrazziano  si  cominciarono  generalmente  a deporre  alluvioni  e si  pote- 
rono costituire  i piani  terrazzati  che  continuarono  a formarsi  più  o 
meno  regolarmente  sino  al  giorno  d’oggi. 


no/./..  ///:/.  //.  com. r;/w..  //'/tazza 


295  — 


IL 

1 giacimenti  cupriferi  dei  dintorni  di  Vagli  nelle  Alpi 
Apuane;  nota  dell’Ing.  B.  Lotti. 

Allorquando  dovetti  percorrere  la  regione  della  Tambura,  forse  la 
più  inospite  e desolata  del  gruppo  montuoso  apuano,  allo  scopo  di 
districarne  le  complicatissime  condizioni  tettoniche,  1 fui  ben  fortunato 
di  potere  approfittare  ripetutamente  della  gentile  ospitalità  dell’egregio 
signor  maggiore  P.  Stella,  dal  quale,  praticissimo  dei  luoghi  ed  intel- 
ligente di  cose  minerarie,  fui  altresì  validamente  coadiuvato  nello  studio 
dei  numerosi  filoni  cupriferi  di  quella  località;  chè  altrimenti  sarebbe 
stato  difficilissimo,  per  non  dire  impossibile,  imbattersi  nei  vari  affio- 
ramenti metalliferi,  seguirne  l’andamento  ed  apprezzarne  il  valore  scien- 
tifico ed  industriale.  Potei  farmi  in  tal  guisa  un’  idea  chiara  delle  con- 
dizioni di  giacitura  di  quei  minerali;  condizioni  le  quali,  colla  semplice 
ispezione  dei  vari  affioramenti  e dei  pochi  lavori  di  ricerca  ivi  eseguiti, 
sarebbero  rimaste  inesplicate,  se  allo  studio  dei  giacimenti  stessi  non 
si  fosse  collegato  il  rilevamento  geologico  in  grande  scala  delle  for- 
mazioni che  li  racchiudono. 

È appunto  questo  studio  geologico,  unitamente  all’esame  accurato 
dei  vari  filoni  che  oggi,  dopo  ulteriori  revisioni  dei  luoghi,  mi  pone  in 
grado  di  esporre  brevemente  le  mie  osservazioni  e l’opinione  che  mi 
sono  formato  sulla  origine  e sulla  importanza  industriale  di  tali  gia- 
citure metallifere. 

I minerali  cupriferi  di  questa  regione  sono  intimamente  asso- 
ciati alla  formazione  scistosa  immediatamente  sovrapposta  ai  marmi 
apuani  e riferibile  alla  parte  superiore  del  sistema  triasico.  Essa 
consta  di  arenarie  prevalentemente  scistose,  di  scisti  e calcescisti  ar- 


1 II  rilevamento  geologico  nella  scala  di  1/25  000,  ormai  compiuto  fino  dal 
1881  dallo  scrivente  e dall’ingegnere  Zaccagna,  coudiuvati  dall’  aiut.  P.  Fossen, 
sarà  reso  di  pubblica  ragione  entro  il  prossimo  anno. 


— 296  — 


desiaci  verdi  e violetti  e di  strati  diasprini  di  solito  colorati  in  ro- 
seo. 1 La  pirite  e la  calcopirite  sono  disseminate  in  minime  particelle 
nello  scisto  ardesiaco  o sono  concentrate  in  fìloncelli  e vene,  a ma- 
trice di  quarzo,  o più  raramente  di  calcite,  che  ordinariamente  tagliano 
gli  strati  scistosi.  In  quest’ultimo  caso  il  minerale  di  rame  vi  si  trova 
anche  allo  stato  di  erubescite  compatta,  in  forma  di  venule  e di  mas- 
serelle  amigdaloidi. 

Dal  rilevamento  geologico  sopra  accennato  risultò  che  le  forma- 
zioni di  cui  sono  costituite  le  Alpi  Apuane,  si  presentano  sconvolte  e 
ripiegate  nel  modo  più  bizzarro,  invertendo  spesso  la  loro  originaria 
posizione  relativa.  Io  esposi  già  altrove  la  sintesi  dei  numerosi  dislo- 
camenti osservati,  in  una  sezione  geologica  traversale  dell’  intiero 
gruppo  montuoso,  2 dalla  quale  risultava  che  la  formazione  scistosa 
della  valle  d’Arnetola,  dove  appunto  si  hanno  i vari  affioramenti 
cupriferi,  era  conformata  a ventaglio  rovescio.  Abbenchè  tale  disloca- 
mento sia  quivi  meno  pronunziato  di  quello  corrispondente  della  valle 
d’Arni,  dove  la  doppia  piega  calcarea  che  lo  racchiude  acquista  il 
suo  massimo  sviluppo,  pure  è manifesta  la  sottoposizione  degli  scisti 
alla  formazione  marmorea  da  ambedue  i lati  della  valle,  come  è altresì 
manifesto  che  essi  scisti  non  si  approfondano  indefinitamente  sotto  le 
masse  calcaree  laterali  del  M.  Tambura  e del  M.  Croce,  come  si  sa- 
rebbe portati  a credere  qualora  si  ritenessero  normali  i rapporti  di 
posizione,  ma,  ripiegandosi  a fondo  di  battello,  ricuoprono  con  spes- 
sore non  grande  la  sottostante  massa  marmorea,  come  si  osserva  di- 
fatti presso  lo  sbocco  della  valle  d’Arnetola  verso  Vagli  di  Sopra. 

Nei  calcari  marmorei  non  penetrano  mai  i filoni  cupriferi  che* 
come  fu  detto,  sono  intimamente  collegati  alla  formazione  scistosa 
e questo  fatto  porta  intanto  ad  escludere  la  convenienza  di  lavori  di 
esplorazioni  minerarie  in  tutta  la  valle  d’  Arnetola,  dove  appunto  tali 


1 In  una  prima  sezione  di  questi  diaspri  il  prof.  Pantanelli  osservò  un  im- 
pasto di  forme  organiche  della  grandezza  delle  radiolarie  e delle  orbuline.  In  altri 
preparati  potè  constatare  la  presenza  di  radiolarie  riferibili  ai  generi  Etmospliaera, 
Lithocampium,  Rophalastrum. 

2 B.  Lotti,  La  doppia  piega  d'Arni  e la  sezione  trasversale  delle  Alpi- 
Apuane  (Boll.  Com.  geol.,  1881). 


— 297  — 


esplorazioni  furono  eseguite  di  preferenza,  come  era  naturale  prima 
che  fosse  stato  messo  in  evidenza  il  fenomeno  stratigrafico  suaccen- 
nato, poiché  gli  scisti  coi  filoni  metalliferi  associati  sembravano  ap- 
profondarsi sotto  i monti  laterali  e non  sarebbe  stato  possibile,  visi- 
tando la  sola  valle  d’Arnetola,  avvertire  un  fatto  che  unicamente  da 
un  rilevamento  geologico  dettagliato  poteva  esser  messo  in  rilievo. 

La  formazione  scistosa  d’Arnetola  risale  il  versante  occidentale 
del  M.  Croce,  rivestendone  in  parte  l’ossatura  marmorea,  e scende  poi 
nel  versante  opposto  ove  forma  le  pendici  di  Bascugliani  e del  Fa- 
niello  fino  a Vagli  di  Sotto.  I filoni  metalliferi,  seguendo  1’  andamento 
della  formazione  che  li  racchiude,  non  mancano  di  ricomparire  in  vari 
punti  di  quel  versante  al  Faniello,  a Nocchia,  a Bascugliani  e nel  Rio 
del  Cuore. 

Una  breve  descrizione  dei  principali  fra  questi  filoni  cupriferi  ba- 
sterà a farne  conoscere  il  carattere  e l’importanza. 

I filoni  d’Arnetola  sono  tutti  a matrice  quarzosa,  hanno  uno  spes- 
sore variabile,  che  supera  raramente  i 20  centimetri,  ed  attraversano  in 
vari  sensi  gli  scisti  ardesiaci  e silicei.  Presso  S.  Viano  queste  roccie 
sono  ricoperte  per  estesi  tratti  di  carbonato  di  rame  abbandonato  dalle 
acque  d’infiltrazione.  Quivi  non  si  osservano  filoni  o vene  metallifere, 
ma  lo  scisto  mostrasi  impregnato  di  minute  particelle  di  calcopirite. 

L’affioramento  del  Faniello,  situato  a 1261  metri  sul  livello  del  mare, 
attraversa  una  formazione  di  scisti  arenaceo-argillosi,  i cui  strati  hanno 
la  direzione  di  N.  40°  O.  e l’inclinazione  di  15°  verso  N.E.  La  direzione 
del  filone  è invece  di  N.  45°  E.,  cioè  quasi  normale  a quella  degli  strati, 
e l’ inclinazione  85°  verso  N.O  alla  superficie.  Circa  4 metri  sotto  l’af- 
fioramento, nell’interno  delle  escavazioni  esistenti,  l’inclinazione  cam- 
bia bruscamente,  divenendo  di  45°.  Il  filone  è a matrice  di  calcite,  nella 
quale  sta  disseminata  la  calcopirite,  e il  suo  spessore  oscilla  fra  15 
e 40  centimetri.  Tutto  intorno  si  osservano  fitte  vene  di  quarzo  con 
-pirite  e lamelle  d’oligisto.  Presso  la  sommità  del  monte,  dal  lato  di 
Bascugliani,  gli  scisti  sono  dia'sprini,  fortemente  contorti  ed  impre- 
gnati di  pirite  e calcopirite. 

II  giacimento  di  Nocchia  consta  di  un  insieme  di  vene  e filoncelli 
nella  maggior  parte  quarzosi,  raramente  spatici,  con  calcopirite  e man- 
dorle di  erubescite.  La  vena  principale,  di  circa  20  centimetri  di  spes- 


— 298  — 


sore,  ha  direzione  N.  46°  0,  e inclinazione  irregolarmente  variabile  verso 
S.O.  La  formazione  che  li  racchiude  è uno  scisto  verde  argilloso  as- 
sociato a calcescisti,  i quali  sembrano  avere  schiacciato  in  vari  punti 
la  massa  plastica  scistosa  delle  vene  rendendone  così  quanto  mai  ir- 
regolare r andamento. 

Il  filone  di  Bascugliani  è della  stessa  natura  di  quello  di  Nocchia 
e s’ incrocia  con  questo,  avendo  direzione  N.  80°  E.  ed  inclinazione  forte 
verso  N.O.  Anch’esso  è irregolare  e viene  compresso  e dislocato  dalle 
roccie  calcaree  più  dure  circostanti. 

Gli  scisti  violetti  della  regione  compresa  fra  Bascugliani  e il  Fa- 
niello  racchiudono  frequenti  vene  di  quarzo  con  oligisto  lamellare. 

Sulla  pendice  sinistra  del  Rio  del  Cuore  si  hanno  due  affioramenti 
principali.  Il  più  alto  va  da  N.O  a S.E  e inclina  verso  N.E.  E costi- 
tuito, come  al  solito,  di  vene  di  quarzo  con  calcopirite  e mandorle  di 
7 a 8 centimetri  di  erubescite,  entro  a scisti  verdi  argillosi.  Gli  scisti 
violetti  associati  ai  verdi  racchiudono  invece  vene  di  oligisto.  Questo 
complesso  di  vene  metallifere  ha  lo  stesso  andamento  del  filone  di 
Nocchia,  però  inclina  in  verso  opposto. 

Un  altro  affioramento  più  basso,  presso  Poggio  a Moriano  tro- 
vasi, come  il  precedente,  negli  scisti  ardesiaci  verdi  sottostanti  a quelli 
violetti  ed  ha  la  stessa  direzione  e inclinazione  poco  diversa.  Gli  scisti 
violetti  offrono,  come  sempre,  vene  di  oligisto. 

Oltreché  nelle  località  prese  in  esame,  compariscono  minerali  cu- 
priferi quasi  dappertutto  nelle  Alpi  Apuane  non  che  nel  M.  Pisano  e 
nella  Montagnola  Senese,  sempre  associati  agli  scisti  del  Trias  supe- 
riore. Nelle  Alpi  Apuane  se  ne  hanno  presso  Corfìgliano,  nello  Staz- 
zemese  ed  in  Arni.  In  quest’ultima  località  gli  scisti  sono  alquanto 
alterati  per  metamorfismo  regionale  e fanno  passaggio  a quelli  de- 
cisamente cristallini  del  versante  occidentale.  Sono  scisti  micacei 
lucenti  verdi  e violetti  impregnati  di  carbonato  di  rame  e percorsi 
da  venuzze  di  quarzo  con  calcopirite.  Presso  il  passo  di  Sella  e per 
la  via  di  Fatonero  vi  furono  praticati  infruttuosamente  dei  saggi.  Nel 
Monte  Pisano,  presso  le  Mulina,  gli  scisti  ardesiaci  e i calcescisti 
triasici,  che  vi  compariscono  in  una  piega  ribaltata  con  scorrimento 
verso  Paltò,  1 presentano  in  vari  punti  rifioriture  di  carbonato  di  rame 

1 B.  Lotti,  Un  problema  stratigrafico  nel  M.  Pisano  (Boll.  Com.  geol , 1888). 


— 299  — 


che  accennano  alla  presenza  di  solfuri  di  questo  metallo.  Lo  stesso 
verificasi  nella  Montagnola  Senese  presso  Marmoraia. 

Efflorescenze  cuprifere  ed  anche  particelle  di  calcopirite  le  ho  pure 
osservate  in  certi  scisti  policromi  associati  al  nummulitico  nell’Eocene 
dell’Appennino  presso  Prato  Fiorito  in  Val  di  Lima  ed  è sorprendente 
l’analogia  litologica  di  tali  scisti  con  quelli  triasici  di  cui  ò parola. 

Dall’  insieme  dei  fatti  esposti  mi  è parso  di  dover  concludere  che 
questi  giacimenti  cupriferi  delle  Alpi  Apuane  sono  intimamente  colle- 
gate alla  roccia  che  li  racchiude.  Dalle  minute  particelle  cuprifere  in 
essa  diffuse  si  passa  a piccole  concentrazioni  venuliformi  e quindi  a 
filoncelli  ben  caratterizzati.  Non  vi  ha  dubbio  pertanto  che  tali  filoni 
siano  da  ritenersi  quali  secrezioni  laterali  degli  scisti  che  li  rac- 
chiudono. 

I minerali  di  ferro  e di  rame  disseminati  nella  roccia  in  minute 
particelle  debbono  riguardarsi  come  originari  e di  formazione  contem- 
poranea a quella  della  roccia  che  li  racchiude.  Le  vene  ed  i filoni  in- 
vece sono  posteriori  e la  loro  formazione  risalirà  probabilmente  al 
principio  del  corrugamento  del  gruppo  apuano. 


— 300  - 


NOTIZIE  BIBLIOGRAFICHE 


BIBLIOGRAFIA  GEOLOGICA  ITALIANA  PER  L’ANNO  1887. 

( Continuazione , v.  fase.  7-8 ) 


A.  Issel.  — La  nuooa  Carta  geologica  delle  Riviere  liguri  e delle 
Alpi  Marittime  (Boll.  Soc.  Geol.  VI,  3).  — Roma. 

Ad  illustrazione  della  Carta  suindicata  l’autore,  passando  in  rivista  i terreni 
sulla  medesima  rappresentati  rettifica  in  qualche  punto  il  lavoro,  ne  aumenta  i 
dettagli  e ne  sviluppa  i criteri  direttivi.  Fa  poi  rilevare  la  novità  ed  originalità 
del  lavoro,  citando  a tal  proposito:  il  collocamento  nel  permiano  e nel  trias 
della  zona  cristallina,  estesa  dai  gruppi  del  Clapier  e del  Besimauda  fino  al  lito- 
rale del  Finalese  e del  Savonese  ; la  delimitazione  dei  bacini  carboniferi  delle 
Bormide  e dell’  Alpi  marittime  ; il  riferimento  delle  serpentine  a tre  diversi  periodi 
(eocene,  trias  e precarbonifero)  e delle  masse  del  Finalese  all’ Elveziano. 

Segue  un  prospetto  cronologico  dei  terreni  della  Liguria  ed  in  parte  di  quelli 
dell’ Alpi  marittime,  con  indicazione  altresì  della  natura  e distribuzione  delle  rispet- 
tive formazioni  e dei  fossili  caratteristici. 

Jatta  A.  — Appunti  sulla  geologia  e paletnologia  della  provincia 
di  Bari.  (Rassegna  Pugliese  di  scienze,  lettere  ed  arti,  Anno  1° 
e 2°).  — Trani. 

Esposta  l’orografìa  e l’idrografìa  del  Barese,  con  speciale  riferimento  altresì 
ai  presenti  rapporti  tra  l’Appennino  e la  catena  delle  Murgie,  ed  alla  probabilità 
di  ricchi  depositi  di  acqua  potabile  nel  sottosuolo,  1’  autore  descrive  partitamente 
le  roccie  componenti  i terreni  geologici  della  provincia  e poscia  quest’  ultimi,  sia 
dal  punto  di  loro  distribuzione  che  da  quello  dei  loro  caratteri  stratigrafìci  e paleon- 
tologici. Numerose  liste  di  fossili  raccoltivi  accompagnano  le  descrizioni.  Alle  modi- 
ficazioni tettoniche  del  suolo  avvenute  in  conseguenza  del  succedersi  delle  varie  epo- 


— 301  — 


che  geologiche  è rivolta  speciale  attenzione  ; cosi  all’  hiatus  esistente  nel  Barese 
tra  le  formazioni  del  periodo  secondario  e quelle  del  terziario,  e parimenti  ai  de- 
positi d’ocra  rossa  nel  calcare  cretaceo,  1’  origine  idrotermale  dei  quali  viene  avva- 
lorata con  parecchi  argomenti. 

La  seconda  parte  di  questo  lavoro  è dedicata  alla  paletnologia.  Esposti  i 
caratteri  generali  degli  avanzi  preistorici  del  Barese,  descrive  le  grotte  abitate' 
dall’  uomo  preistorico  e specialmente  quella  del  Pulo  di  Molfetta  con  gli  oggetti 
ivi  rinvenuti.  Circa  alle  stazioni  preistoriche  dell’uomo  fuori  delle  grotte,  osserva 
che  indizii  sicuri  non  ne  furono  ancora  trovati  nella  provincia  di  Bari. 

Da  quindi  un  elenco  delle  località  più  rinomate  per  il  rinvenimento  di  armi 
litiche  e termina  col  ricordare  gli  avanzi  della  prima  età  dei  metalli. 

Johnston-Lavis  H.  — Diario  dei  fenomeni  avvenuti  al  Vesuvio  dal 
luglio  1882  alV agosto  1886.  (Lo  spettatore  del  Vesuvio  e dei  Campi 
Flegrei,  Nuova  Serie,  Voi.  1°).  — Napoli. 

Alla  cronaca  assai  decifrata  degli  avvenimenti  eruttivi,  colle  conseguenti  mo- 
dificazioni subite  dall’apparato  craterico,  è premessa  l’esposizione  dei  criteri  in  base 
ai  quali  1’  autore  ha  stabilito  una  scala  di  5 gradi  per  giudicare  localmente  (da 
Napoli)  la  forza  di  attività  ejettiva  del  Vesuvio.  Partendo  dal  principio  che  l’atti- 
vità di  qualsiasi  vulcano  dipende  principalmente  dalla  quantità  di  lava  fornita  e 
dalla  quantità  di  materia  acquosa  che  è contenuta  in  soluzione  nella  lava,  egli  ha 
formato  la  seguente  gradazione: 

Primo  grado . — Leggero  barlume  alternato  con  intera  oscurità  sul  cono  di- 
eruzione. 

Secondo  grado.  — Il  barlume  è continuo,  ma  le  eiezioni  giungono  solo  a pic- 
colissima altezza. 

Terzo  grado.  — Barlume  continuo  e notevolissimo.  Le  eiezioni  sono  chiara- 
mente percettibili  sia  quando  s’innalzano  che  quando  ricadono  sui  fianchi  del  cono 
di  eruzione. 

Quarto  grado.  — Le  eiezioni  raggiungono  un’altezza  considerevole,  sono 
brillanti  e rischiarano  la  cima  del  gran  cono. 

Quinto  grado.  — Approssimandosi  ad  una  eruzione  parossismale,  le 
eiezioni  sono  slanciate  molto  in  alto,  si  seguono  con  molta  rapidità  e sono  ac- 
compagnate da  boati  che  si  possono  sentire  dalla  parte  Ovest  e Sud  della  base 
del  cono. 

La  narrazione  dei  fatti  osservati  è completata  da  13  vedute  fotografiche  e da 
figure  schematiche  dell’apparato  d’eruzione. 


— 302  — 

Lanzi  M.  — Le  cliatomee  fossili  del  terreno  quaternario  di  Roma, 
(Annuario  dell'Istituto  botanico,  Voi.  Ili,  fase.  1°).  — Roma. 

Contiene  l’elenco  dei  21  generi  e delle  142  specie  e varietà  fin’ora  rinvenute, 
coll’indicazione  delle  località  rispettive.  Per  il  numero  delle  specie  predominano 
i generi:  Namcula , Cymbella,  Gomphonema,  Nitsschia,  Cyclotellay  ecc. 

Lotti  B.  — Le  roeeie  eruttive  feldspatiche  dei  dintorni  di  Campiglia 
Marittima.  (Boll.  Com.  Geol.,  1-2).  — Roma. 

Lo  studio  minuzioso  della  regione,  il  rilevamento  della  medesima  in  grande 
scala,  1’  analisi  microscopica  comparata  delle  varie  roccie  osservatevi  fatta  dal 
signor  Dalmer  di  Sassonia,  portarono  l’autore  alle  seguenti  conclusioni,  dopo  che 
ebbe  esposte  dettagliatamente  le  circostanze  di  fatto  ed  i risultati  analitici  su  cui 
esse  si  basano. 

Le  varie  roccie  trachitiche,  in  masse  e in  dicchi,  ed  il  granito  del  Campigliese 
sono  in  stretta  correlazione  tra  di  loro  e colle  roccie  similari  dell’Elba  e di  altre 
isole  toscane,  per  caratteri  strutturali,  mineralogici  e di  giacitura,  non  che  per  la 
presenza  e l’andamento  di  una  zona  metamorfica  di  roccie  sedimentarie,  nella 
quale  sono  in  parte  comprese. 

Tutte  queste  roccie  risulterebbero  di  un’età  più  recente  dell’  eocene,  ed  anzi, 
ammettendo  la  loro  diretta  relazione  colle  roccie  elbane,  l’età  sarebbe  compresa 
tra  l’eocene  ed  il  miocene  superiore. 

I fatti  accertati  nel  Campigliese  unitamente  e quelli  constatati  all’Elba  e nel- 
l’altre  isole  toscane  appoggerebbero  l’ ipotesi  di  una  stretta  analogia  in  queste 
contrade  fra  granito  e trachite,  secondo  la  quale  quello  e questa  sarebbero  a 
riguardarsi  come  semplici  modalità  di  consolidamento  di  un  medesimo  magma 
eruttivo. 

La  memoria  è corredata  di  una  Carta  geologica,  cromolitografata,  della 
regione  studiata  alla  scala  di  1 per  50  mila  e di  alcune  sezioni  geologiche. 

Lotti  B.  — Fossili  titoniani  nelValta  Val  di  Nievole.  (Boll.  Com.  Geo- 
logico, 3-4),  — Roma. 

L’autore  annunzia  di  aver  rinvenuto  nei  diaspri  alternanti  con  calcari  rossi, 
presso  il  Molino  di  Vico,  oltre  a fucoidi  anche  numerosi  rèsti  di  aptici  (A.  Beiri- 
chi,  A.  punctatus).  I diaspri  suddetti  contengono,  come  quelli  eocenici,  anche  delle 
radiolarie.  Egli  fa  notare  da  ultimo  che  in  questa  parte  dell’Appennino,  come  nel- 
l’Alpi  Apuane,  il  titoniano  è rappresentato  da  due  facies  diverse,  l’una  delle 
quali  è prevalentemente  argilloso-diasprina,  mentre  l’altra  è di  preferenza  cal- 
carea. 


Lotti  B.  — Roecie  dell ’ isola  di  Capraja.  (Boll.  Com.  Geol.,  3-4).  — 
Roma. 

In  attesa  di  pubblicare  coll’ing.  Mattirolo  una  dettagliata  descrizione  petrogra- 
fia e geologica  dell’isola,  l’autore  dà  un  resoconto  sommario  dell’esame  preli- 
minare delle  roccie  relative  fatta  dal  sunnominato  analizzatore.  Risulterebbe  al 
medesimo  che  tutte  le  roccie  in  parola  sono  da  riguardarsi  come  varietà  di  an- 
desiti  pirosseniche,  in  alcuna  delle  quali  l’olivina  entra  come  elemento  essenziale, 
e che  per  le  analogie  riscontrate  può  ritenersi  che  nell’isola  di  Capraja  trovansi  rap- 
presentate le  roccie  dei  vari  centri  eruttivi  della  regione  vulcanica  del  Monte  Amiata. 

Lotti  B.  — Lembo  di  verrucano  presso  Castiglione  della  Pescaja. 
(Boll.  Com.  Geol.,  3-4).  — Roma. 

Vengono  giudicati  dall’autore  come  appartenenti  al  permiano  certi  calcari 
grigi  non  fossiliferi  che  nella  suindicata  località  stanno  sotto  ad  arenarie  eoceni- 
che e sopra  una  massa  di  verrucano,  e nei  quali,  come  in  quest’ultimo,  sono  inter- 
stratificati degli  scisti  micacei  violetti. 

Lotti  B.  ■ — Calcari  marini  quaternarii  presso  Castiglione  della  Pe- 
scaja:.  (Boll.  Com.  Geol.,  3-4).  — Roma. 

Dà  notizia  di  alcuni  lembi  di  panchina  che  1’  autore  ha  incontrati  lungo  la 
costa,  ad  un’altezza  di  150  m.  sul  mare,  i quali  attestano  anche  nella  suddesi- 
gnata  regione  il  sollevamento  recente  constatato  lungo  tutta  la  costa  tirrenica  da 
Livorno  a Civitavecchia. 

Lotti  B.  — Lherzolite  di  Rocca  a Sillano  e dei  Monti  livornesi. 
(Boll.  Com.  Geol.,  3-4).  — Roma. 

L’autore  ha  riscontrato  frequentissima  la  lherzolite  anche  nelle  serpentine  di 
Toscana.  Essa  veniva  confusa  colla  serpentina  diallagica  o bastitica,  riconosciuta 
del  resto  come  un  prodotto  d’alterazione  della  lherzolite  stessa.  È quindi  da  rite- 
nersi che  la  massa  principale  delle  anzidette  serpentine  sia  composta  di  questo 
minerale,  più  o meno  idratato. 

Lotti  B.  — Minerali  cupriferi  presso  Gambassi.  (Boll.  Com.  Geol.,  3-4). 
— • Roma. 

Segnala  la  presenza  di  vene  di  calcopirite  e di  erubescite  nell’eufotide  di  Botro 
Melaio  presso  Gambassi,  in  provincia  di  Firenze,  e fa  notare  come,  a differenza  di 
analoghi  giacimenti  toscani,  la  roccia  incassante  non  sia  alterata,  ma  soltanto  di- 
venuta marcatamente  scistosa  al  contatto  del  minerale  incassato. 


— 304  — 


Lotti  B.  — Lavori  d’ esplorazione  nel  giacimento  salifero  di  Volterra . 
(Boll.  Com.  Geol.,  3-4).  — Roma. 

I recenti^  lavori  sotterranei  (galleria  di  metri  200  per  mettere  in  comunicazione 
i pozzi  S.  Giusto  e S.  Giovanni)  confermarono  le  deduzioni  del  Savi  basate  sulle 
trivellazioni,  sia  circa  la  serie  stratigrafìca  della  formazione  salifera,  sia  riguardo 
alla  forma  e disposizione  dei  banchi  saliferi,  addimostrando  che  questi  ultimi  non 
sono  disposti  a strati  regolari  e continui,  ma  costituiscono  masse  amigdaloidi  di 
limitata  estensione  e variabili  per  numero  e spessore  nei  diversi  punti. 

Lotti  B.  — I giacimenti  ferriferi  del  Sanato  e quelli  delV  Elba . 
(Boll.  Com.  Geol.,  7-8).  — Roma. 

La  pubblicazione  di  una  memoria  del  sig.  Sjògren  sui  giacimenti  ferriferi  di 
Moravicza  e Dognacska  nel  Banato  diede  occasione  all’autore  d’istituire  raffronti 
tra  detti  giacimenti  e quelli  pure  ferriferi  dell’Isola  d’Elba,  in  seguito  a che  egli 
ha  potuto  constatare  la  perfetta  analogia  degli  uni  cogli  altri  per  condizioni  mi- 
neralogiche e geologiche.  In  conseguenza  l’autore  intravede  per  ambedue  anche 
l’identicità  d’origine  e di  epoca  di  formazione.  Al  qual  proposito,  basandosi  sugli 
argomenti  comprovanti  l’età  posteocenica  dei  depositi  elbani  e la  loro  genesi  per  chi- 
mica sostituzione,  si  oppone  all’opinione  del  Sjògren,  il  quale  ritiene  quelli  del  Banato 
quali  sedimenti  contemporanei  alle  roccie  incassanti,  le  quali  spettano  all’età  arcaica. 

Lotti  B.  — Sulla  frana  di  Monteterzi  presso  Volterra.  (Boll.  Com. 
Geol.,  7-8).  — Roma. 

Descritto  il  fenomeno  e le  condizioni  geologiche  della  regione  circostante  ed 
in  particolare  del  terreno  nel  quale  avvenne  la  frana,  l’autore  ne  riconosce  le 
cause  in  uno  scalzamento  alla  base  per  opera  delle  acque  e nella  presenza  nel 
terreno  stesso  di  strati  molli  ed  acquiferi  interposti  tra  soprastanti  calcari  assor- 
benti e sottostanti  argille  impermeabili;  sulle  quali  ultime  avvenne  lo  sdrucciola- 
mento della  massa,  privata  di  sua  scarpata  naturale.  Emette  parere  da  ultimo 
sul  modo  di  provvedere  al  consolidamento  del  terreno  il  quale  si  trova  tuttora 
in  condizioni  di  equilibrio  instabile. 

La  nota  è accompagnata  da  una  tavola  contenente  la  topografìa  e tre  sezioni 
geologiche  del  terreno  franato. 

Lotti  B.  — Le  condizioni  geologiche  di  Firenze  per  le  trivellazioni 
artesiane.  (Boll.  Com.  Geol.,  9-10).  — Roma. 

Il  rilevamento  geologico  in  grande  scala  dei  dintorni  di  Firenze  ed  i lavori 
di  perforazione  eseguitivi  somministrarono  all’autore  positivi  criteri  per  giudicare 


— 305  — 


* 


della  probabilità  o meno  di  provvedere  d’abbondanti  acque  potabili  la  città  anzi 
detta  col  mezzo  di  pozzi  artesiani.  La  costituzione  geologica  e la  tettonica  della 
regione  circostante,  delle  quali  l’autore  rende  esatto  conto,  lo  fanno  pronunciare 
in  senso  favorevole.  Egli'constata  la  presenza,  continuata  anche  sotto  il  piano  di 
Firenze,  di  una  formazione  calcareo-argillosa  impermeabile,  susseguita  inferiormente 
da  un  terreno  arenaceo  eminentemente  assorbente,  il  quale  riposa  a sua  volta  su 
strati,  nuovamente  calcareo-argillosi,  impermeabili.  L’assieme  dei  suddetti  terreni 
appartenenti  all’eocene  ed  al  cretaceo  forma  una  sinclinale  nel  mezzo  della  quale 
siede  la  città.  Dall’inclinazione  degli  strati  risulta  inoltre  che  la  linea  di  contatto 
tra  le  formazioni  impermeabili  e l’acquifera  trovasi  probabilmente  non  al  di  là 
dei  300  metri  sotto  il  terreno  detritico  della  pianura,  con  un  dislivello  tra  questa 
e la  linea  di  carico  (affioramento  presso  San  Domenico  sotto  Fiesole)  di  circa 
100  metri. 

Una  tavola  di  sezioni  geologiche  alla  scala  di  1 per  50  000  è unita  al  testo 

Lotti  B.  — Sui  marmi  della  Montagnola  Senese.  (Proc.  verb.  Soc. 
toscana,  Voi.  VI).  — Pisa. 

Questi  marmi  riferiti  per  lo  addietro  al  lias  sono  ritenuti  triasici  dall’autore, 
per  le  condizioni  di  giacitura  e per  l’analogia  loro  colla  sene  triasica  delle  Alpi 
Apuane. 

Mariani  E.  — Descrizione  dei  terreni  miocenici  fra  la  Scrivia  e la 
Staffora.  (Boll.  Soc.  Geol.,  V,  3).  — Roma. 

Nella  parte  geologica  della  memoria  l’autore  passa  in  rivista  tutti  i precedenti 
studi  e pubblicazioni  sulla  regione  in  parola  e,  fatte  alcune  osservazioni  sul  signi- 
ficato e sulla  presenza  in  Italia  del  piano  oligocenico,  passa  ad  indicare  la  costi- 
tuzione litologica  e stratigrafica  ed  i limiti  dei  diversi  piani  formanti  la  serie  mio- 
cenica nella  regione  predetta.  Termina  coll’esporre  le  vicende  di  quel  suolo 
durante  il  periodo  miocenico  e stabilisce  per  esso  la  seguente  cronologia  dei 
terreni  : 

Piano  Bormidiano  : arenarie  micacee,  molasse,  conglomerati  ofìolitici  e 

* 

marne  scistose. 

» Langhiano:  marne  grigie  scistose  e più  compatte,  molasse  con 
straterelli  di  conglomerati  ofiolitici. 

» Elveziano : molasse  sabbiose  e giallastre,  calcari  arenacei. 

» Tortoniano  : marne  azzurre  a pleurotome,  calcari  marnosi  a lueine. 

» Messiniano  : arenarie  con  filladi,  calcari  marnosi,  marne  fogliet- 

tate,  gessi. 

La  seconda  parte  del  lavoro  contiene  l’elenco  dei  fossili  dall’autore  raccolti 


— 306  — 


e finora  determinati,  colla  citazione  di  tutti  quei  lavori  nei  quali  ogni  singola 
specie  venne  descritta  e figurata  e delle  località  in  cui  ne  rinvenne  degli  esemplari. 

Mariani  E.  — La  molassa  miocenica  di  Varano.  (Atti  Soc.  It.  di  scienze 
naturali,  Voi.  XXX,  3).  — Milano. 

All’elenco  sistematico  ed  in  parte  anche  descrittivo  di  36  specie  fossili,  tra  le 
quali  predominano  i molluschi  lamellibranchi,  l’autore  premise  delle  notizie  sulla 
serie  stratigrafica  che  accompagna  la  molassa  in  parola,  e delle  considerazioni 
sull’analogia  o meno  della  fauna  illustrata  con  altre  faune  italiane  ed  estere.  Gli 
è risultato  che  i più  stretti  rapporti  colla  medesima  si  trovano  nelle  faune  del 
Langhiano  di  Stilo,  Guardavalle,  ecc.,  in  provincia  di  Reggio  di  Calabria,  dei  colli 
di  Torino,  dello  Schlier  di  Ottnang,  degli  strati  di  Leytha,  ecc.  Conclude  col  ri- 
tenere che  la  molassa  di  Varano,  in  un  col  conglomerato  soprastante,  appartenga 
al  Langhiano  (parte  inferiore  del  miocene  medio),  e che  la  fauna  inclusa,  se  non 
affatto  litoranea,  sia  però  di  mare  non  molto  profondo. 

Mariani  E.  e Parona  C.  F.  — Fossili  tortoniani  di  Capo  S.  Marco 
in  Sardegna  (Atti  Soc.  It.  se.  nat.,  Voi.  XXX.  fase.  8).  — Milano. 

Dalle  considerazioni  svolte  dagli  autori  sulla  serie  stratigrafìca  da  cui  è co- 
stituita detta  punta,  formante  l’estremità  Nord  del  golfo  d’Oristano,  ed  in  base 
specialmente  ad  esame  comparativo  sulla  distribuzione  dei  fossili  in  questi  ed  in 
corrispondenti  terreni  d’  Italia,  deducesi  che  il  giacimento  di  S.  Marco  deve 
essere  riferito  al  miocene  superiore  e precisamente  al  piano  tortoniano. 

A queste  considerazioni  tien  dietro  l’elenco  sistematico  e ragionato  dei  fossili, 
rappresentati  da  94  generi  e 197  specie,  tra  cui  30  generi  di  foraminiferi  e 31  di 
lamellibranchi,  sussidiato  inoltre  da  indicazioni  dei  luoghi  di  rinvenimento  di  specie 
identiche  in  altre  località  italiane. 

Mattirolo  E.  — Sugli  scisti  argillosi  della  nuova  galleria  dei  Giovi. 
(Boll.  Com.  Geol.,  3-4).  — Roma. 

Incaricato  da  una  Commissione  ministeriale  dell’esame  fisico,  chimico  e petro- 
grafìco  di  alcuni  campioni  della  roccia  attraversata  dalla  suindicata  galleria  in  co- 
struzione, l’autore  partecipa  i risultati  delle  prime  osservazioni.  La  roccia  vien  ca- 
ratterizzata per  argillo-scisto  carbonióso  e calcarifero,  ossia,  per  galestro,  d’epoca 
eocenica,  e spettante  al  piano  liguriano.  In  base  all’analisi  chimica,  all’esame  mi- 
croscopico ed  al  comportarsi  della  roccia  nelle  esperienze  atte  a constatarne  la 
facoltà  assorbente  dell’umidità,  l’autore  esprime  il  convincimento  che  i movimenti 
avveratisi  nella  costruzione  della  galleria  sieno  dovuti  al  rigonfiamento  dello  scisto 


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argilloso  stesso  in  causa  dell’ idratazione  delle  sue  parti  marnose  e dell’alterarsi 
delle  piriti  che  esso  contiene. 

Mazzuoli  L.  — Sul  carbonifero  della  Liguria  occidentale.  (Boll.  Corri. 
Geol.,  1-2).  — Roma. 

Questo  studio  descrittivo  analitico,  col  quale  l’autore  accompagna  il  rileva- 
mento geologico  da  lui  eseguito  della  regione  superiore  della  Bormida,  conferma 
le  precedenti  deduzioni  dell’autore  stesso,  secondo  le  quali  i terreni  antracitiferi 
dell’ Appennino  ligure  occidentale  venivano  riferiti  al  carbonifero.  Il  medesimo 
coll’aiuto  di  analisi  petrografìche  e chimiche,  ha  inoltre  dimostrato  che  le  roccie 
del  terreno  in  parola  sono  conformi  per  natura  e per  ordine  di  sovrapposizione 
a quelle  dei  lembi  carboniferi  studiati  da  diversi  geologi  in  varie  località  delle 
Alpi. 

In  quanto  ai  giacimenti  d’antracite,  di  cui  la  formazione  della  Bormida  pre- 
senta numerose  traccie  che  diedero  luogo  a molti  lavori  d’esplorazione,  l’autore  si 
pronuncia  riserbatamente,  notando  però  che  per  le  condizioni  tettoniche  dei  bacini, 
per  la  scontinuità  dei  giacimenti,  per  la  qualità  e potenza  dei  carboni,  V industria 
nazionale  non  avrebbe  a fare  grande  assegnamento  su  quest’ultimi. 

Unita  alla  memoria  è la  Carta  geologica  del  terreno  carbonifero  della  Liguria 
occidentale,  in  scala  dell’l  per  50  000  ed  una  sezione  stratigrafica  attraverso  della 
medesima. 

Mazzuoli  L.  — Sulla  relazione  esistente  nelle  Riviere  Liguri  fra  la 
natura  litologica  della  costa  e quella  dei  detriti  che  costituiscono 
la  spiaggia.  (Boll.  Com.  Geol.,  9-10).  — Roma. 

Indicata  la  costituzione  litologica  delle  coste  liguri,  l’autore  esamina  la  natura, 
l’estensione  e la  provenienza  dei  vari  tipi  di  detrito  costituenti  le  spiaggie  della 
Riviera  di  Levante  e di  quella  di  Ponente,  ed  in  base  a questo  studio  conclude 
che  per  le  riviere  liguri  rimane  pienamente  confermato  dai  fatti  il  principio  sta- 
bilito dal  Cornaglia,  che  cioè  : « i materiali  che  arrivano  al  mare  rimangono  nei 
bacini  di  loro  origine.  » 

Meneghini  G.  — Actinocrinus  del  Sarrabus  in  Sardegna.  (Proc.  verb. 
Soc.  toscana,  Voi.  V).  — Pisa. 

L’autore  presenta  alla  Società  toscana  di  scienze  naturali  alcuni  pezzi  di  cal- 
cescisto con  molte  sezioni  di  Actinocrinus  provenienti  dagli  scisti  siluriani  del 
Sarrabus  nella  località  Gennarela  presso  Villaputzu.  È lo  stesso  fossile  trovato 
dagli  Ing.  Lotti  e Zaccagna  nelle  Alpi  Apuane. 


— 308  — 


Mercalli  G.  — Il  terremoto  di  Lecco  del  20  maggio  1887.  (Atti  Soc. 

It.  di  scienze  naturali,  Voi.  XXX,  fase.  4).  — Milano. 

In  base  alle  notizie  raccolte  sul  fenomeno,  l’autore  stabilisce  l’area,  l’epicentro  ì 
e il  centro  di  scuotimento,  e fa  notare  come  l’osservata  trasformazione  del  movi-  i 
mento  sismico  da  sussultorio  in  ondulatorio  addimostri  che  anche  nei  piccoli  ' 
terremoti,  tra  i quali  classifica  questo  di  Lecco,  si  può  distinguere  un  verticale  si-  (j 
smico  ed  un’  area  esterna  ad  esso,  dove  il  movimento  emerge  con  inclinazione  j 
che  sempre  più  si  approssima  all’orizzontale.  Attribuisce  il  terremoto  descritto  ad  j 
esplosione  gazosa  e non  ammette  rapporto  diretto  e causale  tra  questo  ed  i fe*  \ 

nomeni  tellurici  che  si  verificarono  in  Liguria  nello  stesso  anno. 

. - * ■ - 1 

Mercalli  G.  — Le  lave  di  Radieofani.  (Atti  Soc.  It.  se.  nat.,  Voi.  XXX, 
4).  — Milano. 

L’autore  sottopose  a studio  microscopico  e chimico,  di  cui  rende  minuto  conto,  j 
diversi  campioni  di  lave  di  Radieofani.  per  vedere  se  tutte  si  potevano  riferire,  !. 
come  comunemente  asserivasi,  ad  una  massa  eruttiva  unica  per  il  modo  e per  il 
tempo  di  sua  eruzione. 

In  base  ai  risultati  ottenuti  egli  ritiene  che  le  anzidette  lave  rappresentino  la  ; 
seconda  fase  di  attività  del  focolare  vulcanico  dell’Amiata,  il  quale  cambiando 
la  natura  de’suoi  prodotti  mutò  pure  l’asse  eruttivo.  Nella  prima  fase  vennero  alla 
luce  le  trachiti  molto  acide  (65,89  0/0  di  silice)  a pasta  vitrea  o microfelsitica,  che 
sarebbero  un  di  mezzo  tra  le  vere  rioliti  e le  trachiti  più  acide.  Nella  seconda 
fase  l’asse  si  è spostato  d’alcuni  chilometri  più  ad  Est  e le  materie  eruttate  di- 
vennero doleriti  ed  andesiti  oliviniche  molto  meno  acide  (53  a 55  0/0  di  silice),  e 
con  esse  si  chiuse  definitivamente  l’attività  del  vulcano  Amiata-Radicofani.  L’epoca 
delle  eruzioni  di  Radieofani  è probabilmente  postpliocenica. 

È unita  al  testo  una  tavola  di  figure  rappresentanti  alcune  sezioni  sottili  delle 
lave  esaminate,  quali  si  mostrarono  a luce  naturale  sotto  il  microscopio. 

Meunier  St.  — Observations  relatives  au  tremblement  de  terre  qui  s'est 
fait  sentir  en  Ligurie  le  23  fevrier  1887.  (Bull.  Soc.  Geol.  de  Fr., 

T.  XV,  n.  6).  — Paris. 

L’autore  rileva  dapprima  la  distribuzione  simmetrica  ben  decisa  delle  zone 
più  scosse  e di  quelle  più  preservate  dagli  effetti  del  terremoto  del  23  febbraio, 
a destra  e a sinistra  di  un  asse  che  dal  Colle  di  Tenda  va  a Barcelonnette  pas- 
sando per  Diano  Marina,  che  fu  il  punto  più  colpito.  Alle  due  estremità  di  questa 
zona  stanno  Genova  e Cannes  che-  ne  andarono  quasi  immuni. 

Osserva  quindi  che  vi  ha  anche  una  specie  di  parallelismo  fra  i due  ordini 


— 309  — 


di  fatti  geologici  e dinamici.  Diano  Marina  è sul  prolungamento  della  cresta  gra- 
nitica principale  della  catena  alpina.  Presso  Genova  e Cannes  affiorano  roccie 
cristalline  e gl’intervalli  sono  formati  da  terreni  sedimentari  dal  giurassico  alinocene, 
fatta  astrazione  da  depositi  superficiali  pliocenici  e da  alcune  roccie  eruttive.  Trova 
una  certa  analogia  fra  i fenòmeni  acustici  ed  i sismici,  cioè  un’  alternanza  in  pro- 
fondità di  ventri  e nodi. 

Il  contrasto  poi  che  si  presenta  di  spaventose  ruine  a lato  di  località  quasi 
intatte,  crede  dovuto  oltre  che  alla  natura  delle  costruzioni,  all’  influenza  manifesta 
delle  roccie  superficiali. 

Espone  infine  l’opinione  che  gli  pare  più  verosimile  sul  meccanismo  per  il 
quale  l’acqua,  causa  ormai  incontestata  del  fenomeno,  penetra  nel  laboratorio  sot- 
terraneo ove  si  produce  la  sua  forza  esplosiva  istantanea. 

L’acqua  che  per  azione  capillare  penetra  nelle  regioni  profonde,  trova  un 
ostacolo  nelle  alte  temperature  infragranitiche  : si  hanno  così  due  zone  concen- 
triche sovrapposte,  la  più  esterna  satura  di  umidità,  la  più  profonda  assolutamente 
secca.  Ora  contraendosi  di  quantità  ineguali  la  crosta  solida  ed  il  nocciolo  an- 
cora fluido,  ne  derivano  in  quella  delle  fenditure  e stiramenti  che  devono  produrre 
il  trituramento  delle  parti  interne:  così  accadrà  che  dei  blocchi  della  zona 
impregnata  d’umidità  giungano  negli  spazi  incandescenti,  producendo  per  la 
forza  elastica  del  vapore  esplosioni,  tremiti,  rombi  sotterranei,  insomma  tutti  i 
fenomeni  sismici.  Con  tali  ipotesi  l’autore  si  dà  ragione  dei  diversi  fatti  osservati 
nei  terremoti,  nonché  nelle  eruzioni  vulcaniche  che  non  sarebbero  che  un  semplice 
epifenomeno  di  essi. 

Mierisch  Br.  — Die  Auswurfsblóeke  des  Monte  Somma.  (Tschermak, 
Minerai,  und  petrogr.  Mittheilungen,  B.  Vili).  — Wien. 

L’autore  distingue  nei  projetti  del  Monte  Somma  due  specie  principali,  vale 
a dire  : frammenti  di  antiche  lave  (leucitofiro  e trachite)  senza  elementi  metamor- 
fici ; blocchi  di  calcare  o di  silicati,  ricchi  d’elementi  neogenici.  Il  presente  studio 
micro-petrografico  s’occupa  esclusivamente  di  questa  seconda  specie  di  projetti,  dei 
quali  analizza  l’organizzazione  e i singoli  costituenti  ed  indaga  l’origine  probabile. 

La  massa  o nucleo  principale  dei  blocchi  projettati  si  compone  di  calcite, 
augite,  mica  ed  olivina,  mentre  allo  stato  semplicemente  drusiforme  l’autore  vi 
ha  riscontrato  i minerali  seguenti  : vesuviana,  forsterite,  humite,  chondrodite,  clino- 
humite,  quasi  tutte  le  varietà  del  granato,  sarcolite,  mejonite.  bumboldtilite,  leucite, 
nefelina,  microsommite,  sodalite,  hauyna,  berzelina,  wòllastonite,  orneblenda,  sa- 
nidina,  andesina,  anortite,  titanite,  spinello,  magnetite,  pirite  marziale  e pirite 
magnetica. 


20 


— 310  - 


Moderni  P.  — Note  geologiche  sul  gruppo  vulcanico  di  Roccamonfina. 
(Boll.  Com.  Geol.,  3-4).  — Roma. 

Basandosi  sulla  distribuzione  dei  diversi  prodotti  d’eruzione,  sull’ordine  di  loro 
sovrapposizione  e sull’analisi  petrografia  dei  medesimi  eseguita'  dal  Dott.  Bucca, 
l’autore  distingue  nel  sistema  vulcanico  di  Roccamonfina  tre  successive  grandi 
fasi  d’eruzione,  delle  quali  la  più  antica  sarebbe  la  leucitica,  la  seconda  la  trachi- 
tica  e la  terza  ed  ultima  la  basaltica.  La  prima  fase  viene  inoltre  da  lui  suddivisa 
in  due  periodi,  il  più  antico  dei  quali  è caratterizzato  dalla  leucitite  èd  il  secondo 
dalla  tefrite  leucitica. 

Questo  studio  è corredato  da  una  carta  geologica  cromo-litografica  del 
gruppo  vulcanico  descritto,  in  scala  di  1 a 100  000,  stata  rilevata  dallo  stesso 
autore. 

Molinari  Fr.  — Le  funzioni  della  silice  nella  crosta  terrestre.  (Atti 
Soc.  It.  se.  nat.,  Voi.  XXX,  4).  — Milano. 

L’autore,  col  proposito  d’ iniziare  uno  studio  sintetico  delle  funzioni  della  silice 
nella  crosta  terrestre,  ha  eseguito  durante  parecchi  anni  una  serie  di  esperimenti 
chimico-fìsici  nel  laboratorio  del  civico  Museo  di  storia  naturale  in  Milano,  ed  in 
base  ai  risultati  dei  medesimi  ha  compilato  la  presente  memoria  nella  quale  è in- 
terpretata scientificamente  l’origine  di  diversi  minerali  e roccie,  tra  cui  il  quarzo, 
l’opale,  la  calcedonia,  il  diaspro,  le  ftaniti  ed  i silicati  naturali  in  genere. 

Negri  A.  — L’ anfiteatro  morenico  dell' Astieo  e l’epoca  glaciale  nei 
Sette  Comuni.  (Atti  R.  Ist.  Veneto,  S.  VI,  T.  V,  6).  — Venezia. 

Dallo  studio  particolareggiato  sulla  distribuzione  dei  depositi  glaciali  nella 
regione  sopraindicata,  sulla  natura  litologica  dei  medesimi,  sulle  condizioni  delle 
prealpi  venete  in  correlaziene  col  sistema  orografico  e glaciale  delle  Alpi  orientali 
l’autore  deduce: 

Che  vi  fu  un’  epoca  in  cui  i Sette  Comuni  e le  valli  adiacenti,  al  pari  di  tutto 
il  resto  della  catena  alpina  furono  sepolti  sotto  un  forte  mantello  di  nevi  e di 
ghiacci. 

Che  vi  furono  ghiacciai  relativamente  potenti  nella  Val  d’Assa  e nella  valle 
dell’Astico,  oltreché  in  quella  del  Brenta. 

Che  questi  ghiacciai  ebbero  diretto  rapporto  con  quelli  della  Val  di  Pusteria 
potendo  così  convogliare  detrito  di  roccie  anche  molto  lontane,  come  per  esempio^ 
del  gneiss  di  Brunecco. 

Che  il  ghiacciaio  dell’Astico  si  mantenne  colla  sua  fronte  presso  allo  sbocco 
della  valle  un  tempo  sufficientemente  lungo  per  poter  costruire  un  piccolo  anfiteatro 


morenico,  il  quale  riproduce  molte  particolarità  caratteristiche  dei  più  giganteschi 
anfiteatri  alpini. 

Negri  G.  B.  — Nota  cristallografica  sulla  apofillite  di  Montecchio 
Maggiore.  (Atti  R.  Ist.  Veneto,  S.  VI,  T.  V,  1).  — Venezia. 

Espone  il  risultato  dello  studio  cristallografico  intrapreso  su  questa  spe- 
cie minerale  posseduta  dal  Museo  mineralogico  di  Padova,  sia  in  piccoli  cri- 
stalli di  2 mill.  X 2mm  X I”  nel  basalto  amigdaloide,  sia  in  bei  cristalli  nitidi  di 
5 mill.  X 5““  X 2mm  in  geodi  entro  ad  un  basalto  in  parte  decomposto.  In  due  pro- 
spetti sono  consegnati  gli  elementi  misurati  e calcolati  dei  cristalli  stessi,  ed  infine 
segue  un  elenco  bibliografico  sull’  apofillite. 

Negri  G.  B.  — Nota  cristallografica  sullo  zircone  di  Lonedo  (Vicenza). 
(Atti  R.  Ist.  Veneto,  S.  VI,  T.  V,  6).  — Venezia. 

Fra  i detriti  gemmiferi  di  Lonedo  lo  zircone  si  rinviene  in  grande  abbon- 
danza. Si  presenta  non  tanto  in  granuli  di  color  rosso  giacinto  o giallo  paglie- 
rino, quanto  in  cristalli  ; e di  questi  1’  autore  si  è occupato  nella  presente  nota. 
Le  combinazioni  rinvenute  su  cento  cristalli  studiati  sono  le  seguenti:  (100)  (111) 
10  volte  ; (100)  (110)  (111)  52  volte;  (100)  (110)  (111  (331)  1 volta  ; (100)  (110)  (111) 
(311)  32  volte  ; (100)  (111)  (311)  1 volta  ; (100)  (110)  (111)  (331)  (311)  4 volte,  Di 
ciascuna  combinazione  dà  i caratteri  fìsici  e cristallografici,  e fa  seguire  i pro- 
spetti cogli  elementi  misurati  e calcolati,  dando  in  fine  un  elenco  bibliografico  su 
questo  minerale.  In  una  tavola  sono  disegnati  i cristalli  delle  singole  combina- 
zioni. 

Neviani  A.  — Contribuzione  alla  paleontologia  della  provincia  di  Ca- 
tanzaro. (Boll.  Soc.  Geol.,  VI,  1).  — Roma. 

Rende  conto  della  scoperta  fatta  al  Monte  Pecorella,  nella  località  detta  Scaf- 
falino presso  Borgia,  di  varie  ossa  fossili  di  delfino  che  secondo  ilv  prof.  Ca- 
pellini sono  da  riferirsi  al  genere  Eudelphinus.  Fa  seguire  la  descrizione  della 
successione  delle  roccie  in  quella  regione,  costituita  dal  basso  all’  alto  : 1°  da 
roccie  cristalline  paleozoiche  (gneiss)  ; 2°  roccie  gessoso-marnose  degli  strati  a 
congerie  ; 3°  conglomerato  del  pliocene  inferiore  ; 4°  argille  turchine  marnose  ; 
5°  argille  sabbiose  e sabbie  argillose  ; 6°  sabbie  gialle  ; 7°  arenarie  e conglo- 
merati del  quaternario. 

Il  Monte  Pecorella  consta  in  basso  di  marne  argillose  che  salendo  diventano 
sempre  più  sabbiose,  sicché  passano  alle  sabbie  gialle.  Da  queste  argille  sabbiose 
provengono  le  ossa  fossili  suindicate,  insieme  ad  altri  fossili  dei  quali  è dato 
1’  elenco.  Dalle  sabbie  si  passa  insensibilmente  alle  arenarie  e al  conglomerato 


— 312  — 


quaternario,  nel  quale  ultimo  1*  autore  ha  trovato  ciottoli  improntati.  Questo  con-  j 
glomerato  quaternario  fu  dallo  stesso  osservato  da  Squillace  fino  a Borgia,  diviso  I 
in  varii  strati  intercalati  alle  arenarie  silicee  che  formano  gli  altipiani  a Nord  I 
della  Calabria  meridionale. 

Dà  infine  il  catalogo  dei  mammiferi  marini  rinvenuti  fossili  in  Calabria. 

Neviani  A.  — Contribuzioni  alla  geologia  del  Catanzarese.  (Boll.  Soc* 
Geol.,  VI,  2).  — Roma. 

Nella  prima  parte  di  questo  lavoro  l’autore  si  occupa  delle  formazioni  ter- 
ziarie della  valle  del  Mesima.  Passa  prima  in  rassegna  i lavori  pubblicati  su 
questo  argomento  da  varii  geologi  ; espone  in  seguito  come  egli  ritenga  formata.  | 
la  serie  stratigrafica  che,  sui  dati  dei  fossili  ivi  raccolti,  così  riepiloga  : 
Posterziario.  — Sahariano  (arenarie  silicee). 

^ Siciliano  (calcare  grossolano  a brachiopodi  e briozoi). 

Pliocene . — < Astiano  (argille  turchine). 

/ Zancleano  (marna  bianca  a Pecten  histrix  e P.  coniitatus). 

? Conglomerato  di  Soriano. 

Miocene.  — Elveziano  (arenaria  a clipeastri  e calcare  madreporico). 

Paleozoico  ? — Roccie  cristalline  diverse. 

Nella  seconda  parte  prende  ad  esame  la  regione  posta  fra  i due  grandi  fiumi 
della  Calabria,  il  Tacina  ed  il  Neto.  In  essa  predominano  i terreni  pliocenici.  Solo 
a N.O,  cioè  sotto  Cutronei,  sonovi  arenarie  micacee  probabilmente  dell’aquita- 
niano  poggianti  su  roccie  cristalline.  Il  messiniano  è rappresentato  da  piccoli  affio- 
ramenti di  gesso  presso  la  stazione  di  Rocca  Bernarda.  L 'astiano  e il  sahariano , • 
dominanti,  sono  rappresentati  da  argille  e da  sabbie. 

Fatta  una  descrizione  topografica  della  regione,  cita  le  diverse  località  fossilifere, 
enumerando  i fossili  raccoltivi  e quelli  citati  da  varii  autori.  L’ inclinazione  pre- 
dominante degli  strati  è quella  da  N.  E a S.O  ; la  variazione  dipende  da 
condizioni  batimetriche  del  fondo  del  mare  terziario,  ritenendo  1’  autore  che  la 
zona  pliocenica  si  sia  uniformemente  sollevata.  La  formazione  quaternaria  è rap- 
presentata da  banchi  calcarei  discordanti  colle  roccie  plioceniche,  e forma  gli 
altipiani  che  si  estendono  da  Isola  Capo  Rizzuto  al  Capo  Colonne. 

Riporta  da  ultimo  un  elenco  complessivo  di  tutti  i fossili  conosciuti  di  queste 
regioni,  indicando  la  provenienza  di  ciascuna  specie,  sia  delle  sabbie  che  delle 
argille,  distinguendo  pure  quelle  della  collezione  dell’  autore  da  quelle  citate  da 
altri.  Le  forme  raccolte  sono  229,  riunite  in  113  generi,  delle  quali  46  esclusive 
delle  sabbie,  124  delle  argille  e 24  comuni;  il  rapporto  delle  specie  viventi  è di 
circa  il  45  %,  delle  quali  34  appartengono  alle  sabbie  e 63  alle  argille. 


— 313  — 


Nicolis  E.  — Le  marne  di  Porcino  Veronese  ed  i loro  paralleli. 
(Atti  R.  Ist.  Veneto,  S.  VI,  T.  V,  7).  — Venezia. 

Sul  livello  delle  argille  di  questa  valle  erano  finora  divisi  i pareri  dei  geologi, 
ritenendole  alcuni  plioceniche  altre  mioceniche  (tortoniane).  L’ autore,  che  nelle 
sue  note  illustrative  alla  Carta  geologica  della  provincia  di  Verona  da  esso  rile- 
vata, aveva  già  accennato  a questo  lembo  terziario,  ne  tratta  ora  ampiamente  in 
questo  lavoro  ; e basandosi  su  argomenti  oro-idrografici,  tettonici,  stratigrafici  e 
specialmente  paleontologici  svolti  con  molta  dottrina,  conclude  col  ritenere  che 
questa  valle  è una  propagine  meridionale  della  catena  baldense;  che  vi  mancano 
i depositi  marini,  riscontrandovisi  invece  le  traccio  di  una  fase  di  superficie  conti- 
nentale; che  le  marne  di  Porcino  non  sono  in  posto,  ma  ivi  scivolarono,  sul  finire 
dell’epoca  glaciale,  dall’ampia  valle  sinclinale  baldense  di  Novezza,  Ferrara  e 
Spiazzi,  ove  esistono  analoghi  e coevi  sedimenti  ; e che  infine  la  fauna  fossile  di 
questa  valle  di  Porcino  offre  le  maggiori  analogie  con  quella  dell’  oligocene  in- 
feriore, alla  quale  la  riferisce,  notando  che  la  differenza  fra  essa  ed  altre  faune 
oligoceniche  del  Veneto  dipende  dall’  avere  la  prima  una  facies  di  mare  pro- 
fondo, mentre  le  altre  vissero  in  una  zona  batimetrica  più  elevata. 

Palmeri  P.  — Il  pozzo  artesiano  dell ’ Arenacela  del  1880  confrontato 
con  quello  del  Palazzo  Reale  di  Napoli  del  1847.  (Lo  spettatore 
del  Vesuvio  e dei  Campi  Flegrei,  Nuova  Serie,  Voi.  1°).  — Napoli. 

Riporta  i risultati  dell’  analisi  fisico-chimica  delle  acque  e delle  roccie  diverse 
incontratesi  nella  trivellazione  di  un  pozzo  artesiano  eseguita  nell’  officina  del  gas 
di  Napoli  e constata  la  grande  somiglianza  di  esse  roccie  con  quelle  perforate 
dal  pozzo  del  Palazzo  Reale,  sia  per  la  natura  loro  che  per  1’  ordine  di  succes- 
sione. Dal  confronto  poi  di  questi  prodotti  con  quelli  vesuviani  e dei  Campi  Flegrei, 
1’  autore  deduce  che  la  formazione  flegrea  spingesi  sino  all’  Arenacela,  la  quale 
dista  dal  mare  400  m.  e dal  pozzo  della  Reggia  2700  m.  più  verso  il  Vesuvio;  e che 
in  quella  medesima  località  alternano  lembi  di  detta  formazione  con  lembi  di  produ- 
zione vesuviana  in  corrispondenza  all’alternata  attività  or  dell’  uno  ed  ora  dell’  altro 
dei  centri  rispettivi  d’  eruzione. 

La  memoria  è accompagnata  da  una  tavola  di  sezioni  geologiche  dei  due  pozzi 
-artesiani. 

Palmieri  L.  — Il  Vesuvio  e la  sua  storia . (Lo  spettatore  del  Vesu- 
vio, ecc.,  N.  Serie,  Voi.  1°). — Napoli. 

Racconta  minutamente  e per  ordine  cronologico  le  più  grandi  conflagrazioni 
vesuviane  avvenute  nell’  epoca  storica  dal  79  al  1882,  deducendone  le  notizie  dagli 


— 314  — 


storici,  dai  cronisti,  dagli  scrittori  speciali  di  cose  vesuviane  e dagli  annali  del-  j 
l’Osservatorio.  L’  autore  riguarda  queste  fasi  di  grande  violenza,  come  avvenute 
per  lo  più  a compimento  d’  uri  periodo  eruttivo,  preceduto  quasi  sempre  da  mode- 
rata attività  e susseguito  da  alcuni  anni  di  riposo,  durante  i quali  il  vulcano  ha 
presentato  soltanto  il  consueto  lavorio  delle  sue  fumarole. 

Panebianco  R.  — Berillo  ed  altre  gemme  di  Lonedo . (Atti  R.  Istituto 
Veneto,  S.  VI,  T.  V,  4).  — Venezia. 

Il  berillo,  lo  studio  cristallografico  del  quale  è oggetto  della  nota,  esiste 
sino  dal  1823  nel  Museo  mineralogico  dell’Università  di  Padova  e proviene  dalle 
sabbie  gemmifere  di  Lonedo  nel  Vicentino,  scoperte  sino  dal  1764  da  Giovanni 
Arduino.  Le  varietà  rappresentate  sono  lo  smeraldo,  l’acquamarina  ed  il  berillo 
incolore.  I cristalli  sono  piccoli  e di  rado  completi.  La  combinazione  spiccante  è 
il  prisma  esagono  con  la  base. 

L’  autore,  che  ha  visitato  più  volte  i campi  gemmiferi  di  Lonedo,  ha  constatato 
che  le  loro  sabbie,  composte  di  frammenti  di  pleonasto,  di  menaccanite,  di  limo- 
nite,  di  quarzo,  di  feldspati,  d’olivina,  magnetite,  pirosseno  ecc.  contengono  oltre 
al  berillo  anche  i seguenti  minerali  accessori:  zircone,  corindone,  spinello  e to- 
pazio, dei  quali  egli  indica  le  principali  caratteristiche  fìsiche  e cristallografiche. 

In  una  tavola  annessa  sono  figurate  e sviluppate  le  forme  del  berillo  analizzato,  j 

Pantanelli  D.  — Specie  nuove  di  molluschi  del  miocene  medio,  (Boll. 
Soc.  Malac.  It.,  Voi.  XII).  — Pisa. 

Continua  la  descrizione  formulata  delle  seguenti  17  specie  nuove  di  molluschi,, 
provenienti  dai  terreni  di  Pavullo  in  provincia  di  Modena  e da  quelli  di  Pantano  in 
provincia  di  Reggio:  Eburnee  sphaerica,  Halia  praecedens,  H.  striata , Clathu - 
rella  Marolae,  Daphnella  De  Stefani,  Xenophora  depressa,  Sealaria  Bellardii, 
Scalaria  ( Cirsotrema)  Marolae , S.  ( Cir .)  Hórnesi,  S.  ( Cir .)  Michelotti,  S.  ( Clatrus ) 
Doderleini , S.  (CI.)  Seguenzai,  Erato  incrassata,  Psammobia  ornatissima , 
Tapes  infata,  Cryptodon  obliquatum,  Lucina  Isseli. 

I fossili  descritti  sono  figurati  su  di  una  tavola  annessa  al  testo. 

Pantanelli  D.  — I cosi  detti  ghiacciai  apenninici.  (Proc.  verb.  Soc. 
toscana,  Voi.  V).  — Pisa. 

L’ autore  risponde  ad  alcuni  appunti  fattigli  dal  prof.  De  Stefani  alle  sue  co-  j 
municazioni  del  14  novembre  1886  sui  così  detti  ghiacciai  appenninici,  riferendosi 
alle  obbiezioni  già  fatte,  per  le  quali  nega  che  gli  Appennini  abbiano  avuto  dei 
ghiacciai  e che  questi  abbiano  lasciato  traccie  di  sè. 


— 315  — 


Pantanelli  D.  — Radiolarie  nei  diaspri.  (Proc.  verb.  Soc.  toscana, 
Voi.  VI).  — Pisa. 

Espone  da  quali  motivi  lo  Haeckel  nel  Report  of  thè  scientific  resulti  on 
thè  voyage  of  H.  M.  S.  Challdnger  fu  indotto  a mettere  in  dubbio  1’  età  eoce- 
nica attribuita  dall’  autore  della  presente  comunicazione  alle  radiolarie  da  lui  stu- 
diate nei  diaspri  di  Toscana.  Sostiene  con  nuovi  argomenti  1’  emessa  opinione,  di- 
mostrando la  non  dubbia  eocenicità  dei  diaspri  esaminati. 

Pantanelli  D.  e Mazzetti  G.  — Cenno  monografico  intorno  alla  fauna 
fossile  di  Monte  se  ; parte  II.  (Mem.  Società  Naturalisti,  S.  Ili, 
Voi.  IV).  — Modena. 

In  questi  cenni,  che  fanno  seguito  a quelli  pubblicati  nel  voi.  VI  degli  Atti 
della  stessa  Società  (1885),  sono  descritti  esclusivamente  i molluschi.  Vi  è però 
premessa  un’  appendice  per  gli  echinodermi  che  furono  raccolti  nel  periodo  fra 
questa  e la  precedente  pubblicazione.  I molluschi  provengono  principalmente  dalle 
tre  località  di  Montese,  Pantano  e Pavullo.  Tali  località  per  gli  strati  contenenti 
molluschi,  che  sono  superiori  a quelli  che  hanno  fornito  il  maggior  numero  di 
echinidi,  contengono  una  fauna  che  gli  autori  ritengono  sincrona  a quella  di  Su- 
perga.  A questi  due  strati  fossiliferi,  ben  distinti  dai  molluschi  e dagli  echinidi, 
del  miocene  medio,  seguirebbero  marne,  arenarie  e calcari  ricchissimi  di  forami- 
nifere,  con  rari  molluschi,  pure  del  miocene.  In  una  tavola  litografata  sono  dise- 
gnate le  specie  nuove  descritte. 

Parona  C.  F.  — Appunti  per  la  paleontologia  miocenica  della  Sar- 
degna. (Boll.  Soc.  Geol.,  VI,  3).  — Roma. 

In  questa  seconda  nota  sulla  fauna  miocenica  della  Sardegna,  l’autore  pre- 
senta un  catalogo  ragionato  dei  fossili  raccolti  dal  prof.  Lovisato  in  diversi  lembi 
terziarii  più  antichi  di  quello  di  Capo  S.  Marco,  riferito  già  dall’autore  e dal  Ma- 
riani al  miocene  superiore;  dove  la  presenza  di  parecchie  specie  di  Pecten  comuni 
al  miocene  medio,  fa  vedere  il  legame  tra  la  fauna  di  questo  lembo  con  quella 
dei  depositi  del  miocene  medio  delle  varie  parti  dell’  isola.  La  fauna  di  questi 
lembi  è assai  varia,  e con  fossili  numerosi:  oltre  le  foraminifere  delle  argille  del 
Fangario,  illustrate  dal  Fornasini,  furono  riconosciute  dall’autore  più  che  184  specie; 
il  Bassani  vi  determinò  26  pesci  e due  specie  di  crostacei  il  dott.  Ristori. 

Nel  mentre  che  viene  dimostrata  la  mancanza  del  pliocene  nell’  isola,  si  ven- 
gono distinguendo  con  qualche  sicurezza  alcuni  piani  importanti  del  miocene;  e 
l’autore,  come  resultato  dello  studio  di  questa  fauna,  crede  di  potere  asserire  che 
i giacimenti  di  Isili  e di  Fontanazzo  spettano  probabilmente  aLÌVaquitaniano,  quello 


di  Castelsardo  al  langhiano,  e quelli  di  Fangario,  S.  Michele  e S.  Bartolomeo 
all ’elveziano,  e lo  comprova  passando  a rassegna  i fossili  caratteristici  per  cia- 
scuno di  questi  depositi. 

Piatti  A.  — La  sorgente  termo-solforosa  di  Sermione  nel  lago  di 
Garda.  (Boll.  Com.  Geol.,  5-6).  — Roma. 

L’autore  rende  conto  di  alcune  osservazioni  fatte  su  questa  sorgente,  che  sca- 
turisce a levante  della  penisola  di  Sermione,  di  fronte  quasi  alle  ruine  dette  grotte 
di  Catullo.  Essa  si  manifesta  con  bolle,  che  a circa  170  metri  dalla  spiaggia,  da 
parecchi  punti  del  fondo  vengono  a scoppiare  alla  superficie,  diffondendo  odore  di 
acido  solfìdrico.  Di  alcune  di  esse  ha,  mediante  scandagli,  determinata  la  termi- 
cità  che  gli  risultò  di  43°,  mentre  la  temperatura  dell’acqua  del  lago  era  di  18°. 
La  profondità  del  fondo  da  cui  scaturiscono  queste  polle  è di  circa  17  metri  dalla 
superfìcie.  Siccome  da  misure  attendibili  eseguite  nel  1828,  tale  profondità  resul- 
tava di  metri  30,  si  avrebbe  avuto,  in  sessantanni,  un  innalzamento  del  fondo  di 
circa  13  metri.  L’autore  si  propone  di  accertare  tale  fatto  con  scandagli  che  dieno 
la  natura  ed  il  livello  del  fondo,  intorno  a tale  sorgente. 

Pirona  G.  A.  — Nuova  contribuzione  alla  fauna  fossile  del  terreno 
cretaceo  del  Friuli.  (Atti  R.  Istituto  Veneto,  S.  VI,  T.  V,  disp.  10).  — 
Venezia. 

È la  descrizione  di  due  nuove  forme  di  rudiste,  Hippurites  hirudo  e Sphae- 
rulites  macrodon,  rinvenute  dall’autore  nel  calcare  fossilifero  di  Col  dei  Schiosi, 
su  quel  di  Polcenigo  nel  Friuli.  Per  tale  scoperta  esso  è indotto  a stabilire  che 
quel  deposito  fossilifero,  che  dapprima,  per  la  frequenza  in  esso  di  una  Chamacea 
identificata  nella  forma  esterna  colla  Requienia  Lonsdalei  Sow.,  aveva  ritenuto 
rappresentare  il  piano  urgoniano  nelle  Alpi  del  Friuli,  è invece  da  riferirsi  ad 
uno  dei  piani  della  creta  inferiore  e molto  probabilmente  al  turoniano. 

Ponzi  G.  e Meli  R.  — Molluschi  fossili  del  Monte  Mario  presso 
Moma.  (Memorie  Acc.  Lincei,  S.  IV,  Voi.  III).  — Roma. 

Questa  memoria,  cominciata  nel  1877  e rimasta  incompiuta  per  la  morte  del 
prof.  Ponzi,  portava  per  titolo:  «Nuovo  Catalogo  dei  fossili  di  Monte  Mario  », 
poiché  era  intenzione  degli  autori  di  pubblicare  l’enumerazione  di  tutti  i fossili  ivi 
raccolti.  In  questo  lavoro,  dopo  un’  introduzione  scritta  quasi  totalmente  dal  Ponzi, 
nella  quale  sono  esposte  le  ragioni  dell’opera,  e dati  alcuni  cenni  geologici  e stra- 
tigrafìci  sulla  località,  segue  l’ indicazione  delle  prime  153  specie  di  molluschi 
conchiferi  fossili  raccolti  nelle  marne  sabbiose  grigie  e nelle  sabbie  gialle  di  Monte 
Mario,  classificati  in  ordine  di  famiglia,  generi,  specie  e varietà.  Delle  150  specie 


— 317  — 


enumerate,  30  sono  estinte,  6 emigrate,  le  rimanenti  si  riconoscono  ancora  viventi 
nel  Mediterraneo,  e quantunque  non  rappresentino  che  una  parte  della  fauna  fos- 
sile di  Monte  Mario,  si  ritiene  che  gli  strati,  fossiliferi  di  questa  località  siano  da 
collocarsi  nella  parte  superiore  del  pliocene  recente. 

In  una  tavola  litografata  sono  disegnate,  come  meritevoli  di  studio  speciale, 
le  specie  seguenti:  Venus  lamellosa,  Ponz.-Reyn. ; Venus  libellus , Ponz.-Reyn. ; 
Pectunculus  insubricus,  Brocc.  ; P.  obliquatus,  Ponz.-Reyn. 

Portis  A.  — Contribuzioni  alla  ornitologia  italiana  ; Parte  2a.  (Mem. 
Accademia  delle  Scienze  di  Torino,  Serie  II,  Tomo  XXXVIII).  — 
Torino. 

In  continuazione  di  un  lavoro  pubblicato  nel  1884  nel  voi.  XXXYI  di  queste 
stesse  Memorie,  l’autore  raccoglie  in  questa  seconda  parte  tutte  le  notizie  che  si 
riferiscono  all’ornitologia  italiana,  segnalate  sino  alla  data  presente.  Le  singole 
descrizioni  riguardano  le  ornitoliti  di- Sinigaglia,  dell’Anconitano,  del  Gabbro  (pro- 
vincia di  Pisa),  gli  uccelli  sovrapliocenici  di  Palermo,  quelli  della  stazione  prei- 
storica di  Castello  nel  Trentino,  del  Buco  della  Volpe  sopra  Rovenna  (Lago  di 
Como),  della  torbiera  della  Cataragna  (anfiteatro  morenico  del  Garda),  delle  breccie 
e depositi  quaternari  di  varie  località  toscane,  della  terramara  del  Castellacelo 
(Imola)  e della  valle  della  Vibrata  (Abruzzo  Ulteriore).  In  una  tabella  è esposto 
il  complesso  della  fauna  ornitica  fossile  fin  qui  conosciuta  in  Italia,  ordinato  se- 
condo le  divisioni  dei  terreni  terziarii  proposta  dal  Mayer,  limitandosi  a segnare 
le  specie  riscontrate  in  piani  anteriori  alla  fase  glaciale. 

La  memoria  è corredata  da  una  tavola  litografata. 

Portis  A.  — I ehelonii  quaternarii  del  bacino  di  Leffe  in  Lombardia . 
(Boll.  Com.  Geol.,  1-2).  — Roma. 

Ricordato  un  lavoro  del  Sordelli,  col  quale,  fino  dal  1872,  faceva  conoscere 
la  presenza  nelle  ligniti  di  Leffe  di  piccole  tartarughe  palustri  di  specie  identiche 
alla  vivente  Emys  europaea  ( Lutremys  europaea  di  Gray),  l’autore  espone  lo 
studio  da  lui  nuovamente  intrapreso,  non  tanto  sugli  stessi  avanzi  fossili  di  Leffe 
già  determinati  dal  Sordelli,  quanto  su  altri  materiali  avuti  dal  Museo  Civico  di 
Milano,  provenienti  dalle  torbiere  della  Cataragna  (provincia  di  Brescia)  e da 
quelle  presso  Desenzano.  Dall’esame  di  questi  fossili  ha  potuto  assicurarsi  che 
essi  appartengono  tutti  ad  una  sola  ed  unica  specie  vivente  ancora  (benché  più 
limitata  topograficamente)  in  Italia.  Concordando  colle  idee  del  Sordelli  sulla  for- 
mazione del  bacino  di  Leffe  e sulla  attuale  distribuzione  topografica  della  Lutre- 
mys europaea,  conclude  che  il  clima  della  valle  padana,  cessata  la  fase  di  espan- 
sione glaciale,  t aveva  raggiunto,  presso  a poco,  la  media  che  esso  aveva  prima 


— 318  — 


della  suddetta  fase,  e che  in  seguito  andò  gradatamente  e lentamente  raffreddan- 
dosi, obbligando  questa  specie  a lasciare  un  sempre  più  vasto  territorio  inabitato. 

Portis  A.  — Sulla  scoperta  delle  piante  fossili  carbonifere  di  Vìozene 
nelValta  valle  del  Tanaro.  (Boll.  Com.  Geol.,  11-12).  — Roma. 

A proposito  di  una  nota  del  dott.  Squinabol  su  alcune  impronte  fossili  nel 
carbonifero  di  Pietratagliata,  l’autore  reclama  la  priorità  della  scoperta  di  piante 
fossili  del  carbonifero  delle  Alpi  marittime  per  l’ ing.  Zaccagna,  che  le  trovò 
fino  dal  1885.  Tali  piante  studiate  dall’autore,  provengono  dalla  Valle  Negrone, 
sotto  Pian  del  Fò  (alta  valle  del  Tanaro).  La  lista  delle  piante  caratterizzanti 
questo  giacimento  delle  Alpi  marittime,  unendo  il  resultato  delle  ricerche  fatte 
dall’autore  con  quelle  dello  Squinabol,  è la  seguente:  Annulo.ria  longifolia  Brog., 
Pecopteris  nodosa  Goepp.,  cfr.  Sen/tenbergìa  ( Pecopteris ) elegans  Corda,  Poa- 
Cordaitest.  ind.,  Dora-Cordaites  ? ind. 

Rath  G.  (vom)  — Mineralien  von  Monteponi  und  Montevecchio  auf 
Sardinien . — Vesuvische  Mineralien.  — Ueber  den  Zustand  des 
Vesuvs  im  Deeember  1886.  — Ueber  die  Tuff  bruche  von  Nocera . 
(Sitzungsberichten  der  Niederrhein.  Gesellschaft,  6 juni).  — Bonn. 

In  questa  seduta  della  Società  di  Bonn,  l’autore  espone  dapprima  l’analisi  cri- 
stallografica di  alcuni  minerali  della  Sardegna,  inviatigli  dal  prof.  Lovisato:  sono 
campioni  di  solfato  di  piombo  provenienti  da  Monteponi,  rimarchevoli  per  le  variate 
forme  di  combinazione  ; e campioni  di  fosgenite  con  galena  e cerussite  ed  altri  di 
baritina  e solfo  provenienti  da  Montevecchio.  Presenta  poi  alcuni  campioni  di  mi- 
nerali vesuviani,  in  parte  assai  rari,  e ne  descrive  i caratteri  cristallografici  e la 
roccia  da  cui  provengono.  Essi  sono:  augite  gialla,  augite  giallo-verdognola,  sar- 
colite,  due  campioni  di  leucite  e due  di  humboldtilite. 

Nella  stessa  seduta  dà  conto  delle  condizioni  del  Vesuvio  nel  dicembre  1886. 
La  sua  attenzione  fu  specialmente  rivolta  ad  una  delle  ultime  colate,  emessa  al 
piede  del  vulcano  dalla  parte  di  S.O  e diretta  verso  Bosco-tre-case.  Il  carattere 
distintivo  di  questa  lava  è una  ricchezza  eccezionale  di  leuciti,  parte  in  cristalli 
isolati,  parte  ad  aggregazioni,  notando,  oltre  alle  inclusioni  (leucite,  plagioclasio, 
augite  e magnetite),  la  pasta  bruno-giallognola  e le  secrezioni  di  cristallai,  osser- 
vate al  microscopio. 

Riferisce  infine  intorno  ad  una  visita  fatta  col  dott.  E.  Fraas  alle  tufare  di 
Nocera,  presso  Napoli  dove  la  massa  tufacea,  come  tant’ altre  che  s’incontrano  dal 
Volturno  sino  a Capri  per  Nola  e Sarno,  giace  in  una  insenatura  della  montagna 
calcarea.  La  serie  di  strati  osservatavi  è la  seguente,  procedendo  dall’alto  in  basso: 
uno  strato  di  tufo  pomiceo  incoerente  dello  spessore  di  1 m.;  una  breccia  di  pa- 


— 319  — 


recclii  metri,  composti  di  grandi  blocchi  di  trachite  tufacea  e di  calcare;  da  ulti- 
mo una  massa  non  stratificata  avente  più  di  10  m.  di  potenza.  Ritiene  lo  strato  pomiceo 
prodotto  dall’attività  del  Vesuvio  in  tempi  storici,  come  la  pomice  di  Pompei,  e crede 
di  recente  formazione  anche  la  breccia  sottoposta.  Il  metamorfismo  che  presentano  le 
inclusioni  nella  roccia  trachitica  (trasformazione  di  calcare  in  fluorina  ed  in  nocerina) 
ritiene  dovuto  all’azione  della  roccia  incassante:  cita  in  proposito  le  teorie  dello 
Scacchi,  non  ammettendo  però  che  il  tufo  abbia  assunto  l’aspetto  di  trachite  per 
posteriore  fusione  ; ritiene  invece  che  la  pietra  delle  tufare  di  Nocera  e di  Sarno 
non  sia  che  una  trachite  simile  al  così  detto  piperno.  Con  ciò  le  straordinarie  in- 
clusioni di  Sarno-Nocera  non  si  spiegano,  ma  però  vengono  ravvicinate  ad  altri 
fenomeni.  Realmente  è noto  che  una  roccia  allo  stato  di  fusione  ignea  può  agire 
nelle  sue  inclusioni  metamorfosandole;  ma  mancano  affatto  i dati  positivi  che  spie- 
ghino come  ciò  possa  avvenire  anche  in  una  roccia  clasitca  per  effetto  di  poste- 
riori eruzioni  vulcaniche. 

Ricciardi  L.  — Sull * allineamento  dei  vulcani  italiani.  — Reggio 
Emilia,  1887. 

Riassunte  le  opinioni  dei  diversi  autori  che  si  occuparono  di  quest’  argo- 
mento ed  osservato  che  quasi  tutti  si  accordano  nella  coevità  delle  roccie  cristalline 
delle  Alpi,  dell’Elba,  delle  isole  Ponza  e della  Calabria,  ritiene  non  debba  escludersi 
l’ipotesi  del  Pilla  sulla  connessione  delle  Alpi  alle  Calabrie  nella  linea  Elba-Ponza 
formante  l’antica  catena  litoranea  ; ed  ai  fatti  acquisiti  dalla  geologia  aggiunge  in 
appoggio  l’analoga  composizione  chimica  fra  le  roccie,  riportando  le  cifre  che  danno 
la  quantità  di  silice  contenuta  nei  graniti  delle  Alpi,  nei  graniti  e porfidi  della  To- 
scana e dell’Elba,  nei  graniti  e gneiss  della  Calabria  non  che  nelle  trachiti  delle 
Isole  Ponza. 

L’ Ischia  ed  i Campi  Flegrei  li  ritiene  centri  eruttivi  formatisi  sopra  frattura 
secondaria  e non  aventi  relazione  col  centro  Somma-Vesuvio,  come  risulta  dal 
diverso  loro  tenore  di  silice. 

Data  quindi  l’analisi  dei  prodotti  dei  centri  vulcanici  del  versante  mediterraneo  del- 
l’Appennino,  fa  risaltare  la  differenza  in  silice  fra  questi  e quelli  della  Catena  litoranea. 
Ammette  poi  che  nello  sprofondamento  della  Catena  metallifera  si  sieno  formate 
altre  fratture  oltre  a quella  che  dalle  Alpi  giunge  alla  Calabria,  e tra  queste  una 
quasi  parallela  al  meridiano  che  passando  per  il  Monte  Amiata  mette  capo  alle 
Alpi  Carniche  e nella  quale  si  trovano  i centri  eruttivi  dei  colli  Euganei  e Berici, 
l’Amiata  e la  Pantelleria.  Altra  linea  di  frattura  partirebbe  dal  centro  vulcanico 
sottomarino  affricano  e giungerebbe  nella  Basilicata  comprendendo  i centri  di  Capo 
Passero,  di  Val  di  Noto,  dell’Etna,  di  Stromboli  e del  Vulture.  Le  Eolie  si  sareb- 


— 320  — 

bero  formate  sopra  frattura  secondaria  della  grande  fenditura  predetta  o forma-  j 
tasi  all’epoca  del  distacco  della  Sicilia  dal  continente. 

Tali  ipotesi  sono  appoggiate  alla  composizione  chimica  dei  prodotti  dei  vari 
centri  eruttivi.  A questo  studio  è unita  una  carta  sulla  quale  sono  segnati  gli  alli-  > 
neamenti  dei  vulcani  ammessi  da  varii  autori. 

Ricciardi  L.  — Sulle  roeeie  eruttive  subaeree  e submarine  e loro 
classificazione  in  due  periodi.  — Reggio  Emilia,  1887. 

Dallo  studio  delle  roccie  vulcaniche  italiane  e dall’analisi  che  di  esse  presenta 
a cominciare  dai  graniti  per  venire  sino  alle  lave  più  recenti,  1’  autore  è indotto  a 
distinguere  in  esse  due  grandi  periodi,  nel  primo  dei  quali  comprende  i graniti,  i 
gneiss,  i porfidi,  le  sieniti,  le  dioriti,  le  roccie  pirosseniche  in  genere  ed  i basalti. 
Nel  secondo  si  raggruppano  le  trachiti,  le  lipariti,  le  pantelleriti,  le  fonoliti,  le  ande-'  | 
siti,  ecc.  e le  lave  moderne.  Messo  a confronto  il  tenore  di  silice  nelle  roccie  di  J 

. 1 v \v 

I 

Secondo  periodo 

74.  78  Trachite  quarzifera. 

68.  33  Pantellerite. 

60.  24  Andesite. 

55.  08  Trachite  leucitica  (Roccamonfìna). 

54.  41  Leucitofìro  (Viterbo). 

49.  66  Lava  dell’Etna  (1879). 

Notata  la  uniforme  diminuzione  della  silice  nei  due  periodi,  ritiene  che  le  roccie 
del  primo  periodo  furono  eruttate  da  vulcani  submarini  che  poi  emersero;  il  gra- 
nito sarebbe  la  più  antica,  il  basalto  la  più  recente.  Coll’  emersione  degli  Appen-  i 
nini  avvennero  altre  eruzioni  che  portarono  sopra  le  roccie  più  profonde  di  tipo 
granitico,  le  trachiti,  che  rappresentano  il  principio  del  secondo  grande  periodo.  I 
Colle  successive  eruzioni  si  andarono  le  roccie  modificando  alla  stessa  guisa  di  ! 
quelle  del  primo  periodo.  Avvalora  la  sua  opinione  colla  citazione  di  varii  autori  i 
e citando  varie  località  ove  è palese  il  passaggio  dall’ una  all’altra  roccia,  conclu- 
dendo che  le  prime  eruzioni  trachitiche  non  rappresentano  che  i graniti  modificati 
nell’aspetto  fìsico  e non  nella  composizione  chimica,  e che  le  successive  eruzioni 
della  stessa  bocca  vulcanica  ejettarono  roccie  di  un  altro  tipo,  come,  quasi  simili  I 
modificazioni  presentano  le  altre  roccie  che  accompagnano  il  granito. 

Ricciardi  L.  — Sullo  sviluppo  delV acido  cloridrico , dell' anidride  solfo - 
rosa  e del  jodio  dai  vulcani.  - — Reggio  Emilia,  1887. 

Espone  il  risultato  di  esperienze  eseguite  cimentando  il  granito  ed  alcune  roccie  j 
vulcaniche  polverizzate  con  diversi  sali  che  indubbiamente  prendono  parte  ai  feno- 


questi  due  periodi  risulta: 

Primo  periodo 
Granito  74.  09 
Porfido  69.  40 
Diorite  60. 12 
Eufotide  55.  58 
Dolerite  53.  36 
Basalto  49.  92 


meni  vulcanici,  quali  il  clururo  di  sodio,  il  solfato  di  magnesio  e di  calcio  ed  il 
joduro  di  potassio.  Da  tali  esperienze  deduce  che  1*  acido  cloridrico  si  sviluppa 
per  la  decomposizione  dei  cloruri  alcalini  che  penetrano  per  infiltrazione  a pro- 
fondità colle  acque  marine  ; così  pure  l’anidride  solforosa  sarebbe  dovuta  alla  de- 
composizione dei  solfati  che  pure  si  trovano  nelle  acque  marine  ed  in  altre  che 
s’infiltrano  nella  fucina  vulcanica.  Così  anche  si  spiegherebbe  la  presenza  del  jodio 
nelle  emanazioni  dell’isola  Vulcano. 

Ricciardi  L.  — Sul  graduale  passaggio  delle  roccie  acide  alle  roccie 
basiche.  — Reggio  Emilia,  1887. 

Dimostrato  coll’esame  della  silice  contenuta  nelle  roccie  vulcaniche  italiane, 
che  i vulcani  subaerei  e submarini  hanno  emesso  prodotti  di  composizione  chi- 
mica differente  e che  tra  le  roccie  antiche  e quelle  moderne  la  quantità  di  silice 
sta  come  75  a 48  %,  1’  autore  si  propone  di  spiegare  con  risultati  di  analisi  questo 
fatto  importante.  Prese  perciò  ad  esame  le  sostanze  che  le  acque  del  mare  por- 
tano nei  focolari  vulcanici,  cerca  di  provare  che  i prodotti  di  questi  subirono  radi- 
cali modificazioni  fino  a divenire  basici  per  l’azione  dei  materiali  provenienti  dalle 
acque  del  mare  consistenti  in  sali  e basi  di  metalli  alcalini  e alcalino-terrosi. 

Stabilita  quindi  la  composizione  centesimale  dei  materiali  solubili  ed  insolubili 
che  le  acque  del  mare  introducono  nei  focolari  vulcanici,  l’autore  espone  il  risultato 
delle  esperienze  da  lui  eseguite  facendo  agire  una  miscela  corrispondente  a quelle 
composizione  con  cento  parti  di  granito,  che  considera  come  la  roccia  più  antica,  e 
mettendo  a confronto  il  risultato  delle  diverse  esperienze  fatte  con  queste  miscele  in 
proporzioni  diverse  con  la  composizione  delle  varie  roccie  vulcaniche  italiane,  dimo- 
stra come  avvenga  il  graduale  passaggio  delle  roccie  eruttive  da  tipo  acido  a tipo 
basico  per  il  reagire  successivo  degli  elementi  suddetti  delle  acque  marine  sul 
magma  lavico  già  modificato  da  precedente  reazione.  Nota  poi  che  a queste  mo- 
dificazioni concorrono  pure  i materiali  sia  sedimentari  sia  di  eruzioni  precedenti, 
che  nella  eruzione  vengono  ad  unirsi  al  magma  vulcanico.  Estendendo  le  conside- 
razioni fatte  sulle  roccie  dei  vulcani  italiani  a quelle  di  altre  parti  del  globo 
delle  quali  è noto  il  contenuto  di  silice,  ne  conclude  che  il  fenomeno  delle  vulca- 
cinità  è simile  ovunque  e che  la  materia  prima  elaborata  dai  vulcani  è la  stessa 
ed  unica,  il  granito. 


{Continua). 


— 322  — 


IL  CONGRESSO  GEOLOGICO  INTERNAZIONALE 

DI  LONDRA 

nel  settembre  1888. 


Nella  seconda  metà  del  settembre  del  volgente  anno,  si  tenne  in 
Londra  la  quarta  sessione  del  Congresso  Geologico  internazionale,  le 
cui  prime  tre  avevano  avuto  luogo  successivamente  la  prima  nel  1878 
in  Parigi,  la  seconda  nel  1881  in  Bologna,  la  terza  nel  1885  a Berlino. 

L’intervallo  di  tempo  da  una  all’altra  è di  regola  di  tre  anni,  e 
solo  vi  fu  eccezione  per  quella  di  Berlino  causa  il  colera  manifestatosi 
nel  1884.  La  prossima  riunione  pel  1891  venne  fissata  in  Filadelfia. 

Scopo,  come  sappiamo,  di  questi  congressi  internazionali  è l’uni- 
ficazione della  geologia  delle  varie  parti  del  globo,  sia  in  quanto  con- 
cerne la  classificazione  dei  terreni  sedimentari  e delle  roccie  con  la 
loro  nomenclatura,  sia  nei  modi  di  loro  rappresentazione  mediante  co- 
lori e segni  diversi  sulle  carte  geologiche. 

Per  preparare  materia  e programma  alle  discussioni  del  Congresso 
circa  aH’unificazione  delle  classificazione  e nomenclatura  dei  terreni  e 
roccie,  era  stata  nominata  una  Commissione  internazionale  che  do- 
veva tenere,  nell’  intervallo  fra  l’una  e l’altra  sessione,  delle  riunioni 
preparatorie.  A suo  presidente  era  stato  eletto  il  prof.  Capellini.  La 
medesima  aveva  tenuto  siffatte  riunioni  nel  1886  a Ginevra  e nel  1887 
a Manchester,  e daf  comitati  di  varie  delle  nazioni  interessate  erano 
stati  preparati  e pubblicati  dei  programmi  e delle  memorie. 

Quanto  alla  unificazione  dei  colori  e dei  segni  delle  carte,  tale  la- 
voro era  stato  praticamente  avviato  sin  dal  Congresso  di  Bologna  nel 
1881,  col  decidere  la  formazione  e pubblicazione  di  una  Carta  geologica 
dell’  Europa  a spese  comuni  e sotto  la  sorveglianza  di  un  Comitato 
internazionale.  Simile  Carta  dovea  essere  eseguita  a cura  dell’Istituto 
geologico  di  Berlino. 


Nel  presente  Congresso  di  Londra,  doveano  trattarsi  diverse  que- 
stioni di  classificazioni  non  state  ancora  risolte  nelle  precedenti  ses- 
sioni, sovratutto  quelle  concernenti  i terreni  più  antichi,  cioè  i paleo- 
zoici, nonché  gli  scisti  cristallini,  e della  suaccennata  Carta  d’Europa 
la  Direzione  dell’  Istituto  di  Berlino  doveva  presentare  dei  saggi 
stampati. 

La  convocazione  del  Congresso  era  pel  17  del  settembre,  e la  chiu- 
sura il  22,  per  far  poi  luogo  alle  escursioni  geologiche  organizzate  in 
diverse  parti  dell’Inghilterra. 

La  quota  per  essere  membro,  fissata  a scellini  10,  dovea  supplire 
da  sola  alle  spese,  in  quanto  che  in  Inghilterra  non  suole  il  Governo 
dare  sovvenzioni,  e non  era  il  caso  di  pensare  ad  altre  risorse.  In 
quanto  al  locale  pel  Congresso  erasi  il  medesimo  ottenuto  gratuita- 
mente nel  palazzo  dell’Università,  situato  in  posizione  centralissima  e 
comoda.  Per  le  escursioni  succedenti  al  Congresso  ogni  membro  che 
vi  prendesse  parte  doveva  pagare  la  sua  tangente  di  spesa,  attenuata 
però  da  qualche  agevolezza  ottenuta  dalle  ferrovie  e dai  proprietari 
degli  alberghi. 

Il  Congresso , dovea  comprendere  una  Esposizione  di  carte  ed  opere 
geologiche  delle  varie  nazioni,  nonché  di  roccie  caratteristiche.  Per 
tale  mostra  era  destinata  la  vasta  sala  della  Biblioteca  della  stessa 
Università  in  cui  avean  luogo  le  sedute  e così  tutto  era  qui  riunito  in 
un  solo  edificio,  comodità  che  non  si  ebbe  nè  a Bologna  nè  a Berlino. 

Circa  alle  sedute  del  Congresso  ed  agli  argomenti  di  geologia  stati 
nelle  medesime  trattati,  si  può  vedere  più  avanti  la  Relazione  in  data 
10  novembre,  presentata  dal  prof.  Capellini  al  Ministero  di  Agricoltura, 
Industria  e Commercio.  Perciò  qui  appresso  se  ne  farà  soltanto  breve 
cenno,  mentre  invece  si  toccherà  di  qualche  altro  particolare,  e di  quelli 
specialmente  che  più  interessano  i lavori  del  nostro  Ufficio  geologico. 

Il  numero  dei  membri  inscritti  al  Congresso  sorpassava  830  che 
rappresentavano  25  nazioni.  Dei  medesimi  quasi  la  metà  erano  pre- 
senti a Londra.  Gl’inglesi  formavano  la  gran  maggioranza,  e dopo  essi 
venivano  per  numero  la  Germania,  gli  Stati  Uniti  del  Nord-America,  la 
Francia,  il  Belgio,  la  Russia,  eec.;  gli  italiani  iscritti  erano  36  di  cui  un 
terzo  circa  presenti,  che  furono  : il  prof.  Capellini,  presidente  della  Com- 


— 324  — 


missione  della  nomenclatura,  ring.  Giordano,  direttore  del  servizio  geolo- 
gico, l’ing.  Mattirolo  deirUfficio  geologico,  incaricato  di  vari  incumbenti 
di  cui  in  appresso,  l’ ing.  Mezzena  dell’Ufficio  stesso  che  già  era  in  In- 
ghilterra per  studi  geologici  e che  molto  coadiuvò  all’opera  nostra  nel 
Congresso,  l’ ing.  Sabatini  pure  dell’Ufficio,  venuto  per  conto  proprio  e 
che  pure  spontaneamente  coodiuvava  a quell’opera.  Vi  erano  poi  con 
mandati  diversi  il  dott.  Fornasini  di  Bologna,  il  prof.  A.  Issel  della 
Università  di  Genova,  ring.  prof.  Meli  di  Roma,  il  dott.  Botti  di  Reggio 
Calabria  ed  il  dott.  Sacco  di  Torino. 

Fu  precidente  del  Congresso  il  prof.  Prestwich  e segretari  gene- 
rali i geologi  Topley  e Hulke. 

L’apertura  effettiva  ebbe  luogo  il  18  con  i soliti  discorsi  e con  la 
nomina  del  Consiglio,  dei  vicepresidenti  e segretari.  La  presidenza 
attribuita  al  prof.  Prestwich,  venne  poi  successivamente  tenuta  da  altri 
scienziati  aventi  pratica  speciale  nel  guidare  le  discussioni,  e princi- 
palmente dal  prof.  Capellini.  Fra  i consiglieri  venne  nominato  il  pro- 
fessor Issel  e fra  i segretari  il  dott.  Fornasini  che  già  come  tale  aveva 
funzionato  nei  Congressi  di  Bologna  e di  Berlino. 

Come  sopra  fu  detto,  si  ometterà  di  riferire  qui  distesamente  sulle  se- 
dute del  Congresso,  rimettendosi  per  ciò  alla  relazione  del  prof.  Capellini. 
Gli  argomenti  che  si  avevano  da  trattare  concernevano  principalmente 
la  classificazione  dei  terreni  paleozoici  a partire  da  quelli  del  permiano 
e carbonifero  sino  all’arcaico  più  antico,  nonché  la  costituzione  ed  ori- 
gine delle  grandi  masse  degli  scisti  cristallini  che  ancora  presentano 
tanti  problemi  insoluti.  E l’argomento  interessava  anche  non  poco 
l’Italia,  che  di  simili  terreni  antichissimi  contiene  assai  vaste  zone 
nell’Alpi  che  la  ricingono,  nonché  nelle  Apuane,  e poi  nella  Calabria 
ed  in  Sicilia.  Però  il  Consiglio  del  Congresso,  pur  riconoscendo  utile 
una  profonda  discussione,  quale  ebbe  luogo,  su  di  tali  argomenti,  non 
credette  opportuno  che  in  questa  sessione  si  avessero  a prendere  dal 
medesimo  definitive  deliberazioni  circa  alle  suddivisioni  di  quei  terreni 
antichi  e che  presentano  tante  difficoltà.  Alla  considerazione  delle  dif- 
ficoltà potevasi  aggiungere  quella  dell’intervento  assai  numeroso  dei 
geologi  stranieri  e specialmente  del  Nord-America,  regione  in  cui  i 
terreni  in  questione  sono  estesissimi  ed  erano  stati  recentemente  l’og- 
getto di  molto  seri  studi.  Con  simile  circostanza  il  problema  della  clas- 


325  — 


sificazione  dei  terreni  geologici,  che  nei  precedenti  Congressi  essen- 
zialmente concerneva  quelli  dell’ Europa,  si  complicò  alquanto,  ovvero 
si  allargò  a quelli  di  altri  paesi.  E ciò  fortunatamente  per  la  classifi- 
cazione geologica  considerata  in  sè,  la  quale  non  dovrebbe  essere  li- 
mitata ad  una  sola  parte  del  globo,  col  rischio  di  rimanere  poi  incom- 
pleta ed  anche  erronea,  ma  dovrebbe  estendersi  a tutta  la  terra.  Col 
ritardare  alquanto  le  decisioni  relative  a certi  gruppi  di  terreni  si 
avrebbe  quindi  a suo  tempo  un  vero  vantaggio. 

Quanto  alla  Carta  geologica  dell’Europa,  il  direttore  Hauchecorne 
dell’Istituto  di  Berlino,  riferì  sullo  stato  di  avanzamento  del  lavoro,  e 
presentò  anche  un  foglio  stampato  di  saggio  con  i colori  e segni  della 
nuova  gamma  stata  perciò  adottata. 

La  sessione  venne  chiusa  il  giorno  22,  scegliendo  per  sito  delia 
nuova  da  tenersi  nel  1891  la  città  di  Filadelfia  negli  Stati-Uniti, 
dove  i geologi  europei  avranno  campo  appunto  di  fare  utili  paragoni, 
nel  senso,  e con  lo  scopo  sovraindicato. 

Venne  intanto  rinnovata  la  Commissione  internazionale  per  la  uni- 
ficazione e per  preparare  materia  alla  seguente  sessione,  costituendola 
di  24  membri  rappresentanti  di  24  nazioni.  A rappresentare  l’Italia  fu 
scelto  il  professore  Capellini  che  venne  pure  confermato  nella  presi- 
denza della  Commissione. 

Questa  sessione  del  congresso  di  Londra  si  passò  molto  sempli- 
cemente, senza  feste,  nè  banchetti,  nè  grandi  spese,  come  fu  detto 
sopra.  Nulla  però  vi  mancava  dell’essenziale  per  lo  studio  che  si  avea 
di  mira:  poiché  i convenuti  ebbero  intanto  ogni  facilità,  ed  anzi  inviti, 
per  visitare  i grandi  musei,  giardini  e collezioni  di  vario  genere,  di 
cui  ora  Londra  è così  ricca.  Si  ebbero  pure  due  serate  di  ricevimento, 
oltre  quella  del  presidente  Prestwich;  una  del  direttore  dell’Ufficio 
geologico  D.  Geikie  nel  museo  della  Surwey,  e l’ altra  del  D.  Blanford 
presidente  della  Società  geologica,  nella  sede  della  società  istessa. 
Ambedue  quei  siti  di  ricevimento  erano  riccamente  forniti  di  oggetti 
di  studio  geologico  interessantissimi. 

Alle  sedute  del  Congresso  seguirono  infine  le  escursioni  in  diverse 
parti  dell’Inghilterra,  per  le  quali  erano  preparati  programmi  stampati, 
e servivano  da  guide  i geologi  stessi  della  Surwey.  Il  prof.  Capellini 
e l’ing.  Mattirolo  presero  parte  a quelle  nel  Galles  settentrionale  e 


21 


- 326  — 


nella  Scozia  meridionale  che,  con  i loro  terreni  antichi  e certe  roccie 
vulcaniche,  presentavano  maggiore  analogia  con  alcune  delle  nostre 
regioni. 

Oraveniamo  aqualche  particolare  sulla  nostra  speciale  partecipazione, 
che  ebbe  principalmente  luogo  mediante  esposizione  di  carte  e di  roccie. 

In  fatto  di  carte  vennero  presentate,  oltre  a quelle  già  da  tempo 
stampate,  cioè  della  Sicilia  e dell’Elba  a varie  scale,  con  il  testo  che 
le  accompagna,  quelle  delle  ultime  pubblicazioni  in  corso,  cioè  Carta 
dello  Iglesiente  (Sardegna)  al  gg^gg  con  atlante  e relazione  descrittiva 
dell’ing.  Zoppi,  Carta  generale  d’Italia  in  piccola  scala  cioè,  al  t 00q qqJ 
in  2 fogli;  ed  i primi  fogli  della  Carta  in  grande  scala  jqq^qq  dell’Ita- 
lia centrale,  cioè  n.  6 fogli  con  uno  di  sezioni  della  Campagna  romana 
e Urritorii  limitrofi. 

Venne  anche  esposta  la  Carta  generale  d’Italia  alla  scala  di  g^^  : 
che  è la  scala  stabilita  per  le  carte  d’insieme  delle  varie  nazioni,  e : 
sulla  quale  eransi  esattamente  riportati  tutti  i rilevamenti  sin’ora  ese- 
guiti dall’Ufficio  geologico  in  diverse  parti  del  territorio.  Questa  Carta,  I 
formata  valendosi  della  edizione  piana  della  mappa  recentemente  ese- 
guita dall’Istituto  geografico  militare,  era  soltanto  colorata  a mano, 
non  essendo  tuttavia  il  caso  di  darla  alla  stampa,  ma  dovendosi  per 
ciò  attendere  che  sia  più  completata  da  ulteriori  studi.  Quanto  alla 
sovra  citata  Carta  al  100q000  che  doveva  rimpiazzare  quella  pubblicata 
or  son  sette  anni  circa,  non  erasi  esposta  a Londra  che  qualche  copia 
di  prova,  non  essendosi  fatto  in  tempo  per  la  tiratura  accurata  di  nume- 
rose copie  da  distribuire  nel  Congresso  ; ma  questa  tiratura  si  sta  ora  i 
facendo  dopo  avere  corretto  diversi  piccoli  difetti  occorsi  nella  fretta 
del  primo  lavoro.  E lecito  osservare  che  questa  nuova  Carta,  come 
altre  e sovratutto  quella  al  jòòW  della  Campagna  romana,  attrassero 
molto  favorevolmente  l’attenzione  degli  intelligenti  e si  ebbero  sovra- 
tutto dai  geologi  ed  istituti  esteri  numerose  domande,  che  verranno 
man  mano  soddisfatte  a misura  che  si  avranno  disponibili  delle  copie 
debitamente  eseguite.  In  genere  poi  la  nostra  esposizione,  comunque 
stata  dapprima  alquanto  ritardata  da  inusitato  ritardo  nell’arrivo  delle 
nostre  casse  dall’Italia,  può  dirsi  fra  le  meglio  riuscite  in  quella  mostra 
delle  varie  nazioni. 


i 


Nò  meno  pregiata  fu  la  collezione  di  roccie  cristalline  metamorfi- 
che da  noi  colà  esposta,  dietro  invito  speciale  che  ce  ne  era  stato 
fatto  dal  comitato  inglese.  Ciò  che  ci  veniva  essenzialmente  richiesto 
era  di  presentare  delle  roccie  metamorfiche  la  cui  età  geologica  fosse 
precisamente  determinata. 

Non  essendo  stato  possibile  occuparsi  in  tempo  di  tale  collezione 
e dovendosi  la  medesima  eseguire  appositamente  ed  in  poco  tempo, 
si  dovette  limitare  a pochi  casi  ben  scelti.  Dietro  il  consiglio  delT  in- 
gegnere Zaccagna,  che  aveva  pratica  speciale  dell’argomento,  i casi 
prescelti  furono  due,  cioè  del  terreno  permiano  e del  triadico , poiché 
sia  nelle  Alpi  Apuane,  che  nelle  Occidentali,  questi  due  terreni,  la  cui 
età  in  quelle  regioni  era  stata  dai  recenti  nostri  studi  bene  definita, 
presentavano  degli  esempi  notevolissimi  di  roccie  trasformate  per  meta- 
morfismo, in  scisti  cristallini  e in  roccie  gneissiche.  Circa  150  campioni, 
metà  delle  Alpi  Apuane  raccolti  dagli  ingegneri  Zaccagna  e Lotti  e 
metà  delle  Alpi  Occidentali  e marittime  raccolti  dall’ing.  Matdrolo,  figu- 
ravano a quella  esposizione  accompagnati  dai  profili  che  ne  indica- 
vano il  livello  geologico.  Ben  caratteristico  era  sovratutto  il  caso  del 
terreno  permiano,  trasformato  in  scisto  gneissico,  sia  nell’alta  valle 
d’Aosta  presso  Courmayeur,  sia  nel  gruppo  del  Monte  Besimauda  presso 
Cuneo,  dove  è sviluppatissimo,  onde  si  credette  opportuno  designare 
tale  roccia  col  nome  di  besimaudite. 

L’ing.  Mattirolo,  andato  a Londra  con  diversi  incarichi,  tra  cui 
quello  di  fare  ivi  provvista  di  apparecchi  per  il  laboratorio  da  mon- 
tare presso  l’Ufficio  geologico  in  Roma,  coordinò  i succennati  campioni 
per  la  loro  esposizione  e nella  seduta  del  Congresso  del  giorno  19, 
destinata  specialmente  alle  roccie  metamorfiche,  faceva  sui  medesimi 
una  succinta  comunicazione  che  destò  un  meritato  interesse. 

La  nostra  Carta  geologica,  in  quella  zona  che  comprende  le  Alpi 
Occidentali,  limite  fra  l’Italia,  la  Francia  e la  Svizzera,  differiva  note- 
volmente da  quelle  sin’ora  esistenti  e da  quella  stessa  che  ultimamente 
i geologi  francesi  presentavano.  Si  è che  questi  geologi  non  avevano 
ancora  praticate  le  lunghe  e precise  indagini  che  i nostri,  come  Zac- 
cagna e Mattirolo,  nonché  l’ ing.  Mazzuoli  ed  i prof.  Issel  e Portis,  ma 
specialmente  i due  primi,  avevano  in  questi  ultimi  tempi  colà  con  ot- 
timi risultati  compiute,  come  venne  esposto  nelle  relazioni  annuali  al 


— 328  — 

Comitato  geologico.  La  differenza  spiccava  principalmente  appunto 
nella  relativa  estensione  dei  succitati  terreni  permiano  e triasico  di  cui 
si  erano  esposte  le  roccie  e nei  limiti  fra  essi  e 1’  arcaico.  La  Dire- 
zione dell’ Istituto  geologico  di  Berlino,  incaricata  della  Carta  geologica 
d'Europa,  trovavasi  perciò  nel  dubbio  di  quale  fra  le  versioni  accettare 
per  la  zona  alpina  da  segnarsi  in  simile  carta  internazionale;  ma  le 
discussioni  avute  con  l’ing.  Mattirolo,  il  quale  poteva  esibire  i rilievi 
e profili  dettagliati  presi  col  Zaccagna  sul  terreno  anche  in  Savoia, 
fecero  decidere  per  la  nostra.  E tale  conclusione  veniva  poi  anche 
accettata  da  quei  geologi  francesi  che  avevano  più  recentemente 
seguita  l’ intricata  questione. 

Per  noi  adunque,  indipendentemente  dalle  altre  considerazioni, 
questo  Congresso  di  Londra  riusciva  fecondo  ed  onorevole  campo  di 
cooperazione  scientifica  e sprone  a futuri  studi  nei  quali  la  riputazione 
nostra  potrà  sorgere  ad  alto  grado. 

Un  cenno  ancora  sulla  Carta  geologica  dell'Europa.  Circa  allo* 
stato  attuale  di  questo  lavoro  altamente  pratico  di  unificazione  geolo- 
gica, stato  deciso  nella  sessione  di  Bologna,  riferiva  al  Congresso, 
come  sopra  fu  detto,  il  Direttore  dell’ Istituto  geologico  di  Berlino  a cura 
del  quale  doveva  stamparsi.  Tale  Carta  alla  scala  di  1 500*000?  doveva 
comprendere  49  fogli,  ed  uno  di  questi,  quello  C-IV  che  comprende  le 
provincie  renane,  venne  presentato  stampato  come  saggio.  Il  lavoro 
eseguito  dallo  stabilimento  litografico  Dietrich  di  Berlino,  era  quanto 
all’esecuzione  assai  commendevole.  Quanto  alla  classificazione  dei  ter- 
reni e roccie  in  simile  Carta  adottata,  la  medesima  va  tenuta  in  gran 
conto,  come  il  risultato  degli  studi  e decisioni  dei  più  reputati  geologi 
delle  varie  nazioni,  decisioni  che  già  ebbero  luogo  nei  passati  con- 
gressi e per  certe  formazioni  dovranno  avere  luogo  nei  futuri.  Non 
tutte  forse  tali  decisioni  potranno  convenire  al  nostro  territorio,  ma  ad 
ogni  modo  vanno  tenute  in  gran  conto,  per  adottarle  dove  ed  in  quanto 
siano  per  noi  applicabili. 

In  tale  Carta  era  poi  applicata  , per  i colori  la  gamma  proposta  ed 
ammessa  nelle  precedenti  sessioni,  e per  questa  è il  caso  di  fare  per 
ora  qualche  riserva.  Simile  gamma,  la  quale  in  certe  parti  assai  si 
scosta  da  quelle  già  da  anni  adottata  nelle  carte  delle  principali  na- 


zioni  e che  invero  doveva  solo  considerarsi  dapprima  come  per  prova, 
non  sarebbe  scevra  di  qualche  inconveniente,  ed  in  ogni  caso  per  la 
Carta  nostra  rimane  preferibile  quella  attualmente  usata  dal  nostro 
Ufficio  geologico,  gamma  stata  scelta  or  fa  qualche  anno  dopo  non 
pochi  studi  e prove  e che  infatti  risponde  assai  bene  alle  esigenze.  In 
quella  nuova  gamma,  per  esempio,  mentre  per  le  formazioni  sedimen- 
tarie posteriori  al  trias,  cioè  giurassica,  cretacica  e terziaria  sono 
conservati,  e molto  opportunamente,  i tre  colori  fondamentali  turchino, 
verde  e giallo,  invece  per  le  formazioni  antiche  a partire  dal  trias,  si 
fecero  mutamenti  notevoli.  Così  per  questo  terreno  invece  del  rancione 
forte,  che  tanto  bene  spiccava,  venne  adottato  il  violetto  molto  meno 
vantaggioso;  al  bigio  del  carbonifero  così  caratteristico,  venne  sosti- 
tuito un  verdone  quale  prima  era  usato  per  le  serpentine;  e per  queste, 
come  per  tutte  le  altre  roccie  ritenute  emersone,  quali  i graniti,  por- 
fidi, melafiri  e le  roccie  vulcaniche,  venne  adottato  un  solo  colore,  il 
rosso  con  varie  gradazioni.  L’effetto  di  simile  gamma  meglio  poteva 
apprezzarsi  in  una  Carta  della  Francia  al  500 qqq~  fatta  stampare  a Parigi 
ed  esposta  dai  dott.  Vasseur  e Carez.  L’edizione  era  bellissima  e per 
certe  formazioni  la  gamma  assai  riuscita;  ma  non  per  tutte  e special- 
mente  per  le  più  antiche,  la  cui  tinta  generale  molto  oscura  rende  più 
difficile  la  distinzione  dei  diversi  terreni.  Nelle  regioni  montagnose 
sovratutto,  come  le  Alpi,  e adoperando  mappe  col  tratteggio,  come 
sono  quelle  esistenti  e generalmente  usate,  la  confusione  è assai  facile, 
e massime  laddove  si  trovano  a contatto  ed  in  esili  zone,  i terreni  del 
trias  e del  carbonifero,  con  i porfidi,  i melafiri  e le  roccie  ofìolitiche, 
i quali  terreni  e roccie  hanno  nella  nuova  gamma  tinte  rosso-brune 
poco  diversificanti  fra  loro.  Analoga  difficoltà  si  presenta  quando  si 
trovano  a contatto  o vicine  varie  formazioni  di  roccie  eruttive  diverse, 
per  cui  la  tinta  rossa  generale,  comunque  alquanto  variata,  rende 
alla  prima  assai  difficile  la  distinzione.  Assai  rincrescevole  sovratutto 
riesce  l’abbandono  per  le  roccie  ofìolitiche  di  quel  colore  verde  cupo 
tanto  natufale  e caratteristico,  sin’ora  da  noi  e da  altri  paesi,  usato  con 
tanto  vantaggio. 

In  occasione  del  Congresso  di  Berlino  delle  osservazioni  in  pro- 
posito erano  state  fatte  dal  nostro  commissario,  nelle  sedute  prepa- 
ratorie del  Consiglio  onde  far  soprassedere  a certi  cambiamenti:  ma 


— 330  — 


sul  riflesso  che  alcuni  di  questi  già  erano  stati  adottati  nella  sessione 
precedente,  e nella  premura  di  adottare  una  scala  che  permettesse  in- 
tanto di  mostrare  al  Congresso  di  Londra  un  saggio  della  Carta  stessa, 
venne  accordata  alla  Direzione  di  Berlino  la  facoltà  di  adottare  quei 
cambiamenti  ed  altri  cui  ritenesse  utile  per  raggiungere  tale  scopo. 
Ne  risultava  la  suddescritta  gamma,  non  scevra  come  fu  detto  di 
qualche  inconveniente,  ciò  che  giustifica  la  riserva  fin’  ora  usata  dal 
nostro  Ufficio  geologico  nell’adottarla  nelle  sue  pubblicazioni,  e l’avere 
persistito  per  ora  nell’antica  che  è assai  conveniente.  E del  resto  ora 
che  già  la  pubblicazione  della  nostra  Carta  in  grande  e piccola  scala 
con  l’antica  gamma  è assai  avanzata,  non  si  potrebbe  cambiare,  come 
pur  non  la  cambiano  le  altre  nazioni  in  pari  circostanza.  Si  vedrà 
meglio  col  tempo  e dietro  ulteriori  esperimenti  ciò  che  si  possa  fare 
in  proposito,  se  non  altro  per  certe  carte  d’insieme  e di  carattere  in- 
ternazionale. 

Dal  sovraesposto  circa  il  recente  Congresso  di  Londra  appare 
adunque  che  se  non  vi  furono  prese  nuove  importanti  decisioni  sulla 
unificazione,  sulla  classificazione  dei  terreni  geologici  e sulla  nomen- 
clatura, si  concertarono  tuttavia  dei  preparativi  all’avvenire,  mentre 
diversi  risultati  utili  pel  nostro  paese  già  furono  ottenuti. 

Facciamo  ora  seguire  la  Relazione  del  prof.  Capellini  al  Ministero 
di  Agricoltura,  Industria  e Commercio. 


La  Direzione. 


Relazione  a S,  E.  il  Ministro  di  Agricoltura,  Industria  e Commercio. 


Eccellenza  ! 

Appena  ultimato  il  quarto  Congresso  geologico  internazionale 
cui  l’ E.  V.,  con  lettera  deli’8  aprile  scorso,  gentilmente  mi  con- 
sentiva di  prender  parte,  senza  indugio  avrei  inviato  all’ E.  V.  questa 
mia  relazione,  se  le  gravi  cure  deirufficio  rettorale  che  doveva  lasciare 
dopo  pochi  giorni  e il  desiderio  di  corredare  il  mio  scritto  con  alcuni 
interessanti  documenti,  non  mi  avessero  obbligato  a ritardare  quanto 
affrettava  col  pensiero. 

E rinnovando  all’ E.  V.  le  più  distinte  grazie  per  Y interesse  vivis- 
simo con  cui  intende  sempre  al  maggiore  incremento  degli  studi  geo- 
logici in  Italia,  dirò  che,  recatomi  a Londra  alla  metà  di  settembre  in 
compagnia  del  comm.  Giordano,  ispettore  delle  miniere  e direttore  dei 
lavori  geologici,  fino  dal  primo  giorno  in  cui  si  riunì  il  Consiglio  mi 
adoperai  perchè  ai  geologi  italiani  fosse  mantenuto  il  posto  conqui- 
stato a Bologna  e riconosciuto  a Berlino. 

Nell’ufficio  di  presidenza  ottenni,  infatti,  che  il  comm.  Giordano 
fosse  proposto  alla  assemblea  come  uno  dei  vice-presidenti,  che  il 
prof.  Issel  fosse  nominato  consigliere,  e che  il  cav.  Fornasini,  come 
già  a Berlino  ed  a Bologna,  fosse  uno  dei  segretari. 

Le  sedute  furono  inaugurate  la  sera  del  17  settembre  ; il  professore 
Beyrich  occupò  temporaneamente  il  seggio  presidenziale,  sir  Douglas 
Galton  salutò  i congressisti  da  parte  del  Comitato  di  organizzazione 
ed  io,  per  incarico  dei  colleghi,  ringraziai  in  nome  degli  stranieri. 

Il  prof.  Prestwich  lesse  quindi  il  suo  discorso  già  stampato,  rias- 
sumendo i lavori  dei  Congressi  precedenti,  insistendo  in  modo  parti- 
colare sui  frutti  del  Congresso  di  Bologna. 

Accennerò  appena,  che  la  organizzazione  del  Congresso  e della 
relativa  Esposizione  geologica  fu  fatta  senza  alcun  concorso  governativo, 
ben  diversamente  da  quanto  fu  necessario  di  fare  pei  Congressi  di 


Bologna  e di  Berlino;  inoltre,  come  nelle  precedenti  sessioni,  erano 
state  preparate  importanti  pubblicazioni  tutte  dirette  ad  agevolare  il 
lavoro  dei  congressisti. 

Nella  Esposizione  geologica,  della  quale  spero  che  all’ E.  V.  avrà 
reso  conto  il  mio  collega  comm.  Giordano,  l’Italia  figurava  assai  van- 
taggiosamente e,  per  questo,  non  esiterò  a dire  che  ima  parte  del 
merito  è pure  da  attribuirsi  ai  due  ingegneri  del  Comitato  geologico 
Mattirolo  e Mezzena.  Le  pubblicazioni  destinate  a servire  di  guida  per 
le  escursioni  furono  distribuite  alla  fine  delle  sedute,  delle  quali,  con 
assai  regolarità  e molta  sollecitudine,  venivano  pure  stampati  ogni 
giorno  abbastanza  estesi  resoconti. 

Al  Congresso,  fino  dal  primo  giorno,  erano  rappresentate  25  nazioni  ; 
i membri  inscritti  ascendevano  a ben  835,  dei  quali  furono  constatati 
presenti  circa  quattrocento;  gli  italiani  inscritti  erano  36,  ma  i presenti 
appena  11,  cioè  la  metà  di  quanti  intervennero  a Berlino  nel  1885. 
Quantitativamente  devo  dire  che,  fra  gli  stranieri  presenti,  occupava 
il  primo  posto  la  Germania,  27  presenti  e 40  assenti;  poscia  gli  Stati 
Uniti  d’America  e la  Francia  erano  rappresentati  ciascuna  nazione 
da  17  geologi,  vi  erano  14  belgi  e 13  russi. 

La  prima  adunanza  regolare  del  Congresso  ebbe  luogo  il  18  set- 
tembre, e per  essa  il  presidente  Prestwich  dichiarò  all’assemblea  che 
mi  cedeva  il  seggio;  all’ordine  del  giorno  era  stata  posta  una  questione 
abbastanza  intricata  e difficile:  la  classificazione  del  Cambriano  e Silu- 
riano. 

E qui  devo  anzitutto  avvertire  che  in  quella  stessa  mattina  il  Con- 
siglio si  era  occupato  degli  inconvenienti  verificatisi  nei  Congressi 
precedenti,  riguardo  al  modo  di  risolvere  per  votazione  talune  gravi 
questioni.  Gli  inconvenienti  erano  evidenti  e fu  nominata  una  Commis- 
sione con  incarico  di  fare  sollecitamente  opportune  proposte. 

La  Commissione  essendo  riuscita  composta  dei  professori  Blanford, 
Capellini,  Inostranzeff,  De  Lapparent,  Neumayr,  Sterry  Hunt  e von  Zittel, 
fui  eletto  presidente;  ma  poiché  il  parere  non  poteva  essere  subito 
elaborato,  si  credette  opportuno  di  condurre  i lavori  del  Congresso  in 
modo  da  non  dover  ricorrere  ad  alcuna  votazione.  Sulla  questione  della 
classificazione  del  Cambriano-Siluriano  invitai  a parlare  pel  primo  il 
dott.  Hicks  e,  per  agevolare,  gli  permisi  di  esporre  in  inglese  facendo 


— 333  — 


poscia  riassumere  in  francese  dal  bravo  segretario  Barrois.  Parlarono 
successivamente  Marr  per  la  scuola  di  Cambridge,  proponendo  le  di- 
visioni Cambriano,  Barrandiano,  Siluriano;  mentre  il  Lapworth,  adot- 
tando le  tre  divisioni,  sostiene  il  nome  di  Ordoviciano  come  termine 
di  conciliazione  fra  le  due  scuole  e propone  di  nominare  l’ insieme 
Protozoico. 

Walcott  rese  conto  delle  sue  osservazioni  sul  Cambriano  in  Ame- 
rica, che  pur  vorrebbe  suddividere  in  inferiore,  medio  e superiore. 
Sterry  Hunt,  Torell,  Gosselet,  Dewalque,  Kayser,  Geikie,  Blake,  De 
Lapparent,  Delgado,  Hull,  Barrois,  Gilbert,  esposero  le  loro  vedute  in 
appoggio  della  divisione  in  due  o in  tre,  basandosi  alcuni  su  dati  stra, 
tigrafìci,  altri  su  dati  paleontologici;  si  ebbe  così  su  questo  argomento 
il  parere  il  più  autorevole,  non  solo  dei  geologi  della  Gran  Bretagna* 
degli  Stati  Uniti  d’America  e del  Canada,  ma  altresì  degli  svedesi, 
francesi,  belgi,  tedeschi  e portoghesi:  dopo  di  che  riassumendo,  mi 
limitai  a constatare  che  la  divisione  in  tre  pareva  raccogliere  il  voto 
della  maggioranza,  ma  che  pure  mi  pareva  preferibile  di  non  votare  e 
cosi  nulla  fu  deliberato. 

Alla  fine  della  seduta  ricordai  i servigi  resi  alla  scienza  da  Quin- 
tino Sella  che  fu  presidente  onorario  del  Congresso  di  Bologna,  e in- 
formando che  due  giorni  dopo  la  sua  città  natale  gli  inaugurava  un 
monumento,  proposi  di  mandare  un  telegramma  al  sindaco  di  Biella, 
ciò  che  fu  approvato  per  acclamazione. 

Il  telegramma  spedito  per  cura  della  presidenza  era  così  con- 
cepito : 

« Sindaco  della  città  di  Biella. 

« Per  inaugurazione  monumento  Quintino  Sella,  500  geologi,  quarto 
« Congresso  internazionale  plaudenti  proposta  presidenza  Capellini, 
« associansi  onoranze  memoria  scienziato  eminente,  patriota,  uomo 
« di  Stato,  presidente  onorario  Congresso  Bologna.  Congratulandosi 
« municipio,  pregano  vossignoria  condoglianze  famiglia. 


« Firmato.  — Presidente  Prestwich.  » 


— 334  — 


La  seduta  del  19  era  riservata  per  discutere  intorno  agli  schisti 
cristallini;  otto  memorie  su  questo  argomento  già  erano  depositate  e 
note  ai  membri  del  Congresso  ed  altre  ne  furono  presentate  durante 
llPseduta  stessa.  Su  questo  importantissimo  argomento  riescirono  in- 
teressanti una  comunicazione  dell’ ing.  Mattirolo  sovra  esempi  tratti 
dai  recenti  nostri  studi  nelle  Alpi  Occidentali  e del  Carrarese,  non 
che  alcune  osservazioni  del  prof.  Issel. 

L'argomento  era  importantissimo,  ma  fu,  a mio  avviso,  appena 
sfiorato. 

Pel  20  settembre  era  posta  all’ordine  del  giorno  la  quistione  sui 
limiti  del  terziario  e del  quaternario,  e poiché  in  Belgio  presenta  par- 
ticolare interesse,  i geologi  belgi  invitarono  i colleghi  a visitare  i 
dintorni  di  Mons  dopo  la  chiusura  del  Congresso. 

La  discussione  fu  animata  e non  ristretta  alla  determinazione  dei 
limiti  fra  i due  terreni;  infatti  si  trattò  anche  della  terminologia.  Pre- 
sero parte  al  dibattimento  Renevier,  De  Lapparent,  Gaudry,  Blanford, 
Gosselet,  Pilar;  il  dott.  Sacco  in  favore  della  separazione  del  terziario 
dal  quaternario  invocò  anche  la  sismologia. 

Furono  ascoltate  con  vivo  interesse  le  considerazioni  del  presi- 
dente Prestwich,  di  cui  sono  noti  a tutti  i profondi  studi  su  questo 
argomento. 

Nella  seduta  del  21  fu  presentato  al  Congresso!  il  primo  foglio 
della  Carta  geologica  internazionale  d’ Europa,  che  noi  possiamo  van- 
tare come  uno  dei  frutti  del  Congresso  di  Bologna.  In  questo  primo 
foglio,  colorito  secondo  la  gamma  della  seconda  sessione  nel  1881,  con 
poche  modificazioni  riconosciute  indispensabili  e suscettibili  di  ulteriori 
perfezionamenti,  vi  hanno  24  tinte  per  le  formazioni  sedimentarie,  3 per 
i terreni  archeani  e 9 per  le  roccie  eruttive. 

Il  Congresso  riconobbe  che  il  lavoro  è eseguito  con  ammirabile 
perfezione  e meritevole  di  ogni  encomio;  lodò  e ringraziò  il  Comitato 
esecutivo  dF’cui  il  prof.  Hauchecorne  è l’anima  e fece  voti  perchè  se 
ne  affretti  il  compimento. 

Ho  raccomandato  che  si  pubblichino  subito  i fogli  che  compren- 
dono l’Italia,  avendo  il  Comitato  geologico  già  da  tempo  inviato 
quanto  era  necessario. 

Nell’ultima  seduta  del  22  settembre  si  parlò  della  sede  del  futuro 


— 335  — 


Congresso;  e l’assemblea  fu  informata  che,  per  deliberazione  già  presa 
in  proposito  dal  Consiglio,  la  città  di  Filadelfia  era  stata  scelta  per 
sede  della  quinta  sessione  e che  ad  un  Comitato  provvisorio  era  affidato 
l’ incarico  di  disporre  per  un  definitivo  Comitato  di  organizzazione. 

Frazer,  a nome  anche  dei  suoi  colleghi  americani,  ringraziò  per 
l’onore  che  era  concesso  a quella  antica  sede  di  studi,  ove  nel  1876 
il  Congresso  geologico  internazionale  fu  fondato  in  occasione  dei  cen- 
tenario dell’Indipendenza;  annunziò  che  pel  1891  si  preparava  il  cente- 
nario della  Università,  la  quale,  benché  con  una  sola  eccezione  sia  la 
meglio  provvista  di  istituti  e laboratorii  fra  quelle  degli  Stati  Uniti, 
pensa  di  spendere  ancora  l’egregia  somma  di  circa  sedici  milioni  di 
lire  (3  000  000  di  dollari)  per  ampliamenti  e migliorie. 

Le  feste  centenarie  saranno  verso  la  fine  di  settembre  e il  Con- 
gresso avrà  modo  di  servirsi  prima  dei  locali  universitari.  La  rappresen- 
tanza municipale  e governativa  di  Filadelfia,  i presidenti  delle  banche, 
delle  grandi  linee  di  strade  ferrate  e delle  grandi  società  industriali,  il 
ceto  degli  avvocati,  i professori  e gran  numero  di  cittadini  hanno  sot- 
toscritto la  domanda  e preso  impegno  di  procurare  che  i geologi  eu- 
ropei possano  recarsi  a Filadelfia  con  forti  riduzioni  sulle  spese  di 
viaggio  attraverso  l’Atlantico  e,  dopo  il  Congresso,  si  faranno  escur- 
sioni alle  Montagne  Rocciose,  ai  grandi  laghi  e forse  ancora  nel  Canadà. 

Inutile  dire  che  già  si  prevede  un  immenso  successo  per  quel  Con- 
gresso, trattandosi  di  un  continente  cosi  importante  per  gli  studi  geo- 
logici e dove  nulla  fin  qui  si  è risparmiato  per  dare  valido  impulso 
alle  ricerche  a alle  pubblicazioni  che,  con  grande  generosità,  sono  dif- 
fuse per  tutto  il  mondo  ed  hanno  così  tanto  contribuito  al  rapido  pro- 
gresso della  scienza. 

In  quell’ultima  seduta  fu  letto  ed  approvato  all’unanimità  il  rapporto 
relativo  al  miglior  modo  di  votazione  per  le  discussioni  scientifiche,  al 
fine  di  evitare  gli  inconvenienti  che  talora  derivano  dalla  grande  su- 
periorità numerica  dei  geologi  della  nazione  ove  ha  luogo  il  Con- 
gresso. 

Stabilito  che  le  materie  d’ordine  puramente  teorico  potranno  essere 
utilmente  discusse  nelle  sedute  del  Congresso,  ma  che  non  dovranno 
essere  sottoposte  al  voto,  fu  ammesso  che  le  deliberazioni  del  Con- 
gresso non  debbano  applicarsi  che  a questioni  le  quali  sia  indispen- 


— 336  — 


sabile  di  risolvere  per  agevolare  i rapporti  dei  geologi  delle  varie  nazioni. 

I geologi  nazionali  ed  i geologi  stranieri  voteranno  separatamente 
e a maggioranza  relativa. 

Se  i voti  dei  due  gruppi  saranno  concordanti,  il  resultato  sarà  con- 
siderato come  favorevole;  se  invece  si  verificherà  discordanza  si  di- 
chiarerà che  la  questione  posta  ai  voti  non  era  ancora  matura  e sarà 
aggiornata. 

Riconosciuta  la  necessità  di  mantenere  la  Commissione  internazio- 
nale, ne  furono  però  modificate  le  attribuzioni,  affidando  alla  medesima 
non  soltanto  la  continuazione  degli  studi  relativi  alle  questioni  di  no- 
menclatura, ma  eziandio  Tesarne  di  altre  questioni  che  potrebbero  es- 
serle presentate  per  il  Congresso  futuro. 

La  Commissione  rinnovata  e scelta  dal  Consiglio  riesci  composta 
di  24  geologi  rappresentanti  24  diverse  nazioni  ove  si  costituiranno 
altrettante  sotto- commissioni. 

Nella  votazione  per  schede,  per  l’elezione  del  presidente  e del  se- 
gretario, il  professore  De  Lapparent  annunziò  all’assemblea  che  Capel- 
lini, già  confermato  nelTufficio  di  rappresentante  per  T Italia,  aveva  ot- 
tenuto la  maggioranza  assoluta  come  presidente;  fu  rieletto  segretario 
il  prof.  Dewalque  di  Liegi.  1 


1 La  Commissione  internazionale  per  T unificazione  della  nomenclatura  geolo- 
gica, nominata  dal  Congresso  di  Londra  il  2£  settembre  1888,  riuscì  composta 
come  segue: 

Presidente:  G.  Capellini. 

Membri  : 

Australia  — A.  Liversidge,  professore  ali’  Università  di  Sydney. 

Austria  — M.  Neumayr,  professore  all’ Università  di  Vienna. 

Belgio  — G.  Dewalque,  professore  all’  Università  di  Liegi. 

Bulgaria  — G.  IL  Zlatarski,  geologo  del  Principato  a Sofìa. 

Canada  — R.  Bell,  membro  del  Geological  survey  a Ottawa. 

Danimarca  — F.  Jhonstrupp,  professore  all’  Università  di  Copenhagen. 

Francia  — A.  De  Lapparent,  professore  all’  Istituto  Cattolico  di  Parigi. 

Germania  — Oh.  von  Zitte!,  professore  all'Università  di  Monaco. 

Gran  Brettagna  — T.  Me.  Kenny  Hughes,  professore  all’ Università  di  Cambridge. 
India  — W.BÌanford,  a Londra. 

Italia  — G.  Capellini,  professore  all’  Università  di  Bologna. 

Norvegia  — P.  Kjerulf,  professore  all’Università  di  Christiania.  1 
Olanda  — F.  J.  P.  van  Calker,  professore  all’  Università  di  Groninga. 

Fortogallo  — J.  F.  N.  Delgado,  direttore  del  servizio  geologico  a Lisbona. 

Repubblica  Argentina  — L.  Brackebusch,  membro  dell’Accademia  Nazionale  Argen- 
tina a Cordova. 

j Romania  — G.  Stefanescu,  professore  all’Università  di  Bucarest. 

Russia  — A.  Inostranzeff,  professore  all’Università  di  Pietroburgo. 

Spagna  — J.  Vilanova,  professore  all’Università  di  Madrid. 

St  ti-TJniti  — J.  Hall,  direttore  del  Museo  di  St.  Nat.  a Albany. 

Svezia  — O.  Torell,  direttore  del  servizio  geologico  a Stoccolma. 

Svizzera  — E.  Reneviei’,  professore  all’  Accademia  di  Losanna. 

Ungheria  — J.  Szabò,  professore  all’Università  di  Budapest. 


’ Morto  dopo  il  Congresso. 


— 337  — 


v 


Dopo  ciò  il  presidente  Prestwich  fece  un  breve  riassunto  dei  lavori 
del  Congresso  e quindi  ebbero  luogo  le  votazioni  per  ringraziamenti  e 
fu  annunziata  chiusa  la  IVa  Sessione  che  tutti  dichiararono  ben  riuscita, 
quantunque  non  sia  stata  presa  nessuna  nuova  deliberazione  veramente 
importante,  e piuttosto  siasi  riconosciuta  la  necessità  di  correggere 
parte  di  quanto  era  già  stato  avviato  nel  Congresso  di  Berlino,  per 
dare  ai  futuri  Congressi  un  nuovo  e forse  più  proficuo  indirizzo. 

Ed  ora  dirò  brevemente  delle  escursioni,  per  le  quali  il  segretario 
generale  del  Congresso  Topley  aveva  preparato  e distribuito  un  bel 
volume  di  oltre  200  pagine  corredato  di  molte  carte  e incisioni. 

Tacendo  delle  importanti  visite  ai  musei  di  storia  naturale  a Ken- 
sington  e al  Museo  britannico  di  antichità,  avvenute  nei  giorni  del  Con- 
gresso, ricorderò  che  pel  giovedì  20  settembre  erano  state  organizzate 
escursioni  ai  giardini  botanici  a Kew,  al  castello  di  Windsor  e ad  Erith 
e Crayford,  per  poter  distribuire  in  tre  gruppi  i congressisti  secondo  la 
preferenza  per  l’una  o l’altra  gita. 

Le  vere  escursioni  però  ebbero  luogo  dopo  la  chiusura  del  Con- 
gresso e per  esse,  come  già  accennai,  erano  preparate  e furono  distri- 
buite parecchie  pubblicazioni. 

Le  escursioni  organizzate  sotto  la  direzione  dei  colleghi  che  ave- 
vano studiato  egregiamente  le  regioni  da  visitare,  non  potevano  a meno 
di  avere  una  grande  attrattiva  per  tutti  e a più  d’uno  increbbe  di  dover 
scegliere  e di  non  poterle  far  tutte. 

Fin  da  principio  erano  state  distribuite  note  geologiche  illustrative 
delle  linee  delle  strade  ferrate  per  arrivare  a Londra  da  Southampton, 
da  Newhaven,  da  Boulogne,  da  Calais,  da  Harwich  ; si  fecero  le  grandi 
escursioni  nel  Nord  del  paese  di  Galles,  nell’Ovest  della  Contea  di  York, 
nell’isola  diWight,  nell’Est  della  Contea  di  York  e nella  regione  del 
Crag  e delle  coste  di  Norfolk. 

Essendomi  inscritto  per  la  escursione  nel  paese  di  Galles,  regione 
interessantissima  per  le  roccie  antiche  e quindi  pei  confronti  possibili 
con  le  antiche  formazioni  italiane,  fui  ben  lieto  che  l’ ingegnere  Matti- 
rolo  facesse  altrettanto,  trovandosi  così  in  campagna  per  parecchi  giorni 
con  alcuni  dei  più  valenti  litologi  europei  e americani. 

Dopo  avere  speso  la  domenica  in  una  seconda  visita  all’insupera- 


— 338  — 


bile  privata  collezione  preistorica  del  dott.  J.  Evans  a Nash  Mills,  partii 
da  Londra  la  mattina  del  lunedì  24  settembre  con  circa  50  colleghi  di 
diverse  nazionalità  e ci  dirigemmo  a Chester  ove  fummo  ricevuti  dalla 
rappresentanza  cittadina  e dalla  Società  dei  naturalisti,  assistendo  la 
sera  stessa  alla  distribuzione  dei  premi  e ad  una  conversazione  scien- 
tifica. In  una  sala  ammiravasi  una  esposizione  di  ogni  sorta  di  interes- 
santi preparazioni  con  circa  150  microscopi. 

La  mattina  seguente  partimmo  per  Bangor  e nel  pomeriggio  si  fece 
una  prima  escursione  alle  celebri  cave  di  ardesie  di  Lord  Penrhym  nella 
contea  di  Carnarvon,  per  esaminare  la  serie  delle  roccie  schistose  cam- 
briane, dopo  avere  studiato  i conglomerati  precambriani  alla  base  delle 
medesime.  Il  26  da  Bangor  ci  recammo  ad  Anglesea  e dopo  avere  esa- 
minato schisti  nodulosi  antichissimi  analoghi  alla  Penninite  o Besimau- 
dite  di  alcuni  geologi  italiani,  studiammo  schisti  cloritici  e vere  dioriti 
nelle  vicinanze  del  monumento  del  marchese  d’ Anglesea  e ci  dirigemmo 
al  capo  Holyhead  ove  trovammo  belli  esempi  di  pieghe  negli  schisti 
cloritici  e nelle  quarziti. 

Altre  escursioni  si  fecero  a Snowdon,  a Llamberis  ove  sono  pure 
importantissime  cave  di  ardesie,  le  quali  producono  annualmente  per 
oltre  un  milione  e cinquecento  mila  lire  di  rendita  netta,  e finalmente 
alle  miniere  d’oro  che  trovansi  presso  Dolgelly  e per  le  quali  di  re- 
cente si  sono  concepite  le  più  liete  speranze. 

Lasciando  il  paese  di  Galles,  mi  recai  per  un  giorno  a Windermeere 
e di  là  ad  Edimburgo  per  visitare  rapidamente  i musei  e rendermi  conto 
di  quanto  vi  era  da  imparare. 

A Edimburgo  fu  pure  l’ingegnere  Mattirolo  per  un  paio  di  giorni; 
la  cattiva  stagione  non  permise  di  approfittare  di  quella  gita  quanto 
avrei  desiderato. 

A questa  mia  breve  relazione  mi  permetto  di  aggiungere  come  alle- 
gati il  catalogo  dei  membri  del  Congresso,  il  discorso  del  presidente 
e i resoconti  delle  adunanze  del  Consiglio. 

Inoltre,  a nome  ancora  del  segretario  generale  del  Congresso  di 
Berlino  prof.  Hauchecorne,  prego  l’E.  V.  di  voler  gradire  un  esemplare 
del  resoconto  del  III  Congresso  tenutosi  a Berlino  nel  1885  e una  prova 


— 339  — 

di  stampa  del  1°  foglio  della  Carta  geologica  internazionale  di  Europa 
con  la  relativa  gamma. 

Dal  resoconto  del  Congresso  di  Berlino  spero  che  TE.  V.  rileverà 
con  compiacenza  la  parte  avuta  dagli  italiani  in  quella  sessione  e,  nei 
tempo  stesso,  potrà  convincersi  che  la  II  Sessione  di  Bologna,  per  im- 
portanza, non  fu  superata  nè  dalla  III  Sessione  di  Berlino,  nè  dalla 
IV  Sessione  tenutasi  a Londra  nel  settembre  scorso. 


Bologna , 10  novembre  1888. 


Prof.  G.  Capellini. 


— 340  — 


PUBBLICAZIONE  BELLA  CARTA  GEOLOGICA  D’ITALIA 

PER  CURA  DEL  R.  UFFICIO  GEOLOGICO 


PARTS  PUBBLICATE  (al  1°  novembre  1888) 

Carta  geologica  della  Sicilia  nella  scala  di  1/100,000  : 


Foglio  N.  244  (Isole  Eolie)  prezzo  L.  3 00 

Foglio  N.  262  (Monte  Etna) . 

. L. 

5 00 

» 

248  (Trapani)  . . . 

» 

3 00 

» 

265  (Mazzara  del  Vallo)» 

3 00 

» 

249  (Palermo)  . . . 

» 

4 00 

» 

266  (Sciacca)  . . 

. » 

4 00 

» 

250  (Bagheria) . . . 

» 

3 00 

» 

267  (Canicattì)  . . 

. » 

5 00 

» 

251  (Cefalù) . . . . 

» 

3 00 

» 

268  (Caltanissetta) 

. » 

5 00 

» 

252  (Naso)  .... 

» 

4 00 

» 

269  (Paterno)  . . 

. » 

5 00 

» 

253  (Castroreale)  . . 

» 

4 00 

» 

270  (Catania)  . . 

. » 

3 00 

» 

254  (Messina)  . . . 

» 

4 00 

» 

271  (Girgenti)  . . 

. » 

3 00 

» 

256  (Isole  Egadi)  . . 

« 

3 00 

» 

272  (Terranova)  . 

. » 

4 00 

» 

257  (Castelvetrano)  . 

» 

4 00 

» 

273  (Caltagirone)  . 

. » 

5 00 

» 

258  (Corleone)  . . . 

» 

5 00 

» 

274  (Siracusa)  . . 

. » 

4 00 

» 

259  (Termini  Imerese). 

» 

5 00 

» 

275  (Scoglitti)  . . 

. » 

3 00 

» 

260  (Nicosia)  . . . 

» 

5 00 

» 

276  (Modica)  . . 

. » 

3 00 

» 

261  (Bronte),  . . . 

» 

5 00 

» 

277  (Noto)  . . . 

. » 

3 00 

Tavola  di  sez.  N.  I (annessa  ai  fogli  249  e 258)  L.  4 00 
» » N.  II  (annessa  ai  fogli  252,  260  e 261)  » 4 00 

» » N.  Ili  (annessa  ai  fogli  253,  254  e 262)  » 4 00 

» » N.  IV  (annessa  ai  fogli  257  e 266)  » 4 00 

» » N.  V (annessa  ai  fogli  273  e 274)  » 4 00 

N.B.  — L’intiera  Carta  della  Sicilia,  in  28  fogli  e 5 tavole  di  sezioni,  con  quadro  d’unione 
e copertina,  è in  vendita  al  prezzo  di  lire  100. 

Carta  geologica  della  Sicilia  nella  scala  di  1/500,000  (serve  anche  di  foglio  di 
unione  della  precedente)  con  sezioni prezzo  L.  5 00 

Descrizione  geologica  delFIsola  di  Sicilia,  con  una  Carta  geologica,  tavole 
in  zincotipia  ed  incisioni,  dell’Ing.  L.  Baldacci  prezzo  L.  10  00 

Carta  geologica  dell*  Isola  d’  Elba,  nella  scala  di  1/25,000  con  sezioni  annesse 
(in  due  fogli)  prezzo  L.  15  00 

Descrizione  geologica  dell’ Isola  d’Elba  con  Carta  annessa  nella  scala  di 
1/50,000,  dell’Ing.  B.  Lotti prezzo  L.  10  00 

Relazione  sulle  miniere  di  ferro  dell’Isola  d’Elba,  con  un  atlante  di  carte  e 
sezioni  geologiche,  dellTng.  A.  Fabri  . . . prezzo  L.  20  00 

Descrizione  geologico-miner.  delTIglesiente  (Sardegna),  con  un  atlante  di XXX 
tavole  e una  Carta  geologica,  dell’  Ing.  GL  Zoppi,  prezzo  L.  15  00 

Carta  geologico-mineraria  dell’Iglesiente  (Sardegna),  nella  scala  di  1/50,000 
(in  un  foglio) prezzo  L.  5 00 

IN  CORSO  DI  LAVORO 

Carta  geologica  di  parte  dell’Italia  Centrale  nella  scala  di  1/100,000.  Sei 
fogli  con  una  tavola  di  sezioni. 

Carta  geologica  dell’Italia,  in  due  fogli,  nella  scala  di  1/1,000,000  (seconda  edizione 
riveduta  e migliorata  della  Carta  pubblicata  nel  1881). 


Per  le  commissioni  rivolgersi  al  R.  Ufficio  Geologico,  ovvero  alla  Libreria 
E.  Loescher,  in  Roma. 


Pubblicazioni  in  vendita  presso  l’Ufficio  Geologico 


Bollettino  del  R.  Comitato  Geologico  d’Italia;  Voi.  I a XVII,  dal  1870  al  1886 


— Prezzo  di  ciascun  volume L.  10  — 

Idem  di  un  fascicolo  separato ' » 2 — 


N.B.  - II  prezzo  di  abbonamento  annuo  e di  !..  8 per  l'interno 
e di  L.  IO  per  V estero. 

Memorie  per  servire  alla  descrizione  della  Carta  geologica  d’Italia;  Voi.  I, 

II  e III  (Parte  la). 

Voi.  I.  Firenze,  1872  » 85  — 

Voi.  II.  Firenze,  1873-74  » 80  — 

Voi.  III.  Parte  la;  Firenze,  1876  » 10  — 

I.  Cocchi.  — Brevi  cenni  sui  principali  Istituti  e Comitati  geologici  e sul 

R.  Comitato  Geologico  d’ Italia.  Firenze,  1871 » 1 50 

P.  Zezi.  — Cenni  intorno  ai  lavori  per  la  Carta  geologica  in  grande  scala. 

Poma,  1875  . » 1 — 

F.  Giordano.  — Esposizione  in  ordine  cronologico  delle  principali  disposi- 
zioni successivamente  emanate  relativamente  alla  Carta  geologica  d’Italia. 

Roma,  1879  » 1 — 

F.  Giordano.  — Sopra  un  progetto  di  legge  per  il  compimento  della  Carta 

geologica  d’Italia,  Roma,  1830.  .............  » 1 50 

F.  Giordano.  — Cenni  sull’organizzazione  e sui  lavori  degli  Istituti  geologici 

esistenti  nei  vari  paesi.  Roma,  1881 » 1 50 

G.  Capellini.  — Relazione  a S.  E.  il  Ministro  di  Agr.  Ind.  e Comm.  sul 

Congresso  geologico  internazionale  del  1881.  Roma,  1881  ....  » 1 — 

I.  Cocchi.  — Carta  geologica  della  parte  orientale  dell’Isola  d’Elba;  scala 

di  1/50,000.  Firenze,  1871  .-...* » 2 50 

C.  W.  C.  Fuchs.  — Carta  geologica  dell’Isola  d’ Ischia;  scala  di  1/25,000. 

Firenze,  1878.  . » 2 — 

C.  Doelter.  — Carta  geologica  delle  ìsole  Ponza,  Palmarola  e Zannone; 

scala  di  1/20,000.  Roma,  1876  » 2 — 

C.  De  Giorgi.  — Abbozzo  di  Carta  geologica  della  Basilicata;  scala  di 

1/400,000.  Roma,  1879  » 2 — 

C.  De  Giorgi.  — Carta  geologica  della  provincia  di  Lecce;  scala  di  1/400,000. 

Roma,  1880  » 2 — 

G.  Capellini.  — Carta  geologica  dei  monti  di  Livorno,  di  Castellina  Ma- 
rittima e di  parte  del  Volterrano  ; scala  di  1/100, OCO.  Roma,  1881  . » 3 — 

G.  Capellini.  — Carta  geologica  della  provincia  di  Bologna  ; scala 

di  1/100,000.  Roma,  1881 » 4 — 

G.  Capellini.  — Carta  geologica  dei  dintorni  del  golfo  di  Spezia  e Val  di 

Magra  inferiore;  2a  edizione;  scala  di  1/50,000.  Roma,  ISSI  . . » 3 — 

T.  Taramelli.  — Carta  geologica  del  Friuli,  con  testo  descrittivo;  scala 

di  1/200,000.  Udine,  1881 » 7 — 

Bibliographie  géologique  et  paleontologique  de  l’Italie.  Bologne,  1881  . . » 10  — 

Bibliografia  geologica  e paleontologica  della  provincia  di  Roma.  Roma,  1886  » 2 — 

Bibliografia  geologica  italiana  per  l’anno  1886.  Roma,  1887  » 1 50 


Annunzi  di  pubblicazioni 


M.  Malagoli.  — Descrizione  di  alcuni  foraminiferi  nuovi  del  tortoniano 
di  Montegibip  (Memorie  della  Società  dei  Naturalisti,  S.  Ili,  voi.  VII, 
fase.  1°).  - — Modena,  1888;  pag.  6 in-3°. 

Idem.  — Note  paleontologiche  sopra  un  Astrogonium  e una  Chinodota, 
del  pliocene  (Ibidem).  — Modena,  1888;  pag.  4,  m ò°. 

R.  Panebianco.  — Sulla  nomenclatura  dei  minerali.  — Venezia,  1888; 
pag.  10,  in- 8°. 

T.  Taramelli  e G.  Mercalli.  — Alcuni  risultati  di  uno  studio  sul  terre- 
moto ligure  del  23  febbraio  1887  (Rendiconti  della  R.  Accademia  dei 
Lincei,  voi.  IV,  fase.  1°)  — Roma,  1888;  pag.  14  in-4°. 

P.  Franco.  — Sull’  origine  dei  noduli  di  fosforite  del  Capo  di  Leuca.  — 

Napoli,  1888;  pag.  4 in-4°. 

F.  Sacco.  — Aggiunte  alla  fauna  malacologica  estramarina  fossile  del 
Piemonte  e della  Liguria.  — Torino,  1888;  pag.  3'  in-4°  con  2 tavole. 

Idem.  — Note  di  paleoicnologia  italiana.  — Milano,  1888;  pag.  40  in-8°  con 
due  tavole. 

L.  Ricciardi.  — Confronto  fra  le  roccie  degli  Euganei,  del  Monte  Amiata 
e della  Pantelleria.  — Milano,  1888;  pag.  14  in-8°. 

Idem.  — Sulle  roccie  vulcaniche  di  Rossena  nelfEmilia.  — Milano,  1883; 
pag.  10  in-8°. 

E.  Clerici.  — Sulla  Corbicula  fiuminalis  dei  dintorni  di  Roma  e sui  fossili 
che T accompagnano.  — Roma,  1883;  pag.  24  in-8°  con  due  tavole. 

P.  Strobel.  — Barboi  (salse)  del  Parmigiano. — ■ Parma  1888;  pag.  18  in-8°‘ 
con  una  tavola. 

E.  Artini.  — Epidoto  dell’Elba  (Memorie  della  R.  Accademia  dei  Lincei, 

S.  IV,  Voi.  IV).  — Roma,  1888;  pag.  26  in-4°,  con  una  tavola. 

A.  Sella.  — Sulla  sellaite  e sui  minerali  che  l’accompagnano  (Ibidem).  — 
Roma,  1888;  pag.  18  in-4°,  con  una  tavola. 

F.  Sacco.  — 11  cono  di  dejezione  della  Stura  di  Lanzo.  Roma,  1888; 

pag.  16,  in-8°,  con  una  carta  geologica. 

Idem.  — 1 terreni  terziarii  e quaternarii  del  Biellese.  - Torino,  1888; 
pag.  26,  in-4°,  con  una  carta  geologica. 

C.  De  Stefani.  — Iconografìa  dei  nuovi  molluschi  pliocenici  d’ intorno 
Siena.  (Boll,  della  Società  Malacologica  italiana,  Voi.  XIII). — Pisa,  1888; 
pag.  28,  in-4°. 

A.  Secco.  — 11  piano  ad  Aspidoceras  Acanthicum.  Op.  inCollalto  di  So- 

logna.  (Bollettino  della  Società  geologica  italiana.  Voi.  VII,  fase.  2°) 

Roma,  1888;  pag.  26,  in  8 , con  una  tavola. 

A.  Neviani.  — Le  formazioni  terziarie  nella  valle  del  Mesima.  (Ibidem).  — 
Roma,  1888;  pag.  8,  in  8°. 

A.  Tellini.  — Le  nummulitidee  terziarie  dell’Alta  Italia  occidentale. 
(Ibidem).  — Roma,  1888;  pag.  62,  in-8°,  con  una  tavola. 

C.  De  Stefani.  — Origine  del  porto  di  Messina  e di  alcuni  interrimenti 
lungo  lo  stretto.  (Ibidem),  — Roma,  1888;  pag.  10,  in-4°. 

E.  Mariani.  — Foraminiferi  delle  marne  plioceniche  di  Savona.  (Atti  della 
Società  Italiana  di  Scienze  Naturali,  Voi.  XXXI,  fase.  1°).  — Milano  1888; 
pag.  88,  in-8°,  con  una  tavola. 

A.  Issel.  — La  caverna  della  Giacheira  presso  Pigna.  (Liguria  Occiden- 
tale) (Memorie  della  Società  toscana  di  Scienze  nat.,  Voi.  IX).  — Pisa,  1888; 
pag.  10,  in-8°,  con  una  tavola. 

A.  Ristori.  — Alcuni  crostacei  del  miocene  medio  italiano.  (Ibidem). — 
Pisa  18S8;  pag.  8,  in-8°,  con  una  tavola. 

E.  Di  Poggio.  — Cenni  di  geologia  sopra  Matera  in  Bas  licata.  (Ibidem).  — 
Pisa,  1888;  pag.  12,  in -8°. 


Bollettino  N.°  11  e 12 

Novembre  e Dicembre 

' 

- 

. 


ROMA 

TIPOGRAFIA  NAZIONALE 
di  Reggiani  & soci 

1888. 


ELENCO 

del  personale  componente  il  Comitato  e l’Ufficio  Geologico 

alla  fine  del  1888 

R.  Comitato  Geologico. 

Meneghini  Giuseppe,  prof,  di  geologia  nella  E.  Università  di  Pisa,  Presici . 
Capellini  Giovanni,  prof,  di  geologia  nella  E.  Università  di  Bologna. 
Cocchi  Igino,  prof,  di  geologia,  a Firenze. 

Cossa  Alfonso,  prof,  di  chimica  nella  E.  Scuola  di  applicazione  per  gli 
ingegneri  in  Torino. 

De  Zigno  Achille,  membro  nel  E.  Istituto  Veneto,  a Padova. 
Gemmellaro  Gaetano  Giorgio,  prof,  di  geologia,  E.  Università  di  Palermo. 
Scacchi  Arcangelo,  prof,  di  mineralogia  nella  E.  Università  di  Napoli. 
Scarabelli  Giuseppe,  senatore  del  Eegno,  a Imola. 

Silvestri  Orazio,  prof,  di  geologia  nella  E.  Università  di  Catania. 
Stoppani  Antonio,  professore  di  geologia  nel  E.  Istituto  tecnico  supe- 
riore di  Milano. 

StrIìver  Giovanni,  prof,  di  mineralogia  nella  E.  Università  di  Eoma. 
Taramele t Torquato,  prof,  di  geologia  nella  E.  Università  di  Pavia. 

Il  Direttore  del  E.  Istituto  geografico  militare  in  Firenze. 

Giordano  Felice,  ispettore-capo  del  E.  Corpo  delle  Miniere,  a Eoma. 
Pellati  Niccolò,  ispettore  nel  E.  Corpo  delle  Miniere,  a Eoma. 

Personale  addetto  ai  lavori  della  Carta  Geologica. 

Direzione  superiore  : 

Ing.  Giordano  Felice,  Direttore. 

Ing.  Pellati  Niccolò. 

Ufficio  centrale  (in  Poma): 

Ing.  Zezi  Pietro,  Capo  d’ufficio  e Segretario  del  Comitato. 

Ing.  Sormani  Claudio. 

Geologi  operatori : 

Ing.  Baldacci  Luigi,  Eoma. 

Ing.  Lotti  Bernardino,  Pisa. 

Ing.  Cortese  Emilio,  Eoma. 

Ing.  Zaccagna  Domenico,  Pisa. 

Ing.  Viola  Carlo,  Eoma. 

Ing.  Novarese  Vittorio,  Eoma 
Ing.  Aichino  Giovanni,  Eoma. 

Ing.  Sabatini  Venturino,  Eoma. 

Ing.  Franchi  Secondo,  Torino. 

Sig.  Fossen  Pietro,  aiutante,  Pisa. 

Sig.  Cassetti  Michele,  aiutante,  Eoma. 

Sig.  Moderni  Pompeo,  aiutante,  Eoma. 

Personale  distaccato  : 

Ing.  Mattirolo  Ettore,  Torino  (analisi  delle  roccie). 

Dott.  Canavari  Mario,  Pisa  (paleontologo). 

La  sede  dell’Ufficio  geologico  in  Roma  è nel  Museo  agrario-geologico, 
via  Santa  Susanna,  n.  1-A. 


BOLLETTINO  DEL  R.  COMITATO  GEOLOGICO 


D’ITALIA. 


Serie  IL  Voi.  IX.  Novembre  e Dicembre  1888.  N.  11  e 12. 


SOMMARIO. 


Memorie  originali.  — I.  Nuove  osservazioni  sulla  geologia  della  Montagnola 
Senese,  di  B.  Lotti  ,(con  una  tavola).  — II.  Alcune  osservazioni  sulla  fauna 
delle  ligniti  di  Oasteani  e di  Montebamboli  (Toscana),  di  K.  A.  WEITHOFER. 

Notizie  bibliografiche.  — Bibliografìa  geologica  italiana  per  l’anno  1887  ( con- 
tinuazione e fine). 

Notizie  diverse.  < — Nuove  osservazioni  fatte  in  Napoli  e dintorni. 

Avviso  di  pubblicazione  della  Carta  geologica  d’Italia. 

Tavole  ed  incisioni.  — Tav.  VI:  Sezioni  geologiche  nella  Montagnola  Senese 
(B.  Lotti),  a pag.  362. 

Elenco  del  personale  del  Comitato  ed  Ufficio  Geologico  alla  fine  del  1888. 

Indice  delle  materie  contenute  nel  Bollettino  del  1888. 


MEMORIE  ORIGINALI 


I. 


Nuove  osservazioni  sulla  geologia  della  Montagnola  Senese, 
dell’ing.  B.  Lotti. 

(con  una  tavola)' 

Sono  ormai  dieci  anni  che  dal  prof.  Pantanelli  e dallo  scrivente, 
in  seguito  a reiterate  escursioni  in  vari  punti  della  Montagnola  Senese, 
si  giunse  a conclusioni  diverse  da  quelle  cui  eran  giunti  i precedenti 
osservatori  a riguardo  del  posto  occupato  nella  serie  stratigrafìca  e 
cronologica  da  quella  formazione  marmifera  che  racchiude  il  noto  giallo 
di  Siena  od  anche  broccatello  di  Siena  o di  Montarrenti.  — Questi 
marmi,  che  venivano  riferiti  al  Lias  e ritenuti  sovrapposti  ad  un  cal- 
care cavernoso  retico,  furono  da  noi1  riconosciuti  sottostanti  al  detto 


1 Pantanelli  e Lotti,  I marnfi  della  Montagnola  Senese  (Boll.  Coni.  Geol. 
}8?8,  n,  9-10). 


2£ 


342  — 


calcare  e quindi,  per  analogia  litologica  colla  formazione  marmifera 
delle  Alpi  Apuane,  riferibili  con  molta  probabilità  al  Trias  superiore. 
Il  prof.  De  Stefani,  in  una  erudita  descrizione  geologica  di  questo 
gruppo  della  Catena  Metallifera, 1 confermò  di  poi  il  fatto  stratigra- 
fìco  della  sovrapposizione  del  calcare  cavernoso  al  marmo,  ma,  volendo 
mantener  questo  nel  Lias,  credè  di  dover  riferire  quello  al  Titoniano. 

Dovendosi,  per  cura  del  R.  Ufficio  Geologico  procedere  ad  una 
nuova  edizione  migliorata  della  Carta  geologica  d'Italia  in  piccola  scala, 
si  credè  opportuno,  in  vista  del  disaccordo  esistente  fra  i precitati  au- 
tori circa  l’età  di  quei  terreni  della  Montagnola,  di  eseguirne  il  rileva- 
mento geologico  dettagliato,  allo  scopo  di  acquistare  con  più  accurate 
osservazioni  prove  sufficienti  a stabilire  con  maggior  precisione  il  posto 
occupato  nella  serie  cronologica  dalle  formazioni  controverse.  Tale  la- 
voro fu  affidato  allo  scrivente,  cui  fu  immensamente  facilitato  il  còm- 
pito  per  la  gentilezza  del  marchese  Chigi,  intelligente  cultore  di  scienze 
archeologiche  e naturali  e proprietario  di  una  vasta  tenuta  situata  nel 
cuore  della  regione  da  studiarsi. 

Dopo  la  memoria  del  prof.  De  Stefani,  essendo  a mio  parere  su- 
perfluo il  rifare  da  capo  una  descrizione  topografica  e geologica  della 
Montagnola  Senese,  abbenchè  su  vari  capìtoli  di  essa  sia  completo 
il  disaccordo  col  prelodato  autore,  ho  creduto  opportuno  limitare  questo 
mio  scritto  alla  esposizione  dei  nuovi  fatti  osservati  ed  alle  conclusioni 
che  ne  derivano,  rimandando  alla  detta  memoria  per  ulteriori  dettagli. 

Il  rilevamento  geologico  della  Montagnola  Senese  è reso  estrema- 
mente  difficile  dalla  fìtta  vegetazione  boschiva  che  nasconde  quasi 
dappertutto  il  sottosuolo  roccioso.  Occorre  mettere  il  piede  dovunque, 
percorrere  palmo  a palmo  il  terreno  se  voglionsi  tracciare  limiti  me- 
diocremente giusti  delle  varie  formazioni.  Il  difetto  di  marcate  acci- 
dentalità orografiche  non  che  le  frequenti,  sebbene  lievi,  ondulazioni 
degli  strati,  oppongono  notevoli  difficoltà  per  ben  stabilire  i rapporti  di 
posizione  delle  varie  formazioni  fra  loro  e ciò  spiega  appunto  come 
tali  rapporti  fossero  stati  scambiati  da  alcuni  chiarissimi  geologi. 

La  natura  della  vegetazione  aiuta  invero  nelle  ricerche,  essendo 


1 C.  De  Stefani,  La  Montagnola  Senese  (Boll.  Com,  Geol.  1879  e 1880). 


— 343  — 


in  stretta  relazione  con  quella  del  suolo;  ma  ciò  verificasi  dal  punto 
di  vista  litologico,  non  geologico,  poiché,  ad  esempio,  sui  calcari,  siano 
essi  quelli  marmorei  triasici  o quelli  cavernosi  retici,  vegetano  pre- 
valentemente i lecci,  mentre  gli  scisti,  siano  del  Trias  come  del  Per- 
mico,  sono  ricoperti  di  castagni. 

Fermico.  — Gli  strati  più  antichi  della  Montagnola  sono  costituiti 
da  scisti  micacei,  in  parte  argillosi,  in  parte  arenacei,  da  arenarie 
quarzitiche.  e da  conglomerati  quarzosi.  È la  formazione  caratteristica 
della  Verruca  nei  monti  di  Pisa  (da  cui  il  nome  di  verrucano ),  che  io 
per  ragioni  esposte  altrove,  ho  creduto  di  poter  riferire  al  sistema 
permico,  anziché  al  Trias  superiore,  come  fu  fatto  dal  De  Stefani. 

I Queste  roccie  affiorano  in  lembi  isolati,  di  solito  non  molto  estesi, 
in  vari  punti  della  Montagnola,  ed  erano  già  conosciute  dai  precedenti 
autori  lungo  la  valle  del  torrente  Rosia,  tra  Tantino  castello  di  Mon- 
tarrenti  e il  paese  di  Rosia,  ove  acquistano  un  notevole  sviluppo,  alle 
Cetine  di  Cotorniano  ed  a Personata  presso  Cetinale,  ove  furono  se- 
gnalate dal  Chigi  al  Congresso  degli  scienziati  del  1872.  Io  le  ho  tro- 
vate dipoi  in  varie  altre  località. 

Sotto  il  calcare  cavernoso  retico,  presso  Prugliano,  nel  lato  orien- 
tale della  Montagnola,  affiora  un  lembo  assai  esteso  di  scisti  arenacei 
e di  arenarie  quarzitiche  violette,  cui  sovrappongonsi  pochi  strati  di 
scisti  argillosi  alternanti  con  straterelli  di  un  calcare  giallastro  impuro 
intimamente  collegato  al  calcare  retico.  Poco  lungi,  presso  Fungaia, 
osservasi  altro  piccolo  affioramento  nelle  identiche  condizioni.  Nel  lato 
occidentale  il  verrucano  comparisce  con  discreto  sviluppo  nel  Poggio 
alla  Pigna,  presso  la  Fattoria  di  Cerbaia  (Tav.  VI,  sez.  B-B)  »,  ed  e rico- 
perto in  parte  direttamente  dal  calcare  cavernoso,  in  parte  dalla  forma- 
zione marmifera.  La  parte  inferiore  di  questa  massa  è formata  di  pud- 
dinga quarzosa  con  tormalinite  e da  arenarie  quarzitiche  violetto-cupe 
e verdi;  la  parte  inferiore  è formata  da  scisti  silicei  e da  scisti  micacei 
violetti  con  lenti  selciose. 

Nella  puddinga  quarzosa  di  questa  massa  si  osservano  belle  vene 


1 Le  sezioni  della  tavola  annessa  al  presente  scritto  sono  alla  scala  di  1 : 25  000 
tanto  per  le  altezze  quanto  per  le  distanze. 


di  oligisto  lamellare.  A circa  un  chilometro  di  distanza,  nel  fosso  del 
Varco  a Pelli  sotto  il  Palazzo  al  Piano,  affiorano  per  buon  tratto  le 
roccie  permiche  al  disotto  dei  calcari  triasici  in  parte  cristallini 
(marmi),  in  parte  subcristallini  (grezzoni).  Presso  Bellaria  sotto  Pie- 
tralata, sempre  sul  confine  occidentale  della  Montagnola  compariscono 
scisti  micacei  violetti,  arenarie  quarzitiche  verdastre  e puddinga  quar-  | 
zosa,  cui  sovraincombono  in  parte  il  calcare  cavernoso,  in  parte  gli 
scisti  della  formazione  marmifera.  Questi  ultimi  lembi  di  roccie  permi- 
che furono  scambiati  dal  De  Stefani  con^quelli  triasici  1 e quindi  ri- 
feriti al  Lias.  La  presenza  della  puddinga  quarzosa,  che  qui,  come  in 
altri  punti  della  Montagnola  e come  nbl  verrucano  tipico  del  Monte 
Pisano  e di  altre  località  della  Catena  Metallifera,  racchiude  frammenti 
di  tormalinite,  esclude  ogni  dubbio  in  proposito. 

Trias.  Grezzoni.  — Uno  dei  più  notevoli  risultati  ottenuti  dal  rile- 
vamento geologico  di  questa  regione  fu  la  scoperta  di  vari  affioramenti 
di  grezzone , ossia  di  quel  calcare  compatto  o subcristallino  che  nelle 
Alpi  Apuane  trovasi  quasi  dappertutto  alla  base  delle  masse  marmoree 
e che  racchiude,  insieme  ad  altri  fossili,  raramente  in  stato  da  permet- 
tere una  esatta  determinazione,  Y Encrinus  liliiformis  abituale  del  Trias 
medio. 

Nella  Montagnola,  per  dire  il  vero,  questo  calcare  non  ha  offerto 
fossili  determinabili  e tanto  meno  caratteristici,  ma  la  sua  posizione 
stratigrafica,  l’aspetto  della  roccia  e certe  peculiarità  di  struttura  non 
lasciano  dubbio  sulla  perfetta  corrispondenza  cronologica  di  esso  cal- 
care col  grezzone  delle  Alpi  Apuane. 

Oltrepassato  di  poco  il  ponte  di  S.  Lucia,  andando  verso  Montar- 
renti,  lungo  il  torrente  Rosia  vedesi  un  piccolo  anticlinale  di  verrucano 
ricoperto  sul  lato  Ovest  da  un  calcare  compatto  di  tinta  variabile  fra 
il  grigio-chiaro  e il  grigio-cupo.  Esso  presenta  una  marcata  sfaldatura 
in  pseudoromboedri,  è fetido  alla  percossa  e talora  brecciforme.  Il  De 
Stefani  scambiò*  questo  calcare  con  quello  retico  (per  lui  titoniano), 
come  ne  scambiò  i rapporti  di  posizione  col  marmo,  2 poiché  non  ri- 


1 C.  Db  Stefani,  1.  c.,  pag.  336. 

2 0.  De  Stefani-,  1.  c.,  pag,  349. 


- 345  — 


r 


posa  su  questo,  ma  è da  questo  ricoperto.  Tali  rapporti  sono'  indicati 
dalla  sezione  C-C  (Tav.  VI)  e possono  essere  verificati  percorrendo  atten- 
tamente il  taglio  lungo  la  strada  provinciale  tra  il  fosso  che  scende 
da  Tonni  e il  castello  di  Montarrenti. 

Il  grezzone,  che  sul  lato  Ovest  deiranticlinale  di  verrucano  passa 
gradatamente  al  marmo  delle  cave  di  Montarrenti,  manca  sul  lato  Est 
ed  il  marmo  riposa  quindi  direttamente  sul  verrucano;  risalendo  però 
il  fosso  vedesi  il  grezzone  anche  da  questo  lato,  ove  termina  in  cuneo, 
come  mostra  la  citata  sezione. 

Nel  fondo  del  fosso  di  Varco  a Pelli  i grezzoni  affiorano  nuova- 
mente al  disotto  del  marmo  ed  acquistano  un  notevole  sviluppo  esten- 
dendosi specialmente  sulla  destra  fin  sul  Poggio  a Seta  verso  Simi- 
gnano.  Essi  ricuoprono  in  parte  una  piccola  massa  di  verrucano  ed  in 
tutti  i più  minuti  dettagli  assomigliano  a quelli  delle  Alpi  Apuane; 
sono  compatti  o minutamente  cristallini,  grigi,  giallastri  ed  anche  rosei, 
come  una  varietà  speciale  del  Campaccio  presso  Massa,  e percuoten- 
doli odorano  di  carburo  idrico.  Sulle  superficie  logorate  dalle  intemperie 
presentano  dei  rilievi  organici  indeterminabili,  che  nelle  sezioni  micro- 
scopiche appariscono  come  corpi  di  forma  circolare  od  ellittica  allun- 
gata, molto  analoghi  a quelli  osservati  nei  grezzoni  delle  Alpi  Apuane 
ed  in  un  calcare  triasico  del  Monte  Pisano  *.  La  struttura  della  roccia 
al  microscopio  è quella  caratteristica  dei  grezzoni  apuani;  essa  appa^ 
risce  come  una  massa  granulare  in  cui  son  disseminati  porfìricamente 
rari  cristallini  di  calcite  orientati  in  varie  direzioni. 

I due  accennati  affioramenti  di  grezzone  trovansi  sopra  una  stessa 
piega  anticìinale,  avente  l’asse  diretto  da  N.NiO  a S.S.E. 

Queste  masse  calcaree  sono  manifestamente  di  forma  amigdalaré, 
per  cui  i vari  lembi  di  roccie  permiche  o sono  solo  in  parte  da  esso 
ricoperte  o lo  sono  totalmente  dal  marmOi  Un  tal  fatto  è assai  fre- 
quente anche  nelle  Alpi  Apuane. 

Marmi  e scisti.  — La  formazione  marmifera,  costituita  dà  calcari 
Cristallini,  calcescisti^  calcari  compatti  ò subcristallini  con  selce,  scisti 


1 B.  Lotti,  Un  problema  stratigrafìoo  nel  M.  Pisano  (Boli.  Com.  Geoì. 

1888,  n.  1-2). 

. 

I 


— 346  — 


argillosi  e scisti  silicei,  è intimamente  collegata  ai  grezzoni  sottostanti 
ed  al  calcare  retico  sovrapposto,  mentre  è dappertutto  indipendente 
da  quella  del  verrucano  colla  quale  viene  in  contatto  ove  mancano  i 
grezzoni. 

Sopra  Cetinale,  per  la  via  degli  Incrociati,  il  contatto  fra  il  calcare 
retico  e gli  scisti  è formato  da  calcescisti  e da  calcari  sottilmente 
stratificati,  impuri,  di  solito  giallastri,  che  poco  sopra,  al  Poggio  degli 
Orgiali,  divengono  cristallini,  bianchi  o violetti,  e racchiudono  lenti  di 
selce,  crinoidi  e vene  di  quarzo  con  oligisto.  Talvolta  si  osservano  nelle 
alture  accumulamenti  di  detriti  selciosi,  residui  della  dissoluzione  del 
calcare.  Nella  detta  località  sotto  a questi  calcari  seguono  scisti  gial- 
lastri, grigi  e violetti,  con  vene  di  quarzo,  talvolta  in  nitidi  cristalli  di 
cui  il  marchese  Chigi  possiede  una  copiosa  collezione. 

Procedendo  verso  Gabbreta  questi  calcari  vedonsi  sostituiti  da  scisti 
argillosi  dendritici  gialli,  verdastri  o variegati.  Gli  scisti  gialli  assomi- 
gliano a quelli  del  Lias  superiore  contenenti  la  Posidonomya  Bronni', 
però  mentre  questi  ultimi  provengono  dalla  decomposizione  di  un  cal- 
care molto  argilloso,  quelli  sono  formati  di  sola  argilla.  Scisti  triasici 
analoghi  li  ho  trovati  pure  alle  Mulina  nel  Monte  Pisano  e in  vari  punti 
^delle  Alpi  Apuane.  Invano  vi  ricercai  la  Posidonomya  Bronni . 

Poco  lungi,  presso  La  Chiostra,  la  parte  superiore  della  formazione 
marmifera  consta  di  calcare  cristallino  bianco  o giallo  cui  succedono 
inferiormente  scisti  violetti  e verdastri,  calcescisti  cristallini,  verdi, 
cloritosi,  analoghi  a quelli  triasici  di  Castel  Passerino  \ nel  M.  Pisano 
e di  Pruno  nelle  Alpi  Apuane. 

Per  la  via  vecchia  di  Tegoia  incominciano  la  serie  marmifera,  in 
senso  discendente,  certi  scisti  micacei  lucenti,  verdastri,  calcariferi, 
al  disotto  dei  quali  succedono  scisti  argillosi  violetti  che  fanno  pas- 
saggio a calcescisti  cristallini,  comprendenti  talora  grosse  lenti  di 
marmo  bianco  saccaroide  o giallo,  finamente  granulare  con  crinoidi  e 
sezioni  di  gasteropodi.  Più  in  alto,  verso  Molli,  sono  calcari  grigi  a 
lastre,  spesso  micacei,  che  racchiudono  tali  lenti  marmoree.  Il  marmo 
bianco,  talora  a grana  di  statuario,  viene  scavato  presso  Tegoia  pei  re- 


1 B.  Lotti,  Un  probi,  strat.  nel  M . Pisano  (Boli.  Corri.  Geol.  1888,  n.  1-2). 


stauri  del  Duomo  di  Siena;  è però  alquanto  difettoso  presentando  una 
marcata  fissilità  in  varie  direzioni  e contenendo  vene  sottili  e mosche 
giallo-chiare  dovute  a secrezioni  e concrezioni  ferruginose  che  impe- 
discono di  ottenere  blocchi  colle  necessarie  dimensioni.  Il  passaggio  dal 
marmo  bianco  al  giallo  è graduale  e possono  osservarsi  alcune  masse 
gialle  all’esterno  che  sfumano  in  .bianco  candido  nella  parte  centrale. 

A Molli  il  calcare  cavernoso  retico  del  Monte  Ferraia  (Tavola  VI, 
sez.  B-B),  ricopre  scisti  verdi  ardesiaci  lucenti  e calcescisti  cristallini, 
mentre  fra  Molli  e il  Campino  riposa  su  calcari  a lastre  grigi  o ve- 
nati, compatti  o finamente  granulari  che  ricordano  in  modo  sorpren- 
dente quelli  di  Mosceta  nelle  Alpi  Apuane,  che  stanno  tra  il  calcare 
retico  della  Pania  e il  marmo  triasico  della  Corchia. 

Nelle  vicinanze  di  Cerbaia  notasi  che  gli  scisti  silicei  del  Trias 
sovraincombono  direttamente  al  verrucano. 

Presso  allo  sbocco  del  torrente  Rigo  Taglio  in  Rosia  tutta  la  for- 
mazione marmifera  è rappresentata  da  pochi  strati  sottili  di  calcare 
cristallino  bianco  che  fa  passaggio  al  sovrapposto  calcare  retico.  Se- 
condo le  conclusioni  del  De  Stefani,  essi  dovrebbero  rappresentare  un 
lembo  di  Lias  compreso  fra  il  Titoniano  e il  Trias.  In  questi  straterelli 
marmorei  si  osserva  che  lateralmente  a certe  litoclasi  il  calcare  è 
sostituito  da  ematite  calcari fera  che  conserva  la  struttura,  granulare  del 
marmo;  la  sostituzione  si  estende  per  quattro  o cinque  centimetri  da 
ambo  i lati  della  frattura. 

Presso  Montarrenti,  ove  si  hanno  varie  cave  del  famoso  giallo  di 
Siena>  il  marmo  succede  direttamente  al  calcare  retico  (Tavola  VI, 
sez.  C-C)  e forma  in  questi  dintorni  le  masse  più  notevoli.  In  nessun 
altro  punto  apparisce  come  qui  manifesta  la  impossibilità  di  tener  di- 
stinti, come  vuole  il  De  Stefani,  i marmi  gialli  da  quelli  bianchi;  essi 
alternano  qui  più  volte  fra  loro  e sfumano  l’uno  sull’altro.  Il  più  bel 
marmo  è quello  brecciato  giallo,  con  vene  di  ematite;  questa  varietà 
trovasi  associata  al  marmo  giallo  uniforme,  cha  passa  talvolta  in 
roseo*  e ad  una  breccia  di  marmo  giallo  e bianco. 

La  massa  marmorea  di  Montarrenti,  nella  quale  prevale  di  gran 
lunga  il  calcare  cristallino  bianco,  si  estende  in  direzione  N.O-S.E  fin 
presso  Gallena,  formando  una  zona  continua  di  circa  8 chilometri  di 
lunghezza  per  uno  di  ampiezza.  Scendendo  dalla  fattoria  di  Cerbaia 


— 348  — 


verso  la  rotabile  della  valle  d’ Elsa  si  attraversa  questa  zona  percor- 
rendo la  serie  discendente.  Sotto  il  calcare  retico  seguono  scisti  silicei 
giallastri  e scisti  argillosi  violetti,  quindi  pochi  marmi  gialli  e final- 
mente una  potente  massa  di  marmo  bianco. 

Presso  la  estremità  settentrionale  di  questa  zona  marmorea,  al 
principio  della  rotabile  di  Gallona  vedesi  un  sinclinale  di  calcare  con 
selce  alquanto  scistoso,  cui  si  associano  certi  scisti  gialli  allappanti 
che  si  direbbero  quelli  a Posidonomya  Bronni  del  Lias  superiore.  A 
parte  la  notevole  differenza  litologica  che  esiste  fra  questi  di  Gallena, 
micaceo-argillosi,  e quelli  del  Lias,  argilloso-calcarei,  differenza  che 
risalta  immediatamente  all’occhio  di  chi  ha  in  pratica  queste  roccie, 
una  ricerca  accuratissima  non  mi  fece  ritrovare  in  questi  la  benché 
minima  traccia  di  quel  fossile  caratteristico  che  non  manca  mai  nei 
veri  strati  del  Lias  superiore.  Fu  già  notato  del  resto  che  questa 
forma  litologica  si  ripete  nel  Trias  superiore  delle  Alpi  Apuane  e del 
Monte  Pisano,  pure  in  connessione  a calcari  con  selce. 

Poco  sopra  al  podere  Salvi  questi  scisti  sono  fittamente  pieghettati 
e racchiudono  un’amigdala  di  marmo  grigio-chiaro  e qua  e là  qualche 
strato  di  marmo  giallo  con  articoli  di  crinoidi.  Più  in  alto,  presso  il 
cimitero  di  Gallena,  divengono  scisti  silicei. 

Sopra  Gallena  riacquistano  sviluppo  i marmi  bianchi  spesso  venati 
di  cui  esistono  varie  escavazioni,  alcune  attive,  altre  abbandonate.  È 
la  continuazione  della  grande  zona  marmorea  preaccennata  che  par- 
tendosi da  Montarrenti  forma  i monti  di  Caprazoppa  e di  Radi. 

Da  questo  punto  fino  alle  alture  di  Marmoraia  e di  Lucerena  pre- 
dominano i calcari  retici  e gli  scisti  ; solo  qua  e là  si  associano  a 
questi  ultimi  alcune  lenti  marmoree  di  non  grandi  dimensioni.  Così  se 
ne  hanno  a Mantiano,  in  vai  di  Ripoli,  fra  Bracaletto  e le  Fonti,  a 
Caggio  e alla  Chiostra,  senza  parlare  delle  masse  già  ricordate  di  Molli, 
di  Tegoia  e del  Campino.  La  massa  di  Marmoraia  è la  più  estesa  e 
potente  dopo  quella  di  Montarrenti. 

Tra  Scorgiano  e Marmoraia  sotto  il  calcare  retico  seguono  marmi 
e calcari  a lastre,  quindi  scisti  verdi  e violetti  argillosi  che  presene 
tano  efflorescenze  di  carbonato  di  rame,  come  quelli  triasici  di  Vagli 
e d’Arni  nelle  Alpi  Apuane  e delle  Mulina  nel  Monte  Pisano.  Ad  essi 
associansi  bei  cipollini  con  mandorle  di  statuario  purissimo  ed  una 


— 349  — 


breccia  colorata  che  ricorda  il  paonazzetto  di  Carrara.  Tra  Marmoraia 
e Mucellena  vi  è un  bel  marmo  grigio-cupo  variegato  ( bardiglio  fiorito), 
molto  somigliante  a quello  di  Stazzema  nelle  Alpi  Apuane.  Predomina 
in  questi  dintorni  il  marmo  bianco,  mentre  a poca  distanza,  sulla  via 
di  Lucerena,  ricomparisce  il  giallo  e quivi  ripieno  di  crinoidi  e di  se- 
zioni di  gasteropodi.  Il  dott.  Simonelli  ne  imprese  lo  studio,  ma  per  la 
loro  imperfetta  conservazione  non  potè  giungere  a determinazioni  pre- 
cise ; tuttavia  non  potè  non  riconoscere  l’analogia  di  alcuni  degli  articoli 
di  crinoidi  con  quelli  di  certi  encrini  e segnatamente  de\Y  Encrinus  gra- 
nulosus  Mùnst.,  del  Trias  di  S.  Cassiano,  senza  però  nascondere  la  so- 
miglianza che  hanno  coi  millericrini  giurassici,  come  il  Millericrinus 
adnetieus  Quenstedt,  per  esempio.  1 2 Già  il  prof.  Meneghini  aveva  de- 
terminato fra  questi  fossili  un  Pentacrinus  cfr.  psilonoti  Quenst.  e un 
Millericrinus  cfr.  Hausmanni  et  adnetieus  (ab  utroque  dio Le  traccie 
d’ammoniti  che  si  osservano  sopra  alcune  tavole  levigate  di  marmo 
giallo  di  Siena  nel  Museo  di  fisiologia,  nella  chiesa  dell’Annunziata  e 
nel  Palazzo  Pitti  in  Firenze,  non  che  nel  Museo  privato  del  dott.  Fe- 
derigo Castelli  in  Livorno,  non  escludono  che  esse  possano  apparte- 
nere a tipi  triasici  e tanto  meno  poi  autorizzano  a ritenerle  liasiche. 
Quasi  sempre  si  presentano  in  sezione  obliqua,  cosicché  i setti  ri- 
sultano poco  o punto  caratteristici  e ciò  che  si  vede  è insufficiente 
per  una  determinazione  specifica.  Sopra  una  tavola  del  Museo  di  fisio- 
logia si  osservano  in  sezione  lobi  alquanto  sviluppati,  ma  ciò  non  im- 
plica che  1J  ammonite  cui  si  riferiscono  debba  essere  basico,  perchè 
molti  ammoniti  triasici  ebbero  lobi  assai  sviluppati.  Nella  tavola  del 
Museo  Castelli,  in  una  sezione  pressoché  tangenziale,  si  osserva  che 
la  linea  lobale  risulta  di  alcune  selle  pochissimo  frastagliate  e assai 
slanciate  che  ricordano  quelle  di  alcuni  tipi  triasici.  3 Quand’  anche 
del  resto  il  carattere  basico  risultasse  dall’  insieme  della  scarsa  fauna 
dei  marmi  senesi,  non  dovrebbe  ciò  sorprendere,  poiché  lo  stesso  fatto 


1 V.  SimonHLli,  Fossili  del  marmo  giallo  della  Montagnola  Senese  (Proc?4 
Verb.  Soc.  tose.  Se.  nat.,  13  nov.  1$8 1). 

2 Pàntanelli  e Lotti,  Le. 

3 Comunicazioni  verbali  del  dott.  Canavari, 


— 350  — 


verificasi  per  i marmi  apuani,  per  i quali  nondimeno  l’età  triasica  è 
indiscutibile. 

Nei  dintorni  di  Marmoraia  e Lucerena  si  hanno  le  più  belle  va- 
rietà di  marmi;  ve  ne  sono  verdi  e neri,  o almeno  grigio-cupi,  a Gioma; 
bianchi  o giallo-chiari  alle  Marmoraie;  grigi  venati  al  Poggio  alle  Case, 
violetti,  carnicini  e brecciati  ( broccatelli ) presso  Lucerena.  Questi  ultimi 
sono  costituiti  da  frammenti  o piccole  amigdale  di  marmo  giallo,  car- 
nicino e violetto,  impastati  da  uno  scisto  violetto  di  tinta  più  intensa. 
11  marmo  violetto  è spesso  ripieno  d’articoli  di  cr  inoidi. 

A Sud  e ad  Ovest  di  Lucerena  predominano  gli  scisti.  Presso  Pie- 
tralata sono  scisti  argillosi  violetti  con  vene  di  clorite,  ricoperti  da 
calcescisti  grigio-cupi.  Poco  sopra,  a Ripostena,  vi  è uno  scisto  grigio, 
quasi  intieramente  micaceo,  che  ne  ricorda  certi  di  Pietrasanta  e di 
Seravezza;  superiormente  seguono  scisti  novaculitici  simili  a quelli  di 
Resceto  nel  Massese.  1 È degna  di  nota  la  decomposizione  di  questi 
scisti  in  terra  bianca  finissima  di  cui  vedonsi  quà  e là  delle  piccole  esca- 
vazioni.  Mentre  lo  scisto  inalterato  è costituito  da  Silice  21,75;  Carb.  di 
calce  75,20;  Carb.  di  magnesia  1,21;  Ossido  di  ferro  0,60, 2 il  prodotto  della 
sua  decomposizione  consta  di  Silice  15,00;  Carb.  di  calce  82,00;  Carb. 
di  magnesia  0,74;  Ossido  di  ferro  0,60.  3 Esaminata  al  microscopio  que- 
sta terra  presenta  degli  aciculi  che  sono  probabilmente  d'apatite. 

Scisti  analoghi  a questo  di  Ripostena,  non  che  calcescisti  fogliet- 
tati  si  ritrovano  pure  sotto  S.  Michele  per  la  via  di  Pietralata. 

Nella  parte  orientale  della  Montagnola  le  roccie  triasiche  man- 
cano o sono  rappresentate  solo  da  pochi  strati  argillosi,  come,  per 
esempio,  presso  il  Poggiolo. 

Nel  fosso  Rigo,  fra  Lecceto  e le  Masse  di  Siena,  alla  estremità 
orientale  della  Montagnola,  compariscono  questi  scisti  dove  il  calcare 


1 Questa  roccia  polverizzata  e trattata  con  acido  cloridrico  produce  discreta  effer- 
vescenza sciogliendosi  in  piccolissima  parte.  La  parte  indisciolta  esaminata  al  micro- 
scopio mostrasi  formata  da  granelli  di  quarzo  e da  sottilissime  scagliette  di  talco. 
La  lamina  sottile  della  roccia  offre  al  microscopio  un  fittissimo  aggregato  lamellare 
di  talco,  alternato  da  granuli  di  quarzo,  disposti  isolatamente  o,  più  spesso,  in 
gruppi  lenticolari  o venuiiformi  ( Comunicazioni  scritte  del  dott.  Bucca)» 

2 Analisi  chimica  gentilmente  eseguitami  dal  prof.  Funaro. 

5 Idem. 


— 351  — 


retico  è più  profondamente  eroso.  Qui,  come  altrove  si  osservano  ma- 
nifestamente certe  intrusioni  dello  scisto  nel  calcare  sovrastante;  fe- 
nomeno dovuto  probabilmente  al  fatto  che  il  calcare  al  contatto  cogli 
scisti  più  o meno  impermeabili  venne  percorso  da  acque  sotterranee  e 
disciolto,  donde  cavità  che  furono  poi  riempite  dalla  roccia  relativa- 
mente plastica  sottostante. 

Retico.  — In  vari  punti  fra  il  calcare  retico  e gli  scisti  si  osserva 
un  prodotto  di  decomposizione  che  in  parte  deriva  dal  calcare,  in 
parte  dallo  scisto  argilloso;  nel  primo  caso  consta  di  sabbia  calcarea 
bianca,  sottile,  purissima,  nel  secondo  di  argilla  che  potrebbe  chiamarsi 
un  vero  e proprio  caolino.  Le  due  sostanze  sono  di  solito  associate  e 
sembrano  essere  in  rapporto  con  uno  stesso  fenomeno. 

In  vari  punti,  alla  base  del  calcare  marnoso  massiccio,  vedonsi 
protrusioni  di  una  roccia  calcarea  cristallina  stratificata  e bizzarra- 
mente contorta;  quivi  appunto  osservasi  di  preferenza  la  formazione 
della  terra  bianca  sabbiosa.  Anche  presso  Prugliano  questa  sabbia  ap- 
parisce come  prodotto  della  disgregazione  di  calcari  cristallini  sottil- 
mente stratificati,  che  quivi  pure  trovansi  alla  base  del  calcare  caver- 
noso. Calcari  cristallini  giallastri,  in  strati  sottili,  si  ritrovano  anche 
nella  valle  di  Merse  presso  Monteriggioni. 

Talvolta  è lo  stesso  calcare  cavernóso  non  stratificato  che  si  di- 
sgrega riducendosi  in  terra  bianca,  ma  ciò  verificasi  solo  dove  esso 
presenta  struttura  granulare  e maggiore  compattezza,  come  può  vedersi 
tra  Fungaia  e Ricciano,  non  che  sotto  Campo  alla  Pania  in  quel  di 
Personata.  Quivi  la  produzione  della  terra  bianca  è stata  imponente, 
avendosene  per  uno  spessore  di  8 o 10  metri,  mentre  gli  scisti  argil- 
losi sottostanti  sono  ridotti  in  caolino  che  viene  scavato  per  usi  di 
ceramica.  L’escavazione  vien  fatta  in  parte  a cielo  aperto,  in  parte  con 
pozzi  e cunicoli.  La  terra  calcarea  ha  la  seguente  composizione  chi- 
mica: Silice  17,50;  Carb.  di  calce  81,25;  Carb.  di  magnesia  0,37.  Quella 
argillosa  contiene:  Silice  86,70  a 95,20;  Carb.  di  calce  4,60  a 0.50;  Carb. 
di  magnesia  0,76  a 0,57  ; Ossido  di  ferro  1,75  a 0,75.  Il  calcare  cristal- 
lino che  produce  la  sabbia  calcarea  è composto  da  Silice  1,05;  Carb. 
di  calce  98,10;  Carb.  di  magnesia  0,68.  1 Vedesi  pertanto  che  la  pro- 


1 Analisi  del  prof.  Funaro. 


i 


— 852  — 

duzione  della  terra  bianca  deve  essere  determinata  dalla  sottrazione  di 
carbonati  dalla  roccia  madre:  le  acque  sotterranee  che  scorrevano  I 
presso  il  contatto  di  roccie  diversamente  permeablili,  esercitando  la  ! 
loro  azione  dissolvente  di  preferenza  lungo  i piani  di  contatto  dei  gra- 
nelli calcarei,  provocarono  il  disgregamento  della  roccia  ed  al  tempo 
stesso  il  suo  arricchimento  in  silice,  poiché  la  parte  disciolta  dovette 
essere  puramente  calcarea  o calcareo-magnesiaca.  Un  fenomeno  ana-  j 
logo  lo  notai  già  all’Elba  nei  calcari  cristallini  dolomitici  presilurici  1 
ed  anche  in  alcuni  marmi  delle  Alpi  Apuane,  sempre  al  contatto  colla  ! 
formazione  scistosa  sottostante.  L’azione  delle  acque  sugli  scisti  argil-  j 
losi  dovette  consistere  unicamente  in  un  disgregamento  meccanico  e 
nella  epurazione  dagli  ossidi  di  ferro  e di  manganese  che  contenevano. 

Lungo  il  contatto  fra  il  calcare  retico  e gli  scisti  triasici  si  os-  j 
serva  in  generale  che  esso  calcare  è ferruginoso  e che  contiene  delle 
masse,  benché  industrialmente  poco  importanti,  di  limonite.  Fra  la  Cetina 
e Fontevecchia  il  calcare  è tutto  compenetrato  di  minuti  cristallini 
pentagonododecaedrici  di  limonite.pseudomorfica  di  pirite.  Anche  questo 
fenomeno,  come  quello  del  disgregamento,  è dovuto  probabilmente  alle 
acque  sotterranee  più  o meno  ferruginose,  che  più  facilmente  si  accu- 
mularono e circolarono  lungo  questo  contatto  depositandovi  il  ferro. 

Il  calcare  retico  é il  terreno  che  presenta  il  maggiore  sviluppo 
nella  Montagnola  ed  in  generale  è cavernoso,  grigio,  dolomitico.  Presso 
l’Abadia  ed  il  Petraio,  a Nord  del  Monte  Maggio,  questo  calcare  è spic- 
catamente cristallino  a grana  fine,  bianco,  grigio-chiaro,  grigio-cupo  ed 
anche  roseo,  talora  brecciforme  coi  frammenti  cristallini  ed  il  cemento 
ferruginoso.  Il  calcare  grigio  è sempre  alquanto  fetido,  però  non 
sembra  che  questa  colorazione  sia  dovuta  a sostanze  organiche  poiché 
persiste  anche  col  riscaldamento  della  roccia;  del  resto  questi  calcari 
retici,  come  anche  i grezzoni,  odorano  di  idrocarburi  anche  quando 
sono  di  color  chiaro. 

Il  calcare  bianco  possiede  quella  lucentezza  madreperlacea  propria 
delle  roccie  dolomitiche.  In  alcuni  punti  di  questi  dintorni  si  associa  al 
calcare  cavernoso  un  calcare  minutamente  cristallino  rosso  o roseo 


1 Lotti  B.,  Descrizione  geologica  dell' Isola  d'Elba.  Roma,  1886,  pag.  15. 


che  potrebbesi  credere  liasico,  se  non  fosse  già  conosciuto  altrove 
nella  parte  superiore  del  terreno  retico,  come  nelle  Alpi  Apuane  presso 
Carrara  e nel  Monte  Pisano  presso  Caprona.  Mentre  in  generale  il 
calcare  di  cui  è parola  non  presenta  traccia  di  stratificazione,  in  questi 
dintorni  manifesta  localmente  strati  regolari  di  5 a 10  centimetri  di 
spessore;  in  tal  caso  è più  omogeneo,  non  è varicolore  e mantiene 
una  grana  cristallina  uniforme. 

Nelle  vicinanze  dell’Abadia  di  S.  Dalmazio,  presso  le  Masse  di  Siena, 
il  calcare  retico,  che  affiora  immediatamente  di  sotto  al  pliocene  ma- 
rino, è compatto  e bucherellato  dai  litofagi.  Nella  valle  di  Merse,  presso 
Monteriggioni,  è perfettamente  cristallino,  a grana  di  pario,  omogeneo, 
grigio  o,  più  spesso,  chiaro,  stratificato  e fetido.  Fra  Scorgiano  e Mar- 
moraia  se  ne  ha  una  bella  varietà  rosea,  con  vene  e geodi  di  calcite 
e concavità  ripiene  di  polvere  dolomitica  rossiccia. 

La  struttura  cavernosa  è del  resto  quella  che  predomina  in  questo 
calcare  retico  ed  è ormai  constatato  che  è dovuta  alla  natura  ma- 
gnesiaca della  roccia.  Le  sue  cellule  hanno  forma  irregolare  e sono 
o completamente  vuote  o parzialmente  ripiene  da  una  polvere  grigia, 
dolomitica,  finissima.  Il  calcare  grigio-cupo  non  cavernoso  risulta  co- 
stituito da:  Silice  0,77;  Carb.  di  calce  69,00;  Oarb.  di  magnesia  27,69; 
Acqua,  materie  organiche  e perdite  2,54  h è quindi  un  calcare  do- 
lomitico. Il  calcare  cavernoso  tipico,  esclusa  la  parte  pulverulenta, 
ha  la  seguente  composizione:  Silice  1,00;  Carb.  di  calce  73,00;  Carb. 
di  magnesia  21,94;  Acqua  e materie  organiche  4,00 * 2 3  4.  La  sostanza  pul- 
verulenta che  ne  riempiva  le  cavità  è invece  costituita  come  appresso: 
Silice  0,75;  Carb.  di  calce  54,00;  Carb.  di  magnesia  48,82  3:  sì  tratta 
adunque  di  vera  e propria  dolomite.  Sembra  pertanto  che  la  caver- 
nosità sia  dovuta  alla  sottrazione  del  carbonato  di  calce  dalla  roccia 
dolomitica  primitiva;  ma  tale  fenomeno  non  può  avere  avuto  luogo 
nelle  regioni  superficiali  della  crosta  terrestre,  come  opina  il  De  Stefani 4, 
poiché  il  carb.  di  calce  è meno  solubile  di  quello  di  magnesia  alla 


‘ Analisi  del  prof.  Funaro. 

2 Idem. 

3 Idem. 

4 0.  De  Stefani,  La  Montagnola  Senese,  1,  c.,  p.  355. 


— 354  — 


temperatura  . ordinaria,  mentre  avviene  il  contrario  per  temperature  ele- 
vate. Se  adunque  il  fenomeno  fosse  superficiale,  il  residuo  pulverulento 
del  calcare  cavernoso  dovrebbe  essere  prevalentemente  composto  di 
carbonato  di  calce,  anziché  di  carbonato  di  magnesia.  L’argomento  por- 
tato dal  De  Stefani  in  appoggio  della  sua  opinione  consisterebbe  nel 
fatto  che  lungo  il  torrente  Rosia,  dove  il  calcare  è stato  più  difeso 
dagli  agenti  atmosferici  non  è diventato  cavernoso  come  negli  altri 
luoghi  ove  fu  esposto  alle  intemperie.  Io  credo  che  il  citato  autore 
noti  questo  fatto  avendo  scambiato  per  calcare  retico  (secondo  lui  tito- 
niano)  il  grezzone,  da  esso  non  riconosciuto  e che  comparisce  appunto 
lungo  la  Rosia  presso  Montarrenti. 

Ma  il  punto  più  controverso  relativamente  ai  calcari  dolomitici  caver- 
nosi della  Montagnola  sì  è la  loro  età,  ed  è altresì  d’ importanza  capi- 
tale poiché  dalla  età  di  questi  dipende  in  gran  parte  la  risoluzione  del 
problema,  se  la  formazione  marmifera  sottostante  sia  da  riferirsi  al 
Trias,  come  opinammo  ed  opiniamo  io  ed  il  Pantanelli,  ovvero  al  Lias, 
come  vuole  il  De  Stefani. 

Disgraziatamente  il  calcare  cavernoso  della  Montagnola  non  è rico- 
perto, come  altrove,  da  terreni  immediatamente  consecutivi,  ma  una 
grossa  lacuna  fa  sì  che  su  di  esso  riposino  con  discordanza  formazioni 
assai  più  giovani,  spettanti  all’Eocene,  al  Miocene  ed  anche  al  Pliocene. 
Nessun  criterio  pertanto  esse  possono  offrirci  per  giudicare  sulla  età 
controversa  del  sottostante  calcare.  Devesi  però  notare  che  il  detto  cal- 
care continuasi  quasi  ininterrotto  fino  alle  colline,  della  Maremma  gros- 
setana, ove  a luoghi,  come  al  monte  di  Moscona,  è ricoperto  dal  calcare 
basico,  ed  anche  fino  ai  monti  di  Prata,  ove  pure  sta  sotto  a calcari 
bianchi  e rossi  fossiliferi  del  Lias  inferiore.  In  tutta  la  vasta  regione 
che  dalla  Montagnola  estendesi  a S.O  verso  il  mare  e a S.E  fino  al 
fiume  Fiora  questi  calcari,  aventi  sempre  identici  caratteri,  sovrain- 
combono  costantemente  a roccie  scistose  permiche  e triasiche,  mentre 
sono  in  generale  ricoperti  da  roccie  eoceniche  ed  anche  più  giovani 
e solo  in  pochi  luoghi,  come  fu  detto,  da  lembi  di  calcari  e di  scisti  ba- 
sici. 

Qualora  si  dovesse  ritenere  titoniano  il  calcare  cavernoso  della 
Montagnola,  sarebbe  forza  concludere  analogamente  per  tutti  o quasi  i 
calcari  cavernosi  della  regione  suaccennata,  mentre  il  De  Stefani  stesso 


ascrive  all’infralias 1 il  calcare  cavernoso  di  San  Gimignano  che  compa- 
risce asoli  10  km.  di  distanza  dalla  Montagnola.  Fuori  di  questa  regione, 
all’Elba,  nelle  Alpi  Apuane,  nei  monti  della  Spezia  ed  altrove  il  calcare 
cavernoso  dolomitico,  associato  e sottostante  al  calcare  ad  Avicula 
contorta  e sovrapposto  direttamente  al  Trias,  fa  parte  senza  dubbio  del 
terreno  retico  e,  se  volessimo  dare  un  certo  peso  per  la  determina- 
zione dell’età  di  una  roccia  alla  sua  natura  e struttura  litologica,  do- 
vremmo concludere  senz’altro,  vista  la  straordinaria* rassomiglianza  dei 
calcari  in  questione  con  quelli  cronologicamente  ben  definiti,  che  essi, 
come  questi,  spettano  al  retico.  In  tesi  generale  potrà  invero  ritenersi 
che  l’aspetto  litologico  non  possa  servire  incontestabilmente  a fissare 
la  corrispondenza  cronologica,  potendo  roccie  analoghe  riprodursi  in 
epoche  differenti;  pure  non  è possibile  non  tener  conto  della  rassomi- 
glianza litologica  in  una  regione  relativamente  ristretta  e quando  trat- 
tasi di  una  roccia  tanto  caratteristica  come  il  calcare  cavernoso.  Per 
asserire  che  questo  della  Montagnola  non  è quello  ordinario  retico, 
bisognerebbe  dimostrare  con  dati  paleontologici  incontestabili  che  i marmi 
sottostanti  sono  liasici,  la  qual  cosa,  come  vedemmo,  non  è provata; 
e per  ritenerlo  titoniano  occorrerebbe  almeno  dimostrare  la  esistenza 
di  altri  calcari  cavernosi  titoniani  in  località  più  o meno  vicine.  Questo 
invero  tentò  di  fare  il  De  Stefani,  citando  come  titoniani  il  calcare  caver- 
noso delle  Mulina  nel  Monte  Pisano,  quello  della  valle  di  Gallicano 
fra  Bruciano  e Vergemoli  nelle  Alpi  Apuane  e quello  del  Monte  di  Co- 
tona. 

Per  ciò  che  riguarda  il  calcare  cavernoso  del  Monte  Pisano  ad- 
dussi altrove  gli  argomenti  per  dimostrare  che  la  sua  posizione  stra- 
tigrafica, la  quale  poteva  prestarsi  a farlo  ritenere  più  giovane  del 
Lias,  era  anormale  2 e notai  come  tutte  le  sue  varietà  fossero  le  più 
caratteristiche  del  calcare  retico  ordinario,  mentre  le  roccie  che  ad 
esso  fanno  seguito  in  basso,  calcari  a lastre,  arenaria,  scisti  ardesiaci 
e calcescisti,  sono  le  forme  più  comuni  del  Trias  superiore  delle  Alpi 
Apuane. 

Quello  della  valle  di  Gallicano  è indubbiamente  retico  perchè  vi  è 


1 C.  De  Stefani,  La  Montagnola  Senese,  1.  c.,  p.  267. 

2 B.  Lotti,  Un  probi,  strat.  nel  M.  Pisano  (Boll.  Cgm.  Geol.  1888,  n.  1-2.). 


356  — 


associato  un  calcare  compatto,  ove  io  stesso  rinvenni  un  frammento 
di  Avicula  contorta  e perchè  sovr’esso  fanno  seguito  successivamente 
il  calcare  rosso  ad  arietiti,  il  calcare  grigio-chiaro  con  selce  e gli 
strati  a Posidonomya  Bronni. 

Quanto  al  calcare  carvernoso  di  Cetona,  il  collega  dott.  Canavari, 
che  imprese  il  rilevamento  geologico  di  quella  regione  nella  decorsa 
estate,  mi  assicura  non  esistere  affatto  in  quella  località.  Vi  sarebbe 
bensì  un  calcare  dolomitico  alquanto  cariato  che,  per  essere  interposto 
a banchi  di  calcare  compatto  con  fossili  del  Lias  inferiore,  deve  indub- 
biamente riferirsi  a questo  piano  geologico. 

È da  ritenersi  pertanto,  finché  non  sia  provato  incontestabilmente 
il  contrario,  che  il  calcare  dolomitico  cavernoso  segna  in  tutta  la  Ca- 
tena Metallifera,  come  anche  in  gran  parte  delle  Alpi,  un  piano  geolo- 
gico ben  determinato  del  periodo  retico. 

Eocene.  — In  varie  parti  della  Catena  Metallifera  fu  constatata 
una  discontinuità  fra  il  Lias  superiore  e il  Titoniano  ed  un’altra,  anche 
più  marcata,  fra  il  Neocomiano  ed  il  Cretacico  superiore.  Quest’ultimo 
intervallo  diNempo  fu  contrassegnato  da  una  estesa  emersione  e con- 
seguente denudazione,  la  quale  a luoghi  si  spinse  fino  ai  terreni  più 
antichi.  Così  nell’Isola  d’Elba  gli  strati  eocenici  ricuoprono  immedia- 
tamente gli  scisti  presilurici,  i permici,  il  calcare  retico  e le  roccie 
basiche;  nel  Monte  Pisano  si  trovano  sul  Permico,  nonché  sulle  varie 
formazioni  più  giovani;  nelle  Alpi  Apuane  e nel  prossimo  Appennino 
l’Eocene  col  Cretacico  superiore  riposano  sugli  scisti  triasici,  sul  Lias, 
sul  Titoniano  e sul  Neocomiano. 

La  Montagnola  Senese  presenta  analoghe  condizioni  stratigrafiche; 
la  denudazione  non  risparmiò  qui,  come  altrove,  la  più  piccola  por- 
zione dei  terreni  basici,  titoniani  e neocomiani,  dimodoché  si  osser- 
vano le  roccie  eoceniche  a luoghi  sugli  scisti  triasici,  a luoghi  sui 
calcari  retici. 

Quanto  alla  natura  di  questi  terreni  e alle  loro  condizioni  geolo- 
giche nulla  avrei  da  aggiungere  a quanto  sappiamo  per  altre  località 
toscane.  Sono  le  solite  roccie  calcareo-argillose  con  masse  ófiolitiche, 
le  quali,  presso  il  limite  occidentale  del  gruppo,  formano  i monti  Gi- 
neprone,  Castiglione  e Vasone,  presso  quello  settentrionale  le  pendici 
di  Rencine  e di  Trasqua. 


Miocene.  — Il  calcare  retico  della  Montagnola,  specialmente  nelle 
parti  più  basse,  è ricoperto  da  una  breccia  costituita  da  frammenti 
della  roccia  sottostante  cementati  da  calcare  concrezionato  giallastro, 
simile  al  comune  travertino.  Essa  predomina  nei  dintorni  di  Cetinale  e 
di  S.  Colomba  ed  estendesi  poi  verso  le  Masse  di  Siena,  ove  vedesi  affio- 
rare in  Val  di  Tressa,  al  Piètriccio  e a Poggiarla  di  sotto  alle  sabbie  ma- 
rine plioceniche  e dove  viene  scavata  come  materiale  da  fabbrica.  Presso 
Motrano  in  Val  di  Ripoli  questa  breccia  racchiude  strati  di  sabbia 
grossolana  cementata  e presso  Marciano  passa  ad  un  conglomerato 
, dello  stesso  materiale.  Un  fenomeno  analogo  verificasi  presso  Mon- 
teriggioni,  ove  la  breccia  divenendo  conglomerato  esce  fuori  dal- 
P area  occupata  dal  calcare  retico  ed  estendesi  verso  levante  fino 
alla  miniera  lignitifera  del  Casino.  Quivi  riposa  su  marne  sabbiose  e 
ciottoli,  forse  d’origine  lacustre,  riferibili  al  Miocene  superiore.  Lungo 
la  trincea  della  ferrovia,  fra  Monterjggioni  e la  galleria  di  Fontebecci, 
il  conglomerato  di  calcare  cavernoso  apparisce  stratificato  in  banchi 
leggermente  inclinali,  con  alternanze  sabbiose  e calcaree.  Il  calcare  è 
in  letti  sottili,  concrezionato,  bianco  e rosso  mattone;  le  sabbie  sono 
calcaree.  Questa  formazione  vedesi  sottostare  alle  sabbie  marine  plio- 
ceniche presso  Uopini  e Farneta  e serve  di  prezioso  orizzonte  per  la 
separazione  del  Pliocene  dal  Miocene  che  altrimenti  sarebbe  difficilis- 
sima, essendo  la  parte  del  Miocene  immediatamente  sottostante  al  con- 
glomerato costituita  da  sabbie  gialle  simili  a quelle  plioceniche. 

La  serie  dei  terreni  nei  pressi  della  miniera  lignitifera  del  Casino 
è la  seguente,  dall’alto  in  basso: 

a)  Sabbie  marine  fossilifere. 

b)  Conglomerato  di  calcare  cavernoso,  sabbie  e calcare  con- 
crezionato. 

e)  Sabbie  e argille  sabbiose. 

d)  Argille  grigio-cupe  con  lignite. 

Il  conglomerato  di  calcare  cavernoso  ritrovasi  inoltre  presso  il  Ca- 
stello di  Montarrenti  (Tav.  VI,  sez.  C-C.)  e all’Osteria  presso  il  Palazzo 
al  Piano,  lungo  la  via  rotabile  di  Colle. 

Questa  formazione,  e per  conseguenza  la  breccia  travertinosa  cui 
è strettamente  collegata,  può  appartenere  al  Pliocene,  come  opinò  il 


— 358  - 

De  Stefani  *,  oppure  al  Miocene,  come  io  sarei  inclinato  a credere  per 
ragioni  che  vado  esponendo.  Presso  Rencine  questo  conglomerato  di 
calcare  cavernoso  nella  sua  parte  inferiore  fa  passaggio  graduato  ad 
una  formazione  ciottolosa  simile  in  tutti  i particolari  ai  conglomerati 
tortoniani  dei  monti  di  Livorno  e della  Maremma;  essa  è formata  cioè  j 
di  ciottoli  d’alberese  e più  raramente  di  roccie  serpentinose,  spalmate  | 
d’argilla  rossa  ed  in  esso  ravvolte.  Presso  Spicchiaiola  e al  Cornocchio, 
tra  Siena  e Volterra,  a breve  distanza  dalla  regione  di  cui  ci  occu- 
piamo, il  conglomerato  in  questione  è indubbiamente  miocenico,  poiché 
trovasi  sotto  alle  argille  gessifere,  e come  tale,  del  resto,  fu  ricono- 
sciuto anche  dal  De  Stefani.  Parmi  adunque  che  in  mancanza  di  dati 
paleontologici  sia  da  preferirsi  il  riferimento  di  questa  formazione  al 
Miocene  piuttosto  che  al  Pliocene. 

Tale  formazione  ciottolosa,  sia  che  essa  segni  la  fine  del  periodo  mio- 
cenico o il  principio  del  pliocenico,  contrassegna  evidentemente  un’epoca 
di  denudazione  e quindi  di  emersione  senza  dubbio  anteriore  al  depo- 
sito del  vero  e proprio  terreno  pliocenico  costituito  dalle  argille  e dalle 
sabbie  marine;  ed  in  questo  fatto  io  credo  che  debbasi  vedere  la  prova 
più  chiara  di  un  abbassamento  corrispondente  alla  fine  del  Miocene  o 
al  principio  del  Pliocene,  checché  ne  pensi  in  contrario  il  De  Stefani1  2. 

Pliocene.  — Il  Pliocene  tanto  esteso  e sviluppato  tutt’intorno  alla 
Montagnola  Senese,  appena  comparisce  nell’area  da  essa  occupata  o 
presso  i suoi  margini. 

A Castiglione,  non  lungi  dalla  stazione  di  Castellina,  si  osservano 
sabbie  con  ciottoli  coperte  da  banchi  d’ostriche  e da  calcare  ad  An- 
fìstegine  e Nullipore.  Il  calcare  passa  lateralmente  a ' sabbie  gialle. 
Tra  Casa  al  Bosco  e Strove  vedesi  la  sovrapposizione  diretta  del  cal- 
care marinò  pliocenico  al  calcare  cavernoso.  Una  piccola  collina  presso 
S.  Colomba  è formata  di  sabbia  pliocenica  pure  direttamente  sovrap- 
posta al  calcare  cavernoso. 

Se  si  eccettuano  i pochi  punti  più  sopra  rammentati  nei  quali  com- 
parisce il  conglomerato  miocenico,  il  pliocene  sovraimcombe  per  tutto 
altrove  immediatamente  ai  terreni  più  antichi,  ed  anche  questo  fatto 


1 C.  Db  Stefani,  1.  c. 

% G.  De  Stefani,  1.  c. 


— 359  — 

sta  a dimostrare  che  la  Montagnola  fu,  in  parte  almeno,  sommersa  du- 
rante il  Pliocene  ed  emersa  nel  Miocene. 

Quaternario.  — La  parte  più  antica  del  terreno  quaternario  è co- 
stituita da  ciottoli  in  terrazze,  che  s’incontrano  lungo  le  valli  princi- 
pali lateralmente  ai  corsi  d’acqua  e ad  altezze  di  10  a 15  metri  sul  loro 
letto,  e da  travertini  che  sono  specialmente  sviluppati  a Nord  della 
Montagnola. 

Alla  parte  più  recente  *del  quaternario  si  dovranno  forse  riferire 
la  terra  rossa , che  cuopre  qui  la  parte  pianeggiante  delle  colline  for- 
mate di  calcare  cavernoso  e il  fondo  delle  valli  in  esso  scavate,  non 
che  certi  depositi  di  colmata  che  riempono  i bacini  palustri  di  Toiano 
e di  Pian  di  Lago. 

Il  travertino  occupa  la  regione  depressa,  leggermente  ondulata,  del 
Casone,  a Nord  della  Montagnola,  e presso  S.  Antonio  al  Bosco  pre- 
senta due  curiose  cavità  crateriformi,  a sezione  quasi  esattamente  cir- 
colare, ripiene  d’acqua.  Esse  hanno  un  diametro  pressoché  uguale,  ma 
lo  specchio  d’acqua  presenta  dimensioni  assai  diverse.  Il  diametro  delle 
cavità  è di  oltre  100  metri,  mentre  quello  dello  specchio  d’  acqua  può 
esser  di  circa  60  per  una  e 20  per  l’altra.  La  massima  profondità  del 
lago  più  grande  fu  misurata,  dicesi,  in  circa  50  metri  e non  trovereb- 
besi  nel  mezzo  del  bacino,  ma  presso  il  suo  margine.  Il  terreno  ntl 
quale  sono  scavati  è un  prodotto  del  disfacimento  del  travertino  ed  è 
costituito  da  un  argilla  rosso-giallastra  calcarifera  in  cui  sono  impi- 
gliati grossi  e piccoli  frammenti  di  travertino. 

L’acqua  che  si  accoglie  in  questi  laghetti  non  è quella  che  ha 
scolato  superfìéialmente,  poiché  si  e notato  qualche  volta  che  il  suo 
livello  si  è alzato  senza  che  sia  piovuto  sul  posto,  come  è stato 
altresì  notato  che  la  copia  d’acqua  non  ha  diminuito  notevolmente 
anche  in  seguito  a lunghi  periodi  di  siccità.  Trattasi  però  ad  ogni 
modo  di  acque  circolanti  a non  grande  profondità,  poiché  le  variazioni 
di  livello  succedono  di  solito  rapidamente  alle  vicende  atmosferiche. 

I pochi  fabbricati  circostanti  al  lago  più  grande  sono  tutti  screpo- 
lati ed  una  chiesa  (S.  Antonio)  fu  interdetta  da  circa  sei  anni  in 
seguito  a minacciose  fenditure  manifestatesi.  Evidentemente  queste 
cavità  ebbero  origine  per  sprofondamento  determinato  dalla  erosione, 
sotterranea  della  massa  travertinosa  per  azione  di  acque  circolanti  tra. 


— 360  — 


essa  ed  una  formazione  impermeabile  sottostante.  Questa  formazione 
è probabilmente  costituita  dalle  argille  plioceniche  le  piali  vedonsi 
infatti  affiorare  nel  Botro  del  Castagneto  presso  Abbadia. 

Il  fenomeno  di  cui  è parola,  è evidentemente  analogo  a quello  delle 
doline  del  Carso,  che  ha  pure  riscontro  in  certe  depressioni  crateri-  | 
formi  del  calcare  cavernoso  nel  Massetano  l * 3. 

Forse  un’origine  analoga  dovrebbero  ripeterla  i due  bacini  palustri 
di  Toiano  e di  Pian  di  Lago  al  limite  orientale  della  Montagnola,  i 
quali,  come  le  accennate  depressioni  del  Massetano,  trovansi  intiera- 
mente nel  calcare  cavernoso. 

Questa  roccia,  analoga  per  composizione  e per  struttura  al  traver- 
tino, e sovrapposta  a roccie  impermeabili,  venne  in  parte  disciolta,  come 
vedemmo,  presso  il  contatto  dalle  acque  sotterranee,  producendo  a 
luoghi  delle  cavità  che  col  tempo  determinarono  lo  sprofondamento 
delle  parti  superficiali  sovraincombenti. 

I detti  bacini  sono  ora  intieramente  colmati  da  un  deposito  sab- 
bioso-argilloso,  ocraceo,  talvolta  stratificato.  Il  bacino  di  Pian  di  Lago 
è tutto  circondato  da  colline  di  calcare  cavernoso  e le  acque  che  vi 
accorrono  vengono  ora  smaltite  per  mezzo  d’un  canale  sotterraneo,  di 
cui  la  costruzione  fu  intrapresa  nel  secolo  passato  da  Francesco  Bindi- 
Sergardi,  mentrechè  prima  trovavano  solo  uno  sfogo  parziale  attraverso 
il  sottosuolo  calcareo  per  mezzo  di  quattro  voragini  naturali  *.  Quello 
di  Toiano  presenta  una  stretta  apertura  a Sud,  per  la  quale  passa  il 
fosso  d’Arnano,  che  raccoglie  le  acque  del  bacino  e le  immette  nel 
torrente  Serpenna. 

Depressioni  crateriformi  più  piccole,  ma  che  pure  devono  ripetere 
la  origine  da  fenomeni  analoghi  sono  da  considerarsi  quelle  di  Fun- 
gaia, di  Cetinale,  di  Ancaiano,  degli  Incrociati,  non  che  altre  sparse  in 
vari  punti  del  Monte  Maggio  e che  dalla  gente  di  campagna  si  riten- 
gono come  indizi  di  antichi  vulcani  dei  quali  sarebbero  una  conseguenza 
i frequenti  terremoti  del  Senese. 

Che  esistano  delle  cavità  sotterranee  neicalcare  retico,  al  franamento 


1 Lotti  e Deferrari,  Le  sorgenti  delV Aronna,  eco.  (Boll.  Com.  Geol. , 1886, 

n.  3-4). 

3 A.  Dei,  Il  prosciugamento  del  Pian  di  Lago.  Siena,  1887. 


— 361  — 


delle  quali  sarebbero  dovute  tali  depressioni  imbutiformi,  non  può  esser 
messo  in  dubbio.  La  maggior  parte  delle  numerose  caverne  ossifere  e non 
ossifere  della  Toscana  sono  escavate  nei  calcari  retici  ed  anche  nellaMon* 
tagnola  del  resto  ne  fu  esplorata  una  del  marchese  Chigi  presso  Cetinale. 

La  terra  rossa  che  cuopre  di  solito  le  parti  pianeggianti  e quelle 
più  depresse  del  calcare  cavernoso  trovasi  specialmente  sviluppata 
nella  parte  orientale  del  Monte  Maggio  e nei  dintorni  di  Cetinale  e di 
S.  Colomba.  Essa  rappresenta  evidentemente  il  residuo  ferruginoso 
della  dissoluzione  del  calcare  retico  e forma  un  terreno  eminentemente 
adatto  alla  coltura  delle  viti  e dei  cereali. 

In  Bagnaia,  presso  Cetinale,  e al  Lecceto  più  ad  oriente,  misti 
alla  terra  rossa  e a ciottoli  di  roccie  permiche  trovansi  in  copia  cri- 
stalli bipiramidati  di  quarzo  nero,  sìmili  a quelli  che  si  rinvengono 
nei  gessi  di  Chianciano  e di  S.  Filippo  presso  il  Monte  Amiata,  non 
che  nei  gessi  di  varie  altre  località  italiane  ed  estere.  La  loro  prove- 
nienza è molto  problematica  per  la  Montagnola,  ove  non  esiste  traccia 
di  gesso,  come  del  resto  ne  è incerto  per  ora  il  processo  genetico  anche 
quando  essi  occupano  la  loro  sede  abituale  nelle  masse  gessose.  Uno 
studio  accurato  su  questi  cristalli,  cui  attende  al  presente  il  prof.  Bu- 
satti, non  mancherà  al  certo  di  portar  luce  sulla  questione. 

Prima  di  terminare  la  presente  relazione  credo  opportuno  di  dare 
un  cenno  sopra  la  curiosa  sorgente  avventizia  del  Luco,  che  scaturisce  a 
Barigiano  presso  Rosia,  al  limite  fra  il  monte  calcareo  e la  pianura,  e 
precisamente  sul  margine  della  via  provinciale.  L’efflusso  dell’ acque  di 
questa  sorgente  ha  luogo  assai  di  rado  e sempre  4 o 5 mesi  dopo  un  pe- 
riodo estremamente  piovoso.  Essa  offre  intervalli  di  inattività  variabili  da 
3 a 10  anni  ed  il  periodo  attivo  dura  di  solito  pochi  mesi.  Comincia  dap- 
prima a tirare  lentamente  ed  impiega  qualche  mese  avanti  di  giungere  al 
massimo  della  sua  portata,  quindi  gradatamente  declina.  Questo  massimo 
è variabile  nelle  diverse  emissioni  e può  oscillare  fra  6 e 40  litri  al  1", 
giusta  i calcoli  del  marchese  Chigi.  In  addietro  l’efflusso  dovette  persistere 
per  un  tempo  assai  lungo,  poiché  in  prossimità  della  sorgente  fu  costruito 
un  molino,  che  però  fu  ben  presto  abbandonato  ed  ora  non  ne  riman- 
gono che  i ruderi.  Il  Gigli  *,  parlando  del  Luco,  dice  che  in  antico  de- 


1 Gigli,  Diario  Senese.  Siena,  1854.  (II,  pag.  232). 


— 362  - 


nomìnavasi  Muglioné,  perchè  sotto  i massi  sentivasi  mugliare  l’acqua 
sotterranea. 

Questo  fenomeno  è per  gli  abitanti  un  segno  precursore  di  pros- 
sime disgrazie  e fino  ab  antiquo  dicevasi  che  quando  il  Luco  tira , fa 
carestia  o son  prossimi  i terremoti.  Forse  tali  idee  non  erano,  nè  sono 
del  tutto  superstiziose,  se  ridettesi  che  come  1’  attività  del  Luco,  così 
anche  la  scarsità  dei  raccolti  e la  frequenza  dei  terremoti  succedono 
di  solito  a periodi  estremamente  piovosi.  La  prima  parte  di  questo  as- 
serto non  ha  bisogno  di  esser  dimostrata,  l’altra  è fondata  sopra  osser- 
vazioni registrate  con  cura  dal  marchese  Chigi. 

Attualmente  la  sorgente  dei  Luco  tira  da  circa  10  mesi,  e tale  at- 
tività corrisponde  alle  copiose  pioggie  che  si  ebbero  dall’ottobre  1887 
al  febbraio  1888.  La  sua  portata  può  essere  di  circa  6 o 7 litri  al  1", 
ma  sembra  che  sia  in  continuo  aumento. 

Il  marchese  Chigi  vorrebbe  vedere  nella  intermittenza  del  Luco  il 
fenomeno  del  vuotamento  d’una  cavità  sotterranea  ripiena  d’acqua  per 
mezzo  d’un  sifone  naturale;  ed  è così  infatti  che  si  spiegano  in  generale 
le  sorgenti  intermittenti,  lo  ritengo  però  che  l’intermittenza  del  Luco  possa 
essere  intesa  in  una  maniera  assai  più  semplice;  trattasi  a mio  parere  d’un 
corso  d’acqua  sotterraneo  che  mantiensi  tale  in  condizioni  meteorologiche 
normali,  mentrechè  diviene  in  parte  superficiale  in  seguito  a periodi 
eccezionalmente  piovosi.  Le  condizioni  stratigrafìche  appoggiano  com- 
pletamente questa  idea,  poiché  da  esse  risulta  che  l’acqua  che  alimenta 
questa  sorgente  si  raccoglie  presso  il  contatto  fra  i calcari  cavernosi, 
roccia  assorbente  per  eccellenza,  e gli  scisti  argillosi  sottostanti  i quali 
funzionano  da  letto  impermeabile.  Ora  se  ricordiamo  che  1’  ubicazione 
di  detta  sorgente  avventizia  è precisamente  alla  base  di  un  gruppo  di 
poggi  calcarei  e se  notiamo  che  gli  strati  scistosi  in  quei  dintorni 
inclinano  verso  di  essa,  è ragionevole  il  supporre  che  il  contatto  fra 
le  due  roccie,  e quindi  il  corso  d’acqua  sotterranea,  possa  trovarsi  pros- 
simo alla  superficie  nel  punto  di  scaturigine  del  Luco  e che  solo  in 
seguito  a periodi  estremamente  piovosi  la  copia  delle  sue  acque  sia 
tale  da  farlo  traboccare  al  di  fuori.  Ciò  sarebbe  in  armonia  col  fenomeno 
del  rumoreggiare  sotterraneo  che  procacciò  alla  sorgente  in  antico  il 
nome  di  Muglioné. 

La  esposta  spiegazione  rende  ragione  dell’aumento  e decrescimento 


341  Moniarrervti 


Boll. del  R.Com.Geol. d'Italia 


Anno  1888  Tav.VI  (B  Lotti 


Sezioni  geologiche  nella 
Montagnola  Senese 

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Cg-  conglomeralo  miocenici)  de  calcare,  cavernoso. 


C - 


m - 

gr- 


calcare •/  cavernoso  velico- 

scesti/  ardesiacù  e calcescisto  del'  trias  superiore) 
calcari)  cristailiivi/  idem/. 

calcari  cripto cristalUnv  dolomitici  (grezzonv)  del  trias  medio 
puddinghe,  quarzoso  e scisto  micacei  (veivucano)  del  per  meco 


V 


— 363  — 

graduale  della  portata  di  questa  sorgente,  della  variabilità  dei  massimi 
di  questa  portata  nei  vari  periodi  d’attività,  non  che  della  irregolarilà 
nella  intermittenza,  fatti  questi  che  sarebbero  insufficientemente  spie- 
gati coll’altra  ipotesi. 


IL 

Alcune  osservazioni  sulla  fauna  delle  ligniti  di  Casteani  e di 
Montelamboli  ( Toscana );  del  dott.  K.  Ant.  Weithofer. 

Nel  museo  paleontologico  del  R.  Istituto  di  studii  superiori  in  Fi- 
renze si  conservano  alcuni  avanzi  di  mammiferi  provenienti  dalle  ligniti 
di  Casteani  (provincia  di  Grosseto),  i quali  insieme  ad  altri  delle  loca- 
lità circonvicine  si  prestano  assai  a rendere  più  compiute  le  nostre 
cognizioni  sulla  fauna  di  quel  tempo.  Le  dette  ligniti  sono  contempo- 
ranee ed  uguali  a quelle  di  Montebamboli  e rappresentano  insieme  a 
queste,  e ad  altre  consimili  poste  nelle  vicinanze,  un  bacino  probabil- 
mente unico. 

Ecco  la  lista  dei  vertebrati  delle  ligniti  di  Casteani  secondo  gli 
avanzi  esistenti  nella  collezione  suddetta,  che  soli  finora  mi  fu  dato 
di  conoscere: 

1.  Enhydriodon  Campami , Menegh. 

2.  Antilope  Haapti , Major. 

3.  Antilope  ( Palceoryx ) sp. 

4.  Sus  choeroideSy  Pom. 

5.  Emys  sp. 

6.  Crocodilus  sp. 

N.  1.  — La  prima  delle  nostre  specie,  chiamata  dal  prof.  Meneghini 
Lutra  Campanii  *,  appartiene  al  gener q Enhydriodon  Falc.1  2 Non  mi  trat- 
terrò qui  a giustificare  il  ristabilimento  di  codesta  denominazione  del 


1 G.  Meneghini,  Descrizione  dei  resti  di  due  fiere  trovati  nelle  ligniti 
mioceniche  di  Montebamboli  (Atti  Soc.  Ital.  Se.  nat.,  Milano,  1862). 

2 Paleont.  Memoirs  (London,  1868,  voi.  I,  pag.  331,  tav.  XXVII). 


— 364  - 


dotto  paleontologo  inglese,  avendo  a discorrerne  in  altro  luogo  più  op- 
portuno; solo  osserverò  che  il  Lydekker  *,  credendo  di  poter  toglier  di 
mezzo  questo  nome  generico,  cadde  in  errore  poiché  egli  attribuì  le  tre 
figure,  che  ne  diede  il  prof.  Meneghini,  a due  individui  (mentre  non  ap- 
partengono se  non  a uno  solo),  i quali  poi,  secondo  lui,  formerebbero 
una  transizione  esatta  dalle  vere  lontre  a ÌYEnhydriodon, 

L’ Enhydriodon  Campanti,  di  fatti,  è tanto  differente  dalla  Lutra , 
quanto  la  specie  delle  colline  Siwalik. 

Fra  gli  avanzi  di  questa  specie  conservati  nel  museo  fiorentino  ci 
interessano  anzitutto  due  frammenti  di  mandibola  forniti  ancora  dei 
denti,  mandibola  che  fino  ad  ora  era  rimasta  sconosciuta. 

Il  primo  frammento  della  mandibola  (con  — M2)  si  trovò  unito  a 
una  parte  della  mascella  superiore,  ambedue  esattamente  corrispondenti 
tra  di  loro.  Il  dente  ferino  della  mandibola  ha  presso  a poco  la  forma 
dello  stesso  dente  della  lontra;  però  esso  è considerevolmente  più  largo 
ed  il  lembo  posteriore  è troncato.  Il  cosidetto  tallone  è basso  e forma 
una  conca  piatta  con  margini  elevati  onde,  alla  parte  esteriore, 
sporge  un  piccolo  tubercolo. 

Il  M,  è di  forma  traverso-elittica  ed  ha  una  concavità  un  poco 
più  profonda  di  quella  del  Mt. 

Oltre  a questi  due  esemplari  esiste  a Firenze,  proveniente  dalla 
stessa  località,  un’altra  mandibola  più  completa  e annessovi  un  fram- 
mento di  mascella  superiore  coi  Pr2  e Pr3. 

La  mandibola  contiene  il  Pr3,  Pr^  e Pr*  (di  quest’ultimo  soltanto  il 
ramo  anteriore  della  radice),  ed  ambedue  i molari.  Si  differenziano 
abbastanza  dai  primi,  i quali  sono  di  dimensioni  maggiori. 

Ecco  la  lunghezza  e la  larghezza  del  Pr3  e Pr2  della  mascella 


confrontate 

con  quelle 

dell’esemplare  del 

prof.  Meneghini  : 

Enh.  Camp. 

Museo  fiorentino 

t Lunghezza 

mm.  9 

mm.  7 

( Larghezza 

mm.  6 

mm.  4 

Pr2 

J Lunghezza 

mm.  10 

mm.  8*  5 

( Larghezza 

mm.  8 

mm.  5.  5 

* R.  LYDEKKER,  Siwalik  and  Narbada  Carnivora  (Pai.  Ind.,  Ser.  X,  voi.  Il, 
Part.  VI,  p.  197  [20]). 


- 365  — 


Rispetto  alle  due  mandibole  è quasi  impossibile  di  dare  misure 
comparative  del  e M2,  perchè  quasi  sempre  dove  1’  uno  è completo 
l’altro  è mutilato.  Del  resto,  le  proporzioni  di  ambedue  riusciranno  chiare 
dalle  figure  che  pubblicherò  fra  poco. 

È notevole  per  altro,  che,  mentre  il  suddetto  frammento  della  ma- 
scella superiore  coi  M,  e M2  è più  piccolo  dell’originale  dell*  Enhy- 
driodon  Campanti , codesta  differenza  viene  ancora  maggiormente  ac- 
centuata da  quest’ultimi  esempi.  Essa  è nei  varii  denti  del  20,  anzi  tal- 
volta del  30  per  cento.  Tuttavia,  considerate  le  somiglianze  che  esi- 
stono fra  questi  frammenti,  non  entrerei  nella  difficile  questione  se  dalla 
suddetta  differenza  si  possa  argomentare  trattarsi  di  una  nuova  specie. 

Vero  è che  la  variazione  specifica  per  lo  più  non  supera  il  10  per 
cento;  tuttavia  in  casi  straordinarii,  secondo  lo  Schlosser  1 2 * e il  Winter- 
feld4,  raggiunge  anche  il  30  per  cento. 

N.  2.  — Il  nome  Antilope  Haupti  fu  usato  dal  Forsyth  Major  in 
schedis  per  avanzi  di  antilopi  conservati  nel  museo  fiorentino.  Esistono 
parecchie  corna  e ancora  molti  frammenti  di  mandibole  e di  mascelle. 
Le  prime  sono  conservate  molto  male  ed  in  maggior  parte  schiacciate: 
sono  senza  traccie  di  creste  e,  da  quanto  se  ne  può  indurre,  pressoché 
in  forma  di  lira.  I denti  hanno  carattere  evidentemente  ipsolodonte. 
Vi  sono,  ad  esempio,  molari  superiori  dell’  altezza  di  43  mm.  e della 
larghezza  massima  di  20  mm.,  e molari  inferiori  di  simili  dimensioni. 
Questo  fatto  è uno  dei  più  sorprendenti  e straordinari,  quando  si  pensi 
all’orizzonte  di  questi  giacimenti,  il  quale  generalmente  viene  parago- 
nato a quello  di  Sansan,  Simorre,  Steinheim*  ecc. 

N.  3. — Antilope  (Palceoryxf)sp.:  chiamo  così  un  frammento  mascel- 
lare, coi  M2 — Pr2  conservati,  sebbene  molto  male  dall’una  e dall’altra 
parte.  I denti  certo  hanno  una  tal  quale  analogia  con  quelli  di  Ceruus , 
ma  la  parete  esterna  è intieramente  formata  come  nelle  antilopi. 
Quanto  alle  dimensioni  e alla  forma  essi  si  avvicinano  alla  Falce oryx 
Pallasii  di  Pikermi. 


1 M.  Schlosser,  Die  Nager  des  europàischen  Tertidrs  (Palseontogr.,  voi.  XXXI. 
Cassel,  1884,  pag.  32). 

2 Fr.  Winterfeld,  Ueber  quartare  Mustelidenreste  Deutschlands  (Zeitschr. 

deutsch.  geol.  Ges.  1885,  p.  826). 


— 3 66  — 


N.  4.  Sul  genere  Sus  il  Forsyth  Major  prepara  una  mono- 
grafia, sicché  mi  astengo  di  parlare  di  questi  avanzi. 

N.  5.  Oltre  queste  quattro  specie  di  mammiferi  si  trovano  an- 
cora numerosi  frammenti  d’una  Emys. 

N.  6.  — Un  coccodrillo  è indicato  per  un  solo  dente. 

Proveniente  dalle  miniere  di  Monte-Massi  si  rinviene  nel  museo 
suddetto  un  certo  numero  di  avanzi  dell’ Antilope  Haupti:  trovasi  ancora 
nel  museo  paleontologico  della  Università  di  Pisa  un  dente  molare  su- 
periore d’un  Anthracotherium. 

Non  havvi  quindi,  come  risulta  dalla  mia  lista,  che  due  sole  specie 
comuni  tra  la  fauna  di  Montebamboli  (della  quale  pure  non  conosciamo 
che  quattro  specie)  e quella  di  Casteani  : Enhydriodon  Campami  e 
Sus  choeroides.  Ma  ulteriori  ricerche  nelle  ligniti  di  Montebamboli  por- 
ranno fuor  di  dubbio  proba  bilmente  resistenza  in  questa  località  dell’An- 
tilope Haupti , la  quale  abbonda  evidentemente  nelle  ligniti  di  Casteani. 

A queste  specie  di  Montebamboli  già  conosciute  mi  è dato  ora  di 
aggiungerne  due  altre: 

1.  Mustela  Majori  n.  sp. 

2.  Antilope  graeillima  n.  sp. 

N.  1.  — La  detta  mustela  è di  grandezza  notevole;  i Pr, — Pr3,  p.  es., 
misurano  insieme  27  mm.,  mentre  la  stessa  distanza  nella  nostra  Mu- 
stela foina  ammonta  soltanto  presso  a poco  a 20 — 22  mm.  Più  che  a 
qualunque  altra  forse  si  potrebbe  metter  a canto  alla  Mustela  Pentelici 
di  Pikermi;  però  anche  questa  è un  poco  più  piccola. 

Must.  Peni.  Must.  Maj. 

M,  inf.  mm.  13  mm.  15 

I caratteri  che  distinguono  la  Mustela  Majori  sono:  Nel  PrA  supe-  ; 
riore  il  grande  tubercolo  interno,  non  strozzato,  ma  annesso  con  larga 
base  al  corpo  del  dente  ; nel  M,  superiore  il  margine  posteriore  paral- 
lelo all*  anteriore,  come  nella  Mustela  paloeattica  di  Pikermi  1 ; nel 
Mt  inferiore,  unicamente  conosciuto  della  dentizione  mandibolare,  la 
preponderanza  della  parte  anteriore  sul  tallone. 


1 K.  A.  WKITHOPER,  Fauna  von  Pikermi  (Beitr.  zur  Paloeontologie  Oester- 
reich-Ungarns,  Bd.  VI,  Wien  1888,  p.  228,  [4]). 


Per  quanto  finora  è possibile,  il  confronto  di  questa  specie  con 
altre  già  note,  la  mostra  ben  distinta  da  queste  ; la  chiamo  dunque  col 
nome  del  benemerito  e riverito  paleontologo  signor  dottore  C.  Forsyth 
Major  : Mustela  Majorì. 

N.  2.  — Della  nuova  antilope  si  trovano  nella  collezione  suddetta 
due  frammenti  di  mandibole  ed  uno  di  mascella.  Essa  è molto  piccola,  e 
i denti  mostrano  anche  in  questo  caso  carattere  evidentemente  ipsolo- 
donte.  L’altezza  d’un  molare  superiore  è di  mm.  14,  5 e la  larghezza  mas- 
sima di  mm.  9.  Dalla  forma  graziosa  la  denomino  Antilope  gracillima. 

Nella  determinazione  precisa  dell’età  dell’orizzonte  geologico  a cui 
appartengono  queste  ligniti,  secondo  i resti  dei  mammiferi  finora 
conosciuti,  bisogna  procedere  colla  massima  precauzione. 

La  fauna  di  Montebamboli  si  compone  delle  seguenti  specie: 

Oreopithecus  Bambolii , Gerv. 

Enhydriodon  Campanti,  Menegh. 

Mustela  Majori , Weith. 

Hyoenarctos  antrhaeitis,  Weith. 

Antilope  graeillima , Weith. 

Sus  choeroides,  Pom. 

Anas  lignitiphila , Salvad. 

Triony*  Sp.  (2  spJ)  j 

Sauriano.  \ 

Vi  si  aggiungano  le  due  antilopi,  la  Emys  e il  coccodrillo  di  Ca- 
steani,  ancora  non  rinvenuti  a Montebamboli: 

Antilope  Haupti,  Maj. 

Antilope  ( Paloeoryx ?J  sp. 

Crocodilus  sp. 

Emys  sp. 

come  pure  Y Anthracotherium  di  Monte-Massi* 

Se  dunque  prendiamo  in  considerazione,  dove  e in  che  circostanze 
gli  stessi,  o almeno  animali  consimili,  sono  stati  trovati,  si  viene  alle 
seguenti  osservazioni  : 


1 D.  Pantanelli,  Monografia  degli  strati  pontiei  del  Miocene  superiore 
nelVItalia  settentrionale  e centrale  (Mem.  R.  Acc.  Se.,  Lett.  ed  Arti  di  Modena. 
Sez.  di  Scienze,  T.  IV,  Sez.  II,  p.  12). 


— 368  — 


UOreopithecus  è da  porsi  micino  al  genere  odierno  Cynocephalus' ; 
una  specie  dell ’Enhydriodon  è stata  fornita  dalle  colline  Siwalik  dei- 
fi  India  2 ; Hycenarctos  fu  trovato  finora  principalmente  in  giacimenti 
dell’età  di  Pikermi  o in  strati  più  recenti  5;  le  antilopi  mostrano,  come 
abbiamo  visto,  caratteristiche  molto  moderne.  Fino  a che  punto  il  Sus 
contribuisca  a precisare  l’età  del  relativo  orizzonte,  prenderà  in  esame 
il  Forsyth  Major  nella  sua  monografia4.  Solo  l’unico  dente  d’ un  An- 
tracoterio,  che  di  sopra  ho  menzionato,  indicherebbe  un  orizzonte  più 
antico;  però  a dire  del  Kaup  codesto  genere  sarebbe  stato  trovato  an- 
cora negli  strati  d’Eppelsheim  (secondo  il  Forsyth  Major8). 

Concludendo  aggiungerò  che  il  suddetto  Hycenarctos  anthracitis 
è identico  aXYAmphicyon  Laurillardi , che  fu  descritto  e figurato  dal 
Meneghini  6.  Come  osservò  già  il  Gervais  7,  appartiene  la  mandibola, 
che  è l’oggetto  della  dissertazione  dell’illustre  professore  di  Pisa,  ad 
un  Hycenarctos . 

L ’Amphicyon  Laurillardi  invece,  secondo  le  figure  del  Blainville, 
è un  vero  Amphicyon , come  già  risulta  dal  confronto  dei  Mi — M3. 

Da  un  paragone  fra  la  presente  e le  altre  specie  di  Hycenarctos 
trovate  in  Europa  e nell’India  (l’America  non  ne  ha  fornito  che  resti 
dubbiosi)  ne  consegue  che  i nostri  avanzi  non  possono  identificarsi  con 
alcuna  delle  specie  conosciute,  per  la  qual  ragione  ho  creduto  bene  di 
farne  una  nuova  specie,  denominandola  Hycenarctos  anthracitis. 

Firenze,  il  1°  ottobre  1888. 


1 M.  SCHLOSSER,  Die  Affen,  Lemuren,  etc.  des  europ.  Tertiàrs  (Beitr.  zur 
Pai  Oesterr.  Ung.,  Bd.  V.,  Wien,  1887,  p.  16). — Idem,  Die  fossilen  Affen  (Archiv  f. 
Antrhopol.,  Bd.  XVII,  p.  291). 

2 1.  c. 

8 Alcoy,  Montpellier,  Red  Crag,  Pikermi  e Siwalik.  In  quanto  a Kieferstàdt 
(Slesia),  l’età  è ancora  incerta. 

4 In  questo  luogo  vorrei  soltanto  aggiungere  che  questa  specie,  secondo  il 
Gervais  (Bull.  Soc.  géol.  Fr.,  Sér.  II,  T.  X,  1850;  tav.  6,  fig.  7*10),  è probabilmente 
identica  a quella  trovata  presso  Alcoy  (Spagna,  provincia  di  Alicante  h 

8 Forsyth  Major,  La  faune  des  Vertébrés  de  Montebamboli  (Atti  Soc. 
Ital.  Se.  nat.  Milano,  voi.  XV,  1872,  p.  290).  — Però  questi  strati  contengono  pure 
avanzi  di  specie  del  miocene  superiore  ed  anzi  d’orizzonti  più  antichi. 

6 1.  c. 

7 P.  Gervais,  %ool.  et  Pai.  génér.,  Sér.  II,  1875,  p.  22. 


- 369  — 


NOTIZIE  BIBLIOGRAFICHE 


BIBLIOGRAFIA  GEOLOGICA  ITALIANA  PER 


L’ANNO  1887. 


(Continuazione  e fine,  v.  fase.  9-10 ) 


Ricciardi  L.  — Ricerche  di  chimica  vulcanologica  sulle  roccie  e mine- 
rali del  Vulture.  (Gazzetta  Chimica  italiana  T.  XVII).  — Palermo. 

Premessi  alcuni  cenni  topografici  e geologici  su  questo  vulcano,  presenta 
l’analisi  dei  minerali  che  vi  si  rinvengono,  e sono:  hauina,  augite,  mica,  leucite, 
magnetite  ; non  che  la  composizione  centesimale  delle  varie  lave  e dei  tufi  di 
quella  regione  vulcanica.  Ricordati  gli  studi  di  diversi  autori,  richiama  un  suo 
precedente  lavoro  sull’  allineamento  dei  vulcani  italiani  nel  quale  dimostrò  che 
questo  vulcano  dei  dintorni  di  Melfi  si  trova  sopra  una  fenditura  che  parte  dal  centro 
vulcanico  sottomarino  africano  e giunge  in  Basilicata,  facendo  rilevare  che  le  roccie 
del  Vulture  sono  in  generale  le  più  povere  di  silice,  ciò  dovuto  alla  grande  ab- 
bondanza di  hauina.  Aggiunge  che  a questo  vulcano,  ritenuto  finora  1*  unico  nel 
versante  adriatico  dell’Appennino,  deve  aggiungersi  un  altro  cratere  presso  Canossa 
nell’Emilia  scoperto  dall’autore  e che  costituisce  la  Rocca  di  Rossena  del  quale 
si  sta  ora  occupando. 

Ricciardi  L.  — Sopra  i terreni  derivanti  dalle  argille  scagliose  degli 
Appennini.  (L’Agricoltura  italiana,  Anno  XIII).  — Firenze. 

Accennato  alle  argille  scagliose  dell’  Emilia  ed  alla  loro  origine  idrotermale, 
si  occupa  di  quelle  dei  dintorni  di  Canossa  delle  quali  descrive  i caratteri  fìsici  e 
chimici,  dandone  la  composizione  centesimale.  Esposta  quindi  la  composizione 
della  roccia  di  Rossena  ne  mostra  l’analogia  con  quella  delle  argille  scagliose. 

La  sterilità  che  presentano  tali  argille  di  fronte  alla  fertilità  del  terreno  dei 
dintorni  di  Rossena  egli  fa  dipendere  dalle  loro  proprietà  fìsiche  e ritiene  che  la  fer- 
tilità stessa  sia  dovuta  all’azione  emendatrice  delle  sabbie  vulcaniche  di  quel  cra- 
tere di  Rossena  mescolate  alle  argille  suddette. 


— 370  — 


Ricciardi  L.  — Genesi  e successione  delle  roccie  eruttive . (Atti  Soc.  It. 
Se.  Nat-,  Voi.  XXX,  fase.  3).  — Milano. 

In  questa  nota  è sviluppato  lo  stesso  concetto  svolto  dall’  autore  nel  prece- 
dente lavoro  « sulle  roccie  eruttive  subaeree  e submarine  e loro  classificazione  in 
due  periodi  ». 

Riccio  L.  — Un  altro  documento  sulla  eruzione  del  Vesuvio  del  1649 
(Lo  spettatore  dei  Vesuvio  ecc.,  N.  Serie,  Voi.  1°).  — Napoli. 

L’autore  riporta  da  un  manoscritto  autentico  di  Silvestro  Viola  una  relazione 
di  questa  eruzione  che  conferma  quanto  ne  lasciarono  scritti  altri  autori.  Da 
essa  apparisce  che  nel  novembre  1649  il  Vesuvio  cominciò,  dopo  18  anni  di  ri- 
poso, ad  entrare  in  nuovo  periodo  di  attività,  che  si  manifestò  poi  anche  nel  1652 
e 1654  e che  probabilmente  ebbe  la  sua  maggiore  manifestazione  coll’eruzione 
del  1660. 

Ristori  G.  — Fillìti  nei  travertini  delle  Sugher elle  presso  Rio  nell’Isola 
d’Elba . (Proc.  verb.  Soc.  toscana,  Voi.  V).  — Pisa. 

Indica  le  specie  ed  i generi  di  resti  vegetali  trovati  in  alcuni  campioni  dei 
travertini  delle  Sugherelle  esistenti  nel  Museo  di  Firenze:  esse  sono:  Carex  sp. 
ind.  (affinis  al  C.  penduta’,  Smilax  mauritanica  Desf.  ; Carpinus  orientali s 
Ostrya  Lam.;  Fagus  sp.  ind.  e Quercus  sp.  ind .;  Q.  Ilex  I..;  Laurus  Guiscardii 
Gaud.;  Laurus  nobilis  L.;  Persea  speciosa  Herr;  Rhamnus  sp.  ind.;  Cassia 
sp.  ind. 

Ristori  G.  — I dintorni  di  Orciatico  in  provincia  di  Pisa.  (Proc.  verb. 
Soc.  toscana,  Voi.  V).  — Pisa. 

Alla  descrizione  complessiva  geologica  dei  dintorni  di  Orciatico,  che  già  venne 
fatta  dal  Capellini  e dal  Lotti,  l’autore  aggiunge  alcuni  particolari.  Osservando 
dapprima  che  qui  come  a Montecatini  sono  sviluppate  assai  le  roccie  ofiolitiche 
dalle  serpentine  propriamente  dette  alle  eufotidi  e alle  diabasi,  passa  in  rassegna 
le  varie  località  ove  tali  roccie  si  presentano,  e nota  che  dove  predominano  le 
serpentine  mancano  o sono  assai  scarse  le  diabasi.  Tali  roccie  sorgono  da  roccie 
eoceniche  delle  quali  predominante  è V alberese.  La  serie  stratigrafica  dal  basso 
all’alto  ne  è la  seguente: 

1°  Roccie  ofiolitiche  ; 2°  ftaniti  e diaspri  ; 3°  galestri;  4°  scisti  argillosi;  5°  al- 
beresi. — A queste  soprastanno  i terreni  miocenici,  la  cui  successione  in  senso 
ascendente  è: 

1°  Conglomerati  ofiolitici  a grossi  elementi;  conglomerati  a fini  elementi  si- 


mili  ad  arenarie;  2°  Conglomerato  litoraneo  impastato  con  argilla  ocracea  ; argille 
lignitifere  d’acqua  dolce;  3°  Gessi;  4°  Argille  a pteropodi;  5°  Formazione  delle 
argille  plioceniche. 

Parlando  della  trachite  di  Orciatico,  di  cui  è costituito  il  Poggio  dell’Annun- 
ziata,  e accennato  a quanto  ne  scrissero  il  Capellini  ed  il  Lotti,  ritiene  che  essa 
debba  essere  stata  eruttata  dopo  la  deposizione  delle  argille  e delle  sabbie  plio- 
ceniche e quindi  durante  il  periodo  quaternario.  Gli  argomenti  in  favore  di  questa 
opinione,  benché  pochi,  non  sono  privi  di  valore,  mentre  alcuno  non  ve  ne  ha  per 
ritenere  che  l’eruzione  trachitica  sia  avvenuta  durante  il  pliocene. 

Sacco  F.  — Le  Fossanien , nouvel  etage  du  Pliocène  d’ Italie.  (Bull. 
Soc.  Geol.  de  France,  T.  XV).  — Paris. 

Facendo  lo  studio  dettagliato  del  pliocene  nel  Piemonte  l’autore  ha  potuto 
constatare  che  fra  i depositi  fluviali  del  Villafranchiano  e le  sabbie  gialle  marine 
dell’Astiano  esisteva  un  orizzonte  assai  potente  ed  esteso  costituito  da  sabbie  grigie 
giallastre  passanti  a letti  sabbiosi  e a marne  argillose  con  fossili  appartenenti 
esclusivamente  ai  generi  Ostrea,  Balanus,  Cardium , Cerithium , ecc.  Tale  orizzonte 
a facies  salmastra  non  essendo  un  fatto  puramente  locale,  ma  avendolo  individuato 
in  molte  altre  località,  l’autore  ha  creduto  di  costituirne  un  sotto  piano  speciale 
al  quale  ha  dato  il  nome  di  Fossaniano  dalla  città  di  Fossano  ove  lo  ha  ricono- 
sciuto per  la  prima  volta  e dove  si  presenta  assai  fossilifero,  tipico  e facilmente 
osservabile. 

Indicato  sommariamente  lo  sviluppo  notevole  (circa  150  chil.)  di  quest’  oriz- 
zonte nel  Piemonte,  e che  anche  in  altre  parti  d’Italia  si  trovono  dei  letti  di  sabbie 
e ghiaie  con  fossili  salmastri  che  non  possono  confondersi  nè  coll’  Astiano  tipico 
nè  col  Villafranchiano,  osserva  che  questo  sotto-piano  acquista  la  più  grande  po- 
tenza ed  estensione  dove  i grandi  corsi  d’acqua  venivano  a sboccare  nel  mare  o 
nelle  maremme  plioceniche,  mentre  diminuisce  di  spessore  ed  anche  scompare 
dove  queste  correnti  erano  poco  importanti  o nulle.  Nota  però  che  l’assenza  del 
Fossaniano  può  provenire  nelle  vicinanze  delle  Alpi  dall’essere  l’Astiano  coperto 
immediatamente  dai  depositi  lacustri  fluviali  del  Villafranchiano,  senza  che  si 
sia  costituito  un  periodo  lagunare,  ed  anche  da  un  sollevamento  locale  più  po- 
tente per  il  quale  le  regioni  occupate  dal  mare  astiano  si  possono  cangiare  in 
regioni  lagunari  tagliate  da  corsi  d’acqua  irregolari,  formanti  depositi  villafranchiani. 

Sacco  F.  — Le  tremblement  de  terre  du  23  Février  1887  en  Italie . 
(Bull.  Soc.  belge  de  Geol.  Pai.  et  Hydrol.,  T.  I).  — Bruxelles. 

L’autore  rende  conto  del  terremoto  avvenuto  nella  Riviera  ligure  di  ponente 
il  23  febbraio.  Fra  le  varie  cause  dei  disastri  avvenuti  accenna  alla  cattiva 


— 372  — 


costruzione  delle  case  e all’essere  la  maggior  parte  di  esse  fabbricate  su  depo- 
siti pliocenici  o quaternari  di  sabbie,  argille  o ghiaie  di  poca  potenza,  poggianti 
direttamente  sulle  roccie  antiche  della  catena  alpino-appenninica  che  si  elevano 
rapidamente  a grande  altezza;  condizioni,  queste,  che  rendono  assai  sfavorevole  la 
trasmissione  regolare  e tranquilla  delle  onde  sismiche.  Quanto  all’origine  di  que- 
sto terremoto,  crede  che  si  debba  escludere  ogni  idea  di  vulcanismo,  ma  che  esso 
sia  stato  causato  da  rottura  di  equilibro  nelle  stratificazioni  dell’ Appennino  ligure  ; 
in  seguito  a quella  forza  che  dalle  epoche  più  remote  tende  a sollevare  quella 
regione  montuosa.  Tali  movimenti,  dovuti  a pressioni  laterali,  producono  di  tempo 
in  tempo  delle  rotture  vincendo  la  resistenza  e la  elasticità  delle  masse  stratifi- 
cate, producendo  così  forti  scosse,  come  questa  che  ebbe  tanto  funeste  conseguenze. 

Sacco  F.  — Il  piano  messiniano  nel  Piemonte  ; parte  II.  (Boll.  Soc. 
Geol.,  V,  3).  — Roma. 

In  questa  seconda  parte  l’autore,  prosegue  lo  studio  del  Messiniano,  già  inco- 
minciato lo  scorso  anno,  prendendo  ad  esame  la  zona  da  Guarene  d’Alba  a Tor- 
tona. Passa  in  rassegna  le  varie  località  più  interessanti,  tanto  geologicamente 
che  paleontologicamente,  per  i nuovi  giacimenti  fossiliferi  con  forme  finora  sco- 
nosciute in  Piemonte,  non  che  industrialmente,  in  causa  dei  potenti  giacimenti 
di  gesso  che  vengono  attivamente  scavati. 

Conclude  il  suo  lavoro  dando  prima  una  lista  della  flora  e della  fauna  mes- 
siniana  della  regione  descritta.  Nota  che  i resti  dalla  flora  trovansi  specialmente 
nelle  marne  fogliettate  includenti  i gessi  ; non  mancano  però  anche  nelle  marne 
sabbiose  intercalate  a banchi  arenaceo-ghiaiosi  e talora  nelle  marne  superiori  con 
fossili  salmastri.  Tale  flora  indica  un  clima  caldo  ed  abbastanza  umido.  Per  la 
fauna  si  limita  all’enumerazione  delle  specie  tipiche  salmastre. 

Riassume  infine  sommariamente  la  serie  delle  vicende  che  si  verificarono 
nella  regione  studiata  durante  il  periodo  messiniano. 

A questo  lavoro  va  unita  una  tavola  di  sezioni  geologiche  delle  località  più 
tipiche  e più  interessanti  della  regione  studiata. 

Sacco  F.  — Studio  geologico  dei  dintorni  di  Voltaggio.  (Atti  della  R. 
Acc.  delle  Scienze,  Voi.  XXII,  Disp.  II).  — Torino. 

È una  descrizione  sommaria  dei  terreni  della  regione  qui  sopra  indicata. 

Cominciando  dalle  serpentine  preterziarie,  che  costituiscono  una  grossa  massa 
a S.O  di  Voltaggio,  l’autore  opina  che  questa  zona  ofiolitica  ritenuta  triasica  da  vari 
autori,  sia  piuttosto  paleozoica,  collegandosi  meglio  colle  roccie  scistose  paleozoi- 

t 

che  che  coi  calcari  del  trias. 

Il  Liguriano  è rappresentato  da  serpentine,  da  calcari  e dal  fly&ch.  Quanto 


alle  prime,  nota  che  i banchi  serpentinosi  di  Voltaggio  sono  assolutamente  eocenici. 
La  roccia  serpentinosa  che  spunta  a Carrosio,  ritenuta  dal  Sismonda  serpentina 
in  posto,  è invece  un  conglomerato-breccia  ad  elementi  serpentinosi  con  cemento 
serpentinoso-calcareo  del  Tongriano  inferiore. 

Oltre  l’alberese  con  Helminthoidea  labyrinthica  vi  sono  presso  Voltaggio 
dei  calcari  dolomitici  in  contatto  colle  serpentine  antiche  e colle  roccie  eoceniche, 
che  l’autore  opina  sieno  una  facies  speciale  del  Liguriano.  Vi  sono  inoltre  dei 
calcari  pure  eocenici  diversi  dall’alberese  e dai  calcari  dolomitici,  di  color  bruno, 
compatti  e ben  stratificati  e passanti  talora  ad  ipoftaniti.  Il  Jlisch  è costituito 
da  scisti  argillosi  e talcosi  passanti  a calcescisti  di  color  grigio,  con  lenti  pieghet- 
tate o frantumate  di  arenaria. 

Il  Tongriano  inferiore  è rappresentato  da  conglomerati  ad  elementi  calcareo- 
serpentinosi  con  resti  di  vegetali  e banchi  lignitiferi,  con  breccia  calcarea  e ser- 
pentinosa verso  la  base.  La  sua  potenza  è varia:  da  300  metri  si  riduce  a sottili 
lembi  irregolari.  Dei  banchi  di  marne,  sabbie  e ghiaie  con  molti  fossili  (nummu- 
liti  orbitoidi,  ecc.)  segnano  il  passaggio  dal  Tongriano  inferiore  al  superiore. 
Questo  è rappresentato  da  banchi  di  marna  grigio-verdastra  poco  compatta.  Nella 
loro  parte  superiore  vi  si  alternano  banchi  arenacei  resistenti,  costituenti  un  gra- 
duale passaggio  all’Aquitaniano. 

Sopra  le  marne  tongriane  si  appoggiano  banchi  arenacei  che  l’autore  ritiene 
dell’Aquitaniano  inferiore.  Superiormente  vi  hanno  potenti  banchi  sabbioso-marnosi 
ben  stratificati,  fossiliferi.  Tali  banchi  marnosi  si  fanno  in  alto  più  potenti,  scar- 
seggiano gli  strati  arenacei,  e si  passa  gradatamente  al  Langhiano,  costituito  dai 
banchi  marnosi  grigio-azzurrognoli.  L’Elveziano  non  compare  e le  glauconie  delle 
vicinanze  di  Voltaggio  indicate  dal  Taramelli  come  elveziane,  sono  indubbiamente 
del  Tongriano  inferiore. 

A questo  studio  va  unita  una  carta  geologica  dei  dintorni  di  Voltaggio. 

Sacco  F.  — Rivista  della  fauna  malacologica  fossile  terrestre,  lacustre 
e salmastra  del  Piemonte.  (Boll.  Soc.  Malac.  It.,  Voi.  XII).  — Pisa. 

In  questa  nota  l’autore  ha  redatto  una  succinta  rivista  della  fauna  malacolo- 
gica terrestre  del  Piemonte  che,  dietro  le  sue  investigazioni,  da  poche  specie  prima 
conosciute  è ora  portata  al  numero  di  250,  delle  quali  100  sono  nuove  per  la 
scienza.  Nel  catalogo  delle  forme  conosciute  finora,  indica  oltre  quelle  terrestri 
e d’acqua  dolce,  anche  quelle  d’acqua  salmastra  che  con  esse  si  collegano.  Dà 
quindi  una  diagnosi  succinta  delle  sole  forme  nuove,  riservandosi  di  fare  un  la- 
voro più  completo  in  seguito.  Indica  anche  gli  autori  da  consultarsi  per  la  cono- 
scenza della  fauna  di  cui  si  occupa. 

Dà  infine  un  elenco  delle  specie  descritte,  classificate  secondo  il  manuale 


- 374  - 


conchigliologico  del  Fischer,  solo  invertendone  l’ordine.  In  tale  elenco  sono  di- 
stinte le  specie  viventi,  quelle  di  fondo  di  torbiera,  quelle  dei  depositi  glaciali, 
quelle  del  lehm , nonché  quelle  dei  varii  piani  del  terziario  dal  Villafranchiano  al 
Tongriano. 

Sacco  F.  — V anfiteatro  morenico  di  Rivoli.  (Boll.  Com.  Geol.,  5-6).  — 
Roma. 

Fatto  un  rapido  cenno  dei  lavori  di  varia  indole  finora  pubblicati  sull’ anfiteatro 
morenico  di  Rivoli,  passa  a studiare  e a descrivere  i depositi  che  lo  compongono, 
premettendo  alcune  notizie  sulla  costituzione  dei  terreni  antichi  che  formano  in 
gran  parte  l’ossatura  di  questo  anfiteatro.  Questi  terreni  antichi,  probabilmente 
presiluriani,  sono  gneiss,  graniti,  calcari  cristallini,  micascisti,  scisti  dioritici  ed 
anfìbolici,  serpentine,  eufotidi  e lherzoliti.  Tali  terreni  sono  in  generale  allineati 
da  N.O  a S.E,  fortemente  inclinati,  o verticali,  o rovesciati.  Superiormente  a questi 
si  distendono  i depositi  quaternarii  costituenti  la  parte  più  importante  dell’anfiteatro 
di  Rivoli.  Riguardo  alla  loro  origine  vengono  distinti  in  depositi  di  correnti  acquee 
e in  depositi  di  ghiacciai.  Essendovi  però  sviluppati  anche  terreni  di  origine  mista, 
l’autore  nel  descrivere  dettagliatamente  questi  depositi  segue  l’ordine  cronologico. 
Comincia  quindi  dal  Diluvium , comprendendo  sotto  questo  nome  un  deposito  ciotto- 
loso di  indole  torrenziale  ad  elementi  di  vario  volume,  cementato  o disciolto,  gene- 
ralmente disposto  in  stratificazione  abbastanza  regolare.  Segue  il  terreno  morenico 
che  si  presenta  coi  noti  caratteri  di  tutte  le  regioni  moreniche.  Il  Pseudo-dilu- 
vium o TerrazZiano  antico , deposito  che  si  formava  nel  periodo  di  regresso  dei 
ghiacciai  per  le  correnti  acquee  che,  erodendo  i depositi  che  ne  impedivano  il 
corso,  deponevano  sulle  terrazze  che  costruivano  un’  alluvione  a grossi  elementi 
ciottolosi,  la  quale,  per  i caratteri  e per  il  tempo  collegandosi  col  Diluvium  e col- 
YAlluvium,  si  avvicinava  però  alquanto  al  primo,  costituendo  talora  una  vera 
alluvione  sulle  prime  terrazze  quaternarie,  corrispondenti  al  TerraZziano  antico. 
L’ autore  riferisce  pure  a quest’epoca  i depositi  argillosi,  sabbiosi,  ghiaiosi  che, 
facendo  profonde  trincee,  si  trovano  alla  sponda  del  lago  di  Avigliana,  nei  quali 
depositi  si  trovano  moltissimi  resti  di  molluschi  quasi  tutti  lacustri,  dei  quali  dà 
l’ elenco.  Nell’  epoca  del  regresso  dei  ghiacciai  si  costituirono  le  varie  conche 
lacustri,  fra  le  quali  quelle  di  Trana  e d’ Avigliana,  nelle  quali  si  formarono  i de- 
positi torbosi  che  l’autore  descrive  indicandone  i resti  fossili  di  piante  e di  mol- 
luschi, e accennando  anche  alla  loro  composizione  chimica.  Nota  che  vi  furono 
trovati  oggetti  di  bronzo  e ossa  che  indicano  la  presenza  dell’uomo.  L’ultimo 
deposito  è Y Alluvium,  cioè  le  alluvioni  deposte  in  epoca  recente  dalle  correnti 
acquee  attuali. 

Una  carta  geologica  alla  scala  di  1 a 100  000  illustra  questo  studio, 


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Sacco  F.  — / terreni  quaternarii  della  collina  di  Torino . (Atti  Soc. 
ltal.  Se.  Nat.,  Voi.  XXX,  3).  — Milano. 

Scopo  del  presente  lavoro  è di  far  conoscere  la  natura  dei  varii  terreni  qua- 
ternari che,  con  spessore  più  o meno  considerevole,  ricoprono  grandi  estensioni 
di  questa  collina  costituita  in  massima  parte  da  terreni  miocenici.  L’autore  riduce 
questi  terreni  quaternarii  a due  tipi  principali,  cioè  conglomerati  e sabbie  marnose ; 
queste  ultime  vengono  poi  suddivise,  a secondo  del  colore  e della  quantità  di 
sabbia  che  contengono,  in  Loess  e sabbioni. 

Nel  capitolo  primo  parla  brevemente  dei  conglomerati.  Essi  si  rinvengono  alle 
falde  e spesso  al  fondo  dei  colli  torinesi  e l’autore  li  ritiene  sincroni  dei  depositi 
diluvio-glaciali,  rappresentando  nella  collina  il  sahariano  della  pianura.  Questi 
conglomerati  vennero  trasportati  e deposti  specialmente  dalle  acque  scendenti 
dalla  collina,  in  relazione  però,  quanto  ai  depositi  più  bassi,  colle  acque  della 
pianura,  poiché  durante  l’epoca  glaciale  le  acque  del  Po-Tanaro  dovevano  rialzarsi 
alquanto  sulle  falde  delle  colline.  — Nel  secondo  capitolo  si  occupa  delle  marne 
sabbiose  azzurrognole  che  si  mostrano  in  fondo  di  certe  vallate  od  ove  esisteva 
qualche  corso  lento  di  acque:  sono  simili  alle  marne  azzurre  del  Piacentino,  ma 
se  ne  distinguono  per  la  natura  dei  fossili  in  massima  parte  terrestri:  ne  attri- 
buisce la  origine  a lento  trasporto  e deposito  per  opera  delle  acque  che,  discen- 
dendo, trascinavano  in  basso  le  conchiglie,  e sia  per  rigurgito  delle  acque  della 
pianura,  sia  per  la  conformazione  del  terreno,  si  raccoglievano  in  conche  dove  si 
sviluppavano  molluschi  d’acqua  dolce.  I depositi  ghiaiosi  e ciottolosi  che  si  alter- 
nano con  queste  marne  sono  da  attribuirsi  a precipitazioni  d’acqua  più  abbondanti 
con  maggiore  erosione  e forza  di  trasporto  nelle  correnti.  La  presenza  in  queste 
marne  di  specie  e varietà  di  molluschi  estinte  o non  esistenti  nella  collina  di  Torino, 
induce  l’autore  a considerarle  come  deposito  della  fine  dell’epoca  diluviale.  Infatti 
sono  sempre  superiori  al  conglomerato,  spesso  inferiori  al  Loess,  ma  talora  lo 
rappresentano  completamente  e sembrano  quasi  contemporanee  ad  esso.  — Nel 
terzo  capitolo  si  occupa  diffusamente  del  Loess,  che  è una  marna  sabbiosa  di 
colore  giallastro  e di  composizione  chimica  variabilissima,  che  si  mostra  senza 
vera  stratificazione,  talora  attraversata  da  banchi  di  sabbia  marnosa  fortemente 
cementata.  Il  colore  ne  è vario  dal  giallo  al  rosso,  al  grigio  azzurrognolo,  e la 
potenza  da  due  a quattro  metri,  arriva  talora  fino  ad  otto  o dieci.  Circa  alla  po- 
sizione del  loess,  fa  notare  l’importanza  della  sua  ubicazione  in  rapporto  colla 
idrografia  della  collina  e la  sua  relazione  costante  coi  conglomerati,  nonché  la 
sua  disposizione  in  terrazzo  inclinato  verso  la  pianura.  Quanto  all’età,  dai  carat- 
teri paleontologici  e dai  rapporti  stratigrafici  con  altri  terreni  quaternari,  risulta 
chiaramente  che  il  loess  tipico  si  deve  attribuire  al  quaternario  medio,  cioè  alla 


— 376  — 


fine  della  vera  epoca  diluvio-glaciale.  — Nel  quarto  capitolo  si  occupa  brevemente 
dei  sabbioni,  per  i quali  ammette  un  origine  alquanto  simile  a quella  del  loess  della 
collina  al  quale  passano  gradatamente,  benché  essi  siano  più  in  rapporto  per  la 
loro  origine  colle  correnti  fluviali  della  pianura. 

In  una  carta  geologica  annessa  sono  segnati  i terreni  descritti  in  questa 
memoria. 

Sacco  F.  — Sulla  costituzione  geologica  degli  altipiani  isolati  di  Fos- 
sanOj  Salmour  e Banale.  (Annali  della  R.  Accademia  di  Agricol- 
tura di  Torino,  Voi.  XXIX).  — Torino. 

Dallo  studio  di  questi  altipiani  è risultato  all’autore  che  essi  facevano  parte 
della  grande  regione  pianeggiante  che  nell’epoca  glaciale  si  estendeva  verso  N.O 
dalle  colline  di  Bra,  dalle  Langhe  e dalle  Alpi  marittime  meridionali,  andando  a 
riunirsi  alle  conoidi  di  dejezione  delle  Alpi  marittime  settentrionali  e delle  Cozie. 
Essa  venne  incisa  dalle  correnti  acquee  durante  il  periodo  delle  terrazze.  Le  acque 
correnti  cangiarono  molto  di  direzione  da  quell’epoca  al  giorno  d’oggi,  special- 
mente  riguardo  al  Tanaro  e al  Gesso,  ed  i sollevamenti  che  ebbero  luogo  dopo 
l’epoca  glaciale  furono  diretti  per  l’alta  valle  padana,  specialmente  verso  il  Nord 
circa.  Le  profonde  incisioni  fatte  dalle  acque  correnti  hanno  dato  modo  all’autore 
di  studiare  la  natura  geologica  di  questi  altipiani  ed  in  questo  lavoro  sono  det- 
tagliatamente descritti  i terreni  stessi  litologicamente,  presentandone  molti  spac- 
cati naturali  colle  relative  quote  altimetriche  e citando  i fossili  rinvenuti.  La  serie 
dei  terreni  della  regione  studiata  consta  dei  seguenti  piani:  Terreni  quaternarii: 
Alluvium,  Terrazzano,  Sahariano  recente  e antico;  Terreni  ter  ziarii:  Villafran- 
chiano,  Fossaniano,  Astiano,  Piacentino,  Messiniano,  Tortoniano.  Ai  depositi  recenti 
sono  da  aggiungere  dei  travertini  e dei  depositi  torbosi  ove  le  abbondanti  sor- 
genti ristagnano. 

Annesso  allo  studio  è una  carta  geologica  della  regione  descritta. 

Sacco  F.  — On  thè  origin  of  thè  great  alpine  lakes.  (Proceedings 
of  thè  R.  Society  of  Edimburg,  Voi.  XIV).  — Edimburg. 

L’autore  premette  che  i bacini  lacustri  in  generale  debbano  la  loro  origine  a 
diverse  cause,  e crede  si  possano  classificare:  1°  in  bacini  formati  da  cause  ora- 
grafiche (pieghe  di  strali,  fratture,  sollevamenti,  ecc.);  2°  in  bacini  formati  da  sbar- 
ramenti o barriere  (morene,  dune,  banchi  litorali  di  sabbie,  ecc.);  3°  in  bacini  for- 
mati per  erosione  (azione  dell’acqua,  del  ghiaccio,  ecc.). 

Venendo  ai  grandi  laghi  alpini  dà  uno  schizzo  dei  fenomeni  geologici  con- 
nessi colla  struttura  e coll’origine  di  essi,  facendo  la  storia  degli  avvenimenti 
geologici  a cominciare  dai  potenti  movimenti  terrestri  che  avvennero  al  finire  del 


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periodo  miocènico.  Come  conclusione  generale  di  tale  studio  l’autore  emette  Topi* 
ni one  che  i bacini  lacustri  alpini  si  produssero  durante  il  sollevamento  che  chiuse 
l’epoca  pliocenica  e che  essi  sono  il  risultato  diretto  di  tale  movimento.  Tali  bacini 
debbono  la  loro  origine  in  parte  alle  fratture  ed  a ripiegamenti  degli  strati,  in 
parte  ad  abbassamenti  e a rialzamenti.  Durante  il  periodo  glaciale  si  conservarono 
perchè  occupati  dai  ghiacciai  e furono  solo  leggermente  modificati  dalle  ostruzioni 
moreniche  e dalla  erosione  glaciale  e fluviale. 

La  forma  e la  distribuzione  dei  laghi  alpini  viene  spiegata  colla  direzione 
delle  pieghe  rispetto  alla  catena  alpina,  alle  fratture  prodottesi  e col  non  eguale 
sollevamento  al  quale  parteciparono  le  diverse  parti  della  catena  alpina. 

In  un  quadro  vengono  riassunti  i diversi  avvenimenti  nella  valle  padana  in 
corrispondenza  dei  periodi  pliocenici  e quaternari. 

Sacco  F.  — / terreni  terziarii  del  Piemonte  e della  Liguria  setten- 
trionale. — Torino,  1887. 

In  continuazione  della  pubblicazione  fatta  con  talé  titolo  nel  1886,  l’autore  ha 
pubblicato  diversi  altri  fogli  della  Carta  geologica  di  questa  regione,  valendosi 
delle  carte  topografiche  del  R.  Istituto  geografico  militare.  Essi  sono  i seguenti: 
Capriata  d’Orba,  Acqui,  Nizza  Monferrato  e Sezzè  Ovest,  Calamandrana,  Moin* 
bercelli  e Canelli  Nord,  Costigliele  d’Asti,  Canale  e Monteu  Roero  Est,  Fossano, 
Colli  Torinesi,  tutti  alla  scala  di  1:  25  000.  Ovada  Nord,  Voltaggio  Nord,  Cava  Sud 
e Garessio  Nord,  Cairo  Montenotte  Ovest,  alla  scala  di  1:  50  000. 

Nella  serie  dei  terreni  ha  seguito  la  classificazione  di  Mayer  e nelle  catte 
pubblicate  esiste  tutta  la  serie  dal  Bartoniano  al  Terrazziano  antico. 

Scacchi  A.  — I composti  fluorici  dei  vulcani  del  Lazio.  (Rend.  R.  Acc. 
delle  Scienze  fìs.  e mat.  di  Napoli,  anno  1887,  fase.  2°).  — Napoli. 

L’analisi  che  l’autore  ha  fatto  di  alcune  geodi  provenienti  dalle  pozzolane 
delle  cave  delle  Tre  Fontane  e di  S.  Sebastiano  presso  Roma  gli  ha  rivelato  la 
presenza  in  esse  di  composti  fluorici  quali  furono  già  da  lui  rinvenuti  in  grande 
abbondanza  nei  tufi  della  Campania.  Probabilmente  anche  l’origine  loro  è identica 
a quella  constatata  pei  fluoruri  di  quest’ultimi  prodotti  d’eruzione  vulcanica,  vale 
a dire  dovuti  all’azione  metamorfizzante  esercitata  da  antiche  emanazioni  dì  fluoridi 
di  silicio  su  frammenti  di  calcari  inclusi  nelle  pozzolane. 

Scacchi  A.  — La  regione  vulcanica  fluorifera  della  Campania.  (Atti 
R.  Acc.  Se.  fìs.  e mat.  di  Napoli,  S.  2a,  Voi.  II,  n.  2).  — Napoli. 

A seguito  ed  in  conformità  a precedenti  sue  pubblicazioni  sull’argomento 
l’autore  distingue  nel  Napoletano  con  questa  nuova  e più  estesa  memoria,  oltre 


ài  gruppi  vulcanici  di  Roccamonfìna,  dei  Campi  Flegrei  e del  Vesuvio,  un  quarto 
gruppo  o complesso  ch’egli  denomina  la  regione  vulcanica  iluorifera  della  Cam- 
pania. Tale  formazione  è caratterizzata  da  sparsi  depositi  tufacei  includenti  più 
o meno  abbondanti  materiali  fluoriferi  (fluorina  per  la  più  gran  parte)  allo  stato 
di  geodi  o di  massi  e distribuiti  nelle  valli,  interposti  a colline  ed  a monti  di 
Calcare  0 nelle  sottostanti  pianure.  Ogni  singolo  giacimento  viene  considerato  dal- 
l*autore  come  provenuto  da  parziale  esplosione  avvenuta  nel  luogo  stesso  del  de- 
posito, e la  mancanza  di  crateri,  nonché  le  speciali  condizioni  di  giacitura  di  tali 
tufi,  vengono  da  lui  spiegati  attribuendo  a quest’ultimi  un’origine  fangosa.  I ma- 
teriali fluoriferi  inclusi  sono  prodotti  di  metamorfismo  cagionato  da  esalazioni  di 
fluorido  silicico. 

L’autore  descrive  paratamente  con  sistema  analitico  i principali  centri  eruttivi 
ed  i loro  prodotti  sparsi  su  di  una  regione  estesissima  che  va  da  Cassino  a Sa- 
lerno  e Sorrento,  e da  Mirabella  al  mare,  passando  per  Capùa  e Caserta. 

La  memoria  è accompagnata  da  Una  Carta  del  vulcani  della  Campania,  su 
scala  di  1 a 250  000,  da  uha  carta  topografica  dei  dintorni  di  Sarno  al  20  000  e 
da  una  tavola  di  vedute  illustrative. 

Scacchi  A.  Catalogo  dei  minerali  Vesuviani  con  la  notizia  della 
loro  composizione  e del  loro  giacimento.  (Lo  spettatore  del  Ve- 
suvio, ecc.,  N*  Ser.,  Voi.  1°).  — Napoli. 

L’autore  distingue  in  questo  catalogo  ragionato: 

1°  Minerali  cristallini  eruttati  negli  incendi  del  M.  Somma,  d’origine  meta* 
tnorfìca,  cioè  a dire  derivati  per  contatto  endogeno  delle  materie  fuse  con  sovrap- 
poste roccie  nettuniane  degli  Appennini. 

2°  Minerali  contenuti  nei  projetti  lavici  del  Somma. 

3°  Minerali  che  si  rinvengono  nei  conglomerati,  ordinariamente  metamor- 
fosati del  Somma. 

4°  Minerali  derivati  dalle  scambievoli  reazioni  delle  sostanze  gassose  ema- 
nate dalle  fumarole. 

5°  Minerali  che  si  generano  nella  massa  delle  lave  durante  il  raffreddamento 
di  quest’ ultime. 

6°  Minerali  aderenti  alle  pareti  delle  fenditure  delle  lave:  sono  prodotti  di 
sublimazione. 

Sommano  a 110  le  specie  registrate  ed  a 26  gli  elementi  chimici  mineraliz- 
zanti, tra  cui  10  metalloidi  (O,  H,  Az,  Cl,  S,  Ph,  C,  Fi,  Bo)  e 10  metalli  (Ka,  Na, 
Ca,  Mg,  Zr,  Si,  Al,  Ti,  Fe,  Mn,  Ni,  Cu,  Pb,  Vd). 


— 379  — 


r 


Scarabelli  G.  — Stazione  preistorica  del  monte  del  Castellacelo  presso 
Imola.  — Imola,  1887. 

Nel  capitolo  d’introduzione  di  questa  monografìa  sono  contenuti  alcuni  cenni 
topografici  e geologici  sul  monte  del  Castellacelo.  Concorrono  a formare  questo 
ultimo,  in  serie  ascendente:  sabbie  gialle  del  pliocene  superiore  includenti  dei 
banchi  di  sabbie  consolidate;  ghiaie  quaternarie  con  ciottoli  calcarei  e d’arenaria; 
argille  e marne  giallastre  parimenti  quaternarie.  Indica  allo  stesso  tempo  i fossili 
predominanti  negli  anzidetti  depositi,  ed  in.  ispecie  nelle  sabbie  gialle  plioceniche. 

Una  delle  molte  tavole  che  corredano  l’opera  contiene  la  pianta  topografica 
e due  sezioni  geologiche  della  località  in  parola,  su  scala  di  1 a 1000. 

Sequenza  G.  — Gli  strati  con  Rhynchonella  Berchta  Oppel  presso 
Taormina.  (Rend.  Acc.  Lincei,  Voi.  Ili,  fase.  1).  — Roma. 

L’autore  annunzia  di  aver  scoperto  al  Capo  S.  Andrea  in  territorio  di  Taor- 
mina degli  strati  di  calcare  rosso  a crinoidi  contenente  una  fauna  importante, 
costituita  sopratutto  da  bràchiopodi  tra  i quali  predominano  le  Rhynchonella  prive 
di  costole.  Egli  dà  per  ora  l’elenco  dei  fossili  riconosciuti  ad  un  ' primo  esame  ed 
in  base  ad  essi  riferisce  gli  strati  in  parola  alla  zona  con  Posidonomya  alpina 
Gras,  o piano  Vesulliano  di  Mayer. 

Riguarda  poi  come  coetanei  ai  medesimi  certi  strati  quasi  neri  dì  calcare 
cristallino  e di  scisti  marnosi  che  l’autore  stesso  ha  rilevati  lungo  il  Seiina  ed 
il  Tirone  nello  stesso  territorio  di  Taormina,  per  modo  che,  per  la  diversità  lito- 
logica e paleontologica  di  questi  e di  quelli,  sì  avrebbe  un  vero  caso  di  vicarii 
eteropici. 

SeguenZa  G. — I calcari  con  Stephanoceras  (Sphaeroceras)  Brongnìartii 
Sow.  presso  Taormina . (Rend.  R.  Acc.  Lincei,  Voi.  Ili,  fase.  5).  — 
Roma. 

L’autore  premette  l’esposizione  dei  risultati  ottenuti  dalle  sue  ricerche  intornò 
al  mesozoico  di  Taormina,  mercè  i quali  può  ritenersi  completa  in  questo  territorio 
la  serie  normale  dei  piani  giurassici  ed  iniziato  lo  studio  delle  zone  speciali  a 
ciascun  piano. 

Riferisce  quindi  diffusamente  sul  recente  rinvenimento  eh’  egli  fece  presso  al 
Capo  S.  Andrea  di  un  lembo  di  calcare  a crinoidi  contenente  una  fauna  che  la 
caratterizza  appartenente  al  Dogger  e propriamente  al  membro  inferiore  o Bajo* 
ciano  del  d’Orbigny.  Dà  l’elenco  ragionato  dei  fossili  che  sìn*ora  ha  determinato. 

I più  abbondanti  appartengono  ai  cefalopodi  e propriamente  agli  ammonitidì:  la 
famiglia  più  rappresentata  da  generi  e specie  è quella  degli  stefanoceratidi.  As- 


— 380  — 


Sodato  agli  ammonitidi  è un  importante  gruppo  di  brachiopodi  con  terebratuìe  e 
rinchonelle.  Ora  mentre  la  descritta  fauna  ad  ammonitidi  ha  il  suo  migliore 
riscontro  con  quella  del  bacino  anglo-francese,  nel  . Calvados  a Bayeux,  il  gruppo 
di  brachiopodi  ha  un  tipo  proprio  ed  esclusivo  della  provincia  mediterranea. 

Seguenza  G.  — Intorno  al  giurassico  medio  ( Dogger ) presso  Taormina; 
nota  la.  (Rend.  Acc.  Lincei,  Voi.  Ili,  fase.  10).  — Roma. 

L’autore  riferendosi  a precedenti  sue  comunicazioni  sulle  scoperte  al  Capo 
S.  Andrea  presso  Taormina  di  due  lembi  di  giurassico  medio,  appartenente  1’  uno 
al  vero  piano  Baiociano,  l’altro  al  Vesulliano,  si  propone  di  esporre  i rapporti 
reciproci  colleganti  tra  loro  e colle  altre  roccie  della  contrada,  questi  due  membri  del 
Dogger;  di  descrivere  taluni  altri  strati  che  pure  appartengono  a quest’ultimo  e 
di  esaminare  ed  illustrare  le  faune  riscontratevi. 

Questa  prima  nota  contiene  la  descrizione  topografica  e stratigrafìco-litologica 
del  Capo  S.  Andrea  nel  quale  l’autore  riconobbe  la  seguente  costituzione  geolo- 
gica, in  ordine  ascendente: 

Paleozoico.  — Filladi. 

Lias  inferiore.  — Piano  Sinemuriano.  Calcari  con  terebratuìe,  zeillerie,  rin- 
chonelle e spiriferine,  associate  a Pecten  Helii.  Questo  piano  costi- 
tuisce la  vera  base  di  tutta  la  serie  stratigrafìca  del  promontorio. 

Lias  medio . — Piano  Sciarmuziano.  Calcari  saccaroidi  senza  fossili  e calcari 
a crinoidi  con  resti  specialmente  di  brachiopodi  e lamellibranchiati. 

Giurassico  medio  o Dogger.  — Consta  di  4 distinti  membri  che  sono:  1°  Cal- 
care con  rinchonella  costate;  2°  Calcari  con  pentacrini  ed  altri 
crinoidi;  3°  Calcari  con  Stephanoceras  Brongniartii\  4°  Calcare  con 
Rhynchonella  Berchta. 

Giurassico  superiore.  — Piani  Calloviano,  Osfordiano,  Chimmeridgiano  e Tito- 
lano. Calcari  a crinoidi,  limoniti,  scisti  marnosi  e calcarei,  ecc., 
con  resti  di  Sphoenodus,  Pygope,  Oxyrhyna , Lamna,  Notidamus, 
Rhynchoteutis,  Belemnites,  Phylloceras,  Aptychus,  Perisplxinctes , 
Simocerasì  Aspidoceras,  ecc.,  ecc. 

Cretaceo.  — Calcari  erratici  neocomiani  con  Aptychus  Seranonis. 

Terziario . — Eocene:  Calcari  e scisti  marnosi,  con  nummuliti.  Pliocene: 
Calcari  con  Pecten  mtreuSj  Trochus,  Hyalaea,  ecc. 

Quaternario.  — Sedimenti  sabbiosi,  sovente  fossiliferi,  con  elementi  vulcanici 
e ghiaie  cementate. 


Seguenza  G.  — Intorno  al  giurassico  medio  (Dogger)  presso  Taormina; 
nota  2a.  (Rend.  R.  Acc.  Lincei,  Voi.  Ili,  fase.  12).  — Roma, 

In  questa  seconda  nota  l’autore  descrive  in  ordine  di  successione  stratigrafica 
i quattro  membri  del  Dogger  di  S.  Andrea,  riferendoli  a tre  distinti  piani  che 
sono  l’Aacheniano,  il  Baiociano  e il  Vesulliano,  il  primo  dei  quali  è formato  dal 
calcare  con  Rhynchonella  Vigilii  e dallo  strato  con  Pentacrinus  crista-galli,  il 
secondo  da  calcari  con  Stephanoceras  Brongniartii  e il  terzo  dai  calcari  con 
Rhynchonella  Berchta. 

L’Aacheniano  contiene  rinchonelle  proprie  delle  provincie  venete  e pentacrini.  Il 
Baiociano  è distinto  da  una  importante  fauna  di  cefalopodi,  che  manca  in  Italia 
e che  risponde  perfettamente  a quella  del  Baiociano  di  Francia.  I pochi  brachio- 
podi  invece  trovansi  nell’Italia  settentrionale.  Il  Vesulliano  infine  offre  una  bella 
serie  di  brachiopodi  che  sono  propri  di  vari  luoghi  d’Italia  e della  stessa  Sicilia 
e molti  furono  dall’Oppel  rinvenuti  nelle  Alpi  di  Klaus. 

La  serie  del  giurassico  medio  del  Capo  S.  Andrea  confrontata  con  quella 
della  valle  Seiina,  non  è somigliante  a quest’ultima  serie  in  veruno  dei  suoi  membri, 
come  in  nessuno  del  suoi  caratteri,  abbenchè  le  due  serie  sieno  indubbiamente 
sincrone. 

Seguenza  G.  — Gli  strati  a Posidonomya  alpina  Gras  nella  serie 
giurassica  del  Taorminese.  (Boll.  Soc.  Geol.,  V,  3).  — Roma. 

Indicate  le  località  estere  ed  italiane  ed  in  particolare  specie  di  Sicilia  nella 
quali  venne  constatata  1’esistenza  della  zona  a Posidonomya  alpina  Gras,  ed 
indicati  i caratteri  petrografìci  dei  singoli  orizzonti,  l’autore  descrive  gli  strati 
spettanti  all’  indicata  zona  da  lui  scoperta  in  territorio  di  Taormina  lungo  la  valle 
del  Seiina  e nella  località  Tirone  e Calvario. 

Più  che  dai  fossili  mal  conservati  la  zona  in  discorso  rimane  determinata 
dalla  posizione  occupata  da  suoi  strati  entro  la  serie  giurassica.  A tal  riguardo 
l’autore  passa  a rassegna  la  geologica  costituzione  di  un’estesa  sezione  di  terreno 
lungo  l’alveo  del  Seiina,  la  quale  consta  dei  seguenti  membri  che  si  sovrappon- 
gono in  perfetto  ordine  stratigrafico. 

Lias  superiore.  — Piano  Taorsiano:  Zona  con  Hildoceras  serpentinum;  zona 
con  Coeloceras  Desplacei  ; zona  con  Hildoceras  b;frons  e zona 
con  Harpoceras  efr.  opalinum. 

Dogger.  — Piano  Baiociano  con  Harpoceras  opalinum  ed  H.  Murchisonae * 
Piano  Vesulliano  Mayer,  con  Posidonomya  alpina ♦ 

Piano  Titonico,  con  Sphenodus  thitonius,  S.  Virgai,  Belemnites 
thitonius,  Apthycus  Beyrichii , ecc» 


— 382  — 


Cretaceo . — Piano  Neocomiano  con  Aptychus  anguHcostatus  e Macrosca- 
phites  Icanù 

Seguenza  G.  — Studio  della  fauna  toarsiana  che  distìngue  la  zona  di 
marne  rosso-variegate  nel  liàs  superiore  di  Taormina.  (Boll.  Soc. 
Geol.,  VI,  1).  — Roma. 

Le  sopracitate  marne  costituiscono  la  quinta  zona  del  lias  superiore  di  Taor- 
mina, secondo  la  suddivisione  adottata  dall’autore  e già  nota  per  le  precedenti 
sue  pubblicazioni.  Tale  zona  oltre  che  da WHarpoceras  bi/rons  è caratterizzata 
da  una  fauna  importante  formata  d’ammoniti,  e che  l’autore  si  propone  di  studiare 
estesamente.  La  presente  nota  contiene  i preliminari  di  tale  studio,  indicando  le 
sei  zone  in  cui  va  diviso  il  lias  superiore  taorminese,  i caratteri  distintivi  della 
quinta  zona  e l’estensione  della  medesima. 

Aggiunge  quindi  un  cenno  storico  intorno  la  scoperta,  lo  studio  e le  opinioni 
emesse  in  riguardo  alle  suddette  marne  ed  inizia  da  ultimo  lo  studio  speciale  dei 
fossili  coll’indicarne  la  distribuzione  entro  detta  zona  e lo  stato  speciale  dei  medesimi. 

Simonelli  V.  — Sulla  struttura  microscopica  della  Serpula  spirulaea 
Lam.  (Proc.  verb.  Soc.  toscana  Se.  Nat.,  Voi.  V).  — Pisa. 

Dallo  studio  microscopico  della  struttura  della  Serpula  spirulaea,  della  S.  ver- 
tebralis  e della  S.  Heliciformis  risulta  1’  anologia  di  queste  tre  specie  ed  il  loro 
distacco  dalle  vere  serpule  e dagli  anellidi  tubicoli  in  generale. 

Tali  risultanze  costituiscono  a giudizio  dell’autore  un  argomento  nuovo  e de- 
cisivo per  la  separazione  della  Serpula  spirulaea  non  solo  dal  genere,  ma  for- 
s’anche  dalla  classe  zoologica  cui  attualmente  viene  dai  più  riferito  l’anzidetto 
fossile. 

Simonelli  V.  — Fossili  del  marmo  giallo  della  Montagnola  Senese. 
(Proc.  verb.  Soc.  toscana,  Voi.  VI).  — Pisa. 

L’esame  dei  frammenti  di  fossili  rinvenuti  dall’ing.  Lotti  nei  marmi  della  sopra 
indicata  località  non  diede  all’autore,  in  causa  dello  stato  cattivo  di  conservazione 
di  detti  residui,  sufficienti  risultati  per  poterli  determinare  specificatamente,  così 
che  nel  presente  caso  il  criterio  palenteologico  non  soccorre  lo  stratigrafìco  nello 
stabilire  l’età  geologica  dei  marmi  in  parola,  ritenuti  dal  Lotti  per  triasici. 

Spezia  G.  — Sulla  fusibilità  dei  minerali.  (Atti  della  R.  Acc.  delle 
Scienze,  Voi.  XXII).  — Torino. 

Riferisce  i risultati  ottenuti  da  esperimenti  fatti  dall’  autore  stesso  trattando 
col  cannello,  sia  ad  aria  calda  che  ad  ossigeno,  buon  numero  dei  minerali  clas- 


— 383  — 


silicati  per  infusibili  in  causa  della  resistenza  loro  alla  fiamma  del  cannello  ordi- 
nario. La  maggior  parte  di  detti  minerali  se  non  fonde  al  cannello  ad  aria  calda 
fonde  facilmente  a quello  ad  ossigeno  ; tali,  p.  es.,  la  molibdenite,  il  corindone, 
il  rutilo,  il  diaspro,  l’opale,  il  crisoberillo,  lo  spinello,  la  cianite,  il  topazio,  la 
staurolite,  l’olivina,  ecc. 

Conseguentemente  l’autore  conclude  che  se  la  fusibilità  dei  minerali  può  essere 
tenuta  in  conto  come  caratteristica  per  la  loro  determinazione,  non  v’è  ragione 
di  fare  un  gruppo  di  minerali  infusibili,  come  avviene  adoperando  il  cannello  or- 
dinario e di  non  tener  conto  della  fusibilità  a maggior  temperatura. 

Spezia  G.  — Sulla  origine  del  gesso  micaceo  e anfibolico  di  Val  Che- 
rasca  nelVOssola.  (Atti  della  R.  Acc.  delle  Scienze,  Voi.  XXIII, 
disp.  la).  — Torino. 

Il  gesso  in  parola  si  presenta  in  grosse  lenti  inchiuse  in  uno  scisto  micaceo 
anfibolico  il  quale  inquina  la  massa  gessosa  e talvolta  in  modo  da  costituire  un 
graduale  passaggio  di  essa  ad  una  roccia  in  cui  predominano  mica,  antibolo 
e quarzo. 

Basandosi  sulla  natura  delle  roccie  includenti  e circostanti,  sulla  presenza  lo- 
cale d’acque  mineralizzanti,  nell’analisi  della  massa  gessosa,  nonché  su  criteri  di 
decomposizione  e sostituzione  chimica,  l’autore  ritiene  che  questo  gesso  di  Val 
Cherasca  sia  un  prodotto  dell’alterazione  di  calcari  micacei  ed  anfibolici  e di 
micascisti  anfibolici  con  calcare,  ricchi  di  solfati  di  ferro. 

Squinabol  S.  — Nota  preliminare  su  alcune  impronte  fossili  nel  car- 
bonifero superiore  di  Pietratagliata.  (Giornale  della  Soc.  di  let- 
ture ecc.).  — Genova. 

Accennate  le  diverse  classificazioni  adottate  dai  geologi  per  gli  scisti  antra- 
citiferi di  Mallare  e d’altri  punti  della  Liguria  occidentale  e la  scoperta  fattavi 
dai  congressisti  di  Savona  d’impronte  di  Cordaites  e d ' Annularia,  l’autore  de- 
scrive altre  impronte  di  vegetali  fossili  da  lui  di  recente  rinvenute  negli  scisti  di 
Pietratagliata.  Di  queste  alcune  appartengono  indubbiamente  sAYOdontópteris  (Mix.) 
obtusaBrogn.  ed  altre,  con  riserva,  alle  famiglie  delle  Poa-Cordaites  e Dory-Cor- 
daites. 

Tali  scoperte,  unitamente  ai  caratteri  litologici  ed  alle  condizioni  stratigrafiche 
dei  terreni  di  Mallare  confermano  l’esatezza  della  classificazione  adottata  pei  me- 
desimi dai  sigg.  Issel  e Mazzuoli,  i quali  li  collocarono  nel  carbonifero  superiore. 

E unita  al  testo  una  tavola  litografata  in  cui  sono  riprodotte  le  impronte  de- 
scritte. 


— 384  — 


Strobel  P.  — Notizie  litologiche  sulla  provincia  di  Parma.  (Dalla 
Guida  storica,  artistica  e monumentale  della  città  e provincia  di 
Parma).  — Parma. 

Queste  notizie,  destinate  a servire  di  guida  ai  visitatori  della  mostra  scienti-  J 
fica  ed  industriale  parmense,  nell’esame  delle  pietre  esposte  considera  le  diverse 
roccie  occorrenti  nella  provincia  dal  lato  della  utilizzazione  loro  nelle  industrie, 
indicandone  le  qualità  efficienti  e le  località  in  cui  si  riscontrano  più  abbondanti. 

Alle  notizie  suddette  è premessa  la  descrizione  alquanto  circonstanziata  della 
costituzione  geologica  del  suolo  parmense  e dei  più  interessanti  fenomeni  connessivi. 

La  serie  dei  terreni  costituenti  il  suolo  della  provincia  è la  seguente: 

Eocene  medio.  — Arenaria  macigno. 

Oligocene.  — Calcari  alberesi  o marnosi  con  fucoidi,  argille  galestrine,  argille 
scagliose  con  diaspri,  serpentine  e conglomerati  serpentinosi. 

Miocene  inferiore.  — Conglomerati  a ciottoli  di  granito,  di  gneiss,  di  calcare,  di 
quarzo,  ecc.  ed  arenarie  fini  biancastre. 

Miocene  medio.  — Arenarie  e calcarie  fossilifere  e molasse  serpentinose. 

Miocene  superiore.  — Marne  dello  schlier  e molasse  micacee  intercalate  a marne 
sabbiose,  ad  argille  e a ghiaie. 

Pliocene.  — Marne  azzurre  e sabbie  gialle,  fossilifere. 

Postpliocene.  — Molasse  sabbiose  con  torba,  sabbie,  ghiaie  e pisoliti  mangano  - 
ferrosi. 

Recente.  — Sabbie  calcaree,  argille  sabbiose  e ghiaie. 

Va  unita  al  testo  una  carta  topografica  della  provincia  di  Parma,  con  indi- 
cazioni sulla  medesima  delle  salse,  delle  sorgenti  e dei  giacimenti  di  serpentina 
e di  granito. 

Struever  G.  — Sopra  un  cristallo  di  berillo  dell’Elba  con  inclusione  j 
interessante.  (Rend.  Acc.  Lincei,  1*  serie,  Voi.  III).  — Roma. 

L’inclusione,  di  cui  sopra,  venne  osservata  dall’autore  in  un  cristallo  prove- 
niente da  Lamia,  e consiste  in  un  cristallino  negativo  il  quale  dai  caratteri  che 
presenta  è ritenuto  dall’autore,  secondo  le  maggiori  probabilità,  per  polluce.  Ha 
la  forma  dell’  icositetraedro  comune  (211)  ed  il  diametro  massimo  di  0,5  mm. 

Struever  G.  — Ulteriori  osservazioni  sui  giacimenti  minerali  di  Val 
d? Ala  in  Piemonte . (Mem.  Acc.  Lincei,  Voi.  IV). — Roma, 

In  questa  memoria  l’autore  si  propone  di  descrivere  dettagliatamente  i mine_ 
rali  racchiusi  nella  serpentina  della  Testa  Ciarva  al  Piano  della  Mussa  sopra 
Balme  e la  loro  paragenesi. 


— 385  — 


Questa  prima  parte  del  lavoro  contiene  le  osservazioni  relative  all’idocrasio 
del  banco  di  granato  e vi  si  discutono  l’abito  dei  cristalli,  le  forme  semplici,  le 
combinazioni,  la  frequenza  relativa  delle  faceie  e le  misure  geometriche.  Le  forme 
semplici  constatate  sono  quelle  dei  due  prismi  (110)  e (100),  della  base  (D01)  della 
piramide  a sezione  quadrata  di  primo  ordine  (111)  e delle  due  piramidi  diottagone 
(311)  e (312):  Le  combinazioni  sono:  (110)  (100)  (001);  (HO)  (100)  (311)  (111); 
(110)  (100)  (311)  (111)  (001);  (110)  (100)  (311)  (111)  (312)  (001). 

Una  tavola  d’incisioni  unita  al  testo  contiene  le  figure  dei  cristalli  e dei 
gruppi  di  cristalli  analizzati. 

Terrenzi  G.  — Il  pliocene  dei  dintorni  di  Narni.  (Boll.  Soc.  Geol.,  V,  3). 
— Roma, 

Fatto  un  breve  sunto  storico  di  questa  città  e dato  un  rapido  cenno  sulle 
principali  formazioni  geologiche  che  si  osservano  nel  territorio  narnese,  l’autore  passa 
in  rivista  le  varie  località  ove  si  manifesta  il  pliocene  rappresentato  da  marne 
con  ligniti,  da  sabbie,  ora  cementate,  ora  sciolte,  e da  breccie;  osservando  che 
in  qualche  località  sopra  i sedimenti  pliocenici  si  trovano  depositi  di  materiali 
vulcanici  mescolati  a ghiaie  sabbie  e marne,  e la  presenza  di  fori  di  Lithodomus 
nelle  roccie  mesozoiche  che  spuntano  fuori  dal  pliocene  a Schifanoia.  Presenta 
infine  la  nota  dei  fossili  pliocenici  rinvenuti  nelle  descritte  località,  nota  che 
presenta  come  complemento  e correzione  di  altra  breve  nota  pubblicata  dallo 
stesso  autore  nella  Rivista  scientifico-industriale  di  Firenze  nell’aprile  1880. 

Terrigi  G.  — Relazione  della  commissione  per  lo  studio  delle  acque 
del  sottosuolo  della  città  di  Roma.  (Boll.  R.  Ac c,  medica,  Anno 
XIII,  fase.  6).  — Roma. 

Accennato  alle  condizioni  del  sottosuolo  di  Roma  nei  tempi  antichi  ed  attuali, 
dove  un  abbondante  zona  acquifera  scorre  sulla  superficie  ondulata  di  un  deposito 
argilloso  lacustre  quaternario,  l’autore  riferisce  quanto  fu  constatato  dalla  Com- 
missione intorno  alle  peggiorate  condizioni  del  sottosuolo  stesso  nelle  parti  più 
basse  della  città.  Il  pelo  di  queste  acque  fu  trovato  sopraelevato  di  circa  un 
metro  sulla  destra  del  Tevere  nei  luoghi  ove  era  stato  ultimato  il  muraglione  di 
arginatura.  Tale  fatto  fu  pure  riscontrato  in  altri  punti  sulla  sinistra,  dove  il  rista- 
gno delle  acque  è causa  di  febbri  malariche.  Da  questi  fatti  conclude  che  l’argi- 
natura in  muro  lungo  le  sponde  del  Tevere  porterà  inevitabilmente  un  innalza- 
mento e ristagnamento  delle  acque  del  sottosuolo  con  gran  danno  per  la  pub- 
blica igiene,  se  non  si  provede  allo  scarico  pronto  di  tali  acque  nel  Tevere, 


Tommasi  A.  — Alcuni  brachiopodi  delta  zona  taibèliana  di  Dogna 
nel  Canal  del  Ferro . (Annali  R.  Istituto  Tecnico  A.  Zanon,  S.  2*, 

Anno  V).  — Udine. 

% 

I fossili  di  cui  l'autore  si  occupa  nella  presente  nota  essendo  associati  negli 
stessi  strati  colla  Myophoria  Kefersteini  e M.  Whateleyae  sono  indubbiamente 
raibeliani  e per  quanto  gli  consta  sono  i primi  brachiopodi  trovati  in  questo  piano, 
almeno  nelle  Alpi  meridionali.  Poche  ne  sono  le  specie,  ma  due  di  esse  rappre- 
sentate da  buon  numero  d’individui  e ben  conservati  e sono  la  Ccenothyris  Piro- 
niana  e la  C.  Paronica. 

Per  i rapporti  stratigrafìci  dei  terreni  in  cui  furono  raccolti  questi  fossili  ri- 
porta l’indicazione  già  datane  dal  prof.  Taramelli  nella  sua  memoria:  « Osserva- 
zioni stratigrafìche  sulle  valli  dell’Aupa  e del  Fella  ».  Segue  quindi  la  descrizione 
dei  brachicopodi  che  sono:  Ccenothyris  Pironiona  n.  sp.;  C.  Pironiana  var.  eu- 
prontyca  ; C.  Paronica  n.  sp.;  Ccenothyris  sp.;  C.  delta  n.  sp.;  Piscina  sp.  (cfr.  Ba- 
beana  d’Orb.).  Queste  specie  sono  illustrate  in  un?  tavola  in  litografìa. 

Tommasi  A.  — A proposito  del  permiano  nell' Appennino.  (Boll..  Soc. 
Geol.,  VI,  3).  — Roma. 

II  prof.  De-Stefani  avendo  in  una  recente  nota  su  questo  argomento  soste- 
nuta la  tesi  che  non  si  trovano  nelFAppennino  terreni  permiani  e che  non  sono 
tali  quelli  riferiti  da  altri  geologi  a quest’epoca,  l’autore  risponde  in  questa  nota 
per  quanto  lo  riguarda,  intorno  ai  fossili  trovati  negli  scisti  della  Verruca  dal  Lotti 
e da  esso  studiati,  che  egli  non  ha  mai  recisamente  dichiarati  permiani  e tanto 
meno  distintivi  del  permiano  tali  fossili  e che  piuttosto  che  triasici  o di  epoca 
più  recente  come  asseriva  il  De  Stefani,  è inclinato  a ritenerli  anche  anteriori  al 
permiano  finché  ulteriori  e più  decisive  scoperte  non  provino  il  contrario. 

Trabucco  G.  — La  petrificazione.  — Pavia,  1887. 

L’autore  accenna  prima  ai  diversi  modi  di  fossilizzazione  degli  organismi 
animali  e vegetali,  che  chiama  col  nome  generico  di  pseudomorfosi  divisa  in 
zoomorfosi  e fitomorfosi  che  a sua  volta  distingue  in  petrificazione  e minerà - _ 
lizzazione.  Si  limita  in  questo  studio  a trattare  della  petrificazione  e specialmente 
di  quella  più  comune  che  è la  calcificazione  e la  silicizzazione. 

Distingue  la  petrificazione  in  accidentale  (piccola  scala)  e abbondante  (gran- 
de scala).  Quanto  alla  prima  dimostra  che  le  petrificazioni  (calcificazioni  e sili- 
cizzazionij  accidentali  degli  organismi  hanno  origine  dai  sali  calcarei  disciolti  e 
dalla  silice  in  istato  nascente,  abbandonata  nella  decomposizione  dei  silicati  alca- 


rr  - ' 


— 387  — 

lini  per  via  delucido  carbonico  sviluppato  nella  lenta  scomposizione  delle  mate- 
rie organiche  quando  il  fatto  avvenga  in  favorevoli  condizioni. 

Venendo  alle  petrifìcazioni  su  larghissima  scala,  comincia  dail’esporre  le  osser- 
vazioni fatte  nel  bacino  pliocenico  di  Rio  Orsecco  nell’  alto  Monferrato,  dove  rac- 
colse un  grandissino  numero  di  fìlliti,  di  tronchi  con  teredini,  ligniti  con  pirite  e 
molte  conchiglie.  Per  le  osservazioni  estese  ad  altre  località  e nei  piani  del  pliocene 
e del  miocene  l’autore  ha  notato  che,  mentre  sono  numerosissime  tali  petrifica- 
zioni  nei  piani  ove  abbonda  il  gesso  e lo  solfo,  cioè  nel  Piacentino  e nel  Messi- 
cano, nei  piani  susseguenti  del  Tortoniano,  Elveziano  ecc.  mancano  i gessi  e sono 
scarsissime  o mancano  affatto  tali  petrifìcazioni.  Rifacendo  pertanto  la  storia 
delle  fasi  per  cui  passò  l’alto  Monferrato,  negli  ultimi  periodi  geologici,  si  ferma 
specialmente  al  periodo  dì  attività  endogena,  che  in  questa  come  in  tante  altre 
regioni  d’ Italia  si  manifestò  nel  periodo  messiniano  con  grande  sviluppo  di 
sorgenti  termali.  A queste  l’autore  attribuisce  la  petrificazione  in  grande  scala  e 
con  argomenti  tratti  da  fenomeni  di  petrificazione  che  si  manifestano  anche  ora  con 
depositi  prodotti  da  sorgenti  termali,  per  l’azione  metamorfosante  di  esse  nei 
terreni  che  attraversano,  e citando  in  appoggio  fatti  e teorie  esposti  da  vari  autori, 
dimostra  concludendo  che  le  petrifìcazioni  su  grande  scala  hanno  origine  da  sor- 
genti termali  (talora  sottomarine)  che  portano  nei  bacini:  1°  grande  quantità  di 
acido  carbonico;  2°  silice,  allo  stato  nascente;  3°  alta  temperatura  e pressione 
atte  a dissolvere  i sali  calcarei  e decomporre  i silicati,  temperatura  e pressione 
che  moltiplicano  le  reazioni  dei  materiali  di  sedimento  con  produzione  di  silice 
libera;  materiali  che  devono  reagire  l’uno  Sull’altro  o come  quando  si  calcina  un 
calcare  argilloso  o come  quando  si  espongono  lungamente  all’azione  del  calore 
solare  i materiali  sedimentari. 

Trabucco  G.  — Considerazioni  paleo- geologiche  sui  resti  di  Arctomys 
marmota  scoperti  nelle  tane  del  colle  di  S.  Pancrazio  presso  Sii* 
vano  d’Orba.  — Pavia,  1887. 

Citate  le  varie  località  ove  furono  trovati  i resti  di  marmotta  dell’epoca  qua- 
ternaria ed  osservato  come  nessuno  abbia  finora  constato  la  loro  esistenza  nel- 
l’Appennino  ligure  e tanto  me  no  nelle  valli  dell’alto  Monferrato,  descrive  le  ossa 
di  Arctomys  marmota  Schreb.  e di  altri  animali,  trovate  al  piede  del  colle  di 
S.  Pancrazio  nel  comune  di  Silvano  d’Orba  entro  certe  cavità  fra  gli  strati  cal- 
carei, dette  tane,  cavità  formatesi  pel  ripiegamento  degli  strati  stessi  e in  seguito 
a circolazione  d’acqua.  Svolge  quindi  ampiamente  le  seguenti  proposizioni  : 1° 
L’A.  spelaeus , A.  primigenia,  A.  Lecoqui}  A.  Gastaldi,  Mioxus  primigenius,  A. 
avernensis , A./ossilis,  A.bobac  (fossile)  devonsi  ritenere  sinonimi  dell  Arctomys 
marmota  (marmotta  delle  Alpi)  della  quale  non  differiscono  specifìcarnente,  -=■ 


— 388  — 


2°  Le  ossa  di  À . marmota  trovate  nelle  tane  del  Colle  di  S.  Pancrazio  appar- 
tennero ad  individui  che  vissero  numerosi  nei  luoghi  dove  se  ne  rinvennero  gli 
avanzi.  — 3°  Il  soggiorno  della  marmotta  nel  colle  di  S.  Pancrazio  coincide  col 
periodo  glaciale  ossia  col  massimo  sviluppo  dei  ghiacciai  ed  abbassamento  del 
limite  delle  nevi  ed  è legato  ad  una  temperatura  un  po’  piu  bassa  di  quella  che 
attualmente  gode  l’alto  Monferrato. 

Tuccimei  G.  — II  sistema  liassieo  di  Roccantiea  e i suoi  fossili. 
(Boll.  Soc.  Geo].,  VI,  2).  — Roma. 

I monti  che  sono  oggetto  di  questo  studio  sono  costituiti  da  due  creste  paral- 
lele vicinissime  dirette  secondo  il  meridiano,  aventi  per  loro  punti  culminanti  il 
Monte  Tancia  (12821*1)  ed  il  Monte  Acuto  detto  anche  M.  Menicòzzo  (1254m). 
Essi  fanno  parte  dello  spartiacque  fra  le  valli  del  Tevere  e del  Turano.  I terreni  di 
questi  monti  sono  disposti  in  una  anticlinale  fiancheggiata  da  due  sinclinali  una  delle 
quali  coricata.  NeH’anticlinale,  in  gran  parte  demolita,  si  trova  il  nucleo  o elissoide 
di  sollevamento  del  quale  è rimasta  la  parte  più  antica,  ossia  il  lias  inferiore. 
L’asse  di  tale  elissoide  è situato  ad  est  di  Roccantiea  diretto  circa  N-S.  La  pic- 
cola sinclinale  appoggiantesi  ad  ovest  deH’anticlinale  è formata  dai  terreni  più 
recenti  fino  al  titonico.  L’asse  di  tale  sinclinale  non  si  mantiene  parallela  a quello 
dell’ anticlinale  centrale,  ma  convergono  a sud  e le  due  curve  si  restringono  in 
modo  che  il  lias  inferiore  si  spinge  a contatto  del  titonico.  Sulle  esterne  testate 
della  piccola  sinclinale  si  appoggiano  gli  strati  inclinati  del  pliocene  salmastro 
sormontato  dal  tufo  pomiceo.  La  sinclinale  coricata  è posta  ad  est  e ne  fanno 
parte  i monti  della  Tancia,  alla  cui  pendice  si  presenta  un  rovesciamento.  Nell’asse 
di  questa  piega  sono  i scisti  varicolori  e i calcari  rosati  del  cretaceo  medio.  I 
terreni  rappresentati  in  questo  sistema  sono:  il  lias  inferiore  (Sinemuriano),  il  lias 
medio  (Ciarmuziano),  il  lias  superiore  (Toarsiano)  diviso  in  due  zone,  il  giura  infe- 
riore (Dogger)  (l’autore  è assai  dubbioso  sulla  esatta  determinazione  di  questo 
piano),  il  giura  superiore  (Titonico),  il  cretaceo  inferiore  (Neocomiano),  il  cretaceo 

medio  (Albiano)  e dubitativamente  il  cretaceo  superiore  (Senoniano). 

* 

I molti  fossili  rinvenuti  dall’autore  sono  descritti  ampiamente  nella  seconda 
parte  di  questo  studio,  in  fine  del  quale  è dato  un  quadro  nel  quale  sono  indi- 
cate le  specie  che  si  trovano  nei  tre  piani  del  lias. 

Uzielli  G.  — Le  commozioni  telluriche  e il  terremoto  del  23 febbraio  1887. 
— Torino,  1887. 

L’autore  pubblica  le  tre  conferenze  da  lui  tenute  sull’argomento  sopraindicato 
nella  R.  Università  di  Torino  nel  1887,  colle  quali  ha  esposto  i principii  fonda- 
mentali di  cosmogonia  e dj  fisica  terrestre  che  sono  in  maggior  correlazione  coi 


fenomeni  sismici  della  crosta  terrestre.  Accennata  quindi  alla  costituzione  litologica 
di  quest’ultima  per  riferirvi  i diversi  gradi  di  propagazione  delle  onde  sismiche  e 
conseguenti  fenomeni,  ha  riportato  la  storia  di  alcuni  più  famosi  terremoti  italiani 
e commentati  quelli  più  disastrosi  avvenuti  in  Italia  e specialmente  in*  Piemonte 
e Liguria  da  tempi  remotissimi  al  giorno  d’oggi.  Particolare  menzione  vi  è fatta 
del  terremoto  ligure  del  febbraio  1887.  Nel  testo  e nelle  numerose  note  aggiun- 
tevi in  appendice  l’autore  ha  riferito  le  opinioni  ed  i consigli  dei  sismologi  e 
degli  architetti  sulle  migliori  provvidenze  a prendersi  in  ordine  all’edilizia  nei  paesi 
soggetti  ai  terremoti. 

Uzielli  G.  — Sopra  un  cranio  di  coccodrillo  trovato  nel  Modenese. 
(Boll.  Soc.  Geol.,  V,  3).  — Roma. 

Il  fossile  descritto  proviene  da  uno  strato  di  ghiaie,  probabilmente  rimaneg- 
giate, che  si  trova  sulla  sinistra  del  Rio  Marangone  in  provincia  di  Reggio,  nelle 
vicinanze  di  S.  Valentino.  Dall’esame  di  esso  fossile  l’autore  è condotto  a con- 
cludere che  il  cranio  di  S.  Valentino,  indubbiamente  riferibile  ad  un  coccodrillo,  è 
oltre  il  doppio  dell’esemplare  del  Crocodylus  Arduini  descritto  dal  De  Zigno; 
che  tenuto  conto  di  tal  grandezza  la  formula  dentaria  del  nuovo  cranio  sarebbe 
15_15  ; che  una  tal  grandezza  è convalidata  dall’essere  i denti  di  questo  cranio 
quasi  il  doppio  di  quelli  descritti  dal  De  Zigno  relativi  al  C.  Arduini . Conseguen- 
temente il  fossile  rinvenuto  costituirebbe  una  specie  nuova  dell’età  geologica  della 
quale  e dei  suoi  rapporti  colle  specie  eoceniche  e mioceniche  dell’Alpi  dovranno 
decidere  studi  ulteriori. 

Verri  A.  — Azione  delle  forze  nell1 assetto  delle  valli , con  appendice 
sulla  distribuzione  dei  fossili  nella  Valdichiana  e nell'  Umbria 
interna  settentrionale.  (Boll.  Soc.  Geol.,  V,  3).  — Roma. 

L’autore  si  è proposto  di  dimostrare  come  le  forze  ordinarie  degli  agenti 
meteorici  e delle  acque  correnti  moltiplicate  per  la  durata  del  sollevamento  pos" 
sono  bastare  a render  ragione  della  larghezza  acquistata  da  alcune  valli  e del 
conseguente  effetto  di  colmata  che  ne  rialza  il  piano. 

Egli  distingue  valli  assettate  per  la  sola  azione  delle  forze  esterne  e valli 
assettate  pel  concorso  delle  forze  interne  ed  esterne,  prendendo  a tipo  delle  prime 
la  pianura  fra  Terni  e Narni  e delle  seconde  la  Valdichiana,  estendendo  però  le 
esposte  teorie  anche  alle  conche  di  Sulmona,  del  Fucino  e ad  altre  dell’Appen- 
nino  abbruzzese  e sannita. 

Nell’appendice  che  tratta  della  distribuzione  dei  fossili  nella  Valdichiana  e 
nell’Umbria  settentrionale  l’autore  dà  l’elenco  d’altre  500  specie  quasi  tutte  plio- 
ceniche ed  appartenenti  alla  zone  marina,  fluvio-marina  e maremmana. 


Verri  A.  — Rapporti  tra  le  formazioni  con  ofioliti  dell’Umbria  e le 
breccie  granitiche  del  Sannio.  (Boll.  Soc.  Geol.,  VI,  3).  — Roma. 

L’autore  dai  rapporti  geologici  che  corrono  tra  le  formazioni  con  ofioliti  del 
bacino  del  Chiasco,  di  Candeggio  e d*  altri  punti  dell’  Umbria  settentrionale 
e le  formazioni  parimenti  con  ofioliti  della  valle  superiore  tiberina,  ritiene  che  le 
une  e le  altre  appartengono  ad  un  medesimo  piano  il  quale  in  base  ai  fossili 
rinvenutivi  verrebbe  giudicato  per  tortoniano  secondo  gli  uni,  per  oligocenico 
secondo  altri.  Ad  ogni  modo  questo  piano  risulterebbe  superiore  a quello  conte- 
nente le  ofioliti  del  Monte  Amiata  e della  Valdichiana. 

Inoltre,  per  le  osservazioni  fatte  dall’autore  su  vari  punti  delle  montagne  del 
Sannio,  apparterrebbero  al  medesimo  piano  delle  ofioliti  umbre  anche  le  breccie 
granitico-porfìrico-ofiolitiche  di  Campobasso,  di  Schifanoja,  ecc.,  le  quali  rappre- 
senterebbero l’estremo  lembo  di  un  antico  continente  già  scomparso  nel  periodo 
tra  l’eocene  superiore  ed  il  miocene  medio,  ed  il  cui  posto  è oggidì  occupato  in 
parte  dalla  zona  dei  gessi,  in  parte  dalla  zona^pliocenica  e per  la  parte  maggiore 
dall’Adriatico. 

Viola  C.  — Contribuzione  allo  studio  delle  roecie  : Fisiografia  del 
granito  detto  San  Fedelino.  (Boll.  Soc.  Geol.,  VI,  2).  — Roma. 

L’autore  ha-  sottoposto  ad  analisi  microscopica  comparativa  alcuni  campion 
del  granito  che  si  cava  a S.  Fedele  sul  lago  di  Como,  una  parte  dei  quali  era  fresca^ 
di  cava,  mentre  altri  erano  stati  levati  dal  lastricato  di  via  Rizzoli  di  Bologna,  col. 
l’intento  di  studiare  gli  effetti  prodotti  da  un  lungo  e continuo  logoramento, 
congiunto  colla  pressione,  sulla  struttura  ed  in  genere  sulla  fisiografia  delle 
roccie. 

Dall’esame  delle  speciali  condizioni  presentate  dai  singoli  costituenti  della 
roccia  in  parola,  sia  fresca  che  logorata,  l’autore  ha  potuto  dedurre  che  la  pre- 
senza della  mica  e specialmente  della  muscovite,  in  un  granito  aumenta  la  sta- 
bilità di  quest’ultimo  contro  la  cimentazione  delle  forze  esterne  e che  l’abbondanza 
di  essa,  fino  ad  un  certo  limite,  determina  il  grado  dell’anzidetta  stabilità. 

Williams  J.  Fr.  — Ueber  den  Monte  Amiata  in  Toscana  und  seine 
Gesteine.  (Neues  Jahrbuch  fiir  Min.  ecc.,  V.  Beil.-Band).  — Stuttgart. 
Dall’analisi  dettagliata,  chimica  e microscopica,  delle  varie  roccie  componenti 
il  gruppo  vulcanico  dell’ Amiata  risulta  non  solamente  una  somiglianza  grandis- 
sima delle  diverse  roccie  fra  di  loro,  ma  anche  1’esistenza  per  tutte  di  un  magma 
unico,  salvo  qualche  piccola  differenza.  Quest’ultima  circostauza  permette  di  rite- 
nere che  geneticamente  non  esista  nell’ Amiata  che  una  roccia  unica  la  quale, 


— 391  — 


consolidatasi  sotto  1*  influenza  di  circostanze  locali,  avrebbe  assunto  in  diversi 
punti  del  gruppo,  caratteri  diversi. 

In  generale  la  roccia  centrale  è una  trachite  tipica  contenente  ipersteno  e 
labradorite,  mentre  quelle  della  periferia  sono  varietà  di  andesite  ovvero  di  liparite 
secondo  l’abbondanza  in  esse  di  plagioclasio  o di  sostanza  vitrea.  Tale  fatto  sa- 
rebbe conseguenza  della  maggiore  rapidità  di  raffreddamento  in  quest’ ultime  a 
confronto  della  roccia  centrale. 

Zaccagna  D.  — Nota  sulla  geologia  delle  Alpi  occidentali.  (Boll.  Com. 
Geol.,  11-12).  — Roma. 

Questo  importante  lavoro  è il  riassunto  degli  studii  fatti  dall’autore  nelle 
Alpi  marittime,  Cozie  .e  Graje  a cominciare  dal  1883  in  poi.  Con  essi  vengono 
risoluti  i più  complessi  problemi  sulla  tettonica  e sulla  stratigrafia  cronologica 
delle  Alpi  occidentali  e ben  stabiliti  i limiti  fra  terreni  dapprima  confusi  o mal 
determinati.  Riportiamo  qui  brevemente  le  principali  conclusioni  alle  quali  è ad- 
divenuto l’autore  : 

1°  Gli  gneiss  centrali  tengono  un  posto  costante  nella  serie  e formano  la 
base  ed  il  nucleo  dei  varii  elissoidi  di  sollevamento. 

2°  Il  gruppo  potentissimo  delle  roccie  cristalline  ( pietre  verdi  del  Gastaldi) 
che  sta  sopra  i gneiss  centrali,  ha  una  certa  legge  di  successione,  cioè  anfiboliti 
compatte  in  basso  con  scisti  anfibolici  serpentinosi  ed  eufotidi  a facies  gneissica; 
in  alto  di  nuovo  scisti  anfibolici  ma  con  serpentine  massiccie,  eufotidi,  granitoidi  e 
con  diabasi. 

3°  Il  gruppo  Dora-Val  Maira  col  Monte  Viso  è una  piega  laterale  com- 
pressa e rovesciata  verso  la  pianura,  con  asse  arcuato  concentrico  a quello  rap- 
presentato dall’allineamento  delle  elissoidi  del  Monte  Rosa,  del  Gran  Paradiso  e 
■del  Mercantour.  Esteriormente  a questo  grande  allineamento  e a ponente  di  esso 
si  trova  l’altro  ancora  più  vasto  risultante  dai  tre  gruppi  del  Monte  Bianco,  di 
Belledonne  e del  Gran  Pelvouxc 

4°  Il  massiccio  del  Mercantour  è quasi  completamente  di  gneiss  centrale  e 
di  graniti,  mancandovi  quasi  totalmente  le  pietre  verdi.  È quindi  probabile  resi- 
stenza di  una  gran  faglia  fra  questo  gruppo  e quello  di  Dora-Val  Maira,  diretta 
prossimamente  secondo  la  valle  della  Stura,  faglia  avvenuta  prima  del  deposito 
delle  roccie  paleozoiche  e triasiche,  che  si  depositarono  nella  depressione  cosi 
formatasi  congiungendo  i terreni  stratificati  della  parte  orientale  delle  Alpi  ma- 
rittime con  quelli  del  versante  francese  delle  Cozie. 

5°  Non  esiste  passaggio  graduale  tra  le  roccie  cristalline  delle  Alpi  e quelle 
della  serie  fossilifera:  vi  è anzi  una  marcatissima  discordanza  fra  queste  due 
classi  di  roccie.  Un  lungo  periodo  di  erosione  è certamente  intervenuto  prima  della 


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deposizione  delle  roccie  fossilìfere,  cosicché  si  ha  il  contattò  di  roccie  carbonifere, 
permiane,  triasiche  ed  eoceniche,  con  le  roccie  cristalline  antiche. 

6°  Le  più  antiche  roccie  fossilifere  appartengono  al  carbonifero,  e si  mo" 
strano  come  roccie  centrali  nella  parte  orientale  delle  Alpi  marittime  ed  in  lembi 
staccati  nel  circuito  alpino. 

7°.  Il  permiano,  tanto  sviluppato  nelle  Alpi  marittime,  attraversa  la  Val 
Stura  e penetra  in  Francia  nella  valle  dell’Ubaye. 

8°.  La  configurazione  tettonica  delle  Alpi  occidentali  dimostra  la  esistenza 
di  tre  grandi  sollevamenti,  di  cui  il  primo  anteriore  al  carbonifero  con  emersione 
dei  massicci  cristallini,  il  secondo  verso  la  fine  del  lias  che  portò  a giorno  i ter- 
reni paleozoici  e mesozoici  inferiori,  il  terzo  sul  finire  dell’eocene  che  diede  alla 
catena  alpina  l’attuale  sua  elevazione. 

Molti  altri  fatti,  e tutti  importanti,  sono  registrati  nel  lavoro  del  Zaccagna, 
il  quale  è corredato  da  una  Carta  geologica  delle  Alpi  occidentali  e da  due  tavole 
di  grandi  sezioni  attraverso  la  catena  alpina. 

Zezi  P.  — La  lava  di  Capo  di  Bòve  presso  Roma . (Boll.  Com.  Geol.,  7-8). 
— Roma. 

Riferisce  sui  risultati  interessanti  la  geologia  dell’Agro  romano  ottenuti  durante 
la  perforazione  d’un  pozzo  artesiano  praticato  attraverso  la  colata  di  lava  basaltina 
di  Capo  di  Bove  o della  Via  Appia  antica. 

Detta  lava  venne  attraversata  dal  pozzo  per  uno  spessóre  di  ll,m50.  — La 
roccia  venne  analizzata  al  microscopio  dal  dott.  Bucca.  Essa  è di  natura  porfirica 
con  segregazioni  di  leucite,  augite  e melilite  e secondariamente  di  nefelina;  la  sua 
massa  fondamentale  si  compone  di  leucite,  augite,  biotite,  magnetite  ed  apatite.  La 
roccia  descritta  riposa  su  di  un  banco  di  tufo  granulare  il  quale  al  contatto  colla 
lava  presenta  una  parte  vetrosa  dovuta  a fusione  per  il  calore  della  colata.  Allo 
stesso  contatto  il  tufo  ha  struttura  porosa  ed  abbonda  di  limonite,  lo  che  è do- 
vuto ad  azione  di  vapore  acqueo  ad  alta  temperatura  sopra  il  tufo  stesso. 


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NOTIZIE  DIVERSE 


Nuove  osservazioni  fatte  in  Napoli  e dintorni.  — Da  una  rela- 
zione del  dott.  Johnston-Lavis  pubblicata  di  recente  a Londra  1 togliamo 
le  seguenti  importanti  informazioni  sopra  escavazioni  praticate  nella 
città  di  Napoli  e nei  suoi  dintorni. 

Ferrovia  Cumana.  — La  perforazione  della  nuova  galleria  attra- 
verso il  promontorio  di  Posillipo  ha  fatto  conoscere  resistenza  di  estese 
masse  trachitiche  su  questo  colle  ritenuto  finora  unicamente  formato 
di  tufo  giallo.  A 530  metri  dall’ingresso  verso  Monte  Santo  s’ incontra, 
dopo  diverse  varietà  di  tufo,  una  massa  di  trachite  che  continua  per 
circa  mezzo  chilometro,  ora  compatto  a grana  fina,  ora  leggiera  e 
spugnosa:  essa  è coperta  ora  da  strati  di  scoria  sodalitica,  ora  da 
scoria  nera,  in  posizione  tale  come  se  provenisse  da  un  vicino  cono 
eruttivo.  Alla  trachite  fanno  seguito  dei  tufi  gialli  più  o meno  grosso- 
lani o compatti  e di  vario  aspetto,  che  passano  gradatamente  a tufi 
verde-grigi  con  macchie  di  tufo  giallo  e talora  a tufo  puramente  verde- 
grigio. Il  tufo  giallo  si  vede  formarsi  gradatamente  da  una  massa  com- 
patta di  frammenti  di  pomice  e scorie,  a quanto  sembra  per  processo 
di  idratazione  della  parte  vetrosa  di  questi  elementi. 

Un’altra  gran  massa  di  trachite  s’incontra  a 1890  metri  dall’ im- 
bocco e continua  per  110  metri*  Questo  resterà  probabilmente  il  più 
bel  tipo  di  trachite  sodalitica  che  si  conosca;  dove  essa  è vescicolare, 
le  cavità  sono  incrostate  da  sei  o sette  specie  di  minerali.  Le  estremità 
di  questa  massa  di  trachite  terminano  in  pendio,  sul  quale  si  appoggia 
un  talus  dei  blocchi  della  stessa  roccia  e su  questi,  con  la  stessa 
inclinazione,  numerosi  strati  di  pomice  e cenere  susseguiti  da  tufo 
compatto.  Il  resto  della  galleria  è scavato  nel  tufo  compatto  giallo, 
e solo  verso  la  bocca  esso  è coperto  dalla  comune  pozzolana  disgre- 
gata. 

1 Report  of  thè  Committee  appointed  for  thè  investigation  of  thè  volcanic 
phenolnena  of  Vesuoius  and  its  neighbourhood,  London  1888. 


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Al  di  là  dei  bagni  teihnó-minerali  dei  Bagnoli  è stato  tagliato  lin 
tufo  giallo  sotto  del  quale  esiste  un  terrazzo  composto  di  grossi  blocchi 
più  o meno  arrotondati  del  medesimo  tufo,  fra  gli  interstizi  dei  quali 
aderiscono  delle  masse  effbrescenti  di  gesso  dovute  ad  emanazioni 
solforose. 

Poco  lungi  di  là  una  galleria  in  costruzione,  a pochi  metri  della 
superficie  e parallela  alla  spiaggia  e alla  strada,  taglia  al  suo  imbocco 
verso  Napoli  della  sabbia,  breccia  e ciottoli  costituenti  la  spiaggia  sol- 
levata che  fu  sottoposta  alle  eruzioni  trachitiche  della  solfatara,  tra- 
versando talora  le  scorie  nere  della  medesima.  La  temperatura  vi  è 
tanto  elevata  che  non  si  poterono  proseguire  i lavori  senza  provvedere 
alla  ventilazione  con  finestre  e pozzi.  Le  stesse  difficoltà  s’ incontrano 
nella  galleria  che  deve  attraversare  la  collina  di  Baia*  passando  sotto 
i BagLi  di  Nerone,  dove  la  crescente  temperatura  e la  natura  del  ter- 
reno renderanno  assai  arduo  il  lavoro. 

Collettoré  pluviale  delle  colline.  — Nella  costruzione  di  questo 
collettore  che  corre  parallelamente  alla  ferrovia  cumana,  ma  a qualche 
distanza  e ad  un  livello  inferiore,  fu  attraversata  una  massa  di  trachite 
per  28  metri  di  lunghezza.  Differisce  un  pò  per  alcuni  caratteri  dalle 
due  masse  di  trachite  sopra  ricordate,  approssimandosi  però  più  assai 
alla  minorej  alla  quale  è anche  più  vicina.  Questa  trachite  che  non  è 
vescicolare,  presenta  delle  fenditure  tappezzate  da  bei  ottaedri  e pseu- 
doprismi cristallini  di  sodalite,  che  è però  quasi  ovunque  alterata  e 
sostituita  da  un  miscuglio  di  sostanze  di  color  rosso.  Accompagnano 
questo  minerale  molti  aghi  di  titanite,  antibolo,  alcune  zeoliti,  ecc. 

La  trachite  è circondata  dal  tufo  grigio  del  Rione  Amedeo,  il 
quale  verso  Ovest  è ricoperto  dal  solito  tufo  giallo  e talora  da  poz- 
zolana. Vicino  alla  trachite  furono  trovati  blocchi  di  peperino  e,  nel 
Rione  Amedeo,  delle  estese  masse  di  argilla  plastica  grigia  (pliocenica) 
affatto  inalterata  e con  molti  fossili. 

Ferrovia  funicolare  del  Rione  Amedeo.  — Lungo  il  tracciato  di 
questa,  parte  in  trincea  e parte  in  galleria  sotto  la  ferrovia  Cu- 
mana e ad  angolo  retto  con  la  medesima,  si  è trovato  nella  parte  più 
bassa  il  tufo  grigio  del  Rione  Amedeo*  sopra  il  quale  si  appoggiano 


strati  dì  pomici  e ceneri  in  continuazione  colla  ben  nota  piega  sin- 
clinale di  questi  strati  nel  Corso  Vittorio  Emanuele.  Sopra  questi  mate- 
riali viene  il  tufo  giallo  comune. 

Ferrovia  funicolare  di  Monte  Santo.  — All’ingresso  della  galleria 
del  Corso  Vittorio  Emanuele  si  presenta  la  seguente  serie  di  strati  dal 
basso  all’alto: 

Metri  4 di  pozzolana  bruna  sciolta,  talora  con  pomice  biancastra 
a struttura  fina,  ricoperta  da  un  letto  di  piccoli  lapilli  di  pomice  bianca 
senza  accessori  o proietti  accidentali  sovrapposti  ; 

Metri  4 di  pomice  simile  interstratificata  con  sottili  lembi  di 
pozzolana  rossa  o giallo-bruna; 

Metri  0, 80  di  pomice  bianco-grigia  composta  di  masse  grandi 
fino  alle  dimensioni  di  oltre  un  decimetro.  Nella  parte  superiore  questa 
pomice  ha  preso  un  colore  rosso  particolare; 

Metri  0, 10  di  ceneri  nere  ; 

Metri  4,50  di  tufo  grigio  pipernoide,  del  quale  30  centimetri  nella 
Parte  inferiore  è di  color  rosso  che  sfuma  nel  grigio  superiormente* 
Questo  tufo  é identico  per  carattere  ai  tufi  di  Sorrento,  Nocera,  Capua 
e Roccamonfina;  conteneva  un  piccolo  blocco  di  piperno  con  ampi 
cristalli  di  marialite; 

Metri  2,  50  di  breccia  grossolana  di  pomice  rossiccia,  con  molti 
grossi  blocchi  risultanti  di  piperno  vetroso,  trachite  sodalitica,  una 
roccia  basica  vescicolare  di  colore  rosso  vivo  (andesite?),  lava  piros- 
senica  (dolerite?),  tufi  di  varia  specie  e pezzi  di  ossidiana  nera. 

All’ingresso  opposto  della  galleria  non  si  è incontrato  finora  che 
tufo  giallo. 

Confrontando  la  serie  di  questa  regione  con  quella  di  altre  loca- 
lità, risulta  che  lo  strato  di  breccia  è identico  a quello  che  sta  sopra 
il  piperno  di  Pianura  e Soccavo. 

I lembi  di  cenere  ed  i letti  di  pomice  sono  identici  ad  alcuni  sot- 
tostanti alla  surricordata  breccia  dietro  Soccavo,  ed  il  tufo  grigio  pi- 
pernoide è stratigraficamente  nella  stessa  posizione  che  il  piperno  di 
quella  località;  inoltre  vi  si  rinvenne  un  frammento  il  più  caratteristico  di 
questa  roccia,  reso  maggiormente  certo  per  i cristalli  di  marialite» 

Da  tali  fatti  si  può  arguire  che  il  piperno  ed  il  tufo  grigio  piper- 


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noide  hanno  una  stessa  origine.  A ciò  si  deve  aggiungere  che  lo  stesso 
tufo  grigio  di  Fossa  Lupara  (fra  Nocera  e Sarno)  è rosso  alla  sua 
parte  inferiore  e riposa  sopra  una  pomice  arrossata  simile  a quella 
della  sezione  della  funicolare  di  Monte  Santo:  se  non  chè,  alia  galleria 
di  Codola  presso  Nocera,  sotto  il  tufo  grigio,  si  trova  un  sottile  letto 
di  pomice  bianca.  In  entrambi  i casi  la  pomice  è più  piccola  e nel  se- 
condo anche  in  quantità  piccola,  come  se  fosse  stata  trasportata  col- 
l’aria da  grande  distanza. 

Qui  viene  a proposito  la  vecchia  questione,  non  ancora  risolta, 
sulla  natura  del  piperno  di  Pianura  e Soccavo.  Esso  ha  quivi  tutta  la 
compattezza  di  una  lava,  con  evidente  struttura  di  corrente  nei  suoi 
componenti:  altrove  invece  sembra  un  tufo.  Da  alcuni  si  suppone  sia 
un  tufo  metamorfosato  o rifuso  in  parte;  ma  se  ciò  fosse  le  sottoposte 
pomici  a Soccavo  dovrebbero  essere  state  in  simil  modo  alterate. 
Inoltre  a Soccavo,  sulla  parte  occidentale  della  sezione,  s’incontrano 
due  distinti  letti  di  piperno  interstratificato  con  materiali  simili  e che 
il  calore  avrebbe  dovuto  influenzare,  mentre  la  striscia  pipernoide  di 
blocchi  proiettati  che  sta  loro  immediatamente  al  disopra  è orientata 
in  tutte  le  direzioni,  il  qual  fatto  impugna  ogni  questione  di  rifusione 
o di  metamorfismo.  Finalmente,  frammenti  di  tufo  giallo  inclusi  entro 
il  piperno  compatto  nei  blocchi  della  soprastante  breccia  a Pianura,  a 
Soccavo  ed  anche  a Napoli,  sono  affatto  immuni  da  fusione  o alterati 
non  più  di  quello  che  avverrebbe  se  fossero  stati  presi  entro  una  cor- 
rente di  lava  raffreddatasi  rapidamente.  Restano  quindi  due  spiegazioni. 
Prima:  il  piperno  è una  vera  lava,  della  quale  i tufi  grigi  sono  le  ce- 
neri ed  i lapilli  della  fase  esplosiva  della  eruzione  o delle  eruzioni. 
Contro  questa  spiegazione  si  ha  la  struttura  stratificata  del  piperno, 
indipendentemente  dalla  forma  zonata  dovuta  alla  presenza  di  un  più 
o meno  grande  numero  di  lenti  più  nere  incluse  e poi  il  lungo  e sot- 
tile strato  di  uniforme  spessore  del  piperno  superiore  di  Soccavo. 
Seconda:  esso  proviene  dalla  emissione  di  un  magma  sul  finire  o al 
principio  di  una  eruzione,  libero  da  inclusioni  acquee,  il  quale  cadendo 
ancora  caldo,  divenne  più  o meno  fuso  nell’immediata  vicinanza  del- 
l’uscita,  come  può  osservarsi  in  un  vulcano  attivo.  In  appoggio  di 
questa  seconda  ipotesi  sta  il  fatto  che  spesso  il  piperno  appare  com- 
posto di  frammenti  in  parte  fusi  insieme  come  se  il  calore  fosse  in- 


— 397  — 

sufficiente  a completare  Poperazione.  In  entrambi  i casi  si  può  supporre 
una  miscela  di  due  magma,  ovvero  anche  di  uno  solo  proveniente  in 
parte  dalla  porzione  superiore  più  fredda  del  camino  ed  in  parte  dalla 
più  bassa,  più  calda  e più  acquifera,  appunto  come  avviene  nella  trachite 
zonata  di  Palmarola  (Isole  Ponza),  la  quale  è sostenuta  dai  blocchi  proiet- 
tati aventi  la  parte  nera  composta  di  ossidiana,  mentre  la  grigia  è 
assai  più  vetrosa  che  la  roccia  compatta. 

Fori  artesiani  e sezioni  a Pozzuoli.  — Diverse  trivellazioni  arte- 
siane eseguite  presso  Pozzuoli,  tanto  sulla  costa  che  in  mare  a circa 
100  o 150  metri  dal  tempio  di  Serapide,  hanno  attraversato  a varia 
profondità  dei  depositi  di  laterizi,  di  frammenti  di  stoviglie  e di  marmi, 
che  stanno  a confermare  la  depressione  subita  da  quella  regione. 

Nel  taglio  della  nuova  strada  di  contro  all’ingresso  del  cantiere 
Armstrong,  si  è scoperta  una  spiaggia  sollevata  di  età  post-romana, 
con  sabbia  pura  e frammenti  di  stoviglie,  mattoni  e marmi.  Masse  di 
muro  cadute  dalla  riva  mostrano  di  essere  state  tagliate  fuori  dal  mare 
cogli  spigoli  e gli  angoli  arrotondati  dalle  onde.  Il  punto  più  elevato 
di  questa  spiaggia  trovasi  a metri  3,  75  dall’attuale  livello  del  mare. 

Un  simile  fatto  si  verifica  al  piede  della  villa  di  Cicerone  e a 
ponente  dell’estremità  della  valle  nella  quale  è stato  costruito  il  nuovo 
serbatoio.  Colà  la  stessa  spiaggia  è stata  trovata  a 5 metri  sopra  l’at- 
tuale livello  marino. 

Tutti  questi  fatti  dimostrano  che  la  costa  ha  subito  in  epoca  rela- 
tivamente recente  una  depressione  che  raggiunse  almeno  i 5 metri 
sotto  il  piano  attuale,  cui  tenne  dietro  il  sollevamento  presente.  Al 
momento  che  il  suolo  era  al  suo  punto  più  depresso,  la  sponda  doveva 
trovarsi  tagliata  molto  ripidamente,  per  il  che  le  antiche  fondazioni 
d’epoca  romana  erano  facilmente  esposte  ad  essere  rovinate  ed  arro- 
tondate per  l’azione  del  mare. 

Finalmente  in  un  pozzo  scavato  all’  ingresso  principale  del  cantiere 
Armstrong,  alla  profondità  di  15  metri,  12  dei  quali  sotto  il  livello  del 
mare,  furono  incontrati  varii  strati  di  lapilli  e pomici  e,  quasi  al  fondo 
dei  proietti  di  una  trachite  speciale  insieme  a tufo,  talora  alterato  dah 
l’azione  della  solfatara.  Oltre  ciò  si  rinvenne  una  singolare  sienite 
micacea  con  piriti,  che  formerà  oggetto  di  studio  speciale.  In  questo 


— 398  - 


pozzo,  mentre  dalla  parte  del  mare  entrava  acqua  salsa,  dal  lato  di 
terra  una  cascata  di  acqua  minerale  calda  entrava  per  una  fenditura, 
esigendo  il  lavoro  costante  di  una  pompa  di  20  cavalli  per  estrarla. 

L’autore  termina  il  suo  rapporto  con  le  seguenti  conclusioni  sulla 
geologia  dei  Campi  Flegrei. 

Le  roccie  più  antiche  finora  conosciute  in  massa  presso  Napoli  sono 
le  trachiti  sodalitiche  delia  galleria  di  Cuma;  queste  sono  ricoperte 
dai  tufi  del  Rione  Amedeo,  che  probabilmente  sono  i prodotti  eruttivi 
di  esplosione  dello  stesso  magma.'' 

Fa  seguito  a questo  il  vulcano  di  Pianura,  la  parte  meridionale 
del  quale  è stata  tutta  distrutta  da  posteriori  eruzioni  esplosive  e dal- 
l’erosione del  mare,  che  depose  il  terrazzo  sollevato  del  Lago  Lucrino, 
demolì  la  parte  meridionale  di  Monte  Barbaro,  depositò  la  spiaggia  di 
Starza  ed  il  terrazzo  sollevato  di  Stabia  e Castellammare. 

Questo  vulcano  fu  la  bocca  principale  (forse  con  altre)  dalla  quale 
provennero  il  tufo  grigio  della  Campania  e gli  strati  di  breccia,  ed 
al  quale  appartiene  lo  strato  di  lapilli  presso  il  Parco  Grifeo  sul  Corso 
Vittorio  Emanuele. 

Le  eruzioni  di  Roccamonfina  precedettero  quelle  del  vulcano  di 
Pianura,  ma  il  Vesuvio  fu  in  gran  parte  posteriore,  perchè  nessuna 
traccia  di  tufo  grigio  s’incontra  entro  la  regione  dell’Atrio  e perchè 
la  serie  quasi  completa  delle  pomici  del  Somma  si  può  vedere  sopra- 
stante al  tufo  grigio  di  Nocera. 

L’attività  vulcanica  ha  quindi  seguito  nel  continente  italiano  un 
corso  regolare  in  direzione  di  Sud. 

Il  tufo  giallo  di  Posillipo  e di  altre  località,  che  con  il  sottoposto 
segmento  del  vulcano  di  Pianura,  forma  il  punto  più  elevato  presso 
Napoli,  cioè  la  collina  dei  Camaldoli,  dovette  provenire,  almeno  in  parte, 
dal  Monte  Barbaro  e dal  vulcano  di  Campigliene. 


— S90  — 


PUBBLICAZIONE  DELLA  CARTA  GEOLOGICA  D’ITALIA 

PER  CURA  DEL  R.  UFFICIO  GEOLOGICO 


PARTI  PUBBLICATE  (al  31  dicembre  1888) 

Carta  geologica  della  Sicilia  nella  scala  di  1/100,000  : 


Foglio  N.  244  (Isole  Eolie)  prezzo  L.  3 00 
» 248  (Trapani)  . . . » 3 00 

» 249  (Palermo)  . . . » 4 00 

» 250  (Bagheria) . . . » 3 00 

» 251  (Cefalù) . . . . » 3 00 

« 252  (Naso)  . . . . » 4 00 

» ' 253  (Castroreale)  . . » 4 00 

» 254  (Messina)  . . . » 4 00 

» 256  (Isole  Egadi)  . . « 3 00 

» 257  (Castelvetrano)  . » 4 00 

» 258  (Corleone)  . . . » 5 00 

» 259  (Termini  Imerese).  » 5 00 

» 260  (Nicosia)  . . . » 5 00 

» 261  (Bronte),  . . . » 5 00 


Foglio  N.  262  (Monte  Etna) . . L.  5 00 
» 265  (Mazzara  del  Vallo)»  3 00 


» 266  (Sciacca)  . . . » 4 00 

» 267  (Canicattì)  . . . » 5 00 

» 268  (Caltanissetta)  . » 5 00 

» 269  (Paterno)  . . . » 5 00 

» 270  (Catania)  . . . » 3 00 

» 271  (Girgenti)  . . . » 3 00 

» 272  (Terranova)  . . » 4 00 

» 273  (Caltagirone)  . . » 5 00 

» 274  (Siracusa)  . . . » 4 00 

» 275  (Scoglitti)  . . . » 3 00 

» 276  (Modica)  . . . » 3 00 

» 277  (Noto)  . . . . » 3 00 


Tavola  di  sez.  N.  I (annessa  ai  fogli  249  e 258)  L.  4 00 
» » N.  II  (annessa  ai  fogli  252,  260  e 261)  » 4 00 

» » N.  Ili  (annessa  ai  fogli  253,  254  e 262)  » 4 00 

» » N.  IV  (annessa  ai  fogli  257  e 266)  » 4 00 

» » N.  V (annessa  ai  fogli  273  e 274)  » 4 00 


Ilr.B.  — L'intiera  Carta  della  Sicilia,  in  28  fogli  e 5 tavole  di  sezioni,  con  quadro  d'unione 
e copertina,  è in  vendita  al  prezzo  di  lire  100. 


Carta  geologica  della  Sicilia  nella  scala  di  1/500,000  (serve  anche  di  foglio  di 
unione  della  precedente)  con  sezioni prezzo  L.  5 00 

Descrizione  geologica  dell’Isola  di  Sicilia,  con  una  Carta  geologica,  tavole 
in  zincotipia  ed  incisioni,  dell*  Ing.  L.  Baldacci  prezzo  L.  10  00 

Carta  geologica  dell’  Isola  d’  Elba,  nella  scala  di  1/25,000  con  sezioni  annesse 
(in  due  fogli)  prezzo  L.  15  00 

Descrizione  geologica  dell'  Isola  d’ Elba  con  Carta  annessa  nella  scala  di 
1/50,000,  dellTng.  B.  Lotti prezzo  L.  10  00 

Relazione  sulle  miniere  di  ferro  dell’Isola  d'Elba,  con  un  atlante  di  carte  e 
sezioni  geologiche,  dellTng.  A.  Fabri  . . . prezzo  L.  20  00 

Descrizione  geologico-miner.  dell’Iglesiente  (Sardegna),  con  un  atlante  di  XXX 
tavole  e una  Carta  geologica,  dell’  Ing.  GL  Zoppi,  prezzo  L.  15  00 

Carta  geologico-mineraria  dellTglesiente  (Sardegna),  nella  scala  di  1/50,000 
(in  un  foglio) ‘ prezzo  L.  5 00 

Carta  geologica  della  Campagna  Romana  e regioni  limitrofe,  nella  scala 
di  1/100,000  (sei  fogli  e una  tavola  di  sezioni)  . prezzo  L.  25  00 

IN  CORSO  DI  LAVORO 

Carta  geologica  dellTtalia,  in  due  fogli,  nella  scala  di  1/1,000,000  (seconda  edizione 
riveduta  e migliorata  della  Carta  pubblicata  nel  1881). 


Per  le  commissioni  rivolgersi  al  R.  Ufficio  Geologico,  ovvero  alla  Libreria 
E.  Loescher,  in  Roma. 


— 400  — 


ELENCO 

del  personale  componente  il  Comitato  e l’Ufficio  Geologico 

alla  fine  del  18  8 8 

R.  Comitato  Geologico. 

Meneghini  Giuseppe,  prof,  di  geologia  nella  R.  Università  di  Pisa,  Presici. 
Capellini  Giovanni,  prof,  di  geologia  nella  R.  Università  di  Bologna. 
Cocchi  Igino,  prof,  di  geologia,  a Firenze. 

Cossa  Alfonso,  prof,  di  chimica  nella  R.  Scuola  di  applicazione  per  gli 
ingegneri  in  Torino. 

De  Zigno  Achille,  membro  nel  R.  Istituto  Veneto,  a Padova. 
Gemmellaro  Gaetano  Giorgio,  prof,  di  geologia,  R.  Università  di  Palermo. 
Scacchi  Arcangelo,  prof,  di  mineralogia  nella  R.  Università  di  Napoli. 
Scarabelli  Giuseppe,  senatore  del  Regno,  a Imola. 

Silvestri  Orazio,  prof,  di  geologia  nella  R.  Università  di  Catania. 
Stoppani  Antonio,  professore  di  geologia  nel  R.  Istituto  tecnico  supe- 
riore di  Milano. 

Stri) ver  Giovanni,  prof,  di  mineralogia  nella  R»  Università  di  Roma. 
Taramelli  Torquato,  prof,  di  geologia  nella  R.  Università  di  Pavia. 

Il  Direttore  del  R.  Istituto  geografico  militare  in  Firenze. 

Giordano  Felice,  ispettore-capo  del  R.  Corpo  delle  Miniere,  a Roma. 
Pellati  Niccolò,  ispettore  nel  R.  Corpo  delle  Miniere,  a Roma. 

Personale  addetto  ai  lavori  della  Carta  Geologica. 

Direzione  superiore  : 

Ing.  Giordano  Felice,  Direttore. 

Ing.  Pellati  Niccolò. 

Ufficio  centrale  (in  Poma): 

Ing.  Zezi  Pietro,  Capo  d’ufficio  e Segretario  del  Comitato. 

Ing.  Sormani  Claudio. 

Geologi  operatori : 

Ing.  Baldacci  Luigi,  Roma. 

Ing.  Lotti  Bernardino,  Pisa. 

Ing*  Cortese  Emilio,  Roma. 

Ing.  Zaccagna  Domenico,  Pisa. 

Ing.  Viola  Carlo,  Roma. 

Ing.  Novarese  Vittorio,  Roma. 

Ing.  Aichino  Giovanni,  Roma. 

Ing.  Sabatini  Venturino,  Roma. 

Ing.  Franchi  Secondo,  Torino. 

Sig.  Fossen  Pietro,  aiutante,  Pisa. 

Sig.  Cassetti  Michele,  aiutante,  Roma. 

Sig.  Moderni  Pompeo,  aiutante,  Roma. 

Personale  distaccato  : 

Ing.  Mattirolo  Ettore,  Torino  (analisi  delle  roccie). 

Dott.  Canavari  Mario,  Pisa  (paleontologo). 

La  sede  dell’Ufficio  geologico  in  Roma  è nel  Museo  agrario-geologico, 
via  Santa  Susanna,  n.  1-A. 


INDICE 

DELLE  MATERIE  CONTENUTE  NEL  BOLLETTINO  DEL  1888 

(Volume  decimonono  o nono  della  2a  serie) 


Introduzione  . . . . Pag.  1 

MEMORIE  ORIGINALI. 

L.  Mazzuoli.  — Sul  modo  di  formazione  dei  conglomerati  miocenici  dell’Appen- 

nino  ligure » 9 

B.  Lotti.  — Un  problema  stratigrafico  nel  Monte  Pisano  (con  una  tavola).  » 30 

A.  Portis.  — Sui  terreni  attraversati  dal  confine  franco-italiano  nelle  Alpi 

Marittime » 42 

L.  Bucca.  — Contribuzione  allo  studio  petrografico  dei  vulcani  viterbesi  . » 57 

F.  Sacco.  — Studio  geologico  delle  colline  di  Cherasco  e della  Morra  in 

Piemonte  (con  una  Carta  geologica) » 69 

A.  Portis.  — Sul  modo  di  formazione  dei  conglomerati  miocenici  della  Col- 
lina di  Torino >81 

A.  Mascarini.  — Le  piante  fossili  nel  travertino  ascolana » 90 

E.  Cortese.  — Appunti  geologici  sull’  isola  di  Madagascar  (con  una  tavola)  . » 103 
0.  Silvestri.  — Sopra  alcune  lave  antiche  e moderne  del  vulcano  Kilauea 

nelle  Isole  Sandwich » 128 

E.  Clerici.  — Sopra  alcune  specie  di  felini  della  Caverna  al  Monte  delle 

Gioje  presso  Roma  (con  una  tavola) » 149 

0.  Silvestri.  — Sopra  alcune  lave  antiche  e moderne  del  vulcano  Kilauea 

nelle  Isole  Sandwich  (continuazione  e fine)  » 168 

E.  Cortese.  — L’eruzione  dell’Isola  Vulcano  veduta  nel  settembre  1888  . » 213 

C.  De  Stefani.  — Appunti  sopra  roccie  vulcaniche  della  Toscana  ...»  221 

V.  Novarese.  — Esame  microscopico  di  una  trachite  del  Monte  Amiata  . » 225 

B.  Lotti.  — Il  Monte  di  Canino  in  provincia  di  Roma.  231 


— 402  — 


F.  Sacco.  — Il  pliocene  entroalpino  di  Yalsesia  (con  una  Carta  geologica)  Pag.  277 
B.  Lotti.  — I giacimenti  cupriferi  dei  dintorni  di  Vagli  nelle  Alpi  Apuane  . » 295 

Idem.  — Nuove  osservazioni  sulla  geologia  della  Montagnola  Senese  (con 

una  tavola) » 341 

K.  A.  Weithofer.  — Alcune  osservazioni  sulla  fauna  delle  ligniti  di  Casteani 
e Montebamboli » 363 

ESTRATTI  E RIVISTE. 

W.  Deceke.  — Il  cratere  di  Fossa  Lupara  nei  Campi  Flegrei » 323 

NOTIZIE  BIBLIOGRAFICHE. 

J.  Roth.  — Allgemeine  und  chemische  Geologie;  Berlin  1879-87  ....  » 144 
H.  Reusch.  — Bòmmelòen  og  Karmòen  med  omgivelser  geologisk  beskrevne  ; 

Kristiania  1888  » 197 

E.  de  Margerie  et  A.  Heim.  — Les  dislocations  de  l’ecorce  terrestre; 

Zùrich  1888  » 263 

E.  Reyer.  — Teoretiche  Geologie ; Stuttgart  1888 » 246 

G . De  la  Noe.  — Les  formes  du  terrain  ; Paris  1888  . » 248 

Bibliografia  geologica  italiana  per  l’anno  1887  » 249 

Idem Idem  ....  ( continuazione ) . . . . > 300 

Idem Idem  ....  ( continuazione  e fine)  . . » 369 

NOTIZIE  DIVERSE. 

I fosfati  di  calce  nell’Algeria » 63 

L’amianto  del  Canada >65 

Ricerca  di  fosfati  in  Italia » 204 

Giacimenti  solfiferi  nella  Luigiana » 271 

Nuove  osservazioni  fatte  in  Napoli  e dintorni » 393 

Congresso  Geologico  Internazionale,  Sessione  IV » 322 

Necrologia:  Gerhard  vom  Rath » 208 

TAVOLE  ED  INCISIONI. 

Sezioni  geologiche  nel  Monte  Pisano  (Tav.  ì) » 42 

Carta  geologica  dei  dintorni  di  Cherasco  e della  Morra  (Tav.  II).  ...»  80 


- 403  — 

Carta  geologica  dell’ Isola  di  Madagascar  (Tav.  Ili) Pag.  128 

Resti  di  felini  trovati  nella  Caverna  al  Monte  delle  Gioie  (Tav.  IV)  . . . » 167 

Carta  del  pliocene  entroalpino  di  Valsesia  (Tav.  V) » 294 

Sezioni  geologiche  nella  Montagnola  Senese  (Tav.  VI) . » 362 

PARTE  UFFICIALE. 

Lettera  con  la  quale  il  Presidente  del  Comitato  trasmette  al  Ministero  [di 

Agricoltura,  Ind.  e Comm.  il  verbale  delle  sedute  28  e 29  Maggio.  . » 3 

Verbale  dell’adunanza  28  Maggio  1888  » 5 

Verbale  dell’adunanza  29  Maggio  1888  » 10 

Relazione  annuale  dell’Ispettore-Capo  al  R.  Comitato  Geologico  sul  lavoro 

della  Carta  geologica  (1887-88) » 15 

Elenco  del  personale  del  Comitato  ed  Ufficio  geologico  alla  fine  del  1888.  » 400 

Indice  delle  materie  contenute  nel  Bollettino  del  1888  ...»  401 


INDICE  DEI  FASCICOLI. 


Gennaio  e Febbraio  (1  e 2) 

1 

a 

pag. 

68 

Marzo  e Aprile  (3  e 4) 

69 

a 

» 

148 

Maggio  e Giugno  (5  e 6) 

149 

a 

» 

212 

Luglio  e Agosto  (7  e 8) 

» 

213 

a 

» 

276 

Settembre  e Ottobre  (9  e 10) 

277 

a 

» 

340 

Novembre  e Dicembre  (11  e 12)  . . . . 

341 

a 

» 

404 

BOLLETTINO  DEL  E.  COMITATO  GEOLOGICO. 

Serie  IP  — Anno  IX0 


1888 


ATTI  UFFICIALI. 


l m 


BOLLETTINO  DEL  K.  COMITATO  GEOLOGICO 


PARTE  UFFICIALE 


Lettera  con  la  quale  il  Presidente  del  Comitato  trasmette  al  Mini- 
stero di  Agricoltura , Industria  e Commercio  il  verbale  delle  se- 
dute  28  e 29  maggio. 


Napoli , 2 giugno  1888. 

A S.  E.  il  Ministro  di  agricoltura,  industria  e commercio  — Roma. 

Nelle  adunanze  tenute  dal  R.  Comitato  geologico  nei  giorni  28  e 29  del  testé 
decorso  mese  di  maggio,  mancando  per  indisposizione  di  salute  il  presidente 
prof.  Meneghini,  ed  il  prof.  Capellini  che  aveva  tenuto  la  presidenza  nello  scorso 
anno  non  avendo  potuto  intervenire,  i colleghi  del  Comitato  mi  hanno  fatto  l’onore 
di  eleggermi  loro  presidente. 

Egli  è però  che  rimetto  all’  E.  V.  i verbali  delle  medesime  adunanze,  dai 
quali  scorgerà  come  dal  Comitato  sono  stati  trattati  gli  argomenti  esposti  nella 
relazione  annuale  del  direttore  dei  lavori,  e le  proposte  dei  membri  del  Comitato 
che  sono  state  prese  in  considerazione. 

Mi  gode  l’animo  nel  riconoscere  che  il  lavoro  della  Carta  geologica  dell’Italia 
progredisca  il  meglio  che  sia  possibile  con  i mezzi -che  si  hanno  disponibili,  sia 
per  l’assegno  che  il  Governo  concede,  sia  per  lo  scarso  numero  degli  ingegneri 
addetti  a raccogliere  i fatti  che  costituiscono  l’elemento  principale  di  una  buona 
Carta  geologica. 

Prego  intanto  l’E.  V.  di  accogliere  con  favore  le  diverse  proposte  riportate 
nei  verbali,  e che  il  Comitato  ha  stimato  opportuno  di  raccomandare  al  Ministero. 

Accolga  intanto  i sentimenti  della  mia  distinta  osservanza. 

Per  il  presidente  del  R.  Comitato  geologico 
A.  Scacchi. 


Verbale  dell’adunanza  28  maggio  1888. 


La  seduta  è aperta  alle  ore  9 1\2  ant. 

Sono  presenti  i membri:  Cossa,  De-Zigno,  Ferrerò,  Gemmellaro,  Scacchi,  Sil- 
vestri, Stoppani,  Struver,  Taramelli,  Giordano,  Pellati  e il  segretario  Zezi. 

Il  presidente  Meneghini  giustifica  la  sua  assenza  per  causa  di  malattia;  i 
membri:  Capellini,  Cocchi  e Scarabelli,  hanno  dichiarato  di  non  potere  interve- 
nire per  altre  cause. 

A nome  del  Ministero  l’ispettore  Giordano  prega  il  Comitato  di  scegliersi  un 
presidente.  All’unanimità  è scelto  il  prof.  Scacchi,  il  quale  accetta  ed  invita  il 
predetto  ispettore  ad  esporre  le  cose  da  trattarsi. 

L’ispettore  Giordano  presenta  la  sua  relazione  annuale,  della  quale  fu  già 
data  comunicazione  agli  altri  membri,  ed  espone  quale  sia  lo  stato  attuale  dei 
lavori  di  rilevamento  nelle  varie  parti  d’Italia. 

Il  rilevamento  geologico  trovasi  attualmente  diviso  nelle  quattro  zone  se- 
guenti : 

1.  La  Calabria,  come  seguito  del  rilevamento  di  Sicilia,  con  una  squadra 
di  operatori  condotti  dall’ing.  Cortese.  Questo  lavoro  presenta  il  vantaggio  di 
offrire  molti  termini  di  confronto  con  le  Alpi,  per  cui  sarà  anche  di  giovamento 
agli  studi  che  si  dovranno  fare  su  questa  catena.  Esso  dà  anche  risultati  utili 
per  i lavori  ferroviari  e di  altra  uatura  che  si  vanno  eseguendo  in  quella  regione, 
oltre  che  per  gli  studii  che  furono  ordinati  dal  Ministero  per  rimediare  alle  frane 
ed  alle  enormi  alluvioni  dei  torrenti. 

2.  Le  Alpi  occidentali,  dove  l’ingegnere  Zaccagna  con  l’aiuto  dell’ ingegnere 
Mattirolo  eseguirono  parziali  rilevamenti  ed  estese  ricognizioni,  le  quali  hanno  d 
già  dato  importanti  risultati,  specialmente  rivelando  l’esistenza  su  vasta  scala 
del  terreno  permiano,  e che  modificano  profondamente  la  geologia  delle  Alpi  pie- 
montesi, non  che  quella  delle  vicine  regioni  francesi.  Siffatti  lavori  nelle  Alpi  fu- 
rono molto  apprezzati  all’estero,  e preme  sieno  awanzati  sollecitamente  anche 
per  prevenire  i lavori  che  i geologi  esteri  si  preparano  di  fare  lungo  la  frontiera. 
In  appoggio  di  che  legge  qualche  brano  di  comunicazioni  avute  da  distinti  geologi 
tedeschi. 

Gemmellaro,  a proposito  delle  osservazioni  fatte  sul  terreno  permiano  delle 
Alpi  occidentali,  fa  cenno  alla  recente  constatazione  di  terreno  consimile  in 
qualche  località  di  Sicilia. 


— 6 — 


Taramelli  parla  in  favore  di  questi  lavori  nelle  Alpi  occidentali,  che  col 
tempo  potranno  coordinarsi  con  quelli  delle  Alpi  lombarde;  ed  il  Comitato  con- 
viene unanimamente  nella  necessità  di  spingerli  alacremente,  impiegandovi  tutti 
quei  mezzi  di  cui  si  potrà  disporre,  tanto  per  il  rilevamento,  quanto  per  la  più 
sollecita  pubblicazione,  onde  stabilire  la  priorità  di  siffatti  studii. 

3.  L’Italia  centrale  nella  zona  fra  Roma,  Napoli  e gli  Abbruzzi,  con  ope- 
ratori diretti  dall’ingegnere  Zezi.  Di  questa  furono  già  studiate,  per  quanto  oc- 
corre ai  bisogni  di  una  Carta  generale,  la  provincia  di  Roma  e regioni  limitrofe, 
ed  attualmente  il  rilevamento  viene  spinto  verso  levante  nella  regione  abbruzzese. 

Il  presidente  a proposito  della  zona  vulcanica  napoletana,  parla  di  un  lavoro 
di  dettaglio  sul  Vesuvio  e Monte  Somma  eseguito  dal  dott.  Johnston-Lavis,  il 
quale  sarebbe  pronto  a pubblicarlo  qualora  il  Comitato  volesse  accordargliene 
i mezzi.  Egli  dice  che  si  tratta  di  un  lavoro  assai  dettagliatole  importante  come 
raccolta  di  fatti,  ed  osservando  che  la  spesa  relativa  potrà  ammontare  dalle  5 
alle  6 mila  lire,  ne  appoggia  la  pubblicazione  purché  ciò  non  turbi  l’equilibrio 
del  bilancio.  Aggiunge  a questo  che  egli  sorveglierebbe  volentieri  l’esecuzione  di 
questa  pubblicazione. 

Giordano  osserva  che  una  spesa  siffatta  non  è eccessiva  per  i mezzi  di  cui 
dispone  l’ Ufficio,  tanto  più  se  il  bilancio  per  la  Carta  geologica  sarà  nel  venturo 
esercizio  restituito  nei  limiti  primitivi,  osservando  anche  che  la  medesima  potrà 
essere  all’occorrenza  divisa  fra  due  esercizi. 

Propone  quindi  che  si  debba  in  massima  accettare  per  la  pubblicazione  il 
lavoro  del  dott.  Johnston-Lavis,  salvo  a provvedere  in  seguito  secondo  le  condi- 
zioni del  bilancio. 

Il  Comitato,  considerando  che  un  lavoro  ricco  di  dettagli  può  agevolare  ed 
accelerare  il  rilevamento  della  Carta  in  grande  scala  di  quella  interessante  regione, 
approva  lo  proposta  del  presidente. 

Lo  stesso  Scacchi  parla  ancora  della  nota  sua  pubblicazione  sui  vulcani 
fluoriferi  della  Campania,  ed  esprime  il  desiderio  che  per  cura  dell’ufficio  la  me- 
desima venga  ripubblicata  più  ni  succinto,  con  diverse  aggiunte  per  scoperte  fatte 
posteriormente,  le  quali  danno  maggiore  importanza  al  lavoro,  e con  una  Carta 
geologica  migliore  di  quella  unita  alla  prima  edizione,  la  quale  sotto  il  rapporto 
artistico  lascia  molto  a desiderare. 

Giordano,  considerando  che  la  spesa  relativa  sarebbe  assai  tenue,  è d’ opi- 
nione che  si  debba  pubblicare  tale  lavoro,  il  quale  potrà  anche  servire  di  guida 
a futuri  rilevamenti  di  dettaglio. 

Il  Comitato  approva  in  massima. 

4.  La  Toscana  dove  con  l’opera  dell’ ingegnere  Lotti  e del  dott.  Canavari 
venne  proseguito  il  rilevamento  che  ebbe  dapprincipio  centro  nelle  Alpi  Apuane,  e 


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che  ora  va  estendendosi  nelle  altre  parti  della  Toscana  tanto  verso  il  Sud  quanto 
verso  l’Est. 

Lo  stesso  Giordano  parla  quindi  delle  estese  ricognizioni  che  vennero  fatte 
per  completare  la  Carta  generale  in  piccola  scala  di  prossima  pubblicazione  : ed 
osserva  come  queste  abbiano  avuto  luogo  specialmente  nell’ Appennino  toscano  e 
nei  dintorni  di  Firenze,  dove  risultarono  divisioni  alquanto  diverse  nei  terreni 
finora  ritenuti  dell’eocene,  assegnandone  una  parte  al  miocene  ed  altra  al  cretacico. 

Gemmellaro  a proposito  di  studi  nel  cretacico  accenna  alla  necessità  di  ri- 
stabilire le  divisioni  in  questo  terreno  con  uno  studio  generale  di  esso  in  Sicilia 
e nell’Italia  centrale  e meridionale,  inquantochè  nuove  scoperte  fatte  in  Sicilia,  e 
lo  studio  dei  fossili  trovati,  hanno  dimostrato  la  necessità  di  una  riforma  e di  un 
coordinamento  in  tutta  quella  serie. 

De  Zigno  e Taramelli  trovarono  nelle  Alpi  venete  diversi  riscontri  con  tali 
nuove  scoperte:  il  secondo  poi,  citando  diversi  esempi  tratti  dall’Appennino  set- 
tentrionale, crede  necessario  anche  per  la  piccola  Carta  di  prossima  pubblicazione, 
di  provvedere  alla  delimitazione  di  alcune  piccole  zone  di  terreno  cretacico  esi- 
stenti in  detta  regione. 

Giordano  dichiara  che  a quest’ultimo  bisogno  sarà  subito  provveduto  di  ac- 
cordo con  il  professore  Taramelli,  e che  per  il  cretacico  in  generale  si  avrà  at- 
tenzione di  raccogliere  il  massimo  numero  di  dati  stratigrafìci  e paleontologici 
che  in  seguito  daranno  molta  luce  sull’argomento. 

Lo  stesso  Giordano  fa  parola  del  rilevamento  della  vallata  del  Po  che  si  va 
facendo  da  diversi  operatori  sotto  la  direzione  del  prof.  Taramelli.  Questo  lavoro, 
avente  un  duplice  scopo  scientifico  e di  applicazione  all’agricoltura,  entra  pure 
nel  quadro  generale  della  Carta  geologica  d’ Italia. 

Taramelli  espone  quale  sia  lo  stato  attuale  di  questo  lavoro  già  sufficiente- 
mente avviato,  in  specie  per  opera  del  sig.  Bruno  d’ Ivrea  ed  in  parte  anche  del 
dottor  Sacco  di  Torino. 

Il  rilevamento  sulla  sinistra  del  Po  arriva  già  al  Ticino,  e nel  corrente  anno 
egli  spera  di  continuarlo  in  Lombardia.  Intanto  si  è giunti  a mettere  d’accordo 
alcuni  piani  del  quaternario  del  Piemonte  con  degli  analoghi  di  Lombardia,  e 
spera  che  in  progresso  si  potranno  risolvere  alcuni  dubbi  tuttora  esistenti. 

Giordano  accenna  quindi  alle  pubblicazioni  fatte  nell’anno,  cioè  ai  due  volumi 
di  Memorie  descrittive  contenenti,  il  primo  la  descrizione  della  Sicilia  dell’inge- 
gnere Baldacci,  l’altro  la  Relazione  sulle  Miniere  dell’Elba  dell’ingegnere  Fabri.  In 
corso  di  lavoro  trovansi  presentemente  sei  fogli  al  l00/m  dell’Italia  Centrale,  la 
Carta  generale  d’Italia  in  piccola  scala,  la  Carta  speciale  dei  dintorni  di  Roma,  la 
descrizione  geologica  dell’Iglesiente  con  carta  annessa  dellTng.  Zoppi,  la  memoria 
del  prof.  Meneghini  sulle  trilobiti  della  Sardegna,  e quella  del  dott.  Canavari  sui 


' '} 


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fossili  della  Spezia;  tutti  lavori  approvati  nella  adunanza  dell’anno  decorso,  e 
per  i quali  si  hanno  i fondi  disponibili  sul  bilancio  attuale. 

Circa  a nuove  pubblicazioni,  non  proporrà  grandi  cose  in  vista  della  diminu- 
zione di  fondi  nel  bilancio  dell’anno  prossimo,  e ritiene  doversi  limitare  al  puro 
necessario  per  l’ordine  stabilito  di  alcune  pubblicazioni,  tra  cui  accenna  ad  una 
Carta  della  zona  centrale  delle  Alpi  Apuane,  corredata  da  importanti  sezioni  in 
relazione  anche  col  lavoro  che  si  va  facendo  in  quella  regione  marmifera. 

Fa  cenno  quindi  di  una  domanda  fatta  dal  dott.  Sacco  per  la  pubblicazione 
di  un  suo  lavoro  sul  bacino  terziario  del  Piemonte,  di  cui  per  altro  non  crede  sia 
pronto  il  manoscritto  : siccome  trattasi  di  lavoro  che  può  aver  relazione  collo 
studio  generale  della  vallata  del  Po,  lascia  al  Comitato  il  decidere  se  debba  ac- 
cettarsi la  domanda.  /' 

Cossa  ritiene  necessario  doversi  stabilire  per  massima  che  non  si  possano 
dare  simili  pareri  senza  conoscere  il  lavoro,  ed  avere  altresì  la  sicurezza  che  il 
medesimo  non  venga  pubblicato  altrove. 

Strùver  e Stoppani  sono  della  medesima  opinione,  la  quale  viene  accettata 
dal  Comitato. 

Si  parla  quindi  del  materiale  di  confronto  che  sarebbe  utile  di  avere  nel 
Museo  specialmente  per  gli  studi  paleontologici,  e a questo  proposito  il  Tara- 
melli,  ritenendo,  non  sufficiente  un  solo  paleontologo,  propone  che,  in  vista  anche 
del  vasto  studio  del  cretacico  di  cui  sopra,  venga  assunto  un  secondo  paleonto^ 
logo,  il  quale  risieda  in  ufficio,  e alla  occorrenza  possa  eseguire  escursioni  con 
gli  operatori,  indicando  all’uopo  il  dott.  Di  Stefano  di  Palermo. 

Gemmellaro  appoggia  tale  proposta  e dimostra  ancora  più  la  necessità  del- 
l’aiuto di  un  paleontologo  che  si  occupi  dei  fossili  cretacei,  aggiungendo  che  la 
persona  indicata  sarebbe  un  ottimo  acquisto  per  l’uS'cio. 

Giordano  ammette  la  grande  utilità  di  avere  dei  paleontologi  a disposizione 
dell’ufficio,  in  vista  anche  del  molto  materiale  già  accumulato  ; ma  vorrebbe  che 
ciò  non  avesse  a recar  danno  al  dott.  Canavari,  il  quale  dopo  10  anni  di  lavoro 
utilissimo,  trovasi  tutt’ora  nelle  condizioni  di  straordinario. 

Il  Comitato  appoggia  in  questi  termini  la  proposta. 

Lo  stesso  Giordano  accenna  quindi  alla  istituzione  di  un  laboratorio  nei  lo- 
cali dell’Ufficio,  il  quale  servirà,  sia  per  la  chimica,  sia  per  la  petrografìa  secondo 
il  voto  fatto  dal  Comitato  nello  scorso  anno:  la^spesa  per  tale  laboratorio  è assai 
limitata  e sarà  fatta  con  alcuni  fondi  rimasti  disponibili  sul  bilancio  attuale:  la 
sua  esecuzione  sarà  fatta  secondo  le  indicazioni  date  dall’ing.  Mattirolo,  e sperasi 
potrà  essere  pronto  entro  l’autunno  prossimo. 

Annuncia  in  seguito  l’avvenuta  costituzione  del  Consiglio  superiore  dei  lavori 
geodetici,  il  quale  come  sappiamo  ha  per^scopo  di  indicare  anno  per  anno  quello 


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che  occorre  ai  diversi  ministeri  in  fatto  di  carte  topografiche.  Si  trattava  di  dare 
principio  in  qualche  modo  all’opera  sua,  e colse  l’occasione  dei  prossimi  lavori 
del  Catasto  per  prender  parte  al  rilevamento  ed  alla  pubblicazione  di  una  carta 
dettagliata  dell’  isola  d’ Ischia,  per  la  quale  spetterebbe  al  Ministero  di  agricol- 
tura una  spesa  di  circa  lire  2000. 

Il  gen.  Ferrerò  fa  alcune  osservazioni  relative  a detta  carta  la  quale  sarebbe 
motivata  dai  lavori  per  il  Catasto  della  provincia  di  Napoli. 

Per  tale  scopo  dovrà  farsi  una  carta  puramente  pianimetrica  nella  scala  di 
1/2000,  ed  ora  si  tratterebbe  di  aggiungervi  l’altimetria  con  curve  di  2 o di  5 metri 
secondo  i luoghi  onde  avere  un  lavoro  completo. 

I segnali  posti  nell’  isola  dopo  la  catastrofe  di  Casamicciola,  per  constatare 
i movimenti  del  suolo,  non  che  i punti  trigonometrici  stabilitivi  più  tardi,  giove- 
ranno assai  per  un  rilevamento  dettagliato,  il  quale  sarà  anche  un  buon  principio 
per  dare  un  carattere  scientifico  ai  lavori  del  Catasto. 

Se  si  ottiene  il  concorso  del  Ministero  di  agricoltura,  egli  ritiene  potrà  dare  il 
lavoro  compiuto  entro  l’anno  venturo.  Lo  Stesso  gen.  Ferrerò  osserva  poi  che,  in 
causa  dei  ritardi  che  si  verificano  in  certe  amministrazioni,  il  regolamento  di  detto 
Consiglio  superiore,  benché  già  pronto,  non  ha  ancora  ottenuto  la  sanzione  supe- 
riore, e però  prega  il  Comitato,  il  quale  fu  l’iniziatore  di  tale  istituzione,  di  voler 
spingere  il  Ministero  di  agricoltura  a sollecitare  l’approvazione  del  regolamento. 

II  Comitato  unanimemente  approva  ed  emette  il  seguente  voto  da  trasmet- 
tersi al  Ministero  di  agricoltura  : « Il  Comitato  geologico,  nell’  intento  di  rendere 
efficace  l’opera  del  Consiglio  superiore  dei  lavori  geodetici,  istituito  con  R.  De- 
creto 7 novembre  1886,  esprime  il  voto  che  il  R.  Governo  approvi  nel  più  breve 
tempo  possibile  il  regolamento  proposto  dal  Consiglio  stesso  dei  lavori  geodetici 
nelle  sue  prime  adunanze.  » 

Taramelli,  a proposito  di  rilevamenti  topografici,  esprime  l’idea  che  si  po- 
trebbe fare  rilevare  dagli  stessi  operatori  topografici  una  serie  di  fatti  naturali  che 
possono  essere  riconosciuti  facilmente,  e propone  si  faccia  un  questionario  relativo. 

Ferrerò  non  crede  si  possono  avere  risultati  molto  utili  in  questo  senso  j ri- 
tiene ad  ogni  modo  opportuno  di  preparare  il  questionario  in  quanto  chè,  in  casi 
determinati,  si  potranno  fare  osservazioni  di  tal  genere,  quando  cioè  si  crederà 
di  poterne  ricavare  risultati  sicuri  e di  qualche  utilità. 

La  seduta  è levata  ad  ore  11  e 45,  rimandando  il  seguito  delle  discussioni  al 
giorno  successivo  alle  ore  9 antimeridiane. 


Per  il  Presidente 
A.  Scacchi. 


Il  Segretario 
P.  Zezi. 


Verbale  dell'adunanza  29  maggio  1888. 


La  seduta  è aperta  alle  ore  9 1{2  ant. 

Sono  presenti  i membri:  De  Zigno,  Gemmellaro,  Scacchi,  SiWestri,  Strùver, 
Taramelli,  Giordano,  Pellati  e il  segretario  Zezi. 

Si  legge  il  verbale  della  seduta  precedente,  che  viene  approvato. 

Il  Presidente  Scacchi  invita  l’ispettore  Giordano  a continuare  l’esposizione 
delle  sue  proposte  interrotta  nella  seduta  di  ieri. 

L’ispettore  Giordano  incomincia  col  parlare  del  prossimo  Congresso  interna- 
zionale di  Londra,  nel  quale  dovranno  venire  discusse  parecchie  questioni  rimaste 
sospese  nei  precedenti  Congressi,  relative  alla  unificazione  della  classificazione 
geologica  ed  altre  varie,  per  lo  studio  delle  quali  vi  sono  speciali  commissioni,  tra 
cui  quella  internazionale  per  la  nomenclatura  geologica  presieduta  dal  professore 
Capellini.  In  vista  dell’  importanza  delle  discussioni  che  avranno  luogo  in  tale 
occasione,  ed  agli  insegnamenti  che  se  ne  possono  trarre  egli  crederebbe  oppor- 
tuno che  alcuni  dei  geologi  più  provetti  dell’ufficio  assistessero  alla  riunione  di 
Londra,  come  già  fu  fatto  per  quella  di  Berlino  nel  1885,  e però  desidera  che 
il  Comitato  si  esprima  in  proposito  e raccomandi  la  cosa  al  Ministero  perchè 
acconsenta  alla  spesa  relativa.  Il  presidente  accetta  volentieri  la  raccomandazione 
per  i geologi  dell’ufficio  e la  vorrebbe  estesa  anche  a qualche  membro  del  Comitato 
che  mostrasse  desiderio  di  intervenire  al  Congresso  di  Londra.  Silvestri  appoggia 
la  proposta  del  presidente  che  viene  ad  unanimità  accettata  dal  Comitato,  il  quale 
proporrebbe  il  prof.  Taramelli. 

Fra  i lavori  d’ordine  secondario  che  si  potrebbero  fare  prossimamente  ed  in 
stagione  opportuna,  l’ispettore  Giordano  accenna  ad  uno  studio  almeno  sommario, 
del  territorio  di  Massaua  ed  Assab  da  eseguirsi  col  mezzo  per  esempio  di  uno 
dei  geologi  più  adatti  dell’ufficio.  Simile  studio  risponde  ad  un  desiderio  già  più 
volte  espresso  in  quella  colonia  in  vista  di  utili  scopi,  come  quella  di  provvista 
d’acqua  potabile  e di  buoni  materiali  da  costruzione.  Il  Comitato  appoggia  questa 
proposta,  e viene  indicato  all’uopo  l’ ingegnere  Baldacci. 

Si  passa  quindi  a trattare  della  organizzazione  del  servizio  geologico  secondo 
la  domanda  fatta  lo  scorso  anno  dal  Ministero,  cioè  sulla  ripartizione  e compiti 
del  personale  tanto  nell’Ufficio  centrale  che  in  uffici  secondari  cui  può  convenire 
di  stabilire  temporariamente  nelle  principali  zone  di  rilevamento  della  Carta  geo- 
logica. L’ anno  scorso  diverse  circostanze,  citate  nel  verbale  della  riunione, 


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non  avovano  permesso  di  occuparsene  minutamente,  e del  resto  non  ve  ne  era 
urgenza,  sia  perchè  il  personale  era  meno  completo  e intanto  le  cose,  malgrado 
qualche  contraria  apparenza,  procedevano  nell’ordine  già  da  tempo  e ponderata- 
mente  stabilito.  Il  relatore  entra  in  spiegazioni  rispondendo  anche  alle  domande 
di  vari  membri  del  Comitato.  Due  sistemi  infatti  si  possono  seguire  nei  diversi 
paesi  o regioni  in  vista  principalmente  del  clima  ; uno  cioè  di  tenere  abitualmente 
tutto  il  personale  riunito  nell’Ufficio  centrale,  mandandolo  solo  in  campagna  nei 
mesi  di  buona  stagione,  sistema  che  conviene  in  paesi  di  clima  nordico;  l’altro 
invece  più  conveniente  alle  località  di  clima  temperato  come  è gran. parte  dell’Italia 
media  e meridionale,  con  le  grandi  isole,  dove  cioè  si  può  lavorare  quasi  tutto 
l’anno  e dove  perciò  si  possono  tenere  con  vantaggio  uffici  secondari  distaccati 
nelle  principali  zone  di  rilevamento.  Del  resto  si  ha  l’esperienza  dei  decorsi  anni, 
in  cui  si  cominciò  con  un  ufficio  distaccato  in  Sicilia,  il  quale  nel  seguito  fu 
portato  in  Calabria  ed  ora  dovrà  man  mano  emigrare  coll’avanzamento  dei  lavori 
verso  il  Nord.  Al  Nord  di  Roma  si  ebbe  l’ufficio  distaccato  di  Pisa,  il  quale  es- 
sendo molto  opportunamente  collocato,  potè  per  diverse  e speciali  ragioni  sussi- 
stere con  vantaggio  da  diversi  anni,  come  ancora  potrebbe  sussistere  qualche 
tempo,  sino  cioè  ad  avere  ultimato  lo  studio  della  grande  ed  interessante  zona 
dell’Italia  etrusca.  L’ufficio  poi  che,  per  l’importanza  eccezionale  delle  Alpi  occi- 
dentali, venne  da  poco  modestamente  istituito  in  Torino,  aveva  oltre  ciò  la  sua 
ragione  nell’esistenza  del  laboratorio  del  prof.  Co  ssa  ove  lavorava  il  nostro  inge- 
gnere Mattirolo.  Qualora  venisse  tale  laboratorio/come  venne  proposto,  sostituito 
da  uno  in  Roma,  esso  ingegnere  potrebbe  venire  chiamato  all’Ufficio  centrale, 
almeno  nella  stagione  invernale,  dove  potrebbe  attendere  al  laboratorio  adde- 
strandovi pure  qualche  altro  giovine  ingegnere.  Poiché  osserva  subito  che  stante 
l’urgenza  del  lavoro  delle  Alpi  occidentali  e lo  stato  di  salute  ora  decaduto  del- 
l’ingegnere Zaccagna,  occorre  assolutamente  che  l’ingegnere  Mattirolo,  l’unico 
ora  iniziato  a quel  lavoro  cui  già  prese  molta  parte,  possa  attendervi  per  qualche 
tempo  nella  buona  stagione.  Altro  assai  vi  sarebbe  da  dire,  riguardo  alla  distri- 
buzione del  personale,  sovratutto  in  vista  dello  avvenire;  ma  una  cosa  essenziale, 
osserva  il  relatore,  da  aversi  presente  è che  niun  sistema  si  può  applicare  in 
modo  esclusivo  anche  tenuto  conto  della  varietà  delle  esigenze  talvolta  improvvise 
del  servizio,  non  che  poi  dello  stato  di  salute  e della  diversa  attitudine  del  per- 
sonale che  talvolta  arrecano  difficoltà  grandissime. 

Per  avere  una  organizzazione  perfetta  tanto  dell’Ufficio  centrale  che  dei  di- 
staccati, occorrerebbe  disporre  di  un  personale  più  che  doppio  di  quello  consentito 
dall’attuale  assegno  in  bilancio;  ma  fu  sempre  studio  della  direzione  quello  di 
badare  all’essenziale,  che  è l’avanzamento  del  lavoro  sul  terreno  fatto  dal  perso- 
nale più  capace,  facendo  anche  nei  casi  più  difficili  visitare  certe  località  da  per- 


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sonale  diverso,  oltre  al  sottoporli,  quando  si  può,  ai  membri  del  Comitato  che 
s’occuparono  di  quelle  regioni.  Ed  è anche  in  tal  modo  che  l’azione  del  Comi- 
tato si  rende  veramente  utile,  non  già  solo  con  la  riunione  annuale,  ma  bensì 
con  l’azione  diuturna  di  speciali  suoi  membri  in  continua  relazione  cogli  operatori. 

Insiste  il  relatore  sul  fatto  che  date  le  nostre  circostanze,  non  si  può  essere 
troppo  esclusivi  circa  il  sistema  da  usare,  ma  variarlo  secondo  le  circostanze 
stesse,  utilizzandovi  i mezzi,  comunque  talvolta  incompleti  di  cui  si  dispone,  ado- 
perandoli in  modo  opportuno  per  ottenere  nel  minor  tempo  il  maximum  di  lavoro 
utile.  Ed  è così  facendo,  che  si  è giunti  nei  pochi  decorsi  anni  ad  eseguire  un 
lavoro  ingentissimo,  di  cui  molto  è latente  ancora,  ma  potrà  fra  breve  essere 
visibile.  Del  che  del  resto  egli  deve  attribuire  il  merito  allo  zelo  ed  alla  valentia 
di  quei  colleglli  che  compierono  lavori  come  quelli  di  Sicilia,  Elba,  Alpi  Apuane 
ed  Alpi  occidentali,  lavori  che  li  resero  assai  stimati  al  paro  dei  più  valenti  geo- 
logi esteri. 

Il  prof.  Gemmellaro  attesta  la  realtà  dell’esposto  riguardo  agli  operatori  che 
compierono  in  Sicilia  gli  studi  cui  egli  ben  conosce,  e così  fa  il  Taramelli  per 
gli  altri. 

Il  presidente  Scacchi  riassume  la  discussione  insistendo  sulla  importanza  che 
anzitutto  vengano  coi  lavori  accurati  sul  terreno,  raccolti  in  gran  numero  i dati 
di  fatto,  i quali  costituiscono  poi  la  Carta  geologica;  e dietro  sua  proposta  il  Comi- 
tato approva  in  massima  l’organizzazione  quale  si  va  attuando,  essenzialmente 
intesa  a raggiungere  coi  mezzi  disponibili,  quel  finale  risultato. 

Segue  il  relatore  esponendo  alcune  particolarità  sui  modi  pratici  usati  per 
l’andamento  del  servizio,  tanto  per  la  parte  amministrativa,  che  per  la  scientifica, 
fa  cenno  delle  norme  seguite  sinora;  norme  state  a più  riprese  già  impartite  ai 
geologi,  come  furono  quelle  date  sin  dai  primi  lavori  per  la  Sicilia,  ed  altre  che 
successivamente  l’esperienza  consigliava:  ora  per  comodità  del  personale  si  sareb- 
bero raccolte  in  una  specie  di  istruzione  da  diramare  agli  operatori,  la  quale  però 
nulla  ha  di  ben  nuovo.  Si  tratta  dei  dati  scientifici  e tecnici  diversi  da  osservare 
e registrare,  dei  campioni  di  roccie  e fossili,  dell’itinerario  giornaliero  da  registrare 
e segnare  su  apposito  diagramma  e di  tante  altre  particolarità,  che  devono  essere 
attuate  in  modo  regolare  ed  uniforme.  In  ultimo  vi  si  sarebbero  aggiunte  le  norme, 
già  pure  per  gran  parte  in  uso  pel  pratico  funzionamento  degli  uffici,  sia  centrale 
che  di  sezione,  secondo  le  vigenti  disposizioni  regolamentari  ed  altre  dal  Ministero 
impartite.  Il  Comitato  riconosce  l’opportunità  di  avere  ora  raccolte  simili  norme 
in  una  sola  istruzione,  come  in  uso  in  tutti  gli  Istituti,  per  regola  e comodità  del 
personale. 

Seguitando  il  relatore  nell’argomento  delle  succennate  norme,  osserva  che 
resterebbe  a stabilire  meglio  certe  indennità  per  le  quali  non  provvede  la  legge 


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del  Genio  civile  del  1882,  a cui  è tuttavia  soggètto  il  Corpo  delle  Miniere;  e sa- 
rebbe per  esempio  per  i lavori  in  certe  regioni  deserte  e diffìcilissime  come  le 
alte  Alpi  ed  anche  certe  località  degli  Appennini  meridionali.  Per  queste  si  deve 
provvedere  in  modo  sufficiente  e cita  qualche  esempio  come  quello  dell’  ing.  Zac- 
cagna  che  lavorò  già  più  anni  nelle  Alpi  marittime  e occidentali  con  scarso 
compenso  e vi  perdè  anche  la  salute.  Un  altro  caso  a cui  sarebbe  bene  di 
provvedere,  e lo  si  potrebbe  anche  fare  in  modo  regolare  senza  grave  dispendio, 
è quello  di  accordare  una  distinzione  ai  geologi  provetti,  che  sono  messi  a 
capo  di  una  Sezione  geologica.  Può  accadere,  stante  la  strettezza  della  pianta 
del  personale  del  Corpo,  che  l’ingegnere  posto  a capo  di  una  Sezione  per  la  sua 
capacità,  non  abbia  tuttavia  che  grado  e classe  eguale  a quelli  dei  colleghi  cui 
egli  deve  dirigere.  Non  potendosi  elevare  di  classe  si  potrebbe  almeno  accordargli 
l’indennità  di  campagna  di  ingegnere  capo,  ciò  che  alfine  non  fa  che  L.  1,  50  in 
più  per  ogni  giornata  di  lavoro,  gli  si  potrebbe  dare  inoltre  il  posto  di  la  classe 
in  ferrovia.  La  differenza  è poca  cosa  materialmente,  ma  basterebbe  allo  scopo. 
Si  rammenta  infine  un  reclamo  del  Capo  dell’Ufficio  geologico,  il  quale  ha  nume- 
rose incombenze  e responsabilità,  oltre  quella  della  contabilità  dell’Ufficio  stesso. 
Per  tali  mansioni  eragli  stato  accordato  un  modesto  compenso  di  L.  500  annue, 
e ciò  sin  dal  tempo  in  cui  il  Comitato  era  ancora  a Firenze.  Più  tardi,  tale  assegno 
gli  venne  soppresso,  pare  in  considerazione  di  un  corso  di  geologia  che  doveva 
professare  in  Roma.  Ma  tale  incarico  presto  cessò  ed  egli  rimase  con  nulla, 
benché  il  lavoro  sia  ora  grandemente  moltiplicato. 

Diversi  membri  fanno  riflessioni  sulle  cose  esposte,  osservando  che  trattasi  di 
un  personale  attivo  già  molto  benemerito  e non  largamente  contribuito,  al  quale 
converrebbe  perciò  avere  molto  riguardo,  sovr atutto  a quelli  che  hanno  la  capacità 
di  capo  di  una  Sezione,  largheggiando  anzi  ove  il  bilancio  lo  permettesse. 

Udite  tali  dichiarazioni,  il  Comitato,  dietro  l’avviso  del  Presidente,  accettando 
le  osservazioni  e proposte  del  relatore,  le  raccomanda  vivamente  al  Ministero. 

Esaurito  questo  tema  il  Presidente,  a proposito  dello  studio  dei  terreni  e della 
raccolta  di  campioni,  crede  si  debba  raccomandare  agli  operatori  della  Carta  geo- 
logica, di  fare  minute  ricerche  dei  fosfati  utili  per  l’agricoltura,  e ciò  specialmente 
nella  regione  delle  Puglie,  osservando  che  oltre  ai  fosfati  di  calce  si  porti  l’atten- 
zione dei  rilevatori  sopra  altri  fosfati  che  sono  parimenti  applicabili  all’agricoltura, 
ad  esempio  sul  fosfato  di  ferro  o vivianite.  A questo  proposito  Giordano  osserva 
che  tale  raccomandazione  fu  sempre  fatta  ai  rilevatori,  ma  che  finora  le  ricerche 
fatte  riescirono  pressoché  infruttuose  avendo  l’analisi  chimica  dimostrato  il  poco 
tenore  in  acido  fosforico  nelle  materie  che  furono  sottoposte  ad  esame.  Anche 
nello  scorso  anno  furono  fatte  dall’ ing.  Zezi  ricerche  a questo  scopo  nella  prò- 
vincia  di  Bari,  e in  particolar  modo  nei  dintorni  di  Gravina;  si  raccolsero  10  cani- 


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pioni  di  località  diverse,  i quali  però  analizzati  contemporaneamente  a Torino,  a 
Milano  ed  a Pisa,  diedero  un  risultato  meschinissimo.  Il  prof.  Scacchi  raccomanda 
di  non  stancarsi  per  questi  insuccessi  e di  continuare  nelle  ricerche;  e a tale  pro- 
posito il  prof.  Silvestri  accenna  alle  così  dette  crete  senesi  le  quali  in  qualche 
località  contengono  la  vivianite  in  gran  copia,  mentre  il  Taramelli  raccomanda  le 
ricerche  sulle  terremare  dell’Emilia,  dove  si  hanno  materiali  concimanti  di  molta 
utilità  per  l’agricoltura. 

Si  fanno  poi  alcune  osservazioni  sulle  collezioni  di  vario  genere,  sia  industriale 
che  scientifico  che  deve  possedere  il  Museo  di  un  Istituto  geologico,  ed  a tale 
riguardo  lo  Strùver  osserva  che  in  fatto  di  collezioni  scientifiche  l’Università  e 
la  Scuola  d’Applicazione  di  Roma  ne  possiedono  oggidì  di  assai  notevoli.  A pro- 
posito di  collezioni  il  Taramelli  accenna  al  bisogno  di  avere  ancora  nell’Ufficio 
un  buon  raccoglitore  di  fossili  il  quale,  indipendentemente  dai  campioni  isolati 
che  possono  essere  raccolti  dai  rilevatori,  si  occupi  della  formazione  di  collezioni 
locali,  le  quali,  in  seguito  agli  studii  del  palentologo  sarebbero  di  grande  giovamento 
per  i confronti  ulteriori.  Il  Comitato  fa  pertanto  una  raccomandazione  in  proposito. 

Infine  il  relatore  accenna  al  fatto  che  ultimamente,  in  seguito  ad  una  forte  ri- 
duzione stata  fatta  dalla  Commissione  parlamentare  del  bilancio  su  quello  del  Mi- 
nistero di  Agricoltura,  industria  e commercio  per  il  prossimo  esercizio  1888-89,  era 
stato  fatto  un  diffalco  all’assegno  annuo  della  Carta  geologica  di  L.  40,800  ridu- 
cendolo a I..  120,000.  Venne  fatto  sperare  che  simile  riduzione  abbia  ad  essere 
solo  temporaria,  cioè  che  verrebbe  ripristinato  il  fondo  in  altro  successivo  eser- 
cizio ; e veramente  è a desiderare  che  così  accada,  poiché  il  succennato  grande 
diffalco  turberebbe  seriamente  quell’andamento  che  dopo  tanto  tempo  e fatiche 
appena  si  andava  ora  a raggiungere.  Per  l’esercizio  prossimo,  simile  diffalco  non 
porterebbe  grande  disturbo,  in  grazia  del  notevole  risparmio  fatto  negli  ultimi 
mesi  per  le  ragioni  nella  relazione  accennate,  e con  ciò  che  rimane  disponibile  si 
potrà  fare  fronte  alle  spese  di  costruzione,  laboratorio  ed  acquisti  diversi,  non 
che  di  quelle  piccole  indennità  che  vennero  proposte  per  i capi-squadra,  per  il 
Congresso  di  Londra  ed  altro.  Ma  ove  dopo  l’esercizio  prossimo  l’assegno  non 
venisse  reintegrato,  se  ne  risentirebbe  l’avanzamento  dell’opera  e per  Io  meno 
le  pubblicazioni  dovrebbero  notevolmente  diminuirsi. 

Dietro  simili  riflessioni  il  Comitato  esprime  il  voto  caldissimo  che  il  Mi- 
nistero abbia  ad  interessarsi  in  quanto  gli  sarà  possibile  per  il  ripristinamento 
nei  futuri  esercizi  dell’assegno,  che  permetta  all’opera  ora  così  avviata  della  Carta 
geologica  di  procedere  alacremente  al  suo  compimento. 

La  seduta  è levata  alle  ore  11  antim. 


Per  il  Presidente 
A.  SCACCHI. 


Il  Segretario 

P.  ZEZI. 


Relazione  annuale  dell’ Ispettore-Capo  al  R.  Comitato  geologico 
SUL  LAVORO  DELLA  CARTA  GEOLOGICA  (1887-88). 


Presento  al  R.  Comitato  l’annuale  Relazione  sul  lavoro  della  Carta  geologica 
pel  decorso  anno  1887  e sul  da  farsi  nel  seguente. 

L’esposizione  delle  materie  verrà  fatta  nell’ordine  stesso  e con  le  stesse  norme 
degli  ultimi  anni,  tra  le  quali  norme  vi  è quella  di  riferire  sui  lavori  non  seguendo 
l’anno  finanziario,  luglio-giugno,  adottato  pei  bilanci  nel  1886,  ma  secondo  l’anno 
solare  che  è molto  più  naturale. 

Avvertirò  pure  che  malgrado  il  desiderio  di  brevità,  si  dovette  tratto  tratto 
ripetere  qualche  precedente  già  riferito  in  altre  relazioni,  e ciò  per  comodità  del 
lettore  stesso  onde  non  sia  costretto  ricorrere  penosamente  ad  altri  scritti  per 
comprendere  1’  argomento. 

Operato  nel  1887. 

I rilevamenti  in  grande  scala  nelle  varie  regioni  d’Italia,  e le  ricognizioni  e 
revisioni  che  occorrono  in  diverse  parti  del  territorio  per  il  coordinamento  gene- 
rale della  classificazione  dei  terreni,  vennero  ancora  proseguiti  secondo  il  noto 
piano  generale  adottato  dal  R.  Comitato  nei  decorsi  anni,  piano  che  si  venne 
sempre  svolgendo  e di  cui  rendono  conto  le  annuali  relazioni.  Si  seguiterà  per- 
tanto a riferirne  con  l’ordine  medesimo  e con  le  medesime  avvertenze. 

L’avanzamento  stesso  del  lavoro  in  grande  scala  è inoltre  graficamente  indi- 
cato nella  Carta  diagramma  che  unita  si  presenta  e nella  quale  sono  segnate 
in  tinta  più  o meno  cupa  le  varie  zone  del  lavoro,  secondo  il  loro  stato  di  avan- 
zamento, cioè  dal  primo  grado  che  è di  semplice  ricognizione  sino  all’  ultimo 
che  è di  rilevamento  completo  e riveduto  in  modo  da  essere  pronto  per  la  pub- 
blicazione. Devesi  aver  presente  che  quanto  al  lavoro  geologico  ci  convenne  pure 
di  regolarsi  secondo  l’avanzamento  della  Carta  topografica  a cui  si  sta  tuttavia 
lavorando  dall’Istituto  geografico  militare,  e del  cui  stato  attuale  si  presenta 
eziandio  uno  speciale  diagramma. 

Quanto  agli  studi  di  ricognizione  del  territorio  dello  Stato  per  il  coordina- 
mento generale  delle  formazioni  geologiche  di  cui  è costituito,  coordinamento  che 


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è in  relazione  anche  a quelle  degli  Stati  vicini,  esso  venne  quest’anno  avanzato 
abbastanza,  sciogliendo  diverse  dubbiezze  e colmando  certe  lacune,  là  dove  ancora 
manca  il  rilevamento  dettagliato;  e ciò  principalmente  nell’Appennino  centrale  e 
neìl’Alpi  occidentali  ove  simili  problemi  si  presentavano  di  maggiore  interesse  ed 
importanza.  Così  intanto  veniva  con  non  lieve  fatica  portata  a più  soddisfacente 
stato  di  esattezza  la  Carta  generale  d’Italia  in  piccola  scala,  una  edizione  della 
quale  al  ’/i  ooo  ooo  potrà  entro  l’anno  1888  venire  pubblicata.  E simile  Carta  gene- 
rale potrebbe  anzi  venire  pubblicata  a scala  maggiore,  per  esempio  al  */r00  000  ove 
si  avesse  dal  suddetto  Istituto  geografico  la  relativa  Carta  corografica  dello  Stato, 
poiché  i rilevamenti  geologici  anche  sommari,  sono  generalmente  valevoli  per  si- 
mile scala  ed  anche  maggiore. 

Ora  cenneremo  brevemente  e per  ordine  i diversi  rilevamenti  eseguiti  nel 
decorso  1887. 

Rilevamenti  nell’Italia  centrale  e meridionale.  — Il  rilevamento  dell’Italia 
centrale  ebbe  per  primo  centro  la  capitale  Roma,  ed  al  fine  del  1886  raggiungeva 
di  già  17  800  km*;  venne  esteso  durante  il  1887  ad  altri  5100  km2  circa,  onde  si 
avrebbe  ora  un  totale  complessivo  di  oltre  23  000  km2.  La  parte  rilevata  in  que- 
st’anno fù  alla  scala  del  7soooo>  ci°è  quella  della  Carta  topografica  generale  che 
sola  si  possedeva,  e comprende  le  tavolette  di  Sulmona,  Alvito,  Atina,  Cajazzo, 
Cervinara,  Nola,  Vesuvio  e tutta  la  penisola  sorrentina.  Qualche  lembo  delle  regioni 
più  elevate  nel  Matese  e nel  gruppo  della  Meta  esigono  tuttavia  qualche  revisione. 
Verso  l’Umbria,  ove  sarebbe  stato  interessante  spingere  il  rilevamento,  non  potè 
farsi  per  il  ritardo  in  quella  parte  della  Carta  topografica  già  nello  scorso  anno 
lamentata,  Carta  che  pur  troppo  si  dovrà  ancora  attendere  qualche  tempo,  poiché  le 
squadre  dei  mappatori  dell’Istituto  geografico  furono  oggidì  portate  di  preferenza 
nelle  Alpi  piemontesi  e lombarde.  Perciò  la  zona  rilevata  è assai  sottile  in  quel 
lato  settentrionale,  mentre  al  mezzodì  già  estendesi  lungo  il  Mediterraneo  sino  al 
golfo  di  Salerno. 

In  siffatto  rilevamento,  che  come  si  disse  ha  avuto  come  principio  i dintorni 
di  Roma,  si  è finora  completata  la  zona  vulcanica  mediterranea,  ad  eccezione  della 
sua  porzione  più  settentrionale  (monti  Cimini  e Vulsinii)  per  la  quale  mancano 
tuttora  le  carte  topografiche  ; restano  però  a farsi  in  gran  parte  tutti  gli  studi 
chimici  e petrografici  sulle  roccie  relative.  Il  lavoro  si  trova  attualmente  molto 
avanzato  verso  l’ Appennino,  specialmente  negli  Abbruzzi,  dove  fu  in  gran  parte 
rilevata  la  catena  del  Gran  Sasso,  e nei  gruppi  più  meridionali  del  Velino,  della 
Meta  e del  Matese.  Ad  eccezione  del  Gran  Sasso  e dell’alto  Appennino  aquilano, 
dove  la  serie  dei  terreni  discende  sino  al  Trias  superiore,  per  tutto  il  rimanente 
non  si  va  oltre  il  cretacico,  ed  anche  questo  limitatamente  ai  suoi  piani  superiori 


e medii:  grandissimo  sviluppo  vi  hanno  invece  i terreni  eocenici  inferiori  e medii, 
e,  con  maggior  limitazione,  gli  altri  terreni  terziari. 

A questo  lavoro  di  rilevamento  furono  occupati  soltanto,  come  in  gran  parte 
dello  scorso  anno,  l’ing.  Zezi  coi  due  aiutanti  Cassetti  e Moderni. 

Oltre  però  al  nuovo  rilevamento  venivano  ultimamente  praticate  diverse  revi- 
sioni, specialmente  nei  fogli  della  Carta  al  Vioo  ooo  intorno  a Roma  per  prepararli 
alla  pubblicazione,  revisioni  alle  quali  contribuiva  anche  l’ ing.  Baldacci  pei  terreni 
secondari. 

Vennero  pur  fatte  dall’ ing.  Zezi  delle  importanti  ricognizioni  e rettifiche  della 
Carta  generale  in  grande  e in  piccola  scala,  per  esempio  nelle  Puglie  lungo  il 
litorale  adriatico  dalla  foce  dell’Ofanto  sino  a Brindisi  e nell’ interno  del  Murgie, 
occupandosi  anche  della  ricerca  di  fosfati  principalmente  nel  territorio  di  Gravina. 
Del  risultato  di  questa  ricerca  sarà  riferito  a suo  luogo.  — Altre  ricognizioni  infine 
vennero  da  lui  eseguite  nelle  alte  regioni  dell’ Appennino  abruzzese,  mentre  l’ing. 
Baldacci  rivedeva  il  versante  N E della  Majella  che  avea  tuttora  qualche  zona  poco 
nota;  in  tale  lavoro  fu  riconosciuta  la  eocenicità  di  una  parte  dei  gessi  del- 
1’  Abbruzzo  ohietino,  finora  attribuiti  al  miocene. 

Rilevo  mento  nella  Calabria.  — Questo  lavoro  della  Calabria,  che  era  in  parte 
il  proseguimento  di  quello  già  pubblicato  della  Sicilia,  veniva,  nell’anno  1885  affi- 
dato all’ ing.  Cortese,  al  quale  poi  era  stato  aggiunto  l’ing.  Aichino  di  recente 
tornato  dall’estero.  Però  nello  stesso  anno  1886  diversi  incarichi  speciali  affidati 
al  Cortese  medesimo,  principalmente  studii  idrologici  per  provvedere  di  acque  le 
Puglie  ed  altre  provincie,  lo  costrinsero  a lunghe  interruzioni.  Al  principio  poi  del  1887 
una  missione  al  Madagascar  promossa  dall’  agente  consolare  italiano  in  quel- 
l’isola presso  il  nostro  Ministero,  lo  fece  partire  a quella  volta  per  studi  relativi 
a miniere  e ferrovie,  in  vista  di  possibili  intraprese  colà  pei  nostri  industriali  e 
coloni.  Simile  missione  lo  trattenne  all’estero  sino  al  fine  d’agosto  1887,  e quindi 
la  redazione  dei  rapporti  di  viaggio  impedivagli  di  riprendere  il  regolare  suo 
lavoro  in  Calabria  sino  al  fine  d’ottobre.  — Durante  l’assenza  del  Cortese,  la  di- 
rezione del  lavoro  venne  affidata  all’  ing.  Baldacci,  il  quale  conduceva  contempo- 
raneamente altri  studi  in  diverse  parti  d’Italia.  — Al  lavoro  di  Calabria  rimaneva 
soltanto  applicato  l’ing.  Aichino;  però  nel  giugno  vf  fu  pur  destinato  l’ing.  V.  No- 
varese tornato  poco  prima  dagli  studi  all’estero.  Al  fine  di  ottobre,  come  dicevasi, 
tornato  definitivamente  l’ing.  Cortese,  il  lavoro  si  potè  avviare  in  modo  più  regolare 
e venne  così  costituita  una  piccola  sezione  dell’  Ufficio  geologico  in  Calabria.  Il 
centro  dapprima  scelto  per  la  sua  residenza  normale  era  stato  Reggio;  ma  quando 
il  rilevamento  ebbe  alquanto  proceduto  verso  il  Nord,  la  residenza  venne  trasfe- 
rita a Catanzaro  ove  tuttora  si  trova.  Nella  distribuzione  del  lavoro  veniva  inca- 


ricato  T ing.  Aichino  di  studiare  di  preferenza  i terreni  sedimentari  del  terziario 
molto  estesi  in  diverse  parti,  mentre  all’ ing.  Novarese,  che  all’estero  molto  s’era 
occupato  di  petrografìa,  venne  principalmente  affidato  lo  studio  delle  formazioni 
di  roccie  cristalline  che  formano  l’ossatura  di  quella  estrema  penisola.  — Anzi- 
tutto convenne  praticare  ricognizioni  nelle  varie  parti  sino  alla  Sila  ed  al  Cosen- 
tino, ed  impratichire  il  personale  ancor  nuovo,  e soltanto  sul  fine  dell’anno,  e 
quando  già  frequenti  erano  le  pioggie,  si  potè  lavorare  con  qualche  assiduità  nei 
fogli  di  Catanzaro,  Badolato  e Cotrone.  Il  rilevamento  in  grande  scala  fu  pertanto 
in  quest’anno  solo  di  mediocre  estensione,  cioè  di  poco  più  di  800  km2  nei  sud- 
detti fogli,  malgrado  le  escursioni  fatte  sieno  state  molto  estese,  misurando  fra  i 
tre  operatori  più  di  5000  km'2  senza  quelle  dell’ ing.  Baldacci. 

Lo  studio  dettagliato  della  Carta  geologica  della  Calabria  avrà  diversi  utili 
risultati,  oltre  quello  normale  della  Carta  stessa.  Uno  sarà  scientifico,  cioè  il  para- 
gone della  geologica  costituzione  di  questa  estrema  parte  della  penisola  italiana 
con  quella  della  grande  massa  delle  Alpi  occidentali,  ambedue  di  formazioni  cri- 
stalline consimili  ; talché  la  Calabria  appare  come  un  lembo  di  quelle  Alpi  che, 
coperto  sovra  una  distesa  di  1000  km.  da  formazioni  più  recenti,  ricompare  a 
giorno  verso  lo  stretto  di  Messina  formando  anche  l’estremo  Capo  Nord-Est 
della  Sicilia.  — L’altro  risultato  sarà  pratico,  in  rapporto  cioè  alla  questione  della 
stabilità  delle  opere  pubbliche,  principalmente  delle  ferrovie,  ed  all’altra  anche  più 
grave  delle  immense  e minacciose  alluvioni  dei  torrenti  dovute  alla  pendenza  e 
allo  sgretolamento  che  le  roccie  vi  presentano.  Pel  quale  ultimo  oggetto  veniva 
nominata  apposita  Commissione,  come  già  nella  Relazione  dello  scorso  anno  si  è 
annunciato,  Commissione  che  dalla  Carta  di  Calabria  avrà  dati  utilissimi. 

Rilevamenti  nella  regione  toscana  e nell7 Appennino  centrale.  — Il  lavoro 
della  Carta  in  questa  regione  centrale  d’ Italia  venne  proseguito  col  poco  personale 
della  Sezione  di  Pisa,  cioè  dell’ ing.  Lotti  e paleontologo  Canavari,  il  quale  oltre 
allo  studio  speciale  dei  fossili  cooperò  anche  ai  rilevamenti  e ricognizioni.  L’inge- 
gnere Zaccagna  non  potè  per  difetto  di  salute  eseguire  molti  lavori  in  Toscana, 
ma  nella  state  potè  tuttavia  proseguire  nelle  Alpi  occidentali  quell’  interessantis- 
simo studio  che  ave  a avuto  sua  base  in  quello  già  prima  da  lui  eseguito  nelle 
Alpi  Apuane. 

Il  lavoro  regolare  di  rilevamento  venne  principalmente  praticato  sulla  mappa 
al  Va 5 ooo  nei  dintorni  di  Firenze  (Monte  Albano  e Gonfolina)  e poi  nella  Monta-  | 
gnola  Senese  di  cui  venne  così  più  esattamente  studiata  la  costituzione.  L’area 
totale  del  rilevamento  in  grande  scala  non  fu  grande  (circa  600  km5)  ma  ne  emer- 
sero notevoli  risultati  di  cui  sotto  si  farà  cenno.  Per  parte  sua  il  Canavari  intra- 
prendeva  lo  studio  dettagliato,  pure  sulla  Carta  al  Vjbooo;  del  Monte  di  Cetona 
che  contiene  ricca  fauna  di  tutta  la  serie  giura-liasica. 


Intanto  delle  grandi  ricognizioni  vennero  pure  fatte  da  essi  geologi  riuniti, 
sovra  estese  zone  del  territorio  tosco-romagnolo,  ed  in  ambi  i versanti  dell’Ap- 
pennino  centrale,  dall’Alpe  della  Luna  sino  al  Pistoiese.  Certe  zone  del  versante 
nordico  furono  specialmente  esaminate  dal  Canavari  verso  il  Catria,  il  Monte  San- 
vicino  e sino  ad  Ascoli  ed  Amatrice.  Simili  ricognizioni  avevano  per  scopo  prin- 
cipale di  verificare  in  quei  siti,  ciò  che  il  dettagliato  studio  dei  dintorni  di  Firenze 
e di  Borgo  S.  Sepolcro  ed  altre  regioni  avevano  dimostrato,  esservi  cioè  dei  note- 
voli cambiamenti  da  introdurre  nella  classificazione  stratigrafica  di  certi  terreni 
di  Toscana,  già  da  tempo,  ma  imperfettamente,  rilevati,  sovratutto  per  la  mancanza 
di  buone  carte  topografiche  in  grande  scala. 

Questi  cambiamenti  non  sono  cosa  da  poco,  modificando  essi  sensibilmente  la 
Carta  geologica  in  questa  regione  centrale  della  penisola,  già  illustrata  dagli  studi 
di  tanti  geologi,  ma  che  sempre  avea  presentate  difficoltà  e dubbiezze  alla  esatta 
suddivisione  in  determinati  piani  geologici  per  l’uniformità  della  fàcies  general- 
mente arenaceo-argillosa  e la  scarsità  di  resti  organici.  Ora  dunque  lo  studio  più 
esatto  della  tettonica  sulle  nuove  mappe  ed  il  rinvenimento  di  fossili  (inocerami 
e nurnmuliti)  in  nuove  località,  indurrebbero  a certi  mutamenti  nella  Carta  geo- 
logica. Uno  dei  principali  consisterebbe  nel  far  passare  al  terziario  miocenico  in- 
feriore e medio  varie  zone  sin  qui  ritenute  eoceniche  ed  anche  talune  pure  già  rite- 
nute cretaciche.  L’altro  cambiamento,  che  avrebbe  ora  luogo  principalmente  nei 
monti  intorno  a Firenze,  consiste  nel  riferire  invece  al  cretacico  superiore  certi 
terreni  precipuamente  di  macigno,  dapprima  ritenuti  appartenere  all’eocene  come 
i macigni  di  Fiesole.  Simili  cambiamenti  del  resto  concorderebbero  con  l’osserva- 
zioni  già  fatte  in  qualche  punto  dal  Cocchi,  da  Capellini  e Manzoni  nel  Bolognese, 
dal  Pantanelli  nel  Modenese. 

Non  si  nasconde  che  alcuno  dei  suddetti  cambiamenti  dovrebbe  ancora  venire 
suffragato  da  più  ampio  studio  di  tettonica  fatto  su  buone  carte  topografiche,  col- 
legato a quello  dei  rari  fossili  che  vi  si  possono  trovare;  e tanto  più  che  i detti 
cambiamenti  potrebbero  poi  estendersi  ancora  ben  oltre  il  territorio  fiorentino. 
Nello  stato  delle  cose,  ed  in  attesa  del  suddetto  ampio  studio,  quei  cambiamenti 
andrebbero  limitati  alle  località  ove  dei  fatti  abbastanza  precisi  li  suggeriscono. 

Fra  i diversi  altri  risultati  di  qualche  importanza  ottenuti  nei  succitati  studii, 
si  può  citare  il  rilevamento  della  Montagnola  Senese,  accuratamente  eseguito  nella 
state  decorsa  dal  Lotti,  onde  sarebbe  accertata  da  nuovi  particolari  la  età  triasica 
anzi  che  basica  de’  suoi  marmi  la  cui  serie  coinciderebbe  nei  più  minuti  partico- 
lari con  quella  delle  Alpi  Apuane,  compresi  i grezzoni  che  di  quella  sono  così 
caratteristici.  Diversi  fossili,  in  gran  parte  crinoidi,  confermano  abbastanza  simile 
determinazione. 

Ulteriori  studi  del  Lotti  medesimo  sui  graniti  e sulle  trachiti  del  Campigliese 


in  Toscana,  i cui  risultati  concordano  con  le  ricerche  petrografiche  del  Dalmer,  con- 
fermarono il  già  prima  enunciato  intimo  legame,  con  passaggio  graduale,  fra  le 
due  categorie  di  roccie,  oltre  a diversi  interessanti  particolari  di  giacitura  che  per 
brevità  si  omettono. 

Finalmente  può  citarsi  uno  studio  speciale  dei  due  giacimenti  cinabriferi  di 
Siele  e Cornacchino  sotto  , al  Monte  Amiata,  eseguito  dal  Canavari  che  vi  accom- 
pagnò il  geologo  Becker  degli  Stati  Uniti  d’America.  Era  dubbio  se  questi  due 
assai  ricchi  giacimenti  che  trovansi  interstratificati  nei  calcari  alberesi,  ma  in  loca- 
lità piuttosto  fra  loro  distanti,  si  trovassero  nella  medesima  formazione  terziaria, 
od  altrimenti  in  due  formazioni  di  epoche  diverse.  Dal  fatto  studio  appariva  molta 
probabilità  che  quello  di  Siele  stesse  nell’  eocene,  e l’altro  nel  cretacico.  Uno 
studio  successivo  dell’ing.  Baldacci  confermava  poi  questa  opinione  del  Canavari. 

Prima  di  lasciare  la  regione  toscana,  si  rammenterà  l’importante  lavoro  topo- 
grafìco-geognostico  della  carta  marmifera  del  Carrarese  in  grande  scala,  cioè  al 
1/2000  che  in  quest’anno  venne  proseguita  con  le  norme  già  dette  nella  Relazione 
dello  scorso  anno,  con  l’opera  principalmente  dell’aiutante-ingegnere  P.  Fossen 
coadiuvato  dall’  aiutante-ing.  C.  Tissi,  sotto  la  direzione  degli  ingegneri  del  Di- 
stretto di  Firenze. 


Alpi  occidentali.  — Ciò  che  fu  detto  nella  Relazione  dello  scorso  anno  1886 
riguardo  al  lavoro  di  rilevamento  delle  Alpi  occidentali,  cioè  all’  utilità  di  uno 
studio  dettagliato  e profondo  di  questa  regione  diffìcilissima,  per  averne  al  più 
presto  una  Carta  geologica  esente  dagli  errori  ed  inesattezze  che  tuttavia  si  riscon- 
trano nelle  migliori  carte  moderne,  e all’iniziamento  avvenuto  dello  studio  stesso 
per  opera  degli  ingegneri  Zaccagna  e Mattirolo,  si  può  letteralmente  ripetere  pei 
lavori  eseguiti  nel  1887.  Malgrado  che  lo  stato  di  salute  dell’  ing.  Zaccagna  non 
gli  abbia  permesso  di  estendere  e prolungare  il  suo  lavoro  quanto  sarebbe  stato 
desiderevole,  tuttavia  una  certa  quantità  di  rilevamento,  parte  di  dettaglio,  parte  di 
massima,  venne  eseguito,  in  unione  al  succitato  ing.  Mattirolo,  principalmente  nelle 
regioni  della  Moriana  e della  Tarantasia  che  tuttora  formavano  lacuna,  e ciò  sulla 
mappa  dello  stato  maggiore  francese  dell’1/80  000.  Venne  ivi  riscontrata  in  tutte  le 
osservazioni  la  serie  dei  terreni  stati  da  loro  osservati  nelle  altre  parti  delle  Alpi  Ma- 
rittime, Graje  e Cozie  precedentemente  - studiate  ; vi  si  precisò  la  posizione  d’impor- 
tanti lembi  di  Carbonifero  non  che  di  uno  gneiss  anagenitico  che  corrisponde  al 
Suretta- gneiss  dello  Spluga,  e che  Zaccagna  dimostrava  essere  permiano.  Simile 
gneiss  si  potrebbe  chiamare  besimaudite , dal  cospicuo  monte  di  Besimauda  al  Sud 
di  Cuneo,  dove  simile  roccia  ha  un’enorme  sviluppo.  Sovratutto  poi  venne  determi- 
nato su  grandi  estensioni  il  limite  preciso  fra  gli  scisti  arcaici  ed  i terreni  paleozoici, 
limite  sovente  non  facile  a distinguere,  sovratutto  dove  predominano  estese  for- 


mazioni  di  calcescisto,  il  cui  facies  è simile  sia  nell’arcaico  sia  nei  suddetti  terreni 
paleozoici  e specialmente  nel  Trias  dove  abbondano. 

Lo  Zaccagna  eseguì  poi  anche  una  revisione  del  territorio  nizzardo  e pro- 
venzale sino  oltre  Antibo,  Cannes  e l’Esterel,  rivedendo  ivi  la  parte  della  carta 
francese  al  1/500  000  che  ci  interessava  per  le  nostre  pubblicazioni. 

Per  parte  sua  l’ ing.  Mattirolo  dopo  avere  presa  gran  parte  nella  state  ai  sud- 
detti lavori,  rivedeva  nell’autunno  l’interessante  zona  dioritica  che  si  estende  paralle- 
lamente alle  Alpi  dai  dintorni  di  Biella,  per  Varallo  e Cannobio  sino  verso  Locamo. 

Venne  così  intanto  completata  la  revisione  della  Carta  geologica  delle  Alpi 
occidentali  in  piccola  scala,  in  modo  da  renderla  atta  alla  pubblicazione  nella  car- 
tina generale  d’Italia  di  cui  fa  parte. 

I suddetti  studi  e lavori  di  rilevamento  nelle  Alpi  occidentali  vennero  poi  de- 
scritti dall’ ing.  Zaccagna  in  un  articolo  accompagnato  da  grandi  sezioni  geolo- 
giche attraverso  la  catena  alpina,  pubblicato  nell’ultimo  fascicolo  del  Bollettino 
Geologico  dell’anno  1887.  Quest’ articolo,  che  riassumeva  importantissimi  risultati 
e vere  scoperte  in  quella  diffìcile  regione  alpina,  destò  l’ammirazione  di  reputati 
geologi  esteri,  i quali  riconobbero  in  tali  fatti,  così  bene  stabiliti,  dei  veri  capisaldi 
per  riformare  la  geologia,  anche  in  diversi  punti  del  rimanente  della  catena  alpina 

Lavori  speciali  di  ricognizione  e revisione.  — Sotto  questo  titolo  poco  resta 
a dire,  essendosene  sopra  trattato  nella  descrizione  dei  lavori  di  rilevamento  dei 
quali  le  suddette  ricognizioni  e revisioni  furono  sovente  un  preliminare  od  un  com- 
plemento. Giova  tuttavia  rammentare  le  revisioni  su  vasto  spazio  fatte  dal  Lotti 
e Canavari  nella  regione  tosco-romagnola  e che  condusse  al  suaccennato  notevole 
ampliamento  del  miocene  a spese  dell’eocene  e del  cretacico  : quelle  del  Canavari 
sul  versante  adriatico  dell’ Appennino  centrale,  dal  Monte  C atri  a al  Monte  Vettore, 
che  venne  riferito  al  Trias;  quelle  dell’ ing.  Zezi  negli  Abbruzzi,  nelle  Murgie  ed 
in  alcune  altre  parti  del  Barese;  quelle  dell’ ing.  Baldacci  coll’ ing.  Mazzuoli  nella 
Liguria  in  seguito  alla  riunione  geologica  tenuta  in  Savona,  ed  infine  diverse  fatte 
in  Sardegna  dall’ ing.  Mazzetti,  intese  a meglio  pressare  l’estensione  del  cambriano 
ed  una  più  esatta  suddivisione  del  terziario;  nella  quale  il  miocene  guadagnò 
estensione  a spese  del  pliocene. 

Finalmente  è da  menzionare  un  viaggio  dell’ ing.  Baldacci  all’isola  di  Pan- 
telleria. Quest’isola  remota  assai  e quasi  africana,  non  era  ancora  stata  visitata 
da  alcuno  dei  geologi  del  Comitato,  e nessun  museo  d’ Italia  possedeva  una  vera 
raccolta  delle  sue  roccie  onde  si  aveano  continue  richieste  di  dati  e di  campioni,  tra 
cui  dal  rinomato  petrografo  Rosenbusch  di  Heidelberg,  che  intendeva  fare  studii 
sulle  roccie  di  quell’isola  in  confronto  a quelle  di  altre  località.  Come  sin  dallo 
scorso  anno  erasi  proposto,  venne  colà  inviato  l’ ing.  Baldacci,  ed  egli  vi  fece 


nell’aprile  una  ricognizione  riportandone  una  copiosa  raccolta,  con  la  quale  non 
solo  si  potè  provvedere  il  nostro  museo,  ma  se  ne  fece  copia  ai  musei  di  Palermo 
e di  Catania,  ed  inoltre  ne  vennero  inviate  al  suddetto  prof.  Rosenbusch. 

Carta  geo  gnostico-idrografica  della : vallata  del  Po.  — Questo  lavoro,  che 
è parte  della  Carta  geologica  generale,  ma  compilata  con  speciali  particolari  utili 
alle  pratiche  applicazioni,  veniva  iniziato  secondo  il  programma  tracciato  dal  pro- 
fessore Taramelli  e stato  approvato  dal  Comitato  nelle  sedute  30  e 31  maggio 
dello  scorso  anno.  Simile  programma  è inserito  nel  Bollettino  stesso  in  appendice 
ai  verbali  di  quelle  sedute. 

Per  l’ eseguimento  del  lavoro  il  prof.  Taramelli  che  ne  ebbe  la  direzione, 
valendosi  della  facoltà  accordatagli,  scelse  a collaboratori  diversi  geologi  che 
volontariamente  vi  si  prestano  e che  già  eseguivano  studii  in  questa  regione.  I due 
primi  prescelti  furono  il  geometra  Bruno  d’ Ivrea,  ed  il  prof.  Sacco  di  Torino  con 
T opera  dei  quali  già  si  ebbe  il  rilievo  di  parecchie  tavolette  della  Carta  al  Vatrooo 
deli’  alta  pianura  sotto  Ivrea  e di  quella  sotto  Cuneo. 

Intanto  si  tenne  una  riunione  dei  suddetti  geologi  coll’  ing.  Zezi,  rappresen- 
tante l'Ufficio  geologico,  onde  concertare  il  lavoro  dell’avvenire,  quale  lavoro 
veniva  poi  suddiviso  fra  loro  in  quanto  concerne  la  parte  superiore  della  vallata 
sino  al  Mincio,  e sino  al  Reno  nell’  Emilia,  chiamando  a parteciparvi  per  questa 
regione  il  dott.  Pantanelli  ora  professore  a Modena.  A suo  tempo  verrà  chiamato 
qualche  altro  geologo,  secondo  l’ occorrenza,  per  far  progredire  man  mano  il  lavoro 
verso  il  basso  della  vallata  sino  alle  foci  del  Po.  Queste  foci  poi  presentano  un’  in- 
teresse speciale  in  relazione  alle  grandi  variazioni  che  le  medesime  ed  il  proten- 
dimento  del  litorale  adriatico  subirono  anche  in  tempi  non  troppo  remoti.  Simile 
tema,  unitamente  a quello  degli  spostamenti  successivi  dell’  alveo  nella  bassa  e 
media  vallata  del  fiume,  verrebbe  affidato  all’ ing.  Stella,  allievo  del  professore 
Taramelli  in  geologia,  il  quale  potrà  occuparsene. 

Venne  intanto  stabilita  una  norma  per  le  indennità  di  campagna  agli  opera- 
tori in  questa  vallata,  analogarfiente  a quanto  si  fa  per  gli  ingegneri  dell’Ufficio 
geologico,  onde  tutto  sia  equamente  regolato. 

Nel  laboratorio  dell’  Istituto  tecnico  di  Pavia  si  proseguì  nell’analisi  del  suolo, 
limitatamente  per  ora  al  territorio  di  quel  circondario.  Procedendo  poi  il  lavoro 
nella  vallata,  tale  esame  potrà  venire  eseguito  anche  in  altri  laboratori,  tenendo 
conto  delle  osservazioni  che  in  proposito  vennero  fatte  nelle  suddette  sedute  del 
Comitato. 

Esplorazione  dell*  isola  di  Madùgascar.  — Sul  fine  del  1886  l’agente  Con- 
solare d’Italia  al  Madagascar  (Sig.  Maigrot)  aveva  esposto  al  Ministero  nostro 


il  desiderio  che  un  ingegnere  geologo  del  governo  italiano  venisse  delegato  a fare 
una  visita  all’isola  di  Madagascar  per  esaminarvi  dei  giacimenti  minerali  e di 
carbon  fossile,  non  che  il  progetto  di  alcune  ferrovie  di  cui  il  medesimo  sperava 
avere  la  concessione  dal  governo  malgascio.  Simili  intraprese  potendo  in  tal  caso 
venire  assunte  da  capitalisti  italiani,  anche  degli  emigranti  dal  nostro  paese  avreb- 
bero potuto  trovarvi  occupazione.  Esso  console  d’ altronde  si  proponeva  di  sup- 
plire alle  spese  del  viaggio  — Per  diverse  ragioni  venne  scelto  all’uopo  l’ingegnere 
Cortese,  il  quale  partiva  perciò  da  Marsiglia  alla  volta  dell’isola  nei  primi  del 
gennaio.  Colà  giunto  diverse  peripezie  da  lui  indipendenti  ne  contrariarono  alquanto 
la  missione,  cui  tuttavia  egli  compiè  interamente  in  meno  di  8 mesi,  essendo  di 
ritorno  al  fine  di  ottobre  al  suo  lavoro  di  Calabria. 

La  conclusione  del  suo  rapporto  sugli  studi  fatti  in  quell’  isola,  almeno  nelle 
località  che  gli  fu  dato  di  percorrere,  non  fu  molto  favorevole  al  successo  delle 
sperate  intraprese,  avendo  egli  trovato  che  i giacimenti  di  carbone  non  erano  che 
di  mediocri  ligniti,  diversi  giacimenti  auriferi  non  presentavano  esito  sicuro,  e le 
proposte  linee  di  ferrovie  erano  difficili  di  costruzione  e di  magrissimo  traffico. 
Simili  intraprese  erano  poco  convenienti  ai  capitalisti  italiani,  e d’ altra  parte  la  re- 
gione offerta  alla  colonizzazione  ad  una  latitudine  media  di  20°,  e malgrado  che 
assai  elevata  sul  mare,  appariva  non  molto  adatta  ad  emigranti  europei. 

Se  il  risultato  della  missione  non  fu  molto  lusinghiero  al  punto  di  vista  indu- 
striale, riuscì  tuttavia  non  privo  di  interesse  per  la  geologia  di  quell’isola,  cui 
l’ingegnere  Cortese  descrive  per  una  grande  estensione;  cioè  da  un  lato  all’altro 
dell’  isola  nel  senso  Est-Ovest  e per  una  grande  zona  nel  senso  del  meridiano 
al  Nord  della  capitale  Antananarivo.  Delle  sue  osservazioni  vennero  pubblicati 
diversi  articoli  nel  Bollettino  geologico,  uno  dei  quali  accompagnato  da  una 
cartina  dell’isola,  ove  oltre  all’itinerario  percorso  sono  indicate  le  principali  for- 
mazioni geologiche.  Le  roccie  granitiche  e dioritiche  formano  la  base  generale 
dell’isola,  ricoperte  su  vasti  spazi  da  terreni  sedimentari,  principalmente  dell’epoca 
terziaria.  Le  roccie  cristalline  sono  talora  decomposte  su  vaste  estensioni  e sotto 
tale  aspetto  quell’  isola  presenta  una  certa  analogia  con  la  Calabria  : soltanto  che 
i profili  dell’isola  essendo  molto  meno  risentiti,  il  suo  paesaggio  riesce  general- 
mente assai  più  monotono. 

Carta  geologica  dell’  Europa.  — La  compilazione  di  un  saggio  della  Carta 
geologica  dell’Europa,  stata  decretata  al  Congresso  di  Bologna  ed  affidata  all’Istituto 
Geologico  di  Berlino,  venne  ivi  proseguita  : però  non  venne  fatta  durante  l’anno  1887 
alcuna  convocazione  del  Comitato  direttivo  di  quell’  opera.  Quel  saggio  però  do- 
vrebbe venir  presentato  al  prossimo  Congresso  del  1888  in  Londra. 

Intanto  avendosi  qualche  residuo  disponibile  nel  bilancio  se  ne  profittava  per 


pagare  nell’ottobre  una  nuova  rata  di  L.  1875  (marchi  1500)  sul  nostro  impegno 
per  100  copie,  il  cui  totale  ammontare  è di  L.  10,000.  Avendo  già  pagate  sin  ora 
insieme  al  Ministero  di  Pubblica  Istruzione  L.  7,500,  non  ne  restano  più  a pagare 
che  2,500  per  il  saldo. 

Commissione  della  unificazione  geologica.  — La  Commissione  internazio- 
nale per  T unificazione  della  classificazione  e nomenclatura  geologica,  nominata 
nel  1885  a Berlino  per  preparare  il  programma  del  Congresso  di  Londra,  riuni- 
vasi  al  fine  di  agosto  in  Manchester  in  occasione  dell’annuale  convegno  della 
Società  inglese  per  1’ avanzamento  delle  scienze,  tenutosi  quest’  anno  in  quella  città. 
Vennero  dalla  medesima  esaminati  diversi  punti  relativi  al  programma  del  futuro 
Congresso,  e di  quelli  emise  un  resoconto  a stampa  il  prof.  Capellini  che  è il 
presidente  della  Commissione  stessa. 

Riunione  della  Società  geologica  a Savona.  — L’annuale  riunione  estiva 
della  Società  geologica  italiana  ebbe  luogo  in  quest’  anno  nel  settembre  in  Savona 
sotto  la  presidenza  del  prof.  Cocchi.  Vi  presero  parte  oltre  i professori  ed  amatori 
membri  della  Società,  molti  ingegneri  dell’Ufficio  geologico.  Le  adunanze  si  alter- 
narono con  escursioni  fatte  a S.  Giustina,  a Sestri  Ponente  ed  alle  Mallare  presso 
Altare  sul  versante  Nord  dell’  Appennino.  Si  ebbe  campo  di  esaminare  diverse 
interessanti  questioni,  come  sarebbero  l’età  delle  roccie  cristalline  dei  dintorni  di 
Savona  e quella  delle  masse  serpentinose  fra  Varazze  e Sestri-Ponente;  ma  la  diffi- 
coltà non  lieve  del  soggetto  avrebbe  richiesto  assai  maggior  tempo  di  quello  che 
si  potè  destinare  alle  escursioni,  sempre  assai  rapide  di  simili  numerose  comitive. 
Però  ora  che  le  difficoltà  sono  avvertite,  riesce  meglio  tracciato  il  compito  perla 
loro  risoluzione,  la  quale  nelle  parti  dubbie  molto  può  attendere  dai  geologi  che 
si  occuperanno  del  rilievo  della  Carta  in  grande  scala  della  regione. 

Nell’adunanza  ultima  del  giorno  15,  venne  eletto  a nuovo  vice  presidente  il 
prof.  Capellini,  il  quale  però  era  allora  a Manchester  con  la  suddetta  Commissione 
internazionale.  La  società  ebbe  intanto  dal  bilancio  della  Carta  geologica,  come 
nell’  anno  precedente,  un  sussidio  di  L.  1,200. 

Paleontologia.  — Lo  studio  dei  fossili  più  difficili  a determinare,  che  man 
mano  si  trovarono  nei  rilevamenti  della  Carta,  vennero,  come-  di  solito,  trasmessi 
al  gabinetto  paleontologico  del  museo  di  Pisa  diretto  dal  prof.  Meneghini  ed  ivi 
studiati  principalmente  dal  paleontologo  Canavari.  Questi  fece  inoltre  la  determina- 
zione di  quelli  da  lui  stesso  trovati  nelle  sue  escursioni,  le  quali  nel  decorso  anno 
furono  assai  estese  nelle  regioni  dell’ Italia  centrale.  È inutile  riferire  in  dettaglio 
simili  studi,  i cui  risultati  appajono  del  resto  di  tratto  in  tratto  unitamente  a quelli 


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di  altri  geologi,  in  articoli  del  Bollettino  o negli  atti  di  società  ed  accademie  scien- 
tifiche. Tuttavia  si  può  rammentare  fra  i risultati  quello  di  avere  meglio  precisato 
T età  di  certe  formazioni  ancora  dubbiose,  e corretta  quella  che  era  stata  meno 
esattamente  determinata,  come  venne  esposto  a proposito  della  regione  tosco-roma- 
gnola, e di  varie  speciali  località  come  il  Monte  di  Cetona,  il  Catria  ed  il  Vettore. 

I fossili  della  regione  marmifera  di  Vinca  nelle  Apuane  ritrovati  dall’ inge- 
gnere Zaccagna  e dal  Canavari,  e da  questi  studiati  e disegnati,  possono  fare  oggetto 
di  una  speciale  pubblicazione.  Stante  però  la  loro  speciale  importanza  doveano 
ancora  venire  meglio  controllati  in  riscontro  a quelli  analoghi  che  si  trovano  nei 
musei  di  Monaco  di  Baviera  e di  Vienna. 

Intanto  il  prof.  Meneghini,  malgrado  che  afflitto  da  malattia  assai  lunga  la 
quale  per  qualche  mese  lo  impediva  di  occuparsi,  terminava  la  sua  Memoria  sulla 
fauna  cambriana  dell’ Iglesiente  in  Sardegna,  che  potrà  così  affine  stamparsi  e 
servirà  di  corredo  scientifico  alla  descrizione  geologico-mineraria  di  quella  regione 
dell’ ing.  Zoppi  che  sarà  pure  prossimamente  pubblicata. 

Studio  di  roccie.  — Le  roccie  raccolte  nei  rilevamenti  della  Carta  geologica, 
e sovratutto  quelle  numerose  raccolte  dall’ ing.  Mattirolo  nei  lavori  alpini,  furono 
oggetto  di  studio  nel  solito  laboratorio  del  Valentino  in  Torino  diretto  dal  profes- 
sore Cossa;  nel  quale  lo  stesso  ingegnere  eseguì  pure  diverse  analisi  e saggi  per 
scopo  industriale,  come  per  es.  su  diversi  minerali  auriferi  e sovra  ghiaie  ferrifere 
dell’  isola  d’ Elba,  per  constatare  se  erano  minerali  esportabili.  Fra  gli  studi  a 
scopo  pratico  va  notato  quello  degli  scisti  argillosi  costituenti  gran  parte  della 
catena  dei  Giovi,  attraversata  dalla  galleria  della  nuova  ferrovia  tra  Genova  e Novi, 
la  quale  presenta  le  note  gravissime  difficoltà  di  costruzione.  Simile  studio,  unita- 
mente a quello  geognostico  dell’ ing.  Mazzuoli,  procurava  utili  informazioni  sulla 
causa  della  facile  alterazione  di  quella  roccia  che  è sorgente  di  tali  difficoltà.  — 
Altre  analisi  colà  ‘eseguite  sono  quelle  dei  creduti  fosfati  delle  Puglie,  a controllo 
di  analisi  consimili  eseguite  in  altri  laboratori,  e del  cui  risultato  sarà  fatto  cenno 
a suo  luogo.  È da  notare  intanto  che  al  punto  di  vista  industriale  quei  fosfati  sa- 
rebbero poverissimi. 

II  dottor  L.  Bucca,  che  di  tempo  in  tempo  esegue  in  Roma  degli  studi  petro- 
grafìci  pel  museo  geologico,  si  occupò  delle  roccie  trachitiche  di  Capraia,  di  Ra- 
dicofani  dei  monti  Cimini  e Sabatini,  della  Tolfa,  di  Roccamonfìna  ed  altre  località 
a corredo  dei  lavori  dell’  ing.  Zezi  e di  altri  dell’  Ufficio  geologico. 

Su  di  alcuno  degli  anzicennati  lavori  chimico-petrografici  si  fecero  delle  pub- 
blicazioni nel  Bollettino  geologico. 

Studi  geologici  in  connessione  ad  opere  di  pubblica  utilità.  — Simili  studi 


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sono  sovratutto  quelli  concernenti  le  ferrovie,  le  frane  e la  provvista  d’  acqua  alle 
regioni  che  più  ne  mancano,  specialmente  mediante  laghi  artificiali;  ed  anche  nel  1887 
si  dovettero  compiere  dai  nostri  geologi  non  pochi  studi  di  tal  genere. 

Ferrovie.  — Diverse  visite  e studi  ebbero  a fare  in  proposito  alcuni  dei 
geologi  per  incarico  dell’  Ispettorato  generale  delle  ferrovie. 

Sulle  linee  di  Calabria,  fece  diversi  studi  1’  ing.  Baldacci.  Prima  sulla  tratta 
Bagnara-Reggio,  visitava  diverse  opere  e specialmente  la  galleria  sotto  Bagnara 
in  vista  dei  danni  temuti  per  quell’  abitato  ; e studiava  quindi  il  consolidamento 
di  frane  e gallerie  sul  3°  tronco  Bagnara-Palmi,  ed  ebbe  poi  ancora  a studiare 
la  importante  questione  del  miglior  tracciato  della  linea  trasversale  Cantanzaro- 
Stretto  Veraldi  in  vicinanze  di  Catanzaro,  concludendo  per  il  tracciato  pel  vallone 
Sansinato  con  galleria  sotto  la  Fiumarella.  Più  tardi  praticò  una  visita  al  ponte 
del  Sinnio,  sulla  strada  nazionale  Sapri-Jonio.  Nel  novembre  infine  visitava  unita- 
mente all’  ing.  Cortese  i tracciati  per  la  galleria  di  Marcellinara  sulla  anzicitata 
linea  Catanzaro  - Stretto  Veraldi.  Su  questi  studi  vennero  redatte  apposite  relazioni 
trasmesse  all’  Ispettorato  generale  delle  ferrovie. 

Nel  marzo  si  svolse  grave  questione  tra  1’  amministrazione  governativa  e 
1’  impresa  della  galleria  sulla  linea  succursale  dei  Giovi  tra  Genova  e Novi,  la 
quale  impresa  non  era  stata  capace  di  condurre  a termine  quel  lavoro  prete- 
stando eccezionale  difficoltà  in  un  tratto  della  galleria  stessa  per  la  cattiva  natura 
della  roccia.  Questa  è uno  scisto -argilloso  che  a primo  scavo  si  presenta  duro 
assai,  tanto  da  esigere  la  dinamite,  mentre  lasciato  pochi  mesi  all’  aria  ed  all’umido 
si  disfa  talvolta  quasi  in  poltiglia.  Furono  nominate  commissioni  ed  arbitri  a cui 
era  d’  uopo  fornire  dati  tecnici  positivi  sull’  argomento.  Ed  a tale  uopo  venne  no- 
minata una  Commissione  di  cui  faceva  parte  l’ Ispettore  Giordano,  cui  si  aggiun- 
gevano per  gli  studi  di  dettaglio  gli  ingegneri  Mazzuoli  e Mattirolo.  Questi  fece 
analisi  e saggi  appositi  su  quella  roccia,  dietro  i quali  fù  rischiarata  la  questione 
del  suo  rigonfiamento.  Le  analisi  vennero  riportate  nel  Bollettino. 

Finalmente  si  può  citare  qualche  altro  studio  fatto  dietro  domanda  delle  So- 
cietà ferroviarie,  come  quello  della  difficile  linea  Cuneo-Ventimiglia  fatto  dall’in- 
gegnere Cortese,  e della  Lucca-Aulla  dagli  ingegneri  Zaccagna  e Baldacci. 

Profili  geologici  di  grandi  gallerie . — Nella  relazione  dello  scorso  anno 
erasi  fatta  notare  la  convenienza  di  fare  in  tempo  una  raccolta  dei  profili  o se- 
zioni geologiche  delle  grandi  gallerie  state  aperte  od  attualmente  in  lavoro  per 
le  ferrovie,  nell’Appennino  e nelle  Alpi,  non  che  in  Sicilia,  per  conservare  memoria 
tanto  dei  dati  geologici  cui  le  medesime  presentarono,  quanto  delle  difficoltà  più 
0 meno  grandi  che  in  esse  vennero  incontrate  per  la  natura  talvolta  pessima  delle 


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roccie.  Simile  raccolta  potrebbe  a suo  tempo  formare  oggetto  di  una  interessante 
pubblicazione. 

Coerentemente  a simile  idea  venne  distribuito  il  compito  fra  diversi  inge- 
gneri geologi,  i quali  mediante  apposite  visite  locali  dovranno  assumere  i dati 
occorrenti,  valendosi  poi,  per  le  gallerie  già  da  tempo  costrutte,  delle  infor- 
mazioni e documenti  di  vario  genere  che  potranno  raccogliere.  Venne  quindi  in- 
caricato l’ing.  Mazzuoli  di  compilare  i profili  delle  gallerie  che  attraversano 
l’Appennino  settentrionale,  comprese  alcune  ora  tuttavia  in  progetto,  nella  zona 
che  si  estende  dal  Colle  di  Tenda  sino  alla  linea  in  costruzione  Firenze-Faenza  : 
l’ing.  Zezi  di  quelle  dell’Appennino  centrale  e meridionale  e l’ing.  Conti  di  quelle 
della  Sicilia. 

Fra  gli  studi  aventi  scopo  di  pratica  applicazione,  eseguiti  nel  1887,  si  possono 
ancora  catare  i seguenti:  uno  dell’ing.  Lotti  sovra  la  grande  frana  avvenuta  in 
gennaio  1887  a Monteterzi  presso  Volterra  e sulla  quale  venne  pubblicato  un 
articolo  nel  Bollettino. 

Uno  studio  del  medesimo  ingegnere  sui  lavori  di  allacciamento  delle  acque 
salse  sotterranee  della  salina  demaniale  di  Volterra. 

Uno  studio  dell’ing.  Mazzuoli  sulla  relazione  esistente  nelle  Riviere  Liguri 

fra  la  natura  litologica  della  costa  e quella  delle  sabbie  o detriti  costituenti  le 

spiaggie,  dal  quale  studio  risulterebbe  il  fatto,  ammesso  d’altronde  da  ingegneri 
-idrografici,  che  malgrado  la  forza  delle  burrasche  i materiali  detritici  che  arrivano 
al  mare  rimangono  nei  bacini  sottomarini  che  fan  seguito  a quelli  di  loro  origine. 

Uno  studio  analogo  venne  pur  fatto  dall’  ing.  Zezi,  sui  materiali  trasportati 

dal  mare  lungo  la  costa  adriatica  da  Barletta  a Bari,  per  riconoscere  la  causa 

dell’interrimento  del  porto  di  questa  città.  Simili  studi  sulle  coste  ligure  e pugliese 
vennero  fatti  dietro  richiesta  di  un  ispettore  del  Genio  Civile,  in  relazione  a que- 
stioni di  porti  che  il  medesimo  avea  incarico  di  risolvere. 

Studi  per  la  provvista  di  acque  alla  irrigazione  ed  altri  usi.  — Già  nelle 
relazioni  degli  anni  precedenti,  e sovratutto  in  quella  dell’anno  1886,  veniva  esposto 
l’ incarico  stato  affidato  a diversi  ingegneri  delle  miniere,  specialmente  dell’Ufficio 
geologico,  di  studiare  il  mezzo  di  provvedere  acque  d’ irrigazione,  e ciò  in  ese- 
guimento della  legge  28  giugno  1885,  alle  regioni  che  più  ne  mancano.  Una  com- 
missione idraulica  appositamente  nominata  dal  Ministero  di  agricoltura,  industria 
e commercio  deve  sopraintendere  ai  relativi  studi. 

Nella  stessa  relazione  per  lo  scorso  anno  1886  era  stato  esposto  come  le 
regioni  sin’ora  prescielte  erano  state  principalmente  l’Emilia,  in  vista  però  non 
del  bisogno  assoluto  di  acqua,  ma  per  alimentare  il  progettato  canale  Emiliano  ; 
le  Puglie,  la  Sicilia  orientale  e qualche  punto  della  Sardegna.  In  tutte  queste 


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località,  essendosi  ravvisati  insufficienti  gli  altri  mezzi,  come  sono  i pozzi  forati, 
erasi  studiata  la  possibilità  di  costrurre  ampli  serbatoi  o laghi  artificiali,  sbar- 
rando delle  vallate  che  presentassero  una  opportuna  disposizione  topografica  e 
geologica.  Gran  parte  di  simili  studi  erano  stati  eseguiti  od  avviati  nel  detto 
anno  1886  ; però  una  parte  ancora  ne  era  rimasta  a finire,  e questa  venne  poi 
compiuta  nel  1887. 

Brevemente  quanto  possibile  si  farà  un  cenno  di  questi  studi  per  darne  almeno 
un  idea,  in  quanto  che  poi  i medesimi  occuparono  per  molto  tempo  alcuni  dei 
nostri  geologi. 

Nell’ Emilia  lo  studio  era  stato  affidato  all’ ing.  Baldacei,  al  quale  vennero 
di  poi  aggiunti,  per  fare  i rilievi  particolareggiati,  gli  ingegneri  Viola  e Colale. 
Sul  principio  vennero  esplorate  più  di  20  valli  di  fiumi  dell’ Appennino  emiliano, 
da  quella  della  Trebbia,  anzi  dal  Tidone,  sino  alla  Marecchia.  Ma  Tessane  speci- 
ficato delle  condizioni  geologiche  delle  varie  strette  in  cui  poteano  costruirsi  le 
dighe,  e ciò  anche  mediante  appositi  scandagli  stativi  praticati,  non  che  quello 
delle  condizioni  tecniche  ed  economiche  della  intrapresa,  condussero  tosto  ad  una 
grande  eliminazione.  Così,  ad  es.,  per  i serbatoi  studiati  in  ultimo  sul  Senio  e 
Santerno,  le  strette  sarebbero  discrete,  ma  la  natura  ed  inclinazione  degli  strati  co- 
stituenti le  pareti  lasciano  temere  forti  disperdimenti.  Per  altri  sorsero  consimili 
difficoltà,  dovute  alla  natura  troppo  argillosa  e franosa  delle  strette,  onde  infine 
rimasero  soltanto  da  prendere  in  considerazione  alcune  di  esse  valli,  cioè  quelle 
del  Tidone,  Arda,  Ceno  (confluente  del  Taro),  Baganza,  Enza  e Secchia.  Su  questi 
due  ultimi  già  esistevano  studi  tecnici  degli  ingegneri  Torricelli  e Miani;  ma  le 
esplorazioni  geognostiche  ivi  fatte  indussero  poi  a notevoli  modificazioni.  Per  quattro 
altri  vennero  dai  suddetti  nostri  ingegneri  eseguiti  i rilievi  ed  i progetti  di  massima 
dei  serbatoi,  mediante  dighe  in  muro  alte  da  40  a 45  metri,  ed  il  risultato  fu  rias- 
sunto in  una  finale  relazione  dell’  ing.  Baldacei  che  visitava  più  volte  le  diverse 
località.  Quanto  al  primitivo  scopo,  cioè  di  accrescere  alimento  al  canale  emiliano» 
veramente  il  volume  fornito  da  questi  serbatoi  non  presterebbe  grande  risorsa: 
ma  ormai  il  nuovo  progetto  di  esso  canale  ne  farebbe  a meno.  Resterebbe  quindi 
l’uso  per  l’irrigazione  locale,  che  non  è disprezzabile.  Parlando  solo  dei  suddetti 
quattro  serbatoi  studiati  dai  nostri  ingegneri  sul  Tidone,  Arda,  Ceno  e Baganza,  si 
avrebbe  disponibile  un  volume  totale  annuo  di  oltre  80  milioni  di  metri  cubi  d’acqua 
per  l’irrigazione  estiva,  volume  che  può  bagnare  più  di  16000  ettari.  Questo  sa- 
rebbe sempre  un  risultato  benefico,  indipendentemente  dalle  condizioni  finanziarie 
in  cui  troverebbesi  chi  eseguisse  simili  opere,  condizioni  alquanto  difficili  a valu- 
tarsi a priori. 

Circa  ai  serbatoi  sull*  Enza  e sulla  Seccjiia  le  osservazioni  geognostiche  state 
fatte  indurrebbero  ad  abbandonare  la  diga  dapprima  progettata  per  l’ Enza  al 


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punto  di  Corazzeto,  trasportandola  più  a monte,  cioè  alle  Gazze,  ove  sarebbe  pos- 
sibile un  serbatoio  di  circa  40  milioni  di  m1 * 3.  Sulla  Secchia  si  troverebbe  possi- 
bile al  punto  di  Pescale  un  serbatoio  di  12  milioni.  Dietro  le  osservazioni  del- 
l’ing.  Baldacci  sarebbe  poi  da  rinunciare,  per  cattiva  qualità  del  fondo,  a quello 
progettato  dall’ing.  Carli  sul  Tresignano  presso  Scandiano,  non  che  ad  alcun  altro 
stato  proposto  nell’Italia  centrale  e presso  Sulmona. 

Venne  poi  ancora  studiato  altro  serbatoio  a Frasassi,  località  stata  indicata 
dal  geologo  senatore  Scarabelli  sul  fìumicello  Sentino,  confluente  dell’Esino 
lungo  la  ferrovia  Roma- Ancona.  La  località  Frasassi  stata  dapprima  esaminata 
dagli  ingegneri  Cortese  e Baldacci,  presenta  una  stretta  angustissima  fra  solide 
pareti  di  calcare  triasico.  Lo  studio  particolareggiato  venne  poi  eseguito  dal- 
l’ing. Viola,  secondo  il  quale  con  una  diga  di  42  metri  si  avrebbe  un  discreto 
serbatoio  di  circa  16  milioni  di  m3.  L’acqua  però  troverebbe  ivi  difficilmente  im- 
piego per  l’irrigazione,  ma  piuttosto  per  forza  motrice,  potendo  crearsi  presso  alla 
diga  stessa  una  caduta  di  30  metri  con  una  potenza  perenne  di  circa  150  cavalli. 

Nelle  Puglie  molto  studio  e lavoro  veniva  fatto,  come  è noto,  nel  1886  dal- 
l’ing.  Cortese  incaricato  di  quella  regione  con  la  cooperazione  dell’aiutante  Cas- 
setti. Ed  anzitutto  vennero  provati  in  varie  località  più  opportune  del  Tavoliere 
dei  pozzi,  ma  ciò  più  che  altro  per  provare  col  fatto  la  già  presunta  loro  inef- 
ficacia, come  in  fatti  si  verificò.  Venuti  allora  all’  idea  dei  serbatoi,  e scartate  di- 
verse valli  meno  favorevoli,  se  ne  progettava  uno  assai  grandioso  nella  valle  del- 
l’Ofanto  sotto  al  bosco  di  Monticehio.  Ivi  la  carta  topografica  mostrava  una  stretta 
così  disposta  che  con  una  diga  di  50  metri,  avente  il  ciglio  alla  quota  di  circa  300 
metri  sul  mare,  si  creava  un  serbatoio  di  120  milioni  di  m.3,  capace  quindi  di 
alimentare  un  canale  perenne  della  portata  di  12  m.3  al  lrr.  Questo  volume  potea 
dare  l’irrigazione  a più  di  15000  ettari,  e fornire  inoltre  dell’acqua  per  tutti  gli 
usi  della  vita  alle  due  provincie  di  Foggia  e di  Bari,  con  una  spesa  totale,  com- 
presa la  diramazione,  di  circa  25  milioni. 

Alla  costruzione  di  simile  opera  ostava  però  l’intralcio  che  la  medesima 
poteva  creare  al  tracciato  della  progettata  ferrovia  Ponte  Sta  Venere-Avellino  che 
la  deve  percorrere.  Oltrecciò  restava  dubbio  sulla  solidità  del  fondo  e fianchi  della 
valle  per  rimpianto  d’una  diga  così  colossale.  Quel  fondo  è costituito  prevalen- 
temente di  arenarie  eoceniche  alternanti  ad  argille  e se  la  proporzione  di  queste 
fosse  alquanto  grande,  l’opera  certo  potrebbe  pericolare.  Venne  quindi  deciso  di 
praticare  nel  sito  progettato  sufficienti  scandagli  con  trincee  e pozzi,  di  cui  taluno 
di  oltre  20  metri.  * 


1 Questi  lavori  di  scandaglio  benché  fatti  con  molta  economia  costarono  L.  7705.  Essi  vennero  pagati  come  i 

pozzi  del  Tavoliere  (L.  2275)  ed  altri  diversi,  sopra  un  fondo  speciale  accordato  dalla  Legge  28  giugno  1885  per 

gli  studi  idrografici  affidati  al  Ministero  di  agricoltura,  industria  e commercio. 


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Questi  lavori  vennero  eseguiti  sotto  la  sorveglianza  dell’aiutante  Cassetti,  es- 
sendo l’ing.  Cortese  partito  allora  pel  Madagascar.  Essi  erano  finiti  ai  primi  di 
marzo  e vennero  visitati  da  una  Commissione  composta  degli  ingegneri  Zoppi, 
Baldacci,  ed  uno  del  Genio  Civile.  Il  loro  rapporto  constatava  la  presenza  di  molti 
banchi  o lenti  argillose,  anche  di  più  che  un  metro  di  potenza,  oltre  che  la  sponda 
sinistra  era  in  parte  costituita  da  una  frana  assai  profonda  cui  la  folta  bo- 
scaglia mascherava.  Simile  costituzione  della  stretta  pur  troppo  non  era  favore- 
vole, onde  venne  deciso  che  volendosi  tuttavia  costrurre  ivi  un  serbatoio,  l’altezza 
della  diga  s’avesse  a ribassare  notevolmente.  E diverse  considerazioni,  oltre  alle 
geologiche,  quella  principalmente  relativa  al  passaggio  della  succitata  ferrovia  Ponte 
Sta  Yenere-Avellino,  indussero  a ridurre  quell’altezza  a 25  metri.  Con  ciò  pur- 
troppo il  volume  del  serbatoio  veniva  ridotto  a meno  di  20  milioni,  onde  rimar- 
rebbe esclusa,  od  almeno  molto  scarsa  l’ irrigazione.  Però  con  tal  volume  po- 
trebbero tuttavia  provvedersi  ampiamente  le  provincie  pugliesi,  ora  così  siti- 
bonde, dell'acqua  per  gli  usi  comuni.  E questo  sarebbe  tuttavia  un  grande  benefìzio 
ove  non  vi  fosse  obbiezione  per  la  qualità  dell’acqua  stessa,  almeno  durante  le 
siccità  estive,  e per  gli  scoli  di  alcuni  popolosi  abitati  che  trovansi  nei  versanti 
superiori  al  serbatoio.  Veramente  le  acque  di  questa  vallata  che  attraversano 
terreni  terziari  ricchi  di  marne  piuttosto  salifere,  possono  contenere  in  tempi  di 
magra  una  certa  dose  di  solfato  di  calce  e di  sali  amari,  oltre  poi  ai  succennati 
scoli.  Quella  dose  di  sali  potea  ritenersi  di  niun  effetto  nel  caso  del  grande 
serbatoio  prima  progettato,  mentre  potrebbe  forse  riuscire  di  effetto  non  intera- 
mente insensibile  nel  caso  del  serbatoio  ridotto  ed  in  epoche  almeno  di  straordi- 
narie siccità.  Alcune  analisi  si  fecero  fare,  ma  la  raccolta  dei  campioni  di  acque 
non  potè  farsi  a dovere.  La  questione  adunque  della  qualità  va  ancora  studiata 
ed  accuratamente  con  nuove  analisi  ben  fatte  nella  prossima  state  del  1888. 

E simile  questione  va  studiata  parallelamente  ad  un  progetto,  già  antico,  ma 
stato  riproposto  sotto  forma  concreta  dall’  ing.  Zampari,  già  del  Corpo  delle  mi- 
niere ed  ora  privato,  che  consiste  in  derivare  una  parte  delle  copiose  sorgenti  di 
Capo  Seie  che  sgorgano  sul  versante  tirreno  e con  un  traforo  dell’  Appennino 
presso  Conza  girarle  nell’alto  della  valle  stessa  dell’  Ofanto,  di  dove  poi  si  può 
facilmente  diramare  a tutte  le  Puglie.  Se  la  diversione  di  queste  acque  dall’  uno 
all’altro  versante  sarà  concessa,  e salva  la  difficoltà  della  spesa  che  sarebbe  in- 
gente, simile  progetto  provvederebbe  molto  bene  per  lo  meno  all’acqua  potabile, 
onde  per  questa  sarebbe  allora  inutile  altro  studio  ; ed  è ciò  che  delle  pratiche 
ora  in  corso  mostreranno.  Prima  però  di  abbandonare  l’Ofanto  conviene  dire  che 
quando  i succitati  scandagli  a Monticchio  indussero  a diminuire  di  tanto  la  capa- 
cità del  serbatoio  e rinunciare  perciò  alla  irrigazione,  venne  ancora  studiato  assai 
dagli  ingegneri  delle  miniere  se  non  fosse  possibile  il  provvedervi  con  altri  ser- 


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batoi,  benché  di  minore  capacità,  costruiti  nella  vallata  stessa,  sia  a monte 
che  a valle  di  Monticchio  ; e di  alcuno  di  essi  faceasi  lo  schema  dall’ing.  Zoppi 
coll’aiutante  Perrone.  Però  la  costituzione  geologica  dei  terreni  terziari  più  o 
meno  arenacei  od  argillosi  che  predominano  in  quella  vallata  sino  al  suo  sbocco 
a S.ta  Venere,  e le  indagini  fatte  in  proposito  daH’ing.  Baldacci  ed  altri,  come  pure 
l’intralcio  che  simili  serbatoi  creerebbero  alla  menzionata  ferrovia  S.taVenere- 
Avellino,  fecero  rinunciare  all’idea  di  proporli.  Cosicché  alfine  si  sarebbe  oggidì 
ridotti  a progettare  quello  soltanto  di  Monticchio,  ridotto  ad  una  ritenuta  di  25  metri, 
e con  la  riserva  ancora  relativa  alla  qualità  delle  acque  ; sul  quale  argomento, 
come  fu  avvertito,  dovranno  ancora  farsi  indagini  alquanto  approfondite. 

In  Sicilia,  come  è detto  nella  relazione  dello  scorso  anno,  l’ing.  Travaglia, 
che  aveva  molto  lavorato  alla  Carta  geologica  dell’isola,  incaricato  di  concretare 
gli  studi  idrografici  sui  serbatoi  possibili,  avea  presentato  un  progetto  corredato 
di  grande  atlante  per  10  serbatoi,  di  cui  6 sul  Simeto  e suo  confluente  da  servire 
per  la  piana  di  Catania,  2 sull’Anapo  per  V Agro  Siracusano,  1 sul  Gela  per  la 
piana  di  Terranova  ed  1 suIlTmera  o Salso  meridionale  per  la  piana  di  Licata. 
Il  volume  totale  era  assai  grande,  cioè  di  quasi  500  milioni  di  m3;  ma  restava  anche 
qui  da  fare  indagini  sulla  natura  del  terreno  su  cui  doveansi  fondare  le  dighe, 
indagini  che  non  potevano  allora  eseguirsi  per  la  spesa  notevolissima  in  certe  loca- 
lità necessaria,  nonché  per  il  tempo  a ciò  occorrente.  Oltre  ciò  eravi  qualche 
dubbio  sulla  quantità  dell’acqua  di  pioggia  da  potersi  realmente  raccogliere,  come 
infine  sulla  possibilità  di  smaltirla  alle  terre  con  benefizio.  Riguardo  al  primo 
soggetto,  della  natura  cioè  e solidità  del  terreno,  venne  poi  fatta  nell’  aprile  al- 
tra visita  dallo  stesso  ing.  Travaglia  unitamente  all’ing.  Baldacci,  constatando 
come  il  terreno,  in  parte  di  buone  arenarie,  in  parte  di  argille,  ed  infine  di  lave,  pre- 
sentava per  alcune  delle  dighe  qualche  difficoltà  ; onde  si  proposero  alcune  riduzioni 
sia  nel  numero  dei  serbatoi  che  nell’  altezza  della  diga.  Diversi  altri  mutamenti  si  fe- 
cero ancora  ai  primitivi  progetti  dietro  le  succennate  considerazioni  concernenti  la 
pioggia  ; onde  in  complesso  sui  10  serbatoi  stati  studiati  non  si  proporrebbe  per 
ora  la  esecuzione  immediata  che  di  alcuni  di  essi  nelle  località  più  opportune,  e che 
sarebbero  i seguenti.  Per  la  piana  di  Catania,  invece  di  sei,  se  ne  farebbero  tre  soli 
aventi  la  complessiva  capacità  di  circa  200  milioni  di  m5.  I due  serbatoi  sull’  Anapo 
per  l’ Agro  Siracusano,  con  capacità  complessiva  di  un  50  milioni  di  m3  esigerebbero 
dighe  di  circa  50  metri  e quindi  un  po’  eccessive,  però  bene  fondate  sovra  buoni 
calcari  marnosi.  Per  la  pianura  di  Terranova  si  provvederebbe  1’  acqua  con  un 
serbatoio  di  24  milioni  di  capacità,  elevando  sul  fiume  Gela  una  diga  di  30  metri, 
la  quale  troverebbe  discreta  fondazione  su  grossi  banchi  di  gesso  e di  tripoli.  Per 
la  pianura  di  Licata  infine  si  progettava  un  serbatoio  di  oltre  60  milioni  di  m3,  di 
cui  però  solo  una  parte  si  può  bene  utilizzare,  e ciò  mediante  una  diga  di  35 


metri,  fondata  su  terreno  simile  al  precedente.  — In  complesso  i serbatoi  che  per 
ora  si  potrebbero  con  qualche  convenienza  proporre  in  Sicilia,  avrebbero  un  vo- 
lume di  oltre  300  milioni  di  m3,  capaci  di  fornire  irrigazione  a 20  o 25  000  ettari. 
Però  vi  sono  delie  riserve  a fare  relative  alla  convenienza  agricola  e finanziaria 
del  problema,  questione  indipendente  dal  problema  tecnico  geologico,  e che  an- 
drebbe ancora  studiato  da  persone  competenti. 

Quanto  alla  Sardegna  già  venne  esposto  nella  relazione  dell’anno  scorso  lo 
studio  fatto  dagli  ingegneri  Zoppi,  Mazzetti  e De  Castro  di  una  serie  di  serbatoi 
per  l’irrigazione  dei  Campidani  di  Cagliari  e di  Oristano. 

Fra  i serbatoi  studiati  nel  detto  anno  1887,  alcuni  minori  se  ne  possono  ancora 
menzionare*  Uno  sarebbe  sul  torrente  Calopinace  in  Calabria  per  provvista  di  acque 
potabili  a Reggio,  ed  una  bellissima  stretta  in  roccia  granitica  molto  opportuna- 
mente vi  si  presterebbe.  Questo  serbatoio,  ed  alcun  altro  nell’Italia  centrale,  fu 
studiato  dall’  ing.  Zoppi  con  l’aiutante  Perrone. 

Uno  infine  ne  veniva  studiato  sul  torrente  Majano  per  alimentare  l’attuale 
scarso  acquedotto  della  città  di  Grosseto,  ove  per  la  parte  geognostica  collabo- 
rarono  gli  ingegneri  Giordano  e Lotti.  — Lo  stesso  Lotti  faceva  qualche  studio 
teorico  sulle  acque  sotterranee  di  Firenze  di  cui  un  sunto  fu  pubblicato  nel  Bol- 
lettino geologico. 

Finalmente  un  interessante  studio  venne  eseguito  dall’ing.  Baldacci,  d’accordo 
coll’ing.  Zoppi,  sulla  possibilità  di  ottenére  acque  assai  copiose  dai  pozzi  che  si 
potrebbero  aprire  nel  territorio  di  Lecce,  attingendo  ivi  una  vasta  lama  acquifera 
che  deve  esistere  nel  terreno  cretacico  a pochi  metri  sul  livello  del  mare. 

E lo  stesso  ing.  Zoppi,  che  è ora  a capo  della  Divisione  idraulica  al  Ministero, 
oltre  agli  studi  sul  terreno  da  lui  fatti,  ebbe  sempre  ad  occuparsi  della  raccolta 
e controllo  degli  studi  eseguiti  tratto  tratto  dai  diversi  geologi,  onde  preparare 
gli  elementi  sui  quali  l’Ispettore  Capo  delle  miniere  deve  compilare  i rappòrti  da 
presentare  alla  Commissione  idraulica. 

Dal  complesso  di  tanti  studi  geognostico-idrografici  per  la  creazione  di  ser- 
batoi in  quei  punti  ove  le  Carte  topografiche  indicavano  una  stretta  adatta  all’uopo, 
risultava  dunque  che  oltre  la  metà  dei  progetti  dovette  poi  venire  scartato  quando 
si  venne  allo  studio  geologico.  Intanto  si  credette  opportuno  dare  così  un  som- 
mario resoconto  di  simili  studi,  in  quanto  i medesimi  occuparono  molto  tempo  ai 
nostri  geologi. 

E qui  non  è fuor  di  proposito  informare  che  negli  Stati  Uniti  del  Nord-Ame- 
rica,  un  consimile  incarico,  ma  più  vasto,  venne  affidato  al  geological  Survey  per 
tentare  l’ irrigazione  con  serbatoi  di  vastissime  terre  ora  aride,  lungo  le  montagne 
rocciose  dal  Canada  sino  al  Messico,  ove  le  medesime  occupano  almeno  300  mi- 
lioni di  ettari. 


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Sarebbe  ancora  dà  menzionare  in  connessione  ai  suddetti  nostri  studii  geo- 
gnostico-idrografici/  quelli  della  commissione  nominata  nel  1886  per  la  regolazione 
dei  torrenti  cercando  di  diminuire  i danni  delle  loro  alluvioni,  ma  diverse  cause 
ne  limitarono  in  quest’anno  il  lavoro,  il  quale  sperasi,  sarà  maggiormente  avanzato 
nell’anno  prossimo. 

Nota  sul  servizio  geodinamico.  — Nella  relazione  dello  scorso  anno  già 
veniva  annunciato  come  il  servizio  geodinamico  fosse  stato  provvisoriamente  affi- 
dato ad  una  speciale  commissione  istituita  con  R.  Decreto  del  20  dicembre  1883, 
la  quale  dovea  proporre  il  nuovo  ordinamento  del  servizio  stesso  con  estensione 
a tutta  l’Italia.  E già  erasi  nel  frattempo  statuito  per  la  costruzione  di  alcuni 
osservatori  geodinamici  principali  nelle  provincie  meridionali,  cioè  sull’Etna,,  nel- 
l’ isola  d’Ischia  ed  a Rocca  di  Papa  presso  Roma.  In  tre  sedute  che  si  tennero 
1’  8,  9,  10  gennaio,  il  prof.  Taramelli  relatore  facea  le  sue  proposte  per  il  resto 
dell’Italia  continentale  ed  il  prof.  Silvestri  per  la  Sicilia.  Venne  proposta  la  crea- 
zione di  altri  osservatorii  di  diversa  importanza,  però  profittando  a scopo  di  eco- 
nomia degli  osservatorii  meteorologici  già  esistenti,  ed  in  quanto  possibile  del  loro 
personale.  Osservatorii  principali  dovevano  stabilirsi  per  ora  a Firenze,  Pavia,  Ve- 
rona; oltre  poi  ad  un  certo  numero  di  altri  di  secondo  ordine,  non  che  di  semplici 
stazioni  in  molti  punti  del  territorio  opportunamente  scelti.  Altre  proposte  con- 
cernevano l’organamento  del  servizio.  Questo  schema  sottoposto  al  Ministero  do- 
vrebbe  avere  attuazione  gradatamente  ed  a seconda  delle  allocazioni  in  bilancio, 
le  quali,  stante  la  succennata  combinazione  col  servizio  meteorologico,  non  avreb- 
bero ad  essere  molto  gravi. 

Il  terremoto  intanto  che  nel  febbraio  1887  scosse  la  Liguria,  richiamò  l’atten- 
zione  sugli  osservatorii  che  si  avrebbero  da  attivare  in  quella  regione,  e provocò 
importanti  studi  specialmente  dei  prof.  Taramelli,  Mercalli  ed  Issel. 

Il  Ministero,  dopo  ponderate  le  proposte  della  suddetta  commissione,  promoveva 
il  R.  Decreto  9 giugno  1887  col  quale,  sciolto  il  Consiglio  direttivo  di  meteorologia 
del  1876  e la  Commissione  geodinamica  del  1883,  veniva  ora  istituito  un  Consiglio 
direttivo  di  meteorologia  e geodinamica  composto  di  12  membri,  rappresentanti 
i ministeri  di  Agricoltura,  industria  e commercio,  dei  Lavori  pubblici,  della  Ma- 
rina e dell’Istruzione  pubblica.  Ne  fa  parte  il  Direttore  dell’  osservatorio  centrale 
di  meteorologia  e vi  è fra  i membri  un  Ispettore  delle  miniere.  Il  Consiglio  è 
alla  diretta  dipendenza  del  ministero  di  Agricoltura,  industria  e commercio. 

Con  tale  provvedimento  il  servizio  geodinamico  veniva  riunito  al  meteorologico, 
facendo  in  molte  località  profittare  il  primo  degli  osservatorii  e del  personale 
del  secondo,  essendovi  d’altronde  una  certa  analogia  fra  i due  generi  di  osserva- 
zioni. I particolari  del  servizio  riunito,  vennero  poi  studiati  e stabiliti  dal  nuovo 

3 


34  — 


Consiglio  in  varie  sedute  che  ebbero  luogo  dal  18  al  22  dicembre.  Nelle  medesime 
furono  classificati  i diversi  osservatorii  e stazioni  per  la  geodinamica  secondo  le 
proposte  dell’antica  Commissione  e venne  stabilito  l’organismo  del  servizio  riunito 
alla  dipendenza  del  suddetto  Osservatorio  meteorologico  centrale  di  Roma.  In  questo 
nuovo  organismo  la  geodinamica  costituisce  una  sezione  speciale,  e viene  tuttavia 
conservato  in  Roma,  sotto  la  direzione  del  prof.  De  Rossi,  l’Archivio  centrale  geo- 
dinamico prima  da  lui  fondato.  Quanto  alle  pubblicazioni,  le  medesime  avrebbero 
luogo  nel  Bollettino  medesimo  della  meteorologia,  ma  pure  in  speciale  sezione. 

Lavori  speciali  di  geodinamica  non  vennero  in  quest’anno  eseguiti  dai  nostri 
geologi  come  erasi  fatto  nel  1883-84  in  seguito  al  disastro  d’Ischia.  Per  quello  di 
Liguria  vennero  incaricati,  come  dicevasi,  dello  esame  delle  località  i prof.  Taramelli, 
Mercalli,  e Issel,  i quali  visitarono  i siti  del  disastro  e scrissero  in  proposito  im- 
portanti note.  Più  tardi  però  l’ing.  Cortese  scrisse  sul  terremoto  di  Bisignano  in 
Calabria  avvenuto  il  3 dicembre  1887,  un  articolo  che  fu  poi  pubblicato  nella  suc- 
cennata  sezione  del  nuovo  Bollettino  per  il  servizio  riunito  della  meteorologia 
e geodinamica. 

Consiglio  superiore  dei  lavori  geodetici  dello  Stato.  — Nella  relazione  dello 
scorso  anno  già  veniva  annunciato  come  questo  Consiglio,  pel  quale  il  Comitato 
geologico  avea  più  volte  fatto  sollecitazione  al  Ministero,  venisse  effettivamente 
istituito  con  R.  Decreto  del  7 novembre  1886, 

Nel  decorso  1887  veniva  nominato  presidente  di  questo  Consiglio  il  generale 
A.  Ferrerò  direttore  dell’Istituto  geografico  e membro  nato  del  Comitato  geologico. 

Nella  stessa  relazione  dello  scorso  anno,  veniva  esposto  quali  fossero  le  carte 
topografiche  delle  quali  l’Ufficio  geologico  avea  maggior  premura  per  fare  la 
pubblicazione  dei  suoi  lavori  ; tra  le  quali  prima  era  la  Carta  generale  d’Italia 
al  1/500  000,  quindi  l’edizione  chiara,  ossia  con  la  sola  planimetria,  della  Carta 
all’1/100  000  di  varie  regioni  già  geologicamente  rilevate,  oltre  varie  altre  cui  ora 
è inutile  menzionare.  Parecchie  di  simili  carte  dovrebbero  venire  raccomandate 
alla  sollecitudine  del  nuovo  Consiglio. 

Stante  diverse  cause  di  ritardo  esso  Consiglio  non  potè  tuttavia  venire  riunito 
nel  1887  e solo  quindi  lo  sarà  nel  1888. 

Pubblicazioni  fatte.  — Nella  relazione  per  l’anno  precedente  1886  era  dato 
un  resoconto  dello  stato  delle  cose  riguardo  alle  nostre  pubblicazioni  di  Carte 
e Memorie,  con  la  relativa  spesa,  la  quale  computavasi  pel  detto  anno  in  83  370 
lire;  cifra  notevole,  la  quale  però  oltre  a lavori  diversi  comprendeva  il  saldo  della 
pubblicazione  precedentemente  fatta  di  un  lavoro  molto  importante,  cioè  la  Carta 
geologica  della  Sicilia  in  grande  scala  con  sezioni,  il  cui  ammontare  era  di 
lire  ,96  070. 


Per  l’anno  1887  si  avea  da  proseguire  nelle  diverse  pubblicazioni  già  votate 
dal  Comitato,  parte  però  delle  quali,  specialmente  in  fatto  di  carte,  non  potea 
essere  compiuta  che  dentro  il  susseguente  1888. 

Nel  1887  intanto  videro  la  luce  due  volumi  delle  Memorie  descrittive  della 
Carta  geologica  d’Italia  in  grande  scala.  Uno  era  il  Voi.  I contenente  la  descri- 
zione della  Sicilia  scritta  dall’ing.  Baldacci,  il  quale  ne  era  stato  incaricato.  Simile 
volume  che  accompagnava  la  Carta  geologica  dell’ispla  all’1/1 00  000,  in  28  fogli 
con  tavole  di  sezioni,  era  stato  da  varie  circostanze  ritardato. 

L’altro  era  il  Voi.  Ili  contenente  la  descrizione  speciale  delle  miniere  ferrifere 
dell’isola  d’Elba,  dell’ing.  Fabri. 

Il  Voi.  Il  di  tali  memorie,  contenente  la  descrizione  geologica  della  stessa  isola 
d’Elba  deH’ing.  Lotti,  già  era  escito  prima,  insieme  alla  Carta  dell’isola,  alle  due 
scale  di  1/50  000  e 1/25  000. 

La  stampa  dei  volumi  delle  Memorie  descrittive  è fatta  con  caratteri  speciali 
assai  distinti  e venne  eseguita  dalla  stessa  Tipografìa  Nazionale  che  pubblica  il 
Bollettino  geologico,  stabilitasi  ora  presso  l’Ospizio  di  S.  Michele  in  Trastevere. 

La  stampa  delle  Carte  e Sezioni  venne  eseguita  al  solito  stabilimento  cro- 
molitografico C.  Virano  in  Roma.  Il  medesimo  soffriva  negli  ultimi  tempi  una  crisi 
che  vi  recò  qualche  disturbo,  con  pericolo  della  buona  riuscita  delle  pubblicazioni. 
Per  parte  dell’Ufficio  geologico  la  difficoltà  venne  superata  mediante  continua  e 
talvolta  giornaliera  sorveglianza  sul  lavoro  dell’  officina.  Il  quale  compito  venne 
perfettamente  adempito  con  la  costante  solerzia  dall’ ingegnere  Sorniani,  che  dirige 
specialmente  il  ramo  cartografico. 

Non  starò  a rilevare  qui  il  valore  di  quelle  pubblicazioni,  sia  dal  lato  del 
merito  intrinseco  che  di  quello  tipografico,  essendo  il  medesimo  stato  abbastanza 
pregiato  dagli  intelligenti  tanto  d’Italia  che  dell’estero. 

Noterò  solo  che  in  testa  al  primo  volume,  col  quale  fu  iniziata  la  pubblicazione 
delle  Memorie  descrittive  della  Carta  geologica  in  grande  scala,  venne  posta  in 
caratteri  distinti  una  prefazione  nella  quale  si  rende  conto  del  concetto  e delle 
norme  con  cui  fu  iniziata  e si  esegue  tale  opera,  tanto  nel  rilevamento  sul  terreno 
quanto  nella  sua  pubblicazione. 

Fra  le  pubblicazioni  poi  si  può  ancora  citare  quella  del  Bollettino,  nell’ultimo 
fascicolo  del  quale  è inserito  un’articolo  dell’ ingegnere  Zaccagna  sulla  geologia 
delle  Alpi  occidentali,  con  carta  e varie  grandi  sezioni  geologiche  attraverso  la 
detta  catena  e quella  delle  Alpi  marittime.  Simile  articolo  corredato  delle  cennate 
sezioni  è di  grande  importanza,  contenendo  gli  elementi  più  recenti  ed  esatti  della 
geologia  di  quella  regione  alpina  che  fu  campo  di  tanti  problemi  e discussioni  fra 
i più  reputati  geologi,  mentre  le  carte  geologiche  che  se  ne  possiedono,  eziandio 
le  estere  più  recenti,  contengono  tuttavia  notevoli  errori  od  inesattezze.  Tale  arti- 


— 36  — . 


colo,  la  cui  pubblicazione  fu  molto  ritardata  dallo  stato  di  salute  dell’autore,  pre- 
lude ad  una  pubblicazione  più  completa  su  quella  catena,  che  potrà  aver  luogo 
non  appena  sia  alquanto  più  avanzato  il  rilevamento  geologico  sulle  nuove  carte 
topografiche  in  grande  scala  che  da  poco  tempo  l’Istituto  geografico  ci  va  for- 
nendo. 

In  fatto  di  carte  in  corso  di  pubblicazione  van  citate  quelle  state  dal  Comitato 
decise  e che  sono  la  Carta  generale  d’Italia  in  piccola  scala,  cioè  al  1/1  000  000, 
e diversi  fogli  dei  dintorni  di  Roma  al  1/100  000,  oltre  a quella  della  città  e im- 
mediati dintorni  in  scala  maggiore. 

Simili  carte  vennero  preparate  nell’ Ufficio  geologico  e sono  attualmente  in 
lavoro  per  la  stampa  nello  stabilimento  Virano.  Quella  generale  d’ Italia  si  spera 
sarà  finita  per  il  Congresso  geologico  internazionale  che  si  aprirà  nel  prossimo 
autunno  in  Londra.  Veramente,  come  nella  relazione  dello  scorso  anno  cennavasi, 
erasi  sperato  di  poter  pubblicare  per  tale  occasione  non  solo  quella  carta  in  pic- 
cola scala,  ma  anche  quella  a scala  doppia,  cioè  del  1/500  000,  che  è la  scala 
stata  scelta  per  le  carte  d’insieme  dei  diversi  Stati;  ma  la  relativa  carta  coro- 
grafica non  venne  ancora  messa  fuori  dall’Istituto  geografico.  Ed  in  riguardo 
alla  Carta  topografica  al  1/100  000,  si  osserverà  come  non  essendo  ancora  stati 
pubblicati  i fogli  della  Toscana,  non  potè  pubblicarsi  la  Carta  geologica  a simile 
scala  delle  Alpi  Apuane,  già  da  parecchi  anni  rilevata.  E così  dicasi  per  altre 
regioni  d’Italia,  per  esempio  della  Calabria  di  cui  si  attende  tuttavia  la  carta 
topografica  in  edizione  chiara  con  la  semplice  planimetria,  la  sola  che  possa  ser- 
vire alla  pubblicazione  geologica. 

Personale  addetto  alla  Geologia.  — Anche  in  quest’anno  1887  non  avvenne 
molta  variazione  nel  personale,  tanto  del  Comitato  quanto  dell’ Ufficio  geologico. 
Si  aggiunse  soltanto  l’ingegnere  Novarese  che,  tornato  dagli  studi  in  Germania 
nel  marzo,  veniva  destinato  nel  maggio  successivo  al  lavoro  di  Calabria  insieme 
all’ingegnere  Aichino  sotto  la  direzione  dell’ingegnere  Cortese.  Essendo  però 
allora  assente  il  Cortese,  che  trovavasi  all’  isola  di  Madagascar,  la  sorveglianza 
al  rilevamento  veniva  esercitata  dall’ingegnere  Baldacci  sino  alla  fine  di  ottobre, 
epoca  in  cui  detto  ingegnere  Cortese  faceva  ritorno  da  quella  lontana  missione. 

Il  Comitato  teneva  la  sua  annuale  riunione  in  due  sedute  al  fine  di  maggio, 
e delle  materie  trattate  risulta  dal  verbale  delle  sedute  stesse  30  e 31  detto  mese, 
come  anche  dalla  lettera  con  cui  il  presidente  trasmetteva  simile  verbale  al  Mi- 
nistero, il  tutto  inserito  nel  Bollettino  geologico.  La  presidenza  veniva  questa  volta 
tenuta  dal  prof.  Capellini,  essendo  in  quell’epoca  il  presidente  Meneghini  trattenuto 
a Pisa  da  malattia. 

Il  Ministero  intanto  con  sua  lettera  avea  mossa  al  Comitato  la  questione  sulla 


— 37 


migliore  organizzazione  del  personale,  specialmente  se  più  o meno  giovasse  lo 
stabilire  degli  uffici  o centri  secondarii  nelle  provincie,  oltre  all’ Ufficio  centrale 
di  Roma;  sistema  che  del  resto  già  si  pratica,  per  es.  per  la  Calabria,  per  la 
Toscana  e in  parte  per  le  Alpi  occidentali.  Visto  però  l’assenza  del  presidente, 
e visto  che  al  momento  non  era  tuttavia  al  completo  il  personale  occorrente  pel 
servizio  geologico,  inquantochè  diversi  allievi  ingegneri  trovavansi  tuttora  agli 
studi  all’estero,  visto  infine  che  infrattanto  i lavori  procedevano  alacremente, 
procacciando  anche  giornaliera  esperienza  per  l’avvenire,  il  ff.  di  presidente  con- 
sigliava ed  il  Comitato  accettava  di  rimandare  il  trattamento  della  questione 
a più  opportuno  momento. 

Credo  utile  intanto  di  notare  come,  oltre  alle  utili  discussioni  sovra  sog- 
getti diversi  di  geologia  che  ebbero  luogo  nelle  sedute  del  Comitato  geologico 
non  che  nella  riunione  della  Società  geologica  in  Savona,  diverse  conferenze  si 
tennero  da  alcuni  fra  i geologi  nostri  per  discutere  sulle  difficoltà  insorte  durante 
i rilevamenti  geologici  e ciò  sovratutto  per  intendersi  con  quelli  distaccati  a Pisa 
ed  altrove.  E così  più  volte  gli  ingegneri  Baldacci,  Lotti,  Cortese,  Niccoli,  Maz- 
zuoli, Zaccagna,  dottor  Canavari  ed  altri  si  trovarono  assieme,  non  che  con  mem- 
bri del  Comitato,  a Genova,  a Firenze,  a Bologna  ed  infine  anche  a Carrara,  dove 
trovavasi  ammalato  l’ingegnere  Zaccagna  autore  di  importanti  studi  nell’Appen- 
nino  e nelle  Alpi.  Simili  riunioni  furono  della  massima  utilità  non  solo,  ma  ne- 
cessarie, e converrà  non  esserne  avaro  nell’avvenire. 

Per  finire  circa  al  personale  si  rammenterà  che  al  principio  del  1887  si  ave- 
vano agli  studi  all’estero  4 allievi  ingegneri;  di  cui  due,  V.  Sabatini  e S.  Franchi, 
all’Ecole  des  Mines  di  Parigi,  e due,  V.  Novarese  ed  E.  Monaco,  alla  Bergaka- 
demie  di  Berlino.  Il  Novarese,  dopo  un  certo  tirocinio  supplementare  di  petrografia 
fatto  in  Heidelberg,  tornava  in  Italia  e,  come  sovra  fu  detto,  veniva  nel  maggio 
applicato  alla  Carta  di  Calabria.  I due  allievi  di  Parigi  praticarono  diverse  eser- 
citazioni speciali,  tra  cui  lo  studio  petrografìco  delle  roccie  nel  laboratorio  del 
professor  Fouqué  al  Collège  de  France  e coll’uso  dei  più  perfezionati  microscopi 
moderni,  due  dei  quali  vennero  poi  acquistati  per  uso  del  nostro  Ufficio  geologico. 
Essi  fecero  anche,  sotto  la  guida  di  professori  della  scuola,  dei  viaggi  geologici,  tra 
cui  uno  nelle  Alpi  occidentali  ove  ebbero  ad  incontrarsi  cogli  ingegneri  Zaccagna 
e Mattirolo  che  colà  lavoravano  al  rilevamento.  All’  anno  nuovo  essi  dovevano 
fare  ritorno. 

L’ingegnere  Monaco  che  studiava  a Berlino,  giovane  di  ottima  presenza, 
purtroppo  quando  venne  l’epoca  delle  escursioni  geologiche  si  sentì  venire  meno 
la  salute;  e dopo  vario  tempo  di  prova  e di  visite  mediche,  dovette  rinunciare  alla 
carriera  lasciando  il  Corpo  delle  Miniere. 

A proposito  di  questo  caso  rincrescevolissimo  non  posso  a meno  di  notare 


la  difficoltà  che  si  trova  a reclutare'  per  il  servizio  geologico  un  personale,  che 
all’intelligenza,  buon  senso  ed  alacrità  riunisca  anche  la  resistenza  fìsica  indi- 
spensabile per  tale  servizio,  specialmente  in  tante  regioni  d’Italia  montuose,  poco 
abitate  e dove  sono  scarsi  i mezzi  della  vita.  L’apparenza  esterna  di  un  giovane  stu- 
dente ed  i certificati  medici,  purtroppo  non  bastano  a guarentirne  la  solidità  e già 
s’ebbero  parecchi  casi  di  individui  all’  apparenza  idonei,  ma  che  fra  non  molto 
tempo  decaddero  in  modo  da  non  poterne  più  far  conto  sicuro. 

Di  simili  fatti  e sue  conseguenze  conviene  tener  conto  nel  reclutare  il  per- 
sonale nuovo,  non  che  nella  distribuzione  di  quello  esistente  alle  varie  destina- 
zioni. 

Di  tale  argomento,  cioè  della  organizzazione  del  personale  verrà  a suo  luogo 
fatto  parola:  soltanto  si  è creduto  in  quest’occasione  far  cenno  della  difficoltà 
materiale  che  ad  un  completo  e stabile  ordinamento  del  personale  si  presenta  per 
la  qualità  e il  numero  del  personale  stesso,  di  cui  converrebbe  poter  disporre  e 
che  sovente  non  si  possiede. 

In  questa  occasione  intanto  si  rammenterà  che  per  il  ramo  della  paleontologia 
il  Comitato  tiene  a sua  disposizione  il  dottor  Mario  Canavari,  il  quale  già  da  9 anni, 
presta  buonissimo  servizio,  ma  non  vi  tiene  ancora  che  una  posizione  provvisoria 
cioè  di  straordinario.  Già  il  Comitato  raccomandò  altre  volte  al  Ministero  di  trovar 
modo  di  rendere  stabile  e regolare  la  sua  posizione;  ed  il  Ministero  tiene  ora 
presente  il  caso  per  la  prima  occasione  in  cui,  secondo  le  norme  amministrative, 
sia  ciò  possibile. 


Museo  geologico , locali  e collezioni.  — A misura  dell’avanzamento  dei  ri- 
lievi della  Carta  geologica  continuarono  a riceversi  e sistemarsi  le  collezioni  nel 
Museo  dell’Ufficio  geologico,  nel  quale  convenne  perciò  di  accrescere  in  propor- 
zione le  vetrine.  Una  parte  però  dei  campioni  raccolti  si  dovette  provvisoriamente 
lasciare  nei  subcentri  di  provincia  ove  lavorano  squadre  di  geologi,  come  Pisa, 
Torino  e Catanzaro,  per  venire  ivi  passati  ad  un  primo  studio,  e ridotti  al  numero 
necessario,  onde  non  ingombrare  inutilmente  i locali  del  suddetto  Museo  che  non 
sono  eccedenti. 

Nell’occasione  dello  scoprimento  della  facciata  del  Duomo  di  Firenze  avve- 
nuta nel  maggio,  venne  aperta  in  Firenze  una  Esposizione  regionale  di  materiali 
edilizii,  alla  quale  dovette  prendere  parte  il  Museo  geologico  e vi  mandò  una  mo- 
desta ma  sufficiente  collezione  dei  materiali  delle  provinole  toscane,  compresi  i 
marmi  delle  Alpi  Apuane. 

Del  resto  nessun  mutamento  avveniva  in  quest’anno  nelle  costruzioni  dell’edi- 
fìzio  della  Vittoria,  salvo  che  al  primo  piano,  presso  alle  sale  ove  si  raduna  il  Co- 
mitato e dove  stanno  esposte  le  nostre  Carte  geologiche,  due  sale  in  cui  era  l’ar- 


— 39  — 


chivio  geodinamico  con  esposizione  di  disegni,  modelli  di  case  baraccate,  ed  altri 
oggetti  relativi  a terremoti,  vennero  tolte  al  servizio  geologico  formandone  labo- 
ratorio per  una  stazione  di  patologia  vegetale:  ciò  che  costrinse  a dare  ricetto 
al  suindicato  archivio  e suoi  accessorii  in  altre  sale  prima  addette  al  Museo  geo- 
logico. Quanto  occorra  e si  possa  fare  nel  prossimo  anno  in  fatto  di  locali  per 
collezioni  e di  laboratorio  sarà  esposto  più  sotto. 

Resoconto  delle  spese  dell'anno  1887.  — Sempre  seguitando,  per  le  ragioni 
esposte  nelle  Relazioni  degli  ultimi  anni,  il  sistema  di  suddividere  i lavori  e le 
spese  del  servizio  geologico  secondo  l’anno  solare  o civile  e non  secondo  l’anno 
finanziario  (da  luglio  a giugno)  si  riferisce  qui  il  resoconto  finale  pel  decorso 
anno  1887. 


Resoconto  delle  spese  dell’anno  1887. 

I.  Assegni  al  personale  : 

Per  un  paleontologo  (ora  pareggiato  ad  ingegnere  di  2a  classe).  . L.  3 500  — 

Onorario  a 4 ingegneri  di  3a  classe  (di  cui  3 agli  studi  all’  estero).  » 12  000  — 

Id.  ad  altri  2 ingegneri  (uno  solo  dal  1°  settembre,  l’altro  dal 

1°  novembre) » 1 500  — 

Due  disegnatori » 3 600  — 

U no  scrivano » 1 200  — 

Due  inservienti » 2 100  — 

L.  23  900  - L;  23  900  - 

II.  Indennità  di  campagna  e trasferte  diverse  : 

Rilevamento  in  grande  scala  (Campania,  Calabria,  Abbr  uzzi,  Toscana)  » 14  124,50 
Id.  in  piccola  scala  e ricognizioni  (Alpi-occidentali,  Ab- 

bruzzi,  Toscana)  . . . . » 12  082,60 

Id.  nella  vallata  del  Po  (Carta  geognostico-idrografìca).  . » 2 451,70 

Id.  speciale  nel  Carrarese  ed  Iglesiente » 981,55 

Escursioni  Ispettori  L.  601  65  — Viaggio  a Manchester  (prof.  Capel- 
lini) 1034  90 » 1 636,55 

Trasferte  membri  Comitato  per  le  adunanze.  » 678,80 

L.  31  955,70  » 31  955,70 

Ili.  Spese  d’ ufficio,  biblioteca,  (strumenti  e varie  : 

Oggetti  di  cancelleria,  posta,  trasporti  (compresi  gli  uffici  delle 

sezioni) » 3 091,35 

Provvista  di  carte  topografiche » 320,00 

Biblioteca  ed  archivio » 1 158,65 

Bussole  e altri  strumenti  di  campagna  . » 876,00 

L.  5 446  — » 5 446  — 

IV.  Pubblicazioni  diverse  (state  pagate)  : 

Tavole  di  grandi  sezioni  delle  Alpi-occidentali » 7 800  — 

Piccola  carta  geologica  che  accompagna  le  sezioni  (pel  Bollettino).  » 1 075  — 

Relazione  sulle  miniere  di  ferro  dell’Elba  dell’  ing.  Fabri,  — Testo  — 

(solo  200  copie  per  altre  600  avendo  pagato  il  Demanio)  ....  » 170,50 


Da  riportarsi , 


L.  9 045,50  L.  61  301,70 


— 40  — 


Riporto  . . . L.  9 045,50  L.  61  301,70 

Atlante  unito  alla  Relazione  (solo  200  copie)  . » 1 706,50 

Memoria  descrittiva  della  Sicilia  dell’  ingegnere  Baldacci  — Testo  — 

(1000  copie) 2 630,00 

Piccola  carta  geologica  e quadro  d’unione  uniti  a tale  memoria 

L.  1400  50  ; i frontispizi  pei  volumi  memorie  L.  120 » 1 520,50 

Bollettino  del  1887  — Testo  L.  2 362,50  ; estratti  L.  254,50  ; tavole 
L.  1 441.20  . * 4 058,20 

L.  18  96^,70  » 18  960,70 

NB.  Diverse  pubblicazioni  state  iniziate  non  furono  ancora  pagate 
perchè  non  ancora  compiute. 

V.  Carta  geologica  dell’Europa: 

Circolare  del  prof.  Capellini » 71,60 

Terzo  acconto  (di  1500  marchi)  per  100  copie  Carta,  pagati  a Berlino  » 1 875  — 

L 1 946,60  » 1 946,60 

VI.  Arredi  pel  museo  : 

Provvista  mobilio  nuovo  e riparazioni » 1 902  — 

Tènde  per  sala  grande  collezioni » 530  — 

L.  2 432  — » 2 432  — 


VII.  Spese  diverse  : 

Sussidio  alla  Società  geologica » 1 200  — 

Indennità  di  viaggio  per  3 ingegneri  all’estero  L.  1.500  — ed  altra 

per  un  ingegnere  allievo  (Mezzena)  — L.  1 200  » 2 700  — 

Compenso  al  paleontologo  (D.  Bucca)  per  lavori  speciali » 350  — 

Id.  ad  un  ingegnere  dell’Ufficio  geologico  per  sorveglianza 

pubblicazioni » 400  — 

Rimunerazioni  ad  un  aiuto  in  prova  (Leonardelli)  e ad  uno  scrivano  » 340  — 

Contributo  spese  analisi  terre  al  Comizio  Agrario  di  Pavia  ...»  333,33 

Rimborso  spese  analisi  laboratorio  Valentino  di  Torino » 72  — 

Concorso  spese  Esposizione  edilizia  di  Firenze.  » 273,27 

Assicurazione  al  fabbricato  dell’ufficio » 466,40 


L.  <3  135,00  » 6 135  — 

Totale  delle  spese  state  liquidate  e pagate  L.  90  776  — 

Restano  a compimento  dell’assegno  di  L.  160,800  per  spese  non  an- 
cora liquidate,  impegni  per  stampa  di  Carte  ed  altro » 70  024  — 


Totale  a pareggio  dell’assegno . . . L.  160  800,00 

Come  si  vede,  la  cifra  di  spese  che  si  possono  inserire  come  liquidate  nel 
resoconto  dell’anno  1887,  non  ammonterebbe  che  a poco  più  di  L.  90  000,  onde 
ne  rimarrebbero  oltre  70  000  ad  esaurire  l’assegno  attuale  che  è di  L.  160  800.  Questa 
notevole  somma  non  deve  però  considerarsi  tutta  come  una  economia,  poiché  una 
parte  notevole  venne  ritenuta  come  vincolata  per  pagare  diverse  pubblicazioni,  le 
quali  furono  iniziate  ma  non  poterono  avanzare  di  molto,  e solo  saranno  finite  e 
quindi  pagabili  nell’anno  prossimo.  Una  parte  però  di  tale  cifra  rappresenterebbe 
realmente  una  economia  ottenuta,  e questa  non  già  per  eccedenza  del  danaro  asse- 
gnato in  bilancio,  ma  perchè  si  vollero  e si  potevano  fare  risparmi  su  certi  rami 


— 41  — 


di  spesa,  oltre  a quelli  sulle  pubblicazioni,  cioè  principalmente  sulle  indennità  di 
trasferta.  — Infatti,  oltre  allo  aver  limitate  simili  indennità  dove  era  possibile 
farlo  senza  danno,  si  ebbe  la  circostanza  dei  molti  studi  idrografici,  pei  quali 
si  pagarono  le  escursioni  su  altro  capitolo,  non  chè  degli  studi  per  ferrovie  i 
quali  si  pagano  da  altro  dicastero.  Vi  furono  infine  altre  cause  che  permisero 
de’  risparmi,  come  le  lunghe  pioggie,  facilitazioni  sulle  ferrovie,  ed  altre  delle 
quali  si  profittò  ; cosicché  infine  si  avrebbe  una  certa  somma  disponibile  di  cui  si 
potrà  fare  uso  per  provvedere  a certi  lavori  molto  necessari,  come  sarà  detto 
più  sotto. 


Da  parsi  nel  1888. 


Già  sappiamo  come,  dovendosi  pei  lavori  di  rilevamento  seguire  il  piano  pre- 
ventivamente tracciato  e nei  decorsi  anni  mantenuto,  il  compito  per  il  prossimo 
anno  rimane  in  gran  parte  determinato,  dovendo  massimamente  consistere  nel 
proseguimento  del  lavoro  nelle  varie  zone  di  territorio  state  a suo  tempo  prescelte 
e che  sono  le  seguenti  : 

Regioni  dell’Italia  centrale  irradiando  da  Roma. 

Regioni  meridionali,  da  Napoli  sino  alla  estrema  Calabria  ed  all’Adriatico. 

Regione  toscana,  irradiando  da  Pisa  nelle  varie  direzioni  sino  al  Lazio,  al- 
l’Emilia ed  alla  Liguria. 

Regione  delle  Alpi  occidentali. 

Simile  distribuzione  del  lavoro  è giustificata  da  ragioni  complesse  già  più 
volte  esposte,  cioè  dalla  esigenza  di  un  regolare  rilevamento  delle  diverse  forma- 
zioni geologiche,  combinata  coi  mezzi  di  esecuzione,  quali  sono  l’ esistenza  delle 
carte  topografiche  necessarie  e la  quantità  e qualità  del  personale  disponibile. 
Malgrado  quanto  già  fu  detto  in  proposito  negli  anni  antecedenti  per  giustificare 
simile  distribuzione  del  lavoro  egli  è opportuno  ritornarvi  sopra  per  poco,  dacché 
negli  ultimi  tempi  diverse  circostanze  alquanto  mutarono. 

Ed  anzitutto  in  quanto  concerne  la  carta  topografica,  base  indispensabile  dei 
lavori  geologici,  lo  stato  di  avanzamento  tanto  della  sua  levata  che  della  sua 
pubblicazione,  indicata  nel  qui  unito  diagramma,  ci  da  ragione  della  suindicata 
distribuzione  dei  lavori  geologici.  La  levata  topografica  è compiuta  nella  parte 
meridionale  della  penisola  sino  poco  sopra  Roma,  ma  ivi  è interrotta  a poca  di- 
stanza al  Nord  della  capitale,  mancando  interamente  per  l’Umbria,  le  Marche  ecc. 
Tale  lacuna  reca  assai  grave  disturbo  al  rilevamento  geologico  dell’ Italia  centrale, 
perchè  lascia  incompleta  la  grande  zona  settentrionale  della  medesima  dove  sono 
meglio  sviluppate  le  formazioni  secondarie  che  ivi  formano  l’ossatura  dell’ Appen- 


— 42  — 


nino.  La  levata  topografica,  stata  qui  sospesa  fu  invece  portata,  principalmente 
per  motivi  strategici,  nelle  Alpi,  cominciando  dalle  occidentali,  per  avanzarla  quindi 
poco  a poco  nelle  lombarde  e poi  nelle  venete.  Simile  circostanza  contribuiva 
pure  a farci  portare  nelle  Alpi  occidentali  una  squadra  di  operatori  pel  rileva- 
mento geologico,  ciò  che  del  resto  rispondeva  ad  un  bisogno  da  noi  molto  sen- 
tito da  assai  tempo,  cioè  di  compiere  quanto  prima  la  geologia  di  quella  ardua 
regione  alpina,  ricca  di  problemi  scientifici,  nella  quale  già  eransi  esercitati  nei 
decorsi  anni  molti  geologi  italiani  ed  esteri  senza  averli  ancora  interamente  risolti. 
Ed  infatti  le.  carte  alpine,  sia  nostre  che  estere,  specialmente  le  francesi,  contene- 
vano tuttavia  non  poche  inesattezze.  Quest’  argomento  del  resto  può  vedersi  trattato 
nella  prefazione  ad  un  articolo  dell’  ing.  Zaccagna  sulle  Alpi  occidentali  che  trovasi 
nell’  ultimo  fascicolo  del  Bollettino  dell’  anno  1887. 

Un  altro  motivo  per  attaccare  senza  indugio  il  lavoro  nelle  Alpi  occidentali, 
era  l’ analogia  delle  loro  formazioni  geologiche'  cristalline  con  quelle  della  punta 
N.E  della  Sicilia  e della  Calabria  il  cui  rilevamento  è già  bene  avviato,  e la 
necessità  quindi  di  condurre  di  fronte  il  lavoro  delle  due  regioni  per  poterne  de- 
durre d’ accordo  la  geologica  classificazione  generale. 

Molta  influenza  poi  ebbe  ancora  sul  piano  dei  nostri  lavori  lo  stato  della 
pubblicazione  della  stessa  carta  topografica  al  1/100  000,  carta  che  è la  base  delle 
nostre  pubblicazioni.  Per  esempio  già  venne  assai  avanzata  la  pubblicazione  della 
mappa  al  1/100  000  delle  suddette  Alpi  occidentali,  e ciò  in  due  edizioni;  l’una  col 
solito  tratteggio  scuro,  1’  altra  chiara  con  la  sola  planimetria,  e che  è la  più  adatta 
alle  carte  geologiche.  La  medesima  invece  non  è ancora  fatta,  come  più  volte  dicevasi, 
per  altre  regioni  delle  quali  è da  molto  tempo  rilevata  la  geologia,  come  per  esempio 
di  una  gran  zona  della  Toscana,  specialmente  della  catena  delle  Alpi  Apuane.  Tale 
mappa  già  esiste  bensì  stampata  per  le  regioni  meridionali,  ma  essendo  ombreggiata 
da  forte  tratteggio  e con  luce  zenitale,  riesce  talmente  oscura  che  una  carta  geolo- 
guica  sulla  medesima,  su  certi  fogli  sovratutto  della  Calabria  e degli  Abruzzi,  può 
quasi  dirsi  impossibile.  Si  è da  più  anni  reclamato  per  avere  anche  per  tali  regioni 
l’ edizione  chiara  senza  tratteggio,  ma  occorrendo  perciò  il  rifare  i modelli  stati 
distrutti,  occorre  tempo  ed  una  spesa  che  l’Istituto  pare  non  abbia  ancora  potuto 
affrontare.  — Simile  stato  di  cose  dovea  naturalmente  influire  sull’  andamento 
delle  nostre  pubblicazioni  e quindi  pure  su  quello  del  rilevamento  che  deve  più 
o meno  da  vicino  precederle. 

Considerazioni  sulla  migliore  distribuzione  del  personale.  — Rammentate 
così  le  conseguenze  dello  esistere  o meno  le  carte  topografiche,  veniamo  ad  un  cenno 
sulla  distribuzione  del  personale.  — Nel  progetto  che  sino  dal  1880  fu  ventilato 
per  il  piano  dei  lavori,  in  relazione  anche  alla  somma  annualmente  disponibile 


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sul  bilancio,  veniva  ammesso  per  base  che  il  personale  dei  geologi  operatori, 
il  cui  numero  è l’elemento  fondamentale  di  tutti  gli  altri  lavori  e quindi  delle 
spese,  fosse  almeno  di  12  ingegneri  per  potere  ultimare  la  carta  in  un  tempo 
non  troppo  lungo,  seguendo  dappresso  la  pubblicazione  della  carta  topografica, 
la  quale  pubblicazione  avrebbe  luogo,  per  quanto  è dato  presumere,  poco  prima 
del  1900.  — Bene  inteso  che  insieme  agli  ingegneri  operatori  occorre  qualche 
subalterno  in  loro  aiuto,  nonché  qualche  paleontologo  e chimico;  e non  deve  poi 
dimenticarsi  come  peravere  un  dato  numero,  per  es.  12  operatori  effettivi  sul  ter- 
reno, sempre  occorrerebbe  qualche  individuo  in  più  per  riserva  onde  provvedere 
ai  vuoti  che  pur  troppo  si  fanno  frequenti  in  un  servizio  così  faticoso. 

Già  nello  scorso  anno  il  Ministero,  nell’ipotesi  che  il  suddetto  personale  fosse 
al  completo,  aveva  chiesto  al  Gomitato  un  parere  sul  miglior  modo  di  distribuirlo 
fra  l’ Ufficio  centrale  ed  il  territorio  da  rilevare,  e segnatamente  sulla  convenienza 
di  stabilire  in  punti  convenienti  del  territorio  stesso  degli  uffici  secondari  o sub- 
centri, come  già  ne  esistono  ora  alcuni,  per  esempio,  a Pisa  nella  regione  toscana 
e a Catanzaro  in  Calabria.  Nello  scorso  anno  però  diverse  circostanze  indussero  a 
sospendere  una  risposta  ai  Ministero,  tra  cui  quella  che  veramente  il  personale 
disponibile  non  era  tuttavia  al  completo,  essendovi  parecchi  allievi  ancora  all’  estero. 
Ora  questi  allievi  sono  tornati,  rimanendone  al  momento  uno  soltanto  in  Inghilterra; 
ma  pur  troppo  un  altro  che  era  da  due  anni  in  Germania  dovette  per  mancata 
salute  desistere  dal  servizio.  Il  personale  attualmente  addetto  alla  Carta  geologica 
sarebbe  ora  appunto  di  una  dozzina  di  ingegneri,  tre  aiutanti  ed  un  paleontologo.  1 

Nell’  Ufficio  geologico,  havvi  poi  ancora  qualche  altro  impiegato  per  lavori 
diversi,  non  che  qualche  disegnatore  e copista,  ma  pel  lavoro  geologico  vera- 


l Ecco  ora  il  quadro  del  personale  attuale  : 

Zezi  Pietro,  Ingegnere  capo  di  2a  classe.  Segretario  del  Comitato  e Capo  dell’Ufficio. 
Baldacci  Luigi  Ingegi 


Novarese  Vittorio 
Aichino  Orio  vanni 

Sabatini  Venturino  id.  3a  id. 

Franchi  Secondo  id.  3a  id. 

Mezzena  Elvino  id.  3a  id. 

Canavari  Mario  Paleontologo. 


Sorniani  Claudio 
Lotti  Bernardino 
Cortese  Emilio 
Zaccagna  Domenico 
Mattirolo  Ettore 
Viola  Carlo 


NB.  A rendere  questo  quadro  veramente  significativo 
circa  alla  entità  del  personale,  occorrerebbe  aggiungervi 
per  ogni  individuo  la  sua  età,  stato  di  salute,  e le  spe- 


. , ( lUiUdUA  V IO 

id.  ) 

id.  | All’estero. 


Tornati  ora  dall’estero. 


Fossen  Pietro  Aiutante  la  id. 


Cassetti  Michele  id.  la  id. 

Moderni  Pompeo  id.  2*  id. 


mente  detto  della  carta  solo  vale  il  personale  suindicato,  notando  poi  che  anche 
questo  non  tutto  è disponibile  per  ogni  genere  di  lavori,  specialmente  cpiei  più 
faticosi  di  campagna,  dovendosi  per  alcuni  individui  tener  conto  della  età,  della 
salute  più  o meno  deperita,  senza  contare  poi  della  varia  attitudine. 

Il  Comitato  potrà  esaminare  la  questione  per  una  risposta  al  succennato  que- 
sito del  Ministero  ; qui  si  esporranno  intanto,  alcune,  benché  ornai  viete,  considera- 
zioni sull’argomento,  di  cui  talune  suggerite  dalla  già  fatta  esperienza  di  più  anni. 

Due  sistemi,  come  sappiamo,  possono  seguirsi  circa  alla  distribuzione  del  perso- 
nale. Il  primo  consiste  nel  tenerlo  tutto  normalmente  applicato  all’ufficio  centrale, 
distaccandone  delle  squadre  o singoli  individui  a tempo  opportuno  per  rilevare  date 
regioni  o località.  Tale  sistema  conviene  sopratutto  nei  paesi,  che  come  quelli 
dell’  Europa  settentrionale  e media,  hanno  una  lunga  stagione  cattiva  inadatta  ai 
lavori  di  campagna  e durante  cui  il  personale  deve  rimanere  applicato  nell’  ufficio 
centrale  a lavori  di  tavolino,  come  sono  lo  studio  delle  proprie  collezioni,  redazione  di 
memorie,  e talvolta  anche  professare  un’  insegnamento.  Questo  sistema  ha  implicita- 
mente il  vantaggio  di  mantenere  il  personale  d’  ogni  categoria  per  assai  tempo 
in  relazione  reciproca  ed  a contatto  dei  superiori,  con  giovamento  all’  unità  di  con- 
cetto dei  lavori,  oltreché  di  mantenere  gli  individui  a corrente  degli  studi  scien- 
tifici professati  negli  istituti  di  una  capitale.  Ha  pure  il  vantaggio  della  comodità 
per  gli  individui  e loro  famiglie,  che  possono  così  avere  una  residenza  fissa  in 
una  capitale,  ove  eziandio  si  trovano  mezzi  di  educazione  pei  figli.  — Per  altro 
lato  il  sistema  porta  seco  una  certa  lentezza  nell’  avanzamento  del  lavoro,  limi- 
tato come  trovasi  al  tempo  di  buona  stagione  e talvolta  cagione  anche  maggiori 
spese  di  trasferta. 

Il  secondo  sistema  consiste  nello  avere  bensì  un’ufficio  centrale,  ove  risiede 
la  Direzione  e dove  si  raccolgono  i lavori  di  rilevamento  per  prepararne  la  pub- 
blicazione ; ma  per  quanto  concerne  esso  rilevamento  il  tenere,  come  si  cenno  poco 
sopra,  alcuni  uffici  secondari  opportunamente  scelti  nel  centro  di  determinate 
regioni  e dove  gli  operatori  distaccati  vi  tengono  la  ordinaria  residenza.  Essi  pos- 
sono così  utilizzare  molto  meglio  i periodi  di  bel  tempo  in  quelle  regioni  ove  il 
clima  è favorevole  in  diverse  stagioni  dell’  anno,  avanzando  così  più  rapidamente 
il  lavoro.  Tale  sistema  è pure  più  economico  per  le  trasferte,  diminuendosi  molto 
le  spese  di  accesso  e recesso  alle  residenze  le  quali  riescono  meno  lontane 
dal  campo  del  lavoro.  Occorrerebbe  però  che  quegli  uffici  secondari  potessero 
venire  stabiliti  in  città  di  qualche  importanza,  sia  per  i mezzi  di  vivere  che  per 
quelli  di  studio,  cioè  che  non  vi  manchi  qualche  museo,  laboratorio,  biblioteca, 
per  eseguirvi  di  tempo  in  tempo  gli  studi  che  devono  sempre  accompagnare  più 
o meno  quelli  di  campagna.  E contuttociò  sempre  ancora  gioverà  che  gli,  stessi 
operatori  di  simili  squadre  distaccate  vengano  chiamati  di  tempo  in  tempo 


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all’  ufficio  centrale  per  conferire  con  la  Direzione,  per  coordinare  i lavori  fatti 
con  quelli  di  altre  regioni  già  rilevate,  per  consegnare  le  collezioni  al  museo  cen- 
trale, e per  compiervi  all’  occorrenza  studi  ulteriori  sovratutto  di  roccie  e fossili. 

Ora  è da  osservare  come  il  territorio  dell’Italia  così  allungato  da  Nord  a Sud, 
quindi  con  regioni  di  clima  diverso,  e grandi  isole  nel  mezzogiorno,  non  bene  si 
presta  ad  uno  solo  dei  due  indicati  sistemi.  L’ Italia  superiore  è di  clima  analogo  al 
Nord  d’Europa,  dove  si  può  soltanto  lavorare  da  mezza  primavera  a mezzo  autunno, 
ed  ancora  in  modo  vario  secondo  le  località:  poiché  nelle  Alte  Alpi  per  esempio, 
è diffìcile  lavorare  salvo  per  tre  mesi  o poco  più,  ed  oltre  ciò  con  fatica  e spesa 
assai  notevole.  Ivi  pertanto  potrebbe  valere  il  primo  sistema  ; a meno  che  in  vista 
di  maggiore  comodità  e di  economia,  si  possano  stabilire  dei  subcentri  in  città 
piuttosto  importanti  e dotate  di  speciali  mezzi  di  studio  come  sono,  per  esempio, 
Pisa,  Bologna,  Torino  e Milano. 

Nell’  Italia  meridionale  invece  e nella  media,  almeno  sul  versante  Sud  del- 
l’Appennino,  come  anche  nelle  due  grandi  isole  di  Sicilia  e Sardegna,  il  clima,  non 
troppo  rigido  nell’  inverno,  permette  di  lavorare  interpolatamente  in  quasi  tutte  le 
stagioni,  e se  vi  è eccezione,  questa  ha  luogo  piuttosto  nei  forti  calori  estivi  o durante 
la  malaria,  che  non  per  rigore  di  stagione.  Riguardo  poi  alle  lunghe  pioggia, 
non  vi  è regola  fìssa  per  prevederne  un  po’  esattamente  l’ epoca,  onde  conviene 
adattarsi  alle  contingenze  delle  variabilità  del  clima.  In  simili  condizioni  giova  lo 
stabilire  dei  subcentri  prossimi  alle  regioni  da  rilevare,  i quali  permettano  di 
utilizzare  il  più  di  tempo  possibile.  Ed  infatti  con  tale  sistema,  come  già  la 
esperienza  dei  molti  lavori  eseguiti  ha  insegnato,  si  può  ottenere  un  rilevamento 
assai  rapido  ed  anche  economico,  purché  si  disponga  di  personale  attivo  e resistente. 

Quanto  ai  subcentri  da  scegliere,  alcuni  ve  ne  sono  molto  adattati,  come 
Pisa  per  esempio,  utile  per  tutta  la  regione  toscana,  non  che  per  parte  della  li- 
gure meridionale,  stante  la  comodità  della  ferrovia  tirrena.  L’esistenza  della  Uni- 
versità con  distinti  professori  ed  un  Museo  geologico  e paleontologico  dei  più 
ricchi  d’ Italia,  non  che  la  prossimità  di  regioni  classiche  per  la  loro  geologica 
costituzione  rendevano  questo  punto  l’uno  dei  più  opportuni,  e lo  averlo  avuto  da 
parecchi  anni  per  centro  di  una  sezione,  ossia  per  sede  di  un’uffìzio  secondario, 
permise  di  compiere  in  breve  tempo  dei  lavori  geologici  molto  importanti  come 
le  Alpi  Apuane,  l’Elba  ed  altri  assai  che  ora  non  sono  ancora  tutti  conosciuti.  Ed 
oltreciò  si  realizzava  notevole  economia  di  spese  di  trasferta  in  paragone,  con  la 
residenza  a Roma,  economia  che  per  un’operatore  alquanto  attivo  non  è in  com- 
plesso minore  di  L.  800  annue.  La  sezione  di  Pisa  esistendo  da  8 anni,  e con  tre 
operatori  di  cui  2 attivissimi,  si  sarebbe  realizzata  così  un’economia  se  non  di 
L.  18000  almeno  di  L.  15000. 

Roma,  come  centro  principale,  può  estendere  assai  la  sua  azione,  tanto  al  Nord 


che  ài.  Sud,  ed  in  quest’ultima  direzione  già  toccò  Napoli  dove  infatti  già  venne 
esteso  il  rilevamento.  Al  di  là  di  Napoli  le  distanze  d’accesso  e recesso  dalla 
capitale  divengono  ornai  troppo  grandi,  e converrà  scegliere  qualche  altro  subcentro. 
Per  l’estremità  della  penisola,  cioè  per  la  Calabria  già  vedemmo  come  un  sottocentro 
prima  stabilito  a Reggio  progredendo  il  lavoro  verso  Nord  già  venne  trasferito  a 
Catanzaro;  ma  fra  non  molto  anche  questa  città  sarà  incomoda  e converrà  trasfe- 
rirlo a Cosenza  od  a Castrovillari  benché  piccolo  centro  e lungi  dalla  ferrovia.  Dopo 
questo  punto,  e per  tutta  la  regione  sino  a Salerno  ed  all’Adriatico,  non  è facile 
trovare  degli  abitati  che  possano  servire  di  comodo  centro  per  un  certo  numero  d’anni. 
Le  sole  città  un  po’  convenienti  sarebbero  Salerno  sul  Tirrèno,  e Lecce,  Bari 
o Foggia  sull’Adriatico.  Non  deve  però  nascondersi  quanto  simile  peregrina- 
zione successiva  della  residenza  possa  riuscire  incomoda  e gravosa  ai  funzionari, 
onde  in  ogni  caso  converrebbe  risarcirli  con  qualche  equo  compenso,  il  quale  po- 
trebbe consistere  nel  considerarli  come  applicati  all’Ufficio  centrale  e perciò  con 
l’ indennità  di  soggiorno  accordata  ai  residenti  in  Roma.  Ciò  bene  inteso  senza 
pregiudizio  del  lavoro  sul  terreno  il  quale  andrebbe  sempre  continuato,  onde  do- 
vrebbe essere  obbligatoria  l’abituale  residenza  nel  sottocentro  della  sezione. 

Riguardo  alla  indennità  giornaliera  di  campagna,  detta  la  diaria  (che  è di 
L.  6 per  gli  aiutanti,  L.  7.  50  per  gli  ingegneri  ordinari  e di  L.  9 per  gli  ingegneri 
capi),  la  medesima  si  usa  pagarla  ai  residenti  nel  subcentro  della  sezione,  soltanto 
nei  giorni  di  lavoro  effettivo  in  campagna,  ciò  che  naturalmente  permette  .una  certa 
economia  ed  è appunto  uno  dei  vantaggi  di  avere  tali  sezioni  o subcentri.  Però  agli 
ingegneri  fungenti  da  capo-squadra,  ossia  capo-sezione,  occorrerebbe  qualche  ragio- 
nevole distinzione,  materiale  o morale  dai  dipendenti  talora  di  egual  grado  gerar- 
chico cui  essi  dirigono.  Ma  questi  sono  particolari  fìnanziarii,  ai  quali  qui  non  mi 
estendo  ed  a cui  dovrebbe  poi  provvedere  l’amministrazione,  applicando  il  più  retta- 
mente  possibile  determinate  norme  in  modo  che  il  personale  sia  equamente  trattato. 

Dopo  esposti  così  i due  sistemi  generali  possibili  di  riparto  del  lavoro,  con- 
viene però  aver  presente  che  diverse  circostanze,  come  sono  lo  scarso  numero  di 
provetti  geologici,  la  diversa  attitudine  scientifica  e fìsica,  talvolta  inattese  esigenze 
delle  amministrazioni,  ed  infine  tante  altre  circostanze  possono  rendere  impossibile 
od  inopportuna  l’applicazione  esclusiva,  anche  per  una  data  regione,  dell’uno  od 
altro  sistema,  come  anche  non  permettono  talvolta  la  formazione  di  squadra  d’ope- 
ratori in  tutto  complete.  In  simili  casi,  pur  frequenti  in  Italia  come  all’estero  si 
deve  fare  come  meglio  si  può  purché  l’essenziale,  cioè  il  lavoro  della  Carta,  pro- 
ceda bene  e rapidamente.  Si  è ciò  che  si  fece  più  d’una  volta  e con  buon  risultato. 

Dopo  tali  considerazioni,  visto  che  intanto  col  ritorno  degli  ultimi  ingegneri 
dall’  estero,  sarebbesi  ornai  prossimi  a possedere  il  personale  di  operatori  occor- 
rente ad  un  più  regolare  andamento  del  lavoro,  si  potrebbe  ora  prendere  qualche 


nuova  disposizione  in  proposito.  E nel  fatto,  istituendo  soltanto  una  nuova  sezione 
tra  la  Calabria  e Napoli  si  avrebbe  quanto  è concesso  di  fare  nelle  attuali  circo- 
stanze. Le  sezioni  distaccate  sarebbero  quindi  quelle  di  Calabria  (centro  per  ora 
Catanzaro),  delle  provincie  napolitane  intermedie  (centro  per  ora  Salerno),  della 
Toscana  (centro  per  ora  Pisa),  e delle  Alpi  occidentali  (centro  per  ora  Torino). 

La  distribuzione  del  lavoro  di  rilevamento  risulterebbe  quindi  quale  verrà  qui 
sotto  sommariamente  indicata,  con  il  personale  relativo. 

Lavori  nella  regione  centrale.  — Come  venne  avvertito  nella  prima  parte 
della  Relazione  il  lavoro  di  rilevamento  in  questa  regione  centrale,  che  ebbe  Roma 
per  punto  di  partenza,  essendo  stato  impedito  di  avanzare  verso  Nord  stante  la 
mancanza  della  carta  topografica,  si  fece  proseguire  al  Sud-Est  dove  già  raggiunse 
Napoli.  Il  medesimo  potrebbe  ancora  estendersi  in  tale  direzione  sino  circa  al  me- 
ridiano di  Foggia.  Ma  oltre  questo  la  distanza  da  Roma  sarebbe  troppa,  onde 
meglio  si  rileverebbe  da  un  altro  centro  da  stabilirsi  come  verrà  detto  qui  appresso. 

Quanto  al  personale  della  squadra  esso  sempre  ancora  consisterebbe  nell’  inge- 
gnere Zezi  coi  soli  due  aiutanti  Cassetti  e Moderni;  e ciò  senza  inconvenienti, 
poiché  in  buona  parte  del  territorio  di  questa  sezione  dominano  formazioni  vul- 
caniche o terziarie  od  altre  di  cui  tanto  l’ing.  Zezi  che  i suoi  subalterni  acquistarono 
pratica.  Per  certi  lembi  di  terreni  più  antichi  e più  difficili  assai  a riconoscere  si 
può  provvedere,  come  infatti  talvolta  si  fece  con  qualche  visita  dell’ing.  Baldacci 
od  altro,  già  pratico  pei  rilevamenti  altrove  fatti,  di  simili  formazioni.  In  quanto 
poi  a qualche  lavoro  a poca  distanza  dalla  città  può  concorrere  l’ing.  Sormani,  al 
quale  è peraltro  affidata  la  direzione  della  pubblicazione  delle  Carte,  ciò  che  esige 
continua  e minuta  sorveglianza. 

Regioni  meridionali.  — Si  intende  per  queste  la  gran  zona  della  penisola 
che  rimane  fra  quella  sopra  definita,  limitata  dal  meridiano  di  Foggia,  sino  all’e- 
strema Calabria  ed  alla  penisola  salentina.  Il  personale  da  destinare  al  rileva- 
mento di  queste  regioni  potrà  essere  composto  degli  ingegneri  Baldacci  e Cortese, 
come  ingegneri  direttori,  e degli  ingegneri  Aichino  e Novarese  già  ora  operanti  in 
Calabria,  più  degli  ingegneri  Viola  e Sabatini  da  destinare  a qualche  altra  zona. 
Questa  per  ora  potrebbe  essere  la  regione  tirrena  che  si  estende  da  Salerno  sino 
alle  provincie  calabresi.  Più  tardi  si  potrà  avanzare  man  mano  nell’  interno  verso 
l’Adriatico.  Questa  vasta  regione  meridionale  è una  di  quelle  dove,  come  già  ac- 
cennammo, non  esistono  centri  importanti  (se  si  eccettui  Napoli),  nei  quali  potere 
stabilire  i subcentri  od  uffici  secondari  in  comoda  situazione  per  il  rilevamento.  Que- 
sti subcentri  non  potranno  quindi  durare  se  non  poco  tempo,  dovendo  gradata- 
mente  traslocarsi.  Cosi  si  rammenterà  che  nelle  Calabrie,  prima  servì  Reggio, 


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ora  serve  Catanzaro,  e fra  un  anno  forse  Cosenza  o Castrovillari.  Per  il  rima- 
nente potrebbero  servire  Salerno,  Potenza  e Bari.  Naturalmente  questa  mobilità 
di  residenza  è una  difficoltà,  od  almeno  causa  di  incomodo  e spesa  non  lieve  agli 
operatori,  onde  converrebbe  in  qualche  modo  indennizzarli,  per  il  che  basterebbe, 
come  si  disse,  considerare  questo  personale  come  applicato  all’Ufficio  centrale. 

In  questi  paesi  meridionali,  oltre  al  rilevamento  regolare  e progressivo  della 
Carta,  hanvi  studi  speciali  da  curare,  come  sarebbero  quelli  relativi  a certe  impor- 
tanti formazioni  vulcaniche,  tra  cui,  per  esempio  il  Vesuvio,  che  sono  meritevoli 
di  molta  attenzione.  Su  queste  formazioni  abbiamo  già  diversi  lavori  avviati  da 
speciali  geologi  e che  forse  si  potrebbero  utilizzare. 

Regione  toscana.  — In  questa  regione,  con  centro  a Pisa,  seguiterebbero 
l’ing.  Lotti  ed  il  dott.  Canavari,  ed  in  certe  stagioni  dell’ anno  anche  l’ ing.  Zac- 
cagna.  Oltre  al  completare  il  rilevamento  in  grande  scala  delle  regioni  circostanti 
al  Fiorentino  ed  alla  Garfagnana,  per  le  quali  esiste  la  nuova  carta  topografica, 
vi  si  proseguirebbe  lo  studio  della  importante  questione  già  con  tanto  successo 
iniziata  lo  scorso  anno  e che  condusse  a diversi  cambiamenti  nella  Carta  geolo- 
gica della  Toscana,  modificandovi  i limiti  sin  qui  stabiliti  fra  i terreni  cretacico, 
eocenico  e miocenico,  nel  modo  che  venne  a suo  luogo  descritto.  Simile  riforma 
dovrà  forse  estendersi  ancora  a qualche  altra  parte,  ed  in  ogni  caso  potrà  venire 
portata  a maggior  perfezione  nelle  zone  ove  già  fu  introdotta. 

Havvi  poi  un  lavoro  importante  e che  ornai  più  non  conviene  ritardare,  av- 
viare cioè  la  pubblicazione  della  Carta  geologica  delle  Alpi  Apuane,  ed  anzi  di 
tutta  l’interessante  regione  che  comprende  le  più  antiche  formazioni  dal  golfo  di 
Spezia  sino  al  Monte  pisano,  regione  il  cui  rilevamento  venne  già  da  qualche  tempo 
eseguito.  Non  è il  caso  di  qui  ripetere  l’importanza  sia  scientifica  quanto  indu- 
striale di  simile  regione,  e già  si  sarebbe  potuto  pubblicare  almeno  la  generale 
geologia  ove  se  ne  fosse  avuta  la  carta  topografica  a scala  uniforme  del  1/100  000, 
la  quale  pur  troppo  ancora  non  esiste. 

Però  vi  è una  parte  di  quella  regione,  di  tutte  la  più  interessante  anche  al 
punto  di  vista  industriale,  in  grazia  della  sua  grande  produzione  di  marmi,  ed  è 
la  zona  centrale  che  comprende  i territori  di  Carrara,  Massa,  Serravezza,  la 
quale  meriterebbe  una  pubblicazione  non  solo  alla  suddetta  scala  generale  del 
1/100  000,  ma  a quella  maggiore  possibile.  Già  per  le  zone  più  ricche  di  cave 
trovasi,  come  sappiamo,  in  corso  di  rilevamento  una  Carta  speciale  in  grandissima 
scala  cioè  del  1/2  000  che  è una  vera  scala  censuaria,  stata  incominciata  pel 
territorio  di  Carrara  coll’opera  principalmente  degli  aiutanti  Fossen  e Tissi,  sotto 
la  direzione  dell’Ufficio  minerario  di  Firenze.  Ma  una  simile  Carta,  che  deve  ser- 


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vire  a diversi  scopi  e riuscirà  assai  grande,  non  potrebbe  ancora  pubblicarsi  oggidì 
e d’altronde  non  comprenderebbe  che  una  superficie  relativamente  piccola  della 
totale  regione  marmifera  delle  Apuane  sovra  menzionata.  Per  questa  regione,  come 
del  resto  per  tutta  la  catena  apuana,  occorrerebbe  una  carta  generale  in  scala 
conveniente,  che  potrebbe  essere  quella  della  levata  originale  dell’  Istituto  geografico 
cioè  il  1/25  000  con  curve  orizzontali,  carta  assai  adatta  allo  scopo.  Si  potrebbe 
incominciare  con  la  pubblicazione  delle  zone  che  più  interessano  per  i giacimenti 
marmiferi  e che  sono  nelle  tavolette  di  Monte  Sagro,  Vagli,  Monte  Altissimo, 
Massa,  Pietrasanta,  ecc. 

Per  procedere  poi  a tale  pubblicazione  occorrevano  tuttavia  alcuni  lavori  com- 
plementari al  rilevamento  della  catena  stato  già  eseguito  dall’ ingegneri  Lotti  e 
Zaccagna  qualche  anno  addietro,  occorreva  cioè  risolvere  anzitutto  certe  difficoltà 
scientifiche  sorte  dietro  la  scoperta  di  nuovi  fossili  fatta  dallo  Zaccagna  a Vinca 
e altro v'e  nelle  gran  zona  marmifera;  fossili  a facies  terziaria  inferiore,  mentre 
secondo  i rilievi  dello  Zaccagna  sarebbero  inclusi  nel  Trias.  La  questione  èssendo 
difficile  esigeva  anche  dal  paleontologo  Canavari  accurato  studio  dei  fossili  cui  in 
parte  dovè  compiere  a Monaco  e Vienna.  — Risolte  simili  difficoltà  occorre  di 
rilevare,  per  unirle  alla  Carta  geologica,  diverse  sezioni  o profili.  Una  parte  di 
questi,  già  vennero  rilevati  dallo  Zaccagna  nella  regione  elevata  settentrionale 
della  catena,  e sono  opera  paziente  di  molta  esattezza,  che  potrebbero  anche 
pubblicarsi  a parte  come  studio  speciale  interessantissimo.  Ma  ne  occorrono  altri 
ancora,  come  occorrono  vedute  panoramiche  e fotografìe  a corredo  della  impor- 
tante pubblicazione  su  quella  catena. 

Quanto  alla  Carta  marmifera  propriamente  detta  che  ora  si  rileva  dal  Fossen 
col  Tissi  pel  Carrarese  alla  grandissima  scala  di  1/2  000,  essa  sarebbe  oggetto 
di  una  futura  successiva  pubblicazione  con  la  descrizione  delle  masse  marmifere 
e altri  dati  interessanti  l’industria,  come  si  fece  per  le  miniere  ferrifere  dell’Elba. 
— Ma  di  ciò  vi  sarà  tempo  ad  occuparsi  in  appresso  e dopo  ultimato  il  rileva- 
mento sul  terreno.  — Per  ora  premerebbe  soltanto  di  cominciare  una  bella  copia 
della  suddetta  mappa  al  1/2  000  che  trovasi  nell’ufficio  del  Fossen  in  Carrara. 

Regione  delle  Alpi  occidentali.  — Di  questa  regione  e sua  importanza  già 
assai  risulta  da  quanto  più  volte  ed  anche  poco  sopra  ne  fu  detto.  Ora  ciò  che 
preme  è di  compiere  il  rilevamento,  già  nei  due  ultimi  anni  abbozzato,  di  un  certo 
numero  di  fogli  lungo  la  frontiera  dalle  Alpi  Marittime  sino  alle  Pennine,  deter- 
minandone così  esattamente  la  geognostica  costituzione.  Simile  lavoro  preme  anche 
assai,  perchè  i lavori  nostri  in  quella  regione  segnano  in  certe  parti  un  passo 
avanti  a quelli  fatti  oltr’ Alpe,  tanto  in  Francia  che  in  Svizzera  ed  Austria  ; onde  è 
necessario  mettere  ora  le  cose  in  sodo  e quanto  prima  pubblicarle  per  non  per- 

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dere  il  vantaggio  della  priorità.  — Preme  anche  ultimare  la  geologia  di  queste 
Alpi  occidentali  per  la  ragione  che  la  loro  geologica  costituzione  essendo  simile 
a quella  dell’estremità  della  penisola,  cioè  della  Calabria,  dove  è già  ben  avviato 
il  rilevamento,  importa  assai  alla  definitiva  classificazione  delle  nostre  più  antiche 
formazioni  che  lo  studio  di  tali  due  estremità  della  penisola  sia  fatto  contempo- 
raneamente. 

Questo  lavoro  assai  arduo  andrebbe  affidato  a chi  già  così  felicemente  lo 
iniziò,  cioè  all’ing.  Zaccagna  coadiuvato  però  dall’ing.  Mattirolo  che  negli  ultimi 
tempi  gli  fu  collega,  poiché  essendo  da  qualche  tempo  la  salute  del  primo  no- 
tevolmente alterata  non  gli  permetterà,  forse  così  presto,  di  lavorare  alacremente 
come  prima  in  quelle  difficili  località.  Intanto  avendosi  ora  disponibile  il  giovane 
ingegnere  S.  Franchi,  recentemente  tornato  dagli  studii  all’estero,  si  potrebbe 
applicare  a questa  stessa  squadra  dell’  ing.  Zaccagna,  la  quale  avrebbe  da  lavo- 
rare in  Piemonte  per  tutta  la  buona  stagione.  Cessata  questa,  e dovendo  allora 
l’ing.  Mattirolo  trasferirsi  a Roma  pel  laboratorio  che  si  ha  in  idea  di  costruirvi, 
si  prenderebbero  poi  opportune  disposizioni  per  1’  avvenire  secondo  le  circostanze. 

Tale  sarebbe  la  generale  distribuzione  dei  lavori  e del  personale,  almeno  per 
l’anno  prossimo,  distribuzione  comandata  dalle  condizioni  geologiche  delle  varie 
regioni  e dal  personale  disponibile. 


Insieme  ai  diversi  lavori  speciali  di  rilevamento  in  più  o meno  grande  scala, 
non  deve  perdersi  di  vista  la  necessità  di  perfezionare  sempre  più  la  Carta  gene- 
rale d’ Italia  in  piccola  scala.  Presto,  come  vedemmo,  si  dovrebbe  avere  pubblicata 
la  seconda  edizione  di  quella  al  1/1  000  000,  edizione  molto  migliorata;  ma  la  scala 
sua  e molto  piccola,  ed  ora  premerebbe  di  mettere  mano  alla  pubblicazione  di 
quella  a scala  doppia,  cioè  del  1/500  000  che  è la  convenuta  per  le  carte  d’ insieme 
d’uso  internazionale.  Per  noi  tale  pubblicazione  fu  sinora  impossibile  perchè  an- 
cora non  aveasi  dall’  Istituto  geografico  la  nuova  carta  che  da  gran  tempo  vi  sì 
preparava;  ma  abbiamo  ora  fiducia  che  nel  prossimo  1888  questa  carta  ci  sarà 
data  e quindi  si  potrà  sulla  medesima  tracciare  meglio  la  nostra  geologia  ge- 
nerale, riportandovi  il  risultato  dei  lavori  e tutti  i perfezionamenti  da  ottenersi 
all’uopo  con  apposite  ricognizioni. 


Carta  geognostico-idrograjìca  della  vallata  del  Po.  — Di  questo  lavoro, 
che  nel  decorso  anno  venne  iniziato,  e che,  come  vedemmo,  già  si  trova  discretamente 
avviato  nella  parte  superiore  della  pianura,  poco  vi  è da  dire  dopo  il  programma 
che  ne  venne  sopra  esposto.  Ora  non  resta  che  proseguirlo  alacremente  col 


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personale  sovra  indicato  stato  messo  a disposizione  del  prof.  Taramelli,  membro 
del  Comitato,  e con  raccordo  e la  cooperazione  dell’ Ufficio  geologico. 

Esplorazione  di  Massaua  ed  Assab.  — Già  da  qualche  tempo  da  varie  per- 
sone occupate  ai  lavori  di  vario  genere  cui  dà  luogo  l’occupazione  di  quella  costa 
africana,  si  ebbe  domanda  di  informazioni  sulla  geologica  sua  costituzione,  princi- 
palmente in  quanto  interessa  la  provvista  di  acqua,  non  che  di  certi  materiali  da 
costruzione.  Diversi  dati  di  fatto  si  possiedono  è vero  ottenuti  da  libri  di  viag- 
giatori che  visitarono  quelle  località,  nonché  dai  lavori  ultimamente  colà  eseguiti  ; 
ma  ornai  è desiderabile  un  qualche  studio  apposito  dell’Ufficio  geologico.  Sino  ad  ora 
la  precarietà  delle  condizionici  quei  luoghi,  e la  scarsità  del  nostro  personale  già 
troppo  impegnato  altrove,  non  permisero  di  occuparsene.  Però  nell’avvenire  e forse 
dentro  l’anno  stesso,  ove  nuove  e diffìcili  circostanze  non  sopravvengano,  sarebbe 
caso  di  delegarvi  alcuno  dei  nostri  più  attivi  ingegneri,  almeno  per  una  prima  ispezione. 

Pubblicazioni.  — Da  quanto  venne  a suo  luogo  riferito  circa  alle  nostre 
pubblicazioni,  bene  risulta,  senza  ulteriori  spiegazioni,  quali  si  possono  fare  nel  1888 
e che  sarebbero  le  seguenti: 

Carta  generale  d’Italia  in  piccola  scala  al  1/1  000  000  in  due  fogli  e da  tirare 
a gran  numero  di  copie,  dovendo  servire  a farne  smercio  e distribuzione  per  un 
certo  numero  ad  Istituti  e Congressi.  Questo  numero  dovrebbe  essere  almeno  di  3000. 

Carta  del  territorio  romano  e limitrofi,  alla  scala  normale  del  1/100  000 
partendo  dalla  capitale  come  centro  e irradiando  intorno  gradatamente.  — Per 
l’anno  prossimo  si  pubblicherebbero  intanto  i primi  sei  fogli  intorno  alla  città, 
che  sono  quelli  di  Roma,  Cerveteri,  Cori,  Civitavecchia,  Bracciano  e Palombara. 

Si  pubblicherebbe  inoltre  una  Carta  della  città  stessa  e dintorni  in  un  raggio 
di  circa  sette  chilom.,  alla  scala  quadrupla,  cioè  di  1/25  000  con  sezioni.  Questa 
Carta  è reclamata  non  meno  della  prima,  potendo  servire  anche  agli  usi  edilizi. 

Carta  geologica  delle  Alpi  Apuane  alla  scala  del  1/25  000.  — Secondo  le  spie- 
gazioni a suo  luogo  fornite,  questa  pubblicazione  cui  ora  preme  assai  per  diverse 
ragioni  di  non  più  ritardare,  potrà  incominciarsi  colle  tavolette  della  regione  cen- 
trale (Monte  Sagro,  Vagli  di  Sotto,  Monte  Altissimo,  Massa,  Pietrasanta,  Forte  dei 
Marmi)  che  contiene  le  zone  marmifere.  Insieme  a questa  carta  devono  pubbli- 
carsi le  interessanti  sezioni  geologiche  che  le  corredano. 

Carta  geologico-mineraria  della  regione  dell’  Iglesiente  in  Sardegna  al  1/50  000 
con  un’  atlante  di  29  tavole  ed  una  memoria  descrittiva  dell’  ing.  Zoppi.  Questo 
lavoro  è già  molto  avanzato. 

Finalmente  si  pubblicherebbero  le  due  memorie  paleontologiche  state  da  assai 
tempo  annunciate  : l’una  del  professore  Meneghini  sulla  fauna  paleozoica  dell’  Igle- 


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siente  che  Farebbe  appunto  il  complemento  scientifico  della  suddetta  opera  del- 
l’ing.  Zoppi,  ed  una  del  paleontologo  dott.  Canavari  sulla  fauna  del  Lias  inferiore 
della  Spezia.  — Questa  pubblicazione  paleontologica  sarebbe  fatta  nelle  Memorie 
in  gran  formato  (4°  grande)  di  cui  già  escivano  nel  1871  e 1873  i primi  due  vo- 
lumi, l e II,  in  Firenze  coi  tipi  Barbèra,  ed  il  III  era  iniziato  nel  1876  con  la  sua 
prima  parte,  ma  rimaneva  sin  da  allora  interrotto  per  ragioni  che  già  furono  altra 
volta  esposte.  Ed  ora  si  tratta  di  completare  questo  terzo  volume,  formandone  la 
seconda  parte  con  le  anzidette  due  memorie  paleontologiche.  Naturalmente  questa 
pubblicazione  andrebbe  fatta  dal  medesimo  editore  Barbèra  che  già  pubblicava  i 
volumi  precedenti. 

Quanto  alle  suddette  carte  geologiche,  le  medesime  devono  venire  pubblicate 
dal  solito  stabilimento  Virano  in  Roma,  col  quale  si  ha  il  contratto  del  1886  per 
l’ammontare  di  L,  150,000,  sulla  qual  somma  restano  ancora  a farsi  lavori  per  più 
di  un  terzo  della  medesima. 

Circa  alla  parte  scientifica  di  tali  pubblicazioni  non  è il  caso  di  estendersi 
ora  a spiegazioni,  le  quali  sarebbero  lunghissime  e d’altronde  si  vedranno  nelle 
Memorie  da  annettere  alle  Carte  stesse.  ; — Si  farà  solo  qui  un  breve  cenno  sulla 
Carta  generale  d’Italia  al  1/1  000  000,  la  quale  è opera  di  lena,  ed  anche  dal 
punto  di  vista  dell’esecuzione  artistica  è lavoro  di  certa  difficoltà,  onde  esigerà 
una  spesa  di  qualche  entità.  — Circa  alla  serie  dei  terreni  geologici  nella  mede- 
sima rappresentati,  si  è dovuto  naturalmente  limitare  il  numero  delle  suddivisioni 
in  riguardo  alla  piccolezza  della  scala,  onde  non  cadere  in  troppa  complicazione, 
e quindi  non  si  poterono  comprendere  tutte  quelle  state  raccomandate  nel  Con- 
gresso di  Berlino.  Così,  per  esempio,  non  venne  rappresentato  a parte  l’Oligocene, 
nè  separato  il  Lias  dal  Giurassico  ; però  si  farà  possibilmente  qualche  suddivisione 
nel  Trias,  specialmente  alpino  — Quanto  alla  leggenda  ed  alla  gamma  dei  colori 
si  mantengono  presso  a poco  quelle  della  prima  edizione  del  1881,  le  quali  dalla 
esperienza  ci  vennero  dimostrate  assai  convenienti  per  il  -nostro  territorio  e per 
la  scala  adottata  della  Carta,  mentre  non  conviene  avventurarsi  alle  novità  pro- 
gettate a Berlino. 

Si  noterà  infine  che  cadendo  nel  foglio  inferiore  di  questa  Carta  una  lunga 
zona  della  costa  settentrionale  dell’Africa,  e specialmente  della  Tunisia,  di  cui 
non  era  fatto  ancora,  nemmeno  dalla  Francia,  il  rilevamento  geologico,  si  ha  non 
poca  pena  a supplirvi  con  speciali  ricerche  ed  informazioni  che  debbonsi  racco- 
gliere da  varie  sorgenti,  onde  non  lasciarla  in  bianco,  ciò  che  sarebbe  una  lacuna 
poco  conveniente. 

Carta  geologica  dell'Europa.  — A questo  lavoro  stato  affidato  all’Istituto  geolo- 
gico di  Berlino  più  non  abbiamo  per  ora  da  contribuire  coll’opera  nostra  diretta,  e 


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cotìviene  attendere  per  do  meno  il  saggio  di  essa  Carta  che  quell’istituto  dovrebbe 
esporre  nel  prossimo  Congresso  di  Londra.  Sarebbe  certo  opportuno  per  noi  se 
nella  detta  Carta  si  fossero  potuti  introdurre  ancora  quei  certi  perfezionamenti  di 
classificazione  che  introducemmo  anche  ora  da  ultimo  nella  nostra  cartina  gene- 
rale al  1/1  000  000,  perfezionamenti  che  tuttavia  pochi  anni  fa  non  possedevamo 
quando  dovemmo  mandare  la  nostra  Carta  a Berlino;  ma  ormai  ciò  è impossibile, 
e d’altronde  questa  prima  edizione  non  dovrebbe  essere  che  un  saggio,  sovratutto 
in  vista  della  gamma  di  colori  da  adottare. 

Cènnerò  intanto  che  prima  del  Congresso  di  Londra  si  sarebbe  dovuto  con- 
vocare almeno  due  volte  il  Comitato  di  sorveglianza  della  suddetta  Carta  dell’Eu- 
ropa ; però  fin  ’ora  ciò  non  fu  fatto  e solo  potrebbe  aver  luogo  una  volta  prima 
della  estate,  ma  ormai  con  poco  o niun  effetto  su  di  ciò  che  a Berlino  sarà  infrat- 
tanto  stato  eseguito. 

Riguardo  al  contributo  pecuniario  cui  l’Italia  è tenuta,  e che  per  le  100  copie 
obbligatorie  è di  fr.  10  000,  riferimmo  sopra  come  sin’ora  si  pagassero  a Berlino 
fr.  7 500,  onde  solo  resterebbero  a pagare  altri  fr.  2 500.  Visto  l’appello  fatto 
tempo  fa  dalla  Direzione  per.  avere  dalle  varie  nazioni  un  anticipo  di  fondi  onde 
far  fronte  alle  notevoli  spese  che  intanto  la  Direzione  stessa  va  facendo,  osserverò 
che  per  mantenere  all’  Italia  quel  primato  che  ebbe  sempre  per  l’ incoraggiamento 
di  questa  scientifica  intrapresa  a partire  dal  Congresso  di  Bologna  nel  quale  venne 
proposta,  dato  che  si  avessero  fondi  disponibili,  sarebbe  di  convenienza  il  compiere 
all’occasione  del  Congresso  di  Londra  il  pagamento  di  tutta  la  nostra  quota,  me- 
diante i fr.  2 500  che  ancora  dobbiamo,  liberandoci  così  anche  da  questo  peso 
per  1’  avvenire. 

Al  proposito  però  dell’  obbligo  che  si  ha  con  la  Direzione  di  Berlino,  con- 
viene rammentare  come  oltre  all’impegno  obbligatorio  per  100  copie,  ossia  per 
fr.  10  000,  preso  dal  Ministero  di  Agricoltura,  Industria  e Commercio,  se  ne  prese 
poi  per  altre  200  copie  in  complesso  fra  diverse  amministrazioni,  ma  principal- 
mente dal  Ministero  di  Pubblica  Istruzione,  allo  scopo  di  fornirne  a suo  tempo  i 
principali  istituti  scientifici  e tecnici  del  Regno.  Queste  200  copie  però  non  si  ha 
obbligo  di  pagarle  che  ad  opera  finita,  ciò  che  non  avrà  probabilmente  luogo  se  non 
fra  parecchi  anni.  Intanto  il  suddetto  Ministero  già,  due  anni  or  sono,  anticipava  a 
quello  di  Agricoltura  in  due  volte  una  somma  di  lire  3 325  le  quali  furono  spedite 
a Berlino  e fanno  parte  delle  lire  7 500  fin’ora  colà  pagate.  Queste  cifre  si  ram- 
mentano qui  onde  averle  presenti  nella  liquidazione  che  a suo  tempo  occorresse 
fare  di  questa  partita  fra  i suaccennati  ministeri. 

Congresso  geologico  internazionale  di  Londra.  — La  riunione  di  questo  Con- 
gresso in  Londra,  dopo  un  triennio  da  quello  di  Berlino  del  1885,  già  venne  dal 
suo  Comitato  ordinatore  stabilito  pel  17  prossimo  settembre. 


Il  Comitato  ordinatore  venne  costituito  con  presidente  il  prof.  Prestwich,  vice- 
presidenti:  il  prof.  Hughes,  il  presidente  della  Società  geologica  ed  il  Diret- 
tore del  servizio  geologico  ; segretari  generali  Hulke  e Topley,  tesoriere  Rudler. 
Vi  sono  inoltre  molti  membri  onorari,  tra  cui  spiccano  notabilità  scientifiche  ed 
alti  funzionari,  ed  è presidente  onorario  il  prof.  Huxley. 

La  quota  d’iscrizione  a membro  è fissata  a 10  scellini.  Simile  contributo  deve 
servire  a ricoprire  le  spese,  poiché  in  Inghilterra  di  raro  il  governo  assegna  delle 
somme  a simili  scopi. 

Il  programma  del  Congresso  e segnatamente  delle  materie  da  trattarsi  nelle 
riunioni,  verrà  fissato  tenendo  presenti  le  decisioni  del  Congresso  di  Berlino  e le 
discussioni  preparatorie  della  Commissione  internazionale  per  l’unificazione  geolo- 
gica, riunitasi  nell’autunno  del  1887  in  Manchester  e della  quale  pubblicò  il  reso- 
conto il  suo  presidente  Capellini. 

Simile  Congresso  di  Londra  avrà  grande  importanza,  sovratutto  perchè  vi 
converranno  numerosi  i geologi  non  solo  dell’Inghilterra,  ma  probabilmente  anche 
del  Nord  America,  le  due  nazioni  più  sparse  sul  globo.  Cosicché  può  dirsi  che  le  deci- 
sioni le  quali  saranno  prese  a Londra  nel  1888  serviranno  forse  di  norma  princi- 
pale alla  geologia  internazionale  dell’avvenire. 

E sarà  certo  molto  opportuno  che  alcuni  dei  geologi  del  nostro  ufficio  non 
manchino  a tale  Congresso.  Alcuni  di  essi  erano  stati  a quello  di  Berlino,  e diversi 
per  loro  conto.  Per  andare  in  Inghilterra  il  sagrificio  sarebbe  forse  troppo  forte, 
e per  ciò  sarebbe  equo  che  venisse  accordato  un  giusto  sussidio  per  tale  scopo  a 
quelli  dei  quali  sarebbe  più  utile  l’intervento,  e sono  quelli  che  o non  furono  a 
Berlino,  o per  la  posizione  che  già  occupano  nel  servizio  geologico  potranno 
trarre  da  simile  viaggio  il  maggiore  profitto  a benefizio  del  servizio  stesso. 

Museo  geologico,  collezioni  e laboratorio.  — Coi  diversi  lavori  addizionali 
eseguiti  negli  ultimi  tre  anni  nella  parte  superiore  dell’edifizio  della  Vittoria  si  era 
guadagnato  qualche  spazio  per  le  collezioni,  ma  siccome  queste  andranno  gradual- 
mente crescendo  coll’avanzare  della  Carta  geologica,  cosi  di  già  nella  Relazione 
dello  scorso  anno  erasi  proposto  un  qualche  aumento  di  locale,  mediante  la  co- 
struzione di  una  galleria  al  livello  del  terrazzo  del  secondo  piano  che  riunisca,  dal 
lato  di  via  Santa  Susanna,  i due  bracci  esistenti  in  cui  stanno  le  collezioni  geologiche. 
Questa  galleria  non  sarebbe  invero  molto  grande,  cioè  solo  metri  20  X 3 = 60 
m2.  Oltrecciò,  dovendo  costruirsi  in  materiale  leggiero,  sarà  forse  un  po’  calda 
nella  estate  ; difetto  del  resto  già  comune  a tutte  le  sale  di  quell’  edilìzio.  L’ anno 
scorso  se  ne  era  soltanto  discorso  in  massima,  poiché  non  potendo  il  Ministero  di- 
sporre di  fondi  per  costruzioni,  sarebbe  stato  necessario  prenderli  sull’assegno  della 
Carta  geologica  Ciò  non  poteva  farsi  allora,  essendo  d’  altronde  la  relativa  spesa 


55  - 


assai  rilevante,  cioè  circa  lire  13  000;  rrla  ora  grazie  a certi  avanzi  assai  notevoli 
che  si  avranno  nel  volgente  esercizio,  come  verrà  detto  più  sotto,  la  cosa  diventa 
possibile.  Venne  già  preparato  il  progetto  e preventivo  dal  nostro  aiutante  sig.  Lu- 
swergh  addetto  all’Ufficio  geologico,  progetto  il  quale,  ove  venga  approvato  dal 
Consiglio  superiore  dei  Lavori  Pubblici,  potrà  venire  eseguito  entro  la  stagione 
estiva. 

Circa  alle  collezioni  vi  sarebbe  per  quest’anno  qualche  proposta  da  fare,  in 
quanto  è supponibile  che  stante  le  economie  fatte,  rimanga  disponibile  sul  bilancio 
una  certa  somma. 

Anzitutto  si  deve  avere  presente  che  le  esposizioni  industriali  sono  diventate 
cosa  usuale  e che  si  ripetono  anche  a brevi  intervalli.  A queste  devono  quasi 
sempre  prendere  parte  i musei  governativi,  come  ne  ebbimo  ancora  di  recente 
esempio,  con  la  esposizione  edilizia  di  Firenze,  con  quella  ora  in  preparazione 
a Londra,  ed  altre  che  non  mancheranno.  Talora  anche  succede  che  queste 
esposizioni  vengono  notificate  quasi  improvvisamente,  onde  non  si  ha  tempo  a porsi 
in  relazione  con  gli  industriali,  per  eccitarli  a concorrere,  ovvero  è necessario  di 
incorrere  in  molto  fastidio  e lavoro  per  riuscire.  Sarebbe  molto  opportuno,  per  non 
dire  necessario,  il  possedere  bella  e pronta  una  sufficiente  raccolta  di  marmi  e mi- 
nerali, in  bene  adatti  campioni,  da  farsi  servire  in  simili  contingenze.  Si  eviterebbe  lo 
sconcio  assai  grave  di  dover  tratto  tratto  scomporre  le  raccolte  del  museo  per 
inviarne  una  parte  all’esposizione,  lasciando  intanto  per  mesi  e mesi  semisguar- 
nite le  vetrine  e colla  certezza  quasi  che  i campioni  esposti  torneranno  avariati. 
Con  mediocre  spesa,  per  esempio,  2000  o 3000  lire,  profittando  della  circostanza 
si  potrebbe  provvedere  a tale  bisogno. 

Un’  altra  occorrenza  del  Museo  geologico-industriale,  sarebbe  di  possedere  una 
sufficiente  collezione  modello  di  minerali,  roccie  e fossili  caratteristici  per  guida 
e paragone  nello  studio  del  molto  materiale  che  si  va  sempre  accumulando.  Non 
sarà  difficile,  ricorrendo  a qualche  collettore  sia  in  Italia  che  all’estero  ove  di 
simili  collezioni  si  fa  gran  commercio,  il  procurarsi  quanto  ci  occorre,  e ciò  forse 
con  poche  migliaia  di  lire.  Del  resto  già  per  una  collezione  di  fossili  adatta  al- 
l’uso nostro,  furono  presi  appunti  dal  paleontologo  Canavari  onde  in  poco  tempo 
si  potrebbe  avere. 

Così  pure  sarebbe  il  caso  di  procurarci  dalla  Stazione  agraria  di  Torino,  una 
raccolta  di  lastre  sottili  delle  nostre  roccie  statevi  studiate  nei  decorsi  anni  dal 
prof.  Cossa  e dall’ing.  Mattirolo. 

Finalmente  sta  sempre  ancora  depositata  nel  nostro  museo  geologico,  e sino 
dal  1855,  la  collezione  di  marmi  e graniti,  ad  uso  edilizio,  del  fu  generale  Pescetto, 
sul  merito  della  quale  già  s’  era  fatto  cenno  nella  relazione  del  1886-87,  e che  si 
sarebbe  dovuta  acquistare  se  non  fosse  stato  per  la  somma  piuttosto  rilevante 


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di  circa  L.  25  000  che  gli  eredi  ne  volevano  e che  d’altronde  non  si  aveva  punto 
disponibile.  Circa  al  merito  della  collezione,  che  è composta  di  oltre  un  migliaio 
di  pezzi  lisciati  su  tutte  le  faccie,  non  si  potrebbe  che  ripetere  quanto  allora  se 
ne  asseriva,  essere  cioè  una  collezione  pregievole  quanto  mai,  non  solo  dal  punto 
di  vista  edilizio  antico  e moderno,  ma  eziandio  come  esempio  della  svariatissima 
struttura  che  possono  presentare  i diversi  giacimenti  delle  roccie  di  uso  orna- 
mentale. Veramente  una  collezione  così  ricca  ed  originale  nel  suo  genere  sarà 
diffìcile  trovare  altrove,  onde  potendolo  fare  senza  inconvenienti,  sarebbe  il  caso 
di  non  perderne  l’occasione.  In  tale  modo  sarebbe  assai  bene  utilizzato  quel  re- 
siduo del  bilancio  che  rimanesse  disponibile,  dovendosi  anche  riflettere  che  simile 
occasione  difficilmente  si  presenterà  nell’avvenire. 

Certo  non  è possibile  al  momento  il  fare  tutti  simili  acquisti,  il  complesso  dei 
quali  ammonterebbe  a qualche  decina  di  migliaia  di  lire:  quindi  converrà  restringersi 
alla  somma  che  sarà  disponibile  verso  il  fine  dell’esercizio  finanziario  corrente, 
anno  1887-88,  somma  che  d’altronde  si  tratta  di  utilizzare  in  tempo  perchè  non 
vada  in  economia.  Dei  vari  acquisti  converrà  quindi  fare  a momento  opportuno 
quelli  che,  e per  l’entità  e per  il  modo  di  praticarli,  meglio  si  prestino  all’anzi- 
detto  scopo. 

Quanto  ad  un  proprio  laboratorio,  è noto  quante  volte  sia  stato  raccomandato 
dal  R.  Comitato  di  provvedervi,  e notevolmente  nelle  sedute  dello  scorso  anno  in 
cui  lo  stesso  prof.  Cossa,  il  quale  sino  ad  ora  avea  concesso  l’uso  di  quello  della 
R.  Scuola  degli  ingegneri  di  Torino  al  nostro  ing.  Mattirolo,  avea  fatto  capire 
come,  forse  col  tempo,  mutandosi  Direttore,  ciò  più  non  sarebbe  ottenibile.  Sempre 
però  era  stato  impossibile  soddisfare  tale  occorrenza,  tanto  per  deficienza  di  da- 
naro, quanto  per  difficoltà  di  locale  opportuno.  Ma  ora  le  cose  mutarono  quanto 
al  danaro,  per  la  stessa  ragione  poco  dianzi  esposta,  almeno  se  la  spesa  occor- 
rente si  potrà  mantenere  in  modesti  limiti.  Restava  e resta  la  difficoltà  del  locale; 
e perciò  si  escogitarono  diversi  progetti,  i quali  poi  si  riducevano  a due  possibili: 
1°  partito,  costruirsi  appositi  ambienti  presso  all’  attuale  laboratorio  della  Stazione 
agraria,  che  è nell’orto  aderente  all’edifizio,  ovvero  anche  alzare  di  un  piano  una 
parte  di  questo.  Simile  partito  cagionerebbe,  per  la  sola  costruzione  degli  ambienti 
una  spesa  di  circa  12,000  lire.  2°  partito,  adattare  a laboratorio  alcune  delle 
grandi  sale  del  piano  ultimo  deU’edifizio  della  Vittoria  sotto  al  terrazzo,  ora  desti- 
nate ai  disegnatori.  Astraendo  dagli  adattamenti  speciali  ed  apparecchi  ad  uso  labo- 
ratorio, la  riduzione  del  locale  in  tre  o quattro  ambienti  non  costerebbe  in  questo 
caso  che  circa  un  migliaio  di  lire. 

Quanto  ai  suddetti  adattamenti  a laboratorio,  cioè  fornelli  a vento  e per 
muffole,  cappe  di  evaporazione,  diramazione  di  acqua  e gas,  ci  occorrono  circa 
L.  5000,  in  tutto  quindi  poco  più  di  L,  6000,  alle  quali  aggiungendo  di  poi  un 


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4 o 5000  lire  per  provviste  di  oggetti  diversi,  comprese  le  bilancie,  arredi  e prov- 
viste relative,  può  dirsi  che  si  avrebbe  pronto  un  laboratorio  piccolo,  ma  sufficiente 
ai  lavori  ordinari,  con  meno  di  L.  12,000. 

Si  noti  che  in  fatto  di  microscopi  per  la  petrografia,  già  si  è ora  bene  prov- 
visti, avendone  uno  di  fabbrica  tedesca  e due  nuovi  perfezionati  del  Nachet  di  Parigi, 
ultimamente  colà  acquistati  dietro  consiglio  dei  professori  Fouquè  e Michel-Levy,  dai 
nostri  allievi  Sabatini  e Franchi  che  testé  li  portarono. 

Di  ambedue  i progetti  di  laboratorii  vennero  fatti  i disegni  dal  suddetto  aiutante 
Luswergh  e fattone  il  preventivo.  Ma  al  primo,  quello  cioè  di  costruire  appositi 
locali  nell’orto,  ovvero  sopra  la  Stazione  agraria,  oltre  alla  maggiore  spesa 
osta  il  fatto  che  dietro  lo  schema  di  costruzione  del  palazzo  definitivo  del  Mini- 
stero di  Agricoltura,  industria  e commercio,  in  quell’orto  stesso  della  Vittoria, 
vi  riuscirebbe  impossibile  qualsiasi  costruzione  accessoria  e lo  stesso  laboratorio  at- 
tuale della  Stazione  agraria  dovrebbe  venire  demolito. 

In  simile  stato  di  cose  volendo  presto  un  laboratorio,  non  resta  che  il  partito, 
d’altronde  assai  economico,  di  adattarvi  i suddetti  locali  all’ultimo  piano,  ciò  che 
in  un  paio  di  mesi  o tre,  potrebbe  farsi. 

Cenno  sull’assegno  in  bilancio  per  la  Carta  geologica.  — Come  è noto, 
l’assegno  annuale  in  bilancio  per  la  Carta  geologica,  che  nei  primordi  era  molto 
esile,  venne  gradualmente  accresciuto  a misura  del  bisogno  ed  attinse,  a partire 
dall’esercizio  1886-87,  la  cifra  di  L.  160,800.  Con  questa  somma,  ottenuta  non 
senza  difficoltà,  si  poteva  finalmente  provvedere  all’andamento  del  servizio  ed  alle 
necessarie  pubblicazioni.  È vero  che  l’ultimo  accrescimento  di  personale  avvenuto 
pel  ritorno  di  allievi-ingegneri  dall’estero,  portando  un  certo  aumento  nel  passivo, 
diminuirà  ciò  che  poteva  apparire  come  un  eccedente,  ma  non  porterà  tuttavia 
sbilancio.  E così  pure  col  suddetto  assegno  si  potrà  far  fronte  ad  uno  dei  più 
forti  rami  di  spesa,  che  è quella  delle  pubblicazioni  delle  carte  geologiche.  Simile 
ramo  di  spesa  veniva  concretato  per  ora,  come  sappiamo,  nell’ obbligo  contratto  in 
febbraio  1886  con  la  ditta  C.  Virano  per  l’ammontare  di  L.  150,000  da  esaurirsi 
entro  i tre  anni  fìnanziarii  1885-86,  1886-87  e 1887-88.  A tale  riguardo  si  é 
oggidì  in  ordine,  in  quanto  che  tra  i lavori  già  eseguiti  e saldati,  e quelli  in  corso 
tuttavia,  ma  per  il  cui  pagamento  venne  impegnata  la  somma  nel  corrente  eser- 
cizio finanziario  1887-88,  il  suddetto  impegno  verrà  soddisfatto.  Per  l’avvenire, 
cioè  dopo  il  volgente  esercizio  1887-88,  essendo  cessato  quell’  impegno  saremo 
liberi  di  regolare  secondo  le  convenienze  questo  ramo  dispesa;  però  è presumibile 
che,  durando  l’attuale  assegno,  sempre  si  potrà  provvedere  abbastanza  largamente 
alle  pubblicazioni  di  Carte  e Memorie,  frutto  principale  dei  nostri  lavori  che  si 
attende  dal  pubblico. 


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A proposito  della  pubblicazione  di  carte  geologiche,  sarebbesi  anzi  potuto 
fare  di  più,  senza  una  difficoltà,  già  più  volte  segnalata  e che  pur  giova  ram- 
mentare. È quella  di  non  possedere  ancora  per  tutte  le  regioni  una  carta  topo- 
grafica stampata  in  edizione  chiara,  cioè  senza  il  forte  tratteggio  impiegato  per  la 
nostra  al  1/100  000  e adattata  quindi  a ricevere  i colori  della  figurazione  geologica. 
Tale  inconveniente  si  verifica  ora  appunto  per  le  carte  delle  regioni  meridionali. 
Ove  si  disponesse  di  somma  più  notevole  in  bilancio  sarebbe  il  caso  di  dedicarne 
una  parte  sufficiente  per  procurarsi  tale  edizione  chiara  e nitida  di  simili  carte 
allo  scopo  della  pubblicazione.  Potevasi  sperare  che  a ciò  provvedesse  fra  non  molto 
il  Consiglio  Superiore  dei  lavori  geodetici,  il  quale  venne  ultimamente  istituito,  onde 
non  fosse  necessario  sacrificarvi  del  danaro  assegnato  alla  geologia,  il  quale  in 
tal  caso  potrebbe  riuscire  troppo  scarso.  Per  ora  intanto  giovi  lo  avere  rammentata 
questa  difficoltà  e causa  di  ritardo  a certe  pubblicazioni. 

Resta  ora  a giustificare  la  proposta,  che  sopra  venne  fatta,  di  spese  non  in 
differenti  per  nuove  costruzioni,  come  quella  di  un  laboratorio  e di  un  nuovo  ramo 
di  galleria  per  museo,  non  che  di  collezioni  di  una  certa  entità.  La  cosa  però  si 
spiega  grazia  a diverse  economie  o ritardi  di  spese  cui  speciali  circostanze  cagio- 
narono nell’attuale  esercizio  od  anno  finanziario  1887-88. 

Una  delle  cause  della  fatta  economia  fu  appunto  il  non  avere  potuto  dare 
alla  pubblicazione  delle  carte  tutto  lo  sviluppo  che  sarebbe  stato  desiderabile,  sia 
per  il  difetto  poco  sopra  menzionato  delle  carte  topografiche,  sia  anche  per  la  lentezza 
di  essa  pubblicazione  nei  nostri  stabilimenti  quando  vogliasi  ottenere  bene  eseguita. 
L’altra  causa,  la  principale  forse,  fu  il  risparmio  realizzato  sulle  trasfèrte  di  campa- 
gna, e ciò  per  diversi  motivi  : uno  è la  quantità  di  visite  dovutesi  praticare  da  pa- 
recchi geologi  per  scopi  utilitari  alle  costruzioni  di  strade  ferrate  ed  altro;  quindi  gli 
studi  dei  serbatoi  d’acqua  che  molto  tempo  li  occuparono,  e per  le  quali  mansioni  le 
indennità  erano  pagate  su  altri  capitoli  del  bilancio.  Alcuni  poi  degli  ingegneri  che  si 
occuparono  di  ferrovie  ebbero  delle  agevolezze  a viaggiare  sulle  medesime,  che  molto 
giovarono  anche  per  il  resto  dei  loro  lavori  relativi  alla  Carta  geologica.  In  questi 
ultimi  tempi  poi  fu  realmente  straordinaria  la  persistenza  delle  pioggie  che  furono 
quasi  incessanti  dall’ottobre  del  1887  in  poi  e che  impedirono  le  lavorazioni  in 
campagna.  — Questo  cumolo  di  circostanze  adunque  cagionò  economie  ed  un  ritardo 
di  spese,  ciò  che  permette  di  avere  a disposizione  una  somma  di  forse  L.  35  000  al 
fine  dell’esercizio  finanziario  1887-88,  somma  della  quale  si  può  profittare  per 
dotare  l’Ufficio  di  un  laboratorio,  di  qualche  nuovo  locale  e di  parte  almeno  delle 
collezioni  a suo  luogo  accennate.  Simili  circostanze  non  si  riprodurranno  forse  più, 
onde  la  convenienza  di  profittarne  in  quest’anno  nel  modo  che  venne  proposto,  per 
dotare  la  nostra  istituzione  del  complemento  di  alcuni  mezzi  di  studio  e lavoro 
che  tuttavia  le  mancavano. 


Questa  relazione  era  già  alla  stampa  quando  si  seppe  che  la  Commissione 
parlamentare  del  Bilancio,  nello  esigere  dal  Ministero  di  Agricoltura,  industria  e 
commercio,  rilevanti  economie  sull’esercizio  finanziario  1888-89,  toglieva  alla  Carta 
geologica  L.  40  800,  riducendo  così  l’assegno  annuo  da  L.  160  800  a L.  120  000. 

Simile  diffalco,  di  {/x  dell’  assegno  totale,  porterebbe  grave  disturbo  ove  avesse 
a ripetersi  anche  in  altri  successivi  esercizii.  Oltre  al  danno  della  deficienza  di 
fondi  che  impedirebbe  certi  lavori,  sovratutto  di  pubblicazione,  un  simile  diffalco 
così  improvvisamente  fatto  sopra  un  assegno  che  erasi  ottenute  da  due  anni  appena’ 
produce  il  dubbio  sull’  avvenire  e trattiene  da  cercar  di  dare  una  più  stabile 
organizzazione  al  personale  ed  altri  mezzi  d’azione  per  V andamento  dell’opera. 
È quindi  da  fare  voto  che  il  Ministero  per  un’opera  da  tutti  ritenuta  utile  e pro- 
duttiva anche  di  vantaggi  materiali,  possa  ottenere  almeno  in  un  successivo  eser- 
cizio il  reintegro  dell’  assegno  quale  era  stato  da  poco  tempo  ottenuto. 


Pubblicazioni  in  vendita  presso  l’Ufficio  Geologico 


Bollettino  del  R.  Comitato  Geologico  d’Italia;  Voi.  I a XIX,  dal  1870  al  1888 

— Prezzo  di  ciascun  volume L.  10  — 

Idem  di  un  fascicolo  bimensile  separato » 2 — 

N.B.  - Il  prezzo  di  abbonamento  annuo  e di  L.  8 per  l’interno 
e di  L.  10  per  l’estero. 

Memorie  per  servire  alla  descrizione  della  Carta  geologica  d’Italia: 

Voi.  I.  Firenze,  1872  . » o5  — 

Voi.  IL  Firenze,  1873-74  . . . . * . » 30  — 

Voi.  III.  Parte  la;  Firenze,  1876  » 10  — 

Voi.  III.  Parte  2a;  Firenze,  1888  . . . >15  — 

I.  Cocchi.  — Brevi  cenni  sui  principali  Istituti  e Comitati  geologici  e sul 

R.  Comitato  Geologico  d’ Italia.  Firenze,  1871 > 1 50 

P.  Zezi.  — Cenni  intorno  ai  lavori  per  la  Carta  geologica  in  grande  scala. 

Poma,  1875  » 1 — 

F.  Giordano.  — Esposizione  in  ordine  cronologico  delle  principali  disposi- 
zioni successivamente  emanate  relativamente  alla  Carta  geologica  d’Italia. 

Poma,  1879  » 1 — 

F.  Giordano.  — Sopra  un  progetto  di  legge  per  il  compimento  della  Carta 

geologica  d’ Italia.  Poma,  ISSO.  . . » 1 50 

F.  Giordano.  — Cenni  sull’organizzazione  e sui  lavori  degli  Istituti  geologici 

esistenti  nei  vari  paesi.  Poma,  1881 » 1 50 

G.  Capellini.  — Relazione  a S.  E.  il  Ministro  di  Agr.  Ind.  e Comm.  sul 

Congresso  geologico  internazionale  del  1881.  Roma,  1881  ....  » 1 — 

I.  Cocchi.  — Carta  geologica  della  parte  orientale  dell’  Isola  d’Elba;  scala 

di  1/50,000.  Firenze,  1871 » 2 50 

C.  W.  C.  Fqchs.  — Carta  geologica  dell’Isola  d’ Ischia;  scaladi  1/25,000. 

Firenze,  1873.  . » 2 — 

C.  Doelter.  — Carta  geologica  delle  isole  Ponza,  Palmarola  e Zannone; 

scala  di  1/20,000.  Roma,  1876  » 2 — 

C.  De  Giorgi.  — Abbozzo  di  Carta  geologica  della  Basilicata;  scala  di 

1/400,000.  Poma,  1879  » 2 — 

C.  De  Giorgi.  — Carta  geologica  della  provincia  di  Lecce;  scala  di  1/400,000. 

Poma,  1880  » 2 — 

G.  Capellini.  — Carta  geologica  dei  monti  di  Livorno,  di  Castellina  Ma- 
rittima e di  parte  del  Volterrano;  scala  di  1/100,000.  Poma,  1881  . » 3 — 

G.  Capellini.  — Carta  geologica  della  provincia  di  Bologna  ; scala 

di  1/100,  OCO.  Roma,  1881  » 4 — 

G.  Capellini.  — Carta  geologica  dei  dintorni  del  golfo  di  Spezia  e Val  di 

Magra  inferiore;  2a  edizione;  scala  di  1/50,000.  Roma,  1881  . . » 3 — 

T.  Taramelli.  — Carta  geologica  del  Friuli,  con  testo  descrittivo  ; scala 

di  1/200,000.  Udine,  1881 » 7 — 

Bibliographie  géologique  et  paleontologique  de  l’Italie.  Bologne,  1881  . . » 10  — 

Bibliografia  geologica  e paleontologica  della  provincia  di  Roma.  Poma,  1886  » 2 — 

Bibliografia  geologica  italiana  per  l’anno  1886.  Roma,  1887  » 1 50 


Annunzi  di  pubblicazioni 


F.  Sacco.  — 11  cono  di  dejezione  della  Stura  di  Lanzo.  — Roma,  1888; 

pag.  16,  in-8'J,  con  una  carta  geologica. 

Idem.  — 1 terreni  terziarii  e quaternarii  del  Biellese.  — Torino,  1888; 

pag.  26,  in-4°,  con  una  carta  geologica. 

C.  De  Stefani.  — Iconografìa  dei  nuovi  molluschi  pliocenici  d’ intorno 
Siena.  (Boll,  della  Società  Malacologica  italiana,  Yol.  XIII).  — Pisa,  1888Ì 
pag.  28,  in-4°. 

A.  Secco.  — 11  piano  ad  Aspidoceras  acanthicum  Op.  in  Collalto  di  So- 
lagna.  (Bollettino  della  Società  geologica  italiana,  Voi.  VII,  fase.  2°).  — 
Roma,  1888;  pag.  26,  in  8 , con  una  tavola. 

A.  Neviani.  — Le  formazioni  terziarie  nella  valle  del  Mesima.  (Ibidem)  — 
Roma,  1888;  pag.  8,  in  8°. 

A.  Tellini.  — Le  nummulitidee  terziarie  dell’Alta  Italia  occidentale. 

(Ibidem).  — Roma,  1888;  pag.  62,  in-8°,  con  una  tavola. 

C.  De  Stefani.  — Origine  del  porto  di  Messina  e di  alcuni  interrimenti 
lungo  lo  stretto.  (Ibidem).  — Roma,  .1888;  pag.  10,  in-4°. 

E.  Mariani.  — Foraminiferi  delle  marne  plioceniche  di  Savona.  (Atti  della 
Società  Italiana  di  Scienze  Naturali,  Voi.  XXXT,  fase.  1°).  — Milano  1888; 
pag.  38,  in-8’,  con  una  tavola. 

A.  Issel.  — La  caverna  della  Giacheira  presso  Pigna  (Liguria  Occiden- 
tale). (Memorie  della  Società  toscana  di  Scienze  nat.,  Voi.  IX).  — Pisa,  1888; 
pag.  10,  in-8°,  con  una  tavola. 

A.  Ristori.  — Alcuni  crostacei-  del  miocene  medio  italiano.  (Ibidem).  — 
Pisa  18 SS  ; pag.  8,  in-8°,  con  una  tavola. 

E.  Di  Poggio.  — Cenni  di  geologia  sopra  Matera  in  Basilicata.  (Ibidem)  — 
Pisa,  1888;  pag.  12,  in -8°. 

T.  Taramelli  e G.  Mercalli.  — Il  terremoto  ligure  del  23  febbraio  1887.— 

Roma,  18  8;  pag.  296  in-41’,  con  4 tavole. 

G.  Terrenzi.  — Il  Cast.or  fiber  trovato  fossile  al  Colle  dell’Oro  presso  Terni 

(Rivista  scientifico-industriale,  anno  XX,  pag.  20  21).  — Firenze,  1888; 
pag.  6 in-^°. 

P.  Franco  — Ricerche  micropetrografìche  intorno  aduna  pirossenandesite 
trovata  nella  regione  vesuviana  (Rendiconti  della  Acc.  delle  Se.  Fis. 
e Mat.,  voi.  II,  fase.  11°).  — Napoli,  1888;  pag.  8 in-4°. 

T.  Taramelli.  — Lo  scoscendimento  di  Bracca  in  Val  Serina.  — Torino,  1888 
pag.  8 in-8°. 

G.  Di  Stefano.  — Studi  stratigrafìci  e paleontologici  sul  sistema  creta- 
ceo della  Sicilia.  — 1°  Gli  strati  con  Caprotina  di  Termini  Imerese.  — 
Palermo,  1888  ; pag.  60  in-41,  con  11  tavole. 

M.  Malagoli.  — Il  calcare  di  Bismantova  e i suoi  fossili  microscopici 

(Atti  della  Società  dei  Naturalisti,  voi.  VII,  fase.  2°).  — Modena,  1888; 
pag.  10  in-8°,  con  3 tavole. 

G.  Struever.  — Ulteriori  osservazioni  sui  giacimenti  di  Val  d'Aia  in  Pie- 
monte. Memoria  II.  — Roma,  1888;  pag.  28  in-4°,  con  una  tavola. 

G.  Mercalli.  — L’isola  Vulcano  e lo  Stromboli  dal  1886  al  1888.  — Mi- 
lano, 1888;  pag  16  in-8°. 

E.  Clerici  e S.  Squinabol.  — La  duna  quaternaria  al  Capo  delle  Mele  in 
Liguria;  pag.  8 in-8°. 

A.  Scacchi.  — Il  vulcanetto  di  Puccianello  (Rendiconti  della  Acc.  delle  Se. 

Fis.  e Mat.,  voi.  II,  fasc.^120).  — Napoli,  1888  ; pag.  2 in-40. v 
(E.  Scacchi.  — Contribuzioni  mineralogiche.  Memoria  IV  (Ibidem).  — Napoli, 
1888;  pag.  9 in-4°.