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INDICE
N. 1. Crema C. — La conca di Fiuggi nell’ Appennino romano
" ; 2 . (con 6 tavole) .
È » 2. CHeccHIa-Rispori G. — / pteropodi del Miocene garganico
(con 1 tavola)
0» 3. ZAMBONINI F. — Sulla palmierite del Vesuvio ed i minerati
Teo che l’accompagnano (con 1 tavola)
, » 4. CacciamaLi G. B. — Schema tettonico- -orogenico delle prealpi
lombarde . VRITRE RIA EV,
io Bi Crema. — Le frane di Girifalco ( Catanzaro)
Ses 6. TaRICCO M. — Sul Paleozoico del Fluminese (Sardegna)
#0, CHpccHa-RispoLi G. — Sulla distribuzione geologica delle
RE i orbitoidi .
È a S. PARONA ©. F. — 7. Taramelli: cenni commemorativi (con
> 1 tavola) .
n » 9. FRANCHI S. — Alcuni fatti a documentazione dei carreggia-
menti della valle del Liri .
10. Orpma CRE / a lago di Candela presso fi; in pro-
| vincia di Potenza .
GE nata Aaa italiana per gli anni 1915. 1920 .
DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME 48°
pag.
Elenco dei componenti il Comitato e l'Ufficio geologico al 31 dicembre 1921.
1-46
1.28
1-30
1-54
1-10
1-22
1-4
1-37
1-10
14
1-38
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CESSI — ELENCO DEI COMPONENTI
IL COMITATO E L'UFFICIO GEOLOGICO
(31 pioeMmBRE 1921)
R. Comitato geologico.
«_——Cermenati Mario, deputato al Parlamento, professore di storia delle
; scienze naturali, R. Università di Roma — Presidente.
Dar Praz Grorsro, professore di geologia, R. Università di Padova.
i De Lorenzo GIusePPE, senatore, professore di geografia fisica, R. Uni-
Sa versità di Napoli.
De Srerani Carto, professore di FSITER R. Istituto di studi supe-
e riori di Firenze.
Parona CarLo FABRIZIO, professore di geologia, R. Universirà di Torino.
Sacco FEDERICO, professore di geologia, R. Politecnico di Torino.
- 'TARAMELLI Torquato, professore di geologia, R. Università di Pavia.
_ ZAMBONINI FERRUCCIO, professore di mineralogia, R. Università di Torino.
Membri di diritto :
È Pirggidento del Consiglio delle miniere (ing. CAaMmERANA ENRICO).
I ea generale dei Combustibili e servizi diversi (dott. PeTRETTI
_ ARNOLDO).
Direttore dell’Istituto geografico militare (gen. VaccHELLI NIcoLA).
3 Bs; Direttore del R. Ufficio geologico (ing. AICHINO GIOVANNI).
R. Ufficio geologico.
Direttore: ing. AICHINO GIOVANNI.
Geologi capi: ing. NovaRrESE VITTORIO.
ing. SABATINI VENTURINO.
ing. FRANCHI SECONDO.
ing. dott. CreMA CAMILLO.
Geologi : ing. dott. TarIcco MicHELE.
ing. PiLorti CAMILLO (addetto alla Direzione generale
dei Combustibili).
ing. Grossi MARIO (id.).
ing. QuagLino FirMNo (id.). e: Re
_ dott. CHsccnia-RispoLi GIUSEPPE.
dott. Fossa MancINI Enrico.
Direttore del laboratorio chimico: dott. PeRRIER Carro.
Chimici : dott. CENNI Gracowo. o
dott. DeL Grosso Mario.
Disegnatori: CozzoLino FiLippo.
AURELI AMEDEO.
MorgcanTI ENRICO.
Dr PasquaLe ALFONSO.
La sede del R. Ufficio geologico è in via Santa Susanna, 13 - Roma (580).
i
Bollettino del R. Comitato Geologico d'Italia
Vol. XLVII 1920-21 Moe
Inc. Dorr. CAMILLO CREMA
LA CONCA DI FIUGGI
NELL'APPENNINO ROMANO
(con sei tavole)
I. — Cenni topografici.
Chi percorre la nuova linea delle Ferrovie vicinali, da Roma a
Frosinone, risalendo le brulle pendici calcaree fra le stazioni di Piglio
e d’Acuto, può abbracciare col suo sguardo un vasto panorama sulla
pianura del Sacco, che si estende fino ai monti Lepini e Prenestini
ed ai colli Albani; ma oltrepassando la sella fra 1 monti Borano e
Porciano ed entrando nella Conca di Fiuggi, vede aprirglisi un pae-
saggio affatto diverso, che a tutta prima colpisce forse per la ristret-
tezza dell'orizzonte, ma non tarda a riuscire grato all'occhio perchè
vario ed armonico ad un tempo, se pur privo della grandiosità della
visione scomparsa.
. Alle alture più importanti che si elevano all’ingiro con tinta uni-
formemente grigia, perchè denudate del loro antico manto boscoso,
contrastano infatti con bell’effetto quelle ancora rivestite di abbon-
dante macchia, le pendici più basse, verdeggianti di castagni e di
querce e cosparse fra Anticoli e le sottostanti sorgenti Fiuggi di
ricche e ridenti dimore, e la fertile pianura valliva collo specchio lu-
cente del lago di Canterno: e l’insieme presenta un aspetto tranquillo
e raccolto. Ma la varia e calma bellezza del paesaggio assai meglio che
percorrendo la ferrovia, la quale subito si abbassa lungo il lembo set-
Boll. R. Com. Geol., v. XLVIII, 1920-21. 1
2 C. CREMA [1] i
tentrionale del bacino, sì rileva raggiungendo qualche punto donde
lo sguardo possa distendersi su tutta la conca, dalle accolte d’acqua
delle bassure agli abitati selvaggiamente annidati sulle alture: An-
ticoli di Campagna !, ora Fiuggi, dal nome delle sorgenti alle quali
deve la notorietà e la ricchezza ; Torre Cajetani, la cui maestosa torre
quadrata recentemente restaurata torna a dominare l’antico feudo
della potente famiglia romana; Trivigliano, solitario sul suo colle
emergente come isola sul fondo della conca; Fumone, il più elevato
di tutti, che sembra ancora vigilare alla sicurezza della Campagna
come nei bellicosi tempi del Medioevo; ed infine Porciano Vecchio
col suol pittoreschi ruderi a cavaliere delle due valli.’
Questo baeino, indifferentemente chiamato Conca di Fiuggi o di
Anticoli ed altre volte anche Valle Anticolana, trovasi racchiuso in
quel tratto della catena dei monti Ernici che si incunea fra il Sacco
ed il più importante dei suoi affluenti, il Cosa, alla distanza di
circa 60 km. da Roma, di poco più del doppio da Napoli.
Il suo perimetro, lungo approssimativamente 46 km., presenta un
andamento irregolare e frastagliato, tuttavia può abbastanza appros-
simativamente avvicinarsi ad un triangolo rettangolo col cateto mag-
giore diretto secondo il meridiano e l'angolo retto aperto a libeccio..
. L’ipotenusa di questo triangolo si estende da M. Pila Rocca al Mon-
tiechio separando la Conca di Fiuggi dalla Valle del Sacco, e dei due
cateti, il minore, la divide da questa stessa valle, dal piano dell’Ar-
cinazzo e dal bacino dell'Aniene, il maggiore, dalla Valle del Cosa:
essi si riuniscono alle falde occidentali della Monna Bianca, nel punto.
più elevato del perimetro (1200 m. s. m.).
Partendo da questo punto e dirigendosi ad ovest lo spartiacque
‘ fino alla Rocca segue abbastanza da vicino il parallelo non allonta-
nandosene se non per scendere poco prima di Colle Faggio con un
ristretto arco fino alla R. Povignano; tra la Rocca ed il M. Retafani
sì incurva nuovamente a sud per raggiungere i colli Fermo e Far-
falletta. Dalla cima del M. Retafani la linea di displuvio si abbassa
bruscamente, poi risale lentamente fino alla vetta del M. Pila Rocca.
Riacquistando allora una maggiore regolarità essa si sviluppa -per
! Sotto il Governo Pontificio l’attuale circondario di Frosinone, nel cui
ambito è compresa tutta la regione considerata, costituiva la così detta Pro-
vincia di Campagna.
[1] LA CONCA DI FIUGGI NELL’APPENNINO ROMANO 3
una quindicina di chilometri sulla dorsale che si distende verso sud-
est fino al M. Maino, divisa in due parti pressochè eguali dalla
sella (630 m. s. m.) che offre comodo passaggio alla ferrovia ed
alla nuova strada rotabile per Anticoli.
Dal M. Maino alle falde della Monna Bianca lo E pre-
senta le maggiori irregolarità del suo percorso sia per le frequenti
deviazioni dalla sua direzione media, sia per le forti differenze di -
altitudine. Esso sì dirige infatti dapprima ad oriente passando fra i
monti Monticchio e Scrimone, quindi ineurvandosi a nord sale al
M. del Lago donde per la R. Durazzo ed il M. Jazzo discende fino
alla sua più bassa quota (555 m. s. m.), la quale però non offre un
comodo accesso all’altipiano, cosicchè la vecchia strada provinciale
che mette in comunicazione il bacino di Fiuggi con quello del Cosa
© passa alquanto più a nord tagliando il displuvio fra la minuscola
collina di C. Paterno e l’erto colle di Trivigliano. Oltrepassato questo
colle il perimetro costeggia sulla destra il fosso di Ripetra salendo
lentamente al M. Ermetta, indi più bruscamente al M. Civitella. Si
abbassa fino all’ampio altipiano di Prato Lungo per arrampicarsi sulla
cima di Madonna Pica e, ridisceso fino alla strada provinciale di
Arcinazzo, sì dirige infine alle falde della Monna Bianca dopo aver
superato il C. Oppietta.
: Questo perimetro racchiude un’area di quasi 70 km.*, per la maggior
parte montuosa e solo per poco più di un quinto occupata da ter-
reni pianeggianti od appena lievemente ondulati.
Questo ristretto altipiano termina d’ogni intorno più o meno bru-
scamente contro le pendici montuose o collinose che lo cingono e
per la presenza di una serie di alture fra il M. Porciano ed il C. di
Trivigliano si trova diviso in due parti non comunicanti fra di loro
se non in corrispondenza della Madonna della Stella mediante uno
stretto passaggio che permette alle acque della conca settentrionale,
più vasta e più propriamente detta di Fiuggi, di passare in quella
meridionale o di Canterno, così chiamata dal nome del lago che ne
occupa la parte più depressa.
Nella zona montuosa a nord dell’altipiano trovano il loro corso
1 due rivi del Pozzo e di Valle Mara, il primo diretto ad est, il
secondo ad ovest, i quali riunendosi presso la chiesuola di S. Rocco
danno origine al così detto fosso Diluvio che attraversa l’altipiano
4 C. CREMA [1]
in tutta la sua lunghezza raccogliendo la maggior parte delle acque
del bacino per versarle nel lago. Però la vicina piana detta I Pantani
ed i colli fra questa e l’abitato di Trivigliano smaltiscono diretta-
mente le loro acque mediante una serie di inghiottitoi la cui pre-
senza determina tre modesti impluvi indipendenti. Del resto, come
avviene in tutte le regioni prevalentemente calcaree, una gran parte
delle acque piovane, specialmente nelle zone più elevate, si raccoglie
in innumerevoli, minuscoli bacini di origine carsica per disperdersi
poi più o meno rapidamente nel sottosuolo. Nell’altipiano stesso per
la sua scarsa pendenza in qualche punto le acque tendono a rista-
gnare in pantani ed acquitrini e non si avviano che stentatamente
verso il lago di Canterno, il quala alla sua volta non disponendo
che in modo saltuario ed irregolare del suo emissario sotterraneo,
abitualmente più o meno ostruito, trovasi soggetto a forti oscillazioni
di livello che tolgono valore e salubrità al circostante territorio. Di
qui la proposta di prosciugare il lago, validamente sostenuta dal
geometra Antonio Pirovano di Ferentino e sulla quale avremo occa-
sione di ritornare. n
Lo specchio del lago trovasi abitualmente a 538 m. sul mare e
la quota media dell’altipiano è di circa 550 m.; la conca anticolana
occupa quindi un livello di poco inferiore a quello del bacino del-
l’Aniene a monte della sua confluenza col Simbrivio, nel mentre si
sopraeleva bruscamente di circa 250 m. sulla pianura del Sacco.
Queste speciali condizioni topografiche suggerirono all’ing. E. Ugo-
lini! l’idea di riunire le acque di piena dell’alto Liri a quelle del-
l'alto Aniene e del Simbrivio per poi convogliarle mediante una gal-
leria da praticarsi sotto l’altipiano di Arcinazzo nella conca di Fiuggi,
parzialmente trasformata in bacino di ritenuta. Un'altra galleria avrebbe
permesso di scaricare le acque di questo bacino sulla pianura del Sacco
alla quota di 310 m. con un salto utile di 250 m. per venir quindi
utilizzate a scopo d’irrigazione o mediante un secondo salto. Dopo
varie vicende e modificazioni il progetto trovasi, pel momento almeno, .
! Jl progetto dell’ing. Ugolini per un gran lago artificiale nei Monti Ernici,
Rassegna dei Lavori Pubblici e delle Strade Ferrate, Roma, 1912, n. 16.
E. UGOLINI e A. Casini, Le ferriere del l'irreno, Roma, Coop. Tipogr. Ital.,
1916, pag. 16.
[1] LA CONCA DI FIUGGI NELL’APPENNINO ROMANO 5
abbandonato. Ben ideato dal punto di vista topografico ed idraulico,
la sua esecuzione avrebbe certamente incontrato gravi difficoltà per
la natura calcarea di gran parte delle sponde del lago in progetto.
II. — Cenni bibliografici.
. La Conca di Fiuggi attrasse di buon’ora l’attenzione degli stu-
diosi per le rinomate sorgenti dalle quali prende nome: dai primi
lavori di Andrea Bacci (1564-76), di Petronio Alessandro Traiano
(1581) e di Francesco Coluzzi (1624) sono centinaia le pubblicazioni
nelle quali si parla di queste acque, e l’ing. A. Statuti, che per oltre
un trentennio dedicò gran parte della sua attività in ricerche sulle
loro proprietà e sulla loro storia, ne pubblicò nel 1891 un’ordinata
bibliografia (I), che ristampò, accresciuta ed aggiornata, nel 1897 (II),
completando così per questa parte la Bibliografia delle acque della
Provincia Romana pubblicata nel 1885 dal prof. Meli (III). Ma Ja
maggior parte di queste pubblicazioni, come di quelle posteriormente
comparse sulle acque di Fiuggi, ne trattano soltanto dal lato sto-
rico od idroterapico e non presentano interesse per la geologia, co-
sicchè non sono qui da ricordarsi che tre altri studi del. sullodato
ing. Statuti (IV-VI) e quelli dei proff. S. Zinno (VII) R. Nasini e
M.G. Levi(VIII), F. Ageno {X), G. Ampola e G. Liberi(X) e G. de An-
gelis d’Ossat (XI e XII) per le notizie che contengono sulle proprietà
fisico-chimiche di tali acque e le loro relazioni coi tufi vulcanici dai
quali sgorgano. |
Povera del resto è tutta la letteratura geologica della conca fiug-
giana, perchè i pochi autori, che ne hanno parlato, lo hanno fatto
incidentalmente od a proposito di qualche particolare argomento e
limitandosi per lo più al suo versante esterno sopratutto dal lato del
fiume Sacco.
Oltre agli scarsi cenni sparsi in taluni lavori di W. Branco,
G. B. Brocchi, L. De Marchi, P. Mantovani, R. I. Murchison, N. Pel-
lati, P. Zezi, tutti di non recente data e pei quali a scanso di
inutili ripetizioni rimando all’elaborata Bibliografia geologica e paleon-
| tologica della Provincia Romana pubblicata nel 1886 dall’ing. Conta-
rini (XIII), quando nel 1894 l'Ufficio Geologico iniziava per opera
6 è C. CREMA [1]
dell’ing. C. Viola il rilevamento dei Monti Ernici, non si avevano
sulla costituzione geologica della zona considerata che pochi appunti
presi dal prof. R. Meli durante alcune escursioni compiute fra Feren-
tino ed il Piano d’Arcinazzo (XIV).
L’ing. Viola non tardava a far conoscere i risultati delle sue os-
servazioni, oltrechè nelle Relazioni annuali al Comitato Geologico,
particolarmente in quelle degli anni 1895-1896 (XV), anche in tre
note (XVI-XVIII); senonchè, molto prima di aver condotto a termine
il rilevamento e lo studio del materiale raccolto, abbandonava 1’ Uf-
ficio Geologico, cosicchè anch’egli non potè dare che notizie fram-
mentarie e di carattere preliminare.
Succeduto all’ing. Viola nell’incarico che gli era stato affidato ed
invitato dall’ing. L. Mazzuoli, allora direttore del Servizio Geologico,
ad occuparmi in modo speciale della Conca di Fiuggi, le mie cure
furono rivolte a dare base paleontologica ai riferimenti suggeriti
dalle analogie litologiche e di posizione che andavo man mano ri-
scontrando fra una gran parte dei terreni dell'Appennino Romano e
quelli di altre parti dell’Italia centrale, particolarmente dell’Aquilano,
ciò che permise di riconoscere una stretta corrispondenza fra le due
serie. Nei limiti del territorio considerato, che frattanto era oggetto
di un regolare rilevamento, deve qui menzionarsi la raccolta di una
fauna a rudiste, non ricca, ma grazie alla quale il prof. Parona potè
stabilire l’esistenza di almeno due piani, e cioè il Turoniano ed il >
Senoniano, nel Cretaceo dei monti Ernici (XIX-XX).
In questo mezzo, oltre i già citati lavori sulle acque di Fiuggi, non
comparivano sulla geologia della regione che una cartina idrografica
ed una sezione geologica nella scala di 1:250.000, dedotte entrambi
da antichi rilievi dell'Ufficio Geologico (X.XI), pochi ragguagli dati
incidentalmente sui dintorni di Anagni e del Piglio e sul Piano d’Ar-
cinazzo (XXTII), alcune osservazioni sul lago di Canterno ed i suoi sal-
tuari prosciugamenti (XXIII e XXV), qualche notizia sui travertini
della valle del Sacco (XXXIV) e pochi dati sul regime della sorgente
Tufano (XXVI).
Per conseguenza questo modesto lavoro, col quale mi propongo
di tentare una sommaria illustrazione geologica della Conca di Fiuggi,
quantunque per un complesso di circostanze veda la luce parecchi anni
dopo il compimento dei rilievi, ha sempre in mancanza di altri pregi
[1] LA CONCA DI FIUGGI NELL’APPENNINO ROMANO 7
quello dell’opportunità, riguardando una regione la quale, pur pre-
sentando un non comune interesse geologico per le sue acque mine-
rali e gli svariati fenomeni carsici dei quali è sede, e pur avendo
richiamato più volte l’attenzione dei tecnici e delle Autorità per pro-
poste di importanti lavori di derivazioni d’acqua e di bonificazione,
era stata fin qui negletta dai cultori della geologia.
I. A. STATUTI. — L’ozono neil’acqua antilitiaca di Anticoli di Campagna
denominata di Fiuggi, Att. Acc. Pont. Nuov. Lincei, vol. XLIV, Roma, 1891,
pag. 225.
II. — Sull’acquaantilitiaca denominata di Fiuggi. Ulteriori notizie, rilievi
e documenti storici, Ibid., vol. XIII, Roma, 1897, pag. 119.
IIl. R. MELI. — Bibliografia riguardante le acque potabili e minerali della
Provincia di Roma, Roma, 1885.
IV. A. STATUTI. — Sulla sorgente dell’acqua antilitiaca di Anticoli (Campa-
gna) denominata di Fiuggi, Att. Acc. Pont. Nuov. Lincei, vol. XXI, Roma, 1878.
V. — Nuove osservazioni sulle sorgenti dell’acqua antilitiaca di Anticoli
(Campagna) denominata di Fiuggi, Ibid., vol. XXXVI, Roma, 1884.
VI. — Di alcune recenti esperienze sull’acqua antilitiaca di Anticoli
(Campagna) denominata di Fiuggi, Ibid., vol. XXXVII, Roma, 1884.
VII. S. Zinno. — Analisi dei principii aeriformi dell’Acqua di Fiuggi,
Att. d. R. Ist. d’incoraggiamento di Napoli, s. 4*, vol. °, n. 13, Napoli, 1894.
VIII. R. Nasini e M. G. Levi. — Studio chimico-fisico sulla sorgente di
Fiuggi presso Anticoli di Campagna, Gazz. Chim. It., anno XXXVIII, Roma, 1908.
IX. R. NASINI e F. Ageno. — Sulla presenza dell’uranio in roccie italiane.
Graniti dell’Isola di Montecristo e tufo radioattivo di Fiuggi, Rend. R. Acc.
Lincei, s. V., vol. XXI, 1° sem., Roma, 1912.
X. G. AMpPoLa e G. LiBeRI. — Una nuova fonte in Fiuggi, Ann. Chim.
appl., vol. IV, n. 7 e 8 e Ann. R. Staz. Chimica Agrar. Sperim. di Roma,
sodio val NIE, £- L- Roma, 1915.
XI. G. DE ANGELIS D’Ossat. — Sulla azione delle acque minerali, L’idro-
log., la Climat. e la Terap. Fis., anno XXX, n. 14, 1919.
XII. — Sulla Geologia della Provincia = Roma. XVI. Radioattività del
a vulcanico presso la sorgente Fiuggi, Boll. Soc. Geol. It. , Vol, XXXVIII,
Roma, 1919.
XIII. G. B. CONTARINI. — Bibliografia geologiea e paleontologica della Pru-
vincia di Roma, Roma, 1886.
XIV. R. Meli. — Sulla presenza dell’Iberus signatus Fér. neì Monti Er-
nici e nei dintorni di Terracina, Boll. del Naturalista, anno XIV, Siena, 1894.
Una parte di questa memoria era già comparsa nel Boll. d. Soc. Romana per
gli Studi Zool., vol. II, Roma, 1893.
XV. — Boll. Com. Geol. d’It., vol. XXVII, pag. 21 e XXVIII, pag. 42.
8 '.C. CREMA [1]
XVI. C. VIOLA. — Osservazioni geologiche fatte nella Valle del Sacco e stu-
dio petrografico di alcune rocce, Ibid., vol. XXVII, Roma, 1896.
XVII. — Osservazioni geologiche fatte sui Monti Ernici nel 1895, Tbid.,
vol. XXVII, Roma, 1896.
XVIII. — La struttura carsica osservata in alcuni monti calcarei della
provincia romana, Ibid., vol. XXVIII, Roma, 189%.
XIX. C. F. PARONA. — Fossili neocretacei della Conca Anticolana, Ibid.,
vol. XLIII, Roma, 1912.
XX — Prospetto delle varie facies e loro successione nei calcari a Rudiste
dell’Appennino, Boll. Soc. Geol. It., vol. XXXVII, Roma, 1918.
XXI. MinIisTERO D’AGR., IND. E ComMERCIO. — Carta idrografica d’ Italia :
Liri-Garigliano, Paludi Pontine e Fucino, Roma, 1895.
XXII. G. De AncELIS D’Ossat. — L'alta valle dell’ Aniene, Mem. Soc.
Geogr. It., vol. VII, Roma, 1897.
XXIII. G. De AGOSTINI. — Il ago di Canterno, Boll. Soc. Geogr. It., s. III,
vol. XI, Roma, 1898. i
XXIV. R. MELI. — Notizie scientifico-tecniche sui travertini e specialmente
su quelli esistenti nella pianura sotto Tivoli, Roma, 1902.
XXV. C. TuccimeI. — Sopra la recente scomparsa del lago di Canterno,
Att. Pont. Acc. Nuov. Lincei, vol. LXVII, Roma, 1914.
XXVI. A. SANDRINI. — /{ Canale Tufano, Roma, tip. Polizzi e Valentini,
1918. La descrizione dell’antico sistema idraulico del Tufano trovasi riportata
in Boll. Soc. Geogr. It., s. V, vol. VII, Roma, 1918, pag. 892.
III. — Serie dei terreni.
Pochi sono i terreni che prendono parte alla costituzione della
regione considerata. Il più antico e nello stesso tempo quello incom-
parabilmente più importante per estensione e per potenza è. costi.
tuito dai calcari cretaceî che formano l’ossatura essenziale del bacino
anticolano e sui quali solo accessoriamente si sovrappone la nota
formazione calcareo-marnoso-arenacea del Miocene medio, rappresen-
tata per lo più dal suo termine più basso, cioè dai calcari. Le valli
e le depressioni sono poi generalmente riempite da materiali quater-
nari, lacustri o vulcanici, i quali ultimi, peraltro, in piccoli lembi
di copertura si ritrovano a tutte le altezze.
Creracto. — È noto che nell'Appennino centrale il Cretaceo ora
consta di depositi formatisi a profondità relativamente grande, ora
è essenzialmente costituito da calcari di mare poco profondo e che
di queste due diverse facies litologiche, opportunamente designate
dal Lotti coi nomi di umbro-marchigiana o settentrionale ed abruz-
Br” LA CONCA DI FIUGGI NELL’APPENNINO ROMANO 9
zese o meridionale, la prima compare a N-0, la seconda a S-E di
una linea che dai dintorni di Tivoli si dirige sull’Aquilano, passa
un po’ a sud di Ascoli Piceno, si immerge nell'Adriatico per seguirne
l’asse maggiore e devia infine a N-O dirigendosi verso il Bellunese.
Domina ‘qui adunque la facies. meridionale ed il sistema cretaceo,
per quanto estesamente e potentemente sviluppato, sì ritrova dap-
pertutto rappresentato da una pila calcarea con grande monotonia
di composizione.
Comunemente questi calcari sono molto compatti, a frattura viva,
concoide, talora con piccoli nuclei o granuli di calcite: di rado il
colore è perfettamente bianco, per lo più biancastro o grigio o
giallo-bruniccio, più o meno carico, ed eccezionalmente con tendenza
al bigio-vinato o con piccole zonature ocracee. Abbastanza comuni
sono pure i calcari nei quali la frattura si fa più aspra fino a dive-
nire granosa, subcristallina. Nè mancano d’importanza, benchè non
frequenti, le intercalazioni di calcari dolomitici, granosi, generalmente
giallo-brunicci non di rado biancastri. Rari invece sono gli strati un
po’ marnosi nei quali il calcare assume talvolta una frattura prisma-
tica più o meno netta, come pure sono rari i banchi di breccie au-
togene, grigio-vinate o verdiccie. A differenza di quanto ha luogo
in altri punti dell'Appennino centrale ® in questa enorme pila di cal-
cari non si riscontrano mai noduli o filari selciosi.
Tutti questi calcari, sempre ben stratificati, presentano gli strati
attraversati perpendicolarmente da fine diaclasi che determinano
spesso nella roccia una tendenza a frantumarsi spontaneamente in
minuti frammenti fino a dare origine ad ammassi sabbiosi biancastri,
oggetto in molti punti di escavazione. I calcari dolomitici sì presen-
tano generalmente in banchi di grande potenza, anche di parecchi
metri e, se non fosse così evidente la loro intercalazione nei calcari
cretacei, all’aspetto si sarebbe tentati di ritenerli molto più antichi.
. Gli avanzi organici non mancano in questi calcari, anzi non di
rado le Nerinee, le Rudiste, le valve di Chondrodonta sono così abbon-
1 Boll. Soc. Geol. Ital., vol. XXXII, Roma, 1913, pag. Lxv.
B. LorTI, Relazione sulla Campagna geologica dell’anno 1912. Boll. Com.
geol. d’It., vol. XLIV, Roma 1915, pag. 18.
® Boll. Com. Geol. d’It., vol. XLVI, Relazione sui lavori di campagna
eseguiti durante l’anno 1916-17, ecc., pag. VI.
10 C. CREMA i [1]
danti da dar origine a vere lumachelle, ma nel maggior numero dei
casi la tenacità della roccia e l'avanzata spatizzazione dei fossili non
permettono che questi si possano osservare altrimenti che in sezione.
Ben conservati anche nei più minuti particolari, sono per lo più sol-
tanto quelli che si ritrovano, come in tutte le regioni carsiche, nella
terra rossa, in prossimità della roccia calcarea dalla quale li ha iso-
lati l’azione dissolvente delle acque.
Questa scarsezza di fossili ben conservati congiunta alla loro ine-
guale distribuzione ed all’uniformità litologica della serie rende poco
facile lo stabilire quali piani siano rappresentati in questa potente
pila calcarea ed estremamente difficile, per non dire impossibile, il
riconoscerne e separarne i limiti. Tuttavia dagli studi gentilmente
compiuti dal prof. C. F. Parona sul materiale da me raccolto è rimasta
accertata l’esistenza di due piani: il Turoniano e il Senoniano; ed
è probabile che con nuove ricerche si riesca a dimostrare anche la
presenza del Cenomaniano, perchè in qualche località il Turoniano
è rappresentato -dall’orizzonte a Requienia parvula Costa, che, nel-
l'Appennino, si sovrappone direttamente ai calcari cenomaniani ‘.
Il Turoniano è senza dubbio il più sviluppato di questi due piani
e, malgrado le incertezze che non permettono di delimitarlo sicura-
mente, sembra che vi si debba riferire la maggior parte dei calcari
della regione riconosciuti come appartenenti al Cretaceo. Fra i fos-
sili prevalgono tre specie: Eoradiolites colubrinus Par., Eor. cfr. li-
ratus Conr. e Sauvagesia Sharpei (Bayle), accompagnate da /ta-
diolites Trigeri (Coqg.), Bournonia sp., Durania runaensis (Choffat),
D. Arnaudi (Choffat), Orbignya sp., Lapeirousia samnitica (Par.), Mo-
nopleura Schnarrenbergeri Par. e spesso anche da copiosi esemplari
di un’alga sifonea del gen. 7riploporella, di miliolidi ed altri fo-
raminiferi (Rotalia, Textularia, ecc., nonchè rare Orbitolina). Negli
strati più bassi abbonda, come già si disse, la Requienia parvula Costa ;
infine merita una speciale menzione la Chondrodonta sellaeformis
Par. non solo per la relativa frequenza, ma anche per la sua lunga
! C. F. PARONA, Prospetto delle varie facies e loro successione mei calcari
a Rudiste dell’ Appennino, B. S. G. I., vol. XXXVII, Roma, 1918, pag. 4.
C. CREMA, Osservazioni sui giacimenti di Bauxrite dell’ Appennino, del-
l’Istria e della Dalmazia, Rend. R. Acc. d. Lincei, vol. XXIX, s. 5%, Roma,
1920, pag. 494,
[1] LA CONCA DI FIUGGI NELL’APPENNINO ROMANO 1l
persistenza — dagli strati a R. parvula fino a quelli del Senoniano
inferiore — persistenza comune con qualche rudista ed in armonia
colla costanza delle condizioni di sedimentazione e di vita presen-
tate dai mari nei quali si deposero i calcari a Rudiste dell’Appen-
nino e, pare, anche dell’altro lato dell’Adriatico.
Come località fossilifere sono da ricordarsi il M. Pila Rocca e la
reg. Zompi (Piglio), il piano d’Arcinazzo, i dintorni di Fiuggi, la
R. Campora a nord di Guarcino, il M. Civitella, il M. S. Iusto ed
il Monte del Lago, nella quale ultima località si ritrova anche un
piccolo echinide in esemplari numerosi ma così tenacemente legati
alla roccia che non è possibile determinarlo nemmeno genericamente :
forse si tratta di un Cassidulide.
Il Senoniano è assai meno esteso del Turoniano, tuttavia esso
pure affiora largamente e può essere citato con sicurezza a nord del
Piglio, nei dintorni di Castagneto, presso l’abitato di Trivigliano, a
Colle Vigli, ad ovest di Guarcino, al M. Torrita, ecc. Paleontologi-
“camente esso è caratterizzato dalle seguenti specie:
Stromatopora Virgilioi Osimo.
Cardium (Trachycardium) ctr. productum Sow.
Chondrodonta sellaeformis Par.
Radiolites angetodes (Picot de Lap.).
» spinulatus Par.
» sp. (gr. del £. gallo-provincialis Math.)
Durania arundinea Par.
In parecchie località, ad es. al M. Torrita ed a Colle Vigli, il cal-
care contiene ancora numerose e ben sviluppate miliolidi apparte-
nenti al generi /dalina, Periloculina, Lacazina (L. compressa (d’Orb.)
Mun-Ch.), Cuneolina, ecc. Notevoli le dimensioni degli individui di
Lacazina, appena più piccoli di quelli, assai grandi, che potei rac-
cogliere al Plan d’Aups, nel Senoniano superiore della Catena della
Sainte Baume in Provenza durante le escursioni eseguite in occa-
sione dell'VIII Congresso geologico internazionale.
Nei monti a nord di Guarcino, a poco più di un chilometro dal-
l’abitato ed all’altezza di 1100 m. s. m., comparisce nei calcari a
Requienia un affioramento di minerale ferrifero, ormai intieramente
esaurito, ma che fu altre volte sfruttato per alimentare, pare, le fer-
#
12 C. CREMA [1]
riere di Subiaco. I materiali di rifiuto dell’antica lavorazione, ed i
detriti di falda ingombrano il terreno, tuttavia è chiaro che si tratta
di una sacca di modeste dimensioni che si approfondisce nei banchi
calcarei normalmente all'andamento della stratificazione : le condizioni
di giacitura del minerale sarebbero quindi le stesse della Bauxite!.
Questa non venne fin ora riscontrata nella zona considerata nè nelle
sue vicinanze fino alla Valle del Liri®, tuttavia non è improbabile
che essa fosse rappresentata nel materiale di riempimento della sacca,
da gran tempo, come si disse, intieramente asportato.
Miocene. — In molti punti dell'Appennino centrale ed anche a
poca distanza dalla Conca di Fiuggi sui calcari del Cretaceo si ap-
poggiano con continuità i terreni eocenici eteropicamente rappre-
sentati da calcari cristallini bianchi e da numerose varietà della così
detta scaglia; nella regione considerata invece l’Eocene non compare
affatto o, se vi.compare, non può trattarsi che di qualche minuscolo
lembo sfuggito alle mie ricerche. Dai calcari cretacei si passa sen-
z’altro nel caso nostro alla nota formazione calcareo-marnoso-arenacea,
la quale vi si adagia in trasgressione parallela e presenta, come nel resto
dell’Italia centrale, tre membri litologicamente ben distinti e rappre-
sentati rispettivamente dal basso all’alto da calcari, argille ed arenarie.
I calcari sono ora biancastri, compatti, a frattura viva, ora gial-
lastri a grana più o meno aspra con faccettine spatiche lucenti nella
pasta, ora più o meno marnosi fino a trasformarsi in vere marne
calcaree, scure se rotte di fresco, ma gialliccie sulle superficie da
lungo tempo esposte alle intemperie: noduli e filari selciosi non vi
sono rari e possono talvolta divenire abbondantissimi. In qualche
sezione microscopica spiccano dei romboedri in gran numero, ben
delimitati, idiomorfi, senza alcuna sorta di geminazione, prova della
presenza di plaghe dolomitiche nel .caleare: le analisi eseguite su
altri calcari dell’Appenrino centrale della stessa età, ad es. su quelli
asfaltici delle miniere di S. Valentino, hanno, del resto, già dimo-
strato l’esistenza fra essi di varietà ricchissime di magnesia *°.
! C. CREMA, Osserv. sui giacim. di Bauxite dell’ App. ecc., pag. 494.
, ® C. CREMA, La Baurite nella Valle del Liri, La Min. It., vol. II, Roma,
1918, pag. 368.
8 V. NOVARESE, / giacimenti di asfalto di S. Valentino (Chieti), Rass. Mi-
neraria, vol. XX, Torino, 1904, pag. 3.
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[1] LA CONCA DI FIUGGI NELL’APPENNINO ROMANO 13
Generale in questi calcari, quando non sono troppo marnosi, è
la tendenza a ridursi sotto l’azione degli agenti esterni in iscaglie
della lunghezza di una quindicina di centimetri e di forma più o meno
regolarmente romboedrica: i tre piani secondo i quali ha luogo
tale sfaldatura non hanno alcuna posizione fissa relativamente alla
stratificazione. Le fenditure colle quali la suddivisione della massa
rocciosa si manifesta alla sua superficie determinano su quest’ultima
dei reticolati a maglie rombiche, più o meno pronunziati e talvolta di
sorprendente regolarità. Il calcare acquista così un aspetto caratte-
ristico, che lo fa riconoscere facilmente, anche a distanza, e talora ne
maschera del tutto la stratificazione (tav. II, fig. 1 e 3).
L'esame microscopico rivela spesso in questi calcari una grande
ricchezza in ispoglie di foraminiferi, da cui anzi a volte sembrano per
intero costituiti e negli strati più arenacei abbondano talvolta quelle
caratteristiche impronte vermicolari già credute fucoidi. Generalmente
abbondanti poi, benchè non sempre di facile estrazione, sono i lito-
tammii, briozoi, coralli e lamellibranchii : in particolare i pettini sono
spesso così numerosi da far designare la roccia col nome di calcari a
Pecten e lo stesso può dirsi rispetto al briozoi e litotamnii per la
loro saltuaria abbondanza. Meno comuni sono gli echinidi: Clypeaster,
Echinolampas e Scutella; però eccezionalmente gli individui possono
divenire abbondantissimi come, ad esempio nel calcare a Scutella dei
pressi di Fontana Mora (piano d’Arcinazzo). Si tratta del resto di
. una fauna troppo nota perchè siano necessarie più ampie notizie: ed
è ormai generalmente accettato il riferimento al Miocene medio tanto
dei calcari che la contengono, quanto delle soprastanti argille ed are-
narie prive di fossili colle quali essi sono indissolubilmente legati.
Malgrado la presenza di una ricca fauna miocenica, è noto che
qualche geologo volle riferire all’Eocene questi calcari od almeno la
loro porzione più bassa, ritenendola in continuità col Cretaceo: come
ho già detto altrove !, nè negli Abruzzi, nè in Umbria, nè nel Lazio
1 C. CREMA, Sezione geologica attraverso la Valle di Licenza nel bacino del-
l’Aniene, B. C. G. d’It., vol. XLI, Roma, 1910, pag. 419; Relazione preliminare.
sulla campagna geologica dell’anno 1911 (Abruzzo Aquilano), Ibid., vol. XLIII,
Roma, 1912, pag. 64; Boll. Soc. Geal. It., vol. XXXI, Roma, 1912, pag. xCII;
Escursioni nei dintorni di Aquila, ecc., Ibid., vol. XXXII, Roma, 1913, pag. Coxvi.
14 C. CREMA [1]
lo non ho mai potuto osservare questi calcari legati da continuità
di passaggio non solo con il Cretaceo, ma neppure coll’Eocene, sul
quale pure si trovano in trasgressione, ed anche nel caso attuale
posso confermare che la trasgressione fra i calcari cretacei e quelli
ora descritti è della massima evidenza. —
Gli scisti argillosi presentano sempre scarsa potenza tuttavia non
sono privi d'importanza perchè costituiscono un discreto materiale
per la fabbricazione dei laterizii.
Le arenarie sono grigio-cerulee o giallastre, per lo più a grana
fina; constano come di solito principalmente di quarzo, ortosio, pla-
gioclasio, biotite e muscovite con epidoto, granato e tormalina, ecc. ;
il cemento è calcareo-argilloso, ma in generale poco consistente co-
sicchè la roccia resiste per lo più male agli agenti esterni. La strati-
ficazione è sempre ben evidente, ma lo spessore degli strati è varia-
bilissimo e da grossi banchi si passa a straterelli di grande fissilità;
frequenti sono le intercalazioni argillose, specialmente negli strati
più bassi; in certi strati si osservano numerosi nuclei più compatti,
subelissoidali, a staldatura concentrica, che per la maggior resistenza
alle azioni degradatrici sporgono più o meno alla superficie della
roccia.
La potenza dei calcari miocenici non è nemmeno lontanamente
comparabile a quella dell’impalcatura cretacica, sulla quale riposano ;
tuttavia essi affiorano largamente formando numerosi ed estesi lembi
di copertura come risulta senz’altro dalla carta geologica che accom-
pagna questo lavoro. |
Esili e scarsi di numero sono invece gli affioramenti delle argille
le quali compaiono, principalmente, lungo il versante occidentale del
M. Porciano ed, in minuscoli lembi, presso il lago di Canterno, alle
origini del fosso Le Cese ed ad ovest della Cappella di S. Rocco.
In quanto alle arenarie esse dominano estesamente nei colli di Anagni
ma nelle parti più elevate non compaiono che in piccoli lembi asso-
ciati alle argille nelle località ora indicate nonchè al piano di Tefuci.
È naturale del resto che queste due formazioni così facilmente ero-
dibili siano ormai quasi scomparse dalle porzioni più aspre del terri-
torio lasciando allo scoperto i sottostanti calcari, che, incomparabil-
mente più resistenti, si trovano invece a tutte le altezze.
[1] LA CONCA DI FIUGGI NELL’APPENNINO ROMANO 15
QUATERNARIO. — Sopra le arenarie non si hanno altri sedimenti
marini e dal Miocene medio si passa direttamente ai terreni con-
tinentali del Quaternario, i quali presentano potenza ed estensione
relativamente grandi, perchè il loro deposito venne favorito da varie
circostanze, fra le quali non ultima la speciale conformazione topo-
grafica del territorio che si prestava assai bene ad accoglierli.
Questi terreni devono distinguersi secondo la loro origine vul-
canica o fluvio-lacustre, quantunque i materiali dei due gruppi pos-
sano trovarsi talvolta mescolati. Cominceremo dai primi.
Le formazioni vulcaniche sono rappresentate da tufi leucititici i
quali coprono quasi un quarto del territorio rilevato assumendo in
molti punti ragguardevole potenza. Il loro studio sarà compreso
nella parte VI dell’importante lavoro dell’ing. Sabatini sui Vulcani
spenti dell’Italia centrale, in corso di pubblicazione '; mi limiterò
quindi a poche notizie, in parte dovute appunto a detto ingegnere
che ebbe la cortesia di compiere un sommario esame microscopico
del materiale raccolto nelle mie escursioni.
Si tratta in generale di tufi debolmente cementati e la cui massa,
originariamente costituita da minuti lapilli e granuli di leucite, può
presentare tutti 1 gradi d’alterazione passando. ad un materiale ter-
Toso più o meno omogeneo, giallastro o nerastro o ad una vera
terra argillosa; eccezionalmente si hanno anche strati lentiformi bian-
castri, caolinizzati. Spesso sono stati utilizzati come pozzolane ed in
molte località, ma principalmente a Torre del Piano, lungo il fosso
Pozzolana, lungo la valle Spalacato, presentano numerose e talvolta
ampie cavernosità, ora abbandonate ed insicure, ma aperte fino a
pochi anni fa per un’attiva escavazione.
. La stratificazione è sempre ben evidente e suborizzontale; gli
strati hanno spessori variabilissimi: da pochi centimetri ad un metro
ed anche molto più. Di rado il tufo ha consistenza litoide, come ha
luogo ad esempio nei dintorni di Anagni e presso la Torre del Piano.
In quest’ultima località il tufo litoide riposa su tufi terrosi coll’in-
termezzo di un banco di tufo sabbioso e, come mostra la fig. 1 della
tav. III, presenta struttura colonnare.
! V. SABATINI, / Vulcani dell’Italia centrale ed i loro prodotti, parte 2°,
Roma, 1912, pag. 4.
16 C. CREMA [1]
Tutti questi tufi non provengono da bocche locali, ma per tra-
sporto di ceneri leucititiclie dai vicini centri vulcanici (Ernici, La-
ziali). Gli elementi che li costituiscono non oltrepassano in generale
una frazione di millimetro, pochi arrivano a mm. 1-1,5; sono fram-
me ntini di rocce leucititiche o di semplici grandi cristalli, principal-
mente mica nera, pirosseno, sanidina, ai quali va aggiunta qualche
leucite alterata, ma ancora riconoscibile al contorno. Malgrado la
più o meno avanzata alterazione ed ocratizzazione della massa in
molti elementi è possibile riconoscere l'assenza di microliti di feldspato
e la presenza di numerose leuciti ben determinabili alla semplice
ispezione dei contorni e spesso individuate anche dal noto fenomeno
delle crocine e stelline bianche in campo oscuro.
Le esperienze dei prof. Nasini e Levi (VIII, pag. 190) hanno di-
mostrato che i tufi dei dintorni di Fiuggi (sorgente) sono circa dieci
volte più radioattivi dei fanghi delle sorgenti termali di Battaglia
e rappresentano, come roccia, il materiale più radioattivo finora sco-
perto in Italia. La notevole radioattività di tali tufi venne recente-
mente confermata dal prof. De Angelis d’Ossat (XII).
I tufi formano ammassi importanti solo negli altipiani di Fiuggi
e di Canterno e nella pianura sotto Acuto;in minori lembi però essi
si ritrovano a tutte le altezze occupando non solo zone pianeggianti
e depresse, ma distendendosi talora anche su pendicì di una certa ac-
clività.
Non è esagerata l’affermazione che la presenza di questi tufi è
veramente provvidenziale per la regione perchè, anche a prescindere
dal fatto che da essi sgorgano le acque minerali dell’altipiano, acqui-
standovi, pare, le proprietà terapeutiche per cui sono giustamente
celebrate, sono essi che hanno largito le risorse della coltivazione
a tanta parte di questi dossi calcarei, che altrimenti ne sarebbe priva
o quasi. Non solo infatti questi tufi ammantano le estese aree in-
dicate nella carta ed un’infinità di altre minori, troppo piccole per
essere segnate, ma anche fuori di tali plaghe sono diffusi dovunque,
perchè, come nel resto della Provincia Romana !, quasi tutta la terra
! €. VioLa, Sulle condizioni geologiche dei monti della Provincia Romana,
in rapporto colla coltura agraria e silvana, L'Eco dei Campi e, dei Boschi,
anno IV, n. 83, Roma, 1897, pag. 81.
-
[1] LA CONCA DI FIUGGI NELL’APPENNINO ROMANO 17
rossa di questi monti è di origine vulcanica. Ai tufi adunque è in
gran parte dovuta la formazione di quegli strati fertilissimi che ri-
troviamo non solo sugli altipiani ma anche su pendici fortemente ac-
clivi sempre quando possano esservi trattenuti da essenze capaci colle
loro radici di legare, per così dire, il terreno vegetale al sottosuolo
roccioso.
Per quanto complessivamente importanti tutti questi lembi tu-
facei non sono però che il residuo del manto ben più considerevole
che, come mostrano le traccie lasciate anche sulle più alte creste,
ricopriva altre volte questi monti e che le forze erosive dell’aria e
dell’acqua, di quest’ultima principalmente, hanno asportato da tante
alture lasciandole per sempre infeconde. Anche oggi queste forze
continuano con vece assidua la loro opera di distruzione, donde la ne-
cessità, purtroppo non abbastanza avvertita, d’impedire con adatti
provvedimenti (rimboschimenti, raccolta e smaltimento delle acque
selvaggie, imbrigliamenti, ecc.) la lenta ma continua rimozione per
una gran parte del territorio di questi terreni così poco resistenti.
I tufi così rimossi misti talora con elementi eterogenei (per lo
più calcarei), più spesso da soli, vengono a costituire un particolare
. detrito di falda o veli alluvionali, talvolta torbosi, come nella piana
detta I Pantani. Nella carta però i tufi rimaneggiati non vennero
distinti dai tufi in posto poichè una tale separazione sarebbe stata
praticamente impossibile nel maggior numero dei casi e del resto
senza scopo.
Meno importanti delle vulcaniche, ma pur degne di nota, sono
le formazioni di origine fluviale o lacustre.
Durante gli studi per la compilazione del già accennato progetto
di trasformare una parte della conca di Fiuggi in un bacino di ri-
tenuta, fra il M. Vosciano ed il colle Barazzo, dove avrebbe dovuto
sorgere una delle dighe di sbarramento, vennero praticate, approfon-
dendole fino ad 11 m., due trivellazioni, una delle quali presso i ruderi
della così detta Osteria Vecchia, l’altra circa 150 m. più a N-O.
Dalle informazioni gentilmente datemi dall’ing. E. Ugolini, risulta
che entrambe, a partire da m. 6 sotto il piano della campagna,
attraversarono delle argille grigio-turchine il cui spessore risultò per-
ciò di almeno 5 m. Non fu possibile esaminarne i campioni estratti,
andati disgraziatamente dispersi, cosicchè rimane dubbio se si tratti
Boll. R. Com. Geol., v. XLVII, 1920-21. 2
18 C. CREMA | [1]
di una prosecuzione del lembo di argille mioceniche che affiora alla
Fornace, aì piedi di M. Porciano, o di argille di origine lacustre, nel
qual caso esse dovrebbero forse ritenersi come i più antichi depositi
continentali della regione. i
Di origine certamente lacustre, ma assai più giovani, sono le fine
argille grigiastre del Piano d’Arcinazzo, le quali formano un ristretto
lembo presso la piccola dolina detta La Buca e sede di un laghetto,
verisimilmente residuo di quello molto più ampio nel quale si sono
depositate tali argille.
Nell’ampia valle del Sacco si osservano, come è noto da gran
tempo, importanti depositi di travertini qua e là con intercalazioni
marnose e questa formazione comparisce anche nella nostra carta.
L’affioramento più esteso si ha a sud delle colline d’Anagni donde
si spinge verso est fin oltre il casale Ronghino; più ridotti sono gli
affioramenti che sì osservano presso la Torre del Piano. In tutte queste
località il travertino è scavato in un gran numero di punti e trova
nelle vicinanze largo impiego come materiale da costruzione; Anagni
ad es. si può dire intieramente fabbricata in travertino ed in traver-
tino sono i suoi più vetusti edifizi e gli avanzi delle antiche mura.
Questo travertino non è scarso di fossili e fra questi, grazie alla
cortesia del Marchese di Monterosato che si compiacque di esami-
nare il materiale raccolto, posso citare le seguenti specie:
Bythinia (Cochiella) Boissieri, Charp.
Succinea Pfeifferi, Rossm.
Limnaea .(Gulnaria) lagotis, Schr.
» (Limnophysa) palustris, Mill.
Planorbis (Tropidiscus) marginatus, Drap.
Pisidium Piattii, Adami
tutte attualmente viventi nel Lazio! salvo il /. Piatti il quale, per
quanto mi consta, non venne ancora trovato se non nei fanghi im-
pregnati di acido solfidrico della sorgente termale subacquea di Ser-
mione sul lago di Garda *. All’infuori di questa forma e della Gu/-
ì A. STATUTI, Catalogo sistematico e sinonimico dei molluschi terrestri e flu-
viatili viventi nella provincia Romana, Ball. d. Soc. Mal. ital., vol. VIII, Pisa,
1882. Vedansi anche i lavori dell’ing. Clerici citati più avanti.
? G. B. Apami, Novità malacologiche recenti, Bull. d. Soc. Mal. ital.,
-vol. XI, Pisa, 1885, pag. 2531. :
{1] LA CONCA DI FIUGGI NELL’APPENNINO ROMANO 19
naria, esse sono già state replicatamente indicate dal Clerici nei
terreni quaternarii dei dintorni di Roma !.
Già sì disse che in molti punti si ha un detrito di falda costituito
da tufi rimaneggiati, soli o commisti con elementi di altre roccie, per
lo più calcaree. In quanto agli accumuli di detriti prevalentemente
calcarei, essi, come è naturale, si trovano sparsi qua e là un po’ dap-
pertutto in lembi generalmente poco estesi; inoltre essi assumono
importanza alle falde del M. Carmine e ad ovest del Piglio; nella
quale ultima località formano una breccia tenace che dà origine a
scoscesi e pittoreschi dirupi.
Quale detrito di falda venne pure segnato sulla carta l'ammasso
detritico che ammanta i piedi del C. Faggio, sul versante sinistro
della valle di F.$° Campo; assai probabilmente però una parte almeno
dei materiali che lo costituiscono è di origine glaciale. Dopo le traccie
di tale natura segnalate nella valle del fiume di Collepardo, nel
bacino di Filettino e nella valle del Liri rispettivamente dall’ing.
Viola (XVI, pag. 35 e XVII, pag. 306), dal prof. Dainelli ® e dal-
l’ing. Franchi *, si deve ritenere che la valle di Fosso Campo — non
compresa nei limiti di questo studio — per la sua conformazione
LEI RE e TR PD L=»
è 4 è; ì
topografica, altimetria ed esposizione sia stata anch'essa percorsa
da un ghiacciaio.
I depositi considerati: argille varie, VEE e tufi non consen-
tono osservazioni conclusive sui loro reciproci rapporti di posizione
! E. CLERICI, Sopra alcune formazioni quaternarie dei dintorni di Roma,
Boll. Com. geol. d’It., vol. XVI, Roma, 1885.
»— I fossili quaternarii del suolo di Roma, ibid., vol. XVII, 1886.
._ — I travertino di Fiano Romano, ibid., vol. XVIII, 1887.
; — Sopra alcune specie di felini della Caverna al Monte delle Gioie presso
A Roma, ibid., vol. XIX, 1888.
de —_ Fossili dei terreni quaternarii alle falde del Gianicolo, ibid., vol. XXI, 1890.
_ — Sulla Corbicula fluminalis dei dintorni di Roma e sui fossili da l’ac-
. compagnano, Boll. d. Soc. geol. it., vol. V, Roma, 1888.
? G. DAINELLI, Contemporaneità dei depositi vulcanici e glaciali in pro-
vincia di Roma, Rend. d. R. Acc. d. Lincei, s. V., vol. XV, Roma, 1906,
pag. 797; Osservazioni morfologiche e glaciali nel bacino di Filettino in pro-
vincia di Roma, Atti Congr. Naturalisti It., Milano, 1907, pag. 297.
i 3 S. FRANCHI, Traccie glaciali nell'alta Valle del Liri, B.S. G.I., vol. XXXVII,
_ Roma, 1918, pag. xLI; Sviluppo relativo dei ghiacciai plistocenici nei Monti
Simbruini e nell’adiacente Appennino Abruzzese, Boll. Com. (Geol. d’It.,
|_ vol. XLVII, Roma, 1920, pag. 229.
BO
e.
20 C. CREMA [1].
e, salvo i travertini, forse i più recenti di tutti, non contengono fossili :
oscuri ne rimangono di conseguenza l’ordine di successione e la ri-
partizione cronologica. Non è perciò il caso di attardarsi a questo
proposito e tanto meno di tentare di stabilire delle equivalenze fra
questi e gli altri depositi quaternarii della provincia di Roma. E solo
non parmi fuori luogo di rammentare — attesa la grande importanza
assunta da tali constatazioni per lo studio del sincronismo dei ter-
reni quaternarii del Lazio dopo la recente scoperta nell'Appennino
romano di diffuse traccie glaciali a quote inaspettatamente basse —
che il compianto prof. Meli! e l’ing. Clerici ® hanno segnalato in
alcuni travertini concomitanti ai tufi romani la presenza dello Zondtes
compressus, specie vivente oggidì a circa 2000 m. sul mare, e come
il gen. Verri* abbia osservato che nella Campagna Romana a quel
tempo corrisponda un trasporto ghiaioso minimo.
Così pure non mi indugierò sulle traccie lasciate in questa re-
gione dall'uomo preistorico, a questo riguardo non avendo altri ele-
menti che una cuspide di freccia ‘, cortesemente offertami dal dott. Al-
fredo Lattanzi che la raccolse nei pantani ad oriente del lago di
Canterno, e la notizia, dovuta alla gentilezza del sig. Augusto Tor-
roni di Trevigliano, del ritrovamento in uno scavo eseguito presso
il laghetto a metà strada fra la fonte di Fiuggi e la Madonna della
Stella di travi indurite che si vorrebbero resti di antiche palafitte.
Osserverò soltanto che, per quanto è a mia conoscenza, sarebbero
questi i primi documenti preistorici scoperti nell’ambito della conca
! R. MELI, Molluschi terrestri e d’acqua dolce rinvenuti nel tufo litoide della
Valchetta presso Roma. Boll. Soc. Geol. It., vol. III, Roma 1884, pag. TT.
? E. CLERICI, Sopra alcune formaz. quatern., ecc. Boll. R. Com. Geol. d’It.,
vol. XVI, Roma, 1885, pag. 390.
% A. VERRI, Origine e trasformazioni della Campagna di Roma. Boll. Soc.
Geol. It., vol. XXX, Roma, 1911, pag. 310.
4 È un bell’esemplare lungo mm. 55, largo alla base mm. 24, dello spessore
massimo di mm. Y, in piromaca translucida, grigio-giallastra, ottenuto con un
diligente lavoro di scheggiatura sulle due faccie, delle quali una convessa, l’altra
irregolarmente pianeggiante. Ha forma triangolare allungata, a margini leg-
germente convessi, con alette un po’ incurvate e gambo restringentesi gra-
dualmente verso la base, la quale è tronca. Presenta quindi non poca rasso-
miglianza col primo dei tipi di Castel Malnome, presso Ponte Galera (Roma),
fatti conoscere da G. A. CoLINI (Armi di selce trovate nei dintorni di Roma, ece.,
Bull. di Paletn. it., XXXI, Parma, 1905, pag. 2, tav. I, fig. 6).
[1] LA CONCA DI FIUGGI NELL’APPENNINO ROMANO 21
anticolana laddove, come è noto, notevoli ritrovamenti ebbero luogo
in vari punti delle valli finitime.
IV. — Tettonica ed orogenesi.
Non complicata e in tutto analoga a quella che si riscontra abi-
tualmente nell’Appennino centrale e meridionale dove il Cretaceo
sì presenta a facies abruzzese è la tettonica della valle anticolana.
Un’identica disposizione vale tanto per le formazioni cretacee quanto
per quelle del Miocene; l’importanza delle prime, del resto, è così
grande in confronto alle seconde che facendo astrazione da queste
ultime appena muterebbe la morfologia generale del territorio.
La disposizione di tutti questi terreni cretacei e miocenici si può
idealmente ricondurre ad uno schema semplicissimo, poichè dalla
loro situazione attuale è facile desumere che in origine essi dovet-
tero far parte di un’unica piega anticlinale, diretta secondo l’asse
della valle, colla gamba occidentale rappresentata dalla dorsale
M. Pila Rocca-M. Porciano e l’orientale dai monti fra Guarcino ed
il Piano di Arcinazzo. Tale piega però non solo si presenta ora
spezzata e sconquassata, ma è probabile non sia mai giunta ad indivi-
duarsi interamente, perchè la pressione delle forze orogeniche si eser-
citava su di una massa rocciosa prevalentemente calcarea, che per
la sua naturale rigidità non doveva tardare ad infrangersi.
Come si vede dalle tre sezioni disegnate nella tav. I, una lunga
faglia, che, ben visibile fra il lago di Canterno e la Madonna della
Stella, è mascherata più a nord dai terreni quaternari per poi ri-
comparire fra i Colli Madama e Cisino, interrompe longitudinalmente
la piega. La porzione orientale di questa muovendosi a bilico lungo
la faglia si abbassò a sud, in modo che quivi le argille e le arenarie del
Miocene inclinando verso ovest sembrano sommergersi sotto i banchi
cretacei di M. Porciano, e si rialzò invece a nord dove i calcari cre-
tacei di colle Cisino inclinando a N-E sembrano sovrapporsi alla
serie miocenica del Colle Madama. Altre faglie più o meno inclinate
all’asse dell’anticlinale si osservano nella sua parte orientale e fra
queste meritano di essere ricordate: una prima fra Colle Cisino ed
22 C. CREMA [1]
il Capo di Monte, lungo la quale i terreni tornano a presentare la
disposizione già osservata fra Colle Madama e Colle Cisino; una se-
conda lungo il fosso della Conca che probabilmente si spinge sotto
il manto quaternario fino alla macchia d’Acuto ed infine una terza
al piedi del Colle di Trivigliano, messa in evidenza da un minu-
scolo affioramento di arenarie mioceniche presso il Fontanile. È
molto probabile che esistano ancora altre faglie, ma queste, non met-
tendo in contatto anormale che piani diversi del Cretaceo, per la
scarsità dei fossili determinabili non potrebbero venir ora sicura-
mente dimostrate e perciò non sembra il caso di occuparsene. Os-
serviamo piuttosto che la maggior parte delle faglie minori si tro-
vano nel lato orientale della valle che ebbe certamente a subire
maggiori costrizioni a causa degli Morst costituiti dai terreni più an-
tichi delle vicine valli del Liri e dell'Aniene, mentre quello occiden-
tale sì presenta assai nmreno disturbato. Nel lato orientale in corri-
spondenza dei monti Orciano e Radicoso sì osservano pure dei
raggrinzamenti subordinati che mancano invece nella parte occiden-
tale della conca.
Sul principio del Neogene o sul finire del Paleogene, sì verificò
nell'Appennino centrale un importante diastrofismo di tipo epeiro-
genico per il quale le grandi masse calcaree del Cretaceo e dell'Eo-
cene, legate fra di loro da continuità di deposito, emersero per ri-
tornare in fondo al mare solo al principio del Miocene medio senza
che nella originaria orizzontalità dei depositi avvenissero sensibili
spostamenti, ma dopo aver subìto un’energica denudazione. I sedi-
menti eocenici furono così spesso ridotti ad esili lembi od anche, come
nel nostro caso, asportati del tutto e l'erosione intaccò pure profon-
damente i calcari cretacei: i sedimenti del Miocene medio poterono
‘così depositarsi indifferentemente su tutti questi terreni, porgendo
un notevole esempio di trasgressione parallela con forti discordanze
di erosione. |
Alla fine del Miocene od agli albori del Pliocene si iniziò un altro
sollevamento, ma accompagnato, questo, da forti costrizioni laterali.
Per questo movimento, mentre la parte superiore della massa sedi-
mentaria, costituita da argille ed arenarie, si restrinse in pieghe strette
e numerose, invece la parte inferiore, calcarea, più rigida, diede ori-
gine ad ondulazioni che, per quanto meno accentuate, sotto l’energica
mn
|1] LA CONCA DI FIUGGI NELL’APPENNINO ROMANO 253
pressione spesso si fransero in enormi blocchi che coi loro sposta-
menti determinarono la formazione di valli o di conche.
A questo punto il bacino anticolano è già plasmato nelle sue
linee fondamentali; ma ora le forze orogeniche, pur non riposando,
come è provato dai disastrosi terremoti che anche di recente si ab-
batterono su questi territori, perdono quasi ogni azione e cedono
il campo alle forze epigeniche rappresentate essenzialmente nel nostro
caso dall’azione distruttiva dell’acqua e da quella costruttiva dei
venti, per opera dei quali sì formano importanti adunamenti di ceneri
vulcaniche. A queste nuove forze è ormai affidato il definitivo model-
lamento del paesaggio.
Data la loro facile disgregabilità gli scisti argillosi ed argillo-are-
nacel del Miocene medio dovettero cessare ben presto dal proteggere
questi dossi montuosi col loro manto impermeabile ; è probabile perciò
che la conca nei primordii della sua esistenza non presentasse condi-
zioni favorevoli alla formazione di un lago, ma che le acque selvaggie
potessero invece sparire più o meno rapidamente attraverso al crepacci
ed agli inghiottitoi che non dovevano certo mancare nei tratti dove
i calcari erano rimasti allo scoperto. Senonchè man mano che i de-
triti trascinati dalle acque di dilavamento venivano a ricoprire il letto
della valle, queste fessure cominciarono ad otturarsi ed il fondo del
bacino, divenuto impermeabile, potè contenere accolte permanenti
d’acqua. Depositi di questi antichi laghi sono forse le argille gri-
gio-turchine incontrate nei due pozzi d’assaggio praticati fra M. Vo-
sciano ed il colle Barazzo. Coll’inalzarsi del fondo e col conseguente
sollevarsi del livello delle acque entrarono naturalmente in funzione
gli inghiottitoi delle pareti dell’alveo, la cui complessiva capacità
assorbente dovette essere ingente perchè questo complesso di laghi
entrò in una fase di regresso e finì per disseccarsi. Quale parte abbia
avuto in questo interrimento il deporsi dei potenti tufi leucititici che
attualmente nascondono del tutto l’antico fondo vallivo, non è possi-
bile per ora di stabilire. Comunque, continuando le acque a trovare
facili uscite attraverso le fessure presentate dalla massa calcarea, che
come un gigantesco anello racchiude le formazioni eoliche facilmente
erodibili, queste cominciarono ad incidersi fino ad assumere l’aspetto
attuale, nel mentre la pluralità degli inghiottitoi permetteva nella
parte meridionale della conca la formazione di bacini minori indipen-
fr
24 C. CREMA |1]
denti da quello principale. Vedremo fra poco come l’ostruzione di due
dì questi inghiottitoi abbia provocato, si può dire sotto i nostri occhi,
la comparsa di un’importante accolta d’acqua, il lago di Canterno,
ed a quali fenomeni, apparentemente misteriosi, dia luogo l’alterno
riaprirsìi e riotturarsi di uno di essi. 2
V. — Fenomeni carsici.
I calcari che sono stati descritti, qualunque sia la loro età, sì
presentano tutti, come si è visto, in banchi attraversati da innumere-
voli diaclasi e per lo più non molto inclinati; inoltre sono in mag-
gioranza molto solubili, cosicchè l’erosione carsica, quella cioè prevalen-
temente dovuta ad un processo di soluzione della roccia attaccata,
ha potuto largamente esercitarsi su di essì; ne segue che le grandi
e piccole forme di tipo carsico assumono tale importanza nel mo-
dellamento del terreno da meritare che se ne dica un po’estesamente.
I banchi calcarei rimasti allo scoperto mostrano generalmente la
superficie interrotta ad ogni passo da cavità tondeggianti o tortuo-
samente canaliformi o resa aspra ed ineguale da quegli svariati e
curiosi rilievi che lo Zaccagna propone di comprendere sotto il ben
trovato nome di crestaglie ! e fra i quali attirano non di rado lo
sguardo sulle rupi più sporgenti solcature parallele di sorprendente
regolarità (tav. III, fig. 2). Talvolta, particolarmente quando l’incli-
nazione è assai poco pronunciata, i banchi sono così profondamente
cariati che non lasciano più riconoscere il loro andamento ; tal’altra
la corrosione è stata ancora più intensa e dell’antico banco non ri-
mangono che spuntoni, emergenti attraverso il terreno vegetale e resi
simili dai processi degradatori a strani cippi funerarii, i quali danno
al terreno l’aspetto di una fantastica necropoli in rovina, originando -
que] caratteristico e bizzarro paesaggio pel quale qualche autore stra-
niero ha adottato il nome di essert ®. Questo paesaggio si trova però
! D.ZACCAGNA, / dintorni di Brescia e la pietra del Botticino, B. C. G.
d’It., vol. XLIV, Roma, 1915, pag. 359.
? E. Charx-Du Bois et A. CHarx, Contributions à l'étude des lapiés en
Carniole et au Steinernes Meer, Le Globe, t. XLVI, Mém. Genève, 1907, pag. 49
(dell’estr.), tav. XIV e XV; E. FLEURY, Les lapiés des calcaires au nord du
Tage, Comun. Comm. do Serv, geol. de Portugal, t. XII, Lisboa, 1917, pag. 149,
rs cri AO N a
|
|
|
|1] LA CONCA DI FIUGGI NELL’APPENNINO ROMANO 25
qui per lo più in uno stadio di senilità più o meno avanzata, co-
sicchè non presenta quel grado di suggestività che raggiunge in
alcuni punti della non lontana valle del Salto, dove pure è assai
diffuso. |
I tagli recentemente eseguiti per la costruzione della strada fer-
rata hanno inoltre messo in evidenza che sotto il manto di terreni
recenti il calcare cretaceo non solo è dappertutto fortemente inciso e
corroso, ma che in molti punti presenta delle vere tasche, ossia di quelle
cavità di decalcificazione conosciute sotto il nome di organi geologici.
Sotto Anticoli queste cavità, ampie e profonde, sono riempite da tufi
la cui tinta chiara lungo il contatto coi calcari si oscurisce fino a
diventare rosso-scura per la presenza di composti ferriferi sovrossi-
dati (tav. IV, figg. 1 e 3).
Le doline sono numerosissime soprattutto nelle parti più ele-
vate; vi prevalgono le forme così dette a piatto, a scodella, a cio-
tola, colle più svariate dimensioni e generalmente coll’emissario in-
gombro di detriti che lo riducono ad un insieme di fessure od anche
lo ostruiscono del tutto. Il fondo, generalmente pianeggiante e ricco
in terra rossa, costituisce molto spesso un terreno abbastanza pro-
duttivo, talvolta invece è per buona parte dell’anno od anche per-
manentemente occupato dalle acque dando origine ai così detti vo-
lubri, dei quali avremo occasione di parlare più avanti.
Gli inghiottitoi non sono in generale molto appariscenti, ma al-
cuni di essi rivestono importanza nell’idrografia della regione, deter-
minando o concorrendo a determinare dei bacini chiusi, fra i quali
sono particolarmente degni di nota i tre esistenti nell’estremità sud-
est della conca e dei quali già si fece cenno. Inoltre, come ve-
dremo più innanzi, la formazione del lago di Canterno si deve al
graduale otturamento di due inghiottitoi la cui scomparsa determinò
una sostanziale modificazione nella topografia di gran parte dell’al-
topiano. |
La Bocca di Petuni è una voragine con un’apertura irregolare
alla quale è difficile avvicinarsi perchè contornata da folti cespugli;
serve di scolo alle acque della plaga compresa fra il Colle di Tri-
vigliano, il C. Lattanzi ed il C. Franchi. Nelle grandi pioggie, sia
che parzialmente si ostruisca, sia che non abbia ampiezza sutficiente
26 C. CREMA [1]
per smaltire tutta l’acqua che riceve, dà talvolta origine ad un la-
ghetto che può durare parecchie ore.
La Bocca di Puzziglio è anch'essa difficile ad accostarsi perchè
in gran parte nascosta da rovi; sì apre ai piedi di un’anfrattuosità
esistente alle falde settentrionali del Colle Barazzo, poco ad est del
piccolo rilievo che separa la bassura compresa fra M. Vasciano e
M. Jazzo dalla piana dei Pantani, sede altre volte dei due laghetti
Lattanzi. Può assorbire rapidamente grandi quantità d’acqua.
La Bocca della Parata, a poca distanza dalla precedente, trovasi
al piedi di una parete verticale dall’altro lato di tale rilievo e smal-
tisce le acque dell’accennata piana dei Pantani o Lattanzi. È intie-
ramente ingombra da materiali detritici e perciò l’acqua vi si sperde
lentamente formandovi quasi in permanenza una pozza. Sembra
che di tanto in tanto essa venga deostruita a cura degli inte-
ressati. ! >
Un altro inghiottitoio degno di venir menzionato è il Pozzo Fra-
cidale, situato un chilometro circa ad ovest del convento dei, Cap-
puccini di Anticoli sulla sinistra del fosso detto appunto del Pozzo;
sul terreno non si scorge che una modesta ma insidiosa apertura la
quale dà adito ad un’ampia cavità campaniforme, profonda una tren-
tina di metri.
Anche le irregolarità che si osservano nella conformazione topo-
grafica del Piano d’Arcinazzo sono verisimilmente da ascriversi alla
presenza di piccoli ma numerosi inghiottitoi, i quali hanno determi
nato la formazione alla superficie dei terreni calcarei di piccole
cavità, spesso confluenti, che ingrandendosi provocano ad un certo
punto il crollo del terreno vegetale che le ricopre, come avviene per
le così dette topanare della valle dell'Aniene (XXII, pag. 250).
Come cavità assorbenti sono pure da considerarsi le più impor-
tanti grotte della regione.
La Grotta di Corniano (fig. 1), così detta dal nome del colle entro
il quale è scavata, ha il suo ingresso situato di fronte al Santuario
della Stella, quasi a livello della pianura. L’apertura, seminascosta fra i
cespugli, ha forma di una piccola finestra che mediante un salto di
circa 2 m. immette in un primo corridoio in forte discesa, basso, il
quale ‘dà adito dopo pochi metri ad una sala subcircolare, con pa-
recchie ramificazioni che subito si rinchiudono, e con una volta a
[1] LA CONCA DI FIUGGI NELL’APPENNINO ROMANO 27
sezione ogivale alta oltre 10 m. Da questa sala si passa in un secondo
corridoio, basso come il primo e come questo orientato a S-E, dopo
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Fig. 1. — Pianta e sezioni della Grotta di Corniano.
Scala 1:500.
il quale la grotta cambiando bruscamente direzione si protende, a
sinistra in uno stretto cunicolo così basso da non potersi percorrere
se non strisciando sul terreno e che dopo pochi metri dà accesso ad
28 C. CREMA i [1]
una piccola camera, ed a destra in un’ampia sala della lunghezza
di oltre 25 m. Dalla volta di questa sala si distacca un diaframma
che si abbassa fin quasi al suolo dividendo longitudinalmente l’am-
biente in due porzioni. Quella a mezzodì, assai più ampia ed alta, a
partire dalla metà va rapidamente restringendosi fino a ridursi ad
uno stretto corridoio in forte ascesa. e ad un certo punto impratica-
bile perchè ingombro di fango e materiali detritici caduti dalla volta.
Quella a settentrione presenta tre ramificazioni, una delle quali troppo
stretta per poter essere esplorata, e verso nord si abbassa tanto da
terminare in una fessura inaccessibile. Il suolo della grotta non pre-
senta generalmente che un lievissimo pendìo, rivolto verso l’interno.
La grotta è scavata nel calcari miocenici secondando in gran parte
l'andamento della stratificazione. Il suolo è quasi dappertutto costi-
tuito da depositi melmosi di notevole spessore abbandonati dalle acque
che penetrano nella cavità dall’apertura d’ingresso e dagli interstizi
delle pareti allagandola talora completamente. Quest'ultimo fatto era
dimostrato al momento della mia visita dalla presenza sulle pareti di
striscie di terra disposte orizzontalmente fino all’altezza di m. 2,20
dal suolo ed evidentemente lasciate dalle acque che avevano ulti-
mamente invaso la grotta.
Questa del resto contiene quasi sempre una certa quantità d’acqua
alla quale attingono durante l’estate i contadini dei dintorni e solo
di rado, dopo prolungate siccità, sì prosciuga interamente; anche in.
tali casi però non è mai comodamente accessibile perchè il suolo si
mantiene melmoso ; io stesso non potei compiere la mia esplorazione,
che pur ebbe luogo dopo un lungo periodo di secchezza, se non pro-
cedendo su tavole che venivano man mano spostate in avanti.
Il primo corridoio e la prima sala, di facile e frequente accesso,
mancano quasi completamente di stalattiti, queste invece abbondano
nelle parti più interne della grotta e particolarmente nella grande
sala, dove le concrezioni sviluppatesi sulle pareti e sul diaframma
centrale presentano la forma di grandiose cortine; stalagmiti non sì
osservano che sulle scarpate dell’ultima sala.
aLa Grotta di S. Luca, a un chilometro circa a N-E di Guarcino,
‘prende il nome da quello di un convento delle vicinanze, attualmente
in rovina. Vi si accede mediante un piccolo salto da una incomoda
apertura esistente a mezza costa, sulla destra del torrente Cosa. In
.
[1] LA CONCA DI FIUGGI NELL’APPENNINO ROMANO 29
Ì . complesso la grotta si presenta come una galleria larga da 5 a 6 m.
in media e generalmente così bassa da non permettere che vi si
proceda in posizione eretta. Questa galleria ha un andamento abba-
È stanza regolare e non presenta che modeste propaggini o camere la-
pe terali; essa s’interna nella montagna dirigendosi costantemente ad
ovest, con una pendenza uniforme di circa 30° che seconda, pare,
l'andamento dei calcari cretacei nei quali è scavata. Il suolo è
quasi dappertutto coperto da un’abbondante crosta stalagmitica, ricca
di protuberanze ed anche di vere stalagmiti, spesso congiunte alle
corrispondenti stalattiti. In paese corrono ie più esagerate dicerie
sulle dimensioni di questa grotta, pretendendosi che essa si estenda
S- fin sotto il Piano d’Arcinazzo : in realtà, se a me ed alla mia guida
non è sfuggita qualche fessura che permetta di addentrarsi ancora
a nelle viscere del monte o se qualche antico franamento, ora masche-
Ed rato da concrezioni calcaree, non ne ha rese inaccessibili le parti
| più interne, la sua lunghezza non supererebbe un quarto di chilometro.
[3 Pure assorbente doveva essere un’altra cavità, detta Grotta Ma-
È ligna, a circa 1050 m. s. m., sulle falde meridionali della Monna Bianca,
che si vuole di discreta grandezza, ma attualmente ostruita in pros-
. —’simità del suo ingresso da materiali detritici accumulati dalle acque.
É L’imbocco ha forma di un’ampia fessura orizzontale interposta fra le
La testate dei calcari cretacei, la porzione di volta tuttora visibile è for-
mata dalla faccia inferiore di un banco ricoperto da piccole stalattiti.
Ri Perfettamente asciutta e non classificabile fra le cavità assorbenti
a è invece la minuscola Grotta di S. Oliva consistente in un breve
° corridoio a gomito, aperto fra i dirupi calcarei sottostanti all’alti-
piano delle Carceri (Ferentino) e che mantenendosi in leggiera ascesa
‘ secondo l'andamento degli strati conduce ad una piccola camera circo-
lare a volta ogivale. Il corridoio presenta un ingresso largo oltre
1 m. ed alto 4 m., però va rapidamente restringendosi ed abbas-
sandosi.
Ma il fenomeno carsico più notevole della regione è dato dal
Lago di Canterno (tav. V),il quale per i suoi caratteri essenziali si
-presenta come un lago di dolina !.
10. MARINELLI, Sul/l’opportunità di stabilire una classificazione generale e
_ una relativa nomenclatura dei laghi basata prevalentemente su criterii geografici.
“Att. II Congr. geogr. ital., Roma, 1896, pag. 220.
30 C. CREMA / [1]
Come si vede dalla fig. 2 che riproduce rimpicciolita e ridotta ai
suoi elementi essenziali parte di una mappa catastale della Baronia.
di Porciano del 1778, ricavata da altra formata nel 1734 dal geom.
G. B. Nolli, allora il lago di Canterno non esisteva affatto. Il fosso
del Diluvio e quello delle Cese, dopo essersi riuniti alquanto più a
monte che non ora, non mandavano le loro acque nella conca me- -
ridionale, ma le scaricavano in un inghiottitoio esistente sotto la
Madonna della Stella e denominato lo Sgolfo, Bocca di Muro, Grotta
dei Canonici, Pare che allo smaltimento delle acque della conca set
tentrionale contribuisse anche qualche spaccatura ai piedi del colle
di Corniano, presso la grotta, ora occultata dai depositi fangosi del
suolo. La plaga oggi occupata dalle acque del lago era tutta col.
tivata salvo che nella porzione più depressa ai piedi del M. Maino dove
nella viva roccia si apriva una grande fossa che faceva capo ad un
altro inghiottitoio, il Pertuso, che ingoiava le acque dei monti cir-
costanti.
Dalle concordi tradizioni locali confermate da relazioni mano-
scritte della prima metà del secolo scorso gentilmente comunicatemi
dal già rammentato sig. geometra A. Pirovano *, risulta che un tale
stato di cose continuò fini verso il 1821, a partire dal qual anno
lo Sgolfo in seguito ai continui apporti di pietrami, terre, avanzi
vegetali ed animali per opera delle acque che vi si precipitavano,
andò progressivamente otturandosi per cessare affatto di funzionare
pochi anni dopo. Dall’istante che esso divenne insufficiente allo scolo
delle acque dei fossi delle Cese e del Diluvio, una parte sempre mag-
giore di queste fu costretta a proseguire verso sud, spingendosi nella
stretta di Corniano e da questa nel bacino meridionale per unirsi alle -
acque che si incanalavano nel Pertuso Questo, dovendo così smaltire
una quantità d’acqua incomparabilmente maggiore che non in passato,
cominciò alla sua volta ad ostruirsi, perchè colla copia e veemenza
! Questa mappa trovasi annessa ad un manoscritto dal titolo: Inventario
di tutte le possessioni del R. Capitolo della Cattedrale dei Ss. Giovanni e Paolo
in Ferentino eseguito nel 1778, attualmente conservato presso la Revma Curia
Arcivescovile di Ferentino, dalla quale grazie al cortese interessamento del
sig. geom. Pirovano, potei averla in comunicazione.
? Altre interessanti notizie sul regime del lago devo alla squisita cortesia
dei signori dottor Cesare ed Augusto Torroni di Trivigliano.
[1] LA CONCA DI FIUGGI NELL’APPENNINO ROMANO 31
“N F°%el Diluvio
Wa
ve Corsi dacgita esistenti
I y | prima della formazione
dellago di Canlerno.
ate Alvei abbandonati.
Alvei alluatli.
Strade mulattiere
\Stella (orifini di lerritorio
=
rh lnighiralliloio
Di
2sale Porciano ;
Fig. 2. — Frammento di una mappa catastale della Baronia di Porciano (1778).
Ridotto alla scala appr. di 1 :25000.
32 C. CREMA [1]
delle acque che vi si versavano erano pure cresciuti la quantità ed
il volume dei materiali che esse trascinavano, tanto più che nel frat-
tempo avevano avuto luogo importanti-dissodamenti nelle circostanti
pendici. Ripetuti tentativi per assicurare il regolare funzionamento
dell’inghiottitoio non diedero risultati apprezzabili, cosicchè in cor-
rispondenza del Pertuso non tardò a formarsi un'importante accolta
d’acqua, l’attuale lago di Canterno.
Ma questa ingente massa liquida colle sue infiltrazioni produceva
naturalmente un progressivo indebolimento del diaframma che ostruiva
l’emissario, cosicchè esso ad un dato momento non potendo più op-
porre una sufficiente resistenza alla pressione esercitata dall’acqua
sovraincombente, doveva di necessità cedere e sprofondarsi, permet-
tendo alle acque di invadere nuovamente il condotto finchè nuovi
materiali non venissero un’altra volta ad ostruirlo; iniziandosi così
una serie di alterne scomparse e ricomparse del lago ad intervalli
irregolari. Nei primi tempi questi intervalli erano brevi e frequente
il deostruirsi dell’emissario; essi però andarono facendosi sempre
più lunghi, evidentemente perchè nelle successive deostruzioni del-
l’emissario non sempre le acque poterono spazzar via tutto il ma-
teriale accumulatosi e la sezione dell’emissario rimpicciolendosi rese
possibile la formazione di diaframmi sempre più-resistenti.
Non riuscii a procurarmi le date delle successive scomparse del
lago, le quali sommano, pare, a dodici: le più recenti avvennero ri-
spettivamente nel 1882, nel 1892 e nel 1913.
È probabile, come giustamente suppose il Tuccimei (XXIV, pag. 57),
che la chiusura dell’emissario non sia mai completa, senza di che il
lago, data l'ampiezza del suo bacino d’alimentazione, dovrebbe pre-
sentare piene assai più disastrose per le adiacenti campagne. Una tale
supposizione viene avvalorata anche dal fatto che il dott. G. De Ago-
stini (XXIII, pag. 469) durante le sue ricerche sulla batimetria del
lago, praticando uno scandaglio in corrispondenza del Pertuso, alla
profondità di 24-25 m., sentì vibrare il filo metallico come se l’ap-
parecchio fosse stato investito da una corrente discendente. Questi
spiragli, attraverso i quali una parte delle acque trova sfogo nel-
l’emissario, debbono inoltre andar soggetti a bruschi cambiamenti di
sezione, come è dimostrato da certi rapidi abbassamenti nel livello
del lago che l’evaporazione non basterebbe certamente a spiegare.
[1] LA CONCA DI FIUGGI NELL’APPENNINO ROMANO 33
Così nel 1916 le acque del lago, che da molti mesi raggiungevano un
livello insolitamente alto, in tre mesi calarono di circa tre metri.
Dall'esame dei dati pluviometrici relativi alla provincia di Roma
ed in particolare al circondario di Frosinone, conservati presso il
R. Ufficio centrale di Meteorologia, è risultato (XXIV, pag. 58) che
la penultima scomparsa del lago fu preceduta da un periodo di grandi
pioggie e quella del 1913 da un periodo complessivamente di media
pluviosità, laddove alla eccezionale scarsità di pioggie verificatasi
nel 1908 non corrispose alcun vuotamento: la siccità è quindi senza
influenza nelle sparizioni del lago. Per contrario questo si riformò
sempre dopo pioggie forti ed insistenti in seguito alle quali le acque
coi materiali travolti provocarono la chiusura della bocca, e mai per l’ar-
rivo di acque dall’interno dell’emissario. La durata dei prosciuga-
menti è variabilissima (da pochi giorni a parecchi mesi) ed è degno
di ricordo il fatto che durante il ricostituirsi del lago talvolta la
chiusura, appena formata, si demolisca e si riformi parecchie volte
prima di poter offrire una sufficiente resistenza alla pressione delle
acque sovraincombenti. Pare però che al richiudersi dell’emissario
non sia stata spesso estranea l’opera dell’uomo e che i pescatori
cerchino di facilitare l’azione ostruente delle acque in piena gettando
| nel condotto fascine, tronchi ed altri materiali, interessati come sono
al riformarsi del lago, laddove i proprietari dell’alveo hanno invece
interesse che questo rimanga all’asciutto. I disseccamenti del lago
vengono infatti utilizzati, ogniqualvolta la stagione lo consente, per
rimettere in coltura le terre abitualmente occupate dalle acque. Sembra
infine accertato ad ogni ricomparsa del lago il suo pronto e spontaneo
ripopolarsi di pesci in istato adulto (particolarmente tinche), il che si
può facilmente spiegare ammettendo, analogamente a quanto suppose
Putick! per il consimile fenomeno presentato dal lago intermittente
di Circonio in Carniola, che ad ogni prosciugamento i pesci trovino
| rifugio in cavità sotterranee in relazione con l’emissario al disopra
della sua chiusura e mai totalmente abbandonate dalle acque.
Nel settembre del 1913 il lago essendo interamente prosciugato,
potei esplorarne l'alveo. Esso si presentava come un gigantesco im-
1 W. PuUTICK, Die Fischerei am Zirknitzer See, Mitth. d. Oesterr. Fischerei-
Vereines, J. VIII, n. 26, Wien, 1888, pag. 46.
Boll. R. Com. Geol., v. XLVII, 1920-21. 3
#
34 C. CREMA dei X
buto dissimmetrico allungantesi fra il M. Corniano ed il M. Maino
e col vertice a poca distanza dalle falde del secondo; come già era
noto (XXIII, pag. 468) per il rilievo batimetrico eseguitone dal De A go-
stini (e riportato nella nostra carta) esso è in gran parte a lieve
pendio e costituito dai sedimenti del lago; solo in corrispondenza
della sua parte più depressa esso si trasforma in un profondo solco
circoscritto da erte pareti rocciose ed accessibile soltanto dal lato
nord, dove è limitato da un pendìo meno ripido. Questo solco è aperto
nei calcari miocenici i quali evidentemente si ricongiungono sotto
le arenarie della stessa età e le formazioni quaternarie della pia-
nura deli Pantani con quelli che compaiono poco più a nord, nei colli
Corniano, Jove e Vasciano.
All'estremità del solco, ai piedi del suo fianco occidentale sì
apre la bocca dell’emissario sotterraneo. Quest’apertura, in forma di
porta (tav. III, fig. 3), è alta circa m. 2,50 e larga ad un dipresso
m. 1,50; essa introduce in un corridoio di sezione e forma poco di-
verse, che con direzione est-ovest ed una leggera pendenza sbuca
dopo pochi metri presso la volta di una piccola grotta, parzialmente
interrita, ed oltre la quale per mancanza di mezzi non potei spin-
gere la mia esplorazione.
Il lago era allora ridotto ad un modesto ruscello che, entrato nel-
l’emissario, dopo aver percorso il breve corridoio ora descritto at-
traversava la piccola grotta e spariva nell’interno dando luogo ad
una cascata di discreta altezza come si poteva arguire dal rumore
prodotto dalla caduta dell’acqua.
Sarebbe opportuno che verificandosi una nuova scomparsa del
lago il suo emissario venisse completamente esplorato in vista partico-
larmente dei lavori che si vorrebbero eseguire per ridare salubrità ai
dintorni del lago restituendone l’alveo ad una proficua agricoltura.
Il progetto di prosciugare definitivamente il lago, del quale già si
fece cenno, è infatti basato sulla deostruzione del suo emissario sot-
terraneo, similmente a quanto è stato compiuto con successo in casì
analoghi in Bosnia ed Erzegovina !, in Carniola ?, in Grecia * ed
! M, F. Kraus, Les eaua souterraines et les travaux hydrologiques officiels
de la Bosnie-Herzégovine. Spelunca, t. II, Paris, 1896, pag. 27.
° Ivi, pag. 29.
* E.-A. MARTEL, La Spéléologie, Paris, 1900, pag. 108.
[1] LA CONCA DI FIUGGI NELL’APPENNINO ROMANO 35
anche da noi pel laghetto di S. Egidio (Gargano), benchè per questo
si trattasse di una chiusura in gran parte artificiale !. Esso com-
prenderebbe inoltre la deostruzione dell’antico inghiottitoio della
Bocca di Muro che, come si è visto, inghiottiva altre volte le ia
dei fossi Diluvio e Cese.
Fra i fenomeni carsici potrebbero ancora trovar posto le sorgenti
di Tufano, anche per le loro supposte relazioni col lago di Canterno,
ma preferiamo parlarne nel capitolo seguente.
=
VI. — Sorgenti.
Come già si ebbe occasione di accennare, la massa rocciosa nella
quale è scavata la conca anticolana si può considerare nel suo in-
sieme come un enorme tronco di piramide a base triangolare, con
una faccia laterale addossata ai monti che limitano a mezzodì il ba-
cino dell’Aniene e le altre due libere e rivolte rispettivamente sui
fiumi Sacco e Cosa.
Ricordando che questa grande massa rocciosa consta quasi esclu-
sivamente di calcari più o meno fessurati in tutte le direzioni e di-
sposti essenzialmente secondo un ampio anticlinale con un gambo
rivolto verso il Sacco e l’altro verso il Cosa ed il Fosso Campo (af-
fluente dell'Aniene) è facile rendersi conto dell’azione fortemente
emungente alla quale essa è sottoposta e come delle sorgenti che
essa alimenta quelle di maggior portata debbano trovarsi sui suoi
versanti esterni e non all’interno della conca, molto più elevata della
piana del Sacco e di gran parte della val Cosa e all’incirca allo
stesso livello delle adiacenti porzioni del bacino dell’Aniene.
Lo studio di queste sorgenti appena rientra nell’ambito delle
nostre ricerche; ci limiteremo perciò a ricordare il così detto Capo
d'Acqua nel Fosso Campo ai piedi del M. Faggio, comprendente
parecchie ricche polle, le sorgenti di Trovalle alle falde della Monna
Bianca ed infine quelle di Tufano, il cui regime designa chiara-
mente come sorgenti di tipo carsico. Queste sorgenti sgorgano al
! G. CHEccHIA-RisPoLI, La Conca di S. Egidio sul Gargano. Il Foglietto,
Cronaca di Capitanata, anno XVIII, n. 2, Lucera, 1915.
36 C. CREMA [1]
contatto dei terreni quaternari della valle del Sacco colla massa cal-
carea del M. Porciano, lungo un fronte di forse 200 m. e danno
origine ad un laghetto donde si diparte un fosso. La loro portata
è variabilissima, ingrossando repentinamente dopo le pioggie e spa-
rendo anche completamente per qualche tempo dopo gli inverni
molto asciutti. Generalmente questi disseccamenti non durano che
qualche mese, ma se ne ricordano anche della durata di anni e per-
fino uno (prima del 1837) durato 5 anni. Tale regime, che presenta
qualche analogia con quello del lago di Canterno, ed il fatto che
quest’ultimo trovasi a pochi chilometri di distanza e circa 250 m.
più in alto, hanno fatto supporre che vi potesse essere qualche rela-
zione fra il lago e le sorgenti, ma dalle notizie che potei procurarmi
sui luoghi da fonti sicure ed in particolare dal sig. cav. Muzio Cola-
cicchi, Segretario Capo del comune di Anagni, e dall’appaltatore delle
sorgenti sig. Vincenzo Del Monte, l’ipotesi non risultò affatto con-
fermata.
Più in alto, nei monti che fanno corona alla Conca di Fiuggi non
st hanno che sorgentelle insignificanti, come quella in relazione ad
un piccolo lembo di argille quaternarie presso il laghetto della Buca
di Trevi nel Piano d’Arcinazzo, quella di Tefuci nel piano omonimo
in dipendenza di un ristretto lembo di arenarie e argille mioceniche,
ed infine quella ai piedi del M. Coliuccio, cosicchè per l'alimentazione
degli abitati si fu costretti a valersi di cisterne, come a Porciano,
od a ricorrere a fonti situate fuori del bacino. Così Acuto, Anticoli,
Torre Cajetani e Trivigliano ricevono le acque della fonte dell'Acqua
Nera nel territorio di Vallepietra, Fumone quelle delle sorgenti di
Caporelle (alta valle del Cosa), Piglio quelle di Carcassano nel bacino
del Sacco, e infine ad Anagni viene sollevata mediante un impianto
elettrico l’acqua di alcune sorgenti situate sulla via Casilina, all’in-
nesto della rotabile che sale al paese. Per sopperire in qualche modo
alla scarsezza d’acqua, generale nella zona montagnosa, si approfittò
anzi di queste condutture per stabilire delle fontane in alcune loca-
lità lontane dagli abitati e dove il prezioso elemento era particolar-
mente richiesto per i bisogni della pastorizia; malgrado ciò la man-
canza d’acqua nelle zone più elevate obbliga ancora a raccogliere
e conservare le acque piovane nei cosidetti volubri onde valersene
per l’abbeveramento del bestiame, per lavatura e simili.
[1] LA CONCA DI FIUGGI NELL’APPENNINO ROMANO 37
Questi volubri in tutto simili alle piscine del Gargano, alle lokwve
dell’Istria e della Dalmazia, ecc. e che colla loro frequenza aggiungono
una nota gaia e pittoresca al paesaggio, dove questo riuscirebbe troppo
arido e riarso, sono dei laghetti, estesi talvolta anche per centinaia
di metri, generalmente permanenti, stabiliti entro piccole depressioni
chiuse naturalmente o mediante l’erezione di brevi argini (tav. II,
fig. 2). Il fondo quando non sia di natura impermeabile vien reso
tale spalmandovi dell’argilla ed è generalmente ripulito ogni 3 o 4 anni
onde evitare un eccessivo intorbidamento delle acque ed il progressivo
interrimento del volubro. Grazie alle loro dimensioni e più ancora
alla loro ubicazione, per lo più lontana da centri abitati o da strade
molto frequentate, 1 volubri possono senza dubbio raccogliere e con-
servare l’acqua piovana in condizioni igienicamente meno cattive
che non le semplici vasche usate altrove agli stessi scopi!, tuttavia
è facile il pensare a quante cause d’inquinamento siano soggetti.
Malgrado ciò non di rado anche l’uomo vi attinge acqua per dis-
setarsi.
Nell’altipiano che forma la parte centrale del bacino i terreni
dell'originario fondo vallivo, come già si disse, sono nascosti da una
copertura di tufi, per lo più a debole cementazione e stratificati in letti
lievemente inclinati verso sud. In questa potente formazione strati più
argillosi alternano con altri più permeabili, cosicchè nelle vallette
d’erosione, che la incidono più o meno profondamente, compaiono in
molti punti delle sorgenti di contatto, di non grande portata, ma
importanti in grazia delle proprietà terapeutiche state riconosciute
per talune di esse e possedute forse da tutte.
Fra queste sorgenti meritatamente famosa è quella detta di Fiuggi,
le cui acque, conosciute da secoli per la loro azione antilitiaca, rag-
giunsero in questi ultimi anni uno dei primi posti fra le nostre
acque minerali, pur così varie e numerose, dando vita ad uno dei cen-
tri idrominerali più frequentati. Essa sgorga all'origine della val-
letta Spalacato, a meno di 2 chilometri a sud di Anticoli, alimen-
tando un ruscello che si versava altre volte in un laghetto, oggidi
prosciugato e colmato (tav. IV, fig. 2).
1 A. CANTALUPI, Le acque potabili nei comuni rurali, L’Ingegneria Sani-
taria, vol. I, Torino, 1890, pag. 71.
38 C. CREMA | [1]
L'acqua esce alla temperatura di circa 11°, da quattro polle:
attesa la somma facilità colla quale corrode non solo le pietre ma
anche i metalli, è convogliata mediante una condottura di vetro al
sottostante stabilimento, da poco costruito in sostituzione del modesto
padiglione quivi esistente fino a non molti anni or sono.
Secondo le informazioni gentilmente fornitemi dalle Autorità co-
munali, la loro portata varia da un massimo estivo di l. 2,5 al”,
ad un minimo invernale di */, di litro. Non si hanno osservazioni
sull’influenza delle pioggie, ma pare invece accertato che le magre
siano tanto più sensibili quanto minore è la quantità di neve caduta
sui monti circostanti, ciò che dimostrerebbe quanta parte abbiano
nella loro alimentazione le infiltrazioni provenienti dalle grandi masse
calcaree a contatto coi depositi eolici dai quali sgorgano. Le analisi
eseguite dal prof. F. Marino Zucco, dal prof. Zinno e dai professori
Nasini e Levi ed i cui risultati sono riportati a pag. 39, hanno mo-
strato che quest’acqua è estremamente poco mineralizzata, così poco
come forse nessuna delle acque adoperate per uso terapeutico, tanto
da potersi paragonare ad una comune acqua distillata; inoltre Nasini
e Levi dimostrarono che essa è fortemente radioattiva. Essi suppo-
sero che sia nell’attraversare i depositi vulcanici che queste acque
perdono ogni traccia di calcare ed acquistano il loro potere radioat-
tivo e giustamente, perchè, come già osservò il prof. G. De Angelis
d’Ossat e come risulta dalla descrizione geologica del bacino, non si
può supporre che le acque attraversino altre roccie radioattive.
In un’altra valletta detta Pantano e situata a due terzi di chi-
lometro più ad ovest, è stata recentemente raccolta ed allacciata un’al-
tra sorgente, che, analizzata dai prof. Ampola e Liberi, non ha rive- .
lato che piccole differenze nelle proprietà fisiche e nella composizione
in confronto a quella di Fiuggi, come si vede nella tabella a pag. 40.
A sud-est delle fonti di Fiuggi, ad una distanza appena superiore
ai 2 km., si ha un altro gruppo di polle, dette le Fontanelle, le cui
acque presentano composizione pressochè identica a quelle di Fiuggi,
come dimostra l’analisi eseguita dal dott. A. Scala (v. tabella a pag. 41).
Le polle in numero di 13 sono state raccolte ed usate anch’esse per
la loro azione antilitiaca; attualmente però l’impianto trovasi in uno
stato di semi-abbandono per un seguito di vertenze di carattere
giuridico,
%
Bice |‘ LA CONCA DI FIUGGI NELL’APPENNINO ROMANO 39
Altre sorgenti, nelle stesse condizioni geologiche presentate dal-
le acque di Fiuggi, Pantano e Fontanelle, e volgarmente ritenute
dotate di uguale efficacia terapeutica, si hanno in parecchi punti della
conca di Fiuggi, ma non mi consta che abbiano formato oggetto
di analisi o di altre ricerche.
Acqua di Fiuggi.
Analisi chimica (MaRrINO-Zuco, 1888).
Grammi
per 100.000 parti
4 di acqua
Cloruro di sodio NaCl rate tc) È,208
Nitrato di potassio Bee ae et OT
penimibamponato di potassio: K,C0, “i. T.li. La 0,098
Solfato di calcio BR E Ei 0;555
z Carbonato di calcio i RA ES darai rta NGI i 1.
Cloruro di magnesio San otra 0,114
Uazbonatp di magnesio MgCE0,-.. 0.0... 0,945
_ Anidride silicica SiO, ei 1,008
Somma dei composti inorganici fissi . . . 5,804
Sostanze non determinate e perdite . . . 0,246
e Le + 6,120
Ossidi di rame, stronzio e litio . . . . . . . piccole quantità
Amnidrdititanica e vanadica: <<. . 1. + +. piccole quantità
Ossidi di ferro, alluminio, bario e rubidio . . . traccie
Gas disciolti in un litro d’acqua. -
È ZINNO NASINI e LEVI |
(1894) I (1908) |
5 Anidride carbonica . . . cm.3 HayBt | 29,0 |
benone a 17,36 4,0
Dot nl > 3 | 9,33 | 17,0 |
3 LVII, P PRE IE ARP. 2,00 assente |
ToraLE cm.3 44,56 50,0 |
| |
40
C. CREMA.
Fonte della valletta Pantano (AmpoLa e LIBERI, 1915).
Sostanze componenti il residuo di 100 litri d’acqua.
Cloruro di sodio
Cloruro di potassio
Nitrato di potassio
Cloruro di litio
Ossido di rubidio
Solfato di calcio
Carbonato di calcio
Solfato di stronzio
Ossido di bario
Cloruro di magnesio
Carbonato di magnesio
Carbonato ferroso
Fosfato di alluminio
Ossido di alluminio
Carbonato di rame
Carbonato manganoso
Anidride titanica
Anidride vanadica
Silice
NaCl
KC]
KNO,
LiCl
Rb,0
Caso,
CaC0,
SrS0,
Ba0
MgCl,
MgCO, .
FeCO,
AIPO,
A130,
CuCO0, .
MnC0, .
Tiò, .
V205
SiO,
Differenze di analisi e di calcolo
Residuo fisso a 180° .
Gas disciolti in un litro di acqua.
Anidride carbonica
Ossigeno
Azoto
Ozono
. gr. 1,1252
» 0,1492
» 0,1410
» 0,90006
» assente
» 0,6660
» 1,0906
» 0,0234
» assente
» 0,1550
» 0,5263
» _0,0494
» 0,0025
» 0,0456
. » 0,0010
., » 0,00004
» 0,0036
» 0,0010
» 1,0740
gr. 5,0588
» 0,0962
. gr. 5,1500
cm.3 36,80
MIR +;
» 15,90
» assente
ToraLe cm.3 56,41
f
sALL LA CONCA DI FIUGGI NELL’APPENNINO ROMANO 41
Acqua delle Fontanelle (ScALA, 1904)!
Residuo su 100.000 parti d’acqua.
Grammi
per 100.000 parti
d’acqua
bee ee e ae ea i » 10695
Nitrato di sodio Cn 1
ipo porse, e 1,112
fee nine le a a, 00749
A n ite > 09008
Carbsndbteodi cale... 0. Aes DOO
Selen ini nio edi e a 1, 1812
EA MR e x 0,8350
Desidi diferro 0d' allamimion Loi in n. 1(0,0425.
Somma dei composti inorganici fissi... . . 7,0512
Sostanze non iclermimoate perde id 0;1488
Residuorfisso: a; 180° n +... MOR a o E 12000
acanto, o piccole quantità
Dn e, sl piccole quantità
| Ossidi di scronzia bario, «luo, titanio >. 0... traccie
Gas disciolti in 100.000 parti d’acqua.
did iekcarbomien ble e e e, em.3 246,09
Ossigeno E n n e ada » 890,50
EA A i x i 957,03
! G, Ceccacci Casari, Papa Bonifazio VIII e l’acqua minerale antilitiaca delle « Fontanelle »
dè Torre Caetani, Roma, Casa Ed, Ital., 1904, pag. 44.
-
492 C. CREMA 11].
VII. — Conclusioni.
Abbozzata così in base alle nostre osservazioni ed agli scarsi
studi precedenti la storia geologica della Conca Anticolana non sarà
inopportuno. di riassumerne in poche frasi i tratti più salienti.
I terreni che compaiono nei dintorni di Fiuggi sono gli stessi
che si osservano in quella porzione dell’Appennino centrale nella
quale il Cretaceo compare colla cosidetta facies abruzzese: essi però
rappresentano soltanto una piccola parte di tale serie, la quale, come
è noto, sale con varie lacune dall’Infralias al Pliocene comprendendo
inoltre importanti depositi continentali.
L’impalcatura fondamentale è essenzialmente formata da calcari
turoniani e senoniani, dai primi principalmente, con esclusione di
roccie più antiche e solo è probabile che ulteriori ricerche possano
condurre alla scoperta di qualche modesto lembo di Cenomaniano,
il Turoniano essendo rappresentato in qualche punto dagli strati a
Requienia parvula Costa, che ne costituiscono il livello più profondo.
In ogni caso l’uniformità nei caratteri di questi calcari e la loro po-
vertà in fossili sicuramente determinabili rendono qui, come del resto
dovunque si sviluppa questa serie, estremamente arduo per non dire
impossibile il rintracciare le loro suddivisioni sul terreno.
Nella serie appennina al Cretaceo fanno seguito con continuità
1 terreni eocenici, e su questi poi si adagia il Miocene medio in
trasgressione parallela; ma nei monti di Fiuggi la lacuna è assai
più importante, non essendovi traccia di terreni eocenici e dal cal-
cari cretacei passandosi senz'altro alla nota formazione calcareo-ar-
gillosa-arenacea, che qualche geologo ritiene ancora eocenica, ma che
in generale, e secondo noi giustamente, è riferita al Miocene medio.
Dei tre membri, litologicamente ben distinti, che la costituiscono, le
argille e le arenarie, facilmente erodibili, sono ormai quasi scom-
parse dalle porzioni più elevate del territorio; i calcari, più resistenti,
non solo si ritrovano invece a tutte le altezze, ma si stendono anche
per ampie zone, senza peraltro assumere mai una potenza anche lon-
tanamente comparabile a quella dei calcari cretacei. La trasgressione
parallela e le discordanze di erosione che accompagnano la lacuna
[1] LA CONCA DI FIUGGI NELL’APPENNINO ROMANO 43
mostrano che essa è dovuta ad un importante movimento di carat-
tere epeirogenico, movimento che si produsse sulla fine del Paleogene
o all’inizio del Neogene. |
Sui terreni miocenici non si hanno altri sedimenti marini ma solo
depositi continentali, i quali a seconda della loro origine vulcanica
o fluvio-lacustre si possono distinguere in due gruppi, entrambi di
estensione e potenza notevoli. Il primo gruppo comprende essenzial-
mente dei tufi leucititici, per lo più teneri ed anche terrosi, i quali
formano importanti accumuli soltanto sugli altipiani di Fiuggi e di
Canterno e sotto ad Acuto, ma in piccoli lembi compaiono a tutte
le altezze, testimoni del manto ben più considerevole che dovette
altre volte estendersi sul territorio. Questi tufi rivestono grande im-
portanza nell'economia della regione perchè, come avviene nel resto
della provincia Romana, è dal loro disfacimento che trae origine la
maggior parte del terreno vegetale che copre per ampie distese questi
monti ed è da essi inoltre che sgorgano le rinomate sorgenti del-
l’altipiano dopo avervi attinto, pare, le proprietà terapeutiche per
le quali sono giustamente celebrate.
I depositi continentali del secondo gruppo sono meno importanti
e sl riducono essenzialmente ai travertini della valle del Sacco, og-
getto dai più antichi tempi di escavazione per trarne materiale da
costruzione. Devonsi però ancora menzionare le argille sottostanti
al tufi messe in luce da due trivellazioni praticate nella conca di
Canterno, forse antichi depositi lacustri.
Incerta è tuttavia la ripartizione cronologica di questi depositi
continentali, i quali assumono grande sviluppo comprendendo fuori
della zona studiata anche terreni glaciali, dei quali fino a pochi
anni or sono era insospettata non soltanto l’importanza ma la stessa
esistenza.
Semplice è la tettonica della conca di Fiuggi, la disposizione dei
terreni cretacei e miocenici potendosi ricondurre a quella di una
piega anticlinale diretta secondo l’asse della valle e che, troppo ri-
gida per resistere alle costrizioni orogeniche prodottesi nella seconda
metà del Neogene, si ruppe (probabilmente all’atto stesso del suo in-
dividuarsi) secondo una frattura longitudinale accompagnata da altre
minori trasversali: verosimilmente queste non sono state tutte rico-
nosciute per la difficoltà di rintracciarle quando non mettono in con-
“
44 C. CREMA [1]
tatto che porzioni differenti del Cretaceo. La ristrettezza del ter-
ritorio studiato non consente di prendere in esame anche le rela-
zioni tettoniche esistenti fra i terreni della Conca di Fiuggi e quelli
delle valli che la delimitano.
Plasmata così sul finire del terziario l’ossatura essenzialmente cal-
carea della regione, le forze endogene, pur non riposando, cedono il
campo alle esogene, le quali spogliano i dossi montuosi delle loro parti
meno resistenti per colmarne le bassure, trasformate in grandi accolte
d’acqua, trasportano e depongono ingenti masse di ceneri vulcani-
che, danno origine infine ad una ricca serie di fenomeni carsici fra.
i quali è da ricordarsi la formazione del lago intermittente di Can-
terno, avvenuta, si può dire, sotto 1 nostri occhi. Le prime non si
manifestano attualmente ai nostri sensi se non coi fremiti che, ora
violenti e micidiali, ora appena avvertiti, a quando a quando scuo-
tono il suolo; le forze esogene all’incontro continuano assidue sotto
il nostro sguardo il loro perpetuo lavorio di distruzione e di rico-
struzione modificando lentamente ma incessantemente la superficie
dell’interessante contrada che è stata argomento di questo studio.
d #
RITI E E NO O OTTO I PO TI
1]
LA CONCA DI FIUGGI NELL’APPENNINO ROMANO
INDICE
Cenni topografici .
Cenni bibliografici
Serie dei terreni .
Tettonica ed orogenesi.
Fenomeni carsici .
Sorgenti .
. Conclusioni .
45
46 LA CONCA DI FIUGGI NELL’APPENNINO ROMANO [1]
SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE
Tav.J,
Fig. 1-3. — Sezioni geologiche (scala di 1:75.000).
Tav. II.
Fig. 1 e 3. — Calcari marnosi del Miocene medio nei ai di Fumone.
In conseguenza della minuta fratturazione romboedrica, i calcari mostrano alla
superficie un caratteristico reticolato a maglie rombiche.
Fig. 2. — Volubro presso Acuto.
Tan FELL
Fig. 1. — Tufi leucititici con struttura colonnare presso Torre del Piano.
Fig. 2. — Calcari solcati presso Guarcino. 1
Fig. 3. — Ingresso dell’emissario sotterraneo del lago di Canterno (da
una fotografia del Rev. Pietro Alessandri, Arciprete di S. Pietro in Anticoli,
eseguita durante la scomparsa del lago nel settembre 1913).
Tav. IV.
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Fig. 1 e 3. — Organi geologici nei calcari cretacei lungo la nuova strada
fra Anticoli e le sorgenti di Fiuggi.
Fig. 2. — Valletta Spalacato incisa nei tufi leucititici con lenti di pozzo-
lana (cave a sinistra).
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Veduta del lago di Canterno col M. Porciano.
TAV VI
Carta geologica della Conca di Fiuggi (scala di 1 :50.000).
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MIOCENE
medio
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superiore
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Strada
LEGGENDA
Tufi leucitici poco coerenti, spesso più
o meno argillosi per alterazione,
Arenarie grigiastre o giallastre, com-
patteo scistose, a grana più o meno fina,
Scisti argillosi grigio cenerognoli,
Galcari compatti biancastri, calcari gial-
lastri a frattura aspra; calcari marnosi
e marne calcaree.
Calcari biancastri compatti a grossi
strati del Senoniano e Turoniano
Scala l: 75.000
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Anno 1920-21 N. 93
GIUSEPPE CHECCHIA-RISPOLI
I PTEROPODI DEL MIOCENE GARGANICO
(con una tavola)
Della formazione miocenica del Promontorio garganico mi sono
| occupato in varie Note, in una delle quali ho indicato anche su di
una cartina lo sviluppo che il Miocene medio assume lungo il perimetro
della laguna di Varano nel versante settentrionale del M. Gargano !.
Nella presente Memoria sono descritti 1 Pteropodi, che nella fauna
di quegli strati occupano certamente il primo posto. Ed invero l’ab-
bondanza numerica e specifica di questi graziosi piccoli molluschi è
tale che, con l'accumulo dei loro gusci calcarei, si sono originati in
determinati punti, degli strati di oltre un metro di potenza di una
vera lumachella a Pteropodi, che si ripetono a varie altezze nello
spessore di quella formazione.
I Pteropodi studiati provengono esclusivamente dal deposito di
San Nicola, che poggia sulle basse pendici del calcare cretaceo del
M. Evio lungo la sponda occidentale del Varano. Il giacimento, per
! Per le notizie sulla formazione miocenica del versante nordico del Monte
Gargano vedi i seguenti miei lavori: /{ Miocene dei dintorni di Cagnano Va-
rano nel Gargano (Capitanata) (Boll. Soc. Geol. Ital., vol. XXIII), 1904:
Sull’estensione del Miocene nella regione settentrionale del Promontorio garga-
nico (Boll. Soc. Geol. Ital., vol. XXXVI), 1917; Sul Miocene del Monte Gar-
gano (Boll. Soc. Geol. Ital., vol. XXXVII), 1918, e quello del dott. C. CREMA,
Osservazioni geologiche nei dintorni di Cagnano-Varano (M. Gargano) (Boll.
R. Com. Geol. d’Italia, vol. XLIV), 1915. Per quella del versante meridionale
vedi il mio lavoro: /l Miocene nei dintorni di San Giovanni Rotondo nel Gar-
gano (Capitanata) (Boll. Soc. Geol. Ital., vol XXXIV), 1915.
Boll. R. Com. Geol., v. XLVIII, 1920-21. 1
9 G. CHECCHIA-RISPOLI i [2]
quanto non sia stato esplorato che in parte, pure ha fornito finora
quindici specie e frammenti di varie altre, che per ora abbiamo de:
terminato solo genericamente a causa della imperfetta conservazione.
Un altro giacimento miocenico così ricco non credo sia stato ancora
indicato in Italia. Quello del Monte dei Cappuccini in Torino, che è
stato a lungo esplorato, ha fornito dodici specie in tutto '. Altri de-
positi noti sono sempre meno ricchi di questi indicati ®. Fuori d’Italia
il Kittl descrive undici specie di tutti i terreni miocenici dell’Au-
stria ed Ungheria °.
Il giacimento di San Nicola nel Gargano è importante anche
sotto un altro punto di vista, perchè mentre per lo più i Pteropodi
sì presentano negli strati che li contengono sporadicamente, in quelli
del Varano costituiscono, quasi esclusivamente con le loro conchiglie,
delle vere formazioni rocciose. Ciò avviene rarissimamente. Un altro
fatto simile è stato constatato dall’ Andrussow lungo il Mare di Azoff,
presso Kertsch, dove si trova una roccia interamente formata di
gusci di Spirialis e di Limacina *.
Le specie descritte in questa Memoria appartengono alla famiglia
delle Cavoliniidae, cioè a quei Pteropodi tecosomi (Eupteropoda), che
hanno una conchiglia calcarea inoperculata, a simmetria bilaterale,
non avvolta a spirale, e con l’apice rivolto verso la faccia dorsale.
Sono questi pteropodi che per la natura e la conformazione dei loro
gusci resistono meglio alla fossilizzazione.
! L. AUDENINO, / Pteropodi miocenici del. Monte dei Cappuccini in Torino
-(Boll. Soc. Malacologica Ital., vol. XX), Pisa, 1896.
? I Pteropodi sono relativamente abbondanti nel Miocene e nel Pliocene
della Liguria e del Piemonte, che hanno complessivamente fornito una trentina
di specie.
3 E. KirtL, Veber die miocenen Pteropoden von Vesterreich- Ungarn (Annal.
d. k. k. Naturh. Hofmuseum, Bd. I, n. 2), 1886. Notisi che gli esemplari de-
scritti in questo lavoro come Creseis Fuchsi Kittl non sono dei pteropodi, bensi
dei piccoli gasteropodi appartenenti algenere Orygoceras Brusina(v. LOERENTHEY,
Finige Bemerkungen iiber Orygoceras Fuchsi Kittt sp., in Foòldtani Kòozlòny,
Kotet XXXIII, 1903).
4 Anprussow, ZUeber der unteren dunkeln Schieferthone auf der Halbinsel
Kertsch (Verhandl. d. k. k. geol. Reichsanstalt, n. 8), 1885.
*
Pi
I PTEROPODI DEL MIOCENE GARGANICO 3
I Pteropodi del Varano sono distribuiti nei generi: Cuwvierina,
Cavolinia e nei vari sottogeneri di Cio. Nel presente studio abbiamo
seguito l'ordinamento sistematico proposto sin dal 1888 dal Pelse-
neer nella sua importante monografia dei Pteropodi raccolti durante
la spedizione del Challenger ‘. Questa classificazione, che è quella ge-
neralmente adottata, è stata in parte di recente modificata dal Vays-
sièére, che preferisce tener separate genericamente le Cavolinia dalle
-Diacria *.
Le specie descritte, talune delle quali rappresentate da un numero
grandissimo di esemplari, sono quindici, di cui otto nuove. Esse sono :
Cuvierina Paronai Checchia-Rispoli,
Clio (Creseis) spina Reuss,
» (Styliola) Lamberti Checchia-Rispoli,
» (Vaginella) lapugyensis Kittl,
» » » var. garganica Checchia-Rispoli,
» » austriaca Kittl,
aloe depressa Daudin,
» » gibbosa Audenino,
» (Clio s.str.) pedemontana Mayer,
» » pulcherrima Mayer,
» » Distefanoi Checchia-Rispoli,
» » Aichinoi Checchia-Rispoli,
» » Saccoi Checchia-Rispoli,
Cavolinia Cerullii Checchia-Rispoli,
» Zamboninit Checchia-Rispoli.
Il deposito di San Nicola è cronologicamente inseparabile dagli
altri indicati intorno al perimetro del lago di Varano ed oltre, sia verso
Carpino e Cagnano che ad ovest del M. Evio. La fauna che si rac-
! PELSENEER, Zeport on the Pteropoda collected dij H. M. S. Challenger (Re-
port on the Res. of H. M. S. Chall., vol. XXIII), 1888.
? VaySsIÈRE, Mollusques Euptéropodes (Ptéropodes Thécosomes) provenants
des campagnes des yachts Hirondelle et Princesse Alice (1885-1918) (Résultats
des camp. sc. accomplies sur son y. par Albert I°, fasc. XLVII), 1915.
4 G. CHECCHIA-RISPOLI [2]
coglie in quei calcari, oltre ai Pteropodi, comprende moltissimi forami-
niferi, tra cui abbondano le G/obdigerina, alcuni piccoli echinidi a sim-
metria bilaterale (fibularia stellata Capeder, Hemiaster Canavarii
Ch.-Risp.), vari lamellibranchi a guscio leggero (Aequipecten Haveri
Michelotti, /seudoamussium denudatum Reuss, Amussiopecten flabel-
lum Ugolini, Ledina sublaevis Bellardi, Limea strigilata Brocchi, Mio-
cardia moltkianoides Bellardi, ecc.), piccoli gasteropodi (Cylichnina
testiculina Bonelli, Gadila gadus Mntg., ecc.) ed abbondanti resti di
vertebrati pelagici rappresentati da denti di Carcharodon megalodon
Agassiz; Udontaspis contortidens Ag., O. cuspidata Ag., O. hastalis
Ag., ecc. È evidente il carattere di questa fauna di mare aperto,
che, come ho già scritto, fa ascrivere i depositi miocenici del M. Gar-
gano al Langhiano piuttosto che all’Elveziano; parrebbe però la grande
abbondanza dei Pteropodi indicare un deposito addirittura di mare
molto profondo; il che non è sia pel resto dellà fauna, che per la
natura dei sedimenti formati di un calcare terroso più o meno gros-
solano. La presenza dei Pteropodì che, come è noto, vivono a gran-
dissima distanza dalla costa, in quel sedimento, si deve attribuire al-
l’azione delle correnti, dalle quali vennero spinti verso la spiaggia.
Una volta quivi giunti, per le mutate condizioni d'ambiente, dovettero
trovare immediatamente la morte, per cui i loro gusci vennero a de-
positarsi in un mezzo non proprio. Questo fatto, che si verifica spes-
sissimo oggidì lungo le coste, spiega la presenza di Pteropodi in
sedimenti talora prettamente litoranei.
rsa
[2] I PREROPODI DEL MIOCENE GARGANICO 5
DESCRIZIONE DELLE SPECIE
Pteropoda Cuvier.
Eupreropona Boas (= THEcosomata de Blainville).
CAVOLINITDAE (Gegenbaur.
%
Gen. Cuvierina Boas, 1886 (= Cuvieria Rang, 1825)
« Conchiglia diritta, allungata, liscia. Apice conico, molto acuto,
generalmente caduco nella forma adulta: nel sito dove avviene la
troncatura si trova un setto esternamente convesso situato più ©
meno obliquamente all'asse del tubo. Al di là della troncatura la
‘conchiglia è subcilindrica, un po’ gonfia posteriormente e leggermente
depressa verso l’apertura. Questa è trasversa, orizzontale, un po’ re-
niforme, con gli orli taglienti: il labbro superiore è ‘un po’ reflessc
in basso e appena più sporgente dell’inferiore ».
Questo genere è oggidì rappresentato solamente dalla cosmopo-
lita Cuvierina columnella Rang. Nel Pliocene vivevano parecchie
specie: la comune Cuvierina astesana Rang, la Cuv. intermedia Bel-
lardi, la Cuv. inflata Bonelli, la Cuv. striolata G. Seguenza, ecc. Del
Miocene ci è nota la sola Cuv. conica G. Segu. del Tortoniano della
Calabria, istituita su di un frammento della parte posteriore del tubo
cilindrico. Il ritrovamento fatto a San Nicola nel Gargano estende
la diffusione del genere anche nel Langhiano.
Le Cuvierina per la loro conchiglia subcilindrica sprovvista di
carene laterali sono vicine alle Creseis, che alla lor volta si collegano
alle Vaginella per mezzo di forme intermediarie.
Fino al 1886 per questi Pteropodi veniva adoperata la denomi-
nazione di Cuvieria, imposta sin dal 1825 dal Rang a questi. mol-
luschi. Tale autore però doveva ignorare che altri naturalisti prima
di lui avevano impiegato simile nome per distinguere alcuni Echinidi,
6 G. CHECCHIA-RISPOLI [2]
Crostacei, ecc., e perfino delle piante. È stato il Boas che nel 1886
ha sostituito all’antica denominazione quella di Cuvierina, per altro
non molto dissimile dalla prima !.
Cuvierina Paronai Checchia-Rispoli.
(ie. dg Ea).
Conchiglia diritta, allungata, liscia, di forma cilindro-conica. La
porzione conica poco sviluppata non rappresenta che un quarto ap-
pena di tutta la lunghezza del tubo e termina in una punta più o
meno ottusa. Quando questa manca, sì osserva al suo posto un setto
o disco subconvesso più o meno inclinato rispetto all'asse della con
chiglia. La troncatura non avviene sempre nello stesso punto, ma a
distanze variabili dall’apice, come nella vivente Cu. columnella.
Alla parte conica segue un tubo che per i due terzi della sua
lunghezza è perfettamente cilindrico e nell’ultimo tratto è invece
schiacciato per essere la faccia inferiore o ventrale un po’ depressa,
di guisa che mentre la sezione trasversale nella parte conica e ci.
lindrica è quasi circolare, verso l’apertura è elittica. Il rigonfiamento
della parte posteriore del tubo è insensibile, come pure del tutto tra-
scurabile è l’accenno alla strozzatura dietro l'apertura, che è invece
evidente sia nelle forme plioceniche, che nella vivente Cuv. columnella.
L'apertura è orizzontale, un po’ reniforme, con la depressione sul
lato ventrale. Il labbro superiore è un po’ reflesso verso l’inferiore
e leggermente più allungato di quest’ultimo.
Dimensioni :
Lunghezza . . . mm. 9—-7,6—-7,4-T7_—-6
Larghezza . . . » 8—-23—-21—-2—-18
(li esemplari esaminati, che sommano ad un centinaio, presen.
tano una grande uniformità di caratteri. Accanto a questi vi sono pochi
altri, in cui variano i rapporti fra le due dimensioni: così un esem-
! Boas, Spolia atlantica (Vidensk. Selk. Skv., 6, Raekke naturwiden og
mathem,, Kfd. IV, 1), Copenaghen, 1886.
[2] I PTEROPODI DEL MIOCENE GARGANICO 7
plare lungo mm. 7 è largo 3 mm. ed un altro lungo mm. 6 è largo
mm. 2,65, per cui risultano forme più tozze. Lo stesso fatto sì ve-
rifica tra gli esemplari della Cuv. columnella, però nessuno ha mai
pensato di separare questi esemplari più tozzi da quelli più slanciati.
RAPPORTI E DIFFERENZE. — La Cuvierina Paronai mostra i mag-
giori rapporti con la Cuv. astesana Rang del Pliocene ligure-piemon-
tese !. Questa però è gonfia nel mezzo, presenta dietro l'apertura una
_ sensibile strozzatura ed infine mostra un maggiore sviluppo della
parte conica. Per quanto detta porzione del guscio non sia conser-
vata che in parte, pure a giudicare da quel che ne resta, essa doveva
essere notevolmente estesa, ma non certo paragonabile a quella della
Cuv. columnella, che raggiunge il terzo della lunghezza di tutto il
tubo calcareo.
La Cuvierina delle marne più basse (Pliocene inferiore) del Monte
Vaticano (Roma) determinata dal Ponzi come Cu. astesana Rang è
tra le forme fossili quella che più si avvicina alla Cuv. Paronai.
Noi dubitiamo che la figura del Ponzi, come quelle di altri Ptero-
podi da lui figurati, siano conformi al vero ®. Resta molto difficile
fare dei confronti tra la Cuv. Paronai e la Cuv. conica G. Seg.
del Tortoniano di Benestare (Calabria), perchè quest’ultima è stabi-
lita su di un semplice frammento della parte posteriore ®?. La Cur.
striolata dello stesso autore ha una forma vicina a quella della Cur.
astesana, da cui sì distingue per la fina reticolatura che copre tutta
la superficie della conchiglia ‘.
A titolo di curiosità ricordiamo che nel 1856 O. G. Costa de-
scrisse col nome di Garganodon per il Gargano un preteso ittio-
lite vicino ai Placodus. Non v’è dubbio di sorta che i creduti odon-
toliti non sono altri che degli esemplari della nostra Cuv. Paronai,
come permettono di giudicare le figure e la descrizione del Costa ?.
! BELLARDI, / Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e della Liguria,
P. I, pag. 36, tav. III, fig. 19, 1871.
? G. Ponzi, I fossili del Monte Vaticano (Atti R. Acc. d. Lincei, ser. II,
t. III, tav. III, fig. 8), 1876. NES
3 G. SEGUENZA, Le formazioni terziarie nella provincia di Reggio (Calabria),
pag. 118, tav. XI, fig. 51, 1880.
‘1 G. SEGUENZA, loc. cit., pag. 277, tav. XVI, fig. 36.
® 0. G. Costa, Paleontologia del Regno di Napoli (Atti Acc. Pontaniana
di Napoli, vol. VII, P. I, pag. 82, tav. V, fig. 25), 1856.
DI
G. CHECCHIA-RISPOLI [2]
Gen. Clio Linneo, 1767.
Subgen. Creseis Rang, 1828.
« Conchiglia allungata, di forma conica, diritta od incurvata, a
sezione trasversale di forma circolare. Superficie liscia almeno nella
porzione iniziale. L’embrione è separato dal resto della conchiglia
da una debole costrizione; apice arrotondato ».
Creseis spina Reuss.
(Fig. 2, 2 a). ®
1867. Cleodora (Creseis) spina Reuss, Die fossile Fauna der Steinsalzablage-
rungen von Wieliczka (Sitzungsber. der Wiener nni Bd. LV),
pag. 145, tav. VI, fig. 9.
1867. Cleodora (Creseis) RESA Quoy et Gaimard ? Reuss, loc. cit., pag. 145,
tav. VI, fig. 10.
1886. Creseis ? spina Reuss. Kittl, Veber die miocenen Pteropoden von Oesterreich-
Ungarn (Ann. d. k. k. Natur. Hofmus., Bd. I, Heft 2), pag. 51.
Conchiglia di piccole dimensioni, fragile, allungata, sottile, diritta
od anche leggermente flessuosa, di forma conica, appuntita nella
parte posteriore. |
La sezione trasversale è circolare in tutta la lunghezza della con-
chiglia.
L'orifizio è subcircolare con i margini tagliénti.
La superficie è levigata ed anche ad un forte ingrandimento non
mostra traccia di strie longitudinali o trasversali.
Abbiamo esaminati vari esemplari di questa specie; il più grande
ui
misura una lunghezza di mm. 7 ed un diametro di mm. 1,5 verso
l’apertura.
RAPPORTI E DIFFERENZE. — Tra le varie Creseis fossili quella che
meglio si identifica con gli esemplari di San Nicola Varano è la C. spina
Reuss, dalla quale non sapremmo distinguerli per ragione alcuna.
Una forma non molto dissimile dalla C. spina è la C. Dussertiana
Bourguignat del Pliocene degli altipiani dell'Atlante! stabilita su
resti incompleti.
1 BourguIGNAT, ZEtude géologique et paltontologique des. Hauts Plateau
de l’Atlas entre Boghar et ‘l'iharet, pag. 18, tav. III, fig. 13-14.
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[2] I PTEROPODI DEL MIOCENE GARGANICO 9
La 0. cineta v. Koenen dell’Oligocene inferiore di Unseburg ha
una forma molto simile a quella degli esemplari in esame, però la
specie oligocenica presenta verso la parte inferiore della conchiglia
e talora anche un po’ più in alto dei rigonfiamenti !.
La vivente C. acicula Rang ha una forma eccessivamente slan-
ciata e regolarissimamente conica da somigliare ad un ago sottilissimo.
Osserviamo che la separazione specifica delle Creseis è difficilis-
sima a causa della grande semplicità del guscio di questi Pteropodì,
che si riduce nella più semplice espressione ad un cono privo di
qualsiasi ornamento esteriore. Forse l’unico carattere che per ora
si può utilizzare per stabilire delle differenze specifiche è quello de-
rivante dalla diversa apertura dell'angolo al vertice del cono, per
cui si originano forme conoidi più o meno acute.
La Creseis descritta dal Blanckenhorn col nome di C sp. cfr. spini-
fera Rang del Cretaceo della Siria è difficile a distinguere dalle specie
ora citate. È strano però che questo autore abbia avvicinato la forma
cretacea ad una forma vivente appartenente ad un altro gruppo. La
Creseis spinifera è invece una Styliola per la presenza del solco lon-
gitudinale caratteristico, che nel fossile cretaceo non si osserva affatto ?.
Subgen. Styliola Lesueur, 1826.
« Conchiglia conica, diritta, allungata, munita di un forte solco
dorsale non parallelo all'asse longitudinale, ma leggermente obliquo
e girante da destra a sinistra. L’estremità anteriore del solco si trova
sulla linea mediana e termina in un rostro; nell’interno della con-
chiglia questo solco si traduce in una forte cresta.
» La conchiglia larvale è persistente, oliviforme e solo vagamente
separata dal resto del guscio ».
La Styliola subula Quoy et Gaimard rappresenta oggidì questo
SHEDPO.
! V. KOENEN, Das Norddeutsche Unter-Oligociin und seine Mollusken-Fauna
. Abhandl. z. geol. Specialk. v. Preussen u. d. Thiiring. Staaten, Bd. X, Heft. 4),
pag. 292, tav. LXII, fig. 7-8, 1892. |
? BLANCKENHORN, Pteropodenreste aus der Oberenkreide Nordsyriens ecc.,
(Zeitsch. d. deutsch. geol. Gesell., Bd. XLI, pag. 600, tav. XXII, fig. 5), 1889.
10 G. CHECCHIA-RISPOLI [2]
Tra le Creseis e le Styliola v'è il sottogenere Hyalocylix Foll,
1875, con la sola Hyalocylix striata Rang (Creseis) vivente, che ha
la conchiglia conica, leggermente compressa dorso-ventralmente e
con l'apice ricurvo verso il dorso, ricoperta di solchi o scanellature
trasversali. Di questo gruppo non è stata indicata finora nessuna
forma fossile: noi crediamo però che vi sì possa riferire la C. aquen-
sis Benoist, la cui superficie porta delle deboli strie trasversali !.
Styliola Lamberti Checchia-Rispoli.
(Fig. 3, 3 a).
Conchiglia delicata, liscia, diritta o leggermente flessuosa, conica,
piuttosto corta, appuntita posteriormente e a base relativamente larga.
Per tutta la sua lunghezza essa è percorsa da un solco profondo che
s'inizia verso l’apice sulla faccia ventrale, poi gira lentamente da
sinistra a destra, passando dalla parte inferiore a quella superiore e
viene a finire sulla linea mediana di questa faccia, ma alquanto spo-
stato a sinistra.
La conchiglia per circa i due terzi della lunghezza è conica e
presenta quindi la sezione circolare, poi la faccia ventrale si appiat-
tisce un poco e la sezione trasversale diventa leggermente elittica
nella metà inferiore.
Apertura semplice, orizzontale, col labbro inferiore quasi retti-
lineo ed il superiore circolare.
La superficie appare levigata, ma con un forte ingrandimento si
possono osservare gli anelli di accrescimento.
Dimensioni :
Lunghezza. . . . . mm. 5
Liarghessa-. 0. ve o
RAPPORTI E DIFFERENZE. — Nel giacimento di San Nicola Varano
gli esemplari di questo pteropodo sono oltremodo abbondanti e si pre-
sentano con caratteri sempre costanti. In nessun esemplare siamo riu-
! BenoIST, Description des Céphalopodes, Ptéropodes et Gastéropodes Opist.
Coq. foss. des terr. tert. du Sud-Vuest de la France (Actes d. |]. Soc. Linn.
de Bordeaux, sér. V, vol. II), pag. 33 (non figurata), 1888.
PARTO, TA VE
[2] I PTEROPODI DEL MIOCENE GARGANICO 11
sciti ad osservare il prolungamento del solco o canale in un rostro al di
là dell’orifizio della conchiglia, come si osserva nella vivente ,Styl. su-
bula Quoy et Gaimard. Sembra però che detto prolungamento si origini
dal fatto che il margine dell’orifizio della conchiglia essendo di una
estrema fragilità, persista solamente, a causa della sua sottigliezza, là
dove trovasi il solco, ove il guscio è effettivamente più resistente.
Al pari delle Creseiîs le Styliola sono rarissime allo stato fossile.
Il Ponzi ha figurato, senza descriverla, una Sty/iola sotto il nome di
Vaginella spinifera Rang. Ma osserviamo che questo nome è sino-
nimo di Styl. subula Quoy et Gaimard. L’esemplare del M. Vaticano
per altro sì avvicina per la forma più a .Styl. Lamberti, che.alla vivente
Styl. subula, che è molto più slanciata e quindi più acuta. Il Ponzi
non dà le dimensioni dell’esemplare figurato, ma probabilmente queste
sono ingrandite e corrispondono più a quelle della .Sty2. Lamberti che
a quelle della Sty2. sudula, che è molto più lunga e più sottile !.
Una forma non lontana dalla nostra deve essere la ,Sty2. Moulinsii
Benoist per quanto questa sia difficile a giudicare dalla imperfetta
figura, che non fa vedere la caratteristica piega delle Styliola, ma
mostra delle strie di accrescimento oblique dall’avanti all’indietro °.
Difficile pure a giudicare è il frammento del fossile descritto come
Styliola dal Blanckenhorn proveniente dal Cretaceo superiore della
Siria, non osservandosi in esso traccia alcuna di solco longitudinale °.
Subgen. Vaginella Daudin, 1802.
« Conchiglia vaginiforme, liscia o striata longitudinalmente, diritta,
talora a mucrone rivolto in alto, cilindro-conica, o molto gonfia,
slargata e depressa avanti, un po’ contratta dietro l’apertura, appun-
tita indietro. Di regola si osservano delle carene laterali che sì pro-
lungano sino all’apertura: questa è depressa, orizzontale, angolosa ai
lati, e provvista di due lobi subeguali, corti, arrotondati e legger-
mente inclinati verso l’apertura.
! PoNZI, / fossili del Monte Vaticano, tav. III, fig. 9.
°? BexoIST, Description des Céphalop., Ptérop. et Gasterop., Upist., ece.,
pag. 32, tav. II, fig. Ga, bd.
3 BLANCKENHORN, loc. cit., pag. 600, tav. XXII, fig. 6, ©.
12 G. CHECCHIA-RISPOLI [2]
» La conchiglia larvale è ovale ed è separata da una forte stroz-
zatura dal resto del guscio ».
Questo gruppo non ha rappresentanti nella fanna attuale, ma le
forme fossili sono abbondanti. Le più antiche compariscono nel Cre-
taceo superiore della Siria (Vag. labiata Blanck. e Vag. rotundata
Watelet delle sabbie di Cuise ©. Nell’Oligocene sono note: Vag. tenui
Blanck.) !: nell’Eocene si conosce una sola specie, la Vag. parisiensis
striata Semper e Vag. lanceolata v. Koenen. È nel Miocene che le Vagi-
nelle assumono un grande sviluppo formando dei depositi importanti
su di una grande area di diffusione. Esse non sopravvivono al Mio-
cene e le forme indicate nel Pliocene si riferiscono ad altri gruppi.
Le Vaginella formano l'anello di congiunzione tra le Creseis e le
Clio propriamente dette. Esse per mezzo delle forme coniche ( Vag.
lapugyensis Kittl]) si collegano alle prime, mentre per mezzo delle
forme depresse (Vag. austriaca Kittl, Vag. Rzehaki Kittl) si congiun-
gono alle Clio propriamente dette.
Vaginella lapugyensis Kittl.
(Fig. 4, 4a, 4D).
1886. Vaginella lapugyensis Kittl, Veber die miocenen Pteropoden von Oesterreich-
Ungarn, pag. 52, tav. II, fig. 4-5.
Conchiglia liscia, assottigliata, vaginiforme, fortemente appuntita
indietro. Nel primo terzo posteriore essa è conica e a sezione trasversa
circolare, ‘poi per un leggero appiattimento della faccia inferiore la se-
zione diventa elittica, e cominciano ad osservarsi d’ambo i lati della
conchiglia delle angolosità, che accennano alla formazione di quei mar-
ginilaterali, che vedremo maggiormente sviluppati nelle forme seguenti.
L'’orifizio è orizzontale, elittico, alquanto depresso inferiormente,
con labbra poco sporgenti e circolari.
Dei vari esemplari esaminati, il più grande misura una lunghezza
di mm. 7,5, una larghezza massima di mm. 1,6 ed uno spessore verso
l’orifizio di mm. 1,2.
! BLANCKENHORN, loc. cit., pag. 598 e 599, tav. X.XII, fig. 3 e 4.
? V. DoLLFUS ET RAMOND, Liste de Ptéropodes du terrain tertiaire parisien
(Ann. Soc. Roy. Malacol. de Belgique, t. XX), 1885,
[2] I PTEROPODI DEL MIOCENE GARGANICO 15
RAPPORTI E DIFFERENZE. — La Vaginella lapugyensis ricorda molto
la Creseis spina Reuss. La rassomiglianza però sì limita alla forma
generale, perchè tanto nelle Creseis fossili che nella vivente manca
ogni accenno dei margini laterali. La forma delle Creseis è assolu-
tamente quella di un cono, per cui la sezione trasversale dovunque
è circolare; mentre nella Vag. lapugyensis per tutta la metà ante.
riore della conchiglia è elittica per il deprimersi delle facce, ciò che
contribuisce alla formazione di quei margini laterali, che sono sempre
più o meno sviluppati in tutte le Vaginelle.
Var. garganica nov.
Per le dimensioni e per la forma generale gli esemplari, che con-
sideriamo a parte, sono strettamente collegati a quelli già descritti :
ma mentre in questi la parte conica è molto più sviluppata, negli
altri non rappresenta che un quinto appena di tutta la lunghezza
della conchiglia. Poi le facce si deprimono, specialmente la ventrale,
e la commessura tra di esse è angolosa. L’angolosità sì accentua
verso l’apertura, che è alquanto dilatata, di guisa che la sezione
trasversale è più elittica e presenta la parte inferiore più appiattita.
In altre parole gli esemplari che consideriamo come varietà della
Vag. lapugyensis si distinguono per essere più depressi e più dilatati
verso l'apertura e per i margini laterali più accentuati. Detti esem-
- plari ritordano ancora le Creseis, ma ne sono più lontani della Vag.
lapugyensis; dall’altra parte sono più vicini alle tipiche Vaginelle che
non quelli della specie tipo.
Vaginella austriaca Kittl.
(Fig. 5, 5 a).
1851. Vaginella depressa (pars) Hòrnes, Fossile Mollusken des Wiener Beckens,
I, pag. 663, tav. L, fig. 42 a.
1886. Vaginella austriaca Kittl, Ueber die miocenen Pteropoden von Oesterreich-
Ungarn, pag. 54, tav. II, fig. 8-12.
1904. Vaginella austriaca Sacco, I Molluschi dei terreni terziari del Piemonte
e della Liguria, P. XXX, pag. 15, tav. IV, fig. 11.
Conchiglia liscia, a forma di un oblungo punteruolo, rapidamente
assottigliata nella parte posteriore, ove termina in una punta conica
14 _ G. CHECCHIA-RISPOLI [2]
leggermente ripiegata verso la faccia dorsale. Verso la metà la con-
chiglia è un po’ panciuta, poi è depressa sino all’apertura: ne con
segue che la sezione trasversale è circolare verso l’apice, elittica
verso il mezzo e lenticolare presso l'apertura.
La faccia dorsale o superiore è più arrotondata della ventrale
od inferiore. Dietro l’orifizio la conchiglia è leggermente contratta da
ambo 1 lati.
L’orifizio è compresso, oblungo e visto dall’alto appare come un
taglio od una incisione. Esso è limitato da due labbra arrotondate,
non molto sporgenti, delle quali l’inferiore è un po’ più lungo del
superiore.
La commessura tra le due facce è acuta. È la commessura che
forma i margini laterali, che nelle forme precedenti abbiamo visto
solo accennati. Nella specie in esame verso l’apertura i margini si
dilatano alquanto, formando delle piccole espansioni triangolari.
Le lamelle di accrescimento non sono visibili che con la lente ed
appaiono piegate avanti.
Abbiamo esaminati moltissimi esemplari di questa forma: i più
grandi raggiungono una lunghezza di 7 mm., una larghezza di mm. 2,3
ed uno spessore di mm. 1,5.
RAPPORTI E DIFFERENZE. — Gli esemplari di questa Vaginella cor-
rispondono perfettamente a quelli della Vag. austriaca Kittl del Mio-
cene austro-ungherese sia per la forma, che per le dimensioni. Questa
specie è stata indicata dall’Audenino e poi dal Sacco nell’Elveziano
dei Colli Torinesi, ove si presenta con esemplari di maggiori dimen-
sioni; raggiungendo sino a 13 mm. di lunghezza. Per la forma i
nostri esemplari corrispondono assai meglio a quelli illustrati dal
Kittl.
Tra ì moltissimi esemplari di Vaginella del deposito miocenico
di San Nicola Varano ne abbiamo trovato uno, del quale non pos-
siamo tenere parola che in questo punto. Detto esemplare non cor-
risponde nè a Vag. austriaca nè a Vag. lapugyensis var. garganica ;
ma è più vicino a quest’ultima. Esso ricorda quindi, sebbene lon-
tanamente, ancora le Creseis per la sua forma conica; ma per la
presenza di margini laterali ben formati che cominciano ad appa-
rire verso la metà della conchiglia, per la depressione verso l’aper-
tura, esso è vicino a V. austriaca. La forma generale di questa Va-
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[2] 1 PTEROPUDI DEL MIOCENE GARGANICO 15
ginella ricorda pure quella della Vag. acutissima Auden., ma questa
è molto più allungata, sottile, e del tutto acuminata posteriormente '.
Trattandosi di un solo esemplare non ci permettiamo di istituire su
di esso una nuova specie; ma abbiamo creduto bene farne parola,
perchè esso rappresenta un vero anello di congiunzione tra le vagi-
nelle creseiformi e quelle con pronunziati margini laterali, che in-
vece ricordano le Clio s. str.
Vaginella depressa Daudin.
(Fig. 6).
1800. Vaginella depressa Daudin, Bull. Soc. philomatique, n. 483, pag. 1.
1825. Vaginella depressa Basterot, Mém. Bordeaux, pag. 19, tav. IV, fig. 16.
1828. Creseis vaginella Rang., Ann. des Sciences Naturelles, vol. XIII, pag. 305,
tav. 18, pag. 2.
1829. Creseis vaginella Rang, Ann. des Sc. Nat., vol. XVI, pag. 497, tav. 18, fig. 4.
1840. Cleodora strangulata Grateloup, Atlas conch. foss. Adour, tav. I, fig. 3-4.
1886. Vaginella depressa Kittl, Ueber die miocenen Pteropoden von Vesterreich-
Ungarn, pag. 37, tav. II, fig. 10-22.
1904. Vaginella depressa Sacco, I Molluschi dei terreni terziarii del Piemonte
e della Liguria, P. XXX, pag. 15, tav. IV, fig. 10.
Conchiglia liscia, molto panciuta nel mezzo, più 0 meno acuta-
‘mente appuntita dietro. La sezione trasversale è nel mezzo circolare
od anche elittica; avanti, invece, verso l’orifizio è schiacciata. Dietro
l'apertura la conchiglia è più o meno ristretta.
L'apertura è oblunga, a forma di un taglio, ed è limitata da due
diritte, larghe ed arrotondate labbra, sull’orlo delle quali sì notano
una, due od anche tre pieghe o rughe piuttosto irregolari.
Dall’apice partono per lo più degli acuti margini laterali, che si
spingono fino all’apertura. Questi margini, in alcuni esemplari più
gonfi, sono solamente accennati o mancanti del tutto e appariscono
di quando in quando in vicinanza dell'apertura.
E chiaro che la forma del guscio varia alquanto nei differenti
stadi di sviluppo. Così la forma dell’apertura nel decorso dello svi-
luppo va soggetta ad importanti cambiamenti. Nello stato giova-
! L. AupbENINO, I Pteropodi miocenici del Monte dei Cappuccini in Torino
(Bull. d. Soc. Malac. Ital., vol. XX), pag. 110, tav. V, fig. 7 db, c, Pisa, 1896.
#
16 G. CHECCHIA-RISPOLI [2]
nile è circolare con orli diritti; più tardi è elittica con labbra molto
pronunziate, e poi diventa sempre più larga e protratta per finire
in forma d’un taglio diritto di quando in quando irregolare e con
estremità irregolari. Le lamelle d’accrescimento sono rivolte avanti
e nella parte più ristretta della conchiglia si piegano nel mezzo for-
mando quasi un angolo retto.
Abbiamo esaminati moltissimi esemplari di questa specie: essi
non raggiungono mai le dimensioni del più grandi esemplari finora
conosciuti. I più grandi misurano una lunghezza di mm. 5, una lar-
ghezza di mm. 2,2 ed uno spessore di mm. 2,1.
RAPPORTI E DIFFERENZE. — Com'è noto la V. depressa è la più
anticamente conosciuta, avendola Daudin descritta circa 120 anni
or sono, ed è il tipo del gruppo. È una specie facilmente ricono-
scibile per la sua forma caratteristica e non si può confondere con
nessun'altra del genere. Quella che le sta più vicina è la Vag. lan-
ceolata v. Koenen (sub Belemnites Rall) dell’Oligocene di Mecklen-
burg; ma questa si differenzia per avere la faccia inferiore meno
gonfia, per la forma sopratutto della bocca che presenta su ogni lato
due solchi lunghi, che si prolungano sin quasi nel mezzo della con-
chiglia, per essere meno panciuta, ecc. !.
La Vag. depressa ha una grande diffusione nel Miocene medio.
In Italia, oltre che in Piemonte (M. Cappuccini in Torino), è stata
indicata dal Seguenza in Calabria (Stilo) e dal De Angelis d’Ossat
nel Miocene dell'Umbria È.
Vaginella gibbosa Audenino.
(Fig. (od, 4 de'CCh
1896. Vaginella gibbosa Audenino, 1 Pteropodi miocenici del Monte dei Cappuc-
cini in Torino, pag. 110, tav. V, fig. 7 db, c. i
1904. Vaginella gibbosa Sacco, I Molluschi dei terreni terziari del Piemonte e
della Liguria, P. XXX, pag. 16, tav. IV, fig. 14.
Tra le varie Vaginella da noi raccolte è questa la più abbon-
dante e quella che raggiunge le più grandi dimensioni. La conchi-
1 KirTL, loc. cit., pag. 60, tav. II, fig. 34.
2 Verri e De AncELIS D'Ossat, Terzo contributo allo studio del Miocene
dell'Umbria (Boll. Soc, Geol. Ital., vol. XX), 1901.
“
x
[2] I PTEROPODI DEL MIOCENE GARGANICO 17
glia è piuttosto robusta rispetto alle altre, non molto allungata, va-
giniforme, conica nella metà posteriore ove si termina in una punta
rivolta verso il lato dorsale, in modo più accentuato che nelle altre
specie esaminate; nella metà anteriore è depressa; questa depressione
aumenta verso l'apertura, ove la conchiglia si dilata.
La faccia ventrale è più gonfia della dorsale, gibbosa e ricurva;
la faccia superiore è meno gonfia e più diritta.
I margini laterali sono appena accennati verso il mucrone ed in
- genere nella parte conica; poi man mano che si passa verso l’aper-
tura, essi diventano più sporgenti e finiscono col formare, dietro di
questa, due espansioni laterali triangolari, le quali sono acute sugli
spigoli e sempre più o meno forti..
La sezione trasversale è circolare nella parte posteriore, poi di-
venta elittica e, presso l’apertura, lenticolare.
L'apertura è estesa, stretta, allungata, orizzontale, acutamente
angolosa ai lati; essa è limitata da due forti labbra semicircolari: di
questi l’inferiore è sensibilmente più protratto del superiore e riflesso
verso l’apertura, che chiude un poco: il labbro inferiore è diritto.
La superficie del guscio porta delle deboli costicine longitudinali,
piuttosto rade, ma ben visibili e regolari, che partono dal mucrone
e si prolungano sino all’orlo delle labbra.
Visibili pure sono i vari accrescimenti della conchiglia, special-
mente verso l'apertura.
I più grandi esemplari raccolti misurano una lunghezza di mm. 10,
una larghezza di mm. 3,4 ed uno spessore verso l’apertura di circa
1 mm.; ma esemplari così grandi sono piuttosto rari.
RAPPORTI E DIFFERENZE. — Gli esemplari in esame corrispondono
bene a quelli della Vag. gibbosa Auden. dell’Elveziano del Monte dei
Cappuccini in Torino. Quelli descritti dall’Audenino sono per lo più
dei modelli; i nostri invece, come tutti i pteropodi illustrati in questo
lavoro, conservano intatto il loro guscio. Forse questa è la ragione
per cui l’Audenino non parla dell’esistenza delle costole longitudinali,
le quali talora appaiono anche nei modelli.
Gli esemplari del Monte dei Cappuccini non sono certamente
completi a giudicare dalle figure, essendo rotti verso l'apertura, la
quale appare rettilinea : invece sl sa che l’orifizio delle vere vaginelle
è limitato da due labbra circolari, le quali sono in talune specie abba-
LU”)
Boll. R. Com. Geol., v. XLVIII, 1920-21.
18 G. CHECCHIA-RISPOLI [2]
stanza sporgenti ed espanse da ricordare fortemente le Clio s. str.,
alle quali le ultime servono come forme di passaggio.
La Vag. austriaca Kittl e la Vag. Rzehaki Kittl, oltre ad essere
più piccole, hanno la faccia ventrale sempre più depressa della dor-
sale e la parte terminale molto meno rivolta in alto: questo carat-
tere che nella Vag. gibbosa è già abbastanza accennato, diventa più
evidente nelle Cio, come ora vedremo. La Clio amphoroides Blane-
kenhorn (Balantium) del Cretaceo superiore della Siria! sembra la
forma ancestrale delle Clio e quella che per i suoi caratteri si collega
più intimamente alle Vaginella.
Subgen. Clio Linneo, 1767.
(= Cleodora Peron et Lesueur, 1810 = Balantium Anon., 1829).
« Conchiglia prismatica, triangolare, fragilissima, trasparente, prov-
vista di carene laterali e di una larga apertura che raggiunge la
massima larghezza trasversale del guscio. Il dorso porta generalmente
una costola longitudinale che si proietta avanti verso l’apertura. La
parte posteriore si prolunga in una punta terminale, che possiede
sempre un leggero rigonfiamento all’estremità (conchiglia larvale) va-
riabile di forma e quasi sempre separato dal resto del guscio ».
Clio pedemontana Mayer.
1868. Cleodora pedemontana Mayer, Description de coquilles fossiles des terrains
tertiaires (Journal de Conch., vol. XVI), pag. 104, tav. II, fig. 2.
1872. Balantium pedemontanum Bellardi, ! MoWuschi dei terreni terziari del
Piemonte e della Liguria, I, pag. 31, tav. III, fig. 2.
1886. Balantium pedemontanum Kittl, Ueber die miocenen Pteropoden von
Oesterreich-Ungarn, pag. 64, tav. II, fig. 28-33.
1895. Balantium pedemontanum Trabucco, I Langhiano della provincia dì Fi-
renze (Boll. Soc. Geol. Ital., vol. XIV), pag. 176, fig. 2 [nel testo].
1896. Clio pedemontana Audenino, / Pteropodi miocenici del Monte dei Cap-
puccini, ecc., pag. 102, tav. V, fig. 6.
1904. Balantium pedemontanum Sacco, I Molluschi dei terreni terziari del Pie-
monte e della Liguria, P. XXX, pag. 15, tav. IV, fig. ©.
(li esemplari di questa specie sono comuni nel deposito di S. Ni-
cola Varano; la maggior parte sono allo stato di modelli, solo al-
! BLANCKENHORN, loc. cit., pag. 598, tav. XXII, fig. 2.
[2] I PTEROPODI DEL MIOCENE GARGANICO 19
cuni conservano il guscio. La Clio pedemontana è facilmente ricono-
scibile per la forma stretta, allungata, triangolare, compressa ai lati,
moderatamente gonfia nel mezzo, e con l’apice rivolto verso il dorso.
Le facce sono ornate di numerosi solchi o rughe grossolane trasverse
con la convessità rivolta verso l’apertura.
Gli esemplari corrispondono perfettamente a quelli del Piemonte
descritti dal Mayer e poi dal Bellardi e più recentemente dall’Aude-
nino e dal Sacco.
Clio puleherrima Mayer.
1868. Cleodora pulcherrima Mayer, Description de coquilles fossiles des terrains
tertiaires, pag. 105, tav. II, fig. 3.
1872. Balantium pulcherrimum Bellardi, / Molluschi dei terreni terziari del
Piemonte e della Liguria, vol. I, pag. 33, tav. III, fig. 13.
Conchiglia di forma triangolare, appiattita, più larga che lunga,
a margini laterali rettilinei, e solo leggermente rientranti (concavi)
in prossimità del mucrone, formando tra di loro un angolo di 30°
circa. Il mucrone si prolunga in una punta che è leggerissimamente
rivolta verso la faccia dorsale.
La faccia superiore presenta cinque costole longitudinali, di cui
la mediana è la più larga e sporgente. Da una parte e dall’altra di
questa seguono due costole più strette e meno sporgenti, disuguali,
perchè la esterna è più forte dell’altra. Anche gli intervalli che le
separano non sono ugualmente larghi. In genere l’intervallo che se-
para la costola esterna dalla interna è più ampio di quello che separa
la costa principale o mediana da quest’ultima.
I margini laterali sono larghi ed ornati di rughe oblique dal-
l'interno verso l’esterno. Queste rughe sono forti, però più attenuate
sì osservano anche sulle costole longitudinali. Si tratta insomma di
rughe trasversali che hanno la convessità rivolta verso l’apertura e
che sono più forti verso le parti laterali che verso la mediana del
guscio. Nella regione posteriore le rughe sono più avvicinate e più
sottili: man mano che esse si avvicinano all’orifizio diventano più
grossolane e più distanti tra di loro.
Sulla faccia ventrale sì osservano gli stessi ornamenti, ma meno
accentuati.
20 G. CHECCHIA-RISPOLI [2]
La sezione trasversale è a forma di lente biconvessa, regolare e
poco gonfia. L'apertura è rotta.
La Clio pulcherrima è comune nel deposito. miocenico di S. Ni-
cola Varano. Una forma molto vicina a quella ora descritta è la Clio
superba Fuchs, la quale porta però più di cinque costole longitudinali
sulla faccia dorsale !.
Clio Distefanoi Checchia-Rispoli.
(Fig. 10, 10 a, 10 b, 10c).
Conchiglia liscia, triangolare, simmetrica, fortemente convessa
sulla faccia superiore, pianeggiante su quella inferiore, a lati quasi
rettilinei, formanti un angolo di circa 80°. La parte posteriore ter-
mina in un mucrone acuto, conico, rivolto verso la faccia superiore.
La faccia dorsale è fortemente rialzata e convessa. La ventrale è
pianeggiante e porta una piega mediana, convessa, poco sporgente e
larga appena un terzo della larghezza della faccia. Le parti laterali
sono leggermente concave. La piega nella sua parte posteriore è più
accentuata che verso l’apertura.
Le carene laterali sono strette e gli spigoli in luogo di essere
acuti sono ottusamente arrotondati.
L’apertura è ampia ed è terminata da labbra che sembrano
semplici.
La sezione trasversale è asimmetrica, come pure la mediana longi-
tudinale.
Dimensioni :
Lunghezza . . . mm. 7 (incompleta)
Larghezza. ..° a 83,
Altezza "ate
RAPPORTI E DIFFERENZE. — Tra le Clio di S. Nicola Varano è la
più comune. Paragonata con la Clio Bellardi del Miocene piemontese
s1 differisce per essere quest’ultima molto più larga e per la piega me-
diana della faccia ventrale longitudinalmente tripartita *.
! Tu. FucHS, Veber cin nevartiges Pteropoden vorkommen aus Méihren, ecc.
(Sitzungsb. d. k. Akad. d. Wiss., CXI Bd., VI Heft), pag. 433, tav. I, 1902.
? AUDENINO, Loc. cit., pag. 104, tav. V, fig. 5 a-d.
[2] 1 PTEROPODI DEL MIOCENE GARGANICO 21
La Clio Guidottit Simonelli è molto più grande, ed ha la faccia
superiore ornata di tre pieghe invece di una !.
Clio Aichinoi Checchia-Rispoli.
(Fig. 9, 9a, 9).
Conchiglia di piccole dimensioni, stretta, allungata, triangolare,
‘molto depressa, ricurva, a margini laterali rettilinei e confluenti sotto
un angolo di 25° appena. Posteriormente termina in un mucrone co-
nico, acuto, fortemente rivolto verso la faccia dorsale.
Questa è rialzata nel mezzo, ove si differenzia una costola lon-
gitudinale stretta, arrotondata e sporgente di più nella parte poste-
riore che nell’anteriore. Ad una certa distanza dal mucrone si osser-
vano delle rughe grossolane, (5 a 6), che si piegano lungo la linea
mediana sulla costa longitudinale di modo che esse formano un an-
golo ottuso: da una parte e dall’altra della costola mediana scendono
obliquamente verso i margini. Le rughe sono separate fra di loro da
intervalli larghi e regolari.
La faccia ventrale è poco convessa e fortemente ricurva verso la
dorsale: come la superiore è liscia verso il mucrone e nella metà
posteriore; in quella anteriore porta 5 a 6 rughe trasversali, regolari
e leggermente convesse verso l’apertura, separate da intervalli più
larghi delle rughe stesse.
Sezione trasversale subcircolare verso il muerone, e concavo-
convessa verso l’apertura.
Carene laterali strettissime ed acute.
Dimensioni :
Lunghezza . . . mm. 6 (incompleta)
Larghezza. ... » 2
demi i: ici» 0,80
RAPPORTI E DIFFERENZE. — Questa Clio è rarissima e ne posse-
diamo un solo esemplare. La sua forma stretta, la forte curvatura
! SIMONELLI, Sopra due nuovi Pteropodi delle argille di Sivizzano nel Par-
mense (Boll. Soc. Geol. Ital., vol. XV), pag. 186. fig. 1, 1896.
29 G. CHECCHIA-RISPOLI [2]
della faccia ventrale, gli ornamenti caratteristici distinguono questa
bella specie da tutte le Clo finora conosciute.
Clio Saecoi Checchia-Rispoli.
(Fig. 8, 8a, 8d, 8c).
Conchiglia liscia, triangolare, larga, gonfia, con margini laterali
rettilinei e solo un po’ concavi verso l’apice, formanti un angolo di
circa 50°. Muerone conico, appuntito, e con la punta ricurva e rivolta
verso il dorso.
Le due facce sono regolarmente convesse: la dorsale differisce
dalla ventrale solamente per una maggiore convessità.
Le carene laterali sono discretamente larghe. La commessura tra
le due facce non è acuta, ma man mano che si passa dal mucrone
verso l’apertura lo spigolo sì appiattisce ed in luogo di una linea si ha
una faecetta stretta ed allungata.
Apertura larga, non conservata che in parte.
La sezione trasversale è regolare e biconvessa.
Dimensioni :
Lunghezza . . . mm. 8 (incompleta)
Larghezza oa
Ade Ci LUTTO
RAPPORTI E DIFFERENZE. — Questa Clio non è rara nel deposito
miocenico di S. Nicola Varano. Essa si distingue dalla Clio Bellardi
Audenino per la sua faccia inferiore non divisa da un solco longi-
tudinale in tutta la sua lunghezza !.
La Clo pedemontana Mayer ha una forma più stretta e più allun
gata, le carene più strette e la superficie ricoperta di pieghe tra-
sversali *.
! AUDENINO, / Pteropodi miocenici del Monte dei Cappuccini in Torino,
pag. 104, tav. V, fig. 5 ad.
? MAayER, Description de coquilles fossiles des terrains tertiaires supérieurs
pag. 104, tav. II, fig. 2.
uf
5
e
?
A
[2] I PTEROPODI DEL MIOCENE GARGANICO 93
La Clio Fallauxi Kittl ha la superficie ricoperta di forti pieghe
trasversali, a tal segno che il profilo trasversale del guscio apparisce
dentellato !.
La Clio deflera v. Koenen è molto più piatta e presenta sulla
faccia dorsale degli ornamenti che mancano del tutto nell’esemplare
del M. Gargano È.
La Clio acutissima G. Seguenza è molto più stretta ed allungata e
per la forma ricorda molto la Clio pedemontana Mayer È.
Gen. Cavolinia Gioeni, 17883 (Abilgaard, 1791).
« Conchiglia più o meno globulosa, sottile, simmetrica, con orifizio
anteriore piccolo munito di labbra smussate. La chiusura laterale fra le
due facce può essere completa od incompleta: in quest’ultimo caso le
aperture laterali in forma di fessura sì continuano con l’apertura an.
teriore, dalla quale sono separate tanto a destra che a sinistra da una
specie di articolazione tra le due facce, di cui la dorsale presenta
una depressione che riceve una sporgenza della faccia ventrale.
» La faccia dorsale è più lunga della ventrale ed è pianeggiante o
piano-convessa con costole raggianti : la ventrale è quasi sempre gonfia
e porta talvolta solchi longitudinali e strie trasversali. I margini delle
labbra sì piegano sempre verso l’apertura per diminuirne l'ampiezza.
» La punta terminale è rivolta dorsalmente ed è appuntita al-
l'estremità senza traccia di rigonfiamento ».
Recentemente il Vayssière, contrariamente all'opinione del Boas
e del Pelseneer, ha distinto genericamente le Diacria dalle Carolinia*.
I caratteri differenziali fra questi due gruppi di Pteropodi sono d’al-
1 RirtL, Ueber die miocenen Pteropoden von Oesterreich-Ungarn, pag. 62,
tav. II, fig. 28, 33.
? V. KOENEN, Die Gastropoda holostomata und tectibronchiata, Cephalopod a
und Pteropoda des Norddeutschen Mioccin (N. Jahrbuch f. Min., Geol. und Pal.,
II Beil.-Bd.), pag. 354, tav. VII, fig. 9 a, db, 1883.
3 SEGUENZA, Le formazioni terziarie nella provincia di Reggio (Calabria),
pae. 216, tav. XVI, fig. .39, 95 a.
4 VaySSsIÈRE, Mollusques Euptéropodes (Ptéropodes Thésocomes) provenant
des campagnes des yachts Hirondelle et Princesse Alice, 1885-1918), 1915.
24 G. CHECCHIA-RISPOLI [2]
tronde molto importanti. La diagnosi del gen. Diacria Gray mostra
che mancano presso questi molluschi parecchi organi d’importanza
diversa, come le appendici laterali e le branche; per questo Diacria
st avvicina a Clio. Ma la conchiglia nella forma generale ricorda di
più quella di Cavolinia, per quanto si noti in essa la disposizione
sempre rettilinea della punta terminale con la sua estremità un po’
ovoide, come in Clio. Diacria si può considerare l’anello di congiun-
zione tra Clio e Cavolinia.
Il gen. Cavolinia, rappresentato da parecchie specie nella fauna
attuale, ne contava molte nell’epoca miocenica, ove esso comparve.
Cavolinia Cerullii Checchia-Rispoli.
(Rie, LL, dla; 100):
Conchiglia dal guscio molto sottile, alquanto più larga che lunga
piano-convessa.
La faccia dorsale è pianeggiante e presenta tre coste larghe, che
partono dal mucrone, poco sporgenti e accentuate di più verso l’aper-
tura: la mediana è molto più larga delle due laterali: verso il mu-
crone non sono distinte e si potrebbe dire che in origine non si
abbia che una sola costa molto larga, la quale ad una certa distanza
diventa trifida per la presenza di due deboli solchi, che la dividono
in tre parti diseguali.
Le espansioni laterali sono leggermente convesse, ma verso la
commessura esse si rialzano e vengono esternamente limitate da un
rilievo per lo più ben distinto.
Grossolane pieghe concentriche, le quali si fanno più grosse e
più distinte fra loro man mano che si avvicinano all’apertura, co-
prono la faccia. Sulla costa mediana le pieghe formano una conves-
sità alquanto accentuata, quasi angolosa, che sta ad indicare il mag:
gior accrescimento della faccia in quella direzione, ove si forma un
lobo mediano corrispondente ad un altro della faccia inferiore. Questo
lobo è conservato solo in parte, essendo tutti gli esemplari, che sono
parecchi, mutilati verso l’apertura, come quasi generalmente avviene
in simili pteropodi allo stato fossile.
[2] I PTEROPODI DEL MIOCENE GARGANICO 25
La faccia ventrale è più larga che lunga, molto gonfia, fortemente
trilobata. Il lobo mediano è il più largo, più lungo e più protratto
avanti: esso s’inflette leggermente verso la faccia superiore per chiu-
dere un poco l'apertura.
I solchi sono profondi verso il margine; verso l’apice mancano.
I lobi laterali si piegano rapidamente in basso per andare a sal-
darsi intimamente con la faccia superiore. Le espansioni laterali sono
strettissime ed un po’ rialzate. La commessura posteriore è perfet-
tamente rettilinea e su questa sporge appena il mucrone.
Numerose pieghe regolari ricoprono la superficie : esse sono strette
e avvicinate verso il mucrone, più larghe e più distanti verso l’aper-
tura, che è stretta e semilunare.
Dimensioni :
Lunghezza . . . mm. 5 (?)
Larghezza ....0. 3.6
Albese aa
RAPPORTI E DIFFERENZE. — La Cuvolinia Cerullii mostra i più
stretti rapporti con la Cuv. Audeninoi Vinassa de Regny del Mio-
cene di Torino: ci hanno indotto però a separare le due forme la
differente conformazione del margine posteriore e la forma delle
espansioni laterali.
Nella Cav. Cerullii 11 margine posteriore è rettilineo e lungo e
le espansioni laterali sono talmente ridotte, che sì può dire che la
faccia ventrale è occupata dai tre lobi.
Nella Cav. Audeninoi il margine posteriore, oltre ad essere più
corto, è concavo e le espansioni laterali sono molto sviluppate e pro-
tratte indietro assumendo una forma triangolare. Queste espansioni
sono separate dal resto della conchiglia da due solchi ben distinti,
i quali mancano nella Cav. Cerullii. Inoltre le facce ventrali sem-
brano differire un po’ per la forma delle pieghe, che procedono di-
ritte nella forma garganica, mentre in quella piemontese s’inarcano
verso 1 margini della conchiglia ?.
! AUDENINO, I Pteropodi del Monte dei Cappuccini, ecc., pag. 101, tav. V,
fig. 2 a-d.
26 G. CHECCHIA-RISPOLI [2]
La Cav. Audeninoi var. bononiensis mostra il margine posteriore
più corto e più concavo e le espansioni laterali più protratte in-
dietro !.
La Cav. bisulcata Kittl presenta il margine posteriore fornito di
tre distinte concavità e le espansioni laterali sono di molto sporgenti
sul contorno della conchiglia ?,
Cavolinia Zamboninii Checchia-Rispoli.
(Fig. 12, 12a, 12.8).
Conchiglia dal guscio molto sottile, globulosa, e più larga che
lunga.
La faccia ventrale isolatamente presa è più larga che lunga, for-
temente convessa, capuliforme: nella parte posteriore termina in una
punta fortemente ricurva e rivolta verso la faccia dorsale da venire
quasi a contatto con questa; verso l'apertura il margine è rientrante
nella parte mediana. La superficie porta delle pieghe trasversali in
numero di dieci ad undici, regolari, strette, sporgenti, parallele al
margine verso l’apertura e quindi inflesse posteriormente nella loro
parte mediana. Dette pieghe mancano nella regione del mucrone, che
è liscia, e cominciano ad apparire al di là di tale regione; man
mano che si va verso l'apertura diventano più forti e più avvicinate
fra di loro.
La faccia dorsale è anch'essa più larga che lunga, convessa presso
a poco come la ventrale e protratta anteriormente in un lobo for-
temente ripiegato verso la faccia ventrale, in modo da restringere
fortemente l’orifizio. Come avviene generalmente nelle conchiglie,
allo stato fossile, di Cavolinia, il margine anteriore di questa faccia
a causa della estrema fragilità è sempre rotto; però in un modello
perfettamente conservato della stessa specie abbiamo potuto consta-
tare che il margine, verso l’apertura, oltre ad essere un po’ ispessito,
è anche un po' rialzato, di guisa che l’orifizio è un po’ più alto di
quello che non appaia nell’esemplare mutilato, ma provvisto di con-
! VinAassa DE REGNY, Sopra un nuovo Pteropodo miocenico del Bolognese
(Riv. Ital. di Paleontologia,.vol. IV), 1898.
? KirrL, Ueber die miocenen Pteropoden, ecc., pag. 65, tav. II, fig. 29-82.
iii
|
[2] I PTEROPODI DEL MIOCENE GARGANICO 27
chiglia. La superficie non porta altro ornamento che una fortissima
costola longitudinale, mediana, che va slargandosi gradatamente verso
l'apertura. A molta distanza dal suo inizio detta costola accenna a
biforcarsi. I due solchi che limitano lateralmente la costola sono
stretti e profondi.
In tutto il resto della faccia si osservano, da una parte e dal-
l’altra della costola longitudinale mediana, le tracce di un’altra de-
bolissima costola, che però svanisce subito. Le lamelle di accrescimento
sono rade ma ben visibili e seguono l'andamento del margine.
L’apertura della conchiglia è di forma semilunare, piccola e molto
stretta. >
Dimensioni :
Lunghezza . . . . mm. 4
tasoneata; —. . —» 40
Pllazmaro celtico » 3
RAPPORTI E DIFFERENZE. — La Cavolinia Zamboninii mostra al-
cuni rapporti con la Cav. Cookei Simonelli, del Miocene dell'Isola
di Malta, specialmente per la forma della faccia ventrale !. Ma ciò
che distingue la forma garganica da quella maltese è la differente
ornamentazione della faccia dorsale. Questa nella Cav. Cookei è in-
teramente ricoperta di costole raggianti, di cui le tre mediane sono
bifide fin dal loro inizio, cosicchè la faccia appare ornata di 8 co-
stole. Per quanto riguarda la faccia ventrale notiamo che le pieghe
che si osservano nella Cav. Cookei sono meno numerose e. meno in-
flesse posteriormente sulla linea mediana. Infine la Cav. Zambonintii
è più larga che lunga, al contrario della Cav. Cookei, che è più lunga
che larga.
I rapporti con altre Cavolinie sono sempre più lontani ed un
confronto con queste sarebbe superfluo.
R. Ufficio Geologico. Roma, settembre 1921.
! V. SIMONELLI, Sopra un nuovo Pteropodo del Miocene di Malta (Boll.
Soc. Geol. Ital., vol. XIV), pag. 19, fig. a, bd, c [nel testo], 1895.
28 G. CHECCHIA-RISPOLI [ag Sa
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
FIG. 1, a, db. — Cuvierina Paronai Ch.-Risp. — Ingr. 3 volte. — Loc. San Ni-
cola Varano (Miocene medio).
» 2,a. — Creseis spina Reuss. — Ingr. 4 volte. — Loc. San Nicola Va-
rano (Miocene medio).
» 83,a. — DE Lamberti Ch.-Risp. — Ingr. 4 volte. — Loc. San Ni-
cola Varano (Miocene medio).
» 4, a,b. — Vaginella lapugyensis Kittl. — Ingr. 4 volte. — Loc. San Ni-
cola Varano (Miocene medio).
4 5D, da rr » austriaca Kittl. — Ingr. 4 volte. — Loc. San Nicola
i Varano (Miocene medio).
1-6; — » depressa Daudin. — Ingr. 4 volte. — Loc. San Ni-
cola Varano (Miocene medio).
» ,a-c. — » gibbosa Auden. -- Ingr. 4 volte. — Loc. San Nicola
\ Varano (Miocene medio).
» 6, a-c. — Clio Saccoi Ch.-Risp. — Ingr. 4 volte. — Loc. San Nicola Va-
rano (Miocene medio).
» 9 a,b. — » Aichinoi Ch.-Risp. — Ingr. 4 volte. — Loc. San Nicola
Varano (Miocene medio).
» 10, a-c. — » Distefanoi Ch.-Risp. — Ingr. 4 volte. — Loc. San Nicola
Varano (Miocene medio).
» ll, a,b. — Ca volinia Cerullii Ch.-Risp. — Ingr. 3 volte. — Loc. San Ni-
cola Varano (Miocene medio). -
» 12, a,b. — » Zamboninii Ch.-Risp. — Ingr. 5 volte. — Loc. San
Nicola Varano (Miocene medio).
i
Boll. R. Com. Geol. d’ Italia, Vol. XLVII, n. 2. (G. CHECCHIA-RISPOLI).
1b 2a
DD ®
de 3a 4b
la 3
i 2 4 4a
5a Ta
10a 10 b
)anesi- Roma i i CozzoLINO dis.
Bollettino del R. Comitato Geologico d'Italia
Vol. XLVII i 1920-21 N33
FERRUCCIO ZAMBONINI
SULLA PALMIERITE DEL VESUVIO
ED I MINERALI CHE L'ACCOMPAGNANO
(con una tavola)
Nel 1907, l’illustre mineralista francese A. Lacroix ! descrisse una
nuova specie minerale delle fumarole. ad alta temperatura dell’eru-
zione vesuviana cominciata il 6 aprile 1906, trovata inclusa nelle
croste di aftitalite, raccolte il 3 ottobre 1906 dal dott. E. Aguilar su
una colata di lava, ancora incandescente, dell’orlo NNE del cratere.
Il nuovo minerale, chiamato dal Lacroix pal/mierite in onore del be-
nemerito studioso del Vesuvio e direttore dell’Osservatorio vesuviano
Luigi Palmieri, sì presenta sotto forma di minutissime laminette,
talvolta a contorno esagonale, che hanno l’aspetto di pagliuzze di
acido borico; ma sono, però, dotate di forte birifrangenza e ottica-
mente uniassiche, negative. |
Dall'analisi seguente * (I)
Rapporti Rapporti
molecolari II.
SO, 294 0,367 1,96 328 0,410 2,33 7
PbO 548 0,246 1315 523 0,234 133 4
1. molecolari
K,0 128 0,181) 1 11,6 0,123) 1 3
Na,0 35 0,056) 3,3. 0,058
100,0 100,0
1 Sur une espèce minérale nouvelle des fumerolles à haute température de
- la récente éruption du Vésuve. Compt. rend., 1907, CXLIV, 1397.
? È questa la forma definitiva nella quale il Lacroix ha esposto i risultati
del Pisani, dopo eliminato il cloruro di sodio meccanicamente eommisto.
| Boll. R. Com. Geol., v. XLVII, 1920-21. 3 1
a F. ZAMBONINI | [3]
-
eseguita dal Pisani sulla palmierite isolata trattando con la minor
quantità possibile di acqua fredda le croste di aftitalite che la con-
tengono, Lacroix calcolò, per il nuovo minerale, la formula (K, Na),
SO, .PbSO,, pur notando che, tra i valori trovati e quelli da lui
calcolati in base alla formula riferita, intercedono delle differenze
abbastanza grandi, le quali però, sempre secondo il Lacroix, sì pos-
sono spiegare con la quantità troppo piccola di sostanza sottoposta
ad analisi. Va, per altro, osservato, che i valori calcolati (II), dati da
Lacroix, non corrispondono affatto alla formula (K, Na),S0, . PbSO,,
ma, bensì, all’altra 3(K, Na),50,.4PbSO,, come risulta dai rapporti
molecolari che si deducono dai valori riportati dal Lacroix.
Fu appunto quest’ultima formula 8(K, Na),50,.4PbSO,=2S0,K,.
SO,Na, . 450 Pb, che il Lacroix ammise più tardi!, in seguito ad
un rimarco di Hutchinson, per la palmierite, pur sentendosi tentato
di pensare che questo minerale corrisponda, probabilmente, ad un
composto equimolecolare di solfato di piombo e di solfati alcalini,
essendo fondato il dubbio che la materia analizzata possa essere stata
decomposta dal trattamento con acqua fredda, in modo da essere
più ricca in solfato di piombo del minerale intatto. Dal canto suo,
Groth ® ritenne probabile l’altra formula (K, Na),S0,. 2PbSO,.
In verità, non si accordano con l’analisi di Pisani nè la nuova
formula di Lacroix, nè quella di Groth. Mentre quest’ultima si basa,
evidentemente, sul presupposto che la palmierite analizzata conte-
nesse ancora dell’aftitalite, la formula di Hutchinson-Lacroix risponde
bene al rapporto (K, Na),0: PbO = 1:1,815 trovato dal Pisani, ma
è in contrasto netto con la quantità determinata di SO,. Infatti, come
risulta dai rapporti molecolari da me calcolati, l’analisi di Pisani
conduce a
(K, Na),0 : PbO : SO,
1° :1,815:1,96
Ovvero
3 :3,945:5,88
1 Note complémentaire sur les minéraux des fumérolles du Vésuve. Bulletin
Soc. frang. minér., 1908, XXXI, 261.
? Chemische Krystallographie, Il, 482.
[8] SULLA PALMIERITE DEL VESUVIO 3
ossia, con sufficiente approssimazione, a
3 PREME: SI È
e non @
3 IO: E |
come richiederebbe la formula 8(K, Na),S0,. 4PbSO,.
In realtà, l’analisi di Pisani dà, per SO,, un valore notevolmente
$ inferiore a quello necessario per formare dei solfati neutri con i metalli
alcalini e col piombo : in essa si ha, infatti, SO, :(PbO + K,0 + Na, 0)
«_—‘“==1,96:2,31. Nè è da credere si tratti di una differenza di poco
momento, spiegabile con gli inevitabili errori analitici: per avere il
rapporto SO, :(Pb+ K,+Na)0= 1:1 vi è un deficit di 5,2°/,80,!.
Quindi, o l’analisi di Pisani è sufficientemente esatta, ed allora deve
ammettersi nella palmierite l’esistenza di un solfato basico di piombo *,
ovvero essa è inquinata da qualche grave errore, nel qual caso qua-
È lunque calcolo di formula riesce inutile *.
ì Io ho ritrovato ‘ la palmierite nei tubercoletti verdi di una fu-
È marola della lava del 1868, apertasi nella località Ze Novelle, tuber-
coletti riconosciuti già da A. Scacchi” come ricchi in solfato di
_ piombo. Io ebbi anche la fortuna di riuscire ad isolare un cristallino
piccolissimo, il quale, per la sua forte birifrangenza uniassica negativa,
apparteneva sicuramente alla palmierite; le misure eseguite mostra-
rono che era formato da un prisma esagonale combinato con la base,
fortemente dominante, e con piccole faccette di un romboedro, cor-
rispondente perfettamente a quello fondamentale dell’aftitalite: una
sua faccetta formava, infatti, con la base, un angolo di 55 !/,° °. Fui,
: 1 Per formare solfati neutri con le quantità trovate di Na,0, K,0 e PbO
“È occorre 34,6 SO, nentre l’analisi dà 29,4.
de, ? Come abbiamo veduto, la formula bruta che si calcola dall’analisi di Pi-
sani è 6SO, . 4PbO . 3(K, Na),, ossia 8(K, Na),SO, . 4PbO . 3S0,.
® È opportuno accennare al fatto, che la possibile decomposizione della
È: palmierite, causata dall’acqua fredda, non può spiegare la deficienza di SO,,
te limitandosi, la decomposizione, a determinare la separazione di solfato di piombo.
ini - 4 Mineralogia vesuviana, 1910, pag. 324.
II 5 Dell’anglesite rinvenuta sulle lave vesuviane. Rend. R. Accad. Scienze
Fisiche e Mat. di Napoli, 1877, 226.
5 Per un errore di stampa, quell’angolo è dato, nella Mineralogia vesu-
viana, uguale a 52 '/,°.
4 F. ZAMBONINI . [3]
perciò, indotto a porre la palmierite in intime relazioni con la afti-
talite, che spesso è piombifera, e ritenni, anzi, che la palmierite po-
tesse, forse, considerarsi come un’aftitalite particolarmente ricca in
piombo.
Anche dopo le mie ricerche ora ricordate, la vera natura della
palmierite, per quanto un po’ meglio precisata dal punto di vista
cristallografico, restava sempre abbastanza enigmatica.
Alcuni mesi or sono, grazie alla cortesia del prof. A. Malladra, il
quale con tanta gentilezza ha messo a mia disposizione parecchi cam-
pioni dei prodotti che si sono formati recentemente sulle lave dei
conetti che sorgono sul fondo del cratere del Vesuvio, ho di nuovo
ritrovato la palmierite, e, questa volta, in condizioni tali da permet-
tere una sicura e completa definizione cristallografica, la quale mi ha
invogliato a risolvere il problema della composizione chimica del
minerale mediante ricerche sintetiche, che hanno avuto esito felice.
Prima di esporre i risultati ai quali sono pervenuto, mi è gradito
esprimere ancora una volta i miei più vivi ringraziamenti all’egregio
prof. Malladra, per il prezioso materiale inviatomi.
. La palmierite, come avevo già trovato nel 1910, appartiene al
sistema trigonale : |
gi Gr A
Le forme semplici da me determinate nei nuovi cristallini sono
le seguenti: c }0001t }111}; 7 }1011} }100}; p \1015Ì }744{; s }O112!
}110}; v }1012% }411}. Nel cristallino delle Novelle già ricordato fu-
rono osservate, inoltre, m }1010} }211} e t }1013{ }5221.
Le forme indicate si riuniscono nelle combinazioni che seguono :
1. }0001} }1015} (fig. 1)
2. 30001} }1011} (fig. 2)
3. }0001} }1011% }0112} (fig. 3)
4. }0001} }1015} }1012{ (fig. 4)
5. }0001} }1010} }1013t (fig. 5).
Le combinazioni 1-4 sono state trovate nei nuovi cristalli: di
esse la più comune è la 2". Anche le altre combinazioni sono, però,
frequenti. Tutti i nuovi cristalli seno tabularissimi secondo la base,
[3] SULLA PALMIERITE DEL VESUVIO
Fig. 2.
Fig. 5.
6 F. ZAMBONINI “ [3]
ma non ne mancano di quelli con uno spessore alquanto maggiore.
Le forme più estese, dopo la base, sono i due romboedri }1011} e
}1015Ì, che non ho mai rinvenuto insieme. }0112} è sempre subordi-
nato, e le sue faccette sono, spesso, così sottili, da permettere sol-
tanto misure a bagliore.
I cristallini di palmierite sono abbastanza spesso costituiti da un
solo individuo, ed allora la base ha sovente la forma di un esagono
regolare quasi perfetto, mentre in qualche caso, invece, due spigoli
paralleli dominano fortemente sugli altri. I cristallini unici di palmie-
rite, sempre piccolissimi, sì osservano sopra tutto inclusi nell’aftita-
lite, mentre quelli che si trovano liberi, assai debolmente attaccati
alla roccia, costituiscono frequentemente delle associazioni regolari,
scheletriche, spesso elegantissime, che possono raggiungere anche
1.5 o 2 mm. nella loro maggiore dimensione. Anche queste associa-
zioni regolari .sono fragilissime: il loro spessore sovente non arriva
a ‘/.o0 MM. e tutt'al più di poco lo supera. Nelle figure 1-4 sono rap-
presentati alcuni dei cristallini unici di palmierite, mentre nella ta-
vola si possono vedere alcune delle più eleganti e caratteristiche as-
sociazioni regolari.
La combinazione 5° è stata osservata nel cristallo più volte ri-
cordato delle Novelle, che si diversifica notevolmente (fig. 5) da quelli
formatisi di recente. Non soltanto è meno tabulare secondo la base,
ma presenta delle forme (m }1010! e # }1013}), che non ho trovato nei
nuovi cristallini. La cosa non può stupire, perchè anche questi ultimi
presentano ora il romboedro }1015!, ora quello che ho scelto come
fondamentale: anche tra i nuovi cristalli non ne mancano di quelli
meno tabulari degli altri, che si avvicinano, perciò, al cristallino
delle Novelle, il quale rappresenta ad ogni modo un tipo particolare,
che ha in comune con i cristalli più recenti soltanto il pimacoide
base. Torno a ripetere che controllai nel 1910 che il cristallo in que-
stione era uniassico negativo con forte birifrangenza, sicchè la sua
appartenenza alla palmierite non è dubbia,
I cristalli di palmierite sulla base presentano, di solito, uno splen-
dore leggermente madreperlaceo, mentre sulle faccie dei romboedri
lo splendore è vitreo deciso. Le faccie della base danno immagini
riflesse nitidissime, al goniometro : quelle dei romboedri, data la loro
strettezza, sono più difficili a misurare, ma forniscono, tuttavia,
[3] SULLA PALMIERITE DEL VESUVIO 7
almeno in alcuni cristalli, delle misure assai buone. Per l'angolo
(0001):(1011) quattro misure eseguite su cristalli diversi hanno dato
valori oscillanti fra 77° 0' e 77° 4': in un quinto cristallo, si è avuto
un valore meno esatto 76° 54’. La media delle prime quattro misure,
77° 2', si è posta a base dei calcoli. Nella tabella seguente sono riu-
piti gli angoli misurati, posti a confronto con i valori teorici corri-
spondenti.
(0001): (1011) = 77° 2° mis. 77° 2' calo.
(1012) | 65 14° » 65 16 >»
: (1013) bo 80ca » 55 22 »
: (1015) 41 5 » 40 59 >»
20160) (66 950 > 66:16. a
(0112) :(0111) Su BA»
Nel 1910, nel cristallino delle Novelle, io non trovai altro rom
boedro che #}1013}, il quale è molto prossimo al romboedro fonda-
mentale dell’aftitalite ( in quest’ultimo minerale (0001) :(1011) = 56° 0'
secondo Mitscherlich). Da questo fatto, dedussi che palmierite ed afti-
talite erano probabilmente isomorfe. I nuovi cristalli trovati condu-
cono a modificare la conclusione di allora. In realtà, per tutte le
forme osservate nella palmierite si ottengono simboli più semplici,
prendendo come fondamentale il romboedro inclinato di 77° 2' sulla
base, il ‘che equivale ad assumere per ec un valore che è all’incirca
il triplo di quello accettato per l’aftitalite (3 e dell’aftitalite è, in-
fatti, uguale a 3. 8517, mentre nella palmierite c = 3. 761). Natu-
ralmente, data questa relazione fra i valori del rapporto parametrico
dei due minerali, è possibile riferire le forme semplici osservate nella
palmierite alla croce assiale dell’aftitalite, ottenendosi i seguenti nuovi
simboli:
ee I, # v t p S
Orientazione della palmierite . 31011} }1012} }1013} }1015} }O112;
Orientazione dell’aftitalite . . 33031} }3032f J10Î1} }3085} }0332!
I nuovi simboli non sono, certamente, molto complicati, ed è
notevole il fatto che gli angoli calcolati per essi in base alle costanti
«di Mitscherlich per l’aftitalite non diversificano che assai. poco da
8 F. ZAMBONINI aa JESS
quelli dedotti mediante le costanti particolari della palmierite, come
risulta dalla seguente tabella:
ANGOLI CALCOLATI
con le costanti con le costanti
dell’aftitalite della palmierite
(0001) : (8031) 77° 20 A, € gt:
: (3052) 65 47 65 16
: (1011) 56 0 55 22
: (3035) 41 39 40 59.
Si hanno, perciò, delle differenze inferiori a quelle che si osser-.
vano fra gli angoli omologhi di sostanze isomorfe tipiche.
Tuttavia, pur meritando ogni attenzione, la notevole relazione che.
lega i valori di c dei due minerali palmierite ed aftitalite perde un
poco di importanza per il fatto che i-due minerali, riferiti alla stessa
croce assiale, non presentano che un solo romboedro in comune
(t della palmierite corrispondente a r }1011! dell’aftitalite).
Gli altri quattro romboedri determinati nella palmierite non sono
stati, finora, osservati nell’aftitalite, il che sembra essere indizio si-
curo di una differenza di non poco momento fra gli edifici cristal-
lini delle due sostanze. £
È, tuttavia, da osservarsi, che se la nuova orientazione da me
proposta per la palmierite dà, in confronto di quella comunemente
accettata per l’aftitalite, dei simboli più semplici per i romboedri
osservati nel minerale vesuviano, presenta, però, uno svantaggio no-
tevole, quale è quello di fare assumere come fondamentale un rom-
boedro con l’angolo (1011) :(1101) = 115° 7’, mentre tra i cristalli
trigonali finora studiati sono pochissimi quelli nei quali un tal rom-
boedro è stato preso per fondamentale.
È risaputo, infatti, che nei cristalli trigonali noti, assai spesso
il romboedro fondamentale è cuboide, presenta, cioè, per l’angolo
(1011) :(1101) dei valori che differiscono di pochi gradi da 90°, mentre
frequenti sono pure i valori compresi fra 69° e 68°: meno comuni
sono i romboedri fondamentali con l’angolo (1011) :(1101) compreso
fra 100° e 110°, ed, infine, quasi esclusivamente legati ad un parti- —
[3] Aa SULLA PALMIERITE DEL VESUVIO 9
colare tipo di composti sembrano i valori di 51°-54°. Piuttosto spo-
radici appaiono altri valori particolari, ed il romboedro fondamen-
tale della palmierite viene ad essere uno dei più rari. Come pura
curiosità, si può ricordare che un romboedro fondamentale quasi
uguale a quello della palmierite è stato osservato da Stevanoviè nel
diidrato del dijodatotellurato potassico Tel,0,,K,H,.2H,0, prepa-
rato da Weinland e Prause. Merita di essere notato il fatto che la
combinazione }0001} }1011} della palmierite è molto prossima, dal
punto di vista. puramente geometrico, ad un ottaedro regolare, ta-
bulare secondo una coppia di faccie parallele. Mentre, infatti, in
quest’ultimo caso si hanno, fra due faccie adiacenti, sempre angoli
o di 70° 32° ovvero di 109° 28, nel cristallo di palmierite si hanno
angoli di 77° 2° oppure di 102° 58, tra le faccie laterali e la base,
e di 115° 7° ovvero di 64° 53° tra le faccie del romboedro.
Prendendo nella palmierite come fondamentale il romboedro }1013},
ossia assumendo un’orientazione analoga a quella dell’aftitalite, si
verrebbe ad avere un romboedro fondamentale cuboide, come si ve-
rifica in un gran numero di sostanze trigonali.
| Anche la nuova palmierite è otticamente uniassica, negativa, senza |
anomalie ottiche. La birifrangenza è forte. Col metodo dell’immer-
| sione sì è trovato © = 1.710 per la luce del sodio. Il valore di
della palmierite è molto più elevato di quello dell’aftitalite (0 = 1. 4901
secondo Gossner): è, invece, notevolmente più basso del valore di np
dell’anglesite (n, =1.8771 secondo Arzruni).
La palmierite è decomposta dall’acqua, anche a freddo, con gran-
dissima rapidità, con separazione di solfato di piombo. Se si tratta
qualche cristallino con acido fluosilicico, sì ottiene formazione di ab-
bondanti cristalli di fluosilicato di potassio: di fluosilicato di sodio
non si notano che pochissimi cristallini. La palmierite è, perciò, essen-
zialmente un solfato doppio di piombo e potassio, con pochissimo
sodio. Viene subito fatto di pensare al sale doppio K,S0,.PbSO,,
ottenuto. per via umida la prima volta da Becquerel ! e studiato, poi,
accuratamente dal Ditte *®. Più di recente, Barre ° ne studiò il campo
1 Compt. rend., 1866, LXIII, 1.
* Ann. Chim. Phys., 1878 (5), XIV, 190.
3 Compt. rend., CXLIX, 292.
10 F. ZAMBONINI 13]
di esistenza e la stabilità fra 0° e 100°. Dal canto loro, poi, Calcagni
e Marotta! hanno constatato la formazione dello stesso composto alla
temperatura di circa 620° nello studio termico del sistema K,S0,
PbSO,.
Ho, perciò, cercato di preparare il composto di Becquerel e di.
. Ditte, allo scopo di accertarne, mediante il confronto delle proprietà
fisiche, l'identità o meno con la palmierite del Vesuvio. Per via umida,
con i metodi usati da Becquerel e da Ditte, non ottenni, però, nitidi.
cristalli. Preferii ricorrere, quindi, alla via secca, già adoperata da
Lacroix, il quale riferisce di aver ottenuto lamine con le proprietà
della palmierite mediante la fusione di solfato di piombo con un
grande eccesso di solfati alcalini. Disgraziatamente, il Lacroix non
cercò di isolare e di analizzare quelle lamelle.
Dopo alcuni tentativi, io ho trovato che la palmierite artificiale
sì prepara assai bene e facilmente, riscaldando per un’ora a 1000° una
miscela intima di 5 gr. K,5S0,, 7,5 gr. PbSO, e 9 gr. Na,S0,. La
massa fusa si lascia, poi, raffreddare lentamente. In essa si osser-
vano distintamente ad occhio delle belle lamine bianche, a splendore
un po’ setaceo-madreperlaceo, però a contorno non definito: solo al
microscopio se ne vedono, di molto piccole, a contorno esagonale.
Esse sono otticamente uniassiche negative, senza anomalie ottiche:
la birifrangenza è forte. Col metodo dell’immersione si è constatato
che ©» è estremamente vicino a 1,71 per la luce del sodio. 2
Per isolare le lamine di palmierite artificiale dall’eccesso dei sol-
fati alcalini, io ho tratto partito delle esperienze accurate di Ditte,
sull'azione che una soluzione acquosa di solfato potassico esercita sul
composto K,S0, . PbSO,. E, precisamente, la massa fusa e, in seguito
raffreddata, fu immersa in una soluzione acquosa di K,S0, al 2 °/,: le
lamine di palmierite artificiale furono, poi, lavate con una soluzione
al 0,4°/,, quindi asciugate accuratamente fra carta. L'analisi quali-
tativa mostrò che esse erano costituite da solfato di piombo e da
solfato di potassio, con pochissimo solfato di sodio: anche sotto
questo rapporto si mostravano, perciò, identiche alla palmierite ve-
suviana.
1 Solfati anidri. Nota V. Gazzetta chimica ital., XLII (II), 682.
EROE ED TP RE ET
Tr ATE | IR ET ee
|3] SULLA PALMIERITE DEL VESUVIO . 11
L'analisi quantitativa dette i risultati seguenti:
SO, 33,62 0,421 2,00
PbO 47,48 0,218 1,01
K,0 17,68. 0,186)
Na,0 181 0,021!
99,94
0,207 0,98
La palmierite artificiale risponde, perciò, evidentemente, alla for-
mula (K, wa),S0, . PbSO, : il lievissimo eccesso di piombo dipende,
senza dubbio, da un principio di decomposizione del composto du:
‘rante il lavaggio. La quantità di sodio che sostituisce il potassio è
molto tenue: il rapporto K,0 : Na,0 è = 9: 1 in cifra tonda. Essen-
zialmente, perciò, la palmierite artificiale e quella naturale, ad essa
| identica, rappresentano il composto K,Pb(SO,),, nel quale una quan-
tità assai piccola di potassio è sostituita dal sodio. Dato il forte ec-
cesso di solfato di sodio usato nella preparazione, è poco probabile
che la sostituzione del sodio al potassio possa spingersi più oltre di
quella osservata nell'analisi surriferita, la quale rappresenta, verosimil
mente, la composizione dei cristalli misti più ricchi in Na,Pb(SO,),,
che siano suscettibili di esistenza nelle condizioni ordinarie di tem-
peratura e di pressione. Del resto, che la quantità di Na,Pb(SO,), che
può entrare nei cristalli misti costituiti essenzialmente da KTEB(SO.),
non possa essere considerevole, risulta già probabile dal fatto che
il composto puro Na,Pb(SO,), non è stato ottenuto nè da Ditte, nè
da Barre, nè da Calcagni e Marotta, pur operando in condizioni spe-
rimentali assai varie.
La composizione centesimale teorica del composto K,Pb(SO,), è
la seguente:
1 IRE SOR 1°
e AA
Te ee 1: 41°
100,00
molto prossima a quella della palmierite artificiale, la quale, però, in
LI
realtà, è costituita da
90°/, K,Pb(SO,), e 10°/, Na,Pb(S0)),.
i
12 . F. ZAMBONINI [3]
La composizione trovata per la palmierite artificiale è molto di-
versa da quella assegnata da Pisani al minerale vesuviano, ma non
vi è dubbio che la vera composizione di quest’ultimo è quella che
risulta dalle mie ricerche.
Il peso specifico della palmierite artificiale è risultato uguale a
4,50: il volume molecolare, ammettendo per i cristalli misti la com-
posizione ora indicata, viene ad essere uguale a 105,4. È interes-
sante il fatto, che questo valore è prossimo a quello dell’aftitalite
(V = 1283). La differenza fra i due volumi, espressa in per cento del
valore più basso, è 16,7, e, quindi, dello stesso ordine di grandezza
di quelle che si osservano fra coppie di sostanze isomorfe tipiche '.
Ad onta di ciò e delle relazioni cristallografiche già illustrate, non
sembra possa parlarsi di isomorfismo fra palmierite e aftitalite : pare,
infatti, a giudicare, almeno, dalle mie esperienze sintetiche, che non
si abbia alcuna miscibilità allo stato solido fra aftitalite e palmierite.
Ed invero, nella palmierite artificiale non può ammettersi l’esistenza
di aftitalite disciolta: se, infatti, si volesse considerare il sodio in
essa presente come esistente allo stato di attitalite in soluzione so-
lida, si avrebbe, per il rapporto PbO : K,0, il valore ben poco atten-
dibile 1,73: 1, il quale non condurrebbe più al sale ben conosciuto
K.,Pb(SO,),, ma bensì ad un tipo di composto finora ignoto.
L’appartenere il composto K,Pb(SO,), al sistema trigonale pre-
senta un certo interesse, perchè, come risulta da un altro mio la-
voro *, almeno fino a pochi anni fa non era nota ‘alcuna sostanza di
formula (X0),yz,, appartenente al sistema trigonale. Di 11 sostanze
con formula di quel tipo, fino allora studiate cristallograficamente,
sei erano cubiche, due rombiche, due monocline ed una triclina.
I risultati ai quali ha condotto lo studio dei cristalli di palmie-
rite permettono ancora qualche considerazione non priva di interesse.
In conclusione, infatti, si sono distinti due tipi di cristalli: quelli
descritti nel 1910 e gli altri fatti conoscere ora, i quali tipi non
hanno, a tutt'oggi almeno, altra forma in comune che il pinacoide
1 Cfr. F. ZAMBONINI, Sulle soluzioni solide dei composti di calcio, stronzio,
bario e piombo con quelli delle terre rare ecc. Rivista di min. e crist. ital.,
1915, XLV, 127.
® F. ZAMBONINI, Le regole di Tschermak e di Buys-Ballot, Atti R. Acc.
Scienze Fis. e Mat. di Napoli, 1916, XVI (2°), n. 14.
[3] SULLA PALMIERITE DEL VESUVIO 13
base, mentre i rispettivi parametri fondamentali c stanno fra loro
nel rapporto di 1:83 (c = 1,2537 per il primo tipo, con orientazione
analoga a quella della aftitalite; c = 3,761 per il secondo tipo), sicchè
è possibile riferire i due tipi alla stessa forma fondamentale.
Questo risultato richiama subito alla mente le osservazioni di
H. Baumhauer sul carborundum. Il Baumhauer ! ha trovato, infatti,
che il carburo di silicio cristallizza in tre diversi «tipi», caratteriz-
zati ciascuno da una determinata serie di forme, ma riferibili tutti allo
stesso rapporto assiale. In seguito, lo stesso Baumhauer è tornato
sulle sue ricerche, ed ha potuto stabilire che 1 tre « tipi » rappresen-
tano, in realtà, tre diverse modificazioni *. Esperienze di F. v. Hauer
e P. Koller® hanno dimostrato che, effettivamente, i diagrammi di
Laue per }0001} sono diversi per i tre tipi, ed al medesimo risultato
è giunto recentemente H. Espig ‘. Baumhauer ha proposto di chia-
mare politipia il caso speciale di polimorfismo constatato nel carbo-
rundum, nel quale, appunto, le varie fasi possono ricondursi facil-
mente allo stesso rapporto assiale, sicchè i loro cristalli sembrano
costituire soltanto diversi «tipi» e possono anche presentare delle
forme in comune.
_ Ora, sono precisamente queste le relazioni che passano fra i due
tipi di palmierite, sicchè appare probabile che questo minerale rap-
presenti un nuovo esempio di politipia. Sovente, al Vesuvio, come
vedremo, la palmierite si presenta inclusa nell’aftitalite in tal modo,
da far pensare ad una formazione per smistamento di cristalli misti,
e questa palmierite appartiene al tipo secondo, descritto nel presente
lavoro, e che certamente non è isomorfo con l’aftitalite. Il primo
tipo, invece, quello che ho fatto conoscere nel 1910, è cristallogra-
ficamente così vicino all’aftitalite, che può benissimo pensarsi che
esso sia isomorfo con questo minerale. Si comprende, allora, come,
in condizioni atte a favorire la struttura speciale del primo tipo, si
possano avere cristalli misti di aftitalite e palmierite, e come dal
! Ueber die Krystalle des Carborundums, Zeitsch. fiiur Kryst., 1911, L, 33.
? Ueber die verschiedenen Modifikationen des Carborundums und die Erschei-
nung der Polytypie, Zeitsch. fùr Kryst., 1915, LV, 249.
3 Rontgenogramme von Carborundkrystallen, ibidem, pag. 260.
1 Rontgenographische Untersuchungen am Karborund. Ròntgenographische
Feinbaustudien herausgegeben von Friedrich Rinne. Abhandl. der math.-phys.
Klasse der sichs. Ak. der Wissenschaften, 1921, XXXVIII, n. III.
14 F. ZAMBONINI i Metal
loro smescolamento si origini il secondo tipo della palmierite, che è
il più frequente, così come fra i tre «tipi» del carborundum, che
si formano nelle stesse condizioni e costituiscono perfino associazioni
regolari fra loro, uno è di gran lunga più comune degli altri due.
Disgraziatamente, il materiale esistente non permette di stabilire,
mediante l’analisi ròntgenografica, la reale differenza strutturale fra
i due tipi di palmierite, differenza che rimane, per ora, soltanto pro-
babile. Il ritrovamento di più adatti cristalli naturali (o la loro pro-
duzione artificiale) permetterà di risolvere compiutamente il problema,
sul quale mi è sembrato, però, opportuno il richiamare l’attenzione,
data l’importanza del particolare caso di polimorfismo scoperto da
Baumhauer nel carborundum. Si tratta, infatti, di un fenomeno che
possiamo considerare come nuovo, sicchè il trovarne un altro esempio,
anche soltanto probabile, presenta un certo interesse !. ì
La palmierite è stata da me osservata in due campioni raccolt-
dal prof. Malladra 1’8 giugno 1919 sull’orlo di una spaccatura, inter-
namente incandescente, dei conetti soffianti che sorgevano sul fondo
del cratere del Vesuvio.
Uno dei campioni era costituito da un miscuglio di sali bianchi
e cilestrini, in alcune parti nettamente cristallini, in altre, invece,
compatti, con superficie bitorzoluta. Le parti cristalline, che furono
più particolarmente studiate, si compongono di aftitalite bianca e ci-
lestrina, di ferronatrite e di palmierite. .
L’aftitalite bianco-nivea, solo qua e là volgente lievissimamente al
cilestrino o al verdolino, si presenta in masserelle o a struttura bacil-
! E noto, che in alcuni casi le forme cristalline di due modificazioni po-
limorfe di una stessa sostanza possono essere riferite alla medesima croce as-
siale. Mi limiterò a ricordare l’esempio, noto da lungo tempo, dei pirosseni e
degli anfiboli di uguale composizione, e quello, perfettamente analogo, illustrato
più di recente dal Brégger, delle due serie eussenite-policrasio e blomstran.
dina-priorite. Ma sia in questi casi che in altri, le due modificazioni sì distin-
guono nettamente per la coesione (pirosseni ed anfiboli) o per altre proprietà
fisiche salienti (peso specifico, proprietà ottiche, ecc.). Ciò non si verifica, invece,
nelle tre modificazioni del carborundum e nemmeno, a quanto pare, nei due
tipi della palmierite. È
f
[3] SULLA PALMIERITE DEL VESUVIO 15
lare o colonnare ovvero fogliare o caliciforme. Nel primo caso, i ba-
cilli o le colonnine che possono raggiungere anche 4-5 mm. di lun-
ghezza, sono costituite da esili cristallini prismatici di aftitalite, allun-
gati nel senso dell’asse ternario, il che non è certo frequente nei cri-
stalli di questo minerale. Tra i cristallini di aftitalite, con le sue so-
lite proprietà ottiche, si trovano intramezzati numerosi, esili aghetti
di ferronatrite, e rare lamelle esagonali di palmierite. Un'analisi in-
completa di questa varietà bianca di aftitalite ha dato 2,90 °/, Fe,0,
e 1,31°/, PbO. Alla quantità trovata di ossido ferrico corrisponde
il 17°/ di ferronatrite. Ammettendo che il piombo si trovi tutto allo
stato di palmierite, si avrebbe circa 2,8 °/, di quest’ultimo minerale,
risultato, questo, che va d’accordo con l’esame microscopico. Dove
l’aftitalite bianca ha struttura caliciforme e si presenta tutta cribrata,
essa risulta composta da minutissimi cristallini tozzi o tabulari secondo
la base. Più rara è l’aftitalite bianca a struttura minutamente sac-
caroide.
Notevole interesse possiede l’aftitalite cilestrina. Essa si rinviene
sotto forma di granuletti cristallini, che è assai difficile separare dal-
l’aftitalite bianca, ad essi commista, e dagli aghetti di ferronatrite ad
essi aderenti. I granulettì cilestrini, purificati per quanto è possibile,
risultano al microscopio omogenei, otticamente uniassici, positivi.
L'analisi svela in essi la presenza del piombo e del rame, ma al mi-
croscopio non mi è stato possibile scorgere la minima traccia di pal-
mierite o di un minerale di rame incluso. Il peso specifico è uni-
forme: parecchi granuletti stanno contemporaneamente in sospensione
in un liquido di peso specifico 2,7.
L'analisi ha dato i risultati seguenti :
Sosa a -47,890,698
Cade Ri ‘9,20.10,028
Ron Dist 0.610
Reti: -0,70:-:0,004
Hob (36,89 0301
Nave" di 65 0166
edi
100,08
16 F. ZAMBONINI [3]
La reazione del cloro è riuscita negativa.
Come risulta dai rapporti molecolari calcolati, per formare dei
solfati normali con tutti gli ossidi determinati, si dovrebbe avere
per SO, un valore del rapporto molecolare = 0,597, mentre si è
trovato un numero praticamente identico : 0,598.
Nell’aftitalite cilestrina analizzata non sono contenuti, perciò, che
dei solfati neutri, e mancano completamente i solfati basici. La cosa
presenta un certo interesse, perchè A. Scacchi ha mostrato che in
alcune aftitaliti cuprifere il rame si trova sotto forma di solfato ba-
sico, ed io ho potuto constatare che si tratta certamente di inclu-
sioni. Nel caso attuale, invece, la presenza di solfato basico di rame
è da escludersi.
L’ossido ferrico dosato è dovuto certamente, almeno in gran parte,
a ferronatrite non separata completamente: qualche aghetto di questo
minerale si osservava, infatti, aderente a qualcuno dei granuletti ana-
lizzati !. Dalla quantità trovata di Fe,0, si calcola una quantità di fer-
ronatrite ammontante a 4,10 °/,. Eliminando 0,47 °/, H50, 0,82°/ Na,0,
0,70 °/, Fe,0, e 2,11 °/, SO, e riportando la somma a 100 *°, si ottiene:
SGSTE ST Ori da
Gao. SS
“PRO SO i
K,0 > og = ai
Na,0-. <*; 9,207 0,148
100,00
Ammettendo che tutto il potassio si trovi allo stato di aftitalite,
si avrebbe, per i granuli cilestrini analizzati, la composizione se-
guente :
90,3 °/, KgNa(50,),
1,8. Na,S0,
33 PbSO,
46 = CuSO0,
! Non si può, tuttavia, escludere che una parte del ferro faccia parte del-
l’aftitalite, perchè, come vedremo in seguito, alcune volte questo minerale con-
tiene del ferro. Ad ogni modo, data la quantità piccola del ferro trovato, la
cosa ha poca importanza. |
? Si trascurano i 0,04°/, di acqua trovata in più.
RS RO E e E
a L
RI A
0 4 4 dille
la 4
< A Pi
Ta x \
[3] SULLA PALMIERITE DEL VESUVIO 1°
Questa composizione è, naturalmente, del tutto ipotetica, perchè
nulla sappiamo di preciso sullo stato del piombo e, specialmente, del
rame nel minerale. È molto probabile che almeno il rame si trovi
allo stato di solfato doppio, come è reso verosimile anche dal com-
portamento del minerale a temperatura elevata.
Si è già detto, che al microscopio non si è osservata palmierite,
nè un qualche composto definito di rame. È interessante il notare,
che se i granuli in questione vengono riscaldati ad una temperatura,
per esempio, di circa 400°, essi assumono un bel colore verde prato
chiaro, uniforme: la colorazione scompare col raffreddamento.
Trattando i granuli cilestrini con una soluzione acquosa di sol-
fato di potassio al 2°/, non si mettono in libertà le caratteristiche
laminucce, a splendore setaceo o madreperlaceo, di palmierite, ma
soltanto del solfato di piombo flocculento, amorfo. Il trattamento
delle aftitaliti vesuviane con la soluzione indicata rappresenta un
ottimo mezzo per riconoscere la presenza o meno della palmierite :
quantità minime di questo minerale possono riconoscersi già ad occhio
nudo o con la lente.
Nella mia Mineralogia vesuviana, io ho insistito (pag. 318) sulla
: possibilità che il solfato di piombo (ed eventualmente anche quello
di calcio) possa dare soluzioni solide con l’aftitalite K.,Na(SO,),, la
quale ne dà col suo componente Na,SO, entro limiti abbastanza
estesi’. Mi appoggiai sopratutto sulle osservazioni eseguite nei cri-
stalli di aftitalite del 1892-93, in alcuni dei quali io trovai che il
solfato di piombo arriva fino all’8°/,, senza che un esame microsco-
pico accurato mi permettesse di riconoscere la presenza della pal-
mierite. Ho trattato alcuni di quei cristalli con la solita soluzione
- di K,S0,: ebbene, non ho ottenuto la minima traccia delle caratte-
ristiche lamelle di palmierite, ma soltanto, invece, del solfato di
piombo apparentemente amorfo. Deve, perciò, ritenersi, d’accordo con
quanto ho sostenuto nel 1910, che nelle aftitaliti piombifere del 1892-93
1 Secondo NAcKEN, alla temperatura di 181° la soluzione solida di K,Na(S0,)s
satura di Na,SO, ha una composizione espressa da 56 Mol. °/, NayS0, e 44
Mol. ° K,SO, (Ueber die Bildung und Umwandlung von Mischkrystallen und
Doppelsalzen in den bindren Systemen der dimorphen Sulfate von Lithium, Na-
trium, Kalium und Silber. Neues Jahrbuch fir Min. Geol. u. s. w., 1907, Beil.
Bd. XXIV, 60). I cristalli misti ottenuti da van’t Hoff alla temperatura ordi-
naria contengono non meno di 55 Mol. °/, KS0,.
Boll. R. Com. Geol., v. XLVIII, 1920-21. 2
18 F. ZAMBONINI [3]
da me studiate, il solfato di piombo non si trovi sotto forma di pal-
mierite inclusa, ma sia, invece, disciolto nell’aftitalite '
Non avviene, però, altrettanto in tutte le aftitaliti piombifere.
Così, per esempio, io, già parecchi anni fa, ebbi ad osservare la pal-
mierite nell’aftitalite molto piombifera delle Novelle, ed ora posso
comunicare che anche 1 cristalli bianchi, a vivo splendore margari-
taceo, raccolti da A. Scacchi sulla lava del 1872 ed analizzati dall’in-
signe mineralista napoletano, contengono abbondante la palmierite. Io
ho esaminato dei bellissimi gruppi cristallini, pennati o a spina di
pesce, bianchi, qua e là leggermente rosei, causa la presenza di ematite,
dotati, nella maggior’ parte del casi, di un vivo e caratteristico splen-
dore tra il setaceo ed il perlaceo, e che raggiungono anche 7-8 mm.
di lunghezza. Questi gruppi di cristalli, raccolti il 19 giugno 1872,
sono opachi, ma se si frantumano, lasciano scorgere, al microscopio, nu-
merose lamelle otticamente uniassiche, negative, appartenenti, perciò,
alla palmierite. Trattati con la solita soluzione di solfato di potassio,
i gruppi di cristalli in questione sì sciolgono solo parzialmente, e la-
sciano un abbondante residuo di laminucce margaritacee di palmie-
rite, il cui peso rappresenta il 23 °/, dei gruppi pennati cimentati.
È molto probabile che la palmierite inclusa nei cristalli di afti-
talite rappresenti il prodotto di uno smistamento (accompagnato da
formazione di un sale doppio) di cristalli misti formatisi e stabili
solo a temperatura elevata. Il modo di presentarsi della palmierite
nei gruppi di cristalli di aftitalite suffraga molto questa opinione.
Non deve credersi che l’aftitalite cuprifera descritta rappresenti
un caso isolato ®. Nel gennaio 1870 Arcangelo Scacchi raccolse sul
! Come vedremo in seguito, è possibile che una parte di quelle aftitaliti
rappresenti dei sistemi dispersi solidi da smescolamento: in altri termini, i
cristalli misti inizialmente formatisi si sono smescolati a temperatura più
bassa, mettendo in libertà una parte almeno del solfato di piombo in essi con-
tenuto, sotto forma, però, nella maggior parte dei casi almeno, di particelle
così minute, da non essere visibili microscopicamente.
? Può ricordarsi, che, ricristallizzando dall’acqua dei miscugli salini vesu-
viani, io ho ottenuto nel 1906 dei cristallini di aftitalite, leggermente colorati
in Ventle da una quantità piccolissima di solfato di rame, che ritenni in essi
presente allo stato di soluzione solida, essendo il colore perfettamente diluto
e di intensità variabile nei diversi cristalli (F. ZAMBONINI, Notizie mineralo-
giche sull’eruzione vesuviana dell'aprile 1906. Atti R. Accad. Scienze Fis. e Mat.
di Napoli, 1906 (22), XIII, n.8, pag. 17).
î
È
}.
Aaielit o
contenta
pei
pprctor” sorga ram apter svi
[3] SULLA PALMIERITE DEL VESUVIO 19
cratere dei cristalli, bellissimi, di aftitalite di un bel colore cilestrino
molto chiaro, un po’ volgente al verdastro. Si tratta di cristalli, spesso
riuniti nei soliti aggregati pinnati, ma, sovente, anche isolati, ovvero
associati in gruppi di pochi cristalli, assai nitidi, che è possibile stu-
diare con ogni cura. I cristalli isolati, e, spesso, anche i singoli in-
dividui dei gruppi, sono generalmente allungati assai secondo uno
degli spigoli di combinazione della base col prisma }1010}, come nella
fig. 67 della Mineralogia vesuviana: parecchi cristalli sono molto più
allungati di quanto risulti dalla figura accennata. Non ho osservato
altre forme che }0001}, }1010!, }1011} e }0111{: spesso le facce dei
romboedri non esistono che da una parte della base. Misure esattissime
hanno dato, per l’angolo (0001) : (1011) dei valori compresi fra 55° 59'
e 56° 0'; mentre Mitscherlich per l’aftitalite artificiale dà 56° 0’, ed io,
nei cristalli incolori, stupendi, del gennaio 1870 ho trovato 56° 1'//.
I cristalli in questione sono, alle volte, un po’ torbidicci, ma ve ne
sono anche molti perfettamente limpidi e trasparenti. Io non ho
preso in esame, naturalmente, che questi ultimi. Sono otticamente
uniassici, positivi, senza la minima traccia di anomalie ottiche. In
un magnifico cristallo di regolarità perfetta, nel quale ho misurato
(1010) : (0110) = (0110) : (1100) = 60° 0'
ho determinato gli indici di rifrazione col monocromatore di Voigt,
ottenendo i seguenti risultati :
di Franehoter pes i
C 1,4905 |
D 1,4926 1,5001 (€ — ©) = 0,0075
E 1,4950 |
L'immagine corrispondente al raggio straordinario è molto de-
bole, e l’indice e fu misurato, perciò, soltanto per la linea D. Altre
due misure della differenza (: — ©)p hanno dato 0,0073 e 0,0076.
I valori trovati per © e per e sono nettamente superiori a quelli
dati da Bicking! nell’aftitalite di Douglashall e da Gossner* nei
1 Glaserit, Blòdit, Kainit und Boracit von Douglashall bei Westeregeln.
Zeitsch. fur Kryst., 1889, XV, 565.
° Kaliumsulfat, Natriumsulfat, Glaserit. Zeitsch. tùr Kryst., 1904, XXXIX,
164.
20 F. ZAMBONINI [3]
cristalli artificiali. I due studiosi hanno trovato valori praticamente
identici
WNa ENa (e pera O)NA
1,4907 1,4993 Biicking 0,0086
1,4901 1,4996 Gossner 0,0095
La differenza per @ya è di 0;002, superiore, certamente, ai pos-
sibili errori di osservazione.
+
La composizione chimica di cristallini nettamente colorati, lim- .
pidi e trasparenti, scelti uno ad uno con gran cura, ha dato i risul-
tati seguenti:
SO, e AGIO
Re0f ata e SOT
PO: SELEZIONA
Cao SEI o
Onora et. de SSL RIDE,
KO. ro 00 RE
Na,0° sana dd
Insoli "rs Pre 044
Co tr.
99,92
Una determinazione di Cu0 in altri cristalli meno limpidi e tra-
sparenti ha dato 1,19 °/,, un valore, cioè, in sufficiente accordo con
quello trovato nell’analisi principale.
Supponendo tutto il potassio esistente nei cristalli analizzati sotto
forma di aftitalite, la loro composizione risulta espressa abbastanza
esattamente nel modo seguente:
E,N#BO lg a OT
Na Sarei 2
ARIA AIR ©
Polo et
FeSQ'cpcotr pate
100,0
3
_
relitti atterra i it cnn iti
[3] SULLA PALMIERITE DEL VESUVIO 21
Se si confronta questa composizione con quella trovata a pag. 16
per i granuli cilestrini del 1919, si osserva subito che questi ultimi
contengono la stessa quantità di K,Na(SO,), dei cristalli del 1870, ma
sono notevolmente più poveri in Na,S0,, e sembra proprio che il sol-
fato di piombo e quello di rame in essi contenuto in maggior copia,
sostituiscano il solfato sodico più abbondante nei cristalli del 1870.
Le aftitaliti studiate nel presente lavoro sembrano, perciò, con-
fermare quanto io ho sostenuto nel 1910, sulla possibilità che il sol-
fato di piombo possa, come quello di sodio, dare cristalli misti con
l’aftitalite tipica K,Na(SO,),. Conciusioni definitive si potranno rica-
vare soltanto da uno studio completo del sistema ternario Na,S0O,
— K,S0, — PbSO,, studio reso assai complicato dal fatto che è
prevedibile a priori che le condizioni sperimentali avranno un’in-
fluenza notevole sulla natura e sulla composizione dei composti e
dei cristalli misti che giungono alla temperatura ordinaria. Certo è,
ad ogni modo, che io, fondendo insieme gr. 4 di K,Na(SO,), e gr. 0,4
di PbSO, (cioè una miscela contenente il 9°/, di PbSO, in cifra
tonda) e raffreddando rapidamente la massa fusa, ho ottenuto un
prodotto che aveva tutto l'aspetto dei cristalli pennati di aftitalite.
Al microscopio non è stato possibile riconoscere la minima traccia
di palmierite o di anglesite: inoltre, varî frammenti, scelti in parti
diverse della massa, polverizzati finemente e gettati nello ioduro di
metilene di densità 3,3, non hanno lasciato andare al fondo del se-
paratore adoperato la minima particola, come si sarebbe dovuto senza
dubbio verificare se fossero state presenti la palmierite o l’anglesite.
È molto verosimile che il solfato di piombo polveroso, minutissimo,
‘osservato in alcune aftitaliti smaltoidee ovvero torbidicce, sia dovuto
a smescolamento di cristalli misti formatisi e stabili a temperatura
più elevata, come accade nei cristalli di silvite del blocco descritto
per primo da Lacroix, rigettato nell’eruzione dell'aprile 1906. Quei
cristalli di silvite sono spesso sodiferi, ed hanno un caratteristico
aspetto opalescente. Ricerche eseguite anni addietro sotto la mia
guida: dal dott. A. G. Miele *® mostrarono che in essi la alite non si
! Les cristaua de sylvite des blocs se par la récente éruption du Vésuve.
Compt. rend., 1906, CXLII, 1249.
2 Sulle inasioe di alite e di silvite delle fumarole vesuviane. Rend. R. Acc.
delle Scienze Fis. e Mat. di Napoli, 1910.
DI F. ZAMBONINI 13]
trovava più allo stato di soluzione solida, come doveva essersi veri-
ficato al momento della formazione dei cristalli stessi !.
Recentemente, poi, W. Eitel*® ha potuto mostrare, mediante os-
servazioni ultramicroscopiche, che nella silvite vesuviana la alite co-
stituisce un « dispersoide da smescolamento », come egli si esprime.
Anche nelle aftitaliti vesuviane si ha a che fare non di rado con
dei colloidi solidi, nei quali la fase dispersa è costituita da solfato
sodico, ovvero anche da solfato di piombo: in qualche caso non può
nemmeno escludersi che vi compaia il composto della palmierite, ir-
riconoscibile causa la piccolezza delle sue particelle. Nelle aftitaliti
cuprifere, poi, la fase dispersa è costituita anche da un composto
di rame.
Tutti coloro che conoscono le diverse varietà di aftitalite del Ve-
suvio hanno avuto occasione di notare come sia facile osservare dei
cristalli più o meno nettamente opalescenti, più o meno lievemente
azzurrastri in luce incidente, giallicci per trasparenza, i quali pre-
sentano, perciò, uno dei caratteri più tipici dei dispersoidi. L'esame
microscopico ordinario non permette di scorgere una traccia qual-
siasi di eterogeneità, mentre con l’ultramicroscopio è facile constatare
l’esistenza di una nebbia caratteristica, dovuta a numerosi ultrami-
croni. Non è, perciò, dubbio che le aftitaliti in questione rappresen-
tano un sistema disperso, ed è evidente che esso si è formato per
smescolamento. Come è noto, e come è stato già osservato dal Bruni
(loc. cit.), la presenza di sistemi colloidi solidi deve aspettarsi spe-
cialmente nel caso di soluzioni solide omogenee, le quali, collocate
fuori del loro campo di stabilità, si smescolano. È appunto quanto
accade in quegli acciai ed in quelle leghe di ferro e nichelio nelle
quali il Benedicks per il primo ritenne di aver trovato sistemi di-
spersi solidi. Ora, nelle stesse condizioni, si trova l’aftitalite, la quale
1 È noto che il cloruro di potassio e il cloruro di sodio presentano una
miscibilità completa allo stato solido ad alta temperatura, mentre alla tempe-
ratura ordinaria la miscibilità è praticamente nulla.
® Ueber Entmischungs-Dispersoide in anisotropen Medien. Centralblatt fur
Min. etc., 1919, pag. 173. È, però, da osservarsi, che già parecchi anni or sono
il Bruni aveva reso assai probabile, mediante esperienze assai felicemente con-
cepite, l’esistenza di « colloidi solidi» nel sistema KC1 — NaCI (G. BruNI, Ri-
cerche teoriche e sperimentali sulle soluzioni solide. Memorie R. Accad. Lincei
Roma, 1912 (5*), IX, 97.
4 b
PO OTTO TT O ET I Vo n
e
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‘di
A
[3] SULLA PALMIERITE DEL VESUVIO 23
a temperatura relativamente alta può formare soluzioni solide omo-
genee contenenti fino a 56 mole per cento di Na,SO,, mentre, se-
condo le ricerche di von ’t Hoff e dei suoi allievi, 1 cristalli misti
ottenuti da soluzioni a temperatura ordinaria non contengono più
di 45 mole per cento di Na,S0,. Si comprende, perciò, come un’afti-
talite satura di solfato sodico a temperatura elevata, dovrà ne-
cessariamente subire il processo dello smescolamento in Na,S0, ed
aftitalite più povera in solfato sodico a temperatura più bassa. Se
il raffreddamento è brusco, i cristalli misti omogenei potranno giun-
gere anche fino alla temperatura ordinaria, alla quale, poi, essendo
instabili, si smescoleranno: se il raffreddamento, invece, è lento, lo
smescolamento avverrà già prima di arrivare alla temperatura del-
l’ambiente. Data la lentezza delle trasformazioni, può anche darsi che
dei cristalli misti instabili rimangano, almeno per un certo tempo,
omogenei anche alla temperatura ordinaria. L’omogeneità potrà, però,
essere soltanto apparente, dovuta, cioè, ad un grado elevatissimo di
dispersione.
Se quanto sì è esposto è esatto, le aftitaliti opalescenti, riscal-
date, devono trasformarsi in soluzioni solide omogenee. È questo,
precisamente, ciò che accade nella aftitalite cuprifera del 1870, de-
scritta nelle pagine precedenti. Si è già detto che molti cristalli di
quella aftitalite sono perfettamente limpidi e trasparenti, ma non ne
mancano anche di opalescenti o di addirittura opachi. L'esame mi-
croscopico non svela eterogeneità, mentre quello ultramicroscopico
lascia scorgere nettamente che si ha a che fare con un sistema di-
sperso. Riscaldati, i cristalli, sieno essì limpidi, opalescenti od opachi,
diventano di un bel colore verde prato, come quelli cupro-piombi-
feri del 1919. Mentre, però, i cristalli limpidi non subiscono alcuna
“altra modificazione, quelli opalescenti od anche opachi diventano tra-
sparenti: il sistema disperso sì trasforma in una soluzione solida
omogenea. ll cambiamento di colore e la trasparenza non avvengono
istantaneamente: numerose esperienze, eseguite con un microscopio
da cristallizzazione, del tipo di quello in uso nel Geophysical La-
boratory di Washington, mi hanno permesso di stabilire che la tra-
sformazione avviene verso i 415°, e, più precisamente, è molto ra-
pida fra 428° e 427°, ossia, in cifra tonda, intorno ai 425°. L’esame
ottico permette di stabilire che il cristallo rimane perfettamente
24 F. ZAMBONINI [3]
uniassico. Col raffreddamento, sì torna, in genere, nelle condizioni
primitive. È molto importante il fatto che, pur operando sempre
nello stesso modo, non sempre, dopo il riscaldamento, si ottengono
cristalli limpidi od opalescenti come quelli adoperati: in qualche caso,
le soluzioni solide omogenee formatesi verso i 425° si smescolano pro-
fondamente durante il raffreddamento, dando luogo a cristalli per-
fettamente opachi, smaltoidei, riconoscibili già al microscopio ordi-
nario come eterogenei. Per dare un’idea della influenza che varia-
zioni minime, inavvertite dallo sperimentatore, nelle condizioni del
raffreddamento, esercitano sul risultato, ricorderò che un cristallo
limpido e trasparente fu riscaldato fino a 420°: allora si interruppe
la corrente ed il cristallo fu lasciato raffreddare fino a 100°. Era ri-
masto limpido e trasparente. Si riscaldò di nuovo fino a 420°, dopo
di che lo si lasciò raffreddare nelle stesse condizioni di prima: a 395°
divenne molto torbido ed a 365° apparve del tutto opaco. Estratto
dal forno elettrico, si constatò che era diventato smaltoideo, opaco.
Riscaldato di nuovo, a 423° cominciò a schiarirsi: durante il raffredda-
mento, ritornò smaltoideo opaco. Un altro cristallino, lievemente opa-
lescente, a 425° divenne limpidissimo, nettamente verde: durante il
raffreddamento, a 405° era ancora abbastanza limpido, a 395° appa-
riva poco trasparente, a 375° ancora meno, a 365° era quasi comple-
tamente opaco. Riscaldato di nuovo, a 423° era diventato quasi del
tutto limpido, ed apparve perfettamente trasparente verso 1 438°.
Lasciato raffreddare, non ritornò opaco, ma divenne, invece, opale-
scente, appena un poco più torbido di quel che era prima del trat-
tamento.
I cristalli inizialmente opachi richiedono, per diventare traspa-
renti, un riscaldamento più o meno prolungato intorno a 425°: lo
stesso si verifica nei cristalli un po’ spessi, nei quali, altrimenti, la
perdita dell’opalescenza sembra avvenire apparentemente a tempe-
ratura più alta, perchè nell’interno del cristallo si ha, come è natu-
rale, un ritardo nell’aumento della temperatura, rispetto a quello se-
gnato dalla pinza termoelettrica. Così, io non posso escludere che,
mediante un riscaldamento prolungato, si possa ottenere la traspa-
renza perfetta anche a temperature un po’ più basse di quelle indi-
cate nelle precedenti esperienze, nelle quali la temperatura del forno
elettrico cresceva, lentamente sì, ma con continuità.
AVTETANBA
Mt
13] SULLA PALMIERITE DEL VESUVIO 25
Le esperienze riferite mostrano chiaramente che è possibile avere
alla temperatura ordinaria dei cristalli di aftitalite i quali, pur avendo
la stessa composizione chimica, possono essere perfettamente limpidi
e trasparenti, e costituire, così, delle soluzioni solide omogenee, ovvero
apparire opalescenti e formare dei sistemi dispersi solidi, non risol.
vibili con l’ordinario esame microscopico, 0 addirittura, infine, rap-
presentare dei miscugli meccanici opachi, smaltoidei.
La ferronatrite si rinviene sotto forma di aghetti, intimamente
commisti alle due varietà di aftitalite descritte. Gli aghetti di ferro-
natrite misurano, in genere, non più di 0,5 mm. di lunghezza e
0,03-0,04 mm. di spessore, ma ordinariamente sono molto più pic-
coli. Sovente due o tre cristallini sono attaccati insieme, in associa-
zione parallela. Nella maggior parte dei casi, sono rotti alle estre-
mità dell’asse verticale, e non presentano altra forma che un prisma
esagonale. Ad onta della loro sottigliezza estrema, ho potuto misu-
rare alcuni degli aghetti di ferronatrite, ed ho trovato che due faccie
adiacenti del prisma esagonale formano fra loro angoli che non di-
stano mai più di l' da 60°. Qualche raro aghetto si presentava ter-
minato agli estremi dell’asse verticale da un romboedro di ordine
inverso rispetto al prisma: quegli aghetti oftrivano; perciò, la stessa
combinazione }1120} 31011}, osservata da A. Arzruni' nei cristalli
di ferronatrite di Sierra Gorda. Lo splendore della ferronatrite vesu-
viana è, alle volte, un po’ setaceo, ma di solito; invece, è assai vivo,
quasi adamantino, tanto che, frantumando dei frammenti di attitalite,
gli aghetti di ferronatrite si scorgono subito, appunto per il loro
splendore. La ferronatrite è caratterizzata assai bene dalla sua for
tissima birifrazione uniassica positiva, che la fa distinguere imme-
diatamente dall’aftitalite, che possiede pure birifrangenza positiva,
ma molto più bassa (0,0095 secondo Gossner per la luce del sodio).
In un nitido aghetto di ferronatrite vesuviana io ho misurato
+
o = 1,559
e. = 1,627
! A. ARZRUNI e A. FRENZEL, Ueber den Ferronatrit. Zeitsch. fiùr Kryst.,
1891, XVIII, 595.
26 F. ZAMBONINI [3]
per \= 577. La birifrangenza risulta, perciò, uguale a 0,068. S. L. Pen-
field ' per le masse cristalline descritte ed analizzate da Genth dà
o = 1,558
ce= 1,613
per la luce gialla. Il valore di © dato da Penfield è praticamente
uguale al mio, mentre per e vi è una sensibile divergenza. Sia le
misure di Penfield che-le mie sono, del resto, puramente approssi-
mative: ad ogni modo, misure dirette della birifrangenza, eseguite nei
cristallini vesuviani col compensatore di Babinet, confermano il va-
lore della birifrangenza dedotto dalle determinazioni di © e di e.
Il peso specifico della ferronatrite vesuviana si è trovato uguale
a 2,6 circa, col metodo della sospensione. Genth e Penfield danno
2,55 e 2,58, Frenzel*, per la sua gordaite, 2,61. ]
La composizione chimica qualitativa degli aghetti vesuviani va -
perfettamente d’accordo con la ferronatrite, che ha, come è noto, la
formula NaFe(SO .)3-3H,0. Da un centigrammo circa di aghetti iso-
lati con cura, ho ottenuto Fe,0, = 17 °/,, Na,S0, = 45%, mentre
la formula della ferronatrite richiede rispettivamente 17,1 °/, e 45,6 °/.
Questi risultati, uniti alle determinazioni ottiche e cristallogra-
fiche, tolgono ogni dubbio intorno alla reale appartenenza alla fer-
ronatrite del minerale vesuviano.
La ferronatrite non era stata, fino a poco tempo fa, ricordata
fra i prodotti delle fumarole vesuviane. Solo di recente H. S. Wa-
shington * ha comunicato che « un’analisi [fatta da lui stesso] di sali
raccolti dal dott. Malladra nel maggio 1913 presso l’orificio [della
bocca apertasi sul fondo del cratere] mostra che essi consistono lar-
gamente di aftitalite, un solfato doppio di potassio e sodio, con meno
allume e ferronatrite ed una quantità piccolissima di cloruro ramico ».
La ferronatrite da me descritta si trova nelle stesse condizioni, ap-
punto insieme all’aftitalite.
! Mineralogische Mittheilungen von F. A. GENTH mit krystallographischen
Notizen von S. L. PeNFIELD. Zeitsch. fir Kryst.,»1891, XVIII, 589.
? Mineralogisches, Tschermak’s min. petr. Mittheil., 1890, XI, 219.
* H. S. WasuHingron and ArTHUR L. Day, Present condition of the volca-
noes of southern Italy. Bulletin of the Geol. Soc. of America, 1915, XXVI, 380.
[3] SULLA PALMIERITE DEL VESUVIO 27
L’accertata diffusione di questo interessante minerale fra i pro-
dotti dell’attuale attività del Vesuvio è, certamente, degna di atten.
zione. Anche notevole è il fatto di un minerale con un contenuto
in acqua elevato (11,6°/,), formatosi sicuramente a temperatura ab-
bastanza alta, come risulta sia dalla sua associazione alla aftitalite,
minerale caratteristico delle fumarole ad alta temperatura, sia dal-
l'essere stato raccolto sull'orlo di una spaccatura internamente in-
candescente.
È possibile, naturalmente, che la ferronatrite si sia formata altre
volte al Vesuvio. Nella mia Mineralogia vesuviana (pag. 319) io ho
ricordato che le varietà grigio-scure o brune, come affumicate, di
aftitalite, raccolte, nel 1892-98, dal mio compianto amico H. J. Jonh-
ston-Lavis, quando vengono trattate con acqua lasciano indisciolto
un solfato basico di ferro. Potrebbe sorgere il dubbio che questo
composto fosse prodotto da idrolisi della soluzione acquosa di fer-
ronatrite contenuta nell’aftitalite, benchè io abbia esplicitamente ri-
ferito di non aver osservato al microscopio impurezze, all’infuori di
poche laminette esilissime di ematite trasparente rossa. Poichè erano
ancora in mio possesso alcuni dei cristallini datimi dal prof. Jonh-
ston-Lavis, li ho nuovamente esaminati al microscopio, e non ho po-
tuto scorgere la minima traccia di ferronatrite, benchè, data la pra
tica da me acquistata, ora, nel riconoscere cristallini, anche minu-
tissimi, di questo minerale fra i prodotti vesuviani, non mi sarebbe
certamente sfuggito, se fosse stato presente.
Evidentemente, perchè la ferronatrite possa formarsi è necessaria,
oltre la presenza del vapor d’acqua, una temperatura non superiore
ad un certo limite, per ora indeterminato: se la temperatura è troppo
elevata, naturalmente la ferronatrite non può formarsi, e questo sì è
verificato nel caso dell’aftitalite ferrifera del 1892-93 !.
! Io ho adoperato sempre il nome di ferronatrite, benchè non ignori che
R. SCHARIZER (Beiîtrige zur Kenntnis der chemischen Constitution und der Ge-
nese der natiirlichen Fisensulfate. 8. Die Synmthese der Natriumferrisulfate.
Zeitsch. fiur Kryst., 1906, XLI, 209) ha proposto, e certamente non a torto, di
mutarlo in ferrinatrite, che meglio va d’accordo con la reale composizione
del minerale (il quale contiene ferro ferrico), semplicemente per evitare possibili
equivoci.
28 F. ZAMBONINI [BI
L'altro campione inviatomi dal prof. Malladra era più ricco in
palmierite di quello precedentemente descritto. Si tratta di un fram-
mento di lava scoriacea, fortemente impregnata di ematite, la quale
riveste gran parte del campione, anche all’interno e nelle fenditure,
sotto forma di una esile velatura, costituita da piccolissime lami-
mucce di colore da grigio-ferro a quasi nero: solo in alcune areole
l’ematite è rossiccia. Sulla roccia si hanno, poi, dei miscugli salini
bianchi o leggermente verdicci, oppure alquanto giallognoli. Essi sono
costituiti principalmente da silice con solfati (essenzialmente aftita-
lite) e scarsissimi cloruri. Sulla superficie di altre parti della roccia
vi sono, poi, dei ciuffi verdicci o celestini, costituiti da un miscuglio
di aftitalite (otticamente positiva con debole birifrangenza), di pal-
mierite e di un minerale di colore da verde cupo a verde erba chiaro,
la cui identità con l’euclorina è probabile. La palmierite forma anche
dei gruppi di cristallini liberi, in associazioni regolari somiglianti ai
cristalli di ghiaccio. Il minerale più interessante del campione in
esame è, però, rappresentato da una sottile incrostazione di colore
giallo leggermente verdiccio, che i saggi chimici fanno riconoscere
facilmente come un solfato basico di ferro e potassio con pochissimo
sodio. Al microscopio si presenta sotto forma di esilissime tavolette
a contorno esagonale ovvero di minutissimi romboedrini. Le une e gli
altri sono otticamente uniassici negativi: le tavolette basali presen-
tano talvolta una divisione in settori, analoga a quella osservata da
Slavik nella jarosite di Schlaggenwald, in Boemia !. Per le proprietà
ottiche e la composizione chimica qualitativa, il minerale in que-
stione non può essere che o metavoltina o jarosite: il dubbio è su-
bito risolto dal peso specifico. Il minerale vesuviano, infatti, ha un
peso specifico molto vicino a 3: una determinazione più precisa è
impossibile, date le dimensioni dei cristallini e le loro impurezze,
ma questo valore approssimato basta a stabilire che si tratta di Ja-
rosite, la quale ha un peso specifico di 3.1 —3.2*, mentre nella
metavoltina si ha p.sp. 2,53 secondo Blaas.
! Mineralogische Notizen. 1. Zur Kenntniss der Mineralien von Schlaggen-
wald. Zeitsch. fitr Kryst., 1904, XXXIX, 296.
2 Nelle varietà alluminifere, come quella di Saint-Léger, il peso specifico
scende a 2,95 (LacroIx, Minéralogie de la France et de ses colonies, VI, 143.
[3] | SULLA PALMIERITE DEL VESUVIO 29
Che si tratti proprio di jarosite è, poi, posto fuori di dubbio da
alcune determinazioni quantitative eseguite su materiale, natural-
mente, poco puro, e che hanno dato i seguenti risultati:
SO, 2951 0,368 133: 4
Fe,0, 40,80 0,252
AI,0, 2,43 0,024
H,O 13,61
0,276 1 3
Il resto è costituito principalmente da ossido di potassio e da ma-
teriali estranei, come pure da poco sodio e da tenui quantità di rame
e di cloro. L’acqua è stata determinata direttamente, su materiale
secco all’aria, e nella quantità trovata è inclusa, quindi, anche l’acqua
igroscopica '. Il rapporto SO,: Fe,0, + A1,0, è esattamente uguale
a 4:83, come è richiesto dalla formula della jarosite. I valori trovati
permettono di escludere nettamente che si tratti di metavoltina, la
quale allo stato puro (metavoltina tipica potassica, senza sodio e ferro
ferroso) richiede? SO, 43,0, Fe.0, 21,4:la presenza del potassio
ed il peso specifico escludono la carfosiderite, nella quale pure si
ha SO,:Fe,0, =4:3.
È notevole la presenza dell'alluminio nella jarosite vesuviana, la
quale, in realtà, rappresenta una soluzione solida di jarosite e di
alunite: la quantità di quest’ultima ammonta a 6,5 °/, La jarosite
-di Saint-Léger, in base all’analisi di Pisani, contiene il 25,4°/, del
composto della alunite.
La jarosite non era stata, finora, osservata al Vesuvio: la sua
presenza fra i prodotti delle fumarole vesuviane non ha, però, nulla
di singolare, se si pensa che Mitscherlich la ottenne sinteticamente,
riscaldando a 230° il solfato ferrico con allume ferrico-potassico ed
1 Sembra, del resto, che la jarosite facilmente si alteri e si idrati. Così,
nella varietà alluminifera di Saint-Léger Pisani ha trovato 16,30°/ H,0 (in
A. LACROIX, loc. cit.).
? Cfr. per l’identità della metavoltina col sale di Maus e per la composi-
zione di quest’ultimo F. ZAMBONINI, Notizie mineralogiche sull’eruzione vesu-
viana dell’aprile 1906 (Atti R. Accad. Scienze Fis. e Mat. di Napoli, 1906 (22),
XIII, n. 8, pag. 18).
30 F. ZAMBONINI È 13]
acqua. È, evidentemente, in condizioni analoghe che si è formata al
Vesuvio la jarosite da me osservata.
Dopo che il presente lavoro era stato già quasi completamente
scritto, ho rinvenuto la palmierite in altri campioni vesuviani, e,
precisamente, insieme alla euclorina. I nuovi esemplari, però, nulla
aggiungono a quanto si è detto intorno alle proprietà del minerale.
Torino, Istituto di Mineralogia dell’ Università, marzo 1921.
Fig. 2
Fig. 1
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Danesi - Roma
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Bollettino del R., Comitato Geologico d’Italia
Vol. XLVIII 1920-21 N. 4
Pror. G. B. CACCIAMALI
SCHEMA TECTONICO-OROGENICO
DELLE PREALPI LOMBARDE
I. — Premesse.
Riuscito dopo molti anni di ricerche a dimostrare che nella strut-
tura delle prealpi bresciane domina un sistema di pieghe rovesciate
a sud, ossia di falde di copertura aventi assi circa ovest-est e so-
vrascorse circa da nord a sud, sorse naturalmente in me il desiderio
di procedere a un coordinamento dei fatti rilevati e di addivenire
ad una spiegazione genetica generale di tale sistema tectonico. Ma
per raggiungere questo. intento riconobbi la necessità di allargare
le mie ricerche, e sopra tutto di estenderle alle prealpi bergamasche;
l'andamento delle suddette falde sul Bresciano è infatti più spesso
disturbato e quindi complicato da altri particolari fatti strutturali,
quali l’etmolite tonalitica dell'Adamello, il massiccio cristallino dell’alta
V.Trompia ed il corrugamento giudicarico-benacense avente altra
direttiva, mentre sul Bergamasco l'andamento delle continuazioni
occidentali delle pieghe stesse, non intralciato da simili infrastrut-
ture o justaposizioni, era supponibile fosse normale e quindi più
semplice; solo la conoscenza della tectonica delle prealpi bergama-
sche poteva dunque facilitare la comprensione della tectonica delle
prealpi bresciane e facilitare quindi la desiderata sintesi.
In questi ultimi anni estesi dunque le mie ricerche alle valli
Brembana e Seriana; e confrontando poi i fatti rilevativi con quelli
Boll. R. Com. Geol., v. XLVII, 1920-21. 1
2 G. B. CACCIAMALI |4]
già noti delle valli Camonica, Trompia e Sabbia, sono giunto ad
identificare e seguire, attraverso le prealpi delle due provincie di
Bergamo e Brescia, ossia della Lombardia orientale, cinque falde di
ricoprimento che si susseguono da nord a sud, rispettivamente so-
vrapposte, nell’ordine col quale passerò ora ad esaminarle. Per com-
pletare poi il mio lavoro, all'esame di dette falde, accompagnato da
quelle conclusioni generali che ne risulteranno sul corrugamento oro-
bico, farò seguire alcune considerazioni sulla plaga posta ad oriente
e su quella posta a nord della regione che ci interessa, nel primo
caso per chiarire le relazioni tra detto corrugamento orobico e il
corrugamento benacense, e nel secondo caso per determinare il li-
mite settentrionale dei rovesciamenti a sud.
I° Falda: Resegone-Presolana-Concarena (sulla linea Lecco-Ar-
dese-Breno). ;
Questa falda essendo la più elevata, è naturale che sia anche la
più largamente intaccata, la più sbocconcellata in lembi. Essa è però
| quasi completa al Resegone, dove fu studiata dal Philippi (1897);
qui la sua copertura è essenzialmente costituita da dolomia princi-
pale; però all’orlo ovest, ossia verso Lecco, compaiono anche il
Raibl e l’Esino, sovrapponentisi rispettivamente a Retico e a Raibl;
all’orlo est, che passa da Morterone, la dolomia sì sovrappone al
Lias, all’Ettangiano ed al Retico dell’alta V. Imagna e dell’alta V. di
Taleggio; la linea di discordanza piega poi a NÉ e va a scomparire
sul versante settentrionale del Sodadura e dell’Aralalta, dove abbiamo
il raccordo tra dolomia e Retico, e dove quindi debbono essere le
radici della falda. Detta linea riprende sul versante ovest del Ven-
turosa, sempre con dolomia soprastante a Retico; ma poi, siccome
anche il substrato (a sud del Cancervo e ad est del Cancervo e del
Venturosa) è costituito da dolomia principale, non è più possibile
seguirla; che sì tratti però di duplicazione della dolomia è dimo-
strato dal fatto della enorme potenza della formazione (circa 1200 metri
tra la cima del Cancervo e le gole dell’Enna); l'orlo della ripresen-
tatasi copertura deve quindi circuire a sud il Cancervo e poi pas-
sare ad est del Venturosa, per riperdersi in conseguenza dell’avval-
lamento brembano.
In conclusione, la lingua dolomitica Venturosa-Cancervo nella
sua parte elevata sarebbe simmetrica della lingua dolomitica Rese-
[4] | SCHEMA DELLE PREALPI LOMBARDE 5)
gone rispetto alle interposte convalli di sinistra dell’Enna; V. Ta-
leggio non solo ha asportato la falda, ma anche inciso il substrato ;
e le gole dell’Enna risultano appunto da scolpimento della duplice
dolomia. La copertura Venturosa-Cancervo riprende a destra del-
l’Enna nel lembo (X/ippe) Sornadello-Castel Regina. Su questo stesso
lato della V. Taleggio, tra il Resegone ed il Sornadello, vi potrebbe
essere posto per altro lembo alle Torri di Pralongone; se non che
qui si tratta invece di dolomia ettangiana, come nei tre speroni
Maesimo, Zuccone e Brucco del versante sinistro: si tratta quindi
di substrato.
Al Resegone la superficie di posa della falda si trova ad una
altezza media di circa 1300 metri, e mostra d’essere in salita da
ovest ad est; tale salita assiale doveva continuare fino a portare la
base della falda sopra le Torri di Pralongone (quota massima 1563 m.);
ma poi alla salita doveva succedere una discesa assiale, la base del
Klippe di Sornadello trovandosi di nuovo a circa 1300 m. in media;
detta base essendo qui di nuovo in salita verso est, consegue che
la massima depressione della falda era ad ovest del Klippe stesso.
Abbiamo così una segmentazione trasversale della falda, con mas.
simo rialzo in corrispondenza delle Torri di Pralongone e massima
depressione in corrispondenza della forcella di Bura; di tale se- o
gmentazione, che dipende da moti epirogenici conseguenti al moto
orogenico, deve essere affetto anche il substrato e lo dimostra in-
fatti la pendenza degli strati (che è ad ovest da sotto la copertura
del Resegone fino alle Torri di Pralongone, ad est più avanti, e di
nuovo ad ovest nelle gole dell’Enna e sotto il lembo Sornadello-
Castel Regina).
Naturalmente sul Brembo la falda non esiste più, e ad est la
V. Parina deve aver compiuto ciò che ad ovest compì la V. di Ta-
leggio: ma nella catena partiacque tra V. Brembana e V. Seriana la
falda si dovrebbe ripresentare, e forse la costituiscono le masse esi-
niane del. Menna, dell’Arera e del Secco, nonchè di altre cime più
a sud, le quali ultime, sopra Dossena e sopra Gorno, presentano
evidenti discordanze col Raibl, che costituirebbe il substrato. Ancor
più a sud, sullo stesso crinale, sorge l'imponente mole di dolomia
principale dell’Alben; qui come al Cancervo ed al Sornadello, dob-
biamo essere in presenza d’una duplicazione della formazione, e la
4 G. B. CACCIAMALI [4]
parte superiore (cucuzzolo dell’Alben sorgente da un altopiano si-
tuato a 1600 m. circa) sarebbe un lembo (KAtippe) della falda in pa-
rola; questa dal Sornadello all’Alben sarebbe continuata in salita
assiale verso est, per cui sarebbe passata sopra alla piceola catena
separante V. del Brembo da V. d’Ambria, la cui massima quota è
quella di M. Gioco (1366 m.). |
Tra il Serio ed il Dezzo abbiamo il fenomeno Presolana, ossia
la presenza d’una falda continua, ma abrasa tanto verso le radici
quanto verso la fronte, e presentantesi quindi in una fascia di co-
pertura ininterrotta, limitata a nord, ossia verso le radici, da una
sinuosissima linea Ardesio-Collere, ed a sud, cioè verso il fronte, |
da una linea Clusone-Cantoniera; tali due linee sono state ben messe -
in evidenza, per quanto non interpretate come limiti di copertura,
dal Porro (1903). Si tratta evidentemente della stessa falda Rese-
gone, la quale dopo l’Arera e l’Alben e fino al Serio si presenta di
nuovo in discesa. assiale, e da qui di nuovo in salita fino alla Pre-
solana, dove la sua superficie di posa culmina in media a circa
2000 m. (sulla prima linea, a nord della vetta, m. 2332, e sulla se-
conda linea, a sud della vetta, m. 1787); ad est della Presolana torna
in discesa (la base della falda passa alla Cantoniera, che è a 1286 m.).
La copertura della Presolana è costituita dalle formazioni dall’Ani-
sico al Raibl, il primo in contatto a nord con substrato di Esino e
di Raibl, il secondo in contatto a sud con substrato di dolomia prin-
cipale. A sud di detta copertura non si presentano affatto lembi
della stessa, la quale doveva quindi passar sopra e al Formico (1634 m.)
e al Pora (1819 m...
Al Dezzo scomparela linea di discordanza settentrionale, e la falda
non sì manifesta quindi che colla linea di discordanza meridionale ;
dalla Cantoniera continua la discesa assiale, ed in tutto il tratto tra
il Dezzo e l’Oglio la base della falda si mantiene intorno ai 1000 m.
(naturalmente discendendo ed arretrando per erosione in corrispon-
denza di ambi i fiumi). Questo tratto della falda, ampiamente ana.
lizzato e dal Wilckens (1911) e da me (1918), è costituito da Anisico,
Wengen ed Esino, e si addossa a substrato ralbliano ; sono notevoli
i massicci esiniani del Moren, del Camino e del Sossino, del Ba-
gozza e del Concarena, nonchè due enormi scoscendimenti pure esi.
niani, messi in evidenza dal Wilckens, uno cioè sopra Lozio ed altro
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[4] SCHEMA DELLE PREALPI LOMBARDE 5
sopra Ono S. Pietro; la linea di discordanza passa a nord di Borno
e di Breno e giunge all’Oglio sotto Losine, per riprendere sull’altro
versante della V. Camonica tra Niardo e Braone, e finire contro la
massa tonalitica.
In nessun punto la descritta gran falda ha conservato il fronte;
‘questo non doveva però esser lontano dagli orli sud del Resegone,
del Castel Regina e dell’Alben, nè dalle cime Formico e Pora. Alla
falda stessa dovevano poi esserne sovrapposte altre: basti ricordare
che a nord del Resegone sussistono tuttora la falda della Grigna
meridionale e quella della Grigna settentrionale, e che sulla Preso-
lana fu risparmiato un lembo di altra falda, lembo che dalla vetta
(m. 2511) scende fino ad una superficie di posa che si può calco-
lare circa alla isoipsa di m. 2400.
II° Falda: Camozzera-Podona-Colma S. Zeno-Maniva (sulla linea
S. Pellegrino-Gandino-Pisogne-Bagolino).
Di questa falda, almeno pei dintorni di S. Pellegrino, mi occupai
diffusamente con un lavoro del 1918, al quale porto ora alcune cor-
rezioni. Essa sorge da sotto quella del Resegone, presentandosi es-
senzialmente costituita da un nocciolo di dolomia principale avvi-
luppato dalla formazione retica; la parte frontale di detto nocciolo,
ben conservata, è visibile al Camozzera ed al Locone, poi più in
basso a SE sul versante di V. Imagna dell’Albenza, dove forma il
bastione Mazzoleni-Bedulita, e poi ancora lungo l’alveo stesso del-
l’Imagna a Ponte La Grate sotto Capizzone; la dolomia al Locone
affiora tra i 1300 ed i 900 metri di altezza, al nominato bastione
tra i 1000 ed i 600 metri, ed al Ponte La Grate ad una quota di
cirea 400 metri (qui non si tratta che del dorso del nocciolo). Questi
dati dimostrano una forte discesa assiale .verso SE: il rialzo Ca-
mozzera-Locone corrisponde a quello di Pralongone, e la depres-
sione di V. Imagna corrisponde a quella di Bura della falda su-
periore. ]
La dolomia, più ad est, ricompare presso Zogno; al Brembo però
(quota di circa 400 metri) non abbiamo già il dorso, bensì la base
del nocciolo, il che dimostra come dopo La Grate la falda sia di
nuovo in salita. Il Retico che occupa quasi tutta l’area delle valli
Imagna e Brembilla passa anche sotto il Kippe Sordanello-Castel Re-
gina e ricompare a Viciarola e Sussia sul versante destro del Brembo,
6 G. B. CACCIAMALI [4]
dove poggia normalmente sulla dolomia del Molinasco, del Pizzo di
Sole e dello Zucco, dolomia che sì continua a nord in quella bassa
delle gole dell’Enna ed a sud in quella di Zogno. La pendenza verso
ovest degli strati, e quindi l’ascesa verso est della falda, continuando
anche sul versante sinistro del Brembo, fan sì che la cresta sepa-
rante V. del Brembo da V. d’Ambria (Gioco, Rabbioso e Pizzo di
Spino) sia costituita solo da dolomia (prosecuzione di quella Moli-
nasco-Zucco), il Retico (prosecuzione di quello Viciarola-Sussia) es-
sendo stato abraso. Mentre dunque nelle valli Imagna e Brembilla
la falda presenta il rivestimento retico essendo ivi il nocciolo dolo-
mitico sepolto, sulla catena Gioco-Pizzo di Spino presenta il noc-
ciolo dolomitico essendo ivi il guscio retico abraso.
Nella conca di-S. Pellegrino si presenta la prima lacerazione della
nostra falda, ed è anzi tale lacerazione (finestra) che dimostra in
modo indiscutibile la realtà della falda stessa; il substrato mostrato
da questa finestra — il cui orlo di mattina, per la salita assiale verso
est, è più elevato che quello di sera — è costituito da dolomia prin-
cipale (a facies normale ed a facies schistosa) e da schisti infraliassici ;
sui nominati due orli si presentano piccoli lembi di Raibl, 1 quali
quindi stanno alla base della falda; questi sono la continuazione del
Raibl che sta a nord della finestra, Raibl che a S. Gallo è corru-
gato ad anticlinale (anticlinale generatrice della falda). A S. Pelle-
grino abbiamo dunque: sul versante destro doppio accavallamento
e quindi triplicazione della serie; e sul versante sinistro, non essendo
stata risparmiata la falda superiore, unico accavallamento e quindi
solo duplicazione della serie. La potenza della dolomia della nostra
falda è di circa 600 m. pel Molinasco, 900 m. per lo Zucco, 400 m.
pel Gioco, e 600 m. pel Pizzo di Spino. Poco a sud di S. Pelle-
grino cessa la finestra e si ripristina la falda nella sua integrità;
questa ha poi a sud di Zogno il proprio fronte, con rivestimento
infraliassico che verso la cerniera (sotto Corna Rossa) forma splen-
didi arricciamenti e che sotto Stabello passa a sottoporsi al nocciolo
attuando poi il raccordo fra copertura e substrato.
Più ampia lacerazione si presenta in V.di Serina: la copertura
dolomitica vi fu abrasa da Frerola e Cornalba fino ad Ambria, come
lo fu a Miragolo, Somendenna, Endenna, Grumello e Poscante, dove
abbiamo quindi tutto substrato, costituito da Retico (ed anche dalla
pitalonie it rie A rit Ta ic
[4] SCHEMA DELLE PREALPI LOMBARDE 7
sottostante dolomia principale alla gola d’Ambria). Detta copertura,
abrasa a sud di Pizzo di Spino; non si ripresenta che sopra Po-
scante, da dove verso ESE sale al Costone ed al Podona ricosti-
tuendovi il fronte, interrotto da Zogno; ed abrasa ad est di Gioco-
Pizzo di Spino, si ripresenta tra la V. di Serina e la V. Seriana
nella parte basale dell’Alben, e cioè circa tra i 1000 ed i 1600 metri
di altezza; è continuata dunque fin qui la salita assiale, qui dove
culmina anche la salita assiale della prima falda.
Ad est abbiamo nuova discesa fino a Gandino, poi salita fino al
- Grione (questa corrisponde al culminare della Presolana), ed infine
altra discesa; è molto probabile che la dolomia principale di Gan-
dino e del Grione, col rivestimento retico che si protende a sud,
costituisca il nocciolo della nostra seconda falda colla sua cerniera
frontale. o
Al sommo del lago d’Iseo la falda passa rapidamente dalla do-
lomia principale alle altre formazioni triassiche ed al permico; e
più a mattina passa al massiccio cristallino Colma S. Zeno-Maniva,
al massiccio cioè Pisogne-alta V. Trompia-Bagolino; è infatti da
notarsi che gli schisti costituenti detto massiccio (stati riferiti dal
Salomon all’arcaico ed al cambriano) sono piegati ad anticlinale con
sovrascorrimento verso sud, il che dimostra essere il massiccio stesso
nocciolo profondo di falda, nocciolo profondo implicante cioè un
originario potente rivestimento di formazioni paleomesozoiche che
dovevano portare molto in alto ed a sud la relativa falda; tale noc-
ciolo e tale falda, per la loro ubicazione, possiamo dunque ben con-
siderare manifestazioni orientali rispettivamente dell’anticlinale di
S. Gallo e della falda di S. Pellegrino. Qui è il caso di osservare
come nelle nostre falde, e quindi non solo in questa, ma anche in
quella precedentemente descritta ed in quelle che esamineremo poi,
sia costante il fatto che le stesse da ovest ad est si presentano via
via costituite da formazioni più antiche; nella falda ora in esame
il fatto sarebbe soltanto più accentuato, comparendo nel suo tratto
orientale anche gli schisti cristallini. Originariamente i gusci di tutte
queste falde dovevano quindi trovarsi molto più alzati ad est; e la
causa di tale maggior innalzamento non può essere stata che l’intu-
mescenza prodotta dall’intrusione tonalitica.
8 G. B. CACCIAMALI [4]
III° Falda: Albenza-Misma-Guglielmo-Ario (sulla linea Sedrina-
Colognola-Toline-Bovegno). 2
Dinanzi alla fronte della seconda falda e seguendola da presso
sta la terza; questa ad occidente sì inizia nella dolomia ettangiana
e verso oriente passa via via in dolomia principale, in Esino ed in-
fine in Anisico; inoltre sì manifesta dapprima come falda di primo .
genere, ossia costituita dall’intera anticlinale coricata, e solo verso
oriente diviene, come le precedenti, falda di secondo genere, ossia
costituita dal solo fianco normale dell’anticlinale coricata, essendo:
stato soppresso l’inverso. Anche questa falda presenta segmentazione
tectonica trasversale, ed i suoi rialzi e le sue depressioni sono in
corrispondenza dei rialzi e delle depressioni offerti dalle falde pre-
sedenti; siccome poi le depressioni coincidono press’a poco colle valli
del Brembo, del Serio, dell’Oglio, ecc. è evidente che quelle debbono
essere state le predisponenti di queste; è anzi il caso di domandarci
se non si sia esagerato nel ritenere che in origine non vi fossero
che valli longitudinali, nel senso cioè assiale del corrugamento (da E
ad O), e che le attuali valli trasversali (in senso N$) si sieno for-
mate solo per fratture o per catture postume, e se non sì possa in-
vece ritenere che quest'ultime valli si fossero costituite già prima,
in causa appunto della segmentazione trasversale delle pieghe.
Ma procediamo all’esame sommario della nuova falda : sull’Albenza
essa è piuttosto elevata, e la sua cerniera frontale conservata sì ma-
nifesta chiaramente per la piega a C (colla convessità a SO) offerta
dalle varie formazioni (dall’Ettangiano alla Creta) che la costitui-
scono; in corrispondenza dell’Imagna e del Brembo è poi del tutto
demolita, cosicchè ai ponti di Sedrina in quegli strati ettangiani
verticali dobbiamo vederne le radici. Dai ponti di Sedrina si va ri-
facendo e rialzando verso il Canto Alto, sul cui versante settentrio-
nale l’Ettangiano rovesciato sul Lias nasconde il Lias inferiore; al-
quanto ad est del Canto Alto la coltre ettangiana è di nuovo lie-
vemente in discesa e si distende sul versante sinistro di V. d’Olera
fino a coprire tutto il Lias ed a prendere contatto col Giura (Sel-
cifero e Maiolica titonica); in qualche punto detta coltre, lacerata
da piccole finestre, lascia vedere substrato liassico-giurese; a Monte
di Nese abbiamo la prima manifestazione della soppressione del fianco
inverso dell’anticlinale. Oltre la V. di Nese, a Lonno, la cerniera
[4] SCHEMA DELLE PREALPI LOMBARDE 9
frontale si rende meno incompleta, poichè all’Ettangiano si aggiun-
gono Lias inferiore e medio.
Tra il Serio ed il Cherio ecco la catena del Misma, geologica-
mente studiata (non però alla luce della teoria dei carreggiamenti)
da De Alessandri (1903): qui la falda sarebbe interamente ripristi-
nata se nel primo tratto — e cioè da Pradalunga alla vetta del
Misma ed anche alquanto più oltre verso il Prenda — una grande
finestra non la interrompesse; per questa lacerazione viene a man-
care il Lias di copertura e ad apparire invece il Lias di substrato;
mentre abbiamo cioè Ettangiano all’orlo nord della finestra e Giurese
all'orlo sud, nel vano della finestra veniamo ad avere 1 tre piani del
Lias in ordine invertito, di modo che il Toarciano è a contatto del.
l’Ettangiano ed il Sinemuriano a contatto del Giurese; tra il Serio
_e il Misma tale finestra è prevalentemente sviluppata sul versante sud
della catena, oltre il Misma è tutta sul versante nord. La falda è salente
dal Serio al Misma, e discendente dal Misma al Cherio : la vetta stessa
del Misma (m. 1160) è infatti ancora in substrato, mentre il Prenda
(m. 1099) è già tutto in copertura; al Prenda dunque sarebbe coperto
ciò che al Misma sarebbe scoperto, avremmo cioè la copertura completa.
come all’Albenza, rivelata quindi solo dal rovesciamento degli strati.
Ad est della vetta del Misma è poi singolare una massa di Lias supe-
riore senza significato tectonico ; essa è certo dovuta a scoscendimento
verificatosi nel substrato posteriormente all’aprirsi della finestra.
Da notarsi la struttura ad antielinale rovescia dell’Altino e del-
l’Altinello, ed anche la linea di discordanza che corre lungo il piede
meridionale di questi due monti e fino a Bianzano, fatti che indi-
‘cherebbero la presenza ivi delle radici della-falda. Da notarsi anche
l’anticlinale coricata a sud negli strati della Creta, anticlinale ben
chiara tanto sotto la Cappelletta del Misma come sotto il Prenda,
e che è fronte definitiva della falda; a sud di detta anticlinale segue,
da sopra S. Ambrogio a sopra Luzzana, una linea di discordanza
(continuazione di quella Villa d’Almè-Sorisole-Nese, a sud della ca-
tena del Canto Alto), che segna l’asse della sinclinale di quasi rac-
cordo tra la Creta di copertura e la Creta di substrato.
La direzione della falda (che è verso ESE in V. Brembana e
verso E nella catena del Misma) oltre il Cherio si fa dapprima verso
ENE per tornare poi verso E, cosicchè la falda stessa si porta
10 G. B. CACCIAMALI [4]
dapprima alle Corne di Colognola e poi al Torrezzo ed al Foppa; ivi il
fronte è di nuovo abraso, sicchè nella conca di S. Antonio appare lar-
gamente il substrato; più ad oriente, per abrasione maggiore, la falda
sì annulla in corrispondenza del lago d’Iseo, dove — a Solto sulla
sponda destra ed a Toline sulla sinistra — possiamo presumere trovarsi
le radici. In innalzamento dal Cherio al Foppa ed in abbassamento dal
Foppa al Sebino, dopo Toline la nostra falda, che torna a rifarsi,
si alza sul Guglielmo, portandovisi col proprio orlo meridionale fino
a circa 1400 metri (vetta 1949 m.) e passando all’Esino ed all’Ani-
sico, che posano su substrato prevalentemente costituito da Raibl.
La falda del Guglielmo, da me minutamente analizzata nel 1912, ha
la sua prosecuzione verso ENE sull’Ario o Campello e sul Dosso
Alto; tra il Guglielmo e l’Ario, in corrispondenza del Mella, pre
senta però e nuovo arretramento fino alle radici (Savenone e Bo-
vegno), e nuova depressione; questa fa sì che a nord di Lavone,
sul Gardia (per quanto alto appena 833 m.) si presenti un XZippe
della falda stessa, studiato dal Bonomini nel 1912; sull’Ario la falda
è molto abrasa, e la sua parte conservata giunge solo in stretta
lingua al cucuzzolo terminale (m. 1755), presentandovi superficie di
posa a circa 1650 metri; l’anticlinale permica ben manifesta da Bo- _
vegno a Collio ne costituisce certo le radici; dopo Pezzeda e Pez-
zolina l’orlo della falda sembra scendere bruscamente verso S. Co-
lombano, per rialzarsi però tosto in modo altrettanto brusco; ma
probabilmente qui si tratta di scoscendimento della dolomia princi.
pale di Corna Blacca; sul Dosso Alto (vetta a 2065 m.) — la cresta
partiacque tra V. Trompia e V. Sabbia protendendosi in direzione
sud — la falda ha fronte completo, non presenta cioè alcuna linea
di discordanza e non si rivela che nel raddrizzamento degli strati
raccordantisi perfettamente col substrato; oltre Bagolino, e precisa-
mente ad est di Riccomassimo, la falda è manifesta ancora nella so-
vrapposizione del permico alla dolomia principale.
Esaminando questa terza falda vi abbiamo trovato due depressioni
trasversali tectoniche inesistenti nella prima e nella seconda, depres-
sioni rispettivamente corrispondenti a due nuove depressioni vallive, a
quella cioè del Cherio (V. Cavallina) ed a quella del Mella (V. Trompia);
e ciò conferma quanto abbiamo pensato circa l’influenza della seg-
mentazione delle falde sullo stabilirsi delle valli trasversali.
_
CRT PANI RR e
[4] SCHEMA DELLE PREALPI LOMBARDE 11
IV® Falda: Bronzone-Redondone-Albio (sulla linea Grone-Monti-
sola-Livemmo).
Lungo il Brembo sappiamo che la terza falda fu completamente
abrasa e che quindi vi è a tutta distesa visibile il substrato; fra le
pieghe di questo domina l’anticlinale di Clanezzo, la quale mette a
giorno financo un lembo di Ettangiano; analogamente l’abrasione
operata dal Serio sulla stessa falda mette allo scoperto l’anticlinale
di Pradalunga, situata nel Sinemuriano e risalente V. dei Prigio-
nieri. È chiaro che le due anticlinali sono continuazione l’una del-
‘l’altra, sono cioè un’unica anticlinale, che più ad est deve continuare
nascosta sotto la falda del Prenda ed anche — per l’indicato fatto
della locale depressione trasversale tectonica — sotto al Cherio stesso,
per poi riapparire sulla sinistra di questo; ricompare infatti a sud
di Grone lo stesso Sinemuriano di V. dei Prigionieri; ma l’anticli-
nale è già degenerata in falda, poggiante col suo orlo sud sul sel-
cifero giurese, e non più accavallata dalla terza falda, la quale come
s'è detto ha qui deviato verso ENE, lasciando a mezzodì largo spazio
al proprio substrato, che si svolge — come nella finestra del Misma
-— dal Lias superiore al Lias inferiore, quest’ultimo andando poi a
costituire la nuova falda. Nella copertura di questa, che sale poi fin
sulle vette del Gajana (1193 m.) e del Bronzone (1334 m.), al Sine
muriano s’aggiunge presto un nocciolo d’Ettangiano ; a sud del Bron-
zone, e cioè al passo La Rola (m. 991), la limitata striscia liassica
che passa sotto il nocciolo infraliassico posa, come a Grone, su sub-
strato di Selcifero.
In corrispondenza del lago d’Iseo la falda è abrasa, e quindi il
suo orlo indietreggia fino a Parzanica ed a Marone —- dove siamo
certamente in presenza delle radici — per riavanzare poi sul ver-
sante occidentale del Valmala e del Redondone. Ma in mezzo al Se-
bino sorge Montisola, con vetta a 599 metri, e su questa vetta è una
breccia, alla quale in altro lavoro (del 1906) attribuii origine val-
liva; ora, dato l’abbassamento di cui la falda doveva essere affetta
in corrispondenza del lago attuale, parmi si possa attribuire a quella
breccia altra origine, considerarla cioè come breccia di frizione della
falda sovrascorrente, la cui base poteva appunto trovarsi ivi a 599 me-
tri. Al Valmala (1327 m.) ed al Redondone (1143 m.) la falda, co-
stituita omai da dolomia principale, ha una superficie di posa che
12 _ G. B. CACCIAMALI |4]
oscilla intorno ai 1000 metri, ed ha per substrato Infralias sull’orlo
occidentale o Sebino e Lias sull’orientale o Valtrumplino.
Sempre in forma di striscia occupante il crinale tra il Sebino e
la V. Trompia, il residuo di detta falda continua anche a sud del
Redondone con formazioni successive alla dolomia; oltrepassati poi
e il valico di S. Maria e la punta Castellino, presenta in Infracreta
il raccordo tra fronte e substrato. L’orlo orientale della sù nominata.
striscia, indietreggiato assai in corrispondenza della V. di Inzino, di-
venta poi orlo diretto ad ENE e costituito da Esino posante su do-
lomia principale; in tali condizioni si nasconde sotto la copertura
del Guglielmo (più di preciso di M. Stalletti) per riuscire in V. di
Pezzoro. 1
Tra Pezzoro da un lato e Irma-Marmentino dall’altro l’orlo in-
dietreggiato della falda (in corrispondenza della V. Trompia) non è
ben chiaro, e ciò in causa tanto dei grandi scoscendimenti di do-
lomia principale avvenuti sui fianchi del Pergua e di Castel della
Penna (tratto della valle tra Lavone e Tavernole), quanto dalla lo-
cale presenza di fratture con rigetto aventi per lo più direzione NNO;
tali rigetti non sono del resto che manifestazioni più orientali d’un
fatto più generale, culminante in una fascia o zona che a NNO si
spinge fino a Vilminore e Schilpario ed a SSE fino a Brescia e Serle,
fatto per il quale anche le altre falde sono divise in zolle spostate;
in diverse zolle è divisa infatti la prima falda tra il Dezzo e Borno;
il massiccio cristallino della seconda falda è poi diviso in zolle anche
ad oriente della detta fascia, come risulta da rilievi fatti dal Coz-
zaglio (1920), la terza falda ha simili rigetti nella plaga del Gu-
glielmo; ed altri ne vedremo infine nella quinta falda. Tali sposta-
menti dimostrano che le fratture NNO si determinarono posterior-
mente al costituirsi delle falde.
La copertura in esame dunque pare riprenda verso Irma, ma da
Irma è tosto spostata ad Ombriano (Marmentino) ad opera di una
di tali fratture, e solo ad est di Ombriano riprende andamento re-
golare; forma così in V. Sabbia l’Albio, la Cima Lassa e la Cima
Selva, rispettivamente situati a nord di Navono, Livemmo ed Ono
Degno, colla serie che va dalla dolomia principale all’Anisico; l’orlo
della copertura, in Anisico, passa all’incirca pei nominati paesi. Tutto
questo tratto di falda venne da me analizzato in un lavoro del 1914,
CIVATTRGRIG
[4] SCHEMA DELLE PREALPI LOMBARDE a 13
nel quale discussi anche le finestre di Raibl nella plaga dell’Albio
e di Cima Lassa, ed un K/ippe a NE di Livemmo. Sono pure da no-
tarsi in questa plaga grandi scoscendimenti di Esino, che mi fecero
credere ad una duplicazione della falda.
Dopo Ono l’orlo della falda piega a NÉ passando sotto Presegno
e dirigendosi, pare, verso la parte settentrionale del lago di Idro.
— V* Falda: Punta dell'Oro.
Richiamiamoci all'andamento, nella V. Cavallina, delle ultime due
. falde: la terza (Misma-Torrezzo) ha il fronte conservato e raccordato
con substrato a S. Ambrogio e Luzzana, abraso nella conca di S. An-
tonio; e la quarta (Grone-Branzone) è più ad occidente una sem-
plice anticlinale accavallata dalla falda precedente; e mentre sulla
linea S. Ambrogio-Luzzana coincidono l’asse del suddetto raccordo
e l’asse della sinclinale antistante alla suddetta anticlinale, da Luz-
zana in poi il primo asse, che doveva dirigersi verso S. Antonio, è
scomparso e. stato sostituito (naturalmente più a nord) dall’orlo della
parte conservata della coltre Torrezzo, ed il secondo asse piega a
SE per Foresto e poi ad est per Villanova (V. Adrara), sempre come
asse della sinclinale antistante all’anticlinale falda Grone-Gajana-
Bronzone. Or bene: a mezzodì di questa sinclinale (che solo al va-
lico La Rola degenera in linea di discordanza) fa seguito un’altra
anticlinale, la quale si manifesta chiaramente, con apparizione di
nocciolo liassico, a Trescore, Zandobio e Selva (ivi abbiamo la prima
manifestazione occidentale di quella facies a scogliera del Lias in-
feriore che sul Bresciano è denominata Corna); prosegue detta
anticlinale pel Dratto (di nuovo in Creta) a Viadanica (di nuovo in
Lias) ed a Predore (in Infralias); in quest’ultima località, come an-
che sulla opposta sponda del Lago (al Montecolo di Pilzone), l’anti-
clinale è rovesciata; ed alla Punta dell’Oro infine è diventata falda
di scorrimento, con nocciolo di Corna e substrato di Infracreta.
Ad oriente di Punta dell’Oro la falda più non si mostra, essendo
dapprima nascosta dall’ammanto morenico che sta sopra Sulzano, e
passando poi molto probabilmente sotto la falda Redondone-Valmala ;
è certo però che in V. Casere, ad est del Valmala, nel substrato di
questo, appare una linea di discordanza tra Dolomia (a nord) e Lias
(a sud), la quale tosto, ad opera d’una frattura NNO corrispondente
alla parte inferiore della V. d’Inzino, è spostata a sud fino a Gar-
14 G. B. CACCIAMALI [4]
done: riprende per altro breve tratto ad est di Gardone, e poi è di
nuovo spostata a sud da altra frattura NNO. Se detta linea è real-
mente l’orlo indietreggiante della prosecuzione della falda di Punta
dell’Oro (il Domero presentandosi come substrato), dovremmo vedere
la ripresa dell’anticlinale Punta dell’Oro nel fascio di piéghe (a pre-
valenza anticlinale) che si inizia ad Inzino e che dapprima ha dire-
zione NE (da Inzino a Brozzo) e poi direzione E (da Lodrino a
Levrange); e dovremmo vedere nella linea S. Emiliano-Alone-Casto-
Nozza-Vestone (limite meridionale di detto fascio), dapprima una
semplice linea di discordanza tra dolomia e dolomia, e poi un asse
centrale d’un fascio di pieghe a prevalenza sinclinale. Ad ogni modo
è solo a Punta dell’Oro che la nostra quinta falda ha veramente i
caratteri di falda sovrascorsa.
* E E
E veniamo ra ad alcune conclusioni.
Innanzi tutto è importante constatare il fatto che le nostre falde,
da nord a sud, vanno perdendo sempre più il carattere di falde car-
reggiate per acquistare quello di semplici pieghe-fratture, e talora
anche perdendo il carattere di pieghe-fratture per acquistare quello
di semplici pieghe rovesciate; se infatti nelle più settentrionali pos-
siamo constatare anche un carreggiamento di parecchi chilometri, un
trasporto orizzontale sempre minore vediamo nelle successive, e
minimo infine nell’ultima descritta.
Tutte le ulteriori meridionali pieghe sono poi pieghe ordinarie,
e quando anche vi sia avvenuto rovesciamento, od anche distacco
con conseguente discordanza, manca ad esse ogni carattere di so-
vrascorrimento. Non è il caso di passare qui in rassegna tutte queste
ulteriori sinclinali ed anticlinali, con o senza linee di discordanza
ed aventi o meno disposizione embriciata; basterà ricordarne alcune.
Sul Sebino all’anticlinale di Predore segue la sinclinale di Sarnico,
ed a questa l’anticlinale di Adro, della quale (diretta a NÉ) sussiste
la sola ala NO. Tra il Sebino ed il Mella all’anticlinale di Punta
dell'Oro segue dapprima una linea di discordanza decorrente dal
Covelo a Polaveno ed oltre, e fan seguito successivamente la sincli-
nale cretacea di Polaveno (che prosegue fino a Visala ed oltre), l’an-
pre e,
.
[4]. SCHEMA DELLE PREALPI LOMBARDE 15
ticlinale Corneto-Villa Cogozzo (probabile continuazione di quella
di Adro), la sinclinale Rodengo-Piè del Dosso-Camaldoli, l’anticli-
nale Forcella di Gussago e la sinclinale Santissima-Stella-M. Pizzo.
Oltre il Mella, a sud della linea S. Emiliano-Casto-Nozza-Vestone
segue la linea Lumezzane-Bione-Barghe-Provaglio, e tra le due linee
(precisamente tra Nozza-Vestone e Barghe-Provaglio) abbiamo la
bella anticlinale rovescia di M. Colmo; a sud della seconda delle
suddette linee seguono poi l’anticlinale Lumezzane-Agnosine-Odolo,
la sinclinale V. Condigolo-Caino-Rocca Bernacco, l’anticlinale Cor-
tine-M. Rozzolo-S. Eusebio-Vallio e la sinclimale Cortine-M. Mon-
tecca, le quali sono rispettivamente le continuazioni delle pieghe Villa
Cogozzo, Camaldoli, Forcella di Gussago e M. Pizzo: segue infine
l’anticlinale Margherita.
In secondo luogo dobbiamo constatare che solo le tre prime falde
attraversano tutto il territorio in esame, mentre le due falde più
meridionali e così anche le ulteriori pieghe ordinarie, sì presentano
rispettivamente come nuove successive apparizioni orientali, nel senso
che si iniziano via via sempre più ad est, cosicchè le ultime pieghe
vengono a presentarsi esclusivamente in territorio bresciano.
Un terzo fatto risultante dall’esame del nostro corrugamento è
che la direzione assiale delle pieghe, mentre nella parte occidentale
del territorio bergamasco è in senso circa ESE, e per le pieghe me-
ridionali è tale in tutto il territorio bergamasco stesso, ad oriente
detta direzione diventa prevalentemente ENE; ne viene che qui
le più settentrionali pieghe vengono a svolgersi su maggior spazio,
e quindi a divaricarsi anzichè ad accavallarsi. Ma d’altra parte, se
nel Bergamasco abbiamo accavallamenti della prima, della seconda e
della terza falda rispettivamente sulla seconda, sulla terza e sulla
quarta, nel Bresciano abbiamo invece accavallamenti della terza sulla
quarta, della quarta sulla quinta e della quinta sul substrato definitivo.
Questi fatti, insieme a quello di cui alla precedente constatazione, di-
mostrano che nella parte NE del territorio considerato la forza cor-
rugante dovette incontrare una resistenza maggiore, dovuta senza
dubbio a massiccio tonalitico.
Un'ultima importante conclusione a cui dobbiamo venire è che
da O ad E le falde e le pieghe in genere vanno passando a forma-
zioni sempre più antiche; ciò significa che ad oriente le sovrapposte
16 G. B. CACCIAMALI [4]
formazioni meno antiche dovettero trovarsi molto in alto e furono -
abrase; e ciò a sua volta significa che falde e pieghe si costituirono
in profondità. È interessante a questo proposito l'osservazione fatta
dal Rassmuss (1912) in V. Adrara, dove seguendo in planimetria
l'andamento per esempio dei calcari lastriformi liassici ne risulta una
striscia a coulisse, ossia a sporgenze (vòlte) verso ovest e rientranze
(conche) verso est, le sporgenze corrispondendo rispettivamente alla
terza, alla quarta, ed alla quinta falda; a sera della striscia succe-
dono formazioni più recenti ed a mattina formazioni più antiche di
detti calcari lastriformi. L’elevazione verso oriente delle formazioni
è stata senza dubbio causata dalla intrusione della etmolite tonalitica.
II. — Corrugamento benacense.
Tra la Lombardia ed il Veneto abbiamo una plaga presentante
caratteri tectonici propri e ben distinti tanto da quelli dell’Orobia
come da quelli della Carnia; tale interposta plaga, che geologica-
mente non è più Lombardia e non è ancora Veneto, sì può chia-
mare « regione giudicarico-baldense » od anche « regione benacense »,
quest’ultima espressione essendo giustificata dal fatto che l’alta V. del-
l’Adige doveva (prima che il Benaco fosse) aver la propria prose-
cuzione secondo la linea Riva-Desenzano. La separazione della terra
orobica dalla terra benacense è segnata dalla nota grande linea Me-
rano-Dimaro-Idro, o linea delle Giudicarie, sia essa frattura o sia
flessura (la verticalità degli strati da Tione a Montesuello la indi-
cherebbe flessura); la terra benacense è geologicamente molto de-
pressa in confronto della terra orobica, e certo lo sprofondamento
suo fu in necessaria connessione genetica coll’emersione tonalitica.
Nel caso particolare del Garda, sulla sponda veronese la catena del
Baldo rappresenta il massiccio che abbassandosi determinò la pres-
sione tangenziale profonda in senso ONO e la gran falda carreg-
giata della sponda bresciana rappresenta l’effetto della controspinta
in senso ESE determinatasi in alto per il riflettersi contro la terra
orobica della suddetta pressione. Questa gran falda si può seguire non
solo da Limone fin sopra Salò, ma anche oltre fino nelle vicinanze di
Brescia; anzi da qui prenderemo le mosse per brevemente descriverla.
[4] SCHEMA DELLE PREALPI LOMBARDE 17
Ad oriente di Brescia, sull’orlo della prealpe, abbiamo innanzi
tutto un arco tectonico costituito dall’anticlinale sinemuriana M. Cam-
prelle-M. Budellone, inclinata a SE, ossia verso la concavità del-
l’arco; retrostante è la sinclinale liassico-giurese Molvina-Flina-
S. Carlo; segue poi la linea di discordanza Botticino Mattina-Serle-
‘ Gavardo, che corrisponde ad un primo accavallamento di Corna si-
nemuriana; più addentro abbiamo la sinclinale giurese-cretacea Bot-
ticino Sera-S. Gallo-Castel di Serle, rovesciata nel primo tratto ad
ESE e nel secondo a SSE; e su questa incombe in discordanza la
Corna di M. Maddalena, di M. Dragoncello e di M. S. Bartolomeo
di Serle; la linea della discordanza corrisponde dapprima (sotto la
Maddalena) ad una piega-frattura, ma poi a vero orlo di coltre car-
reggiata, che a Villa di Serle s'avanza fino a nascondere del tutto
la sottostante sinclinale. Più oltre a mattina, detta copertura è stata
largamente abrasa verso le radici (sotto Vallio), e nel substrato messo
a giorno appare la sinclinale dei Casini di S. Filippo, continuazione
di quella di Castel di Serle; la copertura è invece conservata ai
Tre Cornelli (sopra Gavardo). Più avanti ancora la coltre stessa è
stata per contro incisa soltanto verso il fronte, e ciò ad opera del
Chiese; cosicchè a Selvapiana ed a Madonna della Neve essa è lar-
gamente conservata, a Villanova si mostra su breve spazio il sub-
strato, e nell’isolato M. Covolo abbiamo il fronte completamente
staccato; è questa l’unica apparizione del fronte, e siccome il Covolo
è poco elevato sul piano, tale conservazione dinota abbassamento
assiale della falda.
Del tratto Tre Cornelli-Selvapiana mì occupai diffusamente in una
memoria del 1915, nella quale sono messi in evidenza anche questi
altri fatti: nel substrato, l’intenso arricciamento presso i Tormini e
la grande sinclinale cretacea Prandaglio-Mandale, continuazione di
quella dei Casini di S. Filippo, e che poi piega ad est per finire sulla
sinistra del Chiese sopra l’osteria della Corona; e nella copertura,
la bidigitazione sua tanto ai Tre Cornelli che a Selvapiana ed il
| grande arretramento del suo orlo in vicinanza di Vobarno. La di-
gitazione inferiore, che ha il fronte al. Covolo, prima di Vobarno
volge ad est e va diminuendo di importanza ; sulla sinistra del Chiese
l’abbiamo a Corna Busarola, al Tratto, al Lavino, ecc.; poi, per la
continua discesa assiale, scompare (forse continuava nell’attuale spazio
Boll. R. Com. Geol., v. XLVIII, 1920-21. — 2
18 G. B. CACCIAMALI iI]
occupato dalle acque del lago). Vi si sostituisce la digitazione su-
periore, la quale, poco avanzante ai Tre Cornelli ed a Selvapiana,
doveva esserlo di più in corrispondenza del Chiese (che l’ha com-
pletamente sventrata, come si può vedere tanto a sera che a mattina
di Vobarno) ed in corrispondenza di V. di Suro (con radici al Mar-
mera ed allo Spino e con direzione OE); al Mulino di Coglio, poi
presso Corna Busarola, ed ancora verso la vetta del S. Bartolomeo
di Salò (lato che guarda Gazzane) si nota la presenza di enormi
blocchi angolosi di Corna, i quali non possono essere che residui
appunto di falda abrasa. Detta digitazione superiore infine costituisce
la falda benacense p. d., la quale si manifesta sopratutto nei massicci
del Pizzoccolo (Toscolano), del Denervo (Gargnano), del Travàl (Ti-
gnale) e di Nevese (Tremosine), i primi due con nocciolo di Corna
e fronte conservata, gli ultimi due con nocciolo di dolomia princi-
pale e fronte abrasa; il primo con direzione ENE ed in proseguente
discesa assiale, gli altri tre con direzione NE ed in ininterrotta sa-
lita assiale.
Su questa regione benacense abbiamo belle pubblicazioni del Coz-
zaglio, il quale però, mentre vide fin dal suo primo lavoro (1891) il
sovrascorrimento a Tremosine e Tignale, nel suo ultimo lavoro (1915)
ancora non riconobbe il sovrascorrimento a Gargnano e Toscolano.
Dal Marmera e dallo Spino dunque l’orlo della falda scende fino.
al piede meridionale del Pizzoccolo ed al Castello di Gaino, nelle
cui cascate stratigrafiche abbiamo il fronte perfettamente conservato.
La falda è poi del tutto abrasa sull’altopiano di Navazzo, dove a
tutta distesa abbiamo il substrato di scaglie rosse; ma riprende al
Pler, al Caminala, al Denervo ed al Comero, la blanda anticlinale
del Denervo essendone il fianco normale o guscio, e la acuta anti-
clinale coricata del Comero essendone la cerniera frontale. La sepa-
razione del massiccio Pizzoccolo dal massiccio Denervo fu forse de-
terminata dal fatto che qui si aveva la massima depressione della
falda, e quindi potè costituirsi il fimme Toscolano, con percorso Na-
vazzo-Bogliaco, l’attuale percorso Camerate-Toscolano (bellissimo
esempio di valle epigenetica), essendo stato determinato da sbarra-
mento morenico a Navazzo. Mentre al Pizzoccolo abbiamo continuità
tra radici e fronte, l'erosione ha staccato il Denervo dalle proprie
radici, aprendo a tergo di questo una specie di corridoio (in scaglia
[4] SCHEMA DELLE PREALPI LOMBARDE 19
rossa) che mette in comunicazione il substrato di Navazzo con quello
di Tignale. Abbiamo poi, come s’è detto, lo sperone dolomitico del
Travàl, indi tra la V. S. Michele e la V. di Brasa l’altro sperone
dolomitico Nai-Nevese; la dolomia raggiunge infine la sponda del
lago a Limone, cosicchè anche l’asse di questa falda è ad angolo
coll’asse del lago.
Cerchiamo ora di vedere come si raccordino tra loro i due cor-
rugamenti benacense ed orobico. L’esame particolareggiato dell’an-
damento planimetrico delle rispettive linee tectoniche rivela che il
contrasto fra i due sistemi non è in realtà così forte come appare
a prima vista; sì può infatti constatare da un lato che gli assi delle
pieghe orobiche, in vicinanza della linea limite comune ad esse ed
alle pieghe benacensi, vanno grado grado diminuendo la grandezza
dell'angolo che esse fanno con detta linea, fino a portarsi sulla stessa;
e dall’altro lato che gli assi delle pieghe benacensi, partendo suc-
cessivamente dalla detta linea, vanno accentuando la propria devia-
zione verso est mano mano che da quella si allontanano. Abbiamo
insomma due sistemi di virgazione tra loro opposti, ma coordinati;
se percorriamo la linea Merano-Dimaro-Idro (che fin dal 1911 affer-
mai dovesse continuare fino a Brescia), sia partendo da sud come
da nord, vedremo sempre staccarsi da essa e svolgersi alla nostra
destra un sistema di virgazione, vedremo cioè successivamente com-
| parire a destra rami tra loro poi divergenti come le spighe d’un
covone, per usare una espressione dell’Argand; se partiamo da sud
sl tratta della virgazione benacense, se partiamo da nord si tratta
di quella orobica.
Rami della virgazione benacense sono innanzi tutto: l’anticlinale
Camprelle-Budellone, la falda secondaria M. Paina-Castel Cucco
(sopra la linea Botticino-Serle), la digitazione inferiore della gran
falda e la digitazione superiore della stessa; ma la virgazione non
finisce qui, ed infatti in uno studio del Bonomini (1915) sono ri-
cordati lembi di Esino sovrapposti a dolomia principale nella plaga
di M. Besume ad oriente di Provaglio, lembi che secondo me sono
da attribuirsi ad una falda carreggiata superiore alla gran falda be-
nacense e ad asse che si doveva staccare dalla linea Brescia-Idro. Altri
rami infine si presentano nella regione giudicarica, come lo dimostra
l'andamento delle formazioni messo in chiara luce dal notissimo la-
20 G. B. CACCIAMALI —— [4]
voro del Bittner (1881); basti ricordare per esempio l’anticlinale
Storo-V. Ampola e la sinclinale Condino-M. Cadria, staccantesi dalla
linea Idro-Dimaro e tendenti a deviare ad est. Rami della virga-
zione orobica — a parte l'importante linea che da Dimaro si stacca
pel valico del Tonale ed oltre, ed a parte la impossibilità di vedere
attraverso la tonalite l'origine del ramo che corrisponde alla nostra
prima falda orobica — sono: la seconda, la terza, la quarta e la
quinta falda (rispettivamente sulle linee Maniva-alta V. Trompia ed
oltre, Dosso Alto-Ario ed oltre, Presegno-Albio ed oltre e Levrange-
Lodrino ed oltre); e poi le anticlinali M. Colmo ed oltre, Odolo-
Agnosine ed oltre, Vallio-S. Eusebio-M. Rozzolo ed oltre, ed infine
l’anticlinale Margherita.
I due sistemi di virgazione sono paragonabili a due sistemi di
onde a raggio incidente obliquamente la spiaggia, di onde cioè alla.
deriva, solo che. al posto della spiaggia dobbiamo mettere la linea
giudicarica Merano-Dimaro-Idro-Brescia; secondo questa, la terra
orobica ostacolava obliquamente il procedere delle onde benacensi,
ed a sua volta la terra benacense ostacolava obliquamente il proce-
dere delle onde orobiche. È però da notarsi che, in entrambi i si-
stemi trattandosi di pieghe superiori di ritorno, per quelle orobiche
il fenomeno della deriva è diretto, mentre per quelle benacensi è
indiretto, l’ostacolo qui offrendosi non già alle pieghe di ritorno,
bensì alla pressione profonda di cui le stesse sono una riflessione
in alto. Due sistemi di onde che s’incontrano generano interferenze;
ed un bellissimo esempio di interferenza in concordanza di fase è
offerto dall’incontro dell’anticlinale orobica di M. Rozzolo (generante
sopra Nave un rovesciamento già da me reso noto fino dal 1901)
coll’anticlinale benacense di M. Maddalena (generante piega-frattura);
detto incontro dà origine all’unica anticlinale S. Eusebio-Vallio ece.,
che, essendo la somma delle due, genera la gran falda Dragoncello-
S. Bartolomeo di Serle-Tre Cornelli, ecc.
Una conclusione della più alta importanza risulta da questi fatti,
ed è che i due corrugamenti orobico e benacense furono contem-
poranel.
Quanto alla prosecuzione della dislocazione giudicarica a sud di
Idro, ritengo segua il tracciato Barghe-Caino-Brescia; sui colli ad
est di Brescia percorrerebbe una linea pressochè parallela alla Mad-
[4] SCHEMA DELLE PREALPI LOMBARDE 21
dalena e toccante la Margherita, S. Gottardo e Rebuffone, lungo la
quale fin dal 1899 segnai appunto segmenti di fratture. È certo che
qui — dato il continuo innalzamento assiale della falda benacense
da Navazzo a Brescia — il dislivello tra terra benacense e terra
orobica. è quasi annullato.
III. — Limite settentrionale dei rovesciamenti a sud.
Tanto la terra orobica quanto la benacense spettano alle Dina-
ridi; salvo particolari rispettive modalità di corrugamento, son co-
muni ad entrambe i rovesciamenti, diciamo così, a sud; non è però
detto che il limite settentrionale dei detti rovesciamenti debba ne-
cessariamente coincidere col limite alpino-dinarico; anzi i fatti che
verremo ora esponendo, e che si riferiscono alla zona posta a nord
delle descritte falde orobiche di carreggiamento, dimostreranno che
i due limiti sono tra loro indipendenti.
Prendiamo le mosse da quegli schisti cristallini che sì Sinne
e in larga fascia a sud della così detta linea del Tonale, e in lembi
più o meno estesi frammezzo alle normali formazioni paleo-meso-
zoiche della terra orobica; sono chiamati schisti dei laghi, od anche
di Morbegno, e dal Salomon « schisti di Edolo » (vi includeremo
anche i suoi «schisti di Rendena »). A nord la su nominata fascia
è in contatto degli schisti detti dal Salomon « del Tonale » e tale con-
tatto è dapprima parallelo al corso dell’Adda e poco distante dalla
sponda destra, e poi da Tresenda sale a.nord del passo dell’Aprica,
tocca Monno ed il passo del Tonale, da qui scendendo a Dimaro. A sud
la fascia stessa si distende fino a Bellano sul Lario, fino all’incirca al
crinale della catena orobica, ed in V. Camonica fino quasi a Malonno ed
a Rino di Sonico e fino alla V. Gallinera, venendo sempre a contatto
o del carbonifero (conglomerato aporfirico) o del permiano (porfido,
conglomerati, arenarie e schisti) o di formazioni triassiche; ma tale
contatto discordante è evidentemente primitivo, ossia dovuto a tran-
sgressione, e non corrisponde affatto ad alcuna linea tectonica, mentre
corrisponde invece ad una limea tectonica importante il contatto tra
gli schisti di Edolo e quelli del Tonale; per tale ragione non solo
sì capisce come l’erosione abbia fatto apparire lembi di schisti. di
22 G. B. CACCIAMALI |4]
Edolo anche tra le formazioni permo-triassiche del territorio che
sta a mezzodì della suddetta fascia, ma si comprende altresì come
sia possibile trovare nella fascia stessa lembi di permo-carbonifero
risparmiati dall’erosione. o
Detti schisti cristallini costituiscono dunque l’infrastruttura delle
Dinaridi, mentre gli schisti del Tonale appartengono alle Alpi; la
linea del Tonale è perciò il limite .alpino-dinarico. Quanto all’età,
mentre gli schisti del Tonale (cristallino alpino) sarebbero paleozoico.
e mesozoico metamorfosati, gli schisti di Edolo (cristallino dinarico)
sono stati attribuiti all’arcaico ed al cambriano. Nella serie stratigrafica
delle Dinaridi mancherebbero dunque tutte le formazioni fra il cam-
briano ed il carbonifero, onde è il caso di domandarci se l’infrastruttura
delle Dinaridi anzichè al corrugamento erciniano non risalga per av-
ventura al corrugamento caledoniano; ma ciò del resto non ha im-
portanza pel nostro problema tectonico, che riguarda solo il corru-
gamento terziario.
Analizzando la tectonica del nostro cristallino dinarico teniamo
conto dunque soltanto di quelle pieghe che in esso si sono prodotte
quando insieme alle sovrastanti formazioni partecipò al corrugamento
terziario. La più meridionale comparsa di detto cristallino è quella
dell’alta V. Trompia, che, come sappiamo, fa parte di una ellissoide
anticlinale rovesciata a sud e costituente il nocciolo della nostra se-
conda falda. A nord poi della prima delle nostre falde ecco tre altre
ellissoidi anticlinali rovesciate a sud, costituite essenzialmente da
permiano e mostranti qua e là per erosione il nocciolo dell’infra-
struttura cristallina ; tra loro parallele ed aventi direzione ENE queste
ellissoidi si succedono in modo che la meridionale interessa la V. di
Scalve e la V. Camonica (asse Vilminore-Loveno Grumello-Cede-
golo-Pian della Regina), la media interessa la V. Brembana e l’alta
V. Seriana (asse Fondra-laghi Gemelli-Fiumenero-M. Tornello), e la
settentrionale interessa la V. Sàssina e l’alta V. Brembana (asse In-
trobbio-Ornica-Mezzoldo). Come già abbiamo notato per altre pieghe,
anche qui facciamo rilevare che, segnando in planimetria l’andamento
di una data formazione opportunamente scelta, ne risulta una striscia
a coulisse; nel caso attuale è il Trias inferiore o Werfeniano (Ser-
vino) che si presta all’uopo, per quanto detta formazione a causa di
scorrimenti spesso resti nascosta. Queste ellissoidi sono pieghe-frat-
PT ee
ati ctr dt suoli Ciliceneie
Li 9 À a n
|4] SCHEMA DELLE PREALPI LOMBARDE 23
ture, come lo mostra il loro orlo meridionale, dove quasi sempre
appunto abbiamo la scomparsa del Servino: ecco per la prima ellis-
soide la frattura (meno pronunciata) di Schilpario, per la seconda
la frattura Lizzola-V. Canale-Valsecca, e per la terza la frattura (più
pronunciata) Foppolo-Averara-Valtorta. Le tre ellissoidi pertanto si
| mostrano come noccioli di falde carreggiate, falde superiori alle cinque
a
descritte e su queste accavallate, ma ora abrase.
Esaminiamo ora l’orlo settentrionale di dette ellissoidi, i cuì assi
. (a parte quello della prima che urta contro la tonalite) incontrano
ad angolo acuto il limite meridionale della nota fascia degli schisti
di Edolo. È da notarsi innanzi tutto come detti schisti da Pizzo dei
Tre Signori a M. Verobbio non raggiungano il crinale orobico, dal
Verobbio a M. Cadelle, a Corno Stella ed a Pizzo Zerna invece lo
oltrepassino portandosi alquanto sul versante bergamasco, dallo Zerna
a Pizzo del Diavolo, a Pizzo Redorta, a Pizzo di Coca ed a Pizzo
del Diavolo restino di nuovo indietro sul versante valtellinese; dal
secondo Pizzo del Diavolo al Gleno tornino sul versante sud occu-
pando la conca del Barbellino, ossia la testa della V. Seriana, ed
infine dal Gleno al Venerocolo restino ancora sul versante nord. Ora
i rapporti tra la fascia degli schisti cristallini di Edolo (infrastrut-
tura delle Dinaridi) e le meridionali formazioni (dinarico normale)
sono i seguenti: da Bellano ai Tre Signori, al Verobbio ed allo Zerna
le formazioni normali si cacciano sotto agli schisti cristallini, dallo
Zerna al secondo Pizzo del Diavolo, al Gleno ed al Venerocolo in-
vece questi passano sotto quelle, e dal Venerocolo a V. Gallinera
torna l'immersione delle formazioni normali sotto gli schisti. Quando
è il dinarico cristallino che accavalla il dinarico normale, questo al
contatto offre o Servimo o Permico; e quando invece il cristallino
e accavallato dal normale, questo al contatto offre per lo più il con-
glomerato aporfirico carbonifero, i cui strati sono spesso rialzati e
rovesciati in piccola sinclinale; la diversità di comportamento non
è forse che apparente, perocchè molto probabilmente lungo tutto il
contatto il dinarico normale tanto si immerge sotto, quanto si pone
sopra il dinarico cristallino, solo che mentre lo smantellamento avrebbe
«asportato quasi dappertutto il dinarico sovrapposto, questo sarebbe
stato risparmiato nel tratto Zerna-Venerocolo, tratto nel quale ap-
punto abbiamo la maggior elevazione della catena orobica; lungo
DA G. B. CACCIAMALI [4]
tutto il contatto insomma il dinarico cristallino accavallerebbe (visi-
bilmente od in profondità) il dinarico normale; si confermerebbe che
la struttura embricata od a falde sovrascorse da nord a sud, già
constatata più a mezzodì, prosegue ulteriormente a settentrione.
Ma non basta: il Porro nel suo studio sulle Alpi bergamasche
(1903) indica nell’ambito degli schisti di Edolo altre linee di discor-
danza (quelle sole s’intende che si rendono evidenti per la presenza
sugli schisti stessi di lembi di formazioni normali), e cioè una sopra
Indovero (Valsassina), altra a M. Cadelle, ed altra ancora al passo
di Pila (a nord del Gleno); e nel suo studio sulle Alpi bergamasche
e bresciane (1911) altre due simili linee indica più ad oriente, e cioè
sullo sperone SE del Palone di Torsolazzo. Tali linee, rivelate dal-
l’incastro negli schisti di striscie di carbonifero o di permiano sempre
diretti ad ENE e rovesciati a SSE, corrispondono evidentemente
ad altrettante pieghe-fratture (sinclinali pizzicate negli schisti), e
queste a loro volta ammettono l'originaria esistenza di altre falde
ancor più elevate delle precedenti.
Siamo qui dunque in paese di radici; si tratta ora di vedere fin
dove si estenda a nord il campo delle radici di pieghe rovesciate a
SSE, e dove cominci per conseguenza il campo delle radici di pieghe
rovesciate a nord. Un fatto d’una certa importanza è da porre in
rilievo, e cioè che più in giù sul versante sinistro dell'Adda gli
schisti di Edolo, pur raddrizzati ed arricciati variamente, hanno co-
stante direzione OE, al pari dei contigui schisti del Tonale del ver-
sante destro; ne viene di conseguenza che tra le due linee, quella
cioè del crinale orobico (limite del sedimentario normale riposante
in discordanza sul cristallino di base) e quella dell’Adda o del To-
nale (limite alpino-dinarico), deve trovarsi una terza linea, la quale
sarebbe il limite cercato, il limite cioè tra la direttiva O0SO-ENE
e quella OE, e tra le radici del dinarico a pieghe rovesciate verso
SSE e quelle del dinarico a pieghe rovesciate verso nord. Le re-
centi osservazioni di Lugeon ed Henny (1915), da quest’ultimo esposte
poi in modo meno sommario nel 1916 e nel 1918, portano appunto
al rilevamento di una simile linea intermedia; senonchè per questi
autori detta linea costituirebbe invece il limite alpino-dinarico (e sa-
rebbero quindi rispettivamente alpini e dinarici gli schisti di Edolo.
postivi a nord e a sud).
[4] SCHEMA DELLE PREALPI LOMBARDE 25
In un mio lavoro del 1917 già esposi le ragioni per le quali sem-
brami inaccettabile come limite alpino-dinarico la linea in parola,
la quale si svolgerebbe invece interamente in paese dinarico; oggi
aggiungo che per me la stessa segna il limite tra rovesciamenti a
sud e rovesciamenti a nord del dinarico, e la chiamo perciò linea
del ventaglio dinarico. Questa linea, di vera frattura, nel suo tratto
orientale viene casualmente a confondersi con quella che segna la
transgressione del dinarico normale sulla propria infrastruttura cri-
stallina; ciò succede precisamente, stando alle indicazioni del Salo-
‘mon, tanto lungo la V. Gallinera quanto più avanti ad est nella
massa tonalitica fin tra l’Avio ed il Baitone. Ancor più avanti poi,
il Salomon stesso ha indicata una zona di tonalite compressa che
dal passo di Brizio si spinge fino alla capanna Mandrone, ed anche
oltre la Presanella, ma non accenna affatto ad una associazione di
questa zona colla linea di Gallinera; tuttavia tale zona, per la pro-
pria ubicazione, chiaramente si rivelerebbe come la prosecuzione
orientale della linea di Gallinera. Il fatto della coincidenza in V. Gal-
linera tra la frattura del ventaglio dinarico ed il limite attuale della
transgressione sugli schisti cambriani ha tratto taluno in errore ; prima
infatti che Lugeon ed Henny rivelassero la vera prosecuzione occi-
dentale della frattura di Gallinera, veniva ammessa una corrispon-
denza anche tectonica tra la linea di Gallinera e la linea orobica.
Ma tornando all’ipotesi di Lugeon ed Henny sul limite alpino-
dinarico, notiamo ancora un fatto, e cioè. che non soltanto fra gli
schisti posti a sud di detta linea di ventaglio si trovano lembi di se-
dimentario dinarico (tutti quelli segnati dal Porro ed anche quello
carbonifero segnato dall’Henny a metà corso circa della V. di Bel-
viso); uno (segnato dal Salomon) se ne trova anche fra gli schisti
posti a nord, ed è quello permiano del fianco occidentale dell’Aviolo
(tra gli schisti di Edolo e la tonalite); difficilmente si spiega la pre-
senza qui di questo lembo dinarico se sì ammettono alpini i locali
schisti di Edolo. A sostegno invece della mia ipotesi del ventaglio
dinarico dobbiamo aggiungere che anche nelle Alpi orientali altro è
il limite alpino-dinarico ‘ed altro il limite tra rovesciamenti a nord
ed a sud; sappiamo infatti come il primo limite (dopo Dimaro spo-
stato assai verso nord fino a Merano), ripresa a Merano direzione est,
passi sul versante meridionale delle Alpi Carniche (alpine), mentre
26 G. B. CACCIAMALI 4]
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LA
il secondo limite si trovi alquanto più a sud, e quindi in pieno paese |
dinarico, cosicchè le prealpi venete al pari delle lombarde restano
divise in due zone, di cui la settentrionale presenta le radici di falde
dinariche rovesciate a nord (falda di Dachstein nel caso delle prealpi
venete), e la meridionale presenta i soliti rovesciament a sud.
Non lascierò l’argomento senza ricordare l’esame critico che il
Repossi ha fatto delle varie soluzioni state prospettate circa il pas-
saggio del limite alpino-dinarico nella bassa V. della Mera o nell’alto
Lario. Ivi abbiamo: 1° una zona prevalentemente gneissica da Chia-
venna al lago della Mezzola, la quale a mezzo dei gneiss meridio-
nali valtellinesi si lega agli schisti del Tonale; 2° una stretta zona
dioritica allo sbocco della Mera (M. Bassetta); 3° una zona preva-
lentemente micaschistosa che va da Dubino a Morbegno ed a Bel-
lano, e che corrisponde agli schisti di Edolo. Ora, secondo Suess,
Salomon, Schmidt, Termier, ecc. il limite alpino-dinarico passerebbe
tra la 1* e la 2° zona; ma siccome la diorite del Bassetta non è as-
similabile a quella di Ivrea, ed è invece una facies anfibolica del
granitico ghiandone di V. Màsino, ne viene che molto maggior im-
portanza va data alla linea di separazione tra la 2° e la 3° zona, e
che il limite cercato va posto a sud e non a nord della zona del
Bassetta (Novarese); ma ancora, il Repossi avendo constatata identità
petrografica tra i gneiss della prima zona ed i gneiss-Strona, e quindi
corrispondenza tra detta 1% zona e la zona d’Ivrea, ammette alpina
anche questa, e cerca il limite alpino-dinarico molto più a sud, cioè
sulia linea Bellano-crinale orobico separante i micaschisti dalla serie
permo-secondaria; quest’ultima soluzione è però dal Repossi stesso
accolta in modo dubitativo, la suddetta linea .non essendo sempre
accompagnata da quelle notevoli dislocazioni che la accompagnano
sulla sinistra del Lario ed in Valsàssina. Una quarta soluzione, avan-
zata da Lugeon ed Henny e dichiarata inaccettabile dal Repossi, fa
passare il limite alpino-dinarico entro la zona stessa dei micaschisti,
e cioè fra Domaso-Gravedona a nord e Dongo-Musso a sud per la
sponda destra del Lario, e tra Dubino a nord ed Olgiasca a sud per
la sponda sinistra. Per mio conto accolgo la soluzione classica ret-
tificata dal Novarese e respingo quella del crinale orobico; quanto
alla linea intermedia di Lugeon ed Henny ritengo possa essere la
prosecuzione occidentale della mia linea del ventaglio dinarico,
#
[4] SCHEMA DELLE PREALPI LOMBARDE 27
IV. — Riassunto e conclusioni generali.
L’Argand in sua pubblicazione del 1916, con acuta visione e ge-
nialità profonda, ci ha dato un saggio di ricostituzione embriotecto-
nica delle Alpi occidentali, seguendo queste nei varî stadî di sviluppo,
da quelli embrionali (dal Trias all’Oligocene inferiore) a quelli del
parossismo (Oligocene medio) ed a quelli tardivi, dei tempi poste-
riori e che si continuano anche ai nostri giorni. Riassumendo quanto
abbiamo detto sulla Lombardia orientale, ed applicando a questa
gran parte dei concetti dell’Argand, possiamo venire alle seguenti
conclusioni generali riguardanti le fasi orogenetiche per le quali passò
la nostra regione, fasi che possiamo sostanzialmente distribuire in
due periodi, quello cioè nel quale si sono determinati gli avanza-
menti ed accavallamenti da sud a nord, e quello nel quale sì sono
determinate le pieghe di ritorno da nord a sud.
Nel primo periodo (Oligocene medio) la massa cristallina costi-
tuente l’infrastruttura delle Dinaridi (nel profondo sottosuolo in con-
tinuità coi massicci erciniani alpini, risultandone quindi uno zoccolo
cristallino comune a tutta la serie normale delle successive forma-
zioni) s'avanza verso nord, insieme alle sovrapposte formazioni di-
nariche, contro detti massicci erciniani alpini; le interposte forma-
zioni, così premute tra le due branche d’una morsa, subiscono in-
tenso corrugamento, e le pieghe così generate si rovesciano a nord
accavallandosi e scorrendo l’una sull’altra (falde carreggiate alpine);
le Dinaridi stesse, colla propria infrastruttura, accavallano le falde
alpine sotto forma di altre falde, alle quali l’infrastruttura stessa for-
nisce i noccioli. Data una tale disposizione, non è possibile parlare
qui d’un limite alpino-dinarico, il quale non apparirà che molto più
tardi, quando cioè l’erosione, asportando l’ammanto dinarico coprente
le falde alpine, avrà messe a giorno le così dette radici.
Fra questo primo ed il secondo periodo, in una fase intermedia,
che potrebbe datare dall’Oligocene superiore, si devono essere ini-
ziati moti epirogenici negativi, ed in particolare deve essersi iniziato
l'abbassamento della regione benacense, con conseguente abbozzo della
linea giudicarica (limite alpino-dinarico da Merano a Dimaro, ed in
piene Dinaridi da Dimaro ad Idro e Brescia); contemporaneo a
28 G. B. CACCIAMALI [4]
questo fatto deve esser stato quello dell’intrusione tonalitica, con
conseguente innalzamento delle falde in corrispondenza della intu-
mescenza prodotta dalla massa tonalitica stessa.
Nel secondo periodo (che potrebbe corrispondere ai tempi mio-
cenici), per il fatto dell’affondarsi della regione padana si determina
in profondità una nuova spinta da sud a nord, la quale a sua volta
determina e il raddrizzamento delle radici delle falde e il sollevamento
a cupola della catena alpina, e infine rovesciamenti in senso inverso
O pieghe di ritorno (più superficiali rispetto alla detta spinta pro-
fonda, ma sempre a relativa profondità e cioè sotto il peso di masse
sovraincombenti meno disturbate). Tali pieghe di ritorno (steno falde
carreggiate o pieghe-fratture o semplici pieghe rovesciate), che danno
alla terra orobica una così caratteristica struttura embriciata, sono
onde riflesse dalla superficie più o meno verticale d’una frattura in
senso OE determinatasi nella terra orobica stessa (piano assiale del
ventaglio dinarico); tanto la direzione della spinta profonda quanto
per conseguenza quella della meno profonda spinta riflessa non ri-
sultando in planimetria esattamente normali alla detta frattura, ne
segue che gli assi longitudinali delle pieghe formano angolo acuto
(aperto ad ovest) colla linea di affioramento della frattura stessa,
colla linea cioè del ventaglio dinarico.
Siccome poi contemporaneamente all’abbassamento generale pa-
dano continuava quello particolare benacense (l’uno e l’altro facenti
parte del più generale abbassamento adriatico), così si aveva una
contemporanea pressione, proveniente circa da ESE e pure in pro-
fondità, la quale, contro la superficie più o meno verticale che corri-
sponde alla linea giudicarica, doveva del pari produrre, a profondità
minore, onde riflesse o pieghe di ritorno (falde carreggiate ed altre
rughe); ed anche qui spinta incidente e spinta riflessa non essendo
risultate, nemmeno in proiezione orizzontale, normali alla superficie
riflettente, gli assi longitudinali del corrugamento formano con questa
un angolo acuto (aperto a nord).
Sui rapporti tra il corrugamento e l'intrusione tonalitica dobbiamo
qui ricordare che lo Spitz — andando oltre le conclusioni cui pre-
cedentemente eran giunti il Salomon prima ed il Trener poi (1912)
— ha cercato dimostrare in un suo lavoro del 1915 che l’intrusione
tonalitica anzichè anteriore è stata posteriore al corrugamento; e
[4] SCHEMA DELLE PREALPI LOMBARDE 29
tale asserzione troviamo ribadita in un suo lavoro (postumo) del 1919;
in questo (contenente anche una critica ai profili dell’Argand) è pre-
cisamente affermato che nelle Alpi piemontesi-lombarde la fase di-
narica è più giovane dell’Oligocene, e la fase della Presolana e l’in-
trusione tonalitica sono più giovani del Miocene. A parte il ringio-
vanimento delle fasi fatto dallo Spitz, siamo d’accordo con lui nella
successione delle stesse, salvo che ammetteremmo la fase della Pre-
solana (nel senso di fase delle pieghe di ritorno dinariche) posteriore
all’intrusione.
Torniamo dunque a dette pieghe riflesse orobiche, e riassumiamo
altri fatti qua e là esposti nel presente lavoro. Innanzi tutto dette
pieghe orobiche, avendo assi trasversali diretti circa a SSE, anda-
vano ad urtare ad angolo acuto contro la su citata superficie di
separazione tra terra orobica e terra benacense, cosicchè si produsse
nelle pieghe stesse una deriva dei rispettivi assi longitudinali, ed
in qualche caso anche interferenza colle pieghe riflesse benacensi.
Ci è inoltre risultato che mano mano si procede da nord a sud le
pieghe vanno sempre più perdendo il carattere di falda carreggiata
per acquistare quello di pieghe-fratture o di semplici pieghe rove-
scie. Altri fatti ancora, e questi chiaramente dipendenti dalla pre-
senza della massa tonalitica, ci sono risultati, e cioè che mano mano
sì procede da ovest ad est gli accavallamenti passano da pieghe più
settentrionali a pieghe più meridionali, e nuove pieghe si vanno ag-
giungendo a sud.
Nel prospettare le fasi orogeniche delle prealpi lombarde non
dobbiamo nemmeno dimenticare il fatto della segmentazione trasver-
sale delle nostre falde, ossia del succedersi nel senso longitudinale
delle stesse di zone elevate e di zone abbassate ; tale fatto, del quale
abbiam notato l’importanza nella formazione delle valli trasversali,
è dovuto evidentemente a moti epirogenici positivi e negativi, i quali
con tutta probabilità sono avvenuti posteriormente alla costituzione
delle falde, e forse sulla fine del Miocene.
Ricordiamo infine le fratture in senso NNO, le quali talvolta
determinano un’altra segmentazione trasversale delle falde, dividendo
queste in zolle tra loro separate da rigetti; anche queste fratture,
delle quali più volte feci cenno in altri lavori, ebbero una certa im-
portanza nella costituzione delle valli trasversali; esse segnano cer-
30 G. B. CACCIAMALI i [4]
tamente una fase posteriore a tutte le precedenti, e datano forse
dal principio del Pliocene, da un tempo cioè nel quale — lo sman-
tellamento essendo già molto avanzato — le masse piegate, non più
sepolte, dovevano aver perduta ogni plasticità ed esser diventate
completamente rigide.
In tali masse rigide avvennero poi — e nel Pliocene e nel Qua-
ternario — come abbiamo più volte dimostrato io ed il Cozzaglio,
anche fratturazioni in senso longitudinale, portanti ad affondamenti
a scaglioni o gradinate nella regione perimetrale della prealpe; basti
ricordare il grande dislivello tra il Pliocene di S. Bartolomeo di Salò
e quello di Castenedolo: tali affondamenti pedemontani dovettero
certo determinare nuove fasi di intensa erosione e quindi di intenso
smantellamento nella prealpe, ridotta sulla fine del Miocene a pene-
piano, come è dimostrato dal fatto della considerevole altezza a cui
sì trovano certi residui di alluvioni messiniane (Corna Busarola e
M. S. Bartolomeo di Salò).
Forse il bradisismo orogenico alpino-dinarico continua anche ai
nostri giorni, e gli attuali terremoti ne sarebbero l’effetto tangibile.
31
SCHEMA DELLE PREALPI LOMBARDE
T Stiipna pina spiga Î TI È
ju cguo
dssdlonalitica
ZLelormazioni alpine a nord del.
IDEE] Aortiacgue orobico
lafasciaprincipale degli Schisti.
[I] Schisti cristallini dinarici
Limite alpino dinarico ( a de -
Leformazioni dinariche normali. a-a
(«a Sud della stessafascia) stra dell'Adda)
Limite settentrionale der rove - Limile fra il corrugamento orobi-
b_b screzzenti a sud. (nella fascia C-C coegwello benacense ( tra Di -
eristallizie) maro e Brescia.)
Orti delle falde di copertura
nelle formazioni dinariche
d
norma l1.
|4] SCHEMA DELLE PREALPI LOMBARDE 33
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Bollettino del R. Comitato Geologico d'Italia
1920-21 N. 5
. CAMILLO CREMA
LE FRANE DI GIRIFALCO (CATANZARO)
Girifalco è un popoloso borgo (5335 ab.) del Catanzarese situato
ad un’altezza media di 450 m. s. m. sul versante settentrionale di
quel complesso di alture, dette Le Serre, che delimitano a mezzodì
la depressione presentata dall’Appennino calabrese fra 1 golfi di
S. Eufemia e di Squillace in corrispondenza dell’insellatura di S. Elia
(250 m.). L’abitato sorge circa 13 km. a sud di questa sella, poche
centinaia di metri ad est dello spartiacque, distendendosi su di un
vasto altipiano a gradini dolcemente raccordato al Piano del Bello
a nord, alle falde del M. Covello ad ovest ed a sud, ma interrotto
. invece bruscamente ad est da scoscese pendici e da ciglioni a picco
dell’altezza di più di 20 m. Da questo lato inoltre esso si presenta
profondamente intagliato dalle acque, che colle loro incisioni hanno
dato origine a due speroni: il Colle dei Pioppi o Pietra dei Monaci
ed il Colle Misconì, che si protendono rispettivamente a sud ed a
nord del vallone Cefalella.
Il paese, che tradizioni locali diligentemente raccolte dal sig.
G. Riccio vogliono fondato da popolazioni fuggenti dinanzi alle in-
vasioni saracene, non occupò dapprima che la Pietra dei Monaci
appunto perchè, circondata quasi d’ogni intorno da scoscese pareti,
costituiva una posizione naturalmente forte, indi andò man mano
estendendosi verso ovest; in quanto al convento dei Riformati, oggi
adibito a manicomio e situato alla estremità meridionale dell’abitato,
esso risale al 1660.
Boll. R. Com. Geol., v. XLVII, 1920-21. 1
C. CREMA
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[5] LE FRANE DI GIRIFALCO (CATANZARO) 3
Le condizioni geologiche del territorio sono semplicissime ed
emergono immediatamente dalla cartina geologica e dalla sezione, qui
unite (fig. 1 e 2).
L’ossatura della regione è formata da quel complesso di scisti
cristallini (micascisti a mica bianca, gneiss sericitici verdognoli, quar-
ziti bianche e qualche altra roccia a mica nera) che col nome di
Zona dei micascisti e gneiss sericitici costituisce un membro ben distinto
della serie cristallina calabrese !. Presso il paese questi scisti (sc)
Corso Rione Vallone
Strada per Amaroni Teodosio S. Domenica Cefalella
Colle Misconi
Fig. 2. — Sezione AB.
hanno un andamento non molto costante, ma in massa, secondo
l’ing. Novarese, s'immergono sotto gli scisti kinzigitici del M. Covello.
In basso le pendici cristalline spariscono sotto un’estesa forma-
zione di argille azzurrognole, marnose o sabbiose (p,), concordemente
sottoposte a sabbie giallastre, grossolane (ps). L’ing. Cortese * riferi-
sce le prime al Pliocene medio, le seconde al Pliocene superiore, nel
quale egli comprende anche il Postpliocene; il prof. Gignoux ? in-
clude le une e le altre nel suo Calabriano. I pochi fossili raccolti
nel rilevare la cartina non mi permettono di meglio precisare l’età
di queste formazioni.
- Argille e sabbie si presentano regolarmente stratificate con una
lievissima pendenza ad est; nelle sabbie gialle si osserva inoltre in
molti punti il caratteristico andamento intersecato (entrecroisé) dei de-
! V. Novarese, Calcari cristallini e calcefiri dell’ Arcaico calabrese, Boll.
R. Com. Geol. d’It., Vol. XXIV, Roma, 1893, pag. 18.
? E. CORTESE, Descrizione geologica della Calabria, Roma, 1895, pag. 244.
3 M. GIGNOUX, Les formations marines pliocènes et quaternaires de l’Italie
du Sud et de-la Sicile, Ann. de l’Univ. de Lyon, N. S. I, fasc. 36, Lyon
Paris, 1913, pag. 39.
4 C. CREMA [5]
positi costieri. Nel pressi del paese il contatto fra le due formazioni
segue da vicino la curva di livello di 410 m. s. m. coincidendo gene-
ralmente con un cambiamento più o meno brusco nell’acclività della
pendice, poichè, mentre la base argillosa dà origine a dolci pendii,
le sabbie gialle costituiscono invece le erte pareti che delimitano
‘il terrazzo ad oriente. Queste sabbie sono infatti abbastanza ben
cementate, sì da potersi piuttosto considerare quali vere arenarie,
per quanto la loro consistenza presenti notevoli variazioni e non
manchi qualche strato quasi sabbioso.
Le arenarie, come è noto, possiedono tutte la facoltà di fratturarsi
spontaneamente in grande, per il determinarsi nella loro massa di
fessure ad andamento più o meno regolare, ma per lo più prossime
a piani perpendicolari alla stratificazione. Queste fenditure anche se
inizialmente assai esili non costituiscono però meno delle vie di più
facile accesso alle acque, cosicchè favorendo l’opera demolitrice degli
atmosferili tendono colla loro presenza a ridurre la porzione superfi-
ciale della massa rocciosa ad un insieme di grossi blocchi, più o meno
indipendenti fra di loro e dalla porzione più interna ancora intatta,
Nelle zone marginali tali blocchi si troveranno evidentemente
in condizioni di precaria stabilità, perchè privi di sostegno da un
lato, e cause anche di poco momento potranno provocarne il distacco
e la caduta. Lungo le scoscese pareti della Pietra dei Monaci e
del Colle Misconì esposte senza difesa agli agenti esterni, sì produ-
cono perciò di quando in quando distacchi e ribaltamenti di por
zioni anche imponenti di roccia sia perchè gli atmosferili ne hanno
eroso il piede, sia per il frantumarsi di questo sotto l'eccessivo peso
sovraincombente, sia infine per l’instabilità delle argille che lo so-
stengono. Ne consegue in ogni caso lo scoprimento di nuove por-
zioni di parete, dalle quali si distaccheranno successivamente altre
lame con un lento ma continuo arretramento del ciglione: il pro-
cesso franoso è particolarmente attivo lungo la ripa meridionale della
Pietra dei Monaci (fig. 3), la quale nell’ultimo ventennio si è arre-
trata di circa 3 m. mettendo in pericolo parecchi fabbricati.
Questo processo di fratturazione e demolizione trovasi accelerato
dall'intervento di due fattori di carattere locale: l’elevata sismicità
del territorio e la presenza nell’arenaria di gran numero di profonde
buche, nelle quali è facile riconoscere grandi caldaie dei giganti. Ho
‘(606T1) pns ep Iddorg. top el[og 1°p empoa — ‘e ‘SLI
6 C. CREMA | |5]
già parlato altrove! di queste singolari cavità mettendone l’origine
in relazione al fatto che la zona considerata ad un dato momento
dovette costituire la spiaggia meridionale del braccio di mare che
riuniva altre volte i golfi di S. Eufemia e di Squillace, e notando
come esse favorendo la penetrazione delle acque piovane e dimi-
nuendo la resistenza della ripa ne agevolassero la distruzione: pas-
serò quindi senz’altro al fattore sismico.
La grande radiale sismica, che provenendo dal Messinese percorre
longitudinalmente la Calabria fino a Bisignano, appena oltrepassata
Maida, presenta una diramazione che per Girifalco e Borgia sembra
spingersi lambendo la costa Jonica fino al Capo Rizzuto *°. Senza
riportare qui la serie dei sismi che si ebbero a lamentare lungo
questo allineamento, ricorderò soltanto che Girifalco si trovò com-
preso nella zona disastrosa dei terremoti del 1626, del 1638, del 1659,
del 1783 e del 1905 e che quello del 1908 malgrado la lontananza
dell’area epicentrale pure vi si manifestò sensibilmente, acuendo i
guasti del precedente terremoto non peranco riparati.
Ora indubbia, per quanto non comparabile a quella esercitata dai
fattori climatici, è l’importanza dei fenomeni sismici, quali agenti
provocatori di frane, perchè ingrandendo le fenditure già esistenti,
producendone delle nuove, ecc. favoriscono più o meno efficacemente
il processo di divisione e di disgregazione delle masse rocciose e
contribuendo a turbarne le condizioni d’equilibrio ne agevolano o
ne provocano i movimenti. Basterà qui del resto ricordare che per
effetto del terremoto del 1905 grandi pilastri di arenaria si separa-
rono dalla parete mèridionale della Pietra dei Monaci e che sul dorso
di questo sperone si aprirono ‘due lunghi crepacci, uno della lar-
ghezza di pochi centimetri attraverso via Teodosio ed il rione S. Do-
menica (I), l’altro, largo circa 20 cem. fra il rione Pioppi (II) e la
Timpa dei Monaci. Questi crepacci rimasero visibili per parecchi
anni e trovansi indicati nella cartina con linee a tratti: appena for-
mati presentavano gli orli a levante alquanto sopraelevati.
! (. CREMA, Antiche caldaie litoranee nell’istmo di Catanzaro, Boll. d. R.
Soc. Geogr. Ital., vol. LIV, Roma, 1917.
? M. BARATTA, / terremoti d’Italia, Torino, 1901, pag. 817. — / terremoti
delle Calabrie, Ann. d. R. Uff. Centr. di Meteor. e Geodin., ser. 2%, vol. XIX,
p. I, Roma, 1907, pag. 30.
[5] LE FRANE DI GIRIFALCO (CATANZARO) fi
Questi brevi cenni sulle frane che insidiano l’estremità orientale
dell’abitato di Girifalco mostrano senz'altro che secondo l’antica clas-
sificazione dello Heim! esse apparterrebbero al tipo per crollo di
roccia in posto (Felssturz), tipo rimasto pressochè immutato nella clas-
sificazione dell’Almagià ®, mentre in quella proposta dall’Issel® esse
troverebbero contemporaneamente posto nelle frane di disgregamento
6d in quelle di scalzamento. Deve però aggiungersi che sul versante
destro del vallone Cefalella e soprattutto in corrispondenza del rione
di S. Domenica, non mancano tratti abbastanza acclivi più 0 meno
abbondantemente ricoperti da ‘detriti, formatisi in posto o prove-
nienti dalla demolizione della vicina ripa; cosicchè quivi il suolo
presenta anche movimenti per la naturale tendenza delle masse in-
coerenti situate su falde in pendio a mettersi in moto ogniqualvolta
una causa qualsiasi (abbondanti infiltrazioni d’acqua, scosse sismi-
che, ecc.) venga a turbare le loro condizioni di equilibrio.
In quanto all’area colpita dal processo di lesionamento delle are-
narie è difficile stabilirne esattamente i limiti, ma oltre a com-
prendere tutta la zona ad oriente del crepaccio apertosi attraverso
alla via Teodosio ed al rione S. Domenica, essa deve di necessità
estendersi pure notevolmente ad occidente non potendosi ammet-
tere che una fenditura così importante abbia potuto formasi senza
che se ne producessero altre minori, anche se non avvertibili perchè
occultate da costruzioni o da detriti. Questo progressivo lesionamento
del terreno, benchè assai meno appariscente del continuo arretra.
mento dei ciglioni, costituisce però la parte più esiziale del feno-
meno franoso perchè il suolo, attraversato nella sua massa da una
-rete di fessure sempre più fitte e profonde e ridotto ad un gigan-
tesco mosaico i cul elementi sono più o meno suscettibili di spostarsi
gli uni rispetto agli altri, non è più in grado di offrire una base
convenientemente stabile agli edifici che sopporta. E, se in condizioni
normali non si verificheranno, come a Girifalco fino al 1907, che
lievi disquilibrii nei fabbricati, danni ben altrimenti gravi si avranno
! A. Hem, Ueber Bergstiirze, Zurich, 1882, pag. 15.
? R. ALMAGIÀ, Studii geografici sulle frane in Italia, vol. II, Mem. d. R. Soc.
Geogr. It., vol. XIV, Roma, 1910, pag. 308.0
3 A. IssEL, Origine e conseguenze delle frane, Natura, vol. I, Pavia, 1910,
pag. 14 (dell’art.).
8 C. CREMA [5]
N
a lamentare in occasione di importanti manifestazioni sismiche, il
suolo agendo allora come un vero sismomoltiplicatore*. La distribu-
zione dei danni arrecati a Girifalco dai terremoti del 1905 e 1908
è particolarmente istruttiva a tale riguardo e merita perciò di essere
brevemente esaminata.
La cartina indica l’esistenza presso Girifalco di tre diversi ter-
reni: scisti cristallini, argille ed arenarie; ma il primo e l’ultimo
soltanto interessano direttamente il paese perchè le seconde si ar-
restano ai piedi dell’altipiano. Gli scisti cristallini. si arrestano
anch'essi alle estremità ovest e sud dell’abitato, ma ricompaiono nel
rione Pitagora attraverso alle arenarie; queste poi costituiscono la
formazione dominante nell’altipiana sulla quale sorge pressochè tutto
il paese. Queste arenarie nel loro insieme possiedono una relativa
uniformità, tuttavia presentano qualche intercalazione argillosa, come
quella assai ampia che affiora fra l'Addolorata e l’ex-convento lam-
bendo anche in qualche punto l’abitato; possono perdere più o meno
della loro consistenza, come è lecito supporre si verifichi in una
parte almeno del rione Marsiglia (III) per la presenza nel vicino fosso
omonimo di cave di arena; infine, come si è visto, esse trovansi gra-
vemente lesionate in corrispondenza dei rioni orientali. Avuto ri-
guardo alla diversa resistenza del sottosuolo, nell’impianto urbano
di Girifalco si devono quindi essenzialmente distinguere tre parti:
a) il rione Pitagora, su scisti cristallini compatti, generalmente
non alterati;
b) i rioni orientali, su arenarie in generale abbastanza ben ce-
mentate ma più o meno gravemente lesionate e nel rione S. Dome-
nica costituenti inoltre una falda abbastanza acclive e qua e là ri
coperta da detriti incoerenti;
c) il resto dell’abitato, su arenarie lucio e generalmente
consistenti, salvochè nel rione Marsiglia, dove devono ritenersi poco
coerenti.
Giusta le perizie eseguite dal Genio Civile, delle 1426 case com-
prese nell’abitato di Girifalco 556 rimasero più o meno gravemente
danneggiate dal terremoto del 1905: la devastazione però sì esercitò
f
LV SABATINI, Contribuzione allo studio dei PRA Cale Boll. Com.
Geol. d’It., vol. XL, Roma, 1909, pag. 232.
[5] LE FRANE DI GIRIFALCO (CATANZARO) 9
in misura assal diversa da luogo a luogo, tanto che il rione Pita-
gora restò quasi immune formando una vera oasi in contronto ai
quartieri adiacenti, mentre i due rioni Pioppi e S. Domenica ven-
nero pressochè interamente distrutti. Nel resto del paese le rovine
furono assai meno gravi e si possono considerare come all’incirca
uniformemente distribuite, salvoehè nel rione Marsiglia dove risul-
tarono un po’ maggiori. Non sì ebbero a lamentare vittime umane,
ma solo una ventina di feriti, tutti nei due rioni orientali.
Il terremoto del 1908 acuì 1 guasti prodottisi nel 1905, senza
alterarne la distribuzione.
I sistemi costruttivi, per quanto generalmente non buoni, sono
pressapoco gli stessi in tutto l’abitato, rifatto pressochè per intero
dopo la catastrofe del 1783, sì può quindi senz’altro ritenere che,
come il rione Pitagora rimase immune perchè insistente su suolo
compatto ed inalterato, così i maggiori danni verificatisi nel rione
Marsiglia in confronto ai rioni adiacenti pure fondati sulle arenarie
siano in relazione alla minor consistenza quivi presentata. da questa
formazione e che la quasi completa distruzione dei due rioni orientali
sia dovuta alle frane che li insidiano 0, per essere più esatti, al le-
sionamento del suolo, che prepara ed accompagna il processo franoso,
coll’aggravante per il rione S. Domenica ed adiacenze dell’acclività
della falda e della presenza su.di essa di ammassi detritici.
I provvedimenti che potrebbero se non impedire almeno ostacolare
l’arretramento delle ripe sono troppi ovvi perchè sia il caso di ri-
cordarli; ma, come già si disse, il pericolo che incombe sui rioni
orientali di Girifalco proviene essenzialmente dallo stato di pertur-
bazione nel quale il sottosuolo trovasi ridotto e basta aver presente
la complessità del fenomeno e l’entità delle masse interessatevi per
comprendere senz’altro che non sarebbe possibile di porvi conve-
nientemente riparo. A ragione perciò il R. Decreto 15 luglio 1909,
n. 542, convertito in legge 21 luglio 1910, n. 579, vietò ogni rico-
struzione in questi due rioni; e ciò tanto più opportunamente in-
quantochè in contiguità del paese non mancano buone aree edilizie
sia. per condizioni topografiche sia per consistenza del terreno. Certo,
passati i giorni delle angustie e del terrore, divieti di tal genere
possono facilmente sembrare eccessivi e molti, dimentichi dei sof-
ferti affanni, a malincuore abbandoneranno l’infranto edificio della
DO
Boll. R. Com. Geol., v. XLVIII, 1920-21.
10 : C. CREMA NEGRI (5]
casa avita, per ricostruirsi altrove una nuova dimora. Ma dopo le
recenti e terribili lezioni della natura nessuno può più ignorare che .
nelle zone sismologicamente instabili solo seguendo i dettami della
scienza e dell’esperienza potranno tutelarsi la vita dell’uomo e Fin-
columità delle sue ricchezze; e sarà dovere e merito della parte più
eletta di quelle popolazioni l’adoperarsi col consiglio e coll’esempio
per impedire che l’infelice scelta delle zone edificatorie, le cattive
costruzioni, i restauri insensati minaccino nuove sciagure per l’av-
venire. i
21920221 N. 6
Yol. XLVIII
Inc. Dorr. MICHELE TARICCO
i SUL PALEOZOICO DEL FLUMINESE (SARDEGNA)
{con una sezione)
Avendo intrapreso nel 1920 il rilevamento geologico delle tavo-
lette di Capo Pecora e di Fluminimaggiore dei fogli 224 e 225
della Carta d’Italia, riassumo nella presente nota le osservazioni finora
fatte. l
Il cambriano dell’Iglesiente, importante per essere il solo cono-
sciuto finora con sicurezza in Italia e per racchiudere ricchi giaci-
menti di piombo e di zinco, è contornato, almeno nella sua parte
settentrionale, ora in rilevamento, da una fascia di siluriano già nota
pei fossili di Portixeddu e di Fluminimaggiore. Appartengono alla
fascia anche le località fossilifere note di Domusnovas sul contorno
a NE e di Gonnesa su quello ad est; tra le due località il cambriano
passa a sud nel Sulcis, ove lo segnalai nei comuni di Serbariu e di
Santadi, giungendo a Teulada,
Tra Gonnesa e Portixeddu, o meglio tra Nebida e S. Nicolao a
nord di Buggerru, la fascia è scomparsa in mare e la costa è costi-
tuita dal cambriano. |
Le due tavolette in corso di rilevamento comprendono la parte
settentrionale della fascia suddetta da M. Lisone (m. 1082) al mare;
al margine sud delle tavolette compare ancora il cambriano che oc-
« cupa poi la massima parte delle contigue tavolette di Buggerru e di
S. Benedetto; al cambriano fan seguito in generale le puddinghe e
gli scisti dell’ordoviciano, gli scisti ed i calcari del gothlandiano,
2 M. TARICCO — [6]
gli scisti e le quarziti verosimilmente del carbonifero ed infine i gra-
niti dell’Arborese e di Capo Pecora, con una estesa aureola di rocce
metamorfiche. Compaiono nella tavoletta di C. Pecora anche piccoli
isolotti triassici ed infine estese zone di quaternario, specialmente
sotto forma di sabbie marine insinuate entro terra anche per oltre
6 chilometri.
La regione in esame è assai accidentata, pur essendo per la mas-
sima parte compresa fra altezze modeste, dal mare a circa 600 m.,
elevandosi al di sopra di questa quota solo la parte sud-est che co-
stituisce i contrafforti di ponente del gruppo montuoso del Linas
(m. 1200) della tavoletta adiacente di Gonnosfanadiga.
La carta geologico-mineraria al 50.000 annessa alla Descrizione
dell’Iglesiente dell’ing. Zoppi, pubblicata nel 1888, comprende nella
sua parte nord l’area delle due tavolette; in essa però vennero rag-
gruppati in una unica formazione (terreno siluriano) gli scisti cambriani
a Paradoxides, le puddinghe, gli scisti dell’ordoviciano, quelli del
gothlandiano, del quale vennero però segnati a parte i*calcari, gli
scisti e le quarziti postgothlandiane ed anche buona parte dei porfidi
euritici, come ad es. quelli che cuiminano a Conca Figu (m. 444),
per quanto nella descrizione siano menzionati o descritti quasi tutti
i tipi litologici dei vari piani.
Nè maggiori suddivisioni contengono, per quanto riguarda il Flu-
minese, le cartine geologiche dell’Iglesiente recentemente pubblicate
dall’Associazione mineraria sarda.
L’ing. Novarese, direttore dei rilevamenti geologici in Sardegna,
ha messo in evidenza! l’importanza delle puddinghe quale forma-
zione di separazione tra il cambriano medio ed il siluriano superiore.
Tali puddinghe hanno uno sviluppo notevole per potenza ed esten-
sione nel Fluminese, già avvertito dallo Zoppi e dai suoi collabora-
tori; data la loro importanza tettonica da esse ritengo opportuno
iniziare le osservazioni, pure a scapito dell’ordine cronologico.
Le puddinghe ebbero successivamente vari nomi, sempre meno
felici; dallo Zoppi vennero dette grauwacke, poi si generalizzò quello
Il rilevamento geologico delle tavolette di Iglesias e Nebida, Boll. del
R. Com. geol., vol. XLIV, fasce. 1, 1914.
“ ° [6] ; SUL PALEOZOICO DEL FLUMINESE 3
-
di anageniti e recentemente furono persino dette miloniti: nella ci-
tata nota dell’ing. Novarese e nella leggenda delle due tavolette di
Iglesias e di Nebida pubblicate da poco, il loro complesso è indicato
come « puddinghe e conglomerati a cemento scistoso rosso-cupo, pas-
santi per diminuzione degli elementi a scisti rossi con macchie ver-
dognole ». Questi caratteri si mantengono anche nel Fluminese; però
1 passaggi dalla struttura macroclastica a quella microclastica, e cioè
da puddinghe a scisti, sono repentini e ripetuti.
Le puddinghe si iniziano con struttura chiaramente conglomera-
tica in contatto discordante col cambriano, per lo più col gruppo
degli scisti, ma talora anche con quello del metallifero. I ciottoli,
cementati da sostanza scistosa rosso-vinata sono spesso per i primi
metri dal contatto di dolomia giallognola o di calcare bianco ceroide
parzialmente od anche interamente erosi, cosicchè la roccia assume
un aspetto cavernoso caratteristico, che naturalmente manca quando
1 ciottoli sono tutti di scisto. Questo primo banco presenta spesso
indizi di mineralizzazione di solfuri (galena, blenda, ecc.) e di ossidi
di ferro ed in esso vennero aperti numerosi lavori di ricerca, ma in
generale senza risultati apprezzabili; così nella vallata del R. Arrus,
tra. la confluenza col R. Antas fino a P.'* sa Proccia, sulla destra
del R. Antas alla confluenza col R. Mannau e nella valletta a monte
È di tale confluenza in sinistra del R. Antas ed infine nel R. Palmas
della Miniera S. Lucia. La posizione del banco conglomeratico su
| scisti assai meno permeabili, la sua attitudine ad essere fratturato
ed a conservare beanti in qualche misura le fratture, la facilità al-
l'erosione ed al metasomatismo dei suoi elementi calcarei furono al-
trettante cause predisponenti alla mineralizzazione, talora anche solo
a filoncini di quarzo, per via idrica. Anche ora, pur non avendosi
sorgenti importanti, è frequente il caso di gemitii al contatto, quando
Î questo ha giacitura favorevole.
Nei punti finora osservati alla presenza nelle puddinghe di ele-
È ,. menti calcarei o dolomitici non corrisponde la immediata vicinanza
della roccia di origine, il metallifero, che si trova invece sopra gli
scisti cambriani di base, a distanze che superano anche un chilo-
@ | metro.
sd AI primo banco a ciottoli calcarei fa seguito una ripetuta alter-
nanza di scisti psammitici o argillosi con altri strati a struttura cla-
MTA
TR, i
TL) :
()
4 M. TARICCO + 6]
stica evidente con elementi man mano decrescenti e cemento scistoso;
l'alternanza è messa bene in evidenza sul terreno, per solito brullo
o scarsamente cespugliato, dalla diversa resistenza degli strati agli
agenti esterni. Gli strati di scisti a struttura minutissima hanno la
tendenza a suddividersi in minuti aciculi e danno un detrito gale-
strino con scarsissima vegetazione. Invece gli strati macroclastici,
specialmente dove sono fortemente inclinati, hanno un forte risalto
topografico, paragonabile a quello del metallifeso; costituiscono
ad esempio le punte di M. Becciu (478), di M. Argentu (501), di
M. Uanni (423) e la crinale di R. Bau Mannu, in natura assai più
aspra di quanto appaia sulla carta. i
Il colore normale delle puddinghe tipiche è vinato o violaceo od
anche rosso mattone, e tale colore hanno anche gli scisti nella loro
vicinanza; ma negli strati superiori a struttura più minuta e negli
scisti intercalati predomina il color verdastro od azzurrognolo cupo ;
1 termini intermedi presentano le due colorazioni, vinata e verdastra,
riunite a fiamme. Ritengo che il colore rossastro delle puddinghe
sia originario, dovuto cioè a fenomeno di ossidazione del ferro dei
ciottoli scistosi lungamente esposti agli agenti atmosferici sulle
spiagge del mare postacadiano. ;
Dopo ripetute ricerche negli scisti intercalati alle puddinghe ho
trovato nello strato più potente di essi, posto nella parte mediana della
zona e in parecchi punti di esso, alla distanza di 4 km. tra gli
estremi, un discreto numero di valve di fillocaridi, senza tracce di
segmenti addominali nè di telson. . >
Rinviando ad un esame ulteriore lo studio su materiale più ab-
bondante e meglio conservato, mi limiterò per ora a dire che pre-
valgono le forme riferibili ai generi Ceratiocaris, Caryocaris e Lingu-
locaris; in un primo esame non ho però potuto identificare alcuna
forma colle specie della Boemia e dell'Inghilterra.
I punti più ricchi si trovano l’uno nel vallone di destra del Rio
is Arrus che è compreso tra quello di Roia Zinnibiri Mannu e Riu
Giuanni Masala; non ha nome sulla carta al 25.000 ed è detto local-
mente Roia Srappas. I fossili si trovano in destra, a un 200-300 m.
di distanza orizzontale dal Riu Arrus e cioè a 50-60 m. più in
alto della confluenza. L’altro punto è a SE e nelle vicinanze di
Flumini, a circa metà corso del vallone che sbocca nel Rio Antas
[6] | SUL PALEOZOICO DEL FLUMINESE D
presso la quota 69 (R.. Genna su Fenu). Tra questi due punti estre-
mi lo strato è fossilifero sotto l’ospedale di Su Zurfuru di fronte a
P.'te S. Sofia e poscia, in modo quasi continuo, dalla confluenza col
l’Arrus di Roia Zinnibiri Mannu a quella di Roia Baracconis, in
destra, in una zona assolutamente brulla, a detrito aciculare gale-
strino azzurro cupo, forma di detrito caratteristico del banco fossi-
lifero in tutta la regione. A. Roia e trovato pure tracce di
fossili vegetali indeterminabili.
Il passaggio dalla zona delle puddinghe a quella degli scisti so-
prastanti avviene senza apparente discordanza, ma mentre il limite
inferiore delle puddinghe è ben netto, quello superiore è incerto e
una delimitazione non è possibile che segnandola in corrispondenza
degli ultimi strati della serie aventi una struttura clastica ancora
- riconoscibile ad occhio.
Analogamente a quanto venne osservato dall’ing. Novarese a Ne-
bida, anche nel Fluminese le puddinghe presentano spesso assai evi-
dente la scistosità trasversale, che giunge a mascherare completa-
mente l'andamento degli strati ove questi non hanno una grossezza
di elementi diversa ed una piccola potenza.
Pur non avendo ultimato il rilevamento accennerò allo sviluppo
della formazione nelle due tavolette. Partendo da Fluminimaggiore
verso sud le puddinghe si incontrano all’uscita del paese, presso S. Sofia,
passano in destra del fiume Mannu e occupano la massima parte del
versante sud della catena diretta da ovest ad est e culminante suc-
cessivamente a Pitzu sa Rocca, Paris is Ollastus, Su Baracconi, Zi-
nibiri Mannu, P.'8 Manna is Olionis; passano quindi poco a sud del-
l’Ovile Ghiandisero (localmente detto O. Gunturgiu) e raggiungono
quindi il limite della tavoletta.
Il rio Arrus, tra la confluenza col rio Antas e quella col Gutturu
Pala segna all'incirca il contatto col cambriano, mentre fino al Me-
dau Garau è interamente nella zona delle puddinghe che raggiun-
gono quivi la loro maggior potenza, di circa 500 metri.
Dal ponte di S. Sofia le puddinghe salgono a M. Argentu ove
si collegano a quelle che la provinciale attraversa dal limite sud
della tavoletta fino alla laveria di Su Zaurfuru; poi attraversano scen-
dendo da M, Argentu le due vallette del R. Palmas, salgono a M. Uanni,
scendono in R. is Abiois fino alle dune di R. Sabragia. Un’altra zona
6 M. TARICCO | |6]
più a sud, separata dalle precedenti da una estesa anticlinale di scisti
cambriani, dalla tavoletta di Miniera S. Benedetto entra in quella
di Flumini colla provinciale, gira attorno a P.'* Arcu Mazzanini, sale
a P.t* Spandau-P.t* Antiogu Cadeddu e mantenendosi sul crinale di
sinistra di R. Piscina Morta giunge alla sella di P.*®* Arcu su Lur-
dagu scendendo poi verso le sabbie di R. Sabragia. Le due zone o
fianchi dell’anticlinale sono collegate da un tratto di volta già ac-
cennata, tra Su Zurfuru e M. Argentu. Altri affioramenti più limi-
tati di puddinghe si hanno in R. Gutturu Mandras, al bivio della
strada per la Miniera S. Lucia presso il Rio Mannu ed infine in de-
stra del fiume a R. su Trabi, a R. Su Boi de is Baccas, a R. Fi-
ghezia: poco sotto la Punta Guardianu si hanno ancora puddinghe
ma assai compatte, scure, metamorfosate dai graniti, come lo sono gli
scisti ridotti a corneane o a scisti cristallini micacei. I vari affiora-
menti ora accennati per sè e in relazione alle rocce che li separano
stanno verosimilmente ad indicare che all’anticlinale principale di
cambriano e puddinghe a sud di M. Argentu e di M. Uanni fa se-.
guito a nord una sinclinale a scisti fossiliferi dell’ordoviciano me-
| dio e superiore passante per P.'* Pirastu ed a 500-600 m. a nord
di M. Uanni ed infine un’anticlinale che riporta a giorno il cam-
briano a cui apparterrebbe la piccola zona di metallifero di S. Lucia,
come mi riservo di meglio chiarire con ulteriori ricerche.
CamBrIANO. — Sul cambriano che occupa una parte non estesa delle
due tavolette a sud delle puddinghe nonchè le zone mediane delle -
due anticlinali da poco accennate non ho per ora osservazioni di spe-
ciale interesse da fare. Esso è costituito in piccola parte dal metal-
lifero che entra nella tavoletta di C. Pecora da quella di Buggerru,
giungendo o di poco oltrepassando il vallone di S. Nicolao nonchè
del piccolo isolotto della Miniera S. Lucia e probabilmente da quello
di Su Sciusciu presso Fluminimaggiore; per la maggior parte il cam-
briano è rappresentato dal gruppo degli scisti a Paradorides che atfio-
rano per una estesa zona della anticlinale principale, tra Piscina
Morta-P.t* Chiccu Selis-M. Culasoli, prolungandosi anche lungo la
sinistra del R. is Arrus. Ra
Il riferimento di tali scisti a quelli a Paradorides delle tavolette
di Iglesias e di Nebida si basa sulle forti analogie litologiche, sulla
loro posizione tettonica sotto le puddinghe o tra queste ed il me-
[6] SUL PALEOZOICO DEL FLUMINESE Li
tallifero e sui loro caratteri paleontologici negativi, più che su quelli
positivi. Infatti, malgrado le più attente ricerche, non ho trovato finora
alcun fossile di qualche valore stratigrafico, ma solo tracce di orga-
nismi problematici. Tra questi il solo di qualche peso è la Cruziana,
che ricorda la C. bagnolensis Morières o forse anche la Cl. (Fraena)
Rouaulti Lebesc., trovata sulla falda sud di M. Argentu ed affatto
identica a quella del porto di Masua negli scisti a Paradorides della
tavoletta di Nebida. Lungo la ferrovia a cavallo nel vallone Giovanni
Lungo si hanno ancora impronte di Cruziane, le quali però, anzichè ret-
tilinee o leggermente sinuose, sono avvolte a spire circolari od ellit-
tiche, di 3-4 cm. di diametro, che si intersecano formando un gro-
viglio che nell'insieme ricorda assai bene quello della tav. 46, fig. 2
dell’opera postuma del Delgado sulle nereiti dei terreni paleozoici del
Portogallo.
In R. Saoi ho trovato pure una impronta flabelliforme ondulosa
rigata che può ricordare la parte mediana di un Al/ectorurus. Infine
sul crinale tra R. Giovanni Lungo e il vallone di Su Zurfuru, presso
il cocuzzolo 352, si trovano tracce filiformi nereitiche di origine or-
ganica. Come si vede le tracce di fossili sono assai scarse e di poco
valore.
Gli scisti sono prevalentemente filladici, verdastri o cerulei, ta-
lora vinati o fiammati policromi, con spalmature arenaceo-micacee
su frequenti ed estese superficie di strati minutamente ed irregolar-
mente ondulate come se dovute al costipamento di straterelli fangosi
per effetto di forti pressioni laterali; spesso le ondulosità passano a
pieghettature minutissime con straterelli di varia tonalità di colore;
talora invece gli scisti sono tabulari, listati, fissili; in generale si
distinguono da quelli siluriani per una lucentezza e per una scistosità
notevolmente più pronunziata anche in più direzioni; talvolta tali
caratteri mancano ed allora si confondono sia con quelli dell’ordo-
viciano medio e superiore che con quelli della zona delle puddinghe.
ORDOVICIANO MEDIO E SUPERIORE. — Alla zoria delle puddinghe, in-
tesa come un complesso di strati conglomeratici alternanti con strati di
‘ scisti, fa seguito a tetto con passaggio graduale ed indeciso un com-
plesso di scisti argillosi verdastri o cerulei, poveri di fossili nella
parte inferiore, ma assai ricchi nella superiore. A quest’ultima ap-
partengono le località conosciute fin dai tempi del Lamarmora, di
I
Boll. R. Com. Geol., v. XLVIII, 1920-21.
8 M. TARICCO [6]
Fluminimaggiore e di Perdixedda. I fossili vennero studiati ed illu-
strati dal Meneghini in appendice al Voyage en Sardaigne; alcuni
altri, raccolti dai rilevatori della carta dello Zoppi, furono dallo stesso
Meneghini illustrati più tardi. Da qualche tempo ha intrapreso lo
studio dei fossili di Portixeddu, località corrispondente all’incirca alla
Perdixeddu del Lamarmora, il prof. Vinassa de Regny, che frattanto
ha pubblicato ! un elenco dei brachiopodi, concludendo per l’asso-
luta corrispondenza del giacimento sardo con quello carnico, dell’or-
doviciano superiore. Una parte delle forme trovate dal prof. Vinassa
de Regny a Portixeddu si trova pure a Flumini tra quelle deter-
minate dal prof. Meneghini e non vi è dubbio che l’ulteriore stu-
dio metterà in luce l’identità delle due faune.
Della assisa fossilifera dell’ordoviciano superiore, quasi eselusi-
vamente a brachiopodìi (prevalentemente Orthis), treptostomi e cistoidi
e grande frequenza della Dictyonema (?) corniculata Mng. ho potuto
trovare nell’area rilevata numerosi affioramenti, che costituiscono nel-
l’insieme non solo il collegamento tra Portixeddu e Fluminimaggiore,
ma anche il suo prolungamento fino quasi a M. Baracconi ed a Punta
S. Vittoria, oltre a qualche altra zona staccata ?.
La zona fossilifera di Portixeddu prosegue a Costa is Peddis-
R. S’Arrideli, a R. Sa Grutta sulla falda orientale della catena M. Guar-
dianu-P.** Narbolia; appare a M. Pedroni (165) e lungo la strada in
destra del R. Mannu da Portixeddu fino al ponte di Su Amadori e
quindi presso la Miniera di M. Cidrò in qualche isolotto affiorante
tra le sabbie. In sinistra del fiume si hanno abbondanti fossili nel
piccolo dorso roccioso che affiora nel centro delle dune di R. Sabra-
gia in banchi ondulati diretti E-O, ricchi di steli di crinoidi in cal-
cite bianca o rosea: il contrasto di colore col fondo verdastro scuro
! L'ordoviciano del Portixreddu presso Fluminimaggiore. Nota preventiva.
Rivista Ital. di Paleont., 1918, fasc. III-IV.
? L’ordoviciano superiore con fauna a brachiopodi del Fluminese si trova
anche tra Mandas ed Orroli e precisamente sotto la casetta del permesso di
antimonio e di scheelite di Genna Ureu, in sinistra e al fondo della valletta
a sud-ovest; ivi compaiono pure gli scisti neri ed i calcari del gothlandiano..
È questa la località a cui volevo alludere nel 1911 (Osservazioni geologico-mi-
nerarie sui dintorni di Gadoni e sul Gerrei, Boll. Soc. Geol., vol. XXX, pag. 128)
ed è finora il punto più a nord della Sardegna ove sia stato osservato l’ordo-
viciano tossilifero.
[6] SUL PALEOZOICO DEL FLUMINESE 9
o ceruleo della roccia, l’indurimento superficiale e la levigatezza della
roccia dovuti all’azione delle sabbie trasportate dal vento mettono bene
in evidenza i fossili; nella stessa località si notano anche banchi a
brachiopodi ed a treptostomi, pur essi talora assai ben preparati alla
superficie dall’abrasione. |
Più a sud una striscia di ordoviciano fossilifero compare fra i
calcari a S. Nicolao presso il bivio della strada provinciale per Bug-
gerru e la stradetta per S. Salvatore e continua fossilifera per il
cimitero di Buggerru.
| Riccamente fossiliferi sono gli scisti tra C. Lampis e Piscina Pi-
lone, P.'® Pirastu (132), la cresta a nord di M. Uanni fra q. 355 e un
500 m. più a nord, la destra del R. Palmas in KR. Scruidda di S. Lu-
cia, la parte nord della cresta di R. Campu Crabas, la R. Burri-
drosu.
Tra R. Burridrosu e Flumini non ho finora trovato fossili: in
destra del fiume compare già il gothlandiano; in sinistra si ha la
lente calcarea di Su Sciusciu, sul cui riferimento cronologico sono
tuttora dubbioso,
La zona fossilifera dell’ordoviciano superiore riprende solo nelle
vicinanze dell’abitato di Flumini, in sinistra del fiume sotto R. Matta
sa Carruba, poi in destra a Perdas de Fogu, in Regione Bellittu
e a Min. Perda S’Oliu, passando in sinistra del Rio Bellittu a Ca-
panna Murtas e riapparendo poco ad ovest di P.'* Paris is Ollastus.
Più ad est gli scisti si metamorfizzano man mano e i fossili si vedono
più raramente, come ad ovest di P.'* S. Vittoria, lungo la mulattiera
tra Genna Movexi e Funtana Proccu, a 500 m. a SO di Conca
Planuceddu presso q. 617 e presso i vecchi lavori minerari aperti
nelle vicinanze. Un’areola di ordoviciano superiore affiora fra il
gothlandiano a circa metà della mulattiera tra Genn’ Argiolas e C.
S. Giorgio. È
I fossili hanno quasi ovunque lo stesso stato di conservazione ;
sono appiattiti, più o meno deformati, rivestiti di materia ocracea
giallastra che occupa una parte dello spessore delle parti scomparse,
per cui è in genere facile la separazione e l’esame delle superfi cie
interna ed esterna. Tale modo di conservazione è presumibilmente
limitato alla sola zona superficiale, ove il calcare costituente origi-
x
nariamente i fossili è stato sciolto dagli agenti atmosferici: si tro -
10 | M. TARICCO | °-_[R
vano tuttavia con qualche frequenza dei punti ove i fossili sono an-
cora in tutto od in parte calcarei, come a R. Sabragia, a mezzo chi-
lometro ad est di Portixeddu, a Perda de Fogu nella trincea della
mulattiera Perda Cuaddu, in R. Bellittu e presso P.tè Paris is Ol-
lastus.
Nella prima insenatura a nord di Portixeddu i fossili sono invece
piritizzati, per lo più fronde della D. corniculata Mng. e di forme
ad essa vicine.
Tra l’ordoviciano superiore e le puddinghe si interpone una zona
di scisti di potenza variabile, maggiore ad est e minore ad ovest
della fascia esaminata, povera di fossili; dopo pazienti ricerche ho
trovato in vari punti esemplari di trinucleus e di dalmania.
La prima e più interessante: località scoperta si trova a circa
600 m. ad ovest del ponte sul R. Mannu, a circa 4 km. da Flumini
verso Buggerru, in due cave lungo la strada aperte per estrarre
materiale per l’arginamento del fiume. Ivi dopo lunghe ricerche, oltre
a cefali di trinucleus e di dalmania, trovai resti di un pigidio di
dimensioni assai grandi, oltre 9 cm. di larghezza per 6 di altezza,
con 9 o 10 coste di cui quelle vicine alle pleure di 5 cm. di lar-
ghezza, con caratteristici ripiegamenti a V sulla rachide. Malgrado
la deformazione ed il cattivo stato di conservazione non ho. alcun
dubbio che sì tratti dell’Asaphus nobilis Barr., caratteristico dell’or-
doviciano medio.
Delle dalmanie di cui ho raccolto parecchi esemplari alcune forme
si identificano colla Dalmanites Lamarmorae Mng., altre sì avvici-
nano anche più di questa alla D. socialis Barr.; mi riservo però di
meglio studiarle appena avrò potuto avere qualche esempiare di con-
fronto.
Di trinucleus ho raccolto nelle due cave 3-4 esemplari, mentre ne
ho numerosi delle altre località che dirò in seguito. Colle tre tri-
lobiti ho trovato nelle due cave alcuni esemplari di lamellibranchi,
una medusa ed una lîngula.
Seconda località a dalmania e trinucleus associati senza traccia
di altri fossili, Si trova sulla cresta di R. Campu Crabas, nelle vi-
cinanze e a valle del vistoso filone di M. Argentu presso q. 260, a
circa 350 m. dal contatto colle puddinghe; i trinueleus compaiono
anche in basso, presso l’ultima a di Min. S. Lucia e a circa 750 m,
\
[6] SUL PALEOZOICO DEL FLUMINESE 11
più a nord, lungo la scorciatoia dalla miniera a Flumini; questa lo-
calità è separata da quella sulla cresta di R. Campu Crabas da una
zona fossilifera, pure in cresta, dell’ordoviciano superiore. Pure a
trinucleus sono gli scisti che si adagiano a sud al metallifero di S. Lucia
verso q. 115 ed in cresta della serra al contatto colle puddinghe.
Solo dalmania ho trovato presso la campestre in destra del R. Mannu
al confine ovest della tavoletta di Flumini, nelle vicinanze delle pud-
dinghe.
Altre due località a dalmania e trinucleus sì trovano nelle im-
‘mediate vicinanze di Flumini, l'una nella vallata di Su Delegau,
negli scisti che circondano i calcari di Pala Su Sciusciu, l’altra so-
pra le case che stanno in sinistra del Riu Bellittu, tra quota 75 e
100; i trinucleus sono frequenti, le dalmanie rare; quivi ho pure tro-
vato la metà di un pigidio dell’ Asaphus nobilis Barr. abbastanza ben
conservato. La distanza dal contatto colle puddinghe è di 150-200 m.:;
al contatto gli scisti contengono quivi abbastanza frequente una grossa
lingula.
Più ad est ho trovato ancora trinucleus e dalmaniîa nella vallata di
R. Zeneru, a circa un chilometro a monte della confluenza col R. Bau
Porcus, in scisti già metamorfizzati, nodulosi, tenacissimi; qui la di-
stanza dalle puddinghe è già di un chilometro e mezzo in linea retta.
Interessanti per la loro posizione a sud delle puddinghe sono una
zona di scisti a frinucleus e dalmania attraversata dal Rio Sermentus
(tavoletta di S. Benedetto) ed un’altra di scisti a scyphocrinus di R. Ca-
voneddu sotto Candiazzus.
I trinucleus, per quanto facilissimi a riconoscersi genericamente
per la forma della testa e le ornamentazioni del lembo, non sono in
generale abbastanza ben conservati nelle particolarità distintive delle
specie; mentre poi i cefali sono abbastanza frequenti nelle varie lo-
calità indicate, rarissimi devono essere i resti della rimanente parte
del corpo, poichè finora ho trovato un solo esemplare di torace-pi-
gidio, mal conservato. I migliori esemplari sì trovano nella valletta
del R. Sermentus, quasi sicuramente riferibili al 7. ornatus Stern.,
che sembra la specie più frequente, se non la sola, anche nelle altre
località. -
La Dalmania Lamarmorae Mng. ed il 7. ornatus Stern. vennero
già l'una descritta e l’altro citato dal Meneghini nel 1880 su mate-
12 î M. TARICCO [6] ==
S*
riale raccolto dall'ing. Testore negli scisti di Portixeddu. Quivi io
non ho trovato finora alcuna traccia di trilobiti, per quanto possegga.
Trinucleus con Dictyonema? corniculata Mng. di R. Zeneru e con
crinoidi di S. Nicolao, ciò che sembrerebbe indicare che il Trinucleus
per quanto più raro si trovi anche nell’ordoviciano superiore.
Le Dalmanie invece non vennero da me trovate che con Trinucleus
o con fossili diversi da quelli della fauna del siluriano superiore.
In due delle località ove le relazioni tettoniche sono più evidenti,
cioè presso Flumini e Campu Crabas gli scisti a Dalmania ed a
Trinucleus sono compresi fra le puddinghe a letto e gli scisti del —
siluriano superiore a brachiopodì e cistoidi a tetto; la presenza del-
l’Asaphus nobilis, delle Dalmanie e dei Trinucleus e la posizione
relativa degli scisti che lì contengono giustificano snprso il loro
riferimento all’ordoviciano medio.
In questi ultimi è poi frequente la presenza di steli di grossi scy-
phocrinus ad anelli semitorici alternativamente grandi (diam. 1 cm.) e
piccoli (0,5) tali che lo spessore dei grandi è circa doppio dei pic-
coli. Essi sono frequentissimi nell’ordoviciano di Gonnesa più vicino
alle puddinghe, in lunghi steli anche arcuati od avvolti a spira; quivi.
non ho finora trovato trilobiti.
La stretta analogia litologica degli scisti dell’ordoviciano medio
con quelli del superiore a cui passano insensibilmente senza alcuna
discordanza e la difficoltà di trovare fossili nella zona intermedia
non mi hanno reso possibile la delimitazione dei due piani.
La posizione poi delle puddinghe a letto dell’ordoviciano medio
se non esclude che anch’esse appartengano a tale piano, non sì op-
pone al riferimento all’ordoviciano inferiore, a cui io inclino in base
alle forti analogie dello sviluppo del cambriano, dell’ordoviciano e
del gothlandiano sardo con quello del resto dell'Europa sud-occi-
dentale, nella speranza che l’ulteriore studio delle fillocaridi dia al
riferimento anche un qualche appoggio paleontologico, come sembra
promettere.
GorHLAaNDIANO. — Il gothlandiano è noto per la famosa località
fossilifera di Xea S. Antonio presso il cimitero di Flumini, scoperta
dal Lamarmora e studiata dal Meneghini ed in corso di studio da
parte del prof. Canavari, che ha già descritto una ricca fauna di
ostracodì.
*
de
4 «
o
[6] SUL PALEOZOICO DEL FLUMINESE 13
È costituito prevalentemente da scisti neri graptolitici nei quali
sono inclusi, a Xea S. Antonio, piccole lenti di calcare nerastro ad
Orthoceras, Moncgraptus priodon, Cardiola interrupta ed ostracodi.
Verso l’alto si ha un graduale passaggio a scisti calcarel e poi a
calcari scistosi o amigdaloidi a crinoidi ed ortoceratiti deformati,
con pteropodi, quest'ultimi specialmente abbondanti nelle zonule
scistose incluse o ricoprenti i calcari.
Sulla notevole estensione in Sardegna del gothlandiano ho riferito
in una nota del 1913, nella quale segnalavo anche il piccolo affiora-
mento di Fontanamare nella tavoletta di Nebida. Alle località già
note è da aggiungere un piccolo affioramento di calcare amigdaloide
negli scisti che appaiono sotto il terziario nel fondo della valle
che scende da Mogorella verso ponente, a forse un chilometro dal-
l'abitato.
Nella zona del Fluminese in esame il gothlandiano sì estende in
modo quasi continuo attraverso le due tavolette. La sua potenza è
per lo più assai piccola, di qualche decina di metri, raramente su-
perando il centinaio.
Gli scisti neri sono per lo più disfatti, argillificati alla superficie,
dando luogo ad un suolo agrario coltivato a cereali; spesso gli scisti
sono mascherati sia dal detrito abbondante a cui dà luogo la forma-
zione soprastante a scisti arenacei e quarziti, sia dalle sabbie. Assai
più appariscenti sono le lenti soprastanti di calcari scistosi od amig-
daloidi, a contorni aspri ed in risalto sul paesaggio tranquillo degli
scist neri; tali lenti sono però discontinue.
Nella tavoletta di C. Pecora gli scisti neri con lenti calcaree scistose
Ù compaiono presso le case di Scivo in destra ed in sinistra del vallone
omonimo, proseguono verso sud-est ove si seguono senza interruzione
dalla sella P.'* Genna e Carru (215) a R. Su Nuraxi-R. Roia is
Tintionis-Miniera M. Cidrò ove vennero incontrati anche coi lavori
sotterranei; riappaiono in brevissimo tratto fra le sabbie sulla strada
dalla miniera a P. Sessini in contatto coll’ordoviciano superiore, poi
. a P. Sessini-R. Corti baccas-R. Xea S. Antonio (non segnata sulla
carta, ma circostante al Cimitero di Flumini)-Stazzo Pisano Maria-
parte media del Rio Masa Porcus-Medan Ganopi-Genna Movexi-
Canale di S. Giorgio fin sotto C. Lepori-Canale Melis-Miniera di
Acqua Bona-Min. Nieddoris. Sopra Portixeddu gli scisti neri com-
14 M. TARICCO Ale;
paiono lungo la mulattiera presso l’Arco della Croce ma sono già
ardesiaci o nodulosi, mentre i calcari sono metamorfizzati in cor-
neane tenacissime, a fiamme chiare (parte calcarea) e scure (parte
scistosa), le quali vengono a contatto col granito a Guardia dei
Turchi. R\
Raramente si può esaminare il contatto del gothlandiano coll’or-
doviciano; da Scivu al Ponte Sessini esso è mascherato dalle sabbie
quindi fino a Perdas de Fogu da alluvione; quivi i due piani sono
ripetutamente ripiegati assieme in strette pieghe in cui i rapporti
tettonici sono assai confusi, trattandosi di rocce scistose-argillose;
nella zona di Genna Movexi-P.'®8 Mairu il metamorfismo indotto dai
graniti rende difficilmente separabili i due piani. Lungo la mulattiera
che dal bivio di Perda l’Oliu sale a Medau Ganopi il contatto av-
viene attraverso una breve zona di passaggio, a caratteri intermedi
tra gli scisti argillosi verdastri e quelli neri assai fogliettati.
.. Per la facilità con cui gli scisti neri si argillificano le località
fossilifere sono poche, ma di grande interesse, essendo riuscito a
trovare la zona a Rastrites peregrinus, finora ignota in Sardegna.
Tali località, ove gli scisti neri sono resistenti, piani, fissili anche
se in piccoli pezzi tra la parte argillificata o contorta, sono: 1° in
R. Sizzimureddu, a qualche centinaio di metri ad ovest ed alquanto
più in alto della casa della Direzione di M. Cidrò; forme trovate:
Itastrites peregrinus, Climacograptus cfr. rectangularis, Monograptus
sp.; 2° in R. Genna Quadrosus, presso il Ponte Sessini, nelle vici-
nanze del palo 196 della condotta elettrica: Rastrites peregrinus, Cli-
macograptus rectangularis, Monogr. sp.; 3° in R. Perda Cuaddu lungo
la strada per F.'* Caunsedda: Diplograptus palmens, Climacograptus
sp., Monogr. sp.; 4° Regione Genna Movexi, lungo la strada da Medau
Ganopi alla sella 506, a circa 500 m. a nord del Medau, in destra
ed in sinistra del vallone; Rastrites peregrinus, Dipl. palmeus, Dipl.
ovatus, Monograptus diversi. Anche gli scisti delle discariche della
galleria presso la sella (Genna) Movexi (diplograptus?) e degli sco-
perchiamenti più a monte (monograptus) sono graptolitici, ma oscu-
ramente.
Agli scisti neri ora detti del gothlandiano inferiore, la cui fauna
mi propongo di illustrare quando avrò raccolto un materiale ade-
guato, fan seguito le lenti di calcari ampelitici riccamente fossilifere
n
[6] SUL PALEOZOICO DEL FLUMINESE 15
ma per lo più sporadiche e di piccole dimensioni fino a pochi deci-
metri cubi, come a M. Cidrò, a R. Sessini, a R. Galemnus, a R. Ga-
nopi; solo presso il nuovo Cimitero di Flumini (il vecchio segnato
sulla carta è adiacente al nuovo) tali lenti sono assai sviluppate fino
a costituire quasi un insieme continuo di più strati, che coi loro
resti rotolati a valle e sistemati nei muri a secco costituiscono una
località (localmente detta Xea S. Antonio) fra le più ricche di fossili
paleozoici della Sardegna.
Le forme note finora sono Cardiola interrupta, Mon. Priodon,
— Orthoceras numerosi, ostracodi, ecc.
Non ho trovato finora alcun punto ove si possa seguire gradual-
mente, colla guida di fossili, la serie del gothlandiano ; trattasi, come
ho detto, di una formazione sottile, in cui gli scisti neri difficilmente
conservano fossili ben conservati e le lenti calcaree ricche di fossili
ben conservati, forse appunto perchè protette dagli scisti neri teneri,
sono discontinue e rare ed i calcari amigdaloidi o reticolati o sci-
stosi con cui il complesso finisce in alto hànno fossili mal conservati.
A Xea S. Antonio gli scisti neri sottostanti ai calcari ricchi di M.
Priodon ecc. sono argillificati e coperti dalle coltivazioni; al disopra
dei calcari seguono scisti neri con noduli calcarei a rari monograptus,
poi calcari scistosi pianeggianti, con una potenza di oltre 20 metri
ed infine scisti giallognoli psammitici di cui dirò in seguito. Tra
Genna Movexi e Medau Ganopi gli scisti neri del gothlandiano infe-
riore racchiudono, forse per effetto -di una stretta sinclinale, dei
calcari amigdaloidi ricchi di pteropodi e di crinoidi.
Se nei particolari le differenze di sviluppo sono sensibili nei vari
punti, si può dire però che la parte superiore del gothlandiano è co-
stituita essenzialmente da calcari scistosi poverissimi di fossili, da
calcari reticolati o amigdaloidi a pteropodi e crinoidi, e da scisti
calcarei cogli stessi fossili. Gli scisti calcarei hanno una modalità di
alterazione quanto mai caratteristica : mentre sani sono nerastri, com-
pattissimi ed a primo aspetto non presentano tracce di fossili, per
alterazione dovuta alla soluzione delle minute particelle calcaree, es-
senzialmente pteropodi, diventano tenerissimi, friabili, giallastri, mi-
nutamente cavernosi con innumerevoli tracce bacillari dovute a sSty-
liola e Tentaculites; sono pure abbastanza frequenti i resti di un tri-
lobite (Phacops?), di crinoidi, rari quelli di piccoli brachiopodi. La
Boll. R. Com. Geol.. v. XLVII, 1929-21. 4
16 M. TARICCO [6]
roccia sana e quella alterata sono così diverse che difficilmente le
avrei identificate se non avessi visto i passaggi dall’una all’altra in
R. Corti Baccas. |
Gli scisti neri superiori alle lenti calcaree a M. Priodon ecc., i
calcari scistosi, quelli amigdaloidi a pteropodi, gli scisti calcarei pure
a pteropodi rappresentano con tutta verosimiglianza il gothlandiano
superiore; è tuttavia possibile che la parte più alta a pteropodi rap-
presenti già la base del devoniano. A quanto si desume. da una nota a
pag. 48 della « Descrizione geologico-mineraria dell’Iglesiente » dello a
Zoppi, il Bornemann trovò pteropodi « negli scisti gialli micacei e |
nei calcari scistosi in vicinanza di Xea S. Antonio » e riconobbe,
fra gli altri, Tentaculites acuarius Richt., T. elegans Barr. e Styliola
laevis Richt., riferendo gli strati al devoniano. Mentre ho constatato
la presenza degli pteropodi nei calcari scistosi e scisti calcari non
solo presso Xea S. Antonio, ma sopra M. Cidrò, a Corti Baccas, a
Stazzo Pisano Maria, e a Medau Ganopi, debbo escludere tale pre-
senza negli scisti gialli micacei che ad essi fanno seguito verso l’alto,
ma in trasgressione manifesta.
Solo da poco ho potuto trovare esemplari di T'entaculites abba-
stanza ben conservati da permettere determinazioni specifiche; per
ora dirò che il 7. acuarius, assieme a Styliola, è il più frequente; che
ad esso è associato il 7. infundibulum Richt. con numerosissime
alette longitudinali (in una sezione 48): tale associazione è in Tu-
ringia nel gothlandiano superiore.
PosrGorHLANDIANO. — Alla formazione a scisti neri e calcari scistosi
sì appoggia in discordanza una potente formazione di scisti gialli
micacei più o meno psammitici, alternanti con scisti teneri scuri
facilmente decolorati in chiaro, talora. filladici lucenti; ad essi si in-
tercalano banchi di quarzite assai compatta e resistente, costituita da
elementi di grossezza uniforme, come di grani di riso, assai vicini. Le
quarziti, in banchi sottili e rari in basso, prendono verso l’alto il so-
pravvento e predominano alle punte di Niu Crobu, Masa Porcus, Conca
Planuceddu; in quest’ultima località formano un isolotto in discor-
danza sull’ordoviciano. I) complesso ha un grande sviluppo a nord
del gothlandiano e sopra di esso; si può esaminare bene lungo la mu-
lattiera di Perda Cuaddu che da qualche centinaio di metri dalla
M. Perdas de Fogu è sempre su di esso fino oltre Genn’Argiolas,
-J]
io si SUL PALEOZOICO DEL FLUMINESE 1
arriva a P.'* Niu Crobu, occupandone buona parte del versante sud-
ovest, e cioè le Reg. Niu Crobu, R. Giovanni Atzori-Genna Costa-Per-
tuso ; passa in destra del R. Bega, sale all'arco di Gennamari e di qui
sì prolunga per tutta la crinale in destra del Mannu fino oltre Genna
Carru, frequentemente attraversata da porfidi chiari euritici. Verso est
di P. Masa Porcus si estende a P.'* S'Ungurtosu e Cuccuru Arrubiu
e lungo la destra del R. Bau Porcus al disopra dei 600 metri.
I passaggi laterali da scisti argillosi teneri nerastri e decolorati
in tinte chiare, talora filladici, a scisti psammitici micacei sono ol-
tremodo frequenti e sì osservano talora su aree scoperte di pochi
metri quadrati; più continui e regolari sono gli strati di quarzite.
In una sola località, malgrado lunghe ricerche che la novità e
l'estensione della formazione incoraggiavano, ho trovato qualche trac-
cia incompleta di fossili vegetali, in R. Genna Quadrosus;: sì tratta di
impronte nere, carboniose, di circa un millimetro di larghezza, al-
lungate, con qualche diramazione, che potrebbero far pensare a Sphe-
nopteris-Trichomanites; altre tracce, anche più oscure, hanno gli scisti
psammitici nella R. Galemmu. In conclusione si può dire che si tratta
di una formazione continentale o di estuario. Su di essa si adagiano
a Naroci vari isolotti di triassico studiati ed illustrati dal Borne-
mann e recentemente dal Tornquist; gli scisti al contatto col trias
sono fortemente arrossati, credo a causa dell’alterazione da essi su-
bita in superficie prima della trasgressione triassica.
La formazione in esame è dunque compresa tra il gothlandiano
superiore, o al più tra l’inizio del devoniano, ed il trias. La nessuna
analogia litologica di essa con quella del devoniano delle Alpi Car-
niche e con quella del Gerrei rende poco verosimile che si tratti di
devoniano; più attendibile mi sembra invece, per analogia di facies
e di rocce, il riferimento al carbonifero. Si avrebbe così anche in
Sardegna rappresentata la trasgressione carbonifera messa in evi-
denza nelle Alpi Orientali dai proff. Gortani e Vinassa de Regny,
la quale sembra avere nella tettonica alpina notevole importanza.
Tipi identici di quarziti si hanno nella Nurra, ad Istintino e a
-M. Forte.
PostPALEozoIco. — All’infuori degli isolotti triassici di Naroci,
nessuna formazione sedimentaria appare più nell’area rilevata fino
al quaternario, se si eccettuano piccoli lembi di alluvioni antiche
18 M. TARICCO [6]
cementate, a vari livelli, pei quali ogni riferimento cronologico è
per ora incerto.
Volendo accennare brevemente al quaternario, dirò che esso è
assai sviluppato come panchina, sabbie rossastre debolmente cemen-
tate e sabbie mobili di dune. La panchina ha notevole estensione
lungo la spiaggia di Scivu, in sinistra di Riu Sa Grutta ove rag-
giunge i 200 m. di altezza ed in R. Giogadruso tra Roia Fenacci e
R. Ortu becciu, ove raggiunge pure i 200 m. d’altezza, quota supe-
riore di 50 m. a quella constatata nella Nurra (Chessa Maiore). A
S. Nicolò la panchina scende sotto il livello del mare e sì trova sotto-
posta ad un potente conglomerato dovuto all’alluvione della valle di
S. Nicolao; i grossi blocchi di tale conglomerato ruzzolati sulla
spiaggia hanno belle spalmature di pelagosite.
Sulla panchina sì hanno per lo più sabbie sciolte o leggermente
cementate, rossastre; in esse ho trovato, a Naroci, i primi resti di
ossidiana, a prova della presenza dell’uomo. A queste sabbie sono
intercalati talora straterelli di detriti di scisti. L'estensione maggiore
è occupata da sabbie recenti che occupano una notevole superficie in
destra del R. Mannu dal P.t° Sessini al mare, la R. Sabragia e la
R. Narocci. Assai limitate sono invece le alluvioni fluviali antiche
e quelle recenti. È
GraNITI. — Il paleozoico viene a contatto verso nord-est colla
massa granitica dell’Arborese lungo una linea sinuosa che entra da
nord nelle tavolette di Flumini poco ad est di M. Crabulassu (596),
passa a metà di Sa Zieva, per Pozzo Edoardo, attraversa la pro-
vinciale poco a valle della Cantoniera, passa a metà distanza tra
C. Puddu e P.** su Steddau, sul versante nord di Serra Cuccuru Idda,
gira con un’ampia semicirconferenza attorno a Cuccuru de Idda (568)
insinuandosi per Genna Signor Meli nel vallone omonimo e poscia
per Mitza Tintionis-C. Riu sa Mura in direzione approssimativa O-E,
esce dalle tavolette verso quota 318.
Il contatto col paleozoico non ha sulla superficie attuale alcun
rilievo, essendo i graniti ridotti alla superficie a sabbioni incoerenti,
in cui emergono solo qua e là parti rocciose più resistenti, a super-
ficie arrotondata e a grossi massi isolati.
Altra zona a graniti si presenta a Capo Pecora; anche qui son ri-
dotti in massima parte a sabbioni con frequenti spaccature giallastre
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[6] SUL PALEOZOICO DEL FLUMINESE 19
limonitiche. Tali graniti, che presentano due varietà, l’una periferica
grigio-scura a grana minuta, con grande abbondanza di biotite e di
pirosseno e l’altra più chiara, a grana maggiore, con scarsi elementi
colorati, occupano quasi tutto il versante occidentale, a cominciare
da Guardia dei Turchi fino poco a nord di Genna Luas, della cresta
rnontuosa che da P. del Guardiano per P. Mumulloni-P. Narbolia-
P. Genna ’e’ Stellas va a Genna Luas, cresta che il contatto segue
leggermente convergendo ad una distanza che da un massimo di
700 metri a sud gradatamente si riduce a meno di un centinaio
a nord.
Rocce FILONIANE. — Le rocce filoniane nel cambriano sono assai
scarse e mi limiterò ad accennare ai porfidi di S. Lucia ed a quelli
di Conca Mussone a contatto di una potente formazione di quarzo.
Nel siluriano sono più frequenti; tra i principali citerò il filone di
porfido rosso diretto circa NNE che partendo da R. Palmas attra-
versa la serra di R. Campu Crabas arrivando a R. Burridrosu, e
quello più potente in R. Gutturu Mandras, anche scavato in passato
per pietre da taglio. |
Nel post-siluriano gli affioramenti di porfido sono frequentissimi
nel fondo della valle tra P. Sessini e Miniera S’Acqua Bona, sul
versante di destra fino alla cresta in R. Pepico, R. Scatta di Treveddu,
a Conca Figu, a P.** Genna Carru e a M. Rana. Una parte. di tali
rocce vennero già descritte in appendice dell’opera dello Zoppi e su
di esse mi riservo di fare in seguito ulteriori osservazioni. La mag-
gior parte delle roccie filoniane ed 1 graniti sono posteriori alla for-
mazione ritenuta carbonifera.
Rocce MErAMORFICHE. — Attorno ai graniti di C. Pecora e del-
l’Arborese si ha una estesa aureola di rocce metamorfizzate che da
scisti micacei fortemente cristallini passano a scisti nodulosi, a scisti
a chiastolite, da hornfels granatiferi a. corneane tenacissime identi-
che a quelle descritte dal Traverso e dal Riva nel Sarrabus, a cal-
cari silicizzati, a calcari saccaroidi. !
— Il metamorfismo è naturalmente più intenso nelle vicinanze del
contatto e diminuisce col crescere della distanza. La zona migliore
per lo studio del metamorfismo è quella a nord-est delle case di
S'Acqua Bona compresa fra la provinciale, il contatto col granito e il
canale Signor Meli; quivi le corneane hanno un risalto ed una potenza
20 M. TARICCO [6]
‘assal forte; il contatto col granito tra Su Steddau e Cuccuru Idda
è dato da hornfels a granati ed a pirosseni, verso Cucce. Idda da
scisti cristallini, talora da scisti chiastolitici.
Il metamorfismo si estende a notevole distanza dai graniti, ad es,
a M. Aspu, P.'* Zeneru, Medau Licheri e rende assai difficile la sud-
divisione in piani del paleozoico.
Scisti nodulosi per metamorfismo si trovano anche in una breve
zona tra le case di Min. Su Zurfuru e la confluenza di R. is Arrus
con R. Antas, in destra ed in sinistra di quest’ultimo ; tale metamor-
fismo locale, a grande distanza da graniti in superficie, sembra
dovuto a presenza a non grande profondità di masse granitiche,
forse non estranee alla mineralizzazione a solfuri misti della vicinis-
sima miniera di Su Zurfuru.
In conclusione il paleozoico del Fluminese può schematicamente
riassumersi come nel prospetto della pagina seguente. |
L’ordoviciano medio e l’ordoviciano a fillocaridi sono nuovi per
l’Italia, il gothlandiano a astrites è nuovo per la Sardegna.
La tettonica mentre nei particolari è complessa e in taluni punti
non ancora ben chiara, si può dire sia nelle linee generali semplice,
come appare dall’unita sezione schematica (v. fig.).
Ad una anticlinale di cambriano C; si appoggiano dapprima le
puddinghe n. /-2 con scisti intercalati; alle puddinghe, sempre con
immersione a nord, si appoggiano gli scisti ad Asaphus n. 3, quindi
gli scisti dell’ordoviciano superiore n. 4. Il gothlandiano è nella se-
zione rappresentato soltanto da scisti neri a Rastrites n. 5 e da calcari
e scisti calcarei a Tentaculites n. 6-7. Viene in seguito il carboni-
fero (?) in strati pianeggianti n. 8-9 che occupa la parte centrale e
più alta della tavoletta; sotto di esso, verso nord, riappare il gothlan-
diano a scisti neri e calcari, il quale man mano si metamorfizza fino
a dare granatiti con rombododecaedri giallo-verdognoli di un centi-
metro di diametro al contatto col granito.
Interessanti e frequenti sono i giacimenti metalliferi, prevalente-
mente filoniani; di essi spero di occuparmi in seguito, quando avrò
eseguito il rilevamento verso Gennamari, che comprende la zona più
densa e più ricca di filoni.
La presente nota è ben lungi dal costituire una illustrazione de-
finitiva della zona in cui ho iniziato il rilevamento, ma i risultati
| Carbonifero (?)
en
ù
|6] SUL PALEOZOICO DEL FLUMINESE 21
ottenuti e l’interesse che essa presenta in tutti 1 campi collegati colla
geologia mi incoraggiano a proseguire con tutte le mie forze lo stu-
dio intrapreso.
SERIE DEI TERRENI.
| Scisti argillosi o filladici, scisti psammitici micacei, quarziti
Periodo di emersione
|
|
! SUPERIORE -— Calcari reticolati o amigdaloidi e scisti cal-
| . . . . \
i carei a Tentaculites (in parte devoniano ?),
calcari scistosi, scisti neri.
GOTHLANDIANO| MEDIO — Calcari ampelitici a Monogr aptus Priodon,
o Cardiola interrupta, ecc.
o | INFERIORE — Scisti neri a Rastrites peregrinus, Diplo-
È i: groptus palmeus, ecc.
ra I
| SUPERIORE — Scisti argillosi ad Orthis Actoniae, ecc.,
Co) Cistoidi, Dyctionema (?) corniculata Me-
negh., ecc.
i ORDOVICIANO MEDIO — Scisti argillosi ad Asaphus nobilis, Dalma-
| nia, Trinucleus, Lingula, Schyphocrinus.
INFERIORE — Puddinghe policrome con scisti intercalati
a Fillocaridi (ceratiocaridi, ecc.).
Periodo di emersione
ACADIANO — Calcare metallifero — Scisti a Cruziana ecc. (Scisti a Pa-
radoxrides dell’Iglesiente).
Cambriano
M. TARICCO
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| SEZIONE S-N PASSANTE PER IL CENTRO DELLA TAVOLETTA DI FLUMINIMAGGIORE.
C, scisti del cambriano medio a Cruziana, ecc. — 1 strato principale delle puddinghe e 2 alternanza di puddinghe e scisti
(ordoviciano inferiore) — 3 scisti ad Asaphus (ordoviciano medio) — 4 scisti ad Orthis (ordoviciano superiore) — 5 scisti
neri a Rastrites (gotlandiano inferiore) — 6 e 7 scisti neri, calcari amigdaloidi e scisti calcarei a T'entaculites (gotlandiano
superiore e devoniano inferiore?) — 8 scisti argillosi e scisti psammitici con 9 quarziti (carbonifero?) — 70 rocce metamor-
fiche, prevalentemente corneane da 5, 6, 7, tra cui 77 granatiti — 72 porfidi quarziferi — y granito — q terreno eluviale.
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Bollettino del R. Comitato Geologico d'Italia
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1920-21 N. 7
Vol. XLVILE
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GIUSEPPE CHECCHIA-RISPOLI
SULLA DISTRIBUZIONE GEOLOGICA
DELLE ORBITOIDI
Lo studio già ultimato di alcune faune di foraminiferi dell’Eocene
dell'Appennino della Capitanata ha fornito altri notevoli elementi
riguardo alla distribuzione geologica delle Orbitoidi, che mette conto
di esporre brevemente sin da ora in attesa della pubblicazione del
mio lavoro, che non potrà avvenire certamente molto presto.
Ancora una volta abbiamo dovuto constatare l’esistenza di Lepi-
docyclina e di Orbitoides s. str. nell'’Eocene; ma i fatti ora messi
in luce sono di una portata di gran lunga superiore a quelli, che da
oltre un decennio vado segnalando, sia per la grande abbondanza
di questi foraminiferi nei depositi ora studiati, che per la costante
e frequente loro associazione con fossili indiscutibilmente eocenici.
Particolarmente importante sotto questo punto di vista è la for-
mazione calcarea che si sviluppa tra Faeto, Celle San Vito e Castel-
luccio Valmaggiore: l’esame dei numerosi saggi prelevati a varie
altezze di quegli spessi banchi mostra costantemente e all’evidenza
la coesistenza di numerose Lepidocyclina e di Orbitoides s. str. con
‘le più tipiche specie dell’Eocene medio di Nummulites (Numm. di-
stans, Numm. frentanus, Numm. Tondii, Numm. Beaumonti, Numm.
discorbinus, Numm. Pillai, Numm. perforatus, Numm. Partschi,
Numm. laevigatus, Numm. Brongniarti, Numm. millecaput, ecc.) : As-
silina (Ass. spira, Ass. exponens, Ass. Distefanoi); Orthophragmina
(Orth. sella, Orth. Pratti, Orth. Distefanoi, Orth. dispansa, Orth. umbe-
licata, ecc.); -Alveolina (Alv. milium, Alv. festuca, Alv. oblonga, ecc.)
Flosculina (Flose. decipiens, Flose. pasticillata); Ohapmania gassi-
2 G. CHECCHIA-RISPOLI [7]
nensis, nonchè di MHeterostegina, Ogerculina, Gypsina, ecc., rappre-
sentate ognuna da un notevole numero di individui e di tutte le
dimensioni, come avviene anche per le Orbitoides e per le Lepidocy-
clina, le di cui specie appartengono, per lo più, rispettivamente a
quelle stesse pretese cretacee (Ud. media, ecc.) ed oligoceniche (Lep.
marginata, Lep. Morgani, ecc.).
Sl ripetono adunque in questa parte della formazione eocenica
della Capitanata i medesimi fatti che comunemente si verificano in
altri punti dell'Appennino e della Sicilia e che da anni andiamo
constatando nello studio di quelle regioni. Per non ritornare sempre
sulle stesse cose; rimando il lettore ad uno dei miei ultimi lavori,
ove sì trovano raccolti tutti questi fatti *. Quivi sono anche riassunte
alcune delle più importanti discussioni svoltesi intorno alla distribu-
zione stratigrafica di questi foraminiferi, le quali sono sorte, come
è ben noto, per il dissentire di alcuni, e specialmente di chi scrive,
dalle recise affermazioni di coloro, i quali avevano creduto di poter
affermare, in base a pochi casì osservati, che i vari generi, risultanti
dallo smembramento dell’antico genere Orbitoides d’Orbigny, cioè
Orbitoides s. str., Orthophragmina, e Lepidocyclina, caratterizzavano
rispettivamente il Cretaceo superiore, l’Eocene e l’Oligocene. E sic-
come i fatti, che man mano venivano alla luce con lo studio del ter-
ziario antico di alcune regioni italiane, infirmavano sempre più il
valore di questa troppo assoluta conclusione, così si è tentato, con
sistematica opposizione, di svalutare i ritrovamenti di Orbitoides e di
Lepidocyelina nell’Eocene, invocando prima questo o quell'accidente
tettonico, non escluso il carreggiamento, ed in ultimo il rimaneggia-
mento, quando, come nella maggioranza dei casi, l'associazione di
questi foraminiferi con altri sicuramente eocenici, nello stesso cam-
pione di roccia, è incontestabile. Ad evitare che, anche per le
nuove constatazioni, sì possa ricorrere a quest’ultima ipotesi e possa
financo dirsi trattarsi di breccette poligeniche formate di ogni sorta
di roba, originatesi posteriormente alla deposizione degli strati con-
tenenti i fossili in questione, tengo a dichiarare che nel caso presente
la roccia è nè più nè meno che un calcare privo affatto di materiali
! V. L’Eocene di Roseto- Valfortore e considerazioni sulla sua fauna, pag. 112,
con tav. X (Boll. R. Com. Geol. d’Italia, vol. XLVI), 1917.
%
[dt] DISTRIBUZIONE GROLOGICA DELLE ORBITOIDI 3
eterogenei, di uniforme tinta bianca leggermente verdognola, com-
patto, tenace, presentantesi in grossi ed estesi banchi e che per tali
sue qualità viene largamente adoperato come materiale da costru-
zione,
* * *
Naturalmente i fatti da noi segnalati, per quanto numerosi, non
potevano restare isolati, ed in gran parte sono stati constatati da
‘altri studiosi per altre regioni, sia in Italia, che fuori. Anche per
questi rimando al mio lavoro citato. Qui acsennerò brevemente ad
una recentissima pubblicazione del Cushman ', che contiene un’altra
prova dell’esistenza di ZLepidocyclina nell’Eocene. In questo lavoro
sono descritte e figurate le Orthophragmina e le Lepidocyclina del-
l'America del Nord, dell'America Centrale e delle Antille. Dal punto
di vista stratigrafico sì ha la dimostrazione che le Lepidocyclina ap-
parirono in America nell’Eocene superiore, essendosi dimostrato,
con gli studi di correlazione, che i calcari di Ocala, St. Bartholemew,
la formazione di Jackson, ecc., sono cronologicamente corrispondenti .
a quelli che in Europa vengono riferiti al Bartoniano ed al Ludiano.
Per quanto possa produrre un certo senso di stupore il non trovare
nel lavoro dello scrittore americano alcuna allusione a quelli altrui,
pure la conferma, a sì notevole distanza, di fatti, che per noi da
lungo tempo sono già acquisiti alla scienza, non può non essere
motivo di compiacimento.
Principia così a delinearsi un certo comune consenso sulla que-
stione della distribuzione geologica delle Orbitoidi. Aggiungasi che
lo stesso prof. H. Douvillé, che è stato il più tenace sostenitore del
valore caratteristico dei vari gruppi di Orbitoidi, sino a scrivere che
sarebbe bastato ad un geologo un solo frammento di sezione equa-
toriale di uno di questi foraminiferi per poter determinare senz’altro
l’età della formazione che lo contiene, viene ora a riconoscere che
la sua-conclusione è stata un peu trop absolue et à laquelle il a été
necessaire d’apporter des tempéraments*. Noi attendiamo con vivo
Pa
! CUsHMan J. A., The American Species of Orthophragmina and Lepidocy-
clina (U. S. Geol. Surv., Prof. Pap., 125-D), Washington, 1920.
? DouviLLé H., Revision des Orbitoides, P. I., Orbitoides crétacés et genre
Omphalocyclus (Bull. Soc! Géol. de France, 4° sér., XX tom.), 1921.
:
4 G. CHECCHI A-RISPOLI [d]
interesse le pubblicazioni annunziate dal chmo prof. Douvillé per leg-
gere le nuove conclusioni, a cui egli ora è giunto. Pertanto nella prima
parte della sua Aewvision des Orbitoides, che contiene la descrizione
delle Orbitoides cretacee e del gen. Omphalocyelus, non si trova alcun
cenno sulla persistenza di questi generi anche nell’Eocene, come
più volte abbiamo scritto e come largamente confermano le recenti
ricerche. Ma noi nutriamo viva fiducia che il giorno in cui saranno
completamente abbandonati certi pregiudizi sulla pretesa incompati-
bilità di coesistenza dei vari generi di Orbitoidi, anche quest’ultimo
fatto sarà riconosciuto rispondente alla realtà, come è accaduto per
le Orthophragmina, che, ritenute dapprincipio del solo Eocene, sono
state in seguito ritrovate anche nell’Oligocene e come sta accadendo
ora per le Lepidocyclina.
In Italia le. Orbitoidi sono comuni nelle formazioni che vanno
dal Cretaceo superiore al Miocene medio incluso : la esatta conoscenza
quindi della loro distribuzione geologica acquista per noi un grande
interesse, specialmente dal punto di vista pratico, perchè un esage-
rato valore stratigrafico, che si potrà loro attribuire, può condurre,
come è già avvenuto, a determinazioni cronologiche impossibili.
Il complesso di tutte le osservazioni finora compiute non ci con-
sente di assegnare a questi rizopodi il valore di fossili-guida, come
da qualcuno si è preteso, perchè le Orbitoides s. str.. oltre a trovarsi
nel Cretaceo superiore, risalgono fino a tutto l’Eocene medio; la
stessa sorte è toccata al gen. Omphalocyclus. Le Orthophragmina,
che già appariscono negli ultimi strati del Cretaceo, oltre che nel-
l’Eocene, appartengono pure all’Oligocene. Le Lepidocyclina, fra tutte
le Orbitoidi, sono quelle che hanno avuto vita più lunga: prescin-
dendo anche da quelle cretacee, che si vogliono genericamente tener
distinte dalle altre, esse si trovano abbondanti sin dalla base del-
l’Eocene medio, attraversano l’Oligocene e sembrano estinguersi nel
Miocene più elevato '.
Roma, settembre 1922.
! Per la distribuzione di tutti questi toraminiferi vedi il mio citato lavoro,
pag. 4l e ss.
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TORQUATO TARAMELLI
1845 - 1922
‘Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia
Vol. XLVIN 1920-21 N. 8
TORQUATO TARAMELLI
CENNI COMMEMORATIVI DI C. F. PARONA
Rischiò la vita sul campo di battaglia, la spese
e continua a spenderla in pro della Scienza, della
Scuola, del Paese, della Famiglia e di quanti a
lui si rivolgono per consiglio -od aiuto, dando
esempio di modestia e di semplicità francescana
e d’un altruismo materiato di fatti e schivo dal
parere, e cercando nello studio conforto ai dolori
che su questa terra prendano di mira i buoni.
ANNIBALE Tommasi, 1911.
Il 6 luglio 1919, nell'Aula Magna dell'Ateneo Pavese, si resero
solenni onoranze al prof. Torquato TARAMELLI per iniziativa di col.
leghi, amici e allievi, che, festeggiandolo nel 44° anno di insegna-
mento universitario, vollero mettere in rilievo l’alto suo valore scien-
tifico e insieme l’opera sua di patriotta e le virtù, per le quali Egli
era universalmente rispettato ed amato. Fu una indimenticabile di.
mostrazione, che riuscì di grande conforto al festeggiato, giunto al
74° anno di vita, e prossimo al collocamento a riposo per limiti d’età.
Egli si preoccupava dell’inevitabile ritiro dalla scuola e sì adattava
mal volentieri a questa imposizione di legge, ritenendosi ancora in
grado di tenere l’ufficio; e lo era infatti per freschezza di mente,
se non nella resistenza del corpo. Un anno dopo, al chiudersi del suo
insegnamento, parve ai suoi intimi che per la prima volta, nella
sua tanto provata esistenza, non lo soccorresse quella ragionata e
‘calma rassegnazione, che fu la sua forza in numerose contingenze
dolorose, superate tutte con mirabile serenità. Quella serenità che
nel dì delle onoranze, rispondendo ai discorsi e chiedendosi Egli in
quale misura avesse meritato così largo consenso di encomio e di
Boll. R. Com. Geol., v. XLVIII, 1920-21. 1
9 C. F. PARONA [8]
benevolenza, gli suggerì di concludere, nella modestia abituale, col
riconoscere d’essere stato tra gli uomini meglio assecondati dalla sorte!
Poco più di due anni e mezzo dopo la sua morte (31 marzo 1922)
fu occasione di un’altra dimostrazione di affetto veramente solenne
per spontaneità e concordia di sentimenti, manifestatisi anche con
eccezionale concorso di popolo, che volle salutare la salma del ve-
nerando e illustre professore buono e cortese, e coll’elogio e cor-
doglio unanime della stampa di tutti i partiti. Singolare ed espres-
sivo il fatto, degno di rilievo, che le necrologie, le quali meglio ne
misero in luce i meriti e la santità della vita, si lessero in periodici
sostenitori di idee politico-sociali ben diverse da quelle, ch'Egli mani-
festamente seguì per tutta la vita. Tanto possono le virtù inspirate
a bontà e l’attività intellettuale volta al vero, al bello, al giusto!
Per le onoranze del 1919 ebbi l'onore di lumeggiare l’opera
scientifica del Maestro, e di ricordare i fatti salienti della sua vita ‘.
Ma allora pensieri e parola erano sorretti dalla soddisfazione di
prendere parte alla festa del Maestro, di parlare di Lui vivo e pre-
sente, e di godere della compiacenza sua; mentre ora, nel dire nuo-
vamente di Lui, mi turbano il dolore sempre vivo e profondo per
la sua morte, che fu quasi improvvisa, e lo sconforto per il brusco
troncarsi di una corrispondenza di affetti e di idee, durata in intima,
fraterna amicizia per quasi mezzo secolo.
Torquaro TARAMELLI, nato in Bergamo il 15 ottobre del 1845,
seguì i corsi universitari a Pavia, come allievo del Collegio Ghislieri,
ma si laureò in Palermo. Fra i professori che lo avviarono, entu-
sitasmandolo, allo studio delle scienze naturali, Egli ricordava spe-
cialmente Paolo Panceri, Giuseppe Balsamo-Crivelli e Antonio
Stoppani. Nel 1866, già laureato e da due anni assistente dello Stop-
pani al Politecnico di Milano, partecipò alla guerra, e fu garibaldino
nel 1° Reggimento dei volontari; e garibaldino rimase sempre nelle
aspirazioni ai confini naturali del nostro paese, ed anche nella pro-
paganda diretta non solo a far conoscere agli italiani la costituzione
! (. F. P., L'opera scientifica del prof. Torquato Taramelli ricordata da
un vecchio allievo. — Onoranze, 6 luglio 1919, Pavia, tip. Suce. Fusi.
[8] TORQUATO TARAMELLI 3
- geologica della loro terra e la storia relativa, ma anche a conqui-
stare ed educare animi e cuori all'amore, ai doveri verso la Patria,
ed all’azione per farla più grande e migliore.
Mandato, subito dopo la guerra, professore di Scienze Naturali
all'Istituto Tecnico di Udine, fondato allora da Q. Sella, vi rimase
fino alla nomina di professore di Geologia nella Università di Genova,
. dalla quale passò tosto a quella di Pavia, dove iniziò il suo inse-
gnamento nel ‘1875.
* * *
L’opera scientifica del TARAMELLI fu assai estesa e complessa e
non può essere prospettata convenientemente con un troppo rapido
cenno. Non si prefisse limitati campi di ricerche e non fu uno specia-
lista: fu un osservatore, e uno studioso di mente fine ed equilibrata,
portata all’analisi non meno che alla sintesi, e dovunque Egli spinse
le sue indagini, lasciò l'impronta di ricercatore sempre diligente ed
acuto, spesso geniale. Fu un geologo completo, e lo dimostrano gli
argomenti trattati nelle numerosissime sue pubblicazioni. Predilesse
i lavori sul terreno, procedendovi colla guida della paleontologia e
della petrografia, fondamenti indispensabili per ricostruzioni e dedu-
zioni scientificamente sicure. Infatti manteneva sempre il contatto
coi petrografi e paleontologi; anzi paleontologo valente fu Egli stesso ! :
e le ricche collezioni di roccie e di fossili, frutto delle sue appas-
sionate e minute ricerche e da Lui donate al Museo di Pavia, atte-
stano l’importanza ch’Egli attribuiva alla documentazione paleonto-
logica e litologica. Il TARAMELLI fu maestro in questo campo della
geologia pratica, per la quale possedeva, in sommo grado, l’occhio di
stratigrafo, come dono di natura, affinato e perfezionato dal lungo
esercizio ; quella facoltà, od attitudine, che permette di vedere, per
così dire, al disotto della superficie e diagnosticare con relativa sicu-
rezza le condizioni interne: così il geologo entra in possesso degli
elementi richiesti per la compilazione della carta geologica particola-
| reggiata e per tracciare i profili rivelatori della struttura del sotto-
suolo. Ma il TARAMELLI amava anche darsi ragione delle forme del
suolo, compito di quella scienza particolare, la « geomorfologia », da
! N. 6, 24, 58 dell’Elenco bibliogr.
4 C. F. PARONA ‘© [8]
considerarsi quale ponte, che collega geologia e geografia, e bene dice
il Ricchieri, che « nella schiera degli studiosi italiani, che rappre-
sentano la viva e feconda unione tra le due scienze geologica e
geografica, Egli era riconosciuto e venerato Maestro » 1.
Il paesaggio geologico, nel suo significato di ultimo portato del-
l'evoluzione delle forme del suolo, ebbe per Lui attrattive partico-
lari, che spiegano l’interessamento sempre dimostrato per le questioni
relative al Neozoico; quest’ultimo periodo geologico, durante il quale
appunto la « faccia della Terra» assunse i lineamenti, che noi le
riconosciamo. Nella interpretazione del paesaggio la semplice analisi
geologica per quanto esatta non basta; occorre che essa sia illustrata
da apprezzamenti che soltanto possono essere suggeriti all’osserva-
tore dal suo temperamento artistico ; quel temperamento che nel Ta-
RAMELLI era vivace, che traspare nei suoi scritti, come nei suo acque-
relli, e che Egli dimostrava per impulso spontaneo nella prontezza
e verità con cui traduceva in schizzi le impressioni di viaggio : così
sentitamente artista Egli era da esitare, giovane studente, se dedi-
earsi alla pittura o allo studio delle scienze. I paesaggi panoramici
o episodici si possono considerare come monumenti naturali, modellati
attraverso il tempo dalle forze agenti sulla superficie terrestre, ed
il loro variare nell’aspetto e nelle forme dipende dal vario modo di
agire ‘delle forze stesse, in rapporto colla varia resistenza delle roccie
e col variare delle loro giaciture tectoniche. Al risultato morfolo-
gico dell’attività modellatrice delle forze in contrasto colla resistenza
del suolo nella sua moltiforme costituzione concorrono dunque fat-
tori ed elementi svariati; e dal prevalere degli uni o degli ‘altri de-
riva il variare del paesaggio, ed a seconda dei caratteri geologici
delle montagne, delle valli, delle pianure si ha monotonia o varietà
di aspetti. Le decantate bellezze del nostro paese sono un riflesso
della sua ossatura geologica, alla quale concorrono terreni di tutte
le età geologiche e di ogni origine, sedimentari, eruttivi, metamor-
fici; ma più ancora sono il risultato delle complesse vicende geolo-
giche, che su di esso si svolsero dopo il suo emergere e costituirsi
in penisola. L’amenità della Prealpe lombarda, ad es., coll'incanto
dei suoi laghi, e le meraviglie del Golfo di Napoli rivelano nei ca-
1 G, RiccHIERI, Torquato Taramelli, Riv. Geogr. It., XXIX, 1922.
|8] TORQUATO TARAMELLI 5
ratteri così diversi delle loro attrattive l’influenza esercitata dall’in-
vasione glaciale nell’una ed il predominio del vulcanismo nell’altro.
Nel glacialismo e nel vulcanismo, nel sostituirsi e nell’alternarsi di
climi diversi, umidi e secchi, freddi e temperati, nelle vicende e nelle
influenze del regime continentale (fra le quali il TARAMELLI seppe
prospettare e valutare nella loro importanza i fenomeni alluvionali
e quelli dei terrazzamenti, delle catture nei corsi d’acqua, delle
frane ecc., anche in considerazione dei loro rapporti coi mutamenti
successivi determinatisi nei caratteri morfologici, prima, durante e
. dopo le invasioni glaciali) si ricercano infatti i fattori della morfo-
logia e le origini delle bellezze naturali della Penisola, e dei muta-
menti ch’esse offrono dal nord al sud. Orbene il TARAMELLI si ap-
passionò nello studio di questo periodo geologico, cercando e trovando
nelle impronte degli avvenimenti geologici, che precedettero o accom-
pagnarono la comparsa e poi il diffondersi delle famiglie umane nella
Penisola, le origini delle forme del suolo nel nostro paese '. Michele
Scherillo, Presidente del R. Istituto Lombardo, comunicando con
eloquenti e commosse parole la morte del TARAMELLI, decano della
Classe di Scienze, rilevò pure com’Egli studiasse con l’acume e lo
scrupolo dello scienziato, ma altresì con l’ardore e la passione del-
l’innamorato le belle membra della «formosissima donna» che è
l’Italia, e disse felicemente, che « furono i poeti delle vette, delle
valli e dei laghi, questi nostri geologi del Risorgimento : lo Stoppani,
il Negri, il Taramelli ». Profondo conoscitore del periodo geologico
sincrono dei tempi protostorici rispetto all'evoluzione umana, Egli
sì interessò pure con amore della Paletnologia *; e per certo anche in
questo ramo di coltura Egli fu il primo maestro del figlio Antonio,
il chiaro archeologo del Museo di Cagliari, che con tanto successo
, scopre e illustra le antichità sarde.
| * * *
Il TARAMELLI fu dunque un geologo di larghe vedute; ma il la-
voro di sintesi per cui poteva concepire e descrivere «come sì è
1 Ni 8, 10, 45, 50, 63, 70, 79, 93, 103, 105, 112, 121, 127, 131, 136, 142, 148,
153, 181, 184, 251, 257, 261, 263, 264, 266, 272, 277, 280, 289, 292, 293, 302,
305, 313, 317, 318, 319, 320, 322, 321, 325, 334, 335, 336 dell’Elenco bibliogr.
2 Ni 25, 26, 27 dell’Elenco bibliogr.
6 C. F. PARONA | rei
fatta l’Italia geologica» era anche il risultato della profonda cono-
scenza della geologia di quasi tutte le singole regioni italiane, che.
Egli aveva acquistata con perseveranti ricerche; e quindi della pos-
sibilità derivatagli di procedere a confronti sicuri ed alla valuta-
zione critica dei fatti generali e particolari, che presiedettero alla
genesi delle Alpi e degli Appennini e dei territori che ne dipendono,
nonchè al modellamento per cui ne derivò l’aspetto attuale. Con
queste ricerche, durate oltre 50 anni, il TARAMELLI portò un notevo-
lissimo contributo al progresso della geologia italiana. Vediamo ora
di porre ciò in evidenza col rapido esame dei lavori o dei gruppi
di lavori più importanti.
L'inizio dell’attività geologica del giovane naturalista corrisponde
al fecondo periodo di risveglio degli studi scientifici in Italia e
coincide, si può dire, col costituirsi in Firenze (1867) del R. Comitato
Geologico e dell'Ufficio Geologico, che nel loro funzionamento tro-
varono indirizzo e fondamento ed elementi preziosi negli studi e nei
rilevamenti regionali dei geologi italiani (Capellini, Cocchi, Costa,
Curioni, Lamarmora, Doderlein, Gastaldi, Gemmellaro C., Gemmel-
laro G., Meneghini, Omboni, Pareto, Savi, Scacchi, Scarabelli, Sella,
Spada, Sismonda A., Stoppani, Strozzi, ecc.), che fin dal 1861, per
iniziativa di Felice Giordano, erano stati chiamati a far parte di una
Giunta Consultiva per studiare le norme alla formazione di una
larta geologica del Regno. Animato dall’esempio di tanti insigni mae-
stri e dal desiderio di contribuire con lavoro d’iniziativa personale
alla grande opera e ben preparato alle ricerche sul terreno per le
escursioni fatte specialmente nelle Alpi Lombarde sotto la guida dello
Stoppani, che dell’allievo prediletto aveva eccitato l’amore e la passione
allo studio ed il promettente ingegno, il TARAMELLI approfittò della
destinazione ad Udine per iniziare le escursioni di orientamento nel
Friuli, e proporsi quel sistematico e vasto programma di indagini,
che lo condusse al rilevamento geologico ed alle descrizioni delle
carte geologiche per le provincie confinanti di Udine e di Belluno.
Non si peritò dunque di dedicarsi subito allo studio delle Alpi
Carniche, riuscendo colle sue scoperte a portare un primo ordina-
mento razionale nella serie paleozoica, e ad intravvedere i tratti fon-
damentali della intricata e difficile tectonica di quella regione, geo-
ORGA E. TTI EEE I
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[8] TORQUATO TARAMELLI ‘
logicamente difficile e faticosa a percorrersi allora più che non lo
sia ora !.
Eppure non parve campo sufficientemente vasto al nostro Geolo-
go che, quasi avesse trovato nel Friuli le chiavi di molti segreti
‘ della geologia alpina e volesse provarle altrove ed altre scoprirne,
non si trattenne dall’estendere le sue peregrinazioni geologiche oltre
gli iniqui confini politici di allora, spingendosi nell’alto bacino del-
l’Isonzo, nel Friuli orientale, nella Carniola, nella Carinzia? ed a
tutta l’Istria.
Collo studio del sistema glaciale dell’Isonzo, della Sava e della
Drava il TarAaMmeLLI fu uno dei precursori delle moderne vedute sulla
interpretazione delle invasioni e delle oscillazioni glaciali. Ed alla
descrizione geognostica del Margraviato d’Istria, pubblicata nel 1878,
molte altre note seguirono per migliorare ed ampliare le conoscen-
ze del suolo e sottosuolo della Venezia Giulia nelle questioni relative
alla terra rossa, all'evoluzione del sistema vallivo in dipendenza della
circolazione superficiale e profonda, ai fenomeni carsici in generale,
alle variazioni di livello rispetto al mare, in relazione alla storia
geologica del Golfo adriatico e della supposta esistenza di una terra
« Adria », fino all’interessante studio diretto ad illustrare il proten-
dersi prima del golfo stesso nella valle padana e poi l’estendersi
della pianura oltre 1 limiti attuali, fino allo costa istriana; e come
esso, per caratteri geologici e geografici e per le sue origini, sia
più unito alla penisola italiana che a quella balcanica ?. Quelle vi-
cende geologicamente recenti sulle quali portano ora nuova luce,
con nuove prospettive, le ricerche di L. De Marchi sulle variazioni
del livello adriatico in corrispondenza e dipendenza delle espansioni
e oscillazioni glaciali.
Per lo stesso desiderio di confortare e controllare le concezioni
che andava formandosi sulla geologia delle Alpi Venete con nuove
! Pubblicazioni relative al Friuli: N. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 9, 12, 14, 16, 17, 23,
24, 28, 30, 31, 32, 34, 36, 40, 44, 45, 67, 68, 138, 143, 157, 164, 168, 188, 285,
305, 323, 324 e 330. — Relative al Bellunese: N.i 13, 18, 48, 70, 86 dell’Elenco
bibliogr.
? N.i 8, 15, 203, 205 dell’Elenco bibliogr.
fede 200030, db 43,40, 54; (9197; 300.316, 818, 319, 820, 822
| dell’Elenco bibliogr.
8 C. F. PARONA [8]
osservazioni e confronti, estese 1 rilevamenti geologici al Veneto
occidentale! ed al Trentino *; procedendo anche qui a quella
particolareggiata disamina della serie dei terreni, con accurate
ricerche di fossili, per cui, colla scoperta di nuovi orizzonti geolo-
gici, ne riuscivano meglio precisati nel numero e nella successione
cronologica i membri della serie paleozoica, mesozoica e cenoè
zoica, nel tempo stesso che nuovi elementi Egli portava allo studio
dei discussi problemi della tectonica delle Alpi delle Tre Venezie.
Così il TarameLLI colle sue iniziative, poste in atto con tenacia di
propositi e spirito di sacrificio, vinceva difficoltà, che per altri sa-
rebbero state forse insuperabili, con mezzi sempre sproporzionati al
bisogno, con una salute delicata che trascurava, con una numerosa
famiglia che esigeva tutte le cure dell’ottimo padre. Così col nobile
esempio preparava quel risveglio degli studî geologici nel Veneto,
per cui negli ultimi vent'anni una schiera di giovani, valenti e atti-
vissimi nostri geologi e paleontologi, seppe con molto onore e vitto-
riosamente fronteggiare quella inframmettenza, talvolta presuntuosa,
per quanto in generale scientificamente autorevole, dei geologi au- A
striaci e tedeschi, che fu uno dei mezzi e dei tentativi della multi- o °
forme, minacciosa germanizzazione, che la Vittoria frenò e, speriamo,
rese vana per sempre. |
I risultati di queste ricerche sul Veneto, esposti in numerose note
e memorie, furono riassunti ed ordinati nell’opera maggiore, alla quale î
l'Accademia dei Lincei assegnò nel 1882 il Premio Reale e che in 3
parte rimase inedita: ma con questa occorre menzionare, almeno, per |
il loro speciale significato la monografia stratigrafica e paleontolo- È;
gica del Lias nelle Alpi Venete e l’altra sul Garda, colle note suc-
cessive °. Degne di menzione queste ricerche sul Benaco, non solo
per le idee espostevi sulla genesi del lago in dipendenza delle gla-
ciazioni, ma altresì perchè dimostrano l’importanza della sinclinale
benacense, quale accidente geotectonico di collegamento e ad un
tempo di separazione fra Lombardia e Veneto, e come « questa me-
ravigliosa e profondissima ruga del Garda, alla quale corrisponde
ORI STE e VITE PE
1 N.i 56, 65, 186, 211, 263, 325, 326, 327 e 328 e peril Veneto in generale
i Ni 29, 33, 58, 71, 84, 142, 146, 148 dell’Elenco bibliogr.
N.' 124, 127, 136, 241, 308, 321 dell’Elenco bibliogr.
N. 150, 151, 267, 268, 297 dell’Elenco bibliogr.
[8] TORQUATO TARAMELLI 9
l'ampio bacino idrografico dell'Adige, formi il tratto più grandioso
e più importante della stratigrafia delle Alpi Meridionali ».
Ma in gran parte queste ricerche, e le più notevoli delle pub-
blicazioni relative, sono di data posteriore alla nomina (1875) del
TarameLLI alla cattedra di Pavia. Durante il lungo soggiorno e il
fecondo insegnamento nell’Ateneo lombardo, pur occupandosi e inte-
ressandosi sempre con predilezione della geologia delle Alpi orientali,
rivolse la sua instancabile attività alle Alpi lombarde e piemontesi,
all’Appennino settentrionale ed alla vasta pianura che ne è recinta.
Punto di partenza dei nuovi studî in Lombardia fu specialmente
la descrizione della Carta geologica del Canton Ticino e paesi fini-
timi, compilata per incarico della Direzione del rilevamento geolo-
gico della Svizzera e su elementi raccolti dall'amico suo ing. E. Sprea-
fico. Le revisioni sul terreno fatte per la pubblicazione di questo
bel volume, nel quale sono già discussi i più importanti problemi
della geologia lombarda, specialmente in relazione ai ‘concetti di
Hauer e di Stoppani in quanto non si accordavano sull’interpreta-
zione stratigrafica e cronologica della serie triassica, portarono il
— TARAMELLI, come gli era successo per il Veneto, ad estendere i suoi
rilievi a tutta la Lombardia ed a tutto il bacino del Ticino, che fece
oggetto di particolare monografia. Questo lavoro, il geniale studio
- geologico ed orografico dei tre Laghi e la Carta geologica della Lom-
bardia sono le pubblicazioni di carattere più generale e comprensivo
fra quelle numerose, colle quali illustrò i problemi, che si connettono
alla costituzione e struttura ed alla storia di questa regione geolo-
a gicamente classica, che offrì sempre tante attrattive ai geologi na-
zionali e stranieri: mi basterà ricordare l’inesauribile argomento di
discussione relativo all’origine dei laghi lombardi, che il TARAMELLI
trattò ripetutamente, precisandone gli elementi e raccogliendoli nel-
br: l’ultima sua lettura fatta al R. Istituto Lombardo (Le spiegazioni dei
i nostri laghi attraverso un secolo, 1920).
Considerando la geologia del bacino del Ticino, il TARAMELLI già
aveva dovuto inoltre occuparsi del Piemonte ?, ma non condusse
NZCSC049; 52, 69, 84817, 99, 94; 96,101,103; 116,117, 125, 129, 137,
139, 142, 144, 148, 149, 159, 160, 166, 177, 194, 199, 201, 202, 204, 228, 259,
255, 262, 273, 275, 283, 289, 292, 295, 331, 336 dell’Elenco bibliogr.
? N.i 62. 94, 206 dell’Elenco bibliogr.
10 C. F. PARONA e [8]
per altro ricerche sistematiche nelle Alpi Occidentali; tuttavia i
suoi contributi furono importanti anche per questa parte delle Alpi.
Egli stesso ricordava, compiacendosene a ragione, che quando si
trattò degli studî preliminari del traforo della galleria del Sem-
pione, facendo parte della Commissione internazionale con Lory,
Renevier e Heim, ebbe la soddisfazione di avvicinarsi più degli al-
tri colleghi a quella interpretazione stratigrafica includente un ro-
vesciamento, che fu dimostrata vera dai rilievi fatti durante i lavori
e dalla relazione riassuntiva dello Schardt!.
Rivedendo la geologia del Nizzardo e della Liguria occidentale,
nella relazione sul terremoto del 1887, ed in altre occasioni, concorse
allo studio delle Alpi Marittime anche nel loro collegamento coll’ Ap-
pennino *; ed approfittò pure della scoperta risguardante la prosecu-
zione sottomarina delle valli liguri per discuterne il significato, con-
cludendo per ritenere probabilmente quaternaria la data di sommer-
slone, prospettando una corrispondenza di cause fra l'origine di
questi tratti sommersi di valli e quella dei bacini lacustri preal- -
pini. In seguito allo studio del De Marchi sull’idrografia sommersa ‘ È
nel golfo adriatico, Egli si chiederebbe ora, probabilmente, se e .
quanto l’innalzamento del livello del mare alla fine dell’epoca gla-
ciale abbia rapporti colla sommersione del tracciato idrografico nel
golfo ligure.
Nè dimenticheremo il fatto notevole che il TARAMELLI, valutando
%
i termini dell’altro tanto discusso problema dell’età della zona delle
pietre verdi*, fondamentale per l'ordinamento cronologico e per l’in-
terpretazione strutturale della serie dei terreni cristallini nelle Alpi
Occidentali, si pronunciò autorevolmente per l'attribuzione al Me-
sozoico della zona stessa; e questo parere fu adottato dal R. Comi-
tato Geologico nella pubblicazione: dei fogli della Carta riferentisi
alle Alpi Occidentali.
Era naturale che il geologo dell’Università pavese dimostrasse non
minor interesse per la geologia del prossimo Appennino; Egli si oc-
cupò infatti assiduamente dell'Appennino pavese coll’obbiettivo di
rilevarne la carta geologica, estendendo per altro le ricerche ad oc-
1 N.i 74, 89, 197, 200 dell’Elenco -bibliogr.
* N. 100, 106, 270, 282 dell’Elenco bibliogr.
3 N.i 72, 73, 271 dell’Elenco bibliogr.
i
ani Loianant tar iii da
edo è 7°
8] TORQUATO TARAMELLI 1a!
"
cidente e ad oriente, nell'Appennino genovese e nell’emiliano ! per
opportuni confronti a chiarimento dei fatti che gli si presentavano
nel pavese, trattando e discutendo problemi importanti e svariati,
come quelli delle serpentine e dei graniti, che ad esse sono inter-
posti, delle argille scagliose, dei petrolî, delle salse, ed anche per
assolvere incarichi di geologia applicata, specialmente questioni di
geo-idrologia e di nuove linee ferroviarie. Così Egli contribuì agli
studi delle condizioni geologiche lungo i tracciati ferroviari fra Novi.
e Genova; ed è assai interessante l’estesa memoria col confronto
dei risultati del traforo delle gallerie del Turchino e di Cremolino,
sulla linea Genova-Asti, colle previsioni riguardo alla serie dei ter-
reni, ai loro rapporti tettonici, alla idrologia sotterranea ed alle con-
dizioni termiche. Parecchi furono gli studi pubblicati sulla provincia
di Pavia, dal primo, per data, sulla formazione serpentinosa nell’Ap-
pennino pavese, alla recente seconda edizione della descrizione geo-
logica, con carta, della provincia stessa (1916); la quale monografia,
oltre di essere un bel saggio geomorfologico regionale, ha interesse
generale in quanto la geologia dell'Appennino settentrionale contiene
elementi che contribuiscono a chiarire l'evoluzione di essa catena
«durante il pliocene e il postpliocene, in connessione con quella della
Prealpe, attraverso la grande depressione padana, onde le due. catene
sono apparentemente separate, ma in fatto geneticamente collegate.
Già dissi delle appassionate cure dedicate dal nostro geologo allo.
studio del Neozoico, con particolare riguardo alla regione limite, dal
Pliocene in poi, fra continente e golfo adriatico : il piano lombardo ed
emiliano fu la parte della grande pianura ch’Egli perlustrò ininterrot-
tamente, e numerose furono le note che vi si riferiscono, da quella più
antica e classica sul ferretto della Brianza. Con esse venne delineando
il quadro degli avvenimenti che promossero il passaggio della regione
subalpina dalla fase marina a quella continentale e lo svolgersi dei
fenomeni glaciali e interglaciali, fluviali e bradisismici, che determi-
narono l’assestamento ed il modellamento, onde preappennino e
prealpe, e gli altipiani e bassopiani che ne dipendono, mentre si
rendevano abitabili dall'uomo, assunsero la fisionomia attuale; chia-
1 Appenn. Pavese-Genovese, n.i 42, 46, 69, 72, 76, 90, 162, 169, 173, 214,
218, 220, 232, 244, 285, 311, 314, 315; App. Emiliano, n.i 65, (5, 83, 90, 92,
102, 145, 252 dell’Elenco bibliogr.
12 C. F. PARONA [8]
rendo Egli inoltre come i fiumi piuttosto che i ghiacciai abbiano
scavate le valli e preparate le conche lacustri, illustrando d’altra parte
l’efficacia dell’azione modellatrice dei ghiacciai.
E così col rapido accenno agli studî del TARAMELLI nelle Alpi,
nell’Appennino e nell’interposta grande pianura abbiamo delimitato
il campo della sua più intensa, coordinata e sistematica attività. Ma
quante volte Egli percorse il resto dell’Italia a scopo di indagini
geologiche '? Gli scritti sulle Alpi Apuane, sul bacino idrografico del
Pescia, sui dintorni di Aquila, sulla provincia di Avellino, sul trac-
ciato dell’acquedotto pugliese, sul Leccese, sulla Calabria, sullo Stretto
di Messina, sulla Sardegna dicono com’Egli non trascurasse occa-
sione per indagare sulla costituzione e struttura delle varie contrade
e contribuisse al progresso della nostra geologia sotto i punti di vista
teorico e pratico. Nè fra le opere sue dimenticheremo * la relazione
sulla missione in Andalusia per lo studio geologico del terremoto
del 1884, ed il volume, in collaborazione col Bellio, sull’Africa, nel
quale raccolse e coordinò sinteticamente tutto quanto allora era noto
per la geologia di questo continente.
Studioso della produzione scientifica straniera, la considerava con
critica prudente e sagace, prendendola ad argomento di scritti in quanto -
essa si riferiva alla geologia del nostro paese. Così, dissentendo dalle
esagerazioni e dalle fantasie dei sostenitori, come dalle troppo rigide
negazioni degli oppositori, Egli prese parte alle discussioni a pro-
posito delle ipotesi dei ricoprimenti e dei carreggiamenti, insistendo
sui limiti ragionevoli da assegnare nelle loro applicazioni alla inter-
pretazione della tettonica e sintesi alpina e appenninica; ritenendo in
massima che le più grandiose dislocazioni di masse rocciose, anche
nelle regioni più tormentate, siano sempre conciliabili coll’origine au-
toctona delle masse stesse, corrugate, infrante e dislocate nei loro
frammenti. E forte della profonda sua conoscenza della geologia delle
due catene, contrastò alle idee di grandi carreggiamenti nell’Appen-
nino, e sostenne non corrispondente ai fatti il così detto ricopri-
mento dinarico *.
1 N.i 174; 99, 205, 207; 134; 98, 208; 233, 284, 235, 236, 237; 213; 240; 49.
51, 57 dell’Elenco bibliogr.
? N. 95, 97; 119 dell’Elenco bibliogr.
3 N.i 172, 198, 250, 279, 287, 288 dell’Elenco bibliogr.
[8] TORQUATO TARAMELLI 13
Ma altre benemerenze dobbiamo riconoscergli a vantaggio della
migliore conoscenza del nostro Paese nel riguardo geofisico per con-
statazioni e analisi di fatti e concezioni teoriche. Della Sismologia
trattò magistralmente nelle sue relazioni, memorie e conferenze sui
i terremoti di Tolmezzo, di Belluno, di Liguria, dell'Appennino Cen-
trale e calabro-siculi, e sul fenomeno in generale riferendo sulle aree
sismiche, o discutendo della valutazione delle probabili cause deter-
minanti la sismicità in dipendenza dei fenomeni profondi di assesta-
mento tettonico e delle convulsioni vulcaniche !.
Si occupò in molte occasioni con originalità di vedute e genial-
mente della circolazione sotterranea delle acque e delle sorgenti, non
solo in quanto concerne l’igiene delle acque e le necessità dell’in-
dustria e dell’agricoltura, ma altresì relativamente alle condizioni
litologiche e tettoniche, che ne determinavano il decorso sotterra-
neo, e alle influenze esogene, che devono aver influito nel passato sul
loro modo e grado di attività chimico-meccanica, scavatrice o di in-
erostazione, o di riempimento, in particolare con riferimenti ai fe-
nomeni carsici. Accenno, come segnatamente interessante per il pro.
blema generale della circolazione superficiale e sotterranea rispetto
al ritorno delle acque all’esterno, alla trattazione Sulle sorgenti e corsi
d’acqua nelle prealpi *.
Ricordando l’operosità del TArAMmELLI nell’ambito della geologia
applicata, non dimenticheremo l’interessamento suo perchè le condi-
zioni del suolo fossero studiate anche in relazione all’agricoltura:
e come nella propaganda a questo intento avvertisse l’importanza
relativa e limitata che le carte geologiche possono avere per le
deduzioni sul valore agrario e sulla produttività del suolo, osser-
vando che lo studio geologico-agrario del terreno, per quanto con-
nesso a quello del sottosuolo, deve procedere con un ordine di ri-
cerche affatto diverse da quelle cui è tenuto il geologo. Saggi delle
ricerche sue, o promosse da Lui, in questo campo sono quelle sul
1 N.i 20, 95, 97; 106, 107, 108; 109, 141, 155, 165, 183, 185, 256, 258, 301
k dell’Elenco bibliogr.
È _ 2 N.i 41, 43, 80, 87} 99, 115, 112, 133, 134, 185, 161, 170, 180, 186, 190,
; 192, 203, 205, 207, 212, 213, 214, 215, 216, 221, 222, 223, 224, 225, 226, 227,
Sa 233, 234, 235, 236, 237, 240, 244, 247, 249, 253, 255, 265, 274, 284 dell’Elenco
; bibliogr. i
14 C. P. PARONA < ‘#8
territorio di Capodistria, sulla provincia di Pavia e sulla pianura
lombarda !.
Nè mancheremo di rammentare quanto Egli si adoperasse affin-
chè il rilevamento della Carta Geologica del Regno procedesse ra-
zionalmente, rapidamente, e colle garanzie di un lavoro scientifico.
In origine l’azione sua fu rivolta ad associarsi alla proposta dello
Stoppani per la fondazione di un vero Istituto Geologico di Stato
autonomo; ma poichè fu invece deliberata l’istituzione di un Ufficio
Geologico alle dipendenze del Corpo R. delle Miniere, accettò di far
parte del R. Comitato Geologico, che dell’Ufficio ha la direzione
scientifica, senza per altro rinunciare al suo ideale di un Istituto’
autonomo, nel quale trovassero posto, come geologi operatorîì e pa-
leontologi, i naturalisti laureati ?, oltre agli ingegneri. A merito del-
l’attuale Presidente del Comitato, on. M. Cermenati, il programma
Stoppani-Taramelli fu al fine in buona parte adottato; ed il nostro
geologo prima di morire ebbe dunque la soddisfazione di vederne
l’attuazione per opera di chi si compiace di dirsi suo allievo.
* * * >
I ricordi della campagna nel Trentino e della guerra che riuniva
il Veneto alla Madre Patria, lasciando all'Austria la Venezia Triden-
tina e Giulia, furono senza dubbio lievito al fervore patriottico in-
soddisfatto del giovane garibaldino, che, all’inizio della carriera d’in-
segnante e di geologo, svolse di sua iniziativa nel Friuli, e fuori -
dei confini politici orientali, una sua campagna, la quale, per quanto
di carattere scientifico, non mancò di avere significato ed efficacia
di propaganda patriottica. Alla fine della lunga carriera, con tanto
onore percorsa, ed all’aprirsi della nuova guerra liberatrice, al ga-
ribaldino vecchio non restava che la forza intellettuale da offrire
alla Patria. Fu instancabile nella propaganda con opuscoli e confe-
renze, e, valendosi della sua esperienza di geologo conoscitore del
vasto teatro della guerra, pose in evidenza l’impronta italica, l’unità
geo-storica e morfologica delle tre Venezie ed il diritto nostro al pos-
sesso dei veri confini orientali segnati dalle vicende geologiche e dalla
! N.' 77, 88, 118 dell’Elenco bibliogr.
® N.i 55, 61, 66 dell’Elenco bibliogr.
PEPE REN te %
'
[8] TORQUATO TARAMELLI 15
storia. I monti del Trentino ed il Lago di Garda, il Montello ed il
Grappa, il Piave, il Brenta e l’Isonzo, il Carso, l’Istria, la Dalma-
zia ed il Golfo Adriatico, narrando gli avvenimenti geologici dai
quali essi trassero orgine, Egli descrisse in saggi, che per argomento,
trattazione e intento formano un insieme organico !, e sono degni
di ristampa, riuniti in volume. Da essi traspare il caldo e commosso
entusiasmo e la fede dell’efficace e facile scrittore, dell’appassionato
geologo, del convinto animatore degli sforzi pel compimento volon-
teroso d'ogni dovere fino al sacrificio, dell’ammiratore sincero e di-
. sinteressato d’ogni idealità. Il venerato Maestro non poteva in modo
migliore compiere la sua nobile missione e più degnamente chiudere
la sua vita operosa, per ogni riguardo esemplare.
* E *
Egli diceva che «le scienze naturali sono ad un tempo 1l fonda-
« mento e l’ornamento della coltura di un popolo; coltivate con sano
criterio filosofico esse non ponno che riuscire benefiche sotto ogni
aspetto e sicura guida a molte altre branche di vita civile ». A questi
concetti informò il suo insegnamento durante 44 anni di professo-
rato universitario, nella scuola, nel laboratorio, nelle escursioni alle
quali guidava gli allievi il più frequentemente possibile. Confermando
quanto già dissi in altra occasione a lode del Maestro, ripeterò sol-
tanto che i molti suoi allievi ne hanno messo a profitto gli ammae-
stramenti nei diversi campi della nostra scienza, nella geologia teo-
rica e applicata, nella paleontologia, nella morfologia, nella geodina-
mica, perchè questi indirizzi diversi, seguiti dagli scolari, dimostrano
quanto fosse vario e fecondo il suo insegnamento, condotto con im-
pronta e indirizzo personali e con larga visione della scienza, quanto
fosse estesa e profonda la sua coltura, com’Egli favorisse e incorag-
giasse le tendenze e le iniziative degli allievi suoi e di ogni studioso,
che dimostrasse di interessarsi utilmente di ricerche geologiche.
Fra le numerose pubblicazioni del TARAMELLI prevalgono gli opu-
scoli,-e a chi ben conosce questa ricca produzione scientifica resta
l’impressione che il compianto Maestro andasse raccogliendo elementi
=
1 N.i 802, 303, 304, 308, 310, 312, 313, 317, 318, 319, 820, 321, 322, 323.
325, 326, 327, 328, 329 dell’Elenco bibliogr.
16 C. F. PARONA [8]
per servirsene poi alla compilazione di opere maggiori illustranti il
nostro Paese. E a lavori complessi Egli infatti pensava da molti anni,
e taluni dei suoi scritti danno invero l’idea d’essere capitoli di
opera più vasta. Ricordo, fra gli altri, il suo proposito di pre-
parare una larga trattazione delle sorgenti, per la quale disponeva
di tanti dati e di gran copia di osservazioni originali. Se non che
i propositi restarono allo stato di progetti, perchè la malferma sa-
lute, le cure della famiglia e dell’insegnamento, i frequenti inca-
richi e le missioni di fiducia, gli toglievano la possibilità del lavoro
continuativo e del raccoglimento indispensabili per condurre a ter-
mine opera di grande mole.
Ma queste difficoltà Egli avrebbe saputo superare, nella forza della
sua volontà e nell'amore al lavoro, se una malattia d’occhi non lo
avesse sorpreso fin dagli anni migliori della sua intensa attività : in-
fermità che si aggravò, rendendogli rapidamente penoso il leggere e lo
scrivere. Fin dal 1915 Egli scriveva: « Il leggere mi riesce sempre
più difficile e scrivo a fatica; detto qualche coserella senza valore e
insegno a reminiscenza, abituandomi all’idea, se campo, di lasciare
tra pochi anni il posto a qualche bravo successore ». E lo ebbe il
bravo successore — quello stesso ch’Egli desiderava — ma non in
tempo per compiacersene.
Il suo nome resterà nella storia della geologia italiana, come re-
sterà nella storia dell’Università di Pavia, che l’ebbe due volte Ret-
tore, e della Società Geologica Italiana, della quale fu socio fonda-
tore, che lo volle due volte Presidente e lo festeggiò nel 1911, pre-
sentandogli a ricordo un’artistica targa d’oro. Un rifugio alpino nei
Monzoni della valle di Fassa porta il suo nome !; onore reso al geo-
logo irredentista e all’apostolo dell’Alpinismo scientifico. A lui fu
dedicata una Sala (Mineralogia e Geologia) del Museo Civico di Ber-
gamo?: omaggio della città nativa all’illustre e benemerito cittadino.
Il suo nome resta pure, a titolo d’onore, negli elenchi dei Soci delle
Accademie nazionali, e di parecchie delle straniere, che bene ne
apprezzarono i meriti scientifici. Così resta fra quelli dei Soci ono-
rarî della « Dante Alighieri » in riconoscimento delle sue beneme-
renze e virtù patriottiche.
1 N.' 229 dell’Elenco bibliogr.
2 N. 209, 330 dell’Elenco bibliogr.
n
TIP pira
[8] TORQUATO TARAMELLI 17
E chi ebbe la fortuna di conoscerlo e di avvicinarlo ricorderà
con grande simpatia e rimpianto la serena e paterna figura di Lui,
e serberà il più dolce ricordo del suo carattere mite, integro, modesto
e riservato, ma forte e tenace nel volere e nell’operare il bene e nelle
convinzioni, che furono il migliore conforto e la radiosa speranza di
tutta la sua esistenza.
Il R. Comitato Geologico, del quale era membro anziano e che
l’ebbe consigliere diligente ed ascoltato, incitatore e ad un tempo
moderatore, associandosi al generale cordoglio, rinnova alla desolata
famiglia, ai figli, alle figlie, ai nipoti, nei quali il buon TARAMELLI
accentrava tanta parte dei suoi affetti e dei suoi pensieri, l’espres-
sione delle condoglianze ed. il rammarico per la dolorosa e grave
perdita fatta dalla Scienza e dal Paese.
Boll. R. Com. Geol., v. XLVIII, 1920-21. 2
ME piene e Pepe ©
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-l
10.
11.
ELENCO DELLE PUBBLICAZIONI
DEL
Prof. TORQUATO TARAMELLI
(1863-1921) |
1863.
. Sopra alcum crostacei di forme marine nelle acque dolci dell’Italia superiore.
Atti Soc. Se. Nat., vol. V, Milano.
1867.
. Sui combustibili fossili del Friuli (in collab. con A. Cossa). Annali Scient. Ist.
Tecnico, Udine, vol. I.
. Sulla orografia della prov. di Udine. Annali Scient. Ist. Tecnico, Udine, vol. I
1868.
Osservazioni stratigrafiche sulle valli dell’ Aupa e del Fella (con tavola). Annali
Scient. Ist. Tecnico, Udine, vol. II
1869.
. Osservazioni stratigrafiche sulle valli del Degano e della Vinadia in Carnia (con
tavola). Annali Scient. Ist. Tecnico, Udine, vol. III
. Sopra alcuni Echinidi cretacei-e terziarit del Friuli (con 2 tav.). Atti KR. Ist.
Veneto di Sc., XIV.
1870.
. Sulla formazione eocenica del Friuli (con tavola colorata). Atti dell’Accademia
di Udine. —
. Sugli antichi ghiacciai della Drava, della Sava e dell’Isonzo (con tavola colo-
rata). Atti Soc. It. Sc. Nat., Milano, vol XIII.
. Osservazioni stratigrafiche sulle valli del Bùt e del Chiarsò in Carnia (con ta-
vola). Annali Scient. Ist. Tecnico, Udine.
1871.
Dell’esistenza di un’alluvione preglaciale nel versante meridionale delle Alpi in
relazione coi bacini lacustri e dell’origine dei terrazzi alluvionali (con 2 tavole).
Atti R. Ist. Veneto di Sc., Lett. ed Arti, XVI.
Una passeggiata geologica da Conegliano a Belluno. Giorn. « La Provincia di
Belluno ».
20 c. F. PARONA x 18)
12. Cenni sui terreni paleozoici delle Alpi Carniche. Boll. Club Alpino It., n. 30°, n
pag. 473, Torino. °
13. Cenni geologici sull’ Alto Trevigiano e sulla valle di Belluno nel Veneto. Annali —
Scient. Ist. Tecnico, Udine.
14. Cenni geologici sulle valli di Raccolana, di Dogna e di Malborghetto nell’Alto
Friuli. Annali Scient. Ist. Tecnico, Udine.
15. Cenni geologici sul circolo di Gradisca. Annali Scient. Ist. Tecnico, Udine, vol. V.
1872.
16. Panorama geologico del Friuli da Moruzzo (cromolit. Passero, Udine), con spie-
gazione a stampa (da un acquerello dell’Aut.).
17. Escursioni geologiche fatte nel 1871. Annali Scient. Ist. Tecnico, Udine.
1873.
18. Cenni stratigrafici sul gruppo del Monte Cavallo. Annali Scient. Ist. Teenico,
Udine, vol. VI.
19. Appunti sulla storia geologica dell'Istria e delle Isole del a (con ce:
Atti R. Ist. Veneto di Se. ;
20. Sul terremoto del Bellunese del 29 giugno 1873 (in collab. col a G. A.Pro
RONA). (con tavola). Atti R. Ist. Veneto di Sc. II.
21. Sunto di cinque lezioni popolari di Geologia. Boll. Assoc. AGE perì
Udine.
29. Cenni sulla formazione della terra rossa nelle Alpi Giulie meridionali (con ta-
vola). Atti Soc. It. Se. Nat., XV.
23. Escursioni geologiche ‘ fatte nel 1872 (con tavola). Annali Scient. Ist. Tecnico,
Udine. eg
ISTA.
24. Di alcuni Echinidi eocenici dell'Istria (con 2 tavole). Atti R. Ist. Veneto di
Se., IIL
25. Di alcuni oggetti di pietra lavorata rinvenuti nel Friuli. Atti R. Ist. Veneto
di Sc., IIL
26. Sugli scavi di Concordia. « Gazzetta di Venezia » (Lettera all’on. G. L. Pecile).
27. Di alcuni oggetti dell’epoca neolitica rinvenuti nel Friuli (con tavola). Annali
Scient. Ist. Tecnico, Udine. ] È
28. Stratigrafia della serie paleozoica nelle Alpi Carniche (con tavola). Mem. R. Ist.
Veneto di Se., XVIII c
29. Cenni sulle condizioni geologiche e climatologiche della prov. di Treviso. Nel vo:
lume La vite ed il rino mella prov. di Treviso, Torino. i
30. Di alcune condizioni stratigrafiche ed orografiche della prov. di Udine. Atti del
R. Ist. Veneto di Se., III )
31. Succinta descrizione geologica della prov. di Udine. Annali dell'Accademia Friu-.
lana, vol. I.
[8] TORQUATO TARAMELLI 921
1875.
32. Dei terreni morenici ed alluvionali del Friuli (con 2 tavole). Annali Scient. Ist.
Tecnico, Udine, vol. V.
33. Carta geologica della prov. di Treviso. In un Atlante pubblicato dall'ing. CASSINIS.
34. Di alcune condizioni stratigrafiche ed orografiche della prov. di Udine. Atti
R. Ist. Veneto di Sc., I.
; ; 1876.
35. Del territorio di Capodistria — Studi geognostico-agrari : 1. Cenni geologici
(1 carta). Udine, tip. Seitz.
36. Geological Profiles of the Carnich and Julian Alpes. Royal University of Pavia.
Tip. Bizzoni.
37. Alcune osservazioni sul Ferretto della Brianza (con tavola colorata). Atti Soc.
It. Sc. Nat., Milano, XIX.
38. Osservazioni stratigrafiche sul Carso Triestino e sulla valle del fiume Recca (con
tavola colorata), Trieste.
39. Osservazioni stratigrafiche sulla prov. di Pavia. Rend. R. Ist. Lomb., X, pag. 279.
40. Catalogo ragionato delle rocce del Friuli. Memoria premiata col premio Carpi
dalla R. Acc. dei Lincei (con 7 tavole). Mem., vol. I.
1878.
41. Descrizione geologica del bacino idrografico del fiume Recca e del tratto dell’ al-
tipiano del Carso da traforarsi per la condotta di esso fiume da S. Canziano
alla valle di Longera presso Trieste (1 carta), Trieste, Tip. G. Caprin.
42. Del granito nella formazione serpentinosa dell’Appennino Pavese, Rend. R. Ist.
Lomb., II, pag. 63.
43. Alcune osservazioni geologiche sul Carso di Trieste e sulla valle del fiume Recca
stabilite in occasione di un progetto di derivazione di questo fiume in città,
mediante una galleria di 14 chilometri. Rend. R. Ist. Lomb., II, pag. 289.
44. Alcuni cenni sulla geologia dell’Agordino. Club Alp. Ital. (Sez. di Agordo),
Belluno, Tip.-Litogr. (ruernieri.
45. Succinta spiegazione dell’ Atlante sull’orografia delle Alpi Orientali nei periodi
terziari e posterziarii. Saggio di geologia continentale, premiato con meda-
glia d’argento all’Esposizione di Parigi, Pavia, tip. Bizzoni.
46. Sulla formazione serpentinosa dell’Appennino Pavese. Mem. R. Acc. Lincei, II,
(con 4 tav.).
47. Descrizione geognostica del Margraviato d’Istria (con carta geologica). Milano,
| E Tip. Vallardi.
# 1879.
48. Appunti geologici sulla prov. di Belluno. Atti Soc. It. Se. Nat., Milano (1878), XXI
49. Sunto di alcune osservazioni stratigrafiche sulle formazioni precarbonifere dellu
Valtellina e della Calabria. Rend. R. Ist. Lomb., XJI, pag. 905.
(\b] |
Nei
C. F. PARONA x [8]
. Dell’aspetto delle montagne come carattere geologico. Boll. Club Alp. It., n. 37,
pag. 123.
1880.
. Descrizione orografica e geologica del bacino del fiume Crati nella Calabria Ci-
teriore (con 2 tav.). Cosenza, Tip. Migliaccio.
. Sulla determinazione cronologica dei porfidi luganesi. Rend. R. Ist. Lomb., XIII,
pag. 164.
. Osservazioni a proposito della lettura di Giovanni Cantoni sulle forme cristal-
line della neve. Rend. R. Ist. Lomb., XIII, pag. 224.
. Dell’origine della terra rossa sugli affioramenti di suolo calcare. Rend. R. Ist.
Lomb., XIII, pag. 261.
. Della necessità in Italia di un Istituto Geologico indipendente dal R. Corpo
degli lngegneri delle Miniere. Rend. R. Ist. Lomb. XIII, pag. 294.
. La Valsugana; illustrazione del panorama geologico dei dintorni di Roncegno.
Guida del Bagno Minerale di Roncegno, Tip. Borgo.
. Sul deposito di salgemma di Lungro nella Calabria Citeriore. Mem. R. Ace.
Lincei, V.
. Monografia stratigrafica e paleontologica del Lias nelle provincie Venete. Me-
moria premiata dal R. Ist. Veneto di Sc. Lett. ed Arti (con 10 fut; App.
al t. V degli Atti.
. Il Canton Ticino meridionale ed i paesi finitimi. Spiegazione del foglio 24 della
Carta geologica della Svizzera colorito geologicamente «da Spreafico, Negri e
Stoppani. Mater. Carta Geol. Svizzera, XVII (con 4 tav. ed append.), Berna.
. Risultato del Congresso geologico tenutosi in Roma nel 1880. Rend. R. Ist. Lomb.,
XIII, pag. 420.
. Relazione e progetto di legge presentato alla Commissione per la Carta Geolo-
gica del Regno (in collabor. con A. SToPPANI), Firenze, Succ. Le Monnier.
. Presentando la Memoria postuma di E. SPREAFICO: « Osservazioni geologiche nei
dintorni del lago d’Orta e nella Valsesia ». Atti Soc. It. Se. Nat., XXIII, p. 102.
1881.
. Di alcuni scoscendimenti postglaciali sulle Alpi meridionali. Rend. R. Ist. Lomb.,
XIV, pag. 74.
;4. Sulla posizione stratigrafica della zona fillitica di Rotzo e dei calcari marini
che la comprendono. Rend. R. Ist. Lomb., XIV, pag. 214.
ip. Osservazioni sulla Salsa di Querzola, nella prov. di Reggio. Rend. R. Ist. Lomb.,
XIV, pag. 471.
. La Carta Geologica d’Italia. Discorso inaugurale, Annuario R. Università,
1881-82, Pavia.
7. Sulla recente scoperta di fossili siluriani mella prov. di Udine. Rend. R. Ist.
Lomb., XIV, pag. 590.
. La Carta Geolatà della prov. di Udine (con band descrittivo). Pavia,
Tip. Fusi.
TA 00
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TORQUATO TARAMELLI
1882.
. Sopra due giacimenti nummulitici dell'Appennino Pavese. Rend. R. Ist. Lomb.,
XV, pag. 48.
Di un recente scoscendimento presso Belluno. Rend. R. Ist. Lomb., XV, pag. 617.
. Geologia delle provincie Venete (con carte geologiche e profili). Memoria pre-
miata col premio Reale dalla R. Acc. dei Lincei. Memorie, XIII.
2. Estratto della conferenza sulle serpentine tenuta in Bologna in occasione del
II Congr. Intern. di Geologia. Boll. Soc. Geol. It., I, pag. 14, Roma.
. Osservazioni geologiche fatte nel raccogliere alcuni campioni di serpentini. Boll.
Soc. Geol. It., vol. I, pag. 80.
. Osservazioni fatte nei monti circostanti al passo del Sempione. Boll. Soc. Geol.
It., I, pag. 183.
. Osservazioni fatte nell’ Appennino di Piacenza. Boll. Soc. Geol. It., I, pag. 189.
. Descrizione geologica della prov. di Pavia, con annessa la Carta geologica. Mi-
lano, Stab. Civelli.
1883.
TI. Dello studio geognostico del suolo agrario in rapporto col proposto censimento dei
terreni produttivi del Regno d’Italia. Boll. Soc. Geol. It., II, pag. 84.
. Osservazioni alla Memoria di G. Uzielli, « Sulle ondulazioni terrestri in relazione
con l’orografia degli Appennini e delle Alpi ». Boll. Soc. Geol. It., Il, pag. 162.
. Sulla necessità di studiare le sponde del bacino Adriopadano. Boll. Soc. (reol.
It., Roma, II, pag. 167.
. Sulle sorgenti ‘e corsi d’acqua nelle Prealpi. Rend. R. Ist. Lomb., XVI, pag. 404.
. Di un giacimento di argille plioceniche fossilifere recentemente scoperto presso
Taino a levante di Angera. Rend. R. Ist. Lomb., XVI. pag. 603.
. Commemorazione di Giuseppe Balsamo Crivelli. Rend. R. Ist. Lomb, XVI,
pag. 888.
Sunto di alcune osservazioni stratigrafiche nell'Appennino Piacentino. Boll.
R. Comit. Geol., Roma.
S4. La formazione naturale del suolo veneto, Cronaca della Soc. Alp. Friulana,
Udine, Tip. Doretti.
. Commemorazione del prof. Camillo Marinoni. Atti Soc. It. Scienze Nat., Milano.
. Note illustrative alla Carta geologica della prov. di Belluno, rilevata negli anni
1877-81. Pavia, Tip. Fusi.
. Delle condizioni orografiche, geologiche e idrauliche del bacino del fiume Brembo
(carta geol. e spaccati) in «< Le acque del Brembo e l’acquedotto di Milano ».
Bergamo.
. Rapporto sul concorso dell’Istituto : studio geognostico, chimico e fisico di una
| porzione della Lombardia. Rend. R. Ist. Lomb., XVI, pag. 1022.
. Etude géologique sur le nouveau projet du Tunnel coudé traversant le massif du
Simplon (con Hem, Lory, RENEVIER). 4 pl., Bull. Soc. Vaudoise des Sc. Nat.,
XIX, Lausanne. |
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94.
ff
98.
99.
100.
101.
102.
103.
104.
105,
106.
C. F. PARONA [8]
1884.
. Della posizione stratigrafica delle rocce ofiolitiche nell'Appennino. Atti R. Ace.
Lincei, VIII.
. Commemorazione di Quintino Sella. Rend. R. Ist. Lomb., XVII, pag. 259.
. Contribuzione alla Geologia Mi gs di Piacenza. Rend. R. Ist. Lomb.,
XVII, pag. 572.
. Domanda al Ministero per promuovere uno studio batimetrico del Lago Mag-
giore. Rend. R. Ist. Lomb., XVII, pag. 618.
1885.
Note geologiche sul bacino idrografico del fiume Ticino (con 2 tav.). Boll. Soc.
Geol. It., IV. È
. Relazione sulle osservazioni fatte durante un viaggio nelle regioni della Spagna
colpite dagli ultimi terremoti (con G. MeRcALLI). Rend. R. Ace. Lincei
(10 e 12 giugno).
. Osservazioni stratigrafiche sulla Valtravaglia. Rend. R. Ist. Lomnb., XVIII, pag. 356.
1886.
I terremoti Andalusi cominciati il 25 dicembre 1884 (in collab. con G. MERCALLI)
(con 4 tav.). Mem. R. Acc. Lincei, III
Osservazioni stratigrafiche nella prov. di Avellino, Rend. R. Ist. Lomb., XIX,
pag. 309.
1887.
Condizioni geologiche del bacino idrografico del fiume Pescia e proposte per au-
mentare la portata in magra di questo fiume (con carta geologica). Pavia,
Tip. Fusi.
Dei terreni terziarii presso il Capo la Mortola in Liguria. Rend. R. Ist. Lomb.;
XX, pag. 159.
Osservazioni geologiche sul terreno raibliano e sulle formazioni alluvionali nei
dintorni di Gorno, in Val Seriana, prov. di Bergamo. Boll. Soe. Geol. It.,
Roma, VI, pag. 525.
Una gita nell’ Appennino Piacentino. Nel giornale «Il Rosmini », vol. I,
pag. 721.
1888.
Lo scoscendimento di Bracca in Val Serina. Rivista mensile del Club. Alp.
It., VIII, Torino. ;
Relazione della Commissione giudicatrice del concorso al premio reale per la
Mineralogia e Geologia per l'anno 1886. Rend. R. Ace. Lincei, VI.
Di una vecchia idea sulla causa del clima quaternario. Rend. R. Ist. Lomb.,
XXI, pag. 449.
Il terremoto Ligure del 23 febbraio 1887 (con 4 tav.). (Im collab. con G. MER-
CALLI). Annali dell’Uff, Centr. di Meteor. e Geodin., Roma.
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109.
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119.
120.
121.
122.
123.
124.
125.
126.
TORQUATO TARAMELLI 25
Relazione della Sotto-Commissione incaricata di studiare alcune proposte per
l'ordinamento del servizio Geodinamico nell’Italia meridionale e nelle Isole.
Annali dell’Uff. Centr. di Meteor. e Geodin., vol. VIII, Roma (presentata
nel 1886).
Relazione alla R. Sotto-Commissione Geodinamica sulla distribuzione delle aree
sismiche nell'Italia superiore e media. Annali dell’Uff. Centr. di Meteor. e
Geodin., vol. VIII, Roma (con carta sismica d’Italia).
Di alcumi risultati di uno studio sul terremoto Ligure del 23 febbraio 1887.
Rend. R. Acc. Lincei.
Inaugurazione della lapide in memoria del prof. P. Merlo, 12 ottobre 1885
(essendo il prof. T. Taramelli Rettore della R. Università di Pavia).
Parole in morte del Capitano Commissario della R. Marina Giordano Nava,
20 agosto 1888, Bergamo, Stab. Cattaneo.
Comunicazione sugli antichi periodi alluvionali. Boll. Soc. Geol. Ital., VII,
pag. 19.
1859.
Commemorazione di: Giuseppe Meneghini. Rend. R. Ist. Lomb., XXII, pag. 206.
Cenno necrologico di Enrico Paglia. Rend. R. Ist. Lomb., XXII, pag. 112.
Progetto d’acquedotto per la città di Mantova (coll’ing. E. CARLI). Verona.
1890.
Carta geologica della Lombardia (con fascicolo esplicativo). Ditta Artaria Sacchi
e figli, Milano, e Tip. Fusi, Pavia.
La carta geologica della Lombardia. Rend. R. Ist. Lomb., XXIII, pag. 745.
Alcune osservazioni sui risultati di analisi meccaniche e chimiche del terreno
coltivabile nel circondario di Pavia. Rend. R. Ist. Lomb., XXIII, pag. 778.
Geologia e Geografia dell’Africa (col prof. V. BeLLIO) (con 7 carte). Milano,
U. Hoepli.
Commemorazione del Socio Sen. Andrea Secco. Boll. Soc. Geol. It., IX, pag. 179.
Notizia sur resti di Ursus rinvenuti a Levrange in Lombardia. Boll. Soc. Geol.
It., IX, pag. 744.
Relazione geologica nel progetto di un acquedotto per la città di Varese. Va-
rese; Tip. Maj e Malnati.
Discorso inaugurale del Congresso geologico. Bergamo, Boll. Soc. Geol. It.
(1891), IX, pag. 718.
1891.
Osservazioni geologiche nei dintorni di Rabbi nel Trentino. Rend. R. Ist. Lomb.,
XXIV, pag. 648.
Antonio Stoppani e la Geologia della pp, TA Conferenza tenuta al Cir-
colo Manzoni, Pavia, Tip. Fusi.
Discorso ai funerali del prof. Giuseppe Pisati, 6 luglio 1891, in Roma. Roma.
148.
. Osservazioni sopra alcuni ghiacciai del Trentino. Boll. Soc. Geol. It., X,
ì. Parole a ricordo di Antonio Stoppani, lette al convegno degli Alpinisti tri-
; Osservazioni geologiche nella Valsassina e nella Valtorta (Un paese in pe-
. Un ricordo ed un voto. Pubblicazione della Soc. Alpin. Trident., Rovereto.
. Il significato geologico del paesaggio alpino. Pubblicazione della Soc. Alpin.
. Elogio del compianto Abate Stoppani A. Rivista Archeologica, Como.
. Parere sulla conduttura dell’acqua potabile per la città di Vicenza. Vicenza.
. Parere sulla conduttura dell’acqua potabile per la città di Aquila. Aquila.
. Studi per provvedere d’acqua potabile la città di Bassano (in collabor. coll’ing.
. I ghacciai di Valle di Genova nel Trentino. Dal giornale « L’Italia Giovane ».
. Brevi osservazioni geologiche sulle valli della Stabina e della Pioverna, tra il
3. Una brevissima, ma interessante gita dal ponte di Moggio a Portis. « In Alto »,
. Di un’ Ammonite raccolta nel terreno cretaceo dei colli di Bergamo. Rend. R.
. Relazione della Commissione giudicatrice del concorso al premio Reale per la
. Dei terremoti avvenuti in Tolmezzo cd in altre località del Friuli nell’anno
. La pianura del Po. Dal giornale « L'Italia Giovane ».
. Alcune osservazioni da farsi sulla orogenia del Friuli. Discorso alla riunione
. Alcune osservazioni geologiche nei dintorni di Erba. Rend. R. Ist. Lomb., XXVI,
C. F. PARONA [8]
pag. 1004. °
dentini in Tione, il XV agosto MDOCCLXXX1. Annuario Soc. Alpin.,
Tip. Roveretana. -
1992. si i n
ricolo). Rend. R. Ist. Lomb., XXV, pag. 563.
Trident., Rovereto.
E. CARLI). Bassano.
Serio ed il Brembo, in Lombardia. Boll. Soc. Geol. It., XI, pag. 33.
1895.
Cronaca Soc. Alp. Friul., IV.
Ist. Lomb., XXVI, pag. 201.
Mineralogia e Geologia per l’anno 1890. Rend. R. Acc. Lincei.
1889 (coi prof. PirRoNA e Tommasi) (con 2 tav.). Annali dell’Uff. Centr. di
Meteor. e (reodin., XII, Roma.
della Soc. Alpin. Friulana in Moggio. Dal giornale « In Alto ».
pag. 667.
. Discussione sulle serpentine dell’ Appennino settentrionale. Boll. Soc. (reol. It., c:
XII, pag. 501.
. Discussione sulla Terebratula Rotzoana. Ibid.j pag. 507.
. Discussione sulle rocce cristaliine della regione Faipiano. Ibid., pag. 508.
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1894. 3
La valle del Po nell'epoca quaternaria. Atti 1° Congresso Geografico Ita-
liano, (tenova.
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167.
168.
TORQUATO TARAMELLI 27
. Umescursione in Valtellina (in una pubblic. del dott. G. SoFFIANTINI in me-
moria della di lui madre). Milano, Tip. Felice Cogliati.
. Della storia geologica del lago di Garda (con appendice bibliografica e carta
geologica). Conferenza tenuta in Rovereto il 23 luglio 1893. Atti d. I. R.
Ace. degli Agiati in Rovereto, XI (18983).
. Considerazioni geologiche sul lago di Garda. Rend. R. Ist. Lomb., XXVII,
pag. 148.
. Nozioni principali sulla Geologia del Regno d’ Italia. Dalla « Terra» di G. Ma-
RINELLI, vol. VII, Milano.
. La grotta di Montecatini. Nella « Nazione», Firenze, 14 agosto 1894.
. Osservazioni alla lettura di E. Pollacci sui fosfati dei terreni dell’Italia set-
tentrionale. Rend. R. Ist. Lomb., XXVII, pag. 548.
1995.
. Sulle aree sismiche italiane. Atti I. R. Acc. di Rovereto (1894).
. Discorso all’inaugurazione di una lapide a ricordo dell’abate prof. A. Stoppani.
Annuario della R. Università, 1894-95.
. Osservazioni stratigrafiche sui terreni paleozoici nel versante italiano delle Alpi
Carniche. Rend. R. Acc. Lincei, IV.
. Parole a ricordo di Francesco Sansoni. Rend. R. Ist. Lomb., XXVIII, pag. 494.
. Sugli strati a Posidonomya nel sistema liasico del monte Albenza in prov. di
Bergamo. Rend. R: Ist. Lomb., XXVIII, pag. 600.
. Dei giacimenti pliocenici nei dintorni di Almenno in prov. di Bergamo. Rend.
R. Ist. Lomb., XXVIII, pag. 1052.
. Parere geologico sulla possibilità di attingere buona acqua potabile con galleria
a trincee, nei dintorni della Madonna di Rogoredo, presso Alzate (Progetto
dell’ing. Galloviesi), Milano.
. Osservazioni geologiche lungo il tracciato della ferrovia Genova-Ovada.
. A propostto della Cattedra di Mineralogia nella R. Università di Pavia. Pavia,
Tip. Cooperativa.
. Osservazioni sul Paleozoico delle Alpi Carniche. Boll. Soc. Geol. Ital., XIV,
Roma, pag. 277.
1896.
. Dei terremoti di Spoleto nell’anno 1895 ; con catalogo dei terremoti storici nella
valle umbra (compilato dal sig. P. F. CorRADI), (con tav.). Mem. R. Acc.
Lincei, II.
. Alcune osservazioni stratigrafiche nei dintorni di Clusone e di Schilpario. Rend.
‘ R. Ist. Lomb., XXIX, pag. 1143.
Discorso ai funerali del prof. G. A. Pirona. Atti del R. Ist. Veneto di Sc.
Lett. ed Arti, t. VII. ks
Alcune osservazioni stratigrafiche nei dintorni di Polcenigo in Friuli. Boll.
Soc. Geol. Ital, XV, pag. 297, Roma.
hu
28
169.
170.
171.
C. F. PARONA e [8]
1897.
Sulla composizione delle ghiaie plioceniche nei dintorni di Stradella. Rend.
R. Ist. Lomb. XXX, pag. 1388.
Sul recente rinvenimento di abbondanti fonti petroleifere a Bilo a, Rend.
R. Ist. Lomb., XXX, pag. 786.
Descrizione sommaria delle principali raccolte del Museo di Mineralogia, e
particolarmente di quella di Geologia, della R. Univ. di Cagliari. Boll. Soc.
Geol. It., XV, pag. 468.
1898.
. Considerazioni a proposito della ‘teoria dello Schardt sulle regioni esotiche delle
Prealpi. Rend. R. Ist. Lomb., XXXI, pag. 1368. d
. Osservazioni geologiche in occasione del traforo delle gallerie del Turchino e
di Cremolino, sulla linea Genova- Asti (con 5 tav.). Roma (in foglio).
74. Sulla Carta geologica delle Alpi Apuane. Rend. R. Ist. Lomb., XXXI, pag. 726.
. Relazione sul terzo Congresso geografico italiano tenutosi in Firenze nello
scorso aprile. Rend. R. Ist. Lomb., XXXI, pag. 828.
. Relazione sui lavori presentati al concorso al premio ministeriale per le Scienze
Naturali pel 1897. Rend. R. Acc. Lincei.
. Del deposito lignitico di Leffe in prov. di Horpame, Boll. Soc. Geol. It., XVII.
Roma, pag. 202.
1899.
. Elogio del conte Gilberto Melzi. Rend. R. Ist. Lomb., XXXII, pag. 420.
. Di alcune particolarità della superficie degli strati nella serie dei nostri terreni
sedimentari. Rend. R. Ist. Lomb., XXXII, pag. 521.
. Di due casi di idrografia rigervalica nella prov. di Treviso. Rend. R. Ist.
Lomb., XXXII, pag. 1389.
. Di alcune delle nostre valli epigenetiche. Atti del terzo Congresso Geogr. It.
Firenze.
2. Relazione sul concorso al premio Reale per la Maner: alogia e Geologia del-
l’anno 1898. Rend. R. Ace. Lincei.
. Sulle aree sismiche italiane. « Rassegna Nazionale », giugno 1899.
. Di alcuni scoscendimenti mel Vicentino (1 tav.). Boll. Soc. Geol. It., XVIII,
pag. 297.
1900.
D. Sulle bombe di Vulcano e sulla forma dello Stromboli. Rend. R. Ist. Lomb.,
XXXIII, pag. 790.
. Relazione sulle condizioni geologiche del Colle Montello in rapporto alla cir-
colazione sotterranea delle acque. Montebelluna, Tip. Alvise Pulini.
. Una gita geologica in Istria. Ricordi, «+ Rassegna Nazionale », Firenze.
died
[8] TORQUATO TARAMELLI 29
188. Le principali località fossilifere del Friuli. Cronaca della Società Alpina
Friulana. (1883, non 1900).
189. In memoria del prof. Ferdinando Brusotti. Pavia, Tip. Marelli.
190. Osservazioni stratigrafiche a proposito delle fonti di S. Pellegrino in prov. di
Bergamo. Boll. Soc. Geol. It., XIX, pag. 437.
190 bis. Prefazione alla traduzione italiana dell’opera « Le bellezoe della Svizzera »
di J. LuBBock, U. Hoepli.
1901.
191. Commemorazione di Giovanni Marinelli. Udine, Società Alpina Friulana,
Tip. Doretti.
‘192. Parere sull’acquedotto di Lecce. Lecce, Tip. Mun.
193. Della struttura geologica delle Alpi. « La Lettura », agosto.
194. Della orogenesi della regione di Lugano e di Varese. Atti del 4° Congresso
Geogr., Milano.
195. Discorso per l'inaugurazione del monumento a G. Ragazzoni V8 settembre
in Brescia. Boll. Soc. Geol. It., XX, pag. LX.
196. Relazione della Commiss. giudicatrice del quinto Concorso al premio Molon.
Boll. Soc. Geol. It., XX.
196 dis. Relazione sulla <« de geol. della Prov. di Vicenza» di A. NEGRI, Sez.
=&stedì Vicenza.
1902.
197. Alcune osservazioni stratigrafiche nei dintorni di Varzo. Rend. R. Ist. Lomb.,
XXXV, pag. 114.
198. La lotta dei Titani nella Geologia. Discorso inaugurale per l’anno 1901-1902.
Pavia, Tip. Succ. Bizzoni.
199. Sulla giacitura degli scisti ittiolitici di Besano (con carta geologica). Milano,
Tip. Albrighi-Minola (questo scritto, pieno di errori di stampa, non fu di-
stribuito, quantunque sia accompagnato da una carta geologica al 10.000).
200. Sulla probabile tectonica del gruppo del Sempione. Rend. R. Acc. Lincei, XI.
201. Di alcune condizioni tectoniche della Lombardia occidentale. Boll. Soc. Geol.
It., XXI, pag. CXVII.
202. Dell antico corso del fiume Olona. Boll. Soc. Pav ese di Storia Patria, vol. II,
Pavia.
1903.
203. Risposte ad alcuni quesiti proposti dal Municipio di ‘Gorizia, riguardanti il
. provvedimento dell’acqua potabile. Pavia, Tip. Succ. Marelli. i
204. 1 tre laghi (Studio geologico-orografico, con carta geologica). Milano, Artaria.
205. Di alcune sorgenti nella Garfagnana e presso Gorizia. Rend. R. Ist. Lomb.,
XXXVI, pag. 244.
206. Di uno straterello carbonioso nella formazione " porfiriaà tra Arona e Meina.
Rend. R. Ist. Lomb., XXXVI, pag. 884.
30 C. F. PARONA [8]
207. Studio geo-idrologico del bacino delle Turrita di Gallicano (con carta geolo-
gica). Lucca. :
208. Osservazioni stratigrafiche nella prov. di Avellino. « Giornale di viticoltura e di
enologia », vol. XI, Avellino.
209. A proposito della Università Italiana in Austria. « Strenna », Pio Istituto Sa-
nitario Umberto I, Milano, Civelli. | /
210. Relazione sul concorso al premio Reale per la Mineralogia e (Geologia del
1901. Rend. R. Acc. Lincei.
211. Di alcuni giacimenti lignitiferi del Vicentino. Giorn. Geol. Prat., I, pag. 141,
Genova.
212. Presa d’acqua per la città di Verona. Ibid., pag. 152.
213. Delle condizioni geologiche dei dintorni della città di Lecce, in vista della cir-
colazione sotterranea delle acque. Ibid., pag. 189.
214. Sulla possibilità di attingere buona acqua potabile, con galleria o trincea, nei
dintorni della Madonna di Rogoredo, presso Alzate. Ibid., pag. 249.
215. Condizioni geologiche della valletta del torrente Vellone sopra Velate di Varese.
Ibid., pag. 252.
216. Risposte ai quesiti proposti dalla Giunta municipale di Vicenza, riguardo alle
acque sorgive-e salienti delle Maddalene e del Moracchino. Ibid., pag. 262.
1904.
217. Questioni relutive alla costruzione della nuova linea « direttissima » attraverso
lAppennino da Genova alla valle della Scrivia (collab. cogli ing. E. Lo-
CHERE e C. CAPELLO) (13 tav.), Genova, Pagano.
218. Delle condizioni geologiche dei due tracciati ferroviari per Rigoroso e per Vol-
taggio tra Novi e Genova. Rend. R. Ist. Lomb., XXXVII, pag. 354. -
219. Di un tema di studio pei mostri alpinisti. Rend. R. Ist. Lomb., XXXVII,
pag. 450. i
220. Relazione geologica sulla « direttissima » Genova-Rigoroso (con tav.). Genova,
Tip. Pagano. 9
221. Parere geologico sull’acquedotto di Val Renzola, per i comuni di Roana, Rotzo,
Asiago (studio tecnico dell’ing. FosoLa-INDRI1). Bassano.
222. Relazione sulle condizioni geologiche delle fonti del Piano della Mussa e di
altre nelle valli di Lanzo (con tav. geologica). Torino, Tip. Bona.
223. Relazione geologica sulle sorgenti del Bandito in territorio di Valdieri (Cuneo)
(in collaborazione con M. TARICcO) (con 2 tav.). Torino, Tip. Bertolero.
224. Sulle condizioni geologiche delle fonti di Vinchiaredo, presso Vordovado, in prov.
y di Venezia. Giorn. Geol. Prat., II, pag. 23.
225. Sulle condizioni geologiche dei dintorni di Coltura presso Polcenigo. Ibid.,
pag. 28.
226. Osservazioni geologiche ed idrologiche sulla valletta di Rio Frate presso Broni.
Ibid., pag. 61.
227. Le condizioni idrologiche dei dintorni di Bassano. Ibid., pag. 97.
EE e
TORQUATO TARAMELLI : 31
1905.
. Alcune altre osservazioni stratigrafiche sulla Valtravaglia. Rend. R. Ist. Lomb.,
XXXVIII, pag. 215.
. Discorso detto al Rifugio che di lui porta 11 nome, nel giorno dell’inaugurazione
(9 agosto 1904) (con elenco delle sue pubblicazioni). Rovereto, Tip. Grandi.
. In ricordo di Leopoldo Pilla. Rend. R. Acc. Lincei, XIV, pag. 499.
. Discorso letto nell'adunanza generale della Soc. Geologica Italiana tenuta in
Tolmezzo il 20 agosto 1905. Boll. Soc. Geol. It., XXIV, pag. xxxviII.
. La linea direttissima da Genova alla Valle del Po. Giorn. Geol. Prat., III, Pe-
rugia, pag. 35.
. Alcune considerazioni geologiche a proposito dell’acquedotto pugliese. Rend.
R. Ist. Lomb., XXXVIII, pag. 297.
. L’acquedotto pugliese, le frane ed i terremoti (con tav.) (in collab. con M. Ba-
RATTA). Voghera, Tip. Riva e Zolla.
; Le sorgenti del Sele e Vacquedotto pugliese dal lato geologico. Boll. della Soc.
degli Ing. ed Arch. Ital., n. 19, Roma.
. Considerazioni geologiche a proposito dell’acquedotto pugliese. « (iornale di
Bergamo », marzo e aprile.
. L’acquedotto pugliese. « Gazzetta di Pavia », 26-27, II.
1906,
. Relazione di perizia nella causa Mirabelli-Parisi, Roma.
. Relazione dell’esame geologico della località al cimitero Mola di Bari. Pavia.
. Alcune osservazioni geo-idrologiche "sui) dintorni di Alghero. Rend. R. Ist.
Lomb., XXXIX, pag. 423.
. Cenni geologici sulle Alpi in rapporto alla regione dell’Alto Adige. Archivio
per l’Alto Adige, I, Trento.
. Relazione sul concorso al premio Reale per la Mineralogia e la Geologia. Rend.
R. Acc. Lincei, 1906.
n 1907.
. Discorso d'apertura del Congresso dei Naturalisti Italiani nel settembre 1906.
Atti del Congresso, Milano.
. Sulle acque minerali di S. Caterina in Val Furva (col prof. A. MeNozzi). Rend.
R. Ist. Lomb., XL, pag. 139.
. Condizioni geologiche del tracciato ferroviario Ronco-Voghera. Rend. R. Ist.
Lomb., XL, pag. 484.
. In morte del prof. P. Pavesi. Giornale « La Democrazia », 4 settembre.
. Della utilizzazione dei laghi e dei piani lacustri di alta montagna per sopperire
alle magre dei nostri fiumi. Boll. Soc. Geol. It., XXVI, pag. 235.
. Ricordo del dott. Benedetto Corti. Rend. R. Ist. Lomb., XL, pag. 476 e Boll.
Soc. Geol. It., XXVI, pag. cxx.
32
249.
C. F. PARONA [8]
Notizie circa il pozzo artesiano di Bagnacavallo. Giorn. di Geol. Pratica, i
Perugia, V, pag. 198.
1908.
. A proposito di una nuova ipotesi sulla struttura dell’ Appennino. Rend. R. Ist,
Lomb., XLI, pag. 126.
. L'età del genere umano. Rend. R. Ist. Lomb., XLI, pag. 964.
Osservazioni stratigrafiche nei dintorni di San Pellegrino e di Salsomaggiore.
Rend. R. Ist. Lomb., XLI, pag. 591. a
253. Relazione sulle Sorgenti delle Lame in Val at (con 2 tav.). Piacenza,
259.
Tip. V. Porta.
1909.
. Elogio di Alberto Gaudry. Rend. R. Ist. Lomb., XLII, pag. 80.
. Di un pozzo trivellato che raggiunge il pliocene marino presso Belgioioso. Rend.
R. Ist. Lomb., XLII, pag. 660.
. Dei terremoti di Calabria e Sicilia. Riv. di Fisica Mat. e Se. Nat., anno X,
Pavia.
. Il paesaggio lombardo e la geologia. Discorso inaugurale dell’anno 1909-910.
Pavia. Ristampato dalla Riv. di Fisica Mat. e Sc. Nat. di Pavia, XI, 1910.
. Relazione all'on. Sen. P. Blaserna sull'operato della Sottocommissione incari-
cata di visitare i luoghi del terremoto Calabro-Siculo del 28 dicembre 1908
(con 3 tav.). Roma, Tip. R. Ace. Lincei. °
Relazione all’on. Sen. P. Blaserna sull'esame dei saggi di fondo dello stretto di
Messina, ottenuti cogli scandagli eseguiti dalla R. Marina nel 1° trimestre
1909. Roma.
1910.
. Parole in morte d:1 prof. V. Bellio. Annuario della R. Università, Pavia,
1909-1910. 3
. Sull’origine dello stretto di Messina. Atti Soc. It. per sf progresso delle Scienze,
III riunione, Roma.
2. Osservazioni stratigrafiche nell’alta valle Brembana e presso Como. Rend. R.
Ist. Lomb., XLIII, pag. 203.
263. Geologia della conoide dell’Astico. R. Magioraio: alle acque, Public. n. 8 e
267.
9, Venezia. $
. Quelques observations sur les changements du climat postglaciaire en Italie. Dal
« Postglaziale Klimaveriinderungen », Stoccolma.
D. Le condizioni geologiche delle fonti termali di S. Pellegrino (con carta geologica).
(riorn. di Geol. Prat., VIII, pag. 115.
)6. L'epoca glaciale in Italia, Atti della Soc. It. progr. scienze, IV riunione, Roma
(con tav.).
Di alcune questioni geologiche riguardanti il lago di Garda. Atti del X Con-
gresso di Idrologia climatica e Terapia fisica, Salò.
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268.
269.
286.
287.
TORQUATO TARAMELLI 33
Sulla storia geologica del lago di Garda. Sunto di una conferenza tenuta all’Uni-
versità di Pavia a profitto della Dante Alighieri. « La Geografia » dell’Ist.
Geogr. De Agostini, Novara (con tav.).
Perchè sono rimasto credente (25° anniv. fondaz. Circolo univ. cattol. Severino
Boezio). Num. Unico, Pavia (1909).
1911.
. Di um giacimento di lignite in terreno cretaceo presso Olivetta a nord di Ven-
timiglia. Rend. R. Ist. Lomb., XLIV, pag. 248.
. Sull’età da assegnare alla zona delle pietre verdi nella Carta geologica delle
Alpi Occid. (cop C. F. PaRrONA). Relaz. al R. Comitato Geologico, Boll.
R. Com. Geol., Roma. 3
. Il mubifragio valtellinese dello scorso agosto. Rend. R. Ist. Lomb., XLIV,
pag. 975.
. Sulla tectonica del Verbano. Rend. R. Ist. Lomb., XLIV, pag. 1020.
. Relazione tecnico-geologica circa la derivazione dell’acqua del Serio al Barbellino.
. Cenni geologici sulla sponda lombarda del Verbano. Illustrazione Varesina,
anno I. Varese.
. Antonio Stoppani. Conferenza tenuta il 19 settembre 1911 al XXX Congr.
della Soc. Geol. Ital. in Lecco. Boll. Soc. Geol. Ital., XXX, Roma, pag. cxcIv.
. Il nubifragio del 21 e 22 agosto 1911 in Valtellina in relazione alle condi-
zioni dél suolo. Boll. Soc. Geol. Ital, XXX, pag. 969.
. Alcune notizie intorno alle carte agrologiche. Ibid., pag. CDVI.
1912.
. Se le Dinaridi costituiscono realmente una massa carreggiata. Rend. R. Ist...
Lomb., XLV. pag. 1009.
. Alcune osservazioni a proposito dei terreni devastati dal nubifragio dello scorso
agosto nella Valtellina. Nel numero unico « Pro Valtellina », Sondrio.
. Alcune notizie geologiche sulla nuova Colonia (Tripoli). « Strenna Italica »,
pubblic. dalla Soc. Studenti del Liceo e Ginnasio A. Volta, Como. |
. Sulle valli sommerse del golfo ligure. Rivista mensile di Sc. Nat. « Natura »,
Pavia, vol. IH.
. A proposito del giacimento carbonifero di Manno presso Lugano. Rend. R. Ist.
Lomb., XLV, pag. 721.
. La Foresta e le Sorgenti. Giorn. di Geol. Pratica, X, Parma, pag. 50.
. Rapporti fra popolazione e natura del suolo nel Friuli e nell'Appennino Pa-
vese (con 5 tav.). Giorn. di Geol. Pratica, X, Parma, pag. 141.
1915.
Discussione sul Terziario medio. Boll. Soc. Geol. It., XXXI, pag. xcmi. (Adu-
nanza estiva, Spoleto, 1912). i
Se V Appennino settentrionale rappresenti in realtà un carreggiamento. Rend.
R. Ist. Lomb., XLVI, pag. 128.
Boll. R. Com. Geol., v. XLVII, 1920-21. 3
34 C. FP. PARONA l BI
288. Dell’influenza del moto rotatorio terrestre sul fenomeno dei carreggiamenti al-
pini. Rend. R. Ist. Lomb., XLVI, pag. 390.
289. Sul lembo pliocenico di S. Bartolomeo presso Salò. Rend. R. Ist. Lomb., XLVI,
pag. 963.
290. Ricordo dello Spallanzani come Vulcanologo. Rend. R. Ist. Lomb., XLVI,
pag. 937. -
291, La guida delle Prealpi Giulie della Società Alpina Friulana. Riv. Geogr. It.
Firenze.
1914.
292. Il paesaggio della Gioconda e l’uomo pliocenico di Castenedolo. Rend. R. Ist.
Lomb., XLVII, pag. 162. —» |
293. Recensione dell’opera di A. Stellu « Topografia, Geologia ed Acque del Gebel
Tripolino ». Riv. mensile di Sc. Nat. «Natura », vol. V.
294. Cenno necrologico di Giuseppe Mercalli. Rend. R. Ist. Lomb., XLVII, pag. 283.
295. Appunti per la Storia geologica del. lago di Varese. Rend. R. Ist. Lomb.,
XLVII, pag. 998. i
296. Relazione della Commissione pel premio Querini-Stampalia (G. DAL Praz). Atti
R. Ist. Ven., LXXIII. :
297. Sulla storia geologica del Garda. Sunto di una conferenza, « La Geografia »,
Novara, II. Si
298. Giovanni Riva-Palazzi. Commemorazione letta al Congresso di Aquila nel
settembre 1918. Boll. Soc. Geol. It., XXXII, pag. Lxxxv.
299. Le ricchezze del mondo in combustibili fossili. Riv. Sc. Nat. « Natura », V.
1915.
300. Sul significato geologico del Canale di Leme nell’Istria. Rend. R. Ist. Lomb.,
XLVIII, pag. 288.
301. La traspirazione tellurica ed i terremoti nell'Appennino cenirale e meridio-
nale. Rend. R. Ist. Lomb., XLVIII, pag. 372. i
302. Come si vennero formando i confini naturali della penisola italiana mella ca-
tena alpina. Riv. di Sc. Nat. « Natura »,.Vol. VI, pag. 19
303. Le montagne dove si combatte. « La Geografia », anno III, Istit. Geogr. De
Agostini, Novara. 7
504. Del confine naturale d’ Italia. Unione Generale degli Insegnanti Italiani per la
(Guerra Nazionale, Sezione di Pavia,
305. Osservazioni circa la frana di Olauzetto. Atti Ace. di Udine, IV (1914).
1916.
306. Parole in ricordo del prof. Ferdinando Sordelli. Rend. R. Ist. Lomb., XLIX,
pag. 53.
5307. Di Giovanni Maironi da Ponte edi altri Naturalisti bergamaschi del secolo scorso,
Rend. R. Ist. Lomb., XLIX, pag. 269.
331.
TORQUATO TARAMELLI 30
. Di alcuni problemi geologici risquardanti il Trentino. Rend. R. Ist. Lomb..
XLIX, pag. 435.
. Discorso în occasione delle onoranze in Bergamo (Municipio di Bergamo). Ist.
It. Arti Grafiche.
. Il Demonio e la Guerra, Numero unico, 10 aprile, Pavia.
. Descrizione geologica della provincia di Pavia (con carta e paesaggi geolo-
gici). Ist. (neogr. De Agostini, Novara.
. Proposta di un villaggio per gli invalidi a Sirmione. « La Perseveranza »,
26 aprile.
1917.
. Di alcuni problemi geologici che risguardano la valle dell’ Isonzo. Rend. R. Ist.
Lomb., XLIX, pag. 966.
. La frana di Gregassi, frazione di Montacuto (S. Sebastiano Curone; Tortona).
Riv. Se. Nat. « Natura », VIII, pag. 69.
D. Risultati di uno studio geologico della provincia di Pavia. Rend. R. Ist. Lomb.,
L, pag. 88.
. La tectonica e i suoi rapporti con lorografia della provincia di Pavia. « La
+ Geografia », V, Novara, pag. 104.
. La sabbia dell’isola di Sansego e le aspirazioni italiane nell Adriatico. Rend.
R. Ist. Lomb., L, pag. 241.
. Del lago di Doberdò presso Monfalcone. Rend. R. Ist. Lomb., L, pag. 392.
. La formazione dell'Adriatico. « La Geografia», V, Novara, pag. 192 (1 tav.).
. Come si è formato il mare Adriatico. Un. Gen. Ins. Ital. per la guerra nazio-
nale, Sez. Pavia, n. 9.
. Della Geologia del Trentino. Conferenza a cura della R. Soc. Geogr. Ital.
(1 tav.), Roma.
. IT Carso. Un. Gen. Ins. Ital., Sez. Pavia.
1918.
. Il Friuli. Un. Gen. Ins. Ital., Sez. di Pavia, Tip. Popolare.
. Sul modo di rappresentare il paesaggio geologico con esempi presi nell’ Appennino,
nelle Prealpi bergamasche e nel Friuli. Rend. R. Ist. Lomb., LI, pag. 235.
. Sull’antico decorso del Brenta rispetto al Piave. Rend. R. Ist. Lomb., LI,
pag. 501.
. Per la geologia del Colle Montello. Rend R. Ist. Lomb., LI, pag. 598.
. Una proposta riguardo al M. Grappa. Rend. R. Ist. Lomb., LI, pag. 680.
. Il massiccio del Grappa. Quaderni Geografici, Novara.
. La geologia e la pace. Rend. R. Ist. Lomb., LI, pag. 950. 9
+ Discorso per l'inaugurazione del Museo civico di Storia Naturale. Bergamo,
—_
Ist. It. Arti Grafiche.
Il giacimento lignitifero del M. Orditano presso Pontedecimo. « La Miniera ita-
liana », vol. II, n. 6, pag. 208.
36 C. F. PARONA
1919. »
332. Osservazioni geologiche lungo le nuove strade militari della provincia di Como e
al confine svizzero. Boll. R. Comit. Geol., XLVII, Roma. > DE, Si ;
333. Discorso in occasione delle onoranze nell’ottavo lustro del suo in: 3
universitario. Pavia, Tip. Fusi. è
334. Per il prof. Adolfo Viterbi. Pavia, Tip. Suce. Riiepeli,
1920, ig ù
335. Come si è fatta l'Italia. (Discorso inaugur. anno accad. 1919-20, Univ. Pavia) —
«La Geografia », », VIII, Novara. Ò
c«Y
336. Del clima negli ultimi millenni, Rend. R. Ist. Lomb., LITI, pag. 48.
337. Le spiegazioni dei mostri laghi attraverso un secolo. Rend. R. Ist. Lom.
LIMI, pag. 527. } a
lati ici
338. Idrografia del bacino del Tagliamento. Parte 1a: Struttura geologica. Pubbl. ci
n. 72 dell’ Ufî. Idrograf. del R. Magistrato alle acque, Venezia. Î
APPENDICE”
a » -
- e < È
Dei primi risultati di uno studio stratigrafico della Carnia. Atti Accad. di Udine,
ner. 2°, voL°2.
1876.
Vostituzione geologica del Friuli, Annuario statist. per la prov. di Udine, vol. 1°.
n
ISSI.
I na passeggiata presso Paularo. Cronaca Soc. Alp. Friulana, vol. 1°.
IsS3 (non 1900). /
Le principali località fossilifere del Friuli. Cronaca Soc. Alp. Friulana, vol. 3°.
! Citazioni aggiunte dopo la correzione delle prime bozze, ed avute dalla cortesia del col-
lega prof. M. Gortani.
[8] TORQUATO TARAMELLI 3‘
1886.
Relazione della Commissione geologica sulle fonti di Zampitta (con PiRoNA e Tom-
MASI), Udine.
1893.
Alcune osservazioni sull’antico decorso del Resia. Boll. Soc. Geol. It., vol. 12.
1894.
Cenni geologici sul Canal del Ferro (in: G. MARINELLI, Guida al Canal del Ferro),
Udine, Soc. Alp. Friul.
1896.
Sui terreni paleozoici delle Alpi Carniche. Comun. in Atti Soc. It. Sc. Nat., vol. 36,
pag. 59.
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E Ip
Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia
N. 9
Vol. XLVII 1920-21
”
Inc. SECONDO FRANCHI
ALCUNI FATTI
A DOCUMENTAZIONE DEI CARREGGIAMENTI
DELLA VALLE DEL LIRI
In una breve nota, presentata nella primavera scorsa alla Società
Geologica Italiana !, io ebbi ad accennare alla ipotesi del sig. Grzy-
bowski, e già precedentemente a me a voce adombrata dal sig. G. Hen-
ny, di un importante carreggiamento, per cui i calcari secondarîì
dei Monti Aurunzi, nei dintorni di S. Giovanni Incarico e di Pico,
sarebbero venuti a sovrapporsi ai terreni terziari, costituenti le re-
gioni basse ora adiacenti al fiume Liri *.
Nella citata nota, dopo di avere accennato al valore di alcuni
degli argomenti portati dall’Autore, io affermavo che per il controllo
di quella ipotesi avrebbero avuto grande importanza i dintorni di
Falvaterra, dove io, nel 1915, durante gite fatte a scopo non pura-
mente geologico, avevo osservato fatti singolari, fra cui principal-
! S. FrancHI, Sulla presenza di calcari con « Amphistegina Niasi» e di
sedimenti planctonici nella Valle del Liri. B. S. G. It., vol. XLI, p. 100.
? J. GRZYBOWSKI, Contributo agli studi sulla struttura geologica dell’Italia
Meridionale, B. S. G. d’It., vol. XL, 1921, p. 85.
Al tempo stesso che, con queste mie osservazioni, si viene a confermare
l’esistenza di carreggiamenti nella valle del Liri e nei Monti Aurunzi, è op-
portuuo avvertire che solo la incompleta conoscenza della bibliografia riguar-
dante i calcari della Cresta del Gallo, è stata causa delia ipotesi di falde di
ricoprimento: a Caposele, lanciata in questo stesso lavoro dall’A., le quali falde
debbono «ritenersi finora come non dimostrate. Non più fondate sembrano le
ipotesi dell'A. riguardanti la Basilicata.
2 S. FRANCHI [9]
mente importanti masse calcaree staccate e molto distanti dal piede
delle montagne, costituite da calcari ritenuti finora di età-cretacea.
In seguito, nella stessa primavera, avendo avuto occasione di fare
numerosi viaggi nell'Italia meridionale per missioni ufficiali, io ebbi
più volte il desiderio di scendere alla stazione di Ceprano per rivi
Sitare, dopo sette anni, i dintorni di S. Giovanni Incarico e parti-
colarmente di Falvaterra, ma le condizioni climateriche me lo ave-
vano sempre impedito. La desiderata visita mi è stato possibile com-
piere il giorno 9 dello scorso giugno, col dedicarvi l’intervallo di
tempo fra due treni, al ritorno da una missione in Abruzzo.
Sceso alla stazione di Ceprano, seguii la strada comunale di
Falvaterra fin oltre il Ponte sul fiume Tolero (Sacco), nelle cui vi-
cimanze ho notato un banco di roccia quarzitico-anagenitica molto
singolare !, inserita negli strati argillo-marnosi terziarî, che, per quanto
ho esposto nella citata nota, ritengo miocenici: quindi mi diressi,
seguendo delle strade mulattiere, al valloncello che incide profon-
damente la massa calcarea sulla quale è fondato l'abitato di Falva--
terra, subito ad occidente di esso, che lo domina dall’altezza di un
centinaio di metri, persuaso come ero, data la conformazione topo-
grafica a me nota, che se il carreggiamento esisteva, ivi ne avrei
con grande probabilità trovate le tracce.
Non istò a ridire l'impressione di meraviglia e di soddisfazione
che provai arrivando allo sbocco del valloncello, al piede delle rupi
calcaree di Falvaterra, fra le linee di livello di 140 a 150 metri, quando,
d’un tratto, si offersero alla mia osservazione dei fatti di un’evi-
denza inattesa e che sono tra i più caratteristici delle superficie di
carreggiamento, fatti che passo ad elencare e descrivere brevemente.
Io sono dolente che le condizioni di luce infelicissime non abbiano
permesso di trarre un panorama fotografico, il quale sarebbe stato
molto dimostrativo, e di non poter presentare invece che un mode-
stissimo schizzo, che dovetti eseguire per di più molto affrettata-
mente a titolo di pro-memoria.
1.° I calcari secondarî e, come vedremo, in parte terziari anti-
chi, sì sovrappongono con superficie fortemente ondulata, presen-
! La presenza di questo banco potrà avere la stessa spiegazione che si po-
trà trovare per spiegare quella degli elementi cristallini dei conglomerati dello
stesso terreno.
[9] CARREGGIAMENTI DELLA VALLE DEL LIRI 3
tando numerosissime fratture e frequenti liscioni o specchi, e breccie
di frizione (Br della figura) sulla massa del terreno argilloso più
giovane, e come dissi, probabilmente miocenico.
2.° Il limite CC fra i calcari e il terreno argilloso è evidente-
mente dato da un contatto anormale o meccanico, come è dimostrato
dalle modalità di esso e specialmente dalla presenza delle breccie di
frizione caratteristiche, già indicate.
Estremità delle masse calcaree carreggiate ai lati del Vallone Falvaterra.
3.° Il contorno cartografico o planimetrico delle masse calcaree,
anzichè presentare una sporgenza in corrispondenza del vallone di
Falvaterra, come si dovrebbe verificare se il terreno più giovane sì
appoggiasse a quei calcari, presenta invece una forte rientranza di
200-250 metri, mentre le ondulazioni del contorno stesso non molto
si discostano da una superficie orizzontale. All’estremità di questa
insenatura della formazione argillosa sì nota un sentito scalino nei
calcari, l'esame del cui limite è impedito da un enorme masso.
4.° Nessuna chiara stratificazione sì osserva nella massa argillosa
‘verdastra del supposto miocene 1; ia quale invece si presenta quale una
massa confusa, come di frana, inglobante caoticamente ciottoli per-
fettamente rotolati di roccie varie, tutte diverse da quelle dei monti
ì La massa argillosa esaminata al microscopio non rivelò la presenza di
foraminiferi, ma solo minutissimi frammenti di quarzo.
4 S. FRANCHI
circostanti (calcari argillosi scuri, apliti, ecc.) e frammenti di stra-
terelli di arenarie policrome, talora diasprigne, che dovevano for-
mare degli interstrati fra le argille nel loro giacimento primitivo.
Questi strati sono stati, per violento impasto del terreno, dislocati e
rotti, con un fenomeno analogo a quello presentato dal noto Wild-
flysch dell’Eocene delle regioni alpine molto dislocate o carreg-
giate.
5.° Sulla sponda sinistra, proprio al limite fra i calcari, presen-
tanti ivi grandi e ripetute fratture, e la massa argillosa esiste una
fonte, captata per fornire l’acqua potabile alla stazione e all’abitato
di Ceprano.
6.° Un grande blocco di 3-4 metri di lato, di un bel calcare
color caffè e latte, che si sta utilizzando per pietra da taglio, evi-
dentemente staccatosi dalle sovraincombenti masse calcaree della
sponda destra, a banchi vivamente contorti e raddrizzati, giace al
fondo del vallone sopra la massa argillosa con ciottoli esotici. Questo
calcare, essenzialmente zoogeno, avente l’aspetto di una minuta brec-
ciola, sì mostrò costituito, quasi totalmente, da ortofragmine e pic-.
cole nummiliti, con molte altre foraminifere (globigerine, rotalidi, ecc.)
e con idrozoari, briozoari, ecc. Esso è probabilmente da riferirsi
all’Eocene Superiore (Bartoniano).
Questo interessantissimo complesso di fatti non si può spiegare
che con l’ammettere che nei dintorni di Falvaterra i calcari stiano
sopra il terreno argilloso : più giovane in virtù di un carreggia-
mento.
Sarebbe stato molto opportuno potermi rendere conto dell’età
relativa delle varie masse calcaree dei dintorni di Falvaterra, e spe-
cialmente di stabilire la posizione dei suddetti calcari zoogeni num-
mulitiferi, la cui presenza potrebbe essere spiegata con una piega
coricata, che abbia preceduto il carreggiamento. Ma, nelle poche ore
di cui potevo ancora disporre, io ho creduto preferibile il tentare
di ricollegare i fatti da me osservati con quelli osservati dal sig. Grzy- |
bowski, ande potere almeno accertare se quelli fossero, come tutto
induceva a credere, una manifestazione locale del grande carreggia-
mento da Ini supposto.
A tale scopo io decisi di esaminare, percorrendolo, il limite fra
calcari e terreno argilloso, dai dintorni di Falvaterra alla regione
)
19] CARREGGIAMENTI DELLA VALLE DEL LIRI 5
Collegrande, i cui conglomerati, con elementi ciottolosi di roccie
cristalline, hanno appunto costituito pel sullodato geologo uno degli
argomenti a sostegno della sua ipotesi.
I ciottoli di roccie cristalline e di altre roccie estranee alle for-
mazioni dei monti circostanti, che io osservai nelle masse argil-
lose di Falvaterra, dovevano già farmi supporre che ivi io fossi in
presenza della stessa formazione che comprendeva i.conglomerati
di Collegrande; ma io nutrivo fiducia di scoprire lungo il limite
dei calcari altri fatti che venissero a rafforzare maggiormente la
convinzione ormai fattami della reale esistenza di un carreggia-
mento.
I caseggiati, che sopra la linea di livello di 150 metri stanno
poco a sud della biforcazione della mulattiera che si dirige al val-
lone anzi, descritto e di quella che sale all’abitato di Falvaterra, sono
fondati sopra calcari che si sovrappongono a masse di arenarie ros-
signe per alterazione, facenti parte della formazione miocenica; ma
poco più a levante, dove esiste una grande sorgente con lavatoio,
proprio al limite inferiore dei calcari, questo limite sì eleva di circa
30 metri. Oltre la sorgente, che per intenderci dirò sorgente di Fal-
vaterra, sono dei terreni coltivati, costituiti dalla formazione argil-
loso-conglomeratica, da cui i contadini vanno sceverando abbondanti
blocchi rotolati di roccie svariatissime, grossi fino a 80 centimetri,
che essi accatastano al limite dei poderi. La rassomiglianza di questi
conglomerati con quelli di Collegrande è più intima che per quelli
del vallone anzidescritto. |
Il valloncello che è attraversato dalla strada carrozzabile di Fal-
vaterra alla quota di 284 metri è aperto, pel suo tratto inferiore,
fino alla quota di circa 150 metri, nella formazione argillosa, sopra
la quale affiorano i calcari; ma a levante di esso il limite di tali
roccie, dopo un tratto quasi orizzontale, si abbassa, abbracciando
le rupi indicate sulle carte al 50.000, e più oltre fino ai piedi del
Casino Amati, indicato con la quota di metri 120; e forma poco oltre
la più avanzata punta verso nord del loro contorno cartografico. In
questo ultimo tratto, a partire dal risvolto della carrozzabile che sta
sotto il convento di S. Sosio, e fino al detto casino, cioè per più di
200 metri, i calcari sono completamente milonitizzati, carattere questo
che, come è noto, si osserva nelle zone che subirono fortissime com-
6 S. FRANCHI [9]
pressioni tettoniche, e specialmente in prossimità della superficie di
salto e di carreggiamento ’.
Procedendo oltre, il limite in parola, volgendo verso sud est, si
eleva, nella costa a mezzodì del Casino Cairo, a circa 165 metri,
per scendere subito a 150 nel vallone che segue a levante, e a 135 m.
circa alle importanti sorgenti dette « Forme di Casale », indicate senza
nome sulle carte, insieme ai molini che utilizzano la caduta delle
loro acque. Queste sorgenti al pari delle precedenti e di quelle im-
portantissime di S. Giovanni Incarico, cui accennerò in seguito, sgor-
gano proprio al limite tra i calcari e la formazione argillosa, la quale
sembra ivi pure sottostare ad essi, sebbene noi siamo qui molto lungi
dall’evidenza che un tale fatto presenta nel vallone di Falvaterra.
Con un andamento quasi orizzontale il limite raggiunge e passa
sotto la strada carrozzabile, circa 500 metri prima dell’abitato di
S. Giovanni Incarico, per rialzarsi di nuovo sopra le grandi sorgenti
che stanno presso l’abitato, le cui acque, raccolte in numerose bocche,
quindi addotte in grandiosi lavatoi, mettono poscia in azione nu-
merosi molini, pure indicati sulle carte al 50.000. Nè queste sorgenti
nè quelle delle Forme di Casale sono menzionate nel volume 20° della
Carta idrografica d’Italia. Secondo notizie fornitemi dal sig. Sin-
daco di S. Giovanni Incarico la portata delle prime oscillerebbe fra
100 e 30 litri.
A sud di S. Giovanni Incarico, le cui case. sono quasi total-
mente costrutte su calcari, il limite di queste roccie si mantiene
per buon tratto quasi parallelo e poco a monte dello stradale di Pico
(Strada Farnese), comprendendo le rupi staccate che sì ergono presso
la Masseria Cairo ?, dove una grande frattura, diretta est-ovest e
pressochè verticale, interessa, in tutta la sua altezza, la falda orien-
tale del monte Cervaro. Il limite dei calcari sale poscia a metri 250
alla falda sud-est di questo monte, e si mantiene quindi all'incirca
a quella quota anche alle falde orientali del monte M. la Finocchiara,
segnando una molto sentita rientranza, con angolo acuto, in corri-
! Nelle regioni ripiegate le masse calcaree milonitizzate sono frequentis-
sime, ed io posso dire che, oltre che nelle Alpi, ne esistono di enormi in tutte
le regioni dell’Abruzzo e in qualcuna della Basilicata che ho visitate.
? Secondo gli antichi rilevamenti del sig. Cassetti, queste rupi sarebbero
da ogni lato circondate dal terreno argilloso, ma, sebbene il controllo di tale
fatto avesse per me una certa importanza, mi mancò il tempo di farlo.
-)
[9] CARREGGIAMENTI DELLA VALLE DEL LIRI
spondenza del vallone che, nascendo fra ìi due monti suddetti, in-
cide quindi profondamente la regione argilloso-conglomeratica di Col-
legrande, già parzialmente descritta dal sig. Grzybowski.
Debbo subito dire che questa rientranza del contorno dei cal-
cari, sebbene a me sembri pure costituire un argomento in favore
dell’ipotesi del carreggiamento, è molto meno dimostrativa di quella
del vallone di Falvaterra. D'altra parte la forzata rapidità della mia
visita non mi ha forse permesso di raccogliere elementi che non
sfuggiranno a chi farà, con più agio, lo studio del limite di cui si
‘tratta. 1
A mio avviso, hanno maggior valore probatorio, in favore del
carreggiamento, tanto la distribuzione delle varie masse o prevalen-
temente argillo-marnose o prevalentemente conglomeratiche della for-
mazione miocenica di Collegrande, quanto il loro andamento strati-
grafico. Le direzioni osservate oscillano infatti fra N 100 O e N 1100,
cioè sono a un dipresso normali al limite dei calcari alle falde del
Monte la Finocchiara, e gli strati pendono verso nord, cioè sl im-
mettono sotto Monte Cervara.
Quanto alla distribuzione dei tipi litologici, io osservai che nella
parte settentrionale, e particolarmente nel vallone suindicato sopra il
C del nome Collegrande e più a levante predominano marne argil-
lose bluastre nei tagli freschi, molto franose, con ciottoli rotolati di
roccie varie; mentre più a sud, in corrispondenza dei colli più pro-
nunciati, indicati sulle carte, prevalgono i conglomerati, la cui mag-
gior resistenza alla denudazione spiega quella particolare morfologia.
Intanto notiamo subito che la distribuzione delle masse litologi-
che e gli andamenti stratigrafici non sono quelli che si dovrebbero
osservare in un terreno che si sia deposto alle falde dei circostanti
monti Cervaro e Finocchiara ; e, trattandosi di un terreno più gio-
vane, tali fatti costituiscono, anche se si volesse astrarre dalla na-
tura litologica dei ciottoli, dei validi argomenti in favore del rico-
primento. |
Perciò, se pure io non ho più osservato fatti altrettanto chiari
e probatori quanto quelli presentati dai dintorni di Falvaterra, io
posso tuttavia affermare che, verso levante, non ho trovato alcun
fatto che contraddica l’esistenza del carreggiamento, e che anzi non
pochi fatti, come la posizione di fonti importanti al limite dei cal-
8 S. FRANCHI ASS [9]
cari, la milonitizzazione e il contorno di questi, e la distribuzione
e la disposizione stratigrafica delle roccie del Miocene di Colle-
grande sono a favore di quella esistenza. La natura esotica dei ciot-
toli del Miocene e più sicuramente di quelli di roccie cristalline
(graniti, apliti, quarzo, ecc.) costituiscono di per sè un argomento di
grande valore in favore di quella tesi, fino a quando non sarà di-
mostrata l’esistenza di affioramenti cristallini nella plaga terziaria del
bacino del Liri, o l’esistenza di correnti inverse che all’epoca mio-
cenica recassero dai monti cristallini, di poi sprofondati nel Tirreno,
quegli elementi cristallini nei depositi di un braccio di mare ora
occupato dal Liri, e che avrebbe dovuto essere aperto dal lato ove
è ora l'Appennino. Ma certamente l'argomento più importante è il
profilo del pozzo trivellato di Pico, sul quale specialmente e giusta-
mente sì è fondato il sig. Grzybowski, per formulare la sua ardita
ipotesi.
Si potrebbe obbiettare che la superficie del supposto carreggia-
mento, la cui traccia con la superficie del terreno è data dal limite
inferiore dei calcari, è troppo accidentata, ed avrebbe una singolare
e poco spiegabile immersione verso il Casino Amati; e inoltre che
la localizzazione delle sorgenti si può anche spiegare ritenendo che
queste siano sorgenti di sfioratore delle acque che imbevano le masse -
calcaree profonde, fino all’orlo delle masse di terreni miocenici im-
permeabili che li circondano. Ma se si riflette che le pendenze della
suddetta traccia non sono quasi mai superiori al 5 °/, e che l’immer-
sione dei fronti delle masse carreggiate è un fenomeno frequente-
mente osservato: e se sì riflette inoltre che tutti i fenomeni del val-
lone di Falvaterra, che abbiamo sopra elencati, sono della più chiara
evidenza e non possono essere certo limitati ad uno spazio troppo
ristretto, si è condotti a concludere che il complesso delle osser-
vazioni fatte, sebbene eseguite in una regione limitata, nelle poche -
ore che solo ho potuto dedicarvi, debbono parere sufficienti per af-
fermare l’esistenza di un carreggiamento fra i dintorni di Falvaterra
e quelli di Collegrande. Ed è logico dedurre che esso non può es-
sere che una parte del grande carreggiamento supposto dal sig. Grzy-
bowski, il cui spostamento non sarebbe inferiore a 3 o 4 chilometri.
Nell’affrettato ritorno alla stazione di Isolella, non mi fu possibile
esaminare la natura e le condizioni tettoniche di varie masse cal-
|9] CARREGGIAMENTI DELLA VALLE DEL LIRI 9)
caree che sono tagliate in trincea dallo stradale, e di quella molto
importante, presentante un affioramento a contorno tondeggiante
di circa 200 metri di diametro, che si osserva a nord-ovest del Ca-
sino Cairo, presso l’antico confine dello Stato Pontificio, tra le quote
di 95 e 182 metri.
È questa una massa calcarea molto fratturata e in parte miloni-
tizzata, completamente circondata dalla formazione argillosa e che
potrebbe rappresentare o un relitto isolato della falda di ricopri-
mento od anche una zolla indipendente dalla massa principale di essa.
Sarebbe stata di grande interesse la visita della valle cieca di
Pastena, segnata sulle carte col nome Piano Madonna delle Macchie,
la quale, data la conferma del carreggiamento, anzichè un fenomeno
carsico, come è stato creduto finora, costituirebbe una finestra tet-
tonica, cioè un affioramento, ora però completamente coperto dai ter-
reni quaternari, della formazione argillosa attraverso una soluzione di
continuità della coperta calcarea del carreggiamento stesso. Dalle
carte si può desumere che il limite dei calcari col detto piano qua-
- ternario corre all’incirca sulla linea di livello di 200 metri, cioè 50
metri più basso che attorno alla Regione Collegrande, e che le acque
in esso raccolte vanno a gettarsi, molto a nord del Piano, nella vo-
ragine segnata sulle carte col nome Grotta del Pertuso. Anche una
parte delle acque della valletta che sta a sud-ovest del colle por-
tante l’abitato di Pastena sembrano raggiungere il suddetto piano
per un condotto sotterraneo, scavato al limite del suddetto colle e il
Monte Solo, mentre una parte di esso sparisce in un inghiottitoio.
‘La mancanza di inghiottitoi in tutto l’esteso piano della Madonna
delle Macchie, lungo il percorso delle acque di oltre 3 km., può far
pensare che il fondo di esso non sia in calcari ma sia invece costi-
tuito dal terreno impermeabile miocenico; e che appunto alla base
delle masse calcaree, poggianti su detto terreno, sia scavato il canale
sotterraneo adducente le acque nel versante di Falvaterra.
I contadini del luogo ritengono infatti che le acque che s’ingol-
fano nella Grotta del Pertuso risorgano, dopo un percorso sotter-
raneo, dal lato di Falvaterra; il che si può ritenere per certo; ma
io non saprei dire se ciò avvenga in corrispondenza delle grandi
sorgenti di Falvaterra, le quali stanno proprio a nord della grotta,
alla distanza di circa un chilometro, ovvero nel vallone di Falva-
10 S. FRANCHI [9]
terra stesso. A questo proposito è interessante notare che la portata.
di tali sorgenti è molto variabile, come già si è visto per quelle più
importanti di S. Giovanni Incarico.
Nel paese è viva una leggenda a riguardo di un'lungo tronco .
d’albero mercanteggiato con un contadino di Pastena, senza giun-
gere a concludere il contratto, da un priore di S. Sosio, in nomea
di santo; il quale tronco sarebbe stato, all’occasione di forti susse-
guenti pioggie, convogliato dalle acque nella Grotta del Pertuso
e quindi, sotterraneamente, nel vallone di Falvaterra, dove il priore
lo potè avere con pochissima spesa. |
Lo studio ulteriore del Monte Leucio e degli altri minori, costi-
tuenti lembi isolati di calcari in mezzo al paesaggio miocenico, quello
importantissimo dei monti Mandrone e Oro, della interessantissima
valle cieca di Pastena e del bacino dell’Amaseno, col due singola-
rissimi valichi depressi che mettono alla Valle del Sacco, di cui
quello di Castro dei Volsci è solo a 60 m. circa su questo corso
d’acqua, permetteranno a chi dovrà occuparsi dell’interessantissima
regione, di recare numerosi altri e più decisivi argomenti, oltre a
quelli indicati dal Grzybowski, per determinare l’estensione, l’im-
portanza e la direzione del carreggiamento, e di farsi un concetto del-
l’influenza che possa avere il riconoscimento e la definizione di questo
importantissimo fenomeno tettonico sull’ulteriore sviluppo delle ricer-
che di petrolio !, in tutta la regione montuosa a sud della Valle del
Sacco e del Talero e a ponente della Valle del Liri.
R. Ufficio geologico, novembre 1922.
! Presso Castro dei Volsci, poco lungi dal Sacco, esiste un colle il cui nome
è segnato sulle carte «Colle della Pece».
e -
Bollettino del R. Comitato Geologico d'Italia
Vol. NEVI 1920. 21 = N. 10
CAMILLO CREMA
IL LAGO DI CANDELA PRESSO ROTONDELLA
IN PROVINCIA DI POTENZA
Chi risalga il fosso o canale di Candela dal suo sbocco nel Sinni,
dopo un percorso di circa 4 km. attraverso terreni in gran parte
squallidi e franosi, resta gradevolmente sorpreso di trovare il fondo
del vallone occupato da un ameno laghetto, nelle cui acque azzurre
pittorescamente si riflettono le circostanti pendici. Questo lago, detto
appunto di Candela, trovasi esattamente ad ovest dell’abitato di Ro-
tondella, distandone km. 2,5; il suo specchio d’acqua è situato ad
un'altitudine media di poco superiore a 230 m. s. m. Immediatamente
a monte di esso la valle cambia denominazione ed assume il nome di
Canale o fosso di Finocchio da quello dell’esteso bosco, nel quale essa
ha origine.
Il lago non figura nelle carte topografiche dell’Istituto Geografico
Militare, le quali per questa zona risalgono al 1896; nè ciò può destar
meraviglia, perchè un esame anche superficiale dei terreni delle sponde
basta a dimostrare come esso debba la sua esistenza ad uno di quegli
sbarramenti, non rari a prodursi nelle valli che incidono formazioni
franose !, e la presenza lungo le sponde di alcuni alberi, i cui rami
diseccati sporgono sul livello delle acque anche quando queste si
! Pochi chilometri più a sud, nel finitimo bacino del torrente S. Nicola,
circa vent’anni or sono, un’enorme frana discendendo dal Timpone del Salice
ostruì il così detto Canale della Scala all’altezza della R. Capriofora determi-
nando la formazione di un laghetto che, pur restringendosi nella stagione estiva,
durò per quasi otto anni. Si vuotò a poco a poco per la progressiva demolizione
delio sbarramento, dovuta specialmente al violento dilagare delle acque nei
| periodi di piena.
Boll. R. Com. Geol., v. XLVIII, 1920-21. 4
2 C. CREMA > [O]
trovano in periodi di magra, prova che l'avvenimento non rimonta
a gran tempo.
Da informazioni raccolte sui luoghi e dovute principalmente alla
squisita cortesia del notaio Vito Umberto Amati e del sig. Antonio
Montesano risulta infatti che il lago si formò nel febbraio del 1903
in seguito ad una grande frana che staccandosi dal versante sinistro
della valle ne sbarrò il fondo poco a monte dei due mulini detti di
Candela e che esso poi si ingrandì fino ad acquistare la superficie
attuale nel gennaio 1905 in conseguenza di una seconda frana, più
imponente ancora, prodottasi di fronte alla prima e che devastando
il versante destro fin presso la fonte Cucca diede allo sbarramento
le dimensioni che tuttora conserva. Queste frane, preparate entrambe
da pioggie forti e persistenti trascinarono nella loro rovina parecchie
case coloniche, ora in parte ricostruite, ed uno dei mulini; ma fortu-
natamente non fecero vittime umane, perchè la lentezza dei primi
movimenti del suolo permise ai pochi abitatori di quei paraggi di
mettersi in salvo.
Malgrado la loro importanza è probabile che queste frane non
abbiano interessato rocce in posto ma solo materiali incoerenti già
scoscesì per opera di frane più antiche e tuttora del resto in equi-
librio poco stabile. Nel paese si ricorda infatti la comparsa, avvenuta
circa un secolo fa, nello stesso Inogo e per identiche cause di un altro
lago, press'a poco della stessa grandezza, il quale disparve dopo una
ventina d’anni per il progressivo approfondirsi dell’emissario, prin-
cipalmente in occasione delle piene invernali. Vuolsi anzi che questo
lago sia stato alla sua volta preceduto da un altro più antico ancora.
All’opera livellatrice delle acque di questi antichi laghi deve eviden-
temente attribuirsi la conformazione pianeggiante quivi presentata
dal fondo della valle, come risulta dai rilievi eseguiti dall'Istituto
(teografico Militare quando l’attuale lago ancora non esisteva.
L'unito schizzo topografico mostra che, come la maggior parte
dei laghi vallivi, anche quello di Candela si allunga nel senso della
valle, nel nostro caso da sud a nord. La sua lunghezza è di quasi
(00) m., la larghezza massima di poco superiore ai 200 m., la media
di circa 130 m.; il suo contorno, relativamente poco frastagliato,
supera di poco un chilometro e mezzo e la sua superficie è di
forse 9 ettari.
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[10] IL LAGO DI CANDELA 3
Le sponde del lago sono piuttosto ripide, cosicchè solo in pochi
punti della riva potè svilupparsi una qualche vegetazione palustre ;
tuttavia la profondità massima del lago non deve superare una quin-
Schizzo topografico del lago di Candela.
(Scala di 1:10000).
dicina di metri, data la conformazione pianeggiante del preesistente
fondo vallivo.
1] lago rimase per qualche anno senza emissario: attualmente lo
sbarramento, dello spessore di oltre mezzo chilometro, è inciso da
un modesto solco, ma durante le magre annuali cessa ogni efflusso
dal lago e le sue acque ridivengono stagnanti come nei primordî della
sua esistenza. Quest’emissario va approfondendosi con grande len-
tezza cosicchè il livello del lago presenta una relativa stabilità.
Oltrechè dalle acque del bacino del Finocchio, esteso una decina
di chilometri quadrati, e da quelle di alcuni altri fossi che vi sboc-
‘cano direttamente (Fosso del Cancello, di Paolone, ecc.) il lago è
4 , C. CREMA —- 110)
alimentato, pare, anche da due sorgenti subacquee la cui ubica-
zione è stata approssimativamente indicata nella cartina in S ed Ss.
Quest'ultima per la natura sulfurea delle sue acque era largamente
utilizzata prima che restasse sommersa. Altre sorgenti, fra le quali
degna di ricordo quella detta dell'Acqua fredda, scaturiscono nella
vasta zona franosa: benchè limpide e fredde sono tutte più o meno
salmastre e le loro acque abbandonano sul terreno sottili croste di
depositi salini.
Dallo sbocco del fosso di Paolone fino ad un centinaio di metri
ad ovest dell’emissario le sponde, costituite da materiali incoerenti
e rimestati, sono generalmente assai poco acclivi; invece nel resto
del contorno, formato da rocce in posto, esse si presentano più o
meno scoscese ed in qualche punto addirittura a: picco.
Questa porzione del bacino è essenzialmente costituita dalla for-_
mazione delle argille scagliose eoceniche le quali, come è noto, in
questo tratto della valle del Sinni si sviluppano largamente su en-
trambi i versanti spingendosi a nord fino a raggiungere il corso
dell’Agri ed a sud fino ai piedi del gruppo del Monte Pollino.
Nelle adiacenze del lago le argille varicolori prevalenti alternano
ripetutamente con altre rocce più resistenti, scisti galestrini, calcari,
arenarie, ecc., formando pittoreschi fasci di strati più o meno forte-
mente VORO come si scorge nelle belle sezioni naturali offerte dalle
sponde meridionali del lago e dagli erti versanti dei suoi affluenti.
La formazione contiene anche qualche intercalazione carboniosa, come
è provato dalla presenza di frammenti di carbone fra 1 materiali tra-
volti dalla frana del 1903, e recenti osservazioni hanno inoltre dimo-
strato come vi siano comuni, a partire da una non grande distanza
dal lago, svariate manifestazioni idrocarburate, quali affioramenti di
scisti bituminosi e di argille esalanti il caratteristico odore degli
idrocarburi ed emissioni di gas combustibili. Queste manifestazioni
anzi verso sud sì estendono si può dire senza interruzione fin oltre
l'alto bacino del Sarmento e la vallata del Ferro nelle quali plaghe,
come è noto, è già stata da alcuni anni segnalata la presenza di ge-
micazioni di petrolii e di scisti bituminosi.
Uon un'innegabile nota di bellezza al paesaggio il lago di Candela
ha purtroppo portato il flagello della malaria in un territorio dove
era prima sconosciuto: ma oltre alle sue acque, stagnanti come si
[10] IL LAGO DI CANDELA 5
disse durante le magre, devono largamente concorrere a determinare
l’attuale insalubrità di quei paraggi anche i minuscoli laghetti for-
matisi nella zona delle due grandi frane surricordate e dei quali i
contadini impediscono con cura la scomparsa onde servirsene per
l'irrigazione di piccoli orticelli. In quanto alle acque del lago esse
non si prestano ad alcuna particolare utilizzazione.
La relativa stabilità presentata da questo laghetto, al quale è senza
dubbio assicurata una vita di qualche decennio ancora, la sua sinistra
influenza sulla salubrità del circostante territorio, le condizioni topo-
grafico-geognostiche del suo bacino, che ne rendono probabili altre
ricomparse in avvenire, mi parve costituissero un insieme di fatti
degni di considerazione e che valesse perciò la pena di richiamare
su di esso l’attenzione degli studiosi.
‘44 ar
PRATI
Bollettino del R. Comitato Geologico d'Italia
Vol. XLVII 1920-21 N. 1l
BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA
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(Atti Soc. it. sc. nat., vol. LVIII, faso. 3°-4°, pag. 253-258). — Pavia, 1920.
! Per le particolari condizioni in cui venne a trovarsi l'Ufficio geologico negli anni pas-
sati, si dovette sospendere la pubblicazione della « Bibliografia geologica ». Mentre si dispone
per riprenderla sollecitamente per le pubblicazioni del 1921, si crede opportuno dare il sem-
plice elenco di quelle corrispondenti al periodo 1915-1920. :
2 BIBLIOGRAFIA GEOLOGICA ITALIANA 1915-1920 [11]
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— Sull’estensione del Miocene nella regione settentrionale del Promontorio
garganico. (Boll. Soc. geol. ital., vol. XXXVI, pag. LXXXxI-LXXXvVII) —
Roma, 1917. i i
— Osservazioni geologiche sull’ Appennino della Capitanata. Parte V. (Boll.
Soc. geol. it., vol. XXXVI, fasc. 1°, pag. 79-98, con 3 tav.).. — Roma, 1917.
— L’eocene dei dintorni di Roseto Valfortore. (Boll. Com. geol. it., vol. XLVI,
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(Rend. R. Acc. Lincei, S. V, vol. XXVI, fasc. 9°, 1° sem., pag. 492-494).
— Roma, 191%.
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Roma, 1918.
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init
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Tarquinia, prov. di Roma. (Boll. Soc. geol. it., vol. XXXIV, fase. 2°,
pag. 321-342). — Roma, 1915.
— Cenno sulla qualità della roccia incontrata nel tunne! di Montorso (ferrovia
. Roma-Napoli) ed elenco di pubblicazioni geo-paleontologiche sui monti Fhaipsice
(Opusc. in-8° di pag. 26). — Roma, 1915.
— Breve notizia intorno ad'alcune ossa elefantine rinvenute presso la stazione
ferroviaria di Sezze nella palude Pontina. (Boll. Soc. geol. it., vol. XXXIV,
fasc. 3°, pag. 527-536). — Roma, 1915. n
— Sopra una arenaria contemporanea, contenente monete, rinvenuta in Roma,
nell'alveo del Tevere, nei lavori di fondazione del muro del Lungoterere.
Raffaello Sanzio. (Boll. Soc. ec: it., vol. ie ea; lo, pag. LIEVIFXLI).
— Roma, 1916.
— Presentazione di fossili scoperti nei tufi vulcanici della calle del Sacco,
presso il molino di Gavignano, e sopra la sorgente dell’acqua Meo alla base
del monte di Gavignano, in provincia di Roma. (Boll. Boe, geol. it., vol. XXXV,
fasc. 1°, pag. XLI-XLIV). — Roma, 1916.
— Nota preliminare intorno una cava di materiali argillosi, refrattari, che
sta attirandosi nei dintorni di Roma. (Boll. Soc. geol. it., vol. XXXV, fasc. 3°, —
pag. 317-328). — Roma, 1916.
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— Roma, 1917.
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Narni (Umbria). (Boll. Soc. geol. it., vol. XXXVI, fasc. 1°, pag. 54-68).
Roma, 1917.
— Presentazione di due minerali (granato, idrocrasio) cristallizzati dei din-
torni di Roma. (Atti Pont. Acc. rom. Nuovi Lincei, sessione III del 17 feb-
braio 1918, opusc. di-4 pag.), — Roma, 1918.
— Rinvenimento di resti fossili di un elefante nell'interno della città di Roma.
(Atti Pont. Acc. rom. Nuovi Lincei, anno LXXI (1917-1916), sessione IV e V,
pag. 141-149). — Roma, 1918. i
— Presentazione di un raro opuscolo sul terremoto risentito il giorno 11 giu-
gno 1751 a S. Gemini, Cesi e Terni nell’Umbria. (Atti Pont. Acc. rom.
Nuovi Lineei, anno LXXI (1917-1918), sessione VI e VII, pag. 191-194). —
Roma, 1918.
— ‘Appunti geologici presi in una gita da Stilo a Serra S. Bruno. (Atti Pont.
Acc. rom. Nuovi Lincei, anno LXXI, sessione III del 170 febbraio 1918,
pag. 76-94). — Roma, 1918.
— Notizie sismo-geologiche su Soriano Calabro. (Atti Pont. Acc. rom. Nuovi
Lincei, anno LXXI (1917-1918), sessioni VI e VII, pag. 184-188). —
Roma, 1918.
— Sulle miniere di ferro di Stilo e Pazzano in Calabria. (La Min. it., anno II,
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Nuovi Lincei, anno LXXI (1917-1918), pag. 150-151). — Roma, 1918.
_—. Notizie preventive intorno a resti di mammiferi trovati nelle ligniti della
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— Notizia dell’acqua minerale (ferruginoso-carbonica) di Ponzano Romano
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—. Ligniti nelle prealpi venete. (La Min. it., anno IV, n. 3-4, pag. 102). —
Roma, 1920.
— Blodite nel giacimento salifero di monte Sambuco in territorio di Cala-
scibetta. (La Min. it., anno IV, n. 3-4, pag. 103). — Roma, 1920..
— I fosfati della Cirenaica. (La Min. it., anno IV, n. 12, pag. 17-20). —
Roma, 1920. i .
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liane illustrate, serie gen., n. 28, anno IV, pag. 26). — Milano, 1920. È
— (A.C.) Sui presunti giacimenti fosfatiferi di Cirenaica. (Giornale di Chim. 25 =" ù
ind. ed appl., anno II, n. 9, pag. PISTA — Milano, 1920.
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Vol. XLVII N. 1-4
. BOLLETTINO
DEL
R. COMITATO GEOLOGICO D'ITALIA
di SOMMARIO DEL FASCICOLO.
. Crema: La conca di Fiuggi nell'Appennino ro-
mano (con sei tavole).
. CaeccHIA-RIsPoLI: I pteropodi del miocene gar- |
ganico (con una tavola).
. ZAMBONINI: Sulla palmierite del Vesuvio ed i mi-
nerali che l’accompagnano (con una tavola).
. B. CACCIAMALI: Schema tectonico-orogenico delle
Prealpi lombarde.
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TIPOGRAFIA CUGGIANI
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Prezzo del volume L 20.) ui di 5: x sa
Prezzo del presente fascicolo L. 10
| SOMMARIO DEL FASCICOLO.
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c Crema: 1 Le frane di Girifaleo (Catanzaro). i)
È
M TARICCO: Sul paleozoico del Fluminese (Sardegna).
x — G Citeccma-RispoLi: : Sulla distribuzione geologica
‘ delle orbitoidi.
CO © mPOGRAFTA. OCUGGIANI.
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| SOMMARIO DEL FASCICOLO.
Gi NP; PARONA: Torquato Taramelli: cenni commemo- Ì
{ rativi (con'una tavola). | |
28. FRANCHI: Alcuni fatti a documentazione dei car- ||
reggiamenti della valle del Liri.
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