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Full text of "Bollettino del R. Comitato Geologico d'Italia"

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BOLLETTINO 


DEL 

R.  COMITATO  GEOLOGICO  D’ITALIA 


1875.  — Anno  VI. 


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1875.  - Anno  VI. 


BOLLETTINO 

DEL 

R.  COMITATO  GEOLOGICO 

D’ITALIA. 


Volume  Sesto. 

N.  1 a 12. 


ROMA, 

TIPOGRAFIA  BARBÈRA. 


1875. 


R.  COMITATO  GEOLOGICO 


D’  ITALIA. 


Bollettino  N°  I e 2. 


Gennaio  e Febbraio  1875. 


ROMA, 

TIPOGRAFIA  BARBÈRA. 


1875. 


Bollettino  Geologico  per  il  1870.  — Un  voi.  in-8°  di  pag.  324. 

» » PER  IL  1871.  — Un  voi.  in-8°  di  pag.  296. 

» » PER  IL  1872.  — Un  voi.  in-8°  di  pag.  376. 

» » PER  IL  1873.  — Un  voi.  in-8°  di  pag.  400. 

» ))  PER  IL  1874.  — Un  voi.  in-8®  di  pag.  408. 

Prezzo  di  ciascun  volume  L.  10. 

Associazione  al  Bollettino  del  1875  (Anno  VP).  — Per 
l’Italia  L.  8,  Estero  L.  10. 

I fascicoli  bimestrali  del  Bollettino  si  vendono  anche  se- 
paratamente al  prezzo  di  L.  2 ciascuno. 

Memorie  per  servire  alla  descrizione  della  Carta  Geologica 
d’ Italia.  — Volume  P ; Firenze  1871.  — 404  pagine  in-4“ 
con  23  tavole,  due  Carte  geologiche  e varie  incisioni  inter- 
calate nel  testo. 

Comprende  le  seguenti  Memorie  : 

Introduzione  — Studii  geologici  sulle  Alpi  Occidentali,  di 
B.  Gastaldi,  con  cinque  tavole  ed  una  Carta  geologica.  — 
Cenni  sui  graniti  massicci  delle  Alpi  Piemontesi  e sui  mine- 
rali delle  valli  di  Lanzo,  di  G.  Strììver.  — Sulla  formazione 
terziaria  nella  zona  solfifera  della  Sicilia,  di  S.  Mottura, 
con  quattro  tavole.  — Descrizione  geologica  dell’  Isola  d’ Elba, 
di  I.  Cocchi,  con  sette  tavole  ed  una  Carta  geologica.  — 
Malacologia  pliocenica  italiana  (Parte  P,  Gasteropodi  sifo- 
nostomi)  di  C.  D’  Ancona  ; fascicolo  P,  con  sette  tavole. 

Prezzo  del  Voi.  I'’,  Lire  35. 

Brevi  cenni  sui  principali  Istituti  e Comitati  Geo- 
logici e sul  R.  Comitato  Geologico  d’ Italia,  di 

I.  Cocchi.  — Pag.  34  in-4° L.  1.  50 

Carta  Geologica  della  parte  orientale  dell’  Isola 
d’ Elba,  nella  scala  di  1 per  50,000,  di  I.  Coc- 
chi. — Un  foglio  in  cromolitografia L.  3. 00 

{Continua). 


BOLLETTINO  DEL  R.  COMITATO  GEOLOGICO 

D’ ITALIA. 

N®  lei  — Gennaio  e Febbraio  1875. 


SOMMARIO. 

Note  geologiche.  — I.  Dei  depositi  alluvionali  e della  mancanza  di  terreni 
glaciali  neU’Apennino  della  valle  del  Serchio  e nelle  Alpi  Apuane,  per 
C.  De  Stefani.  — II.  Studii  stratigrafici  sulla  Formazione  pliocenica  del- 
l’Italia Meridionale,  per  G.  Sequenza.  (Continuazione.)  — III.  Considerazioni 
stratigrafiche  sopra  le  rocce  più  antiche  delle  Alpi  Apuane  e del  Monte 
Pisano,  per  C.  De  Stefani.  (Continuazione.)  — IV.  Sulla  Relazione  di  un 
viaggio  geologico  in  Italia,  per  T.  Fuchs.  — V.  Strati  a Congeria,  forma- 
zione Oeninghiana  e piano  del  calcare  di  Leitha  nei  Monti  Livornesi,  per 
G.  Capellini.  — VI.  Le  formazioni  paleozoiche  nelle  Alpi  Meridionali,  per 
G.  Stache.  — VII.  La  formazione  permiana  nelle  Alpi  Meridionali,  per 
G.  Stache. 

Notizie  bibliografiche.  — Jtjles  Brunfaut,  De  V Exploitation  des  Soufres  ; 
Paris  1874. 

Cenno  necrologico.  — G.  B.  G.  d’Omalius  d’Halloy. 

Bibliografìa  mineralogica,  geologica  e paleontologica  della  Toscana, 

per  A.  D’Achiardi.  (Continuazione.) 


NOTE  GEOLOGICHE. 


I. 

Dei  depositi  alluvionali  e della  mancanza  di  terreni  glaciali 
nell’ Apennino  della  valle  del  Serchio  e nelle  Alpi  Apuane^ 
Osservazioni  di  Carlo  De  Stefani. 

Tempo  fa  io  pubblicai  uno  scritto  intitolato  : Gli  antichi 
ghiacciai  dell’  Alpe  di  Corfino  ed  altri  dell’  Apennino  settentrio- 
nale e delle  Alpi  Apuane  {Bollettino  del  B.  Com.  geologico  d’Ita- 
lia^ 1874,  N.  3 e 4),  dopo  avere  esaminato  solo  pochi  giorni  i 
depositi  ghiaiosi  di  Castiglione  sotto  V Alpe  di  Corfino,  e quelli 
degli  altipiani  di  Castelnuovo  e di  Barga.  Peraltro  adesso,  dopo 

i * 


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averli  ristudiati  a posta  e per  lungo  tempo,  e dopo  avere  ben 
riguardato  e ripensato  a quelli  che  lo  Stoppani  {SuW  esistenza 
di  un  antico  ghiacciaio  nelle  Alpi  Apuane,  Atti  della  Società  ita- 
liana di  scienze  naturali,  Voi.  XV,  fase.  II,  Milano  1872,  e Men- 
diconti  del  Reale  Istituto  Lombardo  di  scienze  e lettere,  Serie  II, 
Voi.  I,  fase.  XIV,  1862),  il  Cocchi  {Lei  terreno  glaciale  delle  Alpi 
Apuane.  Bollettino  del  R.  Com.  geologico  cV  Italia,  1872,  X.  7 
e 8),  ed  il  Moro  (Il  gran  ghiacciaio  della  Toscana,  Prato,  1872), 
hanno  citato  come  indizii  di  epoca  glaciale,  sono  pervenuto  a 
conchiusioni  contrarie  a quelle  che  avevo  manifestate  nel  citato 
scritto.  Attesa  V importanza  dell’  argomento  e per  ismentire  quello 
che  per  un  momento  credetti  io  pure,  pubblico  ora  queste  con- 
clusioni, vincendo  il  timore  eh’  è sorto  naturalmente  in  me  nel 
momento  di  fare  obbiezione  alle  idee  di  geologi  sì  illustri  come 
sono  il  Cocchi  e lo  Stoppani,  il  quale  ultimo  specialmente,"  at- 
teso i suoi  profondi  studii  compiuti  nelle  Alpi,  è una  delle  mag- 
giori autorità  nella  discussione  di  quei  fatti  geologici  che  riguar- 
dano P epoca  glaciale. 

Prima  di  entrare  direttamente  in  materia,  intendo,  come 
punto  di  partenza,  fare  una  breve  esposizione  della  natura  e 
della  formazione  dei  depositi  detritici  non  glaciali  che  si  pos- 
sono formare  superficialmente,  e che  si  formano  nell’  interno  delle 
valli  che  mi  propongo  di  esaminare  ed  in  specie  nell’  interno 
della  valle  del  Serchio  che,  allo  scopo  di  questo  studio,  ho  rian- 
dato da  cima  a fondo.  Alla  foce  delle  valli  si  arrestano  i de- 
triti trasportati  dal  fiume  e formano  un  cono  di  deiezione  più 
0 meno  ampio,  e più  o meno  elevato,  specialmente  quando  il 
terreno  nell’  interno  vi  si  presta  per  la  sua  natura  litologica,  e 
per  la  sua  nudità,  e quando  vi  si  formano  delle  lavine.  Esempi  di 
consimili  coni  di  deiezione  si  possono  vedere  in  quasi  tutte  le 
valli  laterali  secondarie  dell’  Apennino  : e dei  bellissimi  se  ne 
presentano  nella  valle  della  Lima  confluente  nel  Serchio.  In  ge- 
nerale tutti  i fiumi  nell’  Apennino,  nelle  Alpi  Apuane,  come 
altrove,  rispetto  alle  loro  foci,  si  possono  distinguere  in  fiumi 
che  solcano  e terrazzano,  ed  in  fiumi  che  si  formano  un  cono 
di  deiezione  ; per  rispetto  a .noi,  quelli  delle  Alpi  Apuane  del 
versante  del  Serchio,  i quali  traversano  roccie  calcaree,  appar- 
tengono alla  prima  categoria,  e quelli  dell’  Apennino,  che  tra- 


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versano  roccie  arenarie  e scliistose  facilmente  friabili,  apparten- 
gono alla  seconda,  in  particolare  quando  scendono  da  valli  più 
corte  e perciò  più  ripide.  Qualche  volta  il  cono  di  deiezione  del 
fiume  secondario  si  estende  tanto  che  raggiunge  la  sponda  op- 
posta del  fiume  primario,  il  quale  ne  riceve  la  foce  ; il  letto  di 
questo  ultimo  in  tal  caso  si  rialza  a valle  per  superare  1’  osta- 
colo che  si  trova  anteposto.  Se  avviene  poi  che  cessino  o dimi- 
nuiscano nella  valle  secondaria  le  cause  che  alimentavano  di  ma- 
teriali il  cono  di  deiezione,  il  fiume  primario  scava  il  suo  letto 
d’  alluvione,  per  raggiungere  il  suo  livello  naturale,  e così  all’  un 
de’  lati  di  esso  rimane  isolato  1’  estremo  lembo  dell’  antico  cono 
che,  testimoniando  la  precedente  esistenza  di  una  sbarra  al  corso 
del  fiume  e della  valle,  potrebbe  talora  assumere  1’  apparenza  di 
un  deposito  morenico.  Molte  volte  poi,  quando  due  fiumi  di  eguale 
importanza  si  incontrano  ad  angolo  nell’  interno  delle  valli,  essi 
confondono  i loro  depositi,  e,  se  la  valle  dove  s’ incontrano  è piut- 
tosto ampia,  si  ha  un  riempimento  alluvionale  che  può  simulare 
pur  esso  a prima  vista  un  deposito  morenico.  Esempi  di  tali  de- 
positi si  hanno  a Pieve  Pelago,  nella  valle  della  Scaltenna  o del 
Panaro  superiore,  dove  s’ incontrano  il  fiume  di  S.  Anna  e quello 
di  Fiumalbo,  ed  in  più  luoghi  nella  Val  di  Lima  e nella  valle  del 
Serchio  ; del  resto  non  moltiplico  gli  esempi  di  questo  e degli 
altri  casi  citati,  perchè  sono  regola  generale  nell’  Apennino. 
Questi  depositi  alluvionali  o di  deiezione  si  distinguono  come  si 
sa  per  la  situazione  loro,  per  la  forma  dei  detriti  e dei  ciottoli 
schiacciati,  deposti  per  piatto,  ravvolti  nella  terra,  provenienti 
da  tutti  i tratti  superiori  ed  inferiori  della  valle,  anzi  più  da 
questi  che  da  quelli,  embriciati,  cioè  colla  loro  superficie  piana 
superiore  inclinata  e disposta  contro  la  direzione  del  fiume,  non 
striati  0 striati  meno  profondamente  e più  irregolarmente  dei 
ciottoli  glaciali  ec.  Tutti  questi  caratteri,  o se  non  tutti  insieme 
taluni  almeno,  distinguono  i depositi  fluviatili,  nell’  interno  delle 
valli,  dai  glaciali. 

Ancora  al  piede  dei  dirupi  e delle  ripide  pendici  de’  calcari, 
che  facilmente  si  riducono  in  frantumi,  si  formano  dei  mucchi  di 
sfacelo  {talus)  e talora  delle  lunghe  accumulazioni,  che  raggiun- 
gono l’alveo  inferiore  della  valle,  disposte  a tracolla  sulle  pareti 
della  medesima  e tenacemente  cementate  in  modo  da  sfidare  le 


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azioni  del  tempo  : questi  depositi  frammentarii,  frequenti  dovun- 
que, si  distinguono  benissimo  da  quelli  di  qualsiasi  altra  natura 
appunto  per  la  loro  forma  frammentaria,  per  la  loro  disposizione 
limitata  e pella  loro  derivazione  locale  da  una  sola  forma  di 
roccia.  Gli  stessi  caratteri  distinguono  le  frane  e le  lavine,  che 
spesso  sono  accompagnate  da  smottamenti  di  terreno,  e nelle 
quali  i massi  lavinati  ora  sono  a spigoli  acuti,  ora,  specialmente 
se  di  materia  con  facilità  disgregabile,  sono  a spigoli  smussati 
e arrotondati.  Le  lavine  nelPApennino  sono  frequenti,  attesa  la 
natura  ed  il  vario  alternare  dei  materiali  rocciosi,  poiché  gli 
strati  di  certi  schisti  intramezzati  nelle  masse  si  alterano  di- 
venendo argillosi,  ed  in  questo  caso  le  masse  sovrastanti,  man- 
cando loro  il  sostegno  e tratte  dalla  forza  di  gravità,  scivolano 
sopra  i piani  di  stratificazione  ampli  e lisci  come  la  diacciaia, 
trascinando  fino  al  fondo  della  valle  selve  e case,  e formando 
depositi  grandiosi,  la  cui  natura  potrebbe  sembrare  difficile  a 
spiegarsi  per  chi  non  sapesse  le  cose  dalla  storia  e dalla  tra- 
dizione, e per  chi,  onde  chiarire  il  fenomeno,  ricorresse  ad  altra 
supposizione  che  a quella  di  una  lavina.  Per  non  uscire  dalle 
valli  del  Serchio  e de’  suoi  confluenti,  dirò  come  sia  ben  cono- 
sciuta in  Val  di  Lima  la  catastrofe  per  la  quale  la  maggior  parte 
del  grosso  paese  di  Lizzano,  nel  gennaio  dell’anno  1814,  avvallò 
con  una  falda  di  monte  per  lo  spazio  di  quasi  due  miglia  di 
circonferenza,  ed  i rottami  e le  frane  precipitando  nella  Lima, 
impedirono  e chiusero  interamente  il  varco  del  fiume,  costrin- 
gendolo ad  allagare. 

Avviene  eziandio  che  dalle  rupi  a picco  si  stacchino  dei 
grossi  massi,  i quali  rotolando  a valle  cadono  nel  fondo,  o,  preso 
r abbrivio  sopra  le  pendici  più  erte,  possono  fare  un  cammino 
relativamente  lungo,  aiutati  anche  dalle  volute  {avalancìies),  che 
d’  inverno  non  sono  infrequenti  nell’  Apennino  e nelle  Alpi 
Apuane,  e che  in  vernacolo  chiamano  saiatte.  Un  masso  enorme 
di  serpentino,  caduto  dai  poco  alti  dirupi  contigui,  nel  bel  mezzo 
dell’  alveo  del  Serchio  a valle  del  ponte  di  Sala,  sbarra  talmente 
il  corso  del  fiume,  che  quando  questo  è in  piena,  gli  impedisce 
il  passo  e lo  costringe  a rigurgitare,  formando  un  bacino  a monte, 
fin  tanto  che  1’  acqua  abbia  raggiunto  1’  altezza  alla  quale  può 
passare.  Del  resto  gli  esempi  di  cotali  massi  lavinati,  che  nella 


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loro  scesa  hanno  percorso  qualche  centinaio  di  metri,  sono  fre- 
quentissimi nelle  Alpi  Apuane,  nelle  quali  tutte  le  valli  più  im- 
portanti cominciano  sotto  altissime  pareti  verticali  o quasi.  Que- 
sti massi,  se  isolati  sopra  roccie  diverse  dalla  loro,  colle  loro 
grandi  dimensioni  e co’  loro  spigoli  acuti  ed  intatti,  possono 
sembrare  massi  erratici  depositati  pari  pari  da  ghiacciai,  a chi 
non  sia  stato  testimone  di  veduta  o di  udito  della  loro  discesa, 
ed  a chi  non  conosca  discretamente  la  disposizione  geologica 
della  località  : però  la  poca  lontananza  delle  roccie  da  cui  essi 
provengono  e la  mancanza  di  que’  fenomeni  che  sogliono  accom- 
pagnare i detriti  glaciali,  provano  che  massi  erratici  glaciali  non 
sono.  Sotto  le  rupi  del  Procinto  nella  Versilia,  ne’  canali  di  Bro- 
netino  e di  Filurchia  stanno  de’ grandiosi  massi  di  calcare  ca- 
vernoso lavinati  dagli  strati  superiori,  e che  si  trovano  posati 
sopra  gli  schisti  ne’  quali  sono  scavati  i canali  suddetti  : la  loro 
origine  per  semplice  opera  delle  frane  è spiegata  in  modo 
specioso  dal  fatto  che  sotto  ad  uno  dei  massi  fu  scavato  tempo 
addietro  un  lungo  tronco  di  abete,  albero  che  adesso  non  vive 
più  ne’  dintorni  e che  vi  era  rimasto  sepolto.  Fin  qui  ho  par- 
lato di  que’  depositi  superficiali  alluviali,  che  possono  simulare 
fino  ad  un  certo  punto  depositi  glaciali. 

Quanto  alle  traccie  del  loro  passaggio,  che  i corsi  d’  acqua 
lasciano  nell’  interno  delle  valli  quando  non  formano  depositi,  si 
sa  già  che  sono  1’  escavamento  ed  il  così  detto  terrazzamento. 
Anco  i ghiacciai  lasciano  solchi  e gradinate  a pareti  verticali 
ne’  luoghi  pei  quali  sono  passati,  ma  i loro  canali  di  sfogo  sono 

i 

più  ampli,  e le  pareti  verticali  di  questi,  quando  esistono,  indi- 
pendentemente dalle  striature,  sono  ben  lisciate  e rettilinee  e 
tirate  a lustro,  nè  1’  andare  de’  tempi  può  molto  a distruggere 
codeste  traccie  indelebili.  Quando  invece  i corsi  d’  acqua  appro- 
fondano il  loro  alveo  entro  roccie  solide  e tenaci,  agiscono  bensì 
sopra  di  queste  anche  colla  forza  dello  stropiccio  di  loro  stesse 
e dei  detriti  che  asportano,  come  un  ghiacciaio,  e producono  delle 
pareti  verticali,  ma  con  effetti  diversi,  poiché  le  superfici  di  queste 
rimangono  curve,  rientranti,  non  uniformi,  ma  irregolari,  secondo 
la  diversa  durezza  dei  minuti  elementi  costituenti  la  roccia,  tor- 
tuose e con  creste  rilevate,  come  le  ondosità  di  un  mare  pros- 
simo alla  spiaggia.  Il  tempo,  come  rispetta  le  traccie  dei  ghiac- 


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dai,  rispetta  andie  codeste  traccie  lasciate  dalle  acque  fluviali, 
che  del  resto  non  si  confonderebbero  con  quelle  prodotte  da  acque 
pluviali  cadenti  dalla  vòlta  dell’  atmosfera.  Quelle  traccie  delle 
correnti  d’  acqua  non  sono  rare  nell’  interno  delle  valli  Apuane, 
a livelli  superiori  agli  alvei  attuali,  attestando  ivi  il  loro  pas- 
saggio, prima  che  lo  sprofondamento  delle  valli  fosse  pervenuto 
al  punto  in  cui  è ora:  ne  vidi  esempii  fra  gli  altri  negli  schisti 
cristallini  delle  rupi  di  Corvaia,  sotto  Serravezza,  e della  valle 
di  Montignoso,  sopra  l’Acquabona.  Tutte  queste  osservazioni,  ben- 
ché in  apparenza  superflue  e troppo  semplici,  le  ho  volute  fare, 
per  concludere  che  ne’  fatti  descritti  rientrano  i depositi  super- 
ficiali e le  traccie  di  passaggio  delle  acque  fluviali  neH’Apennino 
e nelle  Alpi  Apuane,  e che  ad  essi  soltanto  si  riferiscono  la  mag- 
gior parte  di  quei  fenomeni  che  io  e gli  altri  ritenemmo  come 
indizio  di  un’  epoca  glaciale.  A’  resti  di  antichi  laghi  ed  alle  forme 
particolari  dei  depositi  ghiaiosi  che  li  riempirono,  si  debbono 
attribuire,  come  si  vedrà  poi,  i rimanenti  indizii  che  furono  ci- 
tati da  me  come  traccie  di  epoca  glaciale. 

Di  que’  fenomeni  ritenuti  per  glaciali,  comincierò  subito  a 
ridare  la  spiegazione,  riportandoli  via  via  alla  serie  di  fatti  sopra 
descritti.  Mi  rifarò  intanto  dalla  parte  inferiore  della  vai  di  Ser- 
chio.  Il  deposito  che  si  trova  a destra  della  valle  a monte  delle 
case  superiori  di  Diecimo,  dopo  la  curva  che  fa  il  fiume,  depo- 
sito che  io  ritenni  essere  una  morena  insinuata  (Gli  antichi  ghiac- 
ciai, ec.),  è invece  un  deposito  limitato  a piccoli  frammenti,  deri- 
vanti dallo  sfacelo  (tdlus)  del  calcare  grigio  con  selce  neocomiano, 
che  costituisce  quelle  pendici.  Altra  formazione,  che  dubitavo 
potesse  essere  morenica,  1’  ho  indicata  sulla  sinistra  della  Torrita 
d’Arni,  a valle  del  Ponte  di  Kontano,  e si  trova  sotto  un  pon- 
ticello di  legno  che  serve  ad  un  antico  mulino  del  paese  di  Tor- 
rita, a sinistra  della  confluenza  di  un  torrentello  : si  tratta  di 
ghiaie  schiacciate,  spesso  embriciate,  e cementate  da  carbonato 
di  calce,  di  schisti  cristallini  che  ho  ritenuti  triassici,  e di  marmi 
saccaroidi,  tutte  roccie  portate  dal  fiume  Torrita  ed  arrestate  in 
corrispondenza  del  cono  di  deiezione  del  precitato  torrentello,  a 
formare  un  deposito  semplicemente  alluvionale,  del  quale  riman- 
gono ora  poche  traccie.  Un  poco  più  sopra  nella  valle,  parimente 
a sinistra,  sotto  il  ponte  in  muratura  di  Eontano,  è,  a tracolla 


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sulla  pendice  del  monte,  un  deposito  di  sfacelo  del  calcare  grigio 
sovrastante. 

Nel  canale  di  Vagli,  il  Cocchi  {Bèl  terreno  glaciale,  ec.)  cita 
« una  estesa  morena,  la  quale  da  Campocatino  per  Vagli  di  Sopra 
va  ad  arrestarsi  contro  le  Faete  ed  Orticaiola  » e « traccie  dei 
ghiacci  che  scendevano  a Nord  della  Penna  di  Sumbra  (o  Sum- 
mora),  nel  canale  di  Vagli,  che  si  unisce  a Vagli  di  Sotto  colle 
valli  di  Arnetola  e di  Campocatino.  » Però,  nel  primo  caso  si 
tratta  di  semplici  frane,  le  quali  si  estendono  lunghesso  tutta 
la  valle,  a destra  ed  a sinistra  della  medesima;  a sinistra  sono 
costituite  da  frammenti  de’  calcari  cavernosi  e terrosi  e degli 
schisti  rasati,  che  ivi  stesso  formano  il  crinale  della  Tombaccia, 
fra  le  valli  di  Arnetola  e quella  di  Corfigliano  o dell’ Acqua- 
bianca  ; a destra  poi  sono  unicamente  formate  dalla  roccia  mar- 
morea della  Tambura  e delle  Faete,  la  quale  ha  per  P appunto 
il  suo  limite,  circa  lungo  P alveo  del  canale  di  Campocatino,  su- 
periormente a Vagli  di  Sopra.  In  basso  del  colle  di  Vagli  di 
Sotto,  di  fianco  agli  alvei  del  canale  di  Arnetola  e di  quelli  mi- 
nori che  vi  affluiscono,  pendendo  dalla  Penna  di  Summora,  esi- 
stono soltanto  dei  depositi  alluvionali  ghiaiosi,  degli  schisti,  dei 
calcari  cavernosi  ed  infraliassici  e dei  calcari  marmorei,  che  stanno 
a monte.  Nelle  valli  dei  fiumi  di  Gramolazzo  e di  Corfigliano 
che  insieme  si  riuniscono  per  sboccare  nel  Serchio  presso  Piazza, 
il  Cocchi  dice  che  si  trovano  delle  morene,  talune  delle  quali 
delle  più  grandi  delle  Alpi  Apuane.  « Una  grande  ghiacciaia,  egli 
dice,  scendeva  giù  per  il  Gramolazzo  (che  viene  dal  bacino  situato 
fra  il  Pizzo  Maggiore  ed  il  Pizzo  d’ Uccello),  fin  presso  la  sua  giun- 
zione con  il  torrente  dell’  Acquabianca  presso  Corfigliano,  e ri- 
ceveva una  minore  ghiacciaia  laterale  che  scendeva  dai  monti  di 
Minacciano  formati  di  terreni  Passici  ed  eocenici.  Il  Piano  ed  il 
Poggio  di  Mandria  (alla  congiunzione  del  torrente  di  Gramolazzo 
e di  quello  di  Corfigliano)  sono  formati  di  un  deposito  caotico 
incoerente  nel  quale  molti  blocchi  (che  egli  dice  veri  grandi  massi 
erratici,  cui  non  si  smussarono  gli  angoli  e gli  spigoli)  hanno 
incavatura  e solchi  e strie  longitudinali  » e la  loro  natura  (con- 
tinua a dire  il  Cocchi)  non  permette  di  dubitare  sulla  prove- 
nienza loro  dalle  alte  cime  che  dominano  il  Pian  di  Mandria; 
P illustre  geologo  dà  poi  la  misura  di  uno  di  quei  massi  erratici. 


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soggiungendo  che  « un  deposito  morenico  analogo  prevalentemente 
agglutinato  e cementato  si  incontra  nella  valle  dell’  Acquabianca, 
ossia  di  Corfigliano.  » Per  verità,  è molto  atta  a far  dubitare 
deir  esistenza  di  antichi  ghiacciai,  la  vista  di  que’  voluminosi 
massi  del  Pian  di  Mandria,  più  grandi  ancora  di  quello  le  cui 
dimensioni  sono  state  indicate  dal  Cocchi,  sparsi  in  numero  non 
piccolo  a destra  ed  a sinistra,  non  solo  del  canale  di  Gramo- 
lazzo  dal  ponte  di  Gramolazzo  in  giù,  ma  anche  di  quello  di 
Corfigliano,  presso  al  luogo  dove  le  due  vallecole  s’ incontrano. 
Que’  massi  sono  adagiati  sui  terrazzi  scavati  dai  due  torrenti  nel 
detrito  ghiaioso  incoerente  che  riempie  il  fondo  delle  due  valli, 
là  dove  queste,  terminato  il  ripido  pendìo,  assumono  un  declivio 
dolce  e quasi  piano  ; essi  però  non  sono  formati  da  schisto  calca- 
rifero, nè  provengono  dalla  parte  più  alta  e recondita  dell’  Orto 
della  Donna,  o alta  valle  del  Gramolazzo,  cioè  dalle  alte  cime 
del  Pizzo  Maggiore,  delle  Forbici  e dell’  Altare,  come  ha  ritenuto 
il  Cocchi  ; ma  appartengono  alle  quarziti  che  sono  superiori  ai 
marmi,  e derivano  dagli  strati  di  questa  roccia,  che,  con  potenza 
non  molto  grande,  circondano  la  formazione  marmorea  nella  parte 
più  bassa  di  quelle  valli,  e che,  sottoposti  ai  calcari  infraliassici, 
sovraincombono  al  Piano  di  Mandria  ad  una  distanza  non  mag- 
giore di  circa  500  metri.  Mi  parve  notevole  anzi  il  non  trovare 
colà  nemmeno  un  masso  del  calcare  marmoreo  che,  insieme  ai 
banchi  di  cipollino  molto  calcarifero  e ben  distinto,  pe’  suoi  ca- 
ratteri, forma,  come  dice  anche  il  Cocchi,  le  grandiose  sommità 
e le  lunghe  pendici  sovrastanti  alla  parte  superiore  della  valle 
del  Gramolazzo,  e che  avrebbero  dovuto  predominare  se  avesse 
avuto  luogo  un  trasporto  di  roccie  operato  da  ghiacciai.  Il  ghiac- 
ciaio, se  fosse  esistito,  avrebbe  del  resto  ricoperto  i banchi  delle 
quarziti  affioranti,  come  si  è detto,  soltanto  nella  regione  infe- 
riore di  esso,  e non  ne  avrebbe  asportato  quei  massi  che  si  ve- 
dono in  Pian  di  Mandria.  Per  queste  ragioni,  la  presenza  di  codesti 
massi  sembra  dovuta  a lavine,  della  natura  di  quelle  sottostanti 
alle  rupi  del  Procinto  e ad  altre  località,  tanto  più  che  non  si 
vedono  nelle  adiacenze  nè  detriti  morenici,  nè  solchi,  nè  strie, 
operate  da  ghiacci,  nè  quelle  roccie  lisciate  e a cavalloni  {mou~ 
tonnées)  solite  ne’  dintorni  de’  ghiacciai.  Nei  massi  citati,  sono 
bensì  que’  solchi  e quelle  strie  longitudinali  cui  allude  il  Cocchi, 


11  - 


ma  desse  segnano  la  direzione  degli  strati  troppo  manifestamente; 
si  tratta  di  effetti  dovuti  alla  azione  degli  agenti  atmosferici,  che 
fu  più  0 meno  efficace,  a seconda  della  diversa  natura  degli  ele- 
menti stratificati  costituenti  la  roccia,  nè  si  può  in  modo  alcuno 
errare  distinguendoli  dalle  striature  e dalle  incavature  eseguite 
a modo  de’  ghiacciai.  Quanto  poi  al  « deposito  caotico  incoerente  » 
che  il  Cocchi  dice  morenico,  e che  s’  incontra  da  ogni  lato  in 
tutta  quella  regione  triangolare,  situata  fra  i due  torrenti  di 
Gramolazzo  e di  Corfigliano,  dal  ponte  di  Gramolazzo  in  giù  per 
una  parte,  e dai  pianali  delle  Capanne  di  Corfigliano,  sotto  lo 
spartiacque  della  Tombaccia  a valle  per  1’  altra  parte,  non  si  tratta 
che  di  un  deposito  alluvionale  di  ghiaie,  di  calcari  marmorei,  di 
schisti  cristallini  e di  calcari  infraliassici,  che  costituiscono  il  lato 
occidentale  di  quelle  valli,  e di  arenarie  e schisti  eocenici,  che 
ne  formano  il  lato  orientale  ed  inferiore,  tanto  di  faccia  a Cor- 
figliano, quanto  di  fianco  a Gramolazzo.  Non  vidi  ciottoli  striati, 
nè,  ripeto,  alcun  altro  di  que’  fenomeni  che  attestano  altrove  il 
passaggio  de’  ghiacciai.  Fuori  di  queste  località,  ma  sempre  nelle 
Alpi  Apuane^  il  Cocchi  cita  depositi  morenici  ne’  diversi  canali 
che  sono  alle  falde  della  Tambura  nella  valle  del  Frigido,  nel 
basso  de’  canali  derivanti  dal  Monte  Sagro  a valle  di  Carrara  e 
nelle  valli  di  Equi  e di  Vinca  ; io  poi  citava  un  conglomerato, 
che  riteneva  morenico,  a Canovara,  sotto  la  foce  del  canale  d’An- 
tona  nel  Frigido.  Però,  in  tutte  le  citate  località,  si  tratta  di 
depositi  alluvionali  della  natura  di  quelli  che  ho  descritto  a prin- 
cipio, depositi  che  talvolta  sono  cementati  dal  carbonato  di  calce 
disciolto  dai  ciottoli  calcarei  che,  attesa  la  costituzione  geologica 
delle  località,  ne  formano  prevalentemente  la  massa;  a Carrara 
si  aggiungono  delle  frane  derivanti  dai  poggi  sovrastanti,  le  quali, 
insieme  colle  alluvioni  recenti,  ricoprono  il  cono  di  deiezione  an- 
tico  del  Carrione.  E inutile  che  io  ripeta  come  la  provenienza 
alluvionale,  in  questi  casi,  sia  provata  dalla  disposizione  e dalla 
natura  de’  materiali  derivanti  spesso  da  tutti  i lati,  anche  dalle 
pendici  immediatamente  sovrastanti,  e dalla  mancanza  di  tutte  le 
caratteristiche  de’  fenomeni  veramente  glaciali.  Quanto  alle  valli 
d’  Equi  e di  Vinca,  le  quali  scendono  dal  breve  versante  di  N.O. 
e di  N.  delle  Alpi  Apuane  verso  la  valle  della  Magra,  io  non 
conosco  bene  le  località,  ma  nè  il  professor  Cocchi  vi  cita  verun 


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più  particolare  indizio,  nè  vi  sono  speciali  circostanze  diverse  da 
quelle  delle  altre  valli  apuane,  per  cui  si  debba  credere  che  quivi 
eccezionalmente  scendessero  de’  ghiacciai.  Il  professore  Stoppani, 
dopo  una  gita  fatta  nel  1872  nelle  Alpi  Apuane  in  Val  d’ Arni, 
annunciava  {SiiìV  esistenza  di  un  antico  ghiacciaio  nelle  Alpi 
Apuane)  di  avervi  scoperto  « un  testimonio  sicuro  dell’  esistenza 

di  un  antico  ghiacciaio pronostico  sicuro  della  scoperta  del 

terreno  glaciale  in  tutte  le  Alpi  Apuane.  » Quella  testimonianza 
era  una  morena  frontale  a Campogrino  (dove  si  riuniscono  il 
canale  di  Arni  ed  il  canale  di  Gioia)  « sotto  forma  di  un  gran 
cumulo  detritico,  divisa  in  più  parti  dai  due  torrenti  e da  tor- 
rentelli minori....  La  morena,  (continua  il  citato  geologo)  è per 
lo  più  incoerente;  ma,  salendo  da  Campogrino  ad  Arni,  s’incon- 
tra un  conglomerato  ad  elementi  caotici,  il  quale  non  è altro  che 
una  porzione  di  morena  cementata  dal  carbonato  di  calce,  per 
r azione  delle  acque  pluviali o...  Alla  presenza  degli  schisti  tal- 
cosi,  talora  quarziferi,  che  si  veggono  sparsi  in  poca  quantità 
entro  il  minor  detrito  della  morena,  si  deve  certamente  la  stria- 
tura  dei  massi  calcarei,  fenomeno  che  ci  si  presentò  nel  modo 
più  evidente  alla  estremità  occidentale  della  morena,  ove  discende 
dal  Monte  Altissimo.  Il  geologo  potrà  senza  pena  raccogliervi 
dei  ciottoli  striati  non  meno  evidenti  dei  migliori  offerti  dalle 
antiche  morene  subalpine.  » Il  Cocchi  poi  {Bel  terreno  glaciale 
delle  Alpi  Apuane)  indica  che  la  morena  d’  Arni  è forse  un  poco 
più  estesa  di  quello  che  sembra  apparire  dalla  relazione  dello 
Stoppani.  Non  ho  riesaminato  il  deposito  d’  Arni  in  questi  ul- 
timi tempi,  ma  lo  vidi  nell’ agosto  del  1872,  senza  conoscere  le 
idee  dello  Stoppani  non  ancora  mandate  alle  stampe,  però  messo 
in  sull’  avviso  da  un  discorso  fattomi  incidentalmente  dal  natu- 
ralista signor  Emilio  Simi  di  Levigliani,  il  quale  mi  aveva  detto 
esservi  1’  idea  che  i depositi  d’  Arni  fossero  glaciali.  Vidi  adun- 
que i depositi  cementati  di  quella  località,  e li  trovai  in  banchi, 
terrazzati,  nel  basso  del  canale,  e non  elevati  a ridosso  delle 
valli,  formati  da  ghiaie  e colle  dimensioni  ordinarie,  di  calcare 
marmoreo  e di  schisti,  cementate  fra  loro  dal  carbonato  di  calce: 
esaminando  la  superficie  delle  ghiaie  non  trovai  striature  che  si 
potessero  riferire  ad  opera  di  ghiacciai.  Kipensando  adesso  alla 
forma  ed  alle  circostanze  della  valle,  non  ricordo  di  avervi  ve- 


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duti  quegli  indizi!  sì  caratteristici  del  passaggio  de’  ghiacciai; 
indizi!  del  resto,  che,  salvo  « la  striatura  dei  massi  calcarei  alla 
estremità  o'ccidentale  della  morena,  ove  discende  dal  Monte  Al- 
tissimo, » non  sono  notati  nemmeno  dallo  Stoppani.  Per  questa 
ragione  e per  i caratteri  da  me  notati  sopra,  ritengo  che  il  de- 
posito d’ Arni,  formatosi  all’  incontro  dei  canali  di  Gioia  e di 
Arni,  e nel  basso  di  que’  canali,  dove  il  loro  ripido  pendio  dimi- 
nuisce, sia  un  deposito  semplicemente  alluvionale,  come  tutti  gli 
altri  delle  Alpi  Apuane  esaminati. 

Il  professor  Moro  alla  sua  volta  (Il  gran  ghiacciaio  della 
Toscana)  « non  dubita  di  riaffermare  che  più  certa  non  può 
essere  la  storia  di  un  ghiacciaio  gigante  che  dai  più  alti  monti 
del  Serchio  col  capo  toccava  il  cielo,  e colle  immane  membra 
occupava  vasto  letto  in  mezzo  alla  Toscana.  » L’  autore  poi  cita 
come  riprova  di  questo  ghiacciaio,  e di  un  altro  che  scendeva 
dalla  valle  di  Pescia,  le  morene  che  si  trovano  lungo  la  ferrovia 
da  Lucca  a Borgo  a Buggiano  ed  a Monte  Catini,  una  grandiosa 
morena  laterale  rappresentata  dai  colli  che  separano  il  lago  di 
Bientina  da  quello  di  Fucecchio,  e i depositi  torbosi  di  Bientina 
e di  Fucecchio  simili  a quelli  che  « si  incontrano  in  tutti  i grandi 
bacini  che  furono  letto  di  un  ghiacciaio,  » e le  argille  di  Alto- 
pasclo  simili  a quelle  « delle  morene  di  Maggiora:  » finalmente 
egli  cita  nell’  interno  della  Val  di  Serchio  « il  più  pittoresco 
monumento  geologico  che  sia  a desiderarsi  per  attestare  il  cam- 
mino del  ghiacciaio,  ed  è uno  sperone  sulla  sinistra  del  Serchio, 
nel  suo  corso  inferiore,  fra  Borgo  Decimo  e Sesto,  dove  « la 
roccia  raspata,  limata,  pare  una  gigantesca  trottola  che  porti 
in  giro  segnati  gli  anelli  fatti  dal  tornio.  » Non  mi  fermerò  a 
parlare  degli  indizi!  che  1’  autore  ritiene  come  glaciali,  nei  piani 
di  Lucca  e della  Val  di  Nievole,  alle  foci  del  Serchio  e della 
Pescia  : quanto  alla  roccia  raspata  e limata  che  forma  uno  spe- 
rone sulla  sinistra  del  Serchio  fra  Sesto  e Decimo,  e che  si  trova 
eziandio  sulla  destra  del  fiume  fra  Decimo  e Val  d’  Ottavo,  non 
la  si  può  ritenere  come  lisciata  e solcata  da  un  ghiacciaio  ; ma 
si  tratta  invece  di  nuli’  altro  che  di  pendici  spoglie  di  vegeta- 
zione, di  calcare  probabilmente  neocomiano  e non  già  liassico, 
siccome  ritenevo  altre  volte,  nel  quale,  coi  piccoli  banchi  del  cal- 
care candido,  alternano  degli  straterelli  continui  ed  uniformi  di 


— 14  — 


selce  nera  che,  veduta  da  lungi,  dà  alla  roccia  V aspetto  di  « una 
gigantesca  trottola  che  porti  in  giro  segnati  gli  anelli  fatti  dal 
tornio.  » Sparisce  adunque  anche  codesto  indizio  di  un’  epoca 
glaciale. 

Passerò  a render  conto,  per  ultimo,  di  una  serie  di  depositi 
che  io  ritenni  per  glaciali,  e che,  siccome  ho  fatto  supporre  più 
sopra,  vanno  spiegati  in  altro  modo  che  in  quello  col  quale  ho 
spiegato  le  alluvioni  fin  qui  citate.  Parlai  della  morena  frontale 
di  Castiglione,  presso  Castelnuovo  di  Garfagnana  in  Val  di  Ser- 
chio  « formata  da  un  ghiacciaio  che  dovea  scendere  altre  volte 
dall’  Alpe  di  Corfino,  e dalla  quale  veniva  provata  in  modo  non 
dubbio  r esistenza  di  antichi  ghiacciai  nell’  Apennino  setten- 
trionale, » e citai,  ft  un  deposito  ghiaioso  cementato,  a monte  di 
Castelnuovo,  sulla  sinistra  della  Turrite  Secca,  che,  raffigurava, 
con  poca  probabilità  di  errare,  una  morena  dell’  antico  ghiacciaio 
della  Turrite  Secca,  in  continuazione  del  ghiacciaio  d’Arni,  di  cui 
il  Cocchi  e lo  Stoppani  avean  dato  notizia  ; » come  pure  « un 
altro  conglomerato  morenico  sviluppato  sulla  destna  della  Cor- 
sona  presso  Castelvecchio  e manifestissimo  a Gallicano,  il  quale 
presentava  prove  non  dubbie  di  un  grande  ghiacciaio  che  scen- 
deva ad  Est  della  Pania,  e shoccava  nell’  altipiano  di  Barga  per 
la  valle  della  Turrite  di  Gallicano  o di  Petrosciana.  » Del  con- 
glomerato, sul  quale  è il  paese  di  Castiglione,  ho  già  detto  nelle 
Note  citate,  quale  sia  la  configurazione  e quali  sieno  i carat- 
teri : esso  è formato  da  banchi  di  ghiaie,  con  grande  prevalenza 
derivanti  dal  calcare  grigio  cupo  infraliassico,  e che  sembrano 
provenire  in  parte  dall’  Alpi  di  Corfino  adiacente;  però  vi  alter- 
nano qualche  volta  altri  banchi  di  ghiaie  più  minute,  che  non 
avevo  notate,  derivanti  da  calcari  marmorei  saccaroidi  e da 
schisti  quarzosi,  pure,  commiste  con  ghiaie  di  calcare  infralias- 
sico, e che  possono  essere  provenute,  non  dall’Alpe  di  Corfino, 
ma  dalla  vai  d’Arni,  che  ha  la  sua  foce  non  molto  distante  e 
nel  lato  opposto  della  valle.  Il  deposito,  di  forma  allungata,  sta 
con  un  de’  fianchi  più  corti  addossato  all’  Apennino  ed  è iso- 
lato da  ogni  parte,  formando  la  ripa  destra  del  torrente  Sauro 
e la  ripa  sinistra  del  canale  di  Canottora,  che  affluisce  nel 
Sauro:  la  ripa  sinistra  del  Sauro  e la  ripa  destra  della  Canot- 
tora sono  scavate  alla  loro  volta  entro  ghiaie  di  macigno  eoce- 


nico,  talché  il  deposito  ghiaioso  calcareo  di  Castiglione  sembra 
ristretto  e limitato,  e se  alla  vista  di  codesta  circostanza  si 
aggiunga  quella  degli  altri  suoi  aspetti,  che  ho  descritti  nelle 
Note,  sarà  ben  facile  di  scambiarlo,  alla  bella  prima,  per  una 
morena  di  un  ghiacciaio  derivante  dalla  prossima  Alpe  di  Cor- 
fino.  Però,  dalla  parte  di  mezzogiorno  V opera  escavatrice  del 
Sauro  ha  profondamente  terrazzato  le  colline,  e,  senza  intermezzo 
^i  alcun  frastagliamento  di  terreno,  si  ha  una  spianata  diretta 
e continua,  per  V estensione  di  circa  un  chilometro  e mezzo,  fino 
a certe  altre  colline  di  conglomerato  prevalentemente  calcareo 
simile  a quello  di  Castiglione,  e che  sono  le  colline  di  Monte 
Alfonso  e del  Crocifisso  a monte  di  Castelnuovo,  fra  la  ripa 
destra  del  Serchio  e la  ripa  sinistra  della  Torrite,  le  quali  si 
staccano  dal  Monte  di  Volsci  sotto  al  paese  di  Cerretoli,  e che 
riposano  sopra  il  conglomerato  ghiaioso,  che  ritenevo  fosse  un 
deposito  morenico  dell’  antico  ghiacciaio  della  Torrite  Secca.  Le 
ghiaie,  in  banchi,  sono  quivi  formate  di  macigno,  di  calcare  gri- 
gio con  selce,  di  calcare  rosso  o verde  liassico,  di  schisto  dia- 
sprino,  di  calcare  grigio  cupo  infraliassico,  di  calcare  bianco  sac- 
caroide  e di  schisti  cristallini,  e la  loro  natura  ne  fa  nota  la 
provenienza  dalla  valle  della  Torrite  Secca  o d’ Arni,  e dal 
canale  di  Sassi  derivante  dalla  Pania,  il  quale  confluisce  nella 
Torrite  presso  alla  sua  foce  nel  Serchio.  Di  queste  ghiaie  è 
costituita,  non  solo  la  parte  inferiore  delle  colline  del  Crocifisso 
e di  Monte  Alfonso  come  io  dubitavo,  ma  eziandio  tutta  la  parte 
superiore  che  ritenevo  rappresentasse  la  alluvione  recente  dei 
due  fiumi,  della  Torrite  cioè  e del  Serchio.  Il  deposito,  alto  circa 
100  metri  sopra  le  valli  adiacenti,  assai  esteso  e di  forma  allun- 
gata alla  base,  ha  la  sua  lunghezza  maggiore  parallela  alla  dire- 
zione delle  valli  della  Torrite  e del  Serchio  e perpendicolare 
alla  direzione  della  valle  di  Sassi,  talché  potrebbe  parere  al- 
P ingrosso  una  morena  lasciata  da  un  ghiacciaio  derivante  da 
quella  valle:  però  quest’apparenza  è affatto  superficiale.  Infatti 
il  deposito  ghiaioso,  conservando  la  stessa  natura,  si  estende  ad 
eguale  altezza  a ridosso  di  tutte  le  pendici  circostanti  alla  parte 
inferiore  della  valle  della  Torrite,  e particolarmente  sul  Monte 
Perpoli  e nel  canale  della  Grignola  ; il  livello  più  elevato  poi  di 
questi  depositi  è lo  stesso  di  quello  di  Castiglione  e di  quelli 


— le- 


di ghiaie  di  macigno  di  Campori,  del  Quario,  di  Villa  ed,  in 
una  parola,  di  tutte  le  località  situate  nell’  altipiano  irregolare 
di  Castelnuovo:  codeste  formazioni  ghiaiose  profondamente  ter- 
razzate dai  fiumi  e ricoperte  da  depositi  alluvionali,  che  si  innal- 
zano fino  ad  un  livello  costante  senza  oltrepassarlo,  a banchi 
regolari  alternanti  di  rocce  diverse,  ma  però  sempre  derivanti 
dai  bacini  circostanti,  intercalate  da  strati  sabbiosi  e più  di  rado 
argillosi,  includenti  tronchi  di  vegetabili  carbonizzati  di  specie 
scomparse,  riposanti  sopra  strati  argillosi  contenenti  fossili  del- 
r epoca  pliocenica  più  antica,  furono  depositate  esse  pure,  come 
le  sottostanti  argille,  in  un  antico  bacino  lacustre,  il  quale  col- 
r andare  del  tempo  fu  riempito. 

Le  ghiaie  calcaree  trascinate  dai  torrenti  dalla  Val  d'Arni 
e dalla  valle  di  Sassi  a poco  per  volta  si  accumulavano,  riem- 
piendo il  fondo  sottostante,  e spinte  dalla  forza  delle  correnti  si 
estendevano  talora  a ricoprire  i depositi  circostanti  derivanti 
dalle  pendici  eoceniche  dell’  Apennino,  fra  i quali  infatti  qual- 
che volta  si  ritrovano  ; nell’  immediata  adiacenza  delle  valli  sud- 
dette, nella  stessa  loro  direzione,  dove  l’ impeto  continuato  le 
sospingeva,  raggiungevano,  dopo  breVb  cammino,  la  pendice  op- 
posta della  valle,  dove  è ora  Castiglione,  e quivi  spesso  si  so- 
vrapponevano alle  ghiaie  pure  calcaree  trasportate  da  un  tor- 
rente derivante  dall’  Alpe  di  Corfino.  Coll’  andar  del  tempo, 
riempito  il  bacino  lacustre,  i fiumi  hanno  incominciato  la  loro 
opera  di  terrazzamento,  che  si  estende  fino  a cento  metri  sopra 
il  fondo  delle  valli  : il  Sauro,  scavando,  asportò  tutte  le  ghiaie 
calcarifere,  le  quali  connettevano  il  deposito  del  Monte  Alfonso 
e del  Crocifisso  con  quello  di  Castiglione,  e la  cavità  libera  ed 
aerea  per  così  dire,  rimasta  fra  le  serie  dei  terrazzi,  stette  e 
sta  a rappresentare  il  riempimento  ghiaioso  preesistente.  La 
stessa  opera  compierono  gli  altri  fiumi  e torrenti,  e cosi  per  un 
lato  fu  isolato  il  deposito  ghiaioso  di  Castiglione,  e per  l’ altro 
quello  del  Monte  Alfonso,  le  cui  forme  possono  simulare  quella 
di  una  morena,  ma  che,  studiando  bene  le  cose,  prendendo  le 
mosse  dai  terrazzi  successivamente  sovrapposti,  colmando  i vuoti 
fra  di  essi  e ristabilendo  i depositi  come  prima  dovevano  essere, 
si  ricostruisce  il  fondo  dell’antico  bacino  e si  riconducono  i ban- 
chi ghiaiosi  più  volte  mentovati  alla  loro  vera  condizione  di  de- 


— 17  - 


positi,  non  glaciali,  ma  lacustri.  Queste  cose,  dette  per  le  loca- 
lità del  bacino  di  Castelnuovo,  valgano  per  quelle  del  bacino  di 
Barga  : semplicemente  lacustri  sono  quivi  i depositi  di  Castel- 
vecclrio,  formati  a spese  delle  ghiaie  portate  dal  corso  superiore 
del  Serchio  e depositate  nel  seno  dello  stesso  lago,  di  livello 
alquanto  inferiore  a quello  di  Castelnuovo  ; e lacustri  sono  le  ghiaie 
di  Gallicano  alla  foce  della  Borrite,  che  prende  il  nome  da  que- 
sto paese,  altrimenti  detta  Petrosciana.  Un  singolare  colletto  di 
forma  allungata  sta  dirimpetto  alla  foce  di  questa  valle,  fra  il 
paese  di  Gallicano  e la  riva  destra  del  Serchio,  intorno  al  quale 
gira  la  Borrite,  che  lo  lascia  alla  sua  sinistra:  anclB  esso  po- 
trebbe parere  una  morena  frontale,  ma  esso  pure  è così  for- 
mato per  opera  del  terrazzamento  dei  fiumi,  cioè  del  Serchio  e 
della  Petrosciana  ; la  sua  sommità  è piana  e corrisponde  ad  uno 
dei  terrazzi  inferiori  del  bacino  ; ai  suoi  lati,  a ridosso  delle 
pendici  montuose  continua  il  terrazzo  e continua  la  stessa  qua- 
lità delia  roccia. 

Avanti  di  lasciare  questa  parte  del  mio  argomento,  dirò  che 
da  prima,  quando  avevo  P idea  che  si  trattasse  di  depositi  mo- 
renici, vedendo  le  ghiaie  di  Castiglione  non  striate  come  suole 
ne’  ghiacciai,  pensavo  che,  attesa  la  costante  natura  calcarea 
delle  ghiaie  e la  conseguente  mancanza  di  diversità  nella  du- 
rezza , le  strie  non  fossero  state  prodotte , ma  esaminando 
poi  depositi  dove  quella  diversità  di  durezza  esisteva,  a ca- 
gione della  mescolanza  di  materiali  calcarei  e di  materiali  si- 
licei, e veduta  ivi  pure  mancare  la  circostanza  delle  strie  proprie 
de’  detriti  glaciali,  mi  persuasi  che  così  dovea  essere,  perchè, 
non  glaciali,  ma  lacustri  ed  alluvionali  erano  i depositi.  Per 
finire,  dico,  e serva  il  mio  detto  per  tutte  le  località  sopra  esa- 
minate e studiate  dall’  ingegnere  Moro,  dallo  Stoppani,  dal  Coc- 
chi e da  me,  e per  tutti  i depositi  alluvionali  e lacustri  citati, 
in  niun  luogo  ho  trovato  ciottoli  con  strie  riferibili  ad  opera  di 
ghiacciai,  nè  roccie  lustrate,  rigate,  solcate  e a cavalloni,  come 
si  ritrovano  nelle  grandi  Alpi,  nè  ho  trovato  vere  morene,  nè 

altri  depositi  lateralmente  alle  valli,  che  dovrebbero  attestare  in 

0 

modo  non  dubbio  il  passaggio  di  ghiacciai  che  vi  fossero  stati. 
Ninna  di  queste  traccie  ho  veduta  nelle  parti  superiori  delle 
valli  del  Beno  e della  Scaltenna  o Panaro,  nè  in  alcuna  delle 


— 18  ~ 


vallate  conflaenti  nel  Serchio  e nella  Lima,  tanto  dal  versante 
apenninico  quanto  dal  versante  apuano;  e per  queste  cose  concludo, 
che  gli  indizii  fino  ad  ora  citati,  nelle  Alpi  Apuane  e nell’Apen- 
nino  della  Val  di  Serchio,  non  possono  provare  V esistenza  di 
un  periodo  di  ghiacciai  nelle  località  sopraindicate  ; dubito  poi 
che  tali  prove  si  possano  mai  trovare  nell’  avvenire. 


IL 

Studii  stratigrafici  sulla  Formazione  pliocenica 
dell’  Italia  Meridionale^  per  G.  Sp]GUENZA. 

(Continuazione. — Vedi  Bollettino  1S7',  N.  11-12.) 

§ 6.  — Esame  della  fauna  della,  zona  inferiore 
del  pliocene  recente. 

Facendoci  ad  esaminare  complessivamente  la  fauna  esposta 
nel  precedente  elenco,  il  fatto  più  rimarchevole  e che  colpisce 
a prima  giunta  si  è quello  che  tale  fauna  della  zona  che  studio 
si  presenta  naturalmente  divisa  in  due  gruppi  di  specie,  di  cui 
r uno  si  trova  nei  depositi  littorali  o di  poca  profondità,  e li 
caratterizza  a meraviglia,  1’  altro  giace  nei  depositi  di  mare  pro- 
fondo, e ne  forma  il  distintivo  più  importante.  Comparando  la 
fauna  littorale  colla  fauna  submarina  si  trovano  del  tutto  diffe- 
renti, cioè  le  specie  sono  diverse  nei  due  gruppi,  e talune  che 
dall’  elenco  risultano  comuni  ai  depositi  littorali  ed  ai  profondi, 
sono  quasi  tutte  delle  specie  che  se  trovansi  abbondanti  negli 
strati  degli  uni  sono  rare  e quasi  accidentali  in  quelli  degli  altri. 
Cosi  ad  esempio  la  Nassa  clathrata,  la  Venus  multilamella,  il 
Cardium  echinatum,  la  Caprina  islandica,  il  Pecten  operctdaris, 
e tante  altre,  non  sono  che  esclusive  della  fauna  littorale,  ed  in- 
vece la  Pedicularia  Desliayesiana,  la  Pissoa  suhsoluta,  il  Tro- 
clius  gemmulatus,  il  T.  elatJiratus,  molte  emarginule  e tante  altre 
specie,  sono  caratteristiche  della  fauna  submarina. 

E non  solamente  le  due  faune  sono  costituite  da  specie  dif- 
ferenti, ma  henanco  nell’  una  e nell’  altra  possono  ricordarsi  dei 


19 


generi  che  sono  esclusivi  e quindi  caratteristici  dei  depositi  lit- 
torali,  ovvero  dei  submarini,  e tutti  gli  altri  che  sono  comuni 
alle  due  nature  di  depositi  sono  rappresentati  d’ ordinario  in 
ciascuna  da  un  differente  gruppo  di  specie. 

I sedimenti  dei  mari  profondi  presentano  ancora  un  distintivo 
rimarchevolissimo  nella  loro  fauna,  essi  hanno  riservata  esclusi- 
vamente per  loro  la  classe  dei  Brachiopodi,  della  quale  veruna 
specie  s’ incontra  nei  depositi  littorali,  ed  invece  nei  sedimenti 
submarini  le  spoglie  di  questi  molluschi  superano  di  gran  lunga 
tutte  le  altre,  divengono  anzi  sì  profuse  in  modo  che  la  roccia 
è sovente  costituita  dall’  accumolo  di  tali  conchiglie,  e sono  in 
tutti  i luoghi  le  medesime  specie  che  si  ripetono  ; basta  dare  uno 
sguardo  all’  ultima  pagina  dell’  elenco  per  accertarsi  che  tutte  le 
contrade  ricordate  presentano  la  medesima  famiglia  rappresen- 
tata sempre  dalle  stesse  specie  sparse  con  una  profusione  im- 
mensa, così  la  Terebratula  Scillce,  la  T.  vitrea,  la  T.  minor,  la 
T.  caput  serpentis,  la  Megerlia  truncata,  1’  Argiope  decollata  ec.  ec. 
I Pteropodi  sono  aneli’  essi  esclusivi,  proprii  dei  depositi  subma- 
rini, spesso  associano  abbondantemente  ai  Brachiopodi  le  loro 
fragili  spoglie,  ed  a tali  residui  si  annettono  speciali  echinidi, 
abbondanti  briozoi,  variati  coralli  ramosi,  come  la  gigantesca 
Ccenopsammia  Scillce,  la  Bendrophyllia  cornigera  dai  lunghi  po- 
liperiti, la  Lopliohelia  Befrancei  dai  profondi  calici,  e le  spoglie 
di  rizopodi  a miriadi,  che  quale  sabbia  altra  volta  vivente  è dif- 
fusa dovunque  a profusione  nella  roccia  calcarea,  marnosa,  o sab- 
biosa. E le  spoglie  di  tante  e sì  variate  classi  animali  sono 
esclusive,  completamente  esclusive  dei  depositi  dei  mari  profondi. 

I depositi  littorali  aneli’  essi  presentano  fauna  somigliantis- 
sima nelle  diverse  località,  dimodoché  riesce  ben  agevole  a chic- 
chessia giudicare  coetanei  i diversi  lembi.  I Gasteropodi  e i La- 
mellibranchi  sono  tra  i molluschi  quelli  che  costituiscono  quasi 
per  intiero  la  loro  fauna. 

Questi  fatti  di  alto  momento  per  la  storia  geologica  del  plio- 
cene, danno  origine  a considerazioni  importantissime.  E primie- 
ramente nel  fatto  ormai  bene  stabilito  di  depositi  coetanei  a 
fauna  completamente  differente  a causa  della  diversa  profondità 
del  mare  in  cui  si  costituirono  non  si  ha  che  un’  esatta  ripro- 
duzione del  fatto  brillantemente  dimostrato  dalle  odierne  ricerche 


— 20  - 


nelle  grandi  profondità  dei  mari  attuali,  cioè  che  ivi  lungi  di 
mancare  la  vita  essa  è rappresentata  profusamente  da  una  fauna 
affatto  diversa  da  quella  che  abita  le  piccole  e le  mediocri  pro- 
fondità. Questo  fatto  attuale  adunque  trovasi  esattamente  ripro- 
dotto nei  depositi  della  zona  inferiore  del  pliocene  recente 
deir  Italia  meridionale.  Ma  se  lo  consideriamo  dal  lato  della  cro- 
nologia stratigrafica  esso  ha  un  alto  interesse,  inquantochè  riu- 
nisce nei  medesimo  orizzonte  depositi  a fauna  completamente 
diversa,  che  talvolta  giacciono  anco  a brevi  distanze;  e mentre 
la  più  grande  somiglianza  nella  fauna  dei  varii  lembi  coetanei 
depositati  alla  medesima  profondità,  conduce  agevolmente  al  loro 
sincronizzamento,  la  diversità  completa  tra  la  fauna  dei  depositi 
littorali  e quella  dei  sedimenti  di  mari  assai  profondi  ci  nega  qua- 
lunque dato  per  la  sincronizzazione,  alla  quale  si  perviene  a grande 
stento  dopo  accurati  e minuziosi  studii  stratigrafìci  comparativi. 

E in  questo  modo,  siccome  succintamente  ho  potuto  esporre 
nel  primo  capitolo,  che  io  sono  pervenuto  a riferire  al  medesimo 
orizzonte  depositi  sì  diversi  ed  a fauna  così  differente,  e non 
solamente  per  le  due  zone  del  pliocene  recente,  ma  benanco  per 
quelle  del  pliocene  antico,  dove  le  faune,  come  vedremo,  pre- 
sentansi  ancora  più  differenti. 

Un  fatto  eccezionale  poi  per  la  zona  inferiore  del  recente  plio- 
cene viene  in  appoggio,  anzi  in  perfetta  conferma  delle  conclu- 
sioni tratte  da  un  rigoroso  studio  stratigrafico.  Le  rocce  del 
territorio  di  Barcellona  e di  Castroreale,  che  rapporto  a tale 
zona  offrono  V importante  fatto  della  successione  di  strati  di- 
versi, di  cui  gl’  inferiori  racchiudono  la  fauna  littorale  a Gaste- 
ropodi e Lamellibranchi,  i superiori  invece  la  fauna  submarina 
a Brachiopodi,  ed  in  taluni  luoghi,  come  Grotta  del  Diavolo,  una 
zona  di  argille  intermedie  contiene  le  due  faune  riunite,  siccome 
riunite  in  unica  colonna,  ho  voluto  presentarle  nel  mio  elenco. 
Questi  fatti  che  devono  ripetersi  dalle  oscillazioni  del  fondo  sotto- 
marino avvenute  lungo  il  periodo  della  zona  inferiore  del  pliocene 
recente,  ci  danno  assoluta  sicurezza  della  coetaneità  dei  depositi 
a Terebratula  Scillce  e minor,  Waìdheimia  cranimn  e septigera, 
Megerlia  fruncata  ed  Argiope  decollata,  con  quelli  tanto  diversi 
a Nassa  clathrata,  Xenophora  crispa,  DeMtalium  FMlippi,  Cythe- 
rea  multilamella,  Cyprina  islandica,  Ostrea  lamellosa  ec. 


— 21 


Sicuro  del  sincronismo  esatto  dei  depositi,  nei  quali  è rac- 
chiusa la  fauna  del  precedente  elenco,  passo  ad  esaminare  i rap- 
porti  che  la  legano  alla  fauna  vivente. 

Le  specie  tutte  enumerate  ascendono  a 332  di  cui  74  sono 
sconosciute  tra  le  viventi,  cioè  circa  il  22  per  cento,  e 17  pro- 
prie dei  mari  del  Nord,  cioè  il  5 per  cento.  Questo  primo  risul- 
tamento  già  è sufficiente  a dimostrare  una  differenza  considerevole 
tra  la  zona  che  esamino  e la  precedente,  la  quale  complessiva- 
mente ha  dato  il  15  per  cento  di  specie  estinte. 

Esaminando  poi  partitamente  la  fauna  dei  luoghi  più  impor- 
tanti si  hanno  i dati  seguenti. 

Gli  strati  di  Barcellona-Castroreale  ci  presentano  193  specie 
tra  le  quali  32  non  più  viventi,  cioè  circa  il  17  per  cento  di 
specie  estinte,  e 12  nordiche,  che  darebbero  pressoché  il  sei 
per  cento. 

I calcari  a Brachiopodi  dei  dintorni  di  Messina,  depositati  in 
mare  profondo,  mi  hanno  offerto  sinora  164  specie  di  cui  31 
sono  estinte,  quasi  il  19  per  cento,  e 11  nordiche,  che  corri- 
sponde quasi  al  7 per  cento. 

Le  argille  e sabbie  di  Naso,  che  formano  il  tipo  dei  depositi 
littorali,  mi  hanno  offerto  sinora  97  specie  di  cui  21  estinte,  lo 
che  fa  circa  il  21  per  cento,  e sole  tre  nordiche. 

Da  questi  tre  principali  luoghi  risulta  che,  in  media,  depositi 
littorali  e submarini  di  questa  zona  del  pliocene  racchiudono  il 
19  per  cento  di  specie  estinte,  laddove  in  media  i depositi  della 
zona  più  recente  non  racchiudono  che  il  7 per  cento  di  specie 
sconosciute  viventi,  lo  che  fa  una  differenza  considerevole  tra 

le  due  zone. 

# 

Avendo  trascurato  nell’  elenco  dei  fossili,  per  amore  di  bre- 
vità, 1’  enumerazione  delle  specie  dello  strato  c di  Monte  Mario, 
spettante  alla  zona  che  esamino,  siccome  abbiamo  veduto  al  § 4, 
voglio  qui  ciò  non  pertanto  ricordare  i risultamenti  ottenuti,  esa- 
minando i cataloghi  di  quella  ricca  fauna  in  rapporto  alla  vi- 
vente. L’elenco  pubblicato  dai  signori  De  Rayneval,  Van  den  Hecke 
e professor  Ponzi,  è limitato  a 250  specie  di  molluschi  e Cir- 
l'ipedi,  invece  il  catalogo  dato  più  recentemente  dal  signor  An- 
gelo Conti  è molto  più  ricco,  ed  io  mi  sono  valso  di  questo 
ultimo  depurandolo  d’  un  certo  numero  di  specie  dubbie  e da 


— 22 


altre  indicate  dall’  autore,  siccome  rarissime,  riducendo  al  loro 
reale  valore  tutte  quelle  specie  che  non  possono  ritenersi  che 
come  varietà  di  altre  nell’  elenco  stesso  enumerate,  e valen- 
domi benanco  della  collezione  che  da  quello  strato  possiedo.  In  tal 
modo  io  vi  ho  potuto  riconoscere  il  numero  assai  considerevole 
di  387  specie  di  molluschi  con  pochi  cirripedi,  nella  quale  ricca 
fauna  84  sono  le  specie  sconosciute  viventi,  lo  che  risponde  alla 
proporzione  di  quasi  22  per  cento,  ed  inoltre  vi  sono  talune 
poche  specie  tra  le  viventi  esclusive  dei  mari  del  Nord.  La  pro- 
porzione delle  specie  estinte  dello  strato  c di  Monte  Mario  ri- 
sponde dunque  presso  a poco  a quella  che  trovasi  negli  strati 
della  zona  inferiore  del  pliocene  recente  nell’Italia  meridionale, 
ed  è esattamente  identica  a quella  che  ci  offrono  gli  strati  di 
Naso,  i quali  sono  del  tutto  identici  a quelli  di  Monte  Mario, 
perchè  depositati  nelle  medesime  condizioni,  perchè  forniti  d’una 
fauna  littorale  tipica  ed  identicissima,  le  specie  di  Naso  trovan- 
dosi tutte  quante  a Monte  Mario. 

Le  argille  di  Ficarazzi  considerate  nella  più  recente  zona 
del  pliocene,  presentano  aneli’  esse  una  fauna  littorale  molto 
somigliante  a quella  di  Monte  Mario,  e probabilmente  perciò 
devono  piuttosto  rapportarsi  alla  inferiore  zona  del  pliocene 
recente  anziché  all’  ultima.  Ma  la  proporzione  di  specie  estinte 
è inferiore  a quella  trovata  per  tutti  i luoghi  esaminati. 

Oltre  le  differenze  sinora  enumerate  tra  la  fauna  della  zona 
inferiore  del  pliocene  recente  e la  fauna  vivente,  cioè  circa  un 
quinto  di  specie  sconosciute  viventi  e buon  numero  proprie  dei 
mari  del  Nord,  v’  hanno  dei  distintivi  che  non  possono  risultare 
dal  precedente  elenco,  ma  che  pure  importa  di  considerare 
un  poco. 

Un  fatto  di  molta  importanza  per  la  geologia  è senza  dubbio 
quello  del  grado  di  frequenza  col  quale  ciascuna  specie  si  pre- 
senta in  ogni  zona  del  pliocene,  comparato  colla  frequenza  o 
rarità  della  specie  nella  fauna  vivente;  dappoiché  occorre  spesso 
di  raccogliere  raramente  molte  specie  che  sono  oggi  assai  comuni 
e viceversa.  Questi  fatti  costituiscono  differenze  rimarchevolis- 
sime tra  le  faune  viventi  e le  fossili,  ed  in  modo  particolare  in 
quella  che  esamino.  Così  io  ricorderò  il  Fachylasma  giganteum^ 
la  Turritella  subangulata,  la  Venus  mulfilameìla,  la  Terehratuìa 


23  — 


minor,  la  Waldheimia  septigera  e molte  altre  specie,  delle  quali 
le  ultime  due  sovente  colle  loro  spoglie  ammassate  costituiscono 
quasi  per  intiero  la  roccia  calcarea,  ovvero,  come  presso  Reg- 
gio, sono  sparse  profusamente  nella  roccia  sabbiosa,  laddove  tra 
i viventi  sono  poco  comuni,  ovvero  abbastanza  rare.  Ed  invece 
sono  rare  la  Bissoa  pulcJiella,  V Alvania  cimex,  cancellata,  reti- 
culata,  il  Turbo  sanguineus,  il  Trocìius  conulus,  exasperatus,  la 
Venus  verrucosa,  l’ Artemis  exoleta,  il  Loripes  leucoma,  il  Myti- 
tus  eclulis,  ec.  ec.,  che  abbondano  tanto  nei  nostri  mari.  Lo  che 
dimostra  che  i mari  del  periodo  antico  del  pliocene  recente  ali- 
mentarono una  fauna  nella  quale  talune  specie  doveano  poi  subire 
il  loro  massimo  sviluppo,  ed  altre  che  invece  molto  abbondanti 
in  queir  epoca  doveano  poscia  decrescere  sino  all’  epoca  attuale. 

In  questa  zona  inoltre  si  incontrano  delle  specie  molto  rara- 
mente sparse,  che  hanno  avuto  grande  sviluppo  nella  zona  pre- 
cedente, nella  quale  trovansi  dovunque  comunissime.  Così  la 
Scillaelepas  carinata,  il  Turbo  filosus  e Bomettensis,  il  Trocìius 
bullatus,  marginulatus,  gemmulatus,  la  Fissurisepta  rostrata, 
r Fmarginula  compressa,  l’ Arca  aspera,  la  Limopsis  minuta, 
aurita,  pygmaea,  la  Nucula  sulcata,  la  Leda  acuminata,  excisa, 
la  Lirnea  Sarsii,  il  Pecten  vitreus,  la  Terebratella  septata  ec. 
Altre  specie  inversamente  molto  comuni  in  questa  zona  sono 
rare  nella  precedente.  Così,  per  esempio,  l’ Astarte  sulcata,  la 
Limea  elliptica,  il  Pecten  opercidaris,  la  Terebratida  Scillce,  la 
T.  minor,  la  Ter.  caputserpentis,  la  Megerlia  truncata,  l’ Argiope 
decollata  ec. 

Infine  nella  fauna  di  questa  zona  le  specie  tuttavia  viventi 
abitano  per  la  maggior  parte  nei  mari  che  cingono  l’ Italia,  se 
se  ne  escludono  alcune  poche,  come  abbiamo  veduto,  che  vivono 
nei  mari  del  Nord. 

§ 7.  — La  zona  superiore  delV  antico  plioceno 
nell’  Balia  media  e settentrionale. 

Il  plioceno  tipico  dell’  Alta  Italia,  che  si  estende  vastamente 
cingendo  1’  Apennino  sul  versante  adriatico  come  sul  tirreno,  e 
che  s’ inoltra  sin  nelle  valli  alpine,  è quella  formazione  che  è 
stata  tanto  esplorata,  e che,  formando  l’oggetto  della  medita- 


- 24 


zioiie  di  tanti  dotti,  ha  dato  occasione  alla  comparsa  di  sì  variati 
lavori  paleontologici.  Essa  è evidentemente  più  antica  del  plio- 
ceno  recente,  che  abbiamo  esaminato  sinora,  che  vastamente  si 
estende  nell’  Italia  meridionale,  e che  appena  è rappresentato  da 
qualche  lembo  nell’  Italia  media. 

Ricca  fauna  littorale  distingue  la  zona  superiore  del  pliocene 
antico  nell’  Alta  Italia,  che  è ben  distinta  dalle  faune  delle  zone 
più  recenti  per  una  maggior  proporzione  di  specie  estinte,  e 
ben  più  grande,  e per  le  numerose  specie  di  generi  oggi  abbon- 
danti nei  mari  caldi  come  sono  i Coni,  le  Terebre,  le  vere  e 
grandi  Pleurotome,  le  Cancellarle  ed  altri. 

Mancando  d’  ordinario  le  zone  più  recenti  del  pliocene  ma- 
rino nell’  Alta  Italia,  quella  che  esamino,  ha  ben  naturale  il  suo 
limite  superiore,  quantunque  in  taluni  luoghi  della  Toscana  e 
del  Piemonte  essa  è sottostante  a certi  depositi  lacustri  che 
senza  dubbio  tengono  il  posto  degli  strati  marini  del  pliocene 
recente  dell’  Italia  meridionale. 

Siffatto  isolamento  del,  pliocene  antico  sopra  vasta  superficie, 
dimostrando  la  sua  emersione  pria  del  periodo  recente,  aggiunge 
ai  caratteri  della  fauna  un  nuovo  argomento  per  la  distinzione. 

Le  celebri  sabbie  gialle  e marne  blu,  quantunque  considere- 
volmente variabili  da  luogo  a luogo,  e miste  non  di  rado  a 
strati  calcarei  e di  arenaria,  costituiscono  nell’  Alta  Italia  e nella 
media  la  zona  superiore  del  pliocene  antico.  Ma  esse  sono  state 
d’ ordinario  confuse  con  altre  sabbie  e con  altre  marne,  che 
formano  una  distinta  zona  che  sta  alla  base  del  pliocene,  e costi- 
tuisce i più  antichi  depositi  di  tale  epoca. 

Nella  prima  parte  di  questo  lavoro,  per  la  comparazione 
stratigrafica,  sono  riuscito  a precisare  i limiti,  e distinguere 
esattamente  le  due  zone  del  pliocene  antico  nell’  Italia  meridio- 
nale. I lavori  dell’  egregio  professor  Capellini  sul  Bolognese  con- 
cordano esattamente  coi  miei  risultamenti:  Egli  distingue  delle 
sabbie  e delle  marne  superiori  che  costituiscono  una  serie  di 
colline  più  recenti,  e delle  sabbie  marnose  inferiori  che  si  ergono 
in  colline  separate,  ed  a quest’  ultime  rapporta  il  plioceno  del 
Senese.^  Le  ricerche  sulla  fauna  malacologica  del  Bolognese  pub- 


’ Sul  Felsinoterio  sirenoide  alicoref orme  dei  depositi  littorali  pliocenici  ec. 
{Memorie  dell’ Accademia  delle  Scienze  dell’ Istituto  di  Bologna,  serie  III. 


— 25  - 

blicate  dal  Foresti  ^ concordano  con  questi  risultamenti,  e li  con- 
fermano. 

In  riguardo  ai  limiti  della  zona  superiore  del  pliocene  antico 
deir  Alta  Italia  e media,  non  v’  ha  dubbio  di  sorta,  che  sieno 
stati  esattamente  determinati  dal  marchese  Pareto  in  quel  suo 
lavoro  in  cui  si  fece  a proporre  una  nuova  partizione  delle  for- 
mazioni terziarie.'^  Tale  zona  infatti  risponde  precisamente  al  suo 
Astiano,  ed  il  Pareto  potè  riconoscere  sopra  numerosi  punti  e 
per  vaste  estensioni  il  limite  inferiore  di  questa  zona,  determi- 
nato dappertutto  sopra  ambi  i versanti  dell’  Apennino,  da  strati 
sabbiosi  più  o meno  calcariferi  ed  agglutinati,  che  racchiudono 
dappertutto  il  Pecten  diibius,  la  Terebratula  ampolla  e varii  altri 
pettini  e brachiopodi,  terminando  la  zona  più  antica  del  plio- 
cene; ed  a questo  riguardo  egli  dice:  Il  est  rémarquaUe  que  ce 
berne  cedeaire  se  mentre  sur  nne  tres-grande  étendue  de  pays, 
non-seulement  dans  le  Tortonais,  le  Moìif errai,  le  Plaisantin  et 
nne  partie  des  Pomagnes,  mais  aussi  sur  le  versant  meridional 
de  VApennin  (pag.  2B9). 

Ed  io  soggiungo  che  tale  strato  si  estende  ancor  di  più  tra- 
versando r Italia  meridionale  e la  stessa  Sicilia,  dove  posso 
ricordare  le  sabbie  ad  Ampliistegina,  Balani  e Pettini  di  Gerace 
e monti  soprastanti,  quelli  a Pettini  e Brachiopodi  di  Terreti  e 
Nasiti  presso  Eeggio,  gli  strati  somigliantissimi  nel  territorio  di 
Messina  e presso  Giardini  e Caltabiano,  e quelli  di  Altavilla 
presso  Palermo  ec.  ec.  tutti  spettanti  alla  zona  più  antica,  anzi 
al  medesimo  gruppo  di  strati  che  segnano  il  limite  superiore  di 
essa  (Vedi  Capitolo  primo). 

. Ma  a stabilire  pei  numerosi  luoghi  del  pliocene  antico  il 
limite  esatto  tra  le  due  zone,  bisogna  assolutamente  uno  studio 
speciale  stratigrafico  per  ciascuna  contrada,  nè  io  ardirò  d’ in- 
trattenermi a discorrere  di  tale  distinzione  pei  numerosi  luoghi 
deir  Alta  Italia  ; sarebbe  per  me  presunzione  gravissima,  ma  sola- 

tomo  I),  1872.  — Carte  géologique  des  environs  de  Bologne  et  d’une  partie  de 
la  vallèe  dii  Reno,  1871. 

' Catalogo  dei  Molluschi  fossili  pliocenici  delle  colline  bolognesi.  {Mem.  del- 
V Accademia  delle  Scienze  dell’ Istituto  di  Bologna,  serie  III,  tomo  IV,  1874.) 

^ Note  sur  les  subdivisions  que  Von  pourrait  établir  dans  les  terrains  tertia- 
ires  de  l’Apenin  septentrional.  [Bidletin  de  la  Société  géologique  de  France,  to- 
me XXII,  2*  serie,  1865.) 


26  — 


mente  a modo  di  esempio  ne  presceglierò  taluni,  che  per  varie 
ragioni  mi  sono  meglio  noti. 

Se  volessimo  poi  dare  un’  occhiata  alia  fauna  di  questa  zona, 
ci  sarebbe  agevole  riconoscere  che  nell’  Alta  Italia,  essa  è di 
mari  poco  profondi  e dappertutto  identicissima,  e basterebbe 
riscontrare  le  varie  opere  che  videro  la  luce  da  quella  del  Broc- 
chi in  poi,  per  esser  convinti  come  nei  varii  luoghi,  anco  i più 
distanti  sul  suolo  italiano,  sono  precisamente  le  medesime  specie 
che  si  ripetono,  è il  medesimo  insieme,  la  medesima  serie,  che 
non  può  esser  disconosciuta  da  chicchessia.  Sarebbe  opera  assai 
lunga  e vana  il  voler  comparare  la  fauna  dei  moltissimi  luoghi, 
dove  il  pliocene  tipico  è conosciuto,  e senza  uno  studio  strati- 
grafico locale  si  correrebbe  rischio  di  confondere  sovente  gli 
strati  della  zona  superiore  con  quelli  della  più  antica,  essendo- 
ché le  sabbie,  le  marne  e tutt’  altre  rocce  si  ripetono  spesso  in 
ambe  le  formazioni.  Ciò  non  pertanto  è ben  chiaro  che  dappertutto, 
come  vedemmo,  nell’  Italia  meridionale  così  come  nella  setten- 
trionale,  e discordanze  ed  isolamenti  delle  due  zone  ne  marcano 
bene  i limiti,  le  differenze  nella  fauna  ne  distinguono  i terreni. 

Abbiamo  veduto  tuttociò  chiaramente  per  la  Sicilia  e pella 
Calabria,  esamineremo  soltanto  alcuni  luoghi  dell’  Italia  media 
e settentrionale,  quelli  che  ho  potuto  io  stesso  visitare  ed  esplo- 
rarne la  fauna,  ovvero  che  sono  stati  esaminati  con  cura  da 
altri,  e ne  è stata  bene  esplorata  la  stratigrafia. 

Vedemmo  in  generale  quali  sono  i limiti  della  zona  supe- 
riore dell’  antico  plioceno  nell’  Alta  Italia,  e come  essi  rispon- 
dono esattamente  a quelli  che  tale  terreno  presenta  nell’  Italia 
meridionale;  se  vorremo  ora  comparare  dei  varii  luoghi  la  fauna, 
ci  sarà  ben  agevole  riconoscere  come  la  fauna  littorale  del  plio- 
ceno superiore  dell’  Astigiano,  del  Piacentino,  del  Bolognese,  di 
Val  d’  Era  e di  tanti  altri  luoghi,  risponda  a capello  con  quella 
degli  strati  superiori  di  Altavilla  presso  Palermo,  che  forma  il 
tipo  della  fauna  littorale  di  questa  zona  nell’  Italia  meridionale. 
Le  specie  vi  sono  precisamente  le  stesse,  distribuite  colla  me- 
desima abbondanza  o rarità;  e vi  si  notano  tutte  quelle  specie 
di  Coni,  di  grandi  Pleurotome,  di  Cancellarie,  di  Terebre,  che 
ci  offrono  analoghe  specie  tra  gli  abitanti  dei  mari  caldi.  Nel 
mezzogiorno  d’ Italia  i lembi  della  zona  che  esamino  a fauna 


— 27  — 


littorale  sono  rarissimi;  oltre  quello  di  Altavilla,  potrei  ricordare 
soltanto  il  plioceno  di  Santa  Cristina  in  Calabria,  lo  strato  a 
Tìeur otoma  internipta  e P.  Mortilieti  di  Caltagirone,  ed  un  ter- 
reno di  sabbie  argillose  che  da  Caltabiano  si  estende  verso  Bot- 
teghelle  nella  provincia  di  Catania,  che  ho  potuto  esplorare  recen- 
temente, e che  racchiude  molti  fossili  proprii  di  questa  zona 
colle  solite  grandi  pleurotome. 

Tolti  questi  brevi  lembi  e forse  taluni  altri,  una  grande  su- 
perfìcie deir  Italia  meridionale  offre  delle  sabbie,  delle  marne  e 
dei  calcari  a fauna  completamente  diversa  da  quella  di  Alta- 
villa, tanto  che  possono  dirsi  vere  eccezioni  quelle  specie  che 
sono  comuni  ai  due  depositi,  eppure  essi  sono  coetanei  e m’ in- 
gegnai a dimostrarlo  nella  prima  parte  di  questo  lavoro  per 
mezzo  di  numerose  comparazioni  stratigrafìche,  essendoché  essi 
sovrastano  a depositi  identici  per  costituzione  e per  fauna,  e 
sono  ugualmente  anteriori  al  pliocene  recente. 

Questi  depositi  che  sono  ormai  dimostrati  coetanei  alle  ricche 
marne  di  Altavilla  presentano  dappertutto  una  fauna  identicis- 
sima ancora  poco  studiata,  la  quale  è costituita  da  pesci  della 
famiglia  degli  Squalidi,  da  speciali  Cirripedi,  da  Molluschi  ed 
Echinodermi,  da  variatissimi  Coralli  e Foraminiferi,  che  annun- 
ciano depositi  che  formaronsi  a grandi  profondità,  e che  perciò 
racchiudono  fossili  sì  diversi  dai  coetanei  a fauna  littorale. 

Una  conferma  validissima  alla  coetaneità  di  terreni  paleon- 
tologicamente sì  diversi,  mi  fu  apprestata  dalle  marne  scoperte 
dal  Caterini  ad  alcuni  chilometri  da  Livorno,  le  quali  mentre 
racchiudono  le  Pleurotome,  le  Nasse,  le  Columbelle  ec.  ec.  della 
fauna  littorale,  ci  offrono  poi  le  Nucule,  le  Lede,  le  Limopsis 
della  fauna  submarina.  Tale  associazione  è una  conferma  vale- 
volissima alle  conclusioni  stratigrafìche,  che  ci  fanno  riguardare 
siccome  esattamente  coetanei  depositi,  i cui  residui  organici 
hanno  due  facies  distintissime. 

I vasti  depositi  littorali  dell’Italia  media  e settentrionale 
adunque  hanno  negli  strati  di  Altavilla,  Caltabiano,  Santa  Cri- 
stina ec.,  limitatissimi  lembi  identici  che  li  rappresentano  nel- 
P Italia  meridionale,  ed  invece  sopra  vasta  superfìcie  sono  rap- 
presentati da  sedimenti  costituitisi  a grandi  profondità,  e che 
perciò  racchiudono  una  fauna  affatto  diversa. 


28  — 


Fra  le  numerose  località  dell’  Alta  Italia  io  comincerò  dal 
ricordare  il  Bolognese  studiato  stratigraficamente  dal  prof.  Ca- 
pellini, ed  in  corrispondenza  a tali  studii  il  dottor  Foresti  vi 
ha  esplorato  la  fauna  inalacologica,^  Da  tali  ricerche  risulta  che 
quei  potenti  depositi  spettano  al  plioceno  antico  e devonsi  ripar- 
tire in  due  zone,  di  cui  la  superiore  risponde  a capello  a quella 
che  attualmente  esamino,  e la  fauna  è quanto  può  dirsi  identica 
a quella  della  zona  superiore  di  Altavilla. 

Ad  Orciano  in  Toscana  sono  delle  marne  ricchissime  di  fos- 
sili ben  conservati,  identicissimi  anch’  essi  a quelle  specie  che 
formano  la  fauna  littorale  di  questa  zona. 

Così  io  ho  potuto  esaminare  i fossili  delle  varie  località  di 
Val  d’  Era  in  Toscana,  grazie  alla  ricca  collezione  avutami  dal- 
1’  esimio  signor  R.  Lawley,  e vi  ho  riconosciuto  la  fauna  della 
medesima  zona,  quantunque  in  talune  debba  con  certezza  esi- 
stervi la  zona  più  antica. 

Presso  Asti  al  1864  ho  raccolto  dei  fossili  negli  strati  sab- 
biosi superiori,  e poi  presso  Cornarè  ho  fatto  collezione  di  fos- 
sili giacenti  in  istrati  marnosi  ; ambedue  queste  raccolte  spettano 
alla  medesima  zona,  avendo  riguardo  alla  fauna  che  rappresentano. 

Un  lembo  di  questa  zona  è benanco  presso  Masserano  in  fondo 
ad  una  valle  alpina  costituito  da  sabbie  argillose  blu  che  fu- 
rono esplorate  dal  prof.  Gastaldi,  e dei  quali  possiedo  dei  fos- 
sili che  devo  alla  cortesia  dell’  egregio  signor  cav.  L.  Rovasenda. 

Delle  marne  scoperte  dal  Caterini  presso  Livorno,  più  volte 
ho  ricordato  come  la  loro  fauna  in  parte  accorda  con  quella 
littorale,  ed  in  parte  con  quella  di  depositi  di  mari  profondi,  e 
così  ci  accerta  della  loro  coetaneità,  potendo  benanco  conchiu- 
dere che  quegli  strati  si  sono  depositati  ad  una  profondità  media. 

Importantissime  a me  sembrano  le  marne  bianchicce  o gri- 
giastre di  Monte  Mario  che  sottostanno  immediatamente  alle 
sabbie  a fauna  littorale  che  ho  riferito  alla  zona  inferiore  del 
pliocene  recente.  Il  prof.  0.  G.  Costa  studiò  i foraminiferi  di 
tali  marne.  Il  prof.  Ponzi  pubblicando  varie  nuove  specie  dello 
strato  sabbioso  superiore  figurò  varii  molluschi,  coralli,  echinidi 
delle  marne. 


‘ Ved.  le  opere  precedentemente  citate. 


— 29  - 


Kecentemente  il  signor  P.  Mantovani  lia  pubblicato  un  elenco 
di  fossili  raccolti  in  tali  strati  ^ e li  ha  riguardati  siccome  di 
epoca  miocenica,  soggiungendo  che  alia  parte  superiore  essi  pas- 
sano al  plioceno. 

Io  da  mia  parte,  nelle  seguenti  specie  ben  note,  ci  vedo  la 
fauna  del  plioceno  antico  dei  mari  mediocremente  profondi  : ^ 
Scaphander  lignarius,  MarginéUa  auris-leporis,  Dentalmm  éleplian- 
tinum,  Corbula  gibha,  Neaera  cuspidata^  Syndosmia  longìccdlis, 
Nucìda  sidcata,  Leda  dilatata,  Limogms  attrita,  Limea  strigitata, 
Pecten  cristatus,  ec.  ec.,  aggiungi  il  Trocliocyathtts  crenulahts 
Ponzi,  che  ho  trovato  recentemente  a Messina,  il  Trocliocyathtts 
ttmbreìla  Ponzi  che  è una  specie  del  mio  genere  Stephanocya- 
thiis,  ed  il  Flctbelhim  Vaticani  Ponzi  che  è probabilmente  il  mio 
F.  solidttm.  Questa  fauna  annuncia  chiarissimamente  la  zona  su- 
periore del  plioceno  antico  depositatasi  in  mari  di  media  pro- 
fondità come  nell’  Italia  meridionale.  Non  per  questo  io  nego  la 
possibilità  che  taluni  strati  inferiori  delle  marne  dei  colli  di 
Poma  spettino  al  mioceno,  come  quelli  con  depositi  gessosi  ri- 
cordati dal  signor  Mantovani  nel  sopracitato  lavoro. 

Altre  località  dell’  Italia  meridionale,  dove  si  estende  la  zona 
che  esamino,  mi  occorre  di  ricordare  qui,  perchè  da  me  visitate 
dopo  la  pubblicazione  del  primo  capitolo  di  queste  ricerche. 

Lungo  il  lato  orientale  della  provincia  di  Peggio,  da  Bran- 
caleone  a Catanzaro,  si  estende  una  regione  dove  il  plioceno  a 
fauna  submarina  prende  un  grande  sviluppo  inoltrandosi  ed  ele- 
vandosi considerevolmente  nell’  interno.  La  massima  estensione 
viene  costituita  da  marne  e da  sabbie  della  zona  più  antica  ; ma 
qua  e là  poggiano  dei  lembi  di  marne  più  recenti  che  spettano 
alla  zona  superiore  dell’  antico  plioceno,  come  presso  Gerace,  Si- 
derno,  Monasterace,  ec.  I fossili  che  vi  si  contengono  sono  Cir- 
ripedi.  Molluschi,  Coralli,  Foraminiferi  ec.,  delle  specie  stesse 
racchiuse  nelle  marne  coetanee  di  Messina  e di  Peggio  ; giova 
ricordarne  qui  talune  più  importanti  che  io  stesso  raccolsi: 
Cyìichna  cylindracea,  Nassa  costidata,  Fttlimella  Scillae,  Turbo 
filosus,  Natica  Procchii,  Dentalium  agile,  Sipìionodentalium  tetra- 


’ Descrizione  geologica  della  campagna  romana,  1875. 

^ Lo  specie  qui  enumerate  sono  state  da  me  riconosciute  in  una  collezione 
inviatami  dal  signor  G.  Rigacci,  di  cui  ne  deploriamo  la  perdita. 


— 30  — 


gonum,  Cadulus  ovulimi,  Syndosinia  longicaìUs,  Nucula  sidcafa, 
Nncuìa  decipiens,  Leda  pusio,  L.  excisa,  L.  dilatata^  Pecten  Prueì, 
P.  opercidaris,  P.  vitreus,  P.  pusio,  Terebrahda  Scillae,  T.  vitrea^ 
T.  minor,  T.  sphenoidea,  WaìdJiehnia  craniiim,  W.  septigera, 
Megerlia  truncafa,  Phynclionella  Sicida,  Isis  péloritana,  Steplia- 
nocyafhus  elegans,  Geratocyathus  communis  ec.  ec. 

Questa  medesima  zona  par  che  debba  continuarsi  estesamente 
nella  valle  Lamato,  da  dove  il  Philipp!  ci  ha  dato  un  catalogo, 
di  cui  buon  numero  di  specie  sono  esclusive  di  questo  periodo. 

Piiguardo  finalmente  siccome  importantissima  la  scoperta  assai 
recente  di  talune  colline  plioceniche  trovate  tra  Caltabiano  e 
Piedimonte  nella  Provincia  di  Catania. 

La  serie  degli  strati  è potente  di  oltre  cento  metri.  In  basso 
è la  roccia  sabbiosa-calcarea  ricca  di  Amphistegina,  con  Balani, 
Terebratule,  Pettini  ed  Ostree  in  grande  abbondanza,  la  quale 
rappresenta  pei  suoi  fossili  specificamente  determinati  la  più 
antica  zona  del  pliocene.  Succedono  quindi  degli  strati  calcarei 
più  0 meno  sabbiosi  formati  da  immensa  quantità  .di  Briozoi  con 
Brachiopodi,  e questi  prendono  un  grande  sviluppo.  Terminano 
la  serie  taluni  strati  sabbioso-argillosi,  spettanti  chiarissimamente 
alla  zona  che  esamino,  essi  racchiudono  una  fauna  importantis- 
sima formata  da  Gasteropodi  e Lamellibranchiati  propri!  di  tale 
periodo,  e dei  depositi  formatisi  a poca  profondità;  tra  questi 
vi  sono  più  comuni  le  seguenti  specie  : CyUchna  cylindracea, 
Pleiirotoma  dimidicda,  P.  harptda,  P.  sygmoidea,  Trophon  squa- 
midatus,  Fusns  ìongiroster,  Nassa  semistriata,  N.  costulata  (Broc- 
chi), Turritella  subangidata,  Cassidaria  ecìiinopliora.  Natica  sor- 
dida, Dentalium  Philippi,  Corhula  gihha,  Venus  ovata,  V.  mul- 
tilamella,  Astarte  fusea.  Leda  commutata,  Pectunculus  insubricus, 
Pecten  inflexus,  P.  cristatus.  Ma  di  unita  a tali  fossili  raccolgonsi 
Gasteropodi  e Lamellibranchi,  dei  Brachiopodi,  dei  Corallarii, 
dei  Foraminiferi  abbondanti,  che  colle  loro  specie  ben  ricordano 
i depositi  dei  mari  profondi  che  nel  Messinese  e nel  Reggiano 
rappresentano  siffatto  periodo  del  pliocene.  Così  ad  esempio  io 
ricordo  le  seguenti  specie  più  importanti  : Coronula  bifida,  Pleuro- 
tonia  nodidifera.  Turbo  romettensis,  Trochus  margimdatus,  Den- 
talium Panormum,  SypJionodentcdium  tetragonum,  Limopsis  aurita, 
L.  pygmaea,  Arca  obliqua,  Limea  Sarsii,  Terebratula  Pegnolii, 


31 


T.  minor,  IlJiynclionella  bipartita,  Ceratocyatlms  communis,  C.  po- 
ìymorplms,  C.  flahélliformis  var.,  Stephanocyathus  elegans,  JBala- 
nophyìlia  irregularis,  ec.  ec.  Quindi  le  colline  plioceniche  presso 
Caltabiano  sono  i veri  testimonii  della  coetaneità  dei  depositi 
littorali  del  Bolognese,  dell’  Astigiano,  di  Orciano,  di  Altavilla  ec. 
con  quelli  a fauna  di  mare  assai  profondo  del  Messinese  e del 
Reggiano  ; essi  con  caratteri  diversi  non  ci  dimostrano  meno  evi- 
dentemente tale  coetaneità  di  quanto  ci  fu  chiaramente  dimo- 
strata dalle  marne  che  scuoprironsi  presso  Livorno,  e come  quelle 
a mio  credere  essi  hanno  dovuto  depositarsi  ad  una  profondità 
media  del  mare  pliocenico,  è così  che  possono  racchiudere  una 
mescolanza  di  specie  littorali  e dei  mari  profondi. 

Non  posso  trasandafe  in  fine  un  deposito  fuori  d’ Italia  la 
cui  fauna  mi  colpì  grandemente  per  la  immensa  somiglianza, 
direi  meglio  per  la  completa  identità  che  presenta  con  quella 
dei  depositi  poco  profondi  della  zona  superiore  dell’  antico  plio- 
ceno  di  tutta  Italia,  intendo  parlare  del  pliocene  di  Biot  (Alte 
Alpi)  in  Francia,  la  cui  fauna  malacologica  fu  studiata  e pub- 
blicata dal  signor  Bell.  Esaminando  infatti  quell’  elenco,  ricco  di 
numerose  specie,  si  resta  sorpresi  vedendovisi  ripetere  la  mag- 
gior parte  delle  specie  italiane. 

Bisogna  quindi  conchiudere  che  anco  a gradi  distanze  i ter- 
reni di  un  medesimo  periodo  geologico  possono  racchiudere  iden- 
tica fauna,  qualora  sieno  state  identiche  le  condizioni  dei  mari  in 
cui  si  depositarono,  ed  invece  le  variazioni  di  profondità  anco  a 
brevi  distanze  inducono  mutamenti  rimarchevolissimi  nella  fauna, 
sino  a mutarla  intieramente.  (Continua.) 


III. 

Considerazioni  strati  grafiche  sopra  le  rocce  più  antiche 
delle  Alpi  Apuane  e del  Monte  Fisano,  di  Carlo*  De 
Stefani. 

(Continuazione.  — Vedi  Bollettino  1874,  N.  11-12.) 

Al  calcare  infraliassico,  ne’ monti  della  Spezia,  succedono  in 
serie  ascendente,  degli  schisti  calcareo-marnosi  e dei  calcari 
nerastri  con  Ammoniti  e Belemniti,  poi  de’  calcari  rossi  e grigi 


— 32 


con  selce,  pure  ammonitiferi.  I calcari  neri  anzicletti,  a cagione 
de’  fossili  che  contengono,  e dopo  tutti  gli  studii  dei  geologi  che 
hanno  esaminata  la  serie  degli  strati  dei  due  promontorii  della 
Spezia,  sono  riferiti  al  Lias  inferiore.  ‘ Ecco  la  serie  delle  Am- 
moniti che  sono  state  trovate  in  quei  calcari,  comunicatami  dal 
professor  Meneghini,  colle  aggiunte  e colle  modificazioni  soprav- 
venute dopo  che  la  maggior  parte  di  esse  erano  state  pubblicate 
per  la  prima  volta.^ 

Ammonites  bisulcatus  Brug.  ; 

))  Conyheari  Sow.  ; 

» doricus  Mgh.  ; 

))  raricostatus  Ziet.  ; 

» Kridion  Ziet.  ; 

» coniptus  Sow.  ; 

))  catenatus  Sow.  ; 

» trape^oidalis  Sow.  ; 

))  Goregonensis  Sow.  ; 

» Grenouilloiixi  D’  Orb.  ; 

))  centauroides  Mgh.  ; 

))  actaeonoides  Mgh.  ; 

» margaritatus  D’  Orb.  ; 

))  Loscombi  Sow.  ; 

» Giiidonii  Sow.  ; 

» Listeri  Sow.  ; 

))  Stella  Sow.  ; 

» cylindricus  Sow.  ; 

))  ventricosiis  Sow.  ; 

))  discretus  Sow.  ; 

» Zetes  D’  Orb.  ; 

» Fartschi  Stur.  ; 

y Lunensis  Mgh.  ; 

» fimbriatus  D’  Orb.  ; 

. » siiblineatus  Op.  ; 

))  biformis  Sow.  ; 

» articulatus  Sow.  ; 

» Fhillipsi  Sow. 

* G.  Capellini,  Descrizione  geologica  elei  dintorni  del  golfo  della  Spezia. 
Gap.  IV. 

^ P.  Savi  e G.  Meneghini,  Considerazioni  sulla  geologia  slratigraficci  della 
Toscana.  Parte  III. 


33 


In  un  altro  lembo  della  catena  metallifera,  nei  dintorni  di 
Campiglia  in  Maremma,  si  trovano  in  un  calcare  cristallino 
ceroide,  insieme  a gasteropodi,  a bivalvi  ed  a corollarii,  delle 
Ammoniti  simili  a quelle  della  Spezia,  e per  questi  fossili  quel 
calcare  è attribuito  al  lias  inferiore.  Il  Rath  riferisce,  da  una 
lettera  del  professor  Meneghini,^  i seguenti  fossili  che  vi  sono 
stati  trovati,  Fentacrinus  sp.,  Pecten  sp.,  Cardium?  sp..  Che- 
mnitzia  sp.,  simile  alla  Gli.  Vesta  D’  Orb.,  e MontivauUia  sp.:  si 
possono  citare  inoltre  fossili  dei  generi  Actaeonina,  Solarium, 
Inoceramus,  dei  frammenti  di  Cidaris  e la  Chemnitzia  Nardii 
Mgh.  (Nuovi  fossili  toscani,  pag.  7).  Si  devono  poi  aggiungere  il 
Felemnites  ortJioceropsis  Mgh.,  e le  seguenti  specie  di  Ammoniti 
gentilmente  indicatemi  dal  professor  Meneghini. 

Ammonites  muticus  D’  Orb.  ; 

y Jamesoni  ? Sow.  {A.  Penar  di  D’ Orb.)  ; 

» Mimatensis  D’  Orb.  ; 

y Fartschi  St.  ; 

y cylindricus  Sow.  ; 

y Lipoldi  V.  Hauer  ; 

y ■ Guidonii  Sow.  ; 
y margaritatus  D’  Orb.  . 

Un  calcare  ceroide,  con  piccole  Ammoniti  e con  gasteropodi, 
simile  a quello  di  Campiglia,  si  trova  sopra  al  calcare  infra- 
liassico,  nel  Monte  Pisano  e nei  Monti  di  Avane,  nell’  ultima 
pendice  delle  Alpi  Apuane  sulla  destra  della  Val  di  Serchio  infe- 
riore. Ad  0.  del  Monte  Pisano,  il  calcare  ceroide  si  estende  dai 
piano  di  Pisa  al  piano  di  Lucca,  da  San  Giuliano  per  Santa 
Maria  del  Giudice  a San  Gerbone;  nei  Monti  di  Avane  esso  si 
estende  da  Vecchiano  alla  foce  di  Pietra  a Padule.  In  que- 
st’ ultima  località  è di  colore  roseo  ed  impuro,  mentre  nel  Monte 
Pisano  è di  grana  cristallina,  che  talora  si  avvicina  a quella 
dello  statuario  puro,  e facilmente  si  lavora,  talché  a San  Giuliano 
ed  a Santa  Maria  del  Giudice  viene  scavato  per  uso  di  marmo  ; il 
colore  ne  è bianco  o ceruleo,  spesso  con  vene  gialle,  ed  è interstra- 
tificato da  macchie  schistose  verdastre,  nelle  quali  si  annidano 

^ G.  voM  Rath,  Geognostische  mineralogische  Fragmente  aus  Italien  — Die 
Berge  von  Campiglia  {Zeitschrift  d.  deutsch.  geol.  Gesell.  1868,  pag.  318). 


O 


34  — 


delle  piriti  di  ferro,  e che  sono  analoghe  alle  madrimacchie  dei 
marmi  apuani.  Delle  crepe  e de’  peli,  precisamente  come  ne’  marmi 
saccaroidi,  trinciano  le  masse  calcaree,  delle  quali  le  più  pure  e le 
più  saline  stanno  rinchiuse  specialmente  nelle  parti  superiori 
degli  strati,  quasi  in  una  matrice  di  calcare  più  impuro  che  si 
potrebbe  paragonare  a bardiglio.  La  salinità  di  questi  calcari  del 
Monte  Pisano  è effetto  di  un  metamorfismo  locale,  il  quale  del 
resto  invade,  non  solo  gli  strati  di  cui  intendo  parlare  adesso  più 
specialmente,  ma  eziandio  le  masse  sottostanti  e quelle  superiori: 
in  generale,  perciò,  il  nome  di  calcare  ceroide,  adoperato  dagli 
autori  che  parlano  del  Monte  Pisano,  devesi  intendere  applicato 
più  a designare  una  forma  litologica  che  una  roccia  d’  una  data 
epoca.  Anche  il  professor  Paolo  Savi  nella  Carta  geologica  del 
Monte  Pisano,  estende  il  calcare  così  detto  ceroide  a detrimento 
particolarmente  del  calcare  infraliassico  ; quest’  ultimo  calcare 
infatti,  come  si  è veduto  altrove,  forma  una  linea  continua  sotto 
i calcari  ceroidi  di  San  Giuliano  e di  Santa  Maria  del  Giudice; 
come  pure  di  calcare  infraliassico,  per  quel  che  ne  dicono  i fossili, 
e non  di  calcare  ceroide,  sono  i lembi  di  Asciano,  di  Agnano 
e di  Uliveto  a Sud  del  Monte  Pisano.  Un’  altra  rettificazione  deve 
farsi  a quanto  dice  il  Savi  sulla  discordanza  del  calcare  ceroide 
coi  calcari  inferiori  e superiori  nei  Monti  di  Avane,  da  lui  detti 
Monti  Oltre  Serchio,  ed  in  altre  località;  infatti  quel  calcare  sta 
dovunque  con  perfetta  regolarità  interstratificato  fra  gli  altri  cal- 
cari che  lo  rinchiudono  (fig  5)  ; pei  monti  di  Avane,  in  particolare 
ho  potuto  accertarmi  di  ciò  in  una  gita  fatta  in  quelle  loca- 
lità col  professor  Meneghini,  ed  in  più  altre  occasioni.  L’  anda- 
mento della  stratificazione  si  rileva  al  solito,  facendo  astrazione 
dalle  crepe  che  intersecano  il  calcare,  coll’  esaminare  il  verso 
cioè  la  direzione  dei  banchi  e la  disposizione  degli  straterelli 
schistosi  che  vi  sono  rinchiusi.  Il  calcare  di  cui  si  discorre,  nelle 
località  menzionate,  è talora  sì  ricco  di  fossili  che  si  ha  una 
vera  lumachella;  numerose  raccolte  di  questi  fossili  sono  state 
fatte  nel  Monte  Potendo  e nel  Monte  delle  Fate  presso  San  Giu- 
liano, come  pure  a Vecchiano  e di  faccia  a Pontasserchio.  Tra 
i fossili  trovati  si  possono  citare  varie  specie  di  ChemniUia,  di 
Actoeonina,  di  Cerifhium^  di  Natica^  di  Trochus,  di  Fleurofoma- 
ria,  di  Turbo,  di  Nautilus,  dei  frammenti  di  Cidaris,  di  Penta- 


35  - 


crimis,  di  3Iontivauìtia,  V Avicula  peregrina  Mgh.  {Considera- 
sioni  sulla  geologia  etc.),  la  Cochloceras  {Turrilites)  JD'  Anconce 
Mgh.  (Nuovi  fossili  toscani)^  V Ammonites  stellaris  Sow.  e 1’  Am- 
monites  planorljis  Sow.,  oltre  a molte  ammoniti  non  determinate. 
Nelle  sue  parti  superiori  poi,  tanto  alle  Avane  quanto  nel  Monte 
Pisano,  si  trovano  degli  straterelli  pieni  di  encrini.  Per  le  consi- 
derazioni possibili  sopra  codesti  fossili,  rimando  chi  ne  vuole 
notizia  agli  studii  del  professor  Meneghini  e del  professor  Savi, 
dopo  dei  quali  io  non  ho  nulla  di  nuovo  a ridire.  Si  può  però 
aggiungere  che  ninna  delle  specie  de’  molluschi  è stata  ricono- 
sciuta identica  a qualcuna  di  altre  località,  salvo  che  a quelle 
di  Campiglia.  Il  nostro  calcare  ceroide  fu  dagl’illustri  geologi 
sopracitati,  nelle  loro  Considerazioni  sulla  geologia  della  Toscana^ 
riguardato,  per  l’ insieme  dei  generi  fossili,  come  appartenente  al 
lias  piuttostochè  al  trias,  ma  in  ogni  caso  alla  parte  più  antica 
del  lias  inferiore;  e quantunque  il  Savi  più  tardi  (Sulla  costitu- 
zione geologica  delle  elissoidi  della  catena  metallifera,  pag.  13, 
Pisa  1864),  lo  classificasse  nell’ Infralias,  senza  argomenti,  ma 
semplicemente  come  egli  dice,  onde  non  pregiudicar  la  questione 
della  sua  vera  epoca;  pure  dopo,  nella  pubblicazione  del  Kath 
(Fragmente  aus  Italien,  1868),  esso  viene  considerato  di  nuovo, 
dietro  una  comunicazione  del  professor  Meneghini  sui  fossili  di 
Campiglia,  come  veramente  liassico  inferiore,  e come  tale  deve 
essere,  tanto  più,  considerato  al  giorno  d’  oggi,  dopo  la  pubblica- 
zione della  nota  delle  Ammoniti  del  calcare  salino  di  Campiglia, 
che  ho  sopra  riportata.  Lo  Stoppani,  dopo  aver  veduto  alcuni 
fossili  del  Monte  Pisano,  credette  trovarvi  delle  impronte  riferi- 
bili al  genere  Evinospongia,  e le  univalvi  del  Monte  Pisano  e di 
Vecchiano  riferì  a quelle  di  Esine  nelle  Alpi,  da  lui  studiate,  per 
cui  manifestò  1’  opinione,  che  fossero  triassici,  come  il  calcare  di 
Esino,  anche  i calcari  delle  citate  località  toscane  compresi  in 
generale  dal  Savi  col  nome  di  calcari  salini  o ^emi-salini.^  Il  Cocchi 
ha  preso  conto  di  questa  opinione,  ed  ha  ritenuto  il  calcare  ce- 
roide de’  Monti  di  Pisa  e di  Campiglia  triassico,^  dubitando  poi 
che  ad  esso  potessero  corrispondere  taluni  calcari  delle  Alpi 


' Stoppani,  Corso  di  geologia,  voi.  II,  pag.  391. 
^ Sulla  geologia  delV  Italia  centrale,  pag,  33. 


Apuane  di  una  zona,  che  distingueva  provvisoriamente  col  nome 
di  ^ona  marmorea  superiore  : ^ il  Coquand  eziandio  ritiene  trias- 
sico il  calcare  ceroide  del  Monte  Pisano.^  Però  conviene  osservare 
che  dei  fossili  del  calcare  ceroide  propriamente  detto,  parago- 
nati con  cura  ai  fossili  di  Esino,  non  uno  è stato  trovato  speci- 
ficamente corrispondente  a questi;  sopratutto  poi,  come  risulta 
dalle  descrizioni  fatte  e dalle  sezioni  presentate,  il  calcare  ce- 
roide del  Monte  Pisano  e delle  Avane  fu  depositato  sopra  al- 
r Infralias,  è impossibile  perciò  dirlo  triassico,  e non  è possibile 
prenderlo  per  tipo  di  rocce  triassiche,  bensì,  per  la  sua  posizione 
stratigrafica  fra  P Infralias  e la  parte  più  recente  del  lias  infe- 
riore, come  vedremo,  e per  la  natura  dei  fossili,  non  può  essere 
ascritto  se  non  al  lias  inferiore  medesimo.  È inutile  poi  par- 
lare del  calcare  che  il  Cocchi  dubitava  fosse  ad  esso  corrispon- 
dente nelle  Alpi  Apuane,  perchè  P illustre  geologo,  nella  sua 
nota  Sulla  vera  posizione  stratigrafica  dei  marmi  saccaroidi  delle 
Alpi  Apuane  {Boll,  del  B.  Gom.  Geol.,  N.  5-6, 1871),  pone  a ragione, 
insieme  con  tutti  gli  altri  marmi  antichi  anche  "quelli  dei  monti 
Sumbra,^  Fiocca,  Valiverto,  Sella  e Tanibura,  che  prima  aveva 
distinti  col  nome  di  zona  marmorea  superiore.  Fuori  dei  monti 
presso  Pisa,  non  ho  trovato  il  calcare  ceroide  con  apparenza  sì 
distinta  e con  fossili  ben  chiari;  però  un  calcare  analogo,  sovrap- 
posto alP  Infralias,  costituisce  i colli  di  Pietrasanta,  di  Capez- 
zano  e di  Montepreti  presso  Pietrasanta;  è ceroide,  cavernoso  e 
spesso  dolomitico,  ma  non  vi  sono  fossili,  eccetto  che  a Monte- 
preti,  dove  contiene  degli  encrini  negli  strati  superiori  sotto- 
stanti a calcari  rossi  e verdastri,  e dove  si  trova  quindi  nella 
stessa  posizione  stratigrafica  del  calcare  ad  encrini  del  Monte 


^ I.  Cocchi,  loc.  cit.,  pag,  38. 

^ H.  Coquand,  Terrains  stratifiés  de  l’italie  centrale  {Bull.  Soc.  Géol.  de 
France,  3^  serie,  tomo  III,  pag.  26).— Il  Coquand  pone  i calcari  ceroidi  di 
Campiglia  e di  Gerfaìco  insieme  con  quelli  saccaroidi  delle  Alpi  Apuane  e,  con 
questi,  li  classifica  nel  carbonifero  ; ma  invece  i calcari  ceroidi  delle  soprad- 
dette località  sono,  come  ho  detto  pel  calcare  di  Campiglia,  della  stessa  epoca 
di  quello  del  Monte  Pisano  e delle  Avane  e debbono  essere  riferiti  al  lias  inferiore. 

® Nella  carta  dello  Stato  maggiore  austriaco  questo  monte  è indicato  col  nome 
di  Sumbra,  col  quale  lo  indica  anche  il  Cocchi  ; ma  nelle  storie  antiche  della 
Garfagnana,  e nel  linguaggio  vivente  in  quelle  località,  è indicato  col  nome  di 
Summora  o per  corruzione  Sommora,  e questo  mi  sembra  da  conservarsi. 


— 37  — 


Pisano  e delle  Avane.  Probabilmente  a questa  stessa  epoca  del 
lias  inferiore,  ma  invece  alla  forma  litologica  dei  calcari  della 
Spezia,  si  riferiscono  : un  calcare  nero,  nella  valle  della  Torrite 
Secca,  fra  Decci  ed  il  canale  di  Rontano,  a strati  quasi  verticali, 
inclinati  verso  N.  o,  presso  Decci,  verso  N.N.O.,  ed  un  cal- 
care scuro,  con  scliisti  interposti,  ne’ monti  di  Careggine  e di 
Roggio,  ambedue  situati  fra  le  masse  calcaree  attribuite  all’  In- 
fralias,  ed  alcuni  straterelli  di  calcare  rosso  del  canale  di  Ron- 
tano e della  parte  inferiore  del  canale  di  Vagli.  La  difficoltà 
nel  distinguere  il  calcare  del  lias  inferiore  dall’  Infralias,  quando 
non  vi  sieno  fossili,  deriva  dall’apparenza  delle  rocce  die  sono 
spesso  identiche  fra  loro,  e dal  metamorfismo  che  agì  egual- 
mente sulle  medesime  ; del  resto  è probabile  che  al  lias  inferiore 
appartengano  varii  de’  calcari  che  ho  ritenuti  come  infraliassici, 
nella  regione  orientale  dell’  elissoide  principale  apuana,  fra  il 
canale  di  Vagli  e quello  della  Torrite  Cava. 

Nel  Monte  Pisano  e nel  Monte  di  Avane  e di  Vecchiano,  al 
calcare  ceroide  succedono  dei  calcari  rossi  e dei  calcari  grigi 
con  selce,  ammonitiferi,  i quali  altrove  nelle  x\lpi  Apuane  sem- 
brano riposare  direttamente,  sempre  con  stratificazione  concor- 
dante, sul  calcare  grigio  del  lias  inferiore  o dell’  Infralias.  Il 
calcare  rosso  intensamente  argilloso,  qualche  volta  verdognolo  o 
bianco  ed  anche  giallo  a S.  Maria  del  Giudice,  è spesso  al- 
ternato* da  straterelli  di  schisti  rossi  o verdi,  lionati,  e talora 
arenacei,  ed  in  generale  forma  banchi  di  piccola  potenza,  per  cui 
alle  volte  può  sfuggire  all’  osservazione  ; sovente  è alquanto  cri- 
stallino, ed  allora  forma  dei  graziosi  marmi  ornamentali  ; così  a 
questo  genere  di  roccia  appartengono  : un  marmo  giallo  alquanto 
simile  a quello  della  Montagnola  Senese,  scavato  a S.  Maria  del 
Giudice  ; il  marmo  rosso  di  Matanna  uniforme  e discretamente 
cristallino  ; il  marmo  di  Sasso  Rosso  neH’iVlpe  di  Corfino,  il  quale 
ha  r aspetto  di  grandi  frammenti  rossi  irregolari  involti  in  un 
cemento  di  color  rosso  ancora  più  scuro  ; ed  il  marmo  rosso- 
chiaro, venato  di  bianco  del  colle  di  Matteo  presso  Trassi- 
lico,  del  quale  furono  fatte  alcune  colonne  per  uno  degli  altari 
dell’  Eremita  di  Calomini.  Il  calcare  con  selce  sovrapposto  forma 
talora  degli  strati  potenti  ; è ceruleo,  bianco  o grigio,  con  diverse 
gradazioni  di  colore,  e contiene  frequentissime  alternanze  di  noe- 


— 38 


cicli  e di  straterelli  di  selce  compatta  e cornea,  ovvero  bianca  a 
granellini  disciolti  ; sottoposti  que’  granellini  al  microscopio,  con 
forte  ingrandimento,  non  vi  trovai  spoglie  apparenti  di  sostanze 
organizzate.  Questo  calcare  con  selce  io  lo  chiamerò  ammonitifero, 
ancor  quando  ammoniti  non  ve  ne  siano  state  trovate,  per  distin- 
guerlo da  altri  calcari  grigi  con  selce  di  epoca  più  recente,  che  si 
trovano  negli  stessi  Monti  Pisani  e nelle  Alpi  Apuane  e nel- 
PApennino.  Nel  Monte  Pisano  (fig.  5),  a cominciare  dalle  cave  di 
S.  Giuliano  fin  verso  Lucca,  il  calcare  compatto  rosso  o verdolino 
forma  una  cintura  continua,  con  uno  strato  di  6 o 7 metri  di  altezza 
al  più,  sopra  ai  calcari  ceroidi  ; frequentemente  è inquinato  da 
straterelli  schistosi  e non  contiene  fossili,  talora  è ceroide  esso 
pure  e serve  per  marmo,  come  ho  detto  di  sopra,  p.  e.,  a S.  Maria 
del  Giudice.  Il  calcare  grigio  con  selce  sovrastante  comincia  a 
comparire  all’  ultimo  sperone  delle  cave  dei  marmi  di  S.  Giu- 
liano, nel  luogo  dove  sono  le  cave  della  calcina  forte  del  Bru- 
guier  ; un  lembo  di  esso  forma  la  cima  del  monte,  dove  sono  le 
cave,  ed  è pella  denudazione  di  questo  che  inferiormente  com- 
parisce il  calcare  bianco  ceroide;  lo  si  rivede  verso  il  paese  di 
S.  Giuliano  dove  sono  aperte  varie  cave  per  levarne  pietra  da 
calcina  forte.  Taluni  degli  strati  di  questo  calcare,  lungo  la 
strada  da  S.  Giuliano  a Pigoli,  di  fianco  alla  stazione  della 
via  ferrata,  sono  talmente  raddrizzati  da  raggiungere  una  po- 
sizione verticale.  Da  S.  Giuliano  il  calcare  traversa  * il  si- 
stema montuoso  formando  le  alture  di  Monte  Penna  e giun- 
gendo verso  S.  Gerbone  e Pezzuole,  dove  terreni  più  recenti 
gl’  impediscono  di  pervenire  alla  pianura  Lucchese.  In  questa 
estensione  di  terreno  non  sono  state  trovate  che  traccie  di 
Ammoniti  poco  determinabili.  Nei  monti  delle  Avane  il  cal- 
care rosso  forma  un  cerchio  continuo,'  al  solito  di  poca  po- 
tenza, intorno  a quella  rotta  elissoide.  In  certe  cave,  sulla  destra 
della  valle  dei  Sassigrossi,  sono  stati  trovati  dei  Pentacrini  e 
le  Ammoniti  seguenti  : 

Ammonites  PeccJiiolii  Mgh.  ; 

))  hisulcatus  Brug.  ; 

» Conybeari  Sow.  ; 

» JBoiicaidtianus  D’  Orb. 


— 39  — 


Il  calcare  grigio  con  selce  ammonitifero  forma  un’  altra  cer- 
cliia  di  non  grande  spessezza,  dal  piano  di  Veccliiano  sin  verso 
i monti  di  Filettole,  dove,  insieme  colle  altre  roccie  antiche,  si 
nasconde  sotto  un  lembo  di  terreno  eocenico  sovrapposto  in  stra- 
tificazione discordante.  Le  Ammoniti  trovate  in  questo  calcare 
sono  le  seguenti  : 

Ammonites  Conyheari  Sow.  (Repole)  ; 

» Listeri,  Sow.  in  D’ Orb.  (Sassigrossi)  ; 

» Aìgovianus  Op. 

Passando  alle  altre  elissoidi  delle  Alpi  Apuane,  questi  cal- 
cari ammonitiferi  riappariscono  al  Nord  dell’  elissoide  di  Ca- 
maiore.  Intorno  all’ elissoide  centrale  apuana  s’  incontrano  poi 
in  diversi  lembi,  in  generale  di  non  molta  importanza.  A Monte 
Preti,  che  è sulla  destra  del  Baccatoio,  là  dove  questo  torrente 
esce  nella  pianura,  oltre  agli  straterelli  con  crinoidi  già  notati 
altrove,  si  hanno  dei  calcari  rossi  o verdastri  senza  fossili,  che 
rappresentano  là  il  rosso  ammonitifero,  si  vedono  poi  dei  fram- 
menti erratici  di  calcare  con  selce,  identico  assolutamente  a quello 
dei  monti  pisani,  e probabilmente  derivano  da  qualche  lembo 
in  posto  di  quel  calcare,  ovvero  sono  gli  ultimi  resti  della  de- 
nudazione, che  ha  finito  il  suo  compito  nascondendo  i banchi  del 
suddetto  calcare  sotto  la  pianura.  Fra  Capriglia  e le  Piane,  so- 
pra ai  calcari  bianchi  ceroidi  o dolomitici,  sono  pure  traccie  di 
calcari  rossi,  metamorfici  o cavernosi,  nei  quali  si  presentano 
delle  sezioni  di  encrini.  In  un  estremo  lembo  della  massa  cal- 
carea di  Porta,  che  guarda  immediatamente  sulla  sinistra  del 
canale  di  Montignoso  verso  la  pianura,  e sopra  al  calcare  grigio 
cupo  0 bianchiccio  dell’  infralias  o del  lias  inferiore,  stanno  de- 
gli straterelli  del  calcare  rosso  intensamente  colorato,  argilloso  e 
scbistoso  ; quivi  pure  si  vedono  sul  terreno  de’  frammenti  di  cal- 
care con  selce,  che  attestano  la  prossimità  e forse  l’antica  esi- 
stenza alla  superficie  di  questo.  Prima  di  passare  oltre,  è oppor- 
tuno notare  come,  dalla  Dogana  Vecchia,  a Kotaio,  a Monte  Preti, 
a Pietrasanta,  a Porta  ed  a Montetignoso,  le  ultime  pendici  dei 
monti  sieno  formate  dai  calcari  infraliassici,  o dai  piccolissimi 
lembi  dei  calcari  più  recenti  ora  accennati,  senza  che  superiormente 
ai  medesimi  stieno  altre  roccie.  A Massaveccbia,  sopra  l’ infralias 


40 


sta  direttamente  un  lembo  di  terreno  eocenico,  e lo  stesso  sem- 
bra aver  luogo  a Mirteto  e nei  monti  della  Misericordia  sopra 
rinfralias  di  Bergiola  e di  Códena.  Alle  prime  case  di  Carrara  (fig.  2), 
sulla  sinistra  del  fiume,  poco  sopra  le  segherie  di  Walton,  il  cal- 
care rosso  ricomparisce  e forma  dei  banchi  di  qualche  metro  in- 
tersecato da  straterelli  di  schisti  verdi  e rossi,  ma  non  credo  che 
vi  si  trovi  sovrapposto  il  solito  calcare  grigio  con  selce.  Di  qui  esso 
continua  il  suo  giro  intorno  all’  elissoide,  e s’ innalza  alla  destra 
del  Carrione,  attraverso  i monti  di  Gragnana  e di  Tenerano,  nella 
quale  località  il  Savi  raccolse  un  Ammonite.  Il  Cocchi  accenna 
fra  Castelpoggio  e Monte  Acuto  il  calcare  grigio  ammonitifero 
con  selce  ed  il  rosso,  e forse  di  questa  stessa  epoca  è il  calcare 
con  selce,  il  quale  si  trova  presso  1’ Ajola  a Nord  dell’ elissoide; 
però  sembra  che  solamente  dei  lembi  radi  ed  interrotti  di  queste 
due  roccie  esistano  attualmente  nel  tratto  dell’  elissoide  che  gira 
fra  la  valle  del  Carrione  e la  valle  di  Vagli,  nel  modo  stesso  che 
de’ lembi  quasi  insignificanti  e quanto  mai  interrotti  abbiamo 
veduto  esistere  nella  parte  occidentale  della  mede^sima  che  guarda 
il  mare,  fra  le  valli  di  Camaiore  e la  valle  del  Carrione.  Quel 
dubbio  mi  viene  confermato  dal  fatto  che  nei  monti  di  Corfi- 
gliano  e di  Gramolazzo,  nel  versante  del  Serchio,  ai  lembi  non 
molto  potenti  dell’  infralias  sta  sovrapposto  direttamente  il  ma- 
cigno eocenico,  senza  intermezzo  di  altra  roccia.  Nel  lato  orien- 
tale dell’  elissoide,  il  calcare  rosso,  talora  anche  verdastro  e con 
straterelli  di  schisto  lionato,  incomincia  nel  monte  di  Roggio, 
sulla  sinistra  del  canale  di  Vagii,  ma  in  strati  piccolissimi  e 
senza  la  sovrapposizione  del  calcare  grigio  con  selce,  e,  conser- 
vando eguale  aspetto  ed  eguale  potenza,  passa  il  Monte  di  Ca- 
reggine,  traversando  la  valle,  presso  le  Ferriere,  e giunge  alla 
valle  della  Torrite  Secca  o canale  d’  Arni,  nella  quale  1’  ho  in- 
contrato nel  colle  di  Fontano,  dove  ha  un  aspetto  analogo  a 
quello  che  ho  descritto  di  Sassorosso,  e dove  sembra  sottostante 
ad  un  calcare  zeppo  di  foraminifere,  probabilmente  cretaceo. 
Nell’  estremità  superiore  del  canale  di  Sassi,  che  mette  nella 
Torrite  Secca,  intorno  alla  Pania,  le  cose  cominciano  a variare  : 
il  calcare  rosso  acquista  una  potenza  alquanto  maggiore,  assume 
un  colore  rosso  più  smorto,  o bianco,  e sopra  del  medesimo  po- 
sano degli  strati  di  calcare  grigio  con  selce  ammonitifero  tanto 


— 41  — 


alti,  quanto  lo  sono  nel  Monte  Pisano.  Codesta  serie  di  strati 
gira  intorno  alla  Pania,  forma  i pizzi  sovrapposti  a Vergemoli  che, 
fra  gli  altri,  hanno  il  nome  di  Forcone  e delle  Capanne  Bruciate, 
quindi  le  pendici  di  Vergemoli  e di  Calomini  nella  valle  del  Forno 
0 della  Borrite  di  Gallicano,  a ridosso  della  Pania  e sulla  sini- 
stra del  canale  della  Foce,  che  è fra  Vergemoli  ed  il  Forno.  Il 
calcare,  che  quivi  invece  di  essere  rosso,  è chiaro  e biancastro, 
perde  quasi  i suoi  caratteri  e,  senza  speciale  attenzione,  non  si 
distinguerebbe  : però,  nel  canale  fra  Vergemoli  e Calomini,  assume 
un  aspetto  marmoreo,  ed  a Vergemoli  è accompagnato  da  strati 
discretamente  alti  di  schisto  arenaceo  lionato.  I calcari  traversan 
poi  la  Borrita,  e li  troviamo  sopra  il  ponte  di  Panicaglia  nel 
colle  di  Matteo,  donde  fu  escavato  del  marmo  rosso  ; formano 
le  pendici  di  Brassilico  e raggiungono  il  Monte  Matanna,  esten- 
dendosi verso  Casoli  di  Camaiore,  dove  cessano  di  comparire,  e 
dove  è finito  il  loro  giro  intorno  alP  elissoide  centrale  apuana. 
Nel  calcare  rosso  marmoreo  di  Matanna  ho  veduto  delle  Am- 
moniti, ma  non  perfettamente  conservate  e non  in  istato  di  es- 
sere ben  determinate.  Nelle  località  circostanti  alla  Pania  ed  al 
Monte  Matanna,  nel  lato  orientale  dell’  elissoide  centrale  ora  esa- 
minato, i calcari  si  estendono  assai,  poiché  senza  interruzione 
formano  una  veste  intorno  al  nucleo  isolato  di  calcare  infralias- 
sico,  che  sta  nel  centro  dell’  ondulazione  del  Monte  Palódina, 
più  sopra  indicata.  Essi  si  ritrovano  a Pescaglia,  nella  valle  della 
Borrite  Cava,  ed  in  quella  delle  Borrite  di  Gallicano  fra  il  ponte 
di  Panicaglia  e Gallicano  ; così  in  quest’  ultima  valle  formano  le 
pendici  nelle  quali  fu  scavata  l’Eremita  di  Calomini,  e quivi 
inclinano  con  dolce  pendio  da  E.N.È.  a O.S.O.  cioè  in  modo 
opposto  all’  inclinazione  che  hanno  nelle  contigue  località  di  Ver- 
gemoli e di  Calomini,  a ridosso  dell’  elissoide  centrale  : girano 
poi  sotto  il  paese  di  Bruciàno  intorno  al  canale  omonimo,  il  quale 
segna  il  punto  interno  della  ondulazione  in  quel  suo  estremo 
lembo,  di  fianco  al  Monte  Palódina  sulla  sinistra  della  Borrite, 
ed  inclinandosi  di  nuovo  da  O.N.O.  a E.S.E.  raggiungono  il 
fondo  della  valle,  alquanto  sopra  le  case  di  S.  Lucia.  Così  sono 
enumerate  le  località  delle  Alpi  Apuane,  nelle  quali  conosco  i 
calcari  rosso  e grigio  con  selce  ammonitiferi.  Anche  nel  prossimo 
Apennino,  intorno  all’  infralias  dell’  Alpe  di  Corfino,  formano 


cerchio  i calcari  ora  nominati.  Il  calcare  rosso  di  Sassorosso 
contiene  le  specie  seguenti: 


Ammonites  Raquinianus  D’  Orb.  ; 
fimhriatus  Sow.  ; 

» Mimatensis  D’  Orb.  ; 

))  stellaris  Sow.  ; 

» sternalis  De  Buch  ; 

» planicosta  Sow.  ; 

))  subarmatus  Young  ; 

» spiratissimus  Quenstedt  ; 

))  muticus  D’  Orb.  ; 

))  Nodotianus  D’  Orb.  ; 

))  Aalensis  Ziet.  ; 

» radians  Schlot.  ; 

))  hybridus  D’  Orb.  ; 

))  bisulcatus^  Brug.  ; 

))  insignis  Schlot.  ; 

» rotiformis  Sow.  ; 

))  Kridion  Ziet.  ; 

» complanatus  Brug.  ; 

))  armatiis  Sow.  ; 

» JBoucaidtianus  D’Orb.; 

» bifrons  Brug.  ; 

» Ceras  Giebel  ; 

))  obtusus  Sow.  ; 

» heterophillus  Sow.  ; 

» tardecrescens  Hauer  ; 

» Conybeari  Sow.  ; 

))  liasicus  D’  Orb.  ; 

» Actceon  D’  Orb. 


Nel  calcare  con  selce  della  stessa  località  sono  state  trovate 
fossili  le  seguenti  specie: 

Ammonites  Algovianus  Oppel  ; 

» pluricosta  Mgh. 

Anche  nell’  alta  valle  dell’  Ozola  nel  Reggiano  si  trova  il  cal- 
care rosso  intorno  alle  masse  infraliassiche.  Un  lembo  di  calcare 


43  - 


rosso  ammonitifero  si  torna  poi  a trovare  a Monsummano  nella 
Val  di  Nievole;  ma  nè  questa  roccia,  nè  il  sovrapposto  calcare 
con  selce,  compariscono  in  alcuna  altra  località  dell’  Apennino 
toscano  e bolognese,  nel  tratto  fra  Monsummano  e 1’  Alpe  di 
Corfino. 

Ho  parlato  fino  adesso  insieme  e del  calcare  rosso  e del  cal- 
care grigio  con  selce  ammonitiferi,  seguendo  l’ uso  dei  geologi 
toscani  ; ma  avrei  potuto  discorrerne  partitamente,  e paratamente 
passo  a dire  ora  della  loro  epoca  geologica  limitandomi  a citare 
le  varie  opinioni  manifestate  dagli  autori.  Il  calcare  rosso  fu 
ritenuto  da  prima  dal  Savi  e dal  Pilla  come  appartenente  al 
lias  superiore,  credendolo  analogo  ai  calcari  rossi  ammonitiferi 
della  Lombardia  appartenenti  a quell’  epoca:  ma  poi,  raccolti 
numerosi  dati  paleontologici,  tanto  il  Savi  citato,  come  il  Mene- 
ghini, riconobbero  che  il  medesimo  era  più  antico  del  calcare  lom- 
bardo, quindi  più  antico  del  lias  superiore,  e che  le  sue  Ammoniti, 
appartenenti  a specie  di  varie  epoche  del  lias,  ma  specialmente 
agli  Arieti^  erano  con  prevalenza  riferibili  al  lias  inferiore.’  Questa 
conclusione  era  riconfermata  poco  dopo  dal  professor  Meneghini,^ 
ed  il  calcare  veniva  posto  definitivamente  nella  parte  inferiore 
del  lias,  considerandolo  però  superiore  al  calcare  ceroide,  il  quale 
alla  sua  vòlta  era  considerato  come  appartenente  alla  parte  più 
antica  del  lias  inferiore.  Anche  il  Savi  più  tardi  (Sulla  costitu- 
zione delle  elissoidi  della  Catena  metallifera)  lo  considerava  come 
lias  inferiore.  Come  rappresentanti  del  lias  superiore,  in  questa, 
regione  d’ Italia,  furono  ritenuti  invece  gli  schisti  sovrapposti  al 
calcare  grigio  con  selce  contenenti  la  Fosidonomya  JBronni.  Però 
il  trovarsi  nel  nostro  calcare,  come  ho  già  accennato,  delle  Am- 
moniti appartenenti  anche  ai  piani  meno  antichi  del  lias,  fece 
sì  che  il  medesimo  venisse  qualche  volta  ritenuto  rappresentante 


^ Considerazioni  sulla  (jeologia  stratigrafica  della  Toscana.  Parte  II,  capo  IV. 
— Nel  quadro  che  si  trova  al  termine  dello  scritto  del  Savi  e del  Meneghini, 
il  calcare  rosso  è bensì  posto  nel  lias  superiore,  ed  il  Coquand  {Terrains 
stratifiés  de  VItalie  centrale  — EnW.  Soc.  Geol.  de  France,  S®  serie,  tome  III, 
pag.  26)  tenendo  conto  soltanto  di  questo  fatto,  attribuì  senz’altro  ai  citati 
geologi  queir  opinione  che  però  è ben  diversa  da  quella  che  solo  deve  essere 
considerata  e che  quei  geologi  hanno  diffusamente  e chiaramente  sostenuta  nel 
testo  nel  punto  da  me  citato. 

^ Nuovi  fossili  toscani,  pag.  17. 


— 44  — 


del  lias  medio,  e come  tale  fu  considerato  eziandio  nella  pub- 
blicazione citata  del  Katli,  onde  V ho  classificato  aneli’  io  in  tal 
modo  nella  annessa  tavola  degli  spaccati.  Quando  però  si  badi, 
come  fanno  notare  gli  autori,  al  tipo  degli  Arieti  predomi- 
nante fra  le  Ammoniti,  il  quale  è particolarmente  caratteri- 
stico del  periodo  Massico  inferiore,  e quando  per  1’  altra  parte 
si  noti  il  piccolo  numero  di  quelle  specie  che  si  trovano  nel 
vero  lias  medio,  risulterà  dai  dati  paleontologici  la  conve- 
nienza di  lasciare  il  calcare  rosso  nel  lias  inferiore,  e precisa- 
mente  nella  parte  più  recente  di  esso,  anziché  nel  vero  e pro- 
prio lias  medio,  e come  Massico  inferiore  lo  considererò  d’  ora  in 
avanti.  Il  calcare  grigio  con  selce,  ha  seguito  sempre  finora  le 
sorti  del  calcare  rosso:  il  Savi  ed  il  Meneghini  {Considera- 
zioni sulla  geologia  della  Toscana,  Parte  I,  Capo  II)  ritennero 
che  il  calcare  rosso  passasse  gradatamente  al  medesimo,  e che 
qualche  volta,  come  ne’  monti  del  lato  occidentale  della  Spezia 

10  si  trovasse,  non  solo  al  di  sopra,  ma  ancora  al  di  sotto  del 
rosso;  anche  dopo  di  loro  tutti  i geologi  toscam  considerarono 

11  grigio  come  una  cosa  sola  col  rosso,  distinguendo  soltanto  la 
forma  litologica.  Adesso  è noto  come  ne’  monti  del  lato  occi- 
dentale della  Spezia  un  rovesciamento  abbia  alterata  la  posizione 
strati  grafica  delle  roccie,  sicché  solo  in  apparenza  il  calcare  gri- 
gio vi  sembra  sottostante  al  rosso,  mentre  in  realtà  é superiore 
al  medesimo,  ivi  come  dappertutto.  Esso  poi  é sempre  ben  di- 
stinto per  la  sua  forma  litologica  dal  calcare  rosso,  e forma  masse 
di  molta  potenza,  mentre  il  rosso  non  forma  che  piccoli  banchi 
e si  connette  piuttosto  e fa  passaggio  ai  calcari  sottostanti  ; per 
lo  contrario,  mentre  il  calcare  rosso  é ricchissimo  di  fossili,  il 
grigio  ne  é povero  e soltanto  vi  sono  frequenti  le  poche  specie 
notate.  Ecco  la  serie  delle  poche  Ammonniti  che  vi  sono  state 
trovate  fino  ad  ora  e che  ho  già  indicate  di  sopra. 

Ammonites  Conyheari  Sow.  (Repole); 

» Listeri  Sow.  in  D’Orb.  (Sassi  grossi); 

» Algovianus  Op.  (Sassi  grossi.  Alpe  di  CorfinO)  ; 

» pluricosfa  Mgh.  (Alpe  di  Corfino). 

La  presenza  speciale  di  talune  di  queste  Ammoniti,  p.  e., 
deW Algovianus  e la  posizione  stratigrafica  del  calcare,  sembra 


45 


lo  facciano  riferire  con  maggior  probabilità  al  lias  medio  e 
come  tale  per  ora  verrà  ritenuto.  Probabilmente  esso  deve  met- 
tersi insieme  col  calcare  litologicamente  simile,  e pure  liassico 
medio,  dellbApennino  centrale. 

Eitornando  un  passo  addietro  e riparlando  del  calcare  ce- 
roide, ecco  che  questo,  essendo  posto  fra  il  calcare  infraliassico 
ed  il  calcare  rosso  appartenente  alia  parte  più  recente  del  lias 
inferiore,  anche  secondo  le  regole  della  stratigrafia  deve  essere 
riferito  al  lias  inferiore. 

Per  quanto  riguarda  le  Alpi  Apuane,  il  Savi  confuse  i calcari 
ammonitiferi  colla  massa  dei  calcari  infraliassici,  e con  questi  li  at- 
tribuì al  neocomiano  : il  Cocchi  ha  contribuito  a fare  le  dovute 
distinzioni,  senonchè  in  una  sezione  che  egli  presenta  di  un  tratto 
dei  Monti  Pisani,  da  Ripafratta  al  Monte  delle  Mulina  (I.  Cocchi, 
Sulla  geologia,  ec.  Tav.  I,  fig.  8)  ha  scambiato  l’epoca  delle  rocce 
di  queste  località.  Così  il  calcare  del  Monte  Maggiore,  che  egli 
crede  infraliassico,  e che  è assolutamente  privo  di  fossili,  è 
invece  un  calcare  con  selce  che  si  ritrova  pure  sviluppatissimo 
a Legnaia  ed  a Pietra  a Padule  intorno  all’  elissoide  di  Avane, 
come  pure  in  tutta  la  regione  orientale  delle  Alpi  Apuane,  nella 
parte  inferiore  della  Val  di  Serchio  a Bruciano,  a Gallicano,  alla 
Torrite  Cava,  al  Borgo  a Mozzano,  a Corsagna,  a Decimo,  a 
Pezza  ed  agli  Angeli  ; e nell’  Apennino  nella  Val  di  Lima,  a 
Prato  Fiorito,  a Lucchio  ed  a Vico  ; non  è ben  conosciuto 
a quale  orizzonte  questo  calcare  appartenga,  ma  probabilmente 
è proprio  neocomiano,  come  P ha  giudicato  il  Murchison,  che 
lo  esaminò  a Prato  Fiorito,  e come  1’  ha  considerato,  d’  accordo 
con  lui,  il  Savi.  Questo  calcare  sta  sopra  gli  schisti  a Fosido- 
nomya  riferiti  al  lias  superiore,  e sotto  di  questi  si  trovano  il 
calcare  grigio  con  selce  ammonitifero  del  lias  medio  ed  il  rosso, 
come  pure  il  ceroide  liassico  inferiore  e per  ultimo  il  vero  cal- 
care infraliassico,  al  Monte  Rotondo  sopra  San  Giuliano  sovra- 
stante agli  schisti  cristallini.  Non  esistono  adunque  calcari 
cavernosi  immediatamente  al  di  sotto  del  calcare  con  selce  di 
Monte  Maggiore,  come  il  Cocchi  figura  nella  sezione  che  egli 
dà  : nè  questo  calcare  rappresenta  P infralias,  come  veniva  da 
lui  supposto.  La  sezione  (fig.  5)  che  io  presento,  in  rettifica- 
zione di  quella  del  Cocchi,  è poco  diversa  dalla  sezione  (fig.  X) 


— 46  — 

pubblicata  dal  Savi  e dal  Meneghini  nelle  Considerazioni  sulla 
geologia  della  Toscana. 

Le  materie  minerali  che  si  trovano  nelle  rocce  infraliassiche 
e liassiche,  di  cui  si  è discorso  finora,  astrazion  fatta  dalle  dolo- 
miti e dai  gessi  che  furon  prodotti  dal  metamorfismo  de’  calcari, 
sono  unicamente  il  cinabro  e la  malachite,  che  fan  parte  di  filon- 
celli  quarzosi  e spatici,  nel  calcare  con  selce  ammonitico,  e negli 
altri  calcari  Massici  del  Monte  delle  Fate,  presso  San  Giuliano. 
I filoni  quarzosi  non  sono  frequenti;  qualche  volta  il  quarzo,  in 
cristalli  jalini  ed  affumicati,  si  trova  nei  calcari  dolomitizzati, 
per  esempio,  nel  Monte  delle  Fate,  nella  china  verso  Asciano; 
r albite  poi  è frequente  e talora  abbondantissima,  in  cristalli 
sparsi  porfiricamente  nelle  masse  dei  calcari  infraliassici  (Capez- 
zano,  Capriglia)  e rossi  Massici  (San  Giuliano). 

(Continua). 


IV. 

Sidla  Belazione  di  un  viaggio  geologico  in  Italia, 
per  Teodoro  Fuchs.  . 

Sotto  il  titolo  Belazione  di  un  viaggio  geologico  in  Italia, 
appariva  nel  N°  7 e 8 di  questo  Bollettino  la  traduzione,  curata 
dal  signor  F.  L.  Appelius  di  Livorno,  di  un  breve  resoconto  di 
viaggio  che  io  nella  primavera  del  cessato  anno  dirigeva  a Vienna 
al  Consigliere  di  Corte  e Cav.  Fr.  v.  Hauer,  e che  originaria- 
mente veniva  dato  alle  stampe  nelle  Memorie  dell’  I.  B.  Istituto 
Geologico  (pag.  218,  anno  1874). 

Il  prof.  Seguenza  sembra  essere  rimasto  alquanto  scosso  da 
alcune  mie  osservazioni  contenute  in  detto  resoconto  di  viaggio^ 
tanto  che  egli  si  è creduto  obbligato  a pubblicare  nel  N®  9 e 10 
di  questo  stesso  Bollettino  una  nota  nella  quale  egli  intraprende 
a farne  la  critica. 

Per  quanto  tutte  le  obbiezioni  fatte  da  un  così  distinto  e 
profondo  Naturalista,  quale  è il  Seguenza,  siano  da  tenersi  in 
gran  conto,  pure  essendo  esse  in  gran  parte  fondate  sopra  un 
malinteso,  io  mi  sento  impegnato  a rispondervi  brevemente. 


— 47 


La  prima  obbiezione  del  prof.  Seguenza  si  rivolge  contro  la 
mia  asserzione  che  un  vero  calcare  del  Leytha,  quale  s’ incontra 
presso  Rosignano  di  Pisa,  non  fosse  prima  stato  riconosciuto  in 
Italia;  mentre  già  una  tale  formazione  era  stata  descritta  dallo 
stesso  prof.  Seguenza  presso  Messina,  e mentre  già  V apparizione 
della  medesima  formazione  presso  Rosignano  veniva  particolar- 
mente accennata  dal  prof.  Capellini. 

Su  di  che  io  debbo  osservare,  che  coll’  espressione  in  Italia 
io  ho  inteso  solo  di  parlare  della  penisola  con  esclusione  delle 
isole  che  vi  appartengono.  Che  il  prof.  Seguenza  avesse  già  de- 
scritta r esistenza  del  vero  calcare  del  Leytha  in  Sicilia  (e  non 
solo  presso  Messina  ma  ancora  in  maggior  estensione  presso  Si- 
racusa), mi  era  perfettamente  noto:  nello  stesso  modo  che  mi 
era  noto  che  il  prof.  Meneghini  diciassette  anni  or  sono  aveva 
già  annunziata  la  presenza  in  grande  estensione  di  tale  forma- 
zione in  Sardegna,  e che  egualmente  del  vero  calcare  del  Leytha 
se  ne  incontra  pure  nelle  isole  di  Corsica  e di  Malta,  le  quali 
nei  loro  rapporti  naturali  e geografici  appartengono  all’  Italia 
così  bene  come  la  Sicilia  e la  Sardegna. 

Per  ciò  che  riguarda  il  prof.  Capellini,  io  debbo  solo  aggiun- 
gere, come  nel  mio  resoconto  di  viaggio  geologico  io  abbia 
espressamente  notato  che,  tanto  il  miocene  di  Rosignano  e di 
Castellina  Marittima,  quanto  in  genere  tutti  i fatti  da  me  ri- 
portati intorno  a quella  regione,  erano  al  medesimo  ben  noti, 
essendomi  io  nella  mia  escursione  esclusivamente  guidato  sulle 
indicazioni  dallo  stesso  prof.  Capellini  ottenute. 

La  seconda  obbiezione  del  prof.  Seguenza  a me  diretta  con- 
siste nel  rimproverarmi  per  aver  io  identificato  il  calcare  mio- 
cenico di  Castellina  e di  Rosignano  col  calcare  concrezionato  di 
Messina  e di  Gerace  ; la  quale  identificazione  supposta  dal  pro- 
fessor Seguenza  sarebbe  erronea. 

Alla  quale  obbiezione  io  debbo  rispondere,  che  io  non  ho 
mai  inteso  di  sostenere  una  cosa  simile;  ma  che  solo  io  ho  annun- 
ziato nel  mio  resoconto  di  viaggio  che  il  calcare  di  Castellina 
(non  quello  di  Rosignano)  fa  ricordare  molto  il  calcare  concre- 
zionato di  Messina  e di  Gerace:  cioè  a dire,  che  petrografica- 
mente  il  primo  somiglia  molto  al  secondo. 

Non  ostante  pretendo  io  di  dichiarare  in  questa  occasione 


— 48  — 


che  io  ritengo  ad  ogni  modo  che  il  calcare  concrezionato  di  Mes- 
sina debba  essere  assegnato  al  miocene,  perchè  riposa  comple- 
tamente conforme  sulla  melassa  miocenica  e discorda  compieta- 
mente  colle  formazioni  plioceniche  che  gli  stanno  sovrapposte, 
e non  possiede  fossili  che  richiedano  il  suo  collocamento  nel 
pliocene. 

Naturalmente  io  non  intendo  parlare  qui  altro  che  di  quel 
calcare  concrezionato  che  io  stesso  ho  visto,  e del  quale  ho  dato 
nel  mio  lavoro  descrizioni  e figure.  E ciò  non  esclude  che  in 
altri  punti  possano  comparire  consimili  calcari  anche  nel  plio- 
cene, come  lo  stesso  prof.  Seguenza  dichiara,  chè  il  calcare  con- 
crezionato non  costituisce  un  determinato  piano  geologico,  ma 
invece  si  ripete  colle  stesse  apparenze  in  piani  geologici  di  età 
differente. 

Per  quanto  concerne  il  calcare  concrezionato  di  Gerace  io  lo 
considero  pure  come  miocenico,  per  esser  anche  in  modo  discor- 
dante ricoperto  dalle  formazioni  plioceniche,  quando  anche  nella 
sua  giacitura,  a differenza  delle  correlazioni  di  Messina,  non  si 
presentino  strati  miocenici  ma  bensì  argille  scagliose. 

Io  sono  adesso  dell’  opinione  che  le  marne  grigie  gessifere, 
le  quali  ovunque  presso  Gerace  formano  il  sottofondo  delle  val- 
late, non  appartengano  al  miocene,  come  io  altra  volta  ho  cre- 
duto,. ma  che  sieno  delle  vere  argille  scagliose;  ed  io  ammetto 
che  il  prof.  Seguenza  avrebbe  potuto  rimproverarmi  con  molta 
maggior  ragione  di  questo  errore  piuttostochè  di  tanti  altri. 

Nel  seguito  della  sua  nota  il  prof.  Seguenza  viene  anche  a 
parlare  del  pliocene  di  Gerace.  Se  io  ho  ben  capito  il  suo 
assunto,  egli  è dell’  opinione  che  presso  Gerace  appariscano  due 
formazioni  plioceniche  materialmente  diverse;  delle  quali  la  più 
antica  che  compone  di  per  sè  la  collina  di  Gerace,  e la  più  gio- 
vane che  si  stende  oltre  verso  il  mare  comprendendo  un  piano 
ad  orizzonte  più  profondo  e che  si  appoggia  discordante  sulla 
prenominata  più  antica;  ed  egli  mi  rimprovera  di  non  aver  ri- 
conosciuta questa  differenza,  e che  in  genere  io  ho  comparato 
in  maniera  erronea  le  formazioni  plioceniche  di  Gerace  con  quelle 
di  Messina,  mentre  le  prime  sarebbero  molto  più  antiche. 

Io  credo  che  il  prof.  Seguenza  sia  qui  in  grave  errore.  Gli 
strati  pliocenici  i quali  s’ inoltrano  maggiormente  verso  il  mare 


— 49  — 


sono  positivamente  la  continuazione  diretta  di  quelli  che  for- 
mano la  collina  di  Gerace,  e la  loro  più  profonda  posizione, 
come  r apparente  discordanza  di  giacitura,  è solo  la  conseguenza 
di  un  rovesciamento. 

Se  finalmente  il  prof.  Seguenza  intende  che  le  formazioni 
plioceniche  di  Gerace  sieno  più  antiche  di  quelle  di  Messina,  a 
me  non  resta  che  fare  le  seguenti  osservazioni.  Mentre  io  nel- 
r anno  1871  ritornava  da  Gerace  a Messina,  e comunicava  al 
prof.  Seguenza  le  fatte  osservazioni,  e a lui  esibivo  una  piccola 
scelta  di  fossili  raccolti,  egli  mi  assicurò  che  le  mie  comunica- 
zioni erano  sufficienti  a convincerlo  che  le  formazioni  plioce- 
niche di  Gerace  erano  corrispondenti  a quelle  di  Messina,  e 
che  appunto  le  marne  bianche  corrispondevano  al  Zancleano,  e 
che  le  sabbie  ed  il  calcare  a Briozoi  corrispondevano  all’ Astiano. 
Io  ho  trovato  nelle  mie  ulteriori  ricerche  presso  Messina  che 
questo  giudizio  si  è sempre  confermato. 

Dovesse  il  prof.  Seguenza  farsi  convinto  per  mezzo  delle  sue 
continue  e precise  ricerche  che  egli  allora  era  in  errore,  così 
pur  io  non  mi  rifiuterei  davanti  a ragioni  sufficienti  ad  accet- 
tare un  miglior  modo  di  vedere. 

Teodoro  Fuchs, 

Custode  delle  Collezioni  paleontologiche 
nell’  I.  R.  Gabinetto  di  Mineralogia 
hi  Vienna. 

Per  la  traduzione  dell’  originale  tedesco, 

Dott.  A.  Manzoni. 


V. 

Strati  a Gong  cria,  formazione  OeningJiiana  e piano  del  cal- 
care di  Leitha  nei  Monti  Livornesi.,  Nota  del  prof. 
G.  Capellini.'' 

Dopo  la  pubblicazione  della  Memoria  Sulla  formazione  ges- 
sosa di  Castellina  Marittima,  avendo  proseguito  lo  studio  dei  ter- 
reni terziari  nella  catena  dei  Monti  Livornesi  e nella  Valle  della 

‘ Dal  Rendiconto  dell’ Accademia  delle  Scienze  di  Bologna.  — Seduta  del  19 
novembre  1874. 


4 


Fine,  anzitutto  mi  riesci  di  scoprire  ivi  pure  gli  strati  a Con- 
geria  nelle  medesime  condizioni  di  quelli  già  fatti  conoscere 
presso  la  Farsica  nella  valle  del  Marmolaio. 

Guidato  dalla  stratigrafia  e dai  caratteri  particolari  di  questo 
importante  orizzonte  geologico,  nello  scorso  ottobre  potei  verifi- 
care la  continuazione  degli  strati  a Congeria  a Lodolaia  presso 
Paltratico  in  una  proprietà  del  signor  Lobin  e a Pane  e Vino 
presso  il  Gabbro. 

In  entrambi  i luoghi  i modelli  dei  piccoli  cardii  e delle  dreis- 
sene  sono  convertiti  in  limonite  come  alla  Farsica  ed  anche  le 
specie  loro  sono  le  stesse  ; devo  soltanto  aggiungere  che  nelle 
marne  di  Lodolaia  e Pane  e Vino  abbondano  i cristalli  di  gesso 
e i fossili  sono  più  scarsi  che  alla  Farsica. 

Dopo  gli  strati  a Congeria  mi  sono  occupato  del  piano  cor- 
rispondente al  calcare  di  Leitha  del  bacino  di  Vienna,  la  cui 
esistenza  in  Italia  già  aveva  sospettato  fino  dal  1868  benché 
allora  non  avessi  colto  esattamente  nel  segno. 

Dopo  avere  di  bel  nuovo  esplorato  lo  stfato  ad  Ostrea 
cochlear  delle  vicinanze  di  Castellina  Marittima,  i calcari  a nul- 
lipore  e le  altre  roccie  che  vi  si  collegano.,  unitamente  al  cal- 
care di  Rosignano  ; seguendo  lo  sviluppo  di  queste  roccie  nei 
monti  livornesi,  presso  Castelnuovo  della  Misericordia  e a Pal- 
tratico trovai  fossili  così  abbondanti  e così  ben  conservati  da 
poterne  facilmente  determinare  le  specie  e risolvere  il  problema 
relativo  alla  fauna  della  panchina  delle  Badie,  S.  Dalmazio  e 
altri  luoghi  ove  si  hanno  soltanto  modelli  e impronte  poco  de- 
cifrabili. 

Finalmente  non  essendo  persuaso  che  il  giacimento  delle  fil- 
liti  del  Gabbro,  delle  quali  aveva  avuto  il  catalogo  dal  prof.  Heer, 
potesse  identificarsi  col  giacimento  di  Cerretello  presso  Castel- 
lina, visitai  anche  quella  importante  località  e potei  verificare 
che  il  giacimento  principale  delle  filliti  del  Gabbro  invece  di 
essere  costituito  da  marne  a Cypris  resulta  in  grandissima  parte 
di  schisti  a diatomeé  identici  a quelli  di  Mondaino  e di  Sicilia 
ove  tali  roccie  costituiscono  la  base  della  formazione  gessosa. 

Questi  schisti,  che  con  vocabolo  molto  espressivo  i minatori 
di  Mondaino  chiamano  cartoni^  si  separano  in  fogli  sottilissimi, 
e fra  essi  stanno  le  numerose  impronte  di  foglie,  molluschi,  pesci. 


51  — 


Alla  base  di  questa  formazione  si  trovano  strati  marnosi  con 
piromaca  e connessi  con  questi  vi  hanno  marne  zeppe  di  im- 
pronte di  Ervilia  podolica  e di  altre  bivalvi  riferibili  ai  generi 
Lucina,  Pecten,  Modiola,  per  cui  non  riesce  difficile  di  scorgere 
in  queste  marne  il  vero  corrispondente  delle  marne  a Ervilia 
del  Sarmatiano  inferiore  del  bacino  di  Vienna  ; formazione  semi- 
salmastra che  serve  di  nesso  fra  la  serie  superiore  degli  schisti 
a diatomee  (serie  di  Mondaino,  inferiore  alla  serie  di  Sinigallia) 
ed  il  calcare  di  Castelnuovo  e la  melassa  di  Paltratico,  pan- 
china delle  Badie,  Castellina,  ecc.,  corrispondente  al  calcare 
di  Leitha. 

Coordinando  tutti  questi  elementi  e tenendo  conto  dell’  or- 
dine con  cui  si  incontrano  nella  Valle  della  Fine,  si  ha  dall’  alto 
in  basso  la  seguente  importantissima  serie  che  mi  propongo  di 
illustrare  quanto  prima  con  lavoro  speciale. 

1.  Argille  turchine  plioceniche  di  tutta  la  Valle  della  Fine. 

IL  Sabbie  gialle  marnose  compatte,  analoghe  a quelle  di 
Biosto,  Mongardino,  Siena;  ma  poco  potenti.  Valle  della  Fine 
presso  Pane  e Vino. 

III.  Strati  a Congeria  a Lodolaia  e Pane  e Vino;  con  fauna 
identica  a quella  della  Farsica,  quindi  analoga  all’  altra  del  cal- 
care di  Odessa. 

IV.  Marne  argillose  con  larve  di  Libellula,  filliti,  Lebias 
crassicaudus  presso  Pane  e Vino  ; serie  analoga  a quella  di  Cer- 
retello,  quindi  corrispondente  alla  formazione  di  Sinigallia,  ossia 
all’  Oeninghiano  superiore. 

V.  Schisti  a diatomee  con  filliti,  pesci  ec.,  del  Gabbro;  for- 
mazione identica  a quella  di  Mondaino,  ossia  all’  Oeninghiano 
inferiore. 

VI.  Schisti  a diatomee  con  selce  menilite  del  Gabbro. 

VII.  Marne  indurate  con  noccioli  di  piromaca  del  Gabbro. 

Vili.  Marne  a Ervilia  del  Gabbro,  con  imprante  di  bivalvi 

anche  di  altri  generi;  corrispondenti  alle  marne  a Ervilia  po- 
dolica  alla  base  del  Sarmatiano  nel  bacino  di  Vienna. 

IX.  Melassa  di  Paltratico  ; calcare  di  Castelnuovo,  Rosi- 
gnano  ec.;  corrispondente  del  calcare  di  Leitha  nel  bacino  di 
Vienna. 


52  — 


VI. 

Le  formazioni  paleozoiche  nelle  Alpi  Meridionali, 
Nota  di  G.  Stache. 

(Estratto  dai  Verhandlungen  der  h.  k.  geolog.  BeicTis.,  1874,  N.  14.) 

Questa  seconda  parte  del  mio  lavoro  sui  terreni  paleozoici 
delle  Alpi  Orientali/  che  sarà  pubblicata  prossimamente,  com- 
prende i dati  raccolti  in  varie  pubblicazioni  ed  i resultati  di 
osservazioni  eseguite  direttamente  sopra  le  formazioni  paleozoiche 
che  si  estendono  ad  occidente  del  gruppo  delle  Alpi  Carnicbe, 
ed  offre  i primi  elementi  per  lo  studio  della  stratigrafia  e della 
costituzione  geologica  di  questa  zona. 

Sebbene  mi  sia  stato  possibile  di  esporre  in  queste  conside- 
razioni, oltre  alle  osservazioni  fatte  nello  scorso  anno,  ancora 
alcune  altre  fatte  nei  mesi  di  luglio,  agosto  e settembre  di 
quest’  anno,  non  ebbi  tempo  però  di  aggiungervi  le  conclusioni, 
e più  esatti  schiarimenti  alle  singole  osservazioni  e le  sezioni 
illustrative  di  questa  zona  del  territorio  paleozoico  alpino.  Nella 
parte  successiva  del  mio  lavoro,  cioè  la  terza,  che  tratterà  della 
zona  più  orientale  o delle  Alpi  Giulie,  avrò  occasione  di  esami- 
nare in  un  capitolo  di  conclusioni  l’ intiero  distretto  alpino  me- 
ridionale e di  presentare  profili  sopra  le  più  importanti  zone  del 
medesimo. 

Le  località  della  zona  occidentale  di  cui  ora  è parola,  e che 
constano  in  gran  parte  di  strati  e masse  paleozoiche,  sono  : l'"  La 
grande  catena  delle  filladi  quarzose  della  Pusterthal.  2”  Le  mon- 
tagne porfiriche  del  Tirolo  meridionale.  3"*  Il  distretto  di  Cima 
d’ Asta  con  Val  Sugana  e Vali’ Alta  Agordo.  L’isola  degli 
scisti  di  Eecoaro.  5°  Il  gruppo  dell’ Adamello.  6^"  Il  gruppo  prin- 
cipale della  Valtellina.  T II  distretto  del  Monte  Muffetto  con  la 
Val  Trompia. 

Mi  sembrano  molto  interessanti  per  lo  studio  della  costitu- 
zione geologica  e per  lo  sviluppo  della  serie  stratigrafica  delle 

* G.  Stache,  Die  palàozoischeyi  Gebicte  der  Ostalpen  ; D Mittlerer  oder 
karnischer  Hauptzug.  {Jahrbuch  der  k.  k.  geologischen  Richsanstalt,  B.  XXIV, 
N.  2;  Wien  1874). 


53 


Alpi  Meridionali  i seguenti  resultati  fondati  sull’ esame  di  osser- 
vazioni antecedenti  e di  quelle  ultimamente  da  me  eseguite. 

1°  Gli  strati  del  gruppo  delle  filladi  gneissiche  formano  la 
base  di  tutta  la  zona  occidentale,  ma  compariscono  in  modo  di- 
stinto soltanto  nelle  rotture  e negli  spostamenti  degli  strati. 

2°  Lo  sviluppo  principale  del  granito  orneblendico  diversa- 
mente  nominato  da  vari  autori  (Granitite,  Sienite,  Tonalite  ec.), 
si  ritrova  con  molta  probabilità  al  limite  del  gruppo  delle  filladi 
gneissiche  con  quello  delle  filladi  quarzose. 

3°  La  massa  principale  delle  filladi  quarzose  circonda  a guisa 
di  mantello  le  masse  e le  correnti  granitiche  torreggianti  le  une 
sulle  altre  in  forma  di  cupole.  Questa  conformazione  fu  però  in 
parte  disturbata  in  una  grande  estensione  e probabilmente  per 
causa  delle  rotture  per  incurvamento  degli  strati,  le  quali  ebbero 
per  conseguenza  uno  sprofondamento  di  certe  parti  e quindi  un 
più  forte  sollevamento  della  massa  principale  granitica  formante 
r ossatura  della  montagna,  e ciò  in  seguito  a nuove  fratture  ed 
a cambiamenti  meccanici  di  equilibrio  nel  sistema  montuoso  do- 
vuti ad  ulteriori  eruzioni  di  masse  pluto-vulcaniche. 

40  II  gruppo  delle  filladi  quarzose  e il  gruppo  delle  rocce 
porfiriche,  (cioè  i conglomerati  rossi,  le  brecce,  i tufi  e le  are- 
narie che  sono  connesse  per  origine  colle  masse  porfiriche)  sono 
i due  principali  complessi  di  rocce  costituenti  la  zona  occiden- 
tale, alla  cui  suddivisione  potranno  condurre  specialmente  ulte- 
riori studi. 

5°  Il  primo  gruppo  contiene  in  particolar  modo  i rappre- 
sentanti della  formazione  più  antica  della  Grauvacke  e anche  di 
orizzonti  più  antichi  0 presiluriani.  Roccie  del  gruppo  delle  fil- 
ladi calcareo-argillose,  come  quelle  che  corrispondono  al  tipo 
delle  pure  grauvacche  oppure  sono  loro  molto  affini,  trovansi  in 
mezzo  alla  serie  potente  delle  filladi  quarzose  alle  quali  sono 
subordinate.  Uno  studio  più  dettagliato  di  questa  zona  farà  co- 
noscere se  esse  vi  si  trovino  solo  come  masse  stratificate  con- 
nesse colla  formazione  principale,  0 rappresentino  forme  locali  di 
qualche  orizzonte  di  filladi  quarzose. 

6®  Il  secondo  gruppo  abbraccia  particolarmente  gli  equiva- 
lenti della  formazione  permiana,  ma  in  basso  colle  sue  più  pro- 
fonde breccie  quarzitiche  e colle  più  antiche  masse  porfiriche 


— 54  — 


raggiunge  probabilmente  il  periodo  carbonifero  superiore.  Le 
oscillazioni  di  livello  lungo  le  coste,  che  vengono  dimostrate 
nella  linea  principale  delle  Alpi  Gamiche  dall -alternanza  di  strati 
a fauna  marina  con  depositi  del  carbonifero  superiore  ricchi  di 
piante  terrestri,  trovano  una  spiegazione  nel  principio  dell’  atti- 
vità pluto-vulcanica  nella  zona  dell’  antico  golfo  di  Trento. 

7°  Nel  territorio  già  occupato  da  questo  golfo,  durante  il 
periodo  dell’  attività  eruttiva,  il  complesso  dei  depositi  già  for- 
matisi fu  per  conseguenza  sconvolto  e coperto  sopra  grandi  esten- 
sioni. Che  una  volta  esistessero  in  questo  territorio  strati  più 
antichi,  lo  provano  fra  le  altre  le  osservazioni  di  Giimbel  sopra 
i frammenti  di  roccie  carboniose  inclusi  nei  porfidi  di  Bolzano,  e 
alcune  osservazioni  sopra  1’  esistenza  di  frammenti  inclusi  di  un 
calcare  più  antico  nel  porfido  rosso  delle  vicinanze  di  Merano. 

8°  Verso  1’  alto  sta  il  gruppo  dei  porfidi  e dell’  arenaria 
rossa  che , con  graduati  passaggi  si  connette  col  trias  inferiore. 
L’  arenaria  di  Gròden,  o piuttosto  tutte  quelle  formazioni  com- 
prese sotto  questa  denominazione,  rappresentano  diversi  piani 
dal  permiano  fino  al  trias  inferiore.  Esse  sono  connesse  in  par- 
ticolar  modo  coi  calcari  neri  e cogli  scisti  marnosi  di  Piccolein 
e Nombladè  presso  San  Martino  nella  valle  del  Gader,  che  la 
Carta  del  Tirolo  rappresenta  in  gran  parte  come  calcare  alpino 
inferiore  e che  da  Richthofen,  verso  la  loro  parte  superiore,  fu- 
rono aggiunti  ai  suoi  strati  di  Seiss  ; essi  sono  da  riguardarsi 
come  appartenenti  al  permiano  superiore  o come  membro  in- 
termedio fra  la  formazione  permiana  e il  trias,  e sarebbero  equi- 
valenti in  parte  al  gruppo  dello  Zechstein,  in  parte  all’  arenaria 
rossa  triassica. 

9°  If  complesso  di  strati  calcarei  ora  rammentati,  molto 
sviluppato  nelle  Alpi  Meridionali,  compreso  fra  gli  strati  più  pro- 
fondi dell’  arenaria  di  Gròden  e gli  strati  di  Seiss,  contiene  nelle 
parti  più  alte  dei  passaggi  alla  fauna  di  questi  ultimi  strati  con 
Fosid.  darai  e nelle  più  basse  degli  indizi  di  una  nuova  fauna 
mista  permiana  o permiano-triassica.  Io  credo  che  una  quantità 
di  forme  che  io  trovai  in  una  escursione  fatta  in  compagnia  del 
signor  von  Hauer  allo  scopo  di  fare  ricerche  sulla  esistenza  di 
una  fauna  più  antica  in  questi  calcari,  si  possono  riferire  assai 
bene  a specie  della  formazione  permiana.  Unitamente  al  Belle- 


— 55 


rophon  sp.,  Falaechinus  sp.  (King),  Spirifer  sp.,  Turbo  cf.  Thom- 
sonianus  King,  Avicula  cf.  speluncaria  Schlot.  sp.,  Mytilus  cf. 
Fallasi  de  Vern.,  vi  sono  alcune  forme  paleozoiche  trovate  da 
Hòrnes  che  accennano  ad  una  tale  fauna  di  passaggio. 

10°  La  circostanza  che  anche  nelle  montagne  della  valle 
della  Gail  alla  base  del  sistema  triassico  compaiono  faune  che 
differiscono  da  quelle  finora  conosciute  dell’  orizzonte  triassico 
inferiore,  fa  credere,  dietro  le  suesposte  osservazioni,  che  nelle 
Alpi  Meridionali  possano  trovarsi  faune  di  transizione  che  riem- 
piano i vacui  attualmente  esistenti  tra  la  fauna  marina  della 
formazione  carbonifera  e di  quella  triassica. 


VII. 

La  formazione  permiana  nelle  Alpi  Meridionali, 

Nota  di  G.  Stache. 

(Estratto  dai  Verhandlungen  der  k.  k.  geolog.  ReicTis.,  1874,  N.  15.) 

A conclusione  delle  notizie  già  pubblicate  ‘ sopra  1’  esistenza 
della  formazione  permiana  nelle  Alpi  Meridionali,  V autore  dà 
un  breve  cenno  sulla  estensione  e sulla  costituzione  del  com- 
plesso di  strati  che  ivi  si  trovano  tra  il  carbonifero  superiore 
e il  trias. 

Come  importante  appendice  ai  dati  già  pubblicati,  mette  in 
rilievo  il  resultato  delle  precedenti  ricerche  sui  petrefatti  tro- 
vati nel  calcare  bituminoso  delle  valli  del  Gader  e delFAfferer. 

Sebbene  in  seguito  ad  una  più  copiosa  raccolta  di  materiali 
e ad  uno  studio  più  esatto  ne  possa  derivare  una  precisa  e spe- 
cifica determinazione,  nulladimeno  si  può  fin  d’  ora  ritenere  con 
una  certa  sicurezza  questa  fauna  come  permiana  superiore.  An- 
che i resti  di  una  piccola  fauna  con  nuove  specie  rinvenuta  a 
Sud  di  San  Martino  negli  strati  a Bellerophon  di  questo  gruppo 
in  una  escursione  intrapresa  per  studiare  questa  zona  calcarea, 
mostrano  certi  stretti  rapporti  colle  forme  permiane  da  mettere 


‘ Ved.  la  nota  precedente. 


56  — 


fuori  di  dubbio  la  corrispondenza  di  questi  strati  e della  sotto- 
stante arenaria  di  Grbden  colla  formazione  permiana  superiore; 
inoltre  le  precedenti  ricerche  di  E,.  Hoernes  sui  calcari  fossiliferi 
raccolti  nel  complesso  di  strati  già  citato  presso  il  piano  a JBeì- 
leropJion  (VerhandUtngen  1874,  N.  14),  dettero  a questa  opinione 
un  nuovo  appoggio.  L’  autore  constatò  in  questi  calcari  grigi  che 
di  prevalenza  trovansi  al  Ruefenberg  presso  le  sorgenti  dell’Af- 
ferer,  la  presenza  di  Froductus,  Ortliis  e Spirifer  e osservò  che 
una  parte  di  esse  era  molto  analoga  alle  specie  già  conosciute 
della  formazione  permiana. 

La  formazione  permiana  delle  Alpi  Meridionali,  come  può  ri- 
levarsi dalle  ricerche  fatte  fino  al  presente,  sta  in  stretto  legame 
col  trias  in  alto  e col  carbonifero  superiore  in  basso.  Se  nel 
complesso  degli  strati  rossi  di  Werfen  o più  specialmente  degli 
strati  detti  di  Campii  dal  von  Richthofen  si  può  scorgere  un 
equivalente  del  Fbth,  allora  è appunto  nel  complesso  conosciuto 
col  nome  di  arenaria  di  Groden  che  si  comprendono  tanto  le 
arenarie  variegate  {Buntsandstein)  quanto  la  parte  superiore  del 
permiano,  ed  un  più  esatto  studio  insegnerà  di  quanto  l’una  deve 
esser  tenuta  separata  dall’  altra. 

Il  carattere  petrografico  e paleontologico  è oltracciò,  tanto 
ad  Est  come  ad  Ovest,  molto  differente  da  quello  della  zona 
principale  dei  porfidi  quarzitici  permiani  del  Tirolo  meridionale. 
Ad  Ovest  nella  zona  permiana  del  gruppo  dell’ Adamello,  della 
Val  Trompia  e delle  Alpi  bergamasche  al  Sud  della  Valtellina, 
prevalgono  fino  dalla  epoca  carbonifera  le  formazioni  dei  conglo- 
merati, delle  arenarie  e dei  tufi  con  resti  di  piante  terrestri  e 
influenzate  dalle  eruzioni  dei  porfidi  quarziferi.  Nella  parte  più 
orientale  (catena  carnica)  comincia  il  predominio  delle  formazioni 
calcaree  e dolomitiche  al  limite  della  formazione  carbonifera  su- 
periore, e questo  predominio  si  mantiene  fino  al  trias  inferiore. 
Soltanto  in  alcuni  punti,  come  in  special  modo  nella  zona  com- 
presa tra  la  Gail  e la  Brava,  prende  anche  qui  un  grande  svi- 
luppo la  formazione  dell’arenaria  rossa.  A maggior  prossimità  a 
Nord  e ad  Est  della  zona  dei  porfidi  quarzitici,  come  ad  esem- 
pio nel  tratto  compreso  tra  la  valle  di  Sexten  e la  zona  delle  valli 
del  Gader,  dell’  Afferer  e di  Groden  il  carattere  petrografico 
cambia  affatto;  alla  formazione  arenacea  si  sostituiscono  degli 


— 57  — 


strati  calcarei  che  compariscono  appunto  nel  piano  più  alto  del 
sistema  permiano.  Una  disposizione  analoga  sembra  aver  luogo 
in  molti  punti  del  limite  Est,  Sud  ed  Ovest  della  zona  delle  fil- 
ladi quarzose  dei  monti  di  Cima  d’Asta,  e si  osserva  anche  nei 
dintorni  della  valle  di  Ulten  al  Sud  di  Merano  uno  stretto  le- 
game degli  strati  calcarei  colla  arenaria  rossa  permiana. 

Dappoiché  le  ricerche  di  dettaglio  nella  zona  della  forma- 
zione permiana  alpina,  come  pure  la  raccolta  dei  fossili  carat- 
teristici animali  e vegetali  trovansi  ancora  nei  loro  primordii,  così 
r autore  spera  con  lavori  successivi  di  poter  stabilire  una  com- 
parazione e un  parallelismo  tra  questa  e le  formazioni  permiane 
della  Kussia,  della  Germania,  dell’  Inghilterra,  dell’  America,  ec. 


NOTIZIE  BIBLIOGRAFICHE. 


JuLES  Brune  AUT,  ing.  Ci  vii.  — De  VExploitation  des  Soufres. 

Paris  1874. 

Questo  libro  è specialmente  dedicato  all’  Italia,  dappoiché  essa 
possiede  i più  grandi  e più  ricchi  giacimenti  di  solfo  conosciuti 
al  presente,  potendosi  asserire  senza  tema  di  errare,  essere  essa 
r unica  produttrice  di  questo  importante  metalloide.  Scopo  pre- 
cipuo dell’Autore  é stato  quello  di  dimostrare  che  l’ industria  del 
solfo  in  Italia  produce  una  parte  ben  meschina  del  frutto  di  cui 
é suscettibile,  e che  la  causa  principale  di  ciò  sta  nel  difetto  di 
una  legge  che  ne  determini  l’ incremento. 

Incomincia  infatti  col  citare  le  diverse  legislazioni  minera- 
rie che  vigevano  coi  cessati  governi,  enumera  i vantaggi  e i 
danni  da  esse  arrecati  alla  industria  mineraria  in  generale,  e 
viene  alla  conseguenza  che  la  legge  Sarda  del  1859  é la  mi- 
gliore ed  é la  sola  che  possa  dare  maggiore  sviluppo  alla  indu- 
stria solfifera  della  Sicilia.  A tal  fine  fa  vedere  quanto  siasi 
accresciuta  la  produzione  nelle  Romagne  dal  1868  al  1871,  ove  é 
in  vigore  la  legge  Sarda,  e di  quanto  é diminuita  in  Sicilia  nello 
stesso  periodo  di  tempo  per  il  difetto  di  una  legislazione. 


— 58  — 


Viene  quindi  a fare  la  descrizione  topografica  e geologica  dei 
giacimenti  solfiferi,  ed  incomincia  con  una  breve  discussione  sulla 
formazione  dei  terreni  italiani.  Descrive  in  prima  il  bacino  solfi- 
fero  di  Apt  nel  dipartimento  di  Val  chiusa  in  Francia,  il  quale 
è in  via  d’  esplorazione  e sembra  offrire  buone  speranze.  Parla 
poi  della  zona  solfifera  delle  Komagne  e la  illustra  con  diversi 
profili  geologici  : quindi  scende  alla  Toscana,  accenna  brevemente 
al  bacino  solfifero  romano  ed  alla  formazione  vulcanica  che  si 
estende  dal  Monte  Amiata  al  Vulture,  e poi  entra  a discorrere 
dei  principali  giacimenti  solfiferi  italiani,  quelli  cioè  della  Sicilia. 

Dopo  di  ciò  fa  una  breve  storia  della  lavorazione  delle  mi- 
niere in  Italia,  e descrive  i mezzi  impiegati  attualmente  per  la 
coltivazione  del  solfo  in  Sicilia,  nelle  Romagne  e in  Vaichiusa. 
Mette  a nudo  gli  inconvenienti  che  si  verificano  specialmente  in 
Sicilia  per  la  mancanza  di  viabilità,  per  V inerzia  degli  operai  e 
per  la  poca  abilità  dei  preposti  alla  lavorazione.  Parla  del  modo 
con  cui  sono  esercitate  le  miniere  del  solfo,  riguardo  alla  esca- 
vazione  ed  estrazione  dall’  interno  della  miniera,  come  anche  ri- 
guardo alla  aereazione  di  esse  e al  trasporto  del  minerale  ai 
luoghi  di  deposito.  Dimostra  che  i mezzi  adottati  allo  stesso  scopo 
nelle  Romagne  sono  relativamente  molto  migliori. 

Viene  poi  a dare  delle  speciali  descrizioni  minutamente  par- 
ticolareggiate di  alcune  lavorazioni  solfifere  ed  incomincia  dalla 
Sicilia.  Dice  che  nelle  provincie  di  Catania  e Caltanissetta  so- 
pra 457  miniere  constatate,  solamente  70  sono  coltivate.  Nelle 
provincie  di  Trapani,  Girgenti  e Palermo  sono  563  constatate, 
delle  quali  67  sono  abbandonate  e 150  poco  lavorate.  Anche 
nelle  Romagne,  di  35  giacimenti  solfiferi,  soli  17  sono  attualmente 
lavorati  essendo  gli  altri  abbandonati  per  cause  diverse. 

Come  conclusione  dei  suoi  studi,  1’  Autore  espone  alcune  con- 
siderazioni generali  sui  sistemi  da  adottarsi  per  ottenere  un  mi- 
glioramento nella  coltivazione  delle  miniere  di  solfo.  Ritorna  nuo- 
vamente sulla  necessità  di  una  buona  legislazione  mineraria  che 
tuteli  gli  interessi  nazionali  : dimostra  P utilità  delle  scuole 
minerarie  e propone  i mezzi  migliori  sia  per  la  lavorazione  in- 
terna, sia  per  i trasporti  alla  superficie. 

L’  ultima  parte  di  questo  lavoro  è dedicata  al  trattamento  del 
minerale  di  solfo.  In  essa  sono  descritti  gli  antichi  sistemi  di 


— 59  - 


estrazione  del  solfo  dalla  sua  roccia  in  uso  anche  oggidì  (calcarella 
e calcarone)^  ne  sono  rappresentati  gli  inconvenienti  e sono  discussi 
metodi  nuovi,  alcuni  fondati  sull’  impiego  del  calore  di  contatto 
per  la  liquefazione  del  solfo,  altri  sull’  applicazione  al  medesimo 
oggetto  del  vapore  d’  acqua,  altri  finalmente  sullo  impiego  del 
solfuro  di  carbonio.  Presenta  infine  un  progetto  di  fabbricazione 
dell’  acido  solforico  e del  solfato  e carbonato  di  soda,  il  quale 
crede  incontrerebbe  poche  difficoltà  in  Sicilia;  e dimostra  che 
l’Italia,  la  quale  fornisce  così  abbondante  quantità  di  solfo, 
potrebbe  emanciparsi  dalle  altre  nazioni  per  1’  acquisto  dei  pro- 
dotti che  da  esso  derivano. 


CENNO  NEGROLOGICO. 


Annunziamo  con  dolore  la  morte  dell’  illustre  geologo  G.  B.  G. 
d’  Omalius  d’  Hallot  avvenuta,  dopo  lunga  e dolorosa  malattia, 
a Bruxelles  il  15  gennaio  1875. 

Egli  era  nato  a Liegi  il  16  febbraio  1783.  Fu  Senatore, 
membro  dell’  Accademia  Beale  del  Belgio,  della  quale  fu  pre- 
sidente nel  1850,  corrispondente  dell’  Istituto  di  Francia  e membro 
della  Società  Geologica  di  Parigi:  pubblicò  un  gran  numero  di 
lavori  scientifici,  fra  i quali  citeremo  i seguenti 

1831.  Eléments  de  géoìogie. 

1833.  Introduction  à la  geologie. 

1841.  JDes  rocìies  considérées  minéralogiquement. 

1843.  Précis  élémentaire  de  géoìogie. 

1853.  Abrégé  de  géoìogie. 

oltre  a molte  Memorie  inserite  nei  periodici  scientifici  della 
Francia  e del  Belgio. 


^ 60  — 


Bibliografia  mineralogica,  geologica  e paleontologica 

della  Toscana. 

(Continuazione. — Vedi  Bollettino  1874,  N.  11-12.) 

in.  Paleontologia. 

In  questa  terza  parte  si  comprendono  tanto  gli  scritti  di  Pa- 
leozoologia e Paleoetnologia  che  di  Paleofitologia. 

Alberti  Luigi.  Sopra  alcuni  fossili  donati  all’  Accademia  Yaldarnese.  — 
V.  Meni.  Vàldarnesi,  tom.  Ili,  pag.  9.  Pisa,  1842. 

Appelius  F.  L.  Catalogo  delle  Conchiglie  fossili  del  Livornese  desunto 
dalle  collezioni  del  defunto  G.  B.  Caterini.  — Y.  Boll.  Malacolog.., 
tom.  III.  Pisa,  1870. 

Baldassari  Giuseppe.  Descrizione  di  una  mascella  fossile  straordinaria 
trovata  nel  territorio  Sanese.  — Y.  Att.  Acc.  Fisiocrit,  tom.  Ili, 
pag.  243.  Siena  1767. 

Brocchi  G.  B.  Conchigliologia  fossile  subappennina  ed  osservazioni  geo- 
logiche sugli  Appennini  e sul  suolo  adiacente.  Milano,  1814,  ri- 
stampa, 1843. 

Caluri  Francesco.  Osservazioni  sopra  una  conchiglia  fossile  non  alterata 
creduta  di  un  nuovo  genere,  ritrovata  dentro  un’  altra  conchiglia 
fossile  non  alterata  della  campagna  senese.  — Y.  Att.  Acc.  Fisiocr,, 
tom.  ni,  pag.  262.  Siena,  1767. 

Cantraine  F.  Malacologie  méditerranéenne  et  des  terrains  tertiaires 
italiens.  — Y.  Nuov.  Meni,  de  VAc.  r.  d.  Se.  et  bell.  ìettr.,  tom.  XIII.  1840. 

Capellini  Giovanni.  Sulla  Balena  etnisca.  — Y.  Acc.  Ist.  Se.  Bologna 
ser.  3,  tom.  III.  Bologna,  1873. 

Fossili  dei  dintorni  di  Porretta.  — Y.  Boll.  Coniit.  geol.  Ital. 

N.  7-8,  1874,  pag.  248. 

Cocchi  Igino.  Sulla  supposta  antichità  delie  società  umane  nella  Italia 
centrale.  Firenze,  1864. 

Lettere  su  di  un  sepolcreto  umano  scoperto  in  Firenze.  — Y.  gior- 
nale La  Nazione  N.  148  e 153.  Firenze,  1864. 

Di  alcuni  resti  umani  e degli  oggetti  di  umana  industria  dei 

tempi  preistorici  raccolti  in  Toscana.  — ■ Y.  Meni.  Soc.  ital.  Se.  Nat., 
tom.  I,  N.  7.  Milano,  1865. 

L’uomo  fossile  nell’ Italia  centrale.  — Y.  Bleni.  Soc.  ital.  Se.  Natur., 

tom.  II,  N.  7.  Milano,  1867. 


Su  due  scimmie  fossili  italiane.  — Y.  Boll.  Comit.  geol.  Ital.  nu- 
mero 3-4.  1872. 

* Nel  giornale  La  Nazione  di  Firenze,  del  27  febbraio  1872,  parla  delle 
scimmie  fossili  di  Monte  Bamboli  e Val  d’Arno  Superiore. 


61 


Cocchi  Igino.  Catalogo  N.  1 della  collezione  centrale  italiana  di  Paleonto- 
logia. — Raccolta  di  oggetti  dei  tempi  preistorici.  Firenze,  1872. 

D’Achìardi  Antonio.  Di  alcune  caverne  e brecce  ossifere  dei  monti  Pi- 
sani. — Y.  Nuovo  Cimento,  voi.  XXV,  pag.  305.  Pisa,  1867. 

Della  Grotta  ali’  Onde  nel  Monte  Matanna  (Alpi  Apuane).  — 

V.  Nuovo  Cimento,  voi.  XXVI,  pag.  32.  Pisa,  1867. 

Sulla  probabile  esistenza  di  resti  di  antichissime  industrie  umane 

nella  così  detta  terra  gialla  di  Siena.  — V.  Boll.  Comit.  geol.  Ital., 
X.  11-12.  Firenze,  1872. 

Dami  G.  B.  Sul  Museo  dell’Accademia  Valdarnese  e sugli  oggetti  ivi 
depositati  fino  dall’  anno  1845.  — V.  Mem.  Valdarnesi,  tom.  IV,  parte 
scient.  pag.  18.  Pisa,  1855. 

D’ Ancona  Cesare.  Sulle  Xeritine  fossili  dei  terreni  terziari  superiori 
dell’  Italia  centrale.  — V.  Bull.  Malacol.  Italiano,  An.  II,  X.  2. 
Pisa,  1869. 

Malacologia  pliocenica  italiana.  — V.  Mem.  Comit.  geol.  Italiano 

voi.  1 e voi.  II.  1871-73. 

Davidson  Thomas.  On  Italian  tertiary  Brachiopoda.  London,  1870. 

De  Saussure ^ 

De  Stefani  Carlo.  Fossili  pliocenici  dei  dintorni  di  S.  Miniato;  mollu- 
schi bivalvi  ed  univalvi.  — V.  Bollettino  Malac.  It.  Pisa  1873. 

Foresi  Raffaele.  Prodotti  dell’  industria  primitiva  dell’  uomo  all’  isola 
d’ Elba.  — V.  giornale  II  Diritto  del  24  agosto  1865. 

Dell’  età  della  pietra  all’  isola  d’ Elba  e di  altre  cose,  che  le  fanno 

accompagnatura.  Lettera  al  prof.  Cocchi.  Firenze,  1865. 

Sopra  una  collezione  composta  di  oggetti  preistorici  trovati  nel- 

l’ isole  dell’  Arcipelago  Toscano  e inviati  alla  mostra  universale  di 
Parigi  del  1867.  Lettera  a L.  Simonin.  Firenze,  1867. 

Friger.  — V.  Saemann. 

Gastaldi  Bartolommeo.  Intorno  ad  alcuni  fossili  della  Toscana  e del  Pie- 
monte. — Mem.  Ac.  Se.  Torino.  Torino,  1865. 

Gaudin  Charles.  Xote  sur  quelques  emprumptes  végétales  des  terrains 
supérieurs  de  la  Toscane.  — Bull.  Soc.  Vaudoise  de  Se.  Natur.,  X.  41. 
Lausanne,  1857. 

Gaudin  Ch.  e Strozzi  G.  Mémoire  sur  quelques  gisements  de  feuilles  de 
la  Toscane.  Zurich,  1858. 

Contribution  à la  flore  fossile  italieiine.  I Val  d’ Arno,  Zurich,  1859. 

II  Massa  Marittima,  Zurich,  1859.  Ili  Travertin^hoscans,  Zurich,  1860. 

Gervais  Paul.  Coup  d’oeil  sur  les  mammifères  fossiles  de  l’Italie,  suivi 
de  la  déscription  d’une  éspèce  nouvelle  provenante  des  lignites  de 
Monte  Bamboli.  — V.  Bull.  Soc.  geol.  France,  ser.  2,  tom.  XXIX, 
pag.  92.  Paris,  1872. 

Sur  un  singe  fossile  d’éspèce  non  encore  décrite,  qui  a été  de- 


scrisse sull’  Elba,  ma  non  so  che  cosa,  nè  dove. 


1 


- 62 


couverte  au  Monte  Bamboli.  — V.  Compt.  rend.  Ac.  Se.,  tom.  LXXIY 
6 mai,  1872.  Paris. 

Giuli  Giuseppe.  Sopra  il  cavallo  fossile  gigante,  1835. 

Lawley  Roberto.  Sopra  i resti  fossili  di  pesci  trovati  ad  Orciano.  — 
V.  Mem.  Soc.  tose.  Se.  nat.,  31  maggio  1874.  Pisa,  1875. 

Major  C.  J.  Note  sur  des  singes  fossiles  trouvés  en  Italie,  précedée  d^un 
apergu  sur  les  quadrumanes  fossiles  en  général,  Milan  1872. 

La  faune  des  vértebrés  de  Monte  Bamboli.  — Y.  AU.  Soc.  Itàl. 

Se.  Natur.,  voi.  XY,  fase.  lY.  1873. 

Bémarques  sur  quelques  mammifères  post-tertiaires  de  l’Italie, 

suivies  de  considérations  générales  sur  la  faune  de  Mammifères 
postertiaires.  — Y,  Att.  Soc.  ital.  Se.  Natur.,  voi.  XY,  fase.  Y.  1873. 

Ueber  fossile  Rhinoceros-arten  Italiens.  — Y.  Verhandlungen  d.  h. 

le.  geol.  BeicJis.,  20  jan.  1874. 

Sopra  alcuni  Rinoceronti  fossili  in  Italia,  — Y.  Boll.  Comit.  geol. 

Ital,  N.  3-4.  1874. 

Considerazioni  sulla  fauna  dei  Mammiferi  pliocenici  e postplio- 
cenici della  Toscana.  — Y.  Mem.  Soc.  tose.  Se.  Natur.,  maggio  1874. 
Pisa,  1875. 

Manzoni  Angelo.  Saggio  di  Concbiologia  fossile  subappennina.^  Fauna 
delle  sabbie  gialle.  Imola,  1868. 

Briozoi  fossili  italiani.  — Y.  Sitsh.  d.  le.  Ale.  d.  Wissenscìi.  Bd.  LIX. 

Wien,  1869. 

Manzoni  Angelo  e Gentiluomo  Cammillo.  Annotazioni  al  saggio  di  Con- 
cbigliologia  fossile  subappennina.  Fauna  delle  sabbie  gialle.  — 
Y.  Boll,  malacol.  Ital,  voi.  III,  N.  1,  pag.  24.  Pisa,  1870. 

Martini  Francesco.  Ragguaglio  sull’  escavazione  dei  fossili  della  pro- 
vincia Yaldarnese.  — Y.  Mem.  valdarnesi,  tom.  Ili,  parte  2.  pag.  1. 
Pisa,  1842. 

Meneghini  e Savi.  Nuovi  fossili  del  Yerrucano,  Pisa,  1851. 

Meneghini  Giuseppe.  Nuovi  fossili  toscani.  — Y.  Ann.  Univers.  toscane, 
tom.  III.  Pisa,  1853. 

Notice  of  thè  recent  advances  of  Palaeontological  discovery  in 

Tuscany.  — Y.  The  report  ofthe  Brit.  Assoc.  avanc.  Se.  Dublin,  1857. 

Descrizione  dei  resti  di  due  fiere  trovate  nelle  Ligniti  mioceniche 

di  Monte  Bamboli.  — Y.  Att.  Soc.  ital.  Se.  Natur.,  voi.  lY.  Milano,  1862. 

Dentex  Mùnsteri,  specie  di  pesce  delle  argille  subappenniniche 

del  Yolterrano.  — Y.  Ann.  Università  tose.,  tom.  YIII.  Pisa,  1864. 

Mitra  Caterinii.  Nuova  specie  di  Conchiglia.  Livorno,  1868. 

Studi  sugli  Echinodermi  fossili  neogenici  di  Toscana.  — A.  Siena 

e il  suo  territorio.  Siena,  1862.  {Continua.) 

‘ Sono  segnatamente  rammentate  le  conchiglie  fossili  di  Vallebbiaja  presso 

Fauglia  (provincia  di  Pisa). 


(Continuazione.) 


Memorie  per  servire  alla  descrizione  della  Carta  teologica 
d’Italia.  — Volume  II,  Parte  P;  Firenze  1873.  — 272  pa- 
gine in-4°  con  11  tavole,  due  Carte  geologiche  ed  incisioni 
intercalate  nel  testo. 

Comprende  le  seguenti  Memorie  : 

Introduzione.  — Monografia  geologica  dell’  Isola  d’ Ischia, 
con  la  Carta  geologica  della  medesima  in  fol.  e incisioni  nel 
testo,  del  professor  C.  W.  C.  Fuchs.  — Esame  geologico  della 
catena  alpina  del  San  Gottardo,  che  deve  essere  attraversata 
dalla  grande  Galleria  della  Ferrovia  Italo-Elvetica,  con  una 
Carta  geologica  in  fol.  e due  tavole  di  Sezioni  in  fol.,  dell’in- 
gegnere F.  Giordano.  — Appendice  alla  Memoria  sulla  for- 
mazione terziaria  nella  zona  solfifera  della  Sicilia,  con  una 
tavola,  dell’  ingegnere  S.  Mottura.  — Malacologia  pliocenica 
italiana  (Parte  P,  Gasteropodi  sifonostomi)  ; fascicolo  2“,  con 
otto  tavole,  di  C.  D’  Ancona. 

Prezzo  del  Voi.  IT  (Parte  P),  Lire  25. 

Carta  Geologica  del  San  Gottardo,  nella  scala  di 
1 per  50,000,  di  F.  Giordano.  — Un  foglio  in  cro- 
molitografia   L.  5.  — 

Carta  Geologica  dell’Isola  d’IscMa,  nella  scala  di 
1 per  25,000  di  C.  W.  C.  Fuchs.  — Un  foglio  in 
cromolitografia L.  3. — 


Memorie  per  servire  alla  descrizione  della  Carta  Geologica 
d’ Italia.  — Voi.  II,  Parte  2^;  Firenze  1874.  — 68  pag.  in  4® 
con  due  tavole.  — Contiene  la  seguente  Memoria  : B.  Ga- 
staldi, Studii  geologici  sulle  Alpi  Occidentali;  Parte  T. 

Prezzo  del  Voi.  IF  (Parte  2^),  Lire  5. 


Per  le  commissioni  dirigersi  al  Segretario  del  E.  Co- 
mitato Greologico,  in  Eoma  presso  il  Ministero  di 
Agricoltura,  Industria  e Commercio. 


Annunzi  di  pubblicazioni. 


C.  Marinoni.  — La  terraraara  di  Eegona  di  Seniga  e le  sta- 
zioni preistoriclie  ai  coniìuente  del  Mella  nell’  Oglio 
nella  bassa  bresciana.  — Milano  1874.  — Atti  della  So- 
cietà Italiana  di  Scienze  Naturali,  voi.  17,  fase.  2^ — Pag.  78 
in-8‘'  con  5 tavole. 

P.  Strobel.  — Intorno  all’  origine  delle  Terreraare.  — Firen- 
ze 1874.  — Archivio  per  la  Antropologia  e la  Etnologia, 
voi.  IV,  fase.  3 e 4.  — Pag.  9 in-8°. 

P.  Mantovani.  — Descrizione  geologica  della  Campagna  Ro- 
mana.— Torino  1874. — Pag.  116  in-8'’  con  4 tavole  e la 
Carta  geologica. 

G.  Jervis.  — I tesori  sotterranei  dell’  Italia  ; Parte  2^,  Re- 
gione deir  Apennino  e vulcani  attivi  e spenti  dipendentivi. 
— Torino  1874.  — Pag.  624  in-8'’  con  tavole. 

E.  Paglia.  — Vaili  salse  di  Sermide  nel  Mantovano. — Mila- 
no 1874.  — Atti  della  Società  Italiana  di  Scienze  Naturali, 
voi.  17,  fase.  2”. — ^Pag.  30  in-8^ 

M.  S.  De  Rossi.  — Rnllettino  del  Vulcanismo-  italiano,  perio- 
dico geologico  ed  archeologico.  — Anno  I,  Roma  1874, 
pag.  192  in-8°  con  tavole. 

A.  Favaro.  — Intorno  ai  mezzi  usati  dagli  antichi  per  atte- 
nuare le  disastrose  conseguenze  dei  terremoti. — Vene- 
zia-1874. — Pag.  138  10-8". 

G.  Spezia.  — Intorno  ad  un  calcilìro  della  zona  delle  pietre 
verdi.  — Torino  1875  (pag.  14  in-4''  con  una  tavola  colorata). 

T.  Bertelli.  — Osservazioni  microslsmiche  fatte  al  Collegio 
alla  Querce  presso  Firenze  nell’  anno  meteorico  1873. 
— Roma  1874  (pag.  40  in-4'’  con  una  tavola). 

G.  Mazzetti.  Catalogo  dei  fossili  miocenici  e pliocenici  del 
Modenese  e suoi  contorni.  — Modena  1874.  (Annnario 
della  Società  dei  Naturalisti  di  Modena.)  — Pag.  27  in-8“. 

C.  De  Stefani.  — I terreni  subapennini  dei  dintorni  di  San 
Miniato  al  Tedesco.  — Pisa  1875,  pag.  19  in-8‘’. 

M.  S.  De  Rossi.  — Analisi  dei  tre  maggiori  terremoti  ita- 
liani avvenuti  nel  1874  in  ordine  specialmente  alle 
fratture  del  suolo.  — Roma  1875,  pag.  76  in-4°. 


51.»  3 c 4. 


Anno  ìm 


R.  COMITATO  GEOLOGICO 


D’  ITALIA. 


Bollettino  N°  3 e 4. 


Marzo  e Aprile  1875. 


ROMA, 

TIPOGRAFIA  BARBÈRA. 


1875 


OOÌ^< 


Bollettino  Geologico  per  il  1870.  — Un  voi.  in-8°  di  pag.  324. 
» » PER  IL  1871.  — Un  voi.  in-8°  di  pag.  296. 

» » PER  IL  1872.  — Un  voi.  in-8°  di  pag.  376. 

» » PER  IL  1873.  — Un  voi.  in-8°  di  pag.  400. 

» » PER  IL  1874.  — Un  voi.  in-8°  di  pag.  408. 

Prezzo  di  ciascun  volume  L.  10. 

Associazione  al  Bollettino  del  1875  (Anno  VP).  — Per 
r Italia  L.  8,  Estero  L.  10. 

I fascicoli  bimestrali  del  Bollettino  si  vendono  anche  se- 
paratamente al  prezzo  di  L.  2 ciascuno. 

Memorie  per  servire  alla  descrizione  della  Carta  Geologica 
d’Italia.  — Volume  F;  Firenze  1871.  — 404  pagine  in-4° 
con  23  tavole,  due  Carte  geologiche  e varie  incisioni  inter- 
calate nel  testo. 

Comprende  le  seguenti  Memorie  : 

Introduzione  — Studii  geologici  sulle  Alpi  Occidentali,  di 
B.  Gastaldi,  con  cinque  tavole  ed  una  Carta  geologica.  — 
Cenni  sui  graniti  massicci  delle  Alpi  Piemontesi  e sui  mine- 
rali delle  valli  di  Lanzo,  di  G.  Strììver.  — Sulla  formazione 
terziaria  nella  zona  solfifera  della  Sicilia,  di  S.  Mottura, 
con  quattro  tavole.  — Descrizione  geologica  dell’  Isola  d’ Elba, 
di  I.  Cocchi,  con  sette  tavole  ed  una  Carta  geologica.  — 
Malacologia  pliocenica  italiana  (Parte  P,  Gasteropodi  sifo- 
nostomi)  di  C.  D’  Ancona  ; fascicolo  l'’,  con  sette  tavole. 

Prezzo  del  Voi.  1%  Lire  35. 

Brevi  cenni  sui  principali  Istituti  e Comitati  Geo- 
logici e sul  B.  Comitato  Geologico  d’Italia,  di 

I.  Cocchi.  — Pag.  34  in-4° . . L.  1.  50 

Carta  Geologica  della  parte  orientale  dell’  Isola 
d’Elba,  nella  scala  di  1 per  50,000,  di  I.  Coc- 
chi. — Un  foglio  in  cromolitografia L.  3. 00 

{Continua). 


BOLLETTINO  DEL  R.  COMITATO  GEOLOGICO 

D’ ITALIA. 

K®  3 e 4.  — Marzo  e Aprile  1815. 


SOMMAEIO. 

Note  geologiche.  — I.  Sulle  rocce  impastate  entro  al  Serpentino,  per 
U.  Botti.  — IL  Considerazioni  stratigraflche  sopra  le  rocce  più  antiche  delle 
Alpi  Apuane  e del  Monte  Pisano,  per  C.  De  Stefani.  (Continuazione  e fine.)— 
III.  Studii  stratigrafici  sulla  Formazione  pliocenica  dell’  Italia  Meridionale, 
per  G.  Seguenza.  (Continuazione.)  — IV.  Sulla  Relazione  di  un  viaggio  geo- 
logico in  Italia  di  T.  Fuchs,  per  G.  Sequenza.  — V.  Sulla  formazione  della 
Terra  Rossa,  per  M.  Neumayr. 

Note  mineralogiche,  — I.  Scoperta  di  minerali  d’  argento  in  Sardegna,  per 
E.  Marchese.  — li.  Un  nuovo  giacimento  di  Allumite,  per  A.  De  Lasaulx. 

Notizie  bibliografiche.  — Ed.  Suess,  Die  Erdbeben  des  sudlichen  Italien  ; 
VVien,  1874. 

Notizie  diverse.  — Terremoti  presso  l’Etna  dal  7 al  20  gennaio  1875.— 
Analisi  della  meteorite  di  Orvinio.  — Studii  sui  terreni  terziari  d’ Italia.  — 
Giacimenti  boraciferi  nell’America  settentrionale. 

Cenno  necrologico.  — Sir  Carlo  Lyell. 

Bibliografia  mineralogica,  geologica  e paleontologica  della  Toscana, 

per  A.  D’Achiardi.  (Continuazione  e fine.) 

Tavole  ed  incisioni.  — Sezione  presa  nei  dintorni  di  Pontremoli,  a pag.  71. 
Dichiarazione. 

Avviso. 


NOTE  GEOLOGICHE. 


I. 

Sulle  rocce  impastate  entro  al  Serpentino, 

Nota  di  U.  Botti. 

Nell’  ultima  Memoria  del  professor  Bartolomeo  Gastaldi  sulle 
Alpi  Occidentali,  recentemente  pubblicata  dal  E.  Comitato  Geo- 
logico del  Eegno,  si  legge  un  paragrafo  del  seguente  tenore: 

« Io  non  ebbi  mai  occasione  di  osservare  detriti  di  altre  rocce 
» impastati,  inglobati  entro  al  serpentino;  vidi  tuttavia  citato 


- 68 


4| 


» questo  fatto  in  un  libro  di  geologia,  e desiderava  quindi  di 
» potermi  imbattere  in  qualche  cosa  di  simile.  Percorrendo  l’estate 
» scorsa  la  valle  della  Trebbia,  mi  trovai,  senza  che  me  ne  fossi 
))  accorto,  seduto  sopra  una  massa  di  serpentino  diallagico  rac- 
» chiudente  frammenti  di  alberese,  di  ftanite,  di  scisto  argil- 
» loso,  ec.  Lieto  di  poter  soddisfare  il  mio  desiderio,  io  mi  posi 
» ad  esaminare  attentamente  la  roccia,  e dovetti  convincermi 
» eh’  io  mi  trovava  seduto  sopra  una  brecciola,  una  specie  di 
» talus  di  cui  i detriti  vedevansi  perfettamente  cementati  e come 
))  rimpastati.  E una  roccia  rigenerata,  ed  è tuttavia  attraversata 
» in  più  di  un  senso  da  vene  di  crisotilo.  ‘ » 

Il  carattere  di  singolarità,  od  almeno  di  non  ordinaria  fre- 
quenza, attribuito  dal  chiarissimo  Autore  al  descritto  fenomeno 
(rocce  straniere  impastate  dal  serpentino),  mi  portò  naturalmente 
a riflettere,  se  per  caso  non  mi  fosse  avvenuto  di  osservare  in 
qualche  parte  alcun  fatto  somigliante,  e non  tardai  a ricordarmi 
di  avere  infatti  studiata  una  vera  breccia  o conglomerato  ser- 
pentinoso,  presso  a Pontremoli,  in  Lunigiana.  Per  la  stessa  ra- 
gione della  non  ordinaria  frequenza  di  questo  fenomeno,  io  penso 
che  non  sia  per  riuscire  sgradito  all’  illustre  geologo  e mio  ve- 
nerato amico  sopra  lodato,  non  che  ai  lettori  di  questo  BolleU 
tino  in  generale,  che  io  porga  qui  notizia  di  un  fatto,  che  torna 
a conferma  di  quanto  Egli  stesso,  più  autorevole  osservatore, 
ebbe  già  a veriflcare  e descrivere. 

Essendo  ormai  trascorso  poco  meno  di  un  decennio  da  che 
lasciai  la  residenza  di  Pontremoli,  dove  feci  i miei  primi  studi 
di  geologia,  or  non  mi  affido  di  compilarne  una  relazione  a me- 
moria; ma,  ricercando  fra  le  note  di  studio  che  prendeva  in  quel 
tempo  per  ogni  giornata  di  escursione  in  campagna,  una  ne  trovo 
che  riassume  completamente  le  osservazioni  e riflessioni  occasio- 
nate da  quel  fenomeno,  che  aveva  ripetutamente  studiato,  aven- 
domi fino  d’  allora  colpito  ed  interessato  ; e mi  permetterò  di  qui 
trascrivere  la  detta  nota,  tale  quale  è concepita,  se  anche  do- 
vesse notarvisi  qualche  improprietà  di  linguaggio  o di  nomen- 

'■  B.  CtASTALDI,  Studi  geologici  sìdle  Alpi  Occidentali,  parte  seconda.  Me- 
morie per  servire  alla  descrizione  della  Carta  Geologica  d’ Italia,  pubblicate  a 
cura  del  R.  Comitato  Geologico  del  Regno,  voi.  II,  parte  seconda,  pag.  51. 
Firenze,  tip.  G.  Barbèra,  1874. 


— 69 


datura,  pur  di  non  spogliarla  della  sua  originaria  freschezza, 
comecché  redatta,  quasi  direi,  sul  posto  ed  in  presenza  del  fe- 
nomeno osservato. 

Gita,  13  luglio  1865.  — Roccie  eruttive  di  Canal  d^ Angiolo 
e La  Costa,  presso  Pontremoli. 

« Le  rinnuovate  e più  diligenti  indagini,  varie  volte  eseguite 
su  questo  terreno  cristallino,  mi  hanno  stamane  convinto  che 
tre  ripetuti  sollevamenti  hanno  quivi  sconvolto  le  rocce  sedimen- 
tari del  periodo  cretaceo,  che  in  fatti  si  vedono  in  ogni  senso 
sollevate  e contorte. 

» Nella  parte  bassa  della  valle  vi  ha  una  roccia  quarzosa, 
con  pochi  grani  di  mica  verde  o clorite,  che  chiamerò  Jalomitto. 

» Ivi  ancora,  un  conglomerato  a cemento  granitico  rivela  una 
eruzione  di  Granito,  sebbene  questa  roccia  compatta  non  mi 
venne  fatto  di  osservare.  Ciottoli  di  jalomitto  vi  sono  inclusi,  con 
altri,  e dal  granito  cementati. 

» In  alto,  sulla  Costa,  si  osserva  una  roccia  decisamente  ser- 
pentinosa,  che  può  chiamarsi  un  Gabbro.  Forma  talvolta  un  con- 
glomerato e ne  fan  parte  ciottoli  vari,  fra  i quali  di  jalomitto, 
di  granito  alterato  e del  conglomerato  granitico.  Evidentemente 
è la  più  recente. 

» Considerato  bene  questo  stato  di  cose  ed  i reciproci  rapporti 
delle  rocce  eruttive  sopra  nominate,  non  si  può  a meno  di  am- 
mettere i seguenti  fatti  così  disposti  nel  loro  ordine  cronologico  : 

I.  — Eruzione  di  Jalomitto,  con  metamorfismo  delle  rocce 
sedimentari  ed  arenacee  che  vi  furono  interessate  e che  vedonsi 
prendere  nel  contatto  un  aspetto  leggermente  cristallino  ed  es- 
sere penetrate  da  grani  verdi,  i quali  mineralogicamente  ne  sta- 
biliscono il  rapporto  col  fenomeno  eruttivo. 

IL  — Eruzione  di  Granito,  composto  dei  suoi  più  comuni  ele- 
menti, feldispato,  quarzo  e mica.  Questo  fenomeno  dette  luogo 
ad  un  rimaneggiamento  delle  rocce  preesistenti,  e ne  risultò  un 
conglomerato  di  frizione,  che  osservasi  meglio  sviluppato  presso 
Casa  Arzeni. 

» A questa  od  alla  precedente  eruzione  può  attribuirsi  la 
silicizzazione  dei  scisti  galestrini  e loro  calcari,  che  vedonsi  can- 
giati in  bellissime  ftaniti  verdognole. 


— To- 


ni. — Eruzione  di  Serpentina^  od  almeno  di  gaz  magnesiaci 
atti  a produrre  questo  fenomeno,  che  i moderni  considerano  di 
metamorfismo.  Ne  risultarono  grandi  masse  di  gabbro,  e di  con- 
glomerato includente  ogni  sorta  di  rocce,  comprese  le  antecedenti.  » 

Con  questa  nota  io  credo  di  aver  dato  la  sintesi  di  tutto 
quanto  mi  venne  fatto  di  notare  con  ripetute  osservazioni  e di 
concludere  intorno  al  descritto  fenomeno,  e così  credo  di  aver 
detto  tutto.  Ma  altri  vorrà  forse  sapere,  in  qual  relazione  si 
trovi  il  conglomerato  serpentinoso  con  le  rocce  stratificate,  ed 

10  m’ingegnerò  di  appagare  questo  desiderio  fin  dove  la  me- 
moria e poche  note  che  ne  posseggo,  mi  aiutino. 

La  piccola  città  di  Pontremoli  è costruita,  nella  sua  parte 
più  antica,  sul  delta,  formato  dalla  confluenza  della  Magra  e del 
Verde,  due  grossi  torrenti  che  scendono  romoreggiando  da  Monte 
Tavola  e da  Monte  Gotra,  due  quasi  opposti  vertici,  a nord-est 
e ad  ovest,  nel  grande  arco  di  cerchio  della  catena  apenninica, 
che  ricinge  e chiude  da  ovest  per  nord  ad  est,  T alta  valle  della 
Magra,  e questo  primo  bacino  di  quel  fiume  o torrente.  Quivi 

11  Verde  perde  il  suo  nome  versando  le  sue  acque  nella  Magra, 
sulla  cui  sinistra  sponda  succede  il  sobborgo,  o la  più  moderna 
parte  della  città  di  Pontremoli. 

Il  non  ampio  bacino  è tutto  ricinto  da  monti,  e specialmente 
ad  oriente,  sulla  sinistra  appunto  del  fiume,  si  distende,  affatto 
appresso  alla  città,  una  collina  allungata,  denominata  La  Costa. 
Al  di  là  di  questa  si  ripetono  altre  parallele  consimili  colline, 
con  interposte  piccole  valli,  solcate  da  somiglianti  torrentelli, 
chiamati  "canali  o rii,  e così,  per  breve  tratto,  si  giunge  al  piede 
della  catena  centrale  apenninica,  la  quale  presenta  quivi,  nel- 
P orrido  fianco  di  Monte  Orsajo,  una  gigantesca  frattura  di  ster- 
minata altezza,  almeno  un  migliaio  di  metri,  davanti  alla  quale 
si  può  ad  un  tempo  vedere,  con  paradossale  prossimità,  coltivato 
in  basso  P ulivo,  in  alto  rigoglioso  vegetare  il  faggio. 

Le  formazioni  geologiche  di  questo  territorio  potrebbero  pren- 
dersi a tipo  del  terreno  Etrurio  del  Pilla,  perocché  quasi  esclu- 
sivamente vi  prevalgano  il  macigno  e P alberese  coi  loro  Fucoidi 
del  terreno  eocenico,  gli  scisti  galestrini  e la  pietra-forte  coi 
Nemertiliti  del  cretaceo  superiore. 


— 71 


Una  sola  eccezione  si  verifica  nel  territorio  oltre  Magra,  dove 
la  valle  di  altro  grosso  torrente,  che  porta  il  nome  di  Gordana, 
procedente  da  ovest  ad  est,  e per  conseguenza  approssimativa- 
mente normale  a quella  della  Magra,  oltre  alla  sua  bellezza  sel- 
vaggia, offre  nuovo  interesse  al  geologo  per  la  presenza  di  rocce 
più  antiche.  Quivi,  dopo  avere  oltrepassato  i così  detti  Stretti 
di  Giaredo,  rinomati  così  pel  fantastico  orrore  del  paesaggio, 
come  pel  bellissimo  diaspro  zonato,  prodotto  da  intenso  meta- 
morfismo negli  scisti  e calcari  della  formazione  cretacea,  si  scende 
appresso  sopra  un  calcare  ceroide  con  selce,  stratificato  in  grandi 
masse,  nel  quale  ricordo  aver  raccolto  Aptichi  e Belemniti,  da 
doverlo  riferire  al  periodo  giurassico,  e più  precisamente  alla 
Majolica  inferiore  di  Lombardia.^ 

Ma,  ritornando  alla  riva  sinistra  della  Magra  e più  partico- 
larmente alla  Costa,  io  posso  dire  che  questa  e le  altre  colline 
che  le  succedono  parallele  verso  oriente  sono  costituite  princi- 
palmente da  alternanze  di  scisti  galestrini  e di  sottili  stratarelli 
di  pietra  forte,  con  caratteristici  fucoidi  e nemertiliti,^  e da  più 
massicce  stratificazioni  di  calcare  scistoso-marnoso.  ^ La  qui  unita 
sezione  potrà  meglio  darne  una  idea: 


a se  c se  e q c es 


a,  alluvione  — se,  scisti  con  pietra -forte  — c,  calcare  scistoso-marnoso 
q,  quarzite  — ce,  conglomerato  serpentinoso. 


* Avendo  fatto  dono  di  questi  fossili  al  R.  Museo  di  Firenze,  gli  stessi  furono 
ivi  determinati  da  Zittel  e riferiti  al  piano  Titonico.  Per  quante  ricerche  ne 
abbia  fatte,  io  non  posso  ora  ritrovare  queste  determinazioni,  delle  quali  ben 
ricordo  aver  preso  nota  trovandomi  qualche  tempo  appresso  al  Museo  fiorentino, 
sulla  comunicazione  che  l’egregio  prof.  Cesare  D’Ancona  cortesemente  me  ne  dava. 

“ Nemertilites  meandri tes  Mgh. 

» Strozza  » 

® Coeehi.  — Sulla  geologia  deir  alta  Val  di  Magra,  Memorie  della  Società 
Italiana  di  Scienze  Naturali,  tomo  II,  n»  5,  pag.  9. 


- 72  — 


Chi  volesse  percorrere  la  linea  rappresentata  da  questo  ta- 
glio, a partire  dalla  sinistra  sponda  della  Magra,  incontrerebbe 
dapprima,  per  brevissimo  tratto,  un  deposito  di  alluvione  mo- 
derna, ma  passerebbe  tosto,  al  Rio  Carpanella,  sulla  formazione 
dei  scisti  galestrini  con  subordinati  piccoli  strati  di  pietra-forte. 
A questa  sovrasta  una  massa  di  calcare  scistoso-marnoso,  a strati 
inversamente  inclinati  nei  due  versanti  della  Costa.  Per  conse- 
guenza di  questa  inclinazione  a sella  rovescia,  si  ritrovano,  di- 
scendendo lungo  il  versante  orientale,  i medesimi  scisti  e pietra- 
forte, già  descritti  nell’  opposto  versante,  per  trovare  appresso, 
dopo  oltrepassato  il  Canal  d’ Angiolo,  ripetuta  la  formazione  di 
calcare  scistoso-marnoso,  che  si  inalza  con  strati  inclinati  0.  45“ 
fino  sull’  anticlinale  successivo.  Quivi  si  può  oservare,  presso  ad 
una  casa  colonica  del  dottor  Venturini,  denominata  El  Guvel, 
una  formazione  complessa  di  quarzite  scistosa,  calcare  scistoso 
marnoso  ed  argilla  ferruginosa,  più  volte  fra  loro  alternanti,  gia- 
cente concordantemente  tra  la  formazione  calcarea  sopradescritta, 
che  la  ricuopre,  ed  altra  somigliante,  che  inferiormente  le  suc- 
cede. Con  questa  si  discende  ad  oriente  nel  Rio  di  Pala  o di 
Calizzana,  il  cui  fondo  è occupato  dal  conglomerato  serpentinoso 
superiormente  descritto,  in  masse  piuttosto  ragguardevoli. 

Le  altre  colline  e vallecole,  coi  loro  ruscelli  o torrentelli,  che 
si  alternano  fino  a Monte  Orsajo,  presentano  presso  a poco  le 
stesse  condizioni  stratigrafiche  e mineralogiche.  Il  conglomerato 
si  vede  quasi  sempre  nel  fondo  di  quelle  piccole  valli,  denudato 
dalla  erosione  del  torrente,  ma  talvolta  ancora  lo  si  trova  affio- 
rare lungo  i fianchi  delle  colline,  e se  la  sezione  sopra  delineata 
fosse  stata  presa  qualche  centinaio  di  metri  più  a nord,  si  ve- 
drebbe il  conglomerato  serpentinoso  occupare  il  fondo  del  Canal 
d’  Angiolo  ed  affiorare  nel  fianco  orientale  della  Costa,  ed  in  un 
punto  anche  nell’  anticlinale  della  stessa. 

Similmente  si  osserva  lo  stesso  conglomerato  nell’  anticlinale 
interposto  fra  Canal  d’ Angiolo  e Rio  di  Calizzana,  di  fronte  al 
podere  Arzeni  ad  est,  come  ad  ovest  nella  valle  del  Rio  Carpa- 
nella, presso  al  podere  Eschini,  ed  in  varie  altre  località;  in 
guisa  che  può  affermarsi  in  conclusione: 

Che  il  fenomeno  dell’  impasto  di  rocce  straniere  entro  un 
conglomerato  a cemento  serpentinoso  è largamente  sviluppato  in 


quella  regione,  presso  a Pontremoli,  che  può  dirsi  circoscritta 
entro  i lati  di  un  triangolo,  formato  dai  corsi  d’  acqua  Magra  e 
Capria  ed  il  monte  o altipiano  di  Logarghena,  massiccio  contraf- 
forte deir  Orsajo  che  si  inoltra  in  direzione  di  est-ovest. 

Non  intèndo  con  questo  di  affermare  che  tutte  quelle  masse 
di  breccia  o conglomerato  sieno  mineralogicamente  identiche,  anzi 
ben  ricordo  che  in  qualche  punto  sembrano  agglutinate  per  ce- 
mento ferruginoso,  altrove  per  cemento  calcareo  ; ma  le  uniformi 
condizioni  di  giacimento  e di  rapporti  stratigrafici  avendomi  por- 
tato a considerarle  in  complesso,  ho  quindi  inteso  di  darne  i ca- 
ratteri generali,  nè  ora  mi  è concesso,  per  soverchia  lontananza 
dai  luoghi,  di  studiarne  e riferirne  i particolari  dettagli. 

Io  non  ebbi  d’  altronde  con  questa  nota  altro  intento  che 
quello  di  denunziare  un  fatto,  e di  richiamare  sullo  stesso  V at- 
tenzione di  chi  possa  avere  migliore  opportunità  di  studiarlo. 


II. 

Considerazioni  stratigraficJie  sopra  le  rocce  più  antiche 
delle  Alpi  Apuane  e del  Monte  Fisano,  di  Cablo  De 
Stefani. 

(Continuazione  e fine.  — Vedi  Bollettino,  N.  1-2.) 


Con  questo,  sono  giunto  alla  fine  del  còmpito  che  m’  ero  pro- 
posto nel  descrivere  le  rocce  più  antiche  delle  Alpi  Apuane  e 
del  Monte  Pisano.  Avanti  di  concludere  però,  voglio  parlare  di 
una  roccia,  che  si  trova  in  vari  luoghi  a varie  altezze  ed  in  lembi 
piccoli  ed  isolati  senza  rapporto  fra  di  loro,  nel  lato  occidentale 
della  catena  che  sembra  avere  subito  maggiormente  la  corro- 
sione del  tempo,  e la  quale  contiene  frammenti  degli  altri  ma- 
teriali  più  antichi.  E codesta  roccia  un  calcare  leggermente  rosso 
0 giallo,  compatto,  e finamente  stratificato  ne’  piccoli  tratti  nei 
quali  ha  una  struttura  uniforme  ; di  solito  poi  contiene  fram- 
menti evidentemente  rotolati  e ciottolosi,  di  non  grandi  dimen- 
sioni, dei  calcari  infraliassici  o Massici  e più  di  rado  di  schisti  : 


— 74  — 


qualche  volta  i frammenti  calcarei  sono  scomparsi,  rimanendo 
delle  cavità  riempite  da  polvere  dolomitica  o da  una  rete  di  cri- 
stallini di  calcite,  in  guisa  che  il  calcare  assume  un’  apparenza 
la  quale  però  si  distingue  da  quella  degli  altri  calcari  cavernosi, 
perchè  in  questi  le  cavità  si  trovano  entro  la  massa  stessa, 
mentre  nel  caso  attuale  sono  soltanto  esportati  i ciottoli  estra- 
nei rinchiusi.  La  densa  stratificazione  delle  piccole  masse  cal- 
caree, e r apparenza  non  dubbia  de’  frammenti  ciottolosi  che  desse 
racchiudono,  dimostrano  senza  dubbio  che  il  deposito  si  formava 
alla  superficie,  a spese  di  materiali,  o poco  o molto,  corrosi  dalle 
acque.  A Capriglia,  presso  il  Palazzo,  un  calcare  consimile  con- 
tiene frammenti  rotolati  di  roccia  infraliassica  serbante  ancora  i 
suoi  fossili;  al  Monte  Pepora  vi  sono  ciottoli  di  calcare  rosso 
ammonitifero,  di  calcare  verdolino  e di  schisto  rosso  ; così  alla 
Mariotta,  pure  presso  Capriglia;  altrove,  nelle  vicinanze,  contiene 
frammenti  di  calcare  ceroide.  Sotto  il  canale  di  Santa  Maria 
della  Stregala,  presso  Capezzano  al  bottino  delle  fonti  di  Pietra- 
santa, il  calcare  cementa  elettole tti  di  più  rocce^;  alla  Porta  sulla 
criniera  del  colle  fra  il  Bottino  e l’Argentiera,  esso  forma  degli 
straterelli  quasi  orizzontali  secondo  la  direzione  della  criniera,  e 
cementa  frammenti  rotolati  di  calcare  infraliassico  con  fossili, 
e di  schisti  a battrilli.  Sulla  destra  della  valle  di  Camaiore,  in 
un  lembo  situato  fra  la  villa  delle  Pianole  ed  i Cappuccini  vi 
si  trova  anche  del  calcare  grigio  con  selce.  Questa  formazione 
calcarea,  come  ho  detto  di  sopra,  ricopre  qua  e là  la  superficie 
dei  colli  con  una  stratificazione  inclinata  di  solito  secondo  le 
pendici  ; sembra  adunque  che  si  tratti  di  una  specie  di  traver- 
tino deposto  in  piccoli  strati  nelle  cavità  alla  superficie  delle 
roccie  della  catena,  mancano  però  in  quel  calcare  i fossili,  nè  l’ ho 
trovato  ancora  in  rapporto  con  rocce  più  recenti  delle  liassiche, 
per  cui  non  si  può  dire  di  preciso  a quale  epoca  appartenga.  Questi 
travertini  che  qualche  volta  possono  essere  stati  confusi  collo  stesso 
calcare  cavernoso,  forse  furono  coetanei  a quei  fatti  che  resero 
cavernosi  i calcari  antichi  sottostanti  : le  acque  che  traversarono 
questi  calcari  non  lungi  dalla  superficie,  li  lasciarono  pieni  di- 
cavità  e li  metamorfosarono,  asportando  il  carbonato  di  calce  e 
lasciandovi  il  carbonato  di  magnesia,  talché  rimasero  dolomitici; 
sgorgando  poi  alla  superficie,  potevano  depositarvi  il  carbonato 


— 75  - 


di  calce  tolto  alle  rocce  traversate  e formare  i travertini  inclu- 
denti frantumi  delle  rocce  superficiali  rotolate.  In  uno  scritto 
pubblicato  nel  1870/  stando  all’  idea  di  alcuni  geologi  relativa 
all’  origine  eruttiva  del  calcare  cavernoso,  e parlando  di  un  cal- 
care consimile  dei  colli  di  Pietrasanta  nelle  Alpi  Apuane,  consi- 
derai pur  questo  come  eruttivo,  e trassi  la  mia  opinione,  dal 
vedere  quel  calcare  inferiore  a certi  strati  schistosi  a Yelichetta, 
e dal  trovarlo  al  Borello  nel  Canale  delle  Frane,  immediata- 
mente sovrapposto  al  calcare  marmoreo,  per  cui  ritenevo  che  si 
fosse  svolto  da  questo.  Però  gli  schisti  di  Yelichetta  sono  nella 
loro  posizione  naturale,  alternanti  con  straterelli  di  calcare,  forse 
infraliassico,  divenuto  cavernoso,  ed  il  calcare  cavernoso  del  Bo- 
rello, sta  come  altrove  in  tanti  luoghi  che  ho  notati,  natural- 
mente sovrapposto  ai  marmi  senza  intermezzo  di  schisti,  talché 
il  calcare  di  Pietrasanta  non  fa  eccezione  agli  altri  calcari  ca- 
vernosi delle  Alpi  Apuane. 

Delle  rocce  che  sono  più  recenti  di  quelle  finora  descritte, 
non  parlo  per  adesso,  soltanto  mi  limiterò  ad  indicare,  comin- 
ciando dalle  parti  più  antiche,  la  serie  loro  seguente,  che  si 
ritrova  particolarmente,  anzi  quasi  esclusivamente  sviluppata 
nel  lato  orientale  delle  Alpi  Apuane  ed  eziandio  nell’  Apennino 
adiacente. 

1.  Schisti  a Fosidonomyce  ed  arenarie  del  lias  superiore. 

2.  Calcari  rossi  e verdastri  probabilmente  corrispondenti 
ai  calcari  rossi  del  lias  superiore  di  Cetona  nel  Senese. 

3.  Calcare  grigio  con  selce,  corrispondente  litologicamente 
al  Biancone  dell’ Apennino  centrale,  ritenuto  Neocomiano  dal 
Murchison. 

4.  Calcari  zeppi  di  foraminifere,  cretacei  inferiori. 

5.  Argille  scagliose  e diaspri  della  creta  superiore. 

6.  Calcari  nummulitici  eocenici. 

7.  Macigno,  calcare  alberese  e rocce  serpentinose  di  for- 
mazione eocenica. 

8.  Marne  mioceniche  di  Sarzanello  e Caniparola. 

9.  Argille  turchine  lacustri  delle  valli  del  Serchio  e della 


’ Note  sul  calcare  cavernoso  dei  Colli  di  Pietrasanta  nelle  Alpi  Apuane. 
[Nuovo  Cimento,  Serie  II,  Voi.  IV.  Dicembre  1870.) 


— 76  ^ 

Magra,  e marine  delle  colline  di  Lucca  e di  Bientina,  plioce- 
niche. 

Quanto  alle  rocce  più  antiche  del  Monte  Pisano  e delle  Alpi 
Apuane,  ho  creduto  utile  per  la  scienza  e necessario  per  me  che 
da  vari  anni  studio  quelle  regioni,  il  pubblicare  le  osservazioni 
raccolte  ed  il  rettificare  varii  apprezzamenti  che  erano  stati  fatti 
sulle  medesime,  e che  tacitamente  consentiti,  avrebbero  potuto 
divenire  sempre  più  tradizionali  nelle  scuole.  Il  momento  di 
queste  rettificazioni  è del  resto  opportuno,  perchè  vivono  varii 
dei  geologi  che  si  sono  affaticati  nello  studio  delle  rocce  più 
antiche  dell’  Italia  centrale,  e la  discussione  che  essi  possono  in- 
traprendere, non  può  a meno  di  risultare  utile  quanto  mai  alla 
scienza. 

Non  ho  fatto  considerazioni  relative  alla  struttura  o,  come 
direbbero  alcuni,  alla  tectonica  del  sistema  montuoso,  cui  le 
rocce  che  sono  venuto  studiando,  appartengono.  Questo  feci  in 
parte  in  un  altro  studio,^  le  conclusioni  del  quale,  mantengo 
inalterate,  osservando  intanto  che  alle  medesime  si  accordano 
interamente  talqne  delle  deduzioni  tratte  dallo  Stoppani  relati- 
vamente ai  sollevamenti  recenti  delle  grandi  Alpi  ; ^ per  esaminare 
poi  di  nuovo  la  questione,  onde  schiarirla  sempre  più,  converrà, 
prima,  esporre  eziandio  gli  studi  sopra  le  rocce  più  recenti  del 
nostro  sistema  montuoso.  Intanto  ripeto  che  le  Alpi  x4.puane  ed 
il  Monte  Pisano,  come  la  maggior  parte  dei  monti  facenti  parte 
della  così  detta  Catena  Metallifera  toscana,  sembra  comincias- 
sero  a formare  un  rilievo  orografico  dopo  il  terminare  del  Lias  : 
dopo  r eocene,  fino  ai  tempi  nostri,  essi  non  hanno  subito  spro- 
fondamenti ma  si  sono  sollevati,  più  o meno,  insieme  con  tutta 
la  regione  circostante.  Infine,  la  comunanza  della  origine  e della 
storia  successiva,  deve  far  sì,  che  le  Alpi  Apuane  come  il  Monte 
Pisano,  sieno  definitivamente  accettate  a far  parte  della  grande 
famiglia  delle  Alpi,  che  circonda  e protegge  l’Italia  nostra. 

Le  conclusioni  finali  geologiche  e paleontologiche,  le  quali  dal 
presente  scritto  si  possono  dedurre  sono  poi  le  seguenti. 


* Sull’  asse  orografico  della  Catena  Metallifera.  {Nuovo  Cimento,  Serie  II, 
Voi.  X,  1873). 

^ A.  Stoppani.  Il  mare  glaciale  a’ piedi  delle  Alpi.  [Rivista  Italiana, 


77 


Gli  strati  più  antichi  cristallini,  gneissici,  schistosi,  o dolo- 
mitici delle  Alpi  Apuane  e del  Monte  Pisano,  si  trovano  soltanto 
nelle  cupole  centrali  delle  elissoidi  della  valle  del  Frigido  e 
della  valle  di  Serravezza. 

I calcari  marmorei  cristallini  continuano  essi  pure  la  dispo- 
sizione elissoide,  formando  un  manto  continuo  intorno  alle  due 
cupole  surricordate.  Alla  lor  volta  formano  la  cupola  centrale 
di  una  ripiegatura  laterale  all’ elissoide  versiliese,  nella  Val  di 
Castello. 

La  zona  marmorea  è costituita  inferiormente  da  grezzoni 
fossiliferi  e da  calcari  ordinari,  e superiormente  dai  calcari  cri- 
stallini e pei  fossili  in  essa  contenuti  sembra  doversi  riferire 
al  trias. 

I calcari  cristallini  suddetti  non  hanno  una  potenza  costante 
e non  interrotta,  ma  sono  strettamente  connessi  agli  strati  schi- 
stosi, cui  fanno  passaggio,  ed  entro  ai  quali  formano  delle  man- 
dorle più  0 meno  potenti  ed  alternanti  anche  più  volte. 

La  formazione  dei  marmi  non  sembra  esclusivamente  dovuta 
ad  un  fenomeno  di  concentramento  dei  materiali  più  puri,  nè  le 
madrimacchie  sono  un  effetto  di  quel  concentramento  ; ma  queste 
rappresentano  invece  alternanze  di  veri  e propri  straterelli  schi- 
stosi, ^e  le  masse  marmoree  formano  veri  strati  come  le  altre 
1 

rocce  ; nemmeno  il  metamorfismo  è dovuto,  come  universalmente 
ritengono,  all’  intervento  di  filoni  ferrei,  che  non  esistono  nel  mezzo 
dei  calcari  più  cristallini. 

La  massa  degli  schisti  superiori  ai  marmi,  il  cui  posto  viene 
talora  occupato  dai  calcari  cristallini  medesimi,  forma  un  cinto 
solo  intorno  alle  due  elissoidi  di  Massa  e della  Versilia,  che  in 
tal  guisa  per  essi  divengono  una  elissoide  sola;  formano  poi 
la  cupola  centrale  dell’ elissoide  non  perfetta  di  Camaiore  e di 
quella  perfetta  del  Monte  Pisano,  come  pure  di  altre  ondulazioni 
minori. 

Le  rocce  finora  nominate  stanno  fra  loro  strettamente  con- 
nesse e sempre  hanno  gli  strati  reciprocamente  concordanti. 

Gli  strati  del  Capo  Corvo  alla  Spezia  corrispondono  a quelli 
di  Strettoia  e della  Brugiana,  e non  riproducono  in  piccolo  tutta 
la  serie  degli  schisti  superiori  ed  inferiori  delle  Alpi  Apuane, 
ma  soltanto  la  parte  superiore  di  questa  massa  di  rocce. 


~ 78 


Il  calcare  infraliassico  succede  direttamente  alle  formazioni 
schistose  e marmoree,  e forma  un  cerchio  continuo  intorno  al- 
r elissoide  centrale  apuana,  come  intorno  alla  mezza  elissoide 
camaiorese  : forma  pure  un  cerchio,  però  interrotto  dalla  denu- 
dazione, intorno  all’  elissoide  pisana,  e la  cupola  centrale  del- 
r elissoide  delle  Avane  sul  Serchio  e d’altre  ondulazioni  minori. 
I fossili  ed  i caratteri  litologici  del  calcare  lo  fanno  riconoscere 
per  infraliassico. 

Sopra  all’  infralias,  intorno  all’  elissoide  pisana  delle  Avane, 
e da  Capriglia  a Monte  Preti,  e forse  altrove  intorno  all’  elis- 
soide centrale  apuana,  sta  un  calcare  ceroide  in  strati  non  molto 
potenti,  talora  scavato  come  pietra  d’  ornamento,  e con  fossili, 
rappresentante  il  lias  inferiore.  Questo  calcare  non  è triassico 
come  aveva  supposto  lo  Stoppani,  nè  può  essere  perciò  preso  a 
tipo  di  calcarie  triassiche  nelle  Alpi  Apuane. 

Succede  in  lembi  continui  intorno  alle  elissoidi  del  Monte 
Pisano  e delle  Avane,  ed  in  lembi  interrotti  altrove  un  calcare 
rosso,  spesso  con  ammoniti,  appartenente  alla  parte  più  recente 
del  lias  inferiore. 

Sta  poi  nelle  stesse  condizioni  un  calcare  grigio  con  selce 
pure  ammonitifero  e di  potenza  variabile,  appartenente  al  lias 
medio. 

Gli  strati  calcarei  sopra  menzionati,  in  specie  quelli  dell’  in- 
fralias, sono  spesso  metamorfosati  e ridotti  cavernosi,  per  opera 
probabilmente  di  acque  che  li  traversarono  ; non  si  può  dire 
quindi  che  i calcari  cavernosi  formino  lembi  di  epoca  distinta, 
nè  che  rappresentino  P epoca  triassica. 

Quanto  alla  disposizione  dei  minerali  entro  alle  rocce  de- 
scritte, in  generale  il  solfuro  di  mercurio  (cinabro)  è sparso  in 
tutti  piani,  cioè  negli  gneiss  centrali,  negli  schisti  cristallini 
superiori  ai  marmi,  e ne’  calcari  Passici  ; il  solfuro  di  piombo 
si  trova  preferibilmente  negli  schisti  centrali,  come  il  solfuro 
di  rame  sta  con  notevole  prevalenza  negli  schisti  superiori  ai 
marmi  ; anche  1’  oligisto  e la  magnetite  in  grandi  masse,  sem- 
brano stare  quasi  esclusivamente  negli  schisti  superiori  anzi- 
detti.  Tra  i minerali  prodotti  dal  metamorfismo,  sono  notevoli 
poi,  r Ottrelite  (il  minerale  è conosciuto  con  questo  nome  seb- 
bene non  esattamente  determinato)  degli  schisti  cristallini,  dove 


— 79  - 


sono  filoni  di  quarzo  con  oìigisto  ; e FAlbite,  che  oltre  a trovarsi 
frequente  in  certi  fUoni  metallici,  abbonda  talora  ne’  calcari  di 
tutte  le  epoche,  cioè  ne’  calcari  marmorei,  negli  infraliassici  e 
nei  liassici. 

Segue  ora  il  quadro  riassuntivo  delle  epoche  cui  si  possono  o 
si  debbono  riferire  i terreni  delle  Alpi  Apuane  e del  Monte  Pi- 
sano, passati  in  rivista,  colla  distinzione  delle  epoche  cui  essi 
furono  riferiti  dagli  scrittori  antecedenti. 


LIAS  inper; 


~ 80  - 


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Epoca  geologica 

SECONDO  I DIVEESI  GEOLOGI. 


SERIE  DELLE  ROCCE. 


Lias  inferiore.  — Savi  e Mene- 
ghini {Considerazioni  etc.) 

Lias  medio.  — Capellini,  Mene- 
ghini in  Rath. 

Neocorniano  (Alpi  Apuane)  Savi 
e Meneghini. 


Calcari  con  selce  ammonitiferi,  di  S.  Giu- 
liano, di  Monte  Penna,  e del  Monte  di  S.  Cer- 
bone  nel  Monte  Pisano  della  foce  di  Baraglia 
del  Monte  dei  Sassigrossi,  di  Repole  (tipo), 
di  Camaiore,  di  Pescaglia,  del  Monte  Ma- 
tanna,  di  Trassilico,  di  Calómini,  di  Vergemoli, 
del  Monte  Palodina,  della  Prana,  di  Aiolo, 
della  Paniella  nelle  Alpi  Apuane,  del  promon- 
torio occidentale  della  Spezia,  deH’Alpo  di  Cor- 
fìno  (tipo),  e di  Monsummano  nelPApennino. 


o 


Lias  inferiore.  — Savi  e Mene- 
ghini. Considerazioni  sulla 
geologia  della  Toscana. 

Lias  medio.  — Capellini,  Mene- 
ghini in  Rath. 

Neocorniano  (Alpi  Apuane)  Savi 
e Meneghini. 


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1^ 


5 


Lias  inferiore.  — Savi  e Mene- 
ghini, {Cons.  etc.) 

Trias.  — Cocchi. 

Trias?  — (Monte  Pisano)  Stop- 
pani. 

Infralias.  — Savi  [Sulla  costi- 
tuzione geologica  della  Cat. 
metallifera.) 

Neocorniano  (Alpi  Apuane)  Savi 
e Meneghini. 


Calcari  rossi,  gialli  o verdi  ammonitiferi, 
di  S.  Giuliano  e di  S.  Maria  del  Giudice  nel 
Monte  Pisano,  della  foce  di  Baraglia,  del  Monte 
dei  Sassigrossi  (tipo),  di  Camaiore,  di  Pe- 
scaglia, del  Monte  Matanna,  di  Trassilico, 
dell’Eremita  di  Calómini,  di  Vergemoli,  del 
canale  di  Rontano,  dei  Monti  di  Careg- 
giue,  del  Monte  Acuto,  di  Carrara,  di  Mon- 
tiguoso,  di  Capriglia  e di  Montepreti  nelle 
Alpi  Apuane,  dell’Alpe  di  Corfino  (tipo),  del- 
l’Alta Valle  deirOzola,  e di  Monsummano 
nell’  Apennino. 


Calcari  neri  ammonitiferi  della  Spezia 
(tipo).  Calcari  neri  di  presso  Decci,  del  ca- 
nale di  Vagli  e del  Monte  Matanna  nelle 
Alpi  Apuane  ? — Calcari  ceroidi  bianchi  o 
rosei  di  S.  Giuliano  (tipo),  di  S.  Maria  del 
Giudice  e di  S.  Gerbone  nel  Monte  Pisano, 
di  Vecchiano  (tipo),  di  Bruceto,  di  Monte 
Preti,  di  Capezzano,  di  Capriglia?  e di  Pie- 
trasanta?  nelle  Alpi  Apuane,  di  Campiglia 
in  Maremma  (tipo). 


Infralias.  — Capellini,  Cocchi. 
Trias.  — Savi  e Meneghini. 
Trias.  — (Calcari  cavernosi  e 
terrosi)  Capellini,  Cocchi. 
Giurese.  — (Pecchia)  Pareto. 
Neocorniano  (Alpi  Apuane  e 
Monti  della  Spezia)  Savi  e 
Meneghini. 


Calcari  grigio-cupi,  compatti  o cavernosi, 
spesso  fossiliferi,  e schisti grigio-cupi, di  S.  Giu- 
liano, di  S.  Maria  del  Giudice,  dei  Bagni  della 
Duchessa,  di  Asciano,  di  Agnano,  di  Caprona, 
d’ Uliveto  e del  Castellare  nel  Monte  Pisano; 
di  Avane,  di  Vecchiano,  di  Camaiore,  di  Pe- 
scaglia, di  S.  Lucia,  di  Monteggiori,  di  Ro- 
taie, di  Val  di  Castello,  di  Pietrasanta,  di 
Capriglia,  di  Capezzano,  di  Montignoso,  di 
Massa  vecchia,  di  Códena,  dì  Carrara,  della 
Tecchia,  dì  Tenerano,  di  S.  Giorgio,  di  Cor- 
figliano,  della  Tombaccia,  di  Roggio,  del  ca- 
nale di  Vagli,  del  Monte  delle  Capanne,  della 
Pania,  della  Torrite  dì  Gallicano,  del  Monte 
forato,  del  Procinto,  di  Matanna,  del  Monte 
di  Compito,  del  Monte  di  Gabberi,  del  Monte 
Leto,  della  Culla,  del  Lombricese  etc.,  nelle 
Alpi  Apuane;  calcari  gessificati  e compatti  di 
Corfino,  di  Sassalbo,  di  Mommio,  di  Soraggio, 
dell’Ozola,  e di  A^albona  nelPApennino;  cal- 
cari cavernosi  di  Lericì  e probabilmente  di 
altre  località  nel  golfo  della  Spezia  ; calcari 
grigio  cupi  compatti  e cavernosi  delle  Alpi 
marittime. 


- 81 


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Epoca  geologica 
SECONDO  I DIVERSI  GEOLOGI. 


SESIE  DELLE  ROCCE. 


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Trias.  — Pareto, 

Paleozoico  Carbonifero. — (Mon- 
te Pisano)  Savi  e Meneghini. 

Siluriano.  —>  Coquand. 

Trias  (quarziti  e calcari  semi- 
cristallini del  Pizzo  d’Uccello 
e delia  Tambura),  Permiano 
(anageniti)  e Carbonifero  (ar- 
desie, marmi  cristallini), 
Cocchi. 

Lias  superiore  (schisti  sopra  i 
marmi  delle  Alpi  Apuane).  - 
Savi  e Meneghini. 

Lias  inferiore  e trias  (marmi 
delle  Alpi  Apuane)  Savi  e Me- 
neghini. 

Neoeomiano  (Pisanino,  Penna 
di  Sumbra,  Fatonero,  Pizzo 
d’ Uccello)  Savi  [Sulla  costi- 
tuzione geologica  eie.). 


Schisti  cristallini,  micaschisti,  quarziti,  e 
anageniti  del  Monte  Pisano,  micaschisti  di  Ca- 
maiore,  del  Lombricese  e di  Val  di  Castello  ; ar- 
desie tegolari,  arenarie,  cipollini,  schisti  grafi- 
tiferi e bardigli  superiori  semicristallini,  del 
Forno  Volasco,  del  Canale  delle  Mulina  e della 
valle  della  Turrite  secca;  calcari  terrosi  e ci- 
pollini di  Turano  e del  Carrarese,  calcari  cri- 
stallini, superiori,  cipollini  micaciferi,  anage- 
niti, quarziti,  micaschisti,  cloroschisti,  ardesie, 
gneiss  superiori  del  Carchio,  calcari  terrosi  e 
compatti  etc.,  del  Monte  della  Brugiana,  della 
valle  del  Frigido,  del  canal  Magro,  della  valle 
di  Montignoso,  della  valle  di  Strettoia,  del 
Monte  Folgorito,  di  Ripa,  di  Serravezza  del 
canale  di  Piastra  o di  Solaio,  del  canale  di 
Vagli,  e dell’Acquabianca,  nelle  Alpi  Apuane; 
calcari  e schisti  cristallini  dei  Capo  Corvo. 

Calcari  cristallini,  grezzoni  fossiliferi,  cal- 
cari ordinarii  con  grafite,  del  Sagro,  del  Pizzo 
d’Uccello,  del  Pisanino,  della  Tambura,  del- 
l’Altissimo, del  Carchio,  del  Monte  Costa, 
della  Cappella  e di  Trambiserra,  del  Monte 
Cerchia,  della  Val  d’Arni  e di  Val  di  Cas- 
tello ; cipollini  cloritici  o terrosi  del  Carfaro, 
di  Arni,  del  Pitone  etc.’ 


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(Paleozoico  carbonifero.  — Savi 
e Meneghini. 

Laurenziano  0 Prcsiluriano.  — 

{ Cocchi. 


Gneiss,  schisti  cloritici,  grauioake,  schisti 
grafitici,  schisti  ardesiaci,  cipollini,  del  Forno, 
di  Caglieglia,  di  Antona,  dei  Guadini  etc.,  della 
foce  di  Vinca,  della  Valle  del  Frigido,  delle 
Valli  di  Serra  e del  Giardino,  dei  canali  del 
Bottino  e di  Castagnòla  etc.;  calcari  dolomitici 
del  Frigido,  dell’Altissimo,  di  Levigliani  etc. 


1 Nel  principio  di  questo  scritto,  là  dove  si  discorre  delle  opinioni  dei  geologi  sull’  età  del 
calcare  marmoreo,  si  trova  il  periodo  seguente  : 

« Quando  poi  il  Capellini  dimostrò  che  il  calcare  della  Spezia  ritenuto  triassico  era  invece 
infraliassico,  il  Savi  ammise  che  la  parte  inferiore  dei  marmi  potesse  essere  infraliassica  invece 
che  triassica;  per  tal  guisa  egli  poneva  nell’infralias  gli  strati  inferiori  che  supponeva  costituiti 
dal  hardiglio,  nel  lias  inferiore  gli  strati  medii  costituiti  da  calcare  bianco  ceroide  o saccaroide, 
e nel  lias  medio  gli  strati  superiori,  formati  secondo  lui,  da  un  calcare  rosso  e grigio  con  o 
senza  selce.  » 

A codesto  periodo  deve  essere  sostituito  il  seguente. 

« Quando  poi  il  Capellini  dimostrò  che  il  calcare  della  Spezia  ritenuto  neoeomiano  era  invece 
infraliassico,  il  Savi,  lasciando  nel  trias  gli  strati  inferiori  dei  marmi  che  supponeva  costituiti 
dal  hardiglio,  ammise  che  gli  strati  medi  costituiti  da  calcare  bianco  ceroide  o saccaroide  potes- 
sero essere  infraliassici,  e lasciò  nel  lias  inferiore  gli  strati  superiori,  formati  secondo  lui,  da 
un  calcare  rosso  e grigio  con  o senza  selce.  » 


6 


III. 


Stiidii  stratigrafici  sulla  Formatone  pliocenica 
deW  Italia  Meridionale^  per  G.  Seguenza. 

(Continuazione.  — Vedi  Bollettino,  N.  1-2.) 

§ 8.  — La  fauna  delia  sona  superiore 
del  plioceno  antico. 

La  fauna  di  questa  zona  è molto  ricca  e variata,  è dessa  la 
fauna  del  plioceno  tipico  da  tanto  tempo  esplorata  nella  por- 
zione littorale  dei  mari  di  quell’  epoca  e perciò  ben  conosciuta, 
ma  invece  poco  nota  in  quanto  riguarda  i depositi  submarini,  e 
quindi  in  quella  porzione  che  abitava  le  grandi  profondità  dei 
mari  pliocenici  ; a simiglianza  della  fauna  dei  mari  attuali  di  cui 
si  conoscono  bene  le  specie  littorali  e ci  sono^  quasi  sconosciute 
quelle  dei  mari  profondi. 

L’ Italia  settentrionale  e media  ci  offre  quelle  sabbie  e quelle 
marne  del  plioceno  tipico  ricche  di  specie  littorali,  invece  è l’Italia 
meridionale  che  abbonda  specialmente  di  depositi  dei  mari  pro- 
fondi, nei  quali,  come  già  accennammo,  è una  fauna  affatto  di- 
versa da  quella,  eppure  esattamente  coetanea.  Lo  studio  di  que- 
st’ ultima  quindi  completa  la  cognizione  della  fauna  pliocenica, 
essendoché  la  porzione  delle  grandi  profondità  comprende  delle 
specie  affatto  diverse  e sinora  ben  poco  studiate.  Ed  è veramente 
notevole,  che  gli  studii  stratigrafici  conducano  a riguardare  sic- 
come esattamente  coetanei  dei  depositi  che  racchiudono  due 
faune  affatto  diverse,  tanto  differenti  che  le  specie  comuni  ai  due 
terreni  sono  delle  vere  eccezioni,  e d’  ordinario  s’ incontrano  con 
estrema  rarità  nell’  uno,  se  comuni  nell’altro,  dimanierachè  le  due 
faune  vicendevolmente  si  completano,  per  costituire  insieme  la 
fauna  pliocenica  la  più  ricca. 

Questo  fatto  veramente  importante  e notevolissimo  per  le 
deduzioni  geologiche,  fa  contrasto  non  lieve  colla  somiglianza 
grandissima  che  la  fauna  littorale  di  questa  zona  pliocenica  pre- 
senta con  quelle  della  zona  precedente  e seguente  ; ma  esso  trova 


— 83  — 

un  esatto  riscontro  nell’  epoca  attuale,  tra  i rapporti  che  ci  of- 
frono le  faune  littorali  e le  profonde,  che  talvolta  anco  a brevi 
distanze  sono  completamente  diverse. 

Siffatta  grande  diversità  tra  faune  di  terreni  coetanei  F ab- 
biamo già  notata  nella  zona  precedente  ; ma  in  quella  che  attual- 
mente esaminiamo,  la  vediamo  riprodursi  sopra  grande  scala  e 
vieppiù  distinta,  essendoché  la  zona  superiore  dell’  antico  plioceno 
vastamente  estesa  dall’  uno  all’  altro  estremo  del  suolo  italiano, 
mostrasi  ripartita  come  in  due  distinte  regioni  con  faune  com- 
pletamente diverse;  dalla  Toscana  in  su  è costituita  da  depositi 
littorali,  da  Livorno  e dalle  colline  di  Roma  in  giù,  da  depositi 
di  mari  assai  profondi,  e quindi  con  fauna  niente  somigliante  a 
quella  del  plioceno  tipico. 

Nell’  Italia  meridionale  adunque  la  fauna  dei  mari  profondi 
sostituisce  quasi  dappertutto  la  fauna  littorale,  sennonché  qua  e 
là  in  vicinanza  dei  monti  più  antichi  occorre  di  vedere,  come 
dicemmo,  dei  lembi  di  depositi  littorali,  i quali  racchiudono  quella 
fauna  pliocenica  classica,  tanto  comunemente  sparsa  nell’Alta  Italia. 

La  fauna  submarina  di  cui  discorro,  é distintissima,  non  solo, 
ma  benanco  si  presenta  con  una  meravigliosa  uniformità,  essendo 
sempre  identica  a sé  stessa  in  tutti  i luoghi  dove  si  estendono 
i depositi  di  mari  profondi  spettanti  a questa  zona.  Essa  poi  é 
variatissima  e ricca  di  specie  di  ogni  classe  animale.  I mammi- 
feri mi  hanno  offerto  alcuni  denti  di  Delfino,  di  cui  gli  uni  sem- 
brano appartenere  al  D.  Cortesii  Cuv.  e qualcuno  forse  al  D. 
Brocchii  Bals.  I pesci  vi  hanno  lasciato  numerosi  residui,  ma  so- 
pratutto bisogna  ricordare  i variatissimi  otoliti  e i comuni  denti 
di  squalidi,  dei  quali  ricordo  le  specie  seguenti:  Càrcharodon 
megalodon  Agass.,  G.  Bondeletii  M.  H.,  specie  che  vive  nei  nostri 
mari,  Oxyrhina  Desori  Agass.,  0.  isocelica  Sismonda,  0.  mi- 
nuta Agass.,  Lamna  crassidens  Agass.,  Odontaspis  contortidens 
Agass.,  0.  duhia  Agass.  ec.  ^ e molte  altre  specie  che  bisogna 
tuttavia  studiare.  I crostacei  poi  hanno  lasciato  numerosi  resi- 
dui di  specie  anco  assai  grandi,  ma  d’  ordinario  in  cattivo  sta- 
to, il  gruppo  degli  entomostracei  colle  loro  minime  conchiglie 


‘ Quasi  tutte  queste  specie  furono  dal  signor  R.  Lawley  raccolte  ad  Orciano 
in  terreno  coetaneo.  (Vedi:  Pesci  ed  altri  vertebrati  fossili  del  plioceno  toscano). 


— 84 


bivalvi,  hanno  contribuito  alla  formazione  di  quei  depositi  mar- 
nosi, le  specie  vi  sono  numerose,  ma  tuttavia  non  studiate  ; una 
specie  molto  comune  è la  Bairdia  subdeltoidea^  tuttora  vivente. 
Il  gruppo  dei  Cirripedi  poi,  pel  Messinese  e pel  Keggiano,  è di 
altissima  importanza,  essendo  dei  fossili  estremanaente  comuni. 
Il  genere  Verruca  ci  offre  cinque  specie  comunissime,  cioè  la 
V.  stromia  Muller,  la  V.  Zanclea  Seg.,  la  Y.  dilatata  Seg. , la 
V.  Eomettensis  Seg.,  la  V.  erebricosta  Seg. 

Fra  le  specie  abbondantissime  abbiamo  poi  taluni  cirripedi 
peduncolati.  Così  lo  Scaìpellum  Zandeanum  Seg.,  specie  gigan- 
tesca e somigliante  a talune  della  creta,  lo  S.  Micheìottiammi 
Seg.,  diversissimo  ed  affine  allo  8.  quadratimi  Dixon  dell’eoceno, 
le  Scillcelepas  carinata  PhiL  ed  ornata  Seg.  — Incontransi  ancora 
più  0 meno  sparse,  il  Balanus  myìensis  Seg. , l’ Acasta  muricata 
Seg.,  il  Byrgoma  costatum  Seg.,  la  Coronula  bifida  Bronn,  il 
Pacliylasma  giganteum  Pliil.  ^ I molluschi  poi  sono  importantis- 
simi e speciali  : i Pteropodi  abbondano  dappertutto,  i Gasteropodi 
spettano  a gruppi  particolari  e d’  ordinario  per  la  maggior  parte 
sono  delle  piccole  specie,  così  ancora  i Lameliibranchiati;  i Bra- 
chiopodi  poi  formano  un  gruppo  importantissimo,  perchè  ci  offre 
specie  assai  distinte  e comunemente  sparse.  I Briozoi,  tuttavia 
non  studiati,  formano  in  taluni  luoghi  intieri  strati,  e sono  sparsi 
anco  comunemente  dappertutto  nelle  marne  e nelle  sabbie,  e bi- 
sogna pur  dirlo,  che  hanno  contribuito  molto  all’  aumento  di  quei 
depositi.  Gli  echinodermi  sono  notevoli  pei  Crinoidi  : un  Penta- 
crinus  comune,  che  da  lungo  tempo  denominai  P.  Zancleanus, 
un  Bourgueticrinus  sparsissimo,  alcune  Gomatule,  ed  altri  residui 
varii;  gli  Echinidi  ci  offrono  assai  sparsi  lo  Stirechinus  Scillce, 
Desor,  la  Lejocidaris  histrix  Lk.,  e varie  altre  Cidariti  con 
qualche  Echinus  e spatangoide.  Un  gruppo  importantissimo  poi  è 
quello  dei  Corallarii,  che  ci  offre  forme  svariatissime,  e coralli 
sì  numerosi  e variati  da  formare  dei  veri  banchi  madreporici,  in 
taluni  luoghi  molto  sviluppati.  La  famiglia  degli  Isidiani  ci  offre 
V Isis  melitensis  Goldf.  e 1’ J.  peloritana  Seg.  — I turbinolidi  poi 
formano  un  importantissimo  gruppo,  che  mi  ha  offerto  forme 


* Ved.  Studi  paleontologici  intorno  ai  Cirripedi  terziarii  della  provincia 
di  Messina. 


85 


numerose  ed  assai  varie.  11  genere  GaryophylUa  diciotto  specie, 
il  nuovo  genere  Cerafocyathus  Seg.  colle  sue  trentaquattro  spe- 
cie, è proprio  caratteristico  delle  marne  di  questa  zona,  siccome 
r altro  nuovo  genere  affine  Stephanocyathus  Seg.  colle  sue  tre 
specie,  il  genere  Desmophyllum,  ricco  di  venti  diverse  specie,  il 
Conotroclms  typus  Seg. , e sette  specie  di  Flabeìlum.  I banchi 
calcarei  poi  sono  formati  dagli  Oculinidi  e dai  Madreporidi  a 
cui  si  associano  i Desmophylli  e le  Garyophyìice.  Fra  i primi,  il 
genere  Lophohelia  con  tre  specie,  il  genere  Amphihellia  con  due, 
ed  il  genere  JDiplohelia  con  quattro  ; tra  i secondi,  la  gigantesca 
Goenopsammia  Scillce  Seg.,  la  Balanophyllia  irregularis  Blainv., 
la  JDendropìiyllia  cornigera  Blainv.^  Finalmente  i Foraminiferi, 
colle  loro  infinite  spoglie,  formano  la  parte  principale  della  massa 
tutta  delle  rocce  di  questa  zona,  i generi  e le  specie  vi  sono 
assai  numerose. 

Tanta  varietà  di  organismi  non  ci  offrono  al  certo  i sedimenti 
a fauna  littorale  di  questa  medesima  zona;  infatti  ivi  sono  i mol- 
luschi che  predominano  sopratutto,  e costituiscono  una  fauna  ben 
ricca;  ma  tra  questo  gruppo  di  viventi,  i Gasteropodi  e i La- 
mellibranchiati,  prendono  il  predominio  sulle  altre  classi,  essen- 
doché i Pteropodi  e i Brachiopodi,  sì  abbondanti  e sì  comuni 
nella  fauna  submarina,  divengono  una  vera  eccezione  nella  litto- 
rale, e quelli  invece  compariscono  colle  più  variate  forme  pro- 
prie dei  mari  caldi,  e sono  rappresentati  da  grandi  e numerose 
specie,  tra  le  quali  sono  notevolissime  ed  atte  a distinguere 
questa  zona  dal  plioceno  più  recente  i Coni,  le  grandi  e nume- 
rose Pleurotome,  le  Terebre,  le  Cancellarle,  e poi  i variati  Mu~ 
rex,  Nasse,  Fusus,  Gardife,  Venus,  ec.  ec. 

Le  altre  classi  animali  in  questi  depositi,  a fronte  di  tanto 
sviluppo  dei  molluschi,  quasi  scompariscono  e non  hanno  al  certo 
che  minima  importanza. 

I depositi  marnosi  di  Monte  Mario  e presso  Livorno,  e le 
sabbie  di  Calatabiano  da  me  ricordati,  sono  strati  a fauna  inter- 
media, che  collega  benissimo  insieme  i sedimenti  littorali  e i 
submarini  di  questa  zona.  Infatti  le  sabbie  marnose  di  Calata- 


‘ Ved.  Disquisizioni  paleontologiche  intorno  ai  Corallarii  fossili  dei  ter- 
reni terziari  della  provincia  di  Messina. 


86 


biano  associano  a Gasteropodi  e Lamellibranchi  littorali,  Gaste- 
ropodi, Lamellibranchi,  Pteropodi  e Bracbiopodi  dei  sedimenti 
• submarini,  ai  quali  si  annettono  benanco  numerosi  polipai  dei 
mari  profondi,  come  dissi  nel  precedente  paragrafo.  Siffatta  mi- 
scela fa  credere  che  quei  depositi  si  costituirono  a media  pro- 
fondità. 

Un  fatto  importantissimo  viene  in  appoggio  alle  mie  conclu- 
sioni. Nelle  pesche  fatte  in  questi  ultimi  anni,  nelle  grandi  pro- 
fondità del  Mediterraneo  e dell’  Atlantico,  si  è venuta  sollevando 
una  fauna  che  è affatto  diversa  dalla  vivente,  conosciuta  nelle 
piccole  profondità;  in  essa  furono  scoperti  non  pochi  molluschi, 
che  trovansi  nei  depositi  submarini  della  zona  che  esamino,  e 
con  essi  un  Fentacrinus  e varii  coralli,  quello  probabilmente 
identico  al  P.  Zancleanus,  questi  in  parte  corrispondenti  a varie 
specie  degli  strati  messinesi. 

Ma  nessuna  specie  fu  rinvenuta  a quelle  profondità,  che  si 
trovasse  fossile  in  seno  alla  fauna  classica  veramente  littorale 
del  pliocene,  il  quale  invece  ha  le  sue  specie  identiche-  alle  vi- 
venti nella  fauna  littorale  odierna. 

Ecco  adunque  un  legame  importantissimo  tra  la  fauna  at- 
tuale e le  due  sezioni  di  quella  del  pliocene  antico,  legame  che 
conferma  precisamente  le  deduzioni  tratte  dallo  studio  dei  fos- 
sili in  sè  stessi. 

La  distinzione  dei  depositi  in  littorali  e submarini  in  questa 
zona  ancor  più  estesi  che  nella  precedente,  mi  ha  fatto  adottare 
nell’  enumerazione  delle  specie  del  seguente  elenco  la  medesima 
partizione  di  tutte  le  località  in  due  categorie,  mettendo  come 
intermedie  quelle  altre  che  ci  offrono  una  fauna  mista,  la  quale 
è documento  eloquentissimo  per  la  esatta  coetaneità  delle  due 
nature  di  depositi  a fauna  completamente  diversa. 

Fra  le  molte  località  di  cui  mi  sono  prefìsso  di  presentare 
la  fauna  malacologica  nel  seguente  elenco,  ve  ne  ha  molte  a 
fauna  submarina  e poche  a fauna  littorale  dell’Italia  meridio- 
nale, e come  è ragionevole  l’inverso  per  l’Alta  Italia. 

Fra  le  località  a fauna  littorale  dell’  Italia  meridionale  ne 
ho  considerato  due  soltanto  che  mi  sono  meglio  note,  cioè  Al- 
tavilla presso  Palermo  e Santa  Cristina  in  Calabria. 

Altavilla  ci  offre  il  tipo  dei  depositi  littorali  di  questa  zona, 


— 87  — 

e la  loro  fauna  studiata  primieramente  dal  Calcara,  quindi  dal 
Libassi,  dal  Brugnone,  dall’Aradas  ec.,  ci  presenta  belle  e nume- 
rose specie  per  la  determinazione  delle  quali  mi  sono  valso  so- 
pratutto della  collezione  che  possiedo,  in  parte  raccolta  da  me 
stesso,  in  parte  procuratami  per  mezzo  di  vari  amici.  Non  ho 
trascurato  di  enumerare  benanco  quelle  specie  che  furono  tro- 
vate da  varii  esploratori,  e che  mancano  nella  mia  collezione. 

La  località  di  Santa  Cristina  ci  offre  un  lembo  di  questo 
plioceno  littorale,  in  mezzo  alle  rocce  cristalline,  che  racchiude 
poche  specie  di  fossili. 

Tra  i moltissimi  luoghi  a fauna  littorale  che  potrebbero  sce- 
gliersi nell’  alta  e media  Italia,  io  ho  preferito  quelli  di  cui  ho  po- 
tuto io  stesso  esaminare  la  fauna. 

E primieramente  della  Toscana  ho  scelto  la  località  di  Or- 
ciano,  ricca  di  ben  conservati  fossili,  da  dove  la  fauna  malaco- 
logica  mi  è ben  nota  grazie  alle  belle  comunicazioni  e raccolte 
avute  dai  signori  C.  D’  Ancona  e K.  Lawley. 

Devo  alla  cortesia  di  quest’  ultimo  gentilissimo  signore  una 
collezione  dei  fossili  dei  vari  luoghi  di  Val  d’  Era,  ed  un  no- 
tamente di  tutte  le  specie  che  non  possiedo;  così  nella  quarta 
colonna  ho  voluto  riunire  insieme  tutte  le  specie  di  questi  vari 
luoghi. 

Grazie  alle  belle  ricerche  del  prof.  Capellini  e del  dottore 
Foresti,  posso  presentare  nella  quinta  colonna  i fossili  della  zona 
superiore  dell’  antico  plioceno  del  Bolognese  di  cui  possiedo  bella 
collezione. 

Nel  1864  ho  raccolto  io  stesso  nell’  Astigiano,  in  due  diverse 
località,  i fossili  di  questo  periodo,  che  presento  in  due  altre 
colonne  ; un  luogo  presso  Asti  mi  ha  offerto  i fossili  in  sabbie 
gialle,  l’altro  per  nome  Cornaré,  presso  Castelnuovo,  in  marne 
sabbiose  bianchicce. 

Finalmente  ho  voluto  scegliere  benanco  la  fauna  littorale  di 
un  lembo  tra  i più  settentrionali  presso  Masserano  che  è stato 
esaminato  dal  prof.  Gastaldi  ^ e da  dove  possiedo  una  colle- 
zione, che  devo  alla  gentilezza  del  signor  cav.  L.  Rovasènda. 

Ho  creduto  ancora  di  grande  importanza  il  confronto  della 


* Studii  geologici  sulle  Alpi  occidentali. 


88  ~ 


fauna  di  questa  zona  italiana  con  quella  degli  strati  coetanei 
di  Biot  in  Francia.  Valendomi  per  ciò  del  catalogo  del  signore 
Bell  ^ ho  enumerato  nella  nona  colonna  del  mio  elenco  le  specie 
che  quel  terreno  ha  di  comune  colle  località  italiane  da  me  con- 
template. Tale  comparazione  dimostra  ad  evidenza  come  gli  strati 
coetanei,  formatisi  in  condizioni  identiche,  presentano  identica 
fauna  anco  sino  a grandi  distanze. 

Seguono  quindi  tre  colonne  addette  ai  luoghi  che  offrono  una 
fauna  mista. 

Così  la  decima  è pei  fossili  che  il  sig.  G.  B.  Caterini  scuo- 
priva  in  un  deposito  di  marne  poco  lungi  da  Livorno,  e che  fu- 
rono poscia  pubblicati  dal  signor  Appelius,^  dei  quali  possiedo 
una  collezione  avuta  dallo  stesso  Caterini.  L’ undecima  è addetta 
ai  fossili  di  Calatabiano  cotanto  istruttivi,  che  io  stesso  ho  rac- 
colto nei  lembi  di  pliocene  sparsi  lungo  la  pianura  di  Calata- 
biano tra  Giardini  e Piedimonte,  da  me  le  molte  volte  visitata. 
La  duodecima  pei  fossili  delle  marne  di  Monte  Mario,  che  mi 
furono  forniti  dal  signor  Bigacci. 

Le  cinque  colonne  addette  ai  depositi  a fauna  submarina  of- 
frono i fossili  di  cinque  luoghi  dell’Italia  meridionale. 

La  tredicesima  riunisce  le  specie  di  Gerace,  Siderno,  Mona- 
sterace,  tre  località  del  lato  orientale  della  provincia  di  Keggio  ; 
nel  primo  luogo  i fossili  furono  raccolti  dal  Fuchs,  nel  secondo 
da  me  stesso,  nel  terzo  dal  Philipp!. 

La  fauna  malacologica  dei  vari  luoghi  dei  dintorni  di  Peg- 
gio da  me  stesso  raccolta  è riunita  nella  quattordicesima  co- 
lonna. 

L’  elenco  che  dà  il  Philipp!  della  Valle  Lamato  è il  più  atto 
a dimostrare  in  quel  luogo  il  terreno  che  esamino,  quantunque 
senza  dubbio  in  quel  catalogo  vi  si  trovano  miste  delle  specie 
di  zone  più  recenti,  che  io  eliminerò  come  saprò  meglio. 

Al  Capo  Plemmirio  presso  Siracusa  la  zona  superiore  del- 
Pàntico  pliocene  è formata  di  depositi  di  mari  profondi,  ed  io  ho 
voluto  inserire  anco  i pochi  fossili  di  questa  località  siccome  la 
più  meridionale  da  me  conosciuta. 

‘ Catalogue  des  mollusques  fossiles  des  marnes  bleues  de  Biot,  près  Antibes 
(Alpes-Maritiraes). 

* Catalogo  delle  conchiglie  fossili  del  Livornese  ec. 


- 89 


Infine  le  varie  località  del  Messinese  non  meritano  alcuna 
distinzione,  essendoché  i vari  lembi  di  questa  zona  presentano 
fauna  affatto  identica,  la  quale  studiata  da  me  con  cura  sin  da 
molto  tempo,  mi  si  presenta  siccome  della  più  alta  importanza, 
la  riunisco  quindi  in  unica  colonna,  la  diciassettesima. 

Nelle  due  ultime  colonne  infine,  come  nei  precedenti  elenchi, 
è indicata  V abitazione  mediterranea  e nordica  delle  specie  tut- 
tavia viventi. 

Ho  creduto  benanco  conveniente  di  disgiungere  le  specie  dei 
depositi  littorali  da  quelle  dei  depositi  di  mari  profondi,  ripartendo 
ciascun  genere  in  due  gruppi,  di  cui  il  primo  è costituito  dalle 
specie  littorali,  ed  il  secondo  dalle  submarine,  intercalando  tra  le 
due  sezioni  quelle  specie  rare  che  sono  comuni  alle  due  nature  di 
depositi.  Per  la  distinzione  poi  ho  fatto  seguire  il  numero  d’ or- 
dine di  ciascuna  specie  dalla  lettera  l per  le  littorali,  s per  le 
submarine  e c per  quelle  che  sono  comuni  alle  due  nature  di 
depositi,^  ovvero  che  si  sono  trovate  nei  sedimenti  a fauna  mi- 
sta nei  luoghi  contemplati  nell’  elenco.  {Continua). 


IV. 

Sulla  relazione  di  un  viaggio  geologico  in  Italia 
per  T.  Fuchs.  Nota  di  G.  Seguenza. 

Nei  fascicoli  9 e 10  del  1874  del  Bollettino  del  E.  Comitato 
Geologico  davo  alla  luce  alcune  mie  osservazioni  sulla  relazione 
del  signor  Teodoro  Fuchs  intorno  ad  un  suo  viaggio  geologico 
in  Italia;  il  signor  Fuchs  si  è fatto  a rispondere  alle  mie  note 
critiche  nei  fascicoli  1 e 2 del  1875  del  periodico  medesimo, 
ed  io  sarei  lietissimo  secolui  se  sui  diversi  punti  controversi,  che 
toccano  la  stratigrafia,  noi  fossimo  venuti  in  accordo,  come  sopra 


* È importante  notare  come  per  ispecie  littorali  e submarine  qui  s’ inten- 
dano le  specie  raccolte  esclusivamente  nei  depositi  di  questa  zona,  che  si  for- 
marono a piccole  0 a grandi  profondità,  essendo  d’ altronde  agevole  il  capire 
come  taluni  individui  di  specie  dell’  una  possono  essersi  miste  alle  specie  che 
vissero  nell’altra  zona. 


— 90  — 

i 

taluni  altri  pei  quali  il  disparere  era  cagionato  realmente  da 
taluni  malintesi. 

Difatti  il  signor  Fuchs  asseriva  che  pria  del  suo  viaggio  non 
conoscevasi  il  calcare  di  Leitha  in  Italia,  ma  alle  mie  osserva- 
zioni in  contrario,  egli  soggiunse  che  intendeva  parlare  della 
penisola  italiana,  ad  esclusione  delle  isole,  ed  io  accetto  di  buon 
grado  una  tale  dichiarazione. 

Un  altro  malinteso  viene  segnalato  dal  signor  Fuchs  intorno 
al  paragone  da  lui  istituito  tra  il  calcare  miocenico  di  Castel- 
lina e di  Rosignano  ed  il  calcare  concrezionato  di  Messina  e di 
Gerace,  paragone  che  mi  ha  fatto  credere  che  il  signor  Fuchs 
avesse  voluto  ritenere  le  due  rocce  siccome  coetanee;  ma  egli 
ha  dichiarato  quindi  che  non  volea  farne  se  non  un  raffronto 
litologico,  a fine  di  far  notare  dei  caratteri  di  somiglianza  petro- 
grafica  tra  le  due  formazioni,  ed  io  mi  acqueto  intieramente  a 
tale  dichiarazione. 

Mi  è d’ uopo  cionnonpertanto  di  far  notare  che  il  calcare  con- 
crezionato di  Messina,  studiato  con  cura  in  tutti  i luoghi  dove 
si  presenta,  e nelle  relazioni  che  lo  legano  colle  altre  rocce, 
malamente  saprebbe  definirsi  per  una  roccia  che  forma  regolari 
strati;  essa  invece  costituisce  ammassi  irregolarissimi  alla  base 
del  pliocene,  a simiglianza  degli  ammassi  di  gesso  in  seno  alle 
argille  mioceniche,  ed  in  alcuni  luoghi  siffatti  ammassi  si  ripe- 
tono a varii  livelli  sempre  con  identicissimi  caratteri,  interpo- 
nendosi agli  strati  fossiliferi  del  pliocene  antico  come  vedesi  alla 
contrada  Gravitelli,  che  è intermedia  tra  Scoppo  e Catarratti, 
luoghi  studiati  dal  signor  Fuchs.  Siffatte  ragioni,  nel  difetto 
completo  di  caratteri  paleontologici,  credo  che  valgano  bene  a 
riunire  il  calcare  concrezionato  al  pliocene.  La  concordanza  colle 
molasse  mioceniche,  e la  discordanza  dagli  strati  pliocenici  pro- 
clamati dal  Fuchs  credo  che  non  valgano  nel  caso  nostro,  essen- 
doché la  stratificazione  del  calcare  non  è quasi  mai  apparente,  e 
la  estrema  irregolarità  che  io  noto  nei  banchi  che  esso  costituisce 
ci  vieta  di  conchiudere  alla  discordanza  cogli  strati  soprastanti, 
che  d’altronde  racchiudono  pure  dei  banchi  affatto  identici.  Quindi 
io  credo  che  le  ragioni  propugnate  dal  Fuchs  per  annettere  al 
miocene  il  calcare  concrezionato,  sieno  di  poco  valore  a fronte 
di  quelle  per  le  quali  io  sono  portato  a riunirlo  al  pliocene. 


- 91 


In  qualunque  modo  il  calcare  concrezionato  di  Gerace  è coe- 
taneo a quello  di  Messina,  ed  il  signor  Fuchs  avendo  vaghezza 
di  annunciarci  la  scoperta  del  miocene  in  quei  luoghi,  avrebbe 
potuto  additarci  nei  terreni  di  Gerace  una  formazione  miocenica 
ben  più  autentica  di  quello  che  non  sia  il  calcare  concrezionato. 

Dal  lato  settentrionale  di  Gerace  si  estende  una  serie  di  col- 
line, che  si  dirige  verso  oriente  sino  alla  fiumara  di  Siderno, 
costituite  da  vere  molasse  più  o meno  sciolte,  che  elevandosi 
scoscese  sulle  argille  scagliose  che  si  estendono  a settentrione, 
formano  da  quel  lato  un  ciglione  che  corre  quasi  diritto  dal 
paese  alla  valle.  Negli  strati  superiori  di  tali  sabbie  non  vi  si 
rinviene  che  qualche  raro  modello  di  bivalvi,  tra  i quali  è suf- 
ficente  avere  riconosciuto  la  Cardila  louanneti  ed  un  gigantesco 
modello  di  Venus  che  bisogna  rapportare  alla  Vemis  umbonaria 
Lamarck.  Negli  strati  più  bassi  presso  la  valle  si  raccolgono  dei 
grandi  pettini,  più  comunemente  in  frammenti,  delle  Ostree,  dei 
Clypeastri  ec.,  e la  roccia  è ripiena  della  Operculina  complanata 
D’  Orb.  Le  specie  dunque  che  io  posso  ricordare  sono  le  seguenti  : 
Pecten  Pesseri  Andr.  ; P.  aduncus  Eichw;  P.  scabreìlus  Lamk; 
Osfrea  Poblay  Desh.;  Clypeaster  pyramidalis  Michelin;  Opercu- 
lina complanata  D’  Orb. 

Questa  roccia  dunque  porta  seco  nei  fossili  la  fede  di  bat- 
tesimo, ed  il  signor  Fuchs,  che  non  la  vide,  avrebbe  potuto  ri- 
conoscerla siccome  il  vero  ed  autentico  rappresentante  del  mio- 
cene, del  quale  senza  dubbio  ne  rappresenta  più  d’  una  zona. 

Correggesi  poi  il  signor  Fuchs  dell’  errore  commesso  nel  rap- 
portare al  miocene  le  argille  scagliose  del  territorio  di  Gerace, 
e si  meraviglia  che  nella  mia  rivista  non  abbia  notato  un  tale 
errore,  che  egli  giudica  siccome  il  più  importante. 

Non  entrava  nel  mio  programma  il  discorrere  delle  altre  for- 
mazioni, mentre  mi  attenni  a parlare  soltanto  del  pliocene  di 
Gerace,  ed  infatti  trascurai  di  parlare  del  miocene  di  cui  tenni 
parola  qui  avanti,  nè  volli  toccare  la  più  grave  quistione  del- 
r età  delle  argille  scagliose,  nella  definizione  della  quale  non  mi 
sarei  certamente  contentato  di  dire  che  le  argille  che  si  esten- 
dono formando  la  base  del  pliocene  di  Gerace  non  spettano  al- 
r epoca  miocenica  ma  sono  delle  vere  argille  scagliose,  dappoiché 
ben  si  conosce  oggigiorno,  ed  in  Italia  specialmente,  come  tale 


92 


roccia  ricomparisca  pressoché  coi  medesimi  caratteri  nelle  for- 
mazioni di  diverse  età  geologiche;  vedonsi  infatti  argille  sca- 
gliose nel  cretaceo,  nell’  eoceno,  nell’  oligocene,  e financo  nel 
miocene  e nei  varii  periodi  di  siffatte  epoche  geologiche.  Nel- 
r Italia  meridionale,  come  in  tanti  altri  luoghi  d’ Europa,  là  dove 
mancano  i fossili  nelle  argille  scagliose  (ed  è il  caso  più  ordi- 
nario) riesce  arduissimo  determinare  precisamente  la  loro  età. 
Le  argille  di  Gerace  intanto  parmi  che  si  ripartano  in  due  zone, 
la  superiore  con  istrati  di  calcare  bianco  a fucoidi  e talvolta  a 
piromaca,  con  limonite  e siderioso  in  istrati  ed  arnioni,  con  are- 
narie quarzose  che  terminano  la  serie,  spetta  senza  dubbio  al- 
r oligoceno,  e vedesi  sviluppata  specialmente  dal  lato  nord-ovest. 

La  zona  inferiore  poi  rappresenta  l’ eoceno  superiore  e medio. 
La  stratigrafia  e paleontologia  che  ho  studiato  in  tanti  diversi 
luoghi  dove  le  argille  scagliose  si  presentano  nel  Messinese  e nel 
Reggiano,  siccome  nelle  provinole  di  Palermo  e di  Catania  con- 
fermano a pieno  tali  vedute.^ 

Quanto  riguarda  poi  il  mio  apprezzamento  "delle  rocce  plio- 
ceniche di  Gerace,  sia  per  quanto  spetta  alla  tettonica,  come 
per  la  definizione  del  periodo  cui  ciascuno  strato  appartiene, 
parmi  che  mi  tocca  più  da  vicino  e con  maggiore  ragione,  sia 
anco  perciò  stesso  che  il  signor  Fuchs  mi  crede  a tale  riguardo 
in  grave  errore. 

Il  signor  Fuchs  è perfettamente  d’  accordo  colle  mie  vedute 
nel  riconoscere  nell’  Italia  meridionale  un  pliocene  recente  ed  un 
pliocene  antico  ; ma  se  egli  avesse  esaminato  con  maggior  cura 
e sopra  più  vasta  estensione  gli  strati  dell’  ultima  epoca  ter- 
ziaria si  sarebbe  agevolmente  accorto  che  tanto  il  recente  plio- 
cene quanto  1’  antico  si  dividono  naturalmente  ciascuno  in  due 
zone  distintissime  e ben  riconoscibili  dovunque  per  marcatissime 
differenze  paleontologiche. 

Le  due  zone  del  pliocene  antico  in  tutta  l’ Italia  meridionale 
si  presentano  non  solamente  distintissime  ma  benanco  discordanti. 

La  zona  inferiore  è costituita  da  marne  a foraminiferi  in 


^ Ved,  Brevissimi  cenni  intorno  la  serie  terziaria  della  provincia  di  Mes- 
sina e Deir  Oligoceno  in  Sicilia.  — In  questi  due  lavori  credo  di  aver  dimostrato 
stratigraficamente  e paleontologicamente  l’età  diverse  delle  argille  scagliose 
deir  Italia  meridionale. 


— 93 


cui  grandemente  predominano  la  Globigerina  o le  Orbuline,  e 
vengono  esclusi  quasi  intieramente  i resti  di  altre  classi  animali, 
soltanto  qualclie  rarissima  volta  e per  vera  eccezione  vi  si  trova 
qualche  spoglia  di  mollusco.  Vi  si  trovano  inoltre  delle  sabbie 
0 dei  conglomerati,  più  o meno  miste  di  calcare,  le  quali  invece 
sono  dappertutto  caratterizzate  dall’  abbondanza  di  Balani,  di 
Pettini,  di  Ostree,  di  Brachiopodi.  Queste  due  diverse  forme 
litologiche,  in  gran  parte  originate  dalla  diversa  profondità  dei 
mari,  ora  si  associano,  talvolta  alternano,  sovente  mutuamente 
si  sostituiscono,  in  tutti  i casi  le  due  diverse  faune  che  racchiu- 
dono le  caratterizzano  a meraviglia  e dovunque.  L’ Amphistegina 
milgàris  vi  si  trova  sempre,  ora  sparsa  con  rarità,  e più  spesso 
con  grande  profusione  ; ed  invece  manca  affatto  nel  pliocene  recente. 

La  zona  superiore  dell’  antico  pliocene  formata  da  marne  più 
0 meno  sabbiose,  che  talvolta  alternano  con  strati  calcarei,  rac- 
chiude una  fauna  variatissima  propria  dei  mari  profondi.  Tutte 
le  classi  dei  molluschi  vi  hanno  numerosi  rappresentanti,  in  cui 
molto  abbondano  i brachiopodi,  e tutte  le  altre  classi  animali  vi 
mescolano  insieme  le  loro  spoglie,  formando  un  tutto  che  caratte- 
rizza a meraviglia  questa  zona,  distinguendola  dalla  precedente. 

Dappertutto  nelle  provincie  di  Messina,  di  Peggio,  di  Pa- 
lermo, di  Catania,  di  Siracusa  gli  strati  della  zona  superiore  del 
pliocene  antico  poggiano  in  discordanza  su  quelli  della  zona  infe- 
riore, la  quale  sopra  grandi  estensioni  mostrasi  del  tutto  isolata, 
ed  in  taluni  luoghi  si  eleva  a grandi  altezze. 

Perlochè  la  quistione  non  verte  soltanto  intorno  al  pliocene 
di  Gerace,  ma  bensì  sul  pliocene  dell’  Italia  meridionale  tutta, 
anzi  direi  meglio  di  tutta  Italia,  dappoiché  ormai  il  pliocene 
tipico  dell’  alta  e media  Italia  si  riparte  in  due  zone  che  credo 
di  aver  dimostrate  sincrone  delle  due  zone  del  pliocene  antico 
delle  provincie  meridionali.^ 

Il  signor  Fuchs  studiando  il  pliocene  presso  Messina  e quello 
di  Gerace  ha  insieme  confuse  le  marne  delle  due  zone,  che  in- 
tanto sono  distinte  stratigraficamente  e paleontologicamente.  Egli 
ha  dato  un  elenco  di  fossili  raccolti  presso  Gerace,  che  spettano 


’ Ved.  Studii  stratigrafici  sulla  formazione  pliocenica  delV  Italia  meridio- 
nale. [Bolletiino  del  R.  Comitato  geologico,  anni  1873-74-75.) 


94  — 


tutti  alla  zona  superiore,  provengono  perciò  da  un  lembo  di 
marne  soprastante  a tutta  la  serie  pliocenica  rappresentata  nelle 
pittoresche  vedute  e sezioni  che  il  signor  Fuchs  annette  al  suo 
lavoro,  e che  tutta  intiera  deesi  rapportare  alla  zona  più  antica. 

La  contrada  Tenda  posta  sulla  sinistra  del  torrente  di  Si- 
derno  è la  più  atta  a dimostrare  la  successione  stratigrafìca  delle 
rocce  plioceniche  che  formano  il  limitrofo  monte  di  Grerace.  Di- 
fatti dal  lato  del  torrente  una  roccia  di  arenaria  molto  calcari- 
fera racchiude  Balani,  Pettini  ed  Amphistegine  proprie  della 
zona  inferiore  del  pliocene,  e risponde  al  membro  superiore  sab- 
bioso del  monte  di  Gerace,  che  si  erge  dirimpetto.  Sopra  questa 
roccia  poggiano  immediatamente  delle  marne  grigio-biancastre, 
che  costituiscono  una  serie  di  colline  estendentisi  verso  Siderno. 

In  tale  roccia  sono  sparsi  dei  fossili  che  spettano  alla  zona 
superiore  dell’  antico  pfioceno,  in  parte  rispondenti  alle  specie 
che  il  Fuchs  raccoglieva  presso  Gerace  in  un  lembo  di  marne 
esattamente  coetaneo  alle  colline  di  cui  discorro,  e quindi  come 
queste  posteriore  alle  sabbie  ed  arenarie  calcarifere  di  Gerace, 
e con  più  ragione  posteriore  alle  marne  che  a queste  sottostanno. 

Quindi  io  conchiudo  che  il  signor  Fuchs  ha  commesso  un  primo 
errore  nel  confondere  le  due  marne  distintissime,  spettanti  alle 
due  zone  del  pliocene  antico;  questo  mio  giudizio,  emesso  già 
altra  volta,  e che  ora  confermo  e convalido,  è una  legittima 
conseguenza  delle  idee  che  possiedo  sulla  costituzione  del  plio- 
cene, e che  mi  procurai  con  lunghi  ed  assidui  studii  compara- 
tivi, i quali  sono  benanco  guarentigia  non  poca  delle  idee  che 
professo.  E se  progredendo  nei  miei  studii  ho  dovuto  grado 
grado  modificare  le  mie  vedute  a riguardo  dell’  età  e della  par- 
tizione dell’  ultimo  terziario  dell’  Italia  meridionale,  non  mi  è 
occorso  sinora,  nè  credo  che  mi  sarà  d’  uopo  in  seguito,  di  cor- 
reggere r ordine  di  successione  stratigrafica  delle  rocce  quale  la 
riconobbi  sin  dal  principio  de’  miei  studii.  D’  altro  canto  poi  le 
rocce  di  Gerace  e di  Tenda  e le  cento  diverse  località  del  Mes- 
sinese, del  Keggiano  e delle  altre  provincie  sono  sempre  là  per 
attestare  la  reciproca  relazione  degli  strati,  che  dappertutto 
viene  in  appoggio  alle  mie  idee. 

Confuse  insieme  le  due  marne  ne  veniva  per  conseguenza  che 
le  sabbie  ed  i calcari  superiori  fossero  considerati  siccome  rap- 


95  - 


presentanti  del  plioceno  recente,  ed  a ciò  il  signor  Fuclis  fu 
incoraggiato  dagli  strati  a Briozoi,  Balani  e Brachiopodi,  che  le 
sabbie  racchiudono,  essendoché  presso  Messina  il  plioceno  più 
recente  offre  delle  sabbie  con  Balani  e Briozoi.  Ma  siffatti  dati 
paleontologici,  a dir  vero  troppo  generici,  inducono  facilmente  in 
errore  allorché  s’ invocano  per  determinare  il  sincronismo  degli 
strati.  Difatti  strati  ricchi  di  Briozoi,  di  Balani  e di  Brachiopodi 
si  vedono  dappertutto  nelle  quattro  zone  del  plioceno,  e quindi 
non  valgono  a nulla  per  la  distinzione  stratigrafica,  se  non  si 
ricorre  alla  definizione  delle  specie  di  tali  fossili.  Quindi  il 
signor  Fuchs  é stato  indotto  in  un  secondo  errore  riguardando 
le  sabbie  calcarifere  di  Gerace  siccome  coetanee  alle  sabbie  del 
più  recente  plioceno,  e ciò  per  aver  confuso  le  due  marne  del 
plioceno  antico,  e per  aver  creduto  ad  una  apparente  somiglianza 
paleontologica.  Ma  basterebbe  P Amphistegina  vulgaris  profusa- 
mente  sparsa  in  quelle  sabbie  per  attestare  la  loro  età,  essen- 
doché tale  fossile  manca  affatto  nel  plioceno  recente  e caratte- 
rizza dovunque  la  più  antica  zona  di  quest’  epoca.  Un’  altra 
esattissima  osservazione  fatta  dal  signor  Fuchs  avrebbe  dovuto 
premunirlo  contro  questo  errore  e metterlo  in  guardia  ; egli  no- 
tava infatti  che  le  sabbie  di  Gerace  per  gradazioni  insensibili 
passano  alle  marne  ed  alternano  con  esse,  lo  che  attesta  chia- 
ramente che  le  marne  e le  sabbie  si  collegano  in  unica  forma- 
zione che  non  può  esser  suddivisa. 

D’altro  canto  le  sabbie  del  plioceno  recente,  di  ben  altro 
aspetto  e con  ben  altri  fossili  possono  benanco  osservarsi  in 
quelle  contrade.  Sopra  le  marne  fossilifere  di  Tenda,  di  cui  ho 
parlato  sopra,  poggiano  taluni  strati  di  grossolane  sabbie  che 
coronano  le  vette  di  talune  colline,  racchiudendo  la  fauna  pro- 
pria della  zona  inferiore  del  plioceno  recente,  della  quale  mi 
basta  ricordare  la  Terébratula  Scillae  Seg.  ; la  T.  minor  Phil.  ; 
la  Terebratulina  caput-serpentis  Lin.  ; la  Megerlia  truncata  Gin.  ; 
VArgiope  decollata  Chemn.,  ec. 

Quanto  poi  alla  contradizione  in  cui  ha  creduto  sorprendermi 
il  signor  Fuchs  raffrontando  il  mio  scritto  con  quanto  oralmente 
io  gli  avea  manifestato,  é anco  questo  un  altro  equivoco  in  cui 
é incorso.  Ed  in  vero  allorché  egli  mi  parlò  della  sua  visita  a 
Gerace  io  non  conosceva  quei  terreni  ; fu  lui  che  mi  presentò  la 


- 96  - 


sezione  del  plioceno,  ed  insieme  pochi  fossili  riferibili  alle  se- 
guenti specie  : Nassa  limata  Chemn.  ; N.  costulata  Brocchi  ; Turbo 
filosus  Philippi;  Natica  Broccliii  Philippi;  JDentalium  élephanti- 
num  L.  ; Nuciila  sulcata  Bronn.  La  sezione  presentava  dal  basso 
alP  alto  un  conglomerato,  delle  marne  e delle  sabbie  calcarifere  ; 
ed  il  signor  Fuchs  nell’  offrirmi  i fossili  enumerati  dissemi  che 
provenivano  tutti  dalle  marne,  e siccome  quelle  specie  spettano 
alla  zona  superiore  del  plioceno  antico,  io  dichiarai  allora,  e so- 
stengo oggi,  che  le  marne  che  le  racchiudono  spettano  a tale 
zona,^  quindi  le  mie  idee  a tale  riguardo  sono  restate  immutate 
e restano  immutabili,  quindi  la  contradizione  che  credesi  di  sco- 
prire non  esiste.  Ma  siccome  allora  il  signor  Fuchs,  come  oggi 
sostiene,  mi  manifestava  che  quei  fossili  offertimi  venivano  dalle 
marne  rappresentate  nella  sezione,  io  dovea  necessariamente  rap- 
portare all’  età  di  quei  fossili  le  marne  e quindi  ringiovanirle  e 
più  ancora  le  sabbie  soprastanti;  vorrà  perciò  il  signor  Fuchs 
credermi  in  contradizione?  Ma  è ciò  un  volermi  attribuire  un 
errore  stratigrafìco  che  non  è mio  e che  invece  gli  appartiene 
di  pieno  diritto.  Dappoiché,  come  di  sopra  ho  detto,  quelle  con- 
chiglie furono  raccolte  in  marne  che  sono  posteriori  non  solo 
alle  marne  della  sezione  ma  benanco  alle  ultime  sabbie. 

Da  tutto  ciò  si  capisce  benissimo  che  il  signor  Fuchs  avrà 
ben  lungo  attendere  finché  io  abbia  modificate  le  mie  idee  in 
modo  da  convenire  colle  sue.  Venga  piuttosto  a visitare  nuova- 
mente il  nostro  plioceno,  e lo  studi!  con  maggior  cura  di  quella 
usata  la  prima  volta,  e qualora  con  documenti  irrefragabili  sarà 
per  dimostrare  inesatte  o anco  erronee  le  mie  vedute  io  sono 
sempre  pronto  a ricredermi. 


* In  queir  epoca  siffatta  zona  del  plioceno  era  da  me  chiamata  Zancleano 
superiore;  oggi  invece  ho  dimostrato  che  risponde  esattamente  all’ Astiano  del 
Pareto. 


97 


V. 

Sulla  formazione  della  Terra  Bossa, 

Nota  del  Dott.  M.  Neumayr.' 

In  quasi  tutti  i distretti  nei  quali  compariscono  calcari  puri 
formanti  degli  altipiani  in  guisa  da  venirne  impedita  una  rapida 
asportazione  di  detrito  dalla  superficie,  si  ritrova  disteso  alla 
superficie  o accumulato  in  cavità  imbutiformi  o dolline  un  fango 
rosso  molto  ricco  in  ferro.  Sugli  altipiani  delle  montagne  del 
Giura,  sui  selvaggi  pianori  dei  massicci  calcarei  delle  Alpi  e so- 
pratutto nella  regione  del  Carso  nel  S.E.  dell’  Europa,  trovasi 
questa  formazione  che  noi  chiamiamo  dal  nome  col  quale  è co- 
nosciuta in  quest’  ultima  località,  cioè  di  terra  rossa.  Anche  il 
celebre  fango  rosso  ossifero  di  Pikermi,  non  è altro  che  terra 
rossa  accumulata  nell’  epoca  miocenica  in  una  vallecola,  e che  sta 
col  marmo  del  Pentelico  nello  stesso  rapporto  come  la  terra  rossa 
in  Istria  e Dalmazia  col  calcare  del  Carso. 

La  perenne  concomitanza  del  calcare  e della  terra  rossa  ha 
già  da  gran  tempo  fatto  nascere  il  sospetto  che  la  presenza  di 
quest’  ultima  sia  subordinata  all’  esistenza  del  primo,  e che  essa 
non  sia  altro  che  1’  ultimo  residuo  insolubile  dello  sfacimento  del 
calcare  per  1’  azione  delle  intemperie.  Infatti  è appena  possibile 
il  dubitare  della  verità  di  questa  supposizione,  se  pensiamo  che 
in  nessun  altro  caso  presentasi  la  terra  rossa  fuorché  insieme  al 
calcare  ; certamente  trovasi,  per  esempio  in  Dalmazia  e in  Istria, 
una  fanghiglia  rossa  anche  sull’  arenaria  del  flysch,  però  solamente 
in  prossimità  del  calcare  del  Carso  od  in  maniera  che  la  sua  pre- 
senza può  facilmente  venire  spiegata  ammettendo  il  dilavamento 
di  un  deposito  di  trasporto. 

La  stessa  origine  del  fango  rosso  degli  altipiani  calcarei  dob- 
biamo ascrivere  anche  al  fango  rosso  che  riveste  dappertutto  le 
grotte  dei  monti  calcarei  ed  in  parte  rappresenta  il  residuo  della 
dissoluzione  del  calcare  che  un  tempo  riempiva  le  caverne, 


* Vedi:  Verhandl.  der  k.  k.  geolog.  Reichs.,  1875,  n.  3. 


— 98  - 

e in  parte  vi  può  essere  penetrato  dall’  alto  attraverso  le  spac- 
cature. 

Il  principio  della  formazione  della  terra  rossa  ha  avuto  luogo 
per  le  varie  località  in  epoche  assai  diverse  ; però,  ovunque  la 
vediamo  in  grandi  masse,  sembra  che  sia  in  via  di  formazione  da 
un  tempo  lunghissimo.  Così  i resti  de’  vertebrati  che  trovansi 
•sugli  altipiani  e nelle  spaccature  dei  monti  del  Giura  fanno  ri- 
portare il  principio  di  questa  formazione  fino  all’  epoca  dei  pa- 
leoterii  ; il  fango  rosso  del  Carso  contiene  Hippoterii  e altri  resti 
delia  seconda  fauna  miocenica,  in  Gulo  e in  altre  località  quelli 
dell’  epoca  diluviale  ; noi  possiamo  perciò  in  molti  casi  determi- 
nare r età  di  ciascun  giacimento  di  terra  rossa,  senza  potere  rife- 
rire r insieme  della  sua  formazione  ad  un  periodo  strettamente 
limitato. 

Può  apparire  sorprendente  che  calcari  straordinariamente 
puri  racchiudano  silicati  molto  ferruginosi  ; per  provarlo  sciolsi 
negli  acidi  un  calcare  bianco  il  più  possibilmente  puro  e trovai 
come  residuo  una  piccola  parte  di  argilla  rossa;  71,76  grammi 
di  calcare  del  Carso  (di  Cherso)  bianchissimo  e puro,  trattato 
coir  acido  acetico  dette  0,  044  per  7o  eli  silicato  rosso  nel  quale 
erano  contenuti  circa  20  per  7o  di  ossido  di  ferro. 

Completamente  oscura  rimase  finora  la  causa  dalla  quale 
tutti  questi  calcari  ricevettero  il  loro  silicato  e precisamente  sotto 
forma  di  un’  argilla  rossa  fortemente  ferruginosa  : ultimamente 
però  sonosi  scoperti  dei  fatti  in  un’  altra  località  affatto  diversa, 
i quali  hanno  messa  un  poca  di  luce  su  questa  questione. 

Le  ricerche  della  spedizione  del  Challenger  hanno  mostrato 
che  il  fango  a globigerine  che  cuopre  per  spazio  immenso  il  fondo 
del  mare,  ordinariamente  non  presentasi  a profondità  maggiori 
di  2200  braccia  (Faden);  più  oltre  fino  a 2700  braccia  un  fango 
grigio,  a profondità  maggiori  ovunque  nei  diversi  mari  vi  ha  sem- 
pre  un  sedimento  rosso  sottilissimo,  ed  una  argilla  molto  ferru- 
ginosa. L’  estensione  generale  dell’  argilla  rossa  e il  modo  e la 
maniera  con  cui  essa  passa  all’  argilla  grigia  e questa  al  fango 
tipico  bianco  a globigerine,  hanno  schiarito  il  modo  di  origine  di 
questo  sedimento  e la  giustezza  di  questa  spiegazione  è stata 
dimostrata  da  esperimenti  diretti. 

Le  globigerine  nuotano  alla  superficie  del  mare  e dopo  la 


— 99  — 


morte  cadono  al  fondo  : le  loro  conchiglie  però  si  mantengono  a 
profondità  minori  di  2200  braccia,  e per  la  forte  pressione  ven- 
gono attaccate  dall’  acqua  del  mare,  nel  quale  viene  a formarsi 
il  fango  grigio  mediante  la  loro  incompleta  decomposizione,  men- 
tre ad  una  profondità  maggiore  tutto  il  carbonato  di  calce  viene 
disciolto  e resta  solo  un  residuo  di  silicati.  In  fatto  mostrasi  al 
trattamento  del  fango  bianco  di  globigerine  con  acidi  diluiti  un 
piccolo  residuo  di  un  silicato  di  ferro,  il  quale  corrisponde  per- 
fettamente al  fango  rosso  delle  più  grandi  profondità  marine,  e 
sembra  essere  una  delle  parti  componenti  il  guscio  delle  globi- 
gerine. Per  conseguenza  non  vi  può  essere  alcun  dubbio  che  il 
fango  rosso  delle  profondità  del  mare  sia  formato  dal  residuo 
insolubile  delle  conchiglie  di  globigerine. 

È noto  che  il  fango  delle  globigerine,  che  per  certo  non 
è esclusivamente  composto  dai  gusci  di  questa  specie  di  forami- 
nifere,  è il  sedimento  calcareo  il  più  esteso  nel  fondo  dei  mari 
attuali,  e ciò  dà  molta  ragione  di  credere  che  il  maggior  numero 
dei  calcari  non  siano  altro  che  fanghiglie  di  foraminiferi  conso- 
lidate ..e  trasformate. 

Con  ciò  viene  spiegata  V origine  della  terra  rossa  : sia  che  il 
fango  a globigerine  venga  disciolto  dalle  acque  del  mare  sotto 
una  pressione  di  500  atmosfere  o per  mezzo  di  acidi,  o sia  che, 
dopo  lunghi  periodi  geologici,  trasformato  in  calcare  compatto, 
venga  dall’  acqua  e dall’  acido  carbonico  disgregato,  deporrà 
sempre  la  stessa  argilla  rossa,  e in  quest’  ultimo  caso  formerà 
la  terra  rossa  degli  altipiani  calcarei.  Così  vediamo  che  gli  alti- 
forni  che  trattano  il  minerale  ferrifero  della  terra  rossa,  niente 
altro  estraggono  che  le  minime  quantità  di  ferro  contenute  nei 
piccoli  gusci  delle  foraminifere,  e che  anche  oggi  giorno  questo 
minerale,  viene  preparato  per  via  umida,  in  iscala  assai  più 
grande,  sul  fondo  dei  mari. 


100 


NOTE  MINERALOGICHE. 


I. 

Scoperta  di  minerali  d’ argento  in  Sardegna. 

Nota  delVing.  Eugenio  Marchese.'' 

Solo  chi  ha  minutamente  visitato  e studiato  quei  tratti  clel- 
r isola  di  Sardegna  nei  quali  si  presenta  al  giorno  il  terreno 
siluriano  può  farsi  un  concetto  della  ricchezza  realmente  ecce- 
zionale in  giacimenti  metalliferi  che  il  medesimo  presenta. 

Le  ricerche  minerarie  che  qua  e là  si  vanno  facendo  nei 
limiti  di  esso,  sebbene  in  iscala  ancora  di  gran  lunga  inferiore 
air  importanza  e al  numero  delle  giaciture  metallifere  che  tut- 
t’  ora  rimangono  completamente  inesplorate,  mettono  nonpertanto 
continuamente  allo  scoperto  nuovi  modi  dt  giacimento  metalli- 
feri, e nuovi  minerali  industrialmente  coltivabili. 

Una  delle  più  recenti  scoperte,  si  è quella  di  minerali  d’ar- 
gento in  quantità  industriale  e ricchezza  notevolissima  ; fatta 
nello  scorso  mese  di  gennaio  in  filone  regolare  del  distretto 
d’ Iglesias,  presso  Fluminimaggiore.  L’  argento  si  trova  sempre 
nel  distretto  d’ Iglesias  in  maggiori  o minori  proporzioni  coi 
minerali  di  piombo,  dei  quali  sono,  per  così  esprimermi,  innu- 
merevoli le  giaciture.  Esso  accompagna  la  galena  nei  filoni  re- 
golari che  attraversano  la  formazione  scistosa,  come  accompa- 
gna la  galena  e il  carbonato  di  piombo  nelle  giaciture  che  si 
incontrano  nella  formazione  calcarea.  Queste  ultime  possono  di- 
stinguersi in  due  grandi  classi  rispetto  alla  loro  ricchezza  in 
argento  ; i giacimenti  concordanti  colla  stratificazione  del  cal- 
care, ordinariamente  poco  ricchi  in  argento  : e quelli  che  attra- 
versano la  formazione  stessa,  ^otto  forma  di  filoni  regolari  di 
spaccatura  e caratterizzati  da  matrice  quarzosa,  ordinariamente 


* Comunicata  alla  R.  Accademia  dei  Lincei  dal  socio  Q.  Sella  nella  seduta 
del  14  febbraio  1875.  Ved.  Atti  R.  Acc.  Lincei,  serie  tomo  II. 


--  101 


meno  ricchi  in  piombo  ma  molto  più  ricchi  in  argento.  Egli  è 
su  nodesti  filoni  regolari  di  spaccatura  che  i lavori  antichi  si 
trovano  più  sviluppati,  ed  hanno  raggiunto  più  considerevoli 
profondità  dalla  superficie  (fino  100-150  metri).  Ma  in  tutte  que- 
ste giaciture  fra  loro  diverse  e per  la  formazione  che  le  con- 
tiene e per  la  natura  del  vano  in  cui  si  sono  deposte,  e più  an- 
cora per  differenza  di  matrici,  e differenza  di  direzione  e d’età 
geologica,  sebbene  varia  sia  del  pari  la  ricchezza  in  argento  dei 
minerali  di  piombo  che  ne  contengono,  1’  argento  si  trovò  però 
sempre  mascherato  dalla  galena,  e veri  minerali  d’  argento,  sui 
quali  non  cada  dubbio,  non  si  sono  mai  rinvenuti  ; o per  lo 
meno  non  così  ripetutamente  da  poter  ritenere  la  loro  presenza 
come  un  fatto  d’ importanza  industriale  o anche  solo  un  fatto 
geologico,  caratterizzante  una  data  classe  di  giaciture. 

Così  stavano  le  cose  fino  a tutto  il  1870,  ed  infatti  il  Sella 
nella  sua  relazione  sulle  miniere  della  Sardegna  ^ parla  della 
scoperta  di  esemplari,  ma  solo  di  campioni,  di  Argento  nativo  e 
di  Pirargirite  con  minerali  di  nichelio  e cobalto  ne’  filoni  a 
matrice  di  fluorite  nella  miniera  di  Nieddoris  e cita  esemplari 
di  Argento  nativo  a Monte  Narba  nel  Sarrabus  (pag.  49).  Però 
più  innanzi  a pag.  52  egli  aggiunge  : « Gli  antichi  che  lavo- 
» rarono  nel  distretto  di  Iglesias  menzionarono  delle  vene  argen- 

))  tifere  nelle  giaciture Però  nei  filoni  ai  quali  abbiam  ac- 

» connato  se  trovansi  minerali  di  piombo  molto  argentifero,  non 
» venne  ancora  constatato  si  trovino  veri  minerali  (nel  senso 
» industriale)  d’ argento,  e ci  resta  così  il  dubbio  sulla  vera 
» natura  dei  minerali  da  cui  quegli  antichi  estraevano  l’argento, 
))  che  pare  fosse  1’  oggetto  pricipale  delle  loro  ricerche,  e di  cui 
» realmente  giunsero  ad  ottenere  una  produzione  assai  ragguar- 
» devole,  che  lasciò  al  paese  la  fama  di  argentifero.  Ciò  nondi- 
» meno  essendo  vero  il  fatto  essenziale  dell’esistenza  di  minerali 
» molto  ricchi  di  questo  metallo,  ci  resta  la  fondata  speranza 
» che  col  proseguire  i lavori  se  ne  possano  rintracciare  cospi- 
» cue  vene.  » 


* Q.  Sella,  Sulle  condizioni  dell’  industria  mineraria  dell’  Isola  di  Sar- 
degna, Relazione  alla  Commissione  parlamentare  d’  inchiesta.  Camera  dei  De- 
putati, tornata  del  3 maggio  1871. 


102  - 


Il  pronostico  non  tardò  ad  avverarsi.  Importanti  quantità  di 
minerali  argentiferi  si  scoprirono  nel  Sarrabus,  nella  zona  orien- 
tale deir  isola.  Quivi  un  filone  regolare  che  attraversa  dall’  est 
all’  ovest  la  formazione  scistosa  e che  è stato  esplorato  sopra  pa- 
recchi chilometri  presenta  importanti  arricchimenti  di  minerali 
d’ argento  propriamente  detti,  ed  ha  dato  luogo  ad  importanti 
coltivazioni.  Negli  anni  1872-73  e 1873-74  si  estrassero  432. 
tonnellate  di  minerale,  che  diedero  120  tonnellate  di  piombo  e 
5605  chilogrammi  d’ argento,  lochè  corrisponde  ad  una  ricchezza 
media  di  13  chilogrammi  di  argento  per  tonnellata  di  minerale, 
e di  4,7  per  cento  di  piombo  estratto  dal  minerale. 

I minerali  che  formano  la  base  di  questa  produzione  sono 
r Argentite  (solfuro  d’  argento)  e l’ Argento  nativo  : accidental- 
mente il  Kerato  (cloruro  d’argento)  e la  Pirargirite  (argento 
rosso,  ovvero  solfoantimoniuro  d’ argento)  oltre  Galena,  Blenda 
e raramente  Nichelina  e Cobaltina.  Le  matrici  ordinarie  sono  la 
Fluorite,  il  Calcare,  la  Baritina,  il  Quarzo. 

Ma  nel  distretto  di  Iglesias  i filoni  regolari  di  spaccatura 
che  attraversano  la  formazione  scistosa  dei  "terreni  siluriani  non 
avevano  sinora,  al  pari  dei  giacimenti  della  formazione  calcarea, 
fornito  che  minerali  di  piombo  variamente  argentiferi  ; senza 
presentare  minerali  d’ argento  propriamente  detti. 

Solo  alcuni  esemplari  (d’ interesse  esclusivamente  mineralo- 
gico) d’ Argento  nativo,  erano  stati  rinvenuti  parecchi  anni  or 
sono  nell’  interessante  filone  di  Nieddoris,  nel  distretto  di  Flu- 
minimaggiore  indicato  col  N.  224  nella  Carta  mineraria  della 
Sardegna  annessa  alla  Relazione  del  Sella.  In  esso  si  presenta- 
vano contemporaneamente  lenti  di  minerali  assai  ricchi  di  ni- 
chelio e cobalto,  cioè  Cobaltina  e Nichelina  (arsenio-solfuro  di 
cobalto,  e arseniuro  di  nichelio). 

Una  prima  lente  d’importanza  realmente  industriale  venne 
scoperta  in  questi  ultimi  tempi  nel  distretto  di  Iglesias  nella 
miniera  di  Perda  S’  Oliu  situata  una  mezz’  ora  a greco  del  vil- 
laggio di  Fluminimaggiore,  e segnata  col  N.  225  nella  Carta  mi- 
neraria annessa  alla  sovracitata  Relazione  del  Sella.  A pochi 
passi  a nord-ovest  dell’  abitato  di  Flumini  si  scorge  emergere 
dal  terreno  la  testata  quarzosa  di  un  filone,  denominato,  dalla 
natura  stessa  della  sostanza  che  lo  compone,  Perdas  de  Fogu 


— 103 


(pietra  da  fuoco)  : in  questo  punto  precisamente  lo  scisto  dal 
quale  emerge  la  testata  del  filone  è completamente  impregnato 
di  fossili  : è questa  la  principale  località  (e  si  può  dire  quasi 
r unica  per  la  sua  importanza)  in  cui  la  formazione  siluriana  di 
Sardegna,  presenti  in  quantità  importanti  le  impronte  fossili  che 
hanno  servito  a caratterizzarla.  — Da  questa  località  provengono 
quasi  esclusivamente  i fossili  siluriani,  illustrati  nell’  opera  geo- 
logica del  La  Marmora  per  le  cure  del  Meneghini. 

In  questa  stessa  località  agli  scisti  silurii  si  trova  interca- 
lato qualche  piccolo  banco  subordinato  di  calcare  compatto  di 
color  bruno,  ricco  del  pari  in  fossili  dell’  epoca  siluria,  special- 
mente  ortoceri.  La  presenza  di  questi  piccoli  banchi  calcarei  su- 
bordinati nella  massa  della  formazione  scistosa,  non  è ancora 
stata  segnalata  in  altro  punto  di  detta  formazione. 

Si  è pertanto  in  un  terreno  perfettamente  caratterizzato  geo- 
logicamente dagli  studi  del  La  Marmora  e del  Meneghini  ; sul 
quale  non  mi  occorre  arrestarmi. 

Il  filone  di  Ferdas  de  Fogu  comincia  a mostrarsi  coi  suoi 
affioramenti  come  un  filone  di  spaccatura  fra  gli  scisti  dell’  epoca 
siluria  ; questo  affioramento  procede  regolarmente  da  ponente 
verso  levante  ; qualche  volta  emerge  in  testate  sullo  scisto  cir- 
costante, talora  invece  non  appare.  Questo  vario  modo  di  pre- 
sentarsi è probabilmente  dovuto  alla  materia  delle  sostanze  delle 
quali  il  filone  è principalmente  composto,  che  sono  il  quarzo  e la 
fluorite  : secondo  il  predominio  dell’  una  o dell’  altra  sostanza, 
presenta  il  filone  maggiore  o minore  resistenza  alla  decomposi- 
zione per  gli  agenti  esterni,  in  confronto  del  terreno  incassante. 
Il  filone  traversa  così,  procedendo  verso  levante,  la  regione  Perda 
S’  Oliu,  formando  un  percorso  totale,  sul  quale  si  può  seguire 
con  certezza,  di  quasi  quattro  chilometri.  Nella  regione  Perda 
S’  Oliu,  un  piccolo  scavo  fatto  nel  letto  di  un  rigagnolo,  discen- 
dente dal  monte  che  il  filone  percorre  a mezza  costa,  aveva 
messo  a scoperto  una  piccola  lente  di  minerali  di  nichelio  e 
cobalto  di  grande  ricchezza.  La  Nichelina  e la  Cobaltina  vi  si 
trovavano  frammiste  irregolarmente,  sotto  forma  di  piccolissimi 
arnioni,  in  un  quarzo  compatto  formante  una  vena  secondo  la 
direzione  del  filone,  costantemente  accompagnata  ai  due  lati  di 
vene  di  Siderite  (carbonato  di  ferro). 


— 104 


Nella  regione  Perdas  de  Fogu  si  erano  trovati  nel  filone  mi- 
nerali di  piombo  nella  matrice  fiuoritica;  e si  sono  recentissi- 
mamente scoperti  minerali  di  nichelio  e cobalto  nella  matrice 
quarzosa  come  a Perda  S’ Oliu.  — Questo  filone  principale  con 
direzione  spiccata  da  levante  a ponente,  è intersecato  da  numerosi 
altri  filoni  secondarii  ancora  imperfettissimamente  conosciuti. 

La  direzione  di  questi  filoni  secondarii  è varia,  ma  pare  che 
in  generale  tagli  quella  del  filone  principale  ad  angoli  assai  forti. 
— Tale  almeno  è la  direzione  del  filone  secondario,  nel  quale 
la  lente  di  minerali  d’  argento  è stata  scoperta.  — Questo  filone 
è diretto  circa  N.N.O.,  e la  galleria  stata  aperta  secondo  la 
sua  direzione  ha  il  duplice  scopo  di  esplorare  il  medesimo  e di 
servire  di  galleria  di  ribasso  per  la  esplorazione  ulteriore  del 
filone  principale,  senza  andare  incontro  ad  un  esaurimento  di 
acque  per  via  di  pozzo. 

Nella  parte  sinora  seguitata  dalla  galleria,  il  filone  si  man- 
tiene costante  in  natura  e potenza  ; il  suo  spessore  saggiato  con 
qualche  traversa  è di  cinque  a sei  metri  ; esso  è composto  esclu- 
sivamente di  fluorite  ; in  questa  si  presentano  più  o meno  irre- 
golarmente arnioni  di  galena  a grandi  faccie,  pura,  non  accom- 
pagnata da  altri  solfuri  metallici,  povera  in  argento  (venti 
grammi  per  quintale  di  minerale).  — Col  raggiungere  la  zona 
argentifera,  la  natura  del  filone  cambia  sensibilmente.  La  massa 
fiuoritica  prima  amorfa  e compatta,  sebbene  facile  a disaggregarsi 
presenta  delle  fenditure  nel  senso  della  direzione  ; in  queste  fen- 
diture a forma  di  druse  la  fluorite  si  presenta  spesso  in  piccoli 
cristalli  ; sopra  qualcuna  di  esse  si  vedono  deposte  numerose 
tavolette  di  baritina  ; nei  vani  della  fluorite  si  presenta  V ar- 
gento nativo  a laminette,  a filamenti,  a impregnazioni.  Final- 
mente colla  fluorite  si  alternano  vene  di  ocra  che  indicano  la 
pirite  di  ferro,  come  uno  degli  originari  componenti  del  riem- 
pimento argentifero;  e in  mezzo  a queste  ocre  di  ferro  si  tro- 
vano ancora  impregnazioni  di  argento  nativo  di  ricchezza  ecce- 
zionale. La  pirite  che  ha  dato  luogo  per  decomposizione  a queste 
ocre,  è stata  ancora  da  me  osservata  in  qualche  pezzo  alla  mi- 
niera nel  suo  stato  primitivo  ; essa  è compatta,  a grano  finis- 
simo, molto  simile  ai  piccoli  nocciuoli  di  pirite  che  si  trovano 
spesso  isolati  in  mezzo  alla  galena  della  formazione  calcarea,  i 


105  — 


quali  pare  abbiano  sfuggito  alle  azioni  decomponenti  che  hanno 
prodotto  le  abbondanti  ocre  che  ordinariamente  accompagnano 
simili  galene. 

Qualche  cristallino  di  Cerusite  (carbonato  di  piombo)  e qual- 
che piccola  vena  di  galena  trovansi  ancora  in  questa  fluorite 
argentifera  ; ma  V aspetto  di  questa  galena  è differente  da  quello 
degli  arnioni  che  si  trovano  nel  resto  del  filone,  e probabilmente 
si  otterrà  dal  saggio  una  ben  differente  ricchezza  in  argento. 

Al  di  là  della  lente  o zona  argentifera  che  ha  proseguito  in 
direzione  per  circa  dieci  metri,  e continua  in  corona  ed  ai  piedi 
della  galleria  di  esplorazione,  comparve  la  pirite  di  ferro,  della 
quale  non  fu  dato  ancora  riconoscere  se  sia  o non  sia  argentifera. 

Questi  dati  sono  certamente  incompletissimi;  ma  chi  conosce 
il  lavoro  delle  miniere,  sa  che  occorre  tempo  perchè  i lavori 
stessi  procedano  innanzi  e forniscano  i dati  geologici  che  pos- 
sono essere  sufficienti  a stabilire  le  leggi  d’  andamento  di  un 
filone,  e quelle  del  suo  arricchimento  metallifero.  Così  pure  dal 
lato  mineralogico  occorrono  mezzi  e tempo  per  esami  e per  saggi 
che  fanno  completamente  difetto  in  una  miniera  appena  iniziata, 
e non  si  possono  avere  che  col  tempo.  In  alcuni  pezzi  dei  mi- 
nerali dei  quali  si  tratta  si  scorgono,  oltre  l’Argento  nativo, 
leggere  impregnazioni  di  Pirargirite,  nella  fluorite  ; è probabile 
che  si  riconosca  anche  l’Argentite,  come  altresì  impregnazioni 
di  Kerato  fra  quelle  abbondanti  d’ argento  nativo  che  sono  ac- 
compagnate dalle  ocre. 

Così  pel  rispetto  geologico,  è tuttora  dubbioso  se  questi  mi- 
nerali argentiferi  siano  unicamente  propri  al  filone  secondario, 
nel  quale  sono  stati  incontrati,  o se  non  siano  dovuti  alla  in- 
fluenza di  un  filone  o vena  parallela  al  filone  principale  E. — 0.  ; 
della  quale  si  vedono  tracce  alla  superficie,  e che  incontrerebbesi 
il  primo  all’  incirca  nei  pressi  della  zona  argentifera. 

Tutte  queste  interessantissime  questioni  non  potranno  essere 
schiarite  che  fra  alcuni  mesi,  quando  la  esplorazione  e del  filone 
argentifero,  e della  vena  diretta  Est-Ovest  siano  abbastanza 
complete  da  far  conoscere  se,  e quali  relazioni  passino  fra  le 
due  fenditure  metallifere. 


— 106  - 


IL 

Un  nuovo  giacimento  cVAllumitey 
Nota  del  dottor  A.  De  Lasaulx.'’ 

La  maggior  parte  dei  giacimenti  d’Allumite  fino  al  presente 
conosciuti,  rinvengonsi  in  certo  modo  collegati  alle  rocce  trachi- 
tiche,  di  modo  che  può  spiegarsene  la  loro  origine,  ricorrendo 
alle  esalazioni  vulcaniche. 

I più  antichi  giacimenti  conosciuti  son  quelli  di  Piombino  e 
quelli  della  Tolfa  non  lungi  da  Civitavecchia  : essi  sono  intimamente 
collegati  coi  tufi  trachitici  e coi  conglomerati  pomicei,  e passano 
senza  intermezzo  ad  essi,  e come  essi  sono  formazioni  clastiche. 
La  pietra  d’  allume  di  Egina,  secondo  il  Virlet,  è un  prodotto 
di  decomposizione  di  rocce  compatte  trachitiche  e trachito- 
quarzifere,  il  quale  in  causa  di  un  rammolimento  collegato  con 
metamorfismo  assunse  la  struttura  di  una  breccia.  Anche  le  Allu- 
miti ungheresi  di  Bereghszàsz,  Tokaj  e Musaj  sodo  collegate  colle 
rocce  e i tufi  trachitici,  come  pure  coi  conglomerati  pomicei.  La 
nota  Allumite  del  Mont  Dorè  in  Francia  trovasi  ai  piedi  del  Pie 
de  Sancy  nel  cosiddetto  Bavin  de  la  Graie  parimente  in  forma  di 
una  breccia  che  molto  assomiglia  a quella  della  Tolfa.  E questa 
una  breccia  trachitica,  le  cui  condizioni  di  giacitura  sono  molto 
difficili  a determinarsi  ; il^  suo  contenuto  in  Allumite  è variabile 
ma  sempre  piccolo,  con  forte  tenore  in  silice  (fino  a 28,40  7o 
secondo  Cordier  e Gautier-Lacroze),  in  ossido  di  ferro  (fino 
a 1,93  7o)?  e in  solfo  (fino  a 7,33  7o)-  L’ Allumite  tappezza  tal- 
volta gli  spacchi  e le  cavità  della  roccia  con  piccoli  cristalli 
romboedrici  : le  cavità  appariscono  vuote,  o sono  ripiene  di  noc- 
cioli gialli  di  solfo.  Talora  il  solfo  presentasi  in  forma  decisa- 
mente cristallina.  Là  dove  nelle  cavità  non  è contenuto  solfo,  vi 
compariscono  piccoli  cristalli  di  pirite.  Tutti  questi  fenomeni 
accennano  a sublimazioni  di  vapori  contenenti  acido  solforico  o 
acido  solfidrico.  Anche  il  giacimento  d’Allumite  al  piede  nord 
della  montagna  trachitica  di  Gleichenberg  è spiegabile  in  modo 

* Dal  Neues  Jahrhuch  fùr  Min.,  Geol.,  und  Pah,  von  G.  Leonhard  und 
H.  B.  Geinitz.  - Jahrg.  1875,  H.  2. 


— 107  - 

analogo,  e P analisi  di  Fridau  {Lieb.  Ann.  LXXVI,  106)  sulla 
Allumite  molto  silicifera  (50,7  7o)  non  lascia  alcun  dubbio  intorno 
alla  provenienza  della  Allumite  dalla  trachite.  In  tutti  questi 
casi  r esalazioni  di  acido  solfidrico  dovettero  essere  collegate 
coir  acido  solforoso  o con  vapori  di  acido  solforico,  i quali  ope- 
rarono la  trasformazione  della  trachite.  Secondo  il  v.  Richthofen, 
esalazioni  di  acido  fluoridrico  avrebbero  iniziato  il  processo  di 
formazione  delle  Allumiti  ungheresi,  i fluosilicati  che  ne  deriva- 
rono si  convertirono  allora  in  solfati  per  opera  di  vapori  acquei 
contenenti  acido  solforico. 

Alquanto  diverse  possono  essere  state  le  circostanze  di  pro- 
duzione, dove  le  rocce  primitive  non  erano  trachiti  ma  arenarie 
impure.  Così  secondo  Richthofen  T Allumite  di  Kawa  Tjiwidai 
nell’  isola  di  Giava  sarebbe  stata  prodotta  dalla  trasformazione 
di  un’  arenaria  quarzosa,  e per  l’ Allumite  di  Musaj  J.  Grimm 
espresse  nel  1837  ‘ 1’  opinione  che  essa  non  provenisse  da  tra- 
chiti, ma  da  arenarie.  L’ arenaria  che  ivi  riposa  sulla  pietra 
d’allume,  passa  gradatamente  in  questa  ultima.  Anche  dalla 
descrizione  di  una  delle  colline  che  racchiudono  la  pietra  d’ allume, 
si  può  conchiudere  per  una  diversa  origine.  Essa  consta  secondo 
Grimm  di  una  roccia  bianca  cellulosa,  spesso  di  piccolissima  soli- 
dità e triturabile,  e colle  cellule  rivestite  di  Allumite  color  rosso 
pallido.  La  roccia  lascia  scorgere  una  stratificazione,  raramente  vi 
sono  grani  di  quarzo,  e vi  si  trovano  pure  non  dubbi  resti  di 
vegetali.  Grimm  crede  perciò  che  quivi  l’Allumite  difficilmente 
possa  essersi  prodotta  dalla  trachite,  ma  la  ritiene  per  un  cam- 
biamento subito,  da  un’  arenaria  per  causa  di  acido  solforoso 
durante  un’  azione  vulcanica.  Molto  notevole  è la  osservazione 
che  il  tenore  in  ossido  rosso  di  ferro  spesso  si  accresce  tal- 
mente in  questa  roccia,  che  in  alcuni  punti  si  sostituisce  com- 
pletamente a tutte  le  altre  parti  componenti.  L’ oligisto  e la 
ematite  rossa  micacea  attraversano  allora  insieme  col  gesso  com- 
patto e cristallino  la  massa  a guisa  di  filoni.  Perciò  fra  queste 
Allumiti  e il  nuovo  giacimento  di  cui  verrà  data  ora  notizia, 
esistono  alcune  analogie,  e non  può  essere  improbabile  che  anche 
a queste  e ad  altre  Allumiti  sia  da  attribuirsi  la  stessa  maniera 


* Vedi:  Neues  Jahrhruch  ec.,  1837,  pag.  555. 


— 108  — 


d’  origine  che  con  molta  sicurezza  può  ritenersi  per  il  nuovo 
giacimento  di  che  appresso. 

Per  gentile  comunicazione  del  professore  Gonnard  di  Lione 
ebbi  notizia  e contemporaneamente  un  saggio  di  un  giacimento 
di  Allumite  di  recente  scoperto  presso  il  villaggio  di  Breuil  ad 
ovest  d’ Issoire  nell’  Alvergna. 

Questa  Allumite  ha  un  colore  bianco,  a luoghi  cangiante  in 
rosso  pallido;  è affatto  terrosa,  cavernosa  e triturabile,  e allappa 
fortemente  la  lingua.  Al  microscopio  la  polvere  mostrasi  affatto 
amorfa;  essa  consta  solamente  di  un  aggregato  di  grani  piccoli 
e rotondi.  Schegge  isolate  più  grandi  e cristalline  che  compari- 
scono fra  esse,  possono  riconoscersi  con  sicurezza  per  quarzo  ; 
esse  sono  tuttavia  molto  rare.  Questi  grani  quarzosi  possono 
riconoscersi  anche  alla  maggior  durezza  nel  ridurre  in  polvere 
la  pietra  allumifera.  Nel  tubo  di  vetro  deposita  acqua,  e con 
piccolo  riscaldamento  dà  un  odore  di  acido  solforoso  ; riscaldata 
in  una  soluzione  di  cobalto  diviene  di  un  bel  colore  azzurro.  La 
determinazione  del  peso  specifico  dette  2,601.  La  composizione 
chimica  secondo  un’  analisi  eseguita  dal  professor  Truchot  alla 
stazione  agrazia  di  Clermont-Ferrand  è la  seguente  indicata 
sotto  il  Num.  1.  » 


I. 

II. 

III. 

IV. 

SO^ 

— 37,6 

40,  9 

39,  1 

36,  4 

APO^ 

= 38,3 

41,8 

46,  5 

39,4 

K^O 

— 7 2 

— < , ^ 

7,9 

8,  5 

8,  8 

Fe^O^ 

= tracce 

— 

— 

— 

SiO^ 

= 8,  2 

— 

— 

— 

wo 

= 8, 5 

9,  2 

5,  9 

15,4 

99,  8 

99,8 

100,  0 

100,0 

Il  contenuto  in  silice  del  num.  1,  deve  essere  ritenuto  come 
un  semplice  miscuglio  di  impurità.  Detraendo  il  medesimo  e rettifi- 
cando il  calcolo  dell’analisi,  ottiensi  la  composizione  deH’Allumite 
pura  data  al  IL  Ugualmente  sono  state  calcolate  le  analisi  dei 
num.  Ili  e IV  deH’Allumite  del  Pie  de  Sancy.  Quella  del  III  è data 
da  Cordier,  e ne  offre  la  composizione  colla  detrazione  di  28,4  7o 
di  acido  silicico  e di  1,44  7o  di  ossido  di  ferro.  L’  analisi  IV  è 


— 109 


stata  calcolata  da  Gautier-Lacroze  (N.  Jahrh.,  1864,  pag.  723)  dopo 
aver  tolto  35,23  "/o  d’impurità  dovute  alla  silice,  ossido  di  ferro 
e solfo.  Il  più  forte  tenore  d’ acqua  dell’  analisi  IV  potrebbe 
verosimilmente  indicare  la  presenza  di  idrato  d’ allumina,  quindi 
forse  di  un  miscuglio  di  Gibsite,  per  cui  l’Allumite  vi  si  trove- 
rebbe allo  stato  idrato,  mentre  le  analisi  di  Cordier  conducono 
alla  opinione  di  Mitscherlich,  secondo  la  quale  l’Allumite  sarebbe 
composta,  secondo  la  formula  KO  . SO3  4-  3 (Ab  O3 . SO3)  4- 
2 AI2  HO3.  L’analisi  dell’Allumite  di  Breuil  al  contrario  mostra  nei 
numeri  trovati  per  1’  acido  solforico,  allumina  e potassa  quasi  le 
condizioni  necessarie  alla  formazione  del  solfato  d’  allumina  e di 
potassa,  e perciò  essa  deve  essere  ritenuta  con  certezza  come 
un  semplice  idrato  di  ambedue  questi  sali.  La  sua  composizione 
conduce  quasi  esattamente  alla  formula: 

KO  . SO3  4-  6 Ab  O3 . SO3  4~  6 HO. 

Questa  Allumite  presentasi  come  un  esteriore  rivestimento  di 
un  deposito  argilloso  ferruginoso  rosso,  cosicché  la  forma  di  esso 
secondo  una  notizia  del  professore  Gonnard  può  ben  essere  equi- 
parata ad  una  gigantesca  focaccia,  il  cui  riempimento  è composto 
dell’ indicata  argilla  rossa  e la  crosta  di  Allumite.  Il  deposito 
argilloso  fa  parte  del  tufo  trachitico,  potentemente  sviluppato  in 
questo  territorio,  e dei  conglomerati  basaltici  e pomicei  che  com- 
pongono le  estese  colline  e gli  altipiani  ad  ovest  d’ Issoire. 
Tutte  queste  formazioni  che  sembrano  costituite  da  strati  alter- 
nanti di  tufi,  argille,  arenarie  e calcari,  appartengono  alla  for- 
mazione terziaria.  Questo  modo  così  regolare  di  presentarsi  della 
Allumite  come  la  crosta  esterna  di  un  deposito  argilloso  è diverso 
da  tutti  gli  altri  che  abbiamo  fin  ora  accennati.  Quivi  può  rico- 
noscersi uno  stretto  legame  tra  il  nucleo  d’  argilla  rossa  ferru- 
ginosa e la  crosta  d’Allumite  ; tale  regolarità  non  può  attribuirsi 
alla  alterazione  indotta  da  esalazioni  casualmente  sviluppatesi 
e attraversanti  la  roccia  irregolarmente  in  tutti  i sensi.  La  causa 
per  la  formazione  dell’  Allumite  deve  in  questo  caso  avere  avuto 
luogo  nello  interno  di  questo  deposito. 

Un’  argilla  con  pirite  od  anche  più  verosimilmente  un’  argilla 
con  marcassita  è stato  il  punto  di  partenza  di  questa  formazione 


no  — 


allumitica.^  La  marcassita  poteva  trovarsi  sparsa  uniformemente 
0 accumulata  in  masse  isolate  nell’  argilla,  e mediante  1’  acqua 
atmosferica  penetratavi  vi  si  potè  indurre  una  rapida  decompo- 
sizione. Per  r ossidazione  si  originò  successivamente  il  solfato 
d’  ossidalo  di  ferro  ; il  vitriolo  di  ferro  e insieme  anche  acido 
solforico  libero,  formazione  che  pur  troppo  spesso  può  osservarsi 
nelle  collezioni,  ove  V acido  solforico  che  sviluppasi  dalla  mar- 
cassita che  trovasi  in  luoghi  umidi,  corrode  e abbrunisce  i soste- 
gni di  legno  e le  scatole  di  cartone  che  la  contengono.  L’  acido 
solforico,  penetrando  dall’  esterno,  oprò  la  trasformazione  delia 
parte  esterna  di  questo  deposito  in  Allumite.  Il  tenore  in  po- 
tassa dell’  argilla  che  rese  possibile  la  produzione  del  solfato  di 
potassa,  non  può  apparire  straordinario  in  niun  caso  in  queste 
argille  che  devono  necessariamente  riguardarsi  come  detrito  sot- 
tilissimo di  rocce  vulcaniche  e trachitiche  decomposte.  Del  resto 
questi  processi  possono  riprodursi  artificialmente,  come  ha  già 
dimostrato  Senft  {I eìsgemengtlieile  pag.  143),  ponendo  della  mar- 
cassita in  un  fango  argilloso  contenente  potassa,  e lasciandole 
qualche  tempo  insieme  all’  umidità  ; si  ottiene  - allora  una  solu- 
zione dalla  quale,  evaporata  a poco  a poco,  si  separa  un  miscu- 
glio di  vitriolo  di  ferro  e d’  allume.  Il  vitriolo  formatosi  nel 
primo  stadio  della  decomposizione  viene  in  seguito  depauperato 
del  suo  acido  solforico  che  viene  impiegato  nel  completamento 
della  formazione  allumitica,  e per  residuo  ottiensi  allora  ossido 
di  ferro  che  induce  la  colorazione  rossa  nei  nuclei  argillosi.  Tali 
giacimenti  d’ Allumite  nei  quali  essa  presentasi  insieme  all’  ossido 
di  ferro  rosso,  all’  oligisto  e al  gesso,  come  anche  quello  di 
Musaj,  dovettero  certamente  esser  prodotti  in  tal  maniera,  seb- 
bene per  questo  ultimo  la  prova  non  sia  tanto  evidente  come 
per  r Allumite  di  Breuil. 

In  generale  però  noi  possiamo  ritenere  per  certe  due  vie  di 
formazione  dell’ Allumite  che  in  certo  qual  modo  sono  fra  loro 


’ L’ idea  della  formazione  della  Allumite  per  la  decomposizione  di  piriti  non 
è nuova.  La  Allumite  che  trovasi  a contatto  della  massa  metallifera  delle  Ca- 
panne Vecchie  nella  Maremma  toscana,  non  può  attribuirsi  certamente  ad  azioni 
vulcaniche  perchè  di  esse  non  vi  è traccia  e può  riconoscervisi  colla  massima 
evidenza  il  processo  di  decomposizione  delle  piriti  e la  formazione  della  pietra 
d’allume.  ~ (La  Redazione). 


~ 111 


opposte.  Una  è dovuta  ad  esalazioni  d’  acido  solforico  che  agi- 
scono sulle  rocce  contenenti  allumina,  potassa  e ossido  di  ferro, 
e induce  in  esse  PAllumite,  il  solfo  e la  pirite:  l’altra  invece 
prende  origine  dalla  pirite  o marcassita,  e i suoi  prodotti  sono 
Allurnite,  oligisto  e ossido  rosso  di  ferro.  Ambedue  questi  pro- 
cessi si  riscontrano  nel  M.  Dorè,  dopoché  allo  antico  ma  ormai 
abbandonato  giacimento  del  Bavin  de  la  Graie  si  è aggiunto 
questo  di  Breuil,  il  quale  sarebbe  anche  di  molto  valore  in- 
dustriale. 


NOTIZIE  BIBLIOGRAFICHE. 


Ed.  Suess.  — Die  Erdhében  des  sudlichen  Balien.  — (Dalle 

Memorie  dell’  Accademia  Imperiale  delle  Scienze).  — 

Vienna,  1874. 

Questo  lavoro  importantissimo  per  la  conoscenza  della  costi- 
tuzione geologica,  come  anche  dell’  attività  sismica  dell’  Italia, 
dividesi  in  tre  parti:  la  prima,  discorre  della  costituzione  geo- 
logica della  Calabria,  e della  prossima  parte  dell’  isola  di  Sicilia. 
Nella  seconda,  sono  descritti  circostanziatamente  i terremoti  del- 
r Italia  meridionale,  deducendoli  dai  documenti  che  vi  esistono. 
Nella  terza,  si  tratta  dell’  attività  sismica  dell’  Italia  meridionale 
e si  fanno  interessanti  osservazioni  sulle  correlazioni  fra  i ter- 
remoti ed  i vulcani  ; e di  questa  daremo  qui  un  breve  cenno. 

I centri  principali  dell’  attività  sismica  non  sono  distribuiti  a 
caso  nell’Italia  meridionale;  dopo  molto  tempo,  spesso  dopo  se- 
coli, una  determinata  località  per  la  seconda  o terza  volta  di- 
viene centro  di  una  violenta  commozione,  e la  direzione  e la 
natura  di  questi  moti  varia  secondo  le  località.  Essi  si  possono 
sempre  dividere,  relativamente  a un  focolare  centrale  di  eruzione, 
in  scosse  radiali  e periferiche. 

La  maggior  parte  delle  scosse  radiali  delle  Isole  Lipari  com- 
prende la  linea  principale  sismica  delle  Calabrie,  o la  linea  pe- 
riferica di  esse  isole.  Una  seconda  linea  molto  importante  tro- 
vasi nella  Lucania,  e corre  da  Orsomarso  nella  parte  più  setten- 


112  - 


trionale  della  Calabria  al  Vulture:  le  scosse  di  essa  hanno  il 
carattere  di  scosse  in  una  linea  periferica. 

Una  prova  dello  stretto  rapporto  fra  i vulcani  e i terremoti 
si  trova  specialmente  nella  distribuzione  dei  vulcani  sulle  linee 
sismiche.  La  regione  vulcanica  dell’ Italia  .centrale  comprende 
perciò  vulcani,  i quali  anch’  oggi  sono  centri  di  terremoti  e di 
eruzioni  ; quelli  che  presentano  soltanto  terremoti,  ovvero  solo 
raramente  o mai  veri  fenomeni  eruttivi;  finalmente  centri  abi- 
tuali di  terremoti,  nei  quali  non  furono  mai  osservate  eruzioni 
di  lava  o cenere. 

Possiamo  in  conseguenza  distinguere  nell’ Italia  meridionale: 

r Gruppi  vulcanici,  che  comunicano  a grandi  distanze  scosse 
radiali.  Come  le  Lipari,  P isola  di  Pantellaria,  e forse  anche  al- 
cune località  sottomarine  nel  Mare  Jonio. 

2°  Vulcani  isolati  sopra  una  linea  periferica.  L’ Etna,  il  Ve- 
suvio, Bocca  Monfina,  i Monti  Albani,  e forse  anche  il  Vulture. 

3“  Vulcani  isolati  sopra  una  linea  radiale:  Isola  Giulia. 

Non  è ancora  bene  definito  se  i Campi  Flegrei  e le  Isole  di 
Ponza,  debbano  ritenersi  come  gruppi  vulcanici  del  primo  ordine. 

Si  può  facilmente  comprendere  perchè  nei  centri  eruttivi  del 
primo  ordine,  come  nelle  Lipari,  i gruppi  vulcanici  tengano  il 
luogo  dei  vulcani  isolati,  quando  si  confronta  il  complesso  della 
attività  vulcanica  della  zona  tirrenica  col  sistema  delle  fratture 
concentriche  e radiali  che  vengono  generate  dallo  sprofondarsi 
di  una  crosta  solida,  come  ad  esempio,  le  fratture  radiali  che 
si  produssero  presso  Gerocarne  in  Calabria,  in  causa  del  terre- 
moto del  1713.  Si  intende  facilmente  che  verso  il  centro  della 
regione  che  ha  subito  tale  fenomeno,  le  fratture  radiali  apren- 
tisi  verso  il  basso,  si  attraversano  più  volte  reciprocamente,  e 
formano  una  rete  irregolare,  che  può  dare  origine  ad  un  sistema 
vulcanico  assai  complesso.  Certamente  un  sistema  di  fratture  ra- 
diali può  prodursi  anche  sopra  a vulcani  isolati  periferici,  però 
questi  sistemi  radiali  in  vulcani  periferici  non  hanno  mai  con- 
dotto alla  formazione  di  gruppi  vulcanici. 

Queste  vedute  vengono  rappresentate  in  un  profilo  ideale  dalle 
Lipari  fino  all’ Aspromonte  in  Calabria.  L’Autore  paragona  quindi 
con  questo  taglio  le  diverse  opinioni  state  emesse  sulla  origine 
dei  terremoti. 


113  - 


L’Autore  fa  poscia  il  tentativo  di  applicare  all’Austria  Infe- 
riore le  osservazioni  fatte  nella  grandiosa  zona  sismica  dell’  Italia 
meridionale.  Al  nostro  centro  delle  Isole  Lipari  corrispondereb- 
bero colà  i dintorni  di  Neustadt  nel  mezzo  di  una  depressione 
della  regione  alpina. 

Finalmente  havvi  una  osservazione  che  forsa  potrà  gettare 
qualche  luce  sulla  costituzione  intima  delle  catene  montuose.  Dove 
la  linea  principale  calabrese  raggiunge  la  zona  del  flysch  dei 
Monti  Peloritani,  trovasi  1’  unico  punto  nel  quale  siasi  formato 
un  vulcano  periferico,  1’  Etna  : dove  la  linea  di  frattura  della 
Lucania  esce  dalla  zona  del dell’ Apennino,  trovasi  l’ unico 
punto  di  essa  sul  quale  siasi  formato  un  vulcano,  il  Vulture  : 
dove  nell’  Austria  Inferiore  la  linea  di  Kamp  esce  dalla  zona  del 
flysch  delle  Alpi  Noriche,  trovasi  1’  abituale  punto  di  partenza 
dei  più  violenti  terremoti  in  quelle  regioni  presso  Altlengbach. 

La  deduzione  più  importante  però  si  è,  che  dovunque  i ter- 
remoti si  manifestano  in  punti  determinati,  e seconde  linee,  le 
quali  in  quanto  sono  linee  periferiche,  corrispondono  per  lo  più 
colle  linee  evidenti  di  frattura,  o con  quelle  di  separazione  delle 
catene  montuose. 


NOTIZIE  DIVERSE. 


Terremoti  presso  V Etna  dal  7 al  20  Gennaio  1875/  — 
a Nella  notte  del  7 all’  8 gennaio  in  Acireale  e suoi  dintorni  sono 
avvenute  più  scosse  di  terremoto.  Si  ha  ragione  di  credere  che 
ripetano  la  loro  origine  dall’interno  lavorio  dei  fuochi  dell’Etna. 
La  prima  scossa  fu  avvertita  alle  9.  10'  pom.,  non  dissimile  in 
nulla  a due  brevi  e ben  distinte  sotterranee  percosse.  Essa  fu 
foriera  di  un  terremoto  di  ben  altra  intensità. 

» Batteva  l’ una  meno  un  quarto  dopo  mezzanotte,  quando 
da  molti  che  si  trovavano  in  veglia,  fu  udito  un  sotterraneo 


’ Notizie  raccolte  dai  giornali  da  M.  S.  De  Rossi.  — V.  Bollettino  del  Vul- 
canismo italiano,  anno  secondo,  fase.  1,  2 e 3. 


8 


114 


rombo.  Consecutivamente  ebbe  luogo  lo  scoppio  di  un  terremoto 
gagliardo  che  prolungossi  per  più  secondi,  e le  cui  oscillazioni 
si  confusero  a tre  grandi  urti  da  produrre  dappertutto  scompi- 
glio e spavento.  L’uno  e l’altro  si  provò  dagli  abitanti;  molti, 
uscendo  all’  aperto,  si  riversarono  per  le  strade  e per  le  piazze  ; 
il  maggior  terrore  manifestossi  nei  quartieri.  Il  signor  sotto- 
prefetto riunissi  allora  alla  popolazione,  i KR.  Carabinieri  atti- 
varono la  loro  perlustrazione.  Le  ricevute  notizie  ci  fan  sicuri 
che  questo  non  fu  se  non  un  terremoto  vulcanico  locale,  il  cui 
centro  di  radiazione  si  appalesò  nella  zona  superiore  dei  terri- 
torio ad  occidente  di  questa  città,  specialmente  nella  contrada 
denominata  Testa  di  Vipera,  e consecutivamente  nelle  contigue 
Fossa  deir  acqua  e Malovrio.  Si  hanno  infatti  nella  prima,  per 
un  miglio  attorno,  diverse  fenditure  del  suolo,  l’ atterramento 
di  varie  case  di  campagna;  lo  scompiglio  ed  il  rovescio  di  molte 
mura  stradali  e di  circonvallazione.  Le  altre  due  contrade  sof- 
fersero anche  danneggiamenti  di  questo  genere.  Il  terremoto  pro- 
pagò la  sua  oscillazione  ad  Aci  Sant’  Antonio,  Aci  Catena,  Pisano, 
Santa  Venerina  ec.  Fortunatamente  non  si"  hanno  a lamentare 
casi  di  morte;  ma  parlasi  solo  di  pericoli  corsi  e di  qualche 
frattura  incontrata.  Alle  ore  7 e un  quarto  ant.  del  giorno  8 si 
replicarono,  con  breve  intervallo,  altre  due  scosse,  ma  lievi. 
Vogliamo  augurarci  che  il  fenomeno  non  abbia  a ripetersi.  » 

Da  Riposto  poi,  presso  Catania,  narrandosi  più  o meno  le 
medesime  notizie  per  ciò  che  riguarda  il  territorio  di  questo 
comune,  si  aggiunge  che  in  un  piccolo  paese,  non  lungi  da  Aci- 
reale, la  scossa  del  venerdì  al  tocco  fu  tanto  forte  che  produsse 
molti  danni,  cagionò  la  morte  di  otto  persone,  e credevasi  indizio 
certo  di  prossima  eruzione  dell’  Etna. 

Dopo  ciò  i giornali  ci  narrano  che  l’ Etna  ai  19  gennaio 
accennava  a qualche  risveglio.  Nella  sera  del  medesimo  giorno 
i fenomeni  divennero  più  evidenti:  nella  mattina  poi  del  20  un 
forte  rombo  con  fumo  denso  e vorticoso  usciva  dal  cratere,  e 
pareva  iniziare  una  grande  eruzione. 

Dopo  questi  fatti  nuli’  altro  troviamo  narrato  dai  giornali 
per  i giorni  successivi.  Il  chiarissimo  professore  Silvestri  pro- 
metteva alla  Direzione  di  cotesto  Bollettino  di  raccogliere  le 
notizie  e di  farne  soggetto  di  una  comunicazione,  qualora  vi  fos- 


- 115  - 

sero  state  notizie  importanti  da  aggiungere  alle  pubblicate  dai 
giornali.  Nulla  finora  ci  pervenne  per  parte  dell’  illustre  profes- 
sore. Stando  ai  dati  che  finora  conosciamo,  sembra  che  dopo 
il  20  gennaio  l’ Etna  si  sia  calmato,  e 1’  attività  endogena  siasi 
trasferita  sotto  l’ Apennino  di  Eomagna  ; perchè  appunto  ai 
20  gennaio  colà  rinforzarono  le  scosse,  le  quali  però  erano  comin- 
ciate già  a presentarsi  quasi  contemporaneamente  che  in  Sicilia, 
cioè  ai  9 ed  ai  10  di  gennaio. 

E qui  giova  osservare  che  le  scosse  avvenute  nella  notte  del 
giorno  8 in  Sicilia,  dovettero  leggermente  essere  risentite  anche 
nel  sistema  vulcanico  laziale,  perchè  a Frascati  il  Lavaggi  nel- 
r osservazione  del  mezzodì  dell’  8 gennaio  trovò  nel  sismografo 
tracce  di  scuotimenti  avvenuti  nella  direzione  N — S.*  Nella  sera 
poi  dello  stesso  giorno  8,  circa  le  10.  15'  poni.,  una  nuova  scossa 
avveniva  nella  medesima  regione  laziale,  ed  era  avvertita  in  Vel- 
letri,  luogo  che  altre  volte  abbiamo  notato  essere  sensibile  par- 
ticolarmente per  i movimenti  procedenti  fra  Nord  e Sud.  Il 
giorno  9,  come  abbiamo  detto,  i terremoti  apparivano  in  Roma- 
gna con  qualche  forza.  Mi  sembra  perciò  non  senza  importanza 
che  le  scosse  laziali  cadano  precisamente  nell’  intervallo  di  tempo 
fra  i terremoti  di  Sicilia  e quei  di  Romagna. 

M.  S.  De  Rossi, 

Analisi  della  meteorite  di  Orviiiio.  ’ — Questa  analisi  fu 
eseguita  dal  signor  L.  Sipòcz  nel  laboratorio  chimico  del  pro- 
fessor E.  Ludwig  a Vienna.  Si  operò  sopra  due  campioni  distinti, 
il  primo  appartenente  alla  pasta  della  meteorite,  il  secondo,  con- 
sistente in  un  pezzo  di  roccia  racchiuso  in  detta  pasta. 


Analisi  del  N.  1. 

Acido  silicico 36,  82 

Allumina 2,  31 

Ossidulo  di  ferro 9,  41 

Calce 2,31 

Magnesia 21,69 

Potassa 0,  26 

Soda . 0,  96 


^ Veri.  Jahrhuch  der  k.  k.  geol.  Reichs.,  XXIV  Band,  Wien  1874. 


IIG  — 


Nichelio 3,  04 

Cobalto traccie 

Solfo 2,  04 

Ferro 22,  11 

Ossido  di  cromo traccie 


Totale  100,95 

dalla  quale  composizione  elementare  si  deducono  gli  aggruppa- 


menti seguenti  : 

Ferro  metallico 18,  54 

Nichelio  metallico 3,  04 

Cobalto  metallico traccie 

Solfuro  di  ferro 5,  61 

Silicati 73,  76 

Ferro  cromato traccie 


Totale  100,95 

e per  i silicati  si  avrebbe  la  seguente  composizione: 


Acido  silicico 49,  92 

Allumina 3, 13 

Ossidalo  di  ferro  . . • 12,  76 

Calce 3, 13 

Magnesia 29,  41 

Potassa 0,  35 

Soda 1,  30 

Totale  100,  00 

Analisi  del  N.  2. 

Acido  silicico 38,  01 

Allumina 2, 22 

Ossidalo  di  ferro 6,  55 

Calce 2,  33 

Magnesia 24, 11 

Potassa 0,31 

Soda 1,  46 

Nichelio 2,  15 

Cobalto traccie 


117 


Solfo 1,  94 

Ferro 22, 34 

Ossido  di  cromo traccie 


Totale  101,  42 


da  cui  gli  aggruppamenti: 

Ferro  metallico 18,  94 

Nichelio  metallico  - . . 2, 15 

Cobalto  metallico traccie 

Solfuro  di  ferro 5,  34 

Silicati 74,  99* 

Ferro  cromato traccie 


Totale  101,  42 

e per  la  composizione  dei  silicati: 


Acido  silicico 50,  69 

Allumina 2, 96 

Ossidulo  di  ferro 8,  73 

Calce  3,  11 

Magnesia 32,  15 

Potassa 0,41 

Soda 1,  95 


Totale  100,00 

Studi  sui  terreni  terziarii  d’ Italia.  — Nella  seduta  del 
25  febbraio  scorso  della  classe  di  scienze  matematiche  e naturali 
deir  1.  Accademia  delle  Scienze  di  Vienna,  il  signor  Th.  Fuchs 
presentò  due  lavori  che  si  riferiscono  alle  sue  ricerche  geologi- 
che sulle  formazioni  terziarie  d’ Italia,  effettuate  nell’  anno  decorso 
per  incarico  della  stessa  Accademia.  Uno  di  essi  tratta  della 
a suddivisione  delle  formazioni  terziarie  sidle  pendici  settentrio- 
nali degli  Apennini  da  Ancona  a Bologna  » 1’  altro,  eseguito  dal 
medesimo  in  compagnia  del  signor  Al.  Bittner,  riguarda  « le 
formazioni  plioceniche  di  Siracusa  e Lentini.  » 

Nelle  formazioni  mioceniche  dei  dintorni  di  Bologna  possono 
distinguersi  in  modo  assai  netto  due  piani  mediterranei,  come 
fu  fatto  dal  professore  Suess  per  il  bacino  di  Vienna,  mentre  la 
così  detta  melassa  marnosa  di  Bologna  con  Nautilus  diluvii, 


~ 118 


Pecfen  denudatus,  Sólenomya  Doderleini  e Lucina  sinuosa  cor- 
rispondono alle  marne  (Schlier)^  ed  il  giacimento  fossilifero  di 
Sogliano  e del  M.  Gibbio  alle  terre  da  mattoni  (Tegel)  di  Baden 
e di  Gainfahren  ; e qui  sembra  che  fra  questi  due  piani  terziari 
esista  una  profonda  discordanza. 

Le  formazioni  d’ acqua  dolce,  gessifere  e solfifere  del  ver- 
sante settentrionale  degli  Apennini  con  Lebias  crassicauda,  Libel- 
lula Boris,  Melanopsis  Bonelli,  Neritina,  e piccoli  Cardi  che  cor- 
rispondono agli  strati  a congerie,  non  sono  da  riferirsi  ai  mio- 
cene, ma  stanno  sovra  esso  in  giacitura  discordante  alla  base 
delle  formazioni  plioceniche  che  vi  riposano  sopra  concordanti. 

La  suddivisione  delle  formazioni  plioceniche  di  Lentini  cor- 
risponde esattamente  con  quella - del  pliocene  di  Taranto.  Esse 
sono  dall’  alto  in  basso  : 

1®  Arenarie  azzurre  a Briozoi  con  Nullipore,  Conglomerati, 
Ostriche,  Pecten  Jacobaeus,  Pectunculus,  Monodonta  angulata,  Ce- 
rithium  vidgatum,  Ger.  spina,  Murex  trunculus,  Troclius,  Bissoa, 
Alvania  ec. 

2°  Marne  azzurre  plastiche  con  JBuecinum  semistriatum, 
Natica  lielicina,  Chenopus  pespelecani,  Bentalium  elephantinum. 

3®  Sabbie  chiare,  morbide  a Briozoi  con  Coralli,  Brachio- 
podi,  Pecten  septem  radiatus,  P.  opercidaris  ec. 

Giacimenti  boraciferi  nell’  America  settentrionale.^  — 
Già  da  molto  tempo  è stata  scoperta  la  esistenza  del  borace 
naturale  nel  grande  bacino  dell’  altipiano  situato  fra  le  Monta- 
gne Rocciose  e la  Sierra  Nevada  negli  stati  occidentali  dei- 
r America  del  Nord.  Fino  dal  1856  fu  riconosciuta  la  presenza 
del  boro  nelle  acque  del  Clear-Lalce  in  California  e più  tardi 
quella  del  borace  naturale  nel  lago  medesimo,  che  divenne  quindi 
oggetto  di  coltivazione.  I dintorni  di  questo  lago  accennano  ad 
azioni  vulcaniche,  essendo  essi  costituiti  da  rocce  eruttive,  e pre- 
sentando tracce  di  solfatare  e di  sorgenti  calde.  Anche  i Geyser 
che  trovansi  più  lungi  a S.O.  nella  valle  superiore  del  Napa  po- 
trebbero avere  un  qualche  rapporto  con  questa  formazione. 


* Da  una  lettera  del  prof.  Burkart  inserita  nel  Neiies  Jahrbiich  fiìr  Minera- 
logie etc.  von  Leonhard  und  Geinitz,  J.  1874,  IL  7. 


119 


Una  depressione  formatasi  nel  lato  S.E.  di  questo  lago  e 
separata  da  esso  per  mezzo  di  una  bassa  diga  di  frammenti  di 
lava,  ossidiana  ec.,  racchiude  borace  naturale,  ed  è perciò  in- 
dicata col  nome  di  Lago  horacifero.  La  sua  figura  è ovale,  con 
una  lunghezza  di  4000  piedi  ed  una  larghezza  di  1800.  Il  suo 
letto  è formato  da  una  massa  gelatinosa  della  potenza  di  4 piedi, 
semiliquida  fino  alla  profondità  di  1 piede  e nel  resto  assai  con- 
sistente.  E in  questa  massa  che  trovansi  i cristalli  di  borace 
variabili  da  una  grandezza  microscopica  a quella  di  due  o tre 
pollici.  Essi  sono  semitrasparenti,  colorati  in  bianco  o giallastro, 
e della  forma  di  un  prisma  rombico  obliquo.  La  potenza  della 
massa  gelatinosa  è molto  variabile  e in  alcuni  punti  trovansi 
intercalate  in  essa  masse  di  fango  o d’  argilla  prive  di  borace. 
Un  altro  bacino  di  circa  8 ettari  in  superficie  trovasi  in  pros- 
simità del  Lago  boracifero  e presentasi  con  circostanze  quasi 
identiche. 

Fino  dal  1863  si  costituì  una  società  per  la  coltivazione  del 
borace  che  in  principio  offriva  una  produzione  notevole,  ma  alcuni 
anni  dopo  fu  interrotta,  senza  che  siasene  conosciuto  il  motivo. 

Altri  giacimenti  boraciferi  molto  estesi  esistono  nello  Stato 
della  Nevada.  Nella  contea  d’  Esmeralda,  nella  valle  del  fiume 
Colombo,  sotto  una  crosta  molto  estesa  di  sale  comune  trovansi 
dei  noduli  ora  grossi,  ora  piccoli  di  borato  di  calce  sovrapposti 
ad  un  sottile  strato  di  saie  comune  che  riposa  alla  sua  volta 
sopra  un  banco  di  solfato  di  soda. 

Un  giacimento  interessantissimo  e più  notevole  dei  precedenti 
è stato  di  recente  scoperto  nella  parte  più  meridionale  della  Ca- 
lifornia, al  di  là  della  Sierra  Nevada,  circa  140  miglia  inglesi 
a N.E.  di  Bakersfield.  Ivi  un  bacino  affatto  isolato  è compieta- 
mente  ripieno  di  sale  cristallizzato  per  una  estensione  di  15  mi- 
glia in  lunghezza  e 6 in  larghezza  e fino  ad  una  profondità 
di  6 0 8 piedi  sotto  la  superficie.  La  circostanza  più  notevole 
si  è che  la  parte  media  del  bacino  è occupata  da  un  deposito 
di  sale  comune,  intorno  al  quale  sta  un  banco  dello  spessore  di 
tre  piedi  di  borato  di  soda  e al  disotto  un  miscuglio  di  solfato 
e borato  di  soda  della  potenza  di  1 a 3 piedi.  Questi  sali  sono 
tutti  cristallizzati  ed  uniti  insieme  in  una  massa  solida.  Sembra 
quasi  inverosimile  il  modo  di  giacimento  di  questi  prodotti  sa- 


— 120 


lini,  non  vedendosi  alcuna  ragione  per  spiegare  la  separazione 
dei  sale  comune  dal  borace  e la  sua  accumulazione  sugli  altri  sali. 

Tutti  questi  giacimenti  boraciferi  sono  completamente  tras- 
curati. 


CENNO  NEGROLOGIGO. 


Il  giorno  22  febbraio  del  corrente  anno  cessava  di  vivere 
uno  dei  più  grandi  geologi  del  nostro  tempo,  Ltell,  la  cui  in- 
fluenza fu  estesissima  e ben  meritata. 

Carlo  Lyell  nacque  a Kinnordy  nella  Contea  di  Forfar  (In- 
ghilterra) il  14  novembre  1797,  e raggiunse  la  grave  età  di  più 
che  78  anni,  dopo  di  avere  consacrato  una  lunga  esistenza  ed 
un’  infaticabile  attività  in  servizio  della  scienza  geologica.  Egli 
portò  fin  da  principio  la  sua  attenzione  al  processo  di  formazione 
della  crosta  terrestre,  e dichiarossi  ben  tosto^  propugnatore  della 
teoria  delle  cause  lenti  ed  attuali,  seguendo  in  ciò  la  strada 
tracciata  da  Constant  Prevost  e da  De  la  Deche.  Dotato  d’  uno 
spirito  eminentemente  filosofico,  passò  in  attento  esame  tutte  le 
forze  e tutti  gli  agenti  che  concorsero  e concorrono  tuttora  al 
compimento  di  questo  processo,  studiandone  il  modo  di  operare, 
ed  applicando  su  larga  scala  la  teoria  da  lui  propugnata,  e che 
recentemente  ebbe  nuova  conferma  dalle  scoperte  del  Challenger  : 
diede  per  tal  modo  un  nuovo  indirizzo  ed  un  potente  impulso 
alle  ricerche  geologiche,  e coi  suoi  studi  permise  di  applicare  con 
maggiore  profitto  il  metodo  sperimentale  anche  alla  geologia. 
Combattè  la  vecchia  teoria  dei  crateri  di  sollevamento  del  De 
Buch,  ed  in  molti  suoi  scritti  mostrossi  contrario  alle  idee  pro- 
fessate da  Elie  de  Beaumont  sui  sistemi  di  montagne. 

Ltell  è specialmente  benemerito  della  geologia  per  i suoi 
trattati  generali  più  che  per  lavori  speciali  descrittivi.  Le  osser- 
vazioni da  lui  fatte  durante  i suoi  viaggi  in  Europa  ed  in  Ame- 
rica furono  raccolte  nei  suoi  trattati,  i quali  perciò  risultarono 
opere  veramente  classiche  ed  originali,  e contribuirono  a dare 
alla  geologia  quell’  indirizzo  pratico  che  poi  la  fece  tanto  prò- 


— 121  — 


gredire.  Il  suo  gran  libro  dei  Frincipii  di  Geologia  ^ contiene  un 
numero  veramente  straordinario  di  fatti,  la  più  parte  osservati 
da  lui  stesso  nei  suoi  viaggi,  e che  gli  servirono  egregiamente, 
perchè  bene  interpretati,  in  appoggio  della  sua  teoria.  Questo 
classico  lavoro,  come  pure  gli  Elementi  di  Geologia,^  ebbero  V onore 
di  ben  dieci  edizioni  e,  tradotti  in  varie  lingue,  furono  accolti 
come  libro  di  testo  in  molte  scuole  di  geologia.  Vanno  pure 
notate  le  sue  ricerche  sugli  ultimi  periodi  dell’  epoca  terziaria, 
quelle  sull’  antichità  dell’  uomo,  e quelle  sul  modo  di  formazione 
dei  coni  vulcanici  per  semplice  accumulazione  di  materie  eruttate. 

L’ Italia  fu  uno  dei  campi  prediletti  dei  suoi  studi,  special- 
mente  per  ciò  che  riguarda  i vulcani  e i terreni  terziarii. 


Bibliografia  mineralogica,  geologica  e paleontologica 

della  Toscana. 

(Continuazione  e fino.  — Vedi  Bollettino,  N.  1-2.) 

Mesny  B.  Observations  sur  les  dents  fossiles  d’éléphants  qui  se  trouvent 
en  Toscane.  Florence. *  * 

Nesti  Filippo.  Di  alcune  ossa  fossili  di  Mammiferi  che  s’incontrano  nel 
Val  d’Arno.  — Y.  Ann.  Mus.  imp.  fis.  e st.  natur.  Firenze,  tom.  I. 
Firenze,  1808. 

Sopra  alcune  ossa  fossili  di  Rinoceronte.  Lettera  al  dottor  Gae- 
tano Savi  prof,  di  Botanica  nello  studio  di  Pisa.  Firenze,  1811. 

Note  sur  l’existence  de  deux  expèces  d’ours  fossiles  en  Toscane 

communiquée  au  prof.  Pictet.  — Y.  Bibì.  Univers.  d.  Se.,  bell.  ìettr.  et 
arts.  Se.  et  Arts,  Genève,  1823,  tom.  XXIY,  pag.  206. 

Sulla  nuova  specie  di  Elefante  fossile  del  Yal  d’Arno.  Lettera  al 

prof.  Targioni.  — Y.  Nuovo  Giorn.  d.  Letterati,  tom.  XI,  parte  scien- 
tifica pag.  195.  Pisa,  1825. 

Dell’  osteologia  del  Mastodonte  a denti  stretti.  Lettera  al  profes- 
sore Canali.  — Y.  Nuovo  Giorn,  d.  Letterati,  tom.  XII,  parte  scienti!, 
pag.  17.  Pisa,  1826. 

Sopra  alcune  ossa  fossili  non  per  anco  descritte  trovate  nel  Yal 

d’Arno  superiore.  Lettera  al  prof.  Paolo  Savi.  • — Y.  Nuovo  Giorn. 
d.  Letterati,  tom.  XIII,  parte  scienti!,  pag.  3.  Pisa,  1826. 

Parlatore  Filippo.  Comunicazioni  relative  ai  vegetabili  fossili  di  Monte 
Bamboli  e di  Monte  Massi.  — Y.  Coni.  Att.  Georgof.,  voi.  XXI, 
pag.  23.  Firenze,  1843. 


‘ Principles  of  Geology.  — 1853. 

* Elements  of  Geology.  — 1838. 


122 


Pecchioli  Vittorio.  Notice  sur  un  nouveau  genre  de  bivalve  fossile  (Pec- 
chiolia)  des  terrains  subapennins.  — Y.  Bevuè  de  Zoologie,  Yol.  IV. 
Paris,  1852. 

Lettera  su  di  un  nuovo  fossile  delle  argille  subapennine.  Fi- 
renze, 1862. 

Descrizione  di  alcuni  nuovi  fossili  delle  argille  subapennine  to- 
scane. — Y.  AU.  Soc.  Ital.  Se.  Natur.,  voi.  YI,  fase.  4.  Milano,  1864. 

Pruner  Bey.  Exploration  de  la  grotte  de  Paiamone  dans  les  Maremmes 
de  la  Toscane  par  M.  L.  Zucebi.  --  Y.  Bull.  Soc.  Antlirop.  de  Paris, 
ser.  2,  tom,  II,  pag.  299.  Paris,  1867. 

Sur  un  cràne  humain  trouvé  dans  le  postpliocene  de  la  vallèe 

d’iVrno.  — Y.  Bull.  Soc.  d’Anthropoì.  de  Paris,  ser.  2,  tom.  II,  18^7. 

L’àge  de  la  pierre  en  Italie.  — Y.  Bull.  Soc.  AnthropoL  de  Paris, 

ser.  2,  tom.  II,  1867. 

Regnoli  Carlo.  Riberché  paleo  etnologiche  nelle  Alpi  Apuane,  — Y.  Nuovo 
Cimento.  Pisa,  nov.  dee.,  1867. 

Di  alcuni  oggetti  appartenenti  alla  paleoetnologia  rinvenuti  entro 

una  caverna  della  Maremma  toscana  da  L.  Zucchi.  — V.  Nuovo  Ci- 
mento, tom.  XXYII,  febbraio  1868,  pag.  73.  Pisa. 

Saemaan  e Triger.  Sur  les  Anemia  biplicata  et  vespertilio  de  Brocchi. 
— Y.  Bull.  Soc.  géol.  France,  ser.  2.ftom.  XIX.  1861. 

Sava  R.  Iconografìa  di  mascella  craniana  fossile  di  Cetaceo.  Prato,  1865. 

Savi  Paolo  e Meneghini  R.  Y.  Meneghini. 

Savi  Pietro.  Impronte  vegetabili  osservate  nel  terreno  carbonifero  di 
Monte  Bamboli.  1843. 

Silvestri  Orazio.  Catalogo  dei  Rizopodi  delle  argille  turchine  plioce- 
niche senesi.  — Y.  Siena  e il  suo  territorio.  Siena,  1862. 

Sulla  illustrazione  delle  opere  del  padre  Ambrogio  Soldani  e della 

fauna  microscopica  fossile  del  terreno  pliocenico  italiano.  — Y.  Ait. 
del  X Congres.  Scienz.  Ital,  Siena,  1862. 

Simonin  Louis.  Produits  primitifs  de  l’industrie  humain  e en  Italie.  — 
Y.  Compt.  rend.  Ac.  se.,  tom.  LXI,  pag.  599.  Paris,  1865. 

Soldani  Ambrogio.  Saggio  orittografìco,  ovvero  osservazioni  sopra  le 
terre  nautiliche  ed  ammonitiche  della  Toscana.  Siena,  1780. 

Testaceographise  ac  Zoophytographise  parvae  et  microscopicse. 

Siena,  1789-1798. 

Strozzi  Gr.  e Gaudin  Ch.  Y.  Gaudin. 

Suess  Ed.  Ueber  die  tertiàren  Landfaunen  Mittel-Italien’s.  — Y.  Verhandl. 
h.  le.  geolog.  Beichsanstalt.  AVien,  1871. 


Anche  per  questa  terza  parte  si  omettono  i titoli  di  quegli 
scritti  che  trattano  la  paleontologia  generale  e che  solo  per  in- 
cidente discorrono  di  fossili  toscani. 


- 123 


IV.  Appendice. 


1.  a)  Mineralogia  e litologia. 

Bertacchi  da  Panie  Pompeo.  Vari  rapporti  sulla  Società  mineralogica 
residente  in  Pisa  — 1849,  1851,  1852  ec.  Pisa. 

Branchi  Griuseppe.  Sopra  un^  efflorescenza  salina,  trovata  nell’  interiore 
della  cupola  della  cappella  del  Campo.  Santo  di  Pisa  nel  novem- 
bre 1793.  — y.  Gior.  pisano.,  tom.  97.  Pisa,  1795. 

Càillaux  Alfredo.  Rapport  sur  la  mine  de  cuivre  « La  Gavina  » à Mon- 
tecatini (Val  di  Cecina)  1847. 

Cozzi  Andrea.  Sulla  nocuità  o innocuità  dei  forni  fusori  del  rame  sol- 
forato o Pirite  rameica  alla  coltivazione  della  Valle  di  Bisenzio. 
Firenze,  1848. 

D’  AcMardi  Antonio.  Della  Natrolite  e Analcima  di  Pomaja  (com.  di 
Santa  Luce).  — V.  Boll.  Comit.  geol.  Ital.,  N.  5-6,  pag.  163,  1874. 

Le  Zeoliti  del  Granito  Elbano.  — Boll.  Comit.  geol.  Itaì.^  N.  9-10, 

pag.  306,  1874. 

Sul  dimorfismo  del  Solfo  e di  altri  minerali,  1875. 

Cosse  L.  A.  Account  of  a visit  made  to  thè  Baths  of  St.  Filippo  in  Tu- 
scany,  vith  a description  of  thè  modo  of  forming  stone  medallions  in 
bassorilievo  from  thè  waters.  — V.  Edinb.  Phil.  Journ.,  II”.  Edin- 
bourg,  1820. 

Gnidoni  Girolamo.  Lettera  sui  marmi  e sulle  miniere  lunensi.  — V.  Ci- 
mento. Pisa,  1847. 

Hanpt  Teodoro.  Rapporto  riguardante  la  miniera  di  Monte  Vaso.  Fi- 
renze, 1846. 

Considerazioni  sull’  opportunità  di  riprendere  1’  escavazione  della 

miniera  di  mercurio  in  Levigliani.  Firenze,  1850. 

Hopper  G.  Perizia  e rapporto  dei  lavori  necessari  per  1’  attivazione  di 
una  fonderia  di  prima  fusione  in  prossimità  della  miniera  di  Staz- 
zema,  1848. 

Jervis  Guglielmo.  I tesori  sotterranei  dell’  Italia.  — Parte  IL  Regione 
dell’Apennino  e Vulcani.  Torino,  1874.. 

L.  P.  Ragionamento  intorno  alla  riattivazione  che  si  propone  d’ intra- 
prendere di  alcune  miniere  in  Toscana.  Firenze,  1833. 

Magenta  Carlo.  L’ industria  dei  marmi  di  Carrara,  Massa  e Seravezza.  — 
V.  Politecnico,  voi.  25.  Milano,  1865. 

Moro  G.  Della  Torba  italiana  sostituita  ai  Carboni  esteri.  — V.  Ann. 
Agr.  Ind.  e Comm.  Torino,  1863. 

Perres  e Bìagiui.  Relazione  dello  stato  attuale  delle  miniere  di  Argento 
del  Vicariato  di  Pietrasanta.  Firenze,  1832. 


124 


Pilla  Leopoldo.  Parere  sopra  la  miniera  di  rame  del  Poggio  alla  Villa, 
appartenente  alla  Società  anonima  della  Castellina.  Pisa,  1846. 

Pitiot  Francesco.  Sui  lavori  eseguiti  alle  miniere  di  Carbon  fossile  di 
Monte  Bamboli  e di  Monte  Massi  nella  campagna  dal  1843  al  1844. 
Livorno,  1844. 

Rapport  sur  les  mines  des  provinces  de  Garfagnana,  Massa-Car- 
rara e Lnnigiana.  Florence,  1852. 

Rath  (vom)  G.  Su  la  Foresite,  nuovo  minerale  della  famiglia  delle  Zeo- 
liti,  rinvenuto  nelle  geodi  tormalinifere  dell’  isola  d’ Elba.  — Y.  Boll. 
Com.  geol.  Ital.,  N.  7-8,  pag.  237,  1874. 

Savi  Paolo.  Lettera  informativa  sulla  miniera  di  Castellina  Marittima 
e sull’  altra  di  Riparbella,  diretta  agli  azionisti  della  Società  mine- 
ralogica residente  in  Pisa.  Pisa,  1849. 

Rapporto  sulla  miniera  della  Castellina  Marittima  e sull’  altra  di 

Riparbella.  Pisa,  1851. 

Rapporti  alla  Società  mineralogica  di  Pisa  sulla  miniera  della  Ca- 
stellina. Pisa,  1853,  1856  ec. 

Taddei  Gio vacchino.  Relazione  intorno  alle  operazioni  metallurgiche,  che 
si  eseguiscono  alla  fonderia  della  Briglia  e ai  danni  che  vengono 
loro  attribuiti.  Firenze,  1848. 

Taddei  G.  e Targioni  A.  Appendice  all’  opuscolo  a stampa  sulla  fon- 
deria del  rame  alla  Briglia  in  Val  di  Bisenzi'o  presso  Prato.  Fi- 
renze, 1849. 

Targioni-Tozzetti  Antonio.  Prima  relazione  intorno  alla  formazione  della 
miniera  di  rame  della  Briglia.  Firenze,  1848. 

Relazione  seconda,  relativa  ai  danni  delle  esalazioni  prodotte  alla 

Briglia  nella  lavorazione  del  minerale  di  rame.  Firenze,  1848. 

Targioni  Pozzetti  A.  e Taddei  G.  V.  Taddei. 

Vegni  A.,  Remon,  Pellico,  Geymard,  Paret-Marcel,  Pianigiani  G.,  Pini 
G.,  Bancheri  e Hoppner  W.  Rapporti  e pareri  di  vari  savi  e rino- 
mati ingegneri  intorno  alla  miniera  di  ferro  di  Stazzema. 

Weber  Guglielmo.  Rapporto  riguardante  le  miniere  di  rame  di  Monte 
Vaso.  Firenze,  1846. 

1.  b)  Acque  minerali. 

Branchi  G.  e Savi  Paolo.  Sulle  sostanze  che  rendono  odorosa  e sapo- 
rosa r acqua  della  fonte  artesiana  di  Pontedera  e sul  purgatorio 
progettato.  Pisa,  1832. 

Buonamici  Enrico.  Acqua  termo-minerale  di  Monsummano.  Firenze,  1864. 

Analisi  chimica  dell’  acqua  della  nuova  sorgente  di  proprietà  del 

signor  Andrea  Nuti  di  Montecatini  in  Val  di  Nievole.  Firenze,  1866. 

Calamai  Luigi.  Notizia  sull’  acqua  minerale  di  Quarrata  presso  Poscia. 
Firenze,  1843. 


125  — 


Cappellini  (xiuseppe.  Analisi  chimica  dell’  acqua  salino-purgativa  di  Ber- 
gondola.  Parma,  1846. 

Della  Santa  Tito  e Martini  Ad.  Condizioni  attuali  e miglioramenti  pos- 
sibili deir  acqua  potabile  della  provincia  di  Pisa.  Pisa,  1864. 

Fedeli  Fedele.  Notice  sur  les  propriétés  medicales  des  célèbres  eaux 
minérales  des  RR.  Thermes  de  Monte  Catini.  Pise,  1857. 

Francolini  Felice.  Delle  acque  potabili.^  — V.  Att.  Georgof.,  N.  sèr.,  1862. 

Martini  Adolfo.  V.  Della  Santa. 

Savi  Paolo.  V.  Branchi. 

Silvestri  Orazio.  Analisi  chimica  di  una  nuova  acqua  minerale  di  Mon- 
tecatini in  Toscana,  denominata  Acqua  della  Salute.  Firenze,  1863. 

Targioni  Pozzetti  Antonio.  Caratteri  fisici,  saggi  analitici,  e composi- 
zione chimica  dell’Acqua  della  Fortuna;  il  tutto  desunto  dalle  espe- 
rienze. Firenze,  1852. 


IL  Geologia. 

Biamonti  Angiolo.  Cenni  storici,  geologici  e botanici  sull’  isola  di  Gor- 
gona  nell’  arcipelago  toscano.  Livorno  1873. 

Botti  Flderigo.  Sulle  rocce  impastate  entro  al  serpentino.* *  — V.  JBoUet. 
Comit.  geol.  Ital.  N.  3 e 4,  1875,  pag.  67. 

Capellini  Giovanni.  Strati  a congerie,  formazione  Oeninghiana  e piano 
del  calcare  di  Leitha  nei  Monti  Livornesi.  — Y.  Bend.  Acc.  Bologna, 
^19  nov.  1874.  Estr.  dal  Boìlet.  Comit.  geol.  Ital.,  N.  1-2,  1875.  pag.  49. 

Coqnand  H.  De  l’àge  et  de  la  position  des  marbres  blancs  statuaires 
des  Pirénées  et  des  Alpes  Apuénnes  en  Toscane.  — V.  Oompt.  rend. 
Ac.  Se.,  t.  79,  pag.  411.  Paris,  1874. 

D’  AcLiardi  Antonio.  Sulla  conversione  di  una  roccia  argillosa  in  Ser- 
pentino. — Y.  Bollet.  Comit.  geol.  Ital.,  N.  11-12,  1874. 

Sulle  calcarie  grossolana  e lenticolare  della  Toscana.  — Y.  Bollet. 

Comit.  geol.  Ital.,  N.  11-12,  1874. 

De  Stefani  Carlo.  Dei  depositi  alluvionali  e della  mancanza  di  terreni 
glaciali  nell’Apennino  della  Yalle  del  Serchio  e nelle  Alpi  Apuane. 
— Y.  Boll.  Comit.  geol.  Ital.,  N.  1-2,  1875. 

De  Yaux  A.  Développement  de  l’exploitation  des  minerais  de  fer  de  file 
d’Elbe.  — Y.  Ann.  des  Mines,  Ser.  7,  tom.  4,  pag.  623.  Paris,  1873. 

Fuclis  T.  e Manzoni  A.  Relazione  di  un  viaggio  geologico  in  Italia,  con 
r aggiunta  di  notizie  e considerazioni  del  dottor  A.  Manzoni.  — 
Y.  Bollet.  Comit.  geol.  Ital. , N.  7-8,  1874,  pag.  226,  e Yerhandl.  d.  le.  h. 
geol.  Beicìisanst.,  N.  9.  Wien,  1874. 

Fuchs  Teodoro.  Sulla  relazione  di  un  viaggio  geologico  in  Italia  del 
medesimo.  — Y.  Boll.  Comit.  geol.  Ital.,  N.  1-2,  1875,  pag.  46. 


* Vi  si  parla  di  molte  acque  potabili  della  Toscana. 

* Vi  si  parla  dei  dintorni  di  Pontremoli. 


126 


Lotti  B.  Considerazioni  geologiche  sui  dintorni  di  Boccheggiano  e Ger- 
falco  presso  Massa  Marittima.  — Y.  Bollet.  Gomit.  geol.  Ita!.,  N.  7-8, 
pag.  222,  1874. 

— Cenno  sulla  costituzione  geologica  della  comunità  di  Massa  Ma- 
rittima. — Y.  Bollet.  Comit.  geol.  Ital.^  N.  9-10,  pag.  284,  1874. 

Ludwig  Eudolpli.  Geologische  Bilder  aus  Italien.  — Y.  Boll.  Soc.  Imp, 
Natur.  de  Moscou.  Moskau,  1874. 

Manzoni  Angelo.  Y.  Fuchs. 


DICHIARAZIONE. 

Per  tutti  quei  buoni  effetti  di  cui  può  esser  fonte  la 
rettificazione  di  un  errore  scientifico,  il  sottoscritto  si 
trova  in  obbligo  di  dichiarare,  che  nell’  opuscolo  dal 
medesimo  pubblicato  nel  Bollettino  del  R.  Comitato  geo- 
logico d’Italia  per  l’anno  1873  col  titolo  II  Monte 
Titano  {territorio  della  BepubUica  di  San  Marino)^  i suoi 
fossili.^  la  sua  età  ed  il  suo  modo  d’ origine^  è intervenuto 
tale  un  errore  paleontologico  grave  e fondamentale  da 
togliere  ogni  valore  al  significato  del  detto  opuscolo. 
L’  errore  accennato  consiste  nell’  aver  ritenuto  essere 
una  Porites  quello  che  ulteriori  e più  accurate  osserva- 
zioni hanno  mostrato  non  esser  altro  che  una  gigantesca 
e ramosa  Cellepora. 

A.  Manzoni. 

Bologna,  22  aprile  1875. 


AVVISO. 

Col  1"  Maggio  1875  gli  uffizii  del  E.  Comi- 
tato Geologico  saranno  trasferiti  nell’  ex-convento 
di  San  Pietro  in  Vincoli;  Soma,  Piazza  San  Pietro  in 
Vincoli,  N.  5,  (presso  la  E.  Scuola  di  Applicazione 
per  gli  Ingegneri). 


! 


(Continuazione.) 


Memorie  per  seryire  alla  descrizione  della  Carta  Geologica 
d’Italia.  — Volume  II,  Parte  F;  Firenze  1873.  — 272  pa- 
gine in-4‘’  con  11  tavole,  due  Carte  geologiche  ed  incisioni 
intercalate  nel  testo. 

Comprende  le  seguenti  Memorie  : 

Introduzione.  — Monografia  geologica  dell’  Isola  d’ Ischia, 
con  la  Carta  geologica  della  medesima  in  fol.  e incisioni  nel 
testo,  del  professor  C.  W.  C.  Fuchs.  — Esame  geologico  della 
catena  alpina  del  San  Gottardo,  che  deve  essere  attraversata 
dalla  grande  Galleria  della  Ferrovia  Italo-Elv etica,  con  una 
Carta  geologica  in  fol.  e due  tavole  di  Sezioni  in  fol.,  dell’ in- 
gegnere F.  Giosdano.  — Appendice  alia  Memoria  sulla  for- 
mazione terziaria  nella  zona  solfifera  della  Sicilia,  con  una 
tavola,  deir  ingegnere  S.  Mottura.  — Malacologia  pliocenica 
italiana  (Parte  F,  Gasteropodi  sifonostomi)  ; fascicolo  2°,  con 
otto  tavole,  di  C.  D’  Ancona. 

, Prezzo  del  Voi.  11°  (Parte  F),  Lire  25. 

Carta  Geologica  del  San  Gottardo,  nella  scala  di 
1 per  50,000,  di  F.  Giordano.  — Un  foglio  in  cro- 
molitografia   L.  5.  — “ 

Carta  Geologica  dell’Isola  d’IscMa,  nella  scala  di 
1 per  25,000  di  C.  W.  C.  Fuchs.  — Un  foglio  in 
cromolitografia L.  3. — 


Memorie  per  servire  alla  descrizione  della  Carta  Geologica 
d’ Italia.  — Voi.  II,  Parte  2^;  Firenze  1874.  — 68  pag.  in  4° 
con  due  tavole.  — Contiene  la  seguente  Memoria  : B.  Ga- 
staldi, Studii  geologici  sidle  Alpi  Occidentali;  Parte  T. 

Prezzo  del  Voi.  IF  (Parte  2^),  Lire  5. 


Per  le  commissioni  dirigersi  al  Segretario  del  R.  Co- 
mitato Geologico,  in  Roma,  Piazza  San  Pietro 
in  Vincoli,  N.'  5. 


Annunzi  di  pubblicazioni. 


C.  De  Stefani. — Fossili  pliocenici  dei  dintorni  di  S.  Miniato. 
— Molluschi  bivalvi  ed  univalvi.  — Pisa  1874,  pag.  86  in-8''. 

I terreni  subapennini  dei  dintorni  di  San  Miniato  ai 

' Tedesco.  — Pisa  1875,  pag.  19  in-8°. 

M.  S.  De  Rossi.  — Analisi  dei  tre  maggiori  terremoti  ita- 
liani avvenuti  nel  1874  in  ordine  specialmente  alle 
fratture  del  suolo.  — Roma  1875,  pag.  76  in-4“. 

E.  Paglia.  — I terreni  glaciali  nelle  valli  alpine  confluenti 
ed  adiacenti  al  bacino  dei  Garda.  — (Atti  del  R.  Istituto 
Veneto,  serie  V,  t.  I,  Disp.  3).  — Venezia  1875,  p.  30  in-8°. 

A.  Crespellani.  — Nota  geologica  sui  terreni  e sui  fossili 
del  Savignanese.  — (Annuario  della  Società  dei  Naturalisti 
in  Modena,  serie  IP,  anno  IX,  fase.  l^*).  — Modena  1875, 
pag.  29  in-8^ 

T.  Taramelli.  — Di  alcune  condizioni  stratigrafìche  ed  orogra- 
fiche della  provincia  di  Udine. — Venezia  1875,  p.  16  in-8°. 

G.  Ponzi.  — Storia  dei  Vulcani  Laziali.  — "Roma  1875.  .(Atti 
della  R.  Accademia  dei  Lincei,  anno  271,  serie  IP,  voi.  P, 
1873-74),  pag.  17  1^4^^  con  carta  geologica. 

Storia  naturale  del  Tevere.  — Roma  1875.  (Bollettino 

della  Società  Geogr.  Ital.,vol.  XII,  fase.  1-2),  pag.  20  in-8° 
con  3 tavole. 

R.  Ludwig. — Geologische  Bilder  aus  Italien.  — Moskau  1874. 
(Bulletin  de  la  Société  Imp.  des  Naturai,  de  Moscou,  an- 
née  1874). 

G.  voM  Rate.  — Ber  Monzoni  im  Siidostlichen  Tirol.  — 
Bonn  1875,  pag.  46  in-8“  con  due  tavole. 

A.  Stoppani.  — La  purezza  del  mare  e dell’  atmosfera  fin  dai 
primordi  del  mondo  animato. — Milano  1875,  pag.  484 
in-8®  con  figure  nel  testo  ed  una  tavola. 

A.  De  Zigno.  — Sui  mammiferi  fossili  del  Veneto.  — Pa- 
dova 1875,  pag.  16  111-8^ 


R.  COMITATO  GEOLOGICO 


D’  ITALIA. 

Bollettino  N°  5 e 6, 


Maggio  e Giugno  1875. 


EOMA, 

TIPOGRAFIA  BARBÈRA. 


1875. 


E.  COITATO 


GEOLOSICO. 


Bollettino  Geologico  per  il  1870.  — Un  voi.  in-8°  di  pag.  324. 

» » PER  IL  1871. — Un  voi.  in-8°  di  pag.  296. 

» » PER  IL  1872.  — Un  voi.  in-8”  di  pag.  376. 

))  » PER  IL  1873.  — Un  voi.  in-8“  di  pag.  400. 

» » PER  IL  1874.  — Un  voi.  in-8®  di  pag.  408. 

Prezzo  di  ciascun  volume  L.  10. 

Associazione  al  Bollettino  del  1875  (Anno  VP).  — Per 
l’Italia  L.  8,  Estero  L.  10. 

I fascicoli  bimestrali  del  Bollettino  si  vendono  anche  se- 
paratamente al  prezzo  di  L.  2 ciascuno. 

Memorie  per  servire  alla  descrizione  della  Carta  Geologica 
d’Italia.  — Volume  P;  Firenze  1871.  — 404  pagine  in-4° 
con  23  tavole,  due  Carte  geologiche  e varie  incisioni  inter- 
calate nel  testo. 

Comprende  le  seguenti  Memorie  : 

Introduzione  — Studii  geologici  sulle  Alpi  Occidentali,  di 
B.  Gastaldi,  con  cinque  tavole  ed  una  Carta  geologica.  — 
Cenni  sui  graniti  massicci  delle  Alpi  Piemontesi  e sui  mine- 
rali delle  valli  di  Lanzo,  di  G.  Struver.  — Sulla  formazione 
terziaria  nella  zona  solfifera  della  Sicilia,  di  S.  Mottura, 
con  quattro  tavole.  — Descrizione  geologica  dell’Isola  d’ Elba, 
di  1.  Cocchi,  con  sette  tavole  ed  una  Carta  geologica.  — 
Malacologia  pliocenica  italiana  (Parte  P,  Gasteropodi  sifo- 
nostomi)  di  C.  D’  Ancona  ; fascicolo  U,  con  sette  tavole. 

Prezzo  del  Voi.  1°,  Lire  35. 

Brevi  cenni  sui  principali  Istituti  e Comitati  Geo- 
logici e sul  R.  Comitato  Geologico  d’ Italia,  di 

I.  Cocchi.  — Pag.  34  in-4‘’ L.  1.  50 

Carta  Geologica  della  parte  orientale  dell’  Isola 
d’ Elba,  nella  scala  di  1 per  50,000,  di  I.  Coc- 
chi. — Un  foglio  -in  cromolitografia L.  3. 00 

{Continua). 


BOLLETTINO  DEL  R.  COMITATO  GEOLOGICO 

D’ ITALIA. 

N''  5 e 6.  — Maggio  e Giugno  1875. 


SOMMARIO. 

Note  geologiche.  — I.  Notizie  preliminari  su  le  Balenoptere  fossili  sub- 
appennine  del  Museo  parmense,  per  P.  Strobel.  — IL  Scoperta  di  strati 
nummulitici  presso  Prata  e Gerfalco  in  provincia  di  Grosseto,  per  B.  Lotti. — 
III.  Studii  stratigrafici  sulla  Formazione  pliocenica  dell’Italia  Meridionale, 
per  G.  Seguenza..  (Continuazione.) — IV.  Cenni  sopra  la  costituzione  geologica 
delle  Isole  Ponza,  per  C.  Doelter.  — V.  Il  Vulcano  Venda  presso  Padova, 
per  E.  SuESS.  — VI.  Appunti  geologici  sull’Italia,  per  R.  Ludwig.  — VII.  Un 
brano  di  storia  della  geologia  toscana,  a proposito  di  una  recente  pubbli- 
cazione del  signor  Coquand,  per  C.  De  Stefani. 

Notizie  diverse.  — Carta  topografica  d’Italia.  — Pseudomorfismo  del  serpen- 
tino.— Studii  paleontologici  nel  Vicentino.  — Eruzioni  di  ceneri  tridimitiche. — 
Giacimento  di  zaffiri  e rubini  con  corindone.  — L’Altaite. 

Necrologia.  — G.  P.  Deshayes. 

Tavole  ed  incisioni.  — Sezione  del  Monte  la  Guardia  nell’  Isola  Ponza, 
a pag.  159. 


NOTE  GEOLOGICHE. 


I. 

Notizie  preliminari  sn  le  Balenoptere  fossili  subappennine 
del  Museo  parmense^  per  P.  Strobel. 

Come  è noto,  fu  Giuseppe  Cortesi,  che  pel  primo  attirò  T at- 
tenzione di  Cuvier  e degli  altri  paleontologi  coetanei  sui  fossili 
dei  nostri  Appennini,  grazie  alle  fortunate  ed  interessanti  sue 
scoperte  di  avanzi  di  grandi  mammiferi  nei  depositi  subapenninici.^ 
I fossili  da  lui  raccolti  prima  del  1809  furono  acquistati  dal 
governo  del  cessato  Pegno  d’Italia,  e nel  1819  trovavansi  nel 
Museo  dell’ i.  r.  Consiglio  delle  miniere  in  Milano,^  dal  quale  pas- 

* CoccoNi  G.,  Enumerazione  sistematica  dei  Molluschi  miocenici  e plioce- 
nici delle  proviucie  di  Parma  e Piacenza.  Bologna,  1873,  pag.  1. 

^ Cortesi  G.,  Saggi  geologici  degli  stati  di  Parma  e Piacenza.  Piacenza, 
1819,  pag.  67. 


— 132  — 


sarono,  non  sono  molti  anni,  nel  Museo  civico  di  quella  città. 
Quanto  il  Cortesi  riunì  dopo  il  1809  venne,  dopo  la  sua  morte, 
nel  1841  comperato  dal  governo  dell’  ex-ducato  di  Parma,  pel 
Museo  di  storia  naturale  dell’  università  parmense.  Alla  fine 
del  1859,  allorché  venne  a me  affidata  la  direzione  di  questo 
Museo,  quei  fossili  trovavansi  tuttora  rinchiusi  nella  ventina 
di  casse,  entro  le  quali  da  Piacenza,  luogo  di  dimora  del  Cor- 
tesi, erano  stati  trasportati  a Parma.  In  onta  che  i mezzi  di 
cui  il  Museo  poteva  disporre  fossero  scarsissimi,^  si  riuscì  final- 
mente ad  ordinare  e porre  in  mostra  tutti  quelli  avanzi,  in  parte 
già  illustrati  dal  Cortesi,^  i quali  non  costituiscono  punto  la 
parte  minore  delle  sue  raccolte,  nè  la  meno  interessante,^  come 
erroneamente  era  stato  da  taluno  asserito,  e lo  dimostrerò  in 
questo  articolo,  per  ciò  che  riguarda  le  Balenoptere  fossili. 

Intorno  al  1852  furono  acquistati  al  Museo  parmense  gli 
scheletri  fossili  di  un  Delfino  e di  due  Balenoptere,  rinvenuti  da 
Giovanni  Podestà  nei  colli  del  piacentino.^  Nel  1859  essi  erano 
collocati  alla  meglio  sopra  dei  tavolati,  ora,  disposti  entro  oppor- 
tune vetrine,  costituiscono  uno  de’  precipui  omamenti  dello  sta- 
bilimento. 

Premessi  questi  pochi  e brevi  cenni  storici,  m’ accingo  ad 
enumerare  e descrivere  sommariamente  i principali  avanzi  di  Ba- 
lenoptere del  Museo  in  discorso,  aggiungendovi  i necessari  cenni 
critici. 


‘ La  dote  annua  del  Museo  non  arriva  alle  lire  700,  colle  quali  deve  soppe- 
rire anche  alle  spese  di  cancelleria  e di  riscaldamento. 

“ Come  lo  scheletro  di  Rinoceronte,  di  cui  tratta  la  memoria  sua  ; Sulla 
scoperta  dello  scheletro  di  un  quadrupede  colossale  ecc.  Piacenza,  1834,  in  4° 
con  due  tavole;  — la  mascella  inferiore  d’altro  Rinoceronte,  descritta  nei  ci- 
tati suoi  Saggi  geologici,  alla  pag.  77,  e figurata  sulla  tav.  V,  flg.  5,  la  quale 
ritornò  in  pezzi  dalla  esposizione  mondiale  di  Londra  del  1862.  Veggansi  in  pro- 
posito gli  Atti  della  Soc.  Ital.  di  Scienze  nat.,  voi.  V.  1863,  pag.  122. 

® Van  Beneden,  al  quale  inviai  già  alquanti  disegni  degli  avanzi  fossili  di 
Cetacei  dei  Museo,  con  foglio  del  7 giugno  dichiara  che  la  massima  parte  loro 
meriterebbe  di  essere  modellata. 

* ScARABELLi  L.,  Bi  Una  Balena,  di  un  Delfino  e molte  conchiglie  cavate 
dai  colli  del  Piacentino  per  opera  del  signor  G.  Podestà.  Pagine  14  in  16®, 
senza  data. 


— 133  - 


Famiglia  Balaenopteridae. 

Sottofamiglia  Cetotherin^. 

Genere  Getotlierium  J.  F.  Brandt. 

Specie  F G.  Cuvierii  Boitard. 

A questa  specie  sembrano  appartenere  gli  avanzi  di  uno 
scheletro  di  giovane  individuo,  raccolti  dal  Cortesi  nelle  salibie 
gialle  del  piacentino.  È a dolersi  che  nel  catalogo  della  sua  se- 
conda raccolta,  della  quale  quelli  avanzi  facevan  parte,  non  sia 
indicato  il  luogo  preciso  ove  furono  da  lui  scoperti.  Consistono 
del  teschio,  di  6 coste  e di  23  vertebre,  una  delle  quali  cervicale, 
in  cattivo  stato  di  conservazione  ed  in  gran  parte  prive  delle 
loro  cartilagini.  Del  teschio  sono  ben  conservate  le  ossa  mascellari 
superiori  e le  intermascellari,  1’  apofisi  zigomatica  destra,  stac- 
cata dal  temporale,  e la  branca  sinistra  della  mandibola;  sono 
discernibili  le  ossa  frontali  ed  il  vomere,  poco  le  ossa  nasali  e 
punto  tutte  le  altre.  Mancano  le  ossa  parietali,  la  massima  parte 
deir  occipite  e delle  ossa  temporali  e la  porzione  destra  della 
mascella  inferiore.  Il  cranio  è posteriormente  stretto,  la  branca 
della  mandibola  è poco  curva,^  e per  tali  caratteri  credo  di  do- 
ver ascrivere  questi  avanzi  al  Cetotheriimi  Cuvierii.  Debbo  però 
far  osservare  che  per  rispetto  alla  forma  delle  ossa  frontali  e 
della  parte  posteriore  delle  mascellari  superiori  il  teschio  in  di- 
scorso differisce  da  quello  del  G.  Cuvierii,  sul  quale  venne  sta- 
bilita la  specie,^  e s’ accosta  invece  al  Cet.  Capellina  Brandt, 
di  cui  ragionerò  in  appresso. 


‘ L’  altezza  della  curva  da  essa  descritta  sta  alla  lunghezza  della  corda  co- 
me 6 ; 100. 

^ Questo  scheletro,  trovato  dal  Cortesi  nel  1806,  faceva  parte  della  sua  prima 
raccolta,  e,  come  ebbi  ad  accennare  in  principio,  conservasi  nei  Museo  civico 
di  Milano.  Fu  rappresentato  dal  Cortesi  nei  citati  Saggi  geologici  alla  tav.  Ili, 
fig.  1.  CuviER  ne  copiò  la  figura  alla  tav.  228,  n.  1 delle  note  sue  Recherches. 
Nell’  opera  recente  di  Brandt  sui  Cetacei  fossili  d’ Europa,  alla  tav.  XX,  fig.  1, 
vedesi  rappresentato  il  teschio  di  questo  scheletro,  veduto  dal  disopra,  dietro 
un  disegno  del  Cornalia. 


— 134  — 


2®  C.  Cortesii  Desmoulins. 

Il  Museo  parmense  possiede  V esemplare  preso  per  tipo  di 
questa  specie.  E descritto  nei  citati  Saggi  geologici  del  Cortesi, 
alla  pag.  61,  ed  ivi  figurato  sulla  tav.  V,  num.  1-3.^  Fu  da  lui 
scoperto  nel  1816  in  un  rivo  che  discende  dal  Monte^ago  e sbocca 
nel  torrente  Chiavenna,  nel  piacentino.  La  marna  azzurra  mica- 
cea nella  quale  era  impegnato,  è per  la  massima  parte  indurita 
pel  calcare  che  V ha  cementata,  sì  che  il  Cortesi  credette  bene 
di  lasciare  le  ossa  di  questo  scheletro,  salvo  le  vertebre  cau- 
dali e parte  delle  lombari,  che  potè  isolare  con  facilità,  nella 
situazione  in  cui  le  ebbe  a rinvenire.  I tentativi  sinora  fatti  per 
sbarazzarle  dalla  roccia  ben  poco  ancora  fruttarono,  poiché  le 
ossa,  come  già  avvertiva  il  Cortesi,  sono  assai  fragili,  per  cui 
non  si  può  adoperare  lo  scarpello  per  liberarle  dalla  pietra,  e 
pochissimo  il  raschiatoio.  Inoltre,  sono  quasi  prive  del  tessuto 
compatto,  e perciò  non  si  ponno  rendere  dure  col  silicato  di 
potassa  senza  che  questo,  passando  attraverso  la  loro  superficie, 
penetri  anche  nella  roccia  stessa,  la  indurisca  maggiormente  e 
la  cementi  vieppiù  colle  medesime,  sì  che  allora  riesca  impossi- 
bile affatto  separamele.  Però,  V operazione  relativa,  incominciata 
or  sono  due  mesi  dal  signor  capitano  A.  Caggiati,  non  essendo 
terminata,  poiché  devesi  procedere  assai  lentamente,  si  spera  di 
poter  riuscire  in  seguito  a mettere  allo  scoperto  qualche  altra 
parte  interessante  del  teschio  e della  colonna  vertebrale.^ 

La  lunghezza  totale  delle  parti  raccolte  di  questo  scheletro, 
è di  metri  4 circa. — Del  teschio  sono  attualmente  più  o meno  vi- 
sibili r occipite,  i temporali  colle  apofisi  zigomatiche  e mastoidee, 
i frontali,  i parietali,  i mascellari  superiori  e gli  intermascellari, 


* Non  so  comprendere  come  Brandt  abbia  potuto  asserire  ripetutamente 
(pag.  153)  che  Cortesi  non  ne  abbia  dato  la  figura.  — .Tutte  le  figure  del  Cor- 
tesi sono  pur  troppo  insufficienti  ed  inesatte.  Inoltre,  per  colpa  dell’  incisore, 
sono  tutte  riuscite  al  rovescio,  sì  che  le  parti  destre  appaiono  sinistre,  e vice- 
versa. — E fu  certo  un  fortunato  azzardo,  come  accenna  anche  Brandt,  quello 
di  avere  creato  una  nuova  specie  solo  dietro  la  imperfetta  descrizione  (e  le 
grame  figure)  del  Cortesi. 

^ Ora  vedesi  scoperto  tutto  il  lato  sinistro  del  teschio.  [Nota  aggiunta  in 
gingilo.  J 


-'135  — 


la  mascella  inferiore.  Il  rimanente  del  cranio,  e specialmente 
della  sua  volta,  è coperto  dalla  roccia,  entro  la  quale  trovansi 
impegnate  tre  coste  disposte  trasversalmente  sopra  il  medesimo. 
Le  branche  della  mascella  inferiore  non  trovansi,  come  asserisce 
Cortesi,  situate  quasi  naturalmente,  ma,  pel  peso  sovrappostosi, 
hanno  descritto  sopra  sè  stesse  un  quarto  di  giro  verso  T interno, 
sì  che  mostransi  coricate  sulla  loro  faccia  interna,  ed  invece  di 
segnare  all’  esterno  del  teschio  una  curva  sporgente  o convessa, 
ne  segnano  invece  una  rientrante  nel  mezzo,  ossia  concava.  Sono 
poco  curve,  descrivendo  un  arco,  1’  altezza  del  quale  sta  alla  lun- 
ghezza della  sua  corda  come  8 a 100.  Formano  però  un  an- 
golo d’ incontro  meno  acuto  di  quello  che  formano  le  branche 
della  mandibola  del  G,  Cuvierii.  La  porzione  sinistra  è scorsa 
più  avanti  della  destra,  sì  che  sporge  maggiormente  che  questa. 
L’ intermascellare  destro  si  è spostato  e collocato  trasversalmente 
sopra  i mascellari  e la  branca  sinistra  della  mandibola.  11  te- 
schio è lungo  metri  1,  30  dall’  occipite  all’  estremità  anteriore 
della  mandibola,  e metri  1,12  dall’occipite  all’estremità  della 
mascella  superiore.  La  larghezza  massima,  misurata  dalla  faccia 
esterna  dell’  una  a quella  dell’  altra  delle  apofisi  sì  zigomatiche 
che  mastoidee,  è di  metri  0.  53.  Abbiamo  quindi  tra  la  massima 
larghezza  e la  lunghezza  la  proporzione  di  47,  30  a 100,  ossia 
la  larghezza  massima  è minore  della  metà  della  lunghezza,  sì 
come  nel  teschio  del  C.  Cuvierii  di  Milano.  La  minima  di- 
stanza, tra  i parietali,  è di  metri  0,  19,  ciò  che  dà  un  rapporto 
colla  lunghezza  di  17  a 100.  La  massima  larghezza  dell’  occipite 
è di  metri  0,  36,  ossia  di  32  per  100  rispetto  alla  lunghezza  del 
teschio. 

Cortesi  nota  che  quasi  tutte  le  vertebre  conservano  le  loro 
cartilagini.  Questa  asserzione  vale  per  le  caudali,  ma  non  per 
quelle  altre  vertebre  ch’egli  non  riuscì  ad  isolare.  Desse,  come 
ora  si  può  osservare,  mancano  delle  dette  cartilagini,  e tra  ver- 
tebra e vertebra,  in  vece  loro,  si  è interposta  la  sostanza 
pietrosa. 

Da  questo  fatto  e dall’  accennata  fragilità  delle  ossa  e dalla 
scarsezza  in  esse  del  tessuto  compatto  devesi  arguire,  che  l’ in- 
dividuo cui  appartenne  lo  scheletro  in  questione  morì  in  età  an- 
cora giovanile. 


~ 136  - 


Cortesi  diclìiarò  che  « la  forma  della  testa  somiglia  perfet- 
» tamente  a quella  della  Balena,  scoperta  nel  novembre  1806  » 
che  è il  Cet.  Cuvierii  del  Museo  milanese,  come  dissi,  e Cuvier,- 
dietro  tale  asserzione  del  Cortesi,  ritenne  pure  che  ambi  gli 
scheletri  spettino  alla  medesima  specie.  Ma  il  teschio  parmense 
del  Cet.  Gortesii,  per  la  maggior  larghezza  dell’  occipite  (32  ! 100) 
e per  le  apofisi  zigomatiche  pochissimo  divergenti,  differisce  no- 
tevolmente dal  cranio  del  Cet.  Cuvierii,  e s’ avvicina  invece  a 
quello  del  Cet.  Capellina  Brandt,  che  conservasi  nel  Museo  di 
Parma,  come  vedremo  in  avanti  ; all’  opposto  per  la  strettezza 
della  mascella  superiore  e la  lieve  curva  delle  branche  della 
mandibola  s’  accosta  al  teschio  del  Cet.  Cuvierii.  I condili  occi- 
pitali sono  assai  sviluppati,  sì  come  veggonsi  nel  cranio  del  Cet. 
Vandellii  van  Ben.  figurato  da  Brandt.^  Il  teschio  del  Museo  di 
Torino,  descritto  e figurato  da  Brandt  ^ quale  Cet.  Cortesii  dif- 
ferisce dal  parmense  per  la  forma  dell’  occipite  sopra  tutto,  sì 
che  dovendosi  conservare  la  denominazione  di  Cet..  Gortesii  allo 
scheletro  del  Museo  di  Parma,  a quello  di  Torino  dovrà  darsi 
il  nomm  di  Cet.  Castalda. 

3*^  C.  Capellinii  Brandt.. 

Gli  altri  tre  scheletri  di  Balenoptere,  posseduti  dal  Museo 
parmense,  appartengono  a questa  forma.  Il  più  completo,  lungo 
metri  7,  50  circa,  venne  raccolto  da  Giovanni  Podestà  nelle  marne 
cerulee  presso  Castelar guato.  Sono  ben  conservate  le  ossa  mascel- 
lari inferiori  e superiori  e le  intermascellari,  ma  la  parte  cen- 
trale del  cranio  è coperta  dalla  marna  e da  altri  corpi  induriti, 
che  non  ho  ancora  osato  di  far  levare  dalla  medesima  per  ti- 
more di  guastarla  del  tutto.  La  massima  parte  dell’  occipite  e 
parte  dei  frontali  e temporali  colle  apofisi  zigomatiche  trovansi 
però  in  istato  abbastanza  buono  da  poterne  riconoscere  le  pro- 
porzioni e la  forma..  Ventuna  delle  vertebre,  tra  caudali  e lom- 

‘ Recìierches  sur  les  ossemens  fossiles  etc.  Quatrième  édition.  Paris,  1836, 
tome  Vili,  deuxième  partie,  page  314. 

^ Untersuchungen  ùber  die  fossilen  und  suhfossilen  Cetaceen  Europas. 
Nei  Mémoires  de  VAcad.  Imp.  des  scìenc.  de  St.  Pétershourg , VIP  sèrie,  to- 
me XX,  rmm  1,  1873,  con  34  tavole  in  4».  — Vedi  tav.  XXIII,  fìg.  3. 

^ Loc.  cit.,  pag.  153,  tavole  XXI  e XXII,  eseguite  dietro  disegni  inviati  al- 
r autore  dal  professore  Gastaldi. 


- 137  — 


bari,  sono  state  isolate,  di  dieci  si  ponno  distinguere  le  apofisi 
spinose  e parte  del  corpo,  le  altre  non  sono  punto  discernibili. 
Mancano  affatto  le  prime  vertebre  cervicali,  del  pari  che  le  ossa 
degli  arti,  salvo  un  omero.  La  scapola  sinistra  è intiera,  della 
destra  non  evvi  che  la  parte  inferiore.  In  ambe  osservasi  il  pro- 
cesso coracoìdeo  e T acromion  sviluppatissimi,  carattere  questo 
che,  oltre  agli  altri  indicati  da  Brandt,  servirà  a distinguere  ‘ 
questo  Cetotheriwn  dal  C.  Cuvierii.  Le  dette  scapole  rassomi- 
gliano a quella  figurata  da  Cuvier  nelle  Becherches  ec.  tav.  227, 
fig.  10.  Ventidue  costole  sono  più  o meno  visibili,  una  fu  iso- 
lata. Il  teschio  dello  scheletro  di  Parma  differisce  da  quello 
dello  scheletro  bolognese,  sul  quale  Brandt  creò  la  specie  ^ per 
le  branche  della  mandibola  meno  curve.  La  massima  sua  lar- 
ghezza oltrepassa  la  metà  della  lunghezza,  poiché  sta  a questa 
come  59  a 100  ; nel  teschio  bolognese  la  larghezza  massima  sta 
alla  lunghezza  come  58  a 100. 

Nelle  saUbie  gialle,  con  panchina  assai  dura,  di  Montefalcone 
sulla  sinistra  sponda  dell’  Arda,  presso  Castelarquato,  lo  stesso 
Podestà  scopri  gli  avanzi  di  un  altro  scheletro  di  Cetotherium, 
che  non  esito  di  riferire  alla  specie  in  discorso,  perchè  le  sca- 
pfole  del  medesimo  sono  uguali  a quelle  dello  scheletro  di  cui 
parlai  or  ora.  Già  il  Capellini,  come  asserisce  Brandt,  op.  cit. 
pag.  157,  riteneva  questi  avanzi  più  affini  a quelli  del  Museo 
di  Bologna,  cioè  del  G.  Capellina,  che  non  a quelli  di  Milano, 
ossia  del  C.  Cuvierii.  Luciano  Scarabelli,  nell’  opuscolo  citato, 
descrisse  la  giacitura  di  questo  scheletro  e ne  indicò  le  parti 
raccolte  e le  misure  loro.  Appartennero  ad  un  individuo  alquanto 
maggiore  di  quello  del  quale  ci  è rimasto  lo  scheletro  prece- 
dentemente descritto,  nonché  del  C.  Cuvierii,  cui  spettava  lo 
scheletro  del  Museo  milanese.  Oltre  le  scapole  si  raccolsero  del 
Cetotherium  in  discorso  gli  omeri,  i radii,  i cubiti,  8 tra  ossa 
metacarpiche  e falangi,  24  costole  e 22  vertebre,  una  delle  quali, 
cervicale,  incompleta.  Il  cubito  distinguesi  assai  da  quello  del 
C.  Cuvierii,  di  Milano,  ancora  più  che  non  il  cubito  del  C.  Ga- 
staldii,  C.  Cortesii  Brandt  nec  Desmoulins.  Il  margine  inferiore 
del  suo  olecrano  ascende  obliquamente,  anzi  che  prolungarsi  in 


’ Opera  citata,  pag.  156,  tav.  XX,  fig.  13  e 15. 


— 138 


direzione  orizzontale,  come  nel  C.  Ouvierii,  o discendere,  come 
nel  G.  Gastaldii.  La  forma  del  cubito  servirà  dunque  del  pari 
a distinguere  il  G.  Gapeìlinii  dalle  altre  forme.  — Le  parti  con- 
servate dello  scheletro  di  G,  Gapeìlinii  delle  marne  azzurre,  enu- 
merate precedentemente,  hanno,  come  dissi,  una  lunghezza  com- 
plessiva di  metri  7, 50.  Ma  ove  si  consideri  che  le  vertebre  dorsali 
* e parte  delle  lombari  trovansi  disposte  in  linea  curva,  e che 
non  poche  di  esse  mancano,  converrà  calcolare  che  la  lunghezza 
di  questo  Getotliermm  sia  stata  di  9 metri  circa.  L’  omero  suo 
è lungo  metri  0,  26,  quello  invece  del  Gel.  Gapeìlinii  delle  sab- 
bie gialle,  in  questione,  giunge  alla  lunghezza  di  metri  0,  32. 
Ammesse  le  medesime  proporzioni  fra  le  singole  parti  d’  ambo 
gli  individui,  si  dedurrà  che  V ultimo  avrà  avuta  la  InngliesBa 
approssimativa  di  11  metri. 

Kitengo,  sebbene  dubitativamente,  che  un  terzo  scheletro  del 
Museo  di  Parma  spetti  del  pari  al  G.  Gapeìlinii.  Proviene  dalle 
salhie  gialle  di  Montezago^  ove  lo  rinvenne  il  Cortesi  nel  1815. 
Ne  descrisse  gli  avanzi  ne’  suoi  Saggi  geologici,  alla  pag.  59  e 
seguenti,  e ne  rappresentò,  sebbene  assai  grossolanamente,  la 
branca  sinistra  della  mascella  inferiore  alla  tav.  IV,  fig.  1.  La 
vertebra  cervicale,  eh’  egli  figurò  pessimamente  nella  medesima 
tavola  (fig.  2),  sì  come  appartenente  allo  stesso  scheletro,  spetta 
invece  ad  un  altro  individuo.  La  porzione  della  mandibola  lunga 
in  linea  retta  metri  3,  24,  e la  sua  faccia  esterna  metri  3,  33  ; 
la  corda  dell’arco  eh’ essa  descrive  è lunga  metri  2,94,  e l’al- 
tezza del  medesimo  è di  metri  0,  37  ; la  proporzione  tra  P al- 
tezza di  questo  arco  e la  sua  corda  può  dunque  indicarsi  coi 
seguenti  termini  12  •.  100.  L’  arco  che  descrive  questa  branca 
di  mandibola  è dunque  più  curvo  ancora  di  quello  segnato  dalle 
porzioni  della  mandibola  del  Gel.  Gapeìlinii  di  Bologna,  secondo 
la  figura  di  Brandt  già  citata,  poiché  1’  altezza  di  questa  non 
sta  alla  lunghezza  della  sua  corda  che  come  11  a 100.  QuesLà 
convessità  della  mandibola  di  Montezago  era  già  stata  avvertita 
dal  Cortesi,  poiché  così  si  esprime  in  proposito  alla  pag.  60, 
de’  suoi  Saggi  geologici  : « La  sua  curvità  mostra  che  1’  angolo 
» di  riunione  dei  due  rami  era  estremamente  ottuso,  anzi  roton- 
» dato.  » Ed  é specialmente  per  tale  carattere  che  ascrivo  que- 
sto scheletro  al  G.  Gapeìlinii.  Oltre  alla  branca  sinistra  della 


139  - 


mascella  inferiore,  Cortesi  raccolse  17  vertebre,  5 cervicali  (man- 
cano le  prime  due),  le  altre  dorsali  e lombari,  nessuna  caudale, 
6 coste  e la  punta  dello  sterno,  che  è triangolare,  frecciforme, 
convesso  e carenato  nel  mezzo.  Tutte  le  ossa  poterono  essere 
isolate  dalla  sabbia  che  le  conteneva,  ma  sono  alquanto  fragili.  — 
La  mandibola  del  G,  Capellina  della  marna  azzurra  di  Castel- 
arquato  è lunga  metri  2,  e la  lunghezza  dell’  individuo  cui  ap- 
parteneva si  suppose,  podo  sopra,  di  metri  9.  La  lunghezza  della 
mascella  inferiore  dello  scheletro  di  Montezago  in  discorso  è in- 
vece di  metri  3,  24.  Adunque,  ammesse  le  medesime  proporzioni 
tra  le  diverse  parti  di  questi  due  cetacei,  si  dedurrà  che  l’ in- 
dividuo cui  spettava  lo  scheletro  di  Montezago,  sarà  stato  lungo 
metri  14,  50  circa. 


Appendice. 

Nel  Museo  parmense  evvi  il  corpo  di  un  omero  il  quale  non 
può  appartenere  che  ad  un  cetaceo,  e verosimilmente  ad  un  Ba- 
lenoicle.  E privo  dei  capi  articolari.  Faceva  parte  della  seconda 
collezione  del  Cortesi,  e proviene  dalle  sabbie  gialle  del  piacen- 
tino.  Pur  troppo  mancano  indicazioni  di  luogo  più  precise.  E 
lungo  72  centimetri,  e verso  V estremità  inferiore  è largo 
42  centimetri  ; la  maggiore  sua  circonferenza  è di  1 metro  circa, 
È fragile.  Se  il  CetotJi.  CapelUnii  delle  marne  di  Castelarquato, 
1’  omero  del  quale  ha  la  lunghezza  di  26  centimetri,  era  presu- 
mibilmente lungo  9 metri,  il  Balenoide  cui  apparteneva  P omero 
in  questione,  dovea  avere  ad  un  di  presso  la  lunghezza  consi- 
derevole di  25  metri. 

Riassumendo  i fatti  esposti  conchiuderemo  che 
il  Cetotherium  Cuvierii  possedeva  il  muso  più  stretto  ed  acuto, 
ed  il  C.  Capellina  il  più  grosso  ed  ottuso.  Gli  estremi  sono 
offerti  dagli  scheletri  del  giovane  C.  Cuvierii  del  Museo  par- 
mense e del  G.  Capellina  pure  del  Museo  di  Parma,  raccolto 
dal  Cortesi.  In  mezzo  starebbero,  in  ordine  progressivo,  dal  muso 
più  stretto  al  più  grosso,  il  C.  Cuvierii  di  Milano,  il  G.  Gortesii 
di  Parma,  o tipico,  il  C.  Gastaldii,  il  G.  Capellina  delle  marne 
azzurre  di  Parma,  il  G.  Capellina  del  Museo  bolognese. 


140  — 


Il  Cetothermm  Capellina  si  distingue  dal  C.  Ciwierii  per  la 
scapola  fornita  di  apofisi  coracoidea  e di  acromion  assai  svi- 
luppati. 

Il  cubito  del  Cetotherium  Ouvierii  scostasi  per  la  forma  del- 
r olecrano  da  quello  del  C.  Capellina  più  che  non  il  cubito  del 
C.  Castalda;  questo  occuperebbe  il  posto  intermedio. 

Nei  Cetoth.  Cortesii,  Capellina  e Castalda  V apofisi  zigoma- 
tica del  temporale  dirigesi  dall’  indietro  all’  avanti  e pochissimo 
0 punto  all’  infuori,  e va  ad  incontrare  1’  ala  del  frontale  ; nel 
C.  Ciwierii  invece  dirigesi  obliquamente  in  avanti  ed  all’  infuori 
e rimane  discosta  dal  frontale. 

Non  conosco  lo  sterno  dei  Cet.  Ciwierii,  Cortesii  e Castalda, 
per  cui  non  posso  istituire  confronti  con  quello  del  C.  Capellina. 

Il  professor  Brandt  ebbe  ad  esprimere  il  desiderio  che  si 
rinvenisse  lo  scheletro  di  Cetotherium  raccolto  dal  Cortesi  nel  1816, 
e che  si  illustrassero  e questo  e gli  altri  scheletri  di  cetacei  fos- 
sili dei  nostri  musei.  Tale  suo  desiderio,  in  parte,  viene  appagato 
con  questo  scritto,  ed  in  parte  lo  sarà  per  ciò  che  concerne  il 
Museo  parmense,  appena  che  il  Ministero  della  Pubblica  Istru- 
zione darà  i fondi  promessi  per  poter  incominciare  la  pubblica- 
zione d’ una  Iconografia  delle  ossa  fossili  del  Museo  di  storia 
naturale  dell’  Università  di  Parma. 

Parma,  maggio  1875. 


IL 

Scoperta  di  strati  nummulitici  presso  Prata  e Cer falco 
in  provincia  di  Grosseto.  Lettera  di  B.  Lotti. 

Stimatissimo  Signor  Segretario 
del  B.  Comitato  Geologico  d’  Italia. 

Mi  pregio  di  darle  notizia  intorno  ad  una  mia  recente  escur- 
sione nei  gruppi  montuosi  di  Prata  e Gerfalco,  nella  quale  fui 
ben  fortunato  di  ritrovare  in  ambedue  queste  località  il  terreno 
nummulitico  e di  raccogliere  una  notevole  quantità  di  conchiglie 
fossili  specialmente  univalvi  turricolate  nel  calcare  bianco  ceroide 


— 141  — 


della  Cornata  di  Gerfalco,  sottostante  al  rosso  ammonitico,  la  cui 
determinazione  cronologica  porterà  al  certo  una  maggior  luce  sulla 
geologia  di  questa  come  di  altre  località,  ove  ritrovansi  le  sparse 
membra  della  antica  catena  assiale  dell’  Italia,  chiamata  dal  Savi 
metallifera.  Di  questi  nuovi  fossili  e delle  deduzioni  che  dalla 
loro  determinazione  conseguiranno,  non  posso  al  momento  farne 
parola,  e ne  differisco  la  relazione  allorquando  lo  studio  di  essi 
e dei  rapporti  stratigrafici  fra  esso  calcare  ceroide  e i sedi- 
menti superiori,  non  che  la  sua  probabile  divisione  in  più  piani, 
mi  abbiano  messo  in  grado  di  attribuirgli  con  valevoli  argomenti 
la  relativa  epoca  d’  origine.  Perciò  riferisco  soltanto  alla  scoperta 
dell’  orizzonte  nummulitico  la  presente  nota,  della  quale  Ella 
potrà,  qualora  le  piaccia,  dare  pubblicazione  nel  Bollettino  del 
R.  Comitato. 

In  una  mia  ultima  escursione  nei  monti  di  Campiglia  allo 
scopo  di  comparare  i terreni  di  quella  interessante  località,  pro- 
fondamente studiati  da  sommi  geologi,  con  quelli  di  località  cir- 
costanti ed  analoghe,  come  Gavorrano,  Massa  Marittima,  Ger- 
falco, ec.,  delle  quali  ebbi  da  cotesto  K.  Comitato  1’  onorevole 
incarico  di  fare  il  rilevamento  geologico,  mi  fu  dato  di  studiarvi 
gli  strati  nummulitici  e i loro  rapporti  coi  sedimenti  superiori 
ed  inferiori. 

Cosa  superflua  sarebbe  il  far  qui  rilevare  l’ importanza  scien- 
tifica di  tali  strati  specialmente  nelle  nostre  località  ove  è stata 
sempre  lamentata  la  mancanza  o la  rarità  dell’  orizzonte  num- 
mulitico, orizzonte  che  solo  può  guidarci  nella  determinazione 
cronologica  di  quelle  formazioni  che  costituiscono  una  gran  parte 
della  nostra  penisola,  e che  comprendonsi  sotto  il  nome  di  cal- 
cari alberesi,  macigno,  schisti  galestrini,  argille  scagliose,  ec. 

Dalle  osservazioni  di  cui  potei  profittare  nella  mia  breve  gita 
a Campiglia,  riguardo  ai  rapporti  di  giacimento  degli  strati  num- 
mulitici colle  rocce  sopra-  e sottostanti,  ne  trassi  la  conseguenza 
che  essi  trovansi  al  disotto  di  una  serie  assai  potente  di  strati 
d’  arenaria,  e sovrapposti  ad  una  massa  di  schisti  argillosi  rac- 
chiudenti rari  banchi  di  un  calcare  grigio-azzurro.  Gli  strati 
nummulitici  constano  di  un  conglomerato  a piccoli  elementi  per 
la  maggior  parte  calcarei  e tanto  strettamente  fra  loro  cemen- 
tati, da  rassomigliare  talvolta  ad  un  calcare  omogeneo  lamelli- 


142  — 


forme.  Essi  sono  racchiusi  ed  alternano  con  pochi  banchi  di  cal- 
care grigio-chiaro  e con  degli  schisti  a fucoidi.  In  prossimità 
del  paese  di  Campiglia,  presso  la  chiesa  di  san  Giovanni,  un 
solo  0 due  strati  al  più  dello  spessore  di  circa  50  centimetri, 
diretti  da  N.E.  a S.O.  con  inclinazione  a S.E.  formano  la  zona 
nummulitica,  la  quale  può  seguirsi  fin  sulla  pendice  occidentale 
del  monte  Calvi. 

Colla  scorta  di  queste  osservazioni  essendomi  recato  verso 
la  fine  del  decorso  mese  di  maggio  sui  monti  di  Prata  ed  avendo 
ivi  incontrate  le  solite  arenarie  e la  serie  schistosa  sottoposta, 
mi  posi  alla  ricerca  degli  strati  nummulitici  che  mi  si  presenta- 
rono infatti  framezzo  alle  due  forme  di  rocce.  La  loro  esistenza 
può  verificarsi  in  prossimità  del  lavatoio  pubblico,  del  paese  di 
Prata  un  poco  al  disopra  della  strada  provinciale,  e precisamente 
sul  ciglio  del  botro  che  raccoglie  le  acque  di  rifiuto  del  lava- 
toio medesimo.  Per  quanto  mi  fu  dato  di  vedere,  un  solo  strato 
di  circa  40  centimetri  di  spessore,  racchiuso  fra  pochi  banchi 
di  alberese,  e del  qual  potei  seguirne  P andamento  soltanto 
per  pochi  metri,  forma  quivi  il  giacimento  a nummuliti.  La 
sua  direzione  corre  da  E.  ad  0.  e P inclinazione  di  circa  30® 
a N.  E molto  notevole  il  fatto  che  gli  schisti  sottoposti  a 
questi  banchi  calcarei  sono  molto  somiglianti  agli  schisti  detti 
varicolori  del  lias  superiore,  e sono  convertiti  in  ftaniti  varie- 
gate a strati  bizzarramente  contorti.  La  roccia  contenente  le 
nummuliti  è affatto  identica  a quella  di  Campiglia  e di  altre 
località  toscane,  cioè  un  conglomerato  calcareo  lamellare  con 
piccoli  elementi  eterogenei  di  uno  schisto  verdastro  o nero,  e 
fra  essa  ed  i banchi  calcarei  trovansi  stratarelli  di  schisti  ar- 
gilloso-steatitosi  di  un  color  verde  scuro.  Con  ricerche  più  accu- 
rate che  avrò  luogo  di  fare  in  questa  località,  spero  di  potere 
rinvenire  in  altri  punti  la  continuazione  di  questo  importante 
orizzonte  geologico. 

Dopo  la  scoperta  di  questi  strati  nei  monti  di  Prata  acqui- 
stai un  pieno  convincimento  della  loro  connessione  coi  banchi 
calcarei  sottoposti  alle  arenarie  e sovrapposti  alla  serie  schistosa, 
ed  era  naturale  che  ovunque  avessi  incontrato  una  tale  disposi- 
zione nei  sedimenti  vi  avessi  fatto  ricerca  degli  strati  nummu- 
litici. Questa  ricerca  riesce  inoltre  molto  favorita  dalla  apparenza 


— 143  — 


esterna  della  roccia  rozza  alla  vista  e scabrosa  al  tatto  ; basta 
una  breve  pratica  per  riconoscerla  anche  a distanza  e tra  i 
frammenti  staccati  di  varia  natura  rotolati  pei  fossi  e ingom- 
branti i sentieri,  e che  servono  di  guida  sicura  alla  scoperta 
della  roccia  in  posto.  Fu  appunto  in  tal  maniera  che  percorrendo 
io  la  viottola  che  da  Gerfalco  conduce  a Monterotondo  sul  pie- 
de S.O.  della  Cornata,  prima  di  giungere  al  podere  detto  di 
Komano  incontrai  un  frammento  che  riconobbi  subito  per  calcare 
nummulitico  ; mi  trovava  appunto  sopra  una  massa  di  arena- 
rie, sotto  alle  quali  un  poco  al  disopra  della  strada  vidi  affio- 
rare una  serie  assai  sviluppata  di  banchi  della  solita  roccia 
nummulitica.  La  loro  potenza  certamente  non  inferiore  ad  una 
diecina  di  metri  e la  disposizione  del  terreno  si  prestano  a me- 
raviglia ad  uno  studio  accurato  delle  loro  circostanze  di  giaci- 
mento. I banchi  nummulitici  alternano  con  strati  di  calcare 
compatto  grigio-chiaro,  semiceroide  e con  schisti  argillosi  varia- 
mente colorati  contenenti  bellissime  impronte  di  fucoidi.  La 
roccia  possiede  struttura  diversa  nei  diversi  piani  del  deposito. 
Nella  parte  superiore  è un  conglomerato  a elementi  relativa- 
mente grossi  fra  i quali  possono  essere  riconosciuti  il  calcare 
ceroide  bianco  della  Cornata,  il  calcare  rosso  e schisti  a varie 
tinte  : oltre  le  nummuliti,  la  cui  grossezza  non  oltrepassa  i 5’““,  vi 
si  possono  scorgere  anche  articoli  di  crinoidi.  Scendendo  in  basso 
gli  elementi  del  conglomerato  divengono  sempre  più  minuti,  fino 
a che  la  roccia  prende  1’  aspetto  di  una  arenaria  calcarea  la- 
mellare molto  simile  alla  pietra  forte.  Una  particolarità  assai 
interessante  riscontrasi  in  questo  deposito  per  cui  distinguesi  da 
quelli  suaccennati  di  Prata  e di  Campiglia,  e identificasi  con 
quello  di  Castellazzara,  pure  in  provincia  di  Grosseto,  descritto 
dal  signor  Caillaux,  (Lettera  al  signor  prof.  G.  Bianconi,  sopra 
un  terreno  nummulitico  scoperto  in  Toscana.  Ann.  delle  Se.  Nat. 
di  Bologna,  maggio  e giugno  1850),  voglio  dire  la  presenza  di 
arnioni  allungati  o stratarelli  di  selce  piromaca.  Essi  sono  pa- 
ralleli ai  piani  degli  strati  e trovansi  tanto  nei  banchi  nummu- 
litici quanto  nel  calcare  grigio-chiaro  che  V accompagna,  non 
però  negli  strati  superiori  di  conglomerato  grossolano. 

La  serie  nummulitica,  di  cui  la  direzione  generale  è E.O.  e 
V inclinazione  variabile  a S.,  unitamente  ai  sedimenti  superiori 


— 144  — 


ed  inferiori  si  addossa  senza  alcuna  correlazione  alla  massa  del 
calcare  marmoreo  costituente  la  Cornata  e scorgesi  ad  evidenza 
che  in  questo  punto  la  denudazione  non  riuscì  a scuoprire  quel 
nucleo  centrale  nella  stessa  misura  che  negli  altri  punti,  dimo- 
doché le  formazioni  più  recenti  giungono  fin  quasi  alla  cima 
di  esso. 

Accennate  così  brevemente  le  circostanze  geologiche  colle 
quali  presentansi  questi  due  giacimenti  nummulitici,  se  ne  po- 
trebbero trarre  alcune  deduzioni  generali  a riguardo  di  quella 
immensa  serie  di  rocce  prive  di  fossili  comprese  fra  la  forma- 
zione Massica  caratterizzata  dalle  ammoniti  e la  miocenica,  ma 
io  credo  meglio  rimetterne  la  discussione  allorché  nuove  scoperte 
di  questo  prezioso  orizzonte  avranno  offerto  altri  argomenti  in 
proposito.  E nuove  scoperte  non  mancheranno  certamente,  al- 
meno in  questi  dintorni  perché  le  stesse  circostanze  geologiche 
che  verificansi  a Prata  e Gerfalco  in  prossimità  della  zona  num- 
mulitica,  verificansi  pure  in  altre  località  limitrofe.' Così  a Massa 
Marittima,  Monterotondo,  Montieri,  Gavorrano,  ec.,  abbiamo  are- 
narie, calcari  e schisti  argillosi  a fucoidi  e ricercandovi  accura- 
tamente non  sarà,  voglio  sperarlo,  difficile  il  rintracciarvi  qualche 
strato  nummulitifero.  Del  resto  la  supposta  mancanza  di  questo 
orizzonte  geologico  in  queste  ed  in  altre  località  della  Toscana 
é da  attribuirsi  alla  estrema  tenuità  di  un  tale  deposito,  per 
cui  difficilmente  può  essere  incontrato  senza  farne  una  minuta 
ricerca  e senza  avere  acquistato  pratica  al  riconoscimentó  di 
quegli  indizi  che  ne  avvisano  della  sua  presenza. 

Massa  Marittima,  2 giugno  1875. 

B.  Lotti 

Geologo-operatore  del  lì.  Comitato  geologico 
d' Italia. 


III. 


Studii  stratigrafici  sulla  Formazione  pliocenica 
délV  Italia  Meridionale^  per  G.  Seguenza. 

(Continuazione. — Vedi  Bollettino,  N.  3-4.) 


ELENCO  DEI  CIRRIPEDI  E DEI  MOLLUSCHI 

DELLA 

ZONA  SUPERIORE  DELL’  ANTICO  PLIOCENO. 


Per  ciascuna  località  le  specie  sono  indicate  colla  lettera  iniziale 
del  luogo,  la  quale  è maiuscola  per  tutte  quelle  che  io  possiedo.  Sono 
precedute  dall’  asterisco  (*)  tutte  le  specie  non  conosciute  tra  le  viventi, 
e da  un  (.)  quelle  altre  che  più  non  vivono  nel  Mediterraneo.  I diversi 
luoghi  di  Val  d’  Era  sono  distinti  con  segni  differenti  : Peccioli  P, 
Legoli  Le,  Montefoscoli  F,  Monte  Castello  C,  Forcoli  Fo,  Tojano  To. 
Laiatico  La,  Casciana  Ca,  Colleoli  Co,  Palaia  Pa. 

I luoghi  compresi  nella  colonna  di  Gerace  sono  indicati  coi  segni 
seguenti:  Bianco  B,  Gerace  G,  Siderno  S,  Monasterace  M. 


— 146  — 


EIjBNCO  dei  molluschi  e cirripedi  dei 


w 

;z; 

H- ( 

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w 


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1 1. 


2 1. 

3 s. 

4 s.* 

5 s. 


NOMI  DELLE  SPECIE. 


OSSERVAZIONI  e SINONIMI  più  IMPORT 's 


crostaci:!. 

Gen.  Balanus  Da  Costa. 


Sotto-Classe  Cirripedi. 


6 s.* 


spongicola  Browne  var.  * pliocenica  Se- 

guenza 

perforatus  Bruguiére 

tulipiformis  Ellis 

Veneticensis  Seguenza 

Mylensis  Seguenza 


B.  tulipa  Tar.  Philippi,  B.  tulipa  (parte)  cj: 


7 s.^ 


8 s.* 


9 s.^ 


10  s. 


Gen.  Acasta  Leach. 
muricata  Seguenza 

Gen.  Pyrgoma  Leach. 
costatum  Seguenza 

Gen.  Chelonohia  Leach. 
depressa  Seguenza 

Gen.  Coronula  Lainarck. 
bifida  Bronn 


=rB.  tulipa  var.  Philippi.  i 

Prossimo  alla  precedente  specie.  ; • • • ■ • 

= B.  balanoides  Phil.  (parte)  fossile  in  Milp2| 
in  Sardegna  (Seguenza),  collezione  Liberi. 


Di  unita  alla  varietà  coi  compartimenti  lisci!. 


Insieme  alla  var.  P.  elargatum  Seg. 


Specie  affine  alla  G.  testudinaria 


Gen.  Pachylasma  Darwin, 
giganteum  Philippi  (Chthamalus) 


11  c. 

12  s. 


Gen.  Verruca  Schumacher. 

stromia  Muller  (Lepas) 

dilatata  Seguenza 


= Diadema  diluvianum  Costa,  C.  diadema  Ar;^ 
termedia  tra  la  C.  diadema  e la  C.  barbargfl 
fessore  Aradas  l’ha  raccolto  a Militello.  .| 


Fossile  in  tutte  le  zone  del  pliocene.^  Vive  nell|5 
del  Faro  di  Messina  ed  a Catania j 


= Ocbthosia  stroemia  Phil.,  0.  monstruosj 
Oplosoma  fimbriatum  (carena)  Costa.  . . 
Affine  alla  V.  prisca  e Zanclea | 


I 


147 


SUPEEIOEE  DEL  PLIOCENO  ANTICO. 


23  c. 

24  c. 


25  c/ 

26  c. 


27  s. 

28  s. 


— 148  - 


13  s.*  Komettensis  Seguenza. 

14  Zanclca  Seguenza  . . . 

15  s.*  crebricosta  Seguenza  . 


Gen.  Lepas  Linneo. 
16  s.  I Hillii  Leach 


Vive  nel  golfo  di  Napoli  (Collezione  Tiberi) 

Somiglia  alquanto  alla  V.  prisca 

Somiglia  per  taluni  caratteri  alla  Y.  nexa  del' 
orientali 


Gen.  Scalpellum  Leach. 


17  c.*  magnum  Wood 

18  s.*  fragmentarium  Seguenza  , 

19  s.*  Zancleanum  Seguenza  . . 

20  s.*  Michelottianum  Seguenza 


Gen.  Seillaelepas  Seguenza. 


= Anatìfa  laevis  (parte)  Philipp! 


Affine  al  vivente  S.  vulgare.  Fossile  nel  Crag 

Un  solo  frammento  della  carena . 

La  più  grande  specie  conosciuta.  Comunissim 
Affine  allo  S.  quadratum  dell’eoceno  d’Inghi' 


21  s.*  carinata  Philipp!  (Pollicipes). 

22  s.*  I ornata  Seguenza 


=•  Pollicipes  carinatus  Darw.  Comunissima 
=::P.  ornatus  Seg.  (M.S.)  Comunissima.  . . 


mOliliUSìCBLI.  — Classe  Pteropodi. 


Gen.  Clio  Linneo. 


subulata  Quoy  et  Gaimard  (Cleodora).  . 
pyramidata  Browne 


infundibulum  S.  Wood  (Cleodora)  .... 
cuspidata  Lamarck  (Hyal«a) ....... 


striata  Rang  (Creseis)  . . . 
trigona  Seguenza  (Cleodora) 


Gen.  HyalcBa  Lamarck. 
29c,*l  Calatabianensis  Seguenza.  . . . 
30  c.  1 trispinosa  Leseur 


= Cleodora  spinifera  Phil.  Clio  subulata  Moni 
= Cleodora  lanceolata  Phil.,  Benoit,  Arad 

pyramidata  Monterosato 

Specie  del  Crag  inglese 

= Cleodora  cuspidata  Phil.,  Seguenza,  Clio  c 

Monterosato ,• 

— — Creseis  striata  Phil.,  C.  sulcata  Benoit, 
striata  Seguenza,  Clio  striata  Mont.  . . 
Molto  affine  alla  C.  pyramidata 


ol  s.  I inflexa  Leseur  . . . 
32  s.*  1 peraffinis  Seguenza 


Gen.  Spirialis  Eydoux  et  Soni ey et. 


33  c.  1 retroversus  Fleming  (Fusus) 

34  s.*  globulosus  Seguenza. 

35  s.  1 diversa  Monterosato. 


Gen.  Emholus  leffreys. 


36  s.  I rostralis  Souleyet  (Spirialis) 

37  s.*  planorboides  n.  sp 

38  s.*  1 elatus  n.  sp 


Specie  affine  alla  H.  tridentata,  ma  ben  d; 

piccola  

= H.  depressa  Bivona,  Phil.  Benoit,  Diacria  t: 

Seguenza ; 

mH.  uncinata,  H.  vaginella  Phil.  ^ 

Specie  forse  da  riunirsi  alla  H.  tridentata, 
sono  le  var.  fornicata,  e minor ' 


= Scaea  stenogyra  Phil.  Atlanta  trochifornii 

Forse  S.  Jeflfreysii  F.  et  H . . . . 

Affine  alla  S.  reticulata  ma  colla  spira  più  I 


= Protomedea  elata  Costa.  Bellerophina  minut 
Affine  e più  grande  della  specie  precedente.' 
Apertura  grande  in  rapporto  alla  spira . . | 


I 


— 149  — 


3 

4 

5 

6 

7 

8 

9 

10 

11 

12 

13 

14 

15 

16 

17 

18 

19 

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M. 

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■ 

M. 

4- 

- 150  — 


39  s/ 


40  1. 

41  s. 


MOiiiiCScm 

Gbn.  Garinaria  Lamarck. 

peloritana  Seguenza 

Gen.  Philine  Askanias. 


Classe  Criasteropodi. 


42  c. 

43  c. 


scabra  Mailer  (Bulla)  • • • • 
quadrata  S.  Yood  (Bullaea) 


Gen.  ScapJiander  Monfort. 


44  1/ 

45  1.’ 

46  1/ 


lignarius  Linneo  (Bulla) 
librarius  Loven 


Gen.  Bulla  Linneo. 


miliaris  Brocchi.  • • • 

D’Anconeana  Cocconi  . 
subampulla  B’  Orbigny. 


47  1. 

48  c. 

49  s.^ 


striata  Linneo  . . 
utriculus  Brocchi, 
globosa  n.  sp.  . • 


50  c.^ 


Gen.  Haminea  Leach. 

varicosa  Eayneval 

Gen.  Acteon  Monfort. 


51  1.* 

52  1.’ 

53  1.^ 

54  1. 


depressus  Libassi  (Tornatella) 
pinguis  B’  Orbiguy.  ...••• 

levidensis  S.  Wood 

tornatilis  Linneo  (Voluta).  . . 


55  c." 

56  c. 

57  c. 


semistriatus  Ferussac  . . . . 
pusillus  Forbes  (Tornatella) 
exilis  Jeffreys . . . 


58  1. 

59  1. 

60  1.* 

61  c. 

62  s.* 

63  s. 


Gen.  Utriculus  Brovrn. 


64  1/ 


truncatulus  Bruguiére  (Bulla) 
inammillatus  Philippi  (Bulla) 
spiratus  Brocchi  (Voluta).  . 
obtusus  Montagu  (Bulla)  . . 

Jelasii  n.  sp 

expansus  Jeffreys 


Gen.  GylicTina  Loven. 
convoluta  Brocchi  (Bulla) . . . 


65  1. 

66  1. 

67  1.”^ 

68  1.* 

69  c. 

70  c.^ 

71  c.' 

72  s.  ' 


nitidula  Loven 

umbilicata  Montagu  (Bulla) 
Brocchi!  Michelotti  (Bulla) 
clathrata  Befrance  (Bulla) 
cylindracea  Pennant  (Bulla) 
subappennina  B’  Ancona  (M 
ovata  Jeffreys. 
alba  Brown  (Volvaria).  . . 


Vedi  Pteropodi  ed  Eteropodi  fossili  del  Messìi 


= Bullaea  angustata  e B.  punctata  Phil. 


= Bulla  lignaria  ^'hilipph  Calcara  . . ^ 

Pescato  recentemente  a Palermo  dal  M 
rosato 


Più  allungata  della  B.  ampulla  Lin.  . • . • 

Molto  affine  alla  B.  ampolla,  piu^grande  e pi 

=:B.  ampulla  Sismonda  (non  Lin.) 

Riportata  dal  Calcara  ad  Altavilla  . . • • - 
:=  B.  intermedia  AraJas,  B.  utriculus  Calcai 
Sferoidale  trasversalmente  striata 


Nelle  tavole  dei  fossili  del  Mte  Mario  del  Pr. 


= T.*  solcata  Grateloup  (non  Ferussac)  . 
^Tornatella  fasciata  Philippi,  T.  tornatilis 


fasciata  Calcara ‘ 

= Voluta  tornatilis  Brocchi  (non  Lin.) 


Bulla  semisulcata  Philippi. 


Affine  all’U.  obtusus,  più  grande  e meno  g 


Bulla  convoluta  Calcara.  Esattamente  cilinj 
r apertura  più  stretta  della  C.  cylindracea, 


S.)  (Bulla). 


— Bulla  truncatula  Phil.  ....... 

c=:  Bulla  ovulata  Brocchi  (non  Lamk) 


— Bulla  cylindroides  ? Calcara  (non  Besh.) 
r=  Bulla  ovulata  Calcara  (non  Brocchi).  ■ 


Ritrovata  recentemente  al  Salice  presso  ^ 


151 


2 

3 

4 

5 

6 

7 

8 

9 

1 

1 ^ 

11 

12 

13 

14 

15 

16 

17 

18 

19 

M. 

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B. 

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M. 

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Gbn.  Volvula  H.  et  A.  Adams. 

73  1. 

acuminata  Bruguiere  (Bulla) 

— Bulla  acuminata  Phil 

Gbn.  Ovulo,  Bruguiere. 

74  c. 

spelta  Linneo  (Bulla) 

— 0.  spelta  Calcara 

• 

Gbn.  Fedicularia  Swainson 

75  s.* 

Deshayesiana  Seguenza 

Gbn.  Trivio  Gray. 

Pescata  recentemente  nei  mari  del  Nord  (Jefl 

761.* 

sphaericulata  Laniarck  (Cypraea)  .... 

77  1. 

pulex  Solander  (Cypraea) 

Un  solo  esemplare  d’ Altavilla  che  conserva  ur 
colore  hrunastro 

78  1.* 

affinis  Dujardin  (Cypraea) 

79  1. 

pediculus  Lamarck  (Cypraea) . 

Riportata  dal  calcara  ad  Altavill.a 

80  c. 

europaea  Montagu  (Cypraea) ....... 

Gbn.  Cypraea  Linneo. 

= Cypraea  coccinella  Lamk.  Calcara 

1 

1 

1 

81 1.* 

amygdalum  Brocchi 

1 

= C.  amygdalum  Calcara j 

82  1,* 

elongata  Brocchi 

= C.  elongata  Calcara . . . 1 

83  ]. 

physis  Brocchi 

= pyrula  Bronn  (non  Lamk.) ! 

84  I. 

pyrum  Gmelin 

: — : C.  f*.ÌTiriamomea  Olivi j 

Gbn.  Erato  Risso. 

85  c. 

laevis  Donovan  (Voluta) 

Gbn.  Marginella  Laraarck. 

= Erato  cypraeola,  E.  laevis  Philipp!,  E.  c; 
Calcara 

i 

861.* 

suhcincta  n.  sp 

Affine  alla  M.  cincta  Kiener  (un  solo  esempla 
tavilla) 

87  1. 

miliaria  Linneo  (Voluta) . 

=:M.  miliacea  Phil,  Volvaria  miliacea  Calcaj. 

881. 

clandestina  Brocchi  (Voluta) 

891.* 

avena  Valencienne .. 

90  c.* 

Bellardiana  Semper 

91  e.* 

auris-leporis  Brocchi  (Voluta) 

'^Voluta  auris-leporis  Calcara 

92  c. 

occulta  Allery 

Gbn.  Ringicula  Deshayes. 

/ 

1 

1 

i 

93  c.* 

huccinea  Brocchi  (Voluta) 

» var.  intermedia  Foresti  .... 

= Marginella  auriculata  Calcara  (non  Menai' 

94  c.* 

Brocchii  Seguenza  (M.  S.) 



R.  huccinea  var.  secondo  alcuni,  R.  stria. 
Philipp!)  secondo  altri 

95  c. 

leptocheila  Brugnone  ..." 

= R.  ventricosa  Jefifr.  (non  Vood) j. 

Gbn.  Voluta  Linneo. 

i 

il 

j 

96  1.* 

Altavillae  Libassi  

1 

971.* 

Cn.llftra.mi  Ara.fias  

j 

l' 

w 


— 153  — 


3 

4: 

5 

6 

7 

8 

9 

10 

11 

12 

13 

14 

15 

16 

17 

18 

19 

-4- 

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• • • 

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B. 

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c. 

1 

M. 

{Continua,) 


— 154  — 


IV. 

Cenni  sopra  la  costituzione  geologica  delle  Isole  Ponza 
del  dottor  C.  Doelter. 

(Presentati  nella  seduta  del  7 Gennaio  1875  della  I.  Accademia  delle  Scienze  di  Vienna.) 


Il  piccolo  gruppo  delle  Isole  Ponza  giace  all’  estremità  occi- 
dentale del  distretto  vulcanico  napoletano. 

Tanto  dal  lato  della  loro  situazione  geografica  quanto  da 
quello  della  loro  natura  geologica,  queste  isole  vanno  divise 
in  un  gruppo  occidentale,  ossia  le  Isole  Ponza  propriamente  dette, 
che  comprendono  tre  isole  : Ponza,  Palmarola  e Zannone,  e in 
un  gruppo  orientale  costituito  dalle  isole  Ventotene  e di  Santo 
Stefano.  Le  prime  appartengono  a un  sistema  diverso  da  quello 
delle  altre  tanto  per  P epoca  di  loro  formazione,  quanto  per  i 
prodotti  vulcanici  e la  costituzione  geologica  cfie  presentano  ; 
essi  si  trovano  rispetto  ai  vulcani  di  Napoli  nella  medesima  re- 
lazione che  le  Isole  Lipari  hanno  con  i vulcani  della  Sicilia. 

I loro  prodotti  appartengono  alla  classe  delle  roccie  acide, 
le  quali  sono  più  antiche  delle  basiche  ; la  costituzione  loro  è 
raggiata  ed  è formata  da  un  sistema  di  dicchi  trachitici  che 
attraversano  tufi  più  antichi.  La  costituzione  delle  due  isole 
orientali  è al  contrario  simile  a quella  di  Precida  e dei  vulcani 
tufacei  dei  Campi  Flegrei. 

Noi  cominceremo  il  nostro  studio  dalle  isole  orientali  di  Ven- 
totene e di  Santo  Stefano. 

Isola  di  Ventotene.  — Essa  giace  a 40°  47'  30"  lat.  nord, 
e a 10°  47'  0"  long,  orientale  di  Parigi.  Il  suo  circuito  è di 
4 miglia  circa,  e la  forma  è quella  di  un  triangolo,  la  base  del 
quale  è parallela  alla  direzione  levante-ponente. 

La  sua  superficie  è quasi  completamente  piana,  e dalla  punta 
sud-ovest  s’ inchina  verso  nord  e verso  est.  Il  punto  più  elevato 
di  essa  è il  Capo  dell’ Arco,  situato  a sud-ovest,  a 110  metri 
circa  sopra  il  livello  del  mare,  mentre  a nord-est,  alla  punta 
di  Eolo  e alla  punta  del  Porto,  la  costa  si  eleva  sopra  di  esso 
soltanto  10  metri  circa. 


- 155  — 


L’ isola,  se  si  eccettuano  due  bassure  alla  punta  del  Porto  e 
al  Camposanto,  è affatto  priva  di  avvallamenti.  Una  forma  cra- 
terica distinta  non  apparisce  in  nessun  luogo;  come  tale  si  po- 
trebbe considerare  forse  un'  avvallatura  elittica,  diretta  dal  sud 
air  est,  situata  in  vicinanza  della  Punta  del  Telegrafo  e che 
comunica  col  mare  soltanto  per  mezzo  di  uno  stretto  canale  ; ma 
semplicemente  dalla  forma  non  si  può  concludere  nulla  di  preciso. 

I prodotti  vulcanici  di  quest’  isola  sono  i seguenti  : 

Una  lava  nero-azzurrognola,  molto  cavernosa,  di  cui  la  massa 
compatta  contiene  molte  lamelle  di  plagioclasio  a splendore  vitreo, 
e più  raramente  piccoli  cristalli  di  augite  ; al  microscopio  si  ri- 
conosce che  la  più  gran  parte  del  feldispato  è plagioclasio  ; la 
roccia  è,  ricchissima  di  augite  e magnetite,  e per  la  struttura  e 
la  composizione  mineralogica  si  avvicina  molto  al  basalto. 

Si  possono  distinguere  quattro  varietà  di  tufo  : 

V Tufo  giallo  con  numerosi  noccioli  di  una  roccia  augi- 
tica,  compatta,  azzurro-cupa  e di  una  trachite  scura  scoriacea, 
essa  pure  molto  augitica. 

2^^  Tufo  friabile  rosso,  ovvero  bigio. 

3°  Tufo  formato  da  piccoli  lapilli  di  pomice  spumosa. 

4°  Tufo  grigio-cupo,  terroso,  formato  di  un  materiale  fino 
e friabile. 

La  costituzione  dell’  isola  è semplice,  il  sotto-suolo  essendo 
formato  di  una  grande  e potente  corrente  di  lava  ; quindi  se- 
guono gli  strati’  del  tufo,  per  solito  nell’  ordine  seguente  : 

Tufo  terroso  grigio  o nero. 

Tufo  rosso. 

Tufo  pomiceo. 

Tufo  trachitico  giallo. 

Quest’  ultima  roccia  è importante  ancora  perchè  include  nu- 
merosi frammenti  di  granito,  sienite,  gneiss  e eufotide,  ed  inol- 
tre aggregati  minerali  come  al  Monte  Somma  ; fatto  dal  quale 
si  potrebbe  concludere  che  le  montagne  gneissiche  e schistose 
delle  Calabrie  si  continuano  nella  direzione  delle  Isole  Ponza. 

Isola  di  Santo  Stefano. — A oriente  di  Ventotene,  e da  essa 
divisa  per  uno  stretto  canale,  s’ innalza  la  piccola  isola  di  Santo 
Stefano,  a circa  130  metri  sopra  il  livello  del  mare.  Essa  è ta- 
gliata a picco  da  ogni  lato,  talché  è approdabile  solo  in  pochi 


— 156 


punti  e con  mare  quieto.  Qui  pure  il  lavoro  demolitore  delle 
onde  marine  ha  reso  poco  distinte  le  forme  proprie  di  una  co- 
stituzione vulcanica. 

Anche  in  questa  isola  i crateri  non  sono  chiaramente  deli- 
neati ; soltanto  un  burrone  situato  nel  versante  sud,  lascia  ri- 
conoscere un  cratere  più  per  la  disposizione  delle  materie  vul- 
caniche che  per  la  sua  forma. 

La  costituzione  di  questa  isola  è molto  simile  a quella  di 
Ventotene  ; cioè  presenta  correnti  di  lava  con  strati  di  tufo  so- 
vrapposti. 

Isola  di  Poma.  — Delle  cinque  isole  qui  descritte,  l’ isola  di 
Ponza  è la  più  grande.  Essa  giace  sotto  40“  54'  30"  di  lat.  nord, 
e 10“  25'  di  long,  est  di  Parigi.  Essa  si  presenta  arcuata  da 
sud  a est  ; la  sua  lunghezza  è di  7 miglia  ; la  sua  larghezza 
varia  fra  un  miglio  e un  quinto  di  miglio.  Essa  è divisa  topo- 
graficamente in  tre  parti  diverse,  ^ delle  quali  la  più  meridionale 
contiene  il  punto  più  elevato  dell’  isola,  cioè  il  Monte  la  Guar- 
dia alto  280  metri. 

La  parte  di  mezzo,  dal  paese  di  Ponza  fino  al  piccolo  villaggio 
di  Forneti,  è costituita  da  numerose  valli,  divise  da  colline 
di  100  a 125  metri,  mentre  la  terza  parte  si  estende  in  un 
piano  elevato  di  circa  80  metri  al  di  sopra  del  mare. 

L’  azione  delle  onde  marine  è stata  qui  pure  così  forte  che 
appena  è permesso  distinguere  P originaria  forma  dei  crateri  ; 
ciò  non  ostante  il  porto  di  Ponza  tanto  per  la  sua  forma, 
quanto  per  la  disposizione  delle  lave  presenta  i caratteri  di  un 
vero  cratere,  cosa  che  attirò  pure  P attenzione  di  Dolomieu,  il 
primo  che  abbia  descritto  queste  isole. 

Attualmente  non  è più  dato  di  osservare  nell’  isola  Ponza 
resti  di  attività  vulcanica,  come  esalazioni,  sorgenti  calde,  ec. 

Prima  di  passare  allo  studio  della  costituzione  dell’  isola, 
descriverò  le  diverse  roccie  che  vi  si  trovano  ; esse  sono  le  se- 
guenti : 

Trachite  sanidino-plagioclasica. 

% 

E una  roccia  compatta,  verde-nerastra,  con  feldispati,  alcuni 
dei  quali  più  grossi  si  riconoscono  abbastanza  facilmente  per 


— 157 


saniclina  ; contiene  ancora  qua  e là  prismi  allungati  di  antibolo  ; 
il  quarzo  e la  biotite  vi  mancano  completamente  ; al  microsco- 
pio vi  si  riconosce  grande  abbondanza  di  plagioclasio,  cosicché 
si  rimane  in  dubbio  se  si  deve  considerare  quella  roccia  come 
andesite  ovvero  come  trachite. 

Una  seconda  roccia  è la  riolite  ; essa  è di  un  color  grigio 
rossastro,  dura  e compatta  ed  è composta  di  una  pasta  omogenea 
predominante  che  racchiude  qua  e là  lamelle  di  biotite  e cri- 
stalli di  sanidina,  mentre  V antibolo  manca  affatto  ; la  massa 
principale  della  roccia  è di  natura  vetrosa. 


Trachite  sanidino-hiotitica. 

Boccia  alquanto  -decomposta,  ruvida,  porosa,  di  colore  grigio 
rossastro,  con  numerosi  cristalli  di  sanidina  fessurati,  e lamine 
di  biotite  ; qua  e là  contiene  ancora  dei  granelli  di  quarzo  ; 
r anfibolo  manca  completamente. 


Retinite. 

Vi  si  trova  in  varietà  nera,  verde-nerastra,  giallo  vinato,  o 
giallo  miele;  tutte  queste  roccie  si  sono  formate  per  la  fusione 
di  una  breccia  trachitica  in  contatto  con  la  riolite  ; la  maggior 
parte  hanno  aspetto  porfirico  perchè  contengono  nella  massa  ve- 
trosa sanidina  e talora  riolite,  la  quale,  sotto  il  microscopio, 
ha  r aspetto  di  un’  ossidiana. 


Tufi. 

V Tufo  friabile  stratificato  di  color  giallo-grigio  ; non 
contiene  materie  incluse. 

2°  Tufo  rosso  ; contiene  gli  stessi  minerali  che  la  trachite 
della  Guardia. 

3°  Tufo  in  decomposizione  con  numerosi  frammenti  di 
ridite  silicizzata  e di  quarzite. 

Infine  si  deve  ancora  menzionare  la  breccia  trachitica  non 
stratificata,  la  quale  qui  è la  roccia  più  antica  ; essa  è formata 


— 158  — 


di  un  materiale  pomiceo  molto  fino,  con  numerosi  frammenti  di 
una  trachite  porosa  e vetrosa. 

Riguardo  poi  alla  costituzione  dell’  isola,  essa  ci  presenta 
uno  degli  esempi  più  belli  di  vulcani  a forma  raggiata.  Il  porto 
di  Ponza  fu  il  principale  centro  di  eruzione  ; da  esso  irradiano 
numerosi  dicchi  riolitici,  per  lo  più  verticali,  di  foima  molto  ir- 
regolare, che  a modo  di  correnti  si  spandono  sopra  la  superficie  ; 
esse  attraversano  la  già  menzionata  breccia  trachitica  grigia  e po- 
rosa, la  quale  costituisce  forse  la  base  dell’  intero  vulcano.  In 
contatto  delle  riolite  la  breccia  trachitica  è trasformata  in  reti- 
nite brecciforme  ovvero  del  tutto  compatta. 

Quest’  ultima  si  trova  sempre  in  contatto  del  dicco  riolitico 
mostrando  a partire  da  questo  : 1*’  una  varietà  nero-\eidastia, 
T una  varietà  gialla  e 3®  una  varietà  brecciforme,  la  quale  poco 
a poco  passa  alla  breccia  trachitica.  In  taluni  punti  la  perlite 
rimpiazza  la  retinite. 

Un  secondo  punto  di  eruzione  della  riolite  è la  baia  situata 
al  nord  del  porto  di  Ponza,  la  quale  porta  "il  nome  di  Cala  del- 
P Inferno.  Da  ambedue  irradiano  dicchi,  potenti  di  10  a 40  me- 
tri ; dal  primo  centro  provengono  10  dicchi  e dal  secondo  8 sol- 
tanto. 

La  parte  settentrionale  dell’  isola,  dal  villaggio  di  Forneti 
fino  alla  punta  più  settentrionale,  la  quale  porta  il  nome  di 
Punta  dell’  Incenso,  ha  un’  altra  costituzione  ; nella  parte  sud-est 
alcuni  altri  dicchi  traversano  la  breccia  trachitica  ; peiò  la 
massa  principale  è costituita  di  un  tufo  particolare,  ora  friabile, 
ora  alquanto  più  compatto  che  racchiude  numerosi  frammenti  di 
riolite  silicizzata  (senza  cristalli  di  quarzo  isolati)  ; in  altri  luo- 
ghi la  roccia  non  è quasi  composta  che  di  simili  frammenti. 
Tale  è ancora  la  costituzione  dell’  isola  di  Cavia  divisa  dalla 
Punta  dell’  Incenso  per  mezzo  di  uno  stretto  canale.  Alla  stessa 
Punta  dell’Incenso  si  osserva  ancora  un  dicco  di  riolite. 

La  parte  meridionale  dell’  isola  è costituita  da  un  elevato 
colle  trachitico  del  quale  abbiamo  già  descritto  le  roccie.  Sui  suoi 
pendìi  appare  la  breccia  trachitica,  ma  dai  lati  nord  ed  est,  esso 
è ricoperto  da  tufi  grigio-giallastri  stratificati  : dal  lato  sud  final- 
mente giace  sopra  la  breccia  trachitica  un  piccolo  strato  del  tufo 


Monte  La  Guardia  nell’  Isola  di  Ponza. 


159 


w 


— 160  — 


rosso  sopra  menzionato.  Io  ritengo  tutta  la  massa  della  trachite 
della  Guardia  come  più  antica  dei  dicchi  riolitici  ; essa  è la  più 
antica  lava  del  vulcano  di  Ponza. 

Ci  sarebbe  ancora  da  menzionare  una  roccia  la  quale,  per 
quanto  sembra,  non  spetta  ai  due  centri  di  cui  già  fu  parlato  ; 
essa  è la  trachite  sanidino-biotitica  grigia  ; essa  forma  nella  breccia 
trachi tica  un  dicco  potente  di  10  metri  circa  e diretto  al  nord-est; 
qui  pure  la  breccia  trachitica  è metamorfizzata  in  retinite.  E 
possibile  che  questo  dicco  della  costa  occidentale  spetti  ancora 
al  secondo  centro  ; però  non  si  può  seguire  fino  alla  costa 
orientale. 

L’  annesso  profilo,  preso  sopra  il  pendio  nord-ovest  del  Monte 
la  Guardia  sulla  spiaggia  occidentale,  mostra  la  breccia  trachi- 
tica attraversata  dai  dicchi  di  riolite  e in  parte  metamorfizzata 
in  retinite  ; dietro  questa  erta  parete  situata  a picco  sul  mare, 
al  vertice  della  quale  appare  il  tufo  stratificato,  si  eleva  la 
massa  della  trachite  della  Guardia. 

Isola  Palmarola,  — La  più  occidentale  delle  Isole  Ponza,  cioè 
Palmarola,  offre  anch’  essa  molto  interesse. 

Quest’isola  forma  un  ridosso  alto  100-180  metri,  diretto  dal 
nord  air  ovest,  lungo  un  miglio  e mezzo  e largo  un  terzo  di  mi- 
glio, e che  presenta  una  sola  profonda  avvallatura  nella  metà  set- 
tentrionale ; è questa  una  bassura  di  forma  rotonda  posta  fra  i 
colli  del  Rosso  e la  punta  della  Tramontana,  che  s’ inclina  molto 
dolcemente  verso  il  mare  e che  serve  di  punto  d’  approdo. 

Quest’  isola  pure  presenta  una  costituzione  raggiata  ; P azione 
del  mare  su  questa  stretta  e piccola  isola  è stata  molto  efficace, 
per  cui  non  è dato  di  osservarne  la  costituzione  raggiata  così 
chiaramente  come  a Ponza  ; tuttavia  le  traccie  di  questa  costitu- 
zione sono  ancora  abbastanza  distinte  perchè  si  possa  riconoscere 
che  la  così  detta  Marina  di  Palmarola,  avvallamento  rotondo  il 
quale  poco  si  solleva  sul  livello  del  mare,  deve  essere  stato  un 
centro  di  eruzione.  Partendo  da  questo  punto,  numerosi  dicchi 
hanno  traversato  la  breccia  trachitica,  la  quale  qui  ancora  co- 
stituisce la  base  dell’  isola. 

Verso  il  sud  questi  dicchi  sono  trachitici,  verso  1’  est  sono 
costituiti  invece  di  una  roccia  riolitica  porfiroide  ; verso  il  nord 
poi  è un  gran  dicco  potente  di  litoidite,  la  quale  a sua  vòlta  è 


— 161  - 


traversata  da  piccoli  dicchi  di  ossidiana.  Al  contrario  di  quanto 
avviene  a Ponza,  ove  si  osservano  dicchi  numerosi,  ma  poco  po- 
tenti, s’incontrano  a Palmarola  dicchi  assai  potenti  ma  in  pic- 
colo numero. 

La  descrizione  di  ogni  roccia  particolare  sarà  da  me  data 
dopo  più  accurate  ricerche,  in  un  lavoro  più  esteso  sopra  le 
Isole  Ponza. 

Isola  Zannane.  — Fra  le  Isole  Ponza  questa  è la  sola  che 
non  sia  formata  unicamente  di  roccie  vulcaniche  ; è in  pari  tempo 
r isola  più  vicina  alla  terra  ferma  ; essa  giace  sotto  40®  59' 
lat.  nord  e 10®  29'  long,  est  di  Parigi;  la  sua  forma  è quella 
di  un  rettangolo  ; il  suo  circuito  è di  circa  4 miglia.  Essa  è for- 
mata da  un  ridosso  diretto  dal  nord  al  sud,  tagliato  a picco 
verso  est,  nord  ed  ovest,  e del  quale  il  punto  più  alto  s’ inalza 
di  135  metri  sopra  il  livello  del  mare» 

La  più  gran  parte  dell’  isola  è formata  di  una  roccia  scolo- 
rita, la  quale  presenta  entro  una  pasta  omogenea  e discreta- 
mente dura,  granelli  di  quarzo  e sanidina  ; nelle  fessure  contiene 
cristalli  di  quarzo  e limonite.  Questa  roccia  si  presenta  sotto 
forma  di  un  dicco  molto  potente,  il  quale  probabilmente  ebbe 
origine  sulla  costa  orientale  di  Ponza.  La  parte  nord-est  del- 
l’isola, circa  un  quarto  di  essa,  è formata  da  schisti  e calcari. 
Queste  roccie  sedimentarie  sono  di  diverse  epoche  ; ma  nessuna 
di  esse  è più  recente  del  calcare  ippuritico  delle  vicinanze  di 
Terracina  ; e ciò  ancora  è una  prova  atta  a mostrare  che  gli 
schisti  antichi  dell’  Italia  meridionale,  si  estendono  sotto  le  acque 
del  mare  nella  direzione  nord-ovest.^  In  contatto  fra  la  riolite 
e il  calcare  si  sono  formati  dolomite,  calcare  dolomitico  e cal- 
care cristallino. 

Da  quel  che  abbiamo  detto  si  conclude  che  le  isole  sopra 
descritte  si  dividono  in  due  gruppi.  Le  due  isole  orientali,  Ven- 
totene  e Santo  Stefano,  hanno  una  costituzione  simile  a quella 
dei  vulcani  dei  Campi  Flegrei  e dell’  isola  di  Procida  ; esse  sono 
formate  di  correnti  di  lava  e di  tufi  sovrapposti.  Le  isole  del 
gruppo  occidentale  si  mostrano  del  tutto  diverse  : non  si  cono- 


* SuESS,  1 terremoti  dell’  Italia  Meridionale,  pag,  2. 


Il 


— 162  — 


scono  eruzioni  storiche  di  questi  vulcani;  tutto  invece  fa  cre- 
dere, che  la  loro  attività  abbia  cessato  molto  tempo  prima  del- 
r epoca  storica. 

I prodotti  vulcanici  che  sono  stati  messi  a nudo,  sono  molto 
diversi  da  quelli  offerti  dai  vulcani  napoletani  ; essi  hanno  somi- 
glianza solo  con  le  roccie  delle  Isole  Lipari  ; sono  poi  molto  vi- 
cini alle  roccie  che  compongono  i monti  trachitici  dell’  Ungheria 
e della  Transilvania. 

Noi  abbiamo  qui  adunque  uno  di  quegli  esempi  non  frequenti 
di  roccie  eruttive  riolitiche,  che  sono  di  origine  indubitabilmente 
neo-vulcanica. 

II  gruppo  delle  Isole  Ponza  occupa  probabilmente  nel  sistema 
vulcanico  napoletano  quello  stesso  posto  che  in  altri  luoghi  occu- 
pano i prodotti  acidi  rispetto  ai  basici  : così  le  roccie  acide 
delle  montagne  trachitiche  dell’  Ungheria  hanno  iniziato  il  pe- 
riodo eruttivo,  mentre  i basalti  comparvero  molto  dopo  ; in  molti 
altri  luoghi  i porfidi  acidi  precederono  i melafiri  basici,  e così 
nella  regione  napoletana,  le  roccie  acide  aprirono  il  periodo 
vulcanico. 

In  ultimo  mi  sia  lecito  di  menzionare  con  i debiti  ringrazia- 
menti il  generoso  appoggio  che  io  incontrai  dappertutto  da  parte 
delle  autorità  del  regno  d’ Italia  ; mi  sento  in  obbligo  poi  di 
fare  i miei  più  vivi  ringraziamenti  al  Comm.  Luigi  Gorra,  se- 
gretario di  Stato  al  Ministero  dell’  Interno,  il  quale  con  molta 
premura  e buon  volere,  volle  facilitare  il  mio  viaggio  in  questi 
luoghi  raramente  visitati  da  forestieri. 


V. 

Il  Vulcano  Venda  presso  Padova.  — Lettura  del  professor 
E.  SuESS  alla  R.  Accademia  delle  Scienze  in  Vienna, 
il  7 gennaio  1875. 

j (Sunto). 

Le  eruzioni  trachitiche  e doleritiche  degli  Euganei  proven- 
nero, forse  tutte,  da  un  unico  grande  vulcano,  paragonabile  per 
dimensioni  all’  Etna,  e che  dicerto  s’  ergea  ben  oltre  al  limite 


163  — 


delle  nevi  perenni.  Imbasamento  ad  esso  la  Scaglia,  e qualche 
lembo  della  più  antica  formazione  terziaria.  Le  azioni  distrut- 
trici, che,  nella  successione  del  tempo,  demolirono  il  cono  erut- 
tivo e ne  dispersero  i materiali,  denudarono  quella  base  : in  qualche 
luogo  anche  le  formazioni  ad  essa  immediatamente  soggiacenti. 
Risalendo  col  pensiero  alle  origini,  immaginiamo  quel  vulcano, 
quando,  al  pari  di  ogni  altro,  eruttava  vapori  e ceneri  dall’  aperto 
cratere:  nel  cratere  s’innalza  la  lava,  premente  contro  le  pareti, 
che,  spaccandosi  le  consentono  irrompere  all’  esterno  del  cono  erut- 
tivo e versarsi,  dalla  sommità  in  prima  dello  spacco,  appresso  da 
punti  sempre  più  bassi,  per  il  declivio  del  cono  e sulla  circo- 
stante regione.  Dighe  divergenti  a raggi  dall’asse,  e colate  più 
0 meno  oblique  all’  orizzonte  : tramezzi  ed  impalcature  di  solidi 
materiali;  come  chi  dicesse  lo  scheletro,  che  solo  sussisterà  poi, 
quando  le  azioni  denudatici  avranno  asportato  ceneri,  lapilli, 
tufi  ed  ogni  altro  materiale  incoerente  o di  facile  decomposi- 
zione. Nè  di  quelle  colate  potrà  rimaner  se  non  parte:  mancato 
il  sostegno  a quelle  che  s’  adagiavano  sulle  ceneri  del  cono,  do- 
vettero cadere,  frangersi,  distruggersi,  rimanendone  solo  lembi, 
0 sovrapposti  per  ripetute  eruzioni,  od  inclusi  fra  le  dighe  rag- 
gianti. Ma  dove  con  crescente  spessore  si  erano  distese  sull’  im- 
basamento, ed  ebbero  quindi  a sostegno  solide  rocce  calcari  od 
arenacee,  quelle  estremità  poterono  persistere  e rimanere  a te- 
stimonii  della  grandiosità  del  vulcano,  anche  quando  1’  azione 
distruttrice  del  tempo  lo  ebbe  in  massima  parte  demolito.  Da 
quei  resti  si  può  desumere  qual  fosse  il  centro  principale  delle 
eruzioni  euganee,  nella  china  settentrionale  del  Venda. 

Numerosi  monti  formati  al  basso  da  Scaglia  o da  Biancone, 
coronati  alla  cima  da  Trachite  o da  Dolerite,  circondano  quel 
centro  : verso  il  settentrione  e verso  1’  oriente,  ove  la  superficie 
della  Scaglia  giace  a livello  più  basso  di  quello  che  non  sia  al 
mezzogiorno  ed  all’  occidente,  i monti  sono,  in  generale,  meno 
elevati,  e molti,  fino  alla  base,  formati  di  solida  Trachite.  Tutte 
le  cupole  di  Trachite  sanidino-oligoclasica  che  si  succedono  da 
Torreglia  a Monte  Ortone,  Monte  Benzina,  Monte  Rosso,  Monte 
Merlo,  Monte  Bello,  Monte  Grande  e Monte  della  Madonna,  fino 
al  più  discosto  Monte  Albettone  ; poi  verso  sud-ovest  il  Monte  Gian, 
tutti  i monti  intorno  a Fontanafredda  ed  il  segregato  Monte  di 


— 164  — 


Lezzo  ; e,  continuando  il  giro,  tutti  i lembi  di  Tracliite  che  co- 
ronano i numerosi  monti  di  Scaglia  al  mezzogiorno,  rappresen- 
tano le  estremità  delle  colate  divergenti  dallo  stesso  cratere 
principale/  Chi  oltrepassi  quella  corona  dal  nord  o dal  nord- 
ovest,  salendo  a Teoio,  vede  tosto  dinanzi  a sè,  in  forma  di  mu- 
raglione  gigantesco,  la  gran  diga  di  Pendise,  a ripidi  fianchi, 
colle  rovine  dell’  antico  castello  di  Ezzelino  in  vetta.  Per  essa 
si  giunge  al  luogo  dell’  eruzione,  e tosto  comparisce  una  seconda 
diga  più  corta  e di  origine  alquanto  superiore:  gli  sparsi  fram- 
menti di  Retinite  provengono  dalle  salbande  di  essi  filoni  o di 
un  altro  filone  di  Trachite  nera  incompletamente  prodotto.  Più 
corto  che  quello  di  Pendise,  ma  perfettamente  caratterizzato,  è 
il  filone  di  Bajamonte.  Segue,  sempre  divergendo  dal  luogo  stesso, 
il  prolungato  filone  della  Forchetta,  che  sembra  emettere  a de- 
stra ed  a sinistra  altri  filoncelli  secondarii.  E radiale  è del  pari 
la  direzione  del  lungo  dorso  principale  del  Venda,  costituito  nella 
sua  parte  più  elevata  di  tufo  bianco  zonato;  ed  irraggiano  dalla 
sommità,  verso  P oriente,  altri  numerosi  filoni  : precipui  i due 
vicini,  sopra  uno  de’  quali  è il  chiostro  di  Rua  quello  di  Venda  si 
ergeva  su  altro  filone  minore.  Ad  ognuno  di  essi  filoni  ha  dovuto 
corrispondere  qualche  grande  eruzione.  Il  lembo  di  Trachite  al 
molino  di  Schivanoja,  presso  Teoio,  rinomato  qual  esempio  di 
filone-strato,  è un  frammento  di  colata  interchiuso  fra  filoni  irra- 
dianti che  dovettero  esserle  posteriori.  L’ intaglio  della  strada 
da  Galzignano  a Torreglia,  nella  continuazione  del  filone  di  Rua, 
mostra  meravigliosamente  conservato  un  pezzo  dell’  antico  cono 
vulcanico,  compenetrato  da  filoncelli  di  varietà  differenti  di 
Trachite. 

Meglio  che  nei  vulcani  attivi,  son  qui  manifeste  le  correla- 
zioni della  gola  eruttiva  coi  circostanti  terreni  stratificati. 
Scaglia  e Biancone  non  sono  punto  sollevati  in  massa  dalla  Tra- 

’ Air  oriente  si  eleva,  segregato  dagli  altri,  il  gruppo,  di  Sieva,  Cattajo  e 
Monte  Nuovo.  A farlo  supporre  un  centro  distinto  di  eruzione,  concorrono:  la 
distanza,  la  qualità  dei  materiali  e 1’  età  più  recente.  Il  tufo  bianco  pomicoso 
fossilifero  vi  è attraversato  da  filoni,  e ricoperto  da  colate  della  Trachite  nera 
denominata  Sievite:  alle  salbande  di  quelli,  originata  dalla  fusione,,  la  Retinite  ; 
breccia  retinitica  alla  sommità  di  quel  resto  dell’  antico  cono,  altra  porzione  del 
quale  è il  Monte  delle  Croci  ; e prodotto  dalla  denudazione  l’ incavo  che  simula 
un  cratere. 


— 165 


chite:  gli  spostamenti  interessano  egualmente  il  terreno  strati- 
ficato e le  cupole  di  TracMte  che  lo  ricoprono;  le  maggiori 
eruzioni  incastrarono  a guisa  di  conio  grandi  masse  di  Trachite 
fra  gli  strati  disgiunti  della  Scaglia,  come  presso  Teoio  da  una 
parte,  presso  Fontanafredda  dall’  altra  ; ed  i frammenti  della 
Scaglia  rimasero  spesso  inclusi  in  breccia  da  cemento  trachitico. 
Considerando  sotto  tali  vedute  il  caso  di  Fontanafredda,  si  di- 
rebbe che  una  possente  colata  di  Trachite  oligoclasica,  inseren- 
dosi fra  i terreni  calcari  stratificati,  ne  svellesse  un  gran  lembo 
e lo  trasportasse  nel  suo  corso  per  un  qualche  tratto.  Gli  strati 
inferiori  di  quel  lembo,  chiariti  giurassici  dalle  Belenniti  e dai 
Filloceri  che  includono,  furono  al  contatto  convertiti  in  marmo; 
vi  succedono  gli  strati  del  Biancone  a Crioceri;  e la  Scaglia, 
che  ne  costituisce  la  parte  superiore,  fu  poi  ricoperta  da  po- 
steriore colata  riolitica. 

Possenti  e prolungate  dighe  irraggianti  da  un  centro,  colate 
largamente  estese,  testate  preservate  dalla  denudazione  in  ampia 
cerchia,  monumenti  di  ripetute  e grandi  eruzioni,  dimostrano 
qual  gigantesco  vulcano  dovette  un  tempo  essere  il  Venda. 


VI. 


Appunti  geologici  sulV  Italia,'^  del  dottor  R.  Ludwig. 


(Da  una  Memoria  inserita  nel  BuUettin  de  la  Société  Tmp.  des  Naturai,  de  Moscou, 

Année  1874,  N.  1.) 


Tuttoché  nella  penisola  italiana  non  sia  ancora  stata  scoperta 
la  intiera  serie  dei  terreni  conosciuti  nelle  altre  regioni  europee, 
pure  buon  numero  di  questi  vi  sono  rappresentati.  Infatti,  inco- 
minciando dai  più  antichi,  nelle  vicinanze  di  Messina  trovarsi  : 
gneiss  finamente  scistosi,  grigi,  talvolta  cloritici;  graniti  a ele- 
menti grossolani  ; scisti  talcosi  calcariferi  ; scisti  argillosi  di  tinta 
oscura  : i banchi  di  queste  roccie  ripidamente  raddrizzati,  sono 

’ L’  Autore  ebbe  più  volte  occasione  di  visitare  lavorazioni  minerarie  in  Si- 
cilia, in  Calabria,  in  Apulia,  nei  dintorni  di  Napoli,  nel  territorio  di  Roma  ed  in 
Toscana,  e percorse  il  nostro  paese  in  diversi  sensi:  in  questa  Memoria  egli  espose 
le  principali  cose  osservate. 


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ricoperti  dal  calcare  liasico.  Nel  gruppo  di  Aspromonte  e nei 
monti  della  Sila  in  Calabria  trovasi  un  gneiss  composto  di  fel- 
dispato  bianco,  quarzo  e mica  bruna,  il  quale  passa  a micascisto 
ed  è accompagnato  da  un  calcare  bianco  compatto  con  orne- 
blenda,  quarzo  ed  epidoto  e da  uno  scisto  argilloso  nero  : presso 
Lungro  questa  formazione  cristallina  è ricoperta  dal  calcare  giu- 
rese  e da  un  terreno  terziario  salifero.  Nell’  Italia  media  com- 
pariscono scisti  cristallini  e calcari  nell’  Apennino  abruzzese 
(Gran  Sasso  d’ Italia),  nei  monti  di  Tivoli,  al  Capo  Circeo,  nei 
monti  di  Tolfa,  ed  in  Toscana  a Gerfalco,  a Monticiano,  al 
Monte  Argentario,  al  promontorio  di  Talamone,  nei  Monti  Pi- 
sani e nelle  Alpi  Apuane  ; nell’  Isola  d’ Elba,  e in  quelle  del 
Giglio,  Capraia  e Montecristo  si  trova  anche  un  vero  granito. 
Alcune  di  queste  roccie  scistose  costituiscono  il  terreno  cono- 
sciuto col  nome  di  Verrucano,  sulla  esatta  posizione  del  quale 
nella  serie  cronologica  non  sono  ancora  d’  accordo  i geologi  per 
deficienza  di  dati  paleontologici.  Per  lo  stesso  motivo  non  si 
può  asserire  che  la  formazione  siluriana  esista  in  Italia  fuori 
della  Sardegna.  J 

■ La  formazione  carbonifera  vi  esiste  senza  alcun  dubbio  e fra 
gli  altri  punti  fu  bene  accertata  nel  gruppo  di  Jano  in  To- 
scana, dove  il  prof.  Meneghini  scoperse  frammenti  di  Lepido- 
dendri,  di  Sigillane,  di  Caiamiti  e di  Felci,  insieme  con  Pro- 
ductus  e Criniti  : la  roccia  ne  è uno  scisto  argilloso  nero  che 
presso  Jano  riposa  sulle  roccie  scistose  cristalline,  emergendo 
dalle  formazioni  giurese,  neocomiana  e terziaria. — Molta  incer- 
tezza regna  tuttora  sui  rappresentanti  del  terreno  permiano.^ 

Nei  Monti  Pisani  e nelle  Alpi  Apuane  è frequente  il  calcare 
rosso  ammonitico  (Lias)  con  Belemniti,  Terebratule,  Rhynchonelle, 
Spiriferi  e con  molte  specie  di  Ammoniti.^  Anche  nei  calcari 
brecciati  variegati  e in  quelli  compatti  giallastri  che  coprono 

^ L’Autore  dice  inoltre  che  la  formazione  triassica  nell’ Italia  centrale  è assai 
bene  conosciuta;  ma  secondo  gli  studii  degli  ultimi  dieci  anni  non  si  può  pensare 
così  ; quei  terreni  che  prima  erano  attribuiti  al  trias,  ora  sono  stati  riconosciuti 
infraliassici  ; al  trias  invece,  sembra  si  riferisca  la  formazione  dei  marmi  e quella 
degli  scisti  cristallini  sovrapposti. 

^ V.  Meneghini,  Monographie  des  fossiles  appartenant  au  Calcaire  Rouge 
Arnmonitique  de  Lornhaìxlie  et  de  VApénnin  de  V Italie  Centrale.  Milan  {Pa- 
léonlologie  Lombarde). 


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il  calcare  rosso,  furono  raccolti  fossili  fra  i quali  Aulacoceri, 
Ammoniti,  Belemniti,  Conchiferi,  Brachiopodi  e Criniti. 

I terreni  che  ricoprono  il  Lias  anzidetto  non  mancano  nel- 
r Italia  centrale  : verso  V Adriatico  havvene  alcuni  lembi  staccati 
presso  Ancona,  Manfredonia  e Bari  : in  questi  terreni  giuresi 
i fossili  sono  scarsi  e di  difficile  determinazione.  Una  forma- 
zione analoga  è costituita  dai  così  detti  scisti  varicolori  di 
Toscana.^  A questi  scisti  fa  seguito  presso  Montieri  un  sottile 
strato  di  arenarie  e quindi  un  giacimento  di  un  calcare  bianco 
compatto  con  fossili  e con  filoni  di  minerali  di  piombo  e rame. 
Gli  stessi  minerali  entro  un  calcare  analogo  si  trovano  anche 
nei  monti  della  Tolfa  presso  Civitavecchia.  ~ 

La  formazione  cretacea  si  estende  assai  in  Italia,  ed  è 
talvolta  sollevata  a grandi  altezze  sul  livello  marino.  Nella 
Italia  media  vi  si  distinguono  tre  piani  : l’ inferiore  formato  da 
banchi  di  un  calcare  bianco  cristallino  senza  fossili,  il  medio  da 
un  calcare  compatto  rossiccio  o bianco  con  strati  marnosi  inter- 
posti e con  Ippuriti,  Badioliti,  Nerinee  ed  altri  fossili,  il  supe- 
riore da  argille  scistose,  marne  calcaree  e gesso  con  molte  specie 
di  fucoidi.  Nella  Toscana  invece  distinguesi  il  Neocomiano  ^ (cal- 
cari di  diverse  specie)  ed  il  cretaceo  superiore  con  calcari  di- 
versi. Alcuni  pozzi  eseguiti  per  la  ricerca  di  soffioni  boraciferi 
a Tra  vale  presso  Montieri  hanno  traversato  questi  terreni  del 
cretaceo  superiore;  essi  furono  eseguiti  poco  lungi  da  un’altura 
di  calcari  giuresi  e liassici,  e trovansi  allineati  quasi  normalmente 
alla  direzione  degli  strati.  Ecco  le  sezioni  di  questi  pozzi,  in- 
dicando con  numeri  progressivi  i varii  fori  dal  più  basso  al  più 
elevato. 

Foro  N.  1 {non  terminato). 

M.i  8,89.  Terreno  smosso  superficiale.  5,10.  Breccia  calcarea. 

0,45.  Calcare  alberese  con  quarzo.  9,35.  Argilla  scistosa. 

12,61.  Argilla  con  sferoidi  di  calcare  0,42.  Calcare  alberese, 

bianco  ed  acqua.  8,85.  Breccia  calcarea. 

‘ L’  Autore  pone  fra  gli  scisti  detti  varicolori  dal  Savi,  che  appartengono 
al  lias  superiore,  le  roccie  di  Montieri,  di  Gerfalco,  di  Val  di  Castello  e di  Ser- 
ravezza.  le  quali  appartengono  invece  alla  serie  anticamente  detta  del  Verrucano, 
e probabilmente,  per  la  massima  parte,  al  trias.  Queste  roccie,  come  dice  l’Autore, 
contengono  galena  argentifera,  rame  grigio,  stibina,  blenda,  fluorite  e cinabro. 

* Non  è ben  certo  che  il  calcare  della  Toscana,  detto  dall’Autore  e dagli  al- 
tri geologi,  finora,  Neocomiano,  sia  tale. 


168 


Foro  N.  2.  Distante  M.  90  dal  N.  1. 


M.'  17,00. 
13.00. 

1.50. 

6.50. 

5,00. 


Ciottoli  impastati  nel- 
V argilla. 

Argilla  scistosa  con  parti 
di  calcare  terroso. 
Calcare  quarzoso. 

Argilla  scistosa  con  cal- 
care terroso. 

Calcare  bianco. 


1,20.  Roccia  arenacea  con  pic- 
colo getto  di  vapore. 
14,00.  Arenaria. 

1,80.  Gesso. 

1,00.  Getto  di  vapore  ed  acqua 
con  acido  borico. 


M.‘  61,00 


Foro  N.  3.  Distante  M.  265  dal  N.  2 {abbandonato). 


M.^  4,50.  Argilla  scistosa. 

0,25.  Calcare  bianco. 

0,25.  Argilla  scistosa. 

2.25.  Calcare  bianco. 

0,40.  Argilla  scistosa. 

0,80.  Calcare  bianco. 

0,80.  Argilla  bianca. 

1.10.  Breccia  calcarea. 

0,80.  Calcare  bianco. 

0,50.  Argilla  scistosa. 

2.10.  Breccia  calcareo-quar- 

zosa. 

0,35.  Calcare  bianco. 

0,75.  Argilla  scistosa  nera. 

1.25.  Calcare  bianco. 

0,70.  Argilla  scistosa. 

1,80.  Breccia  calcareo- quar- 

zosa. 

0,65.  Argilla  scistosa. 

0,25.  Breccia. 

0,50.  Calcare  bianco. 

0,95.  Breccia  ed  argilla. 

2,93.  Argilla  scistosa. 

0,22.  Calcare  bianco. 

0,65.  Argilla  con  nuclei  cal- 
carei. 

0,25.  Calcare  bianco. 

0,30.  Breccia. 

0,35.  Argilla  scistosa. 

0,35.  Calcare  bianco. 

1,20.  Breccia  con  calcare. 

4;60.  Arenaria  argillosa  con  un 
getto  di  vapore. 

3,90.  Arenaria  argilloso-cal- 
carea. 

4,55.  Calcare  farinoso  con  forte 
getto  di  vapore. 

0,20.  Calcare  bianco. 

1.10.  Calcare  farinoso. 


2.15.  Arenaria  argillosa. 

3.95.  Calcare  farinoso. 

0,80.  Breccia. 

0,70.  Quarzo  compatto. 

0,20.  Argilla  scistosa  nera. 

4.00.  Arenaria. 

1.60.  Gesso. 

7,55.  Calcare  farinoso  con  forte 
getto  di  vapore. 

0,40.  Arenaria  e quarzo  com- 
patto. 

6.95.  Cai  care  farinoso  con  forte 

getto  di  vapore. 

7,25.  Breccia  calcareo-quar- 
zosa. 

2,70.  Gesso. 

0,50.  Incrostazioni  calcaree. 

1.00.  Calcare  terroso  con  getto 

di  vapore. 

0,74.  Getto  di  vapore. 

16,61.  Calcare  bianco. 

1,10.  Argilla  scistosa  rossa. 
8,50.  Incrostazioni  calcaree  con 
frequenti  cavità. 

2.60.  Calcare  terroso  con  getto 

di  vapore. 

29,93.  Alternanza  di  calcare 
compatto  e terroso  con 
getti  di  vapore. 

4,47.  Calcare  bianco  quarzoso. 
0,10.  Quarzo. 

5,75.  Calcare  quarzoso  con 
getto  di  vapore. 

2,12.  Calcare  terroso. 

1.16.  Arenaria  argillosa  bianca 

con  gesso. 

9,82.  Calcare  quarzoso. 


M.‘  167,25 


Da  questi  esempi  appare  quale  sia  la  successione  del  terreno 
cretaceo  superiore  in  Toscana,  e cioè  una  alternanza  di  argilla 
scistosa,  calcare  alberese,  arenaria,  calcare  quarzoso  e gesso. 


Giova  ricordare  in  questo  punto  una  potente  massa  di  strati 
arenaceo-calcarei  grossamente  scistosi,  la  quale,  sottostando  al 
calcare  nummulitico  di  Banco  nelle  montagne  di  Fresinone, 
forma  il  piede  e la  pendice  di  un  monte  dirupato  che  porta 
sulla  sua  cima  la  piccola  città  di  Monte  San  Giovanni.  Da  questi 
scisti  di  colore  bruno,  e che  posti  sul  carbone  bruciano  con  fiamma 
lucente,  stillano  goccio  di  petrolio  : essi  racchiudono  special- 
mente  alla  superficie  alcune  conchiglie  biancastre  appartenenti 
ai  generi  Pinna,  Corbnla,  Niicula,  Cardium,  Venus,  Phoìadomya, 
Ostrea,  Pleiir otomaria,  Puccinum,  ec. 

La  formazione  eocenica,  assai  sviluppata  nella  penisola  ita- 
liana ed  in  Sicilia,  vi  è rappresentata,  secondo  le  località,  da 
potenti  strati  calcarei  a nummuliti,  da  argille  scistose  con  fu- 
coidi,  e da  arenaria  (macigno).  Il  calcare  nummulitico  di  Dauco, 
Veroli,  Alatri  ec.  nel  circondario  di  Frosinone,  è di  colore 
bianco  giallastro,  di  solito  assai  compatto,  ed  offre  una  potenza 
di  oltre  cento  metri  : il  suo  piano  inferiore,  grosso  da  10  a 12 
metri,  è assai  ricco  in  asfalto  e contiene  talvolta  grossi  blocchi 
di  solfo.  Nel  gruppo  della  Tolfa  presso  Civitavecchia  la  forma- 
zione eocenica  inferiore  consta  in  parte  di  marne  varicolori  e 
calcari,  in  parte  di  arenarie  ed  argille  scistose  alternanti  in  sot- 
tili strati  con  depositi  di  lignite. 

La  formazione  miocenica  è del  pari  sviluppata,  e in  essa  si 
distinguono  depositi  marini  e lacustri.  Ai  primi  appartengono  i 
conglomerati  della  valle  del  Noni  presso  Massa  Marittima,  con 
Ostrea  corrugata.  Brocchi,  Comis  ponderosus.  Brocchi,  e varie 
specie  indeterminate  di  Cardium,  Lima,  Pecten,  ec.  Lo  stesso 
terreno  in  Val  di  Cecina  è formato  da  argille  marnose  grigio- 
azurrognole  con  alabastri,  gessi  e depositi  di  salgemma.  Nei 
dintorni  di  PiOma  il  miocene  marino  mostrasi  alla  base  dei  colli 
sulla  destra  del  Tevere  e contiene  i seguenti  fossili  trovati  dal 
Ponzi  : Argonauta  Marmata,  Cleodora  pyramidata.  Gl.  Picciolii, 
Gl.  subulata,  Dentalium  Noe,  D.  ìcevigatum,  Solemya  solida, 
Phaladomya  Vaticana,  Pecten  cristatus,  Ostrea  corrugata,  Gidaris 
remiger,  Hemiaster  Vaticani,  Flabellum  Vaticani,  Trochocyatlius 
umbrella,  ec. 

Il  miocene  lacustre  è rappresentato  in  Toscana  presso  Mon- 
tebamboli  e al  Poggio  Moretti  presso  Montemassi  : esso  consta 


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di  calcare  con  lignite,  di  arenaria  e di  conglomerati,  con  Vnio, 
Plcmorbis,  JDreissena,  ed  altri  fossili  d’  acqua  dolce,  come  pure 
impronte  di  foglie.  Presso  Lungro  in  Calabria  lo  stesso  terreno 
è probabilmente  rappresentato  da  strati  di  arenaria  gialla  con 
traccio  di  lignite  e con  depositi  di  gesso  intercalati  : al  di  so- 
pra, per  200  metri  di  spessore,  havvi  un’  argilla  scistosa  e gesso 
con  deposito  di  salgemma,  e più  in  alto  un  conglomerato  gros- 
solano solidamente  cementato  ed  una  sabbia  fangosa  con  avanzi 
di  Natica^  Ostrea  e Fecten. 

La  formazione  pliocenica,  composta  di  sabbie,  argille,  calcari 
friabili  e marne,  ricopre  estesissime  superficie  sui  due  versanti 
dell’  Aperinino  ed  in  Sicilia,  ed  è dovunque  ricchissima  di  fos- 
sili. Noi  la  troviamo  nelle  valli  dell’  Arno,  dell’  Ombrone,  del- 
l’Albegna,  al  Lago  Trasimeno,  nelle  colline  tra  Pisa  e Volterra,  a 
Siena,  a Orvieto,  al  Monte  Mario  presso  Roma,  a Porto-  d’Anzio, 
a Corneto,  e,  sull’  altro  versante,  lungo  tutta  la  costa  dell’i^dria- 
tico  sino  a Barletta  ed  oltre.  Un  calcare  pliocenico  d’  acqua  dolce 
trovasi  presso  Massa  Marittima  e contiene  impronte  di  piante. 

Anche  i membri  della  formazione  quaternaria  abbondano  in 
Pcalia,  e contengono  nelle  loro  parti  più  antiche  resti  bene 
conservati  di  Elephas  antiquus,  Falc.,  E.  mericìionalis^  Nesti, 
E.  Arvernensis,  Gervais,  Ehynoceros  tichorhimis,  Cuv.,  Gervus 
elapJms,  Cuv.,  ed  altri,  e nelle  parti  più  recenti  gli  stessi  resti 
rotolati  con  avanzi  d’ industria  umana  e di  animali  tuttora  vi- 
venti. Vi  abbondano  i travertini,  e fra  gli  altri  quelli  ben  noti 
di  Tivoli  non  lungi  da  Roma,  come  pure  tufi  vulcanici  di  for- 
mazione sottomarina  o subaerea. 

Varie  sono  le  altitudini  a cui  giunsero  le  roccie  delle  diverse 
formazioni.  I più  antichi  terreni  del  Lias  e del  Giura  si  elevano 
in  media  a 1200  metri  sul  mare,  salvo  alcune  punte  che  raggiun- 
gono altezze  molto  maggiori  : quelli  delle  formazioni  cretacea  ed 
eocenica  stanno  in  genere  dagli  800  ai  1600,  quelle  mioceniche 
da  600  ad  800,  e le  plioceniche  per  solito  al  disotto  di  200. 

Un  fenomeno  di  primaria  importanza  per  le  coste  italiane  è 
la  formazione  delle  lagune  e degli  stagni  littorali  per  effetto  di 
sollevamento  della  spiaggia,  quale  può  osservarsi  a Barletta  nel- 
P Adriatico  ed  a Porto  d’  Anzio  sul  Mediterraneo.  Nella  prima 
località  la  costa  è formata  da  una  argilla  grigiastra  pliostoce- 


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nica  con  CeritJimm.  vidgatum,  Lk.,  JBuccinum  reticulakm,  Lk., 
Tellina  planata,  Limi.,  PectuncuUts  pilosus,  Lk.,  che  vivono  an- 
cora oggidì  in  quei  paraggi.  Questo  deposito  forma  una  diga 
di  più  chilometri  di  larghezza,  alta  più  di  tre  metri  sul  livello 
del  mare,  la  quale  divide  da  questo  una  serie  di  lagune  che 
vengono  invase  dall’  acqua  salsa  per  mezzo  di  un  canale  artifi- 
ciale, ed  il  Lago  di  Salpi  con  acqua  dolce.  Nel  mare  si  estende 
una  sabbia  formata  di  minerali  vulcanici  del  Vulture  trascinati 
dal  fiume  Ofanto,  e con  avanzi  di  animali  marini;  nel  lago  al 
contrario  havvi  una  fanghiglia  calcareo -marnosa  con  gusci  di  con- 
chiglie terrestri  e d’acqua  dolce.  — Presso  Porto  d’ Anzio  la  costa, 
evidentemente  sollevata,  sovrasta  con  pareti  ripidissime  di  circa 
12  metri  sul  livello  del  mare,  lasciando  all’  asciutto  fra  essa  e 
il  mare  un  piccolo  cumulo  di  sabbia  di  formazione  recentissima. 
La  costa  è formata,  dal  basso  all’  alto,  di  un  calcare  compatto 
pliocenico,  di  un’argilla  fossilifera  pliostocenica,  di  un  calcare 
tenero  cogli  stessi  fossili,  e infine  di  una  fanghiglia  prodotta 
dalle  materie  vulcaniche  del  Lazio.  A Torre  Caldara,  poco  più 
al  nord  di  Porto  d’ Anzio,  havvi  invece  il  seguente  profilo  : 
nella  parte  più  bassa  un’  argilla,  alla  quale  fa  seguito  una  marna 
grigia,  quindi  un’  argilla  nera  con  piccoli  noduli  di  solfo  e dalla 
quale  sgorga  una  grossa  sorgente  solforosa  che  ricopre  il  suolo 
tutto  air  ingiro  di  una  crosta  spessa  di  solfo  bianco  ; sopra  lo 
strato  solfifero  seguono  arenarie  ferrifere,  sabbie,  di  nuovo  are- 
narie, un’  argilla  turchina  con  Pecten  opercularis,  Lin.,  un  cal- 
care conchiglifero  con  Cardium  edule,  Lamk.  Cerithium  vidgatum, 
Lamk.  ec.,  da  ultimo  depositi  fangosi  pleistocenici.  — In  prossi- 
mità di  Barletta,  come  anche  a Nettuno  sulla  costa  romana,  si  for- 
mano depositi  di  sabbia  ferro-magnetica  : in  quest’  ultima  loca- 
lità il  deposito  si  forma  coi  prodotti  vulcanici  dei  Monti  Albani 
dilavati  dalle  onde  marine;  esso  consta  di  straterelli  ciascuno 
dei  quali  ha  uno  spessore  variabile  sino  a 5 centimetri,  e sepa- 
rati fra  loro  per  altri  straterelli  di  sabbia  feldispatico-leucitica 
con  granelli  di  quarzo  : vi  si  trovano  mescolati  gusci  di  con- 
chiglie che  il  mare  accumula  sulla  spiaggia.  A Barletta  invece 
la  sabbia  magnetica  proviene  dalla  decomposizione  dei  materiali 
vulcanici  del  Vulture  trasportativi  dall’ Ofanto  : questo  secondo 
deposito  sorpassa  per  importanza  quello  di  Nettuno. 


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Da  Porto  cP  Anzio  sino  al  Capo  Circello  (P  antica  isola  Circe) 
si  estendono  al  piede  dell’  alpestre  catena  dei  Yolsci  le  famose 
Paludi  Pontine  separate  dal  mare  per  mezzo  di  una  duna  bassa 
coperta  da  folta  vegetazione  : la  formazione  di  queste  paludi 
non  devesi  attribuire  tutta  all’  azione  delle  onde  marine  ed  a 
quella  delle  torbide  dei  torrenti,  ma  vi  concorse  ancora  P azione 
di  sorgenti  ricche  di  bicarbonato  di  calce  che  originarono  rile- 
vanti depositi  di  travertino  o tufo  calcare,  i quali  si  possono 
vedere  a Cisterna,  a Sezze,  ed  in  altre  località,  ricoprire  per 
molto  spazio  le  fanghiglie  fluviali.  Un  fenomeno  analogo  vedesi 
nella  pianura  di  Pesto,  il  suolo  della  quale  va  sempre  elevandosi 
per  depositi  di  tufo  calcare  prodotto  da  un  piccolo  ruscello,  e 
questa  nuova  formazione  contribuisce  assai  all’  impaludamento 
di  quella  regione  celebre  una  volta  per  salubrità.  Depositi  della 
stessa  natura  si  vedono  anche  a Pompei. 

Un  giacimento  di  tufo  calcare  molto  interessante,  della  po- 
tenza di  oltre  i 100  metri,  può  osservarsi  nella  vallecola  del 
fosso  detto  dell’Acqua  Bianca  Verginese  presso  la  Tolfa.  Esso 
trovasi  sulla  pendice  di  un  alto  monte  e forma  un  altipiano 
largo  più  di  400  metri  e lungo  600  con  pareti  quasi  verticali 
verso  la  valle:  ebbe  origine  da  una  sorgente  termale  (62°,5  C.) 
ricca  di  acido  carbonico.  Dalla  parte  del  monte,  una  sorgente 
ferruginosa  trasforma  il  tufo  in  una  vera  ematite  calcarifera,  la 
quale  è attraversata  da  vene  di  calcare  bianco  e di  arragonite, 
per  modo  che  assume  bella  apparenza  e viene  così  impiegata 
nei  dintorni  come  pietra  da  ornamento. 

Le  saline  di  Lungro  in  Calabria.  — Nelle  Calabrie,  come  già 
fu  detto,  havvi  un  nucleo  di  scisti  cristallini  e calcari  circon- 
dato da  sedimenti  delle  formazioni  giurese  e cretacea,  essendo 
le  valli  ripiene  di  strati  terziarii  : a questi  appartengono  i po- 
tenti banchi  di  conglomerato  delle  montagne  di  Castrovillari, 
costituiti  da  frammenti  calcarei  e quarzosi  cementati  da  calcare  ; 
essi  raggiungono  una  notevole  potenza  e sono  usati  in  paese  per 
le  costruzioni.  Più  verso  settentrione  si  raggiungono  i calcari 
bianchi  giuresi  alternanti  con  scisti  argillosi  e con  marne,  che 
si  elevano  a grandi  altezze  sul  livello  marino  : è al  limite  me- 
ridionale di  questa  catena  montuosa  che  s’ incontrano  i depositi 
saliferi  di  Lungro  ed  Altomonte. 


— 173  — 


L’ossatura  delle  montagne  di  Lungro  è formata  da  rocce 
cristalline,  da  scisti  argillosi  colorati  in  verdastro  da  sostanze 
cloriticlie,  da  calcari  racchiudenti  orneblenda,  calcari  con  vene 
quarzose,  e scisti  quarzosi  e micacei  più  volte  alternanti  fra  di 
loro  : questi  strati  inclinano  di  70”  a 80”  verso  sud,  mentre  al 
nord  riposa  sulle  loro  testate  il  calcare  giurese  compatto,  bianco- 
gialliccio e privo  di  fossili,  i cui  banchi  alternano  con  scisti 
argillosi  e con  una  arenaria  rossa.  Questi  terreni  sono  attraver- 
sati in  tutte  le  direzioni  da  filoni  di  quarzo  bianco,  ed  i calcari 
racchiudono  druse  di  spato  calcare  e di  anfibolo  verde  filamen- 
toso. Sopra  di  essi  riposa  in  strati  quasi  orizzontali  la  forma- 
zione terziaria  salifera,  la  quale  consta  al  basso  di  una  arenaria 
quarzosa  poco  consistente  ed  alternante  con  un’  arenaria  argil- 
losa ed  un’  argilla  scistosa  con  depositi  di  lignite  ; viene  in  se- 
guito un  potente  deposito  di  gesso  granulare  e spatico  che  in 
qualche  località  dette  origine  a sdrucciolamenti  ; vi  sta  sopra 
un’  arenaria  gialla  a fini  elementi,  la  quale  è finalmente  ricoperta 
dall’  argilla  salifera  turchina  ricca  in  gesso  : questa  argilla  al- 
terna in  sottili  strati  col  salgemma  e con  piccoli  banchi  di 
gesso.  Sopra  1’  argilla  segue  un  conglomerato  di  rocce  cristalline 
e calcari  cementate  da  silice  ed  ossido  di  ferro,  quindi  una  fan- 
ghiglia sabbiosa  giallastra  con  Fecten,  Ostrea  e Natica,  d’  epoca 
probabilmente  miocenica,  ed  infine  strati  di  ciottoli  e di  fango. 

Sopra  agli  strati  calcarei  giuresi  e in  parte  sopra  gli  altri 
depositi  più  antichi,  havvi  nei  dintorni  di  Lungro  una  breccia 
calcarea  nella  quale  stanno  cementati  frammenti  angolosi  grossi 
e piccoli  per  mezzo  di  vene  di  spato  calcare  e calcedonio  dello 
spessore  di  uno  a due  centimetri.  Questa  breccia  giace  in  discor- 
danza colle  rocce  sottoposte,  essa  non  è stratificata  e fu  pro- 
babilmente originata  da  frane. 

Il  salgemma  puro  che  forma  oggetto  di  coltivazione  si  trova 
in  depositi  assai  irregolari  e fra  di  loro  isolati  : la  lavorazione 
si  spinge  fino  a 176  metri  sotto  la  superficie,,  e le  masse  saline 
che  ne  sono  oggetto  hanno  forma  irregolarissima  e racchiudono 
piccole  masse  e sferoidi  gessifere,  impure;  sono  però  insieme 
collegate  da  parti  più  sottili,  di  manierachè  si  possono  seguire 
con  facilità.  Queste  masse  sono  tutte  attraversate  da  crepacci  e 
da  cavità  che  facilitano  molto  1’  escavazione  del  sale. 


174  — 


Minerali  di  rame ^ piombo  e mercurio.  — : Assai  conosciuto  è 
il  giacimento  cuprifero  di  Montecatini  in  Val  di  Cecina  (Toscana). 
Chi  dalle  Saline,  inferiormente  a Volterra  e Montecatini,  sale 
nella  parte  superiore  della  valle,  attraversa  dapprima  le  argille 
grigio-turchine  mioceniche,  colà  assai  sviluppate,  racchiudenti 
depositi  di  salgemma,  gesso  ed  alabastro  : dal  disotto  di  queste 
argille  sorgono  presso  Montecatini  gli  strati  dell’  eocene,  e più 
in  alto  si  mostra  sotto  all’  eocene  un  complesso  di  strati  quasi 
verticali,  in  mille  guise  contorti,  formati  da  argilloscisti  rossi 
calcarei  e da  calcari  bianchi  e rossi,  i quali  apparterrebbero 
alla  formazione  cretacea.  Al  limite  fra  il  miocene  e l’ eocene 
havvi  presso  Montecatini  un  porfido  micaceo  grigio,  diviso  in 
grossi  prismi  verticali,  e composto  di  una  pasta  cristallina  di 
labradorite  grigio-rossastra  nella  quale  sono  sospese  innumere- 
voli foglietto  di  biotite.  Le  cime  del  Montecatini  (700  a 750 
metri  sul  mare)  sono  formate  dal  gabbro  rosso  al  quale  in  po- 
chi punti  si  associa  anche  il  verde;  quest’ultimo  accompagna  in 
profondità  il  giacimento  cuprifero.  Al  contatto  fra  il  gabbro  ed 
il  calcare  cretaceo  che  vi  sta  sotto,  trovasrun  conglomerato  nel 
quale  stanno  racchiusi  ciottoli  di  gabbro  e di  calcedonio,  e ra- 
ramente di  calcare  compatto,  fra  di  loro  cementati  da  solfuri  di 
ferro  e di  rame  : in  esso  conglomerato  trovansi  sparse  delle 
sferoidi  assai  ricche  in  rame.  — Il  minerale  cuprifero  ha  per 
ganga  un’  argilla  prodotta  dalla  decomposizione  del  gabbro,  in- 
sieme con  frammenti  di  gabbro  e masse  conglomerate  di  quarzo 
e calcedonio,  con  minerali  verdi  cloritici,  e più  raramente  con 
piccoli  cristalli  di  calcite  : il  minerale  poi  consta  di  piriti  di 
ferro  e di  rame,  di  erubescite  e di  calcosina.  Quest’  ultima  si 
ritrova  a riempire  le  spaccature,  in  pezzi  rotondi  assai  volumi- 
nosi, specialmente  nel  muro  del  filone;  la  erubescite  sta  nel 
mezzo,  e la  pirite  di  solito  nel  tetto.  La  intiera  massa  del 
filone,  ed  anche  una  porzione  delle  salbande  formate  dal  gabbro, 
è impregnata  di  minerale  cuprifero;  questo  però  di  preferenza 
si  accumula  in  masse  irregolari  ed  isolate,  delle  quali  già  quattro 
se  ne  raggiunsero  coll’  attuale  pozzo  di  escavazione  ; la  principale 
di  queste,  giacente  tra  il  gabbro  e la  formazione  cretacea,  misura 
ben  400  metri  di  lunghezza,  50  di  larghezza  e 30  di  altezza. 

Per  importanza  industriale  tengono  un  posto  distinto  anche 


— 175  — 

i giacimenti  cupriferi  dei  dintorni  di  Massa  Marittima  in  To- 
scana. Dalla  stazione  ferroviaria  di  Follonica  dirigendosi  verso 
questa  località,  dopo  avere  attraversata  la  formazione  miocenica 
e la  eocenica,  ed  altresì  il  tufo  calcare  con  piante  fossili  ripo- 
sante sulle  testate  degli  strati  di  esse  formazioni,  si  raggiun- 
gono alcuni  strati  calcarei,  e fra  essi  potenti  banchi  di  quarzo 
con  piriti  di  ferro  e di  rame,  galena,  malachite,  azzurrite,  blenda 
e stibina.  Agli  affioramenti  questi  minerali  vedonsi  decomposti, 
e specialmente  le  piriti  sono  convertite  in  idrossido  di  ferro  e 
di  rame,  ed  in  carbonato  di  rame,  ed  il  quarzo  vi  è ridotto  in 
frantumi.  In  questi  giacimenti  sono  aperte  le  lavorazioni  delle 
Capanne  Vecchie,  di  Val  Castrucci,  di  Serra  Bottini  e del- 
r Accesa,  e parecchie  altre  intraprese  negli  antichi  tempi  ed  ora 
abbandonate.  In  talune  località,  per  la  decomposizione  delle  pi- 
riti che  trovansi  nei  banchi  di  quarzo  e nelle  rocce  circostanti, 
si  generò  del  solfato  d’  allumina  ed  anche  della  vera  allumite 
come  a Montioni  e presso  il  Lago  dell’  Accesa. 

Accenneremo  anche  ai  giacimenti  di  galena  argentifera  con 
rame  grigio  di  Val  di  Castello  e Serravezza  presso  Pietrasanta 
nelle  Alpi  Apuane.  Quivi  presso,  a Ripa,  si  hanno  scisti  talcosi 
calcariferi,  entro  ai  quali  trovasi  un  banco  quarzoso  di  2 a 3 
metri  di  potenza,  parallelo  alla  stratificazione,  con  impregna- 
zioni di  cinabro.  A Val  di  Castello  il  piede  del  monte  consta 
degli  stessi  scisti  talcosi  calcariferi  e di  uno  scisto  argilloso, 
entro  i quali  terreni  riposano  quattro  banchi  quarzosi  con  pirite, 
galena  e blenda  argentifera;  il  minerale  però  trovasi  in  zone 
limitate  della  potenza  da  un  mezzo  metro  a due  e la  cui  lun- 
ghezza oltrepassa  raramente  i dieci  metri.  Negli  stessi  scisti 
furono  coltivati  molti  filoni  di  rame  grigio,  con  ganga  di  fluo- 
rite variamente  colorata,  talvolta  con  quarzo  e calcite.  Più  in 
alto  vedesi  il  calcare  cavernoso  superiore  agli  scisti,  che  si 
estende  sino  alla  sommità  del  monte  detto  dell’  Argentiera,  il 
quale  fu  oggetto  di  molte  lavorazioni  minerarie  degli  antichi, 
ed  in  giornata  dà  vita  alle  importanti  miniere  di  galena  argen- 
tifera del  Bottino  ; sembra  che  i giacimenti  metalliferi  vi  si  tro- 
vino verso  il  contatto  del  calcare  cavernoso  cogli  scisti  od  an- 
che in  terreni  sottostanti  a questi,  e pare  che  il  minerale  siavi 
concentrato  in  zone  di  maggiore  o minore  ricchezza. 


176  — 


Da  ultimo  citeremo  un  altro  giacimento  eli  galena  dei  monti 
della  Tolta  presso  Givitaveccliia.  Anche  qui  si  riconoscono  le 
tracce  di  antichissime  escavazioni  in  un  filone  di  galena  argen- 
tifera, calcopirite  e blenda  con  fluorite,  calcare,  siderite  e quarzo, 
in  località  detta  Poggio  della  Stella  : questa  altura  è formata 
da  calcare  bianco  qua  e là  cristallino,  e circondato  da  strati 
più  giovani  specialmente  eocenici  ; in  questo  calcare,  probabil- 
mente giurese,  stanno  rinchiusi  i filoni  metalliferi. 

Soffioni,  putisse,  solfatare  e giacimenti  di  solfo,  asfalto  ed 
allumite.  — A tutti  è nota  la  storia  della  coltivazione  dei  sof- 
fioni boraciferi  di  Toscana  iniziata  dal  Larderei  presso  Monte- 
cerboli,  Castelnuovo,  Monterotondo,  al  Lago  sulfureo,  a Serraz- 
zano,  Lustignano  e Sasso,  e più  tardi  anche  a Travale.  La  tem- 
peratura di  questi  getti  è tra  90°  e 127°  C.  La  produzione  to- 
tale di  acido  borico  in  50  anni  di  esercizio  (1818-1867)  fu  di 
circa  40  mila  tonnellate  rappresentanti  un  valore  di  oltre  80 
milioni  di  lire.  In  questa  regione  trovansi  ancora  esalazioni  calde 
di  vapore  acqueo  con  acido  solfidrico  dette  putisse,  come  quella 
di  Travale  a S.E,,  la  sorgente  sulfurea  di  Val  di  Cecina  a N.O., 
quella  di  San  Michele,  due  sorgenti  fra  Castelnuovo  e Monte- 
rotondo, tre  nelle  vicinanze  del  Lago  sulfureo  : vi  è inoltre  una 
sorgente  minerale  ricca  d’ acido  carbonico  al  Bagno  a Morba 
presso  Larderello.  Il  gas  che  si  sprigiona  insieme  coll’  acqua  dai 
soffioni  è composto  per  ben  nove  decimi  di  acido  carbonico  e 
pel  rimanente  di  acido  solfidrico,  idrogeno,  azoto,  ossigeno  e 
carburi  di  idrogeno. 

Le  solfatare,  o meglio  putizze,  sono  strettamente  collegate 
ai  soffioni  per  la  natura  dei  gas  eh’  esse  emanano,  in  genere 
acido  carbonico  con  acido  solfidrico.  Esse  sono  molto  frequenti 
in  talune  parti  d’ Italia  : alcune,  nella  stagione  asciutta,  non 
producono  che  gas,  come  ad  esempio  quelle  della  valle  del  Mi- 
gnone  nei  monti  di  Tolfa  e quelle  di  Monterotondo  e Monte- 
cerboli  ; altre  invece  emettono  vapori  acquei,  come  molte  presso 
il  Lago  sulfureo  e presso  Travale,  e quelle  in  vicinanza  del 
cratere  dello  spento  vulcano  di  Pozzuoli. 

Rimarchevoli  sorgenti  sulfuree  scaturiscono  dalle  rocce  ter- 
ziarie di  Porto  d’ Anzio  sulla  spiaggia  romana.  Una  di  esse 
sgorga  da  una  argilla  nera  impregnata  di  solfo  e deposita  al- 


177  — 


r esterno  solfo  bianco  che  ricuopre  il  letto  del  ruscello  di  una 
grossa  crosta;  fra  le  arenarie  e gli, strati  sabbiosi  già  citati  dei 
dintorni  di  questa  sorgente,  si  è depositata  una  grande  quantità 
di  solfo,  e le  sabbie  ne  sono  talmente  impregnate  che  furono 
oggetto  di  estese  escavazioni  per  l’ estrazione  del  metalloide. 
Sulla  strada  da  Roma  ad  Ardea,  a circa  30  chilometri  dalla  città, 
scaturiscono  sorgenti  analoghe,  le  quali  hanno  parimente  impre- 
gnato di  solfo  la  roccia  circostante,  e come  le  precedenti  furono 
un  tempo  utilizzate.  Le  sorgenti  termali  al  disotto  di  Tivoli 
(Lago  dei  Tartari  ec.)  sono  parimente  sulfuree  ed  hanno  depo- 
sitato lo  solfo  nel  circostante  travertino,  e così  pure  quelle  di 
Vicarello  sul  lago  di  Bracciano,  quelle  di  Stigliano  nei  monti 
della  Tolfa,  quelle  della  tenuta  del  Sasso  presso  Cervetri  e quelle 
che  trovansi  sopra  Civitavecchia  verso  la  Tolfa. 

Nei  monti  della  Tolfa  trovasi  spesso  la  selenite  in  tavole  o 
gruppi  di  cristalli,  frammista  alT  argilla  pliocenica  o,  in  prossi- 
mità delle  solfatare,  nelle  masse  di  tufo  vulcanico.  Gesso  com- 
patto trovasi  anche  in  banchi  entro  gli  strati  eocenici,  i quali 
si  estendono  sotto  le  correnti  di  lava  trachitica,  dando  così  ori- 
gine allo  sviluppo  di  acido  solfidrico  che  alimenta  le  solfatare 
e le  sorgenti  fredde  e calde. 

Presso  Canale  e Monterano,  nelle  vicinanze  del  lago  di  Brac- 
ciano, 1’  acido  solfidrico  sviluppasi  dalle  formazioni  di  tufo  tra- 
chitico  ivi  molto  estese,  e le  trasforma  in  una  massa  morbida 
e spugnosa  nelle  cui  cavità  si  depositano  solfo  e cristallini  aci- 
culari di  solfato  d’  allumina  : la  roccia  contiene  anche  acido  sol- 
forico libero.  A Canale  lo  solfo  viene  estratto  per  mezzo  della 
fusione.  Queste  solfatare  sono  perfettamente  analoghe  a quelle 
di  Pozzuoli  : anche  queste  hanno  trasformato  le  rocce  vulcaniche 
nere  in  una  massa  bollosa  bianca,  come  pure  coll’acido  solfi- 
drico, per  mezzo  dell’  ossigeno  atmosferico,  formossi  acido  sol- 
forico e quindi  solfato  d’  allumina  ed  allumite. 

I dintorni  di  Tolfa  sono  rimarchevoli  per  un  deposito  di  un 
tufo  vulcanico  grigio  o giallo,  il  quale  in  prossimità  di  Rota 
ricuopre  le  rocce  sedimentarie  eoceniche  e specialmente  le  col- 
line a destra  del  fiume  Mignone,  là  ove  sulla  riva  sinistra  si 
sprigionano  alcune  putizze  che  depositarono  solfo  bianco.  Sopra 
questi  tufi  e conglomerati  sovrastano  alte  e ripide  le  scogliere 


12 


178 


trachitiche  : la  roccia  è talvolta  di  colore  nerastro  con  feldispato 
vitreo,  mica  nera  in  fogliette  esagonali,  cristallini  di  orneblenda, 
ossido  di  ferro  rosso,  piccoli  granati,  pirite  e quarzo,  ta?  altra 
è una  trachite  bianca  quarzifera.  La  tracbite  verdiccia  è ridotta, 
per  una  profondità  di  parecchi  metri,  in  una  massa  sabbiosa  cao- 
linica  e ferruginosa,  che  alla  superficie  passa  in  un  terriccio  ar- 
gilloso, quale  può  vedersi  nettamente  lungo  la  nuova  strada  da 
Tolfa  alla  valle  del  Mignone.  La  trachite  bianca  tramutasi  fa- 
cilmente in  caolino  con  quarzo  libero  frammisto,  come  può  ve- 
dersi ad  un  chilometro  circa  a N.O.  dell’  Allumiera,  dove  una 
di  queste  masse  caoliniche  è messa  allo  scoperto.  Colà  si  può 
vedere  come  il  caolino  presentisi  in  masse  coi  piani  di  frattura 
propri  alla  trachite,  e come  nelle  fenditure  siensi  riunite  delle 
laminette  argillose  ferrifere.  — Per  un  processo  diverso  di  decom- 
posizione della  trachite,  analogo  a quello  che  anche  in  giornata 
si  compie  a Canale,  a Pozzuoli,  all’isola  Vulcano,  ed  in  molti 
altri  luoghi,  formossi  il  noto  deposito  di  allumite  della  Tolfa. 
E probabile  che  molte  esalazioni  di  acido  solfidrico  siensi  un 
tempo  sviluppate  attraverso  la  trachite  fra  i due  villaggi  di 
Tolfa  e di  Allumiere  : questo  acido,  sviluppatosi  da  depositi  di 
gesso  giacente  a profondità,  circolò  per  le  fessure  della  roccia 
trachitica,  e unendosi  coll’  ossido  di  ferro  diede  origine  alle  pi- 
riti, od  anche,  giunto  in  prossimità  della  superficie  ed  unitosi 
all’  ossigeno  dell’  aria,  formò  acido  solforico  che  col  feldispato 
alcalino  della  trachite  diede  origine  alla  allumite  : più  tardi,  al 
cessare  delle  esalazioni,  un  analogo  processo  ebbe  luogo  in  causa 
delle  piriti  prima  formatesi.  La  trasformazione  in  allumite  non 
raggiunge  che  pochi  centimetri  di  profondità,  raramente  un  mezzo 
metro,  dalle  pareti  delle  fessure  ; originansi  quindi  caverne  e 
druse  nelle  quali  si  accumulano  calcedonio,  diaspro,  quarzo  cri- 
stallizzato, ossido  di  ferro  idrato  e talvolta  anche  cristalli  di 
allumite.  In  tali  condizioni,  solamente  una  piccola  parte  del  ma- 
teriale escavato  è utilizzabile  per  l’ estrazione  dell’  allume. 

Rimarchevoli  sono  i giacimenti  di  asfalto  nella  estrema  parte 
orientale  della  provincia  romana  in  territorio  di  Monte  San  Gio- 
vanni. Chi  dalla  stazione  ferroviaria  di  Coprano  imprende  a ri- 
montare la  valle  del  Li  ri,  raggiunge,  poco  prima  dell’  accennato 
paese,  una  valletta  laterale  che  scendendo  da  Veroli  va  a rag- 


— 179 


giungere  quella  del  Liri  al  di'  sotto  di  Monte  San  Giovanni. 
Questa  piccola  città  giace  sopra  una  scoscesa  rupe  calcarea  di 
epoca  nummulitica,  nella  quale  il  calcare  è talmente  impre- 
gnato nei  suoi  banchi  più  bassi  di  asfalto,  che  pel  calore  solare 
trasuda  una  quantità  di  catrame.  La  roccia  presentasi  al  basso 
di  un  colore  bruno-nerastro  tendente  al  nero,  che  a poco  a poco 
si  cangia  in  giallastro  nelle  parti  elevate,  nelle  quali  si  tro- 
vano anche  scarsi  fossili,  cioè,  una  nummulite  poco  determina- 
bile, una  Ostrea  a grossa  conchiglia  (Osfrea  crassissima?)  e 
frammenti  di  una  specie  di  Scyphia.  In  più  punti  poi  della 
valle  laterale  trovasi  entro  il  calcare  dello  solfo  compatto,  tal- 
volta in  molta  copia,  ed  in  masse  grosse  quanto  una  noce.  Sotto 
al  calcare  giace  uno  scisto  bituminoso  sabbioso-calcareo  di  colore 
bruno  ed  assai  ricco  in  petrolio  : esso  è accessibile'  dalla  vallecola 
sotto  Monte  San  Giovanni,  nel  qual  punto  lo  scisto  presenta  ben 
80  a 100  metri  di  potenza.  Questa  roccia  è poco  scistosa,  ma 
piuttosto  che  in  lastre  si  divide  in  grossi  e compatti  blocchi  a 
faccio  piane  ; essa  si  discioglie  nell’  acido  cloridrico  con  efferve- 
scenza, e lascia  un  deposito  di  sostanza  bituminosa  bruna  e vi- 
scosa. Esaminata  questa  roccia  al  microscopio,  la  si  vede  consi- 
stere di  piccoli  cristallini  di  calcare  con  masse  nere  di  asfalto  : 
spezzandone  un  blocco  preso  a qualche  profondità,  e cioè  fuori 
deir  azione  del  sole,  vedesi  gocciolare  il  petrolio,  ed  i frantumi 
quando  sieno  posti  sopra  carboni  ardenti,  abbruciano  con  faci- 
lità ed  a lungo  e con  fiamma  lunga,  limpida  e lucente.  Lo  sci- 
sto oleifero  contiene  fossili,  ma  sono  anneriti  e poco  si  distin- 
guono. Anche  a Banco,  Alatri,  Filettino,  Castro  e Collepardo 
(Trisulti)  trovasi  in  gran  copia  1’  asfalto  nel  calcare  eocenico  in- 
feriore. 

Queste  frequenti  emanazioni  di  carburi  di  idrogeno  nei  se- 
dimenti italiani,  possono  spiegare  anche  1’  origine  dei  soffioni, 
delle  sorgenti  termali,  delle  solfatare  e delle  putizze,  delle  quali 
tanto  ricco  è il  paese. 


— 180 


VII. 

Un  brano  di  storia  della  geologia  toscana,  a proposito  di 

una  recente  pubblicazione  del  signor  CoQUANi),  per 
Cablo  De  Stefani. 

Kecentemente  il  signor  Coquand  pubblicava  una  storia  dei 
terreni  stratificati  dell’  Italia  centrale,  compresi  fra  1’  epoca  pri- 
maria e la  giurese  inclusivamente,  (H.  Coquand,  Histoire  des 
terrains  stratifiés  de  Vltalie  centrale  se  référant  aux  périodes 
primaire,  paléozdique,  triasique,  rhétienne  et  jurassique.  JBull. 
Soc.  géol.  de  France.  S.  3,  T.  Ili,  1875,  1),  aggiungendo 

alcune  osservazioni  sugli  ordinamenti  finora  proposti,  e presen- 
tando una  serie  dei  terreni  medesimi  secondo  il  modo  nel  quale 
egli  la  intende.  Quando  comparisce  un  lavoro  di  un  geologo  spe- 
rimentato, gli  scenziati  ne  sentono  sempre  soddisfazione  e la 
scienza  ne  trae  guadagno,  tanto  più  se  le  questioni  geologiche 
riguardanti  ad  un  paese,  vengano  svolte  con  cognizione  da  uno 
straniero,  come  è per  noi  il  signor  Coquand,  il  quale  abbia  ve- 
dute numerose  e svariate  regioni,  e le  di  cui  osservazioni  esten- 
dono perciò  il  campo  delle  idee,  e generalizzano  gli  studi  dei 
geologi  anteriori.  A rendere  importante  il  lavoro  del  signor  Co- 
quand, basterebbe  di  per  sè  l’ idea  indicata  di  fuga  nel  termine 
del  medesimo,  di  una  rispondenza  geologica  fra  gli  strati  del 
Campigliese  e quelli  del  Djebel  Filfilah  nell’  Algeria,  idea  che 
r autore  si  propone  di  sviluppare  distesamente  in  un  altro  scritto, 
eh’  è ad  aspettarsi  abbia  prestò  a comparire. 

Però  ai  pregi  non  pochi  dei  quali  va  ornata  la  pubblicazione 
del  signor  Coquand,  stanno  riunite  alcune  mende,  nell’  aver  di- 
sconosciuto  0 nell’  aver  attribuito  ad  altri  i meriti  di  taluni  dei 
geologi  che  hanno  portata  maggior  luce  nella  geologia  toscana, 
delle  quali  mende,  per  dir  la  verità,  non  ha  tutta  la  colpa  l’il- 
lustre geologo,  dappoiché  non  gli  si  può  far  carico  di  non  aver 
conosciuti  bene  tutti  gli  scritti  comparsi  sopra  quella  parte  della 
geologia  d’ Italia  della  quale  egli  intendeva  fare  la  storia.  Ora, 
per  rendere  giustizia  a tutti,  attribuendo  a ciascuno  il  suo,  ed 


181  — 


attesa  l’ importanza  dell’  argomento,  perche  non  si  può  ben  com- 
prendere la  condizione  presente  della  geologia  quando  non  se  ne 
conosca  la  storia  passata,  e perchè  conoscendo  i pregiudizi  che 
vincolarono  la  scienza  nel  passato,  sarà  più  facile  liberarsene 
oggidì  e nell’  avvenire,  reputo  necessario  fare  alcune  aggiunte 
ed  alcune  rettificazioni  alla  storia  fatta  dal  signor  Coquand,  ri- 
facendola ora  di  bel  nuovo  con  brevi  parole. 

Lo  studio  di  questa  parte  della  geologia  toscana,  allorché  i 
primi  cominciarono  ad  occuparsene,  come  sempre  accade,  ebbe 
per  punto  di  partenza  1’  oscurità  e la  confusione  ; dopo  di  che, 
a poco  per  volta  si  rischiararono  i concetti,  si  sviluppò  1’  ana- 
lisi e s’ introdussero  le  debite  distinzioni,  il  quale  lavorio  è pur 
ora  ben  lungi  dall’  essere  compiuto.  Nello  stesso  tempo,  piano 
piano,  scomparve  l’ isolamento  che  sul  primo  poteva  credersi 
disgiungesse  la  geologia  della  Toscana  da  quella  delle  regioni 
circostanti  e del  rimanente  d’ Italia,  e si  scoprirono  invece  le 
comuni  leggi  ed  i rapporti  generali  dei  nostri  terreni  : infatti 
un  cotale  isolamento,  eh’  è naturale  sia  supposto  da  coloro  che 
pei  primi  e per  la  prima  volta  si  danno  a studiare  disgiunta- 
mente  diversi  paesi,  non  sarebbe  più  naturale  il  supporlo  quando, 
avanzati  meglio  gli  studi,  si  discopre  che  la  natura  non  opera 
a salti,  nè  in  modi  difformi  da  un  luogo  all’  altro,  nè  limita  le 
azioni  sue  a certe  piccole  regioni  determinate,  e molto  meno  a 
quelle  regioni  cui  1’  uomo  ha  imposto  dei  confini  per  comodo  di 
sè  0 per  fatto  della  storia. 

Abbandonate  le  teoriche  Werneriane  che  erano  sì  in  voga  in 
sul  principio  di  questo  secolo,  molti  geologi  si  fecero  seguaci  arditi 
del  Plutonismo,  e fra  questi  fu  il  Savi,  il  quale  ne’  suoi  scritti, 
fra  il  1829  ed  il  1832,^  riteneva  provata  T origine  ignea  dei 
calcari  cristallini  e metamorfici,  eh’  egli  comprendeva  col  nome 


• ’ Lettera  al  signor  Girolamo  Guidoni  di  Massa  ducale  contenente  osserva- 

zioni geologiche  sul  Campigliese.  — Nuovo  Giornale  dei  letterati.  — Torn.  XVIII, 
parte  scientifica,  1829. 

Seconda  lettera  geognostica  al  signor  Girolamo  Guidoni  concernente  il  Bar- 
gbigiano,  la  Garfagnana  e il  Pietrasan  tino.  — Nuovo  Giornale  dei  letterati,  1829. 

Sul  mischio  di  Serravezza,  roccia  plutonica.  — Nuovo  Giornale  dei  lette- 
rati.— Tom.  XIX,  parte  scientifica,  1830. 

Catalogo  ragionato  d’ una  collezione  geognostica  contenente  le  roccie  più 
caratteristiche  della  Toscana.  — Nuovo  Giornale  dei  letterati,  1830. 


182  - 


generale  di  calcari  dolomitici,  d’  accordo  in  ciò  cogli  altri  geo- 
logi e col  Guidoni  in  particolare/  Questi  calcari,  a idea  sua, 
erano  penetrati  a ino’  di  dighe  entro  terreni  stratificati  sotto- 
stanti alle  roccie  terziarie,  cioè  a quelle  che  vennero  poi  attri- 
buite al  miocene,  al  pliocene  ed  al  pliostocene  ; e que’  terreni 
stratificati,  non  essendovi  mai  stati  trovati  fossili,  erano  consi- 
derati come  primari,  e compresi  col  nome  generale  di  macigno. 
Senonchè,  fino  dal  1829,  il  Guidoni  avea  trovato,  negli  schisti 
argillosi  bruni  della  Spezia,  delle  Ammoniti  e delle  Belemniti, 
e il  De  la  Deche,  parlando  dei  terreni  di  quel  luogo,  aveva  pub- 
blicata la  scoperta,  notando  che  le  Belemniti  potevano  apparte- 
nere al  Lias,  e le  Ammoniti  potevano  indicare  la  parte  più  an- 
tica deir  epoca  giurassica/  Nell’  anno  successivo,  il  Guidoni, 
parlando  dei  medesimi  fossili,  diceva  non  poter  esservi  più  dub- 
bio sulla  natura  liassica  dei  terreni  che  li  racchiudevano,  e dava 
notizia  al  Savi  della  scoperta  di  altri  numerosi  fossili  di  vario 
genere  in  un  calcare  grigio  cupo,  pure  della  Spezia/  Dal  1830 
al  1832  lo  stesso  geologo  fortunato  scopriva,  alla  Tecchia,  presso 
Carrara  nelle  Alpi  Apuane,  dei  fossili  identici  a questi  del  cal- 
care grigio  della  Spezia.  Finalmente  il  Savi,  nel  1832,  pubbli- 
cava ^ la  scoperta  di  fossili  nel  calcare  di  San  Giuliano  nel  Monte 
Pisano,  e fra  gli  altri  di  certi  nuclei  aggruppati,  a sfoglie  con- 
centriche, i quali  egli  aveva  sospettato  prima  fossero  d’  Elvite  o 
di  altro  simile  minerale,  ma  che  poi  aveva  ritenuto  appartenere 
a resti  di  zoofiti  e forse  di  Alveoliti.^  Questi  calcari  non  pote- 
vano più  esser  detti  eruttivi,  nè  le  rocce  che  li  racchiudevano 


‘ G.  Guidoni.  Quadro  dei  terreni  che  compongono  la  corteccia  del  globo, 
di  Alessandro  Brongniart.  — Nuovo  Giornale  dei  letterati.  — Tom.  XIX,  parte 
scientifica,  1830. 

^ Note  sur  les  différences  soit  primitives  etc.  Annales  des  Sciences  naturel- 
les.  — Tom.  XVII,  Aoùt,  1829. 

® Considerazioni  geognostiche  sopra  le  Alpi  Apuane  ed  i marmi  di  Carrara., 
— Nuovo  Giornale  dei  letterali.  — Tom.  XIX,  1830. 

Osservazioni  geognostiche  sui  terreni  antichi  toscani,  concernenti  special- 
mente  i Monti  Pisani,  le  Alpi  Apuane  e la  Lunigiana.  — Nuovo  Giornale  dei 
letterati.  — Tom.  XXI,  parte  scientifica,  1832. 

® Più  tardi,  questi  medesimi  resti,  erano  attribuiti  dallo  Stoppani  alla  sua 
Evinospongia  vesciculosa  del  calcare  triassico  di  Esilio  nelle  Alpi  Lombarde, 
ma  secondo  alcuni  studii  del  Meneghini,  sembrano  appartenere  ad  una  Nullipora, 
di  specie  analoga  o forse  identica  a quella  di  Esilio. 


183  — 


potevano  altrimenti  essere  attribuite  all’  epoca  primaria  ; ed  il 
Savi  infatti  cominciò  a confermarsi  nella  credenza  di  un’  idea  che 
a poco  a poco  si  era  sviluppata  nella  sua  mente,  che  cioè  i calcari 
saccaroidi  e cristallini  non  fossero  se  non  trasformazioni  di  rocce 
nettuniane  contenenti  fossili.  Così  alle  teoriche  Werneriane  eran 
succedute  quelle  del  Plutonismo,  ed  alle  teoriche  del  Plutonismo, 
nello  spiegare  i fatti  della  geologia  toscana,  succedevano  quelle 
del  Metamorfismo  nel  senso  più  lato,  talché  tutti  i calcari  più 
0 meno  cristallini  erano  considerati  come  una  trasformazione 
degli  altri  compatti  ed  ordinari.  Queste  teoriche  hanno  avuto  il 
campo  fino  ai  giorni  nostri,  e la  loro  autorità  è lungi  ancora 
dall’  essere  cessata  : unico  rimasuglio  dell’  antico  Plutonismo,  che 
neppure  ora  è scomparso  del  tutto,  rimaneva  il  ritenere  come 
eruttivi  i calcari  cavernosi  e le  carniole.  Nella  pubblicazione  so- 
pra citata,  il  Savi,  adunque,  al  di  sotto  dei  terreni  terziari,  co- 
minciava a porre,  non  più  terreni  primari,  ma  terreni  secondari, 
ed  in  questi  distingueva  la  serie  del  Macigno  propriamente  detto, 
quella  sottostante  del  Calcare  compatto  e litografico  qua  e là 
trasformata  in  calcare  cristallino,  e la  serie  più  antica  di  schi- 
sti  cristallini,  divenuti  tali,  essi  pure,  per  metamorfismo,  a di- 
stinguere i quali  introdusse  per  la  prima  volta  il  nome  di  Yer- 
rucano,  nome  che  ebbe  singolare  fortuna,  e che  fu  adottato  dai 
geologi  fino  ad  oggi  pei  terreni  schistosi  cristallini  mancanti  di 
fossili;  ora  però,  dopo  le  scoperte  di  resti  organici  via  via  au- 
mentate, è diventato  un  nome  privo  di  significato  e che  può  dar 
luogo  ad  incertezze,  talché  è stata  fatta  convenzione  di  abban- 
donarlo. Nel  1833,  il  Savi,^  mantenendo  la  divisione  dei  terreni 
secondari  toscani  in  Macigno,  Calcare  compatto  e Verrucano, 
accettava  1’  opinione  dei  geologi  d’  allora,  che  il  Macigno  cor- 
rispondesse all’Arenaria  verde  ed  appartenesse,  come  questa,  al- 
r epoca  della  creta  superiore.  Il  De  la  Béche,  nello  stesso  anno,^ 
tornava  a parlare  delle  Ammoniti  Massiche  della  Spezia,  e di- 
scorrendo delle  Alpi  Apuane,  riconosceva  che  i banchi  marmorei 
facevano  parte  della  serie  delle  rocce  cristalline  sottostanti  ai 

' Tagli  geologici  delle  Alpi  Apuane  e del  Monte  Pisano,  e cenni  sull’  Isola 
d’ Elba.  — iVuo DO  Giornale  dei  letterati.  — Tom.  XXII,  parte  scientifica,  1833. 

^ Sur  les  environs  de  la  Spezia.  — Mém.  Soc.  géol.  de  France,  S.  I,  Voi.  I, 
pag.  32,  1833. 


— 184  — 


calcari  liassici,  vale  a dire  dovevano  ritenersi  come  una  parte 
di  quelle  roccie  che  il  Savi  denominava  del  Verrucano.  Così  il 
De  la  Béche,  che  era  stato  il  primo  a distinguere  il  lias  nei 
nostri  terreni,  era  il  primo  e fu  forse  V unico,  fino  al  comparire 
degli  scritti  del  Cocchi,  nel  1864,  che  ponesse  i marmi  Apuani 
nella  loro  vera  posizione  stratigrafica.  Nel  1837,  il  Savi^  con- 
fermava r ordinamento  della  parte  media  dei  suoi  terreni  se- 
condari, cioè  del  Calcare  compatto  nel  Lias  apenninico,  alla  quale 
epoca,  e non  all’  epoca  cretacea,  come  dice  il  Coquand  (pag.  32) 
avea  dovuto  attribuire  quella  roccia,  pei  fossili  già  trovativi  e 
descritti  ; al  di  sotto  rimaneva  il  Verrucano,  eh’  egli  diceva  al- 
lora più  recente  del  carbonifero,  e al  di  sopra  il  Macigno,  cre- 
duto, al  solito,  veramente  cretaceo  superiore.  Non  è adunque 
soltanto  dal  1843,  come  ritiene  il  Coquand  (pag.  33),  ma  da 
parecchi  anni  innanzi,  e per  effetto  degli  studi  paleontologici  già 
pubblicati  da  altri,  che  il  Savi  distingueva,  riponendoli  nel  lias, 
una  serie  di  strati  calcarei  differenti  dal  suo  terreno  cretaceo 
sovrastante.  Nel  1839,  1’  Hoffmann,  uno  dei  più  illustri  geologi 
tedeschi,  in  un  libro  ^ che  rimase  lungo  tempo  poco  conosciuto 
da  noi,  ma  che  è assai  importante,  e che  tuttora  dovrebbe  es- 
sere studiato,  riesaminando  i monti  della  Spezia  ed  i fossili  ivi 
trovati,  tornava  a distinguere  egli  pure  delle  Ammoniti  appar- 
tenenti al  Lias  inferiore. 

Nel  1843,  il  Savi,^  riconosciuta  nel  Monte  Pisano  ed,  a suo 
credere,  anche  altrove,  1’  esistenza  di  un  calcare  con  selce  infe- 
riore al  Macigno,  ma  superiore  agli  altri  calcari  eh’  egli  poneva 
nel  così  detto  Lias  apenninico,  ordinava  quello  nella  creta  infe- 
riore. Manifestò  poi  l’ idea  che  il  Verrucano,  alternando  nella 
sua  parte  superiore,  alla  Brugiana  ed  al  Capo  d’  Arco,  con  de- 
gli strati  calcarei,  e mostrando  così,  come  egli  diceva,  un  pas- 
saggio ai  calcari  superiori,  fosse,  come  questi,  liassico,  e più 
recente  del  Eeuper  ; sebbene  poi,  vedendo  nella  parte  inferiore 


‘ Sui  vari  sollevamenti  ed  abbassamenti  che  han  dato  alla  Toscana  la  sua 
attuale  configurazione.  — Nuovo  Giornale  dei  letterati.  — Tom.  XXVI,  parte 
scientifica,  1837. 

Geognostische  Beobachtungen  gesammelt  auf  einer  Reise  iiurch  Italien  und 
Sicilien.  — Karsten’s  Arch.  Band.  XIII. 

® Sopra  i carboni  fossili  delle  Maremme  toscane.  Pisa,  Nistri,  1843. 


185 


del  medesimo,  e steaschisti  e micaschisti  e gneis,  rocce  assai 
trasformate,  non  fosse  alieno  dal  porre  queste  fra  i terreni  pri- 
mitivi, 0 dal  considerarle  per  lo  meno  siccome  una  mutazione  di 
terreni,  in  origine  stratificati,  triassici  e paleozoici. 

Due  anni  dopo,  nel  1845,  il  Coquand  ’ pubblicava  uno  scritto, 
nel  quale  faceva  conoscere  la  discordanza  che  esisteva,  a parer 
suo,  tra  i calcari  cristallini  e ceroidi  delle  Alpi  Apuane  e della 
Toscana,  e gli  schisti  del  Verrucano  sottostanti,  e supponeva 
quelli  stratificati  entro  profonde  valli  nel  seno  di  questi,  attri- 
buendo i primi  air  epoca  carbonifera  e gli  ultimi  a quella  silu- 
riana.  I calcari  rossi  sovrastanti,  riconosciuto  il  vero  carattere 
delle  ammoniti  ivi  contenute,  li  poneva  definitivamente  nel  lias 
inferiore,  mentre  il  lias  superiore,  lo  trovava  rappresentato,  a 
ragione,  da  alcuni  schisti  sovrapposti,  contenenti  la  Posidonomya 
Bronni.  Nello  stesso  anno,  il  Pilla  ^ attribuiva  gli  schisti  cristallini 
alle  epoche  comprese  fra  il  trias  ed  il  siluriano,  i marmi  statuari 
al  lias  inferiore,  ed  i calcari  ammonitiferi  rossi  li  voleva  eguali  a 
quelli  della  Lombardia,  e perciò  tutti  Passici  superiori.  Contem- 
poraneamente, il  march.  Pareto,  discorrendo  della  geologia  della 
Liguria,^  si  faceva  a descrivere  il  Verrucano,  particolarmente 
quello  dei  monti  della  Spezia,  e lo  considerava  come  triassico. 
Nel  1846,  il  Savi,'^  in  uno  scritto  sui  monti  Pisani,  non  modifi- 
cava le  opinioni  manifestate  anche  dal  Pilla,  intorno  all’  epoca 
dei  calcari  bianchi  e di  quelli  rossi  ammonitiferi,  lasciava  il 
Verrucano  propriamente  detto  nel  lias  inferiore,  insieme  col  so- 
vrapposto calcare  bianco,  il  Macigno  nella  creta  superiore;  ed 
il  calcare  con  selce  sottostante  al  macigno,  da  lui  esaminato 
nel  1845,  rimaneva  nella  creta  inferiore,  insieme  con  una  serie 
di  schisti  rasati  che  egli  chiamava  e chiamò  d’ allora  in  poi 
schisti  varicolori.  In  quell’  anno  stesso,  il  Coquand  insisteva  con- 
tro il  Pilla, “ sull’  epoca  liassica  inferiore  del  calcare  rosso  del- 


‘ Tcrrains  stratifiés  de  la  Toscane.  — Bull.  soc.  géol.  de  France,  2®  Serie, 
voi.  II. 

^ Saggio  comparativo  dei  terreni  che  compongono  il  suolo  d’ Italia,  1845. 

® Cenni  geolosici  sulla  Liguria  marittima. 

O O O 

* Sulla  costituzione  geologica  dei  Monti  Pisani,  1846. 

® Note  sur  un  gisernent  de  gypse  au  promontoire  Argentare.  — Bull.  soc.  géol. 
de  France^  2®  Serie,  torn.  HI. 


— 186 


r Italia  centrale,  ed  attribuiva  poi  al  trias  le  carniole,  i gessi 
e certi  sctiisti  variopinti,  che  egli  aveva  studiati  nel  Grossetano. 
Il  Pilla,^  poi,  avendo  occasione  di  parlare  degli  schisti,  che  il 
Savi  aveva  appellati  varicolori  e posti  nella  creta  inferiore,  opi- 
nava che  facessero  parte  del  piano  giurassico  superiore,  ed  era 
nel  vero,  perchè  essi  corrispondevano  a quelli  del  Campigliese, 
nei  quali  il  Coquand  aveva  trovato  la  Fosicìonomya  Bronni.  Que- 
sto stesso  geologo  nel  1847,  in  una  replica  al  Coquand,^  invo- 
cando in  appoggio  del  suo  modo  di  vedere  la  disposizione  degli 
strati  rocciosi  nella  Lombardia  e nella  Toscana,  come  egli  la 
intendeva,  sosteneva  di  nuovo  che  il  calcare  ammonitifero  to- 
scano era  liassico  superiore,  come  quello  lombardo  : nella  mede- 
sima pubblicazione,  il  signor  Ezio  de  Vecchi  faceva  conoscere 
la  serie  degli  strati  della  Montagna  di  Cotona  nel  Senese,  dalla 
quale  si  palesava  T esistenza  nella  Toscana  di  una  seconda  zona 
di  calcare  rosso  ammonitifero  sovrapposta  alla  prima,  che  i geo- 
logi avevano  già  a lungo  esaminato,  e contenente  eziandio  fos- 
sili di  un’  epoca  più  recente.  Dal  canto  suo  il  Savi  pubblicava 
un  nuovo  lavoro,®  dove  accettava  il  modo  di  vedere  del  Pareto 
intorno  al  Verrucano,  e propendeva  con  lui  a ritenerlo  d’  ora 
innanzi  triassico  ; ma,  contro  P opinione  del  Pilla,  ed  in  man- 
canza, come  egli  diceva,  di  argomenti  positivi,  poiché  ancora  la 
scoperta  del  Coquand  non  aveva  portato  i suoi  frutti,  seguitava 
a ritenere  come  cretacei  inferiori  i così  detti  schisti  varicolori. 
Finalmente  nel  1851  compariva  una  pubblicazione  del  Savi  e del 
Meneghini,^  che  si  può  dire  la  prima  nella  quale  fosse  ampia- 
mente descritta  la  geologia  della  Toscana,  ed  ancora  oggi  a 
molte  delle  questioni  ivi  trattate  nulla  è stato  aggiunto  di  nuovo, 
anzi  si  è dovuto  ritornare  qualche  volta  a quella  pura  fonte, 
scancellando  confusioni  introdotte  dappoi.  In  quella  pubblicazione. 


* Distinzione  del  terreno  Etrurio  tra  i piani  secondarii  del  mezzogiorno 
d’  Europa,  1846. 

^ Pilla.  Notice  sur  le  calcaire  rouge  ammonitifère  de  l’italie.  — Bull.  soc. 
géol.,  2®  Sèrie,  tom.  II,  1842. 

® Considerazioni  sulla  struttura  geologica  delle  montagne  pietrasantine. 
Massa,  1847. 

Osservazioni  stratigrafiche  e paleontologiche  concernenti  la  geologia  della 
Toscana. 


— 187 


il  Verracano  era  attribuito  al  Carbonifero,  attesa  la  scoperta  di 
molti  fossili  di  queir  epoca  negli  schisti  antichi  di  Jano  ; i cal- 
cari grigio-cupi  sovrastanti  erano  posti  nel  trias,  d’  accordo  in 
questo  cogli  studi  del  Coquand  nel  Grossetano  ; il  calcare  ce- 
roide, il  calcare  rosso  e quello  grigio -chiaro  con  selce,  erano 
attribuiti  al  lias  inferiore.  Nell’  oolite  eran  posti  finalmente  gli 
schisti  varicolori  a Fosidonomya  JBronni;  ed  i calcari  grigi  con 
selce  superiori,  d’accordo  con  una  opinione  del  Murchison,  erano 
lasciati  nella  creta  inferiore,  cioè  nel  Neocomiano. 

Il  signor  Coquand  (p.  39)  dice  che  il  calcare  rosso  toscano 
fu  dal  Savi  e dal  Meneghini  posto  nel  lias  superiore,  ma  in 
ogni  parte  del  testo,  nella  quale  sono  svolte  le  considerazioni  che 
possono  condurre  a determinare  la  vera  epoca  di  quel  terreno, 
troppo  chiaramente  più  e più  volte  si  palesa  che  gli  autori 
escludono  1’  attribuzione  del  calcare  rosso  e di  quello  grigio  con 
selce  a quell’  epoca.  Basterà  eh’  io  citi  fra  le  altre  le  parole 
seguenti  : « Esaminando  la  lista  di  tutte  le  ammoniti  e degli 
altri  fossili  ritrovati  negli  indicati  calcari  (rossi),  ne  apparisce 
che  il  maggior  numero  di  questi  è dei  propri  al  Lias  inferiore, 
ed  il  numero  minore  al  superiore.  Adunque,  fa  di  mestieri  con- 
venire che  il  posto  da  assegnarsi  nella  serie  geologica  ai  detti 
calcari  si  è nella  parte  inferiore  del  sistema  Giurese,  vale  a dire 
nel  periodo  Liassico,  appunto  cpme  il  prof.  Coquand  lo  sostenne 
fino  dal  1846,  e non  nel  Giura  superiore  come  uno  di  noi  lo 
classò  allorquando  descrisse  i Monti  oltre  Serchio  » (p.  324,  325). 

Pochi  anni  dopo  la  pubblicazione  dell’  opera  sopraccitata,  nel 
1853,  il  Meneghini,’  in  un  nuovo  scritto,  dopo  avere  aggiunta  una 
serie  di*  nuove  specie  fossili,  e,  dopo  avere  fatte  alcune  osservazioni 
sopra  la  promiscuità  di  Ammoniti  appartenenti  a varie  epoche  del 
lias  ma  specialmente  al  lias  inferiore,  esistenti  nel  calcare  rosso 
toscano,  conclude  (p.  17):  «non  esitiamo  d’asserire  confermato 
da  questi  nuovi  studii  quanto  fu  detto  nelle  Considerazioni  in- 
torno al  nostro  calcare  rosso  ammonitifero,  che  esso  non  si  può 
conguagliare  a quello  dell’Apennino  centrale  e delle  Alpi  lom- 
barde, il  quale  è decisamente  liassico  superiore.  » Nel  1864  poi, 
il  Savi,  in  uno  scritto  che  non  è conosciuto  dal  Coquand,  e che 


* Nuovi  fossili  toscani.  — Annali  dell’  Università  toscana,  torn.  HI. 


188  — 


fu  uno  degli  ultimi  da  lui  pubblicati,'  riferendendosi  agli  scritti 
già  pubblicati  da  lui  e dal  Meneghini  sui  fossili  toscani,  diceva 
(p.  11  e 12)  : « la  nostra  calcaria  rossa  ammonitifera  trovasi 
cotanto  ricca  di  ben  conservati  modelli  d’ ammoniti  e d’ altri 
fossili  da  caratterizzarla  nel  modo  il  più  certo  come  apparte- 
nente air  epoca  del  Lias  inferiore.  » Soltanto  la  promiscuità  di 
tipi  diversi  d’  Ammoniti  fece  sì,  secondo  il  modo  diverso  di  in- 
tenderla, che  il  terreno  il  quale  racchiudeva  quei  fossili  potesse 
venire  attribuito  all’  uno  od  all’  altro  dei  due  estremi,  al  lias 
inferiore  cioè  od  al  lias  medio,  ma  non  mai  al  lias  superiore,  ed 
il  Meneghini,  in  una  lettera  al  vom  Rath,  considera  infatti  il  cal- 
care rosso  ammonitifero  toscano,  come  liassico  medio. ^ Ma  però, 
dal  1851  in  poi,  sempre  ed  in  tutti  gli  scritti  del  Meneghini, 
del  Savi  e dei  loro  discepoli,  il  calcare  rosso  toscano  fu  distinto 
dal  calcare  rosso  ammonitifero  della  Lombardia  e dell’  Apennino 
centrale,  e fu  attribuito  ad  epoca  più  antica;  anzi  gli  studii  pa- 
leontologici pubblicati  dal  Meneghini  in  quell’  anno  e negli  anni 
successivi  sono  stati  il  fondamento  per  ischiatire  quella  vera  epoca. 
Le  inesattezze  nelle  quali  cadde  il  lavoro  pubblicato  nel  1851 
dal  Savi  e dal  Meneghini,  derivarono  dal  non  avere  riconosciuto 
il  rovesciamento  degli  strati  esistente  nel  promontorio  occiden- 
tale della  Spezia,  dall’  aver  preso  come  tipico  dei  diversi  ter- 
reni un  determinato  luogo,  e dall’  aver  voluto  ricondurre  a quel 
tipo  i terreni  di  altre  regioni,  talché  furono  ringiovaniti  di  età 
e non  bene  disposti,  certi  sedimenti  della  Spezia,  delle  Alpi 
Apuane  e dei  monti  della  Maremma,  nei  quali  apparivano  dei 
terreni  più  antichi,  non  tenuti  in  conto  negli  ordinamenti  proposti. 

Gli  scritti  successivi,  fino  al  1862,  del  Savi  e del  Meneghini 
e del  loro  discepolo  il  Cocchi,  non  si  allontanano  in  sostanza 
dai  principii  manifestati  nel  1831  e nel  1851. 

Nel  1862,  il  Capellini  pubblicava  i suoi  studii  sopra  i fossili 
del  calcare  grigio  cupo  dei  monti  della  Spezia/  e riconosceva  che 


* Sulla  costituzione  geologica  delle  elissoidi  della  catena  metallifera.  — Nuovo 
Cimento,  voi.  XVIII. 

^ Geognostische  mineralogische  Fragmente  aus  Italien.  Die  Berge  von  Campi- 
glia  (Zeitsch.  d.  deutsch.  geol.  Gesell.  1868). 

^ Studii  stratigrafici  paleontologici  sull’  Infralias  nelle  montagne  del  golfo 
della  Spezia. 


— 189  — 


dessi,  ritenuti  Neocomiani  dal  Savi  e dal  Meneghini,  e Giuresi,  da 
lungo  tempo,  dal  Pareto,  dovevano  ascriversi  all’  età  infraliassica, 
da  non  antica  data  introdotta  a far  parte  della  famiglia  de’  ter- 
reni. Questo  lavoro  del  Capellini  fu  di  una  importanza  grandissima, 
per  aver  ben  precisata  1’  epoca  di  una  delle  più  importanti  rocce 
dell’  Italia  centrale,  e per  l’ impulso  che  n’  è derivato  alla  deter- 
minazione degli  altri  sedimenti  delle  Alpi  Apuane  e della  To- 
scana, ed  in  ciò  sta  il  principalissimo  merito  di  quell’  illustre 
geologo  riguardo  allo  studio  dei  terreni  più  antichi  dell’  Italia 
centrale.  In  quegli  studii  ed  in  quelli  successivi  del  Capellini,  le 
altre  rocce  sono  lasciate  in  sostanza  nel  posto  già  attribuito  loro 
dal  Savi  e dal  Meneghini.  Adunque,  per  amore  della  giustizia, 
modificando  una  parte  di  quello  che  il  signor  Coquand  ha 
detto  (p.  40),  si  deve  attribuire  al  Savi  ed  al  Meneghini,  1’  altro 
merito  di  avere,  già  da  un  pezzo,  fissato  « d’une  manière,  je 
dirai  presque  irrévocable.  Page  et  la  position  des  terrains  juras- 
siques  qui  surmontent  l’infralias  dans  l’Italie  centrale.  » 

La  scoperta  dell’  infralias  da  parte  del  professor  Capellini 
fece  sì  che  dipoi,  il  Meneghini  ^ ed  il  Savi,^  parlando  di  altri 
terreni  della  Toscana,  ne  abbiano  riferiti  alcuni  a quell’  epoca, 
p.  es.,  i calcari  ceroidi  e saccaroidi,  benché  senza  prove  mate- 
riali, come  essi  stessi  riconoscevano. 

Nel  1864,  compariva  un  lavoro  del  Cocchi,  il  quale  faceva 
progredire  di  molto  le  cognizioni  sulla  geologia  delle  Alpi  Apuane.^ 
Egli  dava  a conoscere  come  vi  si  trovassero  dei  terreni  più  an- 
tichi di  quanti  erano  stati  fino  allora  osservati  nella  Toscana,  e 
notava  come  dovesse  essere  invecchiata  d’ assai  tutta  la  serie  delle 
rocce  che  ivi  era  stata  considerata  dal  Savi  e dal  Meneghini;  ac- 
cettando però  una  opinione  dello  Stoppani,  attribuiva  al  trias  i 
calcari  ceroidi  del  Monte  Pisano  e di  Maremma,  che  pei  loro  fossili 
erano  già  stati  riconosciuti  come  appartenenti  al  lias  inferiore. 
Proponeva  poi  un  ordinamento,  dal  trias  al  laurenziano,  degli 
schisti  e dei  calcari  che  novellamente  aveva  fatti  osservare  come 
più  antichi  di  tutti  gli  altri,  il  quale  ordinamento  però  non  poteva 
se  non  essere  artificiale,  mancando  ogni  documento  paleontologico 

‘ Saggio  sulla  costituzione  geologica  della  provincia  di  Grosseto,  1865, 

^ Sulla  cost.  geol.  delle  eliss.  della  cat,  met.,  1864. 

® Sulla  geologia  dell’  Italia  centrale. 


--  190  - 


sul  quale  fondarlo.  I lavori  successivi  del  Cocchi  non  mutano  in 
sostanza  gli  ordinamenti  da  lui  proposti.  Nel  1868,  il  Meneghini, 
in  una  lettera  pubblicata  dal  vom  Eath,  manifestando  le  conclu- 
sioni da  lui  tratte  dallo  studio  de’  fossili  del  calcare  dolomitico  di 
Campiglia,  confermava  che  il  medesimo  dovesse  essere  attribuito 
al  lias  inferiore. 

Nel  1874,  alla  mia  volta,  io  pubblicavo  le  conclusioni  di 
alcuni  studii  geologici  sulle  Alpi  Apuane  e sul  Monte  Pisa- 
no ; * riconoscevo  la  verità  degli  studii  del  Cocchi  sulla  mag- 
gior antichità  delle  rocce  più  profonde  delle  Alpi  Apuane,  tor- 
navo ad  attribuire  al  lias  inferiore  i calcari  ceroidi  che  il  Cocchi 
aveva  ritenuto  triassici,  confermavo  V opinione  del  Capellini  in- 
torno all’  esistenza  dei  calcari  infraliassici  nel  Monte  Pisano, 
attribuivo  i calcari  saccaroidi  apuani  al  trias,  fondandomi  sugli 
studii  paleontologici  del  Meneghini,  manifestavo  1’  opinione  che 
il  calcare  grigio  ammonitifero  potesse  distinguersi  dal  rosso  ed 
attribuirsi  al  lias  medio,  e trovavo  nelle  Alpi  Apuane  la  pre- 
senza di  tutte  le  rocce  giuresi  e cretacee  i cui  tipi  erano  stati 
esaminati  dal  Savi  e dal  Meneghini  nel  Monte  Pisano. 

Finalmente  il  Coquand,  nel  1874,  pubblicava  alcune  osservazioni 
sui  marmi  delle  Alpi  Apuane  e dei  Pirenei,^  e nel  1875  ne  aggiun- 
geva altre  sui  terreni  antichi  dell’  Italia  centrale  nell’  opuscolo, 
sul  quale  ho  inteso  ora  di  fare  le  presenti  osservazioni.  Egli 
ritiene  tuttavia  i marmi  toscani  ed  apuani  depositati  posterior- 
mente ed  in  maniera  discordante  sopra  tutta  la  massa  degli 
schisti  sottostanti,  confondendo  nelle  Alpi  Apuane  gli  schisti  su- 
periori ai  marmi  con  quelli  inferiori.  Ora  si  sa  che  i marmi  di 
Yecchiano  nelle  Alpi  Apuane,  del  Monte  Pisano,  di  Campiglia  e 
di  Gerfalco,  pella  loro  posizione  stratigrafìca,  sono  sovrastanti 
bensì  a tutta  la  serie  degli  schisti  cristallini  ; ma  i calcari  mar- 
morei intensamente  metamorfosati  delle  Alpi  Apuane,  del  Capo 
Corvo,  dell’  Isola  d’  Elba  e del  Monte  Argentare  sono  frapposti 
e limitati  in  concorde  stratificazione  dagli  schisti  cristallini,  che 
in  conseguenza  stanno  sotto  e sopra  i medesimi.  Perciò  i marmi 

’ Considerazioni  stratigrafìche  sopra  le  roccie  più  antiche  delle  Alpi  Apuane 
e del  Monte  Pisano  {Bollettino  B.  Com.  Geologico,  1874-75). 

^ De  ì’àge  et  de  la  position  des  maibres  blancs  statuaires  des  Pirénées  et 
des  Alpes  Apuénnes  en  Toscane.  {Compt.  rend.  Ac.  Se.  tom.  79). 


— 191  — 


primi  menzionati  non  possono  venir  posti  al  pari  coi  secondi,  e 
se  questi  secondi  potrebbero  essere  carboniferi,  come  il  Coquand 
vuole  (sebbene  appaiano  piuttosto  triassici,  pei  fossili  che  con- 
tengono), i primi  rimangono  però,  per  cagione  dei  loro  fossili, 
nel  lias  inferiore. 

Ora,  aggiungerò  alcune  parole  sopra  talune  opinioni  mani- 
festate dal  Coquand  relativamente  a quelle  rocce  delle  quali 
egli  discorre.  Egli  dice  (p.  39),  parlando  delle  Osservazioni  stra- 
tigraficìie  del  Savi  e del  Meneghini  che,  « à coup  sur  le  terrain 
néocomien  n’est  représenté  nulle  part  dans  les  Alpes  Apuennes, 
ni  dans  la  partie  centrale  de  Tltalie  dont  il  est  fait  mention 
dans  le  mémoire  que  nous  analysons.  » Invece,  gli  studi!  recenti 
confermano  V esistenza  di  quel  calcare  grigio  talora  con  selce, 
e talora  senza,  zeppo  di  foraminifere,  superiore  alle  rocce  Mas- 
siche, che  il  Murchison,  il  Savi  ed  il  Meneghini,  in  parte  ave- 
vano studiato  ed  attribuito  all’  epoca  neocomiana,  e che  per  ora 
va  ritenuto  come  tale,  sinché  non  sia  compiuto  lo  studio  dei  fos- 
sili che  vi  sono.  Il  nostro  Autore  poi,  in  questo  nuovo  studio, 
non  ha  lasciata  quella  sua  idea,  non  conforme  alla  realtà  delle 
cose,  già  manifestata  nello  scritto  intitolato  Terrains  stratifiés 
de  la  Toscane,  pubblicato  nel  1845,  e sulla  quale  io  ho  parlato 
più  a lungo  altrove.^  L’essere  i fossili  del  calcare  ceroide,  oltre  a 
tutte  le  relazioni  stratigrafiche  e litologiche  della  roccia,  cono- 
sciuti ai  geologi  toscani,  ha  fatto  sì  che  il  Cocchi  pure  ritenesse  ben 
distinti  dagli  altri  i marmi  delle  Alpi  Apuane  e « n’ait  point 
donné  des  raisons  pour  prouver  un  non-synchronisme  qu’il  se 
contente  d’énoncer  » (p.  43).  Non  mi  fermerò  poi  a considerare 
le  ragioni  per  le  quali  il  signor  Coquand,  che  trova  analogia  fra 
gli  schisti  ampelitici  siluriani  dei  Pirenei  e gli  schisti  ampeli- 
tici  di  Levigliani,  pone  anche  questi  nel  siluriano  ; poiché,  ne’  ter- 
reni più  antichi  ed  a non  piccole  distanze,  le  rassomiglianze  lito- 
logiche ingannano  frequentemente,  e,  fino  a che  non  intervengano 
dei  fossili,  non  si  potrà  riconoscere  se  siano  nel  vero  il  signor 
Coquand,  che  attribuisce  quelle  rocce  al  siluriano,  o gli  altri  geo- 
logi, che  le  attribuiscono  ad  epoca  più  recente,  forse  carbonifera. 

Ed  ora,  nel  finire,  di  nuovo  dichiaro  che  ho  inteso  fare  que- 

’ Studio  sulla  stratigrafia  degli  schisti  di  Ripa  e dei  marmi  del  Monte  Costa, 
della  Cappella  e di  Trambiserra.  (Ntiovo  Cimento,  S.  2,  voi.  V-VI.) 


— 192  — 


ste  osservazioni  soltanto  per  amore  del  vero,  e non  perché  di- 
sconosca i meriti  del  signor  Coquand,  che  sono  oramai  superiori 
ad  ogni  critica;  ripeto  che  i lavori  di  un  geologo,  come  egli  è, 
sono  sempre  avidamente  studiati  da  chi  si  occupa  della  mede- 
sima scienza,  e qualche  difetto  che  entro  vi  sia,  non  ne  offusca 
per  niente  i pregi  numerosi,  nè  scema  la  utilità  che  se  ne  trae. 

La  serie  dei  fossili,  che  il  signor  Coquand  ha  tratta  dalle 
opere  pubblicate  fin  qui,  deve  essere  oggigiorno  assai  ampliata  e 
modificata  : il  signor  Bornemann,  dopo  il  Capellini,  ha  ristudiati 
alcuni  fossili  dell’  infralias  della  Spezia,  ed  il  signor  Meneghini 
ha  continuati  gli  studii  sui  fossili  Massici  toscani,  e si  propone 
quanto  prima  di  correggere  il  catalogo  dei  medesimi.  Se  il  de- 
siderio dei  geologi  e dei  paleontologi  può  valer  qualche  cosa, 
speriamo  che  lo  induca  a non  tardare  la  pubblicazione  di  quel 
lavoro  che  in  gran  parte  ha  già  compito.  Intanto,  siccome  mo- 
dificazione all’  ordinamento  proposto  dal  Coquand,  presento  rin- 
novato lo  specchio  dei  terreni  stratificati  dell’  Italia  centrale, 
dal  Neocomiano  in  giù,  nel  modo  che,  a parer  mio,  si  dovrebbe 
intendere,  secondo  le  recenti  notizie. 


Cretaceo  

Lias  superiore.  . . 

Lias  medio  


Lias  inferiore.  . . 


Infralias 


Trias 


( Calcari  grigi  con  selce  e con  foraminifere  ; Monte  Pisano,  Val 
( di  Lima,  Alpi  Apuane. 

/ Schisti  coticolari  e varicolori  : Campiglia  di  Maremma,  Campi- 
? glia  di  Spezia,  Alpi  Apuane,  Monte  Pisano. 

\ Calcari  rossi:  Cotona,  Val  di  Lima,  Val  di  SercMo  inferiore. 

( Calcare  grigio  con  selce  ammonitifero  ; Spezia,  Corfino,  Alpi 
I Apuane,  Monte  Pisano,  Monsummano,  Campiglia,  Cotona. 

(Calcari  rossi,  gialli  e verdi  : Spezia,  Alpi  Apuane,  Apennino  set- 
tentrionale, Monte  Pisano,  Monsummano,  Montagnola  Senese, 
Campiglia,  Gerfalco,  Caldana,  Cotona. 

Calcari  neri  e .ceroidi  : Spezia,  Alpi  Apuane,  Monte  Pisano,  Mon- 
tagnola Senese,  Campiglia,  Gerfalco. 

/ Calcari  grigio-cupi,  compatti,  cavernosi,  dolomitici  e gessosi  : 
l Spezia,  Alpi  Apuane,  Apennino  settentrionale.  Monte  Pisano, 
1 Gorgona,  Jano,  Montagnola  Senese,  Monsummano,  Campiglia, 
i Elba,  Gerfalco,  Montieri,  Serrabottini,  Casal  di  Pari,  Cotona, 

r Monte  Argentare,  Formiche,  Gavorrano,  Giglio,  Monte  Orsaio, 
\ Bella  Marsilia,  Ansedouia,  Capalbio,  Capalbiaccio,  Giannutri. 

! Calcari  saccaroidi  e grezzoni:  Capo  Corvo,  Alpi  Apuane,  Monte 
Argentare,  Elba. 

Schisti  micacei  e grauvake  : Spezia,  Camporaglieiia  nell’  Apen- 
nino, Alpi  Apuane,  Monte  Pisano,  Jano,  Montieri,  Serrabot- 
tiui.  Monte  Orsaio,  Bella  Marsilia,  Capalbio,  Capalbiaccio, 
Monte  Argentare,  Elba,  Giglio,  Gorgona,  Montagnola  Senese. 


Carbonifero Schisti  carboniferi:  Jano  (altrove?). 


Precarbonifbro  ? . . . Schisti,  gneiss  e dolomiti  centrali:  Alpi  Apuane,  Alpi  marittime. 


193  -- 


NOTIZIE  DIVERSE. 


Carta  Topografica  (F  Italia.*  — Questa  carta  fu  iniziata , 
come  è noto,  nel  1862,  e trattandosi  d’  un’  opera  al  cui  com- 
pimento, senza  parlare  dei  mezzi  d’  ogni  natura,  era  necessario 
un  considerevole  periodo  di  tempo,  fu  saggio  consiglio  comin- 
ciarla per  le  provincie  meridionali.  Ivi  in  fatti  i lavori  per  la 
costruzione  di  carte  topografiche  non  avevano  potuto  essere  spinti 
innanzi  con  tale  alacrità  da  porre  le  provincie  stesse  in  grado 
di  somministrare  al  nuovo  Stato  quel  contingente  di  materiale 
cartografico  che  fu  dato  dalle  altre. 

Il  lavoro  per  la  carta  delle  provincie  meridionali  è ormai 
giunto  al  suo  termine,  ed  è riuscito  tale  da  reggere  con  onore 
il  confronto  coi  materiali  analoghi  ottenuti  all’  estero  e da  sod- 
disfare pienamente  a tutte  le  esigenze.  Colla  spesa  relativamente 
tenue  di  due  milioni,  non  solo  si  condussero  a termine  tutti  i 
lavori  per  la  costruzione  della  carta  propriamente  detta,  e per 
una  sua  riproduzione  con  metodi  celeri,  ma  si  potrà  anche  fare 
una  seconda  pubblicazione  artisticamente  finita. 

Sennonché  oggidì  è divenuto,  si  può  dire,  altrettanto  urgente 
il  proseguire  il  lavoro  anche  nelle  regioni  centrali  e settentrio- 
nali, il  cui  materiale  topografico  è ben  lungi  dal  soddisfare' a 
quelle  condizioni  che,  di  fronte  agli  odierni  bisogni,  sono,  più 
che  desiderabili,  assolutamente  necessarie. 

Ed  in  vero,  se  vogliasi  fare  astrazione  di  alcuni  rilievi  di 
limitatissime  porzioni  di  terreno  di  singolare  importanza  mili- 
tare, e di  poche  carte  generali  di  regione,  pubblicate  a piccola 
scala  e quindi  non  appartenenti  propriamente  alla  specie  delle 
topografiche  e disadatte  agli  usi  cui  queste  debbono  servire,  non 
possediamo  per  le  summentovate  regioni  che  le  seguenti  carte  : 
a)  Carta  delle  antiche  provincie  Sarde  alla  scala  del  50,000  ; 
ò)  Carte  dell’  ex-regno  Lombardo-Veneto,  dei  Ducati,  della 
Toscana  e degli  ex-Stati  Pontifici,  alla  scala  del  86,400. 

* Dai  Bollettino  della  Società  Geografica  Italiana,  voi.  II,  fase.  1-2. 

13 


- 194  — 


Oltreché,  per  la  diversità  delle  scale  e dei  metodi  di  rap- 
presentazione del  terreno,  queste  carte  mancano  di  quel  carat- 
tere di  uniformità  che  si  richiede  perchè  formino  un  tutto  omo- 
geneo, sicché  si  possa  confrontarle,  connetterle  e farne  uso 
promiscuo  in  quegli  studi  che  abbracciano  estese  zone  di  ter- 
reno, esse  presentano  anche  numerosi  e gravi  difetti  intrìnseci, 
inerenti  ai  procedimenti  di  costruzione.  Basti  ricordare  che  nes- 
suna delle  carte  in  discorso  è stata  costrutta  in  seguito  a re- 
golare e minuta  triangolazione,  base  necessaria  ad  una  esatta 
planimetria  ; che  anche  i particolari  topografici  furono  per  lo  più 
desunti  da  antiche  mappe  catastali  di  diversissimo  valore  anziché 
direttamente  dai  terreno,  le  forme  di  questo  raramente  rilevate 
con  metodi  regolari  e talvolta  poco  meglio  che  a vista,  le  in- 
dicazioni altimetriche  in  alcune  deficienti,  in  altre  affatto  man- 
canti, e parimenti  mancanti  le  curve  orizzontali,  elementi  essen- 
zialissimi sia  in  se  stesse  sia  come  guida  al  tratteggio,  per  la 
valutazione  delle  altezze  relative  e delle  pendenze. 

Se  in  altri  tempi  ed  in  circostanze  nelle  quali  non  era  age- 
vole 0 possibile  il  rinnovarle,  potevano  siffatte  carte  considerarsi 
come  rappresentazioni  sufficientemente  approssimative  del  terreno, 
oggidì  si  vuole  dalla  topografia  ben  più  di  ciò  che  esse  possono 
dare,  cioè:  planimetria  geometricamente  esatta,  entro  i limiti 
della  figurazione  grafica,  ed  altezze  e pendenze  rigorosamente  e 
minutamente  determinabili. 

V Che  se  a questi  argomenti  vogliasi  aggiungere  anche  l’ esempio 
delle  idee  che  prevalgono  e di  ciò  che  si  fa  in  simile  materia 
air  estero,  basti  il  citare  la  Germania  e 1’  Austria-Ungheria,  le 
quali,  sebbene  già  dotate  di  ricco  materiale  topografico,  atten- 
dono ora  alacremente  a preparare  una  nuova  carta  speciale  a 
grande  scala  dei  loro  territorii,  e la  Svizzera  stessa,  che,  non 
paga  della  bellissima  carta  del  Dufour  al  100,000,  ha  intrapreso 
già  da  alcuni  anni  e condotto  a buon  punto  la  costruzione  di  un 
nuovo  atlante  topografico  a scala  promiscua  del  25,000  e 
del  50,000  come  pure  la  riduzione  di  entrambe  al  250,000. 

Riguardo  al  metodo  di  esecuzione,  il  ministro  della  guerra, 
in  un  progetto  di  legge  presentato  alla  Camera  per  la  continua- 
zione e il  compimento  della  Carta  topografica  d’ Italia,  propone 
di  continuare  quello  seguito  per  la  carta  delle  provincie  meri- 


— 19Ò 


dionali,  il  quale  consiste  nel  fare  i rilievi  ed  una  prima  ripro- 
duzione speditiva  alla  scala  del  50,000  e quindi  una  seconda 
pubblicazione  artisticamente  finita  al  100,000.  Questo  partito  è 
consigliato  dalla  bontà  dei  risultati  ottenuti,  non  meno  che  da 
ovvie  ragioni  di  omogeneità. 

Si  faranno  tuttavia  alcune  eccezioni,  imperocché  nella  carta 
topografica  dell’  Italia  media  e superiore  si  dovrà,  in  proporzione 
assai  maggiore  che  non  per  le  provincie  meridionali,  adottare  la 
scala  del  25,000  nei  rilievi  di  quelle  zone  per  le  quali,  sia  per 
la  loro  speciale  importanza  militare,  sia  per  essere  più  fittamente 
cosparse  di  particolari  topografici,  la  scala  al  50,000  riuscirebbe 
soverchiamente  piccola. 

In  tal  modo,  prendendo  per  unità  di  misura  il  foglio  della 
pubblicazione  definitiva  al  100,000,  che  comprende  circa  1500 
chilometri  quadrati  di  terreno,  la  carta  d’ Italia  comprenderà 
nel  suo  complesso  287  fogli,  i quali  però,  detratti  quelli  che  non 
conterranno  che  scritture  e segni  convenzionali,  e fatta  la  debita 
riduzione  per  molti  che,  per  effetto  della  configurazione  del  paese, 
riusciranno  parzialmente  vuoti,  si  possono  considerare  ridotti  a 
soli  195  effettivamente  pieni.  Di  questi,  67  costituiscono  la  parte 
spettante  alle  provincie  meridionali,  e per  altri  10  circa  esistono 
già  levate  parziali  in  varie  zone,  cosicché  il  lavoro  che  realmente 
rimane  a compiersi  é rappresentato  da  118  di  tali  fogli,  dei 
quali  93  da  levarsi  alla  scala  del  50,000  e 25  a quella  del  25,000. 

La  spesa  reputata  necessaria  al  compimento  della  Carta  to- 
pografica d’ Italia  é di  4,400,000  lire,  e per  minor  aggravio  delle 
finanze  sarà  ripartita  in  ragione  di  due  o trecentomila  lire  al- 
r anno. 

Pseudomorfìsmo  del  serpentino.^ — Nella  seduta  del  19  no- 
vembre 1874  della  Imp.  Accademia  delle  Scienze  di  Berlino  il 
prof.  G.  vom  Bath  descrisse  alcuni  fenomeni  di  pseudomorfismo 
osservati  nel  serpentino  dell’  Alpe  di  Pesmeda  nel  gruppo  dei 
Monzoni  in  Tirolo.  La  sienite,  la  diorite,  ed  una  pietra  verde 
augitica,  che  costituiscono  la  sommità  dei  Monzoni,  si  fanno 
strada  attraverso  a un  calcare  triassico  in  parte  cristallino,  il 
quale  contiene,  presso  il  contatto  con  dette  rocce,  molti  silicati 
cristallizzati,  come  fassaite,  vesuvianite,  gehlenite,  granato,  spi- 


— 196  - 


nello,  ec.  In  una  alta  costa  che  raggiunge  V Alpe  di  Pesmeda, 
ad  una  altitudine  di  circa  2300  metri,  il  calcare,  al  contatto  con 
la  pietra  verde  augitica,  offre  cristalli  colla  forma  della  monti- 
cellite  insieme  con  altri  di  anortite,  granato  e spinello.  I cri- 
stalli di  monticellite,  alcuni  dei  quali  sono  lunghi  cinque  centi- 
metri,  sono  tutti  trasformati  in  serpentino,  e si  trovano  insieme 
con  fassaite,  e con  uno  spinello  verde-nerastro  il  quale  è anch’  esso 
in  parte  sostituito  da  serpentino.  Il  colore  dei  cristalli  pseudo- 
morti  è brunastro,  giallastro  e talvolta  bianco;  la  loro  costitu- 
zione interna  è affatto  irregolare.  In  quella  località  non  si  tro- 
vano traccio  di  monticellite  inalterata,  ma  essa  è visibile  allo 
stato  compatto  (batrachite  di  Breithaupt)  a ponente  dell’  Alpe 
di  Pesmeda  e al  S.  E.  dei  Monzoni  presso  il  contatto  del  calcare 
colla  sienite ; questo  minerale  massiccio  è però  alterato  all’esterno. 
— Lo  stesso  vom  Patii  poi  assicura  che  nella  medesima  località 
si  rinviene  la  monticellite  alterata  in  fassaite,  in  cristalli  di  3 cen- 
timetri 0 meno  di  lunghezza,  i quali  hanno  talvolta  un  nucleo  | 
di  serpentino  o di  calcite  : ciò  dimostrerebbe  che  questo  secondo  ; 

metamorfismo  precede  sempre  quello  della  serpentina.  I 

! 

j 

studi!  paleontologi(d  nel  Vicentino.  — Nella  seduta  del- 
P 11  marzo  1875  della  Imp.  Accademia  delle  Scienze  in  Vienna, 
il  prof.  Al.  Bittner  presentò  una  Memoria  sopra  i Brachmri  dei 
terreni  terziari  del  Vicentino,  nella  quale  sono  descritte  parecchie 
nuove  specie  e viene  completata  la  descrizione  di  altre  specie  non 
abbastanza  conosciute  finora.  Le  specie  nuove  sono  : Banina  Ice- 
vifrons,  Nitipus  Beyricliii,  Hepatiscus  Neumayri,  H.  pidclielliis, 
Micromaja  tubercidata,  Feriacanthus  horridus,  Lanibrus  num- 
muliticus,  Neptunus  Suessi,  Falaeocarpilius  anodon,  ec.  Le  specie 
conosciute  dei  terreni  terziari  del  Vicentino  ammontano  a 40.  — 
Dalle  conclusioni  più  generali  dell’  autore,  avuto  riguardo  anche 
alle  forme  dei  granchi  a piccola  coda,  risulterebbe  che  una  certa 
differenza  di  faune  esiste  fra  le  regioni  settentrionali  e quelle 
meridionali  dell’  Europa,  che  più  tardi  con  molta  probabilità  si 
potranno  distinguere  parecchie  faune  succedentisi  le  une  alle 
altre,  e che  la  fauna  dei  crostacei  eocenici  d’  Europa,  come 
quella  dei  pesci  del  Monte  Bolca,  presentano  nelle  loro  forme 
dominanti  decisamente  il  carattere  delle  faune  dell’Asia  orientale. 


— 197  — 


Eruzione  di  ceneri  tridimiticlie.  — Nel  Nuovo  Giornale 
di  Zurigo  (1875,  N.  21)  il  dott.  A.  Baltzer  annunciò  che  il  cra- 
tere deir  Isola  Vulcano  del  gruppo  delle  Lipari  aveva  avuto  nel 
7 settembre  1873  una  eruzione  di  tridimite.  In  quel  giorno  il 
Vulcano  lanciò  durante  un  periodo  di  tre  ore  una  cenere  bian- 
chissima, la  quale  ricoprì  tutto  all’  intorno  il  suolo  dell’  isola  e 
vi  formò  un  deposito  che  al  lato  nord  della  medesima  era  alto 
ben  3 0 4 centimetri.  Il  dott.  Baltzer  venne  nella  persuasione 
che  si  trattasse  di  tridimite  in  seguito  all’  analisi  chimica,  alla 
determinazione  del  peso  specifico  e del  grado  di  solubilità  negli 
alcali,  ed  all’  esame  colla  luce  polarizzata,  e ne  partecipava  la 
notizia  alla  Società  di  Scienze  Naturali  di  Zurigo  nella  seduta 

V 

del  4 gennaio  1875.  — E questa  una  osservazione  importante 
per  la  storia  di  quel  vulcano  ed  interessante  per  la  teoria  della 
formazione  delle  ceneri  vulcaniche. 

Criacimento  di  Zaffiri  e Eubini  con  corindone.^  — Que- 
sto giacimento  trovasi  nella  miniera  di  Culsagee,  Contea  di 
Macon,  nella  Carolina  del  Nord  (Stati  Uniti)  sopra  una  collina 
distante  circa  9 miglia  da  Franklin,  capitale  della  contea.  La 
collina,  elevantesi  400  piedi  sul  suolo  della  valle,  consta  di  ser- 
pentino racchiuso  nella  roccia  granitica  predominante.  Il  ser- 
pentino è attraversato  da  filoni,  uno  dei  quali  nella  parte  più 
profonda  della  miniera  raggiunge  la  potenza  di  10  piedi.  La 
matrice  del  filone  è formata  di  Clorito,  Jefferisite  e Corindone, 
che  spesso  forma  da  due  terzi  alla  metà  di  essa  ed  è collegato 
in  cristalli  cogli  altri  minerali.  In  più  piccola  quantità  trovansi  : 
Crisolite,  Antofillite,  Margarite,  Damourite,  Felspato,  Talco,  Zaf- 
firo, Rubino,  Spinello,  Zircone,  Orneblenda,  Staurolite,  Diaspro, 
Calcedonio,  Quarzo,  Ferro  cromato.  Magnetite  unitamente  a due 
nuovi  minerali  descritti  da  Genth,  Kerrite  e Maconite.  Il  corin- 
done si  presenta  ordinariamente  cristallizzato,  e talvolta  in  cri- 
stalli assai  grossi  ; spesso  essi  racchiudono  lamine  di  Clorite 
0 di  Jefferisite.  Circa  200  tonnellate  di  corindone  furono  esca- 
vate come  materiale  per  levigare  e pulire,  essendo  a ciò  più 
proprio  dello  smeriglio.  Il  colore  del  corindone  è molto  variabile  ; 
talvolta  è affatto  incoloro  e trasparente,  tal’  altra  giallo,  verde. 


’ Ved.  Quart.  Journal,  XXX,  N°  119. 


198 


azzurro,  rosso  in  tutti  i gradi  : alcuni  sono  varicolorati.  Essi  rac- 
chiudono delle  particelle  fluide  (forse  acido  carbonico  liquido) 
come  osservansi  negli  Zaffiri  di  Ceylan. 

L’  Altaite.  — Il  dott.  F.  A.  Genth  rammenta  in  un  suo  re- 
cente lavoro  ^ due  nuove  località  ove  trovasi  questo  raro  mine- 
rale : esse  sono  la  miniera  di  Iled  Cloud  nel  Colorado  e la  mi- 
niera di  Kings  Mountain  nella  Contea  di  Gaston  (N.  Carolina).  In 
quest’  ultima  località  trovasi  l’ Altaite  in  un  quarzo  finamente 
granulare,  accompagnata  da  Oro,  Galena,  Antimonite,  Pirite,  e 
per  lo  più  ad  essi  frammista.  Essa  ha  una  struttura  leggermente 
granulosa  ed  è di  un  colore  bianco  di  stagno.  Genth  osservò 
una  massa  a frattura  cubica  costituita  in  parte  di  Altaite,  in 
parte  di  Galena  senza  interruzione  nelle  superficie  di  sfaldatura. 
L’  Altaite  della  miniera  di  Ked  Cloud  si  presenta  in  gran  quan- 
tità, però  mista  ad  altri  minerali,  specialmente  Tellurio,  Silvanite, 
Pirite,  Siderite  e Quarzo.  Vi  compariscono  anche  piccoli  esaedri 
poco  distinti  rivestiti  di  galena,  più  raramente  grossi  frammenti 
con  facce  di  sfaldatura,  e molto  più  di  frequente  pezzi  a grana 
grossolana.  L’analisi  di  due  frammenti  di  questo  materiale  dette: 

Peso  specifico  8,060 


Oro  .... 

. . 0,19 

0,16 

Argento.  . 

. . 0,62 

0,79 

Rame  . . . 

. . 0,06 

0,06 

Piombo  . . 

. . 60,22 

60,53 

Zinco  . . . 

. . 0,15 

0,04 

Ferro  . . . 

. . 0,48 

0,33 

Tellurio  . . 

. . 37,99 

37,51 

Quarzo  . . 

. . 0,10 

0,32 

99,81 

99,74 

NECROLOGIA.  — Annunziamo  con  dispiacere  la  morte  dell’illustre 
paleontologo  G.  P.  Deshayes  avvenuta  il  giorno  9 giugno  1875 
nella  sua  residenza  di  Boran  (Oise)  : Egli  era  professore  ammi- 
nistratore al  Museo  di  Storia  Naturale  in  Parigi,  membro  di 
moltissime  Società  scientifiche,  e già  Presidente  della  Società 
geologica  di  Francia.  Morì  in  età  di  79  anni. 


‘ Ved.  Journ.  fùr  prakt.  Chemie,  10,  1874. 


FlillcazlDIll  i l GOETITO  GEOLOGICO. 

(CONTINUAZIONK.) 


Memorie  per  seryire  alla  descrizione  della  Carta  Geologica 
d’Italia.  — Volume  II,  Parte  P;  Firenze  1873.  — 272  pa- 
gine in-4®  con  11  tavole,  due  Carte  geologiche  ed  incisioni 
intercalate  nel  testo. 

Comprende  le  seguenti  Memorie  : 

Introduzione.  — Monografia  geologica  dell’Isola  d’ Ischia, 
con  la  Carta  geologica  della  medesima  in  fol.  e incisioni  nel 
testo,  del  professor  C.  W.  C.  Fuchs.  — Esame  geologico  della 
catena  alpina  del  San  Gottardo,  che  deve  essere  attraversata 
dalla  grande  Galleria  della  Ferrovia  Italo-Elvefica,  con  una 
Carta  geologica  in  fol.  e due  tavole  di  Sezioni  in  fol.,  dell’in- 
gegnere F.  Giokdano.  — Appendice  alla  Memoria  sulla  for- 
mazione terziaria  nella  zona  solfifera  della  Sicilia,  con  una 
tavola,  dell’  ingegnere  S.  Mottura.  — Malacologia  pliocenica 
italiana  (Parte  P,  Gasteropodi  sifonostomi)  ; fascicolo  2®,  con 
. otto  tavole,  di  C.  D’  Ancona. 

Prezzo  del  Voi.  IF  (Parte  F),  Lire  25. 

Carta  Geologica  del  San  Gottardo,  nella  scala  di 
1 per  50,000,  di  F.  Giordano.  — Un  foglio  in  cro- 
molitografia   L.  5.  — 

Carta  Geologica  dell’Isola  d’ Ischia,  nella  scala  di 
1 per  25,000  di  C.  W.  C.  Fuchs.  — Un  foglio  in 
cromolitografia L.  3. — 


Memorie  per  servire  alla  descrizione  della  Carta  Geologica 

d’ Italia.  — Voi.  II,  Parte  2^  ; Firenze  1874.  — 68  pag.  in  4° 
con  due  tavole.  — Contiene  la  seguente  Memoria  : B.  Ga- 
staldi, Studii  geologici  sulle  Alpi  Occidentali  ; Parte  2*. 

Prezzo  del  Voi.  IF  (Parte  2^),  Lire  5. 


Per  le  commissioni  dirigersi  al  Segretario  del  R.  Go- 
mitato Greologico,  in  Roma,  Piazza  San  Pietro 
in  Vincoli,  N.  5. 


Annunzi  di  pubblicazioni. 

G.  Ponzi.  — Storia  dei  Ynlcani  Laziali.  — (Atti  della  R.  Accademia  dei 
Lincei,  anno  271,  serie  IP,  voi.  I,  1873-74).  — Roma  1875,  pag.  17, 
in-4°  con  carta  geologica. 

— Storia  naturale  del  Teyere.  — (Bollettino  della  Società  Geogr.  Ital. 
voi.  XII,  fase.  1-2).  — Roma  1875,  pag.  20,  in-8°  con  3 tavole. 

R.  Ludwig.  — Geologisclie  Bilder  aus  Italien. — (Bulletin  de  la  Société 
Imp.  des  Naturai,  de  Moscou,  année  1874).  — Moskau  1874. 

G.  VOM  Rath.  — Ber  Monzoni  im  Siiddstlielien  Tiro!.  — Bonn  1875, 
pag.  46,  in-8®  con  due  tavole. 

A.  Stoppani.  — La  purezza  del  mare  e delP  atmosfera  fin  dai  primordi 
del  mondo  animato.  — Milano  1875,  pag.  484,  in-8°  con  figure  nel 
testo  ed  una  tavola. 

G.  G.  Bianconi.  — Intorno  alle  argille  scagliose  di  origine  miocenica. 
— (Memorie  delPAcc.  delle  Scienze  dell’Ist.  di  Bologna,  S.  Ili,  t.  V, 
fase.  3).  — Bologna  1875,  pag.  10,  in-4®. 

G.  A.  PiuoNA.  — Sopra  ima  nuova  specie  di  Radiolite.  — Venezia  1875, 
pag.  7,  in-8®  con  una  tavola. 

C.  J.  Foestth  Major.  — Considerazioni  sulla  Fauna  dei  mammiferi  plio- 
cenici e postpliocenici  della  Toscana.  — (Atti  della  Società  Toscana 
di  Scienze  Naturali,  voi.  I,  fase.  1).  — Pisa  1875,  pag.  33,  in-8°.  (con- 
tinua). 

R.  Lawley.  — Bei  resti  di  pesci  fossili  del  pliocene  toscano.  — (Atti 
della  Società  Toscana  di  Scienze  Naturali,  voi.  I,  fase.  1).  — Pisa 
1875,  pag.  8,  in-8®. 

A.  D’Achiardi.  — Coralli  eocenici  del  Friuli.  — (Atti  della  Società  To- 
scana di  Scienze  Naturali,  voi.  I,  fase.  1).  — Pisa  1875,  pag.  16, 
in-8°  con  due  tavole  (continua). 

M.  S.  De  Rossi.  — Primi  risultati  delle  osservazioni  sulle  oscillazioni 
microscopiche  dei  pendoli.  — Roma  1875,  pag.  40,  in-4®. 

C.  De  Stefani.  — Bi  alcune  conchiglie  terrestri  fossili  nella  Terra 
rossa  della  pietra  calcare  di  Agnaiio  nel  Monte  Pisano.  — Pisa 
1875,  pag.  5,  in-8“. 

— Natura  geologica  delle  colline  della  Val  di  Nievole  e delle  valli 
di  Lucca  e di  Bientina.  — Pisa  1875,  pag.  6,  in-8°. 

— Bescrizìoiie  di  nuove  specie  di  molluschi  iiliocenicì  italiani.  — 
(Bull,  della  Società  Malacologica  italiana,  voi.  I,  fase.  1).  — Pisa  1875, 
pag.  9,  in-8®. 

A.  Bellardi.  — Novae  Pleurotomidarum  Pedemontii  et  Liguriae  fossi- 
lium  dispositionis  prodromus.  — (Bull,  della  Società  Malacologica 
italiana,  voi.  I,  fase.  1).  — Pisa  1875,  pag.  9,  in-8'\ 

P.  Mantovani.  — Belle  argille  scagliose  e di  alcuni  Ammoniti  dell’ Ap- 
pennino dell’Emilia.  — (Atti  Soc.  It.  Scienze  Naturali,  voi.  XVIII, 
fase.  1).  — Milano  1875,  pag.  35,  in-8°. 

G.  Omboni.  — Bi  alcuni  oggetti  preistorici  delle  caverne  di  Velo  nel 
Veronese.  — (Atti  Soc.  It.  Scienze  Naturali,  voi.  XVIII,  fase.  1).  — 
Milano  1875,  pag.  14,  hi-8°  con  una  tavola. 

A.  De  Zigno-  — Sirenii  fossili  trovati  nel  Veneto.  — (Memorie  del  R. 
Istituto  Veneto,  voi.  XVIII). — Venezia  1875,  pag.  30,  in-4®  con 
cinque  tavole. 

— Sui  mammiferi  fossili  del  Veneto.  — Padova  1875,  pag.  16,  in-8°. 

L.  Bombicci.  — Corso  dì  Mineralogia.  — (Seconda  edizione  grandemente 
variata  ed  accresciuta),  voi.  2°  diviso  in  due  parti.  — Bologna  1875, 
pag.  1032,  in-8"  con  tavole  ed  incisioni. 


R.  COMITATO  GEOLOGICO 


D’  ITALIA. 


Bollettino  N°  7 e 8. 


Luglio  e Agosto  1875. 


ROMA, 

TIPOGRAFIA  BARBÈRA. 


1875. 


Bollettino  Geologico  per  il  1870.  — Un  voi.  in-8°  di  pag.  324. 
» ))  PER  IL  1871.  — Un  voi.  in-8'’  di  pag.  296. 

))  » PER  IL  1872.  — Un  voi.  in-8°  di  pag.  376. 

» » PER  IL  1873.  — Un  voi.  in-8°  di  pag.  400. 

» » PER  IL  1874.  — Un  voi.  in-8®  di  pag.  408. 

Prezzo  di  ciascun  volume  L.  10. 

Associazione  al  Bollettino  del  1875  (Anno  VP).  — Per 
r Italia  L.  8,  Estero  L.  10. 

I fascicoli  bimestrali  dei  Bollettino  si  vendono  anche  se- 
paratamente al  prezzo  di  L.  2 ciascuno. 

Memorie  per  servire  alla  descrizione  della  Carta  Geologica 
d’Italia.  — Volume  P;  Firenze  1871.  — 404  pagine  in-4® 
con  23  tavole,  due  Carte  geologiche  e varie  incisioni  inter- 
calate nel  testo. 

Comprende  le  seguenti  Memorie  : 

Introduzione  — Studii  geologici  sulle  Alpi  Occidentali,  di 
B.  Gastaldi,  con  cinque  tavole  ed  una  Carta  geologica.  — 
Cenni  sui  graniti  massicci  delle  Alpi  Biemontesi  e sui  mine- 
rali delle  valli  di  Lanzo,  di  G.  Struver.  — Sulla  formazione 
terziaria  nella  zona  solfifera  della  Sicilia,  di  S.  Mottura, 
con  quattro  tavole.  — Descrizione  geologica  dell’  Isola  d’ Elba, 
di  1.  Cocchi,  con  sette  tavole  ed  una  Carta  geologica.  — 
Malacologia  pliocenica  italiana  (Parte  P,  Gasteropodi  sifo- 
nostomi)  di  C.  D’Ancona;  fascicolo  V,  con  sette  tavole. 

Prezzo  del  Voi.  P,  Lire  35. 

Brevi  cenni  sui  principali  Istituti  e Comitati  Geo- 
logici e sul  B,.  Comitato  Geologico  d’Italia,  di 

L Cocchi.  — Pag.  34  in-4” L.  1.50 

Carta  Geologica  della  parte  orientale  dell’  Isola 
d’Elba,  nella  scala  di  1 per  50,000,  di  I.  Coc- 
chi. — Un  foglio  in  cromolitografìa L.  3. 00 

(Continua.) 


BOLLETTINO  DEL  R.  COMITATO  GEOLOGICO 

D’ ITALIA. 

JIM  e 8.  — luglio  e Agosto  187S. 


SOMMARIO. 

Wote  geologiche,  — I.  Studii  stratigrafici  sulla  Formazione  pliocenica  del- 
l’Italia Meridionale,  per  G.  Sequenza.  (Continuazione.) — II.  Dell’epoca 
geologica  dei  marmi  dell’Italia  Centrale,  per  C.  De  Stefani.  — III.  Il  ter- 
reno nummulitico  nel  versante  orientale  della  Cornata  di  Gerfalco,  per 
B.  Lotti. — IV.  Brevi  note  sulle  Salse  modenesi,  per  F.  Coppi.  —V.  Sulla 
relazione  di  un  viaggio  geologico  in  Italia,  per  Th.  Fuchs.  — VI.  Calcare  a 
Amphistegiria,  strati  a Congeria  e calcare  di  Leitha  dei  Monti  Livornesi,  per 
G.  Capellini.  — VII.  I membri  delle  formazioni  terziarie  nel  versante  set- 
tentrionale dell’ Apennino  fra  Ancona  e Bologna,  per  Th.  Fuchs. — Vili.  Sulla 
formazione  della  Terra  Rossa,  per  Th.  Fuchs. 

Notizie  bibliografiche.  — L.  Bombicci,  Corso  di  Mineralogia,  edizione 
variata  ed  accresciuta  ; voi.  II  ; Bologna,  1875.— G.  Capellini,  Considerazioni 
sui  Cetoterii  bolognesi,  con  due  tavole  ; Bologna,  1875.  — 0.  Heer,  Floro, 
fossilis  arctica,  voi.  Ili;  Zurich,  1875. 


NOTE  GEOLOGICHE. 


I. 

Studii  stratigrafici  sulla  Formazione  pliocenica 
dell’  Italia  Meridionale^  per  G.  Seguenza. 

(Continuazione. — Vedi  Bollettino,  N.  5-6.) 

Elenco  dei  Cirripedi  e dei  Molluschi  della  zona  superiore 

dell’  antico  plioceno. 


— 204  — 


I 


Gen.  Mitica  Lamarck. 

98  1. 

99  1. 

turricula  Jan 

fusiformis  Brocchi  (Voluta) 

v>  T/nr  F,  Bftl lardi  . . .... 

— M.  pseudopapalis  Sismonda 

=:  M.  Santangeli  Calcara  (non  Maravig^ 

100  1. 
101  1 

Molto  affine  alla  precedente 

anpillarnidA<i  IVTipTi Alnf.f;ì  

102  1. 
103  1. 

1 04-  1 

obesa  Foresti ' 

Affine  alla  specie  precedente 

105  1. 

striatala  Brocchi  (Voluta) 

var  A Tlftl  lardi  

— M.  striatala  Calcara 

1061. 
107  1. 

I 08  1 

striato-sulcata  Bellardi 

scrobiculata  Brocchi  (Voluta) 

M.  scrobiculata  var.  Basterot  . . . . ; 
— M.  scrobiculata  Calcara 

109  1. 

110  1. 
Ili  1. 

110  1 

Michelottii  Hoernes • 

cupressina  Brocchi  (Voluta) 

Calatabianensis  n.  sp 

= M.  elegans  Michelotti,  M.  cupressina); 

Brocchi) 

= M.  cancellata  Bon  (non  Kiener,  non  li 
=:  Molto  più  grande  della  precedente  c| 
sversali  rilevate 

1 JlJj  ì, 

1 1 Q 1 

i 1 o J. 

1141. 

1151. 

1 1 A 1 

ehenus  Lamarck 

» var.  D.  Bellardi 

» var.  E.  Bellardi 

pyramidella  Brocchi  (Voluta) 

= M.  plicatula  e M.  ehenus  Calcara,  A'o|( 
Brocchi ! 

— Voluta  plicatula  Brocchi ' 

— M.  Defrancii  Payraudeau ; 

— M.  pyramidella  Calcara 

i 1 D i, 

117  1. 
1181. 

+ v*i/^AlAr  rimolin  /Vnln+.fì.ì  . . . - . 

— M.  SAvignyi  Philipp! ! 

obsoleta  Brocchi  (Voluta) 

= M.  striata  Eichw i 

Gen.  Gonus  Linneo. 

1191. 

1 OA  1 

Aldrovandi  Brocchi 

= C.  betulinoides  Hoernes.,  C.  Aldrovaji 

1. 

121 1. 

Mercati  Brocchi 

— C.  Mercati  Calcara j 

1. 

128  1. 

1 O /i  1 

pyrula  Brocchi 

— C.  turriculus  Brocchi 

i i. 

1 o cc  1 

i^D  i. 

1 O/?  1 

izv  !• 
127  1. 

1 OQ  1 

virginalis  Brocchi 

= C.  deperditus  Bruguière,  C.  virgiiialiil 

L^O  !• 

129  1. 

130  1. 

131  1. 

1 QO  1 

TIrnPA.hii  Brnnn  .............. 

= C.  deperditus  Brocchi  (non  Brug.) . .j 

antediluvianus  Bruguière 

appenninicus  Bronn  . . 

— C.  antediluvianus  Calcara j 

Probabilmente  varietà  della  precedentejfi 

1 Oi  1. 

1 

loo 

Gen.  Pleurotoma  Lamarck. 

1 

i 

1341. 

135  1. 

136  1. 

137  1. 

1 

— P.  spiralis  Brugnone i 

— P.  monilis  Calcara 

turricula  Brocchi  (Murex).  

» var.  A.  Bellardi 

= P.  turricula  Calcara 

= Murex  contiguus  Brocchi,  P.  contigi 

138  1. 

ioni 

— P.  Saint-Ferrioli  Calcara 

\ 

loU  ]• 

140  1. 

Brugnonii  Seguenza 

T7Qr  TI  Spo'nAn7a,  

= P.  Coquandi  Brugnone  (non  Bell.) . [ 
Coi  noduli  sulla  carena  quasi  nulli.  . i 

1/111 

i^i  !• 
1/10  1 

i* 

205 


3 

4 

5 

6 

7 

8 

9 

10 

n 

12 

13 

14 

15 

16 

17 

P- 

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P. 

b. 

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B. 

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b. 

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B. 

0. 

P. 

B. 

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C. 

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B. 

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6. 

Le. 

B. 

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B. 

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0. 

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B. 

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B. 

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B. 

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0. 

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B. 

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C. 

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B. 

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6. 

B. 

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0. 

Lu.P. 

B. 

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B. 

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... 

Le. 

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B. 

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A. 

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b. 

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Le. 

L. 

b. 

• • • 

le. 

1 

+++ 


143  1. 
1441. 

145  1. 

146  1. 

147  1. 

148  1. 

149  1. 
1501. 

151  1. 

152  1. 
1531. 

154  c. 

155  c. 

156  c. 

157  c. 


158  c. 

159  c. 

160  c. 

161  c. 

162  c. 

163  c. 

164  c. 


Partschii  Bellardi 

Bellardii  Desmoulins 

interposita  Bellardi 

Anioni  Bellardi 

Brocchi  Bonelli 

Geslini  Desmoulins 

postulata  Brocchi  (Murex)  . . 

nohilis  Meneghini 

rustica  Brocchi  (Murex) . . . 
interrupta  Brocchi  (Murex) . 

Mortilieti  Mayer 

» var.  minor  . . . . . 

rotata  Brocchi  (Murex)  . . . , 

hrevis  Bellardi 

Morchii  Maini.  (Trophon)  . . 

» var.  B . . 

dimidiata  Brocchi  (Murex)  . 

» var.  B.  Powerii.  . 

» var.  C 

nodulifera  Philippi 

> var.  B 

ohtusangula  Brocchi  (Murex) 

media  n.  sp 

tenuisculpta  n.  sp 

galerita  Philippi 

modiola  Jan 

crispa  Seguenza 


165  c. 

166  c. 

167  c. 

168  s. 

169  s. 

1701. 

171  1. 

172  c. 

1731. 

1741. 

1751. 


Loprestiana  Calcara 


» var.  cylindracea .... 
emendata  Monterosato 

consanguinea  n.  sp 

torquata  Philippi 

pygmsea  Philippi 

Sottogenere  Conopleura  Hinds. 

paucicosta  n.  sp 

Maravignae  Bivona 

» var.  B.  Bellardi 

sigmoidea  Bronn 

» var.  B 

Gen.  Boia  Moller. 

septangularis  Montagu  (Murex)  . . 

» var.  secalina 

Gen.  Clinura  Bellardi  1875. 

calliope  Brocchi  (Murex) 

elegantissima  Foresti  (Pleurotoma) 


j 


Specie  che  verrà  tosto  pubblicata  dall’  ajo 


Specie  che  verrà  tosto  pubblicata  dall’ ari)] 
= P.brevirostrum  Bell,  (non  Sow.)P.hreTÌri)n 

= Murex  ohlongus  Brocchi 

= P.  ohlonga  Calcara 


= P.  interupta  Calcara,  Libassi 

P.  asperulataBrugnone  (nonLamlv.)Yar.  1 
= P.  rotata  Calcara,  Brugnone,  Libassi 


=:  P.  cirratum  Brugnone  (non  P.  cirrata^ 
= P.  dimidiata  (Brugnone,  Libassi) . . . . 
=:P.  Powerii  Calcara,  P.  dimidiata  var.ji 

Powerii  var.  Brugnone 

= P.  dimidiata  var.  Libassi,  P.  Powerii  ve  1 
Carena  tagliente  senza  papille  .... 

= Noduli  che  si  allungano  in  forma  di  ]{ 

=:P.  ohtusangula  Calcara 

Affine  alla  P.  intermedia 

Affine  alla  P.  torquata,  mancano  i noduli  i 

degli  ^.nfratti 

= P.  suhasperum  Brugnone 

r=:P.  carinata  Bivona 

= P.  crispata  Foresti  ed  altri  (non  Jan  g 
l’antico  plioceno  somigliante  alla  veri* 
ma  diversa  per  l’ apice  e per  altre  no 

Cile  e più  grande 

rrrP.  crispata  Philippi  (non  Jan),  P.  Tik 
P.  tricinctum  Brugnone.  Il  P.  crispatum  .1 
del  miocene  di  Tortona,  Vienna  ec.  e 

P.  Tarentini  Philippi j 

= P.  Renieri  Phil.  (non  Scacchi),  P.  crk 
gnone  (non  Jan,  non  Philippi). . . • • 
Molto  affine  alla  precedente,  meno  gracile 

numero  di  linee  trasversali 

— Defrancia  torquata  Monterosato  . . . |. 


— P.  raricosta  Brugnone  (non  Bonelli)  !• 
= P.  elegans  Scacchi,  Philippi,  Calcara,  i3 
P.  incrassata  Dujardin,  Brugnone  . . 


Pieghe  meno  flessuose 


=:P.  septangularis  Philippi,  Monterosat 
=:P.  secalina  Philippi,  Brugnone,  Monte'! 


= Pleurotoma  calliope  Auctorum . . . . 


207 


— 208  — 


1761. 

177  c. 

178  1. 


179  s. 


1801. 
181  1. 
182  1. 

1831. 


1841. 


185 1. 
1861. 


187  1. 


1881. 

1891. 

1901. 

191  c. 

192  c. 

193  c. 

194  c. 

195  c. 

196  c. 

197  s. 


198  s. 


199  1. 

2001. 


i 

1 


Gbn.  Pseudotoma  Bellardi  1875. 
Bonelli  Bellardi  (Pleurotoma).  . . . 
intorta  Brocchi  (Murex) ....... 


I 


— Pleurotoma  hracteata  Bellardi  (non  Mur! 

tus  Brocchi) 

= Pleurotoma  intorta  Auctorum „ 


Gen.  Dolichotoma  Bellardi  1875. 
cataphracta  Brocchi  (Murex) 


= Pleurotoma  cataphracta  Auctorum . . . . 


Gen.  ApTianitoma  Bellardi  1875. 
Imperati  Philippi  (Pleurotoma).  . . , 


Le  pieghe  sulla  columella  sono  indistinte 


Gen.  Defrauda  Millet. 


scalaria  Jan  (Pleurotoma) 

Luisag  Semper 

turritelloides  Bellardi  (Pheurotoma).  . . 

stria  Calcara  (Pleurotoma) 

» var.  minus  Brugnone 

gibbosa  n.  sp 


Desmoulinsii  Bellardi  (Raphitoma).  . . . 
inflata  Jan  (Pleurotoma) 


— Raphitoma  scalaria  Libassi |. 

= Pleurotoma  turritelloides  Libassi,  P.  turile 

Brugnone  var.  majus i. 

= Pleurotoma  semiplicatum  Bonelli,  Belp 
gnone,  Philippi |. 


Affine  alla  precedente,  ma  cogli  anfratti  ii 
più  appianati  superiormente,  colle  sutui 
fonde  ep.  ec 1. 

— Pleurotoma  Desmoulinsii  Brugnone  . . {. 

= Pleurotoma  volutella  Valenciennes,  Bruglc 
gatum  Bivona,  Defrancia  volutella  Mil 
D.  Leufroyi  var.  Monterosato j. 


» var.  B.  Brugnone 

linearis  Montagu  (Murex) 

» var.  B 

reticulata  Bronn  (Pleurotoma) 

» var.  B.  formosa  . . . . 

rudis  Scacchi  (Pleurotoma) 

purpurea  Montagu  (Murex) . 

gracilis  Montagu  (Murex) 

textilis  Brocchi  (Murex) 

teres  Forbes  (Pleurotoma) 


semicostata  Bellardi  (Raphitoma)  . . . . 

varietà 

Leufroyi  Michaud  (Pleurotoma)’  ...... 

hystrix  De  Cristof.  e Jan  (Pleurotoma).  . 
anceps  Eichwald  (Pleurotoma) 


Zanclea  n.  sp, 


= Pleurotoma  linearis  Monterosato,  Raphif 

chii  Bellardi,  Brugnone 

Trasversalmente  multilineata 

= Pleurotoma  reticulatum  Philippi,  Calcarali 
Raphitoma  Scacchi  Libassi  (non  Bellarc. 
= Pleurotoma  echinata  Calcara,  Murex  i3i 

Brocchi  I 

=2  Pleurotoma  purpureum  Philippi  .... 
=:  Pleurotoma  purpurea  Monterosato  ed  ad 
r=  Pleurotoma  suturalis  e gracilis  Philipp:') 

gracilis  Monterosato 

=2  Pleurotoma  (Mangelia)  Savi  Libassi.  . 

Calcara 

r=5  Fusus  La  Viae  Calcara,  Pleurotoma  minu  ji 
(non  Forbes),  P.  crispatum  Libassi  (non  ih 
nutum  var.  polyzonatum  Brugnone,  Defili» 
Monterosato,  P.  anceps  Monterosato  (ncjl 
=:  Pleurotoma  polyplectum  Brugnone.  . . , 


= Pleurotoma  inflata  e Leufroyi  Philippi 
=:  Echion  hystrix,  Pleurot.  (Defrancia)  hystr  I 
Non  P.  anceps  Monterosato,  che  è la  P.  te 
specie  che  sembra  diversa  dalla  attuale 

linee  trasverse  lamelliformi 

Affine  alla  Homotoma  onusta  Bellardi . . 


il 


Sottogenere  Daphnella  Hinds. 

Salinasii  Calcara  (Pleurotoma).  . . 
Romani  Libassi  (Pleurotoma).  . . . 


— 209  — 


« 

3 

4 

5 

6 

7 

8 

9 

10 

11 

12 

13 

14 

15 

16 

17 

18 

19 

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M. 

201  1. 
202  1. 

203  1. 

204  1. 

205  1. 

206  1. 

207  1. 
20S  1. 


2C9  1. 


210  1. 
211  1. 


212  1. 

213  1. 

214  1. 

215  1. 

216  ]. 

217  ]. 

218  1. 

219  1. 

220  1. 
221  1. 


222  1. 

223  l! 

224  1. 

225  ]. 


226  1. 

227  1. 

228  1. 

229  1. 

230  1. 

231  c. 


232  c. 

233  c. 

234  s. 


— 210  — 


Gbn.  Mangelia  Hinds. 


Spadae  Libassi  (Pleurotoma)  . . . 
clathrata  De  Serres  (Pleurotoma) 


rugulosa  Philipp!  (Pleurotoma).  . . . 

> var.  B.  Brugnone 

rugosissima  Brugnone  (M.  S.) 

Vauqueliuii  Payraudeau  (Pleurotoma) 
Bertrandi  Payraudeau  (Pleurotoma)  . 
var.  coerulans  Philipp!. 

varicosa  Libassi  (Pleurotoma) 

angusta  Jan  (Pleurotoma) 


Gen.  Rapliitoma  Bellardi. 
acantoplecta  Brugnone  (Pleurotoma)  . . 


Caterini  n.  sp 

hispida  Bellardi  (Pleurotoma). 


» . var.  B 

plicatella  Jan  (Pleurotoma) 

vulpecula  Brocchi  (Murex) 

minima  Brugnone  (Pleurotoma) 

submarginata  Bellardi 

pseudomarginata  n.  sp 

» var.  B.  minor 

sulcatula  Bonelli  (Pleurotoma) 

scabriuscula  Brugnone  (Pleurotoma).  . . 
brachystoma  Philipp!  (Pleurotoma)  varietà 


scalariformis  Brugnone  (Pleurotoma)  . 

nebula  Montagu  (Murex) 

» var.  Ginnannana 

» var.  laevigala 

Columnse  Scacchi  (Pleurotoma) 

harpuloidea  Brugnone  (Pleurotoma)  . . 
Poppelacchii  HoernesV  (Pleurotoma).  . 

attenuata  Montagu  (Murex) 

» var.  tonuicosta  Brugnone . . 

» var.  Payraudeauti  Deshayes 

costata  Donovan  (Murex) 


ambigua  Brugnone  (Pleurotoma)  . . 
megastoma  Brugnone  (Pleurotoma) 
neglecta  Brugnone  (Pleurotoma) . . 
nevropleura  Brugnone  (Pleurotoma) 
decussata  Philipp!  (Pleurotoma) . . 


nana  Scacchi  (Pleurotoma) 
harpula  Brocchi  (Murex)  . 
tenuicosta  n.  sp 


: Pleurotoma  rude  Philipp!,  P.  cancella 

P.  granum  Philipp! 

: Pleurotoma  rugulosa  Brugnone,  Monterja 


Pleurotoma  rugulosa  var.  C.  Brugnone 
; Pleurotoma  coerulans  Philipp! 


Gli  esemplari  dei  vari!  luoghi  enumerati  qi 
col  nome  di  P.  spinifera  Bell.,  rispondon'jq 
plari  tipici  del  Brugnone,  e non  già  alla 

del  Bellardi  . . . 

Affine  alla  precedente,  più  gracile,  con 

mero  di  costole  ec.  ec j. 

Questa  specie  confondesi  generalmente  col 
dula  Jan,  che  ha  maggior  numero  di  C(ji( 

Di  forma  più  allungata j. 

= P.  plicatella  Libassi 

= Pleurotoma  vulpecula  Calcara,  Philipp! 


(Non  Brugnone) 

= Pleurotoma  submarginata  Brugnone  (n( 
Più  piccola,  più  gracile,  colle  costole  più 


= Pleurotoma  scabriuscula  Brugnone.  . . 
= Pleurotoma  granuliferum  Brugnone,  Pleu 
cellina  Bonelli 


!)( 


: Pleurotoma  Bertrandi  Philipp!  (non  Pa 
: Pleurotoma  Ginnannana  Scacchi,  Phili 

: Pleurotoma  laevigata  Philipp! 

Fusus  costatus  Philipp! 


— Pleurotoma  Valenciennesii  Maravigna. 
=:  Pleurotoma  attenuata  var.  tenuicosta 
= Pleurotoma  Payraudeauti  Deshayes  . . 

— - Pleurotoma  prismaticum  Brugnone,  P.  C(|if 
terosato  


: Pleurotoma  Philipp!  Calcara  (non  Testa|I 
rimum  Tiberi,  P.  hispidula  MonterosatoF 
e Jan) 


= Pleurotoma  harpula  Philipp!,  Calcara  ( 


211 


3 

4 

5 

6 

7 

8 

9 

10 

11 

12 

13 

14 

15 

16 

17 

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1. 

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. . . 

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b. 

L. 

C. 

M. 

M. 

(Continua.) 


+ + + 


— 212  — 


IL 

Bell’  epoca  geologica  dei  marmi  dell’  Italia  Centrale^  j 

nota  di  Carlo  de  Stefani.  j 

1 

1 

i 

Intendo  fare  una  breve  esposizione  secondo  i resultati  dei  | 
recenti  studii,  dell’  epoca  geologica  dei  marmi  dell’  Italia  cen-  j 
trale;  e voglio  dire  dei  soli  marmi  veri  e propri!  costituiti  dal  j 
carbonato  di  calce,  escludendo  le  pietre  d’  ornamento,  serpenti-  \ 
nose,  feldispatiche,  silicee  o d’  altra  natura. 

Tra  le  rocce  di  epoca  più  recente,  soltanto  un  alberese  eoce- 
nico, di  colore  bruno,  opaco,  compatto,  criptocristallino,  poco  lu- 
cente, in  frammenti  ravvolti  entro  una  pasta  gabbrosa  o serpen- 
tinosa,  in  banchi  per  T' -appunto  prossimi  ad  ammassi  serpentinosi,  i 
è stato  qualche  volta  scavato  ne’  dintorni  di  Monterufoli,  ne’  teni- 
menti  del  Maffei,  ed  impiegato  come  marmo.  Tutti  gli  altri 
marmi,  eh’  io  mi  sappia,  non  sono  d’  epoca  più  recente  del  lias. 

Il  marmo  nero,  compatto,  molto  lucente  quando  è tirato  a 
lustro,  uniforme,  o vagamente  venato  di  bianco  o più  spesso  di 
giallo,  nel  qual  caso  è conosciuto  col  nome  di  Fortore  o Porto- 
venere,  le  cui  cave  principali  sono  presso  il  paese  di  questo 
nome  nel  promontorio  occidentale  della  Spezia,  è conosciuto 
come  infraliassico,  dopo  gli  studii  fatti  dal  Capellini  in  quella 
regione.  All’  epoca  medesima  si  debbono  riferire,  dopo  gli  studii 
del  Cocchi,^  un  marmo  nero  uniforme  o venato  di  bianco,  pro- 
veniente da  Matanna nelle  Alpi  Apuane;  e dopo  gli  studii  miei,-  un 
marmo  brecciato  di  nero  e di  giallo,  di  Pescaglia  pure  nelle  i 

Alpi  Apuane,  stato  descritto  pella  prima  volta  dal  Savi,^  ed  il  | 

marmo  nero,  uniforme,  un  poco  meno  lucente  del  Portoro,  che  i 
qualche  volta  viene  scavato  ai  Bagni  della  Duchessa  nel  Monte 
Pisano. 


‘ I.  Cocchi,  Sulla  geologia  dell’Italia  centrale. 

^ Considerazioni  stratigrafìche  sopra  le  rocce  più  antiche  delle  Alpi  Apuane 
e del  Monte  Pisano.  Roma  1875. 

® P.  Savi,  Del  marmo  nero  e delle  hreccie  varicolori  dei  Monti  di  Pescaglia. 
Lucca,  1852. 


213  — 


I marmi  summenzionati,  con  le  altre  rocce  calcaree  infralias- 
siche,  riposano  sopra  schisti  ardesiaci  od  arenarie  spesso  trasfor- 
mate in  anageniti,  in  schisti  o quarziti  cloritiche  ed  in  scisti  o 
quarziti  pregrattitiche  (damouritiche),  la  cui  vera  epoca  forma 
soggetto  di  disputa  fra  gli  autori,  ma  che  molto  probabilmente, 
siccome  si  vedrà,  debbonsi  riferire  al  trias.  In  molti  altri  luo- 
ghi delle  Alpi  Apuane,  del  Monte  Pisano  e della  Maremma,  si 
potrebbero  scavare  tra  i calcari  infraliassici  dei  marmi  neri,  ma 
forse  il  guadagno  non  pagherebbe  la  spesa.  I bardigli  di  Cam- 
piglia,  di  colore  turchino  chiaro,  assai  cristallini,  anzi  quasi  la- 
mellari, ripieni  di  piccoli  cristalli  di  Couzeranite,  e confusi  da 
alcuni  geologi,  che  li  riferiscono  all’  epoca  carbonifera,  coi  marmi 
bianchi  che  fra  poco  esamineremo,  sembrano  invece  riferibili  essi 
pure  all’  infralias.  E vero  che  l’ insieme  degli  strati  di  questo 
luogo  deve  essere  ristudiato,  ma  intanto  si  sa  che  al  di  sopra 
del  bardigiio  non  stanno  schisti  cristallini  che  lo  facciano  com- 
parire più  antico  dell’  infralias,  anzi  vi  si  trovano  dei  banchi  di 
calcare  bianco  che  appartengono,  come  si  vedrà,  al  lias  inferiore. 
D’ altronde  l’ aspetto  cristallino  del  calcare  non  potrebbe  ba- 
stare a farlo  credere  più  antico  dell’  infralias,  perchè  ai  Bagni 
della  Duchessa  nel  Monte  Pisano,  nel  calcare  nero  veramente 
infraliassico  come  sopra  ho  detto,  a posti,  il  calcare  è divenuto 
cristallino  con  apparenza  non  distinguibile  da  quella  del  calcare 
di  Campiglia,  e quando  ciò  avviene,  esso  è oltremodo  ricco  di 
idrogeno  solforato  : evidentemente  si  tratta  di  pure  e semplici 
trasformazioni  avvenute  dopo  la  sedimentazione  dei  banchi. 

Non  grandemente  soggetta  a contestazione  è P epoca  dei 
marmi  rossi  e di  quelli  gialli.  Un  bel  marmo  rosso  mattone, 
alquanto  cristallino,  uniforme,  si  trova  nel  Monte  Matanna  nelle 
Alpi  Apuane  ; e nella  stessa  giogaia,  al  Poggio  di  Matteo  presso 
Trassilico  fu  scavato  qualche  volta  un  marmo  rosso  venato  di 
giallo.  All’  Alpe  di  Corfino  nell’  Apennino  della  Garfagnana,  sono 
delle  cave  di  marmo  rosso  a frammenti  entro  una  pasta  rossa 
più  scura.  Nel  Monte  Pisano  presso  Santa  Maria  del  Giudice  si 
trova  del  marmo  giallo  ceroide  ; marmi  rossi,  puri  o brecciati, 
si  scavano  a Campiglia,  a Caldana,  ed  alla  Gherardesca  in  Ma- 
remma. Del  resto  i banchi  della  roccia  dalla  quale  si  tolgono  i 
marmi  nei  luoghi  ora  accennati,  si  estendono  molto,  sebbene  con 


214  — 


non  grande  spessezza,  nei  Monti  della  Spezia,  nelle  Alpi  Apuane, 
nell’  Apennino  dell’  Emilia  e della  Toscana,  nel  Monte  Pisano  e 
nelle  Maremme;  ed  in  moltissimi  luoghi  potrebbero,  a volere, 
esservi  aperte  nuove  cave.  Essi  rimangono  sottoposti  ai  banchi 
del  calcare  grigio  con  selce  liassico  medio,  identico'  al  lias  medio 
dell’  Apennino  centrale,  e 1’  epoca  loro,  attestata  dai  numerosi 
fossili  che  contengono  è del  lias  inferiore  più  recente.  Sono  già 
note  da  qualche  tempo  le  specie  delle  Ammoniti  fossili  che  sono 
state  raccolte  nell’  Alpe  di  Corfino  ; ora  presenterò  quelle  del 
marmo  rosso  di  Campiglia,  riportandone  1’  elenco  colle  recentis- 
sime correzioni  e coll’  aggiunta  di  alcuni  altri  fossili,  che  gen- 
tilmente mi  ha  prestato  il  prof.  Meneghini. 


Ammonites  margaritatus  Monti, 

» fimbriatus  Sow., 

))  Heberti  Op.  (A.  brevispina  d’  Orb.), 

))  armatus  Sow., 

» JBaivageri  d’ Orb.  ? 

))  Zetes  d’  Orb., 

))  mimatensis  d’  Orb., 

))  N ardii  Mgh., 

))  FartscMi  St.  (A.  striatoco status  Mgh.), 

))  tenuistriatus  Mgh., 

» Normanianus  d’  Orb., 

» Nodotianus  d’  Orb., 

» Conybeari  Sow., 

))  tardecrescens  v.  H., 

» spiratissimus  Qstd., 

» muUicostatus  Sow.  ? , 

))  bisidcatus  Brug.  ? , 

» Ceras  Gieb. 

Fedemnites  longissimus  Mill.?, 

Atraxites  aìpinus  Giimb., 

Orthoceras  liasicus  Giimb. 


Alquanta  incertezza  si  è avuta  infino  ad  ora  sull’  epoca  del 
bellissimo  marmo,  color  giallo  d’oro,  della  Montagnola  Senese; 
è più  frequente  che  non  si  creda  il  trovare  delle  sezioni  di  am- 
moniti nelle  tavole  pulimentate  di  esso,  ma  ninna  specie  è stata 


— 215  — 


bene  studiata  ed  in  conseguenza  determinata,  salvo  V Ammonite 
della  tavola  del  Palazzo  Pitti  che  sembra  un  A.  fimhriatus 
Sow.,  ed  intanto  la  roccia  è stata  attribuita  all’  infralias  dal 
Campani,^  ed  al  lias  in  generale  dal  Capellini,^  senza  riconoscere 
i suoi  rapporti  precisi  cogli  altri  marmi  rossi  e gialli  della  To- 
scana. Però  quel  marmo  non  è infraliassico,  sia  per  le  specie 
delle  Ammoniti  che  contiene,  sia  perchè  è veramente  superiore 
all’ infralias.  Infatti  i sedimenti  di  quest’epoca  sono  rappresen- 
tati colà  da  un  calcare  in  origine  grigio  cupo,  che  è divenuto 
intensamente  cavernoso  e cariato  per  essere  stato  lungamente 
esposto  appo  la  superficie  terrestre,  prima  sotto  forma  di  scoglio 
poco  elevato  durante  P epoca  pliocenica,  poi  sotto  forma  di  col- 
lina, la  cui  massa,  traversata  dalle  acque  che  abbondanti  circo- 
lano all’esterno,  e spogliata  di  grandissima  parte  di  elementi 
calcarei,  ha  dato  luogo  a grandiosi  banchi  di  travertino,  rima- 
nendo quasi  soltanto  lo  scheletro  della  roccia  compatta  che  prima 
esisteva.  Ho  fatta  questa  osservazione  per  concludere  che  la 
formazione  della  cavernosità  è un  fenomeno  per  la  massima  parte 
recente,  e che  1’  apparenza  cavernosa  del  calcare  non  può  ba- 
stare a toglierlo  dall’  infralias  ed  a riporlo  nel  trias  come  era 
opinione  nel  passato,  e come  d’  altronde  sarebbe  contrariato  dal- 
r apparenza  della  roccia  non  alterata.  Fra  le  masse  del  calcare 
cavernoso  infraliassico,  e quelle  del  calcare  giallo,  sono  dei  ban- 
chi di  calcare  ceroide  o saccaroide  bianco,  il  quale,  e lo  ve- 
dremo tra  poco,  deve  essere  come  il  calcare  ceroide  del  rima- 
nente della  Toscana,  attribuito  al  lias  inferiore.  Non  parmi 
dubbio  perciò,  accordandosi  anche  la  posizione  stratigrafica,  che 
il  calcare  giallo  della  Montagnola,  come  gli  altri  calcari  rossi 
della  Toscana  appartenga  alla  parte  superiore  del  lias  inferiore. 

Il  disaccordo  fra  i geologi  si  può  dire  completo,  per  non 
avere  conosciuto  o per  non  avere  interpretato  a dovere  la  serie 
dei  fatti,  intorno  all’  epoca  geologica  dei  marmi  bianchi  ceroidi 
e saccaroidi.  Marmi  bianchi  o venati  in  diversa  maniera,  varia- 
mente cristallini  ma  più  spesso  ceroidi,  non  sempre  puri,  ven- 
gono scavati  nel  Monte  Pisano  a San  Giuliano  ed  a Santa  Maria 

‘ G.  Campani,  Sulla  costituzione  geologica  della  provincia  di  Siena.  Siena, 
1865. 

* Atti  della  Società  Italiana  di  Scienze  naturali,  Tav.  XIV,  fig.  4 bis.  Milano. 


— 216  — 


del  Giudice,  e si  trovano  anche  a Campiglia,  a Gerfalco,  a Ce; 
tona  e nella  Montagnola  Senese.  I bellissimi  marmi  saccaroidi, 
candidi,  impiegati  nell’  arte  statuaria  e come  pietra  d’ orna- 
mento, e conosciuti  dovunque,  provengono  però  dalle  Alpi  Apuane, 
dal  Carrarese,  dal  Massese  e da  quel  di  Serravezza,  dove  li  ac- 
compagnano marmi  bardigli,  mischi  e breccie  di  varie  qualità  e 
di  molteplici  colori.  In  banchi  assai  limitati  ma  di  consimile  ap- 
parenza, si  trovano  questi  stessi  calcari  al  Capo  Corvo  presso  la 
Spezia  ed  all’  isola  d’  Elba.  Questi  marmi  di  vario  aspetto  e di 
varii  luoghi,  furono  per  lungo  tempo  confusi  insieme  e vennero 
da  prima  considerati  dal  Savi  e dagli  altri  come  rocce  eruttive. 
Dipoi,  scoperti  dei  fossili  qua  e là  nei  banchi  loro  o nei  con- 
tigui strati  calcarei,  vennero  considerati  come  trasformazioni  di 
altri  calcari  non  alterati,  e furono  dal  Savi  riposti  nel  lias  ed 
indicati  col  nome  generale  di  Lias  Apenninico.  Soltanto  i marmi 
bianchi  saccaroidi  racchiusi  negli  schisti  cristallini  del  Capo 
Corvo  nel  promontorio  orientale  della  Spezia  erano  riguardati  da 
questo  geologo  come  appartenenti  ad  epoca  più  antica.  La  parola 
del  De  la  Deche  che  fino  nel  1833  ^ aveva  dimostrato  come  i marmi 
delle  Alpi  Apuane  dovessero  distinguersi  dai  calcari  sovrastanti 
ed  appartenessero  ad  un  periodo  più  antico,  era  rimasta  infrut- 
tuosa. Il  Coquand,  aveva  sostenuto  più  tardi  che  que’  marmi  e 
particolarmente  questi  delle  Alpi  Apuane  e quelli  di  Campiglia, 
anzi  che  come  appartenenti  all’epoca  secondaria  dovevano  essere 
riguardati  come  carboniferi  ; ^ ma  aveva  continuata  la  confusione 
antica  conservando  riuniti  quei  calcari  che  non  potevano  essere 
riposti  in  un  solo  periodo  geologico.  Gli  studii  sulla  geologia  To- 
scana, avanzati  per  opera  del  Savi,  del  Meneghini,  e poi  del 
Capellini,  facevano  distinguere  nella  massa  dei  calcari,  attribuiti 
prima  confusamente  al  lias,  i piani  del  lias  inferiore  cui  erano 
riferiti  i marmi  rossi  già  esaminati,  e dell’  infr alias,  studiato  per 
la  prima  volta  alla  Spezia.  I marmi  bianchi  del  Monte  Pisano  e 
della  Maremma,  per  la  loro  posizione  stratigrafica,  e per  certe 
considerazioni  generali  sui  molluschi  fossili  ivi  rinvenuti,  erano 


’ Sur  les  environs  de  la  Spezia.  (Mem.  Soc.  géol.  de  France,  serie  I, 
voi.  I,  pag.  32.) 

^ Sur  les  terrains  stratifiés  de  la  Toscane.  (Bull.  Soc.  géol.  de  France, 
serie  II,  tome  II,  pag.  155.) 


— 217  — 


riposti,  coi  calcari  rossi,  nel  lias  inferiore;  ordinamento  che  il 
Meneghini  confermava  più  tardi,  pei  marmi  di  Campiglia.  I 
marmi  delle  Alpi  Apuane  poi,  si  consideravano  come  rappresen- 
tanti comprensivamente  dell’  infralias  e del  lias  inferiore,  le  cui 
originarie  apparenze  si  riteneva  fossero  state  mascherate  dalle 
trasformazioni  posteriori.  Al  Cocchi  spetta  1’  avere  dimostrato 
in  modo  non  dubbio  la  diversa  età  dei  marmi  delle  Alpi  Apuane, 
della  Spezia  e dell’  Elba,  da  quelli  della  Toscana  rimanente,  e 
la  maggiore  antichità  dei  primi  che  bene  spesso  sono  in  fatti 
separati  dagli  altri  da  una  lunga  serie  di  rocce  schistose  cri- 
stalline. ‘ Quelli  vennero  dal  Cocchi  medesimo  attribuiti,  insieme 
col  Coquand,  al  carbonifero  ; gli  altri,  al  trias,  per  una  opinione 
che  lo  Stoppani  aveva  manifestata  sulla  analogia  delle  specie 
de’  molluschi  fossili  nel  calcare  ceroide  del  Monte  Pisano,  con 
quelle  del  calcare  triassico  d’ Esino  nelle  Alpi  Lombarde.  Re- 
centemente poi,  il  Gastaldi,^  supponendo  analogia  fra  i calcari 
saccaroidi  delle  Alpi  Apuane  e le  rocce  cristalline  che  li  rac- 
chiudono, ed  i calcari  e gli  schisti  pur  cristallini  di  quella  zona 
da  lui  studiata  nelle  Alpi  Occidentali  e da  lui  denominata  delle 
][)ietre  verdi,  li  poneva  insieme  con  questa  zona  nell’  epoca  pre- 
paleozoica. Il  Coquand,^  d’  altra  parte,  in  alcuni  nuovi  scritti,  ri- 
conoscendovi a suo  credere  analogia  coi  marmi  saccaroidi  dei 
Pirenei  che  sembrano  appartenenti  all’  epoca  carbonifera,  ordi- 
nava definitivamente  nell’  epoca  medesima  anche  i marmi  sacca- 
roidi nostri  : accettava  poi  la  maniera  di  vedere  del  Cocchi,  e 
riponeva  nel  trias  il  marmo  ceroide  di  San  Giuliano  ; ma  con- 
servava in  massima  parte  le  antiche  confusioni,  e poneva  nel 
carbonifero,  insieme  coi  marmi  apuani,  quelli  di  Campiglia,  di 
Gerfalco  e di  Cetona. 

Esponendo  il  risultato  di  alcuni  miei  studi  sopra  le  rocce  più 
antiche  delle  Alpi  Apuane  e del  Monte  Pisano,  era  già  stata  pub- 
blicata ^ una  lista  delle  Ammoniti  del  marmo  ceroide  di  Campiglia, 


‘ Sulla  geologia  deir  Italia  centrale. 

^ Studii  geologici  siUle  Alpi  Occidentali,  parte  II. 

* De  l’àge  et  de  la  position  des  marbres  blancs  statuaires  des  Pirénées  et 
des  Alpes  Apuénììes  en  Toscane.  [Comgt-rend.  Acad.  Se,,  tome  XXIX,  pag.  411. 
Paris,  1874.)  — Terrai^is  stratifìós  de  VItalie  centrale.  (Bull.  Soc.  Géol.  de  France. 
sèrie  III,  tome  III,  pag.  26.) 

Considerazioni  stratigrafiche,  ec. 


15 


— 218  — 


che  il  prof.  Meneghini  aveva  potuto  determinare  con  esattezza,  e 
che  mi  aveva  gentilmente  comunicato;  la  qual  cosa  poneva  fuor  d’ogui 
dubbio  r epoca  Massica  inferiore  di  que’  sedimenti  e confermava  le 
conclusioni  già  altre  volte  manifestate  a prqposito  di  essi  dal  ^le- 
neghini  medesimo.  Studiando  poi  il  marmo  ceroide  del  Monte  Pi- 
sano, ed  esaminando  la  sua  analogia  col  marmo  di  Campiglia  e so- 
prattutto la  sua  posizione  stratigrafica  fra  il  calcare  rosso  o giallo 
del  lias  inferiore  ed  il  calcare  grigio  o biancastro  dolomitico  che 
avevo  riconosciuto  spettante  alP  infralias,  concludevo  che  desso 
apparteneva  non  già  al  trias,  ma  alla  parte  più  antica  del  lias 
inferiore.  Lo  studio  dei  fossili  di  quel  calcare,  da  me  compiuto 
dopo  d’  allora,  ha  confermato  in  maniera  evidente  il  mio  ordi- 
namento, e mi  ha  dimostrato  come  veramente  esso  appartenga  al 
lias  inferiore.  I fossili  sono  stati  raccolti  specialmente  nel  Monte 
Rotondo  in  un  colle  fra  il  pisano  ed  il  lucchese,  in  un  calcare 
friabile,  o più  spesso  entro  una  lumachella  che  ne  è zeppa  quanto 
mai.  Quando  il  calcare  che  li  racchiude  facilmente  si  sbriciola 
e si  sfarina,  i fossili  formati  da  un  solido  nucleo  calcareo  ri- 
mangono per  bene  isolati,  benché  talora  - alquanto  sfarinati  e 
compressi  ; bisogna  invece  staccarli  a forza  ed  a fatica  con  pru- 
denti colpi  di  scalpello  quando  sono  rinchiusi  nella  lumachella. 
Avendoli  trovati  spesso  insieme  gli  uni  cogli  altri  in  moltissimi 
de’  frammenti  che  ho  avuto  occasione  di  rompere,  credo  non  vi 
sia  dubbio  sulla  loro  contemporaneità.  La  illustrazione  di  questi 
fossili  verrà  da  me  pubblicata  in  breve  ; ma  intanto  presento 
la  nota  dei  medesimi,  lasciando  le  specie  non  ben  determinate, 
ed  anticipo  le  conclusioni  che  se  ne  possono  trarre. 

Nullipora  sp.  Meneghini,  (aff.  Evinospongice  vessiculosce  Stop- 
pani.) 

Ammonites  nov.  sp.  Meneghini  (A.  planorbis  non  Sow.)  (Me- 
neghini e Savi,  Considerazioni  sidìa  geologia  stratigrafica 
della  Toscana.) 

Rissoina  obliqaecostata  nov.  sp.^ 

Chemnitzia  pseudotumida  nov.  sp., 

C.  clava  nov.  sp., 

C.  pliasianelloides  nov.  sp., 

C.  procera  Deslongchamps, 


219 


C.  Meneghiniana  nov.  sp., 

Neritopsis  Fasserinii  nov.  sp.  Meneghini, 

N.  Saviana  nov.  sp., 

Stomatia  Juliana  nov.  sp.  Meneghini, 

Turbo  D’Anconce  Meneghini  (Tiirrilites,  Nuovi  fossili  toscani, 

pag.  26), 

Fleur otomaria  prmcatoria  Deslongchamps, 

P.  pisana  nov.  sp., 

F.  canaìiculata  nov.  sp., 

Mytiìus  dispiitabilis  nov.  sp.. 

Avicola  inceqiiivalvis  Sowerhy,' 

Fecten  acutiradiatus  Miinster, 

Gidaris  fdograna  Agassiz, 

Fentacrinus  subsulcatus  Miinster, 

F.  scaìaris  Groldfuss, 

Eugeniocrinus  compressus  Miinster, 

Montlivaidtia  nov.  sp, 

Devesi  avvertire,  che  delle  Ainjnoniti  altre  volte  indicate  dal 
Meneghini  come  esistenti  nel  calcare  ceroide  nel  Monte  Pisano, 
col  nome  di  A.  planorbis  e di  A.  stellaris,  la  prima  è stata  ri- 
conosciuta dal  medesimo,  dopo  nuovo  esame,  essere  una  specie 
nuova,  e la  seconda  come  non  bene  determinabile,  trattandosi  di 
una  semplice  e non  chiara  sezione. 

Come  si  vede,  di  22  specie  accennate,  14  sono  nuove,  e di 
queste  una  sola  {Turbo,  Tvirrilites,  JD'Anconcé)  è stata  altrove 
descritta  dal  Meneghini.  Queste  specie  nuove  non  si  possono 
prestare  a paragoni  ; ma  pur  se  devesi  ricercare  qualche  analo- 
gia, si  può  notare  che  la  Gìiemnitzia  pseudotumida  del  Monte 
Kotondo,  ha  somiglianza,  sebbene  se  ne  possa  distinguere  alla 
prima,  colla  G.  tumida  Hòrnes,  e la  Nullipora  rassomiglia  ad  una 
delle  specie  di  Esino  descritte  dallo  Stoppani:  queste  due  sono 
così  le  uniche  delle  specie  notate  che  rassomiglino  ad  alcuna  del 
trias.  La  Fleurotomaria  Fisana  appartiene  a tipi  che  incominciano 
nell’  infralias  e nel  trias,  ma  si  distingue  assai  bene  da  ogni 
altra  specie.  Coi  fossili  d’  Esino  non  v’  ha  alcuna  analogia,  se  non 
nella  citata  specie  di  Nidlipora,  alga  incrostante  che  si  conserva 
con  tipi  quasi  inalterati,  per  lunghe  epoche  geologiche.  Tro- 


( 


~ 220  — 


viamo  invece  otto  specie  già  conosciute  altrove,  e sono  le  seguenti; 
la  Pleurotomaria  prcecatoria  Deslongchamps,  specie  assai  diffusa 
per  la  durata,  trovandosi  dall’  infralias  al  lias  superiore,  e per 
la  estensione  della  sua  dimora  ; VAvicula  incequivalvis  Sowerby, 
ed  il  Pentacrinus  subsulcatus  Miinster,  effe  durano  dal  lias 
inferiore  al  lias  medio  inclusivo,  e che  pur  si  trovano  in  molti 
luoghi  ; la  Cidaris  filograna  Agassiz,  del  lias  medio,  il  Pecten 
aciitiradiatus  Miinster,  il  Pentacrinus  scalaris  Goldfuss,  e V Eii- 
geniocrinus  compressus  Miinster,  i quali  per  ora  non  sono  citati 
se  non  nel  lias  inferiore.  La  Chemnitzia  procera  Deslongchamps,  è 
una  specie  indicata  come  proveniente  dall’oolite,  ed  io  confesso 
di  non  aver  potuto  trovare  alcuna  differenza  fra  la  medesima  e 
la  specie  da  me  trovata  ed  indicata  con  quel  nome  nel  Monte 
Pisano  ; ma  questa  identità,  o 1’  analogia  di  qualche  specie  di 
Chemnitsia  con  specie  di  piani  disparati,  non  significa  gran  cosa, 
perchè  si  sa  quanto  sieno  diffusi  e di  durata  lunga  nella  serie 
dei  terreni  i tipi  monotoni  e poco  svariati  delle  Chemnitzice  ; e 
vi  ha,  per  esempio,  il  tipo  della  C.  princeps  che  dura  dal  trias 
(G.  Aldrovandi  Stoppani)  fino  all’  osfordiano."  In  conclusione  se 
si  dovessero  trarre  delle  deduzioni  sull’  epoca  del  calcare  il 
quale  racchiude  i fossili  ora  accennati,  anco  senza  conoscerne  le 
precise  relazioni  stratigrafiche,  lo  si  porrebbe  senza  incertezza 
nel  lias  ; la  qual  cosa  è d’  altra  parte,  come  si  sa,  confermata 
dalla  stratigrafia.  Considerando  poi  la  prevalenza  di  specie  del 
lias  inferiore,  anzi  la  presenza  di  certune  che  per  ora  non  sono 
state  trovate  se  non  entro  terreni  di  quest’  epoca,  è naturale 
che  desso  venga  riposto  più  particolarmente  nel  lias  inferiore.  Sic- 
come però  in  quei  fossili  si  trova  una  stretta  relazione  coll’  epoca 
liassica  media,  mentre  non  si  scopre  alcun  simile  rapporto  col- 
r infralias,  mi  pare  che  si  possano  porre  in  un  piano  intermedio 
del  lias  inferiore,  mentre  il  calcare  rosso  sta  nel  piano  superiore, 
e la  parte  più  antica  è probabilmente  rappresentata  da  alcuni  di 
quegli  strati  sottos'tanti,  che  per  mancanza  di  uno  studio  esatto 
dei  fossili,  0 perchè  non  ve  ne  esistono,  sono  lasciati  nell’ infralias. 
Quel  che  preme  intanto,  è il  vedere  confermata  chiaramente 
r epoca  liassica  inferiore  del  marmo  ceroide,  del  quale  ora  si  è 
discorso.  Nel  lembo  più  meridionale  delle  Alpi  Apuane  verso  il 
Monte  Pisano,  a Vecchiano,  si  trova  un  calcare  ceroide,  benché 


— 221  — 


non  marmoreo,  simile  a quello  del  Monterotondo  e disposto  an- 
che stratigraficamente  come  questo  ; sebbene  non  vi  si  vedano 
se  non  semplici  sezioni  dei  fossili,  pur  questi  appariscano  simili 
a quelli  di  sopra  veduti,  la  qual  cosa  conferma  V analogia.  Del 
calcare  ceroide  di  Campiglia,  ho  vedute  varie  specie  di  Chemnitziod, 
fra  le  quali  la  C.  Nardii  Meneghini  {Nuovi  fossili  toscani  p.  7), 
ma  per  verità  non  ho  trovata  alcuna  di  esse  identica  ad  altra 
del  Monte  Pisano  : però  si  hanno  le  Ammoniti  determinate  dal 
prof.  Meneghini,  le  quali  appartenendo  al  lias  inferiore,  indi- 
cano essere  V epoca  del  calcare  ceroide  di  Campiglia  contempo- 
ranea a quella  del  calcare  ceroide  del  Monte  Pisano.  Nella  Cor- 
nata di  Gerfalco,  nello  stesso  calcare,  V ingegnere”  Lotti  ha 
recentemente  raccolti  vari  fossili,  fra  i quali  appariscono  la 
C.  Nardii  Meneghini  già  notata  a Campiglia,  e varie  Ammo- 
niti ; e da  ciò  viene  confermata  P epoca  Massica  inferiore  so- 
lita, che  del  rimanente  si  sarebbe  dovuta  dedurre  dal  trovare  il 
detto  calcare,  posto  come  sempre,  fra  il  calcare  grigio  infra- 
liassico  ed  il  calcare  rosso  che  forma  la  parte  più  recente  del 
lias  inferiore.  Il  marmo  ceroide  della  Montagnola  Senese,  sta 
pure  sotto  ai  marmi  gialli  e sopra  ai  calcari  cavernosi  infra- 
liassici  ; ed  il  calcare  ceroide  del  Monte  di  Cetona,  ha  la  me- 
desima posizione  stratigrafica  stando  alle  descrizioni  che  ne 
danno  gli  autori.  In  conseguenza,  se  v’  ha  una  fede  nelle  leggi 
della  geologia,  questi  calcari,  come  gli  altri,  debbono  essere  con- 
siderati Massici  inferiori. 

Quanto  ai  marmi  saccaroidi  delle  Alpi  Apuane,  della  Spezia, 
dell’Elba,  e si  può  aggiungere,  del  Monte  Argentare,  essi 
fanno  parte  di  una  serie  di  strati  calcarei  e schistosi  che  sot- 
tostanno immediatamente  ai  calcari  infraliassici.  Qualche  volta 
i marmi  vi  sottostanno  direttamente  o quasi,  senza  intermezzo 
di  strati  schistosi  (Carrara,  Canale  di  Val  di  Castello)  ; altre 
volte  una  lunga  serie  di  questi  strati  rimane  frapposta  (monte 
di  Strettoia  e Corvaia,  canali  di  Montignoso,  di  Capriglia,  e 
delle  Mulina)  ; talora  la  serie  degli  strati  schistosi  superiori  ai 
marmi,  riposa  direttamente,  senza  intermezzo  di  banchi  marmorei, 
sopra  la  serie  degli  strati  schistosi  inferiori  (Valle  del  Frigido, 
della  Serra  e del  Canal  delle  Frane),  e può  essere  che  ciò  av- 
venga di  frequente  là  dove  compariscono  sotto  all’  infralias  gran- 


— 222  — 


diose  masse  di  schisto,  senza  banchi  marmorei  (Camaiore,  Monte 
Pisano,  Jano,  monti  della  Maremma).  Quasi  sempre  poi,  i ban- 
chi calcarei,  dove  se  ne  trovano,  alternano  più  e più  volte,  e con 
varie  dimensioni,  negli  strati  schistosi  (Brugiana,  Strettoia,  Mo- 
sceta.  Canal  delle  Verghe,  Stazzema).  Non  è a credersi,  come 
mi  sembra  solito,  che  queste  formazioni  marmoreo-schistose,  sieno 
tutte  eminentemente  cristalline;  chè  anzi  strati  calcarei,  fossili- 
feri, compatti  e punto  cristallini,  ma  con  apparenza  di  calcari 
ordinari,  formano  in  grandi  masse,  la  parte  inferiore  della  for- 
mazione marmorea  (Cerchia,  Sagro)  : e gli  strati  schistosi  supe- 
riori ai  marmi  in  talune  regioni,  sono  semplici  arenarie  o 
grauvacche  o schisti,  che  si  riterrebbero  terziari,  come  difatti  fu- 
rono ritenuti  in  sul  primo  che  gli  scienziati  si  volsero  a stu- 
diarli (canali  delle  Mulina,  del  Cardoso  e delle  Verghe).  Altrove, 
codesti  strati  che  hanno  serbata  quasi  intatta  la  loro  appa- 
renza originaria,  sono  ridotti  a micascisti  o micaquarziti  (pre- 
grattitiche)  ricche  di  ottrelite,  (monti  di  Capriglia  e di  Ripa), 
in  altro  luogo,  per  una  azione  un  poco  diversa  del  metamorfi- 
smo, sono  invece  cloroschisti  e cloroquarziti  (valli  del  Frigido 
e di  Montagnoso).  Gli  strati  schistosi  sottostanti  ai  marmi  sono 
invece  talchischisti  e gneiss  protoginici,  di  apparenza  poco  an- 
tica, perchè  non  hanno  punto  cambiata  la  stratificazione,  sono 
poco  cristallini,  e poveri  di  feldispato,  mentre  serbano  tuttora 
molta  materia  schistosa  non  bene  alterata.  Fra  gli  strati  infra- 
liassici  e gli  strati  schistosi  o calcarei  della  formazione  mar- 
morea, non  appare  discordanza  di  sorta,  nè  vi  hanno  caratteri 
speciali  che  possano  far  dubitare  di  una  interruzione  nei  sedi- 
menti, per  la  qual  cosa  è naturale  che  in  qualche  parte  si  deb- 
bano trovare  gli  strati  dell’  epoca  triassica  immediatamente  an- 
tecedente alla  infraliassica.  Ora,  già  da  qualche  anno,  ho  disco- 
perto negli  strati  del  calcare  compatto  sottostante  ai  marmi,  nel 
Monte  Cerchia  come  nel  Monte  Sagro  e nel  marmo  della  Tam- 
bura,  dei  fossili  : quelli  del  Monte  Cerchia  che  sono  i più  di- 
stinti ed  appartengono  per  la  massima  parte  a molluschi,  furono 
esaminati  già  per  mia  preghiera  dal  prof.  Meneghini  (Cons.  stra- 
tigrafiche ec.),  il  quale  sebbene  non  ne  abbia  determinata  la 
specie,  è di  parere  che  non  possano  essere  più  antichi  del  trias, 
e stando  almeno  all’  esame  degli  esemplari  finora  raccolti  non 


--  223  - 


si  lia  ragione  di  trarne  una  conclusione  diversa.  L’  essenziale 
intanto  è V avere  trovato  negli  strati  più  antichi  della  forma- 
zione marmorea,  que’  fossili  abbastanza  conservati,  i quali,  quando 
sieno  raccolti  in  buon  numero,  potranno  farci  sapere  senza  dub- 
bio r epoca  tanto  disputata  dei  marmi.  E fin  d’  ora,  non  foss’  al- 
tro il  loro  ritrovamento  e V aspetto  loro,  escludono  in  modo 
assoluto  r opinione  del  Gastaldi,  accettata  anche  dal  Jervis,^  che 
i marmi  saccaroidi  appartengano  all’  epoca  pre-paleozoica  insieme 
colla  zona  delle  pietre  verdi.  Bocce  corrispondenti  alla  zona 
delle  pietre  verdi,  e di  quell’  epoca  che  loro  attribuisce  il  Ga- 
staldi, non  pare  se  ne  trovino  in  Toscana,  e stando  almeno  alle 
descrizioni  dell’  illustre  geologo,  ne  paiono  più  recenti  anche  le 
rocce  cristalline  centrali  delle  Alpi  Apuane  (valli  del  Frigido  e 
di  Serravezza),  che  sono  le  più  antiche  dell’  Italia  centrale.  Fra 
le  regioni  finora  conosciute,  appartenenti  a quella  serie  mon- 
tuosa che  il  Savi  denominò  Catena  Metallifera,  o fra  quelle  adia- 
centi, mi  sembra  che  soltanto  nella  Corsica  si  ripetano  con 
molta  somiglianza  le  formazioni  studiate  dal  Gastaldi  nelle  Alpi 
Occidentali  ; e si  noti  che  la  Corsica  è in  stretta  relazione  colle 
antiche  giogaie  della  Toscana,  mentre  si  trova  di  poco  più  lon- 
tana dall’  Elba  e da  Montecristo,  di  quello  che  queste  isole  sieno 
dal  Giglio  0 dai  monti  di  Campiglia  e di  Gavorrano  che  sono  i 
lembi  più  prossimani  appartenenti  alla  Catena  Metallifera  in 
terraferma.  Ora,  in  Corsica  al  di  sopra  di  graniti  e di  rocce 
che  hanno  perdute  le  traccie  della  stratificazione,  si  trovano  de- 
gli gneiss  molto  cristallini,  degli  altri  gneiss  protoginici  meno 
antichi,  dei  talcoschisti  e delle  epidositi  con  filoni  di  quarzo,  al- 
bite,  oligisto  e ripidolite,  e dei  calcari  grigi  impuri  molto  cri- 
stallini in  piccoli  banchi  continui  alternanti  a più  riprese.  Le 
serpentine  e le  dioriti  alternano  tra  gli  gneiss  ed  i talcoschisti 
superiori  alle  masse  cri^alline  centrali  come  sembra  avvenire 
nelle  Alpi  Occidentali.  Questi  antichi  sedimenti  gneissici  della 
Corsica  hanno  T apparenza  più  antica  dei  prossimi  sedimenti 
cristallini  dell’Elba,  e di  quelli  delle  Alpi  Apuane,  e soltanto 
sembra  abbiano  qualche  rispondenza  con  questi,  gli  strati  delle 
epidositi  e dei  calcari  saccaroidi  che  sono  assai  sviluppati  nella 


‘ I tesori  sotterranei  dell’ Italia,  parte  II.  Torino  1874. 


— 224  — 


estremità  settentrionale  dell’  isola  e clie,  in  ogni  caso,  stanno 
al  di  sopra  di  tutte  le  altre  rocce  di  colà,  e sopra  a quella 
zona  che  potrebbe  essere  detta  delle  pietre  verdi.  Ma  in  conclu- 
sione, rocce  antiche  corrispondenti  alla  zona  delle  pietre  verdi, 
non  si  trovano  allo  scoperto  in  Toscana,  e probabilmente,  la  loro 
posizione  stratigrafica  è un  poco  al  di  sotto  degli  gneiss  cen- 
trali delle  Alpi  Apuane  ; in  ogni  caso,  i marmi  saccaroidi,  e gli 
schisti  cristallini  che  li  racchiudono  non  vi  hanno  punto  che  fare. 

Passiamo  ad  esaminare  P opinione  del  Coquand,  che  per  ana- 
logia coi  calcari  saccaroidi  dei  Pirenei,  come  si  è detto,  vuole 
i nostri  marmi  sieno  carboniferi.  Il  semplice  carattere  comune 
fra  due  calcari,  di  essere  cristallini  od  anche  saccaroidi,  in  specie 
fra  paesi  distanti,  non  ha  valore,  e nel  caso  nostro  abbiamo  ra- 
gioni troppo  parlanti  per  affermar  ciò,  perchè  banchi  marmorei 
si  alternano  nelle  Alpi  Apuane  in  piani  distanti  gli  uni  dagli  altri  ; 
perchè,  per  analogia,  il  Coquand  fa  i nostri  marmi  carboniferi, 
mentre,  per  la  solita  analogia,  il  Gastaldi  li  fa  pre-paleozoici  ; 
e perchè  finalmente  vedemmo  il  carattere  dell’  analogia  condurre 
il  Coquand  medesimo,  e con  lui  altri,  a confondere  coi  marmi 
delle  Alpi  Apuane,  quelli  di  Cetona,  di  Gerfalco,  di  Campiglia 
e del  Monte  Pisano  che  appartengono  chiaramente  al  lias  infe- 
riore. L’  apparenza  cristallina  de’  calcari  e di  taluni  schisti  so- 
vrapposti che  potrebbe  farli  ravvicinare  a rocce  di  epoca  più  ^ 
antica,  non  ha  parimente  un  gran  valore,  perchè  vedemmo  nella 
continuazione  degli  stessi  strati,  schisti  che  non  sono  affatto  cri- 
stallini, e perchè  appunto  gli  strati  fossiliferi  più  antichi  dei 
calcari  marmiferi,  non  sono  cristallini.  Se  l’ epoca  precisa  di 
queste  rocce,  quindi  dei  nostri  marmi  saccaroidi,  non  la  pos- 
siamo ancora  affermare  con  sicurezza,  si  deve  però  tener  conto 
di  tutte  le  circostanze  le  quali  ci  son  note,  e fare  quelle  sup- 
posizioni che  meglio  sembrino  accostarsi  alla  verità  e che  sieno 
più  consentanee  alle  leggi  della  geologia;  ora  la  mancanza  di 
sconcordanza  e d’ interruzione  colle  rocce  infraliassiche  sovrap- 
poste, ed  insieme  P apparenza  dei  fossili  finora  studiati,  ci  deb- 
bono condurre  a ritenere  che  que’  terreni  sieno  triassici,  fino  a 
che  lo  studio  esatto  delle  specie  fossili  non  ci  abbia  persuasi  a 
confermare  od  a modificare  questa  opinione. 

Già  che  vi  sono,  mi  varrò  dell’occasione  per  rettificare  alcune 


- 225  — 


idee  che  si  hanno  relativamente  alla  formazione  de’  marmi  sac- 
caroidi,  e le  quali  mi  paiono  non  ben  corrispondenti  alla  realtà. 
Quando  si  cominciò  a considerare  queste  rocce  non  più  come  erut- 
tive, ma  come  semplicemente  metamorfiche,  era  comunemente  ac- 
cettata la  teorica  che  attribuiva  la  trasformazione  delle  rocce  sedi- 
mentarie al  contatto  de’  filoni  metalliferi  e delle  così  dette  rocce 
plutoniche:  in  accordo  a questa  teorica,  il  metamorfismo  de’ marmi 
ed  il  loro  aspetto  saccaroide  era  attribuito  all’  intervento  dei  filoni 
ferrei,  non  tanto  a quelli  che  traversano  la  roccia  stessa,  quanto 
agli  altri  che  compenetravano  gli  schisti  contigui  ; e questa  opinione 
è accettata  ancora  oggidì  senza  osservazioni.  Ma,  nella  realtà, 
la  formazione  marmorea  non  è attraversata  da  grandiosi  filoni 
ferrei  ; gli  unici  grandiosi  filoni  che  traversino  de’  calcari,  sono 
quelli  di  Stazzema  che  stanno  in  un  banco  non  molto  cristallino 
diviso  dalla  formazione  marmorea  da  una  alta  serie  di  roccia 
schistosa,  e quelli  del  Monte  Arsiccio  che  stanno  fra  i calcari 
infraliassici  e quelli  marmorei,  senza  per  verità  rendere  questi 
ultimi  più  puri  e più  cristallini  del  solito.  Altrove,  qua  e là, 
ma  non  sempre,  si  trovano  nel  marmo  delle  sottilissime  velature 
di  oligisto,  e certo  sì  minuta  cagione  non  sarebbe  stata  atta  a 
produrre  sì  gran  fenomeno  ; d’  altronde  i marmi  sono  divenuti 
saccaroidi  anche  in  quelle  regioni,  e sono  le  più,  dove  1’  oligisto 
manca  del  tutto  negli  schisti  o vi  è in  piccole  traccie;  bisogna 
concludere  quindi  che  la  formazione  dei  medesimi  è interamente 
indipendente  dall’  intervento  dei  filoni  ferrei.  E notevole,  che 
questa  opinione  la  quale  attribuiva  alla  comparsa  de’  filoni  sud- 
detti, la  forma  cristallina  del  marmo,  coesisteva  e coesiste  con 
un’  altra  maniera  di  spiegare  il  fatto  stesso.  Gli  scrittori,  chia- 
mano, con  parola  adoprata  dai  cavatori,  madremaecMa  o madre- 
cava, certi  filari  di  schisti  che  si  trovano  per  entro  i marmi,  e 
dicono  che  quella  madremacchia  è derivata  dal  concentramento 
de’  materiali  impuri  effettuatosi  nella  nostra  calcarea,  la  quale, 
così,  per  lento  processo  chimico,  si  purificò  e divenne  cristal- 
lina. Questa  spiegazione  rimasta  finora,  ha  la  sua  origine  in 
una  opinione  dei  cavatori,  che  fu  riportata  dal  Repetti,  i quali 
dicevano,  e taluni  lo  dicono  ancora,  che  il  marmo  si  purificava 
tuttodì  nel  modo  sopra  accennato  ; è la  opinione  solita,  de’  mi- 
natori dell’  Elba  i quali  dicono  che  il  ferro  si  riproduce  ogni 


— 226 


giorno,  e dei  garimpeiros  del  Brasile  che  credono  il  diamante  si 
formi  di  nuovo  via  via  nei  depositi  da  loro  scavati.  Nella  realtà, 
il  marmo  non  si  trova  in  mandorle  nè  in  concentrazioni,  ma  in 
banchi  continui,  e le  madrimacchie  formano  veri  e propri  stra- 
terelli  schistosi  alternanti  fra  i calcari,  nè  è vero  che  il  marmo 
saccaroide  sia  soltanto  presso  le  madrimacchie  o che  queste  ma- 
drimacchie sieno  sempre  presso  il  marmo  medesimo;  bensì  le 
troviamo  indifferentemente  presso  tutti  i calcari  ; è manifesto 
adunque  che  il  supposto  fenomeno  non  esiste.  Bensì,  è logico 
pensare,  che  la  medesima  azione  la  quale  rese  cristalline  le  par- 
ticelle degli  straterelli  schistosi,  formandone  clorite,  o mica,  o 
talco,  fece  pure  cristallini  i marmi  ; e dove  questi  erano  meno 
puri,  le  materie  estranee  cristallizzarono  entro  la  massa  mede- 
sima formandovi  scagliette  di  talco,  o di  mica,  o di  clorite,  senza 
esserne  però  espulse  sotto  forma  di  concentrazioni.  D’  altra  parte, 
è troppo  noto  il  fatto,  che  non  tutti  i calcari  altamente  cristal- 
lini 0 contigui  a rocce  cristalline  sono  puri  come  questi  delle 
Alpi  Apuane  ; per  la  qual  cosa,  sembra  doversi  concludere,  che, 
mentre  furono  fenomeni  posteriori  alla  sedimentazione  quelli  che 
resero  sì  cristallini  i calcari  apuani,  pure,  fin  dalla  loro  origine 
questi  si  trovavano  in  circostanze  speciali  di  purezza  e di  can- 
didezza. 

Finirò,  col  parlare  di  que’  minerali  che  si  trovano  nella  for- 
mazione marmorea  e che  gli  scrittori  dicono  esistenti  nelle  ma- 
drimacchie, la  qual  cosa  non  è esattamente  vera.  Gli  straterelli 
schistosi  rinchiusi  ne’  marmi,  come  ho  detto,  sono  costituiti  da 
particelle  cloritiche  o talcose  e forse  qualche  volta  micacee.  La 
Phillite  od  Ottrelite  della  quale  ha  riportata  un’  analisi  il  Dana, 
se  pur. sempre  trattasi  di  una  sola  sostanza,  si  trova  non  nei 
sottili  straterelli,  ma  in  mezzo  ai  banchi  più  alti  di  schisti  che 
alternano  fra  i banchi  marmorei  (Cerchia,  Altissimo,  Massa)  ov- 
vero nei  mischi  formati  da  un  impasto  di  materia  calcarea  e 
schistosa  (Cerchia,  Piastraio).  Lo  stesso  dicasi  degli  Anfiboli,  o 
Actinoto  0 Wollastonite,  che  spesso  si  trovano  insieme  colla 
Ottrelite  (Altissimo,  Piastraio).  La  Zoisite  si  trova  poi  sola- 
mente là  dove  filoncelli  o massarelle  di  quarzo,  stanno  a con- 
tatto nello  stesso  tempo  col  calcare  e con  materie  schistose, 
0 cipollini,  0 madrimacchie  (Cerchia,  Brugiana).  Finalmente, 


— 227 


l’Albite  e la  Pirite,  si  trovano  spesso  disseminate  nella  stessa 
massa  calcarea  o,  qualche  volta,  insieme  con  la  Dolomite,  colla 
Selenite  o collo  Zolfo,  stanno  nelle  spaccature  e nei  così  detti 
peli  del  calcare,  ma  non  hanno  mai  che  fare  colla  madremacchia 
schistosa. 


III. 

Il  terreno  nummulitico  nel  versante  orientale  della  Cornata 
di  Gerfalco,  per  B.  Lotti.  ^ 

A complemento  di  quanto  venne  da  me  annunziato  in  una 
lettera  all’  on.  Segretario  del  R.  Comitato  Geologico  d’ Italia, 
pubblicata  nel  fascicolo  bimestrale  maggio  e giugno  1875  del 
BolleUino  del  Comitato  medesimo,  intorno  alla  scoperta  di  strati 
nummulitici  presso  Prata  e Gerfalco  in  provincia  di  Grosseto, 
aggiungo  ora  alcune  notizie  illustrative,  resultato  di  nuove  os- 
servazioni eseguite  nella  seconda  delle  dette  località. 

A tal  uopo  devo  rammentare  ciò  che  altra  volta  esposi  in 
una  breve  nota  sulla  costituzione  geologica  dei  dintorni  di  Boc- 
cheggiano e Gerfalco,  (Ved.  Boll,  del  B.  Comit.  geol.  d' Italia, 
N.  7,  8,  1874)  cioè  che  quella  pittoresca  montagna  priva  di  ve- 
getazione che  nomasi  la  Cornata,  formata  da  un  calcare  bianco 
ceroide  o saccaroide,  costituisce  una  massa  centrale  elissoidica 
sui  fianchi  della  quale  stanno  addossate  le  formazioni  più  gio- 
vani, senza  aver  con  essa  correlazione  alcuna  di  posizione,  se 
non  in  quanto  che  mostrano  di  aver  partecipato  insieme  ad  un 
ultimo  sollevamento  avvenuto  senza  dubbio  posteriormente  alla 
deposizione  del  terreno  eocenico.  La  detta  elissoide  ha  il  suo 
asse  maggiore  diretto  da  KO.  a S.E.  ed  è limitata  a S.O.  dal 
fiume  Pavone  che  scorre  parallelamente  all’  asse  medesimo,  a 
N.E.  dal  torrente  Bimaggio  (Rio  maggiore)  il  quale  ha  origine 
verso  la  sua  estremità  ÌN'.O.  ove  al  massivo  della  Cornata  si  uni- 
scono per  una  leggera  depressione  e quasi  ad  angolo  retto  le 
alture,  che  costituiscono  il  gruppo  delle  Carline,  e va  a sboc- 
care all’  estremo  opposto  nella  Cecina,  collettore  principale  di 


— 228  — 

questo  territorio  nel  quale  più  a Nord  immette  le  sue  acque  an- 
che il  Pavone. 

Si  è appunto  nel  bacind  tributario  del  Rimaggio  ed  in  quella 
zona  di  congiunzione  della  Cornata  colle  Carline  che  in  una 
nuova  escursione  eseguita  di  recente  potei  ritrovare  la  conti- 
nuazione del  terreno  nummulitico  già  scoperto  nel  versante 
opposto.  La  sua  estensione  ed  il  suo  sviluppo  presentasi  incompa- 
rabilmente maggiore  qui  che  nell’  altro  fianco  del  monte,  essen- 
doché occupa  quasi  tutta  la  parte  superiore  di  quella  ampia  ed 
ubertosa  vallata,  denominata  le  Lame,  coperta  di  vigneti  e da 
lussureggianti  selve  di  castagni  ed  offrente  per  ciò  alla  vista  il 
più  meraviglioso  e spiccato  contrapposto  coll’  alpestre  nudità  del 
monte  che  le  si  inalza  al  fianco.  È qui  adunque  ove  sono  da 
studiarsi  le  condizioni  di  giacimento  del  terreno  in  parola,  per 
trarne  quindi  quelle  conseguenze  che  dovranno  poi  guidarci  alla 
classificazione  di  terreni  analoghi  ma  privi  di  questo  prezioso 
orizzonte. 

Nella  precedente  relazione  facevo  notale  come  i banchi  del 
calcare  nummulitico  tanto  qui  come  a Prata  sottostassero  ad  una 
serie  di  strati  d’  un’  arenaria  silicea  ed  avessero  per  letto  certi 
schisti  di  colori  svariati  e racchiudenti  gran  copia  di  fucoidi.  La 
estremamente  piccola  estensione  di  questo  terreno  presso  Prata 
ed  il  suo  immediato  addossamento  al  masso  calcareo  della  Cor- 
nata presso  Gerfalco,  mi  impedirono  di  stabilire  con  certezza  la 
formazione  che  vi  faceva  seguito  nella  serie  discendente,  ciò  che 
è appunto  quanto  di  più  chiaro  può  vedersi  nell’  altro  lato  della 
Cornata.  Ecco  pertanto  la  sezione  che  quivi  si  presenta  dall’  alto 
in  basso  : 

V Strati  di  arenarie  micacee  con  schisti  argillosi  alter- 
nanti con  un  calcare  marnoso  schistoso  grigio. 

2^’  Banchi  di  calcare  nummulitico  dello  spessore  di  circa 
50  cent,  in  perfetta  concordanza  cogli  strati  superiori  ed  alter- 
nanti con  schisti  verdastri  o violetti  con  numerose  fucoidi. 

3°  Nuovi  strati  di  arenaria  non  dissimile  dalla  superiore 
e concordante  coi  banchi  nummulitici. 

4"  Schisti  variegati  del  lias  superiore  con  strati  d’  ossido 
di  manganese  e discordanti  coi  terreni  superiori. 

Questa  successione  di  rocce  può  osservarsi  distintamente  di- 


— 229  - 


scendendo  dalla  parte  più  elevata  delle  Lame,  ove  trovansi  le 
formazioni  più  recenti,  fin  giù  nei  profondi  burroni  scavati  dal 
torrente  negli  scbisti  liassici.  Le  arenarie  ed  i calcari  schistosi 
superiori  al  nummulitico  hanno  una  potenza  piccola  relativa- 
mente alla  massa  delle  arenarie  inferiori  che  costituiscono  quasi 
per  intiero  il  gruppo  delle  Carline.  I banchi  nummulitici  insieme 
agli  schisti  a fucoidi  coi  quali  alternano,  raggiungono  una  po- 
tenza non  comune  a tali  giacimenti,  potendo  ascendere  comples- 
sivamente a più  di  50  metri.  Insieme  al  calcare  o conglomerato 
con  nummuliti  vi  è qui  pure  un  calcare  semi-cristallino  gialla- 
stro con  0 senza  selce  secondochè  è in  banchi  grossi  qualche 
piede  0 in  sottili  lastre  di  forse  2 cent,  di  spessore,  le  cui  su- 
perfici  coperte  da  un  intonaco  argilloso  sono  improntate  da  in- 
numerevoli corpi  di  origine  organica  non  ben  distinti,  ma  rife- 
ribili piuttosto  a vegetali  che  ad  animali. 

La  roccia  nummulitifera  consta  o di  un  conglomerato  a fram- 
menti più  0 meno  grossi  o di  un  calcare  di  struttura  affatto 
caratteristica  e propria  esclusivamente  ai  calcari  a nummuliti, 
forse  perchè  dovuta  alla  presenza  stessa  di  quegli  innumerevoli 
e minuti  organismi.  Alcuni  banchi  son  formati  da  un  calcare 
granulare  psammitico  analogo  alla  pietra  forte  e in  questo  caso 
non  contengono  nummuliti  : anzi  talora  uno  stesso  banco  è for- 
mato in  parte  da  calcare  nummulitico  e in  parte  da  calcare 
psammitico,  e le  due  parti  sono  nettamente  fra  loro  separate  e 
distinte  da  un  piano  parallelo  a quello  di  stratificazione. 

Le  specie  che  prevalgono  in  questa  roccia  e delle  quali  io 
debbo  la  determinazione  al  professor  Meneghini,  sono  la  Num- 
molites  striata  D’  Orb.  e la  N.  Bamondi  Dfr.,  inoltre  vi  sono 
contenuti  altri  generi  di  foraminifere,  come  Alveolina,  Opercu- 
lina,  non  che  articoli  di  Crinoidi. 

Gli  schisti  intercalati  ai  banchi  calcarei  prevalgono  talvolta 
su  questi  in  guisa  da  simulare  una  formazione  diversa  sottopo- 
sta alla  nummulitica,  e fu  appunto  per  una  tale  apparenza  che, 
negli  altri  punti  da  me  osservati,  ove  questo  terreno  aveva  uno 
sviluppo  incomparabilmente  minore  e dove  non  venivano  a giorno 
i terreni  immediatamente  sottoposti,  fui  indotto  a giudicare  esser 
la  formazione  nummulitica  racchiusa  superiormente  da  arenarie 
ed  inferiormente  da  una  serie  di  schisti. 


230  - 


Nella  località  in  discorso,  al  terreno  niimmulitico  costituito  dai 
banchi  calcarei  e dagli  schisti  a fucoidi,  fa  seguito,  come  abbiam 
detto,  in  serie  discendente  una  potente  massa  di  arenarie  micacee  a 
cemento  calcareo,  le  quali  predominano  in  tutto  il  gruppo  delle  Car- 
line. La  loro  struttura  varia  in  diversi  punti  del  deposito  sia  per  la 
grossezza  degli  elementi,  sia  per  la  maggiore  o minore  quantità 
di  mica  che  vi  è contenuta  : ove  questa  prevale  sugli  altri  com- 
ponenti la  roccia  acquista  una  scistosità  più  o meno  pronun- 
ziata. Talvolta,  e non  raramente,  vedonsi  inclusi  nella  massa 
arenacea  grossi  ciottoli  elissoidali  di  uno  scisto  argilloso  nero 
di  cui  per  ora  non  ho  potuto  rinvenire  la  sede  in  questi  din- 
torni, e che  sembra  quel  medesimo  che  osservasi  pure  nel  con- 
glomerato nummulitico,  sebbene  vi  comparisca  in  più  minuti 
frammenti.  La  colorazione  di  queste  arenarie  alla  superfìcie  e 
lino  ad  una  certa  profondità  ove  giunse  la  decomposizione,  è 
d’  un  giallo  sudicio,  ma  ove  la  roccia  si  conserva  inalterata  è di 
un  grigio  di  piombo  ; in  quelle  zone  poi  ove  divien  schistosa 
acquista  una  tinta  più  fosca.  Nè  intercalate  a queste  arenarie, 
nè  sotto  di  esse  potei  rinvenire  fìno  al  presente  strati  calcarei 
che  potessero  avere  analogia  coi  superiori  alberesi  o nummuli- 
tici  e tutta  la  serie  si  adagia  sugli  schisti  varicolori  del  lias 
superiore. 

Sembra  adunque  esistere  qui  pure,  come  in  altre  località  to- 
scane, una  interruzione  o,  come  suol  dirsi  in  geologia,  un  hiatus 
fra  la  parte  superiore  del  lias  e i depositi  che  immediatamente 
precedettero  la  formazione  nummulitica. 

Dalle  esposte  considerazioni  io  credo  che  fìn  d’ ora  se  ne 
possa  trarre  la  conseguenza,  almeno  per  il  territorio  di  Gerfalco, 
non  che  per  quelli  limitrofì  di  Montieri  e di  Prata,  che  il  ter- 
reno nummulitico  rappresenta  il  deposito  calcareo  più  profondo 
in  quella  estesa  serie  di  rocce  tanto  comuni,  conosciute  col  nome 
di  alberesi,  galestri,  calcari  schistosi  ec.,  che  perciò  devono  es- 
sere complessivamente  compresi  nel  periodo  eocenico.  I primi 
strati  calcarei  che  compariscono  sotto  il  nummulitico,  col  quale 
però  non  hanno  alcuna  dipendenza,  sono  costituiti  da  calcari 
grigio-chiari  con  piromaca,  la  cui  età  vien  riferita  al  lias  medio 
e che  stanno  sopra  ed  intimamente  connessi  al  rosso  ammoni- 
tico.  In  quanto  alle  arenarie  inferiori  al  nummulitico  debbonsi 


certamente  riferire  all’  epoca  secondaria  e più  specialmente  al 
periodo  cretaceo,  ma  non  contenendo  fossili  può  cadere  il,  dub- 
bio se  siano  da  parallelizzarsi  per  intiero  al  piano  superiore  di 
questo  periodo  cioè  alla  creta  bianca,  oppure  se  possano  essere 
repartite  nei  diversi  piani  di  esso. 

La  direzione  degli  strati  che  qui  corre  da  N.O.  a S.E,,  è 
alquanto  diversa  da  quella  dei  corrispondenti  nell’  altro  versante, 
ma  questa  anomalia  non  deve  sorprendere  in  una  località  che 
fu  ripetutamente  oggetto  di  energici  movimenti  del  suolo  e dove 
le  condizioni  di  giacimento  dei  terreni  più  antichi  sottoposti,  e 
che  hanno  servito  loro  di  base,  sono  affatto  diverse. 

Massa  Marittima,  25  agosto  1875. 


IV. 

Brevi  note  sulle  Salse  modenesi,  per  Francesco  Coppi. 

Al  § 735,  pag.  396,  voi.  I,  dell’importante  opera:  Corso 
di  Geologia  del  professor  A.  Stoppani,  si  legge  : I fiancìii  dei 
coni  non  erano  più  ingrumati  di  fango,  bensì  sparsi  di  bianca 
cenere.  Questa  ultima  parola  formò  nella  menté  mia  un’  impres- 
sione troppo  forte,  perchè  in  venticinque  anni,  che  già  trascorro 
le  terre  del  Modenese,  non  mi  era  mai  occorso  di  osservare 
simile  fenomeno,  e tosto  ritenni  tale  espressione  od  errore  tipo- 
grafico, 0 adoperata  in  senso  diverso  da  quello  del  proprio 
significato  ossia  forse  per  polvere  e non  cenere.  Tuttavia  T impor- 
tanza del  trattato,  in  cui  si  trova,  che  deve  servire  di  guida 
agli  studiosi  ; 1’  autorità  somma  dalla  quale  venne  emessa  ; e 
r argomento  diretto  ne’  fenomeni  delle  terre  modenesi,  le  quali 
ho  sempre  cercato  d’ illustrare,  per  quanto  lo  comportano  le 
bene  limitate  mie  cognizioni  : tutte  siffatte  ragioni  mi  eccitarono 
a dettare  queste  brevi  note  sulle  Salse  modenesi  più  volgarmente 
note  anche  col  nome  di  Bombi. 

Il  giorno  28  luglio  del  corrente  anno  mi  portai  immantinente 
alla  Salsa  di  Nirano  per  di  nuovo  osservare  se  io  fossi  mai  stato  in 


— 232  — 


equivoco,  invece  dell’  illustre  professor  Stoppali!  ; ma  trovai  ricon- 
fermate le  mie  vecchie  osservazioni,  che  cioè  i coni  fangosi  in, 
tempo  di  estate,  o meglio  di  siccità,  perchè  ciò  succede  anche 
in  altre  stagioni,  quando  appunto  non  siano  piovose,  erano  rico- 
perti non  di  una  cenere,  ma  sibbene  di  un’  efflorescenza  poìve- 
rulosa  salina  Manca.  Fenomeno  questo  che  si  avvera  non  solo 
per  la  Salsa  di  Nirano,  ma  per  le  altre  tutte  che  vanno  fornite 
di  crateri  o coni  fangosi  di  eruzione,  quali  sono  a me  note  qui 
nel  modenese  quelle  di  Puianello  e di  Ospidaletto.  Per  avere 
poi  certezza  del  medesimo  non  occorre  di  portarsi  sul  luogo  in 
tempo  di  siccità,  ma  basta  raccogliere  quel  fango  anche  bagnato 
e conservarlo  in  luogo  secco,  che  tosto  si  copre  di  detta  efflo- 
rescenza, come  io  ho  osservato  nei  campioni  geognostici,  che 
conservo  nella  piccola  mia  collezione,  alcuni  de’  quali  furono  da 
me  presi  nella  Salsa  di  Nirano  istessa  dopo  il  forte  tremoto 
del  1873,  periodo  in  cui  detta  Salsa  mostrò  un’attività  mag- 
giore in  confronto  di  tutte  le  altre  del  Modenese,  come  ebbi  occa- 
sione di  rispondere  al  professore  M,  S.  De  Possi,  che  mi  avea 
domandato  notizia  di  tali  fenomeni,  e di  che  ne  fece  cenno  nel 
suo  Bullettino  del  Vulcanismo  Italiano,  Anno  I. 

Se  il  chiarissimo  Stoppali!  avesse  toccato  semplicemente  colla 
lingua  un  pezzo  di  fango  asperso  della  polvere  bianca,  ne  avrebbe 
tosto  sentito  l’ intenso  sapore  salato,  dovuto  senza  dubbio  in 
massima  parte,  almeno,  al  cloruro  sodico  ed  allora  non  avrebbe 
forse  adoperato  la  parola  cenere.  Il  fatto  altresì  che  gli  animali 
ruminanti,  specialmente  ovini,  sono  avidi  di  lambire  o mangiare 
tale  fango,  come  tutte  le  marne  turchine  plioceniche  che  offrono, 
ma  in  minor  grado,  lo  stesso  fenomeno,  è dovuto  alla  salsedine  del 
medesimo  fango  ; non  sarebbero  al  certo  sì  avidi  se  fosse  cenere 
invece  di  sale.  Per  fino  al  villico  custode  della  greggia  è nota 
la  ragione  di  questo  fenomeno,  e deve  stare  in  guardia,  onde 
la  greggia  non  mangi  molta  terra,  che  le  reca  la  malattia  del 
marciume. 

Dietro  la  testimonianza  del  Bianconi  riferisce  lo  stesso  Stop- 
pani  che  il  fango  delle  salse  si  trova  diversamente  colorato.  Altra 
particolarità  che  non  si  osserva  in  queste  del  Modenese  ossia  di 
Nirano,  Puianello  ed  Ospidaletto,  nelle  quali  tutte  il  fango  è 
di  un  colore  turchino  intenso,  quando  sia  bagnato  e di  recente 


— 233  - 

emesso  dalla  salsa,  ed  acquista  un  colore  biancastro  o cenero- 
gnolo quando  sia  secco. 

Dal  colore  e dal  presentare  la  stessa  efflorescenza  si  direbbe 
che  il  fango  delle  salse  sia  identico  alle  marne  turchine  plio- 
ceniche. Questo  però  è messo  in  dubbio  dalla  esistenza  del  fatto 
che  le  due  salse  di  Puianello  ed  Ospidaletto  fornite  di  cono  fan- 
goso, analogo  a quella  di  Nirano,  hanno  i loro  crateri  comple- 
tamente fra  le  argille  scagliose,  fuori  affatto  dalla  regione  delle 
marne  turchine,  il  cui  ultimo  limite  delle  testate  è a qualche 
chilometro  di  distanza  dal  luogo  delle  salse  istesse.  Per  cui  è 
forse  meglio  ritenere  che  tale  fango  provenga  da  una  decom- 
posizione delle  argille  scagliose,  abbenchè  queste  non  abbiano  un 
tale  colore  almeno  alla  superficie.  A siffatto  ultimo  supposto  sem- 
brerebbe opporsi  altro  fenomeno  presentato  dalla  Salsa  di  Mon- 
tegibio  detta  anche  di  Sassuolo,  la  quale  ha  pur  sede  fra  le 
argille  scagliose,  ma  non  ha  cono  di  fango.  Lo  Stoppani  dà 
ragione  di  ciò  col  supporre  che  ivi  non  vi  siano  elementi  solu- 
bili attivatori  della  salsa  medesima,  ed  infatti  le  argille  di  Mon- 
tegibio  ove  si  trova  la  salsa,  appartengono  alla  categoria  delle 
lapidee  o sassose,  mentre  quelle  di  Puianello  e di  Ospidaletto 
spettano  più  alle  terrose  che  alle  lapidee,  ed  almeno  sono  più 
miste  ; come  lo  indicano  eziandio  i coni  di  eruzione  di  queste 
ultime  due  che  sono  sibbene  in  massima  parte  di  fango,  ma  pure 
hanno  eziandio  qualche  elemento  sassoso.  Per  conseguenza  ne 
inferisco  che  il  fango  eruttato  dalla  Salsa  di  Nirano  non  sia  pure 
dovuto  alle  marne  turchine  nel  centro  delle  quali  essa  esiste. 
Una  diretta  osservazione  panni  venire  in  conferma  di  questa  mia 
congettura.  Tutte  le  marne  turchine,  che  cingono  P alta  vallea 
ove  si  trovano  i crateri  di  eruzione,  (come  si  può  vedere  dalla 
fig.  81,  data  dallo  Stoppani  pag.  393,  voi.  I,  che  è abbastanza 
buona  quando  si  suppongano,  mi  pare,  tutti  quei  crateri  posti 
in  basso,  trasportati  più  in  alto  alla  sinistra  e precisamente  in 
quell’  area  quasi  triangolare,  che  lascia  P incontro  di  quei  due 
rigagnoli  tracciati  nella  stessa  figura)  contengono,  benché  in 
scarso  numero  fossili*  marini,  e nel  fango  eruttato  dai  crateri 
non  ne  ho  potuto  scorgere  traccia;  cosa^che  non  potrebbe,  mi 
pare,  accadere  se  detto  fango  appartenesse  alle  stesse  marne 
turchine.  In  questa  occorrenza  lungo  il  pendio  orientale  del  colle 


16 


— 234 


ebbi  V accidentalità  di  trovare  una  conchiglia  di  acqua  dolce, 
forse  di  specie  nuova,  che  su  le  prime  avevo  riferita  al  lAmneus 
stagnalis,  Linn.,  ma  il  confronto  diretto  di  esso  fossile  con  gli 
attuali  viventi  nei  contorni  di  Modena,  mi  ha  convinto  essere 
una  specie  diversa  intermedia  per  le  forme  e le  dimensioni  alla 
accennata  specie  ed  al  L.  palustris.  Non  so  se  debba  riputarsi 
contemporaneo  degli  altri  fossili  delle  marne  turchine  plioceniche, 
od  abbia  vissuto  piuttosto  in  epoca  posteriore  negli  stagni  della 
vallea  istessa,  ove  però  al  certo  oggi  non  più  vive. 

La  Salsa  di  Nirano,  come  egregiamente  dice  lo  Stoppani,  è 
la  più  bella  e la  più  grandiosa,  perchè  oltre  il  regolare  infos- 
samento della  vallea,  cosa  però  che  si  osserva  anche  in  tutte  le 
altre,  ma  in  minor  grado,  contiene  in  questa  dieci  o dodici  cra- 
teri principali  di  eruzione,  ciascuno  de’  quali  non  ha  meno  di  tre 
0 quattro  aperture,  che  in  complesso  si  possono  valutare  oltre 
una  quarantina  circa,  perchè  variano  assai  da  periodo  in  periodo. 
Le  altre  due  salse  non  hanno  che  tre  o quattro  crateri  e con 
poche  bocche.  Queste  aperture  in  generale  hanno  piccole  dimen- 
sioni cioè  da  0,“  10  a 0,“  30  di  diametro.  La  maggiore  è la  più 
orientale  in  quella  di  Nirano,  che  misura  più  di  3,“  00  di  dia- 
metro ossia  12,“  00  di  circonferenza  come  indica  lo  Stoppani  ; 
ed  un’  altra  è la  più  meridionale  nella  stessa  salsa,  che  ha  1,“  00 
circa  di  diametro.  Si  nota  poi  costantemente  che  quanto  più  è 
larga  la  bocca  tanto  meno  riesce  elevato  il  cono  di  eruzione.  Di 
questi  il  maggiore  è il  più  nordico  in  detta  salsa,  il  quale  si 
avvicina  a 5,“  00  di  altezza  con  una  base  di  circa  50,“  00  e con 
apertura  di  pochi  centimetri.  La  ragione  di  tale  fenomeno  panni 
averla  osservata  nella  emissione  del  gaz,  alla  quale  è dovuta  la 
sortita  del  fango  e non  all’efflusso  dell’acqua,  perchè  quando 
questo  vi  sia,  sorte  dai  declivi  maggiori  dell’  apice  del  cratere 
e discende  lungo  il  medesimo  per  portarsi  nelle  parti  più  basse, 
senza  rendere  aumento  considerevole  al  cono  istesso  ; mentre  la 
emissione  del  gaz  nei  crateri  ad  apertura  ristretta,  ad  ogni  scop- 
pio della  bolla  gazosa  fa  uscire  un’  ondata  di  fango  che  a modo 
di  anello  investe  1’  apice  del  cratere  e nel*  medesimo  si  arresta 
più  0 meno  distante  secondo  la  quantità  dell’  ondata  e secondo 
r intervallo  minore  o maggiore  che  succede  tra  l’ una  e 1’  altra 
successiva  ondata,  ed  è questa  che  porta  1’  aumento  in  altezza 


- 235  — 


del  cono.  Ciò  potei  di  fatto  verificare,  perchè  avendo  ristretta 
r apertura  di  un  cono,  nel  quale  non  si  avea  più  emissione  di 
fango,  per  ottenerne  il  fenomeno  indicato  dallo  Stoppani  della 
continuata  accensione  del  gaz,  che  lo  ebbi  soltanto  ad  intervalli 
e non  continuo,  mi  accadde  V altro  fenomeno  ora  predetto  che 
ad  ogni  scoppio  di  bolla  gazosa  ne  sortiva  un’  ondata  di  fango. 
Ora  nei  crateri  a larga  bocca,  ove  in  via  ordinaria  il  gaz  gor- 
goglia nelle  parti  più  centrali,  1’  ondata  di  fango  che  esso  genera 
non  può  portarsi  con  forza  fino  alla  periferia  da  poter  salire  i 
limiti  imposti  dal  cratere  istesso. 

Il  terreno  che  forma  la  cinta  principale  della  Salsa  di  Nirano 
non  è a giudicarsi  così  maledetto  come  dice  lo  Stoppani,  perchè 
è anzi  ovunque  coltivato,  e somministra  discreti  raccolti,  come 
io  stesso  ho  più  volte  veduto  ; ma  può  ben  dirsi  tale  quello  della 
Salsa  di  Montegibio,  che  si  presenta  in  qualsiasi  epoca  assai 
arido  e nudo  terreno.  Le  salse  poi  di  Puianello  e di  Ospidaletto 
anche  per  questo  rapporto  sono  intermedie  alle  due  preaccennate. 

Vuoisi  eziandio  notare  che  i crateri  di  eruzione  occupano  in 
generale  la  parte  o le  parti  più  elevate  della  vallea  ; così  ser- 
vendoci della  tipica  di  Nirano,  la  cui  vallea  è naturalmente  divisa 
in  tre  culmini,  i crateri  si  trovano  nei  punti  più  elevati  dei  due 
maggiori.  Da  tale  fenomeno  panni  potersi  inferire,  non  solo  come 
asserisce  lo  Stoppani  che  la  formazione  del  fango  non  è super- 
ficiale, sibbene  profonda,  ma  ancora  che  non  è d’ immediata  sot- 
toposizione al  cratere  medesimo.  Perchè  se  fosse  vero  P opposto 
che  la  formazione  del  fango  fosse  superficiale  ed  immediatamente 
sottoposta  al  cratere,  coll’  aumento  della  cavità  interna,  che 
dovrebbe  generare  la  continuata  emissione  del  fango  e coll’  au- 
mento del  cratere,  e quindi  di  pressione  all’  esterno,  ne  dovrebbe 
nascere  1’  occlusione  di  quella  in  causa  di  questa  e per  conse- 
guenza una  depressione  nel  cratere  anziché  un  sollevamento  conie 
ho  soprannotato  verificarsi.  Per  cui  la  formazione  del  fango  non 
è limitata  al  cratere  di  eruzione,  ma  estesa  all’  intiera  vallea 
della  salsa,  la  quale  di  conseguenza  deve  andare  successivamente 
abbassandosi,  abbenchè  non  apparisca  in  breve  termine,  ma  solo 
col  lungo  decorso  degli  anni.  Se  imperlante  nel  continuato  pe- 
riodo di  oltre  18  secoli,  dall’  epoca  pliniana  al  giorno  d’  oggi, 
la  vallea  della  Salsa  di  Nirano  dovrà  essersi  abbassata  in  modo 


— 236 


forse  più  sensibile  di  quello  che  noi  possiamo  attualmente  giu- 
dicare ; e se  questa  alla  base  presenta  realmente  due  colli  che 
si  possono  chiamare  incozzati  fra  di  loro,  come  dice  Plinio  nella 
sua  Istoria  Maturale,  ove  pur  si  trovano  avanzi  del  periodo  ro- 
mano ; e se  questa  è la  maggiore  di  tutte  del  Modenese  per 
estensione  e potenza  : perchè  non  si  potrà  forse  supporre  che  la 
narrazione  pliniana  sia  più  riferibile  a questa  salsa  che  a quella 
di  Montegibio  o Sassuolo  assai  più  limitata,  e dove  V accozza- 
mento dei  due  monti  attualmente  almeno  non  si  osserva  ? Non 
potendomi  persuadere  che  la  Salsa  di  Montegibio  possa  essere 
stata  causa  di  sì  portentosi  fenomeni,  essendo  presentemente 
ridotta  a semplice  polla  d’ acqua,  che  gorgoglia  pel  gaz  svol- 
gentesi,  e che  trovasi  infossata  in  un’  area  elittica,  unica  mani- 
festazione di  sua  attività  maggiore  in  altri  tempi  ; che  non  è 
però  mai  da  paragonarsi  colla  estesa  vallea  di  quella  di  Nirano. 
Questa  dovea  18  secoli  fa  essere  più  elevata,  e quindi  forse  me- 
glio visibile  a Modena  che  quella  di  Montegibio  istesso. 

Come  salsa  od  assai  vicina  alla  salsa  deve  essere  annoverata 
anche  la  polla  d’  acqua  salata  detta  della  Guana  in  San  Venan- 
zio alla  sinistra  del  torrente  Tiepido/  Questa  polla  ha  il  diametro 
di  3,'“  00  ed  1,“  00  circa  di  profondità,  scola  continuamente  con 
piccolo  flusso  in  un  rigagnolo  che  a pòchi  metri  di  distanza  mette 
nel  predetto  torrente.  L’  acqua  è salsa,  ed  è notevole  perchè  con- 
tiene cloruro  di  sodio  quasi  senza  traccia  di  solfato  di  calce  come 
mi  facea  osservare  con  sommaria  analisi  l’ illustre  professore  Gri- 
melli  in  confronto  di  quella  di  mare.  E semitrasparente;  veduta 
in  massa  apparisce  di  un  colore  verdastro  spiacevole,  pure  serve  ai 
villici  abitatori  per  cuocere  le  loro  vivande  diluendola  alquanto  con 
acqua  potabile  per  diminuirne  la  salsedine  in  conformità  dei  gusti. 
Quelli  del  Colle  di  Gaiano  ne  fanno  uso  giornaliero.  Emette  a 
brevi  intervalli  una  certa  quantità  di  gaz  inflammabile,  che  mi  pare 
più  difficile  ad  accendersi  che  quello  delle  altre  salse,  e detuoni 
più  fortemente.  La  difficoltà  di  accendersi  può  anche  dipendere 
dalla  minore  stabilità  che  hanno  le  bolle  gazose  che  appena  for- 
matesi si  rompono,  è ciò  senza  dubbio  cagionato  dalla  minore 
densità  di  questa  acqua  in  confronto  della  pantanosa  delle  salse, 

^ Nel  Bollettino  del  1872,  anno  III,  pag.  144,  fu  stampato  per  errore  Tupido 
in  luogo  di  Tiepido. 


ove  le  bolle  hanno  maggior  durata,  e prendono  anche  maggiori 
dimensioni.  Nell’  avvicinare  il  corpo  acceso,  V intermittenza  del 
gaz  si  fa  maggiore. 

In  questo  anno  vi  ho  trovato  vivere  prosperosamente  una 
Bana  esculenta  L.,  alcune  grosse  larve  di  animale  ora  sconosciuto 
e molte  del  Gulex  pipiens  L.  Di  vegetali  non  vi  ho  scorto  che 
VArundo  phragmites^  e poca  alga  nuotante  alla  superficie. 

Il  terreno  in  cui  si  trova  è marno-ghiaioso,  avanzo  di  allu- 
vione del  letto  del  torrente  istesso  Tiepido  che  un  tempo  dovette 
occupare  anche  tale  luogo  ; è poi  sovrastante  alla  zona  delle 
marne  turchine.  Tutta  la  superficie  della  fossa  è coperta  di  un 
leggierissimo  strato  di  fango  analogo  a quello  delle  salse,  ed  è 
forse  questo  che  toglie  la  limpidezza  all’  acqua  medesima. 

Al  S.O.  in  distanza  di  4,“  50  vi  ha  una  sorgente  di  acqua 
dolce  0 potabile  il  cui  livello  rimane  circa  0,“  50  più  basso  della 
salata,  ed  ambedue  fluiscono  nel  medesimo  rigagnolo  che  sbocca 
ad  Est  nel  torrente  Tiepido. 

Do  termine  a queste  brevi  mie  note,  forse  non  del  tutto  inu- 
tili per  gli  equivoci  occorsi  su  tale  argomento. 


V. 

Sulla  Bélazione  di  un  viaggio  geologico  in  Italia. 
Nota  di  Th.  Fuchs. 

Nel  numero  3 e 4 del  Bullettino  del  Gomitato  geologico  pel 
corrente  anno,  il  prof.  Seguenza  ha  per  una  seconda  volta  sotto- 
posto ad  esame  critico  la  mia  piccola  pubblicazione  apparsa  nel- 
r anno  1872  ^ intorno  alla  formazione  terziaria  di  Gerace  e di 
Messina,  e non  solamente  quivi  mi  ha  fatto  rimprovero  di  una 
osservazione  inesatta  e superficiale,  ma,  se  io  lo  capisco  bene, 
anche  direttamente  di  false  indicazioni,  su  di  che  io  mi  vedo 
obbligato  a rispondere  in  proposito  qualche  riga. 

* Geologische  Studien  in  den  Tertiàrbildungen  Sùditaliens.  (Sits.-ber.  Akad. 
Wien  1872.) 


— 238  — 


Sorvolando  sui  punti  di  minore  importanza,  io  mi  rivolgo  im- 
mediatamente al  punto  principale,  cioè  alle  marne  bianche. 

Il  prof.  Seguenza  mi  fa  il  rimprovero  di  avere  considerate 
della  stessa  età  tutte  quante  le  marne  bianche  plioceniche  di 
Messina  e di  Gerace,  mentre  pur  facile  sarebbe  il  persuadersi 
che  nelle  due  località  si  trovano  marne  bianche  di  due  qualità, 
le  quali  per  1’  età  sono  al  tutto  differenti  e per  di  più  sono  fra 
loro  separate  per  mezzo  di  grandi  discordanze. 

Io  non  sono  al  momento  nel  caso  di  giudicare  se  questa  as- 
serzione corrisponda  alla  realtà  della  cosa  ; giacche  disgraziata- 
mente mi  è impossibile  dalle  pubblicazioni  del  prof.  Seguenza 
di  formarmi  un  chiaro  concetto  sopra  lo  stato  delle  cose,  come 
inutilmente  io  cerco  di  trovare  nelle  numerose  sezioni  stratigra- 
fiche da  lui  date,  quella  discordanza  dentro  la  serie  degli  strati 
pliocenici,  la  quale,  secondo  la  sua  asserzione,  sarebbe  un’  ap- 
parenza generale.  In  ogni  modo  adesso  è già  abbastanza  evidente 
che,  se  la  mia  opinione  d’ allora  fosse  veramente  stata  falsa, 
che  il  prof.  Seguenza  è rimasto  per  lunghi  nove  anni  precisamente 
nello  stesso  errore  ; giacche  appunto  queste  marne  bianche  for- 
mano pur  troppo  la  parte  costitutiva  essenziale  del  suo  Ter- 
reno Zancleano,  il  quale  egli,  dopo  sei  anni  di  studi,  ha  esposto 
nell’  anno  1868,’  e intorno  al  quale  egli  era  sempre  compieta- 
mente  dello  stesso  parere,  quando  nell’anno  1871  io  ho  avuto 
r onore  di  parlare  con  lui  sopra  questo  soggetto. 

Se  il  prof.  Seguenza  di  recente  ha  completamente  rinunziato 
al  suo  Terreno  Zancleano,  al  quale  egli  dava  una  volta  una  così 
grande  importanza,  e nel  quale  egli  trasportò  strati  enumerati 
in  più  divisioni,  così  allora  è chiaro  che  recentemente  egli  non 
abbia  solo  modificate  le  sue  vedute  di  prima,  ma  per  di  più  che 
le  abbia  completamente  cambiate  ; così  bene  come  è egualmente 
evidente  che  a me  era  impossibile  poter  conoscere  già  nel- 
r anno  1871  le  opinioni  del  prof.  Seguenza,  le  quali  egli  stesso 
allora  non  aveva  peranco  formulate,  e che  pubblicò  solo  due 
anni  dopo. 

Per  ciò  che  concerne  specialmente  le  marne  bianche  di  Ge- 
race, io  non  posso  che  ripetere  nuovamente  quello  stesso  che  ho 


* Bulletin  Soc.  géol.  France. 


~ 239  — 


già  dichiarato  una  volta,  cioè  che  nella  località  da  me  esplo- 
rata non  si  hanno  nè  marne  bianche  di  due  qualità,  nè  in  ge- 
nerale alcuna  vera  discordanza  dentro  gli  strati  pliocenici,  e che 
questo  piuttosto  che  rassomigliare  ad  una  discordanza  non  è altro 
che  uno  sconvolgimento.  Per  mia  maggior  sorpresa  il  prof.  Se- 
guenza  però  asserisce  inoltre  che  i fossili  da  me  indicati  fuori 
dalla  marna  bianca  di  Gerace  non  derivano  da  questa,  ma  bensì 
da  una  marna  più  alta  la  quale  riposerebbe  sopra  tutti  gli  strati 
che  io  ho  descritto  e figurato  per  Gerace.  (Pag.  93  : « egli  ha 
» dato  un  elenco  di  fossili  raccolti  presso  Gerace,  che  spettano 
» tutti  alla  zona  superiore,  provengono  perciò  da  un  lembo  di 
))  marne  soprastante  a tutta  la  serie  pliocenica  rappresentata 
» nelle  pittoresche  vedute  e sezioni  che  il  signor  Fuchs  annette  al 
))  suo  lavoro.  » (Pag.  96):  a Dappoiché,  come  di  sopra  ho  detto, 
» quelle  conchiglie  furono  raccolte  in  marne,  che  sono  posteriori 
» non  solo  alle  marne  della  sezione,  ma  ben  anco  alle  idtime 
» sabbie.  » 

Io  veramente  non  so  ciò  che  ha  condotto  il  prof.  Seguenza 
a questa  erronea  opinione,  dopoché  nella  tavola  VI,  fig.  I del 
mio  lavoro  è precisamente  indicato  il  punto  del  quale  * derivano 
i fossili  indicati,  e dopoché  nel  testo  è espressamente  detto  : 
« Nelle  posizioni  superiori  è posta  una  piccola  fornace  da  mat- 
toni, nella  quale  si  trovano  fossili  in  sufficiente  abbondanza.  Il 
deposito  principale  di  questi  si  trova  però  un  poco  al  di  sotto 
della  fornace,  circa  nel  terzo  superiore  delle  marne.  La  parte 
sottostante  è completamente  priva  di  fossili.  » 

Da  questa  esposizione  si  mostra  pur  chiaramente  che  i fos- 
sili da  me  indicati  tuttavia  derivano  dalle  marne  bianche  dimo- 
strate nel  disegno,  e precisamente  da  quelle  tali  marne,  che  ri- 
posano sotto  alle  sabbie  ; ed  io  non  dubito  in  nessun  modo  che 
il  persuadersi  dell’  esattezza  di  questo  fatto  riuscirà  molto  fa- 
cile al  signor  prof.  Seguenza  in  una  visita  a Gerace. 

Per  quanto  riguarda  il  calcare  concrezionato,  del  quale  il 
prof.  Seguenza  dice  che  presenta  delle  masse  irregolari  e con- 
crezionale, che  si  possono  comparare  nel  miglior  modo  con  tron- 
chi di  gesso  irregolari,  io  devo  riconoscere  che  questa  compara- 

‘ È il  punto  superiormente  a destra,  pel  quale  è detto:  «Fornace,  fossili 
dello  Zancleano.  )) 


240  — 


zione  bene  si  adatta  principalmente  a quelle  masse  irregolari  di 
calcare  che  io  ho  trovate  presso  Castellina  Marittima  rinchiuse 
nelle  sabbie  serpentinose  mioceniche,  ma  niente  affatto  a quel 
calcare  concresionato,  eh’  io  ho  avuto  occasione  di  osservare 
presso  Messina  e Gerace.  Questo  calcare  apparisce  piuttosto  to- 
talmente nella  forma  di  scogli,  ai  quali  le  formazioni  plioceni- 
che si  collegano  completamente  discordanti. 

Per  conclusione  ancora  uno  schiarimento. 

Quando  nell’anno  1871  io  andai  in  Sicilia  ed  in  Calabria, 
r unico  motivo  del  mio  viaggio  fu  di  mettere  in  chiaro  se  il 
Terreno  Zancleano  avesse  veramente  o no  il  diritto  di  essere 
considerato  come  un  nuovo  e indipendente  piano  terziario,  il 
quale  collegasse  il  miocene  ed  il  pliocene  come  il  prof.  Seguenza 

V 

asseriva.  E noto  che  io  ho  creduto  di  dover  accettare  come  re- 
sultato delle  mie  esplorazioni  che  quest’ultimo  caso  fosse  il  vero, 
che  cioè,  gli  strati  attribuiti  al  Terreno  Zancleano  non  avessero 
niente  che  fare  col  miocene,  ma  che  fossero  invece  veri  strati 
pliocenici,  i quali  dovessero  la  loro  singolarità  solo  alla  circo- 
stanza di  essere  formazioni  di  mare  profondo,  mentre  gli  altri 
sedimenti  pliocenici  erano  per  la  maggior  parte  depositati  in 
minore  profondità. 

Questo  è r unico  resultato  del  mio  lavoro  al  quale  io  attri- 
buisco qualche  importanza  ; e siccome  il  prof.  Seguenza,  per 
quanto  io  conosco,  nel  corso  ulteriore  dei  suoi  studi  è arrivato 
nella  sostanza  allo  stesso  modo  di  vedere,  così  io  ho  bene  tutta 
la  ragione  di  tenermi  contento  di  questo. 


Bologna,  14  luglio  1875. 


Per  la  traduzione  dell’  originale  tedesco 
trasmesso  dall’  autore 

A.  Manzoni. 


Th.  Fuchs. 


— 241 


VI. 

Calcare  a AmpMstegina,  strati  a Congeria  e calcare  di 

Leitha  dei  Monti  Livornesi,  nuove  ricerche  del  professor 
G.  Capellini.' 

Negli  ultimi  giorni  dello  scorso  marzo  essendomi  recato  nei 
Monti  Livornesi  per  continuare  le  ricerche  annunziate  a questa 
Accademia  delle  Scienze  nella  seduta  19  novembre  1874,^  mi 
affretto  oggi  ad  accennare  i resultamene  di  quella  rapida  ma 
fortunata  escursione. 

Intendendo  di  coordinare  le  nuove  ricerche  con  quanto  ho 
già  riferito  nella  Nota  precedente,  ricorderò  anzitutto  che  per 
le  nuove  osservazioni  fatte  presso  P Acquabuona  e a Paltratico 
ho  potuto  accertarmi  che  nei  Monti  Livornesi,  come  in  quelli 
della  Castellina,  il  calcare  di  Leitha  con  tutte  le  sue  varietà 
riposa  talvolta  direttamente  sul  calcare  alberese  o sulle  rocce 
ofiolitiche,  ma  più  spesso  passa  inferiormente  a molasse  e con- 
glomerati ofiolitici  0 calcareo-ofiolitici. 

Anche  nei  conglomerati  di  Paltratico  si  trovano  i tronchi  di 
legni  silicizzati  che  altra  volta  ho  citato,  parlando  dei  conglo- 
merati della  valle  della  Sterza  e della  valle  del  Marmolajo.  Il 
giacimento  di  questi  legni  fossili  ed  il  modo  col  quale  sono 
messi  allo  scoperto  per  opera  della  denudazione,  ricorda  ciò  che 
avviene  al  Cairo  pei  legni  silicizzati  (gen.  Nicolia)  delle  arenarie 
mioceniche  ; con  le  belle  sezioni  che  ho  fatto  eseguire  a Vienna 
spero  che  in  seguito  riescirò  a determinare  il  genere  di  coni- 
fera al  quale  per  la  maggior  parte  si  riferiscono. 

Nelle  arenarie  calcareo-ofiolitiche  con  le  quali  terminano  supe- 
riormente i conglomerati  già  si  incontrano  i fossili  che  diven- 
tano abbondanti,  e talvolta  si  presentano  perfettamente  conser- 


‘ Dal  Beiidìconto  dell’ Accademia  delle  Scienze  di  Bologna.  — Seduta  del 
giorno  8 aprile  1875. 

^ Vedi  G.  Capellini.  Strati  a Congeria,  formazione  oeninghiana  e piano 
del  calcare  di  Leitha  nei  Monti  Livornesi.  {Bollettino  del  B.  Comitato  Geolo- 
gico^ 1875,  n.  1 e 2,  pag.  49). 


— 242  — 


vati,  nella  melassa  di  Paltratico  e del  Gabbro  e nel  calcare  di 
Castelnuovo,  Rosignano,  Acquabuona,  San  Giovanni,  S.  al  Pog- 
gio ed  altre  località  nei  Monti  Livornesi  e della  Castellina. 

A questo  proposito  dirò  che  a Paltratico  e presso  Castel- 
nuovo ho  raccolto  esemplari  di  Forites  ed  alcuni  coralli  vera- 
mente eccezionali  per  lo  sviluppo  e per  la  perfetta  conservazione, 
come  farò  conoscere  a suo  tempo. 

Quanto  ai  molluschi  raccolti  nella  melassa  di  Paltratico  e 
nel  calcare  di  Castelnuovo,  essendo  conservati  in  modo  da  poterne 
facilmente  riconoscere  le  specie,  mi  hanno  posto  in  grado  di 
conguagliare  col  calcare  di  Leitha  non  solo  le  molasse  e i cal- 
cari stessi,  ma  eziandio  le  panchine  di  San  Quirico,  San  Dal- 
mazio, Badie  Nuove  ed  altre  località  ove  la  così  detta  panchina 
rappresenta  una  delle  tante  forme  litologiche  del  calcare  di 
Leitha.^  Anche  sotto  questo  punto  di  vista  sono  molto  istruttivi 
i passaggi  che  questa  roccia  presenta,  e che  si  possono  riscon- 
trare nelle  cave  presso  Castelnuovo  e presso  P Acquabuona,  ove 
fra  le  varie  forme  litologiche  ho  trovato  un  importante  strato 
a Bissoa  di  cui  già  avevo  scoperto  un  primo  saggio  al  Buchic- 
chio  presso  le  cave  di  Castellina  Marittima. 

Gli  studii  intrapresi  sulle  piante  fossili  raccolte  al  Gabbro, 
a Paltratico  e a Castelnuovo,  non  solo  mi  hanno  già  condotto 
a distinguere  la  flora  fossile  del  Gabbro  da  quella  di  Cerretello, 
come  Mondaino  deve  essere  distinto  da  Sinigallia  ; ma  ho  potuto 
altresì  accertarmi  dei  rapporti  intimi  fra  la  flora  fossile  del  Gab- 
bro e quella  del  celebre  tripoli  di  Bilin  in  Boemia  e segnata- 
mente  di  Kutschling,  come  dimostrerò  a suo  tempo  col  lavoro 
annunziato  nella  Nota  sopra  ricordata. 


‘ Fra  i fossili  di  Paltratico  ho  già  potuto  riconoscere  i seguenti:  Fusus 
Valenciennesi,  Grat.  ; Buccinum  miocenicum,  Mich.;  B.  semistriatum,  Br.'; 
B.  Bosthorni,  Partsch  ; Natica  helicina,  Chenopus  pes-pelecani,  Ph.;  Tur- 
vitella  turris,  Bast.  ; Corhula  gibha,  OV\\ì\  C.  Basteroti,B^ÒYn.\  Venus  plicata, 
Gm.:  V.  multilamella,  Lk.  ; V.  inlandicoides , Lk.  ; V.  Dujardini,  Hòrn.;  Ta- 
pes  gregaria,  Part.  ; Dosinia  exoleta,  L.  ; Lueina  horealis,  L.  ; L.  inerassata, 
Dub.;  L.  transversa,  Bronn;  Cardium  turonicum,  Mayer;  C.  paucicostatum, 
Sow.  ; Arca  turonica,  Duj.;  A.  Breislaki,  Bast.;  A.  diluvii,  Lk.  ; Nucula  nu- 
cleus,  L.  ; Leda  pella,  L.;  Modiola  Broccliii,  May.;  Ostrea  digitalina,  BiyAwn.] 
0.  lamellosa,  Br.;  0.  cochlear,  Poli;  0.,  sp.;  Pecten  aduncus,'E\c\v\N.',  P.  sub- 
striatus,  d’Orb.;  Serpula  sp.  ; Cellepora  sp.;  Membranipora  anguiosa,  Reuss; 
Lepralia  ansata,  Svan.  ; Porites  sp.;  Hemiaster? ; Psamniechinus  monilis,  Desm. 


— 243 


I gessi,  tanto  sviluppati  nella  valle  del  Marmolajo,  si  riscon- 
trano in  masse  amigdaloidi  assai  distanti  le  une  dalle  altre  nel 
versante  orientale  dei  Monti  Livornesi,  sulla  destra  del  Salvo- 
lano  e della  Fine  (p.  e.  sotto  Castelnuovo)  e appaiono  anche  nel 
versante  occidentale,  e si  presentano  nei  dintorni  della  Puzzo- 
lente e di  Limone^presso  Livorno  sempre  accompagnati  dalle 
marne  con  Lebias  crassicaudus  e larve  di  Libellula. 

Al  Casino  che  sta  fra  Lodolaja  e Pane  e Vino,  gli  strati  a 
Congeria,  altra  volta  riscontrati  nelle  due  ultime  località,  non 
solo  si  presentano  sviluppatissimi,  ma  offrono  un  interesse  affatto 
eccezionale  5 ivi,  infatti,  i molluschi  fossili  conservano  il  guscio 
appena  calcinato,  epperò  dei  piccoli  cardii  si  possono  studiare 
agevolmente  non  solo  gli  ornamenti  del  guscio,  ma  eziandio  il 
cardine  che  offre  caratteristiche  tanto  importanti. 

Oltre  i cardii  ho  raccolto  bellissimi  esemplari  di  una  Mela- 
nopsis  del  tipo  della  M.  Martiniana,  Neritine,  Littorinelle,  Con- 
geria simplex.  Questa  bella  conservazione  dei  fossili  è da  attri- 
buirsi alla  natura  litologica  degli  strati  di  sabbie  marnose 
compatte  le  quali  ricordano  un  poco  quelle  decisamente  plioce- 
niche, e che  fanno  seguito  in  serie  ascendente. 

Essendomi  recato  a Livorno  per  studiare  di  bel  nuovo  i gessi 
della  Puzzolente  e di  Limone  e ricercare  se  anche  in  quella 
parte  dei  Monti  Livornesi  si  continuavano  gli  strati  a Congeria, 
ho  trovato  al  loro  posto  uno  strato  con  fossili  di  acqua  dolce, 
fra  i quali  prevalgono  le  Melanie  del  tipo  della  Melania  Leto- 
cliae,  Melanopsis  del  tipo  della  M.  Martiniana,  Neritine  e Lit- 
torinelle. La  roccia  marnosa  che  contiene  questi  fossili  è pure 
ricca  di  concrezioni  limonitiche  e di  cristalli  di  selenite  che  carat- 
terizzano gli  strati  a Congeria,  e vi  si  notano  impronte  di  Chara. 

Benché  manchino  i piccoli  Cardii  e le  Congerie,  questo  strato 
per  la  sua  posizione  e pei  suoi  fossili  è da  ritenersi  come  rap- 
presentante locale  dei  veri,  strati  a Congeria,  e soltanto  si  ha 
altresì  la  prova  che  dai  depositi  di  acqua  dolce  del  miocene 
superiore  ivi  si  passa  alla  formazione  marina  pliocenica  senza 
intermezzo  di  depositi  di  acqua  salmastra. 

Negli  strati  sovrapposti  alla  formazione  di  acqua  dolce,  giova 
notare  che,  fra  i pochi  esemplari,  ho  trovato  due  bellissime 

Superiormente  seguitano  le  argille  turchine  plioceniche  coi 


— 244  — 


soliti  fossili  caratteristici,  assai  bene  esposte  presso  il  Purgatorio 
del  Condotto,  verso  il  Podere  della  Ghiaccia  e a Suese,  e che 
si  continuano  sotto  formazioni  più  recenti  nella  pianura  livornese. 

Sono  queste  stesse  argille  che,  grandemente  sviluppate  nel 
versante  orientale  dei  Monti  Livornesi,  occupano  così  gran  parte 
della  valle  del  Salvolano  e della  Fine,  e sono  tagliate  dalla 
strada  ferrata  maremmana. 

Presso  la  stazione  di  Orciano  le  argille  abbondano  di  fossili 
e fra  le  specie  più  caratteristiche  ho  raccolto  anche  la  celebre 
PeccJiiolia  argentea;  e finalmente  al  disopra  di  esse,  alla  Casa 
Nuova  ossia  villa  del  cavalier  Perugia,  poco  distante  dalla  indi- 
cata stazione  e presso  la  strada  che  va  al  paese  di  Orciano,  ho 
trovato  il  celebre  calcare  a Amphistegina,  o pietra  lenticolare  di 
Parlascio,  che  costituisce  un  banco  lungo  circa  trenta  metri,  alto 
sette  a otto  metri  e composto  di  strati  che  inclinano  verso  la 
valle  della  Fine.  Questo  banco  per  la  sua  posizione  sul  dorso 
di  una  collina  interamente  costituita  da  argille  turchine  plioce- 
niche, qui  più  chiaramente  che  altrove  nella  provincia  di  Pisa, 
mostra  che  questa  roccia  è pliocenica,  ed  occupa  il  posto  delle 
sabbie  gialle  superiori.  Noterò  per  incidenza  che  fino  dal  1873 
ho  trovato  il  calcare  a Amphistegina  a Boccacciano  presso  Sar- 
teano  nei  monti  di  Cotona  ; ma  non  ho  potuto  accertarmi  se  le 
argille,  sulle  quali  ivi  pure  riposa,  siano  parimente  plioceniche 
ovvero  riferibili  al  miocene. 

Se  avessi  fatta  la  mia  escursione  verso  Orciano  prima  della 
pubblicazione  della  memoria  sui  gessi  di  Castellina  Marittima, 
anche  la  pietra  lenticolare  fin  d’ allora  sarebbe  stata  collocata 
al  suo  vero  posto  ; non  posso  a meno  però  di  esprimere  la  mia 
meraviglia  che  questa  importante  località  non  fosse  stata  già  da 
altri  presa  in  considerazione,  poiché  dn  tal  caso  non  vi  sareb- 
bero state  discussioni  sulla  età  e sulla  vera  posizione  della  pie- 
tra lenticolare  di  Parlascio,  ossia  del  calcare  a Amphistegina. 

Chiuderò  questo  cenno  ringraziando  i fratelli  Lobin,  il  pro- 
fessor Spagnolini  ed  il  signor  E.  Nardi  che  mi  furono  compagni 
di  escursione  nei  dintorni  di  Castelnuovo,  di  Livorno  e del  Gabbro. 


— 245  — 


VII. 

1 membri  delle  formazioni  terziarie  nel  versante  settentrionale 
dell’ Apennino  fra  Ancona  e Bologna^  per  Th.  Fuchs. 

(Estratto  dai  Rend.  delV  A.eccideinia  delle  Scienze  di  Vienna,  fase,  di  febbr.  1875.) 

Le  formazioni  terziarie,  le  quali  accompagnano  il  versante 
settentrionale  degli  Apennini  da  Ancona  fino  a Bologna,  sono 
già  state  fatte  oggetto  di  profondi  studi  e di  esaurienti  pubbli- 
cazioni per  parte  di  tanti  ed  abili  naturalisti  (fra  i quali  basta 
ch’io  solo  qui  ricordi  il  Doderlein,  il  Capellini,  il  Manzoni,  il 
Bianconi,  il  Foresti,  lo  Scarabelli),  che  con  un  soggiorno  di  sole 
quattro  settimane  in  questa  regione  io  non  ho  potuto  calcolare  di 
scuoprirvi  numerosi  fatti  nuovi  per  la  scienza.  Così  è che  mentre 

10  fin  da  principio  ho  rinunziato  a far  simili  scoperte,  ho  invece 
rivolta  la  mia  cura  a riscontrare  la  disposizione  più  possibilmente 
precisa  che  le  formazioni  terziarie  quivi  mostrano,  ed  a fissare 

11  rapporto  cronologico  dei  singoli  membri  1’  uno  coll’  altro,  come 
anche  a fissare  detto  rapporto  con  altre  formazioni  terziarie  ben 
conosciute  e principalmente  con  quelle  d’  Austria  ed  Ungheria. 

In  questo  proposito  io  credo  invero  di  poter  presentare  qual- 
che risultato,  stantechè  mi  sia  riescito  di  raccogliere  1 indica- 
zione che  la  così  chiamata  Melassa  marnosa  (Mergehnolasse)  dei 
dintorni  di  Bologna  e di  Modena  in  ogni  rapporto  corrisponde 
col  nostro  ScJilier,^  che  i depositi  miocenici  di  Sogliano  e di 
Monte  Gibio  corrispondono  completamente  ai  nostri  strati  di 
Baden  e di  Gainfahren,  di  maniera  che  questi  depositi  miocenici 
di  detta  regione  mostrano  precisamente  quella  separazione  in  un 
primo  e secondo  piano  mediterraneo,  i quali  dal  prof.  Suess 
furono  prima  dimostrati  per  gli  strati  marini  miocenici  del  ba- 
cino di  Vienna,  e che  di  poi  sono  stati  ritrovati  in  tante  altre 
località  dell’  Europa  meridionale. 

* L’Autore  mi  fa  noto  che  la  parola  ScAZier  è un  provincialismo  che  non  si 
presta  alla  traduzione.  Con  questa  parola  si  denominano  nell’Alta  Austria  le 

marne  grigie  terziarie,  cosi  bene  come  si  dice  Tegel  nella  Bassa  Austria. 

Il  Traduttore. 


- 246  — 


In  connessione  col  sopra  detto  merita  di  esser  notato,  clie 
tanto  presso  San  Marino  quanto  presso  Sogliano  le  argille  di 
Baden  sono  sopracoperte  da  sabbie  e ciottoli,  le  quali  corrispon- 
dono in  ogni  rapporto  colle  nostre  sabbie  di  Neudorf,  dove 
inoltre  ha  luogo  la  sppraposizione  alle  argille  di  Baden  di  un 
membro  del  gruppo  del  calcare  di  Leitha.  A Monte  Gibio  però 
sembra  che  abbia  luogo  l’ inverso  rapporto,  giacché  quivi,  se- 
condo Doderlein,  le  marne  turchine  ricche  di  Pleurotome  (le 
quali  corrispondono  completamente  alle  nostre  argille  di  Baden), 
sarebbero  sottoposte  ad  una  calcaria  con  Lucina  pomimi. 

Finalmente  merita  anche  di  esser  rilevato  che  mi  è riuscito 
di  giungere  alla  completa  persuasione,  che  la  grande  formazione 
gessifera  e solfifera,  la  quale  accompagna  l’ insieme  dei  terreni 
terziari  nel  versante  settentrionale  degli  Apennini,  nelle  regioni 
da  me  esplorate  in  nessun  modo  si  presenta  inclusa  nei  depositi 
miocenici  del  Tortonese  o nelle  alcun  poco  più  antiche  molasse 
marnose,  come  per  avventura  da  molti  anche  oggi  si  ritiene; 
ma  che  invece  detta  formazione  solfo-gessifera  apparisce  al  tutto 
e sempre  indipendente  dai  depositi  miocenici  ed  invece  trovasi 
posta  alla  base  del  pliocene  ed  a questa  formazione  intimamente 
legata.  Questo  concorda  totalmente  coi  resultati  ai  quali  sono 
giunti  in  riguardo  alla  posizione  di  questi  strati  già  da  lungo 
tempo  il  Pareto  in  Piemonte,  e più  recentemente  Doderlein  nei 
dintorni  di  Modena  e Reggio,  e Capellini  in  Toscana;  e ciò  è 
quindi  di  particolare  interesse,  giacché,  dopo  la  brillante  scoperta 
deir  ultimo  nominato  autore,  questa  formazione  di  gesso  e solfo 
corrisponde  agli  strati  a Gong  cria  di  Austria  e di  Russia. 

In  quello  che  segue  io  presento  la  successione  delle  forma- 
zioni le  quali  si  possono  discernere  nel  versante  settentrionale 
dell’ Apennino  fra  Bologna  ed  Ancona. 

1.  Formazione  del  Flysch  ed  Argille  scagliose.  — La  forma- 
zione di  basamento  delle  più  giovani  formazioni  terziarie  nel 
versante  settentrionale  dell’  Apennino  é data  ovunque  da  Ancona 
fino  a Modena  dal  Flysch,  ed  anzi  questo  si  mostra  di  prefe- 
renza in  forma  di  argille  scagliose,  formazione  montuosa  così 
vastamente  riprodotta  negli  Apennini,  la  quale  fuori  d’Italia  é 
pressoché  niente  conosciuta,  e sopra  la  natura  speciale  della 
quale  regna  ancora  tanta  oscurità. 


— 247 


Là  dove  le  argille  scagliose  affiorano  nel  loro  tipico  sviluppo 
si  rassomigliano  viste  da. lontano  a colossali  ammassi  di  fango; 
ma  ad  osservazione  più  vicina  vien  fatto  di  persuadersi  die  non 
consistono  propriamente  di  una  sostanza  plastica  e molle,  ma 
piuttosto  di  un  immenso  accumulo  di  piccoli  frammenti  di  argilla 
poco  duri  ed  irregolari  i quali  mostrano  una  frattura  scagliosa 
bene  distinta.  La  stratificazione  non  si  può  riscontrare,  ovvero 
apparisce  in  forma  di  curiose  pieghe  e sinuosità  che  fanno  V im- 
pressione come  se  la  massa  intera  abbia  una  volta  subito  un 
interno  movimento  di  rotazione  e di  scorrimento.  Il  colore  della 
roccia  è in  genere  di  un  turchino  grigio-scuro,  ma  vi  si  incon- 
trano anche  delle  varietà  di  color  verdastro  e rosso.  Talvolta 
la  massa  intera  è gessifera  e mostra  alla  sua  superficie  diverse 
efflorescenze.  In  tali  punti  si  mostrano  allora  alla  superficie  dei 
curiosi  rigonfiamenti  a modo  di  monticello  che  rassomigliano  ai 
rigonfiamenti  provenienti  dal  passaggio  di  un  getto  di  gas  attraT 
verso  la  superficie  di  un  torrente  di  lava,  e che  nel  caso  in 
esame  probabilmente  sono  il  prodotto  delle  accennate  efflore- 
rescenze.  Nelle  vicinanze  di  queste  località  la  superficie  è spesso 
colorata  in  giallo.  Di  fossili  non  è dato  trovar  traccia  di  sorta 
alcuna.^  Tutte  queste  circostanze  danno  alle  argille  scagliose  un 
carattere  di  anormalità  ; e se  ad  esempio  uno  si  ponga  al  piede 
del  Monte  Titano  nella  Kepubblica  di  San  Marino  sopra  le  nude 
eminenze  delle  argille  scagliose  e passeggi  lo  sguardo  sopra  la 
squarciata  e sconvolta  superficie,  sopra  i numerosi  rigonfiamenti 
simili  a monticelli,  sopra  le  svariate  efflorescenze  e le  tinte  di 
colore  che  passano  dal  grigio  al  verde,  al  giallo,  al  rosso,  e che 
noti  da  per  tutto  fino  giù  in  grande  profondità  le  traccie  del 
movimento  che  ha  avuto  luogo,  crede  piuttosto  di  trovarsi  sopra 
un  antico  torrente  di  lava,  di  quello  che  sopra  una  formazione 
sedimentaria  normale. 

S’ intende  da  sè  che  tutto  questo  vale  solo  per  quelle  loca- 
lità nelle  quali  le  argille  scagliose  appariscono  isolate  e non  per 
altrove  dove  mostrano  tutti  i passaggi  fino  alle  più  comuni  for- 

* Io  ho  visto  due  belle  Ammoniti  globose,  raccolte  dal  dott,  Azzaroli,  me- 
dico condotto  a Poggio  de’ Borghi,  nelle  frane  di  argille  scagliose  colorate  in 
rosso  che  s’ incontrano  sul  lato  sinistro  del  torrente  di  San  Marino  per  salire 
a San  Leo.  — Il  Traduttore. 


- 248  — 


inazioni  del  Flyscli,  nel  quale  le  argille  scagliose  appariscono  solo 
come  parte  secondaria  costitutiva  in  strati  regolari  alternanti  con 
calcari  marnosi  e banchi  di  arenaria  calcare. 

Per  ciò  che  concerne  V età  della  formazione  del  Flysch  e 
delle  argille  scagliose  al  versante  Nord  degli  Apennini,  esse 
appartengono  secondo  le  ricerche  del  Capellini  parte  alla  Creta 
e parte  alla  formazione  eocenica,  senza  che  per  ora  sia  possibile 
precisare  in  genere  questa  separazione. 

IL  Strati  del  Monte  Titano.  — Il  membro  più  profondo  delle 
più  giovani  formazioni  terziarie  è formato  dagli  strati  del  Monte 
Titano  nella  Eepubblica  di  San  Marino,  i quali  corrispondono 
alle  formazioni  terziarie  di  Dego,  Carcare,  Beiforte  (Bormidiano 
di  Sismonda),  agli  strati  di  Schio  nel  Vicentino  e alP  Aquitaniano 
♦di  Mayer.  Questi  strati'  formano  il  Monte  Titano  ed  inoltre  al- 
cune altre  sommità  montuose  poste  ai  lati  del  corso  della  Ma- 
recchia,  e si  ripetono,  secondo  una  amichevole  comunicazione  del 
dott.  Manzoni,  anche  al  di  là  del  vertice  dell’  Apennino  nel  ver- 
sante toscano  dove  essi  compongono  la  sommità  del  Monte  della 
Verna.  La  caratteristica  costituzione  di  questa  formazione  è data 
da  una  molto  consistente  calcaria  arenaceo-marnosa  a briozoi, 
nella  quale  i briozoi  sono  in  genere  talmente  prevalenti  da  for- 
mare la  massima  parte  della  massa.  Fra  questi  briozoi  s’ incontra 
anzitutto  prevalente  una  colossale  nodoso-ramosa  Cellepora,^  la 
quale  raggiunge  spesso  delle  mostruose  dimensioni  e si  atteggia 

X 

totalmente  a modo  di  tronchi  di  Forites.  E notevole  ancora  che 
una  gran  parte  di  queste  Cellepore  è trasformata  del  tutto  in 
selce  alla  guisa  di  molte  spugne  mesozoiche. 

Oltre  questa  roccia  calcaria  marnoso-sabbiosa  a briozoi,  la 
quale  compone  la  massima  parte  della  formazione,  appariscono 
anche  delle  schiette  arenarie  e marne,  e d’  altro  lato  delle  cal- 
carle anche  più  pure,  le  quali  offrono  la  più  grande  rassomi- 
glianza colle  diverse  apparenze  del  nostro  calcare  di  Leitha. 

I fossili  s’ incontrano  in  tutti  gli  strati  ; però  il  loro  stato  di 
conservazione  è in  genere  molto  difettoso  e la  loro  determina- 


’ Ho  già  in  questo  Bollettino  rettificato  1’  errore  per  il  quale  io  mi  ero  in- 
dotto a chiamar  Porites  ramosa  Cat.  1’  organismo  che  dipoi  il  mio  amico  Fuchs 
mi  ha  dimostrato  non  esser  altro  che  una  Cellepora.  — Il  Traduttore. 


249  — 


zione  associata  quindi  a grande  difficoltà.  Dopo  i già  ricordati 
firiozoi  vengono  avanti  in  frequenza  ed  abbondanza  gli  echino- 

N 

dermi,  e dopo  questi  i Tecten  e Spondili  e i denti  di  pesci.  E 
notevole  invece  la  mancanza  quasi  assoluta  di  coralli  e di  ga- 
steropodi; dei  primi  non  sono  stati  per  ora  trovati  che  due 
specie  in  malconservati  esemplari,  e dei  secondi  non  si  sono  rac- 
colti negli  strati  più  profondi  altro  che  alcuni  grossi  nuclei  o 
modelli  interni  somiglianti  a grosse  Cassis. 

Per  ciò  che  riguarda  il  carattere  complessivo  della  fauna  è 
da  notare  che  vi  s’ incontrano  quasi  in  eguali  proporzioni  delle 
forme  dell’  oligocene  e del  miocene,  oltre  ad  alcune  che  sono  par- 
ticolari di  quest’  ultimo  piano  e che  si  rinvengono  negli  strati 
di  Schio,  Dego,  Beiforte  e nei  più  profondi  strati  di  Malta. 
Manzoni  cita  in  massa  le  seguenti  specie  : * 

Spliaerodus  cinctus  Agass.  ; Carcliarodon  megalodon  Agass.  ; 
Oxyrrhina  isocelica  E.  Sism.  ; Ox.  Desori  Agass.  ; Lamina  con-  ^ 
tortidens  Agass.;  L.  cuspidata  Agass.;  Hemipristis  serra  Agass.; 
Otodus  sìdcatus  E.  Sism.  ; Sphirna  sp.  ? ; Corax  sp.  ; Galeus  la- 
tidens  Agass.  ; 

Cassis  sp.  ? ; Conus  sp.  ? ; Natica  perusta  Bronn  ; Bissoina  sp.  ? 
Pecten  latissimus  Br.  ; P.  Raueri  Micht.  ; P.  Bendanti  Bast.  ; 

P.  aduncus  ? Eichw.  ; P.  Michelotti  D’ Ardi.  ; P.  mioceniciis 
Micht.  ; P.  deletus  Micht.  ; ed  altre  specie  di  Pecten  non  ancora 
determinate  e probabilmente  al  tutto  nuove;  Spondilus  sp.  ? ; 
Ostrea  sp.  ? ; Venus  sp.  ? ; Gardium  difficile  Micht.  ; 

Tereòratida  sinuosa  Br.  ; T.  miocenica  Micht.  ; Bhyncho- 
nella  sp.? 

Membranipora  sp.  ? ; Lepralia  sp.  ? ; Cellepora  polythele  Ess.  ; 
CéUepora  sp.  ? (forma  a simiglianza  di  Porites)  ; Retepora  sp.  ? ; 
Eschara  nudulata  Ess.  ; E.  suhcliartacea  D’  Arch.  ; Myriozoon  sp.  ? ; 
Hornera  trabecidaris  Ess.  ; Yincidaria  sp.  ? ; Idmonea  sp.  ? ; Bi- 
■scosparsa  sp.  ? ; Badiopora  sp.  ? ; Badiopora  boletiformis  ? Ess.  ; 
Bef rancia  sp.  ? 


* La  lista  di  fossili  che  io  qui  faccio  seguire  non  è quella  data  dal  Fuchs 
■ed  estratta  dal  mio  primo  lavoro  sopra  il  Monte  Titano,  ma  è un’  altra  da  me 
compilata  come  frutto  di  ulteriori  ricerche  e di  utili  correzioni.  Quest’  ultima 
lista  quindi  è la  sola  da  tenere  in  conto.  — Il  Traduttore. 


17 


250  — 


Cidaris  (Rabdociclaris)  Melitensis  Forbes  (e  rispettivi  ra- 
dioli)  ; Cidaris  Adamsi  in  Adams  (e  rispettivi  radioli)  ; Cidaris 
Avenionensis  Desmoul.  (radioli)  ; Cidaris  sp.  ? (radioli)  ; Fsarn- 
mecìiinus  parvus  Micht.  ; Clypeaster  sentimi  Laube  ; Clyp.  JBeau- 
monti  E.  Sism.  ; Clyp.  placunarius  Agass.  ; Clyp.  Martinianns 
Desmoul.  ; Clyp.  placenta  Micht.  ; Sismondia  plamdata  D’  Arch.  ; 
Echinolampas  hemispìiaericus  Lk.  ; E.  Laurillardii  x4.gass.  ; E. 
Beshayesii  Desor  ; E.  disciis  Desor  ; E.  similis  Agass.  ; E.  glo- 
hidits  Laube  ; PygorJiyncJius  Spratti  Adams.  ; Ecliinocyamus 
Studeri  E.  Sism.;  Ecliinanthus^?  sp.  ?;  Pygaidus?  sp.  ? ; Cono- 
clypus  plagiosomiis  Agass.  ; Pericomus  latus  Agass.  ; P.  aeqiialis 
Desor  ; Erissus?  sp.  ? ; Linthia  cruciata  Desor  ; Periaster?  sp.  ? ; 
Hemiaster  Scìiillae  Wright;  Hem.  Cotteaui?  Wright  ; Beni,  ro- 
tundus  Laube  ; Scìmaster  Parhinsoni  Defr.  ; Sdì.  Besori  Wright  ; 
Sdì.  Leitlianus  ? Laube  ; Sdì.  Karreri  ? Laube  ; Macropneiistes 
Meneghini  Desor  ; Alacrop.  ? sp.  ? ; Eupatagiis  ornatus  Defr.  ; 
Spatangus  ocellatus  Defr.  ; Spatangus  sp.  ? 

Trodiocyatus  sp.  ? ; Stylocoenia  sp.  ? 

III.  Schlier.  — Sotto  questa  denominazione  io  metto  insieme 
quelle  formazioni  marnose  le  quali  sono  generalmente  designate 
dai  geologi  italiani  come  molasse  marnose.  Esse,  a dilferenza 
delle  più  giovani  marne  tortoniane,  sono  sempre  più  dure  e pie- 
trose ; il  loro  colore  va  dal  turchino-grigio  fino  al  biancastro,  qual- 
che volta  sono  un  poco  sabbiose  e contengono  sempre  una  assai 
grande  quantità  di  foraminifere,  le  quali  in  taluni  casi  giungono 
a tal  grado  di  abbondanza  da  rendere  la  roccia  friabile  e facile 
a sgranarsi.  Come  fossili  vi  si  incontrano  sovente  il  Nautilus 
diluvii  ed  il  piccolo  Pecten  duodecimlamellatus.  Presso  San  Leone 
dietro  la  località  chiamata  Sasso  nella  vallata  del  Reno,  noi  siamo 
riesciti  a raccogliere  una  maggiore  quantità  di  fossili,  i quali 
sono  i seguenti  : 

Aturia  Morrisii  ; Bentaìiimi  sp.  ; Cytìierea  sp.  ; Lucina  si- 
nuosa ; L.  sp.  ; L.  sp.  ; Solenoinya  Boderleini  ; Pecten  denudatus; 
P.  duodecimlamellatus  ; Ediinidi. 

Queste  specie  appartengono  in  genere  ai  meglio  designati 
fossili  del  nostro  Schlier  e non  lasciano  il  più  piccolo  dubbio 
che  la  Melassa  marnosa  dei  geologi  italiani  debba  venire  iden- 
tificata a questo  membro  dei  nostri  terreni  terziari.  Particolar- 


— 251  — 


mente  manifesta  è la  somiglianza  collo  Schlier  di  Hall  nell’  Alta 
Austria,  dove  per  di  più  lo  stato  di  conservazione  dei  fossili  è 
al  tutto  simile. 

Il  prof.  Capellini  nella  sua  conosciuta  Carta  geologica  dei 
dintorni  di  Bologna,  ha  diviso  in  due  piani  i depositi  marnosi 
che  noi  qui  abbiamo  messi  assieme  sotto  la  denominazione  di 
Schlier;  dei  quali  due  piani  il  più  antico  è da  lui  attribuito 
sotto  la  designazione  di  Marnes  Ueuàfres  al  Langhiano  ed  El- 
veziano  di  Mayer,  ed  il  più  recente  al  Messiniano  sotto  nome 
di  Marne  biancastre.  Senza  voler  più  disputare,  che  per  mezzo 
di  una  minuziosa  esplorazione  non  sì  possa  forse  precisare  una 
simile  divisione,  mi  riesce  però  malamente  accettabile  V attri- 
buire un  piano  di  questi  depositi  marnosi  al  Messiniano,  quan- 
doché lo  stesso  verrebbe  in  tal  caso  ad  essere  più  giovane  delle 
marne  tortoniane  di  Sogliano  e del  Monte  Gibio,  ciò  che  non 
concorda  colle  mie  osservazioni.  Oltre  a ciò  la  differenza  petro- 
grafica  nei  due  piani  distinti  da  Capellini  è estremamente  insi- 
gnificante ed  in  molti  casi  al  tutto  insussistente  ; ed  altrettanto 
può  dirsi  dei  fossili,  che,  a seconda  delle  mie  osservazioni,  sono 
gli  stessi  nei  due  casi  ; per  modo  che  io  ho  preferito  di  consi- 
derare in  uno  solo  questi  due  piani  di  depositi  marnosi. 

Presso  San  Leone  dietro  al  Sasso  nella  valle  del  Eeno  si  ve- 
dono negli  strati  più  superiori  delle  marne  a modo  di  Schlier 
banchi  di  arenaria  gialla  e friabile.  Secondo  una  amichevole  co- 
municazione del  dott.  Manzoni  queste  arenarie  raggiungono  al 
disopra  delle  molasse  marnose,  nella  regione  delle  alte  colline 
di  Modena,  un  grande  sviluppo,  e frequentemente  acquistano  una 
costituzione  a modo  di  conglomerato  minuto  contenendo  abbon- 
danti ciottoletti  di  serpentino  e per  di  più  offrendo  nella  loca- 
lità di  Montese  una  ricca  fauna  di  echinodermi  ed  un  bellis- 
simo Pentacrino  del  quale  il  dott.  Manzoni  ha  avuto  già  ad 
occuparsi.* 

IV.  Tortoniano.  — Sotto  questa  designazione  io  metto  assieme 
tutte  quelle  formazioni  che  corrispondono  agli  strati  di  Baden, 
Gainfahren,  Neudorf  e Pòtzleinsdorf,  ossia  alle  formazioni  del 


‘ Vedi  Rarità  paleozoologica  per  A.  Manzoni.  {Bollett.  del  R.  Comit.  Geol. 
d’Italia,  N.  5 e 6j  1874.) 


252 


secondo  piano  mediterraneo  del  bacino  di  Vienna.  Esse  forma- 
zioni consistono  in  parte  di  marne  turchine,  in  parte  di  sabbie 
e di  arenarie  e conglomerati,  le  quali  però  in  genere  si  distin- 
guono per  una  minor  durezza  e consistenza  dalle  arenarie  della 
stessa  natura  del  piano  precedente  e più  antico,  mentre  poi  le 
marne  stesse  non  raggiungono  mai  quella  durezza  e consistenza 
la  quale  caratterizza  in  genere  le  marne  dello  Scliìier.  Per  di 
più  i fossili  sono  sempre  reperibili  in  grande  quantità  ed  in 
buona  conservazione. 

Io  ho  osservato  le  formazioni  di  questo  piano  in  due  località  : 

L’una  di  queste  località  è posta  al  piede  occidentale  del 
Monte  Titano  dove  si  trova  un  lembo  isolato  di  depositi  mioce- 
nici in  parte  sopraposto  al  Flysch  in  parte  alla  roccia  del  Monte 
Titano  stesso,  il  quale  lembo  è squarciato  in  quasi  tutta  la  sua 
potenza  da  una  profonda  gola  formata  dall’  acqua.  In  questo 
punto  si  vedono  dall’  alto  al  basso  i seguenti  strati  : 

a)  Sabbie  gialle  con  duri  banchi  arenacei  e piani  di  ciot- 
toli con  frammenti  di  Ostrea  e di  Fecfen  / Cardmm  sp.  ; Lu- 
cina cf.  muUilamellata  Lam.  ; Venus  cf.  muUilamella  Lam.  ; Do- 
nax  sp.  ; Thracia  sp.  ; Tellina  planata  Lin.  ; Fuccinum  sp.  ; 
Murex  sp.  ; (Strati  di  Neudorf  e Pòtzleinsdorf).  Potenza  10  me- 
tri circa. 

l)  Argille  grigie  con  banchi  induriti  e con  piani  isolati 
di  grossi  ed  arrotondati  blocchi  e ciottoli.  Numerosi  fossili  come  : 
JBuccinum  coloratum  Eichw.  ; B.  Bujardini  Desh.  ; B.  duplica- 
tum  Sow.  ; B.  Basteroti  Micht.  ; Pleurotoma  Boderleini  Hòrn.  ; 
FI.  Sotteri  Micht.  ; Cerithium  doliolum  Br.  ; Cer.  òicinctum  Br.  ; 
Cer.  nodoso-plicatum  Hòrn.  ; Natica  lielicina  Br.  ; Corrida  sp.  ; 
Venus  multilamella  Lam.  ; Lucina  sp.  ; Candita  sp.  ; Gardium 
Turonicum  Mayer  ; Arca  sp.  ; Nucida  sp.  ; Finna  sp.  ; Fecten 
aduncus  Eichw.  ; Ostrea  digitalina  Eichw.  ; Anemia  costata  Eichw. 
(Strati  di  Grund).  Potenza  15  metri  circa. 

c)  Argille  turchine  grassose  con  traccio  di  lignite  e senza 
fossili.  Potenza  4 metri  circa. 

Sulla  nuova  strada  che  conduce  alla  città  di  San  Marino  ad 
una  breve  distanza  sotto  la  città  si  trova  immediatamente  so- 
vrapposto alla  roccia  del  Monte  Titano  un  piccolo  lembo  isolato 
di  argille  turchine  nel  quale  abbiamo  incontrati  i seguenti  fos- 


253  — 


sili  : Gorhuìa  sp.  ; Leda  sp.  ; Niicula  sp.  ; Tlioìadomya  sp.  ; Fecten 
diiodecimlamellaUis  ; Vaginella  depressa  ; Flaheìlum  sp.  Questo 
lembo  pare  che  corrisponda  alle  molasse  marnose  di  Bologna 
ossivvero  al  nostro  Schlier. 

L’  altra  località  nella  quale  noi  abbiamo  osservate  delle  for- 
mazioni mioceniche  è la  località  di  Sogliano  illustrata  dal  Man- 
zoni, al  N.O.  di  San  Marino,  dove  in  mezzo  alla  regione  delle 
sabbie  e marne  plioceniche  apparisce  un  isolato  lembo  miocenico.^ 
Quivi  si  vede  sulla  strada  a piccola  distanza  dal  paese  uno  spac- 
cato con  la  seguente  serie  di  strati  : 

a)  Un  conglomerato  pieno  di  giganteschi  e straordinari  esem- 
plari di  Fechmcidus  pilosus,  e più  oltre  : Ostrea  sp.  ; Feeten  cf. 
Tour  noli  ; F.  ef.  Tesseri  ; F.  elegans  ; F.  Malvinae  ; (Strati  di 
Neudorf).  Potenza  circa  0,  6. 

h)  Sabbie  gialle  fini  con  dure  lastre  di  arenarie,  piene  di 
piccole  bivalvi  : Turritella  ; Fìeur otoma  ; (Strati  di  Gainfahren  ?). 
Potenza  circa  4 metri. 

c)  Argille  con  Ferna  sp.  Potenza  circa  2 metri. 

d)  Argille  turchine  di  grande  potenza  con  numerosi  fossili, 
i quali  in  massa  corrispondono  a quelli  delle  argille  di  Baden. 
Manzoni  enumera  le  seguenti  specie  : 

Coniis  Aìdrovandi  Brocc.  ; C.  Ferghausi  Micht.  ; C.  fusco- 
cingulatus  Bronn  ; C.  avellana  Lam.  ; G.  ventricosus  Bronn  ; G.  Tar- 
heìliamis  Grat.  ; G.  Haueri  Partsch  ; G.  Fuschi  Micht.  ; G.  Fronni 
Micht.  ; G.  Fujardini  Desh.  ; G.  sertiferus  Manzoni  ; Ancillaria 
obsoleta  Brocc.  ; A.  glandiformis  Lam.  ; Marginella  marginata 
Bon.  ; Fingicida  buccinea  Desh.  ; Voluta  rarispina  Lam.  ; Mitra 
scrobieidata  Brocc.  ; M.  recticosta  Bell,  ; Golumbella  curta  Bell.  ; 
G.  scripta  Bell.  ; Terebra  fuscata  Brocc.  ; T.  cinerea  Bast.  ; 
T.  acuminata  Borson  ; T.  pertusa  Bast.  ; T.  tuberculifera  Doderl.  ; 
T.  Fasteroti  Nyst  ; Fseudoliva  Frugadina  Grat.  ; Fuccinum 
clathratum  Lam.  ; F.  pseudo-clathratum  Micht.  ; F.  semistriatum 
Brocc.  ; F.  mutabile  Linn.  ; F.  Fujardini  Desh.  ; F.  duplicatum 
Sorb.  ; F.  polygonum  Brocc.  ; Furpura  elata  Blainv.  ; Gassis  sa- 
buron  Lam.  ,*  Glienopus  sp.  ; Banella  marginata  Brong.  ; Murex 


^ Manzoni,  Della  Fauna  del  lembo  miocenico  di  Sogliano  presso  al  Rubicone, 
(1869,  aus  demLX.  B.  d.  Sitzb.  der  Acad.  d.  Wissensch.  Wien.  1869). 


— 254  - 


Sedgivicki  Micht.  ; M.  inflexus  Dod.  ; TypMs  liorridiis  Brocc.  ; 
Fusus  Klipsteini  Miclit.  ; F.  Valenciennesi  Grat.  ; F.  Fuclisii 
Manzoni  ; Cancellaria  varicosa  Brocc.  ; C.  cancellata  var.  Ferto- 
nensis  Bell.  ; G.  scrohicidata  Hoern.  ; Fleiirotoma  catapliracta 
Brocc.;  FI.  ramosa  Bast.  ; FI.  intersecta  vel  mystica  Dod.  ; FI.  Mor- 
tilieti Mayer  ; FI.  inter rupta  Brocc.  ; FI.  asperidata  Lam.  ; 
FI.  Jouanneti  Desm.  ; FI.  turricula  Brocc.  ; FI.  rotcda  Brocc.  ; 
FI.  spiralis  Serr.  ; FI.  sinuata  Bell.  ; FI.  intermedia  Bronn  ; 
FI.  pustulata  Brocc.  ; FI.  tereòra  Bast.  ; FI.  rustica  Brocc.  ; Ce- 
ritìiium  gramdinum  Bon.  ; Cer.  minutum  Serr.  ; Turritella  tor- 
nata Brocc.  ; T.  Brocchii  Bronn  ; T.  vermicidaris  Brocc.  ; T.  hi- 
carinata  Eicli.  ; T.  Hórnesi  Micht.  ; Fenopliora  sp.  ; Troclius 
patidus  Brocc.  ; Solarium  simplex  Bronn  ; Natica  mUlepunctata 
Lam.  ; N.  redempta  Micht.  ; N.  Josephinia  Bisso  ; N.  lielicina 
Brocc.  ; Niso  eburnea  Bisso  ; Crepidula  unguiformis  Lara.  ; F>en- 
talium  Bouei  Desìi.  ; D.  inaequale  Bronn  ; B.  Miclielotti  Hoern.  ; 
B.  mutabile  Dod.  ; 

Chama  gryplioides  Limi.  ; Cardila  Jouanneti  Bast.  ; Nucula 
piacentina  Lam.  ; Fectuncidus  pilosus  Limi.  ; F.  obtusatus  Partsch; 

Heliastraea  Fllisiana  Edw.  ; Astrea  cremdata  Edw.  ; Forites 
Collegnana  Micht.  ; (Argille  di  Baden). 

Immediatamente  dietro  Sogliano  a mano  destra  in  fondo  alla 
valle  si  osservano  egualmente  strati  miocenici  in  posto  e cioè: 

a)  Sabbie  fine  gialle  e sciolte  con  qualche  esemplare  di 
Cerithium  lignitarum  e Cer.  pictum.  Potenza  6 a 7 metri. 

b)  Argille  sabbiose  grigio-verdastre  con  traccio  di  lignite 
e piene  di  Cer.  lignitarum,  Cer’.  pictum  ed  inoltre  Ostrea  crassis- 
sima e Buccinum  mutabile  ; (Strati  di  Grund).  Potenza  20  metri 
circa. 

In  questo  punto  venne  praticata  P estrazione  della  lignite  in 
mediocre  profondità,  e quindi  si  sconvolsero  e mescolarono  tal- 
mente i terreni  all’  intorno  da  non  esser  possibile  più  il  farsi 
una  idea  esatta  della  loro  relativa  posizione. 

Manzoni  enumera  provenienti  da  questi  strati  lignitiferi  oltre 
i fossili  da  me  osservati  anche  i seguenti  : Cerithium  rubiginosum  ; 
Cer.  Moravicum  ; Hydrobia  stagnalis  ; Neritina  ^ébrina  ; Mela- 
nopsis  Bonelli  ; Flanorbis  cornu. 

Questi  strati  lignitiferi  sono  posti  in  ogni  caso  al  disotto  del 


— 255  — 


gruppo  di  strati  nominati  e formano  probabilmente  la  base  del 
miocene  corrispondendo  nel  bacino  di  Vienna  agli  strati  di  Grund 
e di  Pitten,  come  pure  di  Eibinswalde  nella  Stiria  e di  Hidas 
in  Ungheria. 

Al  gruppo  del  Tortoniano  appartengono  inoltre  le*  ben  note 
formazioni  mioceniche  di  Monte  Gibio  presso  Sassuolo  al  Sud  di 
Modena,  eccellentemente  esplorate  dal  Doderlein  ; dove  secondo 
la  esposizione  di  questo  autore  le  argille  fossilifere  con  Pleuro- 
tome  sono  ricoperte  da  un  calcare  con  Lucina  pomum. 

V.  Formazione  solfifera  e gessifera  d’  acqua  dolce.  — Come 
membro  immediatamente  più  elevato  nella  serie  degli  strati  ter- 
ziari, posto  discordante  sopra  gli  strati  del  Tortoniano  e quasi 
formante  la  base  del  pliocene,  si  trova  una  potente  formazione 
di  acqua  dolce,  la  quale  consiste  di  marne  grigie  e di  marne 
schistose  fogliacee  e bianche  contenenti  su  molti  punti  am- 
massi di  gesso  e di  zolfo.  A questa  formazione  appartengono  i 
conosciuti  depositi  di  zolfo  e gesso  di  Sinigaglia,  Cesena,  Per- 
ticava, di  San  Donato  presso  Bologna,  ed  altri. 

Come  fossili  s’ incontrano  in  queste  marne  bianche  impronte 
di  foglie  ed  i resti  di  piccoli  pesci  ed  insetti  (Lehias  crassicauda 
e Lihelhda  doris)  ; e sono  in  questo  rapporto  divenuti  celebri  i 
bianchi  scisti  marnosi  di  Sinigaglia. 

Le  conchiglie  non  si  trovano  che  raramente  in  questi  strati  ; 
però  Doderlein  enumera  le  seguenti  dalle  vicinanze  di  Modena 
e di  Peggio  : Melanopsis  Lonelli  ; Melania  curvicosta  ; Neritina 
zebrina  ; Hydrobia  stagnalis.  A queste  si  aggiungono  ancora  due 
nuovi  Cardium  che  egli  ha  determinati  col  nome  Hemicardium 
Tilibergense  ed  Hemic.  pectinatum. 

In  seguito  alle  ricerche  del  Capellini  è stato  pienamente  sta- 
bilito che  i potenti  depositi  di  gesso  e di  alabastro  di  Castellina 
Marittima  in  Toscana  occupano  precisamente  lo  stesso  posto  alla 
base  del  pliocene  e sul  dorso  del  calcare  di  Leitha  del  luogo  e 
delle  molasse  serpentinose  mioceniche  ; e così  non  può  correre 
alcun  dubbio  che  la  conosciuta  formazione  di  gesso  e zolfo  di 
Sicilia  appartenga  allo  stesso  orizzonte. 

Questo  complesso  di  strati  di  Castellina  ha  conseguita  una 
particolare  importanza,  da  che  per  mezzo  del  Capellini  è stata 
fornita  la  dimostrazione,  nel  suo  ben  conosciuto  ed  eccellente 


- 256  — 


lavoro  sulle  formazioni  terziarie  di  Castellina  Marittima,  che  i 
medesimo  complesso  corrisponde  ai  nostri  strati  a Congerie,  coi 
quali  anche  s’ accorda  completamente  il  deposito  della  forma- 
zione d’  acqua  dolce  di  Modena,  dove  il  Doderlein  ha  indicata 
r apparizione  di  singolari  specie  di  Cardium.  In  ragione  di  que- 
sta importanza  io  mi  vedo  condotto  ad  addentrarmi  maggior- 
mente nella  questione  della  posizione  di  questi  strati. 

La  formazione  gessifera  e solfifera  in  discorso  viene  dai  geo- 
logi italiani  generalmente  considerata  come  il  membro  superiore 
del  miocene,  e come  tale  è attribuita  al  Tortoniano.  Capellini 
poi  specialmente  ha  incluso  nella  sua  carta  geologica  dei  din- 
torni di  Bologna  i depositi  gessosi  fra  le  sue  Marnes  Ueuàtres 
e Marnes  hìancMtres,  e quindi  in  mezzo  a quel  complesso  di 
marne  che  io  ho  riunite  sotto  la  denominazione  di  Sclilier. 

Io  non  posso  accettare  del  tutto  questo  modo  di  vedere. 
In  nessun  luogo  dei  dintorni  di  Bologna  si  osservano  i gessi  in- 
clusi nelle  marne  azzurrognole  o biancastre  ; dappertutto  invece 
si  trovano  nel  modo  più  chiaro  posti  sopra  questi  strati  di  marne 

y' 

ed  immediatamente  e concordemente  ricoperti  da  marne  plioce- 
niche, come  si  può  facilmente  osservare  presso  San  Donato  e 
nel  letto  del  Kio  della  Savena  presso  San  Bufillo  ; come  pure 
vicino  a Casaglia  si  trovano  i potenti  massi  di  gesso  posti  im- 
mediatamente sopra  le  argille  scagliose  e non  già  sulle  marne 
biancastre,  ma  ricoperti  in  modo  concordante  dalle  ordinarie 
marne  e sabbie  plioceniche.  Per  via  di  che  è nuovamente  for- 
nita la  dimostrazione  che  i depositi  gessiferi  sono  più  diretta- 
mente  legati  colle  formazioni  plioceniche,  e che  non  presentano 
alcun  rapporto  colle  marne  biancastre. 

Altrettanto  poco  mi  par  giustificato  di  riferire  al  Tortoniano 
la  formazione  gessifera  in  discorso.  Sul  lungo  tratto  da  Ancona 
a Sogliano  noi  abbiamo  veduti  gli  strati  solfiferi  e gessiferi  sem- 
pre e concordemente  ricoperti  dalle  formazioni  plioceniche,  men- 
tre che  i depositi  tortoniani  di  San  Marino  e di  Sogliano  appa- 
riscono completamente  indipendenti  ; e nel  nuovo  e bel  lavoro 
del  Doderlein  sopra  la  costituzione  geologica  delle  provincie  di 
Modena  e di  Peggio,  si  rileva  che  anche  in  questa  regione  i 
depositi  di  acqua  dolce  con  ammassi  di  gesso  si  trovano  alla 
base  del  pliocene,  disposti  in  completa  discordanza  verso  le  for- 


mazioni  mioceniche  di  Monte  Gibio,  le  quali  debbono  esser 
riguardate  come  il  tipo  delle  formazioni  tortoniane. 

Lo  stesso  rapporto  s’ incontra,  come  già  è stato  sopra  notato, 
in  Toscana  ; ed  anche  in  Sicilia  la  cosa  sembra  comportarsi  pre- 
cisamente coi  dati  sopra  esposti,  così  che  per  tutta  P Italia  si 
presenta  come  regola  generale  che  gli  strati  gessiferi  e solfiferi 
in  discorso  appariscono  alla  base  del  pliocene,  e si  comportano 
decisamente  discordanti  rispetto  a quelle  formazioni  che  noi  dob- 
biamo considerare  come  P equivalente  del  nostro  secondo  piano 
mediterraneo. 

Naturalmente  con  questo  nan  si  deve  in  alcun  modo  ritenere 
ammessa  la  proposizione  che  nel  tortoniano  non  possano  anche 
apparire  depositi  di  gesso,  come  questi  appariscono  talvolta  nel- 
P eocene  e nelle  argille  scagliose. 

VI.  Marne  e salvie  marine  plioceniche.  — Il  membro  supe- 
riore delle  formazioni  terziarie  è formato  nella  regione  in  esame 
dalle  ben  note  marne  e sabbie  marine  plioceniche,  che  ordina- 
riamente vengono  collegate  col  nome  complessivo  di  formazioni 
subapenniniche,  e delle  quali  la  ricchezza  meravigliosa  di  ben 
conservate  conchiglie  ha  attirata  sopra  di  loro  P attenzione  dei 
naturalisti  prima  anche  che  ne  cominciassero  gli  studi  scienti- 
fici e geologici. 

Come  da  per  tutto  anche  qui  si  possono  distinguere  con  gran 
precisione  delle  marne  sottostanti  con  specie  di  Pleurotome,  Fu- 
sus,  Murex  e Baccinum,  e delle  sabbie  gialle  soprastanti  con 
0 Street  e Pecten. 

Capellini  ha  recentemente  cercato  di  separare  P insieme  com- 
plessivo di  questi  strati  da  un  altro  punto  di  vista  in  due  gruppi 
di  diversa  età,  P uno  delle  sabbie  e marne  più  antiche  e P altro 
delle  sabbie  e marne  più  giovani. 

Le  osservazioni  che  io  stesso  ho  avuto  occasione  di  fare  sul 
posto  non  mi  hanno  tuttavia  fatto  riconoscere  la  necessità  di  una 
bipartizione  simile  ; però  ultimamente  il  Foresti  ha  fatto  la  prova 
di  dare  un  fondamento  paleontologico  a questa  divisione,  ed  ha 
ottenuti  dei  resultati  che  sembrano  parlare  in  favore  di  questa. 
Egli  ha  cioè  mostrato  che,  se  si  compari  la  fauna  degli  strati 
isolati  a seconda  della  serie  ammessa  dal  Capellini,  si  osserva 
una  costante  e non  insignificante  diminuzione  di  specie  viventi 


— 258  — 


dai  più  giovani  ai  più  vecchi,  come  si  può  vedere  nel  seguente 
quadro  comparativo: 


Specie 

Specie 

Per  cento 

in  totale. 

vìventi. 

di  specie  viventi. 

Sabbie  superiori.  . . 

141 

112 

79.4 

Marne  superiori.  . . 

332 

144 

43.  3 

Sabbie  inferiori  . . . 

183 

71 

38.  8 

Marne  inferiori  . . . 

78 

24 

30.  7 

Per  ciò  che  concerne 

ai  rapporti  di  posizione 

della  serie  di 

strati  precedentemente  tratteggiati,  merita  anzi  tutto  di  esser 
notata  la  circostanza  che  sulla  strada  da  Ancona  fino  a Modena, 
non  solo  gli  strati  del  Monte  Titano  e le  diverse  frazioni  del 
miocene,  ma  anche  tutto  il  pliocene  ha  preso  parte  al  movimento 
di  sollevamento,  e che  quindi  si  trova  in  posizione  disturbata. 
A mia  cognizione  questo  caso  non  si  verifica  in  altro  secondo 
luogo  d’ Italia,  e dimostra  per  ciò  che  la  forza  che  ha  sollevate 
le  montagne  d’ Italia  lungo  la  nominata  distanza,  ha  spiegato 
quivi  la  più  grande  intensità  e la  più  lunga  durata.  Questo  è 
tanto  più  notevole  che  in  Toscana  ha  luogo  precisamente  il  caso 
contrario,  inquantochè  non  solo  le  formazioni  plioceniche  ma 
anche  quelle  del  miocene  hanno  conservato  totalmente  la  posi- 
zione orizzontale  ad  eccezione  di  quei  disturbi  nella  struttura 
delle  colline  che  usano  apparire  in  compagnia  degli  ammassi 
di  gesso. 

Per  ciò  che  concerne  il  rapporto  che  i singoli  membri  della 
formazione  terziaria  mostrano  fra  di  loro  sulla  linea  da  Bologna 
ad  Ancona,  deve  venir  osservato  che  questi  non  si  succedono  in 
serie  non  interrotta  e concordante,  ma  che  piuttosto  sono  dis- 
giunti e separati  da  forti  discordanze.  Così  si  incontra  una  discor- 
danza generale  e profonda  fra  gli  strati  del  Monte  Titano  ed  il 
vero  miocene,  un’  altra  discordanza  fra  le  marne  dello  ScMier 
colla  molassa  serpentinosa  che  vi  è unita  da  un  lato,  e dal- 
r altro  lato  colle  formazioni  del  tortoniano,  cioè,  in  altri  ter- 
mini, fra  le  formazioni  del  V e del  2®  piano  mediterraneo,  e 
finalmente  una  terza  discordanza  fra  il  tortoniano  da  un  lato  e 
le  più  recenti  formazioni  terziarie  dall’  altro  lato. 

Se  adesso  noi  recapitoliamo  un’  altra  volta  il  fin  qui  detto, 
si  ha  il  seguente  schema  per  la  struttura  dei  depositi  terziari 


— 259  — 


nel  versante  settentrionale  dell’  Apennino  da  Ancona  fino  a Bolo- 
gna, nel  quale  schema  le  linee  di  separazione  designano  il  posto 
delle  discordanze. 

1.  Marne  e sabbie  marine  plioceniche,  (formazione  subap- 
pennina). 

2.  Formazione  gessifera  e solfifera  d’  acqua  dolce,  con 
Lébias  crassicauda,  Libellula  Loris,  Melanopsis  Bonelli,  Melania 
curvicosta,  Cardii  (Strati  a Congeria). 

3.  Tortoniano.  Deposito  di  fossili  di  Sogliano  e del  Monte 
Gibio  (2°  piano  mediterraneo  di  Suess). 

4.  Molassa  serpentinosa  di  Montese  con  numerosi  Echi- 
nidi  e molasse  dello  Schlier  di  San  Leone  presso  Sasso  con 
Aturia  Morrisi,  Pecfen  denudatus,  Solenomya  Loderleini,  Lucina 
sinuosa  (1°  piano  mediterraneo  di  Suess). 

5.  Strati  di  Monte  Titano.  Arenaria  calcarea  a briozoi 
con  Lecten  deletus,  P.  Haueri,  P.  Leudanti,  Macròpneustes  Me- 
neghini (Strati  di  Schio,  Beiforte,  Mornese  ; strati  inferiori  di 
Malta). 

6.  Argille  scagliose. 

Fer  la  traduzione  A.  Manzoni. 


Vili. 

Sulla  formazione  della  terra  rossa,  Nota  di  Th.  Fuchs.'' 

Nel  numero  3 del  Bollettino  delVL.  e B.  Istituto  Geologico  di 
Vienna,  dell’anno  corrente,^  il  prof.  Neumayr  pubblicò  una  interes- 
sante comunicazione  sulla  formazione  della  così  detta  terra  rossa, 
cioè  di  quell’argilla  rossa,  ferruginosa,  caratteristica  e che  tro- 
vasi così  generalmente  sparsa  alla  superficie  del  Carso  come  an- 
che in  tutti  i somiglianti  gruppi  montuosi  calcarei  dell’Europa 
meridionale.  Siccome  da  tanto  tempo  a me  pure  interessava  un  tal 
soggetto,  e perciò  lo  tenni  continuamente  in  vista  nei  miei  ripe- 


^ Ved.  Verìiandl.  der  k.  k.  geolog.  Reiclis,,  1875,  n°  11. 

^ Ved.  Bollettino  del  R.  Comitato  Geologico,  1875,  3 e 4. 


— 260  — 


tuti  viaggi  in  Italia  ed  anche  nella  mia  recente  gita  in  Grecia, 
mi  sarà  permesso  di  fare  alcune  osservazioni  in  proposito  allo 
scopo  di  ampliare  e forse  anche  in  alcuni  punti  a modificare  la 
relazione  del  prof.  Neumayr. 

Ciò  che  più  d’  ogni  altra  cosa  mi  ha  sempre  colpito  si  è che 
la  formazione  della  terra  rossa  del  Carso  fu  sempre  descritta 
per  i calcari  d’  epoca  mesozoica  e precisamente  solo  per  quelli 
che  manifestavansi  come  depositi  marini,  ed  anche  gli  esempi 
addotti  dal  prof.  Neumayr  son  ristretti  solo  a questa  cerchia. 
Questa  restrizione  tuttavia  non  esiste  affatto  in  natura.  La  terra 
rossa  del  Carso  si  forma  nell’  identico  modo  sulle  rocce  giuresi 
e cretacee,  quanto  sopra  tutti  i calcari  terziari,  dal  calcare  num- 
mulitico  eocenico  fino  ai  più  giovani  calcari  pliocenici  del  Pireo^ 
ed  è assolutamente  indifferente  se  i calcari  siano  d’  origine  ma- 
rina 0 d’  acqua  dolce,  se  siano  di  origine  animale,  oppure,  come 
i calcari  a nullipore,  vegetale. 

Nell’  isole  di  Malta  e di  Gozzo  i calcari  terziari,  che  in  parte 
corrispondono  agli  strati  di  Schio,  in  parte  al  nostro  calcare  del 
Leitha,  hanno  una  grande  estensione  e costituiscono  una  parte 
considerevole  della  superficie  delle  due  isole.  Là  dove  ciò  avviene, 
r isola  offre  un  aspetto  affatto  identico  a quello  delle  montagne 
del  Carso  : il  calcare  è in  varie  guise  corroso  e decomposto,  la 
superficie  della  roccia  colorata  in  rosso,  tutte  le  cavità  ripiene 
di  una  terra  rossa,  la  quale  si  raduna  in  gran  copia  in  tutte  le 
depressioni,  negli  spacchi  e nelle  caverne.  Nei  dintorni  di  Krendi 
a Malta,  predomina  da  per  tutto  un  bel  calcare  puro  a nullipore  : 
la  roccia  è formata  esclusivamente  da  nullipore,  ha  una  durezza 
straordinaria  ed  un  colore  bianco  lucente;  eppure  io  non  vidi 
mai  in  altra  parte  dell’  isola  la  terra  del  Carso  di  un  colore 
rosso  così  intenso  e in  sì  gran  copia  come  qui. 

Offrono  lo  stesso  aspetto  quelle  colline  che  comprendono  il 
Pireo  presso  Atene  e che  constano  di  un  calcare  pliocenico  molto 
recente:  anche  qui  la  stessa  superficie  corrosa  e la  stessa  terra 
di  color  rosso  mattone  o rosso  bruno.  Quivi  la  roccia  è attra- 
versata da  molteplici  spaccature  e cavità,  le  quali  sono  ricoperte 
e ripiene  da  una  corteccia  stalattitica  rossa. 

Per  ciò  che  concerne  la  produzione  della  terra  rossa  sui  cal- 
cari d’  acqua  dolce,  io  ebbi  nel  mio  recente  viaggio  in  Grecia 


261  ~ 


molte  volte  occasione  di  osservare  un  tal  fenomeno  in  più  o 
meno  considerevole  sviluppo,  ma  giammai  così  ad  evidenza  come 
presso  Markopulo  e Calamo.  Il  calcare  d’  acqua  dolce  raggiunge 
qui  una  straordinaria  potenza  ed  è talmiente  compatto  e massic- 
cio, che  presenta  un  aspetto  identico  a quello  del  prossimo 
calcare  ippuritico  : anche  la  conformazione  della  superficie  affatto 
identica,  gli  stessi  fenomeni  d’erosione  e la  stessa  terra  rossa  cor- 
rispondono a questa  somiglianza  petrografica.  Da  questi  fatti  se 
ne  deduce  chiaramente  che  la  terra  rossa  non  è in  modo  affatto 
esclusivo  prodotta  da  un  fango  di  glohigerine,  e che  piuttosto 
tutti  i depositi  calcarei  contengono  in  piccola  quantità  jombina- 
zioni  ferruginose  e argillose,  e per  la  decomposizione  abbando- 
nano un  residuo  di  argilla  ferruginosa. 

Mi  parve  sempre  degna  di  nota  la  circostanza  che  la  terra 
rossa  trovasi  sempre  in  tanto  maggior  copia  e di  un  rosso 
tanto  più  vivo,  quanto  era  più  puro,  compatto  e bianco  il  cal- 
care sottoposto.  Quando  il  calcare  diveniva  più  scuro,  grigio,  op- 
pure più  tenero,  poroso  e tufaceo,  anche  la  terra  rossa  andava 
diminuendo  ed  io  non  ricordo  di  aver  mai  trovato  la  terra  rossa 
sui  calcari  teneri,  marnosi  o cretosi.  Sarebbe  certamente  possi- 
bile che  nel  primo  caso  soltanto  la  colorazione  rossa  intensa  di- 
pendesse effettivamente  dalla  separazione  delle  materie  estranee 
esistenti  nella  roccia,  mentre  nel  secondo  la  mancanza  della  terra 
rossa  si  dovrebbe  in  parte  alla  circostanza  che  nelle  rocce  te- 
nere la  superficie  resta  esposta  ad  una  azione  meccanica  ener- 
gica: sembrami  però  che  questa  ipotesi  non  spiegherebbe  com- 
pletamente il  fenomeno. 

Una  seconda  circostanza  ancora  più  sorprendente  in  propo- 
sito alla  presenza  della  terra  rossa  consiste  in  ciò,  che  essa  men- 
tre trovasi  dappertutto  nella  regione  del  Mediterraneo  ove  esistono 
calcari  compatti  bianchi,  nei  calcari  delle  Alpi  settentrionali  ed 
anche  sulle  formazioni  calcaree  dell’  Europa  media  e settentrio- 
nale, sembra  mancare  completamente.  I calcari  siluriani  bianchi 
e compatti  della  Boemia,  come  anche  le  molteplici  formazioni 
calcaree  paleozoiche  e secondarie  della  Francia,  del  Belgio  e del- 
r Inghilterra,  e sopra  tutto  le  varietà  più  dure  della  creta  bianca, 
dovrebbero  in  realtà  offrire  il  materiale  più  atto  alla  produzione 
della  terra  rossa  ; e con  tutto  ciò  sembra  qui  mancare  affatto  : 


— 262  - 


lo  stesso  sarebbe  , a dirsi  del  nostro  calcare  del  Leitba  che  qua- 
lora fosse  in  Italia  o in  Grecia  si  cuoprirebbe  di  terra  rossa ^ 
presso  di  noi  invece  non  ne  mostra  traccia. 

Il  prof.  Neumayr  nel  suo  sopra  citato  lavoro  rammenta  che 
la  terra  rossa  trovasi  da  per  tutto  là  ove  esistono  altipiani  di 
calcare  puro,  che  in  certo  modo  impediscono  il  rapido  asporta- 
mento  del  detrito  dalla  sua  superficie.  A me  sembra  che  questo 
rimarco  non  si  accordi  intieramente  col  fatto.  Le  montagne  cal- 
caree deir  Eiibea,  come  anche  quelle  a nord  d’  Atene  verso  Tebe 
non  hanno  affatto  il  carattere  di  altipiani  e,  piuttosto  per  ciò 
che  riguarda  gli  sconcerti  nella  stratificazione,  assomigliano  com- 
pletamente alle  Alpi  calcaree  settentrionali  ; contuttociò  vi  è qui 
dappertutto  la  terra  rossa  che  presso  Tebe  ad  esempio  trovasi 
in  quantità  veramente  sorprendente  e da  vincere  il  confronto 
con  quella  del  Carso.  Per  contrario  i nostri  calcari  a nullipore 
come  già  fu  detto,  non  mostrano  alcuna  traccia  di  teìTa  rossa, 
sebbene  molto  frequentemente  si  presentino  in  forma  di  altipiani. 

Dietro  tutto  ciò  non  resterebbe  a pensare  altro  se  non  che 
la  presenza  o la  mancanza  della  terra  rossa  dipenda  essenzial- 
mente da  condizioni  di  clima  ; che  essa  mostrasi  solo  colà  ove 
esiste  un  clima  asciutto  e una  conseguente  scarsa  vegetazione, 
mentre  che  non  può  comparire  ove  esiste  un  clima  umido,  una 
ricca  vegetazione  ed  una  conseguente  accumulazione  di  sostanze 
organiche. 

La  sola  eccezione  che  a mio  credere  si  potrebbe  opporre  a 
detta  regola,  sta  nell’  altipiano  di  calcare  giurese  della  Germa- 
nia citato  anche  dal  prof.  Neumayr.  Per  quanto  però  è a mia 
scienza,  le  argille  ferruginose  non  presentano  qui  uniformemente 
sopra  r intiero  gruppo,  come  è il  caso  dovunque  della  zona  me- 
diterranea e dove  essa  è in  continua  formazione  ; ma  trovasi 
essa  piuttosto  in  singole  depressioni  e spaccature  insieme  alle 
ossa  di  mammiferi  terziari  e si  potrebbe  benissimo  dimandare 
se  questa  terra  rossa  non  debba  la  sua  origine  al  più  caldo 
clima  deir  epoca  terziaria. 


NOTIZIE  BIBLIOGRAFICHE. 


L.  Bombicci.  Corso  di  Mineralogia , seconda  edizione 
variata  ed  accresciuta.  — Yol.  Il,  Bologna,  1875. 

Nel  fascicolo  N”  1-2,  1873,  di  questo  nostro  periodico,  ren- 
dendo conto  ai  lettori  della  prima  parte  del  Corso  di  Minera- 
logia, del  prof.  Bombicci,  esprimemmo  la  speranza  che  la  se- 
conda parte  sarebbe  degno  seguito  alla  prima  e che  tutta 
r opera  sarebbe  stata  tale  da  dover  andar  per  le  mani  degli 
studiosi  di  Mineralogia  non  solo  italiani,  ma  eziandio  stranieri. 
E questa  nostra  speranza  non  venne  delusa,  e noi,  facendoci 
ad  adempiere  all’  obbligo  nostro  di  annunziare  la  pubblicazione 
deir  aspettata  seconda  parte,  ci  sentiamo  in  dovere  di  comin- 
ciare col  proporre  un  plauso  all’  egregio  prof.  Bombicci  e di 
segnalarlo  alla  pubblica  benemerenza. 

Questo  secondo  volume  di  1031  pagine  tratta  esclusivamente 
della  parte  descrittiva  dei  minerali  che  1’  Autore  ha  svolta  se- 
condo la  medesima  cassazione  mineralogica  proposta  fino  dal 
1862  nella  prima  edizione  del  suo  Corso  di  Mineralogia  ; ^ e sa- 
rebbe precisamente  un  fuor  d’  opera  farne  qui  una  minuta  ras- 
segna dopo  tanto  tempo  che  essa  è in  dominio  del  pubblico 
scientifico.  — Piuttosto  saranno  da  accennare  alcune  delle  più 
importanti  modificazioni  e novità  che  1’  Autore  ha  introdotto  nel 
suo  libro  nello  svolgimento  del  suo  programma. 

In  primo  luogo  è degna  di  molta  considerazione  l’ usanza 
introdotta  di  aggiungere,  come  appendice  alla  descrizione  di 
quelle  specie  minerali  che  lo  richiedessero,  quelle  monografie  o 


‘ Il  prospetto  della  pag.  236  della  edizione  corrisponde  infatti  perfetta- 
mente al  prospetto  della  pagina  386,  1°  voi.,  2»  ediz.-,  quando  si  scambino  fra  di 
loro  le  linee  orizzontali  della  prima  con  le  colonne  verticali  della  seconda.  La 
sola  modificazione  fatta  nella  2^  edizione  è quella  di  aver  riunito  nello  stesso 
III  ordine  Binari  non  ossigenati,  l’ordine  II  e l’ordine  III  della  edizione, 
cioè  Binari  non  ossigenati  e i sulf osali. 


— 264  — 


parti  (li  monografie  di  scrittori  specialisti  che  più  facessero  al 
caso,  dando  così  una  splendida  dilucidazione  a chi  volesse  occu- 
parsene ed  eliminandola,  per  così  dire,  a favore  di  chi  cercasse 
nel  libro  soltanto  un  insegnamento  elementare.  Tali  sono  per 
esempio  le  appendici  alla  descrizione  delle  meteoriti,  desunte 
dalle  opere  del  Daubrée,  del  Meunier,  del  Michez  (commenta- 
tore dello  Schiaparelli)  ; T appendice  sulle  miniere  ferrifere  del- 
V isola  d’ Elba  ricavata  dalla  ben  nota  Memoria  del  prof.  Cocchi  ; 
quella  sulle  Salse  e Maccalube  dai  lavori  del  Bianconi,  del  Sil- 
vestri e dello  Stoppani;  quella  sulla  zona  solfifera  di  Sicilia  del- 
r ingegnere  Mottura  ; quella  sulle  analisi  di  alcuni  solfuri  del- 
r Autore  ; quelle  sui  campi  diamantiferi  del  Capo  del  signor  Des 
Demaines-Hugon ; quelle  sulle  Gemme;  e non  poche  altre  (Vedi 
pag.  1012,  2°  volume). 

Una  seconda  buona  innovazione  fu  di  aver  disseminate  lungo 
il  libro  le  tavole  prospettico-descrittive  dei  minerali,  che  nella 
1^  edizione  erano  messe  tutte  di  seguito  avanti  alla  descrizione 
dettagliata  delle  più  importanti  specie  minerali.  E una  como- 
dità grandissima  anche  in  vista  della  mole  del  libro,  che  per- 
mette difficilmente  di  riunire  in  un  solo  volume  le  due  parti  del 
secondo  volume. 

Fra  le  molte  altre  novità  di  cui  è pieno  il  libro  del  Bom- 
bicci  merita  speciale  menzione  per  la  sua  grande  importanza 
quella  della  classazione  dei  Silicati,  scoglio  perenne  e spesso  fa- 
tale contro  cui  vanno  ad  urtare  le  classazioni  mineralogiche 
proposte  da  molti  autori.  Il  prof.  Bombicci  comincia  coll’  abbat- 
tere 1’  antica  divisione  dei  silicati  in  anidri  ed  idrati,  seguendo 
in  questa  via  1’  esempio  dato  dal  prof.  A.  D’  Achiardi  nel  II  voi. 
della  ((  Mineralogia  della  Toseana  » estendendo  a tutti  i mine- 
rali conosciuti  il  metodo  che  il  D’ Achiardi  non  potè  applicare, 
per  T indole  della  sua  pubblicazione,  che  ai  silicati  toscani.  Se- 
condo questo  principio  T acqua  vi  funge  generalmente  come  ele- 
mento di  cristallizzazione  ; mentre  secondo  il  metodo  D’ Achiar- 
diano  1’  acqua  ha  sempre  una  funzione  basica.  Ciò  ammesso,  i 
silicati  sono  considerati  come  divisi  in  due  distinte  categorie  : 
monogenici  e poligenici  (o  multipli).  Questi  secondi  sarebbero 
formati  dall’  associazione  meccanica  dei  primi  in  proporzioni  di- 
verse. I primi  invece  sarebbero  tutti  quelli  che  si  possono  ri- 


— 265  - 

durre  ad  una  qualunque  delle  tre  formole  seguenti  di  silicati 
di  idrogeno: 

r H,  Si  O3 
2°  Hi  Si  O4 
3”  Hg  Si  O5 

Delle  quali  quella  di  mezzo  costituisce  V acido  silicico  neutro, 
normale,  e a cui  corrispondono  i silicati  normali;  la  prima  rap- 
presenta un  grado  di  disidratazione  della  seconda  sunnominata, 
e sarebbe  la  prima  anidride  silicica  e vi  corrispondono  i silicati 
ad  eccesso  di  acido,  cioè  i così  detti  soprasilicati;  la  terza 
finalmente  rappresenta  un  grado  di  idratazione  della  normale 
cioè  il  primo  idrato  silicico  e vi  corrispondono  i silicati  basici 
0 sottosilicati.  Anche  in  questa  divisione  troviamo  le  tracce 
della  ricordata  classazione  proposta  dal  D’  Achiardi,  quantunque 
quest’  ultimo  l’ abbia  proposta  per  tutti  i silicati,  mentre  il  Bom- 
bicci  l’adotta  soltanto  per  i monogenici;  e ciò,  unito  al  diverso 
modo  di  considerare  le  funzioni  dell’  acqua  dà  origine  ad  una 
sensibile  divergenza  nelle  applicazioni,  massime  nei  sottosilicati 
e soprasilicati. 

In  quanto  ai  silicati  multipli  non  è qui  luogo  di  tentare  di 
darne  la  teoria  che  ognuno  può  invece  studiare  nel  libro  stesso 
e nelle  pubblicazioni  separate  del  medesimo  Autore  sull’  argo- 
mento; soltanto  diremo  che  mentre  i monogenici  sono  classati 
secondo  il  tipo  di  composizione  (dipendente  dall’  elemento  mine- 
ralizzatore),  i poligenici  lo  sono  subordinatamente  alla  specie 
che  vi  prevale  0 di  cui  sono  più  manifestamente  mantenuti  i 
caratteri.  In  tal  modo  si  hanno  i Firosseni  (1°  tipo);  i Peridoti 
(2°  tipo)  e le  Andalusiti  (3®  tipo)  ; che  comprendono  tutti  i si- 
licati monogenici  ; dall’  associazione  dei  Peridoti  e dei  Pirosseni 
si  hanno  i Serpentini;  dall’associazione  dei  Peridoti,  dei  Piros- 
seni, delle  Andalusiti  e dell’  acqua  si  hanno  le  Cloriti  e le  Mi- 
che ; e se  si  vuole  come  caso  particolare  i Granati  ; dall’  asso- 
ciazione dei  Pirosseni,  delle  Andalusiti,  di  quarzo  e di  acqua,  i 
Feldispati  e le  Zeoliti;  e in  questi  diversi  casi  di  associazione 
si  troverebbero  compresi  tutti  i silicati  poligenici. 

E una  classazione  degna  di  ogni  studio  e di  certo  non  sarà 
questo  un  fatto  scientifico  che  possa  passare  inosservato  dagli 


18 


- 266  — 

studiosi  e speriamo  ne  venga  fatta  una  completa  ed  efficace  di- 
scussione. 

Alcune  cose  sarebbero  ancora  qua  e là  da  segnalarsi  in  que- 
sto prezioso  libro  ; per  esempio  le  descrizioni  delle  principali 
specie  le  quali  sono  per  alcune  parti  vere  e proprie  monografie, 
fra  cui  citiamo  quella  del  Quarzo  ; ^ alcune  vere  e proprie  curio- 
sità scientifiche  di  cui  ci  dà  un  esempio  il  quadro  della  pa- 
gina 661  del  II  volume  dal  quale  apprendiamo  in  quanti  modi 
diversi  di  associazione  può  immaginarsi  prodotto  il  gr^ato  sem- 
pre coerentemente  alla  sua  forinola  generale  di  associazione. 
Così  per  citarne  alcuni  il  granato  può  essere  costituito  per  as- 
sociazione poligenica  o da  Peridoto,  Pirosseno  e Andalusite,  o 
da  Andalusite  e Serpentino,  o da  Peridoto  e Vernerite,  o da 
Gehlenite  e Silice  o da  Damouriti  e 2R2O,  ec.  — E ciò  è utilis- 
simo per  aiutarci  a trovare  la  paragenesi  di  tal  minerale  nei 
suoi  molti  e diversi  giacimenti. 

Finalmente,  per  finire,  notiamo  la  novità  di  trovare  inclusa 
come  varietà  della  silice  idrata  anche  le  agate,  i calcedoni!,  le 
selci  e i diaspri  che  finora  vennero  classate  come  varietà  amorfe 
e anidre  del  quarzo,  stantechè  V Autore  le  considera  come  va- 
rietà composte  di  silice  opalina  (silice  pura  e acqua)  e quarzo 
insieme  commisti. 

Aggiungiamo  agli  altri  suoi  pregi  quello  di  un  costo  mode- 
rato relativamente  alla  mole  della  pubblicazione,  e siamo  con- 
vinti che  il  paese  vorrà  corrispondere  splendidamente  alla  fiducia 
che  r Autore  ha  avuta  in  esso,  sobbarcandosi  ad  una  impresa, 
per  la  quale  saranno  di  certo  necessitati  sacrifizi!  grandissimi 
di  tempo,  di  studio,  di  fatica  e di  danaro. 

G.  Grattarola. 


‘ Con  ragione  il  prof.  Bombicci  potè  dare  questa  monografìa  del  quarzo  : 
egli  ha  potuto  ordinare  nel  Museo  universitario  di  Bologna  una  delle  più  belle 
collezioni  di  quarzi  che  si  conoscano  e vi  fanno  la  prima  figura  i più  belli  esem- 
plari conosciuti  di  quarzo  di  Porretta. 


- 267  - 


r 


G.  CapeIjLINI.  — Considerazioni  sui  Cetoterii  bolognesi. 

Con  due  tavole.  — Bologna,  1875. 

Nella  seduta  18  marzo  scorso,  dell’  Accademia  delle  Scienze 
deir  Istituto  di  Bologna,  il  prof.  Capellini  presentava  questo  suo 
lavoro  che  poi  vide  la  luce  nelle  Memorie  della  stessa  Accade- 
mia. In  esso  l’Autore  fa  la  storia  delle  scoperte  di  avanzi  di 
cetacei  nelle  colline  bolognesi,  dalle  poche  vertebre  ed  altre  ossa 
scavate  nel  1751-52  ed  illustrate  dal  Biancani  alla  balenottera 
di  San  Lorenzo  in  Collina  trovata  nel  1862  e con  tanta  fatica 
e pazienza  raccolta  e restaurata  dal  Capellini.  Una  memoria 
pubblicata  nel  1865  dà  a conoscere  i primi  risultamene  dello 
studio  intrapreso  su  questo  interessante  individuo  ; il  presente  la- 
voro ne  completa  la  illustrazione  e da  esso  l’Autore  coglie  oc- 
casione per  parlare  in  generale  degli  avanzi  di  cetacei  finora 
scoperti  in  Europa  e segnatamente  in  Italia. 

Di  quanti  si  occuparono  di  cetacei  fossili,  il  Brandt  trattò 
diffusamente  di  questo  individuo  in  una  sua  memoria  pubblicata 
nel  1873,  e conchiuse  riferendo  la  balenottera  di  San  Lorenzo 
ai  Cetoterii  e dubitativamente  al  sottogenere  Getotheriophanes 
fondando  la  nuova  specie  C.  Capeìlinii. 

L’Autore  dà  la  descrizione  particolareggiata  degli  avanzi  di 
questo  fossile  che  si  conservano  nel  Museo  della  K.  Università  di 
Bologna,  e mette  in  evidenza  le  differenze  fra  il  cranio  restau- 
rato ed  i frammenti  coi  quali  potè  abbozzare  la  figura  d’insieme 
che  fu  annessa  alla  sua  prima  memoria.  Discorre  anche  di  altri 
avanzi  di  Cetoterii  che  probabilmente  provengono  dai  dintorni 
di  Bologna,  rinvenuti  in  occasione  del  trasporto  delle  collezioni 
nel  nuovo  Museo  di  paleontologia  : ma  di  questi  isolati  frammenti 
è impossibile  per  ora  indicare  la  specie. 

Tratta  infine  nelle  sue  conclusioni  della  distribuzione  dei  re- 
sti di  Cetoterii  in  Europa,  nello  scopo  di  contribuire  a far  co- 
noscere in  quali  condizioni  climatologiche  si  trovavano  le  regioni 
ove  ora  si  incontrano  gli  avanzi  di  questi  animali,  e quale  doveva 
essere  in  quelle  epoche  la  distribuzione  delle  terre  e dei  mari; 
e ciò  gii  offre  argomento  di  importanti  considerazioni.  Tutti  gli 


268  — 


avanzi  di  Cetoterii  trovati  nel  mezzodì  della  Eussia  e nel  Ba- 
cino di  Vienna  sono  riferiti  al  sottogenere  Eucetotlieriim,  da 
considerarsi  dunque  come  il  tipo  più  orientale  : il  sottogenere 
Plesiocetopsis  è riguardato  come  un  tipo  esclusivo  del  nord-ovest 
d’Europa,  e il  Cetotheriophanes  come  tipo  del  sud-ovest.  Tutti 
questi  avanzi  provengono  da  formazioni  appartenenti  al  miocene 
medio  e superiore  ed  al  pliocene  inferiore. 

Il  volume  è corredato  da  due  tavole  rappresentanti  a un 
quinto  del  vero  i resti  di  Cetoterii  esistenti  nel  Museo  bolognese  ; 
nella  prima  havvi  una  ricostruzione  a un  venticinquesimo  del  vero 
dell’  intiero  scheletro  di  C.  Capellinii,  il  quale  dai  calcoli  fatti 
risulterebbe  lungo  m.  7,  39,  cifra  che  corrisponde  con  quella  tro- 
vata altra  volta  con  elementi  anche  meno  sicuri. 


0.  Heer.  — Flora  fossilis  ar etica,  voi.  III. 

Zurich,  1875. 

I primi  due  volumi  della  Flora  fossile  artica  del  prof.  Heer, 
sono  tanto  conosciuti  dagli  studiosi  di  paleofitologia  quanto  il  nome 
del  loro  illustre  autore.  Un  terzo  volume  è stato  pubblicato  re- 
centemente coi  materiali  raccolti  durante  la  spedizione  polare 
svedese  sotto  la  direzione  del  prof.  Nordenskiold.  Questo  volume 
completa  assai  bene  1’  opera,  essendo  esso  d’ un’  esecuzione  inap- 
puntabile ed  offrendo  fatti  interessanti  riguardo  alle  flore  geo- 
logiche delle  regioni  artiche  e polari  : esso  contiene,  V una  nota 
sulla  flora  carbonifera  dello  Spitzberg,  con  6 tavole  ; 2°  la  flora 
cretacea  della  zona  artica,  con  38  tavole  ; 3°  un’  appendice  alla 
flora  miocenica  della  Groenlandia,  con  5 tavole  ; 4®  una  rivista 
generale  della  flora  miocenica  della  zona  artica. 

Nella  prima  parte  vediamo  citate  alcune  specie  ben  note,  come 
il  Calamites  radiatus^  Ugt.,  e il  Lepidodendron  Veltìieimianum, 
Stb.,  insieme  colla  Stigmaria  ficoides  var.  inaequalis  la  quale 
altro  non  è probabilmente  che  la  radice  della  precedente,  e colla 
Cyclostigma  Nathorsti,  H. 

La  parte  più  importante  di  questa  pubblicazione  è quella  che 
riguarda  la  flora  cretacea,  non  soltanto  per  la  ragione  che  la 


— 269  — 


vegetazione  dell’  epoca  della  creta  è sinora  poco  conosciuta,  ma 
altresì  perchè  l’Autore  cita  fatti  relativi  a molti  interessantis- 
simi problemi  che  vi  sono  abilmente  presentati  e discussi.  Que- 
sta parte  ha  inoltre  un  particolare  interesse  a cagione  della  re- 
cente scoperta  fatta  nella  Nebraska  e nel  Kansas  (America  del 
Nord)  d’  una  formazione  terrestre  riferibile  alla  stessa  epoca  del 
cretaceo  superiore  della  Groenlandia,  nella  quale  formazione  fu 
trovato  un  gran  numero  di  piante  fossili  che  furono  da  poco 
tempo  descritte  dal  Lesquereux.* 

Le  piante  fossili  della  Groenlandia  appartengono  a due  piani 
del  cretaceo.  L’ inferiore  per  i caratteri  paleontologici  va  inti- 
mamente legato  al  Giura  superiore,  la  flora  essendovi  special- 
mente composta  di  felci,  conifere,  cicadee  con  alcune  poche 
monocotiledoni  ed  una  sola  dicotiledone  rappresentante  in  appa- 
renza una  specie  del  genere  Fopulus.  Il  piano  superiore  poi  ha 
nella  sua  flora,  insieme  con  una  gran  quantità  di  felci  e conifere, 
due  sole  specie  di  Cycas  e 34  specie  di  dicotiledoni,  (più  della  metà 
della  intiera  flora).  Tra  queste  vi  sono  specie  dei  generi  Myrica, 
Ficus,  Sassafras  (una  specie),  Andromeda,  Diospyros,  Magnolia  ec., 
che  sono  pure  rappresentate  nel  cretaceo  di  Nebraska  con  forme 
identiche  od  almeno  analoghe.  Però  giova  aggiungere  che  del- 
le 130  specie  descritte  del  gruppo  di  Dakota  nella  Nebraska, 
113  sono  dicotiledoni,  e molte  del  genere  Liquidambar,  Salix, 
JBetuìa,  Alnus,  Quercus,  Fagus,  Flatanus,  Larus,  Liriodendron,  Me- 
nispermum,  non  sono  rappresentate  nella  flora  della  Groenlandia. 
Nella  Nebraska  vi  è pure  una  preponderanza  di  specie  referibili 
al  genere  ^Sassafras  mentre  per  la  Groenlandia  una  sola  foglia  è 
descritta  come  appartenente  a questo  genere.  Una  divisione  in- 
termedia, che  apparterrebbe  al  cretaceo  medio,  è rappresentata 
nel  volume  di  Heer  da  un  piccolo  numero  di  piante  dello  Spitzberg, 
in  tutte  16  specie  di  felci  e conifere  con  un  solo  Fquisetum. 

Nella  terza  parte  sono  illustrate  alcune  piante  d’  epoca  mio- 
cenica, in  aggiunta  a quelle  descritte  nei  primi  due  volumi,  in 
seguito  alle  scoperte  fatte  da  Nordenskiòld  in  Groenlandia.  Que- 
sti nuovi  fossili  sono  divisi  in  tre  categorie  a norma  dei  loro 
giacimenti  distinti  come  segue  : l’ inferiore  formato  da  sabbia, 


‘ Ved,  American  Journal,  voi.  IX,  pag.  227. 


270 


arenaria  e scisti,  listerelle  di  carbon  fossile  e argilla  ferrifera; 
il  mediano,  da  strati  di  sabbia  e argilla  ferrifera  intercalati  in 
un  potente  giacimento  di  basalto,  tufo  e lava  ; il  superiore  da 
depositi  di  sabbia  e argilla  visibili  alle  coste  meridionali  del- 
r isola  Disco,  d’età  più  giovane  del  basalto  il  quale  posa  diret- 
tamente sulle  rocce  gneissiche.  Per  queste  ricerche  la  flora  mio- 
cenica di  Groenlandia  si  è arricchita  di  34  nuove  specie,  cosicché 
il  numero  totale  di  quelle  conosciute  flnora  è di  169. 

La  quarta  parte  finalmente  chiude  il  terzo  volume  della  Flora 
fossilis  arctica  con  una  rivista  generale  della  flora  miocenica 
delle  regioni  polari. 


AVVISO. 

Si  invitano  i signori  abbonati,  i quali  non  hanno 
ancora  versato  la  loro  quota  di  abbonamento  per 
1’  annata  in  corso,  all’  uffizio  di  Segreteria  del  R.  Co- 
mitato Geologico  (Roma,  Piazza  San  Pietro  in  Vin- 
coli, n“  5),  a volerlo  fare  senza  ritardo  onde  evitare 
interruzioni  nella  trasmissione  del  periodico. 


La  Dieezione. 


(Continuazione.) 


Memorie  per  servire  alla  descrizione  della  Carta  Geologica 
d’Italia.  — Volume  II,  Parte  P;  Firenze  1873.  — 272  pa- 
gine in-4°  con  11  tavole,  due  Carte  geologiche  ed  incisioni 
intercalate  nel  testo. 

Comprende  le  seguenti  Memorie  : 

Introduzione.  — Monografia  geologica  déW  Isola  d’ Ischia, 
con  la  Carta  geologica  della  medesima  in  fol.  e incisioni  nel 
testo,  del  professor  C.  W.  C.  Fuchs.  — Esame  geologico  della 
catena  alpina  del  San  Gottardo,  che  deve  essere  attraversata 
dalla  grande  Galleria  della  Ferrovia  Italo-Elvetica,  con  una 
Carta  geologica  in  fol.  e due  tavole  di  Sezioni  in  fol.,  dell’in- 
gegnere F.  Giokdano.  — Appendice  alla  Memoria  sulla  for- 
mazione terziaria  nella  zona  solfifera  della  Sicilia,  con  una 
tavola,  dell’  ingegnere  S.  Mottura.  — Malacologia  pliocenica 
italiana  (Parte  P,  Gasteropodi  sifonostomi)  ; fascicolo  2®,  con 
otto  tavole,  di  C.  D’  Ancona. 

Prezzo  del  Voi.  II"  (Parte  P),  Lire  25. 

Carta  Geologica  del  San  Gottardo,  nella  scala  di 
1 per  50,000,  di  F.  Giordano.  — Un  foglio  in  cro- 
molitografia   L.  5.  — 

Carta  Geologica  dell’Isola  d’ Ischia,  nella  scala  di 
1 per  25,000  di  C.  W.  C.  Fuchs.  — Un  foglio  in 
cromolitografia L.  3. — 


Memorie  per  servire  alla  descrizione  delia  Carta  Geologica 
d’ Italia.  — Voi.  II,  Parte  2^  ; Firenze  1874.  — 68  pag.  in  4" 
con  due  tavole.  — Contiene  la  seguente  Memoria  : B.  Ga- 
. STALDi,  Studii  geologici  sulle  Alpi  Occidentali;  Parte  2®. 

Prezzo  del  Voi.  Il"  (Parte  2"^),  Lire  5. 


Per  le  commissioni  dirigersi  al  Segretario  del  E.  Co- 
mitato Greologico,  in  Eoma,  Piazza  San  Pietro 
in  Vincoli,  N,  5. 


Annunzi  di  pubblicazioni. 

C.  J.  Foksyth  Major.  — Considerazioni  sulla  Fauna  dei  mammiferi  plio- 
cenici e postpliocenici  della  Toscana.  — (Atti  della  Società  Toscana 
di  Scienze  Naturali,  voi.  I,  fase.  1).  — Pisa  1875,  pag.  33,  in-8°.  (con- 
tinua). 

R.  Lawley.  — Dei  resti  di  pesci  fossili  del  pliocene  toscano.  — (Atti 
della  Società  Toscana  di  Scienze  Naturali,  voi.  I,  fase.  1).  — Pisa 
1875,  pag.  8,  in-8®. 

A.  D’  Achiardi.  — Coralli  eocenici  del  Friuli.  — (Atti  della  Società  To- 
scana di  Scienze  Naturali,  voi.  I,  fase.  1).  — Pisa  1875,  pag.  16, 
in-8°  con  due  tavole  (continua). 

M.  S.  De  Rossi.  — Primi  risultati  delle  osservazioni  sulle  oscillazioni 
microscopiche  dei  pendoli.  — Roma  1875,  pag.  40,  in-4°. 

C.  De  Stefani.  — Di  alcune  conchiglie  terrestri  fossili  nella  Terra 
rossa  della  pietra  calcare  di  Agnano  nel  Monte  Pisano.  — Pisa 
1875,  pag.  5,  in-8°. 

— Natura  geologica  delle  colline  della  Val  di  Nievole  e delle  valli 
di  Lucca  e di  Bientina.  — Pisa  1875,  pag.  6,  in-8®. 

— Descrizione  di  nuove  specie  di  molluschi  pliocenici  italiani. — 
(Bull,  della  Società  Malacologica  italiana,  voi.  I,  fase.  1).  — Pisa  1875, 
pag.  9,  in-8®. 

A.  Bellardt.  — Novae  Pleurotomidarum  Pedemontii  et  Liguriae  fossi- 
lium  dispositioiìis  prodromus.  — (Bull,  della  Società  Malacologica 
italiana,  voi.  I,  fase.  1).  — Pisa  1875,  pag.  9,  in-8'\ 

P.  Mantovani.  — Delle  argille  scagliose  e di  alcuni  Ammoniti  dell’ Ap- 
pennino dell’Emilia.  — (Atti  Soc.  It.  Scienze  Naturali,  voi.  XVIII, 
fase.  1).  — Milano  1875,  pag.  35,  in-8®. 

G.  Omboni.  — Di  alcuni  oggetti  preistorici  delle  caverne  di  Velo  nel 
Veronese.  — (Atti  Soc.  It.  Scienze  Naturali,  voi.  XVIII,  fase.  1).  — 
Milano  1875,  pag.  14,  in-8®  con  una  tavola. 

A.  De  Zigno  — Sirenii  fossili  trovati  nel  Veneto.  — (Memorie  del  R. 
Istituto  Veneto,  voi.  XVIII). — Venezia  1875,  pag.  30,  in-4®  con 
cinque  tavole. 

— Sui  mammiferi  fossili  del  Veneto.  — Padova  1875,  pag.  16,  in-8°. 

L.  Bombicci.  — Corso  di  Mineralogia.  — (Seconda  edizione  grandemente 
variata  ed  accresciuta),  voi.  2®  diviso  in  due  parti.  — Bologna  1875, 
pag.  1032,  in-8°  con  tavole  ed  incisioni. 

A.  Stoppani.  — Sui  rapporti  del  terreno  glaciale  col  pliocenico  nei 
dintorni  di  Como.  — Milano  1875  (Atti  della  Soc.  Ital.  di  Scienze 
Nat.,  voi.  XVIII,  fase.  2);  pag.  25  in-8°. 

A.  D’Achiardi. — Sulla  Cordìerite  nel  granito  normale  dell’  Elba  e sulle 

correlazioni  delle  rocce  granitiche  con  le  trachitiche.  — Pisa  1875 
(Atti  della  Soc.  Tose,  di  Scienze  Nat.,  voi.  II,  fase.  1)  ; pag.  12  in-8°. 

Gemmellaro  (G.  G.)  e Di  Beasi  (x\.).  — Pettini  del  titonio  inferiori,  del 
nord  della  Sicilia.  — Catania  1874  (Atti  Acc.  Gioenia,  serie  3^, 
tomo  IX)  ; pag.  44  in-4'’  con  quattro  tavole. 

G.  Capellini.  — Sui  Cetoterii  bolognesi.  — Bologna  1875  (Memorie  del- 
l’Acc.  delle  Scienze,  serie  3®,  tomo  V,  fase.  4)  ; pag'  32  in-4  con  due 
tavole. 

G.  Strììver.  — Sulla  Gastaldite,  nuovo  minerale  del  gruppo  dei  bisili- 
cati  anidri.  — Roma  1875  ; pag.  5 in-4°. 

B.  Gastaldi. — Cenni  sulla  giacitura  del  Cervus  euryceros. — Roma  1875; 

pag.  6 in-4°  con  una  tavola. 

T.  Taramelli.  — Dei  terreni  morenici  ed  alluvionali  del  Friuli.  — 
Udine  1875  (Annali  scientifici  del  R.  Istituto  Tecnico  di  Udine, 
anno  Vili);  pag.  100  in-8®  con  2 tavole. 


Anno  187S. 


Il»  9 e 10. 


R.  COMITATO  GEOLOGICO 


D’  ITALIA. 


Bollettino  N°  9 e IO. 


Settembee  e Ottobre  1875. 


-O-oJ^JS^OO- 


O 


ROMA, 

TIPOGRAFIA  BARBÈRA. 


1875. 


Bollettino  (teologico  per  il  1870.  — Un  voi.  in-S*"  di  pag.  324. 

» » PER  IL  1871.  — Un  voi.  in-8°  di  pag.  296. 

» » PER  IL  1872.  — Un  voi.  in-8®  di  pag.  376. 

» » PER  IL  1873.  — Un  voi.  in-8°  di  pag.  400. 

» » PER  IL  1874.  — Un  voi.  in-8°  di  pag.  408. 

Prezzo  di  ciascun  volume  L.  10. 

Associazione  al  Bollettino  del  1875  (Anno  YP).  — Per 
l’Italia  L.  8,  Estero  L.  10. 

I fascicoli  bimestrali  del  Bollettino  si  vendono  anche  se- 
paratamente al  prezzo  di  L.  2 ciascuno. 

Memorie  per  servire  alla  descrizione  della  Carta  Geologica 
d’Italia.  — Volume  P;  Firenze  1871.  — 404  pagine  in-4° 
con  23  tavole,  due  Carte  geologiche  e varie  incisioni  inter- 
calate nel  testo. 

Comprende  le  seguenti  Memorie  : 

Introduzione  — Studii  geologici  sulle  Alpi  Occidentali,  di 
B.  Gastaldi,  con  cinque  tavole  ed  una  Carta  geologica.  — 
Cenni  sui  graniti  massicci  delle  Alpi  Piemontesi  e sui  mine- 
rati  delle  valli  di  Lanzo,  di  G.  Struver.  — Sulla  formazione 
terziaria  nella  zona  solfifera  della  Sicilia,  di  S.  Mottura, 
con  quattro  tavole.  — Descrizione  geologica  delV  Isola  d’ Uba, 
di  I.  Cocchi,  con  sette  tavole  ed  una  Carta  geologica.  — 
Malacologia  pliocenica  italiana  (Parte  P,  Gasteropodi  sifo- 
nostomi)  di  C.  D’  Ancona  ; fascicolo  1%  con  sette  tavole. 

Prezzo  del  Voi.  F,  Lire  35. 

Brevi  cenni  sui  principali  Istituti  e Comitati  Geo- 
logici e sul  B.  Comitato  Geologico  d’ Italia,  di 
I.  Cocchi.  — Pag.  34  in-d® L.  1.50 

Carta  Geologica  della  parte  orientale  dell’  Isola 
d’Elba,  nella  scala  di  1 per  50,000,  di  I.  Coc- 
chi. — Un  foglio  in  cromolitografia L.  3. 00  * 

{Continua,)  | 


BOLLETTINO  DEL  R.  COMITATO  GEOLOGICO 

D’ ITALIA. 

9 e {0.  — Sellembre  e Ottobre  1875. 


SOMMARIO. 

Note  geologiche.  — I.  Studii  stratigrafici  sulla  Formazione  pliocenica  del- 
l’Italia Meridionale,  per  G.  Sequenza.  (Continuazione.) — II.  Notizie  pre- 
liminari su  le  piante  ed  insetti  fossili  della  formazione  solfifera  della  Sicilia, 
per  E.  Stoehr.  — III.  Le  formazioni  plioceniche  di  Siracusa  e di  Lentini,  per 
Th,  Fuchs  e Al.  Bittner.  — IV.  Il  territorio  di  Zoldo  e di  Agordo  nelle  Alpi 
Venete,  per  K.  v.  Mojsisovics.  — V.  Ricerche  nella  valle  superiore  del  Rienz 
e nei  dintorni  di  Cortina  d’Ampezzo,  per  R.  Hòrnes.  — VI.  I Caolini  e le 
Argille  refrattarie  in  Italia,  per  P.  Zezi. 

Notizie  bibliografiche. — A.  Manzoni,  I Briozoi  delplioceno  antico  di  Ca- 
strocaro; Bologna,  1875.  — G.  vom  Rath,  I Monzotn  nella  parte  S.E.  del 
Tirolo ; Bonn,  1875.  — E.  VON  Mojsisovics,  Sull’estensione  e la  struttura 
delle  masse  dolomitiche  nel  S.E.  del  Tirolo.  — E.  Stoehr,  Katechismus 
der  Bergbaukimde;  Wien,  1875.  — J.  Dana,  Marmai  of  Geology,  second 
edition;  New-York,  1875. 

Notizie  diverse. — Le  ultime  eruzioni  vulcaniche  nell’ Islanda.  — Ricerche 
geologiche  nel  mezzodì  della  Spagna.  — Le  piriti  in  Francia.  — Formazione 
contemporanea  dei  minerali.  — Minerali  tellurici  del  Chili.  — Studii  sui 
terremoti. 


NOTE  GEOLOGICHE. 


I. 

Studii  stratigrafici  sulla  Formazione  pliocenica 
deir  Italia  Meridionale.,  per  G.  Seguenza. 

(Continuazione. — Vedi  Bollettino,  N.  7-8.)  ’ 

Elenco  dei  Cirripedi  e dei  Molluschi  della  zona  superiore 

dell’  antico  plioceno. 


I 


— 276 


235  s. 


236  ]. 

237  1. 
•238M. 
239*  1. 
240*  ]. 

241*1. 
242*  1. 
*1. 
243*  1. 


244  c. 


245*  c. 
246  c. 


247*  c. 
248*  c. 
249*  c. 

250*  c. 
251*  c. 
252*  s. 


253  1. 


2541. 
255  1. 

256*  1. 
257*  1. 
258*  1. 
259*  1. 
260*  1. 
261*1. 
262*  1. 

263  1. 

264  1. 

265*  1. 
266*1. 
267*  1. 
268*  1. 
269*  1. 
270*  1. 
271*  1. 
272*  1. 


Gen.  Lacheais  Risso, 
vulpecula  Monterosato 

Gen.  Columbella  Lamarck. 

rustica  Linneo  (Voluta) ...... 

scripta  Linneo  (Murex) 

semicaudata  Bonelli  (M.  S.)  . . . 
stazzanensis  Bellardi  (M.  S.) . . . 
turgidula  Brocchi  (Voluta)  . . . . 

curta  Dujardin  (Buccinum)  . . . . 
corrugata  Brocchi  (Buccinum)  . . 

» var.  A.  Bellardi  . . . . 
Calcarae  (Seguenza)  


Graeci  Philippi 

var.  costata 

erythrostoma  Bonelli  (M.  S.) 

costolata  Cantraine  (Fusus) 

» var.  acutecostata  Phil.  (Bucc.) 

subulata  Brocchi  (Murex) 

Bellardii  Seguenza 

nassoides  Bellardi 

compta  Bronn  (Fusus). 

thiara  Brocchi  (Murex) 

semicostata  Cantraine  (Fusus) 

Gen.  Cyclonassa  Swainson. 
neritea  Linneo  (Buccinum) 

Gen.  Nassa  Lamarck. 


= L.  recondita  Brugnone, 


Riportata  dal  Calcara  ad  Altavilla 

= C.  scripta  e Gervillii  Monterosato . . . . 
= C.  semicaudata  Bellardi,  Sismonda.  . . . 
Nuova  specie  che  sarà  descritta  daH’autoi 
Columbella  turgidula  Bellardi,  Sismonda. 
Linnaei  Calcara  (non  Payraudeau) . . . . 
= Columbella  curta  Bellardi,  Sismonda  . . 
=r  Columbella  corrugata  Bonelli,  Bellardi  . 

Gli  ultimi  anfratti  senza  costole 

Questa  specie  fu  confusa  dal  Calcara  colla 
che  non  trovasi  ad  Altavilla  e detta  Bucci 
chi.  Ordinariamente  credesi  una  varietà  pù 
C.  subulata,  ma  è ben  distinta  per  P ap 

altre  note 

=:  Mitra  striatella  Calcara,  Mitra  olivoidea 

C.  Graeci  Monterosato 

= Mitra  columhellaria  Scacchi 

= C.  erythrostoma  Bellardi,  Sismonda  . . 
= Buccinum  Testae  Aradas,  Fusus  Caillam 

Columbella  Haliaeti  Jeflfr.  

Costole  più  rade,  conchiglia  più  rigonfia.  . 
= Fusus  politus  Philippi.  (Non  C.  subulata 
=ì  C.  subulata  Bellardi.  (Non  Murex  subulatu 
r=  C.  subulata  Bonelli  (M.  S.)  (non  Sellar 

politus  Calcara 

= Columbella  compta  Bellardi 

=:  Columbella  thiara  Bonelli,  Bellardi  ec. . 
Buccinum  elegantissimum  Aradas,  Buccii 
costatum  Seguenza.  Specie  intermedia  tra 
rugata  e la  C.  costulata 

Buccinum  neritoides  Calcara,  B.  neriteum 
clope  neritea,  Cyclonassa  neritea  Monter 


gibbosula  Linneo  (Buccinum) 2 

mutabilis  Linneo  (Buccinum) 

obliquata  Brocchi  (Buccinum) 

Bonelli  Bellardi 

pupa  Brocchi  (Buccinum) 

conglobata  Brocchi  (Buccinum) 

scalaris  Borson 

semicostata  Brocchi  (Buccinum) 

musiva  Brocchi  (Buccinum) 

reticolata  Linneo  (Buccinum) 

Cuvieri  Payraudeau  (Buccinum) 


= Nassa  gibbosula  Monterosato 

= Buccinum  mutabile  Calcara,  Philippi.  N.j 

Monterosato ] 

= B.  mutabile  var.  obliquata  Calcara,  Phil 
=:  Buccinum  mutabile  Brocchi  (parte).  . . . 
=:  Buccinum  pupa  Calcara i 


=:  N.  scalaris  Foresti 

F distinta  dalle  diverse  varietà  della  N.  sif 
= Buccinum  musivum  Calcara,  Philippi  . . 
= Buccinum  reticulatum  Calcara,  Philippi. 

lata  Monterosato 

= Buccinum  subdiaphanus  Bivona,  Calcara,! 
variabile  Philippi,  Nassa  Cuvieri  Monter  ì 


Basteroti  Michelotti 

Bufo  Doderlein = Nassa  Bufo  Foresti.  . 

turbinella  Brocchi  (Buccinum) 

Strobeliana  Bocconi . =:  N.  Strobeliana  Foresti, 

angolata  Brocchi  (Buccinum) 

ringens  Bonelli 

serrati  costa  Bronn 

asperata  Bocconi 


277 


3 

4 

5 

6 

7 

8 

9 

10 

11 

12 

13 

14 

15 

16 

17 

18 

19 

M. 

-P 

G. 

A. 

-P 

• • • 

P. 

b. 

• • • 

• • • 

• • • 

b. 

. . . 

P. 

0. 

P- 

B. 

b. 

• • • 

c. 

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Co. 

b. 

• • • 

C. 

C. 

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B. 

• • • 

c. 

0. 

M. 

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b. 

1. 

M. 

-P 

-P 

m. 

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0. 

C. 

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0. 

Le. 

B. 

• • • 

c. 

B. 

c. 

0. 

L. 

0. 

. . . 

B. 

. . . 

c. 

. . . 

b. 

L. 

M. 

le. 

B. 

-P 

-4- 

• • • 

CaP.Fo 

B. 

M. 

B. 

-P 

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P. 

B. 

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B. 

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Le. 

b. 

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• • • 

b. 

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b. 

. . . 

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b. 

-P 

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L. 

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B. 

• • • 

c. 

• • • 

b. 

L. 

b. 

0. 

b. 

L. 

0. 

0, 

M. 

--  278  — 


273*  c. 

turrita  Borson 

£=: Buccinum  Lamarckianum  Calcara?.  . . 

274*  c. 
275  c. 

angiostoma  Doderlein 

semistriata  Brocchi  (Buccinum) 

= Buccinum  corniculum  Brocchi  (non  Olivi) 
striatum  Philipp!,  Nassa  semistriata  Mon 

c. 

» var.  integro-striata  Sismonda. 

= N.  seraistriata  var.  integro-striata  Fore: 
mistriata  var.  seconda  Calcara.  N.  semist 

c. 

» var.  turrita  Foresti 

= N.  semistriata  var.  prima  Calcara . . . . 

276*  c. 

costolata  Brocchi  (Buccinum) 

=B.  semistriatum  var.  6 . Phil.  Non  N.  costuU 

277  c. 

serrata  Brocchi  (JBuccinum) 

278*  c. 

clathrata  Boro.  (Buccinum) 

Buccinum  clathratum  Brocchi 

* c. 

» var.  craticulata  Foresti.  . . . 

279  c. 

prismatica  Brocchi  (Buccinum) 

= Buccinum  prismaticum  Calcara,  Philipp! 

280  c. 

limata  Chemnitz  (Buccinum) 

= Buccinum  prismaticum  Calcara,  Philipp 
N.  limata  Monterosato 

» var.  peloritana 

Anfratti  più  convessi,  costole  rotondate,  stri 
sali  assai  sottili,  apice  più  ottuso,  rotoad 
distinta  specie 

281  c. 

incrassata  Muller  (Tritonium) 

= Buccinum  asperulum  Brocchi,  Calcara,  B. 
ascanias  Phil,,  N.  incrassata  Monterosat 

282*  c. 

pusilla  Philipp!  (Buccinum) 

Non  è da  confondersi  menomamente  colla 
costa  come  alcuni  credono 

288*  s. 

spinulosa  Philipp!  (Buccinum) 

Gen.  Phos  Monfort. 

— N.  spinulosa  Seguenza . 

284*  1. 

polygonus  Brocchi  (Buccinum) 

Gex.  Terebra  Lamarck. 

/ 

285*  1. 

fuscata  Brocchi  (Buccinum) 

=3  Terebra  fuscàta  Philipp!.  Terebra  subula 
(non  Lamarck) 

286*  1. 

plicatula  Lamarck  

= Buccinum  cinereum  Brocchi  (non  Linneo 
solcata  Calcara 

287*  1. 
288*  1. 

acuminata  Borson 

pertusa  Basterot  

!=:  Buccinum  strigilatum  Brocchi  (non  Linn 

289*1. 

Basteroti  Nyst . 

=3  Buccinum  duplicatum  Brocchi  (non  Linneo 
duplicata  Calcara,  Philipp! 

290*  1. 

reticularis  Pecchioli  (M.  S.) 

Gen.  DoUum  Lamarck. 

Inviatami  con  tale  nome  dal  signor  Lawlej 

291*1. 

denticulatum  Deshayes 

Gen.  Cassia  Bruguière. 

==  Buccinum  pomum  Brocchi  (non  Linne 
sulcosa  Calcara  ? (non  Lamk.) 

■ 

292  1. 

saburon  Lamarck 

= Buccinum  saburon  Brocchi,  Cassis  tex 
Calcara,  Cassis  saburon  Philippi,  Monter' 

1. 

» var.  B.  laevis  evaricosa  Bronn. 

— Cassis  laevigata  Defrance,  Monterosato,! 
areola  Brocchi.  Var.  Calcara ! 

1. 

» » C.  laevis  varicosa  Bronn  . 

1. 

» » striata  Bronn 

=3  Cassis  striata  Defrance,  Buccinum  saburo 

293*  1. 

crumena  Bruguière  (Cassidea) 

==;  Buccinum  plicatum  Brocchi  (non  Linne 
plicata  Bronn^ 

294*1. 

variabilis  Bellardi  e Michelotti 

= Buccinum  intermedium  Brocchi,  Cassis 
Borson 

Gen.  Cassidaria  Lamarck. 

[ 

( 

295  c. 

echinophora  Linneo  (Buccinum) 

=:  Buccinum  diadema  Brocchi.  C.  echinophoiH 

296  c. 

thyrrhena  Chemnitz  (Buccinum) 

=33  C.  thyrrhena  Philippi,  Monterosato  . . . 

1 

279 


3 

4 

5 

6 

7 

8 

9 

10 

11 

12 

13 

14 

15 

16 

17 

18 

19 

0. 

Le. 

B. 

c. 

c. 

0. 

Ca. 

B. 

A. 

C. 

M. 

B. 

L. 

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1. 

R. 

• • • 

M. 

G. 

M. 

B. 

0. 

CaP.Le 

B. 

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C. 

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B. 

L. 

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c. 

• • . 

• • • 

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M. 

0. 

Te. 

B. 

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B. 

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c. 

• • • 

P.C.Ce. 

B. 

A. 

• • • 

M. 

B. 

Zona  lusitanica. 

« • 

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b. 

• • • 

. • • 

• • • 

b. 

0. 

P.Te. 

B. 

A. 

c. 

M. 

b. 

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1. 

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M. 

H- 

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M. 

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Le. 

B. 

. . . 

M. 

b. 

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... 

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B. 

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1. 

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c. 

G. 

H- 

0. 

C. 

M. 

H- 

— 280  - 


297  1. 

Gen.  Euthria  Gray. 

cornea  Linneo  (Murex) 

= Murex  corneus  Brocchi,  Fusus  lignarius 

298^  1. 

Altavillae  n.  sp 

Fusus  lignarius,  corneus  Phil., Euthria  come. 
Prossima  alla  precedente,  più  breve,  avv 

299*  1. 

adunca  Bronn  (Fusus) 

meno  convessi  ec 

3001. 

Gen.  Pisania  Bivona. 

maculosa  Lamarck  (Buccinum) 

= Pisania  striatola  Bivona.  Buccinum  m 

*1. 

» var.  magna  Foresti. 

B.  pusio  Philippi.  P.  maculosa  Monteross 

30r]. 

Gen.  Follia  Gray. 

turrita  Borson  (Murex) 

= Murex  fiexicauda  Bronn.  M.  fusulus  D’An 

302  1. 

fusulus  Brocchi  (Murex) 

Brocchi) 

= Murex  Spadae  Libassi,  M.  fiexicauda  ] 

303*  1. 

gracilis  n.  sp 

(non  Bronn)  

Più  gracile  della  precedente,  strie  transverse 

304*  1. 

plicata  Brocchi  (Murex) 

merose  e più  grossolane.  Specie  comune  ad 
= Pollia  plicata  Bellardi 

305*  1. 

pusilla  Bellardi 

=3 Murex  exiguus  D’Ancona  (non  Dujardin). 

306*  1. 

Gen.  Anura  Bellardi. 

inflata  Brocchi  (Murex) 

= Fusus  inflatus  Foresti,  A.  inflata  Bellard 

307*  1. 

Gen.  Metula  H.  et  A.  Adams. 

mitraeformis  Brocchi  (Fusus) 

= Fusus  mitraeformis  Libassi 

308*  1. 

Geìt.  Jania  Bellardi. 

anguiosa  Brocchi  (Murex) 

= Jania  angolosa  Bellardi 

309*1. 

Gen.  Fasciolaria  Lamarck. 

fimbriata  Brocchi  (Murex) 

= Murex  fimbriatus  Calcara 

310*1. 

311*1. 

Lawleyana  D’ Ancona 

Hornesii  Seguenza 

= Fasciolaria  fimbriata  Hoernes  (non  M. 

312*  1. 

etrusca  D’Ancona 

Brocchi)  F.  fimbriata  (parte)  Foresti  . . 
“Fusus  D’Anconae  Pecchioli 

313*1. 

Tarbelliana  Grateloup 

==  F.  Tarbellianus  Foresti i 

3141. 

tarentina  Lamarck 

==  Fasciolaria  tarentina  Phil.,  F.  Ugnarla  Md 

* 

var.  cingolata  Foresti 

315*  1. 

fusoidea  Pecchioli 

Denominazione  manoscritta  datami  dal  sign 

316*1. 

costata  Bonelli 

• 

Gen.  Clavella  Swainson. 

1 

1 

317*  s. 

filosa  n.  sp 

■ — Fnsns  fìlnsns  Sfie'iip.nzfl.  fM.  R.ì 1 

318*1. 
319*  1. 

Gen.  Fusus  Lamarck. 

criapns  Borson 

1 

i 

— F.  rostratus  var.  Bellardi j 

cinctus  Bellardi  e Michelotti 

— F.  rostratus  var.  Bellardi.  . 

320*  1. 

Borsonianus  D’Ancona 

i 

281 


3 

4 

5 

6 

1 

8 

1 

9 

10 

Il 

12 

13 

14 

15 

16 

17 

18 

0. 

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B.  . 

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C.  . 

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B. 

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B. 

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B. 

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ie.G.c. 

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B. 

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C. 

1 

0. 

1. 

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B. 

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Le. 

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M. 

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b. 

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le. 

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le. 

M. 

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. 0. 

. b. 

19 


— 282 


321M. 
322*  1. 
323*  1. 
324*1. 
325*1. 
326*  1. 
*1. 
327  c. 

*c. 
328*  c. 
329  c. 


330'  s. 


331*  1. 
332*  1. 


* 1. 

333*  1. 


*1. 

334*  1. 
335*1. 
336  1. 

337*1. 

33  S*  1. 

339*1. 
340*  1. 
341  1. 

342*  1. 

343*  1. 

344*  1. 
345*  1. 
346*  1. 
347  1. 
348*  1. 


349*  1. 
*1. 
350*  1. 


351*1. 


rudis  Philipp! . . 

lamellosus  Borson 

clavatus  Brocchi  (Murex) 

etruscus  Pecchioli 

Meneghinianus  I)’  Ancona 

nodifer  n.  sp 

» var.  B 

rostratus  Olivi  (Murex) 

» var.  Bononiensis  Foresti  . . . 

longiroster  Brocchi  (Murex) 

pulchellus  Philipp! 


Sottogenere  Neptunea  Bolten. 
contraria  Linneo  (Murex) 

Gen.  Murex  Linneo. 

spinicosta  Broun 

altavillensis  n.  sp 


» var.  B.  subspinosa 
torularius  Lamarck  ....... 


» var.  B.  cornuta 

Veranyi  Paulucci 

Sowerbyi  Michelotti.  .' ■ 

erinaceus  Linneo 

heptagonatus  Broun  

absonus  Jan 

incisus  Broderip 

Constantiae  D’Ancona 

scalarioides  Blainville 

Jani  Doderlein 

brevicanthos  Sismonda 

niulticostatus  Pecchioli 

hirtus  n,  sp 

Hornesii  D’Ancona 

trunculus  Linneo  

conglobatus  Michelotti 


Pecchiolianus  D’ Ancona.  . . . 

» var.  bicoronata 

Libassi!  n.  sp 


truncatulus  Foresti, 


= F.  lamellosus  Bellardi 

= F.  clavatus  Calcara,  Philipp!,  Bellardi 
= F.  etruscus  D’Ancona,  Foresti,  Bellardi 


Avvolgimenti  carenati,  carena  nodulosa  . 

Noduli  quasi  scancellati 

= Fusus  rostratus  Calcara,  Philipp!,  Mure: 

Brocchi,  Monterosato 

= F.  rostratus  var.  A.  Bellardi 

= F.  longiroster  Calcara,  Philipp!  .... 
— Murex  rostratus  var.  Monterosato . . . 


= Fusus  contrarius  Philipp! 


c=;  M.  spinicosta  D’  Ancona,  Bellardi  ec.  . 
=:  M.  brandaris  ? (parte)  Calcara.  Spira 
sei  non  spinosi.  Distintissimo  dal  M.  l 
dalla  seguente  specie.  Comune  ad  Alta'' 
Avvolgimenti  appena  carenati,  varici  nod; 

rena 

= Murex  J:orularius  Bellardi,  Murex  p 
daris  D’ Ancona,  Murex  brandaris  (] 

cara 

=:M.  cornutus  Calcara  (non  Linneo).  Foi 

e con  lunghi  e forti  aculei 

= M.  tripterus  Brocchi  (non  Linneo) . . . 
= M.  So^^verbyl  D’Ancona,  Bellardi.  . . . 
" M.  erinaceus  et  decussatus  Brocchi,  M. 
Calcara,  M.  erinaceus  Philipp!,  Monterò 
M.  Altavillae  Libassi,  M.  heptagonatr 

na,  Bellardi 

=:  M.  saxatilis  var.  Brocchi  (non  Linneo),  M. 

Libassi,  M.  absonus  D’Ancona,  Bellardi 
r=:  M.  incisus  D’Aucona,  Monterosato.  . . 

= M.  Constantiae  Bellardi 

M.  distinctus  Jan,  Calcara,  Philipp!,  D’ 
scalarinus  Phil.,  M.  scalarioides  Bellardi,  3J 
= M.  distinctus  var.  Jan,  M.  pseudo-p 

D’Ancona,  M.  Jani  Bellardi 

= M.  ramosus  Brocchi  (non  Linneo),  M.  b: 

D’Ancona,  Bellardi 

= M.  multicostatus  Bellardi 

Coste  trasverse  spinose 

= M.  trunculus  var.  2^  Calcara,  M.  Home: 
= M.  trunculus  Calcara  (parte),  Philippi,  k 
= M.  pomum  Brocchi  (non  Linneo),  M, 
vai*.  3^  Calcara,  M.  conglobatus  D’Anpoi 

(parte)  

==  M.  trunculus  var.  4^^  Calcara,  M.  congh 

B.  e C.  Bellardi 

L’  ultimo  giro  ha  una  serie  di  spine  e posi 

una  serie  di  grossi  nodi 

Affine  al  M.  truncatulus  ; Spira  più  elevati 
strette,  coste  interposte  nell’  ultimo  av 

nulle,  suture  profonde 

= M.  truncatulus  D’Ancona,  Bellardi.  . . 


4 


283 


3 

4 

5 

6 

7 

8 

9 

10 

11 

12 

13 

14 

15 

16 

17 

18 

19 

m. 

0. 

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B. 

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C. 

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B. 

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B. 

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b. 

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c. 

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b. 

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B. 

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• • • 

M. 

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6. 

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0. 

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0. 

C.Le. 

b. 

0. 

C. 

0. 

0. 

• 

-1- 

0. 

Le. 

(L 

0. 

Le.f. 

b. 

Le.Ce. 

b. 

H- 

• • • 

P.Fo. 

• 

Fo.f.Ce 

P. 

B. 

A. 

(Continua.) 


~ 284  — 


n. 

Notile  'preliminari  su  le  piante  ed  insetti  fossili  della 
formazione  solfifera  di  Sicilia,  per  Emilio  Stoehe. 

f 

Occupato  di  presente  in  uno  studio  dettagliato  della  colle- 
zione da  me  fatta  in  Sicilia  nella  formazione  solfifera  della  pro- 
vincia di  Girgenti,  alcuni  amici  mi  hanno  favorito  la  loro  coo- 
perazione in  tali  ricerche.  Il  dottor  von  Heyden  di  Francoforte 
si  è assunto  V incarico  della  determinazione  degli  insetti  e il 
dott.  Geyler,  anch’  esso  di  Francoforte,  quella  delle  impronte 
vegetali.  I signori  von  Heyden  e Geyler  hanno  già  terminato  le 
loro  ricerche  ed  i resultati  ottenuti  sono  bastantemente  interes- 
santi, perchè  io  ne  dia  fin  d’  ora  comunicazione  a titolo  di  no- 
tizie preliminari. 

Le  piante  e gli  insetti  studiati  provengono  per  la  maggior 
parte  da  quella  serie  di  colline,  che  a settentrione  di  Kacal- 
muto  e Grotte  nella  provincia  di  Girgenti,  si  stende  da  Ovest 
verso  Est,  e che  viene  denominata  Contrada  Cannatone  unita- 
mente al  Monte  Pernice.  Essa  elevasi  sopra  il  mare  fino  a 
590  metri,  oppure  circa  180  metri  sul  fondo  della  valle.  In 
questa  serie  d’alture  formate  dai  diversi  membri  della  forma- 
zione solfifera,  gii  strati  hanno  una  inclinazione  media  di  30  gradi 
verso  Nord  e una  direzione  generale  da  S.O.  a N.E.  ; vi  esi- 
stono pure  diverse  perturbazioni  locali. 

Nella  parte  superiore  vi  sono  marne  calcaree  bianchiccie,  i 
trut)i  superiori,  contenenti  una  gran  quantità  di  foraminifere,  con 
rare  tracce  di  conchiglie  marine.  Trovasi  al  disotto  una  massa 
di  gesso  della  potenza  di  50  a 70  m.  talora  costituita  da  gesso 
cristallino,  tal’  altra  divenendo  più  o meno  marnosa  con  strut- 
tura lamellare.  In  questa  massa  gessosa  sono  racchiusi  due  de- 
positi di  solfo  (Vanelle),  cioè  strati  calcareo-marnosi  contenenti 
solfo  nativo.  Ambedue  i depositi  vengono  lavorati  in  una  serie 
di  miniere,  l’ inferiore  contenendo  un  minerale  puro,  ricchis- 
simo, talvolta  con  bei  cristalli  di  solfo,  mentre  il  superiore  offre 
un  minerale  più  povero,  frammisto  a molto  bitume,  e perciò  colla 


I 


— 285  - 


fusione  produce  uno  zolfo  colorato  in  bruno.  Sotto  il  gesso  ri- 
posano i tnibi  inferiori  in  nulla  dissimili  dai  superiori  e pari- 
mente ripieni  di  foraminifere,  contenendo  assai  raramente  resti 
di  Pecten,  Ostrea,  Turritella,  Trochns,  Puccimim  e coralli. 

Sotto  ai  trubi  seguono  scisti  da  pulire  bianchi,  lamellari,  il 
tripoli,  pieni  d’ infusori.  Alla  base  di  tutte  queste  formazioni  e 
sotto  al  tripoli  stanno  certi  calcari  cavernosi  che  emergono  a 
^uisa  di  scogli. 

I trubi,  tanto  superiori  che  inferiori,  sono  di  formazione  ma- 
rina ; i gessi  che  vi  sono  racchiusi  insieme  alle  masse  di  solfo 
sono,  al  contrario,  per  lo  più,  formazioni  lacustri,  come  lo  dimo- 
strano i numerosi  pesci  d’  acqua  dolce  che  contengono,  nella 
maggior  parte  Lehias  crassicauda,  e che  trovansi  negli  strati 
di  gesso  marnoso  e nei  depositi  di  minerale  di  solfo  ; località 
nelle  quali  si  trovano  puranche  resti  di  conchiglie  marine,  sono 
assai  rare.  In  questi  strati  trovansi  ancora  gli  insetti  studiati 
dal  von  Heyden  e,  come  rarità,  impronte  di  piante.  Quest’  ul- 
time, raccolte  da  me  e dal  dottore  Nocito  di  Girgenti,  furono 
determinate  dal  dott.  Geyler  e quasi  tutte  provengono  dagli 
strati  in  parola. 

Gli  scisti  sottoposti  ai  trubi  inferiori,  i tripoli,  oltre  agli  infu- 
sori, dalle  corazze  silicee  dei  quali  sono  quasi  intieramente  formati, 
racchiudono  molte  impronte  di  pesci,  apparentemente  gli  stessi  de- 
scritti da  Sauvage  degli  strati  analoghi  di  Licata.  Per  la  maggior 
parte  sono  marini,  misti  però  a pesci  d’acqua  dolce,  per  cui  la 
formazione  del  tripoli  dovrebbe  esser  riguardata  come  origina- 
tasi in  un  estuario,  nel  quale  si  riversavano  torrenti  e fiumi. 
Sfortunatamente,  per  circostanze  non  prevedute,  lo  studio,  dei 
pesci  da  me  raccolti  non  è peranche  compiuto,  cosicché  non  è 
possibile  al  presente  dare  su  tal  proposito  un  giusto  giudizio. 
In  questi  tripoli  presentansi  assai  di  rado  alcune  impronte  ve- 
getali, una  delle  quali  fu  determinata  appunto  dal  dott.  Geyler. 

Nel  calcare  cavernoso  sottostante,  che  spesse  volte  costituisce 
delle  creste  pittoresche  ed  elevate,  non  è stata  fino  ad  ora  rin- 
venuta traccia  alcuna  di  fossili,  e resta  perciò  in  dubbio  se  debba 
forse  riguardarsi  come  una  formazione  più  antica.  A me  sembrano 
decisamente  essere  scogliere  madreporiche. 

Premesse  queste  osservazioni  sopra  le  condizioni  del  giaci- 


— 286  — I 

mento  ; passo  a dare  i resultati  delle  ricerche  dei  signori  von  , 
Heyden  e Geyler. 

Gli  insetti  studiati  dal  signor  von  Heyden,  furono  riconosciuti 
come  larve  di  Libellula  Boris,  Heer  e Libellula  Eurynome,  Heer 
ambedue  le  quali  sono  state  descritte  da  Heer  per  il  giacimento  di 
Oeningen.  Il  signor  von  Heyden  aveva  in  mano  abbondante  mate- 
riale per  le  sue  ricerche,  e le  impronte  si  trovano  precisamente 
nelle  lastre  degli  strati  di  gesso  marnoso  o in  quelle  dei  depo- 
siti di  solfo.  La  quantità  degli  esemplari  ivi  esistenti  è così 
straordinaria,  che  in  un  piede  quadrato  spesso  si  vedono  più  di  cento 
impronte.  Tutte,  secondo  il  von  Heyden,  appartengono  soltanto 
alle  due  specie  suaccennate,  delle  quali  tuttavia  comparisce  quasi 
esclusivamente  la  Libellula  Boris,  mentre  che  la  Libellula  Eury- 
nome  trovasi  solo  in  alcuni  pochi  esemplari.  La  straordinaria 
quantità  di  questi  insetti  allo  stato  di  larva  soltanto,  però  in 
tutto  le  gradazioni  d’  età,  accenna  certamente  ad  acque  placide 
sul  cui  fondo  sviluppansi  le  larve.  L’insetto  perfetto,  veloce  e 
vigoroso  nel  volo,  abbandona  il  luogo  di  sua  nascita  e corre  alla  i 
rapina  esplorando  V interno  dei  boschi.  Kesulta  da  ciò  che  assai 
raramente  accadrà  che  un  insetto  perfetto  cada  per  avventura 
nell’  acqua  e venga  quindi  ricoperto  dalla  fanghiglia.  Questo  è il  ; 
motivo  per  cui  trovansi  soltanto  larve  e non  insetti  perfetti,  fatto 
identico  a quello  del  giacimento  di  Oeningen  descritto  da  Heer. 

Il  dott.  Geyler  determinò  le  impronte  vegetali  da  esso  stu- 
diate sulle  lastre  di  gesso  marnoso,  e sono  le  seguenti  : 1.  luglans  | 
vetusta,  Heer  ; 2.  Gcesalpinia  — P — , Towmshendi  aff.,  Heer  ; ; 

3.  Biospyros  brachysepala,  Al.  Br.  ; 4.  Cinnamomum  pòlymor-  \ 
phum.  Al.  Br.  ; 5.  Quercus  cMoropliylla,  Ung.  ; 6,  Poacites  Ice- 
vìs.  Al.  Br.  ; 7.  Bobinia  Regeli,  Heer  ; 8.  Acacia  Parschlugiana,  ; 
Ung.  ; 9.Alnus  — P — , Gastaldi  dM.,  Mass.— Di  queste,  le  1.  2. 

3.  5.  6.  7 sono  conosciute  pel  giacimento  di  Oeningen,  le  4.  e 9 
per  quello  di  Sinigaglia  e la  8 per  quello  di  Parschlug,  Ha-  j 
ring  ec.  Appartengono  perciò  tutte  queste  piante  alla  formazione  | 
di  Oeningen  ed  in  conseguenza  la  formazione  solfifera  di  Sicilia  \ 
è contemporanea  a quella;  ciò  è confermato  ancora  dallo  studio 
degli  insetti.  Quindi  la  formazione  solfifera  è una  formazione  ^ 
quasi  esclusivamente  d’ acqua  dolce,  depositatasi  in  laghi  che  qua 
e là  furono  certamente  in  comunicazione  col  mare.  ^ 


— 287  — 

Queir  impronta  vegetale  rinvenuta  nel  tripoli  fu  determinata 
dal  dott.  Geyler  come  una  Myrica  salicina,  Ung.  Questa  pianta  non 
è stata  fino  al  presente  riconosciuta  nel  piano  di  Oeningen,  ma 
soltanto  nel  Mayencien  o Helvetien  (Radoboj,  Losanna,  S.  Gallo) 
quindi  nelle  formazioni  sottoposte  al  piano  di  Oeningen  o nel- 
r oligocene  (Miinzenberg,  Bornstatten).  Se  questo  isolato  esem- 
plare accenni  ad  una  più  antica  formazione  del  tripoli^  rimarrà 
indefinito,  almeno  fino  a che  non  sia  compiuto  lo  studio  dei 
pesci.  Sopra  il  posto  che  compete  alla  formazione  solfifera  di  Si- 
cilia nella  serie  geologica,  non  può  più  esistere  alcun  dubbio  ; 
essa  trovasi  alla  base  del  pliocene  ed  è contemporanea  alle  for- 
mazioni d’  acqua  dolce  gessifere  di  Castellina  Marittima,  ai  de- 
positi dei  gessi  solfiferi  di  Sinigaglia,  Cesena  ec.,  e alle  forma- 
zioni lacustri  di  Modena  e Beggio.  Il  signor  Teodoro  Fuchs  di 
Vienna  nel  suo  nuovo  lavoro  (Die  Gliederung  der  Tertiaerhil- 
dungen  am  Nordahliange  der  Apenninen  von  Ancona  his  Bolo- 
gna,  1875)  ha  decisamente  espresso  su  tal  proposito  che  tutte 
queste  formazioni  dell’  Italia  superiore  e media  non  debbono  es- 
sere riferite  al  più  alto  piano  del  miocene,  cioè  al  Tortoniano, 
ma  che  stanno  alla  base  del  pliocene,  intimamente  ad  esso  con- 
giunte e sono  superiori  al  Tortoniano.  Relativamente  agli  strati 
lacustri  di  Modena  ebbi  luogo  di  esprimere  questa  opinione  fino 
dal  1869  {Intorno  agli  strati  terziari  superiori  del  Monte  Gihio, 
Annuario  della  Società  dei  Naturalisti  di  Modena)  e riferii  i 
medesimi  al  Messinien  di  Carlo  Mayer  (da  non  scambiarsi  col 
terreno  già  denominato  Zancleano  di  Seguenza).  Unendomi  alla 
opinione  di  Fuchs  ritengo  perciò  anche  la  formazione  solfifera 
di  Sicilia  più  giovane  del  Tortoniano  e la  ascrivo  al  Messi- 
niano  di  Mayer,  tanto  più  che  nei  punti  nei  quali  le  condi- 
zioni di  giacimento  non  furono  disturbate,  gli  strati  dell’ Astiano 
sovrapposto  sono  in  giacitura  concordante  con  quelli  della  sot- 
toposta formazione  solfifera. 

Monaco,  agosto  1875. 


V 


288 


IH. 

Le  formazioni  plioceniche  di  Siracusa  e Lentini 
per  Th.  Fuchs  e Al.  Bittnek.’ 

(Estratto  dai  Rend,  6i&\V  Accademia  delle  Scienze  di  Vienna,  fase,  di  febb.  1875). 


Quella  zona  ad  occidente  di  Siracusa  conformata  in  altipiani 
è costituita,  come  è noto,  -da  un  calcare  miocenico  che  sotto 
ogni  rapporto  corrisponde  al  nostro  calcare  del  Leitha.  Qua  e 
là  nelle  parti  più  basse  a questi  altipiani  di  calcare  del  Leitha 
si  connettono  alcune  porzioni  isolate  di  terreno  pliocenico  che 
verranno  nella  presente  nota  descritte.  I fossili  furono  deter- 
minati dal  signor  Bittner. 

V Fonte  Manca.  A mezzogiorno  di  Siracusa  in  prossimità 
del  piccolo '"fiume  Cassibile,  presso  Fonte  Bianca,  località  notis- 
sima per  le  sue  grandi  cave  di  pietra  nel  calcare  del  Leitha, 
esiste  una  piccola  lingua  di  terra  sporgente  in  mare,  la  quale 
consta  appunto  di  un  lembo  isolato  di  terreni  pliocenici.  Vi  si 
distinguono  gli  strati  seguenti  : 

{a)  un’  arenaria  a Briozoi  bruna,  grossolana  e ripiena  di 
cavità  contenente  Ostrea  lameìlosa,  Pecten  Jacohaeus  e Pectuncuìns 
pilosus.  (L’  ultimo  conserva  in  modo  notevole  il  guscio  trasfor- 
mato in  spato  calcare).  Potenza  5 a 6 metri.  Al  disotto  fa 
seguito  : 

(h)  una  marna  sabbiosa,  omogenea,  bianco-giallastra  senza 
fossili.  Potenza  5 metri. 

2®  Plemirio.  Dirimpetto  a Siracusa  trovasi  il  cosidetto  Ple- 
mirio,  costituito  per  un  breve  tratto  da  una  striscia  di  terreno 
pliocenico,  che  presso  la  costa  si  manifesta  molto  distintamente 
ed  è rimarchevole  per  la  sua  straordinaria  ricchezza  in  fossili: 
gli  strati  inclinano  leggermente  ad  Est.  Dall’  alto  al  basso  si 
distinguono  i seguenti  terreni  : 

a)  Sabbia  grossolana  a Briozoi  e Nullipore,  piena  di  tuberi 
di  Nullipore,  Pettini,  Ostriche,  Terebratule  e Briozoi,  separata 


* V.  Sequenza,  Il plioceno presso  Siracusa  {Boll.  Comit.  Geol.  IV,  137, 1873). 


289  — 


in  banchi  grossi,  e di  frequente  con  falsa  stratificazione  (20  me- 
tri circa).  Ostrea  laméllosa  Brocc.  ; Fecten  opercularis  L.  ; P. 
piisio  L.  ; P.  septemradiatus  Miiller,  P.  jacohaeus  L.  ; Terebratula 
grandis  Blumb.  ; Grama  turbinata  Poli  ; Bentalium  incurvum 
Brocc.;  Balani,  innumerevoli  Echinidì  e Briozoi. 

b)  Sabbia  gialla  con  grande  potenza.  Essa  vien  ridotta 
dalla  pioggia  e dai  flutti  del  mare  in  uno  scheletro  cavernoso, 
scoriaceo  ; questo  scheletro  consta  in  molti  casi  di  bastoncelli 
diritti  irregolarmente  incrociati  che  evidentemente  furono  un 
tempo  tracciati  dai  vermi.  La  sabbia  è piena  di  Briozoi  ramosi, 
di  Cellepore,  Ketepore,  Eschare  ec.  che  sono  perfettamente  con- 
servati e quasi  in  situ  nel  deposito  sabbioso.  Più  lungi  si  trova 
la  Terebratida  grandis,  Terebratidina  caputserpentis,  Fecten  ja- 
cóbaeus,  P,  opercularis  (in  intieri  strati),  P.  pusio,  P.  septem- 
radiatus, Spondylus  gaederopus,  come  anche  nidi  di  Bitrupa. 
Nella  porzione  più  profonda  della  sabbia  trovansi  numerosi  nu- 
clei pietrosi  composti  di  bivalvi  ed  anche  bivalvi  isolate  con 
gusci  conservati  e calcinati  : Isocardia  cor,  Corbida  gibba,  Lu- 
cina boreaìis,  Venus  sp.,  Bonax  sp.,  Fectuncidus  sp.  etc. 

c)  Sabbie  marnose  sottili,  omogenee,  giallicce,  senza  brio- 
zoi con  Fecten  cristatus  (molto  grande),  Ostrea  cochlear  e Tere- 
bratida  grandis. 

d)  Marne  sabbiose  grigio-giallastre,  con  piccoli  ciottoli 
di  un  calcare  compatto,  come  pure  con  letti  e nidi  di  sabbie 
grossolane  e noccioli  pieni  di  Ostriche  {Ostrea  cochlear).  Nella 
marna  sabbiosa  si  trovano  anche  piccole  croste  e gusci  di  na- 
tura concrezionale.  Esse  sono  spesso  in  tal  guisa  confusamente 
fra  loro  ammassate  da  prendere  P aspetto  di  frammenti  di  un 
calcare  schistoso  di  estranea  provenienza.  Tutto  il  complesso 
manifesta  una  stratificazione  molto  irregolare  ed  a quanto  sembra 
in  molte  guise  sconvolta;  ha  una  potenza  di  10  metri  circa. 

e)  Calcare  marnoso  compatto,  grigio  verdastro,  con  im- 
pronte di  bivalvi  e gasteropodi. 

3®  Valle  délV  Anapo.  Nella  valle  dell’  ànapo  le  forma- 
zioni plioceniche  raggiungono  una  estensione  alquanto  più  grande, 
componendo  colà,  per  la  maggior  parte,  quelle  basse  colline  che 
sono  racchiuse  da  ambedue  i lati  fra  gli  altipiani  dirupati  del 
calcare  del  Leitha.  Non  di  meno  vi  presentano  poco  interesse. 


49 


— 290  — 

Si  osserva  per  lo  più  solamente  una  arenaria  a Briozoi,  grossolana, 
bruna  e stratificata  trasversalmente,  con  ciottoli  basaltici,  Ostriche, 
Pecfen  jacohaeus,  e nuclei  pietrosi  talvolta  composti  da  grandi 
bivalvi.  A luoghi  trovasi  un  conglomerato  di  ciottoli  di  calcare 
del  Leitha  e di  basalte. 

4°  Cappuccini.  Il  deposito  pliocenico,  che  presso  il  con- 
vento dei  Cappuccini  forma  per  un  tratto  la  spiaggia  del  mare, 
corrisponde  esattamente  agli  strati  superiori  del  Plemirio. 

Esso  consta  di  una  roccia  cavernosa,  grossolana,  composta 
di  Nullipore  e Briozoi  rotolati,  con  sfere  di  Nullipore,  Ostriche, 
Pettini,  Briozoi  e nuclei  pietrosi  di  diverse  bivalvi. 

La  identica  roccia  forma  anche  le  rupi  sulle  quali  riposa  la 
città  di  Siracusa. 

Nei  tratto  Siracusa-Augusta  la  strada  corre  alternativamente 
tra  il  calcare  del  Leitha  e P arenaria  pliocenica  a Briozoi.  In 
parecchi  tagli  notevoli  vedesi  l’arenaria  a Briozoi  discordante 
sul  calcare  del  Leitha.  Dietro  a Priolo,  al  disotto  dell’  arenaria 
azzurra  a Briozoi  viene  a giorno  P argilla  (TegeT)  pliocenica  che 
termina  a poca  distanza  e finalmente  ricomparisce  in  grandi 
masse.  Da  Augusta  fino  a Dentini  le  formazioni  plioceniche  rag- 
giungono una  notevole  potenza  ed  estensione,  essendo  soltanto 
interrotta  di  quando  in  quando  da  rupi  e massi  isolati  di  cal- 
care del  Leitha  e componendo  quasi  esclusivamente  tutto  P al- 
tipiano, che  si  stende  fino  al  mare  ed  alle  pianure  di  Catania. 
Il  letto  del  terreno  pliocenico  è per  la  maggior  parte  formato 
da  masse  eruttive  basaltiche,  le  quali  verosimilmente,  corrispon- 
dendo ai  basalti  della  valle  di  Noto,  appartengono  al  miocene,  e 
manifestansi  in  parte  in  forma  di  basalte  massiccio  o colonnare, 
in  parte  in  forma  di  letti  di  ceneri  e tufi,  e,  unitamente  alle 
molteplici  formazioni  terziarie  più  giovani  che  vi  stanno  sopra 
stratificate,  conferiscono  alla  intiera  regione,  sotto  il  punto  di 
vista  geologico,  una  straordinaria  varietà. 

Presso  Dentini  le  formazioni  plioceniche  mostrano  dall’  alto 
in  basso  la  seguente  serie  di  strati: 

r Arenaria  con  Briozoi  e Nullipore,  rotolati  nella  massima 
parte,  con  falsa  stratificazione,  contenepte  Ostriche,  Pettini  ed 
Echinidi.  Subordinatamente  compariscono  strati  sabbiosi  e con- 
glomerati di  ciottoli  basaltici.  Verso  la  base  trovasi  sulla  strada 


— 291 


che  conduce  a Catania  uno  strato  di  circa  un  metro  di  potenza 
di  una  marna  sabbiosa  piena  di  fossili,  dei  quali  presentiamo 
una  lista;  le  specie  più  frequenti  vi  sono  contrassegnate  con 
asterisco. 

Denti  di  pesce 

Trivia  eiiropcea  Mont.  ; * liargineìla  miliacea  Lam.  ; Bingi- 
cuìa  hitccinea  Desh.  ; * Miirex  tnincuìiis  L.  ; * M.  cristatus  Brocc.  ; 

* ilf.  corallinus  Scacch.  ; Banella  lanceolata  Menke  ; Turbinella 
Dujardini  Hdrn.  ; Biiccinim  variabile  Phil.  ; * Columbella 
scripta  Bell.  ; * Mitra  Savignyi  Payr.  ; Mangelia  Vauquelini  Payr.  ; 
Defrauda  clatJirata  Serr.  ; D.  Fhilberti  Mieli.  ; D.  reticidata  Ben.  ; 
D.  sp.  indeterminata  ; JRaphitoma  nana  Scacch.  ; B,  aff.  Ginna- 
niana  Phil.  ; * Natica  helicina  Brocc.  ; **  Geritìiium  vulgatnm 
Brug.  ; **  C.  spina  Partsch;  C.  scabrum  Olivi;  G.  pygmcBum 
Phil.  : Triforis  perversa  L.  ; Turritella  commiinis  Bisso  ; Scalaria 
commnnis  Lam.  ; Vermetus  sp.  ? ; Gcecum  trachea  Mont.  ; * Bha- 
sianella  piiTtoj  L.  ; * P.  intermedia  Scacc.  ; Trochus  fanidum  L.  ; 

* T.  crenidatus  Brocc.  ; * T.  sfriatiis  Gmel.  ; * T.  turgidulns  Brocc.  ; 

* Monodonta  angulata  Eichw.  ; M,  Jussieui  Payr.  ; M.  Araonis 
B*ast.  ; Adeorbis  subcarinatiis  Wood.  ; A.  Woodi  Hprn.  ; Bissoina 
Bniguieri  Payr.  ; Bissoa  oblonga  Desh.  ; B.  parva  Costa.  ; * B. 
plicatida  Bisso  ; B.  pidcliélla  Phil.  ; B.  similis  Scacch.  ; B.  va- 
riabilis  Mlihlfeld  ; B.  splendida  Eichw.  ; Alvania  costata  Ad.  ; 

* A.  Montagui  Payr.  ; A.  subcremdata  Micht.  ; A.  calathisciis 
Mont.  ; A.  dictyophora  Phil.  ; A.  crenulata  Micht.  ; Hyala  vi- 
trea Mont.  ? ; Geratia  sp.  ? ; * Hydrobia  sp.  ; Turbonilla  gracilis 
Brocc.  ; * T.  interstincta  Mont.  ; T.  costellata  Grat.  ; Odostomia 
conoidea  Fér.  ; 0.  excavata  Phil.  ; Eidimella  acicnla  Phil.  ; Eu- 
ìinia  subidata  Don.  ; Trimcatella  truncatida  Drap.  ; GrepicUda  un- 
guiformis  Lam.  ; Bidla  tnmeata  Ad.  ; B.  hydatis  L.  ; Dentedium 
incurvimi  Brocc.  ; P.  dentalis  L.  ; Gorbida  micleus  Lam.  ; Gapsa 
fragilis  L.  ; Tapes  decussata  L.  ; T.  sp.  ; Venus  verrucosa  L.  ; 

* Cardium  exigimm  Gmel.  ; Ghama  gryphoides  L.  ; Lucina  la- 

ctea  L.  ; L.  aff.  dentata  Bast.  ; Montacuta  truncata  Wood  ; Gar- 
dita  sidcata  Brug.  ; G.  trapezia  Brug.  ; G.  calyculata  Lam.  ; Nu- 
cula  nucleus  L.  ; Arca  navicidaris  Brug.  ; * A.  diluvi  Lam.  ; 
Pecten  varius  L.  ; P.  opercidaris  L.  ; P.  hyalinus?  P.  po- 

lymorphus  Bronn  ; Ostrea  lamellosa  Brocc.  ; Echinus  sp. 


292  — 


2°  Sabbie  gialle  senza  fossili. 

3°  Marna  plastica,  azzurra  con  petrefatti,  fra  i quali  ; 

Squame  di  pesce 

**  JBuccimm  semistriatum  Brocc.  ; Cassidaria  ecliinopliora 
Lam.  ; Chenopus  pes  pelecani  L.  ; Ceritliiimi  spina  Partsch;  Odo- 
stomia  conoidea  Brocc.  ; Cingula  fusca  Phil.  ? ; * Natica  lielicina 
Brocc.;  Alvania  FartscJii  Horn.  ; JBidIa  utricuìiis  Brocc.;  Fenta- 
lium  elepliantimim  L.  ; D.  dentalis  L.  ; D.  tetragonum  Brocc.  ; 
D.  (P)  ovìdim  Phil.;  Nucuìa  nucìeus  L.  ; Leda  pusio  Phil.;  L. 
tennis  Phil.  ; Limopsis  anomala  Eichw. 

Presso  Lentini  non  compajono  altri  strati  più  profondi,  ma 
in  una  trincea  della  strada  ferrata  nelle  vicinanze  di  Bruccoli, 
sotto  la  marna  azzurra  ed  immediatamente  sovrapposti  al  basalto 
si  vedono  di  nuovo  strati  tufacei  sabbiosi  giallo-chiari,  i quali 
contengono  una  straordinaria  quantità  di  Coralli,  Briozoi,  Tere- 
bratule  ed  un  gran  numero  di  altre  conchiglie  ottimamente  con- 
servate. E qui  notevole  la  circostanza  che,  ad  immediata  prossi- 
mità delia  trincea,  emerge  dal  terreno  pliocenico  una  massa  isolata 
a guisa  di  scoglio  di  calcare  del  Leitha  contenente  Clipeastri. 

Il  profilo  in  questa  trincea  è il  seguente: 

1'’  Sabbia  bruna,  grossolana  a Briozoi,  con  falsa  stratifi- 
cazione, con  Ostriche  e Pettini. 

2'’  Marna  azzurra,  plastica  molto  potente. 

S*"  Strati  sabbioso-tufacei, cavernosi, giallo-biancastri  pieni  di 
Briozoi,  Coralli,  Brachiopodi  ed  altre  conchiglie.  Vi  raccogliemmo 
le  specie  seguenti: 

Trivia  europcea  Mont.  ; Marginella  miliaria  Li  ; Columbelìa 
subulata  Bell.  ; Biwcinum  prismaticuni  Brocc.  : Cassidaria  ecliino- 
phora  Lam.  ; Fusus  pidchellus  Phil.  ; * Turritella  communis 
Risso  ; Vermetns  sp.  ; Phasianella  pidla  L.  ; Troclms  conulus  L.  ; 
T.  millegranus  Phil.  ; T.  crenulatus  Brocc.  ; T.  glabratus  Phil.  ; 
Craspedotus  limbatus  Phil.  ; Scissurella  aff.  aspera  Phil.  ; Tur- 
bonilla  interstincta  Mont.  ; T.  sp.  ; Alvania  sp.  ; Hydrobia  sp.  : 
Fissar  ella  italica  Defr.  ; Fmarginula  cancellata  Phil.  ; Dentalkim 
elepliantinum  L.  ; Spirialis  globidosa  Seg.  ; Saxicava  arctica  Phil.  ; 

* Venus  casina  L.  ; F.  effossa  Biv.  ; V.  ovata  Penn.;  Circe 
minima  Mont.  ; Cardium  sp.  ; Kellia  suborbicidaris  Mont.  ; 

* Astante  incrassata  Brocc.  ; A.  triangidaris  Mont.  ; Woodia  di- 


I 

I:! 


Is 

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— 293  — 


gitaria  L.  ; * Cardita  aculeata  Poli  ; G.  sulcata  Brug.  ; C.  corhis 
Phil.  ; Nucula  mideus  L.  ; Leda  tennis  Phil.  ; Limopsis  au- 
rita  Brocc.  ; Pectunculus  pilosns  Lam.  ; Arca  pectunculoides  Scacch.  ; 
* A.  navicularis  Brug.  ; A.  barbata  L.  ; A,  lactea  L.  ; Modiola 
sp.  ; Mytiliis  sp»  ; Lima  squamosa  Lam.  ; Pecten  jacobaeus 
L.  ; * P.  opercìdaris  L.  ; P.  pusio  Lam.  ; P.  Testce  Biv.  ; * P. 
septemradiatus  Miiller  ; Ostrea  sp.  ; Anemia  ephippium  L.  ; 
**  Terebratida  minor  Suess  ; * ' Terebratulina  caputserpenfis 
L.  ; ^ Megerlia  truncata  L.  ; * Argiope  decollata  Chemn.  ; Ar- 
giope  neapolitana  Scaccli.  ; Crania  turbinata  Poli  ; Ecìiinocyamus 
sp.  ? ; * GarophyUia  sp.  ; Goenopsammia  sp.  ; * LophoJielia  gra- 
cilis  Seg.  ; Amphihelia  sp. 

Spine  di  Cidariti  ed  innumerevoli  Briozoi. 

Al  basso  segue  immediatamente  il  basalte. 

Molto  notevole  è la  circostanza  che  la  suddivisione  degli 
strati  pliocenici  presso  Lentini  corrisponde  perfettamente  con 
quella  della  formazione  pliocenica  di  Taranto,  come  resulta  dal 
seguente  confronto. 

Lentini  Takanto 


a)  Arenaria  a Briozoi  con 
Nullipore,  Ostriche,  Pecten  ja- 
cobaeus, Pectuncidus,  3Ionodonta 
ungulata,  GeritJiium  vulgatum, 
C.  spina,  Mureao  trunculus,  Tro- 
chus,  Bissoa,  Alvania  ec. 

b)  Marne  plastiche  azzurre, 
con  Buccinum  semistriatum.  Na- 
tica lielicina,  Ghenopus  pes  pe- 
lecani,  Lentalium  elepJiantinum. 

c)  Sabbie  incoerenti  a Brio- 
zoi, di  color  chiaro,  con  Coralli', 
Brachiopodi , Pecten  septemra- 
diatus e P.  opercìdaris. 


a)  Sabbie,  ciottoli  e calcare 
a Nullipore  e Coralli,  con  Ostri- 
che, Pecten  jacobaeus,  Venus  ver- 
rucosa, Murex  trunculus,  Geri- 
thium  vulgatum,  G.  spina,  Bissoa, 
Alvania  ec. 

b)  Marne  plastiche  azzurre, 
con  Buccinum  semistriatum.  Na- 
tica lielicina,  Bentalium  éleplian- 
tinum,  Ghenopus  pes  pelecani, 
Murex  vaginatus,  Isocardia  cor. 

c)  Calcari  a Briozoi,  di  color 
chiaro,  con  Brachiopodi,  Echi- 
nidi,  Ostriche,  Pecten  septemra- 
diatus e P.  opercìdaris. 


— 294  - 


IV. 

Il  territorio  di  Zoldo  e di  Agordo  nelle  Alpi  Tenete, 

Nota  del  dott.  E.  YON  Mojsisoyics. 

{Verliancllungen  der  k.h.  geolog.  JieicJis.,  TVien,  1875,  12.) 


In  seguito  ad  una  escursione  intrapresa  nelie  Alpi  calcaree 
del  Tirolo  settentrionale,  nella  quale,  in  conformità  alle  mie  de- 
duzioni teoretiche,  potè  direttamente  dimostrarsi  V alternanza 

della  forma  madreporica  con  quella  marnosa,  mi  portai  in  com- 

« 

pagnia  del  geologo  di  sezione  dott.  K.  Hornes  nei  dintorni  di 
Klausen,^  onde  imparare  a conoscere  il  giacimento  del  melafiro 
che  ricopre  a guisa  di  tetto  la  fillite,  come  molti  sostennero 
negli  ultimi  tempi,  e che  trovasi  allo  shocco  della  valle  di 
Villnds.  L’  osservazione  ci  persuase  del  contrario  e quindi  della 
giustezza  delle  antiche  opinioni,  avendo  trovato  il  melafiro  in- 
sieme col  porfido  augitico,  soltanto  in  fortìaa  di  filoni  attraver- 
santi il  terreno  fillitico  e il  porfido  quarzifero.  Per  contrario 
trovammo  qui  ancora  come  nei  dintorni  di  Y^aidbruck  e Ca- 
stelrutt  banchi  potenti  di  un’  arenaria  grigia  tufacea  con  colate 
di  porfido  quarzoso.  Quivi  insieme  col  dott.  Hornes  intrapresi 
parecchie  escursioni  in  quel  terreno  ad  esso  assegnato  per  un 
lavoro  speciale  a Nord  e ad  Est  di  Cortina  d’  Ampezzo.  Dei  re- 
sultati ai  quali  ivi  arrivammo  accenno  soltanto  la  scoperta  del 
Lias  con  sviluppo  analogo  a quello  dei  cosiddetti  calcari  grigi 
del  Tirolo  meridionale.  Con  molta  sicurezza,  fra  i non  rari  fos- 
sili, fu  potuto  riconoscere  il  Megalodus  pumilns  e il  Lithiotis 
proUematica.  Il  limite  inferiore  verso  il  calcare  del  Dachstein 
non  è assolutamente  deciso,  ma  con  un  poco  d’  attenzione  si  può 
pervenire  a separare  approssimativamente  nelle  nostre  carte  il 
Lias  dal  detto  calcare. 

In  compagnia  dei  volontari  dott.  Ed.  Reyer,  dott.  Ed.  Kotschy 
e dott.  Th.  Posewitz,  incontrati  casualmente,  venne  eseguita  una 
escursione  nel  territorio  di  Zoldo  ed  Agordo. 


‘ Fra  Bolzano  e Bressanone  (Tirolo  meridionale). 


— 295  — 


La  regione  esplorata  è limitata  a Sud  da  una  linea  tettonica 
notevolissima  e che  si  mostra  talvolta  in  forma  di  un  potente 
dislocamento,  talora  come  una  rottura  per  sollevamento,  e si 
stende  da  Val  Sugana  al  piede  meridionale  della  Cima  d’ Asta 
sopra  Primiero,  Agordo,  Zoldo,  Forcella  Cibiana  fino  nei  terri- 
torii  di  Pieve  di  Cadore  e di  Auronzo. 

La  potente  massa  calcarea  e dolomitica  delle  Palle  di  S.  Mar- 
tino presenta  tutto  P aspetto  dolomitico  del  Muschelkalk  corri- 
spondente agli  strati  di  Buchenstein,  di  Wengen  e di  San  Cas- 
siano,  e non  appartiene,  come  portano  le  vecchie  carte,  al 
calcare  del  Dachstein.  A Nord  di  Agordo  questa  massa  dolomitica 
oltrepassa  il  Cordevole  e forma  il  Monte  Framont  e il  Monte 
Alto  di  Pelsa,  il  quale  ultimo  in  forma  di  cuneo,  penetrando 
verso  Nord,  nella  regione  dei  tufi  e delle  marne,  separa  il  ter- 
reno tufaceo  di  Val  Canali  da  quello  tufaceo  e marnoso  di  Zoldo 
ed  Agordo.  Il  fondo  è formato  dagli  strati  di  Werfen  che  scuo- 
pronsi  ancora  presso  Listolade  al  piede  dei  picchi  dolomitici  del 
Monte  Framont  e che  predominano  fin  sopra  Col  nella  valle 
d’ erosione  di  Sam  Lucano.  Una  sovrapposizione  di  strati  più 
giovani  ha  luogo  ad  Ovest  del  Cordevole  solamente  sulla  punta 
di  mezzo  delle  Palle  di  San  Lucano,  ove  compariscono  gli  strati 
di  Eaibl  ed  una  piccola  parte  del  calcare  del  Dachstein  (ana- 
logo a quello  dello  Schlern).  Ad  Est  del  Cordevole  per  contra- 
rio le  masse  dolomitiche  del  Monte  Framont  e Monte  Alto  di 
Pelsa  sono  ricoperte  da  un  ampio  mantello  di  strati  di  Eaibl, 
sopra  i quali  si  elevano  le  masse  del  Monte  Civetta  e del  Monte 
Mojazza,  costituite  dal  Dachstein  e oltrepassanti  la  regione  mar- 
nosa di  Zoldo  ed  Agordo. 

Presso  il  limite  verso  la  regione  tufacea  e marnosa  fu  osser- 
vato anche  in  questa  località  in  numerosi  punti  P intimo  pas- 
saggio fra  le  due  forme  litologiche,  come  ad  esempio  al  Passo 
Durano,  nella  parte  orientale  del  Monte  Framont,  presso  Col  nella 
valle  di  San  Lucano,  alla  Forcella  Gesurette,  al  Monte  Alto  ec. 

Nella  regione  tufacea  di  Val  di  Canali  sugli  strati  del  Bu- 
chenstein accompagnati  dalla  pietra  verde  compariscono  potenti 
masse  di  tufo  melafirico  stratificato  alternante  con  colate,  però 
con  nessuna  dica  melafirica. 

Nel  distretto  tufaceo  e marnoso  di  Zoldo  ed  Agordo  la  se- 


— 296  — 


parazione  degli  strati  di  Wengen  da  quelli  di  San  Cassiano  viene 
resa  più  diffìcile  da  ciò,  che  il  carattere  petrografico  si  man- 
tiene costante  in  linea  ascendente  fino  agli  strati  di  Kaibl.  Fra 
i fossili  trovasi  qui  negli  strati  di  Wengen  frequentissima  la 
Fachycardia  rugosa.  E molto  rimarchevole  la  frequente  presenza 
di  ciottoli  quarzosi  e porfirici  nelle  cosiddette  arenarie  cìoìeriticJie. 

Per  ciò  che  riguarda  la  esistenza  di  più  antiche  formazioni, 
basterà  rammentare  qui  V esteso  affioramento  dei  calcare  oscuro  e 
della  dolomite  con  Bellerophon  alla  base  degli  strati  di  Werfen 
presso  Agordo  in  Val  di  Canali,  e quello  dei  conglomerati  (Grau- 
wacke)  fra  Dont  e Fusine  nei  dintorni  di  Zoldo. 


V. 

Bicerche  nella  valle  siiperiore  del  Bienz  e nei  dintorni 
di  Cortina  d’ Ampezzo,  del  dott.  E.  Hòenes. 

{Verhandlungen  der  k.k.  geolog.  Beìchs.,  Wien,  1875,  12.) 

Ascritto  alla  seconda  sezione  sotto  la  guida  del  consigliere 
montanistico  E.  v.  Mojsisovics,  fui  dal  medesimo  incaricato  della 
continuazione  del  mio  antico  lavoro  di  rilevamento  nel  distretto 
di  Enneberg  verso  Est  fino  alla  valle  di  Sexten.  La  superficie 
^assegnatami  è limitata  a Nord  dai  margini  dei  monti  triassici 
verso  la  Pusteria,  a S.E.,  S.  e S.O.  dalla  valle  della  Piave  su- 
periore e dal  fiume  Bolle.  Di  questa  regione  fin  ora  mi  fu  pos- 
sibile soltanto  di  studiare  i monti  triassici  dei  dintorni  di  Nie- 
derdorf,  Toblach  e Innichen,  come  anche  i dintorni  di  Cortina 
d’ Ampezzo,  poiché  i lavori  di  rilevamento  furono  soprattutto 
resi  difficili  dal  costante  tempo  cattivo  ed  oltrediciò  dovevasi 
superare  un  terreno  molto  accidentato.  Le  condizioni  geologiche 
assomigliano  là  in  generale  a quelle  del  territorio  studiato  negli 
anni  decorsi,  solo  che  per  la  grande  lontananza  dai  centri  di 
eruzione  del  melafiro  nella  valle  di  Fassa,  anche  i suoi  tufi  ces- 
sano quasi  di  ricuoprire  gli  strati  di  Wengen mentre  nei  depo- 
siti permiani  accade  perfettamente  la  stessa  cosa  del  porfido 
quarzifero,  del  quale  trovansi  appena  tracce  nella  valle  di  Sexten. 


297  — 


Per  ciò  che  riguarda  in  complesso  la  costituzione  geologica, 
vi  sono  grandi  e piccoli  rigetti  e rotture  che  cagionano  ripeti- 
zioni di  strati  e complicazioni,  il  cui  esatto  riconoscimento 
arreca  spesso  molto  perditempo.  La  facies  del  trias  superiore  è 
allo  stesso  modo  evidente,  come  nei  territori  molto  illustrati  di 
Gròden,  Buchenstein  ed  Enneberg  ; e sotto  questo  rapporto, 
specialmente  le  alture  avanzate  a Nord  del  Diirrenstein  tra  la 
valle  di  Prags  e quella  di  Hòhlenstein,  offrono  un  bello  esempio 
di  graduato  passaggio  dagli  strati  di  San  Cassiano  a quelli  di 
Wengen.  Il  trias  inferiore  è sviluppato  specialmente  nelle  pen- 
dici del  monte  verso  la  Pusteria,  ed  esso  mostra  tutti  quelli 
orizzonti  che  si  presentano,  a mo’  d’ esempio,  nella  valle  di 
Gròden  presso  Sant’  Ulrico.  Il  calcare  scuro,  bituminoso,  tra  gli 
strati  di  Werfen  e l’arenaria  di  Gròden  è assai  potente;  esso 
racchiude  anche  qui,  per  esempio  presso  Alt-Prags  la  fauna  ca- 
ratteristica illustrata  da  Stadie  con  Belleroplion,  Froductus,  Spi- 
rifer  ec.,  ed  a luoghi  si  trasforma  come  un  calcare  pure  a 
crinoidi. 

Sono  degni  di  nota  i giacimenti  mettalliferi  di  questo  oriz- 
zonte. Presso  Sant’  Ulrico,  nel  torrente  Pufler  e nelle  pendici 
del  Solcedia,  sono  conosciuti  i non  rari  filoni  di  galena,  e presso 
Toblach  trovai  io  frequentemente  filoni  di  carbonato  di  ferro 
nel  calcare  scuro.  E questo  lo  stesso  livello  nel  quale  compari- 
scono i giacimenti  di  Siderite  di  Posalz  presso  Colle  Santa  Lucia, 
dei  quali  io  ebbi  occasione  di  occuparmi  nell’  anno  passato  e che 
furono  oggetto  di  lavorazione. 

Il  calcare  del  Dachstein  ha  presso  Cortina  una  potenza  straor- 
dinaria : esso  costituisce  la  massa  principale  di  quel  gruppo  ce- 
lebre per  la  sua  bellezza  e conosciuto  coll’  improprio  nome  di 
Alpi  dolomitiche.  Gli  strati  del  Lias  e del  Giura  si  presentano 
per  lo  più  a grandi  altezze  sulle  cime  isolate,  come  sul  Tofana, 
sul  Vallone  Bianco  ec.  Questa  circostanza  che  obbliga  alla  ascen- 
sione di  frequenti  vette  alte  oltre  10,000  piedi  e di  difficile 
accesso,  impedisce  e ritarda  notevolmente  i lavori  di  rilevamento. 
Come  poi  sia  necessaria  P ascensione  di  queste  cime,  lo  dimo- 
stra ad  evidenza  la  carta  di  questi  dintorni  pubblicata  dal  dottor 
Loretz  nel  Bollettino  della  Società  geologica  di  Berlino  del  1874,  la 
quale  appunto  per  ciò  che  riguarda  1’  estensione  del  Giura  e del 


— 298 


Neocomiano  non  possiede  tutta  la  esattezza  desiderabile.  Questo 
lavoro,  che  del  resto  somministra  una  pregievolissima  rappresen- 
tazione d’ insieme  di  questo  territorio,  abbisognerebbe,  anche  a 
riguardo  dei  piani  del  Trias  inferiore,  di  una  correzione  di  cui 
già  fu  fatto  cenno  in  una  nota  del  dott.  E.  von  Mojsisovics  in- 
serita nel  Bollettino  dell’ I.  e B.  Istituto  geologico  di  Vienna.  Per 
citare  a tal  proposito  un  caso  speciale,  nei  dintorni  di  Alt-Prags 
dal  dott.  Loretz  furono  scambiati  gli  strati  a cefalopodi  del 
Muschelkalk  inferiore  col  calcare  del  Buchenstein.  Più  oltre  si 
trovano  i già  rammentati  rigetti  in  molte  guise  traveduti  (come 
tra  P xùntelao  e il  Sorapiss)  oppure  inesattamente  indicati. 

A riguardo  della  formazione  giurese  e neocomiana  di  questa 
località  deve  osservarsi  che  in  seguito  alle  molteplici  faglie  e 
rotture,  gli  strati  del  Giura  superiore  e del  Neocomiano  spesso 
compariscono  nei  fianchi  delle  vallate  in  certo  modo  incastrati 
fra  le  masse  del  Dachstein.  Facendo  astrazione  dalle  frequenti 
curvature  di  strati  che  hanno  luogo  di  regola  nelle  rocce  sottil- 
mente stratificate,  e trovansi  perciò  anche  in  questi  depositi, 
presentansi  in  certi  punti  ancora  delle  locali  dislocazioni  che 
spesso  difficilmente  possono  distinguersi. 

La  divisione  in  piani  dei  depositi  giuresi  non  molto  potenti 
potè  finora  esser  fatta  soltanto  fino  dove,  al  calcare  rossastro 
del  Dachstein,  succedono  calcari  petrograficamente  identici  ma 
grigi  e solo  in  pochi  punti  di  colorazione  scura,  che  racchiudono 
resti  indeterminabili  di  bivalvi  (forme  analoghe  ai  llytilus  ed 
alle  Modiola)  ed  appartengono  probabilmente  al  Lias.  Superior- 
mente fan  seguito  calcari  rossi  a crinoidi  (strati  di  Klaus  ?) 
con  brachiopodi  mal  conservati  e come  unico,  e sino  al  presente 
sicuro  membro,  il  calcare  rosso  noduloso  del  Titonico  con  Tere- 
hratida  diphya  e innumerevoli  cefalopodi.  Parimente  sono  molto 
ricchi  in  cefalopodi,  pur  troppo  mal  conservati,  gli  strati  mar- 
nosi del  Neocomiano,  che  furon  trovati  dal  dott.  v.  Mojsisovics 
e da  me  in  un’  altra  località  (finora  si  conoscevano  soltanto  nei 
monti  La  Stusa  e Fosses)  verso  la  piccola  valle  di  Fanis  in  una 
escursione  che  ivi  facemmo. 


— 299 


VI. 

I Caolini  e le  Argille  refrattarie  in  Italia. 

Uno  dei  principali  ostacoli  che  si  oppongono,  od  almeno  por- 
tano ritardi  e lentezze,  ad  un  maggiore  sviluppo  di  certe  indu- 
strie in  Italia,  è quello  che  deriva  dalla  scarsità  di  buoni  caolini 
nazionali  e dalla  quasi  deficienza  in  paese  di  vere  argille  refrat- 
tarie. La  causa  di  questo  fatto,  che  a prima  vista  può  destare 
stupore  in  un  paese  nel  quale  le  formazioni  di  rocce  feldispati- 
che  (come  graniti,  porfidi,  trachiti  ed  altre  che  colla  loro  decom- 
posizione dànno  appunto  origine  a siffatte  terre)  trovansi  tanto 
sviluppate,  più  che  a vera  mancanza  sarebbe  da  attribuirsi  a 
deficienza  di  studii  e di  ricerche  in  quelle  regioni  appunto  che 
offrono  maggiore  probabilità  di  scoprire  cotali  giacimenti.  Vi  è 
dunque  a sperare  che  con  lo  estendersi  delle  cognizioni  geologi- 
che, e col  raddoppiarsi  delle  ricerche  a questo  intento  rivolte, 
verrà  un  giorno  nel  quale  sarà  fatta  completa  luce  sull’  interes- 
sante argomento,  e l’Italia  cesserà,  sotto  questo  rapporto,  di 
essere  tributaria  dell’  estero. 

Un’  argilla  plastica  perfettamente  refrattaria  è in  natura  raris- 
sima ; per  essere  tale  essa  non  dovrebbe  contenere  materie  estra- 
nee al  silicato  d’ allumina  puro,  il  quale  resiste  senza  la  più 
piccola  alterazione  alle  temperature  più  elevate  dei  nostri  forni  : 
le  argille  meno  fusibili  sono  quelle  che  non  sono  nè  troppo  silicee, 
nè  troppo  alluminose,  ed  esse  sono  tanto  più  plastiche  quanto 
più  elevato  è il  tenore  in  allumina. ‘ Fra  le  argille  refrattarie  più 
rinomate  si  citano  quelle  dei  dintorni  di  Newcastle  in  Inghilterra,  di 
Bollène  presso  Avignone  e di  Abondant  presso  Dreux  in  Francia.^ 

Le  sostanze  più  comunemente  mescolate  all’  argilla  sono  la 
silice,  la  calce,  1’  ossido  di  ferro,  la  potassa,  la  soda  e la  ma- 
gnesia allo  stato  di  carbonato  o di  silicato.  L’ ossido  di  ferro 

* Non  esiste  in  natura  un’  argilla  tipica  la  cui  composizione  sia  determinata 
in  modo  fisso;  i limiti  estremi  sono,  sopra  100  parti:  silice  = 42  a 66;  allumi- 
na = 18  a 39;  acqua  = 6 a 24.  Una  vera  argilla  plastica,  fatta  astrazione  dal- 
r acqua,  deve  contenere  : silice  =ì  57,42,  allumina  = 42,58.  Il  tenore  in  acqua  è 
per  solito  dal  7 al  14  per  100. 

^ Composizione  dell’argilla  di  Abondant:  silice  =50,60;  allumina  =35,20; 
ossido  di  ferro  =0,40;  acqua  =13,10. 


— 300  — 


comunica  all’  argilla  una  tinta  giallastra  o rossastra  secondo  lo 
stato  d’ idratazione  dell’  ossido  stesso  : talvolta  il  ferro  vi  si 
trova  allo  stato  di  silicato  o di  carbonato.  Il  carbonato  di  calce 
e l’ossido  di  ferro  non  diminuiscono  la  plasticità  di  un’argilla 
che  allorquando  vi  si  trovano  in  quantità  rilevante  ; ma  anche 
in  piccola  dose  ne  alterano  notevolmente  la  refrattarietà.  La 
magnesia  invece  aumenta  la  plasticità  dell’  argilla,  ed  esercita 
poca  influenza  sul  suo  grado  di  refrattarietà.  La  potassa  e la 
soda  entrano  di  solito  nella  composizione  delle  argille  e,  anche 
in  piccola  dose,  hanno  per  effetto  di  diminuirne  la  refrattarietà  : 
così  i caolini,  contenenti  in  media  da  2 a 3 per  100  di  tali  so- 
stanze, non  sono  completamente  refrattari!,  e incominciano  a ram- 
mollirsi alla  elevata  temperatura  dei  forni  a porcellana.^  Gli  al-' 
cali  però  non  comunicano  alcun  colore  al  silicato  di  allumina 
durante  la  cottura  ; ed  essi,  colla  formazione  di  silicati  alcalini, 
danno  alla  porcellana,  per  effetto  di  un  principio  di  fusione,  la 
struttura  semivitrea  e la  translucidità  che  la  caratterizzano. 

I caolini  provengono  generalmente  dalla  decomposizione  di 
un  feldispato,  di  solito  ortosio  ; ^ la  roccia  che  più  di  ogni  altra 
somministra  questo  prodotto  di  buona  qualità  è la  pegmatite.  La 
composizione  dei  caolini  varia  a seconda  della  roccia  da  cui 
ebbero  origine  : ^ rinomati  sono  quelli  di  Saint- Yrieix,  presso 
Limoges  in  Francia,  di  Santo  Stefano  in  Cornovaglia,  di  Seilitz 
presso  Meissen  in  Sassonia,  ed  i celebri  di  Tong-Kang  nella 
China.  Ecco  1’  analisi  di  alcune  di  queste  argille  : 


S.  Yrieix. 

S.  Stefano. 

Seilitz. 

Tong-Kang. 

Silice 

48,68 

36,92 

43,52 

46,46 

50,50 

Allumina .... 

41,68 

36,37 

33,70 

Ossido  di  ferro. 
Potassa 

1,59 

1,22 

2,00 

Magnesia.  . 

— 1 

— f 

4,20 

Calce 

1,10 

— 

1,47  ) 

Acqua  

13,13 

13,70 

13,61 

8,20 

99,83 

100,49 

99,13 

98,60 

“ Da  1500  a 1600  gradi  centigradi. 

^ Sotto  r influenza  degli  agenti  esteriori  il  feldispato  ortosio  produce  del  sili- 
cato d’  allumina  idrato,  del  carbonato  e del  silicato  di  potassa  e delia  silice  libera. 

* In  media  il  caolino  si  compone  come  segue  ; Silice  = 46,3  ; Allumina  = 39,8; 
Acqua  =13.9;  oltre  a piccole  quantità  assai  variabili  di  soda,  potassa,  calce  e 
magnesia. 


301  — 


La  magnesia  può  sostituire  qualche  volta  e sino  a un  certo 
punto  r allumina,  ed  è a tale  proprietà  che  devesi  il  pregio  in 
cui  erano  tenuti  i prodotti  ceramici  di  Vinovo  in  Piemonte  di 
una  composizione  argillo-magnesiaca  veramente  eccezionale.  La 
calce,  pervenuta  ad  elevate  temperature  allo  stato  di  silicato, 
contribuisce  naturalmente,  insieme  coi  silicati  alcalini,  a comuni- 
care alla  porcellana  la  caratteristica  sua  trasparenza. 

E qui  gioverà  osservare  che,  provenendo  il  caolino  general- 
mente dalla  decomposizione  del  feldispato  o di  rocce  analoghe, 
esso  non  è mai  assolutamente  puro,  ma  contiene  sempre  interposti 
frammenti  del  minerale  primitivo  o di  altri  ad  esso  associati,  di 
solito  quarzo  e mica  ; per  renderlo  atto  agli  usi  industriali  è 
quindi  necessario  sottoporlo  a lavatura  e decantazione. 

L’  industria  ceramica  italiana  deve  importare  quasi  tutto  il 
caolino  di  cui  abbisogna  dall’ .estero,  e precisamente  dalla  Fran- 
cia e dall’  Inghilterra  che  ne  fanno  commercio  su  larga  scala,  e 
più  di  rado  dalla  Germania.  I pochi  depositi  di  caolino  italiano 
sono  in  regioni  quasi  tutte  assai  remote  dai  centri  di  industria 
e di  consumo,  e quindi  non  possono  venire  lavorati  con  molta 
utilità.  Oltre  a ciò  i caolini  nostri,  quelli  almeno  esperimentati 
finora,  non  sembrano  presentare  in  grado  sufficiente  quella  pu- 
rezza e quella  plasticità  che  sono  richieste  dall’  arte  ceramica  ; 
difficilmente  essi  sono  esenti  dall’  ossido  di  ferro  il  quale,  oltre 
al  colorire  più  o meno  intensamente  il  prodotto,  fa  sì  che  il 
caolino  non  possa  raggiungere  elevate  temperature  senza  fondersi. 

Più  grave  ancora  è il  difetto  di  buone  argille  refrattarie, 
ossia  di  terre  plastiche  e capaci  di  resistere  senza  fondersi  ad 
elevatissime  temperature  : e questo  inconveniente  è sommamente 
sentito  dalla  industria  mineralurgica,  dalla  ceramica  e dalla  vetra- 
ria, le  quali  tutte  debbono  ricorrere  all’  estero  per  procurarsi  i 
materiali  onde  sono  costituiti  i forni  ed  i recipienti  da  sotto- 
porsi a temperature  elevate.  Ed  a questo  proposito  aggiungeremo 
che  il  maggiore  ostacolo  che  in  Italia  trova  l’industria  della 
porcellana,  sta  appunto  nella  mancanza  di  argille  refrattarie, 
delle  quali  si  fa  molto  maggiore  consumo  che  del  caolino  stesso, 
per  la  costruzione  dei  recipienti  e per  la  rivestitura  dei  forni. 

Questo  stato  di  cose,  dimostrato  più  chiaramente  dai  risul- 
tati della  Inchiesta  Industriale,  destò  V attenzione  del  R.  Governo 


— 302  — 


il  quale  con  Circolare  r Maggio  1872  del  Ministero  di  Agri- 
coltura, Industria  e Commercio,  ordinava  che  si  facessero  inda- 
gini intorno  alle  argille  esistenti  nelle  diverse  parti  d’ Italia,  ed 
invitava  gl’  Ingegneri  del  R.  Corpo  delle  Miniere  ad  avere  par- 
ticolare riguardo  nei  loro  viaggi  d’ ispezione  a questa  materia 
importantissima,  ed  a fare  ispezioni  speciali  per  riconoscere  la 
esistenza  di  quei  giacimenti  rispetto  ai  quali  avessero  favorevoli 
indizii.  Li  invitava  inoltre  a spedire  dei  saggi  di  queste  argille, 
corredandoli  di  tutte  le  indicazioni  risguardanti  la  formazione  geo- 
logica, la  situazione  e la  estensione  dei  giacimenti,  con  opportune 
avvertenze  rispetto  alla  regolarità  od  irregolarità  dei  medesimi, 
per  quanto  è possibile  il  giudicare  da  semplici  osservazioni 
sui  luoghi. 

Il  Marchese  Ginori  ebbe  la  cortesia  di  offrire  il  suo  gran- 
dioso stabilimento  ceramico  di  Doccia,  presso  Firenze,  per  1’  ese- 
cuzione delle  prove  necessarie  ad  accertare  il  pregio  industriale 
delle  argille  sotto  il  rispetto  della  refrattarietà  e della  loro 
sostituzione  ai  caolini  esteri  per  la  fabbricazione  della  porcellana. 

Gl’  Ingegneri  del  R.  Corpo  delle  Miniere  non  mancarono  di 
porsi  allo  studio  dei  giacimenti  che  sapevano  o supponevano  esi- 
stere nei  rispettivi  distretti  minerarii,  ed  uniformandosi  alle 
■ istruzioni  ricevute  inviarono  i varii  campioni  da  essi  raccolti  allo 
stabilimento  Ginori,  rendendo  conto  in  pari  tempo  del  loro  ope- 
rato coir  invio  di  speciali  note  redatte  ad  illustrazione  di  cia- 
scun giacimento. 

I risultati  di  queste  indagini,  se  non  riuscirono  a sciogliere 
definitivamente  il  problema  della  scoperta  di  buoni  caolini  e di 
vere  argille  refrattarie  in  Italia,  servirono  però  a gettare  molta 
luce  sull’  argomento  e ad  indicare  quali  sieno  le  regioni  italiane 
che  offrono  maggiore  probabilità  di  raggiungere  l’ intento.  E qui 
non  sarà  senza  interesse  di  riassumere  brevemente  le  principali 
notizie  concernenti  i giacimenti  esplorati,  non  che  le  risultanze 
degli  esperimenti  fatti  sui  varii  campioni  nello  stabilimento  di 
Doccia,  e le  opinioni  espresse  a riguardo  dei  campioni  stessi  dal 
direttore  del  medesimo  e da  altre  persone  versate  in  materia.  E 
gioverà  notare  che  se  alcune  di  quelle  argille  provengono  da  cave 
in  attività  di  esercizio,  altre  derivano  da  giacimenti  tuttora  ine- 
splorati 0 quasi  sconosciuti  ; cosicché  non  tutti  i campioni  stac- 


303 


cati  dagli  ingegneri  poterono  fornir  materia  a studii  completi 
dei  giacimenti  rispettivi.  Le  notizie  che  seguono,  serviranno  tut- 
tavia a dare  una  prima  idea  dei  resultati  ottenuti  ed  a fare 
conoscere  quale  sia  lo  stato  della  questione  al  giorno  d’  oggi. 

Trovincie  piemontesi.  — Nella  provincia  di  Cuneo,  sul  ver- 
sante settentrionale  delle  prime  elevazioni  dell’  Apennino,  esi- 
stono, secondo  recenti  indagini,  abbondanti  masse  di  caolino  : il 
giacimento  sembra  occupare  vasta  estensione  di  territorio  nel  cui 
centro  sta  la  città  di  Ceva,  che  dà  appunto  il  nome  al  deposito. 
Da  informazioni  assunte,  questo  caolino  sarebbe  di  qualità  eccel- 
lente, assai  puro,  senza  tracce  di  ossido  di  ferro  ed  esente 
eziandio  da  calce  e magnesia  : esso  sembra  dovuto  alla  scompo- 
sizione di  rocce  feldispaticbe,  giacché  nelle  parti  non  ancora 
decomposte  trovansi  bellissimi  cristalli  di  feldispato.  Questi  cao- 
lini, intorno  ai  quali  si  manca  tuttora  di  notizie  più  dettagliate, 
non  sembrano  fare  oggetto,  per  il  momento,  di  una  escavazione 
molto  attiva. 

A Barge,  nella  stessa  provincia,  scavasi  un’  argilla  talcosa  e 
alcalina  proveniente  dalla  decomposizione  di  scisti  talcosi  : questa 
terra  non  è evidentemente  un  caolino,  ma,  ove  si  introduca  nelle 
paste  da  porcellana,  può  promuovere  un  principio  di  fusione  delle 
sostanze  silicee,  alluminifere  e magnesiache,  a somiglianza  di 
quanto  farebbe  un  feldispato.  La  rinomata  porcellana  di  Vinovo 
era  fabbricata  con  una  pasta  composta  di  questa  argilla,  di  Gio- 
bertite  di  Baldissero  e di  quarzo  di  Cumiana  : è però  sempre 
preferibile  il  servirsi,  per  simile  industria,  di  un  vero  caolino 
feldispatico  anziché  di  un’  argilla  di  tal  natura. 

A Frossasco,  nel  circondario  di  Pinerolo,  trovasi  un  caolino, 
che  però,  a giudizio  di  persone  competenti,  non  può  entrare  che 
in  piccola  proporzione  nella  composizione  delle  paste  da  porcel- 
lana : esso  contiene  dell’  ossido  di  ferro  che  colorirebbe  la  por- 
cellana, ove  se  ne  introducesse  una  quantità  notevole,  mentre  in 
piccola  dose  non  può  agire  nello  stesso  modo. 

Nella  provincia  di  Novara  sono  da  citarsi  i caolini  di  Invorio 
e di  Maggiora,  che  si  scavano  a cielo  aperto,  e dei  quali  l’ in- 
dustria ceramica  si  é servita  lungo  tempo  per  la  fabbricazione 
della  porcellana  ordinaria  e segnatamente  degli  isolatori  telegra- 


304  — 


fici.  Da  Oleggio  Castello  poi,  presso  xirona,  pervennero  allo  stabili- 
mento di  Doccia  due  campioni  di  argille  : entrambi  però  esposti 
alla  temperatura  dei  forni  a porcellana,  si  rammollirono  assai 
colorandosi  in  bruno  chiaro,  in  causa  di  un  eccesso  di  ossido  di 
ferro  che  rende  quest’  argilla  impropria  sia  per  la  produzione 
della  porcellana  che  per  la  fabbricazione  dei  mattoni  refrattarii. 

Nella  stessa  provincia,  e più  precisamente  nelle  vicinanze  del 
Lago  Maggiore,  esisterebbero  secondo  alcune  ricerche  indizii  di 
giacimenti  analoghi  ai  precedenti,  ma  finora  non  utilizzati. 

Frovincie  lombarde.  — Nella  Lombardia  non  sono  in  lavora- 
zione nè  cave  di  caolino,  nè  cave  di  argille  refrattarie,  sebbene 
non  vi  manchino  giacimenti  degni  di  qualche  attenzione.  Così 
sono  conosciute  come  dotate  di  mediocre  refrattarietà  le  argille 
di  San  Eocco,  presso  Letfe,  in  provincia  di  Bergamo,  dovute  pro- 
babilmente alla  decomposizione  dei  porfidi  : sono  usate  nelle 
fucine,  nei  forni  per  la  fabbricazione  del  ferro,  p in  genere  per 
intonacare  pareti  di  forni  soggetti  a temperature  non  molto  elevate. 

Un  importante  giacimento  di  silicato  di  allumina  e potassa 
trovasi  nella  sponda  occidentale  del  laghetto  di  Piona  presso 
Colico,  nella  parte  settentrionale  del  lago  di  Como  ; questa  argilla 
viene  adoperata  come  materia  prima  nella  fabbricazione  delle 
terraglie,  degli  smalti  da  porcellana,  dei  vetri,  ec. 

Esistono  infine  tracce  di  buoni  caolini  in  Valtellina,  al  monte 
Zebrù  presso  Bormio. 

Frovincie  venete.  — Assai  importanti  ed  interessanti  sono  i 
depositi  di  caolino  nella  provincia  di  Vicenza.  Fra  i terreni  costi- 
tutivi delle  prealpi  che  formano  la  parte  nordica  di  questa  pro- 
vincia, distinguesi  una  grande  massa  di  porfido  pirossenico,  la 
quale  comincia  a mostrarsi  presso  San  Giovanni  Barione,  e si 
perde  al  suo  incontro  colla  Valle  dell’  Astice.  B porfido  trovasi 
assai  carico  di  pirite  di  ferro,  e là  dove  fu  favorita  l’ ossida- 
zione di  questa,  anche  la  roccia  si  decompose,  e diede  luogo  a 
grandi  depositi  di  argille  caoliniche.  B centro  di  tali  depositi  è 
nel  comune  di  Pretti,  e più  precisamente  nel  versante  destro 
della  Valle  Orca,  a sei  chilometri  circa  al  nord  di  Schio  : però 
il  porfido  decomposto  s’ incontra  anche  nei  due  versanti  del 
Monte  Civillina  e presso  Fongara.  Nel  1871  esistevano  a Pretti 
45  cave  in  attività,  con  uno  sviluppo  di  gallerie  di  circa  8 chi- 


305  — 


lometri  complessivamente  : i lavori  sono  tutti  sotterranei,  tro- 
vandosi il  caolino  ad  una  certa  distanza  dalla  superficie.  L’  ar- 
gilla così  escavata  viene  lasciata  esposta  all’  aria  per  qualche 
tempo  onde  possa  disaggregarsi  completamente,  e quindi  subisce 
diverse  preparazioni  che  ne  asportano  le  materie  estranee,  e la 
riducono  in  finissima  polvere  ; viene  poi  modellata  in  pani  e posta 
in  commercio.  Dal  1866  al  1871  la  produzione  di  argilla  così 
preparata  nei  comuni  di  Trotti,  Sant’  Orso,  Schio  e Torrebelvi- 
cino  fu  di  tonnellate  24,569  e perciò  in  media  di  tonnellate  4000 
all’  anno.  Una  tonnellata  di  terra  naturale  rende  da  430  a 560 
chilogrammi  di  caolino  preparato.  Questo  prodotto  viene  in  parte 
consumato  nelle  fabbriche  di  stoviglie  delle  provincie  venete,  ed 
in  parte  esportato  in  Oriente. 

Nello  stabilimento  di  Doccia,  nessuna  delle  argille  del  vicen- 
tino fu  trovata  capace  di  resistere  senza  rammollirsi  all’  azione 
della  elevatissima  temperatura  dei  forni  da  porcellana,  ed  inoltre 
nessuna  parve  presentare  le  qualità  necessarie  per  comporre  una 
buona  porcellana.  Le  migliori  di  tutte,  cioè  quelle  che  conten- 
gono una  minor  quantità  di  ossido  di  ferro  e di  sostanze  estranee, 
diedero  all’  analisi  i risultati  seguenti  : 


Caolino  N.  1. 

Caolino  N.  2. 

Silice 

55,1 

58,0 

Allumina 

29,4 

25,7 

Ossido  di  ferro  . 

• 1,1 

1,6 

Calce 

1,3 

1,7 

Magnesia 

0,8 

0,9 

Potassa  e Soda  . 

2,9 

3,5 

Acqua  e sostanze 
organiche.  . . 

8,7 

8,3 

99,3 

99,7 

Pur  tuttavia  questi  caolini,  dichiarati  non  adatti  alla  fabbri- 
cazione di  una  buona  porcellana  bianca,  potrebbero  introdursi  in 
tenue  dose  nella  composizione  di  una  porcellana  di  qualità  infe- 
riore, ossia  colorita  in  grigio  verdastro  dall’  ossido  di  ferro  : esse 
possono  però  servire  come  materia  principale  per  comporre  una 
terraglia  commerciale  di  discreta  bianchezza,  e resistente  anche 
ai  cambiamenti  repentini  di  temperatura. 

Provincia  Romana.  — In  questa  provincia  è noto  da  molto 
tempo  il  caolino  della  Tolfa,  nei  monti  dello  stesso  nome  nelle 


21 


— 306  — 


vicinanze  di  Civitavecchia  : esso  deve  la  sua  origine  all’  altera- 
zione delle  trachiti.  Quale  sia  1’  estensione  del  giacimento,  non 
è ancora  bene  constatato.  Le  cave  che  vi  sono  aperte  producono 
annualmente  circa  1500  tonnellate  di  caolino,  ma  sarebbero  su- 
scettibili di  una  produzione  maggiore  : esse  si  trovano  a 15  chi- 
lometri di  distanza  da  Civitavecchia,  e vi  si  accede  per  la  strada 
provinciale  che  conduce  pure  a Canale,  Manziana  e Bracciano. 
Il  caolino  presentasi  quando  più  quando  meno  bianco,  talora 
intersecato  da  sottilissime  vene  di  ferro  ocraceo,  talora  commisto 
a trachite  non  intieramente  decomposta  : mediante  una  scelta 
accurata  sembra  che  debba  essere  facile  di  separare  le  diverse 
qualità,  riservando  le  migliori  per  la  fabbricazione  delle  imrcel- 
lane  e terraglie  fini.  Questo  caolino  viene  consumato  quasi  tutto 
nelle  vicinanze  di  Koma  : gli  industriali  che  lo  hanno  esperi- 
mentato  lo  hanno  dichiarato  come  mediocremente  refrattario  ed 
atto  alla  fabbricazione  delle  terraglie  fini  e delle  porcellane.  Le 
analisi  eseguite  al  Museo  Industriale  di  Torino,  diedero  i se- 
guenti  resultati  : 


Silice ....... 

Allumina 

Ossido  di  ferro  . 
Calce ....... 

Magnesia 

Potassa 

Soda 

Acqua 

Sabbia  silicea  . . 


33,880 

30,510 

O,005 

0,001 

0,013 

1,700 

1,030 

10,790 

12,070 


Nella  terra  allo  stato  grezzo  trovasi  il  caolino  in  proporzione 

di  39,3  per  60,7  di  ciottoli  e sabbia  grossa. 

A poca  distanza  da  Passano  di  Sutri,  nel  circondario  di  \ i- 
terbo,  nella  trincea  di  una  strada  vedonsi  indizii  di  un  altro 
giacimento  di  caolino  : V origine  di  questo  deposito  e analogo  a 
quello  dei  caolini  della  Tolfa,  essendo  il  medesimo  subordinato 
alla  massa  tracMtica  di  Monte  Virginio.  Esso  è bianco,  sonoro  e 
leggiero  ; non  ha  mai  fatto  oggetto  di  escavazione  per  uso  in- 
dustriale, e non  è conosciuto  altro  che  nelle  vicinanze  come 
terra  da  pulire.  Il  deposito  trovasi  a 60  chilometri  da  Poma 
per  la  via  di  Bracciano,  e a 40  dalla  stazione  ferroviaria  di 

Borghetto. 


— 307  — 


Dai  saggi  eseguiti  su  questo  materiale  nello  stabilimento  di 
Doccia,  si  è potuto  rilevare  che  esso  è un  caolino  poverissimo 
nella  parte  alluminifera,  ma  capace  di  resistere  alle  elevatissime 
temperature  delle  fornaci  di  porcellana  senza  dare  indizio  di  fu- 
sione. La  quantità  di  ossido  di  ferro  che  contiene  non  sarebbe 
tale  da  nuocere  al  coloramento  bianco  della  porcellana  o al  più 
potrebbe  colorarla  leggiermente  in  azzurrognolo  ; ma  V eccesso 
di  silice  che  contiene  e la  mancanza  assoluta  della  plasticità  che 
in  esso  si  verifica,  escludono  affatto  la  possibilità  di  impiegarlo 
nella  composizione  della  porcellana.  Manca  ancora  V analisi  chi- 
mica di  questo  materiale. 

Sardegna.  — Nell’  isola  di  Sardegna  esistono  alcuni  importanti 
giacimenti  sia  di  terre  refrattarie  che  di  caolini. 

Terre  refrattarie.  — Per  le  prime  i depositi  che  hanno 
maggiore  probabilità  di  poter  essere  utilizzati  sono  situati  nei 
comuni  di  Sarrocco  e di  Teulada,  nella  parte  più  meridio- 
nale dell’  isola,  subordinati  i primi  alle  trachiti  amfiboliche  ed  i 
secondi  ai  graniti.  In  prossimità  al  Capo  della  Savorra  esistono 
banchi  considerevoli  di  tali  terre  composte  di  pasta  feldispatica 
con  abbondanti  concentrazioni  di  granelli  silicei.  Tali  banchi  si 
trovano  nel  versante  de’  monti  prospicienti  il  mare  e a distanza 
d’  appena  qualche  centinaio  di  metri  da  questo.  Altri  giacimenti 
di  terre  che  dovrebbero  pure  possedere  considerevole  refrattarietà 
si  trovano  nella  località  denominata  Sa  Foxi,  alla  base  orientale 
de’  monti  granitici  fra  Orru  e l’ abitato  di  Sarrocco.  Queste  terre 
sono  molto  più  disaggregate  delle  prime  e sembrano  contenere 
alquanta  potassa.  La  distanza  di  questi  giacimenti  dal  mare  è 
di  circa  72  chil. 

Sperimentate  alla  manifattura  di  Doccia,  queste  terre  non 
poterono  resistere  al  calore  delle  fornaci  da  porcellana  senza 
dare  indìzi!  di  fusione.  Oltre  a ciò  la  prima  è priva  affatto  di 
plasticità,  e per  servirsene  bisognerebbe  anzitutto  macinarla  fina- 
mente ; ma  1’  azione  del  fuoco  la  rammollisce  leggermente  : la 
seconda  poi  fonde  allo  stato  di  vetro  colorandosi  in  verde  nero. 

Un  altro  giacimento  di  terra  refrattaria,  di  cui  furono  presi 
campioni  in  Sardegna,  è quello  di  Montesanto  presso  Iglesias,  ove 
da  qualche  tempo  esiste  uno  stabilimento  per  la  fabbricazione 
di  mattoni  refrattari!.  Questa  terra  è un’  argilla  azzurrognola 


308 


che  si  trova  interstratificata  colla  lignite  del  terreno  eocenico 
alla  profondità  di  circa  6 metri  sotto  la  superficie.  Il  banco  prin- 
cipale ha  circa  1,50  di  potenza,  ma  V estrazione  dovrebbesi  fare 
per  lavori  sotterranei.  Questa  argilla  fu  trovata  migliore  delle 
altre,  sebbene  aneli’  essa  alla  temperatura  delle  fornaci  da  por- 
cellana siasi  alquanto  rammollita. 

A Bacu  Abis  nel  territorio  di  Gonnesa  trovasi  un  giacimento 
d’  argilla  analogo  al  precedente  fra  la  lignite  ed  il  calcare  della 
formazione  eocenica.  Quest’  argilla  si  è rammollita  alquanto  al 
fuoco  delle  fornaci  da  porcellana. 

Nella  miniera  di  manganese  di  Carloforte,  fra  le  trachiti  an- 
tiche ed  i tufi  trachitici  al  di  sotto  dello  strato  di  manganese, 
si  trova  una  terra  di  colore  rosso-bruno  con  noduli  e venette 
rosse,  gialle,  verdi  e bianche,  la  quale  sembra  provenire  dalla 
decomposizione  di  una  specie  di  porfido  trachitico.  La  pasta  è 
argillosa  ed  i noduli  sono  per  lo  più  steatitici.  La  cottura  di 
questa  argilla  nelle  fornaci  da  porcellana  ne  ha  prodotto  la  fu- 
sione vitrea  con  coloramento  in  bruno  rossastro. 

La  manifattura  di  Doccia  ha  ricevuto  dalla  Sardegna  anche 
alcuni  campioni  di  argille  ordinarie,  fra  cui  quelle  di  Capoterra 
e Pabillonis  nel  circondario  di  Cagliari,  e quella  di  Laconi  nel 
circondario  di  Lanusei.  L’  argilla  di  Capoterra  è usata  da  qual- 
che tempo  nel  nuovo  stabilimento  ceramico  di  Cagliari  per  la 
fabbricazione  delle  stoviglie  fine,  ed  è stata  riconosciuta  anche 
a Doccia  come  suscettibile  di  essere  adoperata  con  vantaggio 
nella  composizione  delle  terraglie  bianche  che  vengono  ricoperte 
con  una  vernice  piombifera. 

L’  argilla  di  Pabillonis  è di  color  rosso,  piuttosto  marnosa  e 
ferruginosa.  E adoperata  da  tempo  immemorabile  in  Sardegna 
per  la  fabbricazione  delle  stoviglie  ordinarie  e,  qualora  sia  cor- 
retta con  una  conveniente  quantità  di  argilla  plastica,  può  ser- 
vire, dietro  esperienze  eseguite  a Doccia,  per  la  fabbricazione 
delle  majoliche  che  si  ricoprono  con  uno  smalto  stannifero. 

Finalmente  l’argilla  di  Laconi,  della  quale  fa  cenno  anche  il 
La  Marmora  nella  sua  opera  sulla  Sardegna,  si  rammollisce  assai 
nelle  fornaci  da  porcellana,  colorandosi  in  rossastro  e verdastro  ; 
ma  sarebbe  atta  a comporre  le  paste  per  le  stoviglie  ordinarie 
e per  le  cassette  nelle  quali  esse  si  collocano  per  la  cottura. 


— 309 


Caolini.  — I principali  giacimenti  di  caolino  nella  Sardegna 
appartengono  a due  distinti  gruppi,  cioè  quello  di  Furtei  e quello 
di  Laconi.  I primi  si  trovano  nella  formazione  di  trachite  am- 
fibolica  che  si  estende  da  Serrenti  a Furtei  e Segario,  e si  pre- 
sentano in  ammassi  o banchi,  talvolta  assai  potenti,  alternahtisi 
colle  trachiti  suddette,  le  quali  a misura  che  varia  la  propor- 
zione dell’  elemento  anfibolico,  prendono  diverso  aspetto  e colore 
dal  brifno  verdastro  al  bianco  candido.  Gli  altri  trovansi  nella 
puddinga  che  presso  il  villaggio  di  Laconi  s’ intercala  fra  il 
Sarcidano  ed  i sottostanti  scisti  cristallini,  ed  alternano  con  ciot- 
toli quarzosi  che  costituiscono  quasi  come  zoccolo  la  base  del 
Sarcidano. 

I principali  giacimenti  di  caolino  presso  Serrenti  trovansi  al 
monte  Ollastu  e al  Monte  Porceddu  : nel  primo  il  caolino  non 
si  vede  in  banchi  coltivabili,  perchè  alcune  masse  di  discreta  po- 
tenza che  vi  si  osservano  hanno  tessitura  troppo  grossolana,  si- 
mile quasi  all’  arenaria,  colore  tendente  per  lo  più  al  grigio,  e 
spesso  sono  inquinate  di  ocra  rossa  e gialla  che  a filetti  le  at- 
traversa in  tutti  i sensi.  Talvolta  vi  si  trovano  anche  straterelli 
di  sostanza  trachitica  in  vario  modo  contorti,  i quali  non  pote- 
rono a causa  della  loro  diversa  composizione  subire  le  trasfor- 
mazioni del  resto  della  massa.  Nel  giacimento  di  Monte  Por- 
ceddu r affioramento  prende  considerevole  estensione,  cioè  di  circa 
100  metri  in  direzione  e 12  a 15  in  altezza. 

Presso  Furtei  il  caolino  affiora  nelle  località  denominate 
Monte  Candido , Monte  Carbone  e Corona  Rubia.  Le  spese 
d’  pstrazione  in  queste  Tocalità  non  debbono  essere  molto  elevate, 
trovandosi  i caolini  alla  superficie  del  terreno. 

Allo  stabilimento  di  Doccia  fu  trovato  che  tutti  questi  caolini 
sono  della  stessa  natura,  e che  solamente  alcuni  differiscono  fra 
loro  per  essere  più  o meno  puri  in  causa  forse  della  maggiore 
0 minore  accuratezza  adoperata  nella  scelta.  I più  puri  risulta- 
rono essere  quello  di  Monte  Porceddu  e quello  di  Sa  Frigus  (La- 
coni),  giacché  si  potè  ottenere  con  essi  una  pasta  di  porcellana 
in  cui  gran  parte  del  caolino  estero  era  rimpiazzato  dai  mede- 
simi. Questa  porcellana,  dopo  la  cottura,  non  riesci  bianchissima, 
bensì  azzurrognola  in  causa  della  presenza  dell’ossido  di  ferro; 
cosicché  tali  caolini  non  potranno  essere  impiegati  nella  fabbri- 


— 310 


cazione  di  oggetti  fini  e di  lusso,  ma  soltanto  per  quelli  or  di- 
narii e commerciali,  ne’  quali  un  leggero  coloramento  può  essere 
tollerato. 

Tuttavia  non  essendosi  allora  potuto  fare  con  questi  caolini 
esperienze  in  vasta  scala,  il  giudizio  definitivo  sul  loro  pregio 
industriale  restò  momentaneamente  riservato. 

Calabria  e Sicilia.  — Il  caolino  è stato  segnalato  anche  nella 
Calabria,  specialmente  a Tropea  in  provincia  di  Catanzaro,  non 
che  in  Sicilia  nel  comune  di  Montagnareale  nelle  vicinanze  di 
Patti,  in  provincia  di  Messina,  prodotto  dalla  decomposizione  dei 
feldispati  del  granito.  Ne  vennero  inviati  a Roma  alcuni  campioni 
dalle  Giunte  locali  per  la  raccolta  dei  materiali  da  costruzione  ; 
ma  non  si  hanno  sui  relativi  giacimenti  notizie  abbastanza  pre- 
cise per  poterne  dare  la  descrizione,  nè  risulta  che  i campioni 
sieno  stati  provati  allo  stabilimento  Ginori. 

Conclusione.  — Riassumendo  i risultati  delle  sue  esperienze  il 
direttore  della  Manifattura  Ginori  conclude  col  dire  : 

C Che  nessuna  delle  argille  italiane -sinora  esaminate  in 
quello  stabilimento  sembra  possedere  la  refrattarietà  necessaria 
per  resistere  senza  rammollirsi  all’  alta  temperatura  de’  forni  da 
porcellana  e di  quelli  fusorìi  ; cosicché  non  potrebbero  tali  argille 
essere  adoperate  nè  per  comporre  il  materiale  occorrente  alla  co- 
struzione interna  dei  medesimi,  nè  per  formare  le  caselle  o custo- 
die destinate  a contenere  i prodotti  che  si  espongono  alla  cottura. 

2”  Che  talune  argille  del  Yicentino,  sebbene  non  adatte 
a far  parte  di  una  composizione  di  porcellana,  possono  essere 
utilizzate  nella  composizione  di  una  buona  terraglia,  semprechè 
saggi  sistemi  di  estrazione  e di  preparazione  permettano  di  con- 
segnarle alle  industrie  esenti  da  ogni  impurità  e di  una  qualità 
costante. 

3°  Che  di  tutti  i nuovi  giacimenti  di  caolino  studiati  in 
seguito  all’  invito  del  R.  Governo,  quelli  che  fanno  concepire 
maggiori  speranze  sono  i giacimenti  di  Sardegna. 

Esso  esprime  il  desiderio  che  i proprietarii  delle  cave  del 
distretto  di  Schio  e quegli  industriali  che  intendessero  accin- 
gersi all’  esercizio  delle  cave  esistenti  in  Sardegna,  si  rechino  a 
studiare  i metodi  di  escavazione  e di  preparazione  adottati  dai 
proprietarii  delle  cave  di  Cornovaglia,  dove  i caolini  prima  di 


311  — 


essere  messi  in  commercio  per  la  fabbricazione  delle  porcellane 
e terraglie,  della  carta,  del  sapone  ec.,  sono  non  solo  macinati, 
ma  soggetti  ad  una  cernita  diligente  susseguita  da  decantazione. 
E queste  operazioni  sarebbero  tanto  più  necessarie  pei  nostri 
caolini,  in  quantochè  presentando  essi  qualche  impurità  allo  stato 
naturale,  non  possono  competere  coi  caolini  esteri  se  non  previa 
una  opportuna  preparazione  meccanica.  Devesi  però  avvertire 
che  il  prezzo  dei  nostri  caolini,  anche  quando  sieno  preparati, 
dovrà  sempre  mantenersi  inferiore  a quello  de’  caolini  inglesi, 
senza  di  che  questi  finirebbero  tosto  o tardi  con  incagliarne  lo 
smercio,  stante  la  loro  migliore  qualità. 

Più  tardi  furono  riprese  le  esperienze  sopra  nuovi  campioni  di 
caolino  delle  due  località  di  Sardegna  che  avevano  date  maggiori 
speranze.  Monte  Porceddu  e Laconi  : i risultati  riescirono  però 
ben  poco  soddisfacenti  per  la  circostanza  che  la  porcellana  nella 
quale  entrano,  benché  in  parte,  queste  terre,  assume  un  aspetto 
sgradevole,  e perchè  il  costo  di  esse,  atteso  lo  spurgo  della  parte 
ferruginosa  e la  macinazione  di  cui  abbisognano,  mal  potrebbe 
sostenere  la  concorrenza  dei  caolini  esteri  e segnatamente  degli 
inglesi,  che  alla  purezza  e plasticità  completa,  accoppiano  un  re- 
lativo buon  mercato.  Ed  ecco  a questo  proposito  come  si  esprime 
il  direttore  dello  stabilimento  di  Doccia  nella  sua  relazione  : 
« Sottoposti  i due  caolini  all’  azione  dei  reagenti  chimici,  fu  rico- 
nosciuto che  entrambi  hanno  la  medesima  composizione  chimica  : 
si  potè  però  rilevare  che  la  quantità  di  ossido  di  ferro  che  con- 
tenevano, sebbene  tenuissima,  poteva  nuocere  alquanto  alla  bian- 
chezza delle  paste  di  porcellana  che  coi  medesimi  potessero  essere 
fatte.  Venendo  quindi  a parlare  degli  esperimenti  pratici  sui  detti 
caolini,  giova  osservare  che  tutti,  indistintamente,  i medesimi 
non  possono  entrare  nella  composizione  della  pasta  di  porcellana 
se  non  sono  stati  triturati  e ridotti  allo  stato  di  polvere  o pol- 
tiglia impalpabile,  mediante  la  macinazione.  Laonde  prima  di  pro- 
cedere a questa  operazione,  siccome  i pezzi  dei  medesimi  sono 
macchiati  qua  e là  da  delle  vene  rossastre,  formate  dal  sesquios- 
sido  di  ferro,  fu  scelta  la  parte  bianca  scartando  accuratamente 
tutta  quella  colorata,  e fu  quindi  macinata  la  prima  riducendola 
in  polvere  estremamente  divisa.  Ciò  fatto  furono  composte  varie 
paste  di  porcellana  con  ciascuna  delle  suddette  qualità  di  cao- 


— 312 


lino  purificato,  e messe  quindi  in  lavorazione  per  formare  degli 
oggetti,  fu  trovato  che  erano  alquanto  povere  di  parte  plastica 
0 alluminifera.  Esposti  poi  al  fuoco  gli  oggetti  fabbricati,  si  trovò 
dopo  cottura  che,  mentre  erano  riesciti  sufficientemente  bene  dal 
lato  della  solidità  della  materia,  non  era  così  da  quello  della 
bellezza.  Erano  infatti  colorati  di  grigio  verdastro,  e tutti  della 
stessa  intensità  di  colore,  lo  che  ci  confermò  che  tutte  le  sud- 
dette qualità  di  caolino  presentano  le  stesse  proprietà  e sono  fra 
loro  perfettamente  identiche  per  composizione.  Furono  allora  ma- 
cinati insieme  tutti  i suddetti  caolini  (previa  sceglitura  e depu- 
razione) per  poter  col  solo  caolino  ottenuto,  comporre,  in  grande, 
varie  altre  paste  di  porcellana.  E d’  altra  parte  ne  furono  fatte 
altre  a base  dello  stesso  caolino  addizionato  di  alquanto  caolino 
estero  puro.  Colle  prime  s’ incontrò  la  solita  difficoltà  della  ma- 
grezza nella  lavorazione  degli  oggetti,  colle  seconde  poi  gli  og- 
getti medesimi  si  poterono  fabbricare  molto  meglio.  Dopo  cot- 
tura si  trovò  che  gli  oggetti  fatti  a base  di  solo  caolino  di 
Sardegna  presentavano  lo  stesso  coloramento  e le  stesse  qualità 
di  quelli  fatti  in  piccolo  la  prima  volta.  Quelli  poi  i quali  erano 
stati  fatti  colla  pasta  composta  collo  stesso  caolino  addizionato 
di  alquanto  caolino  estero  presentavano  migliori  resultati,  ma 
erano  sempre  leggermente  colorati  in  grigio  verdastro  : e que- 
sta colorazione  si  vedeva  scomparire  quanto  più  si  diminuiva  la 
proporzione  del  caolino  di  Sardegna  nella  composizione  della 
pasta.  Potei  allora  convincermi  nella  mia  prima  idea,  cioè,  che 
il  caolino  di  Sardegna  può  servire  per  la  composizione  della  pa- 
sta di  porcellana  in  rimpiazzo  soltanto  del  50  per  cento  della 
sola  parte  caolinica  pura,  ossia  può  entrare  nella  pasta  di  por- 
cellana approssimativamente  per  una  quarta  parte  della  totalità 
delle  materie  che  la  compongono.  E P addizione  di  questo  cao- 
lino puro  non  la  rende  adatta  per  la  fabbricazione  di  una  buona 
e bianca  porcellana,  ma  soltanto  per  la  fabbricazione  di  una  por- 
cellana inferiore,  perchè,  come  ho  detto  di  sopra,  resulta  sempre 
alquanto  colorata  in  grigio  verdastro. 

In  conclusione,  da  quanto  fu  esposto,  appare  dimostrato  che  in 
Italia  esistono  caolini  procedenti  dalla  immediata  decomposizione 
dei  feldispati,  i quali,  qualora  fossero  posti  in  commercio  debi- 


— 313  — 


tamente  scelti  e preparati,  potrebbero  benissimo  entrare  in  parte 
nella  fabbricazione  delle  porcellane,  e totalmente  in  quella  delle 
terraglie  fini,  della  carta,  del  sapone,  e in  altre  industrie  af- 
fini : che  vi  esistono  pure  argille  plastiche  che  possono  resistere 
anche  ad  elevate  temperature  ; ma  che  non  si  conoscono  ancora 
giacimenti  di  vere  argille  refrattarie  dotate  di  tale  purezza  da 
potere  resistere  alle  più  alte  temperature  della  cottura  della 
porcellana  e dei  forni  a ferro,  il  consumo  delle  quali  è di  gran 
lunga  superiore  a quello  dei  caolini  : da  ciò  la  necessità  di  con- 
tinuare gli  studi  intrapresi  e di  fare  nuove  ricerche  e nuovi 
esperimenti  pratici. 

Alle  notizie  che  precedono  crediamo  utile  il  fare  seguire  al- 
cuni dati,  desunti  da  autori  diversi,  relativi  a talune  argille 
italiane,  delle  quali  non  è fatto  cenno  nelle  relazioni  degli  In-, 
gegneri  delle  Miniere,,  sia  perchè  abbastanza  conosciute,  sia  per- 
chè sfuggissero  alle  loro  ricerche. 

Frovincie  piemontesi.  — Nei  circondario  di  Mondo  vi  (provin- 
cia di  Cuneo)  esistono  argille  che,  quantunque  per  sè  stesse  non 
refrattarie,  possono  tuttavia,  mescolate  nella  voluta  proporzione 
con  quarzo,  dare  buoni  mattoni  refrattarii,  come  già  ebbe  a fab- 
bricarne il  signor  Besio  di  Mondovì.  ^ E però  supponibile  che 
questa  terra  sia  da  riferirsi  al  deposito  dei  caolini  di  Ceva  del 
quale  è parola  più  sopra. 

Gli  autori  citano  anche  una  argilla  refrattaria  a Yillanova 
Mondovì  ; e forse  allude  a questa  il  Barelli  quando  dice  che 
« sul  territorio  di  Pianfei  (Mondovì),  o forse  già  sul  vicino  terri- 
torio della  Chiusa,  e subordinato  al  serpentino,  trovasi  uno  strato 
di  argilla  apira  della  varietà  litomarga,  d’ un  bigio  sucido  traente 
al  bruno  : ella  è tenera,  ontuosa  al  tatto  ed  infusibile  al  cannello  : 
viene  essa  adoperata  alla  vetraia  della  Chiusa  nella  pasta  con 
cui  si  formano  le  padelle,  entro  le  quali  si  opera  la  fusione  del 
vetro.  La  roccia  che  racchiude  questa  argilla  è pure  mista  di 
amianto  ed  è serpentinosa,  e costituisce  il  monte  che  forma  il 
limite  della  provincia  di  Mondovì  con  quella  di  Cuneo.^  » Il  me- 


* Atti  Inchiesta  Industriale,  deposizioni  scritte,  voi.  Ili,  cat.  15,  par.  6. 

“ V.  Barelli,  Cenni  di  statistica  mineralogica  degli  Stati  di  S.  M.  il  Re 
di  Sardegna.  Torino,  1835  (pag.  278). 


— 314  — 


desimo  autore  cita  poi  V esistenza  di  una  argilla  bianca,  apira, 
plastica,  nel  territorio  di  Frabosa  soprana,  nello  stesso  circondario 
di  Mondovì. 

Da  molto  tempo  conosciuta  è 1’  argilla  di  Castellamonte,  in 
provincia  di  Torino,  proveniente  dalla  scomposizione  di  rocce  fel- 
dispatiche  : contiene  una  piccola  quantità  di  idrato  di  ferro,  e 
gode  di  una  mediocre  refrattarietà.  Serve  ad  alimentare  molte 
fabbriche  di  stufe  ed  oggetti  refrattarii.  Nelle  vicinanze,  a Bal- 
dissero,  si  trovano  depositi  di  un  carbonato  misto  a silicato  di 
magnesia  assai  puro  (Giobertite)  che  alimentò  per  qualche  tempo 
la  fabbrica  di  porcellana  di  Vinovo.  Non  sembra  vi  esistono  però 
veri  caolini,  quantunque  il  Barelli  ne  citi  uno  del  Monte  Spinai, 
un  secondo  del  Monte  Bellasanta,  ed  un  terzo  del  luogo  detto 
Le  Benne  'tra  Castellamonte  e Baldissero. 

Nella  stessa  provincia  il  Barelli  accenna  ad  un  caolino  bian- 
chissimo e di  eccellente  qualità  a due  miglia  da  Pinerolo  sulla 
montagna  di  Murat  ; ad  un  altro  caolino  della  valle  Pellice  nel 
comune  di  Lusernetta,  e ad  un  terzo  a tessitura  scistosa  della 
collina  di  San  Michele  nel  comune  di  Bricherasio,  tutte  località 
del  circondario  di  Pinerolo. 

Assai  conosciuto  è pure  il  caolino  di  Borgomanero  nella 
provincia  di  Novara  ; la  sua  composizione,  astrazione  fatta  dai 
residui  non  argillosi,  è la  seguente  : 


Silice 44,5 

Allumina 39,3 

Ferro  e manganese 2,1 

Soda  e potassa traccio 

Acqua 13,8 


Nella  stessa  provincia,  a Ronco  Biellese,  esiste  una  argilla 
magnesiaca  atta  a comporre  buone  paste  ceramiche,  contenente 
il  15  per  Yo  di  magnesia:  il  Barelli  poi  accenna  ad  un  caolino 
che  si  scava  nella  montagna  di  Valduggia  nella  Valsesia,  e ad 
un  altro  nel  territorio  di  Grignasco,  località  detta  Cugnoli,  nel 
circondario  di  Novara. 

Finalmente  qualche  autore  fa  menzione  di  un  caolino  a Fenolo 
sul  Lago  Maggiore,  in  dipendenza  del  granito  di  Baveno  ; ed  il 


315  — 


Barelli  cita  nel  circondario  dell’  Ossola  una  argilla  apira,  plastica, 
bigia  a Fossogno,  ed  un  caolino  nel  comune  di  Santa  Maria  Mag- 
giore, località  detta  Riale  del  Ferneccio/ 

Frovincie  venete.  — In  provincia  di  Belluno,  nel  comune  stesso 
di  Belluno,  trovasi  in  località  detta  Mussoi,  una  argilla  atta  alla 
fabbricazione  di  laterizi  refrattari.  Argille  bianche  refrattarie 
sono  citate  nella  località  detta  Caucia,  in  comune  di  Borea  nel 
Cadore. 

Nella  stessa  provincia,  nel  territorio  di  Gosaldo,  esiste  una  ar- 
gilla talcosa,  refrattaria,  in  strati  potenti  che  si  estendono  per 
gran  parte  del  territorio  comunale  ; serve,  mista  con  poco  quarzo, 
alla  confezione  di  crogiuoli  e stoviglie.  La  medesima  viene  im- 
piegata alla  costruzione  dei  forni  nello  stabilimento  metallurgico 
di  Vallalta  per  il  trattamento  del  mercurio. 

Fhnilia  e Bomagna.  — In  alcuni  luoghi  della  provincia  di  Pia- 
cenza si  trovano  terre  refrattarie,  ma  sino  ad  ora  sono  trascurate.  ^ 
In  provincia  di  Reggio,  nel  comune  delle  Quattro  Castella,  si 
lavora  nella  località  di  Salvarano  una  terra  argillosa  refrattaria; 
essa  vi  esiste  in  depositi  piuttosto  abbondanti,  e serve  per  for- 
mare piani  da  forni  e lastre  da  camini. 

Nei  contorni  di  Risano,  in  provincia  di  Bologna,  havvi  una 
varietà  di  caolino  che  deriva  dalla  dissociazione  della  eufotide 
oligoclasica  a grandi  elementi.  La  sua  composizione  è:^ 


Silice 62,0 

Allumina 25,0 

Magnesia 4,0 

Soda 1,4 

Acqua 10,0 


102,4 

Nella  stessa  provincia  si  lavora  un’  argilla  plastica  a Monte 
Paderno,  comune  di  Bologna,  per  la  confezione  di  laterizii  re- 
frattarii.  Il  professor  Bombice!  scrive  in  proposito  : « Il  dilavamento 
delle  vaste  formazioni  delle  marne  azurrine  e biancastre,  delle 
argille  turchine  plioceniche  e delle  stesse  argille  scagliose,  po- 

^ Barelli,  Cenni  ec.,  pag.  479. 

^ Relazione  Cam.  Comm.  di  Piacenza. 

® Bombicci,  Descrizione  della  Mineralogia  generale  della  provincia  di  Bo- 
logna, parte  II. 


316  - 


Irebbe  produrre,  se  opportunamente  utilizzato  in  vasta  propor- 
zione, ottimi  depositi  di  argilla  plastica  e figulina,  e di  materiale 
idoneo  pei  laterizi!  refrattari!.  ^ » 

Citiamo  anche  il  fatto  che  la  ditta  L.  Giuglini  e C.  di  Ri- 
mini, con  terra  italiana,  fabbrica  buoni  mattoni  refrattari!,  i quali 
sarebbero  dotati  di  una  maggiore  resistenza  e perfezione  di  quelli 
che  vengono  importati  dall’  estero.  “ Ignoriamo  però  e la  compo- 
sizione e la  provenienza  di  questa  terra. 

Provincie  toscane.  — Nel  lucchese  abbiamo  la  terra  di  Monte 
Carlo  e di  Altopascio,  conosciuta  per  le  sue  buone  qualità  re- 
frattarie : essa  è un’  argilla  silicifera,  bianchissima,  conosciuta  in 
commercio  col  nome  di  Terra  di  Montecarlo  ed  usata  per  la  co- 
struzione dei  recipienti  per  la  fusione  del  vetro. 

Altrettanto  conosciuto  è il  caolino  dell’  Isola  d’  Elba  che  ri- 
sulta dalla  decomposizione  della  eurite  del  Capo  Bianco  presso 
Portoferrajo.  Fatta  astrazione  dalla  parte  non  argillosa,  che  vi 
si  trova  nella  proporzione  dell’  8 per  100  circa,  e che  si  può 
separare  facilmente,  la  composizione  di  questo  caolino  è la  se- 


guente : 

Silice 49,6 

Allumina 35,5 

Ferro  e manganese traccie 

Potassa,  calce  e magnesia  . 2,4 

Acqua 12,5 

100,0 


A Chiessì,  nella  parte  più  occidentale  dell’  isola,  trovasi  pure 

il  caolino  derivante  dai  graniti  del  Monte  Capanna. 

» 

Presso  San  Piero  in  Campo,  nella  parte  meridionale  dell’isola, 
si  lavora  una  sostanza  collegata  con  roccie  serpentinose  ed  im- 
propriamente chiamata  caolino:  essa  non  è altro  che  una  ma- 
gnesite (carbonato  di  magnesia)  mescolata  con  silicato  di  magnesia, 
ed  analoga  alla  giobertite  di  Baldissero  in  Piemonte. 

Di  composizione  molto  affine  ad  un  vero  caolino  magnesifero, 
è la  così  detta  Alloisite  dell’  Isola  d’  Elba  proveniente  dall’  alte- 
razione dell’  ortose  che  accompagna  le  masse  ferree  di  Rio  : la 


‘ Relazione  sulle  pietre  edilizie  e decorative  della  provincia  di  Bologna. 
^ Relazione  Cam.  Comm.  di  Rimini. 


317 


sua  composizione,  secondo  V analisi  fattane  dal  Gherardi  e ri- 
portata dal  D’  Achiardi,^  è la  seguente  : 


Silice 55,15 

Allumina -7,72 

Calce  e magnesia 5,10 

Potassa 1,15 

Acqua 10,20 

99,32 


Anche  nelle  isole  vicine  sembra  si  trovi  il  caolino  : il  Giuli  ^ 
lo  cita  a San  Francesco  nell’  isola  del  Giglio  ed  a Cala  Maestra 
in  quella  di  Montecristo. 

Una  specie  di  caolino,  proveniente  dall’  alterazione  della  La- 
bradorite dell’ eufotide,  si  trova  a Jano  presso  Volterra:  ed  è 
probabile  che  nelle  stesse  condizioni  si  trovi  anche  altrove.  ^ 
Una  sostanza  che  ha  tutta  1’  apparenza  di  caolino  si  trova 
alle  falde  del  monte  dell’  Acquaviva  presso  Campiglia  nella  pro- 
vincia di  Pisa,  in  correlazione  a porfidi  trachitici.  La  sua  com- 
posizione è la  seguente  : ^ 


Silice 48,8 

Allumina 39,1 

Ossido  di  ferro traccio 

Calce 0,7 

Acqua 10,7 

99,3 


Nella  stessa  provincia  è conosciuta  l’ argilla  refrattaria  di 
Lugnano,  nel  comune  di  Vico  Pisano,  proveniente  dallo  sfacelo 
degli  scisti  del  Verrucano  ; si  usa  per  fabbricare  mattoni  refrat- 
tarii  e terraglie  che  sono  assai  ricercate. 

All’  Impruneta  presso  Firenze,  ed  a Figline  presso  Prato,  la- 
vorasi una  terra  derivante  dalla  decomposizione  dell’  eufotide  o 
granitone  di  quelle  località  ; è dotata  di  mediocri  qualità  refrat- 
tarie e se  ne  fabbricano  anche  pezzi  per  forni. 

Il  Giuli  finalmente  cita  1’  esistenza  del  caolino  anche  a Quer- 
ceto nella  Montagnola  Senese  e all’  Ajola  nelle  Alpi  Apuane, 
alla  base  settentrionale  del  Pizzo  d’ Uccello. 


* Sopra  alcuni  minerali  dell’ Elba. 

^ Statistica  mineralogica  della  Toscana. 

® D’  Achiardi,  Mhieralogia  della  Toscana. 


' Idem. 


318  — 


Trovincia  Bomana.  — Nell’  opera  di  Angelo  Galli,  pubblicata 
in  Koma  nel  1840,^  leggesi  quanto  segue:  « A Civita  Castellana 
esiste  una  cava  che  Brocchi  così  descrive  : Argilla  Manca  finis- 
sima, plastica,  Mhula.  Si  adopera  nella  fabbrica  delle  teì'raglie  e 
delle  porcellane.  Tanto  che  secondo  questo  profondo  conoscitore 
delle  materie  minerali,  V argilla  di  Civita  Castellana  sarebbe 
idonea  alla  fabbricazione  delle  porcellane.  S’  egli  disse  si  adopera, 
sbagliò  nel  fatto,  ma  non  esclude  che  egli  la  riconoscesse  atta 
a simile  lavorazione.  » 

Allude  probabilmente  a questa  argilla  il  professor  Omboni 
nella  sua  Geologia  dell’  Balia,  dove  dice,  a pag.  298,  che  « al 
piede  del  Monte  Soratte  v’  hanno  delle  vene  di  un’  argilla  bianca, 
simile  a caolino,  e con  macchie  ocracee,  la  quale  fu  adoperata 
per  qualche  tempo  a fabbricare  porcellana.  » Il  professor  Pietro 
Carpi,  che  visse  in  Roma  intorno  al  1830,  analizzò  probabil- 
mente questa  argilla  : sembra  però  che  la  medesima  sia  molto 
ricca  in  magnesia,  e che  la  sua  escavazione  sia  cessata  perchè 
non  se  ne  trovavano  che  vene  piccole,  irregolari  e non  continue. 

Il  Breislak,  nel  suo  Saggio  di  osservazioni  minercdogiclie  sulla 
Tolfa,  Oriolo  e Latera  (Roma  1786)  dice  esservi  nel  luogo  detto 
La  Torretta  presso  Oriolo,  a 48  chilometri  da  Roma,  una  ar- 
gilla bianca  e pastosa  che  potrebbe  a primo  aspetto  sembrare  atta 
alla  porcellana.  Avvertisi  che  questa  località  trovasi,  come  Bas- 
sano  di  Sutri  più  sopra  ricordato,  al  N.E.  di  Monte  Virginio  ed 
in  maggior  vicinanza  al  monte  stesso  che  non  lo  sia  quest’  ul- 
timo paese. 

Notisi  da  ultimo  che  nel  1863  il  Governo  Pontificio  accordò 
una  concessione  perpetua  per  lo  scavo  della  creta  bianca  nei 
territori  di  Civita  Castellana,  Sutri,  Fabbrica,  Sant’  Oreste  e 
Ponzano,  i tre  primi  nel  circondario  di  Viterbo,  gli  altri  sul 
versante  meridionale  ed  orientale  del  Monte  Soratte  : il  conces- 
sionario era  pure  autorizzato  ad  erigere  presso  Civita  Castellana 
un  edificio  o laboratorio  per  la  fabbricazione  delle  maioliche  e 
terraglie. 

Abruzzi.  — « Nella  provincia  d’Aquila  le  argille  (silicati  di 


‘ Discorso  sull’  Agro  Romano  e cenni  economici  statistici  sullo  Stalo  Pon- 
tificio. 


319  — 


allumina  idrati)  vi  sono  di  diverse  qualità  e bontà  in  grandi 
ammassi.  L’  argilla  plastica  in  talune  località  è purissima  e senza 
traccie  di  ossidi  metallici,  qual  per  esempio  quella  di  Pettorano 
presso  Solmona,  die  nei  passati  secoli  animò  una  fabbrica  di 
finissima  maiolica  ; ed  ora  la  cava  pur  serba  la  stessa  proprietà, 
sebbene  condannata  a produrre  tegoli  e mattoni  che  riescono 
solidi,  sonori  e capaci  di  essere  levigati  come  pietra.  La  stessa 
sorte  sta  subendo  V argilla  di  Campo  di  Giove,  pure  nei  dintorni 
di  Solmona,  e quella  della  Marsica:  in  modo  analogo  sono  uti- 
lizzate le  argille  di  Anversa  (circondario  di  Solmona)  e quelle 
di  Sassa,  di  Capitignano  e di  Bussi,  nel  circondario  di  Aquila. 
La  qualità  di  queste  argille  sarebbe  dovunque  ottima.*  » 

Nella  provincia  di  Chieti  si  citano  giacimenti  di  argille  cao- 
liniche  più  o meno  refrattarie  nei  territorii  di  Guardiagrele,  di 
Rapino  e di  Gessopalena  ; i primi  due  nel  circondario  di  Chieti, 
il  terzo  in  quello  di  Lanciano. 

Calabria.  — Come  fu  accennato  più  sopra,  havvi  in  provincia 
di  Catanzaro  il  caolino  di  Tropea,  bianco  e derivato  dalla  de- 
composizione dei  graniti  di  Calabria.  Si  lavora  ed  è messo  in 
commercio.  Nella  stessa  località  havvi  anche  il  Fetunzé^  sotto 
forma  di  sabbia  bianca. 

Per  la  provincia  di  Reggio  si  cita  un  caolino  nella  comunità 
di  Pedavoli,  circondario  di  Palmi,  ad  un’  ora  di  distanza  circa 
dall’  abitato,  e in  prossimità  di  una  cava  di  scisto  cloritico. 

Il  signor  Lenzi,  fabbricante  di  prodotti  ceramici  in  Napoli, 
assicura  che  in  Calabria  si  rinviene  anche  della  terra  refrattaria, 
la  quale  venne  da  esso  esperimentata  con  successo.  ^ 

Sicilia.  — Per  la  Sicilia  il  De  Bordi  nella  sua  Mineralogie 
Siciìienne  (Turin  1780)  dà  P elenco  di  molte  terre  argillose  da 
esso  dichiarate  plastiche  e refrattarie,  e fra  le  quali  presentano 
i maggiori  caratteri  di  purezza  certe  argille  di  Taormina,  di 
Messina,  del  fiume  Niso,  di  Catania,  di  Siracusa,  di  Ragusa,  di 
Butèra,.  di  Licata,  di  Castrogiovanni,  di  Salemi,  di  Raccuja,  del- 


’ Relazione  della  Cam.  di  Comm.  di  Aquila  pel  1865. 

^ Feldispato  non  alterato  misto  a granuli  di  quarzo,  che  si  unisce  al  caolino 
per  comporre  la  pasta  da  porcellana. 

® Atti  Inchiesta  Industriale,  dep.  scritte,  voi.  IH,  cat.  15,  par.  6. 


— 320  - 


r Isola  Alicuri  e dell’  Isola  Salina  (ambedue  del  gruppo  delle 
Lipari). 

Anche  il  Ferrara  parla  favorevolmente  delle  argille  siciliane, 
e nella  sua  Storia  Naturale  della  Sicilia  (Catania  1813)  scrisse 
quanto  segue  : « L’  argilla  da  porcellana  è comunissima  in  molti 
luoghi  deir  Isola  ; ne  ho  veduto  dei  grossi  filoni  nelle  montagne 
del  Pelerò  ; grigia  giallastra,  o rossastra,  friabile,  matta,  polve- 
rulenta, che  si  attacca  alla  lingua  assorbendone  l’umido,  magra 
al  tatto  e che  non  si  fonde  affatto  senza  addizione.  Si  sa  che 
secondo  le  analisi  di  Vauquelin  contiene  silice,  allumina,  calce, 
ferro,  acqua  ; e che  in  altra  analisi  non  vi  si  è trovata  la  calce. 
Ne  ho  osservati  dei  grandi  ammassi  in  alcuni  discavi  nel  con- 
torno di  Catania,  ed  egli  è certo  che  ne  potrebbe  ritrovare 
sempre  colui  che  andrebbe  in  cerca  di  essa  allorché  profittando 
dei  filoni  del  felspato  micaceo  decomposto  in  massa  terrosa 
bianca,  che  così  abbondano  nelle  montagne  granitiche  del  Peloro, 
vorrebbe  impiegarsi  alla  fabbrica  della  porcellana  che  come  è 
noto  resulta  da  questa  argilla,  e dal  felspato  che  serve  di  fon- 
dente per  favore  senza  dubbio  della  potassa  che  le  analisi  del- 
P esatto  Vauquelin  ci  hanno  dimostrato  esistervi,  e dalla  quale 
deve  ripetersi  la  grande  fusibilità  del  felspato.  » 

E qui  cessano  le  nostre  informazioni  circa  i probabili  giaci- 
menti di  caolini  e di  argille  refrattarie  in  Italia:  è a desiderarsi 
che  ulteriori  ricerche  vengano  fatte  e che  da  esse  si  possa  ri- 
cavare qualche  cosa  di  più  positivo  sull’  importante  questione. 

P.  Zezi. 


Roma,  ottobre  1875. 


— 321  - 


NOTIZIE  BIBLIOGRÀFICHE. 


A.  Manzoni.  — 1 Briozoi  del  pliocene  antico  di  Castrocaro. 

Bologna,  1875. 

Ecco  una  nuova  ed  interessante  monografia  che  il  dottor  Man- 
zoni aggiunge  alle  altre  già  da  esso  pubblicate  intorno  ai  Briozoi 
fossili.  Ne  offre  argomento  la  ricca  fauna  di  Castrocaro  presso 
Forlì,  tanto  copiosa  di  forme  diverse  da  caratterizzare  da  sè  sola 
quel  piano  quand’  anche  vi  mancasse  qualsiasi  altra  specie  di  or- 
ganismi fossili  : questo  deposito  a briozoi  è senza  dubbio  il  più 
ricco  che  si  conosca  finora  nei  terreni  pliocenici  italiani  ; e nes- 
sun altro  deposito  italiano,  ad  eccezione  di  quello  classico  del 
gruppo  di  Crosara  illustrato  dal  Reuss,  può  competere  con  quello 
di  Castrocaro  per  la  copia  e la  conservazione  dei  resti  di  briozoi. 
Per  queste  sue  qualità  il  deposito  di  Castrocaro  può  parago- 
narsi a quello  dell’  antico  pliocene  d’ Inghilterra  {Bed  and  white 
crag  di  Suffolk)  ed  ai  ricchissimi  dei  terreni  miocenici  d’Austria 
e d’  Ungheria  ; inoltre  al  par  di  questi  presenta  una  decisa  pre- 
valenza dei  briozoi  cheilostomati  sui  ciclostomati,  e,  per  i primi, 
una  grande  preponderanza  dei  generi  Lepralia  e Membranipora 
sugli  altri. 

Il  deposito  a briozoi  italiano  al  quale  quello  di  Castrocaro 
si  identifica  maggiormente,  è quello  di  Parlascio  e San  Frediano 
nelle  Colline  Pisane  ; il  quale  pure,  benché  in  più  modeste  pro- 
porzioni, contiene  una  fauna  di  briozoi  che  di  per  sè  sola  carat- 
terizza la  formazione.  La  fauna  di  queste  due  località  si  mostra 
collegata  con  quella  dei  mari  attuali  e con  quella  dei  pliocenici, 
piuttostochè  colle  faune  più  antiche  ; ed  a prova  di  questa  asser- 
zione vedasi  il  quadro  comparativo  dall’  Autore  posto  in  fine  del 
lavoro,  nel  quale  i termini  di  confronto  sono  : terreni  coetanei  di 
Castrocaro,  il  pliocene  di  Parlascio  e San  Frediano  ed  il  Crag 
d’Inghilterra;  più  antichi,  Crosara  ed  i depositi  austro-ungarici; 


22 


— 322  — 

più  moderni,  il  pliocene  di  Reggio  Calabria,  il  quaternario  di 
Livorno  ed  i mari  attuali. 

Nell’opera  del  dottor  Manzoni  sono  descritte  83  forme  di 
briozoi  dei  deposito  di  Castrocaro,  e fra  queste  25  non  poterono 
essere  identificate  a forme  viventi  o fossili  già  conosciute,  per 
cui  furono  battezzate  con  nomi  nuovi  ; di  queste  specie  nuove 
ben  22  appartengono  alla  famiglia  dei  Clieilostomati  inaìiicolati, 
e la  più  parte  di  esse  è del  genere  Lepredia.  Le  specie  descritte 
sono  rappresentate  da  sette  tavole  egregiamente  disegnate  dal- 
r Autore  stesso  e con  molta  cura  litografate  : l’ ingrandimento 

sotto  il  quale  ciascun  briozoo  è disegnato  nelle  tavole,  non  è 

\ 

uguale  per  tutte  le  figure,  e per  alcune  specie  havvi  anche  il 
disegno  in  grandezza  naturale. 

Aggiungiamo  infine  che  di  questa  monografia  furono  stam- 
pate sole  100  copie  a spese  esclusive  dell’  Autore,  e che  chiun- 
que volesse  ottenerla  per  studio  potrà  rivolgersi  direttamente  ad 
esso,  non  trovandosi  la  medesima  in  commercio. 

Facciamo  voto  perchè  1’  esempio  del  dottor  Manzoni  trovi 
imitatori  in  Italia,  e che  lo  studio  dei  briozoi  fossili,  finora  po- 
chissimo curato  da  noi,  q)Ossa  entrare  a far  parte  della  paleon- 
tologia ben  conosciuta  dei  terreni  terziari  d’ Italia. 


G.  V.  Rate.  — I Monconi  nella  parte  S.  E.  del  Tiroh: 

Bonn  1875. 

In  questa  pregevole  memoria  l’ Autore  richiama  1’  attenzione 
dei  geologi  e dei  mineralogisti  sopra  alcuni  punti  di  maggiore 
importanza,  riguardanti  le  roccie  ed  i minerali  dei  Monzoni,  i 
quali  furono  toccati  parzialmente  nelle  molteplici  descrizioni  di 
quei  classici  monti,  e ne  trae  occasione  per  fare  nuove  ed 
interessanti  osservazioni. 

Il  gruppo  dei  Monzoni  consta  di  molte  specie  di  rocce,  i cui 
tipi  però  sono  due,  e cioè  la  Sienite  augitica  ed  il  Diabase: 
questo  studio  ci  insegna  dunque  a conoscere  una  nuova  varietà 
della  sienite  ; anche  il  diabase  dei  Monzoni  si  distingue  sostan- 
zialmente dai  soliti  tipi.  Una  gran  parte  del  gruppo  consta  di 


323 


Sienite  augitica,  miscuglio  cristallino-granulare  di  Ortose,  Pla- 
gioclasio  ed  Augite  : i componenti  accessori  sono  Titanite,  Orne- 
blenda,  Pirite  di  ferro,  Ferro  magnetico,  Apatite.  In  qualche 
varietà  predomina  P Ortose  (Valle  dei  Kizzoni  e Piano  dei  Mon- 
zoni),  in  altre  invece  esso  cede  quasi  completamente  il  posto  al 
Plagioclasio.  L’ Autore  dà  il  nome  di  Diabase  a quella  forma 
litologica  che  prima  d’  ora  fu  chiamata  Iperstenite  ; essa  consta 
essenzialmente  di  Labradorite  con  Ortose,  Augite,  Biotite,  Orne- 
blenda,  Titanite,  Ferro  magnetico.  Pirite  ed  Apatite;  e,  più  ra- 
ramente, Tormalina,  Granato,  Epidoto,  Axinite,  Cabasite  e Preh- 
nite.  In  alcune  varietà  della  roccia,  la  Labradorite  scompare  quasi 
completamente,  predominandovi  quasi  per  intiero  V Augite  : in 
questo  caso  vi  si  rinvengono  talvolta  druse  di  cristalli  d’ Augite 
ben  conformati.  E interessante  ancora  la  presenza  nei  Monzoni 
di  una  roccia  diallagio-labradoritica  ; una  mescolanza  di  granuli 
grossolani  di  Labradorite,  di  Augite  molto  simile  a Diallagite, 
Olivina,  poca  Biotite  e Ferro  magnetico.  La  presenza  deli’  Olivina 
nelle  rocce  dei  Monzoni  non  era  ancora  stata  osservata.  Impor- 
tantissime sono  le  analisi  di  feldispati,  come  pure  del  diallagio  e 
deli’  orneblenda  presi  da  queste  rocce  ; e interessanti  sono  pure 
la  determinazione  ottica  di  un  diallagio  del  professor  Websky, 
e le  ricerche  microscopiche  eseguite  dal  professor  Bosenbusch 
sopra  alcuni  diabasi.  » ’ 

A questa  prima  parte  del  lavoro  fa  seguito  la  descrizione 
dei  giacimenti  minerali  e di  alcune , specie  che  in  essi  si  tro- 
vano. Al  disotto  dei  giacimenti  minerali  connessi  al  contatto 
delle  rocce  eruttive  e del  calcare,  ve  ne  ha  uno  dei  più 
notevoli;  un  giacimento  cioè  di  Fassaite,  nel  versante  setten- 
trionale del  Monte  Ricorbetta  ad  un’  altezza  di  circa  2200  me- 
tri. Quivi  si  osserva  una  massa  ellissoidale  di  calcare  cristal- 
lino, racchiuso  tutto  alT  ingiro  da  diabase  ; e ad  immediato 
contatto  di  queste  due  rocce  trovasi  la  Fassaite.  Un’  altra  lo- 
calità molto  interessante  per  lo  studio  dei  fenomeni  di  contatto, 
trovasi  ad  un’  altezza  di  circa  600  metri  sopra  la  parte  supe- 
riore del  Piano  dei  Monzoni  : colà,  in  mezzo  ad  un  selvaggio  ed 
alpestre  ammasso  di  rupi,  elevasi  uno  scoglio  arrotondato,  la 
cui  metà  meridionale  è formata  di  calcare,  la  settentrionale  di 
sienite.  Presso  il  contatto,  il  calcare,  che  a distanza  è compatto. 


324  — 


è convertito  in  un  bel  marmo  cristallino:  tra  il  marmo  e la 
sienite  vi  è un  banco  di  calcite  a grossi  cristalli  della  potenza 
di  72  ad  1 metro,  ripieno  di  minerali,  come  Granato  e Augite 
raggiata:  immediatamente  al  limite  verso  la  sienite,  presentansi 
aggregati  granulari  e lastre  di  un  Granato  giallo  e bruno,  al 
quale  si  associano  liste  di  Augite  raggiata  completamente  analoga 
a quella  dell’  Elba. 

Nella  parte  S.  E.  dei  Monzoni,  al  contatto  della  sienite 
augitica,  trovansi  giacimenti  di  Epidoto  accompagnato  da  Gra- 
nato, Sfeno,  Plagioclasio  e Zircone.  Una  località  ancor  più 
ricca,  sotto  questo  riguardo,  è la  valle  dei  Eizzoni:  colà  do- 
mina la  sienite  augitica,  nella  quale  son  racchiusi  strati  e 
noduli  di  un  marmo  in  molte  guise  impregnato  di  minerali  di 
contatto,  Anortite,  Adularia,  Fassaite,  Biotite,  Monticellite,  Pleo- 
nasto,  Titanite,  Apatite,  Ferro  magnetico.  Sono  molto  notevoli  i 
cristalli  di  Anortite,  raggiungendo  essi  la  grossezza  di  6 centi- 
metri,  e la  Monticellite  0 compatta  0 in  granuli  cristallini.  Fi- 
nalmente nella  valle  della  Foglia  trovasi  un  giacimento  di  Cey- 
lanite  e di  Brandisite;  e la  Fassaite,  vi  si  incontra. in  cristalli 
geminati  di  speciale  bellezza. 


E.  yoN  Mojsisoyics.  — Sull’  estensione  e la  striiUura  delle 
masse  dolomitiche  nel  S.E.  del  Tirolo.  — (Sitz.  k.  Ak.  der 
Wiss.,  B.  71,  Mai  H.,  Wien  1875). 

In  questo  interessante  lavoro  l’Autore  dà  relazione  di  alcune 
nuove  ed  importanti  ricerche  eseguite  nelle  vallate  di  Groden, 
di  Abtey  e di  Buchenstein  nel  Tirolo  meridionale,  e ne  trae 
solidi  argomenti  per  confermare  la  teoria  di  Kichthofen,  che  cioè 
quelle  masse  dolomitiche  debbano  la  loro  origine  a formazioni 
madreporiche  dolomitizzate. 

Negli  ultimi  tempi  del  periodo  del  Muschelìcalh  doveva  esi- 
stere per  tutto  quel  territorio  una  specie  di  grande  altipiano 
dolomitico,  continuo  e pianeggiante,  e solo  più  tardi  vi  si  dovet- 
tero formare  avvallamenti,  i quali  riempironsi  di  sedimenti  mar- 
nosi, il  cui  risultato  fu  di  separare  fra  di  loro  sei  masse  dolo- 


325  — 


mitiche  che  ora  vedonsi  affatto  isolate  : a questa  formazione 
marnosa  appartengono  i terreni  caratteristici  di  Buchenstein,  di 
Wengen  e di  San  Cassiano.  Al  limite  fra  la  regione  dolomitica 
e la  marnosa,  corre  dovunque  una  zona  di  calcare  corallino,  il 
quale  e da  un  lato  e dall’  altro  passa  insensibilmente  alle  due 
formazioni  contermini. 

Ad  eccezione  di  qualche  indizio  di  stratificazione  nella  parte 
più  elevata  dei  gruppi,  corrispondente  ai  depositi  operatisi  nella 
laguna  centrale  della  scogliera  madreporica,  la  dolomite  si  pre- 
senta generalmente  in  masse  compatte  : la  sua  struttura  è frequen- 
temente quella  di  un  conglomerato,  nel  quale  si  vedono  grossi 
blocchi  corallini  fra  di  loro  cementati  da  una  pasta  dolomitica. 

L’ incominciare  della  attività  vulcanica  nella  Valle  di  Fassa 
è indicato  da  una  decisa  linea  di  separazione  fra  la  dolomite 
degli  strati  di  Buchenstein  e quella  degli  strati  di  Wengen;  il 
che  dimostra  che  vi  fu  un  periodo  di  sosta  nel  generale  abbas- 
samento del  fondo  marino.  Seguirono  poscia  le  eruzioni  di  grandi 
masse  vulcaniche,  le  quali  nelle  regioni  più  settentrionali  si 
vedono  intercalate  in  forma  di  correnti  alla  base  degli  strati 
di  Wengen. 

Queste  sono  le  conclusioni  principali  alle  quali  giunse  l’Autore. 


E.  Stoehr.  — “ KatecMsmus  der  BerghatiMnde. 

Wien,  1875. 

L’ ingegnere  Emilio  Stòhr,  conosciuto  assai  favorevolmente  in 
Italia  per  i suoi  studii  intorno  alle  Salse  del  Modenese,  ai  ter- 
reni terziari  di  Montegibio,  alle  argille  scagliose  dell’  Apennino 
settentrionale  ed  ai  terreni  lignitiferi  del  Valdarno  superiore, 
ha  di  recente  dato  alla  luce  in  Germania  un  interessante  e ben 
fatto  prontuario  per  la  lavorazione  delle  miniere,  compilato  colla 
scorta  della  esperienza  dall’  Autore  acquistata  come  direttore  di 
siffatte  lavorazioni.  Lo  scopo  del  libro  è essenzialmente  pratico, 
come  quello  che  si  propone  di  trattare  ad  uno  ad  uno  tutti  i 
quesiti  dell’  arte  mineraria,  nella  forma  più  facile  ed  in  modo 
succinto,  avuto  sempre  riguardo  tanto  ai  principii  della  scienza, 
quanto  ai  dati  suggeriti  dalla  pratica  : esso  è destinato  a correre 


— 326 


fra  le  mani  delle  persone  addette  a lavori  minerarii,  ed  a for- 
nire in  poche  parole  la  soluzione  di  qualsiasi  quesito  riguardante 
r arte  loro  ; la  disposizione  stessa  del  manuale,  per  domanda  e 
risposta,  rende  le  ricerche  a questo  scopo  assai  brevi  e facili. 

A dare  una  idea  più  esatta  del  valore  del  libro,  basterà  in- 
dicare quali  sieno  gli  argomenti  trattati  nelle  dodici  principali 
sue  divisioni  : V Del  modo  di  presentarsi  dei  giacimenti  mi- 
nerali utili  (giacimenti  regolari,  irregolari,  superficiali  ; giacimenti 
nelle  varie  formazioni  geologiche  ; ricerca  dei  medesimi).  2°  Dei 
lavori  per  raggiungere  il  giacimento  utile  (metodi  diversi  di  la- 
vorazione ; lavoro  puramente  manuale  e lavoro  con  macchine  ; 
macchine  da  scavo).  S*"  Dei  lavori  di  apprestamento  (discenderie, 
gallerie,  pozzi  ; riattivazione  di  antichi  lavori).  4°  Dei  vari  me- 
todi di  lavorazione  (per  gradini  rovesci  o diritti,  per  montanti 
trasversali,  per  pilastri,  per  camere  di  scavo  ec.  ; lavori  di  ap- 
profondamento  ; lavori  allo  scoperto).  5°  Della  sicurezza  dei  lavori 
(armature  in  legno  ; murature  ; mezzi  preventivi  contro  l’ inva- 
sione delle  acque).  6°  Dell’  avanzamento  dei  lavori  (per  gallerie, 
per  pozzi,  lavori  allo  scoperto  ; trasporto  interno,  estrazione, 
strade  ferrate,  macchine,  motori  ec.)  T Del  trasporto  degli  operai 
(per  pozzi  inclinati  e per  pozzi  verticali).  8°  Della  eduzione  delle 
acque  (chiuse  di  ritegno  ; scarico  ed  elevazione  delle  acque). 
9°  Della  ventilazione  (naturale  ed  artificiale).  10“  Della  illumina- 
zione (lampade  di  sicurezza).  11“  Degli  incendii  nelle  miniere. 
12“  Del  personale  lavorante  e delle  mercedi. 

Il  libro  è corredato  da  48  incisioni  in  legno,  rappresentanti 
figure  schematiche  e disegni  di  apparecchi,  le  quali  facilitano 
grandemente  l’ intelligenza  delle  cose  esposte  nel  testo. 

Da  questa  semplice  enumerazione  delle  materie  trattate  ap- 
pare come  l’Autore  abbia  saputo  raccogliere  in  un  volume  di 
piccola  mole  quanto  può  occorrere  al  minatore  nell’  esercizio  della 
sua  professione,  esponendo  il  tutto  in  una  forma  facile  ed  ac- 
cessibile alla  intelligenza  delle  persone  alle  quali  il  manuale 
è destinato.  Sarebbe  perciò  desiderabile  che  si  intraprendesse 
la  traduzione  e la  pubblicazione  in  italiano  di  questo  libro,  onde 
venga  diffuso  fra  i minatori  italiani  e forse  anche  adottato  per 
r insegnamento  nelle  nostre  scuole  minerarie. 


— 327  — 


J.  Dana:  Marnai  of  Geology  ; Second  Edition. 

New- York,  1875. 

Annunciamo  con  soddisfazione  la  comparsa  di  una  seconda 
edizione  di  quest’  opera  capitale  dell’  illustre  geologo  americano. 

Nella  introduzione  1’  Autore  giustifica  i motivi  che  lo  hanno 
indotto  ad  imprimere  all’  opera  sempre  più  un  carattere  prevalen- 
temente americano.  Le  principali  divisioni  sono  quelle  stesse  già 
prima  d’  ora  esposte  dal  Dana,  e conformi  alle  più  universali  co- 
gnizioni ed  ai  sistemi  ornai  adottati,  cioè  Geologia  fisiografica, 
Geologia  litologica,  Geologia  istorica  e Geologia  dinamica. 

In  questa  seconda  edizione  abbiamo  osservato  le  seguenti  va- 
riazioni nella  nomenclatura  e nell’  aggruppamento  dei  terreni  : 
r La  prima  epoca  della  formazione  della  terra  fu  chiamata  Ar- 
caica e non  Asoica  ed  Eosoica  come  nella  prima  edizione,  e ciò 
in  causa  della  impossibilità  di  segnare  un  limite  deciso  fra. le 
formazioni  azoiche  e la  comparsa  degli  organismi.  2°  L’ antica 
denominazione  di  Gruppo  di  Fotsdam  od  Epoca  primordiale,  fu 
sostituito  dall’  altra  di  Periodo  primordiale  o Cambrico,  essendo 
questo  piano  affatto  identico  al  Cambriano  dei  geologi  inglesi. 
3°  L’  Arenaria  del  Galcifero  e il  Calcare  di  Cha^y,  dettero  luogo 
al  Gruppo  Canadese  (Siluriano  inferiore)  che  comprende  il  Gruppo 
di  Quehec  cotanto  ricco  di  fossili.  4®  Il  Calcare  di  Trenton,  gli 
Scisti  e calcari  di  litica  e il  Gruppo  di  Cincinnati,  costituiscono 
il  Gruppo  di  Trenton.  5'’  L’  antico  Gruppo  di  Hudson  è abolito, 
e si  passa  immediatamente  dal  Trenton  al  Niagara.  6°  Infine  il 
vocabolo  di  Fost-ter^iario  fu  sostituito  dal  Quaternario  od  Epoca 
deìV  uomo. 

Nella  conclusione  della  geologia  dinamica,  ove  vengono  trat- 
tate le  leggi  più  importanti  per  la  formazione  della  terra,  l’Au- 
tore getta  ancora  uno  sguardo  alla  storia  della  creazione  biblica, 
e ne  deduce  il  seguente  ordinamento  : 

1“  Era  inorganica, 
r giorno  = Luce  cosmica. 

2°  » ==  Separazione  della  terra  dai  fluidi. 


I 


— 328  — 

i 1 Delimitazione  della  terra  e dell’  acqua. 

( 2 Creazione  di  una  vegetazione. 

Era  organica. 

Luce  del  sole. 

Creazione  degli  ordini  inferiori  degli  animali. 
i 1 Creazione  dei  mammiferi. 

( 2 Creazione  dell’  uomo. 

Volendo  trovare  un  accordo  fra  la  cosmogonia  biblica  e la 
scienza,  crediamo  non  si  possa  pervenire  ad  un  resultato  diverso 
da  questo. 

Più  di  1100  incisioni  intercalate  nel  testo,  servono  a facili- 
tare al  lettore  l’ acquisto  di  nuove  cognizioni  in  rapporto  alla 
struttura  della  crosta  terrestre,  alla  distribuzione  delle  terre  e 
dei  mari,  alla  condizione  di  giacimento  e alla  struttura  delle 
rocce,  al  loro  carattere  litologico  e allo  sviluppo  della  vita  or- 
ganica nelle  diverse  epoche  della  formazione  del  globo. 

Sotto  qualunque  aspetto,  il  Mamtal  of  Geology  del  Dana  è 
un’  opera  intieramente  originale,  la  quale  manifesta  le  molteplici 
e profonde  ricerche  dell’Autore  in  tutti  i rami  delle  scienze  na- 
turali, e si  collega  a tutti  i preziosi  tesori  di  cognizioni  dovute 
alle  recenti  importantissime  ricerche,  specialmente  eseguite  nel- 
l’ America  del  Nord.  Però  anche  altre  parti  del  mondo,  e segna- 
tamente r Europa,  entrano  nella  cerchia  delle  sue  osservazioni, 
come  era  da  aspettarsi  da  un  uomo  che  ebbe  una  parte  così 
cospicua  nel  promuovere  i progressi  della  scienza,  e che  per 
primo  assegnò  alla  fteologia,  come  scienza  universale,  il  posto 
che  le  si  conveniva. 


3®  giorno  = 
2" 

4*^  » = 

» = 

» = 


NOTIZIE  DIVERSE. 


Le  ultime  eruzioni  vulcaniclie  dell’  Islanda.  — Nella  notte 
dal  29  al  30  marzo  di  quest’  anno  cadde  sopra  gran  parte  della 
Norvegia  una  cenere  vulcanica  grigio-chiara  che,  oltrepassando 
i confini  della  Svezia,  giunse  fino  a Stokolma.  Era  naturale  che 


— 329  — 


si  supponesse  provenire  la  medesima  dall’  Islanda,  trasportata  da 
venti  tempestosi  di  KO.  Questa  supposizione  rimase  infatti  pie- 
namente confermata  dalle  notizie  giunte  in  seguito  da  quell’  isola 
che  riferirono  quanto  segue. 

Fino  dal  15  decembre  1874  nella  parte  settentrionale  ed 
orientale  dell’  isola,  terremoti  non  molto  forti,  ma  continui  tal- 
mente che  sarebbe  stato  impossibile  il  numerarli,  annunziarono 
r avvicinarsi  di  eruzioni  vulcaniche.  Infatti  qualche  giorno  dopo 
dai  villaggi  a settentrione  del  Vatnajokul  (Jokul  significa  mon- 
tagna coperta  di  neve)  fu  veduto  un  gran  fuoco  verso  il  Sud 
indicante  appunto  la  nuova  eruzione.  Si  venne  a sapere  in  se- 
guito che  questa  eruzione  aveva  avuto  luogo  nel  Dyngufjeld  a 
Nord  del  Vatnajokul.  Fu  tentata  una  spedizione  fin  là,  ma  non 
fu  possibile  avvicinarvisi  più  di  un  centinaio  di  passi:  si  potè 
però  constatare  che  l’ eruzione  aveva  il  suo  centro  in  mezzo  ad 
una  montagna  di  forma  circolare  e conosciuta  col  nome  di  Askja. 
Il  cratere  emetteva  una  grande  quantità  di  cenere  e di  lava  che 
si  elevava  a parecchi  piedi  d’  altezza.  Altri  crateri  secondari 
emettevano  acqua  che  andava  poi  a radunarsi  in  un  piccolo  lago. 
Il  suolo  coperto  di  lava  era  screpolato  in  molti  punti,  ed  aveva 
dato  luogo  a fessure  e a sprofondamenti. 

Il  18  febbraio  1875  da  Grimsstadir  fu  osservato  un  fuoco 
energico  molto  esteso  in  lunghezza  nei  monti  orientali  posti  fra 
Myvatnsbygden  e il  fiume  dell’  Jokul  (Jòkulsaaen)  che  prendono  il 
nome  di  Myvatnsòrkenen  ed  Oesterfjeldene.  Una  spedizione  giunse 
fin  là,  ma  1’  eruzione  era  già  terminata  ; la  lava  però  era  tuttora 
rovente  : alcuni  crateri  erano  sempre  aperti,  altri  erano  stati  ot- 
turati dalle  scorie  e dalle  pomici  che  vi  si  riversavano.  La  cor- 
rente della  lava  raggiungeva  complessivamente  2 miglia  e mezzo 
geografiche  in  lunghezza  e circa  500  metri  in  larghezza. 

Il  10  marzo  si  aprì  un  nuovo  cratere  sugli  stessi  monti,  ma 
un  poco  più  verso  Nord;  quindi  il  29  dello  stesso  mese  inco- 
minciò una  grande  eruzione  a Sud  dell’  Jokul  Herdubreid  e ad 
oriente  del  Dyngufjeld,  i prodotti  della  quale  giunsero  appunto 
fino  oltre  le  coste  della  Scandinavia.  Per  ora  non  si  è potuto 
sapere  con  precisione  se  il  cratere  trovisi  nel  Vatnajokul  o nel 
Dyngufjeld,  ma  è certo  che  emise  una  quantità  di  cenere  tal- 
mente straordinaria,  che  per  più  giorni  rimase  impedito  il  pas- 


— 330  — 


saggio  del  fiume  dell’  Jokul.  Nella  parte  orientale  dell’  isola  la 
caduta  della  cenere  era  così  fitta  che  la  luce  solare  non  poteva 
attraversarla,  e si  dovette  accendere  i lumi  nel  bel  mezzo  del 
giorno.  Queste  tenebre  durarono  diverso  tempo  secondo  la  di- 
stanza dal  vulcano  ; così  nella  valle  dell’  Jokul  durarono  5 ore, 
in  quella  del  Fljot  3 ore,  nel  Seydisfjord  2 ore.  Lo  strato  di 
cenere  era  di  6 pollici  nella  prima  località  e di  2 nell’  ultima. 
In  seguito  alla  caduta  di  queste  ceneri,  immense  estensioni  sulle 
quali  si  esercitavano  le  pasture  dovranno  essere  abbandonate  e 
rimarranno  deserte. 

Secondo  i calcoli  del  professor  Mohn  di  Cristiania,  le  ceneri 
dell’  Herdubreid  per  giungere  alle  coste  della  Scandinavia,  do- 
vettero percorrere  una  distanza  di  170  miglia  geografiche  colla 
velocità  di  40  miglia  1’  ora.  Non  è la  prima  volta  che  le  ceneri 
dei  vulcani  d’ Islanda  sono  portate  fino  alla  Scandinavia  : anche 
l’eruzione  dell’ Hecla  nel  1693  mandò  le  sue  ceneri  fino  alle 
Faròe  e sulle  coste  norvegesi.  La  distanza  di  questi  due  punti 
è quasi  uguale  a quella  del  Vesuvio  da  Costantinopoli,  ove  nella 
eruzione  del  472,  secondo  una  testimonianza  di  Procopio,  furon 
trasportate  le  ceneri  che  misero  il  terrore  nella  città. 

Alla  sera  del  4 aprile  sullo  stesso  altipiano  tra  Myvatnsbyg- 
den  e il  fiume  dell’  Jokul,  ma  un  poco  più  a Sud  dei  punti  ove 
accaddero  le  due  eruzioni  del  18  febbraio  e del  10  marzo,  si 
aprirono  tre  crateri  distribuiti  sopra  una  linea  meridiana  : il  cra- 
tere più  settentrionale  era  il  maggiore.  Un  centinaio  circa  di 
metri  ad  occidente  dei  crateri,  il  suolo  era  fratturato  da  una 
grande  spaccatura  diretta  anche  essa  da  N.  a S.  : e ad  oriente  della 
spaccatura  il  terreno  si  era  sprofondato  per  un’  altezza  di  3 o 
4 metri.  Il  cratere  settentrionale  lanciava  una  colonna  di  ma- 
teria infuocata  ad  un’  altezza  di  2 o 300  piedi,  prendendo  così 
r apparenza  di  un  Geyser  : la  estremità  superiore  della  colonna 
si  apriva  allora  e ricadeva  in  basso  simulando  il  getto  di  una 
fontana.  Questa  eruzione  non  era  continua,  ma  intermittente.  In 
mezzo  ad  un  continuo  romoreggiare,  prodotto  certamente  dal 
bollore  della  massa  dentro  il  cratere,  udivasi  di  tratto  in  tratto 
una  forte  detonazione  simile  a colpo  di  cannone,  ad  ognuna  delle 
quali  elevavasi  dal  cratere  una  colonna  di  vapore  bluastro; 
ciò  induce  a credere  che  provenissero  dallo  scoppio  di  masse 


— 331  — 

d’  aria  rinchiusa  nelle  lave.  La  emissione  delle  materie  infuocate 
accadeva  senza  detonazione. 

Ricerclie  geologiche  nel  mezzodì  della  Spagna.’  — Anche 
nella  Spagna  meridionale  si  hanno  ora  prove  della  esistenza  di 
grandi  ghiacciaj  in  un’  epoca  antistorica.  Il  signor  J.  Mac-Pherson 
di  Siviglia  dette  poco  tempo  fa  comunicazione  che  egli,  in  una 
escursione  eseguita  nella  primavera  trascorsa  nella  parte  occi- 
dentale della  Sierra  Nevada,  ha  raccolto  su  tal  proposito  le  prove 
più  indiscutibili.  Le  traccie  le  più  evidenti  di  un  ghiacciaio  fu- 
rono osservate  nella  valle  del  fiume  di  Lanjaron.  Le  pareti  della 
valle  sono  levigate  nel  modo  più  perfetto  : una  evidente  morena 
frontale  chiude  inferiormente  la  valle;  essa  è posta  a 700  metri 
sul  livello  del  mare.  Il  ghiacciaio  può  avere  avuto  una  lunghezza 
di  15  a 18  chilom.  I monti  dai  quali  scendono  gli  affluenti  della 
valle  elevansi  fino  a 3200  metri,  ma  al  presente  sulle  più  grandi 
altezze  nella  estate  rimane  appena  qualche  piccolo  lembo  di  neve 
di  limitatissima  estensione.  Il  signor  J.  Mac-Pherson  crede  pro- 
babile che  anche  tutte  le  altre  valli  della  parte  occidentale  della 
Sierra  Nevada  siano  state  occupate  da  ghiacciai.  caso  è 

di  parere  che  i depositi  di  grossi  ciottoli  che  trovansi  in  molti 
luoghi  verso  la  base  della  catena  e specialmente  nell’  Alhambra 
presso  Granata,  siano  stati  trasportati  dai  ghiacci  : .tutti  questi 
depositi  giacciono  a un  dipresso  alla  medesima  altitudine  di 
700  metri  sul  mare;  e questo  fu  verosimilmente  il  livello  fino  al 
quale  discesero  questi  antichi  ghiacciai. 

Il  signor  J.  Mac-Pherson  ha  fatto  di  recente  anche  altre 
notevoli  osservazioni  nella  provincia  di  Cadice,  poco  conosciuta 
geologicamente,  e ne  dà  alcuni  cenni  preliminari  in  alcune  brevi 
memorie.^  Egli  ha  fatto  specialmente  oggetto  di  ripetute  inda- 
gini le  montagne  della  Ronda  che  elevansi  a Nord  di  Gibilterra. 
Una  scoperta  di  grande  interesse  fu  qui  il  ritrovamento  di  una 
massa  di  serpentino  straordinariamente  estesa,  e che  evidente- 
mente è un  prodotto  di  metamorfismo  di  rocce  oliviniche.  Essa 

* Da  una  lettera  del  Prof.  F.  Roemer.  (Vedi,  Neues  Jahrbuch  fùr  Min. 
Geol.  und  Pai.,  1875,  H.  5.) 

^ Memoria  sabre  la  estructura  de  la  Serranìa  de  Ronda  e Geological  sketch 
of  thè  province  of  Cadiz. 


- 332  — 


domina  da  Tolosa  fino  a Manilba  per  una  lunghezza  di  oltre 
42  chilom.  ed  una  larghezza  di  18  a 20,  superando  così  in  esten- 
sione tutte  le  altre  masse  serpentinose  conosciute.  La  prova  più 
fondata  che  effettivamente  questo  serpentino  si  originò  dal  me- 
tamorfismo di  rocce  oliviniche,  fu  somministrata  dal  Mac-Pherson 
in  una  speciale  memoria  (Breves  apuntes  acerca  del  origen  pe- 
ridotico  de  la  serpentina  de  la  serrania  de  Benda.  — An.  de  la 
Soc.  espan.  de  hist.  nat.,  Tom.  IV.  Sesion  del  3 de  fehr.  1875). 
Il  nucleo  deir  intiera  massa  è in  parte  tuttora  formato  di  roccia 
olivinica  : essa  contiene  piccole  particelle  di  Picotite  o Cromospi- 
nello qua  e là  sparse  ; però  anche  nella  maggior  parte  dei  blocchi 
di  serpentino  si  possono  riconoscere  piccole  parti  di  olivina 
inalterata.  I più  evidenti  passaggi  dalla  olivina  cristallina  inal- 
terata al  serpentino  perfettamente  amorfo,  possono  osservarsi 
dappertutto.  Per  queste  ricerche  fu  praticata  con  molto  vantag- 
gio anche  P osservazione  microscopica  sulle  lastre  sottili  ; e nella 
memoria  di  cui  sopra  sono  presentate  due  tavole  con  disegni 
bene  eseguiti  di  sezioni  ingrandite.  Per  mezzo^  di  questa  scoperta 
sono  state  ampliate  le  cognizioni  che  si  avevano  fino  ad  ora 
sulla  estensione  e sulla  trasformazione  in  serpentino  delle  rocce 
peridotiche  della  catena  montuosa  di  Eonda. 

Le  piriti  in  Francia.  — È noto  come  in  Francia  le  piriti 
di  ferro  sieno  oggetto  di  una  lavorazione  considerevole  per 
la  fabbrica  dell’  acido  solforico  : il  consumo  di  piriti  nazionali 
nello  scorso  1874  fu  di  180,000  tonnellate  per  la  Francia,  e 
di  520,000  per  l’Inghilterra:  con  tutto  ciò  P industria  francese 
importa  per  lo  stesso  scopo  le  piriti  dal  Belgio,  dalla  Norvegia 
e dalla  Spagna. 

I giacimenti  francesi  più  celebri  possono  essere  riuniti  in 
due  gruppi;  il  primo  situato  nel  dipartimento  del  Rodano  (Chessy 
e Saint-Bel),  l’altro  nei  dipartimenti  del  Gard  e delPArdéche  e 
si  compone  di  parecchi  importanti  giacimenti,  come  Pallières, 
Saint-Martin,  Saint-Julien,  ec.  Le  piriti  del  Rodano  formano  due 
categorie:  la' prima,  che  appartiene  alla  regione  settentrionale, 
comprende  piriti  con  46  a 48  7o  solfo  e con  semplici  traccie 
di  arsenico  ; la  seconda,  nella  regione  meridionale,  ha  delle  pi- 
riti più  pure  e con  50  a 53  di  solfo.  Le  piriti  del  Gard  sono 


ì 


— 333  - 


importantissime  dal  punto  di  vista  del  rendimento  dei  giacimenti,  e 
raggiungono  il  45  7o  solfo  : quelle  delFArdéche  sono  forse  meno 
importanti,  contengono  45  a 50  di  solfo,  ma  talvolta  hanno  per- 
sino 3 millesimi  di  arsenico.  In  quanto  alla  massa  totale  di  pi- 
rite che  ancora  resta  ad  estrarsi,  i signori  Girard  e Morin,  che 
fecero  interessanti  studii  in  proposito,  credono  che  le  fabbriche 
francesi  di  prodotti  chimici  possono  calcolare  di  avere  questa 
materia  prima  assicurata  per  un  centinaio  d’  anni  almeno,  e ciò 
non  tenendo  calcolo  che  dei  giacimenti  conosciuti  finora. 

Formazione  contemporanea  dei  minerali.  — Nella  seduta 
del  26  Luglio  scorso  dell’  Accademia  delle  Scienze  di  Parigi, 
il  Prof.  Daubrée  ha  presentato  nuove  ed  interessanti  notizie  sulla 
formazione  contemporanea  dei  minerali  nelle  sorgenti  termali  di 
Bourhonne-les-Bains,  dove,  in  un  antico  pozzo  di  epoca  romana, 
si  rinvennero,  insieme  con  medaglie  di  bronzo,  argento  ed  oro, 
ed  altri  prodotti  artificiali,  i seguenti  minerali  : Càlcosina,  in 
cristalli  assai  distinti  e talvolta  geminati,  coprente  il  solfato  di 
rame  ; calcopirite  colle  sue  tinte  caratteristiche  e i suoi  cristalli 
piramidali  ; hornite  in  cristalli  ettaedrici  od  esaedrici  ; rame 
grigio  o tetraecìrite  con  26,  40  7o  di  antimonio  ; infine  galena, 
anglesite,  limonite,  pirite,  cabasite  e armotoma.  Furono  analizzate 
due  medaglie  di  bronzo  ed  una  di  ottone  trovate  entro  lo  stesso 
pozzo,  nello  scopo  di  ricercare  d’ onde  provenisse  P antimonio 
che  servì  alla  formazione  dei  cristalli  di  tetraedrite;  e questa 
analisi  non  indicò  traccia  alcuna  di  questo  metallo,  ma  bensì  una 
proporzione  notevole  di  piombo.  La  stessa  osservazione,  eseguita 
sopra  un  pezzo  di  piombo  trovato  presso  le  medaglie,  in  parte 
ossidato  e passato  allo  stato  di  carbonato  e di  solfato,  diede  il 
medesimo  resultato  negativo  in  quanto  all’  antimonio,  ma  constatò 
un  torace  di  10,40  7o  di  stagno.  Sopra  un  tubo  di  piombo  pro- 
veniente dalla  stessa  località  si  trovarono  dei  cristalli  bianchi, 
splendenti,  in  forma  di  prismi  a otto  faccio  e angoli  eguali,  of- 
frenti tutti  i caratteri  della  phosgenite  (carbonato  di  piombo  e 
cloruro  di  piombo  in  parti  prossimamente  uguali)  : questo  mine- 
rale formava  una  crosta  sulla  superficie  del  tubo,  ed  era  rico- 
perto da  uno  straticello  di  galena.  Infine  lo  stesso  prof.  Daubrée 
ha  rimarcato  che  un  pezzo  di'  ferro,  il  quale  da  soli  dieci  anni 


— 334  — 


trovasi  in  contatto  coll’ acqua  dei  bagni,  contiene  all’ incirca  il 
3,5  di  silice,  offrendo  per  tal  modo  un  esempio  dell’  azione 
delle  acque  termo-minerali  sui  metalli. 

Minerali  tellurici  del  CMIL  — Nella  seduta  11  Ottobre  u. 
s.  della  stessa  Accademia  il  sig.  Domeyko  fece  una  comunica- 
zione sopra  i minerali  tellurici  scoperti  di  recente  al  Chili. 
Questi  minerali,  che  consistono  in  tellururo  d’  argento  ed  in  tel- 
lurato  di  piombo,  non  furono  trovati  finora  che  in  una  sola  lo- 
calità, cioè  nella  miniera  abbandonata  di  Condoriaco  nella  pro- 
vincia di  Coquimbo,  alla  distanza  di  15  chilometri  verso  oriente 
dalla  miniera  di  Arqueros.  I caratteri  esterni  di  questi  minerali 
poterono  farli  confondere  con  certi  altri,  e specialmente  col  sol- 
furo d’  argento  : 1’  analisi  del  secondo  diede  45  di  tellurio  per 
100  di  ossido  di  piombo.  Il  sig.  Domeyko  conchiude  col  dire  che 
non  sarebbe  infruttuosa  la  ricerca  del  tellurio  nelle  miniere  dalle 
quali  si  estraggono  minerali  ricchi  in  cloruro  e solfuro  di  ar- 
gento e in  carbonato  di  piombo,  quali  sono  quelli  di  Condoriaco. 

Studii  sui  terreiuotl.  — L’ illustre  sismologo  francese.  Al. 
Perrey,  presentò  recentemente  all’  Accademia  delle  Scienze  di  Pa- 
rigi uno  studio  sulla  frequenza  dei  terremoti  relativamente  alle 
fasi  della  luna.  Dopo  avere  dimostrato  il  modo  da  esso  usato 
per  enumerare  i fatti  e poi  raggrupparli  artificialmente  per  sta- 
bilire un  confronto  fra  questi  due  fenomeni,  presentò  dei  pro- 
spetti i quali  mostrano  all’  evidenza  che  il  numero  dei  terremoti 
offre  due  massimi  alle  sizigie  e due  minimi  alle  quadrature. 
Quanto  alla  frequenza  del  fenomeno  al  perigeo  ed  all’  apogeo, 
esso  potè  constatare  che  il  numero  più  grande  è quello  corri- 
spondente al  perigeo. 


AVVISO. 

Si  rinnuova  l’ invito  ai  signori  abbonati,  i quali 
non  hanno  ancora  versato  la  loro  quota  di  abbona- 
mento per  l’annata  in  corso,  di  volerlo  fare  senza  altro 
ritardo,  rimanendo  sospesa  pei  medesimi  fin  d’ ora  la 
trasmissione  del  periodico.  La  Direzione. 


(Continuazione.) 


Memorie  per  seryire  alla  descrizione  della  Carta  teologica 
d’Italia.  — Volume  II,  Parte  T;  Firenze  1873.  — 272  pa- 
gine in-4°  con  11  tavole,  due  Carte  geologiche  ed  incisioni 
intercalate  nel  testo. 

Comprende  le  seguenti  Memorie  : 

Introduzione.  — Monografia  geologica  dell’  Isola  d’ Ischia, 
con  la  Carta  geologica  della  medesima  in  fol.  e incisioni  nel 
testo,  del  professor  C.  W.  C.  Fuchs.  — Esame  geologico  della 
catena  alpina  del  San  Gottardo,  che  deve  essere  attraversata 
dalla  grande  Galleria  della  Ferrovia  Italo-Elvetica,  con  una 
Carta  geologica  in  fol.  e due  tavole  di  Sezioni  in  fol.,  dell’in- 
gegnere F.  Giordano.  — Appendice  alla  Memoria  sulla  for- 
mazione terziaria  nella  zona  solfifera  della  Sicilia,  con  una 
tavola,  dell’  ingegnere  S.  Mottura.  — Malacologia  pliocenica 
italiana  (Parte  P,  Gasteropodi  sifonostomi)  ',  fascicolo  2®,  con 
otto  tavole,  di  C.  D’  Ancona. 

Prezzo  del  Voi.  11°  (Parte  P),  Lire  25. 

Carta  Geologica  del  San  Gottardo,  nella  scala  di 
1 per  50,000,  di  F.  Giordano.  — Un  foglio  in  cro- 
molitografia   '.....  L.  5. — 

Carta  Geologica  dell’Isola  d’Iscliia,  nella  scala  di 
1 per  25,000  di  C.  W.  C.  Fuchs.  — Un  foglio  in 
cromolitografia L.  3. — 


Memorie  per  servire  alla  descrizione  della  Carta  Geologica 
d’ Italia.  — Voi.  II,  Parte  2^;  Firenze  1874.  — 68  pag.  in  4° 
con  due  tavole.  — Contiene  la  seguente  Memoria  : B.  Ga- 
staldi, Studii  geologici  sulle  Alpi  Occidentali;  Parte  T. 

Prezzo  del  Voi.  11°  (Parte  2^),  Lire  5. 


Per  le  commissioni  dirigersi  al  Segretario  del  R.  Co- 
mitato G-eologico,  in  Roma,  Piazza  San  Pietro 
in  Tincoli,  N.  5. 


Annunzi  di  pubblicazioni. 

A.  D’Achiaudi.  — Coralli  eocenici  del  Friuli.  — (Atti  della  Società  To- 
scana di  Scienze  Naturali,  voi.  I,  fase.  2^).  — Pisa  1875,  pag.  10, 
in-8°  con  due  tavole  (conliinua). 

C.  De  Stefani.  — Di  alcune  conchiglie  terrestri  fossili  nella  Terra 
rossa  della  pietra  calcare  di  Agnano  nel  Monte  Pisano.  — Pisa 
1875,  pag.  5,  in-8^ 

— Natura  geologica  delle  colline  della  Tal  di  Nievole  e delle  valli 
di  Lucca  e di  Bientina.  ~ Pisa  1875,  pag.  6,  in-8°. 

— Descrizione  di  nuove  specie  dì  inolluscliì  pliocenici  italiani.  — 
(Bull,  della  Società  Malacologica  italiana,  voi.  I,  fase.  1).  — Pisa  1875, 
pag.  9,  in-8®. 

A.  Bellardi.  — Novae  Pleurotomidarum  Pedeinontii  et  Liguriae  fossi- 
lium  dispositionis  prodroinus.  — (Bull,  della  Società  Malacologica 
italiana,  voi.  I,  fase.  1).  — Pisa  1875,  pag.  9,  in-8^ 

P.  Mantovani.  — Delle  argille  scagliose  e di  alcuni  Ammoniti  dell’ Ap- 
pennino delP  Emilia.  — (Atti  Soc.  It.  Scienze  Naturali,  voi.  XVIII, 
fase.  1).  — Milano  1875,  pag.  35,  in-8“. 

G.  Omboni.  ~ Di  alcuni  oggetti  preistorici  delle  caverne  di  Telo  nel 
Veronese.  — (Atti  Soc.  It.  Scienze  Naturali,  voi.  XYIII,  fase.  1).  — 
Milano  1875,  pag.  14,  in-8^  con  una  tavola. 

A.  De  Zigno.  — Sirenii  fossili  trovati  nel  Veneto.  — (Memorie  del  E,. 
Istituto  Veneto,  voi.  XVIII). — Venezia  1875,  pag,  30,  in-4°  con 
cinque  tavole. 

— Sui  mammiferi  fossili  del  Veneto.  — Padova  1875,  pag.  IG,  in-8°. 

L.  Bombicci.  ™ Corso  di  Mineralogìa.  — (Seconda^edizione  grandemente 
variata  ed  accresciuta),  voi.  2°  diviso  in  due  parti.  ~ Bologna  1875, 
pag.  1032,  in-8°  con  tavole  ed  incisioni. 

A.  Stoppani.  — Sui  rapporti  del  terreno  glaciale  col  pliocenico  nei 
dintorni  di  Como.  — Milano  1875  (Atti  della  Soc.  Ital.  di  Scienze 
Nat.,  voi.  XVIII,  fase.  2);  pag.  25  in-8‘’. 

A.  D’Achiardi. — Sulla  Cordierite  nel  granito  normale  delP  Elba  e sulle 

correlazioni  delle  rocce  granitiche  con  le  tracliìtiche.  — Pisa  1875 
(Atti  della  Soc.  Tose,  di  Scienze  Nat.,  voi.  II,  fase.  1)  ; pag.  12  in-8°. 

G.  G.  Gemmellaro  e A.  Di  Beasi.  — Pettini  del  titonio  inferiore  del 
nord  della  Sicilia.  — Catania  1874  (Atti  Acc.  Gioenia,  serie  3% 
tomo  IX)  ; pag.  44  in-4°  con  quattro  tavole. 

G.  Capellini.  — Sui  Cetoterii  bolognesi.  — Bologna  1875  (Memorie  del- 
TAcc.  delle  Scienze,  serie  3®,  tomo  V,  fase.  4);  pag’  32  in-4  con  due 
tavole. 

G.  Struvbr.  — Sulla  Gastaldite,  nuovo  minerale  del  gruppo  dei  bisili- 
cati  anidri.  — Roma  1875  ; pag.  5 in-4°. 

B.  Gastaldi. — Cenni  sulla  giacitura  del  Cervus  euryceros. — Roma  1875; 

pag.  6 in-4°  con  una  tavola. 

T.  Taramelli.  — Dei  terreni  morenici  ed  alluvionali  del  Friuli.  — 
Udine  1875  (Annali  scientifici  del  R.  Istituto  Tecnico  di  Udine, 
anno  Vili);  pag.  100  in-8®  con  2 tavole. 

A.  Manzoni.  — I briozòi  del  pliocene  antico  di  Castrocaro.  — Bologna 
1875;  pag.  64,  in-4°  con  sette  tavole. 

G.  Meneghini.  — Nuove  specie  dì  Fhylloceras  e di  Lytoeeras  del  liasse 
superiore  d’Italia.  — (Atti  della  Società  Toscana  di  Scienze  Natu- 
rali, voi.  I,  fase.  2®.)  — Pisa  1875,  pag.  6 in-8°. 

Ch.  Ledoux.  — Mémoires  sur  les  mines  de  soufre  de  Sicile.  — (Annales 
des  Mines,  serie  VII,  tome  7,  livr.  1.)  — Paris  1875,  pag.  84  in-8° 
avec  deux  planches. 


Anno  187S 


S.”  H e 11 


R.  COMITATO  GEOLOGICO 

D’  ITALIA. 


Bollettino  Nf  II  e 12. 


Novembre  e Dicembre  1875. 


ROMA, 

TIPOGRAFIA  BARBÈRA. 


1875, 


Bollettino  Geologico  per  il  1870.  — Un  voi.  in-8“  di  pag.  324. 
» » PER  IL  1871.  — Un  voi.  in-8°  di  pag.  296. 

» » PER  IL  1872.  — Un  voi.  in-8°  di  pag.  376. 

» » PER  IL  1873.  — Un  voi.  in-8°  di  pag.  400. 

» » PER  IL  1874.  — Un  voi.  in-8°  di  pag.  408. 

Prezzo  di  ciascun  volume  L.  10. 


V Italia 


Associazione  al  bollettino  del  1875  (Anno  VP).  — Per 
L.  8,  Estero  L.  10. 


I fascicoli  bimestrali  del  Bollettino  si  vendono  anche  se- 
paratamente al  prezzo  di  L.  2 ciascuno.  1 

Memorie  per  servire  alla  descrizione  della  Carta  Geologica 
d’ Italia.  — Volume  P ; Firenze  1871.  — 404  pagine  in-4° 
con  23  tavole,  due  Carte  geologiche  e varie  incisioni  inter-  ' 
calate  nel  testo.  ^ j 

I 

Comprende  le  seguenti  Memorie  : 

Introduzione  — Studii  geologici  sulle  Alpi  Occidentali,  di  ; 
B.  Gastaldi,  con  cinque  tavole  ed  una  Carta  geologica.  — 
Cenni  sui  graniti  massicci  delle  Alpi  Piemontesi  e sui  mine-  ' 
rali  delle  valli  di  Lanzo,  di  G.  Struver.  — Sulla  formazione  i 
terziaria  nella  zona  solfifera  della  Sicilia,  di  S.  Mottura,  ; 
con  quattro  tavole.  — Descrizione  geologica  dell’  Isola  d’ Elba,  | 
di  L Cocchi,  con  sette  tavole  ed  una  Carta  geologica.  — • 
Malacologia  pliocenica  italiana  (Parte  P,  Gasteropodi  sifo-  j 
nostomi)  di  C.  D’  Ancona  ; fascicolo  P,  con  sette  tavole,  f 


Prezzo  del  Voi.  I®,  Lire  35.  I 

* \ 

I 

Brevi  cenni  sui  principali  Istituti  e Comitati  Geo-  ( 

logici  e sul  B.  Comitato  Geologico  d’ Italia,  di  ; 

I.  Cocchi.  — Pag.  34  in-4° L.  1.50Ì 


Carta  Geologica  della  parte  orientale  dell’  Isola  | 

d’Elba,  nella  scala  di  1 per  50,000,  di  I.  Coc-  j 

CHI.  — Un  foglio  in  cromolitografia . L.  3. 00 

{Continua .) 


BOLLETTINO  DEL  R.  COMITATO  GEOLOGICO 

D’ ITALIA. 

H e 11  — Novembre  e Dicembre  1SI5. 


SOMMARIO. 

Note  geologiche.  — I.  Studii  stratigrafici  sulla  Formazione  pliocenica  del- 
l’Italia Meridionale,  per  G.  Seguenza.  (Continuazione.)  — II.  Sui  fossili  del 
calcare  dolomitico  del  Chaberton  (Alpi  Cozie),  studiati  da  G.  Michelotti,  per 
B,  Gastaldi  (con  una  tavola).  — III.  Sulla  Relazione  di  un  viaggio  geològico  in 
Italia  di  T.  Fuchs,  per  G.  Sequenza.  — IV.  Intorno  alle  ultime  pubblicazioni 
del  prof.  Ponzi,  sui  terreni  pliocenici  delle  Colline  di  Roma  e specialmente 
intorno  ad  una  così  detta  Fauna  Vaticana,  per  A.  Manzoni.  — V.  I Porfidi 
del  Lago  di  Lugano,  per  B.  Studer.  — VI.  Rilievi  nel  territorio  di  Sexten, 
nel  Cadore  e nel  Comelico  (Alpi  Venete),  per  R.  Hòrnes.  — VII.  La  forma- 
zione delle  meteoriti  e il  vulcanismo,  per  G.  Tschermak. 

Notizie  bibliografiche.  — A.  Cossa,  Ricerche  di  chimica  mineralogica  sulla 
Sienite  del  Biellese;  Torino,  1875.  — A.  D’Achiardi,  Coralli  eocenici  del 
Friuli;  Pisa  1875.  — A.  Bittner,  Die  Brachyuren  des  viceìitinischen 
Tertiàrgebirges ; AVien,  1875. 

Notizie  diverse.  — Studii  sulle  rocce  eruttive.  — Formazione  contemporanea 
della  pirite.  — Mineralizzazione  delle  materie  organiche.  — Nuovo  animale 
fossile. — Nuovo  metodo  per  la  distinzione  dei  feldispati.  — Giacimenti  fer- 
riferi nella  Scandinavia.  — Caduta  di  pietre  meteoriche. 

Avviso.  — Fossili  miocenici  e pliocenici  del  Modenese. 

Tavole  ed  incisioni.  — Tavola  che  accompagna  la  Nota  del  prof.  Gastaldi 
sui  fossili  del  Chaberton.  — Sezione  del  pliocene  antico  nella  valle  di 
San  Nicandro  presso  Messina,  pag.  361. 

Indice  delle  materie  contenute  nel  Bollettino  del  1875. 


NOTE  GEOLOGICHE. 


I. 

Studii  stratigrafici  sulla  Formazione  pliocenica 
delV  Italia  Meridionale^  per  G.  Seguenza. 

(Continuazione.  — Vedi  Bollettino^  N.  9-10.) 

Elenco  dei  Cirripedi  e dei  Molluschi  della  zona  superiore 

dell’  antico  plioceno. 


352* 

353* 

354* 

355* 

256 

357* 

358* 

359* 

360 

361* 

362* 

363* 

364* 

365 

366* 

367* 

368* 

369 

370* 

371 

372* 

373 

374 


375 

376^ 

377 

378 
379^ 

380 

381- 


382‘ 

383 

384^ 


1. 


c. 


Gbn.  Murex  Linneo. 

/Continuazione.) 


truncatulus  var.  B. 


rudis  Borson 

Tapparoni  Bellardì . . 
Capellinii  Foresti.  . . . 
Lassaignei  Basterot  . . 
Edwardsii  Payraudeau. 


polyraorphus  Brocchi 
dertonensis  Mayér  . . 


Panormitanus  Seguenza 


Brocchii  Monterosato 


funiculosus  Borson 


concerptus  Bellardi 

» var.  A.  Bellardi, 
propinquus  n.  sp 


consanguineus  n.  sp. 


aciculatus  Lamk 


imhricatus  Brocchi, 


linguabovis  Basterot. 


hracteatus  Brocchi.  . 
Mayendorfii?  Calcara 


Delbosianus  '?  Grateloup 
cristatus  Brocchi 


scalaris  Brocchi 


lanaellosus  Jan  (Fusus). 
sp.?* 


- 340  — 


Avvolgimenti  nella  parte  posteriore  f 

ture  più  profonde 

= M.  rudis  D’Ancona,  Bellardi.  . . 
Forse  anco  dal  Calcara  confuso  col 


Gen.  TropJion  Montfort. 

muricatus  Montagu  (Murex) 

squamulatus  Brocchi  (Murex) 

vaginatus  De  Cristofori  et  Jan  (Murex), 

multilamellosus  Philippi  (Murex) 

Scillae  n.  sp 

Barvicensis  Johnston  (Murex) 

truncatus  Stromayer  (Buccinum) 


Gen.  TypTiis  Montfort. 

horridus  Brocchi  (Murex) . . . . 
tetrapterus  Bronn 

fìstulosus  Brocchi  (Murex)  . . . 


= M.  Lassaignei  Libassi,  D’Ancona, 
= M.  Edwardsii  Scacchi,  Philippi,  Ci 
Monterosato,  M.  Meneghinianus  D' 
= M.  polymorphus  D’Ancona,  Bellard 
= M.  dertonensis  Bellardi.  Un  piccole 

vato  ad  Altavilla 

Affine  al  M.  scalaris,  ina  assai  picc 
aperto,  con  una  forte  varice  al  lai 
= Fusus  craticulatus  Philippi,  Mui 
Brocchi,  Scacchi,  D’Ancona,  Bellar 
— M.  craticulatus  var.  Brocchi,  M.  f 

cona,  Bellardi 

Affine  al  precedente  ed  al  M.  scalari 
Cingolo  dell’ultimo  anfratto  piccolo 
Di  forma  affine  al  M.  aciculatus  me 
più  costole  che  sono  oblique  . . 
Somigliante  al  precedente,  ma  con  scu 

canale  aperto 

= Fusus  lavatus  Phil.  F.  corallinus 
rallinus  Scacchi,  Aradas,  M.  aciculai 
= M.  imhricatus  D’Ancona  Bellardi 

!=M.  pyrulaeformis  Libassi 

= M.  polymorphus  var.  Libassi . . . 
rr:  M.  Mayendorfii  Monterosato.  Un 
piccolo  dubbio 


r=:M.  cristatus.  Calcara,  Aradas,  Ph 

Libassi 

=:  Fusus  scalaris  Philippi,  M.  scalaris 

D’Ancona,  Bellardi 

:!.=  Fusus  lamellosus  Phil.  Pseudom 
P.  hracteatus  Monterosato  ... 
Affine  al  M.  binofius  Pecchioli,  colls 
degli  avvolgimenti  meno  depressa 


= Fusus  echinatus  Philippi,  Aradas, 

Monterosato 

=3  Murex  squamulatus  D’Ancona,  B 
Murex  carinatus  Bivona,  M.  va 
Philippi,  Aradas,  D’Ancona,  Bella 
Murex  multilamellosus  Monterosa 
Affine  al  T.  barvicensis,  ma  distii 
molto  anteriore,  coste  trasverse  ] 
rr:  Murex  Barvicensis  Tiberi,  Monte: 
=3  Trophon  truncatus  Jeffreys  . 


— T.  horridus  D’Ancona,  Bellardi 
— ' M.  tetrapterus  Philippi,  T.  tetra|l 

Bellardi,  Monterosato 

— Murex  fistulosus  Phil.  Typhis 

D’Ancona,  Bellardi 


~ M-ì  ~ 


! 

4 

5 

6 

0 

1 

8 

j 

9 

10 

11 

12 

1 

13 

14 

15 

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16 

17 

18 

19  1 

F.Le. 

b. 

1 

Le. 

B. 

H- 

Le. 

B. 

A. 

b. 

t 

Le. 

/ 

b. 

H- 

. . . 

b. 

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[jeP.Ce 

B. 

Le. 

b. 

i. 

P. 

b. 

M. 

Le. 

B. 

b. 

M. 

-h 

M. 

M. 

4- 

P. 

B. 

c. 

Le. 

b. 

1. 

c. 

m. 

. • • 

E. 

. • • 

M. 

-h 

c. 

G. 

1. 

R. 

. . . 

M. 

M. 

M. 

4- 

4- 

M. 

• • • 

4- 

). 

P. 

4- 

). 

P. 

1 

B. 

. . 

C. 

. . . 

b. 

L. 

1 

342 


385*1. 

386*1. 

387  c. 

388*  1. 


389  1. 

390*  1. 
391*1. 

392*1. 

393*  1. 

394*  1. 

395*  1. 

396  1. 

397  c. 
398*  c. 

399*  1. 
400*  1. 

401*  1. 

402*  1. 
403*  1. 

404  s. 

s. 

405  1. 
406*  1. 
407*  1. 

408*  1. 


Gen.  Banella  Lamarck. 


nodosa  Borson  (Murex) 


marginata  Martin  (Buccinum) 


gigantea  Lamarck 

Gen.  Persona  Montfort. 


= Murex  rana  Brocchi  (non  Linneo)  Tq 
biculator  Calcara  (non  Linn.),  Ranella 

cona,  Bellardi 

= Buccinum  marginatum  Brocchi.  B.  pi 
cara,  Ranella  laevigata  Phil.  D’Anco 

nata  Bell 

r=  Murex  reticularis  Brocchi  (non  Linn 
laris  Scacchi,  Phil.  R.  gigantea  Cal( 
D’Ancona,  Bellardi 


tortuosa  Borson  (Murex) 


Gen.  Triton  Lamarck. 


= Murex  cancellinus  Brocchi  (non  Lam 
anus  Calcara  (non  Lk.),  Tritouium  cf 
bassi  (non  Lamk.),  Triton  tortuoso 
Persona  tortuosa  Bellardi 


Olearium  Linneo  (Murex) 

Doderleini  D’Ancona.  

distortum  Brocchi  (Murex) 

crispum  n.  sp 

sulcatum  n.  sp 

appenninicum  Sassi 

tuberculiferum  Broun  (Tritonium)  . . . . 
reticulatura  De  Blainville 

nodiferum  Lamarck 

affine  Deshayes 

Gen.  Fieula  Swainson. 

geometra  Borson  (Pyrula).  

intermedia  Sismonda  (Pyrula) 

fìcoides  Brocchi  (Bulla) . 


= Murex  doliare  Brocchi,  Tritonium  su 
cara,  Phil.  T.  doliare  D’Ancona,  T.  ' 

= T.  Doderleini  Bellardi 

= Tritoneum  distortum  Calcara,  T.  dis 

cona,  Bellardi 

Affine  al  precedente  : Labro  internan 
5 grossi  denti,  costole  longitudinali 
sverse  numerose  increspano  la  super] 
Affine  al  T.  distortum  ; col  labro  interna 
e cinque  grossi  denti,  che  si  counet 

giere  pieghe  interne  

==  Murex  reticularis  var.  Brocchi  (non  1 
penninicura  D’Ancona,  Bellardi.  . . . 
=:T,  tuberculiferum  D’Ancona,  Bellard 
= Ranella  lanceolata  Menke,  Philippi.  ! 

reticolata  Monterosato 

= F.  nodiferum,  gyrinoides  Brocchi,  Ti 
forum  Phil.  T.  nodiferum  D’Ancona  1 
= Murex  pileare  Brocchi  (non  Linneo)  H 
Brocchi,  Tritonium  corrugatum  Cale 
T.  corrugatum  Scacchi,  T.  affine  D’An 

!=  Bulla  ficus  var.  Brocchi  F.  geometra 
— Bulla  ficus  var.  Brocchi,  F.  intei 
Pirula  ficus  Calcara  (non  Linn.)  . . . 
= F.  ondata  Bronn  ; F.  ficoides  Mayer  ;i 


Gen.  Buccinum  Linneo. 


Guidicinii  Foresti.  . . . .' 

Pauluccianum  D’Ancona 

Humphreysianum  Bennet 

» var.  ventricosa . 


Gen.  Purpura  Adams. 


Credo  che  debbasi  riportare  più  tosto  ali 


= B.  ventricosum  Kiener  (non  Lamk)iÌ 
Phil.  (non  Penn.).  B.  Kienelik  MouteriÉ 


hemastoma  Linneo  (Buccinum) 

cyclopum  Philippi 

Hbrnesiana  Pecchioli 


= P.  hemastoma  Calcara,  Philippi  . . .! 

= P.  cyclopum  Calcara [ 

= P.  interlineolata  Doderlein j 


Gen.  Monoceros  Lamarck. 
monacanthos  Brocchi  (Buccinum) 


- 343  - 

t 


; 

4 

5 

6 

7 

8 

9 

IO 

11 

12 

13 

14 

15 

16 

17 

18 

19 

• . 

Le. 

b. 

P.Ce. 

B. 

A. 

C. 

M. 

B. 

). 

M. 

-P 

• • 

Le. 

*C.* 

b. 

. . . 

. . . 

M. 

M. 

• 

P. 

b. 

• • • 

c. 

P. 

B. 

c. 

B. 

L. 

B. 

\ 

. . 

-P 

M. 

-P 

0. 

P. 

B. 

M.? 

. . 

P- 

b. 

A. 

c. 

P. 

b.? 

M. 

ó. 

B. 

Ci. 

b. 

M. 

-P 

-P 

M. 

-P 

-P 

• • • 

P. 

-P 

. . 

B. 

. F. 

B. 

Gen.  Ceritliium  Bruguiere. 


'409  1. 

1. 

1. 

410*  1. 
4ir  1. 
412  1. 

413*1. 
414*1. 
*1. 
415*  1. 
416*1. 
417*  1. 
418*1. 
419*  1. 


420  1. 

421*1. 
422  1. 
428  c. 


424  c. 

, 425  c. 
11426*  c. 

427*1. 


428*  1. 
429*1. 


430*  c. 


431*1. 


432  c. 


Yulgatum  Bruguiere 

» var.  gracilis  Phil.  . . 

» var.  tuberculata  Phil. 

alastrum  Brocchi  (Murex),  . . . 
Bientinesii  D’Ancona  (M.  S.)  . . 
mediterraneum  Deshayes.  . . . , 


doliolum  Brocchi  (Murex) . . 
varicosuni  Brocchi  (Murex)  . 

» var.  B 

Bronnii  Partsh 

bicinctum  Brocchi  (Murex)  . 
crenatum  Brocchi  (Murex).  . 
tricinctum  Brocchi  (Murex). 
etruscum  Meneghini  (M.  S.). 


Gen.  GeritJiiolum  Tiberi. 
reticulatum  Da  Costa  (Strombiformis). 


spina  Partsch  (Cerithium).  . . 
pusillum  Jeffreys  (Turritella  ?) 
scabrum  Olivi  (Murex) 


Gen.  Triforis  Deshayes. 
perversa  Linneo  (Trochus)  . . . 


Gen.  CeritMopsis  Forbes  et  Hanley. 

tubercularis  Montagli  (Murex) 

bicarinata  (Tiberi  M.  S.)  Appelius.  . . 


Gen.  Melania  Lanaarck. 
curvicosta  Deshayes 


Gen.  Melanopsis  Ferrusac. 


narzolina  Bonelli. 
nodosa  Pecchioli  . 


Gen.  Priamus  Beck. 
helicoides  Brocchi  (Bulla).  . . 


Gen.  Stromhus  Linneo, 
coronatus  Defrance.  


Gen.  Ghenopus  Philipp!, 
pespelecani  Linneo  (Strombus) . 


^ C.  vulgatum  Calcara,  Philipp!.  Monterò 
= C.  vulgatum  var.  b.  angustissima  Wein 
= C.  vulgatum  var.  c.  intermedia  Weick. 
= C.^  vulgatum  var.  plicata  Phil.  Calcara  . 
Specie  affine  al  C.  vulgatum,  di  più  fina  s 
= C.  fuscàtum  Phil.  Monterosato,  C.  rupe  ; 
rosato  


Più  fortemente  striata  e pieghettata.  . . 


= C.  crenatum  Calcara, 


= Cerithium  lima  Calcara  (parte)  Phili 
C.  reticulatum  Montcrosato 


= Cerithium  lima  Calcara  ('parte)  Phili; 
C.  reticulalum  Monterosato  (parte).  . . 


— Cerithium  perversum  Philipp!,  Trifoi 
Monterosato 


= Cerithium  pygmaeum  Philipp!,  C.  tuber 

terosato 




=:M.  plicatula  Libassi j| 


Achatina  helicoides  Calcara 


= S.  fasci atus  Brocchi  (non  Linn.),  S.  co: ai 
cara,  Philipp! . 


= Murex  gracilis  Brocchi,  Rostellaria  pes 
cara,  C.  pespelecani  Philippi,  Monterei 


K 

ti 


18 


0. 


F.CaLe 


0. 


0. 

0. 


0. 

0. 


CaLeFi 

C.Ge. 

F. 

P- 

P.Ge 

CaLeFi 
Ca.p  Fi 


B. 


A.  C 


B. 


P. 

P. 


A. 

A. 


IVI. 


B. 

b. 


10 


M. 


11 


b. 


12 


13 


U 


15 


16 


17 


H- 


0. 


C.  P. 


b. 


0.  P.Le.  b. 


0. 


0. 

0. 


0. 


Le. 


0. 


P. 


A. 


B. 


B. 


C.' 


M. 


b. 


1.  . . 


C. 


M. 


H- 


(Contimia.) 


+ + + 


- 346  - 


IL 

Sui  fossili  del  calcare  dolomitico  del  Chaherton  (Alpi  Cozie) 
studiati  da  G.  Michelotti.  — Nota  di  B.  Gastaldi. 

La  lunga  pratica  e la  materiale  conoscenza  da  me  acquistata 
della  zona  delle  pietre  verdi  mi  convinsero,  già  da  parecchi  anni, 
che  le  rocce  componenti  quella  zona,  sono  azoiche.  Tutti  i geo- 
logi saranno  disposti  a credermi  quando  dico  che  non  trovai  trac- 
cia di  organismo  nelle  pietre  verdi  propriamente  dette,  nei  ser- 
pentini cioè,  nelle  eufotidi,  nelle  varioliti,  nelle  pietre  ollari  ec.  ec. 
Devo  però  soggiungere  che  finora  indarno  ne  cercai  nelle  altre 
rocce,  che  colle  accennate,  concorrono  a formare  quella  zona, 
vale  a dire  nei  micascisti  gneissici,  nei  gneiss  moderni,  nei  cal- 
cescisti ; le  prime  e ben  distinte  tracce  di  esseri  organici  com- 
paiono negli  strati  calcarei  racchiusi  nei  banchi  superiori  del 
calcescisto. 

A proposito  di  calcescisti  e di  calcari  più  o meno  cristallini, 
mi  occorre  di  far  parola  di  un  grave  errore,  anzi  di  due  errori 
da  me  commessi,  dei  quali  mi  pento  e mi  dolgo. 

Nella  seconda  parte  de’  miei  Studii  geologici  sulle  Alpi  occi- 
dentali, io  dissi  che  i calcari  cristallini  alpini,  simili  a quelli  di 
Carrara,  fan  parte  della  zona  delle  pietre  verdi;  è questo  il  pri- 
mo degli  accennati  errori.  Infatti  dopo  la  pubblicazione  di  quella 
memoria,  io  trovai  che  le  masse  principali  dei  nostri  marmi  sac- 
caroidi,  quelle  di  Frali,  di  Salza  nella  valle  Germagnasca,  quelle 
di  Sanfront,  delle  Calcinere  ec. , nella  valle  del  Po,  sono  rin- 
chiuse entro  al  gneiss  antico,  al  gneiss  centrale. 

L’ altro  errore  mi  sfuggì  quando,  nella  stessa  memoria,  sin- 
cronizzai i marmi  di  Carrara  coi  calcari  saccaroidi  delle  nostre 
Alpi,  e particolarmente  con  quelli  della  zona  delle  pietre  verdi. 
Mentre  accennava  a tale  sincronismo,  io  non  pensava  che  nei 
calcari  marmorei  del  Carrarese,  e nelle  rocce  che  con  essi  alter- 
nano, si  era  riesciti  a scoprire  tutta  una  serie  di  fossili. 

Confessato  lo  sbaglio,  non  dirò  più  parola  intorno  a questi 
calcari,  che  io  non  vidi  mai  in  posto.  Mi  permetterò  tuttavia  di 


— 347  — 


osservare  che  oggidì  vi  ha  fra  i geologi  marcata  tendenza  ad 
invecchiarli;  che  ben  pochi  sono  quei  geologi  i quali  ritengano 
ancora  quei  calcari  per  terreni  relativamente  recenti  metamor- 
fosati in  rocce  cristalline  ; che,  in  poche  parole,  quella  benedetta 
teorica  del  platonismo,  sorgente  di  tanti  errori,  va  scemando  di 
valore,  va  perdendo  proseliti. 

Quantunque,  pubblicata  quella  memoria,  mi  accorgessi  subito 
degli  errori  nei  quali  era  caduto,  io  ringrazio  sinceramente  il 
signor  C.  De  Stefani  di  aver  rilevato  quello  che  si  riferisce  ai 
marmi  di  Carrara.  ^ Non  posso  però  trovarmi  d’  accordo  con  lui 
quando  asserisce  che  rocce  antiche  corrispondenti  alla  zona  delle 
pietre  verdi  non  si  trovano  allo  scoperto  in  Toscana:  Mi  permet- 
terò quindi  di  esporgli  un  mio  desiderio,  quello  di  sapere  in 
quale  zona  egli  vuol  porre  i tanti  e grandiosi  affioramenti  di  ser- 
pentino, di  eufotide  e di  altre  rocce  congeneri  che  si  incontrano 
sul  suolo  della  Toscana. 

Ritornando  al  nostro  proposito,  e posto  che  le  rocce  della 
zona  delle  pietre  verdi  sono  azoiche,  io  dovetti  confinare  nel- 
r orizzonte  inferiore  del  paleozoico  i calcari  dolomitici  che  al 
Chaberton,  al  Balmas,  alla  Rognosa,  al  Chinivert  (valli  della 
Dora  Riparia  e del  Chisone)  si  trovano  direttamente  sovrapposti 
alla  zona  delle  pietre  verdi. 

Quei  calcari  dolomitici  sono  ritenuti,  dal  signor  Lory,  lias- 
sici  perchè  egli  crede  che  sia  triassico  il  sottostante  calcescisto,* 
il  quale  oltre  ad  essere  roccia  azoica  nella  quasi  totalità  della 
sua  enorme  grossezza,  che  è di  parecchie  migliaia  di  metri,  rac- 
chiude i serpentini  e le  altre  pietre  verdi. 

Partendo  da  dati  così  differenti  non  deve  recar  meraviglia 
se  intorno  alla  età  di  quei  calcari  io  non  potei  sinora  convenire 
nell’  opinione  del  signor  Lory.  Una  discussione  in  proposito,  per 
riescire  seria,  dovrebbe  esser  fatta  sul  terreno  col  martello  in 
mano  e non  al  tavolo  colla  penna.  Ad  ogni  buon  fine  io  dichiarai 
che  mi  sarei  inchinato  davanti  al  verdetto  della  paleontologia. 
Mentre  adunque  io  mi  aspettava  di  veder  comparire  una  memoria 
paleontologica  che  venisse  a dimostrare  la  fallacia  delle  mie  con- 


’ De  Stefani,  Dell’epoca  geologica  dei  marmi  dell’Italia  centrale.  Bollett. 
Comitato  geologico,  luglio  e agosto  1875. 


(‘Iasioni,  per  parte  mia  cercai  di  ottenere  dati  più  precisi  di 
quelli  che  già  possedeva  onde  provare  che  io  aveva  ragione. 

Questi  dati  me  li  procurò  il  mio  amico  Gr.  Michelotti  come 
risulta  dalla  lettera  che  qui  trascrivo. 


« Torino,  15  novembre  1875. 

» Carissimo  amico. 

» Seguii  il  tuo  consiglio,  e nella  seconda  metà  dello  scorso 
luglio,  mi  recai  a Clavières,  ove  soggiornai  per  una  ventina  di 
giorni  da  me  impiegati  principalmente  nella  ricerca  di  fossili  al 
Chaberton.  In  compagnia  del  signor  P.  E.  Ghione  ispettore  do- 
ganale, distinto  alpinista  e dilettante  geologo  salii  al  colle  del 
Chaberton.  La  salita  sebbene  monotona  e faticosa,  a cagione  dei 
molti  ed  enormi  taìus  formati  di  detriti  che  cadono  dalle  sta- 
gliate pareti  del  monte,  ci  riesci  gradita  per  V incontro  delle 
pietre  verdi  che  si  mostrano  molto  in  alto,  sopportando  i ricurvi 
strati  di  calcare  dolomitico  formanti  lo  spigolo  tagliato  dal  colle 
e la  parte  culminante  della  montagna.  Dal  colle,  dopo  breve  so- 
sta,  e mentre  il  signor  Ghione  colla  guida  saliva  alla  vetta  del 
monte,  io  discesi  nel  sottoposto  anfiteatro.  La  scena  che  esso 
offre  è imponente  ; tutt’  attorno  elevate  e quasi  verticali  pareti 
di  calcare  dolomitico  nettamente  stratificato,  presentano  all’  oc- 
chio splendidi  esempi  di  ripiegatura  di  strati,  massime  verso  il 
colle.  Dopo  di  aver  impiegato  molto  tempo  a cercare  sui  cumuli 
di  frammenti,  che  ammucchiati  al  piede  delle  pareti,  occupano 
r ampio  vano,  mi  imbattei  in  alcuni  detriti  di  serpentino,  fra 
mezzo  ai  quali  scopersi  varii  esemplari  di  calcare  fossilifero.  Le 
ricerche  che  ebbi  occasione  di  fare  nei  giorni  successivi  lungo 
una  parte  notevole  del  perimetro  di  quel  monte,  mi  convinsero 
che  gli  esseri  organici  fossili  si  trovano  più  facilmente  e quasi 
esclusivamente  nei  detriti  calcarei  associati  a quelli  di  pietra 
verde.  Tale  associazione  ci  dimostra  che  sono  più  specialmente 
li  strati  inferiori  della  zona  dolomitica  quelli  che  racchiudono 
tracce  evidenti  di  esseri  organici. 

» I fossili  da  me  scoperti  nell’  anfiteatro  che  si  apre  ai  piedi 
del  colle  del  Chaberton  erano,  in  vero,  pochi  e non  tali  da  poter 
essere  classificati  a prima  vista.  Tuttavia,  man  mano  che  andai 
osservandoli  con  qualche  attenzione,  incominciai  a persuadermi 


- 349  - 


che  mi  trovava  su  un  terreno  di  remota  antichità,  il  cui  aspetto 
mi  svegliò  gradatamente  ben  vecchie  rimembranze,  richiamandomi 
alla  mente  alcune  località  delle  rive  del  Eeno  e quelle  delle 
estesissime  regioni  che  circondano  i laghi  Oiitario  e Michigan  da 
me  visitate  negli  anni  trascorsi.  Tutti  i fossili  che  io  trovai  sia 
nella  escursione  al  colle  del  Chaherton,  sia  in  quelle  da  me  succes- 
sivamente intraprese  lungo  le  falde  di  quel  monte,  vennero  da  me 
studiati  unitamente  a quelli  da  te  racccolti  nel  1873,  sia  su  quel 
monte  stesso  che  in  altre  località  della  zona  dolomitica  delle  Alpi. 

» Ho  voluto  fare  speciale  menzione  della  escursione  al  colle 
del  Chaherton,  perchè  quella  località  è ben  indicata  per  la  sua 
posizione  topografica,  perchè  i fossili  che  colà  si  incontrano  si 
possono  ritenere  in  posto  trovandosi  ai  piedi  delle  pareti,  dalle 
quali  si  staccarono,  e finalmente  perchè  il  signor  Ghione  che  salì 
sino  alla  vetta  del  Chaherton,  mi  fornì  cortesemente  lo  schizzo 
di  uno  spaccato  geologico  di  quel  monte.  Ti  mando  questo  spac- 
cato (Ved.  la  tavola  annessa,  fig.  1)  perchè  panni  che  deve 
interessarti  l’ averlo,  e vi  unisco  i risultati  dell’  esame  da  me 
fatto  dei  fossili  da  noi  raccolti. 

» Fra  i fossili  del  Chaherton  e delle  vicine  località  del  Balmas 
e del  Chinivert  vi  sono  Spongie,  impronte  di  Entomostracei, 
Coralli  e forse  anche  Encriniti. 

» I coralli  sono  rappresentati  da  parecchi  esemplari  fra  i quali 
potei  distinguere  tre  generi.  La  maggior  parte  degli  esemplari 
di  detti  coralli  presenta  i seguenti  caratteri  : 

» r II  polipajo  forma  masse  globulari  che,  a giudicarne 
dagli  esemplari  intieri  da  me  osservati  sul  luogo,  vale  a dire  al 
colle  del  Chaherton  non  hanno  meno  di  0,“  50  di  diametro. 

» 2®  Esso  è fascicolato,  formato  cioè  di  molti  polipieriti 
aggregati  (fig.  7). 

» 3”  I polipieriti  componenti  il  polipajo  sono  vicini  gli  uni 
agli  altri,  ma  non  contigui  (fig.  16). 

» 4°  Fra  i polipieriti  esistono  tubi  di  connessione  (figg.  6 e 16). 

» 5°  Nei  calici  terminali  si  osserva  una  specie  di  stella, 
come  già  risulta  dalla  figura  (quella  di  sinistra)  inserta  a pag.  16 
della  tua  Nota  Deux  mots  sur  la  geologie  des  Alpes  Gotiennes. 

» 6'’  Se  r osservazione  diretta  non  permette  di  accertarsi 
della  esistenza  di  tavolati  o diaframmi,  a motivo  della  spatiz- 


— 350  - 


zazione  del  calcare  occupante  l’ interno  dei  polipieriti,  non  è 
tuttavia  preclusa  la  via  per  dedurne  che  una  volta  vi  esistevano. 
E noto  che,  in  generale  i tavolati  o diaframmi  si  trovano  in  po- 
sizione normale  all’  asse  del  polipierite  ; vi  hanno  però  dei  casi 
nei  quali  i tavolati  si  elevano  tutt’  attorno  all’  asse  del  polipie- 
rite formando  una  successione  di  coni,  come  rilevasi  nei  generi 
Conaxis,  Lithostrontion  ec.  ; ed  accade  altresì  che,  inversamente 
i tavolati  si  abbassano  tutt’  attorno  all’  asse  dei  polipieriti  dando 
luogo  a tanti  successivi  imbuti  come  si  osserva  nel  genere  Syrin- 
gopora  al  quale  credo  appartengano  gli  esemplari  (figg.  6,  7 e 16) 
del  Chaberton  e del  Chinivert. 

» Se  mi  sono  creduto  autorizzato  a riferire  a quel  genere  i 
fossili  in  discorso,  non  mi  pare  per  ora  prudente  determinarne 
la  specie,  poiché  la  spatizzazione  del  calcare  occupante  l’ interno 
dei  polipieriti  mi  impedisce  di  tener  conto  dei  distintivi  secon- 
darii. Tuttavia  giudicando  dal  complesso  dei  caratteri,  panni  che 
la  specie  si  avvicini  alla  Syringopora  ahdita  dei  signori  Milne- 
Edwards  e Haime.  ^ Il  genere  Syringopora  non  si  è trovato  finora 
che  nel  terreno  paleozoico. 

» Alcuni  altri  dei  fossili  rinvenuti  al  Chaberton  appartengono, 
a mio  parere,  al  genere  Halysites  che  fa  parte  del  gruppo  og- 
gidì assai  ridotto  dei  Zoantari  a tavolati,  ed  è frequentissimo 
nei  terreni  più  antichi. 

» In  questi  fossili  si  nota: 

» V Nella  parte  superiore  una  serie  di  costole  in  rilievo 
che  formano  come  una  rete  slacciata  sulle  quali,  negli  esemplari 
meglio  conservati,  si  vedono  alcuni  ben  distinti  e separati  ca- 
lici; si  nota  inoltre  nella  parte  laterale,  che  i polipieriti  pren- 
dono la  forma  di  costole  serpeggianti  (figg.  2,  3 e 12)  le  quali 
fanno  capo  ai  calici. 

» 2°  Che  nelle  sezioni  verticali  il  calcare  occupante  T in- 
terno dei  polipieriti  si  distingue  nettamente  da  quello  che  forma 
la  massa  del  polipajo;  quest’  ultimo  calcare  essendo  perfetta- 
mente nero  e bianco  il  primo. 

» 3°  Che  la  grossezza  dei  canali  occupati  dal  calcare  spa- 
tico  corrisponde  perfettamente  a quella  dei  calici. 

» 4°  E finalmente  che  ogni  polipierite  formava  una  catena 

Polypiers  fossiles  (voi.  Il,  pag.  295.  PI.  XV,  fig.  4). 


1 


351 


od  allineamento  individuale  non  connesso  lateralmente  coi  poli- 
pieriti  che  lo  circondano.  Essendo  noto  che  questo  genere  scom- 
parve sul  terminare  del  periodo  siluriano,  la  sua  presenza  nel 
calcare  dolomitico  del  Chaberton  è un  prezioso  documento  che 
viene  in  appoggio  a quanto  scrivesti  in  ordine  al  posto  che  quel 
calcare  deve  occupare  nella  serie  dei  terreni  alpini. 

» Fra  gli  esemplari  da  te  rimessimi,  e provenienti  dal  Cha- 
berton ho  notato  un  polipajo  ramoso  (fig.  4)  i polipieriti  del 
quale  oltre  ai  calici  terminali  hanno  tracce  di  calici  laterali, 
posti  cioè  lungo  il  fusto  ; esso  presenta  inoltre  una  serie  di  pic- 
coli fori  (fig.  5)  tanto  nei  muri  che  nei  tramezzi.  Non  vi  si  possono, 
a vero  dire,  distinguere  i diaframmi  o tavolati,  ma  giova  notare 
che  questo  carattere  non  si  trova  ben  distinto  che  negli  esem- 
plari di  perfetta  conservazione,  e ciò  non  si  verifica  nel  caso 
nostro.  Converrà  d’  altronde  ricordare  che,  in  genere,  nei  polipaj 
a tavolati,  quando  i tramezzi  sono  rudimentarii,  vedonvisi  ben 
sviluppati  i tavolati  ; che  per  contro  quando  quelli  sono  ben  svi- 
luppati, questi  sono  rudimentari,  ed  è ciò  che,  a quanto  pare, 
ha  luogo  nel  nostro  fossile. 

» Le  accennate  particolarità  unitamente  a quella  dell’  assenza 
del  cenenchima  mi  indussero  a riferire  questo  fossile  al  genere 
Favosites  anche  esso  del  periodo  paleozoico. 

» Eiassumendo  quanto  ho  detto  qui  sopra  e notando,  che  nel 
calcare  dolomitico  della  zona  del  Chaberton  non  trovai  finora  co- 
rallari  che  si  possano  riferire  a Zoantari  aporosi,  i quali  dopo  il 
periodo  paleozoico  divennero  preponderanti  ; che  non  vi  scopersi 
neanche  polipai  tubulosi  che  sono  caratteristici  ed  esclusivi  del 
devoniano  e del  carbonifero  ; tutte  queste  osservazioni  mi  con- 
fermano nell’  idea  già  in  me  destatasi  all’  aspetto  di  quelle  rocce, 
che  cioè  esse  fan  parte  dell’  orizzonte  inferiore  del  siluriano. 

» Per  non  lasciare  niente  di  inosservato  ti  dirò  ancora  che  fra 
i fossili  di  quella  zona  dolomitica  ho  notato  la  presenza  di  im- 
pronte che  parmi  possano  riferirsi  a facce  di  articolazione  del 
genere  Actinocrinus  (fig.  19)  a motivo  della  rassomiglianza  che 
esse  presentano  con  quelle  raffigurate  da  parecchi  autori  ed  in 
specie  da  Hall,  Tav.  IV,  fig.  8 e 9. 

» Vi  ho  notato  altresì  resti  ben  distinti  di  Entomostracei 
(figg.  8,  9,  10  e 11)  che  suppongo  siano  i fossili  dai  signori  Lory, 


- 352  — 


Vignet,  Pillet  ed  altri  riferiti  a conchiglie  bivalvi.  Confrontando 
tuttavia  le  figure  che  gli  autori  danno  del  genere  Cytliere  e del 
sotto  genere  Cythereis,  entrambi  marini,  si  nota  una  grande 
analogia  coi  fossili  in  discorso,  tanto  nelle  forme  generali  che 
nelle  speciali,  vale  a dire  nelle  spine  delle  quali  vanno  muniti 
gli  orli  delle  valve.  Carattere  questo  che  unitamente  alla  assenza 
assoluta  della  cerniera  ci  pone  in  grado  di  non  confondere  lo  sche- 
letro esterno  degli  Entomostracei  colle  bivalve  dei  molluschi  acefali. 

» Citerò  in  ultimo  una  Spongia  o Litospongia  nella  quale  si 
scorgono  distintamente  li  osculi  afferenti  e deferenti  (figg.  17  e 18). 
Il  gruppo  delle  Litospongie,  come  altresì  quello  degli  Entomo- 
stracei, ebbero  alcuni  rappresentanti  nei  terreni  siluriani. 

» Chiudo  questa  mia  breve  relazione  col  dirti  che  sono  lieto 
di  aver  potuto  dimostrare  colle  mie  ricerche  paleontologiche  che, 
non  a torto,  ne’  tuoi  studii  geologici  sulle  Alpi  occidentali,  tu 
hai  classificato  quella  interessantissima  zona  di  calcari  dolomi- 
tici fra  i più  antichi  terreni  paleozoici. 

» Tuo  affezionatissimo 
))  G.  Michelotti.  » 

Accetto  tanto  più  volentieri  le  conclusioni  del  signor  Miche- 
lotti  in  quanto  che  era  proposito  mio  pubblicarle  anche  nel  caso 
che  fossero  contrarie  ed  affatto  opposte  alla  opinione  da  me 
manifestata  in  ordine  alla  età  di  quei  calcari.  Le  avrei  dico  fatte 
di  pubblica  ragione  anche  nel  caso  che  mi  avessero  condannato 
perchè,  chiunque  intraprende  il  rilevamento  geologico  di  una  parte 
delle  Alpi  e lo  compie  lavorando  con  coscienza,  con  pertinacia 
e senza  perdonare  a fatica,  merita  lode,  anche  se  talvolta  si  sba- 
glia ne’  suoi  apprezzamenti. 

Invero  i fossili  descritti  dal  Michelotti  non  sono  tali,  dal  lato 
della  loro  conservazione,  da  appagare  tutte  le  esigenze  dello  stu- 
dioso, del  classificatore  ; pare  però  che  il  cattivo  stato  nel  quale 
si  trovano  sia  un  argomento  in  favore  della  loro  antichità  remota. 

In  alcuni  luoghi,  come  all’  entrata  della  valle  Gimont,  a 
breve  distanza  dal  Chaberton,  si  vede  il  calcare  posare  diret- 
tamente sul  serpentino,  sul  serpentino  diallagico,  sulla  eufotide, 
sulla  variolite.  Al  contatto  delle  due  rocce  il  calcare  non  offre 
alcun  cambiamento,  non  differisce  da  quello  che  si  trova  a no- 


— 353 


tevole  distanza  dalla  pietra  verde.  Quando  si  vede  il  calcare 
sovrapposto  direttamente  al  serpentino,  all’  eufotide,  alla  vario- 
lite;  quando  si  vedono  a contatto  due  rocce  così  differenti  per 
natura  ed  aspetto,  uno  può  supporre  che  vi  sia  un  hiatus  fra 
roccia  e roccia,  uno  può  supporre  che  fra  il  deposito  della  pietra 
verde  e quello  del  calcare  sia  trascorso  un  lasso  di  tempo  più 
0 meno  lungo.  Ma  quando  in  altre  località  si  trova  che  gli  strati 
più  recenti  della  zona  delle  pietre  verdi^  i calcescisti  cioè,  rac- 
chiudono letti  di  calcare  che  offrono  evidenti  tracce  di  esseri 
organici,  si  capisce  che  vi  è un  insensibile,  graduato  passaggio 
tra  la  zona  delle  pietre  verdi  e la  paleozoica,  tra  la  roccia  cri- 
stallina, azoica  e la  fossilifera.  Non  riesce  quindi  facile  il  fissare 
r orizzonte  ove  incomincia  a comparire  l’ organismo,  ove  inco- 
mincia a manifestarsi  la  vita.  Ma,  in  pari  tempo,  non  dobbiamo 
meravigliarci  se  gli  esseri  organici  trovati  in  tali  condizioni, 
trovati  cioè  nella  zona  di  transizione,  siano  mal  conservati,  giac- 
ché lo  stesso  accade  anche  in  regioni  lontane  dalle  Alpi.  Ed 
infatti  i signori  Milne-Edwards  ed  Haime  nella  loro  descrizione 
dei  coralli  fossili  della  Gran  Brettagna  dopo  d’aver  detto  (pag.  246. 
Capitolo  XVI.  Corals  from  thè  Silurian  formation)  che  — most 
of  these  corals  helong  to  thè  upper  Silurian  rochs  — soggiungono 
— and  those  found  in  thè  lower  deposits  are,  in  generai,  very 
ili  and  unsatisfactorily  characterised. 

Una  volta  dimostrato  che  quei  calcari  dolomitici  fanno  parte 
del  terreno  paleozoico  inferiore,  non  si  dovranno  più  incontrare 
difficoltà  per  ritenere  prepaleozoica  la  sottostante  zona  delle 
pietre  verdi,  e si  cesserà  di  vedere  nei  gessi,  nelle  quarziti  e 
nelle  carniole  che  accompagnano  quei  calcari  altrettanti  banchi 
triasici.  Allo  stato  delle  cose  mi  sia  lecito  osservare  che  la  clas- 
sificazione dei  gessi,  delle  quarziti,  delle  carniole  nel  Trias  ha 
guastato  molti  lavori  geologici  fatti  nelle  Alpi,  nei  Pirenei,  ed 
in  parecchi  altri  luoghi. 

I rilevamenti  eseguiti  dai  miei  collaboratori  e da  me  nella 
campagna  geologica  del  corrente  anno  mi  permettono  di  tracciare 
un  quadro  delle  rocce  che  nelle  nostre  Alpi,  a partire  dal  Lago 
Maggiore  sino  al  gruppo  del  Mercantour  — astrazione  fatta  del 
gruppo  del  Monte  Bianco  — interessar  possono  il  paleontologo. 
Ad  una  estremità  delle  Alpi  piemontesi,  ad  Arona,  al  Monte 


24 


- 354  — 


Fenera  abbiamo  calcari  fossiliferi  del  Trias,  dell’  Infralias  e forse 
anche  di  più  recente  epoca.  A Montaldo  Dora,  a Fessolo  presso 
Ivrea,  a Rivara,  a Levone  trovansi  calcari  dolomitici  nella  iden- 
tica giacitura  di  quelli  del  Chaberton  e collo  stesso  facies.  La 
zona  dei  calcari  dolomitici  del  Chaberton  si  trova,  in  lembi  stac- 
cati, ma  qua  e là  di  grande  estensione,  a Susa,  al  Piccolo  Mon- 
cenisio,  al  Séguret,  lungo  la  frontiera  francese  tra  il  colle  dei 
Fréjus  ed  il  Chaberton,  al  Balmas,  alla  Rognosa,  al  Chinivert. 
Li  stessi  calcari  si  adagiano  sulle  quarziti  che  ricoprono  i banchi 
antracitiferi  di  Demonte  nella  valle  della  Stura  di  Cuneo;  nella 
miniera  di  antracite  di  Demonte  non  venne  ancora  messa  in  luce 
alcuna  impronta  vegetale.  Vi  ha  adunque  perfetta  analogia  tra 
questo  giacimento  antracitifero  e quelli  del  Tabor  e della  Thuille 
che  mai  offrirono  traccia  di  impronte  vegetali. 

Se  la  zona  antracitifera  della  valle  della  Stura  di  Cuneo  è 
priva  di  fossili,  fin  dal  1757  P Allioni  segnalava  in  quella  stessa 
valle  P esistenza  di  Belemniti  e di  Ammoniti.’  In  ordine  ai  primi 
il  citato  autore  scrive  — JBeìemnitarum  vestigia  observavi  in 
marmore  quodam  lapide  Suillo,  prope  Le  Sambuco  rep)erienda, 
Ammonitis  pienissimo;  sunt  vero  hi  Belemnitoe  cylindri  apice  co- 
nico, alveolo  donati,  cui  paralleli  insistimi  radii  pene  perpendi- 
culares  ; eorum  crassities  anserinam  plumam  non  videtur  supe- 
rare. Non  alibi  quam  sciam,  apud  nos  JBelemnitce  occiirrunt;  et 
mirum  sane,  in  tanta  conchiliorum  bene  servatorum  copia  qua 
eolles  nostri  scateni,  neque  unum  JBélemnitem  reperiri  potuisse  — 
Intorno  agli  ammoniti  scrive  — Gornus  Ammonis  plitra  com- 
prehendit^  lapis  quidam  Suilliis,  qui  reperitur  prope  Sambuco  inter 
Alpes  Vinadienses,  fere  ad  radices  altissimi  montis.  In  simili 
lapide  Suillo  prope  vicum'S.  Stephano,  loco  dicto  Los  Ribos  repe- 
riuntur  etiam  similia  Ammonis  cornua.  lis  locis  major  a et  minora 
diversarum  specierum  specimina  observare  licei  simul  commixta.^ 

Ho  creduto  di  dover  trascrivere  quanto  ci  lasciò  detto  P Al- 
lioni or  sono  118  anni  intorno  ai  soli  fossili  delle  Alpi  piemon- 


* Oryclograpliice  Pedemontance  Specimen  exhibens  corpora  fossilia  terree 
adventitia,  auctore  Carolo  Allionio.  Parisiis  ad  ripam  aiigiistinorurn  MDCCLVII. 

^ A pag.  2 della  citata  Orittografm  si  legge  inoltre  la  seguente  nota  : 
Unico  loco  inter  Alpes  reperta  sunt  corpora  hcec  fossilia  ; hoc  est  prope  locurn 
Le  Sambuco,  inter  ^ pes  Vinadienses. 


Bollettino  del  B.Coniilalo  (oMilocjiro  UtZf). 


1- 


9. 


— 355  — 

tesi  allora  noti.  Le  località  fossilifere  indicate  dal  citato  autore 
non  sono  ancora  state  sufficientemente  studiate;  sulla  Carta  del 
Pareto  esse  sono  comprese  nella  zona  giurassica  e sulla  Carta 
del  Sismonda  sono  comprese  in  quella  estesissima  zona  di  terreno 
che  r autore  ritiene  essere  terreno  giurassico  metamorfosato. 

Nella  scorsa  estate  il  professore  D.  Carlo  Bruno  mio  colla- 
boratore,  lavorando  al  rilevamento  geologico  delle  valli  del  Gesso 
e della  Vermenagna  trovò  che  il  terreno  nummulitico  forma  una 
striscia  non  interrotta  a partire  dal  colle  di  Tenda  sino  alla 
Valle  della  Stura  di  Cuneo.  Egli  mi  inviò  alcuni  belemniti  che 
provengono,  a quanto  pare,  da  un  banco  calcareo  sul  quale  giace 
la  zona  nummulitica.  Quei  belemniti,  quantunque  lascino  molto 
da  desiderare  dal  lato  della  loro  conservazione,  hanno  forme  che 
si  accordano  con  quelle  di  alcuni  tipi  del  cretaceo. 

Io  vedo  quindi  con  piacere  che  indipendentemente  dalle  que- 
stioni da  me  sollevate  in  ordine  alla  origine,  distribuzione  e clas- 
sificazione delle  rocce  cristalline,  si  apra  nelle  Alpi  nostre  un 
ampio  campo  alle  ricerche  ed  agli  studii  paleontologici,  ed  io 
spero  che  i cultori  della  paleontologia  vorranno  aiutarci  a clas- 
sificare i terreni  alpini  fossiliferi  e soprattutto  a porgerci  dati 
precisi  per  separare  questi  dalle  zone  azoiche. 

SPIEGAZIONE  DELLA  TAVOLA. 

, Fig.  1. — Spaccato  della  parte  superiore  del  Monte  Chaberton.  N.  1.  Cal- 
care dolomitico.  2.  Grè  antracitifero  di  color  rosso,  con  strati 
neri,  ematite  laminare  ec.  3.  Quarzite  e lenti  di  gesso.  4.  Cal- 
cescisto talcoso,  verdognolo. 

Fig.  2,  3 e 12.  — Halysites  vista  lateralmente.  — Fig.  13.  Calici  veduti  su 
superficie  artificialmente  levigata. — Fig.  lo.  Calice  di  Halysites 
ingrandito. 

Fig.  4.  — Favosites  vista  lateralmente.  — Fig.  5.  Fori  che  si  vedono  nel 
corpo  del  polipierite.  — Fig.  14.  Calice  della  F'avosites  in- 
grandito. 

Fig.  6.  — Syringopora  mostrante  la  biforcazione  dei  polipieriti.  — 
Fig.  7.  Calici  della  Syringopora  veduti  sulla  superficie  di  un 
ciottolo  rotolato.  — F'ig.  16.  Biforcazione  dei  polipieriti  della 
Syringopora  vista  lateralmente  nello  stesso  ciottolo  della  fig.  7. 

Fig.  8,  9,  IO  e 11.  — Entomostracei.  La  fig.  10  lascia  nettamente  vedere 
le  punte  acuminate  di  una  estremità  caratteristica  del  genere 
Cythereis. 

Fig.  17  e 18.  — Lytospongia 

Fig.  19. — Impronta  di  una  faccia  di  articolazione  del  genere  Aetinocrinus? 


— 35G  — 


Sulla  Belatone  di  un  viaggio  geologico  in  Italia 

di  T.  Fuchs^  terza  nota  di  Gr.  Sequenza.  j 

Dopo  la  mia  seconda  nota  intorno  alla  memoria  del  signor 
Fuchs  ’ questi  si  è fatto  a rispondere  nuovamente  “ alle  mie  os- 
servazioni, e piuttostocliè  combattermi  sulla  esattezza  dei  fatti 
da  me  pubblicati,  intorno  ai  quali  è cominciata  la  controversia, 
egli  mi  attacca  principalmente  sulle  concbiusioni  che  da  essi  ne  : 
ho  tratto;  ma  è ben  logico,  anzi  troppo  evidente,  che  se  non  | 
veniamo  in  accordo  intorno  ai  fatti  fondamentali  della  stratigrafia  | 
pliocenica,  sarà  vano  ed  affatto  inutile  il  discutere  sulle  condii-  | 
sioni  che  se  ne  possono  trarre.  | 

Del  resto  io  sono  sempre  pronto,  e quindi  mi  accingo  a ri-  | 
spondere  agli  attacchi  del  signor  Fuchs  nef  più  succinto  e chiaro  | 
modo  possibile,  seguendo  la  sua  scritta  periodo  a periodo. 

« Sorvolando  sui  punti  di  minore  importanza  io  mi  rivolgo 
immediatamente  al  punto  principale,  cioè  alle  marne  bfiinche."  » 
Così  comincia  il  signor  Fuchs.  Ma  i punti  che  egli  dichiara  di 
minore  importanza,  nella  mia  ultima  scritta,  sono  quelli  che  trat-  | 
tano  delle  aTgille  scagliose  e del  niiocenoj  soggetti  di  discussione  | 
ai  quali  mi  chiamò  egli  stesso,  forviando  dal  nostro  precipuo 
obietto  il  plioceno,  e che  sono  invece  del  più  alto  interesse  pei  | 
la  geologia  italiana;  la  vastità  di  tali  formazioni  conferma  a 
pieno  quanto  asserisco. 

Bisogna  pure  che  il  signor  Fuchs  non  abbia  letto  con  molta 
cura  quanto  io  ho  scritto  intorno  al  plioceno,  nel  mio  lavoro  in  j 
via  di  pubblicazione,  (Studii  stratigrafici  sidla  formazione  'plio- 
cenica délV  Italia  meridionale.  Vedi  Boll,  del  B.  Gomitato  geo- 
logico 1873-74-75)  per  dire,  in  riguardo  alla  questione  delle  due 
marne  del  plioceno  antico  : « Giacché  disgraziatamente  mi  è im- 

’ Relazione  d' un  viaggio  geologico  in  Italia  del  doti.  T.  Fuchs.  {Boll,  del 
R.  Coynitato  geol.  d’Italia^  1874,  N.  7 e 8.) 

2 Ved.  Boll,  del  R.  Comitato  geol.  d’Italia,  1875,  N.  7 e 8,  pag.  237. 

* Ved.  pag.  238. 


— 357  — 


Possibile  dalle  pubblicazioni  del  professore  Seguenza  di  formarmi 
un  chiaro  concetto  sopra  lo  stato  delle  cose  ; ^ ))  dappoiché  in 
quel  mio  lavoro  risulta  chiarissimo,  dalla  comparazione  del  plio- 
cene messinese  con  quello  delle  provincie  di  Siracusa,  di  Cata- 
nia, di  Palermo  e delle  Calabrie,  come  la  divisione  in  quattro 
zone  sia  ben  naturale,  le  due  superiori  formando  il  pliocene  re- 
cente e le  due  inferiori  il  pliocene  antico  ; le  quali  conchiusioni 
vengono  tratte  dopo  aver  discusso,  con  rigore  stratigrafico  e paleon- 
tologico, il  sincronismo  di  tutti  gli  strati  pliocenici  di  tanti 
differenti  e ben  lontani  luoghi,  dalla  quale  discussione  risulta 
evidente  ancora,  che  il  pliocene  antico  ha  una  marna  nella  zona 
inferiore  ed  una  nella  superiore,  le  quali  si  associano  a sabbie, 
colle  quali  talvolta  alternano  o si  sostituiscono  completamente, 
conservandosi  sempre  e dappertutto  distinte  in  due  zone.  Mi  è 
necessario  supporre  che  il  signor  Fuchs  non  abbia  seguito  V espo- 
sizione dei  fatti  e delle  ricerche  e delle  discussioni  svolte  nel 
mio  lavoro;  ma  egli  avrebbe  potuto  benissimo  osservare,  nelle 
numerose  sezioni  da  me  annesse  al  lavoro  suddetto,  che  in  tutte 
quelle,  in  cui  il  pliocene  antico  è completo,  vi  sono  due  marne, 
una  per  ciascuna  zona,  e bisogna  aver  gli  occhi  chiusi  per  non 
vederle.  Giacché  il  signor  Fuchs  non  le  ha  osservate,  gliele  ad- 
diterò io. 

Nella  sezione  di  Altavilla  (fig.  1)  i terreni  distinti  coi  nu- 
meri 2,  3 e 4 rappresentano  la  zona  più  antica,  ed  il  numero  5 
la  superiore.  Il  numero  2 é marna,  il  numero  5 é marna  con 
sabbie. 

Nella  sezione  quinta  di  San  Pantaleo  presso  Messina,  la 
marna  inferiore  é rappresentata  dal  numero  3 e la  superiore  dal 
numero  5. 

Nella  sezione  nona  di  San  Filippo  (presso  Santa  Lucia  del 
Mela)  la  marna  inferiore  é al  numero  4 e al  • numero  5 la  su- 
periore. 

Nella  sezione  presso  Reggio,  della  fig.  11,  le  sabbie  numero  2 
sostituiscono  le  marne  inferiori  ed  il  numero  3 é costituito  dalle 
marne  superiori. 

Nella  sezione  della  fig.  14  presa  al  Plemmirio  presso  Sira- 


‘ Veci,  pag.  238, 


358  — 


cusa,  la  marna  inferiore  è rappresentata  dal  numero  4 e dal 
numero  5 la  marna  superiore. 

E qui  invero  non  fa  d’uopo  della  mia  sezione;  il  sig.  Fuchs 
ha  veduto  coi  proprii  occhi,  ed  avrebbe  potuto  ricordarsi  quanto 
ha  scritto  intorno  al  Plemmirio,^  e come  il  numero  4 della  mia 
sezione  egli  lo  abbia  indicato  col  medesimo  segno  ed  il  numero  5 
col  5,  rapportandovi  pressoché  gli  stessi  fossili  che  io  vi  avea 
indicato. 

Così  via  via  per  le  altre  sezioni,  dove  la  serie  del  pliocene 
antico  vi  è completa. 

Sarebbe  vano  continuare  1’  esam-e.  Giova  invece  ricordare  che 
in  tutti  i luoghi  delle  sezioni,  ed  in  molti  altri  ancora,  le  marne 
inferiori  racchiudono  una  fauna  che  è affatto  diversa  da  quella 
delle  marne  superiori.  Nelle  marne  inferiori  sono  quasi  esclusi- 
vamente dei  foraminiferi,  e nelle  sabbie  che  ad  esse  si  connet- 
tono sono  Balani,  Pettini,  Ostree  e talvolta  Brachiopodi  ; nelle 
marne  superiori  invece  sono  Gasteropodi,  Pteropodi,  Lamelli- 
branchi  varii,  Brachiopodi,  Corallarii,  Foraphniferi  che  costitui- 
scono una  fauna  che  si  ripete  identica  dappertutto,  dove  i sedi- 
menti di  quella  zona  costituironsi  in  mare  profondo,  quella  fauna 
stessa  che  il  signor  Fuchs  raccoglieva  presso  Gerace. 

Nel  mio  lavoro  potrà  ben  leggersi  P esame  dettagliato  di 
ciascuna  località,  V enumerazione  per  esteso  della  fauna  di  cia- 
scuna zona,  e convincersi  pienamente  della  corrispondenza  stra- 
tigrafìca  e paleontologica  nei  vari  luoghi,  e della  perfetta  distin- 
zione delle  due  zone  dovunque.  Ma  il  signor  Fuchs  non  ha 
compreso  niente  di  tuttociò  nella  mia  pubblicazione  ; ciò  non  im- 
porta, non  sarà  men  vero  per  questo. 

Ed  era  ben  ragionevole  poi  che  le  mie  ricerche  venissero 
disprezzate  dal  signor  Fuchs,  essendoché  corre  grande  differenza 
tra  i risultamenti.  da  lui  ottenuti  ed  i miei,  quest’ ultimi  dimo- 
strando che  egli  si  é formata  poco  esatta  idea  del  nostro  plioceno 
come  a Gerace  così  a Messina. 

Difatti,  a Messina  come  altrove,  io  ho  riconosciuto  le  quattro 
zone  del  plioceno,  ed  egli  le  ha  ridotte  a due  facendo  la  confu- 
sione solita  tra  le  due  marne  del  plioceno  antico,  ed  altre  di  si- 
mil  natura. 


* Die  Pliocmihildungen  von  Syìxikus  und  Lentuii, 


— 359  — 


Non  farò  che  raffrontare  tra  loro  talune  delle  sezioni  da  lui 
studiate  : ^ 

Allo  Scoppo,  tra  il  mioceno  ed  il  quaternario,  egli  distinse 
due  zone  del  pliocene,  una  a,  della  quale  ne  descrisse  con  molta 
cura  le  alternanze  delle  marne  col  calcare  a polipai,  V altra  h 
formata  da  sabbie  a briozoj  (Vedi  Tav.  I,  fig.  1). 

Per  me  il  membro  ò.  forma  la  zona  superiore  del  pliocene 
recente,  il  membro  a la  zona  superiore  del  pliocene  antico,  man- 
cano perciò  nella  sezione  dello  Scoppo  il  membro  più  antico,  ed 
un  altro,  intermedio  tra  i due  esistenti,  che  forma  la  zona  infe- 
riore del  pliocene  recente. 

Il  signor  Fuchs  è stato  tratto  in  inganno  dal  credere  com- 
pleta la  sezione  da  lui  disegnata  allo  Scoppo. 

Se  diamo  uno  sguardo  alla  sezione  che  chiama  di  San  Ni- 
cola, Tav.  Ili,  fig.  1 e 2,  è facile  convincersi  che  il  signor  Fuchs 
è stato  qui  indotto  alla  sincronizzazione  cogli  strati  dello  Scoppo 
da  considerazioni  litologiche  e non  già  dalle  paleontologiche.  Di- 
fatti egli  sincronizza  le  marne  bianche  (10°)  col  membro  a dello 
Scoppo,  senza  considerare  che  le  marne  a dello  Scoppo  sono  ricche 
di  resti  di  molluschi,  alternano  con  calcare  a coralli  ec.,  e queste 
invece  uniformi  non  offrono  che  foraminiferi.  Esse  infatti  di  unita 
ai  ciottoli  sottostanti  costituiscono  la  più  antica  zona  del  plio- 
cene. Sincronizzato  a questo  modo  il  primo  membro,  è conse- 
guenza r erronea  sincronizzazione  degli  altri  membri.  Difatti  il 
calcare  a coralli  e Terebratula  minor  e gli  strati  ad  Isis  (1°  3') 
dimostrano  che  non  si  tratta  dell’  ultima  zona  del  pliocene.  Gli 
strati  a Pettini  lisci  (P.  vitreus  Gm.)  e la  Terebratula  Guiscar- 
diana  Seg.  (2°)  dichiarano  colla  più  grande  certezza,  siccome  i 
banchi  ad  Isis,  che  tutti  questi  strati  spettano  alla  zona  supe- 
riore del  pliocene  antico.  Intanto  il  signor  Fuchs  fa  fare  loro  un 
gran  salto  sincronizzandoli  cogli  strati  b dello  Scoppo,  rappor- 
tandoli quindi  alla  zona  superiore  del  pliocene  recente,  mentre 
essi  sono  i veri  rappresentanti  della  potente  serie  a dello  Scoppo 
stesso.  Così  le  sabbie  ed  i ciottoli  (1°)  con  Balanus  tulipifor- 
mis,  Mytitus  edulis,  Fecten  pusio,  F.  varius,  Ostrea  edulis  ec.  non 


‘ Geolocjische  Sludien  hi  den  Tertiàrbildunyen  Sud-Italiens,  von  Theodor 
Fuchs. 


— 360  — 

sono  che  le  sabbie  h dello  Scoppo,  ed  egli  invece  le  riferisce  al 
quaternario. 

Quanto  poi  al  calcare  a Terebratula  Scillce  (T.  grandis  Fuchs, 
non  Blumb.)  T.  minor  Phil.  ec.,  delle  sezioni  di  Zaffaria,  Santa 
Lucia,  San  Filippo,  il  signor  Fuchs  pare  che  non  abbia  saputo 
che  farne,  per  cui  non  lo  sincronizza  con  veruna  zona  delle  pre- 
cedenti sezioni,  nè  ne  tien  conto  nelle  conclusioni  ultime  ; eppure 
quel  calcare  costituito  dalle  spoglie  di  brachiopodi  s’ interpone 
tra  la  zona  ultima  (b  Fuchs)  del  pliocene,  e la  zona  superiore 
del  plioceno  antico  (a  Fuchs),  siccome  può  vedersi  a Gravitelli, 
Kometta,  Gesso  ec. 

Passa  poi  il  signor  Fuchs  a criticare  le  sezioni  da  me  pub- 
blicate nei  medesimi  studii,  dicendo  : ^ « come  inutilmente 

10  cerco  di  trovare  nelle  numerose  sezioni  stratigraficlie  da  lui  date, 
quella  discordanza  dentro  la  serie  degli  strati  pliocenici,  la  quale, 
secondo  la  sua  asserzione,  sarebbe  un^  apparenza  generale.  » Non 
fa  meraviglia  alcuna  che  il  signor  Fuchs  non  trovi  la  discordanza 
tra  due  membri  che  per  vederli  fa  d’  uopo  ohe  io  glieli  addi- 
tassi, sorprende  invece  che  egli  la  cerchi  tra  due  rocce  che  non 
distingue  e che  anzi  confonde  in  una  sola. 

Io  ho  scritto:^  « Le  due  zone  del  plioceno  antico  in  tutta 
V Italia  meridionale  si  presentano  non  solamente  distintissime  ma 
benanco  discordanti  » Ed  in  seguito  : ^ « Dappertutto  nelle  provincie 
di  Messina,  di  Peggio,  di  Palermo,  di  Catania,  di  Siracusa  gli 
strati  della  zona  superiore  del  plioceno  antico  poggiano  in  discor- 
danza su  quelli  della  zona  inferiore,  la  quale  sopra  grandi  esten- 
sioni mostrasi  del  tutto  isolata,  ed  in  taluni  luoghi  si  eleva  a 
grandi  altezze.  » Tale  discordanza,  ben  può  intendersi,  che  non 
deve  manifestarsi  che  in  quelle  sezioni  in  cui  sono  rappresen- 
tati in  esteso  contatto  i due  membri  del  plioceno  antico,  sic- 
come vedesi  nella  Fig.  B e più  o meno  manifestamente  nelle  5% 
9%  11%  14^  Nelle  altre  o manca  l’una  delle  due  zone,  o vi  è 
poco  sviluppata,  e cercherebbesi  invano  la  discordanza  voluta. 

A conferma  pienissima  della  mia  asserzione,  come  la  chiama 

11  signor  Fuchs,  voglio  qui  rapportare  un  esempio  preso  dai  din- 


’ Ved.  pag.  238. 

^ Boll,  del  R.  Comitato  geol.  d’ Italia,  anno  1875,  N.  3 c 4,  pag.  92. 
® Ved.  pag.  93. 


— 361 


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torni  di  Messina  nel  quale  la  discordanza  è ben  appariscente 
perchè  le  rocce  trovansi  naturalmente  sezionate  in  una  direzione 
tale  da  riuscire  distintissima. 

D’ altronde  la  discordanza  d’ isolamento,  per  dirla  alla  D’  Or- 
bigny,  è un  fatto  che  io  ho  ricordato  più  volte  e che  si  osserva 
estesamente.  Così  nei  monti  sopra  Canolo  ed  Agnana  in  Calabria 
la  zona  più  antica  del  pliocene  vi  è molto  estesa,  parimenti 
presso  Eeggio  a Terreti  e Nasiti  ec.  ; presso  Messina  a Castanea 
e Masse,  presso  Palermo  tra  Altavilla  e Trabia,  tra  Termini 
Imerese  e Cefalù  e così  in  molti  altri  luoghi  che  tralascio  per 
brevità,  e questo  isolamento  dei  due  membri  porta  che  la  zona 
antica  trovasi  a grandi  altezze,  dove  ordinariamente  non  giunge 
la  zona  superiore.  Così  a circa  novecento  metri  sopra  Canolo,  a 
circa  cinquecento  metri  presso  la  Portella  di  Castanea,  ec.  La  zona 
superiore  invece  s’ inalza  molto  di  meno. 

Continua  il  signor  Fuchs  scrivendo  : ‘ « In  ogni  modo  adesso  è 
già  abbastanza  evidente  che,  se  la  mia  opinione  d’  allora  fosse 
veramente  stata  falsa,  che  il  professore  Seguenza  è rimasto  per 
lunghi  nove  anni  precisamente  nello  stesso  errore;  giacché  ap- 
punto queste  marne  bianche  formano  purtroppo  la  parte  costi- 
tutiva essenziale  del  suo  Terreno  Zancleano,  il  quale  egli,  dopo 
sei  anni  di  studii,  ha  esposto  nell’  anno  1868,  e intorno  al  quale 
egli  era  sempre  completamente  dello  stesso  parere,  quando  nel- 
P anno  1871  io  ho  avuto  1’  onore  di  parlare  con  lui  sopra  questo 
soggetto.  » 

Qui  è d’  uopo  che  io  preghi  il  signor  Fuchs  di  non  volermi 
assubitare,  confondendo  in  unica  quistione  due  còse  che  sono 
per  loro  natura  perfettamente  distinte  e separate,  e che  il  volerle 
trattare  insieme  non  può  esser  consentito  dalla  logica  nè  dal 
buon  senso,  anzi  sembra  evidente  che  sia  fatto  per  intralciare 
la  questione  che  per  sè  stessa  è semplicissima. 

Bisogna  quindi,  pria  di  discutere,  distinguere  e disgiungere 
completamente  la  quistione  stratigrafica  da  quella  delle  conclu- 
sioni che  possono  trarsi.  Ed  allora  io  risponderò  bene  a propo- 
sito al  signor  Fuchs,  che  la  stratigrafia  del  pliocene  messinese 
mi  era  esattamente  nota  sin  dal  primo  momento  che  la  studiai. 


' Ved.  pag.  238. 


— 363 


siccome  lo  attesta  quanto  io  scrivea  nel  1862/  quando  distin- 
gueva nelle  rocce  riferite  oggi  al  plioceno  antico  una  marna 
bianca,  un  calcare  ed  una  marna  giallastra,  riconoscendovi  fauna 
diversa  in  ciascuna  di  quelle  zone,  come  può  leggersi  alla 
pagina  7 e 15  e nel  quadro  sinottico  finale  dove  la  marna  infe- 
riore bianca  è distinta  colla  lettera  G,  il  calcare  a polipai  colla 
lettera  F,  e le  marne  superiori  colla  lettera  E. 

Le  medesime  idee  io  avea  del  plioceno  antico  messinese  allor- 
quando io  lo  distinsi  col  nome  di  Zancleano  al  1868,^  si  legga 
infatti  alla  pag.  467  : « Cette  formation  se  compose  à la  partie 
siipérieure  de  marnes  saòleuses  jaùnatres,  au  milieu  de  calcaire 
à polypiers,  et,  à la  base  de  marnes  blanclies,  très-riches  en  fora- 
minifères.  » 

In  seguito,  le  mie  conoscenze  stratigrafiche  non  hanno  modi- 
ficato menomamente  le  mie  idee,  e può  ben  leggersi  quello  che 
io  scriveva  nel  1873  ^ alle  pagine  19  e 20,  ovvero  nel  riassunto 
finale  dove  è detto  che  la  terza  zona  del  plioceno  è formata  di 
« Marne  giallastre,  marne  sabbiose,  sabbie  e calcari  a polipai  e 
bracliiopodi  ; e la  zona  quarta  da  sabbie  quarzose  sciolte,  marne 
bianche  a numerosi  foraminiferi,  grès  e calcari  concrezionali.  » 

Bastano  i pochi  documenti  prodotti,  pei  moltissimi  che  potrei 
addurre,  a dimostrare  lucidamente  che  le  mie  idee  non  si  sono 
mutate  menomamente  sino  ad  oggi  a riguardo  della  costituzione 
del  plioceno  antico,  nè  si  muteranno  giammai  ; dappoiché  le  ricer- 
che di  ben  quindici  anni  mi  hanno  sempre  confermato  nella 
determinazione  numerica,  litologica  e tettonica  degli  strati  plio- 
cenici, e quindi  senza  mutamento  di  sorta  ritengo  oggi  ciò  che 
dal  primo  giorno  ammisi,  che,  cioè,  il  plioceno  antico  costa  dap- 
pertutto di  un  membro  inferiore  marnoso-sabbioso  e di  un  mem.- 
bro  superiore  marnoso-sabbioso,  a quesf  ultimo  per  eccezione  nel 
messinese  si  associano  alla  parte  inferiore  dei  calcari  coralliferi. 

Ecco  dunque  che  per  la  parte  stratigrafica  fui  sempre  nel 
vero  e non  già  in  errore  come  asserisce  il  signor  Fuchs  ; vediamo 
ora  dal  lato  delle  deduzioni. 

, ‘ Notizie  succinte  intorno  alla  costituzione  geologica  dei  terreni  terziarii 
del  distretto  di  Messina^  1862. 

^ La  formation  zancléenne  ou  recherches  sur  ime  nouvelle  formation  ter- 
tiaire.  [Bull,  de  la  Società  géologique  de  France,  2®  serie,  tome  XXV,  page  465.) 

® Brevissimi  cenni  intorno  la  serie  terziaria  della  provincia  di  Messina. 


~ 364 


Man  mano  che  andai  estendendo  le  mie  ricerche  dal  messi- 
nese alle  provincie  limitrofe,  e da  queste  ad  altri  luoghi  d’ Ita- 
lia, le  mie  idee  si  andarono  modificando  a riguardo  dell’  età 
* degli  strati  controversi,  e bisogna  ricordare  che  all’  epoca  delle 
mie  prime  pubblicazioni  la  fauna  di  questi  strati  era  quasi  intie- 
ramente conosciuta  allo  stato  fossile  soltanto,  e quindi  riguar- 
data siccome  per  la  maggior  parte  estinta  ; ma  grazie  alle  inve- 
stigazioni delle  grandi  profondità  dei  mari,  un  gran  numero  di 
quelli  esseri  si  è veduto  risuscitare  a novella  vita,  e tuttodì  si 
accresce  il  numero  delle  specie  viventi.  A tali  inaspettate  e sor- 
prendenti novità  operate  dalle  moderne  investigazioni,  certo  che 
bisognava  rettificare  le  idee  a riguardo  dei  nostri  strati  in 
discussione  ; ma  felicemente,  bisogna  che  lo  ripeta,  dopo  nove 
lunghi  anni,  come  dice  il  Fuchs,  e più  ancora  non  mi  bisognò  di 
aggiungere  uno  strato  solo  alla  serie  degli  ultimi  terreni  ter- 
ziarii,  e molto  meno  mutarne  il  concetto  primitivo  della  loro 
tettonica. 

Quindi  io  non  capisco  sotto  qual  punto  di  vista  il  signor  ^ 
Fuchs  possa  rimproverarmi,  mentre  poi  vediamo  i più  dotti  geo- 
logi dallo  studio  di  più  estese  regioni,  dalla  scoperta  di  nuovi 
fatti,  obbligati  sovente  a modificare  le  loro  vedute,  e quindi  a 
trasformare  aggruppamenti  stratigrafici,  e per  addurre  tra  i mol- 
tissimi un  esempio,  mi  contento  trarlo  dalla  nostra  stessa  pole- 
mica. Molto  ha  insistito  il  signor  Fuchs  a sostenere  che  il  cal- 
care di  Messina  e di  Gerace,  che  io  dissi  concrezionato,  è di 
età  miocenica  {Vedi  Bollettino  del  B.  Comitato  geologico,  Gen- 
naio 1875,  pag.  47-48),  ed  intanto  in  un  suo  recente  lavoro  fa 
conoscere  come  secondo  lui  in  tutta  Italia  la  formazione  solfi- 
fera  e gessosa  trovasi  in  relazione  concordante  col  plioceno,  e 
discordante  col  tortoniano  in  modo,  che  si  connettono  natural- 
mente alla  prima  formazione,  anziché  alla  seconda.  Dal  che  chiaro 
appare  che  il  signor  Fuchs  propende  ad  annettere  al  plioceno 
la  formazione  gessosa,  quindi  con  più  ragione  vi  appartiene  il 
calcare  concrezionato  che  sovrasta  a quest’ ultima. 

Io  non  so  meravigliarmi  affatto  dei  mutamenti  che  subirono 
le  idee  del  signor  Fuchs  a questo  riguardo,  in  sì  breve  tempo, 
ma  non  posso  astenermi  dal  replicare  le  mie  meraviglie  a riguardo 
della  critica  fatta  a me  appunto  perchè  dopo  lungo  tempo  ho 


- 3G5  — 


apportato  delle  modifiche  sul  modo  di  aggruppare  gli  strati 
ultimi  del  terziario,  e volendo  di  ciò  rendermi  ragione  ho  cre- 
duto di  scoprirla  chiaramente  nel  fatto  che  il  signor  Fuchs  non 
sapendo  più  che  opporre  in  riguardo  alla  naturale  divisione  del 
pliocene  antico  in  due  zone,  alla  esistenza  delle  due  marne,  cercò 
di  attaccarmi  sopra  un  punto  che  ha  creduto  più  debole,  sulle 
modificazioni  che  hanno  subito  le  mie  idee  a riguardo  delle  dedu- 
zioni stratigrafiche,  e confondendo  insieme  le  due  quistioni. 

E poi  una  gratuita  asserzione  quella  che  fa  credere  che  io 
abbia  completamente  rimmciato  al  terreno  vandeano,''  Nella  mia 
nota  {Brevissimi  cenni  intorbo  la  serie  terziaria)  non  lo  nomino 
appunto  perchè  non  ho  dato  nome  alcuno  a veruna  zona  del- 
r eoceno,  del  miocene  e così  del  pliocene.  Io  non  ho  fatto  che 
modificare  alquanto  V estensione  stratigrafica  dello  zancleano 
{Vedi  Bollett.  della  Società  Malac.  ital.,  fase.  2),  siccome  risul- 
terà dai  miei  studii  comparativi  che  vado  pubblicando  nel  Bol- 
lettino del  B.  Comitato  geologico. 

Quanto  alla  stratigrafia  di  Gerace,  che  non  credo  differire  da 
tutto  il  resto  dell’  Italia  meridionale,  io  scrivea,  come  ricorda  il 
signor  Fuchs,  in  riguardo  ai  fossili  pliocenici  da  lui  raccoltivi  : ^ 
« Quelle  conchiglie  furono  raccolte  in  marne  che  sono  posteriori 
non  solo  alle  marne  della  sezione,  ma  denanco  alle  ultime  sabbie.  » 
Qui  bisogna  notare  che  io  parlo  della  sezione  che  il  signor  Fuchs 
mi  mostrò  allorché  venne  a Messina,  che  nella  sua  pubblicazione 
è la  sezione  principale  di  Gerace,  quella  rappresentata  nella 
fig.  l""  della  Tav.  V ; e quanto  io  ho  asserito  corrisponde  a 
puntino  colle  mie  osservazioni,  cioè  tutta  la  serie  da  quella 
sezione  rappresentata,  non  comprende  le  marne  dalle  quali  il 
signor  Fuchs  ha  estratto  i suoi  fossili,  che  invece  sono  di  età 
posteriore,  e costituiscono  le  colline  più  basse  che  si  estendono 
da  sotto  il  paese  verso  la  marina,  e fiancheggiano  la  valle  che 
dalla  marina  si  estende  sin  presso  Gerace  ; dimodoché  la  sezione 
nella  quale  è indicata  la  località  fossilifera  (Tav.  VI,  fig.  1)  è 
fatta  in  quest’  ultime  marne,  che  si  connettono  ad  altre  sabbie, 
formando  così  una  serie  che  somiglia  a quella  su  cui  ergesi 
Gerace,  ma  che  è posteriore,  e diversa  pei  fossili  differenti  che 

' Ved.  pag.  238. 

^ Boll,  del  R.  Comitato  geol.  d’ Italia,  anno  1875,  N.  3 e 4,  pag.  96. 


— 366  — 

racchiude,  siccome  in  qualunque  altro  punto  delle  Calabrie  e 
di  Sicilia. 

Quanto  alla  conchiusione  divulgata  dal  signor  Fuclis,  che  la 
formazione  zancleana  non  è ammissibile,  bisogna  pur  dire  che 
è priva  di  appoggi  valevoli  ; false  essendo  le  premesse,  non  pos- 
sono accettarsi  le  conseguenze.  Finché  il  signor  Fuchs  ignorerà 
quale  sia  la  vera  costituzione  stratigrafica  del  pliocene,  non  ha 
dritto  di  divulgare  conchiusioni  di  sorta  ! 

Da  ultimo  il  signor  Fuchs  conchiude  che  i risultati  ultimi 
delle  sue  ricerche  ai  quali  attribuisce  importanza  sono,  che  gli 
strati  del  mio  zancleano  si  depositarono  in  mari  profondi,  e che 
spettano  all’  epoca  pliocenica  ; ^ soggiunge  quindi  : « E siccome  il 
professore  Seguen^a,per  quanto  io  conosca,  nel  corso  idteriore  dei 
suoi  studii  è arrivato  nella  sostanza  allo  stesso  modo  di  vedere, 
così  io  ho  hene  tutta  la  ragione  di  tenermi  contento  di  cquesto.  » 
Quindi  il  signor  Fuchs  è nella  illusione  che  egli  abbia  per 
mezzo  dei  suoi  studii  raggiunto  tali  verità,  alle  qu'ali  più  tardi 
io  mi  sono  uniformato,  ed  invece  la  faccenda  è all’  opposto  ; le 
conchiusioni  da  lui  proclamate  non  sono  che  antichi  risulta- 
menti  di  mie  più  antiche  ricerche. 

Nel  1864,  in  un  lavoro  presentato  molto  prima  all’  Accademia 
delle  scienze  di  Torino  ^ io  scriveva  : « Or  essendo  i corallarii 
del  gruppo  calcareo-marnoso  per  la  maggior  parte  spettanti  ai 
Turhinolidi,  e tra  questi  trovandosi  gran  numero  di  Gariophyllie 
e di  generi  affini,  nonché  di  Eesmofidle,  si  dee  necessariamente 
inferire,  che  il  mare  in  cui  quelle  rocce  si  depositavano,  dovea 
essere  abbastanza  profondo.  Siffatta  conchiusione  è perfettamente 
concordante  coi  risultamenti  somministrati  dalle  altre  classi  di 
fossili  che  unitamente  a siffatti  polipai  giacciono  nelle  medesime 
rocce  ; infatti  tra  i molluschi  si  vedono  abbondantissini  i JBra- 
chiopodi  ed  i Eriozoarii,  e tra  le  classi  inferiori  i Rizopodi  vi 
sono  sparsi  in  sì  grande  abbondanza,  da  formare  quasi  da  soli 
la  massa  tutta  delle  rocce  marnose.  » 

Nel  1868  io  scriveva  per  le  rocce  messinesi  : ^ « Bans  le 


* Ved.  pag.  240. 

* Disquisizioni  paleontologiche  intorno  ai  Corallarii  fossili  delle  rocce  ter- 
ziarie del  distretto  di  Messina,  pag.  14G. 

® La  formation  zancléenne  ou  recherche  sur  ime  nouvelle  formation  ter- 


- 367  - . 


'ìniocène,  les  gastéropodes  et  les  lamellibrancJies  se  trouvent  avee 
dbondance,  et  constituent  ime  faune  entière,  décèlant  la  petite  pro- 
fondeur  des  mers,  où  ces  moìlusqiies  vècurent  ; dans  les  marnes 
et  les  ealcaires  qui  existent  au-dessus,  il  y a une  grande  abon- 
dance  de  brachiopodes,  de  coralliaires  et  de  foraminifères,  qui  ne 
se  trouvent  que  très-rarement  dans  les  couches  miocènes,  et  qui 
font  connaitre  la  profondeur  considérable  où  se  déposèrent  les 
rocJies  qui  les  renferment.  » 

Sarebbe  assolutamente  vano  il  riferire  altri  molti  brani  dai 
quali,  come  chiarissimamente  dai  precedenti  si  desume,  che  io 
molti  anni  pria  che  il  signor  Fuchs  sia  venuto  in  Italia,  cono- 
sceva e faceva  conoscere,  che  gli  strati  marnosi  e calcarei  del 
pliocene  dell’  Italia  meridionale  si  depositarono  in  mari  profondi. 

Il  signor  Fuchs  ci  dà  come  novità  che  lo  zancleano  è plio- 
cene, ma  allorquando  nel  1868  io  chiamava  zancleano  non  altro 
se  non  il  più  antico  membro  del  pliocene,  conchiudeva  così  : ^ 
« La  formation  pliocène  se  divise  dono  en  trois  étages  : Vastien, 
Oli  pliocène  supérieur,  formé  ordinairement  de  sables  jaunes,  le 
plaisancien,  ou  pliocène  moyen,  compose  des  argiles  ou  marnes 
bleues,  et  enfin  le  ^ancléen  ou  pliocène  inférieur,  consistant  en 
couches  marneuses  et  ealcaires  peu  colorées,  » 

Quindi  dal  primo  momento  in  cui  diedi  nome  di  zancleano 
ad  alcuni  strati  tèrziari,  li  riguardai  siccome  il  membro  più 
antico  del  pliocene,  e così  in  tutte  le  pubblicazioni  posteriori. 

Conchiudo  perciò  a ragione  che  i risultamenti,  invero  troppo 
generici,  che  ottenne  il  signor  Fuchs  coi  suoi  studii  sul  pliocene 
di  Messina  e di  Gerace  erano  deduzioni  di  troppo  antica  data 
per  me  allorquando  egli  venne  in  Italia,  e meglio  ancora  allor- 
quando le  rese  di  pubblica  ragione  ; quindi  nei  miei  studii  poste- 
riori non  ho  dovuto  a questo  riguardo  modificare  menomamente 
le  mie  idee,  le  marne  dello  zancleano  sono  state  sempre  per 
me  depositi  pliocenici  di  mari  profondi;  perciò  invece  di  dirsi 
che  le  mie  deduzioni  odierne  sono  concordanti  con  quelle  del 
signor  Fuchs,  bisogna  dire  che  le  une  e le  altre  a questo 
riguardo  si  accordano  con  le  antiche  mie  conchiusioni. 

tiaire  [Bull,  de  la  Société  géologique  de  France,  2®  serie,  tome  XXV,  page  465 
e seguenti). 

* Bidletin  de  la  Société  géologique  de  France,  2^  serie,  tome  XXV,  page  486. 


— 368  — 


IV. 

Intorno  alle  ultime  puhhlicazioni  del  professor  Fonzi  sui  ter- 
reni pliocenici  delle  Colline  di  Boma^  e specialmente  in- 
torno ad  una  così  detta  Fauna  Vaticana f — Conside- 
razioni di  A.  Manzoni. 

Le  formazioni  plioceniche  che  compongono  le  colline  di  Eoma 
sono  state  principalmente  studiate  dal  prof.  Ponzi  al  Monte  Ma- 
rio ed  al  Monte  Vaticano.  Di  queste  formazioni  il  prof.  Ponzi 
ha  pubblicato  in  diverse  riprese  le  sezioni  stratigrafiche  e le  ri- 
spettive faune.  Inoltre  egli  ha  inteso  di  assegnare  ad  ognuno  dei 
diversi  piani  che  compongono  queste  formazioni  la  rispettiva  età 
geologica  e la  presunta  climatologia  specialmente  fondandosi  so- 
pra i dati  paleontologici.  Ora  è sopra  alcuni  di  questi  dati  che 
mi  occorre  fare  qualche  osservazione  critica.  - 

Il  prof.  Ponzi  indica  nella  serie  stratigrafica  dei  sedimenti 
marini  osservabili  al  Monte  Vaticano  ed  al  Monte  Mario  un  piano 
inferiore  costituito  da  delle  marne  grigie,  ìe  quali  formano  la 
base  del  primo  monte  e leggermente  inclinate  passano  sotto  al 
secondo.  Queste  marne  grigie  sono  chiamate  dal  prof.  Ponzi  marne 
inferiori  vaticane,  e la  loro  fauna  fu  detta  dal  medesimo  fauna 
vaticana.  Sennonché  per  la  circostanza  che  le  stesse  marne  non 
contengono  fra  i loro  fossili  la  Nassa  semistriata  Br.  (che  è 
considerata  dal  prof.  Ponzi  come  caratteristica  del  pliocene) 
queste  marne  sono  da  lui  dichiarate  di  età  miocenica. 

A queste  marne  inferiori  vaticane  ne  succedono  in  ordine 
stratigrafico  saliente  altre  immediatamente  superiori,  intercalate 
da  letti  di  sabbione  grigio-giallastro.  A queste  marne  superiori 
il  prof.  Ponzi  assegna  una  età  transitoria  fra  il  miocene  più  re- 
cente ed  il  pliocene  più  antico.  In  queste  marne  fa  la  sua  prima 
apparizione  la  Nassa  semistriata,  e in  questo  fatto,  ritenuto  di 
alta  importanza,  il  prof.  Ponzi  trova  motivo  per  ammettere  che 
r età  volge  decisamente  dal  miocene  al  pliocene. 

* Ponzi,  Cronaca  snbapennina  o abbozzo  cV  un  quadro  generale  del  periodo 
glaciale,  Roma,  1875. 


369  - 


Io  non  posso  approvare  la  importanza  paleontologica  ecces- 
siva che  il  prof.  Ponzi  accorda  alla  Nassa  semistriata.  Questa 
comunissima  e tuttora  vivente  conchiglia  s’incontra  regolarmente 
tanto  nel  pliocene  quanto  nel  miocene.  E se  il  professor  Ponzi 
avesse  consultato  le  seguenti  opere,  che  trattano  di  due  faune 
veramente  mioceniche  (piano  Tortoniano),  Invertélrés  fossiles  du 
Mont  Léberon,  par  P.  Fischer  et  R.  Tournouér,  Paris  1873,  pa- 
gina 125  ; Delia  fauna  marina  di  due  lembi  mioeenici  delVAlta 
Italia^  per  il  dott.  A.  Manzoni,  Vienna,  Accademia  delle  scien- 
ze, 1869,  pag.  13,  avrebbe  visto  che  la  Nassa  semistriata  non 
è tal  fossile  da  chiamar  caratteristico  del  pliocene,  dacché  s’in- 
contra comunemente  anche  nei  depositi  conchiliferi  a tipo  essen- 
zialmente tortoniano,  come  sono  appunto  quelli  a cui  si  riferi- 
scono le  due  citate  opere. 

Passando  ad  esaminare  il  caso  delle  marne  inferiori  vaticane  e 
della  loro  fauna,  che  il  prof.  Ponzi  vuole  attribuire  al  miocene 
superiore  o piano  tortoniano  di  Mayer,  mi  convien  premettere 
che  questa  fauna  vaticana  in  numero'  di  112  specie  viene  da 
diversi  anni  fatta  soggetto  di  deduzioni  cronologiche  e climato- 
logiche  da  parte  del  prof.  Ponzi,  e che  negli  scritti  di  lui  si 
trova  riprodotta  ora  colla  promessa  di  farne  una  più  retta  espo- 
sizione, ora  col  proposito  di  fornirne  P illustrazione  per  mezzo 
di  tavole.  Ambedue  questi  preconizzati  avvenimenti  sono  molto 
desiderati,  e sono  poi  nel  caso  in  ispecie  necessariamente  ri- 
chiesti per  avere  un’  idea  esatta  di  detta  fauna.  La  quale,  per 
quanto  è stata  specificata  dal  prof.  Ponzi,  presenta  l’inconve- 
niente di  contenere  un  numero  strordinario  di  specie  nuove  (più 
che  il  30  7o),  le  quali  intanto  non  servono  che  a nasconderne 
la  vera  e complessiva  natura. 

Ma  lasciando  da  parte  le  specie  supposte  nuove  ed  esami- 
nando quelle  che  si  leggono  specificate,  a me  vien  fatto  di  po- 
ter asserire  : 1“  che  fra  i fossili  specificati  delle  marne  inferiori 
del  Vaticano  non  una  sola  forma  caratteristica  del  tortoniano  vi 
si  trova  inclusa  : 2*^  che  1’  insieme  di  questi  fossili  chiaramente 
e sicuramente  si  riferisce  alla  zona  delle  marne  grigie  del  plio- 
cene inferiore. 

Quanto  alla  prima  asserzione  io  porto  a mia  testimonianza 
le  faune  essenzialmente  e tipicamente  tortoniane  di  Sassuolo  c 


25 


— 370 


di  Monte  Gibio  nel  modenese,  di  Vigoleno  nel  piacentino,  di  So- 
gliano  nel  cesenate,  di  Bassano,  delle  colline  tortonesi,  del  Monte 
Léberon  in  Francia  e del  piano  tortoniano  di  tante  località  del 
miocene  d’  Austria  e d’ Ungheria.  Voglia  il  prof.  Ponzi  prender 
cognizione  di  queste  faune  locali,  e ben  presto  si  persuaderà  che 
la  sua  fauna  vaticana  non  ha  con  esse  niente  di  comune. 

Quanto  alla  seconda  asserzione,  io  porto  a testimonianza  la 
fauna  delle  marne  grigie  della  zona  del  pliocene  inferiore  di  Fa- 
biano nel  piacentino,  e più  specialmente  di  Orciano  nelle  colline 
di  Pisa.  Se  il  prof.  Ponzi  prenderà  cognizione  della  ricchissima 
fauna  di  quest’  ultima  località,  ben  presto  si  persuaderà  che  la 
sua  fauna  vaticana  non  è che  una  relativamente  meschina  e po- 
vera riproduzione  di  quella  di  Orciano.  La  sola  presenza  nelle 
marne  inferiori  del  Vaticano  della  FeccMolea  argentea  e della 
Marginella  auris-leporis  suggerisce  questo  ravvicinamento  di  lo- 
calità; giacché  queste  due  singolari  e rare  conchiglie  si  raccol- 
gono solamente,  per  quanto  io  mi  ricordo,  ad  Orciano,  a Fa- 
biano ed  al  Vaticano. 

Il  prof.  Ponzi  nel  notare  nella  sua  fauna  vaticana  la  preva- 
lenza di  certi  generi  e famiglie  di  molluschi  (dentali,  lede,  pet- 
tini e pteropodi  in  genere),  scrive  : « che  di  questi  è così  grande 
la  quantità  di  specie  e di  individui  da  dare  una  fisonomia  spe- 
ciale al  Monte  Vaticano,  per  servire  di  orizzonte  geologico.  » Ora 
appunto  questa  straordinaria  abbondanza  di  pteropidi,  di  lede  e 
di  nucule  e di  altri  molluschi  ed  animali  in  genere,  che  carat- 
terizzano la  fauna  di  mare  profondo  a differenza  della  fauna  di 
spiaggia  0 di  mare  sottile,  si  riscontra  principalmente  ad  Or- 
ciano.  Una  visita  alla  grandiosa  collezione,  che  di  questa  clas- 
sica località  possiede  il  signor  Koberto  Lawley,  potrà  farne 
persuasi. 

Ma  intanto  nessuno  ha  mai  pensato  di  fare  delle  marne  gri- 
gie di  Orciano  un  orizzonte  geologico  ; bensì  ognuno  che  abbia 
studiata  la  serie  delle  formazioni  plioceniche  delle  colline  di 
Pisa,  si  è contentato  di  riscontrare  in  quelle  marne  il  piano  in- 
feriore della  zona  del  pliocene  antico.  Il  quale  piano  inferiore  è 
ordinariamente  formato  da  un  deposito  marnoso  di  alto  fondo, 
con  una  fauna  che  analogamente  indica  essersi  trattato  di  un 
mare  libero  ed  avente  una  certa  profondità. 


— 371  — 


; 


Il  prof.  Ponzi  (lice  che,  anche  per  ragione  stratigrafìca  si  è 
creduto  autorizzato  a riferire  le  marne  inferiori  del  Vaticano  al 
miocene  superiore.  Questo  non  sarebbe  accaduto  se  oltre  un  più 
accurato  confronto  fra  le  vere  faune  plioceniche  e mioceniche, 
egli  avesse  ricordato  che  nella  serie  delle  formazioni  plioceniche 
si  ammettono  per  ragione  litologica  e paleontologica  due  zone, 
una  superiore  e V altra  inferiore,  a due  piani  ognuna  di  sabbie 
e di  marne,  rappresentando  le  sabbie  il  deposito  litorale  o di 
basso  fondo  marino,  e le  marne  quello  di  alto  mare  e di  pro- 
fondità. Anche  dal  lato  della  posizione  stratigrafica  non  vi  è quindi 
ragione  di  considerare  come  mioceniche  le  marne  del  Vaticano. 

Ma  con  ciò  io  credo  di  avere  raggiunto  lo  scopo  di  questo 
mio  scritto,  che  era  quello  di  dimostrare  che  la  così  detta  fauna 
vaticana  non  è cosa  peculiare  a quella  collina,  mentre  s’ incontra 
anche  più  riccamente  rappresentata  altrove,  e che  per  di  più 
questa  fauna  non  è di  età  miocenica,  ma  bensì  pliocenica;  e che 
infine  per  la  sua  natura  e per  quella  litologica  del  deposito  ma- 
rino in  cui  si  trova  contenuta,  corrisponde  alla  fauna  di  alto 
fondo  0 di  profondità  della  zona  inferiore  del  pliocene. 

Ciò  detto,  senza  aver  la  pretensione  di  insegnare  una  cosa 
. 0 molto  difficile  o molto  nuova,  io  mi  permetto  di  metter  sot- 
t’ occhio  al  prof.  Ponzi  un  saggio  di  divisione  del  pliocene  ma- 
rino delle  colline  di  Roma,  quale  mi  viene  suggerito  dal  tri- 
plice elemento  paleontologico,  litologico  e stratigrafico  considerato 
in  queste  ed  in  altre  località  della  nostra  penisola. 


1 ° / 

O 1 

Ji\ 

3 o ^ 

,2 

Sabbie. 

Deposito  di  spiaggia  o di 

1 basso  fondo. 

Sabbie  gialle  superiori  del  Monte 
Mario. 

• < 

® 1 

S i 

S 

Marne. 

Marne  superiori  della  Farnesina. 

y « 

O K 

1 ^ 1 

Deposito  di  alto  fondo. 

M 

S g 

1 Sabbie  o detriti  conchi- 

Calcarea  grossolana  detta  Macco  con 

HH  Hi 

1 ® 

liferi  di  solito  consoli- 

Pecten  latissimus. 

1 O 

1 O 

i dati  in  banchi. 

? Letti  di  sabbione  giallastro  senza 

S i 
o ® 

1 co  .fJ  Q> 

^ ^ s 

\ Deposito  di  spiaggia  o di 

fossili  del  Monte  Mario  e del  Vati- 

O N 

^ alto  fondo. 

cano. 

B 

<S>  o 

cj 

o 

03  O)  0 
o .1-1 

O 1 

Marne. 

Marne  grigie  inferiori  del  Vaticano. 

04 

Deposito  di  alto  fondo. 

Bologna,  Novembre  1875. 


372  - 


V. 

I Porfidi  del  Lago  di  Lugano,  per  B.  Studer. 

{ ZeitscTirift  der  Deut.  geolog.  Gesell.,,  B.  27,  H.  2,  Berlin,  1875.) 


Il  pregievole  lavoro  dei  signori  Negri  e Spreafico *  * sui  din- 
torni di  Varese  e di  Lugano,  dette  occasione  alla  Commissione 
geologica  svizzera  di  interpellare  gli  autori  se  avessero  voluto 
prendersi  V incarico  della  colorazione  geologica  del  foglio  XXIV 
della  Carta  del  Dufour,  dal  suo  margine  occidentale  fino  alla 
riva  occidentale  del  Lago  di  Como  ; e questo  incarico  fu  da  essi 
cortesemente  accettato.  Giova  però  osservare  che  per  quanto 
riguarda  i porfidi  che  compariscono  in  questa  regione,  sarebbe 
stato  nostro  desiderio  che  nella  nuova  Carta  T argomento  fosse 
trattato  in  modo  diverso. 

xyiorchè  von  Buch  nell’  anno  1825  insieme  a Mousson  e a 
me  dedicò  parecchi  giorni  alla  geologia  del  Lago  di  Lugano,  e 
due  anni  più  tardi  visitò  nuovamente  queste  attraenti  località, 
credè  di  aver  trovato  colà  pure  una  conferma  dei  resultati  ch’egli 
aveva  da  poco  tempo  ottenuti  nel  Tirolo  meridionale  : un  por- 
fido quarzifero  rosso  alla  base  della  formazione  ed  un  porfido 
nero  più  giovane  senza  quarzo,  che  egli  suppose  corrispondente 
al  porfido  augitico  del  Tirolo,  il  quale  sollevò  i monti  calcarei 
e produsse  la  loro  conversione  in  dolomiti.  Siccome  però  nel 
porfido ^nero  del  Lago  di  Lugano  non  potevasi  chiaramente  rico- 
noscere r augite,  preferì  per  esso  la  denominazione  di  porfido  epi- 
dotico  che  più  tardi,  dopo  Brongniart,  cangiò  in  quella  di  Melafiro.^ 

Nell’  anno  1833  io  visitai  nuovamente  questa  località  ed  os- 
servai tra  Melano  e Maroggia  evidenti  filoni  di  porfido  rosso  nel 
porfido  nero,  nella  stessa  maniera  come  io  aveva  veduto  per  l’ in- 
nanzi presso  Predazzo,  sulla  pendice  del  Monte  Mulatto,  filoni 
di  granito  tormalinifero  rosso  nel  melafiro.^  Io  credetti  perciò 

). 

* Vedi  Memorie  del  R.  Istituto  Lombardo,  1869. 

^ Vedi  Ahhandlungen  der  K.  Akad.  der  TEiss.  zu  Berlin,  p.  193.  — 
Vedi  Ann.  des  Sciences  Naturelles,  Paris,  1829,  voi.  18,  p.  258. 

® Vedi  Leonhard,  Zeitschrift  fùr  Mineralogie,  1829,  p.  259. 


373  - 


di  dovere  riconoscere  il  porfido  rosso  come  più  giovane,  e ne  feci 
una  relazione  alla  Società  geologica  di  Parigi/ 

Nello  stesso  anno  anche  i miei  amici  F.  Hoffmann  ed  A.  Escher 
nel  loro  ritorno  dall’  Italia  intrapresero  un  più  dettagliato  studio 
di  questi  porfidi  e mandarono  parimente  la  loro  relazione  alla 
Società  geologica.  Noi  non  ci  eravamo  veduti  allora  nè  nel  Canton 
Ticino  nè  in  Berna:  i filoni  del  porfido  rosso  nel  nero  furono 
anche  da  loro  constatati.  Contemporaneamente  però  essi  trovarono 
nella  penisola  di  Carona  e di  Morcote  una  così  intima  connes- 
sione fra  le  due  forme  litologiche  ed  anche  colla  roccia  feldi- 
spatica  descritta  dal  von  Buch  come  granito,  che  credettero  di 
dover  riconoscere  nelle  tre  forme  di  roccia  semplici  modifica- 
zioni di  una  stessa  massa,  la  cui  origine  deve  ritenersi  più 
antica  dei  depositi  calcarei  e dolomitici  che  la  ricuoprono.^ 

Alla  stessa  conseguenza  giunse  più  tardi  C.  Brunner  di  Berna, 
adesso  stabilito  in  Vienna,  poiché  anche  egli  credette  di  aver 
veduto  filoni  di  porfido  nero  nel  rosso  ; ed  in  ciò  concorda  con 
Girard.^  L’ inclinazione  delle  montagne  calcaree  e dolomitiche  da 
tutti  i lati  intorno  al  lago  e le  colline  porfiriche  che  lo  circon- 
dano risvegliano,  secondo  lui,  come  per  V innanzi  secondo  von 
Buch,  r imagine  di  una  volta  sollevata  dal  basso  in  alto  e rotta.* * 
In  seguito  alle  osservazioni  di  Hoffmann,  Brunner,  Girard, 
e alle  loro  proprie,  i signori  Negri  e Spreafico  hanno  contrasse- 
gnato col  medesimo  colore  nella  loro  carta  il  porfido  rosso  e il 
nero,  il  granito  a druse  di  Figino  e la  retinite  nera  di  Grantola; 
e ciò  non  può  esser  approvato.  Secondo  von  Buch  anche  il  gra- 
nito di  Baveno  dovrebbe  essere  riunito  a queste  rocce. 

Le  nostre  carte  geologiche  sono  però  prevalentemente  petro- 
grafiche.  Esse  distinguono  il  granito  dal  gneiss,  il  granito  dalla 
sienite,  la  trachite  dal  basalto,  il  calcare  dall’  arenaria  sebbene 
frequentemente  vi  si  riscontrino  dei  passaggi  e la  differenza  nella 
età  debba  spesso  mettersi  in  dubbio  o negarsi  risolutamente. 
Petrograficamente  però  due  rocce  non  sono  fra  loro  mai  tal- 


* Vedi  Bull.  Soc.  Geol.,  S.  1,  T.  4,  p.  54.  — VediB.  Studer,  Geologie  der 
Schweiz,  Bern,  1851,  B.  1,  p.  472. 

2 Vedi  Bull.  Soc.  Geol.,  S.  1,  T.  4,  p.  103. 

® Vedi  Leonhard,  Jahrbuch,  1851,  p.  33G.  ' 

* Vedi  Neue  Denkschr.  der  Schweiz.  Gesell.,  1852,  B.  12. 


— 374  — 


« 


mente  disgiunte  come  il  porfido  rosso  e il  nero  del  lago  di 
Lugano. 

Il  porfido  rosso,  che  meglio  corrisponde  alla  descrizione  di  von 
Buch  e ai  porfidi  quarziferi  di  altre  località,  è formato  di  una 
pasta  rosso-bruna,  a frattura  scabra,  con  cristalli  geminati  di 
ortose  bianco-giallastro,  con  albite  isolata  quasi  incolora  fina- 
mente striata,  ed  in  cristalli  geminati  con  dodecaedri  di  quarzo 
vitrei  ed  incolori.  Esso  però  non  è limitato  entro  sì  angusti 
confini  : presso  Maroggia  la  pasta  è di  un  colore  rosso  mattone 
smorto,  a elementi  grossolani  ; il  quarzo  comparisce  in  grani 
arrotondati  della  grossezza  talvolta  di  un  pisello.  Nei  filoni  la 
pasta  è compatta  a frattura  piana,  con  lucentezza  cerea,  e i cri- 
stalli geminati  di  ortosio,  chiaramente  isolati,  sono  di  un  colore 
rosso  scuro.  Come  varietà,  nota  rHoffmann  anche  il  granito  a 
druse  di  Figino. 

Il  porfido  nero  si  mostra  costantemente  nei  suoi  caratteri. 

-Non  senza  ragione  von  Buch  lo  paragonò  colle  rocce  oscure  del 
Tirolo  meridionale  ; esso  assomiglia  in  modo  straordinario  ai  me- 
lafiri  dei  Vogesi  o dei  monti  di  Lione.  Una  pasta  verde  nera- 
stra, sottilmente  scagliosa,  con  cristalli  isolati,  piccolissimi,  di 
color  bianco  tendente  al  gialliccio  od  al  rossiccio,  che  von  Buch 
riconobbe  per  albite  (oligoclasio)  ; V ortose  e il  quarzo  sembrano 
mancare  affatto.  Alcuni  cristalli  allungati  di  color  verde  porro 
scuro,  furono  da  von  Buch  ritenuti  per  augite  o epidoto. 

Le  analisi  microscopiche  sopra  lastre  sottili,  gentilmente  ese- 
guite dal  prof.  Fischer  di  Freiburg,  conducono  a resultati  poco 
differenti.  La  pasta  del  porfido  rosso  non  mostra  alcuna  traccia 
di  strie  di  geminazione  e,  se  altrimenti  non  decide  V analisi 
chimica,  si  può  ritenere  composta  di  solo  ortosio.  Alcuni  punti 
di  color  verde-olio  che  non  possono  isolarsi  dalla  massa  potreb- 
bero forse  esser  riguardati  come  pinitoidi.  Anche  nella  pasta 
del  porfido  nero  e nei  cristalli  piccoli  incolori  in  essa  dis- 
seminati crede  il  prof.  Fischer  di  dovere  riconoscere  soltanto 
r ortosio.  I cristalli  allungati  di  color  verde  porro  sembrano  ad 
esso  di  orneblenda;  cosicché  il  porfido  nero,  se  la  massa  prin- 
cipale fosse  un  feldispato  triclino,  potrebbe  ritenersi  come  una 
porfirite.  Alcuni  granuli  neri  che  compaiono  nelle  lastre  sottili, 
nella  roccia  polverizzata  si  danno  a conoscere  per  magnetite,  e 


— 375 


le  striature  color  giallo  d’  ottone,  riconoscibili  alla  lente,  pos- 
sono essere  di  pirrotina. 

Onde  esaminar  meglio  queste  rocce,  i signori  Negri  e Sprea- 
fico  hanno  fatto  analizzare  chimicamente  sei  varietà  di  esse  per 
mezzo  del  loro  amico  Gargantini-Piatti  di  Milano.  Due  di  esse, 
che  appartengono  ai  due  porfidi  di  cui  è parola,  dettero  i se- 
guenti resultati  : 


Porfido  quarzifero  rosso 

Porfido  nero 

di  Valgana. 

fra  Melano  e Rovio. 

Silice 

84,10 

69,57 

Allumina 

10,50 

12,30 

Protossido  di  ferro.  . 

1,10 

— 

Sesquiossido  di  ferro. 

— 

14,05 

Magnesia 

0,03 

0,49 

Calce 

0,04 

1,50 

Potassa  e Soda . . . 

1,10 

0,25 

Acqua  

1,93 

3,25 

98,80 

101,41 

In  seguito  a queste  analisi,  anche  il  dott.  Justus  Roth  non  ha 
più  oltre  riguardato  il  porfido  nero  di  Lugano  come  un  melafiro, 
ma  lo  ha  collocato  con  i porfidi  felsitici.^ 

Ciò  che  più  mi  colpì  in  queste  analisi  di  rocce  prevalente- 
mente composte  di  feldispato  fu  il  tenore  in  alcali  ridotto  sem- 
plicemente a tracce.  Io  supposi  che  fossero  state  eseguite  con 
pezzi  non  freschi,  tantopiù  che  quasi  dappertutto  la  roccia  fino 
ad  una  certa  profondità  sotto  la  superfice  è alterata.  Per  questo 
allorché  per  la  ferrovia  del  Gottardo,  nel  1873,  dovevano  fo- 
rarsi presso  Maroggia  i due  porfidi  con  un  tunnel  di  543,50  me- 
tri, mi  feci  spedire,  parecchi  mesi  dopo  il  principio  del  lavoro, 
dei  campioni  il  più  possibilmente  freschi,  la  cui  analisi  fu  ese- 
guita dal  nostro  professore  di  chimica  Schwarzenbach.  Da  essa 
risultarono  i seguenti  numeri  che  approssimativamente  concor- 
dano con  quelli  dell’  analisi  di  Milano  : 


’ J.  Roth,  Beitràge  zur  Petrographie  der  plutonischen  Gesteine,  Ber- 
lin, 1873. 


X 


- 376  — 

Porfido  rosso. 

Porfido  nero. 

Silice 

74,706 

65,471 

Allumina 

11,267 

15,154 

Ossido  di  ferro.  . 

4,345 

10,642 

Magnesia 

0,360 

0,340 

Calce  ....... 

1,641 

3,894 

1,611 

Potassa  e Soda.  . 

3,647 

Acqua 

3,690 

3,101 

99,903 

99,966 

Nell’  autunno  1874  essendo  passato  per  Maroggia,  mi  feci 

dare  di  nuovo  due  campioni  staccati  dal 

tunnel  ivi  scavato  e 

già  molto  avanzato  ; e,  nella  speranza  che 

una  separazione  più 

netta  degli  alcali  offrirebbe 

un  punto  di  appoggio  per  la  distin- 

zione  dei  feldispati,  pregai 

il  mio  amico  signor  von  Fellenberg, 

conosciutissimo  per  le  sue  analisi  minerali. 

a fare  P analisi  di 

quei  campioni.  Per  confronto  con  le  già  date  voglio  presentare 

soltanto  i resultati  principali  ottenuti  con 

una  prima  analisi  : 

Porfido  rosso. 

Porfido  nero. 

Silice 

71,74 

61,67 

Allumina 

12,60 

16,38 

Ossido  di  ferro.  . 

2,45 

' 6,31 

Calce  . 

2,30 

2,57 

Magnesia  . . . . . 

1,24 

3,02 

Ossidalo  di  mang. 

0,84 

0,30 

Potassa  

Soda 

4,14 

3,41 

3,50 

4,22 

3,65 

Perdita  al  fuoco  . 

3,31 

102,22 

101,43 

Se  rimarcliiaino  la  presenza  di  quarzo  libero  nel  porfido  rosso 
e del  ferro  magnetico  pure  libero  nel  nero,  e specialmente  poi 
la  quasi  completa  consonanza  negli  alcali,  vien  tosto  l’ idea  die 
ad  onta  della  grande  differenza  dei  caratteri  esterni,  la  compo- 
sizione chimica  sia  prossimamente  la  stessa  in  ambedue  i porfidi. 


Il  signor  von  Fellenberg,  in  una  nota  da  esso  pubblicata 
nello  stesso  periodico,^  espone  il  processo  ed  il  risultato  delle 


’ Vedi  Zeitschrìft  der  deiitscheìi  B.  27,  H. 2,  p.  422. 


377  - 


analisi  istituite  sui  due  porfidi  del  luganese,  e,  dato  il  primo 
risultato  sommario  ora  riportato,  continua  come  segue: 

Queste  due  analisi  abbisognano  ancora  di  una  correzione  in 
rapporto  al  carbonato  terroso  scoperto  nei  rispettivi  campioni  ; 
per  il  che,  eseguite  le  operazioni  chimiche  relative  e fatta  la 
riduzione  dei  numeri,  si  ha  il  seguente  risultato  : 


Porfido  rosso. 

Porfido  nero. 

Silice 

70,18 

60,80 

Allumina  . . . . . 

12,33 

16,15 

Ossido  di  ferro.  . 

2,40 

6,22 

Calce 

0,38 

0,62 

Magnesia 

0,26 

2,48 

Ossidalo  di  mang. 

0,82 

0,30 

Potassa 

4,05 

4,16 

Soda 

3,34 

3,60 

Acqua 

0,93 

1,23 

Carbonato  terroso. 

5,31 

4,44 

100,00 

100,00 

Eseguite  poi  le  ricerche  pei*  determinare 

il  quantitativo  di 

ferro  magnetico  nel  porfido 

nero,  dalla  media 

di  quattro  analisi 

si  ebbe  prossimamente  il  6,20  7o  di  questo 

minerale  ; per  cui 

tutto  il  ferro  contenuto  in 

detto  porfido,  vi 

si  trova  allo  stato 

di  magnetite. 

Volendo  poi  dai  precedenti  risultati  dedurre  quale  sia  la  na- 
tura del  feldispato  in  ambedue  i porfidi,  si  può  partire  dal 
quantitativo  dei  due  alcali,  e precisamente  da  quello  della  po- 
tassa per  la  determinazione  dell’  ortosio,  e da  quello  della  soda 
per  r oligoclasio.  Eseguiti  i calcoli  relativi,  si  hanno  i seguenti 
risultati  definitivi,  ad  ottenere  1 quali  si  è eliminato  il  carbo- 
nato come  elemento  estraneo  alla  roccia  : 


Porfido  rosso. 

Porfido  nero. 

Ortosio 

. 35,67 

61,03 

Oligoclasio .... 

. 28,53 

31,29 

Quarzo 

. 32,39 

— 

Ossido  di  ferro  . 

. 2,53 

— 

Ferro  magnetico. 

• 

6,41 

Acqua  

, 0,98 

1,27 

— 378  — 


Da  ultimo  giova  osservare  che  il  porfido  nero,  che  dall’  ana- 
lisi risulta  assai  più  basico  dell’  altro,  sembra  per  questo  appar- 
tenere ad  un’  epoca  di  gran  lunga  posteriore  al  primo  che  si 
dimostra  assai  ricco  di  silice,  e nel  quale  i almeno  dell’  acido 
silicico  trovansi  allo  stato  di  quarzo  libero  disseminato  nella  massa 
feldispatica. 


VI. 

Bilievi  nel  territorio  di  Sexten,  nel  Cadore 
e nel  Comelico  {Alpi  venete)^  del  dott.  K.  Hòrnes. 

{Verhandlungen  der  k.  k.  geolog.  Beichs.,  Wien.,  1875,  14.) 

Nell’  ultimo  mese  della  campagna  geologica  di  quest’  anno  fu 
mia  cura  di  completare  nelle  valle  di  Sexten  le  ricerche  sulla 
continuazione  orientale  dei  terreni  secondari  dei  monti  di  Ampez- 
zo, per  quanto  si  estendono  nel  dominio  austriaco,  e quindi 
anche  nel  territorio  veneto  limitrofo,  allo  scopo  di 'ottenere  mate- 
ria per  rischiarare  le  condizioni  geologiche  dei  dintorni  di  Cor- 
tina d’ Ampezzo  già  prima  d’  ora  studiati.  Io  fui  abbastanza 
fortunato  di  poter  fare  in  diversi  punti  scoperte  paleontologiche 
di  un  certo  interesse  : per  riguardo  alla  cartografia  il  maggior 
lavoro  è stato  eseguito  coi  rilevamenti  pregevolissimi  del  dottor 
LoretZ',  i quali  addimostrano  maggiore  esattezza  qui  che  nella  parte 
occidentale.  Su  tale  rapporto  non  rimase  a me  che  di  eseguire, 
per  quanto  mi  era  possibile,  quei  miglioramenti,  o per  dir  meglio 
più  esatte  delimitazioni,  atti  a fornire  un  buon  materiale  carto- 
grafico per  il  territorio  austriaco. 

Nel  limitrofo  territorio  veneto  la  carta  del  Loretz,  al  di  fuori 
di  alcuni  rigetti  e ripetizioni  di  strati  dal  medesimo  non  tra- 
veduti, non  abbisognava  di  alcuna  modificazione  essenziale,  ad 
eccezione  delle  masse  montuose  a Sud  di  Pieve  di  Cadore,  le 
quali  non  sono  formate  dalla  dolomite  dello  Schlern  nel  signifi- 
cato più  ampio,  come  accenna  il  Loretz  (dolomite  di  Mendola 
del  Piichthofen),  ma  piuttosto  dal  calcare  del  Dachstein.  Però 
questi  monti  giacciono  per  la  maggior  parte  fuori  della  carta 
del  Loretz. 


379  — 


In  quanto  al  modo  di  presentarsi  dei  giacimenti  triassici,  la 
di  cui  esatta  ricerca  nelle  regioni  occidentali  formava  lo  scopo 
mio  principale,  sarebbe  da  osservarsi  che  esso  è palese  anche 
nelle  località  più  sopra  accennate  ; ma  però  in  queste  le  condi- 
zioni di  giacitura  non  si  mostrano  mai  così  caratteristiche  come 
nei  monti  limitrofi  ad  Ovest.  Sembra  che  la  dolomite  dello  Schieri! 
andando  verso  oriente  prenda  un  carattere  affatto  diverso.  Già 
nel  Comelico  cominciano  a diminuire  i tufi,  le  marne  e le  are- 
narie (che  nel  versante  meridionale  dell’  Antelao  tengono  il  posto 
principale,  mentre  la  dolomite  dello  Schlern  riducesi  ad  un  banco 
di  piccola  potenza)  ; nello  stesso  tempo  la  regione  assume  un 
aspetto  dolomitico,  e quei  terreni  sono  rimpiazzati  dai  calcari 
varicolorati,  rossicci,  grigi  e scuri,  che  anche  all’aspetto  este- 
riore sono  interamente  diversi  dalla  dolomite  dello  Schlern. 

Negli  strati  più  profondi  1’  attenzione  fu  rivolta  specialmente 
all’  insieme  del  calcare  a Bellerophon.  Esso  presentasi  qui  dap- 
pertutto, spesso  con  un  forte  sviluppo  di  gesso  e carniole  alla 
sua  base,  immediatamente  sopra  1’  arenaria  di  Gròden,  ma  solo 
in  pochi  punti  contiene  petrefatti  ben  conservati.  Una  località 
specialmente  fossilifera  trovasi  al  Kreuzberg,  al  passo  fra  Sexten 
ed  il  Coinelico,  ove  io  unitamente  al  Bellerophon  peregrinus  rac- 
colsi numerosi  brachiopodi  e pelecipodi  ed  alcuni  gasteropodi  e 
cefalopodi  (Nautilus). 

Nel  Verrucano,  conglomerato  di  contatto  tra  l’ arenaria  di 

Gròden  e la  fillite,  nel  quale  presso  Santo  Stefano  e Sexten 

trovansi  alcuni  piccoli  giacimenti  di  porfido  quarzifero,  incon- 
trai frequentemente  frammenti  di  un  calcare  paleozoico,  per  lo 

più  rossiccio  0 grigio,  che  non  di  rado  contiene  fusuline.  Questi 
calcari  provengono  certamente  dalle  masse  calcaree  racchiuse 
nelle  fillite  del  Monte  Silvella,  del  Kònigswand  ec. 

Dietro  richiesta  del  professore  Suess  feci  un’  escursione  a 
Forni  Avoltri  per  costatarvi  1’  esistenza  dei  giacimenti  metalli- 
feri negli  schisti  paleozoici.  Nel  Monte  Avanza  vedesi  la  strut- 
tura geologica  allo  scoperto  in  causa  di  una  lavorazione  che 
data  dal  1866.  Sotto  la  massa  calcarea  del  Monte  Paralba  e del 
Monte  Avanza  compariscono  schisti  di  carattere  paleozoico  ; pre- 
valgono gli  schisti  finitici,  a luoghi  però  anche  puri  schisti  mica- 
cei, ricchi  di  quarzo,  che  racchiudono  calcopiriti  in  abbondanza. 


— 380 


Al  contatto  degli  schisti  col  calcare  del  Monte  Avanza  trovansi 
molte  qualità  di  minerali  ; rame  grigio,  calcopirite,  baritina,  galena 
argentifera,  che  già  da  gran  tempo  furono  oggetto  di  lavorazione. 
Verso  Sud  segue  a breve  distanza  un  forte  rigetto  in  seguito 
al  quale  sprofondarono  1’  arenaria  di  Grdden,  gli  strati  di  Werfen 
e i più  antichi  membri  del  Trias  insieme  cogli  schisti  metalliferi. 

Questi  grandi  rigetti  per  la  maggior  parte  allineati  da  Est 
ad  Ovest  sono  unà  regola  generale  nel  territorio  da  me  visitato. 
Due  di  essi,  quello  che  attraversa  V Antelao  e il  massiccio  del 
Sorapiss-Marmarole,  come  anche  quello  nel  quale  ha  il  suo  corso 
la  Piave  fra  Lozzo  e Pieve  di  Cadore,  trascorre  a Nord  del 
Monte  Zucco,  e si  continua  poi  più  lungi  verso  O.S.O.  fino  in 
Val  Sugana,  non  furono  riconosciuti  dal  dottore  Loretz.  Questi 
rigetti  da  una  parte  rendono  difficile  il  rilevamento  della  con- 
trada, dall’  altra  permettono  P affioramento  di  strati  che  altri- 
menti sarebbe  impossibile  di  osservare. 

Il  calcare  del  Dachstein  mi  somministrò  in  molti  punti  ricco 
bottino  di  fossili.  Così  trovai  nei  Monti  Marmar  ole  a Sud  del 
Monte  Rosiana  molti  resti,  sebbene  non  ben  conservati,  di  coralli 
e gasteropodi  {Turbo,  Natica,  Ghemnitzia)  unitamente  ai  Mega- 
lodon  caratteristici.  Il  complesso  delle  rocce  fossilifere  anche 
petrograficamente  è diverso  dal  solito  calcare  del  Dachstein  ; 
è frequentemente  formato  da  una  breccia  nella  quale  frammenti 
calcarei  scuri  sono  racchiusi  in  una  massa  rossiccia  chiara,  e 
giace  all’  incirca  nella  parte  mediana  dello  spessore  del  Dachstein. 
Al  Col  del  Fuoco,  un  poco  sotto  il  suo  vertice,  nella  Val  Traver- 
nanzes,  nelle  pareti  a picco  della  Tofana  e finalmente  in  modo 
migliore  nella  Valle  Oten  al  piede  N.E.  dell’  Antelao,  potei  osser- 
vare questi  giacimenti  fossiliferi.  Nella  Valle  Oten  io  trovai  nella 
stessa  roccia  una  ricchissima  fauna  di  gasteropodi  : Chemnitde  di 
forme  differenti  ed  eleganti  forme  di  Trochus,  Turbo,  Capulus  ec. 
I megalodonti  vi  erano  molto  rari,  come  anche  altri  pelecipodi 
dei  quali  non  rinvenni  che  pochi  esemplari.  Al  contrario  nella 
Val  Travernanzes  si  trovarono  solamente  megalodonti  perfetta- 
mente conservati,  dei  quali  spesso  era  zeppa  la  roccia,  dalla 
quale  potevano  estrarsi  relativamente  bene. 

Nè  nei  Marmar  oli  nè  sulla  cima  dell’  Antelao  non  potei  in- 
contrare strati  Passici  o giuresi. 


- 381  - 


I conglomerati  diluviali  caratteristici  di  cui  ha  fatto  cenno 
il  Loretz,  compariscono  in  gran  quantità  nel  Cadore,  ricuoprendo 
presso  Calalzo  e Domegge  tutta  quanta  la  pianura  della  valle 
della  Piave.  In  prossimità  di  Pieve  di  Cadore  trovansi  ancora 
grandi  masse  di  travertino  formato  da  sorgenti,  che  a quanto 
sembra  escono  dal  calcare  a Beìlerophon,  con  temperatura  al- 
quanto elevata,  È notevole  il  fatto  che  quasi  tutte  le  sorgenti 
salutifere  che  vengono  utilizzate  nei  numerosi  bagni  della  Poste- 
ria, sgorgano  dal  calcare  a JBellerophon  (Valdanders,  Bergfall, 
Prags,  Sextner  Wildbad  ec.),  e sembrano  molto  ricche  in  so- 
stanze minerali,  fra  le  quali  lo  solfo  tiene  il  primo  posto. 


VII. 

La  formazione  delle  meteoriti  e il  vulcanismo^ 
di  G.  Tschermak. 

(Dal  voi.  LXXI  dei  Rendiconti  delV  Imp.  Accad.  delle  Scienze  di  Vienna,  aprile  1875.) 

Dappoiché  per  mezzo  di  Howard,  Klaproth,  Yauquelin,  Ber- 
zelius,  venne  dimostrata  la  composizione  chimica  elementare  di 
molte  meteoriti,  si  trovò  che  i materiali  di  composizione  delle 
meteoriti  erano  in  genere  di  quelli  stessi  che  appariscono  in 
grande  quantità  nella  scorza  della  terra.  E già  anche  prima  venne 
riconosciuta  dal  Chladni  la  natura  planetare  di  queste  masse 
singolari. 

La  connessione  di  ambedue  questi  risultati  faceva  presumere 
che  anche  i rimanenti  corpi  celesti  fossero,  come  la  nostra  terra, 
composti  delle  medesime  sostanze.  Per  mezzo  delle  ricerche  spet- 
trali sulla  luce  del  sole,  iniziate  dal  Kirchhoff  e dal  Bunsen, 
questa  congettura^  circa  il  nostro  centro  solare  venne  elevata  a 
certezza;  e per  mezzo  delle  osservazioni  istituite  da  Secchi, 
Huggins  e Miller  sullo  spettro  delle  stelle  fisse,  venne  stabilita 
la  verità  che  P Universo  si  compone  degli  stessi  materiali. 

Come  V analisi  delle  meteoriti  confermava  la  conoscenza  della 
natura  materiale  dei  corpi  celesti,  così  la  osservazione  della  forma 
delle  medesime  ci  promette  di  aprirci  lo  sguardo  nell’  intimo  degli 


- 382  - 

avvenimenti  degli  astri  e nei  cambiamenti  a cui  questi  vanno 
soggetti. 

La  forma  delle  meteoriti  è singolare.  Poco  era  stata  osser- 
vata per  il  passato  ; però  è estremamente  curioso  il  fatto  che  le 
meteoriti  si  presentano  in  forma  di  frammenti.  È noto  che,  chiun- 
que abbia  solo  inteso  parlare  della  natura  planetare  delle  me- 
teoriti, che  per  la  prima  volta  ne  abbia  vista  una  collezione,  ri- 
mane meravigliato  di  trovare  che  questi  corpi  non  siano  rotondi 
come  i pianeti,  ma  bensì  angolosi  ed  irregolari,  e che  anche 
nell’  interno  non  lascino  notare  la  benché  minima  struttura  con- 
centrica. 

Haidinger  esaminò  la  superficie  delle  meteoriti  con  gran  cura, 
e venne  in  persuasione  che  la  crosta  scura  con  V arrotondamento 
degli  angoli  non  fosse  condizione  originaria,  ma  che  la  meteorite 
solo  coll’  attraversare  1’  atmosfera  si  coprisse  di  una  crosta  sot- 
tile, e che  per  questo  fatto  perdesse  la  sua  angolosità.  Quindi 
è che  tutte  le  meteoriti  prima  di  entrare  nell’  atmosfera  terre- 
stre hanno  posseduta  una  forma  irregolare  ed  angolosa;  ed  anzi 
molte  fra  esse  erano  direttamente  a spigoli  acuti.  La  superficie 
di  questi  frammenti  erano  appunto  superficie  di  frattura,  e cia- 
scuna meteorite  sarebbe  pervenuta  a questa  forma  mediante  il 
frangersi  di  una  massa  maggiore. 

Tutte  le  collezioni  che  contengono  delle  meteoriti  complete, 
forniscono  degli  esempi  che  dimostrano  questo  fatto  come  indi- 
scutibile. Nella  collezione  di  Vienna  si  distinguono  in  questo 
senso  il  ferro  meteorico  di  Agram,  quello  di  Ilimaé,  le  pietre  di 
Knyahinya,  Seres,  Lancé,  Chantonnay,  Orvinio,  Tabor,  Pultusk, 
Stannern,  ec.  La  forma  esterna  di  queste  e di  altre  meteoriti 
non  ha  alcuna  connessione  colla  loro  struttura  interna,  ed  è in- 
vece al  tutto  casuale. 

Si  potrebbe  credere  che  la  frammentazione  fosse  succeduta 
nell’aria;  ed  in  vero  si  offrono,  per  quanto  di  rado,  dei  casi  in 
cui  r esame  della  crosta  della  meteorite  insegna  che  questa  deve 
esser  scoppiata  durante  il  suo  corso  attraverso  1’  atmosfera.  Però 
questo  non  toglie  niente  al  fatto  che  le  meteoriti  raggiungono 
r atmosfera  già  allo  stato  di  frammenti.  Così  nella  caduta  di 
meteoriti  non  lontano  da  Butsura  nelle  Indie  orientali  (12  mag- 
gio 1861)  si  trovarono  cinque  pezzi  a distanza  l’uno  dall’altro 


- 383  — 


fin  di  6 miglia  inglesi.  Allorquando  Maskelyne  in  Londra  ri- 
metteva insieme  questi  pezzi,  egli  riusciva  a ricostruire  la  forma 
originale  della  meteorite  prima  che  questa  scoppiasse  nell’  atmo- 
sfera. Si  conobbe  così  che  questa  meteorite  aveva  avuta  nella 
sua  integrità  la  forma  di  una  scaglia  proporzionatamente  sottile 
ed  incurvata.  Il  riscaldamento  ineguale  nell’  aria  doveva  far  scop- 
piare un  simile  corpo.  Questo  esempio  risparmia  1’  enumerazione 
di  tutti  i fatti  che  dimostrano  come  le  meteoriti  non  entrino 
nell’atmosfera  come  corpi  rotondi  somiglianti  ai  pianeti. 

Le  meteoriti  dunque  giungono  a noi  sempre  e solo  come 
frammenti  e come  scaglie  o particelle  derivanti  da  una  o da  pa- 
recchie maggiori  masse  planetarie.  Se  sia  stata  una  sola  massa 
che  diede  luogo  a questi  frammenti,  o se  siano  state  parecchie, 
ad  ogni  modo  la  dimensione  ne  deve  esser  stata  abbastanza 
considerevole. 

Si  trova  infatti  nella  maggior  parte  dei  ferri  meteorici  un 
modo  di  compage  che  dimostra  come  ciascuno  dì  questi  sia  una 
porzione  di  un  più  grande  individuo  cristallino.  La  formazione 
di  un  così  grande  individuo  presuppone,  come  già  Haidinger  os- 
servava, dei  lunghi  intervalli  di  tempo  di  una  cristallizzazione 
tranquilla  sotto  una  temperatura  invariabile;  e ciò  che  solamente 
avviene  ad  un  gran  corpo  mondiale.  Sopra  molte  pietre  meteo- 
riche si  osservano  delle  superfici  di  screpolatura  (esempio  Cha- 
teau-Eenard,  Pultusk,  Alessandria),  le  quali  rassomigliano  pre- 
cisamente alle  superfici  di  screpolatura  che  si  osservano  nelle 
masse  rocciose  della  terra,  e che  dimostrano  il  disgiungimento 
ed  il  disgregamento  di  masse  maggiori.  Alcune  pietre  meteoriche 
offrono  la  congiunzione  di  frammenti  angolosi,  come  i ferri  me- 
teorici di  Copiapo,  quello  di  Tuia,  le  pietre  di  Chantonnay,  Or- 
vinio,  Weston,  le  quali  corrispondono  alle  breccie  delle  roccie 
terrestri. 

Molte  di  tali  pietre  consistono  di  molti  piccoli  frammenti  o 
di  minime  scheggie,  e sono  somiglianti  ai  tufi  vulcanici.  Queste 
apparenze  accennano  di  nuovo  alla  derivazione  da  maggiori  corpi 
celesti  nei  quali  ebbero  luogo  azioni  metaniche. 

Così  noi  giungiamo  alla  dimostrazione,  che  una  o più  mag- 
giori masse,  le  quali  hanno  già  sostenuto  un  più  lungo  processo 
di  formazione,  hanno  fornito  il  materiale  alle  meteoriti. 


- 384  - 


A questo  resultato  sono  già  arrivati  molti  scienziati,  i quali 
si  sono  occupati  dello  studio  delle  meteoriti.  Daubrée  tentò  di 
rispondere  alla  questione  relativa  al  modo  del  frammentarsi 
delle  meteoriti,  e si  arrestò  all’  alternativa  che  la  frammen- 
tazione possa  esser  derivata  da  una  collisione  o da  una  esplo- 
sione. * * 

L’  opinione  che  i minori  pianeti  possano  essersi  formati  in 
seguito  ad  una  collisione  e frammentazione  di  maggiori  corpi 
celesti  è già  stata  enunciata  da  Olhers  per  riguardo  agli  aste- 
roidi." Più  tardi  D’ Arrest  e C.  v.  Littrow,  hanno  per  mezzo  di 
accurati  calcoli  esaminata  la  possibilità  di  un  incontro  degli 
asteroidi. 

In  una  collisione  di  due  corpi  celesti  solidi,  i quali  si  muo- 
vano l’uno  verso  l’altro  con  velocità  planetaria,  avrebbe  luogo 
nel  punto  di  contatto  una  fusione  e più  ancora  una  volatilizza- 
zione," e nel  rimanente  succederebbe  una  frammentazione,  ed  i 
frammenti  verrebbero  dispersi  in  differenti  direzioni.  Così  si  ren- 
derebbe chiara  la  formazione  delle  meteoriti;  però  è da  consi- 
derare che  per  una  tale  frammentazione  dovrebbero  aversi  non 
solo  piccoli,  ma  anche  grossi  pezzi.  Ma  le  meteoriti  sono  invece 
direttamente  piccole.  Le  più  pesanti  fra  le  conosciute  sono  la 
pietra  meteorica  di  Knyahinya  nel  Gabinetto  Mineralogico  di 
Vienna  del  peso  di  294  chil.,  ed  il  ferro  meteorico  di  Cranbourne 
nel  Museo  Britannico  del  peso  di  3700  chil.  La  maggior  parte 


* Ved.  nel  Journ.  des  Savants,  1870,  la  Memoria  del  Daubrée.  Meunier  cre- 
dette di  schivare  questo  dilemma  {Geologie  comparée,  p.  296),  in  quanto  egli 
ammette  una  spontanea  frammentazione  di  un  pianeta,  il  quale  sarebbe  scop- 
piato come  una  lastra  di  argilla  che  si  disecchi.  Anche  quando  una  tale  possi- 
bilità potesse  venir  ammessa,  ne  risulterebbe  che  i frammenti  formatisi  si  mo- 
verebbero tutti  lungo  la  stessa  strada,  mentre  questo,  come  si  conosce,  non  è 
il  caso  delle  meteoriti. 

* ZA.CH,  Menati.  Correspondenz,  Bd.  VI,  p.  88. 

® Una  massa  la  quale  venga  ad  urtarsi  con  un  altro  corpo  colla  velocità  di 
3 miglia  geografiche,  e che  coll’  urto  si  metta  in  completa  quiete,  svilupperebbe 
in  tal  caso  (purché  tutta  la  forza  viva  si  cambi  in  calore  e che  nessuna  parte 
di  calore  si  disperda  all’  intorno)  svilupperebbe,  dico,  per  ogni  unità  di  peso 
59630  calorie.  Si  ammetta  pure  che  la  metà  del  calore  venga  perduto  per  irra- 
diazione e per  conducibilità,  e che  il  calore  specifico  di  una  massa  meteorica 
sia  5 volte  più  grande  (cioè  fatto  eguale  all’  unità,  a fine  di  calcolare  1 aumento 
di  calore  specifico  colia  temperatura  e il  calore  necessario  alla  fusione)  ; ad 
ogni  modo  si  produrrebbe  sempre  una  elevazione  di  temperatura  di  29800°  C. 


— 385  — 


delle  meteoriti  però  sono  molto  al  di  sotto  di  queste  dimensioni, 
e già  una  pietra  di  5 cliil.  è considerata  appartenere  alle  maggiori. 

Tutti  questi  pezzi,  ed  anche  i maggiori,  sono  appena  dei  mi- 
nimi bricioli  e della  finissima  polvere  in  confronto  anche  al  più 
piccolo  pianeta,  quando  anche  questo  non  avesse  altro  che  un 
miglio  di  diametro.  Quando  anche  questo  fosse  spezzato  in  un 
milione  di  parti  eguali,  ciò  non  ostante  sarebbe  ogni  porzione 
250,000  volte  maggiore  della  gran  pietra  di  Knyahinya,  e 10,000 
volte  maggiore  del  ferro  di  Cranbourne. 

Egli  è quindi  poco  verosimile  che  le  meteoriti  debbano  la 
loio  forma  ad  una  frammentazione  di  pianeti  per  causa  di  urto; 
invece  è molto  più  verosimile  che  la  frammentazione  sino  ai  più 
piccoli  pezzi,  che  si  potrebbe  chiamare  una  polverizzazione,  sia 
etfettuata  per  via  di  una  azione  dall’  interno  all’  esterno  e per 
via  di  esplosione. 

L avvenimento  di  una  esplosione  è violento,  e sembra  esser 
in  contradizione  col  graduale  sviluppo  cosmico,  ma  non  è più  vio- 
lento dei  movimenti  i quali  sono  stati  in  parte  osservati  in  parte 
esplicati  sulla  superficie  del  sole  e delle  comete.  I sollevamenti 
in  forma  di  esplosione,  nel  modo  come  sono  stati  osservati  sopra 
il  sole  da  Zòllner,  Young,  Respighi,  gli  uragani  a vortice  che 
Lockyei  ha  valutati,  accadono  con  una  velocità  che  supera  tutto 
ciò  che  noi  conosciamo  in  fatto  di  esplosione  sopra  la  terra. 

L improvviso  accendersi  di  qualche  stella  accenna  non  meno  ad 
un  violento  avvenimento,  che  I.  R.  Mayer  crede  solo  poter  interpre- 
tale per  una  collisione  di  stelle  fisse  e per  una  congiunzione  e 
fusione  di  queste.  Secondo  le  osservazioni  di  J.  Schmidt  lo  svol- 
gersi delle  comete  avviene  con  una  vivacità  la  quale  fa  indurre 
a degli  intensivi  movimenti.  In  faccia  a tutti  questi  fenomeni 
non  è contro  1’  ordine  naturale  il  concetto  di  una  esplosione  e 
di  una  polverizzazione  di  un  corpo  celeste. 

Che  se  noi  volessimo  ora  registrare  fra  le  stelle  fisse,  fra  i 
pianeti  o fra  le  comete  il  corpo  celeste  o i molti  corpi  celesti 
i quali  hanno  fornito  le  meteoriti,  sarebbe  al  tutto  inattendibile 
la  conseguenza  che  simili  corpi  sieno  stati  polverizzati  per  via 
di  una  esplosione.  Sussistono,  tuttavia,  obiezioni  anche  a questo 
liguardo,  al  pari  che  pel  concetto  di  una  frammentazione  per 
via  di  urto.  Anche  per  mezzo  di  una  esplosione,  la  quale  spezzi 


26 


386  — 


un  intero  corpo  celeste  di  considerevole  dimensione,  sia  die  questo 
corpo  fosse  totalmente  solido,  sia  die  in  parte  fluido,  oltre  gli 
innumerevoli  piccoli  frammenti  si  avrebbero  anche  dei  grandi,  i 
quali  dovrebbero  pure  cominciare  la  loro  corsa  come  meteoriti. 
Ma  non  si  deve  perder  d’occhio  il  fatto  che  tutte  le  meteoiiti 
sono  proporzionatamente  piccole,  e non  si  potrebbe  quindi  ap- 
provare r ipotesi  di  un  totale  sbriciolamento  per  via  di  una  sola 
esplosione. 

Lo  sbriciolarsi  di  un  tale  corpo  celeste  può  anche  succedere 
da  sè  a poco  a poco.  Invece  di  una  sola  esplosione  se  ne  pos- 
sono immaginare  molte  le  quali  lancino  pezzi  dalla  superflcie  di 
un  tale  corpo  nello  spazio.  Questo  avvenimento  potrebbe  aver 
luogo  sopra  ciascun  corpo  celeste  del  quale  la  massa  però  fosse 
così  piccola  che  la  sua  forza  di  gravità  non  fosse  sufficiente  a 
richiamare  di  nuovo  alla  superficie  tutti  i pezzi  lanciati  in  alto. 

Questa  considerazione  richiama  il  concetto  già  da  lungo  tempo 
ventilato  da  Olbers,  Arago,  Laplace,  Berzelius^e  da  altri,  ed  anche 
recentemente  sostenuto  da  L.  Smith,  secondo  il  quale  la  luna, 
di  cui  la  forza  di  gravità  è sei  volte  minore  di  quella  della  terra, 
potrebbe  lanciare  tanto  lontano  dei  pezzi,  che  questi  non  po- 
trebbero più  tornare  addietro.  La  possibilità  di  un  tale  avveni- 
mento sulla  luna  non  è da  negarsi.  Ma  la  superficie  della  luna, 
ricoperta  da  molti  accumulamenti  circostanti  ai  crateri  vulcanici, 
ci  mostra  che  la  maggior  parte  delle  pietre  lanciate  in  alto  sono 
ricadute  ed  hanno  formate  quelli  ammassi  di  rottami  all’  intorno 
delle  bocche  di  deiezione,  per  modo  che  anche  nel  caso  favoie- 
vole  solo  pochi  pezzi  possono  esser  stati  dispersi  nello  spazio. 

Di  fronte  alla  moltitudine  di  meteoriti,  le  quali  annualmente 
si  incontrono  colla  terra,  questa  sorgente  è troppo  insignificante. 
Le  meteoriti  giungono  alla  terra  in  così  vaiie  dilezioni  e sono 
così  frequenti,  che  noi  dobbiamo  accettare  una  origine  j^eneiale, 
la  quale  non  risieda  solo  nella  luna  ed  in  genere  non  in  un  solo 

corpo  celeste.  ^ . 

Si  devono  dunque  considerare  come  officine  di  meteoriti  molti 

corpi  celesti,  i quali  benché  di  dimensioni  cospicue,  pure  non  lo 
erano  abbastanza  da  esser  più  in  caso  di  richiamare  indietro 
quei  frammenti  che  per  effetto  di  esplosione  erano  stati  lanciati 
in  alto.  Che  tali  piccole  stelle  abbiano  in  una  data  età  svibip- 


— 387  - 


pata  una  attivitcà  esplosiva  violenta,  è molto  verosimile,  a se- 
conda della  analogia  della  lima  la  quale  ha  traversato  uno  stadio 
di  sviluppo  vulcanico  molto  più  attivo  di  quello  della  terra.  Però 
quelle  piccole  stelle  perdevano  sempre  della  loro  massa  col  con- 
tinuo lanciar  fuori  dei  frammenti,  finché  esse  erano  finalmente 
ridotte  in  piccole  parti,  le  quali  adesso  percorrono  lo  spazio  nelle 
più  differenti  direzioni. 

Si  potrebbe  sentirsi  disposti  a vedere  nelle  comete  le  rima- 
menze  di  tali  piccoli  astri,  e di  riconoscere  nella  loro  effusione 
r ultima  fase  dell’  attività  superiormente  descritta.  Non  è però 
mia  pertinenza  lo  spingermi  più  oltre  in  questo  indirizzo;  perchè 
deve  esser  lasciato  a quegli  scienziati  che  s’ intendono  della  na- 
tura delle  comete  il  decidere  se  le  osservazioni  sieno  adatte  ad 
indicare  una  simile  connessione.’ 

Mi  basta  di  aver  mostrato  che  la  forma  delle  meteoriti  ci 
obbliga  ad  ammettere  che  queste  furono  prodotte  per  via  di  mo- 
vimenti violenti,  i quali  agirono  dall’  interno  di  un  astro  verso 
la  sua  superficie.  Questi  movimenti  noi  possiamo  paragonarli  a 
quelli  i quali  hanno  luogo  presentemente  nello  stesso  senso  sulla 
terra  e sul  sole,  i quali  hanno  fabbricati  i crateri  sulla  super- 
ficie della  luna.  Questi  possono  avere  cause  diverse  sopra  astri 
pure  diversi;  però  è permesso  di  considerare  tutti  questi  movi- 
menti come  vulcanici  fino  a che  la  loro  causa  non  sia  dovunque 
conosciuta. 

Se  poi  questi  agissero  solo  in  modo  esplosivo,  in  quanto  essi 
lanciavano  in  alto  pietre  rigide  dalla  superficie,  oppure  se  agis- 
sero nello  stesso  tempo  in  modo  eruttivo,  come  sulla  terra,  dove 
essi  portano  fuori  della  materia  dall’  interno  del  pianeta,  in  am- 
bedue i casi  doveva  esserci  una  differenza  fra  la  scorza  ed  il 
nocciolo  della  massa.  Giacché  adesso  le  meteoriti  giungono  a noi 
colla  forma  di  aguzzati  frammenti,  così  ne  segue  che  gli  astri, 


‘ Molti  astronomi  vogliono  riconoscere  attualmente  una  connessione  fra  le 
meteoriti  e le  stelle  filanti,  dacché  1’  apparizione  nell’  atmosfera  in  ambedue 
i casi  è all’ incirca  la  stessa.  E siccome  per  mezzo  dello  Schiapparelli  è stata 
scoperta  e spiegata  la  relazione  fra  le  comete  e le  stelle  filanti,  così  si  presen- 
terebbe di  per  sé  anche  una  relazione  fra  le  comete  e le  meteoriti.  Ma  1’  espe- 
rienza offre  ancora  la  difficoltà  che  il  massimo  di  frequenza  delle  stello  filanti 
non  è in  nessun  modo  accompagnata  da  numerose  cadute  di  meteoriti. 


388 


dai  (juali  furono  distaccati,  possedevano  una  scorza  rigida , e noi 
siamo  obbligati  a concludere  ulteriormente  cbe  il  loro  interno 
non  era  allo  stato  rigido  o trovavasi  tutt’  altrimenti  composto. 

La  forma  delle  meteoriti  ci  fa  riconoscere  la  loro  provenienza 
da  piccoli  astri,  i quali  erano  costruiti  similmente  come  la  no- 
stra terra,  ma  i quali  furono  gradualmente  polverizzati  per  mezzo 
di  una  attività  vulcanica.  La  compagine  delle  meteoriti  e la  loro 
struttura  interiore  ci  fa  progredire  un  passo,  in  quanto  ci  fa 
spingere  lo  sguardo  nella  storia  di  quegli  astri  prima  della  loro 
frammentazione. 

Alquante  meteoriti  sono,  come  già  è stato  detto,  di  tale  co- 
stituzione la  quale  mostra  eh’  esse  furono  formate,  durante  un 
processo  di  cristallizzazione  gradualmente  tranquillo,  altre  per 
contrario  lasciano  trasparire  gli  effetti  di  forze  frammentatrici, 
essendo  composte  di  tanti  frammenti.  La  più  gran  parte  di  queste 
consistono  di  minime  scheggie  e di  granuli  rotondi. 

Haidinger  fu  il  primo  a paragonare  le  masse  meteoriche 
spugnose  e quelle  esclusivamente  composte  di  polvere  di  pietra, 
coi  prodotti  di  trituramento  e di  polverizzazione  dei  vulcani  ter- 
restri, e di  chiamarle  direttamente  twfì  vulcttfiici.  La  conside- 
revole prevalenza  di  questo  modo  di  formazione  fra  le  meteoriti 
insegna  che  sopra  quegli  astri,  dai  quali  essi  provengono,  la 
quiete  è stata  molto  più  rara  di  quello  che  il  movimento  vul- 
canico. 

Si  mostra  però  nelle  meteoriti  a forma  di  tufi  una  apparenza 
di  più  difficile  spiegazione,  una  apparenza  la  quale  in  questa 
misura  non  si  mostra  nei  tufi  dei  nostri  vulcani.  È questa  l’ab- 
bondante presenza  di  piccole  sferule  o granuli  che  immediatamente 
colpiscono  r occhio  di  qualsiasi  osservatore.  Questi  granuli  o sfe- 
rule caratterizzano  tutte  le  pietre  meteoriche  in  forma  di  tufo, 
le  quali,  come  è stato  detto,  formano  la  grande  maggioranza. 
Gustavo  Rose  le  chiamò  per  questo  Ghoudviti  (Chondros=gr anuli). 

Questi  granuli  hanno  le  seguenti  proprietà  per  il  riconosci- 
mento del  loro  modo  di  struttura.’ 


’ Le  figure  di  questi  corpi  si  trovano  nelle  mie  dissertazioni  inserite  nei 
Rendiconti  della  I.  Acc.  delle  Scienze  in  Vienna,  Voi.  LXV,  parte  1,  pag.  122 
(Gopalpur)  e voi.  LXX,  parte  I,  (Orvinio);  ved.  anche  Dhasche,  Contrib.  mi- 
nerai. 1875,  I parte  (Lance). 


— 389  — 

r Essi  stanno  in  una  matrice  composta  di  particelle  più 
fine  e più  grossolane. 

2°  Essi  sono  sempre  più  grandi  delle  più  piccole  particelle. 

3^"  Essi  si  mostrano  sempre  isolati,  giammai  riuniti  in  un 
certo  numero. 

4°  Essi  sono  completamente  rotondi  se  consistono  di  un 
minerale  tenace,  altrimenti  non  lo  sono  che  incompletamente. 

5®  Essi  consistono  ora  di  uno  ora  di  parecchi  minerali, 
però  sempre  di  quegli  stessi  di  cui  componesi  la  matrice. 

6°  La  loro  interna  compagine  non  sta  in  alcun  rapporto 
colla  loro  figura  rotonda.  Essi  sono  o dei  pezzi  di  un  cristallo, 
0 essi  sono  fibrosi,  ma  giammai  fibroso-raggiati,  o essi  sono  ir- 
regolarmente  pedunculati,  o essi  sono  granellosi. 

I granuli  dunque  non  si  comportano  in  nessun  ^modo  come 
se  fossero  pervenuti  alla  forma  granulare  per  mezzo  di  cristal- 
lizzazione; essi  non  si  comportano  come  nella  struttura  sferoli- 
tica  deir  ossidiana  e come  nella  perlite,  nè  come  i granuli  della 
diorite  variolitica,  nè  come  le  concrezioni  rotonde  della  calcite, 
deir  aragonite  e della  marcasita  ec.  Essi  rassomigliano  piuttosto 
a quei  granuli  che  di  sovente  si  osservano  nei  tufi  delle  nostre 
rocce  vulcaniche,  come,  ad  esempio,  nelle  varietà  granulose  dei  tufi 
trachiticidelGleichenberger,  ai  granuli  nel  tufo  basaltico  nel  Venus- 
berg  presso  Freudenthal,  ma  più  particolarmente  ai  granuli  di 

olivina  nel  tufo  basaltico  di  Kampfenstein  e di  Feldbach  in  Stiria. 

% 

E certo  che  questi  ultimi  granuli  sono  i prodotti  di  tritu- 
razione vulcanica, ‘ e che  essi  devono  la  loro  forma  ad  una  con- 
tinua attività  esplosiva  di  un  focolare  vulcanico,  per  mezzo  del 
quale  delle  rocce  più  antiche  furono  disgregate,  e le  loro  parti 
più  dure  furono  arrotondate  per  forza  di  un  continuo  attrito. 

Le  qualità  dei  granuli  nelle  meteoriti  confermano  diretta- 
mente  un  tal  modo  di  formazione.^  Tutto  al  più  uno  può  figu- 
rarsi che  le  masse  di  roccia  che  erano  esposte  alla  triturazione, 
sieno  state  passabilmente  molli,  e con  ciò  si  approssimerebbe 
all’  ipotesi  di  Daubrée,^  il  quale  suppone  una  pietra  che  si  irri- 

' Questi  non  devono  venir  confusi  colle  bombe  vulcaniche  le  quali  consi- 
stono di  lava. 

^ Keiclienbach  si  figurava  i granuli  come  piccole  meteoriti.  Ma  è però  solo 
r idea  di  una  figura  planetaria  delle  meteoriti  che  ivi  si  riflette.  , 

* Loc.  cit.,  pag.  88. 


— 390  — 


gidisca  turbinando  in  una  massa  di  gas.  Però  egli  è certo  che 
i granuli  sono  il  resultato  di  una  triturazione. 

I granuli  sono  talvolta  di  piccolezza  microscopica,  ma  ordina- 
riamente sono  della  grandezza  di  un  granello  di  miglio  ; quelli 
della  grossezza  di  un  nocciolo  di  ciliega  e di  una  piccola  noc- 
ciola sono  molto  rari.  I granuli  nei  tufi  delle  rocce  vulcaniche 
della  nostra  terra  hanno  la  grandezza  di  una  nocciola  fino  a 
quella  della  testa.  Se  fosse  permesso  di  concludere  da  queste 
^ differenze  alle  differenti  dimensioni  delle  rispettive  officine,  ne 
risulterebbe  T ammettere  innumerevoli  e piccole  fessure  vulcani- 
che come  luoghi  di  origine  dei  tufi  meteorici. 

Questi  ultimi  tufi  sono  particolarmente  caratterizzati  da  ciò, 
che  essi  non  contengono  traccia  di  una  roccia  scoriforme  e ve- 
trosa, nè  giammai  dei  cristalli  sviluppati  nella  matrice  ; ed  in 
genere  non  lasciano  riconoscere  niente  che  faccia  ritenere  vero- 
simile la  loro  origine  dalla  lava.  Non  si  vede  in  essi  niente  del 
prodotto  di  triturazione  di  una  roccia  cristallina. 

Fra  le  meteoriti  simili  ai  tufi  se  ne  danno  alcune,  che  por- 
tano sopra  di  sè  V impronta  di  un  posteriore  cambiamento  per 
via  di  calore,  come,  ad  esempio,  le  meteoriti  di  Tadjera  e Bel- 
gorod. Altre  mostrano  apparenze  che  lasciano  comprendere  un 
cambiamento  chimico  suscettivo  alla  loro  formazione.  Così,  ad 
esempio,  si  vede  nella  pietra  di  Mezò-Madaras  e di  Knyahinya 
di  sovente  attorno  ai  granuli  delle  accumulazioni  concentriche 
di  ferro  nativo,  le  quali  appariscono  sulla  superficie  di  rottura 
della  pietra  come  V alone  del  disco  lunare  ; pure  nell’  interno 
dei  granuli  si  riscontrano  disposizioni  consimili.  Tutte  le  pietre 
meteoriche  a modo  di  tufi  sono  attraversate  da  molte  minute 
pagliette  di  ferro.  Sembra  che  queste  apparenze  sieno  state  pro- 
vocate dall’  azione  riduttiva  di  un  gas  ; e perciò  il  Daubrée 
accetta  che  sia  stato  il  vapore  acqueo  che  produsse  questi  cam- 
biamenti. La  scoperta  del  vapore  acqueo  nella  pietra  meteorica 
di  Lenarto  per  opera  di  Graham,  come  pure  la  riconosciuta  pre- 
senza del  vapore  acqueo  nel  sole  per  opera  di  Kirchhoff,  appog- 
giano questa  veduta.  Che  in  questi  casi  abbia  avuto  luogo  un 
riscaldamento  è naturalmente  presupposto. 

Chiari  indizii  di  riscaldamento  mostrano  del  resto  ancora 
quelle  meteoriti  le  quali  consistono  di  frammenti  cementati 


— 39] 


da  una  massa  nera  di  uniforme  composizione,  come  le  pietre 
di  Orvinio  e di  Chantonnay.  ’ Ma  non  ostante  tutti  questi 
esempi  di  azione  di  riscaldamento  non  è conosciuta  alcuna 
meteorite,  la  quale  abbia  pure  una  qualche  somiglianza  colla 
scoria  vulcanica  o colla  lava.  Noi  dobbiamo,  per  quanto  abbiamo 
paragonate  le  meteoriti  ai  tufi  vulcanici  ed  alle  breccie,  sospen- 
dere questo  ravvicinamento. 

L’attività  vulcanica,  testimonio  della  quale  furono  le  me- 
teoriti, consisteva  nel  frammentarsi  di  rigide  pietre,  nel  riscal- 
damento e nel  cambiamento  di  solide  masse.  Non  avevano  luogo 
eruzioni  di  lava,  espulsione  di  lava  vetrificata  e di  cristalli,  che, 
come  Zirkel  ha  dimostrato,  compongono  la  cenere  vulcanica. 

Fu  dunque  assolutamente  una  attività  esplosiva,  per  via  della 
quale  furono  formate  le  breccie  ed  i tufi  che  noi  osserviamo 
nelle  meteoriti.  Questo  ricorda  vivamente  un  fenomeno  ben 
conosciuto  sopra  la  terra,  al  Maare  dell’  Eifel,  che  con  ragione 
si  considera  cóme  un  cratere  di  esplosione.  Questi  ci  dimostrano 
che  anche  sulla  terra  si  può  rinvenire  il  caso  di  esplosioni  vul- 
caniche che  hanno  luogo  senza  eruzioni  di  lava. 

Adesso  rimane  ancora  la  questione,  quale  fosse  la  causa  del- 
r attività  esplosiva,  per  forza  della  quale  da  prima  sopra  quegli 
astri  le  pietre  della  superficie  furono  soggetti  ad  una  frammen- 
tazione e triturazione,  e per  forza  della  quale  interi  corpi  cele- 
sti furono  gradualmente  frantumati. 

La  questione  non  mira  solamente  a questo,  ma  riguarda  in 
generale  il  vulcanismo  cosmico.  Soprajl  sole  e sopra  la  terra  i 
gas  ed  i vapori  sono  i portatori  del  movimento  vulcanico.  Sopra 
la  luna  manca  però  una  atmosfera,  la  quale  verosimilmente  si 
sarebbe  formata  se  i crateri  della  luna  fossero  stati  costruiti 
per  via  di  esplosioni  gasose.  Per  questo  in  un’  opera  recente- 
mente apparsa  ^ è accettata  1’  opinione  che  1’  attività  vulcanica 
della  luna  fu  solamente  prodotta  dall’  aumentarsi  del  volume 
nell’ irrigidirsi.  Se  questo  fosse  giusto  quindi  dovrebbe  anche 
nella  congelazione  dell’  acqua  (la  quale  nell’  irrigidirsi  dimostra 
un  aumento  di  volume),  aver  luogo  almeno  qualche  volta  un’  ap- 
parizione eruttiva  con  formazione  di  crateri,  ciò  che  conosciuta- 

‘ Rendiconti  dell’ Accademia  di  Vienna,  voi.  LXX,  parte  1. 

Nasmyt  e Carpenter,  The  Moon,  London,  1874,  pag.  98. 


392 


mente  non  è mai  stato  osservato.  A me  sembra  però  che  non  sus- 
sista questa  difficoltà,  la  quale  per  via  di  una  tale  ipotesi  vien 
scartata.  Non  devono  essere  stati  gas  permanenti  quelli  i quali 
promossero  le  apparizioni  vulcaniche  sopra  la  luna  ; e se  furono 
vapori,  in  tal  caso  questi  poterono  esser  assorbiti  dalle  roccie 
della  superficie  lunare.  Intorno  a che  non  vi  è ancora  bisogno 
di  riferirci  all’ipotesi  di  Saemann,’  il  quale  si  figura  in  un’epoca 
remota  la  luna  coperta  d’acqua,  che  più  tardi  venne  assorbita. 
Si  ritornerà  sopra  questo  argomento  in  un  posteriore  discorso. 

Secondo  tutte  le  nostre  esperienze  un’  attività  vulcanica,  la 
quale  consista  nel  disgregamento  e nella  proiezione  di  pietre, 
non  è immaginabile  senza  la  cooperazione  di  gas,  oppure  di  va- 
pori, oppure  di  ambedue  unitamente.  Quindi  è giustificata  l’ac- 
cettazione che  anche  1’  attività  esplosiva,  alla  quale  le  meteoriti 
accennano,  venne  occasionata  per  via  di  una  subitanea  espan- 
sione di  vapori  oppure  di  gas,  fra  i quali  il  vapore  d’  acqua 
potrebbe  aver  preso  una  parte  considerevole. 

Le  conclusioni  alle  quali  conducono  1’  osservazione  accurata 
e la  comparazione  delle  meteoriti,  sono  in  accordo  colle  espe- 
rienze di  cui  in  questi  ultimi  anni  si  arricchirono  la  geologia  e 
r astrofisica.  L’ attività  vulcanica  di  cui  i testimoni  furono  quelle 
misteriose  masse  di  pietra  e di  ferro,  si  può  paragonare  coi 
violenti  movimenti  negli  esteriori  strati  del  sole,  colle  deboli 
commozioni  vulcaniche  sopra  la  terra,  colle  grandiose  appari- 
zioni eruttive  delle  quali  ci  parlano  i crateri  della  luna. 

In  questo  ravvicinamento  si  presenta  ad  ognuno,  che  abbia 
in  mente  la  teoria  di  Kant  dello  sviluppo  omogeneo  degli  astri, 
la  congettura,  che  non  solamente  i sopra  enumerati  corpi  celesti 
sieno  esposti  a quei  cambiamenti,  ma  che  piuttosto  il  vulcani- 
smo sia  un  fenoifflwao  cosmico,  nel  senso  che  tutti  gli  astri  nel 
loro  sviluppo  abbiano  a passare  attraverso  ad  una  fase  vulca- 
nica. Fra  gli  astri  però  che  avevano  piccole  dimensioni,  molti, 
durante  questo  spazio  di  tempo,  potrebbero  essere  stati  in  parte 
0 totalmente  polverizzati  e dispersi  in  piccoli  frammenti. 

A.  Manzoni 

Per  la  traduzione  dall’  originale  tedesco. 


‘ Saemann,  Bull,  de  la  Soc.  géol.,  Ser,  2,  voi.  18,  pag.  322. 


393  - 


NOTIZIE  BIBLIOGRAFICHE. 


A.  CosSA.  — Bicerche  di  chimica  mineralogica 
sulla  Sienite  del  Biellese. — Torino  1875.  * 

Questo  lavoro  è destinato  a riempire  in  parte  una  lacuna  che 
si  è lamentata  finora  nello  studio  chimico  delle  rocce  delle  Alpi 
Occidentali,  sulle  quali  tuttavia  possediamo  copiose  notizie  geo- 
logiche e mineralogiche  : di  questo  risveglio  dobbiamo  esserne 
grati  air  egregio  Autore,  il  quale  vorrà  al  certo  progredire  nella 
via  così  bene  incominciata,  e togliere  per  quanto  è possibile  la 
lacuna  anzidetta. 

Come  lo  indica  il  titolo  della  Memoria,  essa  ha  per  scopo  la 
illustrazione  di  una  fra  le  più  interessanti  e conosciute  rocce 
massicce  delle  Alpi  Occidentali,  cioè  della  Sienite  del  Biellese 
detta  anche  volgarmente  Granito  della  JBalma.  Questa  roccia  è 
generalmente  di  struttura  granulare,  ma  in  taluni  punti  presenta 
un  aspetto  porfirico  per  il  grande  sviluppo  dei  cristalli  di  fel- 
dispato.  Gli  elementi  mineralogici  che  la  compongono  sono  : due 
qualità  di  feldispato,  l’ uno  bianco  e V altro  roseo,  1’  orneblenda 
di  colore  verde  nerastro  contenente  cristallini  di  magnetite,  e 
finalmente  lo  sfeno  in  cristallini  color  giallo  di  miele  disseminati 
in  quantità  piccolissima  nella  roccia.  La  massa  principale  della 
Sienite  è formata  dai  cristalli  di  ortosio  i quali,  esaminati  al 
microscopio,  appaiono  contenere  piccolissimi  cristalli  affatto  tra- 
sparenti di  apatite  : non  mancano  però  cristallini  di  oligoclasio, 
e nella  varietà  porfiroide  si  manifestano  chiaramente  senza  ricor- 
rere ad  ingrandimento.  In  conclusione  questa  Sienite  consta  es- 
senzialmente di  ortosio  e di  orneblenda,  e dalla  relazione  che 
passa  fra  la  densità  di  questi  minerali  e quella  della  roccia,  si 
gkinge  al  risultato  che  la  Sienite  del  Biellese  contiene  76,5  di 
ortosio  e 23,5  di  orneblenda. 

L’  analisi  quantitativa  di  più  campioni  di  sienite  a struttura 


- 394  - 


uniforme,  e quasi  esclusivamente  composti  di  ortosio  e di  orne- 
blenda,  ha  dato  in  media  il  seguente  risultato  : 


Silice 59,367 

Acido  fosforico ' 0,583 

Acido  titanico 0,260 

Allumina 17,923 

Sesquiossido  di  ferro  . . . 2,021 

Protossido  di  ferro 6,766 

Calce 4,165 

Magnesia 1,827 

Potassa 6,678 

Soda 1,237 

Acqua  ed  acido  carbonico.  0,380 


101,207 

Confrontando  questa  composizione  con  quella  di  altre  sieniti 
conosciute,  si  ritrova  che  quella  del  Biellese  rassomiglia  moltis- 
simo alla  sienite  di  Plauenscher-Grund  nei  dintorni  di  Dresda, 
analizzata  da  Zirkel,  colla  quale  ha  analoghi  anche  i caratteri 
fisici  e chimici,  nonché  la  composizione  mineralogica.  In  gene- 
rale queste  due  sieniti  differiscono  dalle  altre  per  P eccesso  della 
potassa  in  confronto  della  soda. 

Speriamo  di  potere  presto  registrare  altri  lavori  consimili 
deir  egregio  chimico  di  Torino. 


A.  D’  Achiakdl — Coralli  eocenici  del  Frkdi.  — Pisa,  1875. 

In  questo  lavoro,  pubblicato  per  cura  della  Società  Toscana 
di  Scienze  Naturali,  V egregio  professore  di  Pisa  offre  ampia  e 
dettagliata  descrizione  della  fauna  corallina  raccolta  dai  profes- 
sori Taramelli  e Pirona  nei  terreni  eocenici  del  Friuli,  e in  parte 
fatta  conoscere  dal  primo  di  essi  nella  sua  Memoria  Sitila  for- 
mazione eocenica  del  Friuli  (1869). 

Le  specie  descritte,  in  numero  di  123  compreso  una  settantina 
di  nuove,  provengono  da  Eosazzo,  Brazzano,  Eussitz  e Cormons  ; 
tredici  soltanto  sono  comuni  alle  quattro  località,  ma  queste 
poche  sono  appunto  quelle  più  frequenti  nei  singoli  giacimenti. 


395  — 


Volendo  paragonare  questa  fauna  madreporica  con  le  altre 
ben  conosciute,  e segnatamente  con  quelle  classiche  delle  due 
vicine  provincie  di  Vicenza  e Verona  (piani  di  San  Giovanni  Ila- 
rionq  e Ronca,  di  Crosara,  di  Castelgomberto),  si  hanno  tutt’  al 
più  16  0 17  specie  a comune  coll’ ultimo  (il  più  moderno  ed  il 
più  ricco  dei  tre  accennati),  il  che  equivale  al  13  7o  del  numero 
totale  delle  specie  conosciute  di  Castelgomberto  ; 8 a comune  con 
Crosara,  rappresentanti  il  16  7o  di  quest’ ultima  fauna:  la  pro- 
porzione cresce  per  Ronca  dove,  con  9 specie  a comune,  abbiamo 
una  proporzione  del  50  al  60  7o:  e più  ancora  per  San  Giovanni 
Ilarione  dove,  con  30  specie  a comune,  abbiamo  la  proporzione 
del  60  7o  ; proporzione  che  si  mantiene  ancora  per  Costalunga  e 
Valle  Organa,  giaciture  classiche  di  quello  stesso  orizzonte.  Il 
rapporto  si  conserva  assai  elevato  per  la  fauna  di  Palarea  e Mortola 
presso  Nizza,  dove  abbiamo  a un  dipresso  il  50  7o  • esso  si  fa 
invece  piccolo  per  Dego,  Sassello,  Carcare  e altre  giaciture  co- 
rallifere dell’Apennino  ligure,  e quasi  nullo  per  la  collina  di 
Torino.  Per  le  contrade  straniere,  troviamo  che  i terreni  num- 
mulitici  dell’  Indo,  delle  Corbières,  del  bacino  di  Parigi  e d’ In- 
ghilterra presentano  nelle  loro  madrepore  fossili  moltissima  ana- 
logia coi  nostri,  segnatamente  pei  due  primi. 

Il  risultato  di  tali  confronti  è che  il  giacimento  corallifero 
del  Friuli  trovasi  racchiuso  tra  P eocene  inferiore  ed  il  superiore, 
ed  appartiene  di  conseguenza  all’  eocene  medio  : a questa  impor- 
tante conclusione  era  già  giunto  il  Taramelli  in  seguito  allo  studio 
degli  altri  fossili. 

Dall’  esame  della  fauna  in  sè  stessa,  nella  quale  predominano 
le  specie  della  famiglia  delle  Astreide,  si  giunge  allo  stesso  re- 
sultato circa  r età  del  giacimento  friulano  : di  maniera  che,  il 
terreno  nummulitico  di  Palarea,  dell’  Indo,  dei  Pirenei  ; le  brec- 
ciuole  vulcaniche  di  San  Giovanni  Barione  e Roncà;  le  marne  di 
Valle  Organa  ; la  calcaria  grossolana  inferiore  del  bacino  di  Pa- 
rigi, formano  col  giacimento  in  parola  altrettanti  brani  di  un  unico 
piano  geologico. 

Nella  divisione  delle  famiglie,  l’Autore  di  poco  si  stacca  dai 
precetti  di  Milne  Edwards  ed  Haime. 

La  Memoria  è corredata  da  16  belle  tavole,  nelle  quali  sono 
accuratamente  rappresentate  le  specie  nuove. 


396  — 


A.  Bittner.  — Die  Brachyuren  des  Vicentinisclien 
Tertidrgehirges.  Wien,  1875. 

Questa  Memoria,  annunziata  nel  nostro  Bollettino  fino  dallo 
scorso  giugno  (Vedi  N.  5 e 6,  pag.  196),  ha  ora  veduto  la  luce 
nel  volume  34®  delle  Memorie  della  I.  Accademia  delle  scienze 
in  Vienna.  La  importanza  e la  novità  dell’  argomento  esigono 
che  di  tal  libro  si  faccia  un  nuovo  cenno  in  aggiunta  a quanto  fu 
detto  precedentemente. 

Il  presente  lavoro  segna  un  rilevantissimo  progresso  nella 
conoscenza  dei  Brachiuri  terziari!  del  Vicentino  dal  punto  al  quale 
r aveva  lasciata  Reuss  nel  1859.^  In  esso  l’Autore,  giovandosi  dei 
materiali  esistenti  nella  collezione  geologica  della  Università 
di  Vienna,  nelle  collezioni  dell’  I.  e R.  Museo  mineralogico  di 
Corte  e dell’L  e R.  Istituto  geologico,  come  pure  nella  colle- 
zione paleontologica  della  Università  di  Berlino,  potè  determinare 
non  meno  di  43  forme  di  Brachiuri  del  Vicentino,  delle  quali  sol- 
tanto pochissime  sono  dubbie  riguardo  alla  provenienza  od  alla 
determinazione  loro.  Le  ricerche  del  dott.  Bittner  hanno  con- 
dotto a dimostrare  che  la  fauna  vicentina  dei  Brachiuri  è la  più 
ricca  di  qualunque  altra  analoga  del  terziario  antico  dell’  Eu- 
ropa. Anche  le  ricche  faune  degli  strati  nummulitici  del  S.O. 
della  Francia  e delle  argille  di  Londra,  non  reggono  al  confronto 
della  fauna  del  terreno  terziario  vicentino  fatta  conoscere  dal 
Bittner. 

Per  la  varietà  e la  novità  delle  forme  incontrate,  l’Autore 
si  trovò  nella  necessità  di  stabilire  cinque  nuovi  generi,  i quali 
sono:  1.  Hepatiscus ; una  formala  quale  si  ravvicina  molto  al 
genere  Hepatus  Latr.  che  abita  di  presente  soltanto  le  coste  del- 
r America  meridionale.  2.  Micromaja  ; fondasi  sopra  una  specie 
unica,  M.  tuherculata  Bittn.  e mostra  analogia  coi  generi  Maja, 
Paramithrax  e Mithrax;  nei  rilievi  però  è differente  da  essi  ed 
avvicinasi  a questo  riguardo  al  genere  Hyas.  La  Micromaja  tu- 
berculata  Bittn.  è anche  degna  di  nota  perchè  costituisce  la  sola 

* Vedi  Memorie  della  I.  Accad.  delle  Scienze,  Vienna  1859,  voi.  17,  pa- 
gine 1-90. 


— 397 


specie  della  sua  famiglia  riconosciuta  finora  negli  strati  terziari. 
3.  Feriacantìiìis  ; appartenente  al  gruppo  degli  Oxyrhynchi,  ana- 
logo tanto  ai  Farthenopidi  quanto  ai  Majacei.  Esso  mostra  del 
resto  una  certa  somiglianza  coll’  Fhtrinome^  il  quale  genere  pro- 
babilmente deve  essere  ritenuto  per  il  suo  rappresentante  nei  mari 
attuali.  4.  Eumorphactea  forma  difficile  a determinarsi  e che  si 
basa  sopra  un  solo  cefalotorace.  5.  Falaeograpsus  ; appartenente 
al  gruppo  dei  Catametopi  che  tanto  raramente  si  rinvennero  fin 
qui  negli  strati  terziari  antichi,  e propriamente  ai  Grapsidi,  e 
molto  simile  ai  generi  Veruna  M.  Edw.,  Fseudograpsus  M.  Edw. 
c Grapsodes  Heller  ; mostra  inoltre  una  certa  analogia  di  forme 
coi  generi  Trapela  e Tetralia  appartenenti  agli  EripMdi. 

Le  specie  nuove  descritte  e quelle  incompletamente  conosciute 
dapprima,  ed  ora  esattamente  determinate,  sommano  in  tutto  a 
sedici,  di  cui  sette  appartenenti  ai  generi  nuovi  suindicati. 


NOTIZIE  DIVERSE. 


Studii  sulle  rocce  eruttive.  — Il  signor  M.  Lévy  intrattenne 
l’Accademia  delle  Scienze  di  Parigi*  con  una  sua  memoria  sopra 
i diversi  modi  di  struttura  delle  rocce  eruttive  studiate  al  mi- 
croscopio. 

L’ autore  ha  passato  in  rivista  le  rocce  eruttive  di  tutte  le 
età,  dal  granito  insino  alle  lave  attuali.  Queste  rocce,  secondo 
esso,  si  compongono  tutte  di  cristalli  rotti  e corrosi,  di  cui  la 
consolidazione,  relativamente  antica,  sembra  anteriore  alla  emer- 
sione della  roccia,  e di  una  pasta  o magma  cristallizzato  che 
ingloba  detti  cristalli.  Il  signor  Lévy  colloca  fra  le  rocce  erut- 
tive acide  quelle  la  cui  pasta  ha  un  tenore  in  silice  superiore 
a quello  dei  feldispati  acidi,  albite  o ortosio.  La  conclusione  della 
Memoria  è che  la  tessitura  intima  di  queste  rocce  è una  conse- 


* Ved.  Comptes  rendus,  voi.  Vili.  Novembre  1875. 


— 398  — 


guenza  immediata  dello  stato  più  o meno  individualizzato  della 
silice  in  eccesso  che  è contenuta  nella  loro  pasta.  Le  relazioni 
che  esistono  fra  le  strutture  diverse  delle  rocce  eruttive  acide 
e r età  geologica  di  queste  rocce,  hanno  condotto  ad  una  con- 
clusione che  Elie  de  Beaumont  aveva  già  formulata  a proposito 
delle  emanazioni  vulcaniche  e metallifere  : V attività  chimica  del 
globo  ha  diminuito  durante  le  epoche  geologiche.  Le  rocce  hanno 
portato  alBesterno  dei  dissolventi  sempre  di  meno  in  meno  ener- 
gici, e r effetto  ne  è stato  di  isolare  di  meno  in  meno  la  si- 
lice in  eccesso  nella  loro  pasta. 

Formazione  contemporanea  della  pirite/  — Nella  seduta 
dal  15  novembre  1875  della  Accademia  delle  Scienze  di  Parigi 
il  professor  Daubrée  citò  nuovi  esempii  di  formazione  contem- 
poranea della  pirite  di  ferro  nelle  sorgenti  termali  e nell’  acqua 
del  mare.  Quantunque  la  pirite  di  ferro  trovisi  assai  sparsa  nella 
crosta  terrestre,  al  presente  si  arriva  assai  di  rado  a sorpren- 
dere questo  minerale  in  via  di  formazione  : fu  tuttavia  osservata 
in  parecchie  località,  come  a Bourbon-Lancy,  Bourbon-!’ Archam- 
bault,  Saint-Nectaire,  Aix-la-Chapelle,  ec.  dove  forma  sottili  ri- 
vestimenti  sopra  frammenti  di  rocce.  A questi  esempii  di  forma- 
zione contemporanea  della  pirite  di  ferro,  il  professor  Daubrée 
aggiunse  i seguenti  : 1°  Nel  praticare  una  trivellazione  presso  la 
sorgente  termale  di  Bourbonne-les-Bains,  si  estrassero  piccoli  ciot- 
toli e grani  di  quarzo  rivestiti  di  pirite;  fu  trovata  egualmente 
la  pirite  incrostante  alcune  selci  tagliate  dall’  uomo  ; 2^"  Nelle 
sorgenti  termali  di  Hamman-Meskoutine,  presso  Costantina  nel- 
PAlgeria,  si  trovarono  delle  pisoliti  rivestite  da  pirite:  nell’ in- 
terno di  esse  pisoliti  si  vedono  dei  filamenti  gialli  i quali  altro 
non  sono  che  pirite  di  ferro,  e ciò  dimostra  che  il  deposito  pi- 
ritoso  non  è solo  superficiale;  3°  Il  terzo  ed  ultimo  esempio  ci- 
tato dal  professor  Daubrée  non  riguarda  più  1’  azione  delle  sor- 
genti termali,  ma  bensì  quella  dell’  acqua  marina  mescolata 
coir  acqua  dolce.  Questa  pirite  fu  rinvenuta  recentemente  in  In- 
ghilterra nell’  interno  di  un  pezzo  di  legno  della  nave  Osborne  : 
essa  forma,  entro  una  fessura  di  questo  legno,  un  rivestimento 


* Ved.  Bollettino  1S75,  N.  9 e 10,  pag.  333. 


sottile  dotato  di  bel  colore  giallo  e di  un  vivo  splendore  metal- 
lico. Prima  di  essere  adoperato,  questo  legno  era  stato  a lungo 
immerso  in  una  miscela  di  acqua  marina  e di  acqua  dolce. 

Mineralizzazione  delle  materie  organiche.  — Nella  seduta 
del  29  novembre  1875  della  stessa  Accademia,  il  professore 
Daubrée  fece  una  comunicazione  sulla  mineralizzazione  subita  da 
taluni  avanzi  organici,  vegetali  ed  animali,  nell’  acqua  termale 
di  Bourbonne-les-Bains.  Gli  avanzi  vegetali  trovati  consistono  in 
grossi  pali  che  servivano  di  fondazione  a un  piccolo  canale;  gli 
avanzi  animali  consistono  in  corna  di  buoi.  Queste  diverse  so- 
stanze organiche  sono  state  mineralizzate,  vale  a dire  sono  state 
impregnate  di  un  sale  minerale  e precisamente  dal  carbonato  di 
calce.  Questa  mineralizzazione  non  presenta  uniformità  alcuna, 
in  quanto  che  la  impregnazione  calcarea  si  è fatta  assai  irrego- 
larmente: in  certe  parti  il  calcare  abbonda,  mentre  in  altre 
manca  assolutamente.  Inoltre  fu  osservato  che  in  vicinanza  dei 
legnami  calcarizzati  non  esiste  alcuna  incrostazione  calcarea  : e 
questo  fatto  è spiegato  dal  professor  Daubrée  coll’  idea  di  una  spe- 
cie di  selezione  per  la  quale  la  materia  lignea  ha  attratto  e con- 
centrato nelle  sue  cellule  il  carbonato  di  calce.  Questo  intervento 
dell’  affinità  capillare  risulta  anche  chiaramente  dal  modo  di  mine- 
ralizzazione degli  avanzi  organici  negli  strati  di  tutte  le  epoche 
geologiche,  e ad  esempio  dei  legni  silicizzati  i quali,  assai  di 
frequente,  non  hanno  alcun  deposito  siliceo  in  vicinanza. 

Nuovo  animale  fossile.  — Nella  stessa  seduta  (29  novembre) 
il  professore  A.  Gaudry  presentò  una  nota  sopra  alcuni  indizii 
della  esistenza  di  animali  sdentati  al  principio  dell’  epoca  mio- 
cenica. Gli  avanzi  che  l’autore  ha  esaminato  pervengono  dalle 
fosforiti  dei  dintorni  di  Caylus,  e consistono  in  due  pezzi  : una 
prima  falange  ed  una  falange  unghiale,  le  quali  sembrano  pro- 
venire dallo  stesso  dito.  Il  signor  Gaudry  colloca  questo  nuovo 
animale  nel  genere  Ancylothermm,  e gli  dà  per  nome  specifico 
quello  di  priscum.  I fossili  che  sono  stati  trovati  nello  stesso 
giacimento  fanno  credere  che  l’ individuo  in  questione  abbia  vis- 
suto, sia  all’  epoca  del  miocene  inferiore  (sabbie  di  Fontainebleau), 
sia  nell’  ultima  fase  dell’  epoca  eocenica  (calcare  della  Brie). 


— 400 


Nuovo  metodo  per  la  distinzione  dei  feidispati/  — Questo 
metodo,  fondato  sull’  esame  delle  proprietà  ottiche  dei  cristalli, 
può  essere  applicato  a tutti  i feldispati  ed  offre  un  facile  mezzo 
di  distinzione  dei  medesimi:  la  sola  difficoltà  sta  in  ciò  che  è 
necessario  di  avere  una  sezione,  sufficientemente  sottile  e tra- 
sparente, parallela  al  clivaggio  principale,  e levigata  per  modo 
da  riescire  omogenea  in  tutte  le  sue  parti.  Tali  sezioni,  ottenute 
da  cristalli  o masse  lamellari  di  albite,  oligoclasio,  labradorite, 
e della  pluralità  dei  microclini,  offrono  delle  strisele  emitropie, 
più  0 meno  serrate  fra  di  loro,  disposte  lungo  il  piano  parallelo 
al  secondo  clivaggio  ; nel  caso  dell’  ortoclasio  e di  un  microclino 
nello  stesso  cristallo,  si  ottiene  lo  stesso  effetto  con  due  sezioni 
collocate  in  direzioni  opposte. 

Le  sezioni  così  ottenute  sono  collocate  fra  i due  Nicol  in- 
crociati di  un  microscopio  di  polarizzazione. 

Per  l’ ortoclasio  il  massimo  di  estinzione  si  verifica  allorché 
le  due  sezioni  sono  parallele  al  loro  piano  di  contatto,  trovan- 
dosi r angolo  dei  due  piani  di  clivaggio  nel  piano  di  polarizza- 
zione del  microscopio. 

In  un  feldispato  microclino  si  osservano  moltissime  striscie 
parallele  assai  sottili  : va  distinto  però  il  caso  di  un  solo  micro- 
clino, 0 di  un  microclino  ed  ortoclasio  insieme.  Nel  primo  caso 
la  estinzione  avrà  luogo  per  un  angolo  di  30°  54'  fra  due  striscie 
vicine,  e nel  secondo  per  19°  27'. 

Per  1’  albite  la  estinzione  fra  due  striscie  si  effettua  sotto  un 
angolo  di  6°  32'. 

Per  P oligoclasio,  la  estinzione  è simultanea  nelle  due  stri- 
scie, e se  il  piano  di  composizione  coincide  con  quello  di  po- 
larizzazione del  polariscopio,  ciò  indica  che  vi  è struttura  omo- 
genea. 

Per  la  labradorite  si  ottiene  P estinzione  sotto  un  angolo 
di  10°  24'  fra  le  linee  alternate  delle  lamelle  emitropie. 

Da  ciò  segue  che  un  piano  normale  al  piano  degli  assi  ta- 


‘ Da  una  lettera  del  signor  Descloizeaux : vedi  American  Journal,  decem» 
ber  1875. 


— 401  — 


glia  la  base  secondo  una  linea  la  quale  fa  colla  linea  di  incontro 
dei  due  clivaggi  principali  gli  angoli  seguenti: 


Ortoclasio  e microclino 0° 

Microclino 19®  27' 

Albite 3®  1 6' 

Labradorite 7®  12' 


Giacimenti  ferriferi  nella  Scandinavia.*  — Da  poco  tempo 
sono  stati  scoperti  nella  Norvegia  giacimenti  ferriferi  che  po- 
tranno esercitare  una  certa  influenza  sul  commercio  dei  metalli, 
per  la  loro  estensione,  per  la  ubicazione  ed  il  modo  di  giacimento. 

Essi  trovansi  nella  provincia  di  Nordlanden  ad  1 1 chilometri  dal 
golfo  di  Skjerstad,  accessibile  a qualunque  nave  di  profonda  im- 
mersione, presso  al  paese  di  Bodd.  Oltracciò  la  costruzione  di 
una  piccola  strada  verso  il  mare  non  offre  alcuna  rilevante  dif- 
ficoltà, mentre  i boschi  estesissimi  dei  dintorni  sembrano  de- 
stinati appositamente  a somministrare  il  combustibile  per  la 
fusione  del  minerale.  Questo,  diverso  dai  minerali  magnetici 
svedesi,  come  pure  da  quelli  manganesiferi  e titaniferi,  è ecce- 
zionalmente puro,  se  vi  si  eccettua  una  piccolissima  quantità  di 
fosforo.  I giacimenti,  affatto  liberi  da  materie  estranee,  trovansi 
compresi  fra  due  strati  calcari  e ricuoprono  una  superfice  di  13,000 
metri  quadri.  Le  analisi  eseguite  darebbero  un  tenore  in  ferro 
del  60  7o-  Si  suppone  che  in  quella  località  esistano  estesissimi 
giacimenti  non  ancora  riconosciuti,  la  cui  ricchezza  potrebbe  dirsi 
inesauribile. 

Una  Società  svedese  al  principio  della  primavera  imprenderà 
la  escavazione  del  nuovo  giacimento  scoperto. 

Caduta  di  pietre  meteoriche.  — Da  un  rapporto  del  signor 
J.  L.  Smith  di  Louisville,  rileviamo  i dati  seguenti  sulla  caduta 
di  due  pietre  meteoriche  negli  Stati  Uniti. 

La  prima  di  queste  pietre  è caduta  il  12  febbraio  1875  nello 
Stato  di  Jowa:  il  peso  totale  dei  frammenti  raccolti  è di  circa 
150  chilogrammi.  Questa  meteorite  appartiene  alla  varietà  la  più 

* Ved.  Verhandl.  d.  k.  k.  geol.  Reichs.,  VVien,  1875,  N.  14. 

27 


— 402  — 

dura  e si  avvicina  assai  a quella  che  cadde  a Aumale  nell’  Al- 
gerla  nell’  agosto  1865. 

L’  altra  pietra  è caduta  il  14  maggio  1874  presso  Castralia, 
contea  di  Nash,  nella  Carolina  del  Nord.  Le  esplosioni  che  ac- 
compagnarono la  sua  caduta  diedero  luogo  a rumori  che  dura- 
rono per  ben  quattro  minuti.  L’  autore  del  rapporto  crede  che 
questa  meteorite  sia  stata  ridotta  in  una  dozzina  di  frammenti. 
Essa  appartiene  alla  varietà  la  più  comune,  con  una  crosta  oscura 
che,  a punti,  non  copre  intieramente  i campioni  raccolti. 


AVVISO. 

Il  dottor  Francesco  Coppi  di  Modena  possiede  una  raccolta 
di  fossili  pliocenici  e miocenici  del  Modenese  ricca  di  più  che 
mille  specie,  tutte  classificate  ed  ordinate  secondo  il  sistema  di 
Woodward  (ved.  Manual  of  thè  Moìlusca).  Esso  n^  mette  in 
vendita  delle  collezioni  parziali  ai  prezzi  seguenti: 

Collezione  di  20  specie  (con  relativa  illustrazione)  L.  20 


Id. 

di  100 

id 

30 

Id. 

di  200 

id 

: . . . . » 

70 

Id. 

di  300 

id 

» 

120 

Id. 

di  400 

id 

» 

250 

Le  spese  di  porto  sono  a carico  dell’  acquisitore. 


È aperto  F abbuonamento  al  BollottillO  del  B, 
Comitato  Greologico  pel  1876  alle  condizioni  solite: 
Interno  L.  8,  Estero  L.  10.  — Esso  si  pubblica  in  fa- 
scicoli bimestrali  di  4 a 5 fogli  di  stampa,  formanti  un 
volume  annuo  di  400  pagine  circa.  Gli  abbuonajfci  rice- 
veranno gratuitamente  la  copertina  ed  il  frontespizio 
del  volume. 

Per  le  commissioni  rivolgersi  alla  Direzione  in  Boma, 
Biazza  San  Pietro  in  Vincoli,  N.  5. 


La  Direzione. 


INDICE 


DELLE  MATERIE  CONTENUTE  NEL  BOLLETTINO  DEL  1875 

(Volume  Sesto). 


NOTE  GEOLOGICHE. 

C.  De  Stefani.  — Dei  depositi  alluvionali  e della  mancanza  di  terreni 
glaciali  nell’  Apennino  della  valle  del  Sarchio  e nelle  Alpi 

Apuane . . Pag.  3 

G.  Seguenza. — Studii  stratigrafìci  sulla  Formazione  pliocenica  del- 
l’Italia Meridionale  (continuazione) 18 

C.  De  Stefani.  — Considerazioni  stratigrafìche  sopra  le  rocce  più  an- 
tiche delle  Alpi  Apuane  e Monte  Pisano  (continuazióne).  . ...  31 
T.  Fuchs.  — Sulla  relazione  di  un  viaggio  geologico  in  Italia  ....  46 
G.  Capellini.  — Strati  a Congeria,  formazione  Oeninghiana  e piano 

del  calcare  del  Leitha  nei  Monti  Livornesi 49 

G.  Stadie.  — Le  formazioni  paleozoiche  nelle  Alpi  Meridionali ....  52 

Idem.  — La  formazione  permiana  nelle  Alpi  Meridionali 55 

TJ,  Botti.  — Sulle  rocce  impastate  entro  al  Serpentino 67 

G.  De  Stefani.  — Considerazioni  stratigrafìche  sopra  le  rocce  più  an- 
tiche delle  Alpi  Apuane  e del  Monte  Pisano  (continuaz.  e fìne).  73 
G.  Seguenza.  — Studii  stratigrafìci  sulla  Formazione  pliocenica  del- 

l’ Italia  Meridionale  (continuazione) 82 

Idem.  — Sulla  relazione  di  un  viaggio  geologico  in  Italia  di  T.  Fuchs.  89 

31.  Neumayr.  — Sulla  formazione  della  Terra  Bassa 97 

P.  Strabei.  — Notizie  preliminari  su  le  Balenoptere  fossili  subappen- 
nine  del  Museo  parmense 131 

B.  Lotti.  — Scoperta  di  strati  nummulitici  presso  Prata  e Gerfalco 

in  prlvincia  di  Grosseto 140 

G.  Seguenza.  — Studii  stratigrafìci  sulla  Formazione  pliocenica  del- 
r Italia  Meridionale  (continuazione) . 145 

C.  Doelter.  — Cenni  sopra  la  costituzione  geologica  delle  Isole  Ponza.  154 

E.  Suess.  — Il  vulcano  Venda  presso  Padova. 162 

B.  Ludwig.  — Appunti  geologici  sull’Italia 165 

C.  De  Stefani.  — Un  brano  di  storia  della  geologia  toscana,  a pro- 

posito di  una  recente  pubblicazione  del  signor  Coquand  ....  180 


~ 404 


G.  Seguenza.  — Studii  stratigrafici  sulla  Formazione  pliocenica  dei- 

fi  Italia  Meridionale  (continuazione) Pag.  203 

C.  De  Stefani.  — Delfi  epoca  geologica  dei  marmi  dell’  Italia  Centrale.  212 
B.  Lotti.  — Il  terreno  nummulitic9  nel  versante  orientale  della  Cor- 
nata di  Gerfalco 227 

F.  Coppi.  — Brevi  note  sulle  Salse  modenesi 231 

Tli.  Fiiclis.  — Sulla  relazione  di  un  viaggio  geologico  in  Italia.  . . 237 

G.  Capellini.  — Calcare  a Amphistegina,  strati  a Congeria  e calcare 

di  Leitha  dei  Monti  Livornesi 241 

Th.  Fuchs.  — I membri  delle  formazioni  terziarie  nel  versante  set- 
tentrionale dell’ Apennino  fra  Ancona  e Bologna 245 

Idem.  — Sulla  formazione  della  Terra  Rossa 259 

G.  Seguenza.  — Studii  stratigrafici  sulla  Formazione  pliocenica  del- 
l’Italia Meridionale  (continuazione) 275 

E.  Stòhr.  — Notizie  preliminari  su  le  piante  ed  insetti  fossili  della 

formazione  solfifera  della  Sicilia.  2S4 

Th.  Fuchs  e Al.  Bittner.  — Le  formazioni  plioceniche  di  Siracusa  e 

di  Lentini 288 

E.  V.  Mojsisovics.  — Il  territorio  di  Zoldo  e di  Agordo  nelle  Alpi 

Venete 294 

B.  Hórnes.  — Ricerche  nella  valle  superiore  del  Rienz  e nei  dintorni 

di  Cortina  d’Ampezzo 296 

P.  Zezi.  — I caolini  e le  argille  refrattarie  in  Italia 299 

G.  Seguenza.  — Studii  stratigrafici  sulla  Formazione  pliocenica  dei- 

fi  Italia  Meridionale  (continuazione) 339 

B.  Gastaldi.  — Sui  fossili  del  calcare  dolomitico  del  Chaberton 

(Alpi  Cozie)  studiati  da  C.  Michelotti 346 

G.  Seguenza.  — Sulla  relazione  di  un  viaggio  geologico  in  Italia  per 
T.  Fuchs 356 

A.  Manzoni.  — Intorno  alle  ultime  pubblicazioni  del  professor  Ponzi 

sui  terreni  pliocenici  delle  Colline  di  Roma,  e specialmente  in- 
torno ad  una  così  detta  Fauna  Vaticana 368 

B.  Studer.  — I Porfidi  del  Lago  di  Lugano 372 

B.  Hórnes.  — Rilievi  geologici  nel  territorio  di  Sexten,  nel  Cadore 

e nel  Comelico  (Alpi  venete) ; 378 

G.  Tschermdk.  — La  formazione  delle  meteoriti  e il  vulcanismo.  . . . 381 

NOTE  MINERALOGICHE. 


E.  Marchese.  — Scoperta  di  minerali  d’  argento  in  Sardegna 100 

A.  De  Lasaulx.  — Un  nuovo  giacimento  di  Allumite 106 


NOTIZIE  BIBLIOGRAFICHE. 


Jules  Brunfaut.  — De  l’exploitation  des  soufres.  — Paris  1874 57 

Ed.  Suess.  — Dìe  Erdbeben  des  sudlichen  Italien  ~Wien  1874  ...  Ili 


405  ~ 


L.  Bomhicci.  — Corso  di  Mineralogia,  2®  edizione  variata  ed  accre- 
sciuta ; voi.  IL — ^ Bologna  1875  263 

G.  Capellini,  — Considerazioni  sui  Cetoterii  bolognesi,  con  due  ta- 
vole. — Bologna  1875 267 

0.  Heer.  — Flora  fossilis  arctica  ; voi.  III.  • — Zurich  1875  268 

A.  Manzoni.  — I Briozoi  del  pliocene  antico  di  Castrocaro.  — Bolo- 
gna 1875  321 

G.  vom  BatJi.  — I Monzoni  nella  parte  S.E.  del  Tirolo.  — Bonn  1875.  322 
E.  von  Mojsisovics.  — Sull’ estensione  e la  struttura  delle  masse  do- 

lomiticbe  nel  S.E.  del  Tirolo. — Wien  1875  324 

E.  Stòhr.  — Katechismus  der  Bergbaukunde.  — Wien  1875  325 

J.  Dana.  — Manual  of  Geology,  second  edition.  — New-York  1875.  . 327 

A.  Cassa.  — Ricerche  di  chimica  mineralogica  sulla  Sienite  del  Biel- 

lese.  — Torino  1875 393 

A.  B’ AcMardi.  — Coralli  eocenici  del  Friuli.  — Pisa  1875 394 

A.  JBittner.  — Die  Brachyuren  des  vicentinischen  Tertiàrgebirges. — 
Wien  1875  396 

NOTIZIE  DIVERSE. 

Cenno  necrologico.  — ■ G.  B.  G.  D’Omalius  D’Halloy.  . 59 

Terremoti  presso  l’Etna  dal  7 al  20  gennaio  1875 113 

Analisi  della  meteorite  di  Orvinio 115 

Studii  sui  terreni  terziari  d’Italia 117 

Giacimenti  boraciferi  nell’America  Settentrionale 118 

Cenno  necrologico.  — Sir  Carlo  Lyell 120 

Carta  topografica  d’Italia 193 

Pseudomorfismo  del  serpentino 195 

Studii  paleontologici  nel  Vicentino 196 

Eruzioni  di  ceneri  tridimitiche 197 

Giacimento  di  zaffiri  e rubini  con  corindone ivi 

L’ Altaite 198 

Necrologia.  — G.  P.  Deshayes ivi 

Le  ultime  eruzioni  vulcaniche  nell’  Islanda 328 

Ricerche  geologiche  nel  mezzodì  della  Spagna 331 

Le  piriti  in  Francia 332 

Formazione  contemporanea  dei  minerali 333 

Minerali  tellurici  del  Chili 334 

Studii  sui  terremoti ivi 

Studii  sulle  rocce  eruttive 397 

Formazione  contemporanea  della  pirite 398 

Mineralizzazione  delle  sostanze  organiche 399 

Nuovo  animale  fossile ivi 

Nuovo  metodo  per  la  distinzione  dei  feldispati 400 

Giacimenti  ferriferi  della  Scandinavia 401 

Caduta  di  pietre  meteoiiche ivi 


— 406  — 


A.  D’  Achtaedi.  — Bibliografia  mineralogica,  geologica  e paleontologica 

della  Toscana Pag.  60 


Idem  . Idem  (continuazione  e fine)  . 121 

Dichiarazione 126 

Avviso . . . ivi 

Idem 270 

Idem 334 


Idem.  — Fossili  pliocenici  e miocenici  del  Modenese 402 

' TAVOLE  ED  INCISIONI. 


Sezione  presa  nei  dintorni  di  Pontremoli 71 

Sezione  del  Monte  la  Guardia  nell’  Isola  Ponza 159 

Tavola  che  accompagna  la  nota  del  prof.  Gastaldi  sui  fossili  del 

Chaberton 355 

Sezione  del  pliocene  antico  nella  valle  di  San  Nicandro  presso 
Messina 361 

Indice  delle  materie  contenute  nel  Bollettino  del  1875 403 


(Continuazione.) 


Memorie  per  servire  alla  descrizione  della  Carta  Geologica 
d’Italia.  — Volume  II,  Parte  F;  Firenze  1873.  — 272  pa- 
gine in-4°  con  11  tavole,  due  Carte  geologiche  ed  incisioni 
intercalate  nel  testo. 

Comprende  le  seguenti  Memorie  : 

Introduzione,  — Monografia  geologica  dell’  Isola  d’ Ischia, 
con  la  Carta  geologica  della  medesima  in  fol.  e incisioni  nel 
testo,  del  professor  C.  W.  C.  Fuchs.  — Esame  geologico  della 
catena  alpina  del  San  Gottardo,  che  deve  essere  attraversata 
dalla  grande  Galleria  della  Ferrovia  Italo-Elvetica,  con  una 
Carta  geologica  in  fol.  e due  tavole  di  Sezioni  in  fol.,  dell’ in- 
gegnere F.  Giordano.  — Appendice  alla  Memoria  sulla  for- 
mazione terziaria  nella  zona  solfifera  della  Sicilia,  con  una 
tavola,  deir  ingegnere  S.  Mottura.  — Malacologia  pliocenica 
italiana  (Parte  P,  Gasteropodi  sifonostomi)  ; fascicolo  2®,  con 
otto  tavole,  di  C.  D’  Ancona. 

Prezzo  del  Voi.  II®  (Parte  F),  Lire  25. 

Carta  Geologica  del  San  Gottardo,  nella  scala  di 
1 per  50,000,  di  F.  Giordano.  — Un  foglio  in  cro- 
molitografia   L.  5.  — 

Carta  Geologica  dell’Isola  d’ Ischia,  nella  scala  dì 
1 per  25,000  di  C.  W.  C.  Fuchs.  — Un  foglio  in 
cromolitografia L.3. — 


Memorie  per  servire  alla  descrizione  della  Carta  Geologica 
d’ Italia.  — Voi.  II,  Parte  2^;  Firenze  1874.  — 68  pag.  in  4“ 
con  due  tavole.  — Contiene  la  seguente  Memoria  : B.  Ga- 
staldi, Studii  geologici  sulle  Alpi  Occidentali  ; Parte  2^. 

Prezzo  del  Voi.  IF  (Parte  2^),  Lire  5. 


Per  le  commissioni  dirigersi  al  Segretario  del  R.  Co- 
mitato Q-eologico,  in  Roma,  Piazza  San  Pietro 
in  Vincoli,  N.  5. 


Annunzi  di  pubblicazioni. 


G.  Sequenza.  — Studi  paleontologici  sulla  fauna  malacologica  dei  sedi- 
menti pliocenici  depositatisi  a grandi  profondità.  — (Bollettino  della 
Soc.  malacologica  ital.,  voi.  I,  fase.  2.)  — Pisa  1875;  pag.  26  in-S®. 

G.  Struver.  — Sulla  Gastaldite,  nuovo  minerale  del  gruppo  dei  bisili- 
cati  anidri.  — Roma  1875  ; pag.  5 in-4®. 

B.  Gastaldi. — Cenni  sulla  giacitura  del  Cervus  euryceros. — Roma  1875; 
pag.  6 in-4°  con  una  tavola. 

T.  Taramelli.  — Dei  terreni  morenici  ed  alluvionali  del  Friuli.  — 
Udine  1875  (Annali  scientifici  del  R.  Istituto  Tecnico  di  Udine, 
anno  Vili);  pag.  100  in-8®  con  2 tavole. 

A.  Manzoni,  — I briozoi  del  pliocene  antico  di  Castrocaro.  — Bologna 
1875  ; pag.  64,  in-4°  con  sette  tavole. 

G.  Meneghini.  — Nuove  specie  di  Phylloceras  e di  Lytoceras  del  liasse 
superiore  d’Italia.  — (Atti  della  Società  Toscana  di  Scienze  Natu- 
rali, voi.  I,  fase.  2®.)  Pisa  1875,  pag.  6 in-8°. 

Ch.  Ledoux.  — Mémoires  sur  les  miiies  de  soufre  de  Sicile.  — (Annales 
des  Mines,  serie  VII,  tome  7,  livr.  1.)  — Paris  1875,  pag.  84  in-8® 
avec  deux  pìanches. 

G.  Ponzi.  — Cronaca  subapennina  o abbozzo  d’  un  quadro  generale  del 
periodo  glaciale.  — (Atti  dell’  XI  Congresso  degli  Scienziati.)  — 
Roma  1875  ; pag.  81  in-4°. 

— Dei  Monti  Mario  e Vaticano  e del  loro  sollevamento.—  (Atti  della 
R.  Accademia  dei  Lincei,  serie  2%  tomo  IL)—  Roma  1875  ; pag.  14 
in-4°  con  2 tavole. 

E.  Paglia.  — Nota  geologica  sopra  i terreni,  specialmente  terziari, 
nelle  adiacenze  del  bacino  del  Garda.  — (Atti  della  Società  Veneto- 
Trentina  di  Se.  Nat.,  ottobre  1875.)  — Padova  1875  ; pag.  12  in-8°. 

A.  Ferretti.  — Periodo  glaciale  subapennino  od  epoca  prima  dell’era 
neozoica.  — (Idem.)  — Padova  1875;  pag.  16  in-8°. 

— Pliocene  subapennino  od  ultimo  periodo  dell’  èra  cenozoica.  — 
(Idem.)  — Padova  1875  ; pag.  16  in-8®. 

A.  CossA.  — Ricerche  di  chimica  mineralogica  sulla  Sienite  del  Biel- 
lese. — Torino  1875;  pag.  33  in-4°. 

S.  CiOFALO.  — Cenni  sul  terreno  nummulitico  dei  dintorni  di  Termini- 
Imerese.  — (Ann.  della  Soc.  dei  Naturai,  di  Modena,  serie  2^  anno  IX, 
fase.  3 e 4.)  — Modena  1875;  pag.  4 in-8®. 

A.  Ferretti.  — Stazioni  preistoriche  in  San  Ruffino  e Jano,  provincia 
di  Reggio-Emilia.  — (Idem.)  — Id.,  pag.  3 in-8‘^. 

F.  Molon.  — Fossili  quaternari  del  Monte  Zoppega  in  San  Lorenzo  di 

San  Bonifazio  di  Verona.  — (Atti  del  R.  Istituto  Veneto,  serie  5^, 
tomo  I,  disp.  10.) — Venezia  1875;  pag.  22  in-8'"  con  due  tavole. 

F.  SoRDELLi.  — La  fauna  marina  di  Cassina  Rizzardi.  — (Atti  della  Soc. 
It.  di  Se.  Nat.,  voi.  XVIII,  fase.  3.)  — Milano  1875.  (Continua.) 

A.  D’Achiardi.  — Coralli  eocenici  del  Friuli.  — Pisa  1875  ; pag.  100 
in-8°  con  sedici  tavole. 

C.  De  Stefani.  — Descrizione  delle  nuove  specie  di  molluschi  pliocenici 
raccolti  nei  dintorni  di  San  Miniato  al  Tedesco.  — Pisa  1875  ; 
pag.  6 in-8°  con  una  tavola. 

P.  Mantovani.  — Sulla  formazione  geologica  delle  colline  presso  An- 
cona. — Roma  1875  ; pag.  24  in-8®  con  una  tavola. 


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