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BOLLETTINO
DEL
R. COMITATO GEOLOGICO D’ITALIA
1875. — Anno VI.
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1875. - Anno VI.
BOLLETTINO
DEL
R. COMITATO GEOLOGICO
D’ITALIA.
Volume Sesto.
N. 1 a 12.
ROMA,
TIPOGRAFIA BARBÈRA.
1875.
R. COMITATO GEOLOGICO
D’ ITALIA.
Bollettino N° I e 2.
Gennaio e Febbraio 1875.
ROMA,
TIPOGRAFIA BARBÈRA.
1875.
Bollettino Geologico per il 1870. — Un voi. in-8° di pag. 324.
» » PER IL 1871. — Un voi. in-8° di pag. 296.
» » PER IL 1872. — Un voi. in-8° di pag. 376.
» » PER IL 1873. — Un voi. in-8° di pag. 400.
» )) PER IL 1874. — Un voi. in-8® di pag. 408.
Prezzo di ciascun volume L. 10.
Associazione al Bollettino del 1875 (Anno VP). — Per
l’Italia L. 8, Estero L. 10.
I fascicoli bimestrali del Bollettino si vendono anche se-
paratamente al prezzo di L. 2 ciascuno.
Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica
d’ Italia. — Volume P ; Firenze 1871. — 404 pagine in-4“
con 23 tavole, due Carte geologiche e varie incisioni inter-
calate nel testo.
Comprende le seguenti Memorie :
Introduzione — Studii geologici sulle Alpi Occidentali, di
B. Gastaldi, con cinque tavole ed una Carta geologica. —
Cenni sui graniti massicci delle Alpi Piemontesi e sui mine-
rali delle valli di Lanzo, di G. Strììver. — Sulla formazione
terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura,
con quattro tavole. — Descrizione geologica dell’ Isola d’ Elba,
di I. Cocchi, con sette tavole ed una Carta geologica. —
Malacologia pliocenica italiana (Parte P, Gasteropodi sifo-
nostomi) di C. D’ Ancona ; fascicolo P, con sette tavole.
Prezzo del Voi. I'’, Lire 35.
Brevi cenni sui principali Istituti e Comitati Geo-
logici e sul R. Comitato Geologico d’ Italia, di
I. Cocchi. — Pag. 34 in-4° L. 1. 50
Carta Geologica della parte orientale dell’ Isola
d’ Elba, nella scala di 1 per 50,000, di I. Coc-
chi. — Un foglio in cromolitografia L. 3. 00
{Continua).
BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO
D’ ITALIA.
N® lei — Gennaio e Febbraio 1875.
SOMMARIO.
Note geologiche. — I. Dei depositi alluvionali e della mancanza di terreni
glaciali neU’Apennino della valle del Serchio e nelle Alpi Apuane, per
C. De Stefani. — II. Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica del-
l’Italia Meridionale, per G. Sequenza. (Continuazione.) — III. Considerazioni
stratigrafiche sopra le rocce più antiche delle Alpi Apuane e del Monte
Pisano, per C. De Stefani. (Continuazione.) — IV. Sulla Relazione di un
viaggio geologico in Italia, per T. Fuchs. — V. Strati a Congeria, forma-
zione Oeninghiana e piano del calcare di Leitha nei Monti Livornesi, per
G. Capellini. — VI. Le formazioni paleozoiche nelle Alpi Meridionali, per
G. Stache. — VII. La formazione permiana nelle Alpi Meridionali, per
G. Stache.
Notizie bibliografiche. — Jtjles Brunfaut, De V Exploitation des Soufres ;
Paris 1874.
Cenno necrologico. — G. B. G. d’Omalius d’Halloy.
Bibliografìa mineralogica, geologica e paleontologica della Toscana,
per A. D’Achiardi. (Continuazione.)
NOTE GEOLOGICHE.
I.
Dei depositi alluvionali e della mancanza di terreni glaciali
nell’ Apennino della valle del Serchio e nelle Alpi Apuane^
Osservazioni di Carlo De Stefani.
Tempo fa io pubblicai uno scritto intitolato : Gli antichi
ghiacciai dell’ Alpe di Corfino ed altri dell’ Apennino settentrio-
nale e delle Alpi Apuane {Bollettino del B. Com. geologico d’Ita-
lia^ 1874, N. 3 e 4), dopo avere esaminato solo pochi giorni i
depositi ghiaiosi di Castiglione sotto V Alpe di Corfino, e quelli
degli altipiani di Castelnuovo e di Barga. Peraltro adesso, dopo
i *
— 4 —
averli ristudiati a posta e per lungo tempo, e dopo avere ben
riguardato e ripensato a quelli che lo Stoppani {SuW esistenza
di un antico ghiacciaio nelle Alpi Apuane, Atti della Società ita-
liana di scienze naturali, Voi. XV, fase. II, Milano 1872, e Men-
diconti del Reale Istituto Lombardo di scienze e lettere, Serie II,
Voi. I, fase. XIV, 1862), il Cocchi {Lei terreno glaciale delle Alpi
Apuane. Bollettino del R. Com. geologico cV Italia, 1872, X. 7
e 8), ed il Moro (Il gran ghiacciaio della Toscana, Prato, 1872),
hanno citato come indizii di epoca glaciale, sono pervenuto a
conchiusioni contrarie a quelle che avevo manifestate nel citato
scritto. Attesa V importanza dell’ argomento e per ismentire quello
che per un momento credetti io pure, pubblico ora queste con-
clusioni, vincendo il timore eh’ è sorto naturalmente in me nel
momento di fare obbiezione alle idee di geologi sì illustri come
sono il Cocchi e lo Stoppani, il quale ultimo specialmente," at-
teso i suoi profondi studii compiuti nelle Alpi, è una delle mag-
giori autorità nella discussione di quei fatti geologici che riguar-
dano P epoca glaciale.
Prima di entrare direttamente in materia, intendo, come
punto di partenza, fare una breve esposizione della natura e
della formazione dei depositi detritici non glaciali che si pos-
sono formare superficialmente, e che si formano nell’ interno delle
valli che mi propongo di esaminare ed in specie nell’ interno
della valle del Serchio che, allo scopo di questo studio, ho rian-
dato da cima a fondo. Alla foce delle valli si arrestano i de-
triti trasportati dal fiume e formano un cono di deiezione più
0 meno ampio, e più o meno elevato, specialmente quando il
terreno nell’ interno vi si presta per la sua natura litologica, e
per la sua nudità, e quando vi si formano delle lavine. Esempi di
consimili coni di deiezione si possono vedere in quasi tutte le
valli laterali secondarie dell’ Apennino : e dei bellissimi se ne
presentano nella valle della Lima confluente nel Serchio. In ge-
nerale tutti i fiumi nell’ Apennino, nelle Alpi Apuane, come
altrove, rispetto alle loro foci, si possono distinguere in fiumi
che solcano e terrazzano, ed in fiumi che si formano un cono
di deiezione ; per rispetto a .noi, quelli delle Alpi Apuane del
versante del Serchio, i quali traversano roccie calcaree, appar-
tengono alla prima categoria, e quelli dell’ Apennino, che tra-
5 —
versano roccie arenarie e scliistose facilmente friabili, apparten-
gono alla seconda, in particolare quando scendono da valli più
corte e perciò più ripide. Qualche volta il cono di deiezione del
fiume secondario si estende tanto che raggiunge la sponda op-
posta del fiume primario, il quale ne riceve la foce ; il letto di
questo ultimo in tal caso si rialza a valle per superare 1’ osta-
colo che si trova anteposto. Se avviene poi che cessino o dimi-
nuiscano nella valle secondaria le cause che alimentavano di ma-
teriali il cono di deiezione, il fiume primario scava il suo letto
d’ alluvione, per raggiungere il suo livello naturale, e così all’ un
de’ lati di esso rimane isolato 1’ estremo lembo dell’ antico cono
che, testimoniando la precedente esistenza di una sbarra al corso
del fiume e della valle, potrebbe talora assumere 1’ apparenza di
un deposito morenico. Molte volte poi, quando due fiumi di eguale
importanza si incontrano ad angolo nell’ interno delle valli, essi
confondono i loro depositi, e, se la valle dove s’ incontrano è piut-
tosto ampia, si ha un riempimento alluvionale che può simulare
pur esso a prima vista un deposito morenico. Esempi di tali de-
positi si hanno a Pieve Pelago, nella valle della Scaltenna o del
Panaro superiore, dove s’ incontrano il fiume di S. Anna e quello
di Fiumalbo, ed in più luoghi nella Val di Lima e nella valle del
Serchio ; del resto non moltiplico gli esempi di questo e degli
altri casi citati, perchè sono regola generale nell’ Apennino.
Questi depositi alluvionali o di deiezione si distinguono come si
sa per la situazione loro, per la forma dei detriti e dei ciottoli
schiacciati, deposti per piatto, ravvolti nella terra, provenienti
da tutti i tratti superiori ed inferiori della valle, anzi più da
questi che da quelli, embriciati, cioè colla loro superficie piana
superiore inclinata e disposta contro la direzione del fiume, non
striati 0 striati meno profondamente e più irregolarmente dei
ciottoli glaciali ec. Tutti questi caratteri, o se non tutti insieme
taluni almeno, distinguono i depositi fluviatili, nell’ interno delle
valli, dai glaciali.
Ancora al piede dei dirupi e delle ripide pendici de’ calcari,
che facilmente si riducono in frantumi, si formano dei mucchi di
sfacelo {talus) e talora delle lunghe accumulazioni, che raggiun-
gono l’alveo inferiore della valle, disposte a tracolla sulle pareti
della medesima e tenacemente cementate in modo da sfidare le
— 6 —
azioni del tempo : questi depositi frammentarii, frequenti dovun-
que, si distinguono benissimo da quelli di qualsiasi altra natura
appunto per la loro forma frammentaria, per la loro disposizione
limitata e pella loro derivazione locale da una sola forma di
roccia. Gli stessi caratteri distinguono le frane e le lavine, che
spesso sono accompagnate da smottamenti di terreno, e nelle
quali i massi lavinati ora sono a spigoli acuti, ora, specialmente
se di materia con facilità disgregabile, sono a spigoli smussati
e arrotondati. Le lavine nelPApennino sono frequenti, attesa la
natura ed il vario alternare dei materiali rocciosi, poiché gli
strati di certi schisti intramezzati nelle masse si alterano di-
venendo argillosi, ed in questo caso le masse sovrastanti, man-
cando loro il sostegno e tratte dalla forza di gravità, scivolano
sopra i piani di stratificazione ampli e lisci come la diacciaia,
trascinando fino al fondo della valle selve e case, e formando
depositi grandiosi, la cui natura potrebbe sembrare difficile a
spiegarsi per chi non sapesse le cose dalla storia e dalla tra-
dizione, e per chi, onde chiarire il fenomeno, ricorresse ad altra
supposizione che a quella di una lavina. Per non uscire dalle
valli del Serchio e de’ suoi confluenti, dirò come sia ben cono-
sciuta in Val di Lima la catastrofe per la quale la maggior parte
del grosso paese di Lizzano, nel gennaio dell’anno 1814, avvallò
con una falda di monte per lo spazio di quasi due miglia di
circonferenza, ed i rottami e le frane precipitando nella Lima,
impedirono e chiusero interamente il varco del fiume, costrin-
gendolo ad allagare.
Avviene eziandio che dalle rupi a picco si stacchino dei
grossi massi, i quali rotolando a valle cadono nel fondo, o, preso
r abbrivio sopra le pendici più erte, possono fare un cammino
relativamente lungo, aiutati anche dalle volute {avalancìies), che
d’ inverno non sono infrequenti nell’ Apennino e nelle Alpi
Apuane, e che in vernacolo chiamano saiatte. Un masso enorme
di serpentino, caduto dai poco alti dirupi contigui, nel bel mezzo
dell’ alveo del Serchio a valle del ponte di Sala, sbarra talmente
il corso del fiume, che quando questo è in piena, gli impedisce
il passo e lo costringe a rigurgitare, formando un bacino a monte,
fin tanto che 1’ acqua abbia raggiunto 1’ altezza alla quale può
passare. Del resto gli esempi di cotali massi lavinati, che nella
_ 7 —
loro scesa hanno percorso qualche centinaio di metri, sono fre-
quentissimi nelle Alpi Apuane, nelle quali tutte le valli più im-
portanti cominciano sotto altissime pareti verticali o quasi. Que-
sti massi, se isolati sopra roccie diverse dalla loro, colle loro
grandi dimensioni e co’ loro spigoli acuti ed intatti, possono
sembrare massi erratici depositati pari pari da ghiacciai, a chi
non sia stato testimone di veduta o di udito della loro discesa,
ed a chi non conosca discretamente la disposizione geologica
della località : però la poca lontananza delle roccie da cui essi
provengono e la mancanza di que’ fenomeni che sogliono accom-
pagnare i detriti glaciali, provano che massi erratici glaciali non
sono. Sotto le rupi del Procinto nella Versilia, ne’ canali di Bro-
netino e di Filurchia stanno de’ grandiosi massi di calcare ca-
vernoso lavinati dagli strati superiori, e che si trovano posati
sopra gli schisti ne’ quali sono scavati i canali suddetti : la loro
origine per semplice opera delle frane è spiegata in modo
specioso dal fatto che sotto ad uno dei massi fu scavato tempo
addietro un lungo tronco di abete, albero che adesso non vive
più ne’ dintorni e che vi era rimasto sepolto. Fin qui ho par-
lato di que’ depositi superficiali alluviali, che possono simulare
fino ad un certo punto depositi glaciali.
Quanto alle traccie del loro passaggio, che i corsi d’ acqua
lasciano nell’ interno delle valli quando non formano depositi, si
sa già che sono 1’ escavamento ed il così detto terrazzamento.
Anco i ghiacciai lasciano solchi e gradinate a pareti verticali
ne’ luoghi pei quali sono passati, ma i loro canali di sfogo sono
i
più ampli, e le pareti verticali di questi, quando esistono, indi-
pendentemente dalle striature, sono ben lisciate e rettilinee e
tirate a lustro, nè 1’ andare de’ tempi può molto a distruggere
codeste traccie indelebili. Quando invece i corsi d’ acqua appro-
fondano il loro alveo entro roccie solide e tenaci, agiscono bensì
sopra di queste anche colla forza dello stropiccio di loro stesse
e dei detriti che asportano, come un ghiacciaio, e producono delle
pareti verticali, ma con effetti diversi, poiché le superfici di queste
rimangono curve, rientranti, non uniformi, ma irregolari, secondo
la diversa durezza dei minuti elementi costituenti la roccia, tor-
tuose e con creste rilevate, come le ondosità di un mare pros-
simo alla spiaggia. Il tempo, come rispetta le traccie dei ghiac-
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dai, rispetta andie codeste traccie lasciate dalle acque fluviali,
che del resto non si confonderebbero con quelle prodotte da acque
pluviali cadenti dalla vòlta dell’ atmosfera. Quelle traccie delle
correnti d’ acqua non sono rare nell’ interno delle valli Apuane,
a livelli superiori agli alvei attuali, attestando ivi il loro pas-
saggio, prima che lo sprofondamento delle valli fosse pervenuto
al punto in cui è ora: ne vidi esempii fra gli altri negli schisti
cristallini delle rupi di Corvaia, sotto Serravezza, e della valle
di Montignoso, sopra l’Acquabona. Tutte queste osservazioni, ben-
ché in apparenza superflue e troppo semplici, le ho volute fare,
per concludere che ne’ fatti descritti rientrano i depositi super-
ficiali e le traccie di passaggio delle acque fluviali neH’Apennino
e nelle Alpi Apuane, e che ad essi soltanto si riferiscono la mag-
gior parte di quei fenomeni che io e gli altri ritenemmo come
indizio di un’ epoca glaciale. A’ resti di antichi laghi ed alle forme
particolari dei depositi ghiaiosi che li riempirono, si debbono
attribuire, come si vedrà poi, i rimanenti indizii che furono ci-
tati da me come traccie di epoca glaciale.
Di que’ fenomeni ritenuti per glaciali, comincierò subito a
ridare la spiegazione, riportandoli via via alla serie di fatti sopra
descritti. Mi rifarò intanto dalla parte inferiore della vai di Ser-
chio. Il deposito che si trova a destra della valle a monte delle
case superiori di Diecimo, dopo la curva che fa il fiume, depo-
sito che io ritenni essere una morena insinuata (Gli antichi ghiac-
ciai, ec.), è invece un deposito limitato a piccoli frammenti, deri-
vanti dallo sfacelo (tdlus) del calcare grigio con selce neocomiano,
che costituisce quelle pendici. Altra formazione, che dubitavo
potesse essere morenica, 1’ ho indicata sulla sinistra della Torrita
d’Arni, a valle del Ponte di Kontano, e si trova sotto un pon-
ticello di legno che serve ad un antico mulino del paese di Tor-
rita, a sinistra della confluenza di un torrentello : si tratta di
ghiaie schiacciate, spesso embriciate, e cementate da carbonato
di calce, di schisti cristallini che ho ritenuti triassici, e di marmi
saccaroidi, tutte roccie portate dal fiume Torrita ed arrestate in
corrispondenza del cono di deiezione del precitato torrentello, a
formare un deposito semplicemente alluvionale, del quale riman-
gono ora poche traccie. Un poco più sopra nella valle, parimente
a sinistra, sotto il ponte in muratura di Eontano, è, a tracolla
— 9
sulla pendice del monte, un deposito di sfacelo del calcare grigio
sovrastante.
Nel canale di Vagli, il Cocchi {Bèl terreno glaciale, ec.) cita
« una estesa morena, la quale da Campocatino per Vagli di Sopra
va ad arrestarsi contro le Faete ed Orticaiola » e « traccie dei
ghiacci che scendevano a Nord della Penna di Sumbra (o Sum-
mora), nel canale di Vagli, che si unisce a Vagli di Sotto colle
valli di Arnetola e di Campocatino. » Però, nel primo caso si
tratta di semplici frane, le quali si estendono lunghesso tutta
la valle, a destra ed a sinistra della medesima; a sinistra sono
costituite da frammenti de’ calcari cavernosi e terrosi e degli
schisti rasati, che ivi stesso formano il crinale della Tombaccia,
fra le valli di Arnetola e quella di Corfigliano o dell’ Acqua-
bianca ; a destra poi sono unicamente formate dalla roccia mar-
morea della Tambura e delle Faete, la quale ha per P appunto
il suo limite, circa lungo P alveo del canale di Campocatino, su-
periormente a Vagli di Sopra. In basso del colle di Vagli di
Sotto, di fianco agli alvei del canale di Arnetola e di quelli mi-
nori che vi affluiscono, pendendo dalla Penna di Summora, esi-
stono soltanto dei depositi alluvionali ghiaiosi, degli schisti, dei
calcari cavernosi ed infraliassici e dei calcari marmorei, che stanno
a monte. Nelle valli dei fiumi di Gramolazzo e di Corfigliano
che insieme si riuniscono per sboccare nel Serchio presso Piazza,
il Cocchi dice che si trovano delle morene, talune delle quali
delle più grandi delle Alpi Apuane. « Una grande ghiacciaia, egli
dice, scendeva giù per il Gramolazzo (che viene dal bacino situato
fra il Pizzo Maggiore ed il Pizzo d’ Uccello), fin presso la sua giun-
zione con il torrente dell’ Acquabianca presso Corfigliano, e ri-
ceveva una minore ghiacciaia laterale che scendeva dai monti di
Minacciano formati di terreni Passici ed eocenici. Il Piano ed il
Poggio di Mandria (alla congiunzione del torrente di Gramolazzo
e di quello di Corfigliano) sono formati di un deposito caotico
incoerente nel quale molti blocchi (che egli dice veri grandi massi
erratici, cui non si smussarono gli angoli e gli spigoli) hanno
incavatura e solchi e strie longitudinali » e la loro natura (con-
tinua a dire il Cocchi) non permette di dubitare sulla prove-
nienza loro dalle alte cime che dominano il Pian di Mandria;
P illustre geologo dà poi la misura di uno di quei massi erratici.
— 10
soggiungendo che « un deposito morenico analogo prevalentemente
agglutinato e cementato si incontra nella valle dell’ Acquabianca,
ossia di Corfigliano. » Per verità, è molto atta a far dubitare
deir esistenza di antichi ghiacciai, la vista di que’ voluminosi
massi del Pian di Mandria, più grandi ancora di quello le cui
dimensioni sono state indicate dal Cocchi, sparsi in numero non
piccolo a destra ed a sinistra, non solo del canale di Gramo-
lazzo dal ponte di Gramolazzo in giù, ma anche di quello di
Corfigliano, presso al luogo dove le due vallecole s’ incontrano.
Que’ massi sono adagiati sui terrazzi scavati dai due torrenti nel
detrito ghiaioso incoerente che riempie il fondo delle due valli,
là dove queste, terminato il ripido pendìo, assumono un declivio
dolce e quasi piano ; essi però non sono formati da schisto calca-
rifero, nè provengono dalla parte più alta e recondita dell’ Orto
della Donna, o alta valle del Gramolazzo, cioè dalle alte cime
del Pizzo Maggiore, delle Forbici e dell’ Altare, come ha ritenuto
il Cocchi ; ma appartengono alle quarziti che sono superiori ai
marmi, e derivano dagli strati di questa roccia, che, con potenza
non molto grande, circondano la formazione marmorea nella parte
più bassa di quelle valli, e che, sottoposti ai calcari infraliassici,
sovraincombono al Piano di Mandria ad una distanza non mag-
giore di circa 500 metri. Mi parve notevole anzi il non trovare
colà nemmeno un masso del calcare marmoreo che, insieme ai
banchi di cipollino molto calcarifero e ben distinto, pe’ suoi ca-
ratteri, forma, come dice anche il Cocchi, le grandiose sommità
e le lunghe pendici sovrastanti alla parte superiore della valle
del Gramolazzo, e che avrebbero dovuto predominare se avesse
avuto luogo un trasporto di roccie operato da ghiacciai. Il ghiac-
ciaio, se fosse esistito, avrebbe del resto ricoperto i banchi delle
quarziti affioranti, come si è detto, soltanto nella regione infe-
riore di esso, e non ne avrebbe asportato quei massi che si ve-
dono in Pian di Mandria. Per queste ragioni, la presenza di codesti
massi sembra dovuta a lavine, della natura di quelle sottostanti
alle rupi del Procinto e ad altre località, tanto più che non si
vedono nelle adiacenze nè detriti morenici, nè solchi, nè strie,
operate da ghiacci, nè quelle roccie lisciate e a cavalloni {mou~
tonnées) solite ne’ dintorni de’ ghiacciai. Nei massi citati, sono
bensì que’ solchi e quelle strie longitudinali cui allude il Cocchi,
11 -
ma desse segnano la direzione degli strati troppo manifestamente;
si tratta di effetti dovuti alla azione degli agenti atmosferici, che
fu più 0 meno efficace, a seconda della diversa natura degli ele-
menti stratificati costituenti la roccia, nè si può in modo alcuno
errare distinguendoli dalle striature e dalle incavature eseguite
a modo de’ ghiacciai. Quanto poi al « deposito caotico incoerente »
che il Cocchi dice morenico, e che s’ incontra da ogni lato in
tutta quella regione triangolare, situata fra i due torrenti di
Gramolazzo e di Corfigliano, dal ponte di Gramolazzo in giù per
una parte, e dai pianali delle Capanne di Corfigliano, sotto lo
spartiacque della Tombaccia a valle per 1’ altra parte, non si tratta
che di un deposito alluvionale di ghiaie, di calcari marmorei, di
schisti cristallini e di calcari infraliassici, che costituiscono il lato
occidentale di quelle valli, e di arenarie e schisti eocenici, che
ne formano il lato orientale ed inferiore, tanto di faccia a Cor-
figliano, quanto di fianco a Gramolazzo. Non vidi ciottoli striati,
nè, ripeto, alcun altro di que’ fenomeni che attestano altrove il
passaggio de’ ghiacciai. Fuori di queste località, ma sempre nelle
Alpi Apuane^ il Cocchi cita depositi morenici ne’ diversi canali
che sono alle falde della Tambura nella valle del Frigido, nel
basso de’ canali derivanti dal Monte Sagro a valle di Carrara e
nelle valli di Equi e di Vinca ; io poi citava un conglomerato,
che riteneva morenico, a Canovara, sotto la foce del canale d’An-
tona nel Frigido. Però, in tutte le citate località, si tratta di
depositi alluvionali della natura di quelli che ho descritto a prin-
cipio, depositi che talvolta sono cementati dal carbonato di calce
disciolto dai ciottoli calcarei che, attesa la costituzione geologica
delle località, ne formano prevalentemente la massa; a Carrara
si aggiungono delle frane derivanti dai poggi sovrastanti, le quali,
insieme colle alluvioni recenti, ricoprono il cono di deiezione an-
tico del Carrione. E inutile che io ripeta come la provenienza
alluvionale, in questi casi, sia provata dalla disposizione e dalla
natura de’ materiali derivanti spesso da tutti i lati, anche dalle
pendici immediatamente sovrastanti, e dalla mancanza di tutte le
caratteristiche de’ fenomeni veramente glaciali. Quanto alle valli
d’ Equi e di Vinca, le quali scendono dal breve versante di N.O.
e di N. delle Alpi Apuane verso la valle della Magra, io non
conosco bene le località, ma nè il professor Cocchi vi cita verun
— 12 —
più particolare indizio, nè vi sono speciali circostanze diverse da
quelle delle altre valli apuane, per cui si debba credere che quivi
eccezionalmente scendessero de’ ghiacciai. Il professore Stoppani,
dopo una gita fatta nel 1872 nelle Alpi Apuane in Val d’ Arni,
annunciava {SiiìV esistenza di un antico ghiacciaio nelle Alpi
Apuane) di avervi scoperto « un testimonio sicuro dell’ esistenza
di un antico ghiacciaio pronostico sicuro della scoperta del
terreno glaciale in tutte le Alpi Apuane. » Quella testimonianza
era una morena frontale a Campogrino (dove si riuniscono il
canale di Arni ed il canale di Gioia) « sotto forma di un gran
cumulo detritico, divisa in più parti dai due torrenti e da tor-
rentelli minori.... La morena, (continua il citato geologo) è per
lo più incoerente; ma, salendo da Campogrino ad Arni, s’incon-
tra un conglomerato ad elementi caotici, il quale non è altro che
una porzione di morena cementata dal carbonato di calce, per
r azione delle acque pluviali o... Alla presenza degli schisti tal-
cosi, talora quarziferi, che si veggono sparsi in poca quantità
entro il minor detrito della morena, si deve certamente la stria-
tura dei massi calcarei, fenomeno che ci si presentò nel modo
più evidente alla estremità occidentale della morena, ove discende
dal Monte Altissimo. Il geologo potrà senza pena raccogliervi
dei ciottoli striati non meno evidenti dei migliori offerti dalle
antiche morene subalpine. » Il Cocchi poi {Bel terreno glaciale
delle Alpi Apuane) indica che la morena d’ Arni è forse un poco
più estesa di quello che sembra apparire dalla relazione dello
Stoppani. Non ho riesaminato il deposito d’ Arni in questi ul-
timi tempi, ma lo vidi nell’ agosto del 1872, senza conoscere le
idee dello Stoppani non ancora mandate alle stampe, però messo
in sull’ avviso da un discorso fattomi incidentalmente dal natu-
ralista signor Emilio Simi di Levigliani, il quale mi aveva detto
esservi 1’ idea che i depositi d’ Arni fossero glaciali. Vidi adun-
que i depositi cementati di quella località, e li trovai in banchi,
terrazzati, nel basso del canale, e non elevati a ridosso delle
valli, formati da ghiaie e colle dimensioni ordinarie, di calcare
marmoreo e di schisti, cementate fra loro dal carbonato di calce:
esaminando la superficie delle ghiaie non trovai striature che si
potessero riferire ad opera di ghiacciai. Kipensando adesso alla
forma ed alle circostanze della valle, non ricordo di avervi ve-
- 13 -
duti quegli indizi! sì caratteristici del passaggio de’ ghiacciai;
indizi! del resto, che, salvo « la striatura dei massi calcarei alla
estremità o'ccidentale della morena, ove discende dal Monte Al-
tissimo, » non sono notati nemmeno dallo Stoppani. Per questa
ragione e per i caratteri da me notati sopra, ritengo che il de-
posito d’ Arni, formatosi all’ incontro dei canali di Gioia e di
Arni, e nel basso di que’ canali, dove il loro ripido pendio dimi-
nuisce, sia un deposito semplicemente alluvionale, come tutti gli
altri delle Alpi Apuane esaminati.
Il professor Moro alla sua volta (Il gran ghiacciaio della
Toscana) « non dubita di riaffermare che più certa non può
essere la storia di un ghiacciaio gigante che dai più alti monti
del Serchio col capo toccava il cielo, e colle immane membra
occupava vasto letto in mezzo alla Toscana. » L’ autore poi cita
come riprova di questo ghiacciaio, e di un altro che scendeva
dalla valle di Pescia, le morene che si trovano lungo la ferrovia
da Lucca a Borgo a Buggiano ed a Monte Catini, una grandiosa
morena laterale rappresentata dai colli che separano il lago di
Bientina da quello di Fucecchio, e i depositi torbosi di Bientina
e di Fucecchio simili a quelli che « si incontrano in tutti i grandi
bacini che furono letto di un ghiacciaio, » e le argille di Alto-
pasclo simili a quelle « delle morene di Maggiora: » finalmente
egli cita nell’ interno della Val di Serchio « il più pittoresco
monumento geologico che sia a desiderarsi per attestare il cam-
mino del ghiacciaio, ed è uno sperone sulla sinistra del Serchio,
nel suo corso inferiore, fra Borgo Decimo e Sesto, dove « la
roccia raspata, limata, pare una gigantesca trottola che porti
in giro segnati gli anelli fatti dal tornio. » Non mi fermerò a
parlare degli indizi! che 1’ autore ritiene come glaciali, nei piani
di Lucca e della Val di Nievole, alle foci del Serchio e della
Pescia : quanto alla roccia raspata e limata che forma uno spe-
rone sulla sinistra del Serchio fra Sesto e Decimo, e che si trova
eziandio sulla destra del fiume fra Decimo e Val d’ Ottavo, non
la si può ritenere come lisciata e solcata da un ghiacciaio ; ma
si tratta invece di nuli’ altro che di pendici spoglie di vegeta-
zione, di calcare probabilmente neocomiano e non già liassico,
siccome ritenevo altre volte, nel quale, coi piccoli banchi del cal-
care candido, alternano degli straterelli continui ed uniformi di
— 14 —
selce nera che, veduta da lungi, dà alla roccia V aspetto di « una
gigantesca trottola che porti in giro segnati gli anelli fatti dal
tornio. » Sparisce adunque anche codesto indizio di un’ epoca
glaciale.
Passerò a render conto, per ultimo, di una serie di depositi
che io ritenni per glaciali, e che, siccome ho fatto supporre più
sopra, vanno spiegati in altro modo che in quello col quale ho
spiegato le alluvioni fin qui citate. Parlai della morena frontale
di Castiglione, presso Castelnuovo di Garfagnana in Val di Ser-
chio « formata da un ghiacciaio che dovea scendere altre volte
dall’ Alpe di Corfino, e dalla quale veniva provata in modo non
dubbio r esistenza di antichi ghiacciai nell’ Apennino setten-
trionale, » e citai, ft un deposito ghiaioso cementato, a monte di
Castelnuovo, sulla sinistra della Turrite Secca, che, raffigurava,
con poca probabilità di errare, una morena dell’ antico ghiacciaio
della Turrite Secca, in continuazione del ghiacciaio d’Arni, di cui
il Cocchi e lo Stoppani avean dato notizia ; » come pure « un
altro conglomerato morenico sviluppato sulla destna della Cor-
sona presso Castelvecchio e manifestissimo a Gallicano, il quale
presentava prove non dubbie di un grande ghiacciaio che scen-
deva ad Est della Pania, e shoccava nell’ altipiano di Barga per
la valle della Turrite di Gallicano o di Petrosciana. » Del con-
glomerato, sul quale è il paese di Castiglione, ho già detto nelle
Note citate, quale sia la configurazione e quali sieno i carat-
teri : esso è formato da banchi di ghiaie, con grande prevalenza
derivanti dal calcare grigio cupo infraliassico, e che sembrano
provenire in parte dall’ Alpi di Corfino adiacente; però vi alter-
nano qualche volta altri banchi di ghiaie più minute, che non
avevo notate, derivanti da calcari marmorei saccaroidi e da
schisti quarzosi, pure, commiste con ghiaie di calcare infralias-
sico, e che possono essere provenute, non dall’Alpe di Corfino,
ma dalla vai d’Arni, che ha la sua foce non molto distante e
nel lato opposto della valle. Il deposito, di forma allungata, sta
con un de’ fianchi più corti addossato all’ Apennino ed è iso-
lato da ogni parte, formando la ripa destra del torrente Sauro
e la ripa sinistra del canale di Canottora, che affluisce nel
Sauro: la ripa sinistra del Sauro e la ripa destra della Canot-
tora sono scavate alla loro volta entro ghiaie di macigno eoce-
nico, talché il deposito ghiaioso calcareo di Castiglione sembra
ristretto e limitato, e se alla vista di codesta circostanza si
aggiunga quella degli altri suoi aspetti, che ho descritti nelle
Note, sarà ben facile di scambiarlo, alla bella prima, per una
morena di un ghiacciaio derivante dalla prossima Alpe di Cor-
fino. Però, dalla parte di mezzogiorno V opera escavatrice del
Sauro ha profondamente terrazzato le colline, e, senza intermezzo
^i alcun frastagliamento di terreno, si ha una spianata diretta
e continua, per V estensione di circa un chilometro e mezzo, fino
a certe altre colline di conglomerato prevalentemente calcareo
simile a quello di Castiglione, e che sono le colline di Monte
Alfonso e del Crocifisso a monte di Castelnuovo, fra la ripa
destra del Serchio e la ripa sinistra della Torrite, le quali si
staccano dal Monte di Volsci sotto al paese di Cerretoli, e che
riposano sopra il conglomerato ghiaioso, che ritenevo fosse un
deposito morenico dell’ antico ghiacciaio della Torrite Secca. Le
ghiaie, in banchi, sono quivi formate di macigno, di calcare gri-
gio con selce, di calcare rosso o verde liassico, di schisto dia-
sprino, di calcare grigio cupo infraliassico, di calcare bianco sac-
caroide e di schisti cristallini, e la loro natura ne fa nota la
provenienza dalla valle della Torrite Secca o d’ Arni, e dal
canale di Sassi derivante dalla Pania, il quale confluisce nella
Torrite presso alla sua foce nel Serchio. Di queste ghiaie è
costituita, non solo la parte inferiore delle colline del Crocifisso
e di Monte Alfonso come io dubitavo, ma eziandio tutta la parte
superiore che ritenevo rappresentasse la alluvione recente dei
due fiumi, della Torrite cioè e del Serchio. Il deposito, alto circa
100 metri sopra le valli adiacenti, assai esteso e di forma allun-
gata alla base, ha la sua lunghezza maggiore parallela alla dire-
zione delle valli della Torrite e del Serchio e perpendicolare
alla direzione della valle di Sassi, talché potrebbe parere al-
P ingrosso una morena lasciata da un ghiacciaio derivante da
quella valle: però quest’apparenza è affatto superficiale. Infatti
il deposito ghiaioso, conservando la stessa natura, si estende ad
eguale altezza a ridosso di tutte le pendici circostanti alla parte
inferiore della valle della Torrite, e particolarmente sul Monte
Perpoli e nel canale della Grignola ; il livello più elevato poi di
questi depositi è lo stesso di quello di Castiglione e di quelli
— le-
di ghiaie di macigno di Campori, del Quario, di Villa ed, in
una parola, di tutte le località situate nell’ altipiano irregolare
di Castelnuovo: codeste formazioni ghiaiose profondamente ter-
razzate dai fiumi e ricoperte da depositi alluvionali, che si innal-
zano fino ad un livello costante senza oltrepassarlo, a banchi
regolari alternanti di rocce diverse, ma però sempre derivanti
dai bacini circostanti, intercalate da strati sabbiosi e più di rado
argillosi, includenti tronchi di vegetabili carbonizzati di specie
scomparse, riposanti sopra strati argillosi contenenti fossili del-
r epoca pliocenica più antica, furono depositate esse pure, come
le sottostanti argille, in un antico bacino lacustre, il quale col-
r andare del tempo fu riempito.
Le ghiaie calcaree trascinate dai torrenti dalla Val d'Arni
e dalla valle di Sassi a poco per volta si accumulavano, riem-
piendo il fondo sottostante, e spinte dalla forza delle correnti si
estendevano talora a ricoprire i depositi circostanti derivanti
dalle pendici eoceniche dell’ Apennino, fra i quali infatti qual-
che volta si ritrovano ; nell’ immediata adiacenza delle valli sud-
dette, nella stessa loro direzione, dove l’ impeto continuato le
sospingeva, raggiungevano, dopo breVb cammino, la pendice op-
posta della valle, dove è ora Castiglione, e quivi spesso si so-
vrapponevano alle ghiaie pure calcaree trasportate da un tor-
rente derivante dall’ Alpe di Corfino. Coll’ andar del tempo,
riempito il bacino lacustre, i fiumi hanno incominciato la loro
opera di terrazzamento, che si estende fino a cento metri sopra
il fondo delle valli : il Sauro, scavando, asportò tutte le ghiaie
calcarifere, le quali connettevano il deposito del Monte Alfonso
e del Crocifisso con quello di Castiglione, e la cavità libera ed
aerea per così dire, rimasta fra le serie dei terrazzi, stette e
sta a rappresentare il riempimento ghiaioso preesistente. La
stessa opera compierono gli altri fiumi e torrenti, e cosi per un
lato fu isolato il deposito ghiaioso di Castiglione, e per l’ altro
quello del Monte Alfonso, le cui forme possono simulare quella
di una morena, ma che, studiando bene le cose, prendendo le
mosse dai terrazzi successivamente sovrapposti, colmando i vuoti
fra di essi e ristabilendo i depositi come prima dovevano essere,
si ricostruisce il fondo dell’antico bacino e si riconducono i ban-
chi ghiaiosi più volte mentovati alla loro vera condizione di de-
— 17 -
positi, non glaciali, ma lacustri. Queste cose, dette per le loca-
lità del bacino di Castelnuovo, valgano per quelle del bacino di
Barga : semplicemente lacustri sono quivi i depositi di Castel-
vecclrio, formati a spese delle ghiaie portate dal corso superiore
del Serchio e depositate nel seno dello stesso lago, di livello
alquanto inferiore a quello di Castelnuovo ; e lacustri sono le ghiaie
di Gallicano alla foce della Borrite, che prende il nome da que-
sto paese, altrimenti detta Petrosciana. Un singolare colletto di
forma allungata sta dirimpetto alla foce di questa valle, fra il
paese di Gallicano e la riva destra del Serchio, intorno al quale
gira la Borrite, che lo lascia alla sua sinistra: anclB esso po-
trebbe parere una morena frontale, ma esso pure è così for-
mato per opera del terrazzamento dei fiumi, cioè del Serchio e
della Petrosciana ; la sua sommità è piana e corrisponde ad uno
dei terrazzi inferiori del bacino ; ai suoi lati, a ridosso delle
pendici montuose continua il terrazzo e continua la stessa qua-
lità delia roccia.
Avanti di lasciare questa parte del mio argomento, dirò che
da prima, quando avevo P idea che si trattasse di depositi mo-
renici, vedendo le ghiaie di Castiglione non striate come suole
ne’ ghiacciai, pensavo che, attesa la costante natura calcarea
delle ghiaie e la conseguente mancanza di diversità nella du-
rezza , le strie non fossero state prodotte , ma esaminando
poi depositi dove quella diversità di durezza esisteva, a ca-
gione della mescolanza di materiali calcarei e di materiali si-
licei, e veduta ivi pure mancare la circostanza delle strie proprie
de’ detriti glaciali, mi persuasi che così dovea essere, perchè,
non glaciali, ma lacustri ed alluvionali erano i depositi. Per
finire, dico, e serva il mio detto per tutte le località sopra esa-
minate e studiate dall’ ingegnere Moro, dallo Stoppani, dal Coc-
chi e da me, e per tutti i depositi alluvionali e lacustri citati,
in niun luogo ho trovato ciottoli con strie riferibili ad opera di
ghiacciai, nè roccie lustrate, rigate, solcate e a cavalloni, come
si ritrovano nelle grandi Alpi, nè ho trovato vere morene, nè
altri depositi lateralmente alle valli, che dovrebbero attestare in
0
modo non dubbio il passaggio di ghiacciai che vi fossero stati.
Ninna di queste traccie ho veduta nelle parti superiori delle
valli del Beno e della Scaltenna o Panaro, nè in alcuna delle
— 18 ~
vallate conflaenti nel Serchio e nella Lima, tanto dal versante
apenninico quanto dal versante apuano; e per queste cose concludo,
che gli indizii fino ad ora citati, nelle Alpi Apuane e nell’Apen-
nino della Val di Serchio, non possono provare V esistenza di
un periodo di ghiacciai nelle località sopraindicate ; dubito poi
che tali prove si possano mai trovare nell’ avvenire.
IL
Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica
dell’ Italia Meridionale^ per G. Sp]GUENZA.
(Continuazione. — Vedi Bollettino 1S7', N. 11-12.)
§ 6. — Esame della fauna della, zona inferiore
del pliocene recente.
Facendoci ad esaminare complessivamente la fauna esposta
nel precedente elenco, il fatto più rimarchevole e che colpisce
a prima giunta si è quello che tale fauna della zona che studio
si presenta naturalmente divisa in due gruppi di specie, di cui
r uno si trova nei depositi littorali o di poca profondità, e li
caratterizza a meraviglia, 1’ altro giace nei depositi di mare pro-
fondo, e ne forma il distintivo più importante. Comparando la
fauna littorale colla fauna submarina si trovano del tutto diffe-
renti, cioè le specie sono diverse nei due gruppi, e talune che
dall’ elenco risultano comuni ai depositi littorali ed ai profondi,
sono quasi tutte delle specie che se trovansi abbondanti negli
strati degli uni sono rare e quasi accidentali in quelli degli altri.
Cosi ad esempio la Nassa clathrata, la Venus multilamella, il
Cardium echinatum, la Caprina islandica, il Pecten operctdaris,
e tante altre, non sono che esclusive della fauna littorale, ed in-
vece la Pedicularia Desliayesiana, la Pissoa suhsoluta, il Tro-
clius gemmulatus, il T. elatJiratus, molte emarginule e tante altre
specie, sono caratteristiche della fauna submarina.
E non solamente le due faune sono costituite da specie dif-
ferenti, ma henanco nell’ una e nell’ altra possono ricordarsi dei
19
generi che sono esclusivi e quindi caratteristici dei depositi lit-
torali, ovvero dei submarini, e tutti gli altri che sono comuni
alle due nature di depositi sono rappresentati d’ ordinario in
ciascuna da un differente gruppo di specie.
I sedimenti dei mari profondi presentano ancora un distintivo
rimarchevolissimo nella loro fauna, essi hanno riservata esclusi-
vamente per loro la classe dei Brachiopodi, della quale veruna
specie s’ incontra nei depositi littorali, ed invece nei sedimenti
submarini le spoglie di questi molluschi superano di gran lunga
tutte le altre, divengono anzi sì profuse in modo che la roccia
è sovente costituita dall’ accumolo di tali conchiglie, e sono in
tutti i luoghi le medesime specie che si ripetono ; basta dare uno
sguardo all’ ultima pagina dell’ elenco per accertarsi che tutte le
contrade ricordate presentano la medesima famiglia rappresen-
tata sempre dalle stesse specie sparse con una profusione im-
mensa, così la Terebratula Scillce, la T. vitrea, la T. minor, la
T. caput serpentis, la Megerlia truncata, 1’ Argiope decollata ec. ec.
I Pteropodi sono aneli’ essi esclusivi, proprii dei depositi subma-
rini, spesso associano abbondantemente ai Brachiopodi le loro
fragili spoglie, ed a tali residui si annettono speciali echinidi,
abbondanti briozoi, variati coralli ramosi, come la gigantesca
Ccenopsammia Scillce, la Bendrophyllia cornigera dai lunghi po-
liperiti, la Lopliohelia Befrancei dai profondi calici, e le spoglie
di rizopodi a miriadi, che quale sabbia altra volta vivente è dif-
fusa dovunque a profusione nella roccia calcarea, marnosa, o sab-
biosa. E le spoglie di tante e sì variate classi animali sono
esclusive, completamente esclusive dei depositi dei mari profondi.
I depositi littorali aneli’ essi presentano fauna somigliantis-
sima nelle diverse località, dimodoché riesce ben agevole a chic-
chessia giudicare coetanei i diversi lembi. I Gasteropodi e i La-
mellibranchi sono tra i molluschi quelli che costituiscono quasi
per intiero la loro fauna.
Questi fatti di alto momento per la storia geologica del plio-
cene, danno origine a considerazioni importantissime. E primie-
ramente nel fatto ormai bene stabilito di depositi coetanei a
fauna completamente differente a causa della diversa profondità
del mare in cui si costituirono non si ha che un’ esatta ripro-
duzione del fatto brillantemente dimostrato dalle odierne ricerche
— 20 -
nelle grandi profondità dei mari attuali, cioè che ivi lungi di
mancare la vita essa è rappresentata profusamente da una fauna
affatto diversa da quella che abita le piccole e le mediocri pro-
fondità. Questo fatto attuale adunque trovasi esattamente ripro-
dotto nei depositi della zona inferiore del pliocene recente
deir Italia meridionale. Ma se lo consideriamo dal lato della cro-
nologia stratigrafica esso ha un alto interesse, inquantochè riu-
nisce nei medesimo orizzonte depositi a fauna completamente
diversa, che talvolta giacciono anco a brevi distanze; e mentre
la più grande somiglianza nella fauna dei varii lembi coetanei
depositati alla medesima profondità, conduce agevolmente al loro
sincronizzamento, la diversità completa tra la fauna dei depositi
littorali e quella dei sedimenti di mari assai profondi ci nega qua-
lunque dato per la sincronizzazione, alla quale si perviene a grande
stento dopo accurati e minuziosi studii stratigrafìci comparativi.
E in questo modo, siccome succintamente ho potuto esporre
nel primo capitolo, che io sono pervenuto a riferire al medesimo
orizzonte depositi sì diversi ed a fauna così differente, e non
solamente per le due zone del pliocene recente, ma benanco per
quelle del pliocene antico, dove le faune, come vedremo, pre-
sentansi ancora più differenti.
Un fatto eccezionale poi per la zona inferiore del recente plio-
cene viene in appoggio, anzi in perfetta conferma delle conclu-
sioni tratte da un rigoroso studio stratigrafico. Le rocce del
territorio di Barcellona e di Castroreale, che rapporto a tale
zona offrono V importante fatto della successione di strati di-
versi, di cui gl’ inferiori racchiudono la fauna littorale a Gaste-
ropodi e Lamellibranchi, i superiori invece la fauna submarina
a Brachiopodi, ed in taluni luoghi, come Grotta del Diavolo, una
zona di argille intermedie contiene le due faune riunite, siccome
riunite in unica colonna, ho voluto presentarle nel mio elenco.
Questi fatti che devono ripetersi dalle oscillazioni del fondo sotto-
marino avvenute lungo il periodo della zona inferiore del pliocene
recente, ci danno assoluta sicurezza della coetaneità dei depositi
a Terebratula Scillce e minor, Waìdheimia cranimn e septigera,
Megerlia fruncata ed Argiope decollata, con quelli tanto diversi
a Nassa clathrata, Xenophora crispa, DeMtalium FMlippi, Cythe-
rea multilamella, Cyprina islandica, Ostrea lamellosa ec.
— 21
Sicuro del sincronismo esatto dei depositi, nei quali è rac-
chiusa la fauna del precedente elenco, passo ad esaminare i rap-
porti che la legano alla fauna vivente.
Le specie tutte enumerate ascendono a 332 di cui 74 sono
sconosciute tra le viventi, cioè circa il 22 per cento, e 17 pro-
prie dei mari del Nord, cioè il 5 per cento. Questo primo risul-
tamento già è sufficiente a dimostrare una differenza considerevole
tra la zona che esamino e la precedente, la quale complessiva-
mente ha dato il 15 per cento di specie estinte.
Esaminando poi partitamente la fauna dei luoghi più impor-
tanti si hanno i dati seguenti.
Gli strati di Barcellona-Castroreale ci presentano 193 specie
tra le quali 32 non più viventi, cioè circa il 17 per cento di
specie estinte, e 12 nordiche, che darebbero pressoché il sei
per cento.
I calcari a Brachiopodi dei dintorni di Messina, depositati in
mare profondo, mi hanno offerto sinora 164 specie di cui 31
sono estinte, quasi il 19 per cento, e 11 nordiche, che corri-
sponde quasi al 7 per cento.
Le argille e sabbie di Naso, che formano il tipo dei depositi
littorali, mi hanno offerto sinora 97 specie di cui 21 estinte, lo
che fa circa il 21 per cento, e sole tre nordiche.
Da questi tre principali luoghi risulta che, in media, depositi
littorali e submarini di questa zona del pliocene racchiudono il
19 per cento di specie estinte, laddove in media i depositi della
zona più recente non racchiudono che il 7 per cento di specie
sconosciute viventi, lo che fa una differenza considerevole tra
le due zone.
#
Avendo trascurato nell’ elenco dei fossili, per amore di bre-
vità, 1’ enumerazione delle specie dello strato c di Monte Mario,
spettante alla zona che esamino, siccome abbiamo veduto al § 4,
voglio qui ciò non pertanto ricordare i risultamenti ottenuti, esa-
minando i cataloghi di quella ricca fauna in rapporto alla vi-
vente. L’elenco pubblicato dai signori De Rayneval, Van den Hecke
e professor Ponzi, è limitato a 250 specie di molluschi e Cir-
l'ipedi, invece il catalogo dato più recentemente dal signor An-
gelo Conti è molto più ricco, ed io mi sono valso di questo
ultimo depurandolo d’ un certo numero di specie dubbie e da
— 22
altre indicate dall’ autore, siccome rarissime, riducendo al loro
reale valore tutte quelle specie che non possono ritenersi che
come varietà di altre nell’ elenco stesso enumerate, e valen-
domi benanco della collezione che da quello strato possiedo. In tal
modo io vi ho potuto riconoscere il numero assai considerevole
di 387 specie di molluschi con pochi cirripedi, nella quale ricca
fauna 84 sono le specie sconosciute viventi, lo che risponde alla
proporzione di quasi 22 per cento, ed inoltre vi sono talune
poche specie tra le viventi esclusive dei mari del Nord. La pro-
porzione delle specie estinte dello strato c di Monte Mario ri-
sponde dunque presso a poco a quella che trovasi negli strati
della zona inferiore del pliocene recente nell’Italia meridionale,
ed è esattamente identica a quella che ci offrono gli strati di
Naso, i quali sono del tutto identici a quelli di Monte Mario,
perchè depositati nelle medesime condizioni, perchè forniti d’una
fauna littorale tipica ed identicissima, le specie di Naso trovan-
dosi tutte quante a Monte Mario.
Le argille di Ficarazzi considerate nella più recente zona
del pliocene, presentano aneli’ esse una fauna littorale molto
somigliante a quella di Monte Mario, e probabilmente perciò
devono piuttosto rapportarsi alla inferiore zona del pliocene
recente anziché all’ ultima. Ma la proporzione di specie estinte
è inferiore a quella trovata per tutti i luoghi esaminati.
Oltre le differenze sinora enumerate tra la fauna della zona
inferiore del pliocene recente e la fauna vivente, cioè circa un
quinto di specie sconosciute viventi e buon numero proprie dei
mari del Nord, v’ hanno dei distintivi che non possono risultare
dal precedente elenco, ma che pure importa di considerare
un poco.
Un fatto di molta importanza per la geologia è senza dubbio
quello del grado di frequenza col quale ciascuna specie si pre-
senta in ogni zona del pliocene, comparato colla frequenza o
rarità della specie nella fauna vivente; dappoiché occorre spesso
di raccogliere raramente molte specie che sono oggi assai comuni
e viceversa. Questi fatti costituiscono differenze rimarchevolis-
sime tra le faune viventi e le fossili, ed in modo particolare in
quella che esamino. Così io ricorderò il Fachylasma giganteum^
la Turritella subangulata, la Venus mulfilameìla, la Terehratuìa
23 —
minor, la Waldheimia septigera e molte altre specie, delle quali
le ultime due sovente colle loro spoglie ammassate costituiscono
quasi per intiero la roccia calcarea, ovvero, come presso Reg-
gio, sono sparse profusamente nella roccia sabbiosa, laddove tra
i viventi sono poco comuni, ovvero abbastanza rare. Ed invece
sono rare la Bissoa pulcJiella, V Alvania cimex, cancellata, reti-
culata, il Turbo sanguineus, il Trocìius conulus, exasperatus, la
Venus verrucosa, l’ Artemis exoleta, il Loripes leucoma, il Myti-
tus eclulis, ec. ec., che abbondano tanto nei nostri mari. Lo che
dimostra che i mari del periodo antico del pliocene recente ali-
mentarono una fauna nella quale talune specie doveano poi subire
il loro massimo sviluppo, ed altre che invece molto abbondanti
in queir epoca doveano poscia decrescere sino all’ epoca attuale.
In questa zona inoltre si incontrano delle specie molto rara-
mente sparse, che hanno avuto grande sviluppo nella zona pre-
cedente, nella quale trovansi dovunque comunissime. Così la
Scillaelepas carinata, il Turbo filosus e Bomettensis, il Trocìius
bullatus, marginulatus, gemmulatus, la Fissurisepta rostrata,
r Fmarginula compressa, l’ Arca aspera, la Limopsis minuta,
aurita, pygmaea, la Nucula sulcata, la Leda acuminata, excisa,
la Lirnea Sarsii, il Pecten vitreus, la Terebratella septata ec.
Altre specie inversamente molto comuni in questa zona sono
rare nella precedente. Così, per esempio, l’ Astarte sulcata, la
Limea elliptica, il Pecten opercidaris, la Terebratida Scillce, la
T. minor, la Ter. caputserpentis, la Megerlia truncata, l’ Argiope
decollata ec.
Infine nella fauna di questa zona le specie tuttavia viventi
abitano per la maggior parte nei mari che cingono l’ Italia, se
se ne escludono alcune poche, come abbiamo veduto, che vivono
nei mari del Nord.
§ 7. — La zona superiore delV antico plioceno
nell’ Balia media e settentrionale.
Il plioceno tipico dell’ Alta Italia, che si estende vastamente
cingendo 1’ Apennino sul versante adriatico come sul tirreno, e
che s’ inoltra sin nelle valli alpine, è quella formazione che è
stata tanto esplorata, e che, formando l’oggetto della medita-
- 24
zioiie di tanti dotti, ha dato occasione alla comparsa di sì variati
lavori paleontologici. Essa è evidentemente più antica del plio-
ceno recente, che abbiamo esaminato sinora, che vastamente si
estende nell’ Italia meridionale, e che appena è rappresentato da
qualche lembo nell’ Italia media.
Ricca fauna littorale distingue la zona superiore del pliocene
antico nell’ Alta Italia, che è ben distinta dalle faune delle zone
più recenti per una maggior proporzione di specie estinte, e
ben più grande, e per le numerose specie di generi oggi abbon-
danti nei mari caldi come sono i Coni, le Terebre, le vere e
grandi Pleurotome, le Cancellarle ed altri.
Mancando d’ ordinario le zone più recenti del pliocene ma-
rino nell’ Alta Italia, quella che esamino, ha ben naturale il suo
limite superiore, quantunque in taluni luoghi della Toscana e
del Piemonte essa è sottostante a certi depositi lacustri che
senza dubbio tengono il posto degli strati marini del pliocene
recente dell’ Italia meridionale.
Siffatto isolamento del, pliocene antico sopra vasta superficie,
dimostrando la sua emersione pria del periodo recente, aggiunge
ai caratteri della fauna un nuovo argomento per la distinzione.
Le celebri sabbie gialle e marne blu, quantunque considere-
volmente variabili da luogo a luogo, e miste non di rado a
strati calcarei e di arenaria, costituiscono nell’ Alta Italia e nella
media la zona superiore del pliocene antico. Ma esse sono state
d’ ordinario confuse con altre sabbie e con altre marne, che
formano una distinta zona che sta alla base del pliocene, e costi-
tuisce i più antichi depositi di tale epoca.
Nella prima parte di questo lavoro, per la comparazione
stratigrafica, sono riuscito a precisare i limiti, e distinguere
esattamente le due zone del pliocene antico nell’ Italia meridio-
nale. I lavori dell’ egregio professor Capellini sul Bolognese con-
cordano esattamente coi miei risultamenti: Egli distingue delle
sabbie e delle marne superiori che costituiscono una serie di
colline più recenti, e delle sabbie marnose inferiori che si ergono
in colline separate, ed a quest’ ultime rapporta il plioceno del
Senese.^ Le ricerche sulla fauna malacologica del Bolognese pub-
’ Sul Felsinoterio sirenoide alicoref orme dei depositi littorali pliocenici ec.
{Memorie dell’ Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, serie III.
— 25 -
blicate dal Foresti ^ concordano con questi risultamenti, e li con-
fermano.
In riguardo ai limiti della zona superiore del pliocene antico
deir Alta Italia e media, non v’ ha dubbio di sorta, che sieno
stati esattamente determinati dal marchese Pareto in quel suo
lavoro in cui si fece a proporre una nuova partizione delle for-
mazioni terziarie.'^ Tale zona infatti risponde precisamente al suo
Astiano, ed il Pareto potè riconoscere sopra numerosi punti e
per vaste estensioni il limite inferiore di questa zona, determi-
nato dappertutto sopra ambi i versanti dell’ Apennino, da strati
sabbiosi più o meno calcariferi ed agglutinati, che racchiudono
dappertutto il Pecten diibius, la Terebratula ampolla e varii altri
pettini e brachiopodi, terminando la zona più antica del plio-
cene; ed a questo riguardo egli dice: Il est rémarquaUe que ce
berne cedeaire se mentre sur nne tres-grande étendue de pays,
non-seulement dans le Tortonais, le Moìif errai, le Plaisantin et
nne partie des Pomagnes, mais aussi sur le versant meridional
de VApennin (pag. 2B9).
Ed io soggiungo che tale strato si estende ancor di più tra-
versando r Italia meridionale e la stessa Sicilia, dove posso
ricordare le sabbie ad Ampliistegina, Balani e Pettini di Gerace
e monti soprastanti, quelli a Pettini e Brachiopodi di Terreti e
Nasiti presso Eeggio, gli strati somigliantissimi nel territorio di
Messina e presso Giardini e Caltabiano, e quelli di Altavilla
presso Palermo ec. ec. tutti spettanti alla zona più antica, anzi
al medesimo gruppo di strati che segnano il limite superiore di
essa (Vedi Capitolo primo).
. Ma a stabilire pei numerosi luoghi del pliocene antico il
limite esatto tra le due zone, bisogna assolutamente uno studio
speciale stratigrafico per ciascuna contrada, nè io ardirò d’ in-
trattenermi a discorrere di tale distinzione pei numerosi luoghi
deir Alta Italia ; sarebbe per me presunzione gravissima, ma sola-
tomo I), 1872. — Carte géologique des environs de Bologne et d’une partie de
la vallèe dii Reno, 1871.
' Catalogo dei Molluschi fossili pliocenici delle colline bolognesi. {Mem. del-
V Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna, serie III, tomo IV, 1874.)
^ Note sur les subdivisions que Von pourrait établir dans les terrains tertia-
ires de l’Apenin septentrional. [Bidletin de la Société géologique de France, to-
me XXII, 2* serie, 1865.)
26 —
mente a modo di esempio ne presceglierò taluni, che per varie
ragioni mi sono meglio noti.
Se volessimo poi dare un’ occhiata alia fauna di questa zona,
ci sarebbe agevole riconoscere che nell’ Alta Italia, essa è di
mari poco profondi e dappertutto identicissima, e basterebbe
riscontrare le varie opere che videro la luce da quella del Broc-
chi in poi, per esser convinti come nei varii luoghi, anco i più
distanti sul suolo italiano, sono precisamente le medesime specie
che si ripetono, è il medesimo insieme, la medesima serie, che
non può esser disconosciuta da chicchessia. Sarebbe opera assai
lunga e vana il voler comparare la fauna dei moltissimi luoghi,
dove il pliocene tipico è conosciuto, e senza uno studio strati-
grafico locale si correrebbe rischio di confondere sovente gli
strati della zona superiore con quelli della più antica, essendo-
ché le sabbie, le marne e tutt’ altre rocce si ripetono spesso in
ambe le formazioni. Ciò non pertanto è ben chiaro che dappertutto,
come vedemmo, nell’ Italia meridionale così come nella setten-
trionale, e discordanze ed isolamenti delle due zone ne marcano
bene i limiti, le differenze nella fauna ne distinguono i terreni.
Abbiamo veduto tuttociò chiaramente per la Sicilia e pella
Calabria, esamineremo soltanto alcuni luoghi dell’ Italia media
e settentrionale, quelli che ho potuto io stesso visitare ed esplo-
rarne la fauna, ovvero che sono stati esaminati con cura da
altri, e ne è stata bene esplorata la stratigrafia.
Vedemmo in generale quali sono i limiti della zona supe-
riore dell’ antico plioceno nell’ Alta Italia, e come essi rispon-
dono esattamente a quelli che tale terreno presenta nell’ Italia
meridionale; se vorremo ora comparare dei varii luoghi la fauna,
ci sarà ben agevole riconoscere come la fauna littorale del plio-
ceno superiore dell’ Astigiano, del Piacentino, del Bolognese, di
Val d’ Era e di tanti altri luoghi, risponda a capello con quella
degli strati superiori di Altavilla presso Palermo, che forma il
tipo della fauna littorale di questa zona nell’ Italia meridionale.
Le specie vi sono precisamente le stesse, distribuite colla me-
desima abbondanza o rarità; e vi si notano tutte quelle specie
di Coni, di grandi Pleurotome, di Cancellarie, di Terebre, che
ci offrono analoghe specie tra gli abitanti dei mari caldi. Nel
mezzogiorno d’ Italia i lembi della zona che esamino a fauna
— 27 —
littorale sono rarissimi; oltre quello di Altavilla, potrei ricordare
soltanto il plioceno di Santa Cristina in Calabria, lo strato a
Tìeur otoma internipta e P. Mortilieti di Caltagirone, ed un ter-
reno di sabbie argillose che da Caltabiano si estende verso Bot-
teghelle nella provincia di Catania, che ho potuto esplorare recen-
temente, e che racchiude molti fossili proprii di questa zona
colle solite grandi pleurotome.
Tolti questi brevi lembi e forse taluni altri, una grande su-
perfìcie deir Italia meridionale offre delle sabbie, delle marne e
dei calcari a fauna completamente diversa da quella di Alta-
villa, tanto che possono dirsi vere eccezioni quelle specie che
sono comuni ai due depositi, eppure essi sono coetanei e m’ in-
gegnai a dimostrarlo nella prima parte di questo lavoro per
mezzo di numerose comparazioni stratigrafìche, essendoché essi
sovrastano a depositi identici per costituzione e per fauna, e
sono ugualmente anteriori al pliocene recente.
Questi depositi che sono ormai dimostrati coetanei alle ricche
marne di Altavilla presentano dappertutto una fauna identicis-
sima ancora poco studiata, la quale è costituita da pesci della
famiglia degli Squalidi, da speciali Cirripedi, da Molluschi ed
Echinodermi, da variatissimi Coralli e Foraminiferi, che annun-
ciano depositi che formaronsi a grandi profondità, e che perciò
racchiudono fossili sì diversi dai coetanei a fauna littorale.
Una conferma validissima alla coetaneità di terreni paleon-
tologicamente sì diversi, mi fu apprestata dalle marne scoperte
dal Caterini ad alcuni chilometri da Livorno, le quali mentre
racchiudono le Pleurotome, le Nasse, le Columbelle ec. ec. della
fauna littorale, ci offrono poi le Nucule, le Lede, le Limopsis
della fauna submarina. Tale associazione è una conferma vale-
volissima alle conclusioni stratigrafìche, che ci fanno riguardare
siccome esattamente coetanei depositi, i cui residui organici
hanno due facies distintissime.
I vasti depositi littorali dell’Italia media e settentrionale
adunque hanno negli strati di Altavilla, Caltabiano, Santa Cri-
stina ec., limitatissimi lembi identici che li rappresentano nel-
P Italia meridionale, ed invece sopra vasta superfìcie sono rap-
presentati da sedimenti costituitisi a grandi profondità, e che
perciò racchiudono una fauna affatto diversa.
28 —
Fra le numerose località dell’ Alta Italia io comincerò dal
ricordare il Bolognese studiato stratigraficamente dal prof. Ca-
pellini, ed in corrispondenza a tali studii il dottor Foresti vi
ha esplorato la fauna inalacologica,^ Da tali ricerche risulta che
quei potenti depositi spettano al plioceno antico e devonsi ripar-
tire in due zone, di cui la superiore risponde a capello a quella
che attualmente esamino, e la fauna è quanto può dirsi identica
a quella della zona superiore di Altavilla.
Ad Orciano in Toscana sono delle marne ricchissime di fos-
sili ben conservati, identicissimi anch’ essi a quelle specie che
formano la fauna littorale di questa zona.
Così io ho potuto esaminare i fossili delle varie località di
Val d’ Era in Toscana, grazie alla ricca collezione avutami dal-
1’ esimio signor R. Lawley, e vi ho riconosciuto la fauna della
medesima zona, quantunque in talune debba con certezza esi-
stervi la zona più antica.
Presso Asti al 1864 ho raccolto dei fossili negli strati sab-
biosi superiori, e poi presso Cornarè ho fatto collezione di fos-
sili giacenti in istrati marnosi ; ambedue queste raccolte spettano
alla medesima zona, avendo riguardo alla fauna che rappresentano.
Un lembo di questa zona è benanco presso Masserano in fondo
ad una valle alpina costituito da sabbie argillose blu che fu-
rono esplorate dal prof. Gastaldi, e dei quali possiedo dei fos-
sili che devo alla cortesia dell’ egregio signor cav. L. Rovasenda.
Delle marne scoperte dal Caterini presso Livorno, più volte
ho ricordato come la loro fauna in parte accorda con quella
littorale, ed in parte con quella di depositi di mari profondi, e
così ci accerta della loro coetaneità, potendo benanco conchiu-
dere che quegli strati si sono depositati ad una profondità media.
Importantissime a me sembrano le marne bianchicce o gri-
giastre di Monte Mario che sottostanno immediatamente alle
sabbie a fauna littorale che ho riferito alla zona inferiore del
pliocene recente. Il prof. 0. G. Costa studiò i foraminiferi di
tali marne. Il prof. Ponzi pubblicando varie nuove specie dello
strato sabbioso superiore figurò varii molluschi, coralli, echinidi
delle marne.
‘ Ved. le opere precedentemente citate.
— 29 -
Kecentemente il signor P. Mantovani lia pubblicato un elenco
di fossili raccolti in tali strati ^ e li ha riguardati siccome di
epoca miocenica, soggiungendo che alia parte superiore essi pas-
sano al plioceno.
Io da mia parte, nelle seguenti specie ben note, ci vedo la
fauna del plioceno antico dei mari mediocremente profondi : ^
Scaphander lignarius, MarginéUa auris-leporis, Dentalmm éleplian-
tinum, Corbula gibha, Neaera cuspidata^ Syndosmia longìccdlis,
Nucìda sidcata, Leda dilatata, Limogms attrita, Limea strigitata,
Pecten cristatus, ec. ec., aggiungi il Trocliocyathtts crenulahts
Ponzi, che ho trovato recentemente a Messina, il Trocliocyathtts
ttmbreìla Ponzi che è una specie del mio genere Stephanocya-
thiis, ed il Flctbelhim Vaticani Ponzi che è probabilmente il mio
F. solidttm. Questa fauna annuncia chiarissimamente la zona su-
periore del plioceno antico depositatasi in mari di media pro-
fondità come nell’ Italia meridionale. Non per questo io nego la
possibilità che taluni strati inferiori delle marne dei colli di
Poma spettino al mioceno, come quelli con depositi gessosi ri-
cordati dal signor Mantovani nel sopracitato lavoro.
Altre località dell’ Italia meridionale, dove si estende la zona
che esamino, mi occorre di ricordare qui, perchè da me visitate
dopo la pubblicazione del primo capitolo di queste ricerche.
Lungo il lato orientale della provincia di Peggio, da Bran-
caleone a Catanzaro, si estende una regione dove il plioceno a
fauna submarina prende un grande sviluppo inoltrandosi ed ele-
vandosi considerevolmente nell’ interno. La massima estensione
viene costituita da marne e da sabbie della zona più antica ; ma
qua e là poggiano dei lembi di marne più recenti che spettano
alla zona superiore dell’ antico plioceno, come presso Gerace, Si-
derno, Monasterace, ec. I fossili che vi si contengono sono Cir-
ripedi. Molluschi, Coralli, Foraminiferi ec., delle specie stesse
racchiuse nelle marne coetanee di Messina e di Peggio ; giova
ricordarne qui talune più importanti che io stesso raccolsi:
Cyìichna cylindracea, Nassa costidata, Fttlimella Scillae, Turbo
filosus, Natica Procchii, Dentalium agile, Sipìionodentalium tetra-
’ Descrizione geologica della campagna romana, 1875.
^ Lo specie qui enumerate sono state da me riconosciute in una collezione
inviatami dal signor G. Rigacci, di cui ne deploriamo la perdita.
— 30 —
gonum, Cadulus ovulimi, Syndosinia longicaìUs, Nucula sidcafa,
Nncuìa decipiens, Leda pusio, L. excisa, L. dilatata^ Pecten Prueì,
P. opercidaris, P. vitreus, P. pusio, Terebrahda Scillae, T. vitrea^
T. minor, T. sphenoidea, WaìdJiehnia craniiim, W. septigera,
Megerlia truncafa, Phynclionella Sicida, Isis péloritana, Steplia-
nocyafhus elegans, Geratocyathus communis ec. ec.
Questa medesima zona par che debba continuarsi estesamente
nella valle Lamato, da dove il Philipp! ci ha dato un catalogo,
di cui buon numero di specie sono esclusive di questo periodo.
Piiguardo finalmente siccome importantissima la scoperta assai
recente di talune colline plioceniche trovate tra Caltabiano e
Piedimonte nella Provincia di Catania.
La serie degli strati è potente di oltre cento metri. In basso
è la roccia sabbiosa-calcarea ricca di Amphistegina, con Balani,
Terebratule, Pettini ed Ostree in grande abbondanza, la quale
rappresenta pei suoi fossili specificamente determinati la più
antica zona del pliocene. Succedono quindi degli strati calcarei
più 0 meno sabbiosi formati da immensa quantità .di Briozoi con
Brachiopodi, e questi prendono un grande sviluppo. Terminano
la serie taluni strati sabbioso-argillosi, spettanti chiarissimamente
alla zona che esamino, essi racchiudono una fauna importantis-
sima formata da Gasteropodi e Lamellibranchiati propri! di tale
periodo, e dei depositi formatisi a poca profondità; tra questi
vi sono più comuni le seguenti specie : CyUchna cylindracea,
Pleiirotoma dimidicda, P. harptda, P. sygmoidea, Trophon squa-
midatus, Fusns ìongiroster, Nassa semistriata, N. costulata (Broc-
chi), Turritella subangidata, Cassidaria ecìiinopliora. Natica sor-
dida, Dentalium Philippi, Corhula gihha, Venus ovata, V. mul-
tilamella, Astarte fusea. Leda commutata, Pectunculus insubricus,
Pecten inflexus, P. cristatus. Ma di unita a tali fossili raccolgonsi
Gasteropodi e Lamellibranchi, dei Brachiopodi, dei Corallarii,
dei Foraminiferi abbondanti, che colle loro specie ben ricordano
i depositi dei mari profondi che nel Messinese e nel Reggiano
rappresentano siffatto periodo del pliocene. Così ad esempio io
ricordo le seguenti specie più importanti : Coronula bifida, Pleuro-
tonia nodidifera. Turbo romettensis, Trochus margimdatus, Den-
talium Panormum, SypJionodentcdium tetragonum, Limopsis aurita,
L. pygmaea, Arca obliqua, Limea Sarsii, Terebratula Pegnolii,
31
T. minor, IlJiynclionella bipartita, Ceratocyatlms communis, C. po-
ìymorplms, C. flahélliformis var., Stephanocyathus elegans, JBala-
nophyìlia irregularis, ec. ec. Quindi le colline plioceniche presso
Caltabiano sono i veri testimonii della coetaneità dei depositi
littorali del Bolognese, dell’ Astigiano, di Orciano, di Altavilla ec.
con quelli a fauna di mare assai profondo del Messinese e del
Reggiano ; essi con caratteri diversi non ci dimostrano meno evi-
dentemente tale coetaneità di quanto ci fu chiaramente dimo-
strata dalle marne che scuoprironsi presso Livorno, e come quelle
a mio credere essi hanno dovuto depositarsi ad una profondità
media del mare pliocenico, è così che possono racchiudere una
mescolanza di specie littorali e dei mari profondi.
Non posso trasandafe in fine un deposito fuori d’ Italia la
cui fauna mi colpì grandemente per la immensa somiglianza,
direi meglio per la completa identità che presenta con quella
dei depositi poco profondi della zona superiore dell’ antico plio-
ceno di tutta Italia, intendo parlare del pliocene di Biot (Alte
Alpi) in Francia, la cui fauna malacologica fu studiata e pub-
blicata dal signor Bell. Esaminando infatti quell’ elenco, ricco di
numerose specie, si resta sorpresi vedendovisi ripetere la mag-
gior parte delle specie italiane.
Bisogna quindi conchiudere che anco a gradi distanze i ter-
reni di un medesimo periodo geologico possono racchiudere iden-
tica fauna, qualora sieno state identiche le condizioni dei mari in
cui si depositarono, ed invece le variazioni di profondità anco a
brevi distanze inducono mutamenti rimarchevolissimi nella fauna,
sino a mutarla intieramente. (Continua.)
III.
Considerazioni strati grafiche sopra le rocce più antiche
delle Alpi Apuane e del Monte Fisano, di Carlo* De
Stefani.
(Continuazione. — Vedi Bollettino 1874, N. 11-12.)
Al calcare infraliassico, ne’ monti della Spezia, succedono in
serie ascendente, degli schisti calcareo-marnosi e dei calcari
nerastri con Ammoniti e Belemniti, poi de’ calcari rossi e grigi
— 32
con selce, pure ammonitiferi. I calcari neri anzicletti, a cagione
de’ fossili che contengono, e dopo tutti gli studii dei geologi che
hanno esaminata la serie degli strati dei due promontorii della
Spezia, sono riferiti al Lias inferiore. ‘ Ecco la serie delle Am-
moniti che sono state trovate in quei calcari, comunicatami dal
professor Meneghini, colle aggiunte e colle modificazioni soprav-
venute dopo che la maggior parte di esse erano state pubblicate
per la prima volta.^
Ammonites bisulcatus Brug. ;
)) Conyheari Sow. ;
» doricus Mgh. ;
)) raricostatus Ziet. ;
» Kridion Ziet. ;
» coniptus Sow. ;
)) catenatus Sow. ;
» trape^oidalis Sow. ;
)) Goregonensis Sow. ;
» Grenouilloiixi D’ Orb. ;
)) centauroides Mgh. ;
)) actaeonoides Mgh. ;
» margaritatus D’ Orb. ;
)) Loscombi Sow. ;
» Giiidonii Sow. ;
» Listeri Sow. ;
)) Stella Sow. ;
» cylindricus Sow. ;
)) ventricosiis Sow. ;
)) discretus Sow. ;
» Zetes D’ Orb. ;
» Fartschi Stur. ;
y Lunensis Mgh. ;
» fimbriatus D’ Orb. ;
. » siiblineatus Op. ;
)) biformis Sow. ;
» articulatus Sow. ;
» Fhillipsi Sow.
* G. Capellini, Descrizione geologica elei dintorni del golfo della Spezia.
Gap. IV.
^ P. Savi e G. Meneghini, Considerazioni sulla geologia slratigraficci della
Toscana. Parte III.
33
In un altro lembo della catena metallifera, nei dintorni di
Campiglia in Maremma, si trovano in un calcare cristallino
ceroide, insieme a gasteropodi, a bivalvi ed a corollarii, delle
Ammoniti simili a quelle della Spezia, e per questi fossili quel
calcare è attribuito al lias inferiore. Il Rath riferisce, da una
lettera del professor Meneghini,^ i seguenti fossili che vi sono
stati trovati, Fentacrinus sp., Pecten sp., Cardium? sp.. Che-
mnitzia sp., simile alla Gli. Vesta D’ Orb., e MontivauUia sp.: si
possono citare inoltre fossili dei generi Actaeonina, Solarium,
Inoceramus, dei frammenti di Cidaris e la Chemnitzia Nardii
Mgh. (Nuovi fossili toscani, pag. 7). Si devono poi aggiungere il
Felemnites ortJioceropsis Mgh., e le seguenti specie di Ammoniti
gentilmente indicatemi dal professor Meneghini.
Ammonites muticus D’ Orb. ;
y Jamesoni ? Sow. {A. Penar di D’ Orb.) ;
» Mimatensis D’ Orb. ;
y Fartschi St. ;
y cylindricus Sow. ;
y Lipoldi V. Hauer ;
y ■ Guidonii Sow. ;
y margaritatus D’ Orb. .
Un calcare ceroide, con piccole Ammoniti e con gasteropodi,
simile a quello di Campiglia, si trova sopra al calcare infra-
liassico, nel Monte Pisano e nei Monti di Avane, nell’ ultima
pendice delle Alpi Apuane sulla destra della Val di Serchio infe-
riore. Ad 0. del Monte Pisano, il calcare ceroide si estende dai
piano di Pisa al piano di Lucca, da San Giuliano per Santa
Maria del Giudice a San Gerbone; nei Monti di Avane esso si
estende da Vecchiano alla foce di Pietra a Padule. In que-
st’ ultima località è di colore roseo ed impuro, mentre nel Monte
Pisano è di grana cristallina, che talora si avvicina a quella
dello statuario puro, e facilmente si lavora, talché a San Giuliano
ed a Santa Maria del Giudice viene scavato per uso di marmo ; il
colore ne è bianco o ceruleo, spesso con vene gialle, ed è interstra-
tificato da macchie schistose verdastre, nelle quali si annidano
^ G. voM Rath, Geognostische mineralogische Fragmente aus Italien — Die
Berge von Campiglia {Zeitschrift d. deutsch. geol. Gesell. 1868, pag. 318).
O
34 —
delle piriti di ferro, e che sono analoghe alle madrimacchie dei
marmi apuani. Delle crepe e de’ peli, precisamente come ne’ marmi
saccaroidi, trinciano le masse calcaree, delle quali le più pure e le
più saline stanno rinchiuse specialmente nelle parti superiori
degli strati, quasi in una matrice di calcare più impuro che si
potrebbe paragonare a bardiglio. La salinità di questi calcari del
Monte Pisano è effetto di un metamorfismo locale, il quale del
resto invade, non solo gli strati di cui intendo parlare adesso più
specialmente, ma eziandio le masse sottostanti e quelle superiori:
in generale, perciò, il nome di calcare ceroide, adoperato dagli
autori che parlano del Monte Pisano, devesi intendere applicato
più a designare una forma litologica che una roccia d’ una data
epoca. Anche il professor Paolo Savi nella Carta geologica del
Monte Pisano, estende il calcare così detto ceroide a detrimento
particolarmente del calcare infraliassico ; quest’ ultimo calcare
infatti, come si è veduto altrove, forma una linea continua sotto
i calcari ceroidi di San Giuliano e di Santa Maria del Giudice;
come pure di calcare infraliassico, per quel che ne dicono i fossili,
e non di calcare ceroide, sono i lembi di Asciano, di Agnano
e di Uliveto a Sud del Monte Pisano. Un’ altra rettificazione deve
farsi a quanto dice il Savi sulla discordanza del calcare ceroide
coi calcari inferiori e superiori nei Monti di Avane, da lui detti
Monti Oltre Serchio, ed in altre località; infatti quel calcare sta
dovunque con perfetta regolarità interstratificato fra gli altri cal-
cari che lo rinchiudono (fig 5) ; pei monti di Avane, in particolare
ho potuto accertarmi di ciò in una gita fatta in quelle loca-
lità col professor Meneghini, ed in più altre occasioni. L’ anda-
mento della stratificazione si rileva al solito, facendo astrazione
dalle crepe che intersecano il calcare, coll’ esaminare il verso
cioè la direzione dei banchi e la disposizione degli straterelli
schistosi che vi sono rinchiusi. Il calcare di cui si discorre, nelle
località menzionate, è talora sì ricco di fossili che si ha una
vera lumachella; numerose raccolte di questi fossili sono state
fatte nel Monte Potendo e nel Monte delle Fate presso San Giu-
liano, come pure a Vecchiano e di faccia a Pontasserchio. Tra
i fossili trovati si possono citare varie specie di ChemniUia, di
Actoeonina, di Cerifhium^ di Natica^ di Trochus, di Fleurofoma-
ria, di Turbo, di Nautilus, dei frammenti di Cidaris, di Penta-
35 -
crimis, di 3Iontivauìtia, V Avicula peregrina Mgh. {Considera-
sioni sulla geologia etc.), la Cochloceras {Turrilites) JD' Anconce
Mgh. (Nuovi fossili toscani)^ V Ammonites stellaris Sow. e 1’ Am-
monites planorljis Sow., oltre a molte ammoniti non determinate.
Nelle sue parti superiori poi, tanto alle Avane quanto nel Monte
Pisano, si trovano degli straterelli pieni di encrini. Per le consi-
derazioni possibili sopra codesti fossili, rimando chi ne vuole
notizia agli studii del professor Meneghini e del professor Savi,
dopo dei quali io non ho nulla di nuovo a ridire. Si può però
aggiungere che ninna delle specie de’ molluschi è stata ricono-
sciuta identica a qualcuna di altre località, salvo che a quelle
di Campiglia. Il nostro calcare ceroide fu dagl’illustri geologi
sopracitati, nelle loro Considerazioni sulla geologia della Toscana^
riguardato, per l’ insieme dei generi fossili, come appartenente al
lias piuttostochè al trias, ma in ogni caso alla parte più antica
del lias inferiore; e quantunque il Savi più tardi (Sulla costitu-
zione geologica delle elissoidi della catena metallifera, pag. 13,
Pisa 1864), lo classificasse nell’ Infralias, senza argomenti, ma
semplicemente come egli dice, onde non pregiudicar la questione
della sua vera epoca; pure dopo, nella pubblicazione del Kath
(Fragmente aus Italien, 1868), esso viene considerato di nuovo,
dietro una comunicazione del professor Meneghini sui fossili di
Campiglia, come veramente liassico inferiore, e come tale deve
essere, tanto più, considerato al giorno d’ oggi, dopo la pubblica-
zione della nota delle Ammoniti del calcare salino di Campiglia,
che ho sopra riportata. Lo Stoppani, dopo aver veduto alcuni
fossili del Monte Pisano, credette trovarvi delle impronte riferi-
bili al genere Evinospongia, e le univalvi del Monte Pisano e di
Vecchiano riferì a quelle di Esine nelle Alpi, da lui studiate, per
cui manifestò 1’ opinione, che fossero triassici, come il calcare di
Esino, anche i calcari delle citate località toscane compresi in
generale dal Savi col nome di calcari salini o ^emi-salini.^ Il Cocchi
ha preso conto di questa opinione, ed ha ritenuto il calcare ce-
roide de’ Monti di Pisa e di Campiglia triassico,^ dubitando poi
che ad esso potessero corrispondere taluni calcari delle Alpi
' Stoppani, Corso di geologia, voi. II, pag. 391.
^ Sulla geologia delV Italia centrale, pag, 33.
Apuane di una zona, che distingueva provvisoriamente col nome
di ^ona marmorea superiore : ^ il Coquand eziandio ritiene trias-
sico il calcare ceroide del Monte Pisano.^ Però conviene osservare
che dei fossili del calcare ceroide propriamente detto, parago-
nati con cura ai fossili di Esino, non uno è stato trovato speci-
ficamente corrispondente a questi; sopratutto poi, come risulta
dalle descrizioni fatte e dalle sezioni presentate, il calcare ce-
roide del Monte Pisano e delle Avane fu depositato sopra al-
r Infralias, è impossibile perciò dirlo triassico, e non è possibile
prenderlo per tipo di rocce triassiche, bensì, per la sua posizione
stratigrafica fra P Infralias e la parte più recente del lias infe-
riore, come vedremo, e per la natura dei fossili, non può essere
ascritto se non al lias inferiore medesimo. È inutile poi par-
lare del calcare che il Cocchi dubitava fosse ad esso corrispon-
dente nelle Alpi Apuane, perchè P illustre geologo, nella sua
nota Sulla vera posizione stratigrafica dei marmi saccaroidi delle
Alpi Apuane {Boll, del B. Gom. Geol., N. 5-6, 1871), pone a ragione,
insieme con tutti gli altri marmi antichi anche "quelli dei monti
Sumbra,^ Fiocca, Valiverto, Sella e Tanibura, che prima aveva
distinti col nome di zona marmorea superiore. Fuori dei monti
presso Pisa, non ho trovato il calcare ceroide con apparenza sì
distinta e con fossili ben chiari; però un calcare analogo, sovrap-
posto alP Infralias, costituisce i colli di Pietrasanta, di Capez-
zano e di Montepreti presso Pietrasanta; è ceroide, cavernoso e
spesso dolomitico, ma non vi sono fossili, eccetto che a Monte-
preti, dove contiene degli encrini negli strati superiori sotto-
stanti a calcari rossi e verdastri, e dove si trova quindi nella
stessa posizione stratigrafica del calcare ad encrini del Monte
^ I. Cocchi, loc. cit., pag, 38.
^ H. Coquand, Terrains stratifiés de l’italie centrale {Bull. Soc. Géol. de
France, 3^ serie, tomo III, pag. 26).— Il Coquand pone i calcari ceroidi di
Campiglia e di Gerfaìco insieme con quelli saccaroidi delle Alpi Apuane e, con
questi, li classifica nel carbonifero ; ma invece i calcari ceroidi delle soprad-
dette località sono, come ho detto pel calcare di Campiglia, della stessa epoca
di quello del Monte Pisano e delle Avane e debbono essere riferiti al lias inferiore.
® Nella carta dello Stato maggiore austriaco questo monte è indicato col nome
di Sumbra, col quale lo indica anche il Cocchi ; ma nelle storie antiche della
Garfagnana, e nel linguaggio vivente in quelle località, è indicato col nome di
Summora o per corruzione Sommora, e questo mi sembra da conservarsi.
— 37 —
Pisano e delle Avane. Probabilmente a questa stessa epoca del
lias inferiore, ma invece alla forma litologica dei calcari della
Spezia, si riferiscono : un calcare nero, nella valle della Torrite
Secca, fra Decci ed il canale di Rontano, a strati quasi verticali,
inclinati verso N. o, presso Decci, verso N.N.O., ed un cal-
care scuro, con scliisti interposti, ne’ monti di Careggine e di
Roggio, ambedue situati fra le masse calcaree attribuite all’ In-
fralias, ed alcuni straterelli di calcare rosso del canale di Ron-
tano e della parte inferiore del canale di Vagli. La difficoltà
nel distinguere il calcare del lias inferiore dall’ Infralias, quando
non vi sieno fossili, deriva dall’apparenza delle rocce die sono
spesso identiche fra loro, e dal metamorfismo che agì egual-
mente sulle medesime ; del resto è probabile che al lias inferiore
appartengano varii de’ calcari che ho ritenuti come infraliassici,
nella regione orientale dell’ elissoide principale apuana, fra il
canale di Vagli e quello della Torrite Cava.
Nel Monte Pisano e nel Monte di Avane e di Vecchiano, al
calcare ceroide succedono dei calcari rossi e dei calcari grigi
con selce, ammonitiferi, i quali altrove nelle x\lpi Apuane sem-
brano riposare direttamente, sempre con stratificazione concor-
dante, sul calcare grigio del lias inferiore o dell’ Infralias. Il
calcare rosso intensamente argilloso, qualche volta verdognolo o
bianco ed anche giallo a S. Maria del Giudice, è spesso al-
ternato* da straterelli di schisti rossi o verdi, lionati, e talora
arenacei, ed in generale forma banchi di piccola potenza, per cui
alle volte può sfuggire all’ osservazione ; sovente è alquanto cri-
stallino, ed allora forma dei graziosi marmi ornamentali ; così a
questo genere di roccia appartengono : un marmo giallo alquanto
simile a quello della Montagnola Senese, scavato a S. Maria del
Giudice ; il marmo rosso di Matanna uniforme e discretamente
cristallino ; il marmo di Sasso Rosso neH’iVlpe di Corfino, il quale
ha r aspetto di grandi frammenti rossi irregolari involti in un
cemento di color rosso ancora più scuro ; ed il marmo rosso-
chiaro, venato di bianco del colle di Matteo presso Trassi-
lico, del quale furono fatte alcune colonne per uno degli altari
dell’ Eremita di Calomini. Il calcare con selce sovrapposto forma
talora degli strati potenti ; è ceruleo, bianco o grigio, con diverse
gradazioni di colore, e contiene frequentissime alternanze di noe-
— 38
cicli e di straterelli di selce compatta e cornea, ovvero bianca a
granellini disciolti ; sottoposti que’ granellini al microscopio, con
forte ingrandimento, non vi trovai spoglie apparenti di sostanze
organizzate. Questo calcare con selce io lo chiamerò ammonitifero,
ancor quando ammoniti non ve ne siano state trovate, per distin-
guerlo da altri calcari grigi con selce di epoca più recente, che si
trovano negli stessi Monti Pisani e nelle Alpi Apuane e nel-
PApennino. Nel Monte Pisano (fig. 5), a cominciare dalle cave di
S. Giuliano fin verso Lucca, il calcare compatto rosso o verdolino
forma una cintura continua, con uno strato di 6 o 7 metri di altezza
al più, sopra ai calcari ceroidi ; frequentemente è inquinato da
straterelli schistosi e non contiene fossili, talora è ceroide esso
pure e serve per marmo, come ho detto di sopra, p. e., a S. Maria
del Giudice. Il calcare grigio con selce sovrastante comincia a
comparire all’ ultimo sperone delle cave dei marmi di S. Giu-
liano, nel luogo dove sono le cave della calcina forte del Bru-
guier ; un lembo di esso forma la cima del monte, dove sono le
cave, ed è pella denudazione di questo che inferiormente com-
parisce il calcare bianco ceroide; lo si rivede verso il paese di
S. Giuliano dove sono aperte varie cave per levarne pietra da
calcina forte. Taluni degli strati di questo calcare, lungo la
strada da S. Giuliano a Pigoli, di fianco alla stazione della
via ferrata, sono talmente raddrizzati da raggiungere una po-
sizione verticale. Da S. Giuliano il calcare traversa * il si-
stema montuoso formando le alture di Monte Penna e giun-
gendo verso S. Gerbone e Pezzuole, dove terreni più recenti
gl’ impediscono di pervenire alla pianura Lucchese. In questa
estensione di terreno non sono state trovate che traccie di
Ammoniti poco determinabili. Nei monti delle Avane il cal-
care rosso forma un cerchio continuo,' al solito di poca po-
tenza, intorno a quella rotta elissoide. In certe cave, sulla destra
della valle dei Sassigrossi, sono stati trovati dei Pentacrini e
le Ammoniti seguenti :
Ammonites PeccJiiolii Mgh. ;
)) hisulcatus Brug. ;
» Conybeari Sow. ;
» JBoiicaidtianus D’ Orb.
— 39 —
Il calcare grigio con selce ammonitifero forma un’ altra cer-
cliia di non grande spessezza, dal piano di Veccliiano sin verso
i monti di Filettole, dove, insieme colle altre roccie antiche, si
nasconde sotto un lembo di terreno eocenico sovrapposto in stra-
tificazione discordante. Le Ammoniti trovate in questo calcare
sono le seguenti :
Ammonites Conyheari Sow. (Repole) ;
» Listeri, Sow. in D’ Orb. (Sassigrossi) ;
» Aìgovianus Op.
Passando alle altre elissoidi delle Alpi Apuane, questi cal-
cari ammonitiferi riappariscono al Nord dell’ elissoide di Ca-
maiore. Intorno all’ elissoide centrale apuana s’ incontrano poi
in diversi lembi, in generale di non molta importanza. A Monte
Preti, che è sulla destra del Baccatoio, là dove questo torrente
esce nella pianura, oltre agli straterelli con crinoidi già notati
altrove, si hanno dei calcari rossi o verdastri senza fossili, che
rappresentano là il rosso ammonitifero, si vedono poi dei fram-
menti erratici di calcare con selce, identico assolutamente a quello
dei monti pisani, e probabilmente derivano da qualche lembo
in posto di quel calcare, ovvero sono gli ultimi resti della de-
nudazione, che ha finito il suo compito nascondendo i banchi del
suddetto calcare sotto la pianura. Fra Capriglia e le Piane, so-
pra ai calcari bianchi ceroidi o dolomitici, sono pure traccie di
calcari rossi, metamorfici o cavernosi, nei quali si presentano
delle sezioni di encrini. In un estremo lembo della massa cal-
carea di Porta, che guarda immediatamente sulla sinistra del
canale di Montignoso verso la pianura, e sopra al calcare grigio
cupo 0 bianchiccio dell’ infralias o del lias inferiore, stanno de-
gli straterelli del calcare rosso intensamente colorato, argilloso e
scbistoso ; quivi pure si vedono sul terreno de’ frammenti di cal-
care con selce, che attestano la prossimità e forse l’antica esi-
stenza alla superficie di questo. Prima di passare oltre, è oppor-
tuno notare come, dalla Dogana Vecchia, a Kotaio, a Monte Preti,
a Pietrasanta, a Porta ed a Montetignoso, le ultime pendici dei
monti sieno formate dai calcari infraliassici, o dai piccolissimi
lembi dei calcari più recenti ora accennati, senza che superiormente
ai medesimi stieno altre roccie. A Massaveccbia, sopra l’ infralias
40
sta direttamente un lembo di terreno eocenico, e lo stesso sem-
bra aver luogo a Mirteto e nei monti della Misericordia sopra
rinfralias di Bergiola e di Códena. Alle prime case di Carrara (fig. 2),
sulla sinistra del fiume, poco sopra le segherie di Walton, il cal-
care rosso ricomparisce e forma dei banchi di qualche metro in-
tersecato da straterelli di schisti verdi e rossi, ma non credo che
vi si trovi sovrapposto il solito calcare grigio con selce. Di qui esso
continua il suo giro intorno all’ elissoide, e s’ innalza alla destra
del Carrione, attraverso i monti di Gragnana e di Tenerano, nella
quale località il Savi raccolse un Ammonite. Il Cocchi accenna
fra Castelpoggio e Monte Acuto il calcare grigio ammonitifero
con selce ed il rosso, e forse di questa stessa epoca è il calcare
con selce, il quale si trova presso 1’ Ajola a Nord dell’ elissoide;
però sembra che solamente dei lembi radi ed interrotti di queste
due roccie esistano attualmente nel tratto dell’ elissoide che gira
fra la valle del Carrione e la valle di Vagli, nel modo stesso che
de’ lembi quasi insignificanti e quanto mai interrotti abbiamo
veduto esistere nella parte occidentale della mede^sima che guarda
il mare, fra le valli di Camaiore e la valle del Carrione. Quel
dubbio mi viene confermato dal fatto che nei monti di Corfi-
gliano e di Gramolazzo, nel versante del Serchio, ai lembi non
molto potenti dell’ infralias sta sovrapposto direttamente il ma-
cigno eocenico, senza intermezzo di altra roccia. Nel lato orien-
tale dell’ elissoide, il calcare rosso, talora anche verdastro e con
straterelli di schisto lionato, incomincia nel monte di Roggio,
sulla sinistra del canale di Vagii, ma in strati piccolissimi e
senza la sovrapposizione del calcare grigio con selce, e, conser-
vando eguale aspetto ed eguale potenza, passa il Monte di Ca-
reggine, traversando la valle, presso le Ferriere, e giunge alla
valle della Torrite Secca o canale d’ Arni, nella quale 1’ ho in-
contrato nel colle di Fontano, dove ha un aspetto analogo a
quello che ho descritto di Sassorosso, e dove sembra sottostante
ad un calcare zeppo di foraminifere, probabilmente cretaceo.
Nell’ estremità superiore del canale di Sassi, che mette nella
Torrite Secca, intorno alla Pania, le cose cominciano a variare :
il calcare rosso acquista una potenza alquanto maggiore, assume
un colore rosso più smorto, o bianco, e sopra del medesimo po-
sano degli strati di calcare grigio con selce ammonitifero tanto
— 41 —
alti, quanto lo sono nel Monte Pisano. Codesta serie di strati
gira intorno alla Pania, forma i pizzi sovrapposti a Vergemoli che,
fra gli altri, hanno il nome di Forcone e delle Capanne Bruciate,
quindi le pendici di Vergemoli e di Calomini nella valle del Forno
0 della Borrite di Gallicano, a ridosso della Pania e sulla sini-
stra del canale della Foce, che è fra Vergemoli ed il Forno. Il
calcare, che quivi invece di essere rosso, è chiaro e biancastro,
perde quasi i suoi caratteri e, senza speciale attenzione, non si
distinguerebbe : però, nel canale fra Vergemoli e Calomini, assume
un aspetto marmoreo, ed a Vergemoli è accompagnato da strati
discretamente alti di schisto arenaceo lionato. I calcari traversan
poi la Borrita, e li troviamo sopra il ponte di Panicaglia nel
colle di Matteo, donde fu escavato del marmo rosso ; formano
le pendici di Brassilico e raggiungono il Monte Matanna, esten-
dendosi verso Casoli di Camaiore, dove cessano di comparire, e
dove è finito il loro giro intorno alP elissoide centrale apuana.
Nel calcare rosso marmoreo di Matanna ho veduto delle Am-
moniti, ma non perfettamente conservate e non in istato di es-
sere ben determinate. Nelle località circostanti alla Pania ed al
Monte Matanna, nel lato orientale dell’ elissoide centrale ora esa-
minato, i calcari si estendono assai, poiché senza interruzione
formano una veste intorno al nucleo isolato di calcare infralias-
sico, che sta nel centro dell’ ondulazione del Monte Palódina,
più sopra indicata. Essi si ritrovano a Pescaglia, nella valle della
Borrite Cava, ed in quella delle Borrite di Gallicano fra il ponte
di Panicaglia e Gallicano ; così in quest’ ultima valle formano le
pendici nelle quali fu scavata l’Eremita di Calomini, e quivi
inclinano con dolce pendio da E.N.È. a O.S.O. cioè in modo
opposto all’ inclinazione che hanno nelle contigue località di Ver-
gemoli e di Calomini, a ridosso dell’ elissoide centrale : girano
poi sotto il paese di Bruciàno intorno al canale omonimo, il quale
segna il punto interno della ondulazione in quel suo estremo
lembo, di fianco al Monte Palódina sulla sinistra della Borrite,
ed inclinandosi di nuovo da O.N.O. a E.S.E. raggiungono il
fondo della valle, alquanto sopra le case di S. Lucia. Così sono
enumerate le località delle Alpi Apuane, nelle quali conosco i
calcari rosso e grigio con selce ammonitiferi. Anche nel prossimo
Apennino, intorno all’ infralias dell’ Alpe di Corfino, formano
cerchio i calcari ora nominati. Il calcare rosso di Sassorosso
contiene le specie seguenti:
Ammonites Raquinianus D’ Orb. ;
fimhriatus Sow. ;
» Mimatensis D’ Orb. ;
)) stellaris Sow. ;
» sternalis De Buch ;
» planicosta Sow. ;
)) subarmatus Young ;
» spiratissimus Quenstedt ;
)) muticus D’ Orb. ;
)) Nodotianus D’ Orb. ;
)) Aalensis Ziet. ;
» radians Schlot. ;
)) hybridus D’ Orb. ;
)) bisulcatus^ Brug. ;
)) insignis Schlot. ;
» rotiformis Sow. ;
)) Kridion Ziet. ;
» complanatus Brug. ;
)) armatiis Sow. ;
» JBoucaidtianus D’Orb.;
» bifrons Brug. ;
» Ceras Giebel ;
)) obtusus Sow. ;
» heterophillus Sow. ;
» tardecrescens Hauer ;
» Conybeari Sow. ;
)) liasicus D’ Orb. ;
» Actceon D’ Orb.
Nel calcare con selce della stessa località sono state trovate
fossili le seguenti specie:
Ammonites Algovianus Oppel ;
» pluricosta Mgh.
Anche nell’ alta valle dell’ Ozola nel Reggiano si trova il cal-
care rosso intorno alle masse infraliassiche. Un lembo di calcare
43 -
rosso ammonitifero si torna poi a trovare a Monsummano nella
Val di Nievole; ma nè questa roccia, nè il sovrapposto calcare
con selce, compariscono in alcuna altra località dell’ Apennino
toscano e bolognese, nel tratto fra Monsummano e 1’ Alpe di
Corfino.
Ho parlato fino adesso insieme e del calcare rosso e del cal-
care grigio con selce ammonitiferi, seguendo l’ uso dei geologi
toscani ; ma avrei potuto discorrerne partitamente, e paratamente
passo a dire ora della loro epoca geologica limitandomi a citare
le varie opinioni manifestate dagli autori. Il calcare rosso fu
ritenuto da prima dal Savi e dal Pilla come appartenente al
lias superiore, credendolo analogo ai calcari rossi ammonitiferi
della Lombardia appartenenti a quell’ epoca: ma poi, raccolti
numerosi dati paleontologici, tanto il Savi citato, come il Mene-
ghini, riconobbero che il medesimo era più antico del calcare lom-
bardo, quindi più antico del lias superiore, e che le sue Ammoniti,
appartenenti a specie di varie epoche del lias, ma specialmente
agli Arieti^ erano con prevalenza riferibili al lias inferiore.’ Questa
conclusione era riconfermata poco dopo dal professor Meneghini,^
ed il calcare veniva posto definitivamente nella parte inferiore
del lias, considerandolo però superiore al calcare ceroide, il quale
alla sua vòlta era considerato come appartenente alla parte più
antica del lias inferiore. Anche il Savi più tardi (Sulla costitu-
zione delle elissoidi della Catena metallifera) lo considerava come
lias inferiore. Come rappresentanti del lias superiore, in questa,
regione d’ Italia, furono ritenuti invece gli schisti sovrapposti al
calcare grigio con selce contenenti la Fosidonomya JBronni. Però
il trovarsi nel nostro calcare, come ho già accennato, delle Am-
moniti appartenenti anche ai piani meno antichi del lias, fece
sì che il medesimo venisse qualche volta ritenuto rappresentante
^ Considerazioni sulla (jeologia stratigrafica della Toscana. Parte II, capo IV.
— Nel quadro che si trova al termine dello scritto del Savi e del Meneghini,
il calcare rosso è bensì posto nel lias superiore, ed il Coquand {Terrains
stratifiés de VItalie centrale — EnW. Soc. Geol. de France, S® serie, tome III,
pag. 26) tenendo conto soltanto di questo fatto, attribuì senz’altro ai citati
geologi queir opinione che però è ben diversa da quella che solo deve essere
considerata e che quei geologi hanno diffusamente e chiaramente sostenuta nel
testo nel punto da me citato.
^ Nuovi fossili toscani, pag. 17.
— 44 —
del lias medio, e come tale fu considerato eziandio nella pub-
blicazione citata del Katli, onde V ho classificato aneli’ io in tal
modo nella annessa tavola degli spaccati. Quando però si badi,
come fanno notare gli autori, al tipo degli Arieti predomi-
nante fra le Ammoniti, il quale è particolarmente caratteri-
stico del periodo Massico inferiore, e quando per 1’ altra parte
si noti il piccolo numero di quelle specie che si trovano nel
vero lias medio, risulterà dai dati paleontologici la conve-
nienza di lasciare il calcare rosso nel lias inferiore, e precisa-
mente nella parte più recente di esso, anziché nel vero e pro-
prio lias medio, e come Massico inferiore lo considererò d’ ora in
avanti. Il calcare grigio con selce, ha seguito sempre finora le
sorti del calcare rosso: il Savi ed il Meneghini {Considera-
zioni sulla geologia della Toscana, Parte I, Capo II) ritennero
che il calcare rosso passasse gradatamente al medesimo, e che
qualche volta, come ne’ monti del lato occidentale della Spezia
10 si trovasse, non solo al di sopra, ma ancora al di sotto del
rosso; anche dopo di loro tutti i geologi toscam considerarono
11 grigio come una cosa sola col rosso, distinguendo soltanto la
forma litologica. Adesso è noto come ne’ monti del lato occi-
dentale della Spezia un rovesciamento abbia alterata la posizione
strati grafica delle roccie, sicché solo in apparenza il calcare gri-
gio vi sembra sottostante al rosso, mentre in realtà é superiore
al medesimo, ivi come dappertutto. Esso poi é sempre ben di-
stinto per la sua forma litologica dal calcare rosso, e forma masse
di molta potenza, mentre il rosso non forma che piccoli banchi
e si connette piuttosto e fa passaggio ai calcari sottostanti ; per
lo contrario, mentre il calcare rosso é ricchissimo di fossili, il
grigio ne é povero e soltanto vi sono frequenti le poche specie
notate. Ecco la serie delle poche Ammonniti che vi sono state
trovate fino ad ora e che ho già indicate di sopra.
Ammonites Conyheari Sow. (Repole);
» Listeri Sow. in D’Orb. (Sassi grossi);
» Algovianus Op. (Sassi grossi. Alpe di CorfinO) ;
» pluricosfa Mgh. (Alpe di Corfino).
La presenza speciale di talune di queste Ammoniti, p. e.,
deW Algovianus e la posizione stratigrafica del calcare, sembra
45
lo facciano riferire con maggior probabilità al lias medio e
come tale per ora verrà ritenuto. Probabilmente esso deve met-
tersi insieme col calcare litologicamente simile, e pure liassico
medio, dellbApennino centrale.
Eitornando un passo addietro e riparlando del calcare ce-
roide, ecco che questo, essendo posto fra il calcare infraliassico
ed il calcare rosso appartenente alia parte più recente del lias
inferiore, anche secondo le regole della stratigrafia deve essere
riferito al lias inferiore.
Per quanto riguarda le Alpi Apuane, il Savi confuse i calcari
ammonitiferi colla massa dei calcari infraliassici, e con questi li at-
tribuì al neocomiano : il Cocchi ha contribuito a fare le dovute
distinzioni, senonchè in una sezione che egli presenta di un tratto
dei Monti Pisani, da Ripafratta al Monte delle Mulina (I. Cocchi,
Sulla geologia, ec. Tav. I, fig. 8) ha scambiato l’epoca delle rocce
di queste località. Così il calcare del Monte Maggiore, che egli
crede infraliassico, e che è assolutamente privo di fossili, è
invece un calcare con selce che si ritrova pure sviluppatissimo
a Legnaia ed a Pietra a Padule intorno all’ elissoide di Avane,
come pure in tutta la regione orientale delle Alpi Apuane, nella
parte inferiore della Val di Serchio a Bruciano, a Gallicano, alla
Torrite Cava, al Borgo a Mozzano, a Corsagna, a Decimo, a
Pezza ed agli Angeli ; e nell’ Apennino nella Val di Lima, a
Prato Fiorito, a Lucchio ed a Vico ; non è ben conosciuto
a quale orizzonte questo calcare appartenga, ma probabilmente
è proprio neocomiano, come P ha giudicato il Murchison, che
lo esaminò a Prato Fiorito, e come 1’ ha considerato, d’ accordo
con lui, il Savi. Questo calcare sta sopra gli schisti a Fosido-
nomya riferiti al lias superiore, e sotto di questi si trovano il
calcare grigio con selce ammonitifero del lias medio ed il rosso,
come pure il ceroide liassico inferiore e per ultimo il vero cal-
care infraliassico, al Monte Rotondo sopra San Giuliano sovra-
stante agli schisti cristallini. Non esistono adunque calcari
cavernosi immediatamente al di sotto del calcare con selce di
Monte Maggiore, come il Cocchi figura nella sezione che egli
dà : nè questo calcare rappresenta P infralias, come veniva da
lui supposto. La sezione (fig. 5) che io presento, in rettifica-
zione di quella del Cocchi, è poco diversa dalla sezione (fig. X)
— 46 —
pubblicata dal Savi e dal Meneghini nelle Considerazioni sulla
geologia della Toscana.
Le materie minerali che si trovano nelle rocce infraliassiche
e liassiche, di cui si è discorso finora, astrazion fatta dalle dolo-
miti e dai gessi che furon prodotti dal metamorfismo de’ calcari,
sono unicamente il cinabro e la malachite, che fan parte di filon-
celli quarzosi e spatici, nel calcare con selce ammonitico, e negli
altri calcari Massici del Monte delle Fate, presso San Giuliano.
I filoni quarzosi non sono frequenti; qualche volta il quarzo, in
cristalli jalini ed affumicati, si trova nei calcari dolomitizzati,
per esempio, nel Monte delle Fate, nella china verso Asciano;
r albite poi è frequente e talora abbondantissima, in cristalli
sparsi porfiricamente nelle masse dei calcari infraliassici (Capez-
zano, Capriglia) e rossi Massici (San Giuliano).
(Continua).
IV.
Sidla Belazione di un viaggio geologico in Italia,
per Teodoro Fuchs. .
Sotto il titolo Belazione di un viaggio geologico in Italia,
appariva nel N° 7 e 8 di questo Bollettino la traduzione, curata
dal signor F. L. Appelius di Livorno, di un breve resoconto di
viaggio che io nella primavera del cessato anno dirigeva a Vienna
al Consigliere di Corte e Cav. Fr. v. Hauer, e che originaria-
mente veniva dato alle stampe nelle Memorie dell’ I. B. Istituto
Geologico (pag. 218, anno 1874).
Il prof. Seguenza sembra essere rimasto alquanto scosso da
alcune mie osservazioni contenute in detto resoconto di viaggio^
tanto che egli si è creduto obbligato a pubblicare nel N® 9 e 10
di questo stesso Bollettino una nota nella quale egli intraprende
a farne la critica.
Per quanto tutte le obbiezioni fatte da un così distinto e
profondo Naturalista, quale è il Seguenza, siano da tenersi in
gran conto, pure essendo esse in gran parte fondate sopra un
malinteso, io mi sento impegnato a rispondervi brevemente.
— 47
La prima obbiezione del prof. Seguenza si rivolge contro la
mia asserzione che un vero calcare del Leytha, quale s’ incontra
presso Rosignano di Pisa, non fosse prima stato riconosciuto in
Italia; mentre già una tale formazione era stata descritta dallo
stesso prof. Seguenza presso Messina, e mentre già V apparizione
della medesima formazione presso Rosignano veniva particolar-
mente accennata dal prof. Capellini.
Su di che io debbo osservare, che coll’ espressione in Italia
io ho inteso solo di parlare della penisola con esclusione delle
isole che vi appartengono. Che il prof. Seguenza avesse già de-
scritta r esistenza del vero calcare del Leytha in Sicilia (e non
solo presso Messina ma ancora in maggior estensione presso Si-
racusa), mi era perfettamente noto: nello stesso modo che mi
era noto che il prof. Meneghini diciassette anni or sono aveva
già annunziata la presenza in grande estensione di tale forma-
zione in Sardegna, e che egualmente del vero calcare del Leytha
se ne incontra pure nelle isole di Corsica e di Malta, le quali
nei loro rapporti naturali e geografici appartengono all’ Italia
così bene come la Sicilia e la Sardegna.
Per ciò che riguarda il prof. Capellini, io debbo solo aggiun-
gere, come nel mio resoconto di viaggio geologico io abbia
espressamente notato che, tanto il miocene di Rosignano e di
Castellina Marittima, quanto in genere tutti i fatti da me ri-
portati intorno a quella regione, erano al medesimo ben noti,
essendomi io nella mia escursione esclusivamente guidato sulle
indicazioni dallo stesso prof. Capellini ottenute.
La seconda obbiezione del prof. Seguenza a me diretta con-
siste nel rimproverarmi per aver io identificato il calcare mio-
cenico di Castellina e di Rosignano col calcare concrezionato di
Messina e di Gerace ; la quale identificazione supposta dal pro-
fessor Seguenza sarebbe erronea.
Alla quale obbiezione io debbo rispondere, che io non ho
mai inteso di sostenere una cosa simile; ma che solo io ho annun-
ziato nel mio resoconto di viaggio che il calcare di Castellina
(non quello di Rosignano) fa ricordare molto il calcare concre-
zionato di Messina e di Gerace: cioè a dire, che petrografica-
mente il primo somiglia molto al secondo.
Non ostante pretendo io di dichiarare in questa occasione
— 48 —
che io ritengo ad ogni modo che il calcare concrezionato di Mes-
sina debba essere assegnato al miocene, perchè riposa comple-
tamente conforme sulla melassa miocenica e discorda compieta-
mente colle formazioni plioceniche che gli stanno sovrapposte,
e non possiede fossili che richiedano il suo collocamento nel
pliocene.
Naturalmente io non intendo parlare qui altro che di quel
calcare concrezionato che io stesso ho visto, e del quale ho dato
nel mio lavoro descrizioni e figure. E ciò non esclude che in
altri punti possano comparire consimili calcari anche nel plio-
cene, come lo stesso prof. Seguenza dichiara, chè il calcare con-
crezionato non costituisce un determinato piano geologico, ma
invece si ripete colle stesse apparenze in piani geologici di età
differente.
Per quanto concerne il calcare concrezionato di Gerace io lo
considero pure come miocenico, per esser anche in modo discor-
dante ricoperto dalle formazioni plioceniche, quando anche nella
sua giacitura, a differenza delle correlazioni di Messina, non si
presentino strati miocenici ma bensì argille scagliose.
Io sono adesso dell’ opinione che le marne grigie gessifere,
le quali ovunque presso Gerace formano il sottofondo delle val-
late, non appartengano al miocene, come io altra volta ho cre-
duto,. ma che sieno delle vere argille scagliose; ed io ammetto
che il prof. Seguenza avrebbe potuto rimproverarmi con molta
maggior ragione di questo errore piuttostochè di tanti altri.
Nel seguito della sua nota il prof. Seguenza viene anche a
parlare del pliocene di Gerace. Se io ho ben capito il suo
assunto, egli è dell’ opinione che presso Gerace appariscano due
formazioni plioceniche materialmente diverse; delle quali la più
antica che compone di per sè la collina di Gerace, e la più gio-
vane che si stende oltre verso il mare comprendendo un piano
ad orizzonte più profondo e che si appoggia discordante sulla
prenominata più antica; ed egli mi rimprovera di non aver ri-
conosciuta questa differenza, e che in genere io ho comparato
in maniera erronea le formazioni plioceniche di Gerace con quelle
di Messina, mentre le prime sarebbero molto più antiche.
Io credo che il prof. Seguenza sia qui in grave errore. Gli
strati pliocenici i quali s’ inoltrano maggiormente verso il mare
— 49 —
sono positivamente la continuazione diretta di quelli che for-
mano la collina di Gerace, e la loro più profonda posizione,
come r apparente discordanza di giacitura, è solo la conseguenza
di un rovesciamento.
Se finalmente il prof. Seguenza intende che le formazioni
plioceniche di Gerace sieno più antiche di quelle di Messina, a
me non resta che fare le seguenti osservazioni. Mentre io nel-
r anno 1871 ritornava da Gerace a Messina, e comunicava al
prof. Seguenza le fatte osservazioni, e a lui esibivo una piccola
scelta di fossili raccolti, egli mi assicurò che le mie comunica-
zioni erano sufficienti a convincerlo che le formazioni plioce-
niche di Gerace erano corrispondenti a quelle di Messina, e
che appunto le marne bianche corrispondevano al Zancleano, e
che le sabbie ed il calcare a Briozoi corrispondevano all’ Astiano.
Io ho trovato nelle mie ulteriori ricerche presso Messina che
questo giudizio si è sempre confermato.
Dovesse il prof. Seguenza farsi convinto per mezzo delle sue
continue e precise ricerche che egli allora era in errore, così
pur io non mi rifiuterei davanti a ragioni sufficienti ad accet-
tare un miglior modo di vedere.
Teodoro Fuchs,
Custode delle Collezioni paleontologiche
nell’ I. R. Gabinetto di Mineralogia
hi Vienna.
Per la traduzione dell’ originale tedesco,
Dott. A. Manzoni.
V.
Strati a Gong cria, formazione OeningJiiana e piano del cal-
care di Leitha nei Monti Livornesi., Nota del prof.
G. Capellini.''
Dopo la pubblicazione della Memoria Sulla formazione ges-
sosa di Castellina Marittima, avendo proseguito lo studio dei ter-
reni terziari nella catena dei Monti Livornesi e nella Valle della
‘ Dal Rendiconto dell’ Accademia delle Scienze di Bologna. — Seduta del 19
novembre 1874.
4
Fine, anzitutto mi riesci di scoprire ivi pure gli strati a Con-
geria nelle medesime condizioni di quelli già fatti conoscere
presso la Farsica nella valle del Marmolaio.
Guidato dalla stratigrafia e dai caratteri particolari di questo
importante orizzonte geologico, nello scorso ottobre potei verifi-
care la continuazione degli strati a Congeria a Lodolaia presso
Paltratico in una proprietà del signor Lobin e a Pane e Vino
presso il Gabbro.
In entrambi i luoghi i modelli dei piccoli cardii e delle dreis-
sene sono convertiti in limonite come alla Farsica ed anche le
specie loro sono le stesse ; devo soltanto aggiungere che nelle
marne di Lodolaia e Pane e Vino abbondano i cristalli di gesso
e i fossili sono più scarsi che alla Farsica.
Dopo gli strati a Congeria mi sono occupato del piano cor-
rispondente al calcare di Leitha del bacino di Vienna, la cui
esistenza in Italia già aveva sospettato fino dal 1868 benché
allora non avessi colto esattamente nel segno.
Dopo avere di bel nuovo esplorato lo stfato ad Ostrea
cochlear delle vicinanze di Castellina Marittima, i calcari a nul-
lipore e le altre roccie che vi si collegano., unitamente al cal-
care di Rosignano ; seguendo lo sviluppo di queste roccie nei
monti livornesi, presso Castelnuovo della Misericordia e a Pal-
tratico trovai fossili così abbondanti e così ben conservati da
poterne facilmente determinare le specie e risolvere il problema
relativo alla fauna della panchina delle Badie, S. Dalmazio e
altri luoghi ove si hanno soltanto modelli e impronte poco de-
cifrabili.
Finalmente non essendo persuaso che il giacimento delle fil-
liti del Gabbro, delle quali aveva avuto il catalogo dal prof. Heer,
potesse identificarsi col giacimento di Cerretello presso Castel-
lina, visitai anche quella importante località e potei verificare
che il giacimento principale delle filliti del Gabbro invece di
essere costituito da marne a Cypris resulta in grandissima parte
di schisti a diatomeé identici a quelli di Mondaino e di Sicilia
ove tali roccie costituiscono la base della formazione gessosa.
Questi schisti, che con vocabolo molto espressivo i minatori
di Mondaino chiamano cartoni^ si separano in fogli sottilissimi,
e fra essi stanno le numerose impronte di foglie, molluschi, pesci.
51 —
Alla base di questa formazione si trovano strati marnosi con
piromaca e connessi con questi vi hanno marne zeppe di im-
pronte di Ervilia podolica e di altre bivalvi riferibili ai generi
Lucina, Pecten, Modiola, per cui non riesce difficile di scorgere
in queste marne il vero corrispondente delle marne a Ervilia
del Sarmatiano inferiore del bacino di Vienna ; formazione semi-
salmastra che serve di nesso fra la serie superiore degli schisti
a diatomee (serie di Mondaino, inferiore alla serie di Sinigallia)
ed il calcare di Castelnuovo e la melassa di Paltratico, pan-
china delle Badie, Castellina, ecc., corrispondente al calcare
di Leitha.
Coordinando tutti questi elementi e tenendo conto dell’ or-
dine con cui si incontrano nella Valle della Fine, si ha dall’ alto
in basso la seguente importantissima serie che mi propongo di
illustrare quanto prima con lavoro speciale.
1. Argille turchine plioceniche di tutta la Valle della Fine.
IL Sabbie gialle marnose compatte, analoghe a quelle di
Biosto, Mongardino, Siena; ma poco potenti. Valle della Fine
presso Pane e Vino.
III. Strati a Congeria a Lodolaia e Pane e Vino; con fauna
identica a quella della Farsica, quindi analoga all’ altra del cal-
care di Odessa.
IV. Marne argillose con larve di Libellula, filliti, Lebias
crassicaudus presso Pane e Vino ; serie analoga a quella di Cer-
retello, quindi corrispondente alla formazione di Sinigallia, ossia
all’ Oeninghiano superiore.
V. Schisti a diatomee con filliti, pesci ec., del Gabbro; for-
mazione identica a quella di Mondaino, ossia all’ Oeninghiano
inferiore.
VI. Schisti a diatomee con selce menilite del Gabbro.
VII. Marne indurate con noccioli di piromaca del Gabbro.
Vili. Marne a Ervilia del Gabbro, con imprante di bivalvi
anche di altri generi; corrispondenti alle marne a Ervilia po-
dolica alla base del Sarmatiano nel bacino di Vienna.
IX. Melassa di Paltratico ; calcare di Castelnuovo, Rosi-
gnano ec.; corrispondente del calcare di Leitha nel bacino di
Vienna.
52 —
VI.
Le formazioni paleozoiche nelle Alpi Meridionali,
Nota di G. Stache.
(Estratto dai Verhandlungen der h. k. geolog. BeicTis., 1874, N. 14.)
Questa seconda parte del mio lavoro sui terreni paleozoici
delle Alpi Orientali/ che sarà pubblicata prossimamente, com-
prende i dati raccolti in varie pubblicazioni ed i resultati di
osservazioni eseguite direttamente sopra le formazioni paleozoiche
che si estendono ad occidente del gruppo delle Alpi Carnicbe,
ed offre i primi elementi per lo studio della stratigrafia e della
costituzione geologica di questa zona.
Sebbene mi sia stato possibile di esporre in queste conside-
razioni, oltre alle osservazioni fatte nello scorso anno, ancora
alcune altre fatte nei mesi di luglio, agosto e settembre di
quest’ anno, non ebbi tempo però di aggiungervi le conclusioni,
e più esatti schiarimenti alle singole osservazioni e le sezioni
illustrative di questa zona del territorio paleozoico alpino. Nella
parte successiva del mio lavoro, cioè la terza, che tratterà della
zona più orientale o delle Alpi Giulie, avrò occasione di esami-
nare in un capitolo di conclusioni l’ intiero distretto alpino me-
ridionale e di presentare profili sopra le più importanti zone del
medesimo.
Le località della zona occidentale di cui ora è parola, e che
constano in gran parte di strati e masse paleozoiche, sono : l'" La
grande catena delle filladi quarzose della Pusterthal. 2” Le mon-
tagne porfiriche del Tirolo meridionale. 3"* Il distretto di Cima
d’ Asta con Val Sugana e Vali’ Alta Agordo. L’isola degli
scisti di Eecoaro. 5° Il gruppo dell’ Adamello. 6^" Il gruppo prin-
cipale della Valtellina. T II distretto del Monte Muffetto con la
Val Trompia.
Mi sembrano molto interessanti per lo studio della costitu-
zione geologica e per lo sviluppo della serie stratigrafica delle
* G. Stache, Die palàozoischeyi Gebicte der Ostalpen ; D Mittlerer oder
karnischer Hauptzug. {Jahrbuch der k. k. geologischen Richsanstalt, B. XXIV,
N. 2; Wien 1874).
53
Alpi Meridionali i seguenti resultati fondati sull’ esame di osser-
vazioni antecedenti e di quelle ultimamente da me eseguite.
1° Gli strati del gruppo delle filladi gneissiche formano la
base di tutta la zona occidentale, ma compariscono in modo di-
stinto soltanto nelle rotture e negli spostamenti degli strati.
2° Lo sviluppo principale del granito orneblendico diversa-
mente nominato da vari autori (Granitite, Sienite, Tonalite ec.),
si ritrova con molta probabilità al limite del gruppo delle filladi
gneissiche con quello delle filladi quarzose.
3° La massa principale delle filladi quarzose circonda a guisa
di mantello le masse e le correnti granitiche torreggianti le une
sulle altre in forma di cupole. Questa conformazione fu però in
parte disturbata in una grande estensione e probabilmente per
causa delle rotture per incurvamento degli strati, le quali ebbero
per conseguenza uno sprofondamento di certe parti e quindi un
più forte sollevamento della massa principale granitica formante
r ossatura della montagna, e ciò in seguito a nuove fratture ed
a cambiamenti meccanici di equilibrio nel sistema montuoso do-
vuti ad ulteriori eruzioni di masse pluto-vulcaniche.
40 II gruppo delle filladi quarzose e il gruppo delle rocce
porfiriche, (cioè i conglomerati rossi, le brecce, i tufi e le are-
narie che sono connesse per origine colle masse porfiriche) sono
i due principali complessi di rocce costituenti la zona occiden-
tale, alla cui suddivisione potranno condurre specialmente ulte-
riori studi.
5° Il primo gruppo contiene in particolar modo i rappre-
sentanti della formazione più antica della Grauvacke e anche di
orizzonti più antichi 0 presiluriani. Roccie del gruppo delle fil-
ladi calcareo-argillose, come quelle che corrispondono al tipo
delle pure grauvacche oppure sono loro molto affini, trovansi in
mezzo alla serie potente delle filladi quarzose alle quali sono
subordinate. Uno studio più dettagliato di questa zona farà co-
noscere se esse vi si trovino solo come masse stratificate con-
nesse colla formazione principale, 0 rappresentino forme locali di
qualche orizzonte di filladi quarzose.
6® Il secondo gruppo abbraccia particolarmente gli equiva-
lenti della formazione permiana, ma in basso colle sue più pro-
fonde breccie quarzitiche e colle più antiche masse porfiriche
— 54 —
raggiunge probabilmente il periodo carbonifero superiore. Le
oscillazioni di livello lungo le coste, che vengono dimostrate
nella linea principale delle Alpi Gamiche dall -alternanza di strati
a fauna marina con depositi del carbonifero superiore ricchi di
piante terrestri, trovano una spiegazione nel principio dell’ atti-
vità pluto-vulcanica nella zona dell’ antico golfo di Trento.
7° Nel territorio già occupato da questo golfo, durante il
periodo dell’ attività eruttiva, il complesso dei depositi già for-
matisi fu per conseguenza sconvolto e coperto sopra grandi esten-
sioni. Che una volta esistessero in questo territorio strati più
antichi, lo provano fra le altre le osservazioni di Giimbel sopra
i frammenti di roccie carboniose inclusi nei porfidi di Bolzano, e
alcune osservazioni sopra 1’ esistenza di frammenti inclusi di un
calcare più antico nel porfido rosso delle vicinanze di Merano.
8° Verso 1’ alto sta il gruppo dei porfidi e dell’ arenaria
rossa che , con graduati passaggi si connette col trias inferiore.
L’ arenaria di Gròden, o piuttosto tutte quelle formazioni com-
prese sotto questa denominazione, rappresentano diversi piani
dal permiano fino al trias inferiore. Esse sono connesse in par-
ticolar modo coi calcari neri e cogli scisti marnosi di Piccolein
e Nombladè presso San Martino nella valle del Gader, che la
Carta del Tirolo rappresenta in gran parte come calcare alpino
inferiore e che da Richthofen, verso la loro parte superiore, fu-
rono aggiunti ai suoi strati di Seiss ; essi sono da riguardarsi
come appartenenti al permiano superiore o come membro in-
termedio fra la formazione permiana e il trias, e sarebbero equi-
valenti in parte al gruppo dello Zechstein, in parte all’ arenaria
rossa triassica.
9° If complesso di strati calcarei ora rammentati, molto
sviluppato nelle Alpi Meridionali, compreso fra gli strati più pro-
fondi dell’ arenaria di Gròden e gli strati di Seiss, contiene nelle
parti più alte dei passaggi alla fauna di questi ultimi strati con
Fosid. darai e nelle più basse degli indizi di una nuova fauna
mista permiana o permiano-triassica. Io credo che una quantità
di forme che io trovai in una escursione fatta in compagnia del
signor von Hauer allo scopo di fare ricerche sulla esistenza di
una fauna più antica in questi calcari, si possono riferire assai
bene a specie della formazione permiana. Unitamente al Belle-
— 55
rophon sp., Falaechinus sp. (King), Spirifer sp., Turbo cf. Thom-
sonianus King, Avicula cf. speluncaria Schlot. sp., Mytilus cf.
Fallasi de Vern., vi sono alcune forme paleozoiche trovate da
Hòrnes che accennano ad una tale fauna di passaggio.
10° La circostanza che anche nelle montagne della valle
della Gail alla base del sistema triassico compaiono faune che
differiscono da quelle finora conosciute dell’ orizzonte triassico
inferiore, fa credere, dietro le suesposte osservazioni, che nelle
Alpi Meridionali possano trovarsi faune di transizione che riem-
piano i vacui attualmente esistenti tra la fauna marina della
formazione carbonifera e di quella triassica.
VII.
La formazione permiana nelle Alpi Meridionali,
Nota di G. Stache.
(Estratto dai Verhandlungen der k. k. geolog. ReicTis., 1874, N. 15.)
A conclusione delle notizie già pubblicate ‘ sopra 1’ esistenza
della formazione permiana nelle Alpi Meridionali, V autore dà
un breve cenno sulla estensione e sulla costituzione del com-
plesso di strati che ivi si trovano tra il carbonifero superiore
e il trias.
Come importante appendice ai dati già pubblicati, mette in
rilievo il resultato delle precedenti ricerche sui petrefatti tro-
vati nel calcare bituminoso delle valli del Gader e delFAfferer.
Sebbene in seguito ad una più copiosa raccolta di materiali
e ad uno studio più esatto ne possa derivare una precisa e spe-
cifica determinazione, nulladimeno si può fin d’ ora ritenere con
una certa sicurezza questa fauna come permiana superiore. An-
che i resti di una piccola fauna con nuove specie rinvenuta a
Sud di San Martino negli strati a Bellerophon di questo gruppo
in una escursione intrapresa per studiare questa zona calcarea,
mostrano certi stretti rapporti colle forme permiane da mettere
‘ Ved. la nota precedente.
56 —
fuori di dubbio la corrispondenza di questi strati e della sotto-
stante arenaria di Grbden colla formazione permiana superiore;
inoltre le precedenti ricerche di E,. Hoernes sui calcari fossiliferi
raccolti nel complesso di strati già citato presso il piano a JBeì-
leropJion (VerhandUtngen 1874, N. 14), dettero a questa opinione
un nuovo appoggio. L’ autore constatò in questi calcari grigi che
di prevalenza trovansi al Ruefenberg presso le sorgenti dell’Af-
ferer, la presenza di Froductus, Ortliis e Spirifer e osservò che
una parte di esse era molto analoga alle specie già conosciute
della formazione permiana.
La formazione permiana delle Alpi Meridionali, come può ri-
levarsi dalle ricerche fatte fino al presente, sta in stretto legame
col trias in alto e col carbonifero superiore in basso. Se nel
complesso degli strati rossi di Werfen o più specialmente degli
strati detti di Campii dal von Richthofen si può scorgere un
equivalente del Fbth, allora è appunto nel complesso conosciuto
col nome di arenaria di Groden che si comprendono tanto le
arenarie variegate {Buntsandstein) quanto la parte superiore del
permiano, ed un più esatto studio insegnerà di quanto l’una deve
esser tenuta separata dall’ altra.
Il carattere petrografico e paleontologico è oltracciò, tanto
ad Est come ad Ovest, molto differente da quello della zona
principale dei porfidi quarzitici permiani del Tirolo meridionale.
Ad Ovest nella zona permiana del gruppo dell’ Adamello, della
Val Trompia e delle Alpi bergamasche al Sud della Valtellina,
prevalgono fino dalla epoca carbonifera le formazioni dei conglo-
merati, delle arenarie e dei tufi con resti di piante terrestri e
influenzate dalle eruzioni dei porfidi quarziferi. Nella parte più
orientale (catena carnica) comincia il predominio delle formazioni
calcaree e dolomitiche al limite della formazione carbonifera su-
periore, e questo predominio si mantiene fino al trias inferiore.
Soltanto in alcuni punti, come in special modo nella zona com-
presa tra la Gail e la Brava, prende anche qui un grande svi-
luppo la formazione dell’arenaria rossa. A maggior prossimità a
Nord e ad Est della zona dei porfidi quarzitici, come ad esem-
pio nel tratto compreso tra la valle di Sexten e la zona delle valli
del Gader, dell’ Afferer e di Groden il carattere petrografico
cambia affatto; alla formazione arenacea si sostituiscono degli
— 57 —
strati calcarei che compariscono appunto nel piano più alto del
sistema permiano. Una disposizione analoga sembra aver luogo
in molti punti del limite Est, Sud ed Ovest della zona delle fil-
ladi quarzose dei monti di Cima d’Asta, e si osserva anche nei
dintorni della valle di Ulten al Sud di Merano uno stretto le-
game degli strati calcarei colla arenaria rossa permiana.
Dappoiché le ricerche di dettaglio nella zona della forma-
zione permiana alpina, come pure la raccolta dei fossili carat-
teristici animali e vegetali trovansi ancora nei loro primordii, così
r autore spera con lavori successivi di poter stabilire una com-
parazione e un parallelismo tra questa e le formazioni permiane
della Kussia, della Germania, dell’ Inghilterra, dell’ America, ec.
NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE.
JuLES Brune AUT, ing. Ci vii. — De VExploitation des Soufres.
Paris 1874.
Questo libro è specialmente dedicato all’ Italia, dappoiché essa
possiede i più grandi e più ricchi giacimenti di solfo conosciuti
al presente, potendosi asserire senza tema di errare, essere essa
r unica produttrice di questo importante metalloide. Scopo pre-
cipuo dell’Autore é stato quello di dimostrare che l’ industria del
solfo in Italia produce una parte ben meschina del frutto di cui
é suscettibile, e che la causa principale di ciò sta nel difetto di
una legge che ne determini l’ incremento.
Incomincia infatti col citare le diverse legislazioni minera-
rie che vigevano coi cessati governi, enumera i vantaggi e i
danni da esse arrecati alla industria mineraria in generale, e
viene alla conseguenza che la legge Sarda del 1859 é la mi-
gliore ed é la sola che possa dare maggiore sviluppo alla indu-
stria solfifera della Sicilia. A tal fine fa vedere quanto siasi
accresciuta la produzione nelle Romagne dal 1868 al 1871, ove é
in vigore la legge Sarda, e di quanto é diminuita in Sicilia nello
stesso periodo di tempo per il difetto di una legislazione.
— 58 —
Viene quindi a fare la descrizione topografica e geologica dei
giacimenti solfiferi, ed incomincia con una breve discussione sulla
formazione dei terreni italiani. Descrive in prima il bacino solfi-
fero di Apt nel dipartimento di Val chiusa in Francia, il quale
è in via d’ esplorazione e sembra offrire buone speranze. Parla
poi della zona solfifera delle Komagne e la illustra con diversi
profili geologici : quindi scende alla Toscana, accenna brevemente
al bacino solfifero romano ed alla formazione vulcanica che si
estende dal Monte Amiata al Vulture, e poi entra a discorrere
dei principali giacimenti solfiferi italiani, quelli cioè della Sicilia.
Dopo di ciò fa una breve storia della lavorazione delle mi-
niere in Italia, e descrive i mezzi impiegati attualmente per la
coltivazione del solfo in Sicilia, nelle Romagne e in Vaichiusa.
Mette a nudo gli inconvenienti che si verificano specialmente in
Sicilia per la mancanza di viabilità, per V inerzia degli operai e
per la poca abilità dei preposti alla lavorazione. Parla del modo
con cui sono esercitate le miniere del solfo, riguardo alla esca-
vazione ed estrazione dall’ interno della miniera, come anche ri-
guardo alla aereazione di esse e al trasporto del minerale ai
luoghi di deposito. Dimostra che i mezzi adottati allo stesso scopo
nelle Romagne sono relativamente molto migliori.
Viene poi a dare delle speciali descrizioni minutamente par-
ticolareggiate di alcune lavorazioni solfifere ed incomincia dalla
Sicilia. Dice che nelle provincie di Catania e Caltanissetta so-
pra 457 miniere constatate, solamente 70 sono coltivate. Nelle
provincie di Trapani, Girgenti e Palermo sono 563 constatate,
delle quali 67 sono abbandonate e 150 poco lavorate. Anche
nelle Romagne, di 35 giacimenti solfiferi, soli 17 sono attualmente
lavorati essendo gli altri abbandonati per cause diverse.
Come conclusione dei suoi studi, 1’ Autore espone alcune con-
siderazioni generali sui sistemi da adottarsi per ottenere un mi-
glioramento nella coltivazione delle miniere di solfo. Ritorna nuo-
vamente sulla necessità di una buona legislazione mineraria che
tuteli gli interessi nazionali : dimostra P utilità delle scuole
minerarie e propone i mezzi migliori sia per la lavorazione in-
terna, sia per i trasporti alla superficie.
L’ ultima parte di questo lavoro è dedicata al trattamento del
minerale di solfo. In essa sono descritti gli antichi sistemi di
— 59 -
estrazione del solfo dalla sua roccia in uso anche oggidì (calcarella
e calcarone)^ ne sono rappresentati gli inconvenienti e sono discussi
metodi nuovi, alcuni fondati sull’ impiego del calore di contatto
per la liquefazione del solfo, altri sull’ applicazione al medesimo
oggetto del vapore d’ acqua, altri finalmente sullo impiego del
solfuro di carbonio. Presenta infine un progetto di fabbricazione
dell’ acido solforico e del solfato e carbonato di soda, il quale
crede incontrerebbe poche difficoltà in Sicilia; e dimostra che
l’Italia, la quale fornisce così abbondante quantità di solfo,
potrebbe emanciparsi dalle altre nazioni per 1’ acquisto dei pro-
dotti che da esso derivano.
CENNO NEGROLOGICO.
Annunziamo con dolore la morte dell’ illustre geologo G. B. G.
d’ Omalius d’ Hallot avvenuta, dopo lunga e dolorosa malattia,
a Bruxelles il 15 gennaio 1875.
Egli era nato a Liegi il 16 febbraio 1783. Fu Senatore,
membro dell’ Accademia Beale del Belgio, della quale fu pre-
sidente nel 1850, corrispondente dell’ Istituto di Francia e membro
della Società Geologica di Parigi: pubblicò un gran numero di
lavori scientifici, fra i quali citeremo i seguenti
1831. Eléments de géoìogie.
1833. Introduction à la geologie.
1841. JDes rocìies considérées minéralogiquement.
1843. Précis élémentaire de géoìogie.
1853. Abrégé de géoìogie.
oltre a molte Memorie inserite nei periodici scientifici della
Francia e del Belgio.
^ 60 —
Bibliografia mineralogica, geologica e paleontologica
della Toscana.
(Continuazione. — Vedi Bollettino 1874, N. 11-12.)
in. Paleontologia.
In questa terza parte si comprendono tanto gli scritti di Pa-
leozoologia e Paleoetnologia che di Paleofitologia.
Alberti Luigi. Sopra alcuni fossili donati all’ Accademia Yaldarnese. —
V. Meni. Vàldarnesi, tom. Ili, pag. 9. Pisa, 1842.
Appelius F. L. Catalogo delle Conchiglie fossili del Livornese desunto
dalle collezioni del defunto G. B. Caterini. — Y. Boll. Malacolog..,
tom. III. Pisa, 1870.
Baldassari Giuseppe. Descrizione di una mascella fossile straordinaria
trovata nel territorio Sanese. — Y. Att. Acc. Fisiocrit, tom. Ili,
pag. 243. Siena 1767.
Brocchi G. B. Conchigliologia fossile subappennina ed osservazioni geo-
logiche sugli Appennini e sul suolo adiacente. Milano, 1814, ri-
stampa, 1843.
Caluri Francesco. Osservazioni sopra una conchiglia fossile non alterata
creduta di un nuovo genere, ritrovata dentro un’ altra conchiglia
fossile non alterata della campagna senese. — Y. Att. Acc. Fisiocr,,
tom. ni, pag. 262. Siena, 1767.
Cantraine F. Malacologie méditerranéenne et des terrains tertiaires
italiens. — Y. Nuov. Meni, de VAc. r. d. Se. et bell. ìettr., tom. XIII. 1840.
Capellini Giovanni. Sulla Balena etnisca. — Y. Acc. Ist. Se. Bologna
ser. 3, tom. III. Bologna, 1873.
Fossili dei dintorni di Porretta. — Y. Boll. Coniit. geol. Ital.
N. 7-8, 1874, pag. 248.
Cocchi Igino. Sulla supposta antichità delie società umane nella Italia
centrale. Firenze, 1864.
Lettere su di un sepolcreto umano scoperto in Firenze. — Y. gior-
nale La Nazione N. 148 e 153. Firenze, 1864.
Di alcuni resti umani e degli oggetti di umana industria dei
tempi preistorici raccolti in Toscana. — ■ Y. Meni. Soc. ital. Se. Nat.,
tom. I, N. 7. Milano, 1865.
L’uomo fossile nell’ Italia centrale. — Y. Bleni. Soc. ital. Se. Natur.,
tom. II, N. 7. Milano, 1867.
Su due scimmie fossili italiane. — Y. Boll. Comit. geol. Ital. nu-
mero 3-4. 1872.
* Nel giornale La Nazione di Firenze, del 27 febbraio 1872, parla delle
scimmie fossili di Monte Bamboli e Val d’Arno Superiore.
61
Cocchi Igino. Catalogo N. 1 della collezione centrale italiana di Paleonto-
logia. — Raccolta di oggetti dei tempi preistorici. Firenze, 1872.
D’Achìardi Antonio. Di alcune caverne e brecce ossifere dei monti Pi-
sani. — Y. Nuovo Cimento, voi. XXV, pag. 305. Pisa, 1867.
Della Grotta ali’ Onde nel Monte Matanna (Alpi Apuane). —
V. Nuovo Cimento, voi. XXVI, pag. 32. Pisa, 1867.
Sulla probabile esistenza di resti di antichissime industrie umane
nella così detta terra gialla di Siena. — V. Boll. Comit. geol. Ital.,
X. 11-12. Firenze, 1872.
Dami G. B. Sul Museo dell’Accademia Valdarnese e sugli oggetti ivi
depositati fino dall’ anno 1845. — V. Mem. Valdarnesi, tom. IV, parte
scient. pag. 18. Pisa, 1855.
D’ Ancona Cesare. Sulle Xeritine fossili dei terreni terziari superiori
dell’ Italia centrale. — V. Bull. Malacol. Italiano, An. II, X. 2.
Pisa, 1869.
Malacologia pliocenica italiana. — V. Mem. Comit. geol. Italiano
voi. 1 e voi. II. 1871-73.
Davidson Thomas. On Italian tertiary Brachiopoda. London, 1870.
De Saussure ^
De Stefani Carlo. Fossili pliocenici dei dintorni di S. Miniato; mollu-
schi bivalvi ed univalvi. — V. Bollettino Malac. It. Pisa 1873.
Foresi Raffaele. Prodotti dell’ industria primitiva dell’ uomo all’ isola
d’ Elba. — V. giornale II Diritto del 24 agosto 1865.
Dell’ età della pietra all’ isola d’ Elba e di altre cose, che le fanno
accompagnatura. Lettera al prof. Cocchi. Firenze, 1865.
Sopra una collezione composta di oggetti preistorici trovati nel-
l’ isole dell’ Arcipelago Toscano e inviati alla mostra universale di
Parigi del 1867. Lettera a L. Simonin. Firenze, 1867.
Friger. — V. Saemann.
Gastaldi Bartolommeo. Intorno ad alcuni fossili della Toscana e del Pie-
monte. — Mem. Ac. Se. Torino. Torino, 1865.
Gaudin Charles. Xote sur quelques emprumptes végétales des terrains
supérieurs de la Toscane. — Bull. Soc. Vaudoise de Se. Natur., X. 41.
Lausanne, 1857.
Gaudin Ch. e Strozzi G. Mémoire sur quelques gisements de feuilles de
la Toscane. Zurich, 1858.
Contribution à la flore fossile italieiine. I Val d’ Arno, Zurich, 1859.
II Massa Marittima, Zurich, 1859. Ili Travertin^hoscans, Zurich, 1860.
Gervais Paul. Coup d’oeil sur les mammifères fossiles de l’Italie, suivi
de la déscription d’une éspèce nouvelle provenante des lignites de
Monte Bamboli. — V. Bull. Soc. geol. France, ser. 2, tom. XXIX,
pag. 92. Paris, 1872.
Sur un singe fossile d’éspèce non encore décrite, qui a été de-
scrisse sull’ Elba, ma non so che cosa, nè dove.
1
- 62
couverte au Monte Bamboli. — V. Compt. rend. Ac. Se., tom. LXXIY
6 mai, 1872. Paris.
Giuli Giuseppe. Sopra il cavallo fossile gigante, 1835.
Lawley Roberto. Sopra i resti fossili di pesci trovati ad Orciano. —
V. Mem. Soc. tose. Se. nat., 31 maggio 1874. Pisa, 1875.
Major C. J. Note sur des singes fossiles trouvés en Italie, précedée d^un
apergu sur les quadrumanes fossiles en général, Milan 1872.
La faune des vértebrés de Monte Bamboli. — Y. AU. Soc. Itàl.
Se. Natur., voi. XY, fase. lY. 1873.
Bémarques sur quelques mammifères post-tertiaires de l’Italie,
suivies de considérations générales sur la faune de Mammifères
postertiaires. — Y, Att. Soc. ital. Se. Natur., voi. XY, fase. Y. 1873.
Ueber fossile Rhinoceros-arten Italiens. — Y. Verhandlungen d. h.
le. geol. BeicJis., 20 jan. 1874.
Sopra alcuni Rinoceronti fossili in Italia, — Y. Boll. Comit. geol.
Ital, N. 3-4. 1874.
Considerazioni sulla fauna dei Mammiferi pliocenici e postplio-
cenici della Toscana. — Y. Mem. Soc. tose. Se. Natur., maggio 1874.
Pisa, 1875.
Manzoni Angelo. Saggio di Concbiologia fossile subappennina.^ Fauna
delle sabbie gialle. Imola, 1868.
Briozoi fossili italiani. — Y. Sitsh. d. le. Ale. d. Wissenscìi. Bd. LIX.
Wien, 1869.
Manzoni Angelo e Gentiluomo Cammillo. Annotazioni al saggio di Con-
cbigliologia fossile subappennina. Fauna delle sabbie gialle. —
Y. Boll, malacol. Ital, voi. III, N. 1, pag. 24. Pisa, 1870.
Martini Francesco. Ragguaglio sull’ escavazione dei fossili della pro-
vincia Yaldarnese. — Y. Mem. valdarnesi, tom. Ili, parte 2. pag. 1.
Pisa, 1842.
Meneghini e Savi. Nuovi fossili del Yerrucano, Pisa, 1851.
Meneghini Giuseppe. Nuovi fossili toscani. — Y. Ann. Univers. toscane,
tom. III. Pisa, 1853.
Notice of thè recent advances of Palaeontological discovery in
Tuscany. — Y. The report ofthe Brit. Assoc. avanc. Se. Dublin, 1857.
Descrizione dei resti di due fiere trovate nelle Ligniti mioceniche
di Monte Bamboli. — Y. Att. Soc. ital. Se. Natur., voi. lY. Milano, 1862.
Dentex Mùnsteri, specie di pesce delle argille subappenniniche
del Yolterrano. — Y. Ann. Università tose., tom. YIII. Pisa, 1864.
Mitra Caterinii. Nuova specie di Conchiglia. Livorno, 1868.
Studi sugli Echinodermi fossili neogenici di Toscana. — A. Siena
e il suo territorio. Siena, 1862. {Continua.)
‘ Sono segnatamente rammentate le conchiglie fossili di Vallebbiaja presso
Fauglia (provincia di Pisa).
(Continuazione.)
Memorie per servire alla descrizione della Carta teologica
d’Italia. — Volume II, Parte P; Firenze 1873. — 272 pa-
gine in-4° con 11 tavole, due Carte geologiche ed incisioni
intercalate nel testo.
Comprende le seguenti Memorie :
Introduzione. — Monografia geologica dell’ Isola d’ Ischia,
con la Carta geologica della medesima in fol. e incisioni nel
testo, del professor C. W. C. Fuchs. — Esame geologico della
catena alpina del San Gottardo, che deve essere attraversata
dalla grande Galleria della Ferrovia Italo-Elvetica, con una
Carta geologica in fol. e due tavole di Sezioni in fol., dell’in-
gegnere F. Giordano. — Appendice alla Memoria sulla for-
mazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, con una
tavola, dell’ ingegnere S. Mottura. — Malacologia pliocenica
italiana (Parte P, Gasteropodi sifonostomi) ; fascicolo 2“, con
otto tavole, di C. D’ Ancona.
Prezzo del Voi. IT (Parte P), Lire 25.
Carta Geologica del San Gottardo, nella scala di
1 per 50,000, di F. Giordano. — Un foglio in cro-
molitografia L. 5. —
Carta Geologica dell’Isola d’IscMa, nella scala di
1 per 25,000 di C. W. C. Fuchs. — Un foglio in
cromolitografia L. 3. —
Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica
d’ Italia. — Voi. II, Parte 2^; Firenze 1874. — 68 pag. in 4®
con due tavole. — Contiene la seguente Memoria : B. Ga-
staldi, Studii geologici sulle Alpi Occidentali; Parte T.
Prezzo del Voi. IF (Parte 2^), Lire 5.
Per le commissioni dirigersi al Segretario del E. Co-
mitato Greologico, in Eoma presso il Ministero di
Agricoltura, Industria e Commercio.
Annunzi di pubblicazioni.
C. Marinoni. — La terraraara di Eegona di Seniga e le sta-
zioni preistoriclie ai coniìuente del Mella nell’ Oglio
nella bassa bresciana. — Milano 1874. — Atti della So-
cietà Italiana di Scienze Naturali, voi. 17, fase. 2^ — Pag. 78
in-8‘' con 5 tavole.
P. Strobel. — Intorno all’ origine delle Terreraare. — Firen-
ze 1874. — Archivio per la Antropologia e la Etnologia,
voi. IV, fase. 3 e 4. — Pag. 9 in-8°.
P. Mantovani. — Descrizione geologica della Campagna Ro-
mana.— Torino 1874. — Pag. 116 in-8'’ con 4 tavole e la
Carta geologica.
G. Jervis. — I tesori sotterranei dell’ Italia ; Parte 2^, Re-
gione deir Apennino e vulcani attivi e spenti dipendentivi.
— Torino 1874. — Pag. 624 in-8'’ con tavole.
E. Paglia. — Vaili salse di Sermide nel Mantovano. — Mila-
no 1874. — Atti della Società Italiana di Scienze Naturali,
voi. 17, fase. 2”. — ^Pag. 30 in-8^
M. S. De Rossi. — Rnllettino del Vulcanismo- italiano, perio-
dico geologico ed archeologico. — Anno I, Roma 1874,
pag. 192 in-8° con tavole.
A. Favaro. — Intorno ai mezzi usati dagli antichi per atte-
nuare le disastrose conseguenze dei terremoti. — Vene-
zia-1874. — Pag. 138 10-8".
G. Spezia. — Intorno ad un calcilìro della zona delle pietre
verdi. — Torino 1875 (pag. 14 in-4'' con una tavola colorata).
T. Bertelli. — Osservazioni microslsmiche fatte al Collegio
alla Querce presso Firenze nell’ anno meteorico 1873.
— Roma 1874 (pag. 40 in-4'’ con una tavola).
G. Mazzetti. Catalogo dei fossili miocenici e pliocenici del
Modenese e suoi contorni. — Modena 1874. (Annnario
della Società dei Naturalisti di Modena.) — Pag. 27 in-8“.
C. De Stefani. — I terreni subapennini dei dintorni di San
Miniato al Tedesco. — Pisa 1875, pag. 19 in-8‘’.
M. S. De Rossi. — Analisi dei tre maggiori terremoti ita-
liani avvenuti nel 1874 in ordine specialmente alle
fratture del suolo. — Roma 1875, pag. 76 in-4°.
51.» 3 c 4.
Anno ìm
R. COMITATO GEOLOGICO
D’ ITALIA.
Bollettino N° 3 e 4.
Marzo e Aprile 1875.
ROMA,
TIPOGRAFIA BARBÈRA.
1875
OOÌ^<
Bollettino Geologico per il 1870. — Un voi. in-8° di pag. 324.
» » PER IL 1871. — Un voi. in-8° di pag. 296.
» » PER IL 1872. — Un voi. in-8° di pag. 376.
» » PER IL 1873. — Un voi. in-8° di pag. 400.
» » PER IL 1874. — Un voi. in-8° di pag. 408.
Prezzo di ciascun volume L. 10.
Associazione al Bollettino del 1875 (Anno VP). — Per
r Italia L. 8, Estero L. 10.
I fascicoli bimestrali del Bollettino si vendono anche se-
paratamente al prezzo di L. 2 ciascuno.
Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica
d’Italia. — Volume F; Firenze 1871. — 404 pagine in-4°
con 23 tavole, due Carte geologiche e varie incisioni inter-
calate nel testo.
Comprende le seguenti Memorie :
Introduzione — Studii geologici sulle Alpi Occidentali, di
B. Gastaldi, con cinque tavole ed una Carta geologica. —
Cenni sui graniti massicci delle Alpi Piemontesi e sui mine-
rali delle valli di Lanzo, di G. Strììver. — Sulla formazione
terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura,
con quattro tavole. — Descrizione geologica dell’ Isola d’ Elba,
di I. Cocchi, con sette tavole ed una Carta geologica. —
Malacologia pliocenica italiana (Parte P, Gasteropodi sifo-
nostomi) di C. D’ Ancona ; fascicolo l'’, con sette tavole.
Prezzo del Voi. 1% Lire 35.
Brevi cenni sui principali Istituti e Comitati Geo-
logici e sul B. Comitato Geologico d’Italia, di
I. Cocchi. — Pag. 34 in-4° . . L. 1. 50
Carta Geologica della parte orientale dell’ Isola
d’Elba, nella scala di 1 per 50,000, di I. Coc-
chi. — Un foglio in cromolitografia L. 3. 00
{Continua).
BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO
D’ ITALIA.
K® 3 e 4. — Marzo e Aprile 1815.
SOMMAEIO.
Note geologiche. — I. Sulle rocce impastate entro al Serpentino, per
U. Botti. — IL Considerazioni stratigraflche sopra le rocce più antiche delle
Alpi Apuane e del Monte Pisano, per C. De Stefani. (Continuazione e fine.)—
III. Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica dell’ Italia Meridionale,
per G. Seguenza. (Continuazione.) — IV. Sulla Relazione di un viaggio geo-
logico in Italia di T. Fuchs, per G. Sequenza. — V. Sulla formazione della
Terra Rossa, per M. Neumayr.
Note mineralogiche, — I. Scoperta di minerali d’ argento in Sardegna, per
E. Marchese. — li. Un nuovo giacimento di Allumite, per A. De Lasaulx.
Notizie bibliografiche. — Ed. Suess, Die Erdbeben des sudlichen Italien ;
VVien, 1874.
Notizie diverse. — Terremoti presso l’Etna dal 7 al 20 gennaio 1875.—
Analisi della meteorite di Orvinio. — Studii sui terreni terziari d’ Italia. —
Giacimenti boraciferi nell’America settentrionale.
Cenno necrologico. — Sir Carlo Lyell.
Bibliografia mineralogica, geologica e paleontologica della Toscana,
per A. D’Achiardi. (Continuazione e fine.)
Tavole ed incisioni. — Sezione presa nei dintorni di Pontremoli, a pag. 71.
Dichiarazione.
Avviso.
NOTE GEOLOGICHE.
I.
Sulle rocce impastate entro al Serpentino,
Nota di U. Botti.
Nell’ ultima Memoria del professor Bartolomeo Gastaldi sulle
Alpi Occidentali, recentemente pubblicata dal E. Comitato Geo-
logico del Eegno, si legge un paragrafo del seguente tenore:
« Io non ebbi mai occasione di osservare detriti di altre rocce
» impastati, inglobati entro al serpentino; vidi tuttavia citato
- 68
4|
» questo fatto in un libro di geologia, e desiderava quindi di
» potermi imbattere in qualche cosa di simile. Percorrendo l’estate
» scorsa la valle della Trebbia, mi trovai, senza che me ne fossi
)) accorto, seduto sopra una massa di serpentino diallagico rac-
» chiudente frammenti di alberese, di ftanite, di scisto argil-
» loso, ec. Lieto di poter soddisfare il mio desiderio, io mi posi
» ad esaminare attentamente la roccia, e dovetti convincermi
» eh’ io mi trovava seduto sopra una brecciola, una specie di
» talus di cui i detriti vedevansi perfettamente cementati e come
)) rimpastati. E una roccia rigenerata, ed è tuttavia attraversata
» in più di un senso da vene di crisotilo. ‘ »
Il carattere di singolarità, od almeno di non ordinaria fre-
quenza, attribuito dal chiarissimo Autore al descritto fenomeno
(rocce straniere impastate dal serpentino), mi portò naturalmente
a riflettere, se per caso non mi fosse avvenuto di osservare in
qualche parte alcun fatto somigliante, e non tardai a ricordarmi
di avere infatti studiata una vera breccia o conglomerato ser-
pentinoso, presso a Pontremoli, in Lunigiana. Per la stessa ra-
gione della non ordinaria frequenza di questo fenomeno, io penso
che non sia per riuscire sgradito all’ illustre geologo e mio ve-
nerato amico sopra lodato, non che ai lettori di questo BolleU
tino in generale, che io porga qui notizia di un fatto, che torna
a conferma di quanto Egli stesso, più autorevole osservatore,
ebbe già a veriflcare e descrivere.
Essendo ormai trascorso poco meno di un decennio da che
lasciai la residenza di Pontremoli, dove feci i miei primi studi
di geologia, or non mi affido di compilarne una relazione a me-
moria; ma, ricercando fra le note di studio che prendeva in quel
tempo per ogni giornata di escursione in campagna, una ne trovo
che riassume completamente le osservazioni e riflessioni occasio-
nate da quel fenomeno, che aveva ripetutamente studiato, aven-
domi fino d’ allora colpito ed interessato ; e mi permetterò di qui
trascrivere la detta nota, tale quale è concepita, se anche do-
vesse notarvisi qualche improprietà di linguaggio o di nomen-
'■ B. CtASTALDI, Studi geologici sìdle Alpi Occidentali, parte seconda. Me-
morie per servire alla descrizione della Carta Geologica d’ Italia, pubblicate a
cura del R. Comitato Geologico del Regno, voi. II, parte seconda, pag. 51.
Firenze, tip. G. Barbèra, 1874.
— 69
datura, pur di non spogliarla della sua originaria freschezza,
comecché redatta, quasi direi, sul posto ed in presenza del fe-
nomeno osservato.
Gita, 13 luglio 1865. — Roccie eruttive di Canal d^ Angiolo
e La Costa, presso Pontremoli.
« Le rinnuovate e più diligenti indagini, varie volte eseguite
su questo terreno cristallino, mi hanno stamane convinto che
tre ripetuti sollevamenti hanno quivi sconvolto le rocce sedimen-
tari del periodo cretaceo, che in fatti si vedono in ogni senso
sollevate e contorte.
» Nella parte bassa della valle vi ha una roccia quarzosa,
con pochi grani di mica verde o clorite, che chiamerò Jalomitto.
» Ivi ancora, un conglomerato a cemento granitico rivela una
eruzione di Granito, sebbene questa roccia compatta non mi
venne fatto di osservare. Ciottoli di jalomitto vi sono inclusi, con
altri, e dal granito cementati.
» In alto, sulla Costa, si osserva una roccia decisamente ser-
pentinosa, che può chiamarsi un Gabbro. Forma talvolta un con-
glomerato e ne fan parte ciottoli vari, fra i quali di jalomitto,
di granito alterato e del conglomerato granitico. Evidentemente
è la più recente.
» Considerato bene questo stato di cose ed i reciproci rapporti
delle rocce eruttive sopra nominate, non si può a meno di am-
mettere i seguenti fatti così disposti nel loro ordine cronologico :
I. — Eruzione di Jalomitto, con metamorfismo delle rocce
sedimentari ed arenacee che vi furono interessate e che vedonsi
prendere nel contatto un aspetto leggermente cristallino ed es-
sere penetrate da grani verdi, i quali mineralogicamente ne sta-
biliscono il rapporto col fenomeno eruttivo.
IL — Eruzione di Granito, composto dei suoi più comuni ele-
menti, feldispato, quarzo e mica. Questo fenomeno dette luogo
ad un rimaneggiamento delle rocce preesistenti, e ne risultò un
conglomerato di frizione, che osservasi meglio sviluppato presso
Casa Arzeni.
» A questa od alla precedente eruzione può attribuirsi la
silicizzazione dei scisti galestrini e loro calcari, che vedonsi can-
giati in bellissime ftaniti verdognole.
— To-
ni. — Eruzione di Serpentina^ od almeno di gaz magnesiaci
atti a produrre questo fenomeno, che i moderni considerano di
metamorfismo. Ne risultarono grandi masse di gabbro, e di con-
glomerato includente ogni sorta di rocce, comprese le antecedenti. »
Con questa nota io credo di aver dato la sintesi di tutto
quanto mi venne fatto di notare con ripetute osservazioni e di
concludere intorno al descritto fenomeno, e così credo di aver
detto tutto. Ma altri vorrà forse sapere, in qual relazione si
trovi il conglomerato serpentinoso con le rocce stratificate, ed
10 m’ingegnerò di appagare questo desiderio fin dove la me-
moria e poche note che ne posseggo, mi aiutino.
La piccola città di Pontremoli è costruita, nella sua parte
più antica, sul delta, formato dalla confluenza della Magra e del
Verde, due grossi torrenti che scendono romoreggiando da Monte
Tavola e da Monte Gotra, due quasi opposti vertici, a nord-est
e ad ovest, nel grande arco di cerchio della catena apenninica,
che ricinge e chiude da ovest per nord ad est, T alta valle della
Magra, e questo primo bacino di quel fiume o torrente. Quivi
11 Verde perde il suo nome versando le sue acque nella Magra,
sulla cui sinistra sponda succede il sobborgo, o la più moderna
parte della città di Pontremoli.
Il non ampio bacino è tutto ricinto da monti, e specialmente
ad oriente, sulla sinistra appunto del fiume, si distende, affatto
appresso alla città, una collina allungata, denominata La Costa.
Al di là di questa si ripetono altre parallele consimili colline,
con interposte piccole valli, solcate da somiglianti torrentelli,
chiamati "canali o rii, e così, per breve tratto, si giunge al piede
della catena centrale apenninica, la quale presenta quivi, nel-
P orrido fianco di Monte Orsajo, una gigantesca frattura di ster-
minata altezza, almeno un migliaio di metri, davanti alla quale
si può ad un tempo vedere, con paradossale prossimità, coltivato
in basso P ulivo, in alto rigoglioso vegetare il faggio.
Le formazioni geologiche di questo territorio potrebbero pren-
dersi a tipo del terreno Etrurio del Pilla, perocché quasi esclu-
sivamente vi prevalgano il macigno e P alberese coi loro Fucoidi
del terreno eocenico, gli scisti galestrini e la pietra-forte coi
Nemertiliti del cretaceo superiore.
— 71
Una sola eccezione si verifica nel territorio oltre Magra, dove
la valle di altro grosso torrente, che porta il nome di Gordana,
procedente da ovest ad est, e per conseguenza approssimativa-
mente normale a quella della Magra, oltre alla sua bellezza sel-
vaggia, offre nuovo interesse al geologo per la presenza di rocce
più antiche. Quivi, dopo avere oltrepassato i così detti Stretti
di Giaredo, rinomati così pel fantastico orrore del paesaggio,
come pel bellissimo diaspro zonato, prodotto da intenso meta-
morfismo negli scisti e calcari della formazione cretacea, si scende
appresso sopra un calcare ceroide con selce, stratificato in grandi
masse, nel quale ricordo aver raccolto Aptichi e Belemniti, da
doverlo riferire al periodo giurassico, e più precisamente alla
Majolica inferiore di Lombardia.^
Ma, ritornando alla riva sinistra della Magra e più partico-
larmente alla Costa, io posso dire che questa e le altre colline
che le succedono parallele verso oriente sono costituite princi-
palmente da alternanze di scisti galestrini e di sottili stratarelli
di pietra forte, con caratteristici fucoidi e nemertiliti,^ e da più
massicce stratificazioni di calcare scistoso-marnoso. ^ La qui unita
sezione potrà meglio darne una idea:
a se c se e q c es
a, alluvione — se, scisti con pietra -forte — c, calcare scistoso-marnoso
q, quarzite — ce, conglomerato serpentinoso.
* Avendo fatto dono di questi fossili al R. Museo di Firenze, gli stessi furono
ivi determinati da Zittel e riferiti al piano Titonico. Per quante ricerche ne
abbia fatte, io non posso ora ritrovare queste determinazioni, delle quali ben
ricordo aver preso nota trovandomi qualche tempo appresso al Museo fiorentino,
sulla comunicazione che l’egregio prof. Cesare D’Ancona cortesemente me ne dava.
“ Nemertilites meandri tes Mgh.
» Strozza »
® Coeehi. — Sulla geologia deir alta Val di Magra, Memorie della Società
Italiana di Scienze Naturali, tomo II, n» 5, pag. 9.
- 72 —
Chi volesse percorrere la linea rappresentata da questo ta-
glio, a partire dalla sinistra sponda della Magra, incontrerebbe
dapprima, per brevissimo tratto, un deposito di alluvione mo-
derna, ma passerebbe tosto, al Rio Carpanella, sulla formazione
dei scisti galestrini con subordinati piccoli strati di pietra-forte.
A questa sovrasta una massa di calcare scistoso-marnoso, a strati
inversamente inclinati nei due versanti della Costa. Per conse-
guenza di questa inclinazione a sella rovescia, si ritrovano, di-
scendendo lungo il versante orientale, i medesimi scisti e pietra-
forte, già descritti nell’ opposto versante, per trovare appresso,
dopo oltrepassato il Canal d’ Angiolo, ripetuta la formazione di
calcare scistoso-marnoso, che si inalza con strati inclinati 0. 45“
fino sull’ anticlinale successivo. Quivi si può oservare, presso ad
una casa colonica del dottor Venturini, denominata El Guvel,
una formazione complessa di quarzite scistosa, calcare scistoso
marnoso ed argilla ferruginosa, più volte fra loro alternanti, gia-
cente concordantemente tra la formazione calcarea sopradescritta,
che la ricuopre, ed altra somigliante, che inferiormente le suc-
cede. Con questa si discende ad oriente nel Rio di Pala o di
Calizzana, il cui fondo è occupato dal conglomerato serpentinoso
superiormente descritto, in masse piuttosto ragguardevoli.
Le altre colline e vallecole, coi loro ruscelli o torrentelli, che
si alternano fino a Monte Orsajo, presentano presso a poco le
stesse condizioni stratigrafiche e mineralogiche. Il conglomerato
si vede quasi sempre nel fondo di quelle piccole valli, denudato
dalla erosione del torrente, ma talvolta ancora lo si trova affio-
rare lungo i fianchi delle colline, e se la sezione sopra delineata
fosse stata presa qualche centinaio di metri più a nord, si ve-
drebbe il conglomerato serpentinoso occupare il fondo del Canal
d’ Angiolo ed affiorare nel fianco orientale della Costa, ed in un
punto anche nell’ anticlinale della stessa.
Similmente si osserva lo stesso conglomerato nell’ anticlinale
interposto fra Canal d’ Angiolo e Rio di Calizzana, di fronte al
podere Arzeni ad est, come ad ovest nella valle del Rio Carpa-
nella, presso al podere Eschini, ed in varie altre località; in
guisa che può affermarsi in conclusione:
Che il fenomeno dell’ impasto di rocce straniere entro un
conglomerato a cemento serpentinoso è largamente sviluppato in
quella regione, presso a Pontremoli, che può dirsi circoscritta
entro i lati di un triangolo, formato dai corsi d’ acqua Magra e
Capria ed il monte o altipiano di Logarghena, massiccio contraf-
forte deir Orsajo che si inoltra in direzione di est-ovest.
Non intèndo con questo di affermare che tutte quelle masse
di breccia o conglomerato sieno mineralogicamente identiche, anzi
ben ricordo che in qualche punto sembrano agglutinate per ce-
mento ferruginoso, altrove per cemento calcareo ; ma le uniformi
condizioni di giacimento e di rapporti stratigrafici avendomi por-
tato a considerarle in complesso, ho quindi inteso di darne i ca-
ratteri generali, nè ora mi è concesso, per soverchia lontananza
dai luoghi, di studiarne e riferirne i particolari dettagli.
Io non ebbi d’ altronde con questa nota altro intento che
quello di denunziare un fatto, e di richiamare sullo stesso V at-
tenzione di chi possa avere migliore opportunità di studiarlo.
II.
Considerazioni stratigraficJie sopra le rocce più antiche
delle Alpi Apuane e del Monte Fisano, di Cablo De
Stefani.
(Continuazione e fine. — Vedi Bollettino, N. 1-2.)
Con questo, sono giunto alla fine del còmpito che m’ ero pro-
posto nel descrivere le rocce più antiche delle Alpi Apuane e
del Monte Pisano. Avanti di concludere però, voglio parlare di
una roccia, che si trova in vari luoghi a varie altezze ed in lembi
piccoli ed isolati senza rapporto fra di loro, nel lato occidentale
della catena che sembra avere subito maggiormente la corro-
sione del tempo, e la quale contiene frammenti degli altri ma-
teriali più antichi. E codesta roccia un calcare leggermente rosso
0 giallo, compatto, e finamente stratificato ne’ piccoli tratti nei
quali ha una struttura uniforme ; di solito poi contiene fram-
menti evidentemente rotolati e ciottolosi, di non grandi dimen-
sioni, dei calcari infraliassici o Massici e più di rado di schisti :
— 74 —
qualche volta i frammenti calcarei sono scomparsi, rimanendo
delle cavità riempite da polvere dolomitica o da una rete di cri-
stallini di calcite, in guisa che il calcare assume un’ apparenza
la quale però si distingue da quella degli altri calcari cavernosi,
perchè in questi le cavità si trovano entro la massa stessa,
mentre nel caso attuale sono soltanto esportati i ciottoli estra-
nei rinchiusi. La densa stratificazione delle piccole masse cal-
caree, e r apparenza non dubbia de’ frammenti ciottolosi che desse
racchiudono, dimostrano senza dubbio che il deposito si formava
alla superficie, a spese di materiali, o poco o molto, corrosi dalle
acque. A Capriglia, presso il Palazzo, un calcare consimile con-
tiene frammenti rotolati di roccia infraliassica serbante ancora i
suoi fossili; al Monte Pepora vi sono ciottoli di calcare rosso
ammonitifero, di calcare verdolino e di schisto rosso ; così alla
Mariotta, pure presso Capriglia; altrove, nelle vicinanze, contiene
frammenti di calcare ceroide. Sotto il canale di Santa Maria
della Stregala, presso Capezzano al bottino delle fonti di Pietra-
santa, il calcare cementa elettole tti di più rocce^; alla Porta sulla
criniera del colle fra il Bottino e l’Argentiera, esso forma degli
straterelli quasi orizzontali secondo la direzione della criniera, e
cementa frammenti rotolati di calcare infraliassico con fossili,
e di schisti a battrilli. Sulla destra della valle di Camaiore, in
un lembo situato fra la villa delle Pianole ed i Cappuccini vi
si trova anche del calcare grigio con selce. Questa formazione
calcarea, come ho detto di sopra, ricopre qua e là la superficie
dei colli con una stratificazione inclinata di solito secondo le
pendici ; sembra adunque che si tratti di una specie di traver-
tino deposto in piccoli strati nelle cavità alla superficie delle
roccie della catena, mancano però in quel calcare i fossili, nè l’ ho
trovato ancora in rapporto con rocce più recenti delle liassiche,
per cui non si può dire di preciso a quale epoca appartenga. Questi
travertini che qualche volta possono essere stati confusi collo stesso
calcare cavernoso, forse furono coetanei a quei fatti che resero
cavernosi i calcari antichi sottostanti : le acque che traversarono
questi calcari non lungi dalla superficie, li lasciarono pieni di-
cavità e li metamorfosarono, asportando il carbonato di calce e
lasciandovi il carbonato di magnesia, talché rimasero dolomitici;
sgorgando poi alla superficie, potevano depositarvi il carbonato
— 75 -
di calce tolto alle rocce traversate e formare i travertini inclu-
denti frantumi delle rocce superficiali rotolate. In uno scritto
pubblicato nel 1870/ stando all’ idea di alcuni geologi relativa
all’ origine eruttiva del calcare cavernoso, e parlando di un cal-
care consimile dei colli di Pietrasanta nelle Alpi Apuane, consi-
derai pur questo come eruttivo, e trassi la mia opinione, dal
vedere quel calcare inferiore a certi strati schistosi a Yelichetta,
e dal trovarlo al Borello nel Canale delle Frane, immediata-
mente sovrapposto al calcare marmoreo, per cui ritenevo che si
fosse svolto da questo. Però gli schisti di Yelichetta sono nella
loro posizione naturale, alternanti con straterelli di calcare, forse
infraliassico, divenuto cavernoso, ed il calcare cavernoso del Bo-
rello, sta come altrove in tanti luoghi che ho notati, natural-
mente sovrapposto ai marmi senza intermezzo di schisti, talché
il calcare di Pietrasanta non fa eccezione agli altri calcari ca-
vernosi delle Alpi Apuane.
Delle rocce che sono più recenti di quelle finora descritte,
non parlo per adesso, soltanto mi limiterò ad indicare, comin-
ciando dalle parti più antiche, la serie loro seguente, che si
ritrova particolarmente, anzi quasi esclusivamente sviluppata
nel lato orientale delle Alpi Apuane ed eziandio nell’ Apennino
adiacente.
1. Schisti a Fosidonomyce ed arenarie del lias superiore.
2. Calcari rossi e verdastri probabilmente corrispondenti
ai calcari rossi del lias superiore di Cetona nel Senese.
3. Calcare grigio con selce, corrispondente litologicamente
al Biancone dell’ Apennino centrale, ritenuto Neocomiano dal
Murchison.
4. Calcari zeppi di foraminifere, cretacei inferiori.
5. Argille scagliose e diaspri della creta superiore.
6. Calcari nummulitici eocenici.
7. Macigno, calcare alberese e rocce serpentinose di for-
mazione eocenica.
8. Marne mioceniche di Sarzanello e Caniparola.
9. Argille turchine lacustri delle valli del Serchio e della
’ Note sul calcare cavernoso dei Colli di Pietrasanta nelle Alpi Apuane.
[Nuovo Cimento, Serie II, Voi. IV. Dicembre 1870.)
— 76 ^
Magra, e marine delle colline di Lucca e di Bientina, plioce-
niche.
Quanto alle rocce più antiche del Monte Pisano e delle Alpi
Apuane, ho creduto utile per la scienza e necessario per me che
da vari anni studio quelle regioni, il pubblicare le osservazioni
raccolte ed il rettificare varii apprezzamenti che erano stati fatti
sulle medesime, e che tacitamente consentiti, avrebbero potuto
divenire sempre più tradizionali nelle scuole. Il momento di
queste rettificazioni è del resto opportuno, perchè vivono varii
dei geologi che si sono affaticati nello studio delle rocce più
antiche dell’ Italia centrale, e la discussione che essi possono in-
traprendere, non può a meno di risultare utile quanto mai alla
scienza.
Non ho fatto considerazioni relative alla struttura o, come
direbbero alcuni, alla tectonica del sistema montuoso, cui le
rocce che sono venuto studiando, appartengono. Questo feci in
parte in un altro studio,^ le conclusioni del quale, mantengo
inalterate, osservando intanto che alle medesime si accordano
interamente talqne delle deduzioni tratte dallo Stoppani relati-
vamente ai sollevamenti recenti delle grandi Alpi ; ^ per esaminare
poi di nuovo la questione, onde schiarirla sempre più, converrà,
prima, esporre eziandio gli studi sopra le rocce più recenti del
nostro sistema montuoso. Intanto ripeto che le Alpi x4.puane ed
il Monte Pisano, come la maggior parte dei monti facenti parte
della così detta Catena Metallifera toscana, sembra comincias-
sero a formare un rilievo orografico dopo il terminare del Lias :
dopo r eocene, fino ai tempi nostri, essi non hanno subito spro-
fondamenti ma si sono sollevati, più o meno, insieme con tutta
la regione circostante. Infine, la comunanza della origine e della
storia successiva, deve far sì, che le Alpi Apuane come il Monte
Pisano, sieno definitivamente accettate a far parte della grande
famiglia delle Alpi, che circonda e protegge l’Italia nostra.
Le conclusioni finali geologiche e paleontologiche, le quali dal
presente scritto si possono dedurre sono poi le seguenti.
* Sull’ asse orografico della Catena Metallifera. {Nuovo Cimento, Serie II,
Voi. X, 1873).
^ A. Stoppani. Il mare glaciale a’ piedi delle Alpi. [Rivista Italiana,
77
Gli strati più antichi cristallini, gneissici, schistosi, o dolo-
mitici delle Alpi Apuane e del Monte Pisano, si trovano soltanto
nelle cupole centrali delle elissoidi della valle del Frigido e
della valle di Serravezza.
I calcari marmorei cristallini continuano essi pure la dispo-
sizione elissoide, formando un manto continuo intorno alle due
cupole surricordate. Alla lor volta formano la cupola centrale
di una ripiegatura laterale all’ elissoide versiliese, nella Val di
Castello.
La zona marmorea è costituita inferiormente da grezzoni
fossiliferi e da calcari ordinari, e superiormente dai calcari cri-
stallini e pei fossili in essa contenuti sembra doversi riferire
al trias.
I calcari cristallini suddetti non hanno una potenza costante
e non interrotta, ma sono strettamente connessi agli strati schi-
stosi, cui fanno passaggio, ed entro ai quali formano delle man-
dorle più 0 meno potenti ed alternanti anche più volte.
La formazione dei marmi non sembra esclusivamente dovuta
ad un fenomeno di concentramento dei materiali più puri, nè le
madrimacchie sono un effetto di quel concentramento ; ma queste
rappresentano invece alternanze di veri e propri straterelli schi-
stosi, ^e le masse marmoree formano veri strati come le altre
1
rocce ; nemmeno il metamorfismo è dovuto, come universalmente
ritengono, all’ intervento di filoni ferrei, che non esistono nel mezzo
dei calcari più cristallini.
La massa degli schisti superiori ai marmi, il cui posto viene
talora occupato dai calcari cristallini medesimi, forma un cinto
solo intorno alle due elissoidi di Massa e della Versilia, che in
tal guisa per essi divengono una elissoide sola; formano poi
la cupola centrale dell’ elissoide non perfetta di Camaiore e di
quella perfetta del Monte Pisano, come pure di altre ondulazioni
minori.
Le rocce finora nominate stanno fra loro strettamente con-
nesse e sempre hanno gli strati reciprocamente concordanti.
Gli strati del Capo Corvo alla Spezia corrispondono a quelli
di Strettoia e della Brugiana, e non riproducono in piccolo tutta
la serie degli schisti superiori ed inferiori delle Alpi Apuane,
ma soltanto la parte superiore di questa massa di rocce.
~ 78
Il calcare infraliassico succede direttamente alle formazioni
schistose e marmoree, e forma un cerchio continuo intorno al-
r elissoide centrale apuana, come intorno alla mezza elissoide
camaiorese : forma pure un cerchio, però interrotto dalla denu-
dazione, intorno all’ elissoide pisana, e la cupola centrale del-
r elissoide delle Avane sul Serchio e d’altre ondulazioni minori.
I fossili ed i caratteri litologici del calcare lo fanno riconoscere
per infraliassico.
Sopra all’ infralias, intorno all’ elissoide pisana delle Avane,
e da Capriglia a Monte Preti, e forse altrove intorno all’ elis-
soide centrale apuana, sta un calcare ceroide in strati non molto
potenti, talora scavato come pietra d’ ornamento, e con fossili,
rappresentante il lias inferiore. Questo calcare non è triassico
come aveva supposto lo Stoppani, nè può essere perciò preso a
tipo di calcarie triassiche nelle Alpi Apuane.
Succede in lembi continui intorno alle elissoidi del Monte
Pisano e delle Avane, ed in lembi interrotti altrove un calcare
rosso, spesso con ammoniti, appartenente alla parte più recente
del lias inferiore.
Sta poi nelle stesse condizioni un calcare grigio con selce
pure ammonitifero e di potenza variabile, appartenente al lias
medio.
Gli strati calcarei sopra menzionati, in specie quelli dell’ in-
fralias, sono spesso metamorfosati e ridotti cavernosi, per opera
probabilmente di acque che li traversarono ; non si può dire
quindi che i calcari cavernosi formino lembi di epoca distinta,
nè che rappresentino P epoca triassica.
Quanto alla disposizione dei minerali entro alle rocce de-
scritte, in generale il solfuro di mercurio (cinabro) è sparso in
tutti piani, cioè negli gneiss centrali, negli schisti cristallini
superiori ai marmi, e ne’ calcari Passici ; il solfuro di piombo
si trova preferibilmente negli schisti centrali, come il solfuro
di rame sta con notevole prevalenza negli schisti superiori ai
marmi ; anche 1’ oligisto e la magnetite in grandi masse, sem-
brano stare quasi esclusivamente negli schisti superiori anzi-
detti. Tra i minerali prodotti dal metamorfismo, sono notevoli
poi, r Ottrelite (il minerale è conosciuto con questo nome seb-
bene non esattamente determinato) degli schisti cristallini, dove
— 79 -
sono filoni di quarzo con oìigisto ; e FAlbite, che oltre a trovarsi
frequente in certi fUoni metallici, abbonda talora ne’ calcari di
tutte le epoche, cioè ne’ calcari marmorei, negli infraliassici e
nei liassici.
Segue ora il quadro riassuntivo delle epoche cui si possono o
si debbono riferire i terreni delle Alpi Apuane e del Monte Pi-
sano, passati in rivista, colla distinzione delle epoche cui essi
furono riferiti dagli scrittori antecedenti.
LIAS inper;
~ 80 -
■<
-1 H
U C5
Epoca geologica
SECONDO I DIVEESI GEOLOGI.
SERIE DELLE ROCCE.
Lias inferiore. — Savi e Mene-
ghini {Considerazioni etc.)
Lias medio. — Capellini, Mene-
ghini in Rath.
Neocorniano (Alpi Apuane) Savi
e Meneghini.
Calcari con selce ammonitiferi, di S. Giu-
liano, di Monte Penna, e del Monte di S. Cer-
bone nel Monte Pisano della foce di Baraglia
del Monte dei Sassigrossi, di Repole (tipo),
di Camaiore, di Pescaglia, del Monte Ma-
tanna, di Trassilico, di Calómini, di Vergemoli,
del Monte Palodina, della Prana, di Aiolo,
della Paniella nelle Alpi Apuane, del promon-
torio occidentale della Spezia, deH’Alpo di Cor-
fìno (tipo), e di Monsummano nelPApennino.
o
Lias inferiore. — Savi e Mene-
ghini. Considerazioni sulla
geologia della Toscana.
Lias medio. — Capellini, Mene-
ghini in Rath.
Neocorniano (Alpi Apuane) Savi
e Meneghini.
O
P^
1^
5
Lias inferiore. — Savi e Mene-
ghini, {Cons. etc.)
Trias. — Cocchi.
Trias? — (Monte Pisano) Stop-
pani.
Infralias. — Savi [Sulla costi-
tuzione geologica della Cat.
metallifera.)
Neocorniano (Alpi Apuane) Savi
e Meneghini.
Calcari rossi, gialli o verdi ammonitiferi,
di S. Giuliano e di S. Maria del Giudice nel
Monte Pisano, della foce di Baraglia, del Monte
dei Sassigrossi (tipo), di Camaiore, di Pe-
scaglia, del Monte Matanna, di Trassilico,
dell’Eremita di Calómini, di Vergemoli, del
canale di Rontano, dei Monti di Careg-
giue, del Monte Acuto, di Carrara, di Mon-
tiguoso, di Capriglia e di Montepreti nelle
Alpi Apuane, dell’Alpe di Corfino (tipo), del-
l’Alta Valle deirOzola, e di Monsummano
nell’ Apennino.
Calcari neri ammonitiferi della Spezia
(tipo). Calcari neri di presso Decci, del ca-
nale di Vagli e del Monte Matanna nelle
Alpi Apuane ? — Calcari ceroidi bianchi o
rosei di S. Giuliano (tipo), di S. Maria del
Giudice e di S. Gerbone nel Monte Pisano,
di Vecchiano (tipo), di Bruceto, di Monte
Preti, di Capezzano, di Capriglia? e di Pie-
trasanta? nelle Alpi Apuane, di Campiglia
in Maremma (tipo).
Infralias. — Capellini, Cocchi.
Trias. — Savi e Meneghini.
Trias. — (Calcari cavernosi e
terrosi) Capellini, Cocchi.
Giurese. — (Pecchia) Pareto.
Neocorniano (Alpi Apuane e
Monti della Spezia) Savi e
Meneghini.
Calcari grigio-cupi, compatti o cavernosi,
spesso fossiliferi, e schisti grigio-cupi, di S. Giu-
liano, di S. Maria del Giudice, dei Bagni della
Duchessa, di Asciano, di Agnano, di Caprona,
d’ Uliveto e del Castellare nel Monte Pisano;
di Avane, di Vecchiano, di Camaiore, di Pe-
scaglia, di S. Lucia, di Monteggiori, di Ro-
taie, di Val di Castello, di Pietrasanta, di
Capriglia, di Capezzano, di Montignoso, di
Massa vecchia, di Códena, dì Carrara, della
Tecchia, dì Tenerano, di S. Giorgio, di Cor-
figliano, della Tombaccia, di Roggio, del ca-
nale di Vagli, del Monte delle Capanne, della
Pania, della Torrite dì Gallicano, del Monte
forato, del Procinto, di Matanna, del Monte
di Compito, del Monte di Gabberi, del Monte
Leto, della Culla, del Lombricese etc., nelle
Alpi Apuane; calcari gessificati e compatti di
Corfino, di Sassalbo, di Mommio, di Soraggio,
dell’Ozola, e di A^albona nelPApennino; cal-
cari cavernosi di Lericì e probabilmente di
altre località nel golfo della Spezia ; calcari
grigio cupi compatti e cavernosi delle Alpi
marittime.
- 81
o
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CL(
Epoca geologica
SECONDO I DIVERSI GEOLOGI.
SESIE DELLE ROCCE.
e**
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l-H
P3
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Trias. — Pareto,
Paleozoico Carbonifero. — (Mon-
te Pisano) Savi e Meneghini.
Siluriano. —> Coquand.
Trias (quarziti e calcari semi-
cristallini del Pizzo d’Uccello
e delia Tambura), Permiano
(anageniti) e Carbonifero (ar-
desie, marmi cristallini),
Cocchi.
Lias superiore (schisti sopra i
marmi delle Alpi Apuane). -
Savi e Meneghini.
Lias inferiore e trias (marmi
delle Alpi Apuane) Savi e Me-
neghini.
Neoeomiano (Pisanino, Penna
di Sumbra, Fatonero, Pizzo
d’ Uccello) Savi [Sulla costi-
tuzione geologica eie.).
Schisti cristallini, micaschisti, quarziti, e
anageniti del Monte Pisano, micaschisti di Ca-
maiore, del Lombricese e di Val di Castello ; ar-
desie tegolari, arenarie, cipollini, schisti grafi-
tiferi e bardigli superiori semicristallini, del
Forno Volasco, del Canale delle Mulina e della
valle della Turrite secca; calcari terrosi e ci-
pollini di Turano e del Carrarese, calcari cri-
stallini, superiori, cipollini micaciferi, anage-
niti, quarziti, micaschisti, cloroschisti, ardesie,
gneiss superiori del Carchio, calcari terrosi e
compatti etc., del Monte della Brugiana, della
valle del Frigido, del canal Magro, della valle
di Montignoso, della valle di Strettoia, del
Monte Folgorito, di Ripa, di Serravezza del
canale di Piastra o di Solaio, del canale di
Vagli, e dell’Acquabianca, nelle Alpi Apuane;
calcari e schisti cristallini dei Capo Corvo.
Calcari cristallini, grezzoni fossiliferi, cal-
cari ordinarii con grafite, del Sagro, del Pizzo
d’Uccello, del Pisanino, della Tambura, del-
l’Altissimo, del Carchio, del Monte Costa,
della Cappella e di Trambiserra, del Monte
Cerchia, della Val d’Arni e di Val di Cas-
tello ; cipollini cloritici o terrosi del Carfaro,
di Arni, del Pitone etc.’
d
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(Paleozoico carbonifero. — Savi
e Meneghini.
Laurenziano 0 Prcsiluriano. —
{ Cocchi.
Gneiss, schisti cloritici, grauioake, schisti
grafitici, schisti ardesiaci, cipollini, del Forno,
di Caglieglia, di Antona, dei Guadini etc., della
foce di Vinca, della Valle del Frigido, delle
Valli di Serra e del Giardino, dei canali del
Bottino e di Castagnòla etc.; calcari dolomitici
del Frigido, dell’Altissimo, di Levigliani etc.
1 Nel principio di questo scritto, là dove si discorre delle opinioni dei geologi sull’ età del
calcare marmoreo, si trova il periodo seguente :
« Quando poi il Capellini dimostrò che il calcare della Spezia ritenuto triassico era invece
infraliassico, il Savi ammise che la parte inferiore dei marmi potesse essere infraliassica invece
che triassica; per tal guisa egli poneva nell’infralias gli strati inferiori che supponeva costituiti
dal hardiglio, nel lias inferiore gli strati medii costituiti da calcare bianco ceroide o saccaroide,
e nel lias medio gli strati superiori, formati secondo lui, da un calcare rosso e grigio con o
senza selce. »
A codesto periodo deve essere sostituito il seguente.
« Quando poi il Capellini dimostrò che il calcare della Spezia ritenuto neoeomiano era invece
infraliassico, il Savi, lasciando nel trias gli strati inferiori dei marmi che supponeva costituiti
dal hardiglio, ammise che gli strati medi costituiti da calcare bianco ceroide o saccaroide potes-
sero essere infraliassici, e lasciò nel lias inferiore gli strati superiori, formati secondo lui, da
un calcare rosso e grigio con o senza selce. »
6
III.
Stiidii stratigrafici sulla Formatone pliocenica
deW Italia Meridionale^ per G. Seguenza.
(Continuazione. — Vedi Bollettino, N. 1-2.)
§ 8. — La fauna delia sona superiore
del plioceno antico.
La fauna di questa zona è molto ricca e variata, è dessa la
fauna del plioceno tipico da tanto tempo esplorata nella por-
zione littorale dei mari di quell’ epoca e perciò ben conosciuta,
ma invece poco nota in quanto riguarda i depositi submarini, e
quindi in quella porzione che abitava le grandi profondità dei
mari pliocenici ; a simiglianza della fauna dei mari attuali di cui
si conoscono bene le specie littorali e ci sono^ quasi sconosciute
quelle dei mari profondi.
L’ Italia settentrionale e media ci offre quelle sabbie e quelle
marne del plioceno tipico ricche di specie littorali, invece è l’Italia
meridionale che abbonda specialmente di depositi dei mari pro-
fondi, nei quali, come già accennammo, è una fauna affatto di-
versa da quella, eppure esattamente coetanea. Lo studio di que-
st’ ultima quindi completa la cognizione della fauna pliocenica,
essendoché la porzione delle grandi profondità comprende delle
specie affatto diverse e sinora ben poco studiate. Ed è veramente
notevole, che gli studii stratigrafici conducano a riguardare sic-
come esattamente coetanei dei depositi che racchiudono due
faune affatto diverse, tanto differenti che le specie comuni ai due
terreni sono delle vere eccezioni, e d’ ordinario s’ incontrano con
estrema rarità nell’ uno, se comuni nell’altro, dimanierachè le due
faune vicendevolmente si completano, per costituire insieme la
fauna pliocenica la più ricca.
Questo fatto veramente importante e notevolissimo per le
deduzioni geologiche, fa contrasto non lieve colla somiglianza
grandissima che la fauna littorale di questa zona pliocenica pre-
senta con quelle della zona precedente e seguente ; ma esso trova
— 83 —
un esatto riscontro nell’ epoca attuale, tra i rapporti che ci of-
frono le faune littorali e le profonde, che talvolta anco a brevi
distanze sono completamente diverse.
Siffatta grande diversità tra faune di terreni coetanei F ab-
biamo già notata nella zona precedente ; ma in quella che attual-
mente esaminiamo, la vediamo riprodursi sopra grande scala e
vieppiù distinta, essendoché la zona superiore dell’ antico plioceno
vastamente estesa dall’ uno all’ altro estremo del suolo italiano,
mostrasi ripartita come in due distinte regioni con faune com-
pletamente diverse; dalla Toscana in su è costituita da depositi
littorali, da Livorno e dalle colline di Roma in giù, da depositi
di mari assai profondi, e quindi con fauna niente somigliante a
quella del plioceno tipico.
Nell’ Italia meridionale adunque la fauna dei mari profondi
sostituisce quasi dappertutto la fauna littorale, sennonché qua e
là in vicinanza dei monti più antichi occorre di vedere, come
dicemmo, dei lembi di depositi littorali, i quali racchiudono quella
fauna pliocenica classica, tanto comunemente sparsa nell’Alta Italia.
La fauna submarina di cui discorro, é distintissima, non solo,
ma benanco si presenta con una meravigliosa uniformità, essendo
sempre identica a sé stessa in tutti i luoghi dove si estendono
i depositi di mari profondi spettanti a questa zona. Essa poi é
variatissima e ricca di specie di ogni classe animale. I mammi-
feri mi hanno offerto alcuni denti di Delfino, di cui gli uni sem-
brano appartenere al D. Cortesii Cuv. e qualcuno forse al D.
Brocchii Bals. I pesci vi hanno lasciato numerosi residui, ma so-
pratutto bisogna ricordare i variatissimi otoliti e i comuni denti
di squalidi, dei quali ricordo le specie seguenti: Càrcharodon
megalodon Agass., G. Bondeletii M. H., specie che vive nei nostri
mari, Oxyrhina Desori Agass., 0. isocelica Sismonda, 0. mi-
nuta Agass., Lamna crassidens Agass., Odontaspis contortidens
Agass., 0. duhia Agass. ec. ^ e molte altre specie che bisogna
tuttavia studiare. I crostacei poi hanno lasciato numerosi resi-
dui di specie anco assai grandi, ma d’ ordinario in cattivo sta-
to, il gruppo degli entomostracei colle loro minime conchiglie
‘ Quasi tutte queste specie furono dal signor R. Lawley raccolte ad Orciano
in terreno coetaneo. (Vedi: Pesci ed altri vertebrati fossili del plioceno toscano).
— 84
bivalvi, hanno contribuito alla formazione di quei depositi mar-
nosi, le specie vi sono numerose, ma tuttavia non studiate ; una
specie molto comune è la Bairdia subdeltoidea^ tuttora vivente.
Il gruppo dei Cirripedi poi, pel Messinese e pel Keggiano, è di
altissima importanza, essendo dei fossili estremanaente comuni.
Il genere Verruca ci offre cinque specie comunissime, cioè la
V. stromia Muller, la V. Zanclea Seg., la Y. dilatata Seg. , la
V. Eomettensis Seg., la V. erebricosta Seg.
Fra le specie abbondantissime abbiamo poi taluni cirripedi
peduncolati. Così lo Scaìpellum Zandeanum Seg., specie gigan-
tesca e somigliante a talune della creta, lo S. Micheìottiammi
Seg., diversissimo ed affine allo 8. quadratimi Dixon dell’eoceno,
le Scillcelepas carinata PhiL ed ornata Seg. — Incontransi ancora
più 0 meno sparse, il Balanus myìensis Seg. , l’ Acasta muricata
Seg., il Byrgoma costatum Seg., la Coronula bifida Bronn, il
Pacliylasma giganteum Pliil. ^ I molluschi poi sono importantis-
simi e speciali : i Pteropodi abbondano dappertutto, i Gasteropodi
spettano a gruppi particolari e d’ ordinario per la maggior parte
sono delle piccole specie, così ancora i Lameliibranchiati; i Bra-
chiopodi poi formano un gruppo importantissimo, perchè ci offre
specie assai distinte e comunemente sparse. I Briozoi, tuttavia
non studiati, formano in taluni luoghi intieri strati, e sono sparsi
anco comunemente dappertutto nelle marne e nelle sabbie, e bi-
sogna pur dirlo, che hanno contribuito molto all’ aumento di quei
depositi. Gli echinodermi sono notevoli pei Crinoidi : un Penta-
crinus comune, che da lungo tempo denominai P. Zancleanus,
un Bourgueticrinus sparsissimo, alcune Gomatule, ed altri residui
varii; gli Echinidi ci offrono assai sparsi lo Stirechinus Scillce,
Desor, la Lejocidaris histrix Lk., e varie altre Cidariti con
qualche Echinus e spatangoide. Un gruppo importantissimo poi è
quello dei Corallarii, che ci offre forme svariatissime, e coralli
sì numerosi e variati da formare dei veri banchi madreporici, in
taluni luoghi molto sviluppati. La famiglia degli Isidiani ci offre
V Isis melitensis Goldf. e 1’ J. peloritana Seg. — I turbinolidi poi
formano un importantissimo gruppo, che mi ha offerto forme
* Ved. Studi paleontologici intorno ai Cirripedi terziarii della provincia
di Messina.
85
numerose ed assai varie. 11 genere GaryophylUa diciotto specie,
il nuovo genere Cerafocyathus Seg. colle sue trentaquattro spe-
cie, è proprio caratteristico delle marne di questa zona, siccome
r altro nuovo genere affine Stephanocyathus Seg. colle sue tre
specie, il genere Desmophyllum, ricco di venti diverse specie, il
Conotroclms typus Seg. , e sette specie di Flabeìlum. I banchi
calcarei poi sono formati dagli Oculinidi e dai Madreporidi a
cui si associano i Desmophylli e le Garyophyìice. Fra i primi, il
genere Lophohelia con tre specie, il genere Amphihellia con due,
ed il genere JDiplohelia con quattro ; tra i secondi, la gigantesca
Goenopsammia Scillce Seg., la Balanophyllia irregularis Blainv.,
la JDendropìiyllia cornigera Blainv.^ Finalmente i Foraminiferi,
colle loro infinite spoglie, formano la parte principale della massa
tutta delle rocce di questa zona, i generi e le specie vi sono
assai numerose.
Tanta varietà di organismi non ci offrono al certo i sedimenti
a fauna littorale di questa medesima zona; infatti ivi sono i mol-
luschi che predominano sopratutto, e costituiscono una fauna ben
ricca; ma tra questo gruppo di viventi, i Gasteropodi e i La-
mellibranchiati, prendono il predominio sulle altre classi, essen-
doché i Pteropodi e i Brachiopodi, sì abbondanti e sì comuni
nella fauna submarina, divengono una vera eccezione nella litto-
rale, e quelli invece compariscono colle più variate forme pro-
prie dei mari caldi, e sono rappresentati da grandi e numerose
specie, tra le quali sono notevolissime ed atte a distinguere
questa zona dal plioceno più recente i Coni, le grandi e nume-
rose Pleurotome, le Terebre, le Cancellarle, e poi i variati Mu~
rex, Nasse, Fusus, Gardife, Venus, ec. ec.
Le altre classi animali in questi depositi, a fronte di tanto
sviluppo dei molluschi, quasi scompariscono e non hanno al certo
che minima importanza.
I depositi marnosi di Monte Mario e presso Livorno, e le
sabbie di Calatabiano da me ricordati, sono strati a fauna inter-
media, che collega benissimo insieme i sedimenti littorali e i
submarini di questa zona. Infatti le sabbie marnose di Calata-
‘ Ved. Disquisizioni paleontologiche intorno ai Corallarii fossili dei ter-
reni terziari della provincia di Messina.
86
biano associano a Gasteropodi e Lamellibranchi littorali, Gaste-
ropodi, Lamellibranchi, Pteropodi e Bracbiopodi dei sedimenti
• submarini, ai quali si annettono benanco numerosi polipai dei
mari profondi, come dissi nel precedente paragrafo. Siffatta mi-
scela fa credere che quei depositi si costituirono a media pro-
fondità.
Un fatto importantissimo viene in appoggio alle mie conclu-
sioni. Nelle pesche fatte in questi ultimi anni, nelle grandi pro-
fondità del Mediterraneo e dell’ Atlantico, si è venuta sollevando
una fauna che è affatto diversa dalla vivente, conosciuta nelle
piccole profondità; in essa furono scoperti non pochi molluschi,
che trovansi nei depositi submarini della zona che esamino, e
con essi un Fentacrinus e varii coralli, quello probabilmente
identico al P. Zancleanus, questi in parte corrispondenti a varie
specie degli strati messinesi.
Ma nessuna specie fu rinvenuta a quelle profondità, che si
trovasse fossile in seno alla fauna classica veramente littorale
del pliocene, il quale invece ha le sue specie identiche- alle vi-
venti nella fauna littorale odierna.
Ecco adunque un legame importantissimo tra la fauna at-
tuale e le due sezioni di quella del pliocene antico, legame che
conferma precisamente le deduzioni tratte dallo studio dei fos-
sili in sè stessi.
La distinzione dei depositi in littorali e submarini in questa
zona ancor più estesi che nella precedente, mi ha fatto adottare
nell’ enumerazione delle specie del seguente elenco la medesima
partizione di tutte le località in due categorie, mettendo come
intermedie quelle altre che ci offrono una fauna mista, la quale
è documento eloquentissimo per la esatta coetaneità delle due
nature di depositi a fauna completamente diversa.
Fra le molte località di cui mi sono prefìsso di presentare
la fauna malacologica nel seguente elenco, ve ne ha molte a
fauna submarina e poche a fauna littorale dell’Italia meridio-
nale, e come è ragionevole l’inverso per l’Alta Italia.
Fra le località a fauna littorale dell’ Italia meridionale ne
ho considerato due soltanto che mi sono meglio note, cioè Al-
tavilla presso Palermo e Santa Cristina in Calabria.
Altavilla ci offre il tipo dei depositi littorali di questa zona,
— 87 —
e la loro fauna studiata primieramente dal Calcara, quindi dal
Libassi, dal Brugnone, dall’Aradas ec., ci presenta belle e nume-
rose specie per la determinazione delle quali mi sono valso so-
pratutto della collezione che possiedo, in parte raccolta da me
stesso, in parte procuratami per mezzo di vari amici. Non ho
trascurato di enumerare benanco quelle specie che furono tro-
vate da varii esploratori, e che mancano nella mia collezione.
La località di Santa Cristina ci offre un lembo di questo
plioceno littorale, in mezzo alle rocce cristalline, che racchiude
poche specie di fossili.
Tra i moltissimi luoghi a fauna littorale che potrebbero sce-
gliersi nell’ alta e media Italia, io ho preferito quelli di cui ho po-
tuto io stesso esaminare la fauna.
E primieramente della Toscana ho scelto la località di Or-
ciano, ricca di ben conservati fossili, da dove la fauna malaco-
logica mi è ben nota grazie alle belle comunicazioni e raccolte
avute dai signori C. D’ Ancona e K. Lawley.
Devo alla cortesia di quest’ ultimo gentilissimo signore una
collezione dei fossili dei vari luoghi di Val d’ Era, ed un no-
tamente di tutte le specie che non possiedo; così nella quarta
colonna ho voluto riunire insieme tutte le specie di questi vari
luoghi.
Grazie alle belle ricerche del prof. Capellini e del dottore
Foresti, posso presentare nella quinta colonna i fossili della zona
superiore dell’ antico plioceno del Bolognese di cui possiedo bella
collezione.
Nel 1864 ho raccolto io stesso nell’ Astigiano, in due diverse
località, i fossili di questo periodo, che presento in due altre
colonne ; un luogo presso Asti mi ha offerto i fossili in sabbie
gialle, l’altro per nome Cornaré, presso Castelnuovo, in marne
sabbiose bianchicce.
Finalmente ho voluto scegliere benanco la fauna littorale di
un lembo tra i più settentrionali presso Masserano che è stato
esaminato dal prof. Gastaldi ^ e da dove possiedo una colle-
zione, che devo alla gentilezza del signor cav. L. Rovasènda.
Ho creduto ancora di grande importanza il confronto della
* Studii geologici sulle Alpi occidentali.
88 ~
fauna di questa zona italiana con quella degli strati coetanei
di Biot in Francia. Valendomi per ciò del catalogo del signore
Bell ^ ho enumerato nella nona colonna del mio elenco le specie
che quel terreno ha di comune colle località italiane da me con-
template. Tale comparazione dimostra ad evidenza come gli strati
coetanei, formatisi in condizioni identiche, presentano identica
fauna anco sino a grandi distanze.
Seguono quindi tre colonne addette ai luoghi che offrono una
fauna mista.
Così la decima è pei fossili che il sig. G. B. Caterini scuo-
priva in un deposito di marne poco lungi da Livorno, e che fu-
rono poscia pubblicati dal signor Appelius,^ dei quali possiedo
una collezione avuta dallo stesso Caterini. L’ undecima è addetta
ai fossili di Calatabiano cotanto istruttivi, che io stesso ho rac-
colto nei lembi di pliocene sparsi lungo la pianura di Calata-
biano tra Giardini e Piedimonte, da me le molte volte visitata.
La duodecima pei fossili delle marne di Monte Mario, che mi
furono forniti dal signor Bigacci.
Le cinque colonne addette ai depositi a fauna submarina of-
frono i fossili di cinque luoghi dell’Italia meridionale.
La tredicesima riunisce le specie di Gerace, Siderno, Mona-
sterace, tre località del lato orientale della provincia di Keggio ;
nel primo luogo i fossili furono raccolti dal Fuchs, nel secondo
da me stesso, nel terzo dal Philipp!.
La fauna malacologica dei vari luoghi dei dintorni di Peg-
gio da me stesso raccolta è riunita nella quattordicesima co-
lonna.
L’ elenco che dà il Philipp! della Valle Lamato è il più atto
a dimostrare in quel luogo il terreno che esamino, quantunque
senza dubbio in quel catalogo vi si trovano miste delle specie
di zone più recenti, che io eliminerò come saprò meglio.
Al Capo Plemmirio presso Siracusa la zona superiore del-
Pàntico pliocene è formata di depositi di mari profondi, ed io ho
voluto inserire anco i pochi fossili di questa località siccome la
più meridionale da me conosciuta.
‘ Catalogue des mollusques fossiles des marnes bleues de Biot, près Antibes
(Alpes-Maritiraes).
* Catalogo delle conchiglie fossili del Livornese ec.
- 89
Infine le varie località del Messinese non meritano alcuna
distinzione, essendoché i vari lembi di questa zona presentano
fauna affatto identica, la quale studiata da me con cura sin da
molto tempo, mi si presenta siccome della più alta importanza,
la riunisco quindi in unica colonna, la diciassettesima.
Nelle due ultime colonne infine, come nei precedenti elenchi,
è indicata V abitazione mediterranea e nordica delle specie tut-
tavia viventi.
Ho creduto benanco conveniente di disgiungere le specie dei
depositi littorali da quelle dei depositi di mari profondi, ripartendo
ciascun genere in due gruppi, di cui il primo è costituito dalle
specie littorali, ed il secondo dalle submarine, intercalando tra le
due sezioni quelle specie rare che sono comuni alle due nature di
depositi. Per la distinzione poi ho fatto seguire il numero d’ or-
dine di ciascuna specie dalla lettera l per le littorali, s per le
submarine e c per quelle che sono comuni alle due nature di
depositi,^ ovvero che si sono trovate nei sedimenti a fauna mi-
sta nei luoghi contemplati nell’ elenco. {Continua).
IV.
Sulla relazione di un viaggio geologico in Italia
per T. Fuchs. Nota di G. Seguenza.
Nei fascicoli 9 e 10 del 1874 del Bollettino del E. Comitato
Geologico davo alla luce alcune mie osservazioni sulla relazione
del signor Teodoro Fuchs intorno ad un suo viaggio geologico
in Italia; il signor Fuchs si è fatto a rispondere alle mie note
critiche nei fascicoli 1 e 2 del 1875 del periodico medesimo,
ed io sarei lietissimo secolui se sui diversi punti controversi, che
toccano la stratigrafia, noi fossimo venuti in accordo, come sopra
* È importante notare come per ispecie littorali e submarine qui s’ inten-
dano le specie raccolte esclusivamente nei depositi di questa zona, che si for-
marono a piccole 0 a grandi profondità, essendo d’ altronde agevole il capire
come taluni individui di specie dell’ una possono essersi miste alle specie che
vissero nell’altra zona.
— 90 —
i
taluni altri pei quali il disparere era cagionato realmente da
taluni malintesi.
Difatti il signor Fuchs asseriva che pria del suo viaggio non
conoscevasi il calcare di Leitha in Italia, ma alle mie osserva-
zioni in contrario, egli soggiunse che intendeva parlare della
penisola italiana, ad esclusione delle isole, ed io accetto di buon
grado una tale dichiarazione.
Un altro malinteso viene segnalato dal signor Fuchs intorno
al paragone da lui istituito tra il calcare miocenico di Castel-
lina e di Rosignano ed il calcare concrezionato di Messina e di
Gerace, paragone che mi ha fatto credere che il signor Fuchs
avesse voluto ritenere le due rocce siccome coetanee; ma egli
ha dichiarato quindi che non volea farne se non un raffronto
litologico, a fine di far notare dei caratteri di somiglianza petro-
grafica tra le due formazioni, ed io mi acqueto intieramente a
tale dichiarazione.
Mi è d’ uopo cionnonpertanto di far notare che il calcare con-
crezionato di Messina, studiato con cura in tutti i luoghi dove
si presenta, e nelle relazioni che lo legano colle altre rocce,
malamente saprebbe definirsi per una roccia che forma regolari
strati; essa invece costituisce ammassi irregolarissimi alla base
del pliocene, a simiglianza degli ammassi di gesso in seno alle
argille mioceniche, ed in alcuni luoghi siffatti ammassi si ripe-
tono a varii livelli sempre con identicissimi caratteri, interpo-
nendosi agli strati fossiliferi del pliocene antico come vedesi alla
contrada Gravitelli, che è intermedia tra Scoppo e Catarratti,
luoghi studiati dal signor Fuchs. Siffatte ragioni, nel difetto
completo di caratteri paleontologici, credo che valgano bene a
riunire il calcare concrezionato al pliocene. La concordanza colle
molasse mioceniche, e la discordanza dagli strati pliocenici pro-
clamati dal Fuchs credo che non valgano nel caso nostro, essen-
doché la stratificazione del calcare non è quasi mai apparente, e
la estrema irregolarità che io noto nei banchi che esso costituisce
ci vieta di conchiudere alla discordanza cogli strati soprastanti,
che d’altronde racchiudono pure dei banchi affatto identici. Quindi
io credo che le ragioni propugnate dal Fuchs per annettere al
miocene il calcare concrezionato, sieno di poco valore a fronte
di quelle per le quali io sono portato a riunirlo al pliocene.
- 91
In qualunque modo il calcare concrezionato di Gerace è coe-
taneo a quello di Messina, ed il signor Fuchs avendo vaghezza
di annunciarci la scoperta del miocene in quei luoghi, avrebbe
potuto additarci nei terreni di Gerace una formazione miocenica
ben più autentica di quello che non sia il calcare concrezionato.
Dal lato settentrionale di Gerace si estende una serie di col-
line, che si dirige verso oriente sino alla fiumara di Siderno,
costituite da vere molasse più o meno sciolte, che elevandosi
scoscese sulle argille scagliose che si estendono a settentrione,
formano da quel lato un ciglione che corre quasi diritto dal
paese alla valle. Negli strati superiori di tali sabbie non vi si
rinviene che qualche raro modello di bivalvi, tra i quali è suf-
ficente avere riconosciuto la Cardila louanneti ed un gigantesco
modello di Venus che bisogna rapportare alla Vemis umbonaria
Lamarck. Negli strati più bassi presso la valle si raccolgono dei
grandi pettini, più comunemente in frammenti, delle Ostree, dei
Clypeastri ec., e la roccia è ripiena della Operculina complanata
D’ Orb. Le specie dunque che io posso ricordare sono le seguenti :
Pecten Pesseri Andr. ; P. aduncus Eichw; P. scabreìlus Lamk;
Osfrea Poblay Desh.; Clypeaster pyramidalis Michelin; Opercu-
lina complanata D’ Orb.
Questa roccia dunque porta seco nei fossili la fede di bat-
tesimo, ed il signor Fuchs, che non la vide, avrebbe potuto ri-
conoscerla siccome il vero ed autentico rappresentante del mio-
cene, del quale senza dubbio ne rappresenta più d’ una zona.
Correggesi poi il signor Fuchs dell’ errore commesso nel rap-
portare al miocene le argille scagliose del territorio di Gerace,
e si meraviglia che nella mia rivista non abbia notato un tale
errore, che egli giudica siccome il più importante.
Non entrava nel mio programma il discorrere delle altre for-
mazioni, mentre mi attenni a parlare soltanto del pliocene di
Gerace, ed infatti trascurai di parlare del miocene di cui tenni
parola qui avanti, nè volli toccare la più grave quistione del-
r età delle argille scagliose, nella definizione della quale non mi
sarei certamente contentato di dire che le argille che si esten-
dono formando la base del pliocene di Gerace non spettano al-
r epoca miocenica ma sono delle vere argille scagliose, dappoiché
ben si conosce oggigiorno, ed in Italia specialmente, come tale
92
roccia ricomparisca pressoché coi medesimi caratteri nelle for-
mazioni di diverse età geologiche; vedonsi infatti argille sca-
gliose nel cretaceo, nell’ eoceno, nell’ oligocene, e financo nel
miocene e nei varii periodi di siffatte epoche geologiche. Nel-
r Italia meridionale, come in tanti altri luoghi d’ Europa, là dove
mancano i fossili nelle argille scagliose (ed è il caso più ordi-
nario) riesce arduissimo determinare precisamente la loro età.
Le argille di Gerace intanto parmi che si ripartano in due zone,
la superiore con istrati di calcare bianco a fucoidi e talvolta a
piromaca, con limonite e siderioso in istrati ed arnioni, con are-
narie quarzose che terminano la serie, spetta senza dubbio al-
r oligoceno, e vedesi sviluppata specialmente dal lato nord-ovest.
La zona inferiore poi rappresenta l’ eoceno superiore e medio.
La stratigrafia e paleontologia che ho studiato in tanti diversi
luoghi dove le argille scagliose si presentano nel Messinese e nel
Reggiano, siccome nelle provinole di Palermo e di Catania con-
fermano a pieno tali vedute.^
Quanto riguarda poi il mio apprezzamento "delle rocce plio-
ceniche di Gerace, sia per quanto spetta alla tettonica, come
per la definizione del periodo cui ciascuno strato appartiene,
parmi che mi tocca più da vicino e con maggiore ragione, sia
anco perciò stesso che il signor Fuchs mi crede a tale riguardo
in grave errore.
Il signor Fuchs è perfettamente d’ accordo colle mie vedute
nel riconoscere nell’ Italia meridionale un pliocene recente ed un
pliocene antico ; ma se egli avesse esaminato con maggior cura
e sopra più vasta estensione gli strati dell’ ultima epoca ter-
ziaria si sarebbe agevolmente accorto che tanto il recente plio-
cene quanto 1’ antico si dividono naturalmente ciascuno in due
zone distintissime e ben riconoscibili dovunque per marcatissime
differenze paleontologiche.
Le due zone del pliocene antico in tutta l’ Italia meridionale
si presentano non solamente distintissime ma benanco discordanti.
La zona inferiore è costituita da marne a foraminiferi in
^ Ved, Brevissimi cenni intorno la serie terziaria della provincia di Mes-
sina e Deir Oligoceno in Sicilia. — In questi due lavori credo di aver dimostrato
stratigraficamente e paleontologicamente l’età diverse delle argille scagliose
deir Italia meridionale.
— 93
cui grandemente predominano la Globigerina o le Orbuline, e
vengono esclusi quasi intieramente i resti di altre classi animali,
soltanto qualclie rarissima volta e per vera eccezione vi si trova
qualche spoglia di mollusco. Vi si trovano inoltre delle sabbie
0 dei conglomerati, più o meno miste di calcare, le quali invece
sono dappertutto caratterizzate dall’ abbondanza di Balani, di
Pettini, di Ostree, di Brachiopodi. Queste due diverse forme
litologiche, in gran parte originate dalla diversa profondità dei
mari, ora si associano, talvolta alternano, sovente mutuamente
si sostituiscono, in tutti i casi le due diverse faune che racchiu-
dono le caratterizzano a meraviglia e dovunque. L’ Amphistegina
milgàris vi si trova sempre, ora sparsa con rarità, e più spesso
con grande profusione ; ed invece manca affatto nel pliocene recente.
La zona superiore dell’ antico pliocene formata da marne più
0 meno sabbiose, che talvolta alternano con strati calcarei, rac-
chiude una fauna variatissima propria dei mari profondi. Tutte
le classi dei molluschi vi hanno numerosi rappresentanti, in cui
molto abbondano i brachiopodi, e tutte le altre classi animali vi
mescolano insieme le loro spoglie, formando un tutto che caratte-
rizza a meraviglia questa zona, distinguendola dalla precedente.
Dappertutto nelle provincie di Messina, di Peggio, di Pa-
lermo, di Catania, di Siracusa gli strati della zona superiore del
pliocene antico poggiano in discordanza su quelli della zona infe-
riore, la quale sopra grandi estensioni mostrasi del tutto isolata,
ed in taluni luoghi si eleva a grandi altezze.
Perlochè la quistione non verte soltanto intorno al pliocene
di Gerace, ma bensì sul pliocene dell’ Italia meridionale tutta,
anzi direi meglio di tutta Italia, dappoiché ormai il pliocene
tipico dell’ alta e media Italia si riparte in due zone che credo
di aver dimostrate sincrone delle due zone del pliocene antico
delle provincie meridionali.^
Il signor Fuchs studiando il pliocene presso Messina e quello
di Gerace ha insieme confuse le marne delle due zone, che in-
tanto sono distinte stratigraficamente e paleontologicamente. Egli
ha dato un elenco di fossili raccolti presso Gerace, che spettano
’ Ved. Studii stratigrafici sulla formazione pliocenica delV Italia meridio-
nale. [Bolletiino del R. Comitato geologico, anni 1873-74-75.)
94 —
tutti alla zona superiore, provengono perciò da un lembo di
marne soprastante a tutta la serie pliocenica rappresentata nelle
pittoresche vedute e sezioni che il signor Fuchs annette al suo
lavoro, e che tutta intiera deesi rapportare alla zona più antica.
La contrada Tenda posta sulla sinistra del torrente di Si-
derno è la più atta a dimostrare la successione stratigrafìca delle
rocce plioceniche che formano il limitrofo monte di Grerace. Di-
fatti dal lato del torrente una roccia di arenaria molto calcari-
fera racchiude Balani, Pettini ed Amphistegine proprie della
zona inferiore del pliocene, e risponde al membro superiore sab-
bioso del monte di Gerace, che si erge dirimpetto. Sopra questa
roccia poggiano immediatamente delle marne grigio-biancastre,
che costituiscono una serie di colline estendentisi verso Siderno.
In tale roccia sono sparsi dei fossili che spettano alla zona
superiore dell’ antico pfioceno, in parte rispondenti alle specie
che il Fuchs raccoglieva presso Gerace in un lembo di marne
esattamente coetaneo alle colline di cui discorro, e quindi come
queste posteriore alle sabbie ed arenarie calcarifere di Gerace,
e con più ragione posteriore alle marne che a queste sottostanno.
Quindi io conchiudo che il signor Fuchs ha commesso un primo
errore nel confondere le due marne distintissime, spettanti alle
due zone del pliocene antico; questo mio giudizio, emesso già
altra volta, e che ora confermo e convalido, è una legittima
conseguenza delle idee che possiedo sulla costituzione del plio-
cene, e che mi procurai con lunghi ed assidui studii compara-
tivi, i quali sono benanco guarentigia non poca delle idee che
professo. E se progredendo nei miei studii ho dovuto grado
grado modificare le mie vedute a riguardo dell’ età e della par-
tizione dell’ ultimo terziario dell’ Italia meridionale, non mi è
occorso sinora, nè credo che mi sarà d’ uopo in seguito, di cor-
reggere r ordine di successione stratigrafica delle rocce quale la
riconobbi sin dal principio de’ miei studii. D’ altro canto poi le
rocce di Gerace e di Tenda e le cento diverse località del Mes-
sinese, del Keggiano e delle altre provincie sono sempre là per
attestare la reciproca relazione degli strati, che dappertutto
viene in appoggio alle mie idee.
Confuse insieme le due marne ne veniva per conseguenza che
le sabbie ed i calcari superiori fossero considerati siccome rap-
95 -
presentanti del plioceno recente, ed a ciò il signor Fuclis fu
incoraggiato dagli strati a Briozoi, Balani e Brachiopodi, che le
sabbie racchiudono, essendoché presso Messina il plioceno più
recente offre delle sabbie con Balani e Briozoi. Ma siffatti dati
paleontologici, a dir vero troppo generici, inducono facilmente in
errore allorché s’ invocano per determinare il sincronismo degli
strati. Difatti strati ricchi di Briozoi, di Balani e di Brachiopodi
si vedono dappertutto nelle quattro zone del plioceno, e quindi
non valgono a nulla per la distinzione stratigrafica, se non si
ricorre alla definizione delle specie di tali fossili. Quindi il
signor Fuchs é stato indotto in un secondo errore riguardando
le sabbie calcarifere di Gerace siccome coetanee alle sabbie del
più recente plioceno, e ciò per aver confuso le due marne del
plioceno antico, e per aver creduto ad una apparente somiglianza
paleontologica. Ma basterebbe P Amphistegina vulgaris profusa-
mente sparsa in quelle sabbie per attestare la loro età, essen-
doché tale fossile manca affatto nel plioceno recente e caratte-
rizza dovunque la più antica zona di quest’ epoca. Un’ altra
esattissima osservazione fatta dal signor Fuchs avrebbe dovuto
premunirlo contro questo errore e metterlo in guardia ; egli no-
tava infatti che le sabbie di Gerace per gradazioni insensibili
passano alle marne ed alternano con esse, lo che attesta chia-
ramente che le marne e le sabbie si collegano in unica forma-
zione che non può esser suddivisa.
D’altro canto le sabbie del plioceno recente, di ben altro
aspetto e con ben altri fossili possono benanco osservarsi in
quelle contrade. Sopra le marne fossilifere di Tenda, di cui ho
parlato sopra, poggiano taluni strati di grossolane sabbie che
coronano le vette di talune colline, racchiudendo la fauna pro-
pria della zona inferiore del plioceno recente, della quale mi
basta ricordare la Terébratula Scillae Seg. ; la T. minor Phil. ;
la Terebratulina caput-serpentis Lin. ; la Megerlia truncata Gin. ;
VArgiope decollata Chemn., ec.
Quanto poi alla contradizione in cui ha creduto sorprendermi
il signor Fuchs raffrontando il mio scritto con quanto oralmente
io gli avea manifestato, é anco questo un altro equivoco in cui
é incorso. Ed in vero allorché egli mi parlò della sua visita a
Gerace io non conosceva quei terreni ; fu lui che mi presentò la
- 96 -
sezione del plioceno, ed insieme pochi fossili riferibili alle se-
guenti specie : Nassa limata Chemn. ; N. costulata Brocchi ; Turbo
filosus Philippi; Natica Broccliii Philippi; JDentalium élephanti-
num L. ; Nuciila sulcata Bronn. La sezione presentava dal basso
alP alto un conglomerato, delle marne e delle sabbie calcarifere ;
ed il signor Fuchs nell’ offrirmi i fossili enumerati dissemi che
provenivano tutti dalle marne, e siccome quelle specie spettano
alla zona superiore del plioceno antico, io dichiarai allora, e so-
stengo oggi, che le marne che le racchiudono spettano a tale
zona,^ quindi le mie idee a tale riguardo sono restate immutate
e restano immutabili, quindi la contradizione che credesi di sco-
prire non esiste. Ma siccome allora il signor Fuchs, come oggi
sostiene, mi manifestava che quei fossili offertimi venivano dalle
marne rappresentate nella sezione, io dovea necessariamente rap-
portare all’ età di quei fossili le marne e quindi ringiovanirle e
più ancora le sabbie soprastanti; vorrà perciò il signor Fuchs
credermi in contradizione? Ma è ciò un volermi attribuire un
errore stratigrafìco che non è mio e che invece gli appartiene
di pieno diritto. Dappoiché, come di sopra ho detto, quelle con-
chiglie furono raccolte in marne che sono posteriori non solo
alle marne della sezione ma benanco alle ultime sabbie.
Da tutto ciò si capisce benissimo che il signor Fuchs avrà
ben lungo attendere finché io abbia modificate le mie idee in
modo da convenire colle sue. Venga piuttosto a visitare nuova-
mente il nostro plioceno, e lo studi! con maggior cura di quella
usata la prima volta, e qualora con documenti irrefragabili sarà
per dimostrare inesatte o anco erronee le mie vedute io sono
sempre pronto a ricredermi.
* In queir epoca siffatta zona del plioceno era da me chiamata Zancleano
superiore; oggi invece ho dimostrato che risponde esattamente all’ Astiano del
Pareto.
97
V.
Sulla formazione della Terra Bossa,
Nota del Dott. M. Neumayr.'
In quasi tutti i distretti nei quali compariscono calcari puri
formanti degli altipiani in guisa da venirne impedita una rapida
asportazione di detrito dalla superficie, si ritrova disteso alla
superficie o accumulato in cavità imbutiformi o dolline un fango
rosso molto ricco in ferro. Sugli altipiani delle montagne del
Giura, sui selvaggi pianori dei massicci calcarei delle Alpi e so-
pratutto nella regione del Carso nel S.E. dell’ Europa, trovasi
questa formazione che noi chiamiamo dal nome col quale è co-
nosciuta in quest’ ultima località, cioè di terra rossa. Anche il
celebre fango rosso ossifero di Pikermi, non è altro che terra
rossa accumulata nell’ epoca miocenica in una vallecola, e che sta
col marmo del Pentelico nello stesso rapporto come la terra rossa
in Istria e Dalmazia col calcare del Carso.
La perenne concomitanza del calcare e della terra rossa ha
già da gran tempo fatto nascere il sospetto che la presenza di
quest’ ultima sia subordinata all’ esistenza del primo, e che essa
non sia altro che 1’ ultimo residuo insolubile dello sfacimento del
calcare per 1’ azione delle intemperie. Infatti è appena possibile
il dubitare della verità di questa supposizione, se pensiamo che
in nessun altro caso presentasi la terra rossa fuorché insieme al
calcare ; certamente trovasi, per esempio in Dalmazia e in Istria,
una fanghiglia rossa anche sull’ arenaria del flysch, però solamente
in prossimità del calcare del Carso od in maniera che la sua pre-
senza può facilmente venire spiegata ammettendo il dilavamento
di un deposito di trasporto.
La stessa origine del fango rosso degli altipiani calcarei dob-
biamo ascrivere anche al fango rosso che riveste dappertutto le
grotte dei monti calcarei ed in parte rappresenta il residuo della
dissoluzione del calcare che un tempo riempiva le caverne,
* Vedi: Verhandl. der k. k. geolog. Reichs., 1875, n. 3.
— 98 -
e in parte vi può essere penetrato dall’ alto attraverso le spac-
cature.
Il principio della formazione della terra rossa ha avuto luogo
per le varie località in epoche assai diverse ; però, ovunque la
vediamo in grandi masse, sembra che sia in via di formazione da
un tempo lunghissimo. Così i resti de’ vertebrati che trovansi
•sugli altipiani e nelle spaccature dei monti del Giura fanno ri-
portare il principio di questa formazione fino all’ epoca dei pa-
leoterii ; il fango rosso del Carso contiene Hippoterii e altri resti
delia seconda fauna miocenica, in Gulo e in altre località quelli
dell’ epoca diluviale ; noi possiamo perciò in molti casi determi-
nare r età di ciascun giacimento di terra rossa, senza potere rife-
rire r insieme della sua formazione ad un periodo strettamente
limitato.
Può apparire sorprendente che calcari straordinariamente
puri racchiudano silicati molto ferruginosi ; per provarlo sciolsi
negli acidi un calcare bianco il più possibilmente puro e trovai
come residuo una piccola parte di argilla rossa; 71,76 grammi
di calcare del Carso (di Cherso) bianchissimo e puro, trattato
coir acido acetico dette 0, 044 per 7o eli silicato rosso nel quale
erano contenuti circa 20 per 7o di ossido di ferro.
Completamente oscura rimase finora la causa dalla quale
tutti questi calcari ricevettero il loro silicato e precisamente sotto
forma di un’ argilla rossa fortemente ferruginosa : ultimamente
però sonosi scoperti dei fatti in un’ altra località affatto diversa,
i quali hanno messa un poca di luce su questa questione.
Le ricerche della spedizione del Challenger hanno mostrato
che il fango a globigerine che cuopre per spazio immenso il fondo
del mare, ordinariamente non presentasi a profondità maggiori
di 2200 braccia (Faden); più oltre fino a 2700 braccia un fango
grigio, a profondità maggiori ovunque nei diversi mari vi ha sem-
pre un sedimento rosso sottilissimo, ed una argilla molto ferru-
ginosa. L’ estensione generale dell’ argilla rossa e il modo e la
maniera con cui essa passa all’ argilla grigia e questa al fango
tipico bianco a globigerine, hanno schiarito il modo di origine di
questo sedimento e la giustezza di questa spiegazione è stata
dimostrata da esperimenti diretti.
Le globigerine nuotano alla superficie del mare e dopo la
— 99 —
morte cadono al fondo : le loro conchiglie però si mantengono a
profondità minori di 2200 braccia, e per la forte pressione ven-
gono attaccate dall’ acqua del mare, nel quale viene a formarsi
il fango grigio mediante la loro incompleta decomposizione, men-
tre ad una profondità maggiore tutto il carbonato di calce viene
disciolto e resta solo un residuo di silicati. In fatto mostrasi al
trattamento del fango bianco di globigerine con acidi diluiti un
piccolo residuo di un silicato di ferro, il quale corrisponde per-
fettamente al fango rosso delle più grandi profondità marine, e
sembra essere una delle parti componenti il guscio delle globi-
gerine. Per conseguenza non vi può essere alcun dubbio che il
fango rosso delle profondità del mare sia formato dal residuo
insolubile delle conchiglie di globigerine.
È noto che il fango delle globigerine, che per certo non
è esclusivamente composto dai gusci di questa specie di forami-
nifere, è il sedimento calcareo il più esteso nel fondo dei mari
attuali, e ciò dà molta ragione di credere che il maggior numero
dei calcari non siano altro che fanghiglie di foraminiferi conso-
lidate ..e trasformate.
Con ciò viene spiegata V origine della terra rossa : sia che il
fango a globigerine venga disciolto dalle acque del mare sotto
una pressione di 500 atmosfere o per mezzo di acidi, o sia che,
dopo lunghi periodi geologici, trasformato in calcare compatto,
venga dall’ acqua e dall’ acido carbonico disgregato, deporrà
sempre la stessa argilla rossa, e in quest’ ultimo caso formerà
la terra rossa degli altipiani calcarei. Così vediamo che gli alti-
forni che trattano il minerale ferrifero della terra rossa, niente
altro estraggono che le minime quantità di ferro contenute nei
piccoli gusci delle foraminifere, e che anche oggi giorno questo
minerale, viene preparato per via umida, in iscala assai più
grande, sul fondo dei mari.
100
NOTE MINERALOGICHE.
I.
Scoperta di minerali d’ argento in Sardegna.
Nota delVing. Eugenio Marchese.''
Solo chi ha minutamente visitato e studiato quei tratti clel-
r isola di Sardegna nei quali si presenta al giorno il terreno
siluriano può farsi un concetto della ricchezza realmente ecce-
zionale in giacimenti metalliferi che il medesimo presenta.
Le ricerche minerarie che qua e là si vanno facendo nei
limiti di esso, sebbene in iscala ancora di gran lunga inferiore
air importanza e al numero delle giaciture metallifere che tut-
t’ ora rimangono completamente inesplorate, mettono nonpertanto
continuamente allo scoperto nuovi modi dt giacimento metalli-
feri, e nuovi minerali industrialmente coltivabili.
Una delle più recenti scoperte, si è quella di minerali d’ar-
gento in quantità industriale e ricchezza notevolissima ; fatta
nello scorso mese di gennaio in filone regolare del distretto
d’ Iglesias, presso Fluminimaggiore. L’ argento si trova sempre
nel distretto d’ Iglesias in maggiori o minori proporzioni coi
minerali di piombo, dei quali sono, per così esprimermi, innu-
merevoli le giaciture. Esso accompagna la galena nei filoni re-
golari che attraversano la formazione scistosa, come accompa-
gna la galena e il carbonato di piombo nelle giaciture che si
incontrano nella formazione calcarea. Queste ultime possono di-
stinguersi in due grandi classi rispetto alla loro ricchezza in
argento ; i giacimenti concordanti colla stratificazione del cal-
care, ordinariamente poco ricchi in argento : e quelli che attra-
versano la formazione stessa, ^otto forma di filoni regolari di
spaccatura e caratterizzati da matrice quarzosa, ordinariamente
* Comunicata alla R. Accademia dei Lincei dal socio Q. Sella nella seduta
del 14 febbraio 1875. Ved. Atti R. Acc. Lincei, serie tomo II.
-- 101
meno ricchi in piombo ma molto più ricchi in argento. Egli è
su nodesti filoni regolari di spaccatura che i lavori antichi si
trovano più sviluppati, ed hanno raggiunto più considerevoli
profondità dalla superficie (fino 100-150 metri). Ma in tutte que-
ste giaciture fra loro diverse e per la formazione che le con-
tiene e per la natura del vano in cui si sono deposte, e più an-
cora per differenza di matrici, e differenza di direzione e d’età
geologica, sebbene varia sia del pari la ricchezza in argento dei
minerali di piombo che ne contengono, 1’ argento si trovò però
sempre mascherato dalla galena, e veri minerali d’ argento, sui
quali non cada dubbio, non si sono mai rinvenuti ; o per lo
meno non così ripetutamente da poter ritenere la loro presenza
come un fatto d’ importanza industriale o anche solo un fatto
geologico, caratterizzante una data classe di giaciture.
Così stavano le cose fino a tutto il 1870, ed infatti il Sella
nella sua relazione sulle miniere della Sardegna ^ parla della
scoperta di esemplari, ma solo di campioni, di Argento nativo e
di Pirargirite con minerali di nichelio e cobalto ne’ filoni a
matrice di fluorite nella miniera di Nieddoris e cita esemplari
di Argento nativo a Monte Narba nel Sarrabus (pag. 49). Però
più innanzi a pag. 52 egli aggiunge : « Gli antichi che lavo-
» rarono nel distretto di Iglesias menzionarono delle vene argen-
)) tifere nelle giaciture Però nei filoni ai quali abbiam ac-
» connato se trovansi minerali di piombo molto argentifero, non
» venne ancora constatato si trovino veri minerali (nel senso
» industriale) d’ argento, e ci resta così il dubbio sulla vera
» natura dei minerali da cui quegli antichi estraevano l’argento,
)) che pare fosse 1’ oggetto pricipale delle loro ricerche, e di cui
» realmente giunsero ad ottenere una produzione assai ragguar-
» devole, che lasciò al paese la fama di argentifero. Ciò nondi-
» meno essendo vero il fatto essenziale dell’esistenza di minerali
» molto ricchi di questo metallo, ci resta la fondata speranza
» che col proseguire i lavori se ne possano rintracciare cospi-
» cue vene. »
* Q. Sella, Sulle condizioni dell’ industria mineraria dell’ Isola di Sar-
degna, Relazione alla Commissione parlamentare d’ inchiesta. Camera dei De-
putati, tornata del 3 maggio 1871.
102 -
Il pronostico non tardò ad avverarsi. Importanti quantità di
minerali argentiferi si scoprirono nel Sarrabus, nella zona orien-
tale deir isola. Quivi un filone regolare che attraversa dall’ est
all’ ovest la formazione scistosa e che è stato esplorato sopra pa-
recchi chilometri presenta importanti arricchimenti di minerali
d’ argento propriamente detti, ed ha dato luogo ad importanti
coltivazioni. Negli anni 1872-73 e 1873-74 si estrassero 432.
tonnellate di minerale, che diedero 120 tonnellate di piombo e
5605 chilogrammi d’ argento, lochè corrisponde ad una ricchezza
media di 13 chilogrammi di argento per tonnellata di minerale,
e di 4,7 per cento di piombo estratto dal minerale.
I minerali che formano la base di questa produzione sono
r Argentite (solfuro d’ argento) e l’ Argento nativo : accidental-
mente il Kerato (cloruro d’argento) e la Pirargirite (argento
rosso, ovvero solfoantimoniuro d’ argento) oltre Galena, Blenda
e raramente Nichelina e Cobaltina. Le matrici ordinarie sono la
Fluorite, il Calcare, la Baritina, il Quarzo.
Ma nel distretto di Iglesias i filoni regolari di spaccatura
che attraversano la formazione scistosa dei "terreni siluriani non
avevano sinora, al pari dei giacimenti della formazione calcarea,
fornito che minerali di piombo variamente argentiferi ; senza
presentare minerali d’ argento propriamente detti.
Solo alcuni esemplari (d’ interesse esclusivamente mineralo-
gico) d’ Argento nativo, erano stati rinvenuti parecchi anni or
sono nell’ interessante filone di Nieddoris, nel distretto di Flu-
minimaggiore indicato col N. 224 nella Carta mineraria della
Sardegna annessa alla Relazione del Sella. In esso si presenta-
vano contemporaneamente lenti di minerali assai ricchi di ni-
chelio e cobalto, cioè Cobaltina e Nichelina (arsenio-solfuro di
cobalto, e arseniuro di nichelio).
Una prima lente d’importanza realmente industriale venne
scoperta in questi ultimi tempi nel distretto di Iglesias nella
miniera di Perda S’ Oliu situata una mezz’ ora a greco del vil-
laggio di Fluminimaggiore, e segnata col N. 225 nella Carta mi-
neraria annessa alla sovracitata Relazione del Sella. A pochi
passi a nord-ovest dell’ abitato di Flumini si scorge emergere
dal terreno la testata quarzosa di un filone, denominato, dalla
natura stessa della sostanza che lo compone, Perdas de Fogu
— 103
(pietra da fuoco) : in questo punto precisamente lo scisto dal
quale emerge la testata del filone è completamente impregnato
di fossili : è questa la principale località (e si può dire quasi
r unica per la sua importanza) in cui la formazione siluriana di
Sardegna, presenti in quantità importanti le impronte fossili che
hanno servito a caratterizzarla. — Da questa località provengono
quasi esclusivamente i fossili siluriani, illustrati nell’ opera geo-
logica del La Marmora per le cure del Meneghini.
In questa stessa località agli scisti silurii si trova interca-
lato qualche piccolo banco subordinato di calcare compatto di
color bruno, ricco del pari in fossili dell’ epoca siluria, special-
mente ortoceri. La presenza di questi piccoli banchi calcarei su-
bordinati nella massa della formazione scistosa, non è ancora
stata segnalata in altro punto di detta formazione.
Si è pertanto in un terreno perfettamente caratterizzato geo-
logicamente dagli studi del La Marmora e del Meneghini ; sul
quale non mi occorre arrestarmi.
Il filone di Ferdas de Fogu comincia a mostrarsi coi suoi
affioramenti come un filone di spaccatura fra gli scisti dell’ epoca
siluria ; questo affioramento procede regolarmente da ponente
verso levante ; qualche volta emerge in testate sullo scisto cir-
costante, talora invece non appare. Questo vario modo di pre-
sentarsi è probabilmente dovuto alla materia delle sostanze delle
quali il filone è principalmente composto, che sono il quarzo e la
fluorite : secondo il predominio dell’ una o dell’ altra sostanza,
presenta il filone maggiore o minore resistenza alla decomposi-
zione per gli agenti esterni, in confronto del terreno incassante.
Il filone traversa così, procedendo verso levante, la regione Perda
S’ Oliu, formando un percorso totale, sul quale si può seguire
con certezza, di quasi quattro chilometri. Nella regione Perda
S’ Oliu, un piccolo scavo fatto nel letto di un rigagnolo, discen-
dente dal monte che il filone percorre a mezza costa, aveva
messo a scoperto una piccola lente di minerali di nichelio e
cobalto di grande ricchezza. La Nichelina e la Cobaltina vi si
trovavano frammiste irregolarmente, sotto forma di piccolissimi
arnioni, in un quarzo compatto formante una vena secondo la
direzione del filone, costantemente accompagnata ai due lati di
vene di Siderite (carbonato di ferro).
— 104
Nella regione Perdas de Fogu si erano trovati nel filone mi-
nerali di piombo nella matrice fiuoritica; e si sono recentissi-
mamente scoperti minerali di nichelio e cobalto nella matrice
quarzosa come a Perda S’ Oliu. — Questo filone principale con
direzione spiccata da levante a ponente, è intersecato da numerosi
altri filoni secondarii ancora imperfettissimamente conosciuti.
La direzione di questi filoni secondarii è varia, ma pare che
in generale tagli quella del filone principale ad angoli assai forti.
— Tale almeno è la direzione del filone secondario, nel quale
la lente di minerali d’ argento è stata scoperta. — Questo filone
è diretto circa N.N.O., e la galleria stata aperta secondo la
sua direzione ha il duplice scopo di esplorare il medesimo e di
servire di galleria di ribasso per la esplorazione ulteriore del
filone principale, senza andare incontro ad un esaurimento di
acque per via di pozzo.
Nella parte sinora seguitata dalla galleria, il filone si man-
tiene costante in natura e potenza ; il suo spessore saggiato con
qualche traversa è di cinque a sei metri ; esso è composto esclu-
sivamente di fluorite ; in questa si presentano più o meno irre-
golarmente arnioni di galena a grandi faccie, pura, non accom-
pagnata da altri solfuri metallici, povera in argento (venti
grammi per quintale di minerale). — Col raggiungere la zona
argentifera, la natura del filone cambia sensibilmente. La massa
fiuoritica prima amorfa e compatta, sebbene facile a disaggregarsi
presenta delle fenditure nel senso della direzione ; in queste fen-
diture a forma di druse la fluorite si presenta spesso in piccoli
cristalli ; sopra qualcuna di esse si vedono deposte numerose
tavolette di baritina ; nei vani della fluorite si presenta V ar-
gento nativo a laminette, a filamenti, a impregnazioni. Final-
mente colla fluorite si alternano vene di ocra che indicano la
pirite di ferro, come uno degli originari componenti del riem-
pimento argentifero; e in mezzo a queste ocre di ferro si tro-
vano ancora impregnazioni di argento nativo di ricchezza ecce-
zionale. La pirite che ha dato luogo per decomposizione a queste
ocre, è stata ancora da me osservata in qualche pezzo alla mi-
niera nel suo stato primitivo ; essa è compatta, a grano finis-
simo, molto simile ai piccoli nocciuoli di pirite che si trovano
spesso isolati in mezzo alla galena della formazione calcarea, i
105 —
quali pare abbiano sfuggito alle azioni decomponenti che hanno
prodotto le abbondanti ocre che ordinariamente accompagnano
simili galene.
Qualche cristallino di Cerusite (carbonato di piombo) e qual-
che piccola vena di galena trovansi ancora in questa fluorite
argentifera ; ma V aspetto di questa galena è differente da quello
degli arnioni che si trovano nel resto del filone, e probabilmente
si otterrà dal saggio una ben differente ricchezza in argento.
Al di là della lente o zona argentifera che ha proseguito in
direzione per circa dieci metri, e continua in corona ed ai piedi
della galleria di esplorazione, comparve la pirite di ferro, della
quale non fu dato ancora riconoscere se sia o non sia argentifera.
Questi dati sono certamente incompletissimi; ma chi conosce
il lavoro delle miniere, sa che occorre tempo perchè i lavori
stessi procedano innanzi e forniscano i dati geologici che pos-
sono essere sufficienti a stabilire le leggi d’ andamento di un
filone, e quelle del suo arricchimento metallifero. Così pure dal
lato mineralogico occorrono mezzi e tempo per esami e per saggi
che fanno completamente difetto in una miniera appena iniziata,
e non si possono avere che col tempo. In alcuni pezzi dei mi-
nerali dei quali si tratta si scorgono, oltre l’Argento nativo,
leggere impregnazioni di Pirargirite, nella fluorite ; è probabile
che si riconosca anche l’Argentite, come altresì impregnazioni
di Kerato fra quelle abbondanti d’ argento nativo che sono ac-
compagnate dalle ocre.
Così pel rispetto geologico, è tuttora dubbioso se questi mi-
nerali argentiferi siano unicamente propri al filone secondario,
nel quale sono stati incontrati, o se non siano dovuti alla in-
fluenza di un filone o vena parallela al filone principale E. — 0. ;
della quale si vedono tracce alla superficie, e che incontrerebbesi
il primo all’ incirca nei pressi della zona argentifera.
Tutte queste interessantissime questioni non potranno essere
schiarite che fra alcuni mesi, quando la esplorazione e del filone
argentifero, e della vena diretta Est-Ovest siano abbastanza
complete da far conoscere se, e quali relazioni passino fra le
due fenditure metallifere.
— 106 -
IL
Un nuovo giacimento cVAllumitey
Nota del dottor A. De Lasaulx.'’
La maggior parte dei giacimenti d’Allumite fino al presente
conosciuti, rinvengonsi in certo modo collegati alle rocce trachi-
tiche, di modo che può spiegarsene la loro origine, ricorrendo
alle esalazioni vulcaniche.
I più antichi giacimenti conosciuti son quelli di Piombino e
quelli della Tolfa non lungi da Civitavecchia : essi sono intimamente
collegati coi tufi trachitici e coi conglomerati pomicei, e passano
senza intermezzo ad essi, e come essi sono formazioni clastiche.
La pietra d’ allume di Egina, secondo il Virlet, è un prodotto
di decomposizione di rocce compatte trachitiche e trachito-
quarzifere, il quale in causa di un rammolimento collegato con
metamorfismo assunse la struttura di una breccia. Anche le Allu-
miti ungheresi di Bereghszàsz, Tokaj e Musaj sodo collegate colle
rocce e i tufi trachitici, come pure coi conglomerati pomicei. La
nota Allumite del Mont Dorè in Francia trovasi ai piedi del Pie
de Sancy nel cosiddetto Bavin de la Graie parimente in forma di
una breccia che molto assomiglia a quella della Tolfa. E questa
una breccia trachitica, le cui condizioni di giacitura sono molto
difficili a determinarsi ; il^ suo contenuto in Allumite è variabile
ma sempre piccolo, con forte tenore in silice (fino a 28,40 7o
secondo Cordier e Gautier-Lacroze), in ossido di ferro (fino
a 1,93 7o)? e in solfo (fino a 7,33 7o)- L’ Allumite tappezza tal-
volta gli spacchi e le cavità della roccia con piccoli cristalli
romboedrici : le cavità appariscono vuote, o sono ripiene di noc-
cioli gialli di solfo. Talora il solfo presentasi in forma decisa-
mente cristallina. Là dove nelle cavità non è contenuto solfo, vi
compariscono piccoli cristalli di pirite. Tutti questi fenomeni
accennano a sublimazioni di vapori contenenti acido solforico o
acido solfidrico. Anche il giacimento d’Allumite al piede nord
della montagna trachitica di Gleichenberg è spiegabile in modo
* Dal Neues Jahrhuch fùr Min., Geol., und Pah, von G. Leonhard und
H. B. Geinitz. - Jahrg. 1875, H. 2.
— 107 -
analogo, e P analisi di Fridau {Lieb. Ann. LXXVI, 106) sulla
Allumite molto silicifera (50,7 7o) non lascia alcun dubbio intorno
alla provenienza della Allumite dalla trachite. In tutti questi
casi r esalazioni di acido solfidrico dovettero essere collegate
coir acido solforoso o con vapori di acido solforico, i quali ope-
rarono la trasformazione della trachite. Secondo il v. Richthofen,
esalazioni di acido fluoridrico avrebbero iniziato il processo di
formazione delle Allumiti ungheresi, i fluosilicati che ne deriva-
rono si convertirono allora in solfati per opera di vapori acquei
contenenti acido solforico.
Alquanto diverse possono essere state le circostanze di pro-
duzione, dove le rocce primitive non erano trachiti ma arenarie
impure. Così secondo Richthofen T Allumite di Kawa Tjiwidai
nell’ isola di Giava sarebbe stata prodotta dalla trasformazione
di un’ arenaria quarzosa, e per l’ Allumite di Musaj J. Grimm
espresse nel 1837 ‘ 1’ opinione che essa non provenisse da tra-
chiti, ma da arenarie. L’ arenaria che ivi riposa sulla pietra
d’allume, passa gradatamente in questa ultima. Anche dalla
descrizione di una delle colline che racchiudono la pietra d’ allume,
si può conchiudere per una diversa origine. Essa consta secondo
Grimm di una roccia bianca cellulosa, spesso di piccolissima soli-
dità e triturabile, e colle cellule rivestite di Allumite color rosso
pallido. La roccia lascia scorgere una stratificazione, raramente vi
sono grani di quarzo, e vi si trovano pure non dubbi resti di
vegetali. Grimm crede perciò che quivi l’Allumite difficilmente
possa essersi prodotta dalla trachite, ma la ritiene per un cam-
biamento subito, da un’ arenaria per causa di acido solforoso
durante un’ azione vulcanica. Molto notevole è la osservazione
che il tenore in ossido rosso di ferro spesso si accresce tal-
mente in questa roccia, che in alcuni punti si sostituisce com-
pletamente a tutte le altre parti componenti. L’ oligisto e la
ematite rossa micacea attraversano allora insieme col gesso com-
patto e cristallino la massa a guisa di filoni. Perciò fra queste
Allumiti e il nuovo giacimento di cui verrà data ora notizia,
esistono alcune analogie, e non può essere improbabile che anche
a queste e ad altre Allumiti sia da attribuirsi la stessa maniera
* Vedi: Neues Jahrhruch ec., 1837, pag. 555.
— 108 —
d’ origine che con molta sicurezza può ritenersi per il nuovo
giacimento di che appresso.
Per gentile comunicazione del professore Gonnard di Lione
ebbi notizia e contemporaneamente un saggio di un giacimento
di Allumite di recente scoperto presso il villaggio di Breuil ad
ovest d’ Issoire nell’ Alvergna.
Questa Allumite ha un colore bianco, a luoghi cangiante in
rosso pallido; è affatto terrosa, cavernosa e triturabile, e allappa
fortemente la lingua. Al microscopio la polvere mostrasi affatto
amorfa; essa consta solamente di un aggregato di grani piccoli
e rotondi. Schegge isolate più grandi e cristalline che compari-
scono fra esse, possono riconoscersi con sicurezza per quarzo ;
esse sono tuttavia molto rare. Questi grani quarzosi possono
riconoscersi anche alla maggior durezza nel ridurre in polvere
la pietra allumifera. Nel tubo di vetro deposita acqua, e con
piccolo riscaldamento dà un odore di acido solforoso ; riscaldata
in una soluzione di cobalto diviene di un bel colore azzurro. La
determinazione del peso specifico dette 2,601. La composizione
chimica secondo un’ analisi eseguita dal professor Truchot alla
stazione agrazia di Clermont-Ferrand è la seguente indicata
sotto il Num. 1. »
I.
II.
III.
IV.
SO^
— 37,6
40, 9
39, 1
36, 4
APO^
= 38,3
41,8
46, 5
39,4
K^O
— 7 2
— < , ^
7,9
8, 5
8, 8
Fe^O^
= tracce
—
—
—
SiO^
= 8, 2
—
—
—
wo
= 8, 5
9, 2
5, 9
15,4
99, 8
99,8
100, 0
100,0
Il contenuto in silice del num. 1, deve essere ritenuto come
un semplice miscuglio di impurità. Detraendo il medesimo e rettifi-
cando il calcolo dell’analisi, ottiensi la composizione deH’Allumite
pura data al IL Ugualmente sono state calcolate le analisi dei
num. Ili e IV deH’Allumite del Pie de Sancy. Quella del III è data
da Cordier, e ne offre la composizione colla detrazione di 28,4 7o
di acido silicico e di 1,44 7o di ossido di ferro. L’ analisi IV è
— 109
stata calcolata da Gautier-Lacroze (N. Jahrh., 1864, pag. 723) dopo
aver tolto 35,23 "/o d’impurità dovute alla silice, ossido di ferro
e solfo. Il più forte tenore d’ acqua dell’ analisi IV potrebbe
verosimilmente indicare la presenza di idrato d’ allumina, quindi
forse di un miscuglio di Gibsite, per cui l’Allumite vi si trove-
rebbe allo stato idrato, mentre le analisi di Cordier conducono
alla opinione di Mitscherlich, secondo la quale l’Allumite sarebbe
composta, secondo la formula KO . SO3 4- 3 (Ab O3 . SO3) 4-
2 AI2 HO3. L’analisi dell’Allumite di Breuil al contrario mostra nei
numeri trovati per 1’ acido solforico, allumina e potassa quasi le
condizioni necessarie alla formazione del solfato d’ allumina e di
potassa, e perciò essa deve essere ritenuta con certezza come
un semplice idrato di ambedue questi sali. La sua composizione
conduce quasi esattamente alla formula:
KO . SO3 4- 6 Ab O3 . SO3 4~ 6 HO.
Questa Allumite presentasi come un esteriore rivestimento di
un deposito argilloso ferruginoso rosso, cosicché la forma di esso
secondo una notizia del professore Gonnard può ben essere equi-
parata ad una gigantesca focaccia, il cui riempimento è composto
dell’ indicata argilla rossa e la crosta di Allumite. Il deposito
argilloso fa parte del tufo trachitico, potentemente sviluppato in
questo territorio, e dei conglomerati basaltici e pomicei che com-
pongono le estese colline e gli altipiani ad ovest d’ Issoire.
Tutte queste formazioni che sembrano costituite da strati alter-
nanti di tufi, argille, arenarie e calcari, appartengono alla for-
mazione terziaria. Questo modo così regolare di presentarsi della
Allumite come la crosta esterna di un deposito argilloso è diverso
da tutti gli altri che abbiamo fin ora accennati. Quivi può rico-
noscersi uno stretto legame tra il nucleo d’ argilla rossa ferru-
ginosa e la crosta d’Allumite ; tale regolarità non può attribuirsi
alla alterazione indotta da esalazioni casualmente sviluppatesi
e attraversanti la roccia irregolarmente in tutti i sensi. La causa
per la formazione dell’ Allumite deve in questo caso avere avuto
luogo nello interno di questo deposito.
Un’ argilla con pirite od anche più verosimilmente un’ argilla
con marcassita è stato il punto di partenza di questa formazione
no —
allumitica.^ La marcassita poteva trovarsi sparsa uniformemente
0 accumulata in masse isolate nell’ argilla, e mediante 1’ acqua
atmosferica penetratavi vi si potè indurre una rapida decompo-
sizione. Per r ossidazione si originò successivamente il solfato
d’ ossidalo di ferro ; il vitriolo di ferro e insieme anche acido
solforico libero, formazione che pur troppo spesso può osservarsi
nelle collezioni, ove V acido solforico che sviluppasi dalla mar-
cassita che trovasi in luoghi umidi, corrode e abbrunisce i soste-
gni di legno e le scatole di cartone che la contengono. L’ acido
solforico, penetrando dall’ esterno, oprò la trasformazione delia
parte esterna di questo deposito in Allumite. Il tenore in po-
tassa dell’ argilla che rese possibile la produzione del solfato di
potassa, non può apparire straordinario in niun caso in queste
argille che devono necessariamente riguardarsi come detrito sot-
tilissimo di rocce vulcaniche e trachitiche decomposte. Del resto
questi processi possono riprodursi artificialmente, come ha già
dimostrato Senft {I eìsgemengtlieile pag. 143), ponendo della mar-
cassita in un fango argilloso contenente potassa, e lasciandole
qualche tempo insieme all’ umidità ; si ottiene - allora una solu-
zione dalla quale, evaporata a poco a poco, si separa un miscu-
glio di vitriolo di ferro e d’ allume. Il vitriolo formatosi nel
primo stadio della decomposizione viene in seguito depauperato
del suo acido solforico che viene impiegato nel completamento
della formazione allumitica, e per residuo ottiensi allora ossido
di ferro che induce la colorazione rossa nei nuclei argillosi. Tali
giacimenti d’ Allumite nei quali essa presentasi insieme all’ ossido
di ferro rosso, all’ oligisto e al gesso, come anche quello di
Musaj, dovettero certamente esser prodotti in tal maniera, seb-
bene per questo ultimo la prova non sia tanto evidente come
per r Allumite di Breuil.
In generale però noi possiamo ritenere per certe due vie di
formazione dell’ Allumite che in certo qual modo sono fra loro
’ L’ idea della formazione della Allumite per la decomposizione di piriti non
è nuova. La Allumite che trovasi a contatto della massa metallifera delle Ca-
panne Vecchie nella Maremma toscana, non può attribuirsi certamente ad azioni
vulcaniche perchè di esse non vi è traccia e può riconoscervisi colla massima
evidenza il processo di decomposizione delle piriti e la formazione della pietra
d’allume. ~ (La Redazione).
~ 111
opposte. Una è dovuta ad esalazioni d’ acido solforico che agi-
scono sulle rocce contenenti allumina, potassa e ossido di ferro,
e induce in esse PAllumite, il solfo e la pirite: l’altra invece
prende origine dalla pirite o marcassita, e i suoi prodotti sono
Allurnite, oligisto e ossido rosso di ferro. Ambedue questi pro-
cessi si riscontrano nel M. Dorè, dopoché allo antico ma ormai
abbandonato giacimento del Bavin de la Graie si è aggiunto
questo di Breuil, il quale sarebbe anche di molto valore in-
dustriale.
NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE.
Ed. Suess. — Die Erdhében des sudlichen Balien. — (Dalle
Memorie dell’ Accademia Imperiale delle Scienze). —
Vienna, 1874.
Questo lavoro importantissimo per la conoscenza della costi-
tuzione geologica, come anche dell’ attività sismica dell’ Italia,
dividesi in tre parti: la prima, discorre della costituzione geo-
logica della Calabria, e della prossima parte dell’ isola di Sicilia.
Nella seconda, sono descritti circostanziatamente i terremoti del-
r Italia meridionale, deducendoli dai documenti che vi esistono.
Nella terza, si tratta dell’ attività sismica dell’ Italia meridionale
e si fanno interessanti osservazioni sulle correlazioni fra i ter-
remoti ed i vulcani ; e di questa daremo qui un breve cenno.
I centri principali dell’ attività sismica non sono distribuiti a
caso nell’Italia meridionale; dopo molto tempo, spesso dopo se-
coli, una determinata località per la seconda o terza volta di-
viene centro di una violenta commozione, e la direzione e la
natura di questi moti varia secondo le località. Essi si possono
sempre dividere, relativamente a un focolare centrale di eruzione,
in scosse radiali e periferiche.
La maggior parte delle scosse radiali delle Isole Lipari com-
prende la linea principale sismica delle Calabrie, o la linea pe-
riferica di esse isole. Una seconda linea molto importante tro-
vasi nella Lucania, e corre da Orsomarso nella parte più setten-
112 -
trionale della Calabria al Vulture: le scosse di essa hanno il
carattere di scosse in una linea periferica.
Una prova dello stretto rapporto fra i vulcani e i terremoti
si trova specialmente nella distribuzione dei vulcani sulle linee
sismiche. La regione vulcanica dell’ Italia .centrale comprende
perciò vulcani, i quali anch’ oggi sono centri di terremoti e di
eruzioni ; quelli che presentano soltanto terremoti, ovvero solo
raramente o mai veri fenomeni eruttivi; finalmente centri abi-
tuali di terremoti, nei quali non furono mai osservate eruzioni
di lava o cenere.
Possiamo in conseguenza distinguere nell’ Italia meridionale:
r Gruppi vulcanici, che comunicano a grandi distanze scosse
radiali. Come le Lipari, P isola di Pantellaria, e forse anche al-
cune località sottomarine nel Mare Jonio.
2° Vulcani isolati sopra una linea periferica. L’ Etna, il Ve-
suvio, Bocca Monfina, i Monti Albani, e forse anche il Vulture.
3“ Vulcani isolati sopra una linea radiale: Isola Giulia.
Non è ancora bene definito se i Campi Flegrei e le Isole di
Ponza, debbano ritenersi come gruppi vulcanici del primo ordine.
Si può facilmente comprendere perchè nei centri eruttivi del
primo ordine, come nelle Lipari, i gruppi vulcanici tengano il
luogo dei vulcani isolati, quando si confronta il complesso della
attività vulcanica della zona tirrenica col sistema delle fratture
concentriche e radiali che vengono generate dallo sprofondarsi
di una crosta solida, come ad esempio, le fratture radiali che
si produssero presso Gerocarne in Calabria, in causa del terre-
moto del 1713. Si intende facilmente che verso il centro della
regione che ha subito tale fenomeno, le fratture radiali apren-
tisi verso il basso, si attraversano più volte reciprocamente, e
formano una rete irregolare, che può dare origine ad un sistema
vulcanico assai complesso. Certamente un sistema di fratture ra-
diali può prodursi anche sopra a vulcani isolati periferici, però
questi sistemi radiali in vulcani periferici non hanno mai con-
dotto alla formazione di gruppi vulcanici.
Queste vedute vengono rappresentate in un profilo ideale dalle
Lipari fino all’ Aspromonte in Calabria. L’Autore paragona quindi
con questo taglio le diverse opinioni state emesse sulla origine
dei terremoti.
113 -
L’Autore fa poscia il tentativo di applicare all’Austria Infe-
riore le osservazioni fatte nella grandiosa zona sismica dell’ Italia
meridionale. Al nostro centro delle Isole Lipari corrispondereb-
bero colà i dintorni di Neustadt nel mezzo di una depressione
della regione alpina.
Finalmente havvi una osservazione che forsa potrà gettare
qualche luce sulla costituzione intima delle catene montuose. Dove
la linea principale calabrese raggiunge la zona del flysch dei
Monti Peloritani, trovasi 1’ unico punto nel quale siasi formato
un vulcano periferico, 1’ Etna : dove la linea di frattura della
Lucania esce dalla zona del dell’ Apennino, trovasi l’ unico
punto di essa sul quale siasi formato un vulcano, il Vulture :
dove nell’ Austria Inferiore la linea di Kamp esce dalla zona del
flysch delle Alpi Noriche, trovasi 1’ abituale punto di partenza
dei più violenti terremoti in quelle regioni presso Altlengbach.
La deduzione più importante però si è, che dovunque i ter-
remoti si manifestano in punti determinati, e seconde linee, le
quali in quanto sono linee periferiche, corrispondono per lo più
colle linee evidenti di frattura, o con quelle di separazione delle
catene montuose.
NOTIZIE DIVERSE.
Terremoti presso V Etna dal 7 al 20 Gennaio 1875/ —
a Nella notte del 7 all’ 8 gennaio in Acireale e suoi dintorni sono
avvenute più scosse di terremoto. Si ha ragione di credere che
ripetano la loro origine dall’interno lavorio dei fuochi dell’Etna.
La prima scossa fu avvertita alle 9. 10' pom., non dissimile in
nulla a due brevi e ben distinte sotterranee percosse. Essa fu
foriera di un terremoto di ben altra intensità.
» Batteva l’ una meno un quarto dopo mezzanotte, quando
da molti che si trovavano in veglia, fu udito un sotterraneo
’ Notizie raccolte dai giornali da M. S. De Rossi. — V. Bollettino del Vul-
canismo italiano, anno secondo, fase. 1, 2 e 3.
8
114
rombo. Consecutivamente ebbe luogo lo scoppio di un terremoto
gagliardo che prolungossi per più secondi, e le cui oscillazioni
si confusero a tre grandi urti da produrre dappertutto scompi-
glio e spavento. L’uno e l’altro si provò dagli abitanti; molti,
uscendo all’ aperto, si riversarono per le strade e per le piazze ;
il maggior terrore manifestossi nei quartieri. Il signor sotto-
prefetto riunissi allora alla popolazione, i KR. Carabinieri atti-
varono la loro perlustrazione. Le ricevute notizie ci fan sicuri
che questo non fu se non un terremoto vulcanico locale, il cui
centro di radiazione si appalesò nella zona superiore dei terri-
torio ad occidente di questa città, specialmente nella contrada
denominata Testa di Vipera, e consecutivamente nelle contigue
Fossa deir acqua e Malovrio. Si hanno infatti nella prima, per
un miglio attorno, diverse fenditure del suolo, l’ atterramento
di varie case di campagna; lo scompiglio ed il rovescio di molte
mura stradali e di circonvallazione. Le altre due contrade sof-
fersero anche danneggiamenti di questo genere. Il terremoto pro-
pagò la sua oscillazione ad Aci Sant’ Antonio, Aci Catena, Pisano,
Santa Venerina ec. Fortunatamente non si" hanno a lamentare
casi di morte; ma parlasi solo di pericoli corsi e di qualche
frattura incontrata. Alle ore 7 e un quarto ant. del giorno 8 si
replicarono, con breve intervallo, altre due scosse, ma lievi.
Vogliamo augurarci che il fenomeno non abbia a ripetersi. »
Da Riposto poi, presso Catania, narrandosi più o meno le
medesime notizie per ciò che riguarda il territorio di questo
comune, si aggiunge che in un piccolo paese, non lungi da Aci-
reale, la scossa del venerdì al tocco fu tanto forte che produsse
molti danni, cagionò la morte di otto persone, e credevasi indizio
certo di prossima eruzione dell’ Etna.
Dopo ciò i giornali ci narrano che l’ Etna ai 19 gennaio
accennava a qualche risveglio. Nella sera del medesimo giorno
i fenomeni divennero più evidenti: nella mattina poi del 20 un
forte rombo con fumo denso e vorticoso usciva dal cratere, e
pareva iniziare una grande eruzione.
Dopo questi fatti nuli’ altro troviamo narrato dai giornali
per i giorni successivi. Il chiarissimo professore Silvestri pro-
metteva alla Direzione di cotesto Bollettino di raccogliere le
notizie e di farne soggetto di una comunicazione, qualora vi fos-
- 115 -
sero state notizie importanti da aggiungere alle pubblicate dai
giornali. Nulla finora ci pervenne per parte dell’ illustre profes-
sore. Stando ai dati che finora conosciamo, sembra che dopo
il 20 gennaio l’ Etna si sia calmato, e 1’ attività endogena siasi
trasferita sotto l’ Apennino di Eomagna ; perchè appunto ai
20 gennaio colà rinforzarono le scosse, le quali però erano comin-
ciate già a presentarsi quasi contemporaneamente che in Sicilia,
cioè ai 9 ed ai 10 di gennaio.
E qui giova osservare che le scosse avvenute nella notte del
giorno 8 in Sicilia, dovettero leggermente essere risentite anche
nel sistema vulcanico laziale, perchè a Frascati il Lavaggi nel-
r osservazione del mezzodì dell’ 8 gennaio trovò nel sismografo
tracce di scuotimenti avvenuti nella direzione N — S.* Nella sera
poi dello stesso giorno 8, circa le 10. 15' poni., una nuova scossa
avveniva nella medesima regione laziale, ed era avvertita in Vel-
letri, luogo che altre volte abbiamo notato essere sensibile par-
ticolarmente per i movimenti procedenti fra Nord e Sud. Il
giorno 9, come abbiamo detto, i terremoti apparivano in Roma-
gna con qualche forza. Mi sembra perciò non senza importanza
che le scosse laziali cadano precisamente nell’ intervallo di tempo
fra i terremoti di Sicilia e quei di Romagna.
M. S. De Rossi,
Analisi della meteorite di Orviiiio. ’ — Questa analisi fu
eseguita dal signor L. Sipòcz nel laboratorio chimico del pro-
fessor E. Ludwig a Vienna. Si operò sopra due campioni distinti,
il primo appartenente alla pasta della meteorite, il secondo, con-
sistente in un pezzo di roccia racchiuso in detta pasta.
Analisi del N. 1.
Acido silicico 36, 82
Allumina 2, 31
Ossidulo di ferro 9, 41
Calce 2,31
Magnesia 21,69
Potassa 0, 26
Soda . 0, 96
^ Veri. Jahrhuch der k. k. geol. Reichs., XXIV Band, Wien 1874.
IIG —
Nichelio 3, 04
Cobalto traccie
Solfo 2, 04
Ferro 22, 11
Ossido di cromo traccie
Totale 100,95
dalla quale composizione elementare si deducono gli aggruppa-
menti seguenti :
Ferro metallico 18, 54
Nichelio metallico 3, 04
Cobalto metallico traccie
Solfuro di ferro 5, 61
Silicati 73, 76
Ferro cromato traccie
Totale 100,95
e per i silicati si avrebbe la seguente composizione:
Acido silicico 49, 92
Allumina 3, 13
Ossidalo di ferro . . • 12, 76
Calce 3, 13
Magnesia 29, 41
Potassa 0, 35
Soda 1, 30
Totale 100, 00
Analisi del N. 2.
Acido silicico 38, 01
Allumina 2, 22
Ossidalo di ferro 6, 55
Calce 2, 33
Magnesia 24, 11
Potassa 0,31
Soda 1, 46
Nichelio 2, 15
Cobalto traccie
117
Solfo 1, 94
Ferro 22, 34
Ossido di cromo traccie
Totale 101, 42
da cui gli aggruppamenti:
Ferro metallico 18, 94
Nichelio metallico - . . 2, 15
Cobalto metallico traccie
Solfuro di ferro 5, 34
Silicati 74, 99*
Ferro cromato traccie
Totale 101, 42
e per la composizione dei silicati:
Acido silicico 50, 69
Allumina 2, 96
Ossidulo di ferro 8, 73
Calce 3, 11
Magnesia 32, 15
Potassa 0,41
Soda 1, 95
Totale 100,00
Studi sui terreni terziarii d’ Italia. — Nella seduta del
25 febbraio scorso della classe di scienze matematiche e naturali
deir 1. Accademia delle Scienze di Vienna, il signor Th. Fuchs
presentò due lavori che si riferiscono alle sue ricerche geologi-
che sulle formazioni terziarie d’ Italia, effettuate nell’ anno decorso
per incarico della stessa Accademia. Uno di essi tratta della
a suddivisione delle formazioni terziarie sidle pendici settentrio-
nali degli Apennini da Ancona a Bologna » 1’ altro, eseguito dal
medesimo in compagnia del signor Al. Bittner, riguarda « le
formazioni plioceniche di Siracusa e Lentini. »
Nelle formazioni mioceniche dei dintorni di Bologna possono
distinguersi in modo assai netto due piani mediterranei, come
fu fatto dal professore Suess per il bacino di Vienna, mentre la
così detta melassa marnosa di Bologna con Nautilus diluvii,
~ 118
Pecfen denudatus, Sólenomya Doderleini e Lucina sinuosa cor-
rispondono alle marne (Schlier)^ ed il giacimento fossilifero di
Sogliano e del M. Gibbio alle terre da mattoni (Tegel) di Baden
e di Gainfahren ; e qui sembra che fra questi due piani terziari
esista una profonda discordanza.
Le formazioni d’ acqua dolce, gessifere e solfifere del ver-
sante settentrionale degli Apennini con Lebias crassicauda, Libel-
lula Boris, Melanopsis Bonelli, Neritina, e piccoli Cardi che cor-
rispondono agli strati a congerie, non sono da riferirsi ai mio-
cene, ma stanno sovra esso in giacitura discordante alla base
delle formazioni plioceniche che vi riposano sopra concordanti.
La suddivisione delle formazioni plioceniche di Lentini cor-
risponde esattamente con quella - del pliocene di Taranto. Esse
sono dall’ alto in basso :
1® Arenarie azzurre a Briozoi con Nullipore, Conglomerati,
Ostriche, Pecten Jacobaeus, Pectunculus, Monodonta angulata, Ce-
rithium vidgatum, Ger. spina, Murex trunculus, Troclius, Bissoa,
Alvania ec.
2° Marne azzurre plastiche con JBuecinum semistriatum,
Natica lielicina, Chenopus pespelecani, Bentalium elephantinum.
3® Sabbie chiare, morbide a Briozoi con Coralli, Brachio-
podi, Pecten septem radiatus, P. opercidaris ec.
Giacimenti boraciferi nell’ America settentrionale.^ —
Già da molto tempo è stata scoperta la esistenza del borace
naturale nel grande bacino dell’ altipiano situato fra le Monta-
gne Rocciose e la Sierra Nevada negli stati occidentali dei-
r America del Nord. Fino dal 1856 fu riconosciuta la presenza
del boro nelle acque del Clear-Lalce in California e più tardi
quella del borace naturale nel lago medesimo, che divenne quindi
oggetto di coltivazione. I dintorni di questo lago accennano ad
azioni vulcaniche, essendo essi costituiti da rocce eruttive, e pre-
sentando tracce di solfatare e di sorgenti calde. Anche i Geyser
che trovansi più lungi a S.O. nella valle superiore del Napa po-
trebbero avere un qualche rapporto con questa formazione.
* Da una lettera del prof. Burkart inserita nel Neiies Jahrbiich fiìr Minera-
logie etc. von Leonhard und Geinitz, J. 1874, IL 7.
119
Una depressione formatasi nel lato S.E. di questo lago e
separata da esso per mezzo di una bassa diga di frammenti di
lava, ossidiana ec., racchiude borace naturale, ed è perciò in-
dicata col nome di Lago horacifero. La sua figura è ovale, con
una lunghezza di 4000 piedi ed una larghezza di 1800. Il suo
letto è formato da una massa gelatinosa della potenza di 4 piedi,
semiliquida fino alla profondità di 1 piede e nel resto assai con-
sistente. E in questa massa che trovansi i cristalli di borace
variabili da una grandezza microscopica a quella di due o tre
pollici. Essi sono semitrasparenti, colorati in bianco o giallastro,
e della forma di un prisma rombico obliquo. La potenza della
massa gelatinosa è molto variabile e in alcuni punti trovansi
intercalate in essa masse di fango o d’ argilla prive di borace.
Un altro bacino di circa 8 ettari in superficie trovasi in pros-
simità del Lago boracifero e presentasi con circostanze quasi
identiche.
Fino dal 1863 si costituì una società per la coltivazione del
borace che in principio offriva una produzione notevole, ma alcuni
anni dopo fu interrotta, senza che siasene conosciuto il motivo.
Altri giacimenti boraciferi molto estesi esistono nello Stato
della Nevada. Nella contea d’ Esmeralda, nella valle del fiume
Colombo, sotto una crosta molto estesa di sale comune trovansi
dei noduli ora grossi, ora piccoli di borato di calce sovrapposti
ad un sottile strato di saie comune che riposa alla sua volta
sopra un banco di solfato di soda.
Un giacimento interessantissimo e più notevole dei precedenti
è stato di recente scoperto nella parte più meridionale della Ca-
lifornia, al di là della Sierra Nevada, circa 140 miglia inglesi
a N.E. di Bakersfield. Ivi un bacino affatto isolato è compieta-
mente ripieno di sale cristallizzato per una estensione di 15 mi-
glia in lunghezza e 6 in larghezza e fino ad una profondità
di 6 0 8 piedi sotto la superficie. La circostanza più notevole
si è che la parte media del bacino è occupata da un deposito
di sale comune, intorno al quale sta un banco dello spessore di
tre piedi di borato di soda e al disotto un miscuglio di solfato
e borato di soda della potenza di 1 a 3 piedi. Questi sali sono
tutti cristallizzati ed uniti insieme in una massa solida. Sembra
quasi inverosimile il modo di giacimento di questi prodotti sa-
— 120
lini, non vedendosi alcuna ragione per spiegare la separazione
dei sale comune dal borace e la sua accumulazione sugli altri sali.
Tutti questi giacimenti boraciferi sono completamente tras-
curati.
CENNO NEGROLOGIGO.
Il giorno 22 febbraio del corrente anno cessava di vivere
uno dei più grandi geologi del nostro tempo, Ltell, la cui in-
fluenza fu estesissima e ben meritata.
Carlo Lyell nacque a Kinnordy nella Contea di Forfar (In-
ghilterra) il 14 novembre 1797, e raggiunse la grave età di più
che 78 anni, dopo di avere consacrato una lunga esistenza ed
un’ infaticabile attività in servizio della scienza geologica. Egli
portò fin da principio la sua attenzione al processo di formazione
della crosta terrestre, e dichiarossi ben tosto^ propugnatore della
teoria delle cause lenti ed attuali, seguendo in ciò la strada
tracciata da Constant Prevost e da De la Deche. Dotato d’ uno
spirito eminentemente filosofico, passò in attento esame tutte le
forze e tutti gli agenti che concorsero e concorrono tuttora al
compimento di questo processo, studiandone il modo di operare,
ed applicando su larga scala la teoria da lui propugnata, e che
recentemente ebbe nuova conferma dalle scoperte del Challenger :
diede per tal modo un nuovo indirizzo ed un potente impulso
alle ricerche geologiche, e coi suoi studi permise di applicare con
maggiore profitto il metodo sperimentale anche alla geologia.
Combattè la vecchia teoria dei crateri di sollevamento del De
Buch, ed in molti suoi scritti mostrossi contrario alle idee pro-
fessate da Elie de Beaumont sui sistemi di montagne.
Ltell è specialmente benemerito della geologia per i suoi
trattati generali più che per lavori speciali descrittivi. Le osser-
vazioni da lui fatte durante i suoi viaggi in Europa ed in Ame-
rica furono raccolte nei suoi trattati, i quali perciò risultarono
opere veramente classiche ed originali, e contribuirono a dare
alla geologia quell’ indirizzo pratico che poi la fece tanto prò-
— 121 —
gredire. Il suo gran libro dei Frincipii di Geologia ^ contiene un
numero veramente straordinario di fatti, la più parte osservati
da lui stesso nei suoi viaggi, e che gli servirono egregiamente,
perchè bene interpretati, in appoggio della sua teoria. Questo
classico lavoro, come pure gli Elementi di Geologia,^ ebbero V onore
di ben dieci edizioni e, tradotti in varie lingue, furono accolti
come libro di testo in molte scuole di geologia. Vanno pure
notate le sue ricerche sugli ultimi periodi dell’ epoca terziaria,
quelle sull’ antichità dell’ uomo, e quelle sul modo di formazione
dei coni vulcanici per semplice accumulazione di materie eruttate.
L’ Italia fu uno dei campi prediletti dei suoi studi, special-
mente per ciò che riguarda i vulcani e i terreni terziarii.
Bibliografia mineralogica, geologica e paleontologica
della Toscana.
(Continuazione e fino. — Vedi Bollettino, N. 1-2.)
Mesny B. Observations sur les dents fossiles d’éléphants qui se trouvent
en Toscane. Florence. * *
Nesti Filippo. Di alcune ossa fossili di Mammiferi che s’incontrano nel
Val d’Arno. — Y. Ann. Mus. imp. fis. e st. natur. Firenze, tom. I.
Firenze, 1808.
Sopra alcune ossa fossili di Rinoceronte. Lettera al dottor Gae-
tano Savi prof, di Botanica nello studio di Pisa. Firenze, 1811.
Note sur l’existence de deux expèces d’ours fossiles en Toscane
communiquée au prof. Pictet. — Y. Bibì. Univers. d. Se., bell. ìettr. et
arts. Se. et Arts, Genève, 1823, tom. XXIY, pag. 206.
Sulla nuova specie di Elefante fossile del Yal d’Arno. Lettera al
prof. Targioni. — Y. Nuovo Giorn. d. Letterati, tom. XI, parte scien-
tifica pag. 195. Pisa, 1825.
Dell’ osteologia del Mastodonte a denti stretti. Lettera al profes-
sore Canali. — Y. Nuovo Giorn, d. Letterati, tom. XII, parte scienti!,
pag. 17. Pisa, 1826.
Sopra alcune ossa fossili non per anco descritte trovate nel Yal
d’Arno superiore. Lettera al prof. Paolo Savi. • — Y. Nuovo Giorn.
d. Letterati, tom. XIII, parte scienti!, pag. 3. Pisa, 1826.
Parlatore Filippo. Comunicazioni relative ai vegetabili fossili di Monte
Bamboli e di Monte Massi. — Y. Coni. Att. Georgof., voi. XXI,
pag. 23. Firenze, 1843.
‘ Principles of Geology. — 1853.
* Elements of Geology. — 1838.
122
Pecchioli Vittorio. Notice sur un nouveau genre de bivalve fossile (Pec-
chiolia) des terrains subapennins. — Y. Bevuè de Zoologie, Yol. IV.
Paris, 1852.
Lettera su di un nuovo fossile delle argille subapennine. Fi-
renze, 1862.
Descrizione di alcuni nuovi fossili delle argille subapennine to-
scane. — Y. AU. Soc. Ital. Se. Natur., voi. YI, fase. 4. Milano, 1864.
Pruner Bey. Exploration de la grotte de Paiamone dans les Maremmes
de la Toscane par M. L. Zucebi. -- Y. Bull. Soc. Antlirop. de Paris,
ser. 2, tom, II, pag. 299. Paris, 1867.
Sur un cràne humain trouvé dans le postpliocene de la vallèe
d’iVrno. — Y. Bull. Soc. d’Anthropoì. de Paris, ser. 2, tom. II, 18^7.
L’àge de la pierre en Italie. — Y. Bull. Soc. AnthropoL de Paris,
ser. 2, tom. II, 1867.
Regnoli Carlo. Riberché paleo etnologiche nelle Alpi Apuane, — Y. Nuovo
Cimento. Pisa, nov. dee., 1867.
Di alcuni oggetti appartenenti alla paleoetnologia rinvenuti entro
una caverna della Maremma toscana da L. Zucchi. — V. Nuovo Ci-
mento, tom. XXYII, febbraio 1868, pag. 73. Pisa.
Saemaan e Triger. Sur les Anemia biplicata et vespertilio de Brocchi.
— Y. Bull. Soc. géol. France, ser. 2.ftom. XIX. 1861.
Sava R. Iconografìa di mascella craniana fossile di Cetaceo. Prato, 1865.
Savi Paolo e Meneghini R. Y. Meneghini.
Savi Pietro. Impronte vegetabili osservate nel terreno carbonifero di
Monte Bamboli. 1843.
Silvestri Orazio. Catalogo dei Rizopodi delle argille turchine plioce-
niche senesi. — Y. Siena e il suo territorio. Siena, 1862.
Sulla illustrazione delle opere del padre Ambrogio Soldani e della
fauna microscopica fossile del terreno pliocenico italiano. — Y. Ait.
del X Congres. Scienz. Ital, Siena, 1862.
Simonin Louis. Produits primitifs de l’industrie humain e en Italie. —
Y. Compt. rend. Ac. se., tom. LXI, pag. 599. Paris, 1865.
Soldani Ambrogio. Saggio orittografìco, ovvero osservazioni sopra le
terre nautiliche ed ammonitiche della Toscana. Siena, 1780.
Testaceographise ac Zoophytographise parvae et microscopicse.
Siena, 1789-1798.
Strozzi Gr. e Gaudin Ch. Y. Gaudin.
Suess Ed. Ueber die tertiàren Landfaunen Mittel-Italien’s. — Y. Verhandl.
h. le. geolog. Beichsanstalt. AVien, 1871.
Anche per questa terza parte si omettono i titoli di quegli
scritti che trattano la paleontologia generale e che solo per in-
cidente discorrono di fossili toscani.
- 123
IV. Appendice.
1. a) Mineralogia e litologia.
Bertacchi da Panie Pompeo. Vari rapporti sulla Società mineralogica
residente in Pisa — 1849, 1851, 1852 ec. Pisa.
Branchi Griuseppe. Sopra un^ efflorescenza salina, trovata nell’ interiore
della cupola della cappella del Campo. Santo di Pisa nel novem-
bre 1793. — y. Gior. pisano., tom. 97. Pisa, 1795.
Càillaux Alfredo. Rapport sur la mine de cuivre « La Gavina » à Mon-
tecatini (Val di Cecina) 1847.
Cozzi Andrea. Sulla nocuità o innocuità dei forni fusori del rame sol-
forato o Pirite rameica alla coltivazione della Valle di Bisenzio.
Firenze, 1848.
D’ AcMardi Antonio. Della Natrolite e Analcima di Pomaja (com. di
Santa Luce). — V. Boll. Comit. geol. Ital., N. 5-6, pag. 163, 1874.
Le Zeoliti del Granito Elbano. — Boll. Comit. geol. Itaì.^ N. 9-10,
pag. 306, 1874.
Sul dimorfismo del Solfo e di altri minerali, 1875.
Cosse L. A. Account of a visit made to thè Baths of St. Filippo in Tu-
scany, vith a description of thè modo of forming stone medallions in
bassorilievo from thè waters. — V. Edinb. Phil. Journ., II”. Edin-
bourg, 1820.
Gnidoni Girolamo. Lettera sui marmi e sulle miniere lunensi. — V. Ci-
mento. Pisa, 1847.
Hanpt Teodoro. Rapporto riguardante la miniera di Monte Vaso. Fi-
renze, 1846.
Considerazioni sull’ opportunità di riprendere 1’ escavazione della
miniera di mercurio in Levigliani. Firenze, 1850.
Hopper G. Perizia e rapporto dei lavori necessari per 1’ attivazione di
una fonderia di prima fusione in prossimità della miniera di Staz-
zema, 1848.
Jervis Guglielmo. I tesori sotterranei dell’ Italia. — Parte IL Regione
dell’Apennino e Vulcani. Torino, 1874..
L. P. Ragionamento intorno alla riattivazione che si propone d’ intra-
prendere di alcune miniere in Toscana. Firenze, 1833.
Magenta Carlo. L’ industria dei marmi di Carrara, Massa e Seravezza. —
V. Politecnico, voi. 25. Milano, 1865.
Moro G. Della Torba italiana sostituita ai Carboni esteri. — V. Ann.
Agr. Ind. e Comm. Torino, 1863.
Perres e Bìagiui. Relazione dello stato attuale delle miniere di Argento
del Vicariato di Pietrasanta. Firenze, 1832.
124
Pilla Leopoldo. Parere sopra la miniera di rame del Poggio alla Villa,
appartenente alla Società anonima della Castellina. Pisa, 1846.
Pitiot Francesco. Sui lavori eseguiti alle miniere di Carbon fossile di
Monte Bamboli e di Monte Massi nella campagna dal 1843 al 1844.
Livorno, 1844.
Rapport sur les mines des provinces de Garfagnana, Massa-Car-
rara e Lnnigiana. Florence, 1852.
Rath (vom) G. Su la Foresite, nuovo minerale della famiglia delle Zeo-
liti, rinvenuto nelle geodi tormalinifere dell’ isola d’ Elba. — Y. Boll.
Com. geol. Ital., N. 7-8, pag. 237, 1874.
Savi Paolo. Lettera informativa sulla miniera di Castellina Marittima
e sull’ altra di Riparbella, diretta agli azionisti della Società mine-
ralogica residente in Pisa. Pisa, 1849.
Rapporto sulla miniera della Castellina Marittima e sull’ altra di
Riparbella. Pisa, 1851.
Rapporti alla Società mineralogica di Pisa sulla miniera della Ca-
stellina. Pisa, 1853, 1856 ec.
Taddei Gio vacchino. Relazione intorno alle operazioni metallurgiche, che
si eseguiscono alla fonderia della Briglia e ai danni che vengono
loro attribuiti. Firenze, 1848.
Taddei G. e Targioni A. Appendice all’ opuscolo a stampa sulla fon-
deria del rame alla Briglia in Val di Bisenzi'o presso Prato. Fi-
renze, 1849.
Targioni-Tozzetti Antonio. Prima relazione intorno alla formazione della
miniera di rame della Briglia. Firenze, 1848.
Relazione seconda, relativa ai danni delle esalazioni prodotte alla
Briglia nella lavorazione del minerale di rame. Firenze, 1848.
Targioni Pozzetti A. e Taddei G. V. Taddei.
Vegni A., Remon, Pellico, Geymard, Paret-Marcel, Pianigiani G., Pini
G., Bancheri e Hoppner W. Rapporti e pareri di vari savi e rino-
mati ingegneri intorno alla miniera di ferro di Stazzema.
Weber Guglielmo. Rapporto riguardante le miniere di rame di Monte
Vaso. Firenze, 1846.
1. b) Acque minerali.
Branchi G. e Savi Paolo. Sulle sostanze che rendono odorosa e sapo-
rosa r acqua della fonte artesiana di Pontedera e sul purgatorio
progettato. Pisa, 1832.
Buonamici Enrico. Acqua termo-minerale di Monsummano. Firenze, 1864.
Analisi chimica dell’ acqua della nuova sorgente di proprietà del
signor Andrea Nuti di Montecatini in Val di Nievole. Firenze, 1866.
Calamai Luigi. Notizia sull’ acqua minerale di Quarrata presso Poscia.
Firenze, 1843.
125 —
Cappellini (xiuseppe. Analisi chimica dell’ acqua salino-purgativa di Ber-
gondola. Parma, 1846.
Della Santa Tito e Martini Ad. Condizioni attuali e miglioramenti pos-
sibili deir acqua potabile della provincia di Pisa. Pisa, 1864.
Fedeli Fedele. Notice sur les propriétés medicales des célèbres eaux
minérales des RR. Thermes de Monte Catini. Pise, 1857.
Francolini Felice. Delle acque potabili.^ — V. Att. Georgof., N. sèr., 1862.
Martini Adolfo. V. Della Santa.
Savi Paolo. V. Branchi.
Silvestri Orazio. Analisi chimica di una nuova acqua minerale di Mon-
tecatini in Toscana, denominata Acqua della Salute. Firenze, 1863.
Targioni Pozzetti Antonio. Caratteri fisici, saggi analitici, e composi-
zione chimica dell’Acqua della Fortuna; il tutto desunto dalle espe-
rienze. Firenze, 1852.
IL Geologia.
Biamonti Angiolo. Cenni storici, geologici e botanici sull’ isola di Gor-
gona nell’ arcipelago toscano. Livorno 1873.
Botti Flderigo. Sulle rocce impastate entro al serpentino.* * — V. JBoUet.
Comit. geol. Ital. N. 3 e 4, 1875, pag. 67.
Capellini Giovanni. Strati a congerie, formazione Oeninghiana e piano
del calcare di Leitha nei Monti Livornesi. — Y. Bend. Acc. Bologna,
^19 nov. 1874. Estr. dal Boìlet. Comit. geol. Ital., N. 1-2, 1875. pag. 49.
Coqnand H. De l’àge et de la position des marbres blancs statuaires
des Pirénées et des Alpes Apuénnes en Toscane. — V. Oompt. rend.
Ac. Se., t. 79, pag. 411. Paris, 1874.
D’ AcLiardi Antonio. Sulla conversione di una roccia argillosa in Ser-
pentino. — Y. Bollet. Comit. geol. Ital., N. 11-12, 1874.
Sulle calcarie grossolana e lenticolare della Toscana. — Y. Bollet.
Comit. geol. Ital., N. 11-12, 1874.
De Stefani Carlo. Dei depositi alluvionali e della mancanza di terreni
glaciali nell’Apennino della Yalle del Serchio e nelle Alpi Apuane.
— Y. Boll. Comit. geol. Ital., N. 1-2, 1875.
De Yaux A. Développement de l’exploitation des minerais de fer de file
d’Elbe. — Y. Ann. des Mines, Ser. 7, tom. 4, pag. 623. Paris, 1873.
Fuclis T. e Manzoni A. Relazione di un viaggio geologico in Italia, con
r aggiunta di notizie e considerazioni del dottor A. Manzoni. —
Y. Bollet. Comit. geol. Ital. , N. 7-8, 1874, pag. 226, e Yerhandl. d. le. h.
geol. Beicìisanst., N. 9. Wien, 1874.
Fuchs Teodoro. Sulla relazione di un viaggio geologico in Italia del
medesimo. — Y. Boll. Comit. geol. Ital., N. 1-2, 1875, pag. 46.
* Vi si parla di molte acque potabili della Toscana.
* Vi si parla dei dintorni di Pontremoli.
126
Lotti B. Considerazioni geologiche sui dintorni di Boccheggiano e Ger-
falco presso Massa Marittima. — Y. Bollet. Gomit. geol. Ita!., N. 7-8,
pag. 222, 1874.
— Cenno sulla costituzione geologica della comunità di Massa Ma-
rittima. — Y. Bollet. Comit. geol. Ital.^ N. 9-10, pag. 284, 1874.
Ludwig Eudolpli. Geologische Bilder aus Italien. — Y. Boll. Soc. Imp,
Natur. de Moscou. Moskau, 1874.
Manzoni Angelo. Y. Fuchs.
DICHIARAZIONE.
Per tutti quei buoni effetti di cui può esser fonte la
rettificazione di un errore scientifico, il sottoscritto si
trova in obbligo di dichiarare, che nell’ opuscolo dal
medesimo pubblicato nel Bollettino del R. Comitato geo-
logico d’Italia per l’anno 1873 col titolo II Monte
Titano {territorio della BepubUica di San Marino)^ i suoi
fossili.^ la sua età ed il suo modo d’ origine^ è intervenuto
tale un errore paleontologico grave e fondamentale da
togliere ogni valore al significato del detto opuscolo.
L’ errore accennato consiste nell’ aver ritenuto essere
una Porites quello che ulteriori e più accurate osserva-
zioni hanno mostrato non esser altro che una gigantesca
e ramosa Cellepora.
A. Manzoni.
Bologna, 22 aprile 1875.
AVVISO.
Col 1" Maggio 1875 gli uffizii del E. Comi-
tato Geologico saranno trasferiti nell’ ex-convento
di San Pietro in Vincoli; Soma, Piazza San Pietro in
Vincoli, N. 5, (presso la E. Scuola di Applicazione
per gli Ingegneri).
!
(Continuazione.)
Memorie per seryire alla descrizione della Carta Geologica
d’Italia. — Volume II, Parte F; Firenze 1873. — 272 pa-
gine in-4‘’ con 11 tavole, due Carte geologiche ed incisioni
intercalate nel testo.
Comprende le seguenti Memorie :
Introduzione. — Monografia geologica dell’ Isola d’ Ischia,
con la Carta geologica della medesima in fol. e incisioni nel
testo, del professor C. W. C. Fuchs. — Esame geologico della
catena alpina del San Gottardo, che deve essere attraversata
dalla grande Galleria della Ferrovia Italo-Elv etica, con una
Carta geologica in fol. e due tavole di Sezioni in fol., dell’ in-
gegnere F. Giosdano. — Appendice alia Memoria sulla for-
mazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, con una
tavola, deir ingegnere S. Mottura. — Malacologia pliocenica
italiana (Parte F, Gasteropodi sifonostomi) ; fascicolo 2°, con
otto tavole, di C. D’ Ancona.
, Prezzo del Voi. 11° (Parte F), Lire 25.
Carta Geologica del San Gottardo, nella scala di
1 per 50,000, di F. Giordano. — Un foglio in cro-
molitografia L. 5. — “
Carta Geologica dell’Isola d’IscMa, nella scala di
1 per 25,000 di C. W. C. Fuchs. — Un foglio in
cromolitografia L. 3. —
Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica
d’ Italia. — Voi. II, Parte 2^; Firenze 1874. — 68 pag. in 4°
con due tavole. — Contiene la seguente Memoria : B. Ga-
staldi, Studii geologici sidle Alpi Occidentali; Parte T.
Prezzo del Voi. IF (Parte 2^), Lire 5.
Per le commissioni dirigersi al Segretario del R. Co-
mitato Geologico, in Roma, Piazza San Pietro
in Vincoli, N.' 5.
Annunzi di pubblicazioni.
C. De Stefani. — Fossili pliocenici dei dintorni di S. Miniato.
— Molluschi bivalvi ed univalvi. — Pisa 1874, pag. 86 in-8''.
I terreni subapennini dei dintorni di San Miniato ai
' Tedesco. — Pisa 1875, pag. 19 in-8°.
M. S. De Rossi. — Analisi dei tre maggiori terremoti ita-
liani avvenuti nel 1874 in ordine specialmente alle
fratture del suolo. — Roma 1875, pag. 76 in-4“.
E. Paglia. — I terreni glaciali nelle valli alpine confluenti
ed adiacenti al bacino dei Garda. — (Atti del R. Istituto
Veneto, serie V, t. I, Disp. 3). — Venezia 1875, p. 30 in-8°.
A. Crespellani. — Nota geologica sui terreni e sui fossili
del Savignanese. — (Annuario della Società dei Naturalisti
in Modena, serie IP, anno IX, fase. l^*). — Modena 1875,
pag. 29 in-8^
T. Taramelli. — Di alcune condizioni stratigrafìche ed orogra-
fiche della provincia di Udine. — Venezia 1875, p. 16 in-8°.
G. Ponzi. — Storia dei Vulcani Laziali. — "Roma 1875. .(Atti
della R. Accademia dei Lincei, anno 271, serie IP, voi. P,
1873-74), pag. 17 1^4^^ con carta geologica.
Storia naturale del Tevere. — Roma 1875. (Bollettino
della Società Geogr. Ital.,vol. XII, fase. 1-2), pag. 20 in-8°
con 3 tavole.
R. Ludwig. — Geologische Bilder aus Italien. — Moskau 1874.
(Bulletin de la Société Imp. des Naturai, de Moscou, an-
née 1874).
G. voM Rate. — Ber Monzoni im Siidostlichen Tirol. —
Bonn 1875, pag. 46 in-8“ con due tavole.
A. Stoppani. — La purezza del mare e dell’ atmosfera fin dai
primordi del mondo animato. — Milano 1875, pag. 484
in-8® con figure nel testo ed una tavola.
A. De Zigno. — Sui mammiferi fossili del Veneto. — Pa-
dova 1875, pag. 16 111-8^
R. COMITATO GEOLOGICO
D’ ITALIA.
Bollettino N° 5 e 6,
Maggio e Giugno 1875.
EOMA,
TIPOGRAFIA BARBÈRA.
1875.
E. COITATO
GEOLOSICO.
Bollettino Geologico per il 1870. — Un voi. in-8° di pag. 324.
» » PER IL 1871. — Un voi. in-8° di pag. 296.
» » PER IL 1872. — Un voi. in-8” di pag. 376.
)) » PER IL 1873. — Un voi. in-8“ di pag. 400.
» » PER IL 1874. — Un voi. in-8® di pag. 408.
Prezzo di ciascun volume L. 10.
Associazione al Bollettino del 1875 (Anno VP). — Per
l’Italia L. 8, Estero L. 10.
I fascicoli bimestrali del Bollettino si vendono anche se-
paratamente al prezzo di L. 2 ciascuno.
Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica
d’Italia. — Volume P; Firenze 1871. — 404 pagine in-4°
con 23 tavole, due Carte geologiche e varie incisioni inter-
calate nel testo.
Comprende le seguenti Memorie :
Introduzione — Studii geologici sulle Alpi Occidentali, di
B. Gastaldi, con cinque tavole ed una Carta geologica. —
Cenni sui graniti massicci delle Alpi Piemontesi e sui mine-
rali delle valli di Lanzo, di G. Struver. — Sulla formazione
terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura,
con quattro tavole. — Descrizione geologica dell’Isola d’ Elba,
di 1. Cocchi, con sette tavole ed una Carta geologica. —
Malacologia pliocenica italiana (Parte P, Gasteropodi sifo-
nostomi) di C. D’ Ancona ; fascicolo U, con sette tavole.
Prezzo del Voi. 1°, Lire 35.
Brevi cenni sui principali Istituti e Comitati Geo-
logici e sul R. Comitato Geologico d’ Italia, di
I. Cocchi. — Pag. 34 in-4‘’ L. 1. 50
Carta Geologica della parte orientale dell’ Isola
d’ Elba, nella scala di 1 per 50,000, di I. Coc-
chi. — Un foglio -in cromolitografia L. 3. 00
{Continua).
BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO
D’ ITALIA.
N'' 5 e 6. — Maggio e Giugno 1875.
SOMMARIO.
Note geologiche. — I. Notizie preliminari su le Balenoptere fossili sub-
appennine del Museo parmense, per P. Strobel. — IL Scoperta di strati
nummulitici presso Prata e Gerfalco in provincia di Grosseto, per B. Lotti. —
III. Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica dell’Italia Meridionale,
per G. Seguenza.. (Continuazione.) — IV. Cenni sopra la costituzione geologica
delle Isole Ponza, per C. Doelter. — V. Il Vulcano Venda presso Padova,
per E. SuESS. — VI. Appunti geologici sull’Italia, per R. Ludwig. — VII. Un
brano di storia della geologia toscana, a proposito di una recente pubbli-
cazione del signor Coquand, per C. De Stefani.
Notizie diverse. — Carta topografica d’Italia. — Pseudomorfismo del serpen-
tino.— Studii paleontologici nel Vicentino. — Eruzioni di ceneri tridimitiche. —
Giacimento di zaffiri e rubini con corindone. — L’Altaite.
Necrologia. — G. P. Deshayes.
Tavole ed incisioni. — Sezione del Monte la Guardia nell’ Isola Ponza,
a pag. 159.
NOTE GEOLOGICHE.
I.
Notizie preliminari sn le Balenoptere fossili subappennine
del Museo parmense^ per P. Strobel.
Come è noto, fu Giuseppe Cortesi, che pel primo attirò T at-
tenzione di Cuvier e degli altri paleontologi coetanei sui fossili
dei nostri Appennini, grazie alle fortunate ed interessanti sue
scoperte di avanzi di grandi mammiferi nei depositi subapenninici.^
I fossili da lui raccolti prima del 1809 furono acquistati dal
governo del cessato Pegno d’Italia, e nel 1819 trovavansi nel
Museo dell’ i. r. Consiglio delle miniere in Milano,^ dal quale pas-
* CoccoNi G., Enumerazione sistematica dei Molluschi miocenici e plioce-
nici delle proviucie di Parma e Piacenza. Bologna, 1873, pag. 1.
^ Cortesi G., Saggi geologici degli stati di Parma e Piacenza. Piacenza,
1819, pag. 67.
— 132 —
sarono, non sono molti anni, nel Museo civico di quella città.
Quanto il Cortesi riunì dopo il 1809 venne, dopo la sua morte,
nel 1841 comperato dal governo dell’ ex-ducato di Parma, pel
Museo di storia naturale dell’ università parmense. Alla fine
del 1859, allorché venne a me affidata la direzione di questo
Museo, quei fossili trovavansi tuttora rinchiusi nella ventina
di casse, entro le quali da Piacenza, luogo di dimora del Cor-
tesi, erano stati trasportati a Parma. In onta che i mezzi di
cui il Museo poteva disporre fossero scarsissimi,^ si riuscì final-
mente ad ordinare e porre in mostra tutti quelli avanzi, in parte
già illustrati dal Cortesi,^ i quali non costituiscono punto la
parte minore delle sue raccolte, nè la meno interessante,^ come
erroneamente era stato da taluno asserito, e lo dimostrerò in
questo articolo, per ciò che riguarda le Balenoptere fossili.
Intorno al 1852 furono acquistati al Museo parmense gli
scheletri fossili di un Delfino e di due Balenoptere, rinvenuti da
Giovanni Podestà nei colli del piacentino.^ Nel 1859 essi erano
collocati alla meglio sopra dei tavolati, ora, disposti entro oppor-
tune vetrine, costituiscono uno de’ precipui omamenti dello sta-
bilimento.
Premessi questi pochi e brevi cenni storici, m’ accingo ad
enumerare e descrivere sommariamente i principali avanzi di Ba-
lenoptere del Museo in discorso, aggiungendovi i necessari cenni
critici.
‘ La dote annua del Museo non arriva alle lire 700, colle quali deve soppe-
rire anche alle spese di cancelleria e di riscaldamento.
“ Come lo scheletro di Rinoceronte, di cui tratta la memoria sua ; Sulla
scoperta dello scheletro di un quadrupede colossale ecc. Piacenza, 1834, in 4°
con due tavole; — la mascella inferiore d’altro Rinoceronte, descritta nei ci-
tati suoi Saggi geologici, alla pag. 77, e figurata sulla tav. V, flg. 5, la quale
ritornò in pezzi dalla esposizione mondiale di Londra del 1862. Veggansi in pro-
posito gli Atti della Soc. Ital. di Scienze nat., voi. V. 1863, pag. 122.
® Van Beneden, al quale inviai già alquanti disegni degli avanzi fossili di
Cetacei dei Museo, con foglio del 7 giugno dichiara che la massima parte loro
meriterebbe di essere modellata.
* ScARABELLi L., Bi Una Balena, di un Delfino e molte conchiglie cavate
dai colli del Piacentino per opera del signor G. Podestà. Pagine 14 in 16®,
senza data.
— 133 -
Famiglia Balaenopteridae.
Sottofamiglia Cetotherin^.
Genere Getotlierium J. F. Brandt.
Specie F G. Cuvierii Boitard.
A questa specie sembrano appartenere gli avanzi di uno
scheletro di giovane individuo, raccolti dal Cortesi nelle salibie
gialle del piacentino. È a dolersi che nel catalogo della sua se-
conda raccolta, della quale quelli avanzi facevan parte, non sia
indicato il luogo preciso ove furono da lui scoperti. Consistono
del teschio, di 6 coste e di 23 vertebre, una delle quali cervicale,
in cattivo stato di conservazione ed in gran parte prive delle
loro cartilagini. Del teschio sono ben conservate le ossa mascellari
superiori e le intermascellari, 1’ apofisi zigomatica destra, stac-
cata dal temporale, e la branca sinistra della mandibola; sono
discernibili le ossa frontali ed il vomere, poco le ossa nasali e
punto tutte le altre. Mancano le ossa parietali, la massima parte
deir occipite e delle ossa temporali e la porzione destra della
mascella inferiore. Il cranio è posteriormente stretto, la branca
della mandibola è poco curva,^ e per tali caratteri credo di do-
ver ascrivere questi avanzi al Cetotheriimi Cuvierii. Debbo però
far osservare che per rispetto alla forma delle ossa frontali e
della parte posteriore delle mascellari superiori il teschio in di-
scorso differisce da quello del G. Cuvierii, sul quale venne sta-
bilita la specie,^ e s’ accosta invece al Cet. Capellina Brandt,
di cui ragionerò in appresso.
‘ L’ altezza della curva da essa descritta sta alla lunghezza della corda co-
me 6 ; 100.
^ Questo scheletro, trovato dal Cortesi nel 1806, faceva parte della sua prima
raccolta, e, come ebbi ad accennare in principio, conservasi nei Museo civico
di Milano. Fu rappresentato dal Cortesi nei citati Saggi geologici alla tav. Ili,
fig. 1. CuviER ne copiò la figura alla tav. 228, n. 1 delle note sue Recherches.
Nell’ opera recente di Brandt sui Cetacei fossili d’ Europa, alla tav. XX, fig. 1,
vedesi rappresentato il teschio di questo scheletro, veduto dal disopra, dietro
un disegno del Cornalia.
— 134 —
2® C. Cortesii Desmoulins.
Il Museo parmense possiede V esemplare preso per tipo di
questa specie. E descritto nei citati Saggi geologici del Cortesi,
alla pag. 61, ed ivi figurato sulla tav. V, num. 1-3.^ Fu da lui
scoperto nel 1816 in un rivo che discende dal Monte^ago e sbocca
nel torrente Chiavenna, nel piacentino. La marna azzurra mica-
cea nella quale era impegnato, è per la massima parte indurita
pel calcare che V ha cementata, sì che il Cortesi credette bene
di lasciare le ossa di questo scheletro, salvo le vertebre cau-
dali e parte delle lombari, che potè isolare con facilità, nella
situazione in cui le ebbe a rinvenire. I tentativi sinora fatti per
sbarazzarle dalla roccia ben poco ancora fruttarono, poiché le
ossa, come già avvertiva il Cortesi, sono assai fragili, per cui
non si può adoperare lo scarpello per liberarle dalla pietra, e
pochissimo il raschiatoio. Inoltre, sono quasi prive del tessuto
compatto, e perciò non si ponno rendere dure col silicato di
potassa senza che questo, passando attraverso la loro superficie,
penetri anche nella roccia stessa, la indurisca maggiormente e
la cementi vieppiù colle medesime, sì che allora riesca impossi-
bile affatto separamele. Però, V operazione relativa, incominciata
or sono due mesi dal signor capitano A. Caggiati, non essendo
terminata, poiché devesi procedere assai lentamente, si spera di
poter riuscire in seguito a mettere allo scoperto qualche altra
parte interessante del teschio e della colonna vertebrale.^
La lunghezza totale delle parti raccolte di questo scheletro,
è di metri 4 circa. — Del teschio sono attualmente più o meno vi-
sibili r occipite, i temporali colle apofisi zigomatiche e mastoidee,
i frontali, i parietali, i mascellari superiori e gli intermascellari,
* Non so comprendere come Brandt abbia potuto asserire ripetutamente
(pag. 153) che Cortesi non ne abbia dato la figura. — .Tutte le figure del Cor-
tesi sono pur troppo insufficienti ed inesatte. Inoltre, per colpa dell’ incisore,
sono tutte riuscite al rovescio, sì che le parti destre appaiono sinistre, e vice-
versa. — E fu certo un fortunato azzardo, come accenna anche Brandt, quello
di avere creato una nuova specie solo dietro la imperfetta descrizione (e le
grame figure) del Cortesi.
^ Ora vedesi scoperto tutto il lato sinistro del teschio. [Nota aggiunta in
gingilo. J
-'135 —
la mascella inferiore. Il rimanente del cranio, e specialmente
della sua volta, è coperto dalla roccia, entro la quale trovansi
impegnate tre coste disposte trasversalmente sopra il medesimo.
Le branche della mascella inferiore non trovansi, come asserisce
Cortesi, situate quasi naturalmente, ma, pel peso sovrappostosi,
hanno descritto sopra sè stesse un quarto di giro verso T interno,
sì che mostransi coricate sulla loro faccia interna, ed invece di
segnare all’ esterno del teschio una curva sporgente o convessa,
ne segnano invece una rientrante nel mezzo, ossia concava. Sono
poco curve, descrivendo un arco, 1’ altezza del quale sta alla lun-
ghezza della sua corda come 8 a 100. Formano però un an-
golo d’ incontro meno acuto di quello che formano le branche
della mandibola del G, Cuvierii. La porzione sinistra è scorsa
più avanti della destra, sì che sporge maggiormente che questa.
L’ intermascellare destro si è spostato e collocato trasversalmente
sopra i mascellari e la branca sinistra della mandibola. 11 te-
schio è lungo metri 1, 30 dall’ occipite all’ estremità anteriore
della mandibola, e metri 1,12 dall’occipite all’estremità della
mascella superiore. La larghezza massima, misurata dalla faccia
esterna dell’ una a quella dell’ altra delle apofisi sì zigomatiche
che mastoidee, è di metri 0. 53. Abbiamo quindi tra la massima
larghezza e la lunghezza la proporzione di 47, 30 a 100, ossia
la larghezza massima è minore della metà della lunghezza, sì
come nel teschio del C. Cuvierii di Milano. La minima di-
stanza, tra i parietali, è di metri 0, 19, ciò che dà un rapporto
colla lunghezza di 17 a 100. La massima larghezza dell’ occipite
è di metri 0, 36, ossia di 32 per 100 rispetto alla lunghezza del
teschio.
Cortesi nota che quasi tutte le vertebre conservano le loro
cartilagini. Questa asserzione vale per le caudali, ma non per
quelle altre vertebre ch’egli non riuscì ad isolare. Desse, come
ora si può osservare, mancano delle dette cartilagini, e tra ver-
tebra e vertebra, in vece loro, si è interposta la sostanza
pietrosa.
Da questo fatto e dall’ accennata fragilità delle ossa e dalla
scarsezza in esse del tessuto compatto devesi arguire, che l’ in-
dividuo cui appartenne lo scheletro in questione morì in età an-
cora giovanile.
~ 136 -
Cortesi diclìiarò che « la forma della testa somiglia perfet-
» tamente a quella della Balena, scoperta nel novembre 1806 »
che è il Cet. Cuvierii del Museo milanese, come dissi, e Cuvier,-
dietro tale asserzione del Cortesi, ritenne pure che ambi gli
scheletri spettino alla medesima specie. Ma il teschio parmense
del Cet. Gortesii, per la maggior larghezza dell’ occipite (32 ! 100)
e per le apofisi zigomatiche pochissimo divergenti, differisce no-
tevolmente dal cranio del Cet. Cuvierii, e s’ avvicina invece a
quello del Cet. Capellina Brandt, che conservasi nel Museo di
Parma, come vedremo in avanti ; all’ opposto per la strettezza
della mascella superiore e la lieve curva delle branche della
mandibola s’ accosta al teschio del Cet. Cuvierii. I condili occi-
pitali sono assai sviluppati, sì come veggonsi nel cranio del Cet.
Vandellii van Ben. figurato da Brandt.^ Il teschio del Museo di
Torino, descritto e figurato da Brandt ^ quale Cet. Cortesii dif-
ferisce dal parmense per la forma dell’ occipite sopra tutto, sì
che dovendosi conservare la denominazione di Cet.. Gortesii allo
scheletro del Museo di Parma, a quello di Torino dovrà darsi
il nomm di Cet. Castalda.
3*^ C. Capellinii Brandt..
Gli altri tre scheletri di Balenoptere, posseduti dal Museo
parmense, appartengono a questa forma. Il più completo, lungo
metri 7, 50 circa, venne raccolto da Giovanni Podestà nelle marne
cerulee presso Castelar guato. Sono ben conservate le ossa mascel-
lari inferiori e superiori e le intermascellari, ma la parte cen-
trale del cranio è coperta dalla marna e da altri corpi induriti,
che non ho ancora osato di far levare dalla medesima per ti-
more di guastarla del tutto. La massima parte dell’ occipite e
parte dei frontali e temporali colle apofisi zigomatiche trovansi
però in istato abbastanza buono da poterne riconoscere le pro-
porzioni e la forma.. Ventuna delle vertebre, tra caudali e lom-
‘ Recìierches sur les ossemens fossiles etc. Quatrième édition. Paris, 1836,
tome Vili, deuxième partie, page 314.
^ Untersuchungen ùber die fossilen und suhfossilen Cetaceen Europas.
Nei Mémoires de VAcad. Imp. des scìenc. de St. Pétershourg , VIP sèrie, to-
me XX, rmm 1, 1873, con 34 tavole in 4». — Vedi tav. XXIII, fìg. 3.
^ Loc. cit., pag. 153, tavole XXI e XXII, eseguite dietro disegni inviati al-
r autore dal professore Gastaldi.
- 137 —
bari, sono state isolate, di dieci si ponno distinguere le apofisi
spinose e parte del corpo, le altre non sono punto discernibili.
Mancano affatto le prime vertebre cervicali, del pari che le ossa
degli arti, salvo un omero. La scapola sinistra è intiera, della
destra non evvi che la parte inferiore. In ambe osservasi il pro-
cesso coracoìdeo e T acromion sviluppatissimi, carattere questo
che, oltre agli altri indicati da Brandt, servirà a distinguere ‘
questo Cetotheriwn dal C. Cuvierii. Le dette scapole rassomi-
gliano a quella figurata da Cuvier nelle Becherches ec. tav. 227,
fig. 10. Ventidue costole sono più o meno visibili, una fu iso-
lata. Il teschio dello scheletro di Parma differisce da quello
dello scheletro bolognese, sul quale Brandt creò la specie ^ per
le branche della mandibola meno curve. La massima sua lar-
ghezza oltrepassa la metà della lunghezza, poiché sta a questa
come 59 a 100 ; nel teschio bolognese la larghezza massima sta
alla lunghezza come 58 a 100.
Nelle saUbie gialle, con panchina assai dura, di Montefalcone
sulla sinistra sponda dell’ Arda, presso Castelarquato, lo stesso
Podestà scopri gli avanzi di un altro scheletro di Cetotherium,
che non esito di riferire alla specie in discorso, perchè le sca-
pfole del medesimo sono uguali a quelle dello scheletro di cui
parlai or ora. Già il Capellini, come asserisce Brandt, op. cit.
pag. 157, riteneva questi avanzi più affini a quelli del Museo
di Bologna, cioè del G. Capellina, che non a quelli di Milano,
ossia del C. Cuvierii. Luciano Scarabelli, nell’ opuscolo citato,
descrisse la giacitura di questo scheletro e ne indicò le parti
raccolte e le misure loro. Appartennero ad un individuo alquanto
maggiore di quello del quale ci è rimasto lo scheletro prece-
dentemente descritto, nonché del C. Cuvierii, cui spettava lo
scheletro del Museo milanese. Oltre le scapole si raccolsero del
Cetotherium in discorso gli omeri, i radii, i cubiti, 8 tra ossa
metacarpiche e falangi, 24 costole e 22 vertebre, una delle quali,
cervicale, incompleta. Il cubito distinguesi assai da quello del
C. Cuvierii, di Milano, ancora più che non il cubito del C. Ga-
staldii, C. Cortesii Brandt nec Desmoulins. Il margine inferiore
del suo olecrano ascende obliquamente, anzi che prolungarsi in
’ Opera citata, pag. 156, tav. XX, fig. 13 e 15.
— 138
direzione orizzontale, come nel C. Ouvierii, o discendere, come
nel G. Gastaldii. La forma del cubito servirà dunque del pari
a distinguere il G. Gapeìlinii dalle altre forme. — Le parti con-
servate dello scheletro di G, Gapeìlinii delle marne azzurre, enu-
merate precedentemente, hanno, come dissi, una lunghezza com-
plessiva di metri 7, 50. Ma ove si consideri che le vertebre dorsali
* e parte delle lombari trovansi disposte in linea curva, e che
non poche di esse mancano, converrà calcolare che la lunghezza
di questo Getotliermm sia stata di 9 metri circa. L’ omero suo
è lungo metri 0, 26, quello invece del Gel. Gapeìlinii delle sab-
bie gialle, in questione, giunge alla lunghezza di metri 0, 32.
Ammesse le medesime proporzioni fra le singole parti d’ ambo
gli individui, si dedurrà che V ultimo avrà avuta la InngliesBa
approssimativa di 11 metri.
Kitengo, sebbene dubitativamente, che un terzo scheletro del
Museo di Parma spetti del pari al G. Gapeìlinii. Proviene dalle
salhie gialle di Montezago^ ove lo rinvenne il Cortesi nel 1815.
Ne descrisse gli avanzi ne’ suoi Saggi geologici, alla pag. 59 e
seguenti, e ne rappresentò, sebbene assai grossolanamente, la
branca sinistra della mascella inferiore alla tav. IV, fig. 1. La
vertebra cervicale, eh’ egli figurò pessimamente nella medesima
tavola (fig. 2), sì come appartenente allo stesso scheletro, spetta
invece ad un altro individuo. La porzione della mandibola lunga
in linea retta metri 3, 24, e la sua faccia esterna metri 3, 33 ;
la corda dell’arco eh’ essa descrive è lunga metri 2,94, e l’al-
tezza del medesimo è di metri 0, 37 ; la proporzione tra P al-
tezza di questo arco e la sua corda può dunque indicarsi coi
seguenti termini 12 •. 100. L’ arco che descrive questa branca
di mandibola è dunque più curvo ancora di quello segnato dalle
porzioni della mandibola del Gel. Gapeìlinii di Bologna, secondo
la figura di Brandt già citata, poiché 1’ altezza di questa non
sta alla lunghezza della sua corda che come 11 a 100. QuesLà
convessità della mandibola di Montezago era già stata avvertita
dal Cortesi, poiché così si esprime in proposito alla pag. 60,
de’ suoi Saggi geologici : « La sua curvità mostra che 1’ angolo
» di riunione dei due rami era estremamente ottuso, anzi roton-
» dato. » Ed é specialmente per tale carattere che ascrivo que-
sto scheletro al G. Gapeìlinii. Oltre alla branca sinistra della
139 -
mascella inferiore, Cortesi raccolse 17 vertebre, 5 cervicali (man-
cano le prime due), le altre dorsali e lombari, nessuna caudale,
6 coste e la punta dello sterno, che è triangolare, frecciforme,
convesso e carenato nel mezzo. Tutte le ossa poterono essere
isolate dalla sabbia che le conteneva, ma sono alquanto fragili. —
La mandibola del G, Capellina della marna azzurra di Castel-
arquato è lunga metri 2, e la lunghezza dell’ individuo cui ap-
parteneva si suppose, podo sopra, di metri 9. La lunghezza della
mascella inferiore dello scheletro di Montezago in discorso è in-
vece di metri 3, 24. Adunque, ammesse le medesime proporzioni
tra le diverse parti di questi due cetacei, si dedurrà che l’ in-
dividuo cui spettava lo scheletro di Montezago, sarà stato lungo
metri 14, 50 circa.
Appendice.
Nel Museo parmense evvi il corpo di un omero il quale non
può appartenere che ad un cetaceo, e verosimilmente ad un Ba-
lenoicle. E privo dei capi articolari. Faceva parte della seconda
collezione del Cortesi, e proviene dalle sabbie gialle del piacen-
tino. Pur troppo mancano indicazioni di luogo più precise. E
lungo 72 centimetri, e verso V estremità inferiore è largo
42 centimetri ; la maggiore sua circonferenza è di 1 metro circa,
È fragile. Se il CetotJi. CapelUnii delle marne di Castelarquato,
1’ omero del quale ha la lunghezza di 26 centimetri, era presu-
mibilmente lungo 9 metri, il Balenoide cui apparteneva P omero
in questione, dovea avere ad un di presso la lunghezza consi-
derevole di 25 metri.
Riassumendo i fatti esposti conchiuderemo che
il Cetotherium Cuvierii possedeva il muso più stretto ed acuto,
ed il C. Capellina il più grosso ed ottuso. Gli estremi sono
offerti dagli scheletri del giovane C. Cuvierii del Museo par-
mense e del G. Capellina pure del Museo di Parma, raccolto
dal Cortesi. In mezzo starebbero, in ordine progressivo, dal muso
più stretto al più grosso, il C. Cuvierii di Milano, il G. Gortesii
di Parma, o tipico, il C. Gastaldii, il G. Capellina delle marne
azzurre di Parma, il G. Capellina del Museo bolognese.
140 —
Il Cetothermm Capellina si distingue dal C. Ciwierii per la
scapola fornita di apofisi coracoidea e di acromion assai svi-
luppati.
Il cubito del Cetotherium Ouvierii scostasi per la forma del-
r olecrano da quello del C. Capellina più che non il cubito del
C. Castalda; questo occuperebbe il posto intermedio.
Nei Cetoth. Cortesii, Capellina e Castalda V apofisi zigoma-
tica del temporale dirigesi dall’ indietro all’ avanti e pochissimo
0 punto all’ infuori, e va ad incontrare 1’ ala del frontale ; nel
C. Ciwierii invece dirigesi obliquamente in avanti ed all’ infuori
e rimane discosta dal frontale.
Non conosco lo sterno dei Cet. Ciwierii, Cortesii e Castalda,
per cui non posso istituire confronti con quello del C. Capellina.
Il professor Brandt ebbe ad esprimere il desiderio che si
rinvenisse lo scheletro di Cetotherium raccolto dal Cortesi nel 1816,
e che si illustrassero e questo e gli altri scheletri di cetacei fos-
sili dei nostri musei. Tale suo desiderio, in parte, viene appagato
con questo scritto, ed in parte lo sarà per ciò che concerne il
Museo parmense, appena che il Ministero della Pubblica Istru-
zione darà i fondi promessi per poter incominciare la pubblica-
zione d’ una Iconografia delle ossa fossili del Museo di storia
naturale dell’ Università di Parma.
Parma, maggio 1875.
IL
Scoperta di strati nummulitici presso Prata e Cer falco
in provincia di Grosseto. Lettera di B. Lotti.
Stimatissimo Signor Segretario
del B. Comitato Geologico d’ Italia.
Mi pregio di darle notizia intorno ad una mia recente escur-
sione nei gruppi montuosi di Prata e Gerfalco, nella quale fui
ben fortunato di ritrovare in ambedue queste località il terreno
nummulitico e di raccogliere una notevole quantità di conchiglie
fossili specialmente univalvi turricolate nel calcare bianco ceroide
— 141 —
della Cornata di Gerfalco, sottostante al rosso ammonitico, la cui
determinazione cronologica porterà al certo una maggior luce sulla
geologia di questa come di altre località, ove ritrovansi le sparse
membra della antica catena assiale dell’ Italia, chiamata dal Savi
metallifera. Di questi nuovi fossili e delle deduzioni che dalla
loro determinazione conseguiranno, non posso al momento farne
parola, e ne differisco la relazione allorquando lo studio di essi
e dei rapporti stratigrafici fra esso calcare ceroide e i sedi-
menti superiori, non che la sua probabile divisione in più piani,
mi abbiano messo in grado di attribuirgli con valevoli argomenti
la relativa epoca d’ origine. Perciò riferisco soltanto alla scoperta
dell’ orizzonte nummulitico la presente nota, della quale Ella
potrà, qualora le piaccia, dare pubblicazione nel Bollettino del
R. Comitato.
In una mia ultima escursione nei monti di Campiglia allo
scopo di comparare i terreni di quella interessante località, pro-
fondamente studiati da sommi geologi, con quelli di località cir-
costanti ed analoghe, come Gavorrano, Massa Marittima, Ger-
falco, ec., delle quali ebbi da cotesto K. Comitato 1’ onorevole
incarico di fare il rilevamento geologico, mi fu dato di studiarvi
gli strati nummulitici e i loro rapporti coi sedimenti superiori
ed inferiori.
Cosa superflua sarebbe il far qui rilevare l’ importanza scien-
tifica di tali strati specialmente nelle nostre località ove è stata
sempre lamentata la mancanza o la rarità dell’ orizzonte num-
mulitico, orizzonte che solo può guidarci nella determinazione
cronologica di quelle formazioni che costituiscono una gran parte
della nostra penisola, e che comprendonsi sotto il nome di cal-
cari alberesi, macigno, schisti galestrini, argille scagliose, ec.
Dalle osservazioni di cui potei profittare nella mia breve gita
a Campiglia, riguardo ai rapporti di giacimento degli strati num-
mulitici colle rocce sopra- e sottostanti, ne trassi la conseguenza
che essi trovansi al disotto di una serie assai potente di strati
d’ arenaria, e sovrapposti ad una massa di schisti argillosi rac-
chiudenti rari banchi di un calcare grigio-azzurro. Gli strati
nummulitici constano di un conglomerato a piccoli elementi per
la maggior parte calcarei e tanto strettamente fra loro cemen-
tati, da rassomigliare talvolta ad un calcare omogeneo lamelli-
142 —
forme. Essi sono racchiusi ed alternano con pochi banchi di cal-
care grigio-chiaro e con degli schisti a fucoidi. In prossimità
del paese di Campiglia, presso la chiesa di san Giovanni, un
solo 0 due strati al più dello spessore di circa 50 centimetri,
diretti da N.E. a S.O. con inclinazione a S.E. formano la zona
nummulitica, la quale può seguirsi fin sulla pendice occidentale
del monte Calvi.
Colla scorta di queste osservazioni essendomi recato verso
la fine del decorso mese di maggio sui monti di Prata ed avendo
ivi incontrate le solite arenarie e la serie schistosa sottoposta,
mi posi alla ricerca degli strati nummulitici che mi si presenta-
rono infatti framezzo alle due forme di rocce. La loro esistenza
può verificarsi in prossimità del lavatoio pubblico, del paese di
Prata un poco al disopra della strada provinciale, e precisamente
sul ciglio del botro che raccoglie le acque di rifiuto del lava-
toio medesimo. Per quanto mi fu dato di vedere, un solo strato
di circa 40 centimetri di spessore, racchiuso fra pochi banchi
di alberese, e del qual potei seguirne P andamento soltanto
per pochi metri, forma quivi il giacimento a nummuliti. La
sua direzione corre da E. ad 0. e P inclinazione di circa 30®
a N. E molto notevole il fatto che gli schisti sottoposti a
questi banchi calcarei sono molto somiglianti agli schisti detti
varicolori del lias superiore, e sono convertiti in ftaniti varie-
gate a strati bizzarramente contorti. La roccia contenente le
nummuliti è affatto identica a quella di Campiglia e di altre
località toscane, cioè un conglomerato calcareo lamellare con
piccoli elementi eterogenei di uno schisto verdastro o nero, e
fra essa ed i banchi calcarei trovansi stratarelli di schisti ar-
gilloso-steatitosi di un color verde scuro. Con ricerche più accu-
rate che avrò luogo di fare in questa località, spero di potere
rinvenire in altri punti la continuazione di questo importante
orizzonte geologico.
Dopo la scoperta di questi strati nei monti di Prata acqui-
stai un pieno convincimento della loro connessione coi banchi
calcarei sottoposti alle arenarie e sovrapposti alla serie schistosa,
ed era naturale che ovunque avessi incontrato una tale disposi-
zione nei sedimenti vi avessi fatto ricerca degli strati nummu-
litici. Questa ricerca riesce inoltre molto favorita dalla apparenza
— 143 —
esterna della roccia rozza alla vista e scabrosa al tatto ; basta
una breve pratica per riconoscerla anche a distanza e tra i
frammenti staccati di varia natura rotolati pei fossi e ingom-
branti i sentieri, e che servono di guida sicura alla scoperta
della roccia in posto. Fu appunto in tal maniera che percorrendo
io la viottola che da Gerfalco conduce a Monterotondo sul pie-
de S.O. della Cornata, prima di giungere al podere detto di
Komano incontrai un frammento che riconobbi subito per calcare
nummulitico ; mi trovava appunto sopra una massa di arena-
rie, sotto alle quali un poco al disopra della strada vidi affio-
rare una serie assai sviluppata di banchi della solita roccia
nummulitica. La loro potenza certamente non inferiore ad una
diecina di metri e la disposizione del terreno si prestano a me-
raviglia ad uno studio accurato delle loro circostanze di giaci-
mento. I banchi nummulitici alternano con strati di calcare
compatto grigio-chiaro, semiceroide e con schisti argillosi varia-
mente colorati contenenti bellissime impronte di fucoidi. La
roccia possiede struttura diversa nei diversi piani del deposito.
Nella parte superiore è un conglomerato a elementi relativa-
mente grossi fra i quali possono essere riconosciuti il calcare
ceroide bianco della Cornata, il calcare rosso e schisti a varie
tinte : oltre le nummuliti, la cui grossezza non oltrepassa i 5’““, vi
si possono scorgere anche articoli di crinoidi. Scendendo in basso
gli elementi del conglomerato divengono sempre più minuti, fino
a che la roccia prende 1’ aspetto di una arenaria calcarea la-
mellare molto simile alla pietra forte. Una particolarità assai
interessante riscontrasi in questo deposito per cui distinguesi da
quelli suaccennati di Prata e di Campiglia, e identificasi con
quello di Castellazzara, pure in provincia di Grosseto, descritto
dal signor Caillaux, (Lettera al signor prof. G. Bianconi, sopra
un terreno nummulitico scoperto in Toscana. Ann. delle Se. Nat.
di Bologna, maggio e giugno 1850), voglio dire la presenza di
arnioni allungati o stratarelli di selce piromaca. Essi sono pa-
ralleli ai piani degli strati e trovansi tanto nei banchi nummu-
litici quanto nel calcare grigio-chiaro che V accompagna, non
però negli strati superiori di conglomerato grossolano.
La serie nummulitica, di cui la direzione generale è E.O. e
V inclinazione variabile a S., unitamente ai sedimenti superiori
— 144 —
ed inferiori si addossa senza alcuna correlazione alla massa del
calcare marmoreo costituente la Cornata e scorgesi ad evidenza
che in questo punto la denudazione non riuscì a scuoprire quel
nucleo centrale nella stessa misura che negli altri punti, dimo-
doché le formazioni più recenti giungono fin quasi alla cima
di esso.
Accennate così brevemente le circostanze geologiche colle
quali presentansi questi due giacimenti nummulitici, se ne po-
trebbero trarre alcune deduzioni generali a riguardo di quella
immensa serie di rocce prive di fossili comprese fra la forma-
zione Massica caratterizzata dalle ammoniti e la miocenica, ma
io credo meglio rimetterne la discussione allorché nuove scoperte
di questo prezioso orizzonte avranno offerto altri argomenti in
proposito. E nuove scoperte non mancheranno certamente, al-
meno in questi dintorni perché le stesse circostanze geologiche
che verificansi a Prata e Gerfalco in prossimità della zona num-
mulitica, verificansi pure in altre località limitrofe.' Così a Massa
Marittima, Monterotondo, Montieri, Gavorrano, ec., abbiamo are-
narie, calcari e schisti argillosi a fucoidi e ricercandovi accura-
tamente non sarà, voglio sperarlo, difficile il rintracciarvi qualche
strato nummulitifero. Del resto la supposta mancanza di questo
orizzonte geologico in queste ed in altre località della Toscana
é da attribuirsi alla estrema tenuità di un tale deposito, per
cui difficilmente può essere incontrato senza farne una minuta
ricerca e senza avere acquistato pratica al riconoscimentó di
quegli indizi che ne avvisano della sua presenza.
Massa Marittima, 2 giugno 1875.
B. Lotti
Geologo-operatore del lì. Comitato geologico
d' Italia.
III.
Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica
délV Italia Meridionale^ per G. Seguenza.
(Continuazione. — Vedi Bollettino, N. 3-4.)
ELENCO DEI CIRRIPEDI E DEI MOLLUSCHI
DELLA
ZONA SUPERIORE DELL’ ANTICO PLIOCENO.
Per ciascuna località le specie sono indicate colla lettera iniziale
del luogo, la quale è maiuscola per tutte quelle che io possiedo. Sono
precedute dall’ asterisco (*) tutte le specie non conosciute tra le viventi,
e da un (.) quelle altre che più non vivono nel Mediterraneo. I diversi
luoghi di Val d’ Era sono distinti con segni differenti : Peccioli P,
Legoli Le, Montefoscoli F, Monte Castello C, Forcoli Fo, Tojano To.
Laiatico La, Casciana Ca, Colleoli Co, Palaia Pa.
I luoghi compresi nella colonna di Gerace sono indicati coi segni
seguenti: Bianco B, Gerace G, Siderno S, Monasterace M.
— 146 —
EIjBNCO dei molluschi e cirripedi dei
w
;z;
H- (
p
p
o
o
Pi
w
p
iz;
1 1.
2 1.
3 s.
4 s.*
5 s.
NOMI DELLE SPECIE.
OSSERVAZIONI e SINONIMI più IMPORT 's
crostaci:!.
Gen. Balanus Da Costa.
Sotto-Classe Cirripedi.
6 s.*
spongicola Browne var. * pliocenica Se-
guenza
perforatus Bruguiére
tulipiformis Ellis
Veneticensis Seguenza
Mylensis Seguenza
B. tulipa Tar. Philippi, B. tulipa (parte) cj:
7 s.^
8 s.*
9 s.^
10 s.
Gen. Acasta Leach.
muricata Seguenza
Gen. Pyrgoma Leach.
costatum Seguenza
Gen. Chelonohia Leach.
depressa Seguenza
Gen. Coronula Lainarck.
bifida Bronn
=rB. tulipa var. Philippi. i
Prossimo alla precedente specie. ; • • • ■ •
= B. balanoides Phil. (parte) fossile in Milp2|
in Sardegna (Seguenza), collezione Liberi.
Di unita alla varietà coi compartimenti lisci!.
Insieme alla var. P. elargatum Seg.
Specie affine alla G. testudinaria
Gen. Pachylasma Darwin,
giganteum Philippi (Chthamalus)
11 c.
12 s.
Gen. Verruca Schumacher.
stromia Muller (Lepas)
dilatata Seguenza
= Diadema diluvianum Costa, C. diadema Ar;^
termedia tra la C. diadema e la C. barbargfl
fessore Aradas l’ha raccolto a Militello. .|
Fossile in tutte le zone del pliocene.^ Vive nell|5
del Faro di Messina ed a Catania j
= Ocbthosia stroemia Phil., 0. monstruosj
Oplosoma fimbriatum (carena) Costa. . .
Affine alla V. prisca e Zanclea |
I
147
SUPEEIOEE DEL PLIOCENO ANTICO.
23 c.
24 c.
25 c/
26 c.
27 s.
28 s.
— 148 -
13 s.* Komettensis Seguenza.
14 Zanclca Seguenza . . .
15 s.* crebricosta Seguenza .
Gen. Lepas Linneo.
16 s. I Hillii Leach
Vive nel golfo di Napoli (Collezione Tiberi)
Somiglia alquanto alla V. prisca
Somiglia per taluni caratteri alla Y. nexa del'
orientali
Gen. Scalpellum Leach.
17 c.* magnum Wood
18 s.* fragmentarium Seguenza ,
19 s.* Zancleanum Seguenza . .
20 s.* Michelottianum Seguenza
Gen. Seillaelepas Seguenza.
= Anatìfa laevis (parte) Philipp!
Affine al vivente S. vulgare. Fossile nel Crag
Un solo frammento della carena .
La più grande specie conosciuta. Comunissim
Affine allo S. quadratum dell’eoceno d’Inghi'
21 s.* carinata Philipp! (Pollicipes).
22 s.* I ornata Seguenza
=• Pollicipes carinatus Darw. Comunissima
=::P. ornatus Seg. (M.S.) Comunissima. . .
mOliliUSìCBLI. — Classe Pteropodi.
Gen. Clio Linneo.
subulata Quoy et Gaimard (Cleodora). .
pyramidata Browne
infundibulum S. Wood (Cleodora) ....
cuspidata Lamarck (Hyal«a) .......
striata Rang (Creseis) . . .
trigona Seguenza (Cleodora)
Gen. HyalcBa Lamarck.
29c,*l Calatabianensis Seguenza. . . .
30 c. 1 trispinosa Leseur
= Cleodora spinifera Phil. Clio subulata Moni
= Cleodora lanceolata Phil., Benoit, Arad
pyramidata Monterosato
Specie del Crag inglese
= Cleodora cuspidata Phil., Seguenza, Clio c
Monterosato ,•
— — Creseis striata Phil., C. sulcata Benoit,
striata Seguenza, Clio striata Mont. . .
Molto affine alla C. pyramidata
ol s. I inflexa Leseur . . .
32 s.* 1 peraffinis Seguenza
Gen. Spirialis Eydoux et Soni ey et.
33 c. 1 retroversus Fleming (Fusus)
34 s.* globulosus Seguenza.
35 s. 1 diversa Monterosato.
Gen. Emholus leffreys.
36 s. I rostralis Souleyet (Spirialis)
37 s.* planorboides n. sp
38 s.* 1 elatus n. sp
Specie affine alla H. tridentata, ma ben d;
piccola
= H. depressa Bivona, Phil. Benoit, Diacria t:
Seguenza ;
mH. uncinata, H. vaginella Phil. ^
Specie forse da riunirsi alla H. tridentata,
sono le var. fornicata, e minor '
= Scaea stenogyra Phil. Atlanta trochifornii
Forse S. Jeflfreysii F. et H . . . .
Affine alla S. reticulata ma colla spira più I
= Protomedea elata Costa. Bellerophina minut
Affine e più grande della specie precedente.'
Apertura grande in rapporto alla spira . . |
I
— 149 —
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
M.
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R.
• • •
M.
M.
M.
C.
M.
R.
• • •
M.
R.
• • •
M.
M.
M.
M.
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R.
M.
4-
M.
M.
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H-
M.
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• • •
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• • •
M.
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M.
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-f-
M.
M.
4-
4-
M.
«
M.
4-
■
M.
4-
- 150 —
39 s/
40 1.
41 s.
MOiiiiCScm
Gbn. Garinaria Lamarck.
peloritana Seguenza
Gen. Philine Askanias.
Classe Criasteropodi.
42 c.
43 c.
scabra Mailer (Bulla) • • • •
quadrata S. Yood (Bullaea)
Gen. ScapJiander Monfort.
44 1/
45 1.’
46 1/
lignarius Linneo (Bulla)
librarius Loven
Gen. Bulla Linneo.
miliaris Brocchi. • • •
D’Anconeana Cocconi .
subampulla B’ Orbigny.
47 1.
48 c.
49 s.^
striata Linneo . .
utriculus Brocchi,
globosa n. sp. . •
50 c.^
Gen. Haminea Leach.
varicosa Eayneval
Gen. Acteon Monfort.
51 1.*
52 1.’
53 1.^
54 1.
depressus Libassi (Tornatella)
pinguis B’ Orbiguy. ...•••
levidensis S. Wood
tornatilis Linneo (Voluta). . .
55 c."
56 c.
57 c.
semistriatus Ferussac . . . .
pusillus Forbes (Tornatella)
exilis Jeffreys . . .
58 1.
59 1.
60 1.*
61 c.
62 s.*
63 s.
Gen. Utriculus Brovrn.
64 1/
truncatulus Bruguiére (Bulla)
inammillatus Philippi (Bulla)
spiratus Brocchi (Voluta). .
obtusus Montagu (Bulla) . .
Jelasii n. sp
expansus Jeffreys
Gen. GylicTina Loven.
convoluta Brocchi (Bulla) . . .
65 1.
66 1.
67 1.”^
68 1.*
69 c.
70 c.^
71 c.'
72 s. '
nitidula Loven
umbilicata Montagu (Bulla)
Brocchi! Michelotti (Bulla)
clathrata Befrance (Bulla)
cylindracea Pennant (Bulla)
subappennina B’ Ancona (M
ovata Jeffreys.
alba Brown (Volvaria). . .
Vedi Pteropodi ed Eteropodi fossili del Messìi
= Bullaea angustata e B. punctata Phil.
= Bulla lignaria ^'hilipph Calcara . . ^
Pescato recentemente a Palermo dal M
rosato
Più allungata della B. ampulla Lin. . • . •
Molto affine alla B. ampolla, piu^grande e pi
=:B. ampulla Sismonda (non Lin.)
Riportata dal Calcara ad Altavilla . . • • -
:= B. intermedia AraJas, B. utriculus Calcai
Sferoidale trasversalmente striata
Nelle tavole dei fossili del Mte Mario del Pr.
= T.* solcata Grateloup (non Ferussac) .
^Tornatella fasciata Philippi, T. tornatilis
fasciata Calcara ‘
= Voluta tornatilis Brocchi (non Lin.)
Bulla semisulcata Philippi.
Affine all’U. obtusus, più grande e meno g
Bulla convoluta Calcara. Esattamente cilinj
r apertura più stretta della C. cylindracea,
S.) (Bulla).
— Bulla truncatula Phil. .......
c=: Bulla ovulata Brocchi (non Lamk)
— Bulla cylindroides ? Calcara (non Besh.)
r= Bulla ovulata Calcara (non Brocchi). ■
Ritrovata recentemente al Salice presso ^
151
2
3
4
5
6
7
8
9
1
1 ^
11
12
13
14
15
16
17
18
19
M.
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M.
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B.
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1.
M.
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. . .
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. . .
c.
M.
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■■‘1
M.
"*H
Gbn. Volvula H. et A. Adams.
73 1.
acuminata Bruguiere (Bulla)
— Bulla acuminata Phil
Gbn. Ovulo, Bruguiere.
74 c.
spelta Linneo (Bulla)
— 0. spelta Calcara
•
Gbn. Fedicularia Swainson
75 s.*
Deshayesiana Seguenza
Gbn. Trivio Gray.
Pescata recentemente nei mari del Nord (Jefl
761.*
sphaericulata Laniarck (Cypraea) ....
77 1.
pulex Solander (Cypraea)
Un solo esemplare d’ Altavilla che conserva ur
colore hrunastro
78 1.*
affinis Dujardin (Cypraea)
79 1.
pediculus Lamarck (Cypraea) .
Riportata dal calcara ad Altavill.a
80 c.
europaea Montagu (Cypraea) .......
Gbn. Cypraea Linneo.
= Cypraea coccinella Lamk. Calcara
1
1
1
81 1.*
amygdalum Brocchi
1
= C. amygdalum Calcara j
82 1,*
elongata Brocchi
= C. elongata Calcara . . . 1
83 ].
physis Brocchi
= pyrula Bronn (non Lamk.) !
84 I.
pyrum Gmelin
: — : C. f*.ÌTiriamomea Olivi j
Gbn. Erato Risso.
85 c.
laevis Donovan (Voluta)
Gbn. Marginella Laraarck.
= Erato cypraeola, E. laevis Philipp!, E. c;
Calcara
i
861.*
suhcincta n. sp
Affine alla M. cincta Kiener (un solo esempla
tavilla)
87 1.
miliaria Linneo (Voluta) .
=:M. miliacea Phil, Volvaria miliacea Calcaj.
881.
clandestina Brocchi (Voluta)
891.*
avena Valencienne ..
90 c.*
Bellardiana Semper
91 e.*
auris-leporis Brocchi (Voluta)
'^Voluta auris-leporis Calcara
92 c.
occulta Allery
Gbn. Ringicula Deshayes.
/
1
1
i
93 c.*
huccinea Brocchi (Voluta)
» var. intermedia Foresti ....
= Marginella auriculata Calcara (non Menai'
94 c.*
Brocchii Seguenza (M. S.)
R. huccinea var. secondo alcuni, R. stria.
Philipp!) secondo altri
95 c.
leptocheila Brugnone ..."
= R. ventricosa Jefifr. (non Vood) j.
Gbn. Voluta Linneo.
i
il
j
96 1.*
Altavillae Libassi
1
971.*
Cn.llftra.mi Ara.fias
j
l'
w
— 153 —
3
4:
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
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M.
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b.
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A.
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C.
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b.
1.
M.
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H-
To.
b.
P.
0.
Le.
0.
H-
0.
P.
B.
• • •
c.
. . .
B.
I.
. . .
c.
. . .
• • •
. . .
M.
0.
B.
0.
P.
b.
0,
0.
L.
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0.
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P.
B.
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c.
1
M.
{Continua,)
— 154 —
IV.
Cenni sopra la costituzione geologica delle Isole Ponza
del dottor C. Doelter.
(Presentati nella seduta del 7 Gennaio 1875 della I. Accademia delle Scienze di Vienna.)
Il piccolo gruppo delle Isole Ponza giace all’ estremità occi-
dentale del distretto vulcanico napoletano.
Tanto dal lato della loro situazione geografica quanto da
quello della loro natura geologica, queste isole vanno divise
in un gruppo occidentale, ossia le Isole Ponza propriamente dette,
che comprendono tre isole : Ponza, Palmarola e Zannone, e in
un gruppo orientale costituito dalle isole Ventotene e di Santo
Stefano. Le prime appartengono a un sistema diverso da quello
delle altre tanto per P epoca di loro formazione, quanto per i
prodotti vulcanici e la costituzione geologica cfie presentano ;
essi si trovano rispetto ai vulcani di Napoli nella medesima re-
lazione che le Isole Lipari hanno con i vulcani della Sicilia.
I loro prodotti appartengono alla classe delle roccie acide,
le quali sono più antiche delle basiche ; la costituzione loro è
raggiata ed è formata da un sistema di dicchi trachitici che
attraversano tufi più antichi. La costituzione delle due isole
orientali è al contrario simile a quella di Precida e dei vulcani
tufacei dei Campi Flegrei.
Noi cominceremo il nostro studio dalle isole orientali di Ven-
totene e di Santo Stefano.
Isola di Ventotene. — Essa giace a 40° 47' 30" lat. nord,
e a 10° 47' 0" long, orientale di Parigi. Il suo circuito è di
4 miglia circa, e la forma è quella di un triangolo, la base del
quale è parallela alla direzione levante-ponente.
La sua superficie è quasi completamente piana, e dalla punta
sud-ovest s’ inchina verso nord e verso est. Il punto più elevato
di essa è il Capo dell’ Arco, situato a sud-ovest, a 110 metri
circa sopra il livello del mare, mentre a nord-est, alla punta
di Eolo e alla punta del Porto, la costa si eleva sopra di esso
soltanto 10 metri circa.
- 155 —
L’ isola, se si eccettuano due bassure alla punta del Porto e
al Camposanto, è affatto priva di avvallamenti. Una forma cra-
terica distinta non apparisce in nessun luogo; come tale si po-
trebbe considerare forse un' avvallatura elittica, diretta dal sud
air est, situata in vicinanza della Punta del Telegrafo e che
comunica col mare soltanto per mezzo di uno stretto canale ; ma
semplicemente dalla forma non si può concludere nulla di preciso.
I prodotti vulcanici di quest’ isola sono i seguenti :
Una lava nero-azzurrognola, molto cavernosa, di cui la massa
compatta contiene molte lamelle di plagioclasio a splendore vitreo,
e più raramente piccoli cristalli di augite ; al microscopio si ri-
conosce che la più gran parte del feldispato è plagioclasio ; la
roccia è, ricchissima di augite e magnetite, e per la struttura e
la composizione mineralogica si avvicina molto al basalto.
Si possono distinguere quattro varietà di tufo :
V Tufo giallo con numerosi noccioli di una roccia augi-
tica, compatta, azzurro-cupa e di una trachite scura scoriacea,
essa pure molto augitica.
2^^ Tufo friabile rosso, ovvero bigio.
3° Tufo formato da piccoli lapilli di pomice spumosa.
4° Tufo grigio-cupo, terroso, formato di un materiale fino
e friabile.
La costituzione dell’ isola è semplice, il sotto-suolo essendo
formato di una grande e potente corrente di lava ; quindi se-
guono gli strati’ del tufo, per solito nell’ ordine seguente :
Tufo terroso grigio o nero.
Tufo rosso.
Tufo pomiceo.
Tufo trachitico giallo.
Quest’ ultima roccia è importante ancora perchè include nu-
merosi frammenti di granito, sienite, gneiss e eufotide, ed inol-
tre aggregati minerali come al Monte Somma ; fatto dal quale
si potrebbe concludere che le montagne gneissiche e schistose
delle Calabrie si continuano nella direzione delle Isole Ponza.
Isola di Santo Stefano. — A oriente di Ventotene, e da essa
divisa per uno stretto canale, s’ innalza la piccola isola di Santo
Stefano, a circa 130 metri sopra il livello del mare. Essa è ta-
gliata a picco da ogni lato, talché è approdabile solo in pochi
— 156
punti e con mare quieto. Qui pure il lavoro demolitore delle
onde marine ha reso poco distinte le forme proprie di una co-
stituzione vulcanica.
Anche in questa isola i crateri non sono chiaramente deli-
neati ; soltanto un burrone situato nel versante sud, lascia ri-
conoscere un cratere più per la disposizione delle materie vul-
caniche che per la sua forma.
La costituzione di questa isola è molto simile a quella di
Ventotene ; cioè presenta correnti di lava con strati di tufo so-
vrapposti.
Isola di Poma. — Delle cinque isole qui descritte, l’ isola di
Ponza è la più grande. Essa giace sotto 40“ 54' 30" di lat. nord,
e 10“ 25' di long, est di Parigi. Essa si presenta arcuata da
sud a est ; la sua lunghezza è di 7 miglia ; la sua larghezza
varia fra un miglio e un quinto di miglio. Essa è divisa topo-
graficamente in tre parti diverse, ^ delle quali la più meridionale
contiene il punto più elevato dell’ isola, cioè il Monte la Guar-
dia alto 280 metri.
La parte di mezzo, dal paese di Ponza fino al piccolo villaggio
di Forneti, è costituita da numerose valli, divise da colline
di 100 a 125 metri, mentre la terza parte si estende in un
piano elevato di circa 80 metri al di sopra del mare.
L’ azione delle onde marine è stata qui pure così forte che
appena è permesso distinguere P originaria forma dei crateri ;
ciò non ostante il porto di Ponza tanto per la sua forma,
quanto per la disposizione delle lave presenta i caratteri di un
vero cratere, cosa che attirò pure P attenzione di Dolomieu, il
primo che abbia descritto queste isole.
Attualmente non è più dato di osservare nell’ isola Ponza
resti di attività vulcanica, come esalazioni, sorgenti calde, ec.
Prima di passare allo studio della costituzione dell’ isola,
descriverò le diverse roccie che vi si trovano ; esse sono le se-
guenti :
Trachite sanidino-plagioclasica.
%
E una roccia compatta, verde-nerastra, con feldispati, alcuni
dei quali più grossi si riconoscono abbastanza facilmente per
— 157
saniclina ; contiene ancora qua e là prismi allungati di antibolo ;
il quarzo e la biotite vi mancano completamente ; al microsco-
pio vi si riconosce grande abbondanza di plagioclasio, cosicché
si rimane in dubbio se si deve considerare quella roccia come
andesite ovvero come trachite.
Una seconda roccia è la riolite ; essa è di un color grigio
rossastro, dura e compatta ed è composta di una pasta omogenea
predominante che racchiude qua e là lamelle di biotite e cri-
stalli di sanidina, mentre V antibolo manca affatto ; la massa
principale della roccia è di natura vetrosa.
Trachite sanidino-hiotitica.
Boccia alquanto -decomposta, ruvida, porosa, di colore grigio
rossastro, con numerosi cristalli di sanidina fessurati, e lamine
di biotite ; qua e là contiene ancora dei granelli di quarzo ;
r anfibolo manca completamente.
Retinite.
Vi si trova in varietà nera, verde-nerastra, giallo vinato, o
giallo miele; tutte queste roccie si sono formate per la fusione
di una breccia trachitica in contatto con la riolite ; la maggior
parte hanno aspetto porfirico perchè contengono nella massa ve-
trosa sanidina e talora riolite, la quale, sotto il microscopio,
ha r aspetto di un’ ossidiana.
Tufi.
V Tufo friabile stratificato di color giallo-grigio ; non
contiene materie incluse.
2° Tufo rosso ; contiene gli stessi minerali che la trachite
della Guardia.
3° Tufo in decomposizione con numerosi frammenti di
ridite silicizzata e di quarzite.
Infine si deve ancora menzionare la breccia trachitica non
stratificata, la quale qui è la roccia più antica ; essa è formata
— 158 —
di un materiale pomiceo molto fino, con numerosi frammenti di
una trachite porosa e vetrosa.
Riguardo poi alla costituzione dell’ isola, essa ci presenta
uno degli esempi più belli di vulcani a forma raggiata. Il porto
di Ponza fu il principale centro di eruzione ; da esso irradiano
numerosi dicchi riolitici, per lo più verticali, di foima molto ir-
regolare, che a modo di correnti si spandono sopra la superficie ;
esse attraversano la già menzionata breccia trachitica grigia e po-
rosa, la quale costituisce forse la base dell’ intero vulcano. In
contatto delle riolite la breccia trachitica è trasformata in reti-
nite brecciforme ovvero del tutto compatta.
Quest’ ultima si trova sempre in contatto del dicco riolitico
mostrando a partire da questo : 1*’ una varietà nero-\eidastia,
T una varietà gialla e 3® una varietà brecciforme, la quale poco
a poco passa alla breccia trachitica. In taluni punti la perlite
rimpiazza la retinite.
Un secondo punto di eruzione della riolite è la baia situata
al nord del porto di Ponza, la quale porta "il nome di Cala del-
P Inferno. Da ambedue irradiano dicchi, potenti di 10 a 40 me-
tri ; dal primo centro provengono 10 dicchi e dal secondo 8 sol-
tanto.
La parte settentrionale dell’ isola, dal villaggio di Forneti
fino alla punta più settentrionale, la quale porta il nome di
Punta dell’ Incenso, ha un’ altra costituzione ; nella parte sud-est
alcuni altri dicchi traversano la breccia trachitica ; peiò la
massa principale è costituita di un tufo particolare, ora friabile,
ora alquanto più compatto che racchiude numerosi frammenti di
riolite silicizzata (senza cristalli di quarzo isolati) ; in altri luo-
ghi la roccia non è quasi composta che di simili frammenti.
Tale è ancora la costituzione dell’ isola di Cavia divisa dalla
Punta dell’ Incenso per mezzo di uno stretto canale. Alla stessa
Punta dell’Incenso si osserva ancora un dicco di riolite.
La parte meridionale dell’ isola è costituita da un elevato
colle trachitico del quale abbiamo già descritto le roccie. Sui suoi
pendìi appare la breccia trachitica, ma dai lati nord ed est, esso
è ricoperto da tufi grigio-giallastri stratificati : dal lato sud final-
mente giace sopra la breccia trachitica un piccolo strato del tufo
Monte La Guardia nell’ Isola di Ponza.
159
w
— 160 —
rosso sopra menzionato. Io ritengo tutta la massa della trachite
della Guardia come più antica dei dicchi riolitici ; essa è la più
antica lava del vulcano di Ponza.
Ci sarebbe ancora da menzionare una roccia la quale, per
quanto sembra, non spetta ai due centri di cui già fu parlato ;
essa è la trachite sanidino-biotitica grigia ; essa forma nella breccia
trachi tica un dicco potente di 10 metri circa e diretto al nord-est;
qui pure la breccia trachitica è metamorfizzata in retinite. E
possibile che questo dicco della costa occidentale spetti ancora
al secondo centro ; però non si può seguire fino alla costa
orientale.
L’ annesso profilo, preso sopra il pendio nord-ovest del Monte
la Guardia sulla spiaggia occidentale, mostra la breccia trachi-
tica attraversata dai dicchi di riolite e in parte metamorfizzata
in retinite ; dietro questa erta parete situata a picco sul mare,
al vertice della quale appare il tufo stratificato, si eleva la
massa della trachite della Guardia.
Isola Palmarola, — La più occidentale delle Isole Ponza, cioè
Palmarola, offre anch’ essa molto interesse.
Quest’isola forma un ridosso alto 100-180 metri, diretto dal
nord air ovest, lungo un miglio e mezzo e largo un terzo di mi-
glio, e che presenta una sola profonda avvallatura nella metà set-
tentrionale ; è questa una bassura di forma rotonda posta fra i
colli del Rosso e la punta della Tramontana, che s’ inclina molto
dolcemente verso il mare e che serve di punto d’ approdo.
Quest’ isola pure presenta una costituzione raggiata ; P azione
del mare su questa stretta e piccola isola è stata molto efficace,
per cui non è dato di osservarne la costituzione raggiata così
chiaramente come a Ponza ; tuttavia le traccie di questa costitu-
zione sono ancora abbastanza distinte perchè si possa riconoscere
che la così detta Marina di Palmarola, avvallamento rotondo il
quale poco si solleva sul livello del mare, deve essere stato un
centro di eruzione. Partendo da questo punto, numerosi dicchi
hanno traversato la breccia trachitica, la quale qui ancora co-
stituisce la base dell’ isola.
Verso il sud questi dicchi sono trachitici, verso 1’ est sono
costituiti invece di una roccia riolitica porfiroide ; verso il nord
poi è un gran dicco potente di litoidite, la quale a sua vòlta è
— 161 -
traversata da piccoli dicchi di ossidiana. Al contrario di quanto
avviene a Ponza, ove si osservano dicchi numerosi, ma poco po-
tenti, s’incontrano a Palmarola dicchi assai potenti ma in pic-
colo numero.
La descrizione di ogni roccia particolare sarà da me data
dopo più accurate ricerche, in un lavoro più esteso sopra le
Isole Ponza.
Isola Zannane. — Fra le Isole Ponza questa è la sola che
non sia formata unicamente di roccie vulcaniche ; è in pari tempo
r isola più vicina alla terra ferma ; essa giace sotto 40® 59'
lat. nord e 10® 29' long, est di Parigi; la sua forma è quella
di un rettangolo ; il suo circuito è di circa 4 miglia. Essa è for-
mata da un ridosso diretto dal nord al sud, tagliato a picco
verso est, nord ed ovest, e del quale il punto più alto s’ inalza
di 135 metri sopra il livello del mare»
La più gran parte dell’ isola è formata di una roccia scolo-
rita, la quale presenta entro una pasta omogenea e discreta-
mente dura, granelli di quarzo e sanidina ; nelle fessure contiene
cristalli di quarzo e limonite. Questa roccia si presenta sotto
forma di un dicco molto potente, il quale probabilmente ebbe
origine sulla costa orientale di Ponza. La parte nord-est del-
l’isola, circa un quarto di essa, è formata da schisti e calcari.
Queste roccie sedimentarie sono di diverse epoche ; ma nessuna
di esse è più recente del calcare ippuritico delle vicinanze di
Terracina ; e ciò ancora è una prova atta a mostrare che gli
schisti antichi dell’ Italia meridionale, si estendono sotto le acque
del mare nella direzione nord-ovest.^ In contatto fra la riolite
e il calcare si sono formati dolomite, calcare dolomitico e cal-
care cristallino.
Da quel che abbiamo detto si conclude che le isole sopra
descritte si dividono in due gruppi. Le due isole orientali, Ven-
totene e Santo Stefano, hanno una costituzione simile a quella
dei vulcani dei Campi Flegrei e dell’ isola di Procida ; esse sono
formate di correnti di lava e di tufi sovrapposti. Le isole del
gruppo occidentale si mostrano del tutto diverse : non si cono-
* SuESS, 1 terremoti dell’ Italia Meridionale, pag, 2.
Il
— 162 —
scono eruzioni storiche di questi vulcani; tutto invece fa cre-
dere, che la loro attività abbia cessato molto tempo prima del-
r epoca storica.
I prodotti vulcanici che sono stati messi a nudo, sono molto
diversi da quelli offerti dai vulcani napoletani ; essi hanno somi-
glianza solo con le roccie delle Isole Lipari ; sono poi molto vi-
cini alle roccie che compongono i monti trachitici dell’ Ungheria
e della Transilvania.
Noi abbiamo qui adunque uno di quegli esempi non frequenti
di roccie eruttive riolitiche, che sono di origine indubitabilmente
neo-vulcanica.
II gruppo delle Isole Ponza occupa probabilmente nel sistema
vulcanico napoletano quello stesso posto che in altri luoghi occu-
pano i prodotti acidi rispetto ai basici : così le roccie acide
delle montagne trachitiche dell’ Ungheria hanno iniziato il pe-
riodo eruttivo, mentre i basalti comparvero molto dopo ; in molti
altri luoghi i porfidi acidi precederono i melafiri basici, e così
nella regione napoletana, le roccie acide aprirono il periodo
vulcanico.
In ultimo mi sia lecito di menzionare con i debiti ringrazia-
menti il generoso appoggio che io incontrai dappertutto da parte
delle autorità del regno d’ Italia ; mi sento in obbligo poi di
fare i miei più vivi ringraziamenti al Comm. Luigi Gorra, se-
gretario di Stato al Ministero dell’ Interno, il quale con molta
premura e buon volere, volle facilitare il mio viaggio in questi
luoghi raramente visitati da forestieri.
V.
Il Vulcano Venda presso Padova. — Lettura del professor
E. SuESS alla R. Accademia delle Scienze in Vienna,
il 7 gennaio 1875.
j (Sunto).
Le eruzioni trachitiche e doleritiche degli Euganei proven-
nero, forse tutte, da un unico grande vulcano, paragonabile per
dimensioni all’ Etna, e che dicerto s’ ergea ben oltre al limite
163 —
delle nevi perenni. Imbasamento ad esso la Scaglia, e qualche
lembo della più antica formazione terziaria. Le azioni distrut-
trici, che, nella successione del tempo, demolirono il cono erut-
tivo e ne dispersero i materiali, denudarono quella base : in qualche
luogo anche le formazioni ad essa immediatamente soggiacenti.
Risalendo col pensiero alle origini, immaginiamo quel vulcano,
quando, al pari di ogni altro, eruttava vapori e ceneri dall’ aperto
cratere: nel cratere s’innalza la lava, premente contro le pareti,
che, spaccandosi le consentono irrompere all’ esterno del cono erut-
tivo e versarsi, dalla sommità in prima dello spacco, appresso da
punti sempre più bassi, per il declivio del cono e sulla circo-
stante regione. Dighe divergenti a raggi dall’asse, e colate più
0 meno oblique all’ orizzonte : tramezzi ed impalcature di solidi
materiali; come chi dicesse lo scheletro, che solo sussisterà poi,
quando le azioni denudatici avranno asportato ceneri, lapilli,
tufi ed ogni altro materiale incoerente o di facile decomposi-
zione. Nè di quelle colate potrà rimaner se non parte: mancato
il sostegno a quelle che s’ adagiavano sulle ceneri del cono, do-
vettero cadere, frangersi, distruggersi, rimanendone solo lembi,
0 sovrapposti per ripetute eruzioni, od inclusi fra le dighe rag-
gianti. Ma dove con crescente spessore si erano distese sull’ im-
basamento, ed ebbero quindi a sostegno solide rocce calcari od
arenacee, quelle estremità poterono persistere e rimanere a te-
stimonii della grandiosità del vulcano, anche quando 1’ azione
distruttrice del tempo lo ebbe in massima parte demolito. Da
quei resti si può desumere qual fosse il centro principale delle
eruzioni euganee, nella china settentrionale del Venda.
Numerosi monti formati al basso da Scaglia o da Biancone,
coronati alla cima da Trachite o da Dolerite, circondano quel
centro : verso il settentrione e verso 1’ oriente, ove la superficie
della Scaglia giace a livello più basso di quello che non sia al
mezzogiorno ed all’ occidente, i monti sono, in generale, meno
elevati, e molti, fino alla base, formati di solida Trachite. Tutte
le cupole di Trachite sanidino-oligoclasica che si succedono da
Torreglia a Monte Ortone, Monte Benzina, Monte Rosso, Monte
Merlo, Monte Bello, Monte Grande e Monte della Madonna, fino
al più discosto Monte Albettone ; poi verso sud-ovest il Monte Gian,
tutti i monti intorno a Fontanafredda ed il segregato Monte di
— 164 —
Lezzo ; e, continuando il giro, tutti i lembi di Tracliite che co-
ronano i numerosi monti di Scaglia al mezzogiorno, rappresen-
tano le estremità delle colate divergenti dallo stesso cratere
principale/ Chi oltrepassi quella corona dal nord o dal nord-
ovest, salendo a Teoio, vede tosto dinanzi a sè, in forma di mu-
raglione gigantesco, la gran diga di Pendise, a ripidi fianchi,
colle rovine dell’ antico castello di Ezzelino in vetta. Per essa
si giunge al luogo dell’ eruzione, e tosto comparisce una seconda
diga più corta e di origine alquanto superiore: gli sparsi fram-
menti di Retinite provengono dalle salbande di essi filoni o di
un altro filone di Trachite nera incompletamente prodotto. Più
corto che quello di Pendise, ma perfettamente caratterizzato, è
il filone di Bajamonte. Segue, sempre divergendo dal luogo stesso,
il prolungato filone della Forchetta, che sembra emettere a de-
stra ed a sinistra altri filoncelli secondarii. E radiale è del pari
la direzione del lungo dorso principale del Venda, costituito nella
sua parte più elevata di tufo bianco zonato; ed irraggiano dalla
sommità, verso P oriente, altri numerosi filoni : precipui i due
vicini, sopra uno de’ quali è il chiostro di Rua quello di Venda si
ergeva su altro filone minore. Ad ognuno di essi filoni ha dovuto
corrispondere qualche grande eruzione. Il lembo di Trachite al
molino di Schivanoja, presso Teoio, rinomato qual esempio di
filone-strato, è un frammento di colata interchiuso fra filoni irra-
dianti che dovettero esserle posteriori. L’ intaglio della strada
da Galzignano a Torreglia, nella continuazione del filone di Rua,
mostra meravigliosamente conservato un pezzo dell’ antico cono
vulcanico, compenetrato da filoncelli di varietà differenti di
Trachite.
Meglio che nei vulcani attivi, son qui manifeste le correla-
zioni della gola eruttiva coi circostanti terreni stratificati.
Scaglia e Biancone non sono punto sollevati in massa dalla Tra-
’ Air oriente si eleva, segregato dagli altri, il gruppo, di Sieva, Cattajo e
Monte Nuovo. A farlo supporre un centro distinto di eruzione, concorrono: la
distanza, la qualità dei materiali e 1’ età più recente. Il tufo bianco pomicoso
fossilifero vi è attraversato da filoni, e ricoperto da colate della Trachite nera
denominata Sievite: alle salbande di quelli, originata dalla fusione,, la Retinite ;
breccia retinitica alla sommità di quel resto dell’ antico cono, altra porzione del
quale è il Monte delle Croci ; e prodotto dalla denudazione l’ incavo che simula
un cratere.
— 165
chite: gli spostamenti interessano egualmente il terreno strati-
ficato e le cupole di TracMte che lo ricoprono; le maggiori
eruzioni incastrarono a guisa di conio grandi masse di Trachite
fra gli strati disgiunti della Scaglia, come presso Teoio da una
parte, presso Fontanafredda dall’ altra ; ed i frammenti della
Scaglia rimasero spesso inclusi in breccia da cemento trachitico.
Considerando sotto tali vedute il caso di Fontanafredda, si di-
rebbe che una possente colata di Trachite oligoclasica, inseren-
dosi fra i terreni calcari stratificati, ne svellesse un gran lembo
e lo trasportasse nel suo corso per un qualche tratto. Gli strati
inferiori di quel lembo, chiariti giurassici dalle Belenniti e dai
Filloceri che includono, furono al contatto convertiti in marmo;
vi succedono gli strati del Biancone a Crioceri; e la Scaglia,
che ne costituisce la parte superiore, fu poi ricoperta da po-
steriore colata riolitica.
Possenti e prolungate dighe irraggianti da un centro, colate
largamente estese, testate preservate dalla denudazione in ampia
cerchia, monumenti di ripetute e grandi eruzioni, dimostrano
qual gigantesco vulcano dovette un tempo essere il Venda.
VI.
Appunti geologici sulV Italia,'^ del dottor R. Ludwig.
(Da una Memoria inserita nel BuUettin de la Société Tmp. des Naturai, de Moscou,
Année 1874, N. 1.)
Tuttoché nella penisola italiana non sia ancora stata scoperta
la intiera serie dei terreni conosciuti nelle altre regioni europee,
pure buon numero di questi vi sono rappresentati. Infatti, inco-
minciando dai più antichi, nelle vicinanze di Messina trovarsi :
gneiss finamente scistosi, grigi, talvolta cloritici; graniti a ele-
menti grossolani ; scisti talcosi calcariferi ; scisti argillosi di tinta
oscura : i banchi di queste roccie ripidamente raddrizzati, sono
’ L’ Autore ebbe più volte occasione di visitare lavorazioni minerarie in Si-
cilia, in Calabria, in Apulia, nei dintorni di Napoli, nel territorio di Roma ed in
Toscana, e percorse il nostro paese in diversi sensi: in questa Memoria egli espose
le principali cose osservate.
— 166 —
ricoperti dal calcare liasico. Nel gruppo di Aspromonte e nei
monti della Sila in Calabria trovasi un gneiss composto di fel-
dispato bianco, quarzo e mica bruna, il quale passa a micascisto
ed è accompagnato da un calcare bianco compatto con orne-
blenda, quarzo ed epidoto e da uno scisto argilloso nero : presso
Lungro questa formazione cristallina è ricoperta dal calcare giu-
rese e da un terreno terziario salifero. Nell’ Italia media com-
pariscono scisti cristallini e calcari nell’ Apennino abruzzese
(Gran Sasso d’ Italia), nei monti di Tivoli, al Capo Circeo, nei
monti di Tolfa, ed in Toscana a Gerfalco, a Monticiano, al
Monte Argentario, al promontorio di Talamone, nei Monti Pi-
sani e nelle Alpi Apuane ; nell’ Isola d’ Elba, e in quelle del
Giglio, Capraia e Montecristo si trova anche un vero granito.
Alcune di queste roccie scistose costituiscono il terreno cono-
sciuto col nome di Verrucano, sulla esatta posizione del quale
nella serie cronologica non sono ancora d’ accordo i geologi per
deficienza di dati paleontologici. Per lo stesso motivo non si
può asserire che la formazione siluriana esista in Italia fuori
della Sardegna. J
■ La formazione carbonifera vi esiste senza alcun dubbio e fra
gli altri punti fu bene accertata nel gruppo di Jano in To-
scana, dove il prof. Meneghini scoperse frammenti di Lepido-
dendri, di Sigillane, di Caiamiti e di Felci, insieme con Pro-
ductus e Criniti : la roccia ne è uno scisto argilloso nero che
presso Jano riposa sulle roccie scistose cristalline, emergendo
dalle formazioni giurese, neocomiana e terziaria. — Molta incer-
tezza regna tuttora sui rappresentanti del terreno permiano.^
Nei Monti Pisani e nelle Alpi Apuane è frequente il calcare
rosso ammonitico (Lias) con Belemniti, Terebratule, Rhynchonelle,
Spiriferi e con molte specie di Ammoniti.^ Anche nei calcari
brecciati variegati e in quelli compatti giallastri che coprono
^ L’Autore dice inoltre che la formazione triassica nell’ Italia centrale è assai
bene conosciuta; ma secondo gli studii degli ultimi dieci anni non si può pensare
così ; quei terreni che prima erano attribuiti al trias, ora sono stati riconosciuti
infraliassici ; al trias invece, sembra si riferisca la formazione dei marmi e quella
degli scisti cristallini sovrapposti.
^ V. Meneghini, Monographie des fossiles appartenant au Calcaire Rouge
Arnmonitique de Lornhaìxlie et de VApénnin de V Italie Centrale. Milan {Pa-
léonlologie Lombarde).
— 167 —
il calcare rosso, furono raccolti fossili fra i quali Aulacoceri,
Ammoniti, Belemniti, Conchiferi, Brachiopodi e Criniti.
I terreni che ricoprono il Lias anzidetto non mancano nel-
r Italia centrale : verso V Adriatico havvene alcuni lembi staccati
presso Ancona, Manfredonia e Bari : in questi terreni giuresi
i fossili sono scarsi e di difficile determinazione. Una forma-
zione analoga è costituita dai così detti scisti varicolori di
Toscana.^ A questi scisti fa seguito presso Montieri un sottile
strato di arenarie e quindi un giacimento di un calcare bianco
compatto con fossili e con filoni di minerali di piombo e rame.
Gli stessi minerali entro un calcare analogo si trovano anche
nei monti della Tolfa presso Civitavecchia. ~
La formazione cretacea si estende assai in Italia, ed è
talvolta sollevata a grandi altezze sul livello marino. Nella
Italia media vi si distinguono tre piani : l’ inferiore formato da
banchi di un calcare bianco cristallino senza fossili, il medio da
un calcare compatto rossiccio o bianco con strati marnosi inter-
posti e con Ippuriti, Badioliti, Nerinee ed altri fossili, il supe-
riore da argille scistose, marne calcaree e gesso con molte specie
di fucoidi. Nella Toscana invece distinguesi il Neocomiano ^ (cal-
cari di diverse specie) ed il cretaceo superiore con calcari di-
versi. Alcuni pozzi eseguiti per la ricerca di soffioni boraciferi
a Tra vale presso Montieri hanno traversato questi terreni del
cretaceo superiore; essi furono eseguiti poco lungi da un’altura
di calcari giuresi e liassici, e trovansi allineati quasi normalmente
alla direzione degli strati. Ecco le sezioni di questi pozzi, in-
dicando con numeri progressivi i varii fori dal più basso al più
elevato.
Foro N. 1 {non terminato).
M.i 8,89. Terreno smosso superficiale. 5,10. Breccia calcarea.
0,45. Calcare alberese con quarzo. 9,35. Argilla scistosa.
12,61. Argilla con sferoidi di calcare 0,42. Calcare alberese,
bianco ed acqua. 8,85. Breccia calcarea.
‘ L’ Autore pone fra gli scisti detti varicolori dal Savi, che appartengono
al lias superiore, le roccie di Montieri, di Gerfalco, di Val di Castello e di Ser-
ravezza. le quali appartengono invece alla serie anticamente detta del Verrucano,
e probabilmente, per la massima parte, al trias. Queste roccie, come dice l’Autore,
contengono galena argentifera, rame grigio, stibina, blenda, fluorite e cinabro.
* Non è ben certo che il calcare della Toscana, detto dall’Autore e dagli al-
tri geologi, finora, Neocomiano, sia tale.
168
Foro N. 2. Distante M. 90 dal N. 1.
M.' 17,00.
13.00.
1.50.
6.50.
5,00.
Ciottoli impastati nel-
V argilla.
Argilla scistosa con parti
di calcare terroso.
Calcare quarzoso.
Argilla scistosa con cal-
care terroso.
Calcare bianco.
1,20. Roccia arenacea con pic-
colo getto di vapore.
14,00. Arenaria.
1,80. Gesso.
1,00. Getto di vapore ed acqua
con acido borico.
M.‘ 61,00
Foro N. 3. Distante M. 265 dal N. 2 {abbandonato).
M.^ 4,50. Argilla scistosa.
0,25. Calcare bianco.
0,25. Argilla scistosa.
2.25. Calcare bianco.
0,40. Argilla scistosa.
0,80. Calcare bianco.
0,80. Argilla bianca.
1.10. Breccia calcarea.
0,80. Calcare bianco.
0,50. Argilla scistosa.
2.10. Breccia calcareo-quar-
zosa.
0,35. Calcare bianco.
0,75. Argilla scistosa nera.
1.25. Calcare bianco.
0,70. Argilla scistosa.
1,80. Breccia calcareo- quar-
zosa.
0,65. Argilla scistosa.
0,25. Breccia.
0,50. Calcare bianco.
0,95. Breccia ed argilla.
2,93. Argilla scistosa.
0,22. Calcare bianco.
0,65. Argilla con nuclei cal-
carei.
0,25. Calcare bianco.
0,30. Breccia.
0,35. Argilla scistosa.
0,35. Calcare bianco.
1,20. Breccia con calcare.
4;60. Arenaria argillosa con un
getto di vapore.
3,90. Arenaria argilloso-cal-
carea.
4,55. Calcare farinoso con forte
getto di vapore.
0,20. Calcare bianco.
1.10. Calcare farinoso.
2.15. Arenaria argillosa.
3.95. Calcare farinoso.
0,80. Breccia.
0,70. Quarzo compatto.
0,20. Argilla scistosa nera.
4.00. Arenaria.
1.60. Gesso.
7,55. Calcare farinoso con forte
getto di vapore.
0,40. Arenaria e quarzo com-
patto.
6.95. Cai care farinoso con forte
getto di vapore.
7,25. Breccia calcareo-quar-
zosa.
2,70. Gesso.
0,50. Incrostazioni calcaree.
1.00. Calcare terroso con getto
di vapore.
0,74. Getto di vapore.
16,61. Calcare bianco.
1,10. Argilla scistosa rossa.
8,50. Incrostazioni calcaree con
frequenti cavità.
2.60. Calcare terroso con getto
di vapore.
29,93. Alternanza di calcare
compatto e terroso con
getti di vapore.
4,47. Calcare bianco quarzoso.
0,10. Quarzo.
5,75. Calcare quarzoso con
getto di vapore.
2,12. Calcare terroso.
1.16. Arenaria argillosa bianca
con gesso.
9,82. Calcare quarzoso.
M.‘ 167,25
Da questi esempi appare quale sia la successione del terreno
cretaceo superiore in Toscana, e cioè una alternanza di argilla
scistosa, calcare alberese, arenaria, calcare quarzoso e gesso.
Giova ricordare in questo punto una potente massa di strati
arenaceo-calcarei grossamente scistosi, la quale, sottostando al
calcare nummulitico di Banco nelle montagne di Fresinone,
forma il piede e la pendice di un monte dirupato che porta
sulla sua cima la piccola città di Monte San Giovanni. Da questi
scisti di colore bruno, e che posti sul carbone bruciano con fiamma
lucente, stillano goccio di petrolio : essi racchiudono special-
mente alla superficie alcune conchiglie biancastre appartenenti
ai generi Pinna, Corbnla, Niicula, Cardium, Venus, Phoìadomya,
Ostrea, Pleiir otomaria, Puccinum, ec.
La formazione eocenica, assai sviluppata nella penisola ita-
liana ed in Sicilia, vi è rappresentata, secondo le località, da
potenti strati calcarei a nummuliti, da argille scistose con fu-
coidi, e da arenaria (macigno). Il calcare nummulitico di Dauco,
Veroli, Alatri ec. nel circondario di Frosinone, è di colore
bianco giallastro, di solito assai compatto, ed offre una potenza
di oltre cento metri : il suo piano inferiore, grosso da 10 a 12
metri, è assai ricco in asfalto e contiene talvolta grossi blocchi
di solfo. Nel gruppo della Tolfa presso Civitavecchia la forma-
zione eocenica inferiore consta in parte di marne varicolori e
calcari, in parte di arenarie ed argille scistose alternanti in sot-
tili strati con depositi di lignite.
La formazione miocenica è del pari sviluppata, e in essa si
distinguono depositi marini e lacustri. Ai primi appartengono i
conglomerati della valle del Noni presso Massa Marittima, con
Ostrea corrugata. Brocchi, Comis ponderosus. Brocchi, e varie
specie indeterminate di Cardium, Lima, Pecten, ec. Lo stesso
terreno in Val di Cecina è formato da argille marnose grigio-
azurrognole con alabastri, gessi e depositi di salgemma. Nei
dintorni di PiOma il miocene marino mostrasi alla base dei colli
sulla destra del Tevere e contiene i seguenti fossili trovati dal
Ponzi : Argonauta Marmata, Cleodora pyramidata. Gl. Picciolii,
Gl. subulata, Dentalium Noe, D. ìcevigatum, Solemya solida,
Phaladomya Vaticana, Pecten cristatus, Ostrea corrugata, Gidaris
remiger, Hemiaster Vaticani, Flabellum Vaticani, Trochocyatlius
umbrella, ec.
Il miocene lacustre è rappresentato in Toscana presso Mon-
tebamboli e al Poggio Moretti presso Montemassi : esso consta
— 170
di calcare con lignite, di arenaria e di conglomerati, con Vnio,
Plcmorbis, JDreissena, ed altri fossili d’ acqua dolce, come pure
impronte di foglie. Presso Lungro in Calabria lo stesso terreno
è probabilmente rappresentato da strati di arenaria gialla con
traccio di lignite e con depositi di gesso intercalati : al di so-
pra, per 200 metri di spessore, havvi un’ argilla scistosa e gesso
con deposito di salgemma, e più in alto un conglomerato gros-
solano solidamente cementato ed una sabbia fangosa con avanzi
di Natica^ Ostrea e Fecten.
La formazione pliocenica, composta di sabbie, argille, calcari
friabili e marne, ricopre estesissime superficie sui due versanti
dell’ Aperinino ed in Sicilia, ed è dovunque ricchissima di fos-
sili. Noi la troviamo nelle valli dell’ Arno, dell’ Ombrone, del-
l’Albegna, al Lago Trasimeno, nelle colline tra Pisa e Volterra, a
Siena, a Orvieto, al Monte Mario presso Roma, a Porto- d’Anzio,
a Corneto, e, sull’ altro versante, lungo tutta la costa dell’i^dria-
tico sino a Barletta ed oltre. Un calcare pliocenico d’ acqua dolce
trovasi presso Massa Marittima e contiene impronte di piante.
Anche i membri della formazione quaternaria abbondano in
Pcalia, e contengono nelle loro parti più antiche resti bene
conservati di Elephas antiquus, Falc., E. mericìionalis^ Nesti,
E. Arvernensis, Gervais, Ehynoceros tichorhimis, Cuv., Gervus
elapJms, Cuv., ed altri, e nelle parti più recenti gli stessi resti
rotolati con avanzi d’ industria umana e di animali tuttora vi-
venti. Vi abbondano i travertini, e fra gli altri quelli ben noti
di Tivoli non lungi da Roma, come pure tufi vulcanici di for-
mazione sottomarina o subaerea.
Varie sono le altitudini a cui giunsero le roccie delle diverse
formazioni. I più antichi terreni del Lias e del Giura si elevano
in media a 1200 metri sul mare, salvo alcune punte che raggiun-
gono altezze molto maggiori : quelli delle formazioni cretacea ed
eocenica stanno in genere dagli 800 ai 1600, quelle mioceniche
da 600 ad 800, e le plioceniche per solito al disotto di 200.
Un fenomeno di primaria importanza per le coste italiane è
la formazione delle lagune e degli stagni littorali per effetto di
sollevamento della spiaggia, quale può osservarsi a Barletta nel-
P Adriatico ed a Porto d’ Anzio sul Mediterraneo. Nella prima
località la costa è formata da una argilla grigiastra pliostoce-
— 171
nica con CeritJimm. vidgatum, Lk., JBuccinum reticulakm, Lk.,
Tellina planata, Limi., PectuncuUts pilosus, Lk., che vivono an-
cora oggidì in quei paraggi. Questo deposito forma una diga
di più chilometri di larghezza, alta più di tre metri sul livello
del mare, la quale divide da questo una serie di lagune che
vengono invase dall’ acqua salsa per mezzo di un canale artifi-
ciale, ed il Lago di Salpi con acqua dolce. Nel mare si estende
una sabbia formata di minerali vulcanici del Vulture trascinati
dal fiume Ofanto, e con avanzi di animali marini; nel lago al
contrario havvi una fanghiglia calcareo -marnosa con gusci di con-
chiglie terrestri e d’acqua dolce. — Presso Porto d’ Anzio la costa,
evidentemente sollevata, sovrasta con pareti ripidissime di circa
12 metri sul livello del mare, lasciando all’ asciutto fra essa e
il mare un piccolo cumulo di sabbia di formazione recentissima.
La costa è formata, dal basso all’ alto, di un calcare compatto
pliocenico, di un’argilla fossilifera pliostocenica, di un calcare
tenero cogli stessi fossili, e infine di una fanghiglia prodotta
dalle materie vulcaniche del Lazio. A Torre Caldara, poco più
al nord di Porto d’ Anzio, havvi invece il seguente profilo :
nella parte più bassa un’ argilla, alla quale fa seguito una marna
grigia, quindi un’ argilla nera con piccoli noduli di solfo e dalla
quale sgorga una grossa sorgente solforosa che ricopre il suolo
tutto air ingiro di una crosta spessa di solfo bianco ; sopra lo
strato solfifero seguono arenarie ferrifere, sabbie, di nuovo are-
narie, un’ argilla turchina con Pecten opercularis, Lin., un cal-
care conchiglifero con Cardium edule, Lamk. Cerithium vidgatum,
Lamk. ec., da ultimo depositi fangosi pleistocenici. — In prossi-
mità di Barletta, come anche a Nettuno sulla costa romana, si for-
mano depositi di sabbia ferro-magnetica : in quest’ ultima loca-
lità il deposito si forma coi prodotti vulcanici dei Monti Albani
dilavati dalle onde marine; esso consta di straterelli ciascuno
dei quali ha uno spessore variabile sino a 5 centimetri, e sepa-
rati fra loro per altri straterelli di sabbia feldispatico-leucitica
con granelli di quarzo : vi si trovano mescolati gusci di con-
chiglie che il mare accumula sulla spiaggia. A Barletta invece
la sabbia magnetica proviene dalla decomposizione dei materiali
vulcanici del Vulture trasportativi dall’ Ofanto : questo secondo
deposito sorpassa per importanza quello di Nettuno.
— 172
Da Porto cP Anzio sino al Capo Circello (P antica isola Circe)
si estendono al piede dell’ alpestre catena dei Yolsci le famose
Paludi Pontine separate dal mare per mezzo di una duna bassa
coperta da folta vegetazione : la formazione di queste paludi
non devesi attribuire tutta all’ azione delle onde marine ed a
quella delle torbide dei torrenti, ma vi concorse ancora P azione
di sorgenti ricche di bicarbonato di calce che originarono rile-
vanti depositi di travertino o tufo calcare, i quali si possono
vedere a Cisterna, a Sezze, ed in altre località, ricoprire per
molto spazio le fanghiglie fluviali. Un fenomeno analogo vedesi
nella pianura di Pesto, il suolo della quale va sempre elevandosi
per depositi di tufo calcare prodotto da un piccolo ruscello, e
questa nuova formazione contribuisce assai all’ impaludamento
di quella regione celebre una volta per salubrità. Depositi della
stessa natura si vedono anche a Pompei.
Un giacimento di tufo calcare molto interessante, della po-
tenza di oltre i 100 metri, può osservarsi nella vallecola del
fosso detto dell’Acqua Bianca Verginese presso la Tolfa. Esso
trovasi sulla pendice di un alto monte e forma un altipiano
largo più di 400 metri e lungo 600 con pareti quasi verticali
verso la valle: ebbe origine da una sorgente termale (62°,5 C.)
ricca di acido carbonico. Dalla parte del monte, una sorgente
ferruginosa trasforma il tufo in una vera ematite calcarifera, la
quale è attraversata da vene di calcare bianco e di arragonite,
per modo che assume bella apparenza e viene così impiegata
nei dintorni come pietra da ornamento.
Le saline di Lungro in Calabria. — Nelle Calabrie, come già
fu detto, havvi un nucleo di scisti cristallini e calcari circon-
dato da sedimenti delle formazioni giurese e cretacea, essendo
le valli ripiene di strati terziarii : a questi appartengono i po-
tenti banchi di conglomerato delle montagne di Castrovillari,
costituiti da frammenti calcarei e quarzosi cementati da calcare ;
essi raggiungono una notevole potenza e sono usati in paese per
le costruzioni. Più verso settentrione si raggiungono i calcari
bianchi giuresi alternanti con scisti argillosi e con marne, che
si elevano a grandi altezze sul livello marino : è al limite me-
ridionale di questa catena montuosa che s’ incontrano i depositi
saliferi di Lungro ed Altomonte.
— 173 —
L’ossatura delle montagne di Lungro è formata da rocce
cristalline, da scisti argillosi colorati in verdastro da sostanze
cloriticlie, da calcari racchiudenti orneblenda, calcari con vene
quarzose, e scisti quarzosi e micacei più volte alternanti fra di
loro : questi strati inclinano di 70” a 80” verso sud, mentre al
nord riposa sulle loro testate il calcare giurese compatto, bianco-
gialliccio e privo di fossili, i cui banchi alternano con scisti
argillosi e con una arenaria rossa. Questi terreni sono attraver-
sati in tutte le direzioni da filoni di quarzo bianco, ed i calcari
racchiudono druse di spato calcare e di anfibolo verde filamen-
toso. Sopra di essi riposa in strati quasi orizzontali la forma-
zione terziaria salifera, la quale consta al basso di una arenaria
quarzosa poco consistente ed alternante con un’ arenaria argil-
losa ed un’ argilla scistosa con depositi di lignite ; viene in se-
guito un potente deposito di gesso granulare e spatico che in
qualche località dette origine a sdrucciolamenti ; vi sta sopra
un’ arenaria gialla a fini elementi, la quale è finalmente ricoperta
dall’ argilla salifera turchina ricca in gesso : questa argilla al-
terna in sottili strati col salgemma e con piccoli banchi di
gesso. Sopra 1’ argilla segue un conglomerato di rocce cristalline
e calcari cementate da silice ed ossido di ferro, quindi una fan-
ghiglia sabbiosa giallastra con Fecten, Ostrea e Natica, d’ epoca
probabilmente miocenica, ed infine strati di ciottoli e di fango.
Sopra agli strati calcarei giuresi e in parte sopra gli altri
depositi più antichi, havvi nei dintorni di Lungro una breccia
calcarea nella quale stanno cementati frammenti angolosi grossi
e piccoli per mezzo di vene di spato calcare e calcedonio dello
spessore di uno a due centimetri. Questa breccia giace in discor-
danza colle rocce sottoposte, essa non è stratificata e fu pro-
babilmente originata da frane.
Il salgemma puro che forma oggetto di coltivazione si trova
in depositi assai irregolari e fra di loro isolati : la lavorazione
si spinge fino a 176 metri sotto la superficie,, e le masse saline
che ne sono oggetto hanno forma irregolarissima e racchiudono
piccole masse e sferoidi gessifere, impure; sono però insieme
collegate da parti più sottili, di manierachè si possono seguire
con facilità. Queste masse sono tutte attraversate da crepacci e
da cavità che facilitano molto 1’ escavazione del sale.
174 —
Minerali di rame ^ piombo e mercurio. — : Assai conosciuto è
il giacimento cuprifero di Montecatini in Val di Cecina (Toscana).
Chi dalle Saline, inferiormente a Volterra e Montecatini, sale
nella parte superiore della valle, attraversa dapprima le argille
grigio-turchine mioceniche, colà assai sviluppate, racchiudenti
depositi di salgemma, gesso ed alabastro : dal disotto di queste
argille sorgono presso Montecatini gli strati dell’ eocene, e più
in alto si mostra sotto all’ eocene un complesso di strati quasi
verticali, in mille guise contorti, formati da argilloscisti rossi
calcarei e da calcari bianchi e rossi, i quali apparterrebbero
alla formazione cretacea. Al limite fra il miocene e l’ eocene
havvi presso Montecatini un porfido micaceo grigio, diviso in
grossi prismi verticali, e composto di una pasta cristallina di
labradorite grigio-rossastra nella quale sono sospese innumere-
voli foglietto di biotite. Le cime del Montecatini (700 a 750
metri sul mare) sono formate dal gabbro rosso al quale in po-
chi punti si associa anche il verde; quest’ultimo accompagna in
profondità il giacimento cuprifero. Al contatto fra il gabbro ed
il calcare cretaceo che vi sta sotto, trovasrun conglomerato nel
quale stanno racchiusi ciottoli di gabbro e di calcedonio, e ra-
ramente di calcare compatto, fra di loro cementati da solfuri di
ferro e di rame : in esso conglomerato trovansi sparse delle
sferoidi assai ricche in rame. — Il minerale cuprifero ha per
ganga un’ argilla prodotta dalla decomposizione del gabbro, in-
sieme con frammenti di gabbro e masse conglomerate di quarzo
e calcedonio, con minerali verdi cloritici, e più raramente con
piccoli cristalli di calcite : il minerale poi consta di piriti di
ferro e di rame, di erubescite e di calcosina. Quest’ ultima si
ritrova a riempire le spaccature, in pezzi rotondi assai volumi-
nosi, specialmente nel muro del filone; la erubescite sta nel
mezzo, e la pirite di solito nel tetto. La intiera massa del
filone, ed anche una porzione delle salbande formate dal gabbro,
è impregnata di minerale cuprifero; questo però di preferenza
si accumula in masse irregolari ed isolate, delle quali già quattro
se ne raggiunsero coll’ attuale pozzo di escavazione ; la principale
di queste, giacente tra il gabbro e la formazione cretacea, misura
ben 400 metri di lunghezza, 50 di larghezza e 30 di altezza.
Per importanza industriale tengono un posto distinto anche
— 175 —
i giacimenti cupriferi dei dintorni di Massa Marittima in To-
scana. Dalla stazione ferroviaria di Follonica dirigendosi verso
questa località, dopo avere attraversata la formazione miocenica
e la eocenica, ed altresì il tufo calcare con piante fossili ripo-
sante sulle testate degli strati di esse formazioni, si raggiun-
gono alcuni strati calcarei, e fra essi potenti banchi di quarzo
con piriti di ferro e di rame, galena, malachite, azzurrite, blenda
e stibina. Agli affioramenti questi minerali vedonsi decomposti,
e specialmente le piriti sono convertite in idrossido di ferro e
di rame, ed in carbonato di rame, ed il quarzo vi è ridotto in
frantumi. In questi giacimenti sono aperte le lavorazioni delle
Capanne Vecchie, di Val Castrucci, di Serra Bottini e del-
r Accesa, e parecchie altre intraprese negli antichi tempi ed ora
abbandonate. In talune località, per la decomposizione delle pi-
riti che trovansi nei banchi di quarzo e nelle rocce circostanti,
si generò del solfato d’ allumina ed anche della vera allumite
come a Montioni e presso il Lago dell’ Accesa.
Accenneremo anche ai giacimenti di galena argentifera con
rame grigio di Val di Castello e Serravezza presso Pietrasanta
nelle Alpi Apuane. Quivi presso, a Ripa, si hanno scisti talcosi
calcariferi, entro ai quali trovasi un banco quarzoso di 2 a 3
metri di potenza, parallelo alla stratificazione, con impregna-
zioni di cinabro. A Val di Castello il piede del monte consta
degli stessi scisti talcosi calcariferi e di uno scisto argilloso,
entro i quali terreni riposano quattro banchi quarzosi con pirite,
galena e blenda argentifera; il minerale però trovasi in zone
limitate della potenza da un mezzo metro a due e la cui lun-
ghezza oltrepassa raramente i dieci metri. Negli stessi scisti
furono coltivati molti filoni di rame grigio, con ganga di fluo-
rite variamente colorata, talvolta con quarzo e calcite. Più in
alto vedesi il calcare cavernoso superiore agli scisti, che si
estende sino alla sommità del monte detto dell’ Argentiera, il
quale fu oggetto di molte lavorazioni minerarie degli antichi,
ed in giornata dà vita alle importanti miniere di galena argen-
tifera del Bottino ; sembra che i giacimenti metalliferi vi si tro-
vino verso il contatto del calcare cavernoso cogli scisti od an-
che in terreni sottostanti a questi, e pare che il minerale siavi
concentrato in zone di maggiore o minore ricchezza.
176 —
Da ultimo citeremo un altro giacimento eli galena dei monti
della Tolta presso Givitaveccliia. Anche qui si riconoscono le
tracce di antichissime escavazioni in un filone di galena argen-
tifera, calcopirite e blenda con fluorite, calcare, siderite e quarzo,
in località detta Poggio della Stella : questa altura è formata
da calcare bianco qua e là cristallino, e circondato da strati
più giovani specialmente eocenici ; in questo calcare, probabil-
mente giurese, stanno rinchiusi i filoni metalliferi.
Soffioni, putisse, solfatare e giacimenti di solfo, asfalto ed
allumite. — A tutti è nota la storia della coltivazione dei sof-
fioni boraciferi di Toscana iniziata dal Larderei presso Monte-
cerboli, Castelnuovo, Monterotondo, al Lago sulfureo, a Serraz-
zano, Lustignano e Sasso, e più tardi anche a Travale. La tem-
peratura di questi getti è tra 90° e 127° C. La produzione to-
tale di acido borico in 50 anni di esercizio (1818-1867) fu di
circa 40 mila tonnellate rappresentanti un valore di oltre 80
milioni di lire. In questa regione trovansi ancora esalazioni calde
di vapore acqueo con acido solfidrico dette putisse, come quella
di Travale a S.E,, la sorgente sulfurea di Val di Cecina a N.O.,
quella di San Michele, due sorgenti fra Castelnuovo e Monte-
rotondo, tre nelle vicinanze del Lago sulfureo : vi è inoltre una
sorgente minerale ricca d’ acido carbonico al Bagno a Morba
presso Larderello. Il gas che si sprigiona insieme coll’ acqua dai
soffioni è composto per ben nove decimi di acido carbonico e
pel rimanente di acido solfidrico, idrogeno, azoto, ossigeno e
carburi di idrogeno.
Le solfatare, o meglio putizze, sono strettamente collegate
ai soffioni per la natura dei gas eh’ esse emanano, in genere
acido carbonico con acido solfidrico. Esse sono molto frequenti
in talune parti d’ Italia : alcune, nella stagione asciutta, non
producono che gas, come ad esempio quelle della valle del Mi-
gnone nei monti di Tolfa e quelle di Monterotondo e Monte-
cerboli ; altre invece emettono vapori acquei, come molte presso
il Lago sulfureo e presso Travale, e quelle in vicinanza del
cratere dello spento vulcano di Pozzuoli.
Rimarchevoli sorgenti sulfuree scaturiscono dalle rocce ter-
ziarie di Porto d’ Anzio sulla spiaggia romana. Una di esse
sgorga da una argilla nera impregnata di solfo e deposita al-
177 —
r esterno solfo bianco che ricuopre il letto del ruscello di una
grossa crosta; fra le arenarie e gli, strati sabbiosi già citati dei
dintorni di questa sorgente, si è depositata una grande quantità
di solfo, e le sabbie ne sono talmente impregnate che furono
oggetto di estese escavazioni per l’ estrazione del metalloide.
Sulla strada da Roma ad Ardea, a circa 30 chilometri dalla città,
scaturiscono sorgenti analoghe, le quali hanno parimente impre-
gnato di solfo la roccia circostante, e come le precedenti furono
un tempo utilizzate. Le sorgenti termali al disotto di Tivoli
(Lago dei Tartari ec.) sono parimente sulfuree ed hanno depo-
sitato lo solfo nel circostante travertino, e così pure quelle di
Vicarello sul lago di Bracciano, quelle di Stigliano nei monti
della Tolfa, quelle della tenuta del Sasso presso Cervetri e quelle
che trovansi sopra Civitavecchia verso la Tolfa.
Nei monti della Tolfa trovasi spesso la selenite in tavole o
gruppi di cristalli, frammista alT argilla pliocenica o, in prossi-
mità delle solfatare, nelle masse di tufo vulcanico. Gesso com-
patto trovasi anche in banchi entro gli strati eocenici, i quali
si estendono sotto le correnti di lava trachitica, dando così ori-
gine allo sviluppo di acido solfidrico che alimenta le solfatare
e le sorgenti fredde e calde.
Presso Canale e Monterano, nelle vicinanze del lago di Brac-
ciano, 1’ acido solfidrico sviluppasi dalle formazioni di tufo tra-
chitico ivi molto estese, e le trasforma in una massa morbida
e spugnosa nelle cui cavità si depositano solfo e cristallini aci-
culari di solfato d’ allumina : la roccia contiene anche acido sol-
forico libero. A Canale lo solfo viene estratto per mezzo della
fusione. Queste solfatare sono perfettamente analoghe a quelle
di Pozzuoli : anche queste hanno trasformato le rocce vulcaniche
nere in una massa bollosa bianca, come pure coll’acido solfi-
drico, per mezzo dell’ ossigeno atmosferico, formossi acido sol-
forico e quindi solfato d’ allumina ed allumite.
I dintorni di Tolfa sono rimarchevoli per un deposito di un
tufo vulcanico grigio o giallo, il quale in prossimità di Rota
ricuopre le rocce sedimentarie eoceniche e specialmente le col-
line a destra del fiume Mignone, là ove sulla riva sinistra si
sprigionano alcune putizze che depositarono solfo bianco. Sopra
questi tufi e conglomerati sovrastano alte e ripide le scogliere
12
178
trachitiche : la roccia è talvolta di colore nerastro con feldispato
vitreo, mica nera in fogliette esagonali, cristallini di orneblenda,
ossido di ferro rosso, piccoli granati, pirite e quarzo, ta? altra
è una trachite bianca quarzifera. La tracbite verdiccia è ridotta,
per una profondità di parecchi metri, in una massa sabbiosa cao-
linica e ferruginosa, che alla superficie passa in un terriccio ar-
gilloso, quale può vedersi nettamente lungo la nuova strada da
Tolfa alla valle del Mignone. La trachite bianca tramutasi fa-
cilmente in caolino con quarzo libero frammisto, come può ve-
dersi ad un chilometro circa a N.O. dell’ Allumiera, dove una
di queste masse caoliniche è messa allo scoperto. Colà si può
vedere come il caolino presentisi in masse coi piani di frattura
propri alla trachite, e come nelle fenditure siensi riunite delle
laminette argillose ferrifere. — Per un processo diverso di decom-
posizione della trachite, analogo a quello che anche in giornata
si compie a Canale, a Pozzuoli, all’isola Vulcano, ed in molti
altri luoghi, formossi il noto deposito di allumite della Tolfa.
E probabile che molte esalazioni di acido solfidrico siensi un
tempo sviluppate attraverso la trachite fra i due villaggi di
Tolfa e di Allumiere : questo acido, sviluppatosi da depositi di
gesso giacente a profondità, circolò per le fessure della roccia
trachitica, e unendosi coll’ ossido di ferro diede origine alle pi-
riti, od anche, giunto in prossimità della superficie ed unitosi
all’ ossigeno dell’ aria, formò acido solforico che col feldispato
alcalino della trachite diede origine alla allumite : più tardi, al
cessare delle esalazioni, un analogo processo ebbe luogo in causa
delle piriti prima formatesi. La trasformazione in allumite non
raggiunge che pochi centimetri di profondità, raramente un mezzo
metro, dalle pareti delle fessure ; originansi quindi caverne e
druse nelle quali si accumulano calcedonio, diaspro, quarzo cri-
stallizzato, ossido di ferro idrato e talvolta anche cristalli di
allumite. In tali condizioni, solamente una piccola parte del ma-
teriale escavato è utilizzabile per l’ estrazione dell’ allume.
Rimarchevoli sono i giacimenti di asfalto nella estrema parte
orientale della provincia romana in territorio di Monte San Gio-
vanni. Chi dalla stazione ferroviaria di Coprano imprende a ri-
montare la valle del Li ri, raggiunge, poco prima dell’ accennato
paese, una valletta laterale che scendendo da Veroli va a rag-
— 179
giungere quella del Liri al di' sotto di Monte San Giovanni.
Questa piccola città giace sopra una scoscesa rupe calcarea di
epoca nummulitica, nella quale il calcare è talmente impre-
gnato nei suoi banchi più bassi di asfalto, che pel calore solare
trasuda una quantità di catrame. La roccia presentasi al basso
di un colore bruno-nerastro tendente al nero, che a poco a poco
si cangia in giallastro nelle parti elevate, nelle quali si tro-
vano anche scarsi fossili, cioè, una nummulite poco determina-
bile, una Ostrea a grossa conchiglia (Osfrea crassissima?) e
frammenti di una specie di Scyphia. In più punti poi della
valle laterale trovasi entro il calcare dello solfo compatto, tal-
volta in molta copia, ed in masse grosse quanto una noce. Sotto
al calcare giace uno scisto bituminoso sabbioso-calcareo di colore
bruno ed assai ricco in petrolio : esso è accessibile' dalla vallecola
sotto Monte San Giovanni, nel qual punto lo scisto presenta ben
80 a 100 metri di potenza. Questa roccia è poco scistosa, ma
piuttosto che in lastre si divide in grossi e compatti blocchi a
faccio piane ; essa si discioglie nell’ acido cloridrico con efferve-
scenza, e lascia un deposito di sostanza bituminosa bruna e vi-
scosa. Esaminata questa roccia al microscopio, la si vede consi-
stere di piccoli cristallini di calcare con masse nere di asfalto :
spezzandone un blocco preso a qualche profondità, e cioè fuori
deir azione del sole, vedesi gocciolare il petrolio, ed i frantumi
quando sieno posti sopra carboni ardenti, abbruciano con faci-
lità ed a lungo e con fiamma lunga, limpida e lucente. Lo sci-
sto oleifero contiene fossili, ma sono anneriti e poco si distin-
guono. Anche a Banco, Alatri, Filettino, Castro e Collepardo
(Trisulti) trovasi in gran copia 1’ asfalto nel calcare eocenico in-
feriore.
Queste frequenti emanazioni di carburi di idrogeno nei se-
dimenti italiani, possono spiegare anche 1’ origine dei soffioni,
delle sorgenti termali, delle solfatare e delle putizze, delle quali
tanto ricco è il paese.
— 180
VII.
Un brano di storia della geologia toscana, a proposito di
una recente pubblicazione del signor CoQUANi), per
Cablo De Stefani.
Kecentemente il signor Coquand pubblicava una storia dei
terreni stratificati dell’ Italia centrale, compresi fra 1’ epoca pri-
maria e la giurese inclusivamente, (H. Coquand, Histoire des
terrains stratifiés de Vltalie centrale se référant aux périodes
primaire, paléozdique, triasique, rhétienne et jurassique. JBull.
Soc. géol. de France. S. 3, T. Ili, 1875, 1), aggiungendo
alcune osservazioni sugli ordinamenti finora proposti, e presen-
tando una serie dei terreni medesimi secondo il modo nel quale
egli la intende. Quando comparisce un lavoro di un geologo spe-
rimentato, gli scenziati ne sentono sempre soddisfazione e la
scienza ne trae guadagno, tanto più se le questioni geologiche
riguardanti ad un paese, vengano svolte con cognizione da uno
straniero, come è per noi il signor Coquand, il quale abbia ve-
dute numerose e svariate regioni, e le di cui osservazioni esten-
dono perciò il campo delle idee, e generalizzano gli studi dei
geologi anteriori. A rendere importante il lavoro del signor Co-
quand, basterebbe di per sè l’ idea indicata di fuga nel termine
del medesimo, di una rispondenza geologica fra gli strati del
Campigliese e quelli del Djebel Filfilah nell’ Algeria, idea che
r autore si propone di sviluppare distesamente in un altro scritto,
eh’ è ad aspettarsi abbia prestò a comparire.
Però ai pregi non pochi dei quali va ornata la pubblicazione
del signor Coquand, stanno riunite alcune mende, nell’ aver di-
sconosciuto 0 nell’ aver attribuito ad altri i meriti di taluni dei
geologi che hanno portata maggior luce nella geologia toscana,
delle quali mende, per dir la verità, non ha tutta la colpa l’il-
lustre geologo, dappoiché non gli si può far carico di non aver
conosciuti bene tutti gli scritti comparsi sopra quella parte della
geologia d’ Italia della quale egli intendeva fare la storia. Ora,
per rendere giustizia a tutti, attribuendo a ciascuno il suo, ed
181 —
attesa l’ importanza dell’ argomento, perche non si può ben com-
prendere la condizione presente della geologia quando non se ne
conosca la storia passata, e perchè conoscendo i pregiudizi che
vincolarono la scienza nel passato, sarà più facile liberarsene
oggidì e nell’ avvenire, reputo necessario fare alcune aggiunte
ed alcune rettificazioni alla storia fatta dal signor Coquand, ri-
facendola ora di bel nuovo con brevi parole.
Lo studio di questa parte della geologia toscana, allorché i
primi cominciarono ad occuparsene, come sempre accade, ebbe
per punto di partenza 1’ oscurità e la confusione ; dopo di che,
a poco per volta si rischiararono i concetti, si sviluppò 1’ ana-
lisi e s’ introdussero le debite distinzioni, il quale lavorio è pur
ora ben lungi dall’ essere compiuto. Nello stesso tempo, piano
piano, scomparve l’ isolamento che sul primo poteva credersi
disgiungesse la geologia della Toscana da quella delle regioni
circostanti e del rimanente d’ Italia, e si scoprirono invece le
comuni leggi ed i rapporti generali dei nostri terreni : infatti
un cotale isolamento, eh’ è naturale sia supposto da coloro che
pei primi e per la prima volta si danno a studiare disgiunta-
mente diversi paesi, non sarebbe più naturale il supporlo quando,
avanzati meglio gli studi, si discopre che la natura non opera
a salti, nè in modi difformi da un luogo all’ altro, nè limita le
azioni sue a certe piccole regioni determinate, e molto meno a
quelle regioni cui 1’ uomo ha imposto dei confini per comodo di
sè 0 per fatto della storia.
Abbandonate le teoriche Werneriane che erano sì in voga in
sul principio di questo secolo, molti geologi si fecero seguaci arditi
del Plutonismo, e fra questi fu il Savi, il quale ne’ suoi scritti,
fra il 1829 ed il 1832,^ riteneva provata T origine ignea dei
calcari cristallini e metamorfici, eh’ egli comprendeva col nome
• ’ Lettera al signor Girolamo Guidoni di Massa ducale contenente osserva-
zioni geologiche sul Campigliese. — Nuovo Giornale dei letterati. — Torn. XVIII,
parte scientifica, 1829.
Seconda lettera geognostica al signor Girolamo Guidoni concernente il Bar-
gbigiano, la Garfagnana e il Pietrasan tino. — Nuovo Giornale dei letterati, 1829.
Sul mischio di Serravezza, roccia plutonica. — Nuovo Giornale dei lette-
rati.— Tom. XIX, parte scientifica, 1830.
Catalogo ragionato d’ una collezione geognostica contenente le roccie più
caratteristiche della Toscana. — Nuovo Giornale dei letterati, 1830.
182 -
generale di calcari dolomitici, d’ accordo in ciò cogli altri geo-
logi e col Guidoni in particolare/ Questi calcari, a idea sua,
erano penetrati a ino’ di dighe entro terreni stratificati sotto-
stanti alle roccie terziarie, cioè a quelle che vennero poi attri-
buite al miocene, al pliocene ed al pliostocene ; e que’ terreni
stratificati, non essendovi mai stati trovati fossili, erano consi-
derati come primari, e compresi col nome generale di macigno.
Senonchè, fino dal 1829, il Guidoni avea trovato, negli schisti
argillosi bruni della Spezia, delle Ammoniti e delle Belemniti,
e il De la Deche, parlando dei terreni di quel luogo, aveva pub-
blicata la scoperta, notando che le Belemniti potevano apparte-
nere al Lias, e le Ammoniti potevano indicare la parte più an-
tica deir epoca giurassica/ Nell’ anno successivo, il Guidoni,
parlando dei medesimi fossili, diceva non poter esservi più dub-
bio sulla natura liassica dei terreni che li racchiudevano, e dava
notizia al Savi della scoperta di altri numerosi fossili di vario
genere in un calcare grigio cupo, pure della Spezia/ Dal 1830
al 1832 lo stesso geologo fortunato scopriva, alla Tecchia, presso
Carrara nelle Alpi Apuane, dei fossili identici a questi del cal-
care grigio della Spezia. Finalmente il Savi, nel 1832, pubbli-
cava ^ la scoperta di fossili nel calcare di San Giuliano nel Monte
Pisano, e fra gli altri di certi nuclei aggruppati, a sfoglie con-
centriche, i quali egli aveva sospettato prima fossero d’ Elvite o
di altro simile minerale, ma che poi aveva ritenuto appartenere
a resti di zoofiti e forse di Alveoliti.^ Questi calcari non pote-
vano più esser detti eruttivi, nè le rocce che li racchiudevano
‘ G. Guidoni. Quadro dei terreni che compongono la corteccia del globo,
di Alessandro Brongniart. — Nuovo Giornale dei letterati. — Tom. XIX, parte
scientifica, 1830.
^ Note sur les différences soit primitives etc. Annales des Sciences naturel-
les. — Tom. XVII, Aoùt, 1829.
® Considerazioni geognostiche sopra le Alpi Apuane ed i marmi di Carrara.,
— Nuovo Giornale dei letterali. — Tom. XIX, 1830.
Osservazioni geognostiche sui terreni antichi toscani, concernenti special-
mente i Monti Pisani, le Alpi Apuane e la Lunigiana. — Nuovo Giornale dei
letterati. — Tom. XXI, parte scientifica, 1832.
® Più tardi, questi medesimi resti, erano attribuiti dallo Stoppani alla sua
Evinospongia vesciculosa del calcare triassico di Esilio nelle Alpi Lombarde,
ma secondo alcuni studii del Meneghini, sembrano appartenere ad una Nullipora,
di specie analoga o forse identica a quella di Esilio.
183 —
potevano altrimenti essere attribuite all’ epoca primaria ; ed il
Savi infatti cominciò a confermarsi nella credenza di un’ idea che
a poco a poco si era sviluppata nella sua mente, che cioè i calcari
saccaroidi e cristallini non fossero se non trasformazioni di rocce
nettuniane contenenti fossili. Così alle teoriche Werneriane eran
succedute quelle del Plutonismo, ed alle teoriche del Plutonismo,
nello spiegare i fatti della geologia toscana, succedevano quelle
del Metamorfismo nel senso più lato, talché tutti i calcari più
0 meno cristallini erano considerati come una trasformazione
degli altri compatti ed ordinari. Queste teoriche hanno avuto il
campo fino ai giorni nostri, e la loro autorità è lungi ancora
dall’ essere cessata : unico rimasuglio dell’ antico Plutonismo, che
neppure ora è scomparso del tutto, rimaneva il ritenere come
eruttivi i calcari cavernosi e le carniole. Nella pubblicazione so-
pra citata, il Savi, adunque, al di sotto dei terreni terziari, co-
minciava a porre, non più terreni primari, ma terreni secondari,
ed in questi distingueva la serie del Macigno propriamente detto,
quella sottostante del Calcare compatto e litografico qua e là
trasformata in calcare cristallino, e la serie più antica di schi-
sti cristallini, divenuti tali, essi pure, per metamorfismo, a di-
stinguere i quali introdusse per la prima volta il nome di Yer-
rucano, nome che ebbe singolare fortuna, e che fu adottato dai
geologi fino ad oggi pei terreni schistosi cristallini mancanti di
fossili; ora però, dopo le scoperte di resti organici via via au-
mentate, è diventato un nome privo di significato e che può dar
luogo ad incertezze, talché è stata fatta convenzione di abban-
donarlo. Nel 1833, il Savi,^ mantenendo la divisione dei terreni
secondari toscani in Macigno, Calcare compatto e Verrucano,
accettava 1’ opinione dei geologi d’ allora, che il Macigno cor-
rispondesse all’Arenaria verde ed appartenesse, come questa, al-
r epoca della creta superiore. Il De la Béche, nello stesso anno,^
tornava a parlare delle Ammoniti Massiche della Spezia, e di-
scorrendo delle Alpi Apuane, riconosceva che i banchi marmorei
facevano parte della serie delle rocce cristalline sottostanti ai
' Tagli geologici delle Alpi Apuane e del Monte Pisano, e cenni sull’ Isola
d’ Elba. — iVuo DO Giornale dei letterati. — Tom. XXII, parte scientifica, 1833.
^ Sur les environs de la Spezia. — Mém. Soc. géol. de France, S. I, Voi. I,
pag. 32, 1833.
— 184 —
calcari liassici, vale a dire dovevano ritenersi come una parte
di quelle roccie che il Savi denominava del Verrucano. Così il
De la Béche, che era stato il primo a distinguere il lias nei
nostri terreni, era il primo e fu forse V unico, fino al comparire
degli scritti del Cocchi, nel 1864, che ponesse i marmi Apuani
nella loro vera posizione stratigrafica. Nel 1837, il Savi^ con-
fermava r ordinamento della parte media dei suoi terreni se-
condari, cioè del Calcare compatto nel Lias apenninico, alla quale
epoca, e non all’ epoca cretacea, come dice il Coquand (pag. 32)
avea dovuto attribuire quella roccia, pei fossili già trovativi e
descritti ; al di sotto rimaneva il Verrucano, eh’ egli diceva al-
lora più recente del carbonifero, e al di sopra il Macigno, cre-
duto, al solito, veramente cretaceo superiore. Non è adunque
soltanto dal 1843, come ritiene il Coquand (pag. 33), ma da
parecchi anni innanzi, e per effetto degli studi paleontologici già
pubblicati da altri, che il Savi distingueva, riponendoli nel lias,
una serie di strati calcarei differenti dal suo terreno cretaceo
sovrastante. Nel 1839, 1’ Hoffmann, uno dei più illustri geologi
tedeschi, in un libro ^ che rimase lungo tempo poco conosciuto
da noi, ma che è assai importante, e che tuttora dovrebbe es-
sere studiato, riesaminando i monti della Spezia ed i fossili ivi
trovati, tornava a distinguere egli pure delle Ammoniti appar-
tenenti al Lias inferiore.
Nel 1843, il Savi,^ riconosciuta nel Monte Pisano ed, a suo
credere, anche altrove, 1’ esistenza di un calcare con selce infe-
riore al Macigno, ma superiore agli altri calcari eh’ egli poneva
nel così detto Lias apenninico, ordinava quello nella creta infe-
riore. Manifestò poi l’ idea che il Verrucano, alternando nella
sua parte superiore, alla Brugiana ed al Capo d’ Arco, con de-
gli strati calcarei, e mostrando così, come egli diceva, un pas-
saggio ai calcari superiori, fosse, come questi, liassico, e più
recente del Eeuper ; sebbene poi, vedendo nella parte inferiore
‘ Sui vari sollevamenti ed abbassamenti che han dato alla Toscana la sua
attuale configurazione. — Nuovo Giornale dei letterati. — Tom. XXVI, parte
scientifica, 1837.
Geognostische Beobachtungen gesammelt auf einer Reise iiurch Italien und
Sicilien. — Karsten’s Arch. Band. XIII.
® Sopra i carboni fossili delle Maremme toscane. Pisa, Nistri, 1843.
185
del medesimo, e steaschisti e micaschisti e gneis, rocce assai
trasformate, non fosse alieno dal porre queste fra i terreni pri-
mitivi, 0 dal considerarle per lo meno siccome una mutazione di
terreni, in origine stratificati, triassici e paleozoici.
Due anni dopo, nel 1845, il Coquand ’ pubblicava uno scritto,
nel quale faceva conoscere la discordanza che esisteva, a parer
suo, tra i calcari cristallini e ceroidi delle Alpi Apuane e della
Toscana, e gli schisti del Verrucano sottostanti, e supponeva
quelli stratificati entro profonde valli nel seno di questi, attri-
buendo i primi air epoca carbonifera e gli ultimi a quella silu-
riana. I calcari rossi sovrastanti, riconosciuto il vero carattere
delle ammoniti ivi contenute, li poneva definitivamente nel lias
inferiore, mentre il lias superiore, lo trovava rappresentato, a
ragione, da alcuni schisti sovrapposti, contenenti la Posidonomya
Bronni. Nello stesso anno, il Pilla ^ attribuiva gli schisti cristallini
alle epoche comprese fra il trias ed il siluriano, i marmi statuari
al lias inferiore, ed i calcari ammonitiferi rossi li voleva eguali a
quelli della Lombardia, e perciò tutti Passici superiori. Contem-
poraneamente, il march. Pareto, discorrendo della geologia della
Liguria,^ si faceva a descrivere il Verrucano, particolarmente
quello dei monti della Spezia, e lo considerava come triassico.
Nel 1846, il Savi,'^ in uno scritto sui monti Pisani, non modifi-
cava le opinioni manifestate anche dal Pilla, intorno all’ epoca
dei calcari bianchi e di quelli rossi ammonitiferi, lasciava il
Verrucano propriamente detto nel lias inferiore, insieme col so-
vrapposto calcare bianco, il Macigno nella creta superiore; ed
il calcare con selce sottostante al macigno, da lui esaminato
nel 1845, rimaneva nella creta inferiore, insieme con una serie
di schisti rasati che egli chiamava e chiamò d’ allora in poi
schisti varicolori. In quell’ anno stesso, il Coquand insisteva con-
tro il Pilla, “ sull’ epoca liassica inferiore del calcare rosso del-
‘ Tcrrains stratifiés de la Toscane. — Bull. soc. géol. de France, 2® Serie,
voi. II.
^ Saggio comparativo dei terreni che compongono il suolo d’ Italia, 1845.
® Cenni geolosici sulla Liguria marittima.
O O O
* Sulla costituzione geologica dei Monti Pisani, 1846.
® Note sur un gisernent de gypse au promontoire Argentare. — Bull. soc. géol.
de France^ 2® Serie, torn. HI.
— 186
r Italia centrale, ed attribuiva poi al trias le carniole, i gessi
e certi sctiisti variopinti, che egli aveva studiati nel Grossetano.
Il Pilla,^ poi, avendo occasione di parlare degli schisti, che il
Savi aveva appellati varicolori e posti nella creta inferiore, opi-
nava che facessero parte del piano giurassico superiore, ed era
nel vero, perchè essi corrispondevano a quelli del Campigliese,
nei quali il Coquand aveva trovato la Fosicìonomya Bronni. Que-
sto stesso geologo nel 1847, in una replica al Coquand,^ invo-
cando in appoggio del suo modo di vedere la disposizione degli
strati rocciosi nella Lombardia e nella Toscana, come egli la
intendeva, sosteneva di nuovo che il calcare ammonitifero to-
scano era liassico superiore, come quello lombardo : nella mede-
sima pubblicazione, il signor Ezio de Vecchi faceva conoscere
la serie degli strati della Montagna di Cotona nel Senese, dalla
quale si palesava T esistenza nella Toscana di una seconda zona
di calcare rosso ammonitifero sovrapposta alla prima, che i geo-
logi avevano già a lungo esaminato, e contenente eziandio fos-
sili di un’ epoca più recente. Dal canto suo il Savi pubblicava
un nuovo lavoro,® dove accettava il modo di vedere del Pareto
intorno al Verrucano, e propendeva con lui a ritenerlo d’ ora
innanzi triassico ; ma, contro P opinione del Pilla, ed in man-
canza, come egli diceva, di argomenti positivi, poiché ancora la
scoperta del Coquand non aveva portato i suoi frutti, seguitava
a ritenere come cretacei inferiori i così detti schisti varicolori.
Finalmente nel 1851 compariva una pubblicazione del Savi e del
Meneghini,^ che si può dire la prima nella quale fosse ampia-
mente descritta la geologia della Toscana, ed ancora oggi a
molte delle questioni ivi trattate nulla è stato aggiunto di nuovo,
anzi si è dovuto ritornare qualche volta a quella pura fonte,
scancellando confusioni introdotte dappoi. In quella pubblicazione.
* Distinzione del terreno Etrurio tra i piani secondarii del mezzogiorno
d’ Europa, 1846.
^ Pilla. Notice sur le calcaire rouge ammonitifère de l’italie. — Bull. soc.
géol., 2® Sèrie, tom. II, 1842.
® Considerazioni sulla struttura geologica delle montagne pietrasantine.
Massa, 1847.
Osservazioni stratigrafiche e paleontologiche concernenti la geologia della
Toscana.
— 187
il Verracano era attribuito al Carbonifero, attesa la scoperta di
molti fossili di queir epoca negli schisti antichi di Jano ; i cal-
cari grigio-cupi sovrastanti erano posti nel trias, d’ accordo in
questo cogli studi del Coquand nel Grossetano ; il calcare ce-
roide, il calcare rosso e quello grigio -chiaro con selce, erano
attribuiti al lias inferiore. Nell’ oolite eran posti finalmente gli
schisti varicolori a Fosidonomya JBronni; ed i calcari grigi con
selce superiori, d’accordo con una opinione del Murchison, erano
lasciati nella creta inferiore, cioè nel Neocomiano.
Il signor Coquand (p. 39) dice che il calcare rosso toscano
fu dal Savi e dal Meneghini posto nel lias superiore, ma in
ogni parte del testo, nella quale sono svolte le considerazioni che
possono condurre a determinare la vera epoca di quel terreno,
troppo chiaramente più e più volte si palesa che gli autori
escludono 1’ attribuzione del calcare rosso e di quello grigio con
selce a quell’ epoca. Basterà eh’ io citi fra le altre le parole
seguenti : « Esaminando la lista di tutte le ammoniti e degli
altri fossili ritrovati negli indicati calcari (rossi), ne apparisce
che il maggior numero di questi è dei propri al Lias inferiore,
ed il numero minore al superiore. Adunque, fa di mestieri con-
venire che il posto da assegnarsi nella serie geologica ai detti
calcari si è nella parte inferiore del sistema Giurese, vale a dire
nel periodo Liassico, appunto cpme il prof. Coquand lo sostenne
fino dal 1846, e non nel Giura superiore come uno di noi lo
classò allorquando descrisse i Monti oltre Serchio » (p. 324, 325).
Pochi anni dopo la pubblicazione dell’ opera sopraccitata, nel
1853, il Meneghini,’ in un nuovo scritto, dopo avere aggiunta una
serie di* nuove specie fossili, e, dopo avere fatte alcune osservazioni
sopra la promiscuità di Ammoniti appartenenti a varie epoche del
lias ma specialmente al lias inferiore, esistenti nel calcare rosso
toscano, conclude (p. 17): «non esitiamo d’asserire confermato
da questi nuovi studii quanto fu detto nelle Considerazioni in-
torno al nostro calcare rosso ammonitifero, che esso non si può
conguagliare a quello dell’Apennino centrale e delle Alpi lom-
barde, il quale è decisamente liassico superiore. » Nel 1864 poi,
il Savi, in uno scritto che non è conosciuto dal Coquand, e che
* Nuovi fossili toscani. — Annali dell’ Università toscana, torn. HI.
188 —
fu uno degli ultimi da lui pubblicati,' riferendendosi agli scritti
già pubblicati da lui e dal Meneghini sui fossili toscani, diceva
(p. 11 e 12) : « la nostra calcaria rossa ammonitifera trovasi
cotanto ricca di ben conservati modelli d’ ammoniti e d’ altri
fossili da caratterizzarla nel modo il più certo come apparte-
nente air epoca del Lias inferiore. » Soltanto la promiscuità di
tipi diversi d’ Ammoniti fece sì, secondo il modo diverso di in-
tenderla, che il terreno il quale racchiudeva quei fossili potesse
venire attribuito all’ uno od all’ altro dei due estremi, al lias
inferiore cioè od al lias medio, ma non mai al lias superiore, ed
il Meneghini, in una lettera al vom Rath, considera infatti il cal-
care rosso ammonitifero toscano, come liassico medio. ^ Ma però,
dal 1851 in poi, sempre ed in tutti gli scritti del Meneghini,
del Savi e dei loro discepoli, il calcare rosso toscano fu distinto
dal calcare rosso ammonitifero della Lombardia e dell’ Apennino
centrale, e fu attribuito ad epoca più antica; anzi gli studii pa-
leontologici pubblicati dal Meneghini in quell’ anno e negli anni
successivi sono stati il fondamento per ischiatire quella vera epoca.
Le inesattezze nelle quali cadde il lavoro pubblicato nel 1851
dal Savi e dal Meneghini, derivarono dal non avere riconosciuto
il rovesciamento degli strati esistente nel promontorio occiden-
tale della Spezia, dall’ aver preso come tipico dei diversi ter-
reni un determinato luogo, e dall’ aver voluto ricondurre a quel
tipo i terreni di altre regioni, talché furono ringiovaniti di età
e non bene disposti, certi sedimenti della Spezia, delle Alpi
Apuane e dei monti della Maremma, nei quali apparivano dei
terreni più antichi, non tenuti in conto negli ordinamenti proposti.
Gli scritti successivi, fino al 1862, del Savi e del Meneghini
e del loro discepolo il Cocchi, non si allontanano in sostanza
dai principii manifestati nel 1831 e nel 1851.
Nel 1862, il Capellini pubblicava i suoi studii sopra i fossili
del calcare grigio cupo dei monti della Spezia/ e riconosceva che
* Sulla costituzione geologica delle elissoidi della catena metallifera. — Nuovo
Cimento, voi. XVIII.
^ Geognostische mineralogische Fragmente aus Italien. Die Berge von Campi-
glia (Zeitsch. d. deutsch. geol. Gesell. 1868).
^ Studii stratigrafici paleontologici sull’ Infralias nelle montagne del golfo
della Spezia.
— 189 —
dessi, ritenuti Neocomiani dal Savi e dal Meneghini, e Giuresi, da
lungo tempo, dal Pareto, dovevano ascriversi all’ età infraliassica,
da non antica data introdotta a far parte della famiglia de’ ter-
reni. Questo lavoro del Capellini fu di una importanza grandissima,
per aver ben precisata 1’ epoca di una delle più importanti rocce
dell’ Italia centrale, e per l’ impulso che n’ è derivato alla deter-
minazione degli altri sedimenti delle Alpi Apuane e della To-
scana, ed in ciò sta il principalissimo merito di quell’ illustre
geologo riguardo allo studio dei terreni più antichi dell’ Italia
centrale. In quegli studii ed in quelli successivi del Capellini, le
altre rocce sono lasciate in sostanza nel posto già attribuito loro
dal Savi e dal Meneghini. Adunque, per amore della giustizia,
modificando una parte di quello che il signor Coquand ha
detto (p. 40), si deve attribuire al Savi ed al Meneghini, 1’ altro
merito di avere, già da un pezzo, fissato « d’une manière, je
dirai presque irrévocable. Page et la position des terrains juras-
siques qui surmontent l’infralias dans l’Italie centrale. »
La scoperta dell’ infralias da parte del professor Capellini
fece sì che dipoi, il Meneghini ^ ed il Savi,^ parlando di altri
terreni della Toscana, ne abbiano riferiti alcuni a quell’ epoca,
p. es., i calcari ceroidi e saccaroidi, benché senza prove mate-
riali, come essi stessi riconoscevano.
Nel 1864, compariva un lavoro del Cocchi, il quale faceva
progredire di molto le cognizioni sulla geologia delle Alpi Apuane.^
Egli dava a conoscere come vi si trovassero dei terreni più an-
tichi di quanti erano stati fino allora osservati nella Toscana, e
notava come dovesse essere invecchiata d’ assai tutta la serie delle
rocce che ivi era stata considerata dal Savi e dal Meneghini; ac-
cettando però una opinione dello Stoppani, attribuiva al trias i
calcari ceroidi del Monte Pisano e di Maremma, che pei loro fossili
erano già stati riconosciuti come appartenenti al lias inferiore.
Proponeva poi un ordinamento, dal trias al laurenziano, degli
schisti e dei calcari che novellamente aveva fatti osservare come
più antichi di tutti gli altri, il quale ordinamento però non poteva
se non essere artificiale, mancando ogni documento paleontologico
‘ Saggio sulla costituzione geologica della provincia di Grosseto, 1865,
^ Sulla cost. geol. delle eliss. della cat, met., 1864.
® Sulla geologia dell’ Italia centrale.
-- 190 -
sul quale fondarlo. I lavori successivi del Cocchi non mutano in
sostanza gli ordinamenti da lui proposti. Nel 1868, il Meneghini,
in una lettera pubblicata dal vom Eath, manifestando le conclu-
sioni da lui tratte dallo studio de’ fossili del calcare dolomitico di
Campiglia, confermava che il medesimo dovesse essere attribuito
al lias inferiore.
Nel 1874, alla mia volta, io pubblicavo le conclusioni di
alcuni studii geologici sulle Alpi Apuane e sul Monte Pisa-
no ; * riconoscevo la verità degli studii del Cocchi sulla mag-
gior antichità delle rocce più profonde delle Alpi Apuane, tor-
navo ad attribuire al lias inferiore i calcari ceroidi che il Cocchi
aveva ritenuto triassici, confermavo V opinione del Capellini in-
torno all’ esistenza dei calcari infraliassici nel Monte Pisano,
attribuivo i calcari saccaroidi apuani al trias, fondandomi sugli
studii paleontologici del Meneghini, manifestavo 1’ opinione che
il calcare grigio ammonitifero potesse distinguersi dal rosso ed
attribuirsi al lias medio, e trovavo nelle Alpi Apuane la pre-
senza di tutte le rocce giuresi e cretacee i cui tipi erano stati
esaminati dal Savi e dal Meneghini nel Monte Pisano.
Finalmente il Coquand, nel 1874, pubblicava alcune osservazioni
sui marmi delle Alpi Apuane e dei Pirenei,^ e nel 1875 ne aggiun-
geva altre sui terreni antichi dell’ Italia centrale nell’ opuscolo,
sul quale ho inteso ora di fare le presenti osservazioni. Egli
ritiene tuttavia i marmi toscani ed apuani depositati posterior-
mente ed in maniera discordante sopra tutta la massa degli
schisti sottostanti, confondendo nelle Alpi Apuane gli schisti su-
periori ai marmi con quelli inferiori. Ora si sa che i marmi di
Yecchiano nelle Alpi Apuane, del Monte Pisano, di Campiglia e
di Gerfalco, pella loro posizione stratigrafìca, sono sovrastanti
bensì a tutta la serie degli schisti cristallini ; ma i calcari mar-
morei intensamente metamorfosati delle Alpi Apuane, del Capo
Corvo, dell’ Isola d’ Elba e del Monte Argentare sono frapposti
e limitati in concorde stratificazione dagli schisti cristallini, che
in conseguenza stanno sotto e sopra i medesimi. Perciò i marmi
’ Considerazioni stratigrafìche sopra le roccie più antiche delle Alpi Apuane
e del Monte Pisano {Bollettino B. Com. Geologico, 1874-75).
^ De ì’àge et de la position des maibres blancs statuaires des Pirénées et
des Alpes Apuénnes en Toscane. {Compt. rend. Ac. Se. tom. 79).
— 191 —
primi menzionati non possono venir posti al pari coi secondi, e
se questi secondi potrebbero essere carboniferi, come il Coquand
vuole (sebbene appaiano piuttosto triassici, pei fossili che con-
tengono), i primi rimangono però, per cagione dei loro fossili,
nel lias inferiore.
Ora, aggiungerò alcune parole sopra talune opinioni mani-
festate dal Coquand relativamente a quelle rocce delle quali
egli discorre. Egli dice (p. 39), parlando delle Osservazioni stra-
tigraficìie del Savi e del Meneghini che, « à coup sur le terrain
néocomien n’est représenté nulle part dans les Alpes Apuennes,
ni dans la partie centrale de Tltalie dont il est fait mention
dans le mémoire que nous analysons. » Invece, gli studi! recenti
confermano V esistenza di quel calcare grigio talora con selce,
e talora senza, zeppo di foraminifere, superiore alle rocce Mas-
siche, che il Murchison, il Savi ed il Meneghini, in parte ave-
vano studiato ed attribuito all’ epoca neocomiana, e che per ora
va ritenuto come tale, sinché non sia compiuto lo studio dei fos-
sili che vi sono. Il nostro Autore poi, in questo nuovo studio,
non ha lasciata quella sua idea, non conforme alla realtà delle
cose, già manifestata nello scritto intitolato Terrains stratifiés
de la Toscane, pubblicato nel 1845, e sulla quale io ho parlato
più a lungo altrove.^ L’essere i fossili del calcare ceroide, oltre a
tutte le relazioni stratigrafiche e litologiche della roccia, cono-
sciuti ai geologi toscani, ha fatto sì che il Cocchi pure ritenesse ben
distinti dagli altri i marmi delle Alpi Apuane e « n’ait point
donné des raisons pour prouver un non-synchronisme qu’il se
contente d’énoncer » (p. 43). Non mi fermerò poi a considerare
le ragioni per le quali il signor Coquand, che trova analogia fra
gli schisti ampelitici siluriani dei Pirenei e gli schisti ampeli-
tici di Levigliani, pone anche questi nel siluriano ; poiché, ne’ ter-
reni più antichi ed a non piccole distanze, le rassomiglianze lito-
logiche ingannano frequentemente, e, fino a che non intervengano
dei fossili, non si potrà riconoscere se siano nel vero il signor
Coquand, che attribuisce quelle rocce al siluriano, o gli altri geo-
logi, che le attribuiscono ad epoca più recente, forse carbonifera.
Ed ora, nel finire, di nuovo dichiaro che ho inteso fare que-
’ Studio sulla stratigrafia degli schisti di Ripa e dei marmi del Monte Costa,
della Cappella e di Trambiserra. (Ntiovo Cimento, S. 2, voi. V-VI.)
— 192 —
ste osservazioni soltanto per amore del vero, e non perché di-
sconosca i meriti del signor Coquand, che sono oramai superiori
ad ogni critica; ripeto che i lavori di un geologo, come egli è,
sono sempre avidamente studiati da chi si occupa della mede-
sima scienza, e qualche difetto che entro vi sia, non ne offusca
per niente i pregi numerosi, nè scema la utilità che se ne trae.
La serie dei fossili, che il signor Coquand ha tratta dalle
opere pubblicate fin qui, deve essere oggigiorno assai ampliata e
modificata : il signor Bornemann, dopo il Capellini, ha ristudiati
alcuni fossili dell’ infralias della Spezia, ed il signor Meneghini
ha continuati gli studii sui fossili Massici toscani, e si propone
quanto prima di correggere il catalogo dei medesimi. Se il de-
siderio dei geologi e dei paleontologi può valer qualche cosa,
speriamo che lo induca a non tardare la pubblicazione di quel
lavoro che in gran parte ha già compito. Intanto, siccome mo-
dificazione all’ ordinamento proposto dal Coquand, presento rin-
novato lo specchio dei terreni stratificati dell’ Italia centrale,
dal Neocomiano in giù, nel modo che, a parer mio, si dovrebbe
intendere, secondo le recenti notizie.
Cretaceo
Lias superiore. . .
Lias medio
Lias inferiore. . .
Infralias
Trias
( Calcari grigi con selce e con foraminifere ; Monte Pisano, Val
( di Lima, Alpi Apuane.
/ Schisti coticolari e varicolori : Campiglia di Maremma, Campi-
? glia di Spezia, Alpi Apuane, Monte Pisano.
\ Calcari rossi: Cotona, Val di Lima, Val di SercMo inferiore.
( Calcare grigio con selce ammonitifero ; Spezia, Corfino, Alpi
I Apuane, Monte Pisano, Monsummano, Campiglia, Cotona.
(Calcari rossi, gialli e verdi : Spezia, Alpi Apuane, Apennino set-
tentrionale, Monte Pisano, Monsummano, Montagnola Senese,
Campiglia, Gerfalco, Caldana, Cotona.
Calcari neri e .ceroidi : Spezia, Alpi Apuane, Monte Pisano, Mon-
tagnola Senese, Campiglia, Gerfalco.
/ Calcari grigio-cupi, compatti, cavernosi, dolomitici e gessosi :
l Spezia, Alpi Apuane, Apennino settentrionale. Monte Pisano,
1 Gorgona, Jano, Montagnola Senese, Monsummano, Campiglia,
i Elba, Gerfalco, Montieri, Serrabottini, Casal di Pari, Cotona,
r Monte Argentare, Formiche, Gavorrano, Giglio, Monte Orsaio,
\ Bella Marsilia, Ansedouia, Capalbio, Capalbiaccio, Giannutri.
! Calcari saccaroidi e grezzoni: Capo Corvo, Alpi Apuane, Monte
Argentare, Elba.
Schisti micacei e grauvake : Spezia, Camporaglieiia nell’ Apen-
nino, Alpi Apuane, Monte Pisano, Jano, Montieri, Serrabot-
tiui. Monte Orsaio, Bella Marsilia, Capalbio, Capalbiaccio,
Monte Argentare, Elba, Giglio, Gorgona, Montagnola Senese.
Carbonifero Schisti carboniferi: Jano (altrove?).
Precarbonifbro ? . . . Schisti, gneiss e dolomiti centrali: Alpi Apuane, Alpi marittime.
193 --
NOTIZIE DIVERSE.
Carta Topografica (F Italia.* — Questa carta fu iniziata ,
come è noto, nel 1862, e trattandosi d’ un’ opera al cui com-
pimento, senza parlare dei mezzi d’ ogni natura, era necessario
un considerevole periodo di tempo, fu saggio consiglio comin-
ciarla per le provincie meridionali. Ivi in fatti i lavori per la
costruzione di carte topografiche non avevano potuto essere spinti
innanzi con tale alacrità da porre le provincie stesse in grado
di somministrare al nuovo Stato quel contingente di materiale
cartografico che fu dato dalle altre.
Il lavoro per la carta delle provincie meridionali è ormai
giunto al suo termine, ed è riuscito tale da reggere con onore
il confronto coi materiali analoghi ottenuti all’ estero e da sod-
disfare pienamente a tutte le esigenze. Colla spesa relativamente
tenue di due milioni, non solo si condussero a termine tutti i
lavori per la costruzione della carta propriamente detta, e per
una sua riproduzione con metodi celeri, ma si potrà anche fare
una seconda pubblicazione artisticamente finita.
Sennonché oggidì è divenuto, si può dire, altrettanto urgente
il proseguire il lavoro anche nelle regioni centrali e settentrio-
nali, il cui materiale topografico è ben lungi dal soddisfare' a
quelle condizioni che, di fronte agli odierni bisogni, sono, più
che desiderabili, assolutamente necessarie.
Ed in vero, se vogliasi fare astrazione di alcuni rilievi di
limitatissime porzioni di terreno di singolare importanza mili-
tare, e di poche carte generali di regione, pubblicate a piccola
scala e quindi non appartenenti propriamente alla specie delle
topografiche e disadatte agli usi cui queste debbono servire, non
possediamo per le summentovate regioni che le seguenti carte :
a) Carta delle antiche provincie Sarde alla scala del 50,000 ;
ò) Carte dell’ ex-regno Lombardo-Veneto, dei Ducati, della
Toscana e degli ex-Stati Pontifici, alla scala del 86,400.
* Dai Bollettino della Società Geografica Italiana, voi. II, fase. 1-2.
13
- 194 —
Oltreché, per la diversità delle scale e dei metodi di rap-
presentazione del terreno, queste carte mancano di quel carat-
tere di uniformità che si richiede perchè formino un tutto omo-
geneo, sicché si possa confrontarle, connetterle e farne uso
promiscuo in quegli studi che abbracciano estese zone di ter-
reno, esse presentano anche numerosi e gravi difetti intrìnseci,
inerenti ai procedimenti di costruzione. Basti ricordare che nes-
suna delle carte in discorso è stata costrutta in seguito a re-
golare e minuta triangolazione, base necessaria ad una esatta
planimetria ; che anche i particolari topografici furono per lo più
desunti da antiche mappe catastali di diversissimo valore anziché
direttamente dai terreno, le forme di questo raramente rilevate
con metodi regolari e talvolta poco meglio che a vista, le in-
dicazioni altimetriche in alcune deficienti, in altre affatto man-
canti, e parimenti mancanti le curve orizzontali, elementi essen-
zialissimi sia in se stesse sia come guida al tratteggio, per la
valutazione delle altezze relative e delle pendenze.
Se in altri tempi ed in circostanze nelle quali non era age-
vole 0 possibile il rinnovarle, potevano siffatte carte considerarsi
come rappresentazioni sufficientemente approssimative del terreno,
oggidì si vuole dalla topografia ben più di ciò che esse possono
dare, cioè: planimetria geometricamente esatta, entro i limiti
della figurazione grafica, ed altezze e pendenze rigorosamente e
minutamente determinabili.
V Che se a questi argomenti vogliasi aggiungere anche l’ esempio
delle idee che prevalgono e di ciò che si fa in simile materia
air estero, basti il citare la Germania e 1’ Austria-Ungheria, le
quali, sebbene già dotate di ricco materiale topografico, atten-
dono ora alacremente a preparare una nuova carta speciale a
grande scala dei loro territorii, e la Svizzera stessa, che, non
paga della bellissima carta del Dufour al 100,000, ha intrapreso
già da alcuni anni e condotto a buon punto la costruzione di un
nuovo atlante topografico a scala promiscua del 25,000 e
del 50,000 come pure la riduzione di entrambe al 250,000.
Riguardo al metodo di esecuzione, il ministro della guerra,
in un progetto di legge presentato alla Camera per la continua-
zione e il compimento della Carta topografica d’ Italia, propone
di continuare quello seguito per la carta delle provincie meri-
— 19Ò
dionali, il quale consiste nel fare i rilievi ed una prima ripro-
duzione speditiva alla scala del 50,000 e quindi una seconda
pubblicazione artisticamente finita al 100,000. Questo partito è
consigliato dalla bontà dei risultati ottenuti, non meno che da
ovvie ragioni di omogeneità.
Si faranno tuttavia alcune eccezioni, imperocché nella carta
topografica dell’ Italia media e superiore si dovrà, in proporzione
assai maggiore che non per le provincie meridionali, adottare la
scala del 25,000 nei rilievi di quelle zone per le quali, sia per
la loro speciale importanza militare, sia per essere più fittamente
cosparse di particolari topografici, la scala al 50,000 riuscirebbe
soverchiamente piccola.
In tal modo, prendendo per unità di misura il foglio della
pubblicazione definitiva al 100,000, che comprende circa 1500
chilometri quadrati di terreno, la carta d’ Italia comprenderà
nel suo complesso 287 fogli, i quali però, detratti quelli che non
conterranno che scritture e segni convenzionali, e fatta la debita
riduzione per molti che, per effetto della configurazione del paese,
riusciranno parzialmente vuoti, si possono considerare ridotti a
soli 195 effettivamente pieni. Di questi, 67 costituiscono la parte
spettante alle provincie meridionali, e per altri 10 circa esistono
già levate parziali in varie zone, cosicché il lavoro che realmente
rimane a compiersi é rappresentato da 118 di tali fogli, dei
quali 93 da levarsi alla scala del 50,000 e 25 a quella del 25,000.
La spesa reputata necessaria al compimento della Carta to-
pografica d’ Italia é di 4,400,000 lire, e per minor aggravio delle
finanze sarà ripartita in ragione di due o trecentomila lire al-
r anno.
Pseudomorfìsmo del serpentino.^ — Nella seduta del 19 no-
vembre 1874 della Imp. Accademia delle Scienze di Berlino il
prof. G. vom Bath descrisse alcuni fenomeni di pseudomorfismo
osservati nel serpentino dell’ Alpe di Pesmeda nel gruppo dei
Monzoni in Tirolo. La sienite, la diorite, ed una pietra verde
augitica, che costituiscono la sommità dei Monzoni, si fanno
strada attraverso a un calcare triassico in parte cristallino, il
quale contiene, presso il contatto con dette rocce, molti silicati
cristallizzati, come fassaite, vesuvianite, gehlenite, granato, spi-
— 196 -
nello, ec. In una alta costa che raggiunge V Alpe di Pesmeda,
ad una altitudine di circa 2300 metri, il calcare, al contatto con
la pietra verde augitica, offre cristalli colla forma della monti-
cellite insieme con altri di anortite, granato e spinello. I cri-
stalli di monticellite, alcuni dei quali sono lunghi cinque centi-
metri, sono tutti trasformati in serpentino, e si trovano insieme
con fassaite, e con uno spinello verde-nerastro il quale è anch’ esso
in parte sostituito da serpentino. Il colore dei cristalli pseudo-
morti è brunastro, giallastro e talvolta bianco; la loro costitu-
zione interna è affatto irregolare. In quella località non si tro-
vano traccio di monticellite inalterata, ma essa è visibile allo
stato compatto (batrachite di Breithaupt) a ponente dell’ Alpe
di Pesmeda e al S. E. dei Monzoni presso il contatto del calcare
colla sienite ; questo minerale massiccio è però alterato all’esterno.
— Lo stesso vom Patii poi assicura che nella medesima località
si rinviene la monticellite alterata in fassaite, in cristalli di 3 cen-
timetri 0 meno di lunghezza, i quali hanno talvolta un nucleo |
di serpentino o di calcite : ciò dimostrerebbe che questo secondo ;
metamorfismo precede sempre quello della serpentina. I
!
j
studi! paleontologi(d nel Vicentino. — Nella seduta del-
P 11 marzo 1875 della Imp. Accademia delle Scienze in Vienna,
il prof. Al. Bittner presentò una Memoria sopra i Brachmri dei
terreni terziari del Vicentino, nella quale sono descritte parecchie
nuove specie e viene completata la descrizione di altre specie non
abbastanza conosciute finora. Le specie nuove sono : Banina Ice-
vifrons, Nitipus Beyricliii, Hepatiscus Neumayri, H. pidclielliis,
Micromaja tubercidata, Feriacanthus horridus, Lanibrus num-
muliticus, Neptunus Suessi, Falaeocarpilius anodon, ec. Le specie
conosciute dei terreni terziari del Vicentino ammontano a 40. —
Dalle conclusioni più generali dell’ autore, avuto riguardo anche
alle forme dei granchi a piccola coda, risulterebbe che una certa
differenza di faune esiste fra le regioni settentrionali e quelle
meridionali dell’ Europa, che più tardi con molta probabilità si
potranno distinguere parecchie faune succedentisi le une alle
altre, e che la fauna dei crostacei eocenici d’ Europa, come
quella dei pesci del Monte Bolca, presentano nelle loro forme
dominanti decisamente il carattere delle faune dell’Asia orientale.
— 197 —
Eruzione di ceneri tridimiticlie. — Nel Nuovo Giornale
di Zurigo (1875, N. 21) il dott. A. Baltzer annunciò che il cra-
tere deir Isola Vulcano del gruppo delle Lipari aveva avuto nel
7 settembre 1873 una eruzione di tridimite. In quel giorno il
Vulcano lanciò durante un periodo di tre ore una cenere bian-
chissima, la quale ricoprì tutto all’ intorno il suolo dell’ isola e
vi formò un deposito che al lato nord della medesima era alto
ben 3 0 4 centimetri. Il dott. Baltzer venne nella persuasione
che si trattasse di tridimite in seguito all’ analisi chimica, alla
determinazione del peso specifico e del grado di solubilità negli
alcali, ed all’ esame colla luce polarizzata, e ne partecipava la
notizia alla Società di Scienze Naturali di Zurigo nella seduta
V
del 4 gennaio 1875. — E questa una osservazione importante
per la storia di quel vulcano ed interessante per la teoria della
formazione delle ceneri vulcaniche.
Criacimento di Zaffiri e Eubini con corindone.^ — Que-
sto giacimento trovasi nella miniera di Culsagee, Contea di
Macon, nella Carolina del Nord (Stati Uniti) sopra una collina
distante circa 9 miglia da Franklin, capitale della contea. La
collina, elevantesi 400 piedi sul suolo della valle, consta di ser-
pentino racchiuso nella roccia granitica predominante. Il ser-
pentino è attraversato da filoni, uno dei quali nella parte più
profonda della miniera raggiunge la potenza di 10 piedi. La
matrice del filone è formata di Clorito, Jefferisite e Corindone,
che spesso forma da due terzi alla metà di essa ed è collegato
in cristalli cogli altri minerali. In più piccola quantità trovansi :
Crisolite, Antofillite, Margarite, Damourite, Felspato, Talco, Zaf-
firo, Rubino, Spinello, Zircone, Orneblenda, Staurolite, Diaspro,
Calcedonio, Quarzo, Ferro cromato. Magnetite unitamente a due
nuovi minerali descritti da Genth, Kerrite e Maconite. Il corin-
done si presenta ordinariamente cristallizzato, e talvolta in cri-
stalli assai grossi ; spesso essi racchiudono lamine di Clorite
0 di Jefferisite. Circa 200 tonnellate di corindone furono esca-
vate come materiale per levigare e pulire, essendo a ciò più
proprio dello smeriglio. Il colore del corindone è molto variabile ;
talvolta è affatto incoloro e trasparente, tal’ altra giallo, verde.
’ Ved. Quart. Journal, XXX, N° 119.
198
azzurro, rosso in tutti i gradi : alcuni sono varicolorati. Essi rac-
chiudono delle particelle fluide (forse acido carbonico liquido)
come osservansi negli Zaffiri di Ceylan.
L’ Altaite. — Il dott. F. A. Genth rammenta in un suo re-
cente lavoro ^ due nuove località ove trovasi questo raro mine-
rale : esse sono la miniera di Iled Cloud nel Colorado e la mi-
niera di Kings Mountain nella Contea di Gaston (N. Carolina). In
quest’ ultima località trovasi l’ Altaite in un quarzo finamente
granulare, accompagnata da Oro, Galena, Antimonite, Pirite, e
per lo più ad essi frammista. Essa ha una struttura leggermente
granulosa ed è di un colore bianco di stagno. Genth osservò
una massa a frattura cubica costituita in parte di Altaite, in
parte di Galena senza interruzione nelle superficie di sfaldatura.
L’ Altaite della miniera di Ked Cloud si presenta in gran quan-
tità, però mista ad altri minerali, specialmente Tellurio, Silvanite,
Pirite, Siderite e Quarzo. Vi compariscono anche piccoli esaedri
poco distinti rivestiti di galena, più raramente grossi frammenti
con facce di sfaldatura, e molto più di frequente pezzi a grana
grossolana. L’analisi di due frammenti di questo materiale dette:
Peso specifico 8,060
Oro ....
. . 0,19
0,16
Argento. .
. . 0,62
0,79
Rame . . .
. . 0,06
0,06
Piombo . .
. . 60,22
60,53
Zinco . . .
. . 0,15
0,04
Ferro . . .
. . 0,48
0,33
Tellurio . .
. . 37,99
37,51
Quarzo . .
. . 0,10
0,32
99,81
99,74
NECROLOGIA. — Annunziamo con dispiacere la morte dell’illustre
paleontologo G. P. Deshayes avvenuta il giorno 9 giugno 1875
nella sua residenza di Boran (Oise) : Egli era professore ammi-
nistratore al Museo di Storia Naturale in Parigi, membro di
moltissime Società scientifiche, e già Presidente della Società
geologica di Francia. Morì in età di 79 anni.
‘ Ved. Journ. fùr prakt. Chemie, 10, 1874.
FlillcazlDIll i l GOETITO GEOLOGICO.
(CONTINUAZIONK.)
Memorie per seryire alla descrizione della Carta Geologica
d’Italia. — Volume II, Parte P; Firenze 1873. — 272 pa-
gine in-4® con 11 tavole, due Carte geologiche ed incisioni
intercalate nel testo.
Comprende le seguenti Memorie :
Introduzione. — Monografia geologica dell’Isola d’ Ischia,
con la Carta geologica della medesima in fol. e incisioni nel
testo, del professor C. W. C. Fuchs. — Esame geologico della
catena alpina del San Gottardo, che deve essere attraversata
dalla grande Galleria della Ferrovia Italo-Elvefica, con una
Carta geologica in fol. e due tavole di Sezioni in fol., dell’in-
gegnere F. Giokdano. — Appendice alla Memoria sulla for-
mazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, con una
tavola, dell’ ingegnere S. Mottura. — Malacologia pliocenica
italiana (Parte P, Gasteropodi sifonostomi) ; fascicolo 2®, con
. otto tavole, di C. D’ Ancona.
Prezzo del Voi. IF (Parte F), Lire 25.
Carta Geologica del San Gottardo, nella scala di
1 per 50,000, di F. Giordano. — Un foglio in cro-
molitografia L. 5. —
Carta Geologica dell’Isola d’ Ischia, nella scala di
1 per 25,000 di C. W. C. Fuchs. — Un foglio in
cromolitografia L. 3. —
Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica
d’ Italia. — Voi. II, Parte 2^ ; Firenze 1874. — 68 pag. in 4°
con due tavole. — Contiene la seguente Memoria : B. Ga-
staldi, Studii geologici sulle Alpi Occidentali ; Parte 2*.
Prezzo del Voi. IF (Parte 2^), Lire 5.
Per le commissioni dirigersi al Segretario del R. Go-
mitato Greologico, in Roma, Piazza San Pietro
in Vincoli, N. 5.
Annunzi di pubblicazioni.
G. Ponzi. — Storia dei Ynlcani Laziali. — (Atti della R. Accademia dei
Lincei, anno 271, serie IP, voi. I, 1873-74). — Roma 1875, pag. 17,
in-4° con carta geologica.
— Storia naturale del Teyere. — (Bollettino della Società Geogr. Ital.
voi. XII, fase. 1-2). — Roma 1875, pag. 20, in-8° con 3 tavole.
R. Ludwig. — Geologisclie Bilder aus Italien. — (Bulletin de la Société
Imp. des Naturai, de Moscou, année 1874). — Moskau 1874.
G. VOM Rath. — Ber Monzoni im Siiddstlielien Tiro!. — Bonn 1875,
pag. 46, in-8® con due tavole.
A. Stoppani. — La purezza del mare e delP atmosfera fin dai primordi
del mondo animato. — Milano 1875, pag. 484, in-8° con figure nel
testo ed una tavola.
G. G. Bianconi. — Intorno alle argille scagliose di origine miocenica.
— (Memorie delPAcc. delle Scienze dell’Ist. di Bologna, S. Ili, t. V,
fase. 3). — Bologna 1875, pag. 10, in-4®.
G. A. PiuoNA. — Sopra ima nuova specie di Radiolite. — Venezia 1875,
pag. 7, in-8® con una tavola.
C. J. Foestth Major. — Considerazioni sulla Fauna dei mammiferi plio-
cenici e postpliocenici della Toscana. — (Atti della Società Toscana
di Scienze Naturali, voi. I, fase. 1). — Pisa 1875, pag. 33, in-8°. (con-
tinua).
R. Lawley. — Bei resti di pesci fossili del pliocene toscano. — (Atti
della Società Toscana di Scienze Naturali, voi. I, fase. 1). — Pisa
1875, pag. 8, in-8®.
A. D’Achiardi. — Coralli eocenici del Friuli. — (Atti della Società To-
scana di Scienze Naturali, voi. I, fase. 1). — Pisa 1875, pag. 16,
in-8° con due tavole (continua).
M. S. De Rossi. — Primi risultati delle osservazioni sulle oscillazioni
microscopiche dei pendoli. — Roma 1875, pag. 40, in-4®.
C. De Stefani. — Bi alcune conchiglie terrestri fossili nella Terra
rossa della pietra calcare di Agnaiio nel Monte Pisano. — Pisa
1875, pag. 5, in-8“.
— Natura geologica delle colline della Val di Nievole e delle valli
di Lucca e di Bientina. — Pisa 1875, pag. 6, in-8°.
— Bescrizìoiie di nuove specie di molluschi iiliocenicì italiani. —
(Bull, della Società Malacologica italiana, voi. I, fase. 1). — Pisa 1875,
pag. 9, in-8®.
A. Bellardi. — Novae Pleurotomidarum Pedemontii et Liguriae fossi-
lium dispositionis prodromus. — (Bull, della Società Malacologica
italiana, voi. I, fase. 1). — Pisa 1875, pag. 9, in-8'\
P. Mantovani. — Belle argille scagliose e di alcuni Ammoniti dell’ Ap-
pennino dell’Emilia. — (Atti Soc. It. Scienze Naturali, voi. XVIII,
fase. 1). — Milano 1875, pag. 35, in-8°.
G. Omboni. — Bi alcuni oggetti preistorici delle caverne di Velo nel
Veronese. — (Atti Soc. It. Scienze Naturali, voi. XVIII, fase. 1). —
Milano 1875, pag. 14, hi-8° con una tavola.
A. De Zigno- — Sirenii fossili trovati nel Veneto. — (Memorie del R.
Istituto Veneto, voi. XVIII). — Venezia 1875, pag. 30, in-4® con
cinque tavole.
— Sui mammiferi fossili del Veneto. — Padova 1875, pag. 16, in-8°.
L. Bombicci. — Corso dì Mineralogia. — (Seconda edizione grandemente
variata ed accresciuta), voi. 2° diviso in due parti. — Bologna 1875,
pag. 1032, in-8" con tavole ed incisioni.
R. COMITATO GEOLOGICO
D’ ITALIA.
Bollettino N° 7 e 8.
Luglio e Agosto 1875.
ROMA,
TIPOGRAFIA BARBÈRA.
1875.
Bollettino Geologico per il 1870. — Un voi. in-8° di pag. 324.
» )) PER IL 1871. — Un voi. in-8'’ di pag. 296.
)) » PER IL 1872. — Un voi. in-8° di pag. 376.
» » PER IL 1873. — Un voi. in-8° di pag. 400.
» » PER IL 1874. — Un voi. in-8® di pag. 408.
Prezzo di ciascun volume L. 10.
Associazione al Bollettino del 1875 (Anno VP). — Per
r Italia L. 8, Estero L. 10.
I fascicoli bimestrali dei Bollettino si vendono anche se-
paratamente al prezzo di L. 2 ciascuno.
Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica
d’Italia. — Volume P; Firenze 1871. — 404 pagine in-4®
con 23 tavole, due Carte geologiche e varie incisioni inter-
calate nel testo.
Comprende le seguenti Memorie :
Introduzione — Studii geologici sulle Alpi Occidentali, di
B. Gastaldi, con cinque tavole ed una Carta geologica. —
Cenni sui graniti massicci delle Alpi Biemontesi e sui mine-
rali delle valli di Lanzo, di G. Struver. — Sulla formazione
terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura,
con quattro tavole. — Descrizione geologica dell’ Isola d’ Elba,
di 1. Cocchi, con sette tavole ed una Carta geologica. —
Malacologia pliocenica italiana (Parte P, Gasteropodi sifo-
nostomi) di C. D’Ancona; fascicolo V, con sette tavole.
Prezzo del Voi. P, Lire 35.
Brevi cenni sui principali Istituti e Comitati Geo-
logici e sul B,. Comitato Geologico d’Italia, di
L Cocchi. — Pag. 34 in-4” L. 1.50
Carta Geologica della parte orientale dell’ Isola
d’Elba, nella scala di 1 per 50,000, di I. Coc-
chi. — Un foglio in cromolitografìa L. 3. 00
(Continua.)
BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO
D’ ITALIA.
JIM e 8. — luglio e Agosto 187S.
SOMMARIO.
Wote geologiche, — I. Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica del-
l’Italia Meridionale, per G. Sequenza. (Continuazione.) — II. Dell’epoca
geologica dei marmi dell’Italia Centrale, per C. De Stefani. — III. Il ter-
reno nummulitico nel versante orientale della Cornata di Gerfalco, per
B. Lotti. — IV. Brevi note sulle Salse modenesi, per F. Coppi. —V. Sulla
relazione di un viaggio geologico in Italia, per Th. Fuchs. — VI. Calcare a
Amphistegiria, strati a Congeria e calcare di Leitha dei Monti Livornesi, per
G. Capellini. — VII. I membri delle formazioni terziarie nel versante set-
tentrionale dell’ Apennino fra Ancona e Bologna, per Th. Fuchs. — Vili. Sulla
formazione della Terra Rossa, per Th. Fuchs.
Notizie bibliografiche. — L. Bombicci, Corso di Mineralogia, edizione
variata ed accresciuta ; voi. II ; Bologna, 1875.— G. Capellini, Considerazioni
sui Cetoterii bolognesi, con due tavole ; Bologna, 1875. — 0. Heer, Floro,
fossilis arctica, voi. Ili; Zurich, 1875.
NOTE GEOLOGICHE.
I.
Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica
dell’ Italia Meridionale^ per G. Seguenza.
(Continuazione. — Vedi Bollettino, N. 5-6.)
Elenco dei Cirripedi e dei Molluschi della zona superiore
dell’ antico plioceno.
— 204 —
I
Gen. Mitica Lamarck.
98 1.
99 1.
turricula Jan
fusiformis Brocchi (Voluta)
v> T/nr F, Bftl lardi . . ....
— M. pseudopapalis Sismonda
=: M. Santangeli Calcara (non Maravig^
100 1.
101 1
Molto affine alla precedente
anpillarnidA<i IVTipTi Alnf.f;ì
102 1.
103 1.
1 04- 1
obesa Foresti '
Affine alla specie precedente
105 1.
striatala Brocchi (Voluta)
var A Tlftl lardi
— M. striatala Calcara
1061.
107 1.
I 08 1
striato-sulcata Bellardi
scrobiculata Brocchi (Voluta)
M. scrobiculata var. Basterot . . . . ;
— M. scrobiculata Calcara
109 1.
110 1.
Ili 1.
110 1
Michelottii Hoernes •
cupressina Brocchi (Voluta)
Calatabianensis n. sp
= M. elegans Michelotti, M. cupressina);
Brocchi)
= M. cancellata Bon (non Kiener, non li
=: Molto più grande della precedente c|
sversali rilevate
1 JlJj ì,
1 1 Q 1
i 1 o J.
1141.
1151.
1 1 A 1
ehenus Lamarck
» var. D. Bellardi
» var. E. Bellardi
pyramidella Brocchi (Voluta)
= M. plicatula e M. ehenus Calcara, A'o|(
Brocchi !
— Voluta plicatula Brocchi '
— M. Defrancii Payraudeau ;
— M. pyramidella Calcara
i 1 D i,
117 1.
1181.
+ v*i/^AlAr rimolin /Vnln+.fì.ì . . . - .
— M. SAvignyi Philipp! !
obsoleta Brocchi (Voluta)
= M. striata Eichw i
Gen. Gonus Linneo.
1191.
1 OA 1
Aldrovandi Brocchi
= C. betulinoides Hoernes., C. Aldrovaji
1.
121 1.
Mercati Brocchi
— C. Mercati Calcara j
1.
128 1.
1 O /i 1
pyrula Brocchi
— C. turriculus Brocchi
i i.
1 o cc 1
i^D i.
1 O/? 1
izv !•
127 1.
1 OQ 1
virginalis Brocchi
= C. deperditus Bruguière, C. virgiiialiil
L^O !•
129 1.
130 1.
131 1.
1 QO 1
TIrnPA.hii Brnnn ..............
= C. deperditus Brocchi (non Brug.) . .j
antediluvianus Bruguière
appenninicus Bronn . .
— C. antediluvianus Calcara j
Probabilmente varietà della precedentejfi
1 Oi 1.
1
loo
Gen. Pleurotoma Lamarck.
1
i
1341.
135 1.
136 1.
137 1.
1
— P. spiralis Brugnone i
— P. monilis Calcara
turricula Brocchi (Murex).
» var. A. Bellardi
= P. turricula Calcara
= Murex contiguus Brocchi, P. contigi
138 1.
ioni
— P. Saint-Ferrioli Calcara
\
loU ]•
140 1.
Brugnonii Seguenza
T7Qr TI Spo'nAn7a,
= P. Coquandi Brugnone (non Bell.) . [
Coi noduli sulla carena quasi nulli. . i
1/111
i^i !•
1/10 1
i*
205
3
4
5
6
7
8
9
10
n
12
13
14
15
16
17
P-
Ó.
P.
b.
A.
C.
. . .
B.
b.
•
. . .
b.
b.
B.
0.
P.
B.
. . .
C.
. . .
B.
P-
6.
Le.
B.
• • •
c.
• • •
B.
L.
0.
. . .
B.
• • •
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. . .
B.
L
B.
C.
0.
P.
B.
• • •
. . .
. . .
B.
L.
. . .
C.
c.
b.
P.
b.
B.
L.
6.
B.
L,
0.
Lu.P.
B.
. . .
. . .
• * •
B.
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P-
...
Le.
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b.
♦ • •
C.
b.
b.
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Pa.
B.
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B.
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B.
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B.
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6.
Le.
B.
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c.
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B.
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b.
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B.
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B.
L.
c.
B.
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• • •
b.
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Le.
B.
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c.
M.
B.
L.
M.
B.
P. F.
b.
6.
Le.
• • •
A.
c.
• • •
b.
• • •
Le.
L.
b.
• • •
le.
1
+++
143 1.
1441.
145 1.
146 1.
147 1.
148 1.
149 1.
1501.
151 1.
152 1.
1531.
154 c.
155 c.
156 c.
157 c.
158 c.
159 c.
160 c.
161 c.
162 c.
163 c.
164 c.
Partschii Bellardi
Bellardii Desmoulins
interposita Bellardi
Anioni Bellardi
Brocchi Bonelli
Geslini Desmoulins
postulata Brocchi (Murex) . .
nohilis Meneghini
rustica Brocchi (Murex) . . .
interrupta Brocchi (Murex) .
Mortilieti Mayer
» var. minor . . . . .
rotata Brocchi (Murex) . . . ,
hrevis Bellardi
Morchii Maini. (Trophon) . .
» var. B . .
dimidiata Brocchi (Murex) .
» var. B. Powerii. .
» var. C
nodulifera Philippi
> var. B
ohtusangula Brocchi (Murex)
media n. sp
tenuisculpta n. sp
galerita Philippi
modiola Jan
crispa Seguenza
165 c.
166 c.
167 c.
168 s.
169 s.
1701.
171 1.
172 c.
1731.
1741.
1751.
Loprestiana Calcara
» var. cylindracea ....
emendata Monterosato
consanguinea n. sp
torquata Philippi
pygmsea Philippi
Sottogenere Conopleura Hinds.
paucicosta n. sp
Maravignae Bivona
» var. B. Bellardi
sigmoidea Bronn
» var. B
Gen. Boia Moller.
septangularis Montagu (Murex) . .
» var. secalina
Gen. Clinura Bellardi 1875.
calliope Brocchi (Murex)
elegantissima Foresti (Pleurotoma)
j
Specie che verrà tosto pubblicata dall’ ajo
Specie che verrà tosto pubblicata dall’ ari)]
= P.brevirostrum Bell, (non Sow.)P.hreTÌri)n
= Murex ohlongus Brocchi
= P. ohlonga Calcara
= P. interupta Calcara, Libassi
P. asperulataBrugnone (nonLamlv.)Yar. 1
= P. rotata Calcara, Brugnone, Libassi
=: P. cirratum Brugnone (non P. cirrata^
= P. dimidiata (Brugnone, Libassi) . . . .
=:P. Powerii Calcara, P. dimidiata var.ji
Powerii var. Brugnone
= P. dimidiata var. Libassi, P. Powerii ve 1
Carena tagliente senza papille ....
= Noduli che si allungano in forma di ]{
=:P. ohtusangula Calcara
Affine alla P. intermedia
Affine alla P. torquata, mancano i noduli i
degli ^.nfratti
= P. suhasperum Brugnone
r=:P. carinata Bivona
= P. crispata Foresti ed altri (non Jan g
l’antico plioceno somigliante alla veri*
ma diversa per l’ apice e per altre no
Cile e più grande
rrrP. crispata Philippi (non Jan), P. Tik
P. tricinctum Brugnone. Il P. crispatum .1
del miocene di Tortona, Vienna ec. e
P. Tarentini Philippi j
= P. Renieri Phil. (non Scacchi), P. crk
gnone (non Jan, non Philippi). . . • •
Molto affine alla precedente, meno gracile
numero di linee trasversali
— Defrancia torquata Monterosato . . . |.
— P. raricosta Brugnone (non Bonelli) !•
= P. elegans Scacchi, Philippi, Calcara, i3
P. incrassata Dujardin, Brugnone . .
Pieghe meno flessuose
=:P. septangularis Philippi, Monterosat
=:P. secalina Philippi, Brugnone, Monte'!
= Pleurotoma calliope Auctorum . . . .
207
— 208 —
1761.
177 c.
178 1.
179 s.
1801.
181 1.
182 1.
1831.
1841.
185 1.
1861.
187 1.
1881.
1891.
1901.
191 c.
192 c.
193 c.
194 c.
195 c.
196 c.
197 s.
198 s.
199 1.
2001.
i
1
Gbn. Pseudotoma Bellardi 1875.
Bonelli Bellardi (Pleurotoma). . . .
intorta Brocchi (Murex) .......
I
— Pleurotoma hracteata Bellardi (non Mur!
tus Brocchi)
= Pleurotoma intorta Auctorum „
Gen. Dolichotoma Bellardi 1875.
cataphracta Brocchi (Murex)
= Pleurotoma cataphracta Auctorum . . . .
Gen. ApTianitoma Bellardi 1875.
Imperati Philippi (Pleurotoma). . . ,
Le pieghe sulla columella sono indistinte
Gen. Defrauda Millet.
scalaria Jan (Pleurotoma)
Luisag Semper
turritelloides Bellardi (Pheurotoma). . .
stria Calcara (Pleurotoma)
» var. minus Brugnone
gibbosa n. sp
Desmoulinsii Bellardi (Raphitoma). . . .
inflata Jan (Pleurotoma)
— Raphitoma scalaria Libassi |.
= Pleurotoma turritelloides Libassi, P. turile
Brugnone var. majus i.
= Pleurotoma semiplicatum Bonelli, Belp
gnone, Philippi |.
Affine alla precedente, ma cogli anfratti ii
più appianati superiormente, colle sutui
fonde ep. ec 1.
— Pleurotoma Desmoulinsii Brugnone . . {.
= Pleurotoma volutella Valenciennes, Bruglc
gatum Bivona, Defrancia volutella Mil
D. Leufroyi var. Monterosato j.
» var. B. Brugnone
linearis Montagu (Murex)
» var. B
reticulata Bronn (Pleurotoma)
» var. B. formosa . . . .
rudis Scacchi (Pleurotoma)
purpurea Montagu (Murex) .
gracilis Montagu (Murex)
textilis Brocchi (Murex)
teres Forbes (Pleurotoma)
semicostata Bellardi (Raphitoma) . . . .
varietà
Leufroyi Michaud (Pleurotoma)’ ......
hystrix De Cristof. e Jan (Pleurotoma). .
anceps Eichwald (Pleurotoma)
Zanclea n. sp,
= Pleurotoma linearis Monterosato, Raphif
chii Bellardi, Brugnone
Trasversalmente multilineata
= Pleurotoma reticulatum Philippi, Calcarali
Raphitoma Scacchi Libassi (non Bellarc.
= Pleurotoma echinata Calcara, Murex i3i
Brocchi I
=2 Pleurotoma purpureum Philippi ....
=: Pleurotoma purpurea Monterosato ed ad
r= Pleurotoma suturalis e gracilis Philipp:')
gracilis Monterosato
=2 Pleurotoma (Mangelia) Savi Libassi. .
Calcara
r=5 Fusus La Viae Calcara, Pleurotoma minu ji
(non Forbes), P. crispatum Libassi (non ih
nutum var. polyzonatum Brugnone, Defili»
Monterosato, P. anceps Monterosato (ncjl
=: Pleurotoma polyplectum Brugnone. . . ,
= Pleurotoma inflata e Leufroyi Philippi
=: Echion hystrix, Pleurot. (Defrancia) hystr I
Non P. anceps Monterosato, che è la P. te
specie che sembra diversa dalla attuale
linee trasverse lamelliformi
Affine alla Homotoma onusta Bellardi . .
il
Sottogenere Daphnella Hinds.
Salinasii Calcara (Pleurotoma). . .
Romani Libassi (Pleurotoma). . . .
— 209 —
«
3
4
5
6
7
8
9
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12
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14
15
16
17
18
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C.
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b.
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. . .
. . .
b.
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P.
B.
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H-
H-
c.
M.
M.
-f-
M.
>
M.
201 1.
202 1.
203 1.
204 1.
205 1.
206 1.
207 1.
20S 1.
2C9 1.
210 1.
211 1.
212 1.
213 1.
214 1.
215 1.
216 ].
217 ].
218 1.
219 1.
220 1.
221 1.
222 1.
223 l!
224 1.
225 ].
226 1.
227 1.
228 1.
229 1.
230 1.
231 c.
232 c.
233 c.
234 s.
— 210 —
Gbn. Mangelia Hinds.
Spadae Libassi (Pleurotoma) . . .
clathrata De Serres (Pleurotoma)
rugulosa Philipp! (Pleurotoma). . . .
> var. B. Brugnone
rugosissima Brugnone (M. S.)
Vauqueliuii Payraudeau (Pleurotoma)
Bertrandi Payraudeau (Pleurotoma) .
var. coerulans Philipp!.
varicosa Libassi (Pleurotoma)
angusta Jan (Pleurotoma)
Gen. Rapliitoma Bellardi.
acantoplecta Brugnone (Pleurotoma) . .
Caterini n. sp
hispida Bellardi (Pleurotoma).
» . var. B
plicatella Jan (Pleurotoma)
vulpecula Brocchi (Murex)
minima Brugnone (Pleurotoma)
submarginata Bellardi
pseudomarginata n. sp
» var. B. minor
sulcatula Bonelli (Pleurotoma)
scabriuscula Brugnone (Pleurotoma). . .
brachystoma Philipp! (Pleurotoma) varietà
scalariformis Brugnone (Pleurotoma) .
nebula Montagu (Murex)
» var. Ginnannana
» var. laevigala
Columnse Scacchi (Pleurotoma)
harpuloidea Brugnone (Pleurotoma) . .
Poppelacchii HoernesV (Pleurotoma). .
attenuata Montagu (Murex)
» var. tonuicosta Brugnone . .
» var. Payraudeauti Deshayes
costata Donovan (Murex)
ambigua Brugnone (Pleurotoma) . .
megastoma Brugnone (Pleurotoma)
neglecta Brugnone (Pleurotoma) . .
nevropleura Brugnone (Pleurotoma)
decussata Philipp! (Pleurotoma) . .
nana Scacchi (Pleurotoma)
harpula Brocchi (Murex) .
tenuicosta n. sp
: Pleurotoma rude Philipp!, P. cancella
P. granum Philipp!
: Pleurotoma rugulosa Brugnone, Monterja
Pleurotoma rugulosa var. C. Brugnone
; Pleurotoma coerulans Philipp!
Gli esemplari dei vari! luoghi enumerati qi
col nome di P. spinifera Bell., rispondon'jq
plari tipici del Brugnone, e non già alla
del Bellardi . . .
Affine alla precedente, più gracile, con
mero di costole ec. ec j.
Questa specie confondesi generalmente col
dula Jan, che ha maggior numero di C(ji(
Di forma più allungata j.
= P. plicatella Libassi
= Pleurotoma vulpecula Calcara, Philipp!
(Non Brugnone)
= Pleurotoma submarginata Brugnone (n(
Più piccola, più gracile, colle costole più
= Pleurotoma scabriuscula Brugnone. . .
= Pleurotoma granuliferum Brugnone, Pleu
cellina Bonelli
!)(
: Pleurotoma Bertrandi Philipp! (non Pa
: Pleurotoma Ginnannana Scacchi, Phili
: Pleurotoma laevigata Philipp!
Fusus costatus Philipp!
— Pleurotoma Valenciennesii Maravigna.
=: Pleurotoma attenuata var. tenuicosta
= Pleurotoma Payraudeauti Deshayes . .
— - Pleurotoma prismaticum Brugnone, P. C(|if
terosato
: Pleurotoma Philipp! Calcara (non Testa|I
rimum Tiberi, P. hispidula MonterosatoF
e Jan)
= Pleurotoma harpula Philipp!, Calcara (
211
3
4
5
6
7
8
9
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11
12
13
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15
16
17
b.
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0.
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b.
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B.
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L.
0.
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C.
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. . .
le.
B.
b.
0.
Le.
B.
0.
P.
B.
0.
b.
L.
C.
M.
M.
(Continua.)
+ + +
— 212 —
IL
Bell’ epoca geologica dei marmi dell’ Italia Centrale^ j
nota di Carlo de Stefani. j
1
1
i
Intendo fare una breve esposizione secondo i resultati dei |
recenti studii, dell’ epoca geologica dei marmi dell’ Italia cen- j
trale; e voglio dire dei soli marmi veri e propri! costituiti dal j
carbonato di calce, escludendo le pietre d’ ornamento, serpenti- \
nose, feldispatiche, silicee o d’ altra natura.
Tra le rocce di epoca più recente, soltanto un alberese eoce-
nico, di colore bruno, opaco, compatto, criptocristallino, poco lu-
cente, in frammenti ravvolti entro una pasta gabbrosa o serpen-
tinosa, in banchi per T' -appunto prossimi ad ammassi serpentinosi, i
è stato qualche volta scavato ne’ dintorni di Monterufoli, ne’ teni-
menti del Maffei, ed impiegato come marmo. Tutti gli altri
marmi, eh’ io mi sappia, non sono d’ epoca più recente del lias.
Il marmo nero, compatto, molto lucente quando è tirato a
lustro, uniforme, o vagamente venato di bianco o più spesso di
giallo, nel qual caso è conosciuto col nome di Fortore o Porto-
venere, le cui cave principali sono presso il paese di questo
nome nel promontorio occidentale della Spezia, è conosciuto
come infraliassico, dopo gli studii fatti dal Capellini in quella
regione. All’ epoca medesima si debbono riferire, dopo gli studii
del Cocchi,^ un marmo nero uniforme o venato di bianco, pro-
veniente da Matanna nelle Alpi Apuane; e dopo gli studii miei,- un
marmo brecciato di nero e di giallo, di Pescaglia pure nelle i
Alpi Apuane, stato descritto pella prima volta dal Savi,^ ed il |
marmo nero, uniforme, un poco meno lucente del Portoro, che i
qualche volta viene scavato ai Bagni della Duchessa nel Monte
Pisano.
‘ I. Cocchi, Sulla geologia dell’Italia centrale.
^ Considerazioni stratigrafìche sopra le rocce più antiche delle Alpi Apuane
e del Monte Pisano. Roma 1875.
® P. Savi, Del marmo nero e delle hreccie varicolori dei Monti di Pescaglia.
Lucca, 1852.
213 —
I marmi summenzionati, con le altre rocce calcaree infralias-
siche, riposano sopra schisti ardesiaci od arenarie spesso trasfor-
mate in anageniti, in schisti o quarziti cloritiche ed in scisti o
quarziti pregrattitiche (damouritiche), la cui vera epoca forma
soggetto di disputa fra gli autori, ma che molto probabilmente,
siccome si vedrà, debbonsi riferire al trias. In molti altri luo-
ghi delle Alpi Apuane, del Monte Pisano e della Maremma, si
potrebbero scavare tra i calcari infraliassici dei marmi neri, ma
forse il guadagno non pagherebbe la spesa. I bardigli di Cam-
piglia, di colore turchino chiaro, assai cristallini, anzi quasi la-
mellari, ripieni di piccoli cristalli di Couzeranite, e confusi da
alcuni geologi, che li riferiscono all’ epoca carbonifera, coi marmi
bianchi che fra poco esamineremo, sembrano invece riferibili essi
pure all’ infralias. E vero che l’ insieme degli strati di questo
luogo deve essere ristudiato, ma intanto si sa che al di sopra
del bardigiio non stanno schisti cristallini che lo facciano com-
parire più antico dell’ infralias, anzi vi si trovano dei banchi di
calcare bianco che appartengono, come si vedrà, al lias inferiore.
D’ altronde l’ aspetto cristallino del calcare non potrebbe ba-
stare a farlo credere più antico dell’ infralias, perchè ai Bagni
della Duchessa nel Monte Pisano, nel calcare nero veramente
infraliassico come sopra ho detto, a posti, il calcare è divenuto
cristallino con apparenza non distinguibile da quella del calcare
di Campiglia, e quando ciò avviene, esso è oltremodo ricco di
idrogeno solforato : evidentemente si tratta di pure e semplici
trasformazioni avvenute dopo la sedimentazione dei banchi.
Non grandemente soggetta a contestazione è P epoca dei
marmi rossi e di quelli gialli. Un bel marmo rosso mattone,
alquanto cristallino, uniforme, si trova nel Monte Matanna nelle
Alpi Apuane ; e nella stessa giogaia, al Poggio di Matteo presso
Trassilico fu scavato qualche volta un marmo rosso venato di
giallo. All’ Alpe di Corfino nell’ Apennino della Garfagnana, sono
delle cave di marmo rosso a frammenti entro una pasta rossa
più scura. Nel Monte Pisano presso Santa Maria del Giudice si
trova del marmo giallo ceroide ; marmi rossi, puri o brecciati,
si scavano a Campiglia, a Caldana, ed alla Gherardesca in Ma-
remma. Del resto i banchi della roccia dalla quale si tolgono i
marmi nei luoghi ora accennati, si estendono molto, sebbene con
214 —
non grande spessezza, nei Monti della Spezia, nelle Alpi Apuane,
nell’ Apennino dell’ Emilia e della Toscana, nel Monte Pisano e
nelle Maremme; ed in moltissimi luoghi potrebbero, a volere,
esservi aperte nuove cave. Essi rimangono sottoposti ai banchi
del calcare grigio con selce liassico medio, identico' al lias medio
dell’ Apennino centrale, e 1’ epoca loro, attestata dai numerosi
fossili che contengono è del lias inferiore più recente. Sono già
note da qualche tempo le specie delle Ammoniti fossili che sono
state raccolte nell’ Alpe di Corfino ; ora presenterò quelle del
marmo rosso di Campiglia, riportandone 1’ elenco colle recentis-
sime correzioni e coll’ aggiunta di alcuni altri fossili, che gen-
tilmente mi ha prestato il prof. Meneghini.
Ammonites margaritatus Monti,
» fimbriatus Sow.,
)) Heberti Op. (A. brevispina d’ Orb.),
)) armatus Sow.,
» JBaivageri d’ Orb. ?
)) Zetes d’ Orb.,
)) mimatensis d’ Orb.,
)) N ardii Mgh.,
)) FartscMi St. (A. striatoco status Mgh.),
)) tenuistriatus Mgh.,
» Normanianus d’ Orb.,
» Nodotianus d’ Orb.,
» Conybeari Sow.,
)) tardecrescens v. H.,
» spiratissimus Qstd.,
» muUicostatus Sow. ? ,
)) bisidcatus Brug. ? ,
» Ceras Gieb.
Fedemnites longissimus Mill.?,
Atraxites aìpinus Giimb.,
Orthoceras liasicus Giimb.
Alquanta incertezza si è avuta infino ad ora sull’ epoca del
bellissimo marmo, color giallo d’oro, della Montagnola Senese;
è più frequente che non si creda il trovare delle sezioni di am-
moniti nelle tavole pulimentate di esso, ma ninna specie è stata
— 215 —
bene studiata ed in conseguenza determinata, salvo V Ammonite
della tavola del Palazzo Pitti che sembra un A. fimhriatus
Sow., ed intanto la roccia è stata attribuita all’ infralias dal
Campani,^ ed al lias in generale dal Capellini,^ senza riconoscere
i suoi rapporti precisi cogli altri marmi rossi e gialli della To-
scana. Però quel marmo non è infraliassico, sia per le specie
delle Ammoniti che contiene, sia perchè è veramente superiore
all’ infralias. Infatti i sedimenti di quest’epoca sono rappresen-
tati colà da un calcare in origine grigio cupo, che è divenuto
intensamente cavernoso e cariato per essere stato lungamente
esposto appo la superficie terrestre, prima sotto forma di scoglio
poco elevato durante P epoca pliocenica, poi sotto forma di col-
lina, la cui massa, traversata dalle acque che abbondanti circo-
lano all’esterno, e spogliata di grandissima parte di elementi
calcarei, ha dato luogo a grandiosi banchi di travertino, rima-
nendo quasi soltanto lo scheletro della roccia compatta che prima
esisteva. Ho fatta questa osservazione per concludere che la
formazione della cavernosità è un fenomeno per la massima parte
recente, e che 1’ apparenza cavernosa del calcare non può ba-
stare a toglierlo dall’ infralias ed a riporlo nel trias come era
opinione nel passato, e come d’ altronde sarebbe contrariato dal-
r apparenza della roccia non alterata. Fra le masse del calcare
cavernoso infraliassico, e quelle del calcare giallo, sono dei ban-
chi di calcare ceroide o saccaroide bianco, il quale, e lo ve-
dremo tra poco, deve essere come il calcare ceroide del rima-
nente della Toscana, attribuito al lias inferiore. Non parmi
dubbio perciò, accordandosi anche la posizione stratigrafica, che
il calcare giallo della Montagnola, come gli altri calcari rossi
della Toscana appartenga alla parte superiore del lias inferiore.
Il disaccordo fra i geologi si può dire completo, per non
avere conosciuto o per non avere interpretato a dovere la serie
dei fatti, intorno all’ epoca geologica dei marmi bianchi ceroidi
e saccaroidi. Marmi bianchi o venati in diversa maniera, varia-
mente cristallini ma più spesso ceroidi, non sempre puri, ven-
gono scavati nel Monte Pisano a San Giuliano ed a Santa Maria
‘ G. Campani, Sulla costituzione geologica della provincia di Siena. Siena,
1865.
* Atti della Società Italiana di Scienze naturali, Tav. XIV, fig. 4 bis. Milano.
— 216 —
del Giudice, e si trovano anche a Campiglia, a Gerfalco, a Ce;
tona e nella Montagnola Senese. I bellissimi marmi saccaroidi,
candidi, impiegati nell’ arte statuaria e come pietra d’ orna-
mento, e conosciuti dovunque, provengono però dalle Alpi Apuane,
dal Carrarese, dal Massese e da quel di Serravezza, dove li ac-
compagnano marmi bardigli, mischi e breccie di varie qualità e
di molteplici colori. In banchi assai limitati ma di consimile ap-
parenza, si trovano questi stessi calcari al Capo Corvo presso la
Spezia ed all’ isola d’ Elba. Questi marmi di vario aspetto e di
varii luoghi, furono per lungo tempo confusi insieme e vennero
da prima considerati dal Savi e dagli altri come rocce eruttive.
Dipoi, scoperti dei fossili qua e là nei banchi loro o nei con-
tigui strati calcarei, vennero considerati come trasformazioni di
altri calcari non alterati, e furono dal Savi riposti nel lias ed
indicati col nome generale di Lias Apenninico. Soltanto i marmi
bianchi saccaroidi racchiusi negli schisti cristallini del Capo
Corvo nel promontorio orientale della Spezia erano riguardati da
questo geologo come appartenenti ad epoca più antica. La parola
del De la Deche che fino nel 1833 ^ aveva dimostrato come i marmi
delle Alpi Apuane dovessero distinguersi dai calcari sovrastanti
ed appartenessero ad un periodo più antico, era rimasta infrut-
tuosa. Il Coquand, aveva sostenuto più tardi che que’ marmi e
particolarmente questi delle Alpi Apuane e quelli di Campiglia,
anzi che come appartenenti all’epoca secondaria dovevano essere
riguardati come carboniferi ; ^ ma aveva continuata la confusione
antica conservando riuniti quei calcari che non potevano essere
riposti in un solo periodo geologico. Gli studii sulla geologia To-
scana, avanzati per opera del Savi, del Meneghini, e poi del
Capellini, facevano distinguere nella massa dei calcari, attribuiti
prima confusamente al lias, i piani del lias inferiore cui erano
riferiti i marmi rossi già esaminati, e dell’ infr alias, studiato per
la prima volta alla Spezia. I marmi bianchi del Monte Pisano e
della Maremma, per la loro posizione stratigrafica, e per certe
considerazioni generali sui molluschi fossili ivi rinvenuti, erano
’ Sur les environs de la Spezia. (Mem. Soc. géol. de France, serie I,
voi. I, pag. 32.)
^ Sur les terrains stratifiés de la Toscane. (Bull. Soc. géol. de France,
serie II, tome II, pag. 155.)
— 217 —
riposti, coi calcari rossi, nel lias inferiore; ordinamento che il
Meneghini confermava più tardi, pei marmi di Campiglia. I
marmi delle Alpi Apuane poi, si consideravano come rappresen-
tanti comprensivamente dell’ infralias e del lias inferiore, le cui
originarie apparenze si riteneva fossero state mascherate dalle
trasformazioni posteriori. Al Cocchi spetta 1’ avere dimostrato
in modo non dubbio la diversa età dei marmi delle Alpi Apuane,
della Spezia e dell’ Elba, da quelli della Toscana rimanente, e
la maggiore antichità dei primi che bene spesso sono in fatti
separati dagli altri da una lunga serie di rocce schistose cri-
stalline. ‘ Quelli vennero dal Cocchi medesimo attribuiti, insieme
col Coquand, al carbonifero ; gli altri, al trias, per una opinione
che lo Stoppani aveva manifestata sulla analogia delle specie
de’ molluschi fossili nel calcare ceroide del Monte Pisano, con
quelle del calcare triassico d’ Esino nelle Alpi Lombarde. Re-
centemente poi, il Gastaldi,^ supponendo analogia fra i calcari
saccaroidi delle Alpi Apuane e le rocce cristalline che li rac-
chiudono, ed i calcari e gli schisti pur cristallini di quella zona
da lui studiata nelle Alpi Occidentali e da lui denominata delle
][)ietre verdi, li poneva insieme con questa zona nell’ epoca pre-
paleozoica. Il Coquand,^ d’ altra parte, in alcuni nuovi scritti, ri-
conoscendovi a suo credere analogia coi marmi saccaroidi dei
Pirenei che sembrano appartenenti all’ epoca carbonifera, ordi-
nava definitivamente nell’ epoca medesima anche i marmi sacca-
roidi nostri : accettava poi la maniera di vedere del Cocchi, e
riponeva nel trias il marmo ceroide di San Giuliano ; ma con-
servava in massima parte le antiche confusioni, e poneva nel
carbonifero, insieme coi marmi apuani, quelli di Campiglia, di
Gerfalco e di Cetona.
Esponendo il risultato di alcuni miei studi sopra le rocce più
antiche delle Alpi Apuane e del Monte Pisano, era già stata pub-
blicata ^ una lista delle Ammoniti del marmo ceroide di Campiglia,
‘ Sulla geologia deir Italia centrale.
^ Studii geologici siUle Alpi Occidentali, parte II.
* De l’àge et de la position des marbres blancs statuaires des Pirénées et
des Alpes Apuénììes en Toscane. [Comgt-rend. Acad. Se,, tome XXIX, pag. 411.
Paris, 1874.) — Terrai^is stratifìós de VItalie centrale. (Bull. Soc. Géol. de France.
sèrie III, tome III, pag. 26.)
Considerazioni stratigrafiche, ec.
15
— 218 —
che il prof. Meneghini aveva potuto determinare con esattezza, e
che mi aveva gentilmente comunicato; la qual cosa poneva fuor d’ogui
dubbio r epoca Massica inferiore di que’ sedimenti e confermava le
conclusioni già altre volte manifestate a prqposito di essi dal ^le-
neghini medesimo. Studiando poi il marmo ceroide del Monte Pi-
sano, ed esaminando la sua analogia col marmo di Campiglia e so-
prattutto la sua posizione stratigrafica fra il calcare rosso o giallo
del lias inferiore ed il calcare grigio o biancastro dolomitico che
avevo riconosciuto spettante alP infralias, concludevo che desso
apparteneva non già al trias, ma alla parte più antica del lias
inferiore. Lo studio dei fossili di quel calcare, da me compiuto
dopo d’ allora, ha confermato in maniera evidente il mio ordi-
namento, e mi ha dimostrato come veramente esso appartenga al
lias inferiore. I fossili sono stati raccolti specialmente nel Monte
Rotondo in un colle fra il pisano ed il lucchese, in un calcare
friabile, o più spesso entro una lumachella che ne è zeppa quanto
mai. Quando il calcare che li racchiude facilmente si sbriciola
e si sfarina, i fossili formati da un solido nucleo calcareo ri-
mangono per bene isolati, benché talora - alquanto sfarinati e
compressi ; bisogna invece staccarli a forza ed a fatica con pru-
denti colpi di scalpello quando sono rinchiusi nella lumachella.
Avendoli trovati spesso insieme gli uni cogli altri in moltissimi
de’ frammenti che ho avuto occasione di rompere, credo non vi
sia dubbio sulla loro contemporaneità. La illustrazione di questi
fossili verrà da me pubblicata in breve ; ma intanto presento
la nota dei medesimi, lasciando le specie non ben determinate,
ed anticipo le conclusioni che se ne possono trarre.
Nullipora sp. Meneghini, (aff. Evinospongice vessiculosce Stop-
pani.)
Ammonites nov. sp. Meneghini (A. planorbis non Sow.) (Me-
neghini e Savi, Considerazioni sidìa geologia stratigrafica
della Toscana.)
Rissoina obliqaecostata nov. sp.^
Chemnitzia pseudotumida nov. sp.,
C. clava nov. sp.,
C. pliasianelloides nov. sp.,
C. procera Deslongchamps,
219
C. Meneghiniana nov. sp.,
Neritopsis Fasserinii nov. sp. Meneghini,
N. Saviana nov. sp.,
Stomatia Juliana nov. sp. Meneghini,
Turbo D’Anconce Meneghini (Tiirrilites, Nuovi fossili toscani,
pag. 26),
Fleur otomaria prmcatoria Deslongchamps,
P. pisana nov. sp.,
F. canaìiculata nov. sp.,
Mytiìus dispiitabilis nov. sp..
Avicola inceqiiivalvis Sowerhy,'
Fecten acutiradiatus Miinster,
Gidaris fdograna Agassiz,
Fentacrinus subsulcatus Miinster,
F. scaìaris Groldfuss,
Eugeniocrinus compressus Miinster,
Montlivaidtia nov. sp,
Devesi avvertire, che delle Ainjnoniti altre volte indicate dal
Meneghini come esistenti nel calcare ceroide nel Monte Pisano,
col nome di A. planorbis e di A. stellaris, la prima è stata ri-
conosciuta dal medesimo, dopo nuovo esame, essere una specie
nuova, e la seconda come non bene determinabile, trattandosi di
una semplice e non chiara sezione.
Come si vede, di 22 specie accennate, 14 sono nuove, e di
queste una sola {Turbo, Tvirrilites, JD'Anconcé) è stata altrove
descritta dal Meneghini. Queste specie nuove non si possono
prestare a paragoni ; ma pur se devesi ricercare qualche analo-
gia, si può notare che la Gìiemnitzia pseudotumida del Monte
Kotondo, ha somiglianza, sebbene se ne possa distinguere alla
prima, colla G. tumida Hòrnes, e la Nullipora rassomiglia ad una
delle specie di Esino descritte dallo Stoppani: queste due sono
così le uniche delle specie notate che rassomiglino ad alcuna del
trias. La Fleurotomaria Fisana appartiene a tipi che incominciano
nell’ infralias e nel trias, ma si distingue assai bene da ogni
altra specie. Coi fossili d’ Esino non v’ ha alcuna analogia, se non
nella citata specie di Nidlipora, alga incrostante che si conserva
con tipi quasi inalterati, per lunghe epoche geologiche. Tro-
(
~ 220 —
viamo invece otto specie già conosciute altrove, e sono le seguenti;
la Pleurotomaria prcecatoria Deslongchamps, specie assai diffusa
per la durata, trovandosi dall’ infralias al lias superiore, e per
la estensione della sua dimora ; VAvicula incequivalvis Sowerby,
ed il Pentacrinus subsulcatus Miinster, effe durano dal lias
inferiore al lias medio inclusivo, e che pur si trovano in molti
luoghi ; la Cidaris filograna Agassiz, del lias medio, il Pecten
aciitiradiatus Miinster, il Pentacrinus scalaris Goldfuss, e V Eii-
geniocrinus compressus Miinster, i quali per ora non sono citati
se non nel lias inferiore. La Chemnitzia procera Deslongchamps, è
una specie indicata come proveniente dall’oolite, ed io confesso
di non aver potuto trovare alcuna differenza fra la medesima e
la specie da me trovata ed indicata con quel nome nel Monte
Pisano ; ma questa identità, o 1’ analogia di qualche specie di
Chemnitsia con specie di piani disparati, non significa gran cosa,
perchè si sa quanto sieno diffusi e di durata lunga nella serie
dei terreni i tipi monotoni e poco svariati delle Chemnitzice ; e
vi ha, per esempio, il tipo della C. princeps che dura dal trias
(G. Aldrovandi Stoppani) fino all’ osfordiano." In conclusione se
si dovessero trarre delle deduzioni sull’ epoca del calcare il
quale racchiude i fossili ora accennati, anco senza conoscerne le
precise relazioni stratigrafiche, lo si porrebbe senza incertezza
nel lias ; la qual cosa è d’ altra parte, come si sa, confermata
dalla stratigrafia. Considerando poi la prevalenza di specie del
lias inferiore, anzi la presenza di certune che per ora non sono
state trovate se non entro terreni di quest’ epoca, è naturale
che desso venga riposto più particolarmente nel lias inferiore. Sic-
come però in quei fossili si trova una stretta relazione coll’ epoca
liassica media, mentre non si scopre alcun simile rapporto col-
r infralias, mi pare che si possano porre in un piano intermedio
del lias inferiore, mentre il calcare rosso sta nel piano superiore,
e la parte più antica è probabilmente rappresentata da alcuni di
quegli strati sottos'tanti, che per mancanza di uno studio esatto
dei fossili, 0 perchè non ve ne esistono, sono lasciati nell’ infralias.
Quel che preme intanto, è il vedere confermata chiaramente
r epoca liassica inferiore del marmo ceroide, del quale ora si è
discorso. Nel lembo più meridionale delle Alpi Apuane verso il
Monte Pisano, a Vecchiano, si trova un calcare ceroide, benché
— 221 —
non marmoreo, simile a quello del Monterotondo e disposto an-
che stratigraficamente come questo ; sebbene non vi si vedano
se non semplici sezioni dei fossili, pur questi appariscano simili
a quelli di sopra veduti, la qual cosa conferma V analogia. Del
calcare ceroide di Campiglia, ho vedute varie specie di Chemnitziod,
fra le quali la C. Nardii Meneghini {Nuovi fossili toscani p. 7),
ma per verità non ho trovata alcuna di esse identica ad altra
del Monte Pisano : però si hanno le Ammoniti determinate dal
prof. Meneghini, le quali appartenendo al lias inferiore, indi-
cano essere V epoca del calcare ceroide di Campiglia contempo-
ranea a quella del calcare ceroide del Monte Pisano. Nella Cor-
nata di Gerfalco, nello stesso calcare, V ingegnere” Lotti ha
recentemente raccolti vari fossili, fra i quali appariscono la
C. Nardii Meneghini già notata a Campiglia, e varie Ammo-
niti ; e da ciò viene confermata P epoca Massica inferiore so-
lita, che del rimanente si sarebbe dovuta dedurre dal trovare il
detto calcare, posto come sempre, fra il calcare grigio infra-
liassico ed il calcare rosso che forma la parte più recente del
lias inferiore. Il marmo ceroide della Montagnola Senese, sta
pure sotto ai marmi gialli e sopra ai calcari cavernosi infra-
liassici ; ed il calcare ceroide del Monte di Cetona, ha la me-
desima posizione stratigrafica stando alle descrizioni che ne
danno gli autori. In conseguenza, se v’ ha una fede nelle leggi
della geologia, questi calcari, come gli altri, debbono essere con-
siderati Massici inferiori.
Quanto ai marmi saccaroidi delle Alpi Apuane, della Spezia,
dell’Elba, e si può aggiungere, del Monte Argentare, essi
fanno parte di una serie di strati calcarei e schistosi che sot-
tostanno immediatamente ai calcari infraliassici. Qualche volta
i marmi vi sottostanno direttamente o quasi, senza intermezzo
di strati schistosi (Carrara, Canale di Val di Castello) ; altre
volte una lunga serie di questi strati rimane frapposta (monte
di Strettoia e Corvaia, canali di Montignoso, di Capriglia, e
delle Mulina) ; talora la serie degli strati schistosi superiori ai
marmi, riposa direttamente, senza intermezzo di banchi marmorei,
sopra la serie degli strati schistosi inferiori (Valle del Frigido,
della Serra e del Canal delle Frane), e può essere che ciò av-
venga di frequente là dove compariscono sotto all’ infralias gran-
— 222 —
diose masse di schisto, senza banchi marmorei (Camaiore, Monte
Pisano, Jano, monti della Maremma). Quasi sempre poi, i ban-
chi calcarei, dove se ne trovano, alternano più e più volte, e con
varie dimensioni, negli strati schistosi (Brugiana, Strettoia, Mo-
sceta. Canal delle Verghe, Stazzema). Non è a credersi, come
mi sembra solito, che queste formazioni marmoreo-schistose, sieno
tutte eminentemente cristalline; chè anzi strati calcarei, fossili-
feri, compatti e punto cristallini, ma con apparenza di calcari
ordinari, formano in grandi masse, la parte inferiore della for-
mazione marmorea (Cerchia, Sagro) : e gli strati schistosi supe-
riori ai marmi in talune regioni, sono semplici arenarie o
grauvacche o schisti, che si riterrebbero terziari, come difatti fu-
rono ritenuti in sul primo che gli scienziati si volsero a stu-
diarli (canali delle Mulina, del Cardoso e delle Verghe). Altrove,
codesti strati che hanno serbata quasi intatta la loro appa-
renza originaria, sono ridotti a micascisti o micaquarziti (pre-
grattitiche) ricche di ottrelite, (monti di Capriglia e di Ripa),
in altro luogo, per una azione un poco diversa del metamorfi-
smo, sono invece cloroschisti e cloroquarziti (valli del Frigido
e di Montagnoso). Gli strati schistosi sottostanti ai marmi sono
invece talchischisti e gneiss protoginici, di apparenza poco an-
tica, perchè non hanno punto cambiata la stratificazione, sono
poco cristallini, e poveri di feldispato, mentre serbano tuttora
molta materia schistosa non bene alterata. Fra gli strati infra-
liassici e gli strati schistosi o calcarei della formazione mar-
morea, non appare discordanza di sorta, nè vi hanno caratteri
speciali che possano far dubitare di una interruzione nei sedi-
menti, per la qual cosa è naturale che in qualche parte si deb-
bano trovare gli strati dell’ epoca triassica immediatamente an-
tecedente alla infraliassica. Ora, già da qualche anno, ho disco-
perto negli strati del calcare compatto sottostante ai marmi, nel
Monte Cerchia come nel Monte Sagro e nel marmo della Tam-
bura, dei fossili : quelli del Monte Cerchia che sono i più di-
stinti ed appartengono per la massima parte a molluschi, furono
esaminati già per mia preghiera dal prof. Meneghini (Cons. stra-
tigrafiche ec.), il quale sebbene non ne abbia determinata la
specie, è di parere che non possano essere più antichi del trias,
e stando almeno all’ esame degli esemplari finora raccolti non
-- 223 -
si lia ragione di trarne una conclusione diversa. L’ essenziale
intanto è V avere trovato negli strati più antichi della forma-
zione marmorea, que’ fossili abbastanza conservati, i quali, quando
sieno raccolti in buon numero, potranno farci sapere senza dub-
bio r epoca tanto disputata dei marmi. E fin d’ ora, non foss’ al-
tro il loro ritrovamento e V aspetto loro, escludono in modo
assoluto r opinione del Gastaldi, accettata anche dal Jervis,^ che
i marmi saccaroidi appartengano all’ epoca pre-paleozoica insieme
colla zona delle pietre verdi. Bocce corrispondenti alla zona
delle pietre verdi, e di quell’ epoca che loro attribuisce il Ga-
staldi, non pare se ne trovino in Toscana, e stando almeno alle
descrizioni dell’ illustre geologo, ne paiono più recenti anche le
rocce cristalline centrali delle Alpi Apuane (valli del Frigido e
di Serravezza), che sono le più antiche dell’ Italia centrale. Fra
le regioni finora conosciute, appartenenti a quella serie mon-
tuosa che il Savi denominò Catena Metallifera, o fra quelle adia-
centi, mi sembra che soltanto nella Corsica si ripetano con
molta somiglianza le formazioni studiate dal Gastaldi nelle Alpi
Occidentali ; e si noti che la Corsica è in stretta relazione colle
antiche giogaie della Toscana, mentre si trova di poco più lon-
tana dall’ Elba e da Montecristo, di quello che queste isole sieno
dal Giglio 0 dai monti di Campiglia e di Gavorrano che sono i
lembi più prossimani appartenenti alla Catena Metallifera in
terraferma. Ora, in Corsica al di sopra di graniti e di rocce
che hanno perdute le traccie della stratificazione, si trovano de-
gli gneiss molto cristallini, degli altri gneiss protoginici meno
antichi, dei talcoschisti e delle epidositi con filoni di quarzo, al-
bite, oligisto e ripidolite, e dei calcari grigi impuri molto cri-
stallini in piccoli banchi continui alternanti a più riprese. Le
serpentine e le dioriti alternano tra gli gneiss ed i talcoschisti
superiori alle masse cri^alline centrali come sembra avvenire
nelle Alpi Occidentali. Questi antichi sedimenti gneissici della
Corsica hanno T apparenza più antica dei prossimi sedimenti
cristallini dell’Elba, e di quelli delle Alpi Apuane, e soltanto
sembra abbiano qualche rispondenza con questi, gli strati delle
epidositi e dei calcari saccaroidi che sono assai sviluppati nella
‘ I tesori sotterranei dell’ Italia, parte II. Torino 1874.
— 224 —
estremità settentrionale dell’ isola e clie, in ogni caso, stanno
al di sopra di tutte le altre rocce di colà, e sopra a quella
zona che potrebbe essere detta delle pietre verdi. Ma in conclu-
sione, rocce antiche corrispondenti alla zona delle pietre verdi,
non si trovano allo scoperto in Toscana, e probabilmente, la loro
posizione stratigrafica è un poco al di sotto degli gneiss cen-
trali delle Alpi Apuane ; in ogni caso, i marmi saccaroidi, e gli
schisti cristallini che li racchiudono non vi hanno punto che fare.
Passiamo ad esaminare P opinione del Coquand, che per ana-
logia coi calcari saccaroidi dei Pirenei, come si è detto, vuole
i nostri marmi sieno carboniferi. Il semplice carattere comune
fra due calcari, di essere cristallini od anche saccaroidi, in specie
fra paesi distanti, non ha valore, e nel caso nostro abbiamo ra-
gioni troppo parlanti per affermar ciò, perchè banchi marmorei
si alternano nelle Alpi Apuane in piani distanti gli uni dagli altri ;
perchè, per analogia, il Coquand fa i nostri marmi carboniferi,
mentre, per la solita analogia, il Gastaldi li fa pre-paleozoici ;
e perchè finalmente vedemmo il carattere dell’ analogia condurre
il Coquand medesimo, e con lui altri, a confondere coi marmi
delle Alpi Apuane, quelli di Cetona, di Gerfalco, di Campiglia
e del Monte Pisano che appartengono chiaramente al lias infe-
riore. L’ apparenza cristallina de’ calcari e di taluni schisti so-
vrapposti che potrebbe farli ravvicinare a rocce di epoca più ^
antica, non ha parimente un gran valore, perchè vedemmo nella
continuazione degli stessi strati, schisti che non sono affatto cri-
stallini, e perchè appunto gli strati fossiliferi più antichi dei
calcari marmiferi, non sono cristallini. Se l’ epoca precisa di
queste rocce, quindi dei nostri marmi saccaroidi, non la pos-
siamo ancora affermare con sicurezza, si deve però tener conto
di tutte le circostanze le quali ci son note, e fare quelle sup-
posizioni che meglio sembrino accostarsi alla verità e che sieno
più consentanee alle leggi della geologia; ora la mancanza di
sconcordanza e d’ interruzione colle rocce infraliassiche sovrap-
poste, ed insieme P apparenza dei fossili finora studiati, ci deb-
bono condurre a ritenere che que’ terreni sieno triassici, fino a
che lo studio esatto delle specie fossili non ci abbia persuasi a
confermare od a modificare questa opinione.
Già che vi sono, mi varrò dell’occasione per rettificare alcune
- 225 —
idee che si hanno relativamente alla formazione de’ marmi sac-
caroidi, e le quali mi paiono non ben corrispondenti alla realtà.
Quando si cominciò a considerare queste rocce non più come erut-
tive, ma come semplicemente metamorfiche, era comunemente ac-
cettata la teorica che attribuiva la trasformazione delle rocce sedi-
mentarie al contatto de’ filoni metalliferi e delle così dette rocce
plutoniche: in accordo a questa teorica, il metamorfismo de’ marmi
ed il loro aspetto saccaroide era attribuito all’ intervento dei filoni
ferrei, non tanto a quelli che traversano la roccia stessa, quanto
agli altri che compenetravano gli schisti contigui ; e questa opinione
è accettata ancora oggidì senza osservazioni. Ma, nella realtà,
la formazione marmorea non è attraversata da grandiosi filoni
ferrei ; gli unici grandiosi filoni che traversino de’ calcari, sono
quelli di Stazzema che stanno in un banco non molto cristallino
diviso dalla formazione marmorea da una alta serie di roccia
schistosa, e quelli del Monte Arsiccio che stanno fra i calcari
infraliassici e quelli marmorei, senza per verità rendere questi
ultimi più puri e più cristallini del solito. Altrove, qua e là,
ma non sempre, si trovano nel marmo delle sottilissime velature
di oligisto, e certo sì minuta cagione non sarebbe stata atta a
produrre sì gran fenomeno ; d’ altronde i marmi sono divenuti
saccaroidi anche in quelle regioni, e sono le più, dove 1’ oligisto
manca del tutto negli schisti o vi è in piccole traccie; bisogna
concludere quindi che la formazione dei medesimi è interamente
indipendente dall’ intervento dei filoni ferrei. E notevole, che
questa opinione la quale attribuiva alla comparsa de’ filoni sud-
detti, la forma cristallina del marmo, coesisteva e coesiste con
un’ altra maniera di spiegare il fatto stesso. Gli scrittori, chia-
mano, con parola adoprata dai cavatori, madremaecMa o madre-
cava, certi filari di schisti che si trovano per entro i marmi, e
dicono che quella madremacchia è derivata dal concentramento
de’ materiali impuri effettuatosi nella nostra calcarea, la quale,
così, per lento processo chimico, si purificò e divenne cristal-
lina. Questa spiegazione rimasta finora, ha la sua origine in
una opinione dei cavatori, che fu riportata dal Repetti, i quali
dicevano, e taluni lo dicono ancora, che il marmo si purificava
tuttodì nel modo sopra accennato ; è la opinione solita, de’ mi-
natori dell’ Elba i quali dicono che il ferro si riproduce ogni
— 226
giorno, e dei garimpeiros del Brasile che credono il diamante si
formi di nuovo via via nei depositi da loro scavati. Nella realtà,
il marmo non si trova in mandorle nè in concentrazioni, ma in
banchi continui, e le madrimacchie formano veri e propri stra-
terelli schistosi alternanti fra i calcari, nè è vero che il marmo
saccaroide sia soltanto presso le madrimacchie o che queste ma-
drimacchie sieno sempre presso il marmo medesimo; bensì le
troviamo indifferentemente presso tutti i calcari ; è manifesto
adunque che il supposto fenomeno non esiste. Bensì, è logico
pensare, che la medesima azione la quale rese cristalline le par-
ticelle degli straterelli schistosi, formandone clorite, o mica, o
talco, fece pure cristallini i marmi ; e dove questi erano meno
puri, le materie estranee cristallizzarono entro la massa mede-
sima formandovi scagliette di talco, o di mica, o di clorite, senza
esserne però espulse sotto forma di concentrazioni. D’ altra parte,
è troppo noto il fatto, che non tutti i calcari altamente cristal-
lini 0 contigui a rocce cristalline sono puri come questi delle
Alpi Apuane ; per la qual cosa, sembra doversi concludere, che,
mentre furono fenomeni posteriori alla sedimentazione quelli che
resero sì cristallini i calcari apuani, pure, fin dalla loro origine
questi si trovavano in circostanze speciali di purezza e di can-
didezza.
Finirò, col parlare di que’ minerali che si trovano nella for-
mazione marmorea e che gli scrittori dicono esistenti nelle ma-
drimacchie, la qual cosa non è esattamente vera. Gli straterelli
schistosi rinchiusi ne’ marmi, come ho detto, sono costituiti da
particelle cloritiche o talcose e forse qualche volta micacee. La
Phillite od Ottrelite della quale ha riportata un’ analisi il Dana,
se pur. sempre trattasi di una sola sostanza, si trova non nei
sottili straterelli, ma in mezzo ai banchi più alti di schisti che
alternano fra i banchi marmorei (Cerchia, Altissimo, Massa) ov-
vero nei mischi formati da un impasto di materia calcarea e
schistosa (Cerchia, Piastraio). Lo stesso dicasi degli Anfiboli, o
Actinoto 0 Wollastonite, che spesso si trovano insieme colla
Ottrelite (Altissimo, Piastraio). La Zoisite si trova poi sola-
mente là dove filoncelli o massarelle di quarzo, stanno a con-
tatto nello stesso tempo col calcare e con materie schistose,
0 cipollini, 0 madrimacchie (Cerchia, Brugiana). Finalmente,
— 227
l’Albite e la Pirite, si trovano spesso disseminate nella stessa
massa calcarea o, qualche volta, insieme con la Dolomite, colla
Selenite o collo Zolfo, stanno nelle spaccature e nei così detti
peli del calcare, ma non hanno mai che fare colla madremacchia
schistosa.
III.
Il terreno nummulitico nel versante orientale della Cornata
di Gerfalco, per B. Lotti. ^
A complemento di quanto venne da me annunziato in una
lettera all’ on. Segretario del R. Comitato Geologico d’ Italia,
pubblicata nel fascicolo bimestrale maggio e giugno 1875 del
BolleUino del Comitato medesimo, intorno alla scoperta di strati
nummulitici presso Prata e Gerfalco in provincia di Grosseto,
aggiungo ora alcune notizie illustrative, resultato di nuove os-
servazioni eseguite nella seconda delle dette località.
A tal uopo devo rammentare ciò che altra volta esposi in
una breve nota sulla costituzione geologica dei dintorni di Boc-
cheggiano e Gerfalco, (Ved. Boll, del B. Comit. geol. d' Italia,
N. 7, 8, 1874) cioè che quella pittoresca montagna priva di ve-
getazione che nomasi la Cornata, formata da un calcare bianco
ceroide o saccaroide, costituisce una massa centrale elissoidica
sui fianchi della quale stanno addossate le formazioni più gio-
vani, senza aver con essa correlazione alcuna di posizione, se
non in quanto che mostrano di aver partecipato insieme ad un
ultimo sollevamento avvenuto senza dubbio posteriormente alla
deposizione del terreno eocenico. La detta elissoide ha il suo
asse maggiore diretto da KO. a S.E. ed è limitata a S.O. dal
fiume Pavone che scorre parallelamente all’ asse medesimo, a
N.E. dal torrente Bimaggio (Rio maggiore) il quale ha origine
verso la sua estremità ÌN'.O. ove al massivo della Cornata si uni-
scono per una leggera depressione e quasi ad angolo retto le
alture, che costituiscono il gruppo delle Carline, e va a sboc-
care all’ estremo opposto nella Cecina, collettore principale di
— 228 —
questo territorio nel quale più a Nord immette le sue acque an-
che il Pavone.
Si è appunto nel bacind tributario del Rimaggio ed in quella
zona di congiunzione della Cornata colle Carline che in una
nuova escursione eseguita di recente potei ritrovare la conti-
nuazione del terreno nummulitico già scoperto nel versante
opposto. La sua estensione ed il suo sviluppo presentasi incompa-
rabilmente maggiore qui che nell’ altro fianco del monte, essen-
doché occupa quasi tutta la parte superiore di quella ampia ed
ubertosa vallata, denominata le Lame, coperta di vigneti e da
lussureggianti selve di castagni ed offrente per ciò alla vista il
più meraviglioso e spiccato contrapposto coll’ alpestre nudità del
monte che le si inalza al fianco. È qui adunque ove sono da
studiarsi le condizioni di giacimento del terreno in parola, per
trarne quindi quelle conseguenze che dovranno poi guidarci alla
classificazione di terreni analoghi ma privi di questo prezioso
orizzonte.
Nella precedente relazione facevo notale come i banchi del
calcare nummulitico tanto qui come a Prata sottostassero ad una
serie di strati d’ un’ arenaria silicea ed avessero per letto certi
schisti di colori svariati e racchiudenti gran copia di fucoidi. La
estremamente piccola estensione di questo terreno presso Prata
ed il suo immediato addossamento al masso calcareo della Cor-
nata presso Gerfalco, mi impedirono di stabilire con certezza la
formazione che vi faceva seguito nella serie discendente, ciò che
è appunto quanto di più chiaro può vedersi nell’ altro lato della
Cornata. Ecco pertanto la sezione che quivi si presenta dall’ alto
in basso :
V Strati di arenarie micacee con schisti argillosi alter-
nanti con un calcare marnoso schistoso grigio.
2^’ Banchi di calcare nummulitico dello spessore di circa
50 cent, in perfetta concordanza cogli strati superiori ed alter-
nanti con schisti verdastri o violetti con numerose fucoidi.
3° Nuovi strati di arenaria non dissimile dalla superiore
e concordante coi banchi nummulitici.
4" Schisti variegati del lias superiore con strati d’ ossido
di manganese e discordanti coi terreni superiori.
Questa successione di rocce può osservarsi distintamente di-
— 229 -
scendendo dalla parte più elevata delle Lame, ove trovansi le
formazioni più recenti, fin giù nei profondi burroni scavati dal
torrente negli scbisti liassici. Le arenarie ed i calcari schistosi
superiori al nummulitico hanno una potenza piccola relativa-
mente alla massa delle arenarie inferiori che costituiscono quasi
per intiero il gruppo delle Carline. I banchi nummulitici insieme
agli schisti a fucoidi coi quali alternano, raggiungono una po-
tenza non comune a tali giacimenti, potendo ascendere comples-
sivamente a più di 50 metri. Insieme al calcare o conglomerato
con nummuliti vi è qui pure un calcare semi-cristallino gialla-
stro con 0 senza selce secondochè è in banchi grossi qualche
piede 0 in sottili lastre di forse 2 cent, di spessore, le cui su-
perfici coperte da un intonaco argilloso sono improntate da in-
numerevoli corpi di origine organica non ben distinti, ma rife-
ribili piuttosto a vegetali che ad animali.
La roccia nummulitifera consta o di un conglomerato a fram-
menti più 0 meno grossi o di un calcare di struttura affatto
caratteristica e propria esclusivamente ai calcari a nummuliti,
forse perchè dovuta alla presenza stessa di quegli innumerevoli
e minuti organismi. Alcuni banchi son formati da un calcare
granulare psammitico analogo alla pietra forte e in questo caso
non contengono nummuliti : anzi talora uno stesso banco è for-
mato in parte da calcare nummulitico e in parte da calcare
psammitico, e le due parti sono nettamente fra loro separate e
distinte da un piano parallelo a quello di stratificazione.
Le specie che prevalgono in questa roccia e delle quali io
debbo la determinazione al professor Meneghini, sono la Num-
molites striata D’ Orb. e la N. Bamondi Dfr., inoltre vi sono
contenuti altri generi di foraminifere, come Alveolina, Opercu-
lina, non che articoli di Crinoidi.
Gli schisti intercalati ai banchi calcarei prevalgono talvolta
su questi in guisa da simulare una formazione diversa sottopo-
sta alla nummulitica, e fu appunto per una tale apparenza che,
negli altri punti da me osservati, ove questo terreno aveva uno
sviluppo incomparabilmente minore e dove non venivano a giorno
i terreni immediatamente sottoposti, fui indotto a giudicare esser
la formazione nummulitica racchiusa superiormente da arenarie
ed inferiormente da una serie di schisti.
230 -
Nella località in discorso, al terreno niimmulitico costituito dai
banchi calcarei e dagli schisti a fucoidi, fa seguito, come abbiam
detto, in serie discendente una potente massa di arenarie micacee a
cemento calcareo, le quali predominano in tutto il gruppo delle Car-
line. La loro struttura varia in diversi punti del deposito sia per la
grossezza degli elementi, sia per la maggiore o minore quantità
di mica che vi è contenuta : ove questa prevale sugli altri com-
ponenti la roccia acquista una scistosità più o meno pronun-
ziata. Talvolta, e non raramente, vedonsi inclusi nella massa
arenacea grossi ciottoli elissoidali di uno scisto argilloso nero
di cui per ora non ho potuto rinvenire la sede in questi din-
torni, e che sembra quel medesimo che osservasi pure nel con-
glomerato nummulitico, sebbene vi comparisca in più minuti
frammenti. La colorazione di queste arenarie alla superfìcie e
lino ad una certa profondità ove giunse la decomposizione, è
d’ un giallo sudicio, ma ove la roccia si conserva inalterata è di
un grigio di piombo ; in quelle zone poi ove divien schistosa
acquista una tinta più fosca. Nè intercalate a queste arenarie,
nè sotto di esse potei rinvenire fìno al presente strati calcarei
che potessero avere analogia coi superiori alberesi o nummuli-
tici e tutta la serie si adagia sugli schisti varicolori del lias
superiore.
Sembra adunque esistere qui pure, come in altre località to-
scane, una interruzione o, come suol dirsi in geologia, un hiatus
fra la parte superiore del lias e i depositi che immediatamente
precedettero la formazione nummulitica.
Dalle esposte considerazioni io credo che fìn d’ ora se ne
possa trarre la conseguenza, almeno per il territorio di Gerfalco,
non che per quelli limitrofì di Montieri e di Prata, che il ter-
reno nummulitico rappresenta il deposito calcareo più profondo
in quella estesa serie di rocce tanto comuni, conosciute col nome
di alberesi, galestri, calcari schistosi ec., che perciò devono es-
sere complessivamente compresi nel periodo eocenico. I primi
strati calcarei che compariscono sotto il nummulitico, col quale
però non hanno alcuna dipendenza, sono costituiti da calcari
grigio-chiari con piromaca, la cui età vien riferita al lias medio
e che stanno sopra ed intimamente connessi al rosso ammoni-
tico. In quanto alle arenarie inferiori al nummulitico debbonsi
certamente riferire all’ epoca secondaria e più specialmente al
periodo cretaceo, ma non contenendo fossili può cadere il, dub-
bio se siano da parallelizzarsi per intiero al piano superiore di
questo periodo cioè alla creta bianca, oppure se possano essere
repartite nei diversi piani di esso.
La direzione degli strati che qui corre da N.O. a S.E,, è
alquanto diversa da quella dei corrispondenti nell’ altro versante,
ma questa anomalia non deve sorprendere in una località che
fu ripetutamente oggetto di energici movimenti del suolo e dove
le condizioni di giacimento dei terreni più antichi sottoposti, e
che hanno servito loro di base, sono affatto diverse.
Massa Marittima, 25 agosto 1875.
IV.
Brevi note sulle Salse modenesi, per Francesco Coppi.
Al § 735, pag. 396, voi. I, dell’importante opera: Corso
di Geologia del professor A. Stoppani, si legge : I fiancìii dei
coni non erano più ingrumati di fango, bensì sparsi di bianca
cenere. Questa ultima parola formò nella menté mia un’ impres-
sione troppo forte, perchè in venticinque anni, che già trascorro
le terre del Modenese, non mi era mai occorso di osservare
simile fenomeno, e tosto ritenni tale espressione od errore tipo-
grafico, 0 adoperata in senso diverso da quello del proprio
significato ossia forse per polvere e non cenere. Tuttavia T impor-
tanza del trattato, in cui si trova, che deve servire di guida
agli studiosi ; 1’ autorità somma dalla quale venne emessa ; e
r argomento diretto ne’ fenomeni delle terre modenesi, le quali
ho sempre cercato d’ illustrare, per quanto lo comportano le
bene limitate mie cognizioni : tutte siffatte ragioni mi eccitarono
a dettare queste brevi note sulle Salse modenesi più volgarmente
note anche col nome di Bombi.
Il giorno 28 luglio del corrente anno mi portai immantinente
alla Salsa di Nirano per di nuovo osservare se io fossi mai stato in
— 232 —
equivoco, invece dell’ illustre professor Stoppali! ; ma trovai ricon-
fermate le mie vecchie osservazioni, che cioè i coni fangosi in,
tempo di estate, o meglio di siccità, perchè ciò succede anche
in altre stagioni, quando appunto non siano piovose, erano rico-
perti non di una cenere, ma sibbene di un’ efflorescenza poìve-
rulosa salina Manca. Fenomeno questo che si avvera non solo
per la Salsa di Nirano, ma per le altre tutte che vanno fornite
di crateri o coni fangosi di eruzione, quali sono a me note qui
nel modenese quelle di Puianello e di Ospidaletto. Per avere
poi certezza del medesimo non occorre di portarsi sul luogo in
tempo di siccità, ma basta raccogliere quel fango anche bagnato
e conservarlo in luogo secco, che tosto si copre di detta efflo-
rescenza, come io ho osservato nei campioni geognostici, che
conservo nella piccola mia collezione, alcuni de’ quali furono da
me presi nella Salsa di Nirano istessa dopo il forte tremoto
del 1873, periodo in cui detta Salsa mostrò un’attività mag-
giore in confronto di tutte le altre del Modenese, come ebbi occa-
sione di rispondere al professore M, S. De Possi, che mi avea
domandato notizia di tali fenomeni, e di che ne fece cenno nel
suo Bullettino del Vulcanismo Italiano, Anno I.
Se il chiarissimo Stoppali! avesse toccato semplicemente colla
lingua un pezzo di fango asperso della polvere bianca, ne avrebbe
tosto sentito l’ intenso sapore salato, dovuto senza dubbio in
massima parte, almeno, al cloruro sodico ed allora non avrebbe
forse adoperato la parola cenere. Il fatto altresì che gli animali
ruminanti, specialmente ovini, sono avidi di lambire o mangiare
tale fango, come tutte le marne turchine plioceniche che offrono,
ma in minor grado, lo stesso fenomeno, è dovuto alla salsedine del
medesimo fango ; non sarebbero al certo sì avidi se fosse cenere
invece di sale. Per fino al villico custode della greggia è nota
la ragione di questo fenomeno, e deve stare in guardia, onde
la greggia non mangi molta terra, che le reca la malattia del
marciume.
Dietro la testimonianza del Bianconi riferisce lo stesso Stop-
pani che il fango delle salse si trova diversamente colorato. Altra
particolarità che non si osserva in queste del Modenese ossia di
Nirano, Puianello ed Ospidaletto, nelle quali tutte il fango è
di un colore turchino intenso, quando sia bagnato e di recente
— 233 -
emesso dalla salsa, ed acquista un colore biancastro o cenero-
gnolo quando sia secco.
Dal colore e dal presentare la stessa efflorescenza si direbbe
che il fango delle salse sia identico alle marne turchine plio-
ceniche. Questo però è messo in dubbio dalla esistenza del fatto
che le due salse di Puianello ed Ospidaletto fornite di cono fan-
goso, analogo a quella di Nirano, hanno i loro crateri comple-
tamente fra le argille scagliose, fuori affatto dalla regione delle
marne turchine, il cui ultimo limite delle testate è a qualche
chilometro di distanza dal luogo delle salse istesse. Per cui è
forse meglio ritenere che tale fango provenga da una decom-
posizione delle argille scagliose, abbenchè queste non abbiano un
tale colore almeno alla superficie. A siffatto ultimo supposto sem-
brerebbe opporsi altro fenomeno presentato dalla Salsa di Mon-
tegibio detta anche di Sassuolo, la quale ha pur sede fra le
argille scagliose, ma non ha cono di fango. Lo Stoppani dà
ragione di ciò col supporre che ivi non vi siano elementi solu-
bili attivatori della salsa medesima, ed infatti le argille di Mon-
tegibio ove si trova la salsa, appartengono alla categoria delle
lapidee o sassose, mentre quelle di Puianello e di Ospidaletto
spettano più alle terrose che alle lapidee, ed almeno sono più
miste ; come lo indicano eziandio i coni di eruzione di queste
ultime due che sono sibbene in massima parte di fango, ma pure
hanno eziandio qualche elemento sassoso. Per conseguenza ne
inferisco che il fango eruttato dalla Salsa di Nirano non sia pure
dovuto alle marne turchine nel centro delle quali essa esiste.
Una diretta osservazione panni venire in conferma di questa mia
congettura. Tutte le marne turchine, che cingono P alta vallea
ove si trovano i crateri di eruzione, (come si può vedere dalla
fig. 81, data dallo Stoppani pag. 393, voi. I, che è abbastanza
buona quando si suppongano, mi pare, tutti quei crateri posti
in basso, trasportati più in alto alla sinistra e precisamente in
quell’ area quasi triangolare, che lascia P incontro di quei due
rigagnoli tracciati nella stessa figura) contengono, benché in
scarso numero fossili* marini, e nel fango eruttato dai crateri
non ne ho potuto scorgere traccia; cosa^che non potrebbe, mi
pare, accadere se detto fango appartenesse alle stesse marne
turchine. In questa occorrenza lungo il pendio orientale del colle
16
— 234
ebbi V accidentalità di trovare una conchiglia di acqua dolce,
forse di specie nuova, che su le prime avevo riferita al lAmneus
stagnalis, Linn., ma il confronto diretto di esso fossile con gli
attuali viventi nei contorni di Modena, mi ha convinto essere
una specie diversa intermedia per le forme e le dimensioni alla
accennata specie ed al L. palustris. Non so se debba riputarsi
contemporaneo degli altri fossili delle marne turchine plioceniche,
od abbia vissuto piuttosto in epoca posteriore negli stagni della
vallea istessa, ove però al certo oggi non più vive.
La Salsa di Nirano, come egregiamente dice lo Stoppani, è
la più bella e la più grandiosa, perchè oltre il regolare infos-
samento della vallea, cosa però che si osserva anche in tutte le
altre, ma in minor grado, contiene in questa dieci o dodici cra-
teri principali di eruzione, ciascuno de’ quali non ha meno di tre
0 quattro aperture, che in complesso si possono valutare oltre
una quarantina circa, perchè variano assai da periodo in periodo.
Le altre due salse non hanno che tre o quattro crateri e con
poche bocche. Queste aperture in generale hanno piccole dimen-
sioni cioè da 0,“ 10 a 0,“ 30 di diametro. La maggiore è la più
orientale in quella di Nirano, che misura più di 3,“ 00 di dia-
metro ossia 12,“ 00 di circonferenza come indica lo Stoppani ;
ed un’ altra è la più meridionale nella stessa salsa, che ha 1,“ 00
circa di diametro. Si nota poi costantemente che quanto più è
larga la bocca tanto meno riesce elevato il cono di eruzione. Di
questi il maggiore è il più nordico in detta salsa, il quale si
avvicina a 5,“ 00 di altezza con una base di circa 50,“ 00 e con
apertura di pochi centimetri. La ragione di tale fenomeno panni
averla osservata nella emissione del gaz, alla quale è dovuta la
sortita del fango e non all’efflusso dell’acqua, perchè quando
questo vi sia, sorte dai declivi maggiori dell’ apice del cratere
e discende lungo il medesimo per portarsi nelle parti più basse,
senza rendere aumento considerevole al cono istesso ; mentre la
emissione del gaz nei crateri ad apertura ristretta, ad ogni scop-
pio della bolla gazosa fa uscire un’ ondata di fango che a modo
di anello investe 1’ apice del cratere e nel* medesimo si arresta
più 0 meno distante secondo la quantità dell’ ondata e secondo
r intervallo minore o maggiore che succede tra l’ una e 1’ altra
successiva ondata, ed è questa che porta 1’ aumento in altezza
- 235 —
del cono. Ciò potei di fatto verificare, perchè avendo ristretta
r apertura di un cono, nel quale non si avea più emissione di
fango, per ottenerne il fenomeno indicato dallo Stoppani della
continuata accensione del gaz, che lo ebbi soltanto ad intervalli
e non continuo, mi accadde V altro fenomeno ora predetto che
ad ogni scoppio di bolla gazosa ne sortiva un’ ondata di fango.
Ora nei crateri a larga bocca, ove in via ordinaria il gaz gor-
goglia nelle parti più centrali, 1’ ondata di fango che esso genera
non può portarsi con forza fino alla periferia da poter salire i
limiti imposti dal cratere istesso.
Il terreno che forma la cinta principale della Salsa di Nirano
non è a giudicarsi così maledetto come dice lo Stoppani, perchè
è anzi ovunque coltivato, e somministra discreti raccolti, come
io stesso ho più volte veduto ; ma può ben dirsi tale quello della
Salsa di Montegibio, che si presenta in qualsiasi epoca assai
arido e nudo terreno. Le salse poi di Puianello e di Ospidaletto
anche per questo rapporto sono intermedie alle due preaccennate.
Vuoisi eziandio notare che i crateri di eruzione occupano in
generale la parte o le parti più elevate della vallea ; così ser-
vendoci della tipica di Nirano, la cui vallea è naturalmente divisa
in tre culmini, i crateri si trovano nei punti più elevati dei due
maggiori. Da tale fenomeno panni potersi inferire, non solo come
asserisce lo Stoppani che la formazione del fango non è super-
ficiale, sibbene profonda, ma ancora che non è d’ immediata sot-
toposizione al cratere medesimo. Perchè se fosse vero P opposto
che la formazione del fango fosse superficiale ed immediatamente
sottoposta al cratere, coll’ aumento della cavità interna, che
dovrebbe generare la continuata emissione del fango e coll’ au-
mento del cratere, e quindi di pressione all’ esterno, ne dovrebbe
nascere 1’ occlusione di quella in causa di questa e per conse-
guenza una depressione nel cratere anziché un sollevamento conie
ho soprannotato verificarsi. Per cui la formazione del fango non
è limitata al cratere di eruzione, ma estesa all’ intiera vallea
della salsa, la quale di conseguenza deve andare successivamente
abbassandosi, abbenchè non apparisca in breve termine, ma solo
col lungo decorso degli anni. Se imperlante nel continuato pe-
riodo di oltre 18 secoli, dall’ epoca pliniana al giorno d’ oggi,
la vallea della Salsa di Nirano dovrà essersi abbassata in modo
— 236
forse più sensibile di quello che noi possiamo attualmente giu-
dicare ; e se questa alla base presenta realmente due colli che
si possono chiamare incozzati fra di loro, come dice Plinio nella
sua Istoria Maturale, ove pur si trovano avanzi del periodo ro-
mano ; e se questa è la maggiore di tutte del Modenese per
estensione e potenza : perchè non si potrà forse supporre che la
narrazione pliniana sia più riferibile a questa salsa che a quella
di Montegibio o Sassuolo assai più limitata, e dove V accozza-
mento dei due monti attualmente almeno non si osserva ? Non
potendomi persuadere che la Salsa di Montegibio possa essere
stata causa di sì portentosi fenomeni, essendo presentemente
ridotta a semplice polla d’ acqua, che gorgoglia pel gaz svol-
gentesi, e che trovasi infossata in un’ area elittica, unica mani-
festazione di sua attività maggiore in altri tempi ; che non è
però mai da paragonarsi colla estesa vallea di quella di Nirano.
Questa dovea 18 secoli fa essere più elevata, e quindi forse me-
glio visibile a Modena che quella di Montegibio istesso.
Come salsa od assai vicina alla salsa deve essere annoverata
anche la polla d’ acqua salata detta della Guana in San Venan-
zio alla sinistra del torrente Tiepido/ Questa polla ha il diametro
di 3,'“ 00 ed 1,“ 00 circa di profondità, scola continuamente con
piccolo flusso in un rigagnolo che a pòchi metri di distanza mette
nel predetto torrente. L’ acqua è salsa, ed è notevole perchè con-
tiene cloruro di sodio quasi senza traccia di solfato di calce come
mi facea osservare con sommaria analisi l’ illustre professore Gri-
melli in confronto di quella di mare. E semitrasparente; veduta
in massa apparisce di un colore verdastro spiacevole, pure serve ai
villici abitatori per cuocere le loro vivande diluendola alquanto con
acqua potabile per diminuirne la salsedine in conformità dei gusti.
Quelli del Colle di Gaiano ne fanno uso giornaliero. Emette a
brevi intervalli una certa quantità di gaz inflammabile, che mi pare
più difficile ad accendersi che quello delle altre salse, e detuoni
più fortemente. La difficoltà di accendersi può anche dipendere
dalla minore stabilità che hanno le bolle gazose che appena for-
matesi si rompono, è ciò senza dubbio cagionato dalla minore
densità di questa acqua in confronto della pantanosa delle salse,
^ Nel Bollettino del 1872, anno III, pag. 144, fu stampato per errore Tupido
in luogo di Tiepido.
ove le bolle hanno maggior durata, e prendono anche maggiori
dimensioni. Nell’ avvicinare il corpo acceso, V intermittenza del
gaz si fa maggiore.
In questo anno vi ho trovato vivere prosperosamente una
Bana esculenta L., alcune grosse larve di animale ora sconosciuto
e molte del Gulex pipiens L. Di vegetali non vi ho scorto che
VArundo phragmites^ e poca alga nuotante alla superficie.
Il terreno in cui si trova è marno-ghiaioso, avanzo di allu-
vione del letto del torrente istesso Tiepido che un tempo dovette
occupare anche tale luogo ; è poi sovrastante alla zona delle
marne turchine. Tutta la superficie della fossa è coperta di un
leggierissimo strato di fango analogo a quello delle salse, ed è
forse questo che toglie la limpidezza all’ acqua medesima.
Al S.O. in distanza di 4,“ 50 vi ha una sorgente di acqua
dolce 0 potabile il cui livello rimane circa 0,“ 50 più basso della
salata, ed ambedue fluiscono nel medesimo rigagnolo che sbocca
ad Est nel torrente Tiepido.
Do termine a queste brevi mie note, forse non del tutto inu-
tili per gli equivoci occorsi su tale argomento.
V.
Sulla Bélazione di un viaggio geologico in Italia.
Nota di Th. Fuchs.
Nel numero 3 e 4 del Bullettino del Gomitato geologico pel
corrente anno, il prof. Seguenza ha per una seconda volta sotto-
posto ad esame critico la mia piccola pubblicazione apparsa nel-
r anno 1872 ^ intorno alla formazione terziaria di Gerace e di
Messina, e non solamente quivi mi ha fatto rimprovero di una
osservazione inesatta e superficiale, ma, se io lo capisco bene,
anche direttamente di false indicazioni, su di che io mi vedo
obbligato a rispondere in proposito qualche riga.
* Geologische Studien in den Tertiàrbildungen Sùditaliens. (Sits.-ber. Akad.
Wien 1872.)
— 238 —
Sorvolando sui punti di minore importanza, io mi rivolgo im-
mediatamente al punto principale, cioè alle marne bianche.
Il prof. Seguenza mi fa il rimprovero di avere considerate
della stessa età tutte quante le marne bianche plioceniche di
Messina e di Gerace, mentre pur facile sarebbe il persuadersi
che nelle due località si trovano marne bianche di due qualità,
le quali per 1’ età sono al tutto differenti e per di più sono fra
loro separate per mezzo di grandi discordanze.
Io non sono al momento nel caso di giudicare se questa as-
serzione corrisponda alla realtà della cosa ; giacche disgraziata-
mente mi è impossibile dalle pubblicazioni del prof. Seguenza
di formarmi un chiaro concetto sopra lo stato delle cose, come
inutilmente io cerco di trovare nelle numerose sezioni stratigra-
fiche da lui date, quella discordanza dentro la serie degli strati
pliocenici, la quale, secondo la sua asserzione, sarebbe un’ ap-
parenza generale. In ogni modo adesso è già abbastanza evidente
che, se la mia opinione d’ allora fosse veramente stata falsa,
che il prof. Seguenza è rimasto per lunghi nove anni precisamente
nello stesso errore ; giacche appunto queste marne bianche for-
mano pur troppo la parte costitutiva essenziale del suo Ter-
reno Zancleano, il quale egli, dopo sei anni di studi, ha esposto
nell’ anno 1868,’ e intorno al quale egli era sempre compieta-
mente dello stesso parere, quando nell’anno 1871 io ho avuto
r onore di parlare con lui sopra questo soggetto.
Se il prof. Seguenza di recente ha completamente rinunziato
al suo Terreno Zancleano, al quale egli dava una volta una così
grande importanza, e nel quale egli trasportò strati enumerati
in più divisioni, così allora è chiaro che recentemente egli non
abbia solo modificate le sue vedute di prima, ma per di più che
le abbia completamente cambiate ; così bene come è egualmente
evidente che a me era impossibile poter conoscere già nel-
r anno 1871 le opinioni del prof. Seguenza, le quali egli stesso
allora non aveva peranco formulate, e che pubblicò solo due
anni dopo.
Per ciò che concerne specialmente le marne bianche di Ge-
race, io non posso che ripetere nuovamente quello stesso che ho
* Bulletin Soc. géol. France.
~ 239 —
già dichiarato una volta, cioè che nella località da me esplo-
rata non si hanno nè marne bianche di due qualità, nè in ge-
nerale alcuna vera discordanza dentro gli strati pliocenici, e che
questo piuttosto che rassomigliare ad una discordanza non è altro
che uno sconvolgimento. Per mia maggior sorpresa il prof. Se-
guenza però asserisce inoltre che i fossili da me indicati fuori
dalla marna bianca di Gerace non derivano da questa, ma bensì
da una marna più alta la quale riposerebbe sopra tutti gli strati
che io ho descritto e figurato per Gerace. (Pag. 93 : « egli ha
» dato un elenco di fossili raccolti presso Gerace, che spettano
» tutti alla zona superiore, provengono perciò da un lembo di
)) marne soprastante a tutta la serie pliocenica rappresentata
» nelle pittoresche vedute e sezioni che il signor Fuchs annette al
)) suo lavoro. » (Pag. 96): a Dappoiché, come di sopra ho detto,
» quelle conchiglie furono raccolte in marne, che sono posteriori
» non solo alle marne della sezione, ma ben anco alle idtime
» sabbie. »
Io veramente non so ciò che ha condotto il prof. Seguenza
a questa erronea opinione, dopoché nella tavola VI, fig. I del
mio lavoro è precisamente indicato il punto del quale * derivano
i fossili indicati, e dopoché nel testo è espressamente detto :
« Nelle posizioni superiori è posta una piccola fornace da mat-
toni, nella quale si trovano fossili in sufficiente abbondanza. Il
deposito principale di questi si trova però un poco al di sotto
della fornace, circa nel terzo superiore delle marne. La parte
sottostante è completamente priva di fossili. »
Da questa esposizione si mostra pur chiaramente che i fos-
sili da me indicati tuttavia derivano dalle marne bianche dimo-
strate nel disegno, e precisamente da quelle tali marne, che ri-
posano sotto alle sabbie ; ed io non dubito in nessun modo che
il persuadersi dell’ esattezza di questo fatto riuscirà molto fa-
cile al signor prof. Seguenza in una visita a Gerace.
Per quanto riguarda il calcare concrezionato, del quale il
prof. Seguenza dice che presenta delle masse irregolari e con-
crezionale, che si possono comparare nel miglior modo con tron-
chi di gesso irregolari, io devo riconoscere che questa compara-
‘ È il punto superiormente a destra, pel quale è detto: «Fornace, fossili
dello Zancleano. ))
240 —
zione bene si adatta principalmente a quelle masse irregolari di
calcare che io ho trovate presso Castellina Marittima rinchiuse
nelle sabbie serpentinose mioceniche, ma niente affatto a quel
calcare concresionato, eh’ io ho avuto occasione di osservare
presso Messina e Gerace. Questo calcare apparisce piuttosto to-
talmente nella forma di scogli, ai quali le formazioni plioceni-
che si collegano completamente discordanti.
Per conclusione ancora uno schiarimento.
Quando nell’anno 1871 io andai in Sicilia ed in Calabria,
r unico motivo del mio viaggio fu di mettere in chiaro se il
Terreno Zancleano avesse veramente o no il diritto di essere
considerato come un nuovo e indipendente piano terziario, il
quale collegasse il miocene ed il pliocene come il prof. Seguenza
V
asseriva. E noto che io ho creduto di dover accettare come re-
sultato delle mie esplorazioni che quest’ultimo caso fosse il vero,
che cioè, gli strati attribuiti al Terreno Zancleano non avessero
niente che fare col miocene, ma che fossero invece veri strati
pliocenici, i quali dovessero la loro singolarità solo alla circo-
stanza di essere formazioni di mare profondo, mentre gli altri
sedimenti pliocenici erano per la maggior parte depositati in
minore profondità.
Questo è r unico resultato del mio lavoro al quale io attri-
buisco qualche importanza ; e siccome il prof. Seguenza, per
quanto io conosco, nel corso ulteriore dei suoi studi è arrivato
nella sostanza allo stesso modo di vedere, così io ho bene tutta
la ragione di tenermi contento di questo.
Bologna, 14 luglio 1875.
Per la traduzione dell’ originale tedesco
trasmesso dall’ autore
A. Manzoni.
Th. Fuchs.
— 241
VI.
Calcare a AmpMstegina, strati a Congeria e calcare di
Leitha dei Monti Livornesi, nuove ricerche del professor
G. Capellini.'
Negli ultimi giorni dello scorso marzo essendomi recato nei
Monti Livornesi per continuare le ricerche annunziate a questa
Accademia delle Scienze nella seduta 19 novembre 1874,^ mi
affretto oggi ad accennare i resultamene di quella rapida ma
fortunata escursione.
Intendendo di coordinare le nuove ricerche con quanto ho
già riferito nella Nota precedente, ricorderò anzitutto che per
le nuove osservazioni fatte presso P Acquabuona e a Paltratico
ho potuto accertarmi che nei Monti Livornesi, come in quelli
della Castellina, il calcare di Leitha con tutte le sue varietà
riposa talvolta direttamente sul calcare alberese o sulle rocce
ofiolitiche, ma più spesso passa inferiormente a molasse e con-
glomerati ofiolitici 0 calcareo-ofiolitici.
Anche nei conglomerati di Paltratico si trovano i tronchi di
legni silicizzati che altra volta ho citato, parlando dei conglo-
merati della valle della Sterza e della valle del Marmolajo. Il
giacimento di questi legni fossili ed il modo col quale sono
messi allo scoperto per opera della denudazione, ricorda ciò che
avviene al Cairo pei legni silicizzati (gen. Nicolia) delle arenarie
mioceniche ; con le belle sezioni che ho fatto eseguire a Vienna
spero che in seguito riescirò a determinare il genere di coni-
fera al quale per la maggior parte si riferiscono.
Nelle arenarie calcareo-ofiolitiche con le quali terminano supe-
riormente i conglomerati già si incontrano i fossili che diven-
tano abbondanti, e talvolta si presentano perfettamente conser-
‘ Dal Beiidìconto dell’ Accademia delle Scienze di Bologna. — Seduta del
giorno 8 aprile 1875.
^ Vedi G. Capellini. Strati a Congeria, formazione oeninghiana e piano
del calcare di Leitha nei Monti Livornesi. {Bollettino del B. Comitato Geolo-
gico^ 1875, n. 1 e 2, pag. 49).
— 242 —
vati, nella melassa di Paltratico e del Gabbro e nel calcare di
Castelnuovo, Rosignano, Acquabuona, San Giovanni, S. al Pog-
gio ed altre località nei Monti Livornesi e della Castellina.
A questo proposito dirò che a Paltratico e presso Castel-
nuovo ho raccolto esemplari di Forites ed alcuni coralli vera-
mente eccezionali per lo sviluppo e per la perfetta conservazione,
come farò conoscere a suo tempo.
Quanto ai molluschi raccolti nella melassa di Paltratico e
nel calcare di Castelnuovo, essendo conservati in modo da poterne
facilmente riconoscere le specie, mi hanno posto in grado di
conguagliare col calcare di Leitha non solo le molasse e i cal-
cari stessi, ma eziandio le panchine di San Quirico, San Dal-
mazio, Badie Nuove ed altre località ove la così detta panchina
rappresenta una delle tante forme litologiche del calcare di
Leitha.^ Anche sotto questo punto di vista sono molto istruttivi
i passaggi che questa roccia presenta, e che si possono riscon-
trare nelle cave presso Castelnuovo e presso P Acquabuona, ove
fra le varie forme litologiche ho trovato un importante strato
a Bissoa di cui già avevo scoperto un primo saggio al Buchic-
chio presso le cave di Castellina Marittima.
Gli studii intrapresi sulle piante fossili raccolte al Gabbro,
a Paltratico e a Castelnuovo, non solo mi hanno già condotto
a distinguere la flora fossile del Gabbro da quella di Cerretello,
come Mondaino deve essere distinto da Sinigallia ; ma ho potuto
altresì accertarmi dei rapporti intimi fra la flora fossile del Gab-
bro e quella del celebre tripoli di Bilin in Boemia e segnata-
mente di Kutschling, come dimostrerò a suo tempo col lavoro
annunziato nella Nota sopra ricordata.
‘ Fra i fossili di Paltratico ho già potuto riconoscere i seguenti: Fusus
Valenciennesi, Grat. ; Buccinum miocenicum, Mich.; B. semistriatum, Br.';
B. Bosthorni, Partsch ; Natica helicina, Chenopus pes-pelecani, Ph.; Tur-
vitella turris, Bast. ; Corhula gibha, OV\\ì\ C. Basteroti,B^ÒYn.\ Venus plicata,
Gm.: V. multilamella, Lk. ; V. inlandicoides , Lk. ; V. Dujardini, Hòrn.; Ta-
pes gregaria, Part. ; Dosinia exoleta, L. ; Lueina horealis, L. ; L. inerassata,
Dub.; L. transversa, Bronn; Cardium turonicum, Mayer; C. paucicostatum,
Sow. ; Arca turonica, Duj.; A. Breislaki, Bast.; A. diluvii, Lk. ; Nucula nu-
cleus, L. ; Leda pella, L.; Modiola Broccliii, May.; Ostrea digitalina, BiyAwn.]
0. lamellosa, Br.; 0. cochlear, Poli; 0., sp.; Pecten aduncus,'E\c\v\N.', P. sub-
striatus, d’Orb.; Serpula sp. ; Cellepora sp.; Membranipora anguiosa, Reuss;
Lepralia ansata, Svan. ; Porites sp.; Hemiaster? ; Psamniechinus monilis, Desm.
— 243
I gessi, tanto sviluppati nella valle del Marmolajo, si riscon-
trano in masse amigdaloidi assai distanti le une dalle altre nel
versante orientale dei Monti Livornesi, sulla destra del Salvo-
lano e della Fine (p. e. sotto Castelnuovo) e appaiono anche nel
versante occidentale, e si presentano nei dintorni della Puzzo-
lente e di Limone^presso Livorno sempre accompagnati dalle
marne con Lebias crassicaudus e larve di Libellula.
Al Casino che sta fra Lodolaja e Pane e Vino, gli strati a
Congeria, altra volta riscontrati nelle due ultime località, non
solo si presentano sviluppatissimi, ma offrono un interesse affatto
eccezionale 5 ivi, infatti, i molluschi fossili conservano il guscio
appena calcinato, epperò dei piccoli cardii si possono studiare
agevolmente non solo gli ornamenti del guscio, ma eziandio il
cardine che offre caratteristiche tanto importanti.
Oltre i cardii ho raccolto bellissimi esemplari di una Mela-
nopsis del tipo della M. Martiniana, Neritine, Littorinelle, Con-
geria simplex. Questa bella conservazione dei fossili è da attri-
buirsi alla natura litologica degli strati di sabbie marnose
compatte le quali ricordano un poco quelle decisamente plioce-
niche, e che fanno seguito in serie ascendente.
Essendomi recato a Livorno per studiare di bel nuovo i gessi
della Puzzolente e di Limone e ricercare se anche in quella
parte dei Monti Livornesi si continuavano gli strati a Congeria,
ho trovato al loro posto uno strato con fossili di acqua dolce,
fra i quali prevalgono le Melanie del tipo della Melania Leto-
cliae, Melanopsis del tipo della M. Martiniana, Neritine e Lit-
torinelle. La roccia marnosa che contiene questi fossili è pure
ricca di concrezioni limonitiche e di cristalli di selenite che carat-
terizzano gli strati a Congeria, e vi si notano impronte di Chara.
Benché manchino i piccoli Cardii e le Congerie, questo strato
per la sua posizione e pei suoi fossili è da ritenersi come rap-
presentante locale dei veri, strati a Congeria, e soltanto si ha
altresì la prova che dai depositi di acqua dolce del miocene
superiore ivi si passa alla formazione marina pliocenica senza
intermezzo di depositi di acqua salmastra.
Negli strati sovrapposti alla formazione di acqua dolce, giova
notare che, fra i pochi esemplari, ho trovato due bellissime
Superiormente seguitano le argille turchine plioceniche coi
— 244 —
soliti fossili caratteristici, assai bene esposte presso il Purgatorio
del Condotto, verso il Podere della Ghiaccia e a Suese, e che
si continuano sotto formazioni più recenti nella pianura livornese.
Sono queste stesse argille che, grandemente sviluppate nel
versante orientale dei Monti Livornesi, occupano così gran parte
della valle del Salvolano e della Fine, e sono tagliate dalla
strada ferrata maremmana.
Presso la stazione di Orciano le argille abbondano di fossili
e fra le specie più caratteristiche ho raccolto anche la celebre
PeccJiiolia argentea; e finalmente al disopra di esse, alla Casa
Nuova ossia villa del cavalier Perugia, poco distante dalla indi-
cata stazione e presso la strada che va al paese di Orciano, ho
trovato il celebre calcare a Amphistegina, o pietra lenticolare di
Parlascio, che costituisce un banco lungo circa trenta metri, alto
sette a otto metri e composto di strati che inclinano verso la
valle della Fine. Questo banco per la sua posizione sul dorso
di una collina interamente costituita da argille turchine plioce-
niche, qui più chiaramente che altrove nella provincia di Pisa,
mostra che questa roccia è pliocenica, ed occupa il posto delle
sabbie gialle superiori. Noterò per incidenza che fino dal 1873
ho trovato il calcare a Amphistegina a Boccacciano presso Sar-
teano nei monti di Cotona ; ma non ho potuto accertarmi se le
argille, sulle quali ivi pure riposa, siano parimente plioceniche
ovvero riferibili al miocene.
Se avessi fatta la mia escursione verso Orciano prima della
pubblicazione della memoria sui gessi di Castellina Marittima,
anche la pietra lenticolare fin d’ allora sarebbe stata collocata
al suo vero posto ; non posso a meno però di esprimere la mia
meraviglia che questa importante località non fosse stata già da
altri presa in considerazione, poiché dn tal caso non vi sareb-
bero state discussioni sulla età e sulla vera posizione della pie-
tra lenticolare di Parlascio, ossia del calcare a Amphistegina.
Chiuderò questo cenno ringraziando i fratelli Lobin, il pro-
fessor Spagnolini ed il signor E. Nardi che mi furono compagni
di escursione nei dintorni di Castelnuovo, di Livorno e del Gabbro.
— 245 —
VII.
1 membri delle formazioni terziarie nel versante settentrionale
dell’ Apennino fra Ancona e Bologna^ per Th. Fuchs.
(Estratto dai Rend. delV A.eccideinia delle Scienze di Vienna, fase, di febbr. 1875.)
Le formazioni terziarie, le quali accompagnano il versante
settentrionale degli Apennini da Ancona fino a Bologna, sono
già state fatte oggetto di profondi studi e di esaurienti pubbli-
cazioni per parte di tanti ed abili naturalisti (fra i quali basta
ch’io solo qui ricordi il Doderlein, il Capellini, il Manzoni, il
Bianconi, il Foresti, lo Scarabelli), che con un soggiorno di sole
quattro settimane in questa regione io non ho potuto calcolare di
scuoprirvi numerosi fatti nuovi per la scienza. Così è che mentre
10 fin da principio ho rinunziato a far simili scoperte, ho invece
rivolta la mia cura a riscontrare la disposizione più possibilmente
precisa che le formazioni terziarie quivi mostrano, ed a fissare
11 rapporto cronologico dei singoli membri 1’ uno coll’ altro, come
anche a fissare detto rapporto con altre formazioni terziarie ben
conosciute e principalmente con quelle d’ Austria ed Ungheria.
In questo proposito io credo invero di poter presentare qual-
che risultato, stantechè mi sia riescito di raccogliere 1 indica-
zione che la così chiamata Melassa marnosa (Mergehnolasse) dei
dintorni di Bologna e di Modena in ogni rapporto corrisponde
col nostro ScJilier,^ che i depositi miocenici di Sogliano e di
Monte Gibio corrispondono completamente ai nostri strati di
Baden e di Gainfahren, di maniera che questi depositi miocenici
di detta regione mostrano precisamente quella separazione in un
primo e secondo piano mediterraneo, i quali dal prof. Suess
furono prima dimostrati per gli strati marini miocenici del ba-
cino di Vienna, e che di poi sono stati ritrovati in tante altre
località dell’ Europa meridionale.
* L’Autore mi fa noto che la parola ScAZier è un provincialismo che non si
presta alla traduzione. Con questa parola si denominano nell’Alta Austria le
marne grigie terziarie, cosi bene come si dice Tegel nella Bassa Austria.
Il Traduttore.
- 246 —
In connessione col sopra detto merita di esser notato, clie
tanto presso San Marino quanto presso Sogliano le argille di
Baden sono sopracoperte da sabbie e ciottoli, le quali corrispon-
dono in ogni rapporto colle nostre sabbie di Neudorf, dove
inoltre ha luogo la sppraposizione alle argille di Baden di un
membro del gruppo del calcare di Leitha. A Monte Gibio però
sembra che abbia luogo l’ inverso rapporto, giacché quivi, se-
condo Doderlein, le marne turchine ricche di Pleurotome (le
quali corrispondono completamente alle nostre argille di Baden),
sarebbero sottoposte ad una calcaria con Lucina pomimi.
Finalmente merita anche di esser rilevato che mi è riuscito
di giungere alla completa persuasione, che la grande formazione
gessifera e solfifera, la quale accompagna l’ insieme dei terreni
terziari nel versante settentrionale degli Apennini, nelle regioni
da me esplorate in nessun modo si presenta inclusa nei depositi
miocenici del Tortonese o nelle alcun poco più antiche molasse
marnose, come per avventura da molti anche oggi si ritiene;
ma che invece detta formazione solfo-gessifera apparisce al tutto
e sempre indipendente dai depositi miocenici ed invece trovasi
posta alla base del pliocene ed a questa formazione intimamente
legata. Questo concorda totalmente coi resultati ai quali sono
giunti in riguardo alla posizione di questi strati già da lungo
tempo il Pareto in Piemonte, e più recentemente Doderlein nei
dintorni di Modena e Reggio, e Capellini in Toscana; e ciò è
quindi di particolare interesse, giacché, dopo la brillante scoperta
deir ultimo nominato autore, questa formazione di gesso e solfo
corrisponde agli strati a Gong cria di Austria e di Russia.
In quello che segue io presento la successione delle forma-
zioni le quali si possono discernere nel versante settentrionale
dell’ Apennino fra Bologna ed Ancona.
1. Formazione del Flysch ed Argille scagliose. — La forma-
zione di basamento delle più giovani formazioni terziarie nel
versante settentrionale dell’ Apennino é data ovunque da Ancona
fino a Modena dal Flysch, ed anzi questo si mostra di prefe-
renza in forma di argille scagliose, formazione montuosa così
vastamente riprodotta negli Apennini, la quale fuori d’Italia é
pressoché niente conosciuta, e sopra la natura speciale della
quale regna ancora tanta oscurità.
— 247
Là dove le argille scagliose affiorano nel loro tipico sviluppo
si rassomigliano viste da. lontano a colossali ammassi di fango;
ma ad osservazione più vicina vien fatto di persuadersi die non
consistono propriamente di una sostanza plastica e molle, ma
piuttosto di un immenso accumulo di piccoli frammenti di argilla
poco duri ed irregolari i quali mostrano una frattura scagliosa
bene distinta. La stratificazione non si può riscontrare, ovvero
apparisce in forma di curiose pieghe e sinuosità che fanno V im-
pressione come se la massa intera abbia una volta subito un
interno movimento di rotazione e di scorrimento. Il colore della
roccia è in genere di un turchino grigio-scuro, ma vi si incon-
trano anche delle varietà di color verdastro e rosso. Talvolta
la massa intera è gessifera e mostra alla sua superficie diverse
efflorescenze. In tali punti si mostrano allora alla superficie dei
curiosi rigonfiamenti a modo di monticello che rassomigliano ai
rigonfiamenti provenienti dal passaggio di un getto di gas attraT
verso la superficie di un torrente di lava, e che nel caso in
esame probabilmente sono il prodotto delle accennate efflore-
rescenze. Nelle vicinanze di queste località la superficie è spesso
colorata in giallo. Di fossili non è dato trovar traccia di sorta
alcuna.^ Tutte queste circostanze danno alle argille scagliose un
carattere di anormalità ; e se ad esempio uno si ponga al piede
del Monte Titano nella Kepubblica di San Marino sopra le nude
eminenze delle argille scagliose e passeggi lo sguardo sopra la
squarciata e sconvolta superficie, sopra i numerosi rigonfiamenti
simili a monticelli, sopra le svariate efflorescenze e le tinte di
colore che passano dal grigio al verde, al giallo, al rosso, e che
noti da per tutto fino giù in grande profondità le traccie del
movimento che ha avuto luogo, crede piuttosto di trovarsi sopra
un antico torrente di lava, di quello che sopra una formazione
sedimentaria normale.
S’ intende da sè che tutto questo vale solo per quelle loca-
lità nelle quali le argille scagliose appariscono isolate e non per
altrove dove mostrano tutti i passaggi fino alle più comuni for-
* Io ho visto due belle Ammoniti globose, raccolte dal dott, Azzaroli, me-
dico condotto a Poggio de’ Borghi, nelle frane di argille scagliose colorate in
rosso che s’ incontrano sul lato sinistro del torrente di San Marino per salire
a San Leo. — Il Traduttore.
- 248 —
inazioni del Flyscli, nel quale le argille scagliose appariscono solo
come parte secondaria costitutiva in strati regolari alternanti con
calcari marnosi e banchi di arenaria calcare.
Per ciò che concerne V età della formazione del Flysch e
delle argille scagliose al versante Nord degli Apennini, esse
appartengono secondo le ricerche del Capellini parte alla Creta
e parte alla formazione eocenica, senza che per ora sia possibile
precisare in genere questa separazione.
IL Strati del Monte Titano. — Il membro più profondo delle
più giovani formazioni terziarie è formato dagli strati del Monte
Titano nella Eepubblica di San Marino, i quali corrispondono
alle formazioni terziarie di Dego, Carcare, Beiforte (Bormidiano
di Sismonda), agli strati di Schio nel Vicentino e alP Aquitaniano
♦di Mayer. Questi strati' formano il Monte Titano ed inoltre al-
cune altre sommità montuose poste ai lati del corso della Ma-
recchia, e si ripetono, secondo una amichevole comunicazione del
dott. Manzoni, anche al di là del vertice dell’ Apennino nel ver-
sante toscano dove essi compongono la sommità del Monte della
Verna. La caratteristica costituzione di questa formazione è data
da una molto consistente calcaria arenaceo-marnosa a briozoi,
nella quale i briozoi sono in genere talmente prevalenti da for-
mare la massima parte della massa. Fra questi briozoi s’ incontra
anzitutto prevalente una colossale nodoso-ramosa Cellepora,^ la
quale raggiunge spesso delle mostruose dimensioni e si atteggia
X
totalmente a modo di tronchi di Forites. E notevole ancora che
una gran parte di queste Cellepore è trasformata del tutto in
selce alla guisa di molte spugne mesozoiche.
Oltre questa roccia calcaria marnoso-sabbiosa a briozoi, la
quale compone la massima parte della formazione, appariscono
anche delle schiette arenarie e marne, e d’ altro lato delle cal-
carle anche più pure, le quali offrono la più grande rassomi-
glianza colle diverse apparenze del nostro calcare di Leitha.
I fossili s’ incontrano in tutti gli strati ; però il loro stato di
conservazione è in genere molto difettoso e la loro determina-
’ Ho già in questo Bollettino rettificato 1’ errore per il quale io mi ero in-
dotto a chiamar Porites ramosa Cat. 1’ organismo che dipoi il mio amico Fuchs
mi ha dimostrato non esser altro che una Cellepora. — Il Traduttore.
249 —
zione associata quindi a grande difficoltà. Dopo i già ricordati
firiozoi vengono avanti in frequenza ed abbondanza gli echino-
N
dermi, e dopo questi i Tecten e Spondili e i denti di pesci. E
notevole invece la mancanza quasi assoluta di coralli e di ga-
steropodi; dei primi non sono stati per ora trovati che due
specie in malconservati esemplari, e dei secondi non si sono rac-
colti negli strati più profondi altro che alcuni grossi nuclei o
modelli interni somiglianti a grosse Cassis.
Per ciò che riguarda il carattere complessivo della fauna è
da notare che vi s’ incontrano quasi in eguali proporzioni delle
forme dell’ oligocene e del miocene, oltre ad alcune che sono par-
ticolari di quest’ ultimo piano e che si rinvengono negli strati
di Schio, Dego, Beiforte e nei più profondi strati di Malta.
Manzoni cita in massa le seguenti specie : *
Spliaerodus cinctus Agass. ; Carcliarodon megalodon Agass. ;
Oxyrrhina isocelica E. Sism. ; Ox. Desori Agass. ; Lamina con- ^
tortidens Agass.; L. cuspidata Agass.; Hemipristis serra Agass.;
Otodus sìdcatus E. Sism. ; Sphirna sp. ? ; Corax sp. ; Galeus la-
tidens Agass. ;
Cassis sp. ? ; Conus sp. ? ; Natica perusta Bronn ; Bissoina sp. ?
Pecten latissimus Br. ; P. Raueri Micht. ; P. Bendanti Bast. ;
P. aduncus ? Eichw. ; P. Michelotti D’ Ardi. ; P. mioceniciis
Micht. ; P. deletus Micht. ; ed altre specie di Pecten non ancora
determinate e probabilmente al tutto nuove; Spondilus sp. ? ;
Ostrea sp. ? ; Venus sp. ? ; Gardium difficile Micht. ;
Tereòratida sinuosa Br. ; T. miocenica Micht. ; Bhyncho-
nella sp.?
Membranipora sp. ? ; Lepralia sp. ? ; Cellepora polythele Ess. ;
CéUepora sp. ? (forma a simiglianza di Porites) ; Retepora sp. ? ;
Eschara nudulata Ess. ; E. suhcliartacea D’ Arch. ; Myriozoon sp. ? ;
Hornera trabecidaris Ess. ; Yincidaria sp. ? ; Idmonea sp. ? ; Bi-
■scosparsa sp. ? ; Badiopora sp. ? ; Badiopora boletiformis ? Ess. ;
Bef rancia sp. ?
* La lista di fossili che io qui faccio seguire non è quella data dal Fuchs
■ed estratta dal mio primo lavoro sopra il Monte Titano, ma è un’ altra da me
compilata come frutto di ulteriori ricerche e di utili correzioni. Quest’ ultima
lista quindi è la sola da tenere in conto. — Il Traduttore.
17
250 —
Cidaris (Rabdociclaris) Melitensis Forbes (e rispettivi ra-
dioli) ; Cidaris Adamsi in Adams (e rispettivi radioli) ; Cidaris
Avenionensis Desmoul. (radioli) ; Cidaris sp. ? (radioli) ; Fsarn-
mecìiinus parvus Micht. ; Clypeaster sentimi Laube ; Clyp. JBeau-
monti E. Sism. ; Clyp. placunarius Agass. ; Clyp. Martinianns
Desmoul. ; Clyp. placenta Micht. ; Sismondia plamdata D’ Arch. ;
Echinolampas hemispìiaericus Lk. ; E. Laurillardii x4.gass. ; E.
Beshayesii Desor ; E. disciis Desor ; E. similis Agass. ; E. glo-
hidits Laube ; PygorJiyncJius Spratti Adams. ; Ecliinocyamus
Studeri E. Sism.; Ecliinanthus^? sp. ?; Pygaidus? sp. ? ; Cono-
clypus plagiosomiis Agass. ; Pericomus latus Agass. ; P. aeqiialis
Desor ; Erissus? sp. ? ; Linthia cruciata Desor ; Periaster? sp. ? ;
Hemiaster Scìiillae Wright; Hem. Cotteaui? Wright ; Beni, ro-
tundus Laube ; Scìmaster Parhinsoni Defr. ; Sdì. Besori Wright ;
Sdì. Leitlianus ? Laube ; Sdì. Karreri ? Laube ; Macropneiistes
Meneghini Desor ; Alacrop. ? sp. ? ; Eupatagiis ornatus Defr. ;
Spatangus ocellatus Defr. ; Spatangus sp. ?
Trodiocyatus sp. ? ; Stylocoenia sp. ?
III. Schlier. — Sotto questa denominazione io metto insieme
quelle formazioni marnose le quali sono generalmente designate
dai geologi italiani come molasse marnose. Esse, a dilferenza
delle più giovani marne tortoniane, sono sempre più dure e pie-
trose ; il loro colore va dal turchino-grigio fino al biancastro, qual-
che volta sono un poco sabbiose e contengono sempre una assai
grande quantità di foraminifere, le quali in taluni casi giungono
a tal grado di abbondanza da rendere la roccia friabile e facile
a sgranarsi. Come fossili vi si incontrano sovente il Nautilus
diluvii ed il piccolo Pecten duodecimlamellatus. Presso San Leone
dietro la località chiamata Sasso nella vallata del Reno, noi siamo
riesciti a raccogliere una maggiore quantità di fossili, i quali
sono i seguenti :
Aturia Morrisii ; Bentaìiimi sp. ; Cytìierea sp. ; Lucina si-
nuosa ; L. sp. ; L. sp. ; Solenoinya Boderleini ; Pecten denudatus;
P. duodecimlamellatus ; Ediinidi.
Queste specie appartengono in genere ai meglio designati
fossili del nostro Schlier e non lasciano il più piccolo dubbio
che la Melassa marnosa dei geologi italiani debba venire iden-
tificata a questo membro dei nostri terreni terziari. Particolar-
— 251 —
mente manifesta è la somiglianza collo Schlier di Hall nell’ Alta
Austria, dove per di più lo stato di conservazione dei fossili è
al tutto simile.
Il prof. Capellini nella sua conosciuta Carta geologica dei
dintorni di Bologna, ha diviso in due piani i depositi marnosi
che noi qui abbiamo messi assieme sotto la denominazione di
Schlier; dei quali due piani il più antico è da lui attribuito
sotto la designazione di Marnes Ueuàfres al Langhiano ed El-
veziano di Mayer, ed il più recente al Messiniano sotto nome
di Marne biancastre. Senza voler più disputare, che per mezzo
di una minuziosa esplorazione non sì possa forse precisare una
simile divisione, mi riesce però malamente accettabile V attri-
buire un piano di questi depositi marnosi al Messiniano, quan-
doché lo stesso verrebbe in tal caso ad essere più giovane delle
marne tortoniane di Sogliano e del Monte Gibio, ciò che non
concorda colle mie osservazioni. Oltre a ciò la differenza petro-
grafica nei due piani distinti da Capellini è estremamente insi-
gnificante ed in molti casi al tutto insussistente ; ed altrettanto
può dirsi dei fossili, che, a seconda delle mie osservazioni, sono
gli stessi nei due casi ; per modo che io ho preferito di consi-
derare in uno solo questi due piani di depositi marnosi.
Presso San Leone dietro al Sasso nella valle del Eeno si ve-
dono negli strati più superiori delle marne a modo di Schlier
banchi di arenaria gialla e friabile. Secondo una amichevole co-
municazione del dott. Manzoni queste arenarie raggiungono al
disopra delle molasse marnose, nella regione delle alte colline
di Modena, un grande sviluppo, e frequentemente acquistano una
costituzione a modo di conglomerato minuto contenendo abbon-
danti ciottoletti di serpentino e per di più offrendo nella loca-
lità di Montese una ricca fauna di echinodermi ed un bellis-
simo Pentacrino del quale il dott. Manzoni ha avuto già ad
occuparsi.*
IV. Tortoniano. — Sotto questa designazione io metto assieme
tutte quelle formazioni che corrispondono agli strati di Baden,
Gainfahren, Neudorf e Pòtzleinsdorf, ossia alle formazioni del
‘ Vedi Rarità paleozoologica per A. Manzoni. {Bollett. del R. Comit. Geol.
d’Italia, N. 5 e 6j 1874.)
252
secondo piano mediterraneo del bacino di Vienna. Esse forma-
zioni consistono in parte di marne turchine, in parte di sabbie
e di arenarie e conglomerati, le quali però in genere si distin-
guono per una minor durezza e consistenza dalle arenarie della
stessa natura del piano precedente e più antico, mentre poi le
marne stesse non raggiungono mai quella durezza e consistenza
la quale caratterizza in genere le marne dello Scliìier. Per di
più i fossili sono sempre reperibili in grande quantità ed in
buona conservazione.
Io ho osservato le formazioni di questo piano in due località :
L’una di queste località è posta al piede occidentale del
Monte Titano dove si trova un lembo isolato di depositi mioce-
nici in parte sopraposto al Flysch in parte alla roccia del Monte
Titano stesso, il quale lembo è squarciato in quasi tutta la sua
potenza da una profonda gola formata dall’ acqua. In questo
punto si vedono dall’ alto al basso i seguenti strati :
a) Sabbie gialle con duri banchi arenacei e piani di ciot-
toli con frammenti di Ostrea e di Fecfen / Cardmm sp. ; Lu-
cina cf. muUilamellata Lam. ; Venus cf. muUilamella Lam. ; Do-
nax sp. ; Thracia sp. ; Tellina planata Lin. ; Fuccinum sp. ;
Murex sp. ; (Strati di Neudorf e Pòtzleinsdorf). Potenza 10 me-
tri circa.
l) Argille grigie con banchi induriti e con piani isolati
di grossi ed arrotondati blocchi e ciottoli. Numerosi fossili come :
JBuccinum coloratum Eichw. ; B. Bujardini Desh. ; B. duplica-
tum Sow. ; B. Basteroti Micht. ; Pleurotoma Boderleini Hòrn. ;
FI. Sotteri Micht. ; Cerithium doliolum Br. ; Cer. òicinctum Br. ;
Cer. nodoso-plicatum Hòrn. ; Natica lielicina Br. ; Corrida sp. ;
Venus multilamella Lam. ; Lucina sp. ; Candita sp. ; Gardium
Turonicum Mayer ; Arca sp. ; Nucida sp. ; Finna sp. ; Fecten
aduncus Eichw. ; Ostrea digitalina Eichw. ; Anemia costata Eichw.
(Strati di Grund). Potenza 15 metri circa.
c) Argille turchine grassose con traccio di lignite e senza
fossili. Potenza 4 metri circa.
Sulla nuova strada che conduce alla città di San Marino ad
una breve distanza sotto la città si trova immediatamente so-
vrapposto alla roccia del Monte Titano un piccolo lembo isolato
di argille turchine nel quale abbiamo incontrati i seguenti fos-
253 —
sili : Gorhuìa sp. ; Leda sp. ; Niicula sp. ; Tlioìadomya sp. ; Fecten
diiodecimlamellaUis ; Vaginella depressa ; Flaheìlum sp. Questo
lembo pare che corrisponda alle molasse marnose di Bologna
ossivvero al nostro Schlier.
L’ altra località nella quale noi abbiamo osservate delle for-
mazioni mioceniche è la località di Sogliano illustrata dal Man-
zoni, al N.O. di San Marino, dove in mezzo alla regione delle
sabbie e marne plioceniche apparisce un isolato lembo miocenico.^
Quivi si vede sulla strada a piccola distanza dal paese uno spac-
cato con la seguente serie di strati :
a) Un conglomerato pieno di giganteschi e straordinari esem-
plari di Fechmcidus pilosus, e più oltre : Ostrea sp. ; Feeten cf.
Tour noli ; F. ef. Tesseri ; F. elegans ; F. Malvinae ; (Strati di
Neudorf). Potenza circa 0, 6.
h) Sabbie gialle fini con dure lastre di arenarie, piene di
piccole bivalvi : Turritella ; Fìeur otoma ; (Strati di Gainfahren ?).
Potenza circa 4 metri.
c) Argille con Ferna sp. Potenza circa 2 metri.
d) Argille turchine di grande potenza con numerosi fossili,
i quali in massa corrispondono a quelli delle argille di Baden.
Manzoni enumera le seguenti specie :
Coniis Aìdrovandi Brocc. ; C. Ferghausi Micht. ; C. fusco-
cingulatus Bronn ; C. avellana Lam. ; G. ventricosus Bronn ; G. Tar-
heìliamis Grat. ; G. Haueri Partsch ; G. Fuschi Micht. ; G. Fronni
Micht. ; G. Fujardini Desh. ; G. sertiferus Manzoni ; Ancillaria
obsoleta Brocc. ; A. glandiformis Lam. ; Marginella marginata
Bon. ; Fingicida buccinea Desh. ; Voluta rarispina Lam. ; Mitra
scrobieidata Brocc. ; M. recticosta Bell, ; Golumbella curta Bell. ;
G. scripta Bell. ; Terebra fuscata Brocc. ; T. cinerea Bast. ;
T. acuminata Borson ; T. pertusa Bast. ; T. tuberculifera Doderl. ;
T. Fasteroti Nyst ; Fseudoliva Frugadina Grat. ; Fuccinum
clathratum Lam. ; F. pseudo-clathratum Micht. ; F. semistriatum
Brocc. ; F. mutabile Linn. ; F. Fujardini Desh. ; F. duplicatum
Sorb. ; F. polygonum Brocc. ; Furpura elata Blainv. ; Gassis sa-
buron Lam. ,* Glienopus sp. ; Banella marginata Brong. ; Murex
^ Manzoni, Della Fauna del lembo miocenico di Sogliano presso al Rubicone,
(1869, aus demLX. B. d. Sitzb. der Acad. d. Wissensch. Wien. 1869).
— 254 -
Sedgivicki Micht. ; M. inflexus Dod. ; TypMs liorridiis Brocc. ;
Fusus Klipsteini Miclit. ; F. Valenciennesi Grat. ; F. Fuclisii
Manzoni ; Cancellaria varicosa Brocc. ; C. cancellata var. Ferto-
nensis Bell. ; G. scrohicidata Hoern. ; Fleiirotoma catapliracta
Brocc.; FI. ramosa Bast. ; FI. intersecta vel mystica Dod. ; FI. Mor-
tilieti Mayer ; FI. inter rupta Brocc. ; FI. asperidata Lam. ;
FI. Jouanneti Desm. ; FI. turricula Brocc. ; FI. rotcda Brocc. ;
FI. spiralis Serr. ; FI. sinuata Bell. ; FI. intermedia Bronn ;
FI. pustulata Brocc. ; FI. tereòra Bast. ; FI. rustica Brocc. ; Ce-
ritìiium gramdinum Bon. ; Cer. minutum Serr. ; Turritella tor-
nata Brocc. ; T. Brocchii Bronn ; T. vermicidaris Brocc. ; T. hi-
carinata Eicli. ; T. Hórnesi Micht. ; Fenopliora sp. ; Troclius
patidus Brocc. ; Solarium simplex Bronn ; Natica mUlepunctata
Lam. ; N. redempta Micht. ; N. Josephinia Bisso ; N. lielicina
Brocc. ; Niso eburnea Bisso ; Crepidula unguiformis Lara. ; F>en-
talium Bouei Desìi. ; D. inaequale Bronn ; B. Miclielotti Hoern. ;
B. mutabile Dod. ;
Chama gryplioides Limi. ; Cardila Jouanneti Bast. ; Nucula
piacentina Lam. ; Fectuncidus pilosus Limi. ; F. obtusatus Partsch;
Heliastraea Fllisiana Edw. ; Astrea cremdata Edw. ; Forites
Collegnana Micht. ; (Argille di Baden).
Immediatamente dietro Sogliano a mano destra in fondo alla
valle si osservano egualmente strati miocenici in posto e cioè:
a) Sabbie fine gialle e sciolte con qualche esemplare di
Cerithium lignitarum e Cer. pictum. Potenza 6 a 7 metri.
b) Argille sabbiose grigio-verdastre con traccio di lignite
e piene di Cer. lignitarum, Cer’. pictum ed inoltre Ostrea crassis-
sima e Buccinum mutabile ; (Strati di Grund). Potenza 20 metri
circa.
In questo punto venne praticata P estrazione della lignite in
mediocre profondità, e quindi si sconvolsero e mescolarono tal-
mente i terreni all’ intorno da non esser possibile più il farsi
una idea esatta della loro relativa posizione.
Manzoni enumera provenienti da questi strati lignitiferi oltre
i fossili da me osservati anche i seguenti : Cerithium rubiginosum ;
Cer. Moravicum ; Hydrobia stagnalis ; Neritina ^ébrina ; Mela-
nopsis Bonelli ; Flanorbis cornu.
Questi strati lignitiferi sono posti in ogni caso al disotto del
— 255 —
gruppo di strati nominati e formano probabilmente la base del
miocene corrispondendo nel bacino di Vienna agli strati di Grund
e di Pitten, come pure di Eibinswalde nella Stiria e di Hidas
in Ungheria.
Al gruppo del Tortoniano appartengono inoltre le* ben note
formazioni mioceniche di Monte Gibio presso Sassuolo al Sud di
Modena, eccellentemente esplorate dal Doderlein ; dove secondo
la esposizione di questo autore le argille fossilifere con Pleuro-
tome sono ricoperte da un calcare con Lucina pomum.
V. Formazione solfifera e gessifera d’ acqua dolce. — Come
membro immediatamente più elevato nella serie degli strati ter-
ziari, posto discordante sopra gli strati del Tortoniano e quasi
formante la base del pliocene, si trova una potente formazione
di acqua dolce, la quale consiste di marne grigie e di marne
schistose fogliacee e bianche contenenti su molti punti am-
massi di gesso e di zolfo. A questa formazione appartengono i
conosciuti depositi di zolfo e gesso di Sinigaglia, Cesena, Per-
ticava, di San Donato presso Bologna, ed altri.
Come fossili s’ incontrano in queste marne bianche impronte
di foglie ed i resti di piccoli pesci ed insetti (Lehias crassicauda
e Lihelhda doris) ; e sono in questo rapporto divenuti celebri i
bianchi scisti marnosi di Sinigaglia.
Le conchiglie non si trovano che raramente in questi strati ;
però Doderlein enumera le seguenti dalle vicinanze di Modena
e di Peggio : Melanopsis Lonelli ; Melania curvicosta ; Neritina
zebrina ; Hydrobia stagnalis. A queste si aggiungono ancora due
nuovi Cardium che egli ha determinati col nome Hemicardium
Tilibergense ed Hemic. pectinatum.
In seguito alle ricerche del Capellini è stato pienamente sta-
bilito che i potenti depositi di gesso e di alabastro di Castellina
Marittima in Toscana occupano precisamente lo stesso posto alla
base del pliocene e sul dorso del calcare di Leitha del luogo e
delle molasse serpentinose mioceniche ; e così non può correre
alcun dubbio che la conosciuta formazione di gesso e zolfo di
Sicilia appartenga allo stesso orizzonte.
Questo complesso di strati di Castellina ha conseguita una
particolare importanza, da che per mezzo del Capellini è stata
fornita la dimostrazione, nel suo ben conosciuto ed eccellente
- 256 —
lavoro sulle formazioni terziarie di Castellina Marittima, che i
medesimo complesso corrisponde ai nostri strati a Congerie, coi
quali anche s’ accorda completamente il deposito della forma-
zione d’ acqua dolce di Modena, dove il Doderlein ha indicata
r apparizione di singolari specie di Cardium. In ragione di que-
sta importanza io mi vedo condotto ad addentrarmi maggior-
mente nella questione della posizione di questi strati.
La formazione gessifera e solfifera in discorso viene dai geo-
logi italiani generalmente considerata come il membro superiore
del miocene, e come tale è attribuita al Tortoniano. Capellini
poi specialmente ha incluso nella sua carta geologica dei din-
torni di Bologna i depositi gessosi fra le sue Marnes Ueuàtres
e Marnes hìancMtres, e quindi in mezzo a quel complesso di
marne che io ho riunite sotto la denominazione di Sclilier.
Io non posso accettare del tutto questo modo di vedere.
In nessun luogo dei dintorni di Bologna si osservano i gessi in-
clusi nelle marne azzurrognole o biancastre ; dappertutto invece
si trovano nel modo più chiaro posti sopra questi strati di marne
y'
ed immediatamente e concordemente ricoperti da marne plioce-
niche, come si può facilmente osservare presso San Donato e
nel letto del Kio della Savena presso San Bufillo ; come pure
vicino a Casaglia si trovano i potenti massi di gesso posti im-
mediatamente sopra le argille scagliose e non già sulle marne
biancastre, ma ricoperti in modo concordante dalle ordinarie
marne e sabbie plioceniche. Per via di che è nuovamente for-
nita la dimostrazione che i depositi gessiferi sono più diretta-
mente legati colle formazioni plioceniche, e che non presentano
alcun rapporto colle marne biancastre.
Altrettanto poco mi par giustificato di riferire al Tortoniano
la formazione gessifera in discorso. Sul lungo tratto da Ancona
a Sogliano noi abbiamo veduti gli strati solfiferi e gessiferi sem-
pre e concordemente ricoperti dalle formazioni plioceniche, men-
tre che i depositi tortoniani di San Marino e di Sogliano appa-
riscono completamente indipendenti ; e nel nuovo e bel lavoro
del Doderlein sopra la costituzione geologica delle provincie di
Modena e di Peggio, si rileva che anche in questa regione i
depositi di acqua dolce con ammassi di gesso si trovano alla
base del pliocene, disposti in completa discordanza verso le for-
mazioni mioceniche di Monte Gibio, le quali debbono esser
riguardate come il tipo delle formazioni tortoniane.
Lo stesso rapporto s’ incontra, come già è stato sopra notato,
in Toscana ; ed anche in Sicilia la cosa sembra comportarsi pre-
cisamente coi dati sopra esposti, così che per tutta P Italia si
presenta come regola generale che gli strati gessiferi e solfiferi
in discorso appariscono alla base del pliocene, e si comportano
decisamente discordanti rispetto a quelle formazioni che noi dob-
biamo considerare come P equivalente del nostro secondo piano
mediterraneo.
Naturalmente con questo nan si deve in alcun modo ritenere
ammessa la proposizione che nel tortoniano non possano anche
apparire depositi di gesso, come questi appariscono talvolta nel-
P eocene e nelle argille scagliose.
VI. Marne e salvie marine plioceniche. — Il membro supe-
riore delle formazioni terziarie è formato nella regione in esame
dalle ben note marne e sabbie marine plioceniche, che ordina-
riamente vengono collegate col nome complessivo di formazioni
subapenniniche, e delle quali la ricchezza meravigliosa di ben
conservate conchiglie ha attirata sopra di loro P attenzione dei
naturalisti prima anche che ne cominciassero gli studi scienti-
fici e geologici.
Come da per tutto anche qui si possono distinguere con gran
precisione delle marne sottostanti con specie di Pleurotome, Fu-
sus, Murex e Baccinum, e delle sabbie gialle soprastanti con
0 Street e Pecten.
Capellini ha recentemente cercato di separare P insieme com-
plessivo di questi strati da un altro punto di vista in due gruppi
di diversa età, P uno delle sabbie e marne più antiche e P altro
delle sabbie e marne più giovani.
Le osservazioni che io stesso ho avuto occasione di fare sul
posto non mi hanno tuttavia fatto riconoscere la necessità di una
bipartizione simile ; però ultimamente il Foresti ha fatto la prova
di dare un fondamento paleontologico a questa divisione, ed ha
ottenuti dei resultati che sembrano parlare in favore di questa.
Egli ha cioè mostrato che, se si compari la fauna degli strati
isolati a seconda della serie ammessa dal Capellini, si osserva
una costante e non insignificante diminuzione di specie viventi
— 258 —
dai più giovani ai più vecchi, come si può vedere nel seguente
quadro comparativo:
Specie
Specie
Per cento
in totale.
vìventi.
di specie viventi.
Sabbie superiori. . .
141
112
79.4
Marne superiori. . .
332
144
43. 3
Sabbie inferiori . . .
183
71
38. 8
Marne inferiori . . .
78
24
30. 7
Per ciò che concerne
ai rapporti di posizione
della serie di
strati precedentemente tratteggiati, merita anzi tutto di esser
notata la circostanza che sulla strada da Ancona fino a Modena,
non solo gli strati del Monte Titano e le diverse frazioni del
miocene, ma anche tutto il pliocene ha preso parte al movimento
di sollevamento, e che quindi si trova in posizione disturbata.
A mia cognizione questo caso non si verifica in altro secondo
luogo d’ Italia, e dimostra per ciò che la forza che ha sollevate
le montagne d’ Italia lungo la nominata distanza, ha spiegato
quivi la più grande intensità e la più lunga durata. Questo è
tanto più notevole che in Toscana ha luogo precisamente il caso
contrario, inquantochè non solo le formazioni plioceniche ma
anche quelle del miocene hanno conservato totalmente la posi-
zione orizzontale ad eccezione di quei disturbi nella struttura
delle colline che usano apparire in compagnia degli ammassi
di gesso.
Per ciò che concerne il rapporto che i singoli membri della
formazione terziaria mostrano fra di loro sulla linea da Bologna
ad Ancona, deve venir osservato che questi non si succedono in
serie non interrotta e concordante, ma che piuttosto sono dis-
giunti e separati da forti discordanze. Così si incontra una discor-
danza generale e profonda fra gli strati del Monte Titano ed il
vero miocene, un’ altra discordanza fra le marne dello ScMier
colla molassa serpentinosa che vi è unita da un lato, e dal-
r altro lato colle formazioni del tortoniano, cioè, in altri ter-
mini, fra le formazioni del V e del 2® piano mediterraneo, e
finalmente una terza discordanza fra il tortoniano da un lato e
le più recenti formazioni terziarie dall’ altro lato.
Se adesso noi recapitoliamo un’ altra volta il fin qui detto,
si ha il seguente schema per la struttura dei depositi terziari
— 259 —
nel versante settentrionale dell’ Apennino da Ancona fino a Bolo-
gna, nel quale schema le linee di separazione designano il posto
delle discordanze.
1. Marne e sabbie marine plioceniche, (formazione subap-
pennina).
2. Formazione gessifera e solfifera d’ acqua dolce, con
Lébias crassicauda, Libellula Loris, Melanopsis Bonelli, Melania
curvicosta, Cardii (Strati a Congeria).
3. Tortoniano. Deposito di fossili di Sogliano e del Monte
Gibio (2° piano mediterraneo di Suess).
4. Molassa serpentinosa di Montese con numerosi Echi-
nidi e molasse dello Schlier di San Leone presso Sasso con
Aturia Morrisi, Pecfen denudatus, Solenomya Loderleini, Lucina
sinuosa (1° piano mediterraneo di Suess).
5. Strati di Monte Titano. Arenaria calcarea a briozoi
con Lecten deletus, P. Haueri, P. Leudanti, Macròpneustes Me-
neghini (Strati di Schio, Beiforte, Mornese ; strati inferiori di
Malta).
6. Argille scagliose.
Fer la traduzione A. Manzoni.
Vili.
Sulla formazione della terra rossa, Nota di Th. Fuchs.''
Nel numero 3 del Bollettino delVL. e B. Istituto Geologico di
Vienna, dell’anno corrente,^ il prof. Neumayr pubblicò una interes-
sante comunicazione sulla formazione della così detta terra rossa,
cioè di quell’argilla rossa, ferruginosa, caratteristica e che tro-
vasi così generalmente sparsa alla superficie del Carso come an-
che in tutti i somiglianti gruppi montuosi calcarei dell’Europa
meridionale. Siccome da tanto tempo a me pure interessava un tal
soggetto, e perciò lo tenni continuamente in vista nei miei ripe-
^ Ved. Verìiandl. der k. k. geolog. Reiclis,, 1875, n° 11.
^ Ved. Bollettino del R. Comitato Geologico, 1875, 3 e 4.
— 260 —
tuti viaggi in Italia ed anche nella mia recente gita in Grecia,
mi sarà permesso di fare alcune osservazioni in proposito allo
scopo di ampliare e forse anche in alcuni punti a modificare la
relazione del prof. Neumayr.
Ciò che più d’ ogni altra cosa mi ha sempre colpito si è che
la formazione della terra rossa del Carso fu sempre descritta
per i calcari d’ epoca mesozoica e precisamente solo per quelli
che manifestavansi come depositi marini, ed anche gli esempi
addotti dal prof. Neumayr son ristretti solo a questa cerchia.
Questa restrizione tuttavia non esiste affatto in natura. La terra
rossa del Carso si forma nell’ identico modo sulle rocce giuresi
e cretacee, quanto sopra tutti i calcari terziari, dal calcare num-
mulitico eocenico fino ai più giovani calcari pliocenici del Pireo^
ed è assolutamente indifferente se i calcari siano d’ origine ma-
rina 0 d’ acqua dolce, se siano di origine animale, oppure, come
i calcari a nullipore, vegetale.
Nell’ isole di Malta e di Gozzo i calcari terziari, che in parte
corrispondono agli strati di Schio, in parte al nostro calcare del
Leitha, hanno una grande estensione e costituiscono una parte
considerevole della superficie delle due isole. Là dove ciò avviene,
r isola offre un aspetto affatto identico a quello delle montagne
del Carso : il calcare è in varie guise corroso e decomposto, la
superficie della roccia colorata in rosso, tutte le cavità ripiene
di una terra rossa, la quale si raduna in gran copia in tutte le
depressioni, negli spacchi e nelle caverne. Nei dintorni di Krendi
a Malta, predomina da per tutto un bel calcare puro a nullipore :
la roccia è formata esclusivamente da nullipore, ha una durezza
straordinaria ed un colore bianco lucente; eppure io non vidi
mai in altra parte dell’ isola la terra del Carso di un colore
rosso così intenso e in sì gran copia come qui.
Offrono lo stesso aspetto quelle colline che comprendono il
Pireo presso Atene e che constano di un calcare pliocenico molto
recente: anche qui la stessa superficie corrosa e la stessa terra
di color rosso mattone o rosso bruno. Quivi la roccia è attra-
versata da molteplici spaccature e cavità, le quali sono ricoperte
e ripiene da una corteccia stalattitica rossa.
Per ciò che concerne la produzione della terra rossa sui cal-
cari d’ acqua dolce, io ebbi nel mio recente viaggio in Grecia
261 ~
molte volte occasione di osservare un tal fenomeno in più o
meno considerevole sviluppo, ma giammai così ad evidenza come
presso Markopulo e Calamo. Il calcare d’ acqua dolce raggiunge
qui una straordinaria potenza ed è talmiente compatto e massic-
cio, che presenta un aspetto identico a quello del prossimo
calcare ippuritico : anche la conformazione della superficie affatto
identica, gli stessi fenomeni d’erosione e la stessa terra rossa cor-
rispondono a questa somiglianza petrografica. Da questi fatti se
ne deduce chiaramente che la terra rossa non è in modo affatto
esclusivo prodotta da un fango di glohigerine, e che piuttosto
tutti i depositi calcarei contengono in piccola quantità jombina-
zioni ferruginose e argillose, e per la decomposizione abbando-
nano un residuo di argilla ferruginosa.
Mi parve sempre degna di nota la circostanza che la terra
rossa trovasi sempre in tanto maggior copia e di un rosso
tanto più vivo, quanto era più puro, compatto e bianco il cal-
care sottoposto. Quando il calcare diveniva più scuro, grigio, op-
pure più tenero, poroso e tufaceo, anche la terra rossa andava
diminuendo ed io non ricordo di aver mai trovato la terra rossa
sui calcari teneri, marnosi o cretosi. Sarebbe certamente possi-
bile che nel primo caso soltanto la colorazione rossa intensa di-
pendesse effettivamente dalla separazione delle materie estranee
esistenti nella roccia, mentre nel secondo la mancanza della terra
rossa si dovrebbe in parte alla circostanza che nelle rocce te-
nere la superficie resta esposta ad una azione meccanica ener-
gica: sembrami però che questa ipotesi non spiegherebbe com-
pletamente il fenomeno.
Una seconda circostanza ancora più sorprendente in propo-
sito alla presenza della terra rossa consiste in ciò, che essa men-
tre trovasi dappertutto nella regione del Mediterraneo ove esistono
calcari compatti bianchi, nei calcari delle Alpi settentrionali ed
anche sulle formazioni calcaree dell’ Europa media e settentrio-
nale, sembra mancare completamente. I calcari siluriani bianchi
e compatti della Boemia, come anche le molteplici formazioni
calcaree paleozoiche e secondarie della Francia, del Belgio e del-
r Inghilterra, e sopra tutto le varietà più dure della creta bianca,
dovrebbero in realtà offrire il materiale più atto alla produzione
della terra rossa ; e con tutto ciò sembra qui mancare affatto :
— 262 -
lo stesso sarebbe , a dirsi del nostro calcare del Leitba che qua-
lora fosse in Italia o in Grecia si cuoprirebbe di terra rossa ^
presso di noi invece non ne mostra traccia.
Il prof. Neumayr nel suo sopra citato lavoro rammenta che
la terra rossa trovasi da per tutto là ove esistono altipiani di
calcare puro, che in certo modo impediscono il rapido asporta-
mento del detrito dalla sua superficie. A me sembra che questo
rimarco non si accordi intieramente col fatto. Le montagne cal-
caree deir Eiibea, come anche quelle a nord d’ Atene verso Tebe
non hanno affatto il carattere di altipiani e, piuttosto per ciò
che riguarda gli sconcerti nella stratificazione, assomigliano com-
pletamente alle Alpi calcaree settentrionali ; contuttociò vi è qui
dappertutto la terra rossa che presso Tebe ad esempio trovasi
in quantità veramente sorprendente e da vincere il confronto
con quella del Carso. Per contrario i nostri calcari a nullipore
come già fu detto, non mostrano alcuna traccia di teìTa rossa,
sebbene molto frequentemente si presentino in forma di altipiani.
Dietro tutto ciò non resterebbe a pensare altro se non che
la presenza o la mancanza della terra rossa dipenda essenzial-
mente da condizioni di clima ; che essa mostrasi solo colà ove
esiste un clima asciutto e una conseguente scarsa vegetazione,
mentre che non può comparire ove esiste un clima umido, una
ricca vegetazione ed una conseguente accumulazione di sostanze
organiche.
La sola eccezione che a mio credere si potrebbe opporre a
detta regola, sta nell’ altipiano di calcare giurese della Germa-
nia citato anche dal prof. Neumayr. Per quanto però è a mia
scienza, le argille ferruginose non presentano qui uniformemente
sopra r intiero gruppo, come è il caso dovunque della zona me-
diterranea e dove essa è in continua formazione ; ma trovasi
essa piuttosto in singole depressioni e spaccature insieme alle
ossa di mammiferi terziari e si potrebbe benissimo dimandare
se questa terra rossa non debba la sua origine al più caldo
clima deir epoca terziaria.
NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE.
L. Bombicci. Corso di Mineralogia , seconda edizione
variata ed accresciuta. — Yol. Il, Bologna, 1875.
Nel fascicolo N” 1-2, 1873, di questo nostro periodico, ren-
dendo conto ai lettori della prima parte del Corso di Minera-
logia, del prof. Bombicci, esprimemmo la speranza che la se-
conda parte sarebbe degno seguito alla prima e che tutta
r opera sarebbe stata tale da dover andar per le mani degli
studiosi di Mineralogia non solo italiani, ma eziandio stranieri.
E questa nostra speranza non venne delusa, e noi, facendoci
ad adempiere all’ obbligo nostro di annunziare la pubblicazione
deir aspettata seconda parte, ci sentiamo in dovere di comin-
ciare col proporre un plauso all’ egregio prof. Bombicci e di
segnalarlo alla pubblica benemerenza.
Questo secondo volume di 1031 pagine tratta esclusivamente
della parte descrittiva dei minerali che 1’ Autore ha svolta se-
condo la medesima cassazione mineralogica proposta fino dal
1862 nella prima edizione del suo Corso di Mineralogia ; ^ e sa-
rebbe precisamente un fuor d’ opera farne qui una minuta ras-
segna dopo tanto tempo che essa è in dominio del pubblico
scientifico. — Piuttosto saranno da accennare alcune delle più
importanti modificazioni e novità che 1’ Autore ha introdotto nel
suo libro nello svolgimento del suo programma.
In primo luogo è degna di molta considerazione l’ usanza
introdotta di aggiungere, come appendice alla descrizione di
quelle specie minerali che lo richiedessero, quelle monografie o
‘ Il prospetto della pag. 236 della edizione corrisponde infatti perfetta-
mente al prospetto della pagina 386, 1° voi., 2» ediz.-, quando si scambino fra di
loro le linee orizzontali della prima con le colonne verticali della seconda. La
sola modificazione fatta nella 2^ edizione è quella di aver riunito nello stesso
III ordine Binari non ossigenati, l’ordine II e l’ordine III della edizione,
cioè Binari non ossigenati e i sulf osali.
— 264 —
parti (li monografie di scrittori specialisti che più facessero al
caso, dando così una splendida dilucidazione a chi volesse occu-
parsene ed eliminandola, per così dire, a favore di chi cercasse
nel libro soltanto un insegnamento elementare. Tali sono per
esempio le appendici alla descrizione delle meteoriti, desunte
dalle opere del Daubrée, del Meunier, del Michez (commenta-
tore dello Schiaparelli) ; T appendice sulle miniere ferrifere del-
V isola d’ Elba ricavata dalla ben nota Memoria del prof. Cocchi ;
quella sulle Salse e Maccalube dai lavori del Bianconi, del Sil-
vestri e dello Stoppani; quella sulla zona solfifera di Sicilia del-
r ingegnere Mottura ; quella sulle analisi di alcuni solfuri del-
r Autore ; quelle sui campi diamantiferi del Capo del signor Des
Demaines-Hugon ; quelle sulle Gemme; e non poche altre (Vedi
pag. 1012, 2° volume).
Una seconda buona innovazione fu di aver disseminate lungo
il libro le tavole prospettico-descrittive dei minerali, che nella
1^ edizione erano messe tutte di seguito avanti alla descrizione
dettagliata delle più importanti specie minerali. E una como-
dità grandissima anche in vista della mole del libro, che per-
mette difficilmente di riunire in un solo volume le due parti del
secondo volume.
Fra le molte altre novità di cui è pieno il libro del Bom-
bicci merita speciale menzione per la sua grande importanza
quella della classazione dei Silicati, scoglio perenne e spesso fa-
tale contro cui vanno ad urtare le classazioni mineralogiche
proposte da molti autori. Il prof. Bombicci comincia coll’ abbat-
tere 1’ antica divisione dei silicati in anidri ed idrati, seguendo
in questa via 1’ esempio dato dal prof. A. D’ Achiardi nel II voi.
della (( Mineralogia della Toseana » estendendo a tutti i mine-
rali conosciuti il metodo che il D’ Achiardi non potè applicare,
per T indole della sua pubblicazione, che ai silicati toscani. Se-
condo questo principio T acqua vi funge generalmente come ele-
mento di cristallizzazione ; mentre secondo il metodo D’ Achiar-
diano 1’ acqua ha sempre una funzione basica. Ciò ammesso, i
silicati sono considerati come divisi in due distinte categorie :
monogenici e poligenici (o multipli). Questi secondi sarebbero
formati dall’ associazione meccanica dei primi in proporzioni di-
verse. I primi invece sarebbero tutti quelli che si possono ri-
— 265 -
durre ad una qualunque delle tre formole seguenti di silicati
di idrogeno:
r H, Si O3
2° Hi Si O4
3” Hg Si O5
Delle quali quella di mezzo costituisce V acido silicico neutro,
normale, e a cui corrispondono i silicati normali; la prima rap-
presenta un grado di disidratazione della seconda sunnominata,
e sarebbe la prima anidride silicica e vi corrispondono i silicati
ad eccesso di acido, cioè i così detti soprasilicati; la terza
finalmente rappresenta un grado di idratazione della normale
cioè il primo idrato silicico e vi corrispondono i silicati basici
0 sottosilicati. Anche in questa divisione troviamo le tracce
della ricordata classazione proposta dal D’ Achiardi, quantunque
quest’ ultimo l’ abbia proposta per tutti i silicati, mentre il Bom-
bicci l’adotta soltanto per i monogenici; e ciò, unito al diverso
modo di considerare le funzioni dell’ acqua dà origine ad una
sensibile divergenza nelle applicazioni, massime nei sottosilicati
e soprasilicati.
In quanto ai silicati multipli non è qui luogo di tentare di
darne la teoria che ognuno può invece studiare nel libro stesso
e nelle pubblicazioni separate del medesimo Autore sull’ argo-
mento; soltanto diremo che mentre i monogenici sono classati
secondo il tipo di composizione (dipendente dall’ elemento mine-
ralizzatore), i poligenici lo sono subordinatamente alla specie
che vi prevale 0 di cui sono più manifestamente mantenuti i
caratteri. In tal modo si hanno i Firosseni (1° tipo); i Peridoti
(2° tipo) e le Andalusiti (3® tipo) ; che comprendono tutti i si-
licati monogenici ; dall’ associazione dei Peridoti e dei Pirosseni
si hanno i Serpentini; dall’associazione dei Peridoti, dei Piros-
seni, delle Andalusiti e dell’ acqua si hanno le Cloriti e le Mi-
che ; e se si vuole come caso particolare i Granati ; dall’ asso-
ciazione dei Pirosseni, delle Andalusiti, di quarzo e di acqua, i
Feldispati e le Zeoliti; e in questi diversi casi di associazione
si troverebbero compresi tutti i silicati poligenici.
E una classazione degna di ogni studio e di certo non sarà
questo un fatto scientifico che possa passare inosservato dagli
18
- 266 —
studiosi e speriamo ne venga fatta una completa ed efficace di-
scussione.
Alcune cose sarebbero ancora qua e là da segnalarsi in que-
sto prezioso libro ; per esempio le descrizioni delle principali
specie le quali sono per alcune parti vere e proprie monografie,
fra cui citiamo quella del Quarzo ; ^ alcune vere e proprie curio-
sità scientifiche di cui ci dà un esempio il quadro della pa-
gina 661 del II volume dal quale apprendiamo in quanti modi
diversi di associazione può immaginarsi prodotto il gr^ato sem-
pre coerentemente alla sua forinola generale di associazione.
Così per citarne alcuni il granato può essere costituito per as-
sociazione poligenica o da Peridoto, Pirosseno e Andalusite, o
da Andalusite e Serpentino, o da Peridoto e Vernerite, o da
Gehlenite e Silice o da Damouriti e 2R2O, ec. — E ciò è utilis-
simo per aiutarci a trovare la paragenesi di tal minerale nei
suoi molti e diversi giacimenti.
Finalmente, per finire, notiamo la novità di trovare inclusa
come varietà della silice idrata anche le agate, i calcedoni!, le
selci e i diaspri che finora vennero classate come varietà amorfe
e anidre del quarzo, stantechè V Autore le considera come va-
rietà composte di silice opalina (silice pura e acqua) e quarzo
insieme commisti.
Aggiungiamo agli altri suoi pregi quello di un costo mode-
rato relativamente alla mole della pubblicazione, e siamo con-
vinti che il paese vorrà corrispondere splendidamente alla fiducia
che r Autore ha avuta in esso, sobbarcandosi ad una impresa,
per la quale saranno di certo necessitati sacrifizi! grandissimi
di tempo, di studio, di fatica e di danaro.
G. Grattarola.
‘ Con ragione il prof. Bombicci potè dare questa monografìa del quarzo :
egli ha potuto ordinare nel Museo universitario di Bologna una delle più belle
collezioni di quarzi che si conoscano e vi fanno la prima figura i più belli esem-
plari conosciuti di quarzo di Porretta.
- 267 -
r
G. CapeIjLINI. — Considerazioni sui Cetoterii bolognesi.
Con due tavole. — Bologna, 1875.
Nella seduta 18 marzo scorso, dell’ Accademia delle Scienze
deir Istituto di Bologna, il prof. Capellini presentava questo suo
lavoro che poi vide la luce nelle Memorie della stessa Accade-
mia. In esso l’Autore fa la storia delle scoperte di avanzi di
cetacei nelle colline bolognesi, dalle poche vertebre ed altre ossa
scavate nel 1751-52 ed illustrate dal Biancani alla balenottera
di San Lorenzo in Collina trovata nel 1862 e con tanta fatica
e pazienza raccolta e restaurata dal Capellini. Una memoria
pubblicata nel 1865 dà a conoscere i primi risultamene dello
studio intrapreso su questo interessante individuo ; il presente la-
voro ne completa la illustrazione e da esso l’Autore coglie oc-
casione per parlare in generale degli avanzi di cetacei finora
scoperti in Europa e segnatamente in Italia.
Di quanti si occuparono di cetacei fossili, il Brandt trattò
diffusamente di questo individuo in una sua memoria pubblicata
nel 1873, e conchiuse riferendo la balenottera di San Lorenzo
ai Cetoterii e dubitativamente al sottogenere Getotheriophanes
fondando la nuova specie C. Capeìlinii.
L’Autore dà la descrizione particolareggiata degli avanzi di
questo fossile che si conservano nel Museo della K. Università di
Bologna, e mette in evidenza le differenze fra il cranio restau-
rato ed i frammenti coi quali potè abbozzare la figura d’insieme
che fu annessa alla sua prima memoria. Discorre anche di altri
avanzi di Cetoterii che probabilmente provengono dai dintorni
di Bologna, rinvenuti in occasione del trasporto delle collezioni
nel nuovo Museo di paleontologia : ma di questi isolati frammenti
è impossibile per ora indicare la specie.
Tratta infine nelle sue conclusioni della distribuzione dei re-
sti di Cetoterii in Europa, nello scopo di contribuire a far co-
noscere in quali condizioni climatologiche si trovavano le regioni
ove ora si incontrano gli avanzi di questi animali, e quale doveva
essere in quelle epoche la distribuzione delle terre e dei mari;
e ciò gii offre argomento di importanti considerazioni. Tutti gli
268 —
avanzi di Cetoterii trovati nel mezzodì della Eussia e nel Ba-
cino di Vienna sono riferiti al sottogenere Eucetotlieriim, da
considerarsi dunque come il tipo più orientale : il sottogenere
Plesiocetopsis è riguardato come un tipo esclusivo del nord-ovest
d’Europa, e il Cetotheriophanes come tipo del sud-ovest. Tutti
questi avanzi provengono da formazioni appartenenti al miocene
medio e superiore ed al pliocene inferiore.
Il volume è corredato da due tavole rappresentanti a un
quinto del vero i resti di Cetoterii esistenti nel Museo bolognese ;
nella prima havvi una ricostruzione a un venticinquesimo del vero
dell’ intiero scheletro di C. Capellinii, il quale dai calcoli fatti
risulterebbe lungo m. 7, 39, cifra che corrisponde con quella tro-
vata altra volta con elementi anche meno sicuri.
0. Heer. — Flora fossilis ar etica, voi. III.
Zurich, 1875.
I primi due volumi della Flora fossile artica del prof. Heer,
sono tanto conosciuti dagli studiosi di paleofitologia quanto il nome
del loro illustre autore. Un terzo volume è stato pubblicato re-
centemente coi materiali raccolti durante la spedizione polare
svedese sotto la direzione del prof. Nordenskiold. Questo volume
completa assai bene 1’ opera, essendo esso d’ un’ esecuzione inap-
puntabile ed offrendo fatti interessanti riguardo alle flore geo-
logiche delle regioni artiche e polari : esso contiene, V una nota
sulla flora carbonifera dello Spitzberg, con 6 tavole ; 2° la flora
cretacea della zona artica, con 38 tavole ; 3° un’ appendice alla
flora miocenica della Groenlandia, con 5 tavole ; 4® una rivista
generale della flora miocenica della zona artica.
Nella prima parte vediamo citate alcune specie ben note, come
il Calamites radiatus^ Ugt., e il Lepidodendron Veltìieimianum,
Stb., insieme colla Stigmaria ficoides var. inaequalis la quale
altro non è probabilmente che la radice della precedente, e colla
Cyclostigma Nathorsti, H.
La parte più importante di questa pubblicazione è quella che
riguarda la flora cretacea, non soltanto per la ragione che la
— 269 —
vegetazione dell’ epoca della creta è sinora poco conosciuta, ma
altresì perchè l’Autore cita fatti relativi a molti interessantis-
simi problemi che vi sono abilmente presentati e discussi. Que-
sta parte ha inoltre un particolare interesse a cagione della re-
cente scoperta fatta nella Nebraska e nel Kansas (America del
Nord) d’ una formazione terrestre riferibile alla stessa epoca del
cretaceo superiore della Groenlandia, nella quale formazione fu
trovato un gran numero di piante fossili che furono da poco
tempo descritte dal Lesquereux.*
Le piante fossili della Groenlandia appartengono a due piani
del cretaceo. L’ inferiore per i caratteri paleontologici va inti-
mamente legato al Giura superiore, la flora essendovi special-
mente composta di felci, conifere, cicadee con alcune poche
monocotiledoni ed una sola dicotiledone rappresentante in appa-
renza una specie del genere Fopulus. Il piano superiore poi ha
nella sua flora, insieme con una gran quantità di felci e conifere,
due sole specie di Cycas e 34 specie di dicotiledoni, (più della metà
della intiera flora). Tra queste vi sono specie dei generi Myrica,
Ficus, Sassafras (una specie), Andromeda, Diospyros, Magnolia ec.,
che sono pure rappresentate nel cretaceo di Nebraska con forme
identiche od almeno analoghe. Però giova aggiungere che del-
le 130 specie descritte del gruppo di Dakota nella Nebraska,
113 sono dicotiledoni, e molte del genere Liquidambar, Salix,
JBetuìa, Alnus, Quercus, Fagus, Flatanus, Larus, Liriodendron, Me-
nispermum, non sono rappresentate nella flora della Groenlandia.
Nella Nebraska vi è pure una preponderanza di specie referibili
al genere ^Sassafras mentre per la Groenlandia una sola foglia è
descritta come appartenente a questo genere. Una divisione in-
termedia, che apparterrebbe al cretaceo medio, è rappresentata
nel volume di Heer da un piccolo numero di piante dello Spitzberg,
in tutte 16 specie di felci e conifere con un solo Fquisetum.
Nella terza parte sono illustrate alcune piante d’ epoca mio-
cenica, in aggiunta a quelle descritte nei primi due volumi, in
seguito alle scoperte fatte da Nordenskiòld in Groenlandia. Que-
sti nuovi fossili sono divisi in tre categorie a norma dei loro
giacimenti distinti come segue : l’ inferiore formato da sabbia,
‘ Ved, American Journal, voi. IX, pag. 227.
270
arenaria e scisti, listerelle di carbon fossile e argilla ferrifera;
il mediano, da strati di sabbia e argilla ferrifera intercalati in
un potente giacimento di basalto, tufo e lava ; il superiore da
depositi di sabbia e argilla visibili alle coste meridionali del-
r isola Disco, d’età più giovane del basalto il quale posa diret-
tamente sulle rocce gneissiche. Per queste ricerche la flora mio-
cenica di Groenlandia si è arricchita di 34 nuove specie, cosicché
il numero totale di quelle conosciute flnora è di 169.
La quarta parte finalmente chiude il terzo volume della Flora
fossilis arctica con una rivista generale della flora miocenica
delle regioni polari.
AVVISO.
Si invitano i signori abbonati, i quali non hanno
ancora versato la loro quota di abbonamento per
1’ annata in corso, all’ uffizio di Segreteria del R. Co-
mitato Geologico (Roma, Piazza San Pietro in Vin-
coli, n“ 5), a volerlo fare senza ritardo onde evitare
interruzioni nella trasmissione del periodico.
La Dieezione.
(Continuazione.)
Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica
d’Italia. — Volume II, Parte P; Firenze 1873. — 272 pa-
gine in-4° con 11 tavole, due Carte geologiche ed incisioni
intercalate nel testo.
Comprende le seguenti Memorie :
Introduzione. — Monografia geologica déW Isola d’ Ischia,
con la Carta geologica della medesima in fol. e incisioni nel
testo, del professor C. W. C. Fuchs. — Esame geologico della
catena alpina del San Gottardo, che deve essere attraversata
dalla grande Galleria della Ferrovia Italo-Elvetica, con una
Carta geologica in fol. e due tavole di Sezioni in fol., dell’in-
gegnere F. Giokdano. — Appendice alla Memoria sulla for-
mazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, con una
tavola, dell’ ingegnere S. Mottura. — Malacologia pliocenica
italiana (Parte P, Gasteropodi sifonostomi) ; fascicolo 2®, con
otto tavole, di C. D’ Ancona.
Prezzo del Voi. II" (Parte P), Lire 25.
Carta Geologica del San Gottardo, nella scala di
1 per 50,000, di F. Giordano. — Un foglio in cro-
molitografia L. 5. —
Carta Geologica dell’Isola d’ Ischia, nella scala di
1 per 25,000 di C. W. C. Fuchs. — Un foglio in
cromolitografia L. 3. —
Memorie per servire alla descrizione delia Carta Geologica
d’ Italia. — Voi. II, Parte 2^ ; Firenze 1874. — 68 pag. in 4"
con due tavole. — Contiene la seguente Memoria : B. Ga-
. STALDi, Studii geologici sulle Alpi Occidentali; Parte 2®.
Prezzo del Voi. Il" (Parte 2"^), Lire 5.
Per le commissioni dirigersi al Segretario del E. Co-
mitato Greologico, in Eoma, Piazza San Pietro
in Vincoli, N, 5.
Annunzi di pubblicazioni.
C. J. Foksyth Major. — Considerazioni sulla Fauna dei mammiferi plio-
cenici e postpliocenici della Toscana. — (Atti della Società Toscana
di Scienze Naturali, voi. I, fase. 1). — Pisa 1875, pag. 33, in-8°. (con-
tinua).
R. Lawley. — Dei resti di pesci fossili del pliocene toscano. — (Atti
della Società Toscana di Scienze Naturali, voi. I, fase. 1). — Pisa
1875, pag. 8, in-8®.
A. D’ Achiardi. — Coralli eocenici del Friuli. — (Atti della Società To-
scana di Scienze Naturali, voi. I, fase. 1). — Pisa 1875, pag. 16,
in-8° con due tavole (continua).
M. S. De Rossi. — Primi risultati delle osservazioni sulle oscillazioni
microscopiche dei pendoli. — Roma 1875, pag. 40, in-4°.
C. De Stefani. — Di alcune conchiglie terrestri fossili nella Terra
rossa della pietra calcare di Agnano nel Monte Pisano. — Pisa
1875, pag. 5, in-8°.
— Natura geologica delle colline della Val di Nievole e delle valli
di Lucca e di Bientina. — Pisa 1875, pag. 6, in-8®.
— Descrizione di nuove specie di molluschi pliocenici italiani. —
(Bull, della Società Malacologica italiana, voi. I, fase. 1). — Pisa 1875,
pag. 9, in-8®.
A. Bellardt. — Novae Pleurotomidarum Pedemontii et Liguriae fossi-
lium dispositioiìis prodromus. — (Bull, della Società Malacologica
italiana, voi. I, fase. 1). — Pisa 1875, pag. 9, in-8'\
P. Mantovani. — Delle argille scagliose e di alcuni Ammoniti dell’ Ap-
pennino dell’Emilia. — (Atti Soc. It. Scienze Naturali, voi. XVIII,
fase. 1). — Milano 1875, pag. 35, in-8®.
G. Omboni. — Di alcuni oggetti preistorici delle caverne di Velo nel
Veronese. — (Atti Soc. It. Scienze Naturali, voi. XVIII, fase. 1). —
Milano 1875, pag. 14, in-8® con una tavola.
A. De Zigno — Sirenii fossili trovati nel Veneto. — (Memorie del R.
Istituto Veneto, voi. XVIII). — Venezia 1875, pag. 30, in-4® con
cinque tavole.
— Sui mammiferi fossili del Veneto. — Padova 1875, pag. 16, in-8°.
L. Bombicci. — Corso di Mineralogia. — (Seconda edizione grandemente
variata ed accresciuta), voi. 2® diviso in due parti. — Bologna 1875,
pag. 1032, in-8° con tavole ed incisioni.
A. Stoppani. — Sui rapporti del terreno glaciale col pliocenico nei
dintorni di Como. — Milano 1875 (Atti della Soc. Ital. di Scienze
Nat., voi. XVIII, fase. 2); pag. 25 in-8°.
A. D’Achiardi. — Sulla Cordìerite nel granito normale dell’ Elba e sulle
correlazioni delle rocce granitiche con le trachitiche. — Pisa 1875
(Atti della Soc. Tose, di Scienze Nat., voi. II, fase. 1) ; pag. 12 in-8°.
Gemmellaro (G. G.) e Di Beasi (x\.). — Pettini del titonio inferiori, del
nord della Sicilia. — Catania 1874 (Atti Acc. Gioenia, serie 3^,
tomo IX) ; pag. 44 in-4'’ con quattro tavole.
G. Capellini. — Sui Cetoterii bolognesi. — Bologna 1875 (Memorie del-
l’Acc. delle Scienze, serie 3®, tomo V, fase. 4) ; pag' 32 in-4 con due
tavole.
G. Strììver. — Sulla Gastaldite, nuovo minerale del gruppo dei bisili-
cati anidri. — Roma 1875 ; pag. 5 in-4°.
B. Gastaldi. — Cenni sulla giacitura del Cervus euryceros. — Roma 1875;
pag. 6 in-4° con una tavola.
T. Taramelli. — Dei terreni morenici ed alluvionali del Friuli. —
Udine 1875 (Annali scientifici del R. Istituto Tecnico di Udine,
anno Vili); pag. 100 in-8® con 2 tavole.
Anno 187S.
Il» 9 e 10.
R. COMITATO GEOLOGICO
D’ ITALIA.
Bollettino N° 9 e IO.
Settembee e Ottobre 1875.
-O-oJ^JS^OO-
O
ROMA,
TIPOGRAFIA BARBÈRA.
1875.
Bollettino (teologico per il 1870. — Un voi. in-S*" di pag. 324.
» » PER IL 1871. — Un voi. in-8° di pag. 296.
» » PER IL 1872. — Un voi. in-8® di pag. 376.
» » PER IL 1873. — Un voi. in-8° di pag. 400.
» » PER IL 1874. — Un voi. in-8° di pag. 408.
Prezzo di ciascun volume L. 10.
Associazione al Bollettino del 1875 (Anno YP). — Per
l’Italia L. 8, Estero L. 10.
I fascicoli bimestrali del Bollettino si vendono anche se-
paratamente al prezzo di L. 2 ciascuno.
Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica
d’Italia. — Volume P; Firenze 1871. — 404 pagine in-4°
con 23 tavole, due Carte geologiche e varie incisioni inter-
calate nel testo.
Comprende le seguenti Memorie :
Introduzione — Studii geologici sulle Alpi Occidentali, di
B. Gastaldi, con cinque tavole ed una Carta geologica. —
Cenni sui graniti massicci delle Alpi Piemontesi e sui mine-
rati delle valli di Lanzo, di G. Struver. — Sulla formazione
terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura,
con quattro tavole. — Descrizione geologica delV Isola d’ Uba,
di I. Cocchi, con sette tavole ed una Carta geologica. —
Malacologia pliocenica italiana (Parte P, Gasteropodi sifo-
nostomi) di C. D’ Ancona ; fascicolo 1% con sette tavole.
Prezzo del Voi. F, Lire 35.
Brevi cenni sui principali Istituti e Comitati Geo-
logici e sul B. Comitato Geologico d’ Italia, di
I. Cocchi. — Pag. 34 in-d® L. 1.50
Carta Geologica della parte orientale dell’ Isola
d’Elba, nella scala di 1 per 50,000, di I. Coc-
chi. — Un foglio in cromolitografia L. 3. 00 *
{Continua,) |
BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO
D’ ITALIA.
9 e {0. — Sellembre e Ottobre 1875.
SOMMARIO.
Note geologiche. — I. Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica del-
l’Italia Meridionale, per G. Sequenza. (Continuazione.) — II. Notizie pre-
liminari su le piante ed insetti fossili della formazione solfifera della Sicilia,
per E. Stoehr. — III. Le formazioni plioceniche di Siracusa e di Lentini, per
Th, Fuchs e Al. Bittner. — IV. Il territorio di Zoldo e di Agordo nelle Alpi
Venete, per K. v. Mojsisovics. — V. Ricerche nella valle superiore del Rienz
e nei dintorni di Cortina d’Ampezzo, per R. Hòrnes. — VI. I Caolini e le
Argille refrattarie in Italia, per P. Zezi.
Notizie bibliografiche. — A. Manzoni, I Briozoi delplioceno antico di Ca-
strocaro; Bologna, 1875. — G. vom Rath, I Monzotn nella parte S.E. del
Tirolo ; Bonn, 1875. — E. VON Mojsisovics, Sull’estensione e la struttura
delle masse dolomitiche nel S.E. del Tirolo. — E. Stoehr, Katechismus
der Bergbaukimde; Wien, 1875. — J. Dana, Marmai of Geology, second
edition; New-York, 1875.
Notizie diverse. — Le ultime eruzioni vulcaniche nell’ Islanda. — Ricerche
geologiche nel mezzodì della Spagna. — Le piriti in Francia. — Formazione
contemporanea dei minerali. — Minerali tellurici del Chili. — Studii sui
terremoti.
NOTE GEOLOGICHE.
I.
Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica
deir Italia Meridionale., per G. Seguenza.
(Continuazione. — Vedi Bollettino, N. 7-8.) ’
Elenco dei Cirripedi e dei Molluschi della zona superiore
dell’ antico plioceno.
I
— 276
235 s.
236 ].
237 1.
•238M.
239* 1.
240* ].
241*1.
242* 1.
*1.
243* 1.
244 c.
245* c.
246 c.
247* c.
248* c.
249* c.
250* c.
251* c.
252* s.
253 1.
2541.
255 1.
256* 1.
257* 1.
258* 1.
259* 1.
260* 1.
261*1.
262* 1.
263 1.
264 1.
265* 1.
266*1.
267* 1.
268* 1.
269* 1.
270* 1.
271* 1.
272* 1.
Gen. Lacheais Risso,
vulpecula Monterosato
Gen. Columbella Lamarck.
rustica Linneo (Voluta) ......
scripta Linneo (Murex)
semicaudata Bonelli (M. S.) . . .
stazzanensis Bellardi (M. S.) . . .
turgidula Brocchi (Voluta) . . . .
curta Dujardin (Buccinum) . . . .
corrugata Brocchi (Buccinum) . .
» var. A. Bellardi . . . .
Calcarae (Seguenza)
Graeci Philippi
var. costata
erythrostoma Bonelli (M. S.)
costolata Cantraine (Fusus)
» var. acutecostata Phil. (Bucc.)
subulata Brocchi (Murex)
Bellardii Seguenza
nassoides Bellardi
compta Bronn (Fusus).
thiara Brocchi (Murex)
semicostata Cantraine (Fusus)
Gen. Cyclonassa Swainson.
neritea Linneo (Buccinum)
Gen. Nassa Lamarck.
= L. recondita Brugnone,
Riportata dal Calcara ad Altavilla
= C. scripta e Gervillii Monterosato . . . .
= C. semicaudata Bellardi, Sismonda. . . .
Nuova specie che sarà descritta daH’autoi
Columbella turgidula Bellardi, Sismonda.
Linnaei Calcara (non Payraudeau) . . . .
= Columbella curta Bellardi, Sismonda . .
=r Columbella corrugata Bonelli, Bellardi .
Gli ultimi anfratti senza costole
Questa specie fu confusa dal Calcara colla
che non trovasi ad Altavilla e detta Bucci
chi. Ordinariamente credesi una varietà pù
C. subulata, ma è ben distinta per P ap
altre note
=: Mitra striatella Calcara, Mitra olivoidea
C. Graeci Monterosato
= Mitra columhellaria Scacchi
= C. erythrostoma Bellardi, Sismonda . .
= Buccinum Testae Aradas, Fusus Caillam
Columbella Haliaeti Jeflfr.
Costole più rade, conchiglia più rigonfia. .
= Fusus politus Philippi. (Non C. subulata
=ì C. subulata Bellardi. (Non Murex subulatu
r= C. subulata Bonelli (M. S.) (non Sellar
politus Calcara
= Columbella compta Bellardi
=: Columbella thiara Bonelli, Bellardi ec. .
Buccinum elegantissimum Aradas, Buccii
costatum Seguenza. Specie intermedia tra
rugata e la C. costulata
Buccinum neritoides Calcara, B. neriteum
clope neritea, Cyclonassa neritea Monter
gibbosula Linneo (Buccinum) 2
mutabilis Linneo (Buccinum)
obliquata Brocchi (Buccinum)
Bonelli Bellardi
pupa Brocchi (Buccinum)
conglobata Brocchi (Buccinum)
scalaris Borson
semicostata Brocchi (Buccinum)
musiva Brocchi (Buccinum)
reticolata Linneo (Buccinum)
Cuvieri Payraudeau (Buccinum)
= Nassa gibbosula Monterosato
= Buccinum mutabile Calcara, Philippi. N.j
Monterosato ]
= B. mutabile var. obliquata Calcara, Phil
=: Buccinum mutabile Brocchi (parte). . . .
=: Buccinum pupa Calcara i
=: N. scalaris Foresti
F distinta dalle diverse varietà della N. sif
= Buccinum musivum Calcara, Philippi . .
= Buccinum reticulatum Calcara, Philippi.
lata Monterosato
= Buccinum subdiaphanus Bivona, Calcara,!
variabile Philippi, Nassa Cuvieri Monter ì
Basteroti Michelotti
Bufo Doderlein = Nassa Bufo Foresti. .
turbinella Brocchi (Buccinum)
Strobeliana Bocconi . =: N. Strobeliana Foresti,
angolata Brocchi (Buccinum)
ringens Bonelli
serrati costa Bronn
asperata Bocconi
277
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
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L.
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0,
M.
-- 278 —
273* c.
turrita Borson
£=: Buccinum Lamarckianum Calcara?. . .
274* c.
275 c.
angiostoma Doderlein
semistriata Brocchi (Buccinum)
= Buccinum corniculum Brocchi (non Olivi)
striatum Philipp!, Nassa semistriata Mon
c.
» var. integro-striata Sismonda.
= N. seraistriata var. integro-striata Fore:
mistriata var. seconda Calcara. N. semist
c.
» var. turrita Foresti
= N. semistriata var. prima Calcara . . . .
276* c.
costolata Brocchi (Buccinum)
=B. semistriatum var. 6 . Phil. Non N. costuU
277 c.
serrata Brocchi (JBuccinum)
278* c.
clathrata Boro. (Buccinum)
Buccinum clathratum Brocchi
* c.
» var. craticulata Foresti. . . .
279 c.
prismatica Brocchi (Buccinum)
= Buccinum prismaticum Calcara, Philipp!
280 c.
limata Chemnitz (Buccinum)
= Buccinum prismaticum Calcara, Philipp
N. limata Monterosato
» var. peloritana
Anfratti più convessi, costole rotondate, stri
sali assai sottili, apice più ottuso, rotoad
distinta specie
281 c.
incrassata Muller (Tritonium)
= Buccinum asperulum Brocchi, Calcara, B.
ascanias Phil,, N. incrassata Monterosat
282* c.
pusilla Philipp! (Buccinum)
Non è da confondersi menomamente colla
costa come alcuni credono
288* s.
spinulosa Philipp! (Buccinum)
Gen. Phos Monfort.
— N. spinulosa Seguenza .
284* 1.
polygonus Brocchi (Buccinum)
Gex. Terebra Lamarck.
/
285* 1.
fuscata Brocchi (Buccinum)
=3 Terebra fuscàta Philipp!. Terebra subula
(non Lamarck)
286* 1.
plicatula Lamarck
= Buccinum cinereum Brocchi (non Linneo
solcata Calcara
287* 1.
288* 1.
acuminata Borson
pertusa Basterot
!=: Buccinum strigilatum Brocchi (non Linn
289*1.
Basteroti Nyst .
=3 Buccinum duplicatum Brocchi (non Linneo
duplicata Calcara, Philipp!
290* 1.
reticularis Pecchioli (M. S.)
Gen. DoUum Lamarck.
Inviatami con tale nome dal signor Lawlej
291*1.
denticulatum Deshayes
Gen. Cassia Bruguière.
== Buccinum pomum Brocchi (non Linne
sulcosa Calcara ? (non Lamk.)
■
292 1.
saburon Lamarck
= Buccinum saburon Brocchi, Cassis tex
Calcara, Cassis saburon Philippi, Monter'
1.
» var. B. laevis evaricosa Bronn.
— Cassis laevigata Defrance, Monterosato,!
areola Brocchi. Var. Calcara !
1.
» » C. laevis varicosa Bronn .
1.
» » striata Bronn
=3 Cassis striata Defrance, Buccinum saburo
293* 1.
crumena Bruguière (Cassidea)
==; Buccinum plicatum Brocchi (non Linne
plicata Bronn^
294*1.
variabilis Bellardi e Michelotti
= Buccinum intermedium Brocchi, Cassis
Borson
Gen. Cassidaria Lamarck.
[
(
295 c.
echinophora Linneo (Buccinum)
=: Buccinum diadema Brocchi. C. echinophoiH
296 c.
thyrrhena Chemnitz (Buccinum)
=33 C. thyrrhena Philippi, Monterosato . . .
1
279
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
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18
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B.
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B.
A.
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M.
B.
Zona lusitanica.
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B.
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— 280 -
297 1.
Gen. Euthria Gray.
cornea Linneo (Murex)
= Murex corneus Brocchi, Fusus lignarius
298^ 1.
Altavillae n. sp
Fusus lignarius, corneus Phil., Euthria come.
Prossima alla precedente, più breve, avv
299* 1.
adunca Bronn (Fusus)
meno convessi ec
3001.
Gen. Pisania Bivona.
maculosa Lamarck (Buccinum)
= Pisania striatola Bivona. Buccinum m
*1.
» var. magna Foresti.
B. pusio Philippi. P. maculosa Monteross
30r].
Gen. Follia Gray.
turrita Borson (Murex)
= Murex fiexicauda Bronn. M. fusulus D’An
302 1.
fusulus Brocchi (Murex)
Brocchi)
= Murex Spadae Libassi, M. fiexicauda ]
303* 1.
gracilis n. sp
(non Bronn)
Più gracile della precedente, strie transverse
304* 1.
plicata Brocchi (Murex)
merose e più grossolane. Specie comune ad
= Pollia plicata Bellardi
305* 1.
pusilla Bellardi
=3 Murex exiguus D’Ancona (non Dujardin).
306* 1.
Gen. Anura Bellardi.
inflata Brocchi (Murex)
= Fusus inflatus Foresti, A. inflata Bellard
307* 1.
Gen. Metula H. et A. Adams.
mitraeformis Brocchi (Fusus)
= Fusus mitraeformis Libassi
308* 1.
Geìt. Jania Bellardi.
anguiosa Brocchi (Murex)
= Jania angolosa Bellardi
309*1.
Gen. Fasciolaria Lamarck.
fimbriata Brocchi (Murex)
= Murex fimbriatus Calcara
310*1.
311*1.
Lawleyana D’ Ancona
Hornesii Seguenza
= Fasciolaria fimbriata Hoernes (non M.
312* 1.
etrusca D’Ancona
Brocchi) F. fimbriata (parte) Foresti . .
“Fusus D’Anconae Pecchioli
313*1.
Tarbelliana Grateloup
== F. Tarbellianus Foresti i
3141.
tarentina Lamarck
== Fasciolaria tarentina Phil., F. Ugnarla Md
*
var. cingolata Foresti
315* 1.
fusoidea Pecchioli
Denominazione manoscritta datami dal sign
316*1.
costata Bonelli
•
Gen. Clavella Swainson.
1
1
317* s.
filosa n. sp
■ — Fnsns fìlnsns Sfie'iip.nzfl. fM. R.ì 1
318*1.
319* 1.
Gen. Fusus Lamarck.
criapns Borson
1
i
— F. rostratus var. Bellardi j
cinctus Bellardi e Michelotti
— F. rostratus var. Bellardi. .
320* 1.
Borsonianus D’Ancona
i
281
3
4
5
6
1
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— 282
321M.
322* 1.
323* 1.
324*1.
325*1.
326* 1.
*1.
327 c.
*c.
328* c.
329 c.
330' s.
331* 1.
332* 1.
* 1.
333* 1.
*1.
334* 1.
335*1.
336 1.
337*1.
33 S* 1.
339*1.
340* 1.
341 1.
342* 1.
343* 1.
344* 1.
345* 1.
346* 1.
347 1.
348* 1.
349* 1.
*1.
350* 1.
351*1.
rudis Philipp! . .
lamellosus Borson
clavatus Brocchi (Murex)
etruscus Pecchioli
Meneghinianus I)’ Ancona
nodifer n. sp
» var. B
rostratus Olivi (Murex)
» var. Bononiensis Foresti . . .
longiroster Brocchi (Murex)
pulchellus Philipp!
Sottogenere Neptunea Bolten.
contraria Linneo (Murex)
Gen. Murex Linneo.
spinicosta Broun
altavillensis n. sp
» var. B. subspinosa
torularius Lamarck .......
» var. B. cornuta
Veranyi Paulucci
Sowerbyi Michelotti. .' ■
erinaceus Linneo
heptagonatus Broun
absonus Jan
incisus Broderip
Constantiae D’Ancona
scalarioides Blainville
Jani Doderlein
brevicanthos Sismonda
niulticostatus Pecchioli
hirtus n, sp
Hornesii D’Ancona
trunculus Linneo
conglobatus Michelotti
Pecchiolianus D’ Ancona. . . .
» var. bicoronata
Libassi! n. sp
truncatulus Foresti,
= F. lamellosus Bellardi
= F. clavatus Calcara, Philipp!, Bellardi
= F. etruscus D’Ancona, Foresti, Bellardi
Avvolgimenti carenati, carena nodulosa .
Noduli quasi scancellati
= Fusus rostratus Calcara, Philipp!, Mure:
Brocchi, Monterosato
= F. rostratus var. A. Bellardi
= F. longiroster Calcara, Philipp! ....
— Murex rostratus var. Monterosato . . .
= Fusus contrarius Philipp!
c=; M. spinicosta D’ Ancona, Bellardi ec. .
=: M. brandaris ? (parte) Calcara. Spira
sei non spinosi. Distintissimo dal M. l
dalla seguente specie. Comune ad Alta''
Avvolgimenti appena carenati, varici nod;
rena
= Murex J:orularius Bellardi, Murex p
daris D’ Ancona, Murex brandaris (]
cara
=:M. cornutus Calcara (non Linneo). Foi
e con lunghi e forti aculei
= M. tripterus Brocchi (non Linneo) . . .
= M. So^^verbyl D’Ancona, Bellardi. . . .
" M. erinaceus et decussatus Brocchi, M.
Calcara, M. erinaceus Philipp!, Monterò
M. Altavillae Libassi, M. heptagonatr
na, Bellardi
=: M. saxatilis var. Brocchi (non Linneo), M.
Libassi, M. absonus D’Ancona, Bellardi
r=: M. incisus D’Aucona, Monterosato. . .
= M. Constantiae Bellardi
M. distinctus Jan, Calcara, Philipp!, D’
scalarinus Phil., M. scalarioides Bellardi, 3J
= M. distinctus var. Jan, M. pseudo-p
D’Ancona, M. Jani Bellardi
= M. ramosus Brocchi (non Linneo), M. b:
D’Ancona, Bellardi
= M. multicostatus Bellardi
Coste trasverse spinose
= M. trunculus var. 2^ Calcara, M. Home:
= M. trunculus Calcara (parte), Philippi, k
= M. pomum Brocchi (non Linneo), M,
vai*. 3^ Calcara, M. conglobatus D’Anpoi
(parte)
== M. trunculus var. 4^^ Calcara, M. congh
B. e C. Bellardi
L’ ultimo giro ha una serie di spine e posi
una serie di grossi nodi
Affine al M. truncatulus ; Spira più elevati
strette, coste interposte nell’ ultimo av
nulle, suture profonde
= M. truncatulus D’Ancona, Bellardi. . .
4
283
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
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b.
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b.
H-
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P.Fo.
•
Fo.f.Ce
P.
B.
A.
(Continua.)
~ 284 —
n.
Notile 'preliminari su le piante ed insetti fossili della
formazione solfifera di Sicilia, per Emilio Stoehe.
f
Occupato di presente in uno studio dettagliato della colle-
zione da me fatta in Sicilia nella formazione solfifera della pro-
vincia di Girgenti, alcuni amici mi hanno favorito la loro coo-
perazione in tali ricerche. Il dottor von Heyden di Francoforte
si è assunto V incarico della determinazione degli insetti e il
dott. Geyler, anch’ esso di Francoforte, quella delle impronte
vegetali. I signori von Heyden e Geyler hanno già terminato le
loro ricerche ed i resultati ottenuti sono bastantemente interes-
santi, perchè io ne dia fin d’ ora comunicazione a titolo di no-
tizie preliminari.
Le piante e gli insetti studiati provengono per la maggior
parte da quella serie di colline, che a settentrione di Kacal-
muto e Grotte nella provincia di Girgenti, si stende da Ovest
verso Est, e che viene denominata Contrada Cannatone unita-
mente al Monte Pernice. Essa elevasi sopra il mare fino a
590 metri, oppure circa 180 metri sul fondo della valle. In
questa serie d’alture formate dai diversi membri della forma-
zione solfifera, gii strati hanno una inclinazione media di 30 gradi
verso Nord e una direzione generale da S.O. a N.E. ; vi esi-
stono pure diverse perturbazioni locali.
Nella parte superiore vi sono marne calcaree bianchiccie, i
trut)i superiori, contenenti una gran quantità di foraminifere, con
rare tracce di conchiglie marine. Trovasi al disotto una massa
di gesso della potenza di 50 a 70 m. talora costituita da gesso
cristallino, tal’ altra divenendo più o meno marnosa con strut-
tura lamellare. In questa massa gessosa sono racchiusi due de-
positi di solfo (Vanelle), cioè strati calcareo-marnosi contenenti
solfo nativo. Ambedue i depositi vengono lavorati in una serie
di miniere, l’ inferiore contenendo un minerale puro, ricchis-
simo, talvolta con bei cristalli di solfo, mentre il superiore offre
un minerale più povero, frammisto a molto bitume, e perciò colla
I
— 285 -
fusione produce uno zolfo colorato in bruno. Sotto il gesso ri-
posano i tnibi inferiori in nulla dissimili dai superiori e pari-
mente ripieni di foraminifere, contenendo assai raramente resti
di Pecten, Ostrea, Turritella, Trochns, Puccimim e coralli.
Sotto ai trubi seguono scisti da pulire bianchi, lamellari, il
tripoli, pieni d’ infusori. Alla base di tutte queste formazioni e
sotto al tripoli stanno certi calcari cavernosi che emergono a
^uisa di scogli.
I trubi, tanto superiori che inferiori, sono di formazione ma-
rina ; i gessi che vi sono racchiusi insieme alle masse di solfo
sono, al contrario, per lo più, formazioni lacustri, come lo dimo-
strano i numerosi pesci d’ acqua dolce che contengono, nella
maggior parte Lehias crassicauda, e che trovansi negli strati
di gesso marnoso e nei depositi di minerale di solfo ; località
nelle quali si trovano puranche resti di conchiglie marine, sono
assai rare. In questi strati trovansi ancora gli insetti studiati
dal von Heyden e, come rarità, impronte di piante. Quest’ ul-
time, raccolte da me e dal dottore Nocito di Girgenti, furono
determinate dal dott. Geyler e quasi tutte provengono dagli
strati in parola.
Gli scisti sottoposti ai trubi inferiori, i tripoli, oltre agli infu-
sori, dalle corazze silicee dei quali sono quasi intieramente formati,
racchiudono molte impronte di pesci, apparentemente gli stessi de-
scritti da Sauvage degli strati analoghi di Licata. Per la maggior
parte sono marini, misti però a pesci d’acqua dolce, per cui la
formazione del tripoli dovrebbe esser riguardata come origina-
tasi in un estuario, nel quale si riversavano torrenti e fiumi.
Sfortunatamente, per circostanze non prevedute, lo studio, dei
pesci da me raccolti non è peranche compiuto, cosicché non è
possibile al presente dare su tal proposito un giusto giudizio.
In questi tripoli presentansi assai di rado alcune impronte ve-
getali, una delle quali fu determinata appunto dal dott. Geyler.
Nel calcare cavernoso sottostante, che spesse volte costituisce
delle creste pittoresche ed elevate, non è stata fino ad ora rin-
venuta traccia alcuna di fossili, e resta perciò in dubbio se debba
forse riguardarsi come una formazione più antica. A me sembrano
decisamente essere scogliere madreporiche.
Premesse queste osservazioni sopra le condizioni del giaci-
— 286 — I
mento ; passo a dare i resultati delle ricerche dei signori von ,
Heyden e Geyler.
Gli insetti studiati dal signor von Heyden, furono riconosciuti
come larve di Libellula Boris, Heer e Libellula Eurynome, Heer
ambedue le quali sono state descritte da Heer per il giacimento di
Oeningen. Il signor von Heyden aveva in mano abbondante mate-
riale per le sue ricerche, e le impronte si trovano precisamente
nelle lastre degli strati di gesso marnoso o in quelle dei depo-
siti di solfo. La quantità degli esemplari ivi esistenti è così
straordinaria, che in un piede quadrato spesso si vedono più di cento
impronte. Tutte, secondo il von Heyden, appartengono soltanto
alle due specie suaccennate, delle quali tuttavia comparisce quasi
esclusivamente la Libellula Boris, mentre che la Libellula Eury-
nome trovasi solo in alcuni pochi esemplari. La straordinaria
quantità di questi insetti allo stato di larva soltanto, però in
tutto le gradazioni d’ età, accenna certamente ad acque placide
sul cui fondo sviluppansi le larve. L’insetto perfetto, veloce e
vigoroso nel volo, abbandona il luogo di sua nascita e corre alla i
rapina esplorando V interno dei boschi. Kesulta da ciò che assai
raramente accadrà che un insetto perfetto cada per avventura
nell’ acqua e venga quindi ricoperto dalla fanghiglia. Questo è il ;
motivo per cui trovansi soltanto larve e non insetti perfetti, fatto
identico a quello del giacimento di Oeningen descritto da Heer.
Il dott. Geyler determinò le impronte vegetali da esso stu-
diate sulle lastre di gesso marnoso, e sono le seguenti : 1. luglans |
vetusta, Heer ; 2. Gcesalpinia — P — , Towmshendi aff., Heer ; ;
3. Biospyros brachysepala, Al. Br. ; 4. Cinnamomum pòlymor- \
phum. Al. Br. ; 5. Quercus cMoropliylla, Ung. ; 6, Poacites Ice-
vìs. Al. Br. ; 7. Bobinia Regeli, Heer ; 8. Acacia Parschlugiana, ;
Ung. ; 9.Alnus — P — , Gastaldi dM., Mass.— Di queste, le 1. 2.
3. 5. 6. 7 sono conosciute pel giacimento di Oeningen, le 4. e 9
per quello di Sinigaglia e la 8 per quello di Parschlug, Ha- j
ring ec. Appartengono perciò tutte queste piante alla formazione |
di Oeningen ed in conseguenza la formazione solfifera di Sicilia \
è contemporanea a quella; ciò è confermato ancora dallo studio
degli insetti. Quindi la formazione solfifera è una formazione ^
quasi esclusivamente d’ acqua dolce, depositatasi in laghi che qua
e là furono certamente in comunicazione col mare. ^
— 287 —
Queir impronta vegetale rinvenuta nel tripoli fu determinata
dal dott. Geyler come una Myrica salicina, Ung. Questa pianta non
è stata fino al presente riconosciuta nel piano di Oeningen, ma
soltanto nel Mayencien o Helvetien (Radoboj, Losanna, S. Gallo)
quindi nelle formazioni sottoposte al piano di Oeningen o nel-
r oligocene (Miinzenberg, Bornstatten). Se questo isolato esem-
plare accenni ad una più antica formazione del tripoli^ rimarrà
indefinito, almeno fino a che non sia compiuto lo studio dei
pesci. Sopra il posto che compete alla formazione solfifera di Si-
cilia nella serie geologica, non può più esistere alcun dubbio ;
essa trovasi alla base del pliocene ed è contemporanea alle for-
mazioni d’ acqua dolce gessifere di Castellina Marittima, ai de-
positi dei gessi solfiferi di Sinigaglia, Cesena ec., e alle forma-
zioni lacustri di Modena e Beggio. Il signor Teodoro Fuchs di
Vienna nel suo nuovo lavoro (Die Gliederung der Tertiaerhil-
dungen am Nordahliange der Apenninen von Ancona his Bolo-
gna, 1875) ha decisamente espresso su tal proposito che tutte
queste formazioni dell’ Italia superiore e media non debbono es-
sere riferite al più alto piano del miocene, cioè al Tortoniano,
ma che stanno alla base del pliocene, intimamente ad esso con-
giunte e sono superiori al Tortoniano. Relativamente agli strati
lacustri di Modena ebbi luogo di esprimere questa opinione fino
dal 1869 {Intorno agli strati terziari superiori del Monte Gihio,
Annuario della Società dei Naturalisti di Modena) e riferii i
medesimi al Messinien di Carlo Mayer (da non scambiarsi col
terreno già denominato Zancleano di Seguenza). Unendomi alla
opinione di Fuchs ritengo perciò anche la formazione solfifera
di Sicilia più giovane del Tortoniano e la ascrivo al Messi-
niano di Mayer, tanto più che nei punti nei quali le condi-
zioni di giacimento non furono disturbate, gli strati dell’ Astiano
sovrapposto sono in giacitura concordante con quelli della sot-
toposta formazione solfifera.
Monaco, agosto 1875.
V
288
IH.
Le formazioni plioceniche di Siracusa e Lentini
per Th. Fuchs e Al. Bittnek.’
(Estratto dai Rend, 6i&\V Accademia delle Scienze di Vienna, fase, di febb. 1875).
Quella zona ad occidente di Siracusa conformata in altipiani
è costituita, come è noto, -da un calcare miocenico che sotto
ogni rapporto corrisponde al nostro calcare del Leitha. Qua e
là nelle parti più basse a questi altipiani di calcare del Leitha
si connettono alcune porzioni isolate di terreno pliocenico che
verranno nella presente nota descritte. I fossili furono deter-
minati dal signor Bittner.
V Fonte Manca. A mezzogiorno di Siracusa in prossimità
del piccolo '"fiume Cassibile, presso Fonte Bianca, località notis-
sima per le sue grandi cave di pietra nel calcare del Leitha,
esiste una piccola lingua di terra sporgente in mare, la quale
consta appunto di un lembo isolato di terreni pliocenici. Vi si
distinguono gli strati seguenti :
{a) un’ arenaria a Briozoi bruna, grossolana e ripiena di
cavità contenente Ostrea lameìlosa, Pecten Jacohaeus e Pectuncuìns
pilosus. (L’ ultimo conserva in modo notevole il guscio trasfor-
mato in spato calcare). Potenza 5 a 6 metri. Al disotto fa
seguito :
(h) una marna sabbiosa, omogenea, bianco-giallastra senza
fossili. Potenza 5 metri.
2® Plemirio. Dirimpetto a Siracusa trovasi il cosidetto Ple-
mirio, costituito per un breve tratto da una striscia di terreno
pliocenico, che presso la costa si manifesta molto distintamente
ed è rimarchevole per la sua straordinaria ricchezza in fossili:
gli strati inclinano leggermente ad Est. Dall’ alto al basso si
distinguono i seguenti terreni :
a) Sabbia grossolana a Briozoi e Nullipore, piena di tuberi
di Nullipore, Pettini, Ostriche, Terebratule e Briozoi, separata
* V. Sequenza, Il plioceno presso Siracusa {Boll. Comit. Geol. IV, 137, 1873).
289 —
in banchi grossi, e di frequente con falsa stratificazione (20 me-
tri circa). Ostrea laméllosa Brocc. ; Fecten opercularis L. ; P.
piisio L. ; P. septemradiatus Miiller, P. jacohaeus L. ; Terebratula
grandis Blumb. ; Grama turbinata Poli ; Bentalium incurvum
Brocc.; Balani, innumerevoli Echinidì e Briozoi.
b) Sabbia gialla con grande potenza. Essa vien ridotta
dalla pioggia e dai flutti del mare in uno scheletro cavernoso,
scoriaceo ; questo scheletro consta in molti casi di bastoncelli
diritti irregolarmente incrociati che evidentemente furono un
tempo tracciati dai vermi. La sabbia è piena di Briozoi ramosi,
di Cellepore, Ketepore, Eschare ec. che sono perfettamente con-
servati e quasi in situ nel deposito sabbioso. Più lungi si trova
la Terebratida grandis, Terebratidina caputserpentis, Fecten ja-
cóbaeus, P, opercularis (in intieri strati), P. pusio, P. septem-
radiatus, Spondylus gaederopus, come anche nidi di Bitrupa.
Nella porzione più profonda della sabbia trovansi numerosi nu-
clei pietrosi composti di bivalvi ed anche bivalvi isolate con
gusci conservati e calcinati : Isocardia cor, Corbida gibba, Lu-
cina boreaìis, Venus sp., Bonax sp., Fectuncidus sp. etc.
c) Sabbie marnose sottili, omogenee, giallicce, senza brio-
zoi con Fecten cristatus (molto grande), Ostrea cochlear e Tere-
bratida grandis.
d) Marne sabbiose grigio-giallastre, con piccoli ciottoli
di un calcare compatto, come pure con letti e nidi di sabbie
grossolane e noccioli pieni di Ostriche {Ostrea cochlear). Nella
marna sabbiosa si trovano anche piccole croste e gusci di na-
tura concrezionale. Esse sono spesso in tal guisa confusamente
fra loro ammassate da prendere P aspetto di frammenti di un
calcare schistoso di estranea provenienza. Tutto il complesso
manifesta una stratificazione molto irregolare ed a quanto sembra
in molte guise sconvolta; ha una potenza di 10 metri circa.
e) Calcare marnoso compatto, grigio verdastro, con im-
pronte di bivalvi e gasteropodi.
3® Valle délV Anapo. Nella valle dell’ ànapo le forma-
zioni plioceniche raggiungono una estensione alquanto più grande,
componendo colà, per la maggior parte, quelle basse colline che
sono racchiuse da ambedue i lati fra gli altipiani dirupati del
calcare del Leitha. Non di meno vi presentano poco interesse.
49
— 290 —
Si osserva per lo più solamente una arenaria a Briozoi, grossolana,
bruna e stratificata trasversalmente, con ciottoli basaltici, Ostriche,
Pecfen jacohaeus, e nuclei pietrosi talvolta composti da grandi
bivalvi. A luoghi trovasi un conglomerato di ciottoli di calcare
del Leitha e di basalte.
4° Cappuccini. Il deposito pliocenico, che presso il con-
vento dei Cappuccini forma per un tratto la spiaggia del mare,
corrisponde esattamente agli strati superiori del Plemirio.
Esso consta di una roccia cavernosa, grossolana, composta
di Nullipore e Briozoi rotolati, con sfere di Nullipore, Ostriche,
Pettini, Briozoi e nuclei pietrosi di diverse bivalvi.
La identica roccia forma anche le rupi sulle quali riposa la
città di Siracusa.
Nei tratto Siracusa-Augusta la strada corre alternativamente
tra il calcare del Leitha e P arenaria pliocenica a Briozoi. In
parecchi tagli notevoli vedesi l’arenaria a Briozoi discordante
sul calcare del Leitha. Dietro a Priolo, al disotto dell’ arenaria
azzurra a Briozoi viene a giorno P argilla (TegeT) pliocenica che
termina a poca distanza e finalmente ricomparisce in grandi
masse. Da Augusta fino a Dentini le formazioni plioceniche rag-
giungono una notevole potenza ed estensione, essendo soltanto
interrotta di quando in quando da rupi e massi isolati di cal-
care del Leitha e componendo quasi esclusivamente tutto P al-
tipiano, che si stende fino al mare ed alle pianure di Catania.
Il letto del terreno pliocenico è per la maggior parte formato
da masse eruttive basaltiche, le quali verosimilmente, corrispon-
dendo ai basalti della valle di Noto, appartengono al miocene, e
manifestansi in parte in forma di basalte massiccio o colonnare,
in parte in forma di letti di ceneri e tufi, e, unitamente alle
molteplici formazioni terziarie più giovani che vi stanno sopra
stratificate, conferiscono alla intiera regione, sotto il punto di
vista geologico, una straordinaria varietà.
Presso Dentini le formazioni plioceniche mostrano dall’ alto
in basso la seguente serie di strati:
r Arenaria con Briozoi e Nullipore, rotolati nella massima
parte, con falsa stratificazione, contenepte Ostriche, Pettini ed
Echinidi. Subordinatamente compariscono strati sabbiosi e con-
glomerati di ciottoli basaltici. Verso la base trovasi sulla strada
— 291
che conduce a Catania uno strato di circa un metro di potenza
di una marna sabbiosa piena di fossili, dei quali presentiamo
una lista; le specie più frequenti vi sono contrassegnate con
asterisco.
Denti di pesce
Trivia eiiropcea Mont. ; * liargineìla miliacea Lam. ; Bingi-
cuìa hitccinea Desh. ; * Miirex tnincuìiis L. ; * M. cristatus Brocc. ;
* ilf. corallinus Scacch. ; Banella lanceolata Menke ; Turbinella
Dujardini Hdrn. ; Biiccinim variabile Phil. ; * Columbella
scripta Bell. ; * Mitra Savignyi Payr. ; Mangelia Vauquelini Payr. ;
Defrauda clatJirata Serr. ; D. Fhilberti Mieli. ; D. reticidata Ben. ;
D. sp. indeterminata ; JRaphitoma nana Scacch. ; B, aff. Ginna-
niana Phil. ; * Natica helicina Brocc. ; ** Geritìiium vulgatnm
Brug. ; ** C. spina Partsch; C. scabrum Olivi; G. pygmcBum
Phil. : Triforis perversa L. ; Turritella commiinis Bisso ; Scalaria
commnnis Lam. ; Vermetus sp. ? ; Gcecum trachea Mont. ; * Bha-
sianella piiTtoj L. ; * P. intermedia Scacc. ; Trochus fanidum L. ;
* T. crenidatus Brocc. ; * T. sfriatiis Gmel. ; * T. turgidulns Brocc. ;
* Monodonta angulata Eichw. ; M, Jussieui Payr. ; M. Araonis
B*ast. ; Adeorbis subcarinatiis Wood. ; A. Woodi Hprn. ; Bissoina
Bniguieri Payr. ; Bissoa oblonga Desh. ; B. parva Costa. ; * B.
plicatida Bisso ; B. pidcliélla Phil. ; B. similis Scacch. ; B. va-
riabilis Mlihlfeld ; B. splendida Eichw. ; Alvania costata Ad. ;
* A. Montagui Payr. ; A. subcremdata Micht. ; A. calathisciis
Mont. ; A. dictyophora Phil. ; A. crenulata Micht. ; Hyala vi-
trea Mont. ? ; Geratia sp. ? ; * Hydrobia sp. ; Turbonilla gracilis
Brocc. ; * T. interstincta Mont. ; T. costellata Grat. ; Odostomia
conoidea Fér. ; 0. excavata Phil. ; Eidimella acicnla Phil. ; Eu-
ìinia subidata Don. ; Trimcatella truncatida Drap. ; GrepicUda un-
guiformis Lam. ; Bidla tnmeata Ad. ; B. hydatis L. ; Dentedium
incurvimi Brocc. ; P. dentalis L. ; Gorbida micleus Lam. ; Gapsa
fragilis L. ; Tapes decussata L. ; T. sp. ; Venus verrucosa L. ;
* Cardium exigimm Gmel. ; Ghama gryphoides L. ; Lucina la-
ctea L. ; L. aff. dentata Bast. ; Montacuta truncata Wood ; Gar-
dita sidcata Brug. ; G. trapezia Brug. ; G. calyculata Lam. ; Nu-
cula nucleus L. ; Arca navicidaris Brug. ; * A. diluvi Lam. ;
Pecten varius L. ; P. opercidaris L. ; P. hyalinus? P. po-
lymorphus Bronn ; Ostrea lamellosa Brocc. ; Echinus sp.
292 —
2° Sabbie gialle senza fossili.
3° Marna plastica, azzurra con petrefatti, fra i quali ;
Squame di pesce
** JBuccimm semistriatum Brocc. ; Cassidaria ecliinopliora
Lam. ; Chenopus pes pelecani L. ; Ceritliiimi spina Partsch; Odo-
stomia conoidea Brocc. ; Cingula fusca Phil. ? ; * Natica lielicina
Brocc.; Alvania FartscJii Horn. ; JBidIa utricuìiis Brocc.; Fenta-
lium elepliantimim L. ; D. dentalis L. ; D. tetragonum Brocc. ;
D. (P) ovìdim Phil.; Nucuìa nucìeus L. ; Leda pusio Phil.; L.
tennis Phil. ; Limopsis anomala Eichw.
Presso Lentini non compajono altri strati più profondi, ma
in una trincea della strada ferrata nelle vicinanze di Bruccoli,
sotto la marna azzurra ed immediatamente sovrapposti al basalto
si vedono di nuovo strati tufacei sabbiosi giallo-chiari, i quali
contengono una straordinaria quantità di Coralli, Briozoi, Tere-
bratule ed un gran numero di altre conchiglie ottimamente con-
servate. E qui notevole la circostanza che, ad immediata prossi-
mità delia trincea, emerge dal terreno pliocenico una massa isolata
a guisa di scoglio di calcare del Leitha contenente Clipeastri.
Il profilo in questa trincea è il seguente:
1'’ Sabbia bruna, grossolana a Briozoi, con falsa stratifi-
cazione, con Ostriche e Pettini.
2'’ Marna azzurra, plastica molto potente.
S*" Strati sabbioso-tufacei, cavernosi, giallo-biancastri pieni di
Briozoi, Coralli, Brachiopodi ed altre conchiglie. Vi raccogliemmo
le specie seguenti:
Trivia europcea Mont. ; Marginella miliaria Li ; Columbelìa
subulata Bell. ; Biwcinum prismaticuni Brocc. : Cassidaria ecliino-
phora Lam. ; Fusus pidchellus Phil. ; * Turritella communis
Risso ; Vermetns sp. ; Phasianella pidla L. ; Troclms conulus L. ;
T. millegranus Phil. ; T. crenulatus Brocc. ; T. glabratus Phil. ;
Craspedotus limbatus Phil. ; Scissurella aff. aspera Phil. ; Tur-
bonilla interstincta Mont. ; T. sp. ; Alvania sp. ; Hydrobia sp. :
Fissar ella italica Defr. ; Fmarginula cancellata Phil. ; Dentalkim
elepliantinum L. ; Spirialis globidosa Seg. ; Saxicava arctica Phil. ;
* Venus casina L. ; F. effossa Biv. ; V. ovata Penn.; Circe
minima Mont. ; Cardium sp. ; Kellia suborbicidaris Mont. ;
* Astante incrassata Brocc. ; A. triangidaris Mont. ; Woodia di-
I
I:!
Is
r
— 293 —
gitaria L. ; * Cardita aculeata Poli ; G. sulcata Brug. ; C. corhis
Phil. ; Nucula mideus L. ; Leda tennis Phil. ; Limopsis au-
rita Brocc. ; Pectunculus pilosns Lam. ; Arca pectunculoides Scacch. ;
* A. navicularis Brug. ; A. barbata L. ; A, lactea L. ; Modiola
sp. ; Mytiliis sp» ; Lima squamosa Lam. ; Pecten jacobaeus
L. ; * P. opercìdaris L. ; P. pusio Lam. ; P. Testce Biv. ; * P.
septemradiatus Miiller ; Ostrea sp. ; Anemia ephippium L. ;
** Terebratida minor Suess ; * ' Terebratulina caputserpenfis
L. ; ^ Megerlia truncata L. ; * Argiope decollata Chemn. ; Ar-
giope neapolitana Scaccli. ; Crania turbinata Poli ; Ecìiinocyamus
sp. ? ; * GarophyUia sp. ; Goenopsammia sp. ; * LophoJielia gra-
cilis Seg. ; Amphihelia sp.
Spine di Cidariti ed innumerevoli Briozoi.
Al basso segue immediatamente il basalte.
Molto notevole è la circostanza che la suddivisione degli
strati pliocenici presso Lentini corrisponde perfettamente con
quella della formazione pliocenica di Taranto, come resulta dal
seguente confronto.
Lentini Takanto
a) Arenaria a Briozoi con
Nullipore, Ostriche, Pecten ja-
cobaeus, Pectuncidus, 3Ionodonta
ungulata, GeritJiium vulgatum,
C. spina, Mureao trunculus, Tro-
chus, Bissoa, Alvania ec.
b) Marne plastiche azzurre,
con Buccinum semistriatum. Na-
tica lielicina, Ghenopus pes pe-
lecani, Lentalium elepJiantinum.
c) Sabbie incoerenti a Brio-
zoi, di color chiaro, con Coralli',
Brachiopodi , Pecten septemra-
diatus e P. opercìdaris.
a) Sabbie, ciottoli e calcare
a Nullipore e Coralli, con Ostri-
che, Pecten jacobaeus, Venus ver-
rucosa, Murex trunculus, Geri-
thium vulgatum, G. spina, Bissoa,
Alvania ec.
b) Marne plastiche azzurre,
con Buccinum semistriatum. Na-
tica lielicina, Bentalium éleplian-
tinum, Ghenopus pes pelecani,
Murex vaginatus, Isocardia cor.
c) Calcari a Briozoi, di color
chiaro, con Brachiopodi, Echi-
nidi, Ostriche, Pecten septemra-
diatus e P. opercìdaris.
— 294 -
IV.
Il territorio di Zoldo e di Agordo nelle Alpi Tenete,
Nota del dott. E. YON Mojsisoyics.
{Verliancllungen der k.h. geolog. JieicJis., TVien, 1875, 12.)
In seguito ad una escursione intrapresa nelie Alpi calcaree
del Tirolo settentrionale, nella quale, in conformità alle mie de-
duzioni teoretiche, potè direttamente dimostrarsi V alternanza
della forma madreporica con quella marnosa, mi portai in com-
«
pagnia del geologo di sezione dott. K. Hornes nei dintorni di
Klausen,^ onde imparare a conoscere il giacimento del melafiro
che ricopre a guisa di tetto la fillite, come molti sostennero
negli ultimi tempi, e che trovasi allo shocco della valle di
Villnds. L’ osservazione ci persuase del contrario e quindi della
giustezza delle antiche opinioni, avendo trovato il melafiro in-
sieme col porfido augitico, soltanto in fortìaa di filoni attraver-
santi il terreno fillitico e il porfido quarzifero. Per contrario
trovammo qui ancora come nei dintorni di Y^aidbruck e Ca-
stelrutt banchi potenti di un’ arenaria grigia tufacea con colate
di porfido quarzoso. Quivi insieme col dott. Hornes intrapresi
parecchie escursioni in quel terreno ad esso assegnato per un
lavoro speciale a Nord e ad Est di Cortina d’ Ampezzo. Dei re-
sultati ai quali ivi arrivammo accenno soltanto la scoperta del
Lias con sviluppo analogo a quello dei cosiddetti calcari grigi
del Tirolo meridionale. Con molta sicurezza, fra i non rari fos-
sili, fu potuto riconoscere il Megalodus pumilns e il Lithiotis
proUematica. Il limite inferiore verso il calcare del Dachstein
non è assolutamente deciso, ma con un poco d’ attenzione si può
pervenire a separare approssimativamente nelle nostre carte il
Lias dal detto calcare.
In compagnia dei volontari dott. Ed. Reyer, dott. Ed. Kotschy
e dott. Th. Posewitz, incontrati casualmente, venne eseguita una
escursione nel territorio di Zoldo ed Agordo.
‘ Fra Bolzano e Bressanone (Tirolo meridionale).
— 295 —
La regione esplorata è limitata a Sud da una linea tettonica
notevolissima e che si mostra talvolta in forma di un potente
dislocamento, talora come una rottura per sollevamento, e si
stende da Val Sugana al piede meridionale della Cima d’ Asta
sopra Primiero, Agordo, Zoldo, Forcella Cibiana fino nei terri-
torii di Pieve di Cadore e di Auronzo.
La potente massa calcarea e dolomitica delle Palle di S. Mar-
tino presenta tutto P aspetto dolomitico del Muschelkalk corri-
spondente agli strati di Buchenstein, di Wengen e di San Cas-
siano, e non appartiene, come portano le vecchie carte, al
calcare del Dachstein. A Nord di Agordo questa massa dolomitica
oltrepassa il Cordevole e forma il Monte Framont e il Monte
Alto di Pelsa, il quale ultimo in forma di cuneo, penetrando
verso Nord, nella regione dei tufi e delle marne, separa il ter-
reno tufaceo di Val Canali da quello tufaceo e marnoso di Zoldo
ed Agordo. Il fondo è formato dagli strati di Werfen che scuo-
pronsi ancora presso Listolade al piede dei picchi dolomitici del
Monte Framont e che predominano fin sopra Col nella valle
d’ erosione di Sam Lucano. Una sovrapposizione di strati più
giovani ha luogo ad Ovest del Cordevole solamente sulla punta
di mezzo delle Palle di San Lucano, ove compariscono gli strati
di Eaibl ed una piccola parte del calcare del Dachstein (ana-
logo a quello dello Schlern). Ad Est del Cordevole per contra-
rio le masse dolomitiche del Monte Framont e Monte Alto di
Pelsa sono ricoperte da un ampio mantello di strati di Eaibl,
sopra i quali si elevano le masse del Monte Civetta e del Monte
Mojazza, costituite dal Dachstein e oltrepassanti la regione mar-
nosa di Zoldo ed Agordo.
Presso il limite verso la regione tufacea e marnosa fu osser-
vato anche in questa località in numerosi punti P intimo pas-
saggio fra le due forme litologiche, come ad esempio al Passo
Durano, nella parte orientale del Monte Framont, presso Col nella
valle di San Lucano, alla Forcella Gesurette, al Monte Alto ec.
Nella regione tufacea di Val di Canali sugli strati del Bu-
chenstein accompagnati dalla pietra verde compariscono potenti
masse di tufo melafirico stratificato alternante con colate, però
con nessuna dica melafirica.
Nel distretto tufaceo e marnoso di Zoldo ed Agordo la se-
— 296 —
parazione degli strati di Wengen da quelli di San Cassiano viene
resa più diffìcile da ciò, che il carattere petrografico si man-
tiene costante in linea ascendente fino agli strati di Kaibl. Fra
i fossili trovasi qui negli strati di Wengen frequentissima la
Fachycardia rugosa. E molto rimarchevole la frequente presenza
di ciottoli quarzosi e porfirici nelle cosiddette arenarie cìoìeriticJie.
Per ciò che riguarda la esistenza di più antiche formazioni,
basterà rammentare qui V esteso affioramento dei calcare oscuro e
della dolomite con Bellerophon alla base degli strati di Werfen
presso Agordo in Val di Canali, e quello dei conglomerati (Grau-
wacke) fra Dont e Fusine nei dintorni di Zoldo.
V.
Bicerche nella valle siiperiore del Bienz e nei dintorni
di Cortina d’ Ampezzo, del dott. E. Hòenes.
{Verhandlungen der k.k. geolog. Beìchs., Wien, 1875, 12.)
Ascritto alla seconda sezione sotto la guida del consigliere
montanistico E. v. Mojsisovics, fui dal medesimo incaricato della
continuazione del mio antico lavoro di rilevamento nel distretto
di Enneberg verso Est fino alla valle di Sexten. La superficie
^assegnatami è limitata a Nord dai margini dei monti triassici
verso la Pusteria, a S.E., S. e S.O. dalla valle della Piave su-
periore e dal fiume Bolle. Di questa regione fin ora mi fu pos-
sibile soltanto di studiare i monti triassici dei dintorni di Nie-
derdorf, Toblach e Innichen, come anche i dintorni di Cortina
d’ Ampezzo, poiché i lavori di rilevamento furono soprattutto
resi difficili dal costante tempo cattivo ed oltrediciò dovevasi
superare un terreno molto accidentato. Le condizioni geologiche
assomigliano là in generale a quelle del territorio studiato negli
anni decorsi, solo che per la grande lontananza dai centri di
eruzione del melafiro nella valle di Fassa, anche i suoi tufi ces-
sano quasi di ricuoprire gli strati di Wengen mentre nei depo-
siti permiani accade perfettamente la stessa cosa del porfido
quarzifero, del quale trovansi appena tracce nella valle di Sexten.
297 —
Per ciò che riguarda in complesso la costituzione geologica,
vi sono grandi e piccoli rigetti e rotture che cagionano ripeti-
zioni di strati e complicazioni, il cui esatto riconoscimento
arreca spesso molto perditempo. La facies del trias superiore è
allo stesso modo evidente, come nei territori molto illustrati di
Gròden, Buchenstein ed Enneberg ; e sotto questo rapporto,
specialmente le alture avanzate a Nord del Diirrenstein tra la
valle di Prags e quella di Hòhlenstein, offrono un bello esempio
di graduato passaggio dagli strati di San Cassiano a quelli di
Wengen. Il trias inferiore è sviluppato specialmente nelle pen-
dici del monte verso la Pusteria, ed esso mostra tutti quelli
orizzonti che si presentano, a mo’ d’ esempio, nella valle di
Gròden presso Sant’ Ulrico. Il calcare scuro, bituminoso, tra gli
strati di Werfen e l’arenaria di Gròden è assai potente; esso
racchiude anche qui, per esempio presso Alt-Prags la fauna ca-
ratteristica illustrata da Stadie con Belleroplion, Froductus, Spi-
rifer ec., ed a luoghi si trasforma come un calcare pure a
crinoidi.
Sono degni di nota i giacimenti mettalliferi di questo oriz-
zonte. Presso Sant’ Ulrico, nel torrente Pufler e nelle pendici
del Solcedia, sono conosciuti i non rari filoni di galena, e presso
Toblach trovai io frequentemente filoni di carbonato di ferro
nel calcare scuro. E questo lo stesso livello nel quale compari-
scono i giacimenti di Siderite di Posalz presso Colle Santa Lucia,
dei quali io ebbi occasione di occuparmi nell’ anno passato e che
furono oggetto di lavorazione.
Il calcare del Dachstein ha presso Cortina una potenza straor-
dinaria : esso costituisce la massa principale di quel gruppo ce-
lebre per la sua bellezza e conosciuto coll’ improprio nome di
Alpi dolomitiche. Gli strati del Lias e del Giura si presentano
per lo più a grandi altezze sulle cime isolate, come sul Tofana,
sul Vallone Bianco ec. Questa circostanza che obbliga alla ascen-
sione di frequenti vette alte oltre 10,000 piedi e di difficile
accesso, impedisce e ritarda notevolmente i lavori di rilevamento.
Come poi sia necessaria P ascensione di queste cime, lo dimo-
stra ad evidenza la carta di questi dintorni pubblicata dal dottor
Loretz nel Bollettino della Società geologica di Berlino del 1874, la
quale appunto per ciò che riguarda 1’ estensione del Giura e del
— 298
Neocomiano non possiede tutta la esattezza desiderabile. Questo
lavoro, che del resto somministra una pregievolissima rappresen-
tazione d’ insieme di questo territorio, abbisognerebbe, anche a
riguardo dei piani del Trias inferiore, di una correzione di cui
già fu fatto cenno in una nota del dott. E. von Mojsisovics in-
serita nel Bollettino dell’ I. e B. Istituto geologico di Vienna. Per
citare a tal proposito un caso speciale, nei dintorni di Alt-Prags
dal dott. Loretz furono scambiati gli strati a cefalopodi del
Muschelkalk inferiore col calcare del Buchenstein. Più oltre si
trovano i già rammentati rigetti in molte guise traveduti (come
tra P xùntelao e il Sorapiss) oppure inesattamente indicati.
A riguardo della formazione giurese e neocomiana di questa
località deve osservarsi che in seguito alle molteplici faglie e
rotture, gli strati del Giura superiore e del Neocomiano spesso
compariscono nei fianchi delle vallate in certo modo incastrati
fra le masse del Dachstein. Facendo astrazione dalle frequenti
curvature di strati che hanno luogo di regola nelle rocce sottil-
mente stratificate, e trovansi perciò anche in questi depositi,
presentansi in certi punti ancora delle locali dislocazioni che
spesso difficilmente possono distinguersi.
La divisione in piani dei depositi giuresi non molto potenti
potè finora esser fatta soltanto fino dove, al calcare rossastro
del Dachstein, succedono calcari petrograficamente identici ma
grigi e solo in pochi punti di colorazione scura, che racchiudono
resti indeterminabili di bivalvi (forme analoghe ai llytilus ed
alle Modiola) ed appartengono probabilmente al Lias. Superior-
mente fan seguito calcari rossi a crinoidi (strati di Klaus ?)
con brachiopodi mal conservati e come unico, e sino al presente
sicuro membro, il calcare rosso noduloso del Titonico con Tere-
hratida diphya e innumerevoli cefalopodi. Parimente sono molto
ricchi in cefalopodi, pur troppo mal conservati, gli strati mar-
nosi del Neocomiano, che furon trovati dal dott. v. Mojsisovics
e da me in un’ altra località (finora si conoscevano soltanto nei
monti La Stusa e Fosses) verso la piccola valle di Fanis in una
escursione che ivi facemmo.
— 299
VI.
I Caolini e le Argille refrattarie in Italia.
Uno dei principali ostacoli che si oppongono, od almeno por-
tano ritardi e lentezze, ad un maggiore sviluppo di certe indu-
strie in Italia, è quello che deriva dalla scarsità di buoni caolini
nazionali e dalla quasi deficienza in paese di vere argille refrat-
tarie. La causa di questo fatto, che a prima vista può destare
stupore in un paese nel quale le formazioni di rocce feldispati-
che (come graniti, porfidi, trachiti ed altre che colla loro decom-
posizione dànno appunto origine a siffatte terre) trovansi tanto
sviluppate, più che a vera mancanza sarebbe da attribuirsi a
deficienza di studii e di ricerche in quelle regioni appunto che
offrono maggiore probabilità di scoprire cotali giacimenti. Vi è
dunque a sperare che con lo estendersi delle cognizioni geologi-
che, e col raddoppiarsi delle ricerche a questo intento rivolte,
verrà un giorno nel quale sarà fatta completa luce sull’ interes-
sante argomento, e l’Italia cesserà, sotto questo rapporto, di
essere tributaria dell’ estero.
Un’ argilla plastica perfettamente refrattaria è in natura raris-
sima ; per essere tale essa non dovrebbe contenere materie estra-
nee al silicato d’ allumina puro, il quale resiste senza la più
piccola alterazione alle temperature più elevate dei nostri forni :
le argille meno fusibili sono quelle che non sono nè troppo silicee,
nè troppo alluminose, ed esse sono tanto più plastiche quanto
più elevato è il tenore in allumina. ‘ Fra le argille refrattarie più
rinomate si citano quelle dei dintorni di Newcastle in Inghilterra, di
Bollène presso Avignone e di Abondant presso Dreux in Francia.^
Le sostanze più comunemente mescolate all’ argilla sono la
silice, la calce, 1’ ossido di ferro, la potassa, la soda e la ma-
gnesia allo stato di carbonato o di silicato. L’ ossido di ferro
* Non esiste in natura un’ argilla tipica la cui composizione sia determinata
in modo fisso; i limiti estremi sono, sopra 100 parti: silice = 42 a 66; allumi-
na = 18 a 39; acqua = 6 a 24. Una vera argilla plastica, fatta astrazione dal-
r acqua, deve contenere : silice =ì 57,42, allumina = 42,58. Il tenore in acqua è
per solito dal 7 al 14 per 100.
^ Composizione dell’argilla di Abondant: silice =50,60; allumina =35,20;
ossido di ferro =0,40; acqua =13,10.
— 300 —
comunica all’ argilla una tinta giallastra o rossastra secondo lo
stato d’ idratazione dell’ ossido stesso : talvolta il ferro vi si
trova allo stato di silicato o di carbonato. Il carbonato di calce
e l’ossido di ferro non diminuiscono la plasticità di un’argilla
che allorquando vi si trovano in quantità rilevante ; ma anche
in piccola dose ne alterano notevolmente la refrattarietà. La
magnesia invece aumenta la plasticità dell’ argilla, ed esercita
poca influenza sul suo grado di refrattarietà. La potassa e la
soda entrano di solito nella composizione delle argille e, anche
in piccola dose, hanno per effetto di diminuirne la refrattarietà :
così i caolini, contenenti in media da 2 a 3 per 100 di tali so-
stanze, non sono completamente refrattari!, e incominciano a ram-
mollirsi alla elevata temperatura dei forni a porcellana.^ Gli al-'
cali però non comunicano alcun colore al silicato di allumina
durante la cottura ; ed essi, colla formazione di silicati alcalini,
danno alla porcellana, per effetto di un principio di fusione, la
struttura semivitrea e la translucidità che la caratterizzano.
I caolini provengono generalmente dalla decomposizione di
un feldispato, di solito ortosio ; ^ la roccia che più di ogni altra
somministra questo prodotto di buona qualità è la pegmatite. La
composizione dei caolini varia a seconda della roccia da cui
ebbero origine : ^ rinomati sono quelli di Saint- Yrieix, presso
Limoges in Francia, di Santo Stefano in Cornovaglia, di Seilitz
presso Meissen in Sassonia, ed i celebri di Tong-Kang nella
China. Ecco 1’ analisi di alcune di queste argille :
S. Yrieix.
S. Stefano.
Seilitz.
Tong-Kang.
Silice
48,68
36,92
43,52
46,46
50,50
Allumina ....
41,68
36,37
33,70
Ossido di ferro.
Potassa
1,59
1,22
2,00
Magnesia. .
— 1
— f
4,20
Calce
1,10
—
1,47 )
Acqua
13,13
13,70
13,61
8,20
99,83
100,49
99,13
98,60
“ Da 1500 a 1600 gradi centigradi.
^ Sotto r influenza degli agenti esteriori il feldispato ortosio produce del sili-
cato d’ allumina idrato, del carbonato e del silicato di potassa e delia silice libera.
* In media il caolino si compone come segue ; Silice = 46,3 ; Allumina = 39,8;
Acqua =13.9; oltre a piccole quantità assai variabili di soda, potassa, calce e
magnesia.
301 —
La magnesia può sostituire qualche volta e sino a un certo
punto r allumina, ed è a tale proprietà che devesi il pregio in
cui erano tenuti i prodotti ceramici di Vinovo in Piemonte di
una composizione argillo-magnesiaca veramente eccezionale. La
calce, pervenuta ad elevate temperature allo stato di silicato,
contribuisce naturalmente, insieme coi silicati alcalini, a comuni-
care alla porcellana la caratteristica sua trasparenza.
E qui gioverà osservare che, provenendo il caolino general-
mente dalla decomposizione del feldispato o di rocce analoghe,
esso non è mai assolutamente puro, ma contiene sempre interposti
frammenti del minerale primitivo o di altri ad esso associati, di
solito quarzo e mica ; per renderlo atto agli usi industriali è
quindi necessario sottoporlo a lavatura e decantazione.
L’ industria ceramica italiana deve importare quasi tutto il
caolino di cui abbisogna dall’ .estero, e precisamente dalla Fran-
cia e dall’ Inghilterra che ne fanno commercio su larga scala, e
più di rado dalla Germania. I pochi depositi di caolino italiano
sono in regioni quasi tutte assai remote dai centri di industria
e di consumo, e quindi non possono venire lavorati con molta
utilità. Oltre a ciò i caolini nostri, quelli almeno esperimentati
finora, non sembrano presentare in grado sufficiente quella pu-
rezza e quella plasticità che sono richieste dall’ arte ceramica ;
difficilmente essi sono esenti dall’ ossido di ferro il quale, oltre
al colorire più o meno intensamente il prodotto, fa sì che il
caolino non possa raggiungere elevate temperature senza fondersi.
Più grave ancora è il difetto di buone argille refrattarie,
ossia di terre plastiche e capaci di resistere senza fondersi ad
elevatissime temperature : e questo inconveniente è sommamente
sentito dalla industria mineralurgica, dalla ceramica e dalla vetra-
ria, le quali tutte debbono ricorrere all’ estero per procurarsi i
materiali onde sono costituiti i forni ed i recipienti da sotto-
porsi a temperature elevate. Ed a questo proposito aggiungeremo
che il maggiore ostacolo che in Italia trova l’industria della
porcellana, sta appunto nella mancanza di argille refrattarie,
delle quali si fa molto maggiore consumo che del caolino stesso,
per la costruzione dei recipienti e per la rivestitura dei forni.
Questo stato di cose, dimostrato più chiaramente dai risul-
tati della Inchiesta Industriale, destò V attenzione del R. Governo
— 302 —
il quale con Circolare r Maggio 1872 del Ministero di Agri-
coltura, Industria e Commercio, ordinava che si facessero inda-
gini intorno alle argille esistenti nelle diverse parti d’ Italia, ed
invitava gl’ Ingegneri del R. Corpo delle Miniere ad avere par-
ticolare riguardo nei loro viaggi d’ ispezione a questa materia
importantissima, ed a fare ispezioni speciali per riconoscere la
esistenza di quei giacimenti rispetto ai quali avessero favorevoli
indizii. Li invitava inoltre a spedire dei saggi di queste argille,
corredandoli di tutte le indicazioni risguardanti la formazione geo-
logica, la situazione e la estensione dei giacimenti, con opportune
avvertenze rispetto alla regolarità od irregolarità dei medesimi,
per quanto è possibile il giudicare da semplici osservazioni
sui luoghi.
Il Marchese Ginori ebbe la cortesia di offrire il suo gran-
dioso stabilimento ceramico di Doccia, presso Firenze, per 1’ ese-
cuzione delle prove necessarie ad accertare il pregio industriale
delle argille sotto il rispetto della refrattarietà e della loro
sostituzione ai caolini esteri per la fabbricazione della porcellana.
Gl’ Ingegneri del R. Corpo delle Miniere non mancarono di
porsi allo studio dei giacimenti che sapevano o supponevano esi-
stere nei rispettivi distretti minerarii, ed uniformandosi alle
■ istruzioni ricevute inviarono i varii campioni da essi raccolti allo
stabilimento Ginori, rendendo conto in pari tempo del loro ope-
rato coir invio di speciali note redatte ad illustrazione di cia-
scun giacimento.
I risultati di queste indagini, se non riuscirono a sciogliere
definitivamente il problema della scoperta di buoni caolini e di
vere argille refrattarie in Italia, servirono però a gettare molta
luce sull’ argomento e ad indicare quali sieno le regioni italiane
che offrono maggiore probabilità di raggiungere l’ intento. E qui
non sarà senza interesse di riassumere brevemente le principali
notizie concernenti i giacimenti esplorati, non che le risultanze
degli esperimenti fatti sui varii campioni nello stabilimento di
Doccia, e le opinioni espresse a riguardo dei campioni stessi dal
direttore del medesimo e da altre persone versate in materia. E
gioverà notare che se alcune di quelle argille provengono da cave
in attività di esercizio, altre derivano da giacimenti tuttora ine-
splorati 0 quasi sconosciuti ; cosicché non tutti i campioni stac-
303
cati dagli ingegneri poterono fornir materia a studii completi
dei giacimenti rispettivi. Le notizie che seguono, serviranno tut-
tavia a dare una prima idea dei resultati ottenuti ed a fare
conoscere quale sia lo stato della questione al giorno d’ oggi.
Trovincie piemontesi. — Nella provincia di Cuneo, sul ver-
sante settentrionale delle prime elevazioni dell’ Apennino, esi-
stono, secondo recenti indagini, abbondanti masse di caolino : il
giacimento sembra occupare vasta estensione di territorio nel cui
centro sta la città di Ceva, che dà appunto il nome al deposito.
Da informazioni assunte, questo caolino sarebbe di qualità eccel-
lente, assai puro, senza tracce di ossido di ferro ed esente
eziandio da calce e magnesia : esso sembra dovuto alla scompo-
sizione di rocce feldispaticbe, giacché nelle parti non ancora
decomposte trovansi bellissimi cristalli di feldispato. Questi cao-
lini, intorno ai quali si manca tuttora di notizie più dettagliate,
non sembrano fare oggetto, per il momento, di una escavazione
molto attiva.
A Barge, nella stessa provincia, scavasi un’ argilla talcosa e
alcalina proveniente dalla decomposizione di scisti talcosi : questa
terra non è evidentemente un caolino, ma, ove si introduca nelle
paste da porcellana, può promuovere un principio di fusione delle
sostanze silicee, alluminifere e magnesiache, a somiglianza di
quanto farebbe un feldispato. La rinomata porcellana di Vinovo
era fabbricata con una pasta composta di questa argilla, di Gio-
bertite di Baldissero e di quarzo di Cumiana : è però sempre
preferibile il servirsi, per simile industria, di un vero caolino
feldispatico anziché di un’ argilla di tal natura.
A Frossasco, nel circondario di Pinerolo, trovasi un caolino,
che però, a giudizio di persone competenti, non può entrare che
in piccola proporzione nella composizione delle paste da porcel-
lana : esso contiene dell’ ossido di ferro che colorirebbe la por-
cellana, ove se ne introducesse una quantità notevole, mentre in
piccola dose non può agire nello stesso modo.
Nella provincia di Novara sono da citarsi i caolini di Invorio
e di Maggiora, che si scavano a cielo aperto, e dei quali l’ in-
dustria ceramica si é servita lungo tempo per la fabbricazione
della porcellana ordinaria e segnatamente degli isolatori telegra-
304 —
fici. Da Oleggio Castello poi, presso xirona, pervennero allo stabili-
mento di Doccia due campioni di argille : entrambi però esposti
alla temperatura dei forni a porcellana, si rammollirono assai
colorandosi in bruno chiaro, in causa di un eccesso di ossido di
ferro che rende quest’ argilla impropria sia per la produzione
della porcellana che per la fabbricazione dei mattoni refrattarii.
Nella stessa provincia, e più precisamente nelle vicinanze del
Lago Maggiore, esisterebbero secondo alcune ricerche indizii di
giacimenti analoghi ai precedenti, ma finora non utilizzati.
Frovincie lombarde. — Nella Lombardia non sono in lavora-
zione nè cave di caolino, nè cave di argille refrattarie, sebbene
non vi manchino giacimenti degni di qualche attenzione. Così
sono conosciute come dotate di mediocre refrattarietà le argille
di San Eocco, presso Letfe, in provincia di Bergamo, dovute pro-
babilmente alla decomposizione dei porfidi : sono usate nelle
fucine, nei forni per la fabbricazione del ferro, p in genere per
intonacare pareti di forni soggetti a temperature non molto elevate.
Un importante giacimento di silicato di allumina e potassa
trovasi nella sponda occidentale del laghetto di Piona presso
Colico, nella parte settentrionale del lago di Como ; questa argilla
viene adoperata come materia prima nella fabbricazione delle
terraglie, degli smalti da porcellana, dei vetri, ec.
Esistono infine tracce di buoni caolini in Valtellina, al monte
Zebrù presso Bormio.
Frovincie venete. — Assai importanti ed interessanti sono i
depositi di caolino nella provincia di Vicenza. Fra i terreni costi-
tutivi delle prealpi che formano la parte nordica di questa pro-
vincia, distinguesi una grande massa di porfido pirossenico, la
quale comincia a mostrarsi presso San Giovanni Barione, e si
perde al suo incontro colla Valle dell’ Astice. B porfido trovasi
assai carico di pirite di ferro, e là dove fu favorita l’ ossida-
zione di questa, anche la roccia si decompose, e diede luogo a
grandi depositi di argille caoliniche. B centro di tali depositi è
nel comune di Pretti, e più precisamente nel versante destro
della Valle Orca, a sei chilometri circa al nord di Schio : però
il porfido decomposto s’ incontra anche nei due versanti del
Monte Civillina e presso Fongara. Nel 1871 esistevano a Pretti
45 cave in attività, con uno sviluppo di gallerie di circa 8 chi-
305 —
lometri complessivamente : i lavori sono tutti sotterranei, tro-
vandosi il caolino ad una certa distanza dalla superficie. L’ ar-
gilla così escavata viene lasciata esposta all’ aria per qualche
tempo onde possa disaggregarsi completamente, e quindi subisce
diverse preparazioni che ne asportano le materie estranee, e la
riducono in finissima polvere ; viene poi modellata in pani e posta
in commercio. Dal 1866 al 1871 la produzione di argilla così
preparata nei comuni di Trotti, Sant’ Orso, Schio e Torrebelvi-
cino fu di tonnellate 24,569 e perciò in media di tonnellate 4000
all’ anno. Una tonnellata di terra naturale rende da 430 a 560
chilogrammi di caolino preparato. Questo prodotto viene in parte
consumato nelle fabbriche di stoviglie delle provincie venete, ed
in parte esportato in Oriente.
Nello stabilimento di Doccia, nessuna delle argille del vicen-
tino fu trovata capace di resistere senza rammollirsi all’ azione
della elevatissima temperatura dei forni da porcellana, ed inoltre
nessuna parve presentare le qualità necessarie per comporre una
buona porcellana. Le migliori di tutte, cioè quelle che conten-
gono una minor quantità di ossido di ferro e di sostanze estranee,
diedero all’ analisi i risultati seguenti :
Caolino N. 1.
Caolino N. 2.
Silice
55,1
58,0
Allumina
29,4
25,7
Ossido di ferro .
• 1,1
1,6
Calce
1,3
1,7
Magnesia
0,8
0,9
Potassa e Soda .
2,9
3,5
Acqua e sostanze
organiche. . .
8,7
8,3
99,3
99,7
Pur tuttavia questi caolini, dichiarati non adatti alla fabbri-
cazione di una buona porcellana bianca, potrebbero introdursi in
tenue dose nella composizione di una porcellana di qualità infe-
riore, ossia colorita in grigio verdastro dall’ ossido di ferro : esse
possono però servire come materia principale per comporre una
terraglia commerciale di discreta bianchezza, e resistente anche
ai cambiamenti repentini di temperatura.
Provincia Romana. — In questa provincia è noto da molto
tempo il caolino della Tolfa, nei monti dello stesso nome nelle
21
— 306 —
vicinanze di Civitavecchia : esso deve la sua origine all’ altera-
zione delle trachiti. Quale sia 1’ estensione del giacimento, non
è ancora bene constatato. Le cave che vi sono aperte producono
annualmente circa 1500 tonnellate di caolino, ma sarebbero su-
scettibili di una produzione maggiore : esse si trovano a 15 chi-
lometri di distanza da Civitavecchia, e vi si accede per la strada
provinciale che conduce pure a Canale, Manziana e Bracciano.
Il caolino presentasi quando più quando meno bianco, talora
intersecato da sottilissime vene di ferro ocraceo, talora commisto
a trachite non intieramente decomposta : mediante una scelta
accurata sembra che debba essere facile di separare le diverse
qualità, riservando le migliori per la fabbricazione delle imrcel-
lane e terraglie fini. Questo caolino viene consumato quasi tutto
nelle vicinanze di Koma : gli industriali che lo hanno esperi-
mentato lo hanno dichiarato come mediocremente refrattario ed
atto alla fabbricazione delle terraglie fini e delle porcellane. Le
analisi eseguite al Museo Industriale di Torino, diedero i se-
guenti resultati :
Silice .......
Allumina
Ossido di ferro .
Calce .......
Magnesia
Potassa
Soda
Acqua
Sabbia silicea . .
33,880
30,510
O,005
0,001
0,013
1,700
1,030
10,790
12,070
Nella terra allo stato grezzo trovasi il caolino in proporzione
di 39,3 per 60,7 di ciottoli e sabbia grossa.
A poca distanza da Passano di Sutri, nel circondario di \ i-
terbo, nella trincea di una strada vedonsi indizii di un altro
giacimento di caolino : V origine di questo deposito e analogo a
quello dei caolini della Tolfa, essendo il medesimo subordinato
alla massa tracMtica di Monte Virginio. Esso è bianco, sonoro e
leggiero ; non ha mai fatto oggetto di escavazione per uso in-
dustriale, e non è conosciuto altro che nelle vicinanze come
terra da pulire. Il deposito trovasi a 60 chilometri da Poma
per la via di Bracciano, e a 40 dalla stazione ferroviaria di
Borghetto.
— 307 —
Dai saggi eseguiti su questo materiale nello stabilimento di
Doccia, si è potuto rilevare che esso è un caolino poverissimo
nella parte alluminifera, ma capace di resistere alle elevatissime
temperature delle fornaci di porcellana senza dare indizio di fu-
sione. La quantità di ossido di ferro che contiene non sarebbe
tale da nuocere al coloramento bianco della porcellana o al più
potrebbe colorarla leggiermente in azzurrognolo ; ma V eccesso
di silice che contiene e la mancanza assoluta della plasticità che
in esso si verifica, escludono affatto la possibilità di impiegarlo
nella composizione della porcellana. Manca ancora V analisi chi-
mica di questo materiale.
Sardegna. — Nell’ isola di Sardegna esistono alcuni importanti
giacimenti sia di terre refrattarie che di caolini.
Terre refrattarie. — Per le prime i depositi che hanno
maggiore probabilità di poter essere utilizzati sono situati nei
comuni di Sarrocco e di Teulada, nella parte più meridio-
nale dell’ isola, subordinati i primi alle trachiti amfiboliche ed i
secondi ai graniti. In prossimità al Capo della Savorra esistono
banchi considerevoli di tali terre composte di pasta feldispatica
con abbondanti concentrazioni di granelli silicei. Tali banchi si
trovano nel versante de’ monti prospicienti il mare e a distanza
d’ appena qualche centinaio di metri da questo. Altri giacimenti
di terre che dovrebbero pure possedere considerevole refrattarietà
si trovano nella località denominata Sa Foxi, alla base orientale
de’ monti granitici fra Orru e l’ abitato di Sarrocco. Queste terre
sono molto più disaggregate delle prime e sembrano contenere
alquanta potassa. La distanza di questi giacimenti dal mare è
di circa 72 chil.
Sperimentate alla manifattura di Doccia, queste terre non
poterono resistere al calore delle fornaci da porcellana senza
dare indìzi! di fusione. Oltre a ciò la prima è priva affatto di
plasticità, e per servirsene bisognerebbe anzitutto macinarla fina-
mente ; ma 1’ azione del fuoco la rammollisce leggermente : la
seconda poi fonde allo stato di vetro colorandosi in verde nero.
Un altro giacimento di terra refrattaria, di cui furono presi
campioni in Sardegna, è quello di Montesanto presso Iglesias, ove
da qualche tempo esiste uno stabilimento per la fabbricazione
di mattoni refrattari!. Questa terra è un’ argilla azzurrognola
308
che si trova interstratificata colla lignite del terreno eocenico
alla profondità di circa 6 metri sotto la superficie. Il banco prin-
cipale ha circa 1,50 di potenza, ma V estrazione dovrebbesi fare
per lavori sotterranei. Questa argilla fu trovata migliore delle
altre, sebbene aneli’ essa alla temperatura delle fornaci da por-
cellana siasi alquanto rammollita.
A Bacu Abis nel territorio di Gonnesa trovasi un giacimento
d’ argilla analogo al precedente fra la lignite ed il calcare della
formazione eocenica. Quest’ argilla si è rammollita alquanto al
fuoco delle fornaci da porcellana.
Nella miniera di manganese di Carloforte, fra le trachiti an-
tiche ed i tufi trachitici al di sotto dello strato di manganese,
si trova una terra di colore rosso-bruno con noduli e venette
rosse, gialle, verdi e bianche, la quale sembra provenire dalla
decomposizione di una specie di porfido trachitico. La pasta è
argillosa ed i noduli sono per lo più steatitici. La cottura di
questa argilla nelle fornaci da porcellana ne ha prodotto la fu-
sione vitrea con coloramento in bruno rossastro.
La manifattura di Doccia ha ricevuto dalla Sardegna anche
alcuni campioni di argille ordinarie, fra cui quelle di Capoterra
e Pabillonis nel circondario di Cagliari, e quella di Laconi nel
circondario di Lanusei. L’ argilla di Capoterra è usata da qual-
che tempo nel nuovo stabilimento ceramico di Cagliari per la
fabbricazione delle stoviglie fine, ed è stata riconosciuta anche
a Doccia come suscettibile di essere adoperata con vantaggio
nella composizione delle terraglie bianche che vengono ricoperte
con una vernice piombifera.
L’ argilla di Pabillonis è di color rosso, piuttosto marnosa e
ferruginosa. E adoperata da tempo immemorabile in Sardegna
per la fabbricazione delle stoviglie ordinarie e, qualora sia cor-
retta con una conveniente quantità di argilla plastica, può ser-
vire, dietro esperienze eseguite a Doccia, per la fabbricazione
delle majoliche che si ricoprono con uno smalto stannifero.
Finalmente l’argilla di Laconi, della quale fa cenno anche il
La Marmora nella sua opera sulla Sardegna, si rammollisce assai
nelle fornaci da porcellana, colorandosi in rossastro e verdastro ;
ma sarebbe atta a comporre le paste per le stoviglie ordinarie
e per le cassette nelle quali esse si collocano per la cottura.
— 309
Caolini. — I principali giacimenti di caolino nella Sardegna
appartengono a due distinti gruppi, cioè quello di Furtei e quello
di Laconi. I primi si trovano nella formazione di trachite am-
fibolica che si estende da Serrenti a Furtei e Segario, e si pre-
sentano in ammassi o banchi, talvolta assai potenti, alternahtisi
colle trachiti suddette, le quali a misura che varia la propor-
zione dell’ elemento anfibolico, prendono diverso aspetto e colore
dal brifno verdastro al bianco candido. Gli altri trovansi nella
puddinga che presso il villaggio di Laconi s’ intercala fra il
Sarcidano ed i sottostanti scisti cristallini, ed alternano con ciot-
toli quarzosi che costituiscono quasi come zoccolo la base del
Sarcidano.
I principali giacimenti di caolino presso Serrenti trovansi al
monte Ollastu e al Monte Porceddu : nel primo il caolino non
si vede in banchi coltivabili, perchè alcune masse di discreta po-
tenza che vi si osservano hanno tessitura troppo grossolana, si-
mile quasi all’ arenaria, colore tendente per lo più al grigio, e
spesso sono inquinate di ocra rossa e gialla che a filetti le at-
traversa in tutti i sensi. Talvolta vi si trovano anche straterelli
di sostanza trachitica in vario modo contorti, i quali non pote-
rono a causa della loro diversa composizione subire le trasfor-
mazioni del resto della massa. Nel giacimento di Monte Por-
ceddu r affioramento prende considerevole estensione, cioè di circa
100 metri in direzione e 12 a 15 in altezza.
Presso Furtei il caolino affiora nelle località denominate
Monte Candido , Monte Carbone e Corona Rubia. Le spese
d’ pstrazione in queste Tocalità non debbono essere molto elevate,
trovandosi i caolini alla superficie del terreno.
Allo stabilimento di Doccia fu trovato che tutti questi caolini
sono della stessa natura, e che solamente alcuni differiscono fra
loro per essere più o meno puri in causa forse della maggiore
0 minore accuratezza adoperata nella scelta. I più puri risulta-
rono essere quello di Monte Porceddu e quello di Sa Frigus (La-
coni), giacché si potè ottenere con essi una pasta di porcellana
in cui gran parte del caolino estero era rimpiazzato dai mede-
simi. Questa porcellana, dopo la cottura, non riesci bianchissima,
bensì azzurrognola in causa della presenza dell’ossido di ferro;
cosicché tali caolini non potranno essere impiegati nella fabbri-
— 310
cazione di oggetti fini e di lusso, ma soltanto per quelli or di-
narii e commerciali, ne’ quali un leggero coloramento può essere
tollerato.
Tuttavia non essendosi allora potuto fare con questi caolini
esperienze in vasta scala, il giudizio definitivo sul loro pregio
industriale restò momentaneamente riservato.
Calabria e Sicilia. — Il caolino è stato segnalato anche nella
Calabria, specialmente a Tropea in provincia di Catanzaro, non
che in Sicilia nel comune di Montagnareale nelle vicinanze di
Patti, in provincia di Messina, prodotto dalla decomposizione dei
feldispati del granito. Ne vennero inviati a Roma alcuni campioni
dalle Giunte locali per la raccolta dei materiali da costruzione ;
ma non si hanno sui relativi giacimenti notizie abbastanza pre-
cise per poterne dare la descrizione, nè risulta che i campioni
sieno stati provati allo stabilimento Ginori.
Conclusione. — Riassumendo i risultati delle sue esperienze il
direttore della Manifattura Ginori conclude col dire :
C Che nessuna delle argille italiane -sinora esaminate in
quello stabilimento sembra possedere la refrattarietà necessaria
per resistere senza rammollirsi all’ alta temperatura de’ forni da
porcellana e di quelli fusorìi ; cosicché non potrebbero tali argille
essere adoperate nè per comporre il materiale occorrente alla co-
struzione interna dei medesimi, nè per formare le caselle o custo-
die destinate a contenere i prodotti che si espongono alla cottura.
2” Che talune argille del Yicentino, sebbene non adatte
a far parte di una composizione di porcellana, possono essere
utilizzate nella composizione di una buona terraglia, semprechè
saggi sistemi di estrazione e di preparazione permettano di con-
segnarle alle industrie esenti da ogni impurità e di una qualità
costante.
3° Che di tutti i nuovi giacimenti di caolino studiati in
seguito all’ invito del R. Governo, quelli che fanno concepire
maggiori speranze sono i giacimenti di Sardegna.
Esso esprime il desiderio che i proprietarii delle cave del
distretto di Schio e quegli industriali che intendessero accin-
gersi all’ esercizio delle cave esistenti in Sardegna, si rechino a
studiare i metodi di escavazione e di preparazione adottati dai
proprietarii delle cave di Cornovaglia, dove i caolini prima di
311 —
essere messi in commercio per la fabbricazione delle porcellane
e terraglie, della carta, del sapone ec., sono non solo macinati,
ma soggetti ad una cernita diligente susseguita da decantazione.
E queste operazioni sarebbero tanto più necessarie pei nostri
caolini, in quantochè presentando essi qualche impurità allo stato
naturale, non possono competere coi caolini esteri se non previa
una opportuna preparazione meccanica. Devesi però avvertire
che il prezzo dei nostri caolini, anche quando sieno preparati,
dovrà sempre mantenersi inferiore a quello de’ caolini inglesi,
senza di che questi finirebbero tosto o tardi con incagliarne lo
smercio, stante la loro migliore qualità.
Più tardi furono riprese le esperienze sopra nuovi campioni di
caolino delle due località di Sardegna che avevano date maggiori
speranze. Monte Porceddu e Laconi : i risultati riescirono però
ben poco soddisfacenti per la circostanza che la porcellana nella
quale entrano, benché in parte, queste terre, assume un aspetto
sgradevole, e perchè il costo di esse, atteso lo spurgo della parte
ferruginosa e la macinazione di cui abbisognano, mal potrebbe
sostenere la concorrenza dei caolini esteri e segnatamente degli
inglesi, che alla purezza e plasticità completa, accoppiano un re-
lativo buon mercato. Ed ecco a questo proposito come si esprime
il direttore dello stabilimento di Doccia nella sua relazione :
« Sottoposti i due caolini all’ azione dei reagenti chimici, fu rico-
nosciuto che entrambi hanno la medesima composizione chimica :
si potè però rilevare che la quantità di ossido di ferro che con-
tenevano, sebbene tenuissima, poteva nuocere alquanto alla bian-
chezza delle paste di porcellana che coi medesimi potessero essere
fatte. Venendo quindi a parlare degli esperimenti pratici sui detti
caolini, giova osservare che tutti, indistintamente, i medesimi
non possono entrare nella composizione della pasta di porcellana
se non sono stati triturati e ridotti allo stato di polvere o pol-
tiglia impalpabile, mediante la macinazione. Laonde prima di pro-
cedere a questa operazione, siccome i pezzi dei medesimi sono
macchiati qua e là da delle vene rossastre, formate dal sesquios-
sido di ferro, fu scelta la parte bianca scartando accuratamente
tutta quella colorata, e fu quindi macinata la prima riducendola
in polvere estremamente divisa. Ciò fatto furono composte varie
paste di porcellana con ciascuna delle suddette qualità di cao-
— 312
lino purificato, e messe quindi in lavorazione per formare degli
oggetti, fu trovato che erano alquanto povere di parte plastica
0 alluminifera. Esposti poi al fuoco gli oggetti fabbricati, si trovò
dopo cottura che, mentre erano riesciti sufficientemente bene dal
lato della solidità della materia, non era così da quello della
bellezza. Erano infatti colorati di grigio verdastro, e tutti della
stessa intensità di colore, lo che ci confermò che tutte le sud-
dette qualità di caolino presentano le stesse proprietà e sono fra
loro perfettamente identiche per composizione. Furono allora ma-
cinati insieme tutti i suddetti caolini (previa sceglitura e depu-
razione) per poter col solo caolino ottenuto, comporre, in grande,
varie altre paste di porcellana. E d’ altra parte ne furono fatte
altre a base dello stesso caolino addizionato di alquanto caolino
estero puro. Colle prime s’ incontrò la solita difficoltà della ma-
grezza nella lavorazione degli oggetti, colle seconde poi gli og-
getti medesimi si poterono fabbricare molto meglio. Dopo cot-
tura si trovò che gli oggetti fatti a base di solo caolino di
Sardegna presentavano lo stesso coloramento e le stesse qualità
di quelli fatti in piccolo la prima volta. Quelli poi i quali erano
stati fatti colla pasta composta collo stesso caolino addizionato
di alquanto caolino estero presentavano migliori resultati, ma
erano sempre leggermente colorati in grigio verdastro : e que-
sta colorazione si vedeva scomparire quanto più si diminuiva la
proporzione del caolino di Sardegna nella composizione della
pasta. Potei allora convincermi nella mia prima idea, cioè, che
il caolino di Sardegna può servire per la composizione della pa-
sta di porcellana in rimpiazzo soltanto del 50 per cento della
sola parte caolinica pura, ossia può entrare nella pasta di por-
cellana approssimativamente per una quarta parte della totalità
delle materie che la compongono. E P addizione di questo cao-
lino puro non la rende adatta per la fabbricazione di una buona
e bianca porcellana, ma soltanto per la fabbricazione di una por-
cellana inferiore, perchè, come ho detto di sopra, resulta sempre
alquanto colorata in grigio verdastro.
In conclusione, da quanto fu esposto, appare dimostrato che in
Italia esistono caolini procedenti dalla immediata decomposizione
dei feldispati, i quali, qualora fossero posti in commercio debi-
— 313 —
tamente scelti e preparati, potrebbero benissimo entrare in parte
nella fabbricazione delle porcellane, e totalmente in quella delle
terraglie fini, della carta, del sapone, e in altre industrie af-
fini : che vi esistono pure argille plastiche che possono resistere
anche ad elevate temperature ; ma che non si conoscono ancora
giacimenti di vere argille refrattarie dotate di tale purezza da
potere resistere alle più alte temperature della cottura della
porcellana e dei forni a ferro, il consumo delle quali è di gran
lunga superiore a quello dei caolini : da ciò la necessità di con-
tinuare gli studi intrapresi e di fare nuove ricerche e nuovi
esperimenti pratici.
Alle notizie che precedono crediamo utile il fare seguire al-
cuni dati, desunti da autori diversi, relativi a talune argille
italiane, delle quali non è fatto cenno nelle relazioni degli In-,
gegneri delle Miniere,, sia perchè abbastanza conosciute, sia per-
chè sfuggissero alle loro ricerche.
Frovincie piemontesi. — Nei circondario di Mondo vi (provin-
cia di Cuneo) esistono argille che, quantunque per sè stesse non
refrattarie, possono tuttavia, mescolate nella voluta proporzione
con quarzo, dare buoni mattoni refrattarii, come già ebbe a fab-
bricarne il signor Besio di Mondovì. ^ E però supponibile che
questa terra sia da riferirsi al deposito dei caolini di Ceva del
quale è parola più sopra.
Gli autori citano anche una argilla refrattaria a Yillanova
Mondovì ; e forse allude a questa il Barelli quando dice che
« sul territorio di Pianfei (Mondovì), o forse già sul vicino terri-
torio della Chiusa, e subordinato al serpentino, trovasi uno strato
di argilla apira della varietà litomarga, d’ un bigio sucido traente
al bruno : ella è tenera, ontuosa al tatto ed infusibile al cannello :
viene essa adoperata alla vetraia della Chiusa nella pasta con
cui si formano le padelle, entro le quali si opera la fusione del
vetro. La roccia che racchiude questa argilla è pure mista di
amianto ed è serpentinosa, e costituisce il monte che forma il
limite della provincia di Mondovì con quella di Cuneo.^ » Il me-
* Atti Inchiesta Industriale, deposizioni scritte, voi. Ili, cat. 15, par. 6.
“ V. Barelli, Cenni di statistica mineralogica degli Stati di S. M. il Re
di Sardegna. Torino, 1835 (pag. 278).
— 314 —
desimo autore cita poi V esistenza di una argilla bianca, apira,
plastica, nel territorio di Frabosa soprana, nello stesso circondario
di Mondovì.
Da molto tempo conosciuta è 1’ argilla di Castellamonte, in
provincia di Torino, proveniente dalla scomposizione di rocce fel-
dispatiche : contiene una piccola quantità di idrato di ferro, e
gode di una mediocre refrattarietà. Serve ad alimentare molte
fabbriche di stufe ed oggetti refrattarii. Nelle vicinanze, a Bal-
dissero, si trovano depositi di un carbonato misto a silicato di
magnesia assai puro (Giobertite) che alimentò per qualche tempo
la fabbrica di porcellana di Vinovo. Non sembra vi esistono però
veri caolini, quantunque il Barelli ne citi uno del Monte Spinai,
un secondo del Monte Bellasanta, ed un terzo del luogo detto
Le Benne 'tra Castellamonte e Baldissero.
Nella stessa provincia il Barelli accenna ad un caolino bian-
chissimo e di eccellente qualità a due miglia da Pinerolo sulla
montagna di Murat ; ad un altro caolino della valle Pellice nel
comune di Lusernetta, e ad un terzo a tessitura scistosa della
collina di San Michele nel comune di Bricherasio, tutte località
del circondario di Pinerolo.
Assai conosciuto è pure il caolino di Borgomanero nella
provincia di Novara ; la sua composizione, astrazione fatta dai
residui non argillosi, è la seguente :
Silice 44,5
Allumina 39,3
Ferro e manganese 2,1
Soda e potassa traccio
Acqua 13,8
Nella stessa provincia, a Ronco Biellese, esiste una argilla
magnesiaca atta a comporre buone paste ceramiche, contenente
il 15 per Yo di magnesia: il Barelli poi accenna ad un caolino
che si scava nella montagna di Valduggia nella Valsesia, e ad
un altro nel territorio di Grignasco, località detta Cugnoli, nel
circondario di Novara.
Finalmente qualche autore fa menzione di un caolino a Fenolo
sul Lago Maggiore, in dipendenza del granito di Baveno ; ed il
315 —
Barelli cita nel circondario dell’ Ossola una argilla apira, plastica,
bigia a Fossogno, ed un caolino nel comune di Santa Maria Mag-
giore, località detta Riale del Ferneccio/
Frovincie venete. — In provincia di Belluno, nel comune stesso
di Belluno, trovasi in località detta Mussoi, una argilla atta alla
fabbricazione di laterizi refrattari. Argille bianche refrattarie
sono citate nella località detta Caucia, in comune di Borea nel
Cadore.
Nella stessa provincia, nel territorio di Gosaldo, esiste una ar-
gilla talcosa, refrattaria, in strati potenti che si estendono per
gran parte del territorio comunale ; serve, mista con poco quarzo,
alla confezione di crogiuoli e stoviglie. La medesima viene im-
piegata alla costruzione dei forni nello stabilimento metallurgico
di Vallalta per il trattamento del mercurio.
Fhnilia e Bomagna. — In alcuni luoghi della provincia di Pia-
cenza si trovano terre refrattarie, ma sino ad ora sono trascurate. ^
In provincia di Reggio, nel comune delle Quattro Castella, si
lavora nella località di Salvarano una terra argillosa refrattaria;
essa vi esiste in depositi piuttosto abbondanti, e serve per for-
mare piani da forni e lastre da camini.
Nei contorni di Risano, in provincia di Bologna, havvi una
varietà di caolino che deriva dalla dissociazione della eufotide
oligoclasica a grandi elementi. La sua composizione è:^
Silice 62,0
Allumina 25,0
Magnesia 4,0
Soda 1,4
Acqua 10,0
102,4
Nella stessa provincia si lavora un’ argilla plastica a Monte
Paderno, comune di Bologna, per la confezione di laterizii re-
frattarii. Il professor Bombice! scrive in proposito : « Il dilavamento
delle vaste formazioni delle marne azurrine e biancastre, delle
argille turchine plioceniche e delle stesse argille scagliose, po-
^ Barelli, Cenni ec., pag. 479.
^ Relazione Cam. Comm. di Piacenza.
® Bombicci, Descrizione della Mineralogia generale della provincia di Bo-
logna, parte II.
316 -
Irebbe produrre, se opportunamente utilizzato in vasta propor-
zione, ottimi depositi di argilla plastica e figulina, e di materiale
idoneo pei laterizi! refrattari!. ^ »
Citiamo anche il fatto che la ditta L. Giuglini e C. di Ri-
mini, con terra italiana, fabbrica buoni mattoni refrattari!, i quali
sarebbero dotati di una maggiore resistenza e perfezione di quelli
che vengono importati dall’ estero. “ Ignoriamo però e la compo-
sizione e la provenienza di questa terra.
Provincie toscane. — Nel lucchese abbiamo la terra di Monte
Carlo e di Altopascio, conosciuta per le sue buone qualità re-
frattarie : essa è un’ argilla silicifera, bianchissima, conosciuta in
commercio col nome di Terra di Montecarlo ed usata per la co-
struzione dei recipienti per la fusione del vetro.
Altrettanto conosciuto è il caolino dell’ Isola d’ Elba che ri-
sulta dalla decomposizione della eurite del Capo Bianco presso
Portoferrajo. Fatta astrazione dalla parte non argillosa, che vi
si trova nella proporzione dell’ 8 per 100 circa, e che si può
separare facilmente, la composizione di questo caolino è la se-
guente :
Silice 49,6
Allumina 35,5
Ferro e manganese traccie
Potassa, calce e magnesia . 2,4
Acqua 12,5
100,0
A Chiessì, nella parte più occidentale dell’ isola, trovasi pure
il caolino derivante dai graniti del Monte Capanna.
»
Presso San Piero in Campo, nella parte meridionale dell’isola,
si lavora una sostanza collegata con roccie serpentinose ed im-
propriamente chiamata caolino: essa non è altro che una ma-
gnesite (carbonato di magnesia) mescolata con silicato di magnesia,
ed analoga alla giobertite di Baldissero in Piemonte.
Di composizione molto affine ad un vero caolino magnesifero,
è la così detta Alloisite dell’ Isola d’ Elba proveniente dall’ alte-
razione dell’ ortose che accompagna le masse ferree di Rio : la
‘ Relazione sulle pietre edilizie e decorative della provincia di Bologna.
^ Relazione Cam. Comm. di Rimini.
317
sua composizione, secondo V analisi fattane dal Gherardi e ri-
portata dal D’ Achiardi,^ è la seguente :
Silice 55,15
Allumina -7,72
Calce e magnesia 5,10
Potassa 1,15
Acqua 10,20
99,32
Anche nelle isole vicine sembra si trovi il caolino : il Giuli ^
lo cita a San Francesco nell’ isola del Giglio ed a Cala Maestra
in quella di Montecristo.
Una specie di caolino, proveniente dall’ alterazione della La-
bradorite dell’ eufotide, si trova a Jano presso Volterra: ed è
probabile che nelle stesse condizioni si trovi anche altrove. ^
Una sostanza che ha tutta 1’ apparenza di caolino si trova
alle falde del monte dell’ Acquaviva presso Campiglia nella pro-
vincia di Pisa, in correlazione a porfidi trachitici. La sua com-
posizione è la seguente : ^
Silice 48,8
Allumina 39,1
Ossido di ferro traccio
Calce 0,7
Acqua 10,7
99,3
Nella stessa provincia è conosciuta l’ argilla refrattaria di
Lugnano, nel comune di Vico Pisano, proveniente dallo sfacelo
degli scisti del Verrucano ; si usa per fabbricare mattoni refrat-
tarii e terraglie che sono assai ricercate.
All’ Impruneta presso Firenze, ed a Figline presso Prato, la-
vorasi una terra derivante dalla decomposizione dell’ eufotide o
granitone di quelle località ; è dotata di mediocri qualità refrat-
tarie e se ne fabbricano anche pezzi per forni.
Il Giuli finalmente cita 1’ esistenza del caolino anche a Quer-
ceto nella Montagnola Senese e all’ Ajola nelle Alpi Apuane,
alla base settentrionale del Pizzo d’ Uccello.
* Sopra alcuni minerali dell’ Elba.
^ Statistica mineralogica della Toscana.
® D’ Achiardi, Mhieralogia della Toscana.
' Idem.
318 —
Trovincia Bomana. — Nell’ opera di Angelo Galli, pubblicata
in Koma nel 1840,^ leggesi quanto segue: « A Civita Castellana
esiste una cava che Brocchi così descrive : Argilla Manca finis-
sima, plastica, Mhula. Si adopera nella fabbrica delle teì'raglie e
delle porcellane. Tanto che secondo questo profondo conoscitore
delle materie minerali, V argilla di Civita Castellana sarebbe
idonea alla fabbricazione delle porcellane. S’ egli disse si adopera,
sbagliò nel fatto, ma non esclude che egli la riconoscesse atta
a simile lavorazione. »
Allude probabilmente a questa argilla il professor Omboni
nella sua Geologia dell’ Balia, dove dice, a pag. 298, che « al
piede del Monte Soratte v’ hanno delle vene di un’ argilla bianca,
simile a caolino, e con macchie ocracee, la quale fu adoperata
per qualche tempo a fabbricare porcellana. » Il professor Pietro
Carpi, che visse in Roma intorno al 1830, analizzò probabil-
mente questa argilla : sembra però che la medesima sia molto
ricca in magnesia, e che la sua escavazione sia cessata perchè
non se ne trovavano che vene piccole, irregolari e non continue.
Il Breislak, nel suo Saggio di osservazioni minercdogiclie sulla
Tolfa, Oriolo e Latera (Roma 1786) dice esservi nel luogo detto
La Torretta presso Oriolo, a 48 chilometri da Roma, una ar-
gilla bianca e pastosa che potrebbe a primo aspetto sembrare atta
alla porcellana. Avvertisi che questa località trovasi, come Bas-
sano di Sutri più sopra ricordato, al N.E. di Monte Virginio ed
in maggior vicinanza al monte stesso che non lo sia quest’ ul-
timo paese.
Notisi da ultimo che nel 1863 il Governo Pontificio accordò
una concessione perpetua per lo scavo della creta bianca nei
territori di Civita Castellana, Sutri, Fabbrica, Sant’ Oreste e
Ponzano, i tre primi nel circondario di Viterbo, gli altri sul
versante meridionale ed orientale del Monte Soratte : il conces-
sionario era pure autorizzato ad erigere presso Civita Castellana
un edificio o laboratorio per la fabbricazione delle maioliche e
terraglie.
Abruzzi. — « Nella provincia d’Aquila le argille (silicati di
‘ Discorso sull’ Agro Romano e cenni economici statistici sullo Stalo Pon-
tificio.
319 —
allumina idrati) vi sono di diverse qualità e bontà in grandi
ammassi. L’ argilla plastica in talune località è purissima e senza
traccie di ossidi metallici, qual per esempio quella di Pettorano
presso Solmona, die nei passati secoli animò una fabbrica di
finissima maiolica ; ed ora la cava pur serba la stessa proprietà,
sebbene condannata a produrre tegoli e mattoni che riescono
solidi, sonori e capaci di essere levigati come pietra. La stessa
sorte sta subendo V argilla di Campo di Giove, pure nei dintorni
di Solmona, e quella della Marsica: in modo analogo sono uti-
lizzate le argille di Anversa (circondario di Solmona) e quelle
di Sassa, di Capitignano e di Bussi, nel circondario di Aquila.
La qualità di queste argille sarebbe dovunque ottima.* »
Nella provincia di Chieti si citano giacimenti di argille cao-
liniche più o meno refrattarie nei territorii di Guardiagrele, di
Rapino e di Gessopalena ; i primi due nel circondario di Chieti,
il terzo in quello di Lanciano.
Calabria. — Come fu accennato più sopra, havvi in provincia
di Catanzaro il caolino di Tropea, bianco e derivato dalla de-
composizione dei graniti di Calabria. Si lavora ed è messo in
commercio. Nella stessa località havvi anche il Fetunzé^ sotto
forma di sabbia bianca.
Per la provincia di Reggio si cita un caolino nella comunità
di Pedavoli, circondario di Palmi, ad un’ ora di distanza circa
dall’ abitato, e in prossimità di una cava di scisto cloritico.
Il signor Lenzi, fabbricante di prodotti ceramici in Napoli,
assicura che in Calabria si rinviene anche della terra refrattaria,
la quale venne da esso esperimentata con successo. ^
Sicilia. — Per la Sicilia il De Bordi nella sua Mineralogie
Siciìienne (Turin 1780) dà P elenco di molte terre argillose da
esso dichiarate plastiche e refrattarie, e fra le quali presentano
i maggiori caratteri di purezza certe argille di Taormina, di
Messina, del fiume Niso, di Catania, di Siracusa, di Ragusa, di
Butèra,. di Licata, di Castrogiovanni, di Salemi, di Raccuja, del-
’ Relazione della Cam. di Comm. di Aquila pel 1865.
^ Feldispato non alterato misto a granuli di quarzo, che si unisce al caolino
per comporre la pasta da porcellana.
® Atti Inchiesta Industriale, dep. scritte, voi. IH, cat. 15, par. 6.
— 320 -
r Isola Alicuri e dell’ Isola Salina (ambedue del gruppo delle
Lipari).
Anche il Ferrara parla favorevolmente delle argille siciliane,
e nella sua Storia Naturale della Sicilia (Catania 1813) scrisse
quanto segue : « L’ argilla da porcellana è comunissima in molti
luoghi deir Isola ; ne ho veduto dei grossi filoni nelle montagne
del Pelerò ; grigia giallastra, o rossastra, friabile, matta, polve-
rulenta, che si attacca alla lingua assorbendone l’umido, magra
al tatto e che non si fonde affatto senza addizione. Si sa che
secondo le analisi di Vauquelin contiene silice, allumina, calce,
ferro, acqua ; e che in altra analisi non vi si è trovata la calce.
Ne ho osservati dei grandi ammassi in alcuni discavi nel con-
torno di Catania, ed egli è certo che ne potrebbe ritrovare
sempre colui che andrebbe in cerca di essa allorché profittando
dei filoni del felspato micaceo decomposto in massa terrosa
bianca, che così abbondano nelle montagne granitiche del Peloro,
vorrebbe impiegarsi alla fabbrica della porcellana che come è
noto resulta da questa argilla, e dal felspato che serve di fon-
dente per favore senza dubbio della potassa che le analisi del-
P esatto Vauquelin ci hanno dimostrato esistervi, e dalla quale
deve ripetersi la grande fusibilità del felspato. »
E qui cessano le nostre informazioni circa i probabili giaci-
menti di caolini e di argille refrattarie in Italia: è a desiderarsi
che ulteriori ricerche vengano fatte e che da esse si possa ri-
cavare qualche cosa di più positivo sull’ importante questione.
P. Zezi.
Roma, ottobre 1875.
— 321 -
NOTIZIE BIBLIOGRÀFICHE.
A. Manzoni. — 1 Briozoi del pliocene antico di Castrocaro.
Bologna, 1875.
Ecco una nuova ed interessante monografia che il dottor Man-
zoni aggiunge alle altre già da esso pubblicate intorno ai Briozoi
fossili. Ne offre argomento la ricca fauna di Castrocaro presso
Forlì, tanto copiosa di forme diverse da caratterizzare da sè sola
quel piano quand’ anche vi mancasse qualsiasi altra specie di or-
ganismi fossili : questo deposito a briozoi è senza dubbio il più
ricco che si conosca finora nei terreni pliocenici italiani ; e nes-
sun altro deposito italiano, ad eccezione di quello classico del
gruppo di Crosara illustrato dal Reuss, può competere con quello
di Castrocaro per la copia e la conservazione dei resti di briozoi.
Per queste sue qualità il deposito di Castrocaro può parago-
narsi a quello dell’ antico pliocene d’ Inghilterra {Bed and white
crag di Suffolk) ed ai ricchissimi dei terreni miocenici d’Austria
e d’ Ungheria ; inoltre al par di questi presenta una decisa pre-
valenza dei briozoi cheilostomati sui ciclostomati, e, per i primi,
una grande preponderanza dei generi Lepralia e Membranipora
sugli altri.
Il deposito a briozoi italiano al quale quello di Castrocaro
si identifica maggiormente, è quello di Parlascio e San Frediano
nelle Colline Pisane ; il quale pure, benché in più modeste pro-
porzioni, contiene una fauna di briozoi che di per sè sola carat-
terizza la formazione. La fauna di queste due località si mostra
collegata con quella dei mari attuali e con quella dei pliocenici,
piuttostochè colle faune più antiche ; ed a prova di questa asser-
zione vedasi il quadro comparativo dall’ Autore posto in fine del
lavoro, nel quale i termini di confronto sono : terreni coetanei di
Castrocaro, il pliocene di Parlascio e San Frediano ed il Crag
d’Inghilterra; più antichi, Crosara ed i depositi austro-ungarici;
22
— 322 —
più moderni, il pliocene di Reggio Calabria, il quaternario di
Livorno ed i mari attuali.
Nell’opera del dottor Manzoni sono descritte 83 forme di
briozoi dei deposito di Castrocaro, e fra queste 25 non poterono
essere identificate a forme viventi o fossili già conosciute, per
cui furono battezzate con nomi nuovi ; di queste specie nuove
ben 22 appartengono alla famiglia dei Clieilostomati inaìiicolati,
e la più parte di esse è del genere Lepredia. Le specie descritte
sono rappresentate da sette tavole egregiamente disegnate dal-
r Autore stesso e con molta cura litografate : l’ ingrandimento
sotto il quale ciascun briozoo è disegnato nelle tavole, non è
\
uguale per tutte le figure, e per alcune specie havvi anche il
disegno in grandezza naturale.
Aggiungiamo infine che di questa monografia furono stam-
pate sole 100 copie a spese esclusive dell’ Autore, e che chiun-
que volesse ottenerla per studio potrà rivolgersi direttamente ad
esso, non trovandosi la medesima in commercio.
Facciamo voto perchè 1’ esempio del dottor Manzoni trovi
imitatori in Italia, e che lo studio dei briozoi fossili, finora po-
chissimo curato da noi, q)Ossa entrare a far parte della paleon-
tologia ben conosciuta dei terreni terziari d’ Italia.
G. V. Rate. — I Monconi nella parte S. E. del Tiroh:
Bonn 1875.
In questa pregevole memoria l’ Autore richiama 1’ attenzione
dei geologi e dei mineralogisti sopra alcuni punti di maggiore
importanza, riguardanti le roccie ed i minerali dei Monzoni, i
quali furono toccati parzialmente nelle molteplici descrizioni di
quei classici monti, e ne trae occasione per fare nuove ed
interessanti osservazioni.
Il gruppo dei Monzoni consta di molte specie di rocce, i cui
tipi però sono due, e cioè la Sienite augitica ed il Diabase:
questo studio ci insegna dunque a conoscere una nuova varietà
della sienite ; anche il diabase dei Monzoni si distingue sostan-
zialmente dai soliti tipi. Una gran parte del gruppo consta di
323
Sienite augitica, miscuglio cristallino-granulare di Ortose, Pla-
gioclasio ed Augite : i componenti accessori sono Titanite, Orne-
blenda, Pirite di ferro, Ferro magnetico, Apatite. In qualche
varietà predomina P Ortose (Valle dei Kizzoni e Piano dei Mon-
zoni), in altre invece esso cede quasi completamente il posto al
Plagioclasio. L’ Autore dà il nome di Diabase a quella forma
litologica che prima d’ ora fu chiamata Iperstenite ; essa consta
essenzialmente di Labradorite con Ortose, Augite, Biotite, Orne-
blenda, Titanite, Ferro magnetico. Pirite ed Apatite; e, più ra-
ramente, Tormalina, Granato, Epidoto, Axinite, Cabasite e Preh-
nite. In alcune varietà della roccia, la Labradorite scompare quasi
completamente, predominandovi quasi per intiero V Augite : in
questo caso vi si rinvengono talvolta druse di cristalli d’ Augite
ben conformati. E interessante ancora la presenza nei Monzoni
di una roccia diallagio-labradoritica ; una mescolanza di granuli
grossolani di Labradorite, di Augite molto simile a Diallagite,
Olivina, poca Biotite e Ferro magnetico. La presenza deli’ Olivina
nelle rocce dei Monzoni non era ancora stata osservata. Impor-
tantissime sono le analisi di feldispati, come pure del diallagio e
deli’ orneblenda presi da queste rocce ; e interessanti sono pure
la determinazione ottica di un diallagio del professor Websky,
e le ricerche microscopiche eseguite dal professor Bosenbusch
sopra alcuni diabasi. » ’
A questa prima parte del lavoro fa seguito la descrizione
dei giacimenti minerali e di alcune , specie che in essi si tro-
vano. Al disotto dei giacimenti minerali connessi al contatto
delle rocce eruttive e del calcare, ve ne ha uno dei più
notevoli; un giacimento cioè di Fassaite, nel versante setten-
trionale del Monte Ricorbetta ad un’ altezza di circa 2200 me-
tri. Quivi si osserva una massa ellissoidale di calcare cristal-
lino, racchiuso tutto alT ingiro da diabase ; e ad immediato
contatto di queste due rocce trovasi la Fassaite. Un’ altra lo-
calità molto interessante per lo studio dei fenomeni di contatto,
trovasi ad un’ altezza di circa 600 metri sopra la parte supe-
riore del Piano dei Monzoni : colà, in mezzo ad un selvaggio ed
alpestre ammasso di rupi, elevasi uno scoglio arrotondato, la
cui metà meridionale è formata di calcare, la settentrionale di
sienite. Presso il contatto, il calcare, che a distanza è compatto.
324 —
è convertito in un bel marmo cristallino: tra il marmo e la
sienite vi è un banco di calcite a grossi cristalli della potenza
di 72 ad 1 metro, ripieno di minerali, come Granato e Augite
raggiata: immediatamente al limite verso la sienite, presentansi
aggregati granulari e lastre di un Granato giallo e bruno, al
quale si associano liste di Augite raggiata completamente analoga
a quella dell’ Elba.
Nella parte S. E. dei Monzoni, al contatto della sienite
augitica, trovansi giacimenti di Epidoto accompagnato da Gra-
nato, Sfeno, Plagioclasio e Zircone. Una località ancor più
ricca, sotto questo riguardo, è la valle dei Eizzoni: colà do-
mina la sienite augitica, nella quale son racchiusi strati e
noduli di un marmo in molte guise impregnato di minerali di
contatto, Anortite, Adularia, Fassaite, Biotite, Monticellite, Pleo-
nasto, Titanite, Apatite, Ferro magnetico. Sono molto notevoli i
cristalli di Anortite, raggiungendo essi la grossezza di 6 centi-
metri, e la Monticellite 0 compatta 0 in granuli cristallini. Fi-
nalmente nella valle della Foglia trovasi un giacimento di Cey-
lanite e di Brandisite; e la Fassaite, vi si incontra. in cristalli
geminati di speciale bellezza.
E. yoN Mojsisoyics. — Sull’ estensione e la striiUura delle
masse dolomitiche nel S.E. del Tirolo. — (Sitz. k. Ak. der
Wiss., B. 71, Mai H., Wien 1875).
In questo interessante lavoro l’Autore dà relazione di alcune
nuove ed importanti ricerche eseguite nelle vallate di Groden,
di Abtey e di Buchenstein nel Tirolo meridionale, e ne trae
solidi argomenti per confermare la teoria di Kichthofen, che cioè
quelle masse dolomitiche debbano la loro origine a formazioni
madreporiche dolomitizzate.
Negli ultimi tempi del periodo del Muschelìcalh doveva esi-
stere per tutto quel territorio una specie di grande altipiano
dolomitico, continuo e pianeggiante, e solo più tardi vi si dovet-
tero formare avvallamenti, i quali riempironsi di sedimenti mar-
nosi, il cui risultato fu di separare fra di loro sei masse dolo-
325 —
mitiche che ora vedonsi affatto isolate : a questa formazione
marnosa appartengono i terreni caratteristici di Buchenstein, di
Wengen e di San Cassiano. Al limite fra la regione dolomitica
e la marnosa, corre dovunque una zona di calcare corallino, il
quale e da un lato e dall’ altro passa insensibilmente alle due
formazioni contermini.
Ad eccezione di qualche indizio di stratificazione nella parte
più elevata dei gruppi, corrispondente ai depositi operatisi nella
laguna centrale della scogliera madreporica, la dolomite si pre-
senta generalmente in masse compatte : la sua struttura è frequen-
temente quella di un conglomerato, nel quale si vedono grossi
blocchi corallini fra di loro cementati da una pasta dolomitica.
L’ incominciare della attività vulcanica nella Valle di Fassa
è indicato da una decisa linea di separazione fra la dolomite
degli strati di Buchenstein e quella degli strati di Wengen; il
che dimostra che vi fu un periodo di sosta nel generale abbas-
samento del fondo marino. Seguirono poscia le eruzioni di grandi
masse vulcaniche, le quali nelle regioni più settentrionali si
vedono intercalate in forma di correnti alla base degli strati
di Wengen.
Queste sono le conclusioni principali alle quali giunse l’Autore.
E. Stoehr. — “ KatecMsmus der BerghatiMnde.
Wien, 1875.
L’ ingegnere Emilio Stòhr, conosciuto assai favorevolmente in
Italia per i suoi studii intorno alle Salse del Modenese, ai ter-
reni terziari di Montegibio, alle argille scagliose dell’ Apennino
settentrionale ed ai terreni lignitiferi del Valdarno superiore,
ha di recente dato alla luce in Germania un interessante e ben
fatto prontuario per la lavorazione delle miniere, compilato colla
scorta della esperienza dall’ Autore acquistata come direttore di
siffatte lavorazioni. Lo scopo del libro è essenzialmente pratico,
come quello che si propone di trattare ad uno ad uno tutti i
quesiti dell’ arte mineraria, nella forma più facile ed in modo
succinto, avuto sempre riguardo tanto ai principii della scienza,
quanto ai dati suggeriti dalla pratica : esso è destinato a correre
— 326
fra le mani delle persone addette a lavori minerarii, ed a for-
nire in poche parole la soluzione di qualsiasi quesito riguardante
r arte loro ; la disposizione stessa del manuale, per domanda e
risposta, rende le ricerche a questo scopo assai brevi e facili.
A dare una idea più esatta del valore del libro, basterà in-
dicare quali sieno gli argomenti trattati nelle dodici principali
sue divisioni : V Del modo di presentarsi dei giacimenti mi-
nerali utili (giacimenti regolari, irregolari, superficiali ; giacimenti
nelle varie formazioni geologiche ; ricerca dei medesimi). 2° Dei
lavori per raggiungere il giacimento utile (metodi diversi di la-
vorazione ; lavoro puramente manuale e lavoro con macchine ;
macchine da scavo). S*" Dei lavori di apprestamento (discenderie,
gallerie, pozzi ; riattivazione di antichi lavori). 4° Dei vari me-
todi di lavorazione (per gradini rovesci o diritti, per montanti
trasversali, per pilastri, per camere di scavo ec. ; lavori di ap-
profondamento ; lavori allo scoperto). 5° Della sicurezza dei lavori
(armature in legno ; murature ; mezzi preventivi contro l’ inva-
sione delle acque). 6° Dell’ avanzamento dei lavori (per gallerie,
per pozzi, lavori allo scoperto ; trasporto interno, estrazione,
strade ferrate, macchine, motori ec.) T Del trasporto degli operai
(per pozzi inclinati e per pozzi verticali). 8° Della eduzione delle
acque (chiuse di ritegno ; scarico ed elevazione delle acque).
9° Della ventilazione (naturale ed artificiale). 10“ Della illumina-
zione (lampade di sicurezza). 11“ Degli incendii nelle miniere.
12“ Del personale lavorante e delle mercedi.
Il libro è corredato da 48 incisioni in legno, rappresentanti
figure schematiche e disegni di apparecchi, le quali facilitano
grandemente l’ intelligenza delle cose esposte nel testo.
Da questa semplice enumerazione delle materie trattate ap-
pare come l’Autore abbia saputo raccogliere in un volume di
piccola mole quanto può occorrere al minatore nell’ esercizio della
sua professione, esponendo il tutto in una forma facile ed ac-
cessibile alla intelligenza delle persone alle quali il manuale
è destinato. Sarebbe perciò desiderabile che si intraprendesse
la traduzione e la pubblicazione in italiano di questo libro, onde
venga diffuso fra i minatori italiani e forse anche adottato per
r insegnamento nelle nostre scuole minerarie.
— 327 —
J. Dana: Marnai of Geology ; Second Edition.
New- York, 1875.
Annunciamo con soddisfazione la comparsa di una seconda
edizione di quest’ opera capitale dell’ illustre geologo americano.
Nella introduzione 1’ Autore giustifica i motivi che lo hanno
indotto ad imprimere all’ opera sempre più un carattere prevalen-
temente americano. Le principali divisioni sono quelle stesse già
prima d’ ora esposte dal Dana, e conformi alle più universali co-
gnizioni ed ai sistemi ornai adottati, cioè Geologia fisiografica,
Geologia litologica, Geologia istorica e Geologia dinamica.
In questa seconda edizione abbiamo osservato le seguenti va-
riazioni nella nomenclatura e nell’ aggruppamento dei terreni :
r La prima epoca della formazione della terra fu chiamata Ar-
caica e non Asoica ed Eosoica come nella prima edizione, e ciò
in causa della impossibilità di segnare un limite deciso fra. le
formazioni azoiche e la comparsa degli organismi. 2° L’ antica
denominazione di Gruppo di Fotsdam od Epoca primordiale, fu
sostituito dall’ altra di Periodo primordiale o Cambrico, essendo
questo piano affatto identico al Cambriano dei geologi inglesi.
3° L’ Arenaria del Galcifero e il Calcare di Cha^y, dettero luogo
al Gruppo Canadese (Siluriano inferiore) che comprende il Gruppo
di Quehec cotanto ricco di fossili. 4® Il Calcare di Trenton, gli
Scisti e calcari di litica e il Gruppo di Cincinnati, costituiscono
il Gruppo di Trenton. 5'’ L’ antico Gruppo di Hudson è abolito,
e si passa immediatamente dal Trenton al Niagara. 6° Infine il
vocabolo di Fost-ter^iario fu sostituito dal Quaternario od Epoca
deìV uomo.
Nella conclusione della geologia dinamica, ove vengono trat-
tate le leggi più importanti per la formazione della terra, l’Au-
tore getta ancora uno sguardo alla storia della creazione biblica,
e ne deduce il seguente ordinamento :
1“ Era inorganica,
r giorno = Luce cosmica.
2° » == Separazione della terra dai fluidi.
I
— 328 —
i 1 Delimitazione della terra e dell’ acqua.
( 2 Creazione di una vegetazione.
Era organica.
Luce del sole.
Creazione degli ordini inferiori degli animali.
i 1 Creazione dei mammiferi.
( 2 Creazione dell’ uomo.
Volendo trovare un accordo fra la cosmogonia biblica e la
scienza, crediamo non si possa pervenire ad un resultato diverso
da questo.
Più di 1100 incisioni intercalate nel testo, servono a facili-
tare al lettore l’ acquisto di nuove cognizioni in rapporto alla
struttura della crosta terrestre, alla distribuzione delle terre e
dei mari, alla condizione di giacimento e alla struttura delle
rocce, al loro carattere litologico e allo sviluppo della vita or-
ganica nelle diverse epoche della formazione del globo.
Sotto qualunque aspetto, il Mamtal of Geology del Dana è
un’ opera intieramente originale, la quale manifesta le molteplici
e profonde ricerche dell’Autore in tutti i rami delle scienze na-
turali, e si collega a tutti i preziosi tesori di cognizioni dovute
alle recenti importantissime ricerche, specialmente eseguite nel-
l’ America del Nord. Però anche altre parti del mondo, e segna-
tamente r Europa, entrano nella cerchia delle sue osservazioni,
come era da aspettarsi da un uomo che ebbe una parte così
cospicua nel promuovere i progressi della scienza, e che per
primo assegnò alla fteologia, come scienza universale, il posto
che le si conveniva.
3® giorno =
2"
4*^ » =
» =
» =
NOTIZIE DIVERSE.
Le ultime eruzioni vulcaniclie dell’ Islanda. — Nella notte
dal 29 al 30 marzo di quest’ anno cadde sopra gran parte della
Norvegia una cenere vulcanica grigio-chiara che, oltrepassando
i confini della Svezia, giunse fino a Stokolma. Era naturale che
— 329 —
si supponesse provenire la medesima dall’ Islanda, trasportata da
venti tempestosi di KO. Questa supposizione rimase infatti pie-
namente confermata dalle notizie giunte in seguito da quell’ isola
che riferirono quanto segue.
Fino dal 15 decembre 1874 nella parte settentrionale ed
orientale dell’ isola, terremoti non molto forti, ma continui tal-
mente che sarebbe stato impossibile il numerarli, annunziarono
r avvicinarsi di eruzioni vulcaniche. Infatti qualche giorno dopo
dai villaggi a settentrione del Vatnajokul (Jokul significa mon-
tagna coperta di neve) fu veduto un gran fuoco verso il Sud
indicante appunto la nuova eruzione. Si venne a sapere in se-
guito che questa eruzione aveva avuto luogo nel Dyngufjeld a
Nord del Vatnajokul. Fu tentata una spedizione fin là, ma non
fu possibile avvicinarvisi più di un centinaio di passi: si potè
però constatare che l’ eruzione aveva il suo centro in mezzo ad
una montagna di forma circolare e conosciuta col nome di Askja.
Il cratere emetteva una grande quantità di cenere e di lava che
si elevava a parecchi piedi d’ altezza. Altri crateri secondari
emettevano acqua che andava poi a radunarsi in un piccolo lago.
Il suolo coperto di lava era screpolato in molti punti, ed aveva
dato luogo a fessure e a sprofondamenti.
Il 18 febbraio 1875 da Grimsstadir fu osservato un fuoco
energico molto esteso in lunghezza nei monti orientali posti fra
Myvatnsbygden e il fiume dell’ Jokul (Jòkulsaaen) che prendono il
nome di Myvatnsòrkenen ed Oesterfjeldene. Una spedizione giunse
fin là, ma 1’ eruzione era già terminata ; la lava però era tuttora
rovente : alcuni crateri erano sempre aperti, altri erano stati ot-
turati dalle scorie e dalle pomici che vi si riversavano. La cor-
rente della lava raggiungeva complessivamente 2 miglia e mezzo
geografiche in lunghezza e circa 500 metri in larghezza.
Il 10 marzo si aprì un nuovo cratere sugli stessi monti, ma
un poco più verso Nord; quindi il 29 dello stesso mese inco-
minciò una grande eruzione a Sud dell’ Jokul Herdubreid e ad
oriente del Dyngufjeld, i prodotti della quale giunsero appunto
fino oltre le coste della Scandinavia. Per ora non si è potuto
sapere con precisione se il cratere trovisi nel Vatnajokul o nel
Dyngufjeld, ma è certo che emise una quantità di cenere tal-
mente straordinaria, che per più giorni rimase impedito il pas-
— 330 —
saggio del fiume dell’ Jokul. Nella parte orientale dell’ isola la
caduta della cenere era così fitta che la luce solare non poteva
attraversarla, e si dovette accendere i lumi nel bel mezzo del
giorno. Queste tenebre durarono diverso tempo secondo la di-
stanza dal vulcano ; così nella valle dell’ Jokul durarono 5 ore,
in quella del Fljot 3 ore, nel Seydisfjord 2 ore. Lo strato di
cenere era di 6 pollici nella prima località e di 2 nell’ ultima.
In seguito alla caduta di queste ceneri, immense estensioni sulle
quali si esercitavano le pasture dovranno essere abbandonate e
rimarranno deserte.
Secondo i calcoli del professor Mohn di Cristiania, le ceneri
dell’ Herdubreid per giungere alle coste della Scandinavia, do-
vettero percorrere una distanza di 170 miglia geografiche colla
velocità di 40 miglia 1’ ora. Non è la prima volta che le ceneri
dei vulcani d’ Islanda sono portate fino alla Scandinavia : anche
l’eruzione dell’ Hecla nel 1693 mandò le sue ceneri fino alle
Faròe e sulle coste norvegesi. La distanza di questi due punti
è quasi uguale a quella del Vesuvio da Costantinopoli, ove nella
eruzione del 472, secondo una testimonianza di Procopio, furon
trasportate le ceneri che misero il terrore nella città.
Alla sera del 4 aprile sullo stesso altipiano tra Myvatnsbyg-
den e il fiume dell’ Jokul, ma un poco più a Sud dei punti ove
accaddero le due eruzioni del 18 febbraio e del 10 marzo, si
aprirono tre crateri distribuiti sopra una linea meridiana : il cra-
tere più settentrionale era il maggiore. Un centinaio circa di
metri ad occidente dei crateri, il suolo era fratturato da una
grande spaccatura diretta anche essa da N. a S. : e ad oriente della
spaccatura il terreno si era sprofondato per un’ altezza di 3 o
4 metri. Il cratere settentrionale lanciava una colonna di ma-
teria infuocata ad un’ altezza di 2 o 300 piedi, prendendo così
r apparenza di un Geyser : la estremità superiore della colonna
si apriva allora e ricadeva in basso simulando il getto di una
fontana. Questa eruzione non era continua, ma intermittente. In
mezzo ad un continuo romoreggiare, prodotto certamente dal
bollore della massa dentro il cratere, udivasi di tratto in tratto
una forte detonazione simile a colpo di cannone, ad ognuna delle
quali elevavasi dal cratere una colonna di vapore bluastro;
ciò induce a credere che provenissero dallo scoppio di masse
— 331 —
d’ aria rinchiusa nelle lave. La emissione delle materie infuocate
accadeva senza detonazione.
Ricerclie geologiche nel mezzodì della Spagna.’ — Anche
nella Spagna meridionale si hanno ora prove della esistenza di
grandi ghiacciaj in un’ epoca antistorica. Il signor J. Mac-Pherson
di Siviglia dette poco tempo fa comunicazione che egli, in una
escursione eseguita nella primavera trascorsa nella parte occi-
dentale della Sierra Nevada, ha raccolto su tal proposito le prove
più indiscutibili. Le traccie le più evidenti di un ghiacciaio fu-
rono osservate nella valle del fiume di Lanjaron. Le pareti della
valle sono levigate nel modo più perfetto : una evidente morena
frontale chiude inferiormente la valle; essa è posta a 700 metri
sul livello del mare. Il ghiacciaio può avere avuto una lunghezza
di 15 a 18 chilom. I monti dai quali scendono gli affluenti della
valle elevansi fino a 3200 metri, ma al presente sulle più grandi
altezze nella estate rimane appena qualche piccolo lembo di neve
di limitatissima estensione. Il signor J. Mac-Pherson crede pro-
babile che anche tutte le altre valli della parte occidentale della
Sierra Nevada siano state occupate da ghiacciai. caso è
di parere che i depositi di grossi ciottoli che trovansi in molti
luoghi verso la base della catena e specialmente nell’ Alhambra
presso Granata, siano stati trasportati dai ghiacci : .tutti questi
depositi giacciono a un dipresso alla medesima altitudine di
700 metri sul mare; e questo fu verosimilmente il livello fino al
quale discesero questi antichi ghiacciai.
Il signor J. Mac-Pherson ha fatto di recente anche altre
notevoli osservazioni nella provincia di Cadice, poco conosciuta
geologicamente, e ne dà alcuni cenni preliminari in alcune brevi
memorie.^ Egli ha fatto specialmente oggetto di ripetute inda-
gini le montagne della Ronda che elevansi a Nord di Gibilterra.
Una scoperta di grande interesse fu qui il ritrovamento di una
massa di serpentino straordinariamente estesa, e che evidente-
mente è un prodotto di metamorfismo di rocce oliviniche. Essa
* Da una lettera del Prof. F. Roemer. (Vedi, Neues Jahrbuch fùr Min.
Geol. und Pai., 1875, H. 5.)
^ Memoria sabre la estructura de la Serranìa de Ronda e Geological sketch
of thè province of Cadiz.
- 332 —
domina da Tolosa fino a Manilba per una lunghezza di oltre
42 chilom. ed una larghezza di 18 a 20, superando così in esten-
sione tutte le altre masse serpentinose conosciute. La prova più
fondata che effettivamente questo serpentino si originò dal me-
tamorfismo di rocce oliviniche, fu somministrata dal Mac-Pherson
in una speciale memoria (Breves apuntes acerca del origen pe-
ridotico de la serpentina de la serrania de Benda. — An. de la
Soc. espan. de hist. nat., Tom. IV. Sesion del 3 de fehr. 1875).
Il nucleo deir intiera massa è in parte tuttora formato di roccia
olivinica : essa contiene piccole particelle di Picotite o Cromospi-
nello qua e là sparse ; però anche nella maggior parte dei blocchi
di serpentino si possono riconoscere piccole parti di olivina
inalterata. I più evidenti passaggi dalla olivina cristallina inal-
terata al serpentino perfettamente amorfo, possono osservarsi
dappertutto. Per queste ricerche fu praticata con molto vantag-
gio anche P osservazione microscopica sulle lastre sottili ; e nella
memoria di cui sopra sono presentate due tavole con disegni
bene eseguiti di sezioni ingrandite. Per mezzo^ di questa scoperta
sono state ampliate le cognizioni che si avevano fino ad ora
sulla estensione e sulla trasformazione in serpentino delle rocce
peridotiche della catena montuosa di Eonda.
Le piriti in Francia. — È noto come in Francia le piriti
di ferro sieno oggetto di una lavorazione considerevole per
la fabbrica dell’ acido solforico : il consumo di piriti nazionali
nello scorso 1874 fu di 180,000 tonnellate per la Francia, e
di 520,000 per l’Inghilterra: con tutto ciò P industria francese
importa per lo stesso scopo le piriti dal Belgio, dalla Norvegia
e dalla Spagna.
I giacimenti francesi più celebri possono essere riuniti in
due gruppi; il primo situato nel dipartimento del Rodano (Chessy
e Saint-Bel), l’altro nei dipartimenti del Gard e delPArdéche e
si compone di parecchi importanti giacimenti, come Pallières,
Saint-Martin, Saint-Julien, ec. Le piriti del Rodano formano due
categorie: la' prima, che appartiene alla regione settentrionale,
comprende piriti con 46 a 48 7o solfo e con semplici traccie
di arsenico ; la seconda, nella regione meridionale, ha delle pi-
riti più pure e con 50 a 53 di solfo. Le piriti del Gard sono
ì
— 333 -
importantissime dal punto di vista del rendimento dei giacimenti, e
raggiungono il 45 7o solfo : quelle delFArdéche sono forse meno
importanti, contengono 45 a 50 di solfo, ma talvolta hanno per-
sino 3 millesimi di arsenico. In quanto alla massa totale di pi-
rite che ancora resta ad estrarsi, i signori Girard e Morin, che
fecero interessanti studii in proposito, credono che le fabbriche
francesi di prodotti chimici possono calcolare di avere questa
materia prima assicurata per un centinaio d’ anni almeno, e ciò
non tenendo calcolo che dei giacimenti conosciuti finora.
Formazione contemporanea dei minerali. — Nella seduta
del 26 Luglio scorso dell’ Accademia delle Scienze di Parigi,
il Prof. Daubrée ha presentato nuove ed interessanti notizie sulla
formazione contemporanea dei minerali nelle sorgenti termali di
Bourhonne-les-Bains, dove, in un antico pozzo di epoca romana,
si rinvennero, insieme con medaglie di bronzo, argento ed oro,
ed altri prodotti artificiali, i seguenti minerali : Càlcosina, in
cristalli assai distinti e talvolta geminati, coprente il solfato di
rame ; calcopirite colle sue tinte caratteristiche e i suoi cristalli
piramidali ; hornite in cristalli ettaedrici od esaedrici ; rame
grigio o tetraecìrite con 26, 40 7o di antimonio ; infine galena,
anglesite, limonite, pirite, cabasite e armotoma. Furono analizzate
due medaglie di bronzo ed una di ottone trovate entro lo stesso
pozzo, nello scopo di ricercare d’ onde provenisse P antimonio
che servì alla formazione dei cristalli di tetraedrite; e questa
analisi non indicò traccia alcuna di questo metallo, ma bensì una
proporzione notevole di piombo. La stessa osservazione, eseguita
sopra un pezzo di piombo trovato presso le medaglie, in parte
ossidato e passato allo stato di carbonato e di solfato, diede il
medesimo resultato negativo in quanto all’ antimonio, ma constatò
un torace di 10,40 7o di stagno. Sopra un tubo di piombo pro-
veniente dalla stessa località si trovarono dei cristalli bianchi,
splendenti, in forma di prismi a otto faccio e angoli eguali, of-
frenti tutti i caratteri della phosgenite (carbonato di piombo e
cloruro di piombo in parti prossimamente uguali) : questo mine-
rale formava una crosta sulla superficie del tubo, ed era rico-
perto da uno straticello di galena. Infine lo stesso prof. Daubrée
ha rimarcato che un pezzo di' ferro, il quale da soli dieci anni
— 334 —
trovasi in contatto coll’ acqua dei bagni, contiene all’ incirca il
3,5 di silice, offrendo per tal modo un esempio dell’ azione
delle acque termo-minerali sui metalli.
Minerali tellurici del CMIL — Nella seduta 11 Ottobre u.
s. della stessa Accademia il sig. Domeyko fece una comunica-
zione sopra i minerali tellurici scoperti di recente al Chili.
Questi minerali, che consistono in tellururo d’ argento ed in tel-
lurato di piombo, non furono trovati finora che in una sola lo-
calità, cioè nella miniera abbandonata di Condoriaco nella pro-
vincia di Coquimbo, alla distanza di 15 chilometri verso oriente
dalla miniera di Arqueros. I caratteri esterni di questi minerali
poterono farli confondere con certi altri, e specialmente col sol-
furo d’ argento : 1’ analisi del secondo diede 45 di tellurio per
100 di ossido di piombo. Il sig. Domeyko conchiude col dire che
non sarebbe infruttuosa la ricerca del tellurio nelle miniere dalle
quali si estraggono minerali ricchi in cloruro e solfuro di ar-
gento e in carbonato di piombo, quali sono quelli di Condoriaco.
Studii sui terreiuotl. — L’ illustre sismologo francese. Al.
Perrey, presentò recentemente all’ Accademia delle Scienze di Pa-
rigi uno studio sulla frequenza dei terremoti relativamente alle
fasi della luna. Dopo avere dimostrato il modo da esso usato
per enumerare i fatti e poi raggrupparli artificialmente per sta-
bilire un confronto fra questi due fenomeni, presentò dei pro-
spetti i quali mostrano all’ evidenza che il numero dei terremoti
offre due massimi alle sizigie e due minimi alle quadrature.
Quanto alla frequenza del fenomeno al perigeo ed all’ apogeo,
esso potè constatare che il numero più grande è quello corri-
spondente al perigeo.
AVVISO.
Si rinnuova l’ invito ai signori abbonati, i quali
non hanno ancora versato la loro quota di abbona-
mento per l’annata in corso, di volerlo fare senza altro
ritardo, rimanendo sospesa pei medesimi fin d’ ora la
trasmissione del periodico. La Direzione.
(Continuazione.)
Memorie per seryire alla descrizione della Carta teologica
d’Italia. — Volume II, Parte T; Firenze 1873. — 272 pa-
gine in-4° con 11 tavole, due Carte geologiche ed incisioni
intercalate nel testo.
Comprende le seguenti Memorie :
Introduzione. — Monografia geologica dell’ Isola d’ Ischia,
con la Carta geologica della medesima in fol. e incisioni nel
testo, del professor C. W. C. Fuchs. — Esame geologico della
catena alpina del San Gottardo, che deve essere attraversata
dalla grande Galleria della Ferrovia Italo-Elvetica, con una
Carta geologica in fol. e due tavole di Sezioni in fol., dell’in-
gegnere F. Giordano. — Appendice alla Memoria sulla for-
mazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, con una
tavola, dell’ ingegnere S. Mottura. — Malacologia pliocenica
italiana (Parte P, Gasteropodi sifonostomi) ', fascicolo 2®, con
otto tavole, di C. D’ Ancona.
Prezzo del Voi. 11° (Parte P), Lire 25.
Carta Geologica del San Gottardo, nella scala di
1 per 50,000, di F. Giordano. — Un foglio in cro-
molitografia '..... L. 5. —
Carta Geologica dell’Isola d’Iscliia, nella scala di
1 per 25,000 di C. W. C. Fuchs. — Un foglio in
cromolitografia L. 3. —
Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica
d’ Italia. — Voi. II, Parte 2^; Firenze 1874. — 68 pag. in 4°
con due tavole. — Contiene la seguente Memoria : B. Ga-
staldi, Studii geologici sulle Alpi Occidentali; Parte T.
Prezzo del Voi. 11° (Parte 2^), Lire 5.
Per le commissioni dirigersi al Segretario del R. Co-
mitato G-eologico, in Roma, Piazza San Pietro
in Tincoli, N. 5.
Annunzi di pubblicazioni.
A. D’Achiaudi. — Coralli eocenici del Friuli. — (Atti della Società To-
scana di Scienze Naturali, voi. I, fase. 2^). — Pisa 1875, pag. 10,
in-8° con due tavole (conliinua).
C. De Stefani. — Di alcune conchiglie terrestri fossili nella Terra
rossa della pietra calcare di Agnano nel Monte Pisano. — Pisa
1875, pag. 5, in-8^
— Natura geologica delle colline della Tal di Nievole e delle valli
di Lucca e di Bientina. ~ Pisa 1875, pag. 6, in-8°.
— Descrizione di nuove specie dì inolluscliì pliocenici italiani. —
(Bull, della Società Malacologica italiana, voi. I, fase. 1). — Pisa 1875,
pag. 9, in-8®.
A. Bellardi. — Novae Pleurotomidarum Pedeinontii et Liguriae fossi-
lium dispositionis prodroinus. — (Bull, della Società Malacologica
italiana, voi. I, fase. 1). — Pisa 1875, pag. 9, in-8^
P. Mantovani. — Delle argille scagliose e di alcuni Ammoniti dell’ Ap-
pennino delP Emilia. — (Atti Soc. It. Scienze Naturali, voi. XVIII,
fase. 1). — Milano 1875, pag. 35, in-8“.
G. Omboni. ~ Di alcuni oggetti preistorici delle caverne di Telo nel
Veronese. — (Atti Soc. It. Scienze Naturali, voi. XYIII, fase. 1). —
Milano 1875, pag. 14, in-8^ con una tavola.
A. De Zigno. — Sirenii fossili trovati nel Veneto. — (Memorie del E,.
Istituto Veneto, voi. XVIII). — Venezia 1875, pag, 30, in-4° con
cinque tavole.
— Sui mammiferi fossili del Veneto. — Padova 1875, pag. IG, in-8°.
L. Bombicci. ™ Corso di Mineralogìa. — (Seconda^edizione grandemente
variata ed accresciuta), voi. 2° diviso in due parti. ~ Bologna 1875,
pag. 1032, in-8° con tavole ed incisioni.
A. Stoppani. — Sui rapporti del terreno glaciale col pliocenico nei
dintorni di Como. — Milano 1875 (Atti della Soc. Ital. di Scienze
Nat., voi. XVIII, fase. 2); pag. 25 in-8‘’.
A. D’Achiardi. — Sulla Cordierite nel granito normale delP Elba e sulle
correlazioni delle rocce granitiche con le tracliìtiche. — Pisa 1875
(Atti della Soc. Tose, di Scienze Nat., voi. II, fase. 1) ; pag. 12 in-8°.
G. G. Gemmellaro e A. Di Beasi. — Pettini del titonio inferiore del
nord della Sicilia. — Catania 1874 (Atti Acc. Gioenia, serie 3%
tomo IX) ; pag. 44 in-4° con quattro tavole.
G. Capellini. — Sui Cetoterii bolognesi. — Bologna 1875 (Memorie del-
TAcc. delle Scienze, serie 3®, tomo V, fase. 4); pag’ 32 in-4 con due
tavole.
G. Struvbr. — Sulla Gastaldite, nuovo minerale del gruppo dei bisili-
cati anidri. — Roma 1875 ; pag. 5 in-4°.
B. Gastaldi. — Cenni sulla giacitura del Cervus euryceros. — Roma 1875;
pag. 6 in-4° con una tavola.
T. Taramelli. — Dei terreni morenici ed alluvionali del Friuli. —
Udine 1875 (Annali scientifici del R. Istituto Tecnico di Udine,
anno Vili); pag. 100 in-8® con 2 tavole.
A. Manzoni. — I briozòi del pliocene antico di Castrocaro. — Bologna
1875; pag. 64, in-4° con sette tavole.
G. Meneghini. — Nuove specie dì Fhylloceras e di Lytoeeras del liasse
superiore d’Italia. — (Atti della Società Toscana di Scienze Natu-
rali, voi. I, fase. 2®.) — Pisa 1875, pag. 6 in-8°.
Ch. Ledoux. — Mémoires sur les mines de soufre de Sicile. — (Annales
des Mines, serie VII, tome 7, livr. 1.) — Paris 1875, pag. 84 in-8°
avec deux planches.
Anno 187S
S.” H e 11
R. COMITATO GEOLOGICO
D’ ITALIA.
Bollettino Nf II e 12.
Novembre e Dicembre 1875.
ROMA,
TIPOGRAFIA BARBÈRA.
1875,
Bollettino Geologico per il 1870. — Un voi. in-8“ di pag. 324.
» » PER IL 1871. — Un voi. in-8° di pag. 296.
» » PER IL 1872. — Un voi. in-8° di pag. 376.
» » PER IL 1873. — Un voi. in-8° di pag. 400.
» » PER IL 1874. — Un voi. in-8° di pag. 408.
Prezzo di ciascun volume L. 10.
V Italia
Associazione al bollettino del 1875 (Anno VP). — Per
L. 8, Estero L. 10.
I fascicoli bimestrali del Bollettino si vendono anche se-
paratamente al prezzo di L. 2 ciascuno. 1
Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica
d’ Italia. — Volume P ; Firenze 1871. — 404 pagine in-4°
con 23 tavole, due Carte geologiche e varie incisioni inter- '
calate nel testo. ^ j
I
Comprende le seguenti Memorie :
Introduzione — Studii geologici sulle Alpi Occidentali, di ;
B. Gastaldi, con cinque tavole ed una Carta geologica. —
Cenni sui graniti massicci delle Alpi Piemontesi e sui mine- '
rali delle valli di Lanzo, di G. Struver. — Sulla formazione i
terziaria nella zona solfifera della Sicilia, di S. Mottura, ;
con quattro tavole. — Descrizione geologica dell’ Isola d’ Elba, |
di L Cocchi, con sette tavole ed una Carta geologica. — •
Malacologia pliocenica italiana (Parte P, Gasteropodi sifo- j
nostomi) di C. D’ Ancona ; fascicolo P, con sette tavole, f
Prezzo del Voi. I®, Lire 35. I
* \
I
Brevi cenni sui principali Istituti e Comitati Geo- (
logici e sul B. Comitato Geologico d’ Italia, di ;
I. Cocchi. — Pag. 34 in-4° L. 1.50Ì
Carta Geologica della parte orientale dell’ Isola |
d’Elba, nella scala di 1 per 50,000, di I. Coc- j
CHI. — Un foglio in cromolitografia . L. 3. 00
{Continua .)
BOLLETTINO DEL R. COMITATO GEOLOGICO
D’ ITALIA.
H e 11 — Novembre e Dicembre 1SI5.
SOMMARIO.
Note geologiche. — I. Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica del-
l’Italia Meridionale, per G. Seguenza. (Continuazione.) — II. Sui fossili del
calcare dolomitico del Chaberton (Alpi Cozie), studiati da G. Michelotti, per
B, Gastaldi (con una tavola). — III. Sulla Relazione di un viaggio geològico in
Italia di T. Fuchs, per G. Sequenza. — IV. Intorno alle ultime pubblicazioni
del prof. Ponzi, sui terreni pliocenici delle Colline di Roma e specialmente
intorno ad una così detta Fauna Vaticana, per A. Manzoni. — V. I Porfidi
del Lago di Lugano, per B. Studer. — VI. Rilievi nel territorio di Sexten,
nel Cadore e nel Comelico (Alpi Venete), per R. Hòrnes. — VII. La forma-
zione delle meteoriti e il vulcanismo, per G. Tschermak.
Notizie bibliografiche. — A. Cossa, Ricerche di chimica mineralogica sulla
Sienite del Biellese; Torino, 1875. — A. D’Achiardi, Coralli eocenici del
Friuli; Pisa 1875. — A. Bittner, Die Brachyuren des viceìitinischen
Tertiàrgebirges ; AVien, 1875.
Notizie diverse. — Studii sulle rocce eruttive. — Formazione contemporanea
della pirite. — Mineralizzazione delle materie organiche. — Nuovo animale
fossile. — Nuovo metodo per la distinzione dei feldispati. — Giacimenti fer-
riferi nella Scandinavia. — Caduta di pietre meteoriche.
Avviso. — Fossili miocenici e pliocenici del Modenese.
Tavole ed incisioni. — Tavola che accompagna la Nota del prof. Gastaldi
sui fossili del Chaberton. — Sezione del pliocene antico nella valle di
San Nicandro presso Messina, pag. 361.
Indice delle materie contenute nel Bollettino del 1875.
NOTE GEOLOGICHE.
I.
Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica
delV Italia Meridionale^ per G. Seguenza.
(Continuazione. — Vedi Bollettino^ N. 9-10.)
Elenco dei Cirripedi e dei Molluschi della zona superiore
dell’ antico plioceno.
352*
353*
354*
355*
256
357*
358*
359*
360
361*
362*
363*
364*
365
366*
367*
368*
369
370*
371
372*
373
374
375
376^
377
378
379^
380
381-
382‘
383
384^
1.
c.
Gbn. Murex Linneo.
/Continuazione.)
truncatulus var. B.
rudis Borson
Tapparoni Bellardì . .
Capellinii Foresti. . . .
Lassaignei Basterot . .
Edwardsii Payraudeau.
polyraorphus Brocchi
dertonensis Mayér . .
Panormitanus Seguenza
Brocchii Monterosato
funiculosus Borson
concerptus Bellardi
» var. A. Bellardi,
propinquus n. sp
consanguineus n. sp.
aciculatus Lamk
imhricatus Brocchi,
linguabovis Basterot.
hracteatus Brocchi. .
Mayendorfii? Calcara
Delbosianus '? Grateloup
cristatus Brocchi
scalaris Brocchi
lanaellosus Jan (Fusus).
sp.?*
- 340 —
Avvolgimenti nella parte posteriore f
ture più profonde
= M. rudis D’Ancona, Bellardi. . .
Forse anco dal Calcara confuso col
Gen. TropJion Montfort.
muricatus Montagu (Murex)
squamulatus Brocchi (Murex)
vaginatus De Cristofori et Jan (Murex),
multilamellosus Philippi (Murex)
Scillae n. sp
Barvicensis Johnston (Murex)
truncatus Stromayer (Buccinum)
Gen. TypTiis Montfort.
horridus Brocchi (Murex) . . . .
tetrapterus Bronn
fìstulosus Brocchi (Murex) . . .
= M. Lassaignei Libassi, D’Ancona,
= M. Edwardsii Scacchi, Philippi, Ci
Monterosato, M. Meneghinianus D'
= M. polymorphus D’Ancona, Bellard
= M. dertonensis Bellardi. Un piccole
vato ad Altavilla
Affine al M. scalaris, ina assai picc
aperto, con una forte varice al lai
= Fusus craticulatus Philippi, Mui
Brocchi, Scacchi, D’Ancona, Bellar
— M. craticulatus var. Brocchi, M. f
cona, Bellardi
Affine al precedente ed al M. scalari
Cingolo dell’ultimo anfratto piccolo
Di forma affine al M. aciculatus me
più costole che sono oblique . .
Somigliante al precedente, ma con scu
canale aperto
= Fusus lavatus Phil. F. corallinus
rallinus Scacchi, Aradas, M. aciculai
= M. imhricatus D’Ancona Bellardi
!=M. pyrulaeformis Libassi
= M. polymorphus var. Libassi . . .
rr: M. Mayendorfii Monterosato. Un
piccolo dubbio
r=:M. cristatus. Calcara, Aradas, Ph
Libassi
=: Fusus scalaris Philippi, M. scalaris
D’Ancona, Bellardi
:!.= Fusus lamellosus Phil. Pseudom
P. hracteatus Monterosato ...
Affine al M. binofius Pecchioli, colls
degli avvolgimenti meno depressa
= Fusus echinatus Philippi, Aradas,
Monterosato
=3 Murex squamulatus D’Ancona, B
Murex carinatus Bivona, M. va
Philippi, Aradas, D’Ancona, Bella
Murex multilamellosus Monterosa
Affine al T. barvicensis, ma distii
molto anteriore, coste trasverse ]
rr: Murex Barvicensis Tiberi, Monte:
=3 Trophon truncatus Jeffreys .
— T. horridus D’Ancona, Bellardi
— ' M. tetrapterus Philippi, T. tetra|l
Bellardi, Monterosato
— Murex fistulosus Phil. Typhis
D’Ancona, Bellardi
~ M-ì ~
!
4
5
6
0
1
8
j
9
10
11
12
1
13
14
15
!
16
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18
19 1
F.Le.
b.
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B.
H-
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. . .
b.
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[jeP.Ce
B.
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P.
b.
M.
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B.
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M.
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P.
B.
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b.
1.
c.
m.
. • •
E.
. • •
M.
-h
c.
G.
1.
R.
. . .
M.
M.
M.
4-
4-
M.
• • •
4-
).
P.
4-
).
P.
1
B.
. .
C.
. . .
b.
L.
1
342
385*1.
386*1.
387 c.
388* 1.
389 1.
390* 1.
391*1.
392*1.
393* 1.
394* 1.
395* 1.
396 1.
397 c.
398* c.
399* 1.
400* 1.
401* 1.
402* 1.
403* 1.
404 s.
s.
405 1.
406* 1.
407* 1.
408* 1.
Gen. Banella Lamarck.
nodosa Borson (Murex)
marginata Martin (Buccinum)
gigantea Lamarck
Gen. Persona Montfort.
= Murex rana Brocchi (non Linneo) Tq
biculator Calcara (non Linn.), Ranella
cona, Bellardi
= Buccinum marginatum Brocchi. B. pi
cara, Ranella laevigata Phil. D’Anco
nata Bell
r= Murex reticularis Brocchi (non Linn
laris Scacchi, Phil. R. gigantea Cal(
D’Ancona, Bellardi
tortuosa Borson (Murex)
Gen. Triton Lamarck.
= Murex cancellinus Brocchi (non Lam
anus Calcara (non Lk.), Tritouium cf
bassi (non Lamk.), Triton tortuoso
Persona tortuosa Bellardi
Olearium Linneo (Murex)
Doderleini D’Ancona.
distortum Brocchi (Murex)
crispum n. sp
sulcatum n. sp
appenninicum Sassi
tuberculiferum Broun (Tritonium) . . . .
reticulatura De Blainville
nodiferum Lamarck
affine Deshayes
Gen. Fieula Swainson.
geometra Borson (Pyrula).
intermedia Sismonda (Pyrula)
fìcoides Brocchi (Bulla) .
= Murex doliare Brocchi, Tritonium su
cara, Phil. T. doliare D’Ancona, T. '
= T. Doderleini Bellardi
= Tritoneum distortum Calcara, T. dis
cona, Bellardi
Affine al precedente : Labro internan
5 grossi denti, costole longitudinali
sverse numerose increspano la super]
Affine al T. distortum ; col labro interna
e cinque grossi denti, che si counet
giere pieghe interne
== Murex reticularis var. Brocchi (non 1
penninicura D’Ancona, Bellardi. . . .
=:T, tuberculiferum D’Ancona, Bellard
= Ranella lanceolata Menke, Philippi. !
reticolata Monterosato
= F. nodiferum, gyrinoides Brocchi, Ti
forum Phil. T. nodiferum D’Ancona 1
= Murex pileare Brocchi (non Linneo) H
Brocchi, Tritonium corrugatum Cale
T. corrugatum Scacchi, T. affine D’An
!= Bulla ficus var. Brocchi F. geometra
— Bulla ficus var. Brocchi, F. intei
Pirula ficus Calcara (non Linn.) . . .
= F. ondata Bronn ; F. ficoides Mayer ;i
Gen. Buccinum Linneo.
Guidicinii Foresti. . . . .'
Pauluccianum D’Ancona
Humphreysianum Bennet
» var. ventricosa .
Gen. Purpura Adams.
Credo che debbasi riportare più tosto ali
= B. ventricosum Kiener (non Lamk)iÌ
Phil. (non Penn.). B. Kienelik MouteriÉ
hemastoma Linneo (Buccinum)
cyclopum Philippi
Hbrnesiana Pecchioli
= P. hemastoma Calcara, Philippi . . .!
= P. cyclopum Calcara [
= P. interlineolata Doderlein j
Gen. Monoceros Lamarck.
monacanthos Brocchi (Buccinum)
- 343 -
t
;
4
5
6
7
8
9
IO
11
12
13
14
15
16
17
18
19
• .
Le.
b.
P.Ce.
B.
A.
C.
M.
B.
).
M.
-P
• •
Le.
*C.*
b.
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. . .
M.
M.
•
P.
b.
• • •
c.
P.
B.
c.
B.
L.
B.
\
. .
-P
M.
-P
0.
P.
B.
M.?
. .
P-
b.
A.
c.
P.
b.?
M.
ó.
B.
Ci.
b.
M.
-P
-P
M.
-P
-P
• • •
P.
-P
. .
B.
. F.
B.
Gen. Ceritliium Bruguiere.
'409 1.
1.
1.
410* 1.
4ir 1.
412 1.
413*1.
414*1.
*1.
415* 1.
416*1.
417* 1.
418*1.
419* 1.
420 1.
421*1.
422 1.
428 c.
424 c.
, 425 c.
11426* c.
427*1.
428* 1.
429*1.
430* c.
431*1.
432 c.
Yulgatum Bruguiere
» var. gracilis Phil. . .
» var. tuberculata Phil.
alastrum Brocchi (Murex), . . .
Bientinesii D’Ancona (M. S.) . .
mediterraneum Deshayes. . . . ,
doliolum Brocchi (Murex) . .
varicosuni Brocchi (Murex) .
» var. B
Bronnii Partsh
bicinctum Brocchi (Murex) .
crenatum Brocchi (Murex). .
tricinctum Brocchi (Murex).
etruscum Meneghini (M. S.).
Gen. GeritJiiolum Tiberi.
reticulatum Da Costa (Strombiformis).
spina Partsch (Cerithium). . .
pusillum Jeffreys (Turritella ?)
scabrum Olivi (Murex)
Gen. Triforis Deshayes.
perversa Linneo (Trochus) . . .
Gen. CeritMopsis Forbes et Hanley.
tubercularis Montagli (Murex)
bicarinata (Tiberi M. S.) Appelius. . .
Gen. Melania Lanaarck.
curvicosta Deshayes
Gen. Melanopsis Ferrusac.
narzolina Bonelli.
nodosa Pecchioli .
Gen. Priamus Beck.
helicoides Brocchi (Bulla). . .
Gen. Stromhus Linneo,
coronatus Defrance.
Gen. Ghenopus Philipp!,
pespelecani Linneo (Strombus) .
^ C. vulgatum Calcara, Philipp!. Monterò
= C. vulgatum var. b. angustissima Wein
= C. vulgatum var. c. intermedia Weick.
= C.^ vulgatum var. plicata Phil. Calcara .
Specie affine al C. vulgatum, di più fina s
= C. fuscàtum Phil. Monterosato, C. rupe ;
rosato
Più fortemente striata e pieghettata. . .
= C. crenatum Calcara,
= Cerithium lima Calcara (parte) Phili
C. reticulatum Montcrosato
= Cerithium lima Calcara ('parte) Phili;
C. reticulalum Monterosato (parte). . .
— Cerithium perversum Philipp!, Trifoi
Monterosato
= Cerithium pygmaeum Philipp!, C. tuber
terosato
=:M. plicatula Libassi j|
Achatina helicoides Calcara
= S. fasci atus Brocchi (non Linn.), S. co: ai
cara, Philipp! .
= Murex gracilis Brocchi, Rostellaria pes
cara, C. pespelecani Philippi, Monterei
K
ti
18
0.
F.CaLe
0.
0.
0.
0.
0.
CaLeFi
C.Ge.
F.
P-
P.Ge
CaLeFi
Ca.p Fi
B.
A. C
B.
P.
P.
A.
A.
IVI.
B.
b.
10
M.
11
b.
12
13
U
15
16
17
H-
0.
C. P.
b.
0. P.Le. b.
0.
0.
0.
0.
Le.
0.
P.
A.
B.
B.
C.'
M.
b.
1. . .
C.
M.
H-
(Contimia.)
+ + +
- 346 -
IL
Sui fossili del calcare dolomitico del Chaherton (Alpi Cozie)
studiati da G. Michelotti. — Nota di B. Gastaldi.
La lunga pratica e la materiale conoscenza da me acquistata
della zona delle pietre verdi mi convinsero, già da parecchi anni,
che le rocce componenti quella zona, sono azoiche. Tutti i geo-
logi saranno disposti a credermi quando dico che non trovai trac-
cia di organismo nelle pietre verdi propriamente dette, nei ser-
pentini cioè, nelle eufotidi, nelle varioliti, nelle pietre ollari ec. ec.
Devo però soggiungere che finora indarno ne cercai nelle altre
rocce, che colle accennate, concorrono a formare quella zona,
vale a dire nei micascisti gneissici, nei gneiss moderni, nei cal-
cescisti ; le prime e ben distinte tracce di esseri organici com-
paiono negli strati calcarei racchiusi nei banchi superiori del
calcescisto.
A proposito di calcescisti e di calcari più o meno cristallini,
mi occorre di far parola di un grave errore, anzi di due errori
da me commessi, dei quali mi pento e mi dolgo.
Nella seconda parte de’ miei Studii geologici sulle Alpi occi-
dentali, io dissi che i calcari cristallini alpini, simili a quelli di
Carrara, fan parte della zona delle pietre verdi; è questo il pri-
mo degli accennati errori. Infatti dopo la pubblicazione di quella
memoria, io trovai che le masse principali dei nostri marmi sac-
caroidi, quelle di Frali, di Salza nella valle Germagnasca, quelle
di Sanfront, delle Calcinere ec. , nella valle del Po, sono rin-
chiuse entro al gneiss antico, al gneiss centrale.
L’ altro errore mi sfuggì quando, nella stessa memoria, sin-
cronizzai i marmi di Carrara coi calcari saccaroidi delle nostre
Alpi, e particolarmente con quelli della zona delle pietre verdi.
Mentre accennava a tale sincronismo, io non pensava che nei
calcari marmorei del Carrarese, e nelle rocce che con essi alter-
nano, si era riesciti a scoprire tutta una serie di fossili.
Confessato lo sbaglio, non dirò più parola intorno a questi
calcari, che io non vidi mai in posto. Mi permetterò tuttavia di
— 347 —
osservare che oggidì vi ha fra i geologi marcata tendenza ad
invecchiarli; che ben pochi sono quei geologi i quali ritengano
ancora quei calcari per terreni relativamente recenti metamor-
fosati in rocce cristalline ; che, in poche parole, quella benedetta
teorica del platonismo, sorgente di tanti errori, va scemando di
valore, va perdendo proseliti.
Quantunque, pubblicata quella memoria, mi accorgessi subito
degli errori nei quali era caduto, io ringrazio sinceramente il
signor C. De Stefani di aver rilevato quello che si riferisce ai
marmi di Carrara. ^ Non posso però trovarmi d’ accordo con lui
quando asserisce che rocce antiche corrispondenti alla zona delle
pietre verdi non si trovano allo scoperto in Toscana: Mi permet-
terò quindi di esporgli un mio desiderio, quello di sapere in
quale zona egli vuol porre i tanti e grandiosi affioramenti di ser-
pentino, di eufotide e di altre rocce congeneri che si incontrano
sul suolo della Toscana.
Ritornando al nostro proposito, e posto che le rocce della
zona delle pietre verdi sono azoiche, io dovetti confinare nel-
r orizzonte inferiore del paleozoico i calcari dolomitici che al
Chaberton, al Balmas, alla Rognosa, al Chinivert (valli della
Dora Riparia e del Chisone) si trovano direttamente sovrapposti
alla zona delle pietre verdi.
Quei calcari dolomitici sono ritenuti, dal signor Lory, lias-
sici perchè egli crede che sia triassico il sottostante calcescisto,*
il quale oltre ad essere roccia azoica nella quasi totalità della
sua enorme grossezza, che è di parecchie migliaia di metri, rac-
chiude i serpentini e le altre pietre verdi.
Partendo da dati così differenti non deve recar meraviglia
se intorno alla età di quei calcari io non potei sinora convenire
nell’ opinione del signor Lory. Una discussione in proposito, per
riescire seria, dovrebbe esser fatta sul terreno col martello in
mano e non al tavolo colla penna. Ad ogni buon fine io dichiarai
che mi sarei inchinato davanti al verdetto della paleontologia.
Mentre adunque io mi aspettava di veder comparire una memoria
paleontologica che venisse a dimostrare la fallacia delle mie con-
’ De Stefani, Dell’epoca geologica dei marmi dell’Italia centrale. Bollett.
Comitato geologico, luglio e agosto 1875.
(‘Iasioni, per parte mia cercai di ottenere dati più precisi di
quelli che già possedeva onde provare che io aveva ragione.
Questi dati me li procurò il mio amico Gr. Michelotti come
risulta dalla lettera che qui trascrivo.
« Torino, 15 novembre 1875.
» Carissimo amico.
» Seguii il tuo consiglio, e nella seconda metà dello scorso
luglio, mi recai a Clavières, ove soggiornai per una ventina di
giorni da me impiegati principalmente nella ricerca di fossili al
Chaberton. In compagnia del signor P. E. Ghione ispettore do-
ganale, distinto alpinista e dilettante geologo salii al colle del
Chaberton. La salita sebbene monotona e faticosa, a cagione dei
molti ed enormi taìus formati di detriti che cadono dalle sta-
gliate pareti del monte, ci riesci gradita per V incontro delle
pietre verdi che si mostrano molto in alto, sopportando i ricurvi
strati di calcare dolomitico formanti lo spigolo tagliato dal colle
e la parte culminante della montagna. Dal colle, dopo breve so-
sta, e mentre il signor Ghione colla guida saliva alla vetta del
monte, io discesi nel sottoposto anfiteatro. La scena che esso
offre è imponente ; tutt’ attorno elevate e quasi verticali pareti
di calcare dolomitico nettamente stratificato, presentano all’ oc-
chio splendidi esempi di ripiegatura di strati, massime verso il
colle. Dopo di aver impiegato molto tempo a cercare sui cumuli
di frammenti, che ammucchiati al piede delle pareti, occupano
r ampio vano, mi imbattei in alcuni detriti di serpentino, fra
mezzo ai quali scopersi varii esemplari di calcare fossilifero. Le
ricerche che ebbi occasione di fare nei giorni successivi lungo
una parte notevole del perimetro di quel monte, mi convinsero
che gli esseri organici fossili si trovano più facilmente e quasi
esclusivamente nei detriti calcarei associati a quelli di pietra
verde. Tale associazione ci dimostra che sono più specialmente
li strati inferiori della zona dolomitica quelli che racchiudono
tracce evidenti di esseri organici.
» I fossili da me scoperti nell’ anfiteatro che si apre ai piedi
del colle del Chaberton erano, in vero, pochi e non tali da poter
essere classificati a prima vista. Tuttavia, man mano che andai
osservandoli con qualche attenzione, incominciai a persuadermi
- 349 -
che mi trovava su un terreno di remota antichità, il cui aspetto
mi svegliò gradatamente ben vecchie rimembranze, richiamandomi
alla mente alcune località delle rive del Eeno e quelle delle
estesissime regioni che circondano i laghi Oiitario e Michigan da
me visitate negli anni trascorsi. Tutti i fossili che io trovai sia
nella escursione al colle del Chaherton, sia in quelle da me succes-
sivamente intraprese lungo le falde di quel monte, vennero da me
studiati unitamente a quelli da te racccolti nel 1873, sia su quel
monte stesso che in altre località della zona dolomitica delle Alpi.
» Ho voluto fare speciale menzione della escursione al colle
del Chaherton, perchè quella località è ben indicata per la sua
posizione topografica, perchè i fossili che colà si incontrano si
possono ritenere in posto trovandosi ai piedi delle pareti, dalle
quali si staccarono, e finalmente perchè il signor Ghione che salì
sino alla vetta del Chaherton, mi fornì cortesemente lo schizzo
di uno spaccato geologico di quel monte. Ti mando questo spac-
cato (Ved. la tavola annessa, fig. 1) perchè panni che deve
interessarti l’ averlo, e vi unisco i risultati dell’ esame da me
fatto dei fossili da noi raccolti.
» Fra i fossili del Chaherton e delle vicine località del Balmas
e del Chinivert vi sono Spongie, impronte di Entomostracei,
Coralli e forse anche Encriniti.
» I coralli sono rappresentati da parecchi esemplari fra i quali
potei distinguere tre generi. La maggior parte degli esemplari
di detti coralli presenta i seguenti caratteri :
» r II polipajo forma masse globulari che, a giudicarne
dagli esemplari intieri da me osservati sul luogo, vale a dire al
colle del Chaherton non hanno meno di 0,“ 50 di diametro.
» 2® Esso è fascicolato, formato cioè di molti polipieriti
aggregati (fig. 7).
» 3” I polipieriti componenti il polipajo sono vicini gli uni
agli altri, ma non contigui (fig. 16).
» 4° Fra i polipieriti esistono tubi di connessione (figg. 6 e 16).
» 5° Nei calici terminali si osserva una specie di stella,
come già risulta dalla figura (quella di sinistra) inserta a pag. 16
della tua Nota Deux mots sur la geologie des Alpes Gotiennes.
» 6'’ Se r osservazione diretta non permette di accertarsi
della esistenza di tavolati o diaframmi, a motivo della spatiz-
— 350 -
zazione del calcare occupante l’ interno dei polipieriti, non è
tuttavia preclusa la via per dedurne che una volta vi esistevano.
E noto che, in generale i tavolati o diaframmi si trovano in po-
sizione normale all’ asse del polipierite ; vi hanno però dei casi
nei quali i tavolati si elevano tutt’ attorno all’ asse del polipie-
rite formando una successione di coni, come rilevasi nei generi
Conaxis, Lithostrontion ec. ; ed accade altresì che, inversamente
i tavolati si abbassano tutt’ attorno all’ asse dei polipieriti dando
luogo a tanti successivi imbuti come si osserva nel genere Syrin-
gopora al quale credo appartengano gli esemplari (figg. 6, 7 e 16)
del Chaberton e del Chinivert.
» Se mi sono creduto autorizzato a riferire a quel genere i
fossili in discorso, non mi pare per ora prudente determinarne
la specie, poiché la spatizzazione del calcare occupante l’ interno
dei polipieriti mi impedisce di tener conto dei distintivi secon-
darii. Tuttavia giudicando dal complesso dei caratteri, panni che
la specie si avvicini alla Syringopora ahdita dei signori Milne-
Edwards e Haime. ^ Il genere Syringopora non si è trovato finora
che nel terreno paleozoico.
» Alcuni altri dei fossili rinvenuti al Chaberton appartengono,
a mio parere, al genere Halysites che fa parte del gruppo og-
gidì assai ridotto dei Zoantari a tavolati, ed è frequentissimo
nei terreni più antichi.
» In questi fossili si nota:
» V Nella parte superiore una serie di costole in rilievo
che formano come una rete slacciata sulle quali, negli esemplari
meglio conservati, si vedono alcuni ben distinti e separati ca-
lici; si nota inoltre nella parte laterale, che i polipieriti pren-
dono la forma di costole serpeggianti (figg. 2, 3 e 12) le quali
fanno capo ai calici.
» 2° Che nelle sezioni verticali il calcare occupante T in-
terno dei polipieriti si distingue nettamente da quello che forma
la massa del polipajo; quest’ ultimo calcare essendo perfetta-
mente nero e bianco il primo.
» 3° Che la grossezza dei canali occupati dal calcare spa-
tico corrisponde perfettamente a quella dei calici.
» 4° E finalmente che ogni polipierite formava una catena
Polypiers fossiles (voi. Il, pag. 295. PI. XV, fig. 4).
1
351
od allineamento individuale non connesso lateralmente coi poli-
pieriti che lo circondano. Essendo noto che questo genere scom-
parve sul terminare del periodo siluriano, la sua presenza nel
calcare dolomitico del Chaberton è un prezioso documento che
viene in appoggio a quanto scrivesti in ordine al posto che quel
calcare deve occupare nella serie dei terreni alpini.
» Fra gli esemplari da te rimessimi, e provenienti dal Cha-
berton ho notato un polipajo ramoso (fig. 4) i polipieriti del
quale oltre ai calici terminali hanno tracce di calici laterali,
posti cioè lungo il fusto ; esso presenta inoltre una serie di pic-
coli fori (fig. 5) tanto nei muri che nei tramezzi. Non vi si possono,
a vero dire, distinguere i diaframmi o tavolati, ma giova notare
che questo carattere non si trova ben distinto che negli esem-
plari di perfetta conservazione, e ciò non si verifica nel caso
nostro. Converrà d’ altronde ricordare che, in genere, nei polipaj
a tavolati, quando i tramezzi sono rudimentarii, vedonvisi ben
sviluppati i tavolati ; che per contro quando quelli sono ben svi-
luppati, questi sono rudimentari, ed è ciò che, a quanto pare,
ha luogo nel nostro fossile.
» Le accennate particolarità unitamente a quella dell’ assenza
del cenenchima mi indussero a riferire questo fossile al genere
Favosites anche esso del periodo paleozoico.
» Eiassumendo quanto ho detto qui sopra e notando, che nel
calcare dolomitico della zona del Chaberton non trovai finora co-
rallari che si possano riferire a Zoantari aporosi, i quali dopo il
periodo paleozoico divennero preponderanti ; che non vi scopersi
neanche polipai tubulosi che sono caratteristici ed esclusivi del
devoniano e del carbonifero ; tutte queste osservazioni mi con-
fermano nell’ idea già in me destatasi all’ aspetto di quelle rocce,
che cioè esse fan parte dell’ orizzonte inferiore del siluriano.
» Per non lasciare niente di inosservato ti dirò ancora che fra
i fossili di quella zona dolomitica ho notato la presenza di im-
pronte che parmi possano riferirsi a facce di articolazione del
genere Actinocrinus (fig. 19) a motivo della rassomiglianza che
esse presentano con quelle raffigurate da parecchi autori ed in
specie da Hall, Tav. IV, fig. 8 e 9.
» Vi ho notato altresì resti ben distinti di Entomostracei
(figg. 8, 9, 10 e 11) che suppongo siano i fossili dai signori Lory,
- 352 —
Vignet, Pillet ed altri riferiti a conchiglie bivalvi. Confrontando
tuttavia le figure che gli autori danno del genere Cytliere e del
sotto genere Cythereis, entrambi marini, si nota una grande
analogia coi fossili in discorso, tanto nelle forme generali che
nelle speciali, vale a dire nelle spine delle quali vanno muniti
gli orli delle valve. Carattere questo che unitamente alla assenza
assoluta della cerniera ci pone in grado di non confondere lo sche-
letro esterno degli Entomostracei colle bivalve dei molluschi acefali.
» Citerò in ultimo una Spongia o Litospongia nella quale si
scorgono distintamente li osculi afferenti e deferenti (figg. 17 e 18).
Il gruppo delle Litospongie, come altresì quello degli Entomo-
stracei, ebbero alcuni rappresentanti nei terreni siluriani.
» Chiudo questa mia breve relazione col dirti che sono lieto
di aver potuto dimostrare colle mie ricerche paleontologiche che,
non a torto, ne’ tuoi studii geologici sulle Alpi occidentali, tu
hai classificato quella interessantissima zona di calcari dolomi-
tici fra i più antichi terreni paleozoici.
» Tuo affezionatissimo
)) G. Michelotti. »
Accetto tanto più volentieri le conclusioni del signor Miche-
lotti in quanto che era proposito mio pubblicarle anche nel caso
che fossero contrarie ed affatto opposte alla opinione da me
manifestata in ordine alla età di quei calcari. Le avrei dico fatte
di pubblica ragione anche nel caso che mi avessero condannato
perchè, chiunque intraprende il rilevamento geologico di una parte
delle Alpi e lo compie lavorando con coscienza, con pertinacia
e senza perdonare a fatica, merita lode, anche se talvolta si sba-
glia ne’ suoi apprezzamenti.
Invero i fossili descritti dal Michelotti non sono tali, dal lato
della loro conservazione, da appagare tutte le esigenze dello stu-
dioso, del classificatore ; pare però che il cattivo stato nel quale
si trovano sia un argomento in favore della loro antichità remota.
In alcuni luoghi, come all’ entrata della valle Gimont, a
breve distanza dal Chaberton, si vede il calcare posare diret-
tamente sul serpentino, sul serpentino diallagico, sulla eufotide,
sulla variolite. Al contatto delle due rocce il calcare non offre
alcun cambiamento, non differisce da quello che si trova a no-
— 353
tevole distanza dalla pietra verde. Quando si vede il calcare
sovrapposto direttamente al serpentino, all’ eufotide, alla vario-
lite; quando si vedono a contatto due rocce così differenti per
natura ed aspetto, uno può supporre che vi sia un hiatus fra
roccia e roccia, uno può supporre che fra il deposito della pietra
verde e quello del calcare sia trascorso un lasso di tempo più
0 meno lungo. Ma quando in altre località si trova che gli strati
più recenti della zona delle pietre verdi^ i calcescisti cioè, rac-
chiudono letti di calcare che offrono evidenti tracce di esseri
organici, si capisce che vi è un insensibile, graduato passaggio
tra la zona delle pietre verdi e la paleozoica, tra la roccia cri-
stallina, azoica e la fossilifera. Non riesce quindi facile il fissare
r orizzonte ove incomincia a comparire l’ organismo, ove inco-
mincia a manifestarsi la vita. Ma, in pari tempo, non dobbiamo
meravigliarci se gli esseri organici trovati in tali condizioni,
trovati cioè nella zona di transizione, siano mal conservati, giac-
ché lo stesso accade anche in regioni lontane dalle Alpi. Ed
infatti i signori Milne-Edwards ed Haime nella loro descrizione
dei coralli fossili della Gran Brettagna dopo d’aver detto (pag. 246.
Capitolo XVI. Corals from thè Silurian formation) che — most
of these corals helong to thè upper Silurian rochs — soggiungono
— and those found in thè lower deposits are, in generai, very
ili and unsatisfactorily characterised.
Una volta dimostrato che quei calcari dolomitici fanno parte
del terreno paleozoico inferiore, non si dovranno più incontrare
difficoltà per ritenere prepaleozoica la sottostante zona delle
pietre verdi, e si cesserà di vedere nei gessi, nelle quarziti e
nelle carniole che accompagnano quei calcari altrettanti banchi
triasici. Allo stato delle cose mi sia lecito osservare che la clas-
sificazione dei gessi, delle quarziti, delle carniole nel Trias ha
guastato molti lavori geologici fatti nelle Alpi, nei Pirenei, ed
in parecchi altri luoghi.
I rilevamenti eseguiti dai miei collaboratori e da me nella
campagna geologica del corrente anno mi permettono di tracciare
un quadro delle rocce che nelle nostre Alpi, a partire dal Lago
Maggiore sino al gruppo del Mercantour — astrazione fatta del
gruppo del Monte Bianco — interessar possono il paleontologo.
Ad una estremità delle Alpi piemontesi, ad Arona, al Monte
24
- 354 —
Fenera abbiamo calcari fossiliferi del Trias, dell’ Infralias e forse
anche di più recente epoca. A Montaldo Dora, a Fessolo presso
Ivrea, a Rivara, a Levone trovansi calcari dolomitici nella iden-
tica giacitura di quelli del Chaberton e collo stesso facies. La
zona dei calcari dolomitici del Chaberton si trova, in lembi stac-
cati, ma qua e là di grande estensione, a Susa, al Piccolo Mon-
cenisio, al Séguret, lungo la frontiera francese tra il colle dei
Fréjus ed il Chaberton, al Balmas, alla Rognosa, al Chinivert.
Li stessi calcari si adagiano sulle quarziti che ricoprono i banchi
antracitiferi di Demonte nella valle della Stura di Cuneo; nella
miniera di antracite di Demonte non venne ancora messa in luce
alcuna impronta vegetale. Vi ha adunque perfetta analogia tra
questo giacimento antracitifero e quelli del Tabor e della Thuille
che mai offrirono traccia di impronte vegetali.
Se la zona antracitifera della valle della Stura di Cuneo è
priva di fossili, fin dal 1757 P Allioni segnalava in quella stessa
valle P esistenza di Belemniti e di Ammoniti.’ In ordine ai primi
il citato autore scrive — JBeìemnitarum vestigia observavi in
marmore quodam lapide Suillo, prope Le Sambuco rep)erienda,
Ammonitis pienissimo; sunt vero hi Belemnitoe cylindri apice co-
nico, alveolo donati, cui paralleli insistimi radii pene perpendi-
culares ; eorum crassities anserinam plumam non videtur supe-
rare. Non alibi quam sciam, apud nos JBelemnitce occiirrunt; et
mirum sane, in tanta conchiliorum bene servatorum copia qua
eolles nostri scateni, neque unum JBélemnitem reperiri potuisse —
Intorno agli ammoniti scrive — Gornus Ammonis plitra com-
prehendit^ lapis quidam Suilliis, qui reperitur prope Sambuco inter
Alpes Vinadienses, fere ad radices altissimi montis. In simili
lapide Suillo prope vicum'S. Stephano, loco dicto Los Ribos repe-
riuntur etiam similia Ammonis cornua. lis locis major a et minora
diversarum specierum specimina observare licei simul commixta.^
Ho creduto di dover trascrivere quanto ci lasciò detto P Al-
lioni or sono 118 anni intorno ai soli fossili delle Alpi piemon-
* Oryclograpliice Pedemontance Specimen exhibens corpora fossilia terree
adventitia, auctore Carolo Allionio. Parisiis ad ripam aiigiistinorurn MDCCLVII.
^ A pag. 2 della citata Orittografm si legge inoltre la seguente nota :
Unico loco inter Alpes reperta sunt corpora hcec fossilia ; hoc est prope locurn
Le Sambuco, inter ^ pes Vinadienses.
Bollettino del B.Coniilalo (oMilocjiro UtZf).
1-
9.
— 355 —
tesi allora noti. Le località fossilifere indicate dal citato autore
non sono ancora state sufficientemente studiate; sulla Carta del
Pareto esse sono comprese nella zona giurassica e sulla Carta
del Sismonda sono comprese in quella estesissima zona di terreno
che r autore ritiene essere terreno giurassico metamorfosato.
Nella scorsa estate il professore D. Carlo Bruno mio colla-
boratore, lavorando al rilevamento geologico delle valli del Gesso
e della Vermenagna trovò che il terreno nummulitico forma una
striscia non interrotta a partire dal colle di Tenda sino alla
Valle della Stura di Cuneo. Egli mi inviò alcuni belemniti che
provengono, a quanto pare, da un banco calcareo sul quale giace
la zona nummulitica. Quei belemniti, quantunque lascino molto
da desiderare dal lato della loro conservazione, hanno forme che
si accordano con quelle di alcuni tipi del cretaceo.
Io vedo quindi con piacere che indipendentemente dalle que-
stioni da me sollevate in ordine alla origine, distribuzione e clas-
sificazione delle rocce cristalline, si apra nelle Alpi nostre un
ampio campo alle ricerche ed agli studii paleontologici, ed io
spero che i cultori della paleontologia vorranno aiutarci a clas-
sificare i terreni alpini fossiliferi e soprattutto a porgerci dati
precisi per separare questi dalle zone azoiche.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA.
, Fig. 1. — Spaccato della parte superiore del Monte Chaberton. N. 1. Cal-
care dolomitico. 2. Grè antracitifero di color rosso, con strati
neri, ematite laminare ec. 3. Quarzite e lenti di gesso. 4. Cal-
cescisto talcoso, verdognolo.
Fig. 2, 3 e 12. — Halysites vista lateralmente. — Fig. 13. Calici veduti su
superficie artificialmente levigata. — Fig. lo. Calice di Halysites
ingrandito.
Fig. 4. — Favosites vista lateralmente. — Fig. 5. Fori che si vedono nel
corpo del polipierite. — Fig. 14. Calice della F'avosites in-
grandito.
Fig. 6. — Syringopora mostrante la biforcazione dei polipieriti. —
Fig. 7. Calici della Syringopora veduti sulla superficie di un
ciottolo rotolato. — F'ig. 16. Biforcazione dei polipieriti della
Syringopora vista lateralmente nello stesso ciottolo della fig. 7.
Fig. 8, 9, IO e 11. — Entomostracei. La fig. 10 lascia nettamente vedere
le punte acuminate di una estremità caratteristica del genere
Cythereis.
Fig. 17 e 18. — Lytospongia
Fig. 19. — Impronta di una faccia di articolazione del genere Aetinocrinus?
— 35G —
Sulla Belatone di un viaggio geologico in Italia
di T. Fuchs^ terza nota di Gr. Sequenza. j
Dopo la mia seconda nota intorno alla memoria del signor
Fuchs ’ questi si è fatto a rispondere nuovamente “ alle mie os-
servazioni, e piuttostocliè combattermi sulla esattezza dei fatti
da me pubblicati, intorno ai quali è cominciata la controversia,
egli mi attacca principalmente sulle concbiusioni che da essi ne :
ho tratto; ma è ben logico, anzi troppo evidente, che se non |
veniamo in accordo intorno ai fatti fondamentali della stratigrafia |
pliocenica, sarà vano ed affatto inutile il discutere sulle condii- |
sioni che se ne possono trarre. |
Del resto io sono sempre pronto, e quindi mi accingo a ri- |
spondere agli attacchi del signor Fuchs nef più succinto e chiaro |
modo possibile, seguendo la sua scritta periodo a periodo.
« Sorvolando sui punti di minore importanza io mi rivolgo
immediatamente al punto principale, cioè alle marne bfiinche." »
Così comincia il signor Fuchs. Ma i punti che egli dichiara di
minore importanza, nella mia ultima scritta, sono quelli che trat- |
tano delle aTgille scagliose e del niiocenoj soggetti di discussione |
ai quali mi chiamò egli stesso, forviando dal nostro precipuo
obietto il plioceno, e che sono invece del più alto interesse pei |
la geologia italiana; la vastità di tali formazioni conferma a
pieno quanto asserisco.
Bisogna pure che il signor Fuchs non abbia letto con molta
cura quanto io ho scritto intorno al plioceno, nel mio lavoro in j
via di pubblicazione, (Studii stratigrafici sidla formazione 'plio-
cenica délV Italia meridionale. Vedi Boll, del B. Gomitato geo-
logico 1873-74-75) per dire, in riguardo alla questione delle due
marne del plioceno antico : « Giacché disgraziatamente mi è im-
’ Relazione d' un viaggio geologico in Italia del doti. T. Fuchs. {Boll, del
R. Coynitato geol. d’Italia^ 1874, N. 7 e 8.)
2 Ved. Boll, del R. Comitato geol. d’Italia, 1875, N. 7 e 8, pag. 237.
* Ved. pag. 238.
— 357 —
Possibile dalle pubblicazioni del professore Seguenza di formarmi
un chiaro concetto sopra lo stato delle cose ; ^ )) dappoiché in
quel mio lavoro risulta chiarissimo, dalla comparazione del plio-
cene messinese con quello delle provincie di Siracusa, di Cata-
nia, di Palermo e delle Calabrie, come la divisione in quattro
zone sia ben naturale, le due superiori formando il pliocene re-
cente e le due inferiori il pliocene antico ; le quali conchiusioni
vengono tratte dopo aver discusso, con rigore stratigrafico e paleon-
tologico, il sincronismo di tutti gli strati pliocenici di tanti
differenti e ben lontani luoghi, dalla quale discussione risulta
evidente ancora, che il pliocene antico ha una marna nella zona
inferiore ed una nella superiore, le quali si associano a sabbie,
colle quali talvolta alternano o si sostituiscono completamente,
conservandosi sempre e dappertutto distinte in due zone. Mi è
necessario supporre che il signor Fuchs non abbia seguito V espo-
sizione dei fatti e delle ricerche e delle discussioni svolte nel
mio lavoro; ma egli avrebbe potuto benissimo osservare, nelle
numerose sezioni da me annesse al lavoro suddetto, che in tutte
quelle, in cui il pliocene antico è completo, vi sono due marne,
una per ciascuna zona, e bisogna aver gli occhi chiusi per non
vederle. Giacché il signor Fuchs non le ha osservate, gliele ad-
diterò io.
Nella sezione di Altavilla (fig. 1) i terreni distinti coi nu-
meri 2, 3 e 4 rappresentano la zona più antica, ed il numero 5
la superiore. Il numero 2 é marna, il numero 5 é marna con
sabbie.
Nella sezione quinta di San Pantaleo presso Messina, la
marna inferiore é rappresentata dal numero 3 e la superiore dal
numero 5.
Nella sezione nona di San Filippo (presso Santa Lucia del
Mela) la marna inferiore é al numero 4 e al • numero 5 la su-
periore.
Nella sezione presso Reggio, della fig. 11, le sabbie numero 2
sostituiscono le marne inferiori ed il numero 3 é costituito dalle
marne superiori.
Nella sezione della fig. 14 presa al Plemmirio presso Sira-
‘ Veci, pag. 238,
358 —
cusa, la marna inferiore è rappresentata dal numero 4 e dal
numero 5 la marna superiore.
E qui invero non fa d’uopo della mia sezione; il sig. Fuchs
ha veduto coi proprii occhi, ed avrebbe potuto ricordarsi quanto
ha scritto intorno al Plemmirio,^ e come il numero 4 della mia
sezione egli lo abbia indicato col medesimo segno ed il numero 5
col 5, rapportandovi pressoché gli stessi fossili che io vi avea
indicato.
Così via via per le altre sezioni, dove la serie del pliocene
antico vi è completa.
Sarebbe vano continuare 1’ esam-e. Giova invece ricordare che
in tutti i luoghi delle sezioni, ed in molti altri ancora, le marne
inferiori racchiudono una fauna che è affatto diversa da quella
delle marne superiori. Nelle marne inferiori sono quasi esclusi-
vamente dei foraminiferi, e nelle sabbie che ad esse si connet-
tono sono Balani, Pettini, Ostree e talvolta Brachiopodi ; nelle
marne superiori invece sono Gasteropodi, Pteropodi, Lamelli-
branchi varii, Brachiopodi, Corallarii, Foraphniferi che costitui-
scono una fauna che si ripete identica dappertutto, dove i sedi-
menti di quella zona costituironsi in mare profondo, quella fauna
stessa che il signor Fuchs raccoglieva presso Gerace.
Nel mio lavoro potrà ben leggersi P esame dettagliato di
ciascuna località, V enumerazione per esteso della fauna di cia-
scuna zona, e convincersi pienamente della corrispondenza stra-
tigrafìca e paleontologica nei vari luoghi, e della perfetta distin-
zione delle due zone dovunque. Ma il signor Fuchs non ha
compreso niente di tuttociò nella mia pubblicazione ; ciò non im-
porta, non sarà men vero per questo.
Ed era ben ragionevole poi che le mie ricerche venissero
disprezzate dal signor Fuchs, essendoché corre grande differenza
tra i risultamenti. da lui ottenuti ed i miei, quest’ ultimi dimo-
strando che egli si é formata poco esatta idea del nostro plioceno
come a Gerace così a Messina.
Difatti, a Messina come altrove, io ho riconosciuto le quattro
zone del plioceno, ed egli le ha ridotte a due facendo la confu-
sione solita tra le due marne del plioceno antico, ed altre di si-
mil natura.
* Die Pliocmihildungen von Syìxikus und Lentuii,
— 359 —
Non farò che raffrontare tra loro talune delle sezioni da lui
studiate : ^
Allo Scoppo, tra il mioceno ed il quaternario, egli distinse
due zone del pliocene, una a, della quale ne descrisse con molta
cura le alternanze delle marne col calcare a polipai, V altra h
formata da sabbie a briozoj (Vedi Tav. I, fig. 1).
Per me il membro ò. forma la zona superiore del pliocene
recente, il membro a la zona superiore del pliocene antico, man-
cano perciò nella sezione dello Scoppo il membro più antico, ed
un altro, intermedio tra i due esistenti, che forma la zona infe-
riore del pliocene recente.
Il signor Fuchs è stato tratto in inganno dal credere com-
pleta la sezione da lui disegnata allo Scoppo.
Se diamo uno sguardo alla sezione che chiama di San Ni-
cola, Tav. Ili, fig. 1 e 2, è facile convincersi che il signor Fuchs
è stato qui indotto alla sincronizzazione cogli strati dello Scoppo
da considerazioni litologiche e non già dalle paleontologiche. Di-
fatti egli sincronizza le marne bianche (10°) col membro a dello
Scoppo, senza considerare che le marne a dello Scoppo sono ricche
di resti di molluschi, alternano con calcare a coralli ec., e queste
invece uniformi non offrono che foraminiferi. Esse infatti di unita
ai ciottoli sottostanti costituiscono la più antica zona del plio-
cene. Sincronizzato a questo modo il primo membro, è conse-
guenza r erronea sincronizzazione degli altri membri. Difatti il
calcare a coralli e Terebratula minor e gli strati ad Isis (1° 3')
dimostrano che non si tratta dell’ ultima zona del pliocene. Gli
strati a Pettini lisci (P. vitreus Gm.) e la Terebratula Guiscar-
diana Seg. (2°) dichiarano colla più grande certezza, siccome i
banchi ad Isis, che tutti questi strati spettano alla zona supe-
riore del pliocene antico. Intanto il signor Fuchs fa fare loro un
gran salto sincronizzandoli cogli strati b dello Scoppo, rappor-
tandoli quindi alla zona superiore del pliocene recente, mentre
essi sono i veri rappresentanti della potente serie a dello Scoppo
stesso. Così le sabbie ed i ciottoli (1°) con Balanus tulipifor-
mis, Mytitus edulis, Fecten pusio, F. varius, Ostrea edulis ec. non
‘ Geolocjische Sludien hi den Tertiàrbildunyen Sud-Italiens, von Theodor
Fuchs.
— 360 —
sono che le sabbie h dello Scoppo, ed egli invece le riferisce al
quaternario.
Quanto poi al calcare a Terebratula Scillce (T. grandis Fuchs,
non Blumb.) T. minor Phil. ec., delle sezioni di Zaffaria, Santa
Lucia, San Filippo, il signor Fuchs pare che non abbia saputo
che farne, per cui non lo sincronizza con veruna zona delle pre-
cedenti sezioni, nè ne tien conto nelle conclusioni ultime ; eppure
quel calcare costituito dalle spoglie di brachiopodi s’ interpone
tra la zona ultima (b Fuchs) del pliocene, e la zona superiore
del plioceno antico (a Fuchs), siccome può vedersi a Gravitelli,
Kometta, Gesso ec.
Passa poi il signor Fuchs a criticare le sezioni da me pub-
blicate nei medesimi studii, dicendo : ^ « come inutilmente
10 cerco di trovare nelle numerose sezioni stratigraficlie da lui date,
quella discordanza dentro la serie degli strati pliocenici, la quale,
secondo la sua asserzione, sarebbe un^ apparenza generale. » Non
fa meraviglia alcuna che il signor Fuchs non trovi la discordanza
tra due membri che per vederli fa d’ uopo ohe io glieli addi-
tassi, sorprende invece che egli la cerchi tra due rocce che non
distingue e che anzi confonde in una sola.
Io ho scritto:^ « Le due zone del plioceno antico in tutta
V Italia meridionale si presentano non solamente distintissime ma
benanco discordanti » Ed in seguito : ^ « Dappertutto nelle provincie
di Messina, di Peggio, di Palermo, di Catania, di Siracusa gli
strati della zona superiore del plioceno antico poggiano in discor-
danza su quelli della zona inferiore, la quale sopra grandi esten-
sioni mostrasi del tutto isolata, ed in taluni luoghi si eleva a
grandi altezze. » Tale discordanza, ben può intendersi, che non
deve manifestarsi che in quelle sezioni in cui sono rappresen-
tati in esteso contatto i due membri del plioceno antico, sic-
come vedesi nella Fig. B e più o meno manifestamente nelle 5%
9% 11% 14^ Nelle altre o manca l’una delle due zone, o vi è
poco sviluppata, e cercherebbesi invano la discordanza voluta.
A conferma pienissima della mia asserzione, come la chiama
11 signor Fuchs, voglio qui rapportare un esempio preso dai din-
’ Ved. pag. 238.
^ Boll, del R. Comitato geol. d’ Italia, anno 1875, N. 3 c 4, pag. 92.
® Ved. pag. 93.
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torni di Messina nel quale la discordanza è ben appariscente
perchè le rocce trovansi naturalmente sezionate in una direzione
tale da riuscire distintissima.
D’ altronde la discordanza d’ isolamento, per dirla alla D’ Or-
bigny, è un fatto che io ho ricordato più volte e che si osserva
estesamente. Così nei monti sopra Canolo ed Agnana in Calabria
la zona più antica del pliocene vi è molto estesa, parimenti
presso Eeggio a Terreti e Nasiti ec. ; presso Messina a Castanea
e Masse, presso Palermo tra Altavilla e Trabia, tra Termini
Imerese e Cefalù e così in molti altri luoghi che tralascio per
brevità, e questo isolamento dei due membri porta che la zona
antica trovasi a grandi altezze, dove ordinariamente non giunge
la zona superiore. Così a circa novecento metri sopra Canolo, a
circa cinquecento metri presso la Portella di Castanea, ec. La zona
superiore invece s’ inalza molto di meno.
Continua il signor Fuchs scrivendo : ‘ « In ogni modo adesso è
già abbastanza evidente che, se la mia opinione d’ allora fosse
veramente stata falsa, che il professore Seguenza è rimasto per
lunghi nove anni precisamente nello stesso errore; giacché ap-
punto queste marne bianche formano purtroppo la parte costi-
tutiva essenziale del suo Terreno Zancleano, il quale egli, dopo
sei anni di studii, ha esposto nell’ anno 1868, e intorno al quale
egli era sempre completamente dello stesso parere, quando nel-
P anno 1871 io ho avuto 1’ onore di parlare con lui sopra questo
soggetto. »
Qui è d’ uopo che io preghi il signor Fuchs di non volermi
assubitare, confondendo in unica quistione due còse che sono
per loro natura perfettamente distinte e separate, e che il volerle
trattare insieme non può esser consentito dalla logica nè dal
buon senso, anzi sembra evidente che sia fatto per intralciare
la questione che per sè stessa è semplicissima.
Bisogna quindi, pria di discutere, distinguere e disgiungere
completamente la quistione stratigrafica da quella delle conclu-
sioni che possono trarsi. Ed allora io risponderò bene a propo-
sito al signor Fuchs, che la stratigrafia del pliocene messinese
mi era esattamente nota sin dal primo momento che la studiai.
' Ved. pag. 238.
— 363
siccome lo attesta quanto io scrivea nel 1862/ quando distin-
gueva nelle rocce riferite oggi al plioceno antico una marna
bianca, un calcare ed una marna giallastra, riconoscendovi fauna
diversa in ciascuna di quelle zone, come può leggersi alla
pagina 7 e 15 e nel quadro sinottico finale dove la marna infe-
riore bianca è distinta colla lettera G, il calcare a polipai colla
lettera F, e le marne superiori colla lettera E.
Le medesime idee io avea del plioceno antico messinese allor-
quando io lo distinsi col nome di Zancleano al 1868,^ si legga
infatti alla pag. 467 : « Cette formation se compose à la partie
siipérieure de marnes saòleuses jaùnatres, au milieu de calcaire
à polypiers, et, à la base de marnes blanclies, très-riches en fora-
minifères. »
In seguito, le mie conoscenze stratigrafiche non hanno modi-
ficato menomamente le mie idee, e può ben leggersi quello che
io scriveva nel 1873 ^ alle pagine 19 e 20, ovvero nel riassunto
finale dove è detto che la terza zona del plioceno è formata di
« Marne giallastre, marne sabbiose, sabbie e calcari a polipai e
bracliiopodi ; e la zona quarta da sabbie quarzose sciolte, marne
bianche a numerosi foraminiferi, grès e calcari concrezionali. »
Bastano i pochi documenti prodotti, pei moltissimi che potrei
addurre, a dimostrare lucidamente che le mie idee non si sono
mutate menomamente sino ad oggi a riguardo della costituzione
del plioceno antico, nè si muteranno giammai ; dappoiché le ricer-
che di ben quindici anni mi hanno sempre confermato nella
determinazione numerica, litologica e tettonica degli strati plio-
cenici, e quindi senza mutamento di sorta ritengo oggi ciò che
dal primo giorno ammisi, che, cioè, il plioceno antico costa dap-
pertutto di un membro inferiore marnoso-sabbioso e di un mem.-
bro superiore marnoso-sabbioso, a quesf ultimo per eccezione nel
messinese si associano alla parte inferiore dei calcari coralliferi.
Ecco dunque che per la parte stratigrafica fui sempre nel
vero e non già in errore come asserisce il signor Fuchs ; vediamo
ora dal lato delle deduzioni.
, ‘ Notizie succinte intorno alla costituzione geologica dei terreni terziarii
del distretto di Messina^ 1862.
^ La formation zancléenne ou recherches sur ime nouvelle formation ter-
tiaire. [Bull, de la Società géologique de France, 2® serie, tome XXV, page 465.)
® Brevissimi cenni intorno la serie terziaria della provincia di Messina.
~ 364
Man mano che andai estendendo le mie ricerche dal messi-
nese alle provincie limitrofe, e da queste ad altri luoghi d’ Ita-
lia, le mie idee si andarono modificando a riguardo dell’ età
* degli strati controversi, e bisogna ricordare che all’ epoca delle
mie prime pubblicazioni la fauna di questi strati era quasi intie-
ramente conosciuta allo stato fossile soltanto, e quindi riguar-
data siccome per la maggior parte estinta ; ma grazie alle inve-
stigazioni delle grandi profondità dei mari, un gran numero di
quelli esseri si è veduto risuscitare a novella vita, e tuttodì si
accresce il numero delle specie viventi. A tali inaspettate e sor-
prendenti novità operate dalle moderne investigazioni, certo che
bisognava rettificare le idee a riguardo dei nostri strati in
discussione ; ma felicemente, bisogna che lo ripeta, dopo nove
lunghi anni, come dice il Fuchs, e più ancora non mi bisognò di
aggiungere uno strato solo alla serie degli ultimi terreni ter-
ziarii, e molto meno mutarne il concetto primitivo della loro
tettonica.
Quindi io non capisco sotto qual punto di vista il signor ^
Fuchs possa rimproverarmi, mentre poi vediamo i più dotti geo-
logi dallo studio di più estese regioni, dalla scoperta di nuovi
fatti, obbligati sovente a modificare le loro vedute, e quindi a
trasformare aggruppamenti stratigrafici, e per addurre tra i mol-
tissimi un esempio, mi contento trarlo dalla nostra stessa pole-
mica. Molto ha insistito il signor Fuchs a sostenere che il cal-
care di Messina e di Gerace, che io dissi concrezionato, è di
età miocenica {Vedi Bollettino del B. Comitato geologico, Gen-
naio 1875, pag. 47-48), ed intanto in un suo recente lavoro fa
conoscere come secondo lui in tutta Italia la formazione solfi-
fera e gessosa trovasi in relazione concordante col plioceno, e
discordante col tortoniano in modo, che si connettono natural-
mente alla prima formazione, anziché alla seconda. Dal che chiaro
appare che il signor Fuchs propende ad annettere al plioceno
la formazione gessosa, quindi con più ragione vi appartiene il
calcare concrezionato che sovrasta a quest’ ultima.
Io non so meravigliarmi affatto dei mutamenti che subirono
le idee del signor Fuchs a questo riguardo, in sì breve tempo,
ma non posso astenermi dal replicare le mie meraviglie a riguardo
della critica fatta a me appunto perchè dopo lungo tempo ho
- 3G5 —
apportato delle modifiche sul modo di aggruppare gli strati
ultimi del terziario, e volendo di ciò rendermi ragione ho cre-
duto di scoprirla chiaramente nel fatto che il signor Fuchs non
sapendo più che opporre in riguardo alla naturale divisione del
pliocene antico in due zone, alla esistenza delle due marne, cercò
di attaccarmi sopra un punto che ha creduto più debole, sulle
modificazioni che hanno subito le mie idee a riguardo delle dedu-
zioni stratigrafiche, e confondendo insieme le due quistioni.
E poi una gratuita asserzione quella che fa credere che io
abbia completamente rimmciato al terreno vandeano,'' Nella mia
nota {Brevissimi cenni intorbo la serie terziaria) non lo nomino
appunto perchè non ho dato nome alcuno a veruna zona del-
r eoceno, del miocene e così del pliocene. Io non ho fatto che
modificare alquanto V estensione stratigrafica dello zancleano
{Vedi Bollett. della Società Malac. ital., fase. 2), siccome risul-
terà dai miei studii comparativi che vado pubblicando nel Bol-
lettino del B. Comitato geologico.
Quanto alla stratigrafia di Gerace, che non credo differire da
tutto il resto dell’ Italia meridionale, io scrivea, come ricorda il
signor Fuchs, in riguardo ai fossili pliocenici da lui raccoltivi : ^
« Quelle conchiglie furono raccolte in marne che sono posteriori
non solo alle marne della sezione, ma denanco alle ultime sabbie. »
Qui bisogna notare che io parlo della sezione che il signor Fuchs
mi mostrò allorché venne a Messina, che nella sua pubblicazione
è la sezione principale di Gerace, quella rappresentata nella
fig. l"" della Tav. V ; e quanto io ho asserito corrisponde a
puntino colle mie osservazioni, cioè tutta la serie da quella
sezione rappresentata, non comprende le marne dalle quali il
signor Fuchs ha estratto i suoi fossili, che invece sono di età
posteriore, e costituiscono le colline più basse che si estendono
da sotto il paese verso la marina, e fiancheggiano la valle che
dalla marina si estende sin presso Gerace ; dimodoché la sezione
nella quale è indicata la località fossilifera (Tav. VI, fig. 1) è
fatta in quest’ ultime marne, che si connettono ad altre sabbie,
formando così una serie che somiglia a quella su cui ergesi
Gerace, ma che è posteriore, e diversa pei fossili differenti che
' Ved. pag. 238.
^ Boll, del R. Comitato geol. d’ Italia, anno 1875, N. 3 e 4, pag. 96.
— 366 —
racchiude, siccome in qualunque altro punto delle Calabrie e
di Sicilia.
Quanto alla conchiusione divulgata dal signor Fuclis, che la
formazione zancleana non è ammissibile, bisogna pur dire che
è priva di appoggi valevoli ; false essendo le premesse, non pos-
sono accettarsi le conseguenze. Finché il signor Fuchs ignorerà
quale sia la vera costituzione stratigrafica del pliocene, non ha
dritto di divulgare conchiusioni di sorta !
Da ultimo il signor Fuchs conchiude che i risultati ultimi
delle sue ricerche ai quali attribuisce importanza sono, che gli
strati del mio zancleano si depositarono in mari profondi, e che
spettano all’ epoca pliocenica ; ^ soggiunge quindi : « E siccome il
professore Seguen^a,per quanto io conosca, nel corso idteriore dei
suoi studii è arrivato nella sostanza allo stesso modo di vedere,
così io ho hene tutta la ragione di tenermi contento di cquesto. »
Quindi il signor Fuchs è nella illusione che egli abbia per
mezzo dei suoi studii raggiunto tali verità, alle qu'ali più tardi
io mi sono uniformato, ed invece la faccenda è all’ opposto ; le
conchiusioni da lui proclamate non sono che antichi risulta-
menti di mie più antiche ricerche.
Nel 1864, in un lavoro presentato molto prima all’ Accademia
delle scienze di Torino ^ io scriveva : « Or essendo i corallarii
del gruppo calcareo-marnoso per la maggior parte spettanti ai
Turhinolidi, e tra questi trovandosi gran numero di Gariophyllie
e di generi affini, nonché di Eesmofidle, si dee necessariamente
inferire, che il mare in cui quelle rocce si depositavano, dovea
essere abbastanza profondo. Siffatta conchiusione è perfettamente
concordante coi risultamenti somministrati dalle altre classi di
fossili che unitamente a siffatti polipai giacciono nelle medesime
rocce ; infatti tra i molluschi si vedono abbondantissini i JBra-
chiopodi ed i Eriozoarii, e tra le classi inferiori i Rizopodi vi
sono sparsi in sì grande abbondanza, da formare quasi da soli
la massa tutta delle rocce marnose. »
Nel 1868 io scriveva per le rocce messinesi : ^ « Bans le
* Ved. pag. 240.
* Disquisizioni paleontologiche intorno ai Corallarii fossili delle rocce ter-
ziarie del distretto di Messina, pag. 14G.
® La formation zancléenne ou recherche sur ime nouvelle formation ter-
- 367 - .
'ìniocène, les gastéropodes et les lamellibrancJies se trouvent avee
dbondance, et constituent ime faune entière, décèlant la petite pro-
fondeur des mers, où ces moìlusqiies vècurent ; dans les marnes
et les ealcaires qui existent au-dessus, il y a une grande abon-
dance de brachiopodes, de coralliaires et de foraminifères, qui ne
se trouvent que très-rarement dans les couches miocènes, et qui
font connaitre la profondeur considérable où se déposèrent les
rocJies qui les renferment. »
Sarebbe assolutamente vano il riferire altri molti brani dai
quali, come chiarissimamente dai precedenti si desume, che io
molti anni pria che il signor Fuchs sia venuto in Italia, cono-
sceva e faceva conoscere, che gli strati marnosi e calcarei del
pliocene dell’ Italia meridionale si depositarono in mari profondi.
Il signor Fuchs ci dà come novità che lo zancleano è plio-
cene, ma allorquando nel 1868 io chiamava zancleano non altro
se non il più antico membro del pliocene, conchiudeva così : ^
« La formation pliocène se divise dono en trois étages : Vastien,
Oli pliocène supérieur, formé ordinairement de sables jaunes, le
plaisancien, ou pliocène moyen, compose des argiles ou marnes
bleues, et enfin le ^ancléen ou pliocène inférieur, consistant en
couches marneuses et ealcaires peu colorées, »
Quindi dal primo momento in cui diedi nome di zancleano
ad alcuni strati tèrziari, li riguardai siccome il membro più
antico del pliocene, e così in tutte le pubblicazioni posteriori.
Conchiudo perciò a ragione che i risultamenti, invero troppo
generici, che ottenne il signor Fuchs coi suoi studii sul pliocene
di Messina e di Gerace erano deduzioni di troppo antica data
per me allorquando egli venne in Italia, e meglio ancora allor-
quando le rese di pubblica ragione ; quindi nei miei studii poste-
riori non ho dovuto a questo riguardo modificare menomamente
le mie idee, le marne dello zancleano sono state sempre per
me depositi pliocenici di mari profondi; perciò invece di dirsi
che le mie deduzioni odierne sono concordanti con quelle del
signor Fuchs, bisogna dire che le une e le altre a questo
riguardo si accordano con le antiche mie conchiusioni.
tiaire [Bull, de la Société géologique de France, 2® serie, tome XXV, page 465
e seguenti).
* Bidletin de la Société géologique de France, 2^ serie, tome XXV, page 486.
— 368 —
IV.
Intorno alle ultime puhhlicazioni del professor Fonzi sui ter-
reni pliocenici delle Colline di Boma^ e specialmente in-
torno ad una così detta Fauna Vaticana f — Conside-
razioni di A. Manzoni.
Le formazioni plioceniche che compongono le colline di Eoma
sono state principalmente studiate dal prof. Ponzi al Monte Ma-
rio ed al Monte Vaticano. Di queste formazioni il prof. Ponzi
ha pubblicato in diverse riprese le sezioni stratigrafiche e le ri-
spettive faune. Inoltre egli ha inteso di assegnare ad ognuno dei
diversi piani che compongono queste formazioni la rispettiva età
geologica e la presunta climatologia specialmente fondandosi so-
pra i dati paleontologici. Ora è sopra alcuni di questi dati che
mi occorre fare qualche osservazione critica. -
Il prof. Ponzi indica nella serie stratigrafica dei sedimenti
marini osservabili al Monte Vaticano ed al Monte Mario un piano
inferiore costituito da delle marne grigie, ìe quali formano la
base del primo monte e leggermente inclinate passano sotto al
secondo. Queste marne grigie sono chiamate dal prof. Ponzi marne
inferiori vaticane, e la loro fauna fu detta dal medesimo fauna
vaticana. Sennonché per la circostanza che le stesse marne non
contengono fra i loro fossili la Nassa semistriata Br. (che è
considerata dal prof. Ponzi come caratteristica del pliocene)
queste marne sono da lui dichiarate di età miocenica.
A queste marne inferiori vaticane ne succedono in ordine
stratigrafico saliente altre immediatamente superiori, intercalate
da letti di sabbione grigio-giallastro. A queste marne superiori
il prof. Ponzi assegna una età transitoria fra il miocene più re-
cente ed il pliocene più antico. In queste marne fa la sua prima
apparizione la Nassa semistriata, e in questo fatto, ritenuto di
alta importanza, il prof. Ponzi trova motivo per ammettere che
r età volge decisamente dal miocene al pliocene.
* Ponzi, Cronaca snbapennina o abbozzo cV un quadro generale del periodo
glaciale, Roma, 1875.
369 -
Io non posso approvare la importanza paleontologica ecces-
siva che il prof. Ponzi accorda alla Nassa semistriata. Questa
comunissima e tuttora vivente conchiglia s’incontra regolarmente
tanto nel pliocene quanto nel miocene. E se il professor Ponzi
avesse consultato le seguenti opere, che trattano di due faune
veramente mioceniche (piano Tortoniano), Invertélrés fossiles du
Mont Léberon, par P. Fischer et R. Tournouér, Paris 1873, pa-
gina 125 ; Delia fauna marina di due lembi mioeenici delVAlta
Italia^ per il dott. A. Manzoni, Vienna, Accademia delle scien-
ze, 1869, pag. 13, avrebbe visto che la Nassa semistriata non
è tal fossile da chiamar caratteristico del pliocene, dacché s’in-
contra comunemente anche nei depositi conchiliferi a tipo essen-
zialmente tortoniano, come sono appunto quelli a cui si riferi-
scono le due citate opere.
Passando ad esaminare il caso delle marne inferiori vaticane e
della loro fauna, che il prof. Ponzi vuole attribuire al miocene
superiore o piano tortoniano di Mayer, mi convien premettere
che questa fauna vaticana in numero' di 112 specie viene da
diversi anni fatta soggetto di deduzioni cronologiche e climato-
logiche da parte del prof. Ponzi, e che negli scritti di lui si
trova riprodotta ora colla promessa di farne una più retta espo-
sizione, ora col proposito di fornirne P illustrazione per mezzo
di tavole. Ambedue questi preconizzati avvenimenti sono molto
desiderati, e sono poi nel caso in ispecie necessariamente ri-
chiesti per avere un’ idea esatta di detta fauna. La quale, per
quanto è stata specificata dal prof. Ponzi, presenta l’inconve-
niente di contenere un numero strordinario di specie nuove (più
che il 30 7o), le quali intanto non servono che a nasconderne
la vera e complessiva natura.
Ma lasciando da parte le specie supposte nuove ed esami-
nando quelle che si leggono specificate, a me vien fatto di po-
ter asserire : 1“ che fra i fossili specificati delle marne inferiori
del Vaticano non una sola forma caratteristica del tortoniano vi
si trova inclusa : 2*^ che 1’ insieme di questi fossili chiaramente
e sicuramente si riferisce alla zona delle marne grigie del plio-
cene inferiore.
Quanto alla prima asserzione io porto a mia testimonianza
le faune essenzialmente e tipicamente tortoniane di Sassuolo c
25
— 370
di Monte Gibio nel modenese, di Vigoleno nel piacentino, di So-
gliano nel cesenate, di Bassano, delle colline tortonesi, del Monte
Léberon in Francia e del piano tortoniano di tante località del
miocene d’ Austria e d’ Ungheria. Voglia il prof. Ponzi prender
cognizione di queste faune locali, e ben presto si persuaderà che
la sua fauna vaticana non ha con esse niente di comune.
Quanto alla seconda asserzione, io porto a testimonianza la
fauna delle marne grigie della zona del pliocene inferiore di Fa-
biano nel piacentino, e più specialmente di Orciano nelle colline
di Pisa. Se il prof. Ponzi prenderà cognizione della ricchissima
fauna di quest’ ultima località, ben presto si persuaderà che la
sua fauna vaticana non è che una relativamente meschina e po-
vera riproduzione di quella di Orciano. La sola presenza nelle
marne inferiori del Vaticano della FeccMolea argentea e della
Marginella auris-leporis suggerisce questo ravvicinamento di lo-
calità; giacché queste due singolari e rare conchiglie si raccol-
gono solamente, per quanto io mi ricordo, ad Orciano, a Fa-
biano ed al Vaticano.
Il prof. Ponzi nel notare nella sua fauna vaticana la preva-
lenza di certi generi e famiglie di molluschi (dentali, lede, pet-
tini e pteropodi in genere), scrive : « che di questi è così grande
la quantità di specie e di individui da dare una fisonomia spe-
ciale al Monte Vaticano, per servire di orizzonte geologico. » Ora
appunto questa straordinaria abbondanza di pteropidi, di lede e
di nucule e di altri molluschi ed animali in genere, che carat-
terizzano la fauna di mare profondo a differenza della fauna di
spiaggia 0 di mare sottile, si riscontra principalmente ad Or-
ciano. Una visita alla grandiosa collezione, che di questa clas-
sica località possiede il signor Koberto Lawley, potrà farne
persuasi.
Ma intanto nessuno ha mai pensato di fare delle marne gri-
gie di Orciano un orizzonte geologico ; bensì ognuno che abbia
studiata la serie delle formazioni plioceniche delle colline di
Pisa, si è contentato di riscontrare in quelle marne il piano in-
feriore della zona del pliocene antico. Il quale piano inferiore è
ordinariamente formato da un deposito marnoso di alto fondo,
con una fauna che analogamente indica essersi trattato di un
mare libero ed avente una certa profondità.
— 371 —
;
Il prof. Ponzi (lice che, anche per ragione stratigrafìca si è
creduto autorizzato a riferire le marne inferiori del Vaticano al
miocene superiore. Questo non sarebbe accaduto se oltre un più
accurato confronto fra le vere faune plioceniche e mioceniche,
egli avesse ricordato che nella serie delle formazioni plioceniche
si ammettono per ragione litologica e paleontologica due zone,
una superiore e V altra inferiore, a due piani ognuna di sabbie
e di marne, rappresentando le sabbie il deposito litorale o di
basso fondo marino, e le marne quello di alto mare e di pro-
fondità. Anche dal lato della posizione stratigrafica non vi è quindi
ragione di considerare come mioceniche le marne del Vaticano.
Ma con ciò io credo di avere raggiunto lo scopo di questo
mio scritto, che era quello di dimostrare che la così detta fauna
vaticana non è cosa peculiare a quella collina, mentre s’ incontra
anche più riccamente rappresentata altrove, e che per di più
questa fauna non è di età miocenica, ma bensì pliocenica; e che
infine per la sua natura e per quella litologica del deposito ma-
rino in cui si trova contenuta, corrisponde alla fauna di alto
fondo 0 di profondità della zona inferiore del pliocene.
Ciò detto, senza aver la pretensione di insegnare una cosa
. 0 molto difficile o molto nuova, io mi permetto di metter sot-
t’ occhio al prof. Ponzi un saggio di divisione del pliocene ma-
rino delle colline di Roma, quale mi viene suggerito dal tri-
plice elemento paleontologico, litologico e stratigrafico considerato
in queste ed in altre località della nostra penisola.
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Marne.
Marne grigie inferiori del Vaticano.
04
Deposito di alto fondo.
Bologna, Novembre 1875.
372 -
V.
I Porfidi del Lago di Lugano, per B. Studer.
{ ZeitscTirift der Deut. geolog. Gesell.,, B. 27, H. 2, Berlin, 1875.)
Il pregievole lavoro dei signori Negri e Spreafico * * sui din-
torni di Varese e di Lugano, dette occasione alla Commissione
geologica svizzera di interpellare gli autori se avessero voluto
prendersi V incarico della colorazione geologica del foglio XXIV
della Carta del Dufour, dal suo margine occidentale fino alla
riva occidentale del Lago di Como ; e questo incarico fu da essi
cortesemente accettato. Giova però osservare che per quanto
riguarda i porfidi che compariscono in questa regione, sarebbe
stato nostro desiderio che nella nuova Carta T argomento fosse
trattato in modo diverso.
xyiorchè von Buch nell’ anno 1825 insieme a Mousson e a
me dedicò parecchi giorni alla geologia del Lago di Lugano, e
due anni più tardi visitò nuovamente queste attraenti località,
credè di aver trovato colà pure una conferma dei resultati ch’egli
aveva da poco tempo ottenuti nel Tirolo meridionale : un por-
fido quarzifero rosso alla base della formazione ed un porfido
nero più giovane senza quarzo, che egli suppose corrispondente
al porfido augitico del Tirolo, il quale sollevò i monti calcarei
e produsse la loro conversione in dolomiti. Siccome però nel
porfido ^nero del Lago di Lugano non potevasi chiaramente rico-
noscere r augite, preferì per esso la denominazione di porfido epi-
dotico che più tardi, dopo Brongniart, cangiò in quella di Melafiro.^
Nell’ anno 1833 io visitai nuovamente questa località ed os-
servai tra Melano e Maroggia evidenti filoni di porfido rosso nel
porfido nero, nella stessa maniera come io aveva veduto per l’ in-
nanzi presso Predazzo, sulla pendice del Monte Mulatto, filoni
di granito tormalinifero rosso nel melafiro.^ Io credetti perciò
).
* Vedi Memorie del R. Istituto Lombardo, 1869.
^ Vedi Ahhandlungen der K. Akad. der TEiss. zu Berlin, p. 193. —
Vedi Ann. des Sciences Naturelles, Paris, 1829, voi. 18, p. 258.
® Vedi Leonhard, Zeitschrift fùr Mineralogie, 1829, p. 259.
373 -
di dovere riconoscere il porfido rosso come più giovane, e ne feci
una relazione alla Società geologica di Parigi/
Nello stesso anno anche i miei amici F. Hoffmann ed A. Escher
nel loro ritorno dall’ Italia intrapresero un più dettagliato studio
di questi porfidi e mandarono parimente la loro relazione alla
Società geologica. Noi non ci eravamo veduti allora nè nel Canton
Ticino nè in Berna: i filoni del porfido rosso nel nero furono
anche da loro constatati. Contemporaneamente però essi trovarono
nella penisola di Carona e di Morcote una così intima connes-
sione fra le due forme litologiche ed anche colla roccia feldi-
spatica descritta dal von Buch come granito, che credettero di
dover riconoscere nelle tre forme di roccia semplici modifica-
zioni di una stessa massa, la cui origine deve ritenersi più
antica dei depositi calcarei e dolomitici che la ricuoprono.^
Alla stessa conseguenza giunse più tardi C. Brunner di Berna,
adesso stabilito in Vienna, poiché anche egli credette di aver
veduto filoni di porfido nero nel rosso ; ed in ciò concorda con
Girard.^ L’ inclinazione delle montagne calcaree e dolomitiche da
tutti i lati intorno al lago e le colline porfiriche che lo circon-
dano risvegliano, secondo lui, come per V innanzi secondo von
Buch, r imagine di una volta sollevata dal basso in alto e rotta.* *
In seguito alle osservazioni di Hoffmann, Brunner, Girard,
e alle loro proprie, i signori Negri e Spreafico hanno contrasse-
gnato col medesimo colore nella loro carta il porfido rosso e il
nero, il granito a druse di Figino e la retinite nera di Grantola;
e ciò non può esser approvato. Secondo von Buch anche il gra-
nito di Baveno dovrebbe essere riunito a queste rocce.
Le nostre carte geologiche sono però prevalentemente petro-
grafiche. Esse distinguono il granito dal gneiss, il granito dalla
sienite, la trachite dal basalto, il calcare dall’ arenaria sebbene
frequentemente vi si riscontrino dei passaggi e la differenza nella
età debba spesso mettersi in dubbio o negarsi risolutamente.
Petrograficamente però due rocce non sono fra loro mai tal-
* Vedi Bull. Soc. Geol., S. 1, T. 4, p. 54. — VediB. Studer, Geologie der
Schweiz, Bern, 1851, B. 1, p. 472.
2 Vedi Bull. Soc. Geol., S. 1, T. 4, p. 103.
® Vedi Leonhard, Jahrbuch, 1851, p. 33G. '
* Vedi Neue Denkschr. der Schweiz. Gesell., 1852, B. 12.
— 374 —
«
mente disgiunte come il porfido rosso e il nero del lago di
Lugano.
Il porfido rosso, che meglio corrisponde alla descrizione di von
Buch e ai porfidi quarziferi di altre località, è formato di una
pasta rosso-bruna, a frattura scabra, con cristalli geminati di
ortose bianco-giallastro, con albite isolata quasi incolora fina-
mente striata, ed in cristalli geminati con dodecaedri di quarzo
vitrei ed incolori. Esso però non è limitato entro sì angusti
confini : presso Maroggia la pasta è di un colore rosso mattone
smorto, a elementi grossolani ; il quarzo comparisce in grani
arrotondati della grossezza talvolta di un pisello. Nei filoni la
pasta è compatta a frattura piana, con lucentezza cerea, e i cri-
stalli geminati di ortosio, chiaramente isolati, sono di un colore
rosso scuro. Come varietà, nota rHoffmann anche il granito a
druse di Figino.
Il porfido nero si mostra costantemente nei suoi caratteri.
-Non senza ragione von Buch lo paragonò colle rocce oscure del
Tirolo meridionale ; esso assomiglia in modo straordinario ai me-
lafiri dei Vogesi o dei monti di Lione. Una pasta verde nera-
stra, sottilmente scagliosa, con cristalli isolati, piccolissimi, di
color bianco tendente al gialliccio od al rossiccio, che von Buch
riconobbe per albite (oligoclasio) ; V ortose e il quarzo sembrano
mancare affatto. Alcuni cristalli allungati di color verde porro
scuro, furono da von Buch ritenuti per augite o epidoto.
Le analisi microscopiche sopra lastre sottili, gentilmente ese-
guite dal prof. Fischer di Freiburg, conducono a resultati poco
differenti. La pasta del porfido rosso non mostra alcuna traccia
di strie di geminazione e, se altrimenti non decide V analisi
chimica, si può ritenere composta di solo ortosio. Alcuni punti
di color verde-olio che non possono isolarsi dalla massa potreb-
bero forse esser riguardati come pinitoidi. Anche nella pasta
del porfido nero e nei cristalli piccoli incolori in essa dis-
seminati crede il prof. Fischer di dovere riconoscere soltanto
r ortosio. I cristalli allungati di color verde porro sembrano ad
esso di orneblenda; cosicché il porfido nero, se la massa prin-
cipale fosse un feldispato triclino, potrebbe ritenersi come una
porfirite. Alcuni granuli neri che compaiono nelle lastre sottili,
nella roccia polverizzata si danno a conoscere per magnetite, e
— 375
le striature color giallo d’ ottone, riconoscibili alla lente, pos-
sono essere di pirrotina.
Onde esaminar meglio queste rocce, i signori Negri e Sprea-
fico hanno fatto analizzare chimicamente sei varietà di esse per
mezzo del loro amico Gargantini-Piatti di Milano. Due di esse,
che appartengono ai due porfidi di cui è parola, dettero i se-
guenti resultati :
Porfido quarzifero rosso
Porfido nero
di Valgana.
fra Melano e Rovio.
Silice
84,10
69,57
Allumina
10,50
12,30
Protossido di ferro. .
1,10
—
Sesquiossido di ferro.
—
14,05
Magnesia
0,03
0,49
Calce
0,04
1,50
Potassa e Soda . . .
1,10
0,25
Acqua
1,93
3,25
98,80
101,41
In seguito a queste analisi, anche il dott. Justus Roth non ha
più oltre riguardato il porfido nero di Lugano come un melafiro,
ma lo ha collocato con i porfidi felsitici.^
Ciò che più mi colpì in queste analisi di rocce prevalente-
mente composte di feldispato fu il tenore in alcali ridotto sem-
plicemente a tracce. Io supposi che fossero state eseguite con
pezzi non freschi, tantopiù che quasi dappertutto la roccia fino
ad una certa profondità sotto la superfice è alterata. Per questo
allorché per la ferrovia del Gottardo, nel 1873, dovevano fo-
rarsi presso Maroggia i due porfidi con un tunnel di 543,50 me-
tri, mi feci spedire, parecchi mesi dopo il principio del lavoro,
dei campioni il più possibilmente freschi, la cui analisi fu ese-
guita dal nostro professore di chimica Schwarzenbach. Da essa
risultarono i seguenti numeri che approssimativamente concor-
dano con quelli dell’ analisi di Milano :
’ J. Roth, Beitràge zur Petrographie der plutonischen Gesteine, Ber-
lin, 1873.
X
- 376 —
Porfido rosso.
Porfido nero.
Silice
74,706
65,471
Allumina
11,267
15,154
Ossido di ferro. .
4,345
10,642
Magnesia
0,360
0,340
Calce .......
1,641
3,894
1,611
Potassa e Soda. .
3,647
Acqua
3,690
3,101
99,903
99,966
Nell’ autunno 1874 essendo passato per Maroggia, mi feci
dare di nuovo due campioni staccati dal
tunnel ivi scavato e
già molto avanzato ; e, nella speranza che
una separazione più
netta degli alcali offrirebbe
un punto di appoggio per la distin-
zione dei feldispati, pregai
il mio amico signor von Fellenberg,
conosciutissimo per le sue analisi minerali.
a fare P analisi di
quei campioni. Per confronto con le già date voglio presentare
soltanto i resultati principali ottenuti con
una prima analisi :
Porfido rosso.
Porfido nero.
Silice
71,74
61,67
Allumina
12,60
16,38
Ossido di ferro. .
2,45
' 6,31
Calce .
2,30
2,57
Magnesia . . . . .
1,24
3,02
Ossidalo di mang.
0,84
0,30
Potassa
Soda
4,14
3,41
3,50
4,22
3,65
Perdita al fuoco .
3,31
102,22
101,43
Se rimarcliiaino la presenza di quarzo libero nel porfido rosso
e del ferro magnetico pure libero nel nero, e specialmente poi
la quasi completa consonanza negli alcali, vien tosto l’ idea die
ad onta della grande differenza dei caratteri esterni, la compo-
sizione chimica sia prossimamente la stessa in ambedue i porfidi.
Il signor von Fellenberg, in una nota da esso pubblicata
nello stesso periodico,^ espone il processo ed il risultato delle
’ Vedi Zeitschrìft der deiitscheìi B. 27, H. 2, p. 422.
377 -
analisi istituite sui due porfidi del luganese, e, dato il primo
risultato sommario ora riportato, continua come segue:
Queste due analisi abbisognano ancora di una correzione in
rapporto al carbonato terroso scoperto nei rispettivi campioni ;
per il che, eseguite le operazioni chimiche relative e fatta la
riduzione dei numeri, si ha il seguente risultato :
Porfido rosso.
Porfido nero.
Silice
70,18
60,80
Allumina . . . . .
12,33
16,15
Ossido di ferro. .
2,40
6,22
Calce
0,38
0,62
Magnesia
0,26
2,48
Ossidalo di mang.
0,82
0,30
Potassa
4,05
4,16
Soda
3,34
3,60
Acqua
0,93
1,23
Carbonato terroso.
5,31
4,44
100,00
100,00
Eseguite poi le ricerche pei* determinare
il quantitativo di
ferro magnetico nel porfido
nero, dalla media
di quattro analisi
si ebbe prossimamente il 6,20 7o di questo
minerale ; per cui
tutto il ferro contenuto in
detto porfido, vi
si trova allo stato
di magnetite.
Volendo poi dai precedenti risultati dedurre quale sia la na-
tura del feldispato in ambedue i porfidi, si può partire dal
quantitativo dei due alcali, e precisamente da quello della po-
tassa per la determinazione dell’ ortosio, e da quello della soda
per r oligoclasio. Eseguiti i calcoli relativi, si hanno i seguenti
risultati definitivi, ad ottenere 1 quali si è eliminato il carbo-
nato come elemento estraneo alla roccia :
Porfido rosso.
Porfido nero.
Ortosio
. 35,67
61,03
Oligoclasio ....
. 28,53
31,29
Quarzo
. 32,39
—
Ossido di ferro .
. 2,53
—
Ferro magnetico.
•
6,41
Acqua
, 0,98
1,27
— 378 —
Da ultimo giova osservare che il porfido nero, che dall’ ana-
lisi risulta assai più basico dell’ altro, sembra per questo appar-
tenere ad un’ epoca di gran lunga posteriore al primo che si
dimostra assai ricco di silice, e nel quale i almeno dell’ acido
silicico trovansi allo stato di quarzo libero disseminato nella massa
feldispatica.
VI.
Bilievi nel territorio di Sexten, nel Cadore
e nel Comelico {Alpi venete)^ del dott. K. Hòrnes.
{Verhandlungen der k. k. geolog. Beichs., Wien., 1875, 14.)
Nell’ ultimo mese della campagna geologica di quest’ anno fu
mia cura di completare nelle valle di Sexten le ricerche sulla
continuazione orientale dei terreni secondari dei monti di Ampez-
zo, per quanto si estendono nel dominio austriaco, e quindi
anche nel territorio veneto limitrofo, allo scopo di 'ottenere mate-
ria per rischiarare le condizioni geologiche dei dintorni di Cor-
tina d’ Ampezzo già prima d’ ora studiati. Io fui abbastanza
fortunato di poter fare in diversi punti scoperte paleontologiche
di un certo interesse : per riguardo alla cartografia il maggior
lavoro è stato eseguito coi rilevamenti pregevolissimi del dottor
LoretZ', i quali addimostrano maggiore esattezza qui che nella parte
occidentale. Su tale rapporto non rimase a me che di eseguire,
per quanto mi era possibile, quei miglioramenti, o per dir meglio
più esatte delimitazioni, atti a fornire un buon materiale carto-
grafico per il territorio austriaco.
Nel limitrofo territorio veneto la carta del Loretz, al di fuori
di alcuni rigetti e ripetizioni di strati dal medesimo non tra-
veduti, non abbisognava di alcuna modificazione essenziale, ad
eccezione delle masse montuose a Sud di Pieve di Cadore, le
quali non sono formate dalla dolomite dello Schlern nel signifi-
cato più ampio, come accenna il Loretz (dolomite di Mendola
del Piichthofen), ma piuttosto dal calcare del Dachstein. Però
questi monti giacciono per la maggior parte fuori della carta
del Loretz.
379 —
In quanto al modo di presentarsi dei giacimenti triassici, la
di cui esatta ricerca nelle regioni occidentali formava lo scopo
mio principale, sarebbe da osservarsi che esso è palese anche
nelle località più sopra accennate ; ma però in queste le condi-
zioni di giacitura non si mostrano mai così caratteristiche come
nei monti limitrofi ad Ovest. Sembra che la dolomite dello Schieri!
andando verso oriente prenda un carattere affatto diverso. Già
nel Comelico cominciano a diminuire i tufi, le marne e le are-
narie (che nel versante meridionale dell’ Antelao tengono il posto
principale, mentre la dolomite dello Schlern riducesi ad un banco
di piccola potenza) ; nello stesso tempo la regione assume un
aspetto dolomitico, e quei terreni sono rimpiazzati dai calcari
varicolorati, rossicci, grigi e scuri, che anche all’aspetto este-
riore sono interamente diversi dalla dolomite dello Schlern.
Negli strati più profondi 1’ attenzione fu rivolta specialmente
all’ insieme del calcare a Bellerophon. Esso presentasi qui dap-
pertutto, spesso con un forte sviluppo di gesso e carniole alla
sua base, immediatamente sopra 1’ arenaria di Gròden, ma solo
in pochi punti contiene petrefatti ben conservati. Una località
specialmente fossilifera trovasi al Kreuzberg, al passo fra Sexten
ed il Coinelico, ove io unitamente al Bellerophon peregrinus rac-
colsi numerosi brachiopodi e pelecipodi ed alcuni gasteropodi e
cefalopodi (Nautilus).
Nel Verrucano, conglomerato di contatto tra l’ arenaria di
Gròden e la fillite, nel quale presso Santo Stefano e Sexten
trovansi alcuni piccoli giacimenti di porfido quarzifero, incon-
trai frequentemente frammenti di un calcare paleozoico, per lo
più rossiccio 0 grigio, che non di rado contiene fusuline. Questi
calcari provengono certamente dalle masse calcaree racchiuse
nelle fillite del Monte Silvella, del Kònigswand ec.
Dietro richiesta del professore Suess feci un’ escursione a
Forni Avoltri per costatarvi 1’ esistenza dei giacimenti metalli-
feri negli schisti paleozoici. Nel Monte Avanza vedesi la strut-
tura geologica allo scoperto in causa di una lavorazione che
data dal 1866. Sotto la massa calcarea del Monte Paralba e del
Monte Avanza compariscono schisti di carattere paleozoico ; pre-
valgono gli schisti finitici, a luoghi però anche puri schisti mica-
cei, ricchi di quarzo, che racchiudono calcopiriti in abbondanza.
— 380
Al contatto degli schisti col calcare del Monte Avanza trovansi
molte qualità di minerali ; rame grigio, calcopirite, baritina, galena
argentifera, che già da gran tempo furono oggetto di lavorazione.
Verso Sud segue a breve distanza un forte rigetto in seguito
al quale sprofondarono 1’ arenaria di Grdden, gli strati di Werfen
e i più antichi membri del Trias insieme cogli schisti metalliferi.
Questi grandi rigetti per la maggior parte allineati da Est
ad Ovest sono unà regola generale nel territorio da me visitato.
Due di essi, quello che attraversa V Antelao e il massiccio del
Sorapiss-Marmarole, come anche quello nel quale ha il suo corso
la Piave fra Lozzo e Pieve di Cadore, trascorre a Nord del
Monte Zucco, e si continua poi più lungi verso O.S.O. fino in
Val Sugana, non furono riconosciuti dal dottore Loretz. Questi
rigetti da una parte rendono difficile il rilevamento della con-
trada, dall’ altra permettono P affioramento di strati che altri-
menti sarebbe impossibile di osservare.
Il calcare del Dachstein mi somministrò in molti punti ricco
bottino di fossili. Così trovai nei Monti Marmar ole a Sud del
Monte Rosiana molti resti, sebbene non ben conservati, di coralli
e gasteropodi {Turbo, Natica, Ghemnitzia) unitamente ai Mega-
lodon caratteristici. Il complesso delle rocce fossilifere anche
petrograficamente è diverso dal solito calcare del Dachstein ;
è frequentemente formato da una breccia nella quale frammenti
calcarei scuri sono racchiusi in una massa rossiccia chiara, e
giace all’ incirca nella parte mediana dello spessore del Dachstein.
Al Col del Fuoco, un poco sotto il suo vertice, nella Val Traver-
nanzes, nelle pareti a picco della Tofana e finalmente in modo
migliore nella Valle Oten al piede N.E. dell’ Antelao, potei osser-
vare questi giacimenti fossiliferi. Nella Valle Oten io trovai nella
stessa roccia una ricchissima fauna di gasteropodi : Chemnitde di
forme differenti ed eleganti forme di Trochus, Turbo, Capulus ec.
I megalodonti vi erano molto rari, come anche altri pelecipodi
dei quali non rinvenni che pochi esemplari. Al contrario nella
Val Travernanzes si trovarono solamente megalodonti perfetta-
mente conservati, dei quali spesso era zeppa la roccia, dalla
quale potevano estrarsi relativamente bene.
Nè nei Marmar oli nè sulla cima dell’ Antelao non potei in-
contrare strati Passici o giuresi.
- 381 -
I conglomerati diluviali caratteristici di cui ha fatto cenno
il Loretz, compariscono in gran quantità nel Cadore, ricuoprendo
presso Calalzo e Domegge tutta quanta la pianura della valle
della Piave. In prossimità di Pieve di Cadore trovansi ancora
grandi masse di travertino formato da sorgenti, che a quanto
sembra escono dal calcare a Beìlerophon, con temperatura al-
quanto elevata, È notevole il fatto che quasi tutte le sorgenti
salutifere che vengono utilizzate nei numerosi bagni della Poste-
ria, sgorgano dal calcare a JBellerophon (Valdanders, Bergfall,
Prags, Sextner Wildbad ec.), e sembrano molto ricche in so-
stanze minerali, fra le quali lo solfo tiene il primo posto.
VII.
La formazione delle meteoriti e il vulcanismo^
di G. Tschermak.
(Dal voi. LXXI dei Rendiconti delV Imp. Accad. delle Scienze di Vienna, aprile 1875.)
Dappoiché per mezzo di Howard, Klaproth, Yauquelin, Ber-
zelius, venne dimostrata la composizione chimica elementare di
molte meteoriti, si trovò che i materiali di composizione delle
meteoriti erano in genere di quelli stessi che appariscono in
grande quantità nella scorza della terra. E già anche prima venne
riconosciuta dal Chladni la natura planetare di queste masse
singolari.
La connessione di ambedue questi risultati faceva presumere
che anche i rimanenti corpi celesti fossero, come la nostra terra,
composti delle medesime sostanze. Per mezzo delle ricerche spet-
trali sulla luce del sole, iniziate dal Kirchhoff e dal Bunsen,
questa congettura^ circa il nostro centro solare venne elevata a
certezza; e per mezzo delle osservazioni istituite da Secchi,
Huggins e Miller sullo spettro delle stelle fisse, venne stabilita
la verità che P Universo si compone degli stessi materiali.
Come V analisi delle meteoriti confermava la conoscenza della
natura materiale dei corpi celesti, così la osservazione della forma
delle medesime ci promette di aprirci lo sguardo nell’ intimo degli
- 382 -
avvenimenti degli astri e nei cambiamenti a cui questi vanno
soggetti.
La forma delle meteoriti è singolare. Poco era stata osser-
vata per il passato ; però è estremamente curioso il fatto che le
meteoriti si presentano in forma di frammenti. È noto che, chiun-
que abbia solo inteso parlare della natura planetare delle me-
teoriti, che per la prima volta ne abbia vista una collezione, ri-
mane meravigliato di trovare che questi corpi non siano rotondi
come i pianeti, ma bensì angolosi ed irregolari, e che anche
nell’ interno non lascino notare la benché minima struttura con-
centrica.
Haidinger esaminò la superficie delle meteoriti con gran cura,
e venne in persuasione che la crosta scura con V arrotondamento
degli angoli non fosse condizione originaria, ma che la meteorite
solo coll’ attraversare 1’ atmosfera si coprisse di una crosta sot-
tile, e che per questo fatto perdesse la sua angolosità. Quindi
è che tutte le meteoriti prima di entrare nell’ atmosfera terre-
stre hanno posseduta una forma irregolare ed angolosa; ed anzi
molte fra esse erano direttamente a spigoli acuti. La superficie
di questi frammenti erano appunto superficie di frattura, e cia-
scuna meteorite sarebbe pervenuta a questa forma mediante il
frangersi di una massa maggiore.
Tutte le collezioni che contengono delle meteoriti complete,
forniscono degli esempi che dimostrano questo fatto come indi-
scutibile. Nella collezione di Vienna si distinguono in questo
senso il ferro meteorico di Agram, quello di Ilimaé, le pietre di
Knyahinya, Seres, Lancé, Chantonnay, Orvinio, Tabor, Pultusk,
Stannern, ec. La forma esterna di queste e di altre meteoriti
non ha alcuna connessione colla loro struttura interna, ed è in-
vece al tutto casuale.
Si potrebbe credere che la frammentazione fosse succeduta
nell’aria; ed in vero si offrono, per quanto di rado, dei casi in
cui r esame della crosta della meteorite insegna che questa deve
esser scoppiata durante il suo corso attraverso 1’ atmosfera. Però
questo non toglie niente al fatto che le meteoriti raggiungono
r atmosfera già allo stato di frammenti. Così nella caduta di
meteoriti non lontano da Butsura nelle Indie orientali (12 mag-
gio 1861) si trovarono cinque pezzi a distanza l’uno dall’altro
- 383 —
fin di 6 miglia inglesi. Allorquando Maskelyne in Londra ri-
metteva insieme questi pezzi, egli riusciva a ricostruire la forma
originale della meteorite prima che questa scoppiasse nell’ atmo-
sfera. Si conobbe così che questa meteorite aveva avuta nella
sua integrità la forma di una scaglia proporzionatamente sottile
ed incurvata. Il riscaldamento ineguale nell’ aria doveva far scop-
piare un simile corpo. Questo esempio risparmia 1’ enumerazione
di tutti i fatti che dimostrano come le meteoriti non entrino
nell’atmosfera come corpi rotondi somiglianti ai pianeti.
Le meteoriti dunque giungono a noi sempre e solo come
frammenti e come scaglie o particelle derivanti da una o da pa-
recchie maggiori masse planetarie. Se sia stata una sola massa
che diede luogo a questi frammenti, o se siano state parecchie,
ad ogni modo la dimensione ne deve esser stata abbastanza
considerevole.
Si trova infatti nella maggior parte dei ferri meteorici un
modo di compage che dimostra come ciascuno dì questi sia una
porzione di un più grande individuo cristallino. La formazione
di un così grande individuo presuppone, come già Haidinger os-
servava, dei lunghi intervalli di tempo di una cristallizzazione
tranquilla sotto una temperatura invariabile; e ciò che solamente
avviene ad un gran corpo mondiale. Sopra molte pietre meteo-
riche si osservano delle superfici di screpolatura (esempio Cha-
teau-Eenard, Pultusk, Alessandria), le quali rassomigliano pre-
cisamente alle superfici di screpolatura che si osservano nelle
masse rocciose della terra, e che dimostrano il disgiungimento
ed il disgregamento di masse maggiori. Alcune pietre meteoriche
offrono la congiunzione di frammenti angolosi, come i ferri me-
teorici di Copiapo, quello di Tuia, le pietre di Chantonnay, Or-
vinio, Weston, le quali corrispondono alle breccie delle roccie
terrestri.
Molte di tali pietre consistono di molti piccoli frammenti o
di minime scheggie, e sono somiglianti ai tufi vulcanici. Queste
apparenze accennano di nuovo alla derivazione da maggiori corpi
celesti nei quali ebbero luogo azioni metaniche.
Così noi giungiamo alla dimostrazione, che una o più mag-
giori masse, le quali hanno già sostenuto un più lungo processo
di formazione, hanno fornito il materiale alle meteoriti.
- 384 -
A questo resultato sono già arrivati molti scienziati, i quali
si sono occupati dello studio delle meteoriti. Daubrée tentò di
rispondere alla questione relativa al modo del frammentarsi
delle meteoriti, e si arrestò all’ alternativa che la frammen-
tazione possa esser derivata da una collisione o da una esplo-
sione. * *
L’ opinione che i minori pianeti possano essersi formati in
seguito ad una collisione e frammentazione di maggiori corpi
celesti è già stata enunciata da Olhers per riguardo agli aste-
roidi." Più tardi D’ Arrest e C. v. Littrow, hanno per mezzo di
accurati calcoli esaminata la possibilità di un incontro degli
asteroidi.
In una collisione di due corpi celesti solidi, i quali si muo-
vano l’uno verso l’altro con velocità planetaria, avrebbe luogo
nel punto di contatto una fusione e più ancora una volatilizza-
zione," e nel rimanente succederebbe una frammentazione, ed i
frammenti verrebbero dispersi in differenti direzioni. Così si ren-
derebbe chiara la formazione delle meteoriti; però è da consi-
derare che per una tale frammentazione dovrebbero aversi non
solo piccoli, ma anche grossi pezzi. Ma le meteoriti sono invece
direttamente piccole. Le più pesanti fra le conosciute sono la
pietra meteorica di Knyahinya nel Gabinetto Mineralogico di
Vienna del peso di 294 chil., ed il ferro meteorico di Cranbourne
nel Museo Britannico del peso di 3700 chil. La maggior parte
* Ved. nel Journ. des Savants, 1870, la Memoria del Daubrée. Meunier cre-
dette di schivare questo dilemma {Geologie comparée, p. 296), in quanto egli
ammette una spontanea frammentazione di un pianeta, il quale sarebbe scop-
piato come una lastra di argilla che si disecchi. Anche quando una tale possi-
bilità potesse venir ammessa, ne risulterebbe che i frammenti formatisi si mo-
verebbero tutti lungo la stessa strada, mentre questo, come si conosce, non è
il caso delle meteoriti.
* ZA.CH, Menati. Correspondenz, Bd. VI, p. 88.
® Una massa la quale venga ad urtarsi con un altro corpo colla velocità di
3 miglia geografiche, e che coll’ urto si metta in completa quiete, svilupperebbe
in tal caso (purché tutta la forza viva si cambi in calore e che nessuna parte
di calore si disperda all’ intorno) svilupperebbe, dico, per ogni unità di peso
59630 calorie. Si ammetta pure che la metà del calore venga perduto per irra-
diazione e per conducibilità, e che il calore specifico di una massa meteorica
sia 5 volte più grande (cioè fatto eguale all’ unità, a fine di calcolare 1 aumento
di calore specifico colia temperatura e il calore necessario alla fusione) ; ad
ogni modo si produrrebbe sempre una elevazione di temperatura di 29800° C.
— 385 —
delle meteoriti però sono molto al di sotto di queste dimensioni,
e già una pietra di 5 cliil. è considerata appartenere alle maggiori.
Tutti questi pezzi, ed anche i maggiori, sono appena dei mi-
nimi bricioli e della finissima polvere in confronto anche al più
piccolo pianeta, quando anche questo non avesse altro che un
miglio di diametro. Quando anche questo fosse spezzato in un
milione di parti eguali, ciò non ostante sarebbe ogni porzione
250,000 volte maggiore della gran pietra di Knyahinya, e 10,000
volte maggiore del ferro di Cranbourne.
Egli è quindi poco verosimile che le meteoriti debbano la
loio forma ad una frammentazione di pianeti per causa di urto;
invece è molto più verosimile che la frammentazione sino ai più
piccoli pezzi, che si potrebbe chiamare una polverizzazione, sia
etfettuata per via di una azione dall’ interno all’ esterno e per
via di esplosione.
L avvenimento di una esplosione è violento, e sembra esser
in contradizione col graduale sviluppo cosmico, ma non è più vio-
lento dei movimenti i quali sono stati in parte osservati in parte
esplicati sulla superficie del sole e delle comete. I sollevamenti
in forma di esplosione, nel modo come sono stati osservati sopra
il sole da Zòllner, Young, Respighi, gli uragani a vortice che
Lockyei ha valutati, accadono con una velocità che supera tutto
ciò che noi conosciamo in fatto di esplosione sopra la terra.
L improvviso accendersi di qualche stella accenna non meno ad
un violento avvenimento, che I. R. Mayer crede solo poter interpre-
tale per una collisione di stelle fisse e per una congiunzione e
fusione di queste. Secondo le osservazioni di J. Schmidt lo svol-
gersi delle comete avviene con una vivacità la quale fa indurre
a degli intensivi movimenti. In faccia a tutti questi fenomeni
non è contro 1’ ordine naturale il concetto di una esplosione e
di una polverizzazione di un corpo celeste.
Che se noi volessimo ora registrare fra le stelle fisse, fra i
pianeti o fra le comete il corpo celeste o i molti corpi celesti
i quali hanno fornito le meteoriti, sarebbe al tutto inattendibile
la conseguenza che simili corpi sieno stati polverizzati per via
di una esplosione. Sussistono, tuttavia, obiezioni anche a questo
liguardo, al pari che pel concetto di una frammentazione per
via di urto. Anche per mezzo di una esplosione, la quale spezzi
26
386 —
un intero corpo celeste di considerevole dimensione, sia die questo
corpo fosse totalmente solido, sia die in parte fluido, oltre gli
innumerevoli piccoli frammenti si avrebbero anche dei grandi, i
quali dovrebbero pure cominciare la loro corsa come meteoriti.
Ma non si deve perder d’occhio il fatto che tutte le meteoiiti
sono proporzionatamente piccole, e non si potrebbe quindi ap-
provare r ipotesi di un totale sbriciolamento per via di una sola
esplosione.
Lo sbriciolarsi di un tale corpo celeste può anche succedere
da sè a poco a poco. Invece di una sola esplosione se ne pos-
sono immaginare molte le quali lancino pezzi dalla superflcie di
un tale corpo nello spazio. Questo avvenimento potrebbe aver
luogo sopra ciascun corpo celeste del quale la massa però fosse
così piccola che la sua forza di gravità non fosse sufficiente a
richiamare di nuovo alla superficie tutti i pezzi lanciati in alto.
Questa considerazione richiama il concetto già da lungo tempo
ventilato da Olbers, Arago, Laplace, Berzelius^e da altri, ed anche
recentemente sostenuto da L. Smith, secondo il quale la luna,
di cui la forza di gravità è sei volte minore di quella della terra,
potrebbe lanciare tanto lontano dei pezzi, che questi non po-
trebbero più tornare addietro. La possibilità di un tale avveni-
mento sulla luna non è da negarsi. Ma la superficie della luna,
ricoperta da molti accumulamenti circostanti ai crateri vulcanici,
ci mostra che la maggior parte delle pietre lanciate in alto sono
ricadute ed hanno formate quelli ammassi di rottami all’ intorno
delle bocche di deiezione, per modo che anche nel caso favoie-
vole solo pochi pezzi possono esser stati dispersi nello spazio.
Di fronte alla moltitudine di meteoriti, le quali annualmente
si incontrono colla terra, questa sorgente è troppo insignificante.
Le meteoriti giungono alla terra in così vaiie dilezioni e sono
così frequenti, che noi dobbiamo accettare una origine j^eneiale,
la quale non risieda solo nella luna ed in genere non in un solo
corpo celeste. ^ .
Si devono dunque considerare come officine di meteoriti molti
corpi celesti, i quali benché di dimensioni cospicue, pure non lo
erano abbastanza da esser più in caso di richiamare indietro
quei frammenti che per effetto di esplosione erano stati lanciati
in alto. Che tali piccole stelle abbiano in una data età svibip-
— 387 -
pata una attivitcà esplosiva violenta, è molto verosimile, a se-
conda della analogia della lima la quale ha traversato uno stadio
di sviluppo vulcanico molto più attivo di quello della terra. Però
quelle piccole stelle perdevano sempre della loro massa col con-
tinuo lanciar fuori dei frammenti, finché esse erano finalmente
ridotte in piccole parti, le quali adesso percorrono lo spazio nelle
più differenti direzioni.
Si potrebbe sentirsi disposti a vedere nelle comete le rima-
menze di tali piccoli astri, e di riconoscere nella loro effusione
r ultima fase dell’ attività superiormente descritta. Non è però
mia pertinenza lo spingermi più oltre in questo indirizzo; perchè
deve esser lasciato a quegli scienziati che s’ intendono della na-
tura delle comete il decidere se le osservazioni sieno adatte ad
indicare una simile connessione.’
Mi basta di aver mostrato che la forma delle meteoriti ci
obbliga ad ammettere che queste furono prodotte per via di mo-
vimenti violenti, i quali agirono dall’ interno di un astro verso
la sua superficie. Questi movimenti noi possiamo paragonarli a
quelli i quali hanno luogo presentemente nello stesso senso sulla
terra e sul sole, i quali hanno fabbricati i crateri sulla super-
ficie della luna. Questi possono avere cause diverse sopra astri
pure diversi; però è permesso di considerare tutti questi movi-
menti come vulcanici fino a che la loro causa non sia dovunque
conosciuta.
Se poi questi agissero solo in modo esplosivo, in quanto essi
lanciavano in alto pietre rigide dalla superficie, oppure se agis-
sero nello stesso tempo in modo eruttivo, come sulla terra, dove
essi portano fuori della materia dall’ interno del pianeta, in am-
bedue i casi doveva esserci una differenza fra la scorza ed il
nocciolo della massa. Giacché adesso le meteoriti giungono a noi
colla forma di aguzzati frammenti, così ne segue che gli astri,
‘ Molti astronomi vogliono riconoscere attualmente una connessione fra le
meteoriti e le stelle filanti, dacché 1’ apparizione nell’ atmosfera in ambedue
i casi è all’ incirca la stessa. E siccome per mezzo dello Schiapparelli è stata
scoperta e spiegata la relazione fra le comete e le stelle filanti, così si presen-
terebbe di per sé anche una relazione fra le comete e le meteoriti. Ma 1’ espe-
rienza offre ancora la difficoltà che il massimo di frequenza delle stello filanti
non è in nessun modo accompagnata da numerose cadute di meteoriti.
388
dai (juali furono distaccati, possedevano una scorza rigida , e noi
siamo obbligati a concludere ulteriormente cbe il loro interno
non era allo stato rigido o trovavasi tutt’ altrimenti composto.
La forma delle meteoriti ci fa riconoscere la loro provenienza
da piccoli astri, i quali erano costruiti similmente come la no-
stra terra, ma i quali furono gradualmente polverizzati per mezzo
di una attività vulcanica. La compagine delle meteoriti e la loro
struttura interiore ci fa progredire un passo, in quanto ci fa
spingere lo sguardo nella storia di quegli astri prima della loro
frammentazione.
Alquante meteoriti sono, come già è stato detto, di tale co-
stituzione la quale mostra eh’ esse furono formate, durante un
processo di cristallizzazione gradualmente tranquillo, altre per
contrario lasciano trasparire gli effetti di forze frammentatrici,
essendo composte di tanti frammenti. La più gran parte di queste
consistono di minime scheggie e di granuli rotondi.
Haidinger fu il primo a paragonare le masse meteoriche
spugnose e quelle esclusivamente composte di polvere di pietra,
coi prodotti di trituramento e di polverizzazione dei vulcani ter-
restri, e di chiamarle direttamente twfì vulcttfiici. La conside-
revole prevalenza di questo modo di formazione fra le meteoriti
insegna che sopra quegli astri, dai quali essi provengono, la
quiete è stata molto più rara di quello che il movimento vul-
canico.
Si mostra però nelle meteoriti a forma di tufi una apparenza
di più difficile spiegazione, una apparenza la quale in questa
misura non si mostra nei tufi dei nostri vulcani. È questa l’ab-
bondante presenza di piccole sferule o granuli che immediatamente
colpiscono r occhio di qualsiasi osservatore. Questi granuli o sfe-
rule caratterizzano tutte le pietre meteoriche in forma di tufo,
le quali, come è stato detto, formano la grande maggioranza.
Gustavo Rose le chiamò per questo Ghoudviti (Chondros=gr anuli).
Questi granuli hanno le seguenti proprietà per il riconosci-
mento del loro modo di struttura.’
’ Le figure di questi corpi si trovano nelle mie dissertazioni inserite nei
Rendiconti della I. Acc. delle Scienze in Vienna, Voi. LXV, parte 1, pag. 122
(Gopalpur) e voi. LXX, parte I, (Orvinio); ved. anche Dhasche, Contrib. mi-
nerai. 1875, I parte (Lance).
— 389 —
r Essi stanno in una matrice composta di particelle più
fine e più grossolane.
2° Essi sono sempre più grandi delle più piccole particelle.
3^" Essi si mostrano sempre isolati, giammai riuniti in un
certo numero.
4° Essi sono completamente rotondi se consistono di un
minerale tenace, altrimenti non lo sono che incompletamente.
5® Essi consistono ora di uno ora di parecchi minerali,
però sempre di quegli stessi di cui componesi la matrice.
6° La loro interna compagine non sta in alcun rapporto
colla loro figura rotonda. Essi sono o dei pezzi di un cristallo,
0 essi sono fibrosi, ma giammai fibroso-raggiati, o essi sono ir-
regolarmente pedunculati, o essi sono granellosi.
I granuli dunque non si comportano in nessun ^modo come
se fossero pervenuti alla forma granulare per mezzo di cristal-
lizzazione; essi non si comportano come nella struttura sferoli-
tica deir ossidiana e come nella perlite, nè come i granuli della
diorite variolitica, nè come le concrezioni rotonde della calcite,
deir aragonite e della marcasita ec. Essi rassomigliano piuttosto
a quei granuli che di sovente si osservano nei tufi delle nostre
rocce vulcaniche, come, ad esempio, nelle varietà granulose dei tufi
trachiticidelGleichenberger, ai granuli nel tufo basaltico nel Venus-
berg presso Freudenthal, ma più particolarmente ai granuli di
olivina nel tufo basaltico di Kampfenstein e di Feldbach in Stiria.
%
E certo che questi ultimi granuli sono i prodotti di tritu-
razione vulcanica, ‘ e che essi devono la loro forma ad una con-
tinua attività esplosiva di un focolare vulcanico, per mezzo del
quale delle rocce più antiche furono disgregate, e le loro parti
più dure furono arrotondate per forza di un continuo attrito.
Le qualità dei granuli nelle meteoriti confermano diretta-
mente un tal modo di formazione.^ Tutto al più uno può figu-
rarsi che le masse di roccia che erano esposte alla triturazione,
sieno state passabilmente molli, e con ciò si approssimerebbe
all’ ipotesi di Daubrée,^ il quale suppone una pietra che si irri-
' Questi non devono venir confusi colle bombe vulcaniche le quali consi-
stono di lava.
^ Keiclienbach si figurava i granuli come piccole meteoriti. Ma è però solo
r idea di una figura planetaria delle meteoriti che ivi si riflette. ,
* Loc. cit., pag. 88.
— 390 —
gidisca turbinando in una massa di gas. Però egli è certo che
i granuli sono il resultato di una triturazione.
I granuli sono talvolta di piccolezza microscopica, ma ordina-
riamente sono della grandezza di un granello di miglio ; quelli
della grossezza di un nocciolo di ciliega e di una piccola noc-
ciola sono molto rari. I granuli nei tufi delle rocce vulcaniche
della nostra terra hanno la grandezza di una nocciola fino a
quella della testa. Se fosse permesso di concludere da queste
^ differenze alle differenti dimensioni delle rispettive officine, ne
risulterebbe T ammettere innumerevoli e piccole fessure vulcani-
che come luoghi di origine dei tufi meteorici.
Questi ultimi tufi sono particolarmente caratterizzati da ciò,
che essi non contengono traccia di una roccia scoriforme e ve-
trosa, nè giammai dei cristalli sviluppati nella matrice ; ed in
genere non lasciano riconoscere niente che faccia ritenere vero-
simile la loro origine dalla lava. Non si vede in essi niente del
prodotto di triturazione di una roccia cristallina.
Fra le meteoriti simili ai tufi se ne danno alcune, che por-
tano sopra di sè V impronta di un posteriore cambiamento per
via di calore, come, ad esempio, le meteoriti di Tadjera e Bel-
gorod. Altre mostrano apparenze che lasciano comprendere un
cambiamento chimico suscettivo alla loro formazione. Così, ad
esempio, si vede nella pietra di Mezò-Madaras e di Knyahinya
di sovente attorno ai granuli delle accumulazioni concentriche
di ferro nativo, le quali appariscono sulla superficie di rottura
della pietra come V alone del disco lunare ; pure nell’ interno
dei granuli si riscontrano disposizioni consimili. Tutte le pietre
meteoriche a modo di tufi sono attraversate da molte minute
pagliette di ferro. Sembra che queste apparenze sieno state pro-
vocate dall’ azione riduttiva di un gas ; e perciò il Daubrée
accetta che sia stato il vapore acqueo che produsse questi cam-
biamenti. La scoperta del vapore acqueo nella pietra meteorica
di Lenarto per opera di Graham, come pure la riconosciuta pre-
senza del vapore acqueo nel sole per opera di Kirchhoff, appog-
giano questa veduta. Che in questi casi abbia avuto luogo un
riscaldamento è naturalmente presupposto.
Chiari indizii di riscaldamento mostrano del resto ancora
quelle meteoriti le quali consistono di frammenti cementati
— 39]
da una massa nera di uniforme composizione, come le pietre
di Orvinio e di Chantonnay. ’ Ma non ostante tutti questi
esempi di azione di riscaldamento non è conosciuta alcuna
meteorite, la quale abbia pure una qualche somiglianza colla
scoria vulcanica o colla lava. Noi dobbiamo, per quanto abbiamo
paragonate le meteoriti ai tufi vulcanici ed alle breccie, sospen-
dere questo ravvicinamento.
L’attività vulcanica, testimonio della quale furono le me-
teoriti, consisteva nel frammentarsi di rigide pietre, nel riscal-
damento e nel cambiamento di solide masse. Non avevano luogo
eruzioni di lava, espulsione di lava vetrificata e di cristalli, che,
come Zirkel ha dimostrato, compongono la cenere vulcanica.
Fu dunque assolutamente una attività esplosiva, per via della
quale furono formate le breccie ed i tufi che noi osserviamo
nelle meteoriti. Questo ricorda vivamente un fenomeno ben
conosciuto sopra la terra, al Maare dell’ Eifel, che con ragione
si considera cóme un cratere di esplosione. Questi ci dimostrano
che anche sulla terra si può rinvenire il caso di esplosioni vul-
caniche che hanno luogo senza eruzioni di lava.
Adesso rimane ancora la questione, quale fosse la causa del-
r attività esplosiva, per forza della quale da prima sopra quegli
astri le pietre della superficie furono soggetti ad una frammen-
tazione e triturazione, e per forza della quale interi corpi cele-
sti furono gradualmente frantumati.
La questione non mira solamente a questo, ma riguarda in
generale il vulcanismo cosmico. Soprajl sole e sopra la terra i
gas ed i vapori sono i portatori del movimento vulcanico. Sopra
la luna manca però una atmosfera, la quale verosimilmente si
sarebbe formata se i crateri della luna fossero stati costruiti
per via di esplosioni gasose. Per questo in un’ opera recente-
mente apparsa ^ è accettata 1’ opinione che 1’ attività vulcanica
della luna fu solamente prodotta dall’ aumentarsi del volume
nell’ irrigidirsi. Se questo fosse giusto quindi dovrebbe anche
nella congelazione dell’ acqua (la quale nell’ irrigidirsi dimostra
un aumento di volume), aver luogo almeno qualche volta un’ ap-
parizione eruttiva con formazione di crateri, ciò che conosciuta-
‘ Rendiconti dell’ Accademia di Vienna, voi. LXX, parte 1.
Nasmyt e Carpenter, The Moon, London, 1874, pag. 98.
392
mente non è mai stato osservato. A me sembra però che non sus-
sista questa difficoltà, la quale per via di una tale ipotesi vien
scartata. Non devono essere stati gas permanenti quelli i quali
promossero le apparizioni vulcaniche sopra la luna ; e se furono
vapori, in tal caso questi poterono esser assorbiti dalle roccie
della superficie lunare. Intorno a che non vi è ancora bisogno
di riferirci all’ipotesi di Saemann,’ il quale si figura in un’epoca
remota la luna coperta d’acqua, che più tardi venne assorbita.
Si ritornerà sopra questo argomento in un posteriore discorso.
Secondo tutte le nostre esperienze un’ attività vulcanica, la
quale consista nel disgregamento e nella proiezione di pietre,
non è immaginabile senza la cooperazione di gas, oppure di va-
pori, oppure di ambedue unitamente. Quindi è giustificata l’ac-
cettazione che anche 1’ attività esplosiva, alla quale le meteoriti
accennano, venne occasionata per via di una subitanea espan-
sione di vapori oppure di gas, fra i quali il vapore d’ acqua
potrebbe aver preso una parte considerevole.
Le conclusioni alle quali conducono 1’ osservazione accurata
e la comparazione delle meteoriti, sono in accordo colle espe-
rienze di cui in questi ultimi anni si arricchirono la geologia e
r astrofisica. L’ attività vulcanica di cui i testimoni furono quelle
misteriose masse di pietra e di ferro, si può paragonare coi
violenti movimenti negli esteriori strati del sole, colle deboli
commozioni vulcaniche sopra la terra, colle grandiose appari-
zioni eruttive delle quali ci parlano i crateri della luna.
In questo ravvicinamento si presenta ad ognuno, che abbia
in mente la teoria di Kant dello sviluppo omogeneo degli astri,
la congettura, che non solamente i sopra enumerati corpi celesti
sieno esposti a quei cambiamenti, ma che piuttosto il vulcani-
smo sia un fenoifflwao cosmico, nel senso che tutti gli astri nel
loro sviluppo abbiano a passare attraverso ad una fase vulca-
nica. Fra gli astri però che avevano piccole dimensioni, molti,
durante questo spazio di tempo, potrebbero essere stati in parte
0 totalmente polverizzati e dispersi in piccoli frammenti.
A. Manzoni
Per la traduzione dall’ originale tedesco.
‘ Saemann, Bull, de la Soc. géol., Ser, 2, voi. 18, pag. 322.
393 -
NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE.
A. CosSA. — Bicerche di chimica mineralogica
sulla Sienite del Biellese. — Torino 1875. *
Questo lavoro è destinato a riempire in parte una lacuna che
si è lamentata finora nello studio chimico delle rocce delle Alpi
Occidentali, sulle quali tuttavia possediamo copiose notizie geo-
logiche e mineralogiche : di questo risveglio dobbiamo esserne
grati air egregio Autore, il quale vorrà al certo progredire nella
via così bene incominciata, e togliere per quanto è possibile la
lacuna anzidetta.
Come lo indica il titolo della Memoria, essa ha per scopo la
illustrazione di una fra le più interessanti e conosciute rocce
massicce delle Alpi Occidentali, cioè della Sienite del Biellese
detta anche volgarmente Granito della JBalma. Questa roccia è
generalmente di struttura granulare, ma in taluni punti presenta
un aspetto porfirico per il grande sviluppo dei cristalli di fel-
dispato. Gli elementi mineralogici che la compongono sono : due
qualità di feldispato, l’ uno bianco e V altro roseo, 1’ orneblenda
di colore verde nerastro contenente cristallini di magnetite, e
finalmente lo sfeno in cristallini color giallo di miele disseminati
in quantità piccolissima nella roccia. La massa principale della
Sienite è formata dai cristalli di ortosio i quali, esaminati al
microscopio, appaiono contenere piccolissimi cristalli affatto tra-
sparenti di apatite : non mancano però cristallini di oligoclasio,
e nella varietà porfiroide si manifestano chiaramente senza ricor-
rere ad ingrandimento. In conclusione questa Sienite consta es-
senzialmente di ortosio e di orneblenda, e dalla relazione che
passa fra la densità di questi minerali e quella della roccia, si
gkinge al risultato che la Sienite del Biellese contiene 76,5 di
ortosio e 23,5 di orneblenda.
L’ analisi quantitativa di più campioni di sienite a struttura
- 394 -
uniforme, e quasi esclusivamente composti di ortosio e di orne-
blenda, ha dato in media il seguente risultato :
Silice 59,367
Acido fosforico ' 0,583
Acido titanico 0,260
Allumina 17,923
Sesquiossido di ferro . . . 2,021
Protossido di ferro 6,766
Calce 4,165
Magnesia 1,827
Potassa 6,678
Soda 1,237
Acqua ed acido carbonico. 0,380
101,207
Confrontando questa composizione con quella di altre sieniti
conosciute, si ritrova che quella del Biellese rassomiglia moltis-
simo alla sienite di Plauenscher-Grund nei dintorni di Dresda,
analizzata da Zirkel, colla quale ha analoghi anche i caratteri
fisici e chimici, nonché la composizione mineralogica. In gene-
rale queste due sieniti differiscono dalle altre per P eccesso della
potassa in confronto della soda.
Speriamo di potere presto registrare altri lavori consimili
deir egregio chimico di Torino.
A. D’ Achiakdl — Coralli eocenici del Frkdi. — Pisa, 1875.
In questo lavoro, pubblicato per cura della Società Toscana
di Scienze Naturali, V egregio professore di Pisa offre ampia e
dettagliata descrizione della fauna corallina raccolta dai profes-
sori Taramelli e Pirona nei terreni eocenici del Friuli, e in parte
fatta conoscere dal primo di essi nella sua Memoria Sitila for-
mazione eocenica del Friuli (1869).
Le specie descritte, in numero di 123 compreso una settantina
di nuove, provengono da Eosazzo, Brazzano, Eussitz e Cormons ;
tredici soltanto sono comuni alle quattro località, ma queste
poche sono appunto quelle più frequenti nei singoli giacimenti.
395 —
Volendo paragonare questa fauna madreporica con le altre
ben conosciute, e segnatamente con quelle classiche delle due
vicine provincie di Vicenza e Verona (piani di San Giovanni Ila-
rionq e Ronca, di Crosara, di Castelgomberto), si hanno tutt’ al
più 16 0 17 specie a comune coll’ ultimo (il più moderno ed il
più ricco dei tre accennati), il che equivale al 13 7o del numero
totale delle specie conosciute di Castelgomberto ; 8 a comune con
Crosara, rappresentanti il 16 7o di quest’ ultima fauna: la pro-
porzione cresce per Ronca dove, con 9 specie a comune, abbiamo
una proporzione del 50 al 60 7o: e più ancora per San Giovanni
Ilarione dove, con 30 specie a comune, abbiamo la proporzione
del 60 7o ; proporzione che si mantiene ancora per Costalunga e
Valle Organa, giaciture classiche di quello stesso orizzonte. Il
rapporto si conserva assai elevato per la fauna di Palarea e Mortola
presso Nizza, dove abbiamo a un dipresso il 50 7o • esso si fa
invece piccolo per Dego, Sassello, Carcare e altre giaciture co-
rallifere dell’Apennino ligure, e quasi nullo per la collina di
Torino. Per le contrade straniere, troviamo che i terreni num-
mulitici dell’ Indo, delle Corbières, del bacino di Parigi e d’ In-
ghilterra presentano nelle loro madrepore fossili moltissima ana-
logia coi nostri, segnatamente pei due primi.
Il risultato di tali confronti è che il giacimento corallifero
del Friuli trovasi racchiuso tra P eocene inferiore ed il superiore,
ed appartiene di conseguenza all’ eocene medio : a questa impor-
tante conclusione era già giunto il Taramelli in seguito allo studio
degli altri fossili.
Dall’ esame della fauna in sè stessa, nella quale predominano
le specie della famiglia delle Astreide, si giunge allo stesso re-
sultato circa r età del giacimento friulano : di maniera che, il
terreno nummulitico di Palarea, dell’ Indo, dei Pirenei ; le brec-
ciuole vulcaniche di San Giovanni Barione e Roncà; le marne di
Valle Organa ; la calcaria grossolana inferiore del bacino di Pa-
rigi, formano col giacimento in parola altrettanti brani di un unico
piano geologico.
Nella divisione delle famiglie, l’Autore di poco si stacca dai
precetti di Milne Edwards ed Haime.
La Memoria è corredata da 16 belle tavole, nelle quali sono
accuratamente rappresentate le specie nuove.
396 —
A. Bittner. — Die Brachyuren des Vicentinisclien
Tertidrgehirges. Wien, 1875.
Questa Memoria, annunziata nel nostro Bollettino fino dallo
scorso giugno (Vedi N. 5 e 6, pag. 196), ha ora veduto la luce
nel volume 34® delle Memorie della I. Accademia delle scienze
in Vienna. La importanza e la novità dell’ argomento esigono
che di tal libro si faccia un nuovo cenno in aggiunta a quanto fu
detto precedentemente.
Il presente lavoro segna un rilevantissimo progresso nella
conoscenza dei Brachiuri terziari! del Vicentino dal punto al quale
r aveva lasciata Reuss nel 1859.^ In esso l’Autore, giovandosi dei
materiali esistenti nella collezione geologica della Università
di Vienna, nelle collezioni dell’ I. e R. Museo mineralogico di
Corte e dell’L e R. Istituto geologico, come pure nella colle-
zione paleontologica della Università di Berlino, potè determinare
non meno di 43 forme di Brachiuri del Vicentino, delle quali sol-
tanto pochissime sono dubbie riguardo alla provenienza od alla
determinazione loro. Le ricerche del dott. Bittner hanno con-
dotto a dimostrare che la fauna vicentina dei Brachiuri è la più
ricca di qualunque altra analoga del terziario antico dell’ Eu-
ropa. Anche le ricche faune degli strati nummulitici del S.O.
della Francia e delle argille di Londra, non reggono al confronto
della fauna del terreno terziario vicentino fatta conoscere dal
Bittner.
Per la varietà e la novità delle forme incontrate, l’Autore
si trovò nella necessità di stabilire cinque nuovi generi, i quali
sono: 1. Hepatiscus ; una formala quale si ravvicina molto al
genere Hepatus Latr. che abita di presente soltanto le coste del-
r America meridionale. 2. Micromaja ; fondasi sopra una specie
unica, M. tuherculata Bittn. e mostra analogia coi generi Maja,
Paramithrax e Mithrax; nei rilievi però è differente da essi ed
avvicinasi a questo riguardo al genere Hyas. La Micromaja tu-
berculata Bittn. è anche degna di nota perchè costituisce la sola
* Vedi Memorie della I. Accad. delle Scienze, Vienna 1859, voi. 17, pa-
gine 1-90.
— 397
specie della sua famiglia riconosciuta finora negli strati terziari.
3. Feriacantìiìis ; appartenente al gruppo degli Oxyrhynchi, ana-
logo tanto ai Farthenopidi quanto ai Majacei. Esso mostra del
resto una certa somiglianza coll’ Fhtrinome^ il quale genere pro-
babilmente deve essere ritenuto per il suo rappresentante nei mari
attuali. 4. Eumorphactea forma difficile a determinarsi e che si
basa sopra un solo cefalotorace. 5. Falaeograpsus ; appartenente
al gruppo dei Catametopi che tanto raramente si rinvennero fin
qui negli strati terziari antichi, e propriamente ai Grapsidi, e
molto simile ai generi Veruna M. Edw., Fseudograpsus M. Edw.
c Grapsodes Heller ; mostra inoltre una certa analogia di forme
coi generi Trapela e Tetralia appartenenti agli EripMdi.
Le specie nuove descritte e quelle incompletamente conosciute
dapprima, ed ora esattamente determinate, sommano in tutto a
sedici, di cui sette appartenenti ai generi nuovi suindicati.
NOTIZIE DIVERSE.
Studii sulle rocce eruttive. — Il signor M. Lévy intrattenne
l’Accademia delle Scienze di Parigi* con una sua memoria sopra
i diversi modi di struttura delle rocce eruttive studiate al mi-
croscopio.
L’ autore ha passato in rivista le rocce eruttive di tutte le
età, dal granito insino alle lave attuali. Queste rocce, secondo
esso, si compongono tutte di cristalli rotti e corrosi, di cui la
consolidazione, relativamente antica, sembra anteriore alla emer-
sione della roccia, e di una pasta o magma cristallizzato che
ingloba detti cristalli. Il signor Lévy colloca fra le rocce erut-
tive acide quelle la cui pasta ha un tenore in silice superiore
a quello dei feldispati acidi, albite o ortosio. La conclusione della
Memoria è che la tessitura intima di queste rocce è una conse-
* Ved. Comptes rendus, voi. Vili. Novembre 1875.
— 398 —
guenza immediata dello stato più o meno individualizzato della
silice in eccesso che è contenuta nella loro pasta. Le relazioni
che esistono fra le strutture diverse delle rocce eruttive acide
e r età geologica di queste rocce, hanno condotto ad una con-
clusione che Elie de Beaumont aveva già formulata a proposito
delle emanazioni vulcaniche e metallifere : V attività chimica del
globo ha diminuito durante le epoche geologiche. Le rocce hanno
portato alBesterno dei dissolventi sempre di meno in meno ener-
gici, e r effetto ne è stato di isolare di meno in meno la si-
lice in eccesso nella loro pasta.
Formazione contemporanea della pirite/ — Nella seduta
dal 15 novembre 1875 della Accademia delle Scienze di Parigi
il professor Daubrée citò nuovi esempii di formazione contem-
poranea della pirite di ferro nelle sorgenti termali e nell’ acqua
del mare. Quantunque la pirite di ferro trovisi assai sparsa nella
crosta terrestre, al presente si arriva assai di rado a sorpren-
dere questo minerale in via di formazione : fu tuttavia osservata
in parecchie località, come a Bourbon-Lancy, Bourbon-!’ Archam-
bault, Saint-Nectaire, Aix-la-Chapelle, ec. dove forma sottili ri-
vestimenti sopra frammenti di rocce. A questi esempii di forma-
zione contemporanea della pirite di ferro, il professor Daubrée
aggiunse i seguenti : 1° Nel praticare una trivellazione presso la
sorgente termale di Bourbonne-les-Bains, si estrassero piccoli ciot-
toli e grani di quarzo rivestiti di pirite; fu trovata egualmente
la pirite incrostante alcune selci tagliate dall’ uomo ; 2^" Nelle
sorgenti termali di Hamman-Meskoutine, presso Costantina nel-
PAlgeria, si trovarono delle pisoliti rivestite da pirite: nell’ in-
terno di esse pisoliti si vedono dei filamenti gialli i quali altro
non sono che pirite di ferro, e ciò dimostra che il deposito pi-
ritoso non è solo superficiale; 3° Il terzo ed ultimo esempio ci-
tato dal professor Daubrée non riguarda più 1’ azione delle sor-
genti termali, ma bensì quella dell’ acqua marina mescolata
coir acqua dolce. Questa pirite fu rinvenuta recentemente in In-
ghilterra nell’ interno di un pezzo di legno della nave Osborne :
essa forma, entro una fessura di questo legno, un rivestimento
* Ved. Bollettino 1S75, N. 9 e 10, pag. 333.
sottile dotato di bel colore giallo e di un vivo splendore metal-
lico. Prima di essere adoperato, questo legno era stato a lungo
immerso in una miscela di acqua marina e di acqua dolce.
Mineralizzazione delle materie organiche. — Nella seduta
del 29 novembre 1875 della stessa Accademia, il professore
Daubrée fece una comunicazione sulla mineralizzazione subita da
taluni avanzi organici, vegetali ed animali, nell’ acqua termale
di Bourbonne-les-Bains. Gli avanzi vegetali trovati consistono in
grossi pali che servivano di fondazione a un piccolo canale; gli
avanzi animali consistono in corna di buoi. Queste diverse so-
stanze organiche sono state mineralizzate, vale a dire sono state
impregnate di un sale minerale e precisamente dal carbonato di
calce. Questa mineralizzazione non presenta uniformità alcuna,
in quanto che la impregnazione calcarea si è fatta assai irrego-
larmente: in certe parti il calcare abbonda, mentre in altre
manca assolutamente. Inoltre fu osservato che in vicinanza dei
legnami calcarizzati non esiste alcuna incrostazione calcarea : e
questo fatto è spiegato dal professor Daubrée coll’ idea di una spe-
cie di selezione per la quale la materia lignea ha attratto e con-
centrato nelle sue cellule il carbonato di calce. Questo intervento
dell’ affinità capillare risulta anche chiaramente dal modo di mine-
ralizzazione degli avanzi organici negli strati di tutte le epoche
geologiche, e ad esempio dei legni silicizzati i quali, assai di
frequente, non hanno alcun deposito siliceo in vicinanza.
Nuovo animale fossile. — Nella stessa seduta (29 novembre)
il professore A. Gaudry presentò una nota sopra alcuni indizii
della esistenza di animali sdentati al principio dell’ epoca mio-
cenica. Gli avanzi che l’autore ha esaminato pervengono dalle
fosforiti dei dintorni di Caylus, e consistono in due pezzi : una
prima falange ed una falange unghiale, le quali sembrano pro-
venire dallo stesso dito. Il signor Gaudry colloca questo nuovo
animale nel genere Ancylothermm, e gli dà per nome specifico
quello di priscum. I fossili che sono stati trovati nello stesso
giacimento fanno credere che l’ individuo in questione abbia vis-
suto, sia all’ epoca del miocene inferiore (sabbie di Fontainebleau),
sia nell’ ultima fase dell’ epoca eocenica (calcare della Brie).
— 400
Nuovo metodo per la distinzione dei feidispati/ — Questo
metodo, fondato sull’ esame delle proprietà ottiche dei cristalli,
può essere applicato a tutti i feldispati ed offre un facile mezzo
di distinzione dei medesimi: la sola difficoltà sta in ciò che è
necessario di avere una sezione, sufficientemente sottile e tra-
sparente, parallela al clivaggio principale, e levigata per modo
da riescire omogenea in tutte le sue parti. Tali sezioni, ottenute
da cristalli o masse lamellari di albite, oligoclasio, labradorite,
e della pluralità dei microclini, offrono delle strisele emitropie,
più 0 meno serrate fra di loro, disposte lungo il piano parallelo
al secondo clivaggio ; nel caso dell’ ortoclasio e di un microclino
nello stesso cristallo, si ottiene lo stesso effetto con due sezioni
collocate in direzioni opposte.
Le sezioni così ottenute sono collocate fra i due Nicol in-
crociati di un microscopio di polarizzazione.
Per l’ ortoclasio il massimo di estinzione si verifica allorché
le due sezioni sono parallele al loro piano di contatto, trovan-
dosi r angolo dei due piani di clivaggio nel piano di polarizza-
zione del microscopio.
In un feldispato microclino si osservano moltissime striscie
parallele assai sottili : va distinto però il caso di un solo micro-
clino, 0 di un microclino ed ortoclasio insieme. Nel primo caso
la estinzione avrà luogo per un angolo di 30° 54' fra due striscie
vicine, e nel secondo per 19° 27'.
Per 1’ albite la estinzione fra due striscie si effettua sotto un
angolo di 6° 32'.
Per P oligoclasio, la estinzione è simultanea nelle due stri-
scie, e se il piano di composizione coincide con quello di po-
larizzazione del polariscopio, ciò indica che vi è struttura omo-
genea.
Per la labradorite si ottiene P estinzione sotto un angolo
di 10° 24' fra le linee alternate delle lamelle emitropie.
Da ciò segue che un piano normale al piano degli assi ta-
‘ Da una lettera del signor Descloizeaux : vedi American Journal, decem»
ber 1875.
— 401 —
glia la base secondo una linea la quale fa colla linea di incontro
dei due clivaggi principali gli angoli seguenti:
Ortoclasio e microclino 0°
Microclino 19® 27'
Albite 3® 1 6'
Labradorite 7® 12'
Giacimenti ferriferi nella Scandinavia.* — Da poco tempo
sono stati scoperti nella Norvegia giacimenti ferriferi che po-
tranno esercitare una certa influenza sul commercio dei metalli,
per la loro estensione, per la ubicazione ed il modo di giacimento.
Essi trovansi nella provincia di Nordlanden ad 1 1 chilometri dal
golfo di Skjerstad, accessibile a qualunque nave di profonda im-
mersione, presso al paese di Bodd. Oltracciò la costruzione di
una piccola strada verso il mare non offre alcuna rilevante dif-
ficoltà, mentre i boschi estesissimi dei dintorni sembrano de-
stinati appositamente a somministrare il combustibile per la
fusione del minerale. Questo, diverso dai minerali magnetici
svedesi, come pure da quelli manganesiferi e titaniferi, è ecce-
zionalmente puro, se vi si eccettua una piccolissima quantità di
fosforo. I giacimenti, affatto liberi da materie estranee, trovansi
compresi fra due strati calcari e ricuoprono una superfice di 13,000
metri quadri. Le analisi eseguite darebbero un tenore in ferro
del 60 7o- Si suppone che in quella località esistano estesissimi
giacimenti non ancora riconosciuti, la cui ricchezza potrebbe dirsi
inesauribile.
Una Società svedese al principio della primavera imprenderà
la escavazione del nuovo giacimento scoperto.
Caduta di pietre meteoriche. — Da un rapporto del signor
J. L. Smith di Louisville, rileviamo i dati seguenti sulla caduta
di due pietre meteoriche negli Stati Uniti.
La prima di queste pietre è caduta il 12 febbraio 1875 nello
Stato di Jowa: il peso totale dei frammenti raccolti è di circa
150 chilogrammi. Questa meteorite appartiene alla varietà la più
* Ved. Verhandl. d. k. k. geol. Reichs., VVien, 1875, N. 14.
27
— 402 —
dura e si avvicina assai a quella che cadde a Aumale nell’ Al-
gerla nell’ agosto 1865.
L’ altra pietra è caduta il 14 maggio 1874 presso Castralia,
contea di Nash, nella Carolina del Nord. Le esplosioni che ac-
compagnarono la sua caduta diedero luogo a rumori che dura-
rono per ben quattro minuti. L’ autore del rapporto crede che
questa meteorite sia stata ridotta in una dozzina di frammenti.
Essa appartiene alla varietà la più comune, con una crosta oscura
che, a punti, non copre intieramente i campioni raccolti.
AVVISO.
Il dottor Francesco Coppi di Modena possiede una raccolta
di fossili pliocenici e miocenici del Modenese ricca di più che
mille specie, tutte classificate ed ordinate secondo il sistema di
Woodward (ved. Manual of thè Moìlusca). Esso n^ mette in
vendita delle collezioni parziali ai prezzi seguenti:
Collezione di 20 specie (con relativa illustrazione) L. 20
Id.
di 100
id
30
Id.
di 200
id
: . . . . »
70
Id.
di 300
id
»
120
Id.
di 400
id
»
250
Le spese di porto sono a carico dell’ acquisitore.
È aperto F abbuonamento al BollottillO del B,
Comitato Greologico pel 1876 alle condizioni solite:
Interno L. 8, Estero L. 10. — Esso si pubblica in fa-
scicoli bimestrali di 4 a 5 fogli di stampa, formanti un
volume annuo di 400 pagine circa. Gli abbuonajfci rice-
veranno gratuitamente la copertina ed il frontespizio
del volume.
Per le commissioni rivolgersi alla Direzione in Boma,
Biazza San Pietro in Vincoli, N. 5.
La Direzione.
INDICE
DELLE MATERIE CONTENUTE NEL BOLLETTINO DEL 1875
(Volume Sesto).
NOTE GEOLOGICHE.
C. De Stefani. — Dei depositi alluvionali e della mancanza di terreni
glaciali nell’ Apennino della valle del Sarchio e nelle Alpi
Apuane . . Pag. 3
G. Seguenza. — Studii stratigrafìci sulla Formazione pliocenica del-
l’Italia Meridionale (continuazione) 18
C. De Stefani. — Considerazioni stratigrafìche sopra le rocce più an-
tiche delle Alpi Apuane e Monte Pisano (continuazióne). . ... 31
T. Fuchs. — Sulla relazione di un viaggio geologico in Italia .... 46
G. Capellini. — Strati a Congeria, formazione Oeninghiana e piano
del calcare del Leitha nei Monti Livornesi 49
G. Stadie. — Le formazioni paleozoiche nelle Alpi Meridionali .... 52
Idem. — La formazione permiana nelle Alpi Meridionali 55
TJ, Botti. — Sulle rocce impastate entro al Serpentino 67
G. De Stefani. — Considerazioni stratigrafìche sopra le rocce più an-
tiche delle Alpi Apuane e del Monte Pisano (continuaz. e fìne). 73
G. Seguenza. — Studii stratigrafìci sulla Formazione pliocenica del-
l’ Italia Meridionale (continuazione) 82
Idem. — Sulla relazione di un viaggio geologico in Italia di T. Fuchs. 89
31. Neumayr. — Sulla formazione della Terra Bassa 97
P. Strabei. — Notizie preliminari su le Balenoptere fossili subappen-
nine del Museo parmense 131
B. Lotti. — Scoperta di strati nummulitici presso Prata e Gerfalco
in prlvincia di Grosseto 140
G. Seguenza. — Studii stratigrafìci sulla Formazione pliocenica del-
r Italia Meridionale (continuazione) . 145
C. Doelter. — Cenni sopra la costituzione geologica delle Isole Ponza. 154
E. Suess. — Il vulcano Venda presso Padova. 162
B. Ludwig. — Appunti geologici sull’Italia 165
C. De Stefani. — Un brano di storia della geologia toscana, a pro-
posito di una recente pubblicazione del signor Coquand .... 180
~ 404
G. Seguenza. — Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica dei-
fi Italia Meridionale (continuazione) Pag. 203
C. De Stefani. — Delfi epoca geologica dei marmi dell’ Italia Centrale. 212
B. Lotti. — Il terreno nummulitic9 nel versante orientale della Cor-
nata di Gerfalco 227
F. Coppi. — Brevi note sulle Salse modenesi 231
Tli. Fiiclis. — Sulla relazione di un viaggio geologico in Italia. . . 237
G. Capellini. — Calcare a Amphistegina, strati a Congeria e calcare
di Leitha dei Monti Livornesi 241
Th. Fuchs. — I membri delle formazioni terziarie nel versante set-
tentrionale dell’ Apennino fra Ancona e Bologna 245
Idem. — Sulla formazione della Terra Rossa 259
G. Seguenza. — Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica del-
l’Italia Meridionale (continuazione) 275
E. Stòhr. — Notizie preliminari su le piante ed insetti fossili della
formazione solfifera della Sicilia. 2S4
Th. Fuchs e Al. Bittner. — Le formazioni plioceniche di Siracusa e
di Lentini 288
E. V. Mojsisovics. — Il territorio di Zoldo e di Agordo nelle Alpi
Venete 294
B. Hórnes. — Ricerche nella valle superiore del Rienz e nei dintorni
di Cortina d’Ampezzo 296
P. Zezi. — I caolini e le argille refrattarie in Italia 299
G. Seguenza. — Studii stratigrafici sulla Formazione pliocenica dei-
fi Italia Meridionale (continuazione) 339
B. Gastaldi. — Sui fossili del calcare dolomitico del Chaberton
(Alpi Cozie) studiati da C. Michelotti 346
G. Seguenza. — Sulla relazione di un viaggio geologico in Italia per
T. Fuchs 356
A. Manzoni. — Intorno alle ultime pubblicazioni del professor Ponzi
sui terreni pliocenici delle Colline di Roma, e specialmente in-
torno ad una così detta Fauna Vaticana 368
B. Studer. — I Porfidi del Lago di Lugano 372
B. Hórnes. — Rilievi geologici nel territorio di Sexten, nel Cadore
e nel Comelico (Alpi venete) ; 378
G. Tschermdk. — La formazione delle meteoriti e il vulcanismo. . . . 381
NOTE MINERALOGICHE.
E. Marchese. — Scoperta di minerali d’ argento in Sardegna 100
A. De Lasaulx. — Un nuovo giacimento di Allumite 106
NOTIZIE BIBLIOGRAFICHE.
Jules Brunfaut. — De l’exploitation des soufres. — Paris 1874 57
Ed. Suess. — Dìe Erdbeben des sudlichen Italien ~Wien 1874 ... Ili
405 ~
L. Bomhicci. — Corso di Mineralogia, 2® edizione variata ed accre-
sciuta ; voi. IL — ^ Bologna 1875 263
G. Capellini, — Considerazioni sui Cetoterii bolognesi, con due ta-
vole. — Bologna 1875 267
0. Heer. — Flora fossilis arctica ; voi. III. • — Zurich 1875 268
A. Manzoni. — I Briozoi del pliocene antico di Castrocaro. — Bolo-
gna 1875 321
G. vom BatJi. — I Monzoni nella parte S.E. del Tirolo. — Bonn 1875. 322
E. von Mojsisovics. — Sull’ estensione e la struttura delle masse do-
lomiticbe nel S.E. del Tirolo. — Wien 1875 324
E. Stòhr. — Katechismus der Bergbaukunde. — Wien 1875 325
J. Dana. — Manual of Geology, second edition. — New-York 1875. . 327
A. Cassa. — Ricerche di chimica mineralogica sulla Sienite del Biel-
lese. — Torino 1875 393
A. B’ AcMardi. — Coralli eocenici del Friuli. — Pisa 1875 394
A. JBittner. — Die Brachyuren des vicentinischen Tertiàrgebirges. —
Wien 1875 396
NOTIZIE DIVERSE.
Cenno necrologico. — ■ G. B. G. D’Omalius D’Halloy. . 59
Terremoti presso l’Etna dal 7 al 20 gennaio 1875 113
Analisi della meteorite di Orvinio 115
Studii sui terreni terziari d’Italia 117
Giacimenti boraciferi nell’America Settentrionale 118
Cenno necrologico. — Sir Carlo Lyell 120
Carta topografica d’Italia 193
Pseudomorfismo del serpentino 195
Studii paleontologici nel Vicentino 196
Eruzioni di ceneri tridimitiche 197
Giacimento di zaffiri e rubini con corindone ivi
L’ Altaite 198
Necrologia. — G. P. Deshayes ivi
Le ultime eruzioni vulcaniche nell’ Islanda 328
Ricerche geologiche nel mezzodì della Spagna 331
Le piriti in Francia 332
Formazione contemporanea dei minerali 333
Minerali tellurici del Chili 334
Studii sui terremoti ivi
Studii sulle rocce eruttive 397
Formazione contemporanea della pirite 398
Mineralizzazione delle sostanze organiche 399
Nuovo animale fossile ivi
Nuovo metodo per la distinzione dei feldispati 400
Giacimenti ferriferi della Scandinavia 401
Caduta di pietre meteoiiche ivi
— 406 —
A. D’ Achtaedi. — Bibliografia mineralogica, geologica e paleontologica
della Toscana Pag. 60
Idem . Idem (continuazione e fine) . 121
Dichiarazione 126
Avviso . . . ivi
Idem 270
Idem 334
Idem. — Fossili pliocenici e miocenici del Modenese 402
' TAVOLE ED INCISIONI.
Sezione presa nei dintorni di Pontremoli 71
Sezione del Monte la Guardia nell’ Isola Ponza 159
Tavola che accompagna la nota del prof. Gastaldi sui fossili del
Chaberton 355
Sezione del pliocene antico nella valle di San Nicandro presso
Messina 361
Indice delle materie contenute nel Bollettino del 1875 403
(Continuazione.)
Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica
d’Italia. — Volume II, Parte F; Firenze 1873. — 272 pa-
gine in-4° con 11 tavole, due Carte geologiche ed incisioni
intercalate nel testo.
Comprende le seguenti Memorie :
Introduzione, — Monografia geologica dell’ Isola d’ Ischia,
con la Carta geologica della medesima in fol. e incisioni nel
testo, del professor C. W. C. Fuchs. — Esame geologico della
catena alpina del San Gottardo, che deve essere attraversata
dalla grande Galleria della Ferrovia Italo-Elvetica, con una
Carta geologica in fol. e due tavole di Sezioni in fol., dell’ in-
gegnere F. Giordano. — Appendice alla Memoria sulla for-
mazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia, con una
tavola, deir ingegnere S. Mottura. — Malacologia pliocenica
italiana (Parte P, Gasteropodi sifonostomi) ; fascicolo 2®, con
otto tavole, di C. D’ Ancona.
Prezzo del Voi. II® (Parte F), Lire 25.
Carta Geologica del San Gottardo, nella scala di
1 per 50,000, di F. Giordano. — Un foglio in cro-
molitografia L. 5. —
Carta Geologica dell’Isola d’ Ischia, nella scala dì
1 per 25,000 di C. W. C. Fuchs. — Un foglio in
cromolitografia L.3. —
Memorie per servire alla descrizione della Carta Geologica
d’ Italia. — Voi. II, Parte 2^; Firenze 1874. — 68 pag. in 4“
con due tavole. — Contiene la seguente Memoria : B. Ga-
staldi, Studii geologici sulle Alpi Occidentali ; Parte 2^.
Prezzo del Voi. IF (Parte 2^), Lire 5.
Per le commissioni dirigersi al Segretario del R. Co-
mitato Q-eologico, in Roma, Piazza San Pietro
in Vincoli, N. 5.
Annunzi di pubblicazioni.
G. Sequenza. — Studi paleontologici sulla fauna malacologica dei sedi-
menti pliocenici depositatisi a grandi profondità. — (Bollettino della
Soc. malacologica ital., voi. I, fase. 2.) — Pisa 1875; pag. 26 in-S®.
G. Struver. — Sulla Gastaldite, nuovo minerale del gruppo dei bisili-
cati anidri. — Roma 1875 ; pag. 5 in-4®.
B. Gastaldi. — Cenni sulla giacitura del Cervus euryceros. — Roma 1875;
pag. 6 in-4° con una tavola.
T. Taramelli. — Dei terreni morenici ed alluvionali del Friuli. —
Udine 1875 (Annali scientifici del R. Istituto Tecnico di Udine,
anno Vili); pag. 100 in-8® con 2 tavole.
A. Manzoni, — I briozoi del pliocene antico di Castrocaro. — Bologna
1875 ; pag. 64, in-4° con sette tavole.
G. Meneghini. — Nuove specie di Phylloceras e di Lytoceras del liasse
superiore d’Italia. — (Atti della Società Toscana di Scienze Natu-
rali, voi. I, fase. 2®.) Pisa 1875, pag. 6 in-8°.
Ch. Ledoux. — Mémoires sur les miiies de soufre de Sicile. — (Annales
des Mines, serie VII, tome 7, livr. 1.) — Paris 1875, pag. 84 in-8®
avec deux pìanches.
G. Ponzi. — Cronaca subapennina o abbozzo d’ un quadro generale del
periodo glaciale. — (Atti dell’ XI Congresso degli Scienziati.) —
Roma 1875 ; pag. 81 in-4°.
— Dei Monti Mario e Vaticano e del loro sollevamento.— (Atti della
R. Accademia dei Lincei, serie 2% tomo IL)— Roma 1875 ; pag. 14
in-4° con 2 tavole.
E. Paglia. — Nota geologica sopra i terreni, specialmente terziari,
nelle adiacenze del bacino del Garda. — (Atti della Società Veneto-
Trentina di Se. Nat., ottobre 1875.) — Padova 1875 ; pag. 12 in-8°.
A. Ferretti. — Periodo glaciale subapennino od epoca prima dell’era
neozoica. — (Idem.) — Padova 1875; pag. 16 in-8°.
— Pliocene subapennino od ultimo periodo dell’ èra cenozoica. —
(Idem.) — Padova 1875 ; pag. 16 in-8®.
A. CossA. — Ricerche di chimica mineralogica sulla Sienite del Biel-
lese. — Torino 1875; pag. 33 in-4°.
S. CiOFALO. — Cenni sul terreno nummulitico dei dintorni di Termini-
Imerese. — (Ann. della Soc. dei Naturai, di Modena, serie 2^ anno IX,
fase. 3 e 4.) — Modena 1875; pag. 4 in-8®.
A. Ferretti. — Stazioni preistoriche in San Ruffino e Jano, provincia
di Reggio-Emilia. — (Idem.) — Id., pag. 3 in-8‘^.
F. Molon. — Fossili quaternari del Monte Zoppega in San Lorenzo di
San Bonifazio di Verona. — (Atti del R. Istituto Veneto, serie 5^,
tomo I, disp. 10.) — Venezia 1875; pag. 22 in-8'" con due tavole.
F. SoRDELLi. — La fauna marina di Cassina Rizzardi. — (Atti della Soc.
It. di Se. Nat., voi. XVIII, fase. 3.) — Milano 1875. (Continua.)
A. D’Achiardi. — Coralli eocenici del Friuli. — Pisa 1875 ; pag. 100
in-8° con sedici tavole.
C. De Stefani. — Descrizione delle nuove specie di molluschi pliocenici
raccolti nei dintorni di San Miniato al Tedesco. — Pisa 1875 ;
pag. 6 in-8° con una tavola.
P. Mantovani. — Sulla formazione geologica delle colline presso An-
cona. — Roma 1875 ; pag. 24 in-8® con una tavola.
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