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Museum of Comparative Zoology
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NE Anno XVIII. = Marzo 1896. NOLO
IRPINIA SSIS TITTI IAA ALAANARANNIPINANIPIPIPPPAPIIANISSAPINARRRBRRRARINNIRBONBNANI
ROLLETINO SUIEVIAICO
Di Q9$ REDATTO DA
— LEOPOLDO MAGGI
PROF. ORD. D'' ANATOMIA E FISIOLOGIA
GIOVANNI ZOJA
PROFESSORE ORDINARIO DI ANATOMIA
COMPARATE ‘UMANA
NELLA R. UNIVERSITÀ DI PAVIA
E
ACHILLE DE-GIOVANNI
PROF. ORD. DI CLINICA MEDICA NELLA R. UNIVERSITÀ DI PADOVA
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Um Anno £, $.
PAVIA
Premiato Stabilimento Tipografico Successori Bizzoni.
1896.
INDICE ia
dei iavori contenuti nei fascicoli del V, VI, VII e VITI anno
costituenti il Vol. II. del Bollettino Scientifico. 7
ANNO V. — Fasc. I. — De-Giovanni: Alterazioni della cava inferiore complicanti
la cirrosi epatica. (Com. preventiva). — Zoja: Rare varietà dei condotti epatici. —
Staurenghi: Corno cutaneo sul padiglione dell’ orecchio destro di un uomo. —
Cattaneo: Sull’istologia del ventricolo e del proventricolo del Melopsittacus un-
dulatus Shaw. — Maggi: Intorno ad alcuni microrganismi patologici delle Tro-
telle. — Bonardi: Prime ricerche intorno alle Diatomee di Vall’ Intelvi. — No- -
tizie. — Magretti: Lettere dall’ Africa.
Fasc. Il. — Tenchini: Sopra un caso di prematura divisione dell’arteria ome-
rale (con figura). — Tenchini: Cervelletto insolitamente deforme di un uomo
adulto (con figura). — C. Parona: Diagnosi di alcuni nuovi Protisti. — Bonardi
e C. F. Parona: sulle Diatomee fossili del bacino lignitico di Leffe in Val Gan-
dino (Lombardia). — Maggi: Tecnica protistologica (Cloruro di palladio). — No-
tizie universitarie. — (Cattedra e stabilimento di Zoologia nell’ Università di
Pavia). — Bibliografia. — Staurenghi: Sulla tisichezza polmonale, pel Prof. A..
De-Giovanni. ; ; OSARE, )
Fasc. III. — Maggi: Ricerca di nitrati al microscopio. — Maggi: Sull’analisi
microscopica dell’acqua delle sorgenti chiamate FONTANILI di fontgniva del
padovano. — Bonardi: Intorno all’azione saccarificante della saliva ed alla ‘gli-
cogenesi epatica in alcuni molluschi terrestri. (Comunicazione preventiva). —
Bonardi: Intorno alle Diatomee della Valtellina e delle sue Alpi. — Cattaneo:
Fissazione, colorazione e conservazione degli Infusori. — Parietti: Ricerche re-
lative alla preparazione e conservazione di Bacteri e d’Infusorj.
Fasc. IV. — De-Giovanni: Studî morfologici sul corpo umano a contribuzione
della clinica. (Nota IV*). — Zeja: Di una cisti spermatica, simulante un testi=.
colo sopranumerario. — Luzzani e Staurenghi: Anomalie anatomiche. — Bonardi: -
Intorno alle Diatomee della Valtellina e delle sue Alpi (cont. e fine). — Cat-'
taneo: Fissazione, colorazione e conservazione degli 2/sorz' (cont. e fine).
ANNO VI. —- Fasc. I. - Zoja: Di un solco men noto dell’osso frontale. (Comu-
‘nicazione preventiva). — Luzzani e Staurenghi: Anomalie anatomiche (continua-
zione e fine). — Parona: Materiali per la fauna della Sardegna (IX. Vermi paras-:
siti). — Cattaneo: Istologia e sviluppo dell’apparato gastrico degli uccelli. (Comu-
nicazione preventiva). — Università di Pavia: Voti e proposte dei professori na-.
turalisti espressi alla facoltà di scienze matematiche e naturali. N î
Fasc. II. — Tenchini: Di una rara anomalia delle arterie e delle vene emulgenti. a)
- Bonardi: Dell’azione dei succhi digestivi di alcuni gasteropodi terrestri, sull’a-
‘mido e sui saccarosii. — Parona: Materiali per la fauna dell’isola di Sardeena (10.*
Ulteriore comunicazione sui Protisti della Sardegna). — Maggi: Sull’importanza
scientifica e tecnologica dell’esame microscopico delle nostre acque. — Rivista.
‘(Cattaneo: Sui profozoz del porto di Genova di A. Gruber). Aaa i i
Fasc. III. e IV. - Zoja: Di un soleo men noto dell’osso frontalè — Solco sopra- 3
frontale (2.° comunicazione). — Maggi: Sull’influenza d’alte temperature nello svi- |
luppo dei Microbj. — De-Giovanni e Zoja: Risultati d’ esperienze sullo sviluppo e:
‘sulla resistenza di daczeri e vibrioni, in presenza d’alcune sostanze medicinali. —
Maggi: Sul 2umero delle prove d’esame per l’analisi microscopica delle acque Pot
‘fabilie sul tempo per ciascuna di esse. — Staurenghi e Stefanini: Dei rapporti delle
“fibre nervose nel chiasma ottico dell’uomo e dei vertebrati. (Comunicazione pre- |
ventiva). - Bonardi: Le acque termo-minerali di Acquarossa in Val di Blenio —
Svizzera — (Relazione). — Bonardi: Intorno all’influenza dell’acido fenico sui Mr-
crobj e sul loro sviluppo. ta S i sn È
ANNO VII. - Fasc. I. — Zoia: Sulla permanenza della glandola timo nei fan-
ciulli e negli adolescenti (Nota II°). — Maggi: Intorno alle ricerche di Pacini ri- |
guardanti i Protisti cholerigeni. — Bonardi: Sulle Diatomee del lago d’Orta. —
Maggi: Sulla analogia delle forme del Kommabacillus Koch, con quello dello Spi- |
rillum tenue Ehr. osservate da Warming. — Pellacani: Sulla resistenza dei ve- |
leni alla putrefazione (Comunicazione preliminare). — Mofizze: Girard: (Analisi |
di una nota del Sig. Hommel di Zurigo .sul cholera). — Comunicazioni: Cuneo.
Sunto della prelezione del Prof. C. Parona dell’Università di Genova. |
Fasc. II. - Zoja: Di un'apertura insolita del setto nasale cartilagineo. (Co= |
municazione preventiva). — Maggi: Intorno alle ricerche di Pacini risguardanti |
‘i Protisti cholerigeni (cont. e fine). — Certes: Dell’uso delle materie coloranti.
nello studio tisiologico ed istologico degli infusorii. — Maggi: Per l’analisi mi-
eroscopica delle acque. — Canna: Notizie universitarie.
WUL 10 1896
Anno XVIII. Marzo 1896. NOP
Bollettino Scientifico
REDATTO DA
LEOPOLDO MAGGI
PROF. ORD. DI ANATOMIA E FISIOLOGIA COMP. NELLA R. UNIVERSITÀ DI PAVIA
GIOVANNI ZOJA
PROF. ORD. DI ANATOMIA UMANA NELLA STESSA UNIVERSITÀ,
ACHILLE DE-GIOVANNI
PROF. ORD. DI CLINICA MEDICA NELLA R. UNIVERSITÀ DI PADOVA.
Abbonamento annuo Italia L «|| Si pubblica in Pavia Esce quattro volte all’anno. -
» » Estero » 1©|/Corso Vittorio Em. N. 73|| Gli abbonamenti si ricevono in
Un numero separato . . » 2|___________ | -Pavia dall’ Editore e dai Redat-
Un numero arretrato . . » ta Ogni N.9 è di 32 pag. tori.
Ì SOMMARIO
DE-GIOVANNI: Della ipermegalia epatica congenita. — MAGGI: Intorno al canale
cranio-faringeo nei felidi e jenidi (continuazione e fine). — ZOJA: Frammenti
anatomici (continuaz.): Varietà ossee: Ossa pteriche (con tav.) — Z0JA: Sopra
alcuni crani esotici esistenti nel Museo anatomico di Pavia (continuazione). —
Recensioni: Bovero: Intorno ai muscoli digastrici dell'osso joide. — MAGGI: Va-
rietà morfologiche degli interparietali e preinterparietali nei feti, neonati e gio-
vani di cavallo (Equus caballus). — JANET : Études sur les fourmis, les guépes
et les abeilles. — BERLESE: Le cocciniglie italiane viventi sugli agrumi. —
Parte III.® I Diaspiti.
DELLA IPERMEGALIA EPATICA CONGENITA
DEL
Prof. DE-GIOVANNI ACHILLE.
Quando si trova l'organo epatico avere proporzioni corri-
spondenti alle medze fatte conoscere dagli anatomici, si ritiene
che sia normale lo sviluppo dell’ organo. Che queste medie si
trovino in un individuo di media, o di bassa, o di alta statura,
col torace, o coll’addome molto sviluppato, non fa caso; esso
deve essere normale perchè quelle medie si dicono fisiologiche.
Questo modo di giudicare delle cose oggi non dovrebbe es-
sere consentito. Data la varietà del tipo della organizzazione
2
individuale, è più che necessario riconoscere, che tale varietà
non può provenire che da differenze di sviluppo delle singole
parti dell’ organismo ; quindi le medie perdono la loro impor-
tanza, sia dal lato fisiologico, sia dal lato patologico.
Il fegato è un organo che per il suo sviluppo presenta molte
differenze individuali e per noi è importante riconoscere quando
sia sviluppato originariamente in modo da costituire una delle
regioni anatomiche costituenti la varietà morfologica individuale.
In altre pubblicazioni mie, comparse anche su questo gior-
nale ho fatto conoscere il mio metodo di misurazione del corpo
umano, mercè il quale si può constatare la combinazione mor-
fologica individuale e stabilire i rapporti di sviluppo tra i di-
versi organi.
Applicando questo metodo già da oltre 20 anni e registrando
le coincidenze di alcuni dati morfologici con date morbilità, ho
potuto constatare in modo ch'io posso dire positivo, che il fe-.
La
gato in alcuni individui è realmente sviluppato più di quello
che si trova essere in altri.
A questo maggiore sviluppo dell'organo do la denominazione
di :permegalia epatica congenita, che rappresenta una nota
morfologica individuale, alla quale devesi attribuire una corri-
spondente significazione fisiologica e una certa importanza nella
individuale morbilità.
La constatazione del fatto anatomico riesce facilmente atte-
nendosi ai seguenti dati morfologici.
1. Tutte volte che la linea xifo ombilicale è più lunga
dalla linea jugulo-xifoide abbiamo indizio che il segmento supe-
riore dell’ addome è sviluppato in modo eccedente.
2. Quanto maggiore è la suindicata differenza tra le due
linee, tanto maggiore è l’ eccesso di sviluppo del superiore seg-
mento addominale e quindi degli organi che vi stanno allogati,
specialmente del fegato.
3. Quanto maggiore è l’ampiezza del torace nella sua
base e coincide allo eccessivo sviluppo della linea xifo-ombelicale,
tanto più palese sarà la condizione di ipermegalia del fegato.
Questa dunque può occorrere in individui a torace piccolo,
come in individui a torace largo. I
I casi più segnalati e singolari di ipermegalia epatica con-
]
È
È,
4
3
genita occorrono negli individui a torace largo e sono quelli i
quali così esprimono una particolare morbilità del fegato.
In ogni caso però di fegato ipermegalico, a norma del grado
della ipermegalia, la funzione del fegato fisiologicamente e cli.
nicamente contribuisce a specializzare l’individualità.
Non posso occuparmi della parte fisiologica dell'argomento ;
ma credo proporre a fisiologi il problema — se le funzioni di-
gestive e quelle della nutrizione stieno da studiarsi in rap-
porto col differente sviluppo del fegato. — Dalla osservazione
clinica sono indotto a credere, che potrebbero aversi da questo
studio importantissime nozioni intorno a molte questioni relative
a certi istinti, a certe capacità digerenti a date maniere diverse
di trasformazione degli alimenti e di chimismo organico.
La stessa osservazione clinica mi ha dimostrato :
1. Che l’ipermegalia epatica congenita si trova per lo più
in individui i quali hanno vivace l’appetito, per molto tempo
dotati di ottime capacità digerenti, che più presto o più tardi,
diventano intemperanti e sofferenti di dispepsia, che possono
avere abitualmente le urine ricche di urati, e più colorate del
normale, che frequentemente diventano emorroidaril.
.#. Che in mezzo alle abituali forme di dispepsie gastro-
intestinali, facilmente insorgono complicanze epatiche.
3. Che rappresenta una morbilità speciale del fegato per
cui suole insorgere l’una o l’altra forma di epatiti che menano
poi alla cirrosi epatica, la quale in questi casi deve considerarsi
non già prodotta, ma agevolata dalle solite cause alle quali sì
attribuiscono le cirrosi (eccesso degli alcooloci, eccesso di ali-
menti, infezione malarica ecc.).
4. Che nel corso di qualsiasi malattia, quando esista la
ipermegalia congenita del fegato, presto o tardi, si mostrano fe-
nomeni epatici insoliti e complicanti. Ciò specialmente avviene
nelle malattie acute e croniche polmonali e nelle cardiache.
o. Che in tutti questi casi le note morfologiche indivi-
duali accennanti alla ipermegalia epatica, somministrano indica-
zioni utili per la cura.
A proposito di queste applicazioni cliniche, è certo che quando
il medico, senza preconcetti dottrinari, si domanderà la ragione
per cui nella pneumonite, nella tipsida, sulla tisichezza polmo-
d
nale, nelle affezioni cardiache ecc. coeleris paribus, in alcuni
individui emergono singolarmente fenomeni che accennano a com-
plicanze epatiche, riconoscerà la importanza delle osservazioni
che sommariamente ho riportato in queste linee, quindi la at-
tendibilità sempre maggiore di indirizzare lo studio clinico sulla
guida delle vedute della morfologia.
Ed è certo del pari che se i fisiologi potessero istituire le
loro esperienze sull’ uomo, non potrebbero obliare quelle circo-
stanze che a noi nella clinica danno tante ragioni per essere
ben cauti nell’applicare le risultanze dei loro sperimenti e per
assorgere a concetti ed a convincimenti, che non di raro diver-
gono da quelli che essi insegnano.
Per apprezzare largamente e giustamente le cose dette, hi-
sogna aggiungere qualche altra considerazione.
Quando si dice ipermegalia congenita del fegato non dob-
biamo arrestarci al fatto anatomico semplicemente, isolatamente
considerata; ma bisogna comprenderlo in mezzo alle altre cir-
costanze anatomiche nelle quali ha dovuto e potuto determinarsi.
— Per comprendere bene le cose, bisogna: risalire col pensiero
alle condizioni di sviluppo embrionale e abbracciare tutte le ra-
gioni del primitivo sviluppo del fegato e del successivo adatta- -
mento organico, giusta i principi della correlazione anatomica e
fisiologia.
In vero, dove è il fegato ipermegalico, crediamo in propor-
zione sviluppata altre circostanze anatomiche, che contribuiscono
col fegato a generare l’ individualità morfologica — quindi l’in-
-dividualità fisiologica e la sua propria morbilità.
Più sopra abbiamo veduto che l’ipermegalia del fegato può.
‘essere in individui a torace relativamente stretto ed in Limo)
a torace relativamente largo.
Questi due fatti portano con se altri della massima impor-
tanza, che sono relativi allo sviluppo polmonale, allo sviluppo
cardiaco, quindi allo sviluppo dell’ aorta, della polmonale, della
cava, dell'intestino, dei reni e finalmente al modo di irrorazione
sanguigna nei centri della innervazione.
Va bene che ci dobbiamo interessare di tutto ciò che la chi-
mica, la bacteriologia insegnano, ma va altrettanto bene che nel
15)
fare applicazione di queste importanti nozioni scientifiche, scen-
diamo a considerare il mezzo, l’ambiente organico che dobbiamo
trattare, perchè nessuno vorrà negarmi, che quelle minime cir-
costanze le quali în vitro sogliono modificare il fenomeno chi-
‘mico ed il risultato batteriologico, non valgano a produrre effetti
analoghi anche nell'ambiente organico. Il quale, non solo varia
per il fatto dell’ipermegalia epatica, ma varia perchè con questa
esistono tanti altri momenti fisiologici, per cui tutte le funzioni
vengono, per così dire, ad essere rappresentate da formole pro-
prie. Basta per convincercene prendere in esame il secreto re-
nale.
Mi sono proposto più volte, e più volte ho dovuto interrompere
l'osservazione, perchè impossibilitato a condurla a termine col
dovuto rigore, di studiare il movimento nutritivo negli individui
appartenenti ai tre tipi fondamentali di combinazioni morfolo-
giche. Non ho quindi raccolto che pochi risultati, ma da questi
sono autorizzato a credere, che se per un istante si sospen-
dessero certe indagini per completare la conoscenza dell’ orga-
nismo secondo l'indirizzo morfologico, quelle stesse indagini
riuscirebbero assai più proficue.
Una osservazione importante è quella che riguarda il bisogno
dell'alimento ; un’altra quella delle quantità e qualità delle se-
crezioni; un’altra è quella della crasi sanguigna, della facilità
maggiore, o minore, a riaversi dell’organismo in seguito a ma-
lattie acute, a seconda della combinazione morfologica, con o
senza ipermegalia epatica. In tutte queste osservazioni mi si
presentarono problemi che la fisiologia non risolve e non ri-
solverà, se non accoglierà l’ indirizzo della morfologia.
Oggi siamo a questo: — quando ci si chiede che cosa possa
farsi per mangiare igienicamente, si risponda con un po’ di em-
pirismo e con un po’ di teorie fisiologiche, dedotte dalle espe-
rienze sugli animali e qualche volta l’empirismo s'impone e vince
le teorie. — Quando si vuole la ragione dell’infermare frequente
di certi organi, si ricorre al capitolo della eziologia e si ammet.
tono cause che non agirono, oppure non agirono nel modo e
| nella misura che si suppone, e non di rado i fatti clinici obbiet-
tano le dottrine eziologiche,
6
Se di fronte a questi mancamenti nostri, si solleva l’osser-
vazione, che è necessario studiare | 2ndividualità con un me-
todo idoneo, escogitato secondo i criteri della storia naturale, —
che oggi è la storia della organizzazione, della evoluzione, la
morfologia — ci si risponde, che questo è teoria e non ha fare
nulla colla pratica; oppure si copre di silenzio la proposta lun-
gamente meditata e sperimentata più che attendibile.
Quello che qui venni esponendo sommariamente sulla zper-
megalia epatica congenita, è frutto di osservazione: è un com-
plesso di fatti che hanno una espressione scientifica della mag-
giore importanza. Bisogna ora approfondirci nella conoscenza di
questi, facendone diligenti analisi e scrutando le relazioni loro
con altri che appartengono alla fisiologia ed alla patologia. —
Qui non suona teoria di sorta, ma una proposta chiara e con-
creta di nuovi studi.
In patologia vennero studiati i rapporti tra le malattie del
fegato e le anomalie funzionali del cuore e del rene. Da una
parte si descrissero casi di alterazioni dell’area cardiaca, del
tono cardiaco si parlò di soffi cardiaci che possono manifestarsi,
e dall’ altra si fecero palesi lesioni renali secondarie alle ma-
lattie epatiche. Mi limito a considerare questi due esempi per non
dilungarmi troppo. Ebbene, non possiamo ammettere che in ogni
caso di malattia epatica, intervengano costantemente quelle alte-
razioni nel centro cardiaco e nel rene. Avendo io espressamente
registrate le mie osservazioni in proposito, devo rilevare, che
quando si palesarono fenomeni complicanti da parte del rene o
del cuore, o da parte di ambedue gli organi, esistevano speciali
combinazioni morfologiche, per cui la influenza della malattia
epatica rendevasi maggiormente attiva.
Si comprende chiaramente che sempre esistono reciproche
influenze fra le malattie di un organo e lo stato funzionale degli
altri; ma quì è questione diversa — si tratta di quella influenza
che mira a manifestarsi con fenomeni veramente complicanti la
malattia primitivamente epatica.
E questo, giusta le mie osservazioni, avviene quando esista _
notevole grado di ipermegalia congenita e del fegato e si associ
o collo stato di pletora addominale, oppure con una visibile as-
7
simetria di sviluppo delle due metà del cuore, ciò che può av-
venire tanto in individui che hanno il torace ristretto, quanto
in quelli che hanno eccedente sviluppo dell’addome.
Per la qual cosa in luogo di riconoscere una legge fisio-pa-
tologica per cui nel corso di malatia del fegato possono mani-
festarsi sintomi di lesa funzione cardiaca o renale, si devono
specificare i casi nei quali queste complicazioni debbono aver
luogo, nei quali casi la speciale combinazione morfologica è dif-
ferente da quella che presentano gli altri, nei quali le dette com-
plicazioni non si verificano.
Nella patogenesi di molti fenomeni nervosi, come nella cura
di non pochi stati morbosi, è di grande interesse la constatazione
della ipermegalia epatica congenita.
Vi sono molte sofferenze della innervazione, le quali si con-
nettono ad uno stato particolare della circolazione venosa dei
centri. E questo noi lo possiamo desumere dal fatto per cui colla
ipermegalia epatica possono darsi anomalie di sviluppo nelle cave
— o nella inferiore, o nella superiore. L’attenta osservazione dei
fatti relativi alla circolazione periferica spettante al dominio del-
l'una o dell’ altra, ci somministra le prove anatomiche di quanto
asserisco. Le cose, giusta la mia osservazione, procedono per
guisa, che per me è precetto di volgere la mia attenzione sulla
condizione del circolo venoso, ogni volta abbia constatato il caso
di ipermegalia epatica. Più frequentemente ricorrono anomalie
di sviluppo nel dominio della vena cava inferiore.
Quando sieno stati constatati questi rapporti morfologici in
casi di malattie epatiche con fenomeni secondari nervosi; o quante
volte in altre malattie sia stata constatata la ipermegalia epatica
congenita con indizii riferentisi ai suddetti rapporti morfologici
nel sistema circolatorio, esistono indicazioni terapeutiche, sia pure
per una cura sintomatica, ma le più razionali che non devono
trascurarsi.
Ho letto con grande mia soddisfazione quello che pensa uno
dei nostri più valenti fisiologi — il Marcacci — intorno al con-
cetto di individualità dell’ organismo. Dimostra la necessità di
studiare l’ organismo nel suo insieme e per ciò raccomanda l'’in-
. dirizzo dettato dalla dottrina della evoluzione. Questo corrisponde
8
pienamente all’indirizzo che, per la clinica medica, inaugurammo
su questo giornale, ed al quale ci siamo sempre fedelmente at-
tenuti, vieppiù convincendoci, che l'indirizzo morfologico obbliga
a quello studio d'insieme per cui solo si elevano e si completano
le conoscenze delle leggi biologiche, non che la migliore loro
interpretazione nello studio della patologia umana.
Intorno al canale cranio-farinoeo nei telidi e jenidi
RICERCHE
del Prof. LEOPOLDO MAGGI
(Continuazione e fine).
FELIS TIGRIS
(Tigre 3).
1.° INDIVIDUO GIOVANE (N. 46 della raccolta).
Presenta aperte la sutura sfeno-basilare, la sfeno-sfenoidale
ed in genere le suture del cranio; mentre la lambdoidea e le
suture della faccia sono obliterate. Piccoli sono gli ultimi molari
alla mascella superiore. Il basisfenoide è lungo millimetri 32,
largo alla sua base 17 millimetri. I suoi due lati, poco dopo
d’ essersi staccati dalla base, presentano due alette, una per parte,
che si portano indietro in direzione obliqua, andando all’incontro
delle ampolle auditive. Esse distano l’una dall'altra millimetri 28.
Lungo la linea mediana del basisfenoide e a metà precisa della
sua lunghezza, quindi a 16 millimetri, trovasi il foro pituitario.
ectocranico ; il quale è di figura elittica, della lunghezza di 2
millimetri e della larghezza massima di un millimetro, ed è
come infossato in una elissi ossea di poco maggiore alle sue di-
mensioni. i
Questo foro si presenta come shocco del canale cranto-fa-
ringeo, che esiste lungo circa 4 millimetri, con direzione per-
pendicolare alla base del cranio.
2.° INDIVIDUO ADULTO (N. 984 di Protocollo).
Sono scomparse le suture sfeno-basilare, sfeno-sfenoidale, come
pure le altre suture del cranio e molte anche della faccia. Vi
vi atri
9
sono però, per un piccolo tratto, le suture laterali, dentate, del
basisfenoide col temporale (sutura sfeno-temporale). Sulla linea
mediana della base del cranio, e alla distanza di 6 centimetri e
millimetri 2 dal margine inferiore del foro occipitale si trova il
foro pituitario ectocranico ; il quale è di figura un po' elittica,
piccolo, misura un millimetro di lunghezza e circa mezzo milli-
metro di larghezza massima.
Il canale cranio-faringeo, che precede questo foro, è lungo 4
millimetri, anch’ esso in direzione perpendicolare alla base del
cranio.
FELIS PARDUS
(Leopardo).
1.° GIOVANISSIMO, DI 2 MESI DI NASCITA (N. 2778 della
raccolta).
Aperte le suture sfeno-basilare e sfeno-sfenoidale. Il basisfe-
noide è lungo 14 millimetri e lungo la sua linea mediana alla
distanza di millimetri 2 dalla sfeno-basilare, incomincia una doc-
ciatura, che corre pel tratto di millimetri 3, indi si approfonda,
ancora come doccia, pel tratto di millimetri 2, in seguito a questo
tratto si trova il foro pituitario ectocranico, rotondo, di i/, milli-
metro di diametro. In questo secondo tratto è da notarsi, che verso
la metà vi ha una sporgenza ossea triangolare, proveniente dal
lato destro della docciatura che tende a dividere questa in due
parti, una anteriore e l’altra posteriore, la prima che si allarga
in semicerchio alla sua estremità, la seconda che incomincia al-
largata venendo poi ristretta dalla detta sporgenza. Si avrebbe
così di questo secondo tratto, la figura incavata di un piccolo
fungo diretto dall’indietro all’ avanti, e, per conseguenza, al
fondo del suo cappello trovasi il piccolo foro pituitario ectocra-
nico. Certamente l’ accrescimento di detta sporgenza ossea, ver-
rebbe a dividere questo secondo tratto di doccia in due fori,
l'anteriore più grande del posteriore, e questo in comunicazione
interna con quello, e al fondo dell’ anteriore vi sarebbe il fo-
rellino pituitario ectocranico. Questo forellino è preceduto dal
canale cranio-faringeo, stretto, lungo 3 millimetri, con direzione
un po obliqua dall’avanti all’ indietro, partendo dall'interno del
cranio; dall’ indietro all’ avanti, partendo dalla base del cranio.
10
2.° INDIVIDUO ADULTO (N. 1727 della raccolta).
Presenta le tracce evidenti della sutura sfeno-basilare ed
aperta la sutura sfeno-sfenoidale. Il basisfenoide è lungo milli-
metri 25, largo alla sua base, che è la larghezza massima, pure
25 millimetri, e sulla sua linea mediana antero-posteriore, alla
distanza di millimetri 4 dalla sutura sfeno-basilare, vi è una
docciatura imbutiforme, dall’indietro all’ avanti, della lunghezza
di millimetri quattro, in fondo alla quale trovasi il foro pitui-
tario ectocranico, quadrilungo, della lunghezza di un millimetro.
Questo foro segue come sbocco del canale cranio-faringeo,
che esiste in direzione un po’ obliqua, dall’ avanti all’ indietro,
se si osserva dall’ interno all’ esterno del cranio, o viceversa
dall’ indietro all’ avanti, se dall’ esterno, e della lunghezza di
circa 4 millimetri.
3.° INDIVIDUO ADULTO (N. 2777 di Protocollo).
Scomparsa delle due suture sfeno-basilare e sfeno-sfenoidale.
Lungo la linea mediana basale del cranio e alla distanza di 45
millimetri dal margine inferiore del foro occipitale, vi è il foro
pituitario ectocranico, elittico di due millimetri di lunghezza ed
uno di larghezza, che sta in fondo ad una docciatura pure elit-
tica di tre millimetri di lunghezza e due di larghezza.
Il detto foro pituitario è lo sbocco del canale cranio-farin-
geo, che esiste con direzione un po’ obliqua dall’avanti all’ in-
dietro, osservando dall’interno del cranio o viceversa, osservando
dall’ esterno, e con la lunghezza di circa 4 millimetri. Esso è
aperto, col suo foro pituitario endocranico nella parte anteriore
della sella turgica, lungo la sua linea mediana. Il foro pituitario
endocranico è rotondo e del diametro di un millimetro.
FELIS TIGRINUS
1.° INDIVIDUO ADULTO c (N. 2886 della raccolta).
Presenta la sutura sfeno-basilare in traccie ben evidenti,
aperta la sfeno-sfenoidale. Il basisfenoide è lungo 20 millimetri,
la sua massima larghezza, che è in vicinanza alla sua base, mi-
sura millimetri 12. — Alla distanza di 6 millimetri dalla sua
base, incomincia e percorre tutto il resto del suo corpo, lungo
la sua linea mediana, una scanellatura o solco molto appari-
scente, che misura in lunghezza millimetri 14. — Alla distanza
11
di 4 millimetri dal suo principio, questo solco si incava pel tratto
di 2 millimetri, allargandosi gradatamente per tutta la sua lun-
ghezza, così da misurare un mezzo millimetro la sua parte allar-
gata, ove trovasi il foro pituitario ectocranico , che viene per
conseguenza ad essere piccolo ed elittico.
Precede a questo piccolo foro il canale cranio faringeo, che
misura in lunghezza 4 millimetri, che è diretto obliquamente
dall’ avanti all’ indietro o dall’indietro all’avanti come si è detto
sopra, e che dall’ interno all’ esterno va restringendosi, così da
incominciare con una larghezza di un millimetro e mezzo e ter-
minare più stretto al foro suddetto. Il foro pituitario endocranico
pertanto, di figura elittica, posta pel traverso, viene a misurare
in questa direzione, esso pure un millimetro e mezzo. Esso è
nella parte anteriore della sella turgica, e sulla linea mediana
di detta sella.
GUEPARDUS JUBATUS
(Guepardo).
1.° INDIVIDUO GIOVANE o (N. 42 della raccolta).
Suture aperte tanto la sfeno-basilare quanto la sfeno-sfenoi=
dale. Il basisfenoide è lungo millimetri 19 ed ha la sua mas-
sima larghezza, che corre da una base all’ altra dei pterigoidi,
di millimetri 18. Lungo la sua linea mediana antero-posteriore
ed alla distanza di millimetri 12 dalla sutura sfeno-basilare e
di millimetri 7 dalla sfeno-sfenoidale, vi è il foro pituitario ec-
tocranico, rotondo, piccolo, meno di un millimetro di diametro.
Esiste il canale cranto-faringeo, in direzione quasi perpen-
dicolare alla base del cranio, della lunghezza di circa 3 milli-
metri, col suo foro pituitario endocranico, pure rotondo, ma più
grande del doppio di quello ectocranico, misurando un millimetro
e mezzo.
FELIS CONCOLOR
(Coguar o Puma).
1.° INDIVIDUO GIOVANISSIMO 7 (N. 47 della raccolta).
Aperte non solo le suture sfeno-basilare e sfeno-sfenoidale ,
ma anche tutte le suture del cranio e della faccia. — Il basi-
sfenoide è lungo millimetri 27° ed ha una larghezza massima,
12
che va da una aletta all’ altra della sua base, di millimetri 20.
Lungo la sua linea mediana antero-posteriore ed alla distanza
di millimetri 11 dalla sua base o dalla sutura sfeno-basilare, si
incontra una docciatura elittica della lunghezza di millimetri 8,
quindi distante, colla sua estremità anteriore millimetri 8 dalla
sutura sfeno-sfenoidale.
In questa docciatura avvi, nel suo estremo posteriore, il foro
pituitario ectocranico, elittico, di un millimetro e mezzo circa di
lunghezza e di un mezzo millimetro di larghezza. Al davanti
di questo foro continua la docciatura pel tratto di millimetri 2
e poi al suo estremo anteriore avvi un piccolo foro, pure elit-
tico, la cui lunghezza misura circa un millimetro e la larghezza
mezzo millimetro. Per la docciatura comprendente questi due
fori, si potrebbe dire che il foro pituitario ectocranico è doppio.
Tuttavia il primo che è il più grande, è quello dello sbocco del
canale cranio-faringeo, che esiste in direzione obliqua, come
quella degli stessi canali suindicati. Esso è lungo circa 3 milli-
metri, ed ha il suo foro pituitario endocranico.
2.° INDIVIDUO GIOVANE co’ (N. 2748 della raccolta).
Presenta la sutura sfeno-basilare meno aperta di quella del
cranio precedente; aperta la sfeno-sfenoidale, aperte quelle della
faccia, ma non tutte aperte quelle del cranio, essendo scomparsa
la lambdoidea, in via di scomparsa la temporo-parietale, la branca
destra della coronale ecc. —- Il basisfenoide è lungo millimetri 22,
ed ha la sua massima larghezza di 26 millimetri, corrispondente
alla sua base. — Sulla sua linea mediana antero-posteriore, alla di-
stanza di millimetri undici dalla sutura sfeno-basilare, vi è il foro
pituitario ectocranico, elittico, della lunghezza di un millimetro
e della larghezza di mezzo millimetro, al davanti del quale e
alla distanza di millimetri 5, trovasi un secondo forellino, picco-
lissimo, pure elittico, ma le di cui dimensioni in lunghezza e
larghezza, non sorpassano il mezzo millimetro.
A differenza del cranio precedente, questi due fori non hanno
tra loro una docciatura, ma una completa ossificazione della
doccia, e quindi una porzione ossea lamellare che continua l’osso
intero basisfenoide. — Presenta quindi, in questo punto, un’os-
sificazione ulteriormente evoluta, cosichè il secondo -forellino ,
l'anteriore, si può dire in via di scomparsa. Rimane invece il
TEO IV
i
x
È
3
È
13
primo, che è lo shocco del canale cranzo-faringeo , che esiste,
con direzione obliqua e lunghezza, come quelle del cranio pre-
cedente, pure con foro pituitario endocranico.
FELIS LINX.
(Lince).
INDIVIDUO ADULTO 7 (N. 565 della raccolta).
Scomparsa la sutura sfeno-basilare e la sutura sfeno-sfenoi-
dale. Il basisfenoide quindi è fuso col basioccipitale all’ indietro
e col prebasisfenoide o sfenoide anteriore all’avanti. Lungo la
linea mediana antero-posteriore della base del cranio, alla di-
stanza di millim. 35 dal margine inferiore del foro occipitale,
trovasi una docciatura della lunghezza di millim. 3, nel cui primo
terzo o terzo posteriore, vi è un piccolissimo foro elittico, di di-
mensioni minori di mezzo millimetro, che per la sua posizione
tra le parti posteriori dei pterigoidi, la sua distanza da una parte
e dall’altra delle ampolle otiche o auditive, viene ad essere il
foro pituitario ectocranico; determinazione questa che risulta ma-
nifesta anche col confronto dello stesso foro nel cranio degli altri
felidi.
La sua piccolezza è però tale che finora non ho avuto filo
metallico sottile e resistente da poter introdurre ; per cui non
si può dir nulla sulla esistenza del canale cranio-faringeo in
questo individuo.
FELIS DOMESTICA.
(Gatto 7 2).
Di questa specie ho avuto a disposizione vari individui, di
cui segno qui alcuni:
a) Neonato (N. 2995 di Protocollo).
5) Dieciotto ore dopo la nascita (N. 2991 di Protocollo).
c) Un giorno di nascita (N. 2997 di Procotollo).
d) Sette giorni di nascita (N. 3000 di Protocollo).
e) Giovanissimi (N. 1015 di Protocollo).
f) Giovani (N. 1014 di Protocollo).
9g) Adulti (N. 1013 di Protocollo).
h) Vecchi (N. 792 della raccolta).
Ora meno negli adulti e nei vecchi, in tutti gli altri esistono
14
le due suture o meglio sincondrosi sfeno-basilare e sfeno-sfe-
noidale.
Negli adulti è scomparsa la sfeno-basilare, ma esiste ancora
la sfeno-sfenoidale, e ciò faccio notare per aver avuta l’ età.
Nei vecchi. sono scomparse tutte e due.
In alcuni individui adulti però vi è la traccia della sfeno-
basilare, così che in questi e in tutti quelli che arrivano a questi
per gradi dalla nascita, si può dire essere la posizione del foro
pituitario ectocranico, lungo la linea mediana antero-posteriore
del basisfenoide, e, date le proporzioni, essere al principio del
suo quarto anteriore o ultimo suo quarto, procedendo dall’ in-
dietro all’avanti nell’ osservazione del detto osso.
E un forellino elittico, piccolo, di circa un mezzo millimetro
di lunghezza e mezzo di larghezza, che aumenta in dimensioni,
ma di poco, a partire dagli individui di 7 giorni di nascita fino
ai giovani, in cui misura poco più di un millimetro in lunghezza
e mezzo millimetro in larghezza, per diminuire negli adulti, e di
più ancora nei vecchi ritornando alle dimensioni di quelle che
lo stesso foro ha nei neonati.
In alcuni neonati (N. 1495 della raccolta — 2927 Protocollo
N. 2997), come anche in alcuni giovani (N. 2950 Protocollo) il
foro pituitario ectocranico, è preceduto talora da uno (N. 1495
e 2927) o due forellini in serie lineare (N. 2997), che vi di-
stano per circa mezzo millimetro, talora da due forellini pari
(N. 2950), alla medesima distanza. In altri neonati (N. 1259 Prot.)
vi sono anche quattro forellini precedenti il foro pituitario ecto-
cranico, dei quali due posteriori pari, due anteriori a questi
asimmetrici, e il più anteriore di questi due un po’ più grande
degli altri tre, ma tutti però al di sotto di un mezzo millimetro.
Tuttavia e foro pituitario ectocranico e forellini, giacciono in una
medesima docciatura ossea, pure elittica.
Il canale cranio-faringeo, esiste in tutti; cortissimo nei neo-
nati, la sua lunghezza misura lo spessore del corpo del basisfe-
noide, che è di un millimetro circa, e così cresce in proporzione,
che non passa però i due millimetri e mezzo. Nei neonati esso
e perpendicolare alla base del cranio, e si può dire che si man-
tiene in questa direzione fino nei vecchi. È aperto all’ interno
col suo foro pituitario endo-cranico, il quale, di dimensioni pres-
|
i
15
sochè identiche con quelle del foro pituitario ectocranico nei
neonati, si fa invece un po’ più grande nei giovani, adulti e
vecchi.
Tuttavia in un individuo giovane, con foro pituitario ecto-
cranico piccolo, canale cranio-faringeo strettissimo, il foro pi-
tuitario endocranico, mostra il suo contorno maggiore di quello
ectocranico; inoltre vi è un’ ossificazione interna, incompleta,
lasciante due piccolissimi forellini uno anteriore e un po’ a de-
stra, l’altro posteriore e mediano, ciò che rende difficile la
penetrazione di una setola dall'interno all’esterno. Dall’ esterno
all'interno si percorre, soltanto per piccolo tratto, il canale.
2.° CANALE CRANIO-FARINGEO NEGL’ JENIDI.
HYENA FASCIATA.
(Yena ).
1.° INDIVIDUO GIOVANE (N. 41 della raccolta).
Sono aperte la sfeno-basilare e la sfeno-sfenoidale. Il basisfe-
noide è lungo millim. 29, la sua larghezza massima, dall’ una
all'altra delle sue due alette laterali alla sua base, misura
millim. 23. Lungo la sua linea mediana antero-posteriore e alla
distanza dalla sfeno-basilare di millim. 17, trovasi il foro pitui-
tario ectocranico, elittico, lungo millim. 1 '/,, largo un millim.,
che infossandosi nell’ osso diventa rotondo. È preceduto dal ca-
nale cranio-faringeo, in direzione quasi perpendicolare alla base
del cranio, lungo circa 3 millimetri. All’interno presenta il suo
foro pituitario endocranico.
HYENA CROCUTA.
(Yena 5).
1.° INDIVIDUO GIOVANE (N. 40 della raccolta).
Anche in questo individuo sono aperte la sfeno-basilare e la
sfeno-sfenoidale. Il suo basisfenoide è lungo millim. 30, la sua
larghezza massima, che corrisponde quasi alla sua base, è di
millim. 20. Il foro pituitario ecto-cranico, è posto sulla linea me-
diana antero-posteriore dello stesso basisfenoide e alla distanza
di 24 millim. dalla sfeno-basilare, quindi al principio del quinto
16
anteriore del basi-sfenoide. Esso pertanto è molto avanzato, come
quello dei gatti (Felis domestica), verso la sfeno-sfenoidale. È
di figura elittica, ma piccolissimo, è un po’ meno di un millimetro
di lunghezza e di '/, millim. di larghezza ; stà infossato al prin-
cipio e parte posteriore di una docciatura ossea, pure ellittica,
della lunghezza di millim. 3 e della lunghezza di millim. 1 —
La piccolezza del foro, non permette una facile entrata con fili
sottili metallici, probabilmente il canale cranzio-faringeo esiste
per piccolissimo tratto e poi, nella sua parte alta, e obliterato.
Ora quanto ho esposto, può essere riepilogato nel seguente
prospetto :
CANALE CRANIO-FARINGEO
6 Si 2=5| Esi
E 3 Specie $ Età if = ea x
4.° Felidi.
IUSZe sele RA SELE Neonalo Re l SÌ
» — | Giovanissimo . . . . la asi
» -_ » 1 |Semicanale
» TRA RGLOVANe A 1 SÌ
» P » RO dig No
» Ri PD A s il No
» ZA UO 1 No
2 \D4CIsbtignis en ARR CIOVANC IO 1 SÌ
» i I Ato io e 1 SÌ
3 | Felis pardus ...|— | Giovanissimo . Il SÌ
» A NCIONA NC O 2 Si i
4 | Felis tigrinus...| 2 | Adulto ....... 1 Si
Guepardus jubatus | 7 | Giovane... .... 1 Sì
6 | Felis concolor. ..| g | Giovanissimo ....| 1 SÌ
» (ZA GIONAME TARA l SÌ ;
TO Mrs gn DL AUIORRI SI SE 1 ?
8 | Felis domestica .. | P| Neonato... .... 15 SÌ È
» — | Dieciotto ore dopo la È
MOSCA tn 2 SÌ d
» — | Un giorno dopo la i
DAScita lo a eene. 2 Sì
17
Esistenza
EG SNaAO È Da 355 del canale
8 | Felis domestica . . | — | Sette giorni dopo la
MASCICANINTE 1 SÌ
» —aiGiovanissimo: 1 SÌ
» SIONI I 3 SÌ
» dato, 1 SÌ
» VECI 1 SÌ
2.0 YXenidi.
Ie cratere AZ Giovane. 1 | Semicanale
2 naR (ascot MN LGIOVANe i et 1 SÌ
Risulta pertanto essere il canale cranzo-faringeo, aperto coi
suoi fori pituitarî endocranico ed ectocranico, ancora presente
nei neonati e giovanissimi felidi. Nelle diverse specie feline, si
può dire che in genere esiste nei giovani ed adulti, nè si può
asserire che in tutti i vecchi sia scomparso, perchè trovasi an-
cora nei vecchi gatti.
La Felis domestica, finora e per quanto mi risulta, è la
specie che conserva il canale cranio-faringeo, e con essa pos-
sono stare le specie Felis tigris, Felis tigrinus, Felis pardus,
perchè in esse, il detto canale, esiste nei giovanissimi, giovani e
adulti.
La Felis leo invece è la specie che dimostra come già nei
giovani e indipendentemente del sesso, il canale cranio-faringeo
possa scomparire perchè in tre giovani, esso esiste in uno e
manca in due, e in due femmine esiste in una e manca. nel-
l’altra.
Questa specie tuttavia, è quella che ci dà |’ esempio chiaro
dell’ evoluzione regressiva di detto canale, in relazione all’ età
individuale, così chè negli adulti e nei vecchi leoni e leonesse il
canale cranio-faringeo è obliterato o, meglio, è passato a far
parte della costituzione spugnosa del corpo dello sfenoide, pur
conservando il suo foro pituitario ectocranico. Talora però il
contorno del canale cranio faringeo, si può vedere nelle sezioni
della parte spugnosa del corpo dello sfenoide, fatte longitudinal-
mente in direzione del canale stesso.
18
Riguardo agli jenidi, altro non posso dire, finora, che esiste
nei giovani, mancandomi le ricerche intorno agli adulti e vecchi;
lacuna questa che potrebbe essere riempita più facilmente che
da mè, da coloro che avessero di tali esemplari.
Per le variazioni poi individuali, già notate nella specie Leone,
sarebbe opportuno aumentare il numero delle ricerche intorno
agli individui anche delle altre specie di felidi e di jenidi, per
fare poi completamente la storia evolutiva del loro canale cra-
nio-faringeo.
FRAMMENTI ANATOMICI (0ontinuazione) €
NorTE DEL Pror. GIOVANNI ZOJA
Ossa pteriche.
Le ossa pteriche, od epipteriche, non sono molto rare. Sopra
414 crani, tutti superiori ai tre anni di età (in gran parte già
descritti nella mia pubblicazione ()), allo scopo ispezionati,
rilevai 64 volte la presenza di queste ossa, così distribuite:
SPECCHIETTO PRIMO
Numero Lati
2 Totale
Crani esaminati 5 GA MSA
totale] file | 3 ce 22 num
D de) nq
253 M 7 16 20 43
iani (? 52
O 5a i n4 | F 2 3 4 9
Stranieri (4) e... .. 83 |
)
) 12
Antichi (5) . 13 = Li 1 1
414 | 414 12 24 | 28 64
Tenendo conto dei due lati, e quindi di 828 regioni pte-
(1) Vedi questo stesso Bollettino, n.° 3 e 4 anno 1895.
(2) Il Gabinetto di Anatomia umana della R. Università di Pavia. — Pavia
Stabilimento Tip. Succ. Bizzoni — 1873-1895.
(3) Questi crani per la massima parte appartengono alla Provincia di Pavia. ;
(4) Sono crani di varie razze e popoli differenti. ì
(5) Questi crani furono scavati da tombe antiche o trovati fuori di esse.
19
riche, sopra questo numero si sono trovate 76 regioni prov-
vedute di tali ossa soprannumerarie, così disposte:
SPECCHIETTO SECONDO
E 5 ha Totale
Crani esaminati ‘DS Sesso
È E destro |sinistro num.°
Taioni (504 M. 23 27 o) i 61
TOPI o a a 5 6 a
150 i 8 6 |
Stranieri e antichi È 5
i 26 RE - = xl (
asa IT: n=
828 36 40 76
Dal primo specchietto risulta che nell'insieme i cranii che
sono forniti di ossa pteriche o da un lato, o dall'altro, o da
tutti e due, sarebbero nella proporzione del 15.4 0/0.
Tenendo invece conto dei due lati, come dallo specchietto
secondo, sopra 828 regioni pteriche, si avrebbero 76 sole con
ossa soprannumerarie, e quindi nella proporzione del 9.1 0/, (1).
Dallo specchietto primo si ricava inoltre che confrontando
i crani italiani come quelli stranieri e antichi, si ha la per-
centuale del 15.9°/, nei primi, e del 13.6 nei secondi. E ri-
guardo ai due lati (specchietto secondo) negli italiani le ossa
pteriche si trovano il 9.3 °/,, e negli stranieri e antichi l’8.5 0/,.
Dagli stessi specchietti si rileva che, secondo il sesso, nei
crani italiani le ossa pteriche si trovano il 17.0 0/, negli uo-
mini, e il 12.1 per cento nelle donne — e, calcolando i due
lati, negli uomini italiani si trovano il 9.9°/,, e nelle donne
il 7.4 (?).
Nei cranii stranieri le proporzioni sono del 14.6 °/, negli
uomini e del 7.6 nelle donne. E tenendo conto dei due lati,
(1) Il CHAMBELLAN (Étude anat. et anthr. sur les os wormiens - Paris 1883,)
nei crani parigini sopra 220 fontanelle in discorso, ha riscontrate le ossa
pteriche 14 volte, e quindi nella proporzione del 6.3 90.
(?) S. BrancHI e F. MaRrIMÒ ammettono al contrario che le ossa pteriche
siano più frequenti nelle donne che non negli uomini. (Vedi — Ze ossa ac-
cessorie nel cranio degli alienati ecc. — Ricerche dei Dottori STANISLAO BIaN-
CHI e Francesco MarIMÒ. — Parma, 1890, pag. 10).
20
negli uomini si ha la proporzione del 9.3°/,, e nelle donne
del 3.8. In conclusione la percentuale succederebbe così, in
ordine decrescente, dal massimo al minimo: uomini italiani
(dove le ossa pteriche appaiono più frequenti); uomini stra-
nieri e antichi; donne italiane, e in fine donne straniere. È
da notarsi però che a queste proporzioni non si può dare
molto valore, in vista della relativa scarsezza dei crani esotici,
e più ancora di quelli che si riferiscono al sesso femminile.
Come si sa le ossa pteriche possono variare di numero, di
forma, di dimensioni e di rapporti.
Riguardo al numero in ciascuna regione pterica trovai
un osso unico 66 volte (57 in uomini e 9 in donne); rinvenni
due ossa pteriche 7 volte (5 in uomini e 2 in donne); ne
trovai tre 3 volte, e solo in uomini — e però si deve ritenere
che l’osso pterico, nella grandissima maggioranza dei casi, è
unico in ciascuna regione.
La figura delle ossa pteriche è varia, predomina però la
quadrangolare, se ne trovano tuttavia di triangolari, di ovoidee,
di poligonali più o meno irregolarmente allungate, adattandosi
alle svariate combinazioni che assumono le ossa concorrenti a
formare il pterion.
Anche rispetto alle dimensioni le varietà sono molte, da
semplici granelli o scheggette ossee all'estensione di dieci,
dodici centimetri quadrati ed anche più. In questi casi però
l'osso non resta confinato strettamente nella regione pterica,
ma la sorpassa invadendo di solito la sutura squamo-parie-
tale, come diremo fra poco.
Quanto alle varietà dei rapporti giova tener distinte le ossa
pteriche riguardo al numero, poichè quanto più sono nume-
rose, tanto più si complicano le combinazioni suturali che le
circondano.
Se vi ha un osso solo, esso può occupare tutta la regione
o solo una parte. Nel primo caso esso si articola con tutte
e quattro le ossa (frontale, parietale, temporale o squamoso,
e sfenoide o alisfenoide), sono queste ossa pteriche che il
Ficalbi chiama #ipîche (*).
(*) Considerazioni riassuntive sulle ossa accessorie del cranio dei mammiferi
e dell’uomo (Monitore zoologico italiano, 1890).
È
21
Se l'osso non occupa che una parte della regione, non si
articola con tutte le ossa sopranominate, ma con tre sole,
così quando l’osso pterico giace all’indietro, allora si unisce
all’alisfenoide , allo squamoso e al parietale, ma non rag»
giunge il frontale; in questo caso le ossa sono contraddi-
stinte dal Ficalbi col nome di pteriche posteriori. E al con-
trario quando le ossa stanno all’ avanti, e si articolano col
frontale, col parietale e coll’ alisfenoide, ma non collo squa-
moso, dallo stesso Ficalbi sono chiamate pleriche anteriori.
Seguendo la distinzione del Ficalbi e tenendo conto delle
ossa uniche si può formare il seguente:
SPECCHIETTO TERZO
= — _— — ——— — o.
Regioni
| Totale
Crani esaminati Sesso a Pi
destra | sinistra num.°
M 12 ll 23
i a ( È
Pteriche tipiche \ F 1 4 5 28
. i \ M 13 9 22 ) È
Pteriche posteriori . OE 9 1 3 | 25
| ]
M. l 4
Pteriche anteriori . . i Ì 5
ESE — — — |
29 | 29 58
Talvolta però l’osso pterico, quantunque unico, non può
essere compreso nelle tre categorie del Ficalbi, perchè si arti-
cola con due ossa sole p. e. alisfenoide e parietale, restando
separato dallo squamoso e dal frontale per l'intervento di
due prolungamenti o della grand’ ala o del parietale, o dal
concorso di tutti e due, presentando all’osso pterico un'’inca-
vatura per accoglierlo (vedi figura I.*). A questa varietà si
potrebbe dare il nome di pierico medio.
Possono darsi dei casi nei quali l’osso pterico è ricevuto
da un’incavatura dell’ alisfenoide, però, mentre tocca tanto
il frontale all’avanti quanto lo squamoso all’indietro, non rag-
giunge in alto il parietale, da cui resta separato da un pro-
lungamento dello squamoso che va al frontale (processo fron-
22
tale del temporale), (vedi figura Il.à); questo allora sarebbe
un pierico inferiore.
E ancora un’altra varietà si può osservare, quando cioè
l’ossetto soprannumerario sta tra la grand’'ala e lo squamoso,
senza toccare nè il frontale, nè il parietale (vedi figura III.*).
In questo caso il pterico sarebbe postero-inferiore, o sfeno-tem-
porale (!). Tali condizioni però sono molto rare specialmente
quando le ossa pteriche siano uniche, non sono così rare
quando le stesse siano due, e meno rare ancora quando siano
tre o più. |
Quando le ossa pteriche sono due nella stessa regione si
possono dare varie combinazioni, e cioè:
a) le due ossa stanno una innanzi all’ altra, per modo
che assieme occupano tutta la regione, articolandosi l’ante-
riore col frontale, parietale e sfenoide, e il posteriore col pa-
rietale, temporale e sfenoide, e poi fra di loro formando una
nuova sutura @/erpferica, 0 ptero-pterica.
In questo caso si avrebbe come un osso tipico diviso in
due da una sutura verticale, oppure due ossa, uno pterico
anteriore e l’altro pterico posteriore cogli stessi rapporti, colla
sola differenza che si articolano anche fra di loro;
b) le due ossa stanno ancora una davanti all'altra, ma
mentre il pterico posteriore assume i rapporti come nel caso
precedente, quello posto all’ innanzi non arriva fino al fron-
tale, perchè tra questo e il pterico si insinua una linguetta
della grand’ala (figura IV.2). In questi casì il pterico ante-
riore diventa medio tanto per rispetto alla situazione, quanto
pei rapporti che assume, solo che all’indietro si unisce, come
nei casi accennati in a) al posteriore per sutura interpterica
verticale; può accadere ancora, però più di rado, che le due
ossa pteriche siano pure disposte una davanti all’ altra, ma
mentre quella all’ innanzi incontra i rapporti del pterico an-
teriore, l’altro non giunge allo squamoso (come nel bellissimo
————————————————————_—_————m6b
(1) Nel caso da cui fu tolta la figura III.* si vedono traccie della preesi-
stenza d’ un altro pterico, che sarebbe stata ?ip7co, ma che ora si è saldato
coll’ alisfenoide.
23
caso del Calori) ('), e allora è il posteriore che diventa pierico
medio.
E ancora i due pterici, anteriore e posteriore, restano se-
parati dall'intervento d’un prolungamento medio della grand’ala
(vedi figura V.?).
c) le due ossa sono disposte una sopra l’altra, e così il
pterico superzore si articola «ol frontale, parietale e squamoso;
l’ inferiore col frontale, sfenoide e squamoso, e poi il supe-
riore si articola coll’ inferiore per sutura interpterica oriz-
zontale (figura VI.?).
Quando le ossa pteriche sono tre nella stessa regione, na-
turalmente le condizioni si complicano di più, però essendo
questo fatto rarissimo (non ne vidi che tre soli casi) credo
opportuno darne quì un cenno speciale.
1.° caso. — Cranio di un giovane di 25 anni (°). — Tre
pterici al lato sinistro, allineati dall’ avanti all’indietro, e
quindi uno anteriore, l’altrojmedio e il terzo posteriore. Sono
ovoidei, piccoli, da 6 ad 8 mm. di diametro.
L'anteriore e il posteriore assumono gli ordinari rapporti
già sopra indicati, solo che si articolano in più coll’osso pte-
rico di mezzo, posto fra loro. Il pterico medio quindi si unisce
in alto col parietale, in basso coll’alisfenoide, all'avanti e al-
l’indietro coi pterici anteriore e posteriore per suture verti-
cali interpteriche, anteriore e posteriore (figura VII.*).
Questi ossetti sono ben manifesti anche sull’ endocranio,
anzi su questa superficie il medio e il posteriore sono più
larghi che non all’esterno.
AI lato destro vi sono due altri pterici già indicati prece-
dentemente (figura V.*), anteriore e posteriore, divisi fra loro
da un prolungamento dell’alisfenoide, il quale sembra proce-
dere da un ossicino primitivamente indipendente.
Su questo cranio esiste anche un osso bregmatico (*).
(1) De? Wormiani occipitali ed interparietali posteriori ecc. Lettera respon-
siva al Prof. G. NicoLucci (Mem. dell’Accad. delle scienze dell’Istituto di
Bologna — Serie II.* Tav. VII.® 1867. Tav. II.® Fig. 16) si riferisce ad un
negro africano.
(2) Questo cranio nel catalogo porta il numero 874.
(3) Vedi — Z’osso dregmatico nota del Prof. G. Zosa « Bollettino scientifico
- anno XVII. N. 3 e 4. pag. 89. Figura IX® ».
24
2.° caso. — Teschio di un giovinetto di 15 anni. É di
bella forma, tondeggiante, brachicefalo (1). i
Vi sono tre piccole ossa pteriche a sinistra, disposte, come
le precedenti, dall’avanti all'indietro, anteriore, medio e po-
steriore. L’ anteriore, in forma d'una scheggia allungata (11
mm. di diametro), sì articola come l’anteriore del caso ’prece-
dente. Il pterico medio pure di forma irregolare ed allungata
(9 mm. di massimo diametro), assume gli stessi rapporti del
medio indicato nel precedente caso. Il terzo pterico, o poste-
riore, quadrilatero d’un centimetro di lato, si articola in
basso ed all'indietro collo squamoso, in alto col parietale e
all’avanti col pterico medio. Il pterico posteriore quì non tocca
l’ alisfenoide come negli altri casi.
Tutti e tre questi ossetti soprannumerari hanno maggior
estensione sull’endocranio di quello che non sia sull’esocranio.
Al lato destro vi ha un solo osso pterico posteriore, che
è pure più largo all’interno che all'esterno del cranio.
3.° caso. — Teschio d'uomo di circa 40 anni. Il cranio
è rotondeggiante, robusto e pesante (?). Vi sono tre ossa pte-
riche a destra, delle quali due sono anteriori ed uno posteriore
alla grande ala (figura VIIl.?).
° Idue anteriori sono situati uno sopra l’altro. L° osso
pterico anteriore e inferiore, ovoideo, lungo 11 mm.,, si unisce
al frontale all’ avanti, all’alisfenoide in basso ed all’indietro,
e al pterico soprastante in alto. L’anteriore e superiore, pure
ovoideo, più largo in alto, è lungo 17 mm., all’avanti tocca
il frontale; all'indietro tocca tre ossa, il parietale in alto, il
pterico posteriore nel mezzo e l’alisfenoide in basso.
Il pterico posteriore, triangolare, colla base all’ indietro,
ha in genere gli stessi rapporti dei soliti pterici posteriori,
solo che all’avanti tocca anche il pterico anteriore superiore,
o medio.
Questi tre pterici sono bene appariscenti anche sull’endo-
cranio.
Meritevoli di particolare attenzione parmi siano anche quei
(1) Vedi — Zl Gabinetto ecc. op. cit. pag. 11], numero ll.
(2) Nel catalogo questo cranio porta il numero 912.
25
casi nei quali le ossa pteriche sono notevolmente estese. Questi
casi, certo non nuovi, sono nondimeno molto rari, e però credo
utile darne un breve cenno speciale. Sono tre soli esemplari,
uno pterico tipico che s’innalza molto nella regione parietale,
e due altri nei quali l’osso anomalo invade estesamente la
regione squamoso-parietale.
1.° esemplare. — Il primo caso di grande osso pterico
rilevasi sopra il cranio non molto voluminoso di un giovane
di 22 anni, e che ha una circonferenza orizzontale di 508 mm.
ed una capacità di 1415 cc. Presenta poi la bipartizione del
parietale d’ambo i lati per mezzo di una sutura soprannume-
raria (sutura sottosagittale del Pozzi), e qualche altra parti-
colarità che accennai in altra pubblicazione (*).
L’osso pterico trovasi a sinistra, ha una figura elissoide
col massimo diametro diretto dal basso all’ alto, e dall’avanti
all'indietro, sulla direzione della grand'ala. Quest’osso insolito
è lungo 50 mm. e largo al massimo 22 mm. Esso si arti-
cola, oltrechè col temporale, collo sfenoide e col frontale, an-
che colle due parti del parietale diviso, cosicchè la sutura
che inscrive l'osso anomalo, comunica anche colla sutura
sottosagittale suddetta.
L’osso pterico quì si è sviluppato per la massima parte a
spese del parietale.
Al pterion destro notasi la sutura anomala temporo fron-
tale.
2.° esemplare. — Cranio di un fanciullo di 5 anni, sopra
mefaticefalo, ha una circonferenza orizzontale di mm. 475 ed
una capacità di 1275 cc. O
Quì l'osso pterico risiede a sinistra; è molto esteso occu-
pando oltrechè tutta la regione omonima, anche buona parte
della sutura squamoso-parietale, fino alla metà della lunghezza
dello squamoso stesso.
L'osso pterico è di figura ovoidea coll’estremità più grossa
rivolta all’avanti, e colla più piccola diretta posteriormente
(figura IX.2). Esso è lungo, nel senso antero-posteriore, 44 mm.
(più di un quarto della lunghezza totale del cranio); è largo
all’ avanti mm. 19.
(1) Vedi — ZI Gabinetto di Anatomia, ecc. 1° Supplemento, op. cit. pagina
548 (24) n.° 666 e Tavola VIII.", Figura VI.®
26
In questo caso l'osso pterico è fatto quasi tutto a spese
del parietale, e per una piccola parte a danno dell’alisfenoide.
Più all'indietro dell’osso pterico evvi un piccolo wormiano
squamo-parietale, o crotatale, indipendente (!).
3.° esemplare. — Cranio di un uomo di circa 30 anni,
molto robusto. Il cranio è voluminoso ed alto. Presenta una
sea orizzontale di 524 mm. ed una capacità di 1620
c. È sotto brachicefalo.
L’osso pterico giace sul lato destro, di i figura elissoide, di-
retto dall’ avanti all'indietro, occupa tutta la regione pterica
e invade all’indietro anche quì lo spazio squamo-parietale fin
oltre la metà della lunghezza della squama medesima. Questo
osso è lungo 63 mm. (è quindi più di un terzo della lunghezza
totale del cranio) è largo al massimo mm. 29.
È da notarsi che all’esocranio è già iniziata la sinostosi
tra l'osso pterico e il parietale mentre sull’endocranio le ossa
si conservano affatto indipendenti.
Confrontando i due lati di questo cranio si rileva che l’osso
pterico, o piero-crotatale, si è sviluppato a danno tanto del
parietale quanto dello squamoso e dell’alisfenoide, Del resto
in questo cranio non v'ha altro di singolare (?).
Questi due ultimi casi ricordano abbastanza quelli desi-
gnati dal Chambellan (8), dal Zuckerkand] (*) e molto più an-
cora quel bellissimo esemplare che il Verga rilevò sopra il
Testone del Museo civico di Milano (9) e che credette di chia-
mare osso sopra-squamoso od osso ftemporo-parietale. Que-
st'osso venne anche riprodotto fedelmente nella figura che il-
lustra la preziosa memoria dello stesso Autore.
È a notarsi però che l'invasione della sutura squamo-pa-
rietale per un tratto più o meno sensibile da parte dell’osso
(1) Per maggiori particolari vedi — Zl Gabinetto di Anatomia umana, ecc.
1° Supplemento, op. cit. pag. 586 (62), n.0 709 e Tavola XI.*, Figura IIl.*
(2) Vedi — 27 Gabinetto di Anatomia ecc., 1.° Supplemento. op. cit. pagina
572 (48) n.° 693 e Tavola XI.*, Figura II.* 3
(3) Èiude an. et. anthrop. ece., Mem. cit. pag. 4} Figura 9.
(4) Si riferisce al cranio di un Dayzce — Reise der O’sterreischen Fregate
Novara. — Anthropologischer Theil, Wien 1875, Fascicolo III.
(5) Vedi — Archivio Italiano per le malattie nervose ecc., Fascicolo III.,
anno 189].
27
pterico, sia tipico, sia semplicemente posteriore, è piuttosto
frequente, come già ebbe ad avvertirlo Chambellan e lo stesso
Ficalbi; raro invece, ripeto, è il caso in cui l’osso epipterico
raggiunga considerevoli proporzioni.
(Continua).
Sopra alcuni craui esotici esistenti nel Museo Anatomico di Pavia
Cenni del Prof. GIOVANNI ZOJA
(Continuazione. (1)).
5.° Teschio di un uomo di Giava di circa 25 anni.
Cranio abbastanza ben fatto e simmetrico; fronte bassa; oc-
cipite poco sporgente; manifeste le gobbe frontali, ma più le
| parietali. Le suture sono tutte aperte, le dentate in generale
sono molto semplici, sono però finamente dentellate e complicate
in due brevi tratti laterali della coronale e della lambdoidea. In
questa vi sono due piccolissimi wormiani, uno per lato. Sono
discretamente sviluppate la glabella e le arcate orbitali; molto
sporgenti le apofisi mastoidee e le creste sopramastoidee; poco
l’inion e le arcate occipitali. E spiccata, rugosa e dentellata la
cresta temporale del frontale. Si vedono le incisure sopraorbitali,
i fori parietali, di cui il sinistro è piccolissimo; larghi i fori ma-
stoidei. Sono ben tracciati i solchi temporo-parietali esterni.
All’ endocranio si vede la cresta frontale interna non molto
alta, ma tagliente, e così l’apofisi cristagalli.
Faccia larga, angolosa; orbite basse e profonde; la doccia la-
grimale è formata per metà dall'unguis e per l’altra metà dal
mascellare. .V'è un uncino sopra il foro infraorbitale; l’apofisi
malare del mascellare termina all’infuori ripiegata in basso, for-
mando una sensibile sporgenza. Poco manifesta la spina nasale.
Mandibola larga e robusta; mento largo e sporgente; angolo
rugoso; due grosse eminenze genii in alto, e una terza mediana
sottostante. Debole prognatismo alveolo dentale. Vi sono 16 denti
superiori e 14 denti inferiori (di quelli della sapienza qui nessuna
traccia); tutti gli anteriori colorati in gran parte al colletto (?).
(1) Vedi questo stesso Bollettino, n.° 3 e 4 anno 1895
(*) Vedi anche il Gabinetto ecc. op. cit. pag. 648 numero 775.
28
Capacità cranica ce. 1460.
Indice cefalico. . . 87,57
più orbetale e aaen97,2
» nasale 5) 40,1]
Peso del cranio . . . grammi 644
» della mandibola . » 94
» totale del teschio . » 738
6.° Teschio di un vomo dell’ Isola di Borneo, di circa 25
anni.
Cranio ampio di bella forma; fronte larga, bassa e sfuggente;
gobbe parietali pronunciate; occipitale non sporgente. Sono molto
sviluppate la glabella, le arcate orbitali, le apofisi mastoidee, le
creste sopramastoidee; poco manifeste le impronte muscolari e
l’enion; le apofisi stiloidee sono sottili e lunghe. Sono aperte
tutte le suture e piuttosto semplici; è ben tracciata la linea
suprema nucae, la quale a destra si continua con una vera
sutura che finisce all’ asterzon. Vi sono due piccoli wormiani
alla lambdoidea, uno per lato, ed uno largo al lambda (sso
preinterparietale), di forma triangolare curvilinea, colla base
larga cinque centimetri in basso; sulla linea sagittale è alto tre
centimetri; le suture che lo inscrivono sono manifestamente den-
tate. Si vedono le incisure sopraorbitali, i fori parietali; il foro
condiloideo anteriore di destra è bipartito; ampio il foro occi-
pitale di figura ovale e diretto quasi orizzontalmente; tracciati
i solchi temporo-parietali esterni.
Nell’endocranio si notano: la cresta frontale interna breve
e tagliente; sottile e pure tagliente l’ apofisi cristagalli; accen-
nate le creste endopteriche; l'acquedotto del Verga a sinistra,
più un canaluccio vascolare insolito che attraversa tutto lo
spessore del cranio al davanti della rocca petrosa, aprendosi al-
l’esterno sulla radice dell’ apofisi zigomatica del temporale, su-
bito al di sopra della cavità glenoidea.
Faccia larga, angolosa, debolmente prognata; orbite larghe
e profonde; vi sono tre fori orbitali interni a destra; la doccia
lagrimale è fatta in parti eguali dall’unguis e dal mascellare;
apertura piriforme alta e larga; strette le ossa nasali; mani-
festa la spina nasale, sostenuta da una spiccata cresta spino-al-
i
|
29
veolare, o sottonasale; esistono poi le fossette prenasali molto
accentuate; zigomi molto pronunciati e rivolti all'infuori. Al
palato, mancante della parte posteriore, si vedono all’ avanti
delle rugosità molto spiccate e manifesto il torus palatinus. La
mandibola è larga e massiccia; il mento triangolare e sporgente;
l'angolo rugoso, quasi retto; quattro eminenze genii bene appa-
riscenti. Mancano i denti molari superiori, vi sono invece tutti
alla mandibola, e tutti poi sono in buon stato. I denti inferiori
attorno alla corona presentano un colore oscuro come di cioc-
collato.
Tutte le ossa della testa sono grosse, robuste e pesanti (').
Capacità cranica cc. 1630.
Indieetcefalic I,
Peetorbilale nt ie 829
tnnasaless: n 0:45;60
Peso del cranio . . . grammi 74]
» della mandibola . » 125
» totale del teschio . » 866
(Continua).
RECENSIONI
Dott. A. Bovero. (@) — Intorno ai muscoli digastrici dell’ osso
toide. — Osservazioni anatomiche, con due tavole. (Estratto dal Moni-
tore zoologico italiano, fasc. 11-12, Novembre-Dicembre 1895). Firenze,
Tipografia Cenniniana, 1896.
È un lavoro coscienzioso, elaborato, e pieno di erudizione e nel
quale l’A. espone il frutto delle sue ricerche, specificando quali siano
le questioni controverse o non chiaramente e concordemente esposte
dagli autori per quanto riguarda i rapporti del tendine intermedio di
questi muscoli coll’ osso ioide e colla aponeurosi sopraioidea, nonché
colla glandola sotto-mascellare, come pure per quanto riguarda le nu-
merosissime variazioni offerte dai ventri anteriori dei muscoli, mentre
sono rare queste variazioni pei ventri posteriori.
Il numero degl’individui esaminati è di 112 (61 uomini, e 5l
() Vedi anche il Gabinetto ecc. op. cit. pag. 646 (122) numero 772 e ta-
vola IX.*, figura IV.°
(2) Aiuto Settore all’Istituto anatomico di Torino, diretto dal Prof. CARLO
GIACOMINI.
30 î
donne) quasi tutti adulti, più un certo numero di feti a vario grado
di sviluppo, ed infine una serie relativamente considerevole di scimmie;
il che se da una parte fa vedere l’abbondanza del materiale che l'A.
ebbe a sua disposizione, dall’ altra dimostra il conto in cui deve
essere ‘tenuto un simile genere di ricerche tanto più «apprezzabili,
quanto più numerose sono le osservazioni, che le confortano.
Premessa la giustificazione della denominazione da lui scelta, per
seguire la nomenclatura proposta recentemente da His., ed anterior-
mente da M. J. Weber, passa a parlare brevemente dei ventri po-
steriori, i quali, come si sa, per avere un’innervazione diversa da
quella dei ventri anteriori, anche tralasciando di accennare i rimanenti
caratteri, che li differenziano dai medesimi, bisogna ritenere che ori-
ginariamente siano diversi dai ventri anteriori.
Oltre alle non poche osservazioni fatte sull’ uomo l’A. suffraga la
sua tesì con numerose ricerche fatte nel campo dell’ anatomia compa-
rata. Si è in questo capitolo che l’A. parla della molteplicità dei fasci
che possono concorrere alla formazione del ventre posteriore del m. di-
gastrico, alle varietà dei punti d’inserzione di questi fasci alle ossa
craniche, ed alla presenza di un’ intersezione tendinea nello spessore
di questo ventre.
Parlando del tendine intermedio, ne fa risaltare l’ importanza dal
lato della fisiologia, della medicina operatoria e della morfologia, e si
estende sui rapporti che tal tendine presenta colla glandola sotto-ma-
scellare, col muscolo stilo-ioideo, coll’ osso ioide e coll’ aponeurosi
sopra-ioidea. i
Circa i rapporti che questo tendine contrae colla glandola sotto
mascellare, l’ A. mette in evidenza l’importanza delle ricerche fatte
dallo scrivente nella memoria che ha per titolo : Sulla topografia della
glandola sotto-mascellare.
Oltre ad uno spostamento in basso di questa giandola, l'A. ha
riscontrato pure quello in avanti.
Le relazioni del tendine intermedio col muscolo stilo-ioideo si ri-
feriscono all’occhiello muscolare entro il quale passa il medesimo
tendine, senza però che tale occhiello funga da puleggia nell’ uomo,
come invece si osserva nel genere equus.
I rapporti coll’ osso ioide e coll’ aponeurosi sopra-iodea sono pure
descritti estesamente, e riguardo a quest’ultima è interessante l’ opi-
nione dell’ A. che associandosi alle idee del Gegenbaur la crede non
una dipendenza dell’ aponeurosi cervicale superficiale, ma bensì un
residuo dello strato muscolare primitivo.
Infine la maggior parte dell’ interessantissimo lavoro del Dott. Bo-
vero è dedicata allo studio anatomico dei ventri anteriori. E qui giova
notare che ammesso il triplice ordine di fibre per cui termina il
sl
tendine, risulta dalle osservazioni dell'A. essere assolutamente costante
una vera origine di fibre muscolari dall’ aponeurosi sopra-ioidea,
Del resto le particolarità, che si riferiscono al modo di comportarsi
dei ventri anteriori coi fasci muscolari, che a loro si associano e che
ne emanano, ed ai numerosi rapporti cogli organi circostanti sono
così numerose che saremmo portati troppo in lungo se tutte le voles-
simo qui accennare, il che non ci è consentito dall’ indole di questa
rassegna ; per cui noi possiamo a meno d’incoraggiare il lettore a
ricorrere alla memoria originale corredata di due tavole e di nume-
rose figure assai dimostrative.
Non tralasciamo da ultimo di accennare che l’ A. oltre a portare
numerose osservazioni di anatomia comparata, oltre ad accennare allo
sviluppo filo ed ontogenetico degli organi, che ad ogni piè sospinto
arrestano la sua attenzione, ricorda sempre l’importanza, che tali
organi assumono dal lato operatorio. Dott. G. SOFFIANTINI.
L. Maggi. — Varietà morfologiche degli interparietali e prein-
terparietali nei feti, neonati e giovani di cavallo. (Equus caballus L.)
Rend. Ist. Lomb. di Sc. e Lett. Serie II.* Vol. XXIX, Fasc. VI, 1896.
— Milano.
L’ Autore indica dapprima il materiale che ebbe a sua disposizione
per questo studio, e cioè 80 crani equini, di cui 28 di feti, 1 di neo-
nato ed 1 di due mesi di nascita. I 28 crani di feti sono seriati mese
per mese, incominciando dai 8 e arrivando ai 12, con gradazioni
intermediarie di 1, 2, 3 settimane e con diversi esemplari della me-
desima età o periodo di sviluppo. Poi, accennata all’ importanza delle
varietà morfologiche degli interparietali e preinterparietali del cavallo
pel confronto che si potrebbe istituire con quelle d’ altri mammiferi
ed in particolare con quelle dell’ uomo, che, in proposito ha un pa-
rallelismo morfologico col cavallo, passa a darne la descrizione, rias-
sumendone in seguito i risultati generali. Da ultimo fa alcune consi-
derazioni intorno alle varietà morfologiche dei preinterparietali che
continuano quelle che 1’ Autore già fece sulle stesse ossa, di due
bambini e di un giovanissimo chimpanze ; e, messa avanti l’ impor-
tanza di tener calcolo delle razze e sotto razze in queste ricerche per
avere anche qui la spiegazione morfologica delle apparenze formali
dei fatti anatomici, conclude che, ammettendo essersi determinata,
nei mammiferi, la formazione originaria, come di due interparietali,
anche di due preinterparietali, si potrà nel caso di pluripreinterpa-
rietali, trovare o ricondurre teoricamente i diversi ossicini, a due pre-
interparietali primari o principali, ritenendo gli altri come comple-
mentari pel riempimento della fontanella omonima.
Charles Janet: Etudes sur les fourmis, les guépes et les abeilles.
Sotto questo titolo il sig. Ch. Janet pubblica una serie di studi
sulla biologia degli imenotteri sociali. Le sue accurate osservazioni,
che male si prestano, data la loro natura analitica, ad una rivista
sommaria, saranno letti con interesse non solo da coloro che si oc-
cupano in modo speciale dell’ argomento, ma anche da chi, dedican-
32
dosi a studi di altra indole, vuol conoscere i progressi che in questo
ramo tanto attraente ancora sono possibili dopo i classici studi dei
predecessori.
Fra le sue varie pubblicazioni segnaliamo la 9° nota: Sur Vespa.
crabro (Mém. de la Société zoologique de France 1895).
Valendosi di artifici assai bene immaginati, che l’ autore minuta-
mente descrive, egli poté seguire in modo quasi completo lo sviluppo
di un nido di calabroni e per un buon periodo quello di altri due.
L'inizio dei lavori del nido, il modo. come essi sono compiuti
dalla madre prima e poi dalle operaie, il succedersi delle svariate
occupazioni di queste nella vita febbrile del vespaio, sono ea con.
molta cura dal sig. Janet.
Fra i fatti generali assodati dall’ autore, notiamo i seguenti :
Gli alveoli appaiono secondo un ordine assai regolare, in modo
che il loro complesso risulta simmetrico talvolta rispetto a sei assi,
più di frequente rispetto a due o ad un asse. Nuovi alveoli vengono
costruiti soltanto quando la necessità della deposizione delle uova lo
richiede. Ogni alveolo non ha sei pareti proprie, ma a costituire l’esa-
gono del nuovo alveolo concorrono le pareti contigue degli alveoli
preesistenti. Lo sviluppo dell’involucro esterno è debole nei mesi
caldi, maggiore assai nei freddi, durante i quali esso si complica me-
diante ricche tubulature destinate a conservare la elevata temperatura,
che si sviluppa nel nido.
Essa, come é noto, e come il Janet conienna. è di parecchi gradi
superiore alla temperatura esterna. (il 18 settembre la temperatura
esterna era di 20°, nel nido di 81°; il 5 ottobre la temperatura
esterna di 12°, nel nido di. 27°; 1° 8 ottobre la temperatura esterna
di 16°, nel nido di 32°).
Anche in questo lavoro però la parte più ricca è quella, per così
dire, anedottica, la quale contiene molte curiose ed interessanti indi-
cazioni sui costumi di questi imenotteri.
Prof. Antonio Berlese. — Le cocciniglie italiane viventi sugli
agrumi. — Parte III.* I Diaspiti. Con 200 incisioni intercalate nel
testo e con 12 tavole litografiche. Prezzo L. 10. Firenze. Tip. C. A. Ma-
terassi, 1896.
In questa terza parte della sua nen memoria sulle coccini-
glie agrumicole, l’Autore tratta di sei specie: Mytilaspis fulva Targ.
T'ozz., Mytilaspis pomorum Bouché, Parlatoria Zizyphi Lucas, Aspi-
diotus Limonii Signoret, Aspidiotus Ficus Riley e Aonidiella Au-
rantii Mask., appartenenti a quattro generi: Mytilaspis, Parlatoria,
Apia loue, ‘Aonidiella, di DIASPITES, che vivono sugli agrumi
in Italia
E divisa in tre capitoli, nel primo dei quali vi sono note di siste-
matica e descrizione delle specie nei loro vari stati e negli organi loro
esteriori; nel secondo, osservazioni anatomiche, molto diffuse, e nel
terzo, cenni di biologia e danni che i Diaspiti recano agli agrumi,
non tralasciando in ultimo di dire dei metodi intesi a combatterle.
Sarebbe molto utile, che questa terza parte venisse accompagnata
da un indice particolareggiato.
Gerenti I REDATTORI. Pavia, 1896; Prem. Stab. Tip. Succ. Bizzoni.
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si Anno XVII, Giugno, Settembre e Dicembre 1890. N 2,904
e eo nannannnnan Valalalatata vara atavalatava vat aatatalatatatd
(Ri,
"ile SCENICO
REDATTO DA
;l LEOPOLDO MAGGI | GIOVANNI ZOJA
PROF. ORD. D' ANATOMIA E FISIOLOGIA PROFESSORE ORDINARIO DI ANATOMIA
A i COMPARATE : UMANA
‘NELLA R. UNIVERSITÀ DI PAVIA
ACHILLE DE-GIOVANNI
| PROF. ORD. DI CLINICA MEDICA NELLA È. UNIVERSITÀ DI PADOVA |
CE e e ferri
Un Anno 8, $,
PAVIA
| Premiato SInieerto T ipografico Successori Bizzoni.:
1896.
INDICE, e
dei iavori contenuti nei fascicoli del V, VI, VII e VIOM anno
costituenti il Vol. II. del Bollettino Scientifico. ) TA
Ù PA z ù
ANNO Vv. — Faso. I.- Da-Giovanni: Alterazioni detla cava inferiore complicantì | -
la cirrosi epatica. (Com. preventiva). — Zoja: Rare varieta dei condotti epatici. =
Staurenghi: Corno cutaneo sul padiglione dell’orecchio destro di un uomo, —
Cattane): sull’istolozia del ventricoio e del proventricolo -del Melopsittacus un-
dulatus Shaw. — Majgi: intorno ad alcuni imierorganismi patologici delle ‘T'ro-.
telle. — Bonardi: Prime rmeerche intorno alle Diatomee di Vall’ Intelvi. — No-.
tizie. — Magretti: Lettere dall’ Africa. È CRAL, i AA
Fasc. II. — Tenchini: Sopra un caso di prematura divisione dell’ arteria ome-
rale (con figura). — Tenchini: Cervelletto insolitamente deforme di un uomo —
adulto (con tigura). — (€. Parona: Diagnosi di alcuni nuovi Protisti. — Bonardi.
e C. F. Parona: Sulle Diatomee fossili del bacino lignitico di Leffe in Val Gan.
dino (Lombardia). — Maggi: Tecnica protistologica (Cloruro di palladio). — No-
tizie universitarie. — (Cattedra e stabilimento di Zoologia nell’ Università di
Pavia). — Bibliogratia. — Staurenghi: Sulla tisichezza polmonale, pel Prof. A.
De-Giovanni. 9) FRA CI
Fasc. IÎL — Maggi: Ricerca di nitrati al microscopio. — Maggi: Sull’ analisi
| microscopica dell’acqua delle sorgenti chiamate FONTANILI ‘4; /ontaniva del
padovano. — Bonardi: Intorno all’azione saccarificante della saliva ed alla gli-
‘cogenesi epatica in alcuni molluschi terrestri. (Comunicazione preventiva). — —
Bonardi: Intorno alle Diatomee della Valtellina e delle sue Alpi. — (Cattaneo: —
Fissazione, colorazione e conservazione degli Infusori. — Pari:tti: Ricerche re-
lative alla preparazione e conservazione di Bacteri e d’ Infusorj. MEA CRA A a
Fasc. IV. — De-Giovanni: Studì morfologici sul corpo umino a contribuzione
della clinica. (Nota [V*). — Zoja: Di una cisti spermatica, simulante un testi»
colo sopranumerario. — Luzzani e Staurenghi: Anomalie anatomiche. — Bonardi:
Intorno alle Diatomee della Valtellina e delle sue Alpi (cont. e fine). — Cat-.
tango: Fissazione, colorazione e conservazioae degli 47fusorz (cont. e fine). SLI
ANNO VI, — Fasc. I. -- Zoja: Di un sylco man noto dell'osso frontale, (Comu-.
nicazione preventiva). — Luzzani e Staurenghi: Anomalie anatomiche (continua-
zione e fine). — Parona: Materiali per la fauna della sardegna (IX. Vermi paras-
siti...-- Cattans0: Istologia e sviluppo dell'apparato gastrico degli uccelli. (Comu-
nicazione preventiva:. — Università di Pavia: Voti e proposte dei professori na-
turalisti espressi alla facolta di scienze inatematiche e naturali. GG
Fasc. II. - Tenchini: Di una rara anomalia delle arterie e delle vene emulgent
- Bonardi: Dell’azione dei succhi digestivi di alcuni gasteropodi terrestri, sull’a-
mido è sui sascarosii. - Parona: Materiali per la fauna dell’isola di Sardegna (10.*
Ulteriore comunicazione sui 2Protisti della Sardegna). — Maggi: Sull’importanza
scientifica e tecnologica dell'esame microscopico delle. nostre acque. — Rivist
(Cattaneo: Sui protozoi del porto di Genova di A. Gruber). i de HE
- Fasc. III. e IV. - Zoja: Di un solco man noto dell’osso frontale — .Solco sopra-
frontale (2.* comunicazione). — Maggi: Sull’intfluenza d’alte temperature nello sv
-luppo dei Jicrozj — Da-Giovanni e Zoja: Risultati d’esperienze sullo sviluppo
sulla resistenza di Qacler: è vibrioni, in presenza d’alcune sostanze medicinali.
Maggi: Sul 2422r0 delle prove d'esame per l’analisi microscopica delle acque p
fabili e sul lempo per ciascuna di esse. — Staurenghi e Stefanini: Dei rapporti delle
fibre nervose nel chiasma ottico dell’uomo e dei vertebrati. (Comunicazione p
ventiva). - Bonardi: Le acque termo-minerali di Acquarossa in Val di Blenio
Svizzera — (Relazione). — Bonardi: Intorno all’influenza dell’acido fenico sui M
crobj e sul loro sviluppo. F4G LITRO
ANNO VII. — Fasc. I. - Zoia: Sulla permanenza della glaudola timo nei
ciulli e negli adolescenti (Nota II"). — Maggi: Intorno alle ricerche. di Pacini
guardanti i Protisti cholerizeni. — Bonardi: sulle Diatomee del lago d’Ort
Maggi: sulla analogia delle forme del Kommabacillus Koch, con quello dello Sp
rillum tenue ÉEar. osservate da Warning. — Pellacani: Sulla resistenza dei ve
leni alla putrefazione (Comunicazione preliminare). — Mofizze: Girard: (Anali
di una nota del Sig. Hommel di Zurigo sul cholera). — Comunicazioni: Cune
Sunto della prelezione del Prof. C. Parona dell’Università di Genova...
Fasc. II. — Zoja: Di un’apertura insolita del setto nasale cartilagineo.
municazione preventiva). — Maggi: Intorno alle ricerche di Pacini risguard
i Protisti cnolerigeni (cont. e tine). — Certes: Dell’uso delle materie coloran
nello studio fisiologico ed istologico degli infusorii. - Maggi: Per l’analisi I
eroscovica delle acque: — Uanna: Notizie universitarie. |.
} s eù x PAR RESTTRAE LAINO,
l
i
Giugno, Settembre e Dicembre. N 2,304
Bollettino Scientifico
REDATTO DA
LEOPOLDO MAGGI
PROF. ORD. DI ANATOMIA E FISIOLOGIA COMP. NELLA R. UNIVERSITÀ DI PAVIA
GIOVANNI ZOJA
PROF. ORD. DI ANATOMIA UMANA NELLA STESSA UNIVERSITÀ ,
ACHILLE DE-GIOYANNI
PROF. ORD. DI CLINICA MEDICA NELLA R. UNIVERSITÀ DI PADOVA.
Abbonamento annuo Italia L «|| Si pubblica in Pavia Esce quattro volte all'anno. -
La » Estero » 1©|/Corso Vittorio Em. N. 73|| Gli abbonamenti si ricevono în
Un numero separato... » 2 ______—____ Pay;j; dall’Editore e dai Redat-
Un numero arretrato . . >» Ogni N.° è di 32 pag.*|| tori.
RT SOMMARIO
G. ZOJA: Ossa pteriche (continuaz. e fine) con una tav. — G..Z0JA: Sopra alcuni:
crani esotici esistenti nel Museo anat.° di Pavia (continuaz). — R. MUNTI: Sul
sistema nervoso dei Dendroceli d’acqua dolce (Nota 1.*, con figure). — Dott. P.
MAGGI: Intorno alla febbre Dengue (Osservazioni e considerazioni). — RECEN-
SIONI: Prof. Pietro Pavesi: La distribuzione dei pesci in Lombardia. — Prof. -
Leopoldo Maggi: Centri di ossificazione e principali varietà morfologiche degli
interparietali nell'uomo. — Prof. Leopoldo Maggi: Risultati di ricerche mor-
fologiche intorno ad ossa e fontanelle del cranio umano. — Dott. M. Gay: Sul-
l’ applicazione della morfologia dell’organismo agli animali (Rapporti tarso-car-
diaci). — Prof Achille De Giovanni: Ippocratismo e sperimentalismo. Prof. -
LEOPOLDO MAGGI: NECROLOGIO DEL DOTT. RAFFAELLO ZOJA,
con elenco delle sue pubblicazioni. — Dott. R. Z0JA: Stato attuale degli studi
sulla fecondazione. (Dissertazione” di libera docenza), con tre tavole (Tema dato
dalla Commissione esaminatrice).
FRAMMENTI ANATOMICI
Ossa piteriche:
( Continuazione e fine ()).
ir ca Pros GIOVANNI ZOIÀ
(Con. una tavola).
Fino a quì le osservazioni caddero sopra crani di adulti
discendendo però fino ai bambini di 3 anni d’età, prestandosi
fin da questo momento alle investigazioni comparative coi
(1) Vedi questo stesso Bollettino, n.0 }, 1896.
34
crani definitivamente costituiti. Passando ora alle ricerche sui
ecrani dei teneri bambini al di sotto dei 3 anni e dei feti,
potei esaminare 23 crani di bambini, 14 di neonati e 23 di
feti. In tutto 60 cranietti.
Sopra 23 crani di bambini rinvenni le ossa pteriche già
stabilite tre volte, due in maschi ed uno in femmina, dei quali
diremo una parola in ordine discendente d'età.
Il primo si riferisce ad un bambino di 11 mesi (') sul quale
si conserva ancora un vestigio della fontanella bregmatica.
In questo si osserva un bel ossetto pterico medio a destra, è
irregolarmente trapezoide, del diametro massimo di 7 mm.
Il secondo si trova nel cranio di una bambina di tre mesi,
di cui si conserva tutto lo scheletro (?); ha le fontanelle ancora
relativamente larghe, specialmente la bregmatica e l’asterica.
La fontanella pterica di sinistra è tuttora accennata, mentre
la destra è chiusa totalmente da un osso pterico-crotatale
molto sviluppato, specialmente nel senso antero-posteriore,
misurando in lunghezza mm. 29, che corrisponde al terzo
delia lunghezza totale del cranio. La larghezza massima di
questo pterico è di mm. 7 (figura X.2).
Il terzo caso si vede sopra il cranio di un bambino di 29
giorni, dove l’ossetto pterico si trova a destra, fra l’alisfe-
noide e il parietale, e quindi pierico medio.
In tutti gli altri crani di età inferiore nella regione pte-
rica non vidi che nuclei più o meno numerosi, e cioè:
Bambino di 26 giorni — un sol nucleo nella fontanella
destra, presso l’angolo parieto-frontale.
Bambino di sei giorni (*). Esiste la fontanella pterica destra,
di figura triangolare, inscritta da tutte e quattro le ossa del
pterion. In questa regione si trovano 15 nuclei ossei, dei quali
ò sono scaglionati arcuatamente attorno alla metà antero-su-
periore dell’ alisfenoide. Di questi 5, tre, i più sviluppati, di
figura ovoidea, sono posti anteriormente e in basso, tra l’ali-
(1) Vedi — 12 Gabinetto ecc. op. cit. pag. 79, n. 155.
| (2) Vedi — /l Gabinetto ecc. op. cit. pag. 16, n. 19.
(3) Vedi — I Gabinetto ecc. op. cit. pag. 17, n. 21.
o
‘e
A
s
=
Bi
«r
35
sfenoide e il frontale; altri sette, stanno più in alto, ed occu-
pano lo spazio fronto-parietale, tenendosi più presso il parie-
tale stesso. Sono linearmente disposti dal basso all’ alto, e
sono più piccoli degli inferiori. Posteriormente all’ala, dove
la fontanella è più larga, si vedono altri tre nuclei, ma sono
piccolissimi. Al lato sinistro la fontanella è un po’ più estesa
all’avanti, e vi si vedono 14 nuclei ossei, dei quali 8 attorno
all'arco superiore della grand’ala, e 6 stanno più in alto, tra
il parietale e frontale. Alcuni nuclei ossei si osservano anche
alle suture parieto-mastoidea e lambdoidea, ma non nelle altre
fontanelle (!).
Sopra 14 teschi di neonati in due soli trovai nuclei ossei
pterici. In un cranio trovai due nuclei a destra, uno presso
lo squamoso, e l’ altro sopra la grand’ ala dello sfenoide, ma
vicino al frontale.
Nell’altro cranio di neonato vidi pure due nuclei ossei a
destra, avvicinati fra loro, situati presso l’angolo sfeno-squa-
moso della fontanella ; e un solo nucleo a sinistra nello stesso
sito, ma più vicino allo squamoso.
In fine sopra 23 crani di feti, in un solo, di circa 6 mesi
di vita intrauterina, rinvenni un granello osseo contiguo alla
grand’ ala dello sfenoide.
Moltissimi autori si occuparono di queste ossa e del loro
significato, come risulta anche dalla ricca bibliografia del Fi-
calbi, ma. io qui non intendo addentrarmi nell’ argomento,
avendo solo di mira la casistica del Gabinetto Anatomico da
me diretto.
Dall’esposizione fatta risulta che, nella raccolta craniolo-
gica del Gabinetto di Anatomia umana dell’Università di Pavia,
le ossa pteriche
1. si trovano, tenuto conto dei due lati di ciascun cranio,
nella proporzione di circa il 9 °/;
2. sono più frequenti a sinistra, meno a destra e sono
rari d'ambo i lati;
(1) Quante combinazioni non si possono dare nell’ ulteriore evoluzione di
questi numerosi nuclei!
36
3. proporzionatamente sono più frequenti nei crani ita-
liani di quello che non sia nei crani di stranieri e di antichi;
4. sono più diffusi negli uomini di quello che nelle donne;
5. comunemente sono uniche per ciascuna regione, ma
possono essere doppie ed anche, benchè raramente, triple;
6. assumono forme diverse a seconda della figura della
regione, dell'estensione che occupano e del numero in cui si
trovano j
7. possono occupare tutta la regione pterica (ossa pfe-
riche tipiche del Ficalbi) o solo una parte (pteriche anteriori
o posteriori dello stesso Autore), alle quali categorie si pos-
sono aggiungere le pteriche medie, le superiori, e le inferiori,
a seconda della parte ove sono rispettivamente situate e dei
rapporti che assumono;
8. di solito sono ben manifeste tanto all’eso che all’en-
docranio ; frequenti volte sull’ endocranio sono più larghe;
altre volte succede il contrario; ordinariamente le due faccie .
dell’ osso pterico non sono allo stesso livello; molte volte la
faccia interna sta più in basso e più all’indietro della faccia
esterna; vi sono dei casi nei quali queste ossa sono visibili
solo all’esterno o solo all’interno.
9. talvolta sono piccolissime, talvolta invece sono molto
estese ed invadono altre regioni del cranio, quella special-
mente della sutura squamo-parietale;
10. si articolano colle ossa vicine quasi sempre per su-
tura squamosa, assai di rado per sutura dentata; .
11. appajono tardivamente, dopo la nascita, anzi più
tardi('); nei feti ed anche nei neonati non vi sono che nu-
clei ossei, i quali possono bensì svilupparsi isolati e conver-
tirsi in ossa pteriche, ma possono anche fondersi colle ordi-
narie ossa vicine e assumere allora altri caratteri;
|. 12, solitamente si. conservano indipendenti fino all’ età
avanzata (?), sono quindi molto refrattarie alla sinostosi, ma
(1) Il FicALBI però vide e disegnò un pterico sinistro bene sviluppato nel -
cranio di un feto a termine (FicALBI op. cit. pagina 146, figura III.*). Ritengo -
che sia molto raro.
(2) Nel cranio d’un vecchio di 92 anni, nel quale sono scomparse tutte le
suture della volta, (ad eccezione dello squamoso-parietale) 1° osso pterico di
destra persiste tuttora indipendente.
37
possono passare anche alla sinostosi coll’ una o coll’ altra
delle ossa limitrofe; quando l’osso pterico sì unisce allo squa-
moso, lo stesso pterico diventa allora processo frontale del
temporale (1).
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
Segni comuni a tutte le figure.
F. Osso FRONTALE.
P. >» PARIETALE.
T. >» TEMPORALE (squamoso).
S. >» sFENOIDE (alisfenoide).
Figura 1. -- Lato destro del cranio di un bambino di 11 mesi.
b. Osso pterico medio.
NB. All’ estremità superiore della sutura sfeno-temporale esisteva
altro piccolo pterico posteriore in parte già congiunto al-
l’ alisfenoide.
>» 2.8 — Lato sinistro del cranio di una donna d’ anni 35.
i. Osso pterico inferiore.
>» 3.2 — Lato sinistro del cranio di una donna d’ anni 20.
d. Osso pterico postero-inferiore.
NB. La linea punteggiata segna la sinostosi incompleta fra un pree-
sistente pterico tipico e l’ alisfenoide.
Figura 4.2 — Lato sinistro del cranio di un fanciullo di 10 anni.
| b. Osso pterico medio.
c. » posteriore.
» 5.2 — Lato destro del cranio di un uomo d’ anni 25.
a. Osso pterico anteriore.
b. » posteriore, separati per un prolun-
gamento dell’ alisfenoide.
>» 6.2 — Lato destro del cranio di un uomo d’anni 35.
S. Osso pterico superiore.
i. » inferiore.
(1) Per me ritengo ancora che questo sia incontrastabilmente uno dei
modi di formazione del processo suddetto e della relativa sutura temporo-
frontale, come ebbi, a dichiarare fin dal }878 (vedi il mio Gabinetto di Anato-
mia umana ecc., op. cit. pag. 13. n.° 14).
38
Figura 7.2 — Lato sinistro del cranio della figura 5.* predetta.
a. Osso pterico anteriore.
b. » medio.
Cc. » postertore.
» 8.2 — Lato destro del cranio di un uomo di 40 anni.
( a. inferiore.
I b. superiore.
ed un pterico C. posteriore.
Due ossa pteriche anteriori
» 9.à Lato sinistro del cranio di un bambino di 5 anni.
p. c. Grande osso ptero-crotatale.
» 10. Lato destro del cranio di una bambina di 3 mesi.
p. c. Grande osso ptero-crotatale.
NB. I piccoli ossetti b, (pterico medio) ed a, (pterico posteriore), si-
tuati sotto il ptero-crotatale, sono quasi al tutto fusi col-
l’ alisfenoide..
Sopra alenni crani esotici esistenti nel Museo Anatomico di Pavia
Cenni del Prof. GIOVANNI ZOJA
(Continuazione (1)).
7.° Teschio di un vomo dell’ Isola di Ceram (papuano-ma-
lese), di circa 25 anni. (Dono del signor Dott. Filippo RHo, me-
dico di marina (?)).
Cranio piccolo, allungato, regolare, simmetrico, di parvenze
femminee ; fronte stretta, un po’ rialzata al centro e sfuggente
sui lati e in alto; le gobbe parietali sono poco pronunciate, e così
la glabella; le apofisi mastoidee, le-creste sopramastoidee, la cresta
occipitale esterna e le impronte muscolari sono modicamente svi-
luppate. Tutte le suture sono aperte, e le dentate sono anche
molto semplici; vi sono quattro piccoli wormiani alla lambdoidea,
due a destra piccolissimi, e due a sinistra un po’ più appari-
scenti; vi è anche un piccolo osso pierico posteriore (temporo-
sfeno-parietale) a sinistra, di figura quasi circolare, di cinque
millimetri di diametro. A destra vi ha l’ incisura sopraorbitale,
(1) Vedi questo stesso Bollettino, n.° 1, anno 1896.
(2) Vedi — Z/ Gabinetto ecc. op. cit. pag. 649 (125) numero 776.
eva
o VESPE ME BRIT I RE RITZ
“
x
G.Zoja-0ssa pteriche.
Rope | dn Pie:
79 ‘ g
Sodi a
39
e a sinistra’ il foro omonimo. A destra vi ha anche l’ uncino
trocleare, che manca a sinistra. Vi sono i fori parietali, dei
quali il sinistro è piccolissimo. Il foro condiloideo anteriore si-
nistro è bipartito. Il foro occipitale allungato è diretto quasi
orizzontalmente. Sono tracciati i solchi temporo-parietali esterni,
specialmente il sinistro.
Faccia relativamente larga e prognata, in particolar: modo
alla regione alveolo-dentale superiore ; orbite un po’ alte e pro-
fonde; apertura piriforme angusta; ossa nasali strette e brevi;
fossa canina alquanto incavata; tracciata la sutura incisiva. Man-
dibola parabolica, mento alquanto sporgente; questo offre infe-
riormente una sensibile e larga depressione, incavatura sotto-
mentale; gonion ottuso e scabro all’indentro; cresta genii molto
sviluppata.
Vi sono sedici denti superiori in buon stato; l’incisivo la-
terale sinistro però è cariato. — Anche la mandibola è prov-
veduta di sedici denti ben conservati, solo che gli incisivi late-
rali sono impiantati più all’indentro dei vicini.
Capacità cranica cc. 1175.
Indice cefalico. . . 76,61
viorbiale ESSO
vi nasale 900
Peso del cranio . . . grammi 478
» della mandibola . » 96
» totale del teschio. » 974
8.° Teschio di un Chinese di circa 35 anni, raccolto dal
Panizza (1).
Cranio corto, largo, alto, un po'asimmetrico, abbonda all’in-
dietro più a destra. La glabella è spaziata; manifeste le gobbe
frontali; pronunciate molto le gobbe parietali, mancano quasi le
occipitali. Modicamente sviluppate sono le arcate orbitali e le
occipitali, l’inion largo e basso; corte e grosse le apofisi ma-
stoidee; sensibili le creste sopramastoidee e la cresta temporale
del frontale. Le suture tutte aperte e semplici, meno ai lati
della coronale, dove la sutura è finamente complicata da brevi
(1) Vedi — Il Gabinetto ecc. op. cit. pag. 87, numero 182.
40
dentellature; un piccolo wormiano al lato sinistro della lamb-
doidea, e due altri piccoli wormiani all’asferzon, uno per parte.
Foro sopraovbitale a destra, a sinistra invece l’incisura. Fori
pavietali normali; i condiloidei anteriori sono bipartiti. Apofisi
stiloidee gvacili e lunghe. Considerevole canale vascolare nel
mezzo dell’ apofisi basilare all’ endocranio.
Faccia alta, larga, prognata; orbite ampie, alte e poco pro-
fonde; doccia lagrimale formata per tre quarti dall’unguis. Ossa
nasali molto larghe, anchilosate fra loro; spina nasale molto ma-
nifesta che si prolunga in basso formando una cresta saliente
che finisce al labbro alveolare interdentale medio. Zigomi larghi
e volti un po'anche all’ avanti; volta palatina concava, stretta,
rugosa; spiegata la spina jugale.
Mandibola robusta, angolo rugoso e spinto un po’in basso
(leggero mucrone del Sandifort). Apofisi coronoide assai lunga;
due grosse apofisi genii; molto distanti i fori mentonieri.
Tutte le ossa di questo teschio sono bene sviluppate e ro-
buste.
Vi sono tutti i denti in buon. stato e colorati in nero e in
porpora.
Capacità cranica cc. 1620.
Indice cefalico. . . 88,23,
» orbitale. ... 80,0
DO NASA DA
Peso del cranio . . . grammi 629
» della mandibola . » 97
» totale del teschio . » 726
9.° Teschio di un Chinese di circa 35 anni.
Cranio depresso alla fronte, compresso all’ occipitale e rial-
zato al vertice. Le gobbe parietali sono molto pronunciate. La
glabella e le arcate orbitali sono modicamente rilevate; l’apofisi
mastoidea lunga; manifeste le creste sopramastoidee ; poco pro-
nunciato l’ :n/on. Le suture sono tutte bene manifeste ad ecce-
zione della parte posteriore della sagittale e della centrale della
lambdoidea, dove è cominciata interrottamente la sinostosi. Esiste
l'osso plerico tipico d’ambo i lati. Vedesi ancora un altro wor-
miano occipito-mastoideo per lato.
TTM EE] AE SE en
41
A destra v'è l’incisura sopraorbitale e sopra questa appa-
jono due fori; a sinistra il foro sopraorbitale è completo. Non
vi sono fori parietali Il foro occipitale è ampio, circolare e di-
vetto quasi orizzontalmente. Si vedono i solchi temporo-parietali
esterni, dei quali il sinistro è più largo e profondo.
All’endocranio si notano; la cresta frontale interna bassa
ma tagliente, e così è aguzza anche l’apofisi cristagalli. Esiste
poi una discreta fossetta occipitale mediana.
Faccia lavga con considerevole prognatismo alveolo-dentale
superiore. Ovbite piccole; doccia lagrimale formata per metà
dall’unguis e per l’altra dal mascellare; spina nasale poco ma-
nifesta, ma prolungata in basso in forma di cresta.
Alla mandibola si notano: mento largo; angolo quasi retto;
enorme la cresta genil.
«Mancano parecchi denti molari inferiori; gli altri sono in
discreto stato e colorati in nero marrone. La faccia anteriore
degli incisivi, canini e premolari è così liscia, levigata e mor-
bida da far ritenere che ciò siasi ottenuto artificialmente (4).
Capacità cranica cc. 1415.
Indice cefalico. . . 86,90
» «orbitale. 0. 184
DE nasale CISL
Peso del cranio . . . grammi 532
» della mandibola . » 76
» totale del teschio . » 608
10.0 Teschio di un uomo del Tibet, d’anni 38.
Cranto alquanto piccolo, leggermente asimmetrico, più rial-
zato il parietale destro del sinistro; fronte un po’stretta e sfug-
gente; glabella prominente; arcate orbitale non molto spiccate;
discretamente sviluppate le apofisi mastoidee, le creste soprama-
stoidee, l’inzon, le arcate occipitali superiori e le altre impronte
muscolari. Le suture sono tutte aperte; la coronale è finamente
dentellata e complicata; semplici invece sono la sagittale e la
lambdoidea. A destra il pferzon ad X, ed a sinistra accennata
(1) Vedi — IZ) Gabinetto ecc. cit. pag. 644 = (120) numero 770.
42
la sutura temporo-frontale. Due fori sopraorbitali a destra, e
un’incisura a sinistra. Foro occipitale circolare. — Tracciati i
solchi temporo-parietali esterni.
Faccia un po lunga; legger prognatismo; fossa canina pro-
fonda; orbite ampie e poco profonde; accennate le fossette pre-
nasali; spina nasale pronunciata e accennata la cresta sottona-
sale.
Mandibola larga, robusta, mento sporgente, manifesto il mu-
crone di Sandifort (apofisi lemurinica dell’ Albrecht). Quattro
eminenze genil.
I 32 denti, meno uno, sono in buon stato (!).
Capacità cranica cc. 1335.
Indice cefalico. . . 86,74
» ornate SA
SEMI SI
Peso del cranio . . . grammi 614
» della mandibola . » dl
» totale del teschio . » 705
11.° Teschio di un Magiaro di circa 40 anni (manca della
mandibola e .di tutti i denti superiori).
Il cranio è corto, basso e largo. Fronte bassa, sporgenti le
gobbe parietali. Sono discretamente pronunciate la glabella, le
arcate orbitali, le apofisi mastoidee, le creste sopramastoidee,
l’inion e le impronte muscolari. Sono invase da parziale sino-
stosi le suture coronale e sagittale; la lambdoidea e le squamose
sono aperte. Moltissimi wormiani alla lambdoidea, stretti, lunghi
fin due centimetri.
Si vedono i fori sopraorbitali, dei quali a destra se ne tro-
vano due, situati più in alto del solito; non vi sono fori parie-
tali; vi è invece un forellino mediano sull’apofisi basilare, al
davanti del basion. Manifesti 1 solchi soprafrontali e temporo-pa-
rietali esterni.
Faccia larga; zigomi sporgenti; orbite larghe e profonde;
tracciate le fossette prenasali; manifesto il torus palatinus (?).
(1) Vedi — 2 Gabinetto ecc. op. cit. pag. 645 (121), numero 771.
(2) Vedi — Il Gabinetto ecc. pag. 642 (118), numero 768.
NANI 4 ST: DE TT
43
Capacità cranica cc. 1370.
Indice cefalico. . . 83,70
>» irorbilale ii vI56
>. nasale 109,5
Peso del cranio (senza mandibola) grammi 697
12.° Teschio di un Magiaro d’ anni 40.
Cranio di bella forma ovale. Sono spiccate la glabella, le
arcate orbitali, le creste sopramastoidee, le creste temporali del
frontale. — Corte le apofisi mastoidee; sporgente l’inzon, sopra
cui sì nota una larga depressione. Le suture coronale, lamb-
doidea e squamose sono aperte; chiusa invece quasi del tutto la
sagittale. Vi ha l’incisura sopraorbitale a destra e il foro a si-
nistra; esistono i fori parietali.
Faccia lunga; orbite ampie; doccia lagrimale fatta per metà
dall’unguis e per l’altra metà dal mascellare; ossa nasali corte;
molto profonde le fosse canine.
Mandibola parabolica, mento stretto e sporgente.
Mancano alcuni denti, gli altri sono in buon stato (!).
Capacità cranica cc. 1485.
Indice cefalico. . . 83,70
»’ orbitale. ... 944
Di nasale Sir 522
Peso del cranio - . . grammi 518
» della mandibola . » 79
» totale del teschio . » 597
13.° Teschio di un uomo della Lapponia di circa 25 anni (?).
Cranio piuttosto piccolo, rialzato al vertice. Le suture sono
bene appariscenti tutte, meno quelle che concorrono a formare
il pterion (fronto-parietale, sotto lo stephanion, sfeno-parietale,
e sfeno-frontale), che sono scomparse d’ambo i lati. Non si ve-
dono ossa wormiane. Le gobbe, le creste e le impronte musco-
lari sono discretamente accennate; piccole le apofisi mastoidee ,
(1) Vedi — I Gabinetto ecc. pag. 643 (119), numero 769.
(°) Vedi — 12 Gabinetto ecc. op. cit. pag. 647 (123), numero 773.
dd
gracili e corte le stiloidee; l' 7n20n. nullo. Si notano le inci-
sure sopraorbitali, un solo foro parietale, il destro; i fori con-
diloidei anteriori sono. bipartiti d’ambo i lati. È considerevole
la fossetta faringea e sono manifesti i solchi temporo-parietali
esterni.
Faccia un po' lunga, angolosa; orbite ampie e profonde;
l'orlo inferiore dell’ orbita presenta un uncino d’'ambo i lati,
subito sopra il foro infraorbitale l'apertura piriforme è asimme-
trica per essere l'osso nasale di sinistra più corto; l’ osso na-
sale destro poi nella metà inferiore è saldato coll’ apofisi mon-
tante. Le fosse canine sono profonde. Alla volta palatina si vede
ben spiccato il forus palatinus.
La mandibola è molto sporgente al mento ed offre manifeste
le creste genii. Il solco milo-joideo è convertito in canale com-
pleto a sinistra, incompleto a destra.
Vi sono quattordici denti superiori bellissimi, e dei denti
della sapienza superiormente non si vede alcuna traccia. Bel-
lissimi sono pure i denti inferiori in numero di sedici.
Capacità cranica cc. 1180.
Indice cefalico. . . 69,66
NEMI OT
> nasale 43,9
Peso del cranio. . . grammi 550
» della mandibola . » 75
» totale del teschio. » 625
140 Teschio di una donna della Lapponia di circa 40
anni (4).
Cranio corto, fronte larga e bassa; suture bene manifeste
ad eccezione della sagittale che è completamente chiusa nella
metà posteriore; due piccoli wormiani alla lambdoidea, uno per
lato. Sono poco pronunciate le arcate orbitali, le creste e le
impronte muscolari; piccole le apofisi mastoidee; l’inion è nullo.
Vi sono: le incisure sopraorbitali e il foro sopraorbitale all’ in-
fuori dell’ incisura corrispondente ; il solo foro parietale destro;
ampio e quasi circolare il foro occipitale ; tracciato il solco tem-
poro-parietale esterno del lato sinistro.
(1) Vedi — 77 Gabinetto ecc. op. cit. pag. 679 (155), numero 816.
ae Ac
45
Faccia un po' larga con leggero prognatismo alveolo-dentale
superiore. Orbite larghe e un po’ oblique; fossa canina poco in-
cavata; volta palatina munita del torus palatinus molto pro-
nunciato.
NB. La mandibola non corrisponde esattamente al cranio, e
quindi di essa non si può tenere alcun conto.
Mancano primitivamente alla mascella superiore i denti della
sapienza e caddero da tempo i secondi premolari ; esistono tutti
gli altri ma sono male impiantati e molto logori dall’ uso.
Capacità cranica ce. 1350.
Indice cefalico. . . 80,37
»Wioroztale:. Ne 972
» nasale. . . 44,0
Peso del cranio (senza mandibola) grammi 601.
15.° Teschio di un Cosacco di Don di circa 25 anni rac-
colto dallo Scarpa (!). È di bellissima forma.
Cranio voluminoso, ampio, quadrilatero. Suture aperte, senza
ossa wormiane. Gobbe frontali molto pronunciate. Inzon grosso;
cresta occipitale esterna larga e prominente. Apofisi mastoidee
lunghe e sottili. Foro occipitale piuttosto piccolo, quasi circolare.
Esplorando col dito l’ endocranio si avverte un'ampia fossetta
cerebellare mediana.
Faccia larga quadrilatera, simmetrica; orbite ampie, pro-
fonde; apertura piriforme larga; volta palatina larga, quadri-
latera. — Traccie della sutura incisiva.
Mandibola armonica, parabolica; gonzon quasi retto.
Vi sono tutti i denti in buonissimo stato.
Capacità cranica (col miglio) cc. 1790.
Indice cefalico. . . 82,44
sorvolo 029
De nasale i 54.0
Peso del cranio . . . grammi 545
» della mandibola . » 87
» totale del teschio. » 632
(®) Vedi - Scarpa: Index rerum Musei Anatomici ticinensîs. Ticini MDCCCIV.
numero 19, ed ZZ Gabinetto eec. op. cit. pag. 86, numero 179.
46
16.° Teschio di un bastardo Chinese di circa 30 anni, rac-
colto dal PANIZZA (").
Cranio ovale; fronte piccola, sfuggente all’indietro ; suture
aperte; piccole ossa wormiane tra il parietale e la porzione ma-
stoidea del temporale (ossa asteriche) d'ambo i lati; un piccolo
osso pterico a destra; pierzon in X; nion molto sporgente;
apofisi mastoidee lunghe; foro condiloideo anteriore bipartito a
destra.
Faccia stretta, leggermente prognata; orbite piccole, profonde;
apertura piriforme quadrilatera; fosse canine ricolme; spina na-
sale corta.
Mandibola parabolica, mento sporgente.
Dei denti, colorati in rosso porporino, manca solo quello della
sapienza inferiore sinistro.
Capacità cranica (col miglio) cc. 1012.
Indice cefalico. . .. 83,52
»oivorbeutalesi bi i 98,4
» nasale . . . 46,0
Peso del cranio . . . grammi 551
» della mandibola . » 87
» totale del teschio. » 638
(Continua).
(") Vedi — Z/ Gabinetto ecc. op. cit. pag. 86, numero 180.
Sul sistema nervoso dei Dendroceli d’acqua dolce
NOTA PRIMA
DI
RINA MONTI
Sono passati appena quattordici anni da che il Grarr (!) ha
dimostrato l’esistenza di un sistema nervoso nella Planarza le-
muli, e dopo d’allora la morfologia del sistema nervoso di questi
animali venne illustrata dal LanG (?}, dall’ Iyima ($), dal Woop-
(1) Grarr — Monographie der Turbellarien, I. Rhabdocoelida. — Leipzig 1882.
(2) Lang — Das Nervensystem der Tricladen. — Mittheil. a. d. Zool. Stat. zu
Neapel. Bd. III. pag. 53.
(8) Iryima — Untersuchungen uber den Bau und die Entwickelungsgeschichte der
Susswasser Dendrocoelen. (Tricladen) Zeitschr. f. wiss. Zool. Bd. XL. 1884 pa-
gine 359-464. Tav, XX-XIII. 35
47
WORTH ('), dal CHIcHKOFF (*) dal VeIpovsKy (8). — Fino all’anno
scorso però, quando io ho incominciato le presenti ricerche, nes-
suno aveva ancora tentato, sui Dendroceli d’acqua dolce, un ac-
curato studio istologico, col sussidio dei metodi suggeriti dalla
tecnica moderna per lo studio del sistema nervoso. — Le mie
ricerche erano già a buon punto, quando comparve una nota del
BLOCHMANN sul sistema nervoso dei cestodi (*), nel quale trovasi
una frase che accenna a risultati ottenuti applicando il metodo
del GoLei, anche alle planarie. Egli dice precisamente che « nel
» plesso nervoso dorsale dei Dendrocoelum lacteum si trovano,
» come nei cestodi, delle cellule multipolari i cui prolungamenti
» ripetutamente ramificati terminano liberi nell’ epitelio ».
Io debbo perciò affrettarmi a pubblicare i risultati, che ho
ottenuto finora applicando il metodo rapido del GoLai allo studio
del Dendrocoelum lacteum, Planaria torva, Polycoelis brunnea,
Planaria montana. — Quest’ ultima specie, stata recentemente
descritta dal CHicHKoFF () venne da me trovata in Italia, nelle
freddissime acque correnti della valle d’Intelvi, e della Valtel-
lina, dove è assai frequente e si spinge fino a considerevoli al-
tezze, (oltre duemila metri).
Noto di passaggio che trovai la planaria montana solo nelle
acque sorgive, non mai nei torrenti che scendono dai ghiacciai.
Darò una descrizione complessiva dei miei risultati poichè
questi riescirono molto conformi in tutte le specie studiate.
Il metodo lento del GoLGi non si può applicare a questi ani-
mali che non si conservano bene in bicromato: il metodo rapido
(1) WoopworTH — Contributions to the Morphology of the Turbellaria I. on
the structure of Phagocata gracilis, Leydy. Bullettin of. the Mus. of. compar. Zoology.
vol. XXI. N. 1. Cambridge april. 1891.
(2) CHicHKoFF — Recherches sur les Dendrocoeles d’eau douce. Archives de
Biologie. Tome XII. Fasc. III. 1892.
(3) VEJDOvsKy — Zur vergleichenden Anatomie der Tubellarien. (zugleich ein
Beitrag zur Turbellarien-Fauna Bòhmens). — Zeitsch. f. wiss. Zoologie. Band LX.
I, II. Heft. 1895.
(4) BLOCHMANN — Ueber freie Nervenendigungen und Sinneszellen der Bandwiir-
mern. Biologisches Centralblatt. 15. 1895.
(5) l. c.
48°
fornisce buoni risultati già dopo. due ore di immersione nella
miscela osmia-bicromica : la reazione continua però fino al 9-10.
giorno di immersione in miscela; al quarto e quinto giorno si
hanno di solito i risultati migliori. — Ho usato anche la 7-
pregnazione doppia suggerita dal CasaL e il nuovo processo
ideato dal GoLGIi e designato col nome di metodo del ringiova-
nimento: con entrambi questi procedimenti ho potuto osservare
finissime particolarità. — La reazione avviene facilmente sul
sistema nervoso periferico ; si presenta più difficile e di solito
incompleta sugli organi nervosi centrali. Non di rado si impre-
gnano numerose fibre muscolari ed altri elementi, spessissimo
le rabditi, che mascherano così il campo dell’ osservazione.
Ho tentato anche il 722etodo d’ EuRLIcH, lasciando vivere lun-
gamente le planarie in una soluzione molto attenuata di tur-
chino di metilene, ma i risultati furono piuttosto scarsi, e limi-.
tati quasi soltanto ai muscoli.
Ho fatto sezioni sagittali, perpendicolari e orizzontali.
Da un punto di vista m0rfologico, possiamo distinguere nelle .
nostre planarie un sistema nervoso centrale, ed un sistema ner-
voso periferico; da un punto di vista istologico però, non è facile
segnare i limiti dell’uno e dell’altro, perchè molti elementi appar.
tengono ad entrambi; molte cellule, ad esempio, hanno il loro corpo
nei cordoni longitudinali, e mandano prolungamenti fino nell’epi-
telio; altre si trovano immediatamente sotto all’ epitelio e man-
dano prolungamenti fino nei cordoni. — Per ragione di chiarezza
quindi tratterò complessivamente dell’ istologia degli elementi e
delle loro connessioni, dopo aver dato una idea generale della.
morfologia del sistema nervoso centrale e periferico.
Comunicherò dapprima quanto ho potuto osservare in gene-
rale riguardo alla struttura del sistema nervoso centrale.
Nelle planarie, devonsi considerare come organi nervosi cen-
trali, gli interi cordoni longitudinali e non soltanto il loro ri-
gonfiamento cefalico, colla relativa commissura. — Tale idea, già.
affermata da Inima, risulterà ben giustificata dalla descrizione,
che sto per esporre..
In sezioni sagittali è facile riconoscere i due cordoni nervosi ©’
(cordoni longitudinali degli autori) che appaiono costituiti da fibre.
e da cellule.
)
49
Le fibre nervose raggruppate per lo più in fascio, hanno de-
corso tortuoso e spesso si incrociano: hanno diverso calibro, ta-
lune presentano dei rigonfiamenti fini, così che appaiono come
coroncine di perle, altre, mostrano solo di tratto in tratto, delle
grandi varicosità (nuclei ?) Talvolta, queste fibre sono molte av-
vicinate e si incrociano o si intrecciano tra loro: altre volte
sono molto divaricate, così che il cordone appare assai largo.
Frammezzo a queste fibre, si trovano molto abbondanti certe
cellule nervose, che hanno il tipo di elementi bipolari, conti-
nuantisi alle due estremità con fibre nervose: in. altri termini,
tali cellule appaiono come rigonfiamenti fusati sul decorso di una
fibra. Ma oltre a queste, lungo i cordoni, e specialmente al loro
lato interno, e talvolta anche più addentro nel parenchima, si
osservano delle cellule multipolari di cui un prolungamento si può
vedere uscire dal cordone ed addentrarsi per lunghi tratti nel
parenchima con caratteri di fibra nervosa: gli altri prolunga-
menti si ramificano più presto e si perdono nel cordone stesso.
Si trovano anche delle cellule unipolari come dirò in seguito.
Ciascun cordone presenta di tratto in tratto, ad uguali di-
stanze, dei rigonfiamenti, che qualche volta appaiono totalmente
impregnati, altre volte si risolvono in un reticolo di fibrille sparso
di cellule nervose.
In corrispondenza di tali rigonfiamenti escono i nervi laterali.
Analoga struttura si osserva all'estremo cefalico, dove i due
cordoni rigonfiati e riuniti da una larga commissura, formano
FIGURA 1.8 — Ramificazioni delle fibre nervose e reticolo nervoso in corrispon-
denza dei rigonfiamenti dei cordoni. Questa fisura è riuscita
9 : < DIE . . €
un po'grossolana. Il reticolo nervoso è molto più ricco e più fino.
2
50
il ganglio cerebroide. — Anche all'estremo caudale, dove. ter-
minano i due cordoni, si nota una commissura, nella quale sono
raggruppate molte cellule bipolari, unipolari e multipolari. Alla
formazione del fittissimo reticolo nervoso dianzi accennato par-
tecipano principalmente le ‘suddivisioni collaterali delle fibre lon-
gitudinali e di quelle dei nervi laterali. Tale reticolo. nervoso,
corrisponde, secondo me, alla sostanza punteggiata e costituisce
la caratteristica dei gangli: interpreto quindi i cordoni longi-
tudinali come una catena gangliale non ancora differenziata.
Dai cordoni nervosi longitudinali partono: 1
a) commissure trasverse, che in alcune opportune sezioni
si vedono andare da un cordone longitudinale all’altro, e si ri-
conoscono costituite da poche ‘fibre nervose, accompagnate da
cellule per lo più bipolari. Le commissure trasverse, mandano
rami sottili nell'interno del corpo. Alcune fibre vennero da me
seguite fino nei testicoli, dove terminano ramificandosi, altre
frammezzo ai diverticoli intestinali.
b) nervi laterali costituiti da fibre nervose e da cellule
bipolari. Tali nervi terminano in parte nei muscoli, in parte
passano nel plesso nervoso periferico.
Le fibre che si riscontrano in detti nervi laterali si possono
dividere in due categorie: le une passano direttamente dai nervi
nei cordoni longitudinali, e pur dando collaterali che si perdono
nel reticolo già accennato, conservano la loro individualità per
lunghi tratti dei cordoni stessi, fino a che mettono capo a una
cellula nervosa di cui costituiscono così il prolungamento assile ;
le altre, entrate nel cordone, si suddividono replicatamente e si
perdono nel complicato sviluppo di fibrille che costituisce il re-
ticolo. Tali fibre sono evidentemente quelle che hanno origine
dalle cellule nervose periferiche di cui diremo in seguito.
Prima di entrare a parlare del plesso nervoso periferico,
debbo ancora dire come in alcuni punti sia facile riconoscere
che, oltre ai due cordoni longitudinali già descritti, esistono
altri due cordoni nervosi più periferici e assai meno robusti.
Tali cordoni esterni hanno un decorso assai irregolare, occupano
RIO O 9
1
4
51
per lo più la zona dei muscoli circolari, e si spingono fino sotto
la membrana basale, ma possono sogna anche tra i muscoli
longitudinali.
Sono forse questi i cordoni marginali degli autori: tali
cordoni sono in intimo rapporto tanto col plesso nervoso peri-
ferico, di cui dirò in seguito, come pure coi cordoni longitudi-
nali. — In molti punti anzi, non ho osservato che un unico
cordone: si è fuso il cordone longitudinale col marginale, ovvero
è incompleta la reazione ?... Io tendo a credere che sia più con-
forme al vero la prima opinione.
Dirò ora di quanto ho potuto osservare intorno al sistema
nervoso periferico, ed ai rapporti istologici dei suoi elementi
con quelli del sistema nervoso centrale.
Come è noto, nelle nostre planarie sotto l’epitelio di rivesti-
.mento trovasi una robusta zona muscolare, costituita da diversi
strati, che si suole designare col nome di musculatura tegumen-
tale. Appunto in questa zona trovai un ricco e complicato plesso
nervoso, alla cui costituzione partecipano elementi nervosi peri-
.ferici e prolungamenti di elementi centrali.
Tale plesso trovasi tanto sulla faccia dorsale, come sulla
faccia ventrale; in modo particolare esso presentasi ricco e com-
‘plicato all’ estremità anteriore dell’ animale.
Una idea chiara della costituzione di questo plesso risulterà
dallo studio della istologia e delle connessioni degli elementi
nervosi centrali e periferici.
Tra questi ho potuto distinguere i seguenti :
1) Grosse cellule multipolari periferiche. — Appaiono isolate
(N dick etna Tua
= Si
dl RISOE tl DN
G
NOTE
FIGURA 2.2 — A sinistra una cellula multipolare periferica, a destra una cel-
lula fusata.
92
o raggruppate: hanno il corpo cellulare per lo più tondeggiante,
situato nella zona muscolare e precisamente più spesso alla base
dello strato muscolare longitudinale, qualche volta anche più
profondamente, in seno al parenchima, raramente più vicino al-
l’epitelio di rivestimento.
Queste cellule presentano il loro asse longitudinale di solito
perpendicolare alla superficie del corpo dell’animale, più di rado
sono oblique.
Dal corpo cellulare partono due categorie di prolungamenti.
a) prolungamenti dendritici. — Partono di solito dal polo
esterno delle cellule, in numero variabile, da due a cinque e più,
grossi all’ origine, grossolanamente varicosi, ramificati a guisa
di albero, e seguendo un cammino più o meno tortuoso, sì por-
tano costantemente verso l’epitelio; i loro numerosi rami ter-
minali attraversano la membrana basale e si insinuano tra le
cellule epiteliali, arrivando fino quasi alla superficie libera.
bh) prolungamento assiale. — Dalla base di ogni cellula,
cioè dal polo interno ha origine un prolungamento sottile di ca-
libro uniforme, che si dirige verso la parte interna dell’animale,
e che non di rado sì può seguire lungo i nervi laterali fino entro
i cordoni longitudinali. — Nel suo decorso questo prolungamento
presenta non di rado tenuissime collaterali, che si possono seguire
per tratti più o meno brevi, assume poi il carattere di fibra
nervosa.
Prima di chiudere la descrizione delle cellule multipolari
FicuRra 3.° — A destra una cellula bipolare con pennacchio periferico. a si-
nistra una cellula fusata con parecchi prolungamenti.
ii £-;
53
accennerò come in alcuni casi, per verità non frequenti, ho os-
servato l’ anastomosi tra un prolungamento dendritico di una
cellula, con un prolungamento simile di altra cellula dello stesso
tipo. Con tutta probabilità queste eccezionali anastomosi sono la
espressione di una incompleta divisione cellulare: rappresentano
ciò soltanto un piccolo fatto di parziale arresto di sviluppo.
2) Cellule. bipolari con pennacchio periferico. — Hanno forma
fusata ad ovoide: sono pure disposte col loro asse longitudinale
perpendicolare alla superficie del corpo dell’animale. I corpi cel-
lulari di tali elementi possono trovarsi a diversa altezza: talvolta
sono molto superficiali, tra le fibre muscolari trasversali od
oblique, in vicinanza quindi dell’epitelio di rivestimento, oppure
sono sparse lungo i nervi laterali, ovvero si trovano ancora più
all’interno dentro gli stessi cordoni longitudinali.
Ciascuna cellula è munita di due prolungamenti che si stac-
cano da due poli opposti e precisamente :
a) un prolungamento che chiameremo perzferico, si stacca
abbastanza ingrossato dal corpo cellulare, si dirige ondeggiando
verso la superficie e si ramifica ripetutamente formando una ricca
arborescenza. I ramuscoli terminali attraversano la membrana
basale e si perdono dividendosi ancora tra le cellule epiteliali
di rivestimento.
b) un prolungamento centrale, più sottile, conico alla
base, liscio, con andamento alcun poco ondulato, che fornisce
tenui collaterali, si continua direttamente con una fibra nervosa
dei nervi laterali, o dei cordoni longitudinali.
3) Cellule con pennacchio periferico munite di più prolunga-
Ficura 4.8 — Cellule con pennacchio periferico, munite di più prolungamenti.
Nella cellula a sinistra si vede come il prolungamento perife-
rico mandi un ramo discendente che si dirige verso i muscoli
longitudinali.
54
menti, sono cellule molto simili alle precedenti, come queste for-
nite di un prolungamento periferico a terminazione intraepite-
liale, e di un prolungamento centrale continuantesi con una
fibra nervosa. Oltre a questi due prolungamenti tali cellule ne
posseggono altri, di solito uno, più raramente due, che si rami-
ficano dopo inse tratto con carattere dentritico e così finiscono
nei muscoli, nel parenchima o negli stessi cordoni. Talvolta sif-_
fatti prolungamenti secondari si staccano dal prolungamento pe-
riferico anzichè dal corpo cellulare.
4) Terminazioni nervose libere intraepiteliali. — Oltre ai pro-
lungamenti dendritici delle cellule bipolari ed alle suddivisioni
del prolungamento periferico delle cellule bipolari, arrivano al-
l’epitelio di rivestimento delle fibre nervose che escono dai cor-
doni longitudinali per i nervi laterali, o che provengono dai
cordoni marginali, senza che si possa d’ordinario vedere la cel-
lula di origine.
Jet JE S
SICH
FiGuRA 5.° — Terminazioni nervose libere all’ estremità cefalica del dendrocoe-
lum lacteum.
Sono fibre fine, a decorso tortuoso, spesso incrociantisi tra di
loro, che, giunte nello strato dei muscoli circolari si ramificano
ripetutamente, dando luogo a dei tronchi obliqui o tangenziali
rispetto alla membrana basale, finchè le ultime numerosissime
terminazioni si dirigono verticalmente in alto e attraversando
la membrana basale finiscono nell’ epidermide, formando come
innumerevoli forchette, che abbrancano ciascuna cellula epiteliale.
Tali terminazioni nervose libere sono particolarmente fitte
ed abbondanti all’ estremo anteriore dell’animale, in quella parte
cioè, che, secondo gli autori, avrebbe il significato di organo
tattile. (Veggasi la figura 5?).
Io tendo a credere che siffatte terminazioni nervose siano
analoghe a quelle formate dal prolungamento periferico delle
bh)
cellule bipolari e che ne differiscono soltanto, perchè la loro cel-
lula di origine, trovasi molto più internata nel sistema nervoso
centrale.
Giudico che siffatti elementi siano organi di sensibilità gene-
rale, mentre sono inclinata e ritenere le cellule multipolari come
organi di senso specifico.
Dentro ‘gli stessi cordoni longitudinali, talvolta al di fuori dei
medesimi, nella zona dei muscoli tegumentali, si trovano altri
elementi nervosi, che pure hanno intimi rapporti col sistema
nervoso periferico.
5) Abbondano specialmente delle cellule fusate, munite or-
dinariamente di due prolungamenti, disposti in senso parallelo
rispetto al contorno dell'animale. — Il corpo cellulare ha la
forma di fuso o di ovoide allungato: da ciascuno dei due estremi
parte un prolungamento : l’uno decorre per un notevole tratto
ondeggiando, e poi si divide in rami più fini, che si perdono nei
cordoni o nei tessuti circostanti ; l’ altro, che ha carattere di
prolungamento assile, si può seguire per lunghissimi tratti, e
lo si vede riunirsi con altre fibre nervose. (Veggasi la cellula
inferiore nella figura 2°).
Altre cellule consimili, più numerose, hanno un prolunga-
mento centrale che si riunisce colle fibre nervose come sopra,
ed uno periferico, che, dopo lungo cammino nei muscoli tegu-
mentali, si vede ramificarsi in mezzo a questi in diversa guisa.
6) Esistono pure cellule molto affini alle precedenti, ma piut-
tosto ovoidi, aventi però la stessa disposizione, munite di parecchi
prolungamenti, alcuni più grossolani, sparsi di varicosità molto
spiccate, che si suddividono a distanza più o meno grande dal
corpo cellulare in piccoli rami terminali: un prolungamento più
liscio, più fino, più regolare dei precedenti si può accompagnare
per lungo tratto nei muscoli, e si vede in questi suddividersi in
piccole fibrille tortuose, che difficilmente si possono seguire.
(Veggasi la cellula a sinistra della figura 32).
Hanno un contegno consimile altre cellule trigone di solito
con tre o quattro prolungamenti, più spesso situate dentro i
cordoni.
56
7) Infine ho osservato delle cellule monopolari a. proposito
delle quali, potrebbesi dubitare che si tratti di impregnazioni
incomplete. Mi riserbo quindi di ritornare sull'argomento in una
seconda nota. Dirò ora soltanto che in, molte preparazioni, sì
riscontrano cellule tondeggianti munite di un solo prolungamento
che, ingrossato all'origine, si estende per lunghissimi tratti,
spesso seguendo il contorno dell’ animale e dando luogo a fine
collaterali.
Alcune volte le collaterali si staccano precocemente e sì sud-
dividono in modo ripetuto: non di rado si può vedere che il
tronco principale continua verso i nervi laterali e si unisce colle
fibre dei cordoni.
Dalla descrizione dei suddetti elementi, si comprende quanto
complicati sieno i rapporti esistenti tra il sistema nervoso cen-
trale e il plesso nervoso periferico. Si comprende pure come
questo debba essere estremamente complicato: infatti esso appare
indecifrabile quando l’ impregnazione è completa.
Riguardo alla innervazione dei singoli organi, tralascio ora
di parlare degli occhi sui quali le mie osservazioni sono incom-
plete : ho già accennato alle terminazioni nervose nei testicoli
ed ai sottili filamenti nervosi che terminano tra le ghiandole
intestinali. Aggiungerò ancora che ho osservato un notevole
FIGURA 6.2 — Mioblasti e terminazioni nervose nelle fibre muscolari della faringe.
accumolo di cellule e di fibre nervose a lato della faringe in
corrispondenza dell’ unione dei tre tronchi principali dell’ inte-
stino.
OYA
Dirò ora in modo particolare della innervazione della faringe
e delle terminazioni nervose nei muscoli.
E noto che la faringe dei dendroceli d'acqua dolce, si muove
e si contrae per lungo tempo dopo che venne staccata dell’ani-
male. Orbene nella faringe, specialmente al margine esterno e
verso l’estremo libero, è facile osservare delle celluline nervose,
munite di diversi prolungamenti e numerose fibrille nervose. È
specialmente quì che si riesce di riscontrare il modo di termi-
nare delle fibre nervose dei muscoli. — Le fibre muscolari re-
stano ben spesso impregnate e allora si possono ben riconoscere
nella loro forma e costituzione. Lunghe e sottili, esse terminano
talora con due estremità appuntite, altre volte bifide o ramifi-
cate a forchetta: talvolta esse stanno in rapporto con una cel-
lula caratteristica che aderisce direttamente alla fibra, o si collega
con essa mediante un peduncolo.
Queste celluline, a mio giudizio corrispondono ai mzoblasti
di PINTNER e BLOCHMANN.
Talvolta le fibre presentano sul loro decorso una. collinetta
triangolare : è di solito in corrispondenza di queste collinette che
si vede arrivare e terminare una fibrilla nervosa.
Dal Laboratorio di Anatomia e Fisiologia comparate della R. Uni-
versità di Pavia, 15 Luglio 1896.
INTORNO ALLA FEBBRE DENGUE
OSSERVAZIONI E CONSIDERAZIONI
DEL
Dottor PAOLO MAGGI.
| L’essermi trovato in un mio viaggio nell’Oriente; al Pireo,
a Costantinopoli ed a Smirne, nell’estate-autunno del 1889,
quando appunto infieriva un’ epidemia di febbre Dengue si fu
quello che mi indusse a pigliar nota dei casi che caddero sotto
la mia osservazione ed a studiarli da un punto di vista diverso
da quello studiato da altri.
Circostanze estranee alla mia volontà obbligarono quelle note
ad un riposo, per vero dire un po’ lungo, ma credo che anche
oggi possano avere un certo carattere d’ attualità.
58
La febbre Dengue è conosciuta nei paesi caldi come una ma-
lattia che fa la sua comparsa ad epoche saltuarie e che si ma-
nifesta con caratteri speciali e ben determinati per la maggio-
ranza dei casi. Per vero dire la letteratura medica ha ben poca
cosa sull’ argomento; qualche articolo di giornale e qualche raro
opuscoletto è tutto quello che si è pubblicato su di essa.
In questi ultimi tempi, nei quali un’ altra malattia di carat-
tere infettivo ed acuta ha fatto una nuova comparsa in Europa,
voglio dire della grippe influenza si è pur molto parlato anche
della Dengue come di una malattia affine e secondo alcuni iden-
tica a quella. !
E qui è il caso di accennare ad uno studio comparativo dei due
mali, fatto dal chiarissimo Prof. Rouvier di Beyrouth (Siria)
direttore della Revue Internazionale de Bibliographie il quale,
per la parte sintomatologica si è quello che ci dà il quadro più
completo delle parvenze assunte dal male che ci proponiamo
trattare. In esso studio il Prof. Rouvier partieggia per l’iden-
tità assoluta delle due malattie, dengue ed influenza, e conclude
la sua monografia col dire che l'epidemia di Grippe del 1889-90
fu la propagazione dell’ epidemia di febbre dengue esistente in
Oriente.
Io non posso condividere l'opinione sua e passerò come dissi
ad uno studio della dengue partendo da concetti ben diversi.
A parte che trattasi di una malattia eminentemente epide-
mica, dirò che la sua distribuzione geografica sta fra i 33° lat.
Nord, i 23° lat. Sud. I paesi che maggiormente ne sono colpiti
sono : l'Arabia, l’Africa occidentale, l'America del Sud, la Cen-
trale e le coste della Spagna.
Le varie epidemie si hanno di preferenza alla fine della state
ed al principio dell’ autunno, massime quando questo è molto
piovoso : le località poste in vicinanza delle riviere o. delle co-*
stiere sono quelle che danno un maggior contingente di colpiti.
Riguardo al sesso non presenta differenze e colpisce entrambi
i sessi; così dicasi per l'età: solo si osserva che gli infanti ne
sono più spesso risparmiati o tutt’ al più contraggono un’ infe-
zione leggera; epperò, quelli fra i colpiti, che trovansi debilitati
da altri mali esaurienti, vengono il più spesso a soggiacere.
ra
at dei
59
La sintomatologia di questa malattia può benissimo es-
sere divisa in due parti distinte; la parte cioè di sintomi co-
muni a tutte le malattie d’ ‘infezione e la parte di sintomi spe-
ciali che veramente danno il carattere dal quale prende il nome.
E per cominciare dai sintomi generali e comuni a tutte le
malattie di carattere infettivo parlerò :
I. Della febbre. — Questa si presenta, nella maggioranza
dei casi, di botto, preceduta da un brivido iniziale di pochissima
durata, durante il quale sale rapidamente la temperatura sino
a 39, 39. 5 e tale si mantiene con remittenze di poco rilievo,
per un periodo di due o tre giorni; raramente si prolunga mag-
giormente.
Solo in casi estremamente rari permane qualche oscillazione
giornaliera di uno a tre o quattro decimi di grado superiore
alla normale temperatura, e questo per sei ad otto giorni al più.
La defervescenza si manifesta per crisi ed accompagnata an
che qui, come accade ogni qualvolta si ha una crisi, da abbon-
danti sudori.
Rare sono le temperature che sorpassino i 40° o mantenen-
tisi a tale altezza per un periodo superiore a 24 ore.
Il polso non dinota nulla di speciale ed anche in casì gravi
solo in via d’ eccezione sorpassa i 100, 110 battiti.
| II. Cefalea. — É della totalità dei casi e più sotto la forma
di dolore pulsativo dei seni frontali. Con minor frequenza si os-
servano delle forme di addolorabilità totale di tutta la scatola
cranica. Ricordo un caso nel quale il paziente diceva non aver
più la sensazione della continuità dell'osso ove premevasi la sua
scatola cranica colla punta di un dito..
Il dolore gravativo all’occipite si ha pure occasione di tro-
vare in altri pochi pazienti. La cefalea dura per un periodo di
qualche giorno e lascia dopo una sensazione di vuoto nella sca-
tola cranica; della qual sensazione gli infermi si lamentano an-
cora per qualche tempo. Molto di frequente alla cefalea si ac-
compagnano disturbi del sensorio che si raggruppano nelle di-
verse manifestazioni di delirti.
III. Rachialgia ed accasciamento. — La rachialgia è pur
essa sintomo costante; è intensa e paragonabile solo a quella
che si osserva negl’individui presi da vaiuolo. Per essa gli am-
60
malati sono impossibilitati ai movimenti di innalzamento del
tronco e pur anche a quelli di lateralità: rimangono in una po-
sizione obbligata, proprio come inchiodati al letto. Contempora-
neamente si hanno dolori muscolari vivi, spontanei, ad inter-
mittenze, tanto alle estremità superiori che inferiori, susseguiti
da un indolenzimento paragonabile a quello che si prova dopo
avere per lungo tempo stancati i propri muscoli con faticosi.
esercizi ginnici.
IV. Sistema gastrenterico. — Notansi i sintomi di un ca-
tarro gastrico più o meno intenso; spiccata anorressia, lingua
impaniata, alito fetido: la sete è aumentata. Quasi costantemente
notasi stitichezza che vidi in molti casi trasformarsi in diarree
profuse ed anche in forme veramente dissenteriche.
V. Organi dei sensi. — All’inizio del male suole avve-
rarsi un'iniezione congiuntivale intensa, con dolori ai globi ocu-
lari e lagrimazione. Così pure osservasi tumefazione e catarro
della schneideriana. i
A seconda della gravezza o meno di questi stati catarrali,
si hanno conseguenze che durano anche nella convalescenza sotto
forma di veri catarri congiuntivali e di corize recidivanti. L'udito
pure è attaccato e non sono infrequenti le otiti.
Dirò qui per inciso di un sintomo che alcuni vollero pro-
nunciato solo in coloro che ebbero attacchi malarici, ma che io
rilevai in tutti i casi che caddero sotto la mia osservazione ed
è l'ingrandimento dell’aia splenica. Di solito si presenta questo
ingrandimento durante l’acme della febbre ed ha breve durata;
null’altro denota che l’infezione e non ha nulla di speciale; chè
è osservabile, come si sa, in ogni male infettivo.
Veniamo ora a parlare dei s:ntomi che chiamo caratteristici
e che sono costituiti dall’ eruzione cutanea e dai dolori alle gi-
nocchia.
I. Eruzione. Disparate sono le opinioni degli autori su questo
sintomo ; vi ha chi afferma esservi un’eruzione iniziale ed una
altra terminale (Macleau); altri impugnano la costanza di essa
e non le concedono l’importanza che ha realmente; altri infine
insistono sul contrario ed io pure seguo questa opinione: attri-
buisco cidè alla costanza dell’ eruzione una grande importanza.
61
Prima di passare a diverse considerazioni per confutare quanto
sopra riportai, dirò del modo di manifestarsi e di decorrere di
essa. La forma, che, si può dire, è di norma è quella di ipe-
remia diffusa come la scarlattina; si osservano poi anche forme
di roseola, di orticaria, di petecchie, di eruzioni papulose , di
ectima, d’ eczema e di parvenze erisipelatose. Come si vede il
polimorfismo regna sovrano, chè, sonvi rappresentate tutte le
diverse forme assunte dalle malattie della pelle.
Riguardo al tempo di sua manifestazione, in genere appare
l’esantema, quando incomincia il periodo di decrescenza; però
sì sono osservati casi nei quali lo sì vide 24 ore dopo scomparsa
la febbre e fu notato pur anche nel primo, nel secondo e sin
nel quinto giorno dall’ incominciamento della malattia.
E per la localizzazione si può asserire che, mentre la forma
di iperemia, come la scarlattina, si è quella che ha la più larga
diffusione sulla superficie del corpo, che prende anche in tota-
lità; le altre forme invece, sono più localizzate e precisamente
vengono ad apparire più spesso a livello della superficie volare
e dorsale della mano e delle membra superiori e in ordine di
frequenza, si notano di poi al collo, all’ addome e alle membra
inferiori.
La durata dell’ esantema varia ancora a seconda della sua
intensità di manifestazione ed è pure in relazione colla parvenza
assunta, o, per meglio dire, col tipo della malattia cutanea, cui
si avvicina. Da una durata di poche ore, fugace, cume si osserva
benissimo nella forma di iperemia diffusa, come la scarlattina,
e localizzata, può passare ad avere la durata di qualche giorno
ed anche di settimane, con remittenze e recidive di varia du-
rata. Quest'ultime appartengono più propriamente, a quelle ma-
nifestazioni che si avvicinano al carattere degli eritemi e degli
eczemi e che sono i più pertinaci, tanto da dar luogo a forme
subacute. Quando incomincia a scomparire l’ esantema si ha una
desquammazione ora notevole, a forma di larghe scaglie e questo
specialmente, per la forma scarlattinosa intensa, ora a piccole
lamelle, come forfora, e sempre in correlazione alla gravità della
forma cutanea che si è manifestata.
Contemporaneo alla desquammazione è un certo ingorgo delle
ghiandole linfatiche, che non prosegue mai a dare vere forme
di adeniti ad esitum, ma permane limitato per qualche giorno.
62
È poi nel periodo desquammativo che compare il prurito più
accentuato nelle forme a parvenza di orticaria, rubeola e scar-
lattina che non nelle altre. Questa sensazione di prurito può
esistere così intensa, in certi pazienti eretistici da essere un vero
tormento. Si sono verificati dei casi nei quali la durata di questo
molesto sintomo fu di parecchie settimane, ed altri pure nei
quali lo si riebbe dopo un'assenza di parecchi giorni, durante il
qual tempo il benessere era completo.
Mi sia concesso ora qualche considerazione su questo sintomo,
esantema, tanto combattuto da quelli che non vorrebbero annet-
tergli importanza alcuna.
I casi che caddero’ sotto la mia osservazione presentarono
tutti, dal più al meno, l’esantema e quanto riguarda la forma
che vidi assumere anch'io, se volessi fare statistiche, darei la
precedenza alla forma di iperemia diffusa.
Il polimorfismo poi è cosa secondaria per rispetto alla malattia
e non è altro se non un'esplicazione della morfologia speciale o
delle speciali tendenze della cuze dell’individuo che cade ammalato.
Io considero l’esantema come manifestazione peculiare del
male e non dò valore alla modalità di sua manifestazione. Così
pure la sua fugacità o pertinacia, la sua diffusione a tutta la
superficie cutanea o la sua localizzazione a certe parti solamente,
come sappiamo non essere per nulla legate alla gravità del morbo
così ci viene solo spiegata nella reazione più o meno viva. del-
l'organismo per rispetto al suo sistema cutaneo.
Come noi in tesi generale cerchiamo la predisposizione del-
l'individuo ad ammalare di un dato morbo e troviamo una di-
versa localizzazione in un organo o ‘in sistemi di organi, a se-
‘conda del tipo morfologico cui appartiene, pur essendo ben de-
lineata la infezione, così noi nel caso speciale, notiamo una rea-
zione più ‘0 meno spiccata del .sistema cutaneo, PSE i
sintomi della dengue.
E non sì danno forse tanti e tanti casi di mali infettivi cu-
tanei, sine esantema?. È questo un fatto noto anche ‘al volgo
e cui il volgo stesso sa di non dover dar importanza alcuna, pur
tuttavia temendo e l’ infezione e le conseguenze di questa.
È dunque dalla morfologia che noi dobbiamo anche per questa,
come per ogni altra manifesfazione morbosa, trarre gli ammae-
stramenti e dedurne le regole. RE
ATTENTO 4 GEIE
63
Diremo dunque che l’'esantema è caratteristico della febbre
dengue non per riguardo alla forma che assume nè alla sua
localizzazione, dipendenti solo dalla morfologia proprio all’indi-
viduo colpito e più specialmente dalla sua cute, ma per la sua
essenza di eruzione in termine generico.
II. Dolori alle ginocchia. — La frequenza vale a dire
l’importanza dei dolori alle ginocchia è posto ‘in dubbio da molti
autori. Perchè allora gli Arabi che furono, .sono e saranno, al
contatto del seccante se non temuto contagio, chiamano la dengue
col nome di abou rekab? (padre dei ginocchi).
È segno questo che fra tutti gli altri sintomi è quello che ri-
salta anche alla mente del volgo. Perchè, come dissimo parlando
dei sintomi generali a tutti i morbi d’infezione, chi è colpito dalla
dengue ha rachialgia e cefalea, mialgie ed artralgie variamente
localizzate e pronunciate!
Eppure ecco che designasi il male solo da questo sintomo
deve dunque il primato alla molestia che arreca!
È che il colpito dalla dengue si trova quasi sempre, incapace
alla deambulazione, perchè ha come la sensazione della scomparsa
della sua articolazione del ginocchio : esiste dolore ma pnr anco
accasciamento.
Frequentemente notasi turgore dell’articolazione e non solo
del ginocchio ma anche di quelle tibio tarsiche e. delle dita; fe-
nomeno più spiccato per le articolazioni degli individui di razza
nera che dei bianchi.
Il dolore ha anche la caratteristica di permanere per molto
tempo e di ricomparire anche dopo un’assenza di parecchi giorni
durante i quali si è goduto un completo benessere: in genere
lascia sempre, anche quando sia di breve durata, una prostra-
zione alle estremità inferiori, che, rammentano i pazienti, essere
simile al granchio. i
Dalla descrizione dei sintomi abbiamo visto come la persistenza
di alcuni di essi dà per risultati una convalescenza che dura da
qualche giorno a parecchie settimane. Durante tale stato, giova
ripeterlo, gli ammalati si lamentano di accasciamento generale,
di addolorabilità specie degli arti e permane un catarro gastrico
che impedisce all’ organismo di prontamente rifarsi ed ‘opporre
64
forze ai reliquati dell’infezione. Se molti ricordano la variabi-
lità di questo periodo, a seconda che trattasi di un’ epidemia
piuttosto che di un’ altra, aggiungerò che dipende, più che dal
grado di infezione, da circostanza inerenti all'ambiente esterno.
Riguardo all’eziologia della dengue finora nulla di sicuro
si potè stabilire, è certo che va imputata ad un microrganismo
e che il contagio avviene per mezzo degli organi del respiro; ma
la storia naturale di questo microrganismo, nessuno finora ce -
l’ha fatta conoscere; così anche dall'esame del sangue dei col-
piti non si ebbero dati positivi.
Ora che abbiamo passate in rassegna, in modo riassuntivo ,
le varie parvenze di questo male, faremo qualche considerazione
e ci soffermeremo su di un'altra malattia infettiva, a questa
affine, per poter trarne delle conclusioni.
È noto come la poliartrite reumatica, sia un male, proprio
delle zone temperate, e straordinariamente raro sì ai tropici che
nei paesi glaciali, segno questo che il microrganismo cui è do-
vuto, ha un terreno di sviluppo solo sotto date condizioni del-
l’ambiente esterno.
Se facciamo un parallelo tra il reumatismo poliarticolare e
la dengue noi troviamo come, vuoi nel modo di insorgere, vuoi
nell’andamento e nei postumi, esistono molti punti di contatto.
A parte che nel reumatismo poliarticolare come nella dengue
si notano i soliti sintomi generali comuni di morbi infettivi, ci
soffermeremo sui sintomi così detti caratteristici.
Nel reumatismo cioè si osservano oltre che i dolori e le tu-
mefazioni articolari, anche le forme eruttive. Queste pure vanno
dalla forma di semplice e limitata suffusione od eritema a quelle
gravi di vere emorragie cutanee. Esse poi non collegansi , ri-
guardo alla loro diffusione, alla gravezza dell’ infezione, perchè
casi leggeri di poliartrite danno eruzioni diffuse e casi gravi,
solo quell’ iperemia che è congiunta alla forma articolare.
Se per molti casi di reumatismo non si parla di eruzione, è
perchè la fugace sua durata impedisce di sorprenderla; ma ri-
tengo che ben rari sono i casi nei quali manchi.
Vano sarebbe il ripetere la troppo nota sintomatologia del
65
reumatismo per quel che riguarda le articolazioni; trattasi di
una sinovite acuta che piglia talora tutte la articolazioni, anche
le più piccole, e dà all’ individuo l’ immobilità completa.
Se nella dengue, non abbiamo questa forma così diffusa e
spiccata è solo perchè l'infezione procede così rapida che l’ or-
ganismo non ha il tempo necessario, di risentirne come a. pe-
riodi, le conseguenze della stessa.
È da imputare alle condizioni speciali dell'ambiente esterno,
capace di attivi scambi, se la forma d’infezione devoluta al da-
cillo della dengue procede così rapida alla sua risoluzione: l’am-
biente nel nostro caso, è il vero emuntorio dell’ infezione, dopo
esserne stato il generatore.
Difatti nella dengue si ha la caduta della temperatura per
una vera crisi, accompagnata da abbondantissime secrezioni di
sudori. Nel reumatismo invece tanto il modo di insorgere che
di decorrere della febbre non è punto tipico: sovente è remit-
tente e corrisponde proporzionalmente allo sviluppo od al ripe-
tersi delle lesioni articolari.
I sudori poi non sono abbondanti, non verificandosi la crisi,
come nella dengue; sono spessissimo di reazione acida e tali ap-
punto si osservano nei casi di dengue cui non facciano seguito
spiccate forme eruttive cutanee.
Mi si obietterà: perchè non avvi un endocardite postuma
alla febbre dengue; mentre bene spesso la si trova come una
complicanza del reumatismo articolare ?
Non si può escludere che non vi sia alterazione cardiaca
nella dengue; solo si può affermare che non vi rimane un en-
docardite cronica. E noto infatti come nella dengue contempo-
raneamente ad accasciamento generale esistono anche disturbi
momentanei della funzione cardiaca che benissimo si ponno at-
tribuire ad un annidarsi degli stimoli morbigeni specifici, sul-
l’endocardio dei colpiti. Di riscontro i casi di poliartr:t? che non
danno come postumo l’ endocardite cronica, non si devono rite-
nere come casi nei quali l’endocardio sia rimasto illeso: quanti
sono i casi di endocarditi acute che noi non possiamo rilevare
obiettivamente coll’ascoltazione! — Le lesioni cardiache che per-
mangono come vizi valvolari e che si trovano anche in casì di
poliartrite, leggieri, per quanto riguardano i sintomi articolari,
3
66
sono da attribuirsi solo alla durata dell’ infezione. Se nella
dengue mancano si è perchè, dato pure la gravezza dell’ infe-
zione, questa ha modo, di presto eliminarsi per la facilità di
scambio coll’ ambiente, dovuta alle condizioni di temperatura e
all’ abbondanza di precipitazioni atmosferiche proprie ai paesi nei
quali si sviluppa.
I trattati di patologia speciale, mettono fra le malattie eso-
tiche la dengue e la pongono come affine alla grippe, colla dif-
ferenza che questa lascia conseguenze agli organi respiratorii
solo per le condizioni speciali di temperatura dell'ambiente esterno
dei colpiti e pongono invece la poliartrite come morbo proprio
alle zone temperate e non ne riscontrano casi che eccezional-
mente rari, nei paesi tropicali.
Secondo il mio modo di vedere si dovrebbe, parlando della
poliartrite, accennare a questa sua forma acutissima, che assume
nelle zone calde, e che prende il nome di Dengue e lasciare
che la grippe occupi uno speciale posto nella patologia medica,
collegantesi colle altre forme infettive attaccanti di prevalenza
l'albero bronco-polmonare.
I progressi continui che fa la Bacterzologia nella via delle
specializzazioni, mi dà speranza che questo mio convincimento
abbia ad essere presto un fatto compiuto.
RECENSIONI
Prof. P. Pavesi. — La distribuzione dei pesci in Lombardia. —
Pavia, 1896.
Fu questo l’argomento trattato dal Prof. Pavesi in una conferenza
tenuta nel febbraio del corrente anno a Milano per incarico della
Società Lombarda per la pesca e l’ acquicoltura, e dalla stessa pub-
blicata.
Un lavoro di sintesi sull’ ittiofauna lombarda, svolto da chi è ben
noto per la sua competenza in materia, acquista una considerevole
importanza, tanto per i suoi risultati riguardanti la biologia, quanto
per le applicazioni pratiche che se ne deducono.
L’opera è corredata di una nitidissima carta alla scala di 1: 490.000,
nella quale si può seguire punto per punto l’ enunciato del testo.
Appositi segni convenzionali indicano la distribuzione delle varie
specie di pesci nella Lombardia.
67
Nell’ introduzione l’ A. delimita i confini idrografici della Lom-
bardia, non tenendo conto naturalmente dei confini politici. Vengono
quindi annessi alla Lombardia il bacino del Toce (compresa una pic-
cola porzione di esso appartenente alla Svizzera, cioè le vallette su-
periori della Val di Vedro), il Canton Ticino, le valli Bregaglia e
Poschiavina, la valle del Chiese superiore, quella del Sarca, e Val
Vestino all’ origine del Toscolano. Invece vengono omesse, come fa-
centi parte di sistemi idrografici estranei perfino all’ Italia, la Valle
di Lei e la Val di Livigno, e inoltre la Lomellina e la parte oltra-
padana della provincia di Pavia, le cui acque sono tributarie di altri
bacini.
Nel primo capitolo l’ A. distingue nella Lombardia cinque bacini,
cioè : Ticino, Adda, Lambro-Olona, Ollio e Mincio, e delle maggiori
acque in essi contenute rileva sommariamente i caratteri fisici : ve-
locità dei fiumi, limpidità delle acque, profondità ed altitudine dei
laghi, limite di visibilità, temperatura e ricchezza di organismi infe-
riori.
La plaga bagnata dall’ Olona e dal Lambro deve essere conside-
rata come un bacino solo, in cui in modo speciale l’arte idraulica ha
modificato l’ idrografia naturale, facendo comunicare i fiumi per mezzo
di numerosi canali, i quali però non ne alterarono la fauna, trattan-
dosi di bacini a collettore comune.
Il bacino del Ticino alberga ben 28 specie di pesci indigeni, il
bacino dell’ Adda ne annovera 24 il bacino Lambro-Olona 26, il ba-
cino dell’Ollio 24. Il bacino del Mincio è il più singolare, perchè
è il più piccolo e contiene il lago più grande e insieme il più basso
e il più caldo, il lago di Garda, con affluente ed emissario di breve
corso e magra portata : offre dimora a ben 31 specie di pesci.
Il numero totale delle specie di pesci della Lombardia é di 33, e
comprendendovi due specie importate, 35.
Nel secondo capitolo 1’ A. passa rapidamente in rassegna gli studii
fatti sull’argomento e accenna alla varia origine dei nomi in verna-
colo. A questo punto riesce molto opportuno un prospetto della no-
menclatura dei pesci di Lombardia col nome scientifico, italiano, e
locale.
Alcune forme sono sistematicamente riunite sotto una unica specie,
ma devono però corologicamente rimanere distinte. Tale è il caso del
. ghiozzo nelle sue tre forme — (Gobius fAluviatilis, punctatissimus e
Panizze —, della trota — Salmo fario, lacustris e carpio — , della
lampreda — Petromyzon fluviatilis e Planeri —, dell’alosa colla
migrante cheppia — A. finta —, e lo stazionario agone — A. lacustris.
Definite le questioni di sistematica, si passa nel capitolo terzo allo
svolgimento della parte principale dell’ argomento.
68
Un secondo prospetto dà la distribuzione dei pesci in Lombardia
scompartita nei suoi cinque bacini; vi è aggiunto il fiume Po per
mostrare i rapporti dell’ittiofauna lombarda con la veneta e la
piemontese. Da questo prospetto appare come di cinque specie i ten-
tativi d’ introduzione fallirono (Salmo salar, S. namaycush, S. fonti-
nalis, Coregonus maraena, C. albus). Le sole immissioni di pesci
estranei all’ ittiofauna lombarda che abbiano avuto esito felice, sono
quelle del blaufelchen (Coregonus Wartmanni-coeruleus Fatio) e del
weissfelehen (C. Schinzii-helveticus Fatio), condotte per opera del-
l’ A. stesso nei laghi Maggiore e di Como.
Non tutte le forme sono diffuse, ma alcune sono accidentali, come
la pianuzza passera (Pleuronectes passer Bp.), la lampreda marina
(Petromyzon marinus L.) e lo storione cobice (Acipenser Naccarti
Bp.) che rimontando il Po, vengono qua e là a mostrarsi nelle se-
zioni inferiori dei bacini.
Molte forme sono localizzate nel bacino più orientale, cioé : le
forme punctatissimus e Panizza del ghiozzo, la forma carpio della
trota, ossia il carpione, il cagnetto (Blennius vulgaris Poll.), lo spi-
narello (Gastrosteus aculeatus L.), il cobite barbatello (Nemachilus
barbatulus L.), il salmarino (Salmo salvelinus L.). Il barbo canino
(Barbus caninus C. V.) è localizzato nel lago di Lugano e nel suo
emissario Tresa: fu trovato dall’ A. anche nel Verbano. La forma
lacustris dell’ Alosa o agone, è stazionario nei laghi d'Orta, Maggiore,
Lugano, Como e Iseo ('). La forma major o fluviatilis della lampreda
sì trova appena nel Benaco e accidentalmente nel basso Ticino.
Alle specie accidentali e localizzate SPEnOno, le 26 specie e forme
che sono le più diffuse in Lombardia :
1) il pesce persico (Perca Auviatilis L.) vive in quasi tutto il
bacino del Ticino, in tutto il bacino dell’ Olona e del Lambro, nel-
l’ Adda e nel Lario. In generale non sale molto oltre la regione dei
laghi. Ad oriente comincia a scarseggiare, e nel Benaco è accidentale.
2) lo scazzone (Cottus gobio L.) si trova in tutto il bacino prin-
cipale del Ticino di cui sale fin quasi alle sorgenti, nelle correnti
Lambro e Olona, nel Lario e Adda sopra lago fino alle scaturigini ;
è caratteristico della regione alpina e subnivale; ad oriente è piut-
tosto scarso e saltuario.
3) il ghiozzo (Gobdius Aluviatilis Bon.) è comunissimo nel lago di
Lugano, nel Seveso e nelle acque della pianura ; non si spinge oltre
la regione dei laghi.
4) la bottatrice (Lota vulgaris Jen.) ha una eviinzina irre-
golare ; è abbondante nel lago di Como.
(1) E anche nel Garda, secondo recente comunicazione orale del dott. Bettoni.
69
5) la carpa (Cyprinus carpio L.) è specie in molti luoghi rara o
mancante ; in generale non risale oltre i laghi.
6) il barbo (Bardus plebejus Val.) è specie diffusa, in alcune
acque scarso, in altre, come nella Tresa e nel Lario, abbondante ;
non va molto in alto.
7) il gobione (Godio fluviatilis C. V.) si limita alle parti basse
dei bacini, ma ad oriente giunge anche nel Benaco.
8) il pigo (Leuciscus pigus De-Fil.) è discretamente diffuso, spe-
cialmente alla parte bassa. Manca nel bacino del Toce e nei laghetti
del varesotto e della Brianza.
9) il triotto (Leuciscus aula Bp.) è abbondantissimo nei grandi
laghi e in pianura.
10) il cavedano (Squalius cavedanus Bp.) diffusissimo ovunque,
meno nella regione alpina, dove non attecchisce.
11) il vairone (Squalius muticellus Bp.) si trova quasi ovunque;
in alcuni luoghi, come nei laghi Maggiore e di Lugano è rarissimo.
12) la scardola (Scardinius erythrophthalmus L.) specie assai
diffusa, abbondante specialmente negli stagni e laghi.
13) la sanguinerola (Phoxinus laevis Ag.) dal piano s’ innalza
sino alle regioni subalpina e nivale.
14) la tinca (Tinca vulgaris Cuv.) c' è quasi ovunque fino alla
regione montana, ma va poco in alto.
15) la savetta (Chondrostoma soétta Bp.) manca in moltissime
acque, abbonda nella sezione inferiore dei maggiori fiumi.
16) la lasca del Genè (Chondrostoma Genei Bp.) si trova esclu-
sivamente nel corso inferiore dei fiumi.
17) l’alborella (Alburnus alborella De-Fil.) è caratteristica e co-
piosissima nei maggiori laghi, comune anche nei tronchi inferiori dei
fiumi,
18) il cobite fluviale (Cobitis tenia L.) è della regione piana o
tutt’ al più montana.
19) il luccio (Esox lucius L.) vive quasi dappertutto, ma trova
il suo limite superiore alla regione montana.
20) la trota di montagna (Salmo fario L.) è propria della re-
gione alpina e subnivale. Scende però qualche volta fino al piano nei
tratti rapidi dei fiumi.
21) la trota (Salmo lacustris L.) è propria dei grandi laghi,
d’onde rimonta per breve tratto gli influenti in tempo di fregola, o
ne discende e li percorre fino alla pianura.
22) il temolo (Thymallus vulgaris Nils.) raggiunge appena la
regione montana ; manca nelle correnti della sezione ceresiana del
bacino ticinese ; è accidentale nel Verbano e scarsissimo nel Lario.
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23) la cheppia (Alosa finta Cuv.) emigra dal mare anche fino
ai laghi di Garda e Maggiore; manca all’Orta, al Ceresio e al Lario.
24) l’anguilla (Anguilla vulgaris Jen.) vive quasi dappertutto
nella regione piana e montuosa, ma non tocca la subalpina.
25) lo storione (Acipenser sturio L.) risale dal Po per breve
tratto i maggiori affluenti.
26) la lampreda (Petromyzon Planeri BI.) è di pianura ed arriva
appena a toccare la regione montana.
Nell'ultimo capitolo 1° A. stabilisce le quattro regioni :
a) della trota, corrispondente alla regione geografica dei laghi
di circo, caratterizzata dalla trota di montagna accompagnata talora
dal salmarino, più spesso dallo scazzone e dalla sanguinerola ;
b) del barbo, corrispondente alla zona dei grandi laghi, con i
barbi e tutti i pesci bianchi ; i
c) della tinca, con la carpa, lasca del Gené, cobite fluviale,
lamprede, proprii della pianura ;
d) dello storione o dei pesci anadromi, vale a dire migranti
dal mare nei fiumi per la fregola, cioé storioni, lampreda marina,
pianuzza passera e cheppia; corrisponde quindi al corso del Po.
L’acclimatazione della cheppia nei laghi sotto forma di agone,
spiega l’ isolamento di certe specie di origine marina nel bacino del
Mincio, il quale aveva una volta rapporto diretto col mare.
L’intensità numerica diventa massima nella regione barbo, ap-
punto, per la grande massa delle acque che vi si trova. Graficamente
lA. la rappresenta con un fuso colla maggiore larghezza a livello
dei grandi laghi.
Riguardo ai rapporti dell’ ittiofauna lombarda con quella delle re-
gioni finitime, si deve notare nel Piemonte la mancanza del pigo,
della bottatrice, e in certo qual modo anche del persico e della cheppia.
Invece vi è abbastanza comune il barbo canino, nella Lombardia lo-
calizzato al bacino del Ceresio e al lago Maggiore. Il Veneto ha il
pigo nella parte in contatto col bacino del Mincio, manca però, come
il Piemonte, di bottatrice e di persico.
Queste due specie sono scarse nel lago d’Orta e nel Toce, aumen-
tano d’ intensità numerica nei bacini lombardi intermedii, decrescono
nel Sebino e nel Benaco, loro estremo limite orientale per l’ alta
Italia, anzi la bottatrice non si riscontra altrove in tutta Italia. Co-
stituiscono dunque il carattere ittiofaunico della Lombardia, e provano
che la Lombardia è un cuneo d’ Europa fra Piemonte e Veneto me-
diterranei.
Terminando la conferenza, l’ A. dimostra i vantaggi che alle ap-
plicazioni pratiche della piscicoltura derivano dallo studio puramente |
71
teorico della ittiologia, anche allo scopo di impedire che si ripetano
tentativi d’ introduzione di nuovi elementi faunistici che non possono
a priori avere buona riuscita.
E. C.
Prof. Leopoldo Maggi: Centri di ossificazione e principali va-
rietà morfologiche degli interparietali nell'uomo. (Rendic. del R, Isti-
tuto Lombardo di Scienze e Lettere. — Serie Il.® Vol. XXIX.
Fasc. XIII. 1896. Milano — e Fasc. XIV. 1896. Milano, con 3 Tav.
ed un Prospetto.
Partendo dall’ osservazione di un cranio di feto di 2 mesi (otto
settimane), in cui non è che delimitata la regione membranosa per
gli interparietali, l'Autore, dopo aver ricordati alcuni anatomici e
tra questi primo Meckel, che hanno veduto quattro centri di ossifica-
zione per gli interparietali, senza indicarli come tali, espone le sue
ricerche incominciando col cranio di un feto di circa tre mesi, in cui
al di sopra dei sovraoccipitali esistano distintamente i suddetti quat-
tro centri. Ne segue poi l’evoluzione in diversi feti di 4, 3, 7 mesi,
feto a termine, e in diversi neonati e bambini, arrivando fino agli
adulti. i
Ora i suoi risultati intorno ai centri. di ossificazione e principali
varietà morfologiche degli interparietali nell'uomo, vengono ad essere
i seguenti :
1. I centri di ossificazione degli interparietali sono primitiva-
mente quattro, due mediani e due laterali a questi, e tutti e quat-
tro occupanti la fontanella o regione preinterparietale della squama
occipitale, ciò che si verifica a circa tre mesi di vita intrauterina.
2. La comparsa di questi quattro centri di ossificazione, secondo
Meckel, non é contemporanea, ma la prima è quella dei due mediani,
che avviene al secondo mese, e dopo si ha quella dei due laterali,
che Meckel avrebbe veduto al quarto mese, ma che nei feti studiati
da Maggi ci sono già al terzo mese.
8. La forma primitiva dei quattro centri d’ossificazione degli in-
terparietali, è, secondo Meckel, la triangolare, che rimane costante,
secondo Maggi, pei soli centri laterali, mentre si modifica quella dei
centri mediani.
4. I due centri triangolari mediani hanno il vertice volto all’in-
terno, ossia sulla linea mediana antero-posteriore del cranio, e la
base all’esterno, cioè verso un cateto dei centri laterali di ossificazione.
5. I due centri triangolari laterali o a ventaglio hanno pure il
vertice volto all’interno, ma esso guarda la sutura transversa squame
occipitis; la sua base è verso l’ esterno, e rimpetto alla sutura lamb-
doidea.
72
6. La forma triangolare dei due centri mediani d’ ossificazione,
in seguito, ossia al terzo mese circa, passa alla trapezica, per ossi-
ficazione aggiunta al suo cateto inferiore.
7. Dati i quattro centri di ossificazione essi possono variare
nelle loro dimensioni, così da avere talora i mediani più piccoli dei
laterali, talora viceversa.
8. I due centri mediani al quarto mese si possono già trovare
fusi tra loro, specialmente alla loro base, e col sovraoccipitale, mentre
i due laterali sono ancora autonomi.
Colla loro fusione basale, i centri mediani incominciano la forma-
zione di un foro, che si trova completato in altri feti pure di quattro
mesi, e che Maggi ha chiamato medio interparietale.
9. I centri laterali, possono essere autonomi, non solo al quarto
mese, ma rimanere tali al quinto ed anche a feto a termine.
10. I centri laterali, in altri feti, pure del quarto mese, possono
presentare delle fusioni incomplete, ossia possono incominciare le loro
fusioni coi vicini centri mediani ; talora è il destro che va fonden-
dosi col mediano destro, rimanendo autonomo il sinistro; talora è
viceversa.
11. I quattro centri di ossificazione, possono poi, ancora al
quarto mese, trovarsi già fusi tra loro alle loro parti interne e col
sovraoccipitale, mentre rimangono i resti laterali della sutura tran-
sversa squame occipitis, i resti della parte superiore delle suture ver-
ticali e la fontanella preinterparietale sinistra.
12. In feti dal quinto mese, ad ossificazione progredita, così da
aversi ossa interparietali, si possono incontrare due interparietali
autonomi destro e sinistro, con fontanella preinterparietale rombica ;
come pure due interparietali autonomi destro e .sinistro, con due
preinterparietali triangolari nel centro della loro fontanella rombica.
In questi feti, ancora con intera sutura transversa squame occipitis
e bi-medio interparietale, è avvenuta la scomparsa delle suture medio
interpàrieto-latero, interparietale (destra e sinistra) e fusione degli
interparietali laterali coi loro vicini mediani, così che i due interpa-
rietali simetrici sono di derivazione secondaria a quella di quattro.
13. In feti del settimo mese, con permanenza della sola sutura
bi-mediointerparietale e scomparsa delle suture mediointerparieto la-
ero interparietale destra e sinistra, e quindi fusione degli interparie-
tali laterali coi loro vicini mediani a formare due interparietali sim-
metrici, si può avere la scomparsa delle sole porzioni centrali o in-
terne della sutura transversa squame occipitis, e perciò fusione degli
interparietali mediani col sovraoccipitale.
La squama pertanto dell’ occipitale riesce unica coi resti laterali
73
della sutura transversa squame occipitis e colla sutura verticale bi-medio
interparietale.
14. Nei feti in genere si determinano già diverse varietà mor-
fologiche degli interparietali tanto colla permanenza della sutura tran-
sversa squame occipitis e scomparse parziali e totali di alcune suture
verticali e quindi fusioni diverse degli interparietali fra di loro, quanto
colla scomparsa parziale della sutura transversa squame occipitis uni
tamente a scomparse pure parziali o totali di alcune suture verticali,
e perciò fusioni diverse non solo tra gli interparietali, ma tra questi
ed il sovraoccipitale.
15. In neonati, con resti laterali più o meno estesi della sutura
transversa squamre occipitis e quindi fusioni degli interparietali me-
diani e talora anche in parte dei laterali, coi sovraoccipitali sinchiti,
in modo da formare quasi la squama occipitale unica si possono 0s-
servare partenti dal margine curvilineo di detta squama, che coincide
con quello degli interparietali, delle incisure, o dei solchi, corrispon-
denti per la loro posizione alle suture verticali esistenti tra i centri
d’ossificazione degli interparietali nei feti. Ora sono i rappresentanti
della di-medio interparietale, con scomparsa delle altre verticali, pre-
sentandosi perciò due interparietali simmetrici, accompagnati anche
da un interparietale; ora sono quelli delle suture mediointerparieto
laterointerparietale destra e sinistra e della mediointerparieto-prein-
terparietale destra, con scomparsa di tutte le altre verticali, rendendo
tuttavia possibile l’ammissione di preinterparietale fuso a sinistra col
vicino interparietale mediano, la presenza dell’ interparietale mediano
destro fuso alla sua base coll’ interparietale mediano sinistro, la pre-
senza degli interparietali laterali, fusi all’in basso coi sovraoccipitali
sinchiti; ora sono quelli della sutura mediointerparieto-preinterparietale
sinistra, e scomparsa di tutte le altre verticali, così da ammettere
l’esistenza del preinterparietale sinchito fuso a destra col vicino in-
terparietale mediano , e la fusione degli interparietali tra di loro e
col sovraoccipitale; ora sono quelli della sutura di-medicinterparietale,
con scomparsa di tutte le altre verticali, e con fontanella preinter-
parietale, sì da ammettere fusioni degli interparietali tra loro e col
sovraoccipitale, e quindi squama occipitale pressoché unica, ripetendo
questo neonato la condizione del feto di sette mesi; ora, finalmente,
sono i resti della sutura medio interparieto-preinterparietale destra,
da far ritenere presente il preinterparietale sinchito, fuso soltanto a
sinistra col vicino interparietale mediano, e contemporaneamente, per
la esistenza ancora della sutura latero interparietale destra unita alla
porzione laterale destra della transversa squame occipitis, rendersi
manifesto l’ interparietale laterale destro, mentre per la scomparsa
74
delle altre suture verticali sì son fusi tra loro gli altri interparie-
tali, alla loro volta fusi col sovraoccipitale.
16. Nei bambini da un mese a quattro di nascita, con resti di
sutura transversa squame occipitis, sì possono osservare ancora suture
verticali, incisure e solchi al posto delle suture verticali, perciò con-
dizioni più fetali di quelle dei neonati, talora anche in bambini più
avanzati in età, come in uno di quattro mesi, in cui oltre il prein-
terparietale ci sonv i rappresentanti di tutte le suture verticali, quindi
l'ammissione possibile dei quattro interparietali , dearemne fusi tra
loro alla loro parte interna e col sovraoccipitale.
E mentre in un bambino a tre mesi non vi è che il rappresen-
tante della sutura mediocinterparieto-preinterparietale destra con scom-
parsa di tutte le altre, sì da aversi una squama occipitale cunica
con indizio del preinterparietale alla sua sommità semifuso con essa;
in un altro invece di un mese vi é soltanlo la sutura bi-mediointer-
parietule, con piccola fontanella rombica preinterparietale, che da
due interparietali simmetrici.
17. Nei bambini, pure di tre a quattro mesi di nascita, vi pos-
sono essere già delle varietà morfologiche particolarissime, derivanti
da modificazioni di varietà morfologiche precedenti sia di neonati, sia
di feti, come quella presentata da un bambino di quattro mesi, in
cui a destra della sutura bi-mediointerparietale vi é un solo interpa-
rietale occupante tutta la metà destra della regione omonima, varietà
che, come questa, possono continuare tali negli adulti.
13. Nei bambini, finalmente, vi possono essere delle varietà mor-
fologiche di interparietali, finora a loro proprie, come è quella di uno
di tre mesi, in cui vi sono due interparietali simmetrici, per la cui
formazione sono possibili alcune supposizioni.
19. Nei neonati e bambini in genere, non esistendo più per in-
tero la sutura transversa squame occipitis, mancano le varietà mor-
fologiche dovute alle diverse fusioni dei soli interparietali; mentre
colla presenza di alcune porzioni della sutura transversa squame oc-
cipitis, si continua una delle due condizioni fetali, che in unione alla
scomparsa parziale o totale di alcune suture verticali, produce diverse
varietà morfologiche degli interparietali.
20. Negli adulti e varietà morfologiche degli interparietali, ri-
levabili dalla presenza di suture dentate nella regione interparietale
della squama occipitale, sono alcune la diretta continuazione dello
stato fetale dei quattro centri di ossificazione, cosicché si hanno gli
interparietali quadruplici, con al davanti dei mediani i preinterparie-
tali; ciò che fa escludere che i mediani possano essere i preinterpa-
rietali sviluppatisi framezzo ai due interparietali spostati; numero
pitt
75
questo degli interparietali ritenuto finora dalla maggior parte degli
autori, perché due furono quelli veduti in altri mammiferi.
Altre varietà morfologiche sono dovute alla persistenza della sutura
transversa squame occipitis con scomparsa dell’ una o dell’ altra, sia
isolatamente , sia contemporaneamente, delle suture verticali, per
modo da avere diverse fusioni di interparietali producenti gli dnter-
partetali triplici, duplici asimetrici sinistrorsi e destorsi, unici sim-
metrici, e possibili anche i duplici simmetrici per la loro presenza
nei feti. i
Finalmente altre varietà morfologiche sono date dalla scomparsa
di porzioni della sutura transversa squame occipitis, con ancora l’una
o l’ altra isolatamente o contemporaneamente delle suture verticali,
e quindi diverse fusioni degli interparietali fra loro e coi sovraocci-
pitali, colle quali si vengono ad avere gli interparietali bilaterali sim-
metrici unilaterali destri e sinistri, mediani unici con laterale destro,
mediani unici con laterale sinistro, mediolaterali unici destri e possi-
bili i medio laterali unici sinistri, unici asimmetrici per mancanza
del laterale destro, e possibili gli unici asimmetrici per mancanza del
laterale sinistro.
In seguito l’Autore passa alle seguenti considerazioni :
Data la dimostrazione di quattro centri di ossificazione per gli in-
terparietali dell’ uomo, e tutti e quattro propri per la formazione di
queste ossa, ne conseguirebbe una particolarità in proposito per l’uomo,
tanto più che i detti centri possono svilupparsi indipendenti gli uni
dagli altri, e dare negli adulti quattro ossa interparietali distinte,
mentre in quasi tutti gli altri ordini di mammiferi finora non si sono
osservati che due centri di ossificazione per gli interparietali, come
gia disse Meckel, e quindi due ossa interparietali a sviluppo com-
pleto, che nella massima parte dei mammiferi adulti si fondono in
un solo e poi colle ossa vicine, come fusi colle ossa vicine si trovano
anche quelli umani in molti adulti.
Tuttavia nelle ricerche morfologiche riguardanti l’uomo, e special-
mente in queste che si riferiscono allo scheletro ed in particolare al
cranio, non si deve dimenticare che esso è non solo mammifero, ma,
anche vertebrato e eranioto ; perciò come ha rapporti anatomici coi
mammiferi, così ne può avere, come si sa che ne ha, con diversi altri
vertebrati.
Per un morfologo poi che conosce essere l’ontogenia una ripetizione
regolare o abbreviata della filogenia, i quattro centri di ossificazione
degli interparietali trovati nella embriologia dell’uomo, spingono alla
ricerca di quattro interparietali permanentemente distinti in animali
76
vertebrati a sviluppo completo, appartenenti alla sua filogenia; e, se
nei rettili ed anfibi attuali non esistono, bisogna, per i rapporti che
l’ontegenia ha colla paleontologia così da essere la filogenesi causa
meccanica dell’ ontogenesi, portare le ricerche nei fossili, che pos-
sono darci come ci hanno dato, delle forme intermediarie anche fra
due attuali e di cui una inferiore e l’altra superiore.
Ora tra le forme fossili si presentano gli stegocefali che vissero .
nel periodo carbonifero, permiano e triasico, e che provengono dagli
antichi crossopterigi, di cui l’attuale polypterus è un rappresentante.
Appunto negli stegocefali si hanno, come nell’ uomo, quattro in-
terparietali distinti, sotto forma di placche ossee, che stanno poste-
riormente ai parietali. Queste placche ossee sono state indicate dai
paleontologi in genere coi nomi di sovraoccipitali le due mediane e
di epiotici le due laterali alle mediane ; ma, come fa osservare anche
ZrrtEL, le placche ossee degli stegocefalî sono di origine dermatica ,
invece i veri sovraoccipitali ed epiotici degli animali che li presen-
tano, sono di origine cartilaginea, quindi non vi può essere omolo-
gia tra le prime ed i secondi; invece l’omologia sussiste, oltre l’omo-
topia, fra le placche ossee degli stegocefali e gli interparietali del-
l’uomo, essendo le une e gli altri di derivazione dermatica.
Una dimostrazione ampia di queste omologie l’ Autore darà quanto
prima, e nello stesso tempo mostrerà la derivazione degli interpa-
rietali degli stegocefali da quelli dei polipteri, e, giacchè é in stretta
relazione con questo argomento, dirò pure del significato morfologico
della fontanella del Gerdy, esistente non solo nell'uomo, ma anche
negli animali; fontanella, che a Maggi risulta essere omologa al foro
parietale degli stegocefali e di molti sauri attuali.
Le conclusioni dell’Autore sono le seguenti :
1. Che i centri di ossificazione degli interparietali nell’ uomo
vengono ad essere quattro e non due soli, come si ritenne finora per
essersi tenuti, colle ricerche filogenetiche in proposito, nei soli mam-
miferi, dopo le risultanze negative avute nei rettili e batraci attuali.
2. Che i detti quattro centri di ossificazione sono due mediani
e due laterali a questi, occupanti in serie lineari trasversale la re-
gione interparietale della squama occipitale.
3. Questi quattro centri di ossificazione nell’ontogenesi dell’uomo,
sono determinati dalla sua filogenesi, in quanto che quattro interpa-
rietali omotopi ed omologhi a quelli attuali dell’uomo, esistevano già
negli stegocefali del carbonifero, permiano e triasico.
4. I quattro centri di ossificazione degli interparietali nell'uomo
possono svilupparsi in ossa complete rimanendo distinti, e quindi produ-
77
cendo quattro ossa interparietali, con al di sopra, ai due mediani, due
preinterparietali ; oppure fondersi in diverso ordine solamente tra di
loro permanendo la sutura transversa squame occipitis ; come pure
in diverso ordine fondersi tra di loro e contemporaneamente col so-
vraoccipitale per scomparsa di porzioni di detta sutura, dando luogo
a diverse varietà morfologiche interparietali, che si presentano nei feti
a diversi mesi di vita intrauterina, nei neonati, nei bambini e negli
adulti.
M.
Prof. Leopoldo Maggi. — Risultati di ricerche morfologiche in-
torno ad ossa e fontanelle del cranio umano. — Comunicazione pre -
ventiva. — Rendic. Ist. Lomb. di Sc. e Lett. Serie II. Vol. XXIX,
Fasc. XVI. 1896. Milano.
L'A. fa conoscere che i quattro interparietali dell’uomo si trovano
non solo nei Stegocefali ma anche nei Polipteri e Sturioni; che le
due semifontanelle, superiore e inferiore, costituenti la fontanella
preinterparietale, non sono di formazione contemporanea, e perciò
riesce possibile, come realmente avviene per i preinterparietali, che
si avverino in esse manifestazioni morfologiche indipendenti.
Riferisce come i centri di ossificazione dei preinterparietali del-
l’uomo, ripetano condizioni morfologiche già avveratesi nei Stegoce-
fali e nei Ganoidi crossopterigi e accipenseroidi.
Trova tre centri di ossificazione per i paritetali , antecedenti alla
formazione della gobba parietale; centri che hanno i loro omologhi
nelle placche ossee di cranioti inferiori.
Tratta del significato morfologico della fontanella del Gerdy, e
quindi del foro pineale, che l’Autore ha trovato negli Sturioni, pas-
sando poi al così detto /oro parietale dei diversi vertebrati antichi
ed attuati; tratta pure delle così dette lamine triangolari, delle ossa
asteriche e pteriche, delle ossa che si incontrano lungo la linea me-
dio-frontale ed anche medio-parietale, dimostrandone le placche ossee
omologhe del cranio osteodermico dei Ganoidi accipenseridi e cros-
sopterigi. — Finalmente, alle ossa d'origine condrica del cranio
umano, come anche di alcuni animali, ne aggiunge delle nuove, che
egli chiama presovraoccipitali, e che durante il loro sviluppo formano
delle fontanelle transitorie, pure nuove.
i M.
78
Dott. M. Gay. — Sull’applicazione della morfologia dell’ orga-
nismo agli animali. (Rapporti tarso-cardiaci). — Dal Laboratorio di
‘Patologia interna e storia naturale del Dott. M. Gay in Villar-Pel-
lice. — Giornale Za Moderna medicina. Fasc. aprile-maggio — 1896.
Pinerolo.
Per i rapporti tarso-cardiaci l’autore parte dalla dottrina della
morfologia dell’ organismo messa innanzi, con largo appoggio d’ os-
servazione, dal nostro Prof. A. De Giovanni, della Clinica medica
dell’ Università di Padova. Ricorda pure gli importanti studi sulla”
correlazione che passa tra la mano ed il cuore del Dott. G. Bonetti.
ome si sa il Prof. De Giovanni già stabiliva che ove si misuri lo
spessore del pugno della mano destra (nei mancini quello della si-
nistra), facendo passare il nastro misuratore sulle estremità dorsali
delle articolazioni metacarpo-falangee, e fissandone i capi sul pugno
di mezzo del contorno libero delle predette articolazioni dell’ indice
e del mignolo, si avrà la misura della base del cuore. Ora da os-
servazioni numerose ed accurate del Dott. Bonetti, si ebbe esteso
assai lo studio della correlazione della mano col cuore, ed il Bonetti
ricavò dalle sue ricerche le due seguenti :
1. Il volume totale del cuore è, în condizioni normali, sempre
in rapporto diretto coll’ altezza personale, mentre la proporzionalità
fra i diametri cardiaci stanno vincolate entro certi limiti di età.
2. La mano rappresenta sempre nelle sue linee quale dovrebbe
essere, a condizione di sviluppo morfologico normale, il cuore, e nel
suo volume e nelle proporzionalità dei suoi diametri fra loro, anche
attraverso i diversi stadii dello sviluppo dell’ individuo.
Gli animali che il Dott. Gay prese in esame, con risultati defini-
tivi e soddisfacenti, sono mammiferi dell’ ordine dei ruminanti, e di
quello a cui appartengono i suini, senza tacere di due osservazioni
fatte sopra un piccolo mammifero insettivoro , ossia sulla talpa eu-
ropea.
« Per ora, dice il Dott. Gay, d’ importante raccolsi dati che ri-
guardano la correlazione che esiste tra una regione esterna ed il
cuore ».
< Sono più di cinque lustri, continua lo stesso Gay, che solevo
essere impressionato in modo speciale quando il mio sguardo capi-
tava sul lato esterno del garreto dei grandi nostri animali domestici,
parendomi che applicando sopra tal regione una faccia del cuore colla
base in alto, dovesse corrispondere in dimensione al tarso stesso,
vedendo dal tarso in giù, come un cuore voluminoso qual si incontra
appunto nei nostri grandi erbivori. Però fino a questi ultimi tempi
7)
non mi occupai di esaminare se esistesse qualche correlazione ana-
tomica tra il tarso ed il cuore. Ultimamente volli prendere ad esame
questi fatti. Non esaminai cavalli, e dei bovini, non ne esaminai di
adulti.
< Dissi che esaminai ruminanti (bovini, ovini, caprini), suini (ma-
jali di diverse razze e di diverse età e peso). Mi fermo anzitutto ai
suini, come quelli in cui ottenni i più bei risultati, sebbene non
sieno trascurabili quelli ottenuti negli altri animali che io esaminai.
< Del tarso, scelsi le dimensioni sue antero-posteriori, indicate da
una linea retta che parta dalla sommità del calcagno e termini a li-
vello della piega del garetto, all’ apice cioè della specie d’ angolo
ottuso che la regione tibiale fa col metatarso. Tal linea è perciò leg-
germente inclinata in avanti ed in basso, se si considera il suo punto
di partenza alla sommità del calcagno.
< Lo strumento di misura lo tengo a lato dell’ articolazione, ra-
sente la medesima. Per stabilirne la lunghezza, abbasso su questa
una perpendicolare che passa tangente il calcagno, da un lato; tan-
gente la piegatura del tarso dall’ altro. Del resto, per queste deter-
minazioni esistono norme in fine dell’ opuscolo presente.
« Questa linea è costantemente uguale ad uno dei diametri an-
tero-posteriore del cuore del maiale, guardato dal lato sinistro, e
nella sua situazione ordinaria del torace.
« Il diametro in parola del cuore è quello che parte dal punto
di maggior convessità del ventricolo destro, si dirige orizzontalmente
in dietro, terminando a livello del margine posteriore del ventricolo
sinistro (Linea di-ventricolare antero-posteriore).
« Comunemente la linea cardiaca, che chiamo cardio-tarsica, passa
a 10 o 12 mill. al disotto del margine della orecchietta sinistra.
« Da quanto sono venuto esponendo fin qui, emerge già come
fatto accertato quanto segue :
l. Esiste correlazione di sviluppo tra certe dimensioni del tarso
degli animali e certe dimensioni del cuore;
2. Tale correlazione è, per certe specie, a significato assoluto ,
avendosi le due dimensioni di uguale estensione.
« Le misure vennero prese da me, al tarso non privato dalla
pelle né dai peli; al cuore, spogliato questo del pericardio.
_< Oltre al rapporto tarso-cardiaco, studiai pure altro rapporto ,
quello cioè tarso-cranico. — Ho però due sole osservazioni in propo-
sito, e pel maiale. Condussi una linea retta dal margine superiore
del foro occipitale all’ estremo anteriore del cavo ovalare del cranio,
e la confrontai colla solita linea tarsica. Dove trovai pella linea tar-
sica 97 mm., trovai per la linea cranica succitata 99 mm. Dove trovai
80
93 pella linea cranica, trovai 83 mm. pella linea tarsica. Quindi, se
una linea si modifica, si modifica pure l’ altra, ma non conservano
un rapporto che sia di un certo grado di costanza. È però costante
la proporzionalità.
« Anche pel rapporto tarso-cardiaco potrebbe non aversi altro che
proporzionalità, e sarebbe sufficiente per l’ argomento; ma per quello,
in varie specie al certo, evvi di più, ossia coincidenza perfetta nelle
dimensioni che vanno variando, fra le due linee tarsica e cardiaca
che indicai.
In seguito il Dott. Gay dà le Norme per la determinazione di
rapporti tarso-cardiaci ossia di una linea del tarso avente stretto rap-
porto con altra del cuore.
In proposito egli scrive: « ho già indicato, più sopra, in modo
generico, la linea del tarso che tolsi ad esame e quella del cuore
con essa in rapporto strettissimo, anzi in certi animali, alla mede-
sima uguale. Credo utile il fornire qualche norma per trovare tali
linee, specialmente quella del tarso, alquanto più difficile a ritrovare
da chi voglia controllare questi studi.
« Nella stazione in piedi, nei suini, nei bovini o negli ovini al-
meno, ed anche nel cane e nel cavallo, il profilo anteriore dell’ arto
addominale è quasi rettilineo; per lo meno forma una gran curva
molto aperta, per cui, non avendosi vertice di angolo, non è facile
trovare l’ apice di quella specie di angolo (tibio-tarso-metatarsico).
Facendo però flettere il tarso su la tibia, un vertice si forma, al
davanti del tarso, ed è a tal vertice che deve essere diretta la linea
che si fa partire dalla parte più convessa del calcagno (bovini, suini,
ovini e capre), notando che nei bovini tal linea corrisponde alla lun-
ghezza del cuore, anzichè alla base od alla linea i cui limiti già. in-
dicai, e che può dirsi di-ventricolare.
Nei bovini poi, segando dall’ alto al basso la regione del tarso e
nel senso antero-posteriore, si vede che la linea tarsica è diretta dalla
sommità del calcagno verso il margine antero-inferiore dell’epifisi della
tibia, dopo di aver intersecato piccola parte dell’ estremità superiore
dell’ astragalo.
In tal guisa si vedrà la direzione da dare alla linea che parte
dalla sommità del calcagno.
Si può ancora determinare la direzione della linea tarsica in pa-
rola, nel seguente modo. Condurre una linea orizzontale a lato del
tarso, passante a livello della sommità del calcagno. Da questo punto
far partire altra linea che coll’orizzontale faccia angolo di 25 a 30°.
Questa sarà la linea tarsica.
Si noti che facendo centro a livello della sommità del calcagno e
aio.
81
muovendo l’ estremo d’ un regolo misuratore diretto verso la piega-
. tura del garretto, per un certo tratto le dimensioni della linea non
subiscono notevoli cambiamenti.
Nell’ esame la posa dall’arto è quella dell’animale in piedi, ossia
mentre l’angolo a vertice ottuso, fatto dalla tibia col metatarso, è
di 130 a 150°.
Del resto poi, senza troppo dilungarmi intorno a queste norme,
mi pare sufficiente il segnalare come basti che una volta, sopra un
maiale ucciso, si cerchi la linea cardiaca quale l’ ho indicata, por-
tandola sul tarso. Un suo estremo venga portato in corrispondenza
del punto più culminante del calcagno: l’altro, diretto verso la parte
anteriore del tarso, lo si muova finché sia a livello della superficie
dei peli nella piega del garretto, arrestandosi in quel punto.
Si avrà così la linea che costantemente corrisponde alla linea di-
ventricolare del cuore. Pei bovini, quella linea corrisponde alla lun-
ghezza del cuore, e quindi si porti al tarso la lunghezza del cuore:
misurata come dissi abbassando una perpendicolare dall’ origine della
polmonare sopra un piano su cui si supponga posare la punta del
cuore stesso.
La linea tarsica, o la cardiaca corrispondente, in varii animali è
pure in rapporto con una linea cranica, siccome più sopra ho detto.
° La linea tarsica da me studiata merita il nome di Tarso-cardiaca,
come la sua corrispondente cardiaca merita quello di Cardio-farsica.
Se la tarsica si riferisce alla linea cranica, é bene dirla Tarso-cra-
nica. Quella cardiaca antero-posteriore la dissi di-ventricolare.
Nei bovini, è da rilevare che ho trovato che ad es. all’ età di 3
mesi circa la linea tarsica uguaglia quella di animali di olîre 20 mesi,
e così pella lunghezza del cuore, poiché la lunghezza di questo segue
una linea tarsica che indicai.
Intorno a questi rapporti tarso-cardiaci, dovrò ritornare prossi-
mamente, con nuovi studii, e nuovi risultati.
La forma delle parti suddette, conosciuti gli estremi delle linee,
permette l’ uso del compasso di spessore per determinare la dimen-
sione di ogni linea.
M.
Prof. Achille De Giovanni. — /ppocratismo e sperimentalismo.
— Discorso d’ apertura dell’ anno clinico 1895-96. — Morgagni,
Anno XXXVIII, N. 1, 1896. — Milano, S. E. L. Via Disciplini, 15.
E passato un anno da che è stato pronunciato questo discorso, ma
può esser letto ancora come discorso recente. Se è troppo tardi per
4
82
darne un sunto, non lo è per riportare le parole che dirige a’ suoi
studenti.
« Se vi avverrà di leggere un eccellente lavoro testè uscito in
Germania, intorno alla genesi delle disposizioni morbose individuali
— quando abbiate bene compreso i miei insegnamenti -- eviterete
un altro equivoco, tanto frequente tra di noi, quello di ritenere ve-
nuto d’oltr’Alpe l’ indirizzo morfologico nella Clinica, il quale invece
e nato in Italia.
> Alludo specialmente all’ opuscolo del dott. F. Rohde: « Ueder
den gegenwartigen Stand der Frage nach der Entstehung und Verer-
bung individueller Eigenschaften und Krankheiten. Jena. Verlag. v.
Gustav Fischer 1895 ».
In questo opuscolo si contengono enunciati filosofici e scientifici
sopra i quali abbiamo fondato e diretto noi medesimi le nostre osser-
vazioni di morfologia clinica da più che un ventennio, rese di pubblica
ragione nel volume di clinica medica generale, Morfologia del corpo
umano (Milano, ed. Hoepli) nel 1891.
L’opuscolo surricordato porta una prefazione del prof. Binswanger
di Jena, dove questi facilmente dimostra 1’ importanza dello studio
delle predisposizioni morbose, finisce raccomandando al mondo medico
la primizia che presenta nell’opuscolo del suo discepolo : Ich empfehle,
dice il prof. Binswanger, diese Erstlingsarbeit der iirztlichen Leserwelt.
Mòge sie den Nutzen den ich von ihr erhoffe. Noi abbiamo fatto
qualche cosa di più dell’egregio allievo del prof. Binswanger, perché
non solo ci siamo dimostrati la necessità di comprendere le disposi-
zioni morbose nel fatto dell’organizzazione individuale secondo le leggi
della morfologia moderna, ma abbiamo proposto un metodo — frutto
di numerosissime , pazienti, continue ricerche — col quale si può
acquistare la nozione del tipo Morfologico individuale. Siamo dunque
sicuri di avere fatto noi pure opera meritevole della calda raccoman-
dazione dell’egregio professore di Jena.
Ma facendo questa considerazione, altri pensieri vengono alla
mente, che inducono nell’animo qualche sconforto. Forse il mio libro,
che oltre gli enunciati scientifici più sicuri e fondamentali, reca un
sistema di fatti coordinati a portare un indirizzo nuovo nell’osserva-
zione clinica, ha potuto inspirare, l’A. alemanno ; forse per andazzo
di scuola, il mondo medico si appiglieraà alla primizio alemanna e
così avverrà come è quasi sempre avvenuto che l'iniziativa e la pri-
mizia italiana rimanga nell’oblio; e forse a questa ingiustizia dei
tempi contribuisce l’indifferenza alla quale fa sonoro contrasto l’amore
col quale gli stranieri seguono e proteggono dall’oblio il portato del-
l’ ingegno e del lavoro nazionale.
Susie
83
Ne io presentava il mio lavoro con audacia e con presunzione,
ma timidamente diceva, presentandolo, press'a poco quanto scriveva
Binswanger in capo all’opuscolo del suo allievo: Méòge sie (la pri-
mizia o l'iniziativa) den Nutzen stiften den ich von ihr erhoffe.
Né dopo l’adozione del metodo morfologico nello studio della cli-
nica ho dovuto e potuto abbandonarlo, perché i risultati che vado
man mano raccogliendo mi autorizzano a dichiarare, che questo me-
todo contribuisce efficacemente agli scopi della clinica e dimostra sem-
pre più la grandiosità delle leggi naturali e la verità della dottrina
che da esse emana.
E nemmeno ho potuto credere alla perfezione del metodo, perché
invitava i miei colleghi ad informarsene ed a concorrere a correggerlo,
a migliorarlo, ad estenderlo secondo scienza ed esperienza. Però,
mentre ora da una parte, ora dall'altra ho sentore di fatti, di ricerche,
di concetti che entrano nell’ ordine di quelli che costituiscono il me-
todo al quale ho dedicato le mie umili forze: e mai mi è dato udire
né leggere obbiezioni autorevoli ai principi fondamentali delle dot-
trine e del metodo che seguo, io mi convinco maggiormente della
bontà del metodo e più vivo si accende in me il desiderio che non
venga offesa la verità storica e si riconosca che questo metodo — il
metodo morfologico — è nato e finora cresciuto in Italia.
A che giovano le proclamazioni filosofiche se non valgono ad in-
dirizzare l’ osservazione e l’ interpretazione delle cose osservate se-
condo lo spirito filosofico medesimo ? Quello che ci viene a dire oggi
il dott. Rohde non è nuovo; il mondo dei lettori medici sa bene che
non è una primizia, né nel campo della scienza pura né in quello
della medicina. Ed io non mi permetterei scrivere questa nota, se
quanto ho tratto dai miei studi non mi avesse condotto un po’ più
avanti all’ incarnazione, io direi, dei principii scientifici nel metodo
dell’ indagine sull’ uomo; metodo che non mi perito raccomandare ai
fisiologi quante volte mirino a studiare sull'uomo la fisiologia umana ».
M.
NECROLOGIO
_—n=-_
Dortor RAFFAELLO ZOJA.
Con l'animo pieno di dolore annuncio la morte di questo valoroso
giovane, a me caro come un figlio; che mi faceva orgoglioso per la
sua eminente riuscita negli studi biologici, ai quali si era dato con
passione e con entusiasmo. D’ingegno forte e culto, di carattere dolce
e deciso, nutriva profondi sentimenti umanitarii.
84
Raffaello Zoja nacque a Pavia, il 10 marzo 1869, dai coniugi
Prof. Giovanni e nobile Adriana Panizza; perì, vittima dell’alpinismo,
il 26 settembre 1896, insieme col fratello Alfonso, studente del 3.°
anno di medicina, pur a me caro giovane, e promettente un brillante
avvenire. Due fratelli l’uno dell’altro amantissimi, delizia e speranza
di un’ onorata famiglia, consolata d’amore e di pace e di devozione
reciproca, in uno stesso giorno travolti insieme nella morte! Sven-
tura immensa ai desolati genitori, al fratello e amico dottore Luigi!
Ma é anche immenso dolore per tutti quanti li conobbero.
Raffaello Zoja percorse tutti gli studi nella sua città natale, e
sempre con onore. I suoi Professori per le scienze naturali, l'avevano
preso in molta considerazione non solo per il profitto che addimostrava
degli insegnamenti a lui impartiti, ma anche pel suo dire chiaro, or-
dinato e preciso. Ebbe nel Liceo il Prof. Edoardo Bonardi, —
ebbe nella Scuola normale della nostra Università il Prof. Giacomo
Cattaneo, — ebbe nella facoltà di scienze i Professori Giovanni
Cantoni per la fisica, — Tullio Brugnatelli per la chimica, —
Francesco Sansoni per la mineralogia e metallurgia, — Tor-
quato Taramelli per la geologia e paleontologia, — Giovanni
Briosi per la botanica, — Pietro Pavesi per la zoologia, coro-
logia e parassitologia, — e me per l’anatomia e fisiologia compa-
rate e protistologia. Oltre questi corsi ufficiali e di scienze oramai
indispensabili, segui il corso complementare di anatomia umana dato
da suo padre, e altri corsi liberi di geografia del Prof. V. Bellio
sostenendone anche l’ esame, di chimica teoretica del Prof. G. Ber-
toni, di anatomia comparata degli invertebrati del Prof. G. Cat-
taneo, di petrografia del Dott. E. Artini e di analisi infinitesimale
del Prof. F. Casorati, facendosi conoscere da tutti gli insegnanti
per un ingegno eletto.
A di 4 luglio del 1890, Raffaello Zoja si addottorò in scienze
naturali con pieni voti assoluti e con lode speciale, presentando per
tesi di laurea le sue ricerche morfologiche e fisiologiche sull’ HypRA,
che aveva fatte nel mio Laboratorio, essendovisi inscritto pel secondo
biennio de’ suoi corsi universitari.
Volendo dedicarsi all’ Anatomia e fisiologia comparate, lo proposi
subito mio Assistente; e venne nominato pel biennio scolastico 1390-91
e 1801-92. In questi due anni spiegò una grande attività, disimpe-
gnando lodevolmente le incombenze del suo ufficio, e attendendo a non
poche ricerche scientifiche, tutte coronate da esito felice.
Una Memoria, e di lunga lena, fu quella dei Plastiduli fuesinofili
(bioblasti di Altmann), fatta insieme al fratello Dottor Luigi.
Come io li aveva sempre seguiti nel loro sviluppo mentale non co-
85
mune, m’era allora un godimento continuo vedere quei due giovani
occuparsi con impegno dell’argomento scientifico, che loro diedi da
studiare. Con tale Memoria si fecero conoscere dall’illustre Prof,
Altmann, che, tutta prima pensò fossero questi i due fratelli
Zoja perduti per il mal di montagna.
Il continuo desiderio che aveva Raffaello Zoja, di allargare e
approfondire le sue cognizioni, lo spinse a passare, insiemeal fratello
Luigi le vacanze autunnali del 1391 a Napoli lavorando alla sta-
zione Dohrn, alla quale ritornò per tre mesi anche nel 1892.
Riconfermato mio Assistente pel biennio 1892-93 e 1893-64, dopo
aver lavorato tutto l’anno scolastico, si portò, nelle vacanze autun-
nali del 1893, a Basilea col fratello Luigi, nel Laboratorio dell’ il-
lustre Prof. Bunge per la chimica biologica.
Vedendo i suoi rapidi progressi scientifici ‘e conoscendo la man-
canza attuale di un vero embriologo italiano, io lo consigliava, e ve-
nivo accondisceso;, che si desse tutto all’ embriologia comparata, così
da poter riempiere con un degno cultore della storia dello sviluppo
quella lacuna, che pur troppo da noi esiste ancora.
Il mio intento fu ottenuto. Alla fine del primo anno di questo
secondo biennio, avendo Egli conseguito, con pieni voti assoluti, un
posto di perfezionamento all’ interno, passò, per mio suggerimento,
all’Università di Messina nel Laboratorio di zoologia e d’ anatomia e
fisiologia comparate diretto dall’illustre Prof. N. Kleinenberg, ove
fece le sue ricerche sullo sviluppo dei blastomeri isolati dalle ova di
alcune Meduse e di altri organismi.
Ritornato al principio dell’anno scolastico 1894-95, mio Assistente,
poco tempo dopo mi lasciava per recarsi all’ Università di Berlino dal-
l'illustre Prof. Oscar Hertwig a compiere il suo perfezionamento
negli studi embriologici, avendone ottenuto l’assegno con pieni voti.
Con mia compiacenza Egli s'era fatto allievo d’altri, per rag-
giungere quanto io mi era prefisso; e già molta stima s’era acqui-
stata anche all’ estero sì da meritare sinceramente e spontaneamente
il compianto di illustri scienziati, giunta che a loro fu la notizia della
sua morte.
Scrissero lettere di condoglianze: Lukjanow, Kollmann,
Schiess, Hartmann, Thierfelder, Strassen, ed altri.
Scrissero lettere di condoglianze e scientificamente motivate A lt -
mann, Auerbach, Balbiani, Brauer, Driesch, Frey,
Giard, Heckel, Heidenhaim, O. Hertwig, Mitrophanow,
Nicolas, Roux, Riickert, Samassa, Willem, Flemming.
Non era Raffaello Zoja degno d’essere un libero docente per
titoli scientifici ?
86
Io ne era tanto certo che già metteva a sua disposizione i mezzi
del mio Istituto necessari per dare il corso d’ embriologia comparata;
con quanta mia soddisfazione, chi ama la scienza ed il bene del paese,
chi si sente affezionato al proprio Ateneo, lo può comprendere.
Io lo vedeva di ritorno da Berlino, caro e stimato collega, amico
riconoscente, perché la sua riconoscenza non mi è mai venuta meno.
Ma la domanda di libera docenza, ch’ Egli fece nell’ anno scorso,
venne respinta dal Consiglio Super.® d’Istruzione pubblica, di cui sono
membri gli illustri Professori S. Trinchese e S. Ricchiardi.
Come mai questi due naturalisti e biologi non sostennero favorevol-
mente la domanda dello Zoja, corredata dal voto unanime della no-
stra facoltà di scienze e da una particolareggiata relazione sui titoli
scientifici da lui presentati e sopra i suoi meriti speciali ?
Raffaello Zoja non era di quei giovani, che entrano nell’ Univer-
sità digiuni per tutto imparare. Egli aveva preferite le scienze na-
turali con piena consapevolezza e con proposito sicuro. Si presentava
a noi, dieci anni or sono, con un corredo di conoscenze importanti
per un naturalista, tra le quali quelle del disegno, della plastica e
delle lingue straniere, francese, tedesca, inglese, le quali poi sempre
ampliò, provandosi anche a studiare la lingua russa.
Da vero la ripulsa dell’ alto consesso, fu dura e immeritata.
Il giorno 25 giugno 1895, Raffaello Zoja ricevette, non aspet-
tato, l'annuncio della medaglia d’oro conferitagli dalla Società dei XL,
pei suoi lavori scientifici, e prima che pubblicasse quello sì prezioso:
Untersuchungen tber die Entwichlung der Ascaris megalocephala ,
fatto nel Laboratorio di O. Hertwig. — Quale contrasto fra il
Trinchese di questa Società e quello del Consiglio Superiore!
Ma Jello, così io lo chiamavo fino da piccino, nuovamente nomi-
nato mio Assistente al principio di quest'anno, calmo e sereno si pre-
parava all’esame per ottenere la libera docenza in anatomia e fisio-
logia comparate presso la nostra Università, e alla fine di maggio
consegnava la sua dissertazione dal titolo : Stuto attuale degli studi
sulla fecondazione, tema datogli dalla Commissione esaminatrice costi-
tuita, governativamente, dal Preside della facoltà di scienze C. For-
menti, da me e dai Professori P. Pavesi, E. Oehl, G. Cane-
strini, in sostituzione a C. Golgi, e G. Briosi. Il Prof. Oenhl,
che si pronunciò pel primo su questa dissertazione, la chiamò classica.
Ed io son ben lieto di vederla pubblicata nel IOETTAO Bollettino, di
cui Egli fu indefesso collaboratore.
Questa dissertazione sarebbe stata presentata molto tempo prima,
se, alla fine di marzo, Egli non si fosse ammalato di scarlattina, coi
fratelli Alfonso e Luigi. Allora avrebbe potuto sostenere la prova,
87
che a noi promettevasi splendida. Gli impegni scolastici dei Commis-
sari, la fecero trasportare dopo le vacanze autunnali. Così ci furon
tolti due giorni di gioie intellettuali.
Il 21 maggio di quest'anno stesso, si può dire ad unanimità, ve-
niva nominato Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di
Scienze e Lettere in Milano; e certamente di queste nomine, ne
avrebbe avute tante, perchè la sua fama diffondevasi.
Raffaello Zoja, nell’ ottobre scorso stava per essere giudicato fra
i concorrenti alla cattedra di zoologia, anatomia e fisiologia compa-
rate dell’ Università di Catania, ed io, quale commissario. per quel
concorso, posso dire che doveva essere classificato fra i migliori, e
con molta soddisfazione, seppi che altri commissari l’avrebbero messo
primo.
Perchè quella nube non si sciolse prima di avvolgere la cima del
Gridone ?
Prof. LeoPoLnpo MaAcGI.
Pubblicazioni scientifiche del Dott. RAFFAELLO Z0JA
a) Memorie e Note originali.
1° 1390. Sulle fibre della porzione maggiore del muscolo adduttore
delle valve nell’ OstREA EDULIS con una tavola. — Bol-
lettino Scientifico, anno 12°, N. 1, Pavia.
2°» Alcune ricerche morfologiche e fisiologiche sull’ HypRa. —
Tesi di laurea con sei tavole. — Bollettino Scientifico,
anno 12°, N. 3 e 4; e anno l8°, N. 1, Pavia.
- In Sunto: Arch. Ital. de biologie 1891. Tom. XV. Fasc. I.
8° 1891. Zatorno ai plastiduli fucsinofili (bioblasti di Altmann) Luigi
e Raffaello Zoja. — Memorie del R. Istituto Lombardo
di Scienze e Lettere. — Vol. XVI. e XVII. Serie 3.2
CI. di Sc. m. e n., con 2 tavole.
In Sunto: I. Bollettino Scientifico, anno 13°, N. 3 e 4, pag. 118.
II. Arch. fur. Anat. und. Physiol. 1891. Serie 335.2
III. Arch. ital. de Biol. 1891. Tom. XVI. fasc. I.
IV. Rend. del R. Istituto Lombardo 1891. Serie 2.2 Vo-
lume XXIV, fasc. XV.
4°» Sulla trasmissibilità degli stimoli nelle colonie di Idroidi.
— Rendiconti R. Istituto Lombardo. Serie 2.8 Volume
XXIV, fasc. XX., con una tavola.
In Sunto: Bollettino Scientifico, anno 13.0 N. 3-4 1891, pag. 120. —
Arch. it. de biolog. 1892. Tom. XVII, fasc. II.
88
7
(3
10°
1l
Jos
13
14
15
16
17
18
19°
1891.
1392.
1893.
»
»
1395.
1896.
»
Su alcuni esemplari di DenpRocLava DonrNnI Weismann.
— Bollettino Scientifico, anno 189, N. 3-4.
Intorno ad alcune particolarità di struttura dell’ HypRA.
— Rendiconti R. Istituto Lombardo. Serie 2.2 Volume
XXV, fasc. IX., con una tavola.
In Sunto: I. Zoolog. Anzeiger, 1892, N. 394.
II. Arch. it. de Biol., 1893. Tom. XVIII., fasc. III.
Sulle sostanze cromatofile del nucleo di alcuni Ciliati. --
Bollettino Scientifico, anno 14°, N. 4, Pavia.
In Sunto : Arch. it. Biol., 1893. Tom. XIX., fasc. III.
Contribuzione allo studio delle sostanze cromatofile nucleari
di Auerbach. — Bollettino Scientifico, anno 15.9,
Nt iPayia:
Le cellule colorate dell’ ectoderma di alcuni idroidi (con
una tavola). — Bollettino Scientifico, anno 15°, N. 2,
Pavia.
Sulle sostanze cromatofile del nucleo dei Succhiatori e Fla-
gellati. — Bollettino Scientifico, anno 15°, N. 1.
Intorno ad un nuovo idroide (UMBRELLARIA ALOYSI n. g.
n. sp.), — Mitth. aus. d. Zoolog. Station zu Neapel.
10 Bd. 4 H. 1 Taf.
Localizzazione del fosforo nel peduncolo delle Vorticelle. —
Bollettino Scientifico, anno 16.°, N. 4.
Sullo sviluppo dei blastomeri isolati dalle uova di alcune
Meduse. — Anat. Anzeig. X Bd. N. 6.
Sviluppo di blastomeri isolati ed anomalie di segmenta-
zione nelle uova di Echini. — Rendiconti R. Istituto
Lombardo. Serie 2.2 Volume XXVII., fasc. XX.
Sullo sviluppo di blastomeri isolati dalle uova di alcune
meduse, e di altri organismi. — Arch. f. Entwicke-
lungsmechanik der Organismen l. Bd. 4 H. 8 Taf.
Sull indipendenza della cromatina paterna e materna nel
nucleo delle cellule embrionali (con una tavola). — Anat.
Anzeig. XI. Bd. N. 10.
Una nuova medusa (OCTOGONADE MEDITERRANEA N. g. N. Sp.).
Con tavola. — Bollettino Scientifico, anno 17°, N. 8 e 4.
Untersuchungen ùber die Entwicklung der Ascaris Mega-
locephala. — 2. Taf. Arch. f. mikrosk Anat. Bd. 47.
Stato attuale degli studi sulla fecondazione. — Tesi di
libera docenza (in corso di stampa). — Bollettino Scien-
tifico, anno 18°, N. 2, 3 e 4, 1896 e anno 19° N. 1
e seguenti, 1897.
SI
89
b) Comunicazioni.’
1° A proposito di alcune recenti ricerche di embriologia (Genealogia
dei Blastomeri. —— Varie modalità di sviluppo dei Blasto-
meri isolati). — Bollettino Scientifico, anno 17°, N. 2, 1895,
pag. 54.
c) Recensioni.”
. Su la descrizione di un mustro pigomelico (Dipygus parasiticus)
seguita da alcune considerazioni sull’ origine della mostruo-
sità doppia di Eduard Bugnion. — Bollettino Scien-
tifico, anno 12°, N. 1, 1890, pag. 26.
. Sopra il Trichoplax adherens di F. E. Schultze. — Berlin,
1891. — Bollettino Scientifico, anno 13°, N. 8 e 4, 1891,
pag. 120.
. Sulla struttura del nucleo e sulle strutture reticolari (Ueber Kern-
structur und Netz structuren) di Altmann R. — Arch.
Anat. und. Physiol. Anat. Abth 1892). — Bollettino Scien-
tifico, anno 14°, N. 2 e 8, 1892, pag. 89.
. Sulla presenza di pseudopodi nelle DiatoMmEE dei generi MELOSIRA
e CycLorELLA. (Quart. Journ. of. Micr. Scienze. Vol. XXXII,
part. 4.° 1891) di Grenfell T. G. — Bollettino Scienti-
fico, anno 14°, N. 2 e 3, 1892, pag. 91.
. Sul movimento delle Draromer. (Verandl. d. Natur. Med. Vereins
zu Heidelberg. N. fasc. IV. B. d. 5. Heft 4 Marz 1892) di
Prof. 0. Butschli. — Bollettino Scientifico, anno 14°,
NAZ 802t1 pag 915
. Osservazioni faunistiche e biologiche sul grande lago di Plòn, del
Dott. A. Zacharias, in Forschungsberichte aus der Bio-
logischen Station zu Plon, Theil, 1. — Bollettino Scientifico,
IMNORloggN. 11893 pag: 20,
. Ueber merkwurdige Vorginge am Sperma von DyTISCUS MARGI-
NALIS di L. Auerbach.— Bollettino Scientifico, anno 15°,
N. 1, 1893, pag. 28.
. Sulla ripartizione degli organismi limnetici in un lago. — For-
schungsberichte der Biologische Station zu Plon, di O. Za-
charias. — Bollettino Scientifico, anno 16°, N. 3 e 4,
1894, pag. 113.
. Etudes sur les fourmis, les guepes et les abeilles di Charles
Janet. — Bollettino Scientifico, anno 18°, N. 1, 1896,
pag. 31.
NB. L’ asterisco indica i lavori fatti nel mio Laboratorio.
Prof. L. MAGGI.
90
Stato attuale degli studi sulla fecondazione
DISSERTAZIONE DI LIBERA DOCENZA
DEL
DoTT. RAFFAELLO ZOJA.
« Questo studio critico sullo Stato attuale degli studi sulla
fecondazione era stato presentato nel maggio 1896 da mio
fratello alla Commissione che lo doveva esaminare per la
libera docenza in Anatomia e Fisiologia comparate. Aveva
in animo di pubblicarlo aggiungendovi un capitolo sulla
tecnica di preparazione e di studio del materiale d’' osserva-
zione, che avrebbe esposto passandola al vaglio della espe-
rienza sua propria. Il 26 di settembre soccombette per una
bufera di neve sul monte Gridone, prima che avesse steso
îl nuovo capitolo e qualche modificazione che pur voleva in-
trodurre nel testo (°). Il suo lavoro è così, come l’ ha lasciato
lui; il fare una modificazione, un’ aggiunta non sarebbe op-
portuno. Come în arte, così è in scienza; per chi come era
mio fratello, è vsservatore acuto, paziente e coscienzioso, e di
più ha mente elettamente ed artisticamente sintetica, come
aveva lui, lo scritto scientifico è tutto ciò che di più personale,
di più originale vi può essere.
Fra i suor manoscritti ho trovato ancora qualche pagina
staccata su un raffronto fra la fecondazione degli organismi
più complessi e la contugazione dei protozoi, qualche appunto
sulla microfauna dei fossati e degli stagni dei dintorni di
Pavia, sui parassiti del Leuciscus pigus, sullo sviluppo del-
l’idra d'acqua dolce, sullo sviluppo del Choetogaster e di un
Cyclops, sulla fecondazione crociata, sui rapporti strutturali
e funzionali fra nucleo e corpo cellulare.
Quanto vigore e quante promesse la scienza ed il suo
partito abbiano perduto, forse più ancora che chi legge 1 suoi
(*) In una sua lettera mi scriveva « vedo crescere sempre l’imponenza del la-
voro e prevedo che dovrò ritardarne la pubblicazione per rivederlo e completarlo >. -
91
scritti, lo può comprendere chi conoscendolo personalmente
ha potuto valutare il suo ingegno e indovinarne le qualità.
Invece del lavoro che lungamente abbiamo vagheggiato di
fare insieme, questo ufficio m' è toccato, mio Jello, nel dolore
inconsolabile in cui stamo dal giorno della morte tua e di
Alfonso.
Pavia, 26 ottobre 1896.
Dott. LUIGI ZoJA. »
Stato attuale degli studi sulla fecondazione
SOMMARIO.
INTRODUZIONE.
CAPITOLO I.
La copulazione degli elementi sessuali
1.0 Gli elementi sessuali; tempo e luogo della loro copulazione.
2.0 Cause che avvicinano gli elementi sessuali.
3.0 Fenomeni di penetrazione.
4.0 Azioni esercitate dallo spermatozoo sul vitello; difesa del vitello contro la
penetrazione di altri spermatozoi e contro la fecondazione bastarda.
CAPITOLO II.
I processi interni della fecondazione.
1.0 Azione dello spermatozoo sul nucleo dell’ uovo.
2.° Azione dell’ uovo sul nucleo dello spermatozoo.
3.° Formazione dei due pronuclei.
4.0 Cammino dei due pronuclei entro l’ uovo.
5.0 La sostanza acromatica :
A) Nell'elemento maschile;
B) Nell’ elemento femminile ;
C) Anomalie ed esperimenti.
6.0 Modo di unione dei due pronuclei; loro partecipazione al 1.° fuso di seg-
mentazione.
7.0 Durata dei vari processi della fecondazione.
Capi: oLO III.
La Cromatina.
1.0 Costanza del numero dei cromosomi nelle varie speci.
2.° Anomalie.
3.° La sede dei caratteri ereditari.
CapitoLO IV.
La maturazione degli elementi sessuali.
1.0 La riduzione cromatica; parallelo fra lo sviluppo delle uova e degli sper-
matozol.
2.0 Gli Idanti, la loro costituzione ed il loro valore secondo Weismann.
3.0 Formazione delle tetradi.
4.0 Valore dei globuli polari.
92
CAPITOLO V.
La Polispermia.
1.0 Fîsiologica.
2.0 Casuale, patologica o sperimentale.
CAPITOLO VI.
La Partenogenesi.
CAPITOLO VII.
Confronto fra la fecondazione negli animali e nei vegetali
e la coniugazione nei protozoiî.
1.0 La coniugazione nei protozoi.
2.0 Cenni sulla fecondazione nei vegetali.
8.0 Confronto fra la fecondazione negli animali e nei vegetali e la coniugazione
nei protozoi.
4.0 Confronto fra i fenomeni di maturazione ; teoria filogenetica dello Stra-
sburger.
CapiToLO VIII.
Teorie della fecondazione.
1.0 Teoria dell’ ermafrodismo.
2.0 Teoria degli arresti.
3.0 Teoria della selezione.
4.° Teoria del ringiovanimento.
5.° Confronto fra le varie teorie.
QUADRO RIASSUNTIVO.
BIBLIOGRAFIA.
SPIEGAZIONE DELLE FiGURE.
INTRODUZIONE.
Il fenomeno della fecondazione, come uno dei più interessanti -
della biologia, attrasse da lungo tempo l’attenzione degli stu-
diosi, di guisa che una lunga serie di ricerche, iniziate dalla
scoperta degli spermatozoi (v. Hamm e Loevenhoeck) e dalle
classiche esperienze dello Spallanzani, furono dirette a pene-
trarne il mistero, sollevando tratto tratto un piccolo lembo del
velo che lo ricopriva. Ma una conoscenza più esatta di questo
processo non fu possibile, se non quando gli sforzi riuniti di pa-
recchi indagatori, e coll’investigare nuovi materiali di. ricerca
e coll’usare nuovi metodi tecnici, riunirono condizioni più favo-
revoli a questi studi.
Questo nuovo periodo già accennato dalle ricerche di Bit-
schliì ("73), di Auerbach (’74) e di E. van Beneden (‘75), i
93
quali videro originarsi e poi fondersi entro l'uovo fecondato due
nuclei, si può dire iniziato da O. Hertwig. Egli, nel 1875,
rinvenuto nelle uova degli echini un materiale che si presta
mirabilmente allo scopo per la sua trasparenza, per le sue pic-
cole dimensioni che permettono di osservare al microscopio sul
vivo tutto il processo della fecondazione, e per la possibilità di
praticarvi la fecondazione artificiale, il che permette di aver
sempre a disposizione gli stadi che più interessano, ed applicando
a questo materiale i metodi tecnici di indagine allora in uso,
fece fare alle nostre conoscenze sulla fecondazione un passo gi-
gantesco, dimostrando che nell’uovo penetra uno spermatozoo e
vi sì tramuta in un nucleo che si fonde poi col nucleo dell’ uovo.
La conclusione sua fu che l’atto essenziale della fecondazione
consiste nella fusione di un nucleo maschile con un nucleo fem-
minile. Questa scoperta dell’ Hert wig segnò il punto di partenza
delle nostre cognizioni attuali sulla fecondazione e, come facil-
mente si comprende diede l'impulso ad un gran numero di altri
lavori i quali vennero precisando e completando, ed in parte mo-
dificando, l'affermazione dell’Hert wig. Della lunga schiera di
naturalisti che rivolsero la loro attività a questo problema oltre
a O. Hertwig, vanno segnalati in modo speciale H. Fol,
E.L. Mark, E. van Beneden, F. Vejdowsky e T. Boveri.
Io non seguirò lo sviluppo storico delle conoscenze sull’ argo-
mento, tanto più che ciò fu fatto già magistralmente da molti
autori e fra gli altri dal Fol (78) e dal van Beneden ('83).
Sul periodo moderno di questi studi, quale possiamo chiamare il
periodo che segue la scoperta dell’ Hertwig, vi sono pure due
eccellenti lavori riassuntivi dovuti a due autori fra i più com-
petenti, Il Waldeyer (’88), del quale tutti conoscono la mirabile
attitudine a simili riviste sintetiche, ed il Boveri (’91), che tanto
contribuì colle sue proprie ricerche al progresso delle nostre
conoscenze sulla fecondazione.
Tuttavia, a cagione dell’incessante succedersi di nuovi studi,
io credo che un nuovo riassunto possa non essere al tutto inutile
e particolarmente se esso in luogo di attenersi soltanto ai risul-
tati generali cercherà di raccogliere anche le osservazioni stac-
cate, raffrontando le differenze che presso i vari organismi non
mancano di verificarsi nel fenomeno che ci occupa, e procurando
94
di riprodurre completamente, per quanto è possibile, lo stato
attuale degli studi.
Con questo intento ebbi cura di dare una bibliografia per
quanto potei, completa dal 1888 in avanti. Fino a quell’anno
essa è raccolta dal Fol e dal Waldeyer, di guisa che delle
opere precedenti io non indico se non quelle che debbono essere
citate nel testo. La bibliografia è data secondo il sistema ameri-
cano; gli autori sono disposti in ordine alfabetico e citati secondo
l’anno della pubblicazione.
In molti organismi si ripetono durante la fecondazione fatti
o circostanze analoghe ; usai in questi casi citarne soltanto qualche
esempio tolto dalle varie classi, e scelto fra i più tipici. Non
potendo accennare poi a tutti gli animali sulla fecondazione dei
quali trovai qualche indicazione, li raccolsi in una quadro posto in
fine al lavoro, indicando quanto ad essi si riferisce rispetto ad
alcune delle questioni più interessanti e cioè: A) all'istante in
cui lo spermatozoo entra nell’ uovo; 5) alla polispermia (così
fisiologica che patologica o sperimentale); C) al modo di fusione
dei pronuclei; D) al numero dei cromosomi; £) alla presenza dei
centrosomi così nella cellula maschile, come nella femminile. Non
compresi nel quadro quegli animali sui quali nulla di preciso è
noto rispetto a questi punti essenziali. Certo non pretendo in
alcun modo che un simile riassunto schematico sia riuscito com-
pleto, ma credo possa non essere inutile e dare se non altro una
idea della vastità del campo esplorato e del moltissimo che ancora
resta a fare.
È forse superfluo accennare che trattando della fecondazione
io do a questo vocabolo il significato ristretto che gli è attribuito
da tutti gli autori recenti, lasciando tutti quei processi secondari
che servono a rendere possibile la fecondazione, cioè il riunirsi
delle cellule sessuali per formare la prima cellula embrionale,
quali sarebbero l’ accoppiamento, l’ espulsione degli elementi ses-
suali, ecc.. Mi sarà tuttavia necessario accennare ai fenomeni della
maturazione degli elementi sessuali, senza dei quali alcuni fatti
della fecondazione riuscirebbero incomprensibili ; di questi, seguendo
l'esempio del Boveri, tratterò non prima, come vorrebbe l’or-
dine storico, ma quando se ne presenterà il bisogno.
Così pure, benchè io qui mi occupi in ispecial modo degli ani-
95
mali, dovrò dare un cenno della fecondazione nei vegetali e di
quei fenomeni che presso i protofiti ed i protozoi ne sono i rap-
presentanti (coniugazione), ciò per meglio apprezzarne il signifi-
cato e la estensione; accennerò pure alla partenogenesi che mor-
fologicamente e fisiologicamente è un derivato della fecondazione,
ed ai fenomeni patologici naturalmente osservati o provocati me-
diante esperimenti. Da essi si traggono utilissime cognizioni.
Benchè io più mi sia attenuto ai fatti, non volli lasciare
senza menzione alcune teorie proposte per ispiegare od interpre-
tare la fecondazione, sia perchè da una larga messe di fatti vuole
naturalmente la mente assurgere a concetti generali, sia perchè
ad alcune di queste geniali costruzioni teoriche, come a quella
del Weismann ed a quella recentissima dello Strassburger
sì deve riconoscere il merito di avere dato l'impulso el’ indi-
rizzo a nuovi studi, dì avere condotto alla scoperta di nuovi
fatti.
CAPITOLO I.
La copulazione degli elementi sessuali.
1. Gli elementi sessuali; tempo e luogo della loro copu-
lazione. — Occorre distinguere l’ unione dei prodotti sessuali dalla
fecondazione che ha luogo in seguito a questa unione. Seguendo
il van Beneden (788) chiamerò, come già fra gli italiani il
Tafani ("89), copulazione questo primo atto della fecondazione.
Lo spermatozoo e l’uovo sono, come è noto ormai da lungo tempo,
due cellule differenziate. Lo spermatozoo possiede un nucleo e
pochissimo protoplasma, differenziato generalmente come organo di
movimento; presso il nucleo sta poi generalmente un segmento
intermedio, dotato di speciali proprietà, come vedremo in seguito.
L'uovo ha pure un nucleo ed una parte più o meno rilevante
di protoplasma indifferente, inoltre una riserva di materiale ali-
mentare che può essere maggiore o minore a seconda delle speci.
Come è neto, la proporzione e la disposizione relativa delle
due parti di protoplasma, che prendono il nome di vitello di nu-
trizione e vitello di evoluzione, permettono di distinguere vari
tipi di uova (ololecite, centrolecite, telolecite). Queste differenze
96
le quali si riflettono nella diversità della segmentazione e for-
mazione della gastrula e dei foglietti germinativi, non modificano
che lievemente l’ andamento della fecondazione, per modo che non
occorre considerare separatamente i vari tipi di uova.
Una notevole diversità rispetto ai fenomeni di fecondazione
possiamo trovare invece in relazione alla fase diversa in cui le
uova si copulano cogli spermatozoi; tale diversità sì riferisce
specialmente alle condizioni del nucleo dell’ uovo. Esso può essere
già pronto a subire le trasformazioni necessarie per prendere
parte alla costituzione del 1° fuso di segmentazione, o può tro-
varsi in condizioni tali da dover subire prima una, o, più fre-
quentemente, due divisioni. Sono queste le divisioni dalle quali
prendono origine i globuli polari, o corpuscoli direzionali.
Nella colonna A) del quadro ho segnato appunto il momento
della penetrazione dello spermatozoo. Esempio tipico di un uovo
nel quale al momento della copulazione si osserva ancora la ve-
scicola germinativa, ossia il nucleo dell’ ovocita di 1° ordine
(come chiama il Boveri (91) l’ uovo prima della formazione dei
globuli polari), è l’Ascarzis megalocephala ; esempio invece di uovo
che ha già espulsi i due globuli polari ed ha già costituito il
pronucleo femminile nel momento della copulazione è quello del-
l’Echinus o dello Sphoerechinus. Vi sono poi molti stadi inter-
medi: così p. e. nel Mytzlus, nella OpAryotrocha puerilis al
momento della copulazione il 1° fuso direzionale si trova alla
fase di placca equatoriale, la quale può permanere a lungo, cioè
fino a che uno spermatozoo non sia entrato nell’ uovo; nella
Pieris brassicae il primo fuso direzionale nel momento della
copulazione si trova alla fase di diaster; nella Rana il 1° glo-
bulo polare è espulso, nel coniglio pure; nel topo il 2° fuso di-
rezionale si trova alla fase di placca equatoriale (1).
A queste differenze nella età dell'uovo corrispondono fenomeni
interni nella fecondazione alquanto diversi, specialmente in rela-
zione al tempo più o meno lungo, durante il quale il nucleo
spermatico deve restare in uno stato di riposo.
(1) Nell’ Asteracanthion rubens (Hertwig -°92) si possono ripetere tutte queste
condizioni potendo avvenire la copulazione in qualunque fase della maturazione,
prima della formazione del 1° gl. pol., dopo di essa, o dopo la formazione del 2°.
N RIO PS ST
%
i dz | 97
Anche rispetto al luogo dove si copulano le cellule sessuali
vi sono molte varietà, potendo la fecondazione essere interna,
con precedente accoppiamento (ne’ matodi, crostacei, insetti, mammi-
feri), od accadere proprio all’ uscita dagli organi genitali (Rana),
o per l’incontro degli elementi sessuali liberamente vaganti per
l’acqua, come accade per moltissimi organismi marini (echino-
dermi, meduse, anellidi).
2. Cause che avvicinano gli elementi sessuali. — La spro-
porzione fra il numero degli elementi maschili e femminili è no-
tevolissima : anche nei casi dove molte uova sono emesse, il nu-
mero degli spermatozoi è di solito infinitamente maggiore; ne
viene di conseguenza che la enorme maggioranza di essi viene
sacrificata, mentre si accrescono le probabilità che tutte le uova
emesse siano fecondate.
L’incontro dei due prodotti sessuali si osserva assai bene
specialmente nei casi ove la copulazione avviene fra elementi
liberamente natanti nell’ acqua (echini).
Gli spermatozoi, generalmente piccoli, mobilissimi per mezzo
di speciali appendici (coda), possono andar vagando fino a che
incontrano l’ uovo al quale sì uniranno. -
Tutti gli osservatori che videro questo unirsi degli elementi
sessuali, p. e. valendosi della fecondazione artificiale (e per ci-
tarne alcuni, indicherò fra i primi 0. Hertwig ed H. Fol),
poterono constatare come riccamente si agglomerino attorno alle
uova gli spermatozoi. L’ affollarsi degli spermatozoi attorno al-
l’uo;o0 è tale, che chi voglia studiare sul vivo i fenomeni di pe-
netrazione deve diluire di molto il liquido spermatico, altrimenti
la grande massa degli spermatozoi gli impedisce di vedere quanto
accade nell’ uovo. -
Quanto alla forza che attira così potentemente l'elemento ma-
schile presso il femminile non si è ancora venuti in chiaro della
questione. Si vede spesso indicata la attrazione che la massa in-
finitamente maggiore dell’ uovo esercita su quella dello sperma-
tozoo, ma è più probabile si tratti invece di una azione di chemo-
tassi, come tendono a dimostrare le interessantissime esperienze
di Pfeffer sugli spermatozoidi vegetali. Egli trovò:(’86) una so-
stanza la quale attira gli spermatozoidi delle felci nell’acido ma-
lico; ecco come procede nei suoi esperimenti.
98
Preso un tubo capillare il cui lume sia di:0,03-0,05. milli-
metri, lo riempie in parte di una soluzione di acido malico a
0,01 °/, lo immerge in una goccia d’acqua ove si trovino gli
spermatozoidi di felce. Osservando al microscopio vede uno dopo
l’altro tutti gli spermatozoidi, salvo qualche raro individuo, en-
trare nel tubo attrattivi dall’ acido malico che si va lentamente
diffondendo per l’acqua.
Similmente deve accadere, pensa il Pfeffer, in natura ed è
probabilmente dell’acido malico secreto degli archegoni che attira
gli spermatozoidi all’ elemento femminile. L'acido malico non
ha alcuna azione sugli spermatozoidi dei muschi, i quali sono
invece attratti da una soluzione di zuccaro di canna a 0,1 °/s
Nessuna di queste due sostanze attira poi quelli delle epatiche
o delle caracee.
Negli animali non conosco ricerche in proposito le quali sa-
rebbero certo assai interessanti; mi permetto quindi di riferire
un semplice esperimento che feci tempo fa e che non pubblicai,
perchè desideroso di completarlo. Posi sopra un vetrino portaog-
getti una goccia d’acqua marina contenente parecchie uova non
fecondate di un echinoderma (Strongylocentrotus lividus) e di
una medusa (Mzitrocoma Annae), le quali hanno dimensioni
presso a poco uguali. Ricoperta la preparazione con un vetrino
coprioggetto, munito di piedi di paraffina acciocchè non compri-
messe le uova, aggiunsi alla preparazione una gocciolina d’acqua
nella quale numerosi spermatozoi di Strongylocentrotus. In capo
ad un tempo brevissimo gli spermatozoi si erano accumulati, come
sempre accade, attorno alle uova di Strongylocentrotus, mentre -
rari erano quelli che si accostavano alle uova di Mitrocoma, non
più numerosi di quelli che si vedevano dispersi nell’ acqua in un
altro punto della preparazione. Questo esperimento mi pare escluda
che la attrazione avvenga per semplice effetto della massa e tenda
a rafforzare l’idea della chemotassi, varia nelle varie speci. Tale
fu anche la impressione del prof. Kleinenberg, nel laboratorio
del quale io mi trovava e che vide la mia esperienza.
Secondo O. Whitman (’87) una attrazione, sia essa chemo-
tattica o di massa, non sì esercita unicamente per parte dell’uovo
sullo spermatozoo, ma anche dallo spermatozoo sull’uovo : in ra-
gione della grande massa di quest’ultimo e mancando ad esso
i
.
|
È
99
una spiccata motilità (i lievi movimenti amiboidi di alcune uova
non possono qui essere considerati), non se ne hanno manifesta-
zioni così evidenti come per gli spermatozoi, ma pure essa è di-
mostrata dal fatto che all'avvicinarsi dello spermatozoo dall’uovo
si innalza una protuberanza conica, a mo’ di pseudope, la quale
viene, secondo. C. O. Whitman attratta dallo spermatozoo ; è
questo il cono di attrazione descritto dal Fol (’78).
Quando la copulazione ha luogo nell’ interno degli organi ge-
nitali femminili l’incontro dei prodotti sessuali è facilitato assai
sia perchè le uova devono passare dalla regione ricca di sperma-
tozoi, sia perchè gli spermatozoi vengono attratti meccanicamente
alla regione dove si trova l’uovo (mammiferi). Non abbiamo però
alcuna ragione pe» pensare che i processi mediante i quali gli
spermatozoi si avvicinano all'uovo siano diversi quando, come in
moltissimi casi, gli spermatozoi sono mobili anche nell’ interno
degli organi genitali femminili; è noto che nei chirotteri gli
spermatozoi possono mantenersi vivi e mobili entro gli organi
genitali femminili per mesi e cioè durante tutto il periodo della
ibernazione. î
Tuttavia non di rado gli spermatozoi, se iniettati nei genitali
femminili, perdono una di quelle che si direbbero le loro più
spiccate caratteristiche, quella della motilità. In parecchi crostacei
(p. e. Branchipus, Brauer ’92) gli spermatozoi non presentano
il minimo movimento; le uova scendendo dall’ovidotto nell’utero
vi trovano gli spermatozoi in modo che si potrebbe dire che sono
esse che vanno a cercare, sia pure passivamente spinte e portate,
gli spermatozoi. Anche nell’ Ascaris megalocephala dove entro il
lungo tubo uterino si trova una fitta mescolanza di spermatozoi
e di uova, le quali vengono continuamente spinte in avanti dalle
nuove uova prudotte, i movimenti degli spermatozoi, se pure
persistono, devono essere assai lenti e di carattere amiboide ; così
negli altri nematodi.
Osservazioni analoghe furono fatte anche presso alcuni orga-
nismi vegetali e cioè certe alghe (dictiotee e floridee), le quali
tanto alle spore asessuali quanto ai planogameti maschili hanno
perdute le caratteristiche ciglia motrici, perchè vivendo esse in
acqua marina agitata, la dispersione di quegli elementi si fa pas-
sivamente per mezzo dei movimenti dell’ acqua.
100
3. Fenomeni di penetrazione. — Giunto in vicinanza del-
l'uovo lo spermatozoo vi penetra. Questo fatto di importanza ca-
pitale reso già probabile dalla classica esperienza dello Spallan-
zani, che filtrando il liquido spermatico in modo da allontanarne
gli spermatozoi, vide che esso aveva perdute le sue proprietà fe-
condatrici, ed accennate più o meno esplicitamente da una serie
di osservatori fra i quali Barry ('48) nel coniglio, e Nelson (’52)
nell’Asc. mystax e specialmente Newport (51) sulla Rana, non
potè essere veduto nemmeno da O. Hertwig che pure aveva
raccolte prove tali da farlo ritenere come accertato, e fu soltanto
H. Fol ('78) che ne seguì tutte le fasi.
Egli si valse delle uova di Asterias glacialis e pose molta
cura nel realizzare le condizioni più favorevoli per una tale ri-
cerca; fra le precauzioni che egli giustamente indica come ne-
cessarie perchè la osservazione riesca, v' ha quella di aggiungere
alle uova pochissimi spermatozoi perchè altrimenti |’ accumularsi
di essi nasconde totalmente le immagini. Le uova di Asterzas
sono circondate da una larga zona mucilagginosa entro la quale
vengono a disporsi gli spermatozoi in direzione perpendieolare
alla superficie dell’ uovo (fig.* 1). Continuano i movimenti della
coda i quali spingono gli spermatozoi più profondamente entro
la massa mucilagginosa. Non appena uno di essi si è un po’ ap-
profondito, dalla superficie dell'uovo si eleva. un piccolo cono
ialino, cono di attrazione (fig.* 2), il quale rapidamente si
allunga come un lungo pseudopodo che viene ad incontrare il
capo dello spermatozoo e lo involge. A seconda della rapidità
con la quale lo spermatozoo si avanza può il cono di attrazione
essere più o meno lungo, fino una metà della zona mucilaggi-
nosa. Appena però il cono di attrazione ha incontrata la testa
dello spermatozoo, esso si ritira nel vitello trascinando con sè
lo spermatozoo, mentre il vitello si approfonda attorno ad esso
come un cratere (fig. 3); questo poi scompare ed al luogo di
penetrazione resta ancora il cono di essudazione, un cumu-
letto di sostanza ialina che ha involta la coda dello spermatozoo
e nella quale questa probabilmente si scioglie.
Nel punto dove entrò lo spermatozoo si vede poi apparire una
chiazza chiara, il pronucleo maschile. Nell’istante in:cui il cono
ha toccato lo spermatozoo lo strato ialino più periferico del vi-
i
SVI A
101
tello si ispessisce e solleva per tutta la superficie, formando la
membrana vitellina, dalla quale più non potrà uscire nessun cono
di attrazione, di guisa che niun spermatozoo potrà più penetrare
nell’uovo. La rapidità con la quale avvengono questi fenomeni dà
ragione del perchè un solo spermatozoo, il più vicino, entra abi-
tualmente nell’ uovo. La membrana così formata, è però interrotta
nel punto dove sporse il cono di attrazione, di guisa che vi ha
qui, come dice il Fol, un micropilo d’occasione. Quando però la
testa dello spermatozoo è entrata nel vitello, questo micropilo
più non si scorge e la chiusura della membrana è completa. Nei
casi patologici in cui parecchi spermatozoi penetrano, il Fol potè
vedere più coni di attrazione, corrispondenti ai numerosi sper-
matozoi entrati, lo stesso fatto fu poi osservato da O.e R. Her-
twig (’&7) nella polispermia ottenuta sperimentalmente (4). Il
Mondino (’94) in una comunicazione fatta al Congresso medico
di Roma ed in un’altra breve pubblicazione nega la esistenza
dal cono di attrazione, ma, come giustamente osservò il Klei-
nenberg nella discussione che seguì, le sue osservazioni furono
fatte su di un organismo diverso da quello preso in esame dal
Fol, e cioè su di una Oluturia di guisa che non può ritenersi
erronea la descrizione del naturalista ginevrino, confermata da
numerosi e valenti osservatori. Il Fol stesso aveva poi rilevata
la grande differenza che in relazione alla formazione del cono di
attrazione vi ha fra l Asferzas dove esso è rilevante e l’ Echinus
dove, a cagione del rapido avvicinarsi dello spermatozoo, esso è
pressochè nullo.
Il van Beneden (’83) ammette invece nell’Ascaris megalo-
cephala una vera membrana preformata, interrotta nel centro di
una regione differenziata dell’uovo, alla quale egli dà il nome
di disco polare, in modo da formarvi un vero micropilo. Dal
micropilo sporge una protuberanza protoplasmatica, il « bouchon
"d'imprégnation ». Su di esso si fissa mediante la sua larga su-
perficie attondata lo spermatozoo; non appena è accaduto il
contatto, il tappo di impregnazione si ritira e lo spermatozoo lo
(1) I yeleni da loro usati per questi studi influivano poi sul maggiore o minor
sviluppo dei coni di attrazione; la stricnina ne accresceva d’ assai le dimensioni, il
cloralio le diminuiva. 3
è RSA WIR Rn DATE ei Ri
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CA
102
segue presentando dei movimenti amiboidi che gli permettono di
insinuarsi entro lo stretto micropilo; così si approfonda sempre
più, ma in modo che il protoplasma dell’uovo non pare adattarsi
solo passivamente a questi movimenti. Anzi certe fibre che si
vedono partire dalla superficie dello spermatozoo verso il centro
dell'uovo sono dal van Beneden considerate come differenzia-
zioni fibrillari contrattili che tirano lo spermatozoo entro l’uovo.
Intanto la membrana dell'uovo è venuta ad incontrarsi. colla
membrana che riveste la coda dello spermatozoo e si è fusa con
essa costituendo così una membrana ovospermatica la quale investe
tutto l’ uovo ed impedisce la penetrazione di ogni altro sperma-
tozoo.
Va però notato che, mentre anche Lameere (’86) ammette
una membrana ed un micropilo nelle uova non fecondate di
Ascaris megalocephula, essa è negata dal Boveri (88) il quale
non vi riconosce neppure il ‘disco polare ed il « bouchon d'im-
prégnation », ritiene che lo spermatozoo possa entrare da ogni
punto della superficie. I casi di polispermia osservati dal Bo-
veri ("88), dal Zacharias (’87), da Nussbaum (’84) e special-
mente quelli numerosissimi sperimentali di L. Sala (’'95) sono
piuttosto in accordo coll’ultima opinione.
Altre prove della possibilità che hanno gli spermatozoi di
penetrare da punti assai vari della superficie, si hanno parago-
nando il luogo di entrata di essi:colla posizione del fuso dire-
zionale, il quale di spesso si trova appunto in una posizione fissa.
e prestabilita. Tali osservazioni furono fatte p. e. da Wilson
e Mathews (95) sulle uova di alcuni echinodermi, da Brauer
('92) sul Branchipus Grubit, da Rickert (795) sul, Cyclops
strenuus, da Kostanecki (’95) sulla Physa, da Roux (’87)
sulla Rana. Queste ultime osservazioni che precedono le altre
in ordine di tempo sono fra le più convincenti per la polarità
tanto marcata delle uova di Rana, la quale ci permette una
orientazione sicura rispetto all’asse verticale e perchè la traccia
pigmentale che lo spermatozoo lascia dietro di sè sul cammino
percorso permette di riconoscere in modo sicuro il luogo di en-
trata dello spermatozoo. Il Roux procedeva nelle sue espe-
rienze in questo modo: Orientato un uovo di rana nella sua
posizione naturale gli applicava contro un sottile filo di seta ed
103
accanto a questo poneva una piccola gocciolina di acqua conte-
nente spermatozoi : essa saliva lungo il filo di seta per capilla-
rità e, generalmente nell'emisfero superiore pigmentato, ma ad
una distanza varia dal polo, sempre poi nel meridiano segnato
dal filo di seta, penetrava lo spermatozoo. Si vede dunque che
i punti di penetrazione possono essere, per così dire, variati a
volontà e che sono quindi infiniti. La preponderanza degli sper-
matozoi penetrati all’ emisfero animale si deve alla differenzia-
zione polare tanto marcata nelle uova degli anfibii, e non è del
resto assoluta.
In altre uova invece, specialmente in quelle coperte da teche
resistenti, come negli insetti, vi sono speciali aperture, dette mi-
cropili, variamente foggiate le quali permettono agli spermatozoi
di sorpassare appunto queste teche. I micropili possono essere unici
o multipli e sono assai variamente foggiati; la descrizione di parec-
chie forme si trova in un lavoro di Henking (’92) sullo sviluppo
degli insetti. Superato però questo primo ostacolo resistente gli
spermatozoi possono trovarsi nel vano interposto fra la teca e
l'uovo e quì muovendosi essere ancora nella possibilità di pene-
trare da un punto vario della superfice; in altri casi invece, o
per la aderenza dell’involucro all’ uovo, o. per la formazione
nella cellula uovo stessa di un’area polare differenziata in modo
da accogliere gli spermatozoi, questi entrano in un punto od in
‘una regione determinata. Ciò accade per le uova degli insetti,
dove spesso la forma elittica, la posizione dei micropili e quella
dei fusi direzionali è fissa in modo da lasciarci riconoscere come
costante la regione d’entrata degli spermatozoi. Questa regione
è determinata da una chiazza più chiara del protoplasma, che
l'’Henking chiama « Empfangnissfleck », o macchia di ricevi-
mento. Così sarebbe pure per il Petromizon.
Che lo spermatozoo penetri nell'uovo è un fatto sul quale ora
non si discute più, mentre non v'è accordo nella questione se esso
penetri totalmente o no. Una sola risposta non è possibile poichè
in vari organismi si hanno differenze sensibilissime. Nell’ Ascarzs
megalocephala non vi ha dubbio che tutto lo spermatozoo entri
nell’ uovo e così negli insetti e negli anfibii. In alcuni echino-
dermi (Toxopneustes, Wilson; Asterias, Fol) la coda resta
all'esterno. Nell’Arzon poi la coda penetra per un buon tratto,
104
mentre una parte di essa resta chiaramente visibile all’esterno
(Platner, ’86).
5. Azioni esercitate dallo spermatozoo sul vitello; difese.
del vitello contro la penetrazione di altri spermatozoi e contro
la fecondazione bastarda. — Non appena lo spermatozoo è en-
trato in intimo contatto col vitello, tutto l’ uovo ne risente una
impressione assai energica la quale si rende evidente con mani-
festazioni più o meno visibili a seconda delle varie uova. Gene-
ralmente, appena lo spermatozoo è penetrato, il vitello si con-
trae fortemente trasudando una sostanza liquida, il liquido pe-
rivitellino. In seguito a questa contrazione, evidentissima per la
sua istantaneità negli echini, ed assai rilevante, benchè più lenta
nell’ Ascaris megalocephala, tutto attorno all'uovo compare una
membrana, detta membrana vitellina. I pareri sono discordi
quanto all'origine di essa, se cioè si forma dopo il contatto collo
spermatozoo, o se era preformata ed è stata resa evidente per
la contrazione del vitello. La preesistenza di una membrana è
indiscutibile in alcuni casi; talvolta essa è sottilissima, talvolta
rilevante. Ma è pure indiscutibile che essa va col tempo ispes-
sendosi: così accade p. e. negli echini dove la membrana’ può
essere rotta con grande facilità agitando le uova se è appena
formata (2° a 3° minuti dopo la copulazione), mentre occorre uno
scuotimento molto più vigoroso e prolungato per romperla dopo
un tempo più lungo dalla fecondazione (Driesch). Lo stesso
accade per l’ Ascaris megalocephala, dove la membrana, tenuis-
sima dapprima, va poì inspessendosi ed indurendosi a tal segno
da diventare di una resistenza prodigiosa; quando le uova di
Ascaris si preparano alla prima divisione, la loro membrana,
divenuta assai spessa, le protegge perfettamente contro moltis-
simi agenti esterni, tanto che è difficile trovare un reattivo che ;
valga a fissarle. In liquidi acquosi (in una soluzione acquosa sa- 4
tura di sublimato corrosivo), in glicerina, in alcool a 50° esse i
continuano normalmente il loro sviluppo e solo l'alcool forte 0 3
le miscele acide riescono a ‘penetrare. Si comprende facilmente
quanto ciò sia utile ad uova che devono attendere lungo tempo
all’esterno, esposte ad azioni perturbatrici, prima di trovare le 3
condizioni favorevolî al loro sviluppo di organismo parassitario.
La membrana è però permeabile ai gas e permette quindi la
respirazione.
105
Questa funzione di protezione dagli agenti esterni, la quale
può essere assunta anche da membrane preformate (corion degli
insetti) o da mucilaggini (anfibi), non è la sola, nè la più im-
portante fra quelle della membrana vitellina. Il Fol ed il van
Beneden pensano che essa valga principalmente a proteggere
l'uovo contro la penetrazione di più spermatozoi. Benchè non
abbia un valore assoluto, la monospermia è infatti la condizione
più generale degli organismi.
Ma non la sola membrana nelle uova normalmente mono-
spermiche impedisce la penetrazione di altri spermatozoi; pa-
recchi fatti tendono a fare ammettere che il protoplasma stesso
dell'uovo si rifiuti alla polispermia. Ed in vero vi sono parecchie
uova alle quali manca assolutamente ogni ‘traccia di membrana,
quali le uova di molte meduse, eppure in esse entra un solo
spermatozoo.
La stessa resistenza del protoplasma si può osservare anche
in uova dove si forma una membrana tipica, come nelle uova
di echini. Nei loro splerdidi esperimenti sulla fecondazione sotto
l’influenza di agenti esterni i fratelli Hertwig (’87) poterono
constatare più volte sotto la membrana vitellina degli sperma-
tozoi mobili, che pure più non potevano penetrare nel. vitello
perchè già vi era penetrato lo spermatozoo ; lo stesso si vide
pure nelie uova di coniglio, di topo, di cavia (v. Beneden,
"75, ecc... L'esperimento può essere ripetuto facilmente colle
«uova di echini, rompendo nel modo suggerito dal Driesch la
membrana appena essa è formata; le uova possono allora essere
lasciate in acqua con abbondanti spermatozoi, senza che mai vi
abbia luogo polispermia.
La eccitazione, che lo spermatozoo penetrando nel vitello gli
imprime, si trasmette con grandissima rapidità a tutta la sua
superficie e rappresenta realmente una manifestazione della vi-
talità dell’ uovo. A questo proposito devono essere ricordate le
sopracitate classiche esperienze dei fratelli Hertwig. — Essi
indagarono, valendosi delle uova di echini, l’azione che possono
avere sulla fecondazione gli agenti esterni prima, durante e dopo
la coniugazione. Furono usati diversi veleni e dei mutamenti di
temperatura. Per ora ci interessano specialmente le prove fatte
agendo sulle uova prima della copulazione.
106
Poste le uova di Strongylocentrotus lividus in una solu-
zione all’ 1°/, di nicotina, lasciatevi per un tempo di 5’ o più
e poi lavate in acqua di mare pura ed aggiuntovi dello sperma,
si producono in ogni uovo parecchie colline di impregnazione,
segno della penetrazione di più spermatozoi ; colla maggior. du-
rata dell’azione cresce il grado della polispermia. Se il veleno
ha agito per. 35° la membrana vitellina non si leva più così.
evidente ed il numero degli spermatozoi penetrati è grandissimo.
Gli stessi fatti si ottengono con la morfina, la stricnina, il clo-
ralio idrato, la cocaina, la chinina, usati in varie concentrazioni
e per tempo vario; fra tutti questi reattivi l’azione più energica
e esercitata dalla stricnina. Da questi esperimenti risulta dunque
che un turbamento portato sull’uovo ne altera le normali fun-
zioni in guisa che esso più non sa difendersi dalla penetra-
zione degli spermatozoi soprannumerari. Risultati analoghi
ottenne sullo stesso materiale 0. Hertwig (’90) esponendo le
uova prima della copulazione ad una temperatura assai fredda
(circa — 8°) per 30’, e L. Sala ('95) pure col raffreddamento
sulle uova di Ascaris megalocephala. Queste perturbazioni si
possono osservare anche nelle uova di Echinus e di Strongylo-
centrotus che l’ Hertwig chiama &wderreife, cioè sopramature,
uova che sono rimaste nel corpo materno più a lungo di quello che
avrebbero dovuto, forse per speciali ragioni climateriche. Anche
qui si ha una polispermia la quale cresce col tempo in cui esse
sono esposte all'acqua spermatizzata, que in esse più non si
forma la membrana vitellina.
Ma in questi casì è il protoplasma malato che, trasmettendo
meno rapidamente lo stimolo, permette ad altri spermatozoi di
penetrare da un punto della superficie ove ancora non giunse
lo stimolo del primo, od occorre la somma delle azioni. di più
spermatozoi perchè lo stimolo sia sentito? in altre parole è la
intensità dello stimolo che è diminuita, o piuttosto la velocità della
sua trasmissione? Per rispondere a questa domanda R. Hertwig
(88) ripetè gli esperimenti in condizioni diverse: trattate. le
uova di echini nel modo sopraindicato per predisporle alla poli-
spermia, le divise in tre porzioni immergendole poi in acqua
dove gli spermatozoi erano assai variamente numerosi; la poli-
spermia risultò più intensa quanto più numerosi erano gli sper-
107
matozoi. Si deve dunque ritenere che la trasmisione dello stimolo
è più lenta.
Ho detto più sopra che parecchi fatti dimostrano come non
sia la membrana soltanto che impedisce la penetrazione degli sper-
matozoi soprannumerari, è però indubitato che quando essa si è
gia sollevata Ja sua presenza oppone un ostacolo insuperabile
agli spermatozoi. Gli Hertwig (90) videro che poste le uova di
echini in acqua marina alla quale si sia aggiunto del cloroformio,
prima della presenza degli spermatozoi si solleva la membrana
vitellina, la quale si oppone assolutamente alla loro penetrazione,
cosichè la fecondazione è divenuta impossibile. Herbst Curt
('98) osservò lo stesso fatto.
Non è soltanto contro la penetrazione di spermatozoi sopran-
numerari che l’uovo presenta una speciale ripugnanza, ma anche
contro quella di spermatozoi di speci diverse. La fecondazione in-
crociata riesce infatti difficile come provarono per gli echini i
fratelli Hertwig, Boveri ('95), Vernhout ('93) e Morgan
(995), per gli anfibii il Born ('92) e come videro recentemente
V. Herla ('94) ed O. Meyer per le due varietà urnivalens e
bivalens dell’Ascaris megalocephala. Io pure (95) in un caso nel
quale una femmina divalens era fecondata da soli spermatozoi
untivalens potei ‘riscontrare che meno della metà delle uova
erano state penetrate dagli spermatozoi.
Le azioni che indeboliscono il plasma, come gli diminuiscono
la facilità di reagire alla polispermia, così lo fanno più facile
alla fecondazione incrociata. Così in uova restate a lungo nel-
l’acqua di mare senza essere fecondate, possono penetrare sper-
matozoi estranei che prima non lo potevano.
La difesa da spermatozoi propri sopranumerari e da sperma-
tozoi estranei non viene tuttavia modificata ugualmente dalle
stesse azioni perturbatrici. Gli Hertwig (’90) mostrarono p. e.
che il cloroformio facilita la polispermia, non la fecondazione
incrociata, la stricnina prima la polispermia che la fecondazione
incrociata. Le difese contro queste due condizioni anormali non
sono dunque esattamente identiche.
108
CAPITOLO II.
| processi interni della fecondazione.
1. Azione dello spermatozoo sui nucleo dell'uovo. — Le
azioni determinate: dallo spermatozoo non appena esso è entrato
nell'uovo non si limitano dall’eccitazione determinata sul plasma,
ma sono di ben' altra importanza sui costituenti nucleari della
cellula femminile,
Già dissi che lo spermatozoo può penetrare nell’ uovo in pe-
riodi assai diversi e cioè prima o durante il 1° fuso direzionale,
durante il 2°, dopo l'espulsione del 2° globulo polare. Usando la
terminologia del Boveri si può dunque dire che esso pe-
netra nell’ovocita di 1° ordine, o nell’ovocita di 2° ordine o nel.
l’uovo. In tutti questi casi, specialmente però nei due primi, sì
vede subito come l'elemento nucleare femminile risenta la sua
presenza. Se persisteva la vescicola germinativa essa si tramuta
tosto nel 1° fuso direzionale (Ascarzs) (fig.* 13); se questa o se il 2°
erano già formati, essi abbandonano tosto la stazionarietà in cui si
trovavano e procedono subito nella loro evoluzione fino alla espul-
sione rispettivamente del 1° e del 2° globulo polare. Le modalità
di questa espulsione verranno considerate più tardi, ora importa
solo di rilevare che i due fusi si susseguono senza uno stadio
di riposo interposto e che dalla placca figlia prossimale del 2°
fuso si viene ricostruendo un nucleo in riposo il quale prese
diversi nomi: van Beneden lo chiama pronucleo femminile
ed io seguirò questa nomenclatura, addottata pure dal Tafani
(89); Hertwig e la maggior parte degli autori tedeschi gli
danno il nome di « Eikern », nucleo dell'uovo (fig.° 4-7; 15-18;
23:24: 33, .ecc.).
2. Azione dell’ uovo sul nucleo dello spermatozoo. —
Correlativamente alle azioni esercitate dallo spermatozoo sul VI
tello e sul nucleo della cellula femminile, altre se ne osservano
per parte dell’ uovo sullo spermatozoo.
Fra le prime vanno indicate quelle che si manifestano nelle
mutazioni del corpo dello spermatozoo nei casi in cui esso è pe-
netrato; esse generalmente si risolvono in un riassorbimento del
109
corpo o della coda per parte del protoplasma dell’ uovo. Notevole
è quanto accade nell’ Ascaris megalocephala dove, secondo il
van Beneden (’83), appena lo spermatozoo ha toccata la super-
ficie dell'uovo, esso diventa più intensamente colorabile di prima,
mediante il carmino, e tanto che si distingue tosto nella massa
del vitello.
Anche il nucleo subisce l'influenza del vitello non solo, ma
del grado di sviluppo in cui si trova il vitello, come è provato
da quanto accade nella fecondazione delle uova immature (cioè
degli ovociti di 1° e di 2° ordine) nell’Ech:nus. Lo spermatozoo
penetra e resta lungo tempo immutato, per così dire; immutato
cioè fino a quando sono espulsi i due globuli polari, fino a quando
l’ovocita è divenuto uovo; allora soltanto incomincia a tramutarsi
in pronucleo ed a presentare le tipiche radiazioni dell’astrosfera,
mentre ciò accade tosto quando esso penetra nell’ uovo maturo
(O. e R. Hertwig, ’87).
Il caso dell’ Echinus non è tuttavia generale, tanto è vero
che nell’ Ascarîs, nell’ Asterias la formazione del pronucleo in-
comincia prima della espulsione del 1° globulo polare, che nella.
Ciona |’ astrosfera maschile è ben visibile durante il 2° fuso di-
rezionale, ma mostra tuttavia quanto strettamente possa essere
legato il grado di sviluppo del vitello collo svolgersi dello sper-
matozoo. Nell’ Ech:nus, se la fecondazione avviene durante lo
stadio di ovocita, ciò che è anomalo, anche il vitello non reagisce
allo spermatozoo come di norma, tanto che non secerne la mem-
brana, permettendo così la polispermia. A
3. Formazione dei due pronuclei. — Seguiamo ora passo
per passo le trasformazioni dello spermatozoo entro l'uovo. Dopo
un tempo più o meno lungo dalla sua penetrazione e quindi in
posizione varia rispetto all’ uovo, a seconda del grado di matu-
razione di questo e del luogo dove si incontreranno i pronuclei,
incomincia a partire da un punto presso lo spermatozoo una ra-
diazione, espressione di un fatto molto interessante del quale par-
lerò in seguito; nello stesso tempo di solito la parte caudale
dello spermatozoo, se è entrata nell’uovo, si stacca dal capo e va
degenerando. Spesso in un tempo assai breve più non la si rico-
nosce o se ne vedono soltanto traccie che indicano chiaramente
la degenerazione (Axolotl, insetti), o si conserva a lungo pure
LI
110
riassorbendosi lentamente, come nell’ Ascarzs, 0 si può anzi man-
tenere immutata fino alla segmentazione : quest’ ultimo ‘caso de-
seritto nell’ Arzon da G. Platner ("86) è interessante assai
perchè mostra chiaramente che la coda dello spermatozoo non
ha parte alcuna negli intimi processi della fecondazione; essi
hanno già dato luogo al 1° fuso di segmentazione senza che a
ciò sia stata minimamente ‘necessaria nè la compartecipazione
della coda, nè l’ utilizzare parte della sua sostanza disaggregata.
Anche il capo dello spermatozoo subisce delle forti modifica-
zioni per le quali da compatto che era esso. si va ‘rigonfiando
mediante l’ assorbimento ‘ di' sostanze che esso. potrà attingere
forse dai resti del suo. protoplasma che gli stanno attorno, ma .
più probabilmente, ed in certi casi sicuramente, ricavandole dal
protoplasma dell'uovo; esso è generalmente addossato alla astro-
sfera, periplaste di Vejdowskj (88), e pare che dall’astrosfera
‘secondo Vejdowskj esso tragga appunto i materiali necessari
alla sua nutrizione. La astrosfera poi alla sua ‘volta si è ingran-
dita a spese del protoplasma sparso nell’ uovo. I raggi che si
vedono partire dalla astrosfera sono appunto da parecchi ‘autori
(p. e. il Vejdowsky) ritenuti. non già come fibre contrattili
(ipotesi sostenuta dal van Beneden e molto dettagliatamente
da M. Heidenhain), ma come correnti, le quali vanno concen-
trando attorno alla astrosfera le sostanze dalle quali essa ‘ed’ il
pronucleo maschile trarranno i loro alimenti. BO
Mentre il nucleo va crescendo esso perde paci da im quel-
l’aspetto di massa cromatica compatta che gli era caratteristica;
la sua cromatina si scinde in granuli che formano un. reticolo
entro la massa di sueco nucleare che esso venne via via assor-
bendo, finchè raggiunge l’aspetto di un vero nucleo in ‘riposo,
circondato di membrana. Le fasi di questa trasformazione si se-
guono assai bene, come tanti dei processi della. fecondazione,
nelle uova di Ascaris meg., dove furono minuziosamente studiate
dal van Beneden e del Boveri ('88). Secondo quest’ ultimo
autore si può in questo successivo svolgersi del pronucleo: ma-
schile vedere assai bene che lo spermatozoo contiene. due \cro-
mosomi (Ascaris megalocephala bivalens).
Lo stesso svolgimento si compie dalla parte femminile con
questa differenza che i eromosomi provenienti dalla placca pros-
111
simale del 2° fuso direzionale non. sono fra di loro avvicinati
saldamente come i cromosomi dello spermatozoo, per modo che
il: costituirsi del pronucleo femminile assomiglia assai più alla
ricostituzione di un consueto nucleo in seguito a cariocinesi.
Talvolta anzi. nel diaster del 2° fuso i cromosomi sono fra di
loro abbastanza lontani di guisa che il nucleo si costituisce prima
di varie vescicolette le quali si vanno successivamente fondendo
(Petromyzon,; in qualche caso nell’ Ascarzs). Ciò accade pure,
benchè, molto di rado, nello spermatozoo (spermatomeriti nel pro-
nucleo maschile del Petromyzon, Boehm '88; cariomeriti dello
e spermatozoo dell’ Arzon, Platner ’86).
4. Cammino dei due pronuclei entro l'uovo. — I due
pronuclei vanno ora avvicinandosi ; il cammino che essi seguono
è assai vario a seconda della posizione reciproca loro, del grado
di maturazione dell’ uovo e della costituzione stessa dell’ uovo.
Nelle grandi uova meroblastiche, p. e.. i due pronuclei si trovano
- Sempre in una regione superficiale, entro il disco germinativo,
mentre entro piccole uova oloblastiche tutto l’ uovo può servire
di campo alle escursioni dei pronuclei. La posizione del pronu-
cleo femminile è pure superficiale e pressochè fissa nelle uova
degli idroidi e delle meduse.
Quanto al. diverso grado di maturazione dell’ uovo già sap-
piamo che il. pronucleo maschile resta in un periodo di quiete
fino a che non si è costituito il pronucleo femminile. Il cammino
percorso dai due nuclei non è conosciuto esattamente in molti
organismi, quantunque sia stato oggetto di studio accurato da
parte di più di un osservatore. Tra questi citerò Roux (°87)
nella Rana, Vialleton ("88) nella Sepia, Wilson (’95) nel
Toxopneustes variegatus.
Per questo studio si verificano le migliori condizioni quando
‘se ne possono osservare le varie fasi sul vivo, come fece appunto
il Wilson, tuttavia anche il confronto di una serie di prepa-
razioni può dare in proposito dei buoni risultati e questo anche
perchè. in diversi organismi certi caratteri permettono di ricono-
scere il punto d'entrata dello spermatozoo (cono d’ essudazione di
Fol, entrance-cone di Wilson), od il luogo d'origine del pro-
nucleo: 9, indicato dalla posizione dei globuli o dei nuclei polari.
Assai di!frequente restano poi visibili nel vitello le strade proto-
112,
plasmatiche, le quali in alcune uova possono anche essere strade
pigmentate (Rana), lasciate generalmente sul cammino seguito dal
pronucleo , ma talvolta anche dal pronucleo /. Fino ad ora le :
osservazioni non sono tali da permettere alcuna conclusione ge-
nerale; riassumerò quindi brevemente i casi speciali.
È un fatto riscontrato ormai in buon numero di animali che
lo spermatozoo appena entrato nell’ uovo vi subisce una rotazione
x .
di 180° per modo che la sua punta non è più rivolta al centro
dell'uovo, ma alla sua periferia. Già Henning (781) aveva rile-
vato questo fatto nell’ Echinus; dove Fol (91) ed anche Wilson,
Mathews (95) e Boveri (95), recentemente lo riconobbero.
Similmente accade negli insetti (dHenking ’92), nella Ophryotro-
cha (Korschelt ’95) nel Petromyzon (Boehm, '88) nell’ Ago-
totl (Fick: 93), nella Rana (Roux ‘87), nei rettili (Oppel ’92).
Tutti gli autori recenti sì accordano nel vedere in questa rota-
zione la influenza della sfera di attrazione, originatasi dal segmento
intermedio, la quale assume ora una funzione direttrice e si porta
più profondamente ruotando per necessità il capo dello sperma-
tozoo. Anche nell’Ascarzis meg. però, dove fino ad ora una astro-.
sfera non fu sicuramente riconosciuta nello spermatozoo e dove
ad ogni modo non è necessario sia situata al di sopra del nucleo, .
ha luogo questo curioso ripiegarsi dello spermatozoo dopo la sua
penetrazione. Questa rotazione accade in un periodo diverso nei
vari organismi e probabilmente in relazione ‘al vario sviluppo
della astrosfera. Ai
Indipendentemente da questa rotazione si può dire che il primo
tratto del loro cammino è percorso dagli spermatozoi in linea
vetta ed in direzione radiale. Anzi quando l'uovo non è ancora
maturo accade non di rado che lo spermatozoo continui a progre-
dire in direzione radiale fino a portarsi presso a poco al centro
dell’ uovo, dove esso rimane, sviluppandosi fino a che anche il
pronucleo /° non si sia formato (Ascarîs Meg; Cyclops strenuus),
così accade pure nell’ Asferachantion quando l’ uovo si copula
prima dell'espulsione dei globuli polari. Ciò accade naturalmente:
in uova piccole, prive di marcato differenziamento polare.
Generalmente invece, dopo breve tempo la direzione radiale
viene modificata dalla attrazione esercitata dal pronucleo 2,
come il Roux (?87) provò per la Rana, dove a cagione della | i
113
strada fortemente pigmentata che resta dietro lo spermatozoo è
facilissimo il riconoscerne tutto il cammino. Questa strada, dopo
un breve tratto in direzione radiale, presenta appunto un brusco
angolo, o meglio un nuovo braccio che taglia a 7 il 1°, dovuto
in parte al ruotare dello spermatozoo, in parte al suo dirigersi
poi verso il pronucleo ..
La stessa attrazione sembra subire il pronucleo / da parte
del 7. Secondo il Blane (’94) anzi lo spermatozoo poco lontano
dal micropilo siarresta e viene raggiunto colà dal pronucleo ,p.
.Così del resto accade nell’ Ascaris e nel Cyclops dove il pro-
nucleo /° si avvicina al 7 che sta presso il centro dell'uovo nella .
Ehynchelmis (Vej}dowsky '88).
Nel Toropneustes variegatus, tanto accuratamente studiato
dal Wilson (95) il cammino dei pronuclei varia assai in rela-
zione col punto di entrata dello spermatozoo. Il pronucleo o si
muove prima in direzione radiale lievemente modificata dalla
attrazione del / ed il pronucleo ?, che occupa la posizione ove
prima si trovava la vescicola germinativa, sì sposta pure verso il
pronucleo 7, di guisa che il loro incontro ha luogo a distanza
varia dal punto centrale. Il nucleo di segmentazione viene poi
a porsi presso il centro, ma un po’ più superficialmente verso
il polo opposto a quello dove si formeranno i micromeri.
Quanto alla forza delle due attrazioni qualche tentativo per
misurarla fu fatto dal Vialleton (88) il quale conchiude. che
nella Sepza i due pronuclei si attraggono secondo la legge di
gravitazione universale, più spiccato essendo il movimento del
pronucleo più piccolo e meno, ma pur sensibile, quello del pro-
nucleo. più grande. Altri autori non vedono in tutti questi movi-
menti che l’azione delle astrosfere. altri pensano si operino per
moti amiboidi dei pronuclei (p. e. Bein ’83).
Come ho detto, la fusione dei due pronuclei può aver luogo
mentre essi sono di dimensioni assai diverse, o quando in seguito
a lungo sviluppo indipendente hanno raggiunte le stesse dimen-
sioni, od anche non aver luogo.
La posizione del 1° fuso, il quale in parecchi organismi (uova
meroblastiche) sta in un piano prestabilito, è pure sotto la influenza
del modo di unione dei due pronuclei; se noi chiamiamo linea
di copulazione dei due pronuclei quella che unisce i due centri
È)
6
114
Ù
di essi al momento dell’ incontro, accade di spesso che il 1° solco
cade in questa linea, il primo fuso è dunque ad essa normale.
(Rana, Toxopneustes, Sepia, ecc.)
Che così debba essere si comprende, quando si pensi che il
centrosoma unico si divide e che i due centrosomi figli si dispon-
gono in generale simmetricamente rispetto ai due pronuclei. Ha
influenza la disposizione di questo 1° fuso sulla simmetria del-
l'embrione? Non voglio ora entrare in questa interessante que-
stione proposta con abilissime ricerche dal Roux, e già argo-
mento di molti studi; rimando per essa ai lavori del Roux, del-
l'Hertwig (Arch. f. Mikr.‘Anat. ’94) e ad una breve inte-
ressante nota di Kopsch (Verl. d. anat. Gesell. Vers. Basel,
1895). L00034
5. La sostanza acromatica.
A) Nell’elemento maschile. Grandissima importanza acquistò
specialmente negli ultimi anni oltre lo studio della sostanza cro-
matica, quello della cosidetta sostanza acromatica che prende
una parte attiva preponderante nella divisione cellulare.
Già alcuni osservatori precedenti (Biùtschli, Auerbach,
Fol) avevano notate certe speciali figure stellate entro il vitello,
appena dopo la copulazione, quando l'Hertwig richiamò nel
suo primo studio ("75) l’ attenzione sopra la radiazione che si
vedeva partire dal pronucleo maschile, appena dopo il suo appa-
rire. Più tardi questa sua osservazione, confermata da molti autori |
e su vari oggetti, venne modificata in ciò che il centro della ra».
diazione non corrisponde al pronucleo maschile, ma ad un punto
situato vicino ad esso (Flemming '81). La importanza di questi
radiazione, che era stata rilevata obbiettivamente dai primi osser-
vatori crebbe d’assai colla scoperta fatta contemporaneamente dall
Van Beneden (’87) e dal Boveri (’87) delle astrofere o sfere
di attrazione come organo permanente della cellula, e tanto più.
quando il Boveri emise la sua ipotesi che l’astrosfera, 0 meglio
il suo punto centrale che egli chiama centrosoma, manchi al-
l’uovo non fecondato e gli sia importato dallo spermatozoo. È
Data la importanza morfologica e fisiologica di questa ipotesi, _
gli osservatori posero d'allora gran cura nel rilevare tutto quanto -
si riferisce a queste sostanze acromatiche dell'uovo e furono ri ia
scontrati in proposito alcuni fatti assai interessanti.
115
L'astrosfera quale è descritta da Van Beneden ('87) e quale
risulta anche dalle numerose osservazioni di M. Heidenhain
('93 e ‘94) consta essenzialmente di un corpuscolo centrale (cen-
trosoma), di una regione sferica poco colorabile che lo circonda
(zona midollare di v. Beneden) e di una terza zona nella quale
si osservano numerosi raggi centrati sul centrosoma, ma che
generalmente non si seguono nell’interno della zona midollare.
Io non starò ad entrare ‘ora nella complessa discussione fra le
omologie di queste diverse parti nelle varie cellule, discussione
la quale è ben lungi dall'aver raggiunta una conclusione, come
mostrano.le vedute diverse del Boveri (95) e del Wilson (795)
sulle astrosfere delle medesime uova (echini). Le tre parti costi-
tuenti sopraccennate si distinguono nella sfera tipica descritta
dal v. Beneden nell’ Ascarzs megalocephala, come nelle astro-
sfere dei linfociti oggetto delle ultime accurate ricerche di M.
Heidenhain. Questo autore colla sua colorazione (rosso Bor-
deaux, ematossilina e ferro) ha indicato un metodo che, quan-
tunque non applicabile forse a tutti gli oggetti, lascia ricono-
scere benissimo i tre costituenti della sfera. Il centrosoma as-
sume una colorazione specifica azzurro intenso, quasi nero, la
zona midollare appare rossa uniforme. Applicata alle uova di
Ascaris questa colorazione dà una immagine rispondente a quella
del van Beneden (Zoja ’96).
Il Boveri ritiene che nelle maglie del protoplasma sia dif-
fusa una sostanza, archoplasma, la quale si accumula attorno
al centrosoma attiratavi da esso e vi forma la sfera (fig.* 24).
Egli emise dapprincipio la sua idea dell’origine maschile del
centrosoma in base agli studi sull'Ascarzis megalocephala. queste
però, benchè alcune nuove osservazioni tendano a confermarle (1)
(F. Erlanger '95) non erano certo=di natura tale da persuadere
della esattezza—della sua ipotesi. Ma il Boveri stesso (‘90) e
È
(1) In alcune preparazioni fatte col metodo sopraccennato di M. Heidenhain
decolorando fortemente io potei vedere entro il nucleo dello spermatozoo dell’Ascaris
meg. un punto specificamente colorato come un centrosoma. Una origine del cen-
trosoma dal nucleo annettono fra gli altri 0. Hertwig (30) ed A. Brauer per
altre cellule nell’ Asc. meg. Ora bisognerebbe vedere se si può dimostrare che nel-
l’ultima fase della spermatogenesi il centrosoma entra nel nucleo.
116
diversi osservatori, come già prima il Vejdowsky (’88) in uova
di altri organismi trovarono condizioni assai più chiare.
Uno dei casi meglio studiati e più persuasivi è quello del-
l’Asxolotl quale lo descrive R. Fick (93). E nota la struttura
dei grandi spermatozoi dell’ Axolot! dove è assai distinto il seg-
mento intermedio o collo (Mziftelstiock dei tedeschi); uno studio.
accurato della spermatogenesi del Tr:ton, mostrò ad Hermann
che un corpo probabilmente analogo alla astrosfera entra APpIDO
in questo segmento intermedio.
Quando lo spermatozoo è penetrato nell’uovo di Ascoloti, dopo
un certo tempo si vede accumularsi attorno al segmento inter-
medio del protoplasma finamente granuloso attrattovi dalla sfera
che vi si trova; in breve si ha così ben sviluppata una astro-
sfera (fig. 12) la quale di mano in mano che procede il cammino
del pronucleo * va crescendo di volume; mentre prima stava
aderente al nucleo se ne stacca poi e pare che essa medesima ac-
quisti una funzione direttrice su di lui, approfondandosi maggior-
mente nel vitello; la sfera poi ad un certo momento si divide
in due sfere figlie che diverranno dopo la unione dei due pro-
nuclei i due poli del 1° fuso di segmentazione. i
Fick studiò anche gli spermatozoi prima della loro penetra-
zione e potè vedere che il segmento intermediario si colora in
essi col procedimento di Heidenhain così nettamente come il
centrosoma; un vero centrosoma quale lo intende Heidenhain
non potè però mai scoprire neppure nella sfera ben sviluppata
entro l'uovo. Presso il pronucleo /° invece l’autore non riconobbe
mai nulla che potesse somigliarsi ad una sfera.
Condizioni nolto simili si hanno negli insetti (Henking ‘89
92), ed in modo speciale nella Prerzs brassica. Anche qui al
confine fra la testa e la coda, dove appunto si trova il segmento
intermediario, ad un certo istante incomincia ad apparire una
chiazza chiara, intorno alla quale si vede radiare il protoplasma
dell’uovo. Si ha così una vera astrosfera (che l’Henking chiama
arrenotde) la quale accompagna il pronucleo maschile nel suo
cammino. Meglio si dovrebbe anche qui dire che lo guida, perchè
la si vede precedere il pronucleo 07; essa però non si divide in
due astrosfere figlie prima della unione dei due pronuclei, come
nell’ Axolotl, ma solo più tardi. Anche qui è ‘ammissibile tut-
117
tavia che le due astrosfere del 1° fuso di segmentazione de--
rivino dallo spermatozoo (1), e tanto più che qui pure non si vede
nulla di simile presso il pronucleo /?°.
Molti altri casi furono osservati dove lo spermatozoo è prov-
visto di un centrosoma od almeno di una astrosfera e fra questi
citerò gli echini (Hertwig, Fol, Flemming, Selenka,
Boveri), l’Asterachantion (Hertwig), la Ciona intestinalis
iiBoveb)y ecc.
Particolarmente interessanti sono i casi dello Strongyius tetra-
chantus (Meyer, 795) e della Physa fontinalis (Kostanescki,
°96), non solo perchè in essi il centrosoma e la sfera di attra-
zione sì dividono appena lo spermatozoo è entrato nell’uovo, e
mentre ancora (nella Physa) sono evidentissimi i centrosomi e le
sfere dei fusi direzionali, ma anche perchè il centrosoma od il
fuso centrale che da esso deriva si allontana dal pronucleo ma-
schile portandosi verso il pronucleo femminile, dove secondaria-
mente attira anche il pronucleo maschile. In tal guisa secondo
l’autore il fuso centrale di origine maschile potrebbe essere scam-
biato per un fuso di origine femminile, e così vorrebbe Kosta-
necki spiegare il caso del Myzostomum, del quale parlerò poi.
Le cose non sono però sempre chiare come. nell’ Axolot),
nella RAynchelmis o nella Ciona ecc.; vi sono anzi nei varii
animali molte differenze. Queste dipendono in parte dalla diversa
struttura del protoplasma ovalare. Uova le quali abbiano un vi-
tello assai ricco di deutoplasma e scarso di protoplasma. indif-
ferente, mal si prestano a lasciar distinguere una astrosfera ben
sviluppata con lunghe radiazioni. È questo il caso del Cyclops
strenuus (fig.* 33) studiato dal Ritckert (’95). Pure questo co-
scienzioso osservatore potè conchiudere che anche qui lo sper-
matozoo porta con sè un centrosoma, il quale si divide nei 2
centrosomi figli, prima della unione dei pronuclei, dalla pre-
senza di un campo protoplasmatico ben definito in prossimità
dello spermatozoo, il quale poi si sdoppia disponendosi ai due
(1) Diversi autori studiando la spermatogenesi nelle farfalle ed in altri insetti
furono condotti a ritenere che il centrosoma stia al davanti del capo, non fra esso
e la coda. Questi risultati, che contraddicono a quelli resi espliciti e sicuri del-
l’Henking nella fecondazione, dovrebbero essere riveduti.
118
poli del pronucleo. Altre \volte è per se stessa meno marcata la
radiazione benchè le condizioni del vitello non sembrino sfavo-
revoli al loro sviluppo.
B) Nell elemento femminile.
Se passiamo a considerare la parte acromatica dell’elemento,
femminile, troviamo ancora minore uniformità. Quì è interessante
incominciare l’esame ad un periodo anteriore e cioè all’Ovocita
di 1° ordine.
In alcuni organismi, per esem. nell’ Ascaris meg., troviamo
appunto qui certi speciali caratteri del fuso accromatico degni
di essere considerati. Le cellule germinali in tutte le loro divi-
sioni non hanno presentato per quanto si riferisce alla sostanza
acromatica nulla di abnorme; quando invece l’ovocita di I° ord.
si prepara alla divisione che dovrà dar luogo al I° globulo po-
lare ed all’ovocita di 2° ord. (fig.° 13 e 14), il fuso direzionale
che così viene formato ha una costituzione alquanto aberrante.
Più che un fuso esso sembra una botte, giacchè le sue fibre
non convergono in un punto polare unico, il centrosoma, ma
sembra quasi si inseriscano sopra una sorta di placca allar-
gata a mo’ di disco: la differenza è tale che un osservatore del
valore di van Beneden, tratto in inganno forse anche da
qualche caso non normale, credette di dover negare a questa di-
visione il carattere di una vera cariocinesi e chiamò il fuso
figura ipsiliforme. Il Boveri ("87) però, su materiale meglio
conservato e seguendo minutamente le disposizioni degli elementi
cromatici, potè dimostrare che la prima divisione direzionale
presenta i caratteri di una vera cariocinesi; la stessa forma
aberrante di botte si ritrova nel 2° fuso direzionale: da ciò
conchiude il Boveri che un vero centrosoma nell’uovo non
c'è; la sua mancanza sì rende già manifesta due divisioni prima
che l'uovo sia completamente maturo. In una breve nota pre-
ventiva Lebrun (’92) dice di avere trovato i centrosomi nel.
l’Ascaris anche durante la espulsione dei globuli polari, ma il
lavoro completo da lui promesso non è ancora uscito e da quanto
egli pubblicò finora non sì può arguire se si tratti di veri cen-
trosomi. Anche vom Rath (’94) trova due centrosomi ine: cia-
scun polo del primo fuso direzionale. pi una.
Questa curiosa forma a botte si trova del resto in nti
119
altri organismi, più o meno accentuata : così nella Sagztta (Bo-
veri 790), nel Branchipus, nella Artemia (Brauer ’93), nel-
l’Amphiocus (Sobotta 95), nel Mus, negli insetti.
Le modalità di formazione dei fusi direzionali negli insetti
si allontanano alquanto dal consueto tipo e meritano di essere
brevemente descritte: furono oggetto di studio per parte di
Blochmann, Platner ('88) e specialmente di Hencking (’92).
In diverse speci (fig.° 30, 31, 32), p. e. Prerzs, Musca, Li-
paris, Apiîs, formatosi il primo fuso senza che esso presenti nè
veri poli, nè radiazioni polari, quando esso si divide, le due
placche figlie restano entrambi nell'uovo dove si tramutano di-
rettamente nelle placche equatoriali per il 2° fuso direzionale
l’una, per la divisione del primo nucleo polare l'’ altra.
Fra di esse però si venne tosto formando dalla sostanza delle
fibre del 1° fuso direzionale una massa chiara di forma varia
che l’Hencking chiama Theleyd. Questa sostanza acromatica
così espulsa è interpretata dall’ Henking come un globulo po-
lare acromatico perduto dall’uovo.
Un secondo teleide viene formato al 2° fuso direzionale di
guisa che il nucleo femminile perderebbe totalmente la capacità
di dividersi. Questa spiegazione della atrofia divisoria del nucleo
femminile sembra all’ Henking suffragata dal fatto che nella
Rhodites rose, la quale si sviluppa partenogeneticamente, il ze-
leide o non si sviluppa affalto od è trascurabile.
La svstanza acromatica del telezde potrebbe realmente pro-
durre delle radiazioni sotto determinate influenze quale è quella
che si verifica per la fusione del nucleo distale dei 2° fuso (2°
nucleo direzionale) col nucleo interno proveniente dalla divisione
del 1° nucleo polare. Questi due nuclei si avvicinano di spesso
insinuandosi nel 1° fe’eide e, se si fondono, questo incomincia a
presentare delle spiccatissime radiazioni. In questa copulazione
di due dei tre nuclei espulsi l’ Henking vede un analogo della
copulazione dei pronuclei dove il 2° globulo polare agirebbe fi-
siologicamente come un pronucleo maschile producendo nel te-
leide la irritazione arrenogena /Agelastica alni).
L’Henking non impiegò però nelle sue ricerche i metodi
migliori per lo studio delle sostanze acromatiche di guisa che
. le notizie che egli ci dà su questi curiosissimi fenomeni non pos-
120
sono ritenersi come definitive. Se mi è lecito esporre una’ sup-
posizione sopra fatti che non conosco di scienza propria io vedrei
nel teleide non altro che uno sviluppo esagerato della placca
cellulare la quale fu trovata anche durante la divisione di molte
cellule animali e precisamente durante la espulsione dei globuli
polari (da Carnoy ’86, e da Sobotta nel Mus). Negli insetti,
come adattazione alla circostanza che i globuli polari non sono
espulsi o lo sono soltanto imperfettamente, la placca cellulare
acquisterebbe un grande sviluppo ed assumerebbe Ja funzione di
trattenere i tre nuclei polari contro la periferia impedendo che
anche essi migrino verso l’interno come il pronucleo femminile
col quale presentano analogie così grandi.
D'altra parte in un numero anche maggiore,di uova si tro-
vano distintissimi centrosomi circondati dalla astrosfera sia du-
rante la fase di riposo dell’ovocita di 1° ord. (Mertens ‘93
negli uccelli e mammiferi, Selenka ’81' nel Tisanozoon, ecc.),
sia ai poli dei fusi direzionali i quali presentano la forma tipica
con centrosomi ed astrosfere assai ben sviluppate. Basti ricordare
a questo proposito la Amphorina (Trin chese ’80), 1° Aulosto-
mum (Hertwig, Platner), la Nephelis ecc., ed alcuni. cro-
stacei dove v. Rath (’95) disegna non solo i centrosomi ai poli
ma già divisi nei centrosomi figli per una nuova divisione.
In alcuni organismi (p. e. OpAhryotrocha puerzlis (fig. 8 e 11),
Myzostoma) potè anche dimostrarsi che il passaggio dal 1° al 2°.
fuso avviene per la parte acromatica esattamente come ciò po-
trebbe farsi nelle sfere di segmentazione. Il centrosoma prossi-
male del primo fuso si divide, come la sua astrosfera; le. due
sfere figlie si allontanano e costituiscono i poli di un nuovo fuso ‘
diretto normalmente al 1° e quindi disposto tangenzialmente alla.
superficie dell'uovo. Esso solo secondariamente muta di direzione
tanto da divenire alla sua volta radiale.
Se fin dopo la espulsione del 2° globulo polare noi possiamo
vedere distinto il centrosoma in un gran numero di organismi,
diversamente accade per gli stadi che susseguono. La maggior |
parte degli osservatori dicono che al polo prossimale del 2° fuso
le radiazioni vanno a poco a poco perdendo di intensità, finchè |
si fanno invisibili e scompaiono (Physa, Riynchelmis, Ophryo- È
trocha, Chaetopterus). 3
‘
121
La descrizione più completa del destino della astrosfera fem-
minile è quella di B. Castle ('95) per quanto si riferisce alla
Ciona intestinalis. Come negli altri organismi sopra citati, l'a-
strosfera femminile si impicciolisce gradatamente, ma invece di
scomparire essa accompagna il pronucleo femminile durante il
suo viaggio verso il pronucleo maschile, poi ad un tratto se ne
stacca e rimane sola ed inattiva nel vitello dove va sempre più
riducendosi, ma dove ancora la si può vedere quando già i due
pronuclei sono vicini e le due astrosfere figlie provenienti dallo
spermatozoo hanno occupato i poli del futuro fuso.
Se le osservazioni di Castle, come tutto fa credere, sono
esatte, in questo caso la ipotesi del Boveri avrebbe trovata una
completa conferma: è notevole poi che il Castle abbia potuto
seguire così a lungo l’astrosfera femminile appunto nella Ciona
dove il Boveri dice che il fuso direzionale, pur non avendo
forma di botte, manca totalmente di ogni radiazione polare. Il
Castle invece disegna il 2° fuso con radiazioni distinte.
Già dissi del processo secondo il quale, giusta l’Henking,
nelle uova di insetti verrebbe espulsa la sostanza acromatica.
Un'altra modalità di degenerazione del centrosoma femminile è
ammessa dal Balbiani in un suo scritto assai interessante inti-
tolato: Centrosome et Dotterkern. Egli pensa che il centrosoma
femminile subisca una degenerazione ipertrofica divenendo quel-
l'organo problematico che fu trovato nelle uova di tanti orga-
nismi e che è noto sotto il nome di vescicola vitellina o del
Balbiani. Gli argomenti più validi che egli cita a sostegno di
questa sua ipotesi, veramente assai seducente, sono tratti dalla
somiglianza che esso ha col Nebenkern delle cellule sessuali ma-
schili, i rapporti del quale col centrosoma sono stati chiariti da
parecchi autori e fra gli altri da Platner e da Hermann.
La sua struttura ha zone concentriche (come in parecchie astro-
sfere in riposo), l’attrazione che essa esercita sul protoplasma,
la sua derivazione dalla vescicola germinativa, analoga a quella
che Hertwig ('90) e Brauer (’98) ammettono per il centro-
soma, e più la spiccata radiazione che si osserva attorno a questo
organo nel Geophilus, non possono a meno che presentare questa
opinione come assai verosimile.
Alla sua bella memoria manca però sgraziatamente una parte
122
importante, quella cioè riferentesi alla fecondazione nelle. speci
suindicate. Benchè fino ad ora non vi siano stati visti globuli
polari, giustamente osserva il Balbiani che difficilmente essi
possono mancare; ora, in relazione alla interpretazione che egli
dà della vescicola vitellina, sarebbe appunto assai interessante
il vedere come vi si formano. Se nei fusi direzionali infatti ap-
parissero 1 centrosomi, la interpretazione del. Balbiani non
potrebbe ritenersi fondata, se vi mancassero IRA una
nuova probabilità.
Quì devo notare che la omologia fra centrosoma e nucleo
vitellino è recisamente rifiutata da H. Mertens (’94) nelle uova
dei mammiferi ed uccelli.
Ma accanto a queste osservazioni più numerose le quali ne-
gano un centrosoma attivo alla cellula femminile, o tutto al più
glielo riconoscono fino a che il 2° globulo polare è stato espulso
ne esistono altre contrarie e di natura tale da dover essere te-
nute in seria considerazione. Già Flemming aveva descritto
un aster presso la vescicola germinativa (echini) ed anche alcuni
degli esperimenti del fratelli Hertwig ne diedero la dimostra-
zione, come dirò fra poco, ma fu soltanto nel 1891 in seguito
alla pubblicazione di H. Fol « La quadrille des centres », che
la presenza di un SU femminile parve SCO mente ri-
conosciuta.
Secondo H. Fol. mentre il pronucleo ia. sta avvicinan-
dosi al femminile tanto presso l’uno che presso l’altro si osserva
un minuto punto colorabile, un centrosoma. I due pronuelei si
avvicinano ed i centrosomi li seguono e’ vengono infine a tro-.
varsi ai poli opposti del nucleo di segmentazione, mentre i due
pronuclei si fondono, ciascuno dei due centrosomi si divide in
due, le metà sorelle si allontanano e si vanno invece avvicinando
ciascuna ad una metà proveniente dall’altro. centrosoma finchè
accade la fusione di un mezzo centro maschile con un mezzo
centro femminile.
Questi due centrosomi di origine mista (paterna e materna)
si trovano così. su di una retta che sta normalmente a quella
che univa i due centrosomi primordiali e diventano i poli del 1°
fuso di segmentazione. A questo complicato processo egli diede
il nome espressivo di quadriglia dei centri,
Lie,
123
Essendo ciascuno dei poli mezzo di origine paterna, mezzo
materna, ne viene di conseguenza che le cellule figlie non rice-
vono, come generalmente si ammetteva, da entrambi i genitori
soltanto la parte cromatica, ma anche un mezzo centrosoma. Re-
stava così mutato uno dei concetti più favorevolmente accolti che
cioè la cromatina fosse la sede della eredità e ne veniva anche
modificato il concetto generale della fecondazione, perchè, diceva
il Fol, per questo processo è dunque necessaria la fusione com-
pleta di due cellule, maschile e femminile, ciascuna parte dell’una
con ciascuna dell'altra, il nucleo col nucleo, il protoplasma col
protoplasma, il centrosoma col centrosoma.
L'autorità del nome di Fol, la chiarezza delle figure da lui
date, la semplicità della spiegazione di un fenomeno apparente-
mente assai complesso, furono certo fra le ragioni che valsero
a far rapidamente accettare come fatto stabilito la quadriglia dei
centri. À ciò si aggiunse che, poco dopo, L. Guignard (791)
(fig.° 19 e 22) confermava la scoperta di Fol nella sua parte
essenziale, la derivazione mista dei centrosomi, Conklin (94)
ritrovava gli stessi fenomeni nella Crepidula (un mollusco),
Blanc (94) nella trota.
Con mio dispiacere non potei vedere il lavoro originale di
Conklin; di quello del Guignard parlerò più avanti trattando
della fecondazione nei vegetali; qui brevemente accenno alle os-
servazioni di Blanc.
Mentre i due pronuclei sì avvicinano, tanto presso l’uno che
presso l’altro, ma da essi un po’ lontana si vede una astrosfera
nella quale l’autore non potè mai riconoscere un vero centro-
soma. Le due sfere ed i due nuclei stanno su di una linea retta
e le due sfere occupano gli estremi del sistema. I due nu-
clei sì avvicinano e si fondono e così avviene delle due sfere, di
guisa che ne risulta un'unica radiazione centrata sui nuclei.
Come dalla fusione delle due sfere provengano quelle del primo
fuso, non è particolarmente indicato. Noto che il Boehm, il
quale studiò la fecondazione in una specie assai vicina (Salmo
farto), nun vide nulla di simile.
Nel suo bellissimo articolo « Be/ruchiung » il Boveri nel
1392, mentre ancora unanime era il plauso per la scoperta del
Fol, riferisce le osservazioni del naturalista ginevrino non met-
124
tendone in dubbio la esattezza, ma esprime l’ opinione che si
tratti nello Strongylocentrotus di un caso isolato e che in esse
sia pure atrofico il centrosoma femminile il quale si unisce col
maschile. Nello scorso anno il Boveri stesso ed un osservatore
americano di grande valore, E. G. Wilson, in compagnia di
Matews, ripeterono le osservazioni del Fol.
Boveri studiò l’ Echinus microtuberculatus, Wilson il
Toropneustes variegatus; entrambi conchiudono che la quadri-
glia dei centri non esiste. Nè l’ uno nè l’altro poterono vedere
al centro della sfera un vero centrosoma, quale lo disegna il
Fol; secondo il Boveri poi il centrosoma esiste negli echini
ma non ha forma di un granulo; esso è ciò che altri autori
descrivono come la sfera.
Il Wilson spiega come il Fol abbia potuto essere tratto in
errore da casi di fecondazione doppia i quali non sono rari nel
Toxopneustes; dividendosi allora normalmente i due centrosomi
dei due spermatozoi si hanno quattro astrosfere disposte attorno
al nucleo dî segmentazione come nella quadriglia. Il Boveri
ritiene che alcune inclusioni contenute nei centrosomi, quali egli
intende, possano essere state scambiate per centrosomi ed aver
preso casualmente la disposizione esposta dal Fol.
Dopo le testimonianze di osservatori così abili, i quali si val-
sero degli ultimi progressi della tecnica microscopica, si deve
ritenere come non più sostenibile la quadriglia dei centri nelle
uova studiate dal Fol; perciò, almeno nel campo degli animali
è poco probabile che ‘essa si verifichi.
Prima di passare all'esame di quei casi anomali; patologici
o sperimentali, che si collegano con questo problema, debbo ri-
ferire una osservazione diversa da tutte le precedenti, fatta da
Wheeler (’95) sulle uova del Myzostomum glabi'um (fig. 15
e 18).
Lo spermatozoo entrato nell'uovo non presenta mai presso di
sè traccia alcuna di quella radiazione protoplasmatica che è così
caratteristica. Notevole è pure che in esso l’autore non potè mai
distinguere un segmento intermedio (la porzione’ nella quale sa-
rebbe compreso il centrosoma o l’archoplasma maschile). Presso
la vescicola germinativa invece la quale si conserva come tale
fino alla copulazione si osservano due minuti. centrosomi assai
125
X
avvicinati, e provenienti con ogni probabilità da un centrosoma
unico primitivo; essi si vanno allontanando e costituiscono poi i
poli del 1° fuso direzionale. Espulso il primo globulo polare il
centrosoma prossimale si divide e dà luogo al 2° fuso. Mentre
questo si trova allo stadio di diaster, il centrosoma prossimale
sì divide ancora in due e questi due centrosomi restano nell’uovo
accanto al pronucleo femminile. Quando i due pronuclei sì avvi-
cinano, il femminile, riconoscibile oltre che per l’ aspetto per la
posizione sua rispetto ai globuli polari, è accompagnato da
due. centrosomi, mentre il maschile ne è affatto privo. I due
nuclei si avvicinano mentre i centrosomi allontanandosi foggiano
un vero fuso centrale disposto fra i due pronuclei analogamente
a quanto si vede p. e. nella Ophryotrocha puerilis, dove il cen-
trosoma deriva dallo spermatozoo. Già dissi che Kostanescki
dubita che i centrosomi ed il fuso che appaiono presso il pronu-
cleo femminile, provengano anche in questo caso dal maschile,
ma se ne siano staccati presto.
Riepilogando dunque quanto si conosce sulla origine dei cen-
trosomi nell’ uovo fecondato dobbiamo conchiudere che essi deri-
vano generalmente dallo spermatozoo, ma possono forse anche
provenire dal centrosoma dell’ ovocita od in qualche caso (fane-
rogame) da entrambi.
C) Anomalie ed esperimenti.
Altre numerose ed interessanti osservazioni fornì lo studio
‘di alcuni casi anomali e sperimentali. Fra questi noto anzitutto
quelli di una anomalia divenuta abituale e fissata, cioè i casi di
partenogenesi. Assai scarse sono ancora le osservazioni esatte
sulla parte acromatica delle uova partenogenetiche.
Weismann studiando coll’ Ischikava un gran numero di
uova a sviluppo partenogenetico lo fece quasi unicamente coll’in-
tento di controllare la sua legge numerica dei globuli polari;
anche gli studii del Blochmann e per l’obbiettivo che si pre-
figgevano.e perchè nel tempo in cui furono fatti la questione dei
| centrosomi non era ancora sorta, non possono darci a questo
proposito informazioni precise. Notevoli sono invece per il nostro
scopo le ricerche di Platner (°88) sulla Zipar:is, di Hencking
sulla Rhodztes (#92), di Brauer (’93) sulla Artemia salina.
Gli insetti presentano una notevole serie di casi di parteno-
126 | i
genesi, ma le osservazioni dettagliate su di essi sono ancora
assai scarse ed in parte contraddicenti.
Secondo l’Henking nella Rhodztes rosae dove egli uo
probabile che lo sviluppo avvenga sempre o quasi partenogene-.
ticamente, data la estrema rarità dei maschi, si formano i due
fusi direzionali come di solito senza che vi appaia un distinto
centrosoma ; in essi non viene però espulso un teleide e. ciò è
dall’ autore. messo in relazione colla possibilità. dello sviluppo
partenogenetico; ma quando il pronucleo femminile si è appro-
fondato esso si muta in un bel fuso e lo sviluppo procede rego-
larissimo come nelle uova fecondate.
Lo stesso autore ebbe la opportunità di esaminare anche uova
non fecondate di Lasius niger, le quali generalmente sì svilup-
pano previa fecondazione. Anche qui benchè manchi l’eccitamento
dello spermatozoo si formano come di norma i due fusi direzio-
nali ed il pronucleo femminile si divide poi parecchie volte, però
i suoi fusi sono irregolari, senza radiazioni. Non sembra che se
ne formi alcun embrione. |
Una ricerca assai accurata è quella di Brauer sulla Artemia
salina, un interessante entomostraceo che in alcune località come
a Trieste presenta uova partenogenetiche. I suoi risultati rife-
rentisi agli elementi cromatici saranno considerati più tardi. Il
1° fuso direzionale, che sempre si forma, ed il 2°, che si forma
di rado, hanno forma di botte e mancano di centrosomi e di ra-
diazioni, come i fusi direzionali dell’ Ascarzs e della Ciona (Bo-
veri). Quando il pronucleo .° si è approfondato nel vitello ed
incomincia la sua evoluzione che dovrà dar luogo al 1° fuso di
segmentazione, accanto ad esso compare un centrosoma chiaris-
simo, il quale si divide in due e prende alla formazione del primo
fuso la parte che abitualmente è assunta dal centrosoma prove- -
niente dallo spermatozoo. Questo fatto è interessante non soltanto
perchè ci mostra un centrosoma di origine sicuramente femmi- |
nile, ma perchè dinota che possono durante i fusi direzionali :
restare latenti ed irriconoscibili i centrosomi. che pure devono
esistere. È
Anche 0. Hertwig (’90) vide persistere e dividersi, dando |
luogo ad una segmentazione del resto irregolare, la sfera di |
attrazione entro alcune uova di Asteropecten che presentavano
per anomalia uno sviluppo partenogenetico.
127
Esperimenti. — La lunga serie di esperimenti che gli Hert-
wig compirono sulle uova di echini alterando le condizioni nor-
mali di sviluppo permise loro in molti casi di meglio colpire i
rapporti che passano fra i due pronuclei e le sostanze acromatiche.
La polispevmia sperimentalmente provocata per mezzo dei
veleni mostrò ad esempio che realmente ogni spermatozoo porta
nell’ uovo un centro dal quale parte una radiazione e che si
sviluppa in astrosfera. Sia che gli spermatozoi si copulino tutti
col pronucleo /, o che alcuni proseguano indipendentemente da
esso la loro evoluzione, la molteplicità dei centrosomi, corrispon-
dente alla molteplicità degli spermatozoi si dimostra anche per
la costituzione di fusi multipolari attorno al nucleo di segmen-
‘tazione, o più ancora per la formazione di un fuso nucleare da
ogni singolo spermatozoo rimasto indipendente (fig. 52 e 53).
Tali fusi si sono dunque costituiti senza che ad essi abbiano
presa parte alcuna gli elementi acromatici che si potrebbero
sospettare presso il pronucleo 2°.
Ciò si verifica con chiarezza ancora maggiore in un altro
esperimento degli Hertwig. Agitando fortemente le uova prima
della fecondazione, essi poterono ottenerne dei frammenti nucleati
in parte, privi del pronucleo 2.
Gli spermatozoi penetrando anche in questi ultimi vi si com-
portano precisamente come in un uovo integro, sviluppandovi la
medesima radiazione dalla quale prende origine poi un fuso
acromatico perfettamente costituito che determina una normale
divisione dei cromosomi del pronucleo 7. Se in questi frammenti
anucleati è penetrato un solo spermatozoo essi possono svilup-
parsi regolarmente fino a dare una larva, secondo il Boveri (’89)
assai meno e cioè fino allo stadio di sedici cellule secondo il
Morgan ('95). Ma questa limitazione dello sviluppo accadrebbe
secondo lo zoologo americano unicamente perchè i frammenti che
soli possono avere fecondazione monospermica sono piccolissimi
non già per una imperfetta costituzione del fuso o delle astrosfere.
A risultati analoghi circa l’aumentarsi del numero dei cen-
trosomi in seguito a polispermia giunse il Sala (’95) produ-
cendo mediante il raffreddamento, la penetrazione di più sper-
matozoi entro le uova di Ascarzs.
Gli Hertwig osservarono pure che la irritazione portata
128
dal centrosoma sul vitello è variamente influenzata dai diversi
veleni; mentre di molto la indebolisce il cloralio di guisa che
scompaiono attorno al centrosoma le radiazioni e solo riappaiono
al cessare dell’ azione venefica, fortemente 1’ accresce la stric-
nina, la quale fa sì che le radiazioni appaiono evidentissime.
Questo veleno potè pure mettere meglio in evidenza la presenza
più dubbia di un centrosoma presso il pronucleo femminile, e
forse mantenerlo, più a lungo in vita spingendolo anche ad una
divisione. R. Hertwig (’88) vide infatti che, ponendo delle uova
di echini non fecondate entro una soluzione diluitissima di stric-.
nina, il pronucleo si predisponeva ad una divisione e presen-
tava. fenomeni cariocinetici aberranti, ma pure evidenti e dei
quali non si sarebbe avuta traccia senza l’ azione del veleno.
Facendo poi agire le soluzioni venefiche (cloralio) sopra uova
già fecondate i due pronuclei non si fondono e continuano indi-
‘pendentemente la loro evoluzione. Presso ciascuno di essi ap-
paiono prima due, poi quattro poli radianti e sotto la loro in-
fluenza i nuclei prendono l'aspetto di una croce d'ordine (Pseudo,
tetraster®. Se quando incomincia l’ azione dei veleni i due pro-
nuclei si sono appena fusi, attorno alla massa nucleare appa-
iono 8 poli radianti, la somma cioè dei 4 maschili coi 4 fem-
minili. Benchè questi fenomeni siano molto oscuri essi tendono
a dimostrare che anche presso il pronucleo 9 può in certe cir-
costanze rendersi palese un elemento che si comporta come un
centrosoma e può come esso dividersi.
Anche durante la maturazione delle uova si osservò qualche
cosa di analogo. I primi esperimenti in proposito si debbono al-
l’Henking (’92) che sottoponendo le uova di Agelastica alni
appena deposte ad una elevata pressione (2 atmosfere) vide più
d'una volta apparire ai poli dei fusi direzionali un centrosoma
ed una astrosfera ben sviluppata, mentre, come ho detto sopra,
nelle condizioni normali non vi si possono riconoscere.
Simili risultati, e forse più costanti, ebbe il Sala che fece
apparire per l’azione del freddo distintissimi centrosomi ai poli
dei fusi direzionali nelle uova di Ascaris megalocephalta. .
(Continua).
Gerenti I REDATTORI. Pavia, 1896; Prem. Stab. Tip Succ. Bizzoni.
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