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OMMEDIA DI
DANTE
ALIGHIERI...
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Divina Commedia
d;
Dante Alighieri.
Tonio III.
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lì accolta
di
autori classici italian
Po e ti.
Tomo terzo.
I e n a,
V r e i J o Federico F r o m m fl
Divina Commedia
di
Dante Alighieri
es att amente co-piata dalla'
edizione -Romana del P, Lombardi.
S'aggiungono le varie lezioni , le dichiarazione
necessarie , e la Vita deli' Autore nuovamente
compendiata
jgtìk' che contiene
Il Paradiso.
pretto Federico Frommann.
I 807.
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{p i. òuf
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IL sbratto
(^una lettera del P. Costami 'collocata di
Montecasino i/j. Luglio 1Q00.
in cui
si dà notizia di una leggenda intilolatd
la visione di Alberico
dalla quale è ■probabile che Dante traesse Videa
della Divina Commedia.
oglio che adesso ili scorriamo insieme sopra un
punto, che ri sguardi il poema di Dante , toccato
quanto veggo assai leggermente , avvegnaché innumcra-
liili siano gli scrittori che hanno ragionato della divina
Commedia e del suo autore; voglio dire la questione
già mossa: d'onde prendesse Dante la prima idea del
suo poema, promuovere simil quiatione non si
vuol già negato, che Dante non avesse innanzi gli
occhi l'esemplare del suo maestro Virgilio, specialmente
l'Eneide, dalla quale tolse sicuramente moltissime cose
ed immagini e concetti pel suo. viaggio dell'Inferno,
rea avendone egli intrapreso uno più o.-ìeso per lì tre
regni, spaziandoci per entro ad es-i , e ragionandone
in maniera analoga alla cristiana credenza , dorette
procacciati» qualche scoria capace di sviluppare e duro
aumento a quei g.'nn:, che nel feracissimo Campo della
sua immagijiativa seppelliti giacevano. &i è cercato »■
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Vili
dunque, tmal fosse questa scorra, e per quali vie diri-
gesse il poeta nel viaggio de' tre regni. Sapete, che al
dir di Momìg, Fo nta nini nella sua Eloquenza italiana
fu opinione di Mal» tei la. Porla, nel Dialogo intitolalo
il Rossi, che Dante traesse il suo piano dell" antico
Romanzo intitolato il Guerrino di Ditrazzo dello il
"Meschino. Or Monsìg. GIo. Botiarì letterato di vaglia,
e assai versato negli scrittoi! del buon secolo dell' idio-
ma Toscano, in una stia lettera impressa in Roma nel
r?53- inserita nella Deca dì Simbole aggiunta a quelle
del Proposto Gori prese a ragionare di questa questione,
e riportando rarj testi della Cantica deli' Interno simi-
lissimi alla favolosa Stqrla del Meschino, ne trae con-
seguenza tutto contraria a quella di Malatesta, non pa-
tendosi mai credere , egli dice , che Dante ricco di
suo fondo, e di una fecondissima fantasia abbia Tuba-
to da) detto romanzo le idee, li concetti, e le compa-
razioni, nelle quali ultime ognun sa , elio non ha
avuto pati. Così ne sembra anche a me per quella ra r
gione ancora , che se Dante fatto avesse un cotanto
furto, i suoi emuli, come quel Cecco d - Ascoli" nemico
suo personale , e schernitore del suo poema , non
avrebbero tralasciato di accusarlo di plagio. E dunque
di parere il Bonari, e ne adduce buone ragioni , che
il romanzo del Meschino fosse scritto originalmente in
Provenzale, e trasportalo net volgar Fiorentino dopo
Dante, e che il traduttore, che si sospetta es;er stato
un tal Andrea di Barberino, abbialo accresciuto ed ab.
bellito colle idee e comparazioni prese da Dame mede-
simo. Provato ciò passa il Bonari a dncorrere di uno
scritto sicuramente più antico dì Dante, dal quale potè
prendere idea di tutte tre le cantiche del suo jioema,
ed è questo scritto la Visione di Alberico fanciullo Mo-
naco Casinense, che 6Ì conserva in un codice del XII.
secolo di quest' archivio che vi descriverò più innanzi,
divisa in gr Capitoli, della quale Monsig. Bottari trovò
una copia fra le collezioni mss. del P. Aliate D. Con.
starnino Gaetanì serbate mila Biblioteca dell» Sapienza
IX
di Roma. Credo Che il C ettari sia stato primo ad avver-
tire (purché, come é probabile, noti l'abbia tratto da
qualche nota del G.ietaiii medesimo) che Dante dalla vi-
sione di Alberico Casìutse prendessi"' ìilea di tutto il
sito poema, e il prendesse non solo quanto all' ordinil i
generale, come egli scrive, ma eziandio quanto ad al-
cune minute particolarità. Drlla corrispondenza della
divina Commedia colia visione di Alberico, di amen»
dite le quali uno c '1 medesimo 6 1' oggi-tto , cioè un
viaggio estatico per l'Inferno, VnrgJtorio e Pdndiro,
ripona il dotto prelato due o ire esempi, ma molti di
piii se ne possono produrre in prova della conformità
dell' una coli' altra; onde io che ho fatto im più esatto
e più minuto confronto, non dubito punto, che
Dante leggesse la visione di Alberico , c della medesima
togliere non pur il molilo , ma nuche parte de" mate-
riali per comporuc il suo àro:air;.bti poema, l'erme t te-
terni dunque i che vi trattenga un tantino intorno a
questo confronto, e mostrandovi l' abbozzo, e varii
tratti di- una pittura delineata da Alberico, e poscia
con metodo scientifico, con colori vivissimi e con
tutte le grazie possìbili terminata e perfezionata dal di-
vino pennello di Dante , faccia entrare ancor voi nello
stesso sentimento.
Prima però convien sapere qual fosse e quando vi-
vesse il nostro veggente Alberico. Di Itti Paolo Disco ■
ito ha lasciato scritto, che nitro era da nobili genitori
nel castello dei tetti fratelli nel contado di Alvito,
Diocesi di Sora , ed essendo di anni nove compili fu
sorpreso da mortale infermità, e rimase sopito fuor di
sentimenti per lo spazio di nove giorni, infra il quale
tempo ebbe una visione , in cui gli pareva di esser por-
tato in alto da una colomba, e condotto da S. Pietro
colla compagni* di due angeli pel Purgatorio , e per
l'Inferno a vedere le pene e le qualità dti peccati, e
dei peccatori, venendo di tutto informato da S. Pietro
mede-imo, in compagnia detonale fu poscia traspor-
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tato per li sette Cieli, c condotto nel Paradiso a mirare
la gloria dei Beati. Tornato in sentimenti) e riavutosi
della sofferta malattia si condusse a professare vita mo-
nastica in Monte Casino , sotto 1' Abate Girardn che
lino al ri23 governò l'Abazia Casincse, ciTca il guai
tempo lo stesso Pietro Diacono, relatore e cronista nell'
età di 5 anni era etato offerto a Dio nello stesso Mona-
stero da' suoi parenti di potente famiglia Romana, onde
Alberico e Pietro crebbero ambedue insieme, e potè il
secondo risapere tutte. le circostanze, e '1 tc-itor di vita
innocenti) (imi e mortìfìcatissìma , ebe menò Alberico
dalla fanciullezza ano alla età sua più provetta, occu-
pato sempre degli oggetti or tristi or lieti della sua
visione, e sempre immerso fra, la compunzione e le
lagrime in- una profonda meditazione delle cose ve-
dute.
La prodigiosa estasi del piccol Alberico si divolgò
per ogni pane, ma passando di bocca in bocca se
ne alterò, come funi accadere, la storia, c colla mi-
stura dì cose £i'ne e capricciose venne deforma'
ta e corrotta. Per !a ijual cosa Girardo Abate ordinò a
Guido monaco e prete Casincse di esporre in iscritto
tutu la visione di Alberico secondo la verità e il detta-
to di Alberico medesimo. Di questo Guido, e della sua
relazione ne dà contezza i'ietro Discono si nella conti-
nuazione della Cronica-Middetta , che nel suo opusculo
de Viris ilhutribus CaWieiitièus pubblicato ed ìlhiiti*-
to dal Canonico Mari.
Guido, sebbene nulla alterasse, tralasciò pcTÒ molte
cose, e la sua relazione per to spaccio ch'ebbe, di-
venne anch' essa col tempo guasta in guisa, che tic-
moretto eletto Abate di Munte Casino nel n3? chiamalo
a se il monaco Alberico, gli ordinò, che ne facesse
esso medesimo la revisione e correzione, il che egli ese-
guì coli' ajuto dello suddetto Pietro Diacono, impie-
gandovi tre giorni di tempo, e quindi è, che Pietro
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nel novero de' suoi propri scritti pone ancora ; Vini}'
nem Alberici monachi Casinttniii ctirruptam emenda-
uìt , cioè prestò l'opera sua e la sua penna Come adde-
strato nello scrìvere, di c)ie forse non era capace il
buon Alberico vissuto sempre nel raccoglimento e nella
contempla zio ne. Dell'anno della morte di Alberico non
trovo nulla notato. Supponendo che Alberico morisse
vecchio anche di 80 anni , non si può differire la sua
morte più in la del 1180 in circa. Risulta evidentemente
dalle ripetute revisioni e correttimi dell' Estasi di Al-
berico, e dal tempo, in cui furo 11 fatte, eli' essa e»
spiTsa da per tutto dì dai primi anni del secolo XII ,
e di per tutto letta con aridità e con. sapore. Che poi
anche nelle pitture di quei tempi figurassero l'Inferno
secondo le vedute di Alberico, comò dopo promulgato
il poema di Dante sappiamo essersi fatto da' pittori del
secolo XIV e XV, traendone le idee dal suo Inferno,-
io mi credo poterlo contestare per aver veduto un' an-
tica pittura, rappresentante le pene de' dannati , confor-
me le idee di Alberico di un pennello anteriore d'assai
di Dante, da me giudicata, quando la vidi, del secolo
Xtl, eh' è quello di Alberico. Questa pittura è nei
fondo del muro d'un' antica chiesa ; chiamata la Ma-
donna, delle Grotte, e posta a piò del monte Ocre in
Vicinanza di un paese detto Fessa, provincia e diocesi
dell' Aquila , dov" era l'antica Atieja, A vedere tale
pittura , ognuno che nulla sapesse della visione di AI'
berico, direbbe, o eh' è presa da Dante, o che Dante
1' ha presa di là.
La visione di Alberico con un prologo del- xiri.no
correttore o editore Guido, preceduta da una lettera di
Alberico medesimo , trovasi in un codice in pergamena
in foglio minore, che contiene molti degli opu sculi di
l'ietro Diacono, ed è scritto fra l'anno 1139 e nfli. Il
prologo di Guido e breve, ma pieno di buon senso e
di unzione. —
Vengo ornai ad indicarci la conformila, di mo-Itissùnì
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Xtl
luoghi della visione colla divina Commedia. A buon
conto io veggo mi pensiero medesimo fra il partito pie-
so da Dante di farsi condurre da Virgilio per l'Inferno
e pel Purgatorio, e stabiliilo tuo monitore per cono-
scere !a qualità delle pene, e dei peccatori, con quello,
che si legge di Alberico, il quale ebbe 5. riero per com-
pagno del tuo viaggio , e per interprete delle cose che
vedea ; c come Dante Virgilio, cosi Alberico introduci
sempre 5. Pietro a spiegargli In qualità delie pene, e
dei peccatori iteli' Incerilo e nel Purgatorio, e siccome
Alberico impiego g giorni nel suo viaggio, e' paté che
poco meno ne impiegasse Dante, il tinaie arrivato in
Paradiso il giorno dì Pasqua era già sette giorni die
viaggiava. Alberico di se posto fuor di sentimenti rac-
conta: Avit candida soUtmbae simili r adveuiens per
tomam capitit sui' me ore appreliendens caepit tulli'
mem a ferra — — — tunc bealus Velrtu et duo aiz- ■
geli me sìmul ducente! loca ptienarrm et inferni
estendere coeperunt. (Cioè: un uccello bianco simile
ad una colomba venne a prendermi col becco «io per i
capelli, e m'innalzò sopra la terra — — — ed allora
S. Pietro c due angeli insieme mi conditiselo e cornili*
ciarouo a mostrarmi i luoghi delle pene e dell' Inferno.)
Non altrimenti Dante immerso nel tonno fu tiat;t> da
terra da un" aquila, alle pòrte del Purgatorio, v. Purg.
C. IX.
t. 19, In sogno mi parsa veder sospesa
Un' aquila nel del con penne d'oro, —
38. Poi mi -pareo, che più rotata, un poco
Terribil come folgor discendesse ,
E me rapisse suso infine al foco. —
Scrive Alberico al c. 7. Vidi lacnm magnimi ple-
num sanguine, ut mihi videi mar, et dixit mihi apjp
stolu s , quod non sanguis sed ignis eit ad cremando*
homieidas', et odiosos , hanc tamen similitudinem
propter sanguini! effuiionem retinct. (Cioè t Vidi un
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uni
gran lago pieno di sangue come mi sembrava ; e l'apo-
stolo mi dì."e, non era sangue questo , ma fuoco per
bruciare gli omicidi c gli odiosi , che però avesse que-
sta somiglianza per cause dell" effusione del sangue.)
Nello stesso modo finge Dante una riviera di sangue,
dove puniti sono i sanguinari ed i violenti 1 Inf.
C. XIL
V, 47. La>riviera del sangue in la qual balìe
Qual, che per violenza, in altrui noceto.
Racconta Alberico c. 0. Potè hnec omnia ad loca,
tartarea et os infernali* baratri deducila sum, qui
similii videbatur puteo , loca vero e ade ni horridis te-
nebri! stridoribm quoque et nirnis piena erant ejulati-
bus, jitxta quem Infernum vernò* erat infinti a e ma-
gnitudini* ligutus maxima catena {Cioè: Dopo tutto
ciò tui condotto ai luoghi tartarei ed alla bocca deli' in-
fernale abisso, che somigliava ad un poazo; e quei
luoghi erano pieni di orridi tenebre, di midi ed urli;
• vicino a qn. ll- Inferno un verme immenso si vide le-
gato con una grandissima catena.) Dante purè neLT In-
ferno vede un pozzo tenebroso Inf. C. XXXIÌ.
v.-ifi. Còme noi fummo giù nel pozzo scuro —
ed a vista delle porte infernali sente le grida disperale
delle perdute genti ; Inf. C. III.
T. 33. Quivi sospiri , pianti, e alti guai
Hìsonavan per l'aere senza stelle,
Ferck' io al cominciar ne lacrimai.
Ed è notabile, che presso Alb-rico l'antico serpente
è eh. amato verrai* , come appunto con questo nome
di Verme chiamollo Dante più d'una volta; Inf.
G. VI.
v. 33. Quando si scoue Cerbero, il gran vermo, —
C. XXXIV.
■Dante IIP b
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XIV
r. 103. Al pel del vermo reo the 'l mondo fora.
cioè del Lucìfero. Ha recato maraviglia a parecchi i'ip*
pcllazìone di verme usata da Dante per indicar il Dia-
volo , parendo quella denominazione troppo spropor-
zionata per fi gran bestia. Non dovremo tanto .mara-
vigliarcene vedendo ora, che non fu il primo Dante,
ina dì lui il nome stesso di verme usò il nostro Albe-
rico per designare il Diavolo , e sul suo esempio l'avrà
imparato Dante , e da Dante V Ariosto. C. XL VI.
»t. 73.
Che al verme inferiteti mette la briglia.
Nel capo i3- della visione dice Alberico, che staccatosi
da' lui S. Pietro per andar ad aprire ad un'anima le
porte del Paradiso : untts ex illis tartarei! ministri!
horrìdus , Jdspidus , aspectuque j/rocerui , feitinur
adveniens me impellere, et nocere couabatitr. Citm
ecce apostatiti velocìui accurreni , meque subito arri'
pieni etc. (Cioè: uno dì quelli ministri infernali, or-
rido, peloso e di statura gigantesca ratto avvicinandosi
cercò d'offendermi , quando ecco l'apostolo accorse
più velocemente e subito mi pTese , etc.) Accidente in.
tutto simile accadde al povero Dante più d' una volta,
come al C. XXI , dove racconta, che veduto che l'eb-
bero i diavoli,
v. ico. Ei efiinavan gli raffi .- e vuoi eh' i *l tocchi,
Diceva V un con f altro , in sul groppone ?
E rìipondean .- *ì , fa che glieli accoehi. —
e Con più esatta copia nel C. XXII. dicendo che fu
to afferrato da Virgilio per sottrarlo dai Diavoli,
fatto avea S. Pietro con Alberico,
V. 34. Già non compio di tal consiglio rendere,
C/i' io gli vidi venir con l' ali tese,
Non molto lungi, per volerne prendere.
Lo duca mio,di subito mi prete, —
XV
Non pare che qui Dante abbia per se applicato fin* anco
le parole di Alberico meque subito arrijiìens : — di
subita mi'prese?
Vide Alberico c. 16. uni sorta di dannati, ai quali
pendevano dui eolio : manne ferreae adeo grauitiU
- mne , ut nuntfuam eis erigendi daretur j acuii ai.
(Cioè masse di ferro di tal peso, che non ebbero mal
la forza di camminar diritto.) Di qua deve aver preso
Dante il tormento delle cappe, e dei capacci di piom-
bo , oud' erano aggravati gì' ìppecritì a non poter er-
gere il capo.
Un' altro passo della visione di Alberico , parallello
ad Dna delle piti belle Suzioni di Dante è il tegnente t
Vidi Jlumen mugnum de inferno procedere arderti,
atque piceum, in CUJUS medio poni erat — — — —
peccatores curri ad medium ejus venerint — — in
eundem (sic) fiusnen cornami, rursumque assurgen-
te!, ac denuo rscidèntes , tamdiu ibidem crueìantur,
donec in morem carniuia excacti Ctc. (Cioè ; Vidi un
gran fiume di pece nriìente uscire dell' inferno, in mex-
io del quale vi era un ponte — — — i peccatori do-
po esser venuto fin' alla meta di esso, cadono giù net
fiume, risorgono e di nuovo ricadono, e quivi sono
tormentati finché a guisa di carne allessa etc.) Leggen-
do il canto X!. si vede, che '1 poeta non fa" altro che
svolgere, ingrandire ed abbellire l'idea di Alberico.
Vi è il lago di ptee bollente, vi è il ponte dal qusl è
precipitata l'anima di un peccatore , vi è t" andare or
sopra, or sotto delle anime per entro a quella pegola,
vi è infino la similitudine delle carni lesse; e G. XXI.
V. 7. Quale nclV arsenà de' Veneziani
Bolle l'inverno la tenace pece, —
r, i5. Tal, non per fuoco, ma per divina arte,
Eollin lugg'utso una pegola spessa, —
». :p. E vidi dietro a noi un diavol nero —
b *
XVI
v. 34-" L' omero suo , di' era agata e superbo ,
Cnrcaua un peccatar con ambo l'anche,
Jid et leuea de' pie ghermito il nerbo.
Del nostro ponte, disse o Malebranche ,
liceo un degli anzian di santa Zita
Mettetel sotto — —
v. 43- Laggiù il butto
v. 46. Quei s'mtitffb , e torni su convolta ; —
V, 55- JVu" altrimenti i cuochi a' lor va salti
2-auno attutare in mezzo la caldaia.
La. carne con gli uncin , perchè non galli.
Ed al fine del canto in corrispondenza dell' espressione
di Alberico dei peccatori in modum carmina exeocti
chiama ì peccatori- Zi lessi dolenti.
Un altra somiglianza che ferì .molto la fantasia di
Molisi*. Bonari nella citata lettera è quella del capo 4.
dove c
osi si esprime Alberico : Ap>
istalus ostendit mihi
vallea.
■os quasi congelatac
giade,
gelu, et algore ut
giade.
t, et tiitìonem quasi iguis n
exhibe
t. Multos in eìs vidi usqu
e ad talos demergi,
usque ad gi-nua , vel Jema
rct , alias usque ad
peci us
, juxtu peccati videlicet n
todunt, alias vero,
qui majorìs crìmtiùs nota tenebantur in ipsir summita-
dbus supersedere canspexi. (Cioè : L' apostolo mi mo-
strò una valle terribile, nella quale vidi masse immense
di ghiaccio congelato 1 come il ghiaccio col freddo e
col gelo, a guisa del foco, tormenta le anime dei mi-
seri. Tu esse vidi molli immersi sino ai talloni, altri
sino al ginocchio, altri sin' alle anche, altTi sino al
petto, a proporzione de' lor peccati-, alni finalmente
che erano rei di maggiori delitti vidi interamente at-
tutati.)
Questo tormento che i peccatori soffrivano , stan.lt>
sommerai più o meno, comminciando dai piedi fino al
« XVII
capo, co» una gradazione juxtn peccati videlicet mo-
eiùm, è ricopialo appuntino nel C. XIT. dell' Inferno,
dove al r. 73. dice, che il sommergimento maggiore
o minora efa in proporzione della colpa di ciascun peo-
Dintorno al fosso vanno a mille a mille,
Saettando quale anima si svelle
Del sangue più, (he sua. colpa sortille, —
■poi a mano a. siano.
v. 103. I' vidi gente sotto infino al ciglio —
T. 115. 2'oco più "/ Centauro s'affisse
Sovr' una gente, xh' in/ina alla' gola
Tarea, che di quel bublicame uscisse, —
v. iQI. Poi vidi gente, che fuori del rio
Ternani la testa, e ancor lutto 'l casso ; —
v. 124. Coti a più a più si facea basso
Quel sangue sì , che copria pur li piedi; —
Riferendo questo tormento di sommersione di diverbi
gradi, pose Dante il snromergimemo de' peccatori nel
lago di sangue , che Alberico posto avea nella ghiaccia-
ia : diversi là , che nulla (ogiie al paralltilo, che an-
diamo facendo, tanto più, che il lago di sangue è,
come abbiamo veduto, un' immagine. anch' essa di Al-
berico , e questa del sommergimeli 10 del ghiaccio non
ha tralasciato Dante di adottarla nei cauli XXXII e
XXXIII dell'Inferno, dov* i quel pezzo sorprendente
del conte Ugolino.
Lo atesso Monsig. Bollori , che, sape» vedere , vide-
pure una grande corrispondenza d'id« "a i due se-
guenti passi di Dante, e del nosu'o estatico pargo-
letto :
Jfo« era ancor dì là Neiso arrivato.
Quando noi ci mettemmo per un bosco.
Che da nessun- sentiero era segnata.
JVoH f rondi verdi , ma di folor fosco :
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XVIII • -
Nttìirami schietti, ma nodosi e 'uvoltì ;
Ison pomi v' tran, ma stecchi cori tosco.
Non ìtali sì aspri sterpi, né si folti etc.
così principia Dante il canto XIII dell' Inferno. Sen.*
liam' ora Alberico al c; 4. della sua visione.- Inde in
uliam vallerà terribilem deveni plenam 1 uttilissimii
arborìbut in modum aslanim — — — quorum ca-
pita ac si sudes acutissima erant , et spinosa. (Cioè :
Quindi giunsi in un' altra valle terribile e piena di
sottilissimi arboscelli formati come aste — — — le
cime de' qnaÙ somigliavano a pertiche acutissime e
spiti os e, 1
Riportate queste ultime due conformità del poe.ua
colla visione (ic quali unite a quella del tentativo f.itto
dai diavoli per ghermire Alberico e-Daute, sono i soli
esempi notati cf [^essamente da Monsig. Bottari) con-
chiude egli colle seguenti parole ,,esseiido Dante certa-
mente d'età posteriore ad Alberico fa di mestiere il dire,
o che amendue si fieno incontrali a concepire li mede-
simi pensieri, o che Dante, avendo letta questa visio-
ne, da essa abbia tratte alcune delle sue unte finzioni,
e I idea tutta di questi tre regni," — Tioppi però sono,
come alibiam veduto, i pensieri somiglianti di Djnte e
di Alberico, per poter dire, che semplicemente for-
tuito sia di lor due l'incontro, ed ho anzi da farvi
notare altre cose dell' identità dell' idee fra di cssoloio,
onde vieppiù rimanga avvalorata l'opinione, che l'idea
tutta dei tre regni Dante l'abbia tratta realmente dalla
visione di Alberico.
Osservate, come Alberico vede il passaggio di un*
anima purgante dal luogo delle pene in quelle di deli-
aie, e come dipinge questo luogo di delizie. Descritta
nel c. ig. la, pena superata da detta anima , soggiunge
dì lei nel capo seguente : In campum- transit amoenif
j'imitm ipse vero campus splendidus suavis, et de-
ti ras- — — plenus est enim omni jo emidi: ale , et
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XIX
odoramcntomm- omnium reclolet fragrantict — — — ■
"STA ttjusmo di media Faradisus est. fCioè : passa in
una campagna amcnissima — la campagna stessa è splen-
dida, soave, adorna — — giacché è piena di ogni
piacele, e ridole della fragranza dei pili soavi profu-
mi, — — — in mezzo di essa è situato il paradiso.)
Le «acce di Alberico siegue Dame nel canto XXVII del
Purgatorio, e veduto l'ultimo tormento delle anime
purganti fa succedere il passaggio di esse in un arcenis-
siruo campo, che prima gli mostra Virgilio' in distanza
dicendo :
v: i3J. Vedi V erletla, i fiori , e gli arboscelli ,
Che quella terra sol da se produce. —
e poscia nel canto seguente entrandovi dentro il poeta
fa una vaga descrizione di una deliziosa campagna, dove
trova Matelda , che cauta a coglie i fiori.- -
- v. i. Vago gin di cercar dentro e dintorno
La divina foresta spessa e viva,
C?i' agli oech} temperava il nuovo giorno ;
Senza più aspettar lasciai la riva,
Prendendo la campagna lento lento
Su per lo suol, che d'ogni parie oliva. —
Qni Alberico e Dante camminano assai d'accordo rap-
presentandoci una terra deliziosa e soavuolente , nella
quale passano secondo essi a deliziarsi le anime purgate
prima di entrare uri paradiso terrestre, che ,-tmbcdne
pongono in mezzo di cucila campagna. Koii può a
meno, che idee così simili non l'abbia l'uno prese
dall' altro.
Sentile ora un racconto di Alberico dei discorsi
anni in l'aradiJO con S. Fi e ITO , o confrontatelo con
quello che ebbe Dante in Paradiso parimenti, e con
S, Pietro: lieatus Peirut, dice' il primo, multalo-
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cutus est mihi — — — de hominibits tliam adhuc'in
saettilo viuentibus , plura peccata tmiotuit miki,
praecepitque , ut ea quae de illis andieram eis ref er-
rerà. (Cioù : S. Pietro mi parlò di molte cose — — — .
e di quei clie ancora vivono in questo mondo molli
peccati mi scoprì, e comandò che raccontassi loro ciò
che avevo inteso di essi.) Richiamate ì bei racconti,
che fa Dante, nel C. XXVII. del Paradiso, dove in-
troduce S. Pietro, ohe gli dice molte cose più che forse
non disse ad Alberico , perchè, credo io, era troppo
ragazzo i e Dante già aveva la barba da alzare, e ri-
feriti gli sfoghi di S. Pietro contro i peccatori del
suo tempo, fa che gli comandi di palesarli al suo ri-
v. 64. B tu , figliuol, che per lo mortai pondo
Ancor giù tornerai , apri la bocca,
E non asconder quel eh' io non ascondo.
Si può egli qui non vedere, che Dante prese pel
iscorta del suo viaggio fantastico il nostro Albe-
rico, e che dell' autorità sua intese anche di co-
prirsi per inveire centra certi peccatori del suo
tempo ?
E giacché siamo entrati con Alberico in Paradiso
e con Dante , non si deve tralasciare, che ambedue
,vadaii dei pari, e facciati la stessa strada, Alberico
tirato su dalla sua colomba , e Dante dalla sua Bice,
ambedue fanno U prima fermata nel cielo della Luna,
e poi di mano in mano sono trasportati ascendendo per
gli altri cieli dei pianeti superiori, fino a quello di
Saturno, da dove sono poi elevati ali' empireo, a mi-
lare intorno al Trono di Dio i cori dci;li Angeli, i seg-
gi de' Patriarchi , de' Profeti etc. Quest' elevazioni su
per i cieli sono con brevità narrate (la Alberico dal
c. 31-, della sua visone fino al e uni nobilmente da
Dame nella sua Cantica del Paradiso. Ragionano im-
Digiti; ed by C
bedue secondo il sistema planetario Tolemaico, con
pili esattezza Dante, e- con qualche negligenza riguar-
do all' ordine de' pianeti Alberico, che di alcuni ne
cangia la posizione astronomica , negligenza ■ che mo-
stra, secondo che io penso, la semplicità del fanciullo
Alberico. *
Un altra cosa voglio noiare e poi finirò il mio con-
fronto, Alberico al c. 30. dopo aver narrato come S.
Pietro Io conduca pel Paradiso, mostrandogli ì seggi
de varj beati , soggiunse queste partile ; Ojtcnditque
mifti circa Paradisum, lecium dar) stimum et splen-
didisshniim , operii.entis adornatimi — — in quo
lecto quemdam jacére conspsxì cvjui nomai ab ApO'
itolo nudivi, sud yrohihuit ne cui dice rem. (Cioè:
C vicino al Paradiso egli mosiiomroi un letto nobi-
lissimo e splendidissimo , ornato con belle coperte
— — — in questo letto vidi giacere qualcheduno,
il di etti nome l'apostolo mi disse, ma niTproliìbì di
dirlo ad altri.) Or io scorgo patentemente ricopiato
da Dante nel C. XXX. del Paradiso questa particolarità,
dicendogli la sua Beatrice:
T. 130. Vedi nostra Città quanto ella gira
Vedi li nostri scanni si ripieni,
Che poca genie ornai ci si ditira :
In qit'l gran seggio, a 'che tu gli ocelli tieni,
Per la- corona, che già v' è jiì posta,
Primaehè tu a queste nozze ceni
Sederà l'alma, che Jìa giù au gotta ,
Dell' alto Arrigo — — —
E' mi pare da quanto sono venuto dicendovi fin
qui, che v'abbia prove bastanti per credere, che la
visione di Alberico sia servita di modello all' intero
edificio dei poema di Dante. La qua! visione nel se.
colo XIII, in cui egli fiori, non pò tea essere dimen-
ticata massime in queste contrade, dove nel secolo
XXI t
precedente, come vi ho detto , era divenuta famige-
Tat issimi fino a rappresentarsi in pittura. Dante era
Plato ambasciatore della sua repubblica Fiorentina una
volt* a Roma, e due a Napoli, e non è verisimile,
olle passando e ripassando non lungi di Monte Casino,
sia stato a- visitare questo celebre monastero, posto fra
le dette due capitali; ma anche senza essere stato qui-
vi , dovette aver contezza dì un fatto cclebratist imo
nel secolo antecedente al suo, udir parlare dell' estasi
prodigiosa di un fanciullo di io anni condotto in iepi-
rito a vedere i tre regni, e dovette infine leggerne la
relazione) e concepire l'idea del suo poema," —
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Del Paradiso
Canto 1,
I. T. I — 18.
La gloria di colui che tutto muove ,
Per l'universo penetra , e risplende
In una parte più , e meno altrove.
Nel ciel che più della sua luce prende
Fu' io , e vidi cose che ridire
Nè sa riè pub qual di lassù discende :
Perchè appressando se al suo disire
Nostro intelletto si profonda tanto.
Che retro la memoria non può ire.
Veramente quant'io del regno santo
Nella mia mente potei far tesoro ,
Sarà ora materia del mio canto.
O buono Apollo, ali* ultimo lavoro
Fammi del tuo valor sì fatto vaso.
Come dimandi a dar l'amato alloro*
Insino a qui l'un giogo di Parnaso
Assai mi fu ; ma or con amendue
M' è uopo entrar nell' aringo rimaso,
Dante III. I
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2
Del Paradiso
t. v. 19-48.
Entra nel petto mio, e spira tue,
Sì come quando Marsia traesti
Della vagina delle membra sue*
O divina virtù, se mi ti presti
Tanto, che l'ombra del beato regno
Segnata nel mio capo io manifesti.
Venir vedrami al tuo diletto legno,
E coronarmi allor di quelle foglie,
Che la materia e tu mi farai degno.
Sì rade volte, padre, se ne coglie t
Per trionfare o Cesare, o poeta ,
(Colpa e vergogna dell'umane voglie}
Che partorir letizia in su la lieta
Delfica deità dovria la fronda
Penea , quando alcun di se asseta.
Poca favilla gran fiamma seconda :
Forse diretro a me con miglior voci
Si pregherà perchè Cirra risponda.
Surge a' mortali per diverse foci
La lucerna del mondo : ma da quella,
Che quattro cerchi giugne con tre croci.
Con miglior corso, e con migliore stella
Esce congiunta , e la mondana cera
Più a suo modo tempera e suggella.
Fatto avea di là mane , e di qua sera
Tal foce quasi , e tutto era là bianco
Quello emisperio, e l'altra parte nera,
Quando Beatrice in sul sinistro fianco
Vidi rivolta, e riguardar nel Sole:
Aquila sì non gli s'affisse unquanco.
Canto primo.
3
I. v. 49 - 78.
E sì come secondo raggio suole
Uscir del primo , e risalire insuso,
Pur come peregrio, che-tornar vuole;
Così dell'atto suo, per gli occhj infuso
Neil' immagine mia , il mio si fece,
E fissi gli occhj al Sole oltre a n osti' uso.
Molto è licito là, die qui non lece
Alle nostre viitù, mercè del loco
Fatto per proprio dell'umana spece.
To noi sdfFersi molto, ne sì poco,
Ch'io.jiol vedessi sfavillar dintorno,
Qual ferro che bollente esce del fuoco.
E disubito parve giorno a giorno
Essere aggiunto, come quei che puote
Avesse '1 ciel d'un altro Sole adorno.
Beatrice tutta nell'eterne ruote
Fissa con gli occhj stava , ed io in lei
Le luci fisse, di lassù rimote,
Nel suo aspetto tal dentro mi fei,
Qual si. fe Glauco nel gustar dell' erha
Che'l fè consorto in mar degli altri Dei.
Trasumanar significar per verba
Non si porla: però l'esempio basti
A cui esperienza grazia serba.
S' io era sol di me quel che creasti
Novellamente, Amor, clie'l ciel governi,
Tu'] sai, che col tuo lume mi levasti.
Quando la ruota , che tu sempiterni
Desiderato, a se mi fece atteso
Con l'armonia che temperi, e discerni,
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4 Del Paradiso.
I. v. 79 - 1°8.
Parvemi tanto allor del cielo acceso
Dalla fiamma del Sol , che pioggia o fiume
Lago non fece mai tanto disteso.
La novità del suono e*l grande lume
Di lor cagion m'accesero un disio
Mai non sentito di cotanto acume.
Ond'ella, che vedea me si com'io,
Ad acquetarmi l'animo commosso,
Pria ch'io a dimandar, la bocca aprio:
E cominciò: tu stesso ti fai grosso
Gol falso immaginar, sì che non vedi
Ciò che vedresti, se l'avessi scosso.
Tu non se' in terra sì come tu credi:
Ma folgore, fuggendo '1 proprio sito ,
Non corse come tu., eh' ad esso rìedi.
S'io fui del primo dubbio disvestito,
Per le sorrìse parolette brevi,
Dentro ad un nuovo più fui irretito:
E dissi : già contento requievi
Di grande ammirazioni ma ora ammiro
Com'io trascenda questi corpi lievi.
Ond'ella, appresso d'un pio sospiro,
Gli occhj drizzò ver me con quel sembiante,
Che madre fa sopra figliuol deliro:
E cominciò : le cose tutte quante
Hann' ordine tra loro : e questo è forma ,
Gbe 1' universo a Dio fa simìgliante.
Qui veggion l'alte creature l'orma
Dell'eterno valore, il quale è fine,
Al quale è fatta la toccata norma.
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Canto primo.
L t. icp — 138.
Nell'ordine, ch'io dico., sono accline
Tutte nature, per diverse sorti
Più al principio loro, e raen vicine :
Onde si muovono a diversi porti
Per lo gran mar dell'essere, e ciascuna
Con istinto a lei dato che la porti;
Questi ne porta '1 fuoco inver la Luna:
Questi ne* cuor mortali è permotore :
Questi la terra in se stringe ed aduna.
Nè pur le creature, che son fuore
D' intelligenzia , quest'arco saetta,
Ma quelle, eh' hanno intelletto ed amore :
La providenzia, che cotanto assetta,
Del suo lume fa'l ciel sempre quieto
Nel qual si volge quel, eh* ha maggior fretta
ILd'Ora lì, com'a sito decreto,
Cen porta la virtù di quella corda,
Che ciò che scocca drizza in segno lieto.
Vero è , che come forma non s' accorda
Molte fiate alla'ntenzìon dell'arte,
Perchè a risponder la materia è sorda j
Così da questo corso si diparte
Talor la creatura ch'ha podere
Di piegar, così pinta , in altra parte.
E sì, come veder si pub cadere
Fuoco di nube, se l'impeto primo
A terra è torto da falso piacerei
Non dei più ammirar, se bene stimo,
Lo tuo salir, se non come d'un rivo,
Se d'alto jnonte scende giuso ad imo.
6
Del Paradiso.
I. v. 139
Maraviglia sarebbe in te , se privo
D'impedimento giù ti fossi assiso,
Com'a terra quieto fuoco vivo.
Quinci rivolse inver lo cielo il viso.
Canto secondo.
Canto IL
II. V. 1—24.
O voi, che siete in piccioletta barca ,
Desiderosi d'ascoltar, segniti
Dietro al mio legno , che cantando varca
Tornate a riveder li vostri liti:
Non vi mettete in pelago, che forse,
Perdendo me, rimarreste smarriti.
L'acqua, ch'io prendo, già mai non si corse
Minerva spira, e conducemi Apollo, '
E nuove Muse mi dimostran l'Orse.
Voi altri pochi , che drizzaste '1 collo
P*er tempo al pan degli angeli, del quale
Vivesi qui, ma non si vien satollo:
Metter potete hen ,per l'alto sale,
"Vostro navigio, servando mio solco
Dinanzi all'acqua, che ritorna eguale,
Que* gloriosi , che passato a Coleo,"
Non s'ammiraron, come voi farete,
Quando Jason vìder fatto bifolco.
La concreata e perpetua sete
Del deiforme regno cen portava
Veloci quasi come'l ciel vedete.
Beatrice in suso , ed io in lei guardava :
E forsein tanto, in quanto un quadrelposa ,
E vola, e dalla noce si dischiava,
8 Del Paradiso
II, v. 23-5*.
Giunto mi vidi, ove mirati! co^a
Mi torse '1 viso a se: e però quella,
Cui non potea mia cura esser ascosa ,
Volta ver me' sì lieta , come bella ,
Drizza la mente in Dio grata, mi disse,
Che n'ha congiunti con la prima stella.
Pareva a me, che nube ne coprisse
Lucida, spessa, solida, e pulita,
Quasi adamante, che lo Sol ferisse.
Per entro se l'eterna margherita
Ne ricevette, com' acqua ricepe
Raggio di luce, permanendo unita.
S'io era corpo, e qui non si concepe ,
Com'una dimensione altra patio,
Ch'esser convien se corpo in corpo repe ,
Accender ne dovria più il disio
Di veder quella essenzia, in che si vede
Come nostra natura e Dio s'unio.
Lì si vedrà ciò che tenem per fede,
Non dimostrato , ma fia per se noto ,
A guisa del ver primo, che 1' uom crede.
Io risposi-: madonna, sì devoto,
Com* esser posso più, ringrazio lui,
Lo qual dal mortai mondo m'ha rimoto.
'Ma ditemi, che sono i segni bui
Di questo corpo, che laggiuso in terra
Fan di Cain favoleggiare altrui?
Ella sorrise alquanto.; e. poi: s'£gli erra
L'opinion, mi disse , de' mortali,
Dove chiave di senso non disserra,
Canto secondo.
,9
II. V. 53 - 84-
Certo non ti dovrien punger gli strali
D'ammirazione ornai ; poi dietro a' sensi
Vedi che la ragione ha corte l'ali.
Ma dirami quel die tu da te ne pensi.
Ed io: ciò che n'appar quassù diverso,
Credo che'l fanno i corpi rari e densi.
Ed ella : certo assai vedrai sommerso
Nel falso il creder tuo , se hene ascolti
L'argomentar, ch'io gli faro avverso.
La spera ottava vi dimostra molti
Lumi, li quali e nel quale, e nel quanto
Notaf si posson di diversi volti.
Se raro e denso ciò facesser .tanto ,
Una sola virtù sarebbe in tutti
Più e men distributa , ed altrettanto.
Virtù diverse esser convegnon frutti
Di principj formali, e quei, fuor ch'uno,
Seguiteriano a tua ragion distrutti.
Ancor se raro fosse di quel bruno
Cagion, che tu dimandi, od oltre in parte,
. Fora di sua materia sì digiuno
Esto pianeta , o sì come comparte 1
Lo grasso e '1 magro un corpo , così questo
Nel suo volume cangerebbe carte.
Se'l primo fosse, fora manifesto
Neil* eclisse del Sol , per trasparere
Lo lume, come in altro raro ingesto.
Questo non è : però è da vedere
Dell'altro : e s' egli avvien, eh* io l'altro cassi,
Falsificato ila lo tuo parere.
IO Del Paradisa
II. v. 83 -"4-
S' egli è, che questo raro non trapassi,
Esser conviene un termine, da onde
Lo suo contrario più passar non lassi:
E indi 1" altrui raggio si rifonde
Cosi, come color torna per vetro,
Lo qual diretro a se piombo nasconde.
Or dirai tu, ch'el si dimostra tetro
Quivi lo raggio più che in altre parti,
Per esser li rifratto più a retro.
Da questa instanzia può deliberarti
Esperienza, se giammai la pruovi,
Ch'esser suol fonte a' rivi di vostr* arti.
Tre specoli] prenderai , e due rimuovi
Da te d'un modo , e 1' altro più rimosso
TV ambo lì primi gli occhj tuoi ritmo vi;
Rivolto ad essi fa , che dopo '1 dosso
Ti stea un lume, che i tre speccbj accend
E torni a te da tutti ripercosso :
Benché nel quanto tanto non si stenda
La vista più lontana , lì vedrai
Come convien , eh* egualmente risplenda
Or come ai colpi degli caldi rai
Della neve riman nudo-I suggetto,
E dal colóre, e dal freddo primai ,
Cosi rimaso te nello 'ntelletto
Voglio informar, di luce si vivace,
Che ti tremolerà nel suo aspetto.
Dentro dal ciel della divina pace
Si gira un corpo, nella cui virtute
L'esser di tutto suo contento giace.
Canto secondo.
II. v. 115 — 144.
LO del seguente, ch'ha tante vedute,
Quali' esser parte per diverse essenze
Da lui distinse, e da lui contenute.
Gli altri giron pe!r varie differenze
Le distinzion , che dentro da se hanno,
Dispongono a lor fini, e lor semenze.
Questi organi del -mondo così vanno,
Come tu vedi ornai, di grado in grado,
Che di su preridono, e di sotto fanno.
Riguarda bene a me sì com'io vado
Per questo loco al ver, che tu disiri,
Sì che poi sappi sol tener lo guado.
Lo moto e la virtù de' santi giri,
Come dal fabbro l'arte del martello,
Da' beati motor convìen che spiri.
E'1 ciel, cui tanti lumi fanno bello,
Dalla mente profonda, che lui voi ve ,
Prende l'image, e fassene suggello.
E come 1' alma dentro a vostra polve
Per differenti membra, e conformata
A diverse potenzie si risolve;
Così V intelligenzia sua bontate
Moltiplicata per le stelle, spiega ,
Girando- se sovra sua unitate.
Virtù diversa fa diversa lega
Col prezioso corpo, ch'eli' avviva ,
Nel qual , sì come vita in voi, si lega.
Per la natura lieta, onde deriva,
La virtù mista per lo corpo, luce
Come letizia, per pupilla viva.
%2 Del Paradise.
I!. v. i4S-i4fl.'
Da essa vien ciò , che da luce a luce
Par differente , non da denso e raro :
Essa è formai principio, che produce,
Conforme a sua bontà, lo turbo e'1 chiaro.
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Canta terzo.
Canto III.
Quel Sol , che pria d'amor mi scaldò'! petto,
Di bella verità m'avea scoverto ,
Provando, e riprovando, il dolce aspetto:
Ed io, per confessar corretto e certo
Me stesso, tanto, quanto si convenne,
Levai il capo a proffercr più erto.
Ma visione apparve, che ritenne
A se ine tanto stretto', per vedersi, ,
Che di mia confession non mi sovvenne.
Quali per vetri trasparente tersi,
O ver per, acque nitide e tranquille
Non sì profonde, che i fondi sien persi,
Tornan de' nostri visi le postille
Debili sì, che perla in bianca fronte
Non vien inen forte alle nostre pupille;
Tali vid'io più facce a parlar pronte:
Perch'io dentro alì'error contrario corsi
A quel, eh' accese amor tra l'uomo e '1 fonte. '
Subito , sì com' io di lor m' accorsi ,
Quelje stimando specchiati sembianti.
Per veder di cui fosser , gli occhj torsi,
E nulla vidi, e morsili avanti
Dritti nel lume della dolce guida,
Che sorridendo ardea negli occhj santi.
Dante Ili. 2
14
Dei Paradiso
m. v. ss -a.
Non tt maravigliar, perch'io sorrida,
Mi disse, appresso '1 tuo pueril coto,
Foi sopra '1 vero ancor lo pie non fida,
Ma te rivolve, come suole , a voto ;
Vere sustanzie son ciò , che tu vedi ,
Qui rilegate per manco di voto.
Però parla con esse, ed odi e credi,
Che la verace luce , che le appaga ,
Da se non lascia lor torcer li piedi.
Ed io all'ombra, che parea più vaga
Di ragionar, drizzammi, e cominciai
Quasi com'uom, cui troppa voglia smaj
O hen creato spirito , che a' rai
Di vita eterna la dolcezza sentii
Che non gustata non s'intende mai;
Grazioso mi fia , se mi contenti
Del nome tuo, e della vostra sorte;
Ond'ella pronta e con occhj ridenti:
La nostra carità non serra porte
A giusta voglia, se non come quella,'
Che vuol simile a se tutta sua corte.
Io fui nel inondo vergine sorella :
E se la mente tua ben si riguarda ,
Non mi ti celerà l'esser più bella,
Ma riconoscerai ch'io son Piccarda ,
Che posta qui con questi altri beatj,,
Beata son nella spera più tarda.
LÌ nostri affetti, che solo infiammati
Son nel piacer dello Spirito santo,
Letizian del suo ordine formati :
Canto uno. 15
HI. v. 55-84.
E questa sorte, che par giù cotanto,
Però n' è data , perchè fur negletti
Li nostri voti, e voti in alcun canto.
Onci 5 io a lei; ne* mirabili aspetti
Vostri risplende non so che divino.
Che vi trasmuta da' primi concetti:
Però non fui a rimembrar festino;
Ma or m'ajuta ciò che tu mi dici,
Si che raffigurar m'è, più latino.
Ma dimmi: voi, che siete qui felici,
Desiderate voi più. alto loco ,
Per più vedere, o per più farvi amici?
Con quel!* altr* ombre pria sorrise un poco;
Da indi mi rispose tanto lieta,
Ch'arder parea d'amor nel primo foco:
Frate , la nostra volontà quieta
Virtù di carità, che fa volerne
Sol quel eh' avemo , e d' altro non ci asseta.-
Se disiassimo esser più superne,
Foran discordi gli nostri disiri
Dal voler di colui, che qui ne cernei
Che vedrai non capere in questi giri;
S'essere in caritate è qui necesse ,
E se la sua natura ben rimiri :
Anzi è formale ad esso beato esse ,
Tenersi dentro alla divina voglia,
Perdi* una fansi nostre voglie stesse.
Si che come noi siam di soglia in soglia
Per questo regno, a tutto '1 regno piace,
Com'allojle, che'n suo voler ne'nvoglia:
X6 Del Paradiso
IH. v-85 — "4-
E la sua volontade è nostra pace:
Ella è quel mare, al qual tutto si muore
Ciò, ch'ella cria, o che natura face.
Chiaro mi fu allor, com' ogni dove
In cielo è Paradiso, e si la grazia
Del sommo ben d'un modo non vi piove.
JWa si com'egli avvien, eh* un cibo sazia ,
E d'un altro rimane ancor la gola.
Che quel si elicere, e di quel sì ringrazia;
Così fec' io con atto e con parola,
Per apprender da lei qual fu la tela ,
Onde non trasse insino al co la spola.
Perfetta vita ed alto merto inciela
Donna più su, mi disse , alla cui norma
Nel vostro mondo giù si ve3te e vela;
Percliè'iiliuo al morir si vegghi e dorma.
Con quello sposo, ch'ogni voto accetta,
Che caritate a suo piacer conforma.
Dal mopdo, perseguirla, giovinetta
Fuggimmi, e nel su* abito mi chiusi,
E promisi la via della sua setta.
Uomini poi a mal, più eh 1 a bene usi,
Fuor mi rapiion della dolce chiostra:
Dio lo si sa qual poi mia vita fusi.
E quest'altro splendor, che ti si mostra
Dalla mia destra parte, e che s'accende
Di tutto il lume della spera nostra,
Ciò ch' io dico di me , di se intende :
Sorella fu , e così le fu tolta
Di capo l'ombra delle sacre bende.
Canto terzo-
17
in. v. ng— 130.
Ma poi che pur al mondo fu rivolta
Contra suo grado , e contra buona usanza,
Non fu dal vel del cuor giammai disciolta.
Quest'è la luce della gran Gostanza,
Che del secondo vento di Soave ,
Generò '1 terzo, e l'ultima possanza.
Così parlommi: e poi cominciò AVE
MARIA , cantando ; e cantando vanio,
Come per acqua cupa cosa grave.
La vista mia, che tanto la seguio,
Quanto possibil fu, poi che la perse,
Volsesi al segno di maggior disio,
Ed a Beatrice tuttà si converse:
Ma quella folgorò nello mio sguardo
Sì , che da prima il viso non sofferse :■
E ciò mi fece a dimandar più tardo.
Vel Paradiso
Canto IV,
%
IV. v. t -*.*4.
Intra duo cibi distanti e moventi
D'un modo, prima sì inorila di fame,
Che liber'uOtnO l'un recasse a' denti. •
Sì si starebbe un agno intra due brame
Di fieri lupi , igualmente temendo :
Si si starebbe un cane intra due dame.
Perchè s'io mi tacea, me non riprendo,
- Dalli miei dubbj d'un modo sospinto,
Poich'era necessario, nè commendo.
Io mi tacea : ma '1 mio disir dipinto
M'era nel viso, e*l dimandar con elio
Più caldo assai, che per parlar distinto.
Fe' sì Beatrice, yual fe' Daniello,
Nabucodònosor levando d'ira,
Che l'avea fatto ingiustamente fello.
,E disse: io veggio ben come ti tira
Uno ed altro disio, sì che tua cura
Se stessa lega sì, che fuor non spira.
Tu argomenti, se '1 buon voler dura,
La violenza altrui per qual ragione
Di meritar mi scema la misura?
Ancor di dubitar ti dà cagione ,
Parer tornarsi l'anime alle stelle;
Secondo la sentenza di Platone.
□igifeed t>y Google
Canio quarto. I(}
IV. v. 33 — 34.
Queste son le question che- nel tuo velie
Pontano igualemcnte: e pero pria
Tratterò quella , ciré più ha di felle.
De' Seralìn colui, che più s'india,
Moisè , Sanmello, e quel Giovanni,
Qua] prender vuogli, io dico , non Maria,
Non hanno in altro cielo Ì loro scanni ,
Che questi spirti, che ino f apparirò ,
Nè hanno all'esser lor più o mese anni.
Ma tutti fanno, hello il primo giro ,
E differentemente han dolce vita,
Per sentir più e meri l'eterno spiro. '
Qui si mostrarci , non perchè sortita
Sia questa spera lor , ma per far segno
Della celestial , ch'ha men salita.
Così parlar conviensi al vostro ingegno,
Perocché solò da sensato apprende
Ciò , che fa poscia d' intelletto degrtQ,
Per questo la scrittura condiscende _ .
A vostra facilitate, e piedi è mano
Attribuisce a Dio, ed altro intende:
E santa Chiesa con aspetto umano
GabbrielP e Michel vi rappresenta T
E l'altro, che Tohbia rifece sano.
Quel che Timeo dell'anime argomenta,
Non è simile a ciò che qui si vede,
Perocché, come dice , par che senta;
Dice che 1' alma alla sua stella riede ,
Credendo quella quindi esser decisa,
-Quando natura per forma la diede.
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3o Del Paradiso
IV. r. 55 - 64-
E forse sua sentenza è (l'altra guisa
Che la voce non suona, ed esser puote.
Con intenzion da non esser derisa.
S' egl* intende tornare a queste ruote
L'onor della 'nflùenza , e '1 biasrao , forse
In alcun vero suo arco percuote.
Questo principio male inteso torse
Già tutto '1 mondo quasi, sì che Giove,
Mercurio , e Marte a nominar trascorse.
L* altra dubitazion , che ti commuove,
Ha men velen, perocché sua malizia
Non ti poria menar da me altrove.
Parere ingiusta la nostra giustizia
Negli occhj de' mortali, è argomento
Di fede, e non di eretica nequizia.
Ma perchè! puote vostro accorgimento
Ben penetrare a questa ventate ,
Come disiri , ti farò contento.
Se violenza è quando quel che paté,
Niente conferisce a quel che sforza,
Non far. quest'alme per essa scusate :
Che volontà, se. non vuol, non s'ammorza
Ma fa come natura face in foco$
Se mille volte violenza il torza :
Perchè s'ella si piega assai o poco,
Segue la forza : e così queste fero ,
Potendo ritornare al santo loco.
Se fosse stato* il lor volere intero,
Come tenne Lorenzo in su la gradi t
E fece Muzio alla sua man severo ,
' Canto quarto.
IV. v. 85 — «4.
Cosi Pavria ripinte per la strada,
Oliti' eran tratte, come furo sciolte:
Ma cosi salda voglia è troppo rada.
E per queste parole, se ricolte-
L'hai come del, è l'argomento casso,
Clie t'avrla fatto noja ancor più volte.
Ma or ti s'attraversa un altro passo
Dinanzi agli occhj tal, che per te stesso
Non n'usciresti, pri* saresti lasso.
Io t'ho per certo nella mente messo,
Ch' alma beata non poria mentire,
Però eh* è sempre ai primo vero appresso
E poi potesti da Pìccarda udire,
Che Paffezion del vel Gostanza tenne,
Sì eh' ella par qui meco contraddire.
Molte fiate già , frate, adivenne
Che, per fuggir periglio , confragrato
Si fè di quel, che far non si convenne:
Come Almeone , che , di ciò pregato
Dal padre suo, la propria madre spense
Per non perder pietà si fè spietato.
A questo punto voglio che tu pense ,
Che la forza al voler si mischia , e fann
.Sì, che scusar non si posson l'offeristi.
Voglia assoluta non consente al danno:
Ma conscntevi in tanto, in quanto teme
Se si ritrae, cadere in più affanno.
Pero quando Pìccarda quello sprìcme ,
Della voglia assoluta intende , ed io -
Dell' altra j sì che ver diciamo insieme.
Del Paradiso
IV. v. iis — 143.
Cotal fu I" ondeggiar del santo rio,
Ch'uscia del fonte, ond' ogni ver deriva:
Tal pose in pace uno ed altro disto.
O amanza del primo amante, o diva,
Diss'io appresso, il cui parlar m'innonda
E scalda sì, che più e più m'avviva:
Non è l' aHezìon mia tanto profonda,
Che basti a render voi grazia per grazia :
' Ma quei, che vede'e puote, a ciò risponda.
Io veggio ben, che giammai non. si sazia
Nostro 'ntelletto, se'l ver non Io illustra,
Di fuor dal qual nessun vero si spazia.
Posasi in esso , come fera in lustra, ■
Tosto che giunto l'ha: e giugner puollo ,
Se non, ciascun disio sarebbe frustra:
Nasce per quello a guisa di rampollo
Appiè del vero il dubbio; -ed è natura,
Ch'ai sommo pinge noi di collo in collo.
Questo m'invita, questo m'assicura
Con riverenza , Donna, a dimandarvi
D'un' altra verità, che m'"è oscura.
Io vo 1 saper se 1' uom può soddisfarvi
A* voti manchi si con altri beni,
Ch'alia vostra stadera non sìen parvi.
Beatrice mi guardò con gli occhj pieni
Di faville d'amor, con sì divini,
Che vinta mìa virtù diedi le reni,
E quasi mi perdei con gli occhj chini.
Canto quinto.
-25
. . Canto F.
V. V. I — 3*.
S'io tì fiammeggio nel caldo d'amore
Di là dal modo che'n terra si vede,
Sì che degli occhj tuoi vinco *1 valore,
Non ti maravigliar; che ciò procede
Da perfetto veder che , come apprende,
Cos'i nel hene appreso muove '1 piede.
Io veggio ben si come già risplende
Nello 'ntelletto tuo l'eterna luce
Che vista sola sempre amore accende:
E s* altra cosa vostro amor seduce,
Non è se non di quella alcun vestigio
Mal conosciuto, che quivi traluce.
Tu vuoi saper se con altro servigio
Per manco voto si pub render tanto,
Che l'anima sicuri di litigio.
Sì cominciò Beatrice questo canto:
E sì com'uoin che suo parlar non spezza,
Continuò così'l processo santo.
Lo maggior don, che Dio per sua larghezza
Fesse creando , e alla sua bontate
Più conformato, e quel eh' eì più apprezza,
Fu della volontà -la liberiate ,
DÌ che le creature intelligenti ,
E tutte e sole furo e son dotate.
24 D«Z Prtraduo
V, v. as - 54.
Or ti. parrà, se tu. quinci argomenti,
L'alto valor del voto, s'è sì fatto,
Che Dìo consenta , quando tu consenti :
Che nel fermar tra Dio- e l'uomo il patto,
Vittima fassi dì questo tesoro,
Tal, qual* io dico, e fassi col suo atto.
Dunque che render puossi per ristoro ?
Se credi bene usar quel ch'hai offerto ,
Di mal tolletto vuoi far huon lavoro.
Tu se' ornai del maggior punto certo.
Ma perchè santa Chiesa in ciò dispensa ,
Che par contrario al ver, eh' io t' ho scoverto,
Convienti ancor sedere un poco a mensa,
Perocché '1 cito rigido, ch'hai preso,
Richiede ancora ajuto a tua dispensa.
Apri ìa mente a quel ch'io ti paleso,
E fermai vi ^ntro : che non fa scienza ,
Senza Io. ritenere, avere inteso.
Due cose si convegnono all'essenza
DÌ questo sacrificio: l'uua è quella
Di che si f li j l'altra è la convenenza.
Quest'ultima giammai non si cancella
Se non. servata, ed intorno di lei
Sì preciso di sopra si favella :
Però necessitato fu agli Ebrei
Pur l'offerire, ancor che alcuna offerta
Si permutasse , come saper dei.
L'altra, che per materia t' è aperta,
Puote bene esser tal, che non si falla,
Se con altra materia si converta.
Canto quinto.
25
y. -T. si-M-
Ma non trasmuti carco alla sua spalla
Per suo arbitrio alcun , senza la volta
E* della chiave bianca e della gialla:
E.& °g n i permutanza credi stolta
Se la cosa dimessa in la sorpresa
Come '1 quattro nel sei, non è raccolta.
Però qualunque cosa tanto pesa *
Per suo valor, che tragga ogni bilancia ,
Soddisfar non si pub con altra spesa. -
Non prendano i mortali il voto a ciancia :
Siate fedeli, ed a ciò far non bieci ,
Come fu lepte alla sua prima mancia:'
Cut più si convenia dicer: mal feci,
Che servando far peggio : e così stolto
Ritrovar puoi lo gran Duca de' Greci:
Onde pianse Ifigenia il suo bel volto ,
E fè piangerai se e i folli e i savj,
Ch'udir parlar di cosi fatto colto.
Siate, Cristiani, a muovervi più gravi:
Non siate come penna ad ogni vento ,
E non crediate eh' ogni acqua vi lavi.
Avete,'l vecchio e'1 nuovo Testamento,
E*l pastor della Chiesa, che vi guida:.
Questo vi basti a vostro, salvamento.
Se mala cupidigia altro vi grida,
Uomini siate , e non pecore matte ,
Sì che '1 G iudeo tra voi di voi non rida.
Non fate come agnel , che lascia il- latte ■
Della sua madre, e semplice e lascivo
Seco medesmo a suo piacer combatte.
Dante IH. . 3
26 Del Paradiso
V. v. 83-114.
Così Beatrice a me com'io lo scrivo :
Poi si rivolse tutta disiarne
A quella parte, ove'l mondo è più vìto.
Lo suo piacere, e*l tramutar sembiante
Poser silenzio al mio cupido ingegno,
Che già nuove quistioùi avea davante.
E sì come saetta, che nel segno
Percuote pria che sia la corda queta,
Così corremmo nel secondo regno.
Quivi la donna mia vid'io sì lieta,
Come nel lume di quel ciel si mise,
Che più lucente se ne fe' il pianeta.
E se la stella si cambiò e rìse ;
Qual mi fec' io , che pur di mia natura
Trasmutabile son per tutte guise!
Come in peschiera, eh' è tranquilla e pura,
Traggono i pesci a ciò , che vien di fuori
Per modo, che lo stimin lor pastura;
Sì vid'io ben più di mille splendori
Trarsi ver noi , ed in ciascun s'udia:
Ecco chi crescerà lì nostri amori :
E sì come ciascuno a noi venia;
Vedeasi l'ombra piena di letìzia
Nel folgor chiaro che di lei uscia.
Pensa, Lettor, se quel, che qui s'inizia h
Non procedesse , come tu avresti
Di più savere angosciosa carizia;
E per te vederaì , come da questi
M'era in disio d'udir lor condizioni,
Sì come agli occh) mi fui manifesti.
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Canto quinto.
£7
V. v. 115 -139.
P bene nato, a cui veder, li troni
Del trionfo eternai concede grazia ,
Prima che la milizia s'abbandoni;
Del lume che per tutto '1 ciel si spazia ,
Noi semo accesi: e però se disti
Da noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia.
Così da un di quelli spirti pii
Detto mi fu, e da Beatrice : di', di'
Sicuramente, e credi come a Dii.
Io veggio ben sì come tu t' annidi
Nel proprio lume , e che dagli òcchj il traggi,
Perch'ei corrusca, sì come tu ridi :
Ma non so chi tu se', ne perchè aggi,
Anima degna, il grado della spera
Che si vela a' mortai con gli altrui raggi :
Questo diss'io diritto alla lumiera,
Che pria m'avea parlato; ond' ella fessi
Lucente più assai di quel eh* eli' era.
Sì come '1 Sol che si cela egli stessi
Per troppa luce, quando'] caldo ha rose
Le temperanze de* vapori spessi:
Per più letizia sì mi si nascose
Dentro al suo raggio la figura santa ,
E così chiusa chiusa mi rispose
Nel mo,do , che'l seguente canto canta.
2 8 Del Paradiso
Canto VI.
I. v, 1 — 34.
Posciachè Gostantin l'Aquila volse
Contra il corso del ciel , che la seguio
Dietro all'antico, che Lavinia tolse;
Cento e cent'anni e più 1' uccel di Dio
Nello stremo d' Europa sì ritenne _
Vicino a' monti, de* quai prima uscio ;
E sotto l'ombra delle, sacre penne
Governò '1 mondo lì di mano in mano,
E sì cangiando in su la mia pervenne.
Cesare fui, c son Giustiniano,
Che per voler del primo amor, ch'iosento,
D'entro alle leggi trassi il troppo e'1 vano:
E prima ch'io all'opra fossi attento,
Una natura in Cristo esser, non piue,
Credeva, e di tal fede era contento.
Mail benedetto Agabito, che fue
Sommo Pastore, alla fede sincera
Mi ridri/.zò .con le parole sue.
Io gli credetti: e ciò che suo dir' era
Veggio ora chiaro, sì come tu vedi,
Ogni contraddizione e falsa e vera.
Tosto che con la Chiesa mossi i piedi,
A Dio per grazia piacque d'inspirarmi
L' alto lavoro , e tutto in lui mi diedi.
L' , ij.i.:'. , "J D.. Co<
Canto sesto.
VI. v. A3 -84-
E al mio BellisaT commendai l'armi ,
Cui la destra del del fu sì congiunta ,
Che segno fu eh' io dovessi posarmi.
Or qui «Ha quistion prima s'appunta
La mia risposta , ma sua condizione
Mi stringe a seguitare alcuna giunta :
Perchè tu veggi con quanta ragione
Si muove contra '1 sacrosanto segno ,
E chi '1 s' appropria , e chi a lui s' oppone.
Vedi quanta virtù 1* ha fatto degno
Di reverenza, e •cominciò dall'ora,
Che Pallante mori, per darli regno.
Tu sai ch'el fece in Alba sua dimora
Per trecent' anni , ed oltre infino al fine ,
Chei tre a tre pugnar per lui ancora.
Sai quel che fé' dal mal delle Sabine .
Al dolor di Lucrezia in Sette regi, .
Vincendo 'ntorno le genti vicine..
Sai quel che fe* portato dagli egregi
RomaniincontroaBrenno, incontro a Pirro,
Incontro agli altri principi e collegi :
Onde Torquato e Quintio , che dal cirro
Negletto fu nomato, e Deci e Fabì,
Ebher la fama, che volentier mirro.
Esso atterrò 1' orgoglio degli Arabi
Clie diretro ad Annibale passare»
L'alpestre rocce, Pò , di che tu labi.
Sott'esso giovanetti trionferò
Scipione e Pompeo , ed a quel colle,
Sotto '1 qual tu nascesti, parve amaro.
30 Del Paradiso
VI. V. 55 - 84-'
Poi presso al tempo che tutto '1 elei volle
Ridur lo mondo a suo modo sereno,
Cesare per voler di Roma il tolle;
E quel' che fe' da Varo infìno al Reno,
Isara vide ed Era, e vide Senna,
Ed ogni valle, onde '1 Rodano è pieno.
Quel che fe' poi ch'egli uscì di Ravenna,
E saltò '1 Rubicon, fu di tal volo,
Che noi segui teria lingua uè penna.
In ver la Spagna rivolse lo stuolo:
Poi ver Durazzo, e Facsaglia percosse
Sì clie'l Nil caldo sentissi del duolo.
' Antandro e Simoenta, onde si mosse,
Rivide, e là dov' Ettore si cuba,
E mal per Tolommeo poi si riscosse.
Da onde venne folgorando a Giuba:
■ Poi si rivolse nel vostro occidente,
Dove sentia la Pompejana tuba.
Dì quel che fe' col bajulo seguente,
Rruto con Cassio nello *nferno latra, ■
E Modena e Perugia fu dolente.
Fìange»e ancor la trista Cleopatra,
Che, fuggendogli innanzi, dal colubro
La morte prese subitana ed atra.
Con costui corse insino al lito rubro;
Con costui pose'l mondo in tanta pace,
Che fu serrato a Giano il suo delubro.
Ma ciò, che'l segno, che parlar mi face,
Fatto avea prima, e poi era fatturo
Per lo regno mortai eh' a lui soggiace,
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Canto sesto.
Si
. ' VL v. 85 - 114.
Diventa in apparenza poco e scuro ,
Se in mano al terzo Cesare si mira
Con occhio chiaro , e con affetto puro :
Che la viva giustizia, che mi spira,
Gli concedette in mano a quel ch'io dico,
Gloria di far vendetta alta sua ira.
Or qui t'ammira in cip* eh' io ti replico.
Poscia con Tito ij far vendetta corse
Della vendetta del peccato antico.
E quando '1 dente-Longobardo morse
La santa Chiesa , sotto alle sue ali
Carlo Magno vincendo la soccorse, ■ -
Ornai puoi giudicar di que* colali,
Ch'io accusai di sopra, e de* lor falli,
Che son cagion di tutti i vostri mali.
L' uno al pubblico segno i gigli gialli
Oppone , e quel s* appropria l' altro a parte,
Sì eh' è forte a veder qua! più si falli.
Faccian gli Ghibellin, facciavi lor arte
Sott' altro segno: che mal segue quello
Sempre chi la giustizia e lui diparte;
E non l'abbatta esto Carlo novello . ■ ,
Co* Guelfi suoi, ma tema degli artigli,
Ch'a più alto leon trasser lo vello.
Molte fiate già pianser li figli
Per la colpa del padre: e non si creda,
Che Dio trasmuti l'armi per suoi gigli.
Questa picciola stella si correda
De' buoni spirti che son stati attivi,
Perchè onoreMi fama gli succeda:
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32
Bel Paradiso
VI. v. 115-142.
E quando li desiri poggian quivi
Sì disviando, pur convienche i raggi
Del vero amore in su poggin men vivi.
Ma nel commensurar de'nostri gaggi
Col' merlo, è parte di nostra letizia,
Perchè non li vedém minor, nè maggi.
Quinci addolcisce la viva giustizia
In noi l'affetto sì, che i\on si puote
Torcer giammai ad alcuna nequizia.-
Diverse voci fanno dolci note :
' Così diversi scanni in nostra vita
Rendon dolce armonia tra queste ruote,
E dentro alla presente margherita
Luce là luce di Romèo, di cui
Fu l'opra grande e bella mal gradita.
Ma i Provenzali, che fer contra lui,
Non hanno riso : e però mal commina ,
Qua! si fa danno del ben far d'altrui.
Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina,
Ramondo Berlinghieri , e ciò gli fece
Romeo persona umile e peregrina :
E poi il mosser le parole biece
A dimandar ragione a questo giusto.
Che gli assegnò sette e cinque per diece.
Indi partissi povero e vetusto: .
E se'l mondo sapesse'] cuor ch'egli ebbe,
Mendicando sua vita a frusto a frusto, ~
Assai lo loda, e più lo loderebbe.
Canto settimo.
Canto VII.
VII. v. I — 34^
Osanna sanctus Deus Sabaoth,
Superiilus.'rans clamate tua
Felices ignes horum malakotk :
Cosi volgendosi alla ruota sua
Fu viso a me cantare essa sustanza ,
Sopra la qual doppio lume s' indus :
Ed essa e l'altre mossero a sua danza,
E quasi velocissime faville
Mi si velar di subita distanza.
Io dubitava e dicea : dille dille.
Fra me, dille t diceva alia mia donna
Clic mi disseta con le dolci stille: .
Ma quella reverenza, che s'indonna
Di tutto me, pur per B e per ICE,
Mi richiriava come l'uom ch'assonna.
Foco sofferse me cotal Beatrice,
E cominciò, raggiandomi d' un riso
Tal, che nel fuoco farla l'uom felice:
Secondo mio infallibile avviso, ■
Come giusta vendetta giustamente
Punita fosse, t'hai in pensier miso :
Ma io ti solverò tosto la niente :
E tu ascolta, che le mie parole
Di gran sentenzia ti faran presente.
34 Del Paradiso
vii. v. 35 — 54.
Per non soffrire alla virtù che vuole
Freno a suo prode, quell'uom che non nacque,
Dannando se, danno tutta sua prole:
Onde l'umana specie inferma giacque
Giù per secoli molti in grande errore,
Fin ch'ai Verbo di Dio di scender piacque.
U' la natura, che dal suo fattore
S* era allungata , unio a se in persona
Con l'atto sol del suo eterno amore.
Or drizza il viso a quel che si ragiona :
Questa natura al suo fattore unita ,
Qual fu creata, fu sincera e buona:
Ma per se stessa pur fu isbandita
Di Paradiso, perocché si torse
Da via di verità e da sua vita.
La pena dunque, che la croce porse,
S' alla natura assunta si misura,
Nulla giammai sì giustamente morse:
E così nulla fu di tanta, ingiura ,
Guardando alla persona che sofferse,
In che era contratta tal natura.
Terb d' un atto uscir cose diverse:
Ch'a Dio ed a' Giudei piacque una morte :
Per lei tremò la terra, e'1 ciel s'aperse.
Non ti dee oramai parer più forte,
Quando si dice che giusta vendetta
Poscia vengiata fu da giusta corte.
Ma io veggi' ór la tua mente ristretta
Di pensier iu pensier dentro ad un nodo,
Del qual con gran disio solver s'aspetta.
Canto settimo.
VII. V. 53 -M..
Tu dici : ben discerno ciò ch'io odo;
Ma perchè Dio volesse, tn' è occulto,
A nostra redenzìon pur questo modo.
Questo decreto, frate, sta sepulto
Agli occhj di ciascuno, il cui ingegno
Nella fiamma d'amor non è adulto.
Veflamente, però eh* a questo segno
Molto si mira, e poco si discerne,
Dirò perchè tal modo fu più degno.
La divina bontà, che da se speme
Ogni livore , ardendo in se sfavilla , t
Sì che dispiega le bellezze eterne.
Ciò che da lei senza mezzo distilla,
Non ha poi fine , perchè non si muove
La sua impienta quand' ella sigilla.
Ciò che da essa sanza mezzo piove,
Libero è tutto, perchè non soggiace
Alla virtute- delle cose nuove.
- Più l'è conforme, e però più le piace:
Che l'ardor santo ch'ogni cosa raggia,
Nella più simigliante è più vivace.
Di tutte queste cose s'avvantaggia
L'umana creatura, e s'una manca,
Di' sua nobiltà convien che caggia.
Solo' il peccato è quel che la disfranca,
E falla dissimile al sommo bene,
Perchè del lume suo poco s'imbianca:
Ed in sua dignità mai non riviene,
Se non riempie, dove colpa vota,
Contra mal dilettar con giuste pene.
Del Paradiso
VII. jr. 85 -114.
Vostra natura , quando peccò tota
Nel seme suo, da queste dignitadi,
Come di Paradiso, fu remota;
Ne ricovrar potersi , se tu badi
Ben sottilmente, per alcuna via
Senza passar per un di questi guadi:
O che Dio solo per sua cortesia '
Dimesso avesse, o che 1' uoitì per se isso
Avesse soddisfatto a sua follia.
Ficca ino l'occhio perenno l'abisso
Dell' eterno consiglio, quanto puoi
Al mio parlar distrettamente fìsso.
Non potea l'uomo ne* termini suoi
Mai soddisfar, per non potere ir giuSO
Con umiliate obbediendo poi,
Quanto disubbidendo intese ir suso:
E questa è la ragion perchè 1' uom fue
Da poter soddisfar per se dischiuso.
Dunque a Dio convenia con le vie sue
Riparar l'uomo a sua intera vita.
Dico con l'una'o ver con ambedue.
Ma perchè l'opra tanto è più gradita
Dell'operante, quanto più appresenta
Della bontà del cuore ond* è uscita ,'
La divina bontà, che'] mondo imprenta ,
Di preceder pe'r tutte le sue vie
A rilevarvi suso fu contenta:
Nè tra 1* ultima notte e'1 primo die
Sì alto e sì magnifico processo
O per l'uno o per l'altro fue o fie.
Canto settimo.
Vir. v, 113 — 144.
Che più largo fu Dio a dar se stesso ,
In far l'uom sufficente a rilevarsi,
Che s'egli avesse sol da se dimesso.
E tutti gli altri modi erano scarsi
Alla giustizia, se'l Figliuol di DÌO
Non fosse umiliato ad incarnarsi.
Or per empierti bene ogni disio,
Ritorno a dichiarare in alcun loco,
Perchè tu veggi lì così cora' 10.
Tu dici: io veggio l'aere, io veggio '1 foco
L'acqua, e la terra, e tutte lor misture*
Venire a corruzione , e durar poco :
E queste cose pur fur creature:
Perchè se ciò ch'ho detto è stato vero,
Esser dovrian da corruzion sicure.
Gli Angeli, frate, e'1 paese sincero
Nel qual tu se', dir si posson creati
Sì come sono in loro essere intero :
Ma gli elementi che tu hai nomati ,
E quelle cose che di lor si fanno,
Da creata virtù sono informati.
Creata fu la materia ch'egli hanno:
Creata fu la virtù informante
In queste stelle che 'ntorno a lor vanno.
L'anima d'ogni bruto e delle piante
Di complession potenziata tira
Lo raggio e'1 moto delle luci sante.
Ma nostra vita senza mezzo spira
La somma benignanza , e l'innamora
Di se, sì che poi sempre la disila.
Dante III. 4
38
Del Paradiso
VII. v. 14S — 148-
E quinci puoi argomentare ancora
Vostra resurrezìon , se tu ripensi
Come l'umana carne fessi allora ,
Che li primi parenti intrambo fensi.
Canto ottavo.
■39
Canto FUI.
Vili. v. 1 — 114.
Solea creder lo mondo in suo periclo,
Che la bella Ciprigna il folle amore
Raggiasse volta nel terzo epiciclo;
Perchè non pure a lei faceano ; onore . ,
Di sacrifici e di votivo grido; *
Le genti antiche neD* antico errore ;
Ma Dione onoravano, e Cupido,
Quella per madre sua, questo per figlio,
E dicean ch'ei sedette in grembo a Dido :
E da costei, ond'io principio piglio,
Pigliavano *1 vocabol della stella
Che'l Sol vagheggia or da coppa, or da ciglio.
Io non m'accorsi del salire in ella:
Ma d'esserv' entro mi fece assai fede
La donna mia, ch'ió vidi far più bella.
E come in fiamma favilla si vede,
E come in voce voce si discerne,
Quando una è ferma, e l'altra va e rlede;
Vid' io in essa luce altre lucerne
Muoversi in giro più e men correnti,
Al modo, credo, di lor viste eterne.
Di fredda nube non disceser- venti ,
O visibili o no, tanto festini,
Che non paressero impediti e lenti,
40 Del Paradiso
Vili. v. 35 - 54.
À chi avesse quei lumi divini
Veduto a noi venir, lasciando '1 giro
Pria cominciato in gli alti Serafini;
E dietro a quei che più'nnanzi apparirò,
Sonava Osanna, sì che unque poi
Di riudir non fui senza disiro.
Indi si fece T un più presso a noi,
E solo incominciò : tutti sem presti
Al tuo piacer, perchè di noi ti gioì.
Noi ci volgiam co'Frincipi celesti
D' un giro , e d'un girare e d' una sete
A'quali tu nel mondo già dicesti;
Voiy che intendendo il terzo del movete;
E sem sì pien d'amor, che per piacerti
Non fia men dolce un poco di quiete. .
Poscia che gli occhj miei si furo offerti .
Alla mia donna riverenti, ed essa
Fatti gli avea di se contenti e certi;
Ftivolsersi alla luce che promessa
Tanto s'avea, e di', chi se'tu, fue
La voce mia di grande affetto impressa.
E quanta e quale vid'io lei far piùe
Per allegrezza nuova che s'accrebbe,
Quand'io parlai, all'allegrezze sue.
Così fatta, mi disse, il mondo m'ebbe
Giù poco tempo; e se più fosse stato ,
Molto sarà di mal che non sarebbe.
La mia letizia mi ti ticn celato,
Che mi raggia dintorno e mi nasconde,
Quasi animai di sua seta fasciato.
Canto ottavo.
Vili. v. 55 - 84-
Assai m' amasti, ed avesti bene onde:
Che, s'io fossi giù stato, io ti mostrava
Di mio amor più oltre che le fronde.
Quella sinistra riva che si lava
Di Rodano, poich'è misto con Sorga,
Per suo signore a tempo m'aspettava:
E quel corno d'Ausonia che s'imborga
Di Bari , di Gaeta , e di Crotona ,
Da onde Tronto e Verde in mare sgorga.
Fulgeami già in fronte la corona
Di quella terra che'l Danubio riga,
Poi che le ripe Tedesche abbandona:
E la bella Trinacria che caliga
Tra Pachino e Peloro sopra '1 golfo,
Che riceve da Euro maggior briga ,
Non per Tiféo , ma per nascente solfo;
Attesi avrebbe li suoi regi ancora
Nati per me di Carlo e di Ridolfo ,
Se mala signoria , che sempre accuora
Li popoli suggetti , non avesse
Mosso Palermo a gridar : mora , mora.
E se mio frate questo antivedesse,
L'avara povertà di Catalogna
Già fuggirla, perchè non gli offendesse :
Che veramente provveder bisogna
Per lui, o per altrui, sì eh' a sua barca
Carica più di carco non si pogna :
I.a sua natura, che di larga parca
Discese, avria mestier di tal milizia,
Che non curasse di mettere in arca.
4"
^2 Paradiso
Vili. v. 83-«4.
Perocch'io credo che l'alta letizia
Che'l tuo parlar m'infonde, signor mio,
Ov' ogni ben si termina e s'inizia,
Per te si veggia, come la vegg'io;
Grata m'è più; e anche questo ho caro,
Perchè '1 discerni rimirando in Dio.
Fatto m'hai lieto : e così mi fa chiaro,
Poiché parlando a dubitar m'hai mosso,
Come uscir può di dolce seme amaro.
Questo io a luì; ed egli a me: s'io posso
Mostrarti un vero , a quel che tu dimandi ,
Terrai'l viso come tieni*l dosso.
Lo ben, che tutto T regno che tu scandi
Volge e contenta, fa esser virtute
Sua providenza in questi corpi grandi :
E non pur le nature provvedute
Son nella mente eh' è da se perfetta,
Ma esse insieme con la lor salute.
Perchè quantunque questo arco saetta,
Disposto cade a provveduto fine,
Sì come cocca in suo segno diretta.
Se ciò non fosse , il ciel che tu cammine ,
Producerebbe sì li suoi effetti,
Che non sarehber arti, ma ruine:
E ciò esser non può, sè gl'intelletti,
Che muovon queste stelle , non sonmanchi,
E manco '1 primo che non gli ha perfetti.
Vuo'tu che questo ver più ti s'imbianchi?
Ed io: non già; perchè impossibil veggio.
Che la natura, in quel eh' è uopo, stanchi.
Canto ottavo.
[Vili, v. «5 -144.
Ond' egli ancora: or di', sarebbe il peggio
Per l'uomo in terra, se non fosse cive ?
Sì, rispos' io, e qui ragion non cheggio.
E pub egli esser, se giù non si vive
Diversamente, per diversi ufici?
Nò, se'l maestro vostro ben vi scrive.
Sì venne deducendo insmo a quici ;
Poscia conchiuse: dunque esser diverse
Convien de' vostri effetti le radici:
Perchè un nasce Solone, ed altro Serse»
Altro Melchisedech, ed altro quello
Che volando per l'aere il figlio perse.
La circular natura , eh' è suggello
Alla cera mortai, fa ben su' arte,
Ma non distingue l'un dall'altro ostello.
■Quinci adivien, eh' Esaù si diparte
Per seme da Jacob : e vien Quirino
Da sì vii padre, che si rende a Marte.
Natura generata il suo cammino
Simìl farebbe sempre a' generanti,
Se non vincesse il provveder divino.
Or quel, che t'era dietro, t'è davanti.
Ma perchè sappi che di te mi giova,
Un corollario voglio che t'ammanti.
Sempre natura , se fortuna truova
Discorde a se, come ogni' altra semente,
Fuor di sua region , fa mala pruova.
E se'l mondo laggiù ponesse mente
Al fondamento che natura pone,
Seguendo lui, avrià buona la gente.
44 Del Paradiso
Vili. T, 143-148-
Ma voi torcete alla religione
Tal , che fu nato a cingersi la spada ,
E fate Re di tal, eh* è da sermone:
Onde la traccia vostra è fuor di strada.
Canto nono'.
45
Canto IX.
IX. v. 1-34.
Dapoichè Carlo tuo, bella Clemenza,
M'ebbe chiarito, mi narrò gl'inganni
Cbe ricever dovea la sua semenza.
Ma disse: taci, e lascia volger gli anni:
Sì ch'io non posso dir, se non che pianto
Giusto verrà dirietro a' vostri danni.
E già la vita di quel lume santo
Rivolta s'era al Sol, che la riempie,
Come quel ben eh' ad ogni cosa è tanto.
Ahi anime ingannate , fatue, ed empie,
Che da si fatto ben torcete i cuori,
Drizzando in vanità le vostre tempie!
Ed ecco un altro di quegli splendori
"Ver me ai fece, e'1 suo voler piacermi
Significava nel chiarir di fuori.
Gli occhj di Beatrice eh' eran fermi
Sovra me, come j>ria, di caro assenso
Al mio disio certificato fermi:
Deh metti al mio voler tosto compenso,
Beato spirto, dissi, e fammi pi-uova,
Ch'io possa in te rifletter quel ch'io penso.
Onde la luce', che m'era ancor nuova,
Del suo profondo, ond'ella pria cantava,
Seguette come a curdi ben far giova.
46 Del Paradiso
IX. v. 35 — 54-
In quella parte della terra prava
Italica , che siede intra Rialto,
E le fontane di Brenta e di Piava,
Si leva un colle, e non surge molt* alto,
Là onde scese già una-facella,
Che fece alla contrada grande assafto ;
D'una radice nacqui ed io ed ella:
jCunizza fui chiamata , e qui rifulgo,
Perchè mi vinse il lume d'està stella.
Ma lietamente a me medesma indulgo
La cagion di mia sorte , e non mi noja:
Che forse parria forte al vostro vulgo.
Di questa luculenta e chiara gioja
Del nostro cielo, che più m' è propinqua,
Grande faina rimase e , pria che muoja,
Questo centesim'auno ancor s'incinqua:
Vedi se far si dee l'uomo eccellente, 1 ■
Si ch'altra vita la prima relinqua :
E ciò non pensa la turba presente
Che Tagliamento ed Adice richiude,
Ne per esser battuta ancor sì peate.
Ma tosto fia che Padova al palude-
Cangerà 1' acqua che Vincenza bagna.
Per essere al dover le genti crude. ■
E dove Sile e Cagnan s' accompagna,
Tal signoreggia , e va con la testa alta,
. Che già per lui carpir si fa la ragna.
Piangerà Feltro ancora la diffalta
Dell' empio suo pastor, che sarà sconcia
Sì, che per simil non s' entrò in Malta.
L i ].iizc-"J I: ■ Li".
Canto nono. 47
IX. v. 33 - 84-
Troppo sarebbe larga la bigoncia,
Che ricevesse'l sangue Ferrarese,
E stanco chi '1 pesasse ad oncia ad oncia,
Che donerà questo prete cortese
Per mostrarsi di parte: e cotaì doni
Conformi fieno al viver del paese.
Su sono specchj , voi dicete Troni,
Onde rifulge a noi Dio giudicante
Si, che questi parlar ne pajon buoni.
Qui sì tacette, e feceini sembiante,
Che fosse ad altro volta per la ruota,
In che si mise com* era davante. *
Xj' altra letizia che m'era già nota,
Preclara cosa mi si fece in vista,
Qual fin balascio in che lo Sol percuota.
Per letiziar lassù fulgor a' acquista,
Si come riso qui: ma giù s' abbuja
f ombra di fuor, come la mente è trista.
Dio vede tutto, e tuo veder s' inìuia,
Diss'ìo, beato spirto, sì che nulla
Voglia di se a te puote esser fuja.
Dunque la voce tua ; che '1 ciel trastulla
Sempre col canto di que' fuochi pii
Che di sei ali fannosi cuculia,
Perchè non soddisfare a' miei disti?
Già non attendere' io tua dimanda,.
S'io m'intuassi come tu t'immii.
Jja maggior valle in che 1' acqua si spanda,
Incominciavo allor le sue parole,
Fuor di quel mar che la terra inghirlanda,
48
Del Paradiso
Tra discordanti liti contra'l Sole
Tanto sen'va, che fa meridiano
Là dove l'orizzonte pria far suole.
Di quella valle fu* io littorano
Tra Ebro e Macia, che per cammin corto
Lo Genovese parte dal Toscano.
Ad un occaso quasi, e ad un orto
35uggea siede , e la terra ond'io fui,
Che fe'del sangue suo già caldo il porto.
Folco mi disse quella gente a cui
Fu noto il nome mio : e questo cielo
Di me s'imprenta, cora' io fé' diluì:
Che più non arse la figlia di Belo,
Nojando ed a Sicheo, ed a Creusa,
Di me , infin che si convenne al pelo :
Kè quella Rodopea, che delusa
Fu da Demofoonte, ne Alcide
Quando Iole nel cuore ebbe richiusa.
Non però qui si pente , ma si ride,
Non della colpa, eh' a mente non torna,
Ma del valore ch'ordinò e provvide.
Qui si rimira nell* arte eh* adorna
Cotanto elFetto, e discernesi'l bene
Feichè'ì mondo di su quel di giù torna.
Ma perchè le tue voglie tutte piene
Ten porti che son nate in questa spera,
Procedere ancor oltre mi conviene.
Tu vuoi saper chi è 'n questa lumiera
Che qui" appresso me così scintilla,
Come raggio di Sole in acqua mera.
Canto nono.
49
Or sappi , che là entro si tranquilla
Raab , ed a nostr' ordine congiunta
Di lei nel sommo grado si sigilla. »
Da questo cielo, in cui l'ombra s'appunta,
Che *1 vostro mondo face, pria ch'altr' alma
Del trionfo di Cristo fu assunta.
Ben si convenne lei lasciar per palma
la alcun cielo dell' alta vittoria
Che s' acquistò con l'una e l'altra palma:
Perch'ella favore- la prima gloria
Di Josiiè in su la terra santa,
Che poco tocca al Papa la memoria.
La tua città, che di colui è pianta,
Che pria volse le spalle al suo fattore,
E di cui è la'nvidia tanto pianta,
Produce e spande il maladetto fiore
Ch'ha disviate le pecore e gli agni,
Perocché fatto ha lupo del pastore.
Per questo 1' Evangelio e i Dottor magni
Son derelitti , e solo ai Decretali
Si studia sì, che pare a'ior vivagni.
A questo intende*! Papa e i Cardinali:
Non vanno i lor pensieri a Nazzarette
Là dove G.ibbricìlo* aperse l'ali.
Ma Vaticano , e l'altre patti elette
Di Roma, che son state cimitero
A la milizia che Pietro scguette,
Tosto libere fien dall'adultero.
Dante III,
5
go Del Paradiso .
■ Canto X.
X. r. i-aj.
Guardando nel suo Figlio con l'amore,
Che l'uno e l'altro eternalmente spira,
Lo primo ed ineffabile valore,
Quanto per mente o per occhio si gira,
Con tanto ordine fe' , eh' esser non puote
Senza gustar di lui chi ciò rimira.
Leva dùnque, lettore, all'alte ruote
Meco la vista dritto a quella partg,
Dove 1' un moto all' altro si percuote-'
E lì comincia a vagheggiar. nell'arte
Di quel maestro, che dentro a se l'ama
Tanto, che mai da lei l'occhio non parte.
Vedi come da indi si dirama
L'obbìiquo cerchio che i pianeti porta,
Per soddisfare al mondo che gli chiama:
E se la strada lor non fosse torta,
Molta virtù nel ciel sarebbe invano,
E quasi ogni potenzia quaggiù morta.
E se dal dritto più o mcn lontano
Fosse '1 partire, assai sarebbe manco,
E giù e su dell'ordine mondano.
Or ti riman, Lettor, sovra *1 tuo banco,
Dietto pensando a ciò che si preliha,
S' esser vuoi lieto assai prima che stanco.
Canto decimo.
51
X. v. 23-54.
Messo t'ho innanzi: ornai per te ti ciba;
Che a se ritorce tutta la mia cura
Quella materia onci' io son fatto scriba.
Lo ministro maggior della natura,
Che del valor del cielo il mondo imprenta,
E col suo lume il tempo ne misura.
Con quella parte, che Su sì rammenta,
Congiunto si girala per le spire,
In che più tosto ogni ora s' appresenta ;
Ed io era con lui : ma del salire
Non m* accors' io "se non com' uom s' accorge
Anzi'l primo pensier del suo venire:
È Beatrice, quella che sì scorge
Di bene in meglio sì subitamente,
Che Tatto suo per tempo non si sporge,
Quant' esser convenia da se lucente
Quel ch'era dentro al Sol dov' io entrami,
Non per color, ma per lume parvente,
Perch'io lo'ngegno, e l'arte, e 1' uso chiami,
Sì noi direi , che mai s* immaginasse :
Ma creder puossì , e dì veder si brami,
E se le fantasie nostre son basse
A tanta altezza , non è maraviglia,
Che sovra '1 Sol non fu occhio ch'andasse.
Tal' era quivi la quarta famiglia
Dell' alto padre che sempre la sazia,
Mostrando come spira e come figlia.
E Beatrice cominciò : ringrazia,
Ringrazia il Sol degli Angeli , eh' a questo
Sensibil t'ha levato per sua grazia.
52 Del Paradiso
•
X. v. 55-84-
Cuor di mortai non fu mai sì digesto
A divozìon, ed a rendersi a Dio
Con tutto '1 suo gradir cotanto presto,
Com'a quelle parole mi fec'io:
E sì tutto '1 mio amore in lui si mise,
Che Beatrice ecclissb nell' obblio.
Non le dispiacque; ma sì se ne rìse,
Che lo splendor degli .occhj suoi ridenti
Mia mente, unita in più cose, divise.
Io vidi più fulgor vìvi e vincenti
Far di noi centro, e di se far corona,
Più dolci in voce, che 'n vista lucenti.
Così cinger la figlia di Latona
Vedem tal volta , quando 1' aere è pregne
Sì che ritenga il lil che fa la zona.
Nella carte del ciel , ond' io rìvegno,
Si truovan' molte gioje care e belle
Tanto, che non si posson trar del regno.
E'1 canto di que'lunii era di quelle:
Chi non s'impenna siche lassù voli,
Dal muto aspetti quindi le novelle.
Poi sì cantando quegli ardenti Soli
Si fur girati intorno a noì tre volte*
Come stelle vicine a' fermi poli :
Donne mi parver non da balio sciolte,
Ma che s' arrestiti tacite ascoltando,
Fin che le nuove note hanno ricolte:
E dentro all'un sentii cominciar: quando
Lo raggio della grazia, onde s'accende
Verace amore , e che poi cresce amando,
Canto decimo.
5
, X. v. 85 — «4.'
Multiplicato in 11 te tanto risplende,
Che ti conduce su per quella scala,
U' senza risalir nessun discende ;
Qual ti negasse '1 viri della sua fiala
Per la tua sete in libertà non fora,
Se non com* acqua, ch'ai mar non si cala.
Tu vuoi saper di quai piante s' infiora
Questa ghirlanda , che'ntorno vagheggia
La bella donna ch'ai ciel t'avvalora;
Io fui degli agni della santa greggia
Che Domenico mena per cammino,
U'ben s'impingua, se non si Vaneggia.
Questi, che m'è a destra più vicino,
Frate e maestro funi mi; ed esso Alberto
È di Cologna , ed io Thomas d' Aquino.
Se tu di tutti gli altri esser vuoi certo,
Diretro al mio parlar ten vien col viso
Girando su per lo beato serto.
Quell'altro fiammeggiare esce del riso
DÌ Grazian , che l'uno e l'altro foro
Ajutò si, che piacque in Paradiso.
L'altro, ch'appresso adorna il nostro coro,
Quel Pietro fu, che con la poverèlla
Offerse a santa Giiiesa il suo Tesoro.
La quinta luce, eh* è tra noi più bella,
Spira di tale amor, che tutto '1 mondo
Laggiù ne gola di saper novella.
Entro v* è 1' alta luce u' si profondo
Saver fu messo, che, se '1 vero è vero,
A veder tanto non surse'l secondo.
Del Paradise
X. v. ng-T44.
Appresso vedl'l lume di quel cero
- Che giuso in carnè più adentro vide
L'angelica natura e '1 ministero.
Nell'altra piccioletta luce rìde
Quell'avvocato de' templi Cristiani,
Del cui latino Agostin si provvide.
Or, se tu l'occhio della mente trani
Di luce injuce dietro alle mie lode,
Già dell' ottava con sete rimani:
Per veder ogni ben dentro vi gode
L'anima santa, che'l mondo fallace
Fa manifesto a chi di lei hen ode :
Lo corpo , ond' ella fu cacciata , giace
Giuso in Cieldauro, ed essa da martlro
E da esilio venne a questa pace. '
Vedi oltre fiammeggiar 1' ardente spiro
D'Isidoro, diBeda, e di Riccardo,
Che a considerar fu più che viro.
Questi, onde a me ritorna il tuo riguardo,
È il lume d' uno spirto, che'n pensieri
Gravi a morire gli parve esser tardo.
Essa è la luce eterna di Sigieri,
Che leggendo nel vico degli strami
Sillogizzò invidiosi veri*
Indi, conio orologio che ne chiami
Nell'ora, che la sposa di Dio surge
A mattinar lo sposo perchè V ami : .
Che l'una parte e l'altra tira ed urge,
Tin tin sonando con sì dolce nota,
Che'l ben disposto spirto d' amor turge:
Canto decime.
55
X. v. 143-149.
Così vid' io la gloriosa ruota
Muoversi , e render voce a voce in tempra -
Ed in dolcezza , ch'esser non pub nota,
Se non colà, dove'l gioir s'inseinpra.
5(> . Del Paradiso
Canto XI.
XI. v. 1 — 94.
O insensata cura de' mortali,
Quanto son difettivi sillogismi
Quei che ti fanno in basso batter 1' ali!
Chi dietro a' juro, e chi ad aforismi
Sen giva, e chi seguendo sacerdozio,
E chi regnar per forza e per sofismi:
E chi rubare , e chi civil negozio.
Chi nel diletto della carne involto
S' affaticava , e chi si dava all' ozio :
Quand'io , da tulle queste cose sciolto,
Con Beatrice; m'era suso in cielo
Cotanto gloriosamente accolto.
Poi che ciascuno fu tornato ne lo
Punto del cerchio, in che avanti s'era,
Fermo sì come a candellier candele
Ed io senti' dentro a quella lumiera,
Che pria m' avea parlato , sorridendo
Incominciar, facendosi più mpra :
Così coni' io del suo raggio ni' accendo,
Sì riguardando nella luce eterna
Li tuo' pensieri, onde cagioni, apprendi
Tu dubbi, ed hai voler che si ricerna
In sì aperta e si distesa lingua
Lo dicer mio, eh' al tuo sentir si sterna,
Canio undecimo. 57
XI. v\ B3-54-
Ove dinanzi dissi: u 1 ben s impingua,
E là, u* dissi: non sunt il secondo:
E qui è uopo che ben si distingua.
La providenza che governa il mondo
Con quel consiglio ,. nel quale ogni aspetto
Creato è vinto pria che vada al fondo,
Perocché andasse ver lo sua diletto
La sposa di colui, ch'ad alte grida
Disposò lei col sangue benedetto,
In se sicura, e anche a lui. più fida;
Due prìncipi ordinò in suo favore,
Che quinci e quindi le fosser per guida,
L' un fu tutto serafico in ardore,
L'altro per spapienza in terra fue
Di cherubica luce uno splendore.
Dell' un dirò, perocché d' amendue
Si dice l' un pregiando, qua] eh' uom prende,
Perchè ad un fine fur l'opere sue.
Intra Tupìno e l'acqua, che discende
Del colle eletto dal beato Ubaldo,
Fertile costa d' alto monte pende,
Onde Perugia sente freddo e caldo
Da Porta Sole, e dirietro le piange
Per greve giogo Nocera con Gualdo.
Di quella costa là, dov' ella frange
Più sua rattezza, nacque al mondo un Sole,
Come fa questo tal volta di Gange.
Però chi d'esso loco fa parole
Non dica Ascesi , che direbbe corto,
Ma Oriente , se proprio dir vuole.
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58
Del Paradiso
XI. v. 55 - 84-
Non era ancor molto lontan dall'orto,
Che comincio a far sentir la terra
Della sua gran vìrtude alcun conforto.
Che perlai donna giovinetto in guerra
Del padre corse, a cui com'alla morte
La porta del piacer nessun disserra :
E dinanzi alla sua spiritai corte,
Et corani pan e le si fece unito,
Poscia di dì in dì l'amò più forte.
Questa, privata del primo marito,
Mille e cent' anni e più dispetta e scura
Fino a costui si stette senza invito:
Nè valse udir che la trovò sicura •
Con Amiclate al suon della sua voce
Colui eh' a tuito'l mondo fé 1 paura :
Nè valse esser costante uè feroce,
Sì che dove Maria rimase giuso,
Ella con Cristo salse in su la croce.
Ma perch'io non proceda troppo chiuso;
Francesco e Povertà per questi amanti
Prendi oramai nel. mio parlar diffuso.
La lor concordia , e i for lieti sembianti
Amore , e maraviglia , e dolce sguardo
Face-ano esser cagion de'pensier santi:
Tanto che'l venerabile Bernardo
SÌ scalzò prima , e dietro a tanta pace
Corse , e correndo gli parv' esser tardo.
O ignota ricchezza, o ben verace!
Scalzasi Egidio , e scalzasi Silvestro
Dietrto allo sposo, sì la sposa piace.
Canto undecima.
59
Indi sen va quel padre , e quel maestro,
Con la sua donna, e con quella famiglia,
Che già legava 1* ùmile capestro :
Ne »U gravò viltà di cuor le ciglia
Per esser fi' di Pietro Bernardone,
Ne per parer dispetto a maraviglia.
Ma regalmente sua dura intenzione
Ad Innocenzio aperse , e da lui ebbe «
Primo sigillo a sua religione.
Poi che la gente poverella crebbe
Dietro a costui, la cui mirabil vita
Meglio in gloria del ciel si canterebbe;
Di seconda corona redimita
Fu per Onorio dall'eterno spiro
La santa voglia d' esto archimandrita :
E poi che per la sete dei maitiro
Nella presenza del Soldan superba
Predicò Cristo, e gli altri che '1 seguirò:
E per trovare a conversione acerba
Troppo la gente, e per non stare indamo,
Redd'tssi al frutto dell' Italica erba.
Nel crudo sasso intra Tevere ed Arno
Da Cristo prese l'ultimo sigillo
Che le sue membra du'anni portarno.
Quando a colui, ch'a tanto ben sortìllo,
Piacque di trarlo suso alla mercede,
Ch' el meritò nel suo farsi pusillo;
Ai frati suoi , sì com' a giuste erede,
Raccomandò la sua donna più cara,
E •ornando che l'amassero a fede:
(j 0 Del Paradiso
XI. t. ns-139.
E del suo grembo 1' anima preclara
Muover si volle, tornando al suo regno
Ed al suo corpo non volle altra "bara.
Pensa oramai qual fu colui, che degno
Collega fu a mantener la barca
DÌ Pietro in alto mar per dritto segno :
E questi fu il nostro Patriarca :
, Perchè qual segue lui, com' ei comanda,
Discerner puoi, che buona merce carca.
Ma il suo peculio di nuova vivanda
È fatto ghiotto sì, eh' esser non puote
Che per diversi salti non si spanda:
E quanto le sue pecore rimote
E vagabonde più da esso vanno,
Più tornano aìl'ovil di latte vote.
Ben son di quelle, che temono '1 danno
E stringonsi al pastor ; ma son sì poche,
Che le cappe fornisce poco panno.
Or se le mie parole non son fioche,
Se la tua audienza è stata attenta,
Se ciò eh' ho detto alla mente rivoclie,
In parte fìa la tua voglia contenta :
Perchè vedrai la pianta onde si scheggia
E vedrà il Coreggièr che s'argomenta
U' ben s' impingua, se non si vaneggia.
Canto duodecimo.
6x
Canto XII.
XII. v. i — 07.
Sì tosto come l'ultima parola
La benedetta fiamma per dir tolse,
A rotar cominciò la santa mola:
E nel suo giro tutta non si volse,
Prima eh' un* altra d'un cerchio la chiuse,
E moto a moto , e canto a canto colse:
Canto che tanto vince nostre Muse,
Nostre Sirene, in quelle dolci tube,
Quanto primo splendor quel che rifuse.
Come si veggion per tenera nube
Du archi paralleli e concolori,
Quando Giunone a sua ancella jube.
Nascendo di quel d' entro quel di fuori,
' A guisa del parlar di quella vaga,
Cb* Amor consunse , come Sol vapori :
E fanno qui la gente esser presaga
Per lo patto che Dio con Noè pose
Del mondo, che giammai più non s' allaga ;
Così di quelle sempiterne rose
Volgeansi circa noi le due ghirlande,
E sì 1' estrema all' intima rispose.
Poiché *T tripudio e l'altra festa grande,
Sì del cantare, e sì del fiammeggiarsi
Luce con luce gaudiose e blande,
Insieme a punto , ed a voler quietarsi; .
Pur come gli occhj cb' al piacerche i muove
Conviene insieme chiudere e levarsi;
Dante IH. 6
(Sa
. Del Paradiso
XII. v. 38-5?.
Del cuor dell' una delle luci nuove
Si mosse voce, che l'ago alla stella
Parer mi fece in volgermi al suo dove :
E cominciò: l'amor che mi fa bella,
Mi tragge a ragionar dell' altro duca,
Per cui del mio sì ben ci si favella.
Degno è che dov'è Puh, l'altro s'induca
Sì, cbe com'elli ad una militaro,
Così la gloria loro insieme luca.
L' esercito di Cristo, cbe sì caro
Costò a riarmar , dietro alla 'nseg-na
Si movea tardo, sospeccioso e raroj
Quando lo 'mperador, che sempre regna,
Provvide alla milizia eh' era in forse,
Per sola grazia , non per esser degna :
E, com'è detto, a sua sposa soccorse
Con duo campioni, al cui fare, al cui dire
Lo popol disviato si raccorse.
In quella parte ove surge ad aprire
Zeffìro dolce le novelle fronde,
Di che si vede Europa rivestire;
Non molto lungi al percuoter dell'onde,
Dietro alle quali per la lunga foga
Lo Sol tal volta ad ogni uom si nasconde,
Siede la fortunata Callaroga
Sotto la protezìon del grande scudo,.
- In che soggiace il leone, e soggioga.
Dentro vi nacque l'amoroso drudo
Della fede Cristiana, il santo atleta,
Benigno a' suoi, ed a'nimici crudo:
Canto duodecimo.
63
XII. t. 58 - 87.
E come fu creata, fu repleta
Sì la sua mente di viva virtute,
Che nella madre lei fece profeta.
Poiché le sponsalizie fur compiute
Al sacro fonte intra lui e la Fede,
U'si dotar di mutua salute;
La donna, che per lui l'assenso diede,
Vide nel sonno il mirabile frutto
Ch' uscir dovea, di lui e delle rede :
E perchè fosse quale era in costrutto ;
Quinci si mosse spirito a nomarlo
Del possessivo di cui era tutto :
Domenico fu detto : ed io ne parlo
Sì come dell' agricola , che Cristo
Elesse all' orto suo per ajurarlo.
Ben parve messo e famigliar di Cristo,
Che'l primo amor, che'n lui fu manifesto,
Fu al primo consiglio che die Cristo. :
Spesse fiate fu tacito e desto
Trovato in terra dalla sua nutrice,
Come dicesse : io son venuto a questo.
O padre suo'veramente Felice!
O madre sua veramente Giovanna,
Se'nterpretata vai come si dice!
Non per lo mondo , per cui mo s'affanna
Diretró ad Ostiense ed a Taddeo,
Ma per amor della verace manna,
In picciol tempo gran dottor si feo,
Tal che si mise a circuir la vigna,
Che tosto imbianca se'l vignajo è reo;
6 *
6 4
Del Paradiso
XII. t. sa-n?.
Ed alla sedia , che fa già benigna
Più a' poveri giusti, non per lei,
Ma per. colui che siede e che traligna,
Non dispensare o due o tre per sei,
Non la fortuna di primo vacante,
Non decimas, quae sunt pauperum Dei,
Addimandò; ma contra'l mondo errante
Licenzia di comhatter per lo seme ,
Del qual ti fascian ventiquattro piante.
Poi con dottrina e con -volere insieme, '
Con l'uficìo apostolico si mosse,
Quasi torrente ch'alta vena preme:
E negli sterpi eretici percosse
L'impeto suo più vivamente quivi,
Dove le resistenze eran più grosse.
Di lui si fecer poi diversi rivi,
Onde l'orto cattolico si riga
Si, che i suoi arhuscelli stan più vivi.
Se tal fu l'una ruota della biga,
In che la santa Chiesa si difese,
E vinse in campo la sua civil briga:
Ben ti dovrebbe assai esser palese
L'eccellenza dell'altra, di cui Tomma
Dinanzi al mio venir fu sì cortese.
Ma l' orbita , che fé' la parte somma
Di sua circonferenza, è derelitta
Sì, eh' è la muffa dov'era la gromma.
La sua famiglia, che si mosse dritta
Co' piedi alle su' òrme, è tanto volta,
Che quel dinanzi a quel diretro gitta:
Canto duodecimo.
65
XII. v. ii8 -145.
E tosto s'avvedrà della ricolta
Della mala coltura, quando il loglio
Si lagnerà che 1' arca gli sia tòlta.
Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio
Nostro volume , ancor troveria carta
U' leggerebbe: i' mi son quel ch'io soglio.
Ma non fia da Casal ne d' Acquasparta,
Là onde vegnon tali alla scrittura, -
Ch'uno la fugge, e l'altro la coarta.
Io son la vita di Buonaventura
Da Bagnoregio, che ne' grandi urici
Sempre posposi la sinistra cura.
Illuminato ed Agostin son quici,
Che fur de' primi scalzi poverelli,
Che nel capestro a Dio si fero amici.
Ugo da Sanvittore è qui con elli,
E Pietro Mangiadore, e Pietro Ispano,
Lo qual giù luce in dodici libelli:
Natan profeta, e*l metropolitano'
Crisostomo, ed Anselmo, e quel Donato
Ch'alia prim' arte degnò poner mano;
Raban è qui , e lucemi dallato
Il Caìavrese abate Giovacchino
Dì spirito profetico dotato.
Ad inveggiar cotanto paladino
Mi mosse la ii; fiammata cortesia
DÌ fra Tommaso , e*l discreto latino,
E mosse meco questa compagnia.
6 **
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66
■ Del Paradiso
Canto X1IL
XIII. V. I - 21.
Immagini chi bene intender cupe
Quel ch'io or vidi, e ritegna l'image,
Mentre ch'io dico, come ferma rupe,
Quìndici stelle che in diverse plage
Lo cielo avvivan di tanto sereno,
Che soverchia dell'aere ogni compage.
Immagini quel carro, a cui il seno
Basta del nostro cielo e notte e giorno,
Si eh* al volger del temo non vien meno :
Immagini la bocca di quel corno
Che si comincia in punta dello stelo,
A cui la prima ruota va d' intorno,
Aver fatto di se duo segni in cielo,
Qual fece la figliuola di Minoi
Allora che senti di morte il gieJo :
E l'un nell' altro aver gli raggi suoi,
Ed amendue girarsi per maniera,
Che l'uno andasse al pria, e l'altro-al poi
Ed avrà quasi l'ombra della vera
^.Costellazione, e della doppia danza,
Che circulava il punto , dov'io era :
Poich' è tanto di là da nostra usanza,
Quanto di là dal muover della Chiana
Si muove '1 ciel, che tutti gli altri avanza.
Canto dccìmoterzo: 67
XIII. v. ag-S4.
Lì si cantò non Bacco , non Peana,
Ma tre Persone in divina natura,
Ed in una persona essa e 1* umana.
Compiè '1 cantare e'1 volger sua misura,
E attesersi a noi que' santi lumi, - 1
Felicitando se di cura in cura.
Ruppe '1 silenzio ne* concordi numi
Poscia la luce , in che mirabil vita
D.el povere! di Dio narrata fumi :
E disse: quando l'uria paglia è trita,
Quando la sua semenza è già riposta,
A batter Y, altra dolce amor m' invita.
Tu credi, che nel petto, onde la costa
Si trasse, per formar la bella guancia,
Il cui palato a tutto '1 mondo costa,
Ed in quel, che forato dalla lancia,
E poscia e prima tanto soddisfece,
Che d' ogni colpa vince la bilancia,
Quantunque alla natura umana lece
Aver di lume, tutto fosse infuso ,
Da quel valor, che l'uno e'1 altro fece:
E però ammiri ciò, ch'io dissi suso,
Quando narrai, che non ebbe secondo
Il btm che nella quinta luce è chiuso.
Ora apri gli oechj a quel eh* io ti rispondo,
E vedrai il tuo credere e'1 mio dire
Nel vero farsi come centro in tondo.
Ciò che non muore, e ciò che può morire,
Non è se non splendor di quella idea,
Che partorisce amando il nostro Sire;
tìg Del Paradiso
xm. t. 53 — 84.
Che quella viva luce, che si mea
Dal suo lucente, che non sì disuna
Da lui ne dall'amor , che 'n lor s'intrea;
Per sua bontate il suo raggiare aduna,
Quasi specchiato in nuove sussistenze,
Eternalmente rimanendosi una.
Quindi discende all' ultime potenze
Giù d'atto in atto tanto divenendo,
Che più non fa che brevi contingenze :
E queste contingenze essere intendo
Le cose generate, che produce
Con seme e senza seme il ciel movendo.
La cera di costoro, e chi la duce,
Non sta d'un modo , e però sotto '1 segno
Ideale poi più e men traluce :
Ond'egli avvien, eh' un. medesimo legno,
Secondo specie, meglio e peggio frutta,
E voi nascete con diverso ingegno.
Se fosse appunto la cera dedutta,
E fosse *1 cielo in sua virtù suprema,
La luce del suggel parrebbe tutta.
Ma la natura la dà sempre ; scema, . .
Similemente operando all'artista
» Ch' ha l'abito dell'arte, e man che trema.
Però se'l caldo amor la chiara vista
Della prima virtù dispone e segna,
Tutta la perfezion quivi s'acquista.
Così fu fatta già la terra degna
Di tutta l'animai perfezione: r -'
Così fu fatta la Vergine pregna.
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Canto decimoterzo, (Sg
Sì ch'io commendo tua opinione:
Che l' umana natura mai non fue,
Ne fìa, guai fu in quelle due persone.
Or s'io non procedessi avanti piùe ;
Dunque come costui fu senza pare?
Comincerebber le parole tue.
Ma t perchè paja ben quel che non pare ,
Pensa chi era, e la cagion che'l mosse,
Quando fu detto chiedi, a dimandare.
Non ho parlato sì , che tu non posse « '
Ben veder eh' el fu Re che chiese senno,
Acciocché Re smfficiente fosse:
Non per sapere il numero in che enno
Li mòtor di quassù, o se necesse
Con contingente mai necesse fenno :
Non si est dare primum motum esse, '
O se del mezzo cerchio far si puote
Triangolasi eh' un retto non avesse:
Onde , se ciò ch'io dissi e questo note,
Regal prudenza è quel vedere impari,
In che lo strai di mia 'ntenzion percuote ;
E, se al surse drizzi gli occhj chiarì,
Vedrai aver solamente rispetto
Ai regi che son molti, e i buon son rari.
Con questa distinzion prendi '1 mio detto:
E così puote star con quel che, credi
Del primo padre e del nostro diletto.
E questo ti fra sempre piombo a' piedi,
Per farti muover lento com'uom lasso,
Ed al sì ed al no che tu non vedi:
7o
Del Paradiso
• - Xin. v. 115-143.
Che quegli è tra gli stolti bene abbasso,
Che senza distinzion afferma e rilega
Così nell'uri come nell'altro passo :
Perch'egl' incontra che più volte piega
L* opinion corrente in falsa parte,
E poi l'affetto lo'ntelletto lega. ' '
Vie più che'ndarno da riva si parte,
Perchè non torna tal guai ei si muove,
Chi pesca per lo vero, e non ha l'arte:
E di ciò sono al mondo aperte praove
Parmenide, Melisso, Brisso, e molti,
Lì quali aiidavan e non sapean dove.
Sì fé* Sabeììo , ed Arrio , e quegli stolti,
Che furon come spade alle scritture
In render torti li diritti volti.
Non sien le genti ancor troppo sicure
A giudicar, sì come quei che stima
Le biade in campo pria che- sien mature
Ch'io ho veduto tutto '1 verno prima
Il prun mostrarsi rigido e feroce,
t Poscia portar la rosa in su la cima:
E legno vidi già dritto e veloce
Correrlo mar per tutto suo cammino,
Perire al fine all'entrar della foce.
Non creda monna Berta e ser Martino,
Per vedere un furare, nitro offerere,
Vedergli dentro al consìglio divino:
Che quel pub surgere, e quel pub cadere.
Canto decimoquarto. jrj
Canto XI r.
XIV. T. I — 34.
Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro
Muovesll' acqua in un ritondo vaso,
Secondo eh* è percossa fuori o dentro.
Nella mia mente fe' subito caso
Questo ch'io dico, si come si tacque
La gloriosa vita di Tommaso,
Per la similitudine che nacque
Del suo parlare e di quel di Beatrice,
A cui sì cominciar, dopo lui, piacque.
A costui fa mestieri, e noi vi dice
Nè con la voce, nè pensando ancora,
D'un altro vero andare alla radice; : ~- '
Diteli, se la luce, onde s'infiora
Vostra sustanzia , rimarrà con voi
Eternamente sì com* ella è orà.
E se rimane: dite come 1 ,' poi *
Che sapete visibili rifatti, ' ' ■'" :
Esser potrà ch'ai veder non vi noi:
Come da più letizia pinti > tratti
Alcuna fiata quei, che vanno a ruota,
Levan la voce e rallegrano gli atti :
Così oli' orazión pronta- e devota
Li santi cerchi mostrar nuova gioja
Nei torneare, e nella mira nota.
73 ■-' Del Paradiso
XIV. t. 33-5t-
Qual si lamenta perchè qui si muoja
Per viver colassù , non vide quive
Lo refrigerio dell' eterna ploja,
Quell' uno e due e tre che sempre vive,
E regna sempre in tre e due e uno,
Non circonscritto, e tutto circonscrive,
Tre volte era cantato da ciascuno
Di quelli spirti con tal melodia,
Ch' ad ogni merto saria giusto muno:
Ed io udii nella luce più dia
Del minor cerchio una voce modesta,
Forse qual fu dell' Angelo a Maria,
Risponder: quanto fia Junga la festa
.Di Paradiso, tanto il nostro amore
Sì raggerà d' intorno cotal vesta.
La sua chiarezza seguita l'ardore,
L' ardor la visione, e quella è tanta,
Quanta ha di orazia sovra suo valore.
Come la carne gloriosa e santa
Fia rivestita , la nostra persona
Più grata .fia per esser tuttaquanta;
Perchè s' accrescerà ciò che ne dona
Di gratuito lume il sommo bene;
Lume eh* a lui veder ne condiziona:
Onde la vision crescer conviene, .
Crescer l' ardor, che di quella s'accende,
Crescer lo raggio, che da esso viene.
Ma si come carbon che fiamma rende,
E per vivo randor quella soverchia,
Sì che la sua parvenza si difende;
Canto decimoquarto.
XIV. v. 55-8*.
Così, questo fulgor, che già ne cerchia,
Fia vinto in apparenza dalla carne,
Che tutto dì la terra ricoperchia :
Ne potrà tanta luce affaticarne,
Che gli organi del corpo saran forti
A tutto ciò che potrà dilettarne.
Tanto ini parver subiti ed accorti
E l'uno e l'altro coro a dicer amine,
Che ben mostrar disio de' corpi morti :
Forse non pur per lor, ma per le mamme
Per li padri, e per gli altri che furcari
Anzi che fosser- sempiterne fiamme.
Ed ecco intorno di chiarezza pari
Nascer un lustro sopra quel che v'era,
A guisa d'orizzonte che rischiari.
E sì come al salir di prima sera
Cominciali per lo ciel nuove parvenze,
Sì che la vista pare e non par vera;
Par verni lì novelle sussistenze
Cominciare a vedere e fare un giro
Di fuor dall' altre due circonferenze,
O vero sfavillar del santo spiro,
Come si fece subito e candente
Agli occhj miei, che vinti noi soffrirò
Ma Beatrice sì bella e ridente
JVIi si mostrò , che tra l'altre vedute
Si vuol lasciar che non seguir la mente.
Quindi ripreser gli occhj miei virtute
A rilevarsi, e vidimi trauslato
Sol con mia donna a più alta salute.
Vanta III.
74
Del Paradiso
XIV. v. 85 — 114-
Ben m'accors' io., eh' i* era più levato,
Per l'affocato riso della stella,
Che mi parca più roggio che l'usato.
Con tutto '] cuore, e con quella favella
Ch'è una in tutti , a Dio feci olocausto,
Qual conveniasi alla grazia novella:
E non er' anco del mio petto esausto
L'ardordel sacrifìcio, ch'io conohhi
Esso lìtare stato accetto e fausto :
Che con tanto lucore e tanto robbi
M'apparvero splendor dentro a' due ragg
Ch* io dissi : o Eltós , che sì gli addobbi !
Come distinta da minori e maggi
~ Lumi biancheggia tra i poli del mondo
Galassia si, che fa dubbiar ben saggi,
Si. costellati facean nei profondo
Marte quei raggi il venerabil segno,
.Che fan giunture di quadranti in tondo.
Qui vince la memoria mia lo'ngegno:
Che'n quella croce lampeggiava Cristo;
Sì ch'io non so trovare esemplo degno.
Ma chi prende sua croce e segue Cristo,
Ancor mi scuserà di quel ch'io lasso,
Yeggendn in quello albór balenar Cristo.
Di corno in corno, e tra la cima e'1 basso,
Si movean itimi scintillando forte
Nel congiungersi insieme e nel trapasso:
Così si veggion qui diritte e torte,
Veloci e tarde , rinnovando vista,
Le minuzie de 1 corpi lunghe e corte
Canto decinfoifuarto.
XIV. v. 115 — 139.
Muoversi per lo raggio, onde si lista
Tal vòlta l'ombra, che per sua difesa
La gente con ingegno ed arte acquista.
E come giga ed arpa in tempra tesa
Di molte corde fan dolce tintinno
A tal da cui la nota non è intesa ;
Così da' lumi che lì ia' apparinno
S'accogliea per la croce una melode,
Che mi rapiva senza intender l'inno.
Ben m'accors'io eh' eli' era d'alte lode.
Perocché a me venia : risurgi e vinci y
Com'a colui che non intende ed ode.
Io m'innamorava tanto quinci,
Che'nfmo a lì non fu alcuna cosa,
Che mi legasse con sì dolci vinci.
Forse la mia parola par tropp* osa,
Posponendo '1 piacer degli occhj belli.
Ne' quai mirando mio disio ha posa.
Ma chi s'avvede che i vivi suggelli
D* ogni bellezza più fanno più suso,
E ch'io non m'era più rivolto a quelli j
E scusar puommi di quel ch'io m'accuso
Per iscusarmi, e vedermi dir vero:
Che'l piacer santo non è qui dischiuso,
Perchè si fa, montando, più sincere;.
Del Paradiso x
Canto XV.
XV. r. j— 34-
Benigna volontade, in cui siliqua
Sempre l'amor, che drittamente spira,
Come cupidità fa nella iniqua,
Silenzio pose a quella dolce lira,
E fece quietar le sante corde,
Che la destra del cielo allenta e tira.
Come saranno a' giusti prieghi sorde
Quelle sustanze che , per darmi voglia
Ch'io le pregassi , a tacer fur concorde?
Ben è che senza termine si doglia
Chi , per amor di cosa che non duri
Etemalmente , quell'amor si spoglia.
Quale per li seren tranquilli e puri ■
Discorre ad ora ad or subito fuoco,-
Movendo gli occhj che stavan sicuri,
E pare stella che tramuti loco,
Se non che dalla parte, onde s'accende.
Nulla sen perde , ed esso dura poco;
Tale dal .corno che'n destro si stende,
Al pie di quella Croce corse un astro
Della costéllazion che lì rispiende :
Ne si parti la gemma dal suo nastro :
Ma per la lista radiai trascorse,
Che parve fuoco dietro ad alabastro :
Canto decimvcjuinto. 77
XV. v.35-5*.
Si pia 1* ombra d' Anchise si porse,
(Se fede nierta nostra maggior Musa)
Quando in Elisio del figliuol s'accorse.
O sanguis meus , o super infusa
Gratin. Dei; sicut tibi y cui
Bis unc/uam caeli jamta reclusa?
Così quel lume, ond' 10 m'attesi a lui:
Poscia rivolsi alla mia donna il viso,
E quinci e quindi stupefatto fui:
Che dentro agli oechj suoi ardeva un riso
Tal , eh' io pensai co' miei toccar lo fondo
Della mia grazia e del mio Paradiso.
Indi atl udire ed a veder giocondo
Giunse lo spirto al suo principio cose,
Ch'io non intesi, si parlò profondo:
Nè per elezion mi si nascose,
Ma per necessità : che 'i suo concetto
Al segno del- mortai si soprappose.
E quando Parco dell'ardente allettò
Fu sì sfogato, che *J parlar discese
Inver lo segno del nostro intelletto;
La prima cosa che per me s'intese,
Benedetto sie tu, fu, trino ed uno,
Che nel mio seme se* tanto cortese:
E seguitò: grato e lontan digiuno,
Tratto leggendo nel magno volume,
U' non si muta mai bianco ne bruno,
Soluto hai, figlio, dentro a questo lume,
In ch'io ti parlo, mercè di colei
Gh' all'ago volo ti vesti le piume.
73 Del Paradiso
XV. v. 53-84-
Tu credi che a me tuo pensier mei
Da quel eh' è primo così come raja
Dall' un, se si conosce., il cinque e*l sei.
E però eh' io ini sia e perdi' io paja
Più gaudioso a te, non mi dimandi,
Che alcun altro in questa turba gaja.
Tu credi '1 vero, che i minori e i grandi
Di questa vita mirai! nello speglio ,
In che prima che pensi il pensie» pandi.
Ma perchè'l sacro amore, in che io veglio ,
Con perpetua vista, e che m'asseta
DÌ dolce desiar, s'adempia meglio;
La voce tua sicura, balda, e lieta
Suoni la volontà, suoni '1 desio,
A che la mia risposta è già decreta.
I'mi volsi a Beatrice: e quella udio
Pria ch'io parlassi, e arrisemi un cenno
Che fece crescer l'ali al voler mio:
Poi cominciai cosi: l'affetto e'1 senno,
Come la prima egualità v'apparse^,.- '
D'un peso per ciascun di voi si fenno :
Perocché al Sol, che v'allumò e arse
Col caldo e con la Ilice, en sì iguali,
Che tutte simiglianze sono scarse.
Ma voglia ed argomento ne' mortali, *
Per la cagion , eh" a voi è manifesta,
Diversamente son pennuti in ali.
Ond'io, che son mortai, mi sento in queste
Disagguagliauza; e però noa ringrazio
Se non col cuora alia paterna festa.
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Canto decimoquhae. ( 79
XV. v. 83 — 114-
Ben supplico io a te, vivo topazio,
Che questa gioja preziosa ingemmi,
Perchè ini f;icci del tuo nome sazio.
O fronda mia, in che io compia cenimi,
Pure aspettando, io fui la tua radice;
Cotal principio, rispondendo, femmi.
Poscia mi disse: quel, da cai si dice
Tua cognazione, e che cent'anni e piiie
Girato ha'l monte in la prima cornice,
Mio figlio fu, e tuo bisavo fue :
Ben si convien, che la lunga fatica m
Tu glì raccorci con I* opere tue.
Fiorenza dentro dalla cerchia antica,
On d'ella toglie ancora e terza e nona,
Si- stava in pace sobria e pudica.
Non avea catenella , non corona,
Non donne confidiate, non cintura
Che fosse a veder più che la persona.
Non fa oc va nascendo ancor paura
La figlia al. padre, che il tempo e la dote
Non fuggian quinci e quindi la misura.
Non avea case di famiglia vote;
Non v'era giunto ancor Sardanapalo
A mostrar ciò che'rfcamera si pi io te.
■ Non era vinto ancora Monte-malo
Dal vostro uccellatolo, che, com'è vinto
Nel montar su, così sarà nei calo,
Bellincion Berti viti* io andar cinto
| Di cuojo e d'osso, e venir dallo specchi»
I,a donna sua senza'l viso diprato:
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So
Del Paradiso
XV. v. ii5-»44.
E vidi quel di Nerli e quel del Vecchio
Esser contenti alla pelle scoverta,
E le sue donne al fuso ed al pennecchio
O fortunate! e ciascuna era certa
Della sua sepoltura, ed ancor nulla
Era per Francia nel letto deserta,
L' una vegghiava a studio della culla,
E consolando usava l'idioma
Che pria li padri e le madri trastulla;
L'altra traendo alla rocca la chioma
Favoleggiava con la sua famiglia
De'Trojani , e di Fiesole, e di Roma.
Saria tenuta allor tal maraviglia
Una Gianghella , un Lapo Salterello,
Qual or saria Cincinnato , e Corniglia.
A così riposato , a così hello
Viver di cittadini , a .così fida
Cittadinanza, a così dolce ostello,
Maria mi die, chiamata in alte grida;
£ nell'antico vostro Batisteo
Insieme fui cristiano e Cacciaguida.
Moronto fu mio frate , ed Eliseo :
Mia donna venne a me di Val di Pado,
E quindi '1 soprannome tuo si feo.
Poi seguitai lo'mperador Currado,
Ed el mi cinse della sua milizia,
Tanto ger bene oprar gli venni in grado
Dietro gli andai incontro alla nequìzia
Di quella legge, il cui popolo usurpa
Per colpa del pastor vostra giustizia.
Canto decimoqiànto.
XV. v. 145-148.
Quivi fu' io da quella genie turpa
Disviluppato dal mondo fallace,
Il cui amor molt' anime deturpa,
E venni dal martirio a questa pace.
82
Del Paradiso
. Canto XFI.
xvi. v. i — a». • ;
O poca nostra nobiltà di sangue,
Se gloriar di te, la gente fai V
Quaggiù dove 1* allctto nostro langiie,
Mirabil cosa noo mi sarà mai:
Che là dove appetito non si torce,
Dico nel cielo, io me ne gloriai.
Ben se' tu manto che tosto raccorce.
Si che , se non s' appon di die in die,
Lo tempo va dintorno con le force.
Dal voi che prima Roma soffierie,
In che la sua famiglia men persevra,
Ricominciaron le parole mie:
Onde. Beatrice eli' era un poco scevra,
Ridendo parve quella che tossio
Al primo fallo scritto di Ginevra.
Io cominciai: voi siete '1 padre mio:
Voi mi date a parlar tutta baldezza :■
Voi mi levate sì, ch'io son più ch'io:
Per tanti rivi s'empie d'allegrezza
La mente mia , che di se fa letizia :
Perchè può sostener che non si spezza:
Ditemi dunque, cara mia primizia,
Quai furo i vostri antichi, e quai far gli anni
Che si segnalo in vostra puerizia?
Canto dècimosqsto.
XVI. v. as-«.
t Ditemi dell* ovil di San Giovanni,.
Quaut'era allora, e chi eran le genti
Tra esso degne di più alti scanni?
Come s'avviva allo spirar de' venti.
Carhone in fiamma', così vidi quella
Luce risplendere a* mìei blandimenti:
E come agli occhj miei si fè più bella.
Così con voce più dolce e soave,
Ma non con questa moderna favella,.
Dissemi : da quel dì che fu detto Ave
Al parto in che mia madre, eh' è or santa,
S'alleviò di me end* era grave,
Al suo Leon cinquecento cinquanta
E trenta fiate venne questo fuoco
A uro nominarsi sotto la sua pianta.
Gli antichi miei ed io nacqui nel loco,
Dove si truova pria l'ultimo sesto
Da quel che corre il vostro annual giuoco.
Basti de* mici maggiori udirne questo:
Chi ei si furo, ed onde venner quivi,
Più è il tacer, che '1 ragionare, onesto.
Tutti color, eh' a quel tempo eran ivi
Da portar arme ira Marte e*l Batista,
Erano*] quinto di quei che sou vivi :
Ma la cittadinanza, eh' è or mista
Di Campi, e di Certaldo, e di Figghine,
Fura. vc-deasi nell'ultimo artista.
O quanto fora meglio esser vicine
Quelle genti, ch'io dico, ed al Galluzzo
Ed a Trespiauo aver vostro confina;
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34
J>dl Paradiso
XVI. v. S5-M-
Che averle dentro, e sostener lo puzzo
Del villan d' Aguglion , di quel da Signa
Che già per barattare ha 1' occhio aguzzo
Se la gente , eh' al mondo più traligna,
Non fosse stata a Cesare noverca,
Ma come madre a suo figHuol benigna:
Tal fatto è fiorentino, e cambia e inerca,
Che tii sarebbe volto a Simifonti
La dove andava l'avolo alla cerca.
Sariesi Monternuvlo ancor .de* Conti :
Sarien i Cerchi nel pivier d' Acone,
E forse in. Valdigrieve i*Buon(ìelnioiitÌ.
Sempre la confusion delle persone
Principio fu del mal della chtade,
Come del corpo il cibo che s'appone.
E cieco toro più avaccio cade,
Che cieco agnello: e molte volte taglia
Più e meglio una , che le cinque spade.
Se tu riguardi Luni ed Urbis;tglia
Come son ite, e come se ne vanno
Diretro ad esse Chiusi e Sinìgaglia:
Udir come le schiatte si disfanno,
Non ti pana nuova cosa ne forte,
Poscia che le cittadi termine hanno.
Le vostre cose tulte hanno lor morte,
Sì come voi; ma celasi in alcuna
Che dura molto, e le vite son coite.
E come ii volger del ciel della Luna
Cuopre e discuopre i liti senza posa,
Così fa di Fiorenza la fortuna:
Canto decimosesto. 85
XVI. v-85-«4-
Perchè non dee parer mirali il cosa
Ciò ch'io dirò degli alti Fiorentini
De'quai la fama nel tempo è nascosa.
Io vidi gli Ughi, e vidi i Catellini,
Filippi, Greci, Ormarmi, ed Alberi chi,
Già nel calare, illustri cittadini:
E vidi così grandi, come antichi.
Con quel della Sannella quel dell'Arca,
ESoldanierì, ed Ardinghi, e Bostichi.
Sovra la porta che al presente e carca
Di nuova fellonia di tanto peso-,
Che tosto fia giattura della barca,
Erano i Ravignani ond' è disceso
Il Conte Guido , e qualunque del nome
Dell'alto Bellincìone ha poscia preso.
Quel della Pressa sapeva già come
Regger si vuole , ed avea Galigajo
Dorata in casa sua già l'elsa e'1 pome.
Grande era già la colonna del vajo,
Sacchetti, Giuochi, Sifanti, e Barucci,
E Galli, e quei eh* arrossan per lo stajo.
IjO ceppo, di che nacquero i Calfucci,
Era già grande, e già erano tratti
Alle curule Sizii, ed Arrigucci.
0 quali io vidi quei che son disfatti
Per lor superbia! e le palle dell'oro
Fiorian Fiorenza in tutti suoi gran fatti.
Così facién i padri di coloro
Che , sempre che la vostra Chiesa vaca,
Si fanno grassi stando a consistoro.
Dante III, 8
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Del Paradiso
XVI. v. iiS - 144.
V oltracotata schiatta, che s'indraca
Dietro a chi fugge, ed a chi mostra '1 dente
O ver la borsa, com'agnel si placa,
•Già venia su , ma di picciola gente,
Si che non piacque ad Ubertin Donato
Che*l suocero il facesse lor parente.
Già era! Caponsacco nel mercato
Disceso giù da Fiesole , e già era
Buon cittadino Giuda, ed Infangato.
Io diro cosa incredibile e vera:
Nel picciol cerchio s'entrava per porta
Che si nomava da quei della Pera,
Ciascun, che della bella insegna porta
Del gran barone, il cui nome e '1 cui pregio
La festa di Tommaso riconforta,
Da esso ebbe milizia e privilegio;
Avvegna che col popol si rauni
Oggi colui che la fàscia col fregio.
Già eran Gualterotti , ed Importuni,
Ed ancor saria Borgo più quieto,
Se dì nuovi vicin fosser digiuni.
La casa, di che nacque il vostro. fleto,
Per lo giusto disdegno che v'ha morti,
E posto fine al vostro viver lieto*
Era onorata essa e suoi consorti.
' O Buondelmonte , quanto mal fuggisti
Le nozze sue per gli altrui conforti!
Molti sarebber lieti che son tristi,
Se Dio t* avesse conceduto ad Ema
La prima volta eh' a città venisti.
Canto decìmosKsto.
8?
XVI. v. 143 - 154.
Ma convernasi a quella pietra scema
Che guarda *1 ponte, che Fiorenza fesse
■ Vittima nella sua pace postrema.
Con queste genti e con altre con esse
Vid'io Fiorenza in si fatto riposo,
Che non avea cagione onde piangesse.
Con queste genti vid' io glorioso
E giusto '1 popol suo tanto, che'l giglio
Non era ad asta mai posto a ritroso,
Nè per division fatto vermiglio.
88 0*J Paradiso
Canto XVlh
XVII. V. I-S4.
Qual venne a CHmenè per accertarsi
Di ciò eli* aveva incontro a se udito,
Quei eh' ancor fa li padri a' figli scarsi;
Tale era io, e tale era sentito
E da Beatrice e dalla santa lampa ,
Che pria per me avea mutato sito.
Perchè mia donna : manda fuor la vampa
Del tuo disio, mi disse, sì eh' eli* esca
Segnata bene dell'interna stampa:
Non perchè nostra conoscenza cresca
Per tuo parlare, ma perchè t'ausi
A dir la sete, si che Puom ti mesca.
O cara pianta mia, che sì t'ìnsusi,
Ciie, come veggion leterrerte menti
Non capere in triangolo due ottusi,
Così vedi le cose contingenti
Anzi che sieno in se, mirando '1 punto
A cui tutti li tempi son presentì.
Mentre ch'io era a Virgilio congiunto
Su per lo monte che l'anime cura,
E discendendo, nel mondo defunto,
Dette mi fur-di mia vita futura
Parole gravi; avvegna ch'io mi senta
Ben tetragono ai colpi di ventura.
Canto decimosettimo, 89
Perchè la voglia mia saria contenta
D'intender qual fortuna mi s'appressa;
Che saetta prerisa vien più lenta.
Così diss'io a quella luce stessa,
Che pria m' area parlato, e, come rolle
Beatrice, fu la mia voglia confessa.
Nè per ambage in che la gente folle
Già s' invescava , pria che fosse anciso
L'Agnél di Dio che le peccata tolle :
Ma per chiave parole, e con preciso
Latin rispose quell' amor paterno,
Chiuso e parvente del suo proprio riso:
La contingenza, che fuor del quaderno
Della" vostra materia non si stende,
Tutta è dipinta nel cospetto eterno.
Necessità però quindi non prende,
Se non come dal viso, in che si specchia
Nave che per corrente giù discende.
Da indi, sì come viene ad orecchia
Dolce armonia da organo, mi viene
A vista '1 tempo che ti s' apparecchia.
Qual si partì Ipolito d' Atene ' ,
Per la spietata e perfida noverca,
Tal di Fiorenza partir ti conviene.
Questo si vuole, e questo già si cerca;
E tosto verrà fatto a chi ciò pensa
Là dove Cristo tutto dì si merca.
La colpa seguirà la parte offensa
In grido, come suol: ma la vendetta
Fia testimonio al ver che la dispensa.
90 Del Paradiso
XVII. v. SS -84. ~
Tu lascerai ogni cosa diletta
Più caramente: e questo è quello strale
Ghe l'arco dell'esilio pria saetta.
Tu proverai sì come sa di sale
Il pane altrui, e com'è duro calle
IjO scendere e'1 salir per l'altrui scale.
E quel , che più ti graverà le spalle,
Sarà la compagnia malvagia e scempia,
Con la qual tu cadrai in questa valle:
Cìie tutta ingrata, tutta matta ed empia
Si farà contra te ; ma poco appresso
Ella, non tu, n'avrà rotta la tempia.
Di sua bestialitate il suo processo
Farà la pruova , si eh' a te fia bello
Averti fatta parte per te stesso.
Lo primo tuo rifugio é'1 primo ostello
Sarà la cortesia del gran Lombardo,
Che'n su la Scala porta il santo uccello:
Ch'in te avrà sì benigno" riguardo,
Che del fare e del chieder tra voi due
Fia prima quel che tra gli altri è più tardo.
Con lui vedrai colui che impresso fue
Nascendo sì da questa stella forte,
Che notabili fien l'opere sue.
Non se ne sono ancor le genti accorte
Per la novella età, che pur nove anni
Son queste ruote intorno di Ini torte.
Ma pria che'l Guasco 1* alto Arrigo inganni,
Parran faville della sua virtute
In non curar d'argento uè d'affanni.
Canto decimosettimo.
XVII. v. 83 - 114.
Le sue magnificenze conosciute
Saranno ancora sì, che i suoi nini lei
Non ne potran tener le lingue mute.
A lui t' aspetta ed a' suoi benefici : .
Per lui fìa trasmutata molta gente,
Cambiando condizion ricchi e mendtcì:
E porterane scritto nella mente
Di lui, ma noi dirai: e disse cose
Incredibili a quei che na presente.
Poi giunse: figlio, queste son le chiose
Di quel che ti fu detto; ecco l'insidie
Che dietro a pochi giri son nascose.
Non vo' però eh' a 1 tuoi vicini invidie,
Poscia che s'infutura la tua vita
Via più là, che'l punir di lor perfidie;
Poi che tacendo si mostrò spedita
L'anima santa di metter la trama
In quella tela ch'io le porsi ordita.
Io cominciai come colui che brama,
Dubitando, consiglio da persona
Che vede , e vuol dirittamente , ed ama :
Ben veggio, padre mio, sì come sprona
Lo tempo, verso me per colpo darmi
Tal eh' è più grave a chi più s'abbandona
Perchè di provedenza è buon ch'io m' armi,
Sì che, se luogo m' è tolto più caro,
Io non perdessi gli altri per miei carmi.
Giù per lo mondo senza fine amaro,
E per lo monte del cui bel cacume
Gli pcchj della mia donna mi levaro,
9 s
Del Paradiso
XVII. v. US - 143.
E poscia per lo ciel di lume in lume,
Ho io appreso quel che, s'io ridico,
A molti fia savor di forte agrume :
E, s'io al vero son timido amico,
Temo di perder vita tra coloro
Che questo tempo chiameranno antico.
La luce, in che rideva il mio tesoro
Ch'io trovai lì, si fe' prima corrusca,
Quale a raggio di Sole specchio d'oro:
Indi rispose : coscienza fusca,
O della propria o dell' altrui vergogna
Pur sentirà la tua parola brusca.
Manondimen, rimossa ogni menzogna,
Tutta tua vision fa manifesta,
E lascia pur grattar dov'è la rogna :
Che, se la voce tua sarà molesta
Nel primo gusto, vital nutrimento
Lascerà poi quando sarà digesta.
Questo tuo grido farà come vento
Che le più alte cime più percuote:
E ciò non iia d' onor poco argomento.
Però ti son mostrate in queste ruote,
Nel monte e nella valle dolorosa
Pur ?V anime che so» di fama note:
Che l'animo di quel ch'ode, non posa,' ,
Ne ferma fede per esempio ch'haja
La sua radice incognita e nascosa, *
Ne per altro argomento che non paja.
Canto decimvttavn. 93
Canto XP r HL
- xviir. r. i— 34.
Già si godeva solo del suo verbo
Quello spirto beato , ed io gustava
Lo mio, temprando '1 dolce con l'acerbo:
E quella donna, eh* a Dio mi menava,
Disse : muta pensier , pensa ch'io sono „
Presso a colui ch'ogni torto disgrava.
Io mi rivolsi all'amoroso suono
Del mio conforto: e, quale io allor vidi
Negli occhj santi amor, qui l'abbandono:
Non perch'io pur del mio parlar diffidi,
Ma per la mente che non pub reddire
Sovra se tanto, s'altri non la guidi.
Tanto poss' io di quel punto ridire,
Che rimirando lei lo mio alletto
Libero fu da ogni altro disire.
Fin che '1 piacere eterno , che diretto
Raggiava in Beatrice dal bel viso,
Mi contentava col secondo aspetto,
Vincendo me col lume d'un sorriso,
Ella mi disse: volgiti, ed ascolta,
Che non pur ne' miei ocebj è Paradiso.
Come si vede qui alcuna volta
L' affetto nella vista, s' elio è tanto,
Che da lui sia tutta l'anima tolta ;
Del Paradise
XVIII. v. 25-54.
Così nel fiammeggiar del fulgor santo,
A ch'io mi volsi, conobbi la voglia
In lui di ragionarmi ancora alquanto.
E cominciò: in questa quinta soglia
Dell'albero che vìve della cima,
E frutta sempre, e mai non perde foglia,
Spiriti son beati che giù, prima
Che venissero al cìel , fur di gran voce,
Sì eh' Ogni Musa ne sarebbe opima.
Però mira ne* corni della Croce:
Quel; ch'io or nomerò, lì farà l'atto
Che fa in nube il suo fuoco veloce.
Io vidi per la Croce un lume tratto
Dal nomar Josuè: com* ei si feo :
Né mi fu noto il dir prima che'l fatto.
Ed al nome dell' alto Maccabeo
Vidi muoversi un altro roteando:
E letizia era feiza del paleo.
Così per Carlo -Magno , e per Orlando
Due ne seguì lo mio attento sguardo,
Cora 1 occhio segue suo falcon volando.
Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo
E'1 duca Gottifredi la mia vista,
Per quella Croce, e Roberto Guiscardo.
Indi tra 1' altre luci mota e mista
Mostrommi l'alma, che m'avea parlato,
Qual'era tra i cantor del cielo artista.
Io mi rivolsi dal mio destro lato ,
Per vedere in Beatrice il mio dovere
O per parole o per atto segnato :
Canto decìmottavo. 95
XVIII. v. 35 - 84.
E vidi le sue luci tanto mere,
Tanto gioconde, che la sua sembianza
Vinceva gli altri, e 1' ultimo solere.
E come per sentir più dilettanza
Bene operando l'uom, di giorno in giorno
S'accorge che la sua virtute avanza;
Sì m'accors'io , che'ì mio girare intorno
Col cielo 'nsieme avea cresciuto l'arco,
Veggendo quel miracol più adorno.
E quale è il trasmutare in picciol varco
Di tempo in bianca donna, quando '1 volto
Suo si discarchi di vergogna il carco;
Tal fu negli occhj miei, quando fui volto,
Per lo candor .della temprata stella
Sesta, che dentrap se m' avea ricolto.
Io vidi. in quella Giovial facella
IjO sfavillar dell'amor, che li era,
Segnare agli occhj mici nostra favella,
E come augelli surti di riviera,
Quasi congratulando a lor pasture,
, Fanno dì se or tonda or. lunga schiera :
Sì dentro a' lumi sante creature
Volitando cantavano, e faciensi
Or D. or I. or L. in sue figure.
Prima cantando a sua nota moviensi:
Poi, diventando 1' un di questi segni,
Un poco s'arrestavano e taciensi.
O diva Pegaséa, che gl'ingegni
. Fai gloriosi, e rendigli longevi,
Ed essi teco le cittadi e i regni,
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pó Dei Paradiso
XVIII. v. 85 - «J.
Illustrami di te sì ch'io rilevi
Le lor figure com'io l'ho concette :
Paja tua possa in questi versi brevi.
Mostrarsi dunque cinque volte sette
Vocali e consonanti ; ed io notai
Le parti sì , come mi parver dette.
Diligile justitiam primai
Fur verbo e nome di tutto '1 dipinto :
Qui judicatis terram fur sezzaì.
Poscia nell'M. del vocabol quinto
Himaser ordinate, sì che Giove
Pareva argento lì d'oro distinto.
E vidi scender altre luci dove
Era'l colmo dell' M, e lì quetarsi
Cantando, credo , rftben eh' a se le muove.
Poi, come nel percuoter de' ciocchi arsi
Surgono innumerabili faville,
Onde gli stolti sogliono figurarsi,
Risurger parver quindi più di mille
Luci, e salir qual assai e qual poco,
Sì come'l Sol , che i' accende, sortille :
E , quietata ciascuna in suo loco,
La testa e '1 collo d'un' aquila vidi
Rappresentare a quel distinto foco.
Quei, che dipinge lì, non ha chi '1 guidi;
Ma esso guida, e da lui si rammenta
Quella virtù eh' è forma per li nidi.
L'altra beatitudo, che contenta
Pareva in prima d'ingigliarsi all'emme,
Con poco moto seguitò la'mprenta.
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Canto decimottavo.
IXVIII. v. us -136.
O dolce stella, quali e quante gemme
Mi dimostraron , che nostra giustizia
Effetto sia del ciel che tu ingemme !
Perch'io prego la mente, in che s'inizia .
Tuo moto e tua virtute, che rimiri -
Ond' esce il fummo che tuoi raggi vizia :
Sì che un'altra fiata ornai s'adiri
Del comperare e vender dentro al templOj
Che si murò di segni e di martiri.
O milizia del ciel, cu'io contemplo,
Adora per color che sono interra
Tutti sviati dietro al malo esemplo.
Già si solea con le spade far guerra :
Ma orsi fa togliendo or qui or quivi
Lo pan che'l pio padre a nessun serra.
Ma tu, che sol per cancellare scrivi, ' :
Pensa che Pietro e Paolo , che morirò
- Per la vigna che guasti, ancor son. vivi.
Ben puoi tu dire : io ho fermo il disilo
Sì a colui che volle viver solo,
E che per salti fu tratto a martire,
Ch'io non conosco il Pescator, riè Polo.
Dante III.
9
98
Del -Paradiso
< Canto XIX.
XIX. v.i-34.
Farea dinanzi a- me con l'ali aperte
La bella image, che nel dolce fruì
Liete faceva l'anime conserte.
Parea ciascuna, rubinetto , in cui
Raggio di Sole ardesse sì acceso,
Che ne' miei occhj rifrangesse hii.
E quel , che mi co'nvien rìtrar testeso,
Non portò voce mai , ne scrisse inchiostro,
Ne fu per fantasia giammai compreso ;
Ch' io vidi , ed anche udii parlar lo rostro,
E sonar nella voce ed io e mio,
Quand'era nel concetto noi e nostro.
E cominciò : per esser giusto e pio ,
Son io qui esaltato a questa gloria,
Che non si lascia vincer a disio :
Ed in terra lasciai la mia memoria
Sì fatta , che le genti lì malvage
Commendan lei,, ma non seguon la storia.
Così un sol calor di molte brage .
Si fa sentir, come di molti amori -
Usciva solo un suon di quella image,
Ond'io appresso: o perpetui fiori
Dell'eterna letizia, che pur uno
Parer mì fate tutti i vostri odori;
Canto decimonono.
99
Solvetemi, spirando, il gran digiuno,
• Che lungamente m' ha tenuto in fame,
Non trovandoli in terra cibo alcuno.
Ben so io che, se in cielo altro reame
La divina giustizia fa suo specchio,
Che '1 vostro non l'apprende con velame.
Sapete come attento io m 1 apparecchio
Ad ascoltar: sapete quale è quello
Dubbio, che m'è digiun cotanto vecchio.
Quasi falcone, eh' esce del cappello,
Muove la testa, e con l'ali s'applaude
Voglia mostrando , e facendosi bello ;
Vid'io farsi quel segno, che di laude
Della divina grazia era contesto,
Con canti, quai si sa chi lassù gaude.
Poi cominciò : colui , che volse il sesto
Allo stremo del mondo , e dentro ad esso
Distinse tanto occulto e manifesto,
Non potéo suo valor sì fare impresso
In tutto 1* universo , che '1 suo verbo
Non rimanesse in infinito eccesso.
E ciò fa certo, che'l primo superbo,
Che fu la somma d' ogni creatura,
Per non aspettar lume cadde acerbo.
E quinci appar, ch' ogni minor natura
E corto ricettacolo a quel bene,
Ch* è senza fine, e se con se misura.
Dunque nostra veduta , che conviene
Essere alcun de'iaggi della mente,
Di che tutte le cose son ripiene,
100
Del Paradiso
jCIX. v. SS -84-
Non pub di sua natura esser possente
Tanto, che suo principio non c&scerna
Molto di là , da quel eh' egli è , parvente,
Però nella giustizia sempiterna
La vista, che riceve il vostro mondo,
Cora* occhio per lo mare entro s'interna:
Che , benché dalla proda veggia il fondo,
In pelago noi vede": e nondimeno
Egli è, ma celai luì l'esser profondo.
Lume non è, se non vien dal sereno
Che non si turba mai , anzi è tenebra,
v Od ombra della carne, o suo veleno.
Assai t' è mo aperta la latebra,
Che t' ascondeva la giustizia viva,
Di che facei quistion cotanto crebra:
Che tu dicevi: un uora nasce alla riva
Dell'Indo, e quivi non è chi ragioni
Di Cristo , nè chi legga , nè chi scriva ;
E tutti suoi voleri ed atti buoni
Sono, quanto ragione umana vede,
Senza peccato in vita od in sermoni:
Muore non battezzato e senza fede;
Ov' è questa giustizia che '1 condanna ?
Ov'è la colpa sua se el non crede?
Or tu chi se' che vuoi sedere a scranna
Per giudicar da lungi mille miglia
Con la veduta corta d'una spanna?
Certo a colui , che meco s' assottiglia,
Se la Scrittura sovra voi non fosse,
Da dubitar sarebbe a maraviglia.
Canto decìmonono. ioi
O terreni animali, o menti grosse,
La prima volontà , eh' è per se buona,
Da se, eh' è sommo ben, mai non si mosse.
Cotanto è giusto, quanto a lei consuona:
Nullo creato bene a se la tira,
Ma essa , radiando , lui cagiona.
Quale sovr'esso il nido si rigira,
Poi che ha pasciuti la'cicogna i figli;
E come quel, eh' è pasto, la rimira;
Cotal si fece , e sì levai li cigli.
La benedetta immagine, che l'ali
Movea sospinte da tanti consigli,
Roteando cantava , e dicea : quali
Son le mie note a te, che non le'ntendi,
Tal è il giudicio eterno a voi mortali.
Poi si quetaro que' lucenti incendi
Dello Spirito Santo ancor nel segno,
Che fe' i Romani al mondo reverendi.
Esso ricominciò : a questo regno
Non salì mai chi non credette in Cristo
Nè pria ne poi che'l si chiavasse al legno. '
Ma vedi , molti gridan Cristo Cristo,
Che saranno in giudicio assai men prope
A lui che tal, che non conobbe Cristo;
E tai Cristiani dannerà l'Etiope,
Quando si partiranno i duo collegi,
L' uno in eterno ricco , e 1' altro inope.
Che potran dir U Persi ai vostri regi,
Com* e 1 vedranno quel volume aperto
Nel qual si scrivon tutti suoi dispregi !
102 Del Paradiso
XIX. v. ng-144-
Lì si vedrà tra l'opere d'Alberto
Quella, che tosto moverà la penna*
Perchè '1 regno di Praga fia deserto.
Lì si vedrà il duol , che sopra Senna
Induce, falseggiando la moneta, ■•
Quel che morrà di colpo di cotenna.
Lì si vedrà la superbia, eh' asseta,
Che fa lo Scotto e l'Inghilese folle
Sì, che non pub soffrir dentro a sua meta.
Vedrassi la lussuria e'l viver molle
Di quel di Spagna, e di quel di Buemme,
Che mai valor non conobbe nè volle.
Vedrassi al Ciotto di Gerusalemme
Segnata con un'L la sua boutade,
Quando '1 contrario segnerà un' emme.
Vedrassi 1* avarizia e la viltade
Di quel che guarda l'isola del fuoco,
Dove Anchise finì la lunga etade ;
E a dare ad intender quanto è poco ;
La sua scrittura fien lettere mozze,
Che noteranno molto in parvo loco.
E parranno a ciascun l'opere sozze
Del barba, e del fratel, che tanto egregia
Nazione e duo corone han fatto bozze.
E quel di Portogallo e di Norvegia
Lì si conosceranno, e quel di Rascia
Che male aggiusto! conio di Vinegia.
O beajta Ungheria, se non si lascia
Più malmenare! e beata Navarra,
Se s'armasse del monte che la fascia!
♦
Canto decimonono.
103
XIX. v. 143— 14S.
E creder dee ciascun, che già per arra
Di questo Nicosla e Famagosta
Per la lor bestia si lamenti e garra,
Che dal fianco dell' altre non si scosta..
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104 X>W Paradiso
Canto XXi
. XX. v. 1 — 34.
Quando colui, che tutto '1 mondo alluma,
Dell' emisperio nostro sì discende,
Che '1 giorno d' ogni parte si consuma ;
Lo ciel , che sol di lui prima s' accende,
Subitamente si rifa parvente
Per molte luci , in che una risplende.
E quest'atto del ciel mi venne a mente,
Come'ì-segno del mondo e de* suoi duci
Nel benedetto rostro fu tacente:
Però che tutte quelle vive luci,
Vie più lucendo , cominciaron canti
Da mia memoria labili e caduci. —
O dolce Amor, che di riso t' ammanti,
Quanto parevi ardente in que" favilli,
Ch* avién spirito sol di pensier santi!
Poscia che i cari e lucidi lapilli,
Ond' io vidi'ngemmato il sesto lume,
Poser silenzio agli angelici squilli,
Udir mi parve un mormorar di fiume,
Che scende chiaro giù di pietra in pietra-
Mostrando Pubertà del suo cacume.
E,, come suono al còllo della cetra
Prende sud forma , e sì come al pertugio
Della sampogna vento che penetra,
Canto ventesimo. 105
XX. v. 35 - 54-
Così , rimosso d' aspettare indugio,
Quel mormorar per 1* aguglia salissi
Su per lo collo, come fosse bugio.
Fecesi voce quivi, e quindi uscissi
Per lo suo becco, informa di parole,
Quali aspettava '1 cuore, ov'io le scrissi.
La parte in me, che vede, e paté il Sole
Nell'aguglie mortali, incominciommi :
Or fisamente riguardar si vuole :
Perchè de* fuochi, ond'io figura fonami,
Quelli, onde l'occhio in testa mi scintilla,
Di tutti i loro gradi son li sommi ;
Colui, che luce in mezzo per pupilla,
Fu il cantor dello Spirito santo,
Che l'arca traslatò di villa in villa:
Ora "conosce il merto del suo canto,
In quanto affetto fu del suo consìglio
Per lo remunerar, eh* è altrettanto.
De' cinque, che mi fan cerchio per ciglio,
Colui, che più al becco mi s'accosta,
La vedovella consolo del figlio:
Ora conosce quanto caio cos'ta
Non seguir Cristo , per l' esperienza
Di questa dolce vita e dell'opposta.
E quel, che segue in la circonferenza
Di che ragiono^ per l'arco superno,
Morte indugiò per vera. penitenza :
Ora conosce che'l giudicio eterno
Non si trasmuta, perchè degno preco
Fa crastino laggiù dell' odierno.
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io5
Del Paradiso
XX. v. SS -84-
L'altro, che segue, con le leggi e meco
Sotto buona 'ntenzion , che fe' mal frutto,
Per cedere al Pastor si fece Greco: i
Ora conosce come'l mal dedutto
Dal suo bene operar non gli è nocivo,
Avvegna che sia '1 mondo indi distrutto.
E quel, che vedi nell'arco declivo,
Guglielmo fu, cui quella terra plora,
Che piange Carlo e Federigo vivo;
Ora conosce come s' innamora
Lo ciel del giusto rege, ed al sembiante
Del suo fulgóre il fa vedere ancora.
Chi crederebbe giù nel mondo errante,
Che Riféo Trojano in questo tondo
Fosse la quinta delle luci sante ?
Ora conosce assai di quel che '1 mondo
Veder non pub della divina grazia;
Benché sua vista non discerna il fondo.
Qual lodoletta che J n aere si spazia
Prima cantando, e poi tace contenta
Dell'ultima dolcezza chela sazia;
Tal mi sembiò 1* immago della 'mpreuta
Dell'eterno piacere, al 'cui disio
Ciascuna cosa , quale eli' è , diventa.
Ed avvegna ch'io fossi al dubbiar mio
Lì, quasi vetro allo color che'ì veste;
Tempo aspettar tacendo non patio :
Ma della bocca ; che cose son queste ?
Mi pinse con la forza del suo peso;
Perch'io dì corruscar vidi gran feste.
Canto ventesimo.
107
Poi appresso con l'occhio più acceso
Lo benedetto segno mi rispose,
Per non tenermi in ammirar sospeso :
Io veggio che tu credi queste cose,
Perch'io le dico , ma non vedi còme:
Sì che , se son credute, sono ascose.
Fai come quei che la cosa per nome
Apprende ben : ma la sua quidìtate
Veder non puote, s'altri non la prome.
Regnum caelorum violenzia paté
Dal caldo amore e da viva speranza,
Che vince la divina volontate,
Non a guisa che'l uomo all' uo in sobranza ;
Ma vince lei, perchè vuole esser vinta;
E vinta vince con sua beninanza:
La prima vita del ciglio e la quinta'
Ti fa maravigliar, perchè ne vedi
La region degli angeli dipinta.
De' corpi suoi non uscir, come credi,
Gentili, ma Cristiani in ferma fede,
Quel de'passuri, e quel de' passi piedi :
Che l'una dallo'nferno , u' non si riede
Giammaria buon voler, torno all'ossa,
E ciò di viva speme fu mercede:
DÌ viva speme, che mise sua possa
Ne'prieghi fatti a Dio per suscitarla
Sì, che potesse sua voglia esser mossa.
L 1 anima gloriosa onde si parla,
Tornata nella carne in che fu poco,
Credette in lui che potevaajutarla.
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jo8 Paradiso
XX. v. 115 — 144/
E, credendo, s'accese in tanto fuoco
Di vero amor, ch'alia morte seconda
Fu degna di venire a questo giuoco.
L'altra per grazia, che da sì profonda
Fontana stilla, che mai creatura
Non pinse l'occhio i usino alla prim' onda,
Tutto suo amor laggiù pose a drittura :
Perchè di grazia in grazia Iddio gli aperse
L'occhio alla nostra redenzion futura:
Onde credette in quella, e non sofferse
Da indi'! puzzo più del paganesmo,
E riprenderne le genti perverse.
Quelle tre donne gli fur per battesmo,
Ghe tu vedesti dalla destra ruota,
Dinanzi al battezzar più d* un'millesmo:
O predestìnazion , quanto rimota
È la radice tua da quegli aspetti,
Che la prima cagion non veggion tota ! f
E voi mortali, tenetevi stretti ■
A giudicar : che noi , che Dio vedemo,
Non conosciamo ancor tutti gli eletti:
Ed enne dolce così fatto scemo:
Perchè *1 ben nostro in questo ben s'affina.
Che quel che vuole Iddio, e noi volemo.
Così da quella immagine divina,
Per farmi chiara la mia corta vista,
Data mi fu soave medicina. •
E , come a buon cantor buon citarista
Fa seguitar lo guizzo della corda,
In che più di piacer lo canto acquista,
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Canto ventesimo.
XX. v. i+5— 148.
Si, mentre che parlò, mi si ricorda
Ch'io vidi le due luci benedette,
Pur come batter d'occhj si concorda,
Con le parole muover le riammette.
Hata* Ut,
X io Pei Paradiso
, Canto XXL
XXL v. I — 24.
Già eran gli occhj miei rifissi al volto
Della mia donna , e 1' animo con essi,
E da ogni altro intento s'era tolto:
Ed ella non ridea : ma , s* io ridessi,
Mi cominciò , tu ti faresti quale
Fu Semele quando di cener fessi:
Che la bellezza mia, che per le scale
Dell'eterno palazzo più s'accende,
Com'hai veduto, quanto più si sale,
Se non si temperasse, tanto splende,
Che'l tuo mortai podere al suo fulgóre
Parrebbe fronda che tuono scoscende.
Noi sem levati al settimo splendore,
Che sotto '1 petto del Leone ardente
Raggia mo misto giù del suo valore.
Ficca dirietro agli occhj tuoi la mente,
E fa di quegli specchj alla v figura
Che'n questo specchio ti sarà parvente.
Qwsl papesse qual'era la pastura
.'/DeJ*viso mio nell'aspetto beato,
Quand'Irmi trasmutai ad altra cura,
Conoscerebbe quanto m' era a grato
Ubbidire alla mia celeste scorta,
Contrappesando l'un con l'altro lato.
Canto ventesimo-primo, ni
Dentro al cristallo che'l vocabol porta,
Cerchiando '1 mondo, del suo caro duce
Sotto cui giacque ogni malizia morta,
Di color d'oro, in che raggio tralucc,
Vid' io uno scaleo eretto ih suso
Tanto, che. noi seguiva la mia luce.
Vidi anche per li gradi scender giuso
Tanti splendor, eh' io pensai eh* ogni lume,
Che par nel ciel , quindi fosse diffuso.
E, come per lo naturai costume
Le pole insieme* al cominciar del giorno
Si muovono a scaldar le fredde piume ,
Poi altre vanno via senza ritorno,
Altre rivolgon se onde son mosse,
E altre roteando fan soggiorno,
Tal modo parve a me che quivi fosse
In quello sfavillar, che'nsieme venne
Sì , come in certo grado si percosse :
E quel , che presso più ci si ritenne,
Si fe' sì. chiaro, ch'io dicea pensando,
Io veggio ben l 1 amor che tu m' accenne.
Ma quella, ond'io aspetto il come e'1 quando
Del dire e del tacer, si sta; ond'io
Contra'l disio fo ben, s'io non dimando.
Perch'ella, che vedeva il tacer mio
Nel veder di co'ui che tutto vede,
Mi disse ; solvi il tuo caldo disio.
Ed io incominciai : la mia mercede
Non mi fa degno della tua risposta :
Ma, per colei cbe'l chieder ini concede,
112 Del Paradiso
XXI. V..55-W..
Vita ( beata, che ti stai nascosta
Dentro alla tua letizia, fammi nota
La cagion che sì presso mi t* accosta:
E di' perchè si tace in questa ruota
La dolce sinfonia di Paradiso,
Che giù per V altre suona sì devota.
Tu hai l'udir mortai sì come'I viso,
Rispose a me : però qui non si canta
Per quel che Beatrice non ha riso.
Giù per li gradi della scala santa
Discesi tanto sol per farti festa
Col dire e con la luce che m'ammanta :
Ne più amor mi fece esser più presta :
Che più e tanto amor quinci su ferve
Sì, come'l fiammeggiar ti manifesta.
Ma l'alta carità, che ci fa serve
Pronte al consìglio che'l mondo governa,
Sorteggia qui sì, come tu osserve.
Io veggio ben, diss'io , sacra lucerna,
Come libero amore in questa corte
Basta a seguir la providenza eterna.
Ma quest'è quel, eh' a cerner mi par forte;
Perchè predestinata fosti sola
A questo uficio tra le tue consorte»
Non venni prima all'ultima parola,
Che dtl suo mezzo fece il lume centro,
Girando se come veloce mola.
Poi rispose l'amor che v'era dentro:
Luce divina sovra me s'appunta,
Penetrando per questa ond'io m'inventro
Canto ventesimoprimo. 113
XXI. v. 83 — iJJ-
La cui virtù col mio veder congiunta
Mi leva sovra me tanto, ch'io veggio
La somma assettata-, della quale feinunta.
Quinci vien l'allegrezza ond'io fiammeggio,
Perchè alla vista mia, quant' ella è chiara,
La chiarità della fiamma pareggio.
Ma quell'alma nel del che più si schiara,
Quel Serafin, che 'n Dio l'occhio ha più fisso,
Alla dimanda tua non soddisfarà :
Perocché sì s'innoltra nell'abisso
Dell'eterno statuto quel che chiedi,
Che da ogni creafa vista' è scisso,
Ed al mondo mortai, quando tu riedi,
Questo rapporta sì, che non presumma
A tanto segno più muover li piedi.
La mente, che qui luce, in terra Éummai
Onde riguarda, come pub, laggiùe
Quel che non puote, perchè '1 ciel 1* assumma.
Sì mi prescrisser le parole sue,
Ch'io lasciai la quistioue , e mi ritrassi
A dimandarla umilmente chi f-ue. 1
Tra due liti d'Italia surgon sassi,
E non molto distanti alla tua patria
Tanto, che i tuoni assai suonan più hassi ;
E fanno un gibbo , che si chiama Catria,
Disotto al quale è consecrato un ermo,
Che suol esser disposto a sola latria.
Così ricomincioimni '1 terzo sermo,;
E poi continuando disse : quivi-
Al servigio di Dio mi fei sì fermo,
io **
ii4
Del Paradiso
XXI. v. 113 — 143.
Che pur con cibi di liquor d'ulivi
Lievemente passava e caldi e gieli,
Contesto ne' pensier contemplativi.
Render solea quel chiostro a questi cieli
Fertilemente : ed ora è fatto vano
Sì, che tosto convtenclie si riveli.
In quel loco fu' io Pier Damiano:
Pietro Peccator fu nella casa
Di Nostra Donna in sul lito Adriano.
Poca vita mortai m'era rimasa,
Quando*Tui chiesto e tratto a quel cappello
Che pur di male in peggio si travasa.
Venne Cephas, e venne il gran vasello
Dello Spirito santo , magri e scalzi
Prendendo il cibo di qualunque ostello :
Or voglion quinci e quindi chi rincalzi
Gli moderni pastori, e chi gli meni,
Tanto son gravi, e chi dirietro gli alzi.
Cuopron de' manti loro i palafreni,^
Sì, che due bestie van sott' una pelle:
O pazienza, che tanto sostieni!
A questa voce vid' io più fiammelle
Di grado in grado scendere e girarsi,
Ed ogni giro le facea più belle.
Dintorno a questa vennero e fermarsi,
E fero un grido di sì alto suono,
Che non potrebbe qui assomigliarsi;
Ne io lo'ntesi, sì mi vinse il tuono.
Canto ventesimoseconào. 115
Canto XXII.
XXH. y. 1 - a*
Oppresso di stupore alla mia guida
Mi volsi come parvo! , che ricorre
Sempre colà dove più si confida.
E quella , come madre che soccorre
Subito al figlio pallido ed anelo
Con la sua voce, che '1 suol ben disporre,
Mi disse: non sai tu che tu se'n cielo,
E non sai tu che'l cielo è tutto santo,
E ciò , che ci si fa , vien da buon zelo?
Come t'avrebbe trasmutato il canto
Ed io ridendo, mo pensar lo puoi,
Poscia che'l grido t'ha mosso cotanto,
.Nel qual se'nteso avessi i prieghi suoi,
Già ti sarebbe nota la vendetta
La qual vedrai innanzi che tu muòi.
La spada di quassù non taglia in fretta,
Nè tardo mache al parer di colui,
Che desiando o temendo l'aspetta.
Ma rivolgiti ornai inverso altrui:
Ch' assai illustri spiriti vedrai.
Se, cora' io dico, T affpetto ridui.
'Com* a lei piacque gli occhj drizzai,
E vidi cento sperule, che 'nsieine
Più s*abbellivan con mutui rai.
Ufi Del Paradiso
XXII- v. 35 -S4. "
Io stava come quei che 'n se ripreme
La punta elei disio, e non s'attenta
Di dimandar, sì del troppo si teme:
E la maggiore e la più lutulenta
Di quelle margherite innanzi fessi,
Per far di se la mia voglia contenta.
Poi dentro a lei udì*; se tu vedessi,
Compio, la carità che tra noi arde,
Li tuoi concetti sarebbero espressi
Ma perchè tu aspettando non tarde
All'alto fine, io ti farò risposta
Pria al pensier, di che si ti riguarde.
Quel monte, a cui Cassino è nella costa,
Fu frequentato già in su la cima
Dalla gente ingannata e mal disposta.
Ed io son quel che su vi portai prima
Lo nome di colui, che'n terra addusse
La verità che tanto ci sublima :
E tanta grazia sovra me rilùsse,
Ch'io ritrassi le ville circonstanti
Dall'empio colto, che'l mondo sedusse.
Quest'i, altri fuochi tutti contemplanti
Uomini furo, accesi di quel caldo
Che fa nascere i fiori e i frutti santi. -
Qui è Maccai io , qui è Romoaldo :
Qui son li frati miei , che dentro, a' chiostri
Fermar lì piedi e tennero *1 cuor saldo.
Ed io a lui: l'affetto, che dimostri
Meco parlando, e la buona sembianza^
Ch'io veggioenoto in tutti gli ardor vostri,
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Canto _ ventesimosecondo, 117
XXII. v. 53-84.
Così m' ha dilatata mia fidanza,
Come'l Sol fa la rosa, quando aperta
Tanto divien, quant' eli' ha di possanza.
Però ti prego, e tu , padre, m'accerta,
S'io posso prender tanta grazia, ch'io
Ti veggia con immagine scoverta.
Ond' egli : frate , il tuo alto disio
S'adempierà in su l'ultima spera,
Ove s' adempion tutti giratari VI mio.
Ivi è perfetta , matura , ed intera
Ciascuna disianza : in quella sola
E ogni parte là dove sempr'era :
Perchè non è in luogo, e non s'ìmpola:
E nostra scala infino ad essa varrca ;
Onde così dal viso ti s'invola.
Infin lassù la vide il Patriarca
Jacob isporger la superna parte,
Quando gli apparve d'angeli sì carca.
Ma per salirla mo nessun diparte
Da terra i piedi; e la regola mia "
Riiuasa è giù per danno delle carte.
Le mura, che soleano esser badia,
Fatte sono spelonche, e le cocolle
Sacca son piene di farina ria.
Ma grave usura tanto non si tolle
Contra'l piacer di Dio, quanto quel frutto
Che fa il cuor de' monaci sì folle.
Che , quantunque Ja Chiesa guarda, tutto
E della gente che per Dio dimanda,
Ison di parente, né d'altro più brutto.
US Del Paradiso
XXII. t. 83 -m.
La carne de' mortali è tanto blanda,
Che giù non basta buon co min eia mento
Dal nascer Sella quercia al far la ghianda.
Pier cominciò sanz' oro e sanza argento,
Ed io con orazione e con digiuno»
E Francesco umilmente il suo convento.
E, se guardi al principio di ciascuno.
Poscia riguardi là dov' è trascorso,
Tu vederai del bianco fatto bruno.
Veramente, Giordan volto retrorso
Più fu, e il mar fuggir, quando Dio volse,
Mirabile a veder, che qui il soccorso.
Così mi disse: e indi si ricolse
Al suo collegio, e'1 collegio si strinse:
Poi come turbo in su tutto s'accolse.
La dolce donna dietro a lor mi pinse
Con un sol cenno su per quella scala,
Sì sua virtù la mia natura*vinse :
Nè mai quaggiù, dove si monta e cala,
Naturalmente fu si ratto moto,
Ch'agguagliar sfpotesse alla mia ala.
S'io torni mai, lettore, a quel^divoto
Trionfo , per lo quale io piango spesso
Le mie peccata, e'1 petto mi percuoto,
Tu non avresti in tanto tratto e messo
. Nel fuoco il dito, in quanto io vidi 1 ] segno
Che segue '1 Tauro, e fui dentro da esso.
O gloriose stelle, o lume pregno
Di gran virtù, dal quale io riconosco
Tutto (qual che si sia) il mio ingegno ;
Canto ventesimosecondo. itg
XXII. ns — T44.
Con voi nasceva e s'ascondeva vosco
Quegli, eh' è padre d'ogni mortai vita,
Quand* io senti' da prima !' aere Tosco ;
E poi, quando mi fu grazia largita
D'entrar nell'alta ruota che vi gira,
La vostra règion mi fu sortita.
A voi divotamente ora sospira
L' anima mìa , per acquistar virtute
Al passo forte che a se la tira.
Tu se" sì presso all'ultima salute,
Cominciò Beatrice, che tu dei
Aver le luci- tue chiare ed acute.
E però , prima che tu più t' inlei,
Rimira in giuso , e vedi quanto mondo
Sotto li piedi già esser ti fei:
Sì che'l tuo cuor, quantunque può, giocondo
S* appresemi alla turba trionfante,
Che lieta vien per questo etera tondo.
Col viso ritornai per tutte quante
Le sette spere, e vidi questo globo
Tal, ch'io sorrisi del suo vii sembiante:
E quel consiglio per migliore appróbo
Che 1' ha per meno : e chi ad altro pensa,
Chiamar si puote veramente probo.
Vidi la figlia di Latona incensa
Senza quell' ombra che mi fu cagione
Perchè già la credetti rara e densa.
•L'aspetto del tuo nato, Iperione,
Quivi sostenni, e vidi com'si muove
Circa e vicino a lui Maja e Dione.
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zso
Del Paradiso
XXII. V. 145-154-
Quindi m'apparve il temperar di Giove
Tra '1 padre e*l figlio: e quindimìfuchiaro
Il variar che fanno di lor dove :
E tutti e sette mi si dimostraro
Quanto son grandi , e quanto son veloci,
E come sono in distante riparo.
L'ajuola, che ci fa tanto feroci,
Volgendom* io con gli eterni Gemelli,
Tutta m'apparve da* colli alle foci:
Poscia rivolsi gli occhj agli occhj belli.
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Canto vefttesimoterzo.. 121
Canto XXIII.
XXIII. v. i-a4.
Come l'augello intra l'amate fronde,
Posato al nido de* suoi dolci nati,
La notte, che le cose ci nasconde,
Che per veder gli aspetti desiati,
E per trovar lo cibo onde gli pasca,
In che gravi labori gli son tarati,
Previene *1 tempo in su l'aperta frasca,
E con ardente affetto il Sole aspetta,
Fiso guardando , pur che l' alba nasca ;
Così la donna mia si stava eretta
Ed attenta, rivolta inveì la piaga,
Sorto la quale i! Sol mostra men fretta:
Sì che, veggendola' io sospesa e vaga,
Feclmi quale è quei, che disiando
Altro vorria, e sperando s'appaga.
Ma poco fu tra uno ed altro quando ;
Del' mio attender dico , e del vedere
Lo ciel venir più e più rischiarando.
E Beatrice disse: ecco le schiere .
Del trionfo di Cristo, e tutto il frutte»
Ricolto del girar di queste spere. .
Parvemi che '1 suo viso ardesse tutto:
E gli occhj avea di letizia sì pieni,
Che passar mi convien senza costrutto.
'Dm ite UI. ' II
128 Del Paradisa
XXIII. v. 35-54-
Quale ne' pleniluni! sereni
Trivia ride tra le Ninfe eterne,
Che dipingono *1 ciel per tutti i seni,
Vid' io sopra migliaja di lucerne
Un Sol , che tutte quante 1' acceudea.
Come fa '1 nostro le viste superne :
E per la viva luce trasparea ■
La lucente sustanzia .tanto chiara
Nel viso mio, che non la sostenea,
E Beatrice, dolce guida e cara ,
. Allor mi disse : quel, che ti sobranza,
E virtù da cui nulla si ripara.
Quivi è la sapienza e la possanza,
Ch'aprì le strade tra'l cielo e la terra,
Onde fu già sì lunga desianza. '
Come fuoco di nube si disserra
Per dilatarsi sì, che non vi cape,
E fuor di sua natura in giù s'atterrà:
Così la mente mia tra quelle dape
Fatta più grande, di se stessa uscio,
E che si fesse rimembrar non sape.
Apri gli occhj e riguarda qual son'ioj
Tu hai vedute cose, . che possente
Se* fatto a sostener lo riso mio.
Io era come quei-, che si risente
Di visione obblita , e che s'ingegna
Indarno di ridurlasi alla mente *
Quando io udì' questa profferta degna
Di tanto grado j che mai non .si stingue
Del libro che'l preterito rassegna.
Canto ventesimoterzo. .123
XXIII. T . 55 - 84-
Se mo sonasser tutte quelle lingue,
Che Polinnia con le suore fero
Del latte lor dolcissimo più pingue,
Per ajutarmi, al millesmo' del vero
Non si venia cantando il santo riso,
E quanto il santo aspetto facea mero.
E così figurando il Paradiso
Convien saltar il sagrato poema, ,
Com'uom che truova suo cammìn reciso.
Ma chi pensasse il poderoso tema,
E l'omero mortai che se ne carca,
Noi biasirlerebbe se sott* esso trema.
Non è paleggio tla pic.ciola barca
, Quel, che fendendo va l'ardita prora,
Nè da nocchier eh' a se medesmo parca.
Perchè la faccia mia sì t'innamora,
Che tu non ti rivolgi al bel giardino,
Che sotto i raggi di Cristo s'infiora.?
Quivi è la rosa, in che'l Verbo Divino
Carne si fece: e quivi son li gigli,
Al cui odor s* apprese '1 buon cammino.
Così Beatrice: ed io, ch'a'suoi consigli
Tutto era pronto, ancora mi rendei
Alla battaglia de' debili cigli.
Come a raggio di Sol, che puro mei
. Per fratta nube, già prato di fiori -
Vider coperti d'ombra gli occhjmìeìi
Vid'io così più, turbe dì splendori
Fulgurati di su di raggi ardenti,
Sanza veder principio di fulgóri.
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124 ' " Del Paradiso
XXIII. v. &5
O benigna virtù , che sì gl'imprenti,
Su t' esaltasti per largirmi loco
Agli occhj lì che non eran possenti.
Il nome del bel fior, eh' io sempre invoco
E mane e sera, tutto mi ristrinse
L'animo ad avvisar lo maggior foco.
E, come ambo le luci mi dipinse
Il quale e'1 quanto della viva stella,-
Che'lassù vince come quaggiù vinse,
Perenno il ciclo scese una facella.
Formata in cerchio a guisa di corona,
E cinsela e girossi intorno ad élla.
Qualunque melodia più. dolce, suona
Quaggiù, ed a se più l'anima tira,
Parrebbe nube che squarciata tuona,
Comparata al sonar di quella lira,
Onde s'incoronava il bel zaffiro,
Del .quale il del più chiaro s'ìnzaflìra.
Io sono amore angelico , che ; giro
L'alia letizia, che spira del ventre
Che fu albergo del nostro disiro: . •
Egirerommi, Dònna del ciel , mentre
Che seguirai tuo Figlio , e farai, dia
Più la spera suprema, perchè gli entre.
Così la circulata melodia
Si sigillava, -e tutti gli altri lumi
Facean sonar il nome di MARIA.
Lo real manto di tutti i volumi
Del mondo, che più ferie e più s'avviva
Nell'alito di Dio e ne' costumi,-
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Canto ventesimoterzo. 125
XXIII. v. 115- 139.
Avea sovra di noi l' interna riva
Tanto distante, che la sua parvenza'
X-à , dov' io era, ancor non in' appariva:
Però non ebber gli occhj miei potenza
Di seguitar la coronata fiamma,
Che si levò appresso a sua semenza.
1E, come fantolin che 'n ver la mamma
Tende le braccia, poi che'l latte prese,
Per l'animo che'n fin di fuor s'infiamma,
Ciascun di quei candori in su si stese
Con la sua cima si, che l'alto affetto,
Ch'aviéno a Maria, mi fu palese.
Indi rimaser lì nel mio cospetto,
Regina cadì cantando sì dolce ,
Che mai da me non si partì'} diletto.
Oh quanta è l' ubertà che si sotfolce
In quell'arche ricchissime, che foro
A seminar quaggiù buone bobolce !
Quivi si gode e vive del tesoro,
Che s" acquistò piangendo nell' esìlio
DlBabilón, ov' egli lasciò l'oro :
Quivi trionfa sotto l'alto Filio
Dì Dìo e di Maria , dì sua vittoria
E con l'antico e col nuovo concilio ^ ,
Colui, che tien le chiavi di tal gloria.
126 Del Paradiso
Canto XXIV.
XXIV. v. 1-24.
O sodalizio eletto alla gran cena
Del benedetto Agnello, il qual vi ciba L
Sì, cìie la vostra voglia è sempre piena:
Se per grazia di Dio questi preliba Jjr
Di "quel che cade della vostra mensa, c
Anzi clie morte tempo gli prescriba ; C- ^
Ponete mente alla sua voglia immensa, C
IL foratelo alquanto: voi bevete *^
Sempre del fonte, onde vien quel eh* eipensa. (~
Così Beatrice : e quelle anime liete X
SÌ fóro spere sopra fissi poli, %.
Raggiando forte a' guisa di comete.
E , come cerchi in tempra d' oriuoli £
Si giran sì, che '1 primo a chi pon mente J-
Quieto pare, e l'ultimo che voli,
Così quelle carole differente-
mente danzando, dalla sua ricchezza
Mi si facean stimar veloci e lente.
Di quella, eh' io notai di più bellezza,
Vid'ìo uscire un fuoco si felice,.
Che nullo vi lascio di più chiarezza:
E tre fiate intorno d'i Beatrice
Si volse con un canto tanto divo,
Che la mia fantasia noi mi ridice:
DigitizGd ti/Googli
Canto ventesimoquarto. 127
XXIV. v. 25 - 54-1
Pero salta la penna , e non lo scrìvo.
Che l'immaginar nostro a cotai pieghe,
Non che '1 parlare, è troppo color vivo.
O santa suora mia , che, sì ne preghe
Divota , per lo tuo ardente affetto
Da quella bella spera mi disleghe,
Poscia , fermato il fuoco benedetto,
Alla mia donna dirizzò lo spiro,
Che favellò così com'io ho detto*
Ed ella : o luce eterna del gran viro,
A cui nostro Signor lasciò le chiavi, >
Che portò giù di questo gaudio miro,
Tenta costui de' punti lievi ©"gravi,
Come ti piace, intorno della fede,
"Per la qual tu su per lo mare andavi.
S' egli ama bene , e bene spera , e credè,
Non t'è occulto, 'perche '1 viso hai quivi
Dove ogni cosa dipinta si vede.
3YIa , perchè questo regno ha fatto crvi
Per la verace fede, a-gloriarla,
DÌ lei parlare è buon ch' a lui arrivi. .
Sì come il baccellier s'arma e non parla,
Fin cbe'l maestro la quistion propone
Per approvarla , non per terminarla ;
Così m'armava io d'ogni ragione,
Mentre eh' ella dicea , per esser presto
A tal querente c a tal professione.
Di', buon Cristiano : fatti manifesto :
Fede che è? ond'io levai la fronte
In quella luce onde spirava questo.
lag Del ParadisQ
XXIV. y. ss — Hi-
Poi mi volsi a Beatrice, eri essa pronte
Sembianze lemmi, perchè io spandessi
L'acqua di fuor del mio interno fonte.
La grazia , che pii dà, ch'io mi confessi,
Comincia' io , dall' alto priinipilo,
Faccia li miei concetti essere espressi:
E seguitai : come '1 verace stilo
Ne scrisse, padre, del tuo caro frate,
Che mise Roma teco nel buon filo,
Fede è sustanzia di cose sperate,
Ed argomento delle non parventi:
E questa pare a me sua quiditate.
Allora udii; drittamente senti,
Se bene intendi , perchè la ripose
Tra le sustanze, e poi tra gli argomenti.
Ed io appresso: le profonde cose,
Che mi largiscon qui'la lor parvenza,
Agli occhj di laggiù son sì nascose,
Che l'esser loro v* è in sola credenza j
Sovra la qual si fonda l'alta spene;
E però di sustanza prende intenza ;
E da questa credenza ci conviene
Sillogizzar senza avere altra vista:
E però intenza d'argomento tiene.
Allora udii: se quantunque s'acquista
Giù per dottrina fosse così inteso,
Non v'avria luogo ingegno di sofista;
Così spirò da quell' amore acceso:
"C'Indi soggiunse :> assai bene è trascorsa
D 1 està moneta già la lega e*l peso :
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Canto ventesimoquarto, ■ isg
XXIV. v. 85 -114.
Ma dimmi se tu l'hai nel]a tua "borsa.
Ed io: sì, l'ho sì lucida e sì tonda.
Che nel suo conio. nulla mi s'inforsa.
Appresso uscì della luce profonda,
Che lì splendeva: questa cara giòja ,
Sovra la quale ogni virtù si fonda,
Onde ti venne ? ed io : la larga ploja
Dello Spinto santo , eh' è dilFusa
In sule wecchie e 'n su le nuove cuoja,
E sillogismo, che la ini ha conchiusa
Acutamente sì, che'n verso d'ella
Ogni diniostrazion mi pare ottusa.
Io udii poi: l'antica e la novella
Proposizione , che sì ti conchiude,
Perchè .l'hai- tu per divina favella '!
Ed io: la pruova , che '1 vermi dischiude,
Son l'opere seguite, a che natura
Non scaldò ferro mai, uè hattè anemie,
Risposto fammi ; dì, chi ti assicura,
Che quell'opere fosser quel medesmo
Che vuol provarsi? non altri il ti giura.
Se'l mondo si rivolse al CrÌsti;m;'smo,
Diss'io, senza miracoli, quest'uno
È tal , che gli altri non sono'] centesmo :
Che tu entrasti povero e digiuno
In campo a seminar la huona pianta,
Che fu già vite, ed ora è fatta pruno.
Finito questo, l'alta corte santa
Risonò per le spere: un Dio lodiamo!
Nella melòde che lassù si canta.
130 Del Paradiso
XXIV. Tyi5— 144.
E quel baron , clie sì di ramo in ramo
Esaminando, già tratto in' avea,
Che all' ultime fronde appressavamo,
Ricomincio : la grazia , che donnea
Con la tua mente, la bocca t'aperse
Insino a qui, com- aprir si dovea ;
Sì ch' io appruuvo ciò che fuori emerse:
Ma or conviene esprimer quel che credi,
E onde alla credenza tua s' offesse.
O santo padre , o spirito , che vedi
Ciò che credesti, sì che tu vincesti
Ver lo sepolcro più giovani piedi,
Comincia' io : tu vuoi ch'io manifesti
La forma qui del pronto creder mio,
Ed anche la cagion. di lui chiedesti.
Ed io rispondo: credo in uno Iddio
Solo ed eterno, che tutto *1 ciel muove,
Non moto, con amore e con disio :
Ed a tal creder non ho io pur pruove
Fisice e metafisice , ma dalmi
Anche la verità che quinci piove
Ter Moisè, per profeti, e per salmi,
Per l'evangelio, e per voi che scriveste,
Poiché l'ardente spirto vi fece almi.
E credo in tre persone eterne , e queste
Credo una essenza si una , e sì trina,
Che sofferà congiunto sunt et este.
Della profonda condizìon divina,
Ch'io tocco ino , la mente mi sigilla
Fiu volte 1' evangelica dottrina.
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Canto ventesimoquarto. l$i
XXIV. v. 145-134.
Quest'è'l principio: quest'eia favilla,
Che si dilata in fiamma poi vivace,
E, come stella in cieloj, in me scintilla.
Come'l signor, eh' ascolta quel che piace.
Da indi abbraccia i) servo, gratulando
Per la novella, tosto eh' el si tace*
Così benedicendomi cantando,
Tre volte cinse me, sì com' io tacqui.
L'apostolico lume, al cui comando
Io aveà detto; sì nel dir gli piacqui.
132
Del Paradiso
Canto XXr.
, XXV. v, i-a*.
Se mai continga, che'l poema sacro,
Al quale ha posto mano e cielo S terra
Sì, che m'ha fatto per più anni ma ero,
Vinca la crudeltà, che fuor ni l serra
Del bello ovile, ov'io dormii agnello
Nimico a'iupi, che gli danno guerra »
Con altra voce ornai , con altro vello '
Ritornerò poeta, ed in sul fonte
Del mio battesmo prenderò '1 cappello:
Perocché nella fede, che fa conte
L'anime a Dio, quiv* entra' io , e poi
Pietro per lei sì mi girò la fronte.
Indi si mosse un lume verso noi
Di quella schiera, ond'uscì la primizia.
Che lasciò Cristo de'vicarj suor.
E la mia donna piena di letizia
Mi disse : mira, mira ; ecco il barone,
Per cui laggiù si visita Galizia.
Si come, quando colombo si pone
Presso al compagno, Y uno e l'altro pande
» Girando e mormorando, l 1 affezione,
Così vid'io l'un dall'altro grande
Principe glorioso essere accolto,
Laudando il cibo che lassù si prande.
Canto ventesimoquinto. 133
XXV. v. 23 - 54.
Ma, poi che*l gratular si fu assolto,
Tacito, coram me, ciascun s'affisse
Ignito sì, che vìnceva'] mio volto.
Rìdendo allora Beatrice disse :
Inclita vita , per cui la larghezza
Della nostra basilica si scrisse,
Fa risonai' la speme in questa altezza:
Tu sai che tante fiate la figuri ,
Quanto Gesù a* tre fe'più chiarezza.
Leva la testa, e fa che t'assicuri: ..
Che ciò, che vien quassù dal mortai mondo,
Convien cbua* nostri raggi si maturi.
Questo conforto del fuoco secondo
Mi venne; ond'io levai gli occhj a' monti,
Che gl'incurvaron pria col troppo pondo.
Poiché per grazia vuol , che tu t'affronti,
- Lo nostro lmperadore , anzi la morte
Nell'aula più segreta co' suoi Conti
Sì, che, veduto il ver di questa corte,
La speme, che laggiù bene innamora-*
In te ed in altrui di ciò conforte:
Dì quc-l eh' eli' è , e come se ne 'nfiora
La mente tua, e di' onde a te venne:
Così sedino *1 secondo. luine_ ancora.
E quella pia, che guidò le penne
Delle mie ali a così alto volo,
Alla risposta così mi prevenne:
La Chiesa militante alcun figliuolo
Non ha con più speranza , com'è scritto
Nel Sol che raggia tutto nostro stuolo :
Dante IH. 12
Del Paradiso
XXV. r. 5S-W.
Però gli è conceduto, clic d'Egitto
Vegna in Gerusalemme per vedere,
Anzi che'l militar gli sia prescritto.
Gli altri due punti, che non per sapere
Son dimandati, ma perch' ei rapporti
Quanto questa virtù t' è in piacere,
A lui lasc" lo : che ' non gli saran forti,
Nè di jattanzia: ed elli a ciò risponda,
E la grazia di Dio ciò gli comporti.
Come discente, eh* a dottor seconda
'Prurito e libente in quello ch'egli è spedo,
Perchè la sua bontà si disasconda;
Speme, dìss'io, è uno attender certo
Della gloria futura , che produce
Grazia divina e precedente merto:
Da molte stelle mi vien questa luce:
, Ma quei la distillò nel mio cor pria,
Che fu sommo cantor del sommo duce.
Sperino in te, nell'alta Teodia,
Dice, color che sanno'l nome tuo:
E chi noi sa, s'egli ha la fede mìa?
Tu ini stillasti con lo stillar suo
Nella pistola poi sì, ch'io son pieno.
Ed in altrui vostra pioggia rìpluò.
Mentr'io diceva, dentro al vivo seno
Di quello incendio tremolava un lampo
Subito e sp( sso a guisa di baleno :
ludi spirò :' 1' more , ond' io avvampo
Ancor ver la virtù, che mi seguette
Infin la paìma ed all'uscir del campo,
Canto ventesimo^ nìnto. J35
XXV. v. 85-iM.
Vuol eh' io respiri a te, che ti dilette
Di lei : ed emmi a grato che tu diche
Quello che la speranza ti promette.
Ed io : le nuove e le scritture antiche
Pongono il segno, ed esso lo m'addita,
Dell'anime che Dio s' ha fatte amiche.
Dicejsaia, che ciascuna vestita
Nella sua terra fia di doppia vesta,
E la sua terra è questa dolce vita.
E'1 tuo fratello assai vie più digesta •
■ Là, -dove tratta delle Manche stole,
Questa rivelazion ci manifesta.
E prima , presso '1 fin d* este parole,
Sperent in te di sopra noi s'udì,
A' che risposer tutte le caròle :
Poscia tra esse un lume si schiarì
Sì, che, se '1 Cancro avesse un tal cristallo,
L'inverno avrehbe un mese d'un sol dì.
E come surge , e va , ed entra in ballo
Vergine lieta , sol per farne onore
Alla novizia , e non per alcun fallo,
Così vid'io lo schiarato splendore
Venire a' due , che si volgeano a ruota,
Qua] conveniasi alloro ardente amore.
Mìsesi lì nel canto e nella nota :
E la mia donna in lor tenne l'aspetto,
Pur come sposa tacita ed immota.
'Questi è colui , che giacque sopra *1 petto
Del nostro 'Pellicano : e questi fue
D'in su la croce al grande uficio eletto:
12 *
135 P £ l Paradiso
XXV. v. 115-139.
La donna mia così; ne però piùe
Mosse la vista sua di stare attenta
Poscia che prima alle, parole sue.
Quale è colui, ch'adocchia e s'argomenta
Di veder eclissar lo Sole un poco,
Che, per veder, non vedente diventa;
Tal mi fec'io a quell'iiltimo fuoco.
Mentre chè detto fu: perchè t'abbagli
Per veder cosa che qui non ha loco?
In terra è terra il mìo corpo, e saragli
Tanto con gli altri, che'l numero nostro
Con l'eterno proposito s-'agguagli.
Con le due stole nel beato chiostro
Sòn le due luci sole che salirò:
E questo apporterai nel mondo vostro.
A questa voce l'infiammato giro
Si quieto conesso il dolce mischio,
.Che si fa'cea del suon nel trino spiro
Sì, come, per cessar faticalo. rischio,
Gli remi pria nell' acqua ripercossi
Tutti sì posan al sonar d'un fischio.
Ahi quanto nella mente mi commossi,
Quando mi volsi per veder Beatrice,
Per non poter vederla, bench'io fossi
Presso di lei e nel inondo felice!
Canto ventesimosesto.
137
Canto XXVI.
XXVI. v. 1-34,
Menti* io dubbiava per lo viso spento,
Della fulgida fiamma, che. lo spense,
Uscì un spiro che mi fece attento,
Dicendo: in tanto che tu ti risense
Della vista , che hai in me consunta,
Ben' è che ragionando la compense.
Comincia dunque e di', ove s'appunta
L'anima tua, e fa ragion che sia
La vista in te smarrita e non defunta:
Perchè la donna , che per questa dia
Reglon ti conduce , ha nello sguardo
La virtù ch'ebbe la man d' Anania.
Io dissi : al suo piacere e tosto e tardo
Vegna rimedio agli occlij , che fur porte,
Quand' ella entrò col fuoco, oud'io seinpr'ardo.
Lo ben , che fa contenta questa corte,
Alfa ed omega è di quanta scrittura
Mi legge amore o lievemente, o forte.
Quella medesma voce, che paura
Tolta m'avea del subito abbarbaglio,
Di ' ragionare ancor mi mise in cura-; -
E disse : certo a più angusto vaglio
Ti conviene schiarar : dicer convienti
Chi drizzò l'arco tuo a tal bersaglio.
133 Paradiso
XXVI. v. 93 - 34-
Ed io : per filosofici argomenti ,
E per autorità che quinci scende,
Cotale amor convien che'n me s'imprenti:
Che'l bene, in quanto ben, come s'intende,
Cosi accende amore , e tanto maggio,
Quanto più di bontade in se comprende.
Dunque all' essenza , ov' è tanto vantaggio.
Che ciascun ben, che fuor di lei si truova,
Altro non è che di suo lume un raggio ;
Più che in altra convien che si muova
La mente, amando, di ciascun che cerne
Lo vero in che si fonda, questa pruova.
Tal vero allo 'ntelletto mio discerne
Colui che mi dimostra il primo amore
Dì tutte le sustanze sempiterne.
Scernei la voce del verace autore,
Che dice a Moisè, di ae parlando,
Io ti farò vedere ogni valore,
Sccrnilmi tu ancora, incominciando
L'alto preconio, che grida l' arcano
Di qui laggiù sovra ad ogni alto bando.
Ed io udii: per intelletto umano,
E per autoritade a lui concorde,
De' tuoi amori a Dio guarda '1 sovrano.
Ma di'ancor se tu senti altre corde
Tirarti verso lui si, che tu suone
Con quanti denti questo amor ti morde.
Non fu latente la santa intenzione
Dell' aguglia di Cristo, anzi m'accorsi
Ove menar volea mia professione :
Canto ventesimosesto. 139
XXVI. r.ffi-M.
Però ricominciai: tutti quei morsi,
Che posson far lo cuor volgere a Dio,
Alla mia caritate son concorsi:
Che l'essere del mondo, e l'esser mio,
La morte, ch'el sostenne perch'io viva,
E quel, che spera ogni fecìel com'io,
Con la predetta conoscenza viva, '
Tratto m'hanno del mar dell' amor torto,
E del diritto in' han posto alla riva.
I,e frondi , onde s'infronda tutto l'orto
Dell'ortolano eterno, am'io cotanto,
Quanto da lui a lor di bene è porto.
Sì, com'io tacqui, un dolcissimo canta
Risonò per lo cielo, e la mia donna
Dicea con gli altri ; Santo, Santo, Santo.
E, come al lume acuto si disonna,
Per lo spirto visivo che ricorre
Allo splendor che va di gonna in gonna-,
E lo svegliato ciò che vede abborre,
Sì nescia è la subita vigilia,
Fin che la stimativa noi soccorre ;
Così degli occh) miei ogni quisquilia
Fugò Beatrice col raggio de' suoi,
Che rifulgeva più di mille mìlia :
Onde me* che dinanzi vidi poi,
E quasi stupefatto dimandai
D'un quarto lume ch'io vidi con iioi.
E la mia donna: dentro da que' rai
Vagheggia li suo fattor l'anima prima,
Che la prima virtù creasse niai.
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Del Paradisa
XXVI. v. 85 - "4-
Come la fronda , che flette in cima
Nel transito del vento , e poi si leva
. Per la propria virtù che la sublima,
Fec' io in tanto quanto ella diceva,
Stupendo , e poi mi rifece sicuro
Un disio di parlare ond'io ardevaj
E cominciai: o pomo , che maturo
Solo prodotto fosti, o padre antico,
A cui ciascuna sposa è figlia e nuro,
Devoto , quanto posso , a te supplico,
Perchè mi parli: tu vedi mia voglia;
E, per udirti tosto, non la dico.
Tal volta un animai coverto broglia
Sì', che 1' affetto convien che si paja,
Per lo seguir che face a lui la Rivoglia
E similmente l'anima primaja
Mi facea trasparer per la coverta
Quant'ella a compiacermi venia gaja.
Indi spirò : sena' essermi profferta
Da te la voglia tua , discerno meglio,
Che tu, qualunque cosa t'è più certa .
Perch'io la veggio nel verace speglio
Che fa di se pareglie all'altre cose,
E nulla face lui di se pareglio.
Tu vuoi udir quant' è che Dio mi pose
Nell'eccelso giardino , ove costei
- A così lunga scala ti dispose :
E quanto fu diletto agli occhj miei,
E la propria cagion del gran disdegno
E l'idioma ch'io usai e fei.
Canta ventesimosesto.
XXVI. v. 115 — 143.
Or , fìgliuol mio , non il gustar del legno
Fu ner se la caglon di tanto esilio,
Ma solamente il trapassar del segno.
Quindi, onde mosse tua donna Virgilio,
Quattromila trecento e due volumi
Di Sol desiderai questo concilio :
E vidi lui tornare a tutti i lumi
Della sua strada novecento trenta
Fiate , mentre eh* io in terra fumi.
La lingua, ch'io parlai, fu tutta spenta
Innanzi che all' ovra inconsumabile
Fosse la gente di Nembrotte attenta :
Che nullo effetto mai rnziocinabile (
Per lo piacere uman che rinnovella,
Seguendo '1 cielo, sempre fu durabile.
Opera naturale è ch'uom favella:
Ma così o così , natura lascia
Poi fare a voi secondo che v'abbella.
Pria eh' io scendessi all'infernale ambascia, 1
El s'appellava in terra il sommo Bene,
Onde vienla letizia che mi fascia:
ELI si chiamo poi: e ciò conviene :
Che l'uso de' mortali è come fronda
In ramo, che sen* va, ed altra viene.
Nel monte, che si leva più dall'onda,
Fu' io con Vita pura e disonesta
Dalla prim* ora a quella, eli' è seconda,
Come'l Sol muta quadra, all'ora sesta.
1^2 Del Paradise ■
Canto XXm.
xxvir. v. 1-34. /
Al Padre, al Figlio, allo Spirito santo
Cominciò gloria tutto '1 Paradiso
Si, che m* innebbriava- il dolce canto.
Ciò, ch'io vedeva, mi sembrava un riso
Dell'universo ; perchè mia ebbrezza
Entrava per l'udire e per lo viso.
O gioja! o ineffabile allegrezza!
O vita intera d'amore e di pace!
O sanza brama sicura ricchezza!
Dinanzi agli occhj miei le quattro face
Stavano accese, e quella, che pria venne,
Incominciò a farsi più vivace:
E tal nella sembianza sua divenne,
Qual diverrebbe Giove, s'egli e Marte
Fossero augelli e cambiassersi penne.
La provedenza, che quivi comparte
Vice ed oificio , nel beato coro
Silenzio posto avea da ogni parte,
Quand'io udi' : se io mi trascoloro,
Non ti maravigliar: che, dicend' io,
"Vedrai trascolorar tutti costoro.
Quegli, ch'usurpa in terra il "luogo mio,
Il luogo mio, luogo mio; che vaca
Nella presenza del Figliuol di Dio,
Canto veritesimosettìmo. 143
XXVII. v. 6$
Fatto ha del cimiterio mio cloaca
Del sangue e della puzza, onde'l perverso,
Che cadde di quassù , laggiù si placa.
Di quel color, che per Io Sole avverso
, Nube dipinge da sera e da mane,
Vid'io allora tutto '1 ciel cosperso.
E, come donna onesta che permane
Di se sicura, e per l'altrui fallanza,
Pure ascoltando timida si tane,
CosìBeatrice trasmutò sembianza:
E tale eclissi credo che'n eie! fue
Quando patì la suprema possanza:
Poi procedetter le parole sue
Con voce da se tanto transmutata,
Che la sembianza non si mutò piùe:
Non fu la sposa dì Cristo allevata
Del sangue mio , di Lia , di quel di Cleto,
Per essere ad acquisto d'oro usata:
Ma per acquisto d'esto viver lieto
E Sisto, e Pig, Calisto, ed Urbano
Sparser lo sangue dopo molto fleto.
Non fu nostra intenzion ch'a destra mano
De 1 nostri successor parte sedesse^
Parte dall'altra del popol Cristiano:
Nè che le chiavi, che mi fur concesse,
Divenisse! segnacolo in vessillo
Che contra i battezzati combattesse:
Ne eh' io fossi figura di sigillo
A' privilegi venduti e mendaci,
Ond'io sovente arrosso e disfavillo.
1^4 Paradiso
XVII.v.
In veste di pastor lupi rapaci
Si veggion dì quassù per tutti i paschi.
O difesa di Dìo, perchè pur giaci!
Del sangue nostro Caorsini e Guaschi
S* apparecchian di bere: o buon principio,
A che vii fine cóuvien che tu caschi !
Ma l'alta providenza, che con Scipio
Difes,e a Roma la gloria del mondo,
Soccorra tosto sì coiti 1 io concipio :
E tu, figliuol , che per Io mortai pondo
Ancor giù tornerai, apri labocca,
E non asconder quel ch'io non ascondo.
Sì, come di vapor gelati fiocca (
In giuso 1' aer nostro , quando '1 corno
Della Capra del ciel col Sol si tocca,
In su vid' io così 1' etera adorno
Farsi, e fioccar di vapor trionfanti,
Che fatto avean con noi quivi soggiorno.
Lo viso mio seguiva i suo* sembianti,
E seguì fin che '1 mezzo per lo molto
Gli tolse *1 trapassar del più avanti:
Onde la donna , che mi vide assolto
Dell' attendere in su , mi disse : adima
Il viso, e guarda come tu se' volto.
Dall'ora, ch'io avea guardato prima,
Io vidi mosso me per tutto l'arco,
Che fa dal mezzo al fine il primo clima,
Sì, ch'io vedea di là da Gade il varco
Folte d'Ulisse, é di qua presso il lito,
Nel qual si fece Europa dolce carco :
r~ Ganto ventesìmosettimo. 143
XXVII. v. 83 - «4.
E più mi fora discoverto il sito
Di questa ajuola; ma'] Sol procedea , ' '
Sotto i miei piedi un segno e più partito.
La mente innamorata, che donnea
Con la mia donna sempre, di ridure ■
Ad essa gli'occhj-più che mai ardea.
E se natura o arte fe' pasture
Da pigliare occhj per aver la mente,
In carne umana o nelle sue pinture,
Tutte adunate parrebber niente
Ver lo piacer divini, che mi rifulse
Quando mi volsi al suo viso ridente.
E la~ virtù, che lo sguardo m'indulse,
Del bel nido di Leda mi divelse,
E nel- ciel velocissimo m'impulse.
Le parti sue vivissime ed eccelse
Sì uniformi son , ch'io non co dire
Qua! Beatrice per luogo mi scelse-
Ma ella, che vedeva il mio disire, ■ .
Incominciò ridendo tanto lieta,
Che Dio parea nel suo viso gioire:
La natura del moto, che quieta
Il mezzo, e tutto l'altro intorno muove,
Quinci -comincia come da sua meta.
E questo cielo non ìia altro dove,
Che la mente divina , in che s'accende
L' amor che '1 volge , e la virtù eh' eì piove.
Luce; ed amor d'un cerchio lui comprende
Sì, come questo gli ' altri , e quel precinto
Colui, che '1 cinge, solamente intende.
Drente IJ1. I?
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146 Del Paradiso
XXVII. v. 115 -144.
Non è suo moto per altro distinto :
Ma, gli altri son misurati da questo,
Sì come diece da mezzo e da quinto.
E, come'l tempo tenga in cotal testo
Le sue radici, e negli altri le fronde,
Ornai a te puot' esser manifesto.
O cupidigia, che i mortali affonde
Sì sotto te , che nessuno ha podere
Di trarre gli ocehj fuor delle tue onde!
Ben fiorisce negli uomini '1 volere :
Ma la pioggia continua converte
In bozzacchioni le susine vere.
Fede ed innocenzia son reperte-
Solo ne* pargoletti : poi ciascuna
Pria fugge che le guance sien coperte.
Tale , balbuziendo , ancor digiuna,
Che poi divora con la lingua sciolta
Qualunque cibo per qualunque luna :
E tal balbuziendo ama ed ascolta. •
La madre sua , che con loquela intera'
Disia poi di vederla sepolta.
Così si fa la pelle bianca nera
Nel primo aspetto della bella figlia
Di quei, ch'apporta mane e lascia sera.
Tu , perchè non ti facci maraviglia,
Sappi che'n terra non è chi governi;
Onde si svia l'umana famiglia. .
Ma prima che Gennajo tutto sverni,
Per la centesma , eh' ìì laggiù negletta,
Huggeran sì questi cerchi superni,
Canto ventesimosettimo.
XXVri. v. 145-14B.
Che la fortuna, che tanto s'aspetta,
Le poppe volgerà u'son le prore
Sì, che la classe correrà diretta:
E vero frutto verrà dopo'liìore.
T48
Del Paradiso
Canto XXVXU.
xxvur. v. 1 — 34.
Poscia che contro alla vita presente
De' miseri mot tali aperse il vero
Quella che 'mp ara (lisa la mia mente;
Come in ispecchio fiamma di doppiefo
Vede colui, che se n'alluma dietro,
Prima che l'abbia in vista od in pensiero >
E se rivolve per veder se'l vetro
IA dice il vero, e vede eh' ci s'accorda
Con esso come nota con suo metro;
Cos'i la mia memoria si ricorda
Ch'io feci, riguardando ne 1 "begli occhj,.
Onde a pigliarmi fece amor la corda:
E, coni' io mi rivolsi , e furori tocchi
Li miei da ciò che pare in quel volume,
-. Quandunque nel suo giro ben s'adocchi,
Un punto vidi che raggiava lume
Acuto si, che'] viso, ch'egli affuoca,
Chiuder conviensi perio forte acume:
E quale stella par quinci più poca,
Parrebbe Luna, locata con esso,
Come stella con stella si colloca.
Forse cotanto , quanto pare appresso
Ilalo cigner. la Juce chfil dipigne,
, Quando '1 vapor, che*] porta, più è spesso,
Canto ventesimottavo. 149
XXVIII, v. 25 — 54.
Distante intorno al punto un cerchio d'igne
Si girava sì ratto , eh' avria vinto
Quel moto, che più tosto il mondo cigne;
E questo era d'un altro circuncinto,
E quél dal terzo, e '1 terzo poi dal quarto,
Dal quinto '1 quarto, e poi dal sesto il quinto-.
Sopra seguiva il settimo sì sparto
Già di larghezza, che'l messo di Juno
Intero a contenerlo sarebbe arto :
Così l'-ottavo , e '1 nono: e ciascheduno
Più tardo si movea , secondo ch'era
In numero distante più dall'uno:
E quello avea la fiamma più sincera,
Cui men distava la favilla pura,
Credo perocché più dj lei s'invera.
La donna mia, che mi vedeva in cura
Forte sospeso, disse: da quel punto
Depende il cielo e tutta la natura.
Mira quel cerchio che più gli è congiunto,
E sappi, che'l suo muovere è sì tosto
Per l'affocato amore, o'nd' e,gìi è punto.
Ed io a lei: se '1 mondo fosse posto
Con l'ordine, ch'io veggio in quelle mote,
Sazio m'avrebbe ciò che m'è proposto:
Ma nel mondo sensibile si puote
Veder le cose tanto più divine,
Quant' elle son dal centro più remote.
Onde, se'l mio disio dee aver fine
In questo miro ed angelico tempio,
Che solo amore c luce ha per confine 1
150 Del Paradiso
XXVIII, v. SS — 84.
Udir convienimi ancor, come l'esemplo
E 1' esemplare non vanno d'un modo;
Che io per me indarno a ciò contemplo.'
Se li tuoi diti non sono a tal nodo
Sufficienti, non è maraviglia,
Tanto per non tentare è fatto sodo;
Cosi la donna mia; poi disse: piglia
Quel ch'io ti dicerò, se vuoi saziarti,
' Ed intorno da esso t'assottiglia.
Li cerchi corporali euno ampj ed arti -
Secondo '1 più e'1 men della vii tute,
Clie si distende per tutte lor parti.
Maggior bontà vuol far maggior salute:
Maggior salute maggior corpo cape,
S'egli ha le parti ugualmente compiute.
Dunque costui, che tutto quanto rape
L'alto universo seco, corrisponde
Al derchio che più ama e che'più sape.
Perchè se tu alla virtù circpnde
La tua misura , non alla parvenza
Delle sustanje che t'appajon tonde,
Tu vedersi mirati! convenenza
Di maggio a piiie, e di minore a meno,
In ciascun cielo , a sua intelligenza.
Come rimane splendido e sereno
L'emisperò dell'aere, quando soffia
Borea dalla guancia ond' è più leno ;
Perchè si purga , e risolve la roffia,
Che pria turbava sì, che '1 ciel ne ride
Con le bellezze d'ogni aua parrofEa ;
Canto ventesimottavo. 151
XXvni. v. 85— li*.
Così fec'io poi che mi provvide-
La donna mia del suo risponder chiaro» 1
E come stella in cielo il ver si vide.
E, poi che le parole sue ristarò»
Non altrimenti ferro disfavilla
Che bolle, come i cerchj sfavillaro.
Lo'ticendio lor seguiva ogni scintilla ;
Ed eran tante, che'l numero loro
Più che'l doppiar degli scacchi s'immilla.
Io sentiva osannar di coro in coro
Al punto fisso , che gli tiene agli uhi,
È terrà sempre, ne* quai sempre foro:
E quella, che vedeva i pensier dubj
Nella mia mente, disse: i cerchj primi
T'hanno mostrato Serafi. e Cherùbi.
Così veloci seguono i suoi vimi,
Per somigliarsi al punto quanto ponno,
E posso» quanto a veder son sublimi.
Quegli altri amor, che dintorno gli vonno,
Si chiaman Troni del divino aspetto,
Perchè. '1 primo ternaro termtnonno,
E dei saper che tutti jbanno diletto,
Quanto la sua veduta si profonda
Nel vero , in che si quéta Agni intelletto.
Quinci si pub veder, come sUfonda
L'esser beato nell'atto che vede,
Non in quel ch'ama, che poscia seconda :
E del vedere è misura mercede,
Che grazia partorisce e buona voglia;
Cosi di grado in grado si procede.
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Del Paradiso
XXVIIL v. 115-139. """^S
L'altro ternaro, che così "germoglia
In questa primavera sempiterna,
Che notturno Ariete non dispoglia,
Perpetualemente , osanna sverna
Con tre melòde, che suonano in tree
Ordini di letìzia onde s'interna.
In essa gerarchia son le tre Dee,
Prima Dominazioni, e poi Virtudx :
L'ordine terzo di Podestadi ee.
Poscia ne' due penultimi tripudj
Principati ed Arcangeli si girano:
L'ultimo è tuffo d'angelici ludi.
Questi ordini di su tutti s'ammirano,
E di giù vincon sì, che verso Iddio
Tutti tirati sono e tutti tirano.
E Dionisio con tanto disio
A contemplar questi ordini si mise, ■
Che li nomo, e distinse com'io.
JVTa Gregorio da lui poi si divise:
Onde, sì tosto come gli occhj aperse
In questo ciel , di se medesmo rise.
E , se tanto segreto ver profferse '
Mortale ih terra, non voglio ch'ammiri :
Che chi'l vid% fjaa su gliel discoverse,
Con altro assai^del ver di questi giri.
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Canto ventesimonono.
153
Canto XXIX.^
XXIX. v. 1 — 27.
Quando ambedue li figli di Latona
Coperti del Montone e della Libra *
Fanno dell' orizzonte insieme- zona,
Quant'è dal punto che H tiene in libra,
Infin che Y uno e 1' altro Via quel cinto
Cambiando l'emisperio sì dilibra,
Tanto col volto di riso dipinto
Si tacque Beatrice riguardando
Fisso nel punto che m'aveva. vinto :
Poi cominciò: io dico, e non dimando
Quel che tu vuoi udir, perch'io l'ho visto
Ove s'appunta ogni ubi e ogni quando.
Non per avere a se di bene acquisto,
Ch'esser non può, ma perchè suo splendore
Potesse risplendendo dir: sussisto.
In sua eternità di tempo fuore,
Fuord'ogni al troconiprender,com'ei piacque,
S' aperse in nuovi amor 1' eterno, amore.
Nè prima quasi torpente si giacque:
Che nè prima, ne poscia procedette
Lo discorrer di Dio sovra quest'acque.
Forma e materia congiunte e purette
Uscirò ad atto che non avea fall.Oj
Come (V arco tricorde tre saette :
E , come in vetro , in ambra , od in cristallo
■ ftaggio risplende sì, che dal venire
All'esser tutto non è intervallo,
154 Del Paradiso
xxix. v. sa— 57.
CosV'1 triforme effetto dal suo BÌre
Neil' esser suo raggiò insieme tutto
Sanza dìstinzion nell' esordire.
Concreato fu ordine .e costrutto
* Alle sustanzie, e quelle furon cima
Nel mondo , in che puro atto fu produrli
Pura potenzia tenne la parte ima :
Nel mezzo strinse potenzia con atto
Tal vìme, che'giammai non si divima.
Jeronimo vi scrisse lungo tratto
De' secoli degli angeli creati ,
Anzi che l'altro mondo fosse fatto.
Ma questo vero è scritto in molti lati
Dagli scrittor dello Spirito santo:
E tu lo vederai , se bene aguati.
Ed anche la ragione il vede alquanto,
Che non concederebbe , che i motori
Sanza sua perfezion fosser cotanto.
Or sai tu dove e quando questi amori
Furon creati e come; si che spenti
Nel tuo disio già sono tre ardori. - " .
Ne giugneriesi, numerando, al venti
Sì tosto , come degli angeli parte
Turbò'] suggetto de' vostri elementi.
L'altra rimase, e cominciò quest' arte,
Che tu discerni, con tanto diletto,
Che mai da circuir non si diparte.
Principio del cader fu il maladetto
Superbir di colui, che tu vedesti
Da tutti i pesi del mondo costretto.
Canto ventesimonono. 155
XXIX. .V. S8-87.
Quelli , che vedi qui , furori modesti
A riconoscer se della bontate,
Che gli- area fatti a tanto intender presti:
Perchè le viste lor furo esaltate
Con grazia illuminante e con lor raerto
Sì, ch'hanno piena e ferma volontate.
E non voglio che dubbi, ma sie certo,
Che ricever la grazia è meritóro,
Secondo che l'affetto l'è aperto.
Ornai dintorno a questo consistoro *
Puoi contemplare assai, se le parole
Mie son ricolte, senz'altro ajutoro.
Ma, perchè in terra per le vostre scuole
Si legge che 1' angelica natura
E tal, che'ntende, e si ricorda, e vuofle;
Ancor dirò , perchè tu veggi pura
La verità, che laggiù si confonde,
Equivocando in sì fatta lettura.
Queste austanze, poiché fur gioconde
Bella faccia di Dio, non volser viso
Da essa , da cui nulla si nasconde :
Però non hanno vedere interciso
Da nuovo ohbietto, e però non bisogna
Rimemorar per concetto diviso.
Sì che laggiù non dormendo si sogna,
Credendo e non credendo dicer vero : 1
Ma nell'uno è più colpa e più vergogna.
Voi non andate giù per un sentiero,
Filosofando; tanto vi trasporta
L'amor dell'apparenza e'1 suo pensiero.
156
Del Paradiso
Ed ancor questo quassù si comporta
Con men disdegno, che quando è posposta
La divijia Scrittura, o quando è torta.
Non vi si pensa quanto sangue costa
Seminarla nel mondo, e quanto piace
Chi umilmente con essa s' accosta.
Per apparer ciascun s'ingegna,, e face
Sue invenzioni, e quelle son trascorse
Da' predicanti, e.'J Vangelio si tace.
*Un dice , che la Luna si ritorse
Nella passion di Cristo, e s'interpose,
Perchè '1- lume del Sol giù non si porse:
Ed altri, che la luce si nascose
Da se: però agl'Ispani e agl'Indi,
Come a' Giudei, tale eclissi rispose.
Non ha Firenze tanti Lapi e Bindi,
Quante sì latte favole per anno
In pergamo si gridati quinci e quindi :
Sì ( che le pecorelle', che non sanno, £
Tornan dal pasco pasciute di vento, J^,.
E non le scusa non veder lor danno.
Non disse Cri s to' al suo primo convento:
Andate e predicate al mondo ciance,
Ma- diede lor verace fondamento :
E quel tanto sonò nelle sue guance
Sì, eh' a pugnar per accender la fede ,
Dell' Evangelio fero scudi e lance.
Ora si va con motti e con iscede
A predicare , e pur che -ben si rida,
Gonfia il cappuccio, e più non si-iichiede.
Canto ventesimonono.
xxdc. v. n8 — 145.
Ma tale uccel nel becchetto s'annida,
Che, se'l volgo il vedesse, non torrebbe
La perdonanza , di che si confida.
Per cui tanta stoltezza in terra «rebbe,
Che sanza pruova d'alcun testimonio
Ad ogni promission si converrebbe.
Di questo 'ngrassa il porco sant' Antonio,
Ed altri assai , che son peggio che porci,
Pagando di moneta sanza conio.
Ma, perchè sem digressi assai, ritorci
Gli occhj oramai verso la. dritta strada
Sì , che la via col tempo si raccorci.
Questa natura sì oltre s'ingrada
In numero, che mai non fu loquela,
Ne concetto mortai che tanto vada.
E, se tu guardi quel che si rivela
Per Daniel , vedrai che'n sue migliaja
Determinato numero si cela.
La prima luce , che tutta la raja,
Per tariti modi in essa si ricepe,
Quanti son gli splendori, a che s'appaja.
Onde, perocché all'atto che conccpe
Segue 1' affetto , d'amor la dolcezza
Diversamente in essa ferve e tepe,
Vedi l'eccelso ornai e la larghezza
Dell' eterno valor, poscia chetanti
Speculi fatti s'ha, in the si spezza,
Uno manendo in se come davanti.
Dante III.
14
Ijg Del Paradiso
€anto XXX.
XXX. v. I — O».
Forse semila miglia di lontano
Ci ferve l'ora sesta, e questo mondo
China già 1* ombra quasi al letto piano,
Quando '1 mezzo del cielo a noi profondo
Comincia a farsi tal , che alcuna stella
Perde '1 parere infino a questo fondo:
E, come vien la chiarissima ancella
Del Sol più oltre, così'l ciel si chiude
Di vista in vista infine alla più bella ;
Non altrimenti '1 trionfo, che lude
Sempre dintorno al punto che mi vinse,
Parendo inchiuso da quel che egli inchiude,
A poco a poco al mio veder si stinse:
Perchè tornar con gli occhj a Beatrice,
Nulla vedere ed amor mi costrinse.
Se quanto infino a qui di lei si dice
Fosse conchiuso tutto in una loda,
Poco sarebbe a fornir questa vice.
La bellezza , eh' io vidi , si trasmoda
Non pur di là da noi , ma certo io credo,
Che solo il suo fattor tutta la goda.
Da questo passo vinto mi concedo
Più che giammai da punto di suo tema
Suprato fosse comico o tragedo.
Canto trentesimo.
XXX. v. OS-».
Che, come Sole il viso che più trema,
Così lo rimembrar del dolce riso
JLa mente mia da se medesima scema.
Dal primo giorno ch'io vidi'l suo viso
In questa vita, insino a questa vista,
Non è'1 seguire al mio cantar preciso,:
Ma or convien , che '1 mio seguir desista
Più dietro a sua bellezza poetando,
Come all'ultimo suo ciascuno artista.
Cotal , qual' io la lascio a maggior bando
Che quel della mìa tuba , che deduce
L'ardua sua materia terminando,
Con atto e voce di spedito duce
Ricominciò : noi semo usciti fuore
Del maggior corpo al eie! eh* è pura luce;
Luce intellcttual piena d' amore,
Amor di vero ben pien di letizia,
Letizia che trascende ogni dolzore.
Qui vederai l'uria e l'altra milizia
DÌ Paradiso, e l'una in quegli aspetti
Che tu vedrai a^' ultima" giustizia.
Come subito lampo , che discetti v
Gli spiriti visivi sì che priva
Dell'atto l'occhio de' più forti abbietti :
Così mi circonfulse luce viva,
E lasciommi fasciato di tal velo
Del suo fulgor, che nulla m' appariva.
Sempre l'amor, che queta questo cielo.
Accoglie in se con si fatta salute,
Per far disposto a sua fiamma il candele.
ì6o Del Paradiso
XXX. T. 53 - 84-
Non fur più tosto dentro a me venute
Queste parole brievi, ch'io compresi
Me sormontar di sopra a mia virtute :
E di novella vista mi raccesi ■
Tale, che nulla luce è tanto mera,
Che gli occhj miei non si fosser difesi ;
E vidi lume in Forma di riviera
Fulvido di fulgóri, intra due rive
Dipinte di mirabìl primavera.
Di tal fiumana uscian faville vive,
E d'ogni parte si mettean ne' fiori,
Quasi rubin che oro circonscrive.
Poi, come inebriate dagli odori,
Ripròfondavan se nel miro gurge,
E, s'una entrava, un'altra n'uscia fuori.
L'alto disio , che mo t'infiamma ed urge,
D'aver notizia di ciò che tu vei,
Tanto mi piace più quanto più turge.
Ma di quest'acqua convien che tu bei
Prima che tanta sete in te si sazii:
Così mi disse '1 Sol degli occhj miei :
Anche soggiunse : il fiume , e li topazi!,
Ch'entran ed escon , e'1 rider dell'erbe
Son di ÌQf vero ombriferi prefazii :
Non che da se sien queste cose acerbe :
Ma è il difetto dalla parte tua,
Che non hai viste ancor tanto superbe.
Non è fantin che sì subito rua
Col volto verso il latte, se si svegli
Molto tardato dall'usanza sua, ~~
Canto trentesimo.
XXX. v. B3 — «J.
Come fec' io per far migliori speglj
Ancor degli occhj , chinandomi all'onda
Che si deriva, perchè vi 3* immegli.
E , sì cpme di lei bevve la gronda
Delle palpebre mie , così mi parve
DÌ sua lunghezza divenuta tonda.
Poi , come gente stata sotto larve,
Che pare altro che prima , se si sveste
La sembianza non sua in che disparve :
Così mi si cambiàro in maggior feste
Là nori e le faville sì, ch'io vidi
Ambo le corti del ciel manifeste.
O isplendor di Dio, per cu' io vidi
L'alto trionfo del regno- verace.
Dammi virtude a dir com'io lo vidi.
Lume è lassù che vistile face
Lo Creatore a quella creatura
Che solo in lui vedere ha la sua pace :
E si distende in circular figura
In tanto, che la sua circonferenza
Sarebbe al Sol troppo larga cintura.
Fassi di raggio tutta sua parvenza,
Reflfsso al sommo del mobile primo,
Che prende quindi, vivere e potenza : '
E, come clivo in acqua di suo imo
Si specchia quasi per vedersi adorno,
Quanto è nell'erbe e ne' fioretti opimo,
Sì soprastando al lume intorno- intorno
Vidi specchiarsi in più di mille soglie,
Quanto da noi lassù fatto ha ritorno.
I()2 Del Paradiso
XXX. v. «5—144.
E, ae l'infimo grado in se raccoglie
Sì grande lume , quant' è la larghezza
Di questa rosa nell'estreme foglie?
La vista mia nell'ampio e nell'altezza
Non si smarriva , ma tutto prendeva
Il quanto e'1 quale di quella allegrezza.
Presso e lontano lì nè pon , ne leva :
Che , dove Dio senza mezzo governa,
La legge naturai nulla rilieva.
Nel giallo della rosa sempiterna,
Che si dilata, rigrada, e ridole
Odor di lode al Sol , che sempre verna,
Qual è colui che tace e dicer vuole,
Mi trasse Beatrice, e disse: mira .
Quanto è'1 convento delle bianche stole ;
"Vedi nostra città quanfcp ella gira;
Vedi li nostri scanni sì ripieni,
Che poca gente ornai ci si disira.
In quel gran seggio, a che tu gli occhj tieni,
Per la corona che già v' è su p.osta,
Primachè tu a queste nozze ceni
Sederà l'alma, che ria giù augosta
Dell'alto Arrigo , eh* a drizzare Italia
"Verrà in prima eh 1 ella sia disposta.
La cieca cupidigia, che v' ammalia,
Simili fatti v'ha al fantolino,
Che muor di fame e caccia via la balìa;
E fia prefetto nel foro divino
Allora tal , che palese e coverto
Non anderà con lui per un cammino.
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Canto trentesimo.
XXX. v. 143— IJ8.
Ma poco poi sarà da Dio sofferto
Nel santo officio : eh' el sarà detruso
, Là dove Simon mago è per suo merto,
E farà quel d' Alagna esser più gìuso.
Del Paradiso
Canto XXXI.
XXXI. V. I— 9J.
In forma dunque ài candida rosa
Mi si mostrava la milizia santa,
Che nel suo sangue Cristo fece sposa.
jVIa l'altra, che volando vede e canta
La gloria di colui che l'innamora,
E la bontà che la fece cotanta;
Sì come schiera d'api che s'infiora
Una fiata , ed altra si ritorna
Là, dove il suo lavoro s'insapora,
Nel gran fior discendeva, che s'adorna
Di tante foglie, e quindi risaliva
Là, dove il suo amor sempre soggiorna.
Le facce tutte avean di fiamma viva,
E l'ali d'oro, e l'altro tanto bianco,
Che nulla neve a quel termine arriva:
Quando scendean nel fior di banco in banco,
Porgevan della pace e dell'ardore,
Ch'ellt acquistavan ventilando '1 fianco.
Nè l'interporsi tra'l disopra e'1 fiore
Di tanta plenitudine volante
Impediva la vista e lo splendore: m-
. Che la luce divina è penetrante
Per l'universo, secondo eh* è degno,
Sì che nulla le puote essere ost.-.iite.
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Canto trentesimo-primo. 165
XXXI. v. as- 54-
Questo sicuro e gaudioso tegno,
Frequente in gente antica ed in novella,
Viso ed amore avea tutto ad un segno.
O trina luce, che in unica stella
Scintillando a lor vista sì gii appaga,
Guarda quaggiuso alla nostra procella.
Se i Barbari venendo da tal plaga,
Che ciascun giorno d'Elice si cuopra
Rotante col suo figlio ond'ella è vaga,
Veggendo Roma e l'ardua sua opra
Stupefaceansi, quando Laterano
Alle cose mortali andò di sopra;
Io, che era al divino dall'umano,
Etf all' eterno dal tempo venuto,
E di Fiorenza in popol giusto e sano,
DÌ che stupor dovea esser compiuto !
Certo tra esso e il gaudio mi facea
Libito non udire, e starmi muto.
E, quasi peregrin che si ricrea
Nel tempio del suo voto riguardando,
E spera già ridir coni' egli stea,
Si per la Viva luce passeggiando
nava io gli occhj per li gradi
su, or giù, ed or ricirculando.
E vedea visi a carità suadi
D'altrui lume fregiati e del suo riso,
E d'atti ornati di tutte onestadt.
La forma general di Paradiso
Già tutta il mio isguardo avea compresa,
In nulla parte ancor fermato fiso ;
166
Del Paradiso
E volgeami con vaglia riaccesa
Per dimandar la mia donna di cose,
Di $he la inente mia era sospesa.
Uno intendeva , ed altro mi rispose :
Credea veder Beatrice, e vidi un sene
Vestito con le genti gloriose.
Diffuso era per gli occbj e per le gene
Di benigna letizia in atto pio,
Quale a tenero padre si conviene.
Ed, ella ov'è? di subito diss'io.
Ond* egli : a terminar lo tuo disiro
Mosse Beatrice me del luogo mio:
E, se riguardi au nel terzo giro
Del sommo grado , tu la rivedrai „
Nel trono, che i suoi inerti la sortirò.
Senza risponder gli occhj su levai^
E vidi lei che si facea corona.
Riflettendo da se gli eterni raii
Da quella region , che più su tuona,
Occhio mortale alcun tanto non dista,
Qualunque in mare più giù s'abbandona,
Quanto da Beatrice la mia vista:
Ma nulla mi facea; che sua effige .j»
Non discendeva a me per muzzo mista, -
O donna, in cui la mia speranza vige, „.
E che soffristi per la mia salute
In Inferno lasciar ]e tue vestige;
Di tante cose, quante io ho vedute,
Dal tuo podere e dalla tua bontate
Riconosco la grazia e la viitute.
Canto treniesimoprimo. 1^7
XXXI. v. 85 -"4-
Tu m'hai di servo tratto a liberiate
Per tutte quelle vie , per tutt' i modi,
Che di ciò fare avei la potestate.
La tua magnificenza in me custodi,
Sì che l'anima mia, che fatta hai sana,
Piacente a te dal corpo si disnodi:
Così orai, e quella sì lontana,
Come parea , sorrise e riguardommii
Poi si tornò all' eterna fontana.
£'1 santo sene: acciocché tu assommi
Perfettamente, disse, il tuo cammino,
■ A che priego ed amor santo mandommì,
Vola con gli occhj per questo giardino:
Che veder lui t'accenderà lo sguardo
Più a montar per lo raggio divino.
E la Regina del ciel, ond 1 io ardo
Tutto d'amor, ne farà ogni grazia,
Perocch' io sono il suo fe del- Beni ardo.
Quale è colui, che forse di Croazia
Viene a veder la Veronica nòstra.
Che per l'antica fama no» si sazia.
Ma dice nel pensier, fin ch'e si mostra,
Signor mio GIKSL 1 CfUSTO Iddio verace,
Or fu sì fatta la sembianza vostra?
Tale era io mirando la vivace
Carità di colui, che'n questo mondo
Contemplando gustò di quella pace.
Figliuol di grazia , questo esser giocondo,
Cominciò egli, non ti sarà noto
Tenendo gli occhj pur qusggiuso al fondo:
ióS
Del Paradiso
XXXI. v. 115-148.
Ma guarda i cerchj fino al più rimoto,
Tanto che veggi seder la Regina
Cui questo regno è suddito e divoto.
Io levai gli occhj ; e , come da mattina
La parte orientai dell' orizzonte
Soverchia quella dove'l Sol declina,
Così, quasi di valle andando a monte,
Con gli occhj vidi parte nello stremo
Vincer di lume tutta l'altra froute.
E , come quivi ove s'aspetta il temo
Che mal guido Fetonte, più s'infiamma
E quinci e quindi il lume si fa scemo;
Così quella pacifica Oriafiamma
Nel mezzo s'avvivava, e d'ogni parte
Per igual modo allentava la fiamma.
Ed a quel mezzo con le penne sparte
Vid' io più di mille angeli festanti,
Ciascun distìnto e di fulgóre e d' arte,
Vidi quivi a' lor giuochi ed a' lor canti
Ridere una bellezza, ché letizia
Era negli occhj a tutti gli altri santi.
E, s'io avessi in dir tanta divizia,
Quanto ad immaginar, non ardirei
Lo minimo tentar di sua delizia.
Bernardo, come vide gli occhj mìei
■ Nel caldo suo calor fissi ed attenti,
Gli suoi con tanto all'etto volse* a lei,
Che i miei, di rimirar fe'più ardenti.
Canto trentesimosecondo.
Canto XXXII.
XXXII. v. 1 — 34.
Affetto al suo piacer quel contemplante
Liberio officio dì dottore assunse,
E cominciò queste parole sante:
La piaga che Maria richiuse ed unse,
Quella eh' è tanto bella da' suoi piedi,
È colei che I' aperse e che la punse.
Nell'ordine, che fanno i terzi sedi,
Siede Rachel di sotto da costei
Con Beatrice, sì come tu vedi.
Sarra, Rebecca, Judit, e colei,
Che fu bisava al Cantor che per doglia
Del fallo disse Mtserere mei,
' Puoi tu veder così di soglia in soglia
Giù digradar, coni' io eh' a proprio nome
Vo per la rosa giù di foglia in foglia,
E dal settimo grado in £iù , sì come
Insino ad esso, succedono Ebree,
Dirimendo del fior tutte le chiome:
Perchè, secondo lo sguardo che fee
La fede in Cristo, queste sono il muro
A che si partorì le sacre scalee.
Da questa parte, onde'l fiore è maturo
Di tutte le sue foglie, sono assisi
Quei, che credettero in Cristo venturo.
Z>anie HI. 1$
iyo Del Paradiso
xxxir. V.95-S1.
Dall' altra parte , on rie sono intercisi
Di voto i semicircoli , si stanno
Quei, eh 1 a Cristo venuto ebber li visi.
E , come quinci il glorioso scanno
Della Donna ciel cielo, e gli altri scanni
Di sotto lui cotanta cerna fanno,
Cosi di centra , quel del gran Giovanni ,
Che sempre santo il diserto e*l inartiro
Sofferse , e poi l' Inferno da due anni ;
E sotto luì così cerner sortirò
Francesco, Benedetto, e Agostino,
E gli altri sin quaggiù di giro in giro.
Or mira l'alto provveder divino:
Che l'uno e l'altro aspetto della fede
Igualmente empierà questo giardino.
E sappi che dal grado in giù, che flede
A mezzo '1 tratto le due discrezioni,
Per nullo proprio merito si siede,
Ma per l'altrui con certe condizioni:
Che tutti questi sono spirti 3ssoltÌ
Prima eh' avesser vere elezioni.
Ben te ne puoi accorger per li volti,
Ed anche per le voci puerili,
Se tu gli guardi bene, e se gli ascolti.
Or dubbi tu , e dubitando sili:
Ma io ti solverò forte legame
In che ti stringo'n li pensier sottili.
Dentro all'ampiezza di questo reame
Casual putito non puote aver sito,
Se non come, tristizia, o sete, 0 fame :
Canto trentesimesecondo.
Che per eterna legge è stabilito
Quantunque vedi , sì che giustamente
Ci si risponde dall'anello al dito. *
E però questa festinata gente
A vera vita non è sine causa
Intra se qui più e meno eccellente.
Lo Rege, per cui questo regno pausa
In tanto amore ed in tanto diletto,
Che nulla volontade è di più ausa,
Le menti tutte nel suo lieto aspetto *
Creando , a suo piacer di grazia dota
Diversamente: e qui basti l'effetto.
E ciò espresso e chiaro vi sì nota
Nella Scrittura santa in que' gemelli,
Che nella madre ebber l'ira commota.
Però, secondo il color de' capelli
Di cotal grazia, l'altissimo lume
Degnamente convien che s'incappelli.
Dunque sanza mercè di lor costume
Locati son per gradi differenti,
Sol differendo nel primiero acume.
Bastava sì ne' secoli recenti
Con l'innocenza , per aver salute,
Solamente la fede de' parenti.
Poiché le prime etadì fur compiute,
Convenne a' maschi all'innocenti penne
Per circoncidere, acquistar virtute.
Ma, poiché '1 tempo della grazia venne,
Senza battesmo perfetto di Cristo
Tale innocenza laggiù si ritenne.
15 *
172 Del Paradiso
XXXII. v. SS — "4-
Ri^uarda ornai nella faccia, ch*a Cristo
Più s'assomiglia, che la sua chiarezza
Sola ti pub disporre a veder Cristo.
Io vidi sovra lei tanta allegrezza
Piover, portata nelle menti sante
Create a trasvolar per quell'altezza;
Che, quantunque io avea visto davante,
DÌ tanta ammirazion non mi sospese,
P4è mi mostrò di Dio tanto sembiante.
E quell'amor, che primo lì discese;
Cantando Ave Maria grada piena;
Dinanzi a lei le sue ali distese.
Rispose alla divina ■cantilena
Da tutte parti la beata corte
Sì, ch'ogni vista sen fe' più serena.
O santo Padre, che per me compone
L'esser quaggiù, lasciando '1 dolce loco,
Nel qual tu siedi per eterna sorte:
Qual* è queìl' angel , che con tanto giuoco
Guarda negli occhj la nostra Regina,
Innamorato sì, che par di fuoco ?
Così ricorsi ancora alla dottrina
Di colui, ch'abbelliva di Maria,
Come del Sol la stella mattutina.
Ed egli a me: baldezza e leggiadria,
Quanta esser puote in angelo ed in alma,
Tutta è in lui , e sì volém che sia :
Percb' egli è quegli , che porto la palma
Giuso a Maria, quando '1 Figliuol di Dio
"arcar sì volle della nostra salma.
Canto trentesimo secondo.
*?3
XXXII. v. ng-144.
Ma vieni ornai ccrn gli occhj, sì cor»' io
' Andrò parlando, e nota i gran parici
Di questo imperio giustissimo e -pio.
Quei due, che seggon lassù più felici,
Per esser propìnquissimi ad Augusta,
Son d' està rosa quasi due radici.
Colui, che da sinistra le s'aggiusta,
E') padre per lo cui ardito gusto
L'umana specie tanto amaro gusta.
Dal destro vedi quel padre vetusto
Di santa Chiesa, a cui Cristo le chiavi
Raccomando di questo fior venusto.
E quei, che vide tutt'i tempi gravi
Pria che morisse, della bella sposa,
Che s'acquistò con la lancia e co' chiavi,
Siede lungh'esso : e lungo l'altro posa
Quel duca, sotto cui visse di monna
La gente ingrata mobile e ritrosa.
DÌ contro a Pietro vedi sedere Anna
Tanto contenta di mirar sua figlia,
Che non muove occhio per cantare Osanna.
E contro al maggior padre di famiglia
Siedi; Lucia , che mosse (la tua donna
Quando chinavi a minar le ciglia.
Ma, perchè '1 tempo fu^ge che t'assonna,
Qui fa rem punto, come buon sartore
Che, com'egli ha del panno, fa la gonna :
E drizzeremo gli occhj al piiino amore,
Sì clic, guru-dando ve so lui, penetri
Quaut' è possibil per lo suo fulgore.
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Dei Paradiso
XXXII. t. MS— 15».
Veramente , ne forse , tu t' arretri
Movendo l'ali tue > credendo oltrarti :
Orando grazia convien che s'impetri;
Grazia da quella che puote ajutarti :
E tu mi seguirai con l'affezione,
Sì che dal dicer mio lo cuor non parti :
E comincici questa santa orazione.
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Canto trentesimoterzo.
17 T>
Canto XXXIII.
XXXIII. y. i — 2i.
Vergine Madre, figlia del tuo Figlio,
Umile ed alta più che creatura,
Termine fisso d'eterno consiglio,
Tu se' colei che l'umana natura
Nobilitasti sì, che'l suo fattore
Non disdegno di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese l'amore,
. Per lo cui caldo nell'eterna pace
Così è germinato questo fiore.
Qui se' a noi meridiana face
Di caritade , e giuso intra mortali
Se* di speranza fontana vivace.
Donna, se' tanto grande, e tanto vali,
Che qual vuol grazia , e a te non ricorre.
Sua distanza vuol volar senz'ali.
La tua benignità non pur soccorre
A chi dimanda , ma molte fiate .
Liberamente al dimandar precorre.
In te misericordia, in te pietate,
In te magnificenza, in te s'aduna
Quantunque in creatura è di bontate.
175 Del Paradiso
XXXIII. v. 22 - si.
Or questi, che dall'infima lacuna
Dell' universo insin qui ha vedute
Le vite spiritali ad una ad una,
Supplica a te per grazia di virtute,
Tanto che possa con gli occhj levarsi
Più alto verso l'ultima salute.
Ed io , che mai per mio veder non arsi
Più ch'io fo per lo suo, tutti i mieiprieghi
Ti porgo, e prego che non sieno scarsi:
Perchè tu ogni nube gli disleghi
Di sua mortalità co* prieghj tuoi,
Sì che'l sommo piacer gli si dispieghi,
Ancor ti prego, Regina, che puoi
Ciò che tu vuoi, che gli conservi sani,
Dopo tanto veder, gli affetti suoi.
Vinca tua guardia i movimenti umani;
Vedi Beatrice con quanti beati
Per li miei prieghì ti chiudon le mani. >
Gli occhj da Dio diletti e venerati
- Fissi negli orator ne dimostraro,
Qnanto i devoti prieghi le son grati.
Indi all' eterno lume si drizzaro,
Nel qua! non si può creder che b* invìi
Per creatura l'occhio tanto chiaro.
Ed io, che al fine di tutti i disii
M'appropinquava sì eom'io doveva,
L'arder dal desiderio in me finii.
Bernardo m 1 accennava, e sorrideva,
Perth'io guardassi in suso» : ma io er*
Già piir'me stesso- tal qua! ei voleva:
L i j tuta by Ci
Canto trentesimoterzo. 177
xxxin. v. 53 - si.
Che la mia vista , venendo sincera,
E più e più entrava per Io raggio
Dell'alta luce che da se è vera.
Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
Che'l parlar nostro, eh' a tal vista cede,
E cede la memoria a tanto oltraggio.
Quale è colui che somniando vede,
E dopo'l sogno la passione impressa
Rimane, e l'altro alla mente non ri e de :
Cotal son'io, che quasi tutta cessa
Mia visione, ed ancor mi distilla
Nel cuore il dolce che nacque da essa;
Cosi la neve al Sol si disigilla :
Così al vento nelle foglie lievi
Si perdea la sentenza di Sibilla.
O somma luce, che tanto ti lievi
Da* concetti mortali, alla mia mente
Ripresta un poco di quel che parevi:
E fa la lìngua mia tanto possente,
Ch'una favilla sol della tua gloria
Possa lasciare itila futura gente:
Che per tornare alquanto a mia memoria,
E per sonare un poco in questi versi,
Più si conceperà di tua vittoria.
Io credo , per l'acume ch'io soffersi
Del vivo raggio, eh' io sarei smarrito,
Se gli occlij miei da lui fossero avversi.
E mi ricorda, ch'io fui più ardito
Per questo a sostener Unto, eh' io giunsi
L'aspetto mio col valore.. infinito'.
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178 Del Paradiso
XXXIII. t. 83 - m.
O abbondante grazia, ond' io presunsi
Ficcar lo viso per la luce eterna ■*
Tanto , che la veduta vi censurisi!
Nel suo profondo vidi che s'interna
Legato con amore in un volume
Ciò , che per l'universo si squarderna;
Sostanza, ed accidente, e lor costume,
Tutti conflati insieme per tal modo,
Che ciò ch'io dico è un semplice lume.
La forma universal di questo nodo.
Credo ch'io vidi, perchè più di largo,
Dicendo questo, mi sento ch'io godo.
Un punto solo m'è maggior letargo,
Che venticinque secoli alla'mpresa
Che fe' Nettuno ammirar .l' ombra d* Argo.
Così la mente mia tutta sospesa
Mirava fissa, immobile, ed attenta,
£ sempre di mirar faceasi accesa.
A quella luce cotal si diventa,
Che volgersi da lei per altro aspetto
È ìinpossibil che mai si consenta:
Perocché *1 ben, eh" è del volere obbietto,
Tutto s' accoglie i» lei; e fuor di quella
E difettivo ciò che li è perfetto.
Ornai s;trà più corta mia favella ,
Pure a quel ch'io ricordo, che d'infante
Che bagni ancor la lingua alla mammella :
Non perchè più eh' un semplice sembiante
Fosse nel vìvo lume ch'io mirava,
Che tal è sempre qual era davante;
Canto trentesimoterzo. 179
xxxni. r.HO— 141.
Ma per la vista , che s' avvalorava
In me guardando una sola parvensa,
Mutandom'io, a me si travagliava.
Nella profonda e chiara sussistenza
Dell'alto lume parvemi tre giri
Dì tre colori e d'una continenza :
E Full dall' altro, come Iri da Tri,
Parta riflesso : e'1 terzo pare a fuoco
Che quinci e quindi igualmente si spiri.
O quanto e coito '1 dire , e come fioco
Al mioconcetto! e questo a quel ch'io vidi
È tanto , che non basta a dicer poco.
O luce eterna , che sola in te sidi,
Sola t' intendi , e da te ìnlelletta ,
Ed intendente te umi ed arridi:
Quella circulazion, che sì concetta
Pareva in te, come lume riflesso
Dagli occhj miei alquanto circonspetta,
Dentro da se del suo colore istesso
Mi parve pinta della nostra effige:
Perche '1 mio viso in lei tutto era messo.
Qual' è il geometra che tutto s'affige
Per misurar lo cerchio, e non ritruova
Pensando, quel principio ond'egli indige,
Tale era io a quella vista nuova:
Veder voleva come si convenne
L'imago al rerciiio , e rome vi 5' indova:
Ma non eran da ciò le proprie penne;
Se non chela mia mente fu percossa
Da un fulgóre, in che sua voglia venne.
180 Del Paradiso Canto trentesimoterzo.
• , XXXIII. v. i^a - 143.
All'alta fantasia qui mancò possa:
Ma già volgeva il mio disiro e'1 velie.
Sì come ruota die igualmetite è mossa,
L'amor che muove '1 Sole e l'altre stelle.
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Dichiarazioni
della
terza Cantica della divina Commedia
detta
P a r a d ì s o.
Dani* III.
V
-
I
I
Dichiar azioni
della terza- Cantica della divina Commcditi,
detta Paradiso*
Canto I.
Argomento.
Tratta il nostro poeta in questo Canto, come egli
•scese verso il primo ciclo , ed essendogli nati alcuni
dubbi, essi gli furono da Beatrice dichiarati.
t. 4. Nel del che più ec. nel cielo empireo., il
quale, come sede creduta de* beati , più di luce della
divina gloria partecipa, che non gli altri cieli sotto di
esso.
v. 5./'** per /mì.
v. 7. al suo detire, al somma bene da lui deside-
ralo.
v. 9. Che la memoria non può riferire quanto l'in-
telletto vede.
v. io. Veramente, qui invece di coniuttocib o del
lat. ìierumtamen ; — del regno tanto, del regno de'
beati con Dio.'
y. 14. Riempimi della tua. virtù sì fattamente.
16*
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•84
Dichiarazioni
v. ig. Come tu lo richiedi per dar Pomato alloro,
albero da te amato per la conversione in quello della di-
letta tua Dafne. — L'altre edizioni leggono: Come
dimanda dar V amato alloro.
v. 16 — 18. Infino a qui ec. Vuol dire qui il poeta,
secondo la spiegazione del Lombardi 1 ohe in fino a qui
gli bastò 1' aiuto delle Muse già in addietro da Itti in*
vocale; ma or chiede in oltre l'ajuto d'Apolline, per-
che presidente delle Muse, e supremo nume del cauto,
e moderatore universale dì tutti i lumi celesti; — neW
aringo rimato , nell' impresa difficile che mi rimane, di
descrivere il Paradiso.
v. ig. tue, per tu.
v. ai. della vagina ec. cioè della sua pelle, scorti-
candolo, o facendolo scorticare.
v. 33 Si mi ti pretti , leggon le edizioni seguaci di
quella degli Accad. della Or.
T. 33. l'ombra, V adombramento , il disegno.
v. 35, vedràmi, per vedraimi ; — diletto legno,
cioè l'alloro.
v. 37. Che, vale qui delle quali ; — la materia, pei
l'intrinseca sua eccellenza, e tu pe'I tuo ajuto ; — mi
farai, invece di mi farete.
ir. 38. padre, o padre Apollo.
T. 3o- e ciò per colpa e vergogna delle voglie umane,
traviate dal sentiero della virtù.
3» — 33. Costruzione: Che la fronda Penco, (pa-
tronimico iti vece di Dafnea, per esser Dafne, la
convertita in alloro, stata figlia del fiume Feneo) quan-
do atleta, invoglia, alcuno di te, stessa, dovria
cotale avvenimento per la sua rarezza partorire , cagio-
nare, letizia in tu , Mi lieta, beata, Delfica deità.
v. 34. A picciola favilla consiegue grande fiamma.
v. 33. 36. Forse dal mio esempio mossi altri più elo-
quenti pregheranno perchè, acciò , risponda Cirra
(città alle radici del Parnaso, divota d'Apollo, per lo
stesso Apollo.)
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del Paradiso. 185
T. 37- per diverse foci, per diverse parti dell'oriz-
zonte.
V- 38. la lucerna del mondo, il Sole; — ma dà
quella , cioè foce.
v. 39- Che quattro cerchi te. cioè il punto dell'olia-
zonte, ove s'intersecano con esso e ita essi tre altri
massimi circoli della sfera, il zodiaco, l' equatore, e il
Coluro equinoziale. „Tìel principio dell' Ariete , chio-
sa il Volpi, e della libra, che sono i due segni equi'
noziali, quattro cerchi della sfera , intersecandoli
tra di loro, vengono a formar tre croci. Il coluro
degli equinozi viene a tagliar l'equatore, e forma
.una croce; il zodìuco taglia lo stesso equatore , e ne
fórma un' ultra ; t orizzonte abbraccia il zodiaco, e
v. 40. con miglior corso, con corso che rende il
giorno eguale a tutti li terrestri abitatori ; — con mi-
gliore stella si può intendete con migliori stelle, cioè
colle stelle d'ariete e di libra, migliori delle altre, per-
chè piii vicine ali' equatore.
v. 41. 42. ed aiutato da' buoni influssi penetra ed in-
forma più secondo sua natura la mondana materia.
v. 43- 44- Costruzione: tal foce , cioè il Sole uscen-
do per tal foce, avere fatto mane di là, e di qua
quasi sera.
v. 46. i/i sul sinistro fianco , verso il lato sinistre. '
p. 49. 50. fi sì come il raggio secondo, cioè rìUes-
tQ, - suole itstir (suole es^rr cagionato) dui primo rag-
gio della luce che lo manda fuori.
V. S-t oltre a nostr' uso , oltre a nostro potete.
V. 56 nostre virtù, nostre forze.
v. 57- per proprio, per abitazione pTOpria[ — Spe-
te per .pecié, in «rania della rima.
v- 58 II P. Lombardi vuole che questo Io noi sof-
fersi moltu , né si paco , non s' intenda caainnan> dalla
debolezza della vista del poeta, ma dalla gran velocità
del di lui innalzamento verse del Sole, the però, per
la gran distanza di questo dalla terra , non era tanto
16 *«
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-Dichiarazioni
grande , che egli non osscrvass e quel che dice ue' versi
seguenti.
V. (A. come quei che puate; cioè come se Dio.
v. ój. eterne ruote appella ì cieli perocché incorrut-
tibili e sempre in giro,
v. 65 — 67. ed io , in lei fisse avendo le luci rimate
di lassù , ritirate dal Sole , a cui disse nel r. 54- di
avelie dirette, nel (per al) tuo aspetta ec.
v. 63. Cg Qital si fe' Glauca ec. Glauco figliuolo
di Polibo, pescatore nell'isola Etilica. Costui avendo
uiia volta pomati sovra un prato i pesci presi, e veg-
gendoli all'improvviso risaltar in mare, desideroso di
saper la cagione di ciò, dieden a mangiar dell'erbe,
nelle quali erano giaciuti i pesci- Non si tosto ebbe
ciò fatto, che, non potendo più vivere in terra, get-
tossi anch'esso nel maTe, e quivi fu cangiato in un
Diomarino. Vedi Ovìd. nel XUl. deUe Trasform. Vuol
dire che per mirare in Beatrice divi ni zzo.' sì.
v. 70. Trasumanar, cioè passare dall' umanità a
grado di natura più alto. Costruzione-: Non si porla,
■per ve' ha, per parole , significar, dir a capire , tra-
v.71. però l'esempio ec. ellissi, il di cui pieno sa-
rebbe: però basti per ora l'esempio di Glauco; tho
la sola esperienza , a citi la divina grazia concede-
ralla, potrà farlo chiaramente capire.
v. 73 -75- Amore, Dio, che governi il cielo , tu
che col tuo lume mi levasti, m' innalzanti fin lassù , il
1 ai ec io eia solo quello, solamente quella parte, che
di me creasti novellamente , se io era solo anima. Ve-
di il medesimo dubbio toccato anche nel canto' seg.
T. 37-
v. 76. la ruota, il rotare, girare de' cieli , che tu
coli' essere desiderato, rendi sempiterno. Idea plato-
nica.
v. 77. atteso , attento.
v, 79, Parvemi ec. vedeva cioè la sfera del fuoco.
r. 83. m'attesero un disio di saper la loro cagione.
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del Paradisi. 187
v, 84. acume , stimolo, ansietà,
v. 85. commùiio, agitato dal desiderio soprimniw
tovato.
v. 88- grotto , P5» sciocco , goffo.
v. oo. rt L'avessi scosso, se avessi deposto il falso
immaginare.
v, 03. il proprio sito , la sfera del fuoco ; luogo
proprio del fulmine.
v 93. rìedì, qui vale quanto salì, l'avvicini;—-
ad esso proprio sito del fulmine, cioè alla sfera del
fuoco.
V. Ofl. S'io fui , Tale quanto essendo io.
v. 95. per la breve risposta, accompagnata da un
sorrìso..
V. 0. nuovo, intendi dubbio ; — irretito, invilup-
pato) intrigato.
v. 97. requievi, requisì, cessai; -r. lat. da requie- /
seere.
v. io3. deliro , che vaneggia.
V. ioó. l'alte creature, le creature di ragion do-
tate.
v. 108. al quale , per cui ; — la toccata norma , il
divisato ordine, che hanno fra loro le cose.
v. icrj. accline, inclinale, propense.
V. IH. più e meno vicine al loto principio, a Dio.
V. ti2. a diversi porti, a varj fini.
r. 114. che la porti, . che la conduca.
v. iis. quelli, cioè questo naturale istinto.
v. 110. promotore, in vece di pcrmetoro , leggou
1' altre edizioni.
v. 118 • "9- fuore d'intelligenza, prive d' intelli-
genza; — quest'arco saetta, quest'ordine tocca.
v. tot. che cotanto assetta, che ordina tutte queste
cose.
V. ifl3. quel, ch'ha maggior fretta, il cielo em-
pireo , sotto c dentro dei quale si aggiia il primo ne
bile.
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188
Dichiarazioni
v. 134. li, al medesimo cielo empireo; — decréto,
decretato.
v. iag. corda, chiama qui l'istinto, per continuale
la metafora dell' arco,
v. r33. pinta, spinta, stimolata. — Il P, toni- •
bardi vuole che questa e la seguente terzina si costruisca
nella maniera seguente ! Così trtlor la creatura , che
così pinta ha podere di piegare in altra parte, te
da falso piastre è torto a terra l'impelo primo (datole
da Dìo verso il cielo) si diparte da questo corso; e ri
(in quel modo) conte sì può veder fuoco di nube cadere
(esso pure, intendi contro l'istinto .suo naturale , che
ha ìnver la Luna. v. 11" )
v. 139— 141. se privo d' impedimento della gravità , te
ne stessi attaccato alla terra; — cura.' a terra ec. cioè
come maraviglia sarebbe se stesse a terra, quieto fuoco
t/ivo, che ha istinto inver la Luna.
t .
Canto II.
Argomento.
Sale il nostro poeta nel corpo della Luna, dove
come fu giunto, muove a Beatrice un dubbio; e que-
sto è intorno alla cagione delle ombre, che dalla terra
in esfa si veggono : il qual dubbio ella gli risolve pie-
namente.
v. 1 — 3. che sifte in picchietta barca seguiti dietro
al mio legno ec. che con picciolo capitale di teologia
Ti siete inoltrato meco nel vastissimo pelago del sublime
Urna che io tratto.
v. 7. la materia della quale io intraprende di voler
trattarci non s'intraprese mai.
V. 8. 0. Minerva gli serve di vento , Apolline di
piloro, e le Muse di bussola. — Agli Accademici
della Crusca è piaciuto di leggere nuove Muse. Ma se
del Paradiso.
189
Sante avesse richieste nuove Muse avrebbe eziandio
ricercato un» nuova Minerva ed un nuovo Apollo.
Ti io. il collo , cioè il capo , e qui la mente. .
T- xi. »l pan degli angeli, alla contemplazione di
Dio,
T. 13- 9«ì, in terra.
T. 13. ? alto sale , l'altomare.
t. 14. servando , conservando , continuando a te-
nere aperto dinanzi, cioè con la prora vostra, il solco
mio, fatto dalla mia barca.
v. ig. che ritorna e guaiti , che senza chi la tenga
aperta ei riunisce e s'agguaglia.
v. 16. Que' gloriosi ec. gli Argonauti.
v. 13. Quando rìderò il compagno loro Jasnne, do-
mati i tori spiranti fiamme dalle narici, arare con quel-
li il terreno.
v. 10." La concreata e perpetua seta , il desiderio
a noi innato e continuo.
v. 10. del deiforme regno , della beatitudine ce-
leste.
v. 2r, veloci quasi come'l del vedete, cioè come
quasi vedete essere ii cielo stellato che in venliquattr'
ore si compie l'immenso sub giro.
v. 33. 24 in tanto tempo, in quanto un quadrello
ti dischiava dalla noce , e vola , e posa , eh' è come
a dire: in quanto tempo partendosi lo strale dall'arco,
ghigne a posarsi nello scopo.
V. 37. Chi" non polca mi" ovra. V altre edizioni. —
Cura qui vale quanto curiosità.
r. 30. Che ci ha fatto giugnere alla prima gte.ia,
Cioè alla- Luna.
v. 33. spessa, densa, — solida, piena, che non
ha del vuoto o del concavo.
T. 34. l'eterna margherita, intende la Luna.
33- rieepe, riceve; l'altre ed. leggono recepe.
t. 37. qui, in terrai — eoncepe, concepisce, in-
tende.
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Dichiarazioni
V. 38. m«« dimensione , un corpo ; — patio , per
patì, cioè ammise, sofferse con se nel medesimo
luogo.
y. 35. se corpo ni corpo s'insinua,
v. 42. j' unio, s*mù.
t. 43, lì, nella detta dirina essenza,
v. 47. Quant' esser posso più leggono 1* alttfc ed, — '
lui, Dio.
T. 43. rimoto, rimosso.
v. 49- 50- » sediti bui ec. le macchie della Luna.
T- 5r. Fan di Cairi ec. danno occasione al volgo di
dire favolosamente esservi Caino con una forcata di
pruni'. Vrdi il (I. XX. v. 123. dell' Inferno.
v. 5*- dove i sensi non giungono a disterrare • a
discoprire la natura della oosa.
v. gó. 57- poiché vedi bene, che la ragione seguen-
do i sensi poco si può stendere nella cognizione del
vero.
r 58 — 60. Somministra il passo presente (osserva il
P. Lombardi) un invincibile argomento, che scrivesse
Dante il suo Convito prima di questa Commedia. Im-
perocché confessa turi, e per le ragioni che fa da Bea-
trice allegarsi, deponi.- l'opinione nel Convito sostenu-
ta, -che le macchie della Luna non sieno altro che ra-
rità del tuo corpo , alla quale non possono terminare
i raggi del Sole, e ripercuotersi così, come nell'al-
tre parti.
v. 64. Lei spera ottava, cioè il cielo delle stelle
Esse-
t. 65. li quali e nel quale, cioè nel più e mcn Ut*
CÌdo , e nel quanto,, cioè nel più e meno grande.—
Li quali nel quale e nel quanto, leggon l'altre edi-
v. 66. Notar si pastori di diversi volti , veder si
posson tTa loro diversi. •
v. 67. tanto, solamente.
v. 69. Fin è men ec. E secondo il più e men den-
so,, altrettanto più e men distribuita sarebbe.
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del P ar a di so.
v. 70. 71. Virtù diverse dehbon esser «Setto Ai di-
versi principi formali. La scolastica filosofia, ch'era,
la sola al tempo del poeta nostro., insognava esser due
i principi di tutti i corpi , uno materiale-, cioè la ma-
teria, prima , in tutti i corpi la stessa , e 1' altro /or*
mule , cioè la sostanziale forma costituente le varie
specie e virtù de* corpi.
y. 73. ■ Seguiteriano a tua ragion distrutti, in
conseguenza del tuo ragionamento verrebbero distrutti.
74. la cagion , che tu cerchi di sapere i — oltre
vale qui da banda a. banda, come il lat. trans.
v. 75. j: digiuno , sì scarso, sì mancante,
v. 78- cangerebbe carte, ammucchi erebbe 'strati Ta-
di e densi} metafora presa dai. libri.
V. 81. come in altro raro ingesto , cioè come fa il
lume ingetta , intromesso, in altro corpo raro talmente,
che la mancanza di materia trapassi tutto il di lui vo-
lume da banda a banda.
v. 83 dell'altro, dell'altro membro della premessa
disgiuntiva; — cassi, annulli.
V. 84. falsificato jìa , fia dimostrato fallo.
v. 83- trapassi da banda a banda.
V. 87- lo suo contrario , il contrario del raro , cioè
il denso; — più passar non lassi, intendi il lume.
v. 83. l'altrui raggio, il raggio che viene d* altro
corpo lucido! — si rifonde, per si rifonili, si ribatta,.
~~in grazia della rima.
v. 8p. 00. come color ce. come i colorati raggi for-
manti l'immagine -d'alcun Abbietto, penetrano la gros-
sezza del vetro dello spec. hio fino al piombo che gli
sta dietro, e sol dal piombo vengono ribattuti in die-
tro.
r. pt. el, il raggio della luce} — tetro , oscuro.
v. 93. Quivi , nella parte dov' è la macchia.
V. 93. rifratto, ribattuto, — più a retro , in parto
più dilla Mipcificie nsgn.irdaiiir il Sole rimota.
V. 94. instanzia appellasi nelle scuole il replicare eh»
si fa contro ali. risposta data all' obbiezione.
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192
Dichiarazioni
v. 90. che è U fonte onde solete deduire i sistemi
rostri filosofici.
t. 90. gli occhi '«ci ritruovì, sì presenti agli tuoi
occhf.
V. 100. dopo'l dosso, dietro alla schiena.
y, vati sua, per stia; — accenda, illumini.
V, 103 — 105. Costruzione: Lì, ili cotale esperimen-
to, vedrai come convien, ch'egualmente risplenda
la vista (per 1* obbietta , per la illuminazione) più lon-
tana, benché nel quanto, nella grandezza , tanto
non si stenda , intendi quanto le vicine illuminazioni.
Dunque (tacitamente conclude) sebbene in alcuni- por*
rioni della Luna si ribattesse la solare luce da pani più
àalla superficie rimote , «lo non basterebbe a far di luce
trujo, come apparisce. 1
■ t. loji-il soggetto della neve appella la materia, la
sostanza della stessa neve* — riman nudo, spogliato.
V. reo. rimato te nell' intelletto , cioè spogliato del
primo errore.
V. Ita. informare , illuminare.
y. xii. che ti tremolerà, che ti si tenderà scintil-
lante. '
v. n3. dentro dell' empìreo cielo , dorè i beati nella
contemplazione d' Iddio godono eterna pace.
V. 113. si gira un Icorpo, cioè il ciel detto primo
mobile.
v. 114. L* essere d' ogni cosa dentro di lui contenuta
ha fondamento.
v. 115. lo ciel seguente, l'ottavo cielo, quello delle
stelle fisse; — tante vedute, tanti occhj , tante stelle
lucenti.
v. itó, Quell'etser, quella virtìi che riceve dal no-
no cielo , — parte , scompartisce , per diverse esseme,
per le stelle di essenza tra di loro varie , contenute ben*
•ì in quel cielo, ma dal medesimo distinte,
v. ii8-t3°. Gii altri giron, gli altri cieli Ci sette
cieli inferiori , cioè di saturno , ài Giove , di Mane,
del Sole, diVenere,' di Mercurio e della Luna) di*
del Paradiso. 153
pongono 1 impiegano, a lor fini e lor semenze , a' Io.
io effetti, le distinzion che dentro da se hanno, che
hanno tra di loro , per varie differenze, per virtù va-
rie a ciascuno date.
V. I9I> Questi organi del mondo , questi cieli.
v. 123, di su prendono te. ognuno dal suo superiore
cielo prende virtù, e L'esercita nel suo inferiore; —
fanno qui per operano.
v. 125. per questo loco, per questa materia.
v. 136. Si che poi tappi da per te stesso in questa
materia sicuramente filosofare.
v. 127. de' santi giri, delle sfere, de' cieli.
V. 129. da' beati molar, dagli angeli ; che spiri,
Che esca.
■v. 130. il ciel delle stelle fisse.
v. 131. dalla mente profonda, da quella intelligen-
za., da quell'angelo, da cui è mosso.
v. 133. a. vostra polve, al vostro corpo,
v. 135. si risolve, si ecomparte.
v. 138- girando se sovra- sua unitale, non si dipar-
tendo dall'unità di sua natura.
v. 140. col prezioso corpo, cioè con quella stella, a
cui si lega quasi a darle vita.
■ v. rj3. L.a virtù difiusa pel corpo della stella.
v. 144. come la letizia dell'anima nel vivace brillare
delle pupille.
v. 145. ciò eh» da luce a luce par differente, Ja
differenza che apparisce tra luce e luce.
v. 147. formai principio, cagione intrinseca.
T. 148. turbo , addieitivo, pei torbido, oscuro.
Canto Uh
.Arg omento.-
In questo terzo Canto pone Dante, che nel cerchio
della Luna si trovano l'anime di quelle, ch'hanno fatto
Dante Zìi. .1?
194
Dichiarazioni
voto e proferitili di verginità e religione; irta che vio-
lentemente n'erano state tratte fuori. Delle quali gli
vie» dato coutenza da Ficcarda sorella di Forese.
V! i. Quel Sol , Beatrice.
v. 2. 3. Costrnztonei Provando la .vera sua semen-
za, e riprovando la falsa opinione mia, m' avea
scopertoci dolce rispetto di bulla verità, la vera ca-
gione delle macchie lunari.
v. 4 — 6. Edio, per confessar me stesso corretto
dalla primiera falsa opinione, e certo della nuova r».
gione scopeitami , levai il capo tanto , quanto si con-
venne a profferir, intendi parole ; cioè a parlare.
v. 8- per vedersi, acciò che da me fosse ben ve-
duta.
v. i3- de' nostri visi le postilla, cioè i lineamenti
ad volto.
v. tS- -No') vien men tosto, leggon l'altre edizioni.
V. 17. 18. Perch'io dentro all'errar corti, incorsi
nell'errore, contrario a quel, ch'accese amor tra
l'uomo e'I fonte; accenna 1' errore che contano le fa-
vole, preso da Narcisso in credere l'immagine propria
veduta nel fonte un oggetto reale da se diverso, ed il
morirne per essa; e dice Dame di aver esso qui in con-
traria maniera errato , apprendendo che gli oggetti veli >
fossero immagini.
v. 33, della dolce guida, di Beatrice.
v. 26. appresso il tuo puerìl coto , per cagione del
tuo puerile giudicare; — quoto, l'altre edizioni.
V. 07.- poi , per poiché, ancora il tuo giudizio non
s'appoggia al vero.
v. 38. Ma in vano ti fa ghiribizzare come suole. *
V. 30. Qui rilegate ce. rete presenti a questo dall'
Empireo lontano ed incostante pianeta (alla Luna) per
manto di voto , in segno del man cameni o ai voli fatti,
v. 33. 33- Che la verace luce, che le appaja , che
quella somma' Verità, Iddio, che lebeaiìlica, non la-
sciale mai mentire.
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del P arad iso
195
' v. 3s. drìzzxmmi , dria/aimi ; drizzami l'altre ed.
v. 3fi. smaga, smarrisce , confonde 1 .
v. 37. leti creata, beato, eletto da Dio all'eterna
gloria ; - rat, raggi.
v. 40. grazioso, gTato,- gradevole.
V. 43 — 43' Costruzione : La noura carità , se non
come quella (vale quanto non altrimenti fatta se non
come quella, come cioè la divina carila) che vuol tut-
ta ina corte (tutto suo corteggio , tutta sua famiglia)
simile a se, non serra, porte (non contrasta) a giusta
voglia.
v. 4fi. vergine sorella, monaca di S. ChiaTa; 1- so-
i nlln per suora, (itolo dille sacri vergini velate.
v. 47. E se. la mente tua, la tua memoria, ben ri-
cerca in se gli oggetti altra volta ; ben mi , l'altre ed.
v. 40. Ticcarda, sorella di IVI. Corso e di M. Po-
tese de' Donali, fattasi monaca S'\ S. Chiara con averti
assunto il nome di Costanza, fu dal fratello M, Corso
per forza tratta dal monastero..
V, gr. spera più tarda, appella il ciel della Luna,
ilquale essendo più di tutti gli altri cieli vicino alla
tf rra , vien perciò supposto esser egli il piti tardo nel
suo diurno rivolgimento.
v. 54. lettzian, godono, si rallegrano; — formati
del sito ordine, traslazione presa dagli ordini religiosi,
e vale introdotti e stabiliti nella di lui società.
v. 55. par giù, par bassa.
v. 37. e voti in alcun canto , ed inosservati in al-
dina parte.
v.6o. da' primi concetti, dalle primiere immagini
vostre nell'altrui fantasia coitcepute.
v. 61. festino, presto, sollecito.
v. 61. ciò che tu mi dici, cioè degli infranti voti.
( y. 63 più latino, più facile ed agevole ; — ladino
è voce Lombarda e. significa facile da maneggiare.
v. 69. nel primo fuoco , dee intendere Iddio.
v. 70- quieta, acquieta.
17 *
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ip5 Dìchiar azioni
V. 73. non ti asseta , non ci fa sitibondi; deside-
rosi.
v. 7S- cerne , «epaia.
v. 76. Che vedrai non 'capere ec. il qual diseorda-
mcnto dal voler di Dio non vedrai aver luogo quassù,
V. 77. necesse , necessario.
v. 78- la sua natura, intendi la natura della ca-
rità.
v. 79. formale, termine delle scuole, per essen-
ziale.
v, et. pereh', pe "1 quale tenersi dentro alla divi»*
voglia.
v. 83—84. Si the come ec. onde il rlpaTtimenio che
in questo regno fassi di noi di soglia, in soglia [di cie-
lo in cielo) , come piace a Dio, così piace a tutti noi
fatti da esso vogliosi del dì Ini volete. "
V. 83- e la, sua, l'altre edizioni.
v. 87. e che natura face, l'edizioni segnaci di quella
della Crusca.
v. 8p- e si, qui quanto henchà o e pure. L'f ji
italiano, dice il V. Lombardi, vale il medesimo che il
Latino ««1 e perciò non v'é qui bisogno di scriver
et ti ed in diverso carattere, come leggon tutte l'altre
edizioni. ..
v. la gola, la brama, l'appetito.
v. 93. Che, la onde.
v. 93. qital fu la tela, meta fo ricaro ente per quale
fu il voto.
v. o3. Onde noti trasse in sino al co la spola , che
ella non compi l — cò per capo , termine, alla Lom-
barda ; trarre, ossia dimenare , la spola in sino al ca.
L io , al termine, della tela, vale lo stesso che termi-
narle di tesserla.
v. 07. inciela per incielano, collocano in cielo.
■ v. 93. Donna, S Chiara. ,
v. ror. con quello sposo, con Gesù Cristo i — che
accetta ogni voto , che la carità {non altra motrice
causi) rende a lui piacevole.
del Paradisa.
197
v. 10;. per seguirla, la suddetta Donna, cioè S,
Chiara.
v. icfc fusi, per si fu.
V. m di se intende , intende detto pure di se.
v. 113 sorella, per suora, monaca j— e così come
a me.
v. 114. Vomirà delle sacre bende, la copertura del
sacro monacale velo.
v. rio", contro, suo grado, suo malgrado, cantra U
v. 118 -iso. Gostanza «c_. figliuola di Ruggieri Re
di Puglia e di Sicilia, la quale si fece monaca in Fa-
te»rao; poi tr.uta per forza del monasteri» , tu daia per
moglie ad Arrigo 41111110 Svovo imperatore , che fu fi-
gliuolo di Federigo (Barbarossa) ; e peichè ella d'Ar-
rigo- genti» Federigo secondo : chiama esso Federigo
mio figlinolo ferzo vento, terza superbia. — Pit tima
possanza, appella esso Federigo II perchè fu l'ultimo
imperatore di quella famiglia. — Soave invece di Soa-
via come dissero {(li amichi Toscani invece dì Suevìii:
anche i Francesi chiamano Soua.be quella regione della
Germania, e forse al modo loro disse Dante Soave*
v. 122. vanto., svanì, si tolse di vista,
v. 123. cupa, imi profonda:
v. 126. ni segna, all'abbietto del maggior suo disio,
maggiore cioè di quello fossero Piccarda e Gostanza, a '
Beatrice, come espressamente dice nel ;cg. verso.
v. 123, noi sofferse leggono l'altre edizioni seguaci
di quella della Crusca.
Canto IT.
Argo mento.
Stando Dame nel medesimo cielo, da Eeatrice due
verità gli si manifestano. JL'uua del luogo' de' beati,
1' altra della volontà mista e della assoluta. El propone
17 **
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igS 'Dichiara zio ni
una terza questione, la quale ù del voto, se pi qnello
si può satisfare.
v. i. moventi, incitanti l'appetito,
v. 4; sì, istessamentet — intra due fieri, bramosi,
lupi.
v. 6. dame, datarne, daini*
v. 7 — 9. Perchè, per la qual cosa, s'io dall' mìei
dubbi (dai due dubbi che nel v. 19. e segìj. dirà) sospin-
10 d'un modo (ugualmente spinto daU'.unn c dall'altro
a dimandare né però sapendo determinarmi di quale di-
mandassi primieramente) mi iacea, mi non riprendo,
né commendo, poiché era (cotal mio tacere in tal cir-
costanza) necessario.
v. 11. con elio, con luì. - .
v. ra. più caldo assai, intendi, dipinto, che per
espresso mio parlare non sarebbe stato.
v. 13. Fessi Beatrice ce. leggo» tutti i MS3. e tutte
l'edizioni ; e stru^gousi quindi il cervello gli esposito-
ri ad accordarvi il resto del verso qnal fe' Daniello.
11 solo cod. di M. C. Legge Feti; - qnal, come. Il
senso di questa terzina è: Siccome Daniello intese,
quello che gli altri indovini non poterono, qital era
stato il sogno del re Assiro Nabucodònosor, senza ch'
egli, che scordato se n'era, il dicesse, e gliene spiegò
il significato i ed in coiai modo placandolo fccegli sos -
pendere l' ingiusta sentenza di morte fulminata contro
miti gl'indovini j così Beatrice fece a Dame palese i
dubbi che lo agitavano, e glieli sciolse — /elio, iiero;
crudele.
V. 17. tua cura, il tuo desiderio,
v. 18. lesa, impedisce. ■
v. 19. il buon voler, la buona volontà, che ave-
vano qu.lle monache di osservare i loro voti.
v. 21 mi per ne, il singolare pe '1 plurale; ne sce-
ma la misura del merito.
v. 24 La sentenza di Fiatone, il quale insegnò,
che fossero le anime nostre fatte prima de' corpi, e di-
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l dei Paradiso. 195
stribuite nelle stelle; e che delle stelle passando ai cor-
pi, ritornino in morte alle medesime stelle per ivi, se-
condo i meriti maggiori o minori quaggiù couiràiti, Te-
starsene più o men lungamente, (Vcd. Plat. nel Timeo).
V. 3> velie , voler, volontà, desiderio,
v,3ó. pantano egualmente , fanno iguale 1 limolo ;
e perciò itìssuua di loro tu puoi manifestarmi. 1
v. 27. felle, fiele; qui per veleno, e veleno di
falsa dottrina; onde in seguito dirà :
JJ altra, duùitazion , che ti commove
Hit- men velen —
v. 38 — 33. Costruzione : Colui de' Serafini, che
più s'india (s'interna, si unisce a Dio), Moise , Sa-
mutilo, e quel Giovanni, qual prender vuogli (o il
Battista, o l'Evangelista) non hanno , iodico, i loro
t canni in altro cielo , che questi spirti, che ma (ora)
t'apparirò'; non Maria (e la stessa gran Madre del
Signore non Ila lo scanno suo in altro cielo che ec.} ;
«c hanno all'esser lor più. o men anni, nò hanno al
lor essere beato prescritti piti o men anni, dovendo
tutti restare ivi eternamente. — quegli spirti leggo n l'ai*
v. 36. l'eterno 'spiro, l'infondere in essi la beati-
tudine', che Iddio fa. eternamente.
s 37- Qui si moslraron , non l' altre ed. — lortita,
v, 38- 39- ma per Jaf segno, per indica» della
celestial (intendi spera) , ch'ha, men salita,' cb.' è la
più b.issa di tutte. , 1
v. 41. da sensato, per da obbietto sensibile.
v. 45. ed per ma,
V. 48. l'altro ec. l'arcangelo Raffaello , che rcndt la
vista. al vecchio Tobia.
v. 49- Timeo, cioè Platone nel suo dialogo imito*
lato Timeo.
v Si. che senta per che creda.
v. 53. decisa, separata, tolta.
v. 54. per forma, all' uma» corpo cioè.
200
Dichiarazioni
v. 77- intemion, i u tendimeli to , senso.
v. jà-fo. Il Benso è: s'egli è d'opinione, che le
anime create da Dio che debbonsi ne' corpi infondere,
solo perché dalle stelle ricevono degl'influssi, perciò
partendo da* corpi vadino alle stelle per render loro o
l'onore de' buoni influssi, ovvero il biasimo de' cattivi,
forse il di lui parlale ottiene alcuna verità di fatti; cioè
così inteso converrebbe Platone col poeta, il quale non
per altro motivo fa vedersi quelle smonacate femmine
nella Luna, che in segno della instabilità dal pianeta
loro iiiflnita.
v. 6i. 'Questo princìpio, questa massima platonica,
— male inteso, intesa in maniera diversa da quella,
nella quale ora ha detto potersi intendere) — tonfi,
disvio.
v. 62. 63. sì che trascorse a nominar Giove , Mer-
curio, e Marte come uniche sedi delle anime beate.
v. 04. l'altra dubìlaiÀon, delta ne' vcr = ì 19. e segg.
ie 'l buon voler dura ec.
V. 66. d'i me, dalla dottrina teologica.
v; 67. nojtra , dice io vece di divina, I cementa-
tori della dìv. Com. si sono lambiccali il cervello per
trovare il vero senso di questa terzina , nella quale si
parla dell' apparente ingiustizia della giusti /.in dì Dio in
castigare alcuno per ciò che contro al suo buon volere
ha per altmi violenza lasciato di far bene, come le due
monache suddette per Forza smonacati'. (guanto a me,
dice il P. Lombardi , parrebbe la più spedita spiegazio-
ne il dire, che parli Dante così, perocché all'apparile
delle anime nelle stelle favoriva il mal inteso Platone,
ed era perciò più facile l'aderirvi: laddove al parere
ingiusta la divina giustizia in quelle per forza smona,
cate femmine ninna co;a prestava favole; e rettamente
discorrendo a.tro non poteva cavarsene che argomento,
motivo, di fede, di ctedere cioè che Iddio vt'de più
di noi ; e che fosse a lui palese in quelle donni- ditetto
tale, che non eia apparso, agli occhj de' mortali.
v, 73. paté, patisce-, soffre.
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del P ar a eli so.
201
r. 74. mente, leggon le edizioni moderne; — con-
feriste, contribuisce , coopera.
V. 76. non s' ammorza, non cessa, non s'acquieta.
v, 77- face, fa.
v. 78- torza per torca, forse dal dialetto Veneto, che
terzere pronunci.! in vece di torcere.
v. 7£)' ella , intende la rolomà.
v. 83. infero , non mancante di costanza nel suo
proposito.
V. Sì. -Lorenzo, San Lorenzo, in su la grada , in
su la graticola sopra accesi carboni; grada lo stesso
che grata.
v. 84- M>«io Scevola,' severo a punir col fuoco la
propria destra, che avea sbagliata in uccidere un'altro
in vece di Forscnna.
v. 8>. ripinte , rispinte.
v. flj. coma, cj n .iiiilo , subito ohe.
V. 89. l' argomento , l' obbiezione che facevi Con-
tro la divina giustizia ; — casso , cassaio , disunito,
v, 91. un'altro passo, un'altra diificolift.
V. p2. dinanzi agli occhj , all'intelletto-:
v. 93. perocché pria saresti lasso,
v. 94 — 90. Accenna aratrice ciò che nel precedente
canto r. 3i, e segg. disse a Dante :
— — parla con esse, ed odi e credi,
Che la verace luce che le appaga ,
X)a se non lascia lor torcer li piedi.
l'altre edizioni leggono:
Perocché sempre al primo vero è presso.
v. 99. ella, Piccarda,
v. 101. eontra grato , centra piacere , contri incli-
nazione; contro a grato leggon l'altre edi/.ioni.
v. 103 — ro3. Come Almeone ec. uccisore della madre
Erifile a preghiera del padre Aufiarao. Ovid. Metani.
IX. nei). Ter non perder pietà, riverenza al padre,
si fé spietato , contro la madre.
r. icó. pense , pensi.'
202
Dichìar tizio ni
■ v. 107. colla violenza^! unisce in patte il volere.
v, io8- V off ense , le offese, i peccali.
V. iiS. quello sprieme, esprime, dice quello che di
Gostanza dice, cioè che in mezzo alla violenza fu la
volo in à di lei per lo stato monacale, — spreme, l'al-
tre ed.
v. 115. Colai, questo che ho detto, fu l'ondeg-
giar, fu il modo del santo rio, del parlare, eh' uscio,
del fonie, cioè tJ i Beatrice, rappresentante la teologia,
e dal patta metaforicamente chiamata fonte, ond'ogni
ver deriva.
V. 117. tal modo di parlare.
v. tiB- amanza, donna amata, del primo amante
di Dio, o dello Spirito santo, che primo amore ap-
pella (Inf. HI. 6.). .
v. ibi. tanto profonda, tanto capace, unto abile.
v - rat. render voi , render a voi , grazia per gra-
zia, ringraziamento uguale al favore.
v. ia5. si spazici, si spande, si diffonde.
V. 137. lustra, tana, covile ; dal lat. lustra eh' ado-
pera Plauto, Casin. A. II. se. 3- v. 38.
v. 120. ciascun disio, vale il disio di ciascun di
noi ! — frustra , v. lat. , in vano.
v, 130. per quello, per talUuotivo,
v. 133. di collo in collo, dì cima in cima, d'altez-
za in altezza.
v. 134. a dimandarvi con riverenza.
Ti 137. a voti manchi, per voti non adempiuti.
v. i38- non sieii parvi, non siano i voti mancanti.
v. 140. con si divini, cioè occhj.
v. 141. Che la mia virtù visiva sfuggisse raflissa-
mento negli sfavillanti occhj di Beatrice,
v, 143. E yuaai io stesso mi sfuggii ec.
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del F ar adis o.
Canto V.
Argomento.
Solve il dubbio d' intorno a' voti mosso nel canto
di sopra: poi sale al secondo cielo, eh' è quel di IVIer*
curio, dove trova infinite anime: una delle quali se
gli offerisce a soddisfare ad ogni sua dimanda.
v. 5- 6. da perfetto veder, che a Beatrice, non a
Dante deve attribuirsi j come apprende, a misura che
si comprende il bene , va il comprendente avanti nell'
amore del bene compreso.
' v. 7. 8. o. lo veggio ben, ec. Corrisponde questo
parlar di Beatrice al parlai che fece Dante poco innan-
zi, nel Canto preced. v. 124. e segg.
Io veggio ben , che giammai non si sazia
Nostro intelletto , se 'l ver non lo illustra
Dì fuor dal qual nessun vero si spazia.
L'adizioni del Landino e del Vellutello leggono: Che
vista sola et sempre amore accende , e cosi anche leg-
ge il Cod. di M. C. ed il postillatore di esso avverte,
che forse meglio si leggerebbe: Che vi sta sola, ed al-
lora la copula et Icomc anticamente si scriveva) diviene
necessaria al senso, e questa lezione certamente sarebbe
non meno chiari, che esente di ogni difficoltà. Lialira
adottata comunemente, è spiegata dal P. Lombardi nel
modo seguente: quella luce, là quale, veduta che
fiali una volta, accende di si un perpetuo amore;
egli dunque prende la parola sola avverbialmente, cioè
una. sola volta ; ma Dante allora meglio avrebbe scritto
sol che sola, come spesso ha fatto. Nella lezione r&a
legge separato vi sta, prendesi la parola sola, aggettiva-
re 11. Non è se non ec. ciò non si fa per altra for-
204
Dickiarazi ohi
za i che per alcun orma , alcun raggio della medesim*
eterna luce, che quivi traluee. -
v 14. per manco voto, per voto mancante t non
adempiuto.
v. 15. Che l'anima assicuri di guai , di contrasto
collii divina giustizia.
r. jS. Si cominciò ce. invece di dire : Questo par-
lare, col quale io il canto incomincio, fetenti Bea-
trice.
' v. 17. non spezza, non interrompe.
v, iB- procesto, per seguitamento di parlare.
v. so. fetta , facesse. *
V. Si. conformato , conforme.
v. 23. le creature intelligenti, gli angeli e gli no-
mini.
. v. =4. furo , furono.
V. ag. ti parrà, ti si appaleserà.
v. aóVa?. s'è sì fatto, Che Dio ec. accenna la con-
dizione per commi parere rie' teologi al voto necessaria,
che sìa di cosa a Dio accetta, talmente che acconsenta
Iddio di accettai l'obbligo, che acconsente l'uomo di
addossarsi.
v. 3B. Che, qui per imperocché.
v. ag. di quetto tesoro , del tesoro della libertà.
v. 30- Tal, qua.Ho dico, di quella preziosità, di
Citi lo dico, mentre lo asserisco Lo maggior don che
Dio ec. — e fassi col suo atto, e fassì cotal vittima colla
spontanea dedizione della libertà stessa.
v. 31. ristoro, per compensazione.
v. 32. bène usar, impiegar in altro bene, quel,
quella libertà , della quale con 1' offerta fatta a Dio te
ne sei privato.
v. 33- di cosa mal tolta vuoi faTe opera buona. Toi-
lette da tollere. ed è molto verisimile, che il comune-
mente usato tolto sia una sincope di toilette, come as-
tolto, rivolto ec. di assoluto, rivoltato. Trovandosi
però presso il Muratori (TDìssert. LXVII. sulla antichit.
ital. J, 14.] che mali old uni a malatolta appellavasi an-
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del Paradiso. 235
ticamente l'aggravio fatto al prossimo ne' contratti c in
alira occasione, si può credere che anche Dante scri-
vesse nmltollctta in una sola parola.
v. 34- del maggior punto, cioè (come Beatrice 13
versi sotto dira) che la convenenza, la convenzione
della volontà, <iri« ji cancella, se non semata..
V. 33 i" eia dispensa, snoie dispensare ne' voti.
v. 26 L'altre ediz. leggono : Che par cantra lo
ver ch'i? t'ho scoverto.
v. 39. a. tua. dispensa, alla digestione che tu dei
fare.
v. 41. fermatili , ve lo fermai — the avere inteso,
senza. Io ritenere nanfa scienza.
v. 43. si uniscono nella formazione del voto,
r. 44. I' tuia è quella di die si fa, la cosa della qua-
le si fa Tato, la materia del voto.
v. 45. la convenenza, la convenzione, che anche
forma del voto è appellata.
v. 47. servata, osservata, adempiuta,
v. 48 J ' risolutamente di sopra ho parlalo.
■v. 49—51- Costruzione: Pero ancorché agli Ebrei
si permutasse, si permettesse di permutare, di sosti-
tuire alcuna offerta ad un'altra già promessa, come
dei sapere, pur, tuttavia, l' offerire fu loro necessi-
tato, reso necessario. — Offerere, in luogo d'offerire,
leggon l'altre edizioni.
v. ga V altra cosa nel voto promessa, che a te sotto
il' nome di materia del voto è cognita.
53- falla per fallisca, erri; congiuntivo del
verbo fallire in senso di errare.
v. 54. se un altra cosa ad essa si sostituisca,
v. 5Ó. senza l'autorità della Chiesa,
V. 37. 33. se la cosa -promessa non è contenuta nella
sostituita come il quattro nel sei. Per la cosa sorpresa
richiede il scuso che s'intenda la cosa presa scelta, in
appresso, in seguito, e la particella sor o sopra, ha
oltre varj altri significali quello ancora di appresso,
di in seguito.
Dante III. l8
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:c (J Dichiarazioni
v. 63. con altra spesa, con altr' opera.
v. 63. ed a ciò far non bieà , e prima di fare il vo-
lo , badate bene ciò che promettete; — bieà, loschi,
inconsiderati.
v. 65. come fu inconsiderato Jepte, il capitano del
popolo Ebreo , alla sua prima rilancia , a prometter a
Dio, che se tornava vincitore degli Ammoniti, per
primo resalo sacrificato gli avrebbe La prima persona che
di sua casa venuta gli fosse incontro ; e fu questa l'u-
nica sua figliuola.
v. 67- 08. Cui più li conveniva dire : feci male, che
far peggio coli' adempire un lai voto. Siegue Dante il
parere di quei Padri, che dicono aver Jepte peccato nel
fare ed' adempire cotal voto.
v. (X). lo gran duca de' Greci, il re Agamennone.
v. 70. il suo bel volto , ia sua bellezza , che era sta-
ta cagione, che Ifigenia divenisse l'oggetto del paterno
VOto, e perciò a lei divenne fatale.
v. 73. di un culto degli Dei cosi barbaro.
v. 75. in vece di dire, e non crediate ch'ogni offer-
ta sia accetta a Dìo e vi meriti la sua misericordia.
v. 83' e semplice e lascivo leggon l'altre ed.
T. 84. con salii e capriole quasi armeggia, giostra.
v. 85- cont'io scrivo l'altre edizioni, facendo io in
mezzo al verso di due sillabe.
v. 87- a quella parte, ove ec. cioè all'insù, dove
il moto dei cieli è più vivo.
.v. 88- Lo suo piacere leggoii l'altre ediz. . 1
v. p3 pria che sia la corda, queta , prima che. cessi
da ogni vibrazione.
v. 93. nel secondo regno , al secondo cielo , al cie-
lo di Mercurio, regno di quelli che sono itati attivi,
perchè onore e fama gli succeda [Canto sog. v. 113. e
eeg.)
v. 09. per tulle guise , non solamente il corpo è mu-
tabile, ma ancora l'animo per varie periurbazioni.
v. 10S. sì come , vale qui subito che.
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del Paradiso. 207
■ v. ictj— nr. se il racconto incominciato di queste
apparse anime non si continuasse ■ quanta barizia, pri-
vazione, angosciosa Hi avresti di saperne più.
v. 113 — 117. o felice a cui è concessa la grazia di ve-
der ì troni della Chiesa trionfante, prima di aver finito
di combatter nella militante, cioè prima dì aver lascia-
to questa vita.
v. Mg- del lame ec. del fuoco del divino amore.
V. r3o. Da noi cjiiiiririi leggou l' altre ed.
v. 134 — 126. Io veggio bensì che tu t'annidi, tiri-
posi in pace, nel proprio lume, nella porzione del
divino lume che ti si comunica, e che dagli occhj il {rag-
gì, c che lo appalesi dagli occhj , percìiè pei quali, si
conte tu rìdi, in quella misura che tu gioisci, ei cor-
rusca, esso risplendc.
v. 127. aggi, per abbi.
v. i38- 129. il grada della spera the ec. il cielo di
Mercurio, stella, che per maggior vicinanza al Sole,
■più i.dice Dante stesserei Convito) va velata de' rag-
gi del Sole, che nuli' altra stella.
v. 130. alla lumiera, all'anima risplendente.
v. 131. fessi, si fece.
■V. r33- staisi , per stassa in grazia della rima.
v. 134. i3S quando il caldo ha distrutti gli spessi va-
pori, che temperavano all'occhio la troppa vivezza de'
raggi.
v. 133. cJiiusa chiusa , in forza di superlativo : le-
liìssimo chiusa.
Canto VI.
-Argomento.
JVaniraa offertasi a Dante di soddisfare alle sue di-
mande dimostra essere Giustiniano Imperadore , e rac-
contagli le sue azioni, e come egli corresse e riformò
le leggi. , n
IS *
Dichiarazioni
V- i — 3- Gostttiititi , l'imperador Costantino il primo
di tal nome; l'aquila., l'insegna del Romano Impero,
per lo stesso impero; — volse contro, il orso del eie/:
malaugurosamente la fece passare dall'oc ci dei Ite in orien-
te, coltiva il giro che quotidiana meli te fa U ciclo da
Oliente in occidente; — elle la. feguio dietro all' antico
ec. il quale cielo accompagno col suo corso la medesima
aquila, assecondando la venti» da Troia in Italia (da
oriente in occidente) di quell'antico eroe Enea, che
tolse a Turno e fece sua sposa Lavinia figliuola del Re
Lutino.
• v. 4. cento e cent'anni e più, tioè dn genio e tre
anni prima dell'impero di Giustiniano, dall'anno 334
sino al S37ì — l'uccel di Vio, di Giove, l'aquila.
v. S. 6- nello stremo d'Europa in Bisanzio, — vi-
cino a' monti della Tiojina regione.
V. 7. penne qui per a/i.
v. 9 e li cangiando ce. e co«i 'li mano d'un Impe-
radore in mano d'un altro passando pervenne in nano
v. ir. eh' io sento , eh' io attualmente gusto.
v. i3. V'entro, da ciiiro ; — trassi, levai.
y. a3- all'opra, alla detta riforma delle leggi.
v. 14 — 18. confessa di essere stato seguace d<ll' eresia
£michiana, che ammette in Cristo una sola natura, e
dì essere stato illuminato, e rimesso nella vera credenza
per opera di 5. Agapito Papa. — mi dirizzò l'altre edi-
zioni.
V. Eo. ci. Si come tu vedi, ogni ec. e quel modo
che comprendi tu cbia«isim:uneu te , che Ji-'.le contrad-
dittorie propo.-iaioui una dee esser falsa, e l'altra vera.
V. :s. Tosto che seguii la dottrina della Chiesa.
v. 33. di spirarmi, l'altre edizioni.
v. 24. l'alto lavora , la suddetta rifonnazioue delle
leggi.
v. 27. posarmi, siamene nella mia reggia, hi ufi
ilaglì eserciti.
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del Paradiso. 209
"v. 29. ma sua condizione , ciocia qualità detta mia
risposta; l'altre ediz lcggon ma fa condizione.
v. 31. con quanta poca ragione, con quanto torto.
v. 33. contri l' aquila imperiale.
v. 33; E chi'l j' appropria , il Ghibellino , — e chi
a lui s'oppone, il Guelfo.-- Vedi più abbasso, ai ver.
si ico e ic*.
v. 3;. e comincio, intendi essa viriti.
v. 3(5. Fallanti, figlio d'Evandro, mandato dal
padre in soccorso di Enea , moti combattendo ,' acciò
in 1 Enea ottenesse l'aquila regno.
v. 37. l'altre ediz. Leggono; Tu sai eh' e' fece; —
in Alba lunga fabbricata da Ascanio , figlio di Enea,
Tegnò la di lui discendenza per più di trecento anni.
v. 39. che i tre Romani fratelli Orazj contro i tre Al-
bani fratelli Curìazj pugnarono. — (he tre a tre leggon
l'a:t« edizioni.
v. jo — 42. Sai quel che ce. sai quello che il medesi-
mo segno fece ne' sette regi, che furono nell'intervallo
di tempo scotso tra il rapimento delle Sabine e la vio-
lenza da Lucrezia soilerta , vincendo per essi le intorno
vicine genti.
v. 44. Brenna, capitano generale de' Galli Eenonì;
il qtiale, raenir' era_ per impadronirsi del Campidoglio
di ISoroa, fu rispinto e scacciato da Furio Camillo. —
Firra , re degli Epiroti , personaggio notissimo nella
v. '45. collegi, qui per collegati.
v. 46 — 33- Torquato, Tito Manlio Torquato, no-
bilissimo Romano, U quale fece prima battere con ver-
ghe, e poi decapitare il suo proprio figlio, ""perchè
nella guerra de' Latini , centra il suo comando , molto
pericolosamente avea combattuto, bertene avesse otte-
nuta vittoria. — Quintio , che dal cirro te. Qitintio»
fu denominato Cincinnato , il che in lingua ital. po-
tremo dire rabaruffato. Cincinna e cirro in Latino
sifiiilica capello torto; alcuna volta i capelli soa torti
quando non li pettiniamo ; e per questo Quinti©, uomo
18 **
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210
Dichi aT azioni
di dura vita, perchè teneva i capelli negletti ed incolti e
senza pettine, fu chiamato Cincinnato ; onde il Petrarca
dice U Cincinnato dall' h Unita chio?nu. — Deci. Fu*
roti questi tre cittadini Romani, padre, figliuolo e ni-
pote, di schiatta plebea , i' quali per ottener vittoria
all' armi della Repubblica , consacrarono le proprie per-
toue agli Dei internali, cacciandosi nel mezzo de' ne-
mici, dóve era maggiore il pericolo, e così rimanendo
uccisi i il padre nella guerra Gallica , il figliuolo nella
guerra Etnisca , e il nipote in quella che fece il re Pir-
ro contra i Iloniani per difendere i cittadini di Taranto.
— Ta.bj Romani. Di questa famiglia furono molti uo-
mini segnalatissimi e in pace e in guerra. JYIa uno de'
piti famosi fu Q. Fabio Massimo, il quale colla stiade-
strezza e prudenza raddrizzala Repubblica già cadente
per le continue vittorie d'Annibale; — mirro, in vece
di miro, cioè tengo presente, mi Ticordo. - -'
v. ijq. Arabi, intende i Cartaginesi,
v. 51. ròcce, rupi, To, dalle quali tu caschi. For-
ma Dante qui in grazia della rima dal verbo Latino la-
ber, laberis, V italiano verbo labere.
V. 53. S4- Scipione e Pompeo, quello vincendo An-
nibale, e soltomcttendo all' impero Romano l'Affiica
onde riportò il titolo d' /Iffricano , e questo varie vii-
torie anch'esso riportando; — ed a quel colle, sot'to'l
qual tu nascesti , paroe amaro, cioè e il trionfar di
Pompeo dispiacque a Fiesole posta su'l colle sopra Fi-
renze tua patria, imperocché fu Pompeo uno de' di-
struttori di Fiesole e degli edificatori di Firenze.
v. 55. presso al tempo ec. avvicinandosi jl tempo
della nascita del Redentore.
v, 57- Cesare, Giulio Cesare, — il talle , Io pi-
glia, e porta contro agli Svizzeri e Tedeschi invasori
della Callia.
v. sb. da Varo infitto al Beno, "ciò come a dire in
tutta la Francia ed in pa?te della Germania.
v. sg. Isara fiume della GalUa che mette nel Roda-
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del P nr adi s o.
211
noi — Era, fiume che nasce nel monte Vogeso, e
mette nel Rodano, in Lat. Arar.
v. Ci. egli, il detto impcTial segno, l'aquila.
v. 64. lo stuolo, l'eserc Ito,
v. 65. Uurazin , città di Macedonia) con porto»
dove Giulio Cesare fu assediato dalle genti di Pom-
peo; Farfuglia luogo celebre di Tessaglia, dove Giulio
Cesare diede la gran rotta all'esercito di Pompeo.
v. 66. l'altre edizioni leggou parte; HI, ch'ai Nil
caldo si sentì del duolo , e parte : Si eh' al Nil caldo
f e' sentir del duolo ; migliore è la lezione della Nido»
beatina adottata dal P. Lombardi e da noi, e vuol dire
che la vittoria riportata da Giulio Cesare, contra
Pompeo in Farsaglia, fu cagione, che anche il Nilo et
rammaricasse , e per la proditoria morte data a Pompeo
nell'Egitto rifuggitosi , e per prevedersi .quella guerra,
che Cesare gli mosse.
v. 67. Antctndro, città maritima della Frigia mi-
nore, donde Enea fece vela per venire in Italia. Si-
moeitta, fiume che scorreva presso Troia, nato nel monte
Ida.
v. 68- là dove Ettore ti cuba , là dove Ettore ripo-
sa , giace sepolto. Dante sicgue qui il pensamento di
Lucano, Phartal, L, IX. v, rj33- = segg. ,
v. 69, ed ai danni di Tolommeo re d'Egitto indi ri*
pani; imperocché pervenuto nell'Egitto spogliò To-
lommeo del Regno e dicdelo a Cleopatra.
v. 70. da onde, dal tjual Tolommeo ; — a Giuba
re della Mauritania nell'Affrica, il quale, vinto in
battaglia da Cesare, si uccise di propria mano.
v. 71. nel voitro occidente, vale come se dicesse nel-
la -parte per voi Italiani occidentale , e denota in co-
tal modo la Spagna.
v. 72. dove actanipava l'esercito Pompeiano , cioè
presso Monda, citta della Spagna , dove Giulio Cesare
VÌii6e Labieno ed.i due figliuoli di Pompeo.
r. 73. col bajulo seguente, cioè con Ottaviano An-
gusto, successore di Giulio Cesare, La parola latina
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212
Dickìa razioni
bairdus; che dapprima par che significasse un vii por-
tatore, un facchino, ai tempi del nostro poeta gii si
era nobilitata in guisa che baiidut appellava*i 1" a}0 di
qualche principe giovinetto ; poi significò anche un
grado nelle religioni militari; da essa derivano, rife-
rendosi al primo significato: baule, 6orta di cassa o
valìgia da viaggio, e biijtdare , portare; al secondo
Significato: tùlio, quegli che alleva i fanciulli, ed
insegna loro ì contimi , e bàlia, che allatta gli altrui
figliuoli; ed al terzo significato: bali, podesià, ba-
lia, autorità, forza, e baliasgio, grado di religione mi-
litare.
v. 74, Bruto e Canio, uccisori di Giulio Cesare,
ridoni da Augusto a darsi disperatamente la morto di
propria mano; — latra, parla rabbiosamente.
v. 75. Mi dena, per le stradi falle da Augusto con-
ila Marco Antonio nella vicinanza di essa — e Vcrugia,
per causa dì Lucio Antonio, fratello di Marco, asse-
diato c preso prigioniero di guerra nella seconda.
v. 79. con. costui, con Augusto ; — al lito miro,
■1 mare io?eo.
v. 83. poi, intendi rapporto al terzo Cesate , di cui
v. 85- in apparenza, cioè in sua comparsa; — scw
rb, qui per ignobile. ,
V. 36. Se esso imperiai segno li mira in mano al
terzo Celare.
v. 89. 90. Gli concedette ec. Al medesimo imperiai
segno, posto in roano al terzo detto Cesare, concedette
la gloria dì fare colla crocifissione di Gesù Cristo Iti
vendetta, l'azione soddisfatoria , all'ira sua contro
dell'uomo prevaricatore. Co-i spiega questo passo il P.
Lombardi in non maniera più semplice e più giusta che
non lo fanno gli altri contentatoli. (
V. 92. 93. vendetta della vendetta .- la malvagità de'
Giudei fece con la morte di Cristo 1-, vendetta da Dio
voluta del peccato antico, del peccato di Adamo ; e Ti-
to fece la vendetta 'della malvagità de' Giudei.
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del Paradiso,
213
v. 0B. di topra, cìoii nel v. 33-
v, 100. ioi. L'uno al pubblico legna ce. Accenna
quei, che ne' terzetti seguenti nomina emessameli te,
i Guelfi c Ghibellini; e lagnasi, che i Guelfi contio
l' imperiale aquila movano i gigli gialli , cioò Coirlo If .
le di Puglia della casa di Francia > .avente per stemma
colali gigli, e che i Ghibellini vanendosi Imperi.ui,
non pe'l comune vantaggio dell'Impero operino, ma
pei propri ingiusti fini unicamente. E quel, cioè il
pubblico segi.o. — L'altre edizioni leggono : e t altro ,
appropria quello a parte.
v. va. forte, difficile-.- :
v. 103. lor arte, le inique imprese loro.
v. 106. està dirlo novello, Carlo II. te di Puglia
figlio del vecchio Carlo !.
v. IC7- degli artigli dell'aquila Impi-risle.
V. icS P'Ù allo, più Forie; — trasser lo vello, di-
pelarono.
v, US- Fissa qui Giustiniano a rispondere all' alti*
dimanda, cioè pcrchO sì novasse egli in Mercurio,
v. «4. gli, a loro.
v. iij. poggian quivi, b' «ffistaiio all' cuore e fama.
V. il?, del varo amore, che solo rignuda Dio.
v. 113. ni}. Ma nel confrontar noi e veder gtusta-
ttro merito , confiate tuia parte della no.» Ira bcaiitudine.
v. i3o. maggi, maggiori; — non li veden, leggon
- l'altre edizioni.
v. I3t. addolcisce , appaga-
v- 124- dolci iute, un dolce concento di suoni,
v. 12Z. scanni, allogamenti , gradi,
v. t26. tra queste ruote, tra questi celesti giri,
v. 127. margherita, perdio corpo risplendente di
Mercurio.
v. I2g. i3o. la luce, la chiara anima di Romeo, eli
cui ec. Romeo fu un pellegrino , uomo di picciola na-
zione, clic tornando dal viaggio di san Giacomo di Gal-
izia, capitò in Provenza , ed acconciossi in casa del
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Di chi a r azioni
Conte Eerlinghieri, dal quale ebbe il maneggio e'1 go-
verno dell' entrate sue, e fi bene c fedelmente le seppe
atigumentare, clic fu cagione, che quattro figliuole del"
conte si maritassero a quattro re. Ma il come ingra-
tissìmo, lasciatosi vincere all'instante de' suoi baioni,
ì quali per invidia perseguitavano Romeo, dimaudolli
canto dell' amministrazione, il quale puntualmente Ro-
meo gli diede, facendogli vedere l'entrate raddoppiate ;
e non volendo più servire al conte, partissi povero e
vecchio , e da indi in poi sostentò sua vita medicando.
v. i3t. non hanno rìso, perchè- poco tempo dopo da
Carlo d' Angiò, genero d'esso Conte, gli fu tolto lo
stato e dispersi i suoi Provenzali baroni.
V, 133. chi sì fa danno proprio del ben far 4' alitili J
— del benfare altrui le ego n l'altre edizioni. -
V. 136. bisce, . qui pure come Inf. XXV. 3' per 7iìe-
the in grazia della rima, ed a senso di itone ed ini-
que.
v. 137. sene e cinque, dodici in vece di dieci.
V. 140. il cuor magnanimo.
T. 141. a, frutto a frusto, a pezzi, a bocconi.
t. 143. se ora lo loda assai, lo loderebbe molto più.
Canto VII.
Argomento.
Sparito Giustiniano con le altre anime, a Dante
nacquero alcuni dubbj quanto alla redenzione umana,
ed al modo di essa redenzione; ì quali gli sono risolti
da Beatrice, e da let prosatogli appresso l'immortalità
dell'anima, e la resurrezione de' corpi.
v. 1 — 3. Osanna, sanctus Deus ec. cioè : Viva il
santo Dio degli eserciti, che sparge il lume della chia-
rezza" sua sopri i beati spiriti di questi regni.
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del Paradiso.
215
v. 4. altre edizioni leggono 1 alla nota sua.
del Lai. viium est miài} — essa sustanza , esso pil-
lante spirito, Giustiniano.
v. 6. s'indica, s'aggiunge, s'accoppia; qui sta per
induava. l' altre ediz. leggono s'addita.
v. 7. a sua. danza, al primiero suo girare colla
stella.
v. 9. mi si velar ec. cioè • presto dilungandosi dia-
parvero.
v. 10. dille , dille , cioè di' a lei , di' a lei , ed in-
tende ad essa siutanza, in luogo di dire, a Giusti-
v. 11. 13. alla mia Donna , a Beatrice , che con le
dolci stille del suo parlare mi cava la sete del sapere.
v. 14- per E e perJCE, scherza qui D. su'! vol-
gale accorciamento del nome di Beatrice in qutllo di
Bice, e vuol dire che non solamente alla presenza di
Ueatrice ma al solo pronunciarsi d'alcune lettere del me-
desimo nome, lama riverenza s'impadroniva di lui»
che perdeva ogni coraggio di profferir paroU.
V. 13. eh' assonna , ch'ò vinto dal sonno.
v. 19 — 31, Secondo mio ce. t'hai in pcnsier misot
tu ricerchi nella tua niente, come giusta vendetta ec.
e ciò per aver inteso detto da Giustiniano, che l'aqui-
la Humana
— — con Tito a far vendetta corse
Delta vendetta del peccato amico.
miso per messo dagli antichi si usava anche fuor di
v. O). presente, dono, regalo.
v. £3 — 37. Costruzione: QuelV uom che non nac-
que, Adamo, per non soffrire alla virtù che vuole,
alla volontà , /reno, divieto di mangar del frutto , a
sua prode, a prò dell'uomo slesso, dannando se, dan-
y. 23. giù, nel mondo.
D ic li ini' azioni
v. 31. it", dove; si riferisce al sopraddetto giù, cioè
nel mondo; la natura umana,
v. 32. allungata, allontanata.
v. 33. con l'atto ini ce. per virtii solo dello spirito
tanto, senza coopcrazione &' uomo,
v. 34. il viso, l'intelletto.
v. 37- per se stessa-, per propria colpa, per suo
mal operare. L" altre ediz. leggono: Mi* per se stessa
pur fu iibaudita.
y. 40. porse, diede.
v. 41. te alla natura umana assunta da Dio si ml-
- v. 42. nulla', ninna; — morse per afflisfe.
v. 43. eoli, similmente; — iiigiura per ingiuria,
qui per ingiustizia.
v. 46. però , per cotale vario riguardo ; — cose di-
verse, effetti diversi.
V. 48. e per lei, per la motte del redentore.
v. 49 forte, difficile a capire.
v. 51. vengiata, da veng'uire pei vendicare, dal
francese vengi-r. ~ coi-te , foro di giustizia,
v. 53- naih, difficoltà.
v. 34. solver s'aspetta, aspetta di esserne sciolta,
intendi la tua mentis.
v. SS- Tu dici dentro di te stesso.
v. 53- sepulto, occulto, nascosto.
v. 60. adulto, uudrito e cresciuto; allude qui- al
propter nimiam charìtatem , qua dilexit nos «c,
v. 61. Veramente, veracemente; — a questo se-
gno, a conoscer questa cagione del divino operare.
V. 64. spcrne , caccia e rimuove.
v. 67. senza mezza, immediatamente.
V. ÓS- 60. perditi la sua fattura non perisce, quaud'
ella fornisce 1' opera.
v. 70. snnza mezzo, senza intervento e coopcrazione
di cause seconde; — piove, come sopra distilla per
proviene, fossi.
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del Paradiso.
217
v, 73. alle nuove combinazioni di caute seco a dar i e.
v. 73. l'è, è a lei, cioè alla divina bontà.
v. 74. che*l divino amore, il quale in mite le cose
si diffonde. - ' >
v. ?5. j' avvantaggi» , ha U prerogativa d'arricchir-
sene.
v. 79. dis franca, per «commuove, scombussola.
Y. 8r. perchè, qui per laonde, per la qnal cosa.
r. 93. riempie , risarcisce; — dove colpa vota, ove
la colpa ha guasto.
v. Si- giuste, proporziona».'
v. 85. tota , per tutta, in grazia della rima.
v. 86* 'tei teme di Adamo; — da queste di gii ita di,
cioè dell' incomntiMUta, della similitudine a Dìo , e
della Mia predilezione.
v. 87- remota, rimossa, allontanata.
£g v. 90. guadi, tragetti.
v. 93. dimeno, perdonato;— isso , stesso.
Ti 94. mo, praj — l'occhio dell'intelletto.
v. 96. distrettamente , strettamente.
v. ico. intese ir suro , credendo alla lu sin ghiera pro-
messa del demonio : eritii siati UH.
v. idi. {uè, fu.
v. rea. dischiuso, escluso.
V. ic;. con. ambedue, cioè colla via della misericor-
dia e della giustizia.
v. 109. imprenta, , imprime la sua immagine al
v. 112 — 114. Ne tra'l principio e la fine del mondo,
cioè in mito quel tempo che durerà il mondo, fu o sa-
rà una maniera di procedere cosi magnìfica, o per la
divina bontà o per l'uomo. L' altre ediz. leggono 0
per V uno , o per t altro.
v. ri7. dimesso, perdonato. .**
v. i32. a dichiarare , intendi il detto mio.
v. 133. Aftinché in coiai materia dlsceiua tu ogni
cosa al par di me.
v. f37. pur, non dimeno.
Dante III, Ip
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£13 D i eh iar azioni
v. 130. il paese sincero , le celesti sfere- ; -lincerò vale
puro, senza mistura dì elementi.
v. 136. creata , intendi immediatamente da Die,
e perciò incorruttibile ; egli, per eglino.
V. i37- l<* virtù informante^ che desse la forma e l' es-
sere ai>lì elementi.
v. t38- « lar, ad essi elementi.
• v. 139 — 141. Questo passo oscuro dal P. Lombardi si
spiega in questa maniera. Essendo le anime forme, non
della materia prima, ma de' corpi organici, perciò, sic-
come le- forme informanti Ut materia prima si tirano,
si ricavano, dalla di lei potenza {educuntur dicono
gli acolastici , ab agente de potentia maieriae) , istes-
sa mente l'anime de' bruii e delle piante debbono trarsi
da mi corpo, non qualunque, ma da di cui compier-
sione, temperatura 1 Hrutuira, ■ ritrovisi potenziata,
dotata di potenza, di abilità, a potersi per le agenti
stelle esse anime tir/tre , trarre ; — luci tante , appella
le stelle.
v. 142. nastra vita invece di nostr' anima; — senza
mezzo-, intendi di creatura alcuna; — spira, in-
spira , influisce.
v. 133. beninanta leggon l'altre ediz.
v. 148- Jensi, si fenuo , 6i fecero.
• . Canto Vlìl.
A r g o'm e n t ò.
Ascende il poeta dal cielo-di Mercurio a quel di Ve-
nere, nel quale trova Cario- Martello Ec d' Ungheria ;
dal cui parlare essendogli nato un dubbio, come di
buono e virtuoso padre poppa nascer reo e vizioso
figlinolo, quello da cfso Martello sii è risolto.
v. 1,-9, Salendo Dante al cielo di Venere, dove fa
vederci coloro che da quella stella ricevettero amorosi
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del P ar a di so.
210
influssi, premette notìzia -della cagione per cui la m»-
dcsima stella fosse Vencve nominata; e ripetela dalla
sciocchezza de' Remili, i quali malamente, intendono
l'amore, che l' astrologia insegnava influirsi da quella
stella, eSsere amor foli/!, impudico, ^arbitrarono per-
ciò non solamente che nella medesima stella aresse Vc«
nere, li dea de' folli amori , il suo seggio, ma passa-
rono eziandio a tributare ad essa ed a Cupido figlio di
lei, ed 1 Dione di lei madre, divini onori ; — Io
mondo gentile, il gentilesimo ; in, per con, suo pe-
rido, pericolo i — raggiasse, inspirasse! — epiciclo,
cerchio in cui gira tm pianeta ; — votiva grido, pre-
ghiere; — in grembo a IDìdo , v. Virg. Aeneid. L, I.
v. 10 da costei, da Venere, oud'io principio fuc-
ilo canto.
v. 13. or da coppa, or da ciglio, or di dietro, or
davanti.
v. 13. far, -per farsi,
v. ai. di lor viste eterna, delle loro beate visioni.
v. 33. festini (dal lat. festinus , a, uni), veloci.
v. aó. 37. lasciando di aggirarsi con Venere, il di
cui circolare diurno movimento viene cagionato dal
primo mobile, osia dal nono cielo, al quale Danto in-
tende deputati per intelligenze motrici gli angeli piti
alti e nobili, appellati Serafini, e perciò dice il giro di
Ventre pria cominciato , cioè' avente prima cagione in *
gli alti Serafini.
v. SO- lì, cosi dolcemente.
v. 32. som, siamo.
v. 33. ti ghi , ti pigli gioja.
v. 34- Supponendo Dante ciascun de' nove cidi es-
sere mosso da alcuno de' nove angelici cori, e che al
cielo di Venere toccato sia per motore il coro detto de' ■
principati, perniò movendosi questi spiriti con Venere
fa loto Dante dire ci volgiam co' principi celesti, cioè
col coro de principati angelici.
V. 33- d'un giro, della medesima via; d'un girare,
* 19 *
220 Dichiarazioni
del medesimo movimento; e d' una sete, e del mede-
simo affetto alla divina abitazione.
v. 3ó. nel mondo , mentre nel mondo scrivevi.
v. 37. Voi, che intendendo ec. primo verso della
prima canzone che Dante nel convito suo commuta ; in*
tendendo, con intendimento.
43. 44- <A« prometta tanto j' avea, che si era of-
ferì* al mio piacere con tanti cortesia.'
v. 45- di grande affetto impressa, grandemente af-
fettuosa, da grande affetto accompagnata.
v. 46. O quanto vid'io lei, la detta luce, farsi
più grande e più risplendente.
v. 49. cosi fatta, così cresciuta in grandezza ed in
splendore.
v. 51. Molto sarà di mal ec. È questo, che prò-
fetiza, Carlo Martello primogeii ito di Carlo II. il Zop-
po , re di Napoli e signor di Provenza. Fu egli, vi-
vente suo padre , coronato Re d'Ungheria, e, so so-
pravvissuto fbìso al padre, sarebbe come primogenito
ch'egli era, entrato ancora al possesso degli stati pater-
ni anzidetti; ma premorto estendo al padre , vi S'in-
truse, ad esclusione de' figli di Cario Martello , il fra-
tello Roberto, del cui mal governo già effettuato quan-
do Dante queste cose scriveva , fa che il morto Cario
Martello parecchi anni prima ne sia profeta. Tra i ma-
* li cagionati dal governo di Boherto , dee il Ghibellino
Dante .inìciidere principalmente le guerre e stragi dal
medesimo Roberto cagionate coli' opporsi alla corona-
zione ed ingrandimento di Arrigo VII.
T. 59. la mia letìzia , il lume della mia beatitu-
dine.
v, 53. che, vale perocché.
v. 53. Assai m' amasti »c. Di questa amicizia del
poeta nostro col re Cario Marcello non parla nessuu de'
cementatori di Dante. Fors'egli contrasse cotale amici-
zia o noli" occasione d'essere stato perdite Gate amba-
sciatore a Napoli al re di lui padre, ovvero mentre lo
:<ìso re Carlo Martello, portatosi a Firenze, ivi per
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del P nradiso. 221
più di venti giorni .«tese il ritorno del re suo padre
dalla Francia; — ed ausiti ben onde, e ben ne avesti
motivo: accenna qui Dante, dL avei egli da quel prin-
cipe ricevuto qualche gran benefizio.
V. 37. le fronde , favori leggeri.
T. 38- So. Quella si/intra riua ec. quella porzione
della Provenza.
v. 60. a tempo, a suo tempo, cioè dopo la morte
del re Carlo il Zoppo.
v. ór— 63- JL quel corno d'Ausonia ec. e quella pun-
ta, quell'estrema -pine d'Italia} che s'hnborga che
fassi abitato, clic contiene le città dì Bari , di Gaeta,
e di Crotonic ; Bari nella Puglia , Gaeta nella terra di
lavoro, e Or otaria, o aia! Crotone, nella Calabria ul-
teriore i da onde, da quel luogo dove, Tronto e
Verde, due fiumi, il primo de' quali sbocca nell'Adria-
tico-, il secondo dall'opposta pane sbocca nel Mediiee-
laneo-, *) Da ove leggo» l'altre edizioni.
*) Il Landino, il v e llutello, il Volpi ed miche i!
Lombardi, tratti in tale errore cai Boccaccio, di-
cono che il fiume Verde metta ivel Tronto e «forgili
nell* Adriatico. Al contrarlo Benvenuto da Imola
dice di questo fiume latitar in mare Tuscum, on-
de Gin. Villani pone il fiume Verde ai contini del
Regno « dì Campagna; cosi anche lo spiega il pS-
itilla.to.re del Cod. di Monte Casino. 11 fiume Ver-
de dunque non è altro che l'antico Lirit oggi Ga-
rìglìano , il quale ne' secoli bassi ebbe varj nomi,
ed ora fu detto Minturno , ora Trajetlo , ora Car-
ne Ilo , e finalmente GarigUanoi ma ebbe ancora
quello di Verde fà dove passa da Sora a Coprano,
e questo nome gli fu dato per cagione dtll' acqua
sulfurea, che dal pie d'una montagna vicina si
mescola coli' acqua del detto fiume e le dà un color
19**
Dichiarazioni
v. 6j. dì quella terra, dell' Ungheria.
V. 67. Trinncria, Sicilia; — caliga, si.COpredi
caligine, di fummo.
v. 0$. Pachino e Peloro, i due pumi del lato oxicn-
tale di Sicilia come se dicesse tra Siracusa e Messina ; —
sopra il golfo di Catanea.
v. 7c. Tifeo uno de' giganti , che ardliono di muo-
ver guerra al cielo, ed il quale secondo la favola sta
sepolto sotto il monte Etna ed è la cagione del suo fu-
mare e buttar fuoco.
v. 73. per me, per mezzo di me; — di, invece di
da. Carlo e da Ridolfo , figliuoli del parlante Carlo Mar-
tello. .
v. 73. inizia, signorìa, governo cattivo; — aecitora,
mette in disperazione. ,
v. 73. Mosso Palermo a gridar: mora, mora.
In Palermo ebbe principio il famoso Vespro Siciliano,
permeili furono moni tutti i Francesi che trovi vinsi nella
Sicilia; conseguentemente al qual fatto s'insignorì di
quell'isola Tietro d'Aragona, rimanendone esclusa la
casa di Angiò.
v. 7(5. mìo frate, intende Bobertoi — questa , cioè
che mala signoria accuora li popoli suggetlii — art-
tivedes'se, vedesse presentemente, prima di esser fatto
re (non lo fu che del 1300, cioè nove anni dopo di quel-
lo in cui finge Dame questa sua andata all'altro mondo,
v. 77. 7g. già si allontanerebbe dagli affamati ed avi-
di Catalani ' Mentre fu Roberto in Catalogna ostaggio
pe'l re suo padre per ben sette anni, contrasse amici-
aia e familiarità co» molti poveri Catalani, che con-
verde. Questa spiegazione toglie gli equivoci ed i
dispareri circa la situazione ed il nome odierno del
fiume Verde, accennati dal Lombardi in questo
luogo e lotto il v.i3t. del canto ili. del Purgatorio.
del Par adis o. 223
ducendoli poi seco in Italia, eìagli oflìcj proraovcn-
doli, posponevano la giustizia al danaro. — accio non
gli offendesse, si riferisce gli ai sopraddetti popoli sog'
eetti.
V. 83. 8t. per lui, per opera di lui medesimo, ò per
altrui, o per opra d'altri, cioè di parenti ed amici; —
ti che a sua. barca, ec. così metaforicamente , invece di
dire: si che all'indole sua avara non si accrescano da
altrui avare insinuazioni ; — pogna per ponga.,
v. 82. di larga, di liberale, parca, d'indole avara.
Malamente nella ediz. degli Accad. dtlla Crusca e in tut-
te l' altre a norma di quella fatte, scrivesi parca con
V grande, e malamente gli espositori ne fanno una delle
Dee che filano il tempo della vita umana.
v. 83. dì tal milizia, di tali ministri consiglièri ed
esecutori.
v. 84. che* non fosse affamata ed avara.
v. 83 — 90. Costruzione; Perocché, signor mìo, io
credj die ove ogni ben si termina e s'inizia, in questo
luogo Ove ogni bene ha origine e fine, per te si veg-
gìa , come la vegg'ìo, come io la provo, l'intenta
alta letizia., che 'V tuo parlar m'infonde, grata m' è
più, maggiormente; e anche questo ho caro , percTiè'l
dìscerni , perocché ciò vedi, rimirando in Dio.
v. c3. come discender può di natura laTga natura par*
ca , cioè figlio avaro di padre liberale.
v. 93. un vero, una veiità, intendi fondamentale a
quella che bramava Dante di sapere.
v. Cj6. ti verrà allora davanti agli occhj ciò che ora
ti sta dietro alle spalle nascosto.
v. 97. Lo ben, il sommo bene , Iddio; — scandi,
sali.
v. 0.3. 90. fa virtute (intendi impressa) in questi cor-
pi grandi esser Sua providenza , cioè £a che una vir-
tù, una efficacia, impressa in queste celesti sfere, ser-
va in luogo del suo immediato provvedere, intendi alle
nature ed indoli d^lle terrene co^e.
224
Dichiarazioni
v. 101. nella metile divina.
v. 103. quantunque, quanto mai; — questo area
saetta, detto figuratameli te in vece di, questa telette
virtù influisce quaggiù.
v..icj. cocca, qui per tutta la saetta.
v. 106. cammine, cammini:
v. ics. Che non sarebber edificazioni , ma distru-
zioni.
v. ito. non son manchi, non fon di mancante atti-
vila.
V. ili. E se non è manco il primo intelletto. Id-
dio, che non abbia potuto perfezionare la loro atti-
vità.
v. 113. ti s'imbianchi, ti si schiarisca.
v. 114. in quel eh' è uopo, nella formazione delle
opere sue; — stanchi, venga meno.
v„ 116. se non fosse cine, te non vivesse in società}
— cine dal Laf. cium, in grazia della lima; per conni'
v. n8. È Carlo che rientra qui a parlare: E pub
egli esser ci ve ec.
v. ng. per diversi uffici, per diversi mestieri, che
alla società abbisognano,
V. i3o. il maestro vostro, Aristotele,— fi, iteli'
Etica e nella politica.
v. i3i. quid, per qui,
V. 123. de vostri effetti le radici , le indoli, le di-
verse cagioni delie vostre inclinazioni e del vostro ope-
lare.
v. 155. quello , Sedalo, macchinista,
v. iSO. il figlio , Icaro.
v. 137— 139. Entra ma a sciogliere la preposta qiti-
Btione Come uscir può dì dolce seme amaro; e dice
che la circiditr natura, in virtù de' circolanti cicli,
che a guisa di sigillo imprime nel mortale umano corpo
i temperamenti, fa bensì l'arte, l'officio suo di in-
fluire negli uomini le varietà de' temperamenti alia so-
cietà necessarie i ma non hada a distìnguere una casa
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à ci Paradiso. 225
dall'altra, cioè quelli che nascono in casa dei te, da
quelli che nascono in casa de' plebei.
v. 13*. Quirino , Romolo.
v. 133. si rende , ei attribuisce.
• j33- 134, la natura di ciò eh' è generato agirebbe
sempre d'una medesima maniera col suo generante.
v. 133. se non vincesse il provveder divino per mezzo
della virtù attribuita alle celesti sfere.
v. ijt>. Or vedi quel che prima non vedevi.
v. r37. che di te mi giova , che ho piacere nell*
istruirti. - *
v» *33- un corollario , un' aggiunta ; — che t' am-
manti, che finisca di vestirti , metaforicamente per
erudirti.'
v. 139 — 141. Costruitone: Sd natura tritava for-
tuna discorde a ss , sempre fa mata pruova , fa cat-
tiva riuscita , come fa mali pruova ogni nl ra temente
fuor di sua tegiotl, fuor del clima alla medesima con-
venevole.
v. 143. all' indole che natura dà a ciascun uomo. •
v. r48- la traccia vostra, il vostro ahdam eiijo, il
vostro regolamento.
Canto IX.
Argom ento.
Introduce Dante in. questo canto a parlar Cimiaza
sorella d'Asolino da Romano, ed a predirgli alcune
calamità della Marca Trevigiana; e poi Folco da Mar*
siglia [aliri'l dicono da Genova), il quale fu vescovo
di Toloia.
v. 1. Volge qui Dante, per apostrofe il parlare ali*
figlia di Carlo Martello, Clemenza, moglie di Lodo-
vico X. re dì Francia, la quale era tra' vivi, mentre
Dante queste cose scriveva.
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Di chi a r azioni
r. 2. gl' inganni , le fraudi , le defraudazioni, vale
■ dire, per l' ingiusta intrusione dì Roberto fratello di
Carlo Martello nel regno di Napoli e di Sicilia, ad
esclusione de' figli di esso Carlo e fratelli di Clemenza.
v. 4. disse, il medesimo Carlo Martello.
V. g. 6. pianto giusto verrà ec- verrà in seguito 11
giusto castigo a farne piangere li dartniEcatori,
V. 7. la vita qui per 1" anima.
v. p. al Sol, che la riempie, a Dio che la riemTÌe
di beatitudine.
v. q. Essendo Dio quel bene, che a riempiere di se
ogni cosa è basiamo.
v. 10, L* altre edizioni leggono:
Aia anime ingannate e fatture empie
' r. 10. rivolgendo alle mondane vaniti: i vostri pen-
sieri.
v. 1.5. lignificava dì fuori, nel chiarir, nel farsi
piti dell usato 'chiaro e risplendente.
v, 17. i8- come pria ec. Costruzione : fermi, mi
fecero, certificato di caro assenso al mìo diito , come
pria^ cioè come quando alla medesima Beatrice chiese
licenza di parlare a Cario Martello nel Canto preced.
v. 40. e segg.
v. 19. metti compenso , dà soddisfazione.
v. So. fintimi pruova , 'certificami coli' esperienza.
. v.-Gi. Ch'io (per mrzzo di Dio) possa in te rifletter,
quasi raggio per ispecchio , quel ch'io penso. E dot-
trina teologica) e del poeta nostro qui, e più chiara-
mente ne' versi 74, e segg. del presente .canto , che ve-
dendo Iddio i pensieri di tutte le create menti, e ve-
dendo i beali tutto ciò eh' è in Dio, vegga conseguen-
temente ogni beato i pensieri d'ogni creata mente.
v. 33. nuova, incognita.
v. 33. del più interno luogo del suo pianeta, onde
prima si faceva sentire a cantare Osanna, vcd. il C. pre-
ced. v. 38- e scg.
v. aj. tegttettt, cominciò a parlare. 1
v, 36. 37. che siede , che stendesi , intra Rialto
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del 'Paradiso. 22?
(principale contrada di Venezia , in luogo della città
stessa) e le /amane di Brenta e di Piava (due Hit mi
che scendono dalle alpi e mettono nel golfo di Vene-
zia), intende la estensione del territorio ch'era sotto la
giurisdizione di Romano, castello situato in esso terri-
torio.
y. 2g. un colle, so^ra del quale è il Castello di no-
mano.
v. So. là onde, per dal quale; — una facella, una
fiamma, cioè il fiero tiranno Ezzelino, terzo di tal
nome nella Famiglia d'Oliar», Comi di Cassano.
v. 31. d'una radice, del medesimo padre Ezzelino
II. appellato UMoitaeo ; — ella, intendila detta facella,
cioè it tiranno Ezzelino terzo.
v. 33. Cunizza , sorella del tiranno Ezzelino, don-
na inclinata forte a' piaceri amorosi.
v. 33. il lume di questa stella m'impedì a poggiare
ad un grado piìt sublime , essendo io stala dedita a' fol-
v. 34. indulgo, perdono.
37-»-4o. Cassa Cimizza a parlare dell'anima ch'era
a lei vicina di Folco di Marsiglia, celebre Provenzale
scrittore d'amorose rime a' tempi del poeta nostro; —
chiara gioja leggon l'altre ediz. — questo centeiìm an-
no ec. é quanto a dire passeranno altri cinque secoli;
incinquare, per quintuplicare.
v, 4r. Vedi 6e toma a conto all'uomo il farsi eccel-
lente.
v. 4S. sì che la prima vita mortale lasci dopo di ee la
vita quasi immortale drlla fama; — relinqita voce Lat.
usata anche dal Petrarca.
v.43- la turl/a presente, l'odierna gente in continue
guerre mischiata e confusa.
v. 44. Tagliamone ed Adice, dite fiumi dello sta-
to Veneto che formavano i confini della iu' allora più
estesa Marca Trivigiana.
v. <|6— 48. Costruzione: ffit, per essere le genti
(Padovane) crude al dover, dure, ostinate contri '1
Dichiarazioni
giusto (nella pretensione, d'impadronirsi di Vicenza)
tolto fia che al -palude, (love il ilacchiglioue fa palude,
presso a Vicenza) Padova, le genti Padovane, can-
gerà (intendi dì colore, facoiidola col suo sangue ros-
seggiare) V acqua, che Vincenza bagna ,' l' acqua del
Bacchi glione.
Chiosa U' Vellutello , che voglia» qui predile una
gran rotta, che Jacopo di Carrara signor di Padova ri-
cevè da Can grande della Scala , Signor di Verona, ne"
borghi di Vicenza l'anno 1314. a dì 17. di settembre, e
lettamente deduce quindi il Ventini, che Dame scrisse
queste cose dopo tal tempo. Ma siccome al narrar degli
Storici i Padovani nel tennine di sette anni f'timnorotti
tre volte » Vicenza, cioè nel 1311, nel 1314, e nel
I3i8 . U parlare in generale del. Poeta può rifrrirsi a
unte e tre le rotte: e'1 farci Dame stesso nel Pure;.
XXXIII. 43- capire, che attendeva alla composizione
di questa .sua opera quando Can grande della Scala fu
eletto Capitano della lega Ghibellina, che fu nel dicem-
bre del 1318- , da tinto l'adito a crederlo.
v. 49. e dove Sile c Cacumi s' accompagna, in Tre*
vigli dove questi due fiumi si congiungouo.
v. sa. Tal, intende Ricciardo Ja Cammino.
v. 51, che già si campone, la rete per prenderlo) me-
taforicamente in luogo di dire ji/i si va facendo la con-
giura per ucciderlo , che fu eseguito nel 1313. mentre
stava Ricciardo divertendosi al giuoco degli Scacchi-.
v. 52 — j-t- Feltro, citta della Marca Tievigiana,
oggi Feltre a Feltri; — la diffalca , il mancamento
di fede data; — pattare, Vescovo. Narrasi, che es-
sendo rifuggiti molti Ferraresi per la guerra ch'essi ave.
vano col Papa, credendo in Feltre esser sicuri, furono
dal Vescovo di Feltre sotto fede fatti prigioni, e dati
nelle forze- del Governatore di Ferrara, per la qual cosa
fiiTOii fatti crudelmente morire; — sconcia, vitupero-
voìe;— sì die per liviil non l' entro in Malta, si
che nella torre, nell'ergastolo di Malta in riva al lago
di liulsrna , in cui facevano i Papi rinserrare i pessimi
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del Paradiso. 2 2Q
chierici, non v'entrò mai alo.no per così enorme de-
Imo i questo Maitre oggi fi chiama ZH a ,- f «.
V. 38. che sangue Ferrarese; - cortese, ironicamente
per crudele.
v. 59- per mostrarsi panigiano del Papa.
v. fio. conformi al viver del paese, cioè traditori e
raicidali.
v. 6t. Su sono specchi r voi dicela Troni. Questo
è il terzo ord.ne degli angeli , pe ' quali Iddio manda in ■
esecuz!Oiie tinti i suoi giudizi.
v. 63- questi parlar, queste predizioni; — huonì
certi. '
v- ó 4 -65. Cosmee: Quietacene, e per la,
ruota , pc ■! g tro , in che si mise coni' era davante
(v. nel C. preced. v. WS. e segg.;, f e , e ,'m binante che
fosse volta- ad altro, fece che mi sembrasse che piit
non attendeva a me.
V. 67- letizia , per anima beata.
V, 08- preclara, per mollo chiara.
V. 69. baiasela, sorta di pietra preziosa, rubino
pallido.
v. 70. letiziare, allegrare;- forsù, in Paradiso.
■ v. 71. già, nell'Inferno.
v. 73. t< mima, entra in lui; — iUuia , leggon l'al-
tre edizioni.
v. 74- 73. nulla voglia di se, nessuna voglia dì lui,
di Dìo; - fu/a, oscula, nascosta,
v. TI. fuochi pii, intende i Serafini.
V. 73. cuculia, veste ampia,
v. 75. a 1 miei disii, cioè di saper chi tu sei.
v. 81. se 10 entrassi in te a scorgere i desideri! tuoi,
come tu entri in me a conoscere che nessun divino vo-
lere m'è oscuro.
v. 83- la maggior valle ce. il mar mediterraneo.
v. 84- quel mar ec. l'Oceano.
V. 85-87. tra' discordanti liti, tra le coste Europee
ed Affricane, discordanti di religione e di costumi; —
eontra'l Sole, coutra il corso del Sole, da Occidente
Dante III. 20
23o
Die Ili arazioni
inverso Oriente, dallo stretto di Ghibli terra sino alla
Palestina; — tanto sen va ec. tatuo si stende, che il
cerchio, il quale serve di meridiano ad un capo, serve
il medesimo di orizzonte all'altro capo. Vedi la nota ai
primi verdi del Canto II. del Purgatorio.
V. B3.'littarant>, chi nasce ed abita su "I -lido.
Y. 89- 90. Ebro , fiume noto della Spagna, die
sbocca nel Mediterraneo al di sotto di Tortosa nella Ca-
talogna! — Macra fiume dell' Italia} e vuole così il
poeta qui additare la citta di Marsiglia, dove Folco o
Folcbetto , poeta provenzale, che qui parla , era nato.
v. pi. Ad un occaso quali e ad un orco, cioè sotto
quasi ad un meridiano medesimo.
v. 93. Buggea, ossi Bugia, città sull'Africana
costa; — la terra onci' io fui , Marsiglia.
v. 93 nell'assedio ed espugnazione di Massilia, che
fece Bruto di commissione di CesaTe. *
v. 94. mi dine, mi chiamò.
v. 95. e questo cielo, il ciel di Venere.
v. 0. caia' io in terra m'impressi delle amorose sue
v. 97. la figlia di Belo , Bidone innamorata ài Enea,
e perciò reco noja , tristezza ed a Sicheo di cui Didone
era Vedova, ed a Crema di cui tra vedevo Enea.
v. 99. infin che fu conventvol cosa pe'l primo pelo
giovcmle, per la giovtnile età.
v. reo — ice. quella, liodopea, quella Fille abitante
presso al monte fìoiiope nella Tracia (lMiodopiìa Phyl-
lis t'appella perciò anche Ovidio Epist. Heroid. 2.J —
Iole figlia d' E11 rito re d' Stolta , di cui Ercole s' inna-
morò a segno di commetter delle pazzie per compia-
cerla. :
v. 104. eh' a mente non torna, per la bevuta acqua
di Lete.
v. 105. Ma d-H' eterna sapien/.n di Dio che ordinò e
provvida , che per la sulla di Venere s'influisse negli
umani cuori amore.
v. xz'j. nell'arte, nella divina sapienza.
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del P aradis o
231
v. 197' cotanto effetto, cioè effetto di così grande
importanza per la conservazione dell' «man genere t —
con tanto affetto leggou l'altre edizioni; — il bene, il
buon fine.
v. iog. il mondo di tu, il cielo, torna,, .qui pef
forma, fabbrica,, da ttrniaro sincopato dell'i. Per-
chè al mondo, leggon malamente l'altre edizioni.
v. icg, no. Ma perchè le me brame, che in questa
ftelJa souosi in te eccitate, situo da me soddisfatte.
v. n3. in questa lumiera, in questo splendore,
v, 114. mera i pura , limpida,
v. 115. si tranquilla, ottiene tranquillità e pace.
V. 116. Raab, meretrice dì Gerico, la quale per
aver salvate in sua casa alcune spie di Giosuè , capita-
no del popolo eletto, fn da lui preservata ed accolta
nel sacco di quella cittit ; oud' essa poi passò al cult»
del vero Dio d' Israele.
v. 117. di lei, di Iiaab ; — dì lui leggono in vece
gli Accademici della 'Crusca e l'edizioni seguaci della
edizione loro ; — nel sommo grado si titilla,, nel suo
più eminente luogo si fregia dello splendore di lei.
v. «S — ISO. s'appunta , si termina, Costruzione :
da queito cielo in cui s' appunta l'ombra die face il
vostro mondi/, fu Raab assunta, r" 3 che altr' alma del
triglifo di Cristo, pria d'altra anima da Cristo salvata.
v. i3i. per palma , per segno.
v. i23, con V una e l'altra palma, con ambe le ma-
ni conficcate in croce.
T. *S4. f mi orò , da f'auorare per favorire.
v. 126. che poco tocca al Papa la memoria, della
quale poco iL Papa si ricorda, lasciandola in mano de"
Saraceni.
v. 137. pianta, fondata, piantata.
■v. rag. che pria ec. accenna Satanasso , ovvero Mar-
te, sotto i di cui auspici fu fondata Firenze, epe'l
quale intende Satanasso, giusta il detto del Salmo 95.
Vii genlium daemonia,
20 *
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232'
Dichiarazioni
v. rag. accenna che per Invidia di Satanasso è iniTato
i; peccato nel mondo, e pc'l peccato la mone con tutta
l'altra comitiva de' mali.
v. 130. produca, in vece dì conia.; — il maladetto
fióre, il Fiorino gigliato.
V. i33' ' dottor magni, i fanti padri.
v. 134. san derelitti /abbandonati , perchè di nessun
lucro; Decretali, libri contenenti le leggi^ecclcsìa-
v. 133. jì che pare a' lor vivagni, fi che apparisce
di' margini ili essi libri.
V. 139 elette, le più sante.
v. 141; alla milizia ec. ai moltissimi santi, che, ad
imit.izione di 5. Pietro, hanno per la fede di Gesù Cri*
V. 149. Intende qui il poeta l'evacuazione clic di
Iloma feccroil Papa ed i Cardinali nella traslazione della
■ede pontifìcia in Avignone- pei' Clemente V. soli cinque
anni dopo questo poetico viaggio.
Canto X
Argomento.
Tratta dell'ordine, che vose Dio in crear le cose
dell'universo. Sale poi al quarto cielo, eh' è quello ■
del Sole, dove miova 5. Tommaso d'Aquino.
v. 1 — 6. Parla in ijucui due primi terzetti il poeta y
della creazione del mondo secondo la dottrina de' Cri-
stiani; ed è La costruzione: Lo primo ed ine ff alti e
valore, cioè la potenza del divino padre, guardando
nel suo figlio con V amore che V uno e V altro eternai-
mente spira, cioè dello spirito fanlo , quanto pei"
mente o per occhio si gira, nulo ciò che di crealo si
vede o s'intende, fe' con t un f ordine , che non puote
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del Paradiso.
233
essere senz.t gustar di liei, del delio ordine, chi ciò
t hniera,
v. 7—9. Leva dunque lettore ec. Innalzandosi
Dante con Beatrice verso il £ole ( che , come altrove è
detto era allora in Ariete, ed ai capi d'Ariete e di Li-
bra essendo ì pumi l dove il zodiaco s' incrocicchia coli'
equatore, invita perciò il leggitore a levar seco sii occhj
al capo dell' Ariete; e siccome muovonsi le stelle fisse
X» circoli paralleli all' equatore , ed il Sole e i pianeti in
circoli paralleli al zodiaco, perciò dice che in quella
parte di cielo l'uri moto all'altro si percuote , il moto
cioè delle .stelle fisse s" incrocicchia , ed in cerio modo
urta, con quello del Sole e de' pianeti.
v. — vanteggiar , rimirar con diletlo; — lieti'
_arte di quel maestra, nell'artificio di Dio i — che
dentro a se ec. che nella sua divina mente tanto ama
(il suo artifìcio) che sempre la rimira con compiacenza.
v. 13. da indi, dal cerchio dell' equatore.
v. 14. I' obi ti quo cerchio ec, il zodiaco i — V abili-
ta leggou l'altre edizioni.
v. 15. che gli chiama, che se gli lichiede per parti-
ciparc delle Irjro iulìucsize. .
v. 16. torta, obbliqua.
v. iB. Ogni potenzia , ogni causale forza,
v. ig. e se 1' pbbiiqua strada lor facesse maggior o mi-
. nor angolo di quel che fa colla strada dritta delle sielle
fisse.
v. 20. e giù e su , ed in terra , e ne' cieli.
v. 33. sovra 'l tuo banco , metaforicamente: ne' li-
miti dei tuo intendimento umano, non capace di pene-
trare piii nell'interno di queste cose.
v. 23. a ciò che si preliba, a quello di cui non è
dato che un'assaggio.
v. 23, messo t'ho innanzi di ciie cibarti la mente.
v. Hì. rìt.irce, richiama.
v. 27. scriba, scrittore.
v. 33. io ministro ec. il Sole.
=0 *•
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234
D i chi ara zio ni
v. 31 — 33. congiunto con quella parte di cielo, che
dì <opra è stata la ni mestata , cioè con Ariele; — si gi-
rava pur la spire, in che ec. Il sistema della terra im-
mobile, ch'è ijnello del poeta nostro, porla Geco di
necessità, che muovasi il iole da suo tropico all'altro
per via di spire (che giri cioè come le *cale tane a chi-
occiola) e Che le spire per cui viene dal tropico di Ca-
pricorno a quello dì Cancro, sien diverse e s'incro-
Cicchino con quelle per le quali dal iropico dì Cancro
liede a quello di Capricorno. Or siccome dal tropico
di Capricorno venendo il Sole a quel di Cancro, nasce
a noi Ogni giorno più presto, perciò Dante, iti vece
di dire che dal tropico di Capricorno veniva allora il
Sole inverso quello di Cancro, dice che si girava per
le spire, in che (nelle quali) ogni ora s' apprese/ita
v. 34. era con lui, era nel Sole.
35- 36. non m' accori' io , se non ec. è questo come
adire non m' accori' io niente affatto ; imperocché es-
sendo l'accorgimento un pcusiere , è impossìbile che
avanti il primo pendere vi sia accorgimento della di
lui venuta.
v. 37 — 3g. Deesi intendete come se Dante scritto
avesse; Non rechi maraviglia cotale istantaneo pas-
saggio, che la è Beatrice quella, che si scorge, che
cosi guida, di bene in meglio, di alto in piti alto cie-
lo, e cosi subitamente , che l' atto suo per tempo non
si sparge, che il muover suo non fi estende iicl tempo,
ma istantaneamente si r'a. Alla fine di questo terzetto,
in vece della virgola si metta un punto fermo, per stac-
' callo dal terzetto seguente. L'altie cdiz. leggono mala-
mente: Oh Beatrice, e dopo jì sporge, in fine del
terzetto, mettono una virgola, ed in fine del primo
verso del seguente terzetto metto u un punto ammira-
tivo ( 1 ) .
v. 40 — 45. Costruzione: Perchè (invece di quan-
tunque) io chiami, adoperi, l'ingegno, l'arte, e
l'uio, noi direi mai sì che s'immaginasse, elle dagli
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del Par adis o. 235
«omini se ne formasse idea, quanta , conveniva essere
da se lucente quello chè dentro al_ Sol , doli" io m'en-
trai, era paruente, dal Sol distinto appariva, non
-per color, 7iza per maggior lume; ma se non si pud
un lume maggior di quello del Sole immaginare, sì può
treder almeno, e bramar di vederlo poi un giorno.
v. 08. che 1' occhio nostro non vide mai maggior lu-
me di quello del Sole.
v. 49 — Sr. Tal, cioè dentro ni Sol, non per color
ma per lume paruente, — la .quarta famiglia, la
quarta adunata de' famigliari di Dio, — che sempre
la sazia, la riempie di beatitudine; — come spira e
come figlia dice in grazia dell<t rima invece di come fi-
glia e carne spira, essendo l' ordine che U.dìvin Padre
figlia, genera il divin Figlio, e che il Padre e'1 Figlio
spirano lo Spirilo santo. Puossì anche intendere: mo-
strando a lei la sua sapienza e'I suo amore.
v. 53- 54- U Sol degli angeli , Iddio ; — a questo
seiuibil , intendi Sole.
V. 55- digesto , disposto.
V. 56- 57- costruzione; e cotanto presto a rendersi
a Dio con tutto il suo gradire, coti tutto il 6uo pia-
cele.
V. &3. ecclissb iteli' ohblìo , fu da me dimenticato.
V. Sa. vincenti, superanti Io splendor del Sole.
v. 63. Far di nei centro ec. disposti in circolo che
prendeva noi nel mezzo.
V. 67. la figlia dì Latona, Diana, la Luna.
V. 69. il fd che fa la zona, i colori che compongo-
no la zona o fascia colorata detta alone, che cinge tal-
volta la Ludi,
r. 70. dond'io, leggo» l'altre edizioni.
v. 71. gin; e , delizie.
V. 72 non si posson trar delregno, non si possoii-
fnor del Paradiso far capire. «
V. 73. dì quelle, cioè di quelle gioje.
V. 74- 75- Chi noii si iornisce di ali ti che possa vò-
236
Dichiar azioni
lare las sii , non aspetti di qui novelle da chi non può
colali delizie esprimere,
v. 76. poi, per poiché.
v. 79— 8t.~«o» da hallo sciolte, cioè ferme bensì,
ma ìli ballo tuttavia. Con questa paragone il Poeta fa
capire, che solito fosse a que' tempi farsi dalle donne
una danza, in cui tratto tratto si fermassero ad ascol-
tare il caino di certi versi, ch'esse poi cantando c dan-
zando ripetessero.
v. 83. all' un , ad imo di quegli splendori.
v, 87. i*', per onde, dalla quale.
v. 88 — 00. L'anima, che qui favella, eh' è come in
appresso si manifesterà san Tommaso d'Aquino, fa ca-
pire a Dante d'aver conosciuta in lui la qualunque non
manifestata scic, di saper contezza delle beate anime,
che si celavano in quelli splendori, c fa lui sapere, ca-
gli quante cognizioni da esse brama , che, qualunque
noi facesse sarebbe in stato si violento, come lo sarob-
v. 91 — 03. di quai piante ce. , da quali anime sì pro-
ducano gli splendori che adornano questa coróna; va-
gheggia, mira con diletto, t'avvalora, ti presta forze
di salire.
v. 94. agni, per agnelli.
v. 95. Domenico, fondatore dell' ordine de' Dome-
nicani.
v. Cjù, n', ove, nel quale ; V altre, ediz. ieggon du' ;
— ben s' impingua se non si vaneggia, si fa gran pro-
fitto nella vinii, se non si dà a vanità ed ambizione.
v. 98. Alberto magno, chiamato di Cotogna , 1VO11
perchè nato in quella città, ma perche in Polonia lun-
gamente visse e morì.
v. ic2. serto , corona, ghirlanda.
v. 104. Graziali, Graziano di Chiusi, monaco dì
professione-, compilatore di quel libro, che i canonisti
Chiamano Decreta; — l una e l altro foro , la simis-
dizione secolare ed ecciti Ustica.
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del Paradiso.
237
V. log. si che piace in Paradiso, l'altro edizioni.
r. 107. Quel Pietro, Pieno Lombardo il miestro
delle semenze, chiaro per i quattro famosi libri di ito-
logia , che hanno servito di tetto in tante università; —
Conia, poverella, con la povera vedova dell' Evange-
lio! V. S. Luca al cap. SI, allude al proemio dell' ìstcsìo
Pietro che offerisce la sua opera alla Chiesi con tal mo-
destia di rotinole : cupientes alìquid ile inimitate no-
stra cum paupercula hi gat.ophyluciiutt Domini Mie-
tere,
v. icq. la quinta luce, il sapientissimo re Salo-
mone.
iti; il sentimento è lo Messo, imperocché golare vale
quanto aver gola; — di saper musila, non dell'amo-
re di Salomone , ma di Salomone stc-^o, se sia in Pa-
radiso o iteli' Inforno, sopta, di che v'ò gran qtl litio ne
Ira gli Fcrittori tacri.
v. 112. Entro v' è , Dentro all' inesso quinto splen-
dore vi ù ; l'alta lucete. 1' iilnmiiiaiissima mente di
questo savio re; u'f ove.
V. 114. a veder tanto, a tanta prudenza^
v. iij. di quel cero, metaforicamente : di quell' il-
luminante scrittore; intende San Diouigio Aieowagita.
V. 118. ride, splende, si beatt(ìi:a.
V. 119. queli' avvocato ec. , quii difenditore della re-
ligione Cristiana , cioi': Paolo Orosio, il quale gerisse
sette libri di storie centra i gentili calunniatori della re.
li a \ Crisi.
v. i2o. de' cui sciitti servissi 3. Agostino nel compi-
lar i libri della Città di Dia.
v. 121. frani, passi, dal. verbo lat. franare, che
■vale' passare a nuoto; altri col Vocabol. della Crusca
lo derivano da franare sincopato da trainare, che si-
gli' fica, tirare il traino, strascinare per terra; piti con-
facentc sembra la prima derivazione.
v.iìi — 120. Dentro di essa ottava luce per la visio-
ne di Dio si bea 1' anima santa di Severino Eoezio , au-
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238
Dichiarazioni
tote del libro TSe consolatione Philosophiac , e di altre
opere celebri i — di lei, por da lei.
v. 123 Cieldauro appella Dame la Chiesa di B. Pie-
tro ili Pavia, Oggi delta in Cielaureo; — ed essa ec.
fu ucciso per violenta mone da Teodorico re de' Goti,
V. 130. olire, più in là.
v. 132. che nelle sue considerazioni fu più che nomo,
fu angelico.
v. 133. questi, al quale io vengo appresso, sicchù
il tuo sguardo girandosi d'imo in altro, tornerebbe
a me.
v. r3J. a morir gli parve esser tardo , desiderava
di morir quanto prima.
v. 13Ó Sigieri, uno jn Parigi, ohe insegnò la leo
logia morate, nella contrada detta degli strami.
v. i3B invidiasi veri, verità odiose ai seguaci dell*
lassa morale.
v. 140. la sposa di Dio > la Chiesa , cioè i fedeli che
la rappresentano.
v. 141. a mattinar, a cantaT mattinata a Dio suo
sposo, perchè l'ami, per meritarsi il di Ini amore.
V. r43. che l'ima parte e 1" altra del battaglio alterna,-
tirarne me lira e spigne contro della campana.
v. r^3. Tintiti, in una parola leggon 1" altre ediz.
v. 144. tttrge, dal Ut. htrgere, si riempie.
v. 148. deve il gioir s' intempra, dov'è eterno giu-
bilo.
Canto XI.
A r g o m e n t o.
In questo canto racconta San Tommaso tutta la vita
di San Francesco! dicendo prima aver veduto in esso
Dio due dubuj, che in Dante erano nati.
v. 2, difettivi sillogismi , mancanti, erronee le ra-
gioni. „
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del Paradiso. 239
v. 3. in hasso, a questi bassi oggetti.
v. 4. ad aforismi, agli aforismi d' Ippocrate, cioè
ali' arte medica.
v. ù. regnar, ìtueudi procurava.
V. 11. 12. m'era accolto, mi stava ricevuto.
V. 13. ciascuno dei soprannominati spiriti beati.
v. 14- ij. L'altre edizioni leggono in che avanti
l'era. Fermassi, come ec. lezione piena di confu-
sione.
v. 16. Ed , per allora.
v. 18. più mera , più rilucente.
V. ai. apprendo onde cagioni li tuoi pensieri , i
tuoi dubbj.
V. 23. ricerna , qui per rischiari.
V. 24 " stema, s'addatti: — al tuo sentir, al tu»
intendimento.
V, aj. »' ben s'impingua, v. il C. preced. v. 96.
v. 2(5. non sur, e il secondo, v. il C. preced. v. 114.
Il primo di quoti dubbj rischi are rallo in questo Canto
medesimo dal v. i33. fino all'ultimo; ed il secondo nel
C. XIII. dal v. 34. al in.
v. 27. E qui , e riguardo a questo secondo dubbio.
V. 29 ogni aspetto creato, ogni occhio mortale.
V. 30 P'ia che giunga a penetrare nelle asroste im-
penetrabili sue cagioni.
v. 31 — 34- Costruzione : Perocché , acciocché, la.
sposa di colui, la Cliiesa sposa di Gesù Cristo, che dis~
poso lei ad alte grida col sangue benedetto, andasse,
si accostasse, ver lo suo diletto, Gesù Cri.-io, in se
sicura, con maggior sicurezza , ed anche a lei più.
fida., e con maggior fedeltà allo sposo. Aggiungo ad
alte grida e col sangue benedetto, allusi varo ente allo
spirjip che, secondo '1 Vangelo, fece Gesù Cristo in
croce clam'atU voce magna diali». 27. .-.1 insieme al
detto ili ». Paolo, che Gesù Cristo acquiiivit lictieiiam
sanguine suo. Act. So.
v. 35. due principi , due conduttori, due capi.
240
Dichiarazioni
v. 37- serafico, aggiunto che vieti dato a S. Fran-
cesco ÓV Assisi.
v. 3B. L'altro, S. Domenico.
v. 40 — 41. Ve/I' ufi, di S. Francesco. — perocché
d' ani end ne ec. Costruzione : perocché pregiando,
lodando, l'un, imo de' due, qual eh' icùm prende,
qualunque alcuno si prende a -lodare, jì dice d' amen-
due , si vengono a lodar insieme tutti e due,
v. 42. sue, per loro.
V. 43.44- Circonscrive la ai tua rione della citta d'As-
sisi. Tupino piccolo fiume vicino ad Assisi; e l'ac-
qua che ec. il fiumicello Cbiasi", che nasce da un mon-
te, che S. Ubaldo elesse .per suo ritiro nel territorio
d' Agobbio.
v. 45 fertile d'olivi e viti. ■
v. 4(3. onde, dalla qual falda; — freddo e caldo,
freddo per le nevi, delle quali caricasi quella costa nel
verno, e caldo pe'l riverbero de' raggi solari, elle la
medesima costa fa nella state.
V. 47. Porta Sole chiamasi quella porta di Perugia
che conduce verso Assisi; — dirìetro, alla costa si-
v. 48- per greve giojo ■ peT la sterilità del monte,
non per le upprrsMoni sofferte da' Perugini, come spie-
gano gli altri comcntatori.
v. 49. di quella, per in quella 5 la dov' ella frange
più sua rattezza, là dove più che altrove sminuisce la
sua ripidezza.
v. 50. Un Sole, un gran luminare di virtù, S. ,
Francesco.
v. St. tal volta, in alcun tempo, cioè d'Estate.
v. 53. Astati, ctìfi gli antichi in vece di Assisi.
v. 55 non era ancor cresciuto molto in età.
v. 5Ó. l'alire rdi/inuì lrgsono: eh' e' comincio ec. Il
P. Lombardi spiega che la terra facesse già sentire, ma.
infestai:» già alcun conforto dalla grande virtù di lui
ricevtuo. L'altri espositori leggendo cA'«* cominciò ec.
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del P aradiso. 341
sono costretti 1 chiosare, comincio a far che la terra
tentis su.
v. SS. So- per tal donna, per la evangelica povertà ;
come il medesimo 5. Tommaso nel v. 74, dichiara; — in
guerra del padre corse , invece dì dire incorse guerra
del padre, incontrò guai dal suo genitore, piando
questi lo battè e -carcerò pe'l getto che aveva fatto del
denaro , come leggiamo nella di lui vita; — a cui, alla
qual povertà. »
v. or. 62. dinanzi alla tua spiritai corte ec. , in pre*
senza del vescovo d'Assisi, e del proprio genitore.
v. 04. questa, la povertà; — del primo marito,
Gesù Cristo.
V. 66. a costui, a S. Francesco.
V, 67 — 69. Nè giovò a far che gli nomini l'abbrac-
ciassero, udire che la povertà rendesse sicuro Amtclate,
il povero pescatore , talmente che in mezzo alle scorre-
rie de^li esercii! di Cesare e di Pompeo se ne dormisse
egli tranquillamente nella sua capanna, riè punto sbi-
gottisse sentendo al mal sicuro .uscio battere e chiamarsi
da colui, da Giulio Cesare, che /e' paura a tutto il
mondo. Vedi Lucano nel Lìb. V. della Farsaglia v. 538-
e segg.
v. 70. feroce, coraggiosa.
v. 73. salse, salì.
v, 73. chiuso , oscuro.
v. 75- diffuso, esteso, lungo.
v. 78- davano altrui motivo di fai delle sante risolu-
zioni.
v. 79. Bernardo da Quintavalle, il primo seguace
di S. Francesco.
V. 83- sen va, intendi, a Tioma da Innocenze» III
Papa; — quel Padre e quel maestro S. Francesco;
v. 37. capestro, fune, corda, con cui si cìngono
i seguaci di S. Francesco.
v. 89. fi' per figlio. Pietro Sernardone., uomo igno-
bile e plebeo, padre di 5. Francesco d'Assisi.
Dante HI. 21
Dichiarazioni
v. 93. uè per comparir dispregevole al "sommo iteli'
esterna sembianza da far maravigliar le genti,
v. 91. regalmente, con animo dà He.
v. 93. sigillo , approvazione.
v. 97. di nuova e piìt ampia approvazione decorata}
redimita, dal verbo lat. reclinilo.
• v. 03. Onorio III papa i dall' eterno spiro , dal spì-
rito santo.
v. 99. Archimandrita dace di gregge, capo di min-
ata.
v. 101. Saldano, il principe dell'Egitto avanti '1
□.naie predicò 3. Francesco.
V. 103, Cristo , ed i suoi apostoli.
V. 103. acerba, dura, indisposta.
v. ics. reddissi, ritornossi, freddi, da redd'tre.
v. ioó. nel crudo sasso, nell'aspro monte, intra
Tevere ed ,4rno , cioè nel monte dell' Alvefna,
v. 107. V ultima sigillo, le sacre stimmate.
v. ro8- dtC anni, anni due che dopo ricevute le sa-
cre stimmate sopravvisse.
v. 109. sortillo, lo scelse-
v. rir* ch'egli acquisto, Jeggon l'altre edizioni; —
pusillo, umile e povero.
v. 113. erede, plurale di ereda, detto nel singolare
in luogo di erede da' buoni scrittori anche in prosa. ■
'v. 114. a fede , per con fede.
V. 115. del ino grembo , dal grembo della sua donna,
della povertà.
v. 117. non volle altra bara-, non volle bara nes-
suna, nessuna funerea pompa.
v. ng. 120. la, barca di Pietro, la Chiesa; — per
dritto segno, nel dritto cammino.
V, i3i. 'I nostro Patriarca, appellasi S. Domenico
da S. Tommaso, perocché esso pure era del di lui or-
dine.
v. iaa. qual, qualunque, segui lui, S. Domenico,
v 133. carco, buona, merce, provedesi molto bene
per l'eterna vita.
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del Paradiso.
243
v. 124. il suo peculio, la sua gregali; di nuova vi-
vanda, cioè di prelature e di onori.
V. i3ù. che noi» esca da' campi, dove il pastor vuole
che si pascoli e spandasi in campi d'altra pasturi.
Giudiziosamente fa Dante qui da S. Tommaso il-,
prendersi i Domenicani, e nel canto seguente da 5. Bo-
naventura i Frartciscani, ed all'opposto fa- S. Francesco
lodarsi da S. Tommaso qui, e S. Domenico da S. Doni*
ventura nel cauto che segue.
v. 1G9. meno in Religione fruttano.
v. 132. Che poco panno basta per far loro le cappe,
le vèsti religiosc.-
v. 133. fioche , qui per oscure e mal capite.
t. 135. rivoche , rivochi.
v. 13C in parte, cioè quanto al primo de" tuoi dilli--
bj , vedi v: 23. e 2tì. di questo canto.
v. 137. perchè vedrai di quale oggetto si palla,
V. i38- i3g- -E vedrà il Careggicr , il Domenicano, '
che 1' argomenta, che voglia significare ciò che, della
religione di lui parlando, disfi: V ben s' impingua ce.
Cnreggìeri appella qui Dante i Domenicani per l'isti-
tuto loro di cingersi di careggia, al modo che Inf.
XXVII. 67. appetta Cordiglieri i Franciscani dal cinger-
si di corda. L'altre edizioni malamente leggono E ve-
drà' il corregger di' argomenta Du' leu s'impingua
ce. e con questa lezione gli espositoii si trovanoàu gran-
dissimo imbroglio.
Canto XII.
Argomento,
In questo canto S. Bonaventura racconta a Dante la
vita di S. Domenico , c gli dà contezza delle anime che
in quel cielo si trovano.
21 *
244
Dichiarazioni
v. a. tolse , prese.
v. 3. la santa mola, il cerchio di quei beati splen-
dori ; mola per ruota dicono i Lombardi,
v. 6. colse, accoppiò, adunò.
v. 7. 8- canto , che in quelle dolci tube , in quei
ioavi spirituali organi risonando, tanto vìnce ec.
V. 9. rifuse, per rifende , qui quanto ribatte, ri-
flette.
v. 10. Come si volgon , leggono l'altre edizioni.
t. 12. a sua ancella, a Iride; jube, comanda,
v. 14. come per riflessione di voce formasi il parlare
dell'Eco.
v. 15. eh' amor di Narcisso consunte , consumò.
V, 16. qui, quaggiù, in questo mondo ; presaga,
presciente.
T. ip. rose, per splendori beati.
v. 2o. L'altre edizioni leggono : Volgimi circa noi
le duo ghirlande.
v. Ss. sì , nella slessa gatta i V estrema , il cerchio
esteriore - , all'intima, al cerebio intcriore, rispase,
corrispose.
v. 04. gaudiose e blande, piene di gioia e di piace-
volezza ; aiopcra qui in plurale questi aggettivi perrap-
porto alle luci più d'una, che imporla il senso di luce
con luce.
v. 33. a punto, in un medesimo momento, a voler
■per propria. armonica volontà , senza avere un capo re-
golatore del loro volgersi.
v. 16. che i muove, che li muove.
V« 27. chiudere 3 levarsi, peT c7iiudersi e levarsi.
v. 98. del cuor, per dal cuor, dall' interno ; delle
luci nuove, del nuovo più grande apparso cerchio.
V. 2g.3o, che, in volgermi al suo dove, al luogo
dov'ell.i stava, parer mi fece l'ago alla stella, Fece
che ieja bratti l'ago calamitato vol»cntesi alla stella po-
lare, e questo il serafico Dottore S. Bonaventura, come
mamrestcrassi nel v, 137, e segg.
del Paradiso. 243
v. 33. dell'altro duca, dell' litio capo di religiosa
famigli»! dì S. Domenico.
v. 33- per cui ec. per concludere l'eccellenza del qua-
le ha S. Tommaso d'Aquino cosi ben favillato del duca
dio S. Francesco.
v. 35. elli, pereti, eglino; aduna, unitamente
e d'accordo.
v. 4t. in forse, in pericolo di soccombere agli in-
fernali nemici.
V, 43- a tua. sposa, alla sua Chiesa.
v. 45- fhraeeorse, si ravvide del suo errore.
v. 46. in quella, purte, ec. nella parte occidentale
del mondo, per rapporto all'Italia, dove il Poeta scri-
ve va.
v. 49. al, in vece di dal.
v. 50. per la lunga foga, fuga ; per la loro grande
estensione.
v. 53. Callaroga, oggi detta Calarvi: ga, piccola
Città dilla Spagna situata nella Castiglia vecchia, pa-
tria di S. Domenico.
v. 53- 04- Allude allo inquartarsi nell'arme del re di
CaHÌglìa due castelli e due leoni, talmente in quattro
caselle distribuiti, che. da una banda sta un castello so-
pra di un leone, c dalla banda opposta sta un leone so-
pra un castello.
v. 00. che, essendo egli ancora nell'utero della ma-
dre, fccelafpiot'etessa della futura sua santità. Allude
al sogno eh' illa ebbe, mentre di lui era gravida : es-
sendole parso che partorirebbe un cane bianco e nero,
con Ima fiaccola accisa in bocca, simbolo dell'abito
dell' orarne r dell'ardente zelo del santo Patriarca.
v. 63. di mutua salute, 8. Domenico promise difesa v
alla Vede, e la Fede promise a 5. Domenico la vita
eterna.
v. 04. la donna, che ce, la comare che pe'i bam-
bino Domenico ri.-pose e promise at sacerdote battezzan-
te quanto il sacro rito impone.
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Dichiara zioni
v, 65. Vide nel smino eo. : sognò che 5. Domenico
avesse una s lei La in fronte, ed una nella nuca , onde
lira a a èva illuminato L'oriente e l'occidente,
• v. 65. delle rade, de' Religiosi Domenicani.
v. 67 — 63. li perchè Jone in costrutto, in chiaro,
in palese, 17»/)/ era il neonato bambino, si masse quin-
ci, dal cielo, spirito , angelo, a nomarlo del, col,
possessivo, di cui, dì quello del quale, era, tulio;
cioè a nonuilo col nome di-Domenico nome possessivo
di Domìni,!.
v. 71- agricola, agricoltore.
v. 73. orlo, per vigna,
T. 73. messo, nunzio:
v. 73- "l 7'rimo consiglio che die Crino. Ved. MaltJi.
10. Si. dove Gesù disse: se Cu voi esser perfetto , va,
vendi ciò che tu hai, e domilo n' poveri. Essendo S.
Domenico ancor giovanetto ai studj vendè i libri e ciò
che aveva e in gran carestia distribuì a' poveri; il che
intendendo il Vescovo lo lece Canonico Regolare.
v. 78- *o *oi tenuto a questo, son nato a umiliarmi,
o a'jiraiicare e predicare l'austerità e la penitenza,
V. 79. T'elice era il nome del padre di 5. Domenico,
v. 80. Giovanna, cioè graziosa, apportatrice di
grazie, nome dtlla madie di tì. Domenico,
v. 83. Ostiense Cardinale , come 11 latore delle De-
cretali ; Taddeo medico Fiorentino eccellente; altri
vogliono che Fosse un valente giurìs consulto.
v. 84. della verace manna- , della verità evangelica
e teologica.
v. 83. /« . fece.
V. 85. la vigna, la Chiesa.
V. 87. imbianca, perde il verde, ti secca.
v. 88-90. Sedia pontifìcia 1 — che fu gin kg. Co-
struzione; eh' a! poveri giusti fu già fili benigna {che
al presente non è) e che traligna, non per lei , non
per propria culpa , ma per colui che siede , per colpa
di chi la occupa.
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del Paradiso. 247
v. 91. non chiese di potersi comporre con dispensare
in uso pio per il mal' acquistato o posseduto, solamente
la terza pane o la metà.
v. gì, non il primo benefizio che vacasse, o "piirgue
O scarso 1 quale la fortuna l'offerisse.
v. 93. per lo seme, per la fede.
v. pò. ventiquattro ■piante ì ventiquattro spiriti
beati che compongono, dodici per dodici, i due pa-
ralleli cerchj , che ti circondano ; piante tutte dal seme
della fede prodotte.
T. 59. con l'autorità pontificale sì mosse.
V. 99. quasi un rapido torrente.
v. lor. quivi, Ja, cioè nel distretto principalmente
di Tolosa contro degli Albigcsi , come si legge nella
Vita di S. Domenico.
V. iq5. biga,, carro che si tira da due cavalli.
V. icg. eiuil briga, guerra intestina insorta per l'è.»
resi* tra Cristiani medesimi. , *
v. no. dell'altra, intendi ruota; — Tomma per
Tommaso,
v. Ti2. 113, ma al presente i IVeligiofi di lui «ori si
tengono più in queir orbita che segnò la parie aomjna
della circonferenza dì essa ruota; non seguono più le
pedate del sauto fondatore.
v. 114. Formula proverbiale, chs significa; è il
■male dove prima era- il bene; presa dalie botti, che
ben custodite col suo vino, fanno la gruma, elle le
conserva, c trasandate fanno la muffa.
v. ri7. die pone le dita de' piedi a quella pane dove
5. Francesco impresse le calcagna; cammina al contra-
rio.
v, ng. della, per dalia o per la, ricolta.
v tip- H loglio, la zizzania (metaforicamente il cai'
tivo lie/igioia.)
v. 120. l'arca, la cassa' in cui si conserva il grano -
tolta, negata, e gittata, intendi, nel ftto/b.
V. i3i. chi cercaste ec. chi riconoscere ad uno ad
uno i frati deli' Ordine nostro.
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24S
■Dichiarazioni
V. 133. r mi san quel ec. io non mi sono niente mu-
tato in peggio.
v. ili. da Casal nel Monferrato ; d '' Acqua t parta
nel contado di Todi.
v. 133. dai quali luoghi escono tali ad interpretare
la Regola seriit.i da S. Francesco.
v. 12Ó. Che uno ne fugge il rigore, e l'altro Io ac-
cresce all'importabile. Il primo era Fra Matteo d' AC
qnasparta , Cardinale e Generale dell' Ordine ( 1" altro si
chiamò Ubertino da Casali.
v. 127. In vita, l'anima. Bonaventura, S. Bona-
ventura Cardinale e Dottore di Santa Chiesa, stato Mi-
nimo Generate dell'ordine IVliuoriiico,
v. i38. Bagnoregio , oggi volgarmente Bagnorea
nel territorio d'Orvieto.
v. 139. L'i sinistra cura , la cura secondaria , meno
importante.
v. 130- Illuminato edAgoslin, dne de' primi segnaci
di S. Francesco; — quid, per qui.
v. 133 — 141. Ugo da Sa.11 Vittore illustre scrittore
teologico ; — Pietro IVlangiadore , Pietro Comestoro,
scrittore dell' istoria scolastica; — Pietro Iipuna rino-
masti presso gli Scolastici pc' dodici libri di Logica; —
Natan profitta, che riprese David del doppio peccato
d'adulterio e d'omicidio; — Crisostomo, S. Giovanni
Cn-ostomo, arcivescovo ossia metro polita no di Costan-
tinopoli; — Anselmo, arcivescovo Ji Oantorbcry; —
Donato , antico scrittore di drammatica, che la prìm'
arte appella llabano , .tubano Mauro , Tedesco , ri-
nomato scrittore del nono secolo; — Giooatc/iino Ca-
lavrese, di Calabria, aliate dell'ordine Cistcrciense.
L'sìtre edizioni lèggono Babau è quiui , e lucani dal
lato.
v. ma. inveggiar , invidiare; paladino, valente
difensore dolla fede.
v. 144. il discreto latine , il moderato suo parlare,
v. 14J3. E mosse muco questa compagnia al tripudio
descritto in princìpio del canto.
del Paradiso. 249
Canto XIII.
Argomento.
In Questo canto induce il poeta San Tommaso a boI-
veigli il secondo de dubbj mossigli di sopra^uel decimo
canto.
v. 1 — ig. Immagini <c. Questo verbo, che per
maggior energìa e ohfaTCKza TÌpetesi nel v. 7. ciò., va
ad attaccare con Aver fatto di sene, «ci quinto terzetto 1
* cosi intendasi come se detto fosse: Chi desidera in-
tender bene quello che in vidi quivi , ora, immagini
che ventiquattro delle più lucenti nelle (cioè le quin-
dici, che si numerano di prima grandezza, le sette del
Carro, ossia Orsa maggiore, e le due che terminano
l'Orsa minore dalla parte al vicino polo opposta) coni'
pongano in cielo due segni, qual è quello, che fece-
gasi, mentr' io parlo , fortemente impressa, nella fan-
tasia. — cupe, per desidera, dal lat. cuberei — -co-
me ferma rupe, ferinamente ; — plàge, plurale dì
plaga,, e scritto senza li in grazia della pina ; plaga
per parte; — compage, aduiiaaioue , densità; — quel
curro, l'Orsa maggiore; — n cui il seno basta ce. che
dì e notte sempre trovasi sopra dell'orizzonte nostro ;.— ■
al volger del temo, per rivolti zio ne che faccia^ non
vien meno, non si nasconde - , — la Locca dì quel corno
intende la figura delle stelle che formano l'Orba minore;
— in punta, dello stelo, all' estremità dell' asse ; — la
prima ruota , il piimo rotante cielo (detto primo mo-
bile)! — la figliuola di Minai, di Mino:, Arianna.
J.a ghirlanda, della quale Arianna , mentre viveva , or.
iiavasì il capo , morendo ella , per opera di liacco , Fu
convertita in corona di stelle, e forma uno de' segui
celesti.
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2^0 Dichiarazioni
v. 18. al pria, all' innanzi ; al poi, all'indienti.
L'altre edizioni leggono: Che l'uno andaste al prima
e V altro al poi.
v. io, E q nello che si sarà immaginato tutte le cose
sopraddette, pure no» avrà altro che l'ombra della vera
costella/ione, cioè .delle due corone di spiriti beati,
che circondavano il poeta; tanto più belle e lucide era-
no le due corone che quelli spiriti formavano, chele
piii lucide stelle del cielo non erano che ombre in para-
gone di esse.
v. 83. da nostra usanza d' immaginale.
V. 33. Chiana, fiume lentissimo in Toscana.
V- 24; il ciclo il più alto.
V. 35. Peana, inno in lode d' Apolline.
v. So. e-attesersi a noi, s" affissarono in me ed in
Beatrice.
v. 3o. Felicitando se ec. traendo felicità d.il passare
d'una in alita cura, da uno in altro esercizio, cioè
dal cantare e danzare in tinello di prestarsi alla brama
v, 31. numi, -pet divi, santi.
v. 33. 33. la luce , in che ec. la luce , che spargeva
l'anima di S. Tommaso d'Aquino j in che , dentro della
quale; del poverel di Dio , di S. .Francesco d'Assisi ;
— fumi , mi Fu.
v. 34. Dei due oscuri versi, che nel canto XI. 22. e
segfi. s'accinse S.' Tommaso a dichiarare a Dante, cioè
di quello: I? lieti s'impingua, se non si vaneggia^
Far. X. 06,', e di quell'altro: A veder tanta non sur-
se'l secondo Par. X. 114. , »oii avendo pTinia dell' intn»i
mettersi di S. Bonaventura dichiarato altro che il primo
vedi Par. XI. r3S. e «■ ge> , Vieri ora a dichiarargli anche
il secondo. Parla di colale già fatta dichiarazione, co-
me di giano già battuto e riposto; e della dichìaTazio-
hc ch'è ora per fare, come di grano ancor da bat-
tersi.
v. 37. nel petto d'Adamo.
v. 38. la bella guancia, per la iella donna.
del Paradiso.
251
v. 39. allude al fatale mangiar del vietato pomo, che
ha cagionato al mondo infumi guai.
v. 40. Ed in quel, petto, di Cristo.
v. 41. patria e prima dì morire'.
v. 42. vìnce, legfion l'altre edizioni.
v. 43 — 45. Quantunque dì lume ec. Quanto mai
di scientifico lume può alla natura umana comunicarsi ;
da quel valor ec, da quella potenza divina che creò l'u-
nok l'altro petto, cioè che creò la natura umana in Ada-
mo ed in Geni Cristo..
v. 46. suso , di sopra Canto X. 114.
V. 48. il bene, qui per V anima, cioò di Salomone ; lo
ben, l'altre edizioni.
V, 30. il *iw credere , che in Adamo ed in Cristo
fosse tutta la scienza di che l'uomo è cxpacfc; n'I miti
■ dire, che a Salomone non surse il secondo.
V. Si. farsi , convenire.
T. 35 — 37- Che, imperocché, quel divin verbo che
dall'eterno padre deriva talmente, che da lui non si
disunisce né dallo Spìrito santo , che al Padre eterno
ed al divin Verbo" s' interza , s' aggiunge per terzo. —
Jtfea , esce, deriva, dal Ut. tneare ; — intrea, in-
terza , da intreare formato da Dante.
v. Si), quali specchiato , quasi specchiandosi , in
nove sussistenze , nei nove cieli.
v. 63. (treni contingenze , cose corruttibili di poca
durata.
V. 07- la cera di costoro , gli elementi di cui le dette
cose generate si compongono; e chi hi. duce, dal lar.
ducere per figurare, cioè e le immediate cagioni, dalle
quali gli clementi alla generazione delle cose sìadat-
v. dg. non sta d'un modo , non sono sempre d'un
tenore; e però le suddette cose più o meno comparis-
cono perfette sotto lo splendore della divina idea iuloro
segnata , impressa.
v. ?*■ secondo specie, non individualmente il me-
desimo , ma della medesima specie.
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252
Dichiarazioni
v. ~3. se la materia fosse sempre formata ed attuata
di tutto punto.
v, 74. e il cielo fosse in sua alta virtù, e non d'atto
in atto discesa all'ultime potenze, c però infievolita.
v. 75. vi comparirebbe urna la bellezza della divina
idea.
v. 7S. scema, mancante in qualche parte.
v. 79 — 81. per il caldo amor, intende lo Spirito
tanto; per la chiara, vistai» sapienza del Figliuolo; e
per la prima virtù il Padre, e vuol dire che quando
Iddio immediatamente pei se stesso dispone la materia,
e v'imprime il proprio suggello, quivi, allora, si ac-
quista dalla cosa tutta la perfezione.
89. costiti, Salomone, pare per pari.
v. p3. 93. Pensa chi era, cioè ch'egli era re, —
e fa cagion che ec.e'l desiderio di giustamente gover-
nare che, quando da Dio gli fu detto chiedi ciò che tu
vuoi ch'io li dia, mosselo a far quella dimanda: Dii ora-
ai tuo servo sapienza e scienza, acciocché possa giù-
dicarc-il tuo grun popolo, Gron. Lib. II. j,
v. 04- posse , possi.
. v. 97. cimo, sono. 4*
v. 98. r>9. Zi motcr, le intelligenze motrici di que-
ste celesti sfere; — o se necesse con contingente mai
necesse fenno , cioè: senni premessa necessariamente
vera, con una non necessariamente vera, possano ge-
nerare conseguenza necessaria ; — si est dare primula
motum esse, cioè se conviene ammettere un moto pri-
mo, Che non sia cagionato da altro moto; — sedei
mezzo cerchio ec. cioè : se nella metà del circolo inscri-
vere si possa un triangolo rettilineo , un lato del quale
lia il diametro dello stesso circolo, senza che formi co-
gli altri due lati un angolo retto. Pone Dante questi
quattro quesiti di quattro diverse scienze, per indicare
che Salomone non desiderava esser nè grande astronomo,
nò grande loico , nè gran teologo, nè gran geometra.
v. 103 — ics. per tiene intendere il senso di questa
terzetto è d'uopo che l'e del secondo verso si segni
d el Paradiso.
coli' accento, tal che già verbo e non copula , ed im-
pari non sia verbo ma aggettivo che vaglia Io stesso
che non avente pari. A questo modo eccoiie iL senso:
Se nate, noti, consideri,, ciò ch'io dissi dapprima
(cioè che A veder tanto non. surte 'l secondo) e questo
che ho detto ora {cioc ch'egli fu re , che chiese senno,
acciocché re sufficiente fosse) conoscerai che quel vede-
re impari, impareggiabile, non avente pari, ohe sona
intento a dichiararti, è la regale prudenza.
v. in. del primo padre, Adamo, e del nostro di-
letto , Gesù Cristo.
v. 114. non vedi, non bene discerni.
v. 117, iti qualunque passo di scrittura o di dit-
corso.
v. ito. corrente, corriva, precipitosa.
v. ino, l'affetto , l'amor della propria opinione.
v. 121—133, Vieppiù che indarno torna dalla ricer-
ca sua l'inesperto ccroatox del vero, di colui il quale
d' arte pescatori! sfornito staccasi dal lido per pescare;
imperocché non solo ritorna voto della verità ; \come
l'inesperto pescatore voto di pesce, ma carico d'errori,
v. r25- Parmenide Eleate, filosofo, — Melisso,
filosofo di Samo, — Britso filosofo antichissimo, di
cui fa menzione Aristotile.
v. 137- Saltellio, ed Arrio , due eresiarchi.
y. 1U8. i&>. che mutilarono le sacre scritture renden-
do cosi 'torti, difformi, li diritti volli, i volti ben
formati.
v, 130. ancor, parimente.
v. rg4- il. prua, la spinosa pianta della rosaj — ri-
gido e feroce , aspro e pungente.
V, 139. monna Berta e ter Martino nomi, che ser-
vono di esempio di persone idiote e sciocche ;. donna.
invece dì monna leggono l'altre edizioni.
Dante III.
=54
Dichiar azioni
Canto Xlfr.
Argomento.
In questo cinto Beatrice muove un dubbio, il qua-
le le viene risoluto:' poi ascendono al quinto cielo,
eh' è quello di Marie, nel quale vede le anime di quelli,
che avevano militati per la vera fede.
v. i, sì, così, istessameme.
v. 4. mi cadde subitamente in pensiero.
v. 5. sì conte, quando.
v. 8. del sito parlare , dal cerchio de' beati al cen-
tro, verso me e Beatrice; — fi dì quel di Beatrice, che
si moveva dal centro al cerchio.
v. 12. Andare al fondo d'un altra velila.
v. 13. s'infiora, s'adorna.
v. 17. nella universa! resurrezione,
v. 3o. Alla. fiata, l'altre edizioni.
v. 24. nel tonnare, nel moversi in giro , danzan-
do}— nella mira nota, nel can^o mirabile.
V. 33. qnal, chi; — qui, quaggiù in terra.
, v. 2ó. colassù , in cielo i — qidve , quivi.
v. 37. refrigerio , il gaudio ; '— dell' eterna ploja,
dell'eterna pioggia del beatifico suo lume, che Dio fa
Cadere sopra di essi.
v. 30. e non cìrconscritto tutto circonscrive.
v. 33. che l'essere ammesso a godere di tal melodia
sarebbe giusta rimunerazione a qualsivoglia gran me*
rito ; - nmuo dal Ut., munus.
v. 34. dia, risplendente.
' v. 38. il nostro umore verso Iddio.
t. 39. sparger» dintorno questo lume che ne cir-
conda.
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del Paradiso. 255
v. 40 — 43. La chiarezza ài cotal vesta è una con-
seguenza dell' ardóre amoroso , e l'ardore amoroso è una
conseguenza della visione di Dioi e quella è tanta,
e*c, e la visione è tutta dalla divina grazia, e perciò
appunto tanta, quaut'è la' grazia, colla quale solleva
Iddìo la virtù nostra a vedo luì.
V. 14. come, per quando ; gloriosa e santa , san-
tificata e glorificata.
v. 43. ite condiziona, ne fa capaci.
v. 53. soverchiti j. supera.
v. 64. si che ira la fiamma resta visìbile.
v. r>7- che la terra tuttavia ricopre.
\.(}2.amme, amen, co-i sia.
v. 6j. mamme, madri.
v. 71. nuove partenze, le stelle che allora cominciane
ad apparire.
v. 73. sussistenze, sostanze; novelle sussistenze ap-
pella con generico termine gli spiriti che novellamente
in Marte discuoprc,
V; 74. far un giro, comporre un cerchio,
v. lù. santo spiro, Spirito santo.
v. 80. 81. che sì uno/, -conviene, lasciar , senza coire
memorare, tra V altre vedute , tra gli altri veduti og-
getti, che non seguirono la mente , che per la troppa
loro eccellenza non potendosi, imprimere adeguatamente
nella mia memoria, Test aromi dal venire con essa.
v. 84- « P 1 " salute , gloria, beatitudine.
v. 85- rìso, splendore.
v. 87. roggio, rosso.
v. 89. olocausto, ringraziamento.
v. p3- filare, sacrificare, qui ringraziare.
v. 94. che, perocché; — lucore, luce, splendore;
robbi , per rosso , dal lat. rubeus o roheus,
v. 9;. due raggi , due liste di splendori , che, co-
nte dira, formavano una croce,
v, 96. EUós, voce ebrea, che significa eccelso, ed
è uno de" nomi di Dio. — gli addobbi, fai belli que-
gli splendori.
32 *
□ igifeed by GoOgle
2gfi Dickiar azioni
• v. 97. maggi, maggiori; da minori in maggi, leg.
gon l'altra edizioni.
v - 99 galani», la via lattea; li che fa. dubbiar
ben i raggi. ' •
v. ico — ice. Si costellali , così colla stella corape-
nelTaiti , facenti , formala», nel prof ondo ài Marte,
que' due raggi il vmierabil sugna della croce , c7ie for-
mano le giunture di qu.iti.ro t/widran/ì (di qUSttTO par-
ti nelle quali dividono il circoli) due diametri ìnterse-
cautisi ad angoli ietti) riuniti in foitdn , in mi cìrcolo.
Pone il poeta la croce in Marte, 'perchè qui vuol
mostrarci* gloria di ijueì che combatterono nelle guerre
sacre, ossia crociate, contras vegliandoti i soldati con
questo seguo.
v. tdo. eli corno in corno , da una estremità all' altra
delle braccia della croce.
v. no. lumi d'anime beate.
v. «3 — 1:7. Paragona il movere de' lumi scintillami
allo svol.tz/.amcnto di minuzie nel raggio solarc'peue-
trante l'ombra delle case; — qui, tra noi; — rinit»'
vando Usta, continuamente diverse apparendo.
V. na in tempra, in accordo,
v. 120. da cui In nota non è intera, che non. capi-
sce distintamente, ma solo in confuso, le note.
v. 133. melode, per melodia, dal basso latino me-
los , . melodis.
v. 135 vinci, qui per muchi, in grazia della rima}
vinco specie di salcio, che si adopera per legare.
V. 131 degli occhj belli dì Beatrice.
V. 133. i*)4 ' "'"»« suggelli d'ogni bellezza, cioè i
cicli, l'impressione de' quali ó la causa d'ogni bellezza
di quaggiù. 1 vivi suggelli, id es't- Coeli imprimentei
ut sigilla dice il postillatore del Cod. di Monte Casino.
v. 135. « quelli, a' begli occhj di Beatrice.
v. i38 dischiuso, escluso; il piacer sauto degli
BCChj di Beatrice.
v, 139. piti lineerò , più puro e nobile.
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del Paradiso.
2Ò7
Canto XF.
^trgomento.
In questo canto IVI. Cacciaguida, trisavolo del poeta,
ragiona della genealogia della casa loro, e dello stato e
costumi di Fiorenza ; mostrando come fu mono, com-
battendo per la Fede di CTieto.
Vé 3. l' umor che ve. la vi-ra carità,
v. 3. fa nella iniqua , si manifesta nell'iniquo vo>
lere. .
v. 6. Che la divina destra rende d'accordo.
y.n. is. chi, per amor di cosa, caduca dispoglia
del detto amor che drittamente spira.
v. 13. per li leren notturni , tranquilli e puri. .
v. 73. die stava/c sicuri, che no;i aspettavano di ve-
dere simil fenomeno. .
r. ig. nulla stelli, nessuna stella.
v. ip. dal corno che ec. dal braccio destro della
croce.
v. 23. 53. la gemma, lo splendore; dal suo nastra
dalla cruciforme lucente striscia ; ma dentro ad essa te-
nendoci fece i[ucl passaggio.
v. 34. che parue fuoco che intiovesi dietro ad ala-
bastro trasparente.
v. 23. con egual tenerezza d'affetto si prestò Ah-
chi se.
r. 36. nostra maggior Musa, il maggior poeta italia-
no, Virgilio.
v. 27. del figliuol Etìt», vivo colaggiù penetrato.
v.-aa — 3o. Probabilmente fa Dante così parlar Cac-
ciaguida per dinotare il parlar del di Itti tempo, £ved:
nel G, seg. v. 33.) U figlio mio, o sopraliboiidevole in
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258
Dichiarazioni
te divina grazia, ed a chi mai fu due volte aperta,
come sarà a te la. porta del Paradiso ?
v. 3t. m'attesi, attentamente guardai.
'■37—39- Costruzione : Indi lo spirto (eh' era ir»
quel lume) giocondo ad adire ed a vedere, all' udito
ed alta rista, giunse, aggiunse, al suo principio , al
principio del suo parlare (a qiwtt" 0 sangui* meni) co-
le ec.
v. 42. al segno del mortai concetto j-i" soprappose,
si fece superiore. — -Al segno de' mortai, leggou l'al-
tre edizioni.
v. 44. Fu si sfocato, l'altre ed. — sfogato, ani
per rallentato.
V. 47. "Ji«, perjii;— sia, l'altre ed.
v. 49— 54- Costruzione : E seguiti) ; figlio, mercè
di colei, di Beatrice, che ti vesti le piume all' ulto
vaio, che ti prestò virtù di salire quassù , hai soluto,
sciolto, fatto terminare, dentro a questo lume, in
c/i'io ti parlo, in me , che sotto questo lume nascono
li favello , grato e lontan , lungo , digiuno. , deside-
rio, tratto, attiratomi, cagiona tomi , leggendo nel
magno volume dell*, divina prescienza, n' non si muta,
tura-, nè. si muta quel che vi è scritto. — maggior vo-
lume 1' altre ed.
v. 53- mei , passi a cognizione , scoprì.
v. 36. da quel eh' è primo , dal pensici divinò a me
manifesto! — raja, raggia, riluce, risulta cotal co*
finizione.
v. 37. dall' un, dal conoscer l'unità; — il cinque
e't sei per qualsivoglia numero, che, col replicar l'u-
I nìtà, si vogliar comporre,
v. 38- ch'io, chi io.
v. 61. i minori e i grandi, gli spiriti tanto di mag-
giore quanto di minore grado di gloria.
v. 62, nella speglio , specchio , nella mente divina.
v. 63- nella anale, mente divina tu palési ai beati con-
templatori il tuo pensare prima fihe pernii. l
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del P araaiso. 259
v. 65. che m'asseta, di dolce desiar, che jn' iufcnde
il dolce desìo, che ho veTso te.
v. óa- suoni, manifesti.
•v. (x). decreta, determinata.
V- 71. arrisemi, dal verbo lat, arridere, Yale quan-
to : lietamente corrisposemi.
V, 73. E cominciai, l'altre ed. 1- l'affetto e l sen-
no, la gratitudine, ed il saperla esprimere.
v. 74. quando la prima ca gioii d' uguagliane* , di
equilibrio nelle" cote, cioè Iddio, v'apparse.
■ v. 73. si fecero in ciascun di voi dello SteBsO valore.
' v. 75 — 78 ai-Sol, alla presenza del Sole, che v'al-
lumo con la luce, ed aree col caldo, en , sono, sono
si Tesi in voi l'affetto e'I senno tignili talmente, che
simile uguaglianza non v'è.
v. 79, voglia', per affetto, — argomento, per
senno.
<t. 8u non volano del pari, cioè la brama stendesi
ove non arriva il sapere.
v. 84. se non col cuore solamente col cuore Se non
con espresso parlare; — alla paterna festa, dell'amo*
tosa festa clie mi fai , come se mi fossi padre. \
v. Bj. vivo topazio, per vìva luce.
v. 85. che adorni questa preziosa croce.'
v. 88- B,). O fronda mia ce. Ter rapporto agli alberi
genealogici appella Caceiagutrta se stesso radice, peroc-
ché trisavolo dì Dante , e'I pronipote Dante appella
fronda.
v. co. femmì , mi fece.
/ r. 91 — 94. quel, da, cui te. , colui dal quale la tua
schiatta ha preso il cognome di Alighieri, e il quale da
quando ò morto lino al presente, già cento e più anni,
ha girato coi superbi nella prima cornice del monte
dei Purgatorio.
v. q-,. la lunga fatica, di portar sopra della testa
quell'enorme peio, r.he fa in quel girone del Purgatorio
camminare i superbi colla testa bassa.
V. 97. dentro le ptime sue mura.
Dickiar az'vo ni
v. ge. Sulle mura vecchie di Firenze Vera ima chie-
sa, chiamala Badia, la quale suonava terza e nona ed
altre ore, alle quali i lavoranti delle ani entravano ed
uscivano dal lavorio.
v. ico— icQ. l'aria qui il poeta di donneschi orna-
menti; donne contigiate invece di dir, donne che por-
tassero conligie , ed erano, fecondo la spiegazione del
Vo cab. della Crusca, calze solate eoi cnojo stampale
intorno al pie. Sembra, chc'l poeta qui dia a divedere
che le coiuigic fossero dapprima de" manchj e che in al-
lora solamente rendute si l'ossero comuni anche alle fem-
mine.
v. 104. il tempo di maritarsi.
v. icj. quinci e quindi, in contraile pani.
v. ic6. vote di famìglia per le crudeli fazioni e
guerre civili, come aveva al tempo del poeta.
t. 107." Hardanapalo, qui per tipo di studiata li-
bidine.
v. rop — iti. Montemalo appella vasi ai tempi di
Dante il monte a Roma contiguo detto oggi Montema-
rio fùl quale vedesi schierato sott'occhio tutta Roma. —
uccellatolo un monte vicino a Firenze sul quale , ve-
nendo da Bologna , vedesi schierato sott'occhio tutta
Firenze; ed in vece di dire, che non era ancor vinta
Itomi in magni Fidenza di fabbriche da Fiorenza,' dice
che non tra ancor Montemalo vinto dall' Uccellato jo ;
' — che, com'è vinto nel montar tit , coil ec. Per cagio-
no delle guerre civili predice, che siccome l'Uccellatolo-,
cioè Fiorenza, montando in su , correndo all'ingrati:
dimenio, vinse Montemalo, noma, cosi vincerà an-
che correndo più presto all' ingiù, correndo cioè alla
10 vina.
v. 112, BelUncion Berli, della nobile Fiorentini
famiglia de' fiaviguanl, padre della famosa Gualdrada,
diesalo gli ejpositori. Vedi luF. XVI. 37-
v. 113. d'una casacca di euojo co' boi toni d'osso; o,
come chiosa il Laudi ni , colla cintura di cuoio con la
fibbia d'osso.
□iaiiizcd b/Coogl
del Paradiso.
v. 115. e vidi quei de' nobili 0 ricchi Fiorentini ca-
sati Kerli e del Vecchio.
v. 116. alla pelle icoverta, senza copertura di rica-
mo o di gallone.
v. 117. pennecchio si appella ciascuno di quei mani-
poli ne* quali preparasi partilo il lino da mettersi sulla
rocca.
v. ria. della, sna sepoltura-, d'esser srpolta nella
sua patria, senza timore degli csigli eh' tratto così fre-
quenti a' tempi di Dante.
v. i3a yer Francia pe'l mercantare che i mariti loro
facessero in Francia.
V. 121. al governo del bambino nella culla.
v. 132. l'idioma fanciullesco,
v. 135- i3ó- discorreva colla famiglia sua della favo.
Iosa antichità di Troja, di Fiesole, e di Roma.
v. 128. Cianghella , donna Fiorentina della nobile
famiglia di que' della Tosa, marilata in Imola a. Lilo
degli Alidosij donna molto lasciva, la quale , rìmasa
po Salterello, giurisconsulto Fiorentino, molto liti-
gioso c maledico, ed avversario del no.-tro poeta. Il
Cod. di M. C. leggo Lupo Salterello e l'espositore di
esso dice : lite Lupuj Saltaretlits index de Saltarelli!
fide campi or itene camae qucuiadiitfdum Cincinnatili
portubat ìneomptnm. Tal qualità dì Salterello fa più »
spiccare l'opposizione tra lui e Cincinnato, e non i
riportata da^kro spositore che da questo.
V. 120, Corniglia, Cornelia, figliuola di Scipione
Africano il maggiore e madre de' due Gracchi 1 donna
prudentissima ed eloquente.
v. 133. la Versine Maria, invocata da mia madre ne'
dolori del parto.
v. 137. mia moglie, mia della casa degli Alighieri,
usuile a me di Val di Pado (di Po) dal Ferrarese, o da
Ferrara stessa, secondo l' autorità del Boccaccio.
v. i3g, Currado III. che guerreggiò contro iT«r-'.
Chi.
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2Ó2
Dichiarazioni
v. ne. ed egli m'adornò del tilolo di cavalleria,
v. ij3. di quella, /(.■"■"'e- Maomettana,
v, 144. per colpo del poco zelo del Papa, usurpa la
Terra Santa.
v. 143. turpa , turpe, disonesta.
t, 146- disvìluppato , sciolto, separato.
*. 147. deturpa, brutta, macchia.-
Canto XVI.
Argomentò.
Racconta Cacciaguida quai fossero i suoi antichi
progenitori; in che tempo egli nacque J e quanto fosse
ne' suoi tempi popolata la città diFiorenza ; e delle più
nobili famigli di essa.
v. 1— 6. O nobiltà di sangue, ancora che Iti sìa
pìcciola cosa, io non mi maraviglici») mai, se fai che
la gente di te si vanii e glorii quaggiù, dove I-affetto
nostro è inftTmo e frale; poiché nel cielo , ove è sano
e fermo, e dove sempre alla ragione obbedisce l'appe-
tito, io mi gloriai di te.
v. 8- die , dì.
v. p. force, per forbice, plurale di forbiciai, sin-
cope in grazia della rima.
. v. 10. Dal voi ce. Prima di narrarci il poeta la pre-
ghiera elio fece a Cacciaguida conosciuto suo trisavolo,
vuol accennare la cagione per cui egli solamente in essa
prima preghiera adoprasse in segno di rispettosi! prono-
me voi ■ invece del tu , e di poi in altra preghiera (nel
Canto seg. v. 13- e 'cgg.) ritornisi al in; e dee incender-
si, che da tale incominciata cerimonia di parlare si ri-
movesse, per esserne stato da Beatrice deriso; — che
prima Roma sofftrie , che prima incominciò in Roma,
ne' tempi bassi, dal parlare gl'Imperadori e i Papi nelle
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del P ar a'dis o.
costituzioni loro con quei termini di moltitudine noi,
noitro ec,
v. ii. ìn che, nel qnal costumo di adoprare il voi in
vece del tu, li Romana gente meno delle altre nazioni
persevera, persiste.
v. 13- scevra, discosti. .
v. 14. quella che Cassio, la cameriera della reina Gi-
nevra, che come narrasi nel libro della Tavola roton-
da col tossire derideva il primo fallo di Ginevra che
fu il lasciarsi baciare da Lancillotto.
v. 20. 3r. La mente mia che di se si rallegra che pos-
sa contener tanta letizia senza spezzarsi, senza rima-
nere oppressa. „
v. 23. cara mìa primizia, caro mio antenato.
V. 33. (J'iai son gli vostri, l'altre edizioni.
V. 23. ovil di San Giovanni , la città di Firenze
protetta da 5. Giovanni Battista.
v. 30 blandimenti, parole piacevoli di rispetto e di
lode.
v. 33- ma non con questo parlar fiorentino di oggi,
ma in lingua Ialina come usavasì a quo' tempi di Cac-
ciaguida tra le persone meno rozze.
v. 34 — 39- 1 uel di ec - dal giorno ìn c »i dall'Arc-
angelo Gabriele Fu detto Ave a Maria Vergine, al gior-
no in cui la madre mìa partorì me, questo fuoco , que-
sto pianeta di Marte in cui mi vedi, venne cinque cento
cinquanta e trenta fiate al suo Leone, alla costellazio-
ne del Leone, suo domicilio , a rinfiammarsi , a_ riac-
cendersi , sotto la sua pianta, giugulare pe'l plurale,
sotto i suoi pedi, sotto di Ini. — Tutti i vecchj ce-
mentatori leggendo cinquecento cinquanta e trenta fiate,
e computando il tempo periodico di Marte anni due,
fecero nato Cacciaguida del ufo. non badando a ciò che
Cecciaguida medesimo nel precedente canto, v. 139. esegg.
dice, di aver militato sotto l'imperador Currado contro
ai Turchi; o non avvertendo, che tale fu Currado HI.
il quale, come testimonia Ououe di Friiinga, di lui
fratello uterino, morì nel "53, o come tutti i cronisti
2Ó4
D i eli i a r a z i o ni
accordano, prima certamente del lido. Gli Accademici
della Crusca perciò pretesero col mutare il trenta in tre
di provvedere non volo alla storia ma anche al verso, e
con essi tutte le moderne edizioni leggono cinquecento
cinquanta e tre finte. Essendo però il vero tempo pe-
riodico di Mine non due anni ■ ma giorni 6 85 , ore 23,
min. 2j. si moltiplichino questi cinquecento cinquanta
e trenta fiate, c troverem nato Qtcciagitida ira '1 ropo e
ropr., a tempo di poter militare sotto l'imperador Cur-
rado III. e di poter combattendo premorire ad esso. E
così vieti confermata l'antica lezione e l'esattezza del
calcolo del nostro poeta.
v. ii. 43. dove i connoti del palio nella festa di S.
Giovanni toccano primo l'ultimo teste, l'ultimo quar-
tiere della cjjttà di Firenze, cioè il sesto di porta S, Pie-
ro i ivi aveva la sua caca.
v. 45- i*<" è tacer che ragionare leggon 1" altre ed.
v. 40. tot nella citta di Firenze.
v. 1)7. da patere arme, leggou malamente l'altre
ed. — tra. Marte e^l Battuta- tra la statua di Marte si-
tuata a ponte vecchio, e'1 Battisierio , cioò nello spi»
v. 48- H quinto , la quinta parte ; — di quei che al
tempo di Da me^viv evano dentro le mura di Firenze gii
molto ampliate.
v So. Campi, Ccrtaldo, Figghìne , luoghi del
contado di Firenze.
v. sr. nell'ultimo artista, fin" all' ultimo artigia-
nello.
v. 5J—57. vicine, in contrapposto a domestiche, a.
concittadìne ; — Galluzzo e Trespiano luoghi vicini
alla città e pressoché su le porte; — che avérle dentri
che averle incorporate. — villan d' Agugliati, intende
messer Baldo d" Agitatone; quel da 6Ìgna, messer Bo-
nifacio de Signa, i quali facevan molle baratterie, ven-
dendo grazie e bciiciì/.j.
r. 53. la gente, che al mondo più traligna, in-
tende i preti, e specialmente i Papi.
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del Par cidi i o.
v. 50. noverca, madrigna, qui per contraria, uw
versa. s
v, 61 — 63. Tal sì è accasato in Firenze, c v.i eser-
cita cambio e mercatura, che sarebbe ritornato a- S'uni-
fonte (castello hi Toscana) dove suo avolo viveva acca-
v. 64. Mantemnrlo, castello vicino a Pistoia che
dal suo possessore il Come Guidi fu venduto a Fi-
v. 6.5. pivier appellasi il contenuto della giurisdi-
zione della pieve.
. v. t6. Valdigrieve , luogo nel Fiorentino,
v. Op. Come del mal del nostro corpo è principio il
dissimile cibo che insieme s'insacca.
v. 70. più avaccio, più presto. Vuol dire Ifi questo
verso e nei seguenti, che una repubblica glande e tu-
multuosa rovina più presto che una piccola , e che un
uomo valoroso Fi molte volte più prodezze che cinque
o che molti insieme; cioè che un* repubblica possa
esser felice e fonc senza esser -molto grande.
v. 73. JUimi, città già capo della Lunigiana , deca-
duta a quei tempi, e in oggi distrutta; Urblsaglia,
casielluccio in os;j;ì della diocesi di Macerata, a quei
tempi città grande, ma già decadente.
v. 75. Chiusi, in oggi piccola etiti dello stato di
Siena, ma amicamente assai nobile e potente; Siili'
guglia città nurhima nella spiaggia dell' Adriatico, che
in oggi non ò così In declinazione, come lo .era a''
tempi di Dante.
v. 77. forte , difficile a credere,
V. 8t, e le vite vostre ioit aorte.
v. 83. cagioitnndo il ftusso e riflusso del mare,
v. su. alti , de' primi tempi , antichi,
v. 87- Onde la fama, l'alt le ed.
v. 90. illustri cittadini, già nella loro decadenza,
v. 54. la porta di 5. Piero, eh' di presente ù in
potere del partilo de' Neri, che Dante, il quale era del
, partito opposto de' Bianchi, chiama felloni,
Dante III, 23
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266 Die hi a razio n ì
v. 96. che tosto sarà perdizione della repubblica,-
v. 101. Ib3. e la casa di Galigitjo era già nobile;
Velia, e 'l pome intendi della spada; pome invece di
pomo,
v. 103- In colonna, ilei uaja , cioè dipinta a pelle di
vajo, noli' arme d'ima pmicipal famiglia fiorentina,
chiamata de* Bill! * o Pigli. *
V. 103. e quei ch'arrossati per Iq itajo , che si ar-
rossiscono per la memoria dello siajo da tino de' loro
amena ti t'aliato col trarglienc una doga. Furono costoro
al dir del Tondino de Cliiaramonteai-
v. 108. alle curile interni! sedie, a" primi- magi.
V. 13)- quei che ec. intende degli Abati,
v. no. le palle dell' ero, stemma di quei de' Me-
dici, e dei Foraboschi.
V. i". fiorititi ," adornavano.
v. n3. Coli facién, cosi adornavano Firenze; —
coloro , che sempre che la ec. Sono questi i Visdomi-
ni, Tosiligtii e Cortigiani, i quali timi consorti e di-
scesi da un medesimo sangue. Sono padroni e fondatori
.del Vescovado allora, e di poi .Arcivescovado di Fi-
lenze; e però, ogni volta che vaca,- sono i concini e
dispensato", e quivi si raguuauo a custodia del luogo;,
e vi mangiano e dormono i tifino a tanto che il nuovo
Vescovo entri in possessione. \ , v
v. T14. a contisioro , insieme.
v, ila- ohracotata, presuntuosa; s'indraca, di-
venta draco, incrudelisce. Son questi i Cavicchi!! e
gli Adiroari. Era irato * quesi' ultima famiglia il poeta,
perchè Boccaccio Adimari occupò i suoi beni poiché
fu mandato in 'esilio, e sempre gli fu avversario acer-
rimo , che non fo?sc revocato nella patria; coìi dice il
Landino. *
v. ita. gin venta, su, già- veniva alzandosi.
v. 133. nel pìcchi cerehia deU antiche mura di Fi-
v. i3o. da quei della Pera si nominava una purt»
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del V tir a di so.
26-;
di Firenze rorta reruzza. Vuole eoa questo inferì**
che allori il popolo di Firenze era di tanta semplicità,
che denominasse da una delle sue private f.imiglie ima
delle pone della citta.
v. 1:7 — 132. Ciascun, che della. Iella ec. Vuole
accennare le famiglie Fiorentine Pulci, Nerli , Ganga-
laudi, GUudonat* e quei della Bella, le quali tutte
nell" arme sua inquartavano quella del Barone Imperiale
Ugo Tenuto e morto in Toscana Vicario per Ottone III.
ìmperadore, c di cui ogni anno nel giorno di S. Tom-
maso nella badia di Settimo, dov' è, sepolto, comme-
morasi il nome e 'l pregio con solenne anniversario;
e dice, che tutte quelle famiglie ricevettero da Ugo
militari onori, e privilegi di nobiltà; benché ai tempi
drl poeta staccato t'ossisi dal ceto nobili 1 , ed unito al
popolo, Giano della Bella, colui che fa l'arme sua
quella d'Ugo cìnta all' intorno di un fregio d'orò.
v. r34- . Borgo, il Borgo sani' Apostolo.
v. 13Ó, la caia-, di che ec. la famiglia degli Ami-
dei 1 — il vostro Jletu, il vostro pianto. Da essa fa-
miglia e da quella de' lìuon del monti nacque la fatai di-
visione delle Fiorentine famiglie in GuclH e Ghibel-
v. 140. mnl , malamente,
v. 141. le nozze sue, della detta casa degli Amidci.
v. r43. Urna, fuime che si passa venendosi a Fi-
renze da Montebuono, castello onde discese in Firenze
il Citrato di Euondclmonti.
v. 143 — 147. a quella pietra scema , che guarda il
punte, a quella base della statua di mane, priva di
essa suina, che il Ponte Vecchio conserva; — feste.
facesse, vittima, sacrificio! — postrema, ultima,
perocché dopo di quel! avvenimento fu Fiorenza sem-
pre in disturbi. Dice ciò,' perocché a '"piò di, quella
base appunto fu Ituondclmome ucciso.
v. 152. il giglio , l'arme di Firenze.
153. a ritroso, sottosopra; e vuol dire in questi
due versi che il popol di Firenze non fu mai vinto in
23 *
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268
Dichìar azioni
guerra, nella quale avesse perduto le insegne, e eh*
da' nemici fossero state ncll' aste volte sottosopra, come
era man «a di fare in tal caso.
v. 134. I Fiorentini misero per ito me il giglio bianco,
come si vede in alcuni luoghi antichissimi y ma dopo
la divisione civile i Gliela. la mutarono, ponendolo
tendo bianco e il giglio vermiglio.
Canto XVU.
Argomento,
Cicciagnida in questo canto predice a Dante il suo
esìlio, «le calamità ch'egli aveva a patirei ultimamente
lo esorta a scriver la presente commedia.
v. 1-3. Q„al venne ec. Come Fctowe (colui clic,
«tendo stato da Giove fulminalo per aver malamente
esercitato l'impiego dal padre Apollo con preghiere otte-
nnio, di guidare il carro dei 5ole, fa col proprio
esempio avvertiti li genitori ad essere scarsi nel conce-
dere licenze a' figliuoli) venne alla sua madre Climent;
per accertarsi di ciò, che ce. per saper se gli aveva
Epafo con verità negato , che fos=' egli, quale per testi-
monianza di dimoile si credeva di essere, figlio d'A-
pollo. (Veri. Ovìd. Ittetam. L. L v. 754. e scgg.j
v. 4. sentito , conosciuto.
y. 5. e dalla santa lampa, cioò da quel santo lume
di Cacciaguida.
v. 6. Clic dal corno destro della splendente croce
portossi, per avvicinainusi- a piè di essa.
v. i3. ti mesca, ti versi liquor nel bicchiere, . per
ti dia a l'ere, cioè appaghi iL tuo desiderio.
y- 13. O cara pianta mìa-, così appella Dante Cac-
ciaguida perocché stipite di sua famiglili piala, in
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del Paradiso.
vece ai pianta, legge il Cod di BL Ci — finsusi, t'in-
nalzi.
v. nj. 17. te cote . contingenti , li casuali avveni-
menti ; in se, in se medesimi*; anzi che sieno , prima
che av vegliano; — mirando il punto ec. contemplando
l'elenio Dio. . • .
v. se. per lo monte del Purgatorio; cura, qui per
purga.
v. ar. nel mondo defunto, nelf Inferno.
v. 23. gravi, atllUtìve. Per le parola gravi nelT
Inferno e Purgatorio ndiie intende quelle di Farinata
degli Uberti laf, X. 79. e sef-g. di àer brunetto Latini
Inf. XV. 61. e segg. di Currado Malaepina Ptirg. Vili.
»33 e segg. e di Odorisi d'Agobbio njo, e pegg.-
v. O). tei rugano , i'orte, inaiurrabile.
v. 30. confessa, per confessata , manifestata.
V. 3r. perambuge, pur via di parole ambigue, ed
cuimraaticlie , quali ciano gii. antichi oracoli, ■
v. 32. anciso , uccìso.
v. 33- tette, toglie.
v. 36". .ch'ima, ricoperto, e parvente, e risplen-
dente.
v. 37' 38- la contingenza, la carnalità, qui per gli
avvenimenti casuali; — fuor .del quaderno della vo-
stra materia, fuor del vostro mondo materiale.
V. 39. Tutta, cioi; non yolamenic le cose contin-
genti lamie,, ma anche le paisatc, e le presenti; nel
cospetto eterno, nel c. di Dio.
v. 40 — 43. vuol dire che, come la certezza di chi
vede una nave muoversi non apporta veruna necessità
al moto di essa nave, così l'infallibile certezza con cui
vede Iddio l'avvenimento delle cose contingenti non ap-
porta necessità veruna alle cose medesime.
v. 43. da indi , dal detto cospetto eterno.
V. 45- che ti s'apparecchia, - che nel reato. di tua v
vita dee succederti.
v. 46. Qtal ri partì Ippolito ce. cioè forzata-
mente. , , •
23 **
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27°
Dichiarazioni
v. 47. noverca, matrigna, Fedra.
v. iìB- Tal ec. cosi partirai tu , a ciò costretto , di
Firenze, per non voler tu consentire alle inique voglie
de' cittadini perversi, e della patria divenuta tua ma-
trigna,
v. 51. Là dove ec. a Roma,' dalle frequenti simo-
nìe, che vi fi commettevano, ed accenna il trattare
che in Roma fa ce vasi con Bonifazio Vili, di f.:r passare
a Firenze Carlo Senzatetta fratello del Re di Francia,
coi pretesto di riformarla, ma in verità per cacciarne
la parte Bianca, della quale era il nostro poeta , sic-
come di fatto cacciata ne fu nel Gennaio del 1302.
v. 52. la colpa, il torto; seguirà la. parte of-
ferta, saia attribuita alla parte soccombente.
v. 53. in grido, in ragion di popolaresco grido.
V. 58. ti come sa di sale , come ha sapor di sale,
Cloe; quanto è amaro.
V. 62. scempia, discoide.
v. 63, in questa valle , in questa bassezza ch'io li
predico.
v. 65. n'avrà rossa la (empia, l'altre ed.
v. 67. il sua processo , il suo procedere,
v. 69. auerti separato da essa,
v. 70. ostello , albergo.
T. 71. 72. del gran Lombardo , che 'n su la Scala
•porta il santo uccello, cioè l'aquila. I comeiuitoii
•Olio tra loro discordi, quale degli Scaligeri qui si
debba intenderei altri dicon che fosse Alberto , il pa-
dre di Can giande, altri che fosse Ilario lo mràeo , figli-
nolo primogenito di Alberto, ed altri che fosse Alboino
il secondogenito ; altri vnole che fosse Can ^aiide
stesso- Il Lombardi rende probabile che fos*c Barto-
lommeo della Scala.
v. 73. Ch' avrà in te l'altre ediz.
T- 74. del farti « del chieder vale quanto al fare ed
al chiedere.
v. 75. Iu vece di Fia prima, legg»» Fia primo,
cioè il primo.
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àel Paradiso. 271
Y. 76. tolta, intende Csn Grande, fr.ìlrllo di Dar- .
tolomnieo e d'Alboino, e tutti e tre figli d'Alberto della
Scala.
v. 77. da questa stella forte, cioè da Marte ; forte,
in spirante valore.
v. gì. torte, rivolte, aggirate.
v. 83- U Guasco. Papa Clemente V di Guascogna;
l'alto Arrigo, l'imperadore Arrigo VII; alto, per
grande.
7.91.93. E porterane, e ne porterai; — nella
mente, nella tua memoria , cioè; queste cose eli' io qui
ti predico.
v. 93. quei invece di quegli, colui; — quei che
fien, leggono diverse edizioni antiche,
v. 94. te chiuse, le interpretazioni,
v. 96. a fuchi giri solari , a pochi anni.
V. 97. vicini, co 11 Citi adi ni ì — invidie, invidii.
v. 98- s'infutura, è per durare.
v. 99, oltre quel tempo in citi sarà la loro perfidia ,.
' ; v. ico. Poi che Cacciaguida ebbe risposto alle do-
mande da ree propostegli.
v. 10;. di buon discernimento e di retta volontà, ed
amorevole.
. v. jo8. tal, dì tal natura, che chi più si sbigot-
sisce più ne rimane ferito.
V. no, luogo più caro, intendi d'ogni altro luogo,
la patria.
v. M3. giù per l'Inferno.
v. 119. e per lo monte del Purgatorio; cacume,
cima. ,
v. Ji3 di lame in lume, di stella in stella pat-
tando. *
v. «7. stivar , salsa di sapore amaro.
V". «8.- e, s'io trino di dire il vero, •
v. 119, perder vita, perdei faina, tra coloro, che
e;, tra i postevi.
r. i3i, il mio tesoro, l'amatissimo mio trisavole-.
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S72
X) ì c hi a razioni
v. corrusca, risplendente.
\. 134. fujca, macelli a ti.
V. 135. pur, . certamente; brusca, a;pia.
' 133. e ciò non fa , l'altre ed.
v. in queste ruote , in questi celesti giri.
V. i33. pnr, solainenlei — di fama, per lama.
- v. 139. non posa, non s'acquieta.
V. 140. *4ij nè ferma fede , uè presta ferma creden-
za i haja, abbia, eh' Jtaja. la' stia radice ec che
t'appoggi a persone sconoscimi- ed agii occlij dét mondo
nascoste.
v. 142. nè per semplice raziocinio, che pone niente
sotto i sensi.
Canto Xml.
Ar gomento.
Descrive il poeta, come egli ascese ai sesto ciclo,
che è iiud di Giove ; nel quale trova coloro, che dì-
rutamente avevai.o amministrato giustizia al «ondo.
v. r. verbo; qui per pensiero 0 cancello ; termine
preso dalle scuole.
v. 3. lo mio, intendi pensiero che pel parlare di
Cacc inalidii mi si volgeva in mente.
v. 4. E Beatrice, che al Paradiso mi co mitico va.
v. g. muta peusier, non pensar più a i torti che
riceverai.
V.6. disgrava, alle »crÌ3C*.
v. p. tnii l'abbandono', qui ne abbandonò, ai tra-
lasciò, il dire. *
v. ri. la mente, la memoria ; — reddìre, ritor
112».
r. 13. Soltanto po;s'to di ciò, che in quel momento,
vidi, ridire.
del P ar a (2 irò. 273
y. 16. direno , direttamente.
v. 18. col secondo aspetto, cioè cui secondaiio
aspetto di riflesso-, venni et orni lo splendore di Dio dal
l>el viso di lei, che n'era a dimura raggiata. L'altre
. ed, dopo aspetto mettono una virgola.
v. 19. IWa poi vincendo me ec. distogliendomi da quel
beato assorbimento.
v. 32. .quii tra noi, in terra,
v. 2$. del fulgor jnnio, del lume in cui l'anima di
' Cacciaguida nasco nd rasi. .
v. 3ù. a cui mi volsi, l'altre ed.
v. 38' '« questa quinta soglia, in questo quinto
ciclo dì Marie.
v. sp. dell' albero clic ec. del Paradiso; della, cima,
àcl divino lume, che viene a lui dal. più aito hio^o.
v. 32. di grim voce , di gran nome.
v. 33-, S>j che ogni poeta n'avrebbe ricco et abbon-
dante soggetto po' tuoi carmi.
V- 35. li 1 intendi , nei detii carni della, croce.
v. 37 per la Croce , per entro la Croce.
v. 38 com'ei si fece, cioè CTm'ei ti nominò..
v. 32. E letizia lo faceva così roteare.
V..40". Gttìglietmo, conte d'Oringa , o d'Oitvergne ;
lìiuoàrdo , parente del prefato Guìglielmò.
V, 47. Gùttìfredi , Goffredo dì Buglioli,
v. ì]8. Roberto Guiscardo , I\e di Sicilia.
v. 49. mota, mossa; voce lat,
v. So. l'alino,, che ec. l'alma di Cacciaguida.
v. 33. mere, serene, pure,
v v. 37. e l'ultimo solere, l'ultimo solito, il solito
delle altre volte che l'aveva viste, e per fino dell' ulti*
ma, della quale nel principio (li questo caute disse,
di non aver termini nò concetti basteveli per efr/ri*
merla,
v. 02. l'arco, Sa circonferenza. . /
v, 64 — 60. e come tu pìcei ol (passio di tempo donna,
che la vergogna deponga, trasmutasi di rossa in
bianca.
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274
Di chi a rn zìo ni
■ v. 67. Tal fu, intendi Beatrice.
v. 68 per lo condor delia temprata ttella. sesta,
«iot dì Giove; la chiama temprata, perchè In mezzo
a Saturno troppo t'eeddo, e Mane troppo caldo.
v. 70. Gioviale, ha due lignificali, cioè di Giove,
e quello di lieto , allegro, e p noesi qui intendere e
iteli' mio e nell* altro.
v. 72. rappresentate aglì.occhj miei lettere del nostro
alfabèto.
V. 74, a lor pasture, intendi, volando.
v. 78- Or or cc - c ' oe Prima faceausi un
13, poscia un J, poi UH iL. poi {s'intende) di mano in
mano lime l'altre lettere componenti le sintonici ice pa-
mie Diligile jujtitiant qui judienlll lerram.
v. 83. Pegasea, qui per Musa, e specialmente in-
trude Calliope* ohe già Purg. I. 9. accennò presidente
a ] Silo poeraa. -
v. 84- essi tecO) cioè alatati da te, fanno glo-
riose le cittadì ec,
v. 8j. rilevi , rappresenti , esprima.
v. 87. apparisca, mostrisi.
v. 96. Ih dove era la M. distinto, fregiato. I>a
cagione di fare che nella formatone dell' ultima IVI, ti
fermassero tutti quegli spiriti è, 1' essere la figura della
M confaccvole ai primi lineamenti dell' aquila colLe ali
aperte. Stemma imperiale, Che vudie inseguito, ool-
1' aggiunta d' alni luminosi spiriti, nella medesima stella
figurarsi. ,
V. 58. ti colmo, la Cima, dell- M.
v. 99. il ben ec. il beilfl dell' universale monarchia,
che sostiene Dante da Dio ordinata per la comune pace.
Vedi la Monarchia di Dante.
v. ioj. e salir quali assai e qua' poco, V altre ed.
v. ics. il °'°'> 11 divin Sole; lortille, le distribuì
qui' in terra a più « meno ahi gradì di giudicatura.
v. rea. formarsi da quel fuoco che, più alto salen- t
do, si era distinto dall' altro rimasto a formare le parti
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del Paradiso. 375
/
dell' aquila più basje.
v. 109. Quei,' colui t Iddio.
v. 113. jì rammenta , si riconosce.
v. na. beulititdo, al modo dei Lattili , per leatilu-
dine; qui prr schitra di anime bo.it o.
v. 113. d'ingigliarli alt emme di mrc in cima dell'
M, c formarvi tuta qttafi corona di gigli.
v. 114. la-'mprenta, l'impronta, la figura dell'
aquila imperiale.
v. 113. o dolce stella di Giove: — gemme, rilucenti
anime beate.
■ v. 117. ingemme , ingemmi, adorni, abbellì,
v. tao. vizia, offusca.
y. *33. di segui, di prodìgi operati da Cristo;
v. 137. Già tu Homi jì soleva ec.
v. lag. "g. Biasima l'abuso delle scomuniche; -
lo pan, . l'Eucaristico pane che Cristo offerisce a
tutti. ,
v. 133. Parla non a Papa Bonifazio VII!, come
'Chiosa il Venturi, ma a Ciò mente V. — sol per cancel-
lare scrivi, gerivi le censure, non peT correggere t
gastigare, ma per venderne poi le revocazioni , cassan-
dole. ■
V. 132. ancor san vivi, in cielo.
v. I33-I3G. io ho fermo il dtsir.ò sì ec. ho talmente
fisso il mio desiderio al S. Giovati lìatttsta d' oro (mone-
ta d'oro Fiorentina che portava l'effigie di S. Giovanni
Battista) ch'io non conosco ini Pietro né Paolo i —
solo, nella solitudine del deserto; — per salti, in
premio al leggiadro saltare delia figlia d'iirodiade. '
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Vichi ara z io n ì
Canto XIX.-
Argomento,
Introduce il poeta ìli questo cauto a parlare l'aquila,
roi muove un dubbio, se alcuno senza 1» fede Cristia-
na si possa salvare.
v. S, la bella image dell' aquila"; — fruì per fruire,
•io ite, toc. lat.
v. 3. V anime conserte, intrecciate nella formazione
di queir agitila,
v. C. lui, cioè il Sole,
v, 7. rilritr , descrivere; testeso, 01 ora.
v. 8- non porli, vale non annunciò.
V. 10. lo rciiro, il becco dell' aquila descritta,
v. 13. il pronunciare lo stesse parole io e mio di
liuti insieme dava il concetto di noi e nostro.
v. 14. san io ce. parla co.-ì ciascun di quei beati;
a quella gloria, l'altre ediz.
v. ij. che si stende più in là d'ogni desiderio
nostro. . . ,
v. 13. lei, la mia memoria; ma non taguan, non
imitano le virtù e le azioni santo nella storia delle no-
stre gloriose gesta narrale.
v. 33. di molli amori , di molte anime innamorate
della Biii.-U.iiti*.
v. 33. jnir uno , litio folo.
v. 34. sentir mi fare , leggOtt l'altre ed.
v. 35. spirando, per parlando, in contìnua-
«ione della metafora de* fiori.
v 27. non trovandoli ; li per gli.
v . 23 — 30. lieti so io che, se la divina giustizia, si
affaccia e 'si (CUOpre ad alcun ceto di regnanti quaisù,
il vostro ceto sicuramente non la vede nascosta sotto velo.
del P ar a di so.
277
v. 33. Dubbio, che sì lungamente m'ha tenuto in
fame. v. sopra v. 25.
v. '34, del cappello, della cjppa di cuoio che gli.
s'impone, perchè non vesga lume. "
v. 3tì. voglia mostrando di volare,
v. 37. quel segno, queir aquila, che è segno o in
segna imperiale; — di laude, per dì lodatori.
v. 30. quaì si sa, quai sa fare, chi gode in Pa-
radiso.
v, 40. Colui,, quel Dio, che, volgendo il suo com-
passo, fissò i rotondi limili del mondo; — sesto in ve'
ce dì retta, compasso.
v. 43. distinse tante cose a noi occulte, e tante a
. v. 43, si fare impresso , imprimere talmente.
v. 43. il tuo verbo , il suo concetto.
v- 44. non rimanesse infinitamente al di sopra d'
ogni creato intendimento. -
v. 4tì. e ciò vien comprovato dall' avvenimento del
\>rlmo superbo, di Lucifero.
v. 47. la somma, la più eccellerne.
v. 4B. per non aspettar quel lume, che ricevili"
avrebbe maggiore» sc.fosse stato conferemo in grazia,
come lo furono gli angeli fedeli, cadde dal cielo,
acerbo, immaturo a còlale conferma.
v. gì. Che non ha fine, 4 se iil se misura, l'altra
'edizioni.. f .
v. 33. nostra veduta, l'intender nostro,
v. 3Ó. 37- che non discerna il principio suo , cioè
l'intendimento divino, parvente molto di là da, quel
ch'egli è, sotto apparenza molto dal vero discosta,
v, 58 — 60. Pero la vhta , l'intelligenza , che il vo-
stro mondo riceve da Dio, s'interna nella gius tizi a
stmpiterna come occhio entro per lo mare.'
63. egli è, il fondo v' è; — ma cela lui , l' al-
no ed.
v. 66. od ombra della carne, a ignoranza per ac
Van: e III. 24
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^78 D i chi fu" azioni
ciecamcnto delle passione, o suo veleno, o errore e
positiva malvagità.
v. 67. mg, ora; — latebra., v. lat. per nascon-
diglio.
v. 69. viva , vegliarne.
v. 69. facci, facevi; crebra spessa, frequente,
v, 79 t* scranna, in tribunale, quasi per giudi-
care.
v. 83. contimi» qui a parlare il ceto delle anime
beale, che ha parlato finora, e parlerà in segnilo.
V. 83- te la Scrittura sacra non vi fosse data per
maestra e direttrice.
v. B4- sarebbe da dubitar grandemente delia retti-
tudine della divina giustizia.
v. 86- la prima, la divina, volontà..
V. gii sovr' esso il nido, sovra il nido.
v. 03. * come il figlio, oh' è pasciuto, rimimi*
madre.
v. 04 — pó. Colai si fece , così sopra di me prese ad:
aggirarsi, la benedetta immagine deir'arjuila, che mo-
vea l' ali sospìnte da tanti contigli , da tante volonti,
quant' erano anime, che quella immagine componeva-
no ; e così levai io le ciglia; — sospinta l'altre ed.
v. 98. note, parole.
v. roo — 103. poi, qui per poiché, dappoiché; —
Poi seguitaron , V altre ed. lucenti intendj dello, spiri-
to santo, le anime beate, ardenti d'i carità; — nel
segno, che ce. nell' aquila. Alla fine del v. io3. si to-
glia il punto fermo e mettasi tuia virgola.
. v. 103. esso, il segno dell' aquila.
V. 703. che 'l si chiavasse ec. eh' egli a' inchiodasse
alla croce.
v. 107. prope, vicino, v. lat.
v. 109. e tal Cristian, V altre ed. e facendo cosi
Etiope di quattro sillabe, azzoppano il verso.
" v. no. i due collegi, le due brigate nelle quali
nel finale giudizio dividerà Cristo l'uraan genere.
. v. in. inope, povero.
del Paradiso.- 279
v. 114. lutti suoi dispregi , timi i Imo delitti.
V. US- ' fi' Alacrto imperatore Austriaco, delie cui
procedure lagnasi nel VI, del Vatg. 97. e segg.
- V. 116. quella opera , intende 1' invasione da csio
fatta della Boemia, nel 1303. — ehe tosto moverà la
■penna a scriverla In esso giudiziale volume.
v. 117. deserto, rovinato.
v- ne. sopra Senna, in Parigi.
v, ìiij. induce , cagiona.
v. r3o. Quel che ec. Filippo il Bello ( cotenna ap-
pellasi la pelle del porco;, mori Filippo ad tuta caccia,
per un porco selvatico, che attra versatosi alle gambe
del cavallo su di cui slava , glielo fece caderci c pren-
dendo il poeta la parte pe '1 tutto , dice mono Filippo
di colpo di cotenna, cioè per urto di un porco.
v. izr. la superbia cà' asseta, che cagiona sete
d'acquistar comatido,
v. 123. Che rende i re Scozzese ed Inglese sì forsen-
nati, Accenna la guerra che a quel tempo facevinsl
Eduardo I, re d'Inghilterra e ìinl>erto re della Scozia.
v. r33. dentro a suoi limiti.
v. rag. quel di Spugna, Alfonso, re di Spagna;
quel di Euemme , Venccslao re di Boemia di cu^ parla
nel VII. del Pnrg. v. 102.
v. 127. Ciotto di Gerusalemme , Carlo re di Geru-
salemme, figlio dì Carlo I, re di Puglia aoprannomato
il Ciotto osia il Zoppo,
v. i33, con uri I. , segno di unità.
v. 123. il contrario, il vizio, segnerà un' emme, se-
gno di mille. De' costui vizj vedi Purgatorio XX. 67.
e segg.
v. 131, di quel, che ec, di Federigo, figlio di
Pietro d'Aragona ed a lui successore nel regno di Si-"
cilia.
v. 133. quanto è poco, quanto ù di animo ristretto
e vile.
v. 134, la scrittura che appalesa le sue opere saranno
»bbreyiature. „ - . "
=4 *
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2go .Dichiarazioni
v. i3S- parvo, piccolo! v. lnt,
v. 137. del barba, del «io, di detto re Federigo,
e fu Jacopo, se di Maiolica e Miuorica; del /ratei
di Federigo s e fu questo Jacopo «d'Aragona, lauto
egregia nazione, per tanta loro illustre nascita; —
v, 139. e due corone , quella di Aragona e quella
"delle Isole Baleari ; — bozze, disonorale; bozzo ap-
pellasi marito, a cui la moglie arreca disonore. -
V. 140. Tiascia, pane della Schiavonia o Dalmazia.
v. 141. che falsi&cò i ducali Veneziani.
v. 143. Ungheria , che aveva avuti molti pessi-
v. 143.' Navarro., al confine tra Francia e Spagna,
allora posseduta dalla Francia.
V. 144. del rutilile- l'ireuco.
. V. 143. V sr wra, per caparra, per annunzio; —
ili questo, clic Savana ti debba armare e scuotere il
giogo della Francia.
v, r4fi. Nieoiia e Fama^osta , dite principali città
dell' isola di Cipro, per tutta quel!' isola.
v. 147. per la lor bestia, pe '1 lor bestiale re; —
gnrra, strida.
v. 143. che non si discosta dagli altri cattivi soprac-
e canati re.
Canto XX.
Argomento.
In questo <umo loda I* aquila alcuni de S li antichi
re, i quali, oltre a miti gli altri, furono giustissi-
mi ed eccellentissimi ili ogni virtù. Toscìa solve un
dubbio a Dante, coinè potessero essere in cielo alcu-
ni , che, secondo il creder suo, non ^avevano avnio
Fei".e cristiana.
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del Paradiso. 28 1
v. r. Colui, che te. il Sole,
v. 6. per molle luci , risplendenti da mia luce del
Sole.
v. a- come, per quando; — il segna del inondo e
de' mai dicci, l'aquila, segno dell» monarchia universa-
le e degli imperadori.
v. ia. che per ia sorprendente loro suavità e dolcez-
za la mia debole memoria non potè riceverne una chiara
e durabile impressione.
v-, 14. in que' favilli, per in quelle faville; — in
quei JldiUi legge il Cod. di IVI. C. ed il postillatore no-
ta : id est, flagrante* splendere*, w flagro, jla-
v. 15. che spiravan solamente santi pensieri. Avea-
no spirito, l'altre ed.
v. 16. lupini, cioè gemme, come di sopra chiamò
le anime beate.
v. 13. squilli, qui per armoniosi cauti.
v. ai. mostrando l'abbondanza della sua sorgente.
v. 23. collo, per manico, su del quale tasteggiano
le dita del sonatore.
v. 33. e sì ce. e sì come vento , Gaio, che dalia-
bocca, del sciatore penetra nella sampognn, al per-
tugio, ai fori della medesima, prende quella forma dì
suono che V arti: richiede.
v. 23. rimosso d' aspettare ogni indugia, cioè
v. a?. bugio, ' bucato.
r. 3' — 33- Costruzione: Ineominciommi a diro : Or
si vuole, or tu dei, riguardar. fisamente in mela
parte, che nelle aguglie mortali vede e pale, soffre,
il Sole; cioè l'occhio.
. v. 3tì. # di tutti lor gradì son li sommi, l'altre
V. 37. per pupilla, in ldQgO di pupilla.
v. 33. il cantar dello Spirito Santo, il re Davi-
de/ che mosso dallo spirilo samo compete e cantò i
54 "
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2 g 2 Dichiarazioni
- v. 30. che ti Arca, del Testamento trasferì di città in
città, danzando nel cammino avanti di essa; villa,
per città , al modo francese.
v. 40 — 43. Costruzione: Ora, -per lo rimunerar,
per la rimunerazione, eh' è altrettanto, che corri-
sponde al merito, conosce in quanto affetto fu del suo
consiglio il fnerto del suo canto , conosce guanto dal
6iio consigliatore lo Spirto Santo gradita fu la merite-
vole azione del suo comporre e cantar salmi ( consìglio
per consigliatore; alcune edizioni e lesti a penna leg-
gono effetto in vece di affetto. E così legge anche il
codice di Monte Casino, soprapponendo alla parola
cauto questa nota: dui fuìt: èfiaetu vir qui non abiie
ec. e cosi da a vedere che Dante mirasse in quei versi a
quel piimo Salmo od intendesse, che il merito acqui-
stato da Davide fu effetto dì quel consìglio contrario al
Consilio ìmpiorum. È 'noto, che gli antichi dicevano
affetto per effetto, come asercito per esercito ec.
v. 44. 45. Colui, chete. V imperator Traiano. Vedi
il C. X. del Pnigt v. 76. e segg. dove questo fallo è più
estesamente descritto.
v. 49. dell' opposta tormentosa vita ohe provò nel-
l'Inferno da che mori, fino a che S. Gregorio gì' impetrò
la liberazione, che vale a dire per intorno a cinque
secoli.
v. gì. intende»! per cosmi il re Ezechia; indugio
morte, taTdò a morire.
v. 53. degno preco , preghiera a Dio accetta.
v. 54- fa che in terra succeda domane quello eh' è
prtdrtio dover oggi succedere.
v. 55- JV altro, che segue ec. cioè Costantino
magno ; e meco, avvertisi eh' è i' aquila che parla.
v. 37. per Lisciar Roma al Papa, si fece Greco con
le leggi Romane * meco, passò con esse e co' euoi -«cr-
eiti a fondare l'Impero Greco.
v. sa. il mal dedutto, il mile conseguito.
v. 61. nell' arco declivo, nella declività dell'
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del Paradiso 283
v, 63. Guglielmo II. detto il buono, re di Sicilia)
plora , piange. ■ ,
v. 63. che piango vivi Carlo il Zoppo , Angioino,
perchè aspra guerra moveale per impadronirsene, e Fe-
derigo d'Aragona ino re, perchè l'aggravava co» brut-
ta avarizia.
v. 67. mondo errante, soggetto all' errore.
V. 63. Rifeo Trojano , scrive Virgilio , essere egli
stato fra tutti i Troiani il più costumato ed amante del
giusto. Aeneid. II. 426.
v. 75. dell' ultimo dolce canto , che la di lei voglia
di cantare affitto adempie.
V. 76. Tal, ugualmente sazia dell'ultimo parlare;
— ìmprenta. qui per interna, stemma.
v. 77. disio , qui per volontà.
v. 79. 80. e quantunque trasparisse già fuor di me,
senza eh' io, parlassi , il desiderio mio , come per vetro
trasparisce il color che rIì si soprappoue.
v, 81. non patio , non soffri esso dubiar mio di ta-
cendo aspettare titi po di tempo la risposta.
v. 83. 83- ma con la forza del suo peso mi pime
della, dalla, -bocca: che cose te.
V. 84- Perchè, per la quale mia -domanda. '
v. o3. quiditate, termine dello scuole, che signi-
fica 1* essenza o sia natura delle cose.
v. 93- prome, appalesa, dal lat. promere. .
V. 94. liegnum cuelorum vìm patitur è l'avviso di
Cristo in S. Matteo, cap. 11.
V. 07. sovranzn, V altre ed.
v. ico. la prima anima formante il ciglio , cioè
Tra J ano ; e la quinta cioè lli/eo'.
V. lor. io3. perchè ne vedi ce. perocché ne vedi di
esse adorno il Paradiso.
v. 103. de' corpi suoi non uscir, cioè esse non mo-
rirono.
v. 105. quel, cioè nifeo, morì in ferma fede del
redentore venturo, e quel, cioè Traj.iuo , in fede del
redentore venuto, t'assuri e passi dal verbo lat, pa-
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284
Dtchiar azi o ni
fior, adopera in vece di crocijiggendi e crocifissi, ed i
piedi crocifissi del redentore prendo per la persona del
redentore medesimo.
v. ioS, che, per imperocché, V una, intendi 1*
anima di Trajario.
v. 107. torno all' l' ossa, tornò a rivivere bu questa
terra.
v. 100. 110. di viva speme, della viva speranza di
S. Grcgmio Papa, che' la' fondò nelle preghiere fatt«
a Dio.
v. uà. onde, della quale.
v. 113. nella carice, nella quale fece poca dimora.
v. 117. a questa giocondità.
v. ria. I' altra, V anima di Rifco.
V. iSr. a drillura, alla giustizia.
v. 137. quelle ere violine ce. Le tre teologali virtù
Fede, Speranza, e Carità. - .
v. 138- dalla destra ruota del trionfale carro, vedi
Furg. XXIX. ìar. e segg.
v. 139. più di mille anni prima della venuta di
Cristo.
v. i3S. tota , per tutta.
v. 136. enne, ne è, è a noi t —.scemo, scema,
mento, mancanza.
v. 137. il ben nostro, la nostra beatitudine.
v. r43. /■* seguitar, fa esser compagno ; lo guizza
■ della corda, la Causa per 1' effetto , il tremore per citi
la percossa corda Tende suono, pe '1 suono mede-
simo.
v. 1*6. le due luci Benedette di Hifto e di Tra-
iano.
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del Paradiso.
285
* Canto XXI.
Argomento.
Ascende .Dante dal cielo di Giove a quello di Satur-
no, nel qua! mio va i contemplanti della vita solitaria,
e vede in quello una scala altissima. Poi da S. Pier Da-
miano gli vien risposto ad alcune domande.
v. i — 12. In Saturno, pianeta di tutti il piii alto
Cncl di cui ciclo entra il poeta presentemente) per la
contemplativa virtù al medesimo pianeta ascritta, col-
loca li Santi contemplativi; e ri cono scendo in Beatrice
il tipo di tinta la teologia, sotto figura degli atti suoi
e di Beatrice che qui descrive, accenna quanto fa di
mestieri per la contemplazione. — intento, pensiero!
— per le scale dell' elenio p.-iluzza, perla salita del
Paradiso; — trono, invece di tuono, ltggon 1' altre
ed. — scoscende, disrorope ed atterra.
v. 13. settimo splendore, settimo pianeta, settimo
ciclo di Saturno.
v. 14. 15. il quale in Congiunzione col segno ar-
dente del Leone, raggia già mo, vibra alla terra ora
i suoi raggi mischiali coi validi Leonini influssi.
v. 16. ficca, tieni altento , frase [presa dal Lat.
figere mentem, per tener la mente attenta.
v, 17, 18. e fa elle in quegli , cioè negli occlij tuoi,
si pinga la figura-che hi questo specchio, in qnesio
pianeta, ti apparirà. — li fu di quegli specchio, V al-
tre ed.
v. 19. qual sapeste, per chi sapesse, qual era il
piacere, il godimento.
v. 2t. quando per suo comandamento , io rivolsi
gli occlij e la mente a ciò che nel pianeta appariva.
V. 23. a grato 1 a grado.
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2SÓ
Dichiarazioni
v. 34. I' "« con V altro lato, cioè la grandezza
(UH* amor mio vnso della medesima coli' ubbidire a lei,
di rivolgermi ad alno oggetto. *
v. 35 — 27. Dentro al cristallo , allo specchio , cAs,
cerchiando col suo giro il mondo , V orbe terracqueo,
porta il vocabol, il nome, diri /no caro duce, Ai Sa-
turno, /o«o cui ee. cioè regnante il quale fu la bella
età dell' oro.
v. sp. scaleo, jier scala, fórse dal frane, escalier.
v. 33. eAe pur , che apparisce ; — quindi fosse dif-
fuso , di ivi, da quella scala , si diffondesse,
v. 35. le -pale, le cornacchie.
v. 43. come in ec. pervenendo ad un certo grado
della scala.
. v. 4". V amor, il desiderio di soddisfare alle mie
dima ij de.
t. 47. si sta tacita.
v. 48- eh' io non dimando , V altre ed.
v. 49. il tacer mio, invece di il da. me taciuto de-
siderio.
v. gì. solvi, manifesta,
v. 53- mercede, merito.
T. 54.* 1>er colei, per Beatrice.
v. 55. vita, per ««ima, come in altri luoghi,
v. 63. per quel , per quella stessa ragione.
v. 68. pi" e tanto amor, cioè amore maggiore ed
eguale al mioi — quinti su, su per questa scala.
v. 73. sorteggia, assortisce ed elegge* osserva,
osservi.
v. 76. die a cerner ce. che ad intender mi par dif-
fìcile.
v. 80. che intorno a se cusso aggirossi.
v. 83- *' appunta, si ferma, si mette,
v. 84- per questa luce, nel v entro 0 corpo della
gitale "io non chiuso.
v. 87. munta, tratta, come da poppa latte.
v. 89- 90. Perchè, laonde, alla chiarezza della vi.
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del Paradiso.
287
sione che ho d'Iddio, pareggio, fo pari, la chia-
rità, la chiarezza della fiamma che mi nasconde.
V. p3- soddisfarci, per soddisfar», in grazia della
v. o(5. scisso , disgiunto, lontano; dal lai, ten-
dere,
v. ga- preMimma , presuma.
Ti im, fumma, sparge fummo c tenebre,
v. io2. I' assumma, lo colloca nel suo più alto
luogo.
v, 103. prescrisser , qui per limitarono.
v. ìoó. Tra il lido del rnarVirreno e 'l lido del mare,
Adriatico, surgon sassi, (urgenti i monti Apcmimi,
V. ìtì?. alla, dalla; tua patria, Firenze*
v. icg. Tanto clic ì sassi suddetti colla loro cima
sorpassano le nuvole dentro delle quali i tuoni si for-
mano.
y. 109. gibbo, un gobbo, un rialto ; — Catria,
nel ducato d 1 Urbino, tra Gubbio e ia Pergola quasi
v. no. ermo , eremo , luogo solitario 0 des»
v. tu. latria, culto del vero Dio; voce greca.
In grazia della rima porta qui ì' acceTito sulla prima
sillaba,
v. ii3. sermo, sermone; il terzo sermo , perchè è
questo di fatto ia terza volta clie il beato spirito parla a
Dante.
v. ng. con ci/ii conditi il' oglio.
V. i3o. che si riveli manifesti , al mondo quel eh"
v. 1Q1 — 123. Già fin dai tempi di Dante furono con.
fusi malamente 3. Pier Damiano e 5» Pier degli Onesti,
sojiraii n ornato Peccatore , e perciò Dante qui li distin-
gue, indicando il ritiro di ciascuno d> essi. - L'altra
edizioni leggerlo : E Pietra peccatcr fui nelln casi. —
di Nastra, Donna te. cioè di S. Maria del Porto sul
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288
Dichiarazioni
lido Adriarieo in vicinanza di Ravenna. Adriano pei
Adriatico adopera Dame anche nel Convito.
v. I3ì. Quand' io fu' chiesto, V altre ed. — cappello
Cardinalizio,
v. i2ó. che si trasmuta da una testa in altra trapai'
san 3 o.
v. 137. Cepliar, nome che Gesù Cristo impose a S ,
Pietro, principe degli Apostoli. — il gran vasello
dello Spirito Santo, S. Paolo, VOI electieuit.
v. i3p. ostello , albergo.
t. 130, Rincalzare, per mettere attorno sostegni, o
per far largo a chi passa, tenendo indietro la turba.
Deride in questo terzetto il poeta V affettata gravità e
delicatezza effeminata de' Prelati romani iteli' uso delle
bussole , sedie portatili , CaiozKc, braccicri , candì-
v. 135. o pazienza Infinita di Dio.
V. 139. a. questa di S. Dami;uo>— fermarli, ti
fermarono.
v. 143. né io intesi ciò che si dicessero, tanto ia\
•tordi il rimbombo. -1
'Canto XX IL
Argoment o.
Fa il poeta a San Benedetto una dimanda ( poi sale
all' ottava spera, eh" è delle Bielle fisse, entrando nel
seguo di Gemini.
V. r. alla mia guida , a Beatrice.
r. a- parvol, picoiolino, fanciullo,
r. 3. anelo, anelante, ansante; dal lat. anlielus.
v. 6. ben di\porre, consolare.
v. 9. ci, per qui.
v. 13. nel qual grido se avessi inteso ciò che ii
Pregò.
del Paradiso.
T. 14. la vendetta, che pigliela Dio sopri questi
perversi prelati.
v. 15. muoi , muori.
V. 17. mache, più-che, dal mas que degli Spa-
gini olì.
v. ai. riduì, per riduci, qui per rivolgi; — la
vista riditi , 1' altre ed.
v. 23, cento, per moltissimi ; — sperule, glo-
betti. ,
v. 23. rìpreme, per reprime.
v. 36. s'attenta, s'arrischia. •
v. 33- i tuoi desideri sarebbero già da te manifestati.
V. 34* 33. ton tarde, non ritardi, il giugnere all'
alto fine del tuo viaggio, eh' è di veder Dio.
v. 36. Pure al pctisier, V altre ed. — riguarda,
per riguardi ; di che il ti riguarda di esprimere, cioè
di saper chi io mi sia.
». 37. CasAnó, castello nel rej;no di Napoli nella
terra di lavoro.
v. 33- i't l<* cima, ove ne' tempi antichi era un
tempio d' Apolline.
v. 30. dalla gente educata nell' idolatria ed imbe-
vuta di massime contrarie al santo vangelo.
V. 40. quel , 5. Benedetto abbate.
T. 49. JSlaccario , santo eremita antichissimo; Ro-
mualdo, santo fondatore de' monaci Camaldolesi.
T- 59. prender, ricevere, ottenere.
T. 60. scoverta da quel lume ebe mi ti cela.
v. 61 — 63- Costruzione: il tuo alia disio di veder-
mi co ii immagine scoverla, e 'l mio di compiacerti,
i' adempierà ce.
v. 6g. 66. in quella spera -jote è ogni parte là dove
sempr' era, cioè: quello solo cielo a differenza di
tutti gli altri cieli non si aggira intorno a se stesso,
resta immobile.
j. 67. Perchè non essendo contenuto in luogo, an-
zi contenendo in se Ogni luogo, non può muoversi;
e non s' impala, e non ha poli , su de' quali si regga
Dante XII. 25
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Dichìarazio ni
e s* a»gi« , come l* hanno e fanno le altre spere infe-
riori,
y. 69. viso , per vista.
v. 74. la regola, mia, il libro mio contenente le
Tegole del religioso vivere.
v. 75. per danno delle carie, per consumare inu-
tilmente calte a trascriverla.
v- 76. baditi, monastero.
v. 77. cocolle, veste monacali.
v. 79. 80. tanto non si lolle cantra 'l piacer di Dio,
non giunse a dispiacer tanto a Dio.
v. 8r. il folle , si pervertito,
v. 84- non deve servire per i parenti, né per altro
più brutto oggetto.
v. 85- Blanda, pieghevole, irresistente.
v- 86. 87- clle 6 iil "el mondo il buon comi nei amento
non persevera mai unto tempo, quanto ne scoTre tra il
nascere della quercia e '1 crescere a segno di produrne la
ghianda.
v. 88- Pier, S. Fietro apostolo.
v. 04. o5. L' edizioni seguaci di quella degli Accade-
mici d. C. leggono :
Veramente Giordan volto è retrorso!
'Più fu il mar fuggir , quando Dio volle ,
ed Si Padre Lombardi leggi con la Nidobeaiina e diversi
altri testi stampati e manoscritti:
Veramente , Giordan volto retrSrto ,
Tìit fu il mar fuggir, quando Dio volse,
meglio però di tutti gli altri tetti legge il codice di
Monte Caisiiio :
Veramente , Giordan volto retrorso
Fiùfu, e il mar fuggir , quando Dio volte,
ed abbiamo anche noi adottata questa lezione; ed il
postillatore diVicsto codice spiega: Se Dio fece ritor-
nare il Giordano verso il suo fonie , e se Dio divise
il mar rosso , il che fu mirabile a vedere , quanto più.
miracoloso qui il soccorso. Posta questa spiegazione,
eh' ò naturalissima , svanisce ancora quella superflui»
d e l Par a di so. 2§1
e e convemvo lenza del pensiero che il P. Lombardi ii.
prende nelle volgari edizioni.
v. pS. al suo collegio, alla sua compagnia.
T, 105. alla mia ala, al mio volo.
v.icó. S'io tomi mai, ec. come se avesse detto:
coti aweg'na , 0 lettore, ch'io torni una volta a quel
diuoto ec.
v. reo. tratto e messo , messo e tratto , levato,
v. no. il segno che segue 'l tauro, la costellazione
de' Gemelli.
v. iij — 117. con voi era il Sole «(ingiunto , quand'
10 nacqui in Toscana.
v. np. poi, quando, intendi, essendo salito all'ara-
dito 1 — largita , donata.
v. no, HtlP alta ruota che vi gira, il cielo stel-
lato.
v. iflo. mi fu sortila, mi fu dato in sorte il passar
11 luofto, dove slate poetate voi.
v. 124. ultima salute, più alto luogo di salva-
zione.
y. 127. pili t'inleì, più entri in lei.
r. i3Q. feì, feci.
v. 133. ver questo etera tondo, per questo cielo,
v. 136. approbo, pei approvo.
v. 137- che l'ha per meno, che ne fa minore sti-
ma ; ad altro clfe alle coee terrene,
v. 138- probo, prudente,
v. 139. Vidi la Luna illuminata.
v. 141. già la aedetiì ec. Vedi nel C, II. di questa
Cantica.
v. 14/3. del tuo nato, del tuo figlio il Sole.
v. 144. Mttju, figlinola d'Atlante e madie di Mer-
curio; qui prendesi per Io pianeta di Mercurio; —
Dione, madre della dea Vedere; qui pfend<fi per Ve-
nere pianeta.
v. 146. tra Saturno e Marte.
v. 147. di lor dove , del loro luogo.
S5*
292
Dichiarazioni
t. J53- in distante riparo ; ripaio qui per allog-
giamento , dipartimento.
v. 151. l'ajuola, la picciola aja; così chiama qui
1" emisfero nos io ; — feroci, insolenti, superbi.
v. 153. da' colli alle foci, dalle montagne a* mari,
dove i filimi hanno le foci.
v. 154. agli occhj òelli dì Beatrice.
Canto XXIII.
Argomento.
In questo canto descrive Dame come vide il trionfo
di Cristo, seguitato da infinito numero di beati, e epe*
ciahnente dalla Beatissima Vergine.
V. 1 — 9. Costruzione: Come l'augello, che nella
natte, che le cose ci nasconde , posato avendo intra,
l'amate fronde al nido de' sitai dolci nati, de' suoi
pulcini, pur che l'alba nasca, spunti, in su V aper-
ta frasca, in cima alle frondi, previene il tempo t
cioè del nascere del Sole, e fiso guardando aspetta,
con ardente affetto il Sole , per vedere gli desiati
aspetti de* pulcini suoi, e per trovar lo cìho onde gli-
pasca; in che, nel trovar il quale, gravi labori gli
son grati, gravi fatiche gli snn gradevoli. — In cha
ì gravi labùr gli sono aggratì leggon'1" altre edizioni,
introducendo l'aggettivo aggrato , del quale non se ue
rinviene altTO esempio.
v. 11. T9. in ver la. plaga, sotto la quale ec. verso
la parte media del cielo dove il Sole sembra muoversi
più lentamente; — plaga, dal lat. , parte di mondo.
13. Sì che veggendo io essa Beatrice sospesa in
aspettando, e con r occhio andar vagando.
v. 14- quei , in luogo di quello.
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del Paradiso. 2()3
v. »5- altro vorrìa, vorebbe altro di quel eh 1
egli ha.
v. 16. quando, qui per tempo.
v. sa. parsami , 1' altre ed.
v. 24, senza costrutto , senza costruzione , alla
v. 35. Trivia, «110 de' cognomi di Diana , intesa
per la Lima, — Ninfe eterne, le stelle,
v. 27. leni, diti e pani del ciclo,
v, 30. Come il nostro Sole accende le stelle che so-
pra noi vediamo,
v. 34. 35- Tutte l'altre edizioni leggono:
O Beatrice dolce guida e cara !
EUn mi disse — — — —
meglio però della comune lezione leggiamo noi col Cod.
dì M. G.
E Beatrice dolce guida e cara
Aliar mi disse
perocché facendosi nella comune quella e; clamazione
del primo verso, non troppo acconciamente attacca.
Ella mi disse del secondo ; — tohranza, sopravanza,
supera.
v. 37, la sapienza e la possanza di Cristo.
v. 39. Onde, del quale apvimeiito di strade.
v. 40 — 42. Cnstruiiione : Come fuoco di nube, per
dilatarsi sì, eh* non vi cape, si disserra, e fuor di
sua natura in giù s'atterra, s'aòass.i.
v. 43. dape, per dapi , le spirituali ^delizie del
Paradiso.
▼.43. fesse, facesse: — tape, sa.
v. 46— 48- Parla qui Beatrice uwl carattere della Teo-
logia contempla li va.
v. 49. -ti risente , ha qualche sentore.
V. 30. oiblita. , dimenticata, Toce lat,
V. 5r. di riduc ariosi , l'altre ed?
v. 53. grado, gradimento i si stingue per si stin-
guerà, si scancellerà.
v. 54. del libra che ec. della memoria. .
ss **
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Di chiar a zio ni
v. 57. pìngue, in vece dì pingui,
v. 60 maro, chiaro e risplendente,
v. 60. il sagralo poema, la mia commedia,
v. 67. non e paleggio , leggono altre ed. ; altre
leggono -paleggio, altre puleggia, atee pileggto , U
quale lezione è preferita a tutte le altre dal F. Lombar»
dì, perchè ha relazione eoa piloto. 11 Daniello legge
pelaggio, ed intende tal voce pet derivata , anzi co-
me si nomina di pelago; — pareggio si trova presso
del Vclliiiello, e nell' edizione di llovilio del 1551. , e
nei Cjd. di M. C. Il P. distanzi è inclinato a credere
Clie pareggio sia il parteggio , voce molto usata per
indicare i mari in vista di un porto; e perciò antepor-
rebbe pareggio a tutte le altre lezioni.
v. 69. parca, perdonit risparmi la fatica; da
parcere, "voc. lat.
v. 70. parìa di nuovo Beatrice a Dame,
v, 71. al lei giardino , alla vaga schiera de"
beati.
r. 73. Rota, Maria Vergine, appellata Hoaa mini-
ca anche dalla Chiesa.
v. 74. li gigli , appella Dante i Santi,
v. 77. mire/idei, ritornai.
v. 78. a rimirare quella eccessiva luce che faticava
le mie deboli pupille.
v. 70. puro, schietto; mei, trapassi, dal lat.
v, 83. fulgorati dì tu , irradiati dal di sopra.
t. 83. imprenti, segni del tuo lume.
v. 8Ó. 87- T'esaltasti in- più alto luogo, per dar fa-
coltà agli occhi miei, che, presente te, rimanevano dal
lume tuo abbarbagliati.
v. 33. del bel fior , della Rosa , cioè di Maria.
v. 90. avvitar, discernere, trovare.
v. or. E, coirii, dapoichè ad ambedue gli occhi
miei si fece obbietto il quale, U qualità, cioè lo splen-
dore, e 'l quanto, la quautitft , l'estensione, la gran-
dezza della viva stella àtìH beate Vergine Maria.
del Paradis
v. 93. che in cielo vince tutti ì beati nello splen-
dore, come vinse in terra ratti i Santi nella virtù.
v. 94. una/acellà, una fiaccole, che, in giro vol-
gevasi tanto velocemente, che formava all' occhio una
corona, un cerchio di fuoco. Ilagli espositori mten-
deii accennato in questo lume l'arcangelo Gabriele.
v. reo. lira, per l'arcangelo Gabriele cantante.
r. 103. il del più chiaro, il cielo empireo , il più
tì spie n dente di tutti.
v. 103 — 105. io rappresento , a te O Regina nostra,
l'amore di tutti noi angeli, e con questo aggirarmiti
intorno e;ulto a quell' allegrezza che apportò a noi ìt
tuo ventre , che fu albergo del da noi desiderato Ue-
dento re del mondo.
v. 107. che starai appresso al tuo divino Figlinolo,
cioè eternamente; — dia, risplendente.
V. 108. perchè gli enlre, per tuo entrarvi; gli,
per vi; encre, in vece di entri ; pereliè li entre, eperchr
egli entre, leggou l'altre ed.
V. log. la circuitila melodìa, la canzone cantata
iti circolo.
v. no. ti sigillava, si terminava.
V. 113. il nano cielo, il quale come legale manto
cuopre tutti gli altri cieli inferiori.
Y. 114. ne' costumi, nelle consuete beneficenze di
Dio.
r. 115. l'intenta riva., cioè l'interna concava tu*
perficie di esso nono cielo.
T. 116. parvenza, veduta.
r. 119. la- coronata fiamma di Maria Vergine.
T. 130. appresto a sua semenza, appresso al suo
figlio.
v. 103. peT queir amorosa fiamma che fin negli este-
riori movimenti l'animo appalesa.
v. 135. Ch' egli aveano a Maria , 1* altre ed.
v. 130. sìsoffotee, ti sostiene, li contiene.
V. 131— 133. in quelle arche, in quei ricettacoli;
che foro, furono; quaggiù ut terra; bobolce , il
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2(j6 Dichiarazioni
plurale di Vabolca, femminile di babalco, dal lat. Iw
bulciu i Tale aratrici e seminatrici della terra.
v. 133 — 139. Sono questi settt versi un Eolo periodo,
e dee essere la costruzione: Quivi tolui , .che lien le
chiavi di tal gloria , S. Pietro , ti gode , te la gode,"
e vive del tesoro celeste, che s' acquisto piangendo
nel? erìUo di Babilon, ove egli laici!) V oro, nel
mondano esilio, dove egli non curossi d' oro tic d' ar -
genio r quivi sorto P alto Figlio di Dio e di Maria,
e con l'aulico e col nuovo concilio, colle comitive de'
beati del vecchio e nuovo testamento , trionfa di sua
vittoria. — Malamente l'altre edizioni leggono il v. 135.
Di Bui/Mania oue si laido loro, ed in fondo del me-
desimo verso segnano un punto fermo.
s Canto XXIV.
Argomento.
San Pietro in questo canto esamina Dante sulla fed»;
ed avendo egli risposio quanto dirittamente credeva,
l'apostolo approva la sua lede.
v. r. sodalizio, consesso; — gran cena del bene-
detto Agnello , appella il Paradiso.
V. 3. l'iena, soddisfatta.
v. 4. te, per poiché; questi, Dante; preliba,
pregusta , anticipatamente assaggia,
v. 6. prescriba, prescriva.
v. 8- raratelo , inaffiatel* ; cioè illuminate alquan-
to l'intelletto sito ; ponete e roratelo si riferisce a 0
Sodalizio,
v. 9. onde vien e deriva quello onde egli ha cotanta
«te di sapere e di conoscere.
v- ir. si composero in cìrcoli pei aggirarsi intorno
a Dante e Heatrice.
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del Paradiso. 397
V. rS. Fiammando forte , l'altre ed.
v. 13. e come moie una moverne 1' altra, nella ma-
niera che negli orologi si congegnano.
v. 10. carole , qui per carolanti , aggirantisi. Su
la parola carola nota il postillatore del Cod. di M. C.
carolae dicuntur tripudium quoddam, quod fit fa-
llendo, ut Neapolitani faciline et vacane. Sembra
dunque die questo vocabolo Dante lo trasportasse da
Napoli a Firenze.
v. 17. 18. della ma ricchezza, l'altre ed. — dalla
tua ricchezza, ec, cioè per lei loro ricchezza, amplitu-
dine, intendi varia, avvenne che li più ampli gli sì
facessero stimare piii velaci nel perfezionare il suo giro,
ed ì più piccioli piìi lenti.
v. 19. di quella, intendi caròla.
V, ao. jì /elite, sì gajo, sì risplendente.
v. Si. vi, ivi.
v. 23. divo , divino.
V. 28 - 30. Costruaìone: 0 santa Suora mia, che
per lo tuo ardente affetto (verso Dame) ini disleghi,
mi distacchi, da quella bella spera, si ne preghi
divola. Ninna lega facendo il senso del presente terzet-
to con quello del seguente, si può intendere per ellissi
eccomi a piacerti ; o simile ; ed in luogo della virgola
in fondo di esso segnisi un punto fermo.
v. 33. lo spiro , la voce.
V. 34. viro , uomo.
v. 30". che egli portò giù in terra, di questo gau-
dio miro, maravìglioso, del Paradiso.
.v. 37. lenta, esamina, costui, cioè Dante j —
lievi e gravi, facili e difficili,
v, 41. 43. quivi dove eo. rivolto cioè in quella parte,
ov'è chi vede e conosce tutto, cioè Dio.
v. 43. ha fatto civi, In acquistato cittadini.
V. 44- 45- a gloriarla te. Costruzione: È buon*
sta bene, che a gloriarla, a glorificarla, arrivi a
lui, a Dante, parlare,, il parlare, di lei, arrivino
a lui le parole di lei.
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Di chi ar a zi v ni
V- haccellier, lat. hnccalaure-.t 1 , uno che iteli 1
Accademia ottiene il primo grado.
v. 48. «oh per terminarla. , no» per risolverla.
v. gì. querelile, iti terrò gante , dal lat. quaerere ;
a tal quaranta qiial tra S. Pietro , e ti tal professione,
qiul era qitrlla della cristiana fede.
v. 54. onde usciva coiai parlare.
v. SS- 56. pronte sembianze , pronti cenni ; femmi,
v. So. dall' alto primipilo , cosi appella 5. Pietro,
lierocche caposquadra della cattolica chiesa,
v. 60. espressi, chiari.
v. 61. 63. Padre, come ne scrisse il verace stilo
del tuo caro frale , S. Paulo.
v. 63. nel Inon filo, nel diritto sentiero.
V, 64. 65. Le paTOle di S. Paolo sono ; La fede è
una sussistenza delle cose che 6i sperano, ed una di-
mosmziou delle cose, che non si veggono. Ted. Hebr,
IX. v. 1.
v, 66. qitìd'itate, essenza, natura.
Y/70. le profonde cose, gli alti misteri , chequi,
in ciclo, mi si danno a vedere.
t. 75. e perciò acquista concetto e nome di 10-
v. 76. 77. ci conviene sillogizzar, ragionare, intendi
intorno alle cose teologiche.
v. 73. interna, concetto e nome.
v. 83. colili parole uscirono da quello spirito acccto
di amore.
v. 83- e trascorsa, è esaminata.
v. 83- ma dimmi se ciò ohe tu hai risposto e di pro-
prio tuo sentimento.
v, 87, nulla mi /* in/orsa, ninna cosa mi si rende
osctvra e dubbiosa,
y. 85. questa cara gioia., questa preziosa gemma
della fede.
v. 91. la larga ptaja , l'abbondante pioggia, cioè
grazia.
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del P (tradito.
2 99
v. 93. su i sieri libri del vecciiio e del nuovo testa-
mento.
v. 94. E sillogismo , è 1* argomento , la ragione.
v. 97. l'antica e la novella, proporzione , cioè il
vecchio e '1 nuovo testamento.
v. 101. icl. sono i miracoli, a far i quali mai natu-
ra s' accinse.
Y. 104. quel medesmo , che vuol provarsi che fosse-
ro, cioè veri miracoli.
v. 107 — ni. Costruzione: quei? uno, che tu po'
vero t digiuno entrasti ec. è tal , che gli altri ec. —
che fu già vite, ce. che un tempo produsse dolci frut-
ti, ed ora pungenti spine; accenna la santità de'
primi tempi cristiani, e la corruttela de' tempi suoi.
v. 114. melode, melodia.
T. nS. baron, così appella Dante S. Pietro , secon-
do l'uso di quei tempi, di dare a' Santi i titoli, che
dirami nel .mondo alle persone più distinte.
v. 11S. che donnea con la- tua. mente, che a un
certo modo fa all' amore, colla tua mente, e in lei si
Compiace.
v. 1&4 — 126. O tanto padre e spirito , l'altre ed. —
che ora vedi ciò che una volta credesti tanto fermamen-
te, che, correndo tu insieme con S. Giovanni al se-
polcro del Redentore, tu, entrandovi il primo, lo
vincesti , benché egli fosse più giovane e snello.
v, 130. 131. che non. moto, non mosso, immobile,
tutto >l del muove.
v. 134. daitni, me le da.
v. 135. quinci, di qui, dal cielo.
t. i37- e per voi, Apostoli. — almi, santi.
v. 141. sofferà, dal verbo antico soff erare , in luo-
go di soffre. — este per est ,- — sono et este , leggon
malamente 1' altre ed.
v. 143. la mente mi sigilla, ne riceve la mente mia
impressione.
V. 144. più volte, in più luoghi del Vangelo.
v. 145. quest'i, questa cioè dottrina evangelica.
3QO
Dìchiar a zio ni
v, 149. gratulando, rallegrandosi.
T. 151. cantandomi benedizioni. .
v. 153. cìnse me, mi si aggiro intórno della fronte.
Il Ventini vuole che equivalga ad abbraccio me.
Canto XXF.
Argomento.'
Introduce il poeta in questo canto San Jacopo ad
esaminarlo della speranza, proponendogli tre dubbi :
de quali Beatrice solve il secondo , ed esso gli altri:
Ultimamente introduce San Giovanni Evangelista a
manifestargli, che *1 suo corpo morendo era rimase in
terra.
r. continga, accada,
v. 3. ha posto mano, ha contribuito, ha sommi-
nistrato materia.
v. 3. macro , magro.
v. 4. vinca la crudeltà de' miei concittadini.
v. fl. del ball' ovile , della bella mia Fiorenza ; ag-
ni Ilo , innocente.
y. 6. a' lupi , ai prepotenti; che gli, ad esso «vi-
le, ad essa città, danno guerra.
• v. 7* con altro velia, non con vello di agnello
semplice, ma con quello di più robusto animale. .
v. 9. il cappello, la laurea della poesia; — perchè
fpcra coni laurea in mercede del poema sacra , inciti
fa professione della cattolica fede, a differenza degli
anteriormente laureati poeti gentili nel Romano Campi-
doglio, sceglie esso-la Chiesa e 'i proprio Battisterio , do-
ve bambino, Fcr bocca di chi a battesimo lo tenne,
aveva la fede medesima professato.
v. 10. conte, conosciute.
v. 12. sì mi giro la fronte, tre volle circondando-
mcla. Vedi v. 133. del canto preced.
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del Paradiso. gol
v. 14- i3- ta primizia, che ec. cioè S. Pietro il pri-
mo -vicario che lasciò Cristo in. «ira.
V. 18. io. il barone, per cui ce. 5. Jacopo Aposto-
lo, per cui divozione si vìsita tt* -pellegrini il di lui
sepolcro in tfompostella nella Gallizia , provincia della
Spagna.
v. So. putide, manifesta.
V. 24. Laudando Dio, dell' aspetto del quale lassù
si ciba ogni beato.
v, E!ù. tbram me, alla mia presenza.
v. 27. ignito, acceso, risplendente ; — volto , -per
v. 29. 39. inclita vita, o anima illustre. — la lar-
ghezza della nostra- basìlica., cioù la largita, libera-
lità della divina regia del Paradiso. Allude al passo dell'
Epist. di 3. Giacobo C. x. v. g. dove dice: Se alcun di
voi manca dì sapienza, chieggala da Dio, che dona
a. tulli liberalmente e non fa onta. — per cui l' alle-
grezza, l'altre ed.
v. 31, fa che odasi tina volta il nome di speranza
ili guest' alto lnego, dove, perocché ogni desiderio vi
■i compito, il nome di essa virtù 11011 ha luogo.
v, 33. 33- Suppone il poeta, che quinte volte Gesù
Crino alla manifestazione di sua divinità per prodigiosi
fatti volle presenti i soli tre discepoli Pietro , Giacomo
e Giovanni, significar volesse con- quel ternario nume-
ro la corroborazione , che con essi prodigi - veniva a re-
care aìle tre teologali virtù Fede, Speranza, e Carità; e
che Pietro figurasse la Fede, Giacomo la Speranza, e
Giovanni la Carità) ciascuno cioè qiu-Ua virtù, che
di fatto nelle sue epistole fa maggiorili ente spiccare.
Per questa cagione fa da Beatrice dirsi a S. Giacomo,
che tante iìate figuri esso nell' evangelico testo la spe-
ranza , quante, fiate Gesù Cristo fece a' tre discepoli più
chiara manifestazione della sua divinità. Quanto, ili*
veci di (filante, 1' altre ed. '
v. 37. del fuoco tettando, «ioè dal lume in cui ce-
, Httnte ILI. ■ -6
302 Dichiarazioni
lava?! S. Giacomo, che secondariamente al poeta acco-
EtOSSi.
v. 38 ai molili, agli Apostoli;, si serve della Frase
«lei Salmo 13;. Levitai oculos meos in montes, a dop ran-
della allegoiicamente. t
v. 40 — 43. Paris S. Giacomo , come apparisce dal
V. 43. — Costruzione : Poiché lo nostro imperati or e
per sua grazia vuole, che tu anzi la morte t? affranti,
t'abbocchi, cu' suoi Conti, coi primari personaggi di
v, 45. di ciò , pCT con ciò , cioè col ver veduta ; —
conforte , conforti.
v. jfi. 47, e come se ne'nfiora la mente tua, e quan-
to è l'anima tua di speranza fornita. g
V. 53- 54- com' e scritto ec. come apparisce in Dio,
che illumina tutti noi.
v. 55. s5. d" Egitto in Gerusalemme , allegorica-
mente per dal mondo in Paradiso.
v. 37, Prima che gli si termini la vita mortalo, pre-
scritto , qui per limitato, terminato.
v. ór., forti, difficili.
v, 63. di jattastua , di vanagloria.
v. 63. ci'o gli comporti, l'aiuti a portare un tale in-
carico.
discente, per discepolo; eh - a dottor seconda,
eh' al maestro ubbidisce,
t. 63. cìC egU è sperto , oh? egli ha imparato.
t. 73. il massimo cantatore delle lodi di Dio , Da-
vide,
v. 73. nell alta Teodia , no' suoi sublimi, miste-
riosissimi canti in lode di Dio.
v. 16. con lo stillar suo , perciocché quello , che
vi scrivi, avesti dj lui.
v. 73. riplùo , ripiovo.
v. 64- ìnfin alla palma del martirio , ed alla morte,
v. 65- respiri, p Cr riparli, come spirare in vece
di parlare; - dilette , per diletti.
'•SO. a grato, . g M do , - dUhe , dichi, dici.
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del Paradiso. 303
v, sc>- 'l segno, il termine prefìsso alte anime pre-
destinate; — ed esso segno stesso mi addita , dicasele
l'obbietto che la speranza promette. Le parole, ed esso
in m'addita sono per interposizione collocate in fine del
ver.-o B9. in vece di collocarsi nel fine del v. 50. Cosi
spiega il H, Lombardi questo passo.
v. 92, dì doppia vesta, di doppia beatitudine dell'
anima e del corpo.
v. 94. il tuo fratello, S. Giovanni; — digesta,
digerita e schiarita.
V. 95. là, dove tratta ne, nella sua Apocalisse,
cap. 7. dicendo: ì quali stavano in pie d'avanti al
trono e d' avanti all' Agnello , vestiti di stole Li-
v. 97- E prima e presso 'l /in leggon l'edizioni che
seguono il testo degli Accad. della Cr. Meglio leggono
il Landino, il Daniello ed il Cod. di M. C. li prima
appresso al fin d' esse parole.
v. 98. sperent in le, parole de] nono Salmo sopra
tiferiie.
v. iqo. un lume, l'anima di S. Giovanni Evange-
lista, vegnente anch' essa a Dante. ,
V. rei. 'I Cancro , uno de' dodici costellazioni del
7-odiaco ; cristallo corpo lucido.
V. 103. un mese di continuo giorno. Siccome d'in-
verno, per lo spazio di quel mese che dimora il Sole
nel Capricorno , avviene che, quando tramonta il So-
le , spunta in ori cute il Cansro, e quando il Cancro
tramonta, nasce il Sole, perciò il poela , a dinotare
che risplendeva quel nuovo terzo lume al' par del Sole,,
dice che, se un tal lume fosse nel Cancro, avrebbe
l'inverno un mc'se di giorno continuo,
v. I0j. alla novizia, alla novella Sposa', — fallo
qui perfine liasiinevùle.
V. icó. lo schiarato splendore di S. Giovanni.
v. 107. venire a' due, ai due Apostoli Pietro e Ja-
copo, che ballavano in gito.
Y. 109. nella nota, nella stessa melodia.
26 *
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304 Dìchinr azioni
v.i\l. del noitro pellicano, di Gesù Cristo ; lo
Chiama cosi perchè col proprio sangue risuscitò noi a
vita eterna.
v. 114. d' in su la croce, da Cristo stante in su 1*
croce , eletto al grandfi uficio , cioè di esser egli figlio
a Malia Vergine in luogo di Cristo medesimo. — di su
la croce, l'altre ed.
v. 118. t'argomenta, si delibera.
v. 130. che, per voler veder più di quel che com-
porta la debolezza della sua pupilla, rimane abba-
gliato.
. v. iaa. mentrechè, finché, fino a tanto che.
v. 124. saragli, per saravvi.
v, 127. con le due stole, con le due vestì, qui
con le due glorifica!; ioni dell* anima e del corpo.
V. 138- le dite luci che salirò ; le luci, le anime di
Gesù Cristo e di Malia Vergine, sono le due sole luci
con corpo ed anima, che salirono tanto in alto, che
più non le vedesti Par. XXIIT. 86- e 130.
v. 13:3 — 132. A questa voce l'aggirarsi di quelle ire
fiamme col mescolamento che al girare ftcevasi del snon
nel trino spiro, neltriplire canto, che da essa Camma"
usciva, lì quieto, cessò. — emesso, in vece del sem-
plice con.
v. 133. cessar, per ischiv^re.
v, 138. per non poter vederla, a cagione della vi-
«a rimastagli abbarbagliata nel mirar S. Giovanni.
Canto XXri.
A r g o m .e n t o.
In questo panto S. Giovanni Evangelista lo esamina
della carità. Di poi Adamo racconta a Dante il tempo
della sua felicità ed infelicità.
v. 1. spento , abbarbagliato.
V. 3- spiro , voce.
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del Paradiso.
30;5
4. riieme , per ritenti, qui per ripigli la
villa.
v. 6. compunse , per competili.
v. 7. l'appunta., si addirizza , mira.
v. 8> fa ragion, fa conto, persuaditi.
v. i3, La virtù dì rendere la vista al miracolosa-
mente accecato S, Paolo. • Act. p.
V. 13, e tosto e tardo, per o coito o tardo.
v. 13. col fuoco amoroso, ond' io ec.
v. ró— 18. Lo ben, che fa ec. , ciò Iddio, è il
principio e il fine di quanto scrive amore iu me, di
quanti impulsi , leggieri o forti, esso mi dà.
v. ai. in fura, iti attenzione.
v. 23. a più angusto vaglio, vale quanto più .chia-
ramente.
v. 34. chi dirizzò il tuo amore verso Dio.
v. 39. maggio , per maggiore.
v. 3r. all' essenza divina.
v . 34- 35- convieit che amando si muova la mente
dì ciascun che cerne, che Tede, conosce. — più che
in altro, l'altre ed.
v. 37, discerné , dimostra , fa conoscere ; allo 'ntel-
letto mio sterne, l'altre ed.
v. M- colui; altri pretendono che -il poeta intenda
Aristotele* «tri S, Dionisio Areopagita ; il V. Lom-
bardi è d'opinione; che si debba intendere fiatone, il
quale scrive qua.^i sul principio del suo Ctirtvivio che
Amore sia il più antico ed augusto di tutti gli Dei ;
e ohe Dante in vece di dire mi dimostra esser amor*
il primo di tutti li Dei, dica mi dimostra il primo
amore, amòre il primo, di tutte le tustanze tempi-
v. 40. scernei, lo discerne, lo dimostra; scernere
lo stqpso che discernere; — del verace untore, di Dio
medesimo.
v. 42. ogni valore , l'unione d'ocni pregio , d'ogni
bene. Ved. Exodi '33.
s6 **
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Dichia r azìo ni
v. 43- tu pule, o Giovanni, me lo scemi, rao-
' «tri.
v. 44- 45- ì' "Ito preconio, il sublime tuo vangelo,
che più d' ogni alno vangelo ci manifesta laggiù V arca*
no di qui,
v. 48- guarii a , serba, il sovrano, il principale,
de' tuoi amóri a Dio.' *
v. so. verso lui, verso Dio; — mone, in vece di
suoni, dichi, manifesti con parole.
V.-6*. quanti motivi ha l'amore che t'infiammi.
T. 53. latente, nascosta.
v, 53/ dell' aguglìa di Cristo , cioè di S. Giovanni.
Aquila ipte esc Joannes sublimiiim praedicator , dice
S. Agostino traci, in Joan. 3;.
v. 55- morsi, stimoli, motivi.
v. 57- hanno cooperato a trarrai ad amar Dio.
v. 58- che, imperocché.
V. 63, tòrto, folle, traviarne.
v. 63. e del retto amor divino m' hanno condotto
allo stabile Iiio.
v. 64. 63- metaforicamente, in vece di dire: le
creature , che il mondo tutto adornano.
V. 66. * porto , dato, comunicato! A* porgere.
v. 7o, acuto, forte, grande; — ti disonna, si
rompe il sonno.
V. 71. lo spirto visivo , la virtù visiti.
v. 72. allo splendor che attraversa £e "membrane
dell' occhio.
v. 74. nescia , priva di di scemimelo.
v. 73. Finché la virtù ghidiciaria non soccorre lo
svegliato.
v. 76. quisquilia, cispa, immondizia; v. lat.
v. 79. me', meglio.
V. B3. vagheggia, lietamente contempla." l'anima
prima, che ec. cioè l'anima di Adamo.
v. p3- nuro, per nuora, dal \aX.-nurut,
97. coverta, cooeuo con un panno ; — broglia,
*> agi'*.
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del Paradiso.
307
v. 98. che si paja, che apparisca.
v. oq. la. 'nuoglia, la copertura.
v. ira. per la. ■coverta, per lo splendore che la
circondava. ,
V. 103. spirò, parlò.
v. joj. certa,, cognita.
v. 106. speglio, specchio.
. v. 107. Che fa. l'altre cose esser pareglit di se;
Cioè Din, L'altre edizioni leggono: Che fa di se pare-
gito all' altre cose.
v. 108. e ninna cosa fa esser Dio pareglio dì lei,
dipinto cioè della propria immagine.
v. log. quane' è, quauto tempo ó.
v. na iteli' eccelso giardino, nel paradiso terrestre;
costei, Beatrice.
v. hi. ti dispose, ti fece abile a salire quassù per
la lunga scala He' cieli.
v. 112. e quanto tempo godei la dilettosa vista del
medesimo paradiso.
v. 113. del gran disdegno, dell'ira divina coutra
di me e della mia discendenza.
v. 114. eh' usai, e eh' io fei, l'altre ed.
r. 113. M gustar del legno, del pomo dell' arbore
della scienza.
V. 117. il trapassar del segno , la disubbidienza.
V, H8-. quindi, onde ec. cioè nel limbo , dal quale
Beatrice fece partir Virgilio per aiutar Dame smarrito
nella' selva oscura, liif. II. 53. e segg.
v. rio. quattromila trecento o due anni ; — volumi,
ri volgimenti.
v. i3o. questo concilio, questa beata società.
V. ISI. fai, il Sole; — a tutti i lumi della sua
strada, a tutti i segni del Zodiaco.
T. t33. fumi, mi fui.
v. 135. inconsumabile , impossibile a consomare,
cioè a terminare, all'avrà inconsumabile alla torre Ba-
bilonica.
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g 0 g Dichiar azioni
v. i37. raziocinatile, fatto per mero arbitrio dell'
anima ragionevole. — che nullo affetto mai razionabi-
le, l'altre ed.
v. 123. che rìnnovella, che cangiasi di tratto in
tratto.
v. 129. leguèndo il cielo, ' secondo il variar della
posizione degli astri.
v. 133. v'abbellì*, vi pare bello, vi piace,
v. r34. Tùl, primo nome d'Iddio.
v. 136. EU nome di Dio appresso gli Ebrei ] con-
viene , e conveniente alla condizione delle umane
usanze.
v. 139. nel monte, che ec. iti cima al monte
ari Purgatorio dove Dante colloca il terrestre para-
diso.
v. no. con vita parte da peccato illibata, e pane
dal peccato deturpata.
v. 141. 143. dall'ora prima del giorno sino a quella,
eh' e teconda, che sicgue all' ora ietta , come,, rei
quando, o nella quale ora , il Sol muta quadra , cioè
all' ora sesta. Suppone Dante il giorno diviso alla ma-
niera amica , in dodici otc e che 1' ora sesta sia il mez-
zogiorno , e come da ogni paese computasi nel mezzo-
dì alto il Solo sopra dell' orizzonte gradi 90, ed e questa
la quarta pane del circolo, quadrante volgarmente, e
quadra dal poeta nostro appellata, tiene perciò che
dopo l'ora sesta del giorno muti il Sole immediatamente
quadra. — Che sette ore solamente Adamo stesse nel
Paradiso terrestre è antica opinione riferita da Pietro
Coroestore, «ella Storia scolastica. #
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del Paradiso.
3Cp
Canto XX VII..
Argomento.'
In questo canto S. Pietro riprende i cattivi Pa-
stori. Poi sale il poeta con Beatrice alla nona spera,
dov' ella gli dimostra pienamente la natura e virtù di
quella. v
v. i, 3, Intenda;!: Terminalo eh' ebhe Adamo di
parlare, comìnci'» luteo il paradiso a cantare gloria
al Padre, al ec.
v. 8. intera , piena.
v. io.- face, per faci, fiaccole, ed erano le qnat*
tro faci S. Pietro , S. Giacomo , S. Giovanni , e
Adamo.
v. il. , quella che pria venne, S, Pietro,
v. 14. 15. se Giove si prendesse da Itfnrtc il lume
vermiglio , e desse a quello il proprio candido lume,
v. 17. vice, vicenda, affare,
v. So. che, imperocché.
v. 33. Quegli, cioè Bonifazio; — usurpa, ingiù
. statuente possiede! il luogo mio replica ire volte per
maggior indignazione.
v. 23. che vaca ce. quanto a Cristo, la sedia Apo
slolica vaca ogni volta sempre eli' ella è in degnameli tir
posseduta da mali pastori.
V. 25. 16. del cimiterio mio, della città di Homi,
dove il mio corpo è sepolto; — cloaca del sangue e
della puzza,, sentina di crudeli.! e di libidini.
v, 36. il perverso. Lucifero.
v. S7. si placa, si compiace.
V. 28. di quel color rosso, che per lo Sole avverso,
pel Sole posto ditiro (alla nube) ec.
v, 31. permane, è o sta.
3 IO D i chi ar azioni
v. 3;. fall ama , fallo, mancamento,
v. 33- solamente per ascoltale timida si fa. (
v. 3fi. quando Gesii Cristo pati sulla croce^
v. 39. che non fu piti grande la già delia mutazione
del suo sembiante.
v. 43. la sposa di Cristo , la chiesa.
v. 41. Lino e Cleto, due santi Papi martiri , suc-
v. 45. fleto , pianto , dal lat. fletus.
v. 46 — 43. Mirando il poeta al predir del Vangelo,
che iteli' universale giudizio saranno gli eletti alla destra
^di Cristo giudice, ed i leptolii alla sinistra, accenna
pe" sedenti alla destra de' Papi i. favoriti Guelfi , e pe'
sedenti alla sinistra gli odiati Ghibellini,
v. 53. per Caorsini intende Giovanni XXI. di Caor-
sa , oggi Cahor?, qnal nido d'usurai menzionata la
DanLe Inf. XI. 52. c per Guaschi Clemente V. di Guas-
cogna.
v. 55. di bere, d' impinguarsi,
v. 63. In gloria, dell' impero del mondo ? s della IVTo-
narchìa universale, che a Roma asserisce il poeta nel
mio trattato de IVlanarchia.
v. 63. soccorra per soccorrerà; — concipio , con-"
capisco, immagino; v. lat.
v. 66. ■ E non nasconder quel eh' io non nasconda.
l'altre ed.
v. óg. 69. il cornò della Capra del eiel, in vece di
dire il celeste Capricorno. Quando il Sole è itel capri-
v. 70. l'etere, leggon 1' altre ed.
v -74- U mezzo, l' intervallo ira me e loro , per. là
m0lC °' P«l-» ot « lunghezza.'
I !!■ 11 tra p«s ar pi U avami .
. I' 70 - aiJ ^°. sbriga. ■ .
- 77- ad tma , ablj
T - ». eente tu , . ,
intorno 11 ' 1 TOnt0 *' ha ,l clel ° a ^
tempo. a terra, in questo intervallo di
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dèi Paradiso.
3n
t. 79 — St. Per intendete questo passo con vi eri avver-
tire due -ose: 1) Che Dame, secondo la $eogr.iii.i de'
suoi tempi non conta i vari climi che per l'emisfero no-
stro , che frllppotle il solo da' vivi abitato; e clic per-
ciò ai termini orientale ed occidentale del nostro emi-
sfero pone i termini de 1 medesimi climi. 2; Che, affis-
sandosi il circolare segno del primo clima al di qua dell'
equatore a gridi 3o di latitudine boreale , ed a gradi 3-
della medesima latitudine rissandosi il tropico d'I Can-
cro ! segno dell' equatore il più Verso Bowa discosta)
viene conseguentemente il circolar giro dei segno de*
Gemelli (quello che immediatamente al Cancro precede,
ed in cui Dante. con Beatrice trova va fi) a coincidere ad
un dipresso coli' arco segnante il primo clima. Ter que-
ste due supposizioni Dante, in vece di dire, che dal
tempo in cui aveva l'altra fiata guardato la terra (Par.
XXI. 134. e segg.) a quel punto in cui di nuovo riguar-
davi era il segno de' litniclli passato meridiano all'
orizzonte occidentale (erano cioè passate sei orej , di--
ce che, dal primo guardare' a questo secondo, sì vide
molto per tutto l'arco, che fa dal mezzo al fine il
primo clima. •
v. 83- Gcide oggi Cadice.
J- 83- 84- e presso, vicino, il lito Fenicio,
nel quale Europa figlia di Agenore re dì Fenizia, sì
fece doicè carco dì Giove trastormato in un vago
v, 86"- 87- di questa aiuola, di questo emisfero; —
procederi partita, andava innanzi lenitali da me; —
sotto i miei piedi, per essere il ciclo delle stclic Esse
più alto del cielo solare.
v. 88- donnea, fa all' amore.
v. 83- ridure, alla Lombarda, per ridurre, in
grazia della rima. «.
V. 91 — 03- Costruzione : E, se natura in carne
umana, rudi' umili corpo, o arie nelle sue pinture,
/«pasture da pigliar occhi per aver la- mente , V 10 '
i ! 2 Dichiarazioni
dusse bellezze, onde pascete ed attirare il nostro sguar-
do, e collo sguardo 1* affetto dell animo.
v. 05- ver, vtuo , in paragone con; — che mi ri-
fulse, che mi rinacque.
v. 07. indulsi!, concesse.
v. Q3. nido di Leda appella il segno celeste de' Ge-
melli , in cui si trovava , alludendo alla Favola , che
uauo essi Castore c Poltrire, nati a guisa d' uccelli da
due uova , che partuij, Leda , ingravidata da Giove in
figura di cigno. — mi divelle, mi distaccò.
v. 59. tu? impube, mi sospinse alla nona spera , al
primo mobile, degli altri cieli inferiori più veloce,
siccome più alto e più lontano dall' ae se , attorno a.
cui giiaiio insieme tutti i nove, secondo il sistema che
Dante sìegue.
v. ic6 — 108. La natura, del moto circolare, il di
— cui mezzo o centro è qnien/, c intorno al quale mezzo o
centro tutto ' si muove, comincia di qui, da questo
nono cielo, detto pcrci-J primo mobile , come da siici
meta, come da luogo fin dove, c noi» più oltre, può
essere movimento. — Alcune edizioni antiche ed an-
che il Cod. di IVI. C. k-Ssono La natura del monda,
ed il postillatore di esso spiega natura naturata, lini-
•versalis, e le partile di Dante, die quieta il mezzo,
le intende della una , come le intesero anche gli attti
cementatori, e perciò il V. Costanzì crede che Dame,
per non u:are il barbarismo di natura- naturata, scri-
vesse Ì« natura del mondo, avendo presenti alla men-
te i termini delle suole natura naturaus e natura na-
turata.
v. reo. altro dove, altro luogo.
V. 112. luce ed amore d'ogni intorno lo circon-
dano.
v. 113. quel precinta, cotale cerchio di ltice ed
amóre.
v. 114. intende, governa.
v. 115. non è ut* moto distinto, misurato per altro
Dipzcd by Google
del P aradis o. 313
v. 117. sì come il maggior mimerò è prodotto e mi-
surato da' minori, e non produce esso né misura i mi-
nori; — da mezzo, cioè da cinque, e da quinto,
dalla quinta pane , da due, ■ ■
y. 118. tenga nascosto in colai tetto, in colai
vaso. •■
v. no. e negli altri, ne* pianeti, le fronde , il rai-
suratore'a noi visibile moto.
v. Mi. affondo , per affondi , sommergi,
v. 123. li pioggia continua, ì continui incentivi
- al .male.
v. ja6. bòzzacchione , aboito, o frutto imperfetto
v. 137. reperle, novale.
v. 129. tìen coperte, intendi, dalla barba.
v. 131. tyi. con la lìngua sciolta , divenuto praurte ;
divora qualunque cibo per qualititi,ue luna, trasgre-
disce tutti i digiuni, che in var) tempi dell'annoia
Chiesa comanda.
v. 134- «on loquela intera, lo stesso che con lingua-
sciolta , v. 131.
v. 13Ó — 138- Costruzione ; Così la pelle della Iella
figlia di quello che apporta mane e lascia sera, della
natura umana, bella figlia del Sole, nel primo aspetto
bianca, ti fa nera. Il senso è: cosi l'animo degli
uomini si cambia di buono in reo, come il colore di
bianco in nero; perchè da bambini sono bianchi e buo-
ni, da grandi bruni e sciagurati.
v. 140. J'ensa che 'n terra, l'altre ed.
v. idr. onde si svia leggon tutte l'altre ed. i il P.
Lombardi vuole che si legga onde sì svia, cosi esce
di via.
v. 143. 143- sverni, esca dalla iemale stagione; —
centesma , apptlla il poeta quilla minuzia di tempo,
che a' suoi giorni (prima della correzione Gregoriana)
dava» di più al moto periodico del Sole, computali do-
si di giorni 3j5 e ove precisamente 6, perocché minuzia
tale nel corso di circa cento anni amnoniava a formare
Dante 111. 27
OigiiizMDy Google
314
Di c hi aY azioni
un Rioino, cioè ore 24. — In somma vuol dire: ma
non passeranno molli anni, die le cose d'Italia si ag«
ghisteraimo , e si Timcdìerà a tanti disordini. Allude
alla sospirala ventiti in Italia di Arrigo VII. ìmperadorc,
per opera di cui sperava Dante, che i Ghibellini, e
così ancor egli, sarebbono stati rimessi nella patria.
v, 144. ruggerun , gireranno si forte , con tanto
remore. "
v. 145. Allude all' aspettar che i Ghibellini facevano
la venuta in Italia dell' Imperatore. ^
v. 147. la classe, la flotta di navilj.
v. 143. e le susine non si convertiranno più in boz-
zacchioiii.
Canto XXVHI.
A r game ut o.
Dimostra il poeta in questo canto, in che guisa gli
fu couceduio dì poter vedere la essenza divina, e che
ella di grado in grado sì appressimi a lui in tre gerar-
chie di nove corti d'angeli che le stanno d'intorno:
ed in ultimo pone alcuni dubbi dichiaratigli da Bea-
trice.
v. 1/ cantra, contrariamente, a riprensione ; — in-
contro , V altre ed.
v. 3- Quella che ec. Beatrice.
v - 4- dap-piero, torcia di cera, detta cosi da' rad-
doppiati stoppini , de' quali è composta.
▼■ S. dietro alle spalle.
7- e se rivolve ; se è qui pronome.
9- con esso , col vero ; come nota ec. come un
hen composto canto s'accorda col metro de' versi che
« Cantano.
v - eh' io feci ec. che io guardando ne' begli oe-
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del Paradiso.
315
chj di Beatrice, vidi in essi, come in imo specchio
dipiuta l' immagine di ciò , che poscia, rivoltandomi,
vidi lealmente.
t. 14. li miei occhj ; da ciò, da Dio, che -pare,
che apparisce, in quel volume, in figura, come in
appresso dirà, di lucidissimo punto, quale centro di
tutti i cieli in mezzo ad essi.
r. 15. ogni qualvolta il moto de' medesimi cicli ben
si consideri.
v. 19. E quale stella, richiede il giusto senso che
vaglio quanto 1' Nondimeno qualunque stella ; quinci,
di qui, dalla terra, più poca, più piccola.
V. 33 — 34. Costruzione e spiegazione: Farse cotan-
to , quanto Halo -pare cinger appresso , circondare in
vicinanza, la luce che 'l dipinge, la luce del Sole o
della Luna che l'alone forma e colora, quando il va-
por, che 'l porta., che porta in se dipinto esso alone,
più è spesso. — A la cinger ed Allo cinger leggono er-
roneamente l'altre ed. Halo al cinger logge il Cod. di
M. C. unico tra tutti i testi e manoscritti e stampati,
fuori della Nidobcaiina seguita dal V. Lombardi. —
Halo, apocopo di haloi , voce greca e lat. in ita!.
alone.
v. 23. d'igne, ài fuoco.
v. 3fl. pili tosto , più velóce.
v. 3r. sparto, esteso.
v. 33. il messo di Juno , V arcobaleno , 1" Iride.
v. 33. intera, se formasse un circolo intero; —
arto , stretto, dal Ut. arclut,
v. 31. 36. secondo che eo. a misura che cresceva il
numero del di lui ordine, a misura che in numero più
si discostava dall' unità.
v. 37, ' sincera , pura , lucida.
V, 38. la favilla pura, il punto centrale lucidis-
simo.
V. 39, invera , s' imbeve , partecipa,
v. 40. in cura, in curiorità di sapere che si fossero
quel punto e quei cerchj intorno.
27 *
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3 Dichiarazioni
v- 53. veder le volle , leggon l'altre ed.
v. 5t, (irti Ctf'i/ro , dalla teTta.
v. 33. miro, maravìglioso.
v. 53. l'esempio, la terra co' cieli intorno.
v. 06. t'esemplare, quel punto lucido, con intor-
no i nove cerclij.
v. 37. contemplo, affisso la mente a cercar ragione
dì tal divario.
v. 58- non son a. tal nodo , non sono abbastanza
forti per ieriorre questo nodo.
v. 60. tanto è fatto sodo, perchè nessuno a tentato
ancora di scioglierlo.
v. 63. f assottiglia , asuzza l'ingegno tuo.
v. 64. enno, sono , ampj et arti, larghi e stretti.
— U cerchi corporai sono ampi ed' arti , leggon l'ai-
«< «>■ S
v. 67. vuol far maggior salute, vuole urta mag-
giore estensione de' salutari suoi influssi.
V. 68- maggior corpo è capace di maggior salute,
v. 73. costui, questo nono cielo in cui siamo ; —
rare, lira seco in giro.
v. 72. al cerchio composto di SeiaRui, angeli ì più
innamorati di Dio, e da Dio illuminati.
v. 73. Perchè se tu misuri la virtù, non l'appaTen-
si cioè la locale estensione, di queste angeliche so-
natine, che ti appariscono disposte in cerchj.
v. 77. 73. del cielo maggiore al cerchio d' angeli più
vicino at centro, eh' è Iddio, e perciò di maggior
virtù, e del cielo minore in grandezza al cerchio d'an-
geli meno a Dio virino, e di minor virtù ; — a sua
intelligenza , per alle sue intelligenze, cioè agli ange-
li , che lo dirìgono.
T. 81. più lena, meno impetuoso , — Borea da
q iella gronda , l'altre ed. facendo Borea di due sole
sillabe.
v. 33. roffia, qnì per nehlia, o nuvole, roffia
appellasi in Imola ed aliri paesi di Romagna quella lor-
dura che sulle monete, ed altre cose, col maneggiarle
del F ara. di so.
317
si cagiona ; ruffa, in Lombardia , ed in Toscana roc-
cia. Il Vocabolario della Crusca la «piega densità di
vapori umidi.
v. 84- d' ogni su* paro/fin, di unta la Bua comi-
tiva, cioè del Sole, Luna e stelle.
- v. 87- ìt'ver ila me ti vede.
v. 88- ristaro , celarono.
v, 91, ogni scintilla rimaneva nel SUO cerchio sfa-
villante, cioè le sciatine mosse ne' cerchi non si mo-
vevano talmente che uscissero de' rassettivi cerchi, ma
ciascuna riiaanea nel prcpio cerchio ed ardine.
v. 02. 0.1. che '1 ninnerò loro coKiirue in se il mille
più volte che no •! contenga it numero che nasce dal
doppiar degli scacchi ; cioè mollijilicando sempre il
minino con se stesso.
v. 91, osannar, cantare osanna.
v. 95. al punto fissa nel centro , cioè a Dio ; —
agli ubi, ai luoghi.
v. 96. foro , furono.
v, cji- dulj, dubbiosi, dal lat. dulius.
v, 100. vinti, legami, cioè legami d' amore.
V. 103. vanno, per vanno, forse alla francese dal
V. 10S. il primo teruaro , la prima angelica gerar-
chia, composta ciascuna di esse di tre cori ; — termi'
nonno , terminarono.
v, refi. 107. hanno- diletto tanto, nuanto la sita ec.
V. 103. nel vero, in die ec. in Dio.
V. 109. 110. Quinci, di ciò; — come si f.nda l'es-
ser heitto ec. che i beali tanto più godono, quanto
piit profondamente mirano nella divina essenza.
v. 113. e le loro opere meritorie sono la misura del
loro vedere.
v. 113, che, intendi , mercede; le quali opere me-
ritorie nascono della grazia d'Iddio, e della buona vo-
lontà.
v. 117. notturno Ariete, l'autunno, Magione in
cui di notte gira sopra del emisfero nostro l'Ariete.
57 *•
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3i8 Dichiarazioni
v. n8. sverna , qui per canta, sventare ai chiama -
il cantai degli uccelli in primavera.
t. 119. tree, tre,
v. 120. onde s'interna, de' quali ordini si compone
il ternato.
v. 133. ee , è.
y. 104. poscia ne' tripudiami cerchi settimo ed ot-
tavo.
v. i3fi. d' angelici ludi , d' angeli festeggiami.
v. 337. 133. gli ordini inferiori ammirano i Superio-
ri , e questi vincono gli inferiori in eccellenza. Di su
tutù rimirano , 1' altre ed,
V. 130. JDioitisio areopagita.
V. i33, Gregorio , S. Gregorio Magno. — ji" divìse,
fu discrepante da lui nella distribuzione de' diversi or-
dini delle' tre gerarchie.
V. 130. 137. E se un mortale, S, Dionisio, in ter-
ra manifestò verità tanto nascosta agli occhj degli uo-
mini.
v. i38. «&* 'i vide quassù : 5. Paolo , quando fu
tafìto i" Paradiso.
v. 139, con molte altre verità concernenti le nature
angeliche.
Canto XXIX.
Argoment o.
In questo canto dimostra il poeta, che Beatrice^
nella divina Maestà vide alcuni dubbi di lui, i quali
risolve ; indi riprende la ignoranza di alcuni teolo-
gi de' suoi tempi ■ e 1' avarizia d' alcuni predicatori
che, lasciando l'Evangelio, predicavano ciance e fa-
vole .
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del P aradiso. 319
v. 1 — 3. Quando il Sole e la Luna esistenti in due
segni opposti del Zodìaco, quali pei esempio sono
l'Ariete e la Libra, 'fanno a se medesimi zona coli'
orizzonte > cioè sono dal medesimo orizzonte circon-
dati. — Amboduo, l'altre ed.
v. 4- Quwif è dal punto di tempo, che li tiene
equilibrati, cioè rispetto all' emisferio nostro , ugual-
mente alti. L'altre ed, leggono :
Quoti? è dal punto che 'l zenit inlihr.i.
v. 5. da quel cinto, dal detto orizzontale cer-
chio.
r. 6. si dilibra., si toglie dall' equilibrio,
y. 7. tanto , vale per altrettanto brevissimo tempo,
v. g. fuso, l'altre ed. — vinto, fatto chiudergli
occhj.*
v. 12. ogni ubi, ogni quando , ogni luogo, ogni
tempo.
t. 13. avere, ottenere,
v, a i4. *S- ma perchè suo splendore avesse, in chi
rispondendo potesse sussistere effigiato; — subsitco,
l'altre ed.
v. 16. ci, a lui, dal lat. */. ,
v. 13. meglio forse legge ii Cod. dì M. C. in nova
amor , ed il postillatore spiega : id est novem ordinibus
angelarum.
v. 10. nò prima, di creare, si giacque torpente,
inerte.
V. SO. 2t, poiché Lo discorrer di Dio sopra quest.'
acque , cioè questa creazione del mondo , perocché
operata di tempo fuor e , non può dirsi operata uè
prima, nè poscia, perchè questi termini suppongon
tempo e sono affatto all' eternità inconvenienti,
v. 23. ad atto che non aueua fallo, all'atto in-
fallibile della divina volontà espresso nella Genesi colla
vooe fiat.
v. 24. Come d'arco tricorde tre saette. Avendo
prima il poeta parlato della creazione degli angeli e poi
della materia e della forma, dice qui che queste tre co-
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320
Di chiar azioni
te, cioè gli angeli, la materia e ia fon.! a Uscirono in-
sieme da quel!' aito ìnfi [libile, come escono insieme
da tricorde arco tre saette.
t. 26. 27. che non si può osservare intervallo dì
tempo dal venire del raggio all'essere V illuminazione
interamente coro nini.
v. so, raggi», usci. ■ , .
v. 30. senza distinguersi nel principiare diversità dì
tempo dal proseguire e dal compiersi.
v. 32. 33. e quel/e, natalizie, nelle quali fu pro-
dotta solamente virin di agire nelle altre sostanze, fu-
ron posto sopra di tutti i cieli; e colali sono gli an-
geli.
v. 34. pura potenzia, le sostanze prode: te con la
potenza solamente dì ricevere furono collocate nel]a più
bassa parie del mondo; e tali intende tutti i corpi
sublunari che, a iiissuiio dando, tutto da' cicli rice-
v. 33. 36. nel mezzo tal viene, tal legame, striate
la potenzia con aito, che giammai non si divima,
dia Ciò glie | e questi intende i cieli.
37 -3g. vi strine, scrisse a voi in terra, che
creati' furono gli angeli molti setoli innanzi che ec.
Il poeta imita qui la frase latina; scripsit de angeli*
creatis multa saccaia ante quum ec.
v. 40. questo nero, questa verità} — in molti lati,
■ in molti luoghi.
v. 41, dagli scrittori de' libri canonici, dettati dallo
spirito santo.
r. 43. se ben ne guati, l'altre ed.; aguatare , con
una sola g, e diverso da agguatare, e significa lo
stesso che guatare.
v. 43- alquante , in qualche modo.
t. 43- 46. perciocché non potrebbe persuadersi , che
gli angeli destinati motori de' cieli, stessero i molti se-
coli privi del suo atto,
v. 43. tre ardori, -tre brame del tuo desiderio.
v. 50. parie degli angeli cadendo dal cielo.
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Ael Paradiso.
321
v. gì. il suggetto de' vostri clementi , cioè la «ria,
elemento suggello, sottoposto, agli altri itc elementi
vostri, acqua, aria, e fuoco; — de' vostri alimenti,
l'altre ed.
■ V. 53. 53. V altra parte degli angeli ; — quett' arte,
questa funzione che tu vedi, cioè di circi/ire, di ag-
girarsi intorno al lucidissimo punto.
V. 56. 37. di colui %he tu vedesti ec. di Lucifero,
il quale «1 per lo Interno viaggiando scorgesti nel
centro della terra, dove tutti li mondani pesi lo prc-
v. 59. a riconoscer se opera della divina bontà,
y. 60. a tanta intelligenza pronti, capaci.
V. Or- perchè, laonde.
v. 63. Sì che altro non vogliono uè posson volere
se non quel, che vuole Dio.
v. 63. meritoro, meritorio; ascrivesi da Dio a me-
v. 66. secondo V affetto, 1* amore, con che essa
grazia vien ricevuta.
v. 69. ricolte, ricevute, intese; — ajutoro, ad-
jutorio, ajuto. Nel God. dì M. G. le tre rime di que-
sti versi sono interi: meritorio, consi s torio , ad lit-
torio.
Y. 75. equivocando, sbagliando! — lettura, dot.
trilla.
v. 77. della, vale qui per la, cioè pei la veduta
faccia di Dio.
v. 7g. interciso, interrotto,
v. So- iisogita loro.
v. 81. di rammemorar ricucendosi presente un con-
cetto già. allontanato dalla mcntei
T. 83— -84- intorno alla memoria degli angeli vi sono
state diverse opinioni ; altri negarono a ssolut immite
memoria agli angeli, altri loro l' attribuirono alla no-
stra somigliante. Questo due estremità condanna qui
Dante dicendo che quaggiù sognino anche 11011 Carmen-
dò tanto coloro che credono dieer aero la piefata lettw
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322
Dichiarazioni
ra. osi* dottrina insegnante che l'angelica naturasi
ricorda, quanto quegli altri che escludono adatto Ai-
gli angeli ogni memoria; ed aggiunge esser la sentenza
di questi ultimi più colpevole e vergognosa; essendo
egli della opinione di Alberto magno, scrittore al no-
stro poeta vicinissimo, il quale stabilì che abbiano
bensì gli angeli memoria, ma che sia dalla nostra diffe-
rente.
T. 83. Per un sentiero , pe '1 sentiero della ve-
v. 87- apparenza , qui per onorevole comparsa.; —
e 'l suo pensiero , cioè il pensiero , la cura , che di
lei vi prendete.
v. So- posposta t messa in non cale.
Y. 90, e quando , l'altre ed. i — torta, stiracchia-
" ta al falso.
v. 93. j* accosta , s' unisce.
T.-94. face, fa.
▼ . p3. trascorse, qui in vece di diseSrie , trat-
tate. _ •
r. reo. rispose , corrispose.
v. 103. Lapi e Biadi , corruzioni di nomi assai fre-
quenti in FiTenze al tempo di Dante.
y. 107. dt vento , di ciance.
v. 105. al suo primo collegio apostolico.
V, nr. verace fondamento , il suo Vangelo.
v- 112. e quel fondamento solamente da essi fn pre-
dicato.
V. "3- a pugnar, a predicare che fecero gli Apo-
stoli, per accendere, eccitare, ne' cuori umani la fede
Cristiana.
T. n5- con molti e con iscede , con arguzie e con
buffonerie.
V. riB- becchetto, una striscia doppia di panno,
che v» lino in terra, e si ripiega in sulla spalla destra,
e bene spesso si avvolge al cnllo , e da coloro che vo-
gliono 'essere più destri e più spediti , intorno alla testa.
v. 120. perdonnma, indulgenza. .
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del Paradiso.
323
v. lai. per cui , per la quale perdonanza.
V. 123. sì converrebbe, qui invece di sì conviene,
lì concorre.
v. m. Il Cod. di M. C. legge; Ed altri ancor, che
sono assai più porci.
V. 126. dì moneta senza conio, i^oraentatori co-
munemente spiegano dì false indulgenze, ma il post il-
latOTe itel Cod. di M. G. ben diversamente «piega de bia-
do , vino et oleo.
T, i37. digrassi, dipaniti dal proposito.
v. 129. sì che- col. lerapo assegnalo» a far questo
viaggio, anche la strada, che ti rimane a tare per com-
v. 130. Questa natura angelica ; — s'ingrada, in-
noltrafii ne" gradi, negli scaglioni di scala, cioèj'iV
nalza.
v. 134. Daniel, cap. 7. v. 10. mille migliafa gli mi-
mitravano, e diecimila decine di mìgliaja stavano
d'avanti a lui.
v. 135. il loro numero determinato non ti mani-
festa.
v. 126. la prima luce, Iddio ; — che tutta la>raja,
Che tinta 1' angelica natura illumina.
V. 137. rice;/e , riceve.
V. 138. a che s'appaja, ai quali si congiunse,
V. r4o. segue l'ajfetto, corrisponde l' intensità dell'
amore in ciascun angelo.
v. 141. fervere e tepere , per esser fervido e tiepi-
do, dal lat.
v. 143. l'eccelso, l'altezza.
V. 144- speculi, specchi; — si spezza, si molti-
plica.
v. 145, munendo , per rimanendo.
324
Dichiarazioni
Canto XXX.
Argomento.
Sale Dante con Beatrice nel cielo empifeoi ove,
riguardando in UH lucidissimo fiume che .gli apparve,
prc*e da quello tal virili, che con l'ajuto di Beatrice
potù vedere il trionfo degli aiijeli e quello delle anime
v, i — 6. Forse sentila miglia ec. Volendo Dante
dire, che, come il. lume del vicino e non ancor ve-
duto Sole fa in terra dagli occhi nostri svanire il lume
delle stelle, cori il lume della vicina e non ancor ve-
dili» gloria divina fecegli Bvauire dagli occhj il lume
degli angeli che in quel cielo vedeva, entra nel vaghis-
simo paragone commemorando quanto dal luogo nostro,
allorché c'incominciano a sparire stelle, lontano sia il
luogo a Cui il Sole sia nel meriggio; e quale nel mede-
fimo tempo sia rispetto a noi la posizione del cono
ombroso della terra. La distanza che, dal luogo nude
spariscone le stelle al luogo dov' è mezzogiorno, dice
di forse semita miglia, corrisponde a un dipresso alla
comune supposizione che gh-i la terra aróeo niigìia , in
ragione cioè di miglia Co per ogni grado : imperocché
quando dalla banda orientale in luogo da noi distante
li quarta parte del terrestre giro, cioè miglia 5400 è il
mezzogiorno , allora nasce a noi il Sole : dunque dal
luogo dove il Sole fa il mezzogiorno al luogo onde ve-
di a m noi i primi albóri dee essere un numero di miglia
che b' accosta al semita, e perciò bene accompagnato
col forte. Che poi questo .mondo , questo terracqueo
globo, chini giU t'oml/ra., l'ombroso cono, che nella
parte al Soie opposta produce, qmisi al lato finno,
quasi alla oiiezoutale linea del luogo a cui incornili-
beale.
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del P ar adiso;
ciano le stelle a disparire, è.Cosa che pei intendersi al-
tro non abbisogna che l' intelligenza de' termini. — ci
ferve l'ora sena : la particella ci o significa lo stesso
che vi, o vi sta per semplice ornamento-, ferve l'ora
sesta vale scalcia il mezzogiorno. — cielo a noi pro-
fondo, per cielo a noi alto, cioè sopra noi. — a Un-
ita stella, perde 'l parere infino a questo fóndo , al-
cuna stella cessa di apparire infili quaggiù in- terra ;
alcuna dì lume più fievole.
v, ?. come per quanto ; la chiarissima ancella del
Sol , 1* Aurora.
V, 8- cosi per tanto; — il del si chiùde, il eie!
stellato si nasconde.
v. 9. di vista in vista, di stella in stella; — alla
più bella, alla più Incida.
v. 10. 11. il trionfo degli angelici cori, che fe-
steggiano intorno a Dio, che mi abbagliò cella sua
luce.
y. 13. si stinse, si estinse.
v. 14. 13. la cessazione della gioconda vista degli
angelici cori e l'amore verso Beatrice mi costrinsero a
tornarmene cogli occhj a lei.
v. 17. conchiuso, rinchiuso.
v. 18. non basterebbe ad esprimer ciò che della sua
bellezza dir dovrei questa volta. Vice per volta o per
luogo e preso dal latino in grazia della rima.
v. 15-21. Riconoscendo Dante in Beatrice la teolo-
gia ossia scienza delle divine cose , come più volte si
è detto, e facendola perciò, salendo ed a Dio avvici-
nandosi, divenire più bella (vedi Par. V. 94. Vili. 15.
X. 37. ec. 1 -. ora eh' è salita nel cieio stesso d'Iddio, di-
cela divenuta di tanta bellezza , . che non solo la mente
umana, ma nissun' altra fuor che la divina, la può
adeguatamente godere, comprendere. — si trasmoda,
vale esce di modo.
v. 23 — 3J. passo in questo primo verso del terzetto
significa lo stesso che punto nel v. seg. E punto (in-
segna il Voc. della Crusca) per luogo particolare di
Dante III. 28
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trattato, o d'altra scrittura; detto altrimenti patt».
Intenderemo adunque come se avesse in vece detto:
Va questo punto, che mi sì presenta , di descrivere
la bellezza dì Beatrice in quel luogo , mi confesso su-
perato più, che giammai superato fosse poeta co-
mica o tragico da arduo punto del suo argomen-
to. — suprato, sincope di superato in grazia del
verso.
v. Ej— 37- Il senso è: Come il viso che più trema,
lavisi», l'ocohìo più pauroso a mirare il Sole , inca-
pace a ricevere l'intera immagine solare, da se medesi-
mo, la pupilla restringendo, la scema, la impiccio-
lisce, così la mente mìa, incapace a formai l'intera
rimembranza del dolce riso (del lieto aspetto di Beatri-
ce) da se medesima cotal rimembranza impicciolisce.
Tr 3o. non è preciso , invece di non fu troncato
il seguire, il proseguimento al mio cantar di Bea-
v. 33. all' ultimo suo , cioè arendo posto l' ultima,
mano all' opera da lui fatta.
v. 34 — 39. Cotal qua-l io la lascio ec- In quella
stessa bellezza, il predicare della quale lascio a mag-
gior bando, a banditore dì maggior voce che non è
la mìa, attesa intanto a dedurre a termine l'arduo poe-
ma , in quella stessa bellezza Beatrice con atto e voce
di spedito condotiiere ricominciò a dirmi : noi siamo
usciti fuori del corporeo cielo , che tutti gli" alni rin-
chiude, al cielo empireo.
v. 40 — aa. Bellissima gradazione ed espressione dell'
eterna felicità. — dolzore, dolcezza.
V. 43. I' una e l'altra milizia ec. i due eserciti del
Paradiso uno cioè degli angeli buoni , che militarono
centra de" rei, l'altro degli uomini che militarono con-
trai vizj.
v. 44. 45. et una in quegli ec. e la milizia degli
nomini ti si presenterà sotto la forma di quel corpo,
ohe- tu nel giorno del Enaie giudizio vedrai a ciascun
anima realmente congiunto.
del Paradiso.
327
r. 4(3. discetti, disgreghi, separi, ài discettare.
v. 48. di più forti, l'altre ed.
v. 49. mi circoli/ulte , riti li'plendeuc intorno.
v. So. e lasciornnii talmente abbagliato.
v. 52. l'amor, che ec. cioè Iddio; — 'quei a per
accontenta.
v. SS. in je coti fatta , V altre ed.
54, candela, p«T candela, e per candele qui
intende l'anima che entra nel cielo empireo per accen-
dersi iiel divino ampie.
t. ">;. dentro a vie venute, da me udite.
T. 30- mera, pura, risplendente.
v. 61. , di riviera, di fiume.
v. óa. fuluido lo stesso che fulgido , 'rilucente 1 —
di folgore V altre ed.
V. ÙZ- mirabilmente ornate di fiori.
v. 66. quasi rubino incastrato in oro.
v. 68- nel miro giro, nel maraviglio so fiume ; gurge
dal lat. gurges.
_T. 70. l'alto disio, che ora t'accende e.stimola.
v. ft. vei , vedi.
v. 73. e urge qui per cresce, s'ingrandisce.
T. 75. il $°l degli occhj miei, Beatrice.
v. 76. topazi appella le faville che vedute aveva
uscire ed entrare nella riviera.
v. 78. di lor veto, di quello eh' essi veramente sono ;
— ombriferi prefazj , adombranti preludi , preventivi
adombramenti.
v. 79. acerbe, dure a penetrare, difficili ad interi-
v. 81. viste tanto superbe, plurale pe '1 singolare,
per vista tanto eccellente.
v. 83. f antin, bambino. — rtta, dal lat. mere, an-
dar frettolosamente. \
T."83. Cogli occhj verso 'l latte se si svegli legge il
cod, di M. C. e questa lezione raccosta di più il para-
gone, come dal contesto.
T. 84- ritardato molto dall' uso suo di poppare.
2g *
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328
Di chi ar azioni
v. 87- the sì deriva , che scorre ; perchè vi j' ìm-
nte g?'. . acciocché in essa si migliori chi va là sii.
v. 88- la gronda, l'estremità 1 gronda, del tatto si
chiama V estremità del tetto.
v. 89. 90- cori mi parve ec. subito la figura di essa
acqua mi parve di lunga divenuta tonda. Nella lun-
ghezza (chio=ano i comentatori) era figuralo il diffon-
dere! di Dio nelle creature; nella rotondità il ritornate
che fa quella diffusione in. Dio, come a suo primo prin-
cipio e ultimo fine.
T. 91, stata, sotto larve, stata mascherata.
v. 92. 93. se si sveste ec. se si leva la maschera nella
v. 06. ambo le corti del del, lo stesso ch'e l' una
e l'altra milizia del Paradiso, detta di sopra nel
V. 43-
r. 99. dammi virtù a dir, l'altre ed.
T. ico. face , • fa.
v. 107. riflesso alla sommità , alla convessa superficie
del primo mollile ciel e ri si a Ili no.
v. icfl. il qual cielo da esca divina luce prende vi-
vere, movimento, e potenza d'influire ne' sottoposti
cieli.
v. log. ulivo, colle; in acqua che gli scorre a*
piedi.
v. hi. opimo, ricco, copioso.
v. 113. in più di mille soglie , in più di mille gra-
di ripartito.
t. 114. quante anime dalla terra passate sono al
cielo.
11S. "7. si gran lume , intendi che la sua cir-
conferenza sarebbe al Sol troppo larga cintura, vedi
di sopTa v. 104, — quanto è la larghezza di questa scali
negli estremi gradi? Nel seg. canto il poeta dirà esprc;-
iimente che la struttura di quella celeste scala imitava
la struttura d'una rosa, in cui dai giallo intermedio
verso l'estremità si vanno appunto le foglie di mano in
roano una sepia dell' altra innalzando.
del Paradiso.
3=9
v, rio. prendente, apprendeva, discerneva.
v. i2o. il quanto e 'l quale, la quantità e la qua-
lità.
v, iai. né pon, nè leva, irà da, né toglie; ai-
aumenta , uè scema.
v. 192. senza mezzo , immediatamente, senza in-
te rp osi /.ione di seconde cagioni.
v. i33, la le^ge naturai, che la causa in vicinanza
piti forte agisca, ed in distanza più debolmente, nul-
la, rilìeva, non lia luogo, non conta in moio al-
cuno.
V, 124. giallo della rota sempiterna, appella il cir-
colate predetto lume sopra della conyes6a superficie d«l
primo mobile, imperocché situato in mezzo e nel fondo
degl'intorno ascendenti gradi, appunto come il giallo
in mezzo alla rosa.
v. 12;. 120. che sì dilata, rigrada., cioè per gradì
s'innalza, e rìdale, e spira odore di lode a Dio che
opera ivi perpetua primavera.
v. tao. quanto è grande 1* adunanza de' beati. —
stola per veste.
v. 133. prima che tu veiighì a stare ia Paradiso,
v. 130". che jia già augosin , che laggiù in terra
avrà imperiale dignità; e dice che fia, che sarà, im-
perocché Arrigo di Lucenti) UTgo di cui Dante qui parla
non fu fatto impciadore che nel 1308. e Dante finge que-
sta sua gita all' altro rauado nel 13:». augosta. invece dì
augusta in grazia delia rima; agosta leggono l' edizio-
ni seguaci di quella degli Accademici della Crusca.
v. 137. Arrigo VII. di Lucemburgo-; — a drizzare
Italia, a togliere i disordini eh' erano in Italia.
V. 133. in prima eh' ella sìa dispaila, cioè come
a dire indarno. Notisi cu' essendo stato Arrigo mag-
giore di Dante di soli 13 anni , e morto enntra ogni
aspettazione , mentre eseguiva prosperamente l'impegno
di drizzare Italia, conviene perciò credere, che que-
sti pronostici di Dante, delia morte di Arrigo prirca
della propria, e del coni ornamento degli italici f con-
S8 **
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33©
Dichiarazioni
certi) fossero fatti già successi; e conseguentemente
11011 essere probabile, che Dante desse a questa sua fa-
tica l'ultima mano innanzi che le cose dell' Impera-
dare Arrigo VII. avessero incominciato a declinare,
come dice in più luoghi l'autore delle Memorie per la,
vita di Dante, e pani colarmeli te pe'l presente passo pre-
tenie che provare bì possa. Non solamente però è im-
probabile, che prima della morta d' Arrigo , seguita
nel 1313, avesse Dame compita qnest' opera; ma v' è
mosivo forte assai, per non dire certissimo) che nep-
pur compiuta l'avesse prima del 1318.
v. 139. v'ammalia, vi affattura , quasi con occulta
malia vi corrompe.
T. 140. r^r. fantolino, bambino. Allude ai Quel &
di piii città d'Italia ad Arrigo contrarie, e spezialmente
ai fiorentini, che desideravano la pace, e ne vedevano
la gTan necessità, e si misero poi in armi per opporsi
sd Arrigo, che solo voleva e poteva darla.
v. 142—144. Prefetto nel foro divino appella il Bo-
riano Pontefice. — tal, intende Clemente V-, che -pa-
lese e coverto te. che si opporrà ad Arrigo e con isco-
perti e con occulti provvedimenti.
v. 143- ma poco ec. campato essendo nel pontificato
•oli anni nove in circa , cioè dal 1305 al 1314.
f. 146, detruso , mandato giù.
v. 147. La, dove Simon mago è ec. nella bolgia de'
Simoniaci Inf. XIX.
v. 148. e caccerà più a fondo Bonifazio Vili. ,
d'Anagni, detto anticamente Alagna. Dì ootal de-
misionc vedi il precitato canto dell' Inf. XIX. 76. e
«SS-
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del Paradiso.
33t
Canto XXXI.
Argomento.
Frosiegue Dante nel pie sente canto la descrizione
delle due celesti coni; poi narra come, ascesa Beatrice
al sito beato seggio, mandò lui in sua vece S. Bernardo
a mostrargli la gloria di Maria Vergine.
v, i. di candida rosa. Vedi nel canto precedente
t. ir?, e quella nota.
v. S. 3. la milizia- s*nta , che ec. 1* anime umane
salve e spose di Ge*u Cristo per la di lui morte.
v. 4. ma l'altra, intendi milizia, cioè quella de-
gli angeli.
v. 6. che la. fece cotanta, che la creò cosi no-
bile.
v. 7 — o. che s'infiora una fiata, ec. die ora va
ad infiorarsi, a caricarsi del polviscolo de fiori, ed ora
fa ritorno air alveare ; — s' insapora, ai converte in me-
le; — ed una si ritorna, leggon l'altre ed.
t. ia. La, dove ec. in alto sopra della rosaj — il
suo amore, Iddio.
t. 16. di banco in Banco, di grado in grado.
v. 17. porgevan, comunicavano alle beate ani-
me.
r. r8. etti, essi, intendi angeli; — ventilando il
fianco, facendo col dimenar dell'ali vento al proprio
fianco i — egli in vece d 1 olii leggono 1' altre ed.
T. 19. So. il disopra, la divina sede. — Costruzio-
ne : Né l'interponi di tanta plenitudine , mohitndi-
ne, volante tra 'l disopra e 7 fiore.
v. 91. la vista e lo splendore d'Iddio.
v. 25. numeroso di santi del vecchio e del nuora
testamento.
332
Dichiarazioni
V. 37. ad un segno , cioè verso Iddio. ■
r. 31. j>laga, per parte del monàq.
v. 33. sopra. cui in ciascun giorno passa la costelli'
zionc vicina al polo Artico , appellata Elice , cioè
l'Orsa maggiore. Vale dunque quanto se detto avesse ;
plaga , che delle più settentrionali sia.
v. 33. rotante ec. aggirantesi in vicinanza dell'
altra costellazione di suo figlia Boote, appellato anche
Artojilace , o Arturo; — ond' ella è vaga, di cui
ella è invaghita. .
r. 34- l'ardua sua opra, l'eccelse sue fabbriche.
v. 3;, 36. quando Lacerano eo, prende il I, attrailo,
parte famosa di Roma, per Roma tutta, e vuol dire :
quando le Romane fabbriche superarono in magnificenza
tutte le fabbriche dai mortili altrove fatte.
v. 39. ii di Fiorenza ec. accusa in tal modo ta»
diamente d' ingiusto c d' insano il Fiorentino po-
polo.
T- 40. compiuto, ripieno.
V. 41. 43. certamente, in mezzo ad esso stupore ed
al gaudio, mi faceva libito, mi dava piacere il non
parlar io, ed il non sentir parlare. ¥i\ò anche inten-
dersi che la particella tra significhi parte , e mrseue
quest' altro sentimento : Certamente parte esso stupore,
e parte il gaudio mi faceva ec.
v. 44. riguardando nel tempio per voto di visitare
il quale ha intrapreso il pellegrinaggio.
v. 45. e spera di poter, fatto ritorno al patrio tetto,
deicriverne altrui la struttura.
v. 48. ricircolando , all' intorno girando.
V. 40. Vedeva visi a carità suadi legge l'ediz. della
Crusca e le seguaci. Vedea di carità visi suadi V edi-
zione Aldina c'1 Daniello. — a carità suadi vale a ca-
rità persuadenti , incitanti; formando l'aggettivo sua-
di dal verbo latino snadeo, onde suada fu appellata
la Dea della persuasione.
v. so. fregiati dal lume divino e dalla propria
gioia.
Digitizcdb/Coogl
del Paradiso.
333
r. 53- il mio sguardo, l'altre efl. fa cenilo conno
il costume mio di due sillabe per cheto il verso.
T, 57. sospetti , in dubbio.
v. SS. Io era alleato ad udir risposti da uno, e mi
rispose un altro.
v. 59. un sene , un vecchio ; dal lat, seitex.
v. 60. vestito d'un abito della stessa foggia e colore
con gli altri beati.
y. tìr. diffuso, sparso i — le gene, le gote, le
guance; preso dal latino in gr. della rima,
v. 64. ella , Beatrice.
V. ÓS. del sommo grado , de' gradi più alti.
V. 69, che i suoi merli le sortirò , l'altre ed.
T. 73 — 7<J- dalla regione dell' aria la più alta, dove
si formano i tuoni. Costruzione : In qualunque mare
alcun occliio mortale si abbandona , si abbassa, più
giù, non dista tanto da- quella, regioni che più su
tuona, quanto da Beatrice la mia vista. Quanto lì
da Beatrice leggono l'altre ed.
v. 77- ma nulla mi faceti, intendi tanta distanza ;
— e ffW Per effigie.
' V. 73. mista, alterata.
v. 79- v 'g e > dal lat. vigere, sì fonda e verdeggiante
mantiensi.
v. yi. in Inferno lasciar le tue veslige, ^scendendo
colaggiù a muovere in ajuto mìo Virgilio. Vedi il Can-
to II. dell' Inf.
v. 83. tli servo delle ree mìe passioni.
V. 87- malamente 1' altre ed. : Che dì ciò fare avean
la potestate. — che vale qui quando coi quali f — avei
per avevi,
v. 88. la tua magnificenza , i magniGci tuoi doni }
. — custodi V el custodisci.
v. 93. poi sì tornò a contemplare Iddio.
V. 04. 95. assommi perfettamente, riduci' a com-
piuto termine.
v. pó. a che, al qnal fine, priego , preghiera di
□igifeed t>y Google
334
Dickiar azìo ni
Beatrice, «.'1 proprio amor santo mi mandarono, spe-
dirono. — prego V alile ed.
V. 97. giardino, appella al Paradiso,
v. 99. lui, esso Paradiso.
v. 102. il suo fedel Bernardo , il santo Abate , di-
▼olissimo di Maria Vergine, e grande panegirista delle
virtù e privilegi della medesima, come ne'dì lui scrini
può vedeisi.
v. tc>4. la Veronica- nostra, l'insigne sacra reliquia,
eh' è in Ruma, nella nostra Italia , del santo Sudario,
dove impresta rimase l'immagine del redentore; cosi
detta, chiosa il Volpi, quasi vera icon. Franosissimi
vultiis imaginem (riferisce Dn Presile scritto da Ni-
colò IV.) quam Veronicam jidelium vox communi* ap-
pellai.
V. 105. non si sazia , intende di latito mirarla.
v. 106. fin che si mostra, per quel poco di tem-
po che tiensì dal sacro ministro alla vista del po-
polo.
v. sii, di quella pace, di quella beatitudine,
v. 114. quagghttQ al fondo , nella parte infima del
Paradiso.
v. 116. la Regina , Maria Vergine.
. v. IÌ33. tutta l'altra fronte, tutte le altre parti della
circonferenza di quel cerchio.
V. i2j. MS. -E come quivi, in quella parte dell'oriz-
zonte, ove s'aspetta il temo, che mal guido Fetonte,
ove si sta in aspettazione che nasca il Sole, il carro del
quale mal seppe Fetonte guidare (temo, timone, qui per
carro), più s'infiamma l'aria.
v. ratì. è fatto scemo, leggon l'altre ed. mal cor-
rispondendo al tempo degli alni verbi aspetta ed iri~
v. 137. quella pacifica Orìafiamma, con tal nome
sembra che appelli qui il poeta Maria Vergine, non per
altro che per l'aureo fiammeggiante di lei splendore,
cioè pel medesimo motivo per cui Orinfiamma od Orc-
hamma appellavasì la guerriera Insegna a molli po-
Digiiizod by.GoOgk
del Paradiso.
poli ima volta comune ; e che a distinzione della
guerrieri appelli Malia Vergine Oriajia/nina paci-
fica.
v, 138. nel mezzo , In mezzo a' beali,
v. J2IJ. iguale per uguale.
T. 130. con le penne sparte , con l' ali aperte.
V. i3i- festanti, festeggia nti.
133. e dì fulgore e d'arte, e nello splendore più
o meno vivace, e nel festeggi amento più o meuo ilare,
secondo cioè il merito di ciascuno.
v. 134. ridere, biillare , gioire, the ^letizia, era
ec. che rallegrava gli aspetti di tutta la beata comi-
tiva. * *
V. 136. s'io; se sta qui nel senso di quantun-
que.
t. 139. come per quando.
V. 140. nel caldo suo calar, in quella calda fiamma
di Maria Versine.
v. 149. più ardenti, più vogliosi. Il cod. di M. C.
legge ;
Chi i 'miei di rimirar si fer più ardenti.
Canto XXXII.
Argomento.
Dimostra San Bernardo al poeta i seggi de' Santi si
del vecchio come del nuovo testamento, i quali alla
voce dell' angelo Gabbricllo lodavano la Ueatissuiia Ver-
fiiie; « rischiara lui un dubbio, che de" par» oli gli
era venuto.
▼. r. 3. Affetto al suo piacer ec. Dee qui Dante,
senza dirnelo , volere inteso che , scorgendo Maria
Vergine in lui il desiderio di riconoscere i soggetti di
quella celestial corte, anch' ella, a guisa eh' ebbero
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336.
Dichiarazioni
fin qui mt li i descritti beali cori, avesse piacere, che
fbss' egli di sua brami soddisfatto i e che di ciò accor-
tosi quel contemplante' S. Bernardo, il quale (come
due vptsì innanzi, v. 141. del canto preced.) volli avea
gli occhi a Maria Vergine, affetto al suo piacer, affe-
zionato, premuroso, d'eseguire il piacere della mede*
sima, assumesse perciò lìbero , non comandato, offi-
cia di dottore, d* insegnare cioè a Sanie chi fossero
quei beati soggetti.
v. 4 — 6. La piaga ec. Costruzione;' Quella da'
(per a') piedi suoi, a" piedi cinò di Maria Vergine, nei
grado secondo ^ eh' è tanto bella, è colei eh' aperse e
punse la piaga, che Maria richiuse ed unse ; cioè
Eva) la quale disubbidiendo a Dio apri, e rendendo
seco dis disubbidiente ubbidiente Adamo, inaspri qu el-
la ferita fatta all' uman genere, che Maria Vergine col
dare al mondo il Redentore, serrò e medicò.
v. 7. Nel terzo erado.
v. 8- Siede Rachel di sotto da costei, di sotto da
Era. Rachel la bellissima Cgliuola dì Lattano, moglie
del Tatriarca Giacobbe. Intendendosi dagli interpreti
delle Scritture sacre figurata in Rachele la vita contem-
plativa, e figurando D.ime in Eeatrice sua la Teologia,
Tetramente dice il I-andino , pone il Poeta seder esse
due donne una vicina all' altri , perchè il proprio sub-
bietta della teologia è la contemplazione, ed in quella
sì ferma, e poti suo seggij.
V. 10 — 12. Sarra, moglie del Patriarca Abramo, —
ftebecca, moglie del Patriarca Isacco , — Judit, Giu-
ditta, la famosa vedova liberatrice di Betulia, — colei
che fu bisava ec. Ruth, moglie di Booz , bisava ài
Davide.
v. 13— 15. Puoi tu veder ec. puoi tu quest" Ebree
donne cedere digradar giù di soglia in soglia, venire
abbassò una sotto dell'altra in vari gradi sedendo, coro'
io, eh" a proprio nome, che nomando ciascuna per
proprio nome, vado giti per la rosa di foglia In fo-
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del Paradiso, 337
glia, per le sessioni composte in forma di rosa, di
grado in grado.
v. 18. dirimendo del fior ce. dividendo tutte le fo-
glie, cioè tutte U sedie del detto anfiteatro composto
in forma di rosa. Per formarsi mia idei giusta di que-
sta divisione, è d'uopo immaginarsi il circolo intero
di questo anfiteatro- di gradini diviso in due giri semi,
circolari, l'uno de" quali è occupato da' beati del vec-
chio testamento, e l'altro da' beati del nuovo testa-
mento} e queste donne Ebree, sedendo una sono deli-
altra per retta linea dal grado più alto sino al grado più
basso formavano, come dice v. so. , il divisorio muro,
che separa ì beati dell'uno e dell'altro testamento; « da
ciò rendesi chiaro doversi intendere nel v. 8. e g. che
Beatrice, donna posteriore alla venutaci Cristo, quan-
tunque sedesse a canto di Hachcle, appartenesse non
dimeno alle semicircolari sessioni de' beati vissuti dopo
Gesù Cristo, facendo cioè essa ed altri beati del mede-
simo tempo , posti a lei di' sopra e di sotto in retta li-
nea, le estremità dello proprie sessioni.
v. 19 — ai. Perchè queste donne sono il muro che
divide d'alto in basso le scalce in cui seggono i beati
separando i beati ne' quali la fede «sguardo Cristo ven-
turo, dagli altri ne' quali la fede risguardò Cristo ve-
nuto; - fee per /e, fece.
v. 23 — Si. Da questa parta ec. intende la pane al
seggio dì Maria Vergine sinistra {quella medesima in
cui v. r3r. e segg. dira sedere Adamo e Moieè) ;* e dice
da quella parte il fiore maturo di tutte le sue follìe in
vece di dirlo ripieno di tutti i beati a quella di luì metà
appartenenti.
v. 27. ebberlivisì, ebbero il loro sguardo , la loto
credenza.
v. 38. quinci, ùi questa parte. ' ' 1
t. 30i cotanta cerna, cotale separazione,
v. 31, di cantra, nella parte opposta^ — quel, in-
teudi scanno , del gran Giovanni Batti»».
Dunte III. 29
DiSiiizcd by Google
338
Dichiarazioni
v. 33. l' Inferno , cioè il Limbo , da ( vale qui
per) due anni, che corsero tra la morte di lui e
quella di Gesù Cristo , che dal Limbo lo trasse in Para*
diso.
v. 34. e sotto lui, sotto esso Battista Francesca,
gotto Francesco Benedetto, sotto Benedetto Agostino
t così gli altri di grado in grado scendendo.
v. 40. 41. E sappi che da quel grado che nella metà
di questa circolare scala fiede , ferisce, taglia, cioè
col suo giro attraversa le due discrezioni , le due dette
file diversorìe de' beati, in giù, da esso grado Tenen-
do in giù.
v. 43- ma per V altrui merito , cioè pe '1 merito
di Gesù Cristo ; con certe condizioni , quelle che
il poeta stesso „nci versi 75. e segg. rammentaci da
Dio secondo la varietà de' tempi volute, la fede cioè
de' parenti in' Cristo venturo , la circoncisione ed il
battesimo.
v. 44, spiriti assolti, sciolti da' corporei legami.
v. 45. prima che fossero in istato di conoscendo
eleggere bène o male.
V. 4Q. sili , taci , dal lat. silcre.
v. S°. Ma io ti scioglierò la forte difficoltà. -
v. 33- M. invece di dire impossibìl cosa che avven-
ga in Paradiso casualmente un mìnimo che, dice che
no» vi può accadere se non a quel modo che vi può
v. 36- Quantunque, per quanto mai.
v. 57- ci per quìi — risponde, si corrbponde,
dall' anello al dito , cioè vi è giusta corrispondenza
dì gloria ad ogni soggetto.
v. SS — (to. festinata, affrettata, a vera vita, non
è qui intra se, irs se stessa, più 0 meno eccellente
fine cauta, senza cagione. Tutte l'altre edizioni gua-
stano turpemente l'unità e '1 senso di questo terzetto con
leggere iteli' ultimo ver?o : Entrasi qui più e meno ce.
V. 6£. Lo Rege, Iddio; — pausa, riposi, tran-
quiUasi. v
del Paradiso. 339
v, 63. Che ninna volontà mai si è avanzata a desi-
derare di più.
v. 64. le menti, le anime.
v. 66. e qui basii saper che Dio così opera.
v. 68. in quei gemelli , In Giacobbe ed Esaù , che
nel materno ventre ebbero tra di lor contrasto ed ira,
sforzandoti ciascuno dì uscire il primo alla luce; —
commota per commossa.
v. 70 — 70. Allusivamente all' incappellarli , cioè
inghirlandarsi, adornarci le donne il capo con abiglia-
menti di quel colore che il color de' capelli risaltar fac-
cia, invece di dire conveniente e degna cosa che, se-
condo la varietà della donata grazia, facciasele dall'
altissimo , divino , lume corona , dice : degnamente
tonvien, che tallissimo lume s' incappelli , secando
il color de' capelli di colai grazia.
v. 73. nel primiero acume, nella primiera varia
fortezza di vista a mirar Dìo piìt o meno appresso.
v- 16. ne' secoli recenti, quando colla sola naturai
legge vivevasi.
v. SO. penne, ner irli.
V. Bt- per circoncidere , per mezzo Sella circonci-
sione.
v. 84fc. laggiù, nel Limbo; A ritenne, fu rin
chiusa.
v. 83- nella faccia, che ec. nella faccia di Maria
Vergine.
V. 8(3- portata, intendi dal djvin trono, nelle menti
sante, negli angeli mandati da Dio al corteggio di Ma-
lia Vergine.
v. pi. davante , prima d' aliar.) .
v, 52, non mi sospese, non ini «'trasse con unta
ammirazione di invece di con.
v. 93. di Dìo tanto sembiante, cosa che tanto a
Dìo 6Ì assomigliasse.
v. 04. quell' amor, per qit eli angelo , cioè l'arc-
angelo Gabriel*-. Ved. Pst. XXVII. 103.
Digiiizcd &/ Google
340
■ m
Dichiarazioni
v. 56. dinanzi a lei sì tenne librato ati le diste-
se ali.
v. 99. ogni vista., ogni dove che si mirasse! vista,
per veduta, o prospetto.
v. 100. parla a S. Bernardo.
V..I33. giuoco , per giubbilo > allegrezza, festa.
V. icó. ancora, di. nuovo.
v. io?, eli' abbelliva ec. , che si abbellì va^dclle bel-
lezze di Maria.
v. icg. Caldezza è una certa sicurtà d'animo con
letizia mista , che traspira nel volto.
v. ni, vnlem, vogliamo.
v. 114. della nastra, salma, della nostra natura
umana.
v. 113. Ma vieni, ornai ec. vieni collo sguardo ap-
presso al mio par l.i re.
v. nò. patrìii non è plurale di patrizia, ma bcu?i-
di yatrice , che dagli scrittori antichi Riadoperato a
scuso di capitano, senatore, o simile.
V. 119. propìiiquissimi ad Angusta, vicinissimi a
Maria Vergine. — Augusta vale quanto Imperatrice o
Regina.
v. i2o. està, per questa. — quasi due radici;
perchè dalla sinistra vi sedeva Adamo, capo del vec-
chio testamento, e dalla destra S. Pietro , «capo del
nuovo.
v. i33. gusta, soffre.
v. iati, di questo fior venusto, di questa candida
rosa, del Paradiso. ■
v. 137— 132. Costiuzione: E lunga' esso, vicino
ad esso Pietro , siede quei , quegli , colui , quel 5.
Giovanni Evangelista, che, pria che morisse, vide,
predicendoli nell'Apocalisse, tutti ' tempi gravi, unte
lecalamiù, della bella sposa , della Chiesa , che s*ac~
quitte, che fu acquistata (da Gesù Cristo) con la lancia
e co' chiavi , e con li chiodi i — e lungo V nitro , ed
accanto di quell" altro, cioè dì Adamo, siede quel-dit-
ta ec. siede Moisé.
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del Paradiso.
341
V. 133- Dì eonlro a Pietro, cio<: »X linhtfò lato
di S. Gior. Canina; Anna, madre della Vergini
Maria. «
V. 133. per cantare, sebbene cantasse, Osanna.
v. 136. e dirimpetto ad Adamo.
v. i37. i38. Lutia, la santa vergine e martire Sira-
cusana 1 elle fu da Dante assuma in simbolo della divi-
na grafia; — • che mone al mo soccorso Beatrice, allor
quando ribassavi gli occhi per i scendere dall' incornili-
•ciati salita al monte della virtù, e minar di nuovo
nella selva de' vizi. Vedi Inf. I. £». e segg, e II. zoo,
e segg.
v. 139. il tempo che i' assonna. , il tempo concedu-
toti per aver questa visione.
v. r49. al primo amore, a Dio.
v. 145. né forse vale quanto e nari forse ; tu t'arre-
tri,, per- tii f arretresii.
v. 146. erodendo oltrarli, avvicinarti a Dio.
v. 143. da quella, da Maria Vergine.
v. 151. questa santa orazione, l' orazione alla beata
Vergine> colla quale incomincia il seguente ultimo
canto.
Canto XXXIII.
Ar gomento.
In questo ultimo canto S. Bernardo prega Maria, elle
10 conduca a contemplar- l'essenza divina, alta totale
egli pervenne. 1£ dopo Io aver Dante pregato Dio, die
11 conceda di potere, scrivendo, dimostrare alcuna
pane della sua gloria, siegne a narrare, come vide
congiunta l fl Umanità con la IJÌWmifc,
29 **
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342
Di chi a razioni
v. 3. termine fisso ec, tenuta fissamente ili mira dall'
eterno, consiglio.
v. 6. non si sdégno , l'altre ed. — sua fattura, fai-
mia cioè d'essa umana natura.
v. 7. l'amore di Dio verso l'umana generazione,
spento per lo peccato del primo nostro padre AJ .t.>.
v. 8> 9- per lo caldo del qua l'amore è poi germoglia-
ta in questa pace del Paradiso questa rosa composta di
tutte le anime beate.
v. ro. 11. y;ii sei a noi come il Sole a mezzodì, ac*
condendoci di carità.
v. 14. qual, qualunque.
V. iS. disianza, desiderio.
v. 13. liberamente, spontaneamente.
t. ai., quantunque, quanto mai.
v. B2. dall' infima, lacuna, ec. dal basso centro della
valle infernale.
V. 1), te vite spiritali ec. cioè le tre diverse con-
dizioni degli spiriti , come si puniscono nell - Inferno,
comi si purgano nel Purgatorio, e come si premiano
nel Paradiso.
v. 33- 30. che gli conservi sani i suoi risanati affetti.
— che tu conservi, l'altre ed.
v. 37. vinca, superi, la tua custodia e protezione " '
gli urti delle umane passioni.
>r. 3p. per li miei prieghì , acciò tu esauditeli! i 0
preghi miei. — ti chittdon le mani invece di ti chiude
le mani , ti giunge palma a palma in atto di orare.
v. 40. Gli occhi di Maria Vergine.
v. 46. al fine di tutti i di>ìi, a Dio.
v. 47. 43, m' appropinquava, m'avvicinava; —
sì cam' io doveva, l' arder ec. conseguendo 1* oggetto
desiderato, cessò in me, come cessar. dovea , il prece,
dente ardore del desiderio,
v. 4g, 5^. * Bernardo sorridendo m'accennava , eh' io
alzassi fili occhi a Dìo.
v. S3. che, perciocché i — venendo sincera, dive-
nendo chiara.
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del Paradiso.
343
v. 53. e più e più, sempre più, lat. ma gis atque
rnrtgis. entrava per lo raggio ec. sì avvauzava a scor.
gere per entro alla divina luce.
v. 53. maggio j maggiore.
v. 57. a tanto oltraggio, al (auto inoltra» della
vista, cede anche la memoria.
V. 58. sommando , sognando. L" dire ed. leggono :
Quale è colui che sognando vede.
v. 59. £b. la passionò, l'allegrezza o la tristezza ca-
gionata dal Bagno, rimane impressa alla mente, e
l'altro, il. sogna che cotale allegrezza o tristezza ca-
gionò, non riede, non ritorna alla memoria.
v. 61. 63. quasi tutta cessa , manca , la ricordanza
della mia visione.
v. 04. si disigilla, si discioglie.
V. 67. 63- che tanto t'inalzi sopra i concetti mo-
rali.
v. óp. ridona alla mia memoria la ricordanza dipar-
te delle cose manifestatemi.
v. 713. possa lasciare , intendi, descritta.
v. 75, più si capi» , meglio s'intenderà del tanto
tuo superare i mortali concetti. — concepera, da con-
cedere, detto in vece di concepire.
v. 78. se gli occhj mici da lui si fossero rivolti.
v. 83- 81. ch'io giunsi ec. cioè ch'io colla vista mia
toccai Dio.
v. 83- per la invece di nella luce eterna.
v. 84. che la veduta ec. che la visione vi compii.
V. 85 — 87- Nel profondo della divina essenza vidi
che s'interna, si rinchiude, legato con vincolo d'
amore in un volume (intendi di sempiterne immutabili
yidee) tutto ciò che aeJl' universo mondo qua e là si
sparge.
v. 88. c tor costume, e loro propiictà e modi d'
agire.
v. $9 no. confiali, uniti; per tal nftdo , per tale
stupendo ed imffdbile modo, che ciò che io dico non
e del medesimo che un semplice barlume.
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344
Dichiarazioni
v. 94—96. Neil* esposizione di questa terzina l'edi-
tore Romano *i ecosta interamente dai chiosare di lutti
quanti gli espositori e suppone che Dame voglia dire
che 1111 solo pùnto di tempo scorso dopo la beata visio-
ne , gli cagionasse maggior letargo, cibò dimenticanza
di ciò che in Dio aveva veduto, che non apportassero
di oblilivione al fatto degli Argonauti secoli venti-
cinque.
v. 97. sospesa, astratta.
v. 99. accesa., bramosa; l'altre ed, leggono nel
v. 104. 103. e fuor di quella è difettino ec. e qiia.
lunque bene lì in Dio, e perfetto, e fuor di Dio è
tempre difettivo.
V. 107. a quel poco di cai ancor mi ricardo.
V. 100 — i3o. Prima d' entra» il poeta a narrare le
nuore scopene da lui fatte in Dio, della Trinità delle
Persone, e della ipostatica unione del Di v in Verbo all'
Umanità, previene una richiesta, che poteva Ini farsi,
Cioè, come possibil fosse, che prima d'allora vedesse
in Dio solamente le alirc dette D6?e, e non vedesse in-
sieme qncst' altre , eh' è ora per dire. Avverte adunque,
che avveniva ciò, non perchè Jone nel vivo lume, in
Dio, più che un semplice seminante j, che tal (dice)
è sempre, qual era dava/ite (qual l'era leggono l'al-
tre ed.); ma perchè avvalorandosi col mirare in Dio
sempre più la di lui vista , la parvenza , la faccia di
Dio, quantunque una sola., veniva rispettivamente a
lui a travagliarsi, ad alterarsi, a mutarsi d'aspetto,
Prosiegue poscia a dire, come pe 'I detto avvaloramento
di sua vista parvero, si fecero a lui palesi, nella pro-
fonda e chiara sussistenza dell' alto lume, nella pro-
fonda fi ma chiara essenza divina, tre giri r.'i tre colo-
ri, e d'una contenenza, cioè di una misura tutti e
tre ; intendendo pe '1 lor ternario numero le tTc Divine
Tersone ; per la varietà de' colori , la personal distin-
zione tra esse; e per la di loro uguaglianza , l'ugua-
glianza degli essenziali attributi in Utile e tre le Divine
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del Paradiso.
345
Persone. Aggiunge, che V un dall' altro , vale a dire,
urto di essi giri da un'altro, come ìride da iride, purea
riflesso (per pareti proveniente) il Figlio cioè dal Padre;
e che finalmente il terzo giro, lo Spirito Santo, parsa
fuoco, die quinci e quindi iguahnente si spiri t clie
da entrambi gli altri due giri, dal Padre cioè c dal Fi-
glinolo, ugualmente proceda. — v. nò. parventi in.-
.vece di panierini, m* apparvero , o in vece di parve-
nti di vedere.
V. 121. fioco, debole.
v. 122. e questo a quel ce. E non dimeno questo
che ho nella mente, rispetto a ciò che vidi, è si infe-
riore, che il direi meglio nulla che poco.
v. 124. rìdi, dal lat. sido per appoggiare o ripo-
V. 125. 126. e da te ec. ed arni ed a7TÌdi (cioè
gioisci) d' esser da te sola intelletto- , intesa , e sola_
essere intendente te stessa. L' altre ed. leggono ; Ed
intendente te a me arridi.
v. 137 — 130. Costruzione: Circonspetta alquanto,
guardata alquanto all' intorno, .dagli occlij mìei quella
circulazion, quello de' delti tre giri, che jì concetta
pareva in te, come lume riflesso, che pareva nascere
da te a quel moio che nasce il riflewo raggio dai di-
v. 130. 131. Accenna qui l'umana natura divinizzata
per la persona del Diri» Verbo.
V. 132. perchè, vile qui laonde, per la qu,d co-
iai — il mio viso, li mia vista; — messo, impie-
gato.
T. j33- s'affige, s'applica.
v. 134- » misurar lo cerehia, a rinvenire la qua-
dratura del cerchio, cioè la riduzione di esso cerchio in
figura quadrata, così che l'aji, o superficie del quadralo
sia di grandezza affatto eguale a quella del cerchio.
V. i35> quel principio , quella fondamentale notìzia,
ond' egli indige , di cui per tal uopo abbisogna; —
indiga, per abbisogna, voc, lat.
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346 Dichiarazioni dei Paradiso.
t. 137. convenne qui pei conviene.
v. 138- s' indova, s'alloga; indorarsi e formato dall'
avverbio dove.
v. 139- a veder tanto non era la mia vista baste-
Voi*.
v, i4r. in che, 1» stesso che per cui, la ma voglia
venne, avvenne quanto la mia mente bramava , cioè di
vedere come al Divìn Verbo la umana natura si con*
giunge.
v. T43. Siegue il poeta in questi ultimi versi più
che mal il già avvisato laconico stile} e qui vuol dire :
mancatami qui la. possibilità, di formarmi e nella munte
imprimermi fantasia , immagine > dall' , alto veduto
abbietto ;, e con questo egli sì dichiara impotente di ri-
dircene alcuna cosa.
v. 143 — r43. Costruzione: JV7«. l'amore (Iddio! che
, muove il Sole e l'altre stelle già volgeva il desiderio
e la volontà mia, cosi concordemente a lui, come
muovevi ruota in ciascuna sua pane egualmente, con-
cordemente. E vuol dire, che, essendo egli unito a
Dio, ed essendo della divina voloiuà , clic non s'im-
primesse nella di luì memoria specie di quell' altissimo
veduto obbietto, volle esso pure il medesimo, e rimate
perciò di tale privazione contento.
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A llegorie
sopra ogni Canto della Divina Commedia di
Dento Alighieri.
Tei Io decrescimento della luce, che si mostrò agli
occhi di Dante, si dinota la. eccellenza della Teologia,
la quale di tanto vince le dottrine umane , di quanto
fila illuminandoci nella vera cognizione , di Djo , ò
istromeuto di farci pervenire alla Beatitudine.
Per Io dubbio risolto a Dante da Beatrice, altri-
mente di quello eh' era la sua opinione, ti comprende
che le dottrine uma ne spesse volte errano , e non a g-
giungono alla verità delle cose ; la gitale a piamente ci é
dimoi tra la nelle Sacre Lettere.
Per esser la Luna di natura freddai non senza ca-
gione Dame pone in lei le vergini ; perciocché esso
pianeta inclina gli animi a verginità, religione, e ca-
ttila.
Vuol dinotare , che tutte le anime hanno seggio nel
Cielo Empireo; ma, s'erano queste delle vergini me-
P a r a d i s o.
Canto L
Cn_ntr> JT.
Canto III.
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34S
Allegorie
sirate a lui nel primo, perchè egli per li gradi de' cieli
intendesse i gradi della Beatitudine. De' voti, vedremo
nel tegnente Canto.
Canto V.
Esorta Dante ciascuno a non potsì così leggermente
a far voti; e facendogli, ad. avvertir bene in che
guisa, per essere il voto appresso Dio di grandissimo
obbligo.
.Canto VI.
Vuol dinotar Dante, che in molta venerazione dee
esser l'Aquila, cioè l'imperi o ; e che mal fa chi la vi -
lipende, ed i strazi a.
Canto VII.
Dimostrasi la vendetti della morte di Cristo fatta
per Tito, essere stata giusta ; che il parlar dell'im-
mortalità dell'anima, c della resurrezion de' corpi,
è cosa che appartiene a i Teologi, e non a' Filo lofi.
fiali in VITI.
Per esser il pianeta di Venere di sua natura umido,
e perciò inclinando gii uomini ad amare, finge il Poe-
ta, che in tal cielo se gli mostrarono l'anime di co-
loro, eh' erano stati dominati da coiai passione: la
quale quantunque da principio fosse applicata a reo e
cattivo fine, nondimeno s'era ultimamente rivolta in
buono e divino amore.
Canto TX.
Da questo altra Allegoria non si può ritrarre, fuor
che, dì qualunque vizio di che 1' nomo si penta , ne
riceva perdono: e continuando nella buona vìu, al
fine, U Beatitudine.
del Par adis o.
Canto X. .
349
Per Beatrice, che salendo nel quarto ciclo appar più
Incida, e più risplendente , eì dinota, che l'uomo
avvicinandosi, con la cognizione a Dio, ha l' intelletto
tutto splendido, e timo chiaro.
Cant o XT.
Dimostrasi, che le sante anime timo conoscono delle
cose di quaggiù, quanto esse vengono nella Essenza Di-
vini,
Canto XII.
SI comprende, quanto cara a Dio sia la vita de" veri
religiosi, con l'esempio di San Domenico, e d'altri.
Canto XIII.
Vuol dinotare il Poeta, che in ogni stato e condì-
Eione operando bene, possono gU uomini acquistar la
Beatitudine celeste.
Canto XIY.
Confortaci ■ non così leggermente solverci de'dubbj,
senza diligenza e piena investigazione.
Canto XV. ■ -
Dimostrasi, come i costumi degli uomini vanno per
lo più peggiorando di tempo in tempo.
Canto XVI. ,
Dinotasi, che questi nostri beni umani, o di no-
bili» , 0 ÒV altro, sono c ^ se momentanee, e da fame
poca stima, s. con l, vin ji non vengono acco mpagn , d
e sostentiti.
Dante III' n n
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350
Allegorie
Canto - XVII.
L' Allegoria-, clic si può trarre, è, che gli uomini
buoni, e virtuosi sono per la maggior parie perseguitati
dalla fortuna; ma che per questo non debbono abban-
donar gli studj delle lettere, e lasciar di far l'opere
■ degne di laude.
Canto XVIIll
Riprende il poeta scopertamente le avarizie e le si-
monie, eli' erano a' suoi tempi, ne' Pastori della Chiesa,
e se ne duole aspramente.
Canto XIX.
Riprende Cinte molti Principi e He Cristiani delle
loro ingiustizie , c tirannie. E qnesia.è la moralità ed
Allegoria, eh' egli medesimo dichiara.
Canto XX.
Per esser la materia di che tratta il poeta , alta e
difficil molto, massimamente intervenendovi la prede-
stinazione, diremo solamente, che così fatti quistioni
si debbono lasciar risolvere a uomini nelle Sacre Lettere
mollo bene esercitati, e ottimi e di dottrina, e di vita,
e riportarsi in ogni cosa alle determinazioni della santa
Chiesa, "
Canto XXL
Biasma apertamente la morbida vita ed i pomposi
abili de' Pastori, c de' Prelati di qué* tempi.
Canto XXII.
Mostrasi , clic la bontà va di tempo in tempo dimi-
nuendo : a che allude il Sanazzaro , quando dice , che
'1 mondo peggiora tanto piìi, quanto più invetera. .
del Paradiso.
351
Canto XXIII.
Comprendevi la qualità della vira Beatitudine, che
fi godono le felici anime degli eleni nel Cielo.
Canto XXIF.
Pietro, che approva la fede di Dante, la potestà del
Sommo Pontefice, e pei conscguente della Chiesa Catto-
lica, i quali foli "hanno autorità di approvare, c ripro-
vare le opinioni altrui intorno alle cose della fede.
Canto XXV.
Comprendevi, quanto necessaria sia la Speranza,
lenza la quale non si può salire al regno de' Beati.
Canto XXVI.
Mostrasi, quello che c' insegna Paolo, la Carità
essere la più bella, e maggiore- vinti, che possa aver
1' uomo Cristiano-.
Canto XXVII.
Biasima il poeta l'umana e cieca cupidigia, posta
dagli uomini in queste vili, e terrene cose. •
Canto XXVIII.
Compundesi la infinita grazia, che concede la di -
vina bontà all'uomo, allora ché beatificato nel Ciclo,
può vedere la sua mirabile ed incomprensibile Essenaa.
Canto XXIX.
Si comprende, che solo in Cristo reggiamo la veri-
tà) e che altra dottrina non si dee insegnar ne' pergami
che le pure e nude parole di Cristo , contenute ne' suoi
Vangeli.
30 *
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352 Allegorie del Paradiso.
Canto .XXX.
Tei lo fiume , di cui bevve Dante, intendesi il dono
dello Spirito Santo; con la virtù del quale si viene a
perfetta cognizion delle cose celesti.
. Canto XXXI.
Dimostrasi la eccellenza della Teologia , e la immensa
beatitudine, ed esaltazione della Santissima ed Inunacu-
lata*Vergiiie Maria.
Canto XXXII.
Dimostra il poeta, che a' Beati non è dato in Cielo
il grado secondo ì meriti; ma secondo Ja grazia data
loro da Dio.
^ " Canto XXXIIL
Per li priegbi di San Bernardo, ci si dimostra quanto
le preghiere de' Santi per noi vagliano, e siano cintaci
nel cospetto d'Iddio, e della Vergine.
/ Fine del terzo tomo.
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Correzioni.
si sgomenterà il lettore della quantità appa-
rente di scorrezioni che qui alla fine dell' opera intera
abbiam segnate, quando, esaminandole più da vici-
no, egli scorgerà che in gran parte sono d'interpun-
■ùone e d'accento , ed anche le altre quasi tutte sono
erroruzzì sì piccioli, the facilmente con un tratto di
penna levar si possono. JÙ se forse l'indicarle sarebbe
stato superfluo in un' altr' opera, in questa, perà ab-
biamo stimato doverlo fare con la maggiore esattez-
za. , per rimovere tutto ciò che potrebbe renderne l'in-
tendimento più difficile.
Nel tomo primo.
Pag. XV. 1. q. si legga; Ita questi
— — 1. iS- — — — la trasse
— XVI.' 1. permit. — — seguenti
— , XLI. 1. 4- — — — 1527.
Canto VII. v. 36. dopa urli si taglia il punto.
— Vili, v. 3. dopo cima si metta una virgola.
— v. 123. dopo V aggiri si metta un punto.
— X. v. 94.' dopo semenza ri metta Una vir-
gola.
— XI. v. 54. « ^gga: E in quello
— X1IT. v. 69. dopo puoi ti metta uno vìrgola.
— XVI. y. 12. dopo rimembri si metta un punto.
— — v. 119. dopo l'opra si metta unavirgoìa.
— XVir. v. 39- si legga: e vedi la
— XXI. v. 11. dopo ristoppa si tagliano i due
punti.
— — v. 46. sì legga 1 e -tornò
— — v. 78, dopo approda si metta un ?
— XXV. v, 126. si legga; Uscir delle gote l'oreo*
chic scempie :
— XXVI. v. 54. si legga .- fu miso ?
— — v. co. — — — Gittò
— — v. ult. --r- — — Infin
30 **
354
Correzioni.
Canto XXVII. V. 14. dopo linguaggio ti tolgano punto
e virgola.
— — v. 70. si legga; il gran prete
— — Y. ico. — — — non sospetti :
— XXIX. v. S. — — — « soffolge
_ — v. jg. — — — lo star
— " —, v, 70. dopo sermone si metta una vìr-
gola,
— XXX. v. a. si legga: Per
— XXXII. V. 9.' — — — e baiato
— XXXIV. v. ics . — — — fora.
Pag. 335. 1- 29. — — — Questo inno gorgogliali
— — I. 30. — — — l'edizione del Lombardi.
— 222. L 17. — — — parti,
— SS7. 1-8- — — — s'appiattò
— 229. I.33. — — — V..53.
— 235. I.17. — — — lordi,-. \
— 354. 1. io. — — — le davano
•— 335. 1. 17. — — — ciabattino
— 2ói. 1. 35- — — — H P ììl
— 264. 1.14. — — — principio e fine
— — 1. 16. — — — fine
— • 208. 1. ?. dopo nel ti tàglia il punto,
„ — 2?r. 1. 6. si legga? ed ira -
_ - 1. 24. l'uscire
— 278. 1. 23. — — — a coiai
— , 29;. 1. 17. — — — inasprir gli
— agó. 1. 24. — — — Corradino
_ 293- 1, 37. — — — non in sostanze conface-
_ 309. . 1. I. — — — a bada
' 304. 1. 24. — — — cioè
— 308. L 5. punto
30(j, 1, g. — — — da in ■
NeTtomo secondo.
Canto III. v. ult. si legga: s'avanza
— V. v. 8°. — — — fui
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Canto VI. v. 58, dopo bordello si metta un punto,
~ Vili. v. jcg. ti legga: al giudice
— IX. v. 2±. dopo concistoro limetta un punto.
— XI. v. £5. tuo alto vapore. "
— — v. lag. dopo dindi ji metta, una virgola.
— XIV.
. 12Ó. .
- XVII. v. 23: malo
— XIX. *T. 90. dopo ferino ti metta una virgola.
— XX. v. 5& dopo Parigi ii metta un punto.
-XXIV. v. isd. ji legga; si partì
— XXX. v.to, — — — gli altri legni
— — v. jo. — — — ^Regalmente
— — v, ieq. — — — la detta coscia I
— XXXI. v. 46, — _. _ ed ascolta:
Pag. 153. L a, e acsg. fino a jjjjj, Iddio ec. dovrebbe
continuare in coratiere c
— 3i7- L ifi. ti legga ; rimettendo
— ■ aia, L 35. — — — ti jien note,
— 332. L 23, dopo diTC si taglia il punto.
— aa. . L ti legga .- dà
— aao. L 1S1 — — — ricnsò
— SB3- L ult, — — — V.5CÌ,
— 337, L io. — — — dà
— 310. L 34. — — — È noto
Ne? tomo terzo.
dopo parte ti metta punto e virgola.,
dopo piacere ti metta un punto,
si legga.- E nove Muse
dopo «splenda ti metta un punto,
ti legga: In la tua
— — — diede
— — — Lo suo tacere
— — che i tre
VII.
Vili.
■ l'I!
È3_. dopo vcsg io ti metta 1.
356
Correzioni.
Canto IX.
~t
dónolut si mutatala v
!r ola
'vìrgola.
X.
v '
£0.
dopo manco' à logUec la
dopo sporge fi metta un
Xf
dopa s'era jì taglia la v
ir S ola.
XIII.
d
dopo compagc j-1 mettan due punti.
v '
&
V.
5r>-
XVII.
ria primo
XVIII.
ia..
dopo aspetto si metta w
v '
dopo Jomè ti metta una
virgol*.
XIX.
v "
g4.
dopo cigli si metta una
virgola.
v '
IC-X
dopo reverendi li metta ni
xavirgoia.
32.
dopo disleghe j; metta u
X.XVI
v '
45'
l*g£a ; altro bando.
XXVII.
XXXI.
. &
: _ KeI trono , a che
XXX III.
. 123.
, dopo mammella si metta
un punta.
v. rja. dopo travagliava ti mettan duo
punti.
Pag. aia. 1,14. rilegga; molte
— 314.- 1, io. — — — mendicando.
— — 1> 14. _ _ ' chi ti fa
— 233, 1, 4. facendola
— L ai- 33. _ _ assunta, pria the altr"
alma del trionfi} di Cristo t
— 336. L 5> — ■ — — questo
— 347. L 22, _ orbita
— Bg3. 1. So. dopo attacca ti taglia il punto.
— 332. L 33. ji legga' con molti ,
— 336. 1. — — — seco disubbidiente Adamo,
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L'mlizod C i Co