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Full text of "Caccia grossa fra le erbe"

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MARIO  STURANI 


CACCIA  GROSSA 
FRA  LE  ERBE 


1942-xxi 

GIULIO  EINAUDI,  EDITORE  -  TORINO 


PROPRIETÀ  RISERVATA 


(Quando  ragazzi,  ed  anche  non  più  tali,  si  sognano  meravigliosi  viaggi 
in  lontane  regioni  e  un  desiderio  strano  di  nuovi  paesaggi  e  piante  ed  ani- 
mali inconsueti  ci  tormenta,  e  con  struggimento  guardiamo  negli  atlanti  le 
piccole  isole  selvagge  o  le  briciole  di  terra  ancora  sconosciute,  non  s'imma- 
gina certo  che  intorno  a  noi,  a  due  passi  da  casa,  vi  sono  ancora  a  migliaia 
ignoti  luoghi  da  scoprire  e  innumerevoli  animali  che  in  essi  vivono  e  dei 
quali  a  mala  pena  possiamo  concepire  l'esistenza. 

Se  riposando  in  un  prato,  avvicini  lo  sguardo  a  terra  e  osservi  da  vi- 
cino le  erbe  e  le  piante,  eccoti  per  incanto  affacciato  ad  un  mondo  nuovo, 
ad  una  vita  insospettata. 

Magica  foresta  delle  erbe!  in  un  palmo  di  terra  ci  son  più  meravi- 
glie che  in  tutte  le  fantastiche  inesplorate  regioni  del  mondo.  Tra  il  grovi- 
glio delle  chiare  tenere  radici  fan  capolino  straordinarie  creature,  animali 
alati,  corazzati;  chi  tempestato  di  miriadi  di  gemme  tali  da  far  impallidire 
l'arcobaleno  degli  uccelli  del  paradiso,  chi  invece  scolpito  in  un  lucido  ebano 
con  corni  e  stravaganze  tali  sul  capo  da  far  nascondere  umiliati  elefanti  e 
rinoceronti.  Sei  paia  di  zampe,  due  paia  di  ali,  due  antenne,  e  chi  mai  può 
competere  con  loro  tra  gli  uccelli  ed  i  mammiferi  ? 

Vite  straordinarie  sono  vissute  nella  foresta  delle  erbe:  timidi  sfrut- 
tatori di  succhi  vegetali  ed  instancabili  cacciatori  e  tremendi  assassini,  abili 
vasai  e  tessitori  di  delicati  tessuti,  modesti  minatori  e  costruttori  di  palazzi 
due  volte  più  alti  della  torre  Eiffel. 

Sbiadisce  e  scolora  al  confronto  la  vita  e  l'industria  degli  altri  ani- 
mali e  dell'uomo  stesso;  impallidisce  il  lussureggiare  dei  grandi  boschi  al 
confronto  con  la  magica  foresta  delle  erbe. 


5 


Ad  essa  ed  ai  suoi  abitatori  è  dedicato  questo  libro  in  segno  di  rico- 
noscenza per  le  tante  ore  belle  passate  ad  osservare,  disteso  in  un  prato,  i 
miei  amici  preferiti  del  mondo  degli  insetti:  i  Coleotteri,  i  corazzati  Sca- 
rabei, il  bellissimo  aspetto  e  la  meravigliosa  vita  di  alcuni  dei  quali  ho  cer- 
cato di  descrivere  e  dipingere  nella  speranza  di  riuscire  a  suscitare  almeno 
in  qualcuno  dei  miei  lettori  il  gusto  e  l'entusiasmo  per  l'osservazione  delle 
piccole  meraviglie  della  Natura  che  ci  stanno  intorno  e  noi  non  conosciamo. 

Mario  Sturami 


6 


LA  CICINDELA  DEI  CAMPI 


«  La  vita  degli  insetti  è  una  delle 
meraviglie  della  natura  >. 

Buffon 


CAPITOLO  I 


LA  CICINDELA  DEI  CAMPI 


Mi  son  seduto  sul  ciglio  d'un  sentiero  che  sale  tra  i  ciuffi  d'erica  e 
l'erba  bruciata  dal  sole;  la  terra  intorno  è  tutta  percorsa  da  crepature  e 
spacchi,  ed  è  quasi  bianca,  sabbiosa. 

Giù  in  fondo,  a  valle,  il  fiume  scorre  torpido  e  pigro  tra  un  am- 
masso e  l'altro  di  ciottoli  tondi,  e  l'acqua  dev'esser  calda  coi  suoi  luccichii 
di  metallo  incandescente.  Tutto  intorno  colline  e  colline  bruciate,  pelate, 
sotto  il  cui  scarso  terriccio  asciutto  sono  a  nudo,  come  ossa  di  gigantesche 
mummie,  le  rocce  rosse  ed  ocra. 

Sovrasta  un  cielo  immenso,  profondo,  e  fa  caldo,  un  terribile  caldo. 

Il  pozzo  vicino  alla  casa  dove  ho  chiesto  da  bere,  è  asciutto  e  sem- 
bra la  bocca  di  un  forno.  Se  butti  giù  la  secchia,  senti  un  grande  scate- 
nio, e  non  tiri  su  che  rumore  e  sassi  e  sabbia. 

Anche  la  collina  ha  sete  e  non  può  bere  che  sole. 

Per  terra,  nelle  vigne,  grosse  pesche  e  susine  inondano  l'aria  immo- 
bile di  odore  caldo  e  dolciastro.  Le  vespe  e  le  api  si  scavano,  mangiando, 
una  dolce  fossa  nella  frutta:  dimenticano  l'alveare,  il  dovere,  la  legge  e 
impazziscono  e  muoiono  di  piacere  e  di  profumo. 

Sul  muretto  di  sassi  e  terra  che  fiancheggia  il  sentiero,  biancheggia 
una  pelle  secca  di  biscia.  Non  si  vede  neppure  una  lucertola  benché  cosi 
amante  del  sole  e  la  vita  pare  scomparsa,  sprofondata  nelle  viscere  della 
terra  o  bruciata  dal  sole  di  agosto.  Non  vedo  volare  un  passero,  non  odo 
alcun  rumore  che  sia  indizio  di  vita. 

Ma  ecco,  mi  chino  a  terra  e  scorgo  un  foro  circolare,  di  perfetta 
geometria,  con  la  terra  ben  battuta  tutto  intorno.  Non  è  più  grande  della 


9 


cannuccia  di  un  pennello  da  acquerello  ed  altri  fori  simili  sono  vicini 
nel  sentiero 

Chi  ha  bucato  la  terra  con  tanta  precisione?  e  con  quali  delicati 
strumenti  ha  fatto  lo  scavo? 

La  curiosità  di  sapere  mi  fa  dimenticare  il  sole  ed  il  gran  caldo. 
Intanto  ecco  che  qualcosa  risale  su  pel  foro  e  improvvisamente  questo 
scompare.  Con  cautela  mi  chino  ancora  e  mi  accorgo  che  un  dischetto, 
metà  lucido  e  metà  terroso,  ha  tappato  completamente  la  bocca  della  gal- 
leria. Avvicino  una  pagliuzza  al  tappo  misterioso,  ma  prima  che  io  riesca 
a  toccarlo,  ecco  che  esso  scompare  nuovamente  sotto  terra. 

Infilo  la  paglia  nella  galleria  e  mi  accorgo  che  questa  è  profonda 
una  ventina  o  poco  più  di  centimetri.  Tento  ancora  di  toglierla,  ma  qual- 
che cosa  cerca  laggiù  in  fondo  di  trattenerla;  io  tiro  in  su  e  quella  viene 
tirata  all'ingiii. 

Sempre  più  incuriosito,  lascio  la  pagliuzza  nel  foro  e  scavo  tutt'in- 
torno  col  temperino.  Dapprima  tolgo  una  crosta  secca,  dura  alla  superficie, 
ma,  a  mano  a  mano  che  lo  scavo  procede,  la  terra  si  fa  meno  arida  ed  una 
traccia  di  umidità  la  rende  piti  scura  e  più  soffice.  Qualche  erba  secca 
del  ciglio  del  sentiero  manda  fin  li  i  fili  bianchi  delle  radici  a  cercare  un 
po'  di  umore  per  non  morire  del  tutto. 

Con  sempre  maggior  ansia  ed  attenzione  metto  a  nudo  nella  sua 
profondità  la  galleria  che,  anche  sotto  terra,  continua  regolare  come  se 
fosse  stata  fatta  da  una  bacchetta  cilindrica  affondata  e  poi  tolta. 

Ora  vedo  la  paglia,  quasi  completamente  allo  scoperto,  muoversi,  gi- 
rare e  salire:  devo  avere  raggiunto  l'estremità  della  galleria. 

Con  uno  strappo  secco  tiro  su  improvvisamente  la  pagliuzza  ed  ecco 
che,  attaccato  alla  sua  estremità,  scorgo  qualche  cosa  di  allungato  e  bianco 
che  si  contorce.  Lo  poso  sulla  terra  battuta  del  sentiero;  ha  lasciato  la  presa 
e  scatta  come  una  molla  in  qua  e  in  là. 

Metto  questo  diavoletto  bianco  dalla  testa  scura  a  riflessi  metallici 
in  un  tubetto  di  chinino  vuoto  per  osservarlo  a  casa  con  più  agio.  Son  tutto 
sudato;  il  sole  continua  alto  a  bruciare  la  collina,  e  l'aria  è  greve,  pesante. 
Ho  voglia  di  un  gelato,  di  un  grande  bicchiere  di  menta,  e  sogno,  tornando 
giù  pel  sentiero,  paesaggi  invernali  e  torrenti  che  sgorgano  da  ghiacciai  tra 
monti  bianchi,  tra  monti  bianchi  di  neve.  Attorno  la  terra  spaccata  mette 
a  nudo  la  roccia;  e  sopra  sovrasta  immobile  il  caldo  terribile  e  laggiù, 
lontano,  a  valle,  il  fiume  caldo  e  lento  si  perde  fra  i  ciottoli  tondi  e  la 
sabbia. 


IO 


Dalla  finestra  aperta  entrano  i  rumori  e  le  voci  della  strada.  Nella 
casa,  tenuta  buia  tutto  il  giorno,  si  sta  bene.  Sul  tavolo,  in  mezzo  ai  libri, 
c'è  uno  spazio  libero  dove  il  tubetto  di  chinino  manda,  sotto  la  luce,  una 
strana  ombra.  È  un'ombra  che  racchiude  un  riflesso  chiaro,  trasparente,  e 
nel  riflesso  chiaro  si  muove  un'ombra  scura  allungata:  è  il  mio  diavoletto. 

Apro  il  tubo  e  metto  in  libertà  il  prigioniero.  Sul  tavolo  se  ne  sta 
immobile  con  due  grandi  mandibole  aperte,  ma,  se  lo  stuzzico  lievemente 
con  la  punta  delle  pinzette,  eccolo  di  nuovo  a  contorcersi  scattando  come 
una  molla  d'orologio  impazzita. 


Lasciamolo  in  pace  ed  osserviamolo  meglio  sotto  la  lente.  La  larva  * 
appare  come  un  budellino  bianco,  diafano,  un  po'  strozzato  ad  ogni  seg- 
mento del  corpo  ed  alla  cui  estremità  sta  la  testa,  superiormente  concava, 
nera  con  riflessi  metallici  verdastri.  Anche  il  protorace,  leggermente  con- 
vesso, ha  lo  stesso  colore,  ma  è  ricoperto  da  una  crosta  di  terra.  La  testa 
ed  il  protorace  formano  il  disco  che  tappava  cosi  bene  il  foro  della  gal- 
leria. Due  mandibole  formidabili  ed  aguzze,  si  ergono  perpendicolar- 
mente al  capo,  e  danno  all'animale  un  aspetto  terribilmente  feroce,  di 
una  fredda  e  precisa  macchina  per  supplizi  (Fig.  1). 

*  Vedi  i  caratteri  generali  degli  insetti  nell'appendice  alla  quale  rimando  pure  per 
la  spiegazione  delle  singole  parti  del  corpo  nominate  di  volta  in  volta. 


u 


Questo  tappo  vivente,  questo  disco  scuro  dai  riflessi  metallici,  per- 
fettamente rotondo,  solido  e  duro  e  forte,  fa  uno  strano  contrasto  col  resto 
del  corpo  chiaro,  cosi  debole  e  quasi  trasparente.  Quella  è  una  rigida  co- 
razza d'antica  armatura  o  di  diabolico  congegno  di  guerra;  questo  è  un 
inerme,  indifeso  vermiciattolo  dalla  pelle  morbida,  color  del  burro;  con 
ogni  tanto,  delle  macchioline  tondeggianti  biondo  scure,  irte  di  peluzzi. 
Sul  dorso,  a  circa  metà  corpo,  lo  strano  diavoletto  scattante  ha  una  gobba 
sulla  quale  sono  piantati  due  solidi  uncini  ricurvi  contemporaneamente 
verso  la  testa  g  verso  i  fianchi  (Fig.  2). 


Fig.  2  -  La  gobba  del  quinto  segmento  coi  due  uncini  (molto  ingrandita). 

Ora  il  vermetto,  non  raggiunge  i  due  centimetri  di  lunghezza,  si 
muove  e  scivola  cercando  di  camminare  sulla  liscia  superficie  del  tavolo. 
Ho  pronto  un  tubo  di  vetro  quasi  interamente  pieno  di  terra  ben  com- 
pressa ed  umida;  con  la  cannuccia  di  un  pennellino  inizio  una  galleria,  pro- 
fonda qualche  centimetro,  nella  terra  contro  la  parete  di  vetro,  ed  ora 
cerco  di  farvi  entrare  il  nuovo  inquilino. 

L'impresa  non  è  facile:  il  mio  pensionante  recalcitra;  non  appena 
toccato  si  torce,  scatta,  fa  salti  mortali  sul  tavolo.  Ora  addenta  il  pennel- 


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Al  vero  =  j  -| 

Larva  della  Cicindela  dei  campi  nella  galleria  (spaccato). 


TAVOLA  I 


V 


lino  che  ho  avvicinato  alle  mandibole:  questo  è  il  momento  buono;  la  presa 
è  cosi  solida  che  lo  posso  sollevare  e  mettere  dentro  il  tubo  di  vetro.  Quanto 
a  fargli  lasciare  la  presa  è  un'altra  questione,  ma  finalmente  si  stacca.  Tap- 
po la  bocca  del  tubo  con  un  turacciolo  sul  quale  ho  praticato  quattro  in- 
tagli longitudinali  per  poter  lasciar  circolare  l'aria  senza  che  il  prigioniero 
possa  sfuggire  e  cosi  pure  faccio  all'estremità  opposta,  contro  la  terra  del 
fondo,  per  poter  lasciar  sgocciolare  via  l'umidità  superflua. 

Finalmente  vedo  il  mio  vermiciattolo  curiosare  col  capo  alla  bocca 
della  galleria  da  me  iniziata;  sosta  un  po'  indeciso,  fa  un  giro  intorno,  e 
finalmente  entra  dentro  al  suo  nuovo  alloggio.  Lo  vedo  calarsi  già  a  testa 
avanti  e  la  parete  di  vetro  mi  permette  di  osservarlo  nei  suoi  movimenti 
anche  sotto  terra. 

Lo  vedo,  arrivato  al  fondo  della  mia  breve  galleria,  intento  a  ra- 
schiare le  pareti  con  la  testa  scavata  a  cucchiaio;  raccoglie  con  le  mandi- 
bole un  grumo,  si  rigira  a  testa  all'insù  e  si  arrampica  fino  alla  bocca  della 
galleria;  sosta  un  istante,  e  poi  rovescia  la  testa  e  schiaccia  il  grumo  di 
terra  contro  il  suolo.  Batte  bene,  uguaglia  colla  parte  superiore  del  capo 
rovesciato,  sosta  per  poco  tappando  l'apertura  col  disco  formato  dalla  te- 
sta e  dal  prò  torace;  poi  si  rigira  all'ingiù  e  va  a  raschiare  un  altro  poco 
di  terra  che  riporta  in  alto. 

Il  lavoro  procede  filato;  ogni  tanto  lo  sterratore  si  prende  un  breve 
riposo,  la  galleria  si  approfondisce,  la  bocca  si  regolarizza  in  cerchio  per- 
fetto con  la  terra  ben  battuta  tutto  intorno.  I  sassolini  vengono  scagliati 
lontano  con  uno  scatto  a  catapulta  della  testa;  le  pareti  interne  vengono 
pressate  e  ben  lisciate  con  la  parte  inferiore  della  testa  fortemente  rigonfia 
e  convessa.  Quando  la  galleria  è  profonda  qualche  centimetro  la  terra 
non  viene  pili  portata  all'esterno  ma  semplicemente  compressa  e  cosi  lo 
scavo  procede  fino  ad  un  20  cm.  di  profondità. 

Da  fuori  non  giunge  pili  alcun  rumore;  m'affaccio  alla  finestra  per 
fumarmi  una  sigaretta.  In  fondo  alla  strada,  tra  le  macchie  nere  delle  ul- 
time case,  si  staccano,  come  un'ombra  sul  buio  del  cielo,  le  molli  linee  on- 
dulate delle  colline.  Il  caldo  è  scomparso,  ma  domani  il  sole  implacabile 
brucierà  sul  sentiero  un  piccolo  mucchietto  di  terra. 

■k  *  A 

Da  parecchi  mesi  ormai  la  mia  larva  vive  nel  suo  nuovo  alloggio.  La 
tana  è  ora  un  tubo  cilindrico  lungo  una  ventina  di  centimetri  e  del  diame- 


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tro  di  quattro  millimetri,  uguale  per  tutta  l'altezza.  Lo  sterratore  ha  finito 
da  un  pezzo  il  suo  lavoro  ed  è  divenuto  cacciatore;  uno  strano  cacciatore, 
a  dire  il  vero:  non  va  in  cerca  della  selvaggina,  ma  è  questa  che  gli  passa 
sotto  o  meglio  sopra  il  naso. 

Per  ore  e  giorni  e  mesi  la  larva  se  ne  sta  col  corpo  piegato  a  £  nella 
parte  superiore  della  galleria,  i  due  grossi  uncini  della  gobba  dorsale  anco- 
rati nelle  pareti,  la  testa  e  il  protorace  al  fil  di  terra,  le  mandibole  affilate, 
aguzze  come  due  falcetti,  aperte  e  sporgenti  perpendicolarmente  (Tav.  I). 
Il  cacciatore  attende  immobile  che  qualche  insettino  passi  sul  tappo  vivente 
e  allora,  con  uno  scatto  fulmineo,  i  due  falcetti  si  chiudono,  la  tagliola  ben 
dissimulata  si  serra  implacabile  sul  malcapitato.  Il  corpo  contratto  a  £  si 
distende  lungo  quanto  è,  e  cacciatore  e  cacciato  precipitano  giù  nel  tra- 
bocchetto. Dove  sul  suolo  non  pareva  essere  che  un  sassolino  verdastro,  lu- 
cente, ora  è  solamente  un  buco  tondo  e  buio. 

Da  tanto  tempo  la  larva  attendeva  il  Caso,  pazientemente  immobile, 
giorno  e  notte  ferma  nel  suo  tubo  di  terra:  ora  il  Caso,  provocato  da  me,  è 
passato  di  li  ed  essa  lo  ha  afferrato  e  non  lo  lascia  più. 

Quando  l'insetto  catturato  non  è  molto  forte,  la  lotta  è  breve  laggiù 
in  fondo  alla  galleria.  Le  mandibole  si  serrano  sempre  più  finché  s'incrocia- 
no completamente  e  allora  la  preda  vien  letteralmente  divisa,  tagliata  in 
due,  come  sarebbe  accaduto  con  un  colpo  di  forbici.  Gli  umori  vengono  suc- 
chiati, tutto  quanto  è  commestibile  viene  tagliuzzato,  direi  quasi  masticato 
dalle  due  mandibole  e  dalle  mascelle.  Tutto  quello  che  resta  è  un'informe 
massa  di  chitina  vuota  maciullata,  inutilizzabile  che  viene  portata  dalla 
larva  alla  superficie  e  scagliata  lontano  perché  non  lordi  e  non  marcisca 
nella  tana. 

Ma  spesso  la  tagliola  s'è  chiusa  su  di  una  preda  robusta,  solida  e 
corazzata;  le  mandibole  trovano  pane  pei  loro  denti  e  l'insetto  preso  in 
trappola  cerca  disperatamente  di  liberarsi  e  di  arrampicarsi  su  per  la 
galleria;  una  volta  riuscito  a  riportarsi  fuori  è  più  facile  puntare  le  zampe 
liberamente  e  sfuggire.  E  allora  entra  in  gioco  la  gobba  dorsale  coi  suoi 
due  robusti  duri  uncini.  La  gobba  vien  gonfiata  e  premuta  contro  le  pareti 
della  galleria;  i  due  uncini  penetrano  nella  terra  e  si  divaricano  ancoran- 
dosi solidamente.  Il  corpo  viene  nuovamente  piegato  a  £  per  premere  con- 
tro le  pareti  con  pili  punti  d'appoggio.  L'estremità  posteriore  e  la  parte  in- 
feriore dei  primi  segmenti  dell'addome  sono  cosi  puntellati  contro  un  lato 
mentre  contro  l'altro  sono  premute  la  gobba,  coi  due  uncini  infissi  nella  pa- 
rete, e  i  due  ultimi  anelli  del  torace;  le  sei  zampette  a  loro  volta  si  fissano 


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con  le  unghie.  Cosi  ancorata,  diffìcilmente  la  larva  viene  trascinata  fuori 
dagli  sforzi  disperati  della  vittima  sempre  chiusa  dall'inesorabile  tanaglia. 
Ma  a  volte  questo  succede  e  allora  il  corpo  a  corpo  diventa  appassionante 
coi  suoi  momenti  drammatici  ora  favorevoli  alla  vittima  ed  ora  all'orco  af- 
famato. 

Fuori  all'aperto,  sui  sentieri  ben  battuti  e  soleggiati,  nei  piccoli  spazi 
di  terra  liberi  tra  le  erbe,  nelle  infuocate  sabbie  lungo  i  torrenti  ed  i  fiumi, 
la  scena  è  la  stessa.  Qualche  piccolo  essere,  formica,  mosca,  ragno,  coleot- 
tero, passa  nelle  sue  peregrinazioni  sul  trabocchetto  e  scompare  inghiottito 
nelle  viscere  della  terra.  A  un  dieci  centimetri  dalla  bocca  della  galleria 
spesso  si  trovano  i  resti  del  pasto:  pezzi  di  zampe,  elitre  disarticolate,  ad- 
domi svuotati  che  restano  a  testimoniare  una  piccola  grande  tragedia;  esse 
ricordano  un'insidia  nascosta,  un'improvvisa  spesso  breve  lotta  nella  notte 
sotterranea,  il  banchetto  infernale  di  un  affamato. 

*  *  * 

Ormai  l'inverno  è  vicino  e  le  prime  brine  danno  al  mattino  l'impres- 
sione di  una  nevicata:  il  freddo  ha  spinto  gli  insetti  a  cercarsi  un  rifugio 
sotto  le  cortecce,  sotto  ai  muschi  o  meglio  nel  cuore  stesso  della  terra.  An- 
che la  mia  larva  s'è  preparata  l'alloggio  invernale;  ha  approfondito  e  di 
molto  la  galleria  e  l'ha  ostruita  superiormente  con  un  lungo  tappo  di  terra 
e  s'è  ridotta  al  fondo  in  una  celletta  un  poco  allargata.  Li  passerà  i  freddi 
mesi  invernali  e  in  una  celletta  simile  anche  nei  campi  le  sue  sorelle  sparse 
pel  mondo  staranno  al  riparo  dall'inverno.  Una  dura  crosta  di  terra  impie- 
trata dal  gelo,  o  una  coltre  di  neve  non  impediranno  ai  delicati,  indifesi  bu- 
dellini  di  continuare,  sia  pure  in  un  torpido  sonno,  a  vivere. 

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A  primavera,  coi  primi  tepori,  le  nevi  si  sciolgono  e  l'acqua  fredda 
che  arriva  fino  alla  celletta  terminale  avverte  la  larva  che  è  tempo  di  tor- 
nare a  godere  il  sole.  La  galleria  viene  disostruita,  le  pareti  riattate  e  lisciate 
con  cura;  la  bocca  dell'orifizio  riprende  la  sua  precisa  regolarità  geometri- 
ca e  tutto  intorno  la  terra  viene  battuta.  Qualche  radichetta  che  si  era  in- 
filata dentro  alla  galleria  viene  tagliata;  la  larva  riprende  il  suo  posto  im- 
mobile in  agguato.  Il  sole  batte  sul  tappo  vivente  e  di  notte  la  luna  lo  farà 
brillare  di  luci  verdastre. 


15 


A  luglio,  dopo  di  aver  mutato  tre  volte  la  pelle,  la  larva  raggiunge  il 
suo  massimo  sviluppo  di  un  due  centimetri  e  mezzo.  Tutto  quanto  le  offro 
viene  accettato  e  svuotato,  ma  al  principio  d'agosto  è  svogliata,  senza  ap- 
petito. Le  migliori  leccornie  vengono  rifiutate  e  scagliate  fuori:  che  sia  am- 
malata? 

Ed  ecco  che  il  cacciatore  ridiventa  muratore;  a  un  dieci  centimetri  di 
profondità  la  galleria  viene  allargata  lateralmente  e  gli  sterri  vengono  ado- 
perati ad  otturare,  sopra  e  sotto  la  nuova  celletta,  la  galleria  primitiva.  È  il 
muratore  che  si  mura  vivo.  La  celletta  viene  rifinita,  uguagliata,  ma  sem- 
pre con  maggiore  svogliatezza.  Finalmente  la  larva,  ora  di  un  bianco  opaco 
ceroso  si  mette  lunga  distesa  nella  sua  bara  e  pare  attendere  il  sonno  eterno. 
La  sua  grande  ora  è  arrivata:  ecco  che  trema  in  un  brivido  mortale,  si  con- 
trae, si  contorce,  si  gonfia  sotto  la  spinta  di  una  nuova  vitalità  interiore  che 
cerca  di  uscire,  di  esplodere. 

E  dopo  sforzi  e  contorcimenti  la  pelle  del  dorso  si  lacera  sulla  linea 
mediana  del  torace  e  un  nuovo  essere  sorge  dalle  spoglie  dell'antico.  La 
«  pupa  »  delicata,  lucente  di  umori,  quasi  trasparente  come  una  strana  perla 
è  finalmente  libera  e  la  metamorfosi  s'è,  per  la  prima  metà,  compiuta.  L'an- 
tica veste  è  allontanata  con  un  ultimo  sforzo  e  giace  ora,  misero  straccetto, 
al  fondo  della  cella  (Tav.  II). 

Attraverso  il  vetro  trasparente  ho  potuto  seguire  istante  per  istante 
l'angoscioso  meraviglioso  miracolo.  Nella  sua  bara  di  terra,  lontana  dalle 
gioie  del  sole,  racchiusi  gli  umori  e  le  membra  ancor  tenere  come  in  una 
pellicola  di  cellofan,  la  bella  dormente  riposa,  il  capo  reclinato  sul  petto,  le 
future  antenne  e  zampe  ed  ali  cingenti  i  fianchi  fino  alla  linea  mediana  del 
corpo.  Essa  è  sollevata  da  terra  su  di  una  doppia  fila  di  tubercoli  allungati 
nascenti  dal  dorso,  che  la  tengono  sospesa  a  mezz'aria.  Fuori  batte  rabbioso 
il  sole  d'agosto,  la  terra  è  bruciata;  nella  cella  arriva  un  dolce  tepore  attra- 
verso la  spessa  crosta  arida  e  cotta  dal  sole,  e  il  poco  d'umore  racchiuso  an- 
cora sotto  terra  si  raduna  in  lieve  vapore  intorno  alla  bella  dormente. 

*  #  * 

E  sopraggiunge  l'autunno.  Ai  primi  giorni  di  settembre,  già  rinfre- 
scati da  qualche  pioggia,  la  pupa  color  avorio  si  illumina  di  tenui  luci  iri- 
descenti; ha  sognato  abbastanza  e  si  prepara  al  risveglio,  al  nuovo  miracolo. 
Gli  occhi  castano  chiari  si  scuriscono  e  un  brivido  madreperlaceo  percorre 
tutte  le  membra;  la  tenue  pelle  del  dorso  si  fende  ed  in  brevi  istanti  ne  esce 


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Pupa  e  spoglia  larvale  della  Cicindela  dei  eampi  nella  celletta  della  ninfosi  (spaccato) 


TAVOLA  II 


l'insetto  adulto  ancor  tenero  e  molle.  Le  lunghe  zampe  lo  aiutano,  ed  ora 
lentamente  si  capovolge  nella  posizione  normale.  Il  primo  paio  di  ali,  che 
formerà  le  elitre  ed  era  ripiegato  sui  fianchi  e  si  congiungeva  sul  petto,  si  è 
gonfiato,  allungato,  ed  ora  ricopre  completamente  il  secondo  paio  di  ali  mem- 
branose ripiegate  ed  ordinate  sul  dorso  dell'addome. 

Ed  ora  il  bianco  ocra  e  il  bianco  latte  dell'insetto  a  poco  a  poco  pas- 
sano, attraverso  una  magica  sfumatura  verde  chiaro  con  riflessi  di  madre- 
perla, al  verde  veronese,  al  verde  erba  metallico,  con  riflessi  infuocati  di 
rame  e  di  rubino.  La  parte  inferiore,  dal  bianco  latte  passa,  per  una  miste- 
riosa alchimia,  all'azzurro  cupo  dell'acciaio  con  riflessi  bronzo  e  viola.  Sul 
verde  delle  elitre  si  sono  disposte  alcune  macchioline  avorio,  e  avorio  è  il  lab- 
bro superiore  e  la  base  delle  scure  mandibole. 


Fig.  3  -  Cicindela  vista  di  fronte. 

Nel  giro  di  dodici  ore  il  gelatinoso  ha  preso  corpo,  s'è  fatta  una  rigida 
armatura  di  metalli  e  pietre  preziose:  il  rame,  l'oro,  l'acciaio  bulinati  e  scol- 
piti, lo  smeraldo  ed  il  rubino  hanno  concorso  a  fare  questa  meravigliosa  co- 
razza. Un  bel  ciuffetto  di  peli  bianchi  è  arricciato  sul  capo,  sul  torace  e  sui 
fianchi,  e  le  zampe,  tornite  nel  rame,  sono  ornate  di  candidi  peli.  Le  antenne 
sono  formate  da  due  collanine  vellutate  i  cui  quattro  primi  articoli  sono  in- 
vece metallici  e  dal  labbro  sporgono  sei  setole  bianche  ricurve. 

E  veramente  superbo  il  cavaliere.  Nessun  torneo  medievale  ha  mai  ve- 
duto una  simile  ricchezza  ed  eleganza  d'armatura.  Nessun'opera  di  Benve- 
nuto potrebbe  rivaleggiare  col  lavoro  di  bubno  e  di  cesello  che  la  natura  ha 
racchiuso  in  una  lunghezza  di  due  centimetri  vivi  (Fig.  3). 

Lo  conosco  bene  il  bel  cavaliere:  è  una  mia  vecchia  conoscenza.  In  in- 
glese, a  causa  della  sua  ferocia,  è  detto  Coleottero  tigre,  mentre  il  buon  Lin- 


17 


neo  gli  dà  il  nome  scientifico  di  «  Cicindela  campestris  »  e  gli  Indiani  del  Mes- 
sico, più  prosaicamente,  fanno  infusioni  in  alcool  di  una  specie  simile  per 
ottenerne  una  grata  acquavite.  Quante  volte  lungo  i  sentieri  battuti  dal  sole 
o  sugli  aridi  terreni  sabbiosi  costeggianti  i  torrenti  e  persino  nelle  strade  cit- 
tadine, fin  dai  primi  giorni  di  primavera,  l'ho  vista  alzarsi  improvvisamente 
a  volo  rapido  quasi  da  sotto  il  piede  per  posarsi  a  poca  distanza,  e  nuova- 
mente volar  via  al  mio  avvicinare. 

Il  sole  la  rende  agile  e  veloce,  ma  è  sufficiente  che  la  mia  ombra 
la  copra  perché  il  suo  ardore  si  raffreddi  in  pochi  istanti  e  sia  cosi  più 
facile  il  catturarla.  Afferrata,  essa  spande  un  grato  profumo  di  prima- 
vera, qualche  cosa  tra  la  violetta  e  la  rosa.  Corre  veloce  inseguendo  gli 
insettini  di  cui  si  nutre  e  la  sua  vivacità  cresce  col  crescere  dell'ardore 
del  sole,  s'affievolisce  e  si  spegne  al  tardo  pomeriggio  quando  i  raggi  del- 
l'astro perdono  di  forza;  allora  essa  cerca  riparo  in  fossette  che  scava 
nella  sabbia  o  nella  terra  e  dove  passa  la  sera,  la  notte  ed  il  primo  mat- 
tino. Qualche  altra  specie,  che  vive  sulle  spiaggie  del  mare,  si  rifugia  an- 
ch'essa in  tane  cosi  scavate  e  con  l'alta  marea  l'acqua  salsa  ricopre  le  Cicin- 
dele adulte  racchiuse  nella  cella  in  una  bolla  d'aria. 

*  *  * 

Nel  tubo  di  vetro  la  mia  Cicindela  è  quieta,  quasi  immobile  nella 
celletta  dove  è  avvenuta  la  ninfosi.  E  cosi,  quasi  addormentata,  rimane 
per  qualche  settimana;  ora  invece  la  sorprendo  intenta  a  toglier  via  la 
terra  che  ostruisce  superiormente  l'estremità  della  vecchia  galleria  della 
larva.  Le  affilate,  dentate  mandibole  (Fig.  4),  queste  fini  cesoie  che  le  ser- 
viranno per  afferrare  e  dilacerare  la  preda,  sono  ora  utilizzate  come  vanga, 
zappa  e  piccone  e  il  tappo  terroso  si  sgretola  e  cade  grumo  a  grumo  nella 
celletta.  Con  un  ultimo  sforzo  l'estremo  bastione  è  vinto  e  rovina  e  la  Ci- 
cindela sporge  il  capo  fuori  della  galleria. 

All'aperto,  nei  campi,  questo  è  il  primo  istante  in  cui  il  bel  cava- 
liere dalla  preziosa  corazza  guarda  il  suo  nuovo  mondo  e  riceve  il  primo 
saluto  del  sole.  Le  mandibole  polverose  ed  il  capo  sono  ripuliti  e  spaz- 
zolati con  cura:  non  un  granello  deve  offuscare  lo  splendore  dello  sme- 
raldo e  del  rame.  L'insetto  sosta  un  poco  affacciato  alla  bocca  della  gal- 
leria quasi  ad  assuefare  alla  luce  gli  occhi  abbacinati  e  poi  eccolo  fuori 
completamente,  splendido  e  marziale. 

I  femori  delle  gambe  di  dietro   si   strofinano   allegramente  contro 


m 


Fig.  4  -  Mandibola.  Mascella  coi  palpi  mascellari.  Palpo  labiale 
di  adulto  di  Cicindela  ibrida  (forte  ingrandimento). 

l'orlo  posteriore,  minutamente  seghettato,  delle  elitre  producendo  uno  stri- 
dio di  felicità  e  di  benessere. 

Penso  debba  avere  appetito  non  avendo  toccato  cibo  dal  tempo  della 
ninfosi,  e,  in  mancanza  di  preda  viva,  gli  offro  un  pezzetto  di  carne 
cruda  prelevato  in  cucina  alla  cuoca  che  scuote  la  testa  certo  pensando 
tra  sé  e  sé:  «  Quanti  grilli  hanno  pel  capo  i  signori!  » 

La  carne  è  accettata.  Avidamente  le  mandibole  vi  si  affondano  men- 
tre i  palpi  tremano  assaporando  e  le  antenne,  protese  all'innanzi,  tastano 
e  annusano,  se  cosi  si  può  dire. 

*  *  * 

Settembre  se  ne  va,  la  temperatura  s'abbassa,  il  sole  perde  sempre 
più  forza  e  molti  insetti  hanno  finito  la  loro  esistenza  e  assicurata  l'eter- 
nità colla  deposizione  delle  uova:  che  resterebbero  a  fare?  Ma  alcuni  ri- 
tardatari e  quelli  che  ancora  non  hanno  pensato  ad  eternare  la  specie, 
cercano  rifugio  nel  grembo  della  vecchia,  antica  nutrice.  E  nel  seno,  nel 
cuore  della  terra,  che  sono  affidate  le  uova  della  Cicindela;  nelle  sue  vi- 
scere si  schiudono  e  vivono  ed  hanno  alloggio  le  delicate  tenere  larve,  ed 
alla  terra,  come  alla  madre  di  tutti,  ritorna  la  Cicindela  adulta  appena 


19 


schiusa,  dopo  una  breve  sosta  al  sole,  a  cercare  riparo  dai  freddi  del 
tardo  autunno  e  dalle  nevi  dell'inverno.  Essa  si  scava  un'altra  cella  sotto 
terra  dove  poter  svernare. 

Cosi  sotto  il  nostro  cielo,  cosi  pure  sotto  i  brumosi  cieli  del  nord, 
la  Cicindela  campestre  si  assopisce  nel  lungo  sonno  invernale.  Spesso,  sulle 
Alpi  e  nei  paesi  del  Nord,  il  freddo  ed  il  gelo  arrivano  fino  alla  sua  cella, 
chiusa  da  tutte  le  parti  in  un  blocco  impietrato  ed  essa  pure  si  impietra. 
Ma  a  primavera,  collo  sciogliersi  delle  nevi,  anche  la  terra  si  ammorbi- 
disce e  in  seno  ad  essa,  la  Cicindela  ritorna  alla  vita;  gli  umori  ghiac- 
ciati si  sghiacciano  e  la  vita  interrotta,  sospesa,  riprende;  il  respiro  man- 
cato si  rianima  e  l'aria  ritorna  a  circolare,  attraverso  gli  stigmi  e  le  ra- 
mificate trachee,  per  tutto  il  corpo. 

Ad  aprile  le  Cicindele  adulte  ricompaiono  e  corrono  veloci  sotto  il 
sole,  profumate  di  violetta,  ed  aprono  la  stagione  della  caccia  e  dell'amore. 

Ogni  piccolo  essere  che  capita  vicino,  non  appena  scorto,  viene  in- 
seguito, afferrato  con  le  mandibole  e  disarticolato;  le  viscere  ancora  pal- 
pitanti, gli  umori  ancora  vivi  vengono  divorati  e  succhiati  e  tale  è  l'acca- 
nimento per  tutto  ciò  che  si  muove  che  spesso  viene  inseguita  l'ombra 
che  qualche  insettino  che  cammina  sulle  erbe  porta  sul  suolo.  Durante  il 
pasto  i  succhi  gastrici  vengono  emessi  sulla  preda  perché  principiino  già 
esternamente  la  digestione  rammollendo  e  riducendo  a  poltiglia  il  cibo. 
Dopo  mangiato  le  Cicindele  cercano  qualche  goccia  d'acqua  nelle  erbe  per 
ripulirsi  le  mandibole  ed  i  palpi  e  per  dissetarsi.  Spesso  il  divorato  morde 
ed  attanaglia  disperatamente  il  cacciatore  e  mi  è  capitato  una  volta  di  tro- 
vare una  Cicindela  con  ancora  attaccata  ad  un'antenna  la  testa  di  una 
formica  che,  anche  morta  e  staccata  dal  corpo,  non  aveva  lasciato  la  presa. 

Sulla  terra  o  le  sabbie  bollenti  per  l'ardore  del  sole  se  ne  stanno 
col  corpo  sollevato  sulle  sei  lunghe  e  sottili  zampe  a  godersi  il  caldo  e  la 
luce;  velocissime  ed  agili  corrono,  se  cosi  si  può  dire,  sulla  punta  dei  piedi 
e  spesso  improvvisamente  schiudono  le  elitre,  allargano  le  ali  membranose 
e  s'alzano  a  volo  rapidissime  per  posarsi,  poco  discosto,  presso  la  preda. 
Cosi  passano  vivacissime  e  brillanti  le  calde  ore  del  giorno  cacciando  in- 
stancabilmente o,  nei  brevi  momenti  di  riposo,  spazzolando  e  ripulendo 
la  splendente  corazza. 

Ho  rimesso  in  libertà  il  mio  prigioniero:  corra  e  voli  anche  lui  pei 
campi  o  sulle  sabbie  lungo  i  torrenti  in  piena;  goda  anche  lui  il  libero  sole. 
Sul  sentiero  della  collina,  dove  l'ho  preso  ancor  piccolo  budellino  diafano 


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AI  vero  =  1 

Adulto  maschio  della  Cicindela  dei  campi. 


TAVOLA  III 


dalla  testa  metallica,  troverà  la  compagna  e  saranno  deposte  le  uova,  come 
minute  perle  ovali  giallo  arancio,  in  piccoli  fori,  principi  di  gallerie  che 
la  madre  scaverà  con  l'ovipostore  nella  terra  per  i  futuri  budellini  mura- 
tori e  cacciatori. 

*  *  * 

Questa  è  la  storia  della  Cicindela  dei  campi.  In  Sardegna  esiste  una 
sua  varietà  il  cui  colore,  anziché  verde  erba,  è  di  un  bellissimo  azzurro 
che  le  ha  valso  il  nome  di  saphyrina:  color  dello  zaffiro. 

Altre  Cicindele  vivono  in  Italia  oltre  alla  campestre,  e  tutte  hanno 
aspetto  e  costumi  simili  sia  allo  stato  di  larva  che  di  insetto  adulto.  Qual- 
cuna vive  sulle  rive  sabbiose  del  mare  o  dei  corsi  d'acqua,  altre  vivono 
nei  campi  aridi  o  nelle  radure  soleggiate  dei  boschi  ed  altre  ancora  sulle 
alte  praterie  alpine  vicino  alle  nevi  eterne.  Tutte  sono  amantissime  del 
sole,  vivacissime,  veloci  nella  corsa  e  nel  breve  volo,  accanite,  instancabili 
predatrici  riuscendo  cosi  di  utilità  all'uomo  distruggendo  molti  insetti 
nocivi. 

*  *  * 

■'t 'ti  ^ 

Dalla  finestra  aperta  mi  giunge,  tra  gridii  di  rondini,  la  musica  di 
un'orchestrina  di  caffè.  Lontano  le  colline  si  staccano  nette  nell'azzurro  e 
c'è  un  fiocco  bianco  di  lana  che  si  sfilaccia  sulla  cresta  tra  gli  alberi.  Le 
ville  rosa,  azzurrine,  lilla,  coi  loro  tetti  rossi  rossi  sono  come  pezzetti  di 
carta  tra  il  verde.  E  qui  sul  tavolo,  tra  i  libri  ed  i  pennelli,  è  rimasto  il 
ritratto  del  mio  bel  cavaliere  dall'armatura  verde  erba  a  riflessi  di  rame 
e  macchioline  d'avorio  (Tav.  III). 


21 


IL  CARABO  ESTINTO 


«  Oblongus,  niger,  thoracis  elytro- 
rumque  margine  rufo-cupreis,  thorace 
supra  nigro-violaceo,  laeuigato,  trans- 
oerse  strigato,  elytris  crenato  striatis, 
punctisque  impressis  triplici  serie,  vi- 
ridis,  antice  attenuatis  -  L.  30;  l.  11. 
mill.  ». 


E.  Sella  -  1885 


CAPITOLO  II 


IL  CARABO  ESTINTO 


Ecco:  il  rumore  dell'acqua  si  fa  sempre  più  distinto;  la  mulattiera 
gira  intorno  ad  un  ammasso  di  rocce,  ed  appare  improvvisa  e  fresca  la  sor- 
gente. L'avvocato  vi  tuffa  dentro  le  mani  e  le  porta  al  viso:  le  gocce  gli 
rigano  il  collo,  scendono  come  un  brivido  giù  per  la  schiena;  altre  si  fer- 
mano sulle  labbra,  gli  scendono  sul  mento,  sostano  un  breve  istante  incerte 
per  poi  cadere  sulle  mani  bagnate.  Una  sorsata  nella  gola  secca,  una  sor- 
sata ancora.  A  mia  volta  le  mie  mani  diventano  bianche  pel  gran  freddo 
dell'acqua  e  mi  chino  a  terra  per  bere. 

Tutto  intorno,  nella  terra  zuppa,  è  un  rigoglio  di  erbe  e  dalle  pietre 
gocciolanti  pendono  muschi  fradici;  l'acqua  si  sperde  poi  fra  i  ciottoli,  at- 
traversa la  mulattiera  e  scorre  giù  giù  incassata  in  uno  stretto  canalone. 
Là  in  fondo  si  scorgono,  in  una  velatura  che  non  sapresti  dire  se  di  neb- 
bia o  polvere,  le  case  dell'ultimo  paese  attraversato.  A  monte  ci  appare  il 
colle  ed  il  suo  alberghetto:  finalmente  ci  siamo.  I  sacchi  che  ci  pare- 
vano pieni  di  pietre  non  ci  pesano  più  all'idea  di  poter  presto  sederci  e 
riempire,  se  Dio  vuole,  lo  stomaco.  Sullo  spiazzo  un  mulo  stracarico,  le- 
gato ad  un  palo,  drizza  un  orecchio  e  ci  guarda  con  l'umido  melanconico 
occhio:  alza  il  muso  ed  un  sonoro  raglio  ci  saluta  proprio  al  nostro  giun- 
gere. Un  gran  vento  gelato  agita,  come  candide  bandiere,  le  lenzuola  ap- 
pese al  balcone  e  noi  entriamo. 

*  *  * 

A  pancia  piena  si  sta  meglio,  ed  i  piedi  non  dolgono  più  negli  scar- 
poni da  montagna.  L'avvocato  tira  fuori  una  carta  (l'avremo  guardata  a 


25 


Torino  già  cento  volte)  e  noi  siamo  nel  punto  indicato  dall'indice:  metri 
1382.  Dal  colle  dobbiamo  prendere  per  cresta  verso  oriente  e  qui  dovreb- 
bero essere  i  pascoli  umidi,  e  nei  pascoli  umidi,  se  la  stagione  è  adatta  e 
se  la  fortuna  ci  assiste,  qui  dovremmo  trovare  l'«  Olympiae  ». 

Questo  nome  lo  avremo  avuto  sulla  bocca  non  so  quante  volte 
quando  combinavamo  la  gita  e  durante  questa;  lo  snocciolavamo,  si  può 
dire,  ad  ogni  cento  metri  come  le  beghine  gli  «  ora  prò  nobis  ». 

«  Carabus  Olympiae»  Sella:  questo  nome  l'avevo  trovato  da  ragazzo 
in  un  vecchio  catalogo  dei  Coleotteri.  A  quell'epoca,  avrò  avuto  quattordici 
anni,  amavo  assai  ripetere  ad  alta  voce,  uno  dietro  l'altro,  i  nomi  latini 
dei  Coleotteri  che  pili  mi  piacevano  ed  era  una  lunga  litania: 

Cicindèla  saphyrina 
melancholica  imperialis 
circumdàta  Monna-Lisae 
chiloleuca  transversalis 

Megodontus  purpurascens 
Jurécecki  aurolimbatus 
Coptolabrus  longipennis 
Calosoma  auropunctatus 
Chrysocarabus  Olympiae 
auronitens  costellatus 


L'«  Olympiae»  non  mancava  mai,  e  la  litania  continuava. 

Non  so  se  l'avvocato  nella  sua  gioventù  ripetesse  anche  lui  delle  collane 
di  nomi  di  Coleotteri,  ma  io  penso  che  si  e  son  sicuro  che  l'«  Olympiae  »  non 
poteva  mancare. 

Più  tardi  avevo  pescato,  non  so  dove,  che  era  assai  raro  e  localizzato 
in  una  sola  valle  alpina  del  nostro  Piemonte. 

Più  tardi  ancora,  conosciuto  l'avvocato,  seppi  da  lui  che  non  solo  era  ra- 
rissimo, ma  forse  ora  estinto  e  la  razza  scomparsa  e  ci  era  venuta  una  fre- 
nesia per  questo  insetto  che  avrei  voluto  poter  tener  vivo  per  trasportarlo 
magari  in  qualche  altra  località  alpina,  dove  non  fosse  più  insidiato  dall'ac- 
canita ricerca  dei  collezionisti  e  dove  potesse  vivere  tranquillo. 

Cosi  avevamo  preparata  la  gita,  preso  il  treno,  ed  ora  eravamo  sul 
colle  a  un  quaranta  minuti  dai  famosi  pascoli  umidi  dell'alta  valle. 


23 


Una  vera  ansia  da  fanciulli  ci  prende  ora,  in  cammino,  e  gettiamo 
lo  sguardo  innanzi  lontano  per  veder  di  scoprire  una  macchia  verde  di  erbe. 
Immense  distese  di  rododendri  in  fiore  coprono  i  molli  ondulati  pendii  e  noi 
si  naviga  in  un  fresco  mare  rosa  e  verde  oliva.  Ogni  tanto  i  rododendri  la- 
sciano posto  ad  una  fìtta  boscaglia  di  faggi  e  betulle  e  allora  il  terreno  è 
coperto  di  eriche  e  qualche  ginepro  isolato  ricorda  in  miniatura,  con  la  sua 
forma  slanciata,  i  cipressi  di  Toscana. 

E  finalmente  ci  siamo:  il  verde  oliva  dei  rododendri  e  quello  arrug- 
ginito delle  eriche  si  perdono  laggiù  dove  una  chiazza  verde  chiaro  ci  in- 


dica che  siamo  oramai  vicini.  Qualche  casupola  di  pastori;  capanne  di  pie- 
tra col  tetto  lucente  di  lamiera  ondulata;  un  ruscello  che  scorre  attraverso 
una  prateria  chiusa  da  un  muretto  di  sassi;  tutto  intorno  un  verde  pili 
secco  ed  arido;  più  su,  verso  la  cresta,  sparpagliate  decine  e  decine  di  vac- 
che scampananti.  Un  cane  ci  abbaia  contro  rabbioso  e  qualche  ragazzetto 
ci  osserva  muto  e  stupito. 

Ma  noi  ormai  non  sentiamo  né  vediamo  pili  nulla,  all'infuori  del 
verde  quadrato  di  erbe,  e  la  ricerca  incomincia  frenetica  e  senza  sosta. 

Certamente  chi  non  ha  provato  la  gioia  della  caccia  agli  insetti  fa- 
tica a  concepirne  il  gusto.  Emozionante  come  e  pili  delle  caccie  grosse  nella 
jungla,  essa  riempie  sempre  di  una  sana  gioia  i  fanciulli  che  ammirati  ab- 
bassano cautamente  la  mano  sulla  splendente  Cetonia,  e  questa  felicità  ri- 
mane e  luccica  negli  occhi  anche  dei  vecchi  entomologi  e  di  tutti  coloro  che 


5  -  Carabo  concolore. 


27 


amano  le  meraviglie  della  natura.  Per  uno  strano  miracolo  pare  che  costoro 
non  invecchino  e  rimangano  ragazzi  ingenui  e  felici  ad  ogni  cattura  d'inset- 
to, come  lo  erano  in  gioventù. 


Ogni  pietra,  per  grande  e  pesante  che  sia,  viene  sollevata.  L'avvo- 
cato si  dà  un  gran  da  fare  con  un  mucchio  di  pietroni  che  solleva  uno  ad 
uno  tra  l'erba.  Il  primo  Carabo  che  mi  appare  nell'ombra  umida  di  un  gran 
lastrone  sollevato  a  stento  mi  affascina  per  un  istante  col  suo  splendore  di 
gemma  e  la  mano  trema  per  l'emozione.  Ma  non  è  lui,  non  l'«  Olympiae  >\ 


è  il  depressus,  il  piatto  e  lucente  Carabo  depresso  delle  nostre  Alpi.  E  dopo 
il  primo  un  altro,  un  altro  ancora:  Carabus  concolor,  Carabus  cancellatus 
che  in  questi  luoghi  è  pure  color  verde  smeraldo  (Figg.  5-6-7). 

Quante  pietre  abbiamo  sollevato!  La  schiena  duole,  i  polpastrelli  bru- 
ciano mezzo  spelati  contro  le  dure  asperità  e  le  dita  fanno  male,  ma  la  fa- 
tica continua. 

I  ragazzetti  muti  sulla  soglia  delle  baite  ci  osservano  e  sorridono.  Le 
vacche  continuano  a  scampanare  pascolando. 

Le  boccette  da  caccia  si  riempiono,  ma  non  un  «Olympiae».  Forse 
non  è  la  stagione  adatta;  troppo  presto  forse,  o,  chissà,  troppo  tardi. 

E  viene  la  sera  e  noi  ce  ne  torniamo,  dopo  aver  sollevato  il  solleva- 
bile, su  per  cresta  verso  il  fumo  che  lontano  manda  al  cielo  già  scuro  l'al- 
berghetto. 

Per  quattro  giorni  abbiamo  battuto  i  monti  H  intorno,  per  quattro 
giorni  abbiamo  sollevato  migliaia  di  pietre  alla  ricerca  del  rarissimo,  forse 


*  *  * 


Fig.  6  -  Carabo  depresso. 
Al  vero  =  I  


28 


Al  vero  =* 


Carabo  di  Olimpia. 

TAVOLA  IV 


estinto,  insetto.  Su  questa  stessa  terra,  su  queste  stesse  rocce,  per  circa  ot- 
tant'anni,  sono  passati  ricercatori  ed  entomologi  ad  ogni  estate,  e  le  stesse 
pietre  che  noi  ora  alziamo  sono  state  sollevate  ogni  volta  nella  febbrile  ri- 
cerca. Nomi  famosi  dell'entomologia:  Sella,  Baudi,  Ghiliani  e  centinaia  di 
altri  noti  ed  ignoti.  Ogni  pietra  ha  raschiato  un  poco  di  pelle  agli  indolen- 
ziti polpastrelli  e  molte  dovrebbero  portare  un  nome  come  sui  marmi  dei 
cimiteri:  un  nome,  sempre  lo  stesso:  «  Carabus  Olympiae». 

*  *  * 

Ed  ora  dobbiamo  tornare,  ora  i  sacchi  ormai  leggeri  e  quasi  vuoti  non 
pesano  più  e  sono  pronti  sul  tavolo.  L'albergatore  arriva  col  conto  e  sua  mo- 
glie viene  a  salutarci.  Ci  fa  vedere  con  orgoglio  i  registri  con  i  nomi  dei 


Fig.  7  -  Carabo  cancellato. 
Al  vero  =  I  1 


clienti:  —  Vedete?  Questo  veniva  qui  con  tutta  la  famiglia  ogni  estate,  e 
questo,  questo  è  un  francese  che  è  venuto  qui  apposta  dalla  Francia  per 
cercare  una  «  boia  »  che  esiste  solo  qui.  Una  «  boia  »  d'oro.  Ne  son  venuti 
tanti  a  cercarla. 

L'avvocato  ed  io  ci  guardiamo  stupefatti  ed  incomincia  l'interroga- 
torio. Ma  sì,  venivano  da  tutte  le  parti  d'Europa,  Tedeschi,  Francesi,  anche 
Italiani.  C'era  poi  un  mercante  tedesco  d'insetti  che  lo  aveva  incarico  di  rac- 
coglierli e  spedirglieli  in  Germania.  I  pastori  venivano  all'albergo  e  glie  li 
portavano;  lui  s'incaricava  di  spedirli.  Prima  della  guerra  del  '14  fin  dieci 
lire  l'uno  li  pagavano,  ed  i  pastori  tanti  ne  prendevano  che  ci  cavavano  il 
fitto  delle  baite  per  tutto  l'anno.  Centinaia  e  centinaia  ne  aveva  spediti. 

—  Ed  ora?  —  chiedo  io  — .  Ora  non  ce  n'è  pili;  nel  1930  avevano 
preso  gli  ultimi:  poi  non  se  ne  era  più  trovati. 


29 


Anche  quel  professore  francese,  nel  '35  era  venuto,  l'aveva  accompa- 
gnato lui  stesso  sul  posto,  ma  era  tornato  a  mani  vuote.  Una  volta  qual- 
cuno, azzoppato  o  senza  un'antenna,  era  stato  rimesso  in  libertà  ed  aveva  fatto 
razza  nelle  immediate  vicinanze  dell'albergo,  ma  anche  di  li  in  pochi  anni 
era  scomparso,  messo  nelle  bottigliette  di  vetro  e  spedito  in  Germania. 

Solo  qui  si  trovava,  ed  era  come  d'oro.  L'avvocato  mi  guarda:  met- 
tiamo i  sacchi  in  spalla  e  salutato  l'albergatore  ci  incamminiamo.  Nessuno 
di  noi  parla:  ognuno  va  col  pensiero  al  «  Carabus  Olympiae  »  alla  accanita 
ricerca,  ai  pastori  che  avevano  alzato  anch'essi  tutte  le  pietre:  dieci  lire  l'u- 
no, solo  qui  in  tutto  il  mondo  si  trovava,  ed  era  come  d'oro. 

Ripassiamo  davanti  alla  sorgente,  ma  questa  volta  non  ci  fermiamo. 
Le  erbe  fresche,  imperlate  di  gocce  d'acqua  vengon  su  nella  terra  fradicia 
ed  i  muschi  pendono  dalle  pietre  tutt'intorno.  Bel  posto  pel  «  Carabus  Olym- 
piae »,  penso,  ma  questa  volta  il  suo  nome  non  spunta  sulle  mie  labbra. 

*  *  * 

Bel  posto!  Forse  anche  qui  una  volta,  magari  l'azzoppato  che  aveva 
fatto  razza,  se  ne  stava  sotto  le  pietre  col  ventre  al  fresco  tutto  il  giorno, 
per  uscire  verso  il  crepuscolo  a  caccia.  Camminando  muto  penso  alla  gita 
mancata,  al  bel  sogno  svanito  di  poterlo  salvare  dalla  distruzione  portandolo 
su  monti  più  lontani  dove  non  fosse  più  disturbato,  e  vado  col  pensiero  in- 
dietro negli  anni,  quando  ancora  non  era  conosciuto  dagli  entomologi  e  i 
pastori  non  vi  facevan  caso. 

E  mi  par  di  vederlo  all'incerta  luce  della  sera  metter  fuori  da  sotto 
una  pietra  le  lunghe  antenne  in  continuo  movimento  quasi  a  fiutar  nella 
nebbia,  per  poi  uscire  sollevato  sulle  lunghe  sottili  zampe  col  corpo  snello, 
elegante  ed  oblungo,  col  corsaletto  purpureo  dorato  e  le  elitre  scolpite  nel- 
l'oro verde  e  rosso  a  costole  parallele  rilevate  e  granulate.  Esso  vaga  veloce 
tra  le  erbe  scrutando  e  investigando  sotto  ad  ogni  radice  sollevata,  in  ogni 
screpolatura  del  terreno:  le  antenne  e  i  palpi  sono  mossi  qua  e  là  per  ta- 
stare e  palpeggiare  in  cerca  di  preda.  Le  stelle  brillano  sulla  sua  corazza 
con  prodigiosi  bagliori  cangianti,  la  notte  è  fresca  ed  umida;  i  pastori  con 
le  bestie  dormono  al  caldo  nelle  stalle,  ma  fuori  l'aria  è  fredda  e  la  terra 
gelata. 

Va  diritto  davanti  a  sé  fino  a  che  sul  suo  cammino  non  incontri  una 
lumaca,  o  un  bruco  o  qualche  insetto  intorpidito  dalla  notte,  e  allora  con 
forti  morsi  delle  mandibole  la  preda  viene  assalita  e  squarciata  (Tav.  IV). 


.30 


Le  chiocciole  si  ritirano  nel  guscio  e  si  difendono  emettendo  bava  schiumosa 
dove  il  Carabo  affonda  le  mascelle.  Le  carni  sono  finalmente  trovate  ed  al- 
lora una  goccia  bruna  di  succhi  intestinali  brilla  nella  bianca  spuma  come 
una  perla  nera.  Le  mascelle  e  le  mandibole  tagliuzzano  e  spezzettano  mentre  i 
fermenti  attaccano  i  tessuti  lacerati  liquefacendoli  e  digerendoli  esterna- 
mente. Dopo  il  pasto,  con  l'addome  ripieno  gonfio  e  sporgente  di  sotto  le  eli- 
tre, il  Carabo  si  ripulisce  e  beve  affondando  la  testa  nella  terra  bagnata. 

Il  cielo  si  fa  più  chiaro,  le  stelle  non  sono  più  cosi  brillanti  ed  è  tem- 
po di  cercare  un  riparo  sotto  il  quale  nascondersi  dalla  luce  e  proteggersi 
dal  calore  del  sole.  Allora  vedo  il  mio  «  Olympiae  »  trotterellare  verso  la  pietra 
più  vicina  non  ancora  occupata  da  altri  inquilini  e  scomparire. 

Le  grandi  pietre,  le  cortecce  sollevate,  i  vecchi  tronchi  caduti  e  infra- 
ciditi nelle  foreste,  sono  il  riparo  giornaliero  costante  di  tutti  i  Carabidi  cosi 
amanti  del  buio,  del  fresco  e  dell'umidità. 

Cosi  per  tutto  luglio  il  solitario  girovago  notturno  gira  di  pietra  in 
pietra  negli  umidi  pascoli.  Quando  piove  o  quando  la  fìtta  nebbia  sale  lenta 
dalla  valle  e  sommerge  nei  suoi  grigi  vapori  le  alte  praterie  e  i  colli  alpini, 
ed  il  sole  si  vela,  impallidisce  e  scompare,  allora  pure  di  giorno  egli  lascia  il 
ricovero  ed  esce  all'aperto  a  cacciare  perché  l'appetito  gli  attanaglia  le 
•viscere  in  perpetuo.  E  tutti  gli  altri  Carabidi,  ad  eccezione  di  pochi  vegeta- 
riani, come  lui  sono  cacciatori  crepuscolari  e  notturni,  accaniti  ed  affamati. 


Fig.  8  -  Calosoma  sicofanta. 
Al  vero  =  I  


31 


Carabi  smaglianti  nelle  loro  corazze  cesellate  e  scolpite,  meravigliose  Calo- 
some  dalle  elitre  dorate  tempestate  di  miriadi  di  smeraldi  (Fig.  8),  e  tutta 
la  famiglia  dei  piccoli  Carabidi  splendidi  ed  eleganti  come  il  superbo  bellis- 
simo: «  Callistus  lunatus  »  (Tav.  V),  o  straordinarii  come  i  Brachini  bombar- 
dieri che  ti  lanciano  contro  le  dita  un  bruciante  getto  liquido  che  al  contatto 
dell'aria  immediatamente  si  vaporizza  in  una  nuvoletta  di  fumo  producendo 
un  piccolo  crepitio  (Fig.  9).  Veri  agenti  investigatori,  vere  guardie  notturne  dei 
prati  dei  boschi  e  degli  orti,  essi  divorano  una  quantità  incredibile  di  luma- 
che e  di  insetti  dannosi,  tanto  da  esser  stati  importati  dall'Europa  nel  Nord 
America  in  regioni  infestate  dai  bruchi  o  negli  orti  o  nei  giardini  a  difesa  delle 
insalate  a  far  compagnia  alla  tarda  tartaruga  e  al  modesto  utilissimo  rospo. 


Fig.  9  -  Brachino  bombardiere. 
Al  vero  =  I  1 


Qui  l'«  Olympiae  »  cura,  non  pagato,  gli  interessi  dei  pastori  che  an- 
cora non  si  sono  accorti  di  lui  nei  pascoli  che  formano  con  le  bestie  l'unica 
loro  ricchezza. 

*  *  * 

Luglio  è  passato,  trascorso  è  l'agosto  e  il  mio  Carabo  è  vecchio  e  mal- 
fermo sulle  zampe. 

Queste  non  sono  più  agili  e  veloci  come  una  volta,  e  le  mandibole 
stanche  non  serrano  pili  la  preda  che  spesso  riesce  a  sfuggire.  Gli  pesano  quat- 
tordici mesi  sulle  spalle  da  quando  è  schiuso  dall'uovo  l'anno  prima.  Al- 
lora era  un'agile  allungata  larva  corazzata  di  nero,  vorace  ed  affamata  an- 
cor più  dell'adulto.  In  pochi  mesi,  cacciando  anch'essa  sotto  le  stelle  e  la 
luna,  aveva  raggiunto  la  maturità  e  si  era  scavata  una  celletta  nella  terra 
sotto  una  pietra  profondamente  infossata.  Là  era  avvenuta  la  metamorfosi 
e  dalla  vecchia  scura  pelle  era  uscita  la  pupa  chiara  e  quasi  trasparente. 
A  settembre,  dopo  un  corto  periodo  di  riposo,  era  schiuso  il  Carabo  bruno 


32 


TAVOLA  V 


* 


chiaro  senza  consistenza,  ma  in  pochi  giorni  la  corazza  era  quella  di  adesso: 
dura  e  brillante.  Aveva  passato  l'inverno  interrato  profondamente  sotto  qual- 
che lastrone  al  riparo  dagli  ottanta  centimetri,  un  metro  e  forse  più  di  neve, 
per  poi  uscir  nuovamente  verso  metà  luglio.  Le  caccie,  gli  amori,  la  deposi- 
zione delle  uova;  ed  ora  ai  primi  di  settembre  l'improvvisa  vecchiaia  e  l'a- 
gonia. Il  corpo  non  più  sollevato  sulle  sottili  agili  zampe,  si  trascina  ma- 
lamente a  terra  mezzo  paralizzato;  le  antenne  non  si  agitano  più  febbril- 
mente e  una  crosta  terrosa  incolla  le  mascelle  ed  i  palpi  in  un  immobile 
groviglio. 

Il  sole  sorge  dietro  le  montagne  nel  cielo  color  dei  rododendri  e  il 
Carabo  muore.  Per  la  prima  volta  la  luce  del  sole  brilla  sulla  sua  corazza 
con  infuocate  luci  d'oro  verde  e  di  porpora.  Primi  di  settembre  1854.  Un 
passo  leggero  femminile  si  accosta,  una  mano  gentile  si  abbassa  e  raccoglie 
la  gemma.  Il  primo  sguardo  umano  si  posa  sulle  elitre  scolpite  color  di 
smeraldo  e  di  fiamma. 

Poi  il  Carabo  vien  portato  a  Torino  e  l'anno  seguente  Eugenio  Sella 
descriverà  sulla  «  Revue  et  Magazìn  de  Zoologie  »  la  nuova  specie  scoperta 
dalla  cugina  Olimpia  ed  a  lei  dedicata. 

Con  la  propria  morte  quel  Carabo  decreta  la  morte  di  tutti  i  suoi  fra- 
telli e  l'estinzione  in  meno  di  ottant'anni  della  sua  razza  localizzata  a  quel- 
l'unico pascolo  umido. 

Da  allora,  col  Sella  in  testa,  una  caccia  sfrenata  vien  condotta  al  «  Ca- 
rabus  Olympiae  ».  I  musei  di  zoologia  di  tutto  il  mondo,  gli  entomologi  di 
Francia,  Inghilterra  e  Germania  chiedono  e  comprano  a  prezzi  assai  ele- 
vati il  magnifico  insetto.  I  collezionisti  d'ogni  regione  che  riservano  il  posto 
d'onore  ai  Carabi  per  il  loro  splendore  e  per  la  ricchezza  della  loro  scultura, 
offrono  in  cambio  i  più  rari  esemplari  di  Cina,  Siberia,  Caucaso  e  Spagna. 
I  mercanti  d'insetti  fiutano  l'affare  e  vengono  appositamente  per  organizzare 
la  ricerca  e  la  spedizione,  e  i  pastori  vengono  presi  anch'essi  dalla  febbre  ed 
alzano  pietre  su  pietre  minacciando  col  bastone  gli  altri  ricercatori  che  ven- 
gono dalla  città.  Ora  non  esiste  più:  distrutta  è  la  specie,  estinta  è  la  razza. 
Ora  non  c'è  più  pericolo  di  prendere  una  bastonata:  il  mio  sogno  di  far  ri- 
suscitare l'«  Olympiae  »  è  svanito. 

*  *  * 

Mi  risveglia  dal  mio  fantasticare  l'avvocato:  ha  preso  un  magnifico 
Coleottero  copronlo  dalla  convessa  corazza  superiormente  liscia,  verde  lac- 


33 


cata  e  sotto  color  dell'ametista;  ma  è  comune,  ne  abbiamo  già  tanti,  e  lo 
lascia  andare:  fosse  stato  un  «  Olympiae  »! 

Sui  pendii  scoscesi  appaiono  ora  le  esili  betulle  dal  tronco  zebrato  di 
bianco  e  nero.  Più  sotto  si  scorgono  le  macchie  scure  dei  castagni,  più  sotto 
ancora  la  polvere  vela  il  fondo  valle  e  l'aria  qua  è  piti  calda  e  pesante.  Dal- 
l'alto ci  giunge  ancora,  a  tratti  col  vento,  lo  scampanare  dei  campani  delle 
mandre  pascolanti  sul  colle  nei  pascoli  umidi. 


34 


IL  SOMMERGIBILE  VOLANTE 


«  Tra  le  istituzioni  o  invenzioni  di 
cui  s'inorgogliscono  gli  uomini,  io  cerco 
invano  quali  sono  quelle  di  cui  un  in- 
setto non  abbia  avuto  l'idea  prima  di 
essi  s>. 

Georges  Arma.nd  Masson 


CAPITOLO  III 


IL  SOMMERGIBILE  VOLANTE 


Laggiù,  in  fondo,  le  colline  si  ammonticchiano  sulle  colline,  soffici, 
morbide,  come  strane  nubi  verdi  venute  a  posarsi  sulla  pianura. 

E  là,  sulle  colline,  passano  nuvole  grasse,  pingui  di  lana  bianca  e  ne 
perdono  fiocchi  distratti  nell'azzurro  intenso  e  luminoso. 

Qui  le  foglie  degli  alti  pioppi  mandano  tremule  lievi  chiazze  d'ombra 
sulle  sabbie  infuocate  che,  pili  lontano,  si  perdono  e  muoiono  nelle  fresche 
acque  del  Sangone. 

Dietro  ai  pioppi  un'alta  scarpata  sassosa  nasconde  con  le  sue  macchie 
di  acacie  e  di  sambuchi,  le  ultime  case  della  città. 

Di  là  del  Sangone  prati  e  boschi. 

Qui  non  giungono  barche  e  il  torrente  è  ancora  libero  e  selvaggio; 
con  le  piene  si  porta  via  fette  di  terra  e  di  prato  e  copre  di  sabbia  i  tratti 
meno  profondi  mutando  capricciosamente  corso  ogni  anno.  Han  ben  tentato 
di  imbrigliarlo  e  domarlo,  ma  le  dighe  son  state  travolte  ed  hanno  ceduto  o 
si  sono  coricate  ed  affondate  nell'umida  rena. 

Dove  l'acqua  è  pili  alta  è  un  piacere  tuffarsi  d'estate  e  nuotare:  se 
fai  il  morto  e  lento  ti  lasci  portare  dalla  corrente,  sopra  di  te  nel  cielo 
vedi  passare  bassi  e  veloci  i  rombanti  areoplani  del  vicino  campo  d'avia- 
zione di  Mirafiori.  Spuntano  improvvisi  sopra  i  pioppi,  in  un  baleno  per- 
corrono lo  spazio  libero  del  cielo  e  scompaiono  dietro  le  scure  macchie 
dei  boschi  dall'altra  parte  del  torrente. 

Ma  il  paesaggio  non  ne  è  turbato;  la  natura  non  ne  è  offesa  cosi 
rapidi  sorgono  e  scompaiono. 

Non  è  la  vecchia  natura  che  si  stupisce  e  si  scompone  di  fronte  alle 


37 


macchine  dell'uomo:  ogni  nostra  invenzione  più  mirabolante,  ogni  più 
astrusa  macchineria  è  solo  un  debole  riflesso,  una  misera  pietosa  copia  di 
quanto  la  natura  da  migliaia  e  migliaia  di  secoli  ha  risolto  con  tanta  tran- 
quilla semplicità. 

Il  piccolo  Coleottero  bombardiere  che  mette  in  fuga  i  suoi  nemici 
esplodendo  nuvolette  corrosive  è  un  inconscio  precursore  della  terribile 
guerra  chimica,  mentre  la  Lucciola,  che  accende  e  spegne  il  suo  lumino 
volando  di  notte  sulle  umide  erbe,  riesce  a  produrre  una  luce  pura 
senza  calore  che  nessuna  nostra  lampadina  elettrica  è  riuscita  a  darci. 
Possono  ben  passare  i  rombanti  areoplani,  orgoglio  della  nostra  epoca,  nel- 
l'azzurro cielo  sopra  il  Sangone:  da  migliaia  di  anni,  molto  tempo  prima 
dell'uomo  il  modesto  e  comune  Maggiolino  (Fig.  10)  col  suo  volo  rumoroso  ha 


Fig.  10  -  Il  comune  Maggiolino. 
AI  vero  =  I  1 


risolto  il  problema  del  più  pesante  dell'aria  ed  ha  anticipato  le  nostre 
macchine  volanti;  e  il  grosso  Coleottero  oliva  orlato  di  giallo,  il  Ditisco 
marginale,  che  nuota  veloce  nelle  chiare  acque,  se  la  ride  dei  nostri  som- 
mergibili. 

All'imbrunire,  stanco  di  starsene  sott'acqua,  il  Ditisco  esce  fuori, 
annaspa  malcerto  sul  fango  della  riva,  apre  le  dure  elitre,  mette  in  moto 
le  eliche  delle  sue  ali  membranose  e  via  a  volo  per  il  cielo.  Noi  non  ab- 
biamo ancora  pensato  al  sommergibile  volante. 

*  *  * 

Dopo  il  bagno,  distesi  mezzi  nudi  sulla  spiaggia,  le  mani  affondate 
nell'arena  calda,  nelle  orecchie  bagnate  il  rumore  delle  acque  che  scorrono, 


38 


ci  si  ubriaca  di  sole  e  a  chiudere  gli  occhi  si  vede  ancora  un  pulviscolo 
d'oro  tremante.  Le  palpebre  sono  abbassate,  ma  tu  senti  che  nuvole  bian- 
che iridescenti  come  la  schiuma  dell'acqua  fresca  che  muore  ai  tuoi  piedi, 
vanno  nel  cielo  azzurro  e  tu  sogni.  Non  più  esili  pioppi,  non  più  il  dolce 
profumo  di  acacie  in  fiore,  ma  alte  e  sottili  palme  e  un  amaro  odor  di 
mare,  di  quel  mare  che  laggiù  lontano  bagna  le  isole  dei  mari  del  sud  e 
si  rompe  in  mille  schegge  sulle  scogliere  di  corallo. 

Ci  siamo  stati  tutti  in  sogno  nelle  paradisiache  isole  dei  mari  del 
sud;  ognuno  di  noi  una  volta  almeno  si  è  tuffato  in  quei  mari  di  sogno, 
in  quello  schiumare  e  spumeggiare  di  onde  che  ti  lava  da  tutte  le  vernici 
della  civiltà  e  ti  rifa  il  primitivo  uomo  di  un  tempo. 

Eppure  anche  qui  a  due  passi  dalla  città,  a  saper  guardare,  ci  sono 
i  meravigliosi  mari  del  sud.  Conosco  un  posto  dove  una  volta  passava  il 
Sangone.  Ora  le  acque  si  sono  spostate  lontano  ed  è  rimasto  un  piccolo 
rigagnolo  nascosto  dai  sambuchi  e  dai  rovi.  Ogni  tanto  si  perde  nel  fango 
e  forma  cosi  una  fila  di  piccole  pozzanghere,  di  laghetti  in  miniatura 
dove  l'acqua  scorre  lentissima  e  calma.  Se  apri  l'intricato  groviglio  di  spini 
e  scosti  i  bassi  rami  dei  sambuchi,  ti  appare  nella  quieta  ombra  un  umido 
luccichio  rotto  a  cerchi  dall'affrettato  tuffo  di  qualche  rana  guizzata  via 
quasi  di  sotto  al  piede. 

Grossi  pietroni  tondeggianti  sorgono  come  isolette  dall'acqua  scura 
quasi  nera  per  un  cupo  lussureggiare  d'alghe  sommerse  e  per  lo  spesso 
strato  di  foglie  morte  che  copre  il  fondo  fangoso.  Come  graziosi  rametti  di 
corallo  rosa,  rosso  e  viola  scuro,  spuntano  e  pendono  sotto  una  ripa  le 
radici  degli  alberi  e  sulle  piccole  spiagge  e  nelle  minuscole  baie  si  ra- 
duna una  bionda  schiuma  di  bollicine  che  il  poco  sole  che  giunge  fin  li 
tra  le  foglie  illumina  di  iridescenze  madreperlacee. 

Fa  fresco,  nascosti  cosi  nell'ombra,  e  le  ore  passano  senza  che  tu 
te  ne  accorga  ad  osservare  le  piante  o  gli  insetti.  Sulle  sponde  crescono 
gli  equiseti  come  strane  foreste  d'altri  paesi  o  di  altri  tempi,  e  ciuffi  di 
giunchi  e  di  erbe  acquatiche  d'ogni  specie  sono  sommersi  od  escono  dalle 
acque  muovendo  alla  pacifica  conquista  delle  fradice  spiagge  fangose 
dove,  nei  tratti  liberi  da  vegetazione,  corrono  veloci  ed  agili  i  piccoli 
lucidi  Coleotteri  Carabidi  ed  i  paradossalmente  allungati  e  stretti  Stafili- 
nidi  più  conosciuti  col  nome  di  «  rizzaculo  »  perché  portano  dritto  e  rial- 
zato in  aria  l'addome  la  cui  nudità  la  giacchetta  delle  elitre,  troppo  corta, 
non  riesce  a  ricoprire  (Fig.  11). 

Piccolissimi  pesciolini  semitrasparenti  nuotano  a  schiere  lungo  la 


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riva;  qualche  rana  riappare  con  la  testa  fuor  d'acqua  e  ti  osserva,  e  tra 
le  alghe  è  un  brulichio  di  vita  insospettata. 

Le  lumachine  d'acqua  si  portano  dietro  le  eleganti  conchiglie  a 
piatta  spirale  o  a  forma  di  minuscole  buccine.  Le  loro  uova  sono  attac- 
cate, come  delicate  perline,  alle  piante  acquatiche  in  piccole  masse  gela- 
tinose (Tav.  VI  in  alto). 

Dove  giunge  il  sole  l'acqua  è  limpida  e  chiara  e  tu  puoi  vedere 
insetti  d'ogni  specie  nuotare  o  correre  sul  fondo  o  tra  le  alghe. 

Di  tanto  in  tanto  qualcuno  viene  a  galla,  sosta  col  culetto  in  aria, 
e  poi  il  piccolo  palombaro  si  immerge  nuovamente  e  giù  a  capofitto  se  ne 
torna  alle  sue  peregrinazioni  subacquee  recando  all'estremità  posteriore 
una  scintillante  bollicina  d'aria. 


Fig.  11  -  Stafilino  (Pedero). 
Al  vero  =  I  1 


Ce  n'è  di  piccolissimi,  ovali  lucidi  e  macchiettati  di  paglierino  sul 
bruno  scuro;  altri,  un  po'  più  grossetti,  a  forma  di  mandorla,  sono  lac- 
cati di  nero  e  portano  quattro  macchioline  rosse;  nascosto  tra  le  foglie 
morte  del  fondo  c'è  il  grande  Idrofilo  color  della  pece  (Fig.  12). 

Quest'altro,  che  nuota  veloce,  grosso  e  robusto,  verde  oliva  orlato 
di  un  giallo  chiarissimo,  è  il  Ditisco  terrore  delle  acque,  il  pescecane  dei 
Coleotteri,  il  mio  sommergibile  volante  (Tav.  VI). 

Discendente  dall'antica  e  nobile  schiatta  dei  Carabidi  cosi  amanti 
dell'umidità,  il  Ditisco  e  tutti  i  Coleotteri  della  sua  famiglia,  vive  nel- 
l'acqua e  si  è  meravigliosamente  e  perfettamente  modificato  ed  adattato 
alla  vita  nel  liquido  elemento. 

Esso  è  come  costruito  sul  disegno  di  un  abilissimo  ingegnere  e  le 
sue  forme  elegantemente  curve  corrispondono  a  quelle  modernissime  aereo 


40 


Al  vero  =  | 


Ditisco  marginale. 


TAVOLA  VI 


ed  idrodinamiche  delle  nostre  macchine,  opponendo  il  minimo  di  resistenza 
all'acqua  nella  quale  è  destinato  a  muoversi.  Il  corpo  di  questa  meravi- 
gliosa macchina  vivente  è  reso  impermeabile  da  una  secrezione  grassa  ed 
ha  un  contorno  regolarmente  ovale,  assottigliato  verso  il  capo  e  verso  l'e- 
stremità posteriore,  più  spesso  nella  parte  anteriore  e  presentante  così  la 
struttura  pili  adatta  a  fendere  le  acque  nel  nuoto  veloce.  I  tarsi,  o  piedi, 
delle  zampe  posteriori,  non  dovendo  più  servire  alla  locomozione  terrestre, 
si  sono  appiattiti  ed  arricchiti  di  una  larga  frangia  laterale  di  ciglia  do- 
rate modificandosi  cosi  in  due  robusti  ed  agili  remi. 

Sommerso  nelle  acque  chiare  e  ricche  di  vegetazione,  dove  le  cor- 
renti non  sono  troppo  forti,  con  pochi  colpi  vigorosi  dei  due  remi  spinti 
contemporaneamente  all'indietro,  esso  percorre  velocissimo  lunghi  tratti 
inseguendo  la  preda. 


Fig.  12  -  L' Idrofilo  color  della  pece. 
Al  vero  =  I  


Feroce  e  vorace,  egli  assale  ogni  essere  vivente  nelle  acque;  insetti, 
lumache,  vermi  e  persino  piccoli  pesci  e  larve  di  rana  non  sfuggono  ai  suoi 
attacchi. 

Nascosto  ed  immobile  fra  le  alghe,  esso  pare  placidamente  addor- 
mentato, ma,  non  appena  i  suoi  grandi  tondi  occhi  minutissimamente 
sfaccettati  e  privi  di  palpebre  percepiscono  qualche  cosa  di  vivo  passare 
vicino,  esso  scatta  fulmineo  e  raggiunge  la  disgraziata  vittima  che  viene 
catturata  e  portata  alla  bocca  con  le  zampe  anteriori.  Invano  la  preda 
tenta  sfuggire  e  a  nulla  vale  se  essa  è  robustamente  corazzata:  in  questo 
caso  il  Ditisco  l'attacca  nel  punto  d'unione  del  capo  col  protorace  dove 
la  pelle  è  più  delicata  e  facile  da  lacerare,  e  cosi  ha  ragione  anche  del- 
l'Idrofilo che  pure  è  assai  più  grande  e  vigoroso  di  lui. 


41 


Le  piccole  bestie  sono  direttamente  ingoiate  mentre  quelle  più  volu- 
minose vengono  fatte  a  pezzi  dalle  robuste  mandibole  e  dalle  mascelle.  A 
volte  capita  che  l'ingordo  ingoi  pezzi  duri  di  corazza  od  ossicini  che  non 
può  digerire  e  che  è  costretto  allora  a  vomitare. 

E  meraviglioso  pensare  al  miracolo  di  perfezione  racchiuso  in  un  in- 
setto che  raggiunge  appena  i  tre  centimetri  e  mezzo,  eppure  il  Ditisco  è 
un  gigante  rispetto  ai  piccoli  Coleotteri  che  sono  inferiori  al  millimetro 
di  lunghezza  e  che,  anch'essi  come  lui,  hanno  zampe  ed  antenne  artico- 
late, mandibole  e  complicati  pezzi  boccali,  nervi  che  comandano  ogni 
movimento,  muscoli,  minuti  tuboli  per  la  respirazione,  intestino  per  la  dige- 
stione. Ed  è  straordinario  che  in  un  millimetro  ci  sia  ancora  posto  per 
riserve  di  grasso,  per  una  linfa  circolante  e  per  mille  altre  piccole  cose 
necessarie  alla  vita. 

L'apparato  digerente  del  Ditisco  è  assai  simile  a  quello  dei  Carabi 
e  delle  Cicindele  (Tav.  VII).  All'esofago  segue  l'ingluvie  a  forma  di  pera 
che  serve  da  temporaneo  deposito  del  cibo  appena  ridotto  in  pezzi;  una 
strozzatura  lo  divide  dal  ventriglio  dove  quattro  minuscoli  dentini  cornei 
masticano  e  spappolano  il  cibo  che,  cosi  ridotto  in  poltiglia,  passa  nell'in- 
testino medio  o  stomaco  dove  avviene  la  vera  e  propria  digestione.  Nel- 
l'estremità posteriore  dell'intestino  medio  sboccano  i  vasi  di  Malpighi  cosi 
detti  dal  loro  primo  scopritore  e  che  funzionano  da  reni  assorbendo 
dall'interno  del  corpo  i  prodotti  della  disassimilazione  e  versandoli  in  se- 
guito nell'intestino  tenue.  Questo  nel  Ditisco  è  assai  più  allungato  che  non 
nei  Carabi  e  nelle  Cicindele  e  ne  differisce  specialmente  per  la  pre- 
senza di  un'appendice  inserita  poco  innanzi  al  retto  e  costituente  una 
specie  di  tasca  dove  vengono  raccolti  ed  immagazzinati  i  residui  non  assor- 
biti del  canale  intestinale,  che  formano  cosi  un  carico  di  zavorra  che  per- 
mette al  Ditisco  di  regolare  il  suo  peso  che  deve  sempre  essere  uguale. 
Cosi,  quando  esso  si  è  ingozzato  di  cibo  divenendo  troppo  pesante,  allora 
svuota  l'ampolla  rettale;  quando  invece  è  troppo  leggero,  la  riempie  d'ac- 
qua, ingoiandola,  in  modo  da  raggiungere  in  entrambi  i  casi  il  peso  nor- 
male. Solamente  cosi  equilibrato  esso  può  procedere  velocemente  nell'acqua 
e  cercare  la  preda. 

Bello,  elegante,  ma  feroce  ed  affamato,  questo  pirata  subacqueo  va 
a  caccia  specialmente  all'imbrunire  nella  liquida  e  calma  luce  crepuscolare, 
o  addirittura  di  notte.  Di  giorno,  quando  il  sole  rischiara  fin  sul  fondo  lo 
stagno,  e  le  limpide  acque  hanno  chiare  trasparenze  opaline,  mollemente 
cullato  dal  morbido  ondeggiare  delle  alghe,  esso  riposa  aggrappato  a  que- 


42 


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ste  o  semplicemente  trattenuto  sott'acqua  da  qualche  foglia  che  gli  impe- 
disce di  venire  a  galla. 

Di  quando  in  quando  sale  alla  superficie  a  respirare  perché,  malgrado 
passi  tutta  la  vita  immerso  nell'acqua,  esso  non  può  prendere  direttamente 
da  essa  l'ossigeno  come  fanno  i  pesci,  certi  anfibi,  e  qualche  insetto,  ma 
è  costretto  a  respirare  l'aria  atmosferica  precisamente  come  i  Carabi  suoi 
antichi  antenati.  Allora  esso  si  pone  a  testa  ingiù,  l'estremità  dell'addome 
fuor  d'acqua,  le  due  zampe  posteriori  divaricate  ed  innalzate  fino  a  toc- 
carne la  superfìcie.  L'apice  delle  elitre,  ben  chiuso  sull'addome  durante  il 
nuoto,  vien  sollevato  e  l'aria  può  penetrare  cosi  sotto  di  esse  e  raggiun- 
gere gli  stigmi  che  si  aprono  sui  due  lati  superiori  dell'addome  che  qui  è 
ricoperto  da  una  folta  e  morbida  pelliccetta. 

L'aria,  attraverso  il  paio  di  stigmi  di  ogni  segmento  addominale, 
penetra  in  un  sistema  di  tuboli  le  cui  ramificazioni  raggiungono  tutte  le 
più  piccole  parti  interne  del  corpo  e  degli  arti  a  rinnovarne  direttamente 
l'ossigeno,  mentre  il  liquido  circolante  negli  spazi  liberi  tra  viscere  e  vi- 
scere non  ha  che  il  compito  di  nutrire  ogni  singolo  organo.  Questa  linfa 
è  ricca  di  globuli  bianchi  ma  priva  di  quelli  rossi  e  bagna  ogni  parte  in- 
terna del  corpo  ed  è  solamente  incanalata  in  un  vaso  dorsale,  funzio- 
nante da  cuore,  posto  sopra  l'intestino  ed  aperto  alle  due  estremità;  attra- 
verso questo  cuore,  sospinta  dalle  pulsazioni,  essa  passa  e  ritorna  a  circo- 
lare. Durante  la  respirazione,  il  Ditisco  si  pulisce  luna  con  l'altra  le 
zampe  anteriori  e  medie  e,  quando  ha  raccolto  sotto  le  elitre  una  suffi- 
ciente provvista  d'aria,  esso  si  immerge  rapidamente  recando  a  volte  una 
bollicina  sporgente  dall'estremità  delle  elitre. 

Questa  provvista  d'aria  serve  ad  alleggerire  il  corpo  che  cosi  tende 
sempre  a  risalire  a  galla  ed  ha  invece  un'influenza  trascurabile  per  la  vera 
respirazione  quando  il  Ditisco  è  immerso. 

Come  lui  respirano  tutti  i  Ditiscidi  mentre  molti  Coleotteri  acquaioli 
di  altre  famiglie  si  comportano  diversamente:  il  grande  Idrofilo  color  della 
pece  sporge  fuor  d'acqua  le  antenne  rivestite  di  peli  idrofughi  e  lungo  que- 
ste l'aria  vien  portata  fin  sotto  le  elitre  e  nella  parte  inferiore  dell'addome 
dove  rimane  aderente  per  mezzo  di  una  fitta  peluria  impermeabile  che 
assume  l'aspetto  di  un  velo  argenteo;  altri,  come  le  «  H aemonia  »  si  servono 
pure  delle  antenne  con  le  quali  raccolgono  le  piccole  bolle  d'ossigeno  pro- 
dotte dalle  piante  acquatiche  e  le  portano  a  rivestire  tutta  la  parte  infe- 
riore del  corpo  che  si  presenta  lucente  come  una  goccia  di  mercurio.  Cosi 
le  larve  delle  metalliche  e  splendenti  Donace  assorbono  esse  pure  dalle 


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piante  l'ossigeno  necessario  e  si  metamorfosano  in  bozzoletti  posti  in  diretto 
rapporto  coi  canali  aereiferi  dei  vegetali.  Solo  pochi,  specialmente  larve, 
riescono  a  respirare  assorbendo  l'ossigeno  direttamente  dall'acqua. 

Spesso,  dopo  aver  respirato  a  lungo,  il  Ditisco,  per  la  troppa  legge- 
rezza acquistata,  non  riesce  ad  immergersi  facilmente  ed  allora  ritorna  in 
funzione  l'ampolla  rettale  che  viene  riempita  d'acqua  e  cosi,  riacquistato 
il  peso  normale,  il  piccolo  sommergibile  può  nuovamente  tuffarsi  e  nuo- 
tare agevolmente. 

*  *  * 

Nelle  calde  sere  d'estate  e  d'autunno  quando  sullo  stagno  incomin- 
ciano a  galleggiare  e  a  navigar  lente  le  prime  foglie  morte  dei  pioppi, 
delicatamente  colorate  di  bruno,  di  nocciola  o  di  tabacco,  e  tutto  intorno 
i  rovi  già  cosi  verdi  s'arrossano  e  le  fronde  di  sambuco  impallidiscono 
prendendo  sfumature  gialline,  e  le  acque  son  calate  e  ne  sporgono  fuori  e 
intristiscono  le  piante  un  giorno  sommerse,  allora  il  Ditisco  capisce  che  lo 
stagno  sta  per  asciugarsi  e  cerca  altre  acque  più  profonde,  altre  riserve  di 
caccia  più  libere  dalla  putrida  agonia  delle  alghe. 

Esso  si  arrampica  a  riva,  esce  fuori  dal  suo  consueto  elemento  e  gof- 
famente procede  a  terra  verso  un  punto  rialzato  strascicando  malamente 
sulla  crosta  fangosa  gli  inutili  remi.  Le  ombre  degli  alberi  già  allungate 
inverosimilmente  sono  ora  scomparse  e  un'unica  penombra  vela  le  cose. 
Dal  Sangone  sale  una  nebbiolina  chiara  e  le  colline  lontane  sono  immerse 
in  grigi  vapori. 

Il  corpo  sollevato  sulle  zampe  anteriori,  l'ampolla  rettale  svuotata, 
molta  aria  inspirata  attraverso  gli  stigmi  per  riempirne  i  due  sacchi  in- 
terni, il  Ditisco  dischiude  le  elitre:  le  ali  membranose,  nascoste  e  ripie- 
gate sotto  di  esse,  si  distendono  per  l'aria  che  penetra  nelle  loro  trachee 
e  battono  con  un  crescendo  rumoroso  ed  intenso.  Le  antenne  protese  al- 
l'innanzi  vibrano  e  palpitano.  Il  ronzio  è  al  massimo,  le  elitre  vengono 
completamente  aperte  e  il  sommergibile  volante  s'alza  a  volo  nell'oscurità. 

Le  erbe  stanno  ora  sotto  di  lui  distanti  ;  distanti  sono  i  luccicori  dello  sta- 
gno e  già  le  pili  alte  vette  dei  pioppi  sono  raggiunte  ed  eccolo  libero  e  leggero. 

Le  dure  elitre,  immobili  e  rigide,  aperte  e  perpendicolari  al  corpo 
come  le  ali  d'un  areoplano,  sostengono  il  Coleottero,  mentre  le  vere  ali 
membranose,  mosse  e  battute  rapidissimamente,  funzionano  da  eliche  e  gli 
permettono  di  percorrere  le  vie  del  cielo. 


46 


Esso  non  può  gareggiare  con  le  pazze  velocità  delle  Libellule  che 
raggiungono  in  volo  i  trenta  chilometri  all'ora  e  neppure  con  i  modesti 
dieci  chilometri  del  Maggiolino,  ma  pure,  se  il  tempo  è  favorevole  e  tran- 
quillo, esso  può  lentamente  percorrere  notevoli  distanze. 

Sotto  di  lui  ora  la  città  muore  tra  i  prati:  non  ci  sono  ancora  fab- 
briche, ma  isolate  e  basse  casupole  e  villette.  Giunge  fin  lassù  in  alto 
l'odor  di  fumo  e  di  fascine  bruciate  che  si  sente  solo  in  campagna.  Ora  è 
sopra  a  grandi  costruzioni,  a  gruppi  di  case  popolari  che  paiono  tagliate 
a  fette;  e  altissimi  camini  mandano  sottili  lingue  di  nubi  che  stagnano 
sospese  a  mezz'aria. 

Dall'alto  il  lungo  susseguirsi  ed  incrociarsi  di  viali  e  strade  e  piazze 
dà  l'impressione  che  sulla  pianura  vi  sia  un'immensa  rete  di  canali  nei 
quali  si  riflettono  come  tante  lune  le  luci  di  collane  di  lampioni;  spesso  il 
Ditisco,  ingannato  dal  brillare  dell'asfalto,  racchiuse  le  ali  sotto  le  elitre,  si 
butta  a  capofitto  per  tuffarsi  in  quell'acqua  e  precipita  invece  sul  liscio  e 
duro  pavimento  di  un  viale.  E  cosi  che  spesso  se  ne  trovano  in  città  tramor- 
titi od  uccisi  sotto  i  fanali,  ma,  quando  le  cose  vanno  bene,  allora  egli  si 
precipita  realmente  in  uno  stagno  o  in  un'altra  pozza  d'acqua. 

Leggero  e  pieno  d'aria,  l'ampolla  rettale  della  zavorra  vuota,  esso  non 
riesce  sempre  a  fendere  la  superficie  e  ad  avvinghiarsi  sotto  questa  a  qualche 
pianta  ed  allora  galleggia  per  ore  ed  ore  finché,  ingoiata  molta  acqua  e  ri- 
stabilito il  peso  consueto,  può  finalmente  immergersi  e  nuotare  liberamente. 

*  *  * 

Mentre  poche  specie  di  Ditiscidi  si  trovano  nelle  calde  acque  termali, 
altre  sono  cosi  poco  sensibili  al  freddo  da  vivere  persino  nelle  acque  della 
gelata  Groenlandia  o  nei  laghetti  alpini  oltre  i  tremda  metri.  Da  noi  quando 
fa  freddo  e  giungono  i  primi  geli,  qualche  Ditisco  meno  freddoloso  conti- 
nua a  rimaner  nello  stagno  e  a  nuotare  nelle  acque  sotto  un  duro  strato  di 
ghiaccio,  ma  pili  spesso  essi  escono  fuori  e  si  nascondono  nel  fango  o  tra 
i  muschi  delle  sponde  dove  svernano  per  ritornare  nell'acqua  non  appena 
la  temperatura  è  meno  gelida. 

*  *  * 

La  crosta  di  ghiaccio  che  copriva  lo  stagno  s'è  fatta  sottile,  s'è  fusa 
tutto  intorno  e  libera  galleggia  non  più  serrata  alle  rive  dove  la  neve  inco- 
mincia a  sciogliersi  e  a  lasciar  libero  uno  stretto  anello  di  nero  fango  men- 


47 


tre  i  rovi  ed  i  salici  lacrimano  e  sgocciolano  sotto  un  pallido  sole.  Nelle  ac- 
que, dalle  alghe  e  dalle  piante  sommerse  spunta  già  qualche  verde  botton- 
cino e  qualche  tenera  foglia,  mentre  fuori  il  mondo  vegetale  è  ancora  asso- 
pito e  lontano  è  il  momento  del  suo  risveglio.  Quando  a  marzo  le  nevi  son 
fuse,  incomincia  la  deposizione  delle  uova.  Le  femmine  del  Ditisco  hanno 
i  piedi  o  meglio  i  tarsi  delle  zampe  anteriori  e  mediane  allungati  e  stretti 


Fig    13  -  Tarso  o  piede  anteriore  di 
Ditisco  maschio  mostrante  le  ventose. 
Al  vero  =  I  1 


normalmente  mentre  nei  maschi  i  primi  tre  articoli,  specialmente  quelli  delle 
zampe  davanti,  sono  allargati  e  ricoperti  nella  parte  inferiore  di  lunghe  ci- 
glia e  di  una  spessa  suola  formata  da  un  grandissimo  numero  di  campa- 
nule adesive  sorrette  da  un  sottile  peduncolo.  Nei  tarsi  anteriori  poi  sono 
presenti  anche  due  grandi  dischi  concavi  funzionanti  da  ventose  quando  esse 
sono  appoggiate  e  premute  contro  una  superficie  liscia  (Fig.  13).  Inoltre  quasi 
tutte  le  femmine  hanno  le  elitre  solcate  da  parecchie  lunghe  scanalature  che 
nei  maschi  mancano  o  sono  ridotte  a  poche  strie  superficiali  di  punti  impressi. 
Le  uova  sono  deposte  nelle  piante  acquatiche  sommerse  per  mezzo  di 


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un  ovopositore  tagliente  che  fende  i  tessuti  e  vi  penetra  dentro  lasciando  un 
solo  uovo  in  ogni  incisione  cosi  praticata.  Gran  cura  pone  la  madre  nella 
scelta  delle  piante  a  cui  affidare  le  uova:  essa  nuota  irrequieta  e  preoccu- 
pata di  pianta  in  pianta  che  tasta  e  palpa  con  le  antenne  o  che  addirittura 
mordicchia  con  le  mandibole  per  assicurarsi  della  loro  durezza,  qualità  e 
bontà.  Finalmente  essa  trova  quel  che  fa  per  lei,  o  meglio  per  i  suoi  figli, 
e  allora,  arrampicata  sullo  stelo,  essa  sfodera  e  adopera  lo  sciabolino  del- 
l'ovopositore. Di  tanto  in  tanto  essa  sale  a  galla  per  respirare,  ma  presto  ri- 
torna alla  sua  dolce  fatica. 

Pur  essendo  cosi  protette,  le  uova  non  sono  completamente  al  sicuro 
dai  nemici:  esse  sono  ricercate  come  prelibate  ghiottonerie  da  diversi  insetti 
e  dalle  rane,  oppure  vengono  parassitizzate  da  alcune  vespette;  ma  quando 
le  cose  vanno  bene,  l'embrione,  a  contatto  dei  verdi  tessuti  ricchi  di  ossige- 
no, si  sviluppa  e  cresce  e,  dopo  qualche  settimana,  il  guscio  dell'uovo  viene 
spaccato  e  ne  esce  la  giovane  larva  allungata  e  molliccia  che  presto  acqui- 
sta un  color  bruno  foglia  morta.  Essa  sta  nascosta  tra  le  alghe  presso  la 
riva,  e  viene  spesso  a  galla  a  respirare  con  gli  stigmi  dell'estremità  dell'ad- 
dome che  mette  fuor  d'acqua  (Fig.  14). 

Vivendo  di  preda  ed  essendo  ancor  più  vorace  dei  genitori,  essa  fa 
una  strage  di  larve  di  zanzare  e  di  libellule,  di  girini,  di  lumache  e  di  ogni 
animale  vivente  nelle  acque.  Nell'ultimo  stadio  attacca  pure  pesci  fin  di  tre 
centimetri  di  lunghezza  e  potendone  uccidere  una  diecina  al  giorno  arreca 
gravissimi  danni  nei  vivai. 


Fig.  14  -  Larva  di  Ditisco. 
Al  vero  =  I  


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Bisogna  vederla,  quando  caccia,  la  larva  del  Ditisco!  Essa  è  terribile 
e  nello  stesso  tempo  meravigliosa:  nuotando  s'avventa  sulla  preda  e  l'afferra 
con  le  falciformi  mandibole  e,  attraverso  una  scanalatura  di  queste,  inietta 
nella  ferita  una  secrezione  gastrica  che  dapprima  paralizza  ed  uccide  la  vit- 
tima, poi  si  diffonde  negli  organi  interni  decomponendoli  e  digerendoli  con 
straordinaria  rapidità.  I  tessuti  sono  cosi,  in  brevissimo  tempo,  ridotti  in  li- 
quida poltiglia  che  viene  aspirata  dalla  larva  attraverso  la  scanalatura  delle 
mandibole  fino  a  che  non  rimane  che  la  pelle  completamente  vuota. 

Schiusa  dall'uovo  in  aprile,  grazie  ad  una  carneficina  interrotta  quasi 
esclusivamente  per  venire  a  galla  a  respirare  e  durata  circa  tre  mesi  ossia 
fino  al  luglio,  la  larva  del  Ditisco  orlata  di  giallo  ha  raggiunto  il  massimo 
dello  sviluppo  ed  è  pronta  per  la  ninfosi:  allora,  gonfia  e  tumida,  lascia  l'ac- 
qua dove  finora  è  vissuta  e  sale  all'asciutto  sulla  sponda.  Corrono  intorno 
i  piccoli  «  rizzaculo  »  dal  corto  giacchettino  e  compaiono  veloci  di  sotto  le 
foglie  morte  e  le  pietre,  minuscoli  Carabidi,  mentre  nell'aria  rapide  saettano 
le  Libellule  sfiorando  il  lucente  specchio  dello  stagno;  ma  essa  non  vi  fa  caso. 
Trovata  una  pietra  od  un  pezzo  di  legno,  sotto  i  quali  si  nasconde,  scava 
nella  terra  sottostante,  alla  profondità  di  una  quindicina  di  centimetri,  una 
celletta  rotonda  delle  dimensioni  di  una  mela  e  i  grumi  delle  pareti  ven- 
gono saldati  assieme  con  una  secrezione  simile  a  mastice  e  battuti,  compressi 
e  lisciati.  Cosi  si  forma  una  crosta  spessa  e  dura  di  straordinaria  solidità 
tutto  intorno  alla  celletta  dove  la  larva  passa  una  settimana  di  riposo  per 
poi  abbandonare  la  vecchia  pelle  e  trasformarsi  in  pupa. 

Fuori,  tutto  intorno  allo  stagno,  la  terra  fangosa  è  cotta  dall'impla- 
cabile fuoco  del  sole  il  cui  ardore  giunge  fin  nella  cella,  e  nella  calda  umi- 
dità matura  la  pupa  e  presto  schiude  l'adulto  che  solo  per  poco  rimane  in- 
setto terrestre  come  erano  i  suoi  antenati:  rotto  il  guscio  terroso  della  cella, 
esso  ritorna  a  tuffarsi  nelle  acque  e  a  nascondersi  fra  le  alghe  lievemente 
mosse  dal  lento  scorrere  delle  acque. 

Pendono  sommerse  e  nude  le  radici  dei  pioppi,  bianche  e  rosa  e  rosso 
scuro  come  coralli,  e  una  bionda  schiuma  iridescente  luccica  nelle  piccole 
insenature  della  spiaggia. 

Giungono  giovani  voci  e  risa,  e  tu  vedi,  attraverso  lo  spinoso  arruf- 
fato groviglio  dei  rovi  e  tra  le  larghe  foglie  dei  sambuchi,  gruppi  di  ra- 
gazzi seminudi  nelle  fresche  acque  del  Sangone. 

Ce  n'è  uno  che  fa  il  morto  e  i  suoi  occhi  seguono  gli  areoplani  che 
passano  bassi  e  veloci  sul  torrente  e  scompaiono  dietro  i  boschi. 


50 


NELLE  GROTTE 


«  Cosi  la  natura  mantiene  una  specie 
di  uguaglianza  o  di  equilibrio  tra  tutti 
gli  esseri,  e  mette  cosi  a  profitto  ogni 
cosa,  al  fine  che  nulla  rimanga  inutile, 
e  che  le  sostanze  che  si  distruggono, 
aiutino  alla  formazione  di  quelle  che 
si  ricompongono.  È  cosi  che  la  materia 
organizzata,  dopo  aver  servito  ad  un 
principio  vitale,  ritorna  ad  un  altro  e 
passa  incessantemente  dalla  morte  alla 
vita  ». 

Carlo'Perotti  -  1808 


CAPITOLO  IV 


NELLE  GROTTE 


Bambino,  due  luoghi  erano  meravigliosi  per  i  miei  giochi  oltre  al- 
l'aperta campagna:  il  solaio  e  la  cantina.  In  autunno  nel  solaio  stagnava, 
nella  calda  penombra,  un  acuto  odor  di  mele  ed  il  sole  entrava  dall'alto, 
attraverso  una  minuscola  finestrella,  a  illuminare  il  tremolio  dorato  delle 
piccole  particelle  di  polvere  che  salivano  e  scendevano  nell'aria  come  uno 
sciame  di  minutissimi  insetti  brillanti.  Nel  solaio  trovavo  spesso  qualche  far- 
fallina venuta  fin  li  da  chissà  dove  ad  assopirsi,  ed  una  volta,  appeso  come 
una  pera  ad  una  trave  del  tetto,  scoprii  persino  un  pipistrello:  lo  toccai  con 
emozione  con  un  dito,  ma  non  so  chi  di  noi  due  fu  più  spaventato  perché 
cacciammo  entrambi  un  acutissimo  strillo. 

Ma  più  ancora  che  il  solaio,  mi  attirava  la  cantina.  Un'ombra  fredda 
di  mistero  e  di  lieve  paura  velava  buia  ed  incerta  tutto  l'umido  ciarpame 
inservibile  che  li  si  radunava  da  anni.  La  candela  accesa  illuminava  le 
scure  macchie  dei  muri  e  le  cose  mandavano  lunghe  ombre  che  si  perde- 
vano nell'ombra.  Ragnatele  pendevano  dalla  volta  lievemente  agitate  dal  mio 
muovermi  e  da  ogni  oggetto  emanava  un  odore  bagnato  di  muffa  e  di 
chiuso:  antiche  ferraglie  arrugginite,  un  armadio  sgangherato  e  senza  più 
anta,  una  poltrona  sfondata  ed  anche  li,  come  nel  solaio,  casse  da  imbal- 
laggio ammucchiate  ed  ergentisi  come  informi  stalagmiti. 

Questo  grande  ammasso  di  casse  occupava  gran  parte  della  cantina 
con  i  riccioli  di  legno  e  la  carta  straccia.  Le  masse  chiare  sorgevano  alcune 
lentamente  dalle  masse  oscure  dei  fondi,  altre  si  staccavano  nette  e  taglienti. 
Il  sovrapporsi  delle  casse  aveva  prodotto  dei  vani,  degli  stretti  e  tortuosi 
cunicoli  bui  illuminati  a  volte  d'improvviso  da  brevi  spicchi  di  luce  tra  gli 


53 


interstizi.  Ed  io  giravo  là  dentro  carponi  e  conoscevo  bene  ogni  chiodo  spor- 
gente, ogni  fessatura  di  tavola.  Ogni  pezzo  di  legno  aveva  un  suo  partico- 
lare disegno  formato  dal  taglio  delle  venature  ed  aveva  macchie  caratte- 
ristiche di  ruggine  nei  buchi  lasciati  vuoti  dai  chiodi  e  colanti  gocce  am- 
brate di  resina. 

Per  me  bambino  quelle  erano  le  grotte  e  li  giocavo  a  fare  il  troglo- 
dita: meravigliose  grotte  il  solaio  e  la  cantina! 

*  *  * 

Quale  strano  fascino,  misto  di  curiosità  e  di  paura,  suscita  il  buio! 
E  qualcosa  di  proibito,  di  magico  e  di  occulto. 

Gli  oscuri  misteri  nascosti  nelle  viscere  della  terra,  la  tenebrosa  bel- 
lezza delle  grotte  han  sempre  attirato  la  curiosità  dell'uomo  e  lo  han  spinto 
a  varcare  le  soglie  delle  tenebre  perpetue  e  a  seppellirsi  sotto  terra,  in  an- 
gusti meandri  e  pericolosi  abissi,  per  cercare  di  sollevare,  anche  di  poco, 
l'opaca  nera  coltre  dello  sconosciuto.  Sarà  forse  l'involontario  fanciullesco 
desiderio  di  trovare  nelle  viscere  della  terra  tesori  nascosti  e  favolose  mon- 
tagne di  pietre  preziose  custodite  da  draghi  e  simili  mostruose  creature  di 
cui  la  nostra  fantasia  e  quella  ancor  pili  prodigiosa  della  natura  ha  popo- 
lato un  giorno  queste  tenebre  sotterranee.  O  forse  sarà  l'incosciente  remi- 
niscenza dei  remoti,  lontanissimi  tempi  in  cui  i  nostri  primogenitori  vive- 
vano e  trovavano  riparo  nelle  grotte. 

Ormai  son  scomparse,  cancellate  dalla  faccia  della  terra  le  belve  e 
le  fiere  di  un  tempo  e  le  loro  ossa  giacciono  sepolte  con  le  ossa  dei  primi 
uomini  nelle  buie  caverne,  ma  qualche  cosa  di  quelle  lontanissime  epoche 
perdentisi  nella  notte  dei  tempi  è  rimasta  viva  nella  notte  perpetua  delle 
grotte  a  testimoniarci  della  vita  di  allora. 

Sono  rimasti  i  piccoli  delicati  e  strani  abitatori  delle  più  profonde 
caverne,  dei  più  angusti  crepacci,  briciole  viventi  di  antichissime  origini. 

Chi  sono?  Chi  vive  in  questo  ambiente  che  parrebbe  a  prima  vista 
negato  alla  vita?  e  che  vita  è  mai  possibile  in  questa  notte  eterna? 

Ed  è  per  cercare  e  studiare  questi  esseri  cavernicoli  che  oggi,  a  tanti 
anni  di  distanza  dai  miei  giochi  da  troglodita  nella  cantina,  mi  sprofondo 
sotto  terra  ad  esplorar  grotte  e  crepacci  e  fessure. 

Teatro  di  queste  mie  immersioni  sotterranee  sono  le  grotte  del  Pu- 
gnetto  in  vai  di  Lanzo,  ad  una  quarantina  di  chilometri  da  Torino.  In  con- 
fronto con  quelle  famose  di  Postumia,  estese  sotto  terra  per  più  di  otto 
chilometri,  o  di  quelle  ancor  più  vaste  e  raggiungenti  i  cento  chilometri  di 


54 


sviluppo  come  la  Mammouth  Cave  nel  Nord  America,  le  grotte  del  Pugnetto 
sono  qualcosa  di  poco  più  della  cantina  dei  miei  anni  giovanili:  un  susse- 
guirsi di  budelli  e  di  cavità  medie  e  grandi  per  una  lunghezza  di  circa  tre- 
cento metri  nel  cuore  della  montagna,  ma  di  origine  abbastanza  recente  e 
quindi  ancor  poco  ricche  di  concrezioni  calcaree.  Parecchie  ramificazioni 
laterali,  gallerie,  pozzi  e  caverne  ne  aumentano  l'estensione  ed  altre  cavità 
minori  si  aprono  sui  fianchi  della  montagna  intorno  e  vicino  alle  grotte 
principali. 

Alle  «  Borne  »,  come  localmente  vengono  dette,  mi  accompagna  un 
ragazzetto,  figlio  del  proprietario.  Davanti  alla  casetta  che  porta  il  cartello 
«  Guida  alle  grotte  »,  accoccolato  a  terra,  egli  prepara  le  lampade:  rompe 
in  blocchetti  il  grigio  carburo,  mette  l'acqua  e  soffia  nel  beccuccio  per 
disotturarlo.  Io  sto  pronto  col  fiammifero  e  la  lunga  lingua  di  fiamma  sibi- 
lante vien  regolata  e  ridotta  a  piatta  fiammella  semilunare. 

Lascio  nella  stalla  il  sacco  ed  ogni  altro  ingombro,  infilo  una  tuta 
per  non  sporcarmi  e  tengo  con  me  solamente  qualche  tubo  di  vetro  pieno 
di  muschio  umido  dove  riporre  le  catture  vive,  una  zappetta,  un  sacchetto 
di  tela  per  raccogliere  terriccio  e  l'aspiratore.  E  questo  uno  strano,  magico 
aggeggio  fatto  di  una  bottiglietta  il  cui  tappo  è  trapassato  da  due  tubi 
di  ferro:  uno  di  questi  è  chiuso  alla  base  da  una  sottile  fitta  rete  metal- 
lica ed  è  prolungato  da  un  tubo  di  gomma  che  si  tiene  in  bocca  per  aspi- 
rare, con  l'estremità  dell'altro  tubo,  tutti  i  piccoli  e  veloci  insetti  che  si 
rovinerebbero  prendendoli  con  le  dita  o  che  si  salverebbero  con  la  fuga  e 


1  5«« 

Fig.  15  -  Aspiratore. 


55 


che  cosi  vengono  succhiati  da  terra  e  cadono  dentro  alla  bottiglietta 
(Fig.  15).  In  tasca  porto  qualche  candela  di  riserva  ed  i  cerini. 

Cosi  equipaggiati,  in  pochi  minuti,  per  un  sentierino  tra  i  castagni 
siamo  alle  grotte. 

Appena  entrati  la  luce  esterna  giunge  ancora  ad  illuminare  le  pareti 
muschiose:  a  terra  il  fango  e  le  pietre  f radice  sono  coperte  da  mucchi  di 
foglie  morte  spinte  fin  li  dentro  dal  vento  e  muffe  biancastre  e  candidi  al- 
lungatissimi  funghi  crescono  su  pezzi  di  legno  marcito. 

Questa  assenza  di  pigmento  sarà  poi  la  nota  dominante  di  tutta  la 
vita  vegetale  ed  animale  esistente  nelle  grotte.  Diafane  bianche  muffe  e 
pallidi  esserini  il  cui  colore  passa,  attraverso  tutte  le  sfumature,  dal  bianco 
latte  al  paglierino  fino  al  castano  rossiccio  e  al  bruno  chiaro. 

Addentrandomi  ancora,  la  luce  esterna  si  fa  sempre  pili  fioca,  e  noi 
si  passa  insensibilmente  dalla  penombra  alla  più  fitta  oscurità:  ora  solo  le 
lampade  ad  acetilene  suscitano  umidi  barbagli  sulle  pareti  e  sulle  volte  im- 
perlate di  minuscole  goccioline  d'acqua.  Qui,  all'estremo  limite  della  pe- 
nombra, dove  ancora  giunge  una  debolissima  luce  riflessa,  vedo  riposare, 
con  le  ali  chiuse  a  tetto  sul  grosso  peloso  addome,  spruzzate  ed  imperlate 
di  una  minutissima  rugiada,  delle  Farfalle  notturne  dalle  delicate  sfuma- 
ture grige  e  rosa  punteggiate  di  bianco.  Fra  queste  ingenue,  torpide,  farfal- 
line assopite  vedo  aggirarsi  strani,  chiari  fantasmi:  sono  le  Dolicopode,  pa- 
renti cavernicoli  delle  verdi  alate  locuste  che  cantano  e  saltano  nei  prati. 
Ma  queste  mancano  di  ali  e  le  loro  zampe  ed  antenne  e  i  palpi  boccali 
sono  smisuratamente  allungate  e  sottili.  Hanno  ancora  gli  occhi,  ma  ridot- 
tissimi, e  sono  color  paglia,  quasi  bianco,  ornate  sull'addome  e  sui  cosciotti 
posteriori  di  graziose  sfumature  biondo  grigio  scuro.  Le  vedo  camminare 
tranquille  agitando  lentamente  all'innanzi  le  smisurate  antenne,  ma,  se  ap- 
pena avvicino  la  mano,  esse  saltano  via  e  si  perdono  nell'ombra.  Le  Do- 
licopode si  trovano  solamente  nelle  grotte  mentre  le  Farfalline  vengono  solo 
a  svernarvi  trovandovi  una  temperatura  assai  meno  rigida  dell'esterno. 

Il  ragazzetto  mi  precede  pel  buio  corridoio  e  mi  avverte  quando 
devo  abbassare  la  testa  perché  non  vada  a  sbattere  con  questa  contro  la 
volta  che  ora  s'è  fatta  bassa  ed  irregolare.  Egli  sa  bene  la  strada  e  suo 
padre  ha  tracciato,  tra  i  pietroni  caduti  a  terra,  un  piccolo  sentiero  per  la 
comodità  dei  villeggianti  che  l'estate  vengono  a  visitare  le  grotte. 

Mi  racconta  di  altri  che,  come  me,  son  venuti  per  le  «  bestioline  ». 
Vengono  e  su  pezzi  di  carta  collocati  su  terriccio  non  troppo  fradicio  met- 
tono del  gorgonzola:  più  puzza  e  meglio  serve.  Dopo  qualche  giorno  i 


56 


Sfodrossi  di  Giuliani  e  Royerella  di  Rocca. 


TAVOLA  Vili 


«  professori  >  tornano  e  succhiano  su  tutte  le  bestioline  attirate  dal  forte 
odore;  poi  le  travasano  nella  bottiglia  dove  «  a  j'è  '1  fum  »  ed  esse  muoiono. 
Quella  del  fumo  dev'essere  la  bottiglia,  riempita  per  tre  quarti  di  briciole 
di  sughero  inumidite  da  qualche  goccia  di  etere  acetico,  che  serve  appunto 
per  uccidere  gli  insetti  senza  farli  soffrire  troppo  a  lungo  e  li  mantiene 
freschi  e  morbidi  per  molto  tempo. 

Ora  incomincia  a  piovere  dall'alto:  le  volte  sgocciolano  continua- 
mente e  dalle  pareti  rivestite  di  un  biancastro  strato  calcareo  scivola  e 
cola  l'acqua  che  si  perde  nel  fango  e  nelle  mille  e  mille  fenditure,  buchi  e 
pozzi.  Sul  suolo  cumuli  di  pietre  e  massi  franati  in  caotica  confusione  sono 
coperti  da  colate  stalagmitiche  simili  ad  enormi  masse  di  cera  caduta  dal- 
l'alto e  rappresa.  Qui  la  temperatura  è  fresca,  uguale  l'estate  come  l' in- 
verno; non  un  soffio  agita  l'aria  calma  e  satura  di  umidità  ed  il  silenzio 
è  rotto  solo  dai  nostri  passi  e  dallo  stillicidio. 

Minuscole  stalattiti  pendono  dall'alto  e  si  sciolgono  in  lacrime  sonore: 
cade  una  goccia,  un'altra,  un'altra  ancora;  segue  una  pausa  breve:  tre 
note,  tre  tintinnii  argentini  dopo  un  breve  silenzio.  Da  tanto  tempo  la  sta- 
lattite piange  e  lento,  da  anni,,  un  velo  di  calcare  s'allunga  alla  sua  estre- 
mità: ogni  goccia  che  cade  ha  lasciato  un'infinitesimale  particella  cristal- 
lina. Tra  piccole  pozzanghere,  sul  suolo  coperto  d'una  crosta  biancastra  e 
lucente,  nel  punto  dov'è  caduta  la  lacrima,  s'innalzerà  a  poco  a  poco,  imper- 
cettibilmente, una  colonnina;  e  cosi  per  migliaia  e  migliaia  di  anni  fino  a 
che  la  stalattite  pendente  dalla  volta  verrà  ad  unirsi  alla  stalagmite  che 
s'innalza  dal  basso. 

Mi  fermo  a  guardare  il  maestóso  spettacolo  e  la  luce  della  lampada 
ad  acetilene,  sollevata  in  alto,  illumina  questo  tenebroso  mondo  fatato  e 
rimbalza,  come  una  muta  luminosa  eco  di  sporgenza  in  sporgenza,  susci- 
tando nel  buio  improvvisi  luccicori  e  brillìi. 

Da  qui  a  millenni  anche  le  grotte  del  Pugnetto  avranno,  in  scala 
ridotta,  lo  splendore  e  la  fantastica  bellezza  di  quelle  di  Postumia,  con 
imponenti  colate  ed  infiniti  magici  candelabri;  ma  anche  ora,  pur  nelle 
loro  modeste  proporzioni,  hanno  una  selvaggia  bellezza  con  le  caotiche  frane 
e  le  rovine  di  massi  e  di  pietre  affondate  nel  fango. 

Mentre  riprendo  il  cammino  vedo  correre  qualche  cosa  velocemente 
sul  suolo:  avvicino  la  lampada  e  l'aspiratore  segue  il  piccolo  essere.  Una 
forte  inspirazione  ed  eccolo  prigioniero:  è  certamente  lo  «  Sfodrossi  di  Giu- 
liani »,  un  Coleottero  color  castano  lungo  quasi  due  centimetri  con  piccoli 
occhietti  scuri  sporgenti  ed  assai  simile,  in  piccolo,  ad  un  Carabo  (Tav.  Vili). 


57 


Infatti  appartiene  alla  stessa  famiglia;  anch'esso  è  predatore  e  vive  nelle 
caverne  o  sotto  le  grandi  pietre  infossate  all'esterno.  Poco  distante  trovo  del 
formaggio  lasciato  evidentemente  come  esca  da  qualche  mio  collega.  La 
luce  provoca  un  fuggi  fuggi  di  lattei  minuti  animaletti  e  di  altri  tre  o 
quattro  «  Sphodropsis  »  che  cercano  di  salvarsi  in  qualche  fessura  o  sotto  le 
pietre.  L'aspiratore  funziona  a  meraviglia  ed  in  breve  anche  essi  vanno  a 
fare  compagnia  al  primo.  Il  pezzo  di  formaggio  è  ricoperto  in  parte  di 
candide  alte  muffe  mentre  altrove  è  decomposto  e  pullula  di  vermiciattoli, 
larve  di  Ditteri  che,  certamente,  servivano  di  facile  preda  ai  miei  Coleotteri 
a  giudicare  dai  loro  rigonfi  addomi  sporgenti  e  contrastanti,  bianchi  come 
sono,  colle  elitre  castane. 

Intorno  al  formaggio  alcune  Moschettine  saltellano  mentre  altre,  simili 
a  Zanzaroni,  si  alzano  a  volo  incerto.  Le  catture  sono  riposte  nei  tubi  di 
vetro  pieni  di  muschio  e  l'esplorazione  continua.  Passiamo  ora  attraverso 
grandi  spaziose  caverne  dove  si  può  camminare  senza  pericolo  di  dar  con 
la  testa  nella  volta;  ancora  uno  stretto  corridoio,  anzi  budello  in  saUta,  poi 
il  sentiero,  dopo  aver  rasentato  neri  pozzi  e  profonde  buche,  si  allarga  nel- 
l'ultima sala.  In  fondo  a  questa,  nella  roccia,  è  stata  scavata  una  nicchia 
ed  eretto  un  altarino  dove  infracidiscono  gli  avanzi  di  rododendri  e  di  altri 
fiori  portati  fin  qui  da  qualche  gitante  in  omaggio  ad  una  semplice  Madon- 
nina litografata  su  latta.  Il  ragazzetto  avvicina  la  lampada  ad  acetilene  e 
pulisce  e  monda  dal  marciume  la  nicchietta.  A  frotte  fuggono  i  bianchi 
appiatiti  Isopodi,  essermi  simili  agli  Onisci  delle  cantine  e  dei  luoghi  umidi, 
mentre  i  minuscoli  Collemboli  impauriti  si  salvano  con  piccoli  salti. 

E  qui,  in  uno  spazio  pianeggiante,  incomincio  ad  alzar  pietre.  Ed 
ecco,  sotto  un  pezzo  di  legno  marcio,  un  Coleottero  d'aspetto  globoso  e  di 
dimensioni  simili  a  quelle  di  una  piccola  Coccinella.  Se  ne  fugge  velocis- 
simo mentre  altri  due  o  tre  sbucano  fuori  agitando  dinanzi  a  loro  le  an- 
tenne. L'aspiratore  è  pronto,  aspiro  fortemente  ed  eccoli  racchiusi  nella  pri- 
gione di  vetro.  Avvicino  la  fiamma  per  osservare  la  cattura:  quattro  per- 
line allungate,  castano  chiare  e,  sporgenti  da  ognuna  di  esse,  due  lunghe 
antenne  e  sei  zampette  allungate  e  sottili. 

Sono  umili  campioni  della  fauna  cavernicola  come  conviene  siano  gli 
abitatori  delle  modeste  grotte  del  Pugnetto  e  non  possono  gareggiare  con 
la  prodigiosa  eleganza  del  cieco  Leptodero  delle  meravigliose  grotte  della 
Carniola.  In  un  castello  incantato  da  mdle  e  una  notte  come  quello  sot- 
terraneo di  Postumia  ci  vuole  un  ben  più  degno  castellano. 

Immaginate  una  trasparente  delicatissima  fiaschetta  tornita  in  un'am- 


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bra  rossiccia  e  dal  collo  sottile  ed  elegantemente  allungato:  aggiungetevi  due 
lunghissime  antenne  e  sei  smisuratamente  lunghe  e- sottili  zampe  e  avrete 
un'idea  approssimativa  di  quel  meraviglioso  insetto  (Tav.  IX). 

Ma  pur  senza  raggiungere  quelle  finezze  d'eleganza  anche  le  mie 
quattro  perline  hanno  una  loro  delicata  bellezza  ed  un  nome  gentile: 
«  Royerella  »  o  per  esser  piti  precisi  <  Della-Beffaella  Roccai  »  dal  nome 
degli  scopritori,  piccolo  Coleottero  cieco  esclusivo  delle  grotte  del  Pugnetto 
(Tav.  Vili),  e  appartenente  come  il  Leptodero  alla  stessa  famiglia  delle 
Silfe  della  quale  fan  parte  i  neri  oppur  fasciati  di  strisce  arancione  Necro- 
fori, grossi  Coleotteri  che  all'aperto  sotterrano  i  cadaveri  di  piccoli  uccelli, 
di  topi  e  talpe  di  cui  nutrono  sé  e  le  loro  larve  (Fig.  16). 


Fig.  16  -  Il  Necroforo. 
Al  vero  =  I  


Ne  catturo  ancora  qualcuna  con  l'aspiratore  e  travaso  anch'esse  in 
altri  tubi  di  vetro,  poi  raccolgo  nel  sacchetto  di  tela  terriccio,  pietre,  pez- 
zetti di  legno  fradicio  e  croste  di  stalagmite. 

Il  ragazzo  è  chino  anch'egli  a  terra  e  mi  fa  luce  mentre  alzo  una 
pietra:  «  Eccone  una,  eccone  una!  »  mi  grida  indicandomi  un  globetto  che 
trotterella,  e  poi  chiede:  «  Chissà  cosa  stanno  a  fare  quaggiù  al  buio  le 
bestioline  e  che  mai  possono  trovare  da  mangiare?  » 

L'ingenua  domanda  del  ragazzo  è  in  sostanza  ancora  la  stessa  do- 
manda che  si  pongono  i  dotti:  come  vivono?  di  che  si  nutrono?  perché  si 
trovano  in  questo  strano  ambiente?  Poche  domande  a  cui  finora  la  scienza 
non  ha  potuto  rispondere  che  con  pochi  dati  di  fatto  e  con  moltissime 
ipotesi. 

Quanti  problemi  biologici,  quante  ipotesi  sulla  vita  di  queste  stra- 
ordinarie esistenze  attendono  ancora  una  soluzione  ed  una  conferma!  Con 
quanta  gelosa  avarizia  la  natura  ci  lascia  penetrare  nei  suoi  segreti  misteri. 

Che  sappiamo  mai  della  vita  delle  larve,  per  la  maggior  parte  sco- 
nosciute, delle  specie  più  tipicamente  cavernicole  e  relegate  forse  nelle 
strette  fessure  impenetrabili  allo  sguardo  umano? 


59 


E  che  mai  possiamo  rispondere  a  chi  chiede  ragione  della  pili  o  meno 
totale  cecità  e  della  mancanza  di  pigmento  di  alcuni  Coleotteri  delle  grotte 
quando  vediamo  che  anche  fuori  di  queste  sotto  pietre  profondamente  in- 
fossate o  nei  muschi  e  sotto  gli  ammassi  di  foglie  morte  e  infracidite  molte 
specie  hanno  occhi  ridottissimi  ed  altre  ne  sono  pure  completamente  prive 
e  presentano  la  stessa  mancanza  di  pigmento?  (Fig.  17). 


Fig.  17  -  Piccolo  Carabide  cieco  e  senza  pigmento  che  vive  sotto  strati  di  foglie  morte. 

Al  vero  =  I— I 

Perché  vicino  ad  alcuni  tozzi  e  globosi  abitatori  delle  tenebre  sotter- 
ranee trotterellanti  su  corte  zampette  ne  vediamo  altri  con  antenne  e 
zampe  straordinariamente  allungate  e  dal  corpo  anteriormente  ristretto  e 
affusolato  mentre  l'addome  ricoperto  dalle  elitre  prende  forma  globosa  e 
rigonfia? 

Cosi,  pensando  alle  tante  domande  senza  risposta,  passo  passo  ritor- 
niamo indietro.  Qualche  pipistrello  che  dorme  tranquillamente  appeso  alla 
volta  a  testa  all'ingiu  e  tutto  racchiuso  nell'ampia  mantellina  delle  sue  ali 
vien  preso  dal  ragazzo  e  deposto  pigolante  in  un  fazzoletto.  Mi  spiega  che 
se  li  porta  nella  stalla  dove  il  calore  li  fa  svegliare  dal  letargo  dell'inverno 
e  allora,  volando,  mangiano  le  mosche.  Di  pipistrelli  ne  ho  veduti  molti  qui 
appesi:  alcuni  piccoli,  altri  invece  assai  più  grandi,  e  di  pipistrelli  devono 
essere  le  bianche  ossicine  ed  i  minuscoli  crani  ben  ripuliti  che  ho  osser- 
vato durante  il  cammino  a  terra  in  due  o  tre  posti. 


60 


Leptodero  di  Holienwart 


TAVOLA  IX 


Finalmente  appare  la  luce  esterna:  siamo  di  nuovo  all'aperto  e  il  sole 
ci  fa  fumare  addosso  tutta  l'umidità  raccolta  nelle  grotte. 

*  *  * 

Mia  prima  cura,  a  casa,  è  quella  di  preparare  un  ambiente  adatto 
ed  il  più  simile  possibile  a  quello  delle  grotte.  Due  grandi  vasche  di  vetro, 
di  quelle  che  servono  per  gli  accumulatori  elettrici,  sono  l'ideale  e  ven- 
gono riempite  per  due  quinti  di  terriccio,  di  pietre  e  di  pezzi  di  legno 
marcio  raccolti  al  Pugnetto.  La  terra  ancora  umida  e  dall'acuto  odor  di 
muffa,  non  la  eguaglio,  ma  lascio  che  si  accumuli  disordinatamente  in 
modo  che  si  formino  piccole  anfrattuosita  e  vani  dove  i  miei  prigionieri 
potranno  vivere  e  nascondersi.  Perché  il  vero  dominio  della  massima  parte 
dei  Coleotteri  cavernicoli  e  specialmente  delle  loro  larve  è  la  vastissima 
rete  di  fenditure  collegate  con  le  grandi  cavità  sotterranee  ed  intersecanti 
in  ogni  senso  i  massicci  calcarei.  In  queste  fessure  sono  confinate  moltis- 
sime specie  che,  solo  accidentalmente  o  perché  attirate  dal  nutrimento,  ca- 
pitano nelle  grotte  vere  e  proprie.  Cosi  pure,  più  raramente,  esse  possono 
raggiungere  nelle  loro  peregrinazioni  le  grandi  pietre  infossate  profonda- 
mente nel  terreno  soprastante  e  le  tane  delle  talpe  e  dei  conigli  dove  qual- 
che specie  è  stata  pure  trovata.  Le  Roverelle  con  qualcuno  dei  Ditteri  simili 
a  Zanzaroni  raccolti  sul  formaggio,  vengono  alloggiati  in  una  vaschetta, 
mentre  nell'altra  metto  gli  Sfodrossi,  la  Dolicopoda  e  le  Farfalle  notturne 
prese  all'entrata  delle  grotte.  Le  due  vaschette  sono  ricoperte  da  una  lastra 
di  vetro,  racchiuse  in  un  sacchetto  di  carta  e  poste  in  un  armadio  a  muro 
al  buio  dove  le  lascio  per  qualche  giorno  perché  i  miei  allievi  possano 
tranquillamente  ambientarsi  nel  nuovo  alloggio.  Nell'armadio  a  muro  la 
temperatura  è  meno  rigida  che  non  all'esterno  e  meno  calda  di  quella  della 
camera  ed  il  termometro  indica  nove  gradi  sopra  lo  zero  che  corrispon- 
dono, abbastanza  esattamente,  alla  temperatura  delle  grotte  del  Pugnetto. 

*  *  * 

Da  più  di  mezzo  anno  ormai  i  miei  allevamenti  prosperano  e  mi  la- 
sciano intravedere  qualche  aspetto  della  vita  cavernicola.  Le  Roverelle  sono 
sempre  in  buona  salute,  e  mi  hanno  dato  una  larvetta  pallida,  ricoperta  in 
tutto  il  corpo  di  strane  setole  portanti  all'estremità  una  coroncina  di  spi- 
nule,  certamente  nata  nella  vaschetta  e  che  è  stata  isolata  in  una  scatolina 


61 


(Fig.  18).  Tutto  quello  che  ho  potuto  osservare  è  che  si  nutriva  come  gli 
adulti  dei  candidi  fdamenti  delle  muffe.  E  vissuta  in  allevamento  tre  mesi, 
e  quando  pensavo  stesse  per  compiere  la  metamorfosi,  s'è  distesa  lunga 
tirata  sotto  un  pezzetto  di  carta  e  non  si  è  più  riavuta:  forse  l'umidità  non 
era  sufficiente  o,  chissà,  l'ambiente  non  adatto. 

Ogni  sera  trasporto  le  vaschette  sul  tavolo  per  osservare  come  vanno 
le  cose.  Le  Roverelle  fuggono  veloci  in  ogni  senso,  cercando  riparo  sotto  i 
pezzi  di  legno  fradicio,  sorprese  e  disturbate  dalla  luce  che  non  possono 
vedere,  essendo  completamente  cieche,  ma  le  cui  radiazioni  chimiche  imme- 
diatamente percepiscono.  Qualcuna  ha  scavato  delle  piccole  fossette  in  un 
pezzo  di  carne  cotta  che  pare  sia  stato  di  loro  gradimento,  altre  si  trovano 
invece  sotto  terra  nelle  piccole  nicchie  e  fessure  che  si  scorgono,  attraverso 


Fig.  18  -  Larva  di  Roverella  Roccai. 
Al  vero  ■=  !  1 


la  parete  di  vetro,  tra  il  terriccio  e  le  pietre,  oppure  le  trovo  nascoste  sotto 
i  detriti  legnosi  e  sotto  i  pezzi  di  stalagmite  rotta. 

A  volte  però  la  luce  non  pare  disturbarle  e  allora  posso  osservarle 
con  calma.  Spesso  ne  sorprendo  qualcuna  ferma  su  di  un  grumetto  di  terra, 
intenta  a  ripulirsi  lentamente  e  senza  fretta.  Una  zampina  liscia  e  spazzola 
il  dorso  della  corazza  color  castano  rossiccio  chiaro  e  tutta  ricoperta  da 
una  fitta  peluria  biondiccia  e  lucente.  Contemporaneamente  le  antenne  lun- 
ghe e  pelose  vengono  portate  alla  bocca  dove  le  mascelle  ed  i  palpi  ne 
nettano  e  puliscono  con  cura  ogni  segmento.  Dopo  essersi  spazzolata,  li- 
sciata e  ripulita  tutta,  la  Royerella  se  ne  va  in  giro  per  la  vaschetta.  Priva 
completamente  di  occhi  essa  vaga  sull'umido  terriccio  e  sui  pezzi  di  sta- 
lagmite veloce  e  sicura  come  se  potesse  vedere  la  strada  che  percorre.  Con 
le  antenne  protese  in  avanti  essa  tasta  ininterrottamente  la  via  come  il 
cieco  col  suo  bastone  e  fiuta  e  annusa  finché  non  trova  qualche  piccolo 
resto  muffito  o  qualche  Dittero  morto.  Allora  la  cieca  Royerella  sosta,  e 
con  piccoli  strappi  delle  mandibole  divora  i  pallidi  steli  delle  muffe  ed 
ogni  resto  organico  che  possa  servirle  di  nutrimento.  Spesso  nelle  sue  pere- 
grinazioni essa  si  imbatte  in  un'altra  Royerella  ed  allora  ognuna  di  esse 


62 


improvvisamente  si  dà  ad  una  fuga  veloce  e  si  nasconde  precipitosamente 
in  qualche  screpolatura  del  terreno.  Nella  loro  cecità,  ogni  altro  essere  vi- 
vente incontrato  rappresenta  un  possibile  nemico,  un  possibile  predatore  ed 
esse  ad  ogni  buon  conto  si  salvano  con  la  fuga.  Per  la  Roverella  i  nemici 
sono  gli  Sfodrossi  e  forse  qualche  ragno. 

Nell'altra  vaschetta  dove  ho  messo  parecchie  di  quelle  farfalle  grige 
e  rosa  prese  all'entrata  delle  grotte  scopro  le  malefatte  degli  Sfodrossi,  ma- 
lefatte alle  quali  forse  non  è  estranea  anche  la  Dolicopoda;  spesso  li  trovo 
intenti  a  divorare  l'addome  delle  farfalline  rovesciate  a  terra  oppure  li  sor- 
prendo accorsi  tutti  insieme  su  qualche  pezzetto  di  carne  sia  cruda  che  cotta 
che  pare  esser  loro  assai  gradita  come  del  resto  lo  era  anche  alle  Cicindele 
e  ai  Carabi  da  me  tenuti  in  cattività. 

Gli  Sfodrossi  si  son  poi  ingozzati  e  rimpinzati  fin  quasi  a  scoppiare 
anche  di  larve  di  Ditteri  che  pullulano  nel  formaggio.  Essi,  forse  perché 
ancora  provvisti  di  piccoli  occhietti,  sono  ancora  più  sensibili  alla  luce  che 
non  le  Roverelle  e  non  c'è  verso  di  farli  uscir  fuori  dai  nascondigli  dove 
vanno  a  cacciarsi  non  appena  vengono  illuminati.  Spesso  li  trovo  radunati 
tutti  assieme  sotto  una  stessa  pietra  o,  ancor  più  di  frequente,  arrampicati  su 
di  un  pezzo  di  stalagmite.  Si  sono  trovati  talmente  bene  e  il  nuovo  allog- 
gio è  stato  cosi  ben  accetto  che  han  deposto  le  uova  dalle  quali  sono 
schiuse  sei  larve  ora  già  abbastanza  grandicelle  (Fig.  19).  Due  uova  che 
ho  potuto  isolare  mi  han  dato  invece  una  grande  delusione:  dopo  una  set- 
timana si  son  ricoperte  di  filolini  chiari  ed  in  breve  son  state  invase  dalla 
muffa.  Son  curiose  le  larve:  hanno  una  gran  paura  degli  adulti  loro  geni- 
tori conoscendone  la  cieca  voracità  e  se  ne  stanno  sempre  interrate  in 
buchi  sottoterra  dove  vanno  a  caccia  di  collemboli  e  specialmente  delle 
larve  di  Ditteri  che,  raggiunta  la  maturità  dopo  aver  fatta  una  passeggiata 
sulle  pareti  di  vetro  della  vaschetta,  scendono  a  terra  a  compiere  la  meta- 
morfosi in  piccole  cellette  ovali.  Questi  Ditteri  si  sono  prodigiosamente  mol- 
tiplicati da  quando  i  primi  tre  o  quattro  individui  han  deposto  le  loro  uova 
nel  formaggio  messo  da  me  a  loro  disposizione  ed  ora  pullulano  allo  stato  di 
larve  in  ogni  marciume  mentre  gli  insetti  adulti  depongono  altre  uova  e  svo- 
lazzano qua  e  là  malamente. 

Questo  straordinario  moltiplicarsi  di  questi  Ditteri  nel  formaggio  mi 
suscitò  diversi  problemi.  «  Certamente  —  pensavo  —  nelle  grotte,  eccetto  che 
sotto  forma  di  esche  lasciate  dagli  entomologi,  non  esiste  formaggio  che  possa 
nutrire  a  centinaia  le  larve  dei  Ditteri,  preda  favorita  degli  Sfodrossi  o  per- 
mettere l'esistenza  delle  muffe,  nutrimento  delle  Roverelle». 


63 


E  allora  nelle  grotte  di  che  si  nutrono  i  bianchi  vermiciattoli  degli  Zan- 
zaroni e  le  Roverelle? 

La  risposta  a  questa  mia  domanda  mi  giunse  osservando  la  terra  por- 
tata dal  Pugnetto  e  messa  nelle  vaschette. 

Nell'oscuro  terriccio,  che  manda  umidi  lucori,  brillano  dei  frammenti 
verde  smeraldo  dorati  ed  abbaglianti:  che  cosa  mai  possono  essere?  Sotto  la 
lente  essi  mi  rivelano  la  loro  strana,  impensata  natura.  Sono  pezzi  della  co- 


razza di  qualche  Coleottero,  ma  quale?  Non  certamente  un  cavernicolo  poiché 
nessuno  di  questi  possiede  una  cosi  brillante  armatura,  ma  anzi,  nella  totalità  o 
quasi  si  presentano  senza  pigmento,  chiari,  d'un  bianco  gialliccio  o  al  più  di  un 
biondo  castano  piti  o  meno  scuro.  Un'intera  zampa  trovata  nel  terriccio  ed  an- 
ch'essa di  un  verde  magnifico  e  lucente  risponde  alla  mia  domanda  e  scioglie 
l'enigma:  sia  essa  che  i  pezzetti  di  corazza  appartengono  sicuramente  ad  un 
grosso,  corpulento  Coleottero  stercorario  che  sfrutta  le  brune  focacce  sparse 


Fig.  19  -  Larva  dello  Sfodrossi  di  Ghiliani. 
Al  vero  =  I  1 


64 


a  terra  nei  dintorni  e  frutto  della  digestione  delle  vacche  pascolanti.  Que- 
sto Coleottero  è  il  Geotrupe  (Fig.  20).  Questi  insetti  a  sera  volano  ronzando 
in  cerca  di  nuovo  cibo,  ma  sono  afferrati  sovente  dagli  aguzzi  denti  dei  pi- 
pistrelli che  di  giorno  restano  assopiti  nelle  grotte  e,  quando  il  sole  sta  per 
tramontare,  escono  dai  loro  ripari  e  silenziosamente  percorrono  le  vie  del 
cielo.  Centinaia  di  moscerini,  farfalle  crepuscolari  e  notturne  sono  ingoiate 
a  volo,  mentre  i  grossi  Coleotteri  coprofaghi  vengono  spesso  sgranocchiati  e 
divorati  con  più  calma,  all'alba  nelle  caverne. 

Qualche  zampa  o  qualche  pezzo  di  elitra  disarticolata  cade  cosi  a 
terra  e  il  suolo  si  copre  di  questi  resti  e  di  quelli  più  numerosi  ancora  delle 
piccole  briciole  di  corazza  che  i  succhi  intestinali  non  hanno  potuto  attac- 
care e  sono  stati  espulsi  con  le  deiezioni.  A  volte,  nelle  caverne,  centinaia 


Fig.  20  -  Il  Geotrupe. 
Al  vero  =  I  


e  centinaia  di  certe  specie  di  pipistrelli  gregari  si  radunano  assieme,  uno  vi- 
cino all'altro,  e  il  guano  deposto  da  migliaia  e  migliaia  di  secoli  si  ammuc- 
chia al  suolo  in  spessi  strati.  Questo  guano,  come  i  residui  isolati  della  di- 
gestione, si  copre  spesso  di  muffe  e  fungosità  che  sono  quasi  l'unica  risorsa 
alimentare  delle  specie  cavernicole  non  predatrici.  Le  larve  delle  Mosche 
che  avevo  trovato  nelle  esche  di  formaggio  ed  un'infinità  di  Collemboli 
pullulano  e  vivono  nelle  masse  di  guano,  mentre  le  Roverelle  ed  altri  Co- 
leotteri della  stessa  famiglia  trovano  di  che  nutrirsi  nelle  muffe,  nei  cada- 
veri dei  Ditteri  adulti  ed  in  ogni  altra  sostanza  organica  in  decomposizione. 
I  predatori,  come  nelle  grotte  del  Pugnetto  lo  Sfodrossi  di  Giuliani  ed  al- 
trove i  ciechi  Anoftalmi,  trovano  facile  preda  negli  sfruttatori  di  guano  e 
di  marciume. 

Chissà  cosa  stanno  a  fare  quaggiù  al  buio  le  bestioline  e  che  mai 
possono  trovare  da  mangiare?  Alla  domanda  del  ragazzetto  potrei  ora  al- 


65 


meno  in  parte  rispondere.  Una  serie  di  piccoli  avvenimenti  concatenati  l'uno 
all'altro  come  gli  anelli  di  una  catena  mi  permette  di  stabilire  come  e  che 
cosa  mai  possano  trovare  le  bestioline  da  mangiare  nelle  grotte.  Perché  i 
piccoli  esseri  che  vivono  nelle  caverne  possano  nutrirsi,  quante  condizioni 
concatenate  sono  necessarie!  Strana  catena  questa:  la  nera  vecchia  terra 
mai  esausta  che  cede  alle  pallide  tenere  radici  i  suoi  miracolosi  succhi  mi- 
nerali. La  calda  luce  del  sole  e  l'ossigeno  dell'aria  che  fan  verdi  le  erbe  e  le 
piante.  Poi  vengono  le  mandre  di  vacche  e  la  verde  chioma  della  terra  vien 
raccolta,  macinata,  dissugata.  I  succhi  gastrici  innaffiano  la  poltiglia  che  fer- 
menta, si  dissolve  e  scompone.  Le  erbe  ondeggianti  dei  pascoli  sono  ora 
carne  soda,  sangue  rosso  pulsante  e  bianco  latte.  Ma  non  tutto  è  stato  uti- 
lizzato: i  resti  indigeribili  che  le  vacche  disseminano  sotto  forma  di  brune 
focacce  saranno  sfruttati  dal  Geotrupe  e  si  muteranno  per  una  nuova  me- 
ravigliosa alchimia  nella  splendente  sua  corazza  di  smeraldo  e  di  ametista. 
E  la  catena  continua;  gli  anelli  si  legano  l'uno  all'altro  e  l'uno  senza  l'altro 
non  possono  esistere. 

Ronzando  rumorosamente,  vola  alto  nel  cielo  il  Geotrupe  in  cerca  di 
nuove  focacce,  di  nuovo  nutrimento  ed  ecco  giungere  silenziosamente  a 
volo  nell'incerta  luce  del  crepuscolo  il  pipistrello  con  le  fauci  spalancate 
pronte  ad  afferrare  con  gli  aguzzi  dentini  ogni  insetto.  Ed  il  Geotrupe  è 
preso,  chiuso  nella  morsa.  Luccicano  ancora  per  poco  le  brillanti  elitre  di 
smeraldo;  per  poco  ancora  il  caldo  soffio  del  respiro  del  pipistrello  appan- 
nerà il  suo  ventre  color  dell'ametista,  poi  le  brillanti  stelle  scompaiono  in- 
ghiottite in  una  più  nera  notte  e  giù  giù  nel  più  profondo  del  buio.  Le  carni 
del  Geotrupe,  quel  poco  di  non  coriaceo  e  di  digeribile  che  ci  può  essere 
sotto  la  sua  dura  corazza,  diventano  le  carni  ed  il  sangue  del  pipistrello  e 
la  catena  continua. 

I  resti  della  digestione,  povera  roba  morta,  caduti  a  terra,  per  una 
nuova  trasformazione  dalla  morte  alla  vita  si  mutano  in  doppio  nutrimento: 
di  essi  si  nutrono  i  vermiciattoli  figli  degli  alati  Ditteri;  con  essi  si  svilup- 
pano piccole  fungosità  biancastre  e  diafane  filiformi  muffe  unici  rappresen- 
tanti del  regno  vegetale  nelle  buie  caverne.  Ma  la  catena  non  finisce  qui: 
altre  trasformazioni,  altre  vite  che  con  la  loro  morte  danno  vita  ad  altri  es- 
seri. I  lustri  globetti  castani,  le  Roverelle,  questi  piccoli  Coleotteri  ciechi 
troveranno  nelle  muffe  e  nelle  fungosità  una  briciola  di  sostanza,  un  atomo 
da  aggiungere  ai  loro  tessuti  mentre  gli  allungati  e  appiattiti  Sfodrossi  si 
ingozzeranno  delle  larve  dei  Ditteri  e  di  tutti  i  piccoli  esseri  che  vivono  alle 
spese  del  guano. 


66 


Nulla  va  perduto,  tutto  viene  utilizzato,  non  esiste  la  morte  in  natura, 
ogni  cosa  animata  o  inanimata  serve  solo  a  dar  vita  ad  altri  atomi,  ad  altri 
esseri.  Le  materie  più  strane,  più  impensate,  quelle  che  parrebbero  non 
avere  più  nulla  da  cedere,  tanto  sono  sfruttate,  permettono  che  pur  con  esse 
si  animi  un  nuovo  soffio  di  vita. 

E  quale  lunga,  complicata  trasformazione  della  materia  è  necessaria 
perché  una  piccola  Roverella  possa  vivere  nelle  grotte:  terra,  sole,  pioggia, 
erbe,  vacche,  brune  focacce,  Geotrupe,  pipistrello,  guano,  candide  muffe; 
e  finalmente  la  materia,  filtrata  cosi  attraverso  tanti  passaggi,  può  fornire 
il  cibo  del  piccolo  Coleottero  cieco  che,  a  sua  volta,  ultimo  anello  della  ca- 
tena, sarà  forse  nutrimento  del  bruno  Sfodrossi. 

Strane  esistenze  di  uno  strano  mondo  queste!  Ed  anche  qui,  come 
ovunque,  la  lotta  spietata  per  la  vita  e  la  fredda,  crudele  guerra  di  ogni 
atomo  vivente  per  procacciarsi  una  briciola  di  nutrimento  e  un  istante  di 
più  nell'eternità. 

*  *  * 

Spietata  lotta  d'ogni  giorno  anche  per  noi:  il  pane  vuol  sudore  e 

fatica. 

Ma  quando  la  sera,  dopo  aver  dato  la  buona  notte  ai  miei  bambini, 
stanco  pel  lavoro  diurno,  mi  siedo  davanti  al  tavolo  dove  porto  le  mie  va- 
schette e  osservo  a  lungo  ogni  minima  occupazione  ed  industria  delle  «  be- 
stioline  »,  dimentico  ogni  fatica  e  preoccupazione  e  a  poco  a  poco  il  mio 
pensiero  vaga  lontano.  Le  trasparenti  barriere  di  vetro  lentamente  scompa- 
iono, il  pugno  di  terra  si  ingigantisce  e  mi  pare  d'esser  tornato  nel  solaio  o 
nella  cantina  di  un  tempo  dove  bambino  giocavo  a  fare  il  troglodita. 


67 


GEMME  E  LORDURE 


«  Gli  insetti  sono  le  più  belle  crea- 
ture che  esistano  al  mondo  senza  con- 
fronto possibile  ». 

A.  Berlese 

«  Cosa  strana:  l'imenottero,  il  meglio 
dotato  tra  gli  insetti  industriosi,  non 
conosce  il  lavoro  paterno:  mentre  par- 
rebbe che  in  esso  le  esigenze  dei  pic- 
coli dovessero  sviluppare  grandi  atti- 
tudini, resta  invece  limitato  quanto 
una  farfalla,  la  cui  famiglia  costa  cosi 
poco  stabilire.  Il  dono  dell'  istinto 
sfugge  alle  nostre  previsioni  meglio 
fondate. 

«  E  ci  sfugge  cosi  bene  che,  con  no- 
stra somma  sorpresa,  nei  manipolatori 
di  sterco  si  trova  la  nobile  prerogativa 
di  cui  il  mellifero  è  privo  ». 

J.  H.  Fabre 


CAPITOLO  V 


GEMME  E  LORDURE 


Il  trasloco  dell'elefante  e  del  rinoceronte  io  non  l'ho  visto.  Ma  dev'es- 
ser stato  uno  spettacolo  superbo  il  veder  uscire  dall'antico  palazzo  barocco 
tutto  mattoni  e  granito,  sede  del  vecchio  museo,  tutto  quel  circo  equestre 
imbalsamato  e  incartapecorito. 

Durante  la  sosta  nella  piazza,  prima  che  i  carri  e  i  furgoni  si  incam- 
minassero verso  la  nuova  sede,  il  vitreo  sguardo  dell'imbottito  e  screpolato 
pachiderma  deve  aver  avuto  un  vivace  brillio  e  il  cielo  si  dev'esser  nuova- 
mente riflesso  in  quei  due  globi  di  vetro.  Un  soffio  d'aria  pura  deve  aver 
agitato  leggermente  le  criniere  dei  leoni  e  qualche  tarma  dev'esserne  volata 
via.  Si,  le  pellicce  di  tutti  questi  animali  devon  essere  state  le  uniche  cose 
vive  in  questo  cimitero  che  traslocava,  ma  il  contrasto  di  questo  pelame 
mosso  dall'aria,  colla  muta  tristezza  di  tutta  quella  vita  imbalsamata,  deve 
esser  stato  malinconicamente  ridicolo. 

Quello  che  nelle  chiuse  sale  di  un  museo  può  ancora  aver  avuto 
qualche  cosa  come  una  parvenza  di  vero,  qui  all'aperto  rivela  sotto  i  bel- 
letti e  le  vernici  tutto  un  tragico  intrecciarsi  di  rughe  e  di  crepe,  tutta  una 
mescolanza  di  vecchio  e  di  falso. 

Solo  gli  insetti  racchiusi  nelle  loro  scatole  a  vetri  non  mostrano  cosi 
evidente  l'inganno  e,  tolta  l'immobilità  e  la  mancanza  di  qualche  zampa  od 
antenna,  essi  conservano  ancora,  anche  nei  musei,  la  nobiltà  di  colori  e  di 
forme  che  avevano  in  vita. 

Sono  andato  a  vederli  nella  nuova  sede;  dal  magnifico  palazzo  Cari- 
gnano  dove  nacque  Carlo  Alberto  e  Vittorio  Emanuele  II  e  dove  nel  1861 
fu  proclamato  il  Regno  d'Italia,  essi  hanno  traslocato  con  l'elefante  e  la 
giraffa  nel  vecchio  ospedale  San  Giovanni. 


71 


Qui  le  sale  non  hanno  più  quell'ampia  architettura  imponente  e  con- 
servano qualcosa  di  freddo,  una  certa  aria  di  ammalato,  e  par  sempre  di 
dover  vedere  spuntar  fuori  dietro  ad  un  cammello  o  ad  una  zebra,  una 
suorina  con  l'acqua  e  limone  o  un  infermiere  col  termometro. 

Gli  insetti,  con  gli  uccelli,  sono  ai  piani  superiori,  in  una  lunga  sfi- 
lata centrale  di  cassettine  a  vetri.  Era  un  pezzo  che  non  li  rivedevo:  ecco 
i  meravigliosi  battaglioni  di  Farfalle.  Sulle  loro  ali  s'è  posata  una  polvere 
meravigliosamente  colorata.  L'azzurro  cielo  s'è  ridotto  in  squamette,  la  ma- 
dreperla s'è  sminuzzata,  i  variopinti  fiori  ridotti  in  una  spolveratura  can- 
giante, e  tutta  la  farina  dei  bianchi,  dei  bruni,  dei  grigi  e  dei  verdi  s'è  di- 
sposta in  chiazze,  macchie  e  ghirigori. 

Ecco  i  superbi  «  Morpho  »  sulle  cui  ali  si  riflette  ancora  l'azzurro  pro- 
fondo e  smagliante  del  cielo  del  Surinam.  Mi  ricordo  d'averli  veduti  nelle 
meravigliose  tavole  a  colori  della  pittrice  Maria  Sibilla  di  Meriam  che  nel 
1698,  alla  bella  età  di  51  anni,  se  ne  parte  dall'Olanda  e  attraversa  l'A- 
tlantico su  di  un  veliero  per  recarsi  laggiù,  esclusivamente  per  studiare  le 
metamorfosi  degli  insetti  di  quei  luoghi  e  dipingerli  in  tavole  ora  famose. 

Ecco  i  longicaudati  «  Papilio  »  e  gli  «  Ornithoptera  »  di  Amboina  e  della 
Nuova  Guinea  patria  degli  uccelli  del  paradiso  col  cui  splendore  gareggiano. 
E  via  via  in  ogni  vetrina  centinaia  e  centinaia  di  Farfalle  d'ogni  colore  e 
d'ogni  paese.  E  poi  Mosche  e  Cicale  e  strane  Cavallette  ed  enormi  Libellule 
le  cui  iridescenze  rivaleggiano  coll'arcobaleno. 

Ed  ora  ecco  i  Coleotteri:  duri  e  corazzati  essi  uniscono  alle  bellezze 
del  colore  una  solidità  e  una  forma  plastica  da  farli  assomigliare  a  pietre 
preziose  scolpite  e  cesellate  da  qualche  fantasioso  gioielliere.  Le  cassettine 
vetrate  che  li  racchiudono  sembrano  piuttosto  vetrine  o  bacheche  di  gemme 
pronte  ad  essere  incastonate  in  qualche  anello  o  in  qualche  monile  e  infatti 
gli  antichi  sacerdoti  dei  Faraoni  ben  si  accorsero  del  loro  splendore  e  divi- 
nizzarono uno  di  essi.  Scarabei  sacri  d'oro,  di  pietra  dura,  di  porcellana  smal- 
tata ornano  ancor  oggi  il  petto  rinsecchito  delle  decrepite  mummie,  proprio 
come  qualche  Scarabeo  vero  montato  in  oro  ravvivava  come  ciondolo  o 
spilla  le  attillate  camicette  delle  nostre  mamme  nel  1900. 

Specialmente  nei  Coleotteri  esotici,  spesso  giganteschi,  c'è  uno  sfoggio 
di  ornamentazione  e  di  scultura  di  tale  straordinaria  ed  incredibile  varietà 
da  destar  ammirazione  anche  nelle  persone  più  insensibili  e  rozze. 

Corazze  di  metallo  fuso  intarsiate  di  candidi  velluti;  superfici  lisce 
a  specchio;  elitre  zigrinate  e  cesellate;  livree  sontuose  da  paggetti  del  quat- 
trocento; armature  da  guerrieri  da  operetta,  e  corni  e  alabarde  e  spadini 


12 


M  veni  =  1  e  =:  |  | 


Cetonia  dorata  ed  Antassia. 


TAVOLA  X 


piantati  diritti  sulla  testa  o  sul  protorace.  Pelliccette  e  ciuffi  e  pennacchietti 
da  ballerina,  e  gorgerine  e  rasi  e  sete  e  lustrini,  madreperla  avorio  e  legni 
preziosi.  Zampette  con  pettinini  e  spazzole  e  raspette  per  la  pulizia  personale. 

Spruzzi  di  polvere  d'oro  su  fiamme  verdi  ed  azzurre  ed  iridiscenze 
ed  arcobaleni.  Essi  sono  realmente  le  creature  più  ornate  che  io  conosca. 

Ma  non  c'è  bisogno  di  aver  sott'occhio  queste  esotiche  meraviglie  per 
convincersene:  basta  guardare  con  una  lente  anche  i  Coleotteri  nostrani  più 
minuti  e  meno  vistosi  per  trovare  anche  in  essi  innumerevoli  varietà  di  scul- 
ture e  magnificenze  e  iridescenze  e  splendori. 

Ecco  qua  in  mezzo  a  mille  altre  bestioline  incollate  su  piccoli  rettan- 
goli di  cartoncino,  un  globetto  laccato  di  un  superbo  rosso  vermiglio  su  cui 


Fig.  21  -  Scarabeo  rinoceronte,  maschio. 
Al  vero  =1  1 


sono  cadute  sette  goccioline  d'inchiostro  di  china;  davanti  il  globetto  ha  due 
coccarde  gialloUne  spiccanti  sul  nero. 

E  la  comunissima  Coccinella:  la  Gallinella  del  Signore,  la  Madonnina, 
la  bestiolina  del  buon  Dio,  come  la  chiamano  i  bambini. 

Si  dice  che  porti  fortuna,  che  sia  di  buon  augurio,  tanto  l'allegra  sua 
colorazione  fa  piacere  a  guardarla.  Col  Maggiolino  esso  è  il  Coleottero  più 
conosciuto,  ma  non  tutti  sanno  quanto  esso  e  molti  altri  della  sua  famiglia 
ci  sia  di  utilità.  Le  Coccinelle  infatti  vivono  sulle  piante  e  vi  fanno  strage 
degli  afidi  o  pidocchi  delle  piante  che  tanto  danno  recano  alle  coltivazioni. 

Qualche  specie  esotica,  come  l'ormai  famosa  «  Rodolia  Cardinalis  »,  è 
stata  introdotta  dall'Australia  in  diversi  paesi  ed  anche  in  Italia  per  com- 
battere un  insettino  dannosissimo  agli  agrumi;  e  dal  Giappone  e  dal  Nord 
America  altre  specie  di  Coccinellidi  sono  state  introdotte  da  noi  per  com- 
battere, in  compagnia  di  una  vespetta,  un  altro  insetto  cosi  nocivo  ai  gelsi 


73 


da  aver  prodotto  nella  sola  Italia,  prima  che  vi  fossero  introdotti  questi  suoi 
accaniti  nemici,  danni  per  pili  di  cinquanta  milioni  annui. 
Benvenute  quindi  le  graziose  Coccinelle. 

Ecco  qua  un  altro  magnifico  Coleottero  ben  conosciuto  da  tutti:  la 
Cetonia  dorata.  Chi  non  l'ha  vista  appoggiata  o  mezzo  nascosta  tra  i  petali 
di  una  rosa,  cosi  brillante  nella  sua  verde  corazza?  Tagliata  fuori  da  un 
pezzo  di  giada,  splendente  di  lucidi  riflessi  dorati  essa  ha  elitre  ornate  di 
opache  macchioline  biancastre  (Tav.  X). 

Ed  ecco  lo  Scarabeo  rinoceronte  col  suo  cornetto  ricurvo,  grosso  e 
pesante  (Fig.  21)  ;  ecco  il  Cervo  volante,  il  gigante  dei  nostri  Coleotteri;  esso 
può  stare  a  pari  per  statura  e  per  aspetto  coi  migliori  campioni  esotici  della 
sua  razza.  La  testa  del  maschio  allargata  e  nera  porta  due  enormi  mandibole 
dentate  color  castano  che  gli  servono  per  farsi  bello  davanti  alla  femmina 
e  a  combattere  per  lei  con  gli  altri  pretendenti  (Fig.  22). 

Quest'altro,  meno  conosciuto,  è  uno  dei  pili  belli  e  più  grandi:  esso 
è  parente  prossimo  del  Maggiolino,  ma  la  sua  mole  è  assai  maggiore,  ed  assai 
più  vistosa  la  sua  livrea.  E  il  Maggiolino  marmoreggiato  dei  pini;  il  suo 
nome  scientifico  è  «  Poliphylla  fullo  ».  Sul  cuoio  castano  rossiccio  o  nero  della 


Fig.  22  -  Cervo  volante  maschio. 
Al  vero  =  I  


74 


sua  corazza  spiccano  strani  ghirigori  o  marmoreggiature  formate  da  un 
fìtto  strato  di  squamette  d'un  bianco  cretaceo.  Le  antenne  del  maschio  sono 
enormemente  sviluppate  e  gli  ultimi  sette  articoli  sono  allungati  ed  appiat- 
titi a  lamelle  elegantemente  curve  formanti  un  magnifico  ventaglio  che  nella 
femmina  è  invece  ridotto  ad  una  piccola  mazzetta  (Tav.  XI).  Chi  lo  vede 
nelle  collezioni  pensa  che  sia  un  insetto  esotico  di  chi  sa  quale  calda  e  lon- 
tana regione,  e  invece  esso  non  è  raro,  specialmente  in  primavera  ed  estate 
nelle  pinete  dei  monti  o  presso  il  mare,  ed  a  volte  si  trova  persino  in  città. 
Afferrato  o  molestato  esso  produce  uno  strano  stridio  abbastanza  distinto. 

*  *  * 

Polifilla,  Maggiolino,  Cervo  volante,  Rinoceronte  e  Cetonia  fan  tutti 
parte  della  famiglia  degli  Scarabeidi  o  Lamellicorni  alla  quale  apparten- 
gono i  Coleotteri  più  giganteschi  e  più  ricchi  di  forme  straordinarie  per 
ornamentazione. 


Fig.  23  -  Golofa  di  Porter,  maschio. 
Al  vero  -    I  1 


Specialmente  i  maschi  di  questa  famiglia  fanno  sfoggio  di  enormi 
sproporzionati  corni,  e  protuberanze  e  creste  d'ogni  genere  sporgenti  dal 
capo  e  dal  protorace.  Queste  appendici  cosi  strane  e  singolari,  mancanti 
quasi  sempre  o  assai  ridotte  nelle  femmine,  hanno  l'unico  scopo  dell'abbel- 
Hmento  del  maschio  che  pare  esserne  conscio  ed  orgoglioso. 


75 


Ogni  volta  che  visitando  un  museo  arrivo  alle  vetrine  degli  Scarabeidi, 
una  sempre  nuova  meraviglia  ed  ammirazione  mi  suscitano  questi  squa- 
droni di  stravaganti  alabardieri.  C'è  chi  porta  dritto  sul  protorace  un  alto 
corno  fornito  di  spazzolino  a  cui  fa  riscontro  un  sottile  sciabolino  dentato 
piantato  nel  bel  mezzo  del  capo  (Fig.  23);  c'è  chi  si  orna  la  testa  di  uncini 
ricurvi  e  di  alte  lame  seghettate. 

Vi  sono  corna  dritte  all' innanzi,  gettate  curve  all'indietro,  tridenti  e 
rastrelli  da  contadino,  pugnali  da  bandito  e  tutte  le  più  inverosimili  arma- 
ture da  guerriero  cinese. 


Fig.  24. 
Al  vero  =  I  


Questo  che  ho  sotto  gli  occhi,  di  un  verde  smeraldo  smagliante  porta 
alto  sul  capo  un  suo  corno  ricurvo  all'indietro  mentre  il  protorace  quasi  pia- 
no al  centro  s'innalza  ai  fianchi  in  due  creste  triangolari  assottigliate  e  pun- 
tute. 

A  vederlo  cosi  splendido  e  nobile  come  una  pietra  preziosa  tu  diresti 
che  esso  non  possa  vivere  che  su  qualche  velluto  in  una  vetrina  di  gioiel- 
liere o  al  più  su  qualche  rara  orchidea  o  su  qualche  nobile  fiore  di  serra. 

Da  quale  mai  febee  e  lontana  contrada  giungerà  questa  gemma  vi- 
vente? Guardo  il  cartellino  posto  sotto  di  lui:  «  Oxysternon  conspicillatum  » 
Bolivia  (Fig.  24). 


76 


Poli  lilla  fililo. 

TAVOLA  VII 


Se  non  conoscevo  il  suo  nome  conosco  la  sua  razza  ed  i  suoi  costumi 
e  i  luoghi  che  frequenta:  no,  non  corolle  di  magici  fiori  profumati;  no,  il 
suo  posto  non  è  tra  i  diamanti  e  gli  ori  di  qualche  artista  gioielliere!  Esso 
colla  sua  ingannevole  superba  corazza  da  gran  parata  è  un  umile  modesto 
spazzino!  Un  semplice  Coleottero  stercorario  che  vive  sfruttando  le  lordure. 

Poco  dopo  di  lui  nella  vetrina  eccone  un  altro  simile  per  armatura 
ma  tutto  nero  e  lucido:  questo  lo  conosco  bene:  «  Coprislunaris  »,  il  comunis- 
simo Copride  lunare  che  spesso  trovo  fin  dai  primi  giorni  d'aprile  indaffa- 
rato presso  lo  sterco  di  vacca  (Fig.  27  e  28).  Non  ha  lo  splendore  del  suo 
parente  d'America,  ma  il  mestiere  è  lo  stesso:  spazzino. 

Addetto  al  servizio  della  spazzatura  come  l'«  Oxysternon  ■»,  come  il 
Geotrupe  i  cui  resti  trovavo  nelle  grotte,  e  come  lo  Scarabeo  sacro  degli 
Egiziani  e  come  il  piccolo  Ontofago  toro  che  porta  sul  capo  due  sottili  e 
ricurvi  cornetti  (Fig.  25). 


Umile  il  suo  mestiere  ma  necessario  per  eliminare  le  lordure,  por- 
tarle sotto  terra  e  trasformarle  in  altre  materie  più  adatte  a  nutrire  le  piante. 

Il  suo  aspetto  è  dei  pili  notevoli.  Sulla  testa  piatta  e  semicircolare  esso 
porta  un  cornetto  alto  ed  appuntito  nel  maschio,  breve  e  bifido  nella  fem- 
mina, ed  d  protorace  è  profondamente  incavato  ai  lati  dai  quali  sporgono 
due  protuberanze  triangolari;  nel  mezzo  presenta  un  leggero  incavo.  Nella 
femmina  queste  sculture  sono  assai  meno  pronunciate  e  quasi  svanite 
(Fig.  27  e  28). 

Le  zampe  sono  corte,  e  quelle  anteriori  dentate  e  atte  allo  scavo;  le 
elitre  sono  striate  e  tutto  il  corpo  è  spesso  e  tozzo.  Una  frangia  di  ciglia 
rossicce  orla  il  protorace,  e  pure  i  cosciotti  sono  orlati  di  peli  rossi.  Il  suo 


Fig.  25  -  Ontofago  toro  maschio. 
Al  vero  '  I  1 


77 


corno  dritto  sul  capo  e  la  scultura  del  suo  protorace  non  la  cedono  per  stra- 
vaganza a  nessuno  dei  suoi  parenti  spazzini  e  stanno  a  pari  col  tridente  del 
Geotrupe  Tifeo  (Fig.  26)  e  con  le  corna  da  minuscola  vaccherella  dell'Onto- 
fago  toro. 

Cosi  superbamente  ornato  esso  era  stato  divinizzato,  come  lo  Scarabeo 
sacro,  dagli  Egiziani. 

*  *  * 

Umile  il  suo  mestiere,  vergognoso  il  nome  della  sua  corporazione,  ma 
stupendo  l'aspetto  e  ancor  più  meravigliose  le  cure  prodigate  alla  prole 
dalla  madre  e,  caso  quasi  unico  nel  mondo  degli  insetti,  dal  padre. 

Coi  tepori  d'aprile,  quando  le  mandre  lasciano  il  chiuso  delle  stalle  e 
dinuovo  pascolano  calme  sui  prati  dove  le  erbe  metton  fuori  le  nuove  tenere 
foglie,  compare  il  Copride  lunare  a  sfruttare  lo  sterco  bovino.  Esso  non 
conosce  le  lunghe  peregrinazioni  degli  Scarabei  sacri  che  vagano  qua  e  là  a 
raccogliere  i  viveri  che  riuniscono  in  pallottole  e  rotolano  nella  tana,  ma 


Fig.  26  -  Geotrupe  Tifeo,  maschio. 
Al  vero  =  I—  1 


78 


d'indole  pia  sedentaria  si  stabilisce  direttamente  sotto  una  larga  focaccia  e, 
scavata  sotto  di  questa  una  tana,  raccoglie  a  piccoli  brandelli  i  viveri  e  li 
trascina  a  ritroso  per  immagazzinarli.  Nella  cella,  al  riparo  dall'ardore  del 
sole,  lontano  dai  pericoli,  nella  quieta  oscurità  sotterranea  il  Copride  lunare 
banchetta.  Consumata  la  provvista,  col  fresco  della  sera  esce  nuovamente 
all'aperto  e  vola  in  cerca  di  un'altra  focaccia  da  sfruttare.  E  cosi  di  festino 
in  festino  passa  l'aprile  e  finisce  maggio;  è  ora  di  accasarsi  e  di  pensare  a 
metter  su  famiglia.  Trovata  la  sposina  su  qualche  grassa  torta  bovina,  non 
pensa  piti  alla  propria  pancia  ma  ai  figli.  Marito  e  moglie  scavano  sotto 
al  mucchio  una  tana  a  circa  una  ventina  di  centimetri  di  profondità.  Gli 


sterri  vengono  portati  ed  accumulati  fuori  e  formano  una  grossa  monta- 
gnola. L'orlo  tagliente  del  capo  e  le  dentate  zampe  anteriori  sono  gli  stru- 
menti da  scavo  e  in  breve  la  cella  acquista  le  dimensioni  necessarie: 
una  stanzetta  spaziosa  bassa  e  larga  è  cosi  scavata;  il  suolo  viene  spia- 
nato, le  pareti  rassodate  perché  la  volta  non  crolli  sui  due  minatori;  il 
pavimento  e  parte  delle  pareti  vengono  coperti  di  uno  strato  feltroso  di 
sterco.  La  cella  rifinita,  rinforzata  e  rassodata  è  pronta  ed  ora  la  coppia 
deve  pensare  a  portar  giù  il  nutrimento  per  i  futuri  figliuoli.  Verso  sera  si 
sale  su  a  raccogliere  il  materiale  che  viene  portato  giù  bracciata  per  brac- 
ciata, e  che  nella  notte  vien  radunato  nella  quantità  necessaria.  Ora  la 
coppia  impasta  e  rimesta  la  pagnotta  cosi  formata.  Un  colpettino  di  zampa 
qua,  una  pressione  del  capo  là  per  uguagliare  le  gobbe  e  le  sporgenze.  La 


Fig.  27  -  Copride  lunare  maschio. 
Al  vero  =  I  1 


79 


pasta  vien  lavorata,  rimestata,  battuta  e  mondata  con  cura  per  una  setti- 
mana, dopo  di  che  è  ben  fermentata  e  matura.  Ora  la  sposa  taglia  dal 
blocco  con  l'orlo  tagliente  del  capo  e  con  le  zampe  anteriori  un  blocchetto 
che  sotto  i  sapienti  colpetti  e  i  giudiziosi  ritocchi  acquista  a  poco  a  poco  pel 
solo  effetto  della  compressione  la  forma  di  una  sfera  perfetta  senza  essere 
mai  stato  scosso  e  spostato. 

Il  Copride  è  un  vero  scultore  che  gira  attorno  alla  creta  da  modellare 
a  colpi  di  pollice.  Ma  mentre  lo  scultore  lavora  in  piena  luce  e  copia  un  mo- 
dello, il  Copride  lavora  nella  pili  completa  oscurità  e  non  ha  dinanzi  alcun 
modello  da  copiare:  esso  sa  perfettamente  senza  vedere  la  quantità  precisa 


Fig.  28  -  Copride  lunare  femmina. 
Al  vero  =  I  1 


di  pasta  che  deve  tagliare  e  la  forma  esatta  che  deve  darle,  e  tutto  questo 
senza  averlo  appreso  da  nessun  maestro  e  in  alcuna  scuola.  Il  Copride  è  nato 
con  questo  suo  sapere. 

*  *  * 

Una  giornata  intera  è  stata  necessaria  per  abbozzare  la  sfera,  e  un'al- 
tra intera  giornata  viene  impiegata  al  ritocco  e  alla  lisciatura. 

Ora  la  madre  è  arrampicata  sul  piccolo  globo,  essa  ne  palpa  e  tasta 
la  parte  superiore,  poi  vi  scava  una  piccola  fossetta  e  in  questa  minuscola 
culla  depone  un  uovo.  Con  infinita  cura  gli  orli  della  fossetta  sono  rialzati 
e  ravvicinati  fino  a  che  si  richiudono  sull'uovo.  Ora  la  sfera  dopo  un  altro 
giorno  di  lavoro  ha  acquistato  la  forma  di  un  uovo  appuntito  alla  sua  estre- 
mità; e  la  madre  ritorna  alla  pagnotta  per  tagliare  un'altra  sfera  e  depo- 
sitare un  altro  uovo. 


80 


In  tutto  essa  fabbrica  sette  od  otto  ovoidi  collocati  uno  vicino  al- 
l'altro e  la  cella  ne  è  quasi  piena  lasciando  appena  posto  per  i  due  sor- 
veglianti e  presentando  l'aspetto  di  un  nido  con  le  sue  uova  verde  bronzo 
scuro. 

La  superficie  di  ciascun  ovoide  è  più  dura  perché  ben  battuta  e  forma 
una  specie  di  crosta  esterna,  ma  all'estremità  superiore,  proprio  sopra  la 
cella  dell'uovo  questa  crosta  è  porosa,  e  come  costituita  da  feltro  e  attra- 
verso questo  feltro  passa  l'aria  necessaria  all'uovo  ed  alla  futura  larva. 

Ad  ogni  cosa  ha  pensato  la  madre  previdente,  anche  al  passaggio  del- 
l'aria attraverso  la  crosta! 

L'uovo  appena  deposto  è  assai  grosso  e  continua  ad  ingrossare  fino 
a  triplicare  di  volume.  Quindici,  venti  giorni  dopo  la  deposizione,  schiude  la 
larva  già  grandicella  che  trova  il  suo  primo  nutrimento  nella  fluida  pol- 
tiglia essudata  dalla  materia  circostante  e  radunatasi  nella  celletta  dell'uovo. 

*  *  * 

Fuori  fa  caldo  e  il  calore  che  giunge  fin  li  sotto  nella  cella  fa  sca- 
gliare e  screpolare  gli  ovoidi  che  si  coprirebbero  in  breve  di  muffe  se  papà  e 
mamma  non  sorvegliassero  continuamente  la  nidiata. 

Ogni  principio  di  vegetazione  parassita  viene  raschiata  ed  asportata 
con  cura;  le  screpolature  vengono  riparate  e  stuccate;  la  coppia  palpa  ed 
ispeziona  continuamente  gli  ovoidi  e  ne  ripara  ogni  minimo  guasto.  Sempre 
al  buio,  papà  e  mamma  odono  i  loro  piccoU  raschiare  una  briciola  di  nu- 
trimento dentro  l'ovoide:  essi  li  seguono  nella  loro  crescita  senza  vederli. 

Non  sono  molti  sette  o  otto  figli  nel  mondo  degli  insetti,  dove  spesso 
vediamo  uova  depositate  a  centinaia  ed  a  migliaia,  ma  nel  caso  del  Co- 
pride  tutti  i  figli  sono  curati  ed  allevati  e  tutti  arrivano  a  compiere  la  me- 
tamorfosi mentre  le  grandi  figliolanze  di  altri  insetti,  abbandonate  sempre 
dal  padre,  e  spessissimo  dalla  madre  alla  ventura,  sono  decimate  e  solo 
poche  raggiungono  gli  ultimi  stadi. 

Qui  invece  padre  e  madre  collaborano  a  procacciare  il  cibo  ai  figlioli 
e,  non  paghi  di  questa  fatica,  continuano  a  curarli  anche  dopo.  Perché  tante 
cure  da  parte  dei  genitori? 

Ogni  screpolatura  diventerebbe  fenditura  e  spacco  sotto  la  canicola 
ed  in  breve  il  calore  asciugherebbe  e  seccherebbe  l'interno  dell'ovoide  e  cosi 
la  larva  non  potrebbe  pili  nutrirsi  e  perirebbe. 

Sotto  la  crosta  esterna,  dura  e  sempre  curata  e  stuccata  da  padre  e 


81 


madre,  la  massa  interna  conserva  la  sua  umidità  e  pastosità  e  la  larva  non 
corre  cosi  alcun  pericolo.  Se  le  fenditure  arrivano  fino  all'interno,  la  larva 
per  suo  conto  le  stucca  e  tura  con  gli  escrementi  raccolti  e  tenuti  in  serbo 
in  una  tasca  sotto  una  gibbosità  della  schiena,  ma  senza  l'aiuto  di  papà  e 
mamma  essa  non  giungerebbe  mai  a  poter  impedire  che  gli  spacchi  si  in- 
grandiscano e  che  anche  l'interno  venga  raggiunto  dalle  muffe. 

Dopo  un  mese  e  mezzo,  ossia  verso  la  fine  di  luglio  la  larva  si  tra- 
sforma in  pupa  che  presto  presenta  una  strana  colorazione:  le  elitre  son 
bianche,  ambrate,  mentre  la  testa,  il  protorace  e  le  zampe  sono  di  un  magni- 
fico color  rosso  ribes.  Per  tutta  la  durata  della  ninfosi  papà  e  mamma 
non  odono  più  il  rumore  prodotto  dal  raschiare  delle  mandibole  dei  figli  ma 
essi  continuano  indaffarati  a  curare  gli  ovoidi. 

Alla  fine  di  settembre,  con  le  prime  piogge  dell'autunno,  il  guscio  di 
questi  si  rammollisce  e  gli  insetti  adulti  escono  facilmente  dalla  loro  prigione. 

Papà  e  mamma,  che  per  ben  quattro  mesi  non  hanno  mai  abbando- 
nato il  nido,  escono  ora  in  compagnia  della  prole  a  godere  nuovamente  le 
gioie  dell'aria  libera  e  dei  voli  serali  in  cerca  di  focacce. 

E  dopo  tanta  abnegazione  per  i  figli  questi  se  ne  vanno  ognuno  per 
la  sua  strada  e  papà  e  mamma  non  sono  che  dei  proprii  simili.  Ma  non  im- 
porta questa  ingratitudine  figliale:  padre  e  madre  hanno  compiuto  il  loro 
dovere  e  questo  è  sufficiente! 

*  *  * 

Nella  vetrina  del  museo  in  mezzo  alle  splendide  gemme  dei  «  Pha- 
naeus  »  esotici  sta  umile  e  modesto  il  nero  cornuto  Coleottero:  sotto  di  lui 
il  cartellino  porta  il  nome  scientifico  «  Copris  lunaris  Linneo  »  e  la  data  e 
la  località  della  cattura,  ma  nulla  è  scritto  della  sua  meravigliosa  vita  di 
ottima  mamma  e  di  buon  papà. 


82 


NEMICI  NASCOSTI 


«  Voraci  bestie,  se  vi  lasciassi  fare, 
sarei  privato  assai  presto  del  mormo- 
rio dei  pini  divenuti  calvi.  Voglio  oggi 
indennizzarmi  delle  mie  noie.  Faccia- 
mo un  patto:  voi  avete  una  storia  da 
raccontare;  raccontatemela,  e  per  un 
anno,  per  due  e  più,  fin  che  io  non  sia 
pressapoco  al  corrente  di  tutto,  vi  lascio 
tranquille,  dovessero  i  pini  soffrirne 
pietosamente  ». 

J.  H.  Fabee 


CAPITOLO  VI 


I  NEMICI  NASCOSTI 


Tra  gli  insetti  pochissime  sono  le  specie  utili,  innumerevoli  quelle 
più  o  meno  nocive:  ogni  erba,  pianta  e  albero,  ogni  frutto,  grano  e  semente 
ha  il  suo  o  i  suoi  sfruttatori  accaniti  e  terribili,  ed  essendo  il  mondo  vege- 
tale direttamente  o  indirettamente  legato  alla  nostra  nutrizione,  alle  nostre 
costruzioni  e  al  nostro  benessere  è  ben  logico  che  ci  si  interessi  di  questi 
nemici  nascosti. 

Ogni  anno  migliaia  e  migliaia  di  alberi  sono  minati  ed  uccisi  da  mi- 
nuscoli esseri:  fino  a  ieri  quell'albero  portava  una  ricca  chioma  verde  e  ci 
regalava  frutti  in  abbondanza,  improvvisamente  le  foglie  ingialliscono  e  i 
rami  si  seccano  come  bruciati  internamente  e  l'albero  muore. 

Ogni  anno  raccolti  interi  d'ogni  genere  vengono  decimati  e  rovinati: 
ogni  anno  nei  silos  e  nei  granai,  tonnellate  e  tonnellate  del  nostro  grano  cosi 
prezioso  vengono  distrutte  da  piccole  Farfalline  o  da  piccoli  Coleotteri.  Ogni 
anno  centinaia  di  milioni  di  danni  vengono  arrecati  dagli  insetti  alle  foreste, 
all'agricoltura  ed  ai  prodotti  di  queste  come  legname  da  costruzione,  farine 
e  paste. 

E  cosi  negli  Istituti  di  Entomologia  agraria  vien  studiata  la  vita  dei 
piccoli  essermi  che  ci  arrecano  tanto  danno  e  si  cercano  i  mezzi  pili  efficaci 
per  lottare  contro  di  essi:  per  questo  insetto  si  trova  il  prodotto  chimico  che 
lo  annienti,  per  quest'altro  si  va  a  scovare  nelle  pili  lontane  regioni  il  suo 
parassita  animale;  veleni  d'ogni  genere,  prodotti  insettifughi,  gas  velenosi 
ed  asfissianti,  metodi  fisico-meccanici  vengono  cosi  studiati,  provati  ed  adot- 
tati nella  guerra  contro  gli  insetti  nocivi  e  spesso  i  risultati  sono  meravigliosi. 

Una  volta  l'entomologo  era  sinonimo  di  folle  ed  era  raffigurato  con 


85 


ridicoli  abiti  e  armato  di  acchiappafarfalle  o  del  retino  per  i  Coleotteri 
(fig.  29),  come  è  raffigurato  nelle  carte  da  tarocchi  e  forse  ancor  oggi  molte 
persone  pensano  che  sia  un  po'  da  pazzi,  che  sia  un  perdere  tempo  in  in- 
fantili giochi  il  cercare  e  studiare  la  vita  di  queste  piccole  creature  e  non 
sanno  che  anche  questa  schiera  di  sconosciuti  studiosi  è  necessaria  al  loro 
benessere  e  alla  loro  stessa  vita:  se  sulla  loro  tavola  non  manca  il  pane,  se 
possono  nutrirsi  di  verdura  e  di  frutta  possono  ben  dire  un  grazie  anche 
allo  studioso  che  essi  forse  si  raffigurano  ancora  come  un  buffo  signore  che 
corre  e  quasi  svolazza  dietro  alle  farfalline  ed  agli  scarafaggi. 


3o 


Fig.  29  -  Retino  pieghevole  in  quattro. 


Sotto  il  grande  microscopio  binoculare  dell'Istituto  il  piccolo  atomo  di 
vita  rivela  la  sua  intima  struttura  e  ci  mostra  infinitamente  ingranditi  gli 
strumenti  coi  quali  esso  depone  le  uova  sulle  nostre  verdure  o  nei  nostri 
frutti.  Nei  vasti  laboratori  vien  seguita  passo  passo  la  vita  di  questi  in- 
setti dallo  schiudersi  dell'uovo  fino  agli  ultimi  stadi.  All'aperto  vengono  con- 
trollate le  esperienze  fatte  in  laboratorio  ed  osservate  le  minime  particola- 
rità che  spesso  l'insetto  in  prigionia  non  ci  lascia  scorgere.  E  cosi  tutti  gli 
insetti  conosciuti  vengono  man  mano  studiati.  Questo  che  oggi  ci  è  indiffe- 
rente e  sfrutta  le  inutili  e  magre  piante  selvatiche  potrebbe  essere  domani 
invogliato  ed  attirato  dai  succolenti  nostri  ortaggi;  quest'altro  sconosciuto 
sotto  il  nostro  cielo  potrebbe  essere  importato  casualmente  da  lontane  re- 
gioni ed  infestare  e  rovinare  piante  e  colture  fino  a  ieri  immuni. 


86 


Le  nostre  patate  non  conoscono  ancora  per  esempio  il  flagello  della 
Dorifora,  Coleottero  importato  dal  Nord  America  in  Francia  e  in  Germania 
dove  ha  prodotto  e  produce  danni  incalcolabili,  ma  da  un  giorno  all'altro 
l'invasione  potrebbe  avvenire  e  distruggere  anche  da  noi  questa  ricchezza. 


Carta  da  tarocchi  rappresentante  l'entomologo  come  «  il  matto  > 

E  i  lavori,  gli  studi,  le  scoperte  degli  scienziati  riempiono  centinaia  e 
centinaia  di  volumi  e  la  vastissima  letteratura  entomologica  si  arricchisce 
ogni  anno  di  migliaia  e  migliaia  di  memorie  degli  studiosi  di  ogni  parte  del 
mondo,  ma  pur  tuttavia  una  quantità  incredibile  di  insetti  sono  ancora 
pressapoco  sconosciuti  e  poco  si  sa  oltre  al  loro  aspetto  esteriore,  al  loro 
nome  e  al  posto  che  tengono  nella  classificazione. 

Dalle  seicentomila  specie  di  insetti  descritte  ben  duecentomila  appar- 


87 


tengono  al  solo  ordine  dei  Coleotteri,  che  è  l'ordine  più  grande  di  tutto  il 
regno  animale,  e  di  queste  duecentomila  specie  di  Coleotteri  dodicimila  sono 
quelle  viventi  in  Italia. 

Ma  di  un  numero  cosi  grande  è  già  molto  se  comunemente  si  sa  che 
il  Maggiolino  è  un  Coleottero  dannoso.  Se  tu  chiedi,  esso  è  proprio  il  solo  o 
quasi  indicato  e  di  tutti  gli  altri,  normalmente,  non  si  sa  nulla  di  nulla. 

*  *  * 

Qualche  cosa  di  più  sa  il  contadino  colpito  direttamente,  dalle  co- 
razzate bestioline,  nel  suo  interesse,  nei  suoi  campi,  nelle  sue  vigne,  nel  suo 
granaio:  egli  sa  che  quel  piccolo  granello  lucente  verde  dorato  o  d'un  az- 
zurro metallico  con  quel  suo  lungo  muso  a  becco  che  lo  fa  rassomigliare 


Fig.  30  -  Il  sigaraio. 
Al  vero  =  I  1 


ad  un  elefante  in  miniatura,  è  il  cattivo  sigaraio,  il  Rinchite  o  punteruolo 
che  gli  arrotola  le  foglie  delle  viti  in  minuscoli  sigari  e  sa  che,  quando  è 
numeroso,  la  vegetazione  si  arresta,  i  grappoli  si  seccano,  e  addio  allora 
vendemmia  (Fig.  30).  E  della  famiglia  del  sigaraio  conosce  pure  la  Calandra 
o  punteruolo  del  grano,  color  bruno,  piccolino,  ma  anche  lui  provvisto  di 
lungo  muso  (Fig.  31).  Cosi  piccino,  non  raggiunge  infatti  i  quattro  millime- 
tri, esso  arreca  enormi  danni  al  frumento  conservato  nei  granai  poco  sorve- 
gliati: ogni  chicco  di  grano  alloggia  il  vermiciattolo  bianco  figlio  della  Ca- 
landra; da  fuori  nulla  si  vede  di  quel  che  avviene  nel  cuore  farinoso  del 
chicco  e  in  venti-quaranta  giorni  ecco  uscirne  per  un  tondo  foro  il  Coleotte- 
rino  adulto  e  del  chicco  non  resta  che  la  pelle  esterna. 

Questi  dal  «  naso  lungo  »  scientificamente  Curculionidi,  son  tutti  dan- 
nosissimi. Si  riconoscono  per  quel  più  o  meno  lungo  palo  piantato  in  mezzo 
alla  fronte  e  portante  all'estremità  la  bocca  con  le  due  piccole  mandibole. 

Il  piti  curioso  e  straordinario  per  la  lunghezza  del  muso  assottigliato 
a  beccuccio,  lungo  quanto  il  rimanente  del  corpo,  è  il  Balanino  delle  noe- 

88 


ciole:  la  sua  nera  corazza  è  ornata  di  squamette  allungate  color  nocciola, 
poste  una  vicino  all'altra  e  formanti  una  graziosa  pelliccetta.  Dal  capo  se- 
misferico, tra  un  occhietto  e  l'altro  spunta  il  rostro  sottilissimo  e  ricurvo  al- 
l'ingiù  sul  quale  sono  inserite  le  due  antenne,  il  cui  primo  articolo  è  assai 
lungo  e  gli  ultimi  tre  sono  ingrossati  e  formano  una  mazzetta  rigonfia  (Ta- 
vola XII).  Mentre  il  sigaraio  è  esperto  nell'arte  di  arrotolare  le  foglie  dove 
depone  le  uova,  il  Balanino  è  un  abilissimo  trivellatore  che  alloggia  la  pro- 
pria prole  nelle  grasse  provviste  protette  dal  durissimo  cofanetto  della  noc- 
ciola mentre  qualche  suo  parente,  armato  anch'esso  di  allungatissima  trivel- 
lina,  preferisce  le  ghiande  e  le  castagne. 

Quando  rompendo  una  nocciola  o  mangiando  una  castagna  siamo 
improvvisamente  disgustati  da  un  acre  amaro  sapore  possiamo  esser  certi 


d'aver  sotto  i  denti  i  grassi  e  bianchi  figlioletti  dei  Balanini  che  prima  di  noi 
si  son  messi  a  tavola  direttamente  dentro  al  boccone  saporito. 

Che  se  ne  fa  il  Balanino  del  suo  muso  spropositato  che  parrebbe  do- 
vergli essere  pili  d'impaccio  che  d'utilità? 

Da  maggio  a  giugno  non  è  difficile  incontrarlo  intento  ai  suoi  lavori  in 
vista  di  trovar  alloggio  e  nutrimento  ai  suoi  figli  arrampicato  sui  frutti 
preferiti:  dritta  sulle  zampe  posteriori,  i  piedi  ben  premuti  sulla  superficie 
di  una  nocciola  quasi  matura,  la  buona  mamma  Balanino  incurva  verso  il 
basso  l'occhiuta  testolina  e  porta  sotto  il  rostro,  normalmente  dritto  all'innanzi. 
Le  due  mandibole  sporgenti,  piccole  ma  dure,  appuntite  e  taglienti,  inco- 
minciano sul  duro  guscio  del  frutto  ad  incidere  e  a  forare.  La  piccola  sco- 
dellina  cosi  principiata  e  scavata  viene  sempre  pili  approfondita  e  lo  strato 
legnoso  finalmente  è  trapassato  dal  delicato  strumento  che  è  poco  più  spesso 


Fig.  31  -  La  Calandra  del  grano. 
Al  vero  =  I — I 


89 


di  un  capello.  Un  po'  di  .riposo,  sempre  in  quella  scomoda  posizione,  un  tre- 
mulo palpar  delle  antenne  sul  duro  guscio  del  frutto  e  poi  la  trivellina  s'af- 
fonda ancora,  sempre  più,  ormai  immersa  nella  tenera  polpa;  e  la  trapana- 
zione continua  lenta  ma  sicura  fino  a  che  non  è  incontrato  il  fondo  del  co- 
fanetto nel  punto  dove  la  bianca  mandorla  riceve  l'umore  nutritivo  diretta- 
mente dal  picciuolo  ove  è  attaccata.  Ora  il  sottile  trapano  viene  adagio 
adagio  sollevato  e  tolto,  e  nel  foro  è  infilato  l'allungato  ovipositore,  normal- 
mente nascosto  nell'interno  del  corpo,  e  un  uovo  vien  deposto. 

Il  futuro  figliolino  è  così  sicuro  di  trovar  riparo  e  ricchi  viveri  e  la 
madre  se  ne  va  ad  un'altra  nocciola  a  ripeter  l'operazione:  una  palpatina  di 
antenne  per  assicurarsi  che  il  cofanetto  non  sia  già  abitato  da  un  uovo  de- 
posto da  un'altra  madre  e  la  trivellina  ricomincia  il  suo  lavoro. 

A  metà  agosto  le  larve  mature  bucano  le  pareti  della  loro  prigione  e, 
fatto  passare  il  grasso  molle  corpo  attraverso  questo  foro,  si  lasciano  cadere 
a  terra  dove  presto  s'affondano  e  dove  compiranno  la  metamorfosi.  Le  noc- 
ciole cosi  consumate  e  bucate  cadono  presto  anch'esse  a  terra  ingannando  il 
ragazzino  che  le  raccoglie  e  il  topo  campagnolo  che  le  porta  nel  nido  come 
provvista  per  l'inverno. 

Nocciole  e  castagne  vengono  cosi  consumate  in  gran  numero  dalle  larve 
dei  balanini  prima  di  arrivare  alla  nostra  tavola,  ma  i  Curculionidi  non  si 
accontentano  solo  di  ghiande,  castagne  e  nocciole:  questa  specie  attacca  le 
radici  delle  viti,  quest'altra  le  piante  da  frutto;  questa  si  accontenta  di  un 
acre  spicchio  d'aglio;  questa  distrugge  le  barbabietole  mentre  fagioli,  fave, 
cavoli  e  rape  son  rovinati  e  distrutti  da  altri  piccoli  portatori  di  trivella  in 
mezzo  alla  fronte.  Né  si  salvano  i  grandi  alberi  delle  nostre  foreste:  pini, 
abeti  e  pioppi  e  faggi  e  salici  ed  altri  ancora  vengono  attaccati  essi  pure 
dai  dannosi  Curculionidi  e  ad  essi  si  alleano  altri  Coleotteri  di  altre  famiglie. 

*  *  * 

Quando  tu  cammini  in  un  bosco  o  in  una  foresta,  il  grave  silenzio 
non  è  rotto  che  dal  lieve  frusciare  e  dall'attutito  scricchiolar  delle  foglie 
morte  sotto  i  tuoi  passi.  Oltre  a  questo  rumore  quasi  indistinto,  nell'ombrosa 
pace  dei  boschi  tu  non  odi  che  il  canto  di  qualche  uccellino  nascosto  o  il 
picchiar  ripetuto  del  picchio  che  col  lungo  becco  aguzzo  va  in  cerca  di  qual- 
che larva  sotto  le  cortecce. 

Eppure  a  milioni  insetti  d'ogni  genere  scavano  e  forano  per  ogni 
senso  il  duro  cuore  degli  alberi  ed  è  strano  che  queste  innumerevoli  mandi- 


90 


bole  intente  tutte  insieme  a  rosicchiare  non  producano  un  infernale  rumore, 
un  baccano  tremendo  d'indiavolata  segheria. 

Solo  di  notte,  quando  il  sonno  è  leggero  per  i  molti  anni  e  per  i  molti 
dispiaceri  e  ci  si  rigira  nel  letto  e  non  si  riesce  a  chiuder  occhio,  solo  allora 
il  minuto  pertinace  Anobio  fa  udire  il  suo  richiamo  fra  i  due  sessi  con  sec- 
chi colpettini  ripetuti,  seguiti  da  un  breve  silenzio.  E  allora  questi  rintocchi 
nel  silenzio  della  notte  uniti  alle  angosce  dell'insonnia  pare  ricordino  che 
dobbiamo  morire,  che  anche  noi  saremo  ridotti  un  giorno  in  polvere  come 
il  duro  legno  dei  nostri  mobili  sforacchiati  dal  tarlo,  dall'«  orologio  della 
morte  »  come  lo  chiamavano  i  nostri  vecchi  (Fig.  32) . 


Fig.  32  -  Anobio  (orologio  della  morte). 
Al  vero  =  I  1 

Ma  fuori,  nei  quieti  boschi  e  nelle  foreste,  noi  non  siamo  capaci  di 
udire  il  rumore  delle  mille  e  mille  mandibole. 

C'è  chi  sgranocchia  sotto  le  cortecce  come  le  larve  dei  Bostrici  (Fig.  33), 
degli  Elateridi  (Fig.  34)  e  dei  Buprestidi,  cosi  brillanti  ed  eleganti  questi  ul- 
timi nella  loro  corazza  metallica  (Tav.  X  a  destra) .  E  c'è  chi  si  affonda  nelle 
viscere  più  profonde  del  legno  e  chi  mina  e  scava  gallerie  nei  rametti  e  chi 
invece  s'accontenta  del  legname  già  imputridito  e  ridotto  quasi  ad  humus. 

Altri  disdegnano  i  bui  cunicoli  e  gli  oscuri  trafori  nel  corpo  degli  al- 
beri e  preferiscono  invece  attaccare  e  distruggere  le  gemme  e  le  foglie  già 
verdi  che  spesso  riducono  a  delicatissimi  ricami  di  nervature  rispettate.  Altri 
ancora  s'affondano  nell'umido  terreno  in  cerca  delle  radici  e  tutti  sono  ter- 
ribilmente nocivi  e  producono  grandi  danni. 


91 


Fig.  33  -  Bostrico  cappuccino. 
Al  vero  =  I  1 

Dove  sono  arrivati  i  Coleotteri  rodilegno,  rodifoglia  e  rodiradice  presto 
giungono  le  malefiche  muffe  ad  accrescere  irrimediabilmente  il  danno  ed 
intere  foreste  sono  cosi  spogliate  della  verde  chioma,  dissanguate  e  rose  in- 
ternamente e  ridotte  a  secca  legna  buona  neppur  più  per  ardere. 

Quante  volte  nei  boschi  ci  si  imbatte  negli  squallidi  scheletri  di  al- 
beri ancora  l'anno  prima  fronzuti  e  fiorenti!  Ora  essi  alzano  al  cielo  le  nude 
braccia  dei  rami  secchi:  a  brandelli  cade  la  corteccia  e  tu  vedi  fori  e  forel- 
lini  e  misteriose  scritture  incise  e  ripiene  di  fradicia  e  nera  rosura.  Se  tu  batti 
contro  odi  un  cupo  rimbombo  di  legno  cavo  e  al  piede  si  aprono  caverne  ro- 
sicchiate e  sforacchiate  dai  Coleotteri  buone  solo  pili  pel  nido  di  qualche  topo. 

Ma  questo  è  lo  spettacolo  di  una  pianta  ormai  già  morta  mentre  un'in- 
finità di  alberi  ancora  verdi  e  dall'ottimo  aspetto  celano  nel  loro  seno  la  rovina 
prodotta  dai  Coleotteri  che  presto  o  tardi  ne  provocheranno  la  fine. 

Oltre  ai  Curculionidi,  tra  i  Coleotteri  autori  di  questi  misfatti,  stanno 
in  prima  linea  le  globose  Crisomele  spesso  ornate  di  bellissime  colorazioni  e 


Fig.  34  -  Elateride. 
Al  vero  =  I  1 


92 


riflessi  metallici,  divoratrici  di  gemme  e  foglie  (Fig.  35),  i  Bostrici;  gli  Scoliti 
e  gli  Ilesini  le  cui  gallerie  larvali  sono  scavate  con  curiosi  ghirigori  fra  la 
corteccia  e  il  legno  o  che  addirittura  vi  si  addentrano;  i  Cervi  volanti  le  cui 
grosse  larve  scavano  profonde  e  larghe  gallerie  nelle  quercie,  alcuni  Lamelli- 
corni  e  una  numerosa  schiera  di  altri  sfruttatori  degli  alberi. 


Fig.  35  -  La  Melasoma  del  pioppo. 
Al  vero  =  I  1 


*  *  * 

Ma  più  di  tutti  arrecano  danni  ai  boschi  e  alle  foreste  i  Coleotteri  lon- 
gicorni  che,  come  dice  il  nome,  si  distinguono  dagli  altri  per  essere  prov- 
visti di  corna  assai  lunghe  e,  specialmente  nel  maschio,  oltrepassanti  di  pa- 
recchio l'allungato  e  stretto  corpo.  Questi  portatori  di  lunghe  antenne  sono 
in  genere  anche  da  noi  assai  grandi  e  robusti  ed  hanno  un  aspetto  elegantis- 
simo e  spessissimo  sono  meravigliosamente  ornati  di  bei  disegni  e  di  splen- 
didi colori. 

Cosi  maestosi  e  superbi  nelle  loro  forme  ed  ornamentazioni  essi  sono 
certamente  tra  i  piti  bei  Coleotteri  e  sono  quindi  tra  i  più  ricercati  dai  col- 
lezionisti. L'Acantocino  edile,  che  vive  a  spese  del  pino,  ha  per  esempio  una 
delicata  colorazione  grigio  cenere  con  le  elitre  ornate  di  due  fasce  bruna- 
stre  e  le  antenne  sottilissime  sono  lunghe  nel  maschio  quasi  quattro  volte 
l'intero  corpo. 

L'Aromia  moscata  è  invece  color  verde  dorato  o  azzurro  metallico  ed 
emana  un  profumo  gradevolissimo  di  rosa  muschiata  ed  era  perciò  cono- 
sciutissima  col  nome  di  Moscardina  dai  vecchi  contadini  che  la  raccoglie- 
vano sui  salici  e  la  ponevano  nelle  tabacchiere  a  profumare  il  tabacco  da 
naso. 


93 


Le  Saperde,  di  cui  qualcuna  arreca  danni  ingentissimi  ai  pioppi,  pre- 
sentano spesso  bellissimi  e  delicati  colori  mentre  il  comune  Cerambice  eroe 
o  capricorno,  gigante  dei  nostri  longicorni  raggiungendo  i  cinquanta  milli- 
metri di  lunghezza,  è  corazzato  di  cuoio  zigrinato  e  rugoso  nero  lucente 
con  l'estremità  delle  elitre  di  un  bel  bruno  rosso  carminato  (Fig.  36).  Esso 
vola  volentieri  verso  sera  in  giugno  e  luglio  d'albero  in  albero  e  le  sue  larve 
scavano  grandi  gallerie  nel  tronco  delle  vecchie  quercie. 


Fig.  36  -  Maschio  di  Cerambice  eroe  o  gran  capricorno. 

Al  vero  —  I  1 


Molte  altre  specie  sono  assai  belle  ed  eleganti  ma  la  più  superba  di 
tutte  è  la  Rosalia  alpina  (Tav.  XIII).  TI  suo  corpo  nero,  lungo  quaranta  mil- 
limetri, è  coperto  di  un  finissimo  velluto  color  azzurro  cenere  ornato  sulle 
elitre  e  sul  protorace  di  alcune  macchie  di  un  magnifico  nero  opaco  orlate 
di  grigio  perla  chiaro  e  le  sue  lunghissime  antenne,  azzurro  cenere  anch'esse, 
sono  ornate  all'estremità  di  ogni  articolo  di  un  ciuffo  di  lunghi  peli  neri. 
Essa  vive  in  tutta  Italia  sui  monti  e  si  trova,  ma  non  frequentemente,  sui 
tronchi  dei  faggi  e  dei  salici. 

Cosi  belli,  eleganti  ed  ornati,  i  longicorni  sono  tra  i  nostri  peggiori 
nemici  allo  stato  di  larva.  Alberi  da  frutto,  conifere,  quercie,  pioppi,  salici, 
olmi  e  si  può  dire  ogni  albero,  sia  vivente  che  già  tagliato  e  lavorato,  è  as- 
salito da  questi  Coleotteri.  Le  uova  sono  deposte  nelle  screpolature  della 


94 


Al  vero  =  |—  

Rosalia  delle  Alpi. 


TAVOLA  XIII 


corteccia  o  nelle  piaghe  già  prodotte  da  altri  insetti  e  le  larve  che  ne  schiu- 
dono s'ingrossano  a  poco  a  poco  e  vivono  spesso  per  anni  a  spese  degli  al- 
beri alterandone  le  funzioni  organiche  e  causandone  spesso  la  morte  op- 
pure un  tale  deperimento  che  piante  ancora  in  piedi  ma  corrose  e  mi- 
nate da  esse  cadono  facilmente  abbattute  dai  forti  venti  e  dai  cicloni. 

Queste  larve  hanno  l'aspetto  di  grossi  allungati  salamini  biancastri 
strozzati  ad  ogni  segmento  del  corpo;  assai  sovente  sono  prive  di  zampe 
e  procedono  nelle  gallerie  per  mezzo  di  callosità  e  rughe  presenti  sui  ri- 
gonfiamenti dorsali  e  ventrali  dei  primi  sei  o  sette  segmenti  (Fig.  37).  Le 


Fig.  3?  -  Larva  di  Cerambice  (grandezza  naturale). 

due  robuste  mandibole  segano,  tagliano  e  raspano  le  fibre  legnose  che  pos- 
sono essere  digerite  solamente  grazie  a  fermenti  del  loro  stomaco  cosi  po- 
tenti da  esser  capaci  di  alterare  e  modificare  la  cellulosa  e  trarne  nu- 
trimento. 

*  *  * 

Strana  vita  quella  di  queste  larve! 

Immaginate  d'essere  nei  panni  o  meglio  nella  pelle  della  piccola 
larva  appena  sgusciata  dall'uovo;  immaginate  d'essere  un  tenero,  delicato 
vermiciattolo  cieco  e  sordo,  senza  gambe  e  senza  braccia,  privo  d'ogni 
sentimento,  commozione  e  desiderio,  e  fornito  solamente  di  due  robuste  man- 
dibole e  di  un  appetito  formidabile. 

Voi  incominciate  a  scavare  una  galleria  e  a  chiudervi  e  a  seppellirvi 
vivi  nel  cuore  di  una  vecchia  quercia.  Non  potete  indietreggiare  perché  die- 
tro di  voi  la  galleria  è  più  stretta  del  vostro  corpo  e  tutta  ostruita  di  ro- 
sura  e  siete  perciò  obbligati  a  procedere  innanzi,  sempre  innanzi  mangiando 
letteralmente  la  strada. 

E  rodere,  rodere,  rodere  notte  e  giorno  e  giorno  e  notte  nel  buio  asso- 
luto con  un  magro  e  povero  nutrimento,  e  sempre  col  terrore  che  qualche 
altra  larva  incroci  la  vostra  galleria  proprio  a  metà  della  vostra  pancia  o 


95 


che  il  sottile  ovopositore  del  diabolico  imenottero  parassita  raggiunga  attra- 
verso il  legno  la  vostra  morbida  pelle  di  raso  bianco  e  vi  deponga  un  uovo 
da  cui  sguscerà  una  larvetta  cbe  vi  divorerà  vivo. 

O  l'incubo  pauroso  da  brutto  sogno!  O  la  terrorizzante  novella  alla 
Kafka! 

Eppure  bisogna  rodere  e  rodere  ancora  per  tre  anni,  per  tre  lunghi 
anni  e  allora  vi  sentite  gonfi  e  torpidi,  ma  dovete  rodere  e  rodere  ancora. 

Raggiunta  nuovamente  dal  cuore  della  quercia  la  corteccia  esterna, 
dovete  ancora  raschiare  e  limare  e  raspare  di  mandibola  fino  a  lasciare  sola- 
mente un  sottile  velo  legnoso  a  debole  diaframma  tra  il  vostro  mondo  buio 
e  cieco  e  il  luminoso  mondo  del  sole  e  dell'aria  libera  che  raggiungerete  adulti. 
E  il  sottile  velo  di  legno  è  facilmente  infranto  dal  becco  del  picchio  che  vi 
sente  H  sotto  e  che  può  fare  di  voi  da  un  momento  all'altro  un  ghiotto 
boccone. 

Un  malessere  strano  vi  percorre  come  un  brivido  da  un'estremità  al- 
l'altra e  la  pelle  è  gonfia  e  tirata,  ma  voi  dovete  ancora  lavorare  di  raspa 
e  di  succhiello  e  farvi  una  nicchia  spaziosa  ben  riparata  dall'esterno  da  una 
triplice  barricata  di  avanzi  legnosi  e  di  fibre  e  da  una  calotta  pietrosa  pro- 
dotta da  elementi  tenuti  in  serbo  finora  che  chiuda  come  un  tappo  là  vo- 
stra prigione  ovattata  di  fine  raschiatura  e  solo  allora,  finalmente,  siete 
pronto  alla  metamorfosi.  Dentro  di  voi  ha  termine  il  lento  mutamento  che 
si  compie  già  da  qualche  tempo  e  la  pelle  premuta  e  gonfiata  dagli  umori 
interni  finalmente  si  lacera  e  spacca  e  voi  uscite  dalla  vecchia  spoglia  sotto 
forma  di  pupa  immobile  e  dormente. 

Oh  il  terribile  sogno!  La  strana  vicenda  nelle  viscere  della  quercia! 

E  finalmente  arriva  il  giorno  in  cui  di  nuovo  la  pellicola  sottile  che 
vi  fascia,  dopo  un  lungo  sonno  si  lacera  e  voi  siete  l'adulto  Coleottero  ma 
ancora  tenero  e  umido  d'umori.  Più  tardi,  rassodato,  e  racchiuso  in  una 
rigida  corazza,  in  un  duro  guscio  o  scheletro  esterno,  voi  potrete  final- 
mente uscire  e  correre  e  volare  e  suggere  la  linfa  colante  dalle  ferite  degli 
alberi  o  inebriarvi  su  qualche  largo  e  bianco  fiore  di  sambuco,  ma  per 
qualche  mese  di  gioia  e  di  libertà  sono  occorsi  tre  anni,  tre  lunghi  anni 
di  angosciosa  prigionia. 

E  allora,  se  non  sarete  già  stato  divorato  da  qualche  uccellaccio  cat- 
tivo, allora  forse  arriverà  il  ragazzetto  a  catturarvi  per  la  sua  collezione 
d'insetti  ed  egli,  dopo  qualche  oh!  d'ammirazione  per  la  vostra  bella  corazza 
e  per  le  vostre  sottili  e  lunghe  antenne,  vi  farà  addormentare  d'un  sonno 
senza  risveglio  coi  vapori  mortali  dell'etere  acetico  e,  disposte  zampe  e 


96 


antenne  accuratamente  simmetriche,  vi  metterà  vicino  ai  magnifici  Carabi, 
alle  splendenti  Cetonie  e  alle  brillanti  Cicindele  impalato  su  di  uno  spillo  od 
incollato  su  di  un  rettangolino  bianco  di  cartone.  E  cosi,  il  vostro  nome  e 
la  data  e  la  località  della  cattura  scritti  su  di  un  altro  cartellino,  finirà  la 
vostra  vita  iniziata  dal  piccolo  uovo  deposto  in  una  piagata  corteccia. 

Oppure  arriverà  l'uomo  di  scienza  che  avrà  da  chiedervi  conto  dei 
vostri  misfatti  ai  danni  della  quercia,  e  nel  grande  laboratorio  sarete  spiato, 
osservato  e  studiato. 

*  *  * 

Ma  forse  non  incontrerete  l'uccellaccio  cattivo  o  il  ragazzetto  e  lo 
scienziato  e  allora  potrete  volare  nel  fresco  crepuscolo  e  pavoneggiarvi  sul 
tronco  di  qualche  albero,  e  andare  orgogliosi  e  superbi  della  vostra  elegante 
bellezza. 

Come  voi  forse,  ignare  dell'uomo,  le  Cicindele  gioiranno  sulle  sabbie 
infuocate,  e  i  Carabi  vagheranno  di  notte  sulle  umide  erbe,  e  il  Ditisco  nuo- 
terà felice  nel  suo  stagno;  hbere  come  voi  trotterelleranno  le  Roierelle  nelle 
tenebre  delle  grotte  o  pascoleranno  felici  sulle  bianche  muffe  e  l'ornato  Mag- 
giohno  marmoreggiato  rosicchierà  l'ago  di  un  pino  e  sulle  rose  di  macchia 
si  ubriacheranno  le  Cetonie  mentre  papà  e  mamma  Copride  cureranno  la  fa- 
miglia; tranquillo  come  voi  il  Balanino  pianterà  il  suo  succhiello  nella 
mandorla  della  nocciola  e  tutta  l'infinita  turba  dei  Coleotteri  nocivi  man- 
gerà la  foglia,  il  frutto,  le  sementi  e  l'albero  che  il  buon  Dio  ha  creato  non 
solo  per  la  pancia  e  il  benessere  dell'  uomo,  ma  anche  a  nutrimento  e 
riparo  delle  piccole  bestioline  corazzate. 


/ 


97 


APPENDICE 


Caratteri  generali  degli  Insetti  e  loro  classificazione. 
Caratteri  generali  dei  Coleotteri,  loro  caccia  e  conservazione. 

Bibliografia. 


«  Chi  invece,  alla  vista  di  un  ani- 
male gradito  per  la  raccolta  non  sente 
altro  che  l'avido  impulso  dell'uccidere 
e  del  prendere,  non  ha  nessuna  idea 
della  dignità  e  del  valore  della  scienza 
della  natura  ». 

Dott.  Egeb 


Caratteri  generali  degli  Insetti. 


Gli  insetti  si  distinguono  fra  gli  altri  Artropodi,  al  cui  tipo  apparten- 
gono, per  avere  uno  scheletro  esterno  diviso  in  tre  regioni: 

I  -  Il  Capo  con  le  appendici  boccali,  due  antenne  e  gli  occhi. 

II  -  Il  Torace  composto  di  pro-meso  e  metatorace,  portante  inferior- 
mente tre  paia  di  zampe  articolate  e  superiormente  uno  o  due  paia  di  ali  a 
volte  mancanti. 

Ili  -  L'Addome  suddiviso  tipicamente  in  11  segmenti  (Fig.  38). 


Fig.  38  -  Schema  di  insetto. 


Il  sistema  nervoso  è  composto  da  un  cervello,  posto  superiormente  al 
tubo  digerente  nel  capo,  da  una  catena  di  gangli  posta  inferiormente,  e 
dalle  varie  ramificazioni  che  raggiungono  ogni  parte  interna  del  corpo. 

Il  sistema  circolatorio  è  costituito  da  un  cuore  o  vaso  dorsale  attra- 
verso il  quale,  entrando  dalla  parte  posteriore,  passa  il  liquido  detto  impro- 


101 


priamente  sangue,  e  al  quale,  dopo  esserne  uscito  per  la  parte  anteriore  ed 
aver  circolato  tra  un  organo  e  l'altro,  ritorna. 

La  respirazione,  in  generale  aerea,  avviene  per  mezzo  di  trachee 
ramificate  all'interno  del  corpo  e  che  si  aprono  all'esterno  sui  lati  del  corpo 
per  mezzo  di  stigmi. 

Il  sistema  digerente  è  composto  di  un  tubo  intestinale  diviso  in  tre 
parti  e  nel  quale  sboccano  i  tubi  di  Malpighi  con  funzioni  di  reni. 

Sono  pure  presenti  un  sistema  di  ghiandole  (salivari  ecc.)  ed  un  si- 
stema riproduttore  (Fig.  39). 


Fig.  39  -  Schema  delle  parti  interne  di  un  insetto, 
ab)  Apertura  boccale  -  i)  Intestino  -  ce)  Cervello  -  g)  Catena  ganglionare  del  si- 
stema nervoso  -  c)  Cuore  o  vaso  dorsale  -  s)  Stigmi  -  r)  Ramificazione  delle  trachee 
o)  Organi  della  riproduzione  -   >  Circolazione  del  sangue. 


Gli  insetti,  dopo  lo  sviluppo  embrionale  che  avviene  nell'  uovo,  pas- 
sano attraverso  varie  trasformazioni  giovanili  o  metamorfosi  più  o  meno 
profonde  dopo  le  quali  essi  raggiungono  con  la  maturità  lo  stato  di  adulto 
o  di  immagine.  Alcuni  insetti  escono  dall'uovo  con  la  forma  già  simile,  sta- 
tura esclusa,  all'adulto  e  non  hanno  quindi  vere  e  proprie  metamorfosi, 
come  avviene  negli  Apterigoti.  Altri,  come  ad  esempio  le  Cavallette,  hanno 
metamorfosi  incomplete  ed  escono  dall'uovo  con  una  forma  simile  a  quella 
dell'adulto  dal  quale  differiscono  però  specialmente  per  la  mancanza  di  ali. 
Altri  ancora  hanno  le  metamorfosi  complete  ed  escono  dall'uovo  sotto  forma 
di  Larva  completamente  diversa  dall'adulto  e  che,  dopo  essersi  nutrita  abbon- 
dantemente, si  trasforma  in  Pupa  che  non  si  nutre  e  dalla  quale,  final- 
mente, sfarfallerà  l'adulto  come  avviene  per  esempio  nelle  Farfalle  e  nei 
Coleotteri. 


102 


Classificazione  degli  Insetti. 


Senza  metamorfosi:  Apterigoti  (sempre  privi  di  ali;  giovani,  statura 
esclusa,  simili  all'adulto). 

Ordine  I:  Proturi.  -  II:  Collemboli  (esempio  la  pulce  dei  ghiacciai)  - 
III:  Tisanuri  (esempio  il  pesciolino  d'argento  dei  luoghi  umidi,  Fig.  40). 


Fig.  40  -  Pesciolino  d'argento.       Fig.  41  -  Cavalletta.  Fig.  42  -  Libellula. 

Con  metamorfosi:  Pterigoti  (salvo  poche  eccezioni,  adulti  sempre  alati), 
a)  Metamorfosi  incomplete:  Exopterigoti  (giovani  simili  all'adulto  ma 
senza  ali). 

Ordine  IV:  Blattoidei  (esempio  le  blatte  o  scarafaggi)  -  V:  Mantoi- 
dei  (es.  la  Mantide  religiosa)  -  VI:  Fasmoidei  (es.  insetto  stecco)  -  VII:  Or- 
totteri (es.  cavallette  e  grilli,  Fig.  41)  -  Vili:  Isotteri  (es.  le  termiti)  -  IX:  Em- 


Fig.  43  -  Cimice.  Fig.  44  -  Farfalla.  Fig.  45  -  Maggiolino. 

biotteri  -  X:  Dermatteri  (es.  le  forficule  o  forbicine)  -  XI:  Zoratteri  -  XII: 
Corrodenti  -  XIII:  Mallofagi  (es.  pidocchi  pollini)  -  XIV:  Anopluri  (es.  il 
pidocchio  dell'uomo)  -  XV:  Plecotteri  -  XVI:  Efemerotteri  (es.  l'effemera)  - 
XVII:  Odonati  (es.  la  libellula,  Fig.  42)  -  XVIII:  Tisanotteri  -  XIX:  Emitteri 
(es.  cimici  e  cicale,  Fig.  43). 


Fig.  46  -  Ape.  Fig.  4?  -  Mosca. 


103 


2AMPA 


Fig.  48  -  PARTI  DEL  CORPO  DEI  COLEOTTERI. 
{Cicindela  campestris  L.). 


104 


b)  Metamorfosi  complete:  Endopterigoti.  (Dall'Uovo  schiude  la  Larva 
d'aspetto  completamente  diverso  dall'adulto.  Trasformazione  in  Pupa  e 
quindi  in  Immagine). 

Ordine  XX:  Neurotteri  (es.  formicaleone)  -  XXI:  Mecotteri  (es.  mo- 
sche scorpioni)  -  XXII:  Tricotteri  (es.  friganea)  -  XXIII:  Lepidotteri  (es. 
tutte  le  farfalle,  Fig.  44)  -  XXIV:  Coleotteri  (es.  il  maggiolino,  Fig.  45)  - 
XXV:  Strepsitteri  -  XXVI:  Imenotteri  (es.  api,  Fig.  45,  vespe  e  formiche)  - 
XXVII:  Ditteri  (es.  mosche,  Fig.  47)  -  XXVIII:  Afanitteri  (es,  la  pulce). 

Caratteri  generali  dei  Coleotteri. 

Il  nome  Coleottero  deriva  dal  greco  xoXeó?  fodero-guaina  e  da  jiteqóv 
ala.  I  Coleotteri,  volgarmente  detti  Scarabei,  si  riconoscono  tra  gli  al- 
tri insetti  per  il  tegumeno  del  corpo  assai  consistente  e  per  avere,  quando 
non  volano,  le  ali  posteriori  membranose  e  l'addome  sul  cui  dorso  sono  ripie- 
gate, coperte  e  come  inguainate  dalle  dure  elitre  che  altro  non  sono  che  le 
due  ali  anteriori  coriacee;  cosi  essi  appaiono  completamente  corazzati  (Fig.  48). 

I  Coleotteri  hanno  metamorfosi  complete  e  cioè  dall'uovo  schiude  la 
Larva,  priva  completamente  di  ali,  la  quale  crescendo  muta  parecchie  volte 
la  pelle  e  che,  raggiunto  il  massimo  di  sviluppo,  si  trasforma  in  Pupa.  Que- 
sta non  prende  cibo  e,  dopo  un  certo  periodo  di  tempo,  da  essa  schiude 
il  Coleottero  adulto  (Fig.  49). 

Le  dimensioni  dei  Coleotteri  variano  da  meno  di  un  millimetro  ai 
centocinquanta  millimetri  come  ad  esempio  raggiunge  l'esotico  Dinaste  ercole 
che  è  uno  dei  giganti  del  mondo  degli  insetti. 

I  Coleotteri  comprendono  circa  duecentomila  specie  descritte  e  in 
Italia  ne  vivono  più  di  dodicimila.  Molti  sono  dannosissimi  all'agricoltura, 
qualcuno  invece  è  utile  distruggendo  gli  insetti  nocivi. 

Caccia  e  conservazione  dei  Coleotteri. 

Per  cacciare  i  Coleotteri  occorrono  alcuni  strumenti  di  facile  costru- 
zione. Essi  sono  un  paio  di  pinzette  per  prendere  i  Coleotteri  nascosti  in 
qualche  piccola  anfrattuosita  o  nelle  materie  sudicie.  Un  retino  (Fig.  29)  di 
tela  forte  e  fìtta  che  serve  per  prendere  i  Coleotteri  nascosti  tra  le  erbe  ed 


105 


i  fiori  e  che  si  adopera  muovendolo  a  mo'  di  falce  sfiorando  velocemente  le 
erbe.  Questo  stesso  retino  può  pure  servire  per  pescare  i  Coleotteri  che 
vivono  negli  stagni  e  nei  laghetti.  In  questo  caso  occorre  munirlo  di  un 
manico  più  lungo.  Un  aspiratore  costituito  da  una  semplice  bottiglietta 
chiusa  superiormente  da  un  tappo  attraverso  il  quale  passano  due  tubi  di 
ferro;  uno  di  questi  deve  essere  chiuso  dalla  parte  interna  della  bottiglietta 
da  un  dischetto  di  finissima  rete  metallica,  e  porta  all'esterno  un  tubo  di 
gomma  lungo  una  cinquantina  di  centimetri.  Tenendo  in  bocca  questo  tubo 
ed  aspirando  fortemente,  i  piccoli  Coleotteri  vengono  aspirati  dall'altro  tubo 
leggermente  curvo  e  cadono  dentro  alla  boccetta.  Coll'aspiratore  si  raccol- 
gono quelle  specie  che  per  la  loro  piccolezza  non  si  potrebbero  agevolmente 
prendere  con  le  dita  e  che  si  rovinerebbero  (Fig.  15).  Il  crivello  consiste  in 
un  sacchetto  di  tela  forte  chiuso  al  fondo  da  una  fitta  rete  metallica.  Serve 


pupa  immagine  o  adulto 

Fig.  49'  -  METAMORFOSI  DEI  COLEOTTERI. 
(Cicindela  campestris  L.). 
Dall'uovo  nasce  la  «  larva  »  che  dopo  diverse  mute.  (I,  II,  III)  raggiunge  la  maturità 
e  si  trasforma  in  «  pupa  >  dalla  quale  schiude  l'<  immagine  »  o  adulto. 


106 


per  setacciare  le  foglie  morte  ed  i  detriti  vegetali  che  si  trovano  ai  piedi 
degli  alberi  o  lungo  le  rive  dei  fiumi  dopo  le  piene.  Molti  insettini  si  stac- 
cano cosi  da  questi  detriti  ed  uscendo  dalle  maglie  della  rete  vanno  a 
cadere  su  di  un  pezzo  di  tela  o  di  carta  bianca  che  si  pone  sotto  al  crivello 
quando  si  setaccia.  E  pure  necessaria  una  zappetta  che  serve  per  scavare 
ai  piedi  degli  alberi  dove  spesso  molti  Coleotteri  si  nascondono  tra  il  tronco 
ed  il  terriccio. 

Se  si  vogliono  conservare  vivi  i  Coleotteri  per  studiarne  la  vita  oc- 
corre riporre  le  catture  in  qualche  bottiglietta  dal  tappo  finemente  buche- 
rellato per  il  passaggio  dell'aria  ed  è  necessario  che  esse  siano  provviste  di 
un  batufolo  di  cotone  idrofilo  inumidito  d'acqua,  perché  gli  insetti  non  ab- 
biano a  patire  la  mancanza  di  umidità.  Cosi  pure  occorre  badare  a  non  met- 
tere assieme  agli  altri  i  Coleotteri  carnivori  che  vanno  tenuti  isolati.  A  casa 
si  porranno  in  cassettine  vetrate  chiuse  superiormente  da  una  rete  metallica 
che  permetta  all'aria  di  circolare  ed  impedisca  le  fughe.  Sul  fondo  delle 
cassette  si  metterà  uno  strato  di  un  dieci  centimetri  ed  anche  più  di  sabbia 
fine  o  di  terra  ben  setacciata,  qualche  pietra,  del  muschio  e  qualche  pian- 
tina e  si  baderà  a  spruzzare  ogni  giorno  dell'acqua  e  a  fornire  gli  insetti  di 
appropriato  nutrimento.  Per  i  piccoli  Coleotteri  è  sufficiente  un  piatto  fondo 
pieno  di  terra  o  sabbia  coperto  da  una  semplice  moscarola  di  tela  metallica. 

Se  invece  si  vogHono  raccogliere  solamente  per  farne  collezione,  oc- 
corre ucciderli  al  più  presto  senza  farli  soffrire.  Anzi,  a  questo  proposito  è 
bene  non  stancarsi  dal  ripetere  che  è  inutile  e  crudele  il  raccogliere  ed 
uccidere  malamente  insetti  solo  per  il  gusto  di  avere  qualche  scatola  piena 
di  povere  bestie  orribilmente  infilzate  magari  ancora  in  vita!  Se  si  fanno 
queste  raccolte  senza  un  preciso  scopo  scientifico  o  senza  una  seria  pas- 
sione è  meglio  allora  far  raccolta  di  francobolli  o  di  vignette  di  scatole 
da  cerini!  Per  uccidere  gli  insetti  occorre  riporli  non  appena  catturati  in 
una  bottiglietta  ripiena  per  due  terzi  di  briciole  di  sughero  o  di  segatura 
di  legno  non  resinoso  un  po'  grossa  e  dove  sia  un  piccolo  tubetto  conte- 
nente un  batufolo  di  cotone  idrofilo  inumidito  con  qualche  goccia  di  etere 
acetico  o,  in  mancanza  di  questo,  di  benzina. 

Cosi  equipaggiati  potete  incominciare  a  cacciare.  I  Coleotteri  si  tro- 
vano ovunque.  Nei  prati,  nei  boschi,  sulle  piante  e  sugli  arbusti  dai  quali 
potete  farli  cadere  battendone  i  rami  con  un  bastone  e  ponendo  sotto  un 
pezzo  di  tela  bianca  o  meglio  un  ombrellino  rivestito  internamente  di  tela 
bianca.  Dovete  cercare  lungo  le  rive  dei  fiumi,  sotto  le  pietre,  sotto  le  cor- 


107 


tecce  già  un  po'  sollevate,  sotto  i  muschi,  negli  escrementi,  sotto  i  piccoli 
cadaveri  di  animali.  Ricordatevi  però  di  rimettere  pietre,  fascine  ecc.  che 
sollevate,  al  loro  posto  primitivo.  Alcune  specie  vivono  nei  formicai  ed 
allora  occorre  setacciare  il  contenuto  di  questi  su  di  un  panno  bianco.  Altre 
vivono  nelle  grotte  sui  detriti  vegetali  o  sul  guano:  queste  specie  si  atti- 
rano anche  con  esche  poste  su  pezzi  di  carta  (mai  entro  bicchieri  interrati 
dove,  se  non  si  può  ritornare  nelle  grotte  o  se  non  si  ritrovano,  molti  insetti 
cadono  e  non  potendone  uscire  muoiono).  Queste  esche  sono  il  formaggio  di 
odore  molto  forte,  piccoli  animali  morti,  pezzetti  di  ossa  e  di  tendini  e  gli 
escrementi  umani.  Poste  le  esche  in  luoghi  facilmente  ritrovabili  si  ritorna 
sul  posto  dopo  qualche  giorno  e  coll'aspiratore  si  raccolgono  gli  insettini  da 
esse  attirati.  Spesso  si  trovano  cosi  specie  assai  rare  e  a  volte  nuove  per  la 
scienza.  Nelle  grotte  occorre  essere  sempre  accompagnati  da  qualcuno  vera- 
mente pratico  di  esse  ed  essere  muniti  di  lampade  ad  acetilene  e  di  candele. 

Una  caccia  assai  proficua  è  quella  fatta  dopo  le  inondazioni  e  le 
piene  dei  fiumi;  molti  insetti  fatti  uscire  dai  loro  nascondigli  e  trascinati 
dalla  corrente  vengono  poi  rigettati  sulle  rive  assieme  coi  detriti  vegetali  d'o- 
gni genere.  Si  trovano  così  specie  assai  rare  ed  altre  portate  fin  li  dalle  monta- 
gne o  da  luoghi  lontani.  In  questo  genere  di  caccia  riesce  assai  utile  il  crivello. 

Altri  luoghi  del  tutto  speciali  dove  occorre  cercare  sono  i  nidi  dei  pic- 
coli mammiferi  e  degli  uccelli. 

Negli  stagni  e  lungo  le  rive  dei  laghi  si  trovano  molte  specie  acqua- 
tiche che  si  pescano  col  retino. 

Ovunque  cerchiate  tenete  sempre  annotato  su  di  un  quadernetto  la 
data  della  caccia,  il  luogo  preciso  con  tutte  quelle  altre  indicazioni  utili  come 
orientamento  dei  luoghi,  altitudine,  stato  atmosferico,  umidità  o  meno  della 
località  ecc.  Se  durante  la  stessa  gita  passate  per  luoghi  differenti  occorre 
avere  diverse  boccette  da  caccia  in  modo  che  le  catture  fatte  in  riva  ad  un 
fiume  non  si  confondano  con  quelle  fatte  nella  stessa  giornata  per  esempio 
in  un  bosco. 


I  Coleotteri  cosi  raccolti  nelle  bottiglie  da  caccia  devono  essere,  pre- 
via constatazione  che  siano  realmente  morti,  preparati  prima  di  essere  messi 
a  posto  nelle  cassettine.  A  tal  fine  o  subito  dopo  la  caccia  o  anche  dopo 


Coleotteri. 


108 


qualche  giorno  (conservandosi  per  lungo  tempo  morbidi  nelle  giunture  se  te- 
nuti nelle  boccette  ben  tappate  grazie  all'etere  acetico)  occorre  preparare  i 
Coleotteri  in  modo  che  le  zampe  e  le  antenne  siano  disposte  ordinatamente  e 
simmetricamente  intorno  al  corpo  senza  sporgerne  troppo  e  in  modo  da 
lasciar  scorgere  bene  ogni  singola  parte;  a  tal  uopo  si  adoperano  dei  pen- 
nellini  da  acquerello  e  degli  aghi.  Dopo  di  che,  io  consiglio  di  non  infil- 
zarli con  gli  spilli  speciali  per  entomologia,  come  normalmente  si  usa  per 
le  grosse  specie,  ma  di  incollarli  tutti  grandi  e  piccoli  con  qualche  goccio- 
lina di  colla  solubile  in  acqua  su  dei  rettangoli  di  cartoncino  bianco  rigido 
e  sostenuto,  proporzionati  alle  dimensioni  dei  Coleotteri.  Gli  spilli  facil- 
mente rovinano  gli  insetti  ed  in  questo  momento  è  assai  difficile  procu- 
rarsi quelli  speciali  per  collezione.  Questi  rettangolini  sono  infilzati  su  spilli 
che  possono  essere  quelli  comuni,  e  sotto  di  essi  devono  essere  posti  altri 
due  cartellini  uno  col  nome  scientifico  della  specie,  varietà,  aberrazione; 
l'altro  con  la  data  esatta,  la  località  precisa  della  cattura  ed  il  nome  del 
raccoglitore.  Esempio:  Mesocarabus  problematicus,  Herbst;  var.  inflatus,  Kr; 
ab.  Della  -  Beffae,  Breuning.  |  se  maschio,  °  se  femmina  -  Alpi  Graie, 
Lago  del  Moncenisio  m.  1909.  8  giugno  1939.  M.  Sturani. 

I  Coleotteri  cosi  preparati  e  ben  secchi  sono  disposti  in  scatole  di  le- 
gno o  di  cartone  con  coperchio  vetrato  o  non,  a  chiusura  ermetica  ed  aventi 
internamente  un  fondo  composto  di  uno  strato  di  torba  o  sughero  o  faesite 
ultra  porosa  un  po'  spesso  sul  quale  si  possano  piantare  gli  spilli  con  faci- 
lità. Nelle  scatole,  che  in  Italia  si  trovano  dalla  ditta  Gruppioni  di  Bologna 
coll'altro  materiale  entomologico,  va  messo  in  un  angolo  un  tubetto  conte- 
nente un  batuffolo  di  cotone  inumidito  di  qualche  liquido  fortemente  inset- 
tifugo come  l'essenza  di  mirbano  o  il  creosoto  puro  oppure  un  poco  di  pol- 
vere di  diclorobenzol  (Globol). 

Quando  i  Coleotteri  della  collezione  sono  mal  disposti  e  si  vuole  ri- 
metterli in  ordine  occorre  mettere  i  rettangolini  con  attaccati  gli  insetti  in 
un  recipiente  piatto  e  basso  su  della  carta  da  filtro  inumidita  con  acqua  e 
coprire  il  recipiente  con  una  lastra  di  vetro.  Dopo  ventiquattro  ore  si  possono 
facilmente  distaccare  dai  rettangolini  di  cartoncino  ed  essendo  le  giunture 
rammollite  si  possono  rimettere  in  ordine  senza  paura  di  rompere  le  zampe 
e  le  antenne.  Se  qualche  Coleottero  fosse  attaccato  dalle  muffe  o  dai  tarli 
occorre  pulirlo  con  un  pennellino  morbido  zuppo  di  benzina  o  di  etere  sol- 
forico o  addirittura  tenerlo  immerso  per  qualche  tempo  in  quésti  liquidi. 

Nella  collezione  si  tenga  sempre,  quando  ciò  è  possibile,  un  esemplare 


109 


maschio  e  uno  femmina  e  le  diverse  varietà  ed  aberrazioni  e  in  piccoli  tu- 
betti di  vetro  ben  sigillati  anche  la  larva  e  la  pupa  in  alcool  a  settanta  gradi. 
Così  pure  è  bene  mettere  vicino  le  foglie  corrose  da  essi  o  quelle  arrotolate 
per  esempio  dal  sigaraio  e  tutto  ciò  che  interessa  la  vita  di  questi  insetti, 
come  frutti  e  legni  danneggiati  ecc. 


Piccola  bibliografìa  riguardante  gli  Insetti  in  generale 
e  i  Coleotteri  in  particolare. 

Tra  le  opere  di  carattere  divulgativo  sugli  Insetti  ottima  è  quella  in 
due  volumi  sull'embriologia  e  morfologia  degli  Insetti  di  Antonio  Berlese, 
Gli  Insetti  (Milano,  1909-1925,  Società  Editrice  Lombarda).  Sui  costumi  e 
l'istinto  degli  Insetti  sono  famosi  i  Souoenirs  entomologiques  di  J.  H.  Fabre 
(edizione  definitiva,  serie  I-X,  Parigi,  1919-25)  tradotti  in  italiano  da  C.  Si- 
niscalchi (Milano,  1922-27,  Casa  Editrice  Sonzogno). 

Sui  Coleotteri  non  esiste  in  Italia  alcuna  opera  seria  di  carattere  non 
esclusivamente  scientifico.  I  manuali  Hoepli  Coleotteri  Italiani  (Milano,  1894) 
e  II  libro  dei  coleotteri  (Milano,  1896),  di  Achille  Griffini,  sono  ormai  esauriti 
da  tempo.  La  Fauna  Coleopterorum  Italica  del  Porta,  1923-34,  in  cinque 
volumi  ed  un  supplemento,  descrive  tutte  le  specie  e  varietà  di  Coleotteri 
italiani,  ma  tuttora  manca  in  Italia  una  buona  opera  di  carattere  divulga- 
tivo di  piccola  mole  e  di  prezzo  accessibile  come  invece  ne  esistono  molte 
all'estero.  Tra  queste  cito  ad  esempio  YHistoire  naturelle  de  la  Trance,  8" 
partie  «  Coìéoptères  >  di  L.  Fairmaire  nella  nuova  edizione  rifatta  da  Louis- 
Marie  Planet  (Parigi,  1923,  les  fìls  d'Emile  Deyrolle),  e  La  Faune  de  la 
France.  volumi  5-6,  di  Remy  Perrier  (Parigi,  1935,  Librairie  Delagrave). 
Questi  due  libri  possono  essere  consultati  utilmente  perchè  la  maggior  parte 
delle  specie  descritte  si  trova  anche  in  Italia.  Altre  opere  straniere  ottime 
e  ricche  di  tavole  a  colori  sono  le  seguenti  in  lingua  tedesca.  Reitter,  Fauna 
Germanica:  Kàfer  des  deutschen  Reichs,  5  voli.  (Stoccarda,  1908-1916).  Cal- 
wer,  Kàferbuch  (Stoccarda,  1916,  7"  edizione). 

In  Italia  poi  la  «  Società  Entomologica  Italiana  »  (Genova,  Via  Bri- 
gata Liguria  9),  pubblica  il  «  Bollettino  Entomologico  »  in  dieci  numeri  an- 
nui e  le  «  Memorie  >. 


no 


INDICI 


INDICE 


Prefazione                                                                                       .  p.  5 

Capitolo  I.  -  La  Cicindela  dei  campi   >  7 

»       II.  -  Il  Carabo  Estinto   >  23 

»     III.  -  Il  Sommergibile  Volante   >  35 

»     IV.  -  Nelle  grotte    »  5i 

»       V.  -  Gemme  e  lordure   >  69 

»     VI.  -  I  nemici  nascosti                                                           .  »  83 

Appendice.  -  Caratteri  generali  degli  Insetti  e  loro  classificazione.  -  Ca- 
ratteri generali  dei  Coleotteri,  loro  caccia  e  conservazione.  - 

Bibliografìa   >  99 

INDICE  DELLE  TAVOLE 

Coccinella  dai  sette  punti    ....         .  copertina 

I.  -  Larva  della  Cicindela  dei  campi  nella  galleria  (spaccato)     .      .      .      .  p.  12 

II.  -  Pupa  e  spoglia  larvale  della  Cicindela  dei  campi  nella  celletta  della  ninfosi 

(spaccato)        .      .      .  .   »  16 

III.  -  Adulto  maschio  della  Cicindela  dei  campi   >  20 

IV.  -  Carabo  di  Olimpia   »  28 

V.  -  Callisto  lunato       .      .   >  32 

VI.  -  Ditisco  marginale         .      .      .   »  40 

VII.  -  Apparato  digerente  di  Cicindela   >  43 

VIII.  -  Sfodrossi  di  Giuliani  e  Roverella  di  Rocca   »  56 

IX.  -  Leptodero  di  Hohenwart   >  60 

X.  -  Cetonia  dorata  ed  Antassia   >  72 

XI.  -  Polifilla  f ullo                                                                   .      .      .      .  >  76 

XII.  -  Balanino  delle  nocciole  ,      ,  >  88 

XIII.  -  Rosalia  delle  Alpi   >  94 


113 


FINITO  DI  STAMPARE 
NEGLI  STABILIMENTI  DELLA  S.A.T.E.T. 
IL  15  NOVEMBRE  1942-XXI 


1158  01002  8909 

576 
S93c