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MARIO STURANI
CACCIA GROSSA
FRA LE ERBE
1942-xxi
GIULIO EINAUDI, EDITORE - TORINO
PROPRIETÀ RISERVATA
(Quando ragazzi, ed anche non più tali, si sognano meravigliosi viaggi
in lontane regioni e un desiderio strano di nuovi paesaggi e piante ed ani-
mali inconsueti ci tormenta, e con struggimento guardiamo negli atlanti le
piccole isole selvagge o le briciole di terra ancora sconosciute, non s'imma-
gina certo che intorno a noi, a due passi da casa, vi sono ancora a migliaia
ignoti luoghi da scoprire e innumerevoli animali che in essi vivono e dei
quali a mala pena possiamo concepire l'esistenza.
Se riposando in un prato, avvicini lo sguardo a terra e osservi da vi-
cino le erbe e le piante, eccoti per incanto affacciato ad un mondo nuovo,
ad una vita insospettata.
Magica foresta delle erbe! in un palmo di terra ci son più meravi-
glie che in tutte le fantastiche inesplorate regioni del mondo. Tra il grovi-
glio delle chiare tenere radici fan capolino straordinarie creature, animali
alati, corazzati; chi tempestato di miriadi di gemme tali da far impallidire
l'arcobaleno degli uccelli del paradiso, chi invece scolpito in un lucido ebano
con corni e stravaganze tali sul capo da far nascondere umiliati elefanti e
rinoceronti. Sei paia di zampe, due paia di ali, due antenne, e chi mai può
competere con loro tra gli uccelli ed i mammiferi ?
Vite straordinarie sono vissute nella foresta delle erbe: timidi sfrut-
tatori di succhi vegetali ed instancabili cacciatori e tremendi assassini, abili
vasai e tessitori di delicati tessuti, modesti minatori e costruttori di palazzi
due volte più alti della torre Eiffel.
Sbiadisce e scolora al confronto la vita e l'industria degli altri ani-
mali e dell'uomo stesso; impallidisce il lussureggiare dei grandi boschi al
confronto con la magica foresta delle erbe.
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Ad essa ed ai suoi abitatori è dedicato questo libro in segno di rico-
noscenza per le tante ore belle passate ad osservare, disteso in un prato, i
miei amici preferiti del mondo degli insetti: i Coleotteri, i corazzati Sca-
rabei, il bellissimo aspetto e la meravigliosa vita di alcuni dei quali ho cer-
cato di descrivere e dipingere nella speranza di riuscire a suscitare almeno
in qualcuno dei miei lettori il gusto e l'entusiasmo per l'osservazione delle
piccole meraviglie della Natura che ci stanno intorno e noi non conosciamo.
Mario Sturami
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LA CICINDELA DEI CAMPI
« La vita degli insetti è una delle
meraviglie della natura >.
Buffon
CAPITOLO I
LA CICINDELA DEI CAMPI
Mi son seduto sul ciglio d'un sentiero che sale tra i ciuffi d'erica e
l'erba bruciata dal sole; la terra intorno è tutta percorsa da crepature e
spacchi, ed è quasi bianca, sabbiosa.
Giù in fondo, a valle, il fiume scorre torpido e pigro tra un am-
masso e l'altro di ciottoli tondi, e l'acqua dev'esser calda coi suoi luccichii
di metallo incandescente. Tutto intorno colline e colline bruciate, pelate,
sotto il cui scarso terriccio asciutto sono a nudo, come ossa di gigantesche
mummie, le rocce rosse ed ocra.
Sovrasta un cielo immenso, profondo, e fa caldo, un terribile caldo.
Il pozzo vicino alla casa dove ho chiesto da bere, è asciutto e sem-
bra la bocca di un forno. Se butti giù la secchia, senti un grande scate-
nio, e non tiri su che rumore e sassi e sabbia.
Anche la collina ha sete e non può bere che sole.
Per terra, nelle vigne, grosse pesche e susine inondano l'aria immo-
bile di odore caldo e dolciastro. Le vespe e le api si scavano, mangiando,
una dolce fossa nella frutta: dimenticano l'alveare, il dovere, la legge e
impazziscono e muoiono di piacere e di profumo.
Sul muretto di sassi e terra che fiancheggia il sentiero, biancheggia
una pelle secca di biscia. Non si vede neppure una lucertola benché cosi
amante del sole e la vita pare scomparsa, sprofondata nelle viscere della
terra o bruciata dal sole di agosto. Non vedo volare un passero, non odo
alcun rumore che sia indizio di vita.
Ma ecco, mi chino a terra e scorgo un foro circolare, di perfetta
geometria, con la terra ben battuta tutto intorno. Non è più grande della
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cannuccia di un pennello da acquerello ed altri fori simili sono vicini
nel sentiero
Chi ha bucato la terra con tanta precisione? e con quali delicati
strumenti ha fatto lo scavo?
La curiosità di sapere mi fa dimenticare il sole ed il gran caldo.
Intanto ecco che qualcosa risale su pel foro e improvvisamente questo
scompare. Con cautela mi chino ancora e mi accorgo che un dischetto,
metà lucido e metà terroso, ha tappato completamente la bocca della gal-
leria. Avvicino una pagliuzza al tappo misterioso, ma prima che io riesca
a toccarlo, ecco che esso scompare nuovamente sotto terra.
Infilo la paglia nella galleria e mi accorgo che questa è profonda
una ventina o poco più di centimetri. Tento ancora di toglierla, ma qual-
che cosa cerca laggiù in fondo di trattenerla; io tiro in su e quella viene
tirata all'ingiii.
Sempre più incuriosito, lascio la pagliuzza nel foro e scavo tutt'in-
torno col temperino. Dapprima tolgo una crosta secca, dura alla superficie,
ma, a mano a mano che lo scavo procede, la terra si fa meno arida ed una
traccia di umidità la rende piti scura e più soffice. Qualche erba secca
del ciglio del sentiero manda fin li i fili bianchi delle radici a cercare un
po' di umore per non morire del tutto.
Con sempre maggior ansia ed attenzione metto a nudo nella sua
profondità la galleria che, anche sotto terra, continua regolare come se
fosse stata fatta da una bacchetta cilindrica affondata e poi tolta.
Ora vedo la paglia, quasi completamente allo scoperto, muoversi, gi-
rare e salire: devo avere raggiunto l'estremità della galleria.
Con uno strappo secco tiro su improvvisamente la pagliuzza ed ecco
che, attaccato alla sua estremità, scorgo qualche cosa di allungato e bianco
che si contorce. Lo poso sulla terra battuta del sentiero; ha lasciato la presa
e scatta come una molla in qua e in là.
Metto questo diavoletto bianco dalla testa scura a riflessi metallici
in un tubetto di chinino vuoto per osservarlo a casa con più agio. Son tutto
sudato; il sole continua alto a bruciare la collina, e l'aria è greve, pesante.
Ho voglia di un gelato, di un grande bicchiere di menta, e sogno, tornando
giù pel sentiero, paesaggi invernali e torrenti che sgorgano da ghiacciai tra
monti bianchi, tra monti bianchi di neve. Attorno la terra spaccata mette
a nudo la roccia; e sopra sovrasta immobile il caldo terribile e laggiù,
lontano, a valle, il fiume caldo e lento si perde fra i ciottoli tondi e la
sabbia.
IO
Dalla finestra aperta entrano i rumori e le voci della strada. Nella
casa, tenuta buia tutto il giorno, si sta bene. Sul tavolo, in mezzo ai libri,
c'è uno spazio libero dove il tubetto di chinino manda, sotto la luce, una
strana ombra. È un'ombra che racchiude un riflesso chiaro, trasparente, e
nel riflesso chiaro si muove un'ombra scura allungata: è il mio diavoletto.
Apro il tubo e metto in libertà il prigioniero. Sul tavolo se ne sta
immobile con due grandi mandibole aperte, ma, se lo stuzzico lievemente
con la punta delle pinzette, eccolo di nuovo a contorcersi scattando come
una molla d'orologio impazzita.
Lasciamolo in pace ed osserviamolo meglio sotto la lente. La larva *
appare come un budellino bianco, diafano, un po' strozzato ad ogni seg-
mento del corpo ed alla cui estremità sta la testa, superiormente concava,
nera con riflessi metallici verdastri. Anche il protorace, leggermente con-
vesso, ha lo stesso colore, ma è ricoperto da una crosta di terra. La testa
ed il protorace formano il disco che tappava cosi bene il foro della gal-
leria. Due mandibole formidabili ed aguzze, si ergono perpendicolar-
mente al capo, e danno all'animale un aspetto terribilmente feroce, di
una fredda e precisa macchina per supplizi (Fig. 1).
* Vedi i caratteri generali degli insetti nell'appendice alla quale rimando pure per
la spiegazione delle singole parti del corpo nominate di volta in volta.
u
Questo tappo vivente, questo disco scuro dai riflessi metallici, per-
fettamente rotondo, solido e duro e forte, fa uno strano contrasto col resto
del corpo chiaro, cosi debole e quasi trasparente. Quella è una rigida co-
razza d'antica armatura o di diabolico congegno di guerra; questo è un
inerme, indifeso vermiciattolo dalla pelle morbida, color del burro; con
ogni tanto, delle macchioline tondeggianti biondo scure, irte di peluzzi.
Sul dorso, a circa metà corpo, lo strano diavoletto scattante ha una gobba
sulla quale sono piantati due solidi uncini ricurvi contemporaneamente
verso la testa g verso i fianchi (Fig. 2).
Fig. 2 - La gobba del quinto segmento coi due uncini (molto ingrandita).
Ora il vermetto, non raggiunge i due centimetri di lunghezza, si
muove e scivola cercando di camminare sulla liscia superficie del tavolo.
Ho pronto un tubo di vetro quasi interamente pieno di terra ben com-
pressa ed umida; con la cannuccia di un pennellino inizio una galleria, pro-
fonda qualche centimetro, nella terra contro la parete di vetro, ed ora
cerco di farvi entrare il nuovo inquilino.
L'impresa non è facile: il mio pensionante recalcitra; non appena
toccato si torce, scatta, fa salti mortali sul tavolo. Ora addenta il pennel-
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Al vero = j -|
Larva della Cicindela dei campi nella galleria (spaccato).
TAVOLA I
V
lino che ho avvicinato alle mandibole: questo è il momento buono; la presa
è cosi solida che lo posso sollevare e mettere dentro il tubo di vetro. Quanto
a fargli lasciare la presa è un'altra questione, ma finalmente si stacca. Tap-
po la bocca del tubo con un turacciolo sul quale ho praticato quattro in-
tagli longitudinali per poter lasciar circolare l'aria senza che il prigioniero
possa sfuggire e cosi pure faccio all'estremità opposta, contro la terra del
fondo, per poter lasciar sgocciolare via l'umidità superflua.
Finalmente vedo il mio vermiciattolo curiosare col capo alla bocca
della galleria da me iniziata; sosta un po' indeciso, fa un giro intorno, e
finalmente entra dentro al suo nuovo alloggio. Lo vedo calarsi già a testa
avanti e la parete di vetro mi permette di osservarlo nei suoi movimenti
anche sotto terra.
Lo vedo, arrivato al fondo della mia breve galleria, intento a ra-
schiare le pareti con la testa scavata a cucchiaio; raccoglie con le mandi-
bole un grumo, si rigira a testa all'insù e si arrampica fino alla bocca della
galleria; sosta un istante, e poi rovescia la testa e schiaccia il grumo di
terra contro il suolo. Batte bene, uguaglia colla parte superiore del capo
rovesciato, sosta per poco tappando l'apertura col disco formato dalla te-
sta e dal prò torace; poi si rigira all'ingiù e va a raschiare un altro poco
di terra che riporta in alto.
Il lavoro procede filato; ogni tanto lo sterratore si prende un breve
riposo, la galleria si approfondisce, la bocca si regolarizza in cerchio per-
fetto con la terra ben battuta tutto intorno. I sassolini vengono scagliati
lontano con uno scatto a catapulta della testa; le pareti interne vengono
pressate e ben lisciate con la parte inferiore della testa fortemente rigonfia
e convessa. Quando la galleria è profonda qualche centimetro la terra
non viene pili portata all'esterno ma semplicemente compressa e cosi lo
scavo procede fino ad un 20 cm. di profondità.
Da fuori non giunge pili alcun rumore; m'affaccio alla finestra per
fumarmi una sigaretta. In fondo alla strada, tra le macchie nere delle ul-
time case, si staccano, come un'ombra sul buio del cielo, le molli linee on-
dulate delle colline. Il caldo è scomparso, ma domani il sole implacabile
brucierà sul sentiero un piccolo mucchietto di terra.
■k * A
Da parecchi mesi ormai la mia larva vive nel suo nuovo alloggio. La
tana è ora un tubo cilindrico lungo una ventina di centimetri e del diame-
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tro di quattro millimetri, uguale per tutta l'altezza. Lo sterratore ha finito
da un pezzo il suo lavoro ed è divenuto cacciatore; uno strano cacciatore,
a dire il vero: non va in cerca della selvaggina, ma è questa che gli passa
sotto o meglio sopra il naso.
Per ore e giorni e mesi la larva se ne sta col corpo piegato a £ nella
parte superiore della galleria, i due grossi uncini della gobba dorsale anco-
rati nelle pareti, la testa e il protorace al fil di terra, le mandibole affilate,
aguzze come due falcetti, aperte e sporgenti perpendicolarmente (Tav. I).
Il cacciatore attende immobile che qualche insettino passi sul tappo vivente
e allora, con uno scatto fulmineo, i due falcetti si chiudono, la tagliola ben
dissimulata si serra implacabile sul malcapitato. Il corpo contratto a £ si
distende lungo quanto è, e cacciatore e cacciato precipitano giù nel tra-
bocchetto. Dove sul suolo non pareva essere che un sassolino verdastro, lu-
cente, ora è solamente un buco tondo e buio.
Da tanto tempo la larva attendeva il Caso, pazientemente immobile,
giorno e notte ferma nel suo tubo di terra: ora il Caso, provocato da me, è
passato di li ed essa lo ha afferrato e non lo lascia più.
Quando l'insetto catturato non è molto forte, la lotta è breve laggiù
in fondo alla galleria. Le mandibole si serrano sempre più finché s'incrocia-
no completamente e allora la preda vien letteralmente divisa, tagliata in
due, come sarebbe accaduto con un colpo di forbici. Gli umori vengono suc-
chiati, tutto quanto è commestibile viene tagliuzzato, direi quasi masticato
dalle due mandibole e dalle mascelle. Tutto quello che resta è un'informe
massa di chitina vuota maciullata, inutilizzabile che viene portata dalla
larva alla superficie e scagliata lontano perché non lordi e non marcisca
nella tana.
Ma spesso la tagliola s'è chiusa su di una preda robusta, solida e
corazzata; le mandibole trovano pane pei loro denti e l'insetto preso in
trappola cerca disperatamente di liberarsi e di arrampicarsi su per la
galleria; una volta riuscito a riportarsi fuori è più facile puntare le zampe
liberamente e sfuggire. E allora entra in gioco la gobba dorsale coi suoi
due robusti duri uncini. La gobba vien gonfiata e premuta contro le pareti
della galleria; i due uncini penetrano nella terra e si divaricano ancoran-
dosi solidamente. Il corpo viene nuovamente piegato a £ per premere con-
tro le pareti con pili punti d'appoggio. L'estremità posteriore e la parte in-
feriore dei primi segmenti dell'addome sono cosi puntellati contro un lato
mentre contro l'altro sono premute la gobba, coi due uncini infissi nella pa-
rete, e i due ultimi anelli del torace; le sei zampette a loro volta si fissano
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con le unghie. Cosi ancorata, diffìcilmente la larva viene trascinata fuori
dagli sforzi disperati della vittima sempre chiusa dall'inesorabile tanaglia.
Ma a volte questo succede e allora il corpo a corpo diventa appassionante
coi suoi momenti drammatici ora favorevoli alla vittima ed ora all'orco af-
famato.
Fuori all'aperto, sui sentieri ben battuti e soleggiati, nei piccoli spazi
di terra liberi tra le erbe, nelle infuocate sabbie lungo i torrenti ed i fiumi,
la scena è la stessa. Qualche piccolo essere, formica, mosca, ragno, coleot-
tero, passa nelle sue peregrinazioni sul trabocchetto e scompare inghiottito
nelle viscere della terra. A un dieci centimetri dalla bocca della galleria
spesso si trovano i resti del pasto: pezzi di zampe, elitre disarticolate, ad-
domi svuotati che restano a testimoniare una piccola grande tragedia; esse
ricordano un'insidia nascosta, un'improvvisa spesso breve lotta nella notte
sotterranea, il banchetto infernale di un affamato.
* * *
Ormai l'inverno è vicino e le prime brine danno al mattino l'impres-
sione di una nevicata: il freddo ha spinto gli insetti a cercarsi un rifugio
sotto le cortecce, sotto ai muschi o meglio nel cuore stesso della terra. An-
che la mia larva s'è preparata l'alloggio invernale; ha approfondito e di
molto la galleria e l'ha ostruita superiormente con un lungo tappo di terra
e s'è ridotta al fondo in una celletta un poco allargata. Li passerà i freddi
mesi invernali e in una celletta simile anche nei campi le sue sorelle sparse
pel mondo staranno al riparo dall'inverno. Una dura crosta di terra impie-
trata dal gelo, o una coltre di neve non impediranno ai delicati, indifesi bu-
dellini di continuare, sia pure in un torpido sonno, a vivere.
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A primavera, coi primi tepori, le nevi si sciolgono e l'acqua fredda
che arriva fino alla celletta terminale avverte la larva che è tempo di tor-
nare a godere il sole. La galleria viene disostruita, le pareti riattate e lisciate
con cura; la bocca dell'orifizio riprende la sua precisa regolarità geometri-
ca e tutto intorno la terra viene battuta. Qualche radichetta che si era in-
filata dentro alla galleria viene tagliata; la larva riprende il suo posto im-
mobile in agguato. Il sole batte sul tappo vivente e di notte la luna lo farà
brillare di luci verdastre.
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A luglio, dopo di aver mutato tre volte la pelle, la larva raggiunge il
suo massimo sviluppo di un due centimetri e mezzo. Tutto quanto le offro
viene accettato e svuotato, ma al principio d'agosto è svogliata, senza ap-
petito. Le migliori leccornie vengono rifiutate e scagliate fuori: che sia am-
malata?
Ed ecco che il cacciatore ridiventa muratore; a un dieci centimetri di
profondità la galleria viene allargata lateralmente e gli sterri vengono ado-
perati ad otturare, sopra e sotto la nuova celletta, la galleria primitiva. È il
muratore che si mura vivo. La celletta viene rifinita, uguagliata, ma sem-
pre con maggiore svogliatezza. Finalmente la larva, ora di un bianco opaco
ceroso si mette lunga distesa nella sua bara e pare attendere il sonno eterno.
La sua grande ora è arrivata: ecco che trema in un brivido mortale, si con-
trae, si contorce, si gonfia sotto la spinta di una nuova vitalità interiore che
cerca di uscire, di esplodere.
E dopo sforzi e contorcimenti la pelle del dorso si lacera sulla linea
mediana del torace e un nuovo essere sorge dalle spoglie dell'antico. La
« pupa » delicata, lucente di umori, quasi trasparente come una strana perla
è finalmente libera e la metamorfosi s'è, per la prima metà, compiuta. L'an-
tica veste è allontanata con un ultimo sforzo e giace ora, misero straccetto,
al fondo della cella (Tav. II).
Attraverso il vetro trasparente ho potuto seguire istante per istante
l'angoscioso meraviglioso miracolo. Nella sua bara di terra, lontana dalle
gioie del sole, racchiusi gli umori e le membra ancor tenere come in una
pellicola di cellofan, la bella dormente riposa, il capo reclinato sul petto, le
future antenne e zampe ed ali cingenti i fianchi fino alla linea mediana del
corpo. Essa è sollevata da terra su di una doppia fila di tubercoli allungati
nascenti dal dorso, che la tengono sospesa a mezz'aria. Fuori batte rabbioso
il sole d'agosto, la terra è bruciata; nella cella arriva un dolce tepore attra-
verso la spessa crosta arida e cotta dal sole, e il poco d'umore racchiuso an-
cora sotto terra si raduna in lieve vapore intorno alla bella dormente.
* # *
E sopraggiunge l'autunno. Ai primi giorni di settembre, già rinfre-
scati da qualche pioggia, la pupa color avorio si illumina di tenui luci iri-
descenti; ha sognato abbastanza e si prepara al risveglio, al nuovo miracolo.
Gli occhi castano chiari si scuriscono e un brivido madreperlaceo percorre
tutte le membra; la tenue pelle del dorso si fende ed in brevi istanti ne esce
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Pupa e spoglia larvale della Cicindela dei eampi nella celletta della ninfosi (spaccato)
TAVOLA II
l'insetto adulto ancor tenero e molle. Le lunghe zampe lo aiutano, ed ora
lentamente si capovolge nella posizione normale. Il primo paio di ali, che
formerà le elitre ed era ripiegato sui fianchi e si congiungeva sul petto, si è
gonfiato, allungato, ed ora ricopre completamente il secondo paio di ali mem-
branose ripiegate ed ordinate sul dorso dell'addome.
Ed ora il bianco ocra e il bianco latte dell'insetto a poco a poco pas-
sano, attraverso una magica sfumatura verde chiaro con riflessi di madre-
perla, al verde veronese, al verde erba metallico, con riflessi infuocati di
rame e di rubino. La parte inferiore, dal bianco latte passa, per una miste-
riosa alchimia, all'azzurro cupo dell'acciaio con riflessi bronzo e viola. Sul
verde delle elitre si sono disposte alcune macchioline avorio, e avorio è il lab-
bro superiore e la base delle scure mandibole.
Fig. 3 - Cicindela vista di fronte.
Nel giro di dodici ore il gelatinoso ha preso corpo, s'è fatta una rigida
armatura di metalli e pietre preziose: il rame, l'oro, l'acciaio bulinati e scol-
piti, lo smeraldo ed il rubino hanno concorso a fare questa meravigliosa co-
razza. Un bel ciuffetto di peli bianchi è arricciato sul capo, sul torace e sui
fianchi, e le zampe, tornite nel rame, sono ornate di candidi peli. Le antenne
sono formate da due collanine vellutate i cui quattro primi articoli sono in-
vece metallici e dal labbro sporgono sei setole bianche ricurve.
E veramente superbo il cavaliere. Nessun torneo medievale ha mai ve-
duto una simile ricchezza ed eleganza d'armatura. Nessun'opera di Benve-
nuto potrebbe rivaleggiare col lavoro di bubno e di cesello che la natura ha
racchiuso in una lunghezza di due centimetri vivi (Fig. 3).
Lo conosco bene il bel cavaliere: è una mia vecchia conoscenza. In in-
glese, a causa della sua ferocia, è detto Coleottero tigre, mentre il buon Lin-
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neo gli dà il nome scientifico di « Cicindela campestris » e gli Indiani del Mes-
sico, più prosaicamente, fanno infusioni in alcool di una specie simile per
ottenerne una grata acquavite. Quante volte lungo i sentieri battuti dal sole
o sugli aridi terreni sabbiosi costeggianti i torrenti e persino nelle strade cit-
tadine, fin dai primi giorni di primavera, l'ho vista alzarsi improvvisamente
a volo rapido quasi da sotto il piede per posarsi a poca distanza, e nuova-
mente volar via al mio avvicinare.
Il sole la rende agile e veloce, ma è sufficiente che la mia ombra
la copra perché il suo ardore si raffreddi in pochi istanti e sia cosi più
facile il catturarla. Afferrata, essa spande un grato profumo di prima-
vera, qualche cosa tra la violetta e la rosa. Corre veloce inseguendo gli
insettini di cui si nutre e la sua vivacità cresce col crescere dell'ardore
del sole, s'affievolisce e si spegne al tardo pomeriggio quando i raggi del-
l'astro perdono di forza; allora essa cerca riparo in fossette che scava
nella sabbia o nella terra e dove passa la sera, la notte ed il primo mat-
tino. Qualche altra specie, che vive sulle spiaggie del mare, si rifugia an-
ch'essa in tane cosi scavate e con l'alta marea l'acqua salsa ricopre le Cicin-
dele adulte racchiuse nella cella in una bolla d'aria.
* * *
Nel tubo di vetro la mia Cicindela è quieta, quasi immobile nella
celletta dove è avvenuta la ninfosi. E cosi, quasi addormentata, rimane
per qualche settimana; ora invece la sorprendo intenta a toglier via la
terra che ostruisce superiormente l'estremità della vecchia galleria della
larva. Le affilate, dentate mandibole (Fig. 4), queste fini cesoie che le ser-
viranno per afferrare e dilacerare la preda, sono ora utilizzate come vanga,
zappa e piccone e il tappo terroso si sgretola e cade grumo a grumo nella
celletta. Con un ultimo sforzo l'estremo bastione è vinto e rovina e la Ci-
cindela sporge il capo fuori della galleria.
All'aperto, nei campi, questo è il primo istante in cui il bel cava-
liere dalla preziosa corazza guarda il suo nuovo mondo e riceve il primo
saluto del sole. Le mandibole polverose ed il capo sono ripuliti e spaz-
zolati con cura: non un granello deve offuscare lo splendore dello sme-
raldo e del rame. L'insetto sosta un poco affacciato alla bocca della gal-
leria quasi ad assuefare alla luce gli occhi abbacinati e poi eccolo fuori
completamente, splendido e marziale.
I femori delle gambe di dietro si strofinano allegramente contro
m
Fig. 4 - Mandibola. Mascella coi palpi mascellari. Palpo labiale
di adulto di Cicindela ibrida (forte ingrandimento).
l'orlo posteriore, minutamente seghettato, delle elitre producendo uno stri-
dio di felicità e di benessere.
Penso debba avere appetito non avendo toccato cibo dal tempo della
ninfosi, e, in mancanza di preda viva, gli offro un pezzetto di carne
cruda prelevato in cucina alla cuoca che scuote la testa certo pensando
tra sé e sé: « Quanti grilli hanno pel capo i signori! »
La carne è accettata. Avidamente le mandibole vi si affondano men-
tre i palpi tremano assaporando e le antenne, protese all'innanzi, tastano
e annusano, se cosi si può dire.
* * *
Settembre se ne va, la temperatura s'abbassa, il sole perde sempre
più forza e molti insetti hanno finito la loro esistenza e assicurata l'eter-
nità colla deposizione delle uova: che resterebbero a fare? Ma alcuni ri-
tardatari e quelli che ancora non hanno pensato ad eternare la specie,
cercano rifugio nel grembo della vecchia, antica nutrice. E nel seno, nel
cuore della terra, che sono affidate le uova della Cicindela; nelle sue vi-
scere si schiudono e vivono ed hanno alloggio le delicate tenere larve, ed
alla terra, come alla madre di tutti, ritorna la Cicindela adulta appena
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schiusa, dopo una breve sosta al sole, a cercare riparo dai freddi del
tardo autunno e dalle nevi dell'inverno. Essa si scava un'altra cella sotto
terra dove poter svernare.
Cosi sotto il nostro cielo, cosi pure sotto i brumosi cieli del nord,
la Cicindela campestre si assopisce nel lungo sonno invernale. Spesso, sulle
Alpi e nei paesi del Nord, il freddo ed il gelo arrivano fino alla sua cella,
chiusa da tutte le parti in un blocco impietrato ed essa pure si impietra.
Ma a primavera, collo sciogliersi delle nevi, anche la terra si ammorbi-
disce e in seno ad essa, la Cicindela ritorna alla vita; gli umori ghiac-
ciati si sghiacciano e la vita interrotta, sospesa, riprende; il respiro man-
cato si rianima e l'aria ritorna a circolare, attraverso gli stigmi e le ra-
mificate trachee, per tutto il corpo.
Ad aprile le Cicindele adulte ricompaiono e corrono veloci sotto il
sole, profumate di violetta, ed aprono la stagione della caccia e dell'amore.
Ogni piccolo essere che capita vicino, non appena scorto, viene in-
seguito, afferrato con le mandibole e disarticolato; le viscere ancora pal-
pitanti, gli umori ancora vivi vengono divorati e succhiati e tale è l'acca-
nimento per tutto ciò che si muove che spesso viene inseguita l'ombra
che qualche insettino che cammina sulle erbe porta sul suolo. Durante il
pasto i succhi gastrici vengono emessi sulla preda perché principiino già
esternamente la digestione rammollendo e riducendo a poltiglia il cibo.
Dopo mangiato le Cicindele cercano qualche goccia d'acqua nelle erbe per
ripulirsi le mandibole ed i palpi e per dissetarsi. Spesso il divorato morde
ed attanaglia disperatamente il cacciatore e mi è capitato una volta di tro-
vare una Cicindela con ancora attaccata ad un'antenna la testa di una
formica che, anche morta e staccata dal corpo, non aveva lasciato la presa.
Sulla terra o le sabbie bollenti per l'ardore del sole se ne stanno
col corpo sollevato sulle sei lunghe e sottili zampe a godersi il caldo e la
luce; velocissime ed agili corrono, se cosi si può dire, sulla punta dei piedi
e spesso improvvisamente schiudono le elitre, allargano le ali membranose
e s'alzano a volo rapidissime per posarsi, poco discosto, presso la preda.
Cosi passano vivacissime e brillanti le calde ore del giorno cacciando in-
stancabilmente o, nei brevi momenti di riposo, spazzolando e ripulendo
la splendente corazza.
Ho rimesso in libertà il mio prigioniero: corra e voli anche lui pei
campi o sulle sabbie lungo i torrenti in piena; goda anche lui il libero sole.
Sul sentiero della collina, dove l'ho preso ancor piccolo budellino diafano
20
AI vero = 1
Adulto maschio della Cicindela dei campi.
TAVOLA III
dalla testa metallica, troverà la compagna e saranno deposte le uova, come
minute perle ovali giallo arancio, in piccoli fori, principi di gallerie che
la madre scaverà con l'ovipostore nella terra per i futuri budellini mura-
tori e cacciatori.
* * *
Questa è la storia della Cicindela dei campi. In Sardegna esiste una
sua varietà il cui colore, anziché verde erba, è di un bellissimo azzurro
che le ha valso il nome di saphyrina: color dello zaffiro.
Altre Cicindele vivono in Italia oltre alla campestre, e tutte hanno
aspetto e costumi simili sia allo stato di larva che di insetto adulto. Qual-
cuna vive sulle rive sabbiose del mare o dei corsi d'acqua, altre vivono
nei campi aridi o nelle radure soleggiate dei boschi ed altre ancora sulle
alte praterie alpine vicino alle nevi eterne. Tutte sono amantissime del
sole, vivacissime, veloci nella corsa e nel breve volo, accanite, instancabili
predatrici riuscendo cosi di utilità all'uomo distruggendo molti insetti
nocivi.
* * *
■'t 'ti ^
Dalla finestra aperta mi giunge, tra gridii di rondini, la musica di
un'orchestrina di caffè. Lontano le colline si staccano nette nell'azzurro e
c'è un fiocco bianco di lana che si sfilaccia sulla cresta tra gli alberi. Le
ville rosa, azzurrine, lilla, coi loro tetti rossi rossi sono come pezzetti di
carta tra il verde. E qui sul tavolo, tra i libri ed i pennelli, è rimasto il
ritratto del mio bel cavaliere dall'armatura verde erba a riflessi di rame
e macchioline d'avorio (Tav. III).
21
IL CARABO ESTINTO
« Oblongus, niger, thoracis elytro-
rumque margine rufo-cupreis, thorace
supra nigro-violaceo, laeuigato, trans-
oerse strigato, elytris crenato striatis,
punctisque impressis triplici serie, vi-
ridis, antice attenuatis - L. 30; l. 11.
mill. ».
E. Sella - 1885
CAPITOLO II
IL CARABO ESTINTO
Ecco: il rumore dell'acqua si fa sempre più distinto; la mulattiera
gira intorno ad un ammasso di rocce, ed appare improvvisa e fresca la sor-
gente. L'avvocato vi tuffa dentro le mani e le porta al viso: le gocce gli
rigano il collo, scendono come un brivido giù per la schiena; altre si fer-
mano sulle labbra, gli scendono sul mento, sostano un breve istante incerte
per poi cadere sulle mani bagnate. Una sorsata nella gola secca, una sor-
sata ancora. A mia volta le mie mani diventano bianche pel gran freddo
dell'acqua e mi chino a terra per bere.
Tutto intorno, nella terra zuppa, è un rigoglio di erbe e dalle pietre
gocciolanti pendono muschi fradici; l'acqua si sperde poi fra i ciottoli, at-
traversa la mulattiera e scorre giù giù incassata in uno stretto canalone.
Là in fondo si scorgono, in una velatura che non sapresti dire se di neb-
bia o polvere, le case dell'ultimo paese attraversato. A monte ci appare il
colle ed il suo alberghetto: finalmente ci siamo. I sacchi che ci pare-
vano pieni di pietre non ci pesano più all'idea di poter presto sederci e
riempire, se Dio vuole, lo stomaco. Sullo spiazzo un mulo stracarico, le-
gato ad un palo, drizza un orecchio e ci guarda con l'umido melanconico
occhio: alza il muso ed un sonoro raglio ci saluta proprio al nostro giun-
gere. Un gran vento gelato agita, come candide bandiere, le lenzuola ap-
pese al balcone e noi entriamo.
* * *
A pancia piena si sta meglio, ed i piedi non dolgono più negli scar-
poni da montagna. L'avvocato tira fuori una carta (l'avremo guardata a
25
Torino già cento volte) e noi siamo nel punto indicato dall'indice: metri
1382. Dal colle dobbiamo prendere per cresta verso oriente e qui dovreb-
bero essere i pascoli umidi, e nei pascoli umidi, se la stagione è adatta e
se la fortuna ci assiste, qui dovremmo trovare l'« Olympiae ».
Questo nome lo avremo avuto sulla bocca non so quante volte
quando combinavamo la gita e durante questa; lo snocciolavamo, si può
dire, ad ogni cento metri come le beghine gli « ora prò nobis ».
« Carabus Olympiae» Sella: questo nome l'avevo trovato da ragazzo
in un vecchio catalogo dei Coleotteri. A quell'epoca, avrò avuto quattordici
anni, amavo assai ripetere ad alta voce, uno dietro l'altro, i nomi latini
dei Coleotteri che pili mi piacevano ed era una lunga litania:
Cicindèla saphyrina
melancholica imperialis
circumdàta Monna-Lisae
chiloleuca transversalis
Megodontus purpurascens
Jurécecki aurolimbatus
Coptolabrus longipennis
Calosoma auropunctatus
Chrysocarabus Olympiae
auronitens costellatus
L'« Olympiae» non mancava mai, e la litania continuava.
Non so se l'avvocato nella sua gioventù ripetesse anche lui delle collane
di nomi di Coleotteri, ma io penso che si e son sicuro che l'« Olympiae » non
poteva mancare.
Più tardi avevo pescato, non so dove, che era assai raro e localizzato
in una sola valle alpina del nostro Piemonte.
Più tardi ancora, conosciuto l'avvocato, seppi da lui che non solo era ra-
rissimo, ma forse ora estinto e la razza scomparsa e ci era venuta una fre-
nesia per questo insetto che avrei voluto poter tener vivo per trasportarlo
magari in qualche altra località alpina, dove non fosse più insidiato dall'ac-
canita ricerca dei collezionisti e dove potesse vivere tranquillo.
Cosi avevamo preparata la gita, preso il treno, ed ora eravamo sul
colle a un quaranta minuti dai famosi pascoli umidi dell'alta valle.
23
Una vera ansia da fanciulli ci prende ora, in cammino, e gettiamo
lo sguardo innanzi lontano per veder di scoprire una macchia verde di erbe.
Immense distese di rododendri in fiore coprono i molli ondulati pendii e noi
si naviga in un fresco mare rosa e verde oliva. Ogni tanto i rododendri la-
sciano posto ad una fìtta boscaglia di faggi e betulle e allora il terreno è
coperto di eriche e qualche ginepro isolato ricorda in miniatura, con la sua
forma slanciata, i cipressi di Toscana.
E finalmente ci siamo: il verde oliva dei rododendri e quello arrug-
ginito delle eriche si perdono laggiù dove una chiazza verde chiaro ci in-
dica che siamo oramai vicini. Qualche casupola di pastori; capanne di pie-
tra col tetto lucente di lamiera ondulata; un ruscello che scorre attraverso
una prateria chiusa da un muretto di sassi; tutto intorno un verde pili
secco ed arido; più su, verso la cresta, sparpagliate decine e decine di vac-
che scampananti. Un cane ci abbaia contro rabbioso e qualche ragazzetto
ci osserva muto e stupito.
Ma noi ormai non sentiamo né vediamo pili nulla, all'infuori del
verde quadrato di erbe, e la ricerca incomincia frenetica e senza sosta.
Certamente chi non ha provato la gioia della caccia agli insetti fa-
tica a concepirne il gusto. Emozionante come e pili delle caccie grosse nella
jungla, essa riempie sempre di una sana gioia i fanciulli che ammirati ab-
bassano cautamente la mano sulla splendente Cetonia, e questa felicità ri-
mane e luccica negli occhi anche dei vecchi entomologi e di tutti coloro che
5 - Carabo concolore.
27
amano le meraviglie della natura. Per uno strano miracolo pare che costoro
non invecchino e rimangano ragazzi ingenui e felici ad ogni cattura d'inset-
to, come lo erano in gioventù.
Ogni pietra, per grande e pesante che sia, viene sollevata. L'avvo-
cato si dà un gran da fare con un mucchio di pietroni che solleva uno ad
uno tra l'erba. Il primo Carabo che mi appare nell'ombra umida di un gran
lastrone sollevato a stento mi affascina per un istante col suo splendore di
gemma e la mano trema per l'emozione. Ma non è lui, non l'« Olympiae >\
è il depressus, il piatto e lucente Carabo depresso delle nostre Alpi. E dopo
il primo un altro, un altro ancora: Carabus concolor, Carabus cancellatus
che in questi luoghi è pure color verde smeraldo (Figg. 5-6-7).
Quante pietre abbiamo sollevato! La schiena duole, i polpastrelli bru-
ciano mezzo spelati contro le dure asperità e le dita fanno male, ma la fa-
tica continua.
I ragazzetti muti sulla soglia delle baite ci osservano e sorridono. Le
vacche continuano a scampanare pascolando.
Le boccette da caccia si riempiono, ma non un «Olympiae». Forse
non è la stagione adatta; troppo presto forse, o, chissà, troppo tardi.
E viene la sera e noi ce ne torniamo, dopo aver sollevato il solleva-
bile, su per cresta verso il fumo che lontano manda al cielo già scuro l'al-
berghetto.
Per quattro giorni abbiamo battuto i monti H intorno, per quattro
giorni abbiamo sollevato migliaia di pietre alla ricerca del rarissimo, forse
* * *
Fig. 6 - Carabo depresso.
Al vero = I
28
Al vero =*
Carabo di Olimpia.
TAVOLA IV
estinto, insetto. Su questa stessa terra, su queste stesse rocce, per circa ot-
tant'anni, sono passati ricercatori ed entomologi ad ogni estate, e le stesse
pietre che noi ora alziamo sono state sollevate ogni volta nella febbrile ri-
cerca. Nomi famosi dell'entomologia: Sella, Baudi, Ghiliani e centinaia di
altri noti ed ignoti. Ogni pietra ha raschiato un poco di pelle agli indolen-
ziti polpastrelli e molte dovrebbero portare un nome come sui marmi dei
cimiteri: un nome, sempre lo stesso: « Carabus Olympiae».
* * *
Ed ora dobbiamo tornare, ora i sacchi ormai leggeri e quasi vuoti non
pesano più e sono pronti sul tavolo. L'albergatore arriva col conto e sua mo-
glie viene a salutarci. Ci fa vedere con orgoglio i registri con i nomi dei
Fig. 7 - Carabo cancellato.
Al vero = I 1
clienti: — Vedete? Questo veniva qui con tutta la famiglia ogni estate, e
questo, questo è un francese che è venuto qui apposta dalla Francia per
cercare una « boia » che esiste solo qui. Una « boia » d'oro. Ne son venuti
tanti a cercarla.
L'avvocato ed io ci guardiamo stupefatti ed incomincia l'interroga-
torio. Ma sì, venivano da tutte le parti d'Europa, Tedeschi, Francesi, anche
Italiani. C'era poi un mercante tedesco d'insetti che lo aveva incarico di rac-
coglierli e spedirglieli in Germania. I pastori venivano all'albergo e glie li
portavano; lui s'incaricava di spedirli. Prima della guerra del '14 fin dieci
lire l'uno li pagavano, ed i pastori tanti ne prendevano che ci cavavano il
fitto delle baite per tutto l'anno. Centinaia e centinaia ne aveva spediti.
— Ed ora? — chiedo io — . Ora non ce n'è pili; nel 1930 avevano
preso gli ultimi: poi non se ne era più trovati.
29
Anche quel professore francese, nel '35 era venuto, l'aveva accompa-
gnato lui stesso sul posto, ma era tornato a mani vuote. Una volta qual-
cuno, azzoppato o senza un'antenna, era stato rimesso in libertà ed aveva fatto
razza nelle immediate vicinanze dell'albergo, ma anche di li in pochi anni
era scomparso, messo nelle bottigliette di vetro e spedito in Germania.
Solo qui si trovava, ed era come d'oro. L'avvocato mi guarda: met-
tiamo i sacchi in spalla e salutato l'albergatore ci incamminiamo. Nessuno
di noi parla: ognuno va col pensiero al « Carabus Olympiae » alla accanita
ricerca, ai pastori che avevano alzato anch'essi tutte le pietre: dieci lire l'u-
no, solo qui in tutto il mondo si trovava, ed era come d'oro.
Ripassiamo davanti alla sorgente, ma questa volta non ci fermiamo.
Le erbe fresche, imperlate di gocce d'acqua vengon su nella terra fradicia
ed i muschi pendono dalle pietre tutt'intorno. Bel posto pel « Carabus Olym-
piae », penso, ma questa volta il suo nome non spunta sulle mie labbra.
* * *
Bel posto! Forse anche qui una volta, magari l'azzoppato che aveva
fatto razza, se ne stava sotto le pietre col ventre al fresco tutto il giorno,
per uscire verso il crepuscolo a caccia. Camminando muto penso alla gita
mancata, al bel sogno svanito di poterlo salvare dalla distruzione portandolo
su monti più lontani dove non fosse più disturbato, e vado col pensiero in-
dietro negli anni, quando ancora non era conosciuto dagli entomologi e i
pastori non vi facevan caso.
E mi par di vederlo all'incerta luce della sera metter fuori da sotto
una pietra le lunghe antenne in continuo movimento quasi a fiutar nella
nebbia, per poi uscire sollevato sulle lunghe sottili zampe col corpo snello,
elegante ed oblungo, col corsaletto purpureo dorato e le elitre scolpite nel-
l'oro verde e rosso a costole parallele rilevate e granulate. Esso vaga veloce
tra le erbe scrutando e investigando sotto ad ogni radice sollevata, in ogni
screpolatura del terreno: le antenne e i palpi sono mossi qua e là per ta-
stare e palpeggiare in cerca di preda. Le stelle brillano sulla sua corazza
con prodigiosi bagliori cangianti, la notte è fresca ed umida; i pastori con
le bestie dormono al caldo nelle stalle, ma fuori l'aria è fredda e la terra
gelata.
Va diritto davanti a sé fino a che sul suo cammino non incontri una
lumaca, o un bruco o qualche insetto intorpidito dalla notte, e allora con
forti morsi delle mandibole la preda viene assalita e squarciata (Tav. IV).
.30
Le chiocciole si ritirano nel guscio e si difendono emettendo bava schiumosa
dove il Carabo affonda le mascelle. Le carni sono finalmente trovate ed al-
lora una goccia bruna di succhi intestinali brilla nella bianca spuma come
una perla nera. Le mascelle e le mandibole tagliuzzano e spezzettano mentre i
fermenti attaccano i tessuti lacerati liquefacendoli e digerendoli esterna-
mente. Dopo il pasto, con l'addome ripieno gonfio e sporgente di sotto le eli-
tre, il Carabo si ripulisce e beve affondando la testa nella terra bagnata.
Il cielo si fa più chiaro, le stelle non sono più cosi brillanti ed è tem-
po di cercare un riparo sotto il quale nascondersi dalla luce e proteggersi
dal calore del sole. Allora vedo il mio « Olympiae » trotterellare verso la pietra
più vicina non ancora occupata da altri inquilini e scomparire.
Le grandi pietre, le cortecce sollevate, i vecchi tronchi caduti e infra-
ciditi nelle foreste, sono il riparo giornaliero costante di tutti i Carabidi cosi
amanti del buio, del fresco e dell'umidità.
Cosi per tutto luglio il solitario girovago notturno gira di pietra in
pietra negli umidi pascoli. Quando piove o quando la fìtta nebbia sale lenta
dalla valle e sommerge nei suoi grigi vapori le alte praterie e i colli alpini,
ed il sole si vela, impallidisce e scompare, allora pure di giorno egli lascia il
ricovero ed esce all'aperto a cacciare perché l'appetito gli attanaglia le
•viscere in perpetuo. E tutti gli altri Carabidi, ad eccezione di pochi vegeta-
riani, come lui sono cacciatori crepuscolari e notturni, accaniti ed affamati.
Fig. 8 - Calosoma sicofanta.
Al vero = I
31
Carabi smaglianti nelle loro corazze cesellate e scolpite, meravigliose Calo-
some dalle elitre dorate tempestate di miriadi di smeraldi (Fig. 8), e tutta
la famiglia dei piccoli Carabidi splendidi ed eleganti come il superbo bellis-
simo: « Callistus lunatus » (Tav. V), o straordinarii come i Brachini bombar-
dieri che ti lanciano contro le dita un bruciante getto liquido che al contatto
dell'aria immediatamente si vaporizza in una nuvoletta di fumo producendo
un piccolo crepitio (Fig. 9). Veri agenti investigatori, vere guardie notturne dei
prati dei boschi e degli orti, essi divorano una quantità incredibile di luma-
che e di insetti dannosi, tanto da esser stati importati dall'Europa nel Nord
America in regioni infestate dai bruchi o negli orti o nei giardini a difesa delle
insalate a far compagnia alla tarda tartaruga e al modesto utilissimo rospo.
Fig. 9 - Brachino bombardiere.
Al vero = I 1
Qui l'« Olympiae » cura, non pagato, gli interessi dei pastori che an-
cora non si sono accorti di lui nei pascoli che formano con le bestie l'unica
loro ricchezza.
* * *
Luglio è passato, trascorso è l'agosto e il mio Carabo è vecchio e mal-
fermo sulle zampe.
Queste non sono più agili e veloci come una volta, e le mandibole
stanche non serrano pili la preda che spesso riesce a sfuggire. Gli pesano quat-
tordici mesi sulle spalle da quando è schiuso dall'uovo l'anno prima. Al-
lora era un'agile allungata larva corazzata di nero, vorace ed affamata an-
cor più dell'adulto. In pochi mesi, cacciando anch'essa sotto le stelle e la
luna, aveva raggiunto la maturità e si era scavata una celletta nella terra
sotto una pietra profondamente infossata. Là era avvenuta la metamorfosi
e dalla vecchia scura pelle era uscita la pupa chiara e quasi trasparente.
A settembre, dopo un corto periodo di riposo, era schiuso il Carabo bruno
32
TAVOLA V
*
chiaro senza consistenza, ma in pochi giorni la corazza era quella di adesso:
dura e brillante. Aveva passato l'inverno interrato profondamente sotto qual-
che lastrone al riparo dagli ottanta centimetri, un metro e forse più di neve,
per poi uscir nuovamente verso metà luglio. Le caccie, gli amori, la deposi-
zione delle uova; ed ora ai primi di settembre l'improvvisa vecchiaia e l'a-
gonia. Il corpo non più sollevato sulle sottili agili zampe, si trascina ma-
lamente a terra mezzo paralizzato; le antenne non si agitano più febbril-
mente e una crosta terrosa incolla le mascelle ed i palpi in un immobile
groviglio.
Il sole sorge dietro le montagne nel cielo color dei rododendri e il
Carabo muore. Per la prima volta la luce del sole brilla sulla sua corazza
con infuocate luci d'oro verde e di porpora. Primi di settembre 1854. Un
passo leggero femminile si accosta, una mano gentile si abbassa e raccoglie
la gemma. Il primo sguardo umano si posa sulle elitre scolpite color di
smeraldo e di fiamma.
Poi il Carabo vien portato a Torino e l'anno seguente Eugenio Sella
descriverà sulla « Revue et Magazìn de Zoologie » la nuova specie scoperta
dalla cugina Olimpia ed a lei dedicata.
Con la propria morte quel Carabo decreta la morte di tutti i suoi fra-
telli e l'estinzione in meno di ottant'anni della sua razza localizzata a quel-
l'unico pascolo umido.
Da allora, col Sella in testa, una caccia sfrenata vien condotta al « Ca-
rabus Olympiae ». I musei di zoologia di tutto il mondo, gli entomologi di
Francia, Inghilterra e Germania chiedono e comprano a prezzi assai ele-
vati il magnifico insetto. I collezionisti d'ogni regione che riservano il posto
d'onore ai Carabi per il loro splendore e per la ricchezza della loro scultura,
offrono in cambio i più rari esemplari di Cina, Siberia, Caucaso e Spagna.
I mercanti d'insetti fiutano l'affare e vengono appositamente per organizzare
la ricerca e la spedizione, e i pastori vengono presi anch'essi dalla febbre ed
alzano pietre su pietre minacciando col bastone gli altri ricercatori che ven-
gono dalla città. Ora non esiste più: distrutta è la specie, estinta è la razza.
Ora non c'è più pericolo di prendere una bastonata: il mio sogno di far ri-
suscitare l'« Olympiae » è svanito.
* * *
Mi risveglia dal mio fantasticare l'avvocato: ha preso un magnifico
Coleottero copronlo dalla convessa corazza superiormente liscia, verde lac-
33
cata e sotto color dell'ametista; ma è comune, ne abbiamo già tanti, e lo
lascia andare: fosse stato un « Olympiae »!
Sui pendii scoscesi appaiono ora le esili betulle dal tronco zebrato di
bianco e nero. Più sotto si scorgono le macchie scure dei castagni, più sotto
ancora la polvere vela il fondo valle e l'aria qua è piti calda e pesante. Dal-
l'alto ci giunge ancora, a tratti col vento, lo scampanare dei campani delle
mandre pascolanti sul colle nei pascoli umidi.
34
IL SOMMERGIBILE VOLANTE
« Tra le istituzioni o invenzioni di
cui s'inorgogliscono gli uomini, io cerco
invano quali sono quelle di cui un in-
setto non abbia avuto l'idea prima di
essi s>.
Georges Arma.nd Masson
CAPITOLO III
IL SOMMERGIBILE VOLANTE
Laggiù, in fondo, le colline si ammonticchiano sulle colline, soffici,
morbide, come strane nubi verdi venute a posarsi sulla pianura.
E là, sulle colline, passano nuvole grasse, pingui di lana bianca e ne
perdono fiocchi distratti nell'azzurro intenso e luminoso.
Qui le foglie degli alti pioppi mandano tremule lievi chiazze d'ombra
sulle sabbie infuocate che, pili lontano, si perdono e muoiono nelle fresche
acque del Sangone.
Dietro ai pioppi un'alta scarpata sassosa nasconde con le sue macchie
di acacie e di sambuchi, le ultime case della città.
Di là del Sangone prati e boschi.
Qui non giungono barche e il torrente è ancora libero e selvaggio;
con le piene si porta via fette di terra e di prato e copre di sabbia i tratti
meno profondi mutando capricciosamente corso ogni anno. Han ben tentato
di imbrigliarlo e domarlo, ma le dighe son state travolte ed hanno ceduto o
si sono coricate ed affondate nell'umida rena.
Dove l'acqua è pili alta è un piacere tuffarsi d'estate e nuotare: se
fai il morto e lento ti lasci portare dalla corrente, sopra di te nel cielo
vedi passare bassi e veloci i rombanti areoplani del vicino campo d'avia-
zione di Mirafiori. Spuntano improvvisi sopra i pioppi, in un baleno per-
corrono lo spazio libero del cielo e scompaiono dietro le scure macchie
dei boschi dall'altra parte del torrente.
Ma il paesaggio non ne è turbato; la natura non ne è offesa cosi
rapidi sorgono e scompaiono.
Non è la vecchia natura che si stupisce e si scompone di fronte alle
37
macchine dell'uomo: ogni nostra invenzione più mirabolante, ogni più
astrusa macchineria è solo un debole riflesso, una misera pietosa copia di
quanto la natura da migliaia e migliaia di secoli ha risolto con tanta tran-
quilla semplicità.
Il piccolo Coleottero bombardiere che mette in fuga i suoi nemici
esplodendo nuvolette corrosive è un inconscio precursore della terribile
guerra chimica, mentre la Lucciola, che accende e spegne il suo lumino
volando di notte sulle umide erbe, riesce a produrre una luce pura
senza calore che nessuna nostra lampadina elettrica è riuscita a darci.
Possono ben passare i rombanti areoplani, orgoglio della nostra epoca, nel-
l'azzurro cielo sopra il Sangone: da migliaia di anni, molto tempo prima
dell'uomo il modesto e comune Maggiolino (Fig. 10) col suo volo rumoroso ha
Fig. 10 - Il comune Maggiolino.
AI vero = I 1
risolto il problema del più pesante dell'aria ed ha anticipato le nostre
macchine volanti; e il grosso Coleottero oliva orlato di giallo, il Ditisco
marginale, che nuota veloce nelle chiare acque, se la ride dei nostri som-
mergibili.
All'imbrunire, stanco di starsene sott'acqua, il Ditisco esce fuori,
annaspa malcerto sul fango della riva, apre le dure elitre, mette in moto
le eliche delle sue ali membranose e via a volo per il cielo. Noi non ab-
biamo ancora pensato al sommergibile volante.
* * *
Dopo il bagno, distesi mezzi nudi sulla spiaggia, le mani affondate
nell'arena calda, nelle orecchie bagnate il rumore delle acque che scorrono,
38
ci si ubriaca di sole e a chiudere gli occhi si vede ancora un pulviscolo
d'oro tremante. Le palpebre sono abbassate, ma tu senti che nuvole bian-
che iridescenti come la schiuma dell'acqua fresca che muore ai tuoi piedi,
vanno nel cielo azzurro e tu sogni. Non più esili pioppi, non più il dolce
profumo di acacie in fiore, ma alte e sottili palme e un amaro odor di
mare, di quel mare che laggiù lontano bagna le isole dei mari del sud e
si rompe in mille schegge sulle scogliere di corallo.
Ci siamo stati tutti in sogno nelle paradisiache isole dei mari del
sud; ognuno di noi una volta almeno si è tuffato in quei mari di sogno,
in quello schiumare e spumeggiare di onde che ti lava da tutte le vernici
della civiltà e ti rifa il primitivo uomo di un tempo.
Eppure anche qui a due passi dalla città, a saper guardare, ci sono
i meravigliosi mari del sud. Conosco un posto dove una volta passava il
Sangone. Ora le acque si sono spostate lontano ed è rimasto un piccolo
rigagnolo nascosto dai sambuchi e dai rovi. Ogni tanto si perde nel fango
e forma cosi una fila di piccole pozzanghere, di laghetti in miniatura
dove l'acqua scorre lentissima e calma. Se apri l'intricato groviglio di spini
e scosti i bassi rami dei sambuchi, ti appare nella quieta ombra un umido
luccichio rotto a cerchi dall'affrettato tuffo di qualche rana guizzata via
quasi di sotto al piede.
Grossi pietroni tondeggianti sorgono come isolette dall'acqua scura
quasi nera per un cupo lussureggiare d'alghe sommerse e per lo spesso
strato di foglie morte che copre il fondo fangoso. Come graziosi rametti di
corallo rosa, rosso e viola scuro, spuntano e pendono sotto una ripa le
radici degli alberi e sulle piccole spiagge e nelle minuscole baie si ra-
duna una bionda schiuma di bollicine che il poco sole che giunge fin li
tra le foglie illumina di iridescenze madreperlacee.
Fa fresco, nascosti cosi nell'ombra, e le ore passano senza che tu
te ne accorga ad osservare le piante o gli insetti. Sulle sponde crescono
gli equiseti come strane foreste d'altri paesi o di altri tempi, e ciuffi di
giunchi e di erbe acquatiche d'ogni specie sono sommersi od escono dalle
acque muovendo alla pacifica conquista delle fradice spiagge fangose
dove, nei tratti liberi da vegetazione, corrono veloci ed agili i piccoli
lucidi Coleotteri Carabidi ed i paradossalmente allungati e stretti Stafili-
nidi più conosciuti col nome di « rizzaculo » perché portano dritto e rial-
zato in aria l'addome la cui nudità la giacchetta delle elitre, troppo corta,
non riesce a ricoprire (Fig. 11).
Piccolissimi pesciolini semitrasparenti nuotano a schiere lungo la
39
riva; qualche rana riappare con la testa fuor d'acqua e ti osserva, e tra
le alghe è un brulichio di vita insospettata.
Le lumachine d'acqua si portano dietro le eleganti conchiglie a
piatta spirale o a forma di minuscole buccine. Le loro uova sono attac-
cate, come delicate perline, alle piante acquatiche in piccole masse gela-
tinose (Tav. VI in alto).
Dove giunge il sole l'acqua è limpida e chiara e tu puoi vedere
insetti d'ogni specie nuotare o correre sul fondo o tra le alghe.
Di tanto in tanto qualcuno viene a galla, sosta col culetto in aria,
e poi il piccolo palombaro si immerge nuovamente e giù a capofitto se ne
torna alle sue peregrinazioni subacquee recando all'estremità posteriore
una scintillante bollicina d'aria.
Fig. 11 - Stafilino (Pedero).
Al vero = I 1
Ce n'è di piccolissimi, ovali lucidi e macchiettati di paglierino sul
bruno scuro; altri, un po' più grossetti, a forma di mandorla, sono lac-
cati di nero e portano quattro macchioline rosse; nascosto tra le foglie
morte del fondo c'è il grande Idrofilo color della pece (Fig. 12).
Quest'altro, che nuota veloce, grosso e robusto, verde oliva orlato
di un giallo chiarissimo, è il Ditisco terrore delle acque, il pescecane dei
Coleotteri, il mio sommergibile volante (Tav. VI).
Discendente dall'antica e nobile schiatta dei Carabidi cosi amanti
dell'umidità, il Ditisco e tutti i Coleotteri della sua famiglia, vive nel-
l'acqua e si è meravigliosamente e perfettamente modificato ed adattato
alla vita nel liquido elemento.
Esso è come costruito sul disegno di un abilissimo ingegnere e le
sue forme elegantemente curve corrispondono a quelle modernissime aereo
40
Al vero = |
Ditisco marginale.
TAVOLA VI
ed idrodinamiche delle nostre macchine, opponendo il minimo di resistenza
all'acqua nella quale è destinato a muoversi. Il corpo di questa meravi-
gliosa macchina vivente è reso impermeabile da una secrezione grassa ed
ha un contorno regolarmente ovale, assottigliato verso il capo e verso l'e-
stremità posteriore, più spesso nella parte anteriore e presentante così la
struttura pili adatta a fendere le acque nel nuoto veloce. I tarsi, o piedi,
delle zampe posteriori, non dovendo più servire alla locomozione terrestre,
si sono appiattiti ed arricchiti di una larga frangia laterale di ciglia do-
rate modificandosi cosi in due robusti ed agili remi.
Sommerso nelle acque chiare e ricche di vegetazione, dove le cor-
renti non sono troppo forti, con pochi colpi vigorosi dei due remi spinti
contemporaneamente all'indietro, esso percorre velocissimo lunghi tratti
inseguendo la preda.
Fig. 12 - L' Idrofilo color della pece.
Al vero = I
Feroce e vorace, egli assale ogni essere vivente nelle acque; insetti,
lumache, vermi e persino piccoli pesci e larve di rana non sfuggono ai suoi
attacchi.
Nascosto ed immobile fra le alghe, esso pare placidamente addor-
mentato, ma, non appena i suoi grandi tondi occhi minutissimamente
sfaccettati e privi di palpebre percepiscono qualche cosa di vivo passare
vicino, esso scatta fulmineo e raggiunge la disgraziata vittima che viene
catturata e portata alla bocca con le zampe anteriori. Invano la preda
tenta sfuggire e a nulla vale se essa è robustamente corazzata: in questo
caso il Ditisco l'attacca nel punto d'unione del capo col protorace dove
la pelle è più delicata e facile da lacerare, e cosi ha ragione anche del-
l'Idrofilo che pure è assai più grande e vigoroso di lui.
41
Le piccole bestie sono direttamente ingoiate mentre quelle più volu-
minose vengono fatte a pezzi dalle robuste mandibole e dalle mascelle. A
volte capita che l'ingordo ingoi pezzi duri di corazza od ossicini che non
può digerire e che è costretto allora a vomitare.
E meraviglioso pensare al miracolo di perfezione racchiuso in un in-
setto che raggiunge appena i tre centimetri e mezzo, eppure il Ditisco è
un gigante rispetto ai piccoli Coleotteri che sono inferiori al millimetro
di lunghezza e che, anch'essi come lui, hanno zampe ed antenne artico-
late, mandibole e complicati pezzi boccali, nervi che comandano ogni
movimento, muscoli, minuti tuboli per la respirazione, intestino per la dige-
stione. Ed è straordinario che in un millimetro ci sia ancora posto per
riserve di grasso, per una linfa circolante e per mille altre piccole cose
necessarie alla vita.
L'apparato digerente del Ditisco è assai simile a quello dei Carabi
e delle Cicindele (Tav. VII). All'esofago segue l'ingluvie a forma di pera
che serve da temporaneo deposito del cibo appena ridotto in pezzi; una
strozzatura lo divide dal ventriglio dove quattro minuscoli dentini cornei
masticano e spappolano il cibo che, cosi ridotto in poltiglia, passa nell'in-
testino medio o stomaco dove avviene la vera e propria digestione. Nel-
l'estremità posteriore dell'intestino medio sboccano i vasi di Malpighi cosi
detti dal loro primo scopritore e che funzionano da reni assorbendo
dall'interno del corpo i prodotti della disassimilazione e versandoli in se-
guito nell'intestino tenue. Questo nel Ditisco è assai più allungato che non
nei Carabi e nelle Cicindele e ne differisce specialmente per la pre-
senza di un'appendice inserita poco innanzi al retto e costituente una
specie di tasca dove vengono raccolti ed immagazzinati i residui non assor-
biti del canale intestinale, che formano cosi un carico di zavorra che per-
mette al Ditisco di regolare il suo peso che deve sempre essere uguale.
Cosi, quando esso si è ingozzato di cibo divenendo troppo pesante, allora
svuota l'ampolla rettale; quando invece è troppo leggero, la riempie d'ac-
qua, ingoiandola, in modo da raggiungere in entrambi i casi il peso nor-
male. Solamente cosi equilibrato esso può procedere velocemente nell'acqua
e cercare la preda.
Bello, elegante, ma feroce ed affamato, questo pirata subacqueo va
a caccia specialmente all'imbrunire nella liquida e calma luce crepuscolare,
o addirittura di notte. Di giorno, quando il sole rischiara fin sul fondo lo
stagno, e le limpide acque hanno chiare trasparenze opaline, mollemente
cullato dal morbido ondeggiare delle alghe, esso riposa aggrappato a que-
42
43
ste o semplicemente trattenuto sott'acqua da qualche foglia che gli impe-
disce di venire a galla.
Di quando in quando sale alla superficie a respirare perché, malgrado
passi tutta la vita immerso nell'acqua, esso non può prendere direttamente
da essa l'ossigeno come fanno i pesci, certi anfibi, e qualche insetto, ma
è costretto a respirare l'aria atmosferica precisamente come i Carabi suoi
antichi antenati. Allora esso si pone a testa ingiù, l'estremità dell'addome
fuor d'acqua, le due zampe posteriori divaricate ed innalzate fino a toc-
carne la superfìcie. L'apice delle elitre, ben chiuso sull'addome durante il
nuoto, vien sollevato e l'aria può penetrare cosi sotto di esse e raggiun-
gere gli stigmi che si aprono sui due lati superiori dell'addome che qui è
ricoperto da una folta e morbida pelliccetta.
L'aria, attraverso il paio di stigmi di ogni segmento addominale,
penetra in un sistema di tuboli le cui ramificazioni raggiungono tutte le
più piccole parti interne del corpo e degli arti a rinnovarne direttamente
l'ossigeno, mentre il liquido circolante negli spazi liberi tra viscere e vi-
scere non ha che il compito di nutrire ogni singolo organo. Questa linfa
è ricca di globuli bianchi ma priva di quelli rossi e bagna ogni parte in-
terna del corpo ed è solamente incanalata in un vaso dorsale, funzio-
nante da cuore, posto sopra l'intestino ed aperto alle due estremità; attra-
verso questo cuore, sospinta dalle pulsazioni, essa passa e ritorna a circo-
lare. Durante la respirazione, il Ditisco si pulisce luna con l'altra le
zampe anteriori e medie e, quando ha raccolto sotto le elitre una suffi-
ciente provvista d'aria, esso si immerge rapidamente recando a volte una
bollicina sporgente dall'estremità delle elitre.
Questa provvista d'aria serve ad alleggerire il corpo che cosi tende
sempre a risalire a galla ed ha invece un'influenza trascurabile per la vera
respirazione quando il Ditisco è immerso.
Come lui respirano tutti i Ditiscidi mentre molti Coleotteri acquaioli
di altre famiglie si comportano diversamente: il grande Idrofilo color della
pece sporge fuor d'acqua le antenne rivestite di peli idrofughi e lungo que-
ste l'aria vien portata fin sotto le elitre e nella parte inferiore dell'addome
dove rimane aderente per mezzo di una fitta peluria impermeabile che
assume l'aspetto di un velo argenteo; altri, come le « H aemonia » si servono
pure delle antenne con le quali raccolgono le piccole bolle d'ossigeno pro-
dotte dalle piante acquatiche e le portano a rivestire tutta la parte infe-
riore del corpo che si presenta lucente come una goccia di mercurio. Cosi
le larve delle metalliche e splendenti Donace assorbono esse pure dalle
45
piante l'ossigeno necessario e si metamorfosano in bozzoletti posti in diretto
rapporto coi canali aereiferi dei vegetali. Solo pochi, specialmente larve,
riescono a respirare assorbendo l'ossigeno direttamente dall'acqua.
Spesso, dopo aver respirato a lungo, il Ditisco, per la troppa legge-
rezza acquistata, non riesce ad immergersi facilmente ed allora ritorna in
funzione l'ampolla rettale che viene riempita d'acqua e cosi, riacquistato
il peso normale, il piccolo sommergibile può nuovamente tuffarsi e nuo-
tare agevolmente.
* * *
Nelle calde sere d'estate e d'autunno quando sullo stagno incomin-
ciano a galleggiare e a navigar lente le prime foglie morte dei pioppi,
delicatamente colorate di bruno, di nocciola o di tabacco, e tutto intorno
i rovi già cosi verdi s'arrossano e le fronde di sambuco impallidiscono
prendendo sfumature gialline, e le acque son calate e ne sporgono fuori e
intristiscono le piante un giorno sommerse, allora il Ditisco capisce che lo
stagno sta per asciugarsi e cerca altre acque più profonde, altre riserve di
caccia più libere dalla putrida agonia delle alghe.
Esso si arrampica a riva, esce fuori dal suo consueto elemento e gof-
famente procede a terra verso un punto rialzato strascicando malamente
sulla crosta fangosa gli inutili remi. Le ombre degli alberi già allungate
inverosimilmente sono ora scomparse e un'unica penombra vela le cose.
Dal Sangone sale una nebbiolina chiara e le colline lontane sono immerse
in grigi vapori.
Il corpo sollevato sulle zampe anteriori, l'ampolla rettale svuotata,
molta aria inspirata attraverso gli stigmi per riempirne i due sacchi in-
terni, il Ditisco dischiude le elitre: le ali membranose, nascoste e ripie-
gate sotto di esse, si distendono per l'aria che penetra nelle loro trachee
e battono con un crescendo rumoroso ed intenso. Le antenne protese al-
l'innanzi vibrano e palpitano. Il ronzio è al massimo, le elitre vengono
completamente aperte e il sommergibile volante s'alza a volo nell'oscurità.
Le erbe stanno ora sotto di lui distanti ; distanti sono i luccicori dello sta-
gno e già le pili alte vette dei pioppi sono raggiunte ed eccolo libero e leggero.
Le dure elitre, immobili e rigide, aperte e perpendicolari al corpo
come le ali d'un areoplano, sostengono il Coleottero, mentre le vere ali
membranose, mosse e battute rapidissimamente, funzionano da eliche e gli
permettono di percorrere le vie del cielo.
46
Esso non può gareggiare con le pazze velocità delle Libellule che
raggiungono in volo i trenta chilometri all'ora e neppure con i modesti
dieci chilometri del Maggiolino, ma pure, se il tempo è favorevole e tran-
quillo, esso può lentamente percorrere notevoli distanze.
Sotto di lui ora la città muore tra i prati: non ci sono ancora fab-
briche, ma isolate e basse casupole e villette. Giunge fin lassù in alto
l'odor di fumo e di fascine bruciate che si sente solo in campagna. Ora è
sopra a grandi costruzioni, a gruppi di case popolari che paiono tagliate
a fette; e altissimi camini mandano sottili lingue di nubi che stagnano
sospese a mezz'aria.
Dall'alto il lungo susseguirsi ed incrociarsi di viali e strade e piazze
dà l'impressione che sulla pianura vi sia un'immensa rete di canali nei
quali si riflettono come tante lune le luci di collane di lampioni; spesso il
Ditisco, ingannato dal brillare dell'asfalto, racchiuse le ali sotto le elitre, si
butta a capofitto per tuffarsi in quell'acqua e precipita invece sul liscio e
duro pavimento di un viale. E cosi che spesso se ne trovano in città tramor-
titi od uccisi sotto i fanali, ma, quando le cose vanno bene, allora egli si
precipita realmente in uno stagno o in un'altra pozza d'acqua.
Leggero e pieno d'aria, l'ampolla rettale della zavorra vuota, esso non
riesce sempre a fendere la superficie e ad avvinghiarsi sotto questa a qualche
pianta ed allora galleggia per ore ed ore finché, ingoiata molta acqua e ri-
stabilito il peso consueto, può finalmente immergersi e nuotare liberamente.
* * *
Mentre poche specie di Ditiscidi si trovano nelle calde acque termali,
altre sono cosi poco sensibili al freddo da vivere persino nelle acque della
gelata Groenlandia o nei laghetti alpini oltre i tremda metri. Da noi quando
fa freddo e giungono i primi geli, qualche Ditisco meno freddoloso conti-
nua a rimaner nello stagno e a nuotare nelle acque sotto un duro strato di
ghiaccio, ma pili spesso essi escono fuori e si nascondono nel fango o tra
i muschi delle sponde dove svernano per ritornare nell'acqua non appena
la temperatura è meno gelida.
* * *
La crosta di ghiaccio che copriva lo stagno s'è fatta sottile, s'è fusa
tutto intorno e libera galleggia non più serrata alle rive dove la neve inco-
mincia a sciogliersi e a lasciar libero uno stretto anello di nero fango men-
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tre i rovi ed i salici lacrimano e sgocciolano sotto un pallido sole. Nelle ac-
que, dalle alghe e dalle piante sommerse spunta già qualche verde botton-
cino e qualche tenera foglia, mentre fuori il mondo vegetale è ancora asso-
pito e lontano è il momento del suo risveglio. Quando a marzo le nevi son
fuse, incomincia la deposizione delle uova. Le femmine del Ditisco hanno
i piedi o meglio i tarsi delle zampe anteriori e mediane allungati e stretti
Fig 13 - Tarso o piede anteriore di
Ditisco maschio mostrante le ventose.
Al vero = I 1
normalmente mentre nei maschi i primi tre articoli, specialmente quelli delle
zampe davanti, sono allargati e ricoperti nella parte inferiore di lunghe ci-
glia e di una spessa suola formata da un grandissimo numero di campa-
nule adesive sorrette da un sottile peduncolo. Nei tarsi anteriori poi sono
presenti anche due grandi dischi concavi funzionanti da ventose quando esse
sono appoggiate e premute contro una superficie liscia (Fig. 13). Inoltre quasi
tutte le femmine hanno le elitre solcate da parecchie lunghe scanalature che
nei maschi mancano o sono ridotte a poche strie superficiali di punti impressi.
Le uova sono deposte nelle piante acquatiche sommerse per mezzo di
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un ovopositore tagliente che fende i tessuti e vi penetra dentro lasciando un
solo uovo in ogni incisione cosi praticata. Gran cura pone la madre nella
scelta delle piante a cui affidare le uova: essa nuota irrequieta e preoccu-
pata di pianta in pianta che tasta e palpa con le antenne o che addirittura
mordicchia con le mandibole per assicurarsi della loro durezza, qualità e
bontà. Finalmente essa trova quel che fa per lei, o meglio per i suoi figli,
e allora, arrampicata sullo stelo, essa sfodera e adopera lo sciabolino del-
l'ovopositore. Di tanto in tanto essa sale a galla per respirare, ma presto ri-
torna alla sua dolce fatica.
Pur essendo cosi protette, le uova non sono completamente al sicuro
dai nemici: esse sono ricercate come prelibate ghiottonerie da diversi insetti
e dalle rane, oppure vengono parassitizzate da alcune vespette; ma quando
le cose vanno bene, l'embrione, a contatto dei verdi tessuti ricchi di ossige-
no, si sviluppa e cresce e, dopo qualche settimana, il guscio dell'uovo viene
spaccato e ne esce la giovane larva allungata e molliccia che presto acqui-
sta un color bruno foglia morta. Essa sta nascosta tra le alghe presso la
riva, e viene spesso a galla a respirare con gli stigmi dell'estremità dell'ad-
dome che mette fuor d'acqua (Fig. 14).
Vivendo di preda ed essendo ancor più vorace dei genitori, essa fa
una strage di larve di zanzare e di libellule, di girini, di lumache e di ogni
animale vivente nelle acque. Nell'ultimo stadio attacca pure pesci fin di tre
centimetri di lunghezza e potendone uccidere una diecina al giorno arreca
gravissimi danni nei vivai.
Fig. 14 - Larva di Ditisco.
Al vero = I
49
Bisogna vederla, quando caccia, la larva del Ditisco! Essa è terribile
e nello stesso tempo meravigliosa: nuotando s'avventa sulla preda e l'afferra
con le falciformi mandibole e, attraverso una scanalatura di queste, inietta
nella ferita una secrezione gastrica che dapprima paralizza ed uccide la vit-
tima, poi si diffonde negli organi interni decomponendoli e digerendoli con
straordinaria rapidità. I tessuti sono cosi, in brevissimo tempo, ridotti in li-
quida poltiglia che viene aspirata dalla larva attraverso la scanalatura delle
mandibole fino a che non rimane che la pelle completamente vuota.
Schiusa dall'uovo in aprile, grazie ad una carneficina interrotta quasi
esclusivamente per venire a galla a respirare e durata circa tre mesi ossia
fino al luglio, la larva del Ditisco orlata di giallo ha raggiunto il massimo
dello sviluppo ed è pronta per la ninfosi: allora, gonfia e tumida, lascia l'ac-
qua dove finora è vissuta e sale all'asciutto sulla sponda. Corrono intorno
i piccoli « rizzaculo » dal corto giacchettino e compaiono veloci di sotto le
foglie morte e le pietre, minuscoli Carabidi, mentre nell'aria rapide saettano
le Libellule sfiorando il lucente specchio dello stagno; ma essa non vi fa caso.
Trovata una pietra od un pezzo di legno, sotto i quali si nasconde, scava
nella terra sottostante, alla profondità di una quindicina di centimetri, una
celletta rotonda delle dimensioni di una mela e i grumi delle pareti ven-
gono saldati assieme con una secrezione simile a mastice e battuti, compressi
e lisciati. Cosi si forma una crosta spessa e dura di straordinaria solidità
tutto intorno alla celletta dove la larva passa una settimana di riposo per
poi abbandonare la vecchia pelle e trasformarsi in pupa.
Fuori, tutto intorno allo stagno, la terra fangosa è cotta dall'impla-
cabile fuoco del sole il cui ardore giunge fin nella cella, e nella calda umi-
dità matura la pupa e presto schiude l'adulto che solo per poco rimane in-
setto terrestre come erano i suoi antenati: rotto il guscio terroso della cella,
esso ritorna a tuffarsi nelle acque e a nascondersi fra le alghe lievemente
mosse dal lento scorrere delle acque.
Pendono sommerse e nude le radici dei pioppi, bianche e rosa e rosso
scuro come coralli, e una bionda schiuma iridescente luccica nelle piccole
insenature della spiaggia.
Giungono giovani voci e risa, e tu vedi, attraverso lo spinoso arruf-
fato groviglio dei rovi e tra le larghe foglie dei sambuchi, gruppi di ra-
gazzi seminudi nelle fresche acque del Sangone.
Ce n'è uno che fa il morto e i suoi occhi seguono gli areoplani che
passano bassi e veloci sul torrente e scompaiono dietro i boschi.
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NELLE GROTTE
« Cosi la natura mantiene una specie
di uguaglianza o di equilibrio tra tutti
gli esseri, e mette cosi a profitto ogni
cosa, al fine che nulla rimanga inutile,
e che le sostanze che si distruggono,
aiutino alla formazione di quelle che
si ricompongono. È cosi che la materia
organizzata, dopo aver servito ad un
principio vitale, ritorna ad un altro e
passa incessantemente dalla morte alla
vita ».
Carlo'Perotti - 1808
CAPITOLO IV
NELLE GROTTE
Bambino, due luoghi erano meravigliosi per i miei giochi oltre al-
l'aperta campagna: il solaio e la cantina. In autunno nel solaio stagnava,
nella calda penombra, un acuto odor di mele ed il sole entrava dall'alto,
attraverso una minuscola finestrella, a illuminare il tremolio dorato delle
piccole particelle di polvere che salivano e scendevano nell'aria come uno
sciame di minutissimi insetti brillanti. Nel solaio trovavo spesso qualche far-
fallina venuta fin li da chissà dove ad assopirsi, ed una volta, appeso come
una pera ad una trave del tetto, scoprii persino un pipistrello: lo toccai con
emozione con un dito, ma non so chi di noi due fu più spaventato perché
cacciammo entrambi un acutissimo strillo.
Ma più ancora che il solaio, mi attirava la cantina. Un'ombra fredda
di mistero e di lieve paura velava buia ed incerta tutto l'umido ciarpame
inservibile che li si radunava da anni. La candela accesa illuminava le
scure macchie dei muri e le cose mandavano lunghe ombre che si perde-
vano nell'ombra. Ragnatele pendevano dalla volta lievemente agitate dal mio
muovermi e da ogni oggetto emanava un odore bagnato di muffa e di
chiuso: antiche ferraglie arrugginite, un armadio sgangherato e senza più
anta, una poltrona sfondata ed anche li, come nel solaio, casse da imbal-
laggio ammucchiate ed ergentisi come informi stalagmiti.
Questo grande ammasso di casse occupava gran parte della cantina
con i riccioli di legno e la carta straccia. Le masse chiare sorgevano alcune
lentamente dalle masse oscure dei fondi, altre si staccavano nette e taglienti.
Il sovrapporsi delle casse aveva prodotto dei vani, degli stretti e tortuosi
cunicoli bui illuminati a volte d'improvviso da brevi spicchi di luce tra gli
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interstizi. Ed io giravo là dentro carponi e conoscevo bene ogni chiodo spor-
gente, ogni fessatura di tavola. Ogni pezzo di legno aveva un suo partico-
lare disegno formato dal taglio delle venature ed aveva macchie caratte-
ristiche di ruggine nei buchi lasciati vuoti dai chiodi e colanti gocce am-
brate di resina.
Per me bambino quelle erano le grotte e li giocavo a fare il troglo-
dita: meravigliose grotte il solaio e la cantina!
* * *
Quale strano fascino, misto di curiosità e di paura, suscita il buio!
E qualcosa di proibito, di magico e di occulto.
Gli oscuri misteri nascosti nelle viscere della terra, la tenebrosa bel-
lezza delle grotte han sempre attirato la curiosità dell'uomo e lo han spinto
a varcare le soglie delle tenebre perpetue e a seppellirsi sotto terra, in an-
gusti meandri e pericolosi abissi, per cercare di sollevare, anche di poco,
l'opaca nera coltre dello sconosciuto. Sarà forse l'involontario fanciullesco
desiderio di trovare nelle viscere della terra tesori nascosti e favolose mon-
tagne di pietre preziose custodite da draghi e simili mostruose creature di
cui la nostra fantasia e quella ancor pili prodigiosa della natura ha popo-
lato un giorno queste tenebre sotterranee. O forse sarà l'incosciente remi-
niscenza dei remoti, lontanissimi tempi in cui i nostri primogenitori vive-
vano e trovavano riparo nelle grotte.
Ormai son scomparse, cancellate dalla faccia della terra le belve e
le fiere di un tempo e le loro ossa giacciono sepolte con le ossa dei primi
uomini nelle buie caverne, ma qualche cosa di quelle lontanissime epoche
perdentisi nella notte dei tempi è rimasta viva nella notte perpetua delle
grotte a testimoniarci della vita di allora.
Sono rimasti i piccoli delicati e strani abitatori delle più profonde
caverne, dei più angusti crepacci, briciole viventi di antichissime origini.
Chi sono? Chi vive in questo ambiente che parrebbe a prima vista
negato alla vita? e che vita è mai possibile in questa notte eterna?
Ed è per cercare e studiare questi esseri cavernicoli che oggi, a tanti
anni di distanza dai miei giochi da troglodita nella cantina, mi sprofondo
sotto terra ad esplorar grotte e crepacci e fessure.
Teatro di queste mie immersioni sotterranee sono le grotte del Pu-
gnetto in vai di Lanzo, ad una quarantina di chilometri da Torino. In con-
fronto con quelle famose di Postumia, estese sotto terra per più di otto
chilometri, o di quelle ancor più vaste e raggiungenti i cento chilometri di
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sviluppo come la Mammouth Cave nel Nord America, le grotte del Pugnetto
sono qualcosa di poco più della cantina dei miei anni giovanili: un susse-
guirsi di budelli e di cavità medie e grandi per una lunghezza di circa tre-
cento metri nel cuore della montagna, ma di origine abbastanza recente e
quindi ancor poco ricche di concrezioni calcaree. Parecchie ramificazioni
laterali, gallerie, pozzi e caverne ne aumentano l'estensione ed altre cavità
minori si aprono sui fianchi della montagna intorno e vicino alle grotte
principali.
Alle « Borne », come localmente vengono dette, mi accompagna un
ragazzetto, figlio del proprietario. Davanti alla casetta che porta il cartello
« Guida alle grotte », accoccolato a terra, egli prepara le lampade: rompe
in blocchetti il grigio carburo, mette l'acqua e soffia nel beccuccio per
disotturarlo. Io sto pronto col fiammifero e la lunga lingua di fiamma sibi-
lante vien regolata e ridotta a piatta fiammella semilunare.
Lascio nella stalla il sacco ed ogni altro ingombro, infilo una tuta
per non sporcarmi e tengo con me solamente qualche tubo di vetro pieno
di muschio umido dove riporre le catture vive, una zappetta, un sacchetto
di tela per raccogliere terriccio e l'aspiratore. E questo uno strano, magico
aggeggio fatto di una bottiglietta il cui tappo è trapassato da due tubi
di ferro: uno di questi è chiuso alla base da una sottile fitta rete metal-
lica ed è prolungato da un tubo di gomma che si tiene in bocca per aspi-
rare, con l'estremità dell'altro tubo, tutti i piccoli e veloci insetti che si
rovinerebbero prendendoli con le dita o che si salverebbero con la fuga e
1 5««
Fig. 15 - Aspiratore.
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che cosi vengono succhiati da terra e cadono dentro alla bottiglietta
(Fig. 15). In tasca porto qualche candela di riserva ed i cerini.
Cosi equipaggiati, in pochi minuti, per un sentierino tra i castagni
siamo alle grotte.
Appena entrati la luce esterna giunge ancora ad illuminare le pareti
muschiose: a terra il fango e le pietre f radice sono coperte da mucchi di
foglie morte spinte fin li dentro dal vento e muffe biancastre e candidi al-
lungatissimi funghi crescono su pezzi di legno marcito.
Questa assenza di pigmento sarà poi la nota dominante di tutta la
vita vegetale ed animale esistente nelle grotte. Diafane bianche muffe e
pallidi esserini il cui colore passa, attraverso tutte le sfumature, dal bianco
latte al paglierino fino al castano rossiccio e al bruno chiaro.
Addentrandomi ancora, la luce esterna si fa sempre pili fioca, e noi
si passa insensibilmente dalla penombra alla più fitta oscurità: ora solo le
lampade ad acetilene suscitano umidi barbagli sulle pareti e sulle volte im-
perlate di minuscole goccioline d'acqua. Qui, all'estremo limite della pe-
nombra, dove ancora giunge una debolissima luce riflessa, vedo riposare,
con le ali chiuse a tetto sul grosso peloso addome, spruzzate ed imperlate
di una minutissima rugiada, delle Farfalle notturne dalle delicate sfuma-
ture grige e rosa punteggiate di bianco. Fra queste ingenue, torpide, farfal-
line assopite vedo aggirarsi strani, chiari fantasmi: sono le Dolicopode, pa-
renti cavernicoli delle verdi alate locuste che cantano e saltano nei prati.
Ma queste mancano di ali e le loro zampe ed antenne e i palpi boccali
sono smisuratamente allungate e sottili. Hanno ancora gli occhi, ma ridot-
tissimi, e sono color paglia, quasi bianco, ornate sull'addome e sui cosciotti
posteriori di graziose sfumature biondo grigio scuro. Le vedo camminare
tranquille agitando lentamente all'innanzi le smisurate antenne, ma, se ap-
pena avvicino la mano, esse saltano via e si perdono nell'ombra. Le Do-
licopode si trovano solamente nelle grotte mentre le Farfalline vengono solo
a svernarvi trovandovi una temperatura assai meno rigida dell'esterno.
Il ragazzetto mi precede pel buio corridoio e mi avverte quando
devo abbassare la testa perché non vada a sbattere con questa contro la
volta che ora s'è fatta bassa ed irregolare. Egli sa bene la strada e suo
padre ha tracciato, tra i pietroni caduti a terra, un piccolo sentiero per la
comodità dei villeggianti che l'estate vengono a visitare le grotte.
Mi racconta di altri che, come me, son venuti per le « bestioline ».
Vengono e su pezzi di carta collocati su terriccio non troppo fradicio met-
tono del gorgonzola: più puzza e meglio serve. Dopo qualche giorno i
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Sfodrossi di Giuliani e Royerella di Rocca.
TAVOLA Vili
« professori > tornano e succhiano su tutte le bestioline attirate dal forte
odore; poi le travasano nella bottiglia dove « a j'è '1 fum » ed esse muoiono.
Quella del fumo dev'essere la bottiglia, riempita per tre quarti di briciole
di sughero inumidite da qualche goccia di etere acetico, che serve appunto
per uccidere gli insetti senza farli soffrire troppo a lungo e li mantiene
freschi e morbidi per molto tempo.
Ora incomincia a piovere dall'alto: le volte sgocciolano continua-
mente e dalle pareti rivestite di un biancastro strato calcareo scivola e
cola l'acqua che si perde nel fango e nelle mille e mille fenditure, buchi e
pozzi. Sul suolo cumuli di pietre e massi franati in caotica confusione sono
coperti da colate stalagmitiche simili ad enormi masse di cera caduta dal-
l'alto e rappresa. Qui la temperatura è fresca, uguale l'estate come l' in-
verno; non un soffio agita l'aria calma e satura di umidità ed il silenzio
è rotto solo dai nostri passi e dallo stillicidio.
Minuscole stalattiti pendono dall'alto e si sciolgono in lacrime sonore:
cade una goccia, un'altra, un'altra ancora; segue una pausa breve: tre
note, tre tintinnii argentini dopo un breve silenzio. Da tanto tempo la sta-
lattite piange e lento, da anni,, un velo di calcare s'allunga alla sua estre-
mità: ogni goccia che cade ha lasciato un'infinitesimale particella cristal-
lina. Tra piccole pozzanghere, sul suolo coperto d'una crosta biancastra e
lucente, nel punto dov'è caduta la lacrima, s'innalzerà a poco a poco, imper-
cettibilmente, una colonnina; e cosi per migliaia e migliaia di anni fino a
che la stalattite pendente dalla volta verrà ad unirsi alla stalagmite che
s'innalza dal basso.
Mi fermo a guardare il maestóso spettacolo e la luce della lampada
ad acetilene, sollevata in alto, illumina questo tenebroso mondo fatato e
rimbalza, come una muta luminosa eco di sporgenza in sporgenza, susci-
tando nel buio improvvisi luccicori e brillìi.
Da qui a millenni anche le grotte del Pugnetto avranno, in scala
ridotta, lo splendore e la fantastica bellezza di quelle di Postumia, con
imponenti colate ed infiniti magici candelabri; ma anche ora, pur nelle
loro modeste proporzioni, hanno una selvaggia bellezza con le caotiche frane
e le rovine di massi e di pietre affondate nel fango.
Mentre riprendo il cammino vedo correre qualche cosa velocemente
sul suolo: avvicino la lampada e l'aspiratore segue il piccolo essere. Una
forte inspirazione ed eccolo prigioniero: è certamente lo « Sfodrossi di Giu-
liani », un Coleottero color castano lungo quasi due centimetri con piccoli
occhietti scuri sporgenti ed assai simile, in piccolo, ad un Carabo (Tav. Vili).
57
Infatti appartiene alla stessa famiglia; anch'esso è predatore e vive nelle
caverne o sotto le grandi pietre infossate all'esterno. Poco distante trovo del
formaggio lasciato evidentemente come esca da qualche mio collega. La
luce provoca un fuggi fuggi di lattei minuti animaletti e di altri tre o
quattro « Sphodropsis » che cercano di salvarsi in qualche fessura o sotto le
pietre. L'aspiratore funziona a meraviglia ed in breve anche essi vanno a
fare compagnia al primo. Il pezzo di formaggio è ricoperto in parte di
candide alte muffe mentre altrove è decomposto e pullula di vermiciattoli,
larve di Ditteri che, certamente, servivano di facile preda ai miei Coleotteri
a giudicare dai loro rigonfi addomi sporgenti e contrastanti, bianchi come
sono, colle elitre castane.
Intorno al formaggio alcune Moschettine saltellano mentre altre, simili
a Zanzaroni, si alzano a volo incerto. Le catture sono riposte nei tubi di
vetro pieni di muschio e l'esplorazione continua. Passiamo ora attraverso
grandi spaziose caverne dove si può camminare senza pericolo di dar con
la testa nella volta; ancora uno stretto corridoio, anzi budello in saUta, poi
il sentiero, dopo aver rasentato neri pozzi e profonde buche, si allarga nel-
l'ultima sala. In fondo a questa, nella roccia, è stata scavata una nicchia
ed eretto un altarino dove infracidiscono gli avanzi di rododendri e di altri
fiori portati fin qui da qualche gitante in omaggio ad una semplice Madon-
nina litografata su latta. Il ragazzetto avvicina la lampada ad acetilene e
pulisce e monda dal marciume la nicchietta. A frotte fuggono i bianchi
appiatiti Isopodi, essermi simili agli Onisci delle cantine e dei luoghi umidi,
mentre i minuscoli Collemboli impauriti si salvano con piccoli salti.
E qui, in uno spazio pianeggiante, incomincio ad alzar pietre. Ed
ecco, sotto un pezzo di legno marcio, un Coleottero d'aspetto globoso e di
dimensioni simili a quelle di una piccola Coccinella. Se ne fugge velocis-
simo mentre altri due o tre sbucano fuori agitando dinanzi a loro le an-
tenne. L'aspiratore è pronto, aspiro fortemente ed eccoli racchiusi nella pri-
gione di vetro. Avvicino la fiamma per osservare la cattura: quattro per-
line allungate, castano chiare e, sporgenti da ognuna di esse, due lunghe
antenne e sei zampette allungate e sottili.
Sono umili campioni della fauna cavernicola come conviene siano gli
abitatori delle modeste grotte del Pugnetto e non possono gareggiare con
la prodigiosa eleganza del cieco Leptodero delle meravigliose grotte della
Carniola. In un castello incantato da mdle e una notte come quello sot-
terraneo di Postumia ci vuole un ben più degno castellano.
Immaginate una trasparente delicatissima fiaschetta tornita in un'am-
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bra rossiccia e dal collo sottile ed elegantemente allungato: aggiungetevi due
lunghissime antenne e sei smisuratamente lunghe e- sottili zampe e avrete
un'idea approssimativa di quel meraviglioso insetto (Tav. IX).
Ma pur senza raggiungere quelle finezze d'eleganza anche le mie
quattro perline hanno una loro delicata bellezza ed un nome gentile:
« Royerella » o per esser piti precisi < Della-Beffaella Roccai » dal nome
degli scopritori, piccolo Coleottero cieco esclusivo delle grotte del Pugnetto
(Tav. Vili), e appartenente come il Leptodero alla stessa famiglia delle
Silfe della quale fan parte i neri oppur fasciati di strisce arancione Necro-
fori, grossi Coleotteri che all'aperto sotterrano i cadaveri di piccoli uccelli,
di topi e talpe di cui nutrono sé e le loro larve (Fig. 16).
Fig. 16 - Il Necroforo.
Al vero = I
Ne catturo ancora qualcuna con l'aspiratore e travaso anch'esse in
altri tubi di vetro, poi raccolgo nel sacchetto di tela terriccio, pietre, pez-
zetti di legno fradicio e croste di stalagmite.
Il ragazzo è chino anch'egli a terra e mi fa luce mentre alzo una
pietra: « Eccone una, eccone una! » mi grida indicandomi un globetto che
trotterella, e poi chiede: « Chissà cosa stanno a fare quaggiù al buio le
bestioline e che mai possono trovare da mangiare? »
L'ingenua domanda del ragazzo è in sostanza ancora la stessa do-
manda che si pongono i dotti: come vivono? di che si nutrono? perché si
trovano in questo strano ambiente? Poche domande a cui finora la scienza
non ha potuto rispondere che con pochi dati di fatto e con moltissime
ipotesi.
Quanti problemi biologici, quante ipotesi sulla vita di queste stra-
ordinarie esistenze attendono ancora una soluzione ed una conferma! Con
quanta gelosa avarizia la natura ci lascia penetrare nei suoi segreti misteri.
Che sappiamo mai della vita delle larve, per la maggior parte sco-
nosciute, delle specie più tipicamente cavernicole e relegate forse nelle
strette fessure impenetrabili allo sguardo umano?
59
E che mai possiamo rispondere a chi chiede ragione della pili o meno
totale cecità e della mancanza di pigmento di alcuni Coleotteri delle grotte
quando vediamo che anche fuori di queste sotto pietre profondamente in-
fossate o nei muschi e sotto gli ammassi di foglie morte e infracidite molte
specie hanno occhi ridottissimi ed altre ne sono pure completamente prive
e presentano la stessa mancanza di pigmento? (Fig. 17).
Fig. 17 - Piccolo Carabide cieco e senza pigmento che vive sotto strati di foglie morte.
Al vero = I— I
Perché vicino ad alcuni tozzi e globosi abitatori delle tenebre sotter-
ranee trotterellanti su corte zampette ne vediamo altri con antenne e
zampe straordinariamente allungate e dal corpo anteriormente ristretto e
affusolato mentre l'addome ricoperto dalle elitre prende forma globosa e
rigonfia?
Cosi, pensando alle tante domande senza risposta, passo passo ritor-
niamo indietro. Qualche pipistrello che dorme tranquillamente appeso alla
volta a testa all'ingiu e tutto racchiuso nell'ampia mantellina delle sue ali
vien preso dal ragazzo e deposto pigolante in un fazzoletto. Mi spiega che
se li porta nella stalla dove il calore li fa svegliare dal letargo dell'inverno
e allora, volando, mangiano le mosche. Di pipistrelli ne ho veduti molti qui
appesi: alcuni piccoli, altri invece assai più grandi, e di pipistrelli devono
essere le bianche ossicine ed i minuscoli crani ben ripuliti che ho osser-
vato durante il cammino a terra in due o tre posti.
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Leptodero di Holienwart
TAVOLA IX
Finalmente appare la luce esterna: siamo di nuovo all'aperto e il sole
ci fa fumare addosso tutta l'umidità raccolta nelle grotte.
* * *
Mia prima cura, a casa, è quella di preparare un ambiente adatto
ed il più simile possibile a quello delle grotte. Due grandi vasche di vetro,
di quelle che servono per gli accumulatori elettrici, sono l'ideale e ven-
gono riempite per due quinti di terriccio, di pietre e di pezzi di legno
marcio raccolti al Pugnetto. La terra ancora umida e dall'acuto odor di
muffa, non la eguaglio, ma lascio che si accumuli disordinatamente in
modo che si formino piccole anfrattuosita e vani dove i miei prigionieri
potranno vivere e nascondersi. Perché il vero dominio della massima parte
dei Coleotteri cavernicoli e specialmente delle loro larve è la vastissima
rete di fenditure collegate con le grandi cavità sotterranee ed intersecanti
in ogni senso i massicci calcarei. In queste fessure sono confinate moltis-
sime specie che, solo accidentalmente o perché attirate dal nutrimento, ca-
pitano nelle grotte vere e proprie. Cosi pure, più raramente, esse possono
raggiungere nelle loro peregrinazioni le grandi pietre infossate profonda-
mente nel terreno soprastante e le tane delle talpe e dei conigli dove qual-
che specie è stata pure trovata. Le Roverelle con qualcuno dei Ditteri simili
a Zanzaroni raccolti sul formaggio, vengono alloggiati in una vaschetta,
mentre nell'altra metto gli Sfodrossi, la Dolicopoda e le Farfalle notturne
prese all'entrata delle grotte. Le due vaschette sono ricoperte da una lastra
di vetro, racchiuse in un sacchetto di carta e poste in un armadio a muro
al buio dove le lascio per qualche giorno perché i miei allievi possano
tranquillamente ambientarsi nel nuovo alloggio. Nell'armadio a muro la
temperatura è meno rigida che non all'esterno e meno calda di quella della
camera ed il termometro indica nove gradi sopra lo zero che corrispon-
dono, abbastanza esattamente, alla temperatura delle grotte del Pugnetto.
* * *
Da più di mezzo anno ormai i miei allevamenti prosperano e mi la-
sciano intravedere qualche aspetto della vita cavernicola. Le Roverelle sono
sempre in buona salute, e mi hanno dato una larvetta pallida, ricoperta in
tutto il corpo di strane setole portanti all'estremità una coroncina di spi-
nule, certamente nata nella vaschetta e che è stata isolata in una scatolina
61
(Fig. 18). Tutto quello che ho potuto osservare è che si nutriva come gli
adulti dei candidi fdamenti delle muffe. E vissuta in allevamento tre mesi,
e quando pensavo stesse per compiere la metamorfosi, s'è distesa lunga
tirata sotto un pezzetto di carta e non si è più riavuta: forse l'umidità non
era sufficiente o, chissà, l'ambiente non adatto.
Ogni sera trasporto le vaschette sul tavolo per osservare come vanno
le cose. Le Roverelle fuggono veloci in ogni senso, cercando riparo sotto i
pezzi di legno fradicio, sorprese e disturbate dalla luce che non possono
vedere, essendo completamente cieche, ma le cui radiazioni chimiche imme-
diatamente percepiscono. Qualcuna ha scavato delle piccole fossette in un
pezzo di carne cotta che pare sia stato di loro gradimento, altre si trovano
invece sotto terra nelle piccole nicchie e fessure che si scorgono, attraverso
Fig. 18 - Larva di Roverella Roccai.
Al vero ■= ! 1
la parete di vetro, tra il terriccio e le pietre, oppure le trovo nascoste sotto
i detriti legnosi e sotto i pezzi di stalagmite rotta.
A volte però la luce non pare disturbarle e allora posso osservarle
con calma. Spesso ne sorprendo qualcuna ferma su di un grumetto di terra,
intenta a ripulirsi lentamente e senza fretta. Una zampina liscia e spazzola
il dorso della corazza color castano rossiccio chiaro e tutta ricoperta da
una fitta peluria biondiccia e lucente. Contemporaneamente le antenne lun-
ghe e pelose vengono portate alla bocca dove le mascelle ed i palpi ne
nettano e puliscono con cura ogni segmento. Dopo essersi spazzolata, li-
sciata e ripulita tutta, la Royerella se ne va in giro per la vaschetta. Priva
completamente di occhi essa vaga sull'umido terriccio e sui pezzi di sta-
lagmite veloce e sicura come se potesse vedere la strada che percorre. Con
le antenne protese in avanti essa tasta ininterrottamente la via come il
cieco col suo bastone e fiuta e annusa finché non trova qualche piccolo
resto muffito o qualche Dittero morto. Allora la cieca Royerella sosta, e
con piccoli strappi delle mandibole divora i pallidi steli delle muffe ed
ogni resto organico che possa servirle di nutrimento. Spesso nelle sue pere-
grinazioni essa si imbatte in un'altra Royerella ed allora ognuna di esse
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improvvisamente si dà ad una fuga veloce e si nasconde precipitosamente
in qualche screpolatura del terreno. Nella loro cecità, ogni altro essere vi-
vente incontrato rappresenta un possibile nemico, un possibile predatore ed
esse ad ogni buon conto si salvano con la fuga. Per la Roverella i nemici
sono gli Sfodrossi e forse qualche ragno.
Nell'altra vaschetta dove ho messo parecchie di quelle farfalle grige
e rosa prese all'entrata delle grotte scopro le malefatte degli Sfodrossi, ma-
lefatte alle quali forse non è estranea anche la Dolicopoda; spesso li trovo
intenti a divorare l'addome delle farfalline rovesciate a terra oppure li sor-
prendo accorsi tutti insieme su qualche pezzetto di carne sia cruda che cotta
che pare esser loro assai gradita come del resto lo era anche alle Cicindele
e ai Carabi da me tenuti in cattività.
Gli Sfodrossi si son poi ingozzati e rimpinzati fin quasi a scoppiare
anche di larve di Ditteri che pullulano nel formaggio. Essi, forse perché
ancora provvisti di piccoli occhietti, sono ancora più sensibili alla luce che
non le Roverelle e non c'è verso di farli uscir fuori dai nascondigli dove
vanno a cacciarsi non appena vengono illuminati. Spesso li trovo radunati
tutti assieme sotto una stessa pietra o, ancor più di frequente, arrampicati su
di un pezzo di stalagmite. Si sono trovati talmente bene e il nuovo allog-
gio è stato cosi ben accetto che han deposto le uova dalle quali sono
schiuse sei larve ora già abbastanza grandicelle (Fig. 19). Due uova che
ho potuto isolare mi han dato invece una grande delusione: dopo una set-
timana si son ricoperte di filolini chiari ed in breve son state invase dalla
muffa. Son curiose le larve: hanno una gran paura degli adulti loro geni-
tori conoscendone la cieca voracità e se ne stanno sempre interrate in
buchi sottoterra dove vanno a caccia di collemboli e specialmente delle
larve di Ditteri che, raggiunta la maturità dopo aver fatta una passeggiata
sulle pareti di vetro della vaschetta, scendono a terra a compiere la meta-
morfosi in piccole cellette ovali. Questi Ditteri si sono prodigiosamente mol-
tiplicati da quando i primi tre o quattro individui han deposto le loro uova
nel formaggio messo da me a loro disposizione ed ora pullulano allo stato di
larve in ogni marciume mentre gli insetti adulti depongono altre uova e svo-
lazzano qua e là malamente.
Questo straordinario moltiplicarsi di questi Ditteri nel formaggio mi
suscitò diversi problemi. « Certamente — pensavo — nelle grotte, eccetto che
sotto forma di esche lasciate dagli entomologi, non esiste formaggio che possa
nutrire a centinaia le larve dei Ditteri, preda favorita degli Sfodrossi o per-
mettere l'esistenza delle muffe, nutrimento delle Roverelle».
63
E allora nelle grotte di che si nutrono i bianchi vermiciattoli degli Zan-
zaroni e le Roverelle?
La risposta a questa mia domanda mi giunse osservando la terra por-
tata dal Pugnetto e messa nelle vaschette.
Nell'oscuro terriccio, che manda umidi lucori, brillano dei frammenti
verde smeraldo dorati ed abbaglianti: che cosa mai possono essere? Sotto la
lente essi mi rivelano la loro strana, impensata natura. Sono pezzi della co-
razza di qualche Coleottero, ma quale? Non certamente un cavernicolo poiché
nessuno di questi possiede una cosi brillante armatura, ma anzi, nella totalità o
quasi si presentano senza pigmento, chiari, d'un bianco gialliccio o al più di un
biondo castano piti o meno scuro. Un'intera zampa trovata nel terriccio ed an-
ch'essa di un verde magnifico e lucente risponde alla mia domanda e scioglie
l'enigma: sia essa che i pezzetti di corazza appartengono sicuramente ad un
grosso, corpulento Coleottero stercorario che sfrutta le brune focacce sparse
Fig. 19 - Larva dello Sfodrossi di Ghiliani.
Al vero = I 1
64
a terra nei dintorni e frutto della digestione delle vacche pascolanti. Que-
sto Coleottero è il Geotrupe (Fig. 20). Questi insetti a sera volano ronzando
in cerca di nuovo cibo, ma sono afferrati sovente dagli aguzzi denti dei pi-
pistrelli che di giorno restano assopiti nelle grotte e, quando il sole sta per
tramontare, escono dai loro ripari e silenziosamente percorrono le vie del
cielo. Centinaia di moscerini, farfalle crepuscolari e notturne sono ingoiate
a volo, mentre i grossi Coleotteri coprofaghi vengono spesso sgranocchiati e
divorati con più calma, all'alba nelle caverne.
Qualche zampa o qualche pezzo di elitra disarticolata cade cosi a
terra e il suolo si copre di questi resti e di quelli più numerosi ancora delle
piccole briciole di corazza che i succhi intestinali non hanno potuto attac-
care e sono stati espulsi con le deiezioni. A volte, nelle caverne, centinaia
Fig. 20 - Il Geotrupe.
Al vero = I
e centinaia di certe specie di pipistrelli gregari si radunano assieme, uno vi-
cino all'altro, e il guano deposto da migliaia e migliaia di secoli si ammuc-
chia al suolo in spessi strati. Questo guano, come i residui isolati della di-
gestione, si copre spesso di muffe e fungosità che sono quasi l'unica risorsa
alimentare delle specie cavernicole non predatrici. Le larve delle Mosche
che avevo trovato nelle esche di formaggio ed un'infinità di Collemboli
pullulano e vivono nelle masse di guano, mentre le Roverelle ed altri Co-
leotteri della stessa famiglia trovano di che nutrirsi nelle muffe, nei cada-
veri dei Ditteri adulti ed in ogni altra sostanza organica in decomposizione.
I predatori, come nelle grotte del Pugnetto lo Sfodrossi di Giuliani ed al-
trove i ciechi Anoftalmi, trovano facile preda negli sfruttatori di guano e
di marciume.
Chissà cosa stanno a fare quaggiù al buio le bestioline e che mai
possono trovare da mangiare? Alla domanda del ragazzetto potrei ora al-
65
meno in parte rispondere. Una serie di piccoli avvenimenti concatenati l'uno
all'altro come gli anelli di una catena mi permette di stabilire come e che
cosa mai possano trovare le bestioline da mangiare nelle grotte. Perché i
piccoli esseri che vivono nelle caverne possano nutrirsi, quante condizioni
concatenate sono necessarie! Strana catena questa: la nera vecchia terra
mai esausta che cede alle pallide tenere radici i suoi miracolosi succhi mi-
nerali. La calda luce del sole e l'ossigeno dell'aria che fan verdi le erbe e le
piante. Poi vengono le mandre di vacche e la verde chioma della terra vien
raccolta, macinata, dissugata. I succhi gastrici innaffiano la poltiglia che fer-
menta, si dissolve e scompone. Le erbe ondeggianti dei pascoli sono ora
carne soda, sangue rosso pulsante e bianco latte. Ma non tutto è stato uti-
lizzato: i resti indigeribili che le vacche disseminano sotto forma di brune
focacce saranno sfruttati dal Geotrupe e si muteranno per una nuova me-
ravigliosa alchimia nella splendente sua corazza di smeraldo e di ametista.
E la catena continua; gli anelli si legano l'uno all'altro e l'uno senza l'altro
non possono esistere.
Ronzando rumorosamente, vola alto nel cielo il Geotrupe in cerca di
nuove focacce, di nuovo nutrimento ed ecco giungere silenziosamente a
volo nell'incerta luce del crepuscolo il pipistrello con le fauci spalancate
pronte ad afferrare con gli aguzzi dentini ogni insetto. Ed il Geotrupe è
preso, chiuso nella morsa. Luccicano ancora per poco le brillanti elitre di
smeraldo; per poco ancora il caldo soffio del respiro del pipistrello appan-
nerà il suo ventre color dell'ametista, poi le brillanti stelle scompaiono in-
ghiottite in una più nera notte e giù giù nel più profondo del buio. Le carni
del Geotrupe, quel poco di non coriaceo e di digeribile che ci può essere
sotto la sua dura corazza, diventano le carni ed il sangue del pipistrello e
la catena continua.
I resti della digestione, povera roba morta, caduti a terra, per una
nuova trasformazione dalla morte alla vita si mutano in doppio nutrimento:
di essi si nutrono i vermiciattoli figli degli alati Ditteri; con essi si svilup-
pano piccole fungosità biancastre e diafane filiformi muffe unici rappresen-
tanti del regno vegetale nelle buie caverne. Ma la catena non finisce qui:
altre trasformazioni, altre vite che con la loro morte danno vita ad altri es-
seri. I lustri globetti castani, le Roverelle, questi piccoli Coleotteri ciechi
troveranno nelle muffe e nelle fungosità una briciola di sostanza, un atomo
da aggiungere ai loro tessuti mentre gli allungati e appiattiti Sfodrossi si
ingozzeranno delle larve dei Ditteri e di tutti i piccoli esseri che vivono alle
spese del guano.
66
Nulla va perduto, tutto viene utilizzato, non esiste la morte in natura,
ogni cosa animata o inanimata serve solo a dar vita ad altri atomi, ad altri
esseri. Le materie più strane, più impensate, quelle che parrebbero non
avere più nulla da cedere, tanto sono sfruttate, permettono che pur con esse
si animi un nuovo soffio di vita.
E quale lunga, complicata trasformazione della materia è necessaria
perché una piccola Roverella possa vivere nelle grotte: terra, sole, pioggia,
erbe, vacche, brune focacce, Geotrupe, pipistrello, guano, candide muffe;
e finalmente la materia, filtrata cosi attraverso tanti passaggi, può fornire
il cibo del piccolo Coleottero cieco che, a sua volta, ultimo anello della ca-
tena, sarà forse nutrimento del bruno Sfodrossi.
Strane esistenze di uno strano mondo queste! Ed anche qui, come
ovunque, la lotta spietata per la vita e la fredda, crudele guerra di ogni
atomo vivente per procacciarsi una briciola di nutrimento e un istante di
più nell'eternità.
* * *
Spietata lotta d'ogni giorno anche per noi: il pane vuol sudore e
fatica.
Ma quando la sera, dopo aver dato la buona notte ai miei bambini,
stanco pel lavoro diurno, mi siedo davanti al tavolo dove porto le mie va-
schette e osservo a lungo ogni minima occupazione ed industria delle « be-
stioline », dimentico ogni fatica e preoccupazione e a poco a poco il mio
pensiero vaga lontano. Le trasparenti barriere di vetro lentamente scompa-
iono, il pugno di terra si ingigantisce e mi pare d'esser tornato nel solaio o
nella cantina di un tempo dove bambino giocavo a fare il troglodita.
67
GEMME E LORDURE
« Gli insetti sono le più belle crea-
ture che esistano al mondo senza con-
fronto possibile ».
A. Berlese
« Cosa strana: l'imenottero, il meglio
dotato tra gli insetti industriosi, non
conosce il lavoro paterno: mentre par-
rebbe che in esso le esigenze dei pic-
coli dovessero sviluppare grandi atti-
tudini, resta invece limitato quanto
una farfalla, la cui famiglia costa cosi
poco stabilire. Il dono dell' istinto
sfugge alle nostre previsioni meglio
fondate.
« E ci sfugge cosi bene che, con no-
stra somma sorpresa, nei manipolatori
di sterco si trova la nobile prerogativa
di cui il mellifero è privo ».
J. H. Fabre
CAPITOLO V
GEMME E LORDURE
Il trasloco dell'elefante e del rinoceronte io non l'ho visto. Ma dev'es-
ser stato uno spettacolo superbo il veder uscire dall'antico palazzo barocco
tutto mattoni e granito, sede del vecchio museo, tutto quel circo equestre
imbalsamato e incartapecorito.
Durante la sosta nella piazza, prima che i carri e i furgoni si incam-
minassero verso la nuova sede, il vitreo sguardo dell'imbottito e screpolato
pachiderma deve aver avuto un vivace brillio e il cielo si dev'esser nuova-
mente riflesso in quei due globi di vetro. Un soffio d'aria pura deve aver
agitato leggermente le criniere dei leoni e qualche tarma dev'esserne volata
via. Si, le pellicce di tutti questi animali devon essere state le uniche cose
vive in questo cimitero che traslocava, ma il contrasto di questo pelame
mosso dall'aria, colla muta tristezza di tutta quella vita imbalsamata, deve
esser stato malinconicamente ridicolo.
Quello che nelle chiuse sale di un museo può ancora aver avuto
qualche cosa come una parvenza di vero, qui all'aperto rivela sotto i bel-
letti e le vernici tutto un tragico intrecciarsi di rughe e di crepe, tutta una
mescolanza di vecchio e di falso.
Solo gli insetti racchiusi nelle loro scatole a vetri non mostrano cosi
evidente l'inganno e, tolta l'immobilità e la mancanza di qualche zampa od
antenna, essi conservano ancora, anche nei musei, la nobiltà di colori e di
forme che avevano in vita.
Sono andato a vederli nella nuova sede; dal magnifico palazzo Cari-
gnano dove nacque Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II e dove nel 1861
fu proclamato il Regno d'Italia, essi hanno traslocato con l'elefante e la
giraffa nel vecchio ospedale San Giovanni.
71
Qui le sale non hanno più quell'ampia architettura imponente e con-
servano qualcosa di freddo, una certa aria di ammalato, e par sempre di
dover vedere spuntar fuori dietro ad un cammello o ad una zebra, una
suorina con l'acqua e limone o un infermiere col termometro.
Gli insetti, con gli uccelli, sono ai piani superiori, in una lunga sfi-
lata centrale di cassettine a vetri. Era un pezzo che non li rivedevo: ecco
i meravigliosi battaglioni di Farfalle. Sulle loro ali s'è posata una polvere
meravigliosamente colorata. L'azzurro cielo s'è ridotto in squamette, la ma-
dreperla s'è sminuzzata, i variopinti fiori ridotti in una spolveratura can-
giante, e tutta la farina dei bianchi, dei bruni, dei grigi e dei verdi s'è di-
sposta in chiazze, macchie e ghirigori.
Ecco i superbi « Morpho » sulle cui ali si riflette ancora l'azzurro pro-
fondo e smagliante del cielo del Surinam. Mi ricordo d'averli veduti nelle
meravigliose tavole a colori della pittrice Maria Sibilla di Meriam che nel
1698, alla bella età di 51 anni, se ne parte dall'Olanda e attraversa l'A-
tlantico su di un veliero per recarsi laggiù, esclusivamente per studiare le
metamorfosi degli insetti di quei luoghi e dipingerli in tavole ora famose.
Ecco i longicaudati « Papilio » e gli « Ornithoptera » di Amboina e della
Nuova Guinea patria degli uccelli del paradiso col cui splendore gareggiano.
E via via in ogni vetrina centinaia e centinaia di Farfalle d'ogni colore e
d'ogni paese. E poi Mosche e Cicale e strane Cavallette ed enormi Libellule
le cui iridescenze rivaleggiano coll'arcobaleno.
Ed ora ecco i Coleotteri: duri e corazzati essi uniscono alle bellezze
del colore una solidità e una forma plastica da farli assomigliare a pietre
preziose scolpite e cesellate da qualche fantasioso gioielliere. Le cassettine
vetrate che li racchiudono sembrano piuttosto vetrine o bacheche di gemme
pronte ad essere incastonate in qualche anello o in qualche monile e infatti
gli antichi sacerdoti dei Faraoni ben si accorsero del loro splendore e divi-
nizzarono uno di essi. Scarabei sacri d'oro, di pietra dura, di porcellana smal-
tata ornano ancor oggi il petto rinsecchito delle decrepite mummie, proprio
come qualche Scarabeo vero montato in oro ravvivava come ciondolo o
spilla le attillate camicette delle nostre mamme nel 1900.
Specialmente nei Coleotteri esotici, spesso giganteschi, c'è uno sfoggio
di ornamentazione e di scultura di tale straordinaria ed incredibile varietà
da destar ammirazione anche nelle persone più insensibili e rozze.
Corazze di metallo fuso intarsiate di candidi velluti; superfici lisce
a specchio; elitre zigrinate e cesellate; livree sontuose da paggetti del quat-
trocento; armature da guerrieri da operetta, e corni e alabarde e spadini
12
M veni = 1 e =: | |
Cetonia dorata ed Antassia.
TAVOLA X
piantati diritti sulla testa o sul protorace. Pelliccette e ciuffi e pennacchietti
da ballerina, e gorgerine e rasi e sete e lustrini, madreperla avorio e legni
preziosi. Zampette con pettinini e spazzole e raspette per la pulizia personale.
Spruzzi di polvere d'oro su fiamme verdi ed azzurre ed iridiscenze
ed arcobaleni. Essi sono realmente le creature più ornate che io conosca.
Ma non c'è bisogno di aver sott'occhio queste esotiche meraviglie per
convincersene: basta guardare con una lente anche i Coleotteri nostrani più
minuti e meno vistosi per trovare anche in essi innumerevoli varietà di scul-
ture e magnificenze e iridescenze e splendori.
Ecco qua in mezzo a mille altre bestioline incollate su piccoli rettan-
goli di cartoncino, un globetto laccato di un superbo rosso vermiglio su cui
Fig. 21 - Scarabeo rinoceronte, maschio.
Al vero =1 1
sono cadute sette goccioline d'inchiostro di china; davanti il globetto ha due
coccarde gialloUne spiccanti sul nero.
E la comunissima Coccinella: la Gallinella del Signore, la Madonnina,
la bestiolina del buon Dio, come la chiamano i bambini.
Si dice che porti fortuna, che sia di buon augurio, tanto l'allegra sua
colorazione fa piacere a guardarla. Col Maggiolino esso è il Coleottero più
conosciuto, ma non tutti sanno quanto esso e molti altri della sua famiglia
ci sia di utilità. Le Coccinelle infatti vivono sulle piante e vi fanno strage
degli afidi o pidocchi delle piante che tanto danno recano alle coltivazioni.
Qualche specie esotica, come l'ormai famosa « Rodolia Cardinalis », è
stata introdotta dall'Australia in diversi paesi ed anche in Italia per com-
battere un insettino dannosissimo agli agrumi; e dal Giappone e dal Nord
America altre specie di Coccinellidi sono state introdotte da noi per com-
battere, in compagnia di una vespetta, un altro insetto cosi nocivo ai gelsi
73
da aver prodotto nella sola Italia, prima che vi fossero introdotti questi suoi
accaniti nemici, danni per pili di cinquanta milioni annui.
Benvenute quindi le graziose Coccinelle.
Ecco qua un altro magnifico Coleottero ben conosciuto da tutti: la
Cetonia dorata. Chi non l'ha vista appoggiata o mezzo nascosta tra i petali
di una rosa, cosi brillante nella sua verde corazza? Tagliata fuori da un
pezzo di giada, splendente di lucidi riflessi dorati essa ha elitre ornate di
opache macchioline biancastre (Tav. X).
Ed ecco lo Scarabeo rinoceronte col suo cornetto ricurvo, grosso e
pesante (Fig. 21) ; ecco il Cervo volante, il gigante dei nostri Coleotteri; esso
può stare a pari per statura e per aspetto coi migliori campioni esotici della
sua razza. La testa del maschio allargata e nera porta due enormi mandibole
dentate color castano che gli servono per farsi bello davanti alla femmina
e a combattere per lei con gli altri pretendenti (Fig. 22).
Quest'altro, meno conosciuto, è uno dei pili belli e più grandi: esso
è parente prossimo del Maggiolino, ma la sua mole è assai maggiore, ed assai
più vistosa la sua livrea. E il Maggiolino marmoreggiato dei pini; il suo
nome scientifico è « Poliphylla fullo ». Sul cuoio castano rossiccio o nero della
Fig. 22 - Cervo volante maschio.
Al vero = I
74
sua corazza spiccano strani ghirigori o marmoreggiature formate da un
fìtto strato di squamette d'un bianco cretaceo. Le antenne del maschio sono
enormemente sviluppate e gli ultimi sette articoli sono allungati ed appiat-
titi a lamelle elegantemente curve formanti un magnifico ventaglio che nella
femmina è invece ridotto ad una piccola mazzetta (Tav. XI). Chi lo vede
nelle collezioni pensa che sia un insetto esotico di chi sa quale calda e lon-
tana regione, e invece esso non è raro, specialmente in primavera ed estate
nelle pinete dei monti o presso il mare, ed a volte si trova persino in città.
Afferrato o molestato esso produce uno strano stridio abbastanza distinto.
* * *
Polifilla, Maggiolino, Cervo volante, Rinoceronte e Cetonia fan tutti
parte della famiglia degli Scarabeidi o Lamellicorni alla quale apparten-
gono i Coleotteri più giganteschi e più ricchi di forme straordinarie per
ornamentazione.
Fig. 23 - Golofa di Porter, maschio.
Al vero - I 1
Specialmente i maschi di questa famiglia fanno sfoggio di enormi
sproporzionati corni, e protuberanze e creste d'ogni genere sporgenti dal
capo e dal protorace. Queste appendici cosi strane e singolari, mancanti
quasi sempre o assai ridotte nelle femmine, hanno l'unico scopo dell'abbel-
Hmento del maschio che pare esserne conscio ed orgoglioso.
75
Ogni volta che visitando un museo arrivo alle vetrine degli Scarabeidi,
una sempre nuova meraviglia ed ammirazione mi suscitano questi squa-
droni di stravaganti alabardieri. C'è chi porta dritto sul protorace un alto
corno fornito di spazzolino a cui fa riscontro un sottile sciabolino dentato
piantato nel bel mezzo del capo (Fig. 23); c'è chi si orna la testa di uncini
ricurvi e di alte lame seghettate.
Vi sono corna dritte all' innanzi, gettate curve all'indietro, tridenti e
rastrelli da contadino, pugnali da bandito e tutte le più inverosimili arma-
ture da guerriero cinese.
Fig. 24.
Al vero = I
Questo che ho sotto gli occhi, di un verde smeraldo smagliante porta
alto sul capo un suo corno ricurvo all'indietro mentre il protorace quasi pia-
no al centro s'innalza ai fianchi in due creste triangolari assottigliate e pun-
tute.
A vederlo cosi splendido e nobile come una pietra preziosa tu diresti
che esso non possa vivere che su qualche velluto in una vetrina di gioiel-
liere o al più su qualche rara orchidea o su qualche nobile fiore di serra.
Da quale mai febee e lontana contrada giungerà questa gemma vi-
vente? Guardo il cartellino posto sotto di lui: « Oxysternon conspicillatum »
Bolivia (Fig. 24).
76
Poli lilla fililo.
TAVOLA VII
Se non conoscevo il suo nome conosco la sua razza ed i suoi costumi
e i luoghi che frequenta: no, non corolle di magici fiori profumati; no, il
suo posto non è tra i diamanti e gli ori di qualche artista gioielliere! Esso
colla sua ingannevole superba corazza da gran parata è un umile modesto
spazzino! Un semplice Coleottero stercorario che vive sfruttando le lordure.
Poco dopo di lui nella vetrina eccone un altro simile per armatura
ma tutto nero e lucido: questo lo conosco bene: « Coprislunaris », il comunis-
simo Copride lunare che spesso trovo fin dai primi giorni d'aprile indaffa-
rato presso lo sterco di vacca (Fig. 27 e 28). Non ha lo splendore del suo
parente d'America, ma il mestiere è lo stesso: spazzino.
Addetto al servizio della spazzatura come l'« Oxysternon ■», come il
Geotrupe i cui resti trovavo nelle grotte, e come lo Scarabeo sacro degli
Egiziani e come il piccolo Ontofago toro che porta sul capo due sottili e
ricurvi cornetti (Fig. 25).
Umile il suo mestiere ma necessario per eliminare le lordure, por-
tarle sotto terra e trasformarle in altre materie più adatte a nutrire le piante.
Il suo aspetto è dei pili notevoli. Sulla testa piatta e semicircolare esso
porta un cornetto alto ed appuntito nel maschio, breve e bifido nella fem-
mina, ed d protorace è profondamente incavato ai lati dai quali sporgono
due protuberanze triangolari; nel mezzo presenta un leggero incavo. Nella
femmina queste sculture sono assai meno pronunciate e quasi svanite
(Fig. 27 e 28).
Le zampe sono corte, e quelle anteriori dentate e atte allo scavo; le
elitre sono striate e tutto il corpo è spesso e tozzo. Una frangia di ciglia
rossicce orla il protorace, e pure i cosciotti sono orlati di peli rossi. Il suo
Fig. 25 - Ontofago toro maschio.
Al vero ' I 1
77
corno dritto sul capo e la scultura del suo protorace non la cedono per stra-
vaganza a nessuno dei suoi parenti spazzini e stanno a pari col tridente del
Geotrupe Tifeo (Fig. 26) e con le corna da minuscola vaccherella dell'Onto-
fago toro.
Cosi superbamente ornato esso era stato divinizzato, come lo Scarabeo
sacro, dagli Egiziani.
* * *
Umile il suo mestiere, vergognoso il nome della sua corporazione, ma
stupendo l'aspetto e ancor più meravigliose le cure prodigate alla prole
dalla madre e, caso quasi unico nel mondo degli insetti, dal padre.
Coi tepori d'aprile, quando le mandre lasciano il chiuso delle stalle e
dinuovo pascolano calme sui prati dove le erbe metton fuori le nuove tenere
foglie, compare il Copride lunare a sfruttare lo sterco bovino. Esso non
conosce le lunghe peregrinazioni degli Scarabei sacri che vagano qua e là a
raccogliere i viveri che riuniscono in pallottole e rotolano nella tana, ma
Fig. 26 - Geotrupe Tifeo, maschio.
Al vero = I— 1
78
d'indole pia sedentaria si stabilisce direttamente sotto una larga focaccia e,
scavata sotto di questa una tana, raccoglie a piccoli brandelli i viveri e li
trascina a ritroso per immagazzinarli. Nella cella, al riparo dall'ardore del
sole, lontano dai pericoli, nella quieta oscurità sotterranea il Copride lunare
banchetta. Consumata la provvista, col fresco della sera esce nuovamente
all'aperto e vola in cerca di un'altra focaccia da sfruttare. E cosi di festino
in festino passa l'aprile e finisce maggio; è ora di accasarsi e di pensare a
metter su famiglia. Trovata la sposina su qualche grassa torta bovina, non
pensa piti alla propria pancia ma ai figli. Marito e moglie scavano sotto
al mucchio una tana a circa una ventina di centimetri di profondità. Gli
sterri vengono portati ed accumulati fuori e formano una grossa monta-
gnola. L'orlo tagliente del capo e le dentate zampe anteriori sono gli stru-
menti da scavo e in breve la cella acquista le dimensioni necessarie:
una stanzetta spaziosa bassa e larga è cosi scavata; il suolo viene spia-
nato, le pareti rassodate perché la volta non crolli sui due minatori; il
pavimento e parte delle pareti vengono coperti di uno strato feltroso di
sterco. La cella rifinita, rinforzata e rassodata è pronta ed ora la coppia
deve pensare a portar giù il nutrimento per i futuri figliuoli. Verso sera si
sale su a raccogliere il materiale che viene portato giù bracciata per brac-
ciata, e che nella notte vien radunato nella quantità necessaria. Ora la
coppia impasta e rimesta la pagnotta cosi formata. Un colpettino di zampa
qua, una pressione del capo là per uguagliare le gobbe e le sporgenze. La
Fig. 27 - Copride lunare maschio.
Al vero = I 1
79
pasta vien lavorata, rimestata, battuta e mondata con cura per una setti-
mana, dopo di che è ben fermentata e matura. Ora la sposa taglia dal
blocco con l'orlo tagliente del capo e con le zampe anteriori un blocchetto
che sotto i sapienti colpetti e i giudiziosi ritocchi acquista a poco a poco pel
solo effetto della compressione la forma di una sfera perfetta senza essere
mai stato scosso e spostato.
Il Copride è un vero scultore che gira attorno alla creta da modellare
a colpi di pollice. Ma mentre lo scultore lavora in piena luce e copia un mo-
dello, il Copride lavora nella pili completa oscurità e non ha dinanzi alcun
modello da copiare: esso sa perfettamente senza vedere la quantità precisa
Fig. 28 - Copride lunare femmina.
Al vero = I 1
di pasta che deve tagliare e la forma esatta che deve darle, e tutto questo
senza averlo appreso da nessun maestro e in alcuna scuola. Il Copride è nato
con questo suo sapere.
* * *
Una giornata intera è stata necessaria per abbozzare la sfera, e un'al-
tra intera giornata viene impiegata al ritocco e alla lisciatura.
Ora la madre è arrampicata sul piccolo globo, essa ne palpa e tasta
la parte superiore, poi vi scava una piccola fossetta e in questa minuscola
culla depone un uovo. Con infinita cura gli orli della fossetta sono rialzati
e ravvicinati fino a che si richiudono sull'uovo. Ora la sfera dopo un altro
giorno di lavoro ha acquistato la forma di un uovo appuntito alla sua estre-
mità; e la madre ritorna alla pagnotta per tagliare un'altra sfera e depo-
sitare un altro uovo.
80
In tutto essa fabbrica sette od otto ovoidi collocati uno vicino al-
l'altro e la cella ne è quasi piena lasciando appena posto per i due sor-
veglianti e presentando l'aspetto di un nido con le sue uova verde bronzo
scuro.
La superficie di ciascun ovoide è più dura perché ben battuta e forma
una specie di crosta esterna, ma all'estremità superiore, proprio sopra la
cella dell'uovo questa crosta è porosa, e come costituita da feltro e attra-
verso questo feltro passa l'aria necessaria all'uovo ed alla futura larva.
Ad ogni cosa ha pensato la madre previdente, anche al passaggio del-
l'aria attraverso la crosta!
L'uovo appena deposto è assai grosso e continua ad ingrossare fino
a triplicare di volume. Quindici, venti giorni dopo la deposizione, schiude la
larva già grandicella che trova il suo primo nutrimento nella fluida pol-
tiglia essudata dalla materia circostante e radunatasi nella celletta dell'uovo.
* * *
Fuori fa caldo e il calore che giunge fin li sotto nella cella fa sca-
gliare e screpolare gli ovoidi che si coprirebbero in breve di muffe se papà e
mamma non sorvegliassero continuamente la nidiata.
Ogni principio di vegetazione parassita viene raschiata ed asportata
con cura; le screpolature vengono riparate e stuccate; la coppia palpa ed
ispeziona continuamente gli ovoidi e ne ripara ogni minimo guasto. Sempre
al buio, papà e mamma odono i loro piccoU raschiare una briciola di nu-
trimento dentro l'ovoide: essi li seguono nella loro crescita senza vederli.
Non sono molti sette o otto figli nel mondo degli insetti, dove spesso
vediamo uova depositate a centinaia ed a migliaia, ma nel caso del Co-
pride tutti i figli sono curati ed allevati e tutti arrivano a compiere la me-
tamorfosi mentre le grandi figliolanze di altri insetti, abbandonate sempre
dal padre, e spessissimo dalla madre alla ventura, sono decimate e solo
poche raggiungono gli ultimi stadi.
Qui invece padre e madre collaborano a procacciare il cibo ai figlioli
e, non paghi di questa fatica, continuano a curarli anche dopo. Perché tante
cure da parte dei genitori?
Ogni screpolatura diventerebbe fenditura e spacco sotto la canicola
ed in breve il calore asciugherebbe e seccherebbe l'interno dell'ovoide e cosi
la larva non potrebbe pili nutrirsi e perirebbe.
Sotto la crosta esterna, dura e sempre curata e stuccata da padre e
81
madre, la massa interna conserva la sua umidità e pastosità e la larva non
corre cosi alcun pericolo. Se le fenditure arrivano fino all'interno, la larva
per suo conto le stucca e tura con gli escrementi raccolti e tenuti in serbo
in una tasca sotto una gibbosità della schiena, ma senza l'aiuto di papà e
mamma essa non giungerebbe mai a poter impedire che gli spacchi si in-
grandiscano e che anche l'interno venga raggiunto dalle muffe.
Dopo un mese e mezzo, ossia verso la fine di luglio la larva si tra-
sforma in pupa che presto presenta una strana colorazione: le elitre son
bianche, ambrate, mentre la testa, il protorace e le zampe sono di un magni-
fico color rosso ribes. Per tutta la durata della ninfosi papà e mamma
non odono più il rumore prodotto dal raschiare delle mandibole dei figli ma
essi continuano indaffarati a curare gli ovoidi.
Alla fine di settembre, con le prime piogge dell'autunno, il guscio di
questi si rammollisce e gli insetti adulti escono facilmente dalla loro prigione.
Papà e mamma, che per ben quattro mesi non hanno mai abbando-
nato il nido, escono ora in compagnia della prole a godere nuovamente le
gioie dell'aria libera e dei voli serali in cerca di focacce.
E dopo tanta abnegazione per i figli questi se ne vanno ognuno per
la sua strada e papà e mamma non sono che dei proprii simili. Ma non im-
porta questa ingratitudine figliale: padre e madre hanno compiuto il loro
dovere e questo è sufficiente!
* * *
Nella vetrina del museo in mezzo alle splendide gemme dei « Pha-
naeus » esotici sta umile e modesto il nero cornuto Coleottero: sotto di lui
il cartellino porta il nome scientifico « Copris lunaris Linneo » e la data e
la località della cattura, ma nulla è scritto della sua meravigliosa vita di
ottima mamma e di buon papà.
82
NEMICI NASCOSTI
« Voraci bestie, se vi lasciassi fare,
sarei privato assai presto del mormo-
rio dei pini divenuti calvi. Voglio oggi
indennizzarmi delle mie noie. Faccia-
mo un patto: voi avete una storia da
raccontare; raccontatemela, e per un
anno, per due e più, fin che io non sia
pressapoco al corrente di tutto, vi lascio
tranquille, dovessero i pini soffrirne
pietosamente ».
J. H. Fabee
CAPITOLO VI
I NEMICI NASCOSTI
Tra gli insetti pochissime sono le specie utili, innumerevoli quelle
più o meno nocive: ogni erba, pianta e albero, ogni frutto, grano e semente
ha il suo o i suoi sfruttatori accaniti e terribili, ed essendo il mondo vege-
tale direttamente o indirettamente legato alla nostra nutrizione, alle nostre
costruzioni e al nostro benessere è ben logico che ci si interessi di questi
nemici nascosti.
Ogni anno migliaia e migliaia di alberi sono minati ed uccisi da mi-
nuscoli esseri: fino a ieri quell'albero portava una ricca chioma verde e ci
regalava frutti in abbondanza, improvvisamente le foglie ingialliscono e i
rami si seccano come bruciati internamente e l'albero muore.
Ogni anno raccolti interi d'ogni genere vengono decimati e rovinati:
ogni anno nei silos e nei granai, tonnellate e tonnellate del nostro grano cosi
prezioso vengono distrutte da piccole Farfalline o da piccoli Coleotteri. Ogni
anno centinaia di milioni di danni vengono arrecati dagli insetti alle foreste,
all'agricoltura ed ai prodotti di queste come legname da costruzione, farine
e paste.
E cosi negli Istituti di Entomologia agraria vien studiata la vita dei
piccoli essermi che ci arrecano tanto danno e si cercano i mezzi pili efficaci
per lottare contro di essi: per questo insetto si trova il prodotto chimico che
lo annienti, per quest'altro si va a scovare nelle pili lontane regioni il suo
parassita animale; veleni d'ogni genere, prodotti insettifughi, gas velenosi
ed asfissianti, metodi fisico-meccanici vengono cosi studiati, provati ed adot-
tati nella guerra contro gli insetti nocivi e spesso i risultati sono meravigliosi.
Una volta l'entomologo era sinonimo di folle ed era raffigurato con
85
ridicoli abiti e armato di acchiappafarfalle o del retino per i Coleotteri
(fig. 29), come è raffigurato nelle carte da tarocchi e forse ancor oggi molte
persone pensano che sia un po' da pazzi, che sia un perdere tempo in in-
fantili giochi il cercare e studiare la vita di queste piccole creature e non
sanno che anche questa schiera di sconosciuti studiosi è necessaria al loro
benessere e alla loro stessa vita: se sulla loro tavola non manca il pane, se
possono nutrirsi di verdura e di frutta possono ben dire un grazie anche
allo studioso che essi forse si raffigurano ancora come un buffo signore che
corre e quasi svolazza dietro alle farfalline ed agli scarafaggi.
3o
Fig. 29 - Retino pieghevole in quattro.
Sotto il grande microscopio binoculare dell'Istituto il piccolo atomo di
vita rivela la sua intima struttura e ci mostra infinitamente ingranditi gli
strumenti coi quali esso depone le uova sulle nostre verdure o nei nostri
frutti. Nei vasti laboratori vien seguita passo passo la vita di questi in-
setti dallo schiudersi dell'uovo fino agli ultimi stadi. All'aperto vengono con-
trollate le esperienze fatte in laboratorio ed osservate le minime particola-
rità che spesso l'insetto in prigionia non ci lascia scorgere. E cosi tutti gli
insetti conosciuti vengono man mano studiati. Questo che oggi ci è indiffe-
rente e sfrutta le inutili e magre piante selvatiche potrebbe essere domani
invogliato ed attirato dai succolenti nostri ortaggi; quest'altro sconosciuto
sotto il nostro cielo potrebbe essere importato casualmente da lontane re-
gioni ed infestare e rovinare piante e colture fino a ieri immuni.
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Le nostre patate non conoscono ancora per esempio il flagello della
Dorifora, Coleottero importato dal Nord America in Francia e in Germania
dove ha prodotto e produce danni incalcolabili, ma da un giorno all'altro
l'invasione potrebbe avvenire e distruggere anche da noi questa ricchezza.
Carta da tarocchi rappresentante l'entomologo come « il matto >
E i lavori, gli studi, le scoperte degli scienziati riempiono centinaia e
centinaia di volumi e la vastissima letteratura entomologica si arricchisce
ogni anno di migliaia e migliaia di memorie degli studiosi di ogni parte del
mondo, ma pur tuttavia una quantità incredibile di insetti sono ancora
pressapoco sconosciuti e poco si sa oltre al loro aspetto esteriore, al loro
nome e al posto che tengono nella classificazione.
Dalle seicentomila specie di insetti descritte ben duecentomila appar-
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tengono al solo ordine dei Coleotteri, che è l'ordine più grande di tutto il
regno animale, e di queste duecentomila specie di Coleotteri dodicimila sono
quelle viventi in Italia.
Ma di un numero cosi grande è già molto se comunemente si sa che
il Maggiolino è un Coleottero dannoso. Se tu chiedi, esso è proprio il solo o
quasi indicato e di tutti gli altri, normalmente, non si sa nulla di nulla.
* * *
Qualche cosa di più sa il contadino colpito direttamente, dalle co-
razzate bestioline, nel suo interesse, nei suoi campi, nelle sue vigne, nel suo
granaio: egli sa che quel piccolo granello lucente verde dorato o d'un az-
zurro metallico con quel suo lungo muso a becco che lo fa rassomigliare
Fig. 30 - Il sigaraio.
Al vero = I 1
ad un elefante in miniatura, è il cattivo sigaraio, il Rinchite o punteruolo
che gli arrotola le foglie delle viti in minuscoli sigari e sa che, quando è
numeroso, la vegetazione si arresta, i grappoli si seccano, e addio allora
vendemmia (Fig. 30). E della famiglia del sigaraio conosce pure la Calandra
o punteruolo del grano, color bruno, piccolino, ma anche lui provvisto di
lungo muso (Fig. 31). Cosi piccino, non raggiunge infatti i quattro millime-
tri, esso arreca enormi danni al frumento conservato nei granai poco sorve-
gliati: ogni chicco di grano alloggia il vermiciattolo bianco figlio della Ca-
landra; da fuori nulla si vede di quel che avviene nel cuore farinoso del
chicco e in venti-quaranta giorni ecco uscirne per un tondo foro il Coleotte-
rino adulto e del chicco non resta che la pelle esterna.
Questi dal « naso lungo » scientificamente Curculionidi, son tutti dan-
nosissimi. Si riconoscono per quel più o meno lungo palo piantato in mezzo
alla fronte e portante all'estremità la bocca con le due piccole mandibole.
Il piti curioso e straordinario per la lunghezza del muso assottigliato
a beccuccio, lungo quanto il rimanente del corpo, è il Balanino delle noe-
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ciole: la sua nera corazza è ornata di squamette allungate color nocciola,
poste una vicino all'altra e formanti una graziosa pelliccetta. Dal capo se-
misferico, tra un occhietto e l'altro spunta il rostro sottilissimo e ricurvo al-
l'ingiù sul quale sono inserite le due antenne, il cui primo articolo è assai
lungo e gli ultimi tre sono ingrossati e formano una mazzetta rigonfia (Ta-
vola XII). Mentre il sigaraio è esperto nell'arte di arrotolare le foglie dove
depone le uova, il Balanino è un abilissimo trivellatore che alloggia la pro-
pria prole nelle grasse provviste protette dal durissimo cofanetto della noc-
ciola mentre qualche suo parente, armato anch'esso di allungatissima trivel-
lina, preferisce le ghiande e le castagne.
Quando rompendo una nocciola o mangiando una castagna siamo
improvvisamente disgustati da un acre amaro sapore possiamo esser certi
d'aver sotto i denti i grassi e bianchi figlioletti dei Balanini che prima di noi
si son messi a tavola direttamente dentro al boccone saporito.
Che se ne fa il Balanino del suo muso spropositato che parrebbe do-
vergli essere pili d'impaccio che d'utilità?
Da maggio a giugno non è difficile incontrarlo intento ai suoi lavori in
vista di trovar alloggio e nutrimento ai suoi figli arrampicato sui frutti
preferiti: dritta sulle zampe posteriori, i piedi ben premuti sulla superficie
di una nocciola quasi matura, la buona mamma Balanino incurva verso il
basso l'occhiuta testolina e porta sotto il rostro, normalmente dritto all'innanzi.
Le due mandibole sporgenti, piccole ma dure, appuntite e taglienti, inco-
minciano sul duro guscio del frutto ad incidere e a forare. La piccola sco-
dellina cosi principiata e scavata viene sempre pili approfondita e lo strato
legnoso finalmente è trapassato dal delicato strumento che è poco più spesso
Fig. 31 - La Calandra del grano.
Al vero = I — I
89
di un capello. Un po' di .riposo, sempre in quella scomoda posizione, un tre-
mulo palpar delle antenne sul duro guscio del frutto e poi la trivellina s'af-
fonda ancora, sempre più, ormai immersa nella tenera polpa; e la trapana-
zione continua lenta ma sicura fino a che non è incontrato il fondo del co-
fanetto nel punto dove la bianca mandorla riceve l'umore nutritivo diretta-
mente dal picciuolo ove è attaccata. Ora il sottile trapano viene adagio
adagio sollevato e tolto, e nel foro è infilato l'allungato ovipositore, normal-
mente nascosto nell'interno del corpo, e un uovo vien deposto.
Il futuro figliolino è così sicuro di trovar riparo e ricchi viveri e la
madre se ne va ad un'altra nocciola a ripeter l'operazione: una palpatina di
antenne per assicurarsi che il cofanetto non sia già abitato da un uovo de-
posto da un'altra madre e la trivellina ricomincia il suo lavoro.
A metà agosto le larve mature bucano le pareti della loro prigione e,
fatto passare il grasso molle corpo attraverso questo foro, si lasciano cadere
a terra dove presto s'affondano e dove compiranno la metamorfosi. Le noc-
ciole cosi consumate e bucate cadono presto anch'esse a terra ingannando il
ragazzino che le raccoglie e il topo campagnolo che le porta nel nido come
provvista per l'inverno.
Nocciole e castagne vengono cosi consumate in gran numero dalle larve
dei balanini prima di arrivare alla nostra tavola, ma i Curculionidi non si
accontentano solo di ghiande, castagne e nocciole: questa specie attacca le
radici delle viti, quest'altra le piante da frutto; questa si accontenta di un
acre spicchio d'aglio; questa distrugge le barbabietole mentre fagioli, fave,
cavoli e rape son rovinati e distrutti da altri piccoli portatori di trivella in
mezzo alla fronte. Né si salvano i grandi alberi delle nostre foreste: pini,
abeti e pioppi e faggi e salici ed altri ancora vengono attaccati essi pure
dai dannosi Curculionidi e ad essi si alleano altri Coleotteri di altre famiglie.
* * *
Quando tu cammini in un bosco o in una foresta, il grave silenzio
non è rotto che dal lieve frusciare e dall'attutito scricchiolar delle foglie
morte sotto i tuoi passi. Oltre a questo rumore quasi indistinto, nell'ombrosa
pace dei boschi tu non odi che il canto di qualche uccellino nascosto o il
picchiar ripetuto del picchio che col lungo becco aguzzo va in cerca di qual-
che larva sotto le cortecce.
Eppure a milioni insetti d'ogni genere scavano e forano per ogni
senso il duro cuore degli alberi ed è strano che queste innumerevoli mandi-
90
bole intente tutte insieme a rosicchiare non producano un infernale rumore,
un baccano tremendo d'indiavolata segheria.
Solo di notte, quando il sonno è leggero per i molti anni e per i molti
dispiaceri e ci si rigira nel letto e non si riesce a chiuder occhio, solo allora
il minuto pertinace Anobio fa udire il suo richiamo fra i due sessi con sec-
chi colpettini ripetuti, seguiti da un breve silenzio. E allora questi rintocchi
nel silenzio della notte uniti alle angosce dell'insonnia pare ricordino che
dobbiamo morire, che anche noi saremo ridotti un giorno in polvere come
il duro legno dei nostri mobili sforacchiati dal tarlo, dall'« orologio della
morte » come lo chiamavano i nostri vecchi (Fig. 32) .
Fig. 32 - Anobio (orologio della morte).
Al vero = I 1
Ma fuori, nei quieti boschi e nelle foreste, noi non siamo capaci di
udire il rumore delle mille e mille mandibole.
C'è chi sgranocchia sotto le cortecce come le larve dei Bostrici (Fig. 33),
degli Elateridi (Fig. 34) e dei Buprestidi, cosi brillanti ed eleganti questi ul-
timi nella loro corazza metallica (Tav. X a destra) . E c'è chi si affonda nelle
viscere più profonde del legno e chi mina e scava gallerie nei rametti e chi
invece s'accontenta del legname già imputridito e ridotto quasi ad humus.
Altri disdegnano i bui cunicoli e gli oscuri trafori nel corpo degli al-
beri e preferiscono invece attaccare e distruggere le gemme e le foglie già
verdi che spesso riducono a delicatissimi ricami di nervature rispettate. Altri
ancora s'affondano nell'umido terreno in cerca delle radici e tutti sono ter-
ribilmente nocivi e producono grandi danni.
91
Fig. 33 - Bostrico cappuccino.
Al vero = I 1
Dove sono arrivati i Coleotteri rodilegno, rodifoglia e rodiradice presto
giungono le malefiche muffe ad accrescere irrimediabilmente il danno ed
intere foreste sono cosi spogliate della verde chioma, dissanguate e rose in-
ternamente e ridotte a secca legna buona neppur più per ardere.
Quante volte nei boschi ci si imbatte negli squallidi scheletri di al-
beri ancora l'anno prima fronzuti e fiorenti! Ora essi alzano al cielo le nude
braccia dei rami secchi: a brandelli cade la corteccia e tu vedi fori e forel-
lini e misteriose scritture incise e ripiene di fradicia e nera rosura. Se tu batti
contro odi un cupo rimbombo di legno cavo e al piede si aprono caverne ro-
sicchiate e sforacchiate dai Coleotteri buone solo pili pel nido di qualche topo.
Ma questo è lo spettacolo di una pianta ormai già morta mentre un'in-
finità di alberi ancora verdi e dall'ottimo aspetto celano nel loro seno la rovina
prodotta dai Coleotteri che presto o tardi ne provocheranno la fine.
Oltre ai Curculionidi, tra i Coleotteri autori di questi misfatti, stanno
in prima linea le globose Crisomele spesso ornate di bellissime colorazioni e
Fig. 34 - Elateride.
Al vero = I 1
92
riflessi metallici, divoratrici di gemme e foglie (Fig. 35), i Bostrici; gli Scoliti
e gli Ilesini le cui gallerie larvali sono scavate con curiosi ghirigori fra la
corteccia e il legno o che addirittura vi si addentrano; i Cervi volanti le cui
grosse larve scavano profonde e larghe gallerie nelle quercie, alcuni Lamelli-
corni e una numerosa schiera di altri sfruttatori degli alberi.
Fig. 35 - La Melasoma del pioppo.
Al vero = I 1
* * *
Ma più di tutti arrecano danni ai boschi e alle foreste i Coleotteri lon-
gicorni che, come dice il nome, si distinguono dagli altri per essere prov-
visti di corna assai lunghe e, specialmente nel maschio, oltrepassanti di pa-
recchio l'allungato e stretto corpo. Questi portatori di lunghe antenne sono
in genere anche da noi assai grandi e robusti ed hanno un aspetto elegantis-
simo e spessissimo sono meravigliosamente ornati di bei disegni e di splen-
didi colori.
Cosi maestosi e superbi nelle loro forme ed ornamentazioni essi sono
certamente tra i piti bei Coleotteri e sono quindi tra i più ricercati dai col-
lezionisti. L'Acantocino edile, che vive a spese del pino, ha per esempio una
delicata colorazione grigio cenere con le elitre ornate di due fasce bruna-
stre e le antenne sottilissime sono lunghe nel maschio quasi quattro volte
l'intero corpo.
L'Aromia moscata è invece color verde dorato o azzurro metallico ed
emana un profumo gradevolissimo di rosa muschiata ed era perciò cono-
sciutissima col nome di Moscardina dai vecchi contadini che la raccoglie-
vano sui salici e la ponevano nelle tabacchiere a profumare il tabacco da
naso.
93
Le Saperde, di cui qualcuna arreca danni ingentissimi ai pioppi, pre-
sentano spesso bellissimi e delicati colori mentre il comune Cerambice eroe
o capricorno, gigante dei nostri longicorni raggiungendo i cinquanta milli-
metri di lunghezza, è corazzato di cuoio zigrinato e rugoso nero lucente
con l'estremità delle elitre di un bel bruno rosso carminato (Fig. 36). Esso
vola volentieri verso sera in giugno e luglio d'albero in albero e le sue larve
scavano grandi gallerie nel tronco delle vecchie quercie.
Fig. 36 - Maschio di Cerambice eroe o gran capricorno.
Al vero — I 1
Molte altre specie sono assai belle ed eleganti ma la più superba di
tutte è la Rosalia alpina (Tav. XIII). TI suo corpo nero, lungo quaranta mil-
limetri, è coperto di un finissimo velluto color azzurro cenere ornato sulle
elitre e sul protorace di alcune macchie di un magnifico nero opaco orlate
di grigio perla chiaro e le sue lunghissime antenne, azzurro cenere anch'esse,
sono ornate all'estremità di ogni articolo di un ciuffo di lunghi peli neri.
Essa vive in tutta Italia sui monti e si trova, ma non frequentemente, sui
tronchi dei faggi e dei salici.
Cosi belli, eleganti ed ornati, i longicorni sono tra i nostri peggiori
nemici allo stato di larva. Alberi da frutto, conifere, quercie, pioppi, salici,
olmi e si può dire ogni albero, sia vivente che già tagliato e lavorato, è as-
salito da questi Coleotteri. Le uova sono deposte nelle screpolature della
94
Al vero = |—
Rosalia delle Alpi.
TAVOLA XIII
corteccia o nelle piaghe già prodotte da altri insetti e le larve che ne schiu-
dono s'ingrossano a poco a poco e vivono spesso per anni a spese degli al-
beri alterandone le funzioni organiche e causandone spesso la morte op-
pure un tale deperimento che piante ancora in piedi ma corrose e mi-
nate da esse cadono facilmente abbattute dai forti venti e dai cicloni.
Queste larve hanno l'aspetto di grossi allungati salamini biancastri
strozzati ad ogni segmento del corpo; assai sovente sono prive di zampe
e procedono nelle gallerie per mezzo di callosità e rughe presenti sui ri-
gonfiamenti dorsali e ventrali dei primi sei o sette segmenti (Fig. 37). Le
Fig. 3? - Larva di Cerambice (grandezza naturale).
due robuste mandibole segano, tagliano e raspano le fibre legnose che pos-
sono essere digerite solamente grazie a fermenti del loro stomaco cosi po-
tenti da esser capaci di alterare e modificare la cellulosa e trarne nu-
trimento.
* * *
Strana vita quella di queste larve!
Immaginate d'essere nei panni o meglio nella pelle della piccola
larva appena sgusciata dall'uovo; immaginate d'essere un tenero, delicato
vermiciattolo cieco e sordo, senza gambe e senza braccia, privo d'ogni
sentimento, commozione e desiderio, e fornito solamente di due robuste man-
dibole e di un appetito formidabile.
Voi incominciate a scavare una galleria e a chiudervi e a seppellirvi
vivi nel cuore di una vecchia quercia. Non potete indietreggiare perché die-
tro di voi la galleria è più stretta del vostro corpo e tutta ostruita di ro-
sura e siete perciò obbligati a procedere innanzi, sempre innanzi mangiando
letteralmente la strada.
E rodere, rodere, rodere notte e giorno e giorno e notte nel buio asso-
luto con un magro e povero nutrimento, e sempre col terrore che qualche
altra larva incroci la vostra galleria proprio a metà della vostra pancia o
95
che il sottile ovopositore del diabolico imenottero parassita raggiunga attra-
verso il legno la vostra morbida pelle di raso bianco e vi deponga un uovo
da cui sguscerà una larvetta cbe vi divorerà vivo.
O l'incubo pauroso da brutto sogno! O la terrorizzante novella alla
Kafka!
Eppure bisogna rodere e rodere ancora per tre anni, per tre lunghi
anni e allora vi sentite gonfi e torpidi, ma dovete rodere e rodere ancora.
Raggiunta nuovamente dal cuore della quercia la corteccia esterna,
dovete ancora raschiare e limare e raspare di mandibola fino a lasciare sola-
mente un sottile velo legnoso a debole diaframma tra il vostro mondo buio
e cieco e il luminoso mondo del sole e dell'aria libera che raggiungerete adulti.
E il sottile velo di legno è facilmente infranto dal becco del picchio che vi
sente H sotto e che può fare di voi da un momento all'altro un ghiotto
boccone.
Un malessere strano vi percorre come un brivido da un'estremità al-
l'altra e la pelle è gonfia e tirata, ma voi dovete ancora lavorare di raspa
e di succhiello e farvi una nicchia spaziosa ben riparata dall'esterno da una
triplice barricata di avanzi legnosi e di fibre e da una calotta pietrosa pro-
dotta da elementi tenuti in serbo finora che chiuda come un tappo là vo-
stra prigione ovattata di fine raschiatura e solo allora, finalmente, siete
pronto alla metamorfosi. Dentro di voi ha termine il lento mutamento che
si compie già da qualche tempo e la pelle premuta e gonfiata dagli umori
interni finalmente si lacera e spacca e voi uscite dalla vecchia spoglia sotto
forma di pupa immobile e dormente.
Oh il terribile sogno! La strana vicenda nelle viscere della quercia!
E finalmente arriva il giorno in cui di nuovo la pellicola sottile che
vi fascia, dopo un lungo sonno si lacera e voi siete l'adulto Coleottero ma
ancora tenero e umido d'umori. Più tardi, rassodato, e racchiuso in una
rigida corazza, in un duro guscio o scheletro esterno, voi potrete final-
mente uscire e correre e volare e suggere la linfa colante dalle ferite degli
alberi o inebriarvi su qualche largo e bianco fiore di sambuco, ma per
qualche mese di gioia e di libertà sono occorsi tre anni, tre lunghi anni
di angosciosa prigionia.
E allora, se non sarete già stato divorato da qualche uccellaccio cat-
tivo, allora forse arriverà il ragazzetto a catturarvi per la sua collezione
d'insetti ed egli, dopo qualche oh! d'ammirazione per la vostra bella corazza
e per le vostre sottili e lunghe antenne, vi farà addormentare d'un sonno
senza risveglio coi vapori mortali dell'etere acetico e, disposte zampe e
96
antenne accuratamente simmetriche, vi metterà vicino ai magnifici Carabi,
alle splendenti Cetonie e alle brillanti Cicindele impalato su di uno spillo od
incollato su di un rettangolino bianco di cartone. E cosi, il vostro nome e
la data e la località della cattura scritti su di un altro cartellino, finirà la
vostra vita iniziata dal piccolo uovo deposto in una piagata corteccia.
Oppure arriverà l'uomo di scienza che avrà da chiedervi conto dei
vostri misfatti ai danni della quercia, e nel grande laboratorio sarete spiato,
osservato e studiato.
* * *
Ma forse non incontrerete l'uccellaccio cattivo o il ragazzetto e lo
scienziato e allora potrete volare nel fresco crepuscolo e pavoneggiarvi sul
tronco di qualche albero, e andare orgogliosi e superbi della vostra elegante
bellezza.
Come voi forse, ignare dell'uomo, le Cicindele gioiranno sulle sabbie
infuocate, e i Carabi vagheranno di notte sulle umide erbe, e il Ditisco nuo-
terà felice nel suo stagno; hbere come voi trotterelleranno le Roierelle nelle
tenebre delle grotte o pascoleranno felici sulle bianche muffe e l'ornato Mag-
giohno marmoreggiato rosicchierà l'ago di un pino e sulle rose di macchia
si ubriacheranno le Cetonie mentre papà e mamma Copride cureranno la fa-
miglia; tranquillo come voi il Balanino pianterà il suo succhiello nella
mandorla della nocciola e tutta l'infinita turba dei Coleotteri nocivi man-
gerà la foglia, il frutto, le sementi e l'albero che il buon Dio ha creato non
solo per la pancia e il benessere dell' uomo, ma anche a nutrimento e
riparo delle piccole bestioline corazzate.
/
97
APPENDICE
Caratteri generali degli Insetti e loro classificazione.
Caratteri generali dei Coleotteri, loro caccia e conservazione.
Bibliografia.
« Chi invece, alla vista di un ani-
male gradito per la raccolta non sente
altro che l'avido impulso dell'uccidere
e del prendere, non ha nessuna idea
della dignità e del valore della scienza
della natura ».
Dott. Egeb
Caratteri generali degli Insetti.
Gli insetti si distinguono fra gli altri Artropodi, al cui tipo apparten-
gono, per avere uno scheletro esterno diviso in tre regioni:
I - Il Capo con le appendici boccali, due antenne e gli occhi.
II - Il Torace composto di pro-meso e metatorace, portante inferior-
mente tre paia di zampe articolate e superiormente uno o due paia di ali a
volte mancanti.
Ili - L'Addome suddiviso tipicamente in 11 segmenti (Fig. 38).
Fig. 38 - Schema di insetto.
Il sistema nervoso è composto da un cervello, posto superiormente al
tubo digerente nel capo, da una catena di gangli posta inferiormente, e
dalle varie ramificazioni che raggiungono ogni parte interna del corpo.
Il sistema circolatorio è costituito da un cuore o vaso dorsale attra-
verso il quale, entrando dalla parte posteriore, passa il liquido detto impro-
101
priamente sangue, e al quale, dopo esserne uscito per la parte anteriore ed
aver circolato tra un organo e l'altro, ritorna.
La respirazione, in generale aerea, avviene per mezzo di trachee
ramificate all'interno del corpo e che si aprono all'esterno sui lati del corpo
per mezzo di stigmi.
Il sistema digerente è composto di un tubo intestinale diviso in tre
parti e nel quale sboccano i tubi di Malpighi con funzioni di reni.
Sono pure presenti un sistema di ghiandole (salivari ecc.) ed un si-
stema riproduttore (Fig. 39).
Fig. 39 - Schema delle parti interne di un insetto,
ab) Apertura boccale - i) Intestino - ce) Cervello - g) Catena ganglionare del si-
stema nervoso - c) Cuore o vaso dorsale - s) Stigmi - r) Ramificazione delle trachee
o) Organi della riproduzione - > Circolazione del sangue.
Gli insetti, dopo lo sviluppo embrionale che avviene nell' uovo, pas-
sano attraverso varie trasformazioni giovanili o metamorfosi più o meno
profonde dopo le quali essi raggiungono con la maturità lo stato di adulto
o di immagine. Alcuni insetti escono dall'uovo con la forma già simile, sta-
tura esclusa, all'adulto e non hanno quindi vere e proprie metamorfosi,
come avviene negli Apterigoti. Altri, come ad esempio le Cavallette, hanno
metamorfosi incomplete ed escono dall'uovo con una forma simile a quella
dell'adulto dal quale differiscono però specialmente per la mancanza di ali.
Altri ancora hanno le metamorfosi complete ed escono dall'uovo sotto forma
di Larva completamente diversa dall'adulto e che, dopo essersi nutrita abbon-
dantemente, si trasforma in Pupa che non si nutre e dalla quale, final-
mente, sfarfallerà l'adulto come avviene per esempio nelle Farfalle e nei
Coleotteri.
102
Classificazione degli Insetti.
Senza metamorfosi: Apterigoti (sempre privi di ali; giovani, statura
esclusa, simili all'adulto).
Ordine I: Proturi. - II: Collemboli (esempio la pulce dei ghiacciai) -
III: Tisanuri (esempio il pesciolino d'argento dei luoghi umidi, Fig. 40).
Fig. 40 - Pesciolino d'argento. Fig. 41 - Cavalletta. Fig. 42 - Libellula.
Con metamorfosi: Pterigoti (salvo poche eccezioni, adulti sempre alati),
a) Metamorfosi incomplete: Exopterigoti (giovani simili all'adulto ma
senza ali).
Ordine IV: Blattoidei (esempio le blatte o scarafaggi) - V: Mantoi-
dei (es. la Mantide religiosa) - VI: Fasmoidei (es. insetto stecco) - VII: Or-
totteri (es. cavallette e grilli, Fig. 41) - Vili: Isotteri (es. le termiti) - IX: Em-
Fig. 43 - Cimice. Fig. 44 - Farfalla. Fig. 45 - Maggiolino.
biotteri - X: Dermatteri (es. le forficule o forbicine) - XI: Zoratteri - XII:
Corrodenti - XIII: Mallofagi (es. pidocchi pollini) - XIV: Anopluri (es. il
pidocchio dell'uomo) - XV: Plecotteri - XVI: Efemerotteri (es. l'effemera) -
XVII: Odonati (es. la libellula, Fig. 42) - XVIII: Tisanotteri - XIX: Emitteri
(es. cimici e cicale, Fig. 43).
Fig. 46 - Ape. Fig. 4? - Mosca.
103
2AMPA
Fig. 48 - PARTI DEL CORPO DEI COLEOTTERI.
{Cicindela campestris L.).
104
b) Metamorfosi complete: Endopterigoti. (Dall'Uovo schiude la Larva
d'aspetto completamente diverso dall'adulto. Trasformazione in Pupa e
quindi in Immagine).
Ordine XX: Neurotteri (es. formicaleone) - XXI: Mecotteri (es. mo-
sche scorpioni) - XXII: Tricotteri (es. friganea) - XXIII: Lepidotteri (es.
tutte le farfalle, Fig. 44) - XXIV: Coleotteri (es. il maggiolino, Fig. 45) -
XXV: Strepsitteri - XXVI: Imenotteri (es. api, Fig. 45, vespe e formiche) -
XXVII: Ditteri (es. mosche, Fig. 47) - XXVIII: Afanitteri (es, la pulce).
Caratteri generali dei Coleotteri.
Il nome Coleottero deriva dal greco xoXeó? fodero-guaina e da jiteqóv
ala. I Coleotteri, volgarmente detti Scarabei, si riconoscono tra gli al-
tri insetti per il tegumeno del corpo assai consistente e per avere, quando
non volano, le ali posteriori membranose e l'addome sul cui dorso sono ripie-
gate, coperte e come inguainate dalle dure elitre che altro non sono che le
due ali anteriori coriacee; cosi essi appaiono completamente corazzati (Fig. 48).
I Coleotteri hanno metamorfosi complete e cioè dall'uovo schiude la
Larva, priva completamente di ali, la quale crescendo muta parecchie volte
la pelle e che, raggiunto il massimo di sviluppo, si trasforma in Pupa. Que-
sta non prende cibo e, dopo un certo periodo di tempo, da essa schiude
il Coleottero adulto (Fig. 49).
Le dimensioni dei Coleotteri variano da meno di un millimetro ai
centocinquanta millimetri come ad esempio raggiunge l'esotico Dinaste ercole
che è uno dei giganti del mondo degli insetti.
I Coleotteri comprendono circa duecentomila specie descritte e in
Italia ne vivono più di dodicimila. Molti sono dannosissimi all'agricoltura,
qualcuno invece è utile distruggendo gli insetti nocivi.
Caccia e conservazione dei Coleotteri.
Per cacciare i Coleotteri occorrono alcuni strumenti di facile costru-
zione. Essi sono un paio di pinzette per prendere i Coleotteri nascosti in
qualche piccola anfrattuosita o nelle materie sudicie. Un retino (Fig. 29) di
tela forte e fìtta che serve per prendere i Coleotteri nascosti tra le erbe ed
105
i fiori e che si adopera muovendolo a mo' di falce sfiorando velocemente le
erbe. Questo stesso retino può pure servire per pescare i Coleotteri che
vivono negli stagni e nei laghetti. In questo caso occorre munirlo di un
manico più lungo. Un aspiratore costituito da una semplice bottiglietta
chiusa superiormente da un tappo attraverso il quale passano due tubi di
ferro; uno di questi deve essere chiuso dalla parte interna della bottiglietta
da un dischetto di finissima rete metallica, e porta all'esterno un tubo di
gomma lungo una cinquantina di centimetri. Tenendo in bocca questo tubo
ed aspirando fortemente, i piccoli Coleotteri vengono aspirati dall'altro tubo
leggermente curvo e cadono dentro alla boccetta. Coll'aspiratore si raccol-
gono quelle specie che per la loro piccolezza non si potrebbero agevolmente
prendere con le dita e che si rovinerebbero (Fig. 15). Il crivello consiste in
un sacchetto di tela forte chiuso al fondo da una fitta rete metallica. Serve
pupa immagine o adulto
Fig. 49' - METAMORFOSI DEI COLEOTTERI.
(Cicindela campestris L.).
Dall'uovo nasce la « larva » che dopo diverse mute. (I, II, III) raggiunge la maturità
e si trasforma in « pupa > dalla quale schiude l'< immagine » o adulto.
106
per setacciare le foglie morte ed i detriti vegetali che si trovano ai piedi
degli alberi o lungo le rive dei fiumi dopo le piene. Molti insettini si stac-
cano cosi da questi detriti ed uscendo dalle maglie della rete vanno a
cadere su di un pezzo di tela o di carta bianca che si pone sotto al crivello
quando si setaccia. E pure necessaria una zappetta che serve per scavare
ai piedi degli alberi dove spesso molti Coleotteri si nascondono tra il tronco
ed il terriccio.
Se si vogliono conservare vivi i Coleotteri per studiarne la vita oc-
corre riporre le catture in qualche bottiglietta dal tappo finemente buche-
rellato per il passaggio dell'aria ed è necessario che esse siano provviste di
un batufolo di cotone idrofilo inumidito d'acqua, perché gli insetti non ab-
biano a patire la mancanza di umidità. Cosi pure occorre badare a non met-
tere assieme agli altri i Coleotteri carnivori che vanno tenuti isolati. A casa
si porranno in cassettine vetrate chiuse superiormente da una rete metallica
che permetta all'aria di circolare ed impedisca le fughe. Sul fondo delle
cassette si metterà uno strato di un dieci centimetri ed anche più di sabbia
fine o di terra ben setacciata, qualche pietra, del muschio e qualche pian-
tina e si baderà a spruzzare ogni giorno dell'acqua e a fornire gli insetti di
appropriato nutrimento. Per i piccoli Coleotteri è sufficiente un piatto fondo
pieno di terra o sabbia coperto da una semplice moscarola di tela metallica.
Se invece si vogHono raccogliere solamente per farne collezione, oc-
corre ucciderli al più presto senza farli soffrire. Anzi, a questo proposito è
bene non stancarsi dal ripetere che è inutile e crudele il raccogliere ed
uccidere malamente insetti solo per il gusto di avere qualche scatola piena
di povere bestie orribilmente infilzate magari ancora in vita! Se si fanno
queste raccolte senza un preciso scopo scientifico o senza una seria pas-
sione è meglio allora far raccolta di francobolli o di vignette di scatole
da cerini! Per uccidere gli insetti occorre riporli non appena catturati in
una bottiglietta ripiena per due terzi di briciole di sughero o di segatura
di legno non resinoso un po' grossa e dove sia un piccolo tubetto conte-
nente un batufolo di cotone idrofilo inumidito con qualche goccia di etere
acetico o, in mancanza di questo, di benzina.
Cosi equipaggiati potete incominciare a cacciare. I Coleotteri si tro-
vano ovunque. Nei prati, nei boschi, sulle piante e sugli arbusti dai quali
potete farli cadere battendone i rami con un bastone e ponendo sotto un
pezzo di tela bianca o meglio un ombrellino rivestito internamente di tela
bianca. Dovete cercare lungo le rive dei fiumi, sotto le pietre, sotto le cor-
107
tecce già un po' sollevate, sotto i muschi, negli escrementi, sotto i piccoli
cadaveri di animali. Ricordatevi però di rimettere pietre, fascine ecc. che
sollevate, al loro posto primitivo. Alcune specie vivono nei formicai ed
allora occorre setacciare il contenuto di questi su di un panno bianco. Altre
vivono nelle grotte sui detriti vegetali o sul guano: queste specie si atti-
rano anche con esche poste su pezzi di carta (mai entro bicchieri interrati
dove, se non si può ritornare nelle grotte o se non si ritrovano, molti insetti
cadono e non potendone uscire muoiono). Queste esche sono il formaggio di
odore molto forte, piccoli animali morti, pezzetti di ossa e di tendini e gli
escrementi umani. Poste le esche in luoghi facilmente ritrovabili si ritorna
sul posto dopo qualche giorno e coll'aspiratore si raccolgono gli insettini da
esse attirati. Spesso si trovano cosi specie assai rare e a volte nuove per la
scienza. Nelle grotte occorre essere sempre accompagnati da qualcuno vera-
mente pratico di esse ed essere muniti di lampade ad acetilene e di candele.
Una caccia assai proficua è quella fatta dopo le inondazioni e le
piene dei fiumi; molti insetti fatti uscire dai loro nascondigli e trascinati
dalla corrente vengono poi rigettati sulle rive assieme coi detriti vegetali d'o-
gni genere. Si trovano così specie assai rare ed altre portate fin li dalle monta-
gne o da luoghi lontani. In questo genere di caccia riesce assai utile il crivello.
Altri luoghi del tutto speciali dove occorre cercare sono i nidi dei pic-
coli mammiferi e degli uccelli.
Negli stagni e lungo le rive dei laghi si trovano molte specie acqua-
tiche che si pescano col retino.
Ovunque cerchiate tenete sempre annotato su di un quadernetto la
data della caccia, il luogo preciso con tutte quelle altre indicazioni utili come
orientamento dei luoghi, altitudine, stato atmosferico, umidità o meno della
località ecc. Se durante la stessa gita passate per luoghi differenti occorre
avere diverse boccette da caccia in modo che le catture fatte in riva ad un
fiume non si confondano con quelle fatte nella stessa giornata per esempio
in un bosco.
I Coleotteri cosi raccolti nelle bottiglie da caccia devono essere, pre-
via constatazione che siano realmente morti, preparati prima di essere messi
a posto nelle cassettine. A tal fine o subito dopo la caccia o anche dopo
Coleotteri.
108
qualche giorno (conservandosi per lungo tempo morbidi nelle giunture se te-
nuti nelle boccette ben tappate grazie all'etere acetico) occorre preparare i
Coleotteri in modo che le zampe e le antenne siano disposte ordinatamente e
simmetricamente intorno al corpo senza sporgerne troppo e in modo da
lasciar scorgere bene ogni singola parte; a tal uopo si adoperano dei pen-
nellini da acquerello e degli aghi. Dopo di che, io consiglio di non infil-
zarli con gli spilli speciali per entomologia, come normalmente si usa per
le grosse specie, ma di incollarli tutti grandi e piccoli con qualche goccio-
lina di colla solubile in acqua su dei rettangoli di cartoncino bianco rigido
e sostenuto, proporzionati alle dimensioni dei Coleotteri. Gli spilli facil-
mente rovinano gli insetti ed in questo momento è assai difficile procu-
rarsi quelli speciali per collezione. Questi rettangolini sono infilzati su spilli
che possono essere quelli comuni, e sotto di essi devono essere posti altri
due cartellini uno col nome scientifico della specie, varietà, aberrazione;
l'altro con la data esatta, la località precisa della cattura ed il nome del
raccoglitore. Esempio: Mesocarabus problematicus, Herbst; var. inflatus, Kr;
ab. Della - Beffae, Breuning. | se maschio, ° se femmina - Alpi Graie,
Lago del Moncenisio m. 1909. 8 giugno 1939. M. Sturani.
I Coleotteri cosi preparati e ben secchi sono disposti in scatole di le-
gno o di cartone con coperchio vetrato o non, a chiusura ermetica ed aventi
internamente un fondo composto di uno strato di torba o sughero o faesite
ultra porosa un po' spesso sul quale si possano piantare gli spilli con faci-
lità. Nelle scatole, che in Italia si trovano dalla ditta Gruppioni di Bologna
coll'altro materiale entomologico, va messo in un angolo un tubetto conte-
nente un batuffolo di cotone inumidito di qualche liquido fortemente inset-
tifugo come l'essenza di mirbano o il creosoto puro oppure un poco di pol-
vere di diclorobenzol (Globol).
Quando i Coleotteri della collezione sono mal disposti e si vuole ri-
metterli in ordine occorre mettere i rettangolini con attaccati gli insetti in
un recipiente piatto e basso su della carta da filtro inumidita con acqua e
coprire il recipiente con una lastra di vetro. Dopo ventiquattro ore si possono
facilmente distaccare dai rettangolini di cartoncino ed essendo le giunture
rammollite si possono rimettere in ordine senza paura di rompere le zampe
e le antenne. Se qualche Coleottero fosse attaccato dalle muffe o dai tarli
occorre pulirlo con un pennellino morbido zuppo di benzina o di etere sol-
forico o addirittura tenerlo immerso per qualche tempo in quésti liquidi.
Nella collezione si tenga sempre, quando ciò è possibile, un esemplare
109
maschio e uno femmina e le diverse varietà ed aberrazioni e in piccoli tu-
betti di vetro ben sigillati anche la larva e la pupa in alcool a settanta gradi.
Così pure è bene mettere vicino le foglie corrose da essi o quelle arrotolate
per esempio dal sigaraio e tutto ciò che interessa la vita di questi insetti,
come frutti e legni danneggiati ecc.
Piccola bibliografìa riguardante gli Insetti in generale
e i Coleotteri in particolare.
Tra le opere di carattere divulgativo sugli Insetti ottima è quella in
due volumi sull'embriologia e morfologia degli Insetti di Antonio Berlese,
Gli Insetti (Milano, 1909-1925, Società Editrice Lombarda). Sui costumi e
l'istinto degli Insetti sono famosi i Souoenirs entomologiques di J. H. Fabre
(edizione definitiva, serie I-X, Parigi, 1919-25) tradotti in italiano da C. Si-
niscalchi (Milano, 1922-27, Casa Editrice Sonzogno).
Sui Coleotteri non esiste in Italia alcuna opera seria di carattere non
esclusivamente scientifico. I manuali Hoepli Coleotteri Italiani (Milano, 1894)
e II libro dei coleotteri (Milano, 1896), di Achille Griffini, sono ormai esauriti
da tempo. La Fauna Coleopterorum Italica del Porta, 1923-34, in cinque
volumi ed un supplemento, descrive tutte le specie e varietà di Coleotteri
italiani, ma tuttora manca in Italia una buona opera di carattere divulga-
tivo di piccola mole e di prezzo accessibile come invece ne esistono molte
all'estero. Tra queste cito ad esempio YHistoire naturelle de la Trance, 8"
partie « Coìéoptères > di L. Fairmaire nella nuova edizione rifatta da Louis-
Marie Planet (Parigi, 1923, les fìls d'Emile Deyrolle), e La Faune de la
France. volumi 5-6, di Remy Perrier (Parigi, 1935, Librairie Delagrave).
Questi due libri possono essere consultati utilmente perchè la maggior parte
delle specie descritte si trova anche in Italia. Altre opere straniere ottime
e ricche di tavole a colori sono le seguenti in lingua tedesca. Reitter, Fauna
Germanica: Kàfer des deutschen Reichs, 5 voli. (Stoccarda, 1908-1916). Cal-
wer, Kàferbuch (Stoccarda, 1916, 7" edizione).
In Italia poi la « Società Entomologica Italiana » (Genova, Via Bri-
gata Liguria 9), pubblica il « Bollettino Entomologico » in dieci numeri an-
nui e le « Memorie >.
no
INDICI
INDICE
Prefazione . p. 5
Capitolo I. - La Cicindela dei campi > 7
» II. - Il Carabo Estinto > 23
» III. - Il Sommergibile Volante > 35
» IV. - Nelle grotte » 5i
» V. - Gemme e lordure > 69
» VI. - I nemici nascosti . » 83
Appendice. - Caratteri generali degli Insetti e loro classificazione. - Ca-
ratteri generali dei Coleotteri, loro caccia e conservazione. -
Bibliografìa > 99
INDICE DELLE TAVOLE
Coccinella dai sette punti .... . copertina
I. - Larva della Cicindela dei campi nella galleria (spaccato) . . . . p. 12
II. - Pupa e spoglia larvale della Cicindela dei campi nella celletta della ninfosi
(spaccato) . . . . » 16
III. - Adulto maschio della Cicindela dei campi > 20
IV. - Carabo di Olimpia » 28
V. - Callisto lunato . . > 32
VI. - Ditisco marginale . . . » 40
VII. - Apparato digerente di Cicindela > 43
VIII. - Sfodrossi di Giuliani e Roverella di Rocca » 56
IX. - Leptodero di Hohenwart > 60
X. - Cetonia dorata ed Antassia > 72
XI. - Polifilla f ullo . . . . > 76
XII. - Balanino delle nocciole , , > 88
XIII. - Rosalia delle Alpi > 94
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FINITO DI STAMPARE
NEGLI STABILIMENTI DELLA S.A.T.E.T.
IL 15 NOVEMBRE 1942-XXI
1158 01002 8909
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S93c