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CALCOLO DIFFERENZIALE
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PRINCIPII DI CALCOLO INTEGRALE
PUBBLICATO OOM laOIDHTB
0-' GIUSEPPE PEANO
ROMA TORINO FIRENZE
PRATEILLI BOOOA
LIBILU DI S. H. II. RE d'iTALU
1884
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— ^<?^
MAY 15 1889
ù
PROPRIETÀ LETTERARIA
Torino — VINCENZO BONA Tip. di S. U. a d«i RR. PrinoipL
PREFAZIONE
n difetto di buoni trattati di Calcolo è troppo sentito in Italia.
Onde io, già allievo del eh"'^ prof. Ginocchi, ed ora, da alcuni anni,
suo aiuto nell'insegnamento in questa B. Università, credetti cosa
opportuna il pubblicarne il corso, tanto, ed a ragione, stimato pel
suo rigore da quanti lo seguirono. Ma, e il dover dare alle lezioni la
forma di trattato, e la necessità di comprendervi tutte quelle ricerche
che non soglionsi fare nelle lezioni orali, ma che sono indispensabili in
un libro, mi obbligò a importanti aggiunte e a qualche modificazione.
Questo volume contiene il calcolo differenziale e quei principii
di calcolo integrale che più sono necessarìi per le applicazioni geo-
metriche.
Nelle annotazioni che precedono il libro, trovansi citati date e nomi
di autori; trovansi pure definizioni e teoremi messi sotto forma al-
quanto differente da quelli del testo; ed infine credetti utile di &r
ivi notare alcune inesattezze in proposizioni e dimostrazioni, che sono
quasi stereotipate in un gran numero di trattati, e che si riproducono
ancora in opere recentissime, benché in gran parte la loro inesattezza
fosse già rilevata da varii autori, anche da anni.
Torino, ì^ settembre 1884.
G. Peano.
ANNOTAZIONI
N. 1.8.
L'analisi si fonda, senza alcun postulato, sul solo concetto di numero. E benché
questo concetto già si debba avere dall'aritmetica e dall'algebra, si credette
bene di qui riportare la definizione dei numeri incommensurabili , affinchè ben
chiare risultino le dimostrazioni successive (p. e. quella del N. 14).
11 concetto di numero incommensurabile qui introdotto, di tutti il più semplice
e naturale, è anche il più comune. V. per un più ampio sviluppo il Dmi, Fon-
damenti per la teorica delle /Unzioni di variabili reali, Pisa 1878, pag. 1-14.
Identico in sostanza è il modo di ragionare del Dedekind, Stetigheit und
irrationale Zahlen, Braunschweig 1872, e riportato dal Pasce, Einleitung in
den BifferentiaU' und Integral-Rechnung, Leipzig 1882. Questi autori consi-
derano delle due categorie di numeri da noi introdotte solamente la prima,
cui si dà il nome di Zaiilenstreche, e sopra questo ente si definiscono le ope-
razioni aritmetiche.
Però altri matematici considerano i numeri irrazionali come limiti di numeri
razionali. Fra questi il Gantor, Ueber die Ausdehnung eines Satxes,.. — Math,
Ann., Bd. Y, pag. 123, dopo aver parlato dei numeri razionali, soggiunge:
4L Wenn ich von einer Zahlengròsse in weiterem Sinne rede, so geschieht
« es zunàchst in dem Falle, dass cine durch ein Gesetz gegeben unendliche
« Reihe von rationalen Zahlen
(1) «1 Oj a.
4c vorliegt, welche die Beschafenheit hat dass die Differenz anr\.m — a^ mit
« wachsendem n unendlich klein wird, was auch die positive ganze Zahl m
« sei, oder mit anderen Worten, dass bei beliebig angenommenem (positiven
— vm —
€ rationalen) 6 elne ganze Zahl ni vorhanden ist, so class (at^m ^^ dn) <Z €^
€ wenn n^ni^ und wenn m eine beliebige positive ganze Zahl ist.
« Dieso Beschaffenheit der Reihe (1) drucke ich in den Worten aus : Die
« Reihe (1) hat eine bestimmte Grenze b >.
Questa definizione è riprodotta, a meno di qualche parola, dall' Harnagk,
Die Elemente der Biffi u. Int, Rechnung, Leipzig 1871, e dal Lipsghitz,
Grundlagen der Analysis, Bonn 1877, pag. 37 ; ma essa pare meno semplice
della precedente.
La questione della definizione dei numeri irrazionali è lungamente discussa
dal Du Bois-Reymond, Die Allgemeine Functionentheorie^ Tùbingen 1882.
Molti trattati di calcolo non definiscono i numeri incommensurabili. Ma è
facile scorgere in qualche dimostrazione delle asserzioni gratuite. Si confrontino
a questo proposito il Serrbt, Cours de Calcul diff, et int.^ Paris 1879, Tomo I,
N. 96, e Jordan, Cours d*Analyse, Paris 1882, pag. 102, dove sta contenuto
in un évidemment il concetto di numero incommensurabile.
Presso i matematici greci ciò che meglio corriqwnde al nostro concetto di
numero è la ragione, XóYo(, di due grandezze. Si confr. il libro V di Euclide.
N. 6.
La parola funzione ebbe il significato comunemente ammesso da Leibnitz,
Acta ertiditorum, 16^. Essa è stata definita da Gio. Bbrnoulli:
« On appello . . . Fonction d'une grandeur variable, une quantité composée de
« quelque manière que ce soit de cotte grandeur variable et de constantes ».
Mém, de VAcad. Roy, des Sciences de Paris^ 1718, pag. 100;
e più tardi da Eulero:
« Functio quantitatis variabilis est espressio analytica quomodocunque com-
« posita ex illa quantitate variabili et numeris seu quanti tatibus constantibus ».
TntroducHo in Analysin Infinitorum, Lausannse 1748, pag. 4.
La definizione del testo, secondo la quale non è necessario che la y sia legata
alla X da relazioni analitiche, è di Lejeune-Dirichlet , Dove's Repertorium
der Physiky Bd. I. Gfr. Dini, Fondarnenti^ ecc., N. 29,
N. 7.
Il concetto limite è fondamentale nel calcolo. Alcuni autori lo ritengono come
intuitivo; altri lo definiscono o incompletamente, o con parole che avrebbero
esse stesse bisogno di definizione. La definizione qui riportata, che trovasi in
— IX —
tutti i haoni trattati, nulla lascia a desiderare sotto l'aspetto del rigore e della
chiarezza; ma è alquanto lunga.
•
Aggiungerò qui un altro modo di definire il limite, che in sostanza non dif-
ferisce dal precedente, ma che tuttavia può avere dei vantaggi. Parlerò sola-
mente del limite quando la variabile cresca indefinitamente.
Diremo che f (z) col crescere indefinitamente di x diventa maggiore d*un nu-
mero Aysedaim certo valore di x in poi tutti i. valori di f (x) sono maggiori di a.
Diremo che f (x) col crescere indefinitamente di x diventa minore di a, se
da un certo valore di x in poi tutti i valori di f (x) sono minori di a.
Diremo che f(x) col crescere indefinitamente di x ha per limite a, se f(X)
diventa maggiore d'ogni numero minore di a, e minore d*ogni numero mag-
giore di a.
w
Tutti i numeri, paragonati al modo di diventare di f{x), si possono distin-
guere in tre categorie : — l^' numeri di cui f(af) diventa maggiore ; — 2^ numeri
di cui f(iv) diventa minore; — 3<> numeri di cui f(x) diventa né maggiore né
minore. E facile il vedere che se un numero appartiene alla prima categorìa,
tutti i suoi minori vi appartengono pure, e se un numero appartiene alla se-
conda, vi appartengono pure i suoi maggiori; i numeri della prima sono minori
di quelli della seconda e della terza, e quelli della seconda maggiori di quelli
della prima e della terza.
Tborjbma. — La condizione necessaria e sufficiente affinchè f (x) tenda ad
un limite è che esistano la prima e la seconda categoria, e che non esista la
terza, ovvero contenga un sol numero.
Infatti se f{as) tende verso il limite a, esso diventerà maggiore di tutti i nu-
meri minori di a, ossia tutti i numeri minori di a appartengono alla prima ca-
tegoria; analogamente tutti i numeri maggiori di a appartengono alla seconda;
e alla terza categoria non appartiene al più che il solo numero a. Reciproca-
mente se esìstono la prima e la seconda categoria, e non la terza, esisterà un
numero a non minore d*alcuno della 1*, né mag^ore d'alcuno della 2* categoria;
e se la 3* categoria non contiene che tm sol nudiero a, tutti i numeri minori
di esso apparterranno alla 1*, e i numeri maggiori alla 2* categoria. In ogni caso
f{x) diventa maggiore di tutti i numeri minori di a e minore di tutti i numeri
maggiori di a, dunque f(po) ha per limite a.
Del resto il modo di diventare d'una funzione f{x) è un ente, che si può
introdurre in matematica, e studiare, almeno collo stesso diritto con cui si intro-
ducono gli immaginarii.
Invero, potremo definire di questi enti l'eguaglianza e diseguaglianza, e le
operazioni analitiche fondamentali. Quindi essi appartengono alle quantità ana-
lìtiche. Potremo assumere lo seguenti definizioni:
Diremo che, col crescere indefinitamente di a?, f{x) diventa maggiore o eguale
o minore di cp (^), se da un certo valore di a? in poi fix) è maggiore o eguale
minore di (p(a?).
La (p ipo) potrebbe anche ridursi ad un numero costante, ed allora resta defi-
nita l'eguaglianza o diseguaglianza del modo di diventare di f{x) e di un numero.
Intenderemo per somma dei modi di diventare di f{x) e di ^{x) il modo di
diventare la somma f{x) -h <P (^) ; e ;in modo analogo si possono definire le
altre operazioni analitiche. Se ap^x) è costante, restano definite le operazioni
fra il modo di diventare d'una funzione ed un numero.
Dalle definizioni precedenti si ricava p. e. che x diventa maggiore di ogni
numero; che x^ diventa pure maggiore d'ogni numero, ma anche maggiore di
X ; anzi che x^ diventa maggiore di kx^ qualunque sia A, ossia d'ogni multiplo.
1
di x; che — diventa maggiore di 0, dando ad x valori maggiori di 0, e diventa
X
sen X
minore d'ogni numero positivo; che diventa minore d'ogni numero posi-
tivo, e maggiore d'ogni numero negativo, senza diventare né maggiore, né eguale,
né minore di 0; ecc.
Queste grandezze analitiche in cui non é più vero che una grandezza, ripe-
tuta un numero sufficiente di volte, possa superare ogni altra grandezza, si pre-
sentano pure nella ricerca dell'ordine d'infinità delle funzioni, ed in alcuni pro-
blemi di calcolo delle probabilità. Ma il loro studio ulteriore ci porterebbe troppo
lontani.
N. 15.
I due importantissimi teoremi qui dimostrati trovansi enunciati implicitamente
nelle definizioni di numeri incommensuràbili date da Gantor, ecc. V. annota-
zioni ai N. 1-3. Questi teoremi sono chiamati da Du Bois-Reymond, Functionen-
theorie, « Das allgemeine Convergenz- und Divergenzprincip ».
N. 18.
La dimostrazione di questo numero fu data da Gauchy, Analyse algébrique,
Paris 1821, nota III.
La dimostrazione geometrica (pure data dal Gauchy, id., pag. 44), in cui si
— XI —
ritiene che la linea di equazione y = f(x), che ha dae punti giacenti da parte
opposta dell'asse delle a?, incontra questo asse in qualche punto, non è sod-
disfacente. Invero al sistema di punti di ascissa a?, e di ordinata f(oci) possiamo
attribuire il nome di linea, senza aver però il diritto di estendere a tale sistema
le proprietà delle linee che soglionsi considerare in geometria.
Per rendere più manifesto il valore di questa obbiezione, si osservi che una
funzione f(poi) può essere continua per x = Xq quantunque essa non assuma che
soli valori razionali nelle vicinanze del valore x^ ; quindi si potrebbe domandare
se esista una funzione continua in un intervallo (a, b) che assuma soli valori
razionali. E chiaro che la rappresentazione geometrica non permette di rispondere
a questa domanda. Invece il teorema presente, ed il successivo dimostrano che
una tale funzione è impossibile.
La dimostrazione geometrica sarebbe esatta qualora si definisse per funzione
continua quella che non può passare da un valore ad un altro senza passare
per tutti i valori intermedii. E questa definizione trovasi appunto in alcuni trat-
tati, e fra i recenti citerò il Gilbert, Cours d*analyse infinitesimale, Louvain
1872; ma erroneamente TA. a pag. 55 cerca di dimostrare la sua equivalenza
con quella di cui noi ci serviamo. Invero, se col tendere di a? ad a f(x) oscilla
entro valori che comprendono /*(a), senza tendere ad alcun limite, f(x) è discon-
tinua per a?=a, secondo la nostra definizione, ed è continua, secondo la defi-
nizione del Gilbert. Y. anche Darboux, Mémoire sur les fonctions discontinues,
Ann. scientif. de Técole normale sup., t. lY.
E parimenti inconcludente la dimostrazione che ne dà il Ssrret, Cours d'Al-
gebre supérieure^ tomo l^ pag. 95 (4* ediz.). Invero TA. oltre ad altre inesat-
tezze, ammette che un sistema di infinite quantità positive sia tutto racchiuso
entro due limiti positivi, cosa inesatta perchè il limite inferiore di un sistema
di numeri positivi potrebbe essere zero.
N. 20 e 21.
Una più ampia trattazione della continuità delle funzioni trovasi nel Dini,
Fondamenti^ ecc.
Il secondo teorema del N. 20 ed il primo del N. 21 sono dovuti a Weierstrass,
che primo ne vide la necessità di dimostrarli. Y. Schwarz, Giornale di Creile,
voi. 72, pag. 141.
Il secondo del N. 21 a Gantor. Y. Heine, Giornale di Creile, voi. 74, Darboux,
Mémoire, ecc., pag. 73, Dini, Fondamenti, ecc., N. 40.
— xn —
N. d8.
La lettera e, per indicare il limite di ( 1 H ì , fa introdotta da Ecjlsro,
Introductio in Analysin infinitorum^ I, § 115.
N. 81.
Le proposizioni contenute negli esercizii 6 e 7 sono dovute a Gaughy, Analyse
alffébriqt4e, pag. 48 e segg. La prima proposizione è enunciata in questi termini :
« Si pour des valeurs croissantes de a? la différence f(x + 1) — f(^) converge
fise)
< vers une certaine limite A, la fraction ' convergerà en méme temps vers
4L la méme limite », senza mettere la condizione delFesistenza del limite supe-
riore dei valori di f(x) in ogni intervallo finito.
Le proposizioni 9*- 13* sono pure dovute a Gaughy, id., pag. 103. La pro-
posizione 9* è pure vera senza supporre la continuità della funzione f(cBi), ma
supponendo solamente che i valori che essa assume in un intervallo finito siano
minori d'un numero finito. V. Darboux, Sur un théorème fondamenial de la
geometrie projective, Math. Ann., Bd. XVII, pag. 55. La 13* fu pure trattata
da PoissoN, Traile de mécanique, t. I, pag. 14, e da Abel, (Euvres complètes,
Ghristiania 1881, 1, pag. 6. Per questioni analoghe V. Nouvelles annales,
2« serie, question 763.
Si può aggiungere, come esempio rimarchevole di discontinuità, il seguente :
Pongasi cp (a?) = lim ^ ^ , si ha cp (a?) = 1 se «? 5 ^ » © 9 (0) = 0.
Allora la funzione di x
lim qp (sen n / n a?) ,
il limite essendo ottenuto dando ad n valori interi e positivi crescenti indefinita-
mente, vale se 0? è commensurabile, e vale Tunità se a; è incommensurabile.
N. 82.
Il Mag-Laurin, a treatise of Flt4xions, pag. 579, definisce per derivata (flus-
sione) d'una funzione d'una variabile : « any measures of their respective rates
•« of increase or decrease, while they vary, or fiow, together », e precisa in
seguito meglio questo concetto, e trova le derivate delle solite funzioni analitiche.
Questo modo di concepire la derivata è perfettamente rigoroso; in esso non
— XIII —
entra esplicitamente il concetto di limite; e credo opportuno di riprodurlo in
poche parole.
Definito che cosa si intende dicendo che una funzione è crescente o decrc*
scente per un valore particolare della variabile, dicasi che una funzione f{xy
cresce più rapidamente d^un'altra <p(a?), per a7=a?o, se la differenza f{x)-^t^{pci)
è crescente per x=Xq; dicasi in questo caso che <p(x) cresce meno rapida-
mente di f(x). ,
Riconosciuto che in una funzione lineare è costante il rapporto dell'incre-
mento della funzione all'incremento della variabile, e che la funzione cresce
tanto più rapidamente quanto più grande è questo rapporto, si può dare a questa
rapporto costante il nome di derivata della funzione lineare.
Diremo che f(x) ha, per a? = aPo, per derivata /"(a?o), se, per x=Xq^ f(x}
cresce meno rapidamente d'ogni funzione lineare avente una derivata maggiore
di /*'(a?o), e cresce più rapidamente d'ogni funzione lineare avente derivata mi-
nore di f'ix^).
• •
Per lungo tempo si è ritenuto che ogni funzione continua avesse derivata;
ritenendo ciò sufficientemente dimostrato da considerazioni geometriche snlle
tangenti alle curve. In seguito ne furono date dimostrazioni analitiche poco
soddisfacenti. La questione fu infine risolta portando numerosi esempi di funzioni
continue che mancano di derivata per qualche valore speciale (Y. eserc. 6o-9«),
o per infiniti, ed anche per tutti i valori della variabile. Vedi fra gli altri
WsiBRSTRASS, Qiomale di Creile^ voi. 79, pag. 29; Darboux, Ann. Scienti f,
de rÉcole Normale, 2« serie, t. IV, pag. 92, e t. Vili, pag. 195; Dini, Fonda-
menti, ecc., pag. 147; Wiener, CreUe*s Journal, voi. 90, pag. 221.
• •
In natura, presentansi spesso funzioni che sono definite solamente a meno di
una quantità costante €, che non può più essere misurata dagli strumenti che
si adoperano.
Per funzioni siffatte non si può parlare di derivata. Invero, sia f{x) la vera
funzione, e sia <p(ap) la funzione che si sostituisce alla vera, e che ne differisce
meno di e ; posto f{x) = <p (a;) + 6 (a?), sarà
f{x+h)''f{x) _ <^(x^h)^(p(x) e(a?-h^)-e(a?) ,
h " h '^ h '
e &cendo tendere h a zero, dal sapere che Q(x) e ^[x-^h) sono in valor asso-
luto minori della quantità fissa €, nulla si può dedurre del limite dell' ultimo
termine, e quindi anche del limite del membro di sinistra.
— XIV —
N. 86 e fsegg.
l ragionamenti del testo dimostrano ad un tempo resistenza della derivata, e
la determinano. Il procedimento seguito da parecchi autori, anche moderni, di
determinare delle equazioni da cui si ricava la derivata, dimostrano solamente
che se la derivata esiste, essa è quella trovata. -Gfr. Searbt, Caìcul, ecc.,
N. 25, 26, 46, ecc.; Jordan, Analyse, ecc., N. 13, 23; Sturm, Analyse,
N. 38 e seguenti.
N. 44*45.
La dimostrazione qui data delia formula fondamentale del Calcolo è attribuita
ad OssiAN-BoNNET. Gfr. Serret, Calcul, ecc., N. 14. Come è esposta dal Serret
si presta a qualche obbiezione. Le parole « il faudra qu'elle (la funzione) com-
€ mence à croitre en prenant des valeurs positives, ou à décroitre ...» espri-
mono un concetto inesatto, perchè può una funzione per un valore speciale della
variabile essere né crescente, né decrescente, né costante, come avviene p. es.
per la funzione a?8en — per a? = 0.
La dimostrazione data dal Jordan, Analyse, ecc., suppone che — ^ — ^-^
converga equabilmente verso fi^) p^^ valori di od compresi nell'intervallo
(a, b), il che esige la continuità della derivata. (Gfr. gli esercizii 9^ e 14<».) Si
vegga a questo proposito una mia nota pubblicata nei Nouvelles Annales, 1884,
pag. 45. V. anche ivi, pag. 153 e 252.
Basta, affinchè il teorema N. 45 sia esatto, che la funzione f((xi) abbia deri-
vata pei valori di ob interni airintervallo (a, ò), e sia continua agli estremi a
e b ; questa derivata può anche essere infinita per qualche valore di a?, purché
di segno determinato. Gfr. Dini, Fondamenli, ecc., pag. 69 e segg.
* *
Una formula più generale di quelle del N. 45 è la seguente: Se /'(a;), q)(a;),
\|i (x) ammettono derivata per tutti i valori di x appartenenti airintervallo (a, b),
si ha per un certo valore a?| compreso fra a e ò
/"(a?i) ([/(a?!) Mi'(a?,)
f(a) (p (a) V (a)
m cp (b) V (b)
= 0.
— XV —
Se si fa \^{x)=si si ha la seconda formula, e se si fa inoltre <p(a;)==a; si
ha la prima.
Un'altra formula che si deduce pure dal teorema del N. 44 è la seguente, dovuta
a Waring. Se f(x) ha derivata f^(x) in un certo intervallo e /'(a)=:/*(6)=0,
esiste un valore di a? compreso fra a e 6 per cui /''(a?) — A/*(a7) = 0, ove k è
una costante arbitraria. Basta invero applicare il teorema accennato alla fun-
zione /'(a?)c-*«.
Nei Nouv. Ann,y ^f^ serie, VI, pag. 415, trovansi altre dimostrazioni, in cui
però si suppone la continuità della derivata.
N. 49.
Esercizio 16*. — La formula di questo esercizio è dovuta a Leibnitz, Mi-
scellanea BeroUnensia^ 1710.
Gfr. Tarbt, Note sur une formule de Leibnitz. Nouv. Ann., 1869, pag. 69.
Esercizio 19^ — Parecchie sono le formule proposte per determinare le de-
rivate successive delle funzioni di funzioni.
HoppE, Theorie der independenten Darstellung der hòheren Differential-
quotienten. Leipzig 1845. Id., Math. Annalen, Bd. 4.
ScHLOBnLCH, Compendium der hoheren Analysis, Bd. II.
MoST, Math. Ann,, Bd. 4*
Gattinq, Id., Bd. 3.
Bertrand, Calcul differentiel, pag. 309.
Tkrquem, Nouvelles Annales, Voi. 9®.
Tardy, Giornale di Matematiche, Voi. 2».
Mossa, Fais, id., id., Voi. 13».
Tbdeeira, id., id., Voi. 18o.
Feroola, Annali di Matematica, 1858.
Faà di Bruno, id., id.. Voi. 6», 1855. Id., Form^s hinaires, pag. 4.
N. 60.
Presso i geometri dei secoli XVII e XVIII una serie rappresentava sempre
la funzione da cui quella serie si otteneva con procedimenti opportuni, nò sempre
si badava alla sua convergenza. A Gaught, Anal. alg., chap. VI, si debbono le
definizioni più precise di cui ci serviamo al giorno d'oggi ; a lui e ad Abel le
dimostrazioni più rigorose dei teoremi. Però molti di essi erano già rigorosa-
mente enunciati e dimostrati da B. Bolzano di Praga (1781-1848). V. Stolz,
— XVI —
Math. Ann.y XVIII, 256. Tuttavia anche al giorno d'oggi trovansi definizioni e
dimostrazioni incomplete, come la presente:
« Eine unendlicbe Reihe, welche einen bestimmten, endlichen Werth repra-
« sentirt, heisst convergerti ». Rausbnberger, Th. d. periodischen Functionen^
Leipzig 1884, pag. 23.
Farmi oziosa la distinzione delle serie divergenti in divergenti propriamente
dette, ed oscillanti od indeterminate.
N. 56.
Non è esatta la proposizione, che trovasi in alcuni trattati: « Si può sola-
« mente affermare che se limt<»==0, la serie non può essere indeterminata ».
Novi, Algebra superiore^ pag. 56.
Così ad es. la serie in cui w,=sen y'n + Iw — 8en]/mr, è tale che limM,,=sO,
VA o j/fT+Tir — /nn »^n+ì ir + ^^«^Tr i . ,«
perchè «,=2sen - — = — s cos ^ > e col crescere indefi-
nitamente di n il secondo fattore è compreso fra —1 e +1, ed il primo ha
per limite zero. Tuttavia 5„=:sen^nir col crescere di n non tende ad alcun
limite, né finito, né infinito.
N. 66.
Questo teorema è stato enunciato da Caughy, Anal.^ pag. 124, e riportato da
molti altri, p. e. dal Serret, Calcul^ pag. 133, in questi termini :
€ La sèrie Uq, t<|,... est convergente lorsque la somme u^ + t«n+i + — +<M'F+i
« tend vers zero, quel que soit p, quand n augmente indefiniment ».
Ma queste parole si possono interpretare nel significato del testo, e costitui-
scono un teorema esatto, ovvero nel significato che, fissato ad arbitrio p, la
somma i4„ + . . . -f Mw+p-i tenda a zero quando n cresce indefinitamente, ed il
teorema risulta falso. E appunto in questo secondo significato che Tinterpretò
il Gatalan, Théorie élém, des Séries, pag. 4, nota 2^, il quale quindi nega
l'esattezza del teorema. Una prova di più che gli enunciati delle proposizioni
debbono essere ben chiari.
N. 62.
Questo teorema fu da diversi matematici enunciato in senso troppo ampio.
Già Olivier nel Giornale di Creile enunciò come condizione necessaria e suf-
ficiente per la convergenza della serie che lim n t«„ = ; e Abel dimostrò nel
medesimo giornale che questa condizione noh è sufficiente ( (Euvres, pag. 399).
— XVII —
Però raffermazìone di Abxl che è « très juste > che « la serie ne peut pas étre
« convergente si le produit nK„ nest pas nul pour n=00>, sì deve interpre-
tare nel senso che la serie non può essere convergente se n u,» tende verso un
limite non nullo. Potrebbe però avvenire che la serie fosse convergente, benché
nti„ non tenda verso alcun limite. Così per es. si consideri la serie in cui i
termini di indice
siano rispettivamente
1, 2^, 3*, . . . m^y . ..
e gli altri termini siano tali da formare da loro una serie convergente qua-
3 _
lunque. Il prodotto ntt„, se n è un cubo =m^ varrà m=^^n ; e facendo cre-
scere indefinitamente n, nti^ assume valori comunque grandi.
Quindi è inesatta Tasserzione del Bertrand, Calcul diff., pag. 239, che in
una serie convergente « nu^ tend nécessairement vers zero ». Gfr. Id., id., pag. 232;
Novi, Analisi algebrica^ pag. 102.
È invece esatto il teorema :
« In una serie convergente a termini positivi decrescenti continuamente
limnu^=0». In questi termini è enunciato p. e. dal Gatalan, op. cit., mala
dimostrazione che ne dà è incompleta, perchè dimostra solamente che se lim nu^
è diverso da zero, la serie è divergente, senza occuparsi del caso in cui questo
limite non esiste.
N. 68.
Questo teorema è dovuto a Gaughy. Y. Gatalan, Séries, pag. 16.
N. 67.
La formula di Taylor, senza termine complementai-e, secondo il modo d'al-
lora d'intendere le serie, fu data da questo matematico nel 1715.
È però ad osservarsi che Gio. Bernoulli diede nel 1694 una formula, che
porta il suo nome, e che equivale airincirca a quella di Taylor, perchè con
cambiamenti di lettere dall'una si può passare all'altra. Gfr. Joh. Bernoulli,
Opera ùmnia, tomo I, pag. 125. Onde non credo fuori posto la sua reclamazione
di priorità : « Quam eandem seriem postea Taylorus, interjecto plusquam viginti
< annorom intervallo, in librum, quem edidit a. 1715, De Methodo incremenr
OnoccHi, Calcolo d^erMMiak. n
— xyiii —
€ torum transferre dignatus est, sub alio tantum characterum abitu ». Opera^
T. II, pag. 584.
11 resto fa calcolato sotto forma (3) da Lagrange, Théorie des fonctions anor
lytiquest Paris 1813, chap. VI, dove pure è calcolato sotto forma di integrale
definito. Ija forma (2) fu data da Gaught, Exercices de mathèmatiques^ tomo I,
pag. 29, e Comptes renàio des séances de VAc. Frang., 1840, pag. 642.
Furono date dimostrazioni sbagliate della serie di Taylor da J. Konig, Nouv.
Ann., 1874, pag. 270, e da E. Amigues, Nouv. Ann., 1880, pag. 105.
* *
Riguardo alla validità della serie di Taylor, o meglio, per semplicità, di
quella di Maclaurin, si possono presentare i seguenti casi:
La serie può essere valida per ogni valore dì x, come avviene per e^ , sen x,
cosa?, ecc.;
Ovvero può essere valida solamente per valori di x convenientemente limitati,
come avviene per log (1 + a?) , (1 + a?)*, are tang x, ecc. ;
Ovvero la serie può essere convergente per alcuni valori di x, senza che la
sua somma valga la funzione data. Questo avviene per es. per la funzione
é , la quale si annulla, insieme a tutte le sue successive derivate per a;=0,
e quindi la serie di Maclaurin è convergente per tutti i valori di x, senza avere
per somma la funzione.
Ma si possono anche portare esempi di funzioni, per cui la serie di Maclaurin
è divergente per ogni valore di x (tolto il valore x = 0)* Si consideri ad es.
la serie
n=:oo
(^> ^<-'>=SrT&'
nss»
ove le a„ sono quantità arbitrarie, e le bf^ sono quantità positive scelte in modo
che la serie precedente sia convergente per un intervallo contenente nel suo
interno il valore a? =^ 0. I termini della serie precedente sono in valore assoluto
minori, a partire dal terzo (n = 2) dei termini
^> -b-' 'h'"' IT'"'
e questa serie si^ può effettivamente rendere convergente ; fatto per esempio
b^=^n! an, scegliendo il segno in modo che ò„ risulti positivo, la serie for-
mata coi valori assoluti della (2) sarà convergente per ogni valore di a? , e la
(1) sarà convergente e di convergenza equabile in ogni intervallo finito.
Se si deriva più volte la serie (1) si troveranno altre serie, ciascheduna delle
— XIX —
■
I
qaali si decompone nella somma di parecchie del tipo C > 7 . . " ^ ~, i cui
termini sono in valore assoluto minori dei termini C-^a?"— «-«, e quindi
tutte le serie formate derivando i termini della serie proposta sono convergenti,
e di convergenza equabile in ogni intervallo. Perciò la funzione f(x) ha deri-
vate determinate e finite per ogni valore di a?; e si ricava
y /l") (0) = a,— an-thn-%+ a«-id»«-4 —
ni
Di qui si scorge che si possono determinare le quantità arbitrarie a(),a|', o^,.-
in modo che fit») e le sue derivate abbiano per x=.0 vaioli dati ad arbitrio ;
. e si possono scegliere questi valori in modo che la serie di Maclaurin sia diver-
I gente per ogni valore di x. Basta p. e. fare /l«)(0) = [n/]'.
Vedi Du Bob-Re YMOND, Ueber den Qultigkeitshereich der Taylor* scher
Beiheneniwichelung^ Math. Ann., XXI,, pag. 109.
« •
La formula di Taylor si può enunciare a questo modo:
Se esistono le derivate 1% 2*,...n* di f(x) per a? = a?o, si ha
/•(«;o + A)=/-(a;,) + Ar(^o) + + (7£^ri"-'K^o) + ^ [/"'•» W +6],
ove € è una quantità che ha per limite zero, con tendere a zero di h. Fatto
n=l, si ha la formula che serve per definizione della derivata (N. 43). Natu-
ralmente, se f{x) ha derivata n^ per a?=a?o, dovrà avere le derivate prece-
denti anche nelle vicinanze di Xq\ ma sopra la derivata n* non è necessario
supporre né l'esistenza nò la continuità nelle vicinanze di questo valore. Questa
formula si dimostra assai facilmente, e basta per le applicazioni alla teoria ai
maasimi e minimi, e alla geometria. Questo modo di concepire la formula di
•
Taylor panni presenti molta analogia con quelli degli antichi geometri, quando
ancor non si considerava la convergenza delle serie.
N. 69.
Maclaurin diede questa formula nel suo A treatise of fluxions, pag. 610,
aggiungendo però: « This theorem was given by D. Taylor ».
— XX —
N. 70.
Gli sviluppi in serie di ^ , sen x e cos x furono dati per la prima volta
da Newton.
N. 72.
È stato dimostrato da Liouville che il numero e non può essere radice d'al-
cuna equazione di secondo grado a coefficienti commensurabili, ed infine da
HERMrrs, iStir la fimcHon ewponentielle, Paris 1874, che esso non può essere
radice d'alcuna equazione algebrica a coefficienti razionali.
N. 76.
La formula del binomio fu data da Newton nelle lettere a Leibnitz del
13 giugno e 24 ottobre 1676. La discussione completa della convergenza della
serie, e della sua somma fu fatta da Abel, (Euvres, pag. 219.
N. 79.
Questa serie fu data da Nic. Mercator, Logarithmotechnicay 1668.
N. 82-88.
Questa serie è dovuta a Jacob Gregory, Exercitaliones geometricce, 1668.
John Maghin calcolò col suo procedimento il valore di n con 100 cifre decimali
nel 1706.
Da lungo tempo è dimostrata Tirrazionalità di n e n'. Lindemann, Ueber
die Zahal ir, Math, Ann., XX, pag. 213, dimostrò infine che esso non può essere
radice d'alcuna equazione algebrica a coefficienti razionali, e quindi Timpossi-
bilità della quadratura del cerchio colla riga e col compasso.
N. 84-87.
« Le proprietà delle funzioni interpolari furono esposte in una Memoria del
« tomo XVI (pag. 329-349) degli AnnaU di matematica del Gergonnb (Nismes
« 1825-1826), compilata dallo stesso Geroonne sopra note molto sommarie som-
< ministrate daU' Ampère. Poscia (nel 1840) quelle proprietà vennero riprodotte
4k dal Gaughy nel tomo XI dei Camptes rendus^ p. 755-788, e in questo mede*
— XXI —
« Simo volume XI, pag. 835-847 (e id. pag. 933], il Gaughy ha indicato Fuso
« delle funzioni interpolarì per la risoluzione delle equazioni numeriche. Tali
« funzioni sono le medesime che sono state introdotte da Newton nella sua più
€ generale formula d'interpolazione che si trae dal Lemma V, libro III del-
< Fopera Prmc^ia mathematica Philosophias naturdUs^ dopo la proposizione XL
€ (3^ edizione, Lendini 1726, pag. 486487) e che è riferita dal LAORANafi nelle
« Lezioni elementari di matematica alla Bettola Normale (Journal de V Ecole
« Folytecknique, tom. II, 1^ et %^ cahiers, pag 276; (Euvres de Lagrange^ Paris
< 1877, tom. VII, pag. 285) sotto la forma :
* y = /^+ Qi(a?—Ì')+ ^(a?—p)(«? — ?)-|-53(a?—iJ)(a? — ?)(«? — r)+ ecc.;
< essa fu citata anche da Jagobi nel giornale di Grelle, tom. 30, pag. 138.
« Il Gaughy ampliò nel 1821 la formula di Laoranoe, determinando una
« funzione razionale fratta che abbia un numeratore di grado n^l, e un de-
« nominatore di grado m, e che per m'\-n valori dati di x assuma m-{-n
€ valori dati (AnaVyse algébrique, p. 528). Jacobi trattò poi lungamente la
€ medesima questione nella sua memoria testé citata (Grelle, tom. 30, p. 127-
€ 156), e vi diede molteplici espressioni del numeratore e del denominatore della
« cercata frazione col mezzo di determinanti, avvertendo essere di grande im-
« portanza nella teorica dei trascendenti Abeliani la rappresentazione di dati
« valori con funzioni razionali fratte. Egli vi considerò eziandio espressamente
« il caso particolare in cui tutti o parecchi dei valori Xq^ Xi,...xm^n^\ asse-
< guati ad x divengono eguali fra loro (ivi, pag. 148).
4 Anche il prof. Bella vitis si occupò a più riprese delle funzioni interpolarì.
« Veg^asi la sua Memorìa letta all'Istituto Veneto il 22 giugno 1856, Sulla
« risoluzione numerica delle equazioni, § 15, e Taltra del 17 giugno 1860:
« Appendice alle Memorie sulla risoluzione numerica delle equazioni, § 30 ;
« inoltre il Riassunto litografico delle lezioni di Algebra date da lui nell'Uni-
« versità di Padova nel 1867-68, § 81 e 84 ». Genogghi, Intorno alle funzioni
interpolari. Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino, XIII, 1878.
In questa stessa nota il prof. Genogghi esprìme le funzioni interpolarì, e
quindi anche il resto d*una formula d^interpolazione, con integrali multipli; ed
in un'altra nota «Sópra una proprietà delle funzioni interpolari. Atti della
R. Acc. d. Scienze di Torino, XVI, 1881, dimostra la formula del N. 86, senza
rìcorrere ad integrali. Ma la dimostrazione riportata nel testo è dovuta a
Sghwarz, Atti deU'Acc, di Torino, Voi. XVII, 1882, benché il concetto già si
trovi nel Bertrand, Cale, diff,, pag. 164. Se le variabili sono complesse, la
funzione interpolare si può mettere sotto forma di integrale definito, preso
— XXII —
lungo un contorno, analoga a quella notissima d'una derivata. Vedi Peano, Sulle
funzioni interpolari. Atti della R. Acc. di Torino, Voi. XVIII, 1883, dove tro-
vansi alcuni sviluppi in serie ottenuti colle funzioni interpolari.
Altre proprietà di queste funzioni sono enunciate agli esercizi 31-34 alla fine
del capitolo. Le funzioni interpolari di x^ coincidono colle funzioni Aleph di
Wronski, ossia fvnziont omogenee complete. V. Trudi, Giornale di Malemor
tichey Voi. 20, pag. 153.
V. ancora Frobenius, Ueher RelaHonen ztoischen den Ndhrungshruchen
von Potenzenreihen, Giornale di Creile, 90, pag. 1.
« «
Una formula più generale di quella del N. 87 è la seguente: Se le n + 1
funzioni ^(fl?) /i(a?) /iC^) hanno derivate fino all'ordine n — 1 pei valori
di X appartenenti ad un intervallo entro cui trovansi i valori che attribuiremo
ad X, sarà
rot-i)(w) /;(«-^J(u) fn^--'Ku)
fo («l) fi («l) fn (^l)
^ W fi (^n) fn K)
ove M è un valore medio fra le x^X2...Xf^. Basta in questa formula fare
ff^{x):=f(x]j e le funzioni successive eguali alle potenze successive 0, 1, 2,...
di a?, per ritrovare la formula del N. 87.
Più generalmente ancora, il determinante le cui linee si ricavano dalla
attribuendo alla lettera f varii indici, ove n= (o -f 1) + (P + 1) + ... + (X + 1) — 1,
ed u è un conveniente valore di x medio fra a,&,...i, è nullo.
In questa formula sta compresa la precedente, e la formula di Taylor.
Le funzioni interpolari sono suscettibili di numerose applicazioni, e permet-
tono di dimostrare con facilità grandissima certe proposizioni di cui molti autori
danno dimostrazioni complicate, e spesso inesatte. P. e. se F{i) è una funzione
dì ( e di altre variabili, detti t^^.t^ n valori di i, il sistema delle n equazioni
F(O = 0, F(g = i^(g = o,
si può pure scrivere
— XXIII —
e se si fanno tendere ^i ^ . . • ^^ ^^ ^^ge arbitraria verso ty le equazioni pre-
cedenti diventano al limite
F(t) = 0, F'(t) = 0, jFln-i) (*) := 0.
Questa proposizione occorre in geometria, nello studio del contatto delle curve
e superficie. Si confronti la dimostrazione precedente, p. e. con quella data dal
Jordan, Cours d'Analyse, pag. 225.
N. 88.
U limite superiore dell'errore commesso adoperando le tavole d'interpolazione
dei logaritmi, trovato in tal modo colle funzioni interpolari, è quattro volte mi-
nore di quello dato dal Sbrbbt, Calcul, tomo I, N. 119, ed è lottavo dì quello
dato dallo Sturm, Analyse^ I, N. 137.
N. 91-98.
Le regole di convergenza dei prodotti infiniti furono trovate dal Goriolis,
e pubblicate da Gàught, Anal. aìg., nota IX. Le regole di convergenza, indi-
pendentemente dall'ordine dei fattori, da Wsierstrass, Creile, 51, e Dini, Ann.
di Mai., Serie 2*, II.
N. 94-96.
11 Gauchy nel Cours d^Anal/yse, pag. 131, ammise che la somma d'una serie
convergente, i cui termini sono funzioni continue di una variabile, sia pure fun-
zione continua. L'inesattezza di questa proposizione, ove non si impongano altre
condizioni restrittive, fu rilevata da Abel, Y. (Euvres compietesi Gfaristiania
1871, tom. I, pag. 224. Gfr. Du BoishReymond, Notiz ùber etnen Cauchy' schen
SatZf ecc., Math. Ann., Bd. IV.
Non è esatto il teorema, riferentesi alla derivazione per serie, enunciato dal
DuHAMEL, Journal de Liouville, XIX, pag. 118, e riportato dal Bertrand,
Calcul differentielj pag. 271 :
« Lorsqu'une serie t«o + ^i + <lont tous les termos sont réels et fonctions
4 d'une méme variable re, est convergente pour toutes les valeurs de x comprises
« entre deux limites Xi et x^, et devient discontinue pour une valeur particu-
< lière x=ia, de telle sorte que pour a;=3a — € et x = a + £ la différence
« des valeurs qu'elle acquiert reste finie quand e est infiniment petit, la sèrie
« des dérivées —^ + -^-^ -f • • • ^ divergente pour x = a '».
— XXIV —
Per convincersi delia sua inesattezza, pongasi p. e.
Si verifica facilmente, che se a; > lim /*(«;, n) = 1 ,
se a? < , lim /"(a?, n) = — 1 ,
nsoo
ese 07 = 0, lim /"(O, n) = ,
n=ao
e che inoltre la derivata fx (0, n) = 0. Si immagini ora la serie in cui la
somma dei primi n termini sia appunto f{x^ n) ; questa sarà
Aa^.l), /'(a;,2)-/-((r,l), /-(a?, 3) - A«?, 2)
ed è convergente per tutti i valori di a?, ed ha per somma rispettivamente 1,
e — 1 secondochè x è positiva, o nulla , o negativa ; quindi la somma della
serie considerata è discontinua per a; = 0, e tuttavia la serie formata colle de-
rivate dei termini, per 07 = 0, che è
0, 0, 0,
è convergente. L*inesattezza |di questa proposizione già fu notata da Dini c
Dàrboux.
N. 97.
Es. 4<). Questa formula fu data da Giac. Bbrnoulli, Ars conjectandi, p. 97.
Moltissimi autori si occuparono di questa questione. Essi trovansi in gran parte
citati nel voi. 8* degli Annales scienti f. de VEc. Norm. sup.^ 2»« serie, pag. 55
e segg.
7». V. Gatalan, Nouv. Ann., 1» serie, t. XVII, pag. 434 e XVIU, p. 152 e
197; Realis, Nouv. Ann,, 2« serie, t. VII, pag. 159.
10® e ìi^. Una dimostrazione assai elegante di questi teoremi fu data da
Laurent, Nouv. Ann., 1862, pag. 127.
20«-27o. V. Eulero, IntroducHo, ecc., cap. IX, X e XI, ove trovansi moltis-
simi altri prodotti infiniti e serie. I ragionamenti di Eulero però non sono più
ai nostri tempi soddisfacenti, a causa delle nuove definizioni introdotte.
28*. V. Eulero, IntroducHo, ecc., cap. XV.
— XXV —
N. 99.
A proposito della continuità delle funzioni di più variabili, merita di essere
rilevata la acuente inesattezza, ennnoiata da Gaught, (hurs d'AnaU/se^ p. 37:
« Soit . . . f(x, y, z ,..) une fonction de plusieurB variables, x, y ,;;,... ; et
•< supposons que, dans le voisinage de valeurs particulières Xy Y, Z^ , , . attri-
« buées à ces varìables, f(x, y, z^. ,.) soit à-la-fois fonction continue de 0,
« fonction continue de y, fonction continue de s, etc. On prouvera aisément
« que, si Ton designo par a, 3, Yi • • • des quantités infìniment petites, et si Ton
^ attrìbue k x, y^ z , . . . ìes valeurs X^ 7, Z,.. ., ou des valeurs très voisines, la
< diffórence f(x + ci,y + P, <i+y,...) — /"(a?, y, z,...) sera elle-méme infìniment
« petite ».
Il 29 esempio del N. 123 prova Tinesattezza di questa proposizione.
N. 108.
Un esempio assai semplice di funzione di due variabili, in cui non è lecito
invertire Tordine delle differenziazioni, è dato al N. 123, 5^.
Altro esempio men semplice trovasi nell^HARNACK, Di/f. u. Int R., pag. 97,
e Dmi, Lezioni di analisi infinitesimale, Pisa 1877-78, I, pag. 127.
N. 109.
Erroneamente il Serret, Calcul^ ecc., tom. 1, pag. 194, ritiene l'esattezza
della formula di Taylor per le funzioni di più variabili, senza supporro la con-
tinuità delle derivate di ordine n. Questa continuità, che non è necessaria per
le funzioni d'una sola variabile, lo diventa per quelle a più, perchè nella dimo-
strazione si derivano delle funzioni composte, dove si suppone appunto la con-
tinuità delle derivate (Y. N. 106).
Per riconoscero che la formula non è più applicabile se le derivate sono
discontinue, si consideri la funzione
ove il radicale si prende sempre positivo , e si suppone /*(0, 0) =: 0. Questa è
— XXVI —
funzione continua per tutti i valori delle variabili, ed ha per derivate parziali
per tutti i valori di a? ed y, tolta la coppia (0, 0) per cui ambe le derivate sono
nulle. Si applichi a questa funzione la forinola
Aa?o + ^. yo + A) = A»o. yo) + ^A (a?o + ^K yo + ©*) + ^f'y ipa + «^» yo + «*) *
ove si faccia a7o = yo = — «» A:=A = a + &; si avrà
}/2 i/2
posto < = a?Q + eA = yo + 6A. Ma
11 <
fx (t, t) = f'y (t^ t)z= ;= , 0, H 7= secondochè < = ; quindi si de-
2 >/2 2 >^2 > ' ^
durrebbe
= -1,0, +1,
b + a
il che è assurdo, essendo a e b quantità arbitrarie.
N. HO e segg.
V. DiNi, Analisi inf., I, pag. 153.
N. 121.
V. Eulero, Mechanica, 1736, tomo 11, § 106, 497, e Cale, diff., § 225. Si noti
la dimostrazione deirinverso del teorema di Eulero.
Le relazioni fra le derivate successive devonsi a Làgroix, Cale. diff.y §^292.
N. 122.
1 determinanti funzionali furono studiati da Jàgobi, De determinantibus functio'
nalibus, Giornale di Creile, t. 22, pag. 319. V. anche le sue Vorlesungen ùber
Dynamik, pag. 100. Il Gayley, Creile, t. 52, pag. 276, li chiamò Jacobiani.
La notazione, analoga alle derivate, è dovuta a Donkin. V. Baltzer, Beter-
minanten^ Leipzig 1875, pag. 127.
— XXVII —
U determinante Hessiano fu studiato da Hbsse, Creile, t. 28, pag. 84, e ri-
cevette questo nome dal Sylyester, V. Baltzer, id., pag. 134.
• «
A proposito di questi determinanti, merita di essere rilevata una proposizione
inesatta enunciata dal Bertrand. Calcul diff., pag. 63. La proposizione è:
Siano Vi^fi^'-Vn funzioni delle variabili XiX^...a^\ date alle te n sistemi
di incrementi, di cui uno sia A»a7|, A«a;{...Aia;„, e calcolati gli incrementi
corrispondenti delle y, e siano At^i, A«y2i---^i2/ni ^^ rapporto del determi-
nante formato colle Ay al determinante delle A a? ha per limite il Jacobiano
delle y rispetto alle a?, ove si facciano tendere le A a? a zero.
P. es. fatto n = 2, il determinante
si annulla facendo p. es.
A 1^1 = Al 072, ^ A2 a;£ =■ A2 072 , il che si può supporre, senza impedire la
piccolezza delle Aos; ma il determinante
non si annulla in gè-
nerale per quei valori delle A x ; quindi il rapporto dei due determinanti assume^
per valori comunque piccoli delle Ao;, valori comunque grandi, ed anche il
valore 00; quindi non tende verso alcun limite.
Si potrebbe dimostrare che il teorema è vero solo quando le funzioni date
sono legate da una relazione lineare a coefficienti costanti, ed in questo caso
il determinante del numeratore è identicamente nullo, ovvero quando le y sono
quozienti di funzioni lineari delle or, il denominatore essendo lo stesso in tutte
le y. In questo caso, servendoci del linguaggio della geometria a più dimen*
sioni, se le 07 sono coordinate cartesiane d'un punto in uno spazio, e le y
coordinate d*un punto d'un secondo spazio, fra i due spazii passa una corri-
spondenza omografica.
N. 124-126.
Trovansi in molti trattati di calcolo, negli enunciati e dimostrazioni riferentisi
alle espressioni indeterminate, delle inesattezze che meritano essere rilevate.
Ad es. il Sbrrjbt, Calcul, 1, N. 124, dice che se le due funzioni date tendono
a zero, e se hanno derivata determinata, il rapporto delle funzioni ed il rapporto
delle derivate tendono ad uno stesso limite, o crescono amendue al di là d*ogni
limite. Invece si dimostra solamente che se il rapporto delle derivate tende ad
un limite (e se ^'(x) non è nullo nelle vicinanze del valore considerato), anche
il rapporto delle funzioni tende allo stesso limite; quindi si deduce che se il
rapporto delle funzioni tende ad un limite, il rapporto delle derivate non può
tendere verso un limite diverso da esso, ma non si dimostra che il rapporto
delle derivate tenda ad un limite.
— XXVIII —
E che questo non si possa dimostrare lo provano i seguenti esempi:
1
Le funzioni siano a^sen — , e a?; il loro rapporto tende verso zero col ten-
dere di a? a zero; esse hanno derivate per tutti i valori di x, ma (V. N. 40,
es. 9^) il rapporto delle derivate non tende ad alcun limite.
In questo esempio la prima funzione ha derivata disoontinua per x = 0. Ma
è facile il portarne un altro in cui le derivate delle due funzioni siano continue.
Si considerino perciò le funzioni a?* f(x), e x\ ove f(a) è una funzione che
ci riserveremo fissare. Il rapporto delle funzioni vaie f{oci), le loro derivate sono
2xf(x) + x^f'(x), e 2x,
•ed il loro rapporto vale
f(x)-^^xr(x).
Si prenda ora per f(x) una funzione tale che
lo Esista un limite di f(x) quando x tende a zero.
2^ Che abbia derivata per tutti i valori di a?, tolto al più il valore x = 0.
30 Che /"'(a?) 'e xf'(x) col tendere di a; a zero non tendano ad alcun limite.
40 Che a^f{x) tenda a zero col tendere di a? a zero.
Soddisfa a tutte queste condizioni p. e. la funzione f(x) = 1 sen -—z .
j or X
Ed allora si ha che il rapporto delle due funzioni date tende ad un limite, che
esse hanno derivata determinata e continua per tutti i valori di x^ ma il rap-
porto delle derivate non tende ad alcun limite.
La regola pel caso della forma indeterminata — è dimostrata in seguito
dal Sbrret incompletamente, perchè ammette a priori l'esistenza del limite
cercato. La stessa dimostrazione incompleta è data da Sturm, Analyse^ 1, pag. 152,
da Hermtte, Analyse, pag. 200, da Schlòmilch, Co7npendium der hoheren
AnaJysis^ Braunschweig 1881, pag. 143, e l'oscurità in questa questione è resa
-ancor maggiore dallo Sturm, ivi, pag. 156 ; ove dice che « avant d* appliquer les
« règles il faudra bien s'assurer que Texpression proposée, ainsi que ^^^ ^ , ap-
< proche d'une limite ».
V. Stolz, Ueber Grenzvoerths der Quotienten. Math. Annalen, Bd. XIV,
pag. 231, e XV, pag. 556; Bouquet, Nouvelles Annales de Math., 2« serie,
t. XVI, pag. 113.
N. 139-180.
Meritano qualche attenzione i risultati di questi numeri, perchè si riferiscono
a proposizioni male enunciate e dimostrate in gran numero di trattati. Gon
— XXIX —
spesso si dice che il limite del rapporto dell'incremento d*una fanzione di più
variabili al suo difieren2dale totale è Tunità (Sturm, AncUyse^ N. 102; Jordan,
Anaìysey N. 19, 22, ecc.); che nella formula di Taylor per le funzioni di più
variabili il rapporto del resto dopo un termine al termine stesso abbia per limite
zero col tendere a zero degli incrementi delle variabili (Jordan, Anal., N. 203 ;
Serret, Calcul, N. 134, 152, ecc.; Bertrand, Calcul, 1, pag. 392). Y. anche
ToDHUNTER, CcUc. diff., Napoli 1880, N. 166.
Che queste proposizioni siano inesatte, risulta evidentemente dai varii teoremi
del N. 130. Ben è vero che questi autori suppongono spesso, p. e. nella formula
di Taylor, che i rapporti degli incrementi delle variabili rimangano indetermi-
nati; ma allora non è più determinato il concetto di limite d'una funzione di
più variabili. Del resto neUe applicazioni della formula di Taylor ai massimi e
minimi delle funzioni di più variabili e ai punti singolari delle curve ammettono
effettivamente che si possa determinare una quantità r|, in modo che attribuendo
alle variabili incrementi minori di ii, il rapporto del resto dopo un termine al
termine stesso sia costantemente minore d'una quantità € fissata ad arbitrio^
vale a dire attribuiscono alla parola limite lo stesso nostro significato.
N. 188-186.
Le dimostrazioni dei criterii per riconoscere i massimi e minimi delle funzioni
di più variabili, date dal più gran numero di trattati, sono fondate sulla pro-
posizione che nella formula di Taylor per le funzioni di più variabili il rapporto
del resto dopo xm termine qualunque al termine stesso abbia per limite zero col
tendere a zero degli incrementi delle variabili. Questa proposizione è falsa in
generale, se il termine considerato non è forma definita negli incrementi delle
variabili; e se esso è forma definita, quella proposizione ha bisogno di dimo-
strazione.
Non è esatto il criterio enunciato dal Serret, Calcul^ pag. 219: « le ma-
« ximum ou le minimum a lieu si, pour les valeurs de h,h,.,, qui annulent
€ cPf et d^f, d*f a constamment le signe — ou le signe + »•
Per vedere l'inesattezza di questa proposizione, si consideri p. e. la funzione
intera
/•(a;, y) = (y»- 2px) (y« ^2qx),
ove J9>J>0, e fatto scq=:0, yo = 0, si avrà
Il sistema dei termini a secondo grado è positivo per tutti i valori di h eK
— XXX —
tolto il valore di ^ = 0, per cui si annullano i termini a terzo grado, e il sistema
dei termini a quarto grado è positivo. Quindi, secondo il criterio del Serret,
f{Xf y) è minima per xzuO. Ma è facile assicurarci che questo non è. Pongasi
invero y^z=2lx; facendo tendere x a zero anche y tende a zero, e si avrà
(a?, >/2T^) = 4 (Z — p) (/ — ^) a?«.
Questa quantità è a nostro arbitrio positiva o negativa, secondochè l è fuori, o
dentro airintervallo {p, q) ; quindi la funzione f assume in ogni intomo dei va-
lori (0, 0) di 0? ed 1/ valori positivi e valori negativi, ossia valori maggiori e
minori di /*(0, 0) — , e /* non è nò massima né minima.
Lo stesso errore è commesso dal Bertrand, Calcul^ ecc., pag. 504 ; Todhunteb,
Calcolo^ N. ^9, ecc.
N. 141 e segg.
Gran parte dei teoremi sulle variabili complesse furono enunciati ed ordinati
da Gauchy, Anal. Alg.^ chap. VII e segg.
N. 145.
La moltiplicazione di due serie infinite è pure valida sotto altre condizioni.
V. N. 160 in fine ; Pringsheim, Multiplication bedingt convergirenden Reihen,
Math. Ann., XXI; Mertens, Creile, Bd. 79, pag. 182.
N. 146.
Le relazioni fra le funzioni trigonometriche ed esponenziali sono dovute a
Oio. Bernoulli, benché pubblicate la prima volta da Evi.BRO,\rntroductio, ecc.,
pag. 104.
N. 148.
m
V. per cenni storici sulle funzioni iperboliche una nota di Hoùel, Nouv. Ann.
1864, pag. 417.
N. 164.
T \» . . du dv du dv
Le condizioni -^ = -^-- e — z=z -^— sono necessane e sufficienti per l'esi-
stenza della derivata. Le condizioni -j~r + ~;5 — = ^» ^^ analoga 'per la t?,
sono pure necessarie, ma non sufficienti, come per inesattezza dice il Kónigsbbr-
OBR, Th. d . Elliptischen Funct., Leipzig 1874, pag, 17 e 18.
— XXXI —
N. 160.
Il teorema a pag. 238 fu enunciato e dimostrato da Abbl, (Euvres, I, pag. 223.
La dimostrazione del testo è identica a quella di Abei. Generalizzò alquanto
questo teorema Frobenius, Cromale di Orette, voi. 89, pag. 262.
N. 168.
L'integrazione delle funzioni algebriche razionali mediante la decomposizione
in frazioni parziali è dovuta a Gio. Bbrnoulli, Opera omnia, 1. 1, p. 393. La
teoria fu in seguito perfezionata, e semplificate le regole per determinare i nu-
meratori costanti (che secondo BernouUi sono determinati facendo sparire i de-
nominatori, ed eguagliando i coefficienti delle stesse potenze di a;), da Eulero ,
Caucht, ecc.
N. 174.
La decomposizione della frazione . . . . nelle frazioni semplici è stata
trattata da Eulero, voi. I delle Mémoires de Pétershourg (an. 1809), e Iniro-
ductio in Analysin, I, pag. 23 ; Grellb, voi. IX e X del suo giornale ; Glàusen,
voi. Vm dello stesso; Jacobi, id., voi. XV, pag. 108. V. anche Trudi, Giornale
di Matem., voi. 2o, pag. 225, e Baltzer, Determinantenj Leipzig 1875, pag. 109.
La decomposizione deirintegrale d'una funzione razionale nella sua parte ra-
zionale, e nella trascendente, come è fatta in questo numero, è dovuta ad Hbr-
mite, NouveUes Annales, 1872, pag. 145, e Annales de V Ecole norm. sup.,
2»« serie, 1872, tomo I, pag. 214.
N. 198.
Questa definizione dell'integrale definito ò equivalente a quella data da Rie-
MANN, Ges, Werhe, pag. 213; ma il considerare l'integrale definito come il
limite inferiore di certe somme, e limite superiore di altre, pare alquanto più
semplice che il considerare l'integrale come il limite verso cui tende una somma.
Le quantità S^ ed S^ furono già introdotte da Y. Volterra, Suiprincipii del
calcolo integrale^ Giornale di Matematiche, XIX. Una dimostrazione elementare
della proposizione che se Siz=.8^, il loro valore comune sia il limite verso cui
tende la somma del N. 192, Goroll. (e che qui non è riportata), fu data da me
in una nota negli Atti dell' Acc. delle Scienze di Torino, Aprile 1883.
— xxxn —
N. 194-197.
Delle quattro proposizioni del N. 194, le tre prime, che già trovansi in Euclide,
bastano a riconoscere Teguaglianza o diseguaglianza delle aree piane poligonali.
La quarta, di cui implicitamente anche Euclide si serve, è nettamente enunciata
come postulato più volte da Archimede nei libri Della sfera e del cilindro,
postulato 5<>, Delle spirali, nella prefazione, e specialmente nella prefazione alla
qtuidratura della parabola, ed essa è necessaria per decidere dell^eguaglianza
di aree non decomponibili in parti sovrapponibili. Y. Stolz, Zur (xeometrie
der Alien, insbesondere ùber ein Axiom des Archimedes. Math. Ann., XXIL
y. anche De Zolt, Principii della egìmgUanza di poligoni, Milano 1881.
Indipendentemente da ogni postulato, supposto di saper misurare ogni area
piana limitata da un poligono, risulta dal N. 195, che preso ad arbitrio un
numero maggiore di j f{x)dx, si può formare un'area poligonale- misurata
J a.
da questo numero, e contenente nel suo intemo Tarea in questione, e preso un
numero minore di quell'integrale, si può formare un'area poligonale misurata
da questo numero e contenuta nell'interno dell'area data. Analogamente pei
volumi, ed archi di linee.
N. 200.
Lo sviluppo in prodotto infinito di -p-, primo esempio di prodotti infiniti, fix
dato da Wallis (1616-1703), Arithmetica infiniiorum.
G. Peano.
CALCOLO DIFFERENZIALE
CAPITOLO I.
. /
Dei Numeri e delle Quantità.
1. Le quantità in Analisi si misurano e si rappresentano con
numeri. Un numero è intero se risulta dall'unione di più unità,
fratto se risulta dall'unione di unità e parti aliquote di unità. I
numeri interi e fratti diconsi commensuràbili.
2. Un numero commensurabile a divide tutti i numeri commensu-
rabili in due categorie : numeri minóri di a é numeri non minóri
di a (ovvero numeri non maggiori, e numeri maggiori di a), ed ogni
numero della prima categoria è minore d'ogni numero della seconda.
Viceversa, se tutti i numeri commensurabili trovansi divisi in due
categorie, in modo che ogni numero della prima sia minore d'ogni
numero della seconda, ammetteremo, 'estendendo il concetto di nu-
mero, che esista un numero non minore d'alcuno di quelli della
prima categoria né maggiore d'alcuno deUa seconda ; e se nessun
numero commensurabile gode di questa proprietà, diremo tncomr
mensuràlHle il numero cosi definito. Esso sarà maggiore di tutti
quelli della prima categoria, e minore di tutti quelli deUa seconda.
Cakolo d^rtnjrìaU, 1
— 2 —
Due numeri incommensurabili diconsi eguali se sono definiti dalle
stesse categorie, ossia se ogni numero commensurabile minore del-
l'uno è pure minore dell'altro, e viceversa ; il numero incommen-
surabile a si dirà minore di &, se esistono numeri commensurabili
maggiori di a e minori di &.
3. Finora considerammo i numeri in valore assoluto ; unendovi
il concetto di direzione si hanno i numeri posittvi e negativi. U
lettore già deve conoscere il modo di eseguire su essi le operazioni
algebriche, e le loro proprietà ; ed è specialmente per ben fissare
il concetto, fondamentale nelle nostre ricerche, dei numeri incom-
mensurabili, che si è ricordato quanto precede. Più tardi compari-
ranno i numeri immaginarli.
4. Sono misurabili (con numeri positivi) le grandezze d'un sistema
tali che : 1^ se ne sia definita l'uguaglianza e la disuguaglianza —
2^ di due grandezze disuguali si possa riconoscere la maggiore dalla
minore — 3° che si sappiano sommare, e si sappia sottrarre la minore
dalla maggiore — 4^ che ogni grandezza si possa dividere in* parti
eguali -Tt5;* Q^fijé ogni grandezza A, ripetuta un numero conveniente
di volte, possa superare ogni altra grandezza B; e quindi che una
parte aliquota di B possa rendersi minore d'c^ni altra grandezza A,
Per eseguire questa misura, si prenda ad arbitrio nel sistema
dato una grandezza U, che diremo unità di misura; essendo le
grandezze sommabili e divisibili, si potranno immaginare tutte le
grandezze nU, n essendo un numero commensurabile. Sia A} nnà
griandezza qualunque del sistema ; o esisterà un valore di n ^-a;
tale che A=aU, ed a è il numero che misura A ; ovvero nòil
esisterà, ed allora, in virtù dell'ipotesi 5% sonvi dei valori di n per
cui nU<Ay ed altri per cui nU > ^; il numero (incommensu*
r^Jiile) maggiore dei primi e minore dei secondi valori di n sarà il
numero che misura A. Due grandezze Ae B disuguali sono misurate
da numeri a .e & pure disuguali ; invero, se -4 < ^, la differenza
B — ^ è misurata da un numero positivo (non nullo) ; ma questo nu*
mero vale 6 — a, dunque & — a è positivo, ed a e & sono disuguali
— 8-
5. Fra le grandezze che compaiono in varie adente alcime.90d-
dis&nno in modo evidente alle condizioni precedenti, e soìio nUsu-^
rabili, come lunghezze di segmenti rettilinei, intervalli di tempp, eoe.
Altre come le aree di superficie, le lunghezze di archi curvilinei, eoe.,
esigono, per potersi misurare, opportune definizioni e dimostrazioni.
Delle Funzioni e dei Limiti.
6. Nelle questioni che tratteremo, possono comparire delle quan-
titÀ cui si suppongono attribuiti valori determinati e fissi, e diconsi
costanti, ed altre che si suppongono poter assumere diversi valori,
e diconsi variabilL Fra le variabili ve .'né 'sonò di quelle, cui. noi
possiamo attribuire ad arbitrio successivamente diversi valori, ^.di-
consi variabili indipendenti, ed altre i cui. valori, dipendono dai
valori dati alle prime, e diconsi variabili dipendenti o funzioni
delle prime.
Noi tratteremo dapprima le funzioni d'una sola variabile indipen-
dente, e diremo che : una funzione y dixè data in un intervallo
(a, b), se ad off ni valore di x compreso fra a e b corrisponde un
valore unico e determinato per y — qualunque sia il mezzo eli
determinarlo. -, ' . , ::./::; ^ . ,.., ..
Cosi ad esempio x* è funzione definita di ^ pes* (^nitVflQBre dii^^
e quindi è data in ogni intervallo; i/.oo, intendendo P^ radice' la
radice aritmetica di j?, è data per tutti i valori politivi di oc ; invece
*T — h-o'+-3 — [-"••H — è funzione di x definita per i soli valori
interi e positivi della variabile, ecc.
Si suole indicare che y è una ftinzione di co scrivendo V = f{cc) ;
f{cL) rappresenta il valore della funzione corrispondente al valore a
della variabile. Altre funzioni di x si rappresenteranno con 9 (x)
f (a?).... Una notazione analoga serve anche per le funzioni di più
variabili ; cosi ¥{x, y, z) significa una funzione delie tre variabifi
X y z, ecc. . • - - '""^
— 4 —
7, Dicesi che col tendere <U x "oerso a, y = f (x) ha per limile A^
se, fissata una q%umtità piccola ad arbitrio €, si può determinare
una quantità Yl tale che per ogni valore di x, c?ie differisca da a
Tneno di h, sia f(x) — A in valore assoluto minore di €.
Dicesi che col crescere indefinitamente di x, j = t{±) ha per
limite A, se, fissata una qitantilà piccola ad arbitrio €, si può^
deterìnfnare un numero N tale che per ogni valore ti^ x > N
sia f(x) — A <^ in valore assoluto.
Si suole indicare che f{x) ha per limite A col tendere di x verso a,
o col crescere indefinitamente di a? scrivendo \imf{x)x=a=^Ay ov-
vero lim /'(a?)»=oo = -4, od anche più semplicemente lim /"(a?) = -4^
quando si possa sottintendere il modo dì variare di x.
Se non esiste alcuna quantità A che goda della proprietà enun-
ciata, si dice che f{x), col tendere di x ad a, o col crescere inde*
finitaniente di x, non tende verso alcun limite.
Cìosi, ad esempio, x* col tendere da a? a ha per limite 0, perchè,
preso ad arbitrio €, sarà x* — = a?* < e per ogni valore di a? < l/ e ;
yTx col tendere di a? a ha pure per limite 0, perchè sarà
1
]/x — < € per ogni valore di a? < e* ; IH — col crescere inde-
X
finitamente di a? ha per limite 1, perchè la di£ferenza fra la fun-
i i
zione ed i, che è —, sarà minore di e per ogni valore di a? > — ; se
X e
f{x) ha un valore costante l pei valori di x sufficientemente pros-
simi ad a sufficientemente grandi, col tendere di ^ ad a, ovverà
col crescere indefinitamente di a? il limite di f{x) è il valore costante
l, perchè la differenza f{x) — l è per quei valori di x nulla, e
quindi minore d'ogni quantità e , il che si esprime dicendo che una
costante ha per limite sé stessa ; ecc.
•Affinchè si possa parlare del limite di y per a?= a, o per x cre-
scente indefinitamente, occorre che la funzione sia data per un
sistema di valori di x prossimi quanto si vuole ad a, o grandi
quanto si voglia. La funzione può essere ovvero non data per x=a;
se f{a) è dato, escluderemo, parlando di limite, il valore a fra quelli
che può assumere x; onde si deduce che lim f(x)x=a può essere
— 5 —
diverso da f{a), perchè f{a) non dipende dai valori di f{x) per x
prossimo ad a, mentre da questi solamente dipende il limite di f{x).
8. Dicesi che fl[x) è funzione continua per x=Xo, se lim f(x)=f(Xo),
'Quando x tende verso Xq. E, ricordando la definizione del limite :
< dicesi che f{x) è continua per x = x^y se, fissata ad arbitrio una
quantità €, si può determinare un intervallo a?o — h, x^-^h in
modo che per ogni valore di a? in esso sia in valore assoluto
f(p(!) — f(Xo)<e ».
Una funzione dicesi continua in un intervallo (a, b), se è con*
iinua per tutti i valori di x in questo intervallo.
Una Ainzione non continua dicesi discontinica ; quindi f{x) sarà
-discontinua per x = x^ se col tendere di x ad x^ f{x) non tende
verso alcun limite, ovvero, tende verso un limite diverso da fix^).
Teoremi sui Limiti.
9. Teorema I. — Una quantità non può tenderle contempora-
neamente verso due limiti diversi.
Infatti pongasi per assurdo che una quantità P funzione di x
tenda contemporaneamente verso due limiti A e B diversi. Posto
P=A + a, P = 5 + p, a e p, che sono le difierenze fraP ed i
suoi limiti ^ e ^ si possono rendere tanto piccoli quanto si vuole;
e dall'eguaglianza -44-a = ^ + P si ricava A — B = ? — a, egua-
glianza impossibile, se A e B sono diversi, perchè il membro di
sinistra è costante e non nullo, ed il membro di destra si può ren-
dere tanto piccolo quanto si vuole.
10. Teorema II. — Il limite della soìrmia di più qtmntità, che
abbiano tutte limite determinato, esiste ed è tcgtmle alla somma
dei limiti.
Sia infatti t/ = t/i + 1/« + - + t/n e supponiamo che i/„ t/i» - 1/»,
funzioni d'una variabile x, abbiano per limiti a», a,, ... On quando
^ tende verso a. Posto
y^=a^-{^■a^\ y^=^a^ + a^; ... y» = an + an,
— 6 —
a^ ... On SODO quantità che si possono rendere tanto piccole quanto si
vuole. Sommando si avrà : y = ( a^ + a, ... -j- «n ) + ( a^ + - cu )
ossia y — ( a, 4- ... On ) = a^ + ... an. Fissiamo ora e quantità piccola
ad arbitrio e prendiamo x tale che ogni a sia < — allora sarà a. 4-
... + an < e, t/ — (^1 + -^ ) < €, ossia lim y=a4 + ... + an.
1 1. Teorema IH. — Il limite del prodotto di più qiumtttà aventi
limiti determinati esiste ed è tigtmle al prodotto dei limili.
Sia |/=PQ dove P e sono funzioni di x aventi limiti deter-
minati A ^ B, allora P-=A-\-aj Q = 5 + p dove a e p possono
prendersi minori di qualunque quantità piccola quanto si voglia.
Sostituendo avremo: y = (A + a)(B + p) = ^5 + Ap + -^a + ap
donde y — ^5 = Ap + 5a -f «p.
Fissiamo una quantità € piccola ad arbitrio e si dia ad x un va-
lore tale che ^p <— (basterà porre p <-^ ) 5 -Sa < -q (« ^ "op I
e finalmente ap <— (basterà prendere a < ^ JL^p <^I/^ );èchiaro
che a e p possono soddisfare a tutte queste condizioni ed allora
sarà y — AB < e ; ossia lim y = AB.
Se y = P QRS .... sarà lim t/ = lim P . lim Q JU fif ... = lim P .
lim Q . lim ^ iS ... = = limP.limQ.limi2.1im S , il che
dimostra il teorema qualunque sia il numero dei fattori.
12. Teorema IY. — Il limite del quoziente di due qtcanlità
aventi limiti determinati, il limite del divisore essendo diverso
da zerOy esiste, ed è uguale ai quoziente dei limiti,
p
Infatti sia yz=z~^ lim P = -4, e lim Q = 5, e 5 5 0; posto
P = A + a,0=5 + p,sarà^-|=^^.Dicansi^,5,a,p,
i valori assoluti di ^, ^, a, p ; potremo supporre p numericamente mi-
nore di una quantità h<B^\ -S+P sarà numericamente maggiore
di B^ — hy ed il valore della frazione < ' /p ' Vv *> ^ quale quan»
Bi (B^ — h)
tità si può supporre minore d'una quantità arbitraria € col sup-
— 7 —
13. Teorema V. — Se una quantità è sernpre compresa fra
due altre che tendono verso uno stesso Umite, anche la prima
tende verso questo limite.
Infatti se P e Q sono due variabili che tendono verso ^, edi? è
sempre compreso Arai P e 0, sarà anche R — A compreso fra P — A
e Q — -4 ; e se si rendono P — A e Q — A minori di € sarà anche
R — A minore di €, ossia R ha per limite A.
14. Teorema VI. — Se col crescere continuamente di x, y cresce
continuamente, ma mantenendosi sempre inferiore ad tma quan-
tità A^ y tende verso un limite che è o A stesso^ o una quantità
minore di A.
Infatti tutte le quantità si posscmo distinguere in due categorie :
(juantità che possono essere superate dai valori di y^ e quantità
che non ne possono essere superate ; appartengono alla prima le
quantità minori dei valori di y^ alla seconda la quantità A ; ed ogni
numero della prima categoria è minore d'ogni numero della seconda;
onde queste due categorie individuano un numero L che non viene
mai superato dai valori di t/r e tale che ogni numero minore di L
è superato da valori di y ; dico che X è il limite verso cui tende y
col crescere di x. Invero, fissata una quantità ad arJ)itrio €, il nu-
mero L — € è superato da qualche valore di y, e quindi anche
dai valori successivi, vale a dire da un certo valore di a? in poi
è L — €<!/<£, ossia la dififerenza y — L si conserva minore
di €, e. V. d.
16. Teorema VII. — Se^ col crescere indefinitamente di x, y = f(x) tende verso
un limite, fissata una quantità piccola ad arbitrio €, si può determinare un
numero N tale che la differenza f(x) — fi[xO, sia sempre minore di eper tutte
le coppie di valori di x e af non minori di N.
Invero, sia A il limite di y; si prenda N tale che per ogni valore
— 8 —
di <» ^ di N sia f{x) — A <-g- ; sia a?' un altro valore Si N ; sarà cinclie
/'(a?0-A<-Ì; e f(cc)^f{x^<:^, e. v. d.
Teorema VIIL — Se fissata una quantità piccola ad arbitrio e, si può deigr^
minare un numero N tale che la differenza f(x) — {(jf) sia sempre •< € per
ttUti i valori di x e di x* non minori di N, col crescere indefinitamente di x,
f(x) tende verso un limite.
Infatti, diamo ad e i valori decrescenti indefinitamente €| >> Ci >> €3 >... e
siano iVj N^ N^.., i valori corrispondenti di N. Dando ad a; un valore > N^ , sarà
f(iD)^f(Ni) minore in valore assoluto di e^, ossia f(x) sarà compreso fra
f(Ni) + €i ed f(Ni) — €| , che dirò a^e 0^; dando ad d? un valore > N^ , f(x
sarà compreso fra f(N^ + €2 ed f(N^ — c^ ; e quindi, dando ad x valori mag-
giori di iVi ed N^ f{x) sarà minore della più piccola delle due quantità ai e
f{N^ + ^2 , che dirò a, , e maggiore della più grande delle quantità b^ e f(N^
— €{ , che dirò ftj ; onde per questi valori di x sarà a^ > f{x) > 6j , ed ai ^ a^ ,
^1 = &s 9 e (H — &s s ^ ; ÙL modo analogo, per tutti i valori di a; > Ni , Nf ,.N3
sarà f(x) compresa fra la minore delle due quantità a^ e f{N^ + €3 * che dirò a^ «
e la maggiore delle due b^ e f(N^ — 63, che dirò b^\ cosi continuando si avrà
una serie di quantità axO^a^ ... che, quando variano, decrescono continuamente,
ad un'altra serie &i&«^ ... che crescono continuamente, in modo però che le prime
sono sempre maggiori delle seconde ; e quindi le a e le & tendono verso limiti,
che sono gli stessi, perchè, essendo an — &n = Se» , sarà lim On = lim bn ; ed f{x)y
sempre compresa fra le a e le &, tenderà pure verso lo stesso limite e. v. d.
16. Una quantità variabile dìcesi infinitesima se ha per limite
zeroi In una stessa questione possono comparire diversi infinitesimi,
e si sogliono paragonare fra lóro ; si dice che due quantità a e p
sono infinitesime dello stesso ordine se il loro rapporto tende verso
un limite finito e diverso da zero ; si dirà che a è infinitesimo di
ordine minore di p se — ha per limite zero, e quindi che a è in-
p
a
finitesimo d'ordine maggiore di p se — cresce in valore assoluto
p
indefinitamente.
Fra i diversi infinitesimi che compaiono nella questione si suol
sceglierne uno ad arbitrio, cui si dà il nome di infinitesimo prin-
cipale, e sia h; si dirà che un altro infinitesimo a è di ordine n
— 9 —
se tende verso un limite finito diverso da zero il rapporto — . Cosi
ad esempio seno; è infinitesimo di primo ordine prendendo x per
sen^
infinitesimo principale, perchè ha per limite 1, come vedremo;
e 1 — coso; è infinitesimo di secondo ordine, perchè
1 — cosa? 2sen* ^x 1 / sen -yx \ _ ,. .^ 1
-^ = -V-= ^V^F^ j ha per limite -.
Si dice che y = f{x) diventa infinita per x = a se col tendere
di a; ad a i valori assoluti di y crescono indefinitamente, e quindi
i
è infinitesima. Anche per gli infiniti si può parlare di ordini,
ed una quantità a si dirà infinita di órdine n rispetto all'infinito
principale ^ se — tende verso un limite, finito diverso da zei^o.
Una quantità variabile che tenda verso un limite finito si po-
trebbe perciò considerare come infinitesima d'ordine zero, ed una
quantità infinita come infinitesima d'ordine negativo.
Non è vero però che, prendendo ad arbitrio l'infinitesimo prin-
cipale, ogni altro infinitesimo sia di ordine misurato da un numero,
ossia, a ed h essendo due infinitesimi, non è vero che si possa
sempre determinare un numero n tale che — tenda verso un limite
finito, e ciò perchè può avvenire che il rapporto — per certi va-
lori di n possa non tendere verso alcun limite finito, né versò lo
zero, né verso l'infinito, ed allora non possiamo dire se l'ordine di
a sia maggiore o eguale, o minore di n; inoltre, anche supposto
che questo non si presenti, perchè può avvenire che ^ qualunque
* fu
sia n tenda sempre verso zero, o sempre verso oo, od anche che
esista un numero m tale che per n<m quel rapporto tenda a
zero, per n> m tenda ad oo, senza che per n = in tenda ad un
limite finito.
— 10 —
Teoremi sulle Funzioni continue.
17. Teorema I. — Se una funzione è continua per x = Xo ^
f (x^) è diverso da zero, essa conserva un segno costante nelle
vicùianze di x«.
Infetti posto : f{x) = f{x^ -}- a se f{x^ è diverso da zero po-
tremo determinare un intervallo comprendente x^ tale che per ogfA
valore di a? in questo intervallo sia : a < {\x^ in valore numerico.
Allora f{x^ 4- a ossia f{x) avrà costantemente il segno di f[x^.
18. Teorema n. — Se una funzione è continua in un certo
intervallo (a, b) e per x = a « per x = b assume valori di segno
contrario, la funzione f (x) si annulla per un valore di x comr
preso tra di eh.
Infetti si consideri il valore medio fra a e &; se per esso f{x)
non si annulla, nel qual caso sarebbe dimostrato il teorema, fiai)
assumerà un certo segno che sarà o quello di f(a) o quello di f(p)\
si consideri fra i due intervalli in cui si è diviso (a, V) quello alle
cui estremità f{pc) assume s^ni contrarli, e diconsi a^Qh^ì limiti
di questo intervallo ; sarà
ed il nuovo intervallo sarà la metà del primo. Si ragioni sull'inter-
vallo a^ &4 come si è ragionato sull'intervallo a &, e si troverà un
intervallo a^ &, ai cui estremi f{x) assume valori di segno contrario.
Giosi continuando, si troverà una serie di intervalli a b, a, &, , a^b^,
... On &n , ... in numero che si può rendere grande ad arbitrio
(ove non si trovi un valore per cui f{x) si annulli, ed il teorema
resterebbe dimostrato) che soddisferanno alle condizioni :
a ^ a^ ^ a^ .... i^ a^ ^ .•*. ù — u^ — o^ ^ •••• .^ On ^ ..•>'
— li-
ed in generale :
^n — Oh = -g;^ .
La serie delle quantità a, a^ , a, .... On, crescenti sempre ma tutte
inferiori a &, tendono verso un limite; analogamente le quantità
&, d« y ì)^ ì>n decrescenti sempre , mantenentisi però superiori ad
a, tendono verso un limite col crescere di n, e Tultima formola dice
che lim On = lim bn .
Detto cOi il limite comune delle quantità a e delle quantità &, si
potrà prendere n cosi grande che On differisca da x^ di una quan-
tità minore di € piccolo quanto si vuole, e che &n differisca pure
da a?, di una quantità minore € ; vale a dire in un intervallo co-
munque piccolo ma finito comprendente oo^, sonvi valori di a? per
cui f{(v) è positivo, ed altri per cui f{x) è negativo. Dovrà adunque
essere f{Xi) = perchè se /"(a?,) fosse diverso da 0, la funzione f{cc)
non assumerebbe in un intervallo sufficientemente piccolo compren-
dente cc^ valori di segno contrario ; quindi è dimostrato il teorema.
10. Teorema III. — Se f (x) è continua neWintervaUo (a, b), e
f (a) = A, f (b) = B, variando x nelTintervaUo (a, b), f (x) assume
ogni valore compreso fra A e B.
Infatti sia K una quantità compresa trsi Ae B e supponiamo,
p. e., che:
A <K <B.
Pongasi F{x)~f{x) — K; si avrà F{a) = A — K<0, e
F{b)z=zB — K>0, e poiché la flinzione F {x) continua assume per
A? = a, e per a? = & valori di segno contrario, esisterà un valore
x^ di X compreso fra a e & per cui F {x^ = 0, ossia f{x^ — -K'= 0,
ed f{x^ = K, t. V. d.
20. Dicesi limite sttperiore dei valori d'una quantità variabile y una quan-
tità / non minore d'alcuno dei valori di t/, ma tale> che ogni quantità minore
di l possa essere superata da qualche valore di y. Dicesi che l' è il limite in-
feriore dei valori di y se nessun valore di y è minore di l\ ed esistono valori
dì y minori d*ogni quantità più grande di V
— 12 —
Teorema. — Se una qtumtità variabile y assume valori minori di una qtuuv-
tità fissa A, esiste un limite superiore dei valori di y (eguale o minore di A).
Infatti tutti ì numeri trovansi divisi in due categorie: numeri che possono
essere superati da qualche valore di y, e numeri che non ne possono essere
superati; ogni numero della prima categoria e minore d^ogni numero della se-
conda; quindi queste due categorie individuano un numero l non minore di
alcuno di quelli della prima, né maggiore di alcuno di quelli della seconda ca-
tegoria; l sarà il limite superiore dei valori di y. Invero l non può essere
superato da alcun valore dì y, perchè se a fosse un valore di y, ed a >> ^,
ogni numero compreso fra a ed ^ apparterrebbe alla prima categoria, e quindi
non è vero che l non sia minore d'alcun numero di essa ; ed ogni numero
minore di l appartenendo alla prima categorìa può essere superato da qualche
valore di y.
In modo analogo si dimostra che :
Se una quantità variabile y assume valori maggiori d'una quantità B^
esiste un limite inferiore dei valori di y.
Teorema. — Se \ è il limite superiore (inferiore) dei valori di f (x) quando
X varia in un intervallo finito ab, esiste un valore X| compreso nello stesso
intervallo, tale che in ogni intervallo comunque piccolo comprendente Xf nel
suo intemo il limite superiore {inferiore) dei valori di f (x) è ancora 1.
Infatti si divida Tintervallo a & in due parti eguali ; il limite superiore dei
valori f(oo) in ciascheduno di questi intervalli esiste, non è maggiore di Z, ed
in uno è eguale ad l ; si divida Tintervallo a^ b^ in cui il limite superiore di
f(x) è ancora l in due parti eguali, e così via.
Si avrà una serie di quantità a aia^ .... sempre crescenti quando variano, ed
un'altra serie di quantità b &| b^ .... decrescenti, ma non indefinitamente, e quindi
tendono verso imo stesso limite Xi.
Si prenda ora un intervallo a7| — e o^i -|- €' contenente nel suo interno a?| ;
esisterà un valore di n per cui a:| ^ € < a„ < a?! < 6„ < a?i + €' ; e siccome
il limite superiore dei valori di f(x) neirintervallo a^ b^ è Z, anche il limite
superiore dei valori di f(x) in ogni intervallo contenente x^ nel suo intemo è
ancora l, e. v. d.
Si dimostrerebbe nello stesso modo che:
Se non esiste limite superiore (o inferiore) dei valori di f (x) quando x
varia nell'intervallo (a, b), esiste un valore Xi compreso in questo stesso in-
tervallo tale che in ogni intervallo comunque piccolo comprendente X| nel
suo interno manca il limite superiore (o inferiore) dei valori di f (x).
— IS-
SI. Dioeei che una funzione f{x) diventa massima relativamente ad un in-
tervallo (a, b) per x = ìCq se /*(«o) ^o^^ ^ minore d^alcun valore di f(x) nello
stesso intervallo. Dicesi che f{x) diventa minima per x =: Xq relativamente
allo stesso intervallo se fix^) non è maggiore d*alcun altro valore di f(x) nello
stesso intervallo.
«
Teorema. — Se f (z) è funzione contifitta neU* intervallo (a, b), esiste un
Utnite superiore ed un limite inferiore dei valori di f (x) che ne sono anche
U massimo ed il minimo.
Infatti, si neghi l'esistenza del limite superiore dei valori di fipci)^ esisterà un
valore x^ compreso nell'intervallo (a, b) tale che in ogni intervallo compren-
dente x^ nel suo intemo manca il limite superiore dei valori di f{x) ; ma f(x)
essendo continua anche per a? = a?^ fissata ad arbitrio €, si può determinare
un intervallo x — A, a; 4- ^ in modo che per ogni valore di a? in esso sia
f{x) < f{xi) + €, e quindi esiste un limite superiore dei valori di f{x) in un
intervallo comprendente x^ nel suo intemo, il che è contradditorio coU'ipotesi
precedente. Dunque esiste un limite superiore dei valori di f(x) in questo in-
tervallo, e sia /; si vuol dimostrare che fix) assume anche il valore l. Sia a;^
quel valore di x tale che in ogni intervallo contenente a7j nel suo interno il
limite superiore è ancora l; fissato piccolo ad arbitrio e, si può determinare
un intervallo a?i— A, x^ -f A, tale che per tutti i valori di a? in esso fix) — f{x)
è minore di e; inoltre, avendo l il limite superiore dei valori di f{x) in esso,
esisteranno dei valori di a? in questo intervallo che differiranno di meno di e
di ^, quindi l — f{x^ deve essere minore di 2 € ; e siccome € è piccolo ad
arbitrio, ciò non sarà possibile se non quando f{xx) = ^, e. v. d.
In modo analogo sì ragionerebbe pel limite inferiore, e pel minimo.
Teorema. — Se f (x) è continua nélV intervallo (a, b), fissata una quantità
piccola ad arbitrio 6, se ne può determinare un'altra h tale che per ogni
coppia di valori x ec? x' della variabile^ la cui differenza sia minore di h,
f (x) — f (x') è minore di e.
Sia a<Cb; si determini ai > a tale che per ogni valore di x compreso fra
a e ai sia f{x) — f(a) < -=- ; poi una quantità a, > ai tale che per ogni va-
lore di x compreso fra aj e a^ sia f{x) — f(ai) < -s"» ® ^^^^ v^^» ^^ ^^® ^ P^^
sibile, perchè f{x) è continua neirintervallo a b. Si avrà una serie di quantità
a ai O) .... crescenti continuamente. Dico che esse possono crescere in modo tale '
da raggiungere b. Invero lo si neghi ; le quantità a a^ a^ .... tenderanno verso
un limite eguale o minore di &, e sia e. Si determini un intervallo c~^o, e
— 14 —
tale che f{as) ^»f(c)<C -^ per ogni valore di or in esso ; le quantità a a^ —
avendo per limite e, se ne troverà una or contenuta in questo intervallo, e
sarà f{ar) — f{c) < —^ , e x essendo contenuto nell* intervallo {or, e) sarà
anche f(x) — f(c) < -—, e quindi f{x) — f{ar )< « , e posso porre or+issac;
vale a dire e può essere raggiunto da qualche valore della a,' ossia effettiva-
mente si può dividere Tintervallo a 6 in altri intervalli in numero finito
a ai a^Of .... on^i b tali che x essendo compreso nelFintervallo (ot.oc+i) sia
f(x) — A^ ) <1 -q" • Sia h il più piccolo di questi intervalli; dico che
f(x) — f{x^) <£ se x-^x' <^h; invero x ed x' saranno o contenuti in uno
stesso intervallo (og, a#+iX ed allora f(x) ^fios ) <— I- , f{so^ — /*( «t )< -f-
3
26
e f{x) — f{x^ •< — ;7— < €; ovvero sono contenuti in due intervalli contigui
(ot— 1, ot) e (a$, Of+i), e quindi
f{x) - /-(a,-!) < -i., fioi^i) - f{as )< -3- , A^O - fi^i X -5- '
e f(x) — f(x') < €, e. V. d.
22. Le funzioni d*una variabile si so-
. gliono rappresentare geometricamente
con curve. Sia y = f{x) una ftanzione
di X data in un intervallo (a, &); segnati
due assi cartesiani a? ed 1/, si dia ad
X un valore qualunque compreso in
questo intervallo, e sia ilf un segmento
— y misurato dal numero x; si segni il
segmento MP parallelo airasse delle y»
e misurato dal numero f (x) ; variando x nell'intervallo (a, ò\ M
varierà fra i due punti -4' e ^ le cui ascisse sono a e 6 ed il punto
P assumerà infinite posizioni, che diremo formare una linea A B.
Se la funzione f{x) è continua, anche la linea è continua, ossia,
fissato ad arbitrio € si può determinare un arco PP' di curva
tale che le distanze dei suoi punti dal punto P siano minori di € ;
invero si ha che PP'<PO + QP', e siccome P Q si può pren-
dere piccolo ad arbitrio, e QP', che rappresenta Tincremento della
f unzicM^ si può pure rendere piccolo ad arbitrio, perchè la funzione
è continua anche P P' si può rendere piccolo ad arbitrio.
— 15 —
Viceversa, se si ha una curva continua riferita ad assi cartesiani
tale che ogni parallela all*asse delle y la incontri in un punto solo»
questa curva dà luogo ad una funzione continua. Invero dando ad
X un valore qualunque, si avrà un valore corrispondente per y ;
e siccome QP' < P P* (supposti gli assi ortogonali) e P P' si può
rendere piccolo ad arbitrio, si potrà pure rendere tale Q P che
rappresenta Fincremento della flinzione.
Si noti però, che, avendo noi chiamato linea il sistema di punti
rappresentativi dei valori d'una funzione, non sarà lecito estendere,
senza dimostrazione, alle linee cosi definite le proprietà delle linee
che più comunemente si adoperano, e tanto meno poi di ricorrere
a queste proprietà per dimostrare dei teoremi sulle funzioni.
Esempi di Funzioni continue.
28. I teoremi dimostrati ai n^ 10, il, 12 dicono che la somma,
e il prodotto di finzioni continue sono pure funzioni continue ; ed
è pure funzione continua il quoziente di due funzioni continue,
purché non si annulli la funzione divisore. Quindi^ ogni funzione
algebrica razionale intera di x, che si ottiene eseguendo su a; e
su costanti delle addizioni e moltiplicazioni, è funzione continua per
tutti i valori di x. Le funzioni Adatte saranno continue per tutti i
valori di x per cui non si annulli qualche denominatore.
24. Funzione esponenziale. — Gonsideriame la i/ = a^ dove a è
un numero qualunque positivo. Ad ogni valore intero di x corri-
sponde un valore determinato per y ; se si dà ad x un valore
m
firatto — , a " ha, come si sa dall'algebra, n valori, di cui uno
solo reale e positivo ; sarà questo il valore che intendiamo rappre-
sentato con a' ; e se ad 0? si dà un valore Xq incommensurabile,
si assumerà per a** il limite verso cui tende a* , dove si diano ad
X valori commensurabili approssimantisi indefinitamente ad x^. Con
— 16 —
queste restrizioni, la funzione a* , detta esponenziale, è data per
ogni valore di x.
Essa è continua. Per dimostrarlo premettiamo che quando x tende
verso 0, lim a* = i.
Infetti, supposto dapprima a > 1 , essendo e una quantità positiva
piccola ad arbitrio, ed m un numero intero e positivo, che ci
riserveremo fissare, sarà soddisfetta la disuguaglianza a* < 1 + € se
posso determinare m in modo che (!+€)"*> a, e siccome
(14-e)" = l + m€+ **^7^^^' 6' +
ed i termini di questo polinomio sono tutti positivi , sarà
(! + €)« > 1 + m € ; quindi sarà soddisfetta la disuguaglianza pre-
cedente se i+me^a, ossia m S — ^^^— •
Diansi ora ad x valori positivi non maggiori di — = , ;
sarà a*>l, e a»<i + e> quindi per valori positivi sufficiente-
mente piccoli ài X, a* — 1 si può rendere minore di una quantità e
piccola ad arbitrio, ossia lim a* = 1 per x infinitesimo positivo. Se
a? è un infinitesimo ma negativo ed uguale a — y, sarà a* =
09 '
1
e col tendere di a? a 0, anche y tende a 0, o^ tende ad 1, ed — = a*
ha per limite 1. Lo stesso avverrà per a < 1. Infetti posto — = &,
sarà & > i ed a* = & -*, e col tendere di ^ a 0, &* e &-* tendono
verso 1 come Si è dimostrato.
Diamo ora ad x l'incremento h; l'incremento deUa funzione è
dz-t-h — Qx-=,Q% {^Qh — i)j Qpa a* ha un valore finito ed a* — i ha
per limite 0, quindi l'incremento della funzione è infinitesimo col-
l'incremento della variabile.
La disuguaglianza trovata : (i + e)"* > ^ per valori sufficien-
temente grandi di m, dice che una quantità 1 + e > i si può ele-
vare ad una tale potenza da superare ogni quantità grande quanto si
vuole. Quindi la funzione a* con a > 1, cresce, col crescere di a?,
— 17 —
al di là di ogni limite. La stessa quantità a^ , quando x tende verso
— cx>, cioè assume valori negativi, ma grandi quanto si vuole ,
tende verso 0, perchè, posto a? = — y,a^z=z , e col tendere di
X di — cx), 1/ tende a + oo, o^ ad oo, ed a zero. Se a < 1,
a* , col tendere di a? a + oo, tende a zero; e col tendere di a? a
— 00, tende a + oo.
Si è definito, quando x^ è incommensurabile, a^=^]ìmx=XQa^y e
per rendere del tutto rigoroso quanto precede conviene dimostrare
che questo limite esiste. Diansi perciò alla variabile valori com-
mensurabili X che tendono ad x^ crescendo ; se a > 1, a* andrà
crescendo continuamente, ma non indefinitamente, perchè, se af è
un numero commensurabile '>x^> x, sarà a*< a*'; quindi a* tende
ad un limite. Diansi ora alla variabile valori commensurabili xf che
tendono ad x^ decrescendo ; a»' va decrescendo continuamente, ma
non indefinitamente, quindi tende verso un limite ; e lim a*= lim a*',
perchè — =a*-* e, col tendere di ^r ed a/ ad x^, x* — attende
a zero assumendo valori commensurabili, e a*'-* tende ad uno,
perchè la dimostrazione precedente nulla lascia a desiderare se si
danno alla variabile valori commensurabili. Inoltre se x<x^<x'
sarà a*<a*o<a*'.
Se Xq ed x^ sono numeri incommensurabili, e XQ<x^y sarà ancora
w^<a^'y sempre supposto a<l; invero sia x un numero com-
mensurabile tale che x^< a? < a?, , sarà a«o< a* < a*i, e a*o< a*«.
Essendo x^ ed x^ incommensurabili sarà ancora a*o.a*»=a«<rH«i;
invero siano x ed a?, valori commensurabili che tendono a a?o e a?i;
sarà a*, a*' =«*-+■*', e passando al limite si trova la formola a
dimostrarsi, ecc.
25. Funzioni di Funzioni. — Alcune volte una variabile y è
legata ad una variabile x per mezzo d'una terza variabile u; cioè
si ha
y=:f {u) ed w = <p (a?).
Allora dato ad a? un valore x^ , u assumerà un valore u^ tale
Càkoh aprenMiaU. 2
— 18 —
che Wo = 9 (^o)» ed t/ 1111 valore y^ tale che i/o = T (^o) e si dice
che la y è funzione di funzione della co o funzione di x per mezzo
di u.
Se le funzioni /* e <p sono continue, anche la y, considerata come
funzione della x, è continua.
Infatti essendo f funzione continua di u, fissata una quantità
piccola ad arbitrio € sarà possibile il determinare un'altra quantità
e! tale che dando ad u un aumento minore di e' in valore assoluto,
sia l'incremento di y minore di e anche in valore assoluto; ed
essendo u = f {x) funzione continua di a?, si potrà fissare una nuova
quantità e", tale che, dando ad x incrementi minori di €", sia l'in-
cremento di u minore di e' e quindi quello di y minore di e, e. v. d.
Cosi, p. e., se t* è una funzione continua di x, e^ sarà pure
funzione continua di x.
26. Funzioni inverse. — Sia y=^f {x) funzione data e continua
della variabile a? in un intervallo ab, e sia f {a) = a e f {li) = P;
allora la funzione y assumerà ogni valore compreso fra a e p, ma
potrà assumerli più di una volta. Supponiamo che f (x) assuma
ogni valore fta a e p una volta sola. Aflinchè ciò avvenga, col
variare di a? fra a e &, y dovrà variare sempre nello stesso senso,
ossia andar sempre crescendo o sempre diminuendo; perchè altri-
menti essa assumerebbe più volte uno stesso valore. Allora fissato
un valore di y compreso tra a e P, esiste un valore unico e deter-
minato per X tale che f (x) = y, ed x, considerato come ftmzione
di t/, dicesi funzione inversa della f {x).
Se una funzione f{x) è continua, anche la sua inversa è continua.
Sia y=^f {x); dò ad y un valore y^ e cerco il corrispondente a?o
tale che 2/0 = /' (x^)- Fisso € piccolo ad arbitrio e faccio variare x
tra ^<, + € ed a?o — e; y varierà tra ?/, e y„ dove i/j ed y, sono
due valori comprendenti y; allora ad ogni valore di y compreso
fi:*a y^ ed y^ corrisponde un valore di x compreso fra o^o + € ed
a?o — €> la cui difierenza da x^^ è minore di €, onde x è funzione
contìnua di y.
— 19 —
27. Logaritmi. — Dicesi che 1/ è il logaritmo di a? in base a
se ai< = 0?, e si scrive y = Loga x. La base a è un numero positivo
diverso dall'unità. Ogni numero positivo ha il logaritmo corrispon-
dente, perchè, se a > 1, o^ col crescere dii/da — ooa + c»va
crescendo contìnuamente da ad 00 in modo da assumere sempre
ed una sola volta ogni valore positivo; la funzione esponenziale
•essendo contìnua, è pure tale la sua inversa.
Fra gli infiniti sistemi di logaritmi sono specialmente usati quelli
aventi per base e =lim (l +- — ) , i quali diconsi naturali (ne-
periani, iperbolici), e che indicheremo colla caratteristica log, ed 1
logaritmi in base 10, che diconsi decimali (volgari, di Brigg.).
Se u è (bnzione continua di a?, ed ha valori positivi, anche Logt^
é funzione continua di x. La funzione v^ , ove u e v sono funzioni
continue di ^, ed t« > 0, è pure funzione continua, perchè si ha
<5he t^ = €• ^^. Come caso speciale, se t? è costante = m, la fun-
zione u^y ove u è funzione continua e positiva, è ,pure continua,
qualunque sia rriy intero firatto incommensurabile, positivo o
negativo.
/ 1 \'"
28. Limite di li A — per m infinito. Diamo anzitutto ad m
\ ^ mi
valori interi e positivi ; si ha dalla formula del binomio di Newton
(^ , 1\"» , , 1 , nìlm—i) 1 , , m(m — l)...2.i 1
Ih — =i+m — — \ ^ — ; +.... H h—7: —
^ mi ' m' 1.2 m*' ' 1.2... m m*»
ohe potremo scrivere
(n-i)- = . + . + A(,_«)+j|_(._L)(._|)+....
+ 7^fl--lfl--)--(l-^
' 1.2....mv w/v m/ V mi
■dove tutti i termini sono positivi. Gol crescere di m tutti i termini,
a cominciare dal terzo, vanno crescendo, ed inoltre cresce pure il
loro numero ; onde (IH — ) col crescere di m va crescendo con-
\ ' mf
— 20 —
tinuamente. Ma, sostituendo l'unità aibinomii 1 , 1 , .... il
m m
.secondo membro crescerà di valore, ossia
\'+mì <^+^+r:2+i:2r3+-+rx::^
e se nel membro di destra invece dei divisori 3, 4, m metto 2'
avrò a fortiori
1 \"' ^ . 1 . 1 . 1
/ 1 \"» 11
2«-i
e sommando la progressione geometrica del membro di destra :
/ 1 \« 2 2»» 1
ed a fortiori
(t+-)"*<3.
V mi
Dunque l'espressione (IH — j , col crescere di m, cresce continua-
mente, mantenendosi inferiore a 3, e perciò tende verso un limite non
superiore a 3. Il limite di ( 1 + - j si rappresenta colla lettera e ;
vedremo più tardi dei metodi rapidi per calcolarne il suo valore,
le cui prime cifre decimali sono
e = 2,718281828459045
Biansi ora ad m valori positivi non interi ; sia n il più grande
intero minore di m sicché
n < m < n + 1
sarà
111 1 1 1
n m w-j-l n m n^-l
— 21 —
'e quindi
('+^r>('+^r>{'+„Tr.r
e siccome
('+èr>('+^r-«('+„4ir<(^+«V"
sarà a maggior ragione
('+^r>('+àr>('+„-i-j
ossia
Facendo crescere indefinitamente m, anche n ed n+1 crescono
indefinitamente, ed il primo membro ha per limite e, perchè
lim f 1 -| — j = e, e lira ( 1 ^ — j = 1^ e l'ultimo ha pure per li-
/ 1 \""*"^ / 1 \
mite e, perchè lim 1 + —j- | =e, e lim (1 + ^tt )=^» ^^^®
yi-\ — j , essendo compresa fra due quantità che tendono verso
uno stesso limite, avrà pure per limite e.
Diansi in fine ad m valori negativi ; e minori di — 1 affinchè
l'espressione abbia significato ; posto m = — n, n sarà positivo, ed
('+ir=('-^)""=(¥r=(;:^0"
=('+^)"=('+^)""'('+éJ
e facendo crescere indefinitamente m in valore assoluto, n cre-
sce pure indefinitamente, e, siccome lim (1-| j = g, e
limi 1-| J )=^» sarà ancora lim [1 -| — j =e,ossiaquest'espres-
— 22 —
sione ha sempre per lìmite e, qualunque siano i valori dati ad m
purché in valore assoluto crescenti indefinitamente.
1
Se si pone nelle formule precedenti m = — , col crescere indefi-
nitamente in valore assoluto di m, a tende verso zero, ossia la
quantità (l+a) * ha per limite e col tendere di a a zero.
29. Funzioni circolari. — Sia a? la lunghezza d' un arco di
cerchio AM, il cui raggio si assume per imita; sarà
MP = sena?, OP = cosa?,
diasi ad ir un incremento MM' ; il seno riceverà l'incremento QM^
ed il coseno l'incremento PP'; ma PP' e
QM' sono minori della corda MM', e del-
l'arco MM', e quindi, col tendere di MM',
incremento della variabile, a zero, tendono-
pure a zero gli incrementi del seno e del
coseno, ossia essi soìio funzioni continue
di X.
Le formule
sena;
tang X = ,
cosa?
cota?:
cosa? 1
, seca?= —
sena?
, coseca? =
cosa? sena?
dicono che anche le altre linee trigonometriche sono continue per
tutti i valori di a?, eccettuati, per la tangente e secante i valori
di a? che annullano il coseno, e per la cotangente e cosecante
quelli che annullano il seno, pei quali valori le funzioni diventano
discontinue passando per l'infinito.
Se t« è funzione continua di a?, anche senu e cosu sono firn-
zioni continue di a? (N. 25).
La funzione inversa del seno si chiama arcoseno ; quindi
l/ = arcsena7 se a? = seni/. Facendo variare y fra — | e -j-o >
a? = sen y va crescendo con legge di continuità da — 1 a + 1 ;
quindi ad ogni valore di a? compreso fra — 1 e -f-l corrisponde una
— 23 —
ed un sol valore di i/ = arc8en^ compreso fra — | ^+^- ^^^^
però non è il solo arco il cui seno sia Xj perchè anche gli archi
arcsena?+2/tiT, e (2/t+l)TT — arcseno? hanno pure per seno a?.
Se 07 > 1 in valore assoluto, non esiste alcun arco il cui seno sia x.
Intendendo adunque per t/ = are sena?, ove a7*<l, quell'arco
compreso fra — ? ^ "^ 2 ^^®^*^ P^'^ '^^^ x, y è una (unzione
continua della variabile x. In modo analogo la funzione y = Brccosx
è funzione uniforme e continua di x, ove x sia compreso fra — 1
e -\'i, e per y si prenda quell'unico arco compreso fra e ir
avente per coseno x. Con opportune convenzioni si rendono pure
funzioni uniformi are tang x, are cot a?, are sec x e are cosec x.
8611 X
30. — La quantità col tendere di a? a zero ha per limite uno.
Sia il centro d'un cerchio, OA = i il
suo raggio; l'arco AM=x; sia AAr = x,
MT ed M' T le tangenti al cerchio in
-ftf ed M' ; si ha dalla geometria che
MPM' <MAM' <MT M\ ossia 2sena?
< 2 a? < 2 tango?, e, dividendo per 2 seno?
e ricordando che tang x = , siha:
^ eoa a?
1< < . Facendo tendere o? verso zero, è com-
seno? coso? ' seno;
presa fra due quantità, l'una costante = 1, e l'altra variabile,
« cosa?
che ha per limite 1 quando o? tende verso zero ; quindi anche
oc S6n 00 m ^ • • . <■
e hanno per limite uno, e. v. d.
sena? x ^
E • e p c i z i i.
31. — 1® Se f{x) è funzione intera di x, col tendere di x
a +00, f{x) cresce indefinitamente assumendo il segno del coeffi-
ciente del primo termine.
— 24 —
2^ Se 2/ = ^-V-v» /*© <P essendo funzioni intere di x, e prime
(p(a?)
fira loro, y è funzione continua per tutti i valori di x che non
annullano 9(0?). Se a è una radice multipla a volte dell^equazione
q) (pò) = 0, col tendere di a? ad a, j/ diventa infinita d'ordine a ,
essendo x — a Tinfinitesimo principale. Gol crescere indefinitamente
di X, y tende verso un limite finito, Verso zero, o verso l'infinito,
secondochè il grado di fico) è eguale minore maggiore di quello
di 9 {x). Se i gradi di f{x) e cp {x) sono eguali, il limite di y per
a?z=(X) è eguale al rapporto dei coefficienti dei termini di grado
più elevato ; se i gradi di /" e 9 sono disuguali, y diventa infinita
infinitesima d'ordine eguale alla dififerenza dei gradi, preso x per
infinito principale.
3** Si è dimostrato (N. 25) che e^ è funzione continua se w è
funzione continua 4i a?. Se t^ è discontinua, e^ può essere continua
1 1
discontinua. Cosi, posto w=— , la funzione e^ h continua per
tutti i valori di x eccettuato il valore ^ = 0, per cui - diventa
discontinua; col tendere di a? a zero ^* tende verso +00, ovvero
verso zero secondochè x tende a zero assumendo valori positivi
valori negativi. La funzione e ^, cui si attribuisca per ^r = il
valore zero, è funzione continua per tutti i valori di x^ benché
1 • ae^A- b
T diventi discontinua per ^ = 0. La funzione y = —. è
a?» ^ _
continua per tutti i valori di x tolto lo zero; col tendere di x a,
zero, y tende versp a verso & secondochè x assume valori positivi
negativi.
In modo analogo senu può essere discontinua se u è funzione
1 1
discontinua di x; posto u =—, la funzione y = sen— è continua
per tutti i valori di x tolto il valore zero ; col tendere di a? a zero
y oscilla fra — 1 e + 1 senza tendere ad alcun limite. La funzione
— 25 —
1^ = a? sen — col tendere di a? a zero tende verso zero, e guindì
è funzione continua per tutti i valori di a? se per x = si fa 1/ = 0.
1 1
La funzione — sen — col tendere di a? a zero va oscillando in modo
X X
da assumere infinite volte ogni valore.
4^ Dimostrare che
1.1. 1
^^^ + T+r72+--- + i.2...»n
e che
,1 1 , , 1 , 1 1
^<l+-J-+j-72 + --- + i.2...m'+'l.2...m"
m
qualunque sia il numero intero m.
5** Dimostrare che
lim
w=CX)
Un capitale C messo all'interesse [dellV per 100 composto ogni
n"w parte di anno, diventa alla fine di t anni
C 1 +
n
n.lOO
trovarne il suo limite col. crescere indefinitamente di n.
6** Se f(x+i) — f(x) col crescere indefinitamente di x tende
verso un limite L, e se esiste il limite superiore dei valori asso-
luti di f (x) in ogni intervallo finito, anche — ^ tende verso lo
stesso limite.
Infetti, essendo lim [f(x -f- 1) — fico)] = L , fissato ad arbitrio €
«=00
si può determinare un numero N tale che per ogni valore di x> N
sia fife + 1) — f(x) — X < € in valor assoluto. Diasi ad a? un valore
> iV; sia n il massimo intero contenuto in a?— iV; onde co — n =y
— 26 —
sarà compreso fra N ed N-\-i. Essendo y, y-{-i, y-\-2, >iV,
si avranno le dìs^uaclìanze :
/■(j/ + 1) - r(l/) - i < €
ny + 2)-f{y + i)-L<€
ny + n-i)-fiy-\-n-2) — L<e
nw) — riy + n-i) — L<i,
e sommando:
f{x) — f{y) — nL<n€
e dividendo per ce, e ponendo x — y invece di «
X X * X X
ed ancora
X XXX
Il membro di destra consta di tre termini; il terzo è < €, e quindi
si può supporre piccolo ad arbitrio; il secondo -Z col crescere
di X tende verso zero, perchè L è finito, e i/<iV+l ; il primo
termine, detto l il limite superiore dei valori assoluti di /"(a?) quando
X varia nell'intervallo N, iV+l, è <— , che tende verso zero
col crescere indefinitamente di ^; e perciò la diflTerenza L
potendosi rendere tanto piccola quanto si vuole, lim'-^^ = L, e. v. d.
X
Si può dimostrare in modo analogo che :
Se, col cr^escere indefinitamente din, f(x + l) — f(x) cr^esce in-
definitamente in valor assoluto, e se esiste il limite superiore dei
f(x)
valori assoluti di f (x) in ogni intervallo finito, anche -^ cresce
indefinitamente.
— 27 —
La condizione che esista il limite superiore dei valori assoluti
di f{x) in ogni intervallo finito, da un certo valore di a? in poi, è
necessaria; cosi p. e. la funzione f{x) = tang ir a? è tale che f{x -f- i)
— f{x) = 0, ed il suo limite è zero ; cionondimeno — ^ — col ere-
scere di x non tende ad alcun limite. La proposizione inversa, cioè
che se lim '-^=: L , anche lim [/"(^r+l) — f(x)\ = L, non è esatta, e
oc
vi fe eccezione p.e. la funzione f{x) = sen ir a?, per cui lim — = y
e f{x + 1) — f{x) = — 2 sen nx col crescere di x non tende ad
alcun limite.
7* Dimostrare che:
Se lim ]^ - = Z, {od è infinito) ed esiste il limite supe-
f (x)
riore dei valori assoluti di f (x), anche lim -^^;ri = L {od è in-
finitoj.
f(x4-l)
Se \,\ , col crescere di x tende verso un limite finito , o
verso l'infinito, ed f (x) assume valori sempre positivi, in modo
che in ogni intervallo finito esiste un limite superiore, ed un li-
mite inferiore non nvMo dei valori di f (x) , anche [f{x)\ * tende
verso lo stesso limite,
8*^ Dimostrare che col tendere di a? a + co , qualunque sia n
— , ove a > 1, tende a -j- co, «* a?*, ove a < 1 , tende a zero, -^
tende a zero.
Le funzioni precedenti forniscono esempi di quantità infinite od
infinitesime non aventi ordine. Cosi a* con a > 1 tende verso infi-
nito col crescere di x; ma, prendendo x per infinito principale,
non esiste alcun valore di n tale che — tenda verso un limite
finito, ossia a' diventa infinito d'ordine maggiore di qualunque or-
dine misurabile con un numero ; in modo analogo a' , con a < i,
diventa infinitesima rispetto — d'ordine maggiore d'ogni ordine mi-
surabile con un numero ; e log a? diventa infinito d'ordine minore
d'ogni ordine misurabile con un numero.
— 28 —
Sì può dimostrare in modo analogo che la funzione a^ definita
per tutti i valori positivi di x tende verso 1 col tendere di a? a
zero; col tendere di a? ad oo diventa infinita d'ordine maggiore di
qualunque ordine finito. Il N. 27 non definisce questa funzione per
X negativo. L'espressione co* , secondochè x è della forma
2m 2w + l 2m + l
^ --T
2n + i 2mH-i 2n '
ha dall'algebra, oltre a valori immaginarli, rispettivamente o un sol
valore positivo, o un sol valore negativo, o nessun valore reale.
9** La funzione f{x) = ax, dove a è una costante arbitraria, è
la sola funzione continua di x tale che, x ed y essendo due valori
qualunque della variabile,
na^+y)=ncv)+ayy (i)
Infatti sia f{x) una funzione i cui valori soddisfanno all'egua-
glianza (1). Posto |/ = 0, essa diventa fix) = f{x)'\-f(p), onde
m = (2)
Posto y = — X ricavo = /"(a?) + /"( — a?), onde
a-x) = -f{x) (3)
Ponendo y-\-z invece di y ricavo
/•(^+i/+^)=r(^)4-r(i/ + ^)=r(a?)-hr(2/)+ru)
e più generalmente
f(po, + 0?,+ . . . + ajj = f{x^) + f(x^) 4- . . . + /-(a?,). (4)
Facendo in questa formula tutte le x eguali fra loro ricavo
f(nx)=rnf{x), (5)
Pongo in quesla formula x = i, e ricavo /'(n)=n/*(i), e sechiamo
a la quantità f{i) avrò f(n) = an pei valori interi e positivi di n;
— 29 —
e per le fwmule (2) e (3) l'eguaglianza f(n) = an sussiste per tutti
i valori interi di n.
Pongo nella (5) 0?=—, medn essendo numeri interi ed n positivo
e ricavo f{m) = nfl^] ossia am=:nf(^] ed /'(— j = a^ ,
che dà i valori della funzione per tutti i valori commensurabili
della variabile; ossia per tutti i valori commensurabili di a? si ha
f{x)=2ax. Facciasi ora tendere x verso un valore incommensu-
rabile a?o; f{x)y essendo supposta continua, tende a f{Xf^), e ax
tende ad ax^, onde 'f{XQ) = axQ, ossia la sola ftmzione che goda
della proprietà enunciata è ax.
10^ La funzione f{x) = a* è la sola funzione continua di x i cui
valori soddisfanno all'equazione:
ax +y)= ax) . avr-
ìi^. Se per tutte le coppie di valori di a? e di y si ha f(xy)=
= f{^)f(y)y la ftinzione f[x)=^x^y a essendo una costante.
12^ Se f(xy) = f [x) +/"(!/), la funzione f(x) = Log a;, il loga-
ritmo essendo preso in una base qualunque.
13^ Se f(x-\'y)'\-f(x — y) = 2f(x)f(y), la funzione f(x)
vale cosao?, ovvero — -~ — , a essendo una costante arbitraria.
14®. Sia f{x^ t) una funzione di due variabili a? e <, e suppon-
gasi che per una certa categoria di valori di x esista il limite di
f{Xy t), quando t tende verso Tinfinito, o verso una quantità finita e
costante, od anche verso un limite funzione di x. Il limite di f{x,t)
dipenderà in generale da a?, e sarà una funzione di x. Cosi p. e.
lim (1 + -7 ) ^ ^^^ funzione definita per tutti i valori di a?, e
vale 6* (Eserc. 5«). Le funzioni definite a questo "modo forniscono
esempi di discontinuità delle funzioni.
OL tee I ò
La funzione F (x) = lim — f-j- è definita per tutti i valori di
X, e vale costantemente a se a? > 0, e vale & se a? = 0. La stessa
funzione si può anche scrivere i^(a?) = lim ^ . , »
— 30 —
a?', ove a?> 0, col crescere indefinitamente di t tende verso zero,
o verso 1, o verso +oo secondochè x è minore, o eguale, o mag-
giore di uno.
Quindi la funzione F (w) = lim , ,^ f ove f e <p siano
definite pei valori positivi di x è pure definita per gli stessi valori,
e coincide colla funzione 9 (a?) se a?<l, e colla f{x) se x>i; e
La funzione F (x) = lim ,. '^^^'^^^ "" è definita per tutti i
valori di a?, e vale se a? è intero, + 1 se a? non è intero, ed il
massimo intero algebricamente minore di esso è pari, — 1 se a;
non è intero, ed il massimo intero minore di esso è dispari.
— 31 —
GA.PITOLO II
32. — Dìcesi derivata d'una funzione fl limite del rapporto del-
rincremento della funzione airincremento della variabile, quando
rincremento della variabile tende a zero.
Se y=f{iv) è la funzione, /^xz=h Tincremento della variabile,
Ay = /*(a? + ^) — f(j^) l'incremento corrispondente della funzione,
la derivata sarà il limite di -^=z '^^'^ )— /W p^ ^ inflnite-
Simo. Cosi ad es. se f{x)=ax-\-b, sarà f{x-\-h)^=a{(0'{-h)'\-b,
-r-^ = a, e limx^ = a, ossia a è la derivata di 00? + 6. Se a=0,
la funzione si riduce ad una costante, e la sua derivata è nulla.
La derivata d'una funzione y = f{x) si rappresenta con |/'
r {x), od anche con Dy e Df(x); essa in generale dipende dal
valore attribuito alla a?, ed è perciò una funzione di x. Può però
una funzione mancare di derivata per valori speciali di a;, od
anche per tutti. É assai conveniente di eguagliare la derivata, che è
a limite d'un rapporto, ad un vero rapporto, e si pone r{x) = t^ ,
dy e dx essendo due quantità dette differenziale della funzione,
e differenziale della variabile, legate dalla sola condizione che il
loro quoziente valga /"' (x). Una di esse è perciò arbitraria ; si suol
prendere ad arbitrio dx, ed allora dy = f{x)dXy ossia il diffe-
renziale d'una funzione è eguale alla derivata moltiplicata pel dif-
ferenziale della variabile indipendente. Derivare, differenziare una
funzione è il calcolare la derivata od il differenziale.
— 32 —
Una funzione avente derivata è continua ^ perchè, essendo
A2/ = --^Aa?, col tendere di Ao? a zero -r^ tende ad un limite
finito 1/ e quindi Ay tende a zero. Inoltre, se la derivata non è
nulla, rincremento della funzione è infinitesimo del primo ordine,
prendendo A x per infinitesimo principale, perchè ^ tende verso
un limite finito.
33. — Sia y = f(x) l'equazione d'una curva riferita ad assi
cartesiani ortogonali (Vedi N. 22 ). Posto Oi!/=a?, MP = y ,
MM'=PQ = £iXy QP'=y, sarà ^ la tangente trigonometrica
dell'angolo che la retta PP' fa coU'asse delle x. Facendo tendere
A a? a zero, se la funzione f{x) ammette derivata, ^ tende a f(x\
quindi tende verso un limite l'angolo di PP' con oa?, e la retta
PP', che congiunge il punto P della curva con un altro punto
P' il quale si va avvicinando indefinitamente al primo, tende verso
una posizione limite. Dicesi tangente ad una curva in un suo punto
P la posizione limite della congiungente il punto P con un altro
punto della curva, quando il secondo punto si avvicina indefinita-
mente al primo. Quindi se la funzione f{x) ha derivata, la curva
ha tangente, e la tangente fa coU'asse delle x un angolo a tale
che tanga = r(a?).
Anche in questioni di meccanica la derivata ha un significato
semplicissimo. Suppongasi che un punto P si muova percorrendo
una retta. Sia x la distanza del punto mobile P da un pimto fisso
della retta (x sarà la coordinata di jP); sia t il tempo compreso
fl?a un istante fisso ed un istante variabile. Ad ogni valore di i
corrisponde una posizione di P e quindi un valore di a?, onde sarà
X = f(t). n moto del punto P dicesi equabile se lo spazio percorso
in un intervallo di tempo è proporzionale a questo intervallo, e
dicesi velocità del moto equabile il rapporto dello spazio percorso
al tempo impiegato a percorrerlo. Se il moto è qualunque, dato un
valore a ^, e trovato il valore corrispondente per a?, si dia al tempo
un incremento A i; x riceverà un incremento A x che è lo spazio
— 33 —
percorso dal mobile nell'intervallo di tempo A t successivo al mo-
mento considerato ; il rapporto -— - rappresenta la velocità del
moto equabile che nel tempo A^ percorre lo spazio ùkx; si chiama
velocità del moto proposto nell'istante considerato il limite di questo
rapporto. Onde la velocità in un moto qualunque è la derivata dello
spazio rispetto al tempo.
Regole di Derivazione.
34. — Derivata d'una somma. Sia |/ = w + ^ — 1«?, u, r, u)
essendo tre fimzioni di x aventi derivata t- , 3- , -^ ; sarà
dx dx dx
e facendo tendere A a? verso zero^ si ha:
y Ay dy du ^^dv dw
ùkX dx dx^^ dx dx ^
ossia la derivata della somma algebrica di più funzioni è eguale
aUa somma delle derivate.
Moltiplicando per dx, si ha:
d{u-{'V — w) = du-^dv — dw. [1]
36. — ; Derivata d'un prodotto. Sia y=iau, dove a è una
costante ed u una funzione di x; sarà Ai/ = aAw, — =^ r- >
^ ' Ax Afl?
e passando al limite ^^==^^> ©
d.au=^ adu , [2]
ossia la derivata del prodotto d'una costante per una funzione è
egicale al prodotto della costante per la derivata della funzione.
Goroocm, Caleoìo difftrmuriak 8
— 34 —
Sia ora yz=zuv, u e v essendo fanzioni di x; sarà
Al/ = tt At? 4-^^w + Aw At?
Ay A^ _, Am I Att At> .
Aa? Aa? Aa7 Aa? Aa? '
e passando al lunite, "^z"=*^^ + ^5z> ®
d.wt? = t^t? + ^^w5 [3]
cioè il différenzicUe del prodotto di due funzioni è eguale alla
somma dei prodotti di ciascuna funzione pel di/ferenziale delT altra.
Quest'ultima formula si può anche scrivere — ^ — = 1
Se 1/ è eguale al prodotto di più funzioni u^ u^...u^, sarà
(2 . t<j u, . . . t<M du^ j^ d . Mjttg . . . t*, dui . du^ I d . «3 . . . «»
t*i ' Mg • ^ Un
Se gli n fattori precedenti si eguagliano ad una stessa funzione
te, sarà — ^ = n — , ossia rf.w" = ntt"-*^w, e la derivata
-^— = nw*-*^. Se w = a?, la sua denvata ^ = ^ » ® quindi
ef .0?" ,
— — = nar»-*, e
dco
d.ar=na^'-^dx y [4]
la quale formula serve a derivare una potenza di x con esponente
intero e positivo.
Le regole precedenti forniscono il mezzo di derivare ogni fin-
zione algebrica razionale intera; cosi se
sarà
- 35 —
36. — Derivata d'un quoziente. Sia |/ = -,et?50; sarà
^ '' ^""«j + At? ' ^~" r(t? + At?) ' a5"" v(v + Av) '
^ passando al limite
du dv
dy dotf dx , vdu^-^udv r»^-,
ossia ^ differenziale d'un quoziente vale U denominatore moltir
plicato pel differenziale del numeraiore meno il numeraiore mot-
i^icato pel differenziale del denominatore, tutto diviso pel qua-
érato del denominatore.
Come caso particolare, se il numeratore si suppone costante ed
= 1, sarà rftt = 0, e
1 ww?** ~ ' doo
Se t? = ii7*, d — =d.ii7-* = T- — = — ma?-»-*(ia7 ,
€he si ottiene dalla formula [4] supponendo Tesponente intero e
negativo.
37. — Derfvate delle funzioni di funzioni. Sia y=zf{u)j
ed t« = q)(a?); 1/ è funzione di x per mezzo di u. Suppongasi che
le funzioni f{yC) e <p (a?) ammettano derivata f {u) e cp' {x). Si dia
ad X un incremento A a?, e siano A«« e A|/ gli incrementi corri-
spondenti di u ed. y ; sarà
Aw = q)(^ + Aa?) — q)(a?), e t^y=if{u-{'ùìu) — f{u).
Se, dando a Ao? valori sufficientemente piccoli, l^u non si annulla
mai , sarà t^ = t^ t-^ > e facendo tendere Aa? a zero -^ tende
' ù« Am Ao?' Ao;
- 36 -
verso cp' te) == -j^ , e Aw tende a zero, e ^ col tendere di Au
a zero, tende verso /^(w) = ~-, onde
e dy = f{u)(f'(x)dx = f{u)du, [6]
formula identica a quella che definisce dy se u fosse la variabile
indipendente, ma qui du vale (p^{co)dx.
Se, comunque piccolo si prenda Aa;, Au, si annulla per qualche
valore di Aa?, la formula precedente è ancora a ritenersi vera.
Infatti, se Au si annulla per infiniti valori di Ao? piccoli quanto si
voglia, — si annulla pure per gli stessi valori, ed il suo limite,
che si suppone esistere, dovrà essere zero, onde <p'(a?) = 0.
Facendo tendere Ao; a zero, dandogli dapprima i soli valori per
cui Au 5 , è applicabile il ragionamento precedente , e quindi
]im~=r(u)(p'{x) = 0; dando a Ax i valori per cui Aw = 0,
sarà anche Aj/ = 0, —^=0, e lim-r^=rO; ossia il limite di -r^
è costantemente nullo, comunque si faccia tendere Ao? a zero, e
la formula per la derivazione delle funzioni di funzioni è ancora
applicabile.
38. — Derivazione delle funzioni inverse. Sia x funzione di
y, che diremo diretta : a? = q) (i/) ; si suppone che essa permetta
inversione, vale à dire che si possa considerare y come funzione
di X : yz=f{x); se cp (y) ammette derivata non nulla, la sua
inversa f(x) ammette pure derivata. Invero diasi ad x un incrementa
Afl? ; sia Ay l'incremento corrispondente dì y; sarà -r^ = -- , e
— 37 —
facendo tendere £ix a zero, anche Ay vi tende, -^ tende a q)' {y),
onde lira -r^ = -77— ossia
^ = — = — [71
da? 9'(y) dx »- -*
dy
e la derivata d*una funzione inversa ha il valore reciproco della
derivata della diretta.
Esempio: Sia a?=:y"», m essendo un numero intero e positivo;
variando 1/ fra e + co, a? va crescendo con legge di continuità da
a + 00 5 quindi questa funzione permette inversione, ossia, dato
ad OS un valore positivo, esisterà un sol valore positivo per y, che si
m l_
rappresenta con j/= l</a?= a?"* tale che y*=x. Applicando la
regola precedente si ha ~ = m2/~-^, onde ■£: = rr > ®
sostituendo ad y la sua funzione di a?, sarà:
1 1-1
d .oc^ 1 "•
= —07
dot) m
Se invece di cv pongo u, u essendo una funzione di x, si ha, per
1 1 i-i
la regola delle funzioni, di funzioni, d.tt'"= — w*" du,
^ se te=:a?», n essendo un numero intero, sarà:
n ** 1
ossia la formula [4] per la differenziazione delle potenze sussiste
anche per esponenti razionali.
39. — Derivata di Logx. Sia y^Logx, il logaritmo essendo
preso in una base a positiva, ed x una variabile che assume valori
positivi, sarà
-38-
Posto — =a, -7^=— Log(i+a)*, e col tendere di a a zero^
lim(i + af=e, e lim^ = -Loge,
ossia
d Log a? 1 - , _ dx ^
-5f- = -Loge, dLoga;=-Loge.
«
Se i logaritmi sono naturali, log 6 = i , e q^^ndi
dloga;=^ [8]
la quale formula sussiste qualunque sia la variabile indipendente.
£s. Sia
l/l-a? 1 l/l-a? ^1 + a? _ ^ 1 -a? (l-a?)+(i +a?) ^ da
Sia
1/ = log (a? + ^ + j/a?*+ 2aa? + &) >
c2a?
]/a?« + 2aa? H-6 da?
C?I/ = . — -= (to =
a? + a+v'«^ + 2aa7 + ft }/«?« + 2aa7 + ft '
40. Derivata di a* . — Sia y = a* ; prendendo i logaritmi in
una base qualunque, sarà Log v = a? Log a, onde
Log y doD Log e 1
Log a ' dy Loga y '
dy __ Logg _^ Logq
da? *^ Log e Log e '
— 39 —
ossia:
liOfiT CI 1
Log 6 Loga e °
Se a = 6, si ha
de^=e'dx. [9]
41. Derivata di ir . — Sia i/ = w» , dove w e t? sono funzioni
di 07, ed t« assume solamente valori positivi. Sarà y = e^^^\ onde
dy = e»**»** tf (t?logw) = e^^^ {v — + \ogudv)
= tn«»-' du-^- VP Vòguùo.
Come caso speciale, se si fa te costante, ed eguale ad a, sarà
£;te = 0, e
(^ . a» = a» Log a dt? ,
formola per la differenziazione delle funzioni esponenziali. Se si
suppone t? costante = w, si ha:
d . w*=mw*-* du ,
che dà la derivata d*una potenza, qualunque sia Tesponente (V. for-
mula [4]).
42. Derivazione delle funzioni trioonometriche. — Sia
y = sena;; sarà:
Ai/ = sen(fl7-f ^)— s©D^^ = 2sen2^cos f 0?+- g-j ,
e &cendo tendere /^ a zero, lim . ' = l,limcos (a?+ g- l = cosa?,
— 40 —
e quindi
dx
Sia j/ = cosa?; sarà
= cosa7, dsenx = cosx dx. [iOJ
Ay = cos (a? + ^) — cosa? = — 2sen ysen (^+-2 )
h
— - sen
A^ h
(» +r) .
e passando al limite
— ^— = — sena?, dcosx = — senxdx. [11]
Si può anche trovare la derivata del coseno osservando che
cosa? = sen f-|- — xj
e derivando colla regola deUe funzioni di funzioni.
Le altre funzioni trigonometriche si sanno esprimere razional-
mente mediante il seno ed il coseno, ed applicandovi le regole note
si ricava
, sena? . . cosa? _ rjoi
^seca? = — i—rfa?, rfcoseca? = z—dx. [131
cos' a? sen' a? *■ -■
Sia ora i/ = arcsena?, ove x è compreso fra — 1 e +1, e per
y si prende l'arco compreso fina — ^ ^ +"T ^^ ^^^ seno è a?, se-
condo le convenzioni del N. 29, si ha a? = sen 1/, dx = cos y dy, e
d/y 1
^= , e volendo esprimere la derivata in flinzione della variabile
indipendente a?, si osservi che cosi/==|/l — sen*i/ = l/l — a?*,
— 41 —
ove il radicale si deve prendere col segno +> perchè, essendo y
IT IT
compreso fra — g- e g, cosy è positivo; quindi
d are sen x = --7=1 . [141
Sia 2/ = arcco8^; sarà
a; = cos 1/ , dx=^ — sen y dy ,
dy 1 1 , rffl? r-i^T
-7^ = = — — -== , ^arc cos a? = — . . 1151
ed il radicale si prenderà positivo, se 1/ è compreso fra e n.
Sia y = are tango?; si ha
dy dy . i
X = tang y , dx = — f~ , —f- = cos* y = 7-; — = ,
^ eoa' y dx 1 + a?*
da?
t^arctango?= jqj^.
In modo analogo si ricava
d are cot a? = — j—, — ^ , [161
1 + a?* *■ -^
rf are sec o? = • , (i are cosec a? = . ^ . [17]
a?l/a7«— l' a?Ka?« — 1 '^ ^
Le formule precedenti permettono di determinare la derivata
d*ogni funzione di x ottenuta eseguendo sulla variabile e su costanti
un numero finito di volte le operazioni di addizione, sottrazione,
moltiplicazione, divisione, elevazione a potenza d'esponente qua-
lunque, prendere logaritmi e funzioni trigonometriche dirette ed
inverse.
— 42 —
Teoremi sulle derivate.
43. — Una funzione f (a?) dicesi crescente per a? = a?o se Tincre-
mento /"(a? + ^) — /"(^o) della funzione è dello stesso segno dell'in-
cremento h della variabile, supposto però sufficientemente piccolo h;
dicesi invece decrescente se l'incremento della funzione è di segno
contrario all'incremento deUa variabile.
Teorema. — Se la dertoata è posUiva, la funzione è crescente^
se negativa, è decrescente.
Infatti sia f{x) la funzione, fioo) la derivata; sarà
e c[uindi
a essendo una quantità infinitesima con h. Se ora r (^o) i^on è nullo,
si può supporre a minore in valor assoluto di f (^o)> quindi la quan-
tità r^(a?o) + « del segno di r(^o)> ed allora f{a)o+à)—f{a)^) sarà
del segno di 7^ , o del segno opposto di h secondocbè f (^o) ^ P^*
sitivo ovvero negativo, vale a dire la funzione è crescente se f (a?o)
è positivo, decrescente se f (a?o) è negativo.
44. — Teorema (di RoUe). — Se t (x) è /Unzione di x data in
un fntermUo (a, b), avente derivata f ' (x) per tutti i valori dtxin
questo intervallo, e se f (a) = eti f (b) = 0, esisterà un vallare x,
compreso fra di eh e diverso dagli estremi^ per cui la derivaJta
è nulla.
Infatti of{x)h sempre nulla per tutti i valori di oo compresi Ara
a e &, e allora per ogni valore di x compreso nello stesso intervallo
— 43 —
sarà f. {co) = 0; ovvero f (x) assume anche valori diversi da zero,
che potranno essere positivi o negativi. Se fipd) ammette valori
positivi, se ne consideri il loro massimo, che esiste, ò positivo, e
corrisponde ad un valore ar^ della variabile x compreso tm a e ì),
e diverso da a e da &, per cui la funzione è nulla. Quindi la quantità
f{x^+h) — f{ps^ sarà sempre negativa o nulla, qualunque sia h^
e, supposto h positivo, le quantità f^^l^-^fS"^ e /^'^t +^)-^^')
saranno la prima positiva o nulla, e la seconda negativa o nulla;
e dovendo esse, col tendere di /i a zero, tendere verso uno stesso
limite finito f (a?^), dovrà essere f {po^ = 0, e. v. d.
Se la funzione assume soU valori negativi, diventerà minima per
un valore o;^ compreso fra a e &, e si dimostra con ragionamento
anal(^ che per questo valore la derivata è nulla.
45. — Teorema. — Se t (x) ammette derivata per tutti i valori
di X nelPintervaUo (a, b), sarà
f(b)^f(a) _w/^N
b — a —'^y^Oy
X, essendo una quantità compresa fra a 6 b.
Infatti sì consideri la funzione
F{x)=^f{x)^f{a)-}^jr{p)-r{a)];
essa si annulla per a? = a ed a; = &, ed inoltre ha derivata
F' {x) = f {p(ì)— l'^ per tutti i valori di x compresi fta
a e &, perciò esisterà un valore x^ compreso tr^ a ^ ì> per cui
if"(a?,) = 0, ossia /•'(a?,)=^^^y^^^
La formula precedente si può scrivere diversamente. Pongasi
i^= a -f- ^; x^ che è compreso fra a e &, si può mettere sotto la
forma x^=^a-\-òh, essendo una quantità compresa fra ed i
(esclusi i limiti); quindi moltiplicando per 7^ si ha:
f{a + h) — f{a) = hr{(i + Qh)
— 44 —
formula assai importante, che vale supposto che f{x) ammetta de-
rivata per tutti i valori di x compresi fra a ed a + ^•
Si può trovare una formula più generale della precedente.
Siano /*(a?)e q)(a?) funzioni aventi derivata nell'intervallo (a, V)
e si supponga che q)'(^) non si annulli per alcun valore di ^ in-
terno allo stesso intervallo, potendosi però annullare per x-=a
ovvéro =&. Si consideri la funzione
si avrà i^(a) = 0, F(&) = 0, f^o?) = rO^) - ^||=^[ 9' (^) ,
quindi esisterà un valore x^ compreso fra a e 6, per cui F (x^ =0,
ossia f (a?|) = L\3 /^! <P' (^1) , e dividendo per 9' (a?) , che
non è nullo,
f{h) - f{a) ^ n^i )
q) (&) — (a) q)'(X|) '
Ponendo in questa formula & =: a + Ti, a?| = a -j- 6^? si ha
r(« + ^)-rw _ r (^ + e^)
q) (a + A) — qp (a) <p' (a + Qh)
43. — Teorema. — Se la derivata d'una funzione è nuUa per
tutti i valori di x nell'interno d'un intervallo, f (x) ha un valore
costante nello stesso intervallo.
Infatti sia a un valore di x compreso nell'intervallo dato, a + A
un altro valore di x nello stesso intervallo; sarà
f{a + h) — f(a) = hr (a + 0^) ,
ed essendo a + 0/i pure compreso nello stesso intervallo, sarà
r(a + e/?)=0, onde f{a'^h) = f{a) ha un valore costante.
— 45 —
Teorema. — Se due funzioni {{x) e cp (x) hanno dericate eguaU
pei valori di x in un dato intervallo, la loro differenza è costante.
Invero pongasi i?'(a7)=/'(.T) — (p(a?);saràjp"(ir)=/''(a?) — <p'(^)=0,
e qpiindi F (x) è costante.
Derivate successive.
47. — Se una funzione f{x) ammette derivata f (x) pei valori
di 07 in un certo intervallo, f {x) sarà una nuova funzione di x che
potrà ammettere derivata, che rappresenteremo con f^ (x), e di-
remo seconda derivata di f {x\ chiamando anche la f (x) derivata
prima.
La derivata della derivata seconda si chiama derivata terza, e
si rappresenta con /*"' (x\ e cosi di seguito. Se f {x) è funzione ana-
litica di a?, anche le derivate successive sono funzioni analitiche della
stessa natura, e si ottengono successivamente applicando le regolp
di differenziazione studiate.
Esempi : 1® — Sia|/=a?"*; sarà y' = woj"-*, y"=:m(m — i)x "-*,...
!/(«•) = m (m — 1)... (m — n-\- i)x
m — n
Se m è intero e positivo Vwfl derivata è costante =7n, e le
successive sono nulle; altrimenti le derivate sono in numero infinito,
e tutte funzioni di x.
1 1
2*» — Sia y = Logx; sarà |/'= — Loge, i/" = j Loge,...
yin) =(—i)n-i (^-^y- L^g g
3** — Sia 1/ ==sena7; sarà
l/' = cosa?, 1/"= — sen^, y"' = — cosa?, t/^=sena?,...
— 46 —
ed esse si riproducono periodicamente. Si può pure scrivere
l/==sen(a? + ^), i/' = sen (a?-f-2-j) ,...
l/(»»)=sen(a? + nyj.
4» — Sia j/ = a*; sarà y' = a*loga, j/" — a* (Ioga)*,...
j/(»») = a*(l(^a)».
48. — Dicesi differenziale n«^, o d'ordine n d'una funzione 1/ il
prodotto deirn*~ potenza del differenziale della variabile indipen-
dente, per la derivata n"*^ della funzione. La potenza n*~ ài da si
rappresenta con dar (mentre con d . a?" ovvero d{ar) si rappresenta
il diflTerenzìale di or», ossia n^"-*cto), e il diflTerenziale w*^ di j/ si
rappresenta con d*^y; onde se 1/ = /*(a?),
(i« ì/ = fi^) {x) dar
e quindi
f(n)(a;)z= -^
e questa notazione è assai usata per esprimere le derivate suc-
cessive. Se nell'eguaglianza dy = f(x)dx differenziamo ambo i
membri, considerando dx come costante, abbiamo: ddy=:f"(a:)dx\
cioè ddy = d*y; ed analogamente dd^y = d^y,ecc.y ossia un diffe-
renziale qualunque si ottiene differenziando il precedente, ma con-
siderandovi il dx come costante.
E • • p o I s I i.
49. — i'» — Derivare le seguenti funzioni:
1
or , a?»»*, e ■«^*, e *«^"'* *, 0? * ' log cos a?, log tang -^,
log log X, are sen , are sen
— 47 —
2* — Derivare la fanzìone x — log (1 + ^)> © dedurre dal segno
della derivata che per tutti i valori positivi di a? è a? > log (1 + ^)«
3® — Applicando ad una stessa funzione, mettendola, se occorre,
sotto forme diverse, differenti procedimenti di differenziazione, si
possono trovare facilmente delle identità. Cosi ad esempio si ha :
sen (0? + y) = sen 0? cos 1/ + cos a? sen y,
e derivando rispetto ad Xy si ricava la formula
cos (a? + 1/) = cos a? cos y — sen x sen y.
4** — Se si eleva a potenza n (n essendo intero e positivo) il
binomio a 4- ^^ si ha un risultato della forma
(a -f- 0?)" = ^0 + ^1 ^ + ^% ^* + - + ^^*ocr
e derivando
w (a -f a?)"-* = ^1 + 2 ^, 0? -f ... + n ^n a?*-* (*)
n ( n — 1) (a + a?)»-* = 2 ^, + ... + n (n — 1) An a?"-*
n (n — 1)... (n — r + 1) (a + a?)*-'' =
= ri Ar +••• + w (n — 1)... (n — r + i) A.n tì?»-*"
ni = n! An ,
e ponendo in queste formule a? = si hanno tante equazioni che
determinano i coefficienti A^ ^|...., e si ricava
Ao = a% ^4 = na»-Si4, = —^ — ^ a *-*,...
. n(n — 1) ... (n — *• + 1) . .
ri .
e cosi resta dimostrata la formula del binomio di Newton per espo-
nente intero e positivo.
— ès-
si può dimostrare la stessa formula moltiplicando la {*) per
(a -{- x) ed eguagliando i coefficienti delle stesse potenze di x nei
due membri.
Si dimostrerebbe in modo analogo la formula di Taylor per le
funzioni intere di x.
5^ — Dall'eguaglianza
1 + a: + a?* + .... + a?" = — ^ _ ^ ,
che vale per tutti i valori di x diversi da i, derivando, e poi mol-
tiplicando per Xy si ha
(1 - xy
e cosi si possono avere successivamente le somme
1* a?+ 2* a?* -f . . . + n* 0?*,
i^ X -{-2^ a^ -\- ,..-{-n^ iff", ecc.,
sempre per a? $ 1. ^
Se in queste espressioni si jS9l a? = i, a sinistra si hanno le somme
delle potenze dei successivi numeri naturali; ma il membro di
destra si presenta sotto la forma -^ .
6*» — Sia la funzione f(x) = a? ' che è definita e continua per
tutti i valori di a?. La sua derivata per a? = è il limite di T '
ossia il limite di ^~'; ora h~^ col tendere di ^ a zero cresce inde-
finitamente in valor assoluto assumendo valori positivi se Ti è po-
sitivo, ed assumendo valori negativi se h è negativo; dunque f(x)
non ha derivata finita per a? = 0.
V — La funzione f{x) = x sen— , ed f(0) = 0, è continua;
00
la sua derivata per a? = è il limite di ' T y ^^^ ^ ^"
1
mite di sen -^ quando h tende a zero; ma col tendere di A a zero
— 49 —
1 j
sen -r- non tende verso alcun limite, dunque la funzione x sen —
non ha derivata per rz? = 0.
1 _i
8** — La funzione x ^ ^^ _i > cui si attribuisce il valore
e* + e »
quando x vale 0, è funzione continua dì x; e cercandone la deri-
vata per a? = si ha che -r-^ tende verso + 1, ovvero verso — 1 col
tendere di A a; a zero, secondochò si danno a A^ valori positivi o
negativi; onde questa funzione non ha derivata per x = 0.
9° — Non è vero in generale che se f{x) è continua ed am-
mette derivata per tutti i valori di a? in un dato intervallo, anche
1
la derivata sia funzione continua. Per es. la funzione f{x) = a?* sen — ,
con /*(0) = 0, è funzione continua di a;, ed ammette derivata per
tutti i valori di a?, perchè, per x diverso da zero, la derivata si
ottiene colle regole note, ed è:
1 1
ff {x) = 2a? sen — — cos —
OS ce
e per a; = la derivata si rìcara dalla sua definizione: .
r(0) = lim^l5^^^P^^ = lim/isen4 =0 ;
cionondimeno la derivata f (a?) è discontinua per a? = 0, poiché
col tendere di a? a zero f {x) non tende verso alcun limite, perchè
il primo termine tende verso zero, ed il secondo oscilla indefinita-
mente fra — 1 e + 1.
Tuttavia potremo dimostrare i seguenti teoremi (10» — 14»):
10» _ Se f (x) ha derrata V (x) in un dato intervallo, e se
col tendere cS x ad a, V (x) tende verso un limite A, sarà questo
limite il valore della derivata per x = a, ossia A = f (a).
Infatti si ha che ^(^ + ^^"f^^^'^ —ff^a+Qh), essendoO <e<i,
e, col tendere di A a zero, a +6 à tende verso a, ed T (« + ®^)
tende verso A, ossia '^^ )""/W ^^j^^^ ^^^so un limite, e r{a)=A.
fi
GniocGBi, Calcolo difftrtnMiakm ^
— 50 —
Quindi se /^ (^) è discontinua per ^ = a, col tendere di x ad
a, r (x) non deve tendere verso alcun limite.
Il'» — Se f (x) ammette derivata in un certo intervallo com-
prendente il valore a, col tendere di s. ad Ry f (x) assume infinite
volte valori comunque prossimi ad V (a), cioè flessala una quanr
tità piccola ad arbitrio € si imo determinare un intervallo comr \
prendente a tale che V (x) assume in questo intervallo infiniti va-
lori che differiscono da V (a) di meno di €.
i2? —Sei (x) ha deìHvata neir intervallo (a, b) ed f (a) edf(b)
sono di segno contrario, esiste un valore di x compreso fra a ^ b
per cui la derivata si annvMa,
13° — Se i (x) ha derivata neWintervallo (a, b), ed f (a) = A
e f (b) = B, variando x nell'intervallo (a, b), f ' (x) assumerà tutti
i valori compresi fra A e B.
14<» — Se f(x) ha derivata f'(x) neWintervallo (a, b), e se
fissato ad arbitrio € si può detenrvtnare a in modo tale che per
ogni valore di x compreso in esso e per ogni valore di h < a
/* (a? + A) — f(x)
Sia l — -^ — f (x) < € in valore assoluto, la derivata
f ' (x) è funzione continua, e viceversa,
150 — Dimostrare le formule
d* .au = a/i''u
d"* {au -\- bv) = ad'^u •^bd^'v ,
dove u e V sono funzioni di ir, e a e & costanti:
16° — Essendo u e v sono funzioni di x, si ha:
d'^.uv = ud^'v -^ndud""-^ V -{- \2j rf'wt^*-'i;+... + t?t^"w.
I coefficienti dei termini sono quelli dello sviluppo della potenza
n^ d'un binomio; onde la formula precedente si può scrivere
simbolicamente
d'^.uv =^ {du + dvy
— 51 —
dove occorre intendere che sviluppata la potenza «»"^ del binomio
du-^dVy scrivendo anche nel primo e nell'ultimo termine le po-
tenze Ai du e di dv, si porti al d l'esponente di du e dì dv ;
ossia che invece di du^, dv si legga d^u, d^t?, e ritenendo che
d^u=zu, d^v = v.
In modo analogo si ha simbolicamente:
d^uvw ... t = {du -j- dv -\- ... -j- dty.
u
Mi")
17° — Pongasi u^ = w, u^=^ — , w„ == — ^ , e notazioni ana-
loghe per V ed y.
Se y=zuv, si ricava dalla formula del numero precedente:
18° — Sia y = — ; sì hdi 'u=:vy . Derivando quest'eguaglianza,
servendoci delle notazioni e della formula (17°), si hanno le equazioni:
Uq =■ Vq I/q
daUe quali si possono ricavare successivamente i/o Vi • • • !/«> ossia le
derivate di y, in funzione delle derivate di w e t?. Risolvendo il
sistema delle equazioni lineari precedenti col metodo dei deter-
minanti, si ha :
1/1.=
ro»+i
«0
... Uq
«1
%
... U^
«t
V, t?o
... t^j
^n-i
^n-» tr„.
-3
. . . t*Q W„_l
^\
"On-i t?„-
•8
...V, w„
— 52 —
che si può pure scrivere :
»n »n* ' ' V,?
t«ii-8
», «,
®i », »o
«j «» «,
+
19. — Sia ]/ = F(u) ed u = q> (a?), onde y è funzione di fun-
zione dì a mediante u. Si ha:
■£=F'{u)9'(x) = F'('u)u',
da
e derivando più volte quest'eguaglianza, si ricava
dx*
d^
dac*
= F'(u) . w'"+ F''(u) . Su'u"+ F"'(u) . u'^
Questi risultati si possono riassumere nella formula :
daf*
~Zia!p!....X! il! j ^ 2! j \n!)
ove nel membro di destra si intende la somma di tutti i termini che
si possono ricavare da quello scritto dando ad r i valori 1, 2, ...9V
e alle a, p, . . . X valori interi e positivi, o nulli, tali che :
a + 2p + - ••+^^ = ^-
Si verifica questa formula per n = 1 , 2 , . . . e si può dimostrare
&cilmente che, se è vera per un dato valore di n, è anche vera
aumentando n di un'unità.
— 53 —
20. — In casi particolari si può, con opportuni artifizii, deter-
minare la derivata d'ordine n d*una funzione.
®^ y = iZ::^'' ^ P^* scrivere V=-2 (fqir^ + iz:^) y e deri-
vando n volte, si ha :
_ n/ r (-ir ■ 1 "]
(Ty n/
55" ^
1
21. — Sia y = arctanga7. Si ha y^= . ^ , od esprimendo
questa derivata in funzione di i/, si ha y' = cos* i/ ; derivando suc-
<;essivamente, si ha la formula
^ = (n — l)!cos«t/.senn(i/ + |'j .
-54 -
CAPITOLO m.
IDella. s©rl©-
50. — Dicesi serie una successione di infinite quantità u^ ii^ m^...,
formate con legge determinata. Queste quantità diconsi termini
della serie ; icn dicesi il termine generale; Un è funzione dell'indice
n, e se t^ è dato in funzione di n, basterà fere n = 0, 1, 2 , per
avere tutti i termini che si vogliono della serie. Ma la legge di
formazione della serie può anche essere data diversamente.
Una serie dicesi convergente se la somma dei primi n termini
della serie col crescere indefinitamente di n tende verso un limite
(finito), e questo limite dicesi somma della serie. Una serie non
convergente dicesi divergente.
La somma dei primi n termini della serie si suol rappresentare
con Sn ; onde
Sn = Wo + Wi + — + ^-^w— 1 J
la somma della serie convergente si rappresenta con s\ onde
5 = limn=oo5„, e si scrive anche:
Dicesi resto d'una serie convergente arrestata all'n"^ termine
la difierenza fra il limite ^ e la somma Sn ; rappresentandolo con
rn si ha
S ^^^ Sn "7" rn .
Gol crescere indefinitamente di n, lim rn = 0.
— 55 —
51. Come esempio di serie si può considerare la progressione
geometrica
a, ax, ax^, acù^
In essa .Vn = a + a^ + — + «^~^ , e se ^ è diverso da + 1 ,
1— 0?*» a aad^
Sn ^^= d "2 = z ^~ 1 •
1— a; 1— a? 1— a?
Se o; è in valore assoluto minore di 1, col crescere indefinita-
mente di n, a;*» ha per limite zero, e quindi Sn tende verso un
limite, ossia la serie è convergente ed ha per somma 5= j-^ ,
ed il resto rn=^ a -. — .
Se a? è in valor assoluto maggiore dell'unità, a^ col crescere
indefinitamente di n assume valori assoluti crescenti al di là d'ogni
limite, e lo stesso avviene per Sn, e la serie è divergente.
Se a? = 1, la serie diventa a, a, a ; ^n = na, e col crescere in-
definitamente di n, Sn cresce indefinitamente, e la serie è divergente.
Se 00 = — 1, la serie diventa a, — a, a, — a,... e ^h = a, ovvero = 0,
secondochè n è dispari ovvero pari; onde Sn non ha limite, e la
serie è ancora divergente.
Teoremi sulle serie.
62. Teorema. — Se una serte è convergente, e si moltiplicano
i sitoi termini per una- qicantità a, la nuova serie sarà pure
convergente, ed ha per som/ma la somma della serie proposta
moltiplicata per a.
Sia
la serie proposta;
^0 > ^1 > ^2
auQ , aUi , au^ ,
— 56 —
la serie ottenuta moltiplicando i termini della prima per a. Posto
ed
sarà
e col tendere di n ad infinito Sn tende verso s somma della serie
proposta, e quindi lim s'n = as, il che dimostra il teorema.
53. Teorema. — Se due serie sono convergenti, anche la serie
ottenuta, sommando i termini corrispondenti delle due serie, sarà
convergente, ed ha per somma la somma delle somme delle due
serie.
Siano
Uq, W4 , Wj , . . .
e ^0 » ^1 > ^8 > • • •
le due serie date;
Sn =Uq +^4 + ..- + ^-i>
5'» = t?o+^i + • • •+^n-i ;
lim Sn =s , lim S^n =s'.
La serie ottenuta, sommando i termini corrispondenti delle due
serie, è
e posto
5"n = (Wo + ^0) + (Wi + 1;0 + . . • + (wn-i + t5»-i>,
sarà ^'n = 5n + ^» > ^ facendo tendere n ad cx), siccome lim^n = s,
e lim^'« = ^', sarà lim5"ii=5+5', e. v. d.
64. Teorema. — Se una serie è convergente, è pure tale la
serie che si ottiene trascurando un numero finito dei primi
termini, e viceversa. In altre parole per riconoscere la convergenza
— 57 —
o divergenza d'una serie si può far astrazione da un numero finito
dei primi termini.
Sia la serie Uq, u^, u^, ; trascurando i primi m termini, si ha
la serie thi, Un^u Pongasi
Smr^ = Wq + ^1 + + "^m + Um^l + + W»-hn-l ,
^« = t^ -f- t^-hl + + WflH-n-l
ed
^=^0 + ^1 + + Wm-1,
si avrà
onde, se la seconda serie è convergente ^n tende verso un limite
e quindi tende anche verso un limite ^«h^ e lim Sm.^ = A -|-lim s'n ,
e se la prima serie è convergente, lo è pure la seconda, perchè se
Sm-hn tende ad un limite, lim ^n = lim ^m+i» — A.
65. Teorema. — Se una serie è convergente, U suo termine
generale col crescere indefinitamente dell'indice ha per limite zero.
Infatti se w©, u^, w,, è la serie convergente, ed
ed
Sn^l = Wo + Wi -h + Wn-1 + Un ,
sarà t«»= 5m-i — Sn^ e col tendere di n ad infinito lim^» = 5,
lim ^m-i = Sy onde lim t«n = 0.
La condizione limten = è necessaria per la convergenza, ma
non sufficiente, come vedremo presto con esempi.
66. Teorebìa. — Se una serie è convergente, fissata ad arbitrio una quan-
tità € , si può determinare un numero N tale che per ogni valore di n ^ iV
e per ogni valore di jp sia u» + «n+i + + **n+p-i < € in valor assoluto ; e
viceversa, se questa condizione è soddisfatta, la serie è convergente.
— 58 —
Infatti, 86 la serie è convergente, Sn col crescere indefinitamente di n tende
verso un limite, quindi (N. 15) fissato e si può determinare un numero N tale
che Sf^^ — 5„ =:= ti„ + Wn+i + + «n+p— 1 ^^^ Sempre < € in valor assoluto
per tutti i valori di « > A", e reciprocamente.
Serie a termini positivi.
57. — Se i termini Uq u^ u^ della serie sono tutti positivi,
Sn col crescere di n va crescendo continuamente; quindi Sn tenderà
verso un limite, o non vi tenderà secondochè Sn non cresce, ovvero
cresce indefinitamente. Servono a riconoscere la convergenza i
criteri somministrati dai teoremi che seguono.
Teorema. — Se una serie a termini positivi ha i suoi termina
da 'un certo termine in poi, rrUnori dei corrispondenti (T un' altra
serie a termini positivi, che si sa essere convergente, sarà pure
convergente la serie proposta.
Siano Uqì u^, u^, , e v,,, v^, v^ le due serie a termini posi-
tivi, e supponiamo che sia u^ <v^y u^ <Vp u^ <v^ ossia che
la condizione enunciata nel teorema sia soddisfatta fin dal primo
termine; se questo non avvenisse, si può far astrazione da quei
termini in principio che non soddis&no alla condizione.
Posto
^n = Wo + ^1 + + ^ - 1 >
ed
5'n = t?0 + ^1 + + Vn-h
sarà Sn <s'h , e siccome la seconda serie è convergente, ^ « col
crescere di n va crescendo continuamente, accostandosi al limite s'
cui sarà sempre inferiore, onde s^n < 5' ed a fortiori Sn <s'; quindi
Sn col crescere di n va crescendo continuamente, mantenendosi
però inferiore ad una quantità finita s', perciò la prima serie è
convergente, e la sua somma è minore della somma della seconda
serie.
— 50 —
Corollario. — Se si hanno due serie a termini positivi u^ u^ ....
e VqV^ .... e da un certo termine in poi t?« > t^ , se la prima serie
è divergente, lo sarà pure la seconda.
58. Teorema. — Una serie a termini positivi Uq\ u/,.... è con-
n
vergente se [/\Xu è, da un certo termine in poi, minore di una
quantità h minore di uno; essa è ancora convergente se l^Un
tende verso un limite minore di uno.
Invero, se l Un <h sarà t^ < ^" , ed i termini della serie pro-
posta sono, da un certo termine in poi minori dei termini corri-
spondenti della serie 1, h, h\ la quale è convergente perchè
A < 1 ; perciò è anche convergente la proposta.
Se K Wn tende •verso un limite /< 1, fissata ad arbitrio una
quantità h compresa fra ^ ed 1, esisterà un valore di n dal quale
n n
in poi \/un differisce da l meno di h — l, e quindi \/^tCn <h <iy
e ricadiamo nel caso precedente.
Corollario. — Una serie è divergente se (/un è da un certo
valore di n in poi maggiore di 1, perchè allora anche Un > 1, ed
i termini non decrescono indefinitamente.
59. Teorema. — Una serie a termini positivi è convergente se il
rapporto d'un termine al precedente è costantemente, da un certo
termine in poi, minore d'una quantità h minore di uno, ovvero
se tende verso un limite minore di uno.
Sia Wq, u^, w, ,.... la serie proposta; supponendo verificata la
condizione enunciata fin dal primo termine^ il che è lecito, sarà
■^<h, -^< /^, ...., —^ — < h,
onde si deduce
u^ < HUq , Wj < hu^ < H^Uq , u^ < /i*» Wq ,
e quindi i termini della serie, eccetto il primo, sono rispettivamente
— 60 —
minori di quelli della serie u^ , hu^ , hhc^ , che è convergente,
quindi anche la serie proposta è convergente.
Se il limite di ^'^^ fosse una quantità minore di uno, basta
ragionare come al teorema che precede. Si può pure osservare che
Um Jf!^±i-= lim l/'i^. (N. 31, 2» parte dell'esercizio 7«).
Corollario. — Se il rapporto d'un termine al precedente e da
un certo termine in poi maggiore di uno, la serie è divergente
perchè i termini vanno crescendo, e non tendono verso zero.
60. — Si può, supposta verificata la condizione del teorema che
precede, stimare il resto della serie troncata all'n"^ termine. Invero
si ha
e se il rapporto d'un termine al precedente è ^h <i, sarà
ossia i termini della serie r. sono non maggiori dei termini della
serie
w„, hu^, h^u^y
1
la quale è convergente, ed ha per somma u^ i~h » ^^^®
1
l-A •
n criterio di convergenza somministrato dal limite di ""^^ è
uno dei più fecondi in pratica.
Sia p. es. la serie
x,2x\ Scc^, ; t^n = nar», t^n+i = (n -f 1) at^^ ,
ed
-^^ = ^!-Ì— 57== (IH — ]x. Gol crescere di n ad infinito
Un n \ n I
— 61 —
M»+l
lim = X ; quindi se a? < 1 , la serie proposta è convergente,
se a? > 1 la serie è divergente. Se a? = 1 , il rapporto diventa
n -4- 1 1
— ^^^ = i H > 6 quindi è maggiore di uno, e la serie è divergente.
Sia la serie
T ' "2" ' "3" ' ; ^ — — » ^ ^-Hi — -^ ;
si ha
= — —x = \i j-T a?; lim z=x.
Un n+1 V n + ij fin
e la serie è convergente o divergente secondochè x è maggiore
ovvero minore di 1. Se a? = l, =— -j che è sempre mi-
nore di uno, ma siccome ha per limite 1, non esiste una quantità
h<U tale che ^!^àLL <:h; ia questo caso la serie diventa -j- ,
Un 1
1 1
~ , TT , . . . . e dicesi armonica ; dal teorema precedente non si può
pertanto dedurre la sua convergenza o divergenza; vedremo che
essa è divergente.
Sia la serie
X X* oc^ ^ a?* a;»+i
1> j ' 9 ■j o" ) 7"oQ > ••••» **» ~~" ""Ti > **•• + 1 "~'
1 ' 1.2 M.2.3' ""'^ n! ' T-^""~(n + l)!'
^"^"^ = — r-r , e lim ^^^^=0, onde la serie proposta è conver-
f*n n + 1 ' Un ^ ^
gente qualunque sia x.
Il criterio precedente resta adunque in difetto se ^"^^ tende
verso il limite uno, essendo però o sempre, o qualche volta minore
del lìmite, come appunto avviene per la serie armonica, e per la
serie più generale in cui Wn = . ^^^ ; in questi casi occorre
ricorrere ad altri criterii.
— 62 —
1
61. Teorema. — La serie il cui tei^mine generale è
(a + n)H- a
ed di è una costante positiva, è divergente se a è negativo o ntcllo,
convergente se a è positivo.
Si supponga dapprima a = 0; si avrà la serie
1 1 1
a ' rt + 1' a 4-2'
1
Si consideri la funzione F (a?) = log (a-^x); sarà F' (x) =
e dalla formola F{x + i) — F{x) = F\x + e) ove < e < 1 si
ricava
log (a + ^ -r 1) — l^g (a + 0?) =
a-f a7-f e
Se nel secondo membro si pongono invece di 9 i due valori estremi
ed 1 si ricavano le diseguaglianze
1
log(a-f-a?-[-l) — log(a + ir) <
a +07 '
log(a + ir + l) — log(a + ^)> ^^-^|.
Facendo nella prima diseguaglianza, che è la sola che ci serve»
07=0, 1, 2, .... n — 1, si ricava:
1
log(a + l) — loga< -—
log(a + 2)-log(a + l)< ^
a -f 1
1
log {a-\-n) — log (a 4- n — 1) <
a'\-n — 1
e sommando queste diseguaglianze, e posto
^" - V + M^ "^ + a + n-1 '
si ha:
Sn > log (a + w) — log a.
— 63 -
Ora siccome, col crescere indefinitariieiite di n, log (a + ^) cresce
indefinitamente, anche Sn crescerà indefinitamente, e la serie con-
siderata, in cui a = 0, ò divergente.
Come caso particolare, se a =: 1, si ha che la serie armonica è
divergente.
Suppongasi ora a < 0; sarà
(a -|- n) ' '
onde i termini della serie proposta sono maggiori dei termini della
serie il cui termine generale è — — — , la quale è divergente ,
perciò anche la serie proposta per a < è divergente. Per esempio
la serie
1 j_ J_
è divergente.
Suppongasi in fine a > ; si consideri la funzione
F{x) =
a (a 4- a?) ^
Sarà
1
F' (x) =
la+x)^-^^'
e ricorrendo alla formula F{x-{-i) — F{x) = F^{x-{-Q) si ricava
11 1
a(«4"a?)^ a(a+a?-hl)^ (a+ a? + e) ^ "^ ^
e se invece di 8 pongo 1, il membro di destra diminuisce, onde
<
(a-fa7 + l)*+« a(a + x)^ a(a + x + ì)
a
— 64 —
Se in questa diseguaglianza si fa a? := 0, 1, 2, ... n — 2, si ricava
111
<
(a + l)^+" aa^ a(a4-l)"
1 1
<
(a + 2)^ + ^ a(a + l)^ a(a+2)*
(a + n — 1)^ + ^ a{a + n — 2)^ a{a + n^if
1
Sommo queste diseguaglianze, aggiungo ad ambi i membri - - . - — ,
dl + a
e, posto
1 1 1
^^ = .4 1^ H A i ^ + -" +
trovo:
iS'fi < — " -f- — 4 — ; 9
ed a maggior ragione:
Sn < r — 1 — ; ,
a a a '
perciò Sn , col crescere di n, cresce continuamente, ma non inde^
finitamente, e la serie proposta per a > è convergente.
62. Teorema. — Una serie è convergente se n "^ Un , dove a
è positivo, non cresce indefinitamente con n; essa è divergente
se n Un col crescere di n non assume valori prossimi qtmnto s€
vicole allo zero.
Infatti se esiste un numero A tale che n iCn <A, sarà
Wn < . . , (w>0),
n "^
— 65-
ed i termini della serie proposta sono perciò minori dei termini
quale è convergente, perciò è anche convergente la serie proposta.
Se invece esiste un numero A tale che per valori di n suffl-
cientemente grandi sia sempre mùn> A, sarà ttn > — , e la se-
rie il cui termine generale è — essendo divergente, è pure tale la
serie proposta.
Se t^ è infinitesimo d'ordine determinato r, prendendo per infl-
1
tesimo principale — , la quantità nr Vm col crescere di n tende
verso un limite finito l, diverso da zero e dall'infinito; quindi, per
valori sufficientemente grandi di n, sarà n^ u» compreso fina due
quantità finite comunque prossime ad ^, e perciò la serie è con-
vergente se r > 1, divergente se r ^' 1.
Per esempio una serie, il cui termine generale è funzione razio-
nale di n, è convergente quando il grado del denominatore supera
almeno di due unità il grado del numeratore; altrimenti è divergente.
La serie, il cui termine generale è w,=sena( —^ J, sarà conver-
gente se a > 1, divergente se a ^ 1, supposto però x non nullo ,
perchè, siccome lim n' sen" ( — -^ — ) — o?^ , il termine generale è
n=oo \ ^ 4" ^ /
infinitesimo d'ordine a.
Lo stesso è a dirsi della serie in cui i*n = tang ( — ; — ) .
68. — n metodo di ragionare per riconoscere la convergenza delle serie del
penultimo numero si può generalizzare dando luogo al seguente:
Teorema. —' Se t (x) è funzione positiva ed indefinitamente decrescente per
valori (2t X ^ a, e si conosce una funzione F (x) la cui derivata è f (x), la
serie
f(a), f(a + l), f(a + 2),...
sarà convergente ovvero divergente secondochè F(x), che col crescere di x
cresce continuamente perchè la sua derivata è positiva, non cresce ovvero
cresce indefinitamente,
Gsvoocin, Calcolo é^fértnMiaU 5
— 66 —
Infatti si ha F(a? + 1) — F(x) = F' (a? + e), ove < e < 1 ; e àccome
F'(x) = f(x) si ha F[x + 1)— F{x)= f (x + G); si è supposto che f{x]
decresca continuamente; quindi /*(a?) > /*(« + 8) > /"(a? + 1), ossia:
r(x) > F(a? + 1) - Fix)>f(x + 1).
Facciasi successivamente a?s=3a,a + l, ... a + n — 2, a + n^^U o si som-
mino le diseguaglianze ottenute; posto:
«• = /•(«) + /•(« + 1) 4- ... + /•(« 4- n- 1),
si ha:
Sn>F{a + n)'^ F(a) > 5„ + i — f(a).
Quindi si deduce che se F(a + n) cresce indefinitamente col crescere di n
anche 5n cresce indefinitamente, e la serie è divergente; se invece F{a + n)
tende verso un limite, esso ne sarà sempre minore, onde
Sn + 1 </•(«) + lim F{a + n)^ F(a),
quindi Sn+i non cresce indefinitamente e la serie è convergente.
64. -^ Si può dimostrare, ricorrendo al teorema che precede, che le serie
•
1
1 1
li + a ^ gì
1
i +a ' 3I + CI
3
2 (log 2)^ + ^
1
' 3(log3)i+<» '
1
3 log 3
(log log 3)1 + «
4 log 4 (log log 4)1
■ ••■•■■«•■ ■
+ a
sono convergenti se a > 0, divergenti se a ^ 0.
Infatti le serie scritte si ottengono dalle funzioni
m= ' ' '
a?! "*" ^ X (log a?)l ' * X log x (log log x)^ ' ^
dando ad x valori interi e positivi in modo che i denominatori siano reali e
positivi; e queste funzioni sono per questi valori di x positive e decrescenti
— 67 —
indefìnitamente. Se a > si possono assumere per funzioni aventi per derivate
le precedenti:
F(rc)=— il 1
a^^ a(loga?)« a (Log log xf
le quali col crescere di x tendono a zero; quindi se a > 0, le serie proposte
sono convergenti.
Se a = 0, si può assumere
F(x) z=2Ìog X, log log X , log log log a:,.-
le quali col crescere di x crescono indefinitamente, quindi per a = le serie
proposte sono divergenti. Esse sono divergenti a maggior ragione se a < 0.
Serie con termini di segno qualunque.
65. Teorema. — Urui serie a termini di segno qiuzlunqtte è
convergente se è convergente la serie formata coi valori assoluti
dei termini.
Sia s^ la somma del primi n termini della serie, ^, la somma
dei termini positivi di 5„, e — s'^^ la somma dei termini negativi.
Sarà 5n=^'n — ^"ni 1^ serie formata coi valori assoluti dei termini
abbia per somma 2; sarà 2 = lim(5',+ ^'^)> <riindi s'^ e «"„ che
<5rescono col crescere di n, mantenendosi però inferiori a 2 ten-
dono verso limiti ; sia lim «'^ = 5' , e lim ^'^ = s" ; allora anche
s^ tende verso un limite lim 5,= ^' — 5", e la serie è convergente.
La proposizione inversa non è vera.
66. Teorema. *- Una serie a termini di segno alternato decre-
scenti continuamente ed indefinitamente è convergente.
Sia
— 68-
la serie, dove le Wq ^i ^s sono quantità positive tali che
Wo > W|> W4> e lim w„= 0. Prendasi un numero :pari di ter-
mini dalla serie data, e sia
Questa somma si può scrivere:
e 5»« = t*0— {^1— ^»)— — (^»n-3— ^1»-») — t*»«-l ;
dalla prima eguaglianza si ricava che s^^ cresce col crescere di n, j
e dalla seconda che 5,„ < u^ , onde 5,, col crescere di n tende verso !
un limite, e sia lim 5,, = 5. |
Prendasi ora un numero dispari di termini; 5f,+i =^i« + t«,,,
siccome lim ^^=5, e limw,,~0, sarà ancora lim 5,,+, = ^, ossia
la somma d*un numero qualunque di termini della serie proposta
tende ad un limite fisso, e la serie è convergente.
Se si tronca la serie slVn^ termine Wn-i> ì^ resto
ossia
La quantità fra parentesi è positiva, e <u^; quindi, arrestando la
serie ad un termine qualunque, il resto è del segno, e minore in
valore assoluto del primo termine trascurato.
1 11 1
Per es. la serie -r , — -g , o-> — r » * ^^ì termini sono
quelli della serie armonica alternati di segno, ha i suoi termini
decrescenti continuamente ed indefinitamente ; quindi è convergente.
Troncandola al termine + - , l'errore che si commette è minore in
i
valor assoluto di -^ ; quindi se si vuol calcolare la somma di questa
serie a meno di -jg^ bis(^erà sommare 10' — 1 = 10000000 — i
termini; onde quella serie è di convergenza assai lenta.
i
à
— 69 —
ie di Taylor.
67. — Se f{x) è ftinzione intera, di grado n — 1 , si ha dall'al-
gebra la formula :
«
che esprime ({x^ + /i) in funzione dei valori di f{x) e delle sue
derivate per 07 = o^o , e di ^. Ma se f{x) non è un polinomio intero
di grado n — 1 , la formula precedente non potrà essere esatta ;
però spesso il polinomio di destra dà un valore approssimato di
f{xQ-\'h)\ noi ci proponiamo di stimare quest*approssimazione.
Pongasi perciò
nx,+h)=r{x,)-^hr(x,)+^r{oo,) +
+(^/'^""'H^o) + i?, (1)
dove la quantità Ry che chiameremo term&fìe cornplementare o
resto, è ciò che manca al polinomio dì destra affinchè eguagli
f{XQ + h), ossia
R = f{x,+ fi)-f(x,)-hr{x,)- _J^/^(n-i)(a?^).
Per avere un'espressione più semplice di R pongasi a7o + ^ = ^>
onde 7i = a — x^\ sarà
R = na)-nx,)-{a-x,)r{x,)- _(?^^^Y(n-i)(a;,).
— To-
si consideri la funzione
F{x)=fia)-f{x)-{a-x)r{a^)- _<^=^/r(,-i)(^)^
la quale si ottiene da R leggendo x dovunque trovasi x, . Sarà
F{a) = 0, F{x^) = E, e derivando F{x) si ricava
Ed ora basta ricorrere aUe formule che legano i valori d'una fiin-
aone con quelli della derivata per avere espressioni di R.
Ricorrasi alla formula F(a)-Fiw,) = ia- x,)F'{x,). ovaa;.
è una quanutà compresa fk-a a?» ed a ; sostituendo, e cambiando
s^no:
e ponendo a;,+A invece di a. e fette a;. = a-,+eA, ove risulta
compresa fra ed 1, si trova l'espressione
A»(i_e).-i
(2)
la quale è dovuta a Cauchy.
Ricorrendo invece alla formula:
9(a) — 9(a,j 9' (ojj '
dove <piw) è una funzione arbitraria la cui derivata non si amiulU
nell mtervallo x^a, si ricava :
p_<P(a)-<pK) (a-<g,)— I
e posto
q)(a;) = (a_ar>' con «èl
«ara ^ '
<P(a)=0. q,(J^,) = (a-^,),, <p'(x)^-p(a-xy-K
— 71 —
e sostitaendo :
p(n — 1)! ' ^ ^'
Se in essa si & p = 1, si rìfrova l'espressione precedente ; facendo
jp = n si ha:
od anche, posto «^^7, + *, a;, = a;„ -f- SA ,
i?=^rw(a;,+ e/i). (3)
n/
la quale espressione è dovuta a Lagrange (*).
La formula (1) dicesi formula di Taylor ; le (2) e (3) danno il
il termine complementare in funzione d*una quantità incognita 0,
che si sa essere compresa fka ed 1.
68. — Facciasi ora crescere n indefinitamente; può avvenire che R
tenda verso zero; se ciò avviene la serie ^(^o)» ^A^o)» i-^rX^o)»-
è convergente, e la sua somma è ({x^+h); quindi si potrà scrivere:
e si avrà f{x^-\-h) sviluppata in serie ordinata secondo le po-
tenze ascendenti di hy la quale chiamasi serie di Taylor. Affinchè
però essa sia applicabile è necessario e sufficiente che lim i? = 0,
per n = oo.
Un* altra espressione si ha dal calcolo integrale; sostituendo nella formula
F(a) — i^(»(j) = ( F 0» da? si ricava
— 72 —
Si può subito affermare che la serie di Taylor è applicabile a
tutte quelle funzioni per cui la derivata ^W (x) è per tutti i valori
di X compresi ù^ Xq ed a?^ -f* ^ minore in valor assoluto d*una
quantità A, qualunque sia Tordine n. Infatti per queste funzioni è
in valor assoluto R <—,A, come si ricava dalla Torma del resto
ni
di Lagrange ; e — ^ tende a zero , perchè la serie avente questa
quantità per termine generale ò convergente, quindi anche lim i?=0.
Quindi sono sviluppabili colla sene di Taylor le funzioni e^ , sen a?,
coso?, le cui derivate successive non crescono indefinitamente.
Si può pure applicare la serie di Taylor alle funzioni la cui de-
rivata n"*» è della forma u**VjUev essendo due funzioni di a:* e
di n, che, per tutti i valori di x compresi jQ?a a?o ^ ^o+ ^ ^ P^r
tutti i valori di n sono minori di due quantità fisse A e By perchè,
A" A"
ricorrendo alla forma del resto data da Lagrange, si ha R<: — j^B,
la quale quantità ha ancora per limite zero.
Serie di Haclanrin.
69. — Pongasi nella formula di Taylor a7o = 0, h = x; essa
diventa
f(x) = f(0)^xr(0) + -^r{0) + 4.^-f^/'(n-i)(o)+/?.
ed R assume le forme
ig = ^ "j^3^j7V <"H9a?), ovvero R=^fin)(Qx)
e le formule precedenti sussistono se f{x) ammette le derivate
successive fino airn*^ per tutti i valori della variabile compresi
flra ed 07.
— 73 —
Se col crescere indefinitamente di n jlimi? = 0, si avrà lo svi-
luppo di f{x) in serie ordinata secondo le potenze ascendenti di ce:
r(a?)=r(o)+a?r(o)+^r(o)+
la quale dicesi serie di Maclaurin.
La serie di Maclaurin è caso particolare della serie di Taylor;
ma la serie di Taylor si può pure dedurre da quella di Maclaurin.
Pongasi invero F{h) = f{XQ-['h)\ sarà F("K^) = /'^"K^o + ^)»
ed applicando la serie di Maclaurin alla funzione F{h) si ottiene
la serie di Taylor.
Sviluppo in serie di é^
70. — Le derivate successive della funzione 6* sono eguali alla
stessa funzione, e quindi tutte finite, e si riducono all'unità per
0^ = 0; quindi applicandovi la serie di Maclaurin si ha:
^ — ^'^ T"T"r72"^ 1.2.3+""
ed il resto della serie troncata all'ultimo termine è, sotto la forma
di Lagrange,
tv.
ed esso ha effettivamente per limite zero col crescere indefinita-
mente di n, perchè, essendo convergente la serie U cui. termine
generale è —^ , lim —^ = (V. N° 60), ed €^^ è compreso fra
rr • Tv.
i qA €F quantità finite; perciò il precedente sviluppo in serie di
e* vale per tutti i valori di x.
— 74 —
71. Ponendo nella formula precedente a)=:i, si ha una serie
numerica che rappresenta il valore di e:
^ — ^-r i ^1.2^1.2.3^1.2.3.4^
ed il resto della serie troncata ^' n"^ termine, è :
* n!
3
e siccome ^ < 3, si avrà R^ <— r- Ma possiamo trovare un'esia'es-
sione più conveniente di R^. Invero
i? - i 4- — 1- 4- -i- 4-
»~ n! ■'" (n+1)! ~ (n+2)! ~
ossia
■'*" ~ ^ L^ + M^"^ (n + 1) (n+2) + J
e poiché n-\-i, n-\- 2, sono maggiori di n.
Rn
<Ì[* + ^ + Ì + ]
1
e sommando la progressione geometrica di ragione — del membro
di destra
In 1
Rn<—, 7, ossia i?„<; — r;r — Tn ;
* ni n — 1' " (n — l)!(n — 1)
vale a dire l'errore che si commette troncando la serie dopo n
termini è minore della (n — ty^ parte dell'ultimo termine scritto.
Scambiando n in n + 1, e scrivendo il valore di Rn+i = -t- ,
si ha
r
^~^ + T"+T2"+r2:3 + + t^ + "^
n:n
ove < e < 1.
— 75 —
72. — Servendoci di questa formula potremo dimostrare che il
numero e è incommensurabile. In&tti^ pongasi per assurdo che sia
e = — , m ed n essendo due numeri interi ; sarà :
n
si moltiplichi per n/, e si trasportino tutti i termini del membro
di destra, eccetto Tultimo, nel membro di sinistra ; si avrà a sinistra
un numero intero, e a destra — la quale eguaglianza è assurda,
perchè essendo 9 compreso fra ed 1, anche — sarà maggiore
di zero e minore di uno; quindi non può essere eguale ad un nu-
mero intero.
Pongasi, nello sviluppo in serie di e« , a? log a invece di x; sic-
come e* ^^^ = a^ , si ottiene
^ , a? Ioga a?Mog«a , as^ìo^a
a- = 1 4- — i— + -n^ -r xo- +
Sviluppo in serie di sen x e eoa <e.
73. — Pongasi f{co) = sen a?; le derivate successive sono
cosce, — sen x, — cos a;, sen a?,...
e si riproducono periodicamente, sicché:
/•(* ••) (.r) = sen 0? , /" (*" -^ i) (^) = cos x],
che per a? = si riducono rispettivamente a :
0, 1, 0, — 1-
— 76 —
Onde applicandovi la formola di Maclaurin col resto di Lagrange
si troveranno, a seconda del termine cui si arriva:
aenw = x-^ + 3, - _ ^^_^, + -^^-^ sen 9 a;,
senx = w-^+ ____ + ___cosea;,
sen«; = a?- 3^ + + __^ _ ___ sen e a? ,
0?* , 0?*»+* a?*»+3
sena7 = a?— -^ + + m . ^xt — zr- tqtt cose a?.
Il resto, sotto qualunque forma si consideri, tende a zero col cre-
scere indefinitamente di n, quindi
3j3 fi/fi fK^
sena? = a;- 3^ + sT "" Ti +
• • ■
Se si suppone <x <-^ , anche ea? sarà compreso firai gli
stessi limiti, e sen e^ e cos 6^ saranno positivi ; onde si deduce che
se nella serie di sen x ci arrestiamo ad un termine con a?* » - \ ov-
vero con a;*»»+i si ha un resto positivo o negativo, ossia il risultato
è alternativamente minore e maggiore di sen x\ quindi si hanno le
disuguaglianze:
sena?<^, sena7>ir — -g^, sen a7<a? — '37+ sT —•
74. — In modo analogo, posto f{x) = cosx, sì deduce:
/•(* •») (x) = cos X, /*(*» + 1) (x) = — sen a?,
/t*»»+:2) (a?) = — cosa?, /t*»»-*-8) (a;) = sen a?,
che, per a? = 0, si riducono rispettivamente a :
1, 0, — 1, 0.
Onde applicando la formola di Maclaurin, col resto sotto la forma
— 77 —
data da Lagrange si trova, a seconda del termine a cui ci arrestiamo,
2! '4! (4n)! (4n + 2)!
a?« 0?*»+* , a?4«+4
co8a; = l-2r + " (4M^! + (4;r+4)! «« « ^-
Il resto, sotto qualunque forma si prenda, ha per limite zero col
tendere di n ad infinito; onde
x^ x^ ofi
e, se < 0? < -g- , troncando la serie ad un termine con x ele-
vato ad esponente doppiamente pari ovvero semplicemente pari, sì
ha un resto negativo, ovvero positivo, onde:
cosa? <1, cosa7> 1 — ^, cosa? <1 — 9r"i"
2! »—•--* 2! ' 3!
• •• •
Formula del binomio.
75. — Il binomio (a + &)» = «"• (l^ ]*; e ponendo — =^
il secondo fattore diventa (1 + a;)*; è questa ftinzione che vogliamo
sviluppare secondo le potenze ascendenti di x.
Pongasi perciò f(pS) = (1 + xY\ sarà T (^) = m (1 + a?)"»-*,
f\a^ = w (m — i) (i + ^)'* -*, ed in generale
/•(»)(ir)=7n(w — 1) (w— n -f i)(i + a?)*-".
— 78 —
Quindi ia formula di Maclauriu dà:
m(m— l)...(m— n + 2) „_t _i_ jj
"■ 1.2...(n-l) ^" +^»'
e il resto i?n , sotto la forma di Lagrange, è
(2) ^^ m(m-l) (^-n + 1) ^ ^^^^_,^
6 sotto quella di Gauchy è
(3) i?, = (1 - e)--' •"^"rlv-lTi""^'^ *• (1 + e cor-'.
Se m è intero, e positivo, il resto si annulla facendo n= m -{- 1,
e si ottiene lo sviluppo del binomio per Tesponente intero e posi-
tivo, che si conosce dairalgèbra. Se m non è intero e positivo, la
serie, ì cui primi termini sono scritti nella formula (1), continua
indefinitamente. In essa il rapporto del termine di posto n-j-i sì
precedente è ^~^ x =? ( ^^^^ 1 ) a?, e col crescere inde-
finitamente di n ha per limite — x; quindi se a? in valor assoluto
è maggiore dell'unità, la serie è divergente, ed Rn non può aver per
limite zero. Se a? è in valor assoluto minore delFunità, la serie è
convergente ; inoltre Um Ai = 0, come ora dimostreremo.
Dalla convergenza di questa serie per a? < 1 in valor assoluto, si
deduce che il suo termine generale ha per limite zero, ossia
,. m (w — 1) ... (wi — n + 2) , _
1 . 2 . . . (n ^ 1)
per n infinito, qualunque sia m; e scambiando m in m — 1, si
deduce che
_. (m — l)(m — 2) ... (m — n + 1)
^°'- 1.2...(n-l) ' ^-=0-
— 79 —
Ora la (3) si può scrivere R^ = ABCy ponendo:
__ (m-l)(m-2)...(m-n + l) ^^_,
^ ~ 1.2... (n-i) ^ '
5 = ?wa?(l + ea?)«-*, e C= ( l^^^ \^' ^
ed il primo fattore A ha per limite zero, come si è visto; nel se-
condo mx è costante, e (1 + G^)"*"* è compreso fra 1 e (i+a?)"-*
quantità pure costanti; il terzo fattore C è minore dell'unità,
perchè, qualunque sia il segno di a?, purché in valor assoluto
< 1, 1 — e < 1 + 80?; onde lim A = 0.
Quindi per tutti i valori di x minori in valor assoluto deirunità,
si ha:
Dando ad m varii valori, si ottengono le formule:
I /a — A 5 * • O ^0 1 . «J . O -
^-^■—00—1 — -^ X —-^-^X — 23J3 X' — 2.4.6.8 ^5 — ...
l/TT^" X ^+'0'* "2X6^ + 2.4.6.8 ^""•••
* ^ ■ 1 1 1-3 . , 1.3.5 , , 1.3.5.7 , ,
l/T-Tx —"^2 *" ^ 2.4 -" T^2.4.6* ^2.4.6.8
Queste formule possono servire per calcolare le radici dei numeri;
cosi K 5 = K 4 + 1 = 2 yl-|--j-e basterà svolgere in serie il
^dice Vi + i-; .^ ^. sono ra^da„.e«te oo.,«^« .
la frazione a; è assai piccola.
— 80 —
76. — Rimangono a studiare i casi di a? = + 1. Premetteremo
a questo scopo che l'espressione
__ fl(fl-|-l)...(a + n — 1 )
*•"" &(&+l)...(& + n— 1)
ove a e b sono costanti non intere e negative, né nulle, coli ten-
dere di n ad 00 cresce in valor assoluto indefinitamente se a > &,
ha costantemente il valore 1 se a = &, e tende verso zero se a < &.
Suppongasi dapprima a > &, e & > ; allora
a . . a — b a -f 1 , a — b
b —^^ b ' 6 + 1 ^6 + l'--"
a + n— 1 ji_ d — b
b + n-^i — ■ 1 + ft-i-n — 1
e quindi
''"=('+^)('+Iìt)-('+.-tì^)
dove i secondi termini dei binomii sono tutti positivi. Eseguendo la
moltiplicazione si ha evidentemente
P.> ! + («_») (^ + _1_ + ... + _1_) .
Ma i termini entro parentesi sono i primi termini d'una ^serle
divergente; quindi col crescere indefinitamente di n questa somma
cresce indefinitamente, ed anche Pn cresce indefinitamente.
Sia ancora a> ì), ma & <0; prendasi l'intero m tale che
ì)-\-m> 0, e pongasi a-\-in^=ia\ &+^=&'; suppongasi n>my
e n — m=^n^; sarà
_ a(a+ l)...(a + m — 1) a' {a' + 1) ... (g^ + n' — i)
" "^ b{b-^i)...{b + m^i) • b* ip' + 1) ... (&' -f n' — 1) '
U primo Mtore di P^ è una quantità finita, e non nulla, perchè
aetì) non sono né nulli, né numeri interi e negativi; il secondo
— 81 —
fattore col crescere di n e quindi di v! cresce indefinitamente perchè
a' > V\ onde lim P, = oo.
Suppongasi a < &; sarà
i _ ft(ft + i) ... (ft + n — i)
P. ~ a(a + l) ...(a + n — i)
ed essendo & > a, questa quantità cresce con n indefinitamente,
onde lim P. = 0.
Se a=&, P, = i.
77. — Ciò posto, suppongasi nella formola del binomio a? = 4- 1;
il resto, calcolato colla formola di Lagrange, diventa:
^ m (m — i) ... (m — n + i) .. , ^.
*• = 1.2...n (^ + e)—
ossia
ed a fattore (1+9)— < 1 se »> m; U fettore -"»-(^-'^) -(»--*-"')
si ottiene da P^ ponendo a = — w> &=1; quindi tende a zero se
— m < 1, ossia m > — 1; quindi, in questa ipotesi anche R^ tende
a zero, e si ricava:
^ _ . , w , wt (m -- 1) m (w — 1) (m — 2)
^"-^"♦' "T "* 172 I 17273 *■ •••
per ogni valore di m > — 1.
Se si fa w = — 1, la serie di destra diventa 1 — 1 + 1 — i-
che è divergente; se m < — 1, il termine generale della serie
«i(m— l)...(m — n + l) , ■--w(l ^m)(2— m) ... (n — 1— m)
1 . 2 ... 91 ■"" l.<&.o...>i
col crescere di w, per ciò che si è detto, cresce in valor assoluto
indefinitamente, e la serie è divergente (N. 55).
— 82 —
78. — Facciasi la flae nella formula del binomio a? = — i ; la
serie diventa
m ^^ m{in — 1) m (m — 1) (m — 2)
r "• 172 1.2.3 T- •••
quindi
5, = 1
w m — 1
ò,= l 7- = -.
1
m — 1 j^m(m— 1) (m — l)(m — 2)
O3— j I J72~ "- l72
(»i— l)(w_2) m(m — l)(m — 2) (m — l)(w — 2)(m — 3)
^4 =
1.2 1.2.3 ~ 1.2.3
_/ jy (^'^^)(^""^) (»^— w + 2) . . . ^, m(m— l)....(m—n-f2)
-""^ ^ (n — 2)! "*"^ ^" (n — l)!
_/ .v.-ui (^-^)(^-^) (m-n + 1)
~^ ^^ 1.2 (n — l)
Si ha cosi un' espressione di S^y ed è fiicile il vederne il suo limite
per n infinito. Invero si può scrivere :
^ (1 — m) (2 — m) (n — l — ni)
-~" 1.2 (n — l)
e per ciò che si è dimostrato , lim iS^^ = se i — m < 1 , ossia
m> 0, quindi si ha
f. 4 m , m(m — 1) m{m — l)(m — 2) ,
^-^ — r+-r:2 ro — +
per w > , la quale formula coincide appunto colla formula del
binomio per x = — 1, ed m positivo. Invece se m<0, s^ col cre-
scere di n cresce indefinitamente, e la serie è divergente; d'altra
parte il binomio (1 + a?)* si riduce a 0"»=oo, se m è negativo.
— ss-
'Se poi m = Ó, il binomio prende la forma 0^ che non ha significato,
e la serie si riduce al suo primo termine 1.
Gonchiudendo, diremo che la formula del binomio vale per .x
minore di uno in valor assoluto; vale ancora per a?=:l se m> — 1,
^ per x = — 1 se m>Oy e vale solamente in questi casi.
Sviluppo in serie di log (1 -{- x).
Formule pel calcolo dei logaritmi.
"79. — Pongasi f(pc) = ìog{i-\'X); si avrà
nx) = ii + xy\ na:) = -{i + xy\
f(n)(x) = (— 1)- * (n — 1) I (1 + a?)— ,
onde si ricava
- r(o)=o, r(p)=u r(o)=-i /•(-)(o)=(-i)-u«-i)i
^ sostituendo nella formula di Maclaurin:
log(l-ha;) = a?-^+-f-- +(-1)"-'^+^- (^)
•dove R^ si può mettere sotto le due forme :
i?,= (_i)«-i^(i + ea;)-, (2)
n
ovvero
ie.= (— l)--*ar»(l — e)*-Hl + ea?)-^ (3)
Là serie, i cui primi termini sono scritti nella formula (1) è diver-
gente se 0? > 1 in valor assoluto, perchè il rapporto di due termini
<5onsecutivi +— : +^^. =— ^^-^^^a? ha per limite —a? Còl
— 84 —
crescere indefinitamente di n; quindi se a?* > 1 la serie in questione
non può rappresentare log (1 + x).
Supposto X positivo, ma minore di uno, prendendo Tespressione
(2) del resto, si ha 1 + ft» > i > quindi (1 + e^)-" < 1 ; il primo
attore — col crescere indefinitamente di n tende a zero, perchè
af" ha per limite zero, ed il denominatore cresce indefinitamente ;
onde limi?,=0, e
«|*2 /qS gffk
log(l+a7) = a7— ^+-y — -J +
Questa stessa formula serve anche per 07 = 1, perchè in questo
<^^^ ^••=d:"~(l + 6^)""*> ®d^ secondo fattore è ancora minore di
1
1, mentre il primo — ha per limite zero ; quindi si deduce :
iog2=i-4 + T— r+ (4)
che è la serie armonica coi termini di segno alternato ; essa però
è di convergenza assai lenta.
Suppongasi ora x negativo, ma minore di imo in valor assoluto;
ricon'endo alla seconda forma del resto, si ha :
* — l + ea?vl+-ea?/
' e, col crescere indefinitamente dì n, a?" ha per limite zero; il fattore
11 / 1 — e \n— 1
. . ^ < j—, — ed e quindi finito ; il terzo fattore . . ^ < 1^
onde limi2, = 0.
Se si fa x= — 1 , la serie di destra diventa
2 3 4
la quale è divergente ; d*altra parte a sinistra si ha
log(l — l) = logO = — 00 .
- 85 -
Gonchìudendo si ha che, per tutti i valori di x minori di 1 in
Talor assoluto, e per x = i sussiste la formula:
log(i + a;)=a?— f +T— r+ (^)
80. — In questa formula si scambi x in — x; si ricava:
log(i— a7) = — a? — ^ — -y — J- — (6)
•e sottraendola dalla precedente, i termini con esponente pari si
distruggono, e q[uelli con esponenti impari si raddoppiano; onde :
log(l + a7)-log(l-a;) = log(J^)=2(a?+^+^ + )(7)
la qpiale vale per a?' < 1. Pongasi
1 + » . y^ h z + h
1 — ce ' ar z
si ricava : a?= ^ , , e sarà certamente a?<l se ^ e ;3r sono quan-
tità positive. Sostituendo nella (7) si ha:
f h h^ h^ \
log(^+A)-log^ = 2(^j-p^+5^^^ + 5-^5j:pj5; + ) (8)
•e dando in essa ad ^ e ;? valori positivi convenienti, si possono de-
terminare i logaritmi naturali di tutti i numeri.
Facciasi in essa z = ì, ^ = 1 ; si ricava:
I0g2=2 [4+3-^ + 5-^ + ^-1, + ]
serie rapidamente convergente; e calcolandone un numero suffl-
<ìiente di termini, si ha
log 2 = 0,69314718
— 86 —
Facendo nella stessa formula ^ = 4, /^ = 1 si ricava :
I0g5=l0g4+2[i- + J^4-54.+ ]
ora l(>g4 = 2 log 2, e quindi è noto, e la serie è di convergenza
rapidissima, onde fàcilmente si può avere il log 5. Avuto questo» si
ottiene log 10 = log 5 -|- log 2, e si trova
log 10 = 2,30258509.
e questo numero ci servirà fra breve.
Ck)si si vede come si possano successivamente calcolare i loga-
ritmi dei numeri primi. In pratica si suole ricorrere ad artifizi!
che rendano ancora più rapida la convergenza delle serie a cal-
colarsi. Ad esempio, per calcolare log 7 si può fere a questo^modo :
pongasi nella formula (8) ^ = 49 = 7*, e h = i; z + h diventa
eguale a 50 = 2.5*, onde:
log2 4-21og5-21og7 = 2[-^ + -^-^ + -^-^
donde si ricava log 7 mediante log 2 e log 5 che sono noti, e della
somma d*una serie di convergenza rapidissima.
81. — Le formule precedenti servono pel calcolo dei logaritmi
naturali; da essi si possono dedurre i logaritmi in una base qua*
lunque.
Sia invero y un numero dato, a? ed ^ i suoi logaritmi, il primo
neperiano, ed il secondo in una base a.
Sarà
e* = a*' = Vy
e prendendone i logaritmi in una base qualunque
a? Log e = a?' Log a.
— 87 —
onde
, Log e _ 1
Loga ° Ioga
ossìa il logaritmo in base a d'un numero qualunque si ottiene mol-
tiplicando il logaritmo naturale dello stesso numero per un fattore
costante, detto modiUo del sistema di logaritmi in base a, il quale
vale il logaritmo in base a del numero e, ovvero il reciproco del
logaritmo naturale della base a.
Quindi il modulo dei logaritmi decimali varrà L(^4o^ ovvero
1
j — j^ ; rappresentandolo con Jkf si ha:
M = -i— ìtt = ^ .^ = 0,43429448...
log 10 2, 302...
Invece di calcolare prima i logaritmi naturali, per dedurne, mol-
tiplicandoli pel modulo, i logaritmi in una base qualunque, si pos-
sono ottenere direttamente delle serie che danno i logaritmi nella
base voluta ; invero moltiplicando p. e. la formula (8) per M , ed
osservando che Mlog a? = Log a?, si ricava:
<
Log(^+ft)-Log^=2ilf[gA_+J_(_^J+i.(_A_)V...].
Syiluppo in serie di arctangof^.
82. — Pongasi f{x) = are tango?; sarà
1 -». . — 2a?
»/*f
e la legge di formazione delle successive derivate non è semplice
(V. N. 49, Es. 21).
— 88 —
Tuttavìa, volendosi lo sviluppo in serie di are tang x , si può pro-
cedere nel modo che segue. Si ha
quindi ponendo
arctanga? = a?— ^ + 1^ — -f (_i)"-«^!li.4-(_i)ri?(a?)
la funzione R{x) si annulla per 07=0, ove si prenda per are tang a?
il più piccolo arco avente per tangente x^ e la sua derivata è
Si ricorra alla formula
■R(a?) — ■R(0) _ .R^(ea?)
<p(a?) — <p(0) ■~<p'(e«) '
e pongasi q)(a?)=2^; sarà qp'Ca?) = a?*" , i?(0) = 0, q)(0) = 0,
e sostituendo
Ri x_ <p^+^ (ea?)«" 1 _ a?«»+i 1
essendo < e < 1. Ora se a? è in valore assoluto minore od eguale
ad 1, ^ — —7 ha per limite zero col tendere di n ad oo, mentre
1
^ ^ , è sempre < 1, onde Iimi2(a7) = per n = oo, e
are tang 07 = 07 — 3" + "5 7" +
per tutti i valori di x non maggiori dell*unità in valor assoluto.
Se o?*> 1, la serie è manifestamente divergente.
- 89 —
Facciasi nella serie precedente 07 = 1 ; si rìcaya
4 ^ 3 «^ 5 7 ^
serie da cui potrebbe ottenersi ti, ma di convergenza troppo lenta.
88. — Si possono con opportuni artiflzii formare delle serie per
determinare tt, assai comode nel calcolo. É da notarsi il seguente
dovuto a Machin.
1
Pongasi a=arctang 7 ; si ricava :
_ 1 Ili 1 I
^— 5"~3.5»"'".57^""775'"'"
e siccome tang a= -^ , sl ha tang 2 a = ^J^ta = 12 ' ®
120 ir ir
tang4a = T7Q, onde tang4a>l, e 4a>-^; posto 4a — j-=A,
si ha:
onde
. . tang4a — 1 1
^g^ = i + tang4a = ^-
il — arciangg^ — gg^ 3.239» '5.2395
e siccome -j^zAa — A, si ha «infine:
jl-aP -1— lJ^ i_rJ i-j ^ 1
4~*L5 3.5»"^5.&> J L239 3. 239» "^5. 239» * * ' ' J
le quali serie sono rapidissimamente convergenti.
— 90 —
Funzioni interpolali.
84. — Sia f{x) una data finzione di x, ^ x^ x^ x^ diversi
valori che si possono attribuire alla variabile a;/Ghiamansi ftanzioni
interpolari di primo, secondo, terzo ecc. ordine le espressioni
/■(a?, a?,), fix^x^x^), f{x^x^x^x^, ecc. definite dalle eguaglianze:
. f(x,x;i=(^^^^f^
«1 — «?l
/•(a;,a?,a.3) = ^-^-^^-"^^"^"^^
f{pD^X^X^X;)=z
/•(a?! a?, a?3) — f{x^ ofj x^
a?3 — ^4
La funzione interpolare d*ordine n dipende da n + 1 variabili.
Si può scrivere
acc„w,)=4^: +
f(<^ù
a?i — a?2 ' iCj — Xi
quindi
' V >' ^^ iCi — a?8 ' a?3 — a?,
e sottraendo, ed osservando che = , ^^ — ^
«1 — x^ Xi — a?3 («?i — a?j) (a?i — «3)
si ha :
(0?! — flpj; (a?£ — a?8; ^^2 "" *i — ^ *^8 "" *i
— 91 —
e dividendo per x^ — os^
/V i t 3^ (a?4— «j)(a?i — a?3) '^(a?j — 0?,) (a?2— a?8) («^3— a'iXa^s— «?E>'
onde si scorge che la funzione interpolare d'ordine n — 1 si potrà
mettere sotto la forma :
e per dimostrare questa formola, verificata la sua esattezza per
n = 2, 3 , . . . , basta dimostrare che, suppostala vera per un certo
valore di n, è ancora vera aumentando n di un' unità.
Dall'ultima formula si deduce chauna funzione interpolare è fun-
zione simmetrica delle variabili da cui dipende.
85. — Si sa dall'algebra formare un polinomio intero di grado
n — 1 in a? F(x\ che per gli n vajori x^ x^ a?„ assume n dati
valori, quindi gli stessi valori che assume un'altra funzione qualunque
f{x\ cioè f{xD f(x^) f{x^)' Questo polinomio si può esprimere me-
diante le funzioni interpolari. Invero, se F{x^) = f{x^), la funzione
jP (x) — f(Xi), che si annulla per a? == tì?^, è divisibile per x — a?i,
e posto F^ (x) = 2! 9 F^ (x) è un polinomio intero di
grado n — 2; se in esso faccio a? = a?„ x^ a?^, siccome F(x^)=
= f(x^), F{x^)=:f(x^)y ne deduco i valori che assume in cor-
rispondenza F^ (x), che sono :
Fi {X,) = f{x, a?,), F, (a?3) = f{x, x^\ F, (^ J = f{x, x^.
Inoltre dall'eguaglianza che definisce Fi (a?) ricavo:
F (a?) = f{x,) + (a? - X,) F, (a?). ll|
Posso ora ragionare sul polinomio F^{x) di grado n — 2, di cui
— 92 —
conosco i valori corrispondentemente ad n — 1 valori della varia-
bile, come si è ragionato su Fico); quindi, posto
F,(a;) = -^«<">-^^""^> .
07 — 072
Fi(x) sarà un polinomio intero di grado n — 3, che assume pegli
n — 2 valori àixix^ x^... x^ rispettivamente i valori f(^x^ a?, a?,),...
f{x^ x^ a?J, e si ricava
Cosi continuando si avrà una nuova eguaglianza:
ed in fine avremo una funzione Fn-2 {pS) di primo grado in Xy che
per a? = a?n-i e o?^ assume i valori
f{x^ a?j a?H-.2 a?»-i) e /'(a?, a?, a?»-2 a?J;
quindi potremo porre
Fn-2 (o?) = /"(o?! x^ a?ii-2 arn-i) + (a? — a?n-i) F«-i (a?)
dove F»-i(a?) è una costante il cui valore si ricava da questa
eguaglianza facendovi x = x^ onde
Fn-i {x) = f{x^ a?2 ^«-i ^»)-
Sostituendo ora nella formula [1] ad F^ {x) il valore dato dalla [2],
ad F^(x) il valore dato dalla [3], e cosi via, si trova:
F{x) = r{x^-\'{x—x;) fix^yX^) + (^— ^i) (a?— a?j) /l[a?|a?ja?8)+-
+ {X — Xi) (X — X^) {X — Xn-l) f(X^X^ X^
— 93 —
e si ha cosi espresso mediante le funzioni interpolari la funzione
intera di grado n — 1 in a? che pei valori Xi a?, x^ assume i
valori f{Xi) f{x^ /"(^J- La formula precedente dicesi formula
d'interpolazione di Newton; e siccome si può in un sol modo for-
mare un polinomio di grado n — i che assuma n dati valori corri-
spondentemente ad n valori dati della variabile, questa formula
non può differire dalla formula d'interpolazione di Lagrange.
86. — Da una formula del calcolo differenziale si ha :
f{x,x;i = f{u),
u essendo un valore compreso fra Xi ed x^, supposto che f{x)
ammetta derivata per tutti i valori di x compresi nell'intervallo Xt x^.
Esiste ima formula analoga per le funzioni interpolari d'ordine
qualunque.
Suppongasi che f{x) ammetta le successive derivate fino al-
l'ordine n — 1 per tutti i valori di x compresi in un intervallo in
cui si trovano i valori Xt x^ a?« ; e si consideri la Amzione
ip{x) = f{x)—F(x)
la quale avrà pure le derivate successive fino all'ordine n — i.
Questa funzione si annulla per x = x^ x^ x^\ quindi per un
teorema noto, supposto a?, <a?,< <^», la sua derivata 9' (a?)
si annullerà per im valore di x compreso fi[*a x^ ed a?„ per un altro
valore compreso fra x^ ed x^ in tutto si annullerà certamente
n — 1 volte per valori compresi fra il minimo ed il massimo valore
delle x^ x^ x^ ; per la stessa ragione 9'' {x) si annullerà per
n — 2 valori compresi nello stesso intervallo, e infine la derivata
d'ordine n — i si annullerà per im certo valore u medio fl:a i
valori attribuiti ad x. Ma
9 (H-l) {x) =z fin-I) (^) _ jr (n-1) (^),
e derivando F(x)y si ha che
F ('•-1) (a?) = (n — i) ! f{x^ x^ a; J
- 94 ^
onde
cp (••-i) (x) = /*(»-i) (x) — (n — 1) ! f{Xi x^ x^)
« ponendo x = u, si ha
9 (t-i) (w) = /•(«-!) (w) — (n — 1) ! /•(a?, a?, a?J = 0,
onde
^/ X /•{*-!) (m)
formula che esprìme la funzione interpolare d'ordine n — 1 in
funzione della derivata dello stesso ordine corrispondentemente ad
un valore della variabile medio fra i valori attribuiti alla medesima.
Se la derivata d'ordine n^i è continua, facendo tendere le
47, a?, x^ ad uno stesso valore x^ , anche u tende ad x^, e
onde
lim f{x^ x^ a7„) = \^_ly; .
87. — La funzione <p {x) = f{x) — F(a?), che rappresenta Terrore
che si commette prendendo invece della funzione f{x) il polinomio
intero F{x), si può esprimere mediante funzioni interpolari. Invero
il polinomio di grado n, che pegli n-\-i valori x^ x^ x^ x^ as-
sume gli stessi valori di f{x\ è
f{X,)+{X—X,)f{X,X;)+ + {X—X,) {X—Xn--l) f{X, X^ X^ +
+ (^ — X,) {x—x^ f{x, x^ x^ x^
facendo in esso x = x^y il suo valore diventa f{x^, e scambiando
poi Xq in X si ha
ApD)^f{x,)'^{x—x,)1{x,x^)-\- -K^— ^i) {x—xn-.i)f{x,x^ a?J+
+(0?— a?0 {x—x^f{x^x^ x^x),
— 95 —
onde
(p {x) = (a? — X,) {x — a?,) f{Xy a?, x^ x)
ed anche
(^{x) = (x—x,) {x—x^-^^,
u essendo un valore medio fra i valori x^ x^ x^ x.
Sostituendo perciò in /*(a?) = F (a?) + q) (a?) ad F{pS) e a <p (a?) i
loro valori, si ha
r(^) = /'(^i) + (^— ^i) r(^i *'^i) 4- {x—x^^x—x^fix^x^x^-^-
+ {pa—x^ (a?— a?»-i) rCa?^ a?, ayj +
+ (a? — a?0(a? — a?,) (a? — a?J'-— p.
TI- •
Questa formula presenta molta analogia colla formula di Taylor
completata col resto di Lagrange.
Applicazione delle formule d'interpolazione.
88. — Alcune volte, calcolati i valori d'una funzione f{ai) cor-
rispondentemente a due valori prossimi x^ x^, si determina il
valore della funzione corrispondentemente ad un valore x della
variabile medio fra i due, supponendo che gli incrementi della fun-
zione siano proporzionali agli incrementi della variabile , ossia si
stabilisce la proporzione
— 96 —
da cui si ricava:
I M'J — " ««'1
ossia
/'(^)=/'(a?i) + (^ — a?J fix^x^) .
Questa ipotesi non è rigorosa in generale, ed invero, supposta vera,
f(x) diventa funzione di primo grado m x; quindi assumendo per
f{x) il valore dato dalla formula in questione, si commette un er-
rore che potremo stimare.
Si ha, scrivendo la formula d'interpolazione di Newton col ter-
mine complementare
f{x) = f{x^)+{x—x^)f{x^x;i + (x—x^){x — x;)r{x^x^x)
ovvero
r(«)
f{x) = f{x^) + (x—x^)f(x^x;i + (x—x;i(x—x;ì
2
u essendo un valore medio fira ar^ ed or, ; e l'errore è rappresentato
dal terzo termine di questa espressione.
Applichiamo questo risultato all'interpolazione dei logaritmi de-
cimali. Siano calcolati e disposti in tavole i logaritmi in base 10 di
tutti i numeri interi compresi tira 1000 e 10000; la ricerca del
logaritmo d'un numero qualunque si può sempre ridurre aUa ri-
cerca del logaritmo d'un numero x compreso entro questi stessi
limiti: sia x compreso fra gli intai 3r ed X+i; si determina
Log X diéopemìéo le tavole d'interpolazione, che sono appunto cal-
colate supposta la proporzionaliti fra gU incrementi deUa funzione
e deUa variabile ; quindi si commette un «ttx^e che si ottiene dalla
formula
€ = ^j- — j-jHJr — a-tVj^
— 97 —
facendo x^ = n, x^=N + i, f(a))=^ljOgx = M\ogx, f{x) = '^.
Pongasi ancora x=^N'\'h; sarà < A < 1 ; quindi
€ = — ^{^ — ^)2U' essendo N<u<N+ 1.
Ora il prodotto A(l— Ti), che è il prodotto di due quantità positive
la cui somma è uno, diventa massimo quando esse siano eguali,
e quindi ;ì=1. onde f^ i^-h)^j\ M=^=±- <^ ,
1 1
u > 1000 , onde ^ < j^^^^^ , quindi si deduce che € è negativo,
ed in valore assoluto
1 1
16.1000000 ^10000000
}
ossia Terrore che si commette adoperando le tavole d'interpolazione
è minore d'un' unità del settimo ordine decimale.
89. — Si può in modo analogo giudicare dell'errore che si com-
mette adoperando la regola di falsa posizione per approssimare le
radici delle equazioni numeriche, algebriche o trascendenti.
Sia f{x) = l'equazione proposta; si suppone f{x) funzione
continua e avente derivate successive. Siano a e & due valori pros-
simi fra loro, tali che f(a) e f{ì)) abbiano segno contrario ; quindi
fra a e & è compresa una radice dell'equazione. La regola di falsa
posizione dice di determinare una quantità y tale che
onde y = }, . "" V^!: ; y sarà un valore approssimato della radice
cercata.
Gnoccm, Calcolo differerutiale, 7
— 98 —
Per riconoscere questa approssimazione si ricorra alla formala
f{x)=f{a) + {x — a)f{a,^-{-{x — a)(x — ì>)f{a,ì)yX).
Supposto che ^ sia la radice compresa fra a e & dell'equazione,
sarà /'(a?)=0, onde
0= r(a) + (a? — a)r(a, &)4-(a? — a) (a? — &) /•(«, &, a?) ,
■
da cui si ricava
f(a) + (x^a)(x^b)f{a, 6, a?)
X — a= —
Afl,&)
e
Ma
- f(à) _ i>f(a)-anb)
ossia
a; = y — (a? — o) (a; — 6) '-^i^j-^,
ossia l'errore e che si commette assumendo vera la r^pla di falsa
posizione è dato dal termine
e=-(.-«,(»,-6/^.
Questo errore è espresso mediante Tincognita x^ e quindi è scono-
sciuto ; però osservando che x è compreso fra a e &, si ha in valor
assoluto
(a;_a)(a?-&)<^i^;
/'(a,&,a?)='— 5"^, dove u è pure compreso fra a e &; e detto M
— 99 —
il massimo valor assolato di ^iu) quando u varia fra a e & sarà:
M
2
(a — &)8 M
f (a, 6, ^) < -5- ; quindi si avrà in valor assoluto
6<
8 na)^f(f>Y
90. — n calcolo diflTerenziale ci permette pure di stimare l'er-
rore che si commette adoperando la regola di Newton per appros-
simare le radici d' un* equazione. Sia a un valore approssimato d*una
radice dell'equazione f{pS) = ; a + Ti la vera radice ; sarà :
f{a ^h) = f{a) + nria) + ^r\a + e/i) = ,
onde
''— r(a) 2 ria) '
La regola di Newton dice di prendere per valore approssimato di
h il primo termine — ^{ ; e cod fecondo si commette un errore
rappresentato dal secondo termine. Esso è incognito ; ma si potrà
determinare una quantità che ne sia maggiore quando si sappia che
h non eccede una quantità nota.
Prodotti infiniti.
91. — Abbiasi una serie di quantità
in numero infinito, formate con leggo determinata ; e si consideri
il prodotto
^n = t^0^1 «*i.-l
— 100 —
delle prime n di queste quantità ; se col crescere indefinitamente
di n, P^ tende verso un limite P, si dirà che il prodotto infinito
UqU^u^... è convergente, ed ha per valore P.
Si dimostrano con ragionamenti analoghi a quelli fatti sulle serie
(N. 54 e 55) i teoremi:
Teorema. — Per riconoscere la convergenza d'un prodotto
infinilo si piùò far estrazione da un numero finito di fattori non
nulli in princ^io.
Teorema. — Se il prodotto jfnfinito Uo u, è convergente
verso un limite non nullo, lim\x^ = i per n = oo.
Per questa ragione il fattore generale u^ si suol mettere sotto la
forma w^ = l + a^; il prodotto infinito diventa
(l + ao)(l + aO:(l + a,) ,
e se esso è [convergente verso un limite non nullo, lima, =
per n = cx).
L'esame della convergenza d*un prodotto si riduce all'esame sulla
convergenza di serie in virtù del seguente teorema:
92. — Teorema. Il prodotto infinito
(l + ao)(l4-ai) (i + O
è convergente verso un limile non nullo, se sono convergenti le
serie
e ao*4-ai*+a4* +
Infetti, se la serie delle a è convergente, lim a„=0, e lim(l+aj=l ;
quindi, da un certo fattore in poi, tutti i fattori sono positivi. Pos-
siamo supporre che questo avvenga fin dal primo fattore, perchè,
se ciò non avvenisse, possiamo fare astrazione dai fattori negativi.
— 101 -
Posto
P, = (l + ao)(l + a,) (i + a,.0>
prendendo i logaritmi d'ambo ì membri si ha :
' logP.=log(l + ao) + log(i + a,) + + iog(i + a,.,).
La formula di Maclaurin
a»
Aa) = r(0) + ar(0) + ^r(ea),
1 i
ponendovi /■(a)=log(l+a), onde /•'(«)= jq^j;, /"(") = -(T+^'
dà:
log(l+a) = a-l^-j:^.
Facciasi in questa ^uaglianza a = Qq , a, , o^^^ ; siano
Oo 61 e„_t i valori corrispondenti di 0, e si sommino i risultati;
si ricava
logP, = (ao+a,+ + a,_,)
2l(i4-eocg«^(i + e,oi)»^ ^ (1 + e«-i o.-i)V •
Le quantità l + ^o<*o» ^ +®i«i» » ^ +On«n> sono positive,
ed il loro limite è Tunità ; onde esisterà una quantità positiva m
di cui esse sono maggiori; quindi
i + eoao>^» l + e^a, > m,
Oo* a^ ai* ttt'
^ (l+OoOo)' ^ m« ' (l + Biai)*^ m« '••••'
a '
perciò la serie il cui termine generale è ,. . ** — ri ha i suoi termini
rispettivamente minori dei corrispondenti della serie il cui termine
— 102 —
generale è --^ , la quale è convergente ; quindi anche la prima è
convergente.
Pertanto log P, col crescere indefinitamente di n tende verso un
limite determinato e finito
Umlogi>. = (a.+a.+ )-t((ì4^. + (TTW+ )
e, siccome -P, = e ^ *, anche P. tende verso un limite
lim
^^^^limlogP.
determinato, finito e non nullo.
93. — Corollario L Se è convergente la serie a^, a^, e
(!;h)ergente la a^*, ttj*, , limP, = 0.
N=ao
Invero, la quantità i-f6«a,, qualunque sia n, è finita, ed ha
per limite 1 ; quindi esisterà una quantità Mtale che l + e,a,<M,
qualunque sia n. La serie a termini positivi
(l+eotto)" (l + Oiai)*'
ha i suoi termini maggiori dei corrispondenti della serie
divergente per ipotesi, quindi la prima è pure divergente. Perciò,
delle due parti di cui consta log P. , la prima col crescere di n
tende verso un limite finito , e la seconda verso — oo , onde
lim log P^ = — cx) , e lim P, = 0.
Corollario II. / prodotti infiniti
(1 + Qo) (1 + a,) (1 + a,)
e (i_a,)(l-a,)(l-a,)
— 1(» —
dove le a^ a^ a, sono quantità positive, sono convergenti verso
un limite non niUlo se è convergente la serie
tto, a,, ttj
Invero la prima condizione del teorema è soddisfatta, e la seconda
ne viene di conseguenza, perchè la serie
V» «!*> ««*»
ha i suoi termini, da un certo termine in poi (dal termine per cui
a.< 1), minori dei termini corrispondenti della precedente.
Cosi ad esempio il prodotto infinito
è convergente se a? < 1 in valor assoluto, perchè sono convergenti
le serie
X, a?^ a? e a? y (x^ , af
Il prodotto infinito
(*+.t) ('-i^-) ('+,t) ('-^)
ha per limite zero, perchè la serie
• • • •
è convergente, e la serie formata coi quadrati dei termini è la serie
armonica, e quindi divergente.
— 104 —
Serie a termini variabili.
94. — I termini d'una serie
Wo , Wi , Wjj ,
possono essere funzioni d'una variabile a;, e se essa è convergente
per un sistema di valori di x, la sua somma è funzione di x defi-
nita per quei valori. Se a? è uno fra questi, fissato ad arbitrio €,
si può determinare un numero N tale cbe per ogni valore di
n^iV, il resto della serie r, dopo Vn^ termine sia minore in
valor assoluto di e. Questo numero N però può dipendere dal va-
lore speciale attribuito ad x.
Diremo cbe una serie, i cui termini sono funzioni di x, conver-
gente pei valori di x d'un dato intervallo (finito od infinito), è di
convergenza equabile relativamente a quell'intervallo, se, fissata ad
arbitrio una quantità €, si può determinare un valore di N tale che
per ogni valore di n^iV, e per ogni valore di x compreso in quel-
l'intervallo sia in valor assoluto r, <€.
I noti criterii di convergenza permettono spesso di riconoscere la
convergenza equabile d'una serie. Cosi dai N. 57 e 65 si deduce:
Teorema. — Una serie a termini variabili è di convergenza
equabile in un dato intervallo, se i termini della serie sono sempre
minori in valor assoluto dei termini corrispondenti d'una serie a
termini posittoi convergente.
In&tti se i termini della serie u^yU^y u^ , sono, qualunque sia
il valore di a?, minori numericamente dei termini corrispondenti
della serie convergente a termini positivi a^^ , a^ ,...., la serie pro-
posta è convergente, e detti r» e pn i resti delle due serie dopo
— 105 —
Vn^ termine, si ha in valor assoluto r» < pn . Ma essendo la seconda
serie convergente, si può, fissato ad arbitrio €, determinare N tale
che se n>iV sia p» < e ; quindi a fortiori r« < 6 , e. v. d.
Ck)^ ad esempio la serie esponenziale
4 m _____
1, ^, 2! ' 3!'
è di convergenza equabile in ogni intervallo finito, perchè, se a è
maggiore dei valori assoluti che può assumere la variabile a?, i
termini della serie precedente sono numericamente minori delle
quantità
1, a.
a' a^
1.2' 1.2.3 '
che formano serie convergente.
Siano Uq a^ a^ quantità qualunque, e ì)^ ì)^ b^ quantità po-
sitive formanti una serie convergente; la serie
&o sen a^x , b^ sen a^x ^ &2 ^^ ^t ^ »*•••
è di convergenza equabile in ogni intervallo, perchè i suoi termini
sono rispettivamente minori (o eguali) in valore assoluto ai corri-
spondenti della serie delle b.
Fra le serie di convergenza non equabile si può citare la stessa
serie esponenziale relativamente all'intervallo (^ e», + oo), perchè,
se a? > 0, il resto r- > — r, e qualunque valore si fissi per n la
quantità — j assume, variando a?, valori comunque grandi, e quindi
da superare ogni quantità e comunque data.
Si consideri ancora la serie :
a?* a;* a?*
1(1+0?*)' (l + a?*)(l+2a?«)' ' '*-""(l + na?')[l + (n+l)a7«]'
— 106 —
Si ha che
1
l+nfl?« l+(n + l)a?«'
onde
Wn=l —
1+0?'
1
*""l+fl^ l + 2fl?«
e sommando
1
5. = 1 —
l+nd?«'
1
Facciasi tendere n ad oo; se a? 5 0, lim.— ; — 5=0, e lim5,=:l;
^ ' 1 + nar "
se a?=0, ^» = 0, e lim^,= 0; dunque la serie precedente è con-
yergente qualunque sia a?, e la sua somma è funzione di x che
vale 1 se 07 5 0, e vale se a? = 0.
^ 1
Se a? 5 0, r- = .— ; — ;, e se a? = 0, r^=0.
Fissato € piccolo ad arbitrio, e supporremo € < 1, afllnchè r. < €,
1 — €
deve essere n > —j se x^O, non essendo n obbligato ad alcuna
condizione se 57 = 0. Ora se si fa variare a? in un intervallo in
modo che i suoi valori non si approssimino indefinitamente a zero,
1— € 1— €
ma esista una quantità a tale che a?* > a*, sarà y~t < — r» ®
quindi se si suppone n > -^ sarà anche n > -^ , e /•»<€»
ossia la serie precedente è di convergenza equabile in ogni inter-
vallo non contenente il valore all'interno od agli estremi. Se
invece si danno ad (v valori che si possono approssimare quanto
si vuole a zero, la serie non è di convergenza equabile, perchè
1- €
— r- col tendere di a? a zero tende verso T oo , e perciò non esiste
alcun numero n di cui esso sia sempre minore.
— 107 —
95. Teorema. -^ Se i termini d'una serie sono funzioni cU x,
c?ie col tendere di j. ad Xq (o ad co) tendono verso limiti deter"
minati, e se la serie è di convergenza equoMe relattoam^ente ai
valori che si attribuiscono ad x, il limite della somm/i detta serie
data è eguale alla somma, della serie dei limiti dei termini.
Sia
Wo, Wi, Wj
la sene proposta, s^ la somma dei primi n termini, s la somma
della serie, r« il resto della serie troncata aU'n»** termine ; i ter-
mini della serie, Sn, s, e rn sono funzioni di x. Siano
«0 , «1 , «3
1 limiti dei termini della serie, col tendere di x ad x^ (o ad oo)»
e a, la somma dei primi n termini.
Dimostreremo dapprima che questa serie è convergente, ed in
seguito che la sua somma è il limite della somma della serie data.
Fissata ad arbitrio una qiiantità e , si può determinare un numero
N tale che per n^i^ sia r^<€, a causa della convergenza equa-
bile della serie data; e se jp>0, sarà anche rfn-p<€, onde
rn-^p — rn <2€, ossia
Un + Un-\-l-\- -f Wn-|_p-i<2€,
le diseguaglianze riferendosi sempre ai valori assoluti delle quantità.
Facciasi tendere x verso x^ (o verso oo); il membro di sinistra»
che è sempre < 2 € , tende verso un limite
il quale non potrà superare 2 e , onde
an + Ofi-hi -}- + a«-hp-iS2e,
ossia, fissata ad arbitrio una quantità 2€, si può determinare un
— 108 —
mimerò N tale che per ogni valore di n^N, e per ogni valore
positivo di p sia
quindi (N. 56) la serie aQ, a^, a,» è convergente, e la sua
somma che diremo a sarà compresa jQra (Tn + 2€ e (5n — 2€.
Fissata ora una quantità piccola ad arbitrio a, pongasi a=3€-|-- '•
Si determini N tale che per n^N sia r^ < € ; sarà s — s^< e ;
si determini una quantità h tale che per x^x^Kh in valor as-
soluto (ovvero per x>h) sia s^ — a, < t' , cosa possibile perchè
lim5,= (T,; per ciò che si è dimostrato precedentemente è anche
Cn — o'<2€, onde ^ — cT<3e + e', Ossian — a<a; vale a dire
fissata ad arbitrio a si può determinare una quantità h tale che
per ogni valore di x che differisca da x^ meno di h (ovvero per
ogni valore di x>h) la differenza s — a sia < a, onde s col ten-
dere di X ad a?o (ovvero di x ad oo) ha per limite a, e. v. d.
Corollario. — Se i termini d'una serie sono funzioni continue
(U n in un dato intervallo , e la serie è di convergenza eqtuxbUe
nello stesso intervallo, la somma della serie è funzione conr
tìmui di X.
96. — Teorema. — Se i termini d'una serie convergente sono
funzioni di x aventi derivata, e la serie form^ata colle derivate
dei termini è di convergenza equine, la somma della serie data
è funzione di x che ha derivata, la qitale è eguale aUa somma
della seconda serie.
Sia
/o(^), ri(^), f^{co),
la serie data, e^ F{x)\à sua somma, ossia
F{x) = f,{x) + f,{x) + f,{x) +
— 109 —
Diasi ad x un valore a?o , poi un valore x^ + h, si faccia la diffe-
renza dei due valori di F{x\ e si divida per h. Si ricava
JP(a;o-hA)-F(aTo) _ ro(a;o+A)-/ò(«o) /i(^o+^)-/'i W ,
h ~ h '^ k '^
I /»K+^)— AW I
Chiamisi i?, il resto di questa serie dopo n termini.
Sia
/o'(^). r/Ca^), /t'Ca;),
la serie delle derivate dei termini, che si suppose di convergenza
equabile, ed r« {co) il resto di essa dopo n termini ; fissato ad |^ar^
bitrio €, si determini N tale che per nJ^iV sia r* < €.
Si ha
tCn-^p — K^ — 7 1 7 1-
Se si pone q)(a?) = rn(^) + A-Hi(a?) + + /;H.|,-i(a?), si ha
ossia
Il membro di destra vale
onde
2&i-hp — jR, = rn H-p (a?o + e^) — r* (a?o + e/i) ,
— HO —
onde
Facciasi tendere jp ad oo; i2, è costante, Tnix^+Bh) può variare,
I)erchè 6 dipende da i?, ma si mantiene sempre inferiore ad €,
Ai-hp ed rn^pix^ + Qh) tendono a zero, onde i?„S€.
Quindi la serie di x"" — — ^ ^^ convergenza equabile,
perchè fissato piccolo ad arbitrio € si può determinare N tale che
per n^^ sia jR^^^, ed i suoi termini hanno per limiti
rA^oì, /".(a?o), f'ticuo)
<mde anche , — — tende verso un lìmite, e si ha :
Esercì xii>
i^ -* Data la somma s^ dei primi n termini d'una serie, è
anche data la serie, la quale è
s^y s^ — Si, s^ — s^y , ed in generale i«„=5«-hi — ^,.
2« — Se ^, è funzione algebrica intera di n, anche u^ è AiBr
zione intera dell'indice. Viceversa se u^ è funzione intera di n, si
può formare un' altra funzione intera di n, F(n), che pei valori
interi è positivi di 9^ vale s^ .
3*^ Dimostrare che nelle serie
1,2,3,4, u^ = n-\-i
1, 3, 6, 10 ^« = |(n + l)(n+2)
i, 4, 10, 20, t,^ = ^(n+l)(n+2)(n+3)
— Ili —
si ha rispettivamente
4' — Dimostrare che
0P+l'' + 2»'+ +(n— l)p=
P
dorè A^y A^, A^, sono costanti numeriche definite dalle
equazioni:
^ + lf + A, =
^0 I ^^ I 4-é!:^4-j —
da cui si ricava
Aq — 1, A^ — — 2 , A^ — ^2 , ^3 — 0, ^4 — ,^5g
• • •
5* — Se 5, è funzione razionale di n, anche u^ è funzione ra-
zionale di n. Viceversa se t^„ è funzione razionale di n, non è vero
in generale che esista una funzione razionale di n che esprima la
somma s^.
Per esempio non esiste alcuna funzione razionale di n che rap-
111
presenti la somma s^ della serie -j- > "g ' F
— 112 —
Pongasi invero che Sn possa essere rappresentata dalla funzione ^-4, ove
9(11)
/"(n) e <p(n) sono funzioni intere di n, che potremo supporre prime fra loro;
dovrà essere
nn + i) f(n)^ 1
q)(»+l) q)(n) w + l'
ossia
(n+l)An + l)<p(n)-(n + l)/'(n)<p(n+l) = q,(n)q)(n+;i).
Il membro di sinistra è divisibile per n -|- 1 , quindi dovrà pure essere tale il
membro di destra, ossia dovrà o <p(n) ovvero q>(n-\- i) essere divisibile per
n + 1. Se <p(n) è divisibile per n + 1, sarà <p(n-f-l) divisibile per » + 2; e
allora il 2^ termine del 1<^ membro ed il 2° membro sono divisibili per n-|-2;
quindi dovrà pure essere divisibile il primo termine del primo membro. Ma
f{n + ì) essendo primo con q) (n + 1) non è divisibile per n + 2 , quindi dovrà
q)(n) essere divisibile per n + 2. Così continuando q)(n), che è divisibile per
n + 2 dovrà pure essere divisibile per n + 3, ecc., vale a dire <p(n) dovrebbe
essere divisibile per infuiite funzioni distinte, il che è assurdo.
Se <p(n-|-l) fosse divisibile per n + 1 » si dimostrerebbe che (p(n) sarà divi-
sibilo per n, n — 1 , il che è parimenti assurdo.
6' — Dimostrare che
i . 1 . 1
^■"1.2^"2.3"^3.4 '
1 1
r /«. _i_ 4S //*. _l_ 9\ "».//*. -I_<>A //*._!_ Q\ "T"
a?~a?(a7 + l) ' (a? -|- 1) (a? + 2) * (a? +2) (a? + 3)
n=oo
jl 1 yi 1
n =
1^(^+2+ +i>)'~l.(i> + l)"^2.(p + 2) + + n(;> + n) + -
7« — La somma
—1 I :: L -u-:_
ove m ed n sono numeri interi e positivi, col crescere j indefinita-
mente di n ha per limite il logaritmo neperiano di m.
— 113 —
Si dimostra facilmente questa proposizione servendoci delle for-
mule del N. 61.
n
S** — Il resto d'una serie in cui l^u^ < /i < 1, (N. 58) è mi-
nore di
1 — A •
1 -4- rt
9» — n resto d'una serie in cui n "'" u^<A, ove a>0 (N.62)
è minore di
a(n — 1)«
10* — La serie
dove a^a^ sono quantità positive decrescenti continuamente ed
indefinitamente, è convergente per tutti i valori x eccettuati al
più i valori della forma 2Jni, h essendo un numero intero, positivo
nullo o negativo.
Invero, posto
5, = «1 CCS a? + ttj cos 2 a? + + ^ cos nx ,
oc
si moltiplichino ambì i membri per 2sen^. Ricordando che
^ ^ a? 2A4-1 2A— 1
2 C08 kx sen -o- = sen — ~- -x — san — ^ — « »
SI ricava
„ fl? 3,5,. 2n + i
25„sen-2- = aisen-^a7 + ajsen-^a7 + + a^8en — ^ — x
1 3 2n — 1
— «1 sen -p a? — a^ sen -^x — — a,, sen — ~ — x
t
ossia
a 13 ^
2 5„ sen o" = — «i sen -5- fl? -|- («t — <h) sen -h- «^ + («« — a^)sen -o- ^ +
, . . 2n — 1 , 2n+l ...
+ (an-i — ajsen— 2 — a? + a,sen — ^—x . (*)
Ora la serie a termini positivi ai — a^, 03 — 03, è convergente, perchè
Gnoccm, Cakolo èUJfifrMsiale, 8
— 116 —
La serie dì sinistra rappresenta log 2 (V. N. 79 e 66) ed è lentissimamente
convergente; la serie di destra invece è di convergenza assai più rapida.
1
Pongasi a? = — ; si ricava
?L ^j.1 Ij. _, . 1 , 1.2 , 1.2.3 ,
1 3 ■*" 5 ""7 ■*" -^'*" 1.3 "^173:5 "^1.3. 5. 7"+"
TI
La serie di sinistra vale -p- (V. N. 82], ed essa è cosi trasformata in un'altra
di convergenza più rapida.
14» — Dimostrare che
ove
«;*+..
"" " Au 1 "* Ahi
- l_xH (l-a,)'^"» 1 (l-a:)3'^**o
■ • I
a<<— 1
x'
rAi»«/ _1_ /v» Ai»4y _1_ /y»2 A «4/ _L. T
15* — Dimostrare che
-('+-5 + r+T)"^+
per ogni valore di x minore in valor assoluto dell'unità.
p_
16* — Nello sviluppo di (1 -(-a?)' in serie colla formula del bi-
nomio, i coefficienti ridotti ai minimi termini, non ammettono per
fattori primi del denominatore che divisori di q.
17» — Lo sviluppo in serie di e* si può ottenere dalla formula
lim(i +
= 00 \
— 117 —
Invero, supposto per semplicità m intero e positivo, si ha:
('+S)-='+'+ftK)+rf,('-i)('-Ì)+ o
Sia n un intero qualuncpie maggiore del valore assoluto di a?, e si sup-
-pongSL m^n.
Si può scrivere [l-| j =A + 5 ponendo
e
B=:^li-L] fi -«)+..... + ^(l_l\ (l_!!^n.
(n-|-l)! \ m/ ^ m/ m! \ m j \ m }
Ritenendo n fisso, e facendo crescere indefinitamente m, si ha
]imA=i + x+^+ + -g-,
6 detto a il vdore assoluto di x, si ha che in valor assoluto
«»+i a*+' a*"
^ (n + 1): + (n-h2)! + ^ m7
ed a fortiori
^^(^^-1)1 L* -r n + 1 "^ "•" (n + 1)"»-»-! J '
e siccome a < n, e quindi a < n + 1 , i termini entro parentesi formano una
progressione geometrica decrescente di ragione — -£-t , onde
aH-i 1 a«+i
(n + 1)! . a ^n/(n + l— a)
n + 1
« si potrà porre
B=Q ,, , . r, essendo — l<e< + l
n/(n + l— a)
- 118-
Facciasi ora crescere indefinitamente m; siccome [IH — | ed A tendono versa
V ^ I
limiti, vi tenderà pure B, e quindi 6, e posto limO=d-) sarà — 1 =3- = + ^^
e si ricava :
«^ = l+« + n2 + + -;^ + » n/(n + l-a) -
Facendo ora tendere n ad 00 Tultimo termine ha per limite zero, e si ricava
lo sviluppo in serie di e* (N. 70).
Lo stesso risultato si ottiene anche più rapidamente osservando che il poli-
nomio di destra della formula (*) si può considerare come una serie, facendolo
seguire da infiniti termini nulli ; i termini di essa sono funzioni di m, e la serie
è di convergenza equabile; onde sì può applicare il teorema del N. d5.
18* — Dedurre lo sviluppo in serie di log (1 + a?) dalla formula
m
loga = lim m{[/a — l).
m = oo
afc — 1
Questa formula si dimostra ponendo m = -r- ; ed allora m ()/a— l) =: ,
ed il suo limite per m = 00, ossia per h^O è la derivata di a* per d; = 0.
Pongasi in essa a-=zi ■\-x\ si sviluppi secondo le potenze di ^, e si passi al
limite.
19*^ Gli sviluppi in serie di seno? e coso? si possono pure de-
durre dalle formule per la moltiplicazione degli archi :
(1) senw^==msen^cos'*-*-3:— f ^ jsen'^cos*-^^+(T)sen*^cos"»-*-3r — .
(2) co8m.3r=cos"^ — (^Jcos"-*Jsen*^+ f^j cos"*-^ -a: sen* ^ —
dove si suppone m intero e positivo. Supposto m pari si ha :
(3) co8m;3:=i— gy sen* ^-| ^-^-j — - sen*z ^^ gy ^sen*^ -}-.
e supposto m dispari
,.v m(m2— 1») , , m(m«— l«)(m«— 3«) -
(4) senm^=:msen^ ^-^-j — ^sen^^H — ^ ^ -sen^^ — ...
— 119 —
Basta invero porre mz = a?, e poi far tendere m ad 00. Le formule precedenti
si possono ottenere facilmente per indazione, ovvero per mezzo di derivazioni.
Da esse si possono dedurre altre innumerevoli mediante derivazioni, lo scambio
di z nel suo complemento, e riduzioni algebriche. Coca, ad es., osservando che
nella (4) il secondo membro è funzione intera di grado m in sen z, esprimendolo
sotto forma di prodotto si deduce, posto m = 2n + l>:
(5) sen{2n-{-i)z =
i2n+i)senz(i ?!5!£_\ /i__if!>^\ A- ^^'^
sen' ^ — r-r / V sen' ^ - -. -r / \ sen*
2»+!^ \ '^"" 2w+l/ \ 2n + l
20** — La funzione sen w si può mettere sotto forma di pro-
dotto infinito, e si ha:
Pongasi nell'ultima formula dell'esempio precedente (2n + l)2 = a7; si ricava
sen^ =
sen' ^ i \ / sen' ^ — — . \ / ^n
Fissato ad arbitrio un intero m, così grande però che (m + i)ti sia maggiore
in valor assoluto di a?, si supponga n'irli. Si potrà scrivere
sen ^ =: A . ^ ,
ponendo
sen';^ — r-M \ I 8on'
A = (2« + l)8en2^-^l 1 ^^ I I 1-
_ IT I 1 • wiir
sen' -.r ;- \ / sen'
B.-I1 — -^4+f 1 — ^»-±*
— 120 —
Si ha che per n infinito lina (2n + 1) sen ^ = /p , e
2 w -f- 1
sen^
X
lim 1 —
2n^-l
sen^
Air
a?»
A» ir* '
2«-f-l.
onde
u..=.(._g)(._.^) (
1 —
a?'
m'ir'
=:P
m
Per stimare B^ si ossem che essendo esso eguale al prodotto di più fattori
positivi minori di uno, sarà P •< 1 ; inoltre, siccome supposte le € positive,
(l-€,)(l-€,) (l-€^) >!-(€, + €,+ + €^),
81 ncava
5>1 — sen'
X
2n + l
1
sen
,(m + l)Tr
2n-f 1
+
+
1
sen^
nir
2n-f 1
Ora si osservi che sen' f, v < ( ^ — -r—r I ; inoltre la funzione col
2n-\-i ^ \2n-hl/ z
2
crescere dì z nel primo quadrante va diminuendo da 1 a — , perchè la sua de-
2z
rivata è negativa ; onde z essendo nel primo quadrante, si ha sen z > — . Fac-
nir
ciasi z^^—-^ ^—^
nute, si ricava
; tenendo conto delle diseguaglianze cosi otte-
B>ì
Un + l)
ir'
2«
/ (m-f-l)Tr \
\ 2n4l ì
T +
-f
ir^
2«
(2« + i),
e semplificando
— 121 —
Si osservi che
11 11
onde
(w -f 1)* m(7» + l) m m + 1
11 _ 1 1_
(m + 2)* "^ (m + 1) (m + 2) ■" m + 1 m-f 2
1 1 _ 1 1
n* (n — ì)n n — 1 n
J9>1 — -^f-i -], edinfine B>i^^,
quindi si potrà determinare una quantità 6 compresa fra ed 1, in modo che
Am
Facciasi ora crescere indefinitamente n ; della formula sen x=: A .B, siccome
A tende verso un limite P^ non nullo, anche B, e quindi tende verso un
limite, e posto S-rrilimO, si ricava
— ('-# H'-i^) ('-^) ('-»£)■
Facendo ora tendere m ad infinito, si ha la formula che si voleva dimostrare.
2<« «-i 2 4 ji 6 6
''^ lì~ 1*"3'3"5*5'7
^- ««.=(.-^)(.-|S)(i-S'
23» Posto ^„:= 1 + 1+1 +
si ha:
, sena? a?' ì ce* la?*
il valore di od essendo compreso fra — ti e + ir.
— 122 —
24® — Conservando la notazione del numero precedente si ha:
. (2«— 1) j 1 (2*— 1) . 1 (2«-l) -
per X compreso iQ^a — | ® + ^ •
oKo * 2(2*— 1) , 2(2* — 1) 5, , 2(2«— 1) , ,
per X compreso £ra — -| e + ^ •
cota; = -' ~x T^^ — '^00^
a? TI- ir* rfi
— TT <X < 71 .
26® 7TC0t7Ta? = — h f 4, + ,^o4 + ^^o% +
a? ' a?*— P ' a?» — 2* ' 05*— 3* '
od anche
ri 1
7TCOt7T^ = lÌm 1 -4-
n = «»L^ — ** ^ — n + 1 '
4.JL4.1 . _1_ . , ^ 1
' a? — 1 '^a? ~a?-fl» ia? + nj
2T
J!!.-JL 4. ±a_±.4-
6 ~" 1« ' 2« ' 3« '
Ì!l-JL_|-JL4_1-
90 •"" 1* ' 2* ' 3* "
1 1
ed in generale -j^ + -^ + è eguale a n*" moltiplicato per
un coefficiente numerico razionale.
28® — La somma della serie (n > 1)
111
- 123 —
i^ale il reciproco del prodotto infinito
dove nei denominatori compaiono i successivi numeri primi.
Infatti, detta s la somma della serie data, si ha
2» ~~ 2'» ^ 4'« ^ 6' ^
e sottraendo
dove nel membro di destra compaiono al denominatore tutti i numeri non divi*
sibili per 2. Sottraendo da quest'ultima serie la serie ottenuta dividendola per
3** , ossia
. L\J i , i , 1 ,
"2« j 3» "" > "^ (3.3)« "^ (3.5)« ■*■
SI ricava
dove al denominatore compaiono tutti i numeri non divisibili nò per 2 né per 3.
In modo analogo si avrà: .
Cosà continuando il membro di destra avrà per limite 1, quindi
^=('-^)('-ì)('-^)('-^)('-t;.)
29* — ^^ata una serie u^yU^yU^^ determinare un prodotto
infinito tale che il prodotto dei primi n suoi fattori sìa eguale alla
somma dei primi n termini della serie, e viceversa.
— 134 —
SO* — Dimostrare che
(l + a7)(l+ra?)(l + r*a?) (i+r»-*a?) =
(1 — r)(l — r') '•" ' (1— r)(l— r«)(l— rs)
*(l-l) n(n— 1)
(l-r-)(l-r-i) (1-r-M-i) j
^ (l_r)(l_r») (1— r») *^
+ r
^ ,
€, supposto r* < 1 , che il prodotto infinito
{i +x){i + rx){i + r^x)
2
= 1 + 0? + ^^* + ^^^+^^^* + + ^ 07* +
31* — La funzione interpolare f(x^x^ a?J si può esprimere
in funzione delle variabili e dei valori della funzione data mediante
determinanti, e si ha:
A^i^l ^n) =
X,
X,
1
i
32» — Calcolare le successive funzioni interpolari di
f{x) = 0?* {m intero e positivo).
e di
f{x) =
1
a + x
33<» — Se
— 125 —
fi(o^) fAcv) a^)
sono n funzioni di x, e
a?4 x^
07.
n valori delle variabili, si ha che il determinante
è eguale al prodotto dei determinanti:
X
a?4 1
x^ i
^^n-i ^^n-8 ^^ 1
34. — Se f,{x) U{x) f,{x) e cPi(a?) cp^C^) q)n(a?)
sono due sistemi di n funzioni di x, il rapporto dei determinanti
ove si facciano tendere tutte le variabili x^x^ x^ verso una
stesso valore x ha per limite il rapporto dei determinanti :
a^) fAco) f:\x) f^-'\x)
• •••• .........j
aco) fj{x) a'{x) /;'"-" (a?)
<P,(aj) <P,'(a;) %"(.oc) <p/— i)(a?)
«PnCa?) «P.X»') <p,"(a;) (p.'"-"(a!)
— 126 —
CAPITOLO IV.
IPiansslonl cil jDlti arsirla, tolll.
FTJUQ.zl03al iro-iDllolte.
Funzioni di più variabili.
98. — Una variabile u è funzione di più variabili indipendenti
w, y, z, se i suoi valori dipendono dai valori attribuiti a queste.
Una funzione può essere data per tutti i sistemi di valori delle va-
riabili indipendenti, ovvero per sistemi di valori cbe possono essere
in varii modi limitati.
Cosi la Ainzione
u = oo?' -|- 2 ì)xy + Ci/' ,
ove a b e e sono costanti, è data per tutte le coppie di valori che
si possono attribuire ad a? e ad y ; invece la funzione
u = [/i — a?' — 2/',
ove si intenda con questo segno la radice aritmetica della quantità
che è sotto il radicale, è definita solamente per quelle coppie di
valori di X ed y che soddisfanno alla diseguaglianza i ^ a?* + V* »
e la funzione
— 127 —
ossia il coefficiente di a* ì)^ nello sviluppo di (a -^by-^y h definita
dall'algebra pei soli valori interi e positivi o nulli delle variabili.
Se le variabili indipendenti sono due, x ^ y, sì possono rappre-
sentare geometricamente le coppie di valori che si attribuiscono
alle medesime ; ed invero^ segnati in un piano due assi cartesiani
{ortogonali), si immagini il punto le cui coordinate sono i valori
attribuiti ad a? e ad t/; ad ogni coppia di valori di a? ed y corri-
sponde un punto del piano e viceversa. CSosi, nel penultimo esempio,
la funzione è data per tutti i valori di a? ed {/ rappresentati da
punti non estemi al cerchio il cui centro è Torigine ed il cui raggio
è 1 (in assi ortogonali).
Anche i valori corrispondenti della funzione si possono rappre-
sentare conducendo pel punto xy un segmento perpendicolare al
piano (o parallelo ad un dato asse) e misurato dal valore della fun-
zione; il sistema dei punti estremi di questi segmenti (superficie)
rappresenta Tandamento della funzione delle due variabili.
In modo analogo, se w = /'(a?, y, z), le terne di valori che si
possono attribuire alle variabili si possono rappresentare mediante
punti nello spazio, le cui coordinate cartesiane siano i tre valori
attribuiti alle variabili. Diremo che la funzione u è data per un
certo punto se è data per la terna di valori corrispondenti ad esso;
i punti per cui la funzione è data possono riempiere tutto lo spazio,
ovvero regioni di esso.
Meno semplici sono le rappresentazioni di funzioni di un numero
madore di variabili.
99. — Diremo che i valori d'una flmzione u di più variabili
x,y,z,,.. hanno una data proprietà in vicinanza, o in un intomo
dei valori a?o, 2/o> ^o^ — delle variabili indipendenti, se si può de-
terminare un sistema di quantità finite h, A, ^,.... in modo che, dando
alle variabili i sistemi di valori cosi prossimi ad Xq y^ z^ da
difierime di quantità rispettivamente minori di ^, ft, l, , i valori
che assume la funzione abbiano sempre quella proprietà.
Diremo che la funzione u di a?, y ,z , tende verso un
— 128 —
limite A col tendere delle variabili indipendenti ai valori finiti
^0 » I/o > ^o> » se in un conveniente intorno dei valori x^ y^ Zq
la differenza fra i valori della funzione ed il numero A è costan-
temente minore d'una quantità piccola ad arbitrio e.
.Più generalmente diremo che una funzione di più variabili tende
verso un limite A col tendere di alcune di esse verso limiti finiti
e col crescere indefinitamente delle altre, se, fissata ad arbitrio
una quantità e è possìbile determinare tanti numeri quante sono
le variabili in modo che per tutti i valori delle prime variabili
difierenti dal rispettivo limite meno del numero corrispondente, e
per tutti i valori delle seconde maggiori dei numeri corrispondenti,
i valori della funzione difieriscoho da A meno di e.
La funzione u = f(a), y, z ) dicesi continua per x=Xf^,y=yQ,
z=^ZQy se col tendere di xyz ad x^y^z^ , essa tende
verso f{Xo, i/o, z^, ).
I teoremi sui limiti dimostrati ai N. 9-13 sono applicabili qualunque
sia il numero delle variabili indipendenti; quindi si deduce (N. 23)
che le funzioni di più variabili ottenute eseguendo su esse e su
costanti le operazioni di addizione e moltiplicazione sono continue
per tutti i sistemi di valori delle variabili, e se, si introducono
anche divisioni, si avranno funzioni continue per tutti quei valori
che non annullano i denominatori.
Se w è funzione continua di più variabili x, y,
u = f{x, y, ^,....)
e se alle variabili xyz si sostituiscono delle funzioni pure
continue di altre variabili lr]l , la w diventa funzione di queste
nuove variabili, e dicesi composta mediante le funzioni xyz ,
ed anch'essa è continua. Invero facendo tendere le variabili E ri
verso i valori determinati ^^ no----» 1® variabili xy , essendo
continue, tendono verso i valori x^y^... corrispondenti a Eq» Ho-'m
ed essendo anche /'continua, col tendere di xy.... ad x^y^....,
u tende verso f{x^, y^ ) ossia verso il valore che assume
attribuendo alle variabili indipendenti i valori E^ 'lo
— 129 —
Il sistema delle prime variabili può anche constare di una sola;
quindi se u è funzione continua d*una sola variabile w, come
6^, Ioga?, seno;, e se invece di a; si sostituisce una funzione
continua di più variabili, anche u sarà funzione continua di queste.
100. — Ci serviremo delle seguenti espressioni tratte dalla rappresentazione
geometrica delle fonzioni di 1, 2 e 3 variabili.
In mi sistema di n variabili Xix^...x^ diremo punto o elemento ogni gruppo
di valori attribuiti alle variabili.
Sistema di punti, o campo ogni insieme di punti.
Cammino che unisce due punti (ai . . . aj (&i . . . bj una successione di punti
che si ottiene facendo XìXì...Xh funzioni continue dì una variabile t, che
per due valori ^q ^ ^i ^ ^^^ assumono rispettivamente i valori (ai . . . a^) e
(ò| . . . &J e facendo variare f fra ^o ^ ^i-
Un sistema di punti dicesi continiM^je due punti qualunque del sistema si
possono unire con un cammino, i cui punti appartengano al sistema.
Un sistema di punti dicesi finito, se sì possono determinare quantità finite
a, , 6, , «1 , &8 , «Il » ^«
in modo che per ogni punto del sistema sia
«I = «?i = ^ I «1 = a?» ^ ftj , a^^x^^b^.
Dìcesì punto limite d'un sistema ogni punto tale che in ogni suo intomo
esìstano punti del sistema. Esso può, ovvero non appartenere al sistema.
Potremo ora dimostrare ì seguenti teoremi, generalizzazione di quelli riferen-
tìsi alle funzioni d'una variabile.
Teorema 1' — Se y è funzione di X| x^ tale che col crescere ad un
tempo di tutte le variabili cresce continuamente, ma non indefinitamente, essa
tende verso un limite (V. N® 14).
Infatti i valori dì y non crescendo indefinitamente, avranno un limite supe-
riore, e sìa l; sarà sempre y<ilt ma, fissata ad arbìtrio una quantità e esìsterà
un valore dì ^ > Z ~- € ; questo valore corrisponda ai valori a^ a^. ,. delle va-
riabili. Se sì danno alle variabili valori qualuiique non minori dì aj o^ . . . , il
valore di y sarà sempre > 2 — e, e minore dì /, quindi difierìrà da l meno dì
e, ofisia y ha per limite l col crescere indefinitamente delle variabili.
Gnocaa, Coieolp difftrttunaU 9
— 130 -
Teorema 2^ ~^ Se col tendere delle variabili Xj x« ad a| a^ tata
funzione y di esse tende ad un limite, fissata ad arbitrio una quantità € si
può determinare un intomo del punto (a^ a^ . . . .) in modo che la differenza
fra due valori qualunque della funzione in questo intomo sia minore di e; e
viceversa (V. N^ 15).
Infatti ai fissi un intorno di (a^ a^. . .) in modo che la differenza fra i valori
2
di ^ ed il suo limite sia minore dì -^ ; la differenza fra due valori qualunque
di y sarà •<€, e. v. d.
Reciprocamente, se esisto un intorno di (ai o^ . . .) in modo che la difierenza
fra due valori di y sia minore di €, detto pQ uno di questi valori di y, tutti gli
altri saranno compresi fra yo + c ^ ^o""^* quindi ammetteranno un limite
superiore It ed un limite inferiore Zi, la cui differenza non è maggiore di 2 e.
Se ora si rimpicciolisce Tintomo del punto considerato, Is se varia va dimi-
nuendo, ed li aumentando, essendo però sempre Z« >> Zi ; quindi sia Tuno che
Taltro tendono ad un limite, che è comune, perchè essendo Is — k ^ 2 e , quan-
tità piccola ad arhitrio, sarà limZ. =lim U; dicasi L il loro valore comune.
Fissata ad arbitrio una quantità a, si può determinare un tale intomo di
(ai ... ) che li — -L<a, L — Zi<a, e quindi anche y che è compreso fra
Is ed li differirà da JL di meno di a, ossia lim^ = JL, e. v. d.
Teorema 3<> ~- Se una funzione è continua e non nulla pei valori ai a^ . . .
delle variabili, essa conserva un segno costante nelle vicinanze di questi valori.
Per la dimostrazione si confronti il N° 17.
Teorebca 4<* — Se una funzione è continua per tutti i punti d'un dato
campo continuo, e se per due punti di questo campo essa assume i valori
A 6 B, essa assume netto stesso campo tutti i valori compresi fra A e B
(V. No 18 e 19).
Infatti, si s^ni un cammino intemo al campo dato, che unisca i due punti
dati; se f è la variabile da cui dipendono i valori di x^x^...^ sarà y funzione
continua di t^ che assume i due valori A e ^, e quindi assume ogni valore
intermedio.
Se è possibile unire i due punti con infiniti cam m ini non aventi alcun punto
comune, per ognuno di essi la funzione assume ogni valore compreso fra A e ^,
e quindi li assume infinite volte.
Teorema & -^ Se y è mia funzione di più variabili, data in un campo
finito, esiste un punto (appartenente o no ad esso) tale che il limite superiore
— 131 —
^i valori che assume la funzione in ogni suo intomo è lo stesso che il limite
superiore dei valori che assume la funzione nel campo dato»
Invero dicasi l il limite superiore finito od infinito dei valori di y. Se a?! è
compreso fra a{ e &i, si divida il campo dato in due: Tuno formato dai puntila
cui a?i è minore del valore ^ ' , e Taltro dai punti la cui x^ non è minore
di questa quantità. Il limite superiore dei valori di ^ in uno dei due campi è L
Si divida quello fra i due campi il cui limite superiore è / in due, dividendo
in due parti eguali Tintervallo in cui varia 0;^, e cosi di seguito per tutte le
variabili. Si troverà un campo per cui il limite superiore dei valoò y è ancora
/ , e gli intervalli in cui variano Xi x^,.. sono le metà dei precedenti. Ope-
rando sul nuovo campo come si è fatto sulFantico, e cosi continuando, si tro-
veranno infiniti campi, in cui il limite superiore dei valori di y è ancora l, e
gli intervalli in cui variano x^ x^... vanno successivamente dimezzandosi, in
modo che i loro estremi tendono verso un limite ; siano aj o^ . . . i limiti verso
cui tendono questi estremi. Dico che il punto a^ o^ . . . è il cercato. Infatti,
considerando un intomo qualunque di esso, uno di questi campi è tutto con-
tenuto* in questo intomo, quindi il limite superiore dei valori di y in questo
campo, ed in quelFintomo è /.
La proposizione sussiste evidentemente pel limite inferiore.
Tborema 6<> — Una funzione di più variabili, data e continua in un
campo finito e pei suoi punti limiti, ammette % Hmiti superiore ed inferiore
finiti, ed assume effettivamente questi valori ^ ossia diventa massima e mi-
nima (V. No 21).
Infatti sìa (aj Oi . . . ) il punto tale che in ogni suo intomo il limite superiore
dei valori di y coincide col limite superiore dei valori di y nel campo dato ;
sia y^ il valore corrispondente della funzione ; si determini un intomo del punto
<i in modo che y risulti compreso fra y^ — € ed y«j-|- € , cosa possibile a causa
della continuità della funzione; si deduce che in questo intomo, e quindi in
tutto il campo dato il limite superiore dei valori di ^ è finito, non minore di
^•, né maggiore di ^a + €, ossia, siccome € è quantità piccola ad arbitrio, il
limite superiore dei valori di ^ è ^a, e. v. d.
Ragionamento analogo pel limite inferiore e minimo.
Teorema 7* — Se y è funzione continua delle variabili Xi...x^, in un
4Mmpo finito e nei punti limiti di esso, fissata ad arbitrio una quantità €0 si
— 132 —
possono determinare n qt*antità k| . . . k^ in modo che differiscano, meno di c^
t valori corrispondenti a due punti qualunque del sistema^ le cui variabili
differiscono fra loro rispettivamente meno di k| . . . k^ . (N. 21).
Infatti, siano hi...h^ quantità positiva arbitrarie. I punti del campo le coi
variabili differiscono da quelle d'un punto P meno di hit^.,,h^t formano
un intomo di P, e facendo decrescere t si avranno infiniti intomi, ognuno con-
tenuto nei precedenti, e che si possono rendere tanto piccoli quanto si vuole.
Sia € una quantità positiva arbitraria, P un punto del campo. Essendo y
continua in P si può determinare t in modo che i valori di y corrispondenti ai
punti dell'intorno di P determinato da t differiscano dal valore di y corrispon-
dente a P meno di e. Anzi infiniti valori dì f*godono di tale proprietà, perchè,
trovatone uno, i suoi inferiori soddisfano pure alle stesse condizioni.
Potremo limitarci a considerare i valori di t minori di 1, e sia il loro
limite superiore. Il valore di dipenderà dal valore di €, e dal punto P; noi
lo indicheremo anche con
e(€,P).
•
Fatto € = eo> 9(€o9 P) sarà una funzione del punto P, e sia 3- il limite infe-
riore dei suoi valori. Se dimostro che d- non è nullo, se f è minore di 3-, posto
Ai = A| f , . . . A„ = ^ f , se due punti del sistema hanno le variabili differenti
meno di A| . . . A, , Tuno si troverà neirintomo t dell'altro, e la loro differenza
è minore Co» che è il teorema a dimostrarsi.
Sia A il punto nei cui intomi il limite inferiore dei valori di 6 (Cq, P) è
ancora $•. Si consideri la funzione di €
e(€,A),
dove ad € si attribuiscono i valori minori di €o* Questa funzione assume sempre
Valori positivi, e col tendere di e ad €o va crescendo, e tende verso un limite
positivo e non nullo (non maggiore di 6(€o» A)),. che diremo t; dico che B-
non è inferiore a t.
Invero siano e' ed a due valori di € tali che
€' + a = €o ;
sia *'<$(€', A), e *<e(a, A), e f<r'. Se P è un punto dell'intorno di A
definito dal valore precedente di ^, i valori delle variabili di P differiranno da
quelle di A meno di Ai t, . . A„ ^, ed il valore della funzione pel punto P dif-
ferirà da quello di A meno di a.
— 133 —
Si consideri Fintorno di P definito dal nomerò f^^t.l ponti di qoesto intorno
avranno le variabili differenti da qoelle di P meno di
hdt'-t), h,(f-i),
e quindi differenti da quelle di A meno di
^1 *' » K^i
ossia apparterranno all'intorno di A definito da t\ Ma per qoesti ponti il valore
della funzione differisce da quello di A meno di €', quindi il valore della fun-
zione corrispondente «a P differisce dal valore corrispondente ai punti deirintomo
f-^t meno di e' + a, ossia meno di co* onde
Questa diseguaglianza è soddisfatta da tutti i punti dell'intorno ^ di A ; quindi
anche dal limite inferiore dei valori di 6, che è d-* ossia
ma la quantità t si può supporre piccola ad arbitrio, ed affinchè questa dise-
guaglianza sia possibile deve essere
« siccome f è obbligato alla sola condizione ^'<9(6', A), si deduce
s-èe(€',A),
ed €* essendo assoggettato alla sola condizione di non essere maggiore di Cq,
S- non essendo minore d'alcun valore di 6 (€^ A), non sarà minore del loro limite
superiore t, onde
9-^T, e. V. d.
Si può aggiungere a complemento di questa dimostrazione che si ha effettiva-
mente d' = T. Invero se fosse possibile S->t, sia f una quantità tale che
3- > * > T. Si deduce che nell'intorno f di A esistono punti per cui il valore
della funzione differisce da quello corrispondente ad A di una quantità mag-
giore d'ogni quantità minore di Cq, ossia di quantità eguali o superiori ad Cq.
Ma essendo ^ < d- ■— 6 (€o , A) ogni valore assunto dalla funzione nell'intorno
^ di A differisce dal valore corrispondente ad A d'una quantità minore di Cq,
il che è contradditorio colla conclusione precedente.
Si potrebbe pure dimostrare il teorema considerando il limite superiore T dei
valori di t tali che negli intorni del punto P da essi determinati Toscillazione
della funzione, ossia la differenza fra i suoi limiti superiore ed inferiore , sia
minore d'una quantità fissa e. Si riconosce che T è funzione continua di P, e
mai nulla, quindi anche il suo minimo sarà diverso da zero.
— 134 —
Derivate e di£Ferenziali parziali.
lai. — Se nella funzione u-=f{x, y, z, ) si suppongono dati
valori fissi alle quantità y, z, , essa diventa una funzione della sola
variabile x, e potrà ammettere derivata, che si calcolerà colle regole
ordinarie, se /* si ottiene eseguendo sulle variabili le operazioni ana-
litiche studiate; 'noi la rappresenteremo con fJ(pryy,Zj ), e la
chiameremo derivata parziale della funzione f rispetto alla varia-
bile X. Il differenziale di u ottenuto ritenendo fisse tutte le quantità .
1/, Zy e variabile x si chiamerà differenziale parziale di u rispetto
co ; rappresentandolo con dxU si avrà
rfx W = fx\Xy y,Zy )dXy
ove dXy differenziale della variabile indipendente, è arbitrario. In
modo analogo si avranno le altre derivate parziali /y'(a?, y, z — ),.
fx(Xyy,z, ), e gli altri differenziali parziali
dyU^fy^iXyyyZ ) dlj y d^U = fj/{XyyyZy...,)dZy
ove dy, dz, sono pure quantità arbitrarie.
Risolvendo le equazioni precedenti rispetto alle derivate parziali
si ha:
fJi^^VyZy ) = '^, U{cc.V>Zy )=^y
ed i membri di destra potrebbero servire per indicare le derivate
parziali.
Praticamente però si suole trascurare l'indice del d al nume-
ratore, convenendo cioè che la natura del differenziale parziale sia
— 135 —
STifflcientemente indicata dal denominatore, e si ottengono le no-
tazioni
Quindi il differenziale parziale rispetto a? si rappresenterà con
T- da. Si deve badare in questa scrittura di non eseguire riduzioni,
perchè il du del numeratore non può scompagnarsi dal denomi-
natore che lo qualifica. Per rendere più visibile questo, alcuni
Autori proposero pei differenziali parziali le notazioni
ldu\ , ÒM ,
{-7-]dx, ovvero v-rfa? ;
\dx I ' ox
ma noi ci atterremo alla prima.
102. — Nei casi più comuni una funzione di più variabili ha
altrettante derivate parziali, che sono alla loro volta funzioni delle
stesse variabili, e che quindi possono ammettere derivate parziali,
che si diranno derivate parziali di secondo ordine, e cosi via. Per
esempio nel caso d'una funzione u = f{x, y) di due variabili si
hanno a considerare due derivate di primo ordine
fJ(x,y) ed fj(x,y)\
la prima ammetterà due derivate parziali di primo ordine, che
indicheremo con
r'xx {00, y) e /•% (a?, y) ,
e la seconda le derivate
r V (pCy y) e f'yy {X, J/) .
In modo analogo si hanno i differenziali parziali di secondo or-
dine, che sono i differenziali parziali di quelli di primo ordine
— 136 —
calcolati ritenendo costanti i differenziali da:, dy,.... e che si rap-
presentano, nel caso d*una funzione di due variabili, scrivendo
dx dx u = rxz{x, v)dx^ , dy dx u = r^xy{x, y)dxdy ,
dx dy u = r'»x {x, y)dy dx , dy dyU = rw{x, y)dy\
e cosi di seguito pei differenziali parziali d'ordine più elevato. Dalle
eguaglianze precedenti si ricava
r^{x,y) = '^-^, r^=^, ecc.
e si suol scrivere più brevemente
È infine inutile, nel derivare, il tener conto dell'ordine delle varia-
bili rispetto cui si deriva, come ora dimostreremo.
103. — Teorema. — Una derivata parziale d'ordine qualwiique
d'una funzione di più variabili non d^ende dall'ordine delle stic-
cessive derivazioni, supposta continua la funzione e le sue deri-
vate fino all'ordine considerato.
Si consideri dapprima una funzione di due variabili
u = f{x, y)
le cui derivate parziali di primo e secondo ordine esistano e siano
continue. Si vuol dimostrare che r*xy{x,y)=r\x{Xy y).
Pongasi
V =f{Xo+h,y^-j- k) — f{x^ + h,yo) — A^o» Vo + '0 -f A^o » Vo)-
Se si considera la funzione della sola variabile x
9 (^) = A^» Vo + ft) — fi^y I/o)
— 137 —
si ricava
F=<p(a?o + ^) — 9(^0)»
quindi per una formula nota
Ma
qp' (a?) = /•/ (0?, 1/0 + ft) — r«' (^, I/o)
e per la stessa formula
(p'(a?)=:ftr%(a7, i^o+ei/t),
e sostituendo in F si ricava
Scambiando le variabili a? ed y nel ragionamento precedente,
ossia posto
^f(t/) = f{x, + h,y) — fix,,y)
si ricava
e
V' (y) = f\ (a?o + ^, 2/) — fy (a?o » V) = ^rVx (a?o + Gì' ^, 1/),
onde
Paragonando ora le due espressioni di F, e dividendo per hh si
ricava
Facciasi in questa eguaglianza tendere h e k sl zero; siccome le
derivate sono continue per ipotesi, si ha
r'xy (a?o , yo) = r'yx (Xf, , Vo) » e. V. d.
Sia ora u una funzione d'un numero qualunque di variabili
— 138 —
86 ne calcoli la derivata parziale d*un certo ordine a derivando
successivamente rispetto alle variabili Xa Xb xh, e sia
(a)
f (^1 ^8 ^3 ) ; considerando questa come funzione delle
sole due variabili Xk ed xi, ritenendo cioè fisse le altre ({uantità,
posso derivarla prima rispetto Xk poi rispetto xi^ ovvero prima
rispetto xi e poi rispetto Xk, e si troveranno i risultati eguali
(aH-2) (a+2)
f (x.x^x. )=f (pc,x^x^ ),
e derivando ambo i membri rispetto le variabili Xm Xn Xr , se
P è il numero delle derivazioni eseguite si avrà:
f^^ {X, ) = /^^ (^i ),
ossia in una serie di derivazioni è lecito scambiare Tordine di due
derivazioni successive, e quindi di permutare comunque Tordine
delle derivazioni.
Di£Ferenziali totali.
104. — Dicesi differenziale totale d'una funzione di più variabili
la somma dei suoi differenziali parziali. Esso si rappresenta focendo
precedere alla lettera rappresentante la funzione la caratteristica d.
Quindi se u = f{x, y, z), sarà il suo differenziale totale
du=dxU-\-d^U'j-dwU=rx{x, y,z)dx+f^y{x, y,z)dy-{'f'M(x, y,z)dz:=
du , i du ^ i du ^
— 139 —
105. — Se u = f(x), e la funzione ammette derivata r{x), si
ha che — = f{x)'\-a, e quindi
ove a è una quantità infinitesima con Axm Una fonnula analoga
vale anche per le funzioni di più variabili.
Teorema. — Se m è funzione di più variaMi u=f(x,y, z,....)
avente derivate parziali di primo ordine continiùe, si ha
Aw = fx\x, y, z,.,.) Ao? + fp (^> Vy ^»-) ^y + A' (i«?> y, ^v") ^ + -
+ aAa? + pAi/+ tA>2: +
ove a, p, T, — tendono a zero col tendervi di Ax, Ay, Az,
Sia u = f(Xy y); si ha:
che si può scrivere:
Aw = /*(à? -f Aa?, Ì/+ Al/) — /"(a?, 1/ + Ay)
+ /"(i», 1/ + Ay) — /•(«?, y) .
Ora
/•(a? -f Ao?, 1/ + Ai/) — /*(a?, 1/ + Ay) = Ao; /i' (a? + e A a?, 2/ + Al/)
= Aa?[/x'(a?,|/)+a]
dove a=A'(^+8Aa?, y+Aj/)— /«'(a?, 1/) ha per limite zero col
tendere di A a? e A t/ a zero; analogamente
r(a?, Ì/+ A2/)-r(a?, l/)= Aj/ /"/(a?, t/ + 9' Ai/)= Ai/[/i'(a?, i/)+p]
ove P ha pure per limite zero ; sostituendo nelFespressione di At^
sì ricava
At6=Aa?/»'(a?, 2/)-f-Ai//'y'(a7, j/)+aAiP+pAt/, cv. d.
— 140 —
Sia ora
si ricava
Aw = /•(a? + Aa?, y + ^y, z-\-ùkZ) — f{x, y, z)
= f{x + t^x, y\'t^y, ^ 4-^^) — f{^j y+i^y^ z+^z)
' +f{^, y'\-^y,z+^z)—f{x, y, z + Jlz)
+ f{oc, y,z-^ù.z) — f(x, y, z)
onde
Aw = AiT /i' (a? + Aa?, ì/-j- Ay, z-\-ùiZ)
+ ù^y fy'ix, y + e' Ay, J + A3:)
+ A2r/;'(a7, 2/, :2r + e''A3r),
ed ancora
Aw=Aa?[r/(a?,ì/,;?)4-a]+Ay[r/(a?,y,3:)+.pJ:hA^[r/(^,l/,2:)+T]
dove a, B, T sono quantità infinitesime con Ao? , Ay , A;; ; ossia
A w = Aa? fx\x, y,z)'\'t^y fy\Xy y,z) + ^z fz'(Xy y, z)
come .volevasi dimostrare.
In modo analogo si ragiona per le funzioni di un numero mag-
giore di variabili.
106. — Dalla formula che precede si deduce la regola per de-
rivare le funzioni composte-
Sia u=:f{Xf y, Zy ) e pongasi invece delle variabili x, y, z
delle funzioni d'una nuova variabile t:
x = <^{t), 2/ = iii(0, ^ = X(0,
t^ diventa funzione di ^ composta mediante x, y, z Suppongasi
— 141 —
che f ammetta le derivate parziali di primo ordine continue, e
che 9, MI, X ammettano pure le derivate ordinarie. Dato a t
un incremento A^ e detti A a?, Ay, Aar e Au gli incrementi
corrispondenti dx x^ y, z, — ed w, si deduce:
Aw = fx{x, y, z..,) t^x + fyipD, 2/, ^...) At/ + f^ipo, y, z..,) A^r + ...
+ a Ao? 4- p Ay + T A j 4-
e
-^^=U\x, y, z.,.)^^ + fy'{x, y, j...)-^ 4-/;' (a?, j/, 3:,...^ "^^f •••
Facciasi ora tendere A^ a zero; anche A^, Ay, tendono a zero;
quindi tendono pure a zero a, p, t^... ; passando (piindi al limite, si ha:
-^ = A'(^»V--)^+/ir'(^,l/-)^+A(a7,i/,...)^+
e
du = fz'{x, y. ..)dx-{- l'y{x, y..) dy + /', (.r, 2/ /...) ^^^ +
Il membro di destra ha la forma d*un dififerenziale totale ; ma in
esso dx, dy, dz,.,.. non sono più differenziali di variabili indipendenti,
ossia quantità arbitrarie, ma differenziali di funzioni d*una variabile :
dx = (^'(()dt, dy = ìf'(t)dty
Cosi ad esempio se u fosse funzione d*una sola variabile x, fun-
zione di t, si trova
du = 'j—dx,
dx
che è la formula di differenziazione delle funzioni di funzioni (N. 37).
— 142 —
Se u=LCc-\-y — z
si ricava ^=1, g = l, J =- 1 , quindi (N. 34)
du=zdx-\'dy — dz .
Se w = a?i/>3r ,
, . du du du . ,. >-- ^tr\
SI ncava -y- = i/^ , -=- =ir.3r, — = coy, quindi (N. 35)
U^ (XV Ct2^
dw = 1/^ do? + ^^ ^y + ^1/ c^^ •
Se u = '^, si ha Ji = i, ^=-4, onde (N. 36)
y dx y' dy y» ' ^
(2a? a?dy ydic — xdy
y y' y*
Se w = a?y, si ha — = ya?y-i e ^=a?yloga?, onde (N. 41)
du = j/^-i dx-{-x^ log a? rfy .
107. — Sia più generalmente
dove x^ 07, 07, si suppongono funzioni di più altre variabili
il ii Sm ; u diventerà funzione delle i composta mediante le a;.
Per calcolare la derivata parziale di u rispetto i^ si deve supporre
Ì2 £» fisse, ed u sarà funzione di i^ composta mediante 07^ a?,.... x^ ;
onde
du du dXi I du dx% ^^ ^. du dXn
dEi dXi É^Ei dfl?j dEi • • • • I ^^ ^g^
— 143 —
In modo analogo si ha
du du dXi j^ du dx^ j^ _i ^** ^"
dl^ dXi dli dXf c^H, '" ' rfa?„ dEj
du du dXi , du dx^ j^ _\ ^^ ^«
1 J^ ~Jr. I ~T"
Se si moltiplicano queste derivate parziali rispettivamente per
di^ dl^ dl^ e si sommano^ si avrà il differenziale totale di u;
ordinando convenientemente il polinomio di destra si ha :
Le quantità in parentesi sono rispettivamente i differenziali totali
delle funzioni x^x^.,.x^\ onde sostituendo
. du ^ , du , . . du ,
Il membro di destra ha la forma del differenziale totale di u con-
siderando x^x^...Xn come variabili indipendenti; ma nel nostro
caso dx^ dx^ . . . doon rappresentano i differenziali totali delle fun-
zioni X.
108. — Il differenziale totale del differenziale totale di primo
ordine d^una funzione di più variabili, calcolato ritenendo costanti
i differenziali delle variabili indipendenti, dicesi differenziale totale
di secondo ordine; il differenziale totale di quello di secondo ordine
dicesi di terzo ordine, e cosi via.
L
— 144 —
Per esempio se u ^ funzione di due variabili x ed ]/> sarà
du = dxU + dpUy
i suoi differenziali parziali sono
dxdu = dx^ u '\- dxdyU
e
dy du :=^ dy dx u -{- dy*u,
e sommandoli, si avrà il differenziale di secondo ordine ddu = dh^;
osservando che
dy dxU = dxdy Uy
si ha
d^u = dx^ u-{-2dxd&u-\- dy^u.
In modo analogo si possono esprimere successivamente d^u,.,, in
funzione dei differenziali parziali dei varii ordini.
Ma si possono scrìvere facilmente le formule generali mediante
una notazione simbolica. Si attribuisca al prodotto simbolico
(dx + dy+dM...)v
ove V è una funzione di x, y , . . . il significato
dxV-\-dyV-\'dBV-\-...;
se t^ è funzione data di x , 2/ , . . . sarà
du = {dx -\- dy -{- , , ,)Uy
e prendendone di nuovo i differenziali totali, si ha
d^ u = {dx "{' dy -\- . . .) (dx -{- dy -{- , . .)u
che scriveremo
d^u = (dx -\- dy -{- , , .y u ,
ed ingenerale
d''u={dx + dy + ...Yu.
— 145 —
Per dedurre da questa scrittura Tespressione effettiva di d^ u,
basta eseguire le n moltiplicazioni simboliche indicate. Ora le sue*
cessive moltiplicazioni simboliche si fanno come le effettive, ossia
come se le lettere dsd» -" rappresentassero (quantità ; quindi si potrà
applicare senz* altro la formula di Leibnitz per le potenze dei poli-
nomii alFespressione simbolica di d'^u.
Formula di Taylor
per le fonzioni di più variabili.
109. — La formula di Taylor (N. 67) si può estendere alle fun-
zioni di più variabili. Sia u funzione delle variabili x, y, z , . . .
e si diano alle variabili prima i valori x^^Vq, z^,... poi i valori
^0 + ^» 2/o + ft» ^0 + ^
Pongasi in u
ic = XQ-r\-hi, y = yQ-\-ht, z=iZf^-\-lt, ...;
u diventa funzione di t composta mediante le x,y,z,,,. funzioni
di ^ ; e sia
u = f\x, ?/, z,,.,) = F{i).
Sarà
F (0) = f{x,, I/o, 3^0, . . .) , F (1) = f{x,-rh , y,+k . z,+l,. . .) .
Inoltre, se la funzione f{x, y, z,,,,) ammette derivate parziali con-
tinue fino all'ordine n, anche F{i) ammette le successive derivate
GmoccKi, Ca^lo difftrenxiaU 10
— 146 —
fino allo stesso ordine, che si l'icavano colla regola delle funzioni
composte, e si ha:
' ^*^~ dx dt'^dy dt^ ds dt ^
ossia, poiché -^ =zh, J- =zk, ^ = ^ > — si ha
^f /^x du . , du , , du , .
che potremo scrivere simbolicamente
^'w=(è'^+r/+^^+-)«'
intendendo che il fattore simbolico
dx dy * ds '
messo davanti ad una funzione ài x, y, z ... rappresenti la somma
delle derivate parziali moltiplicate per h.k^l,...
Derivando F*{() si ha:
ovvero
^"(o={^^+^^/^+l^+...)V
ed in generale
^"'(o=(èA+4A+i^+...)«
— 147 —
Per trasformare questa espressione simbolica in effettiva, basterà
eseguire le moltiplicazioni simboliche indicate ; ed anche qui le mol-
tiplicazioni simboliche si fanno come se le scritture jr « ^ > 'I'*"
rappresentassero quantità ; quindi si potrà fere d'un colpo solo tutte
le moltiplicazioni simboliche estendendo al polinomio simbolico.
(
"+i*+é'+-y
dx
la formula di Leibnitz per le potenze dei polinomii.
Si vede di qui che i^*^)(0 è una ftmzione intera omogenea di
{rado n in h,h^lj...y ed i coefficienti sono le derivate parziali
d'ordine n di f{Xy y,z,...), ove x,yy z,... hanno i valori pre-
cedentemente fissati XQ-\-ht, ]/o+ ^^ » • • •
Pongasi ora ^=0 in F'(t)y F"(0,...i^"-"^»(0; si avranno i
valori ^(0), -P"(0),,..F<*-"^^(0), che sono funzioni omogenee di
gradi ij 2 , . . . n — i in h^ k^ l,---, ed i coefficienti sono i valori
delle derivate parziali di f per i valori x^^, y^yZ^y... delle variabili.
Sostituendo quindi nella formula di Maclaurin:
i?'(i)=F(0)+ÌF'(O)+ij^''(O)+... + j;j^
ove < e < 1, ad F{i), F(0), i'''(0),...2^"J(e) Moro valori, si ha
fi^o-h^y Vo~l-^'*-0 espresso mediante un polinomio finito, il cui
primo termine è /'(^q, y^, Zq,..,)^ i successivi, tolto l'ultimo, sono
polinomii interi omogenei dei gradi i, 2,... n — i in h,k,l,... ed
i cui coefficienti sono i valori delle derivate parziali per x^x^,
y = yQy..., e l'ultimo termine, o resto, è un polinomio intero
omogeneo di grado n in /», /^, / , . . . i cui coefficienti dipendono an-
cora da queste quantità, e sono i valori che assumono le derivate
parziali d'ordine n per valori intermedii delle variabili:
Xo+Qh, yo+6/i,
— 148 —
Per esempio, se le variabili si riducono a 2, e si fa successiva-
mente n^i y 2 , . . . si hanno le formule:
/*(^o + ^> I/o + ^) = fip^oy Uo) + [^ A'(^o» Vo) + ^r^X^o» ^o)]
ecc.
3e f{Xy !/»•••) è funzione intera di grado p nelle variabili, appli-
cando la formula di Taylor, fatto u :=p + 1, il resto è nullo, perchè
sono nulle tutte le derivate parziali d'ordine p + 1, e si ha lo svi*
luppo di f{a! + ^ , 1/ + fe , . . . ) in un polinomio finito ordmato se-
condo le potenze di /& e di h. Viceversa, se una funzione ha le
derivate d'ordine p + i nulle, essa è funzione intera di grado p.
Se col crescere indefinitamente di n il resto ha per limite zero,.
si ha lo sviluppo in serie infinita del membro di sinistra. Posto
e
h = dx, h = dyy
i successivi termini si riducono a dUy -^r > "or , • • • e si ha
Aw = rfw + -2^+-3f +
Se nella formula di Taylor si fa
^0 = ^ » I/o = ,
h=:x y h = y ,
si ottiene una formula che è l'estensione di quella di Maclaurin
alle funzioni di più variabili.
— 149 —
Funzioni implicite.
Equazione fra due variabili.
110. — Una funzione di una o più variabili può essere data
analiticamente indicando le operazioni che bisogna eseguire sulle
variabili indipendenti per ottenere la funzione, e dicesi data espli-
citamente, ovvero funzione esplicita. Essa può invece essere deter-
minata da equazioni che la legano alle variabili indipendenti, e
dicesi data implicitamente, ovvero funzione implicita. Noi studie-
remo sotto quali condizióni una o più equazioni fra variabili possano
determinare qualcuna di queste in funzione delle altre, e, se questo
avviene, la natura e le proprietà delle funzioni cosi ottenute.
Se f (x, y) = è un'equazione fra due variabili x e^ y sod-
disfatta da una coppia di valori x^ yo delle variabili, sicché
f(Xo> yo) = ^» ^^ ^ funzione f (x, y) e le svs derivate prim^ sono
continue in vicinanza dei valori x^ y^, e se infine f y (x^ yo) non è
nulla, esiste una ed una sola funzione y di x, y = q> (x), deter-
minata nelle vicinanze del valore x = Xo che soddisfa alVeqìiazione
proposta, ossia tale che f(x, ^{Tì)) = OqiujUunque sian, che per
X = Xo a^ssum^ il valore y^, e che è continua. Inoltre questa fun-
zione ammette derivata.
Infatti siano h^ e à^ due quantità cosi piccole che per ogni valore
di X compreso neirintervallo (a?o — h^ , (r^-^-h^), e per ogni valore di
y nell'intervallo (j/q — \, 1/0+ ^i) siano soddisfatte le condizioni di
continuità di f{x, y), e delle sue derivate prime ; inoltre che rx{x, y)
sia sempre numericamente minore d'una quantità finita A, e che
Ty {^> y\ la quale per x = Xq ed y=^yQ non è nulla, sia sempre
— 150 —
numericamente maggiore d'una quantità finita B; ed infine che
Ah^ < Bk^,
Ricorrendo alla formula di Taylor, ed osservando che /Xx^y y^ = 0,
si ha
fipo^ + ^, 2/0 + ^) = hr* (a?o + e/i, 2/0 + eft) + nry {x^ + m, y, + e/t).
(0 < e < 1).
Se in questa formula si suppone Ti < /i^, e ft = + /tj , sarà Xq + Q^
compreso fra Xq — hi ed a?o + ^1 > ^^ Vo + 6^ compreso fra {/o — ft»
^d i/o + '^i 5 quindi
Tx (a?o + e^, i/o + eA) < ^, /^rx (a?o + 6^1 Vo f Q^) < ^i -4.
e h r^ (Xq + 0^1, 1/0+ e/j) > /^i^ sempre in valor assoluto ; quindi
nell'espressione di /"(a^o+Zj, Vo + fe), ove dii h e h siano dati i
valori precedentemente stabiliti, il primo termine è minore nume-
ricamente del secondo, e la loro somma ha il segno del secondo
termine; ma il secondo termine cambia di segno secondochè si
fk jfe = + ftj ovvero ft = — fe^ , perchè il primo fattore h cambia
segno, ed il secondo fettore r^ (^0 + 6^> I/o + ^^) ^on cambia mai ;
dunque f{XQ-\-h, Vo+^X considerata in quanto funzione di ft, è con-
tinua, ed assume valori di segno contrario dando a h i valori + ^1 ;
quindi si annullerà per un valore di k compreso fra + /t^, e — k^y
e per uno solo, perchè se potesse essere
r(^o +/i, l/o + 'O = 0, nx,+h, i/o + ^') = 0,
pel teorema di RoUe, dovrebbe potersi determinare un valore k"^
compreso fra kek' per cui sia fy {Xq + /j, {/o + V) = 0, il che è
assurdo, perchè Ty (^ !/) i^on si annulla per alcuna coppia di valori
di 07 e di 1/ compresi negli intervalli considerati.
Dunque, supposte soddisfatte le condizioni enunciate, fissato ad
arbitrio un valore ad x compreso fra Xq — hi ed a?o+A, , esiste
uno ed un sol valore per y compreso fra y^ — ft, ed y^ + k^ che
soddisfi alla equazione f(Xj 1/) = ; se si fe a? = a?^ , il valore cor-
— 151 —
rispondente di y è evidentemente y^; questi ràion y formano una
funzione continua, perchè i valori di y differiscono da y^ meno di 7t| ,
quantità che si può supporre piccola ad arbitrio.
Ili. — La funzione yHx determinata nel modo precedente dal-
Tequazione f{Xy y) = ammette derivata per a? = a?o ; infatti dando
ad 00 il valore cCf^-^-h^e detto y^-^-kH valore corrispondente di y,
sarà:
r(^o+^yo + 'i) = o,
ossia
e quindi
A _ _ r» (a?o + e A, yo + Bk)
Facciasi qui tendere h a zero; k che rappresenta Tincremento
delia funzione y, tende pure a zero, perchè la funzione è continua ;
quindi
Um f'x (a?o + e^, I/o + 0^) = r« (^0» Vo) »
e
lim Ty (a?o + e/i, ì/o + e/i)— Tjf (^0» I/o) 5 0;
perciò anche -^ tende verso un limite, e
A (te AKiyo)'
Se si dà ad 0? un altro valore qualunque, ed i/ rappresenta il valore
della flinzione, se Ty (^9 1/) non è nullo, sarà sempre
«
dy r» (^1 y)
^ ry(^»y) '
ed in tal modo la derivata è espressa in funzione di a; e di y, ma y
è funzione determinata di x.
— 152 —
Se f{x, y) ammette le successive derivate parziali continue, si
potrà derivare -^- , che è funzione di x composta mediante x ed
y, funzioni di x che hanno derivata, e cosi continuando si vede
che la funzione y ammette le successive derivate, e se ne vede
il modo di determinarle.
Ma si arriva più fòcilmente al risultato, osservando che se in
f{x, y) si sostituisce ad y la funzione precedentemente definita di x,
essa diventa flmzione di x composta mediante a? ed ]/» ed ha costan-
temente il valore zero; onde la sua derivata è nulla; derivando
si ha:
dx dy dx
ed il primo membro di questa equazione è funzione di x, y, -~ , che
sono funzioni di x che ammettono derivata, onde derivando si ha
dx^
'^ dxdy dx'^dy^ \ dx ) "^ dy dx* '
e cosi continuando si hanno delle equazioni da cui si ricavano i
valori -— , -^4 » • • • » ^ queste non solo illusorie , perchè il coeffi-
dx dx^
olente dell'incognita è sempre j^ che non è nullo.
Equazione fra più yariabili.
112. — Più generalmente:
Se un'equazione f(x4,Xj,...Xm, x)=:0, fra m + i variabili
Xi,X2,...Xm,x è soddisfatta dai valori a^, a,,..., am, a, delle va-
rioMiy se la funzione f è continua^ insieme alle sue derivate
— 153 —
prime, nelle vicinanze del sistema a^ a^ . . . am a , e per questi
valori non è nuUa la derivata di t rispetto x, esiste una ed una
sola funzione x = 9 (x^ . . . Xm) delle variabili x^ x, . . . Xm definita
nelle vicinanze dei valori a^ . . . a» > c?ie sostituita nelfeqtuizione
f = invece di x, la soddisfa qualunque siano i valori delle va-
ridbiliy che è continua, e che assume il valore a quando si faccia
Xj = a^ , . . . Xm = am . Essa inoltre ammette le derivate parziali,
In&tti si ha
f{a^-}'h^^,a,+h^,..M^+1ì ^. a-{-h)=hf^J^ai^-^Qh^^
+ h^f\{ )
)
+Kr'^A )
+hrx ( )
Si supponga che per tutti i valori dìx^x^. ,,x^x compresi rispet-
tivamente negli intervalli
a, — n,,a,i-h,\ a^_ft^, a^-f ft^; a — A, a + ft ,
siano fx <A^, r^<A^ /"'««•< ^«1 e r«> A, e le quantità
^4 Aj . . . ft„ cosi piccole che
A,1i,-\r A^k^-\- -^A^K<Ak.
Se nella espressione di f((x^ + ^1 > ^2+ ^2 > • • • ^« + ^w > ^ + ^0 si
suppongono h^h^..,h^ numericamente minori delle quantità deter-
minate ^4 ftg . . . A^ , e si danno dA h i due valori + ft , la somma
dei primi m termini è sempre minore dell' ultimo, onde questa
somma avrà il segno dell'ultimo termine; e siccome T» conserva
un segno costante , dando ad h i due valori + ^ ® — ^ l'ultimo
termine e quindi la somma cambia segno.
Quindi f{a^ + ^1 , • • • ^« + ^«^ ^ + ^) è funzione continua di h,
che cambia segno dando ad h i due valori -{-h q — ft, e perciò si
— 154 —
annulla per un valore di h intermedio, ossia minore numericamente
di k; e si annulla per un valore solo compreso fia + A, perchè se
si annullasse per i due valori K e K^ di hy la sua derivata rispetto
h sì dovrà annullare per un valore intermedio h!*\ ossia dovrà essere
fx («1+ ^,... a«-|-^«, a+A'")=0, il che è assurdo, perchè fa non
si annulla nelle vicinanze di a^ a, . . . a„ a.
Dunque riuscì possibile determinare un campo di variabilità di
x^x^.,,x^ in modo che ad ogni sistema di valori delle variabili in
esso corrisponde uno ed uno solo valore di x^ compreso Ara a — k
ed a + h\ e siccome K si può supporre piccolo ad arbitrio, la fun-
zione è continua, ed assume il valore speciale a per x^=^a^, ...
^« = «m
113. — La funzione x delle variabili x^x^...x^ cosi definita
pei valori delle variabili comprese negli intervalli considerati am-
mette derivate parziali di primo ordine; invero basta supporre
x^...x^ costanti, ed x diventa funzione implicita della sola varia-
bile x^y quindi siamo nel caso studiato nei N. iiO e ili.; e questa
derivata sarà data dalFequazione
+-^^=0.
dX\ ' dx dX\
In modo analogo, le altre derivate parziali saranno date dalle
equazioni
d^.rf^cte^^ df ■ df dx _^^
dx^ ' dx dx^ dx^ dx dx
m
Da esse si ricavano le derivate parziali in (unzione delle variabili
indipendenti, e della funzione x.
Se la funzione f ammette le derivate parziali dei successivi or-
dini, anche x è funzione di x^x^...x^y che ammette le derivate
parziali dei varii ordini, che si troveranno derivando le espressioni
delle derivate di primo ordine.
— 155 —
Ma più semplicemente, riconosciutane l'esistenza, si derivi cia-
scheduna delle m equazioni differenziali precedenti rispetto a tutte
le variabili indipendenti. Si ricaveranno le equazioni
ctoi* ' dwdxi dXi dx* [dXi ) dx dx^ *
dy \ I d^f dx I d^f dx\^d^f ^ dx^_^df d*x_ _^
dXi dXi [dx dxi dxx dx dXi dxi j dx' dXx dXi ' dx dXi dx^ ~ *
dalle quali si deducono le derivate parziali del secondo ordine, e
cosi via.
Sistema di due equazioni fra tre yariabili.
114. — Abbiasi un sistema di due equazioni fra tre variabili
F{x, y, z) = 0, f{x, y, z) = 0,
che si suppongono verificate pei valori x^ y^ Zq delle variabili. Si
suppone inoltre la continuità delle funzioni Feif, e delle loro deri-
vate nelle vicinanze ài x^, y^^, Zq. Si vuol esaminare se queste
equazioni possano determinare v e ^ in funzione di or in un'inter-
vallo contenente il valore x^.
Perciò si osservi che se F'six^y y^, z^) non è nulla, la prima equa-
zione determina una funzione ^ dì a? ed ^
z — ^{x,y)
nelle vicinanze dei valori Xq j/q, tale che F{x, y, 9 (a?, y) ) = qua-
lunque siano i valori di a? e di {/, che è continua, e ^o=q)(a?o, y^);
inoltre z anmiette le derivate parziali t- e -7- .
*^ dx dy
— 156 —
Sostituendo nelle seconda equazione f=^0, a 2r la sua funzione
di 0? e di ^ cosi definita, essa diventa un* equazione fra a? ed t^,
fip^y ì/, 9 (^, 1/) ) = , ovvero , ponendo
3 (a:, y) = f{x, y, cp (a?, y) ) ,
essa diventa "^{x, 2/)=0. Il primo membro di questa equazione fra
a; ed ^ è funzione continua di a; ed 2/ insieme alle sue derivate
dg _^df^,࣠d^ d^ _df . df d(p .
dx dx ~^ dz dx ^ dy dy ~^ dz dy ^
l'equazione è soddisfatta dai valori x^ y^ delle variabili, perchè
quindi se — non è nullo, esisterà una sola funzione y ài x
y = \^{x)
data nelle vicinanze di a? = x^, continua, tale che i/o = vp (Xq) , che
soddisfa air equazione iS{x,\\f(x)) = Oy e che ammette derivata.
Pongasi infine cp (a?, ip (a?) ) = X (x) ; allora la funzione ^ = x (vt?)
sarà pure funzione definita nelle vicinanze di x = XQy continua, e
avente derivata , e x (^o) = ^ (^o» M' (^o)) = ^ (^o Vo) = ^o ì infine
sostituendo nelle equazioni proposte F=Oe/'=Oai/ezle fun-
zioni ip e X di a;, si ha:
F{x,i^{x),x{oi^)) = F\x,\]i{Ml(p{x,^^{x))] =
perchè F [x, y, <p {x, y)\ = qualunque siano a? ed y ;
/"(a?,Mi(a7),x(<r))==/-fu?,Mi(a?), (p(a?,M'(^))|=3f(ar,ip(a?)) = 0,
ossia le due equazioni proposte, se
dF dg
.— e
di dy
— 157 —
non sono nulle pei valori w^, y^j Zq delle variabili, determinano due
funzioni y = q) (a?) e ^ = x (^) continue, che assumono i valori y^
e Zq, per x=a)Q, che soddisfanno alle due equazioni date, e che
ammettono derivata.
Essendo uniche le funzioni q> e i|i, che soddisfanno alle condi-
zioni precedenti, altrettanto avviene per le ip e x-
La condizione
dy
si può esprimere mediante le derivate
delle funzioni date F e /*, e si ha
dy dy dz dy '
^ è definito dalFequazione
dF dF d<p _
dy "^ dz dy '
onde si ricava
df dF__df dF
d^ dy dz dz dy
~dy' ~ dF
dz
quindi le condizioni
. dF
dz
e
il
dy
0, si riducono a
dF^^ df dF df dF
.---•-* e — ■- — — -
rfj *^ ' dy dz dz dy
àf
df
dy
dz
dF
dF
dy
d:
0.
Ma la seconda condizione è sufficiente per l'esistenza delle funzioni
dF
ij; e X » invero se, non essendo il determinante nuUo, fosse -^- = 0,
df
non potrebbe essere -t-=^0, quindi basta scambiare le due equa-
zioni date fra loro.
— 158 —
116. — La dimostrazione data dell^esistenza delle derivate delle
funzioni y e z ^ w che soddis&no alle equazioni date permette di
trovarle.
Queste derivate risultano cosi espresse in funzione di x, y, z.
E se le jP e /* ammettono le successive derivate parziali, si potranno
derivare le espressioni ottenute, e si troveranno le derivate se-
conde ecc. di y e ^ rispetto x.
Ma, riconosciuta resistenza di queste derivate, si possono ottenere
più rapidamente osservando che se si sostituiscono ad y e ^ le loro
funzioni di a? in F {x, y, z) e in fQx), y, z\ esse diventano due fun-
zioni di 0? il cui valore è costantemente nullo, onde anche le loro
derivate sono nulle. Derivando colla regola delle funzioni com-
poste si ha:
àF dF^ dy j^dF dz___r.
dx dy dx~^ dz dx '
dx '^ dy dx ^ dz dx '
dalle quali equazioni si possono ricavare ^^ 4iy ^^ ^ compaiono
linearmente, e si ricavano effettivamente, perchè il determinante
formato coi coefficienti delle incognite non è nullo per ipotesi.
Derivando una seconda volta si ha :
d^F , d^F dy , d^F [ dyy ^ ^ d}F dz , ^ d*F dy ds
^ dy* \dx j "^ dxdz dx dy dz dx da? '
dx* ' dxdy dx ^ dy*
dF dh
. d^F I ^\* I dF^ d^y .
'^ dz* \dx)'^ dy l^"^
dz dx^
= 0,
ed un' altra analoga, in cui invece di F si legge f. Da esse si ricavano
d*f/ <Pz ,
H^^H;^^ ® <^si di seguito.
11 modo di ragionamento che precede si può generalizzare, e
trattare la questione più generale che si possa presentare sulle
funzioni implicite.
— 150 —
Sistema di n equazioni fSra 9H-|-n TariaMB.
118. ^ Se un sistema (U n eqtMzioni fra m-|-n variabili
f , (X, . . . Xm yi . . . yn) = , fa (X, . . . Xm y i . . . yn) =
è soddisfatto dai valori
delle variabili, e se sono continue le funzioni f| . . . fk e le loro
derivate parziali prime nelle vicinanze di questi valori, e se infine
non è nullo il determinante
1=
dn df,
dfi
dyi
dyt '"
•' dy.
df.
df.
dft
djfi
dyt "
••• dy^
àfn
dfn
dfn
dyn
dyt "
•'• dy.
in cui alle variaMi sono dati i valori a^ . . . am b^ . . . bn, allora
esiste uno ed un solo sistema di funzioni y delle variabili x
yi = Vi (Xi . . . Xm) , yn = Min (y^ . . . Xm)
determinate nelle vicinanze dei valori a^ . . . am delle variàbili, che
sostituite nelle equazioni date le soddisfanno identicamente qua-
lunque siano i valori delle x, che sono continue, ed assumono i
valori b| b,...bA se si danno alle variabili i valori a,...am. Esse
inoltre ammettono le derivate prime.
— 160 —
n determinante 1 formato colle derivate parziali dì primo ordine
di A A • • • fn rispetto alle variabili 2/1 2/s . . . y» dicesi determinante
funzionale ovvero Jacobiano delle funzioni f rispetto alle variabili
^. Se n = l, il determinante si riduce ad un solo elemento, cioè
alla derivata del primo membro dell'unica equazione rispetto alla
variabile che si vuol assumere come funzione, ed in questo caso la
proposizione Ai già dimostrata al N. ili. Quindi la proposizione sarà
dimostrata vera in generale, se suppostala vera per un sistema di
n — 1 equazioni si dimostra che essa sussiste ancora per n equazioni.
Se 7^0 gli elementi deirultima verticale non possono essere tutti
nulli. Sia p. e. -£^ 5 \ allora l'equazione
/"n (^1 ^2 • • • ^m 2/i • • • 2/» - I Vn) =
determina una ed una sola funzione j/„ di x^..,x^y^...y^^^
nelle vicinanze dei valori a^ . . . a^ ft^ . . . &^_| , che soddisfa identica-
mente all'equazione f^ = 0, che è continua, che ammette le derivate
prime parziali, e tale che
Sostituendo ad y^ la funzione 9 nelle equazioni /i = 0,... /"^^^^rO,
si trovano n — 1 nuove equazioni fra le variabili x^.,.x^y^...y^_^
che potremo scrivere :
F, = 0, ^2 = 0, i^n-i = 0,
ponendo , .
Fi{x^.,.x„,y^,.,y^_^ = fi\x^...x^y^,,,y^_^(^{x^.,.x^y^..,y^^^)\
l=i, 2, ...n — 1.
— 161 —
Queste n — 1 equazioni fra m-\-{n — 1) variabili sono soddisfatte
dai valori «i ...ti^&i ...&„_ i delle variabili, perchè
e le funzioni J^ sono continue, ed ammettono derivate parziali di
primo ordine, perchè composte mediante la q> che è continua, ed
ammette derivate parziali. Inoltre il Jacobiano delle F dipende da
quello delle f, come ora vedremo.
Nel determinante / si aggiungano agli elementi della 1% 2% . . .
(n — ÌY colonna quelli dell'ultima moltiplicati rispettivamente per
^ ; si avrà :
1=
dfi d(p dfi . dfx d^
df, df, d^ dn
dffn-i ^ dy^ dy^i' dy.
dfn , df, d<p df^
dy^x ' dy^ dy«-i' dy.
Se ora si deriva la funzione -Pt (/=1, 2,...n — 1) rispetto alla
variabile yj (J = 1, 2 , . . . n — 1) si ha
dFt _ dfi I dfi dq>
dyi "" dyi "^ dy^ dyj '
e se si deriva la funzione, il cui valore è zero, che risulta da f^
sostituendo ad y^ la funzione cp , si ha
dfn I df^ ^<P __Q
»-i ^yn ^yn-1
Osxoocm, Caìeoìo diffirnuiialt
11
onde sostituendo
— 162 —
/=
dF,
dF,
dF,
dft
dyx
dy%
dyn-i
dyt
dfn
• ■ • • •
dy»
dF^i
dFn^i
dFn-i
dfn^l
dyi
dy%
dy n^i
dyn
.
..
dfn
dy.
dF^
dyi
dF,
dy%
dF,
dyn-i
dFn^i
rfFn— i
rfFn-l
dyi dyt '" dyw^i
ossia, detto /' il determinante funzionale delle F, si ha
dfn
/',
dfn
e siccome -~^ non è nullo, ed / non è nullo, si deduce che anche
dyn *
r è finito e non nullo.
Quindi le equazioni F^ = , . . . Fn-i = soddisfanno a tutte le
condizioni enunciate nella proposizione, ed il loro numero è n — 1,
pel quale numero si è ammessa l'esattezza della proposizione; dunque
esisterà uno ed un solo sistema di finzioni
ì/l = Vl(^l • • -^m)» 2/n-l = M'«-l(^l • • • ^J
determinate nelle vicinanze dei valori a^^^^a^ delle variabili, con-
tinue, aventi derivate prime, e che soddisÉsinno alle equazioni F=0,
ossia sarà
qualunque siano i valori delle x.
Se in
si sostituiscono a y, . . . ì/n-i 1^ funzioni qi, e si pone
y,.--(p (07, ... a?„ ip,... i|i,_,) = ipjojj .. . a?J,
— 163 —
ranche y^ sarà funzione delle x continua, e avente le derivate par-
ziali di primo ordine.
Quindi le funzioni
!/i = M'i (^1 • • • ^m) » y» = V« (-^1 • • • «^ J
sono flinzioni date nelle vicinanze dei valori «i-.a^ delle variabili,
-continue, aventi derivata, che assumono i valori ft^ . . . &^ se si danno
alle variabili i valori a^ . . . a„ , e che soddis&nno alle equazioni
/=0, perchè per /=1,2, ...w — 1 si ha
= Fi{x,...x^ ipi ... ip^^J =
e per /=n
ossia soddisfanno a tutte le condizioni del problema.
117. — La dimostrazione dell'esistenza delle derivate delle
funzioni qi permette anche di trovarle; ma, riconosciuta la loro
esistenza, si possono trovare più facilmente nel seguente modo. Se
nei primi membri delle n equazioni date /*=0 si sostituiscono alle
y le funzioni iji si ottengono delle funzioni delle a?, che hanno il
valore costante zero ; quindi anche le loro derivate, che si possono
trovare colle regole delle funzioni composte, sono nulle. Derivandole
rispetto Xi(i= 1, 2 , . . . m) si ha
dxi "^ dyi dxi '^ dy^ dxi *" ' dyn dxi
dfn I dfn dyi 1 dfn dyt . . dfn dyn ^
dXi "^ dyy dxi ' dy^ don dyn dxi '
il che costituisce un sistema di n equazioni lineari nelle incognite
dy^ dyi dyn
dooi dsoi dcoi '
— 164 —
le quali risultano appieno determinate, perchè il determinante dei *
coefficienti è il Jacobiano, che non è nullo per ipotesi. Facendo-
i= 1, 2,...m si trovano m sistemi di n equazioni, da cui si ricavano
tutte le derivate parziali del primo ordine. Esse risultano espresse
mediante le derivate parziali di primo ordine delle funzioni f, in
cui entrano le variabili indipendenti a: e le funzioni y. Se le f
ammettono le derivate parziali successive, le hanno pure le y, e si
potrebbero ottenere derivando le espressioni delle derivate del primo
ordine. Ma, in modo più semplice, derivando le equazioni prece-
denti si ricavano altre equazioni che si possono risolvere rispetto
alle derivate dei varii ordini.
Formazione delle equazioni differenziali.
118. — Un*equazione fra variabili indipendenti, loro funzioni, e
derivate di queste funzioni dicesi differenziale. Tali equazioni si
sogliono distinguere in ordinarie, e a derivate parziali secondochè
contengono solamente derivate di funzioni d'una variabile, ovvero
anche derivate parziali di funzioni di più variabili. Dicesi poi ordine
d'una equazione differenziale fra una variabile indipendente ed una
sua funzione il massimo ordine delle derivate che vi compaiono.
Se 2/ è funzione di x data jimplicitamente mediante l'equazione
f{oo,y) = 0,
al qual caso si possono pure ridurre le funzioni esplicite, derìvanda
rispetto w si ricava l'equazione differenziale di primo ordine
dof ^ dy da
— 165 —
<^uì soddisfa la fùnzioiie y^ e che ci servi per determinare la de*
rivata ^. Derivando quest'equazione si ottengono altre equazioni
•diflTerenziali dei varii ordini (N. 111).
Combinando fra loro Tequazione data e qualcuna delle sue di/Te-
renziali, si possono ricavare altre equazioni dilTerenziali soddisfatte
^sempre dalla funzione y, e si può disporre dell*arbitrarietà di tale
combinazione per ottenere equazioni semplici, e convenienti ad uno
scopo prefisso.
Qoà ad esempio, se
y = x^,
•ove X è funzione di a?, ed m un numero dato ( fioatto o incom -
mensurabile), derivando si ha Tequazione
y' = mX'^-* X'y
e moltiplicandola per X, e tenendo conto dell'equazione data, si
ricava
Xy' = myX',
equazione differenziale di primo ordine, in cui più non comparisce
la potenza m di X.
Sia ancora
y = are sena?;
si ricava
1
y'= -== , ossia 1/ i/l — a;* = 1 ,
l/l-a?»
equazione differenziale di primo ordine in cui più non comparisce
la funzione trascendente are sen. Si può anche far sparire il ra-
dicale derivando una seconda volta, e si ha
1/1 — a?»
ovvero
y"(l — a?*) — a?y'=0.
— 166 —
equazione differenziale di secondo ordine algebrica e razionale
rispetto a tutte le variabili, e di primo grado rispetto \f e y".
119. — Oppure, combinando Tequazione data colle differenziali
si possono far sparire delle costanti che comparivano nella equa-
zione, e trovansi per tal modo equazioni differenziali soddisfatte
dalla flmzione y considerata, e da tutte le funzioni y che si possona
ricavare dalla data equazione cambiando il valore alle costanti
eliminate.
Per esempio, l'equazione
(1) (a?_a)« + (?/ — &)«— r*==0,
che in assi ortogonali è l'equazione d'un cerchio, determina y fun-
zione implicita di x; derivandola si ha
(2) a? — a + (ì/ — &)i/'=0
equazione differenziale di primo ordine che non contiene più il pa-
rametro r. Combinando insieme le equazioni (1) e (2) si può invece
eliminare a, e si ottiene
ed in modo analogo si potrebbe eliminare &. Ma se si vogliono eli-
minare ad un tempo più costanti, si derivi la (2), e si ha
(3) l+|/" + (2/-&)|/'=0,
ove mancano a ed r; derivando ancora
(4) 3y'2/" + (i/ — &)2/'" = 0,
ed eliminando fra le (3) e (4) la &, o meglio il binomio y — 6 si
ottiene infine
(5) (l + |^'*)|/'"-3|/'i/"»=0.
— 167 —
equazione differenziale di terzo ordine cui soddisfa ogni funzione
^ di a; definita dalla (1) qualunque siano i valori di a, & e r.
Eliminazioni analoghe si possono eseguire fra i sistemi d*equazioni
differenziali ordinarie, o a derivate parziali ottenute ai N. 113,
115, 117.
120. — Ma, trattandosi di equazioni a derivate parziali si possono
eliminare non solo costanti, ma anche funzioni. Sia p. e.,
F{u,v) =
un'equazione fra t« e t?, che sono funzioni date di tre variabili or,
1/, Zy e quindi una equazione fra a?, y e z, che supporremo deter-
mini z in funzione di a? e di |/. Derivando successivamente rispetto
co ed y si ha
dF I du j^ du dz
du \ dx dz dx
dF
(
(
du . du dz \ .
du \ dy ' dz dy
dv
dF
dv
dv j^ dv dz
dx dz dx
dv ^. dv dz
dy ' dz dy
)=
0,
ed eliminando
JTJW ftJÌ'
e -T— che vi compaiono omogeneamente si ha
du
dv
od anche
du j^ du
^^dz
dv
dx
dv
dx
+
dz
dz
di"
dz
dx
du _. du
dv
+
dz\
dv
dz
dz
M
dx
dy
1
du
du
du
dx
dy
dz
dv
dv
dv
dx
dy
dz
dz
dy
dz
dy ^ dz dy
=
= 0,
equazione contenente le derivate parziali prime di z, e dove scom^
parve ogni traccia della funzione F.
— 168 —
Funzioni omogenee.
121. — Si dice ctie
u = f(no, y, Zy )
è funzione omogenea di grado n delle variabili a?, y, z, se,
qualunque sia U si ha
f{tx. ty, tz, ) = t»f{a), y, z ). (1)
Cosi ad esempio,
sono funzioni omogenee di x ed y, di gradi 2, — 1, e 0.
Teorema. — Le det^fvate parziali di primo ordine d'una funzione
omogenea di grado n sono funzioni oynogenee di grondo n — 1.
Infetti si derivi rispetto x Tidentità che servi per definizione
delle funzioni omogenee; si ricava
fxitXy ty, tz,...)—~ = t^rxix, y, ^, .. .)
e, osservando che ' =^, e dividendo per ^,
r»{tx, ty, tz,...) = t^'^rx(x,y,Zy ...)
il che dice appunto che r» è funzione omogenea di grado n — 1.
Di qui si deduce che le derivate di secondo ordine sono funzioni
omogenee di grado n^2, ed in generale le derivate d'ordine h
sono funzioni omogenee di grado n — h.
Teorema. (di Eulero). — In una funzione omogenea la somma
del prodotti delle dericate parziali per le rispettive variabili è
effuale alla funzione moltiplicata pel sito grado, e viceversa.
Infktti si derivi rispetto t l'equazione (1); si ricava
r'.(tso,ty,tz,...)ic-{-r,{tx,ty,tz,...)y-^r,{tJ!,ty,tz,...)z+
e posto t:=l,
r^{x, y, z,...)x-\-r9Ìa;, y, «,...)v + r.(.T, y, z,...)z-\-...=nf{x, y, z,...)
ovvero
du , du , du ,
la quale equazione a dmvate parziali costituisce appunto il teorema.
Reciprocamente, se la (Unzione f{fc, y,...) soddisfa all'equazione
^«{3!. !/i-)a' + r»(a'. V.-)v + --- = "/'('^. V'-). qualunque siano i
valori delle variabili, ponendo in loro vece tx, ty,... si avrà
U (to, ty,..) tx-{-fg {tic. ty,...) ty-\-... = nf(tw, ty,...).
Ora la funzione
ha per derivata
F (0 ^^
la quale è nulla, in virtù dell'equazione precedente, e quindi F(f)
avrà un valore costante, e sarà F{t) = F{l). Sostituendo qui a
Fit) e ad F(i) — f{cc,y,...) i loro valori, si ha
nt£c,ty,...) = t'fiw,y,...),
ossia la funzione f è omogenea di grado n.
— 170 —
Se si deriva più volte la (1) rispetto a f, e poi si pone t=i,
si ricava
dCB*
= n(n — 1) w ,
equazioni a derivate parziali di varii ordini, cui soddisfa la fun-
zione u. Esse sono però conseguenze dei teoremi precedenti, e si
possono trovare applicando il teorema di Eulero alle derivate di u.
Determinanti funzionali.
122. — Come già 8i disse, chiamasi determinante funzionale o Jacobiano di
n funzioni Pi^'-y^ di n variabili aff-afn ^ determinante formato colle n* de-
rivate parziali di primo ordine delle funzioni
/=
e si suol indicare coUa notazione
2 =
^(yj.y»» -yn)
D(a?i,a7j,... a?J
Dx
Per esempio, se si pone
e
— 171 —
81 ricava
4 i)(a;j,a7j)
asci + bx^ bxi + cx^
V
^a7|a?j
^i'
z::
a
&
e
a'
b'
e'
Se le funzioni y sono le prime derivate d'una funzione u di n variabili, il loro
Jacobiano è il determinante delle derivate seconde di u (Hessiano).
Le seguenti proposizioni rendono visibile un' analogia che esso ha colla deri-
vata d'una funzione d'una variabile.
'^ yi • • • yn sono funzioni di U| . . . Un , e queste sono funzioni di X| . . . Xn » il
Jacobiano delle y rispetto alle x è uguale al Jacobiano delle y rispetto alle u
moltiplicato pel Jacobiano deUe u rispetto alle x. (N. 37).
Invero l'elemento (r, s) del determinante -^ vale
d^r _dpr dui ^ dUi dy\
du.
dxg dui dXg du^ dxg
dUj. dxg '
quindi^ per un noto teorema sulla moltiplicazione dei determinanti,
~Bx ^ Du ' Bx '
e. V. d,
Se le variabili y sono funzioni delle x, e se il Jacobiano non è nuUo, si
possono considerare le x funzioni delle y, ed i Jacobiani dei due sistemi sono
reciproci. (N. 38).
Invero, considerando le y funzioni di a?, e le a? funzioni di y, applicando il
teorema precedente si ha
Dy _ Dy Bx_ ^
'Dy~'~Dx ' 'Dy '
il determinante di sinistra ha gli elementi della diagonale principale che val-
gono l'unità, e tutti gli altri nulli ; onde il suo valore è l'unità, e
-^v^-1
Dx ^ Dy'~'
e V. d.
^^^^fl
— 172 —
Se le funzioni y delle variabili x sono date implicitamente mediante a
equazioni
f|(Xi...Xa, yi...yn) = 0, fn(x,...Xn, y,...yn) =
si ha
Df
Dx ^ -^ Df^
(N. Ili):
Invero, derivando le equazioni date, considerandole y come funzioni delle x^
si ricavano le equazioni
dxj di/i dxj dy^ dxj "*" dy^ dxj
e, formato il determinante colle — T^» ^^^ ^^^ ( — ^)"T) » ®^ riconosce
che esso è eguale al prodotto dei determinanti formati colle 3^ ^ ^ « ossia
^ ^ Dx '^ Dy ' Dx '
donde si ricava la formula a dimostrarsi.
*- y Se il determinante -^- è nullo 'identicamente^ e per un sistema di valori
*- ^' speciali delle variabili non sono nulli tutti i suddeterminanti della prima
orizzontale^ per un intomo dei valori considerati, il valore di una delle y
dipende dai valori delle altre, (Gonfr. N. 46).
Infatti sia p. e., non nullo il suddeterminante di -^ ; allora dalle equazioni
^2 = <P2 (^1 ^* ^»)
y« = <P« (^1 ^1 ^J
risultano determinate Xf-Xn in funzione di ^1 yt . . . yn.
Sostituendo in
yi = <Pi (^i a^O
yi diventa funzione di ^1 y» . • • yn •
— 173 —
Ora si ha, considerando le ^i . . . ^„ funzioni di ^i . . . ^^ funzioni di i2?i ^e . . . y
H*
ma
D fa?i a?, . . . a?,) _ ■D(fl?|...a7J _ 1
=: quantità finita.
onde -^^ = ; ossia sostituendo in
CbX^
y, = «Pi (07, a? J
ad a^...a;^ le loro funzioni di Xip^, . .y^^ y^ diventa indipendente da a;,, e
solo funzione di yt-- 'y^y ^' v- <!•
Esercizi!.
123, — 1<> La funzione
x-\-y
col tendere di a? ed v a zero non tende ad alcun limite, ma assume
in ogni intomo dei valori (0, 0) ogni valore.
2* — La funzione
col tendere di ^ ed ^ a zero non tende ad alcun limite, ma assume
nelle vicinanze dei valori (0, 0) delle variabili tutti i valori compresi
Ara — 1 e -|- 1. In essa
lim f{co, 0) = lim /*(0, 1/) =
e se si attribuisce alla funzione il valore quando si faccia x=0
ed y=0 essa è per tutte le coppie di valori di a? ed y funzione
— 174 —
continua di a? e funzione continua di y senz'essere funzione continua
di X ed y considerate insieme.
3* — La funzione
è tale che posto
co=zht, y = ht,
e facendo tendere t a zero il limite di f(Xy y) è sempre zero qua-
lunque siano h e k, ossia se x ed y sono le coordinate cartesiane
d un punto del piano, in qualunque direzione sì fàccia accostare il
punto (a;, y) al punto (0, 0) il limite della funzione è sempre zero;
tuttavia f{x, y) col tendere di a; ed y a zero non tende verso alcun
limite, ma in ogni intorno dei valori (0, 0) essa assume tutti i valori
compresi fra — 1 e +!•
4** — I-ia derivata parziale d'un determinante rispetto ad un
suo elemento è il suddeterminante complementare di quell'elemento.
5® — La funzione
^/ \ ^' — y'
nw, y) = a>!/ ^^
ove si faccia f(0, 0) = , è funzione continua delle variabili x, y,
ed ammette le derivate prime
e
r,(0,0) = ry(0,0) = 0,
che sono pure continue; ma
rW(0,0) = -l, rV(0,0) = l,
onde non è lecito scambiare l'ordine delle derivazioni. In questo
caso le derivate seconde sono discontinue.
— 175 —
CAPITOLO V.
Espressioni
che si presentano sotto forma indeterminata.
124. Forma -^. — Il Calcolo differenziale è utile per deter-
minare il limite del quoziente di due funzioni /"(a?) = 5^^ quando,
pel valore speciale x^ della variabile, il numeratore e denominatore
si annullano. Se si ponesse a? = o^o nell*espressione di f{x) , essa
assumerebbe la forma dndeterminata -r ; e si suol chiamare vero
valore di fix^) il limite di f(x) per x = Xq.
Supposto adunque <P (a?o) = , qi (x^) = , si può scrivere
<p (a?) — <p (flgo)
X^Xf^
e se le funzioni <P e Y ammettono derivata per x = XQf e Mi'(^o)
non è nullo, passando ai limiti si deduce il lìmite cercato
— 176 —
Oppure si può ricorrere alla formula (N. 45)
f(^\ _ <P(^) — <p(go) __ <p' (a?i)
'W ^,(a7)-.v(a;o)"" i|i'(a?.) '
ove x^ è una quantità compresa fra x^ ed a?; si suppone che q>
e i|i ammettano derivata nelle vicinanze del valore a?o, e che M/'(a?)
non sia nulla. Facendo tendere x Sid Xq, anche Xi tende slì x^, e
se il rapporto delle derivate tende verso un limite, anche il rapporto
^ ,i tende allo stesso limite.
V(a?)
Se quindi avvenisse che ciascheduna delle derivate avesse ancora
per limite zero, si applicherebbe al rapporto delle derivate la stessa
regola, e si passerà alle seconde derivate, e cosi via. In generale
se per 07 = 0:0 si ha
<p(a?o) = 0, <p'(oro) = 0, <p(«-i)(o?o) = 0,
i|i(a7o) = 0, i|;'(o7o) = 0, i|i(«-i)(o?o) = 0, ma v<")(o?o)SO,
si avrà
M.IIII , » — iliXI - - V ^— Hill ,,/ . ^— ^— tllil , ., - . «— . , , . .
Lo stesso risultato si può ricavare dalla formula di Taylor.
Si ha diffatti
<p(o:o+/z) = <P(o?o) + /i<p'(o7o) +
e nella nostra ipotesi
<p (a?, 4- ft) = ^ <p(-) (a?o+ e A) ,
ed analogamente
vK+A)=^M»w(a'.+e'A);
— 177 —
onde divìdendo Funa per Taltra
<p(fl?o+ h) y("Hago + e^)
e j^ssando al lìmite
lim ^^^^ ~ ^*"' (^o)
125. — Finora si è supposto a?o finito ; ma le formule precedenti
si possono estendere al case in cui x tende verso Tinfinito.
Se col tendere di a? ad co, lim<p(a?) = 0, e limq;(a?) = 0, posto
X - , sarà
z
-PC»'), '(i)
e col tendere di a? ad 00, ^ tende a zero, e si può applicare quanto
si è detto precedentemente, e si ha, facendo il rapporto delle de-
rivate rispetto z,
lim -^V^ = lim V , , =:lim — ^-4• = l^^l -^tM >
"• --■(!) 7 -v(|)
ossia anche in questo caso il limite del rapporto delle funzioni è
eguale al limite del rapporto delle derivate.
Si può osservare che se per a? = 00 lim <p (a?) = 0, e se q)' (a?)
tende verso un limite, anch'esso è zero. Infatti se il limite di q)'(a?)
fosse diverso da zero, da un certo valore di a? in poi la derivata
avrebbe un segno costante, e si manterrebbe numericamente mag-
giore d*un numero finito A ; sia a il valore di x dal quale in poi
questo avviene ; dalla formula :
nx) = aa) + {x-a)r{x,)
Gbxocobi, Caìooìo difftnntiaU. 12
— 178 —
ove x^ è compreso fra x ed a, si deduce che col crescere indefi-
nitamente di X f(x) cresce indefinitamente, e quindi non può avere,
contrariamente all'ipotesi, per limite lo zero.
Dal che si deduce che se in ^^^^ si fa a? = oo, essa si presenta
sotto la forma indeterminata -^ , come ^r-i ; il <^^^ P^rò non impe-
v (^)
disce che possa essere di qualche utilità il sostRuire alla ricerca
del limite di z^v quella del limite dell'altra funzione ^-rrl -
126. Forma — . — Sia /•(a?)=~^, e suppongasi che col cre-
scere indefinitamente di x lim<p(a?) = oo e limi|i(a?)=oo. Si vuol
dimostrare che se da un certo valore di x in poi \^{x) non è
nullo, e se il rapporto delle derivate —7-^ col crescere indefinita-
mente di x tende ad un limite, tende pure allo stesso limite
Invero dalle relazioni
V(a?)
1 —
<P(«o)
<p (a?) — <p (a?o) ^^ <p (a?) tp(x] <p(a?) — cp(a?.0 __ cp^(a?,)
HI (a?) — HI (a?o) ^(a?) i_v(^' vW — Y(»o)'~" v'(«i) '
ove x^ è compreso fra a^o ed a?, si ricava
<p (a?) __ 9^ [a?i) Mi(fl>)
i|i(a?) . ni'(a?J ^ y(a?o) '
9(0?)
Supponiamo a? >a?o ; sarà anche x^ > a?o. Potremo quindi fissare
a?o cosi grande che ,) \ differisca dal suo limite d'una quantità
tanto piccola quanto si voglia ; inoltre, fissato x^^ , siccome col cre-
scere di a? lim <P te) = 00 , e lim Y (a?) = 00 , lim ^'^t^ = 1 ,
e si potrà supporre x cod grande che questa quantità differisca
— 179 —
^irunità di tanto poco quanto si vuole, ossia si potrà fkre in modo
che la diflferenza fra ^—^ ed il limite di ^rrl sia piccola ad ar-
hììTìo, e quindi
M» («) M>' (te)
Lo stesso avviene se lim ^77^ = 00 , perchè dei due fettori in cui
^ è decomposto ^^i ^^ prinio si può rendere grande ad arbitrio,
ed il secondo ad arbitrio prossimo alFunità.
Se nel rapporto ^7-; il numeratore ed il denominatore diven-
tasserò infiniti per un valore finito a della variabile, pongasi
^ = a-\ — ; SI ricava
•ed il numeratore e il denominatore diventano infiniti per ^ = 00 ,
onde si ricava
lim^; = lim— ^ j-f = lim ^^ ==iini— ^^ ^,
•-•»<-) -,(.+4.) ■"-,.(.+1)^ ,.(.+±.)
«d infine si ha ancora
lim ?4^; = lim ?;^ .
È però a notarsi in quest'ultimo caso che, se pel valore finito
w = a una funzione (come 9 (a?) e i|i (a?) ) diventa infinita , la sua
derivata non può tendere verso un limite diverso dall'infinito.
N
— 180 —
Infatti se f{x) è una funzione la cui derivata f{x) col tendere
di a: ad a tende verso un limite finito, od anche solo si mantiene
inferiore ad una quantità finita, detto x^ un valore prossimo ad a»
dalla formula
nx)=nx,)+{x-x,)r{x,)
si ricava che col tendere di a? ad a anche f{x) si mantiene finito.
127. — Forma co — oo. Sia a considerarsi la differenza di due
funzioni che per un dato valore di x diventano infinite di segno
1 1
opposto. Rappresentandole con — -r- e — — , la loro differenza
1 1
<p(a?) Hi(a?)'
si potrà scrivere
i|;(a?) — <p(ar)
cp(a?)iy(a7)
Facendo qui tendere x al valore speciale considerato, 9 (a?) e i|i (a?)
tendono a zero, e questa frazione si presenta sotto la forma -g- , ed
il suo limite si determinerà applicando le regole note.
Forma O.oo. — Abbiasi il prodotto qp(a?)i|i(^), e si supponga
che per un valore speciale di x il primo fattore diventi zero, ed
il secondo infinito. Si potrà mettere il prodotto sotto le forme
(p(a?)Mi(a;) = ^ = ^' ,
e nella prima espressione si ha un quoziente che prende la forma
r^, e nella seconda un quoziente che prende la forma —, quindi
siamo nei casi già trattati.
— 181 —
Forme 0^/i°°, oo^ — Abbiasi la funzione 9(a?)^^*\ ove si sup-
pone <p (a?) > , e per un valore speciale di x sia
ovvero
<p(a?) = i, Mi(a?) = oo,
ovvero
q) (a?) = 00 , i|i (jj) = 0.
Prendendo il logaritmo della funzione si ha
log qp {xf^""^ = MI {ce) log cp (a?) ,
e facendo tendere x verso il valore speciale, in ognuno dei tre
casi uno dei due fattori di questo prodotto è nullo, e Taltro infinito,
onde si ricade nel caso precedente. Determinato . il limite del loga-
ritmo, che è il logaritmo del limite, si avrà il limite della funzione
passando dai logaritmi ai numeri.
128. — Esempi, i® Determinare il vero valore di
/p" — a*
1/ = — r — r- per x = a.
• Facendo il quoziente delle derivate, si ha (N. 130)
lim y = hm r- = — a"»-*» .
sena? ^
y= ^ per a? = 0.
Si ricava
lim = lim — -. — = 1
7sO X 1
— 182 —
È a notarsi che cpiesto risultato è una verificazione, non una
dimostrazione nuova ; perchè qui si è derivato sen x , e per dimo-
strare che la derivata di seno? è coso? ci serviamo appunto della
proposizione che lim =: 1.
-^ af — ò« Ioga — log6
3^ y = -- — :r- per x = 0, limi/ = ,-2 _è^.
*^ e» — rf« ^ *^ log e — log a
y = — per a? = .
lim — ■ = bm : = lim ,r == 1.
a; Ben a; Bieiix-\-oocoAx 2cosa;^^sena?
5. iog(^-^') r a? = a (formai)
limi/ = lim — ^^ — ^ = limg*.lim-^ — ^ = 6*lim -7-=!^'
(forma 00 — 00).
Posto a? = — , si ha
z
y(l + atj;)(l + a,^)...(l-ha,^)-l
che si presenta sotto la forma -tt ; e, applicando le r^ole date,
lim y = ^ -= ,
ossia il vero valore ài y h media aritmetica delle a.
— 183 —
1
l/ = — j — cot^o? per 00 = (forma co — co).
Si può scrivere
1 cfx^x (senflp + 07 COBO?) (senapa? eoa a?)
X* sen'A? a?' sen' a?
/. , 0? \ sen a; ^ a; C08 d?
= 1 H COS O? i .
\ sena? / a;' seno;
Facendo tendere x a zero il primo fattore ha per limite 2, onde
basterà considerare il secondo fattore, che si presenta sotto la forma
-^, ed applicandovi le regole note si trova che ha per limite -5^, onde
— ttX
8®, y = xe (cona>0), per a? = + cx). (forma 00 XO).
X 00
La funzione posta sotto la forma y = ■— , assume la forma — ,
onde
1
lim y = lim = 0.
9^ Sia più generalmente a trovare il limite per a? = + 00 di
y=a?*e^«*, con a ed m positivi. Possiamo ridurci al caso precedente
fecendo a^==z, onde 0?=:^*, e i/ = ^c "'; facendo tendere a?
ad 00 vi tende pure z, e quindi
lim 0?"* e—*» = .
X=CO
Posto in questa formula a7 = log;?, si ricava
,. (log;?)" ^
hm ^ =0;
«ss 00
ì;»
- 184 -
1
e ponendo in essa z = - si ha
lim^(logO* = 0,
<=0
risultati utili a ricordarsi.
10.
y=^oc^
per x = 0,
Lim 2/c=l.
(forma (f)
■/
11.
12.
l/ = (l + aa?)^ per x
Lim y=zef^.
=
1/ =
a; — sen x
x-}- seno?
per a? = 00
(forma 1°°)
(form. g)
Il rapporto delle derivate del numeratore e del denominatore ò
1 — COS X . 4 1
1 -j-cosa? ° 2
ed esso, col crescere indefinitamente di x non tende verso alcun
limite ; di qui non è lecito conchiudere che anche la funzione data
manchi di limite. Invero mettendo la funzione sotto la forma
1 —
V=
seno?
X
1 +
seno?
X
si deduce lim|/ = l.
Funzioni di più variabili
che si presentano sotto la forma — .
129. — Più difficile è Tesarne dei valori che assume il quoziente di due fun-
zioni di più variabili
— 185 —
ove si facciano tendere a?, ^,... verso i valori x^^ ^oi"- P^^ ^^^ ^ annullano
nameratore e denominatore.
Posto a;r=a?o-|- Af, y:=.yQ+ht,,..,u diventa funzione di t che assume la
forma -^ per <z=0; il suo limite sarà (N. 124)
lim ti = ^* ^^^ > ypi • • •) ^ + A (^0 ^ yp *• • ) ^ + • • •
<P'x («01 yoi- • •) ^ + <p'y («01 Voi •• •) * + • • • '
supposto non nullo il denominatore. Questo limite dipende dai valori di h^ A,...,
salvochè le derivate parziali di /^ siano proporzionali a quelle di qp; e quindi
u tende verso limiti diversi col tendere in vario modo di a?, i/,... a o^o, yoi--*i
e considerata come funzione di a;, y,.- non tende ad alcun limite. Se le derivate
parziali di f sono proporzionali a quelle di q> , occorre un esame ulteriore per
riconoscere resistenza, ovvero non, del limite di u.
Se la funzione «p, che ò nulla per a? =:a?o, y ^y^,. .., si annulla ancora per
altri valori delle variabili in ogni intorno di Xq^ 2/oi«-m ® ^ fnon si annulla
f
per questi valori che annullano «p, il rapporto -'— assume valori comunque
grandi, ed anche il valore infinito in ogni intomo di xq^i/q,.,., e quindi u non
può tendere verso un limite finito.
1 criterii che seguono possono servire a riconoscere se <p si annulli ancora,
ovvero non, in ogni intomo di a?o, yovi eccettuati questi valori; ed in questo
caso se u tenda o non tenda ad un limite. Ci occorrerà premettere alcune no-
zioni sulle forme algebriche.
180. — Dicesi forma di n^^^^ grado una funzione algebrica razionale intera
e omogenea di più variabili.
Per esempio, sviluppando colla formula di Taylor
f{xo+h, yo+h,..,)
ì successivi termini sono negli incrementi h, A,... forme di gradi 0, 1, 2,
Una forma dicesi definita se si annulla solo quando si annullano ad un tempo
tutte le variabili.
Tale per es., è la forma a?* + y* + «*.
Una forma dicesi indefinita se può assumere valori di segno contrario. Tale
è per es., ogni forma di grado dispari non identicamente nulla, perchè attri-
buendo alle variabili prima un sistema di valori per cui la forma non sia nulla,
poi gli stessi valori cambiati di segno, la forma assume valori eguali e di segno
contrario.
— 186 —
Una forma è funzione continua delle variabili, e se assume valori di segno
contrario, si annulla per infiniti gruppi di valori delle variabili (N. 100, teor. 4*);
ossia una forma indefinita non può essere definita, od anche una forma non può
essere ad un tempo definita ed indefinita. Ma una forma potrebbe anche essere
né definita nò indefinita, il che avviene quando essa si annulla per valori non
tutti nulli delle variabili, senza cambiare di segno.
Teorbma 1*. — Se i|i (x, y,...) è una forma definita di grado n, e u) (x, y,...)
è una forma qualunque dello stesso grado, il rapporto —ha un massimo ed
un minimo finiti.
Infatti ) *y*'"^ ò funzione omogenea di grado zero in a;, y , . . . , ed il suo
valore non si altera moltiplicando tutte le variabili per una stessa q[uantità.
Ma con questa moltiplicazione si può supporre che le variabili soddisfino alla
equazione
» = a7« + y«+ — 1 = 0,
perchè ove non vi soddisfacessero, basterebbe moltiplicarle per la quantità finita
. Dunque i valori che assume — attribuendo alle variabili tutti
ya?« + y« + ... ^ V
i valori, sono gli stessi che i valori assunti attribuendo alle variabili solamente
i valori appartenenti al campo definito dall'equazione v = 0. Ora questo campo
è finito, perchè ogni variabile risulta compresa fra »-l e +1; ogni punto
limite del campo appartiene al campo stesso, perchè se valori comunque pros-
simi ad X, y,... soddisfano all'equazione tr=:0, a causa della continuità della
funzione w anche X, Y, . . . soddisfano a questa equazione; infine a questo campo
non appartiene il punto (0, 0,..), pel quale solo si annulla \|i. Quindi in tutto il
campo le funzioni uj e ^i sono continue, e \|i mai nulla; e il loro quoziente
— è pure funzione finita e continua; quindi (N. 100 teor. 6<>) esistono il mas-
simo ed il minimo dei valori di — , ed essi sono finiti.
Teorema 2*. ^^ Se ì^ (x, y,...] è una form/i definita di grado n, ed ui(x, y,...)
è una funzione che si può mettere sotto la forma di un polinomio omogeneo
in X, y,... di grado n, i cui coefficienti dipendano ancora da queste variabili
ed abbiamo per limite zero col tendere delle variabili a zero, anche — ha
per limite zero.
— 187 —
«
Infatti u) è la somma di più termini della forma Caf^ i/*^..., ove a + 3 + • • • = ***
e C ò funzione di a;, y, . . . avente per limite zero. Quindi — è la somma di più
termini della forma
a B
C "^ ^
Mi(a?, y,...)'
In questo prodotto il primo fattore C ha per limite zero; il secondo è compreso
fira limiti finiti, perchè è il rapporto d*una forma di grado n ad una forma
definita dello stesso grado; quindi quel termine ha per limite zero, e
Teorema 3^ — Se nella fòrmula di Taylor per le funzioni di più variabili
il termine che contiene omogeneamente al grado n gli incrementi delle vor
riabili è una forma definita^ facendo tendere a zero gli incrementi delle
variabili^ il rapporto del resto dopo quel termine al termine stesso 7ia per
limite zero, e il rapporto del resto prima di quel termine al termine stesso
ha per limite uno.
Infatti, conservando le notazioni della pag. 147, e detti Rn ed Rn^i i resti
prima e dopo il termine considerato, si avr&
F(i) = 2i'(0) + . . . + ^^^ Fi-i (0) + ij J?l»)(e)
Ji'(l) = 2i'(0) + i-^ ji-W (0) + ÌJh-1 .
onde si ricava
Ji, = ij F^») (9) , R,+i = i-, [Fi'ì (6) - i^«)(0)] .
e
iM> _ Fi^) (e) — Fi^) (0)
i,FC.(0)"" ^"'<«) ■
n! '
U numeratore della frazione di destra ò un polinomio omogeneo di grado n
— 188 —
negli incrementi delle variabili, i cui coefficienti dipendono ancora da questi
incrementi, ed hanno la forma
(«) («)
^a B (^o+e/i,i/o+eA, ...) — /" g (a?,„yo,...),
e col tendere di A, à,... a zero, il loro limite è zero; quindi pel teorema pre-
cedente,
ni
E dall*essere
FW (e) — F(») (0; ^
^"^ Fi»»)(0) =Q'
si deduce
ossia tt tivnitt A*.
ni
Teorema 4® — /Se to funzione f(x,y,...) «* annulla pei valori x^, yo»--.
^, m^W2>pan^ f co^Za formulo di Taylor^ il primo termine non identicamente
nullo è una forma indefinita negli incrementi delle variabili^ in ogni intomo
di Xq^Yq^.,. la funzione assume valori di segno contrario^ e si annuUa.
Invero, supposta nulla la funzione e le sue derivate d*ordine minore di n, la
formula di Taylor dà
f(a>o+ih, yo+ ^A,...) = F(0= ^F(n) (60 .
Ora F(**) (0) è una forma indefinita in A, A, ... ; quindi si possono dare ad esse
valori tali che F(**) (0) risulti positivo, ovvero negativo. Supposto nella formula
precedente ^>0, e facendolo tendere a zero, F(*) (6) tende a F(**) (0), ossia verso
un limite che è, a seconda della scelta di A, A,... positivo o negativo; quindi
anche F(t) è a nostro arbitrio positivo o negativo, e la funzione data assume
in vicinanza di Xf^ ^Of* valori positivi e valori negativi; ed a causa della sua
continuità, essa si annulla infinite volte.
— 189 —
Tborema 50 — Se la funzione f (x, y , . . .) si annulla pei valori Xq, y© > • •
e nello sviluppo colla formula di Taylor il primo termine non identicamente
nullo è una forma definita negli incrementi delle variabili^ in un conveniente
intorno di Xo, yo,.» ^ p^ i valori delle variabili diversi da questi, la funzione
non è nulla, e conserva un segno costante.
Infatti, se sono nulle le derivate d'ordine minore di n, nella formula di Taylor^
f(xQ +h,yQ + /t,...) si riduce al solo resto i?,» prima delFn^o termine ; e siccome
q[uesto è forma definita, e pel teorema 3° il rapporto di R,^ al termine n^ ha
per limite 4, si deduce che il rapporto di f(xQ + ^1 yo + *»— ) ^J termine n™o ha
per limite 1, ossia f(af^ 4* ^) ^o + A»—) ^ P^ valori di A, A,... sufficientemente
piccoli dello stesso segno del termine di grado n.
Teorema 6®. — Posto
f(x, y,. ..)=:/;+/; + /J 4- rp+i
<p (a?, y ,...) = <Po + <p, + <p, + p,+i ,
ove fi e qpj sono funzioni omogenee in x — Xq, y — yo»--- ^* gradi eguali al
loro indice, ed ottenute applicando la formula di Taylor, se i primi termini
non nulli negli sviluppi di { e q> sono fm 6 (pm e se (pa è forma definita negli
f
incrementi delle variàbili, posto u = -^ , e facendo tendere x, y,... a Xo, yo,.-»
si ha:
!• — Se m > n , lim u ■= ;
2o _ ^e in = n, u oscilla entro limiti finiti, e tende verso un limite L
se qualunque siano gli incrementi delle variabili
fn ^= L (pn •
3® — ^S^ m <; n , u non tende ad un limite finito.
Infatti, se m^n, si può scrivere
u^r^^^
llL
Facendo tendere gli incrementi delle variabili a zero, lim-^=: 4 pel teo-
9»
r
rema 3^, ed -^ è il rapporto alla forma definita q>„ d una funzione omogenea
— 190 —
di grado n negli incrementi delle variabili, i cai coefficienti dipendono ancora
da essi, ed hanno per limite zero, onde lim — ^ = , e lim « = 0.
<Pii
Se m = n, si avrà
fn I ^n+l
^_. /n + rn + l _ <Pm y«
P- _?«.
e facendo tendere gli incrementi delle variabillì a zero, lim -^ = 1, lim -^=0,
perchè il nmneratore, che è funzione omogenea di grado n + 1 negli incrementi,
i cui coefficienti dipendono ancora dai medesimi, e sono finiti, si può considerare
come una funzione omogenea di grado n, i cui coefficienti sono ancora funzioni
f
omogenee di primo grado, ed hanno per limite zero. Infine ^^ varia fra limiti
f
finiti che sono il massimo Jlf e il minimo m valore di -^^ (pel teorema 1*) ;
quindi anche u varia entro limiti finiti tanto prossimi quanto si vuole ad M
ed m, e non tenderà verso alcun limite, salvochè Mz=zm. In questo caso, detto
f
L il loro valore comune, sarà identicamente -^^=:£, ossia /^s=£q)., e
Vii
lim U:=.L
Se infine m<n, posto
F{t):=zf((CQ-{-th,y^+tk, ) e 0(O = q)(«^o+^^yo+^A»---.-)»
si avrà
F(t) _ 1^! ^^*^ ^^^^ _ 1 «7 Fi^)(Qt)
jP("»)(0)
e facendo tendere t a zero, Fultimo fattore tende al limite finito ^ , che
non è nullo, se si sono scelti A, A,... in modo che non sia nullo il numeratore,
onde u tende verso l'infinito, e non può tendere ad un limite finito.
«^
'V.
— 191 —
Massimi e minimi
delle funzioni d'una variabile.
131. — Diremo che una funzione f{x), data in un intorno del
valore x^, diventa massima per x-=x^ se si può determinare un
intervallo x^ — h,XQ-\-h in modo che per ogni valore di x in
esso sia
nx,) > nx).
Diremo che f{x) diventa minima per x^=Xq, se per ogni valore
di X d'un intervallo a?o — h, x^-^-h si ha
f{x,)^f{x),
I massimi e minimi cosi definiti dipendono dalla successione dei
valori della funzione, e li diremo anche assoluti. Una funzione può
avere parecchi di tali massimi e minimi, anche fi?a loro diseguali,
ed anche minimi più grandi di massimi. Essi sono a distinguersi
dal massimo e minimo valore d'una funzione relativamente ad un
dato intervallo {a, b) definiti al N. 21, e che diremo relativi, od
anche il più grande e il più piccolo dei valori della funzione ;
q[uesti dipendono dal sistema di valori assunti dalla funzione, e non
dall'ordine in cui si susseguono.
Se per a? = a?^ la funzione f{x) ammette derivata fix^^) positiva,
la funzione è crescente (N. 43), ed i suoi valori sono rispettiva-
mente minori o maggiori di fix^), secondochè x è ndnore o mag-
giore di Xq , purché sufficientemente prossimo ; quindi la funzione
non è per x^=Xq né massima né minima. Lo stesso avviene se
r{x) è negativo; onde:
— 192 —
Se per x^x^ la funzione f(x) ha derivata non nulla, per
questo valore la funzione non è né massima né minima.
Quindi, scartati dal sistema di valori di x quelli cui corrisponde
una derivata (determinata, finita) non nulla, rimangono quelli per
cui la funzione non ha derivata, od ha derivata nulla, pei quali la
funzione può diventare massima o minima, e per essi occorre uno
studio ulteriore per accertarsi dell'esistenza ovvero no dell'uno o
dell'altro. Non daremo regole nei casi in cui manchi la derivata.
Supposta la derivata nulla, possono servire le seguenti.
Se f{x) ammette derivata f'{x) in un intervallo x^ — /t, x^ + K
si ha la formula
fico) — f{x,) = {x — Xo) r {oc,) ,
ove X, è compreso fra x^ ed x.
Se f{x), annullandosi per x^x^, assume valori positivi per
X <Xq, e valori negativi per x> x^, comunque si supponga
x^Xfi sarà sempre (x — x^f\x^ negativo, onde f{x)<f{x^,
e la funzione è massima per x = Xq. Se invece r{x) è negativa
per x<Xqj e positiva per x>Xq, il prodotto (x — x^f{x^ è
sempre positivo, e la funzione è minima per x^x^. Se poi f\x)
conserva un segno costante nelle vicinanze di x = Xq, il prodotto
(x — ()o^f{Xy) cambia segno secondochè x%x^, e la funzione non
è massima né minima. Quindi si ha :
La funzione f(x) è massima, ovvero minimxi per x = Xo, se
la sica derivata, annullandosi per questo valore, passa dal campo
positivo al negativo, ovvero dal negativo al positivo. Non si ha
né Vuno né l'altro se la derivata non cambia segno.
Invece di considerare il segno della derivata nelle vicinanze di
Xq basta considerare il segno della seconda derivata per a? = 0*0 ,
e si ha la regola:
La funzione f(x) è massima, omero minima per x = Xo se,
supposto f'(Xo) = 0, f"(Xo) è negativo positivo.
— 193 —
Invero, se r'(^o)<0> f{^) è decrescente, ed essendo nulla per
^ = a?o, passa dal campo positivo al negativo; succede l'opposto se
r(^o)>0-
Questa regola ci lascia in dubbio se /^'(a?o) = 0. Supposto in
generale che per x = Xq sia
r'(a?o) = 0, r(a?o) = 0, /X*-i)(a?,) = o, e r<-)(a?o)^0,
ricorrendo alla formula di Taylor si ha
fia>)-na:,)=^^^^fi-){x,)
con a;^ compreso trsi x ed x^; supposta, per semplicità di ragio-
namento, continua /^*) {x), essa conserva un segno costante variando
X nelle vicinanze di a?o ; se n è impari il fattore {x — x^y cambia
segno secondochè x%Xq, onde cambia pure segno f{x) — fix^),
e non si ha né massimo né minimo ; se n è pari, il fattore {x — x^Y
è positivo, ed f{x) — fix^) ha il segno costante di /^*)(^o)J quindi
la ftinzione sarà massima, ovvero minima secondochè f^^^x^) è
negativa o positiva. Onde :
Se per x = x^ si annullano la prima, e alcune delle successive
derivate, la funzione non sarà, ovvero sarà massima o minima
secondochè la prima derivata non nulla è d'ordine dispari, o pari;
in questo caso si avrà un massima) od un minima) a seconda del
segno negativo o positivo della prima derivata non nulla.
m
132. — Se la funzione f{x) è continua neirintervallo finito
(a, b), esistono il massimo e minimo dei valori della funzione relativi
a ^esto intervallo. L'uno e l'altro di essi può corrispondere a un
valore estremo dell'intervallo {a, &), o a un valore medio; in quest'ul-
timo caso il massimo e il minimo relativo sono anche massimi e
minimi assoluti della funzione ; onde il massimo e il minimo relativo
Gkxoocbi, Caleoh d^j^enniaU. 18
— 194 —
corrispondono o agli estremi dell'intervallo, o a quei valori di x
che rendono la funzione massima o minima assolutamente.
Se l'intervallo entro cui varia x è infinito [(a, cx>), ovvero
( — cx>, &), ovvero ( — oo, +00)] > ^ funzione può mancare di mas-
simo minimo, avendo, ovvero non, limiti superiore ed inferiore.
Esempi: — V Decomporre un numero in due parti in modo die
il loro prodotto sia massimo.
Sia a il numero dato, x e a^x le due parti, y=:x{a — x) il
loro prodotto; considerando x come variabile, si ha
y' = a — 2x
che si annulla pel solo valore ^=y* ^^^^^ ^'= — ^' quindi la
funzione y ha un massimo assoluto per 0? = -^-, ossia quando si
decomponga il numero dato in parti eguali ; ed y = -^ . Esso poi è
il più grande valore che assume 2/, perchè la derivata t/ è poàtiva
per ^<-5-, e negativa per ^>-Xf ossia nell'intervallo — 00, ^
la funzione è crescente, nel secondo ^ , -4~ 00 è decrescente.
La funzione non ammette né minimo, né limite inferiore.
2" — y^xf» (a?>0).
Derivando si ha
y' = ».(i + loga?).
n primo fattore non si annulla mai, ed è sempre positivo; il
secondo si annulla se loga; = — 1, ossia a; = e^^= — , ed annui-
landosi passa dai valori negativi che assume per x < — a va-
lori positivi; onde la funzione presenta un minimo assoluto per
a; = - = 0,36788..., ed il minimo é v=0^67641...; esso è anche il
— 195 —
più piccolo valore che possa assumere la funzione nell'intervallo
(0, 00). La Ainzione non ha né massimo, né limite superiore.
1 2-1
3*— y = x^; si ha y' = -^x *.
La derivata non è nulla per alcun valore di a;, ma è infinita
per a? = 0; per questo valore {/ = 0, e la Ainzione diventa effetti-
vamente minima sia assolutamente, che relativamente all'intervallo
( — 00, +00)» Perchè dando ad a? un altro valore qualunque il va-
l<x*e della funzione è sempre madore di zero. La flmzione non
ha né massimo né limite superiore.
Massimi e minimi
delle fìmziom di più
138. — Si dice che u^f{x, y, z, ...) diventa massima, ovvero
minima pei valori x^ y^ z^ delle variabili, se per un conveniente
intomo di questi valori si ha sempre
ovvero
/"(^o I/o -2^0 • • •) S r(a?, 1/, z\ . . .).
Si consideri la funzione della sola x
f(0D,y^,z^,...)\
se u diventa massima o minima per x:=:Xq, v=v^,... questa fun-
zione lo diventa per a?=a?o; qtrindi la sua derivata r«(i»o» Vo» ^o >•••)»
se esiste, è nulla. In modo analogo si può ragionare per le altre
variabili, e si deduce:
— 196 —
Se u = f (x, y, z , . . . ) diventa massima o mMima pei valori
Xq, yo, Zo-.., c(nTispon(kntemente a questi valori le derivate par-
ziali di My se esistono, sono nuUe.
134. — Pongasi
rc = a?o+^^, y = l/o + '^^> z = ZQ-^lt,
e
F{f) = f{x, y, z, ).
Se u diventa massima o minima pei valori x^y^z^.-.y lo stesso
avviene di F{i) per ^ = 0.
Ora, se f{Xy y, z],..,) ammette le derivate prime continue , la
funzione F{t) ammette derivata finita
F'{t)=f^x{x,yyZ,,..)h+ry{x,yyZy,.,)h-\-f\{Wy y, ;2r,.^)^+...,
e quindi dovrà essere
i?"(O) = r,(a?o,i/o,^o-0^ + ry(^o»Vo»^o>---)'i + --- = O
qualunque siano i valori ài h,hy..,; ed affinchè questa condizione
sia soddisfatta dovrà essere
Px (a?o, I/o ^ • • •) = , Tjf (a?o, Vo » • •• ) = 0,
come già si è trovato.
Supposto poi che f ammetta derivate parziali di secondo ordine
continue, si ha
+ 2rxy{x,yy...)hk + ;
*
e se u diventa massima ovvero minima pei valori considerati, altret-
tanto avviene per F{t) per ^ = 0, quindi è necessario
pel massimo che
pel minimo che
— 197 —
ir"(0)<0
jF'"(0)>0,
qualunque siano h, A , . . . , ossia
Affinchè la funzione u possa diventare massima, ovvero minima
pei valori x^ j^... delle variabili che annullano le derivate prime,
è necessario che la funzione omogenea di secondo grado in h, k,...
i^"(0)=r«(a;o,yo,..-)^*+r'^K»l/«,. ••)»"+
non assuma rispettivamente valori positivi, ovvero negativi, qua-
lunque siano h, k, 1,...
185. — Se per z=:Zo» y = yoy- ^ annullano tutte le derivate par^
ziali d* ordine minare din della funzione u:=f (z, y,...), e se, sviluppando
f(Zo+l^f yo + ^***') ^^^ formula di Taylor, il termine che contiene h, k,...
omogeneamente al grado n è forma indefinita, u non è né massimo né minimo
pei valori x^ , yo, . . . delle variabili. Se invece questo termine é forma definita
positiva, u é minima, e se forma definita negaHva a é massima.
Infatti, applicando i teoremi 4* e &> del N. 130 alla funzione
se il termine considerato ò fonna indefinita, in ogni intorno di x^, yoi-*- ^
aasome valori positivi e negativi, e f{x, y,-..) valori maggiori e minori di
f{x^y^,,..) onde la funzione u non è né massima nò minima. Se invece esso
è forma definita positiva sarà in un certo intomo di [x^, yof- v>0, ossia
e la funzione u è minima per x-=zx^, y = ^q, . . . In modo analogo si ragione-
rebbe seXil termine considerato fosse forma definita negativa.
136. — Ecco un criterio per riconoscere se una data funzione omogenea di
secondo grado mi (A, /^ l,...) ò forma definita positiva, ossia se, qualunque siano
— 498 —
i valori attribuiti ad A, A, . . . essa assume valori positivi, e mai nulli, salvochè
si annullino ad un tempo tutte le variabili.
Se la HI dipende da una variabile sola A, sarà i|f = Ah\ ed essa sarà positiva,
e nulla solo quando si annulli A, se A > 0.
Se HI dipende da due variabili h e h^ sarà
e se essa è forma definita positiva, posto A = 0, ed A non nullo, i|f assume il
valore Ah* cbe deve essere positivo e non nullo, onde deve essere
A>0;
\|i si può mettere sotto la forma
V = -^[(AA + 5A)«+(AC-5«)A«|,
e se si dispone di A in modo che Ah + Bh = % i|f assume il valore positivo
e non nullo -t-(AC — ^)A*,* ed affinchè ciò avvenga è necessario che
AC— B«>0.
Le condizioni A>>0 e AC — B*>^0, necessarie affinchè i|r sia forma quadratica
definita positiva, sono anche sufficienti; invero, se h non è nullo, sarà
(AC— 5«)A«>0, e (AA + J9A)«>0,
onde la loro somma è positiva e ip > ; se A è nullo, non sarà nullo A, e quindi
141 si riduce a AA', quantità positiva.
In generale, se ^i dipende da più variabili, A, A, 2,..., si potrà scrivere
\^=zAh*+2Bh+ C,
dove A è una costante, B è funzione omogenea di primo grado in A, 2,... e C
è funzione omogenea di secondo grado delle stesse quantità. Se si annullano
A, ^,... senza annullare A, si annullano ^ e C, e i|f assume il valore AA^ che
è positivo per ipotesi, onde
A>0.
La forma ^i si può scrivere
^Vr=^[{Ah + B)*+(AC^B^],
— 199 —
ed JLC— ^ • fànzione omogenea di secondo grado in A, 2,... Dando a qaeste
variabili valori qualunque non tutti nulli, e ad A un valore tale che Ah + B=0^
i|i assume il valoie -t-(^^ — ^) che è positivo e non nullo, quindi deve essere
positiva e non nulla Tespressione iiC— ^; ossia, poeto ì^^(h,l^...)=:AC — ^,
ì^i è funzione omogenea di A, 2,... che ò sempre positiva e mai nulla, salvoehè
si annullino tutte le variabili.
Quindi le condizioni necessarie affinchè i|f sia forma definita positiva sono:
1* A{>0; 2^ AC — B* sia forma definita positiva delle variabili A, ^,...
Queste condizioni sono sufficienti. Invero se si attribuisce ad A un valore arbi-
trario, e a A, 2,... valori arbitrarli non tutti nulli, dei due termini in cui si è
decomposto ì^ il primo è positivo o nullo, ed il secondo positivo, onde i|i>0.
Se invece si attribuiscono a A, 2,... valori tutti nulli, A non sarà nullo, e 141
assume il valore Ah\ che è positivo.
In tal modo, per riconoscere se una forma quadratica sia definita positiva
siamo ridotti a riconoscere se abbia la stessa proprietà un'altra forma quadratica
contenente una variabile di meno. Cosà continuando sarexho ridotti ai casi già
studiati con una o due variabili.
Si riconosce se una forma i|i sia definita negativa, se — 1|» è forma definita
positiva.
Esempi.
i37. — Spesso si domanda il massmio od il minimo valore rela-
tivo d'una funzione, cioè il più grande o il più piccolo (valore d*una
ftinzion'e mentre le variabili variano in un dato campo finito od
infinito. E se esso corrisponde ad un [sistema di valori intemi al
campo dato, corrispondentemente a questo sistema di valori la firn-
zione diventa massima o minima^ nel senso definito, cioè assolu-
tamente.
Vogliasi per es. decomporre un numero positivo a in p parti posi-
tive in modo che il prodotto delle potenze positive a, p,... X, ^
dì queste parti sia massimo.
— 200 —
Dette x,y, — u, a — a? — y — ...— w queste parti, e posto
U=x^y^...u^{a — x — y — ... — uf,
trattasi di rendere massima la funzione U, o ciò che fk lo stesso,
il suo logaritmo neperiano. Annullando quindi le derivate parziali
di log U, si ha
dlog t/ _ g |i
dx X a — a? — y — ... — u *
dìogu ^ p !L___ —
dy y a — a? — y — ...— Il '
diog U ___ X ^
cty w a — a? — y — ... — « '
le quali equazioni si possono pure scrivere
X y u a— a?— y — ...— M a
dove Tultimo termine si ottiene componendo le proporzioni prece-
denti. Quindi, detti x^, l/o>"-^o ^ valori delle variabili che soddi-
sfanno a queste equazioni, si ricava
— g — ___P__ — X
e a-a?o-yo--..-Wo=« .^p^^'...^.^'
ed il valore corrispondente di Uj che diremo U^ sarà
— 201 —
Per riconoscere che U^èil più grande dei valori di C/^ si potrebbe
dimostrare che U diventa efTettivamente massima per un sistema
di valori a?o, ^q,... deUe variabili, che questo è intemo al campo
considerato; e che per essi si debbono annullare le derivate di
logU; ma queste derivate non si annullano che pei valori preceden-
temente trovati ; dunque essi sono i valori che rendono massima U.
Oppure, ricorrendo alla formula di Taylor, se x, y,... u è\m altro
sistema di valori positivi delle variabili, corrispondentemente a cui
sia anche positivo a — a? — y — ... — u, lo stesso avverrà per i
valori
Xo+t(x—x^). yo+l{y—yo)y'" u^+t{u—u^),
ove t è una variabile compresa fra ed 1 ; quindi log U avrà le
derivate jyarziali prime e seconde finite e continue, e osservando
che le derivate prime si annullano pei valori a;o, Vo»*-* ^^Ue va-
riabili, si avrà:
|A(a?-t-y-h...-hu — a?o— yo— ...— Wq)» "!
"T" (a — 0?, — yt— ... — uO* J
dove o^i , Vi , . . . U| sono valori deUe variabili della forma
a?o+e(a?— a?o), i/o+e(y— Ve).--- Wo+e(t«— Wo)
con < e < 1. La quantità entro parentesi è positiva, e non nulla,
supposto che il sistema a?, y,... u non coincida col sistema x^ t/ov ^oì
quindi
log ^< log ^0
ossia effettivamente V^h'^ massimo valore che può assumere V.
Si osservi che U diventa minimo = se è nulla qualcuna delle
parti in cui è decomposta a. Se a queste parti si danno anche valori
negativi, potrebbe avvenire che C/q non sia il più grande dei va-
lori di te.
— 202 —
188. — Voglìansi i massimi o minimi della funzione
le variabili essendo legate dalla relazione
f{Xy y, z) = 0.
Se da questa equazione si ricava z in funzione di a? ed i/, e si
sostituisce nella prima, u sarà una ftinzione di ^ ed y ed i valori
delle variabili che rendono u massima o minima debbono annullare
il differenziale totale du qualunque siano dx e dy. Ora si ha
«
dF dF . dF
du = — ; — dx H — r- dv -4- -r— dz ,
da ^ dy ^ ^ dz '
dove dz rappresenta il differenziale totale di z^ definito dalla
equazione
^*. + ^* + f*=o.
Se airequazione du=^0 si aggiunge quest'ultima moltiplicata per
un'indeterminata — X, si avrà
(f-^S)*"+(f-*f)+(f-'f)*=»'
e se in questa equazione si dispone di X in modo da annullare il
coefficiente di dz, si dovranno anche annullare, corrispondentemente
al massimo od al minimo, i coefficienti ^ dx e dy, e si ottengono
le equazioni
dF ^ df dF ^ df ^ dF ^ df ^
dx dx dy dy dz dx
che sono simmetriche rispetto alle variabili, e che si ottengono
eguagliando a zero le derivate parziali di
F—\r.
— 203 —
Queste tre equazioni e le /*= 0^ u = F determinano le incognite
K ^> y^ z> ^> corrispondentemente ai quali valori u può diventare
massima o minima.
Si ragionerebbe in modo analogo qualunque sia il numero delle
variabili, e delle relazioni passanti fra esse.
Cambiamento delle variabili indipendenti.
139. — Abbiasi un sistema di variabili legate fra loro da rela-
zioni convenienti. Preso un gruppo di queste come variabili indi-
pendenti, di cui le rimanenti sono funzioni, si considerino le derivate
ordinarie o parziali dei varii ordini di queste rispetto quelle. Preso
un altro gruppo di variabili indipendenti, si considerino in modo
analogo le derivate delle rimanenti variabili. 11 problema del cambia-
mento delle variabili indipendenti consiste nel trovare le relazioni
cbe passano fra le derivate prese nella seconda ipotesi e quelle
prese nella prima.
n caso più semplice è quello in cui y = f{(B)y e si pone a;=:q)(0;
y diventerà una funzione di <; e le derivate f(x)y f^ico), f"{x)
di y considerato come Amzione di od si possono esprimere in fun-
zione delle derivate di y rispetto a t e di a? rispetto a ty come ora
vedremo.
La regola di differenziazione delle funzioni composte dà.
onde si ricava
^=r(a^)<P'(0=r(a^)^.
dy
dx
dt
— 204 —
che si potrà scrivere più semplicemente :
intendendo che nel membro di sinistra ^ rappresenti la derivata
di y rispetto a a?, cioè r{ai), e che nel membro di destra ^ rap-
presenti il quoziente dei differenziali ài y ed x considerate come
funzioni di t
Differenziando rispetto t ambi i membri dell'equazione precedente,
e dividendo per dx si ha
^ ' dx* "■ d^
Differenziando un'altra volta, e dividendo per dx si hsi ancora
/q\ ^ dx idx dhf ^^ dy d^x) — 3d^x(dxdh^ — dydh:)
' ^ 'd^ ~" do^
e cosi di seguito si hanno le formule che e3primono le derivate di
y rispetto ad a? in funzione dei differenziali, e quindi delle derivate
di 07 e 2/ funzioni di t
Si possono verificare le formule precedenti col supporre ^=a?,
ossia che la nuova variabile non differisca dall'antica; allora nella
differenziazione sarà dx costante, e d^x = d^x = . . . = 0. Tenendo
conto di questo le formule precedenti riduconsi ad identità.
Se si fa < = y, ossia si considera y come variabile indipendente»
neUe formule precedenti bisognerà ponte d*i/ = ePy = ... = 0, ed
esse si riducono a
dy dy d'y dydh: cPy — dxdy d^x + 3dy d^a^
dx (fa? ' dx'* dx^ * doc^ da^ * ' "
— 206 —
ovvero mettendo in evidenza le derivate di x rispetto y si ha
doc~dx_' da?'"" /^V' dx^ ~ f dx^\ '"
dy [dy 1 [ dy )
Esempio. — Trasformare l'espressione
±±mì
dx^
ove a; è la variabile indipendente, ed y funzione di x, in un'altra
in cui sia ^ la variabile indipendente, e a? e y finzioni di t
Applicando le formule precedenti si ha:
J7--, \ ^ da^ì _ (dx^+d^y
dxd*y — dyd^x dxdhf — dydh;'
dò»
Sia ancora y funzione di x; siano t Qdu altre due variabili legate
alle precedenti da relazioni che supporremo messe sotto la forma
x = ^(t,u), y = \^{i,uy
Si vogliono esprimere le derivate di y rispetto a a; in funzione delle
derivate dì u rispetto a t
Basterà a questo scopo di esprimere le derivate di y rispetto a
X in funzione delle derivate di y ed a; rispetto di t; queste si po-
tranno infine calcolare fra le relazioni che passano fra Xy y, t ed
u, perchè si ricava differenziando
a^a, = ^af^+2-^<U<tu + ^,au*^^<Pu, ecc.
— 206 —
Esemplo. — Vogliasi trasformare l'espressione V dell* esempio
precedente in un^altra in cui si prendono per yariabili r ed a legate
alle X e y dalle relazioni
i» = rcosa, y = r sen a ,
ed a è la variabile indipendente.
Trasformata Tespressione di r in modo che a risulti la variabile
indipendente, si trovò
daf d*y -^ dy d*a? *
differenziando le relazioni date si ricava
do? = cos a dr — r sen a da ,
dy = sen adr-^-roo^ada,
onde
<to7*+ rfl/*= rfr*+ ^* ^a* ,
e
d}x = cos a d^r — 2 sen a dr da — r cos a do}
d^y = sen a d*r -|- 2 cos a dr da — r sen a da* ,
quindi
do? dV — ^y ^*^ = — rd*rda + 2 dr* da -|- r*da'
ed infine
— rd*rrfo + 2 dr'da + i^dà? '
140. — Sia :3; funzione di x ed y; si sostituiscono ad a; ed y
due altre variabili t, u legate ad esse da relazioni note, che per-
mettono di esprimere a? e y in funzione di ^ e te, e reciprocamente.
Si vogliono esprimere le derivate parziali di z rispetto ad a; e y
in ftinzione delle derivate parziali di z rispetto sl t ed u.
La regola di differenziazione delle funzioni composte, considerando
z ftinzione di t ed u, ftinzioni di a? ed y, dà
dz dz dt . dz du
dx dt dx ^ du dx *
dz dz di . dz du
dy dt dy ^ du dy
— 207 —
che esprimono appunto le derivate -£: ^ -^^ funzione <li ^ ^ 3- .
I coefficienti ^, ^,... si ricavano dalle relazioni date fra ^, y, (, u.
DifTerenziando ancora le equazioni precedenti se ne dedurranno
d'^z cE^z ó^x
altre che determinano -r\ > . . , tt » ecc.
oy' da>dy dy*
Esempio. — Sia ^ una funzione di a? ed v tale che soddisfi al-
Tequazione
invece di a; ed y prendansi per variabili indipendenti teiu legate
alle precedenti dalle relazioni
onde si ricava
dt dt du du
dx * dy * dx ' dy
Derivando z rispetto x ed y> come si è detto, si ricava nel nostro
caso:
dz dz ^^ dz dz ^__ f dz dz\
d^~'dt'^dii' d^~^[di~'dil'
d^z ^*^ i_ «> ^** I ^*^
onde sostituendo nell'equazione data, dopo aver diviso per 4a*, si ha
d^z
dtdu
= 0.
In modo analogo si trattano i casi in cui sia maggiore il numero
delle variabili.
— 208 —
CAPITOLO VI.
Limiti.
141. — Le regole del calcolo infinitesimale si possono estendere
alle quantità che Talgebra chiama immaginarie o complesse, ridut-
tibili alla forma
ove a e ò sono quantità reali, ed i Tunità immaginaria tale che
Diremo variabili le quantità z=:x-\-iy se sono variabili le quan-
tità reali x ed y. Diremo che z tende ad un limite C'=a-\-ib se
lima? = a, limj/ = &.
La differenza z — c = {x — a) + ^(y — V) ha per modulo
\/{x-ay+{y-ì>)\
il quale, se lim -3:=c, ha evidentemente per limite zero. Viceversa, se
limmod(z — e) = ,
— ao9 —
le quantità OD^^a ey — & avranno pure per tìmite zero, perchè
numericamente minori di mod(2; — e), e quindi lim^ = c.
Ammetteremo dimostrati i teoremi (N. 10-12) sui limiti d^una
somma, d'un prodotto e d*un quoziente, anche per le variabili coiQr
plesso, perchè la dimostrazione è fàcilmente riduttibile alle variabili
reali.
ie a termini complessi.
2. — La serie
i cui termini sono complessi si dirà convergente se la somma
col crescere indefinitamente di n tende verso un limite, cui si dà
il nome di somma della serie.
Se si pone
ove le i> e le 9 sono reali, si ha
Sn= {Po +Pi + ' ' • +Pn-i) + i{Qo + Qi-\'' • . + ^"-i)
e se la serie è convellente, ossia s^ tende ad un limite 8=P-\~Q(,
è necessario e sufficiente che siano convergenti le serie delle p e
deUe Qy e sia
P=Po+Pi +
Q = Q[o+Qi +
Gnoocn, Caieoìc difènturiak 14
-210 -
148. — Si oonsideri p. e. la progressione geometrica
1, Xf cc^ , (X? , ;
si ha
se il modulo di ^ è minore di 1, il modulo di or* col crescere inde-
finitamente di n ha per limite zero, onde la serie proposta è con-
vergente e si ha
= l+a? + a?*-f-a;*+ (moda?]<l).
1-0?
Se si fa ^ = r(cosa-f-^sena), si ha (r<l)
=l-|-r(coso+'seno)+r*(cos2a+^sen2o)+
1 — r (gob a + 1 Ben a)
-{- r* (cos 3 a + 'sen 3 a)+
Bia il membro di sinistra
1 1— rco8a + *'*^8ena
1— r(G08a + t8ena) 1— 2rcoBa + r* '
quindi eguagliando le parti reali ed i coefficienti di ^ si hanno le
formule per tutti i valori positivi di r < 1 , e per tutti i valori
reali di a :
1— rcosa . , I • rt r
3 — 5 r-:3=i+rcosa4-^ cos2a4-
1— 2rco8a + r* ' ' '
rsena
. — 5 r-i=04"^sena + r*sen2a +
1— 2rco«o + r* ' ' '
144. Teorema. — R termine genercUe d'una serie con/oergenie
ha per UmUe zero coi crescere indefinitamenJte dell'inOtee.
— 211 —
Invero, se t*^=l>„+^tf,, e se è convergente la serie delle w»,
sono pure convergenti le serie reali i cui termini sono jp» e g« ,
onde (N. 55) limi>. = lim9, = 0, e [\imu^ = 0.
Ammetteremo dimostrati i teoremi (N. 52 e 53) riferentesi alla
moltiplicazione d\ma serie per una costante, e aUa somma di due
serie.
Tborbma. — Una s^rie a termini complessi è convergente se
è convergente la serie formata coi moduli dei termini.
Siano
i termini deUa serie data ,
i loro moduli che supporremo formino una serie convergente;
e siano
gli argomenti dei termini. Si avrà che
%inz=zrn (COS Ow + ^ SOU O») ,
quindi le serie formate colle parti reali e coi coefficienti di i dei
termini sono
To COS Oq , r^ cos ttj , r, COS a, , . . .
e
r^ sen a^ r^ sen a^ , r, sen a, , . . .
i termini delle quali sono rispettivamente minori in valor assoluto
dei termini della serie convergente
^0 » ^1 » ^t » • • •
onde esse sono pure convergenti, ed è convergente la serie delle u.
— 212 —
God p. es. la serie
. 1, a?, 2! ' 3! '
è convergente qualunque sia x, reale o complesso, perchè^ detto r
il modulo di x, i moduli dei termini formano la serie
4 t* —
che è convergente, ed ha per somma er.
145. Teorema. — Se le serie
Uo, Uj, u,, (1)
e
Vo, v^, V,, (2)
sono convergenti, e sono pure [convergenti le serie formate coi
moduli dei loro terrmtni
e
ho, hj, b,, (4X
la serie
Wo, w,, w,, (5)
in cui
Wo = UoVo, W4=UoV, + U,Vo, W8 = UoVj+U,V, + U,Vo,
Wn = Uo Vn + ^1 Vn- 1 + + ^n Vq ,
é c(mveTg&nJt/e, ed haper somma U prodotto delle somme delle due
serie date.
Dimostreremo dapprima il teorema sulle serie (3) e (4) formate
coi moduli dei termini, ossia sulle serie a termini positivi.
— 213 —
Posto
Ap=ao + «i + + «P-i
Bp=l)o + K + + &P-1
è facile il riconoscere che il prodotto
Ap ^ = «0 &o + «1 ^0 + flp-i &o
+ «0 &i + «1 ^1 + • • • • • +«F-1 &i
vale
ApBp =2Cp +^i&p-i4"«- + ^—i &! + ••• 4" ^-1^—1»
ossia
i4p Bp !> Cp ,
e che
Ponendo nella prima dis^uaglianza p=n, si ha
Ch <Z An Bn ,
e fotto nella seconda n = 2p , ovvero 2p -{- 1 , onde p risulta il
massimo intero contenuto in y> ^^ ^^
Cn ^ Ap Bp .
Facendo crescere indefinitamente n, anche p cresce indefinitamente,
e dette ^ e ^ le somme delle serie (3) e (4) si ha
lim An = lim ^p = ^ , lim ^n = lìm ^ = B ,
— 214 —
quindi Cn risulta oompresa fl:*a due quantità che tendono verso uno
stesso limite, e sarà perciò
lim Cn = AB.
Si considerino ora le serie complesse (1) e (2) ; posto
Sn = UQ + U^ + + t<«-i
^n = t?o + ^1 + + ^« - 1
5"n=W?o + W?, + + M?ii-1,
si ha
onde, considerando i moduli d'ambo i membri, e ricordando che
il modulo d*una somma non è maggiore della somma dei moduli,
ossia
m0d(5« S^n — S''H)^{An Bn — Cn) ;
facendo crescere indefinitamente n, lim(^N^«i — Cm) = 0, ^onde
lim mod (Sn s^n — s"n) = , e quindi
lim ^ n = lim ^«1 . lim ^'m c. v. d.
Funzioni esponenziali e circolari
di variabile complessa.
146. — Porremo per definizione di e% quando a: ò complesso
«* , ar"^
(i) ^ = i + a. + ^4.^^-
— 215 —
ove nel membro di destra la serie è convergente qualunque sia Xj
e la sua somma per x reale è appunto e^.
Porremo in modo analogo, quando x è complesso, per definizione
(2) sena? = a; — sT + TT"
(3) cosa; = l-|^ + ^-
le quali serie sono convelluti qualunque sia a;, e se ^ ò reale
rappresentano appunto sen x e cobx.
Se nella formula (i) invece di a; si legge ix, si ha
• • • •
ovvero, a causa delle formule (2) e (3):
(4) e*« = co8a? + /sena?,
e scambiando a? in — x
(5) e-*» = co8a? — isenx.
m
Da queste ultime due formule si ricava
(6) cos a? = — ~ — , sen a? =-
2f '
e si hanno cod le Ainzioni circolari espresse mediante esponenziali.
147. — La proprietà
(7) 6«.6t = e*+if
sussiste anche se a; ed y sono complessi. Invero si ha
^ = ^ + y + Tr +
e moltipliéando le due serie colla regola nota, il che si può fare,
perchè sono convergenti le serie formate coi moduli dei teimjfti,
si ha
^.ei^ = l+(a? + y) + (|l + >ry + |^)+
ed il termine generale è
jg" ■ ar*^^ y. _j_ I ar*-*' y^i_ _l. ^L
ossia
e siccome la serie di destra ha per somma e^-^^ per definizione,
si ricava la formula a dimostrarsi.
In virtù di questo teorema si ha che
(8) 6* -^^ =«• 1^ = e« (CòS 1/ + f Sen y) ;
supposto X ed y reali, X'\-iy sarà tihà (][Uantità (iomplei^ Qua-
lunque, e 6*+4r resta eq^ressa sotto forma trigonometrica, ed ha
per modulo ^ e per argomento y.
Reciprocamente una quantità complessa di modulo r e di argo-
meilto d iì pud SòHVere semplicemente refK
Moltiplicando le formule (4) e (5) membro a membro, si ha
(9) l=cos*it? + sen*a?,
■
formula nota di trigonometria, che risulta cosi dimostrata qualunque
siano i valori di x.
Moltiplicando le formule
e^z=iCoaX'\'i9i&tix
6^=cosy + ^sen|/
— 217 —
si ha
e^(»+if) = cosxco8y — seiixseny-{-i{cos(ff9eiay-^G09y9eiSLai)^
ossia
cos (a? +y) -{- /sen (a? + 2/) =
cosxcosy — sena?sen2/+^(cosa?seiiy-|-^sysena7);
scambiando in essa x ed y in — x e — y si ha
cos(a?+y) — ^sen(a?+y)=3
coso^cosy — sena^senj/ — 2Xcos^sen2/-f cosi/seno?),
onde, si ricavano le formule per Taddizione degli archi
cos (a? + 1/) = cos a? cos y — sen x sen y ,
(10)
sen {x + y) = cosx sen y + cos y sen x ,
che valgono gualìiilq[ue siano a; ed f/, reali o complessi.
Da queste ultime formule si ricava
cos (à?+ ^1/) = cos a? cos iy — sen a? sen ^y ,
sen {x + iy) = sen a? cos /y + cos a? sen iy ,
ed in virtù delle (6)
cos^=— ^2 — . seti/i/= — 2i — = ^ — 2 — '
onde, se y è reale, cos/y à pure reale, e sen^y è immaginario
puro ; onde sostituendo nelle ultime formule, supposto a; ed y reali,
si ha cos(a?+jy) e sen(a? + ^y) ridotti alla forma a + &i'.
148. — Le funzioni ^ J ' ' ^ — 2~ P^^^^*^^^ molta ana-
logia colle funzioni circolari coseno e seno, e, benché si esprimano
— 218 —
mediante esponenziali» e quindi non siano funzioni nuove, tuttavia
si imposero loro i nomi di coseno tperbolico e seno iperbolico^ e
si rappresentano scrivendo
(11) Qìix = '^\^' e Sha?= ^";'^' ;
e si ricavano con tutta &cilità le formule
Cli(— a?) = Gha?, Sh(— n?) = — Sha?.
Sh«. = a; 4-^ + 1^ +
e-* = Glia? — Sha?,
l = Gh«a?— Sli«a?
cos^a?=Clia?, sen^a? = e*Sha?,
Gh (a? + 1/) = Gha? Ghy + Sho? Shy
Sli(a? + y) = Slia?Gliy + Gha?Shy.
Le altre funzioni trigonometriche si definiscono mediante le loro
espressioni in funzione del seno e del coseno, le quali sono i risultati
di dimostrazione se a? è reale; cosi per x complesso si pone
senir
tanga; = ,
^^^ cosa?
ovvero, esprimendo tutto mediante esponenziali
1 ^wc ... ^— tv
(12) tang a; = -j- ^^^p^ .
Si dà una definizione analoga per la tangente iperbolica, e si pone
onde si ha
tan^a; = tTha7, ecc.
— 219 —
149. — Sì dice che y è il logaritmo naturale di x, e si scrive
y = ìogX
se e»=zx .
Pongasi a? = r(cosa-[-z*sena), ed y=p + iq; si avrà
0f=eP-^^ = eP{cosq-^isenq),
ed affinchè questa quantità complessa possa essere eguale ad a?, è
necessario che i moduli siano eguali , e gli argomenti non differi-
scano che per un multiplo di 2 ir ; onde Tequazione e^ = x si riduce
alle seguenti fra quantità reali
^=:a + 2/nT (ft intero).
La seconda determina q; dalia prima si ricava p in modo unico,
perchè essendo r reale e positivo, esiste un sol valore reale di p
tale che e' = r, ed è il logaritmo di r .stato definito a proposito
delle funzioni di variabile reale ; noi lo indicheremo scrivendo
p = log' r.
Cosi determinate p e q, risulta noto 2> + g^=y = logiF, e si ha
(13) log [r (cos a -f- isen a)] =iog'r+ ^(a + 2ft ir),
ossia il logaritmo d^una quantità complessa ha infiniti valori; la
loro parte reale è comune, ed è il logaritmo (nei significato di va-
riabili reali) del modulo ; ed il coefficiente di i è l'argomento au-
mentato d*un multiplo arbitrario di 2 ir.
Se la quantità di cui si vuole il logaritmo |è reale e positiva,
essa è eguale al suo modulo r, e per argomento si può assumere
lo zero; onde la formula precedente dà
log r = log' r -f 2/17T2 ;
— 220 —
osesia il logaritmo d'una quantità reale e positiva ha infiniti valori ;
uno, corrispondente a /( = 0, è reale, ed è il logaritmo definito per
le variabili reali; tutti gli altri sono immaginarli, e a due a due
coniugati, perchè si avranno valori coniugati per log r se si danno
a h valori eguali e di segno contrario.
Sia ora — r una quantità reale e negativa ; il suo modulo è r,
e per argomento si può assumere n ; onde
log(— r) = log'r+(2ft + l)7r^;
essi sono tutti immaginarli; dando a /t le coppie di valori 0, — 1;
1, — 2 ; 2, — 3 ; . . . log ( — r) assume i valori immaginarli coniugati
log'y'Hhn?', log'rHhSir^, log'r + Sn^,
150. — Alla scrittura u^ si dà, per uev complessi, il significato
^» -— ^ » log H
che costituisce un* identità nota per uev reali ei u> 0. Siccome
log u ha infiniti valori, e detto logu uno di essi, tutti gli altri
sono della forma
log W + 2 ft TT 2 ,
anche u* avrà infiniti valori, che in generale sono distinti.
Cosi ad esempio, in virtù delle convenzioni fatte, Tespressione
y — 1 ha il significato e^^^^\ e siccome
log^ = /(|+2ftii)=(4ft + l)-|^,
si ha
ossia, assume infiniti valori, tutti reali.
— 221 —
161. — Diremo che a? = arcsenz, ovvero a; = arccos^ se
sena?=z, ovvero cosx=z. Queste ftinzioni circolari inverse si
possono facilmente ridurre ai logaritmi. Invero, prendendo i Ic^a-
ritmi d^ambo i membri dell'eguaglianza (4) si ha
(14) ix = log(co8 X + 2'sen x) ,
e se si pone in essa sena? = z, onde cosx = [/i — z* , e
a; = are sen ^ , si ha
(15) are sen -sr = -7 log (l/i—z^-^iz) ;
analogamente, ponendo nella formula (14)
cos a? = ^ , sen a? = l/T— z' , a? =, are cos ^ ,
si ha
(16) are cos ^ = — log (z + i[/i^^) .
Esaminando la formula (15)^ si scorge che dato z, l'espressione
|/l — z^-^iz ha due valori corrispondenti al doppio valore del
radicale; ad c^nuno di essi corrispondono ancora infiniti valori di
aresen^, perchè il logaritmo ha infiniti valori. Se z è reale e
<1, l/l — z* è reale, il modulo di l/ì^*+iz è l'unità, il
logaritmo di questa quantità è inmiaginario puro^ e dividendo per
^ si ha are sen z reale. Ma se ^ è reale > 1, ovvero immaginario,
risulta immaginario anche are sen z. Cosi ad esempio^ l'espressione
arcsen2 = 4log(l/^+2^) = 4-l(«^(l/3+2)
=4 log' (^^+ 2) + (2ft + -i) IT.
— 222 —
Si divida la formula (4) per la (5); si avrà
^^ cwa-^iaénx i + iiangw ,
C08 a? — i sen a? 1 — i tang x '
prendendone i logaritmi
^ — 2t *^l-ttanga?'
e posto tango? = ^, e ^ = arctang2r, si ha
(i7) arctang^ = ^logf^^ = ^logj^.
Cosi restano definite le funzioni esponenziali e logaritmiche, e le
funzioni trigonometriche dirette ed inverse per valori complessi delle
variabili, e si vede che le funzioni trigonometriche dirette si pos-
sono esprimere mediante esponenziali, e le inverse mediante loga-
ritmi ; onde se delFesponenziale e del logaritmo che ne è Tinverso
si fa una sola categoria di funzioni, si deduce che tutte le funzioni
trascendenti finora introdotte nel calcolo si possono ridurre alla
sola e.
Funzioni di variabile complessa.
152. — Diremo che w è funzione della variabile complessa z,
e si scrive w = f{z), se ad ogni valore di z corrisponde un va^
lore di w.
Se si fa w = u-\'iv, z=^x-\-iy, ove w, v, ce, y sono variabili
reali, se t^ è funzione di z saranno u e v funzioni reali di ^ ed y.
-.223 —
Diremo che la fiinzione to = f{z) ha derivata se, col tendere a
zero della quantità complessa h, tende verso un limite la q[uantità
ÙZ ~ h
6 questo limite è il valore della derivata f (x) corrispondentemente
al valore considerato di z.
1K8« — Pongasi
w = <p(a?,y), t) = i|i(a?, y)
e
hz^h + il,
ove h ed l sono quantità reali. Si avrà:
f{z) = (p{x,y) + i\^{a),y)
e
onde
ùz k + il '
Se u? ammette derivata f{z)y la quantità -^ tende verso /^(^) in
qualunque modo si fàccia tendere Az a zero. Suppongasi dapprima
in ^=h=h-\'U, nulla la parte immaginaria /; si avrà:
ed affinchè ciò avvenga, debbono tendere verso limiti la parte reale
ed il coefficiente di i\ quindi le funzioni cp e i|i ammettono derivate
parziali rispetto a?, e si avrà
— 284 —
Suppongasi invece in 4^ nulla la psui^ia reale /&; si avrà:
e q[uindi con ragionamento analogo si deduce l'esistenza delle deri-
vate parziali di <p e ip rispetto y, e
r (^) = V'jf (07, y) — iq>\ (0?, 1/) .
Paragonando questa espressione di f{z) colla precedente, colla
quale deve essere identica, si ha :
q>'* (07, y) = ip'if (o?, y) e v'» (a?, y) = — <p' (a?, y) ,
ossia:
Aftinché w=u+iv sia funzione di z=x-hiy, è necessario che
le funzioni reali n e y delle variabili reali t ed y soddisfino aUe
equazioni
du dv du dv
dx dy * dy dx '
Se si deriva la prima equazione rispetto a;, la seconda rispetto y^
e se si ritiene , . = , , , si ricava Tequazione
dxa/y dydas ^
equazione a derivate parziali di secondo ordine, in cui non entra
che la funzione u. In modo analogo, derivando la prima equazione
rispetto y e la seconda rispetto x, e sottraendo si ha
ossia anche v soddisfa alla stessa equazione a derivate parziali cui
pure soddisfa uc.
— 225 —
154. — Se le condizioni
du dv du dv
dee dy dy "^ da?
sono verificatey la funzione w ha derivala.
Invero, si ha (N. 105)
(p{a!+Ky+l)—(p{a;yy)=h(p':c{x,y)+l(?'y{x,y)-\'ak+fil,
e, sommata la prima equazione colla seconda moltiplicata per i, si ha
Atv = /i(q)'x+ iVz) + l{q>'y-}- /iji'y) + aft-f P^+a'^ft + p'«,
ovvero, osservando che i|i'y=q)'a! e 9'y= — ijj'a;=^4i'«,
Aw? = (ft+«)(9'x + ^ip'x) + a'i + P^ + a% + P'«,
e dividendo per Az = ft + ^^ »
Facciasi qui tendere A^ a zero ; ^ ed ^ tendono pure a zero, e
quindi anche a, p, a', p'; le quantità
k l
k-i-il A + il
sono finite, perchè il loro modulo è minore dell'unità, onde
lim -^— 1= 9', -:1- ix^^x , e. v. d.
166. — Si rappresenti su d'un piano la variabile z^=iX-\'iy
mediante un punto M le cui coordinate cartesiane ortogonali sono
Guioccm, Calcolo difftrwuiaU 15
— 226 —
X ed y; si rappresenti in modo analogo in un altro piano la fun-
zione w^^u-^-fo mediante un punto P le cui coordinate siano
u e V. Essendo w funzione di z, ad ogni punto M del primo piano
corrisponde un punto P nel secondo, e quindi la funzione complessa
w = f(z) determina una corrispondenza fra i punti del primo piano
e quelli del secondo.
V
ui
t«
Dato a ^ il nuovo valore z + h, rappresentato dal punto M', sarà
il modulo di h rappresentato dal segmento MM^ ed il suo argo-
mento dall'angolo di MM' coll'asse delle a?. Se P' è il punto cor-
rispondente ad M\ PP' = moà Ù.W, e angolo PP', ujw = arg. Aw?.
Fatto qui tendere ^z a zero, se la funzione ha derivata /*' (z) sarà
Um^ = riz),
e quindi
lun mod -: — =:lim — t-t— = lim TTr?7 = mod f (z),
Az
mod Az
MM'
e se modr(^) non è nullo, anche
lim
Aio
im arg -^— = lim [arg Lw — arg A^] =
= lim [P^P^u — M^ox\ = arg f{z).
Se ilf " è un altro punto prossimo ad M, e P" il corrispondente,
sarà anche
lim
ppn
MM
77 = mod f (z) , lim [P^'P, ìì)U — M"M, ox] =dorgf{z).
— 227 —
quindi si deduce
PP*^ ^ PP' _
lim [(P^pTÙ) w — P'pTw w) — (M^'M^x — M'mTox)] = ,
la quale ultima si può pure scrivere
lim (P^P' — ATMM') = 0.
La prima equazione si può interpretare dicendo che, col tendere
pp// ppt
di Jf' e M" ad M i rapporti e -^^^ tendono a diventare
eguali, e quindi i lati MM\ MM", PP', PP'^ tendono a diventare
proporzionali. La seconda equazione, ove si supponga di far variare
M^ e M" in modo che M"MM' tenda ad un limite, dice che
lim P"PP' = lim M^MM" ,
il che si può interpretare dicendo che gli angoli M'^MM' e P^PP*
tendono all'eguaglianza; onde i triangoli M^MM^^ e P*PP" ten-
dono a diventare simili. Tutto questo fatto si suol esprimere dicendo
che i due piani sono nelle loro parti infinitesime simili. Però quanto
precede non si deve ritenere che come schiarimento delle formule
trovate.
156. — Ammetteremo dimostrate anche per le variabili imma-
ginarie le regole di differenziazione per le variabili reali, d'una
somma, prodotto, quoziente, funzioni di funzioni, e funzioni inverse
(N. 34-38), perchè la dimostrazione è la stessa.
La derivata della funzione esponenziale e^ si può ottenere nel
seguente modo. Si ha
onde
— 228 —
Ora
h "" 1 ' 2! "+" 31 ' '
e
mod
\^-i'}=moi''.mayr+-^+ ] (2)
La quantità racchiusa nella parentesi di destra ò finita^ e, detto h
una quantità positiva maggiore del modulo di hy sarà
quindi, facendo tendere h a zero, il membro di destra della (2) ha
per limite zero, e
lim mod ^-^ 1 = ,
ossia
eh 1
lim — r— = 1 .
n
Quindi dalla formula (1) si ha
lim — -r = e* ,
vale a dire la derivata di ^ è ancora e* .
Dalla derivata di e* si deducono le derivate di sen a?, e cos a? ,
perchè queste funzioni si possono esprimere mediante esponenziali ;
si ha:
sena? = — tt-. — , e cosa?= — -^ ,
2t 2
— 229 —
onde, derivando
precisamente come se le variabili fossero reali.
Applicando la regola della derivazione dì funzioni inverse, si tro-
vano le derivate di log a? , are sen a? , are cos a? , . . . che coincidono
con quelle trovate per le variabili reali.
Serie ordinate
secondo le potenze d'una variabile.
157. — Teorema. Se in una serie
Uo, U,X, U,X', U3X»,
ove Uo , u^ , . . . sono quantità indipendenti da x, per un certo vor
lare di ^ di modulo R il rnodulo del termine generale Un x» non
assume valori comunque grandi, la serie proposta è convergente
per ogni vaiare di tl il cui ^nodulo è malore di R.
Infatti, suppongasi che il modulo del termine generale, pel valore
di 0? il cui modulo è R, sia sempre minore d^una quantità finita
A ; sarà
mod u^.R'KA.
Diasi ad x un valore il cui modulo sia r < R; il modulo del termine
generale della serie sarà mod w. a?» = mod u^ . r*, che si può scri-
vere mod w, . i?» . ( -^ I . In virtù dell'ipotesi precedente si ha che
modte„a7*<i4 ("g")"- ^^ '^ serie, il cui termine generale è
— 230 —
^ ( "5" ) ' ^ convergente, perchè è una progressione geometrica la
cui ragione -p- è minore dell'unità.
Quindi la serie formata coi moduli della data, che ha i suoi ter-
mini minori dei corrispondenti d*una serie convergente, è pure
convergente, e perciò è pure convergente la serie proposta.
Corollario. — Se la serie u^, UiX, UjX*, è convergente
per un valore di x di modulo R, è ancora convergente per ogni
valore di x il cui modulo è minore di R.
Infatti, se la serie data è convergente pel valore considerato di
X, il modulo del termine generale ha per limite zero col crescere
indefinitamente di n; onde da un certo termine in poi il modulo
dei termini della serie saranno minori d^una quantità finita (positiva)
scelta ad arbitrio; i termini precedenti sono finiti, ed in numero
finito, quindi i loro moduli sono tutti minori d*una quantità finita;
onde i moduli dei termini sono minori d'una quantità finita, e
ricadiamo nel teorema precedente.
158. — Una serie ordinata secondo le potenze di x può essere
convergente per tutti i valori di a?; tale sarebbe la
1, a?, gy, -jj,
la cui somma è «*; oppure non essere convergente per alcun valore
di Xy tolto il valore rt? = 0, per cui la serie si riduce al primo ter-
mine; tale è la serie
1, (Vy 2\x\ 3!a?S
perchè in essa, supposto mod a? > , il termine generale ha per
limite l'infinito. Ma può avvenire che la serie proposta sia conver-
gente per alcuni valori di a?, e divergente per altri. Sia p il limite
superiore dei valori dei moduli di x per cui la serie è convergente.
— 231 —
La serie data sarà convergente per tutti i valori di a? il cui mo-
dulo è minore di p, divergente per quelli il cui modulo è maggiore
di p ; potrà essere convergente, ovvero divergente pei valori di x
di modulo eguale a p.
Per es. la progressione geometrica
1, X, x*y a^j
è convergente per ogni valore di a? di modulo minore di 1, è diver-
gente pei valori di x di modulo > 1.
La quantità p dicesi raggio tU convergenza della serie; se nel
piano in cui si rappresenta la variabile complessa, centro nell*ori-
gine con raggio p, si descrive un cerchio, questo vien detto cerchio
di convergenza; la serie proposta è convergente pei valori della
variabile rappresentati da punti interni al cerchio di convergenza,
divergente per gli esterni.
159. — Se la serie
Uo, u^x, u,x*,
è convergente pei valori di x il cui "^nodulo è minore di p, sono
pure convergenti per gli stessi valori di x le serie formate colle
derivate dei termini, e, posto
f(x) = Uo+UiX + UjX* + U3X'+
f (x)= Ui + 2u,x + 3u3X*-|-
r(x)= 2u, +3.2U3X+
le funzioni f (x), f" (x) , . . . sono le derivate pì^m^a, seconda , . . .
di f (x).
Infatti, detto r il modulo di a?, che supporremo < p, e detto R
una quantità compresa ft*a r* e p, la serie data è convergente se si
— 232 —
dà ad X un valore di modulo R ; quindi il modulo del suo termine
generale u^a?", che sarà modu^i^" avrà per limite zero col cre-
scere di u, e quindi sarà sempre finito; e potremo supporre
mod u^.R" <A.
Ora il termine generale della serie delle derivate, che è nw,a?"-*
ha per modulo
/ r \«-* 1 / r \* 1
nmodw, .r"-^ = n. mod w^.i?». I-^) •»• '^**-^l"p") •""•
Ma la serie il cui termine generale èn^lf-^i"— è convergente.
r
perchè il rapporto d'un termine al precedente ha per limite -p < i
col crescere indefinitamente di n; quindi anche la serie formata
coi moduli dei termini di f (x) è convergente, ed è convergente
infine la serie i cui termini si ottengono derivando i termini di f{x).
La serie T' (^), che si ottiene da f {x) come questa si è ottenuta
da f(x)y è pure convergente, e lo stesso avviene qualunque sia il
numero delle derivazioni eseguite.
Ciò premesso, si ha
m='Z
n=oo
n
fico + A) - fifo) = ^ w, [{so + hy— ar\ =
/•(« + *)-
±«^=2».[»--+(,"K-»+-]
— 233 —
e sottraendo la serie
n=oo
— 1
n=0
si ha
f(w+h)-nx)
n=0
n=oD
H=0
e per dimostrare che
im -^ — -—i — -^^-^ = r{x)
lìm
basta dimostrare che il membro di destra ha per limite zero col
tendere di /^ a zero, e quindi basterà riconoscere che il £attore che
moltiplica h è finito.
Suppongasi mod h cosi piccolo che mod x -f- n^od h < p\ cosa pos-
sibile, poiché mod a? < p ; sia R tale che
mod X + mod h <R<p.
Si avrà
mod [ar-«+ ^a?-«;t + ^^^^^1^^
(mod a?)r-»+ ^^^mod wy-* moàh + ^"~|^^~^\ mod ar>-*(mod »)»+. .
< (moda?)»-*4- ^^(moda?)-»modA+^^^=J^^(moda?>^ (mod ft)»+.
< (mod a? + mod A)"-» < ^-*
— 234 —
ed il modulo del termine generale della serie che si considera sarà
minore dì
n{n — 1) mod u^ . JR"-* ;
ora si è dimostrato che la serie il cui termine generale è
n{n — i)t«„ar*-* è convergente, ed è anche convergente la serie
dei suoi moduli per ogni valore di x di modulo < p, quindi anche
pei valori di x di modulo R ; quindi la serie il cui termine generale
è n (n — 1) mod u^ . ijj*»-* è convergente ed ha una somma finita B.
Lo stesso avverrà per la serie
n=oo
V n(n — i)w^rar^* + ^?^a?'*-»^+... 1
il cui modulo sarà < ^ ; onde
rt,oà\f^^±^^-r{x)\<mAh.B,
e siccome il membro di destra ha per limite per /^ = 0, si con-
chiude che f {x) è appunto la derivata di f{x\
Per la stessa ragione f"{x) è la derivata dì f (pò), e quindi la
derivata seconda di f{x), e cosi di seguito.
Le funzioni f{x), /"'(a?),... che ammettono derivata sono continue.
Applicando il teorema precedente alla serie che servi per defini-
zione di e* ,
si ha
ossia
dx
— 235 —
Analogamente, derivando le serie
sena?==ir — qT+
cos^ = l —
3!
a?»
2T
5!
a?^
4!
si ritrova
d sen a? = cos 0? eto? , e? cos a? = — sen x doo.
160. — 1 teoremi precedenti fanno scorgere una certa analogia fra le funzioni
definite come somma d'una serie ordinata secondo le potenze delle variabili,
nell'interno dei cerchio di convergenza, colle funzioni intere. Questa analogia si
fa più evidente coi teoremi che seguono.
Teorema. ^ Se la serie
f(x)=Uo + U,X + UgX« +
(1)
è convergente pei valori di z il cui modulo è minore di p, sarà applicabile
la serie di Taylor
h>
f(xo + h) = f(xo) + lir(xo) + ^f"(xo) +
• • . .
(2)
supposto mod Xo < p , per tutti i valori di h per cui
mod h < p — mod Xq .
In altre parole, ricorrendo alla rappresentazione geometrica, la (1) definisce
una funzione f(x) per tutti i valori di x rappresentati
da punti interni al cerchio il cui centro è Torigine, e
il cui raggio è p. Se oDq è un punto intemo a questo
cerchio, si vuol dimostrare che la serie (2) è conver-
gente, ed ha per somma f(xo -f h) per tutti i valori
di h il cui modulo è minore di p — mod a^o, , ossia per
tutti i valori a^g + ^ rappresentati da punti interni al
cerchio di centro a?Q, e tangente internamente al cer-
chio di convergenza della serie (1). Però non è esclusa
la possibilità che la serie (2), ordinata secondo le potenze ascendenti di h, possa
ancora essere convergente per altri valori di h.
— 236 —
Infatti, posto
A», + A) = /'(«o) + */"(«(.) + + ^r'-'(«a) + ««. (3)
ed osservando che
r(«?o) = 2]]»*«i.«'o"-^ , /^"•'W = V »(n— l)...(n— m+l)«,«o"-* ^
81 ncava:
I sommatarìi si debbono prendere rispetto n, che varia da ad 00. Però nel-
Tespressione di Rm i primi termini corrispondenti ai valori 0, !,.'• m di n sono
nulli; quindi in Rm basterà dare ad n i valori
Prendendo i moduli d'ambo i membri si ha
mod RmK./ mod u^ . mod (a?o + A)*— xj* — nAa?o"-i— . . .— f ] H^Xq^-^ I
ma
1 mod (fl?o + ^) + (moda?(j)* + n mod h (mod a:o)"~^ + •••+( ** ) (naod A)» (mod a?o)*-^
<
onde
mod (xq + H) M- mod a?© + mod A ,
«aeflD nati»
A»</ mod ti, mod(fl?^ + A) +/ mod w, modr^o + niodA j. (4)
— 237 —
Ora le serie i cui termini generali sono
mod w^ jinod (a?o + ^) » e ^oà u^ I mod x^ + mod hi
sono convergenti ; quindi i due sommatarii della (4) col crescere indefinitamente
di m hanno per limite zero, onde
lim mod Rm=.0,
e lim i2m=0. Facendo quindi crescere indefinitamente m nella (3), si ricava
la tbrmula (2), che volevasi dimostrare.
Teorema. — Se nella serie (convergente se mod x < p)
f(x) = t«o + **i ^ + Wa a?* -h
non tutti i coefficienti sono nulli, f (x) si può annullare per x = 0« ma essa
non si annulla più in un conveniente intorno di x = 0.
Infatti se il primo dei coef&cienti non nulli è t<„, si ha
f(x)=.u^x'* + Un+ix^i+
= a?" [«n + w»+i a? + ] ;
il primo fattore a?** si annulla per a; = se n>0, e non si annulla per altri
valori di a; ; il secondo è funzione continua di x, che per a? = assume il va-
lore non nullo u», quindi esso non è nullo in un conveniente intorno di xsaO^
e lo stesso avviene di f(x).
Teorema. -^ Se f (x) = Uq + u, x + u^x* + , si annulla, per valori non
nulli di x in ogni intomo di x=:0, i coefficienti Uq, u^ « u^, . . . sono tutti nulli.
Questo teorema è conseguenza del precedente.
Teorema. ^^ Se la serie
f (x) =Z Uo + Ui X + u, x' +
è convergente per i valori di x di modulo <ip^ e se f (x) si annulla per in-
finiti valori di x il cui modulo è minore d*una quantità R -< p, tutti i coefi
fidenti sono nulli, ed f(x) è identicamente nulla.
— 238 —
Infatti, esisterà un valore Xq di x, di modulo non maggiore di i2, tale che
in ogni suo intorno f(x) si annulla. Sviluppando f(xQ -f- h) secondo le potenze
di h, il che è lecito se mod A < p — mod x^^ quantità finita, ^- p ^ i2 , si avrà
una funzione di h^ che si annulla in ogni intorno di A = 0, per valori non nulli
di À, e quindi è identicamente nulla per questi valori; ossia f(x) è identica-
mente nulla pei valori di x rappresentati da punti intemi al cerchio di centro
Xq^ e ài raggio p — moda;^. Se ora si considera un altro punto x^^ intemo a
questo cerchio, f(x) è nulla in un suo intorno, quindi ò nulla per tutti i valori
di X rappresentati da punti interni al cerchio di centro o^i e di raggio p— mod «|.
Così continuando si scorge che f(x) è nulla identicamente per tutti i valori di
0?, e quindi tutti i suoi coefficienti sono nulli.
Teorema. ^ Se le serie
f (X) = Uo + U4 X + UjX» +
<p (X) = Vo + Vi X + Vg x« +
sono convergenti pei valori di x il cui modulo è minore di p, e sono eguali
per infinili valori di x il cui modulo è minore d'una quantità R < p, i coeffi'
denti delle stesse potenze di x nelle due serie sono eguali^ e le serie identiche.
Infatti, basta applicare il teorema precedente alla serie
Y(a7) — <p (a?) = (wo — t?o) + (wj — t>i) a? + (m, — t?j) a?' + ]
Teorema (01 Abel). '^ Se la serie
f (x) = Uo + Ui X + u« X» +
è convergente pel valore Xq di x (che supporremo appartenere alla circonfè'
renza del cerchio di convergenza) ^ facendo tendere x verso x^ in m^>do che
— tenda alVunità assumendo soli valori reali e crescenti, f (x) tende a f(Xo).
Xq
Infatti, detta (p {x) la somma dei primi m termini della serie,
<p (a?) = «0 + W£ a? + + M»-i 07»-!
e t|i(a?) il resto della serie
Ijl (x) r= M«a7« + Um-{-l ajw+i +
si avrà
/•(a?) = <p (a?) + i|i (a?) .
— 239 —
Ma \|i(a?) si può scrivere
(X \^ l X \™+i
— I + ««H-i ^o'*+M — ] +•••
Si considerino le quantità
tn
e dicasi p il massimo dei loro moduli, od il loro limite superiore, il quale esiste,
perchè ciascheduna delle quantità jPo^ i'ii**- ^ finita, e col crescere indefini-
tamente del loro indice, limp»= t|i (a?^) = fipo^ — 9 (a;^), quantità finita.
Posto ancora
si ha
U
=i>o+{Pi-Po)(-^)+(p.-l>i)(^)+...+(p.-l>«-l)(|;-)^
ossia
'■='»C*-^]+'-[i-(i)'>-
e presi i moduli d'ambi i membri, osservando che i binomii entro parentesi sono
reali e positivi, e che i moduli di j9q,Pi , . . . pn-i, p« non sono maggiori di p,
si avrà:
"-'•<4'-t+i-(i)'+-+(^r-(5Mj)"]'
ossia
modr„ <^p;
e facendo 'crescere indefinitamente n,
'lim mod r„ = mod lim r„ <p.
— 240 —
Ora si ha che
V(«)=f-~]*lùnr.,
■27
quindi, prendendo i moduli d'ambo i membri, e ricordando che — è reale •< 1,
modq;(a?)< f -^j"*p<^.
Ma, essendo convergente la serie fip^^ si può determinare un valore di m
cosi grande che la somma di un numero qualunque di termini successivi a
quello di posto m, le quali somme sono appunto Potici) JPiv» abbia un modulo
minore d^una quantità ui piccola ad arbitrio; quindi anche il loro limite supe-
riore i? < u) ; ossia, fissata ad arbitrio una quantità [ui, si può determinare m
in modo tale che il resto ^r {x) della serie f{x) troncata all' m^ termine sia mi-
nere di ui, qualunque sia il valore reale <1 di — . In altri termini la serie
considerata ha i suoi termini complessi, che si possono considerare come fun-
X
zioni della variabile reale — , ^compresa fra ed 1, ed è di convergenza
equabile.
Ciò premesso, siccome
f(x) = <p (a?) + ^| (a?)
e /•(a?o) = <P (a?o) + MI (x^)
sì ricava
A^o) — A«?) = <P(«o) — (pW + vK) — v(«);
si può prendere m cosi grande che i moduli di t|i (as^ e t|i {x) siano >< ui ; si
può supporre x cosi prossimo ad o^q, che
mod [<p {x^ — <p {x)\ < u)',
perchè 9 {x) è funzione continua di x\ quindi si può rendere
mod [ A«?o) — A^)] < u/ + 2 ui,
quantità piccola ad arbitrio, ed infine,
lim fix) ■=. f{x^ , e V. d.
U teorema precedente si può applicare in molte questioni. Eccone un esempio.
— 241 —
Teorema. — Se le serie
e Vq, V,, vj,
Simo convergenti, ed è pure convergente la serie
la somma di questa serie è eguale al prodotto delle somme delle due serie
date (V. N. 145).
Infatti, Be X ò una quantità positiva minore di 1, sono convergenti le serie
e ©0 , t?i a? , «2 a?*,
e sono pure convergenti le serie formate coi loro moduli. Onde applicando il
teorema del N. 145 si deduce, per a; < 1 ,
(ilo + «, a? + t#2 a?*» + ){vo + v^xi t>,a7' + )
= «?o+ to,a; + iCj a?' +
Facciasi qui tendere x verso 1 ; pel teorema precedente le serie
«0 + Mi a; + «2 a?* +
^o + ^i^ + ^*^^ +
Wq jr w^x 4- tOj a?' -f-
tendono rispettivamente alle somme delle serie date, e quindi
(«0 + «1 + «t + • • •) (^0 + ^1 + ^t + • • •) = «'o + 1^1 + «>i + • • • e. V. d.
Gliiooohi, Calcolo dijfértnÈÌaU, 16
— 242 —
CAPITOLO VII.
Ziìto&reill irLcLerinltl,
161. — Una funzione F{x) avente per derivata f(joo) dicesi fun-
zione primitiva, o integrale di f{x), (o dei differenziale f(x) dx\
e si scrive
F{x)=Jf{x)dx.
Quindi, per definizione, questa eq^iazione equivale alla
F^{x) = nx).
Se f{x) ha un integrale F{x)y ne ha infiniti, perchè ogni funzione
F {x) + C, ove C è una costante arbitraria, ha ancora per derivata
f{x); reciprocamente ogni funzione che ha per derivata f{pd) non
diflferirà da F{x) che per una costante, ed è delia forma F{x)-\-C.
L'espressione F{x)-\-C, ove a C non si attribuisca alcun valore
speciale, dicesi Vintegrale generai di f{x) dx, perchè attribuendo
a C varii valori si trovano tutti gli integrali di f{x)dx, ciasche-
duno dei quali dicesi anche integrale particolare. Gli int^prali, di
cui attualmente ci occupiamo, soglionsi chiamare integrali indefiniti.
162. Teorema. — Se la funzione f(x) è continica nell'intervallo
(a, b), esiste una ed una sola funzione definita nelVintervaUo (a, b),
la cui derivata è f (x), e che assume un valore dato arbitrarior
mente. corrispondentemente a un dato valore della variaMe.
j
— Mes-
sia p. e. a < &, e siano
a7<>==a, x^y a?j,... a?„_4, a?,= &
valori crescenti di a?, che divideranno l'intervallo (a, &) in w inter-
valli parziali. Si rappresentino in generale con l{a,^)\ e X(a, p)
rispettivamente il limite superiore ed il limite inferiore dei valori
assunti da f{x) mentre x varia nell'intervallo (a, P), i quali ne sono
anche il massimo ed il minimo (N. 21). Sia (p {x) la funzione defi-
nita neirintervallo {a, V) a questo modo : |
per a? = a, <p(a) = i4, A essendo una quantità scelta ad arhitrio;
nell'intervallo (a, x^, compresi gli estremi, sia
^{x)^=A-\-{x — a)l{a, x^),
nell'intervallo {x^ , x^) sia
<p(a?) = <p (a?J + (x—x^) l {X,, a?,)
= A +(a?, — a);(a, x;)+{x—xf^l(x^, a?,),
ed in generale, nell'intervallo (a7^_i , x^ sia
<p(a?)=q)(a?,_J+(a?— a?,_J/(a?,_i, x,)
=A+{x^—a)l{a, ^i)+(^t— a?i)^(a?„ 0?^)+
Le quantità ^(a, a?,), l{x^, a?,),... sono tutte comprese fra l(a,l>), e
X(a, &); onde si ricava
A-\-l{a,b)(x—a)>fp{x)>A-\'\{a,b){x—a).
La natura della funzione cp (a?) dipende dalla scelta dei valori
^1, 0?,,... interpolati fra a e &/ e attribuendo alla variabile x un
valore fisso, e variando in tutti i modi possibili a?|, a?,,..., q)(a?)
assumerà in generale infiniti valori, tutti compresi entro lioiiti finiti.
— 244 —
come risulta dalla ultima dis^uagllanza. Sia F{x) il limite inferiore
dei valori che assume q>(a?), conservando fisso a?, e variando la
divisione dell'intervallo (a, &). Dico che la funzione F (a?), che per
x=^a assume evidentemente il valore A, ha per derivata f{x).
Infatti, dati ad x due valori Xj ed X^> X^y ed eseguita una
divisione arbitraria dell'intervallo (a, 6), e calcolata la <p (x) cor-
rispondente, se Xi cade nell'intervallo (a?,_j, x^) e X^ in (a?^_i, a?,),
sarà
(piX^)=A + (a?,— a)/(a, a?,)+. . . +iX^'^x^^)liXr^,, a?,),
e
Suddividasi l'intervallo (a?,^^ , x^) in (a?,^^ , X^) e (-¥4 , o?^) , e l'in-
tervallo (a?,_i, a?,) in (a?,_4, X,) e (Z^, a?,); e sia <p'(^) ^ funzione
analoga a 9(0;) calcolata su questa nuova divisione dell'intervallo
(a, &). Sarà ^
e
q>\X^)=A+{x^—a)l{ayX^)'}'...+{X^—x^^)l{x,^^,X^)^
^{x,—X,)l{X^,Xr)+... + (X^—x._^)l{x,_^,x;),
quindi, paragonando le espressioni di <p'(^0 e <P(X^\ ed osservando
che Ua?r_i, ZjS^(a?,_i, x^), si ha
<p'(^i)S<p(^i);
analogamente, paragonando (p' (JT,) e <p (X^), e osservando che
e
— 245 —
si deduce
D*altra parte si ha
e sostituendo a 1{X^, o?^) . . .l{x,_^y X^) rispettivamente 1{X^, X^) e
X (Xi , X^), entro cui esse sono comprese, si ha
{X,-X,)l{X,,X,)^q^'{X,)-(p\X,)^(X,-X,)\X,,X,);
e questa diseguaglianza si decompone nelle due
<p' (X,) < cp' {X,) + iX,-X,)l{X,, X,) (a)
e
<p\X,)^q^^iX,)+{X,-X,)\{X,,X,). (b)
Ora F (X,) è il limite inferiore dei valori di <p (a?,) , e quindi
anche di <p'(Xj), onde (p' (X^) ^ F (X^) ; e siccome si è trovato
^'(^i)^^{Xi)y dalla diseguaglianza (a) si ricava
F{X,) S <P(X0 + (X,- X,)l{X„ X,) ,
e questa, che è soddis&tta da tutti i valori di (p(Xj sarà ancora
verificata dal loro limite inferiore F(XJ, onde
F(X,)<F(X,) + (X,-X.)/(X„X,),
e quindi
In modo analogo, dalla diseguaglianza (p), osservando che
<P(^,)Sq)'W. e <p'(X,)^FiX^), si ricava
<p (X,) > F (Xd + (Z, - AT.) X (JC, , X,) ,
— 246 —
quindi anche F{X^), che è il limite inferiore di q)(-Xg), sarà ^ della
q[uantità di destra:
onde
Le (a') e (&') riunite danno
Questa formula è dimostrata per X^> X^, ma in essa X^ e X^
compaiono simmetricamente, quindi questa condizione si può togliere.
Facciasi in questa diseguaglianza X^ = w, X^ = X']'h; si avrà:
/(a?,(r+^)= ^ ^-^ = X (a?, a? + h),
e facendo tendere /i a zero, siccome, per la continuità di f{x)y
\mil{(v,x+h) = lim \{x,x + h)=f{x),
si deduce
Ixm ^ ^ ^^ '-^ = f{a)),
ossia la funzione F{a:) ha appunto per derivata f{x).
Risulta cosi trovata una funzione F{x) che per or = a assume un
valore arbitrario A, e la cui derivata è f{x), il che volevasi fare.
— 247 —
Begole d'integrazione.
163. — Dalle formale che danno i differenziali di funzioni si
ricavano facilmente altre formule che danno gli integrali di quei
differenziali.
Così ad esempio dalla formula
d — rT = ^"^^ (^< —
si ricava
J^d^=__ + C [1]
la quale serve qualunque sia n purché non^eguale a — i.
Supposto x>0 si ha
rfloga7 = — ,
onde si ricava
Se 0? < 0, e quindi — x positivo, si avrà
dlog(— a?) = -J— :^ = — ,
— a? a?
onde per x negativo si avrà
da
J— -=Iog(_a;)4.C;
— 248 —
del resto questa nuova formula coincide colla precedente, perchè
introdotti i logaritmi immagìnarii, log a? e log — x non differiscono
fra loro che per un multiplo dispari di ttz', ossia per una costante.
Quindi si avrà:
-^ = loga? + C = log(— aj) + C=2log<r»+C, [2]
dove le varie costanti non hanno necessariamente lo stesso valore.
— si può anche dedurre dall' i af" dx facendo tendere n
verso — 1. Per riconoscere questa verità si consideri fj?a gli infiniti
valori di Saf'dUD quello che si annulla per a? = l; esso sarà
facendo tendere n verso — 1 , il limite del membro di destra , che
si determina derivando numeratore e denominatore rispetto n, è
fdfOo
— che si annulla per 07 = 1.
164. — Analogamente dalla formula
d are tang x = -r-i — i-
° 1 +a?'
SI ricava
J7q^=arctanga?4-C^. |3]
Dalle formule
— dx ^ dx
dare sena? . e darccosa?== —
si ha
r ^ == are sen a? + (7 = — are cos 0? + C^ [4]
Vi^
— 249 —
dove le costanti non sono eguali fra loro. Ma queste due espressioni
si possono facilmente ridurre Tuna all'altra, perchè
are sen a? 4- are cos 0? = -5- ,
e quindi are sena? e — are cosa: non differiscono che per una
costante.
Menzioneremo ancora i seguenti integrali
i cosaxdoc = — sen aw-\-Cy Ì9enaxdx = cos ax-+C, [6]
165. — La somma
ha per derivata
q>ix) + \^ix) — X{a)),
onde
^[V{(Jo)+ì^{x)-'X{x)]da)=lj^q>{x)d^ ^X{a))dx [7]
ossia l'integrale d'una somma algebrica è eguale alla s(mmia
degli integrali.
n prodotto a ( f{x) dx ha per derivata a f{x) , onde
jaf{x) dx = a j^f{x) dx [8]
ossia l'integrale del prodotto d'una costante per una funzione è
egtcale alla costante moltiplicata per l'integrale della funzione.
4
•
F
f
r
r
— 250 —
Le formule [1] , [2] , [7] , [8] permettono d'eseguire l'integrale
d'ogni funzione della forma
ove a, b, e,... e m, w, p,... sono costanti qualunque e queste non
eguali a — 1, e si ha
Ogni funzione intera si può ridurre alla forma precedente, in cui
w, n,j?,... sono interi e positivi; onde si deduce:
L'integrale d'una funzione intera è pure funzione intera.
166. — Se in j f{x)dx si pone a? = 9(0, questo integrale
diventa una funzione di ^, ed il suo differenziale sarà ancora
f{x)dXy ove x = q>{t) e dx=:q>'{t)dt; onde si deduce che
Jfix)dx=ff\<?{t)]q>\t)dt,
e cosi si è trasformato l'integrale cercato in un altro mediante un
cambiamento di variaMe. Se si sa eseguire il secondo int^^e,
basterà sostituire a Ma sua espressione in x per avere il primo.
Esempio. — Vogliasi | ^ . Pongasi x — a = t; onde dx=z(U;
• .
SI ricava
J"* da: rdt r <— *+i 1
e sostituendo a MI suo valore
dx 1
Jdx 1
(fl?— a)" ~~(w — 1)(«?— a)~-i "^^'
— 251 —
Questa formula serve per m$l. Nel caso di m = l si ha
ovvero =:log(a — x) + C,
ovvero =-ò-log(^ — ay+C.
167. — Dalla formula
ove u e V sono funzioni di a; si deduce
uv = Cudv-^- ivdu,
e quindi
iudv = uv — ivdu.
In questa formula consiste il procedimento detto d'integrazione per
parti. Per applicarlo si decomponga il differenziale ad int^rarsi in
due fattori, Tuno finito u, e Taltro dv che sìa il differenziale d*una
Ainzìone v facile a determinarsi ; Fìntegrale cercato resta decomposto
in due parti, Tuna int^rata, e Taltra affetta dal segno integrale;
e se questo nuovo integrale è più semplice del precedente, si avrà
fatta un* utile applicazione di questo procedimento.
Es. Vogliasi r ( a?" log a? doo. Pongasi
u = logx, dv^x'^doc,
onde
dx a7*+i
du= — , v =
X ' m + ì '
si avrà
x»-\-i /*x^dx
ra7*"r' , nx^ dx
ossia
— 252 —
Integrazione delle funzioni razionali.
168. — Ogni funzione razionale Adatta di a; si può mettere sotto
la forma
F(x)
ove F{x) ed f{x) sono funzioni intere di x.
Se il grado del numeratore è maggiore o eguale a quello del
denominatore, si divida F (x) per f(x) ; sia Q il quoziente ed i? il
resto; si avrà
ed integrando, siccome V i Qdx si sa fare, siamo ridotti ad inte-
grare una frazione in cui il numeratore è di grado inferiore a quello
del denominatore. Per fare questa integrazione ci occorre la teoria
alg^rica della decomposizione delle funzioni treXie in frazioni della
forma
A
dette frazioni semplici.
169. — Sia adunque il grado di F{x) minore di quello di f{x).
Sia a una radice dell'equazione f{x)=:0, ed a il suo ordine di
multiplicità. Pongasi
f{x) = {x — af9(x)
ove <9(x) è un polinomio intero non divisibile per x — a, e quindi
9(a)$0.
f
/
— 253 —
Dall*identità> qualunque sia A^
F{x)_ A . F{x)
A«^) {x^-af (x^àfq>(x) (x^-af
si ricava
F{af) __ A , jP(a?) — A <p (fl?)
fi^) (oc — af {X — af <p (a?)
Si determini la costante A in modo che il numeratore della
seconda frazione sia divisibile per x — a ; perciò è necessario e suf-
ficiente che esso si annulli per a? =: a, e si ha Tequazione
onde A risulta determinato
<p(a)
ed il suo valore è finito, perchè 9 («) non è nullo. Cosi determinato
Ay la seconda frazione si può semplificare, e posto
F{oo) r^A(p{x) = {x — a) F, (a?)
si ha
n^) _ A F,{x)
ed il grado di F^ (x) sarà minore del grado del denominatore, perchè
il grado di F{x) — A(p(x) è minore di quello di {x — a)** qp (a?).
Se a > 1, si operi sulla seconda frazione del membro di destra
come si è fatto sulla data, e si avrà
F,(x) _ A, ■ F^(x)
{X'^a) <p{x) (a?— a) (a?— a) q)(a?)
— 254 —
6 cosi continuando, si avrà
ove G {x) è un polinomio intero di grado minore di quello di <p {w\
In questa nuova finzione al denominatore non comparisce più la
radice a ; se & è una radice multipla p volte di f(x) = 0, e quindi
G(x\
anche di cp (a?) = 0, si potrà decomporre in modo analogo -p-' , e
cosi continuando, se a, &, ... / sono le radici dell'equazione /'(a?)=0,
ed a, p , . . . X il loro ordine di multiplicità, si avrà
Fix) __ A Ay I Ag-i
(»-6)P («-ft/-» *-*
-I — L__| ^' I ...1 Vi
(ir — i)^ (« — Q^-1 '^ — ^
e cosi resta decomposta la firazione data in frazioni semplici.
170. — Se le radici a,b,...l di f{x) = sono semplici, si avrà
I numeratori costanti si ottengono col procedimento indicato; cosi
posto
/•(a?) = (a? — a) <p (a?)
si ha
<p(a)
Ma derivando l'equazione precedente si ha
r(a?) = (a? — a)9'(a?) + 9(a?),
— 255 —
e ponendo a? = a
r(a) = q)(a),
onde
~ ria) '
Analogamente si ha
r{b) '""^~ f{i) '
e queste nuove formule sono spesso più comode pel calcolo, perchè
riesce spesso più &cile calcolare la derivata di f{x) che i suoi
quozienti per x — a, x — &,...
Se
f(x)=^(x — a){x — &) . . . (a? — /) ,
si avrà
9(a?) = -^^^ = (a? — &)(a? — c)...(a? — 0,
a?— a
onde
e
ip(a) = (a — &)(a — e). . . {a —
co (a) (a — &) (a — e) ... (a — l)'
Analogamente
Sostituendo questi valori nella prima formula, e moltiplicando per
f{x) si ricava
I (Q?-a)(a?-6) . .
— 256 —
che esprìme un polinomio intero F{x) in finzione dei valori che
esso assume pei valori a, ì),,.,l della variabile, il cui numero ò
maggiore del grado di F{x), Questa formula è conosciuta sotto il
nome di formula d'interpolazione di Lagrange.
1*71. — Il calcolo differenziale somministra dei procedimenti utili
per determinare i numeratori delle frazioni semplici, anche nel
caso delle radici multiple.
Conservando le notazioni precedenti, se si moltiplica per {x — af'
l'equazione
F{x)^ A A, \-i G(x)
ove f{x) = {x — àfqi{x), si avrà:
(x'^à)^F(x) _ F(x)
f{x) ~ <p(x)
Se in questa si fa a? = a il terzo membro si riduce ad A^ il secondo
ad -j\> ed il primo si presenta sotto la forma indeterminata ^ » ^la
se ne può determinare il limite coi procedimenti noti. Se invece la
si deriva, poi si fa a? = a, l'ultimo membro si riduce ad ^4, e si
hanno cosi due espressioni di i4^ , e cosi di seguito.
Si può pure osservare che l'ultima formula dà lo sviluppo di
— ^ in un polinomio ordinato secondo le potenze discendenti di
(p(a?)
X — a, completato col resto {x^-af' --^, ed esso si può otte-
nere colla formula di Taylor, ovvero colla divisione algebrica.
— 257 —
172. — Ottenuta la decomposizione in frazioni semplici di
F(x)
n^)
, si avrà il suo integrale ricorrendo alle formule
= \-C se a>l
(x — a) (a — l)(a? — a)
o— 1
e
J^^ = A\oe{x — a) + C = Aìog{a — a))+C
= -^ Aìog{x—ay+C,
e se ne deduce che
Ogni funzione algebrica razionale è integrabile con fìmzioni
algebriche razionali e logaritmi, supposte note tutte le raOtci del
denominatore.
Ciò che precede sussiste sia che siano reali o immaginarii i coef-
ficienti di F ed f. Ma se i coefficienti sono reali, ed è pure reale
a?, se f{x) ha radici immaginarie, l'integrale risulta complicato di
immaginarii, ed è conveniente il forli sparire. A questo scopo si
osservi che se a è una radice complessa multipla a volte di /'(a?)=0,
anche la sua coniugata, che diremo &, sarà multipla lo stesso nu-
mero di volte; onde i termini
(07— a)k (a?— 6)»
sono coniugati, ed i loro integrali, per ft > 1,
e —
(A — 1) (a? — a)*-i (A — 1) (a? — ò)*-i
sono pure immaginarii coniugati, e la loro somma è reale.
Se Tesponente vale 1, la somma
X — a ' X — b
6»3ioooHi, Cakcìo éUfftrtnMiaU 17
— 258 —
ha per integrale
Alog{x — a)-\-B log (x — b),
ossia, posto
A = h + ih, B = h — ik,
l'integrale diventa
{h + ih) log {x —p — iq)-\-{h — ih) log {x —p + iq) ,
ovvero per formule note
{h + ih) [log ì/{x —pY + q^ — t are tang ~j]
+ {h — ih)^\og[/(x—py + q' + iarciang^^'j,
e semplificando esso diventa
h log [{x — pf + ^*] + 2 /i are tang —^— ,
e cosi scomparvero gli immaginarii.
Del resto questo integrale si può ottenere senza passare per gli
immaginarli, perchè, riducendo allo stesso. denominatore si ha
\~ — r — -^
ed il suo integrale vale la somma dei due integrali
e
X — p
X — p
— 250 —
ovvero anche
+ 2 ft are tang — - — ,
a?— p
perchè — are tang ^ e + ^rc tang -— non differiscono fra loro che
per una costante.
175J. — Esempi,
Servendoci delle notazioni precedenti si ha
F(x) = i, f{x) = i — cc*, a = i, & = — i;
1 _ £r_j i^l
Se oc — &*>0, posto ax-\-b = l/ac — ò^z, si ha
r dx i r dz 1 4. l ry
ed infine
da? 1 . oa? 4- ^
— TT^T— r-= , are tang -. + C.
Se invece oc — &* < , pongasi
ax-\-ì) = |/&* — acz,
— 260 —
si avrà
Jdx 1 r dz 1 1^ — i , ^
log ^^ + C .
2'^t^^ac ax + b + '^b^^ac
px-{-q
J aa?'
+ 2 &a: + e
da?.
Esso si decompone nella somma dei due integrali
T- ( ^rpt^ dx = -^log{aw*+2bx-\-c)
2a J ax^'}-2bx-\'C za ^ ^ ' ' '
r^ a a^ — bp r dx
<W7* -j- 2 do? -|- e a J aa^+2bx + c
precedentemente ottenuto.
40 — Più generalmente l'integrale
in cui il numeratore è di grado minore d'una unità a qneUo del
denominatore si può decomporre nella somma dei due integrali
= -^10g(go^+«,^-* + ... + (Zn)
e
— 261 —
in cui il grado del numeratore è minore di due unità almeno a
q[uello del denominatore.
ove f{x) è una ftinzione intera di grado minore di n.
Ricorrendo alla formula di Taylor si ha
r(a?)=r(a)4-(a?-a)r(a)+^Vx«)+...+^^E^^
Di qui si ricava
9
f(x) _ f(a) r(a) r(a) fn-i(a)
(a- — a)» "" (a? — a)" »" (a?— a)»-i ' 2!(a? — a)«-« » ' * * ' (n— 1)! (x^a)
e quindi
.'(a? — a)* (n— l)(a? — a)*-i (n— 2)(a; — «)»-« '••
+ (n-l)! >08(a^-a)+C-
174. — La decomposizione d'una frazione in frazioni semplici si può pare
ottenere col seguente
Teorema. — La frazione — , . , . » ove
(p (x) v (x)
9(i) = Poi'"+Pii""*+ + P
m
Hi(x) = qoX'» -hq^x^-i-f -f- q»
sono funzioni intere di gradi m ed n prime fra loro, ed
F (x) = ao x»+»-i + ai x«+ii-8 -f am+n-i
— 262 —
è una funzione di grado minore di quello del prodotto (p (x) i|f (a?) , si può
decomporre nétta somma di due frazioni
F(x) _ P ■ Q
cp(x)Mi(x) -<p(x) ■^Mi(x) '
*
ow P e Q sono funzioni intere di grado minore di queUi dei denominatori
corrispondenti.
Invero, se fra le m + n + 1 equazioni
F(as) ■=. aoa;*-H«-i + a^a?»-!-»-»^- + o^^hi-i
q>(«)= l>o«*+ +P»»
a?»— 1 1)1 (a?) r= 5^0^"*^"^ + ?i «?"'+•"* +
M'(«) =
^o«^ + + ?'
ffl eliminano le m + n quantità
ap** 1 *^l ^ ;pi*+w^8 j
a?»
che vi compaiono linearmente, si ha
F{f/ì) Aq a^ Om+n-l
a7»»-i q) (a?) p^ ;)^
q)(a?) p^
a?»-iip(a;) j^, ^Tj
V (a?) j»
= 0,
e sviluppando questo determinante secondo la prima verticale, si ha
AF[k) + (A4»«-i + + Aò^¥) + (A„+i«7'— 1+ + A«+„)Mi(a?) = 0.
Il coefficiente A, che è il suddeterminante di F{as) non è nuUo, perchè è il
risultante calcolato col metodo dialitico di Sylvester delle due funzioni q>(a7)
— 263 —
e «|i(a;) che sono prime fra loro; onde risolvendo Tultima equazione rispetto
F(x) si ha
F(x)=zQfp(x) + P^!(x),
ove Q e P sono polinomii dei gradi n — 1 ed m — 1 ina?; e qaindi
F(cc)
P Q
+
<P(«)V(«^) ' <P(^) VW '
e. V. d.
Applicando più volte questo teorema si deduce che se in si può decom-
porre il denominatore nel prodotto di più funzioni intere prime fra loro
si avrà
A^) = XiX8---x»»
n^ì ■"xi"^x,"^'*"^x«
ove Pi, Ptì"*Pn sono polinomii interi di grado minore del grado del deno-
minatore corrispondente. Quindi si avrà
j
J Xl J Xl .' Xn
Come caso particolare, se si conoscono le radici di f(x) = 0, ossia se :
f(x) = (a? — aif^ (x — aj)"« ... (a? — aj**",
si avrà
ciMdx= c—A-.-dx+ r -P' dx+
e gli integrali del membro di destra si sanno fare sotto forma finita (N. 173, 5<»).
Se in
F(x)
il grado del numeratore è minore di due unità del grado
9 (a?) v (a?)
del denominatore (N. 173, 4<>), e q) e t|i sono prime fra loro, posto
H =
<p'(a7) <p(x)
\^(x) jv(x)
— 264 —
sarà conveniente decomporre
onde
F(x)-AH+Q<p(x) + Pi^(x),
q) (a?) i|i (a;) \ cp (a;) t|i (a?) / "*" <p (a?) ' i|i (a?) '
ove A è una costante, e jP e Q sono polinomii interi il cui grado è minore
anch'esso di due unità del grado del denominatore corrispondente. Quindi inte-
grando si ha
<p(«) . e p
(* Q
' A
J A
-^j^dx^ ove
A:
C:
posto
Hz=:
h^ + h h^ + h
c^a? + C| Cia?4-Cg
= *o^'+2*i« + A,,
si ricorrerà all'identità, che si ottiene dalle equazioni precedenti eliminando
x\ a?*, afi:
A Oq a^ ^2
H h^ h^ h^
C Cq Ci c^
= 0,
onde si ricava
A (*6c) — E (a bc) + B (ahc) — C(ér A 6) = 0,
rappresentando coi simboli (hòc), (aòc),...i determinanti di terzo ordine com-
plementari di A, H^.. , Quindi si deduce
— 285 —
Se il lettore conosce la teoria delle formazioni invariantive , riconosce nella
formula Q che godono appunto di proprietà invariantiva i tre integrali, e che
A, /\ Q sono formazioni invariantive (invarianti e con varianti) di F, 9 e ip.
-^^da? ove non si cono-
scano le radici del denominatore. Però, se f(x) ha radici multiple, si può de-
comporre rintegrale nella parte algebrica, e in uno o più integrali di funzioni
fratte, in cui il denominatore ha tutte le radici semplici. Invero Talgebra insegna
come, con successive divisioni, si possano ottenere i polinomi Xi Xs*- X"» ^^ ^^^
Aa?)=Xi-X2'-Xs^---X*m,
^ove Xi) Xs 1 • • • Xm 8<>A0 polinomii primi fra loro , ed ognuno ha sole radici
semplici; quindi si avrà:
Tri_
m
m
e rintegrale cercato sarà ridotto alla somma di più integrali della forma
Sia x' 1& derivata di x; si determinino due polinomii 27 e V tali che
il che è possibile in infiniti modi, ove non sì faccia alcuna ipotesi sui gradi di
U e V. Invero essendo x ^d x' prinii fra loro, perchè x ha sole radici semplici,
si potranno calcolare, in virtù del teorema dimostrato, due polinomii M ed N
in modo che
Ì^Mx + NjC;
moltiplicando quest'equazione per P:
p=PMx+PNx:,
ed aggiungendovi Tidentità
0= Wx'x- Wxx'
ove W è un polinomio qualunque, si avrà :
/> = (PAf+WX')x + (/>iV-Wx)x'i
— 266 —
ossia
e, a causa delFarbitrahetà di TV, qaesto si può fare in infiniti modi.
Quindi si ha
J X** J X*"^ J X"
Ma integrando per parti il secondo integrale, si deduce
onde
dee =1
J X"
Cu 4-— V
V^ l ^n — 1
- "(n-l)X»-i \j X-^
e così rintegrale proposto è espresso mediante una funzione algebrica ed un
nuovo integrale, della stessa forma del dato, in cui Tesponente n è diminuita
di un'unità. Ripetendo la stessa operazione sul nuovo integrale, si avrà infine
r P r Q
I dx =z funzione razionale di x 4- | — dx.
J X* J X
Eseguendo la stessa operazione su tutti gli integrali in cui si è decomposto
-ry-v SI avrà:
j -77-/ dx =. funzione razionale -f \ —dx + \ ~dx + ...+ | —^dx,
J / W J Xi J Xt J Xn
dove Oj , Qj,... Qn sono polinomi! interi.
— 267 —
Integrazione di funzioni irrazionali.
175. — Se la funzione da integrarsi non contiene che irrazionali
monomii, cioè potenze fratte della variabile a?, si potrà rendere ra-
zionale il differenziale ponendo
w=z*, onde dx=nz*''^dz,
e scegliendo l'esponente n in modo da far sparire gli irrazionali;
e basterà a questo scopo prendere per n un multiplo comune dei
denominatori degli esponenti frazionarli. Cosi ad es.^ posto x =. z\
si avrà
e la funzione ad integrarsi è razionale.
In modo analc^o si rende razionale un differenziale non conte-
nente altra irrazionalità che potenze fratte del binomio a + &a?, ov-
vero della funzione ^^ , ponendo rispettivamente
a+&a?=^, ovvero — J— -— = ^,
c + dx
e scegliendo l'esponente n in modo da far sparire gli irrazionali.
176. — Un differenziale della forma
fix, Vci-[-ì>x-{- cx^)dx,
ove f rappresenta una funzione razionale di due variabili , si può
pure rendere razionale con acconcie trasformazioni.
— 268 —
Pongasi
ya-\-l>x-\-cx*=Va'\'Wz. (1)
Elevando a quadrato, si ha
sottraendo da ambo i membri a e dividendo per x
ì)-{'Cx=.2}/az-\-xz^ ,
ove X comparisce a primo grado; risolvendola rispetto a; si ha:
onde
x=— r-,
(e — z*f
e sostituendo nella (1)
/ — rii i « e V^a — 6« 4- V^a^J*
}/a'\-ì)X-\-CX^= -^ ^ ;
quindi l'integrale cercato
/" / 2 -^az^ b e V^a— 6^ + v^aa;' \ e y'a — hs + >/ai*
J^i c-.« ' 7:^^ ì^ J^^^^ ^'
diventa rintegrale d'una funzione razionale.
Se tutte le quantità che compaiono nel differenziale sono reali,
questa sostituzione introduce degli immaginari! se a è negativo. Con
una piccola modificazione ci possiamo liberare da questo inconve-
niente.
— 269 —
Il trinomio a-f-&a?+ca?* deve essere positivo per qualche valore
di a?, se la sua radice quadrata ò reale per alcuni valori di x.
Sia adunque cc^ tale che
Si ha dalla formula di Taylor
Facciasi la sostituzione
\/a-^bx-\-cx'* = \/a + ì)Xf^-{-cxQ*'\-{x—a)f^)z (2)
Elevando a quadrato e riducendo si ha
equazione di primo grado in x, onde si ricava x funzione razionale
di -2r; e -j— risulta pure funzione razionale di z, e sostituendo nella
(2) anche il radicale diventa funzione razionale di ^, ed il diffe-
renziale dato diventa razionale.
Se si suppone Xf^=:0 si ha la sostituzione precedente. Se a;o è
tale che a+&^o+^^o*=^> ossia, se, posto
si fa 0^0= ex, si avrà la sostituzione
\/a+l)x+cx*=Vc{x—a){x—^)={x—a)z (3)
ossia, elevando a quadrato e riducendo
c{x — P)=(a? — a)^'
equazione di primo grado in x.
— 270 —
É a notarsi che se a <0, e quindi non è applicabile la trasfor-
mazione (1), si può applicare la (3), perchè il trinomio a+ftoj+ca?'
che è negativo per 07=0, ed è positivo per alcuni valori di a? si
deve annullare, ed avere radici reali.
Si può pure fare
\/a-\-l)x+cx*==]/ca) — z (4)
onde si ricava
equazione di primo grado in x, da cui si ricava x, -^, ed il ra-
dicale funzioni razionali di z.
111. — Esempi.
.' dx
Pongasi \fx'^-\-a=^z — x; si ricava
onde
a = — 2xZ'\-z^ ,
2^ — a y— i— ; — o + a*
ed infine, sostituendo a .sr il suo valore
f-l^ = log [a?+l/a?«+ a] + C
— 271 —
dx
J9 yv/w
Esso si può rendere razionale coi procedimenti in-
dicati; ma più semplicemente» dalla formula
dxc
rfarcsena;= --
yi— a?*
si deduce
, = are sen 0?+ C.
•l— a:*
L'integrale più generale
/• dx I a
ce
are sen VC
a '
c2a;
Esso si può ridurre ai precedenti mediante la sostituzione
onde si ricava
dx r dz
/• dx /* rf2
•^ V^Aa7*+25a?+ C~ J 7^(5' + AC—
5«)
Quindi, se ^ è positivo, portando fuori dell'integrale -—=. si ha
per l'esempio 1:
dx 1
J l/J-^ + 2Ba,+ C ~ TT **»? I^^+ l'^' + ^^"- ^'J + *»«**°*«'
e sostituendo a ^ il suo valore
dx
1
JVbiC
^Ax^-^ZBxi- C~~
-^ log [^a? + 5 + 1/^ (^ o?* + 2 50? -}- C)] + costante.
— 272 —
Se invece A è negativo, in questa formula compaiono immagi-
narii. Ma possiamo ottenere lo stesso integrale portando fuori del
segno integrale il fattore . , e si avrà :
aro sen " + costante ,
V— A ^5^— AC
ossia
/dx 1 Aa?+ -5 , ».
. = , are sen ,_. + costante,
l/Aic* + 25a?+C ^— A •5»— AC
e si deve osservare che S^ — ^C>0, poiché essendo A negativo,
ed il trinomio ^a?'+2^a7+C positivo per qualche valore di Xy
le sue radici sono reali.
4** — L'integrale
dx
J
(«. — a)/Aa?' + 2^a?-|- C
si può ridurre al precedente ponendo x — a = - ; ma si può ri-
durre ai primi studiati mediante la sostituzione
_Acu» + 5(a + a?)+ C
m — a '
da cui si ricava
07 =
z — (Aa-h^)
_Aa«+2Bo+C _ AaH-2^a_+C
^~^—"z^(Aa + B) ' ^—~[z^{Aa + B)7^'
rete r* rfs
- (a? — a)VAa?« + 2J5a;4-C'^~-' y(Aa»+25a+ C)(;j«+AC— 5») '
— 273 —
e quindi, se ^a' + 2i5a + C>0, il secondo integrale vale
* log [z + V<3:« + AC— B'] + costante ,
ovvero sostituendo
dx
I
yAa*+2Ba+ C
log
(x^à)^Ax* + 2Bx + C
Aaa>+B(a-\-x)-\-C+'^Aa^+2Ba+ C ^Ax*'\-2Bx+C
x^-^a
Differenziali bino mi ì.
178. — Un differenziale della forma
ove a e & sono costanti, e gli esponenti m, n, e j9 sono numeri
commensurabili, dicesi diffh^enziale binomio.
Con un cambiamento di variabili si può trasformare il differenziale
dato in un altro della stessa forma in cui gli esponenti che tengono
le veci di m ed n siano interi. Invero, posto
si ha
a?"*(a+&a?")p dx = a^"«-+-<»-^ (a+l)Z*'fi)p dz ,
che è ancora un differenziale binomio, e gli esponenti di z fuori e
dentro parentesi saranno interi se si sceglie ex in modo che siano
interi wa ed na.
OoioocBi, Calcolo differeruiaU, 18
— 274 —
Inoltre Tidentità
a?*(a + bar")? dx = a?"»"^-"? (o^-* + b)Pdx
trasforma il differenziale proposto in un altro della stessa forma in
cui l'esponente in parentesi si cambia da n in — n, quindi in uno
dei due differenziali l'esponente della variabile in parentesi è posi-
tivo. Perciò potremo supporre, senza ledere alla generalità, gli
esponenti m ed n interi, ed n positivo.
179. — Il differenziale proposto è integrabile quando i? è un in-
tero, perchè in tal caso è funzione razionale di x.
Se si fa
a + hx"" = y
si ricava
1 1
— -i
^=(V)"' ^^■=à(V)"~^i'
m+l_j
ossia il differenziale proposto si trasforma in un altro dello stesso
tipo; e questo, e quindi anche il dato sarà integrabile, se l'espo-
nente ^^^ 1 è intero, ossia se
n
'n + i . .
= intero.
n
Ed applicando questo stesso criterio a
a;m-hnp (aar-^ + ì)ydx,
che è una trasformazione dei dato, si ricava che esso si saprà pure
integrare quando ^ è intero, ossia
m + 1 , .
— ■ — hi> = mtero.
n
— 275 —
Si hanno cosi tre casi nei quali si sa eseguire l'integrale sotto forma
finita, e sono quelli in cui è intero uno dei tre numeri
m 4- 1 m + 1 ,
n n '
180. — Si possono stabilire delle formule che legano l'integrale
d'un differenziale binomio con altri dello stesso tipo, in cui però
variano gli esponenti m e p.
Si integri per parti
prendendo per fattore da integrarsi x'^dx, e per fattore da diffe-
renziarsi {a-\-bx''y. Posto, per semplicità di scrittura
a + &a?" = q ,
si avrà:
x'^y^dx^ p7 fj- 0?'"+» 1/p-i dx , (1)
supposto però m+1 diverso da zero. Questa formula esprime l'in-
tegrale cercato mediante un altro in cui invece di m e p leggesi
rispettivamente m-\-nQ p — 1, ese questi numeri sono più semplici
dei precedenti, sarà utile l'applicazione della formula.
Se invece si integra per parti il differenziale dato, prendendo per
fattore da integrarsi y^ a?"-* dx, il cui integrale è \_. ,si avrà:
la quale formula riduce l'integrale proposto ad un altro in cui si
è diminuito l'esponente m di n unità, e si è aumentato p di 1.
Si troverebbe questa stessa formula risolvendo la (1) rispetto al-
— 276 —
l'integrale del membro di destra, e scambiando w+nep — iin
m % p.
Le formule (1) e (2) esprimono l'integrale d'un differenziale bi-
nomio in funzione d'un altro dello stesso tipo, in cui si sono alterati
ambo gli esponenti m e p. Possiamo però da queste dedurre altre
formule in cui si alteri un solo esponente.
Se nella (2) nel membro di destra, invece di y^^ si legge
y^ {a 4- &«?•) , e quindi
I x"^-"" y^^ dx = a I a?"-" y^ (tó? + & Cx'^y^dXy
e si risolve l'equazione rispetto a ix^y^dXy che comparisce in
ambo i membri, si ha
Se si risolve questa equazione rispetto all'integrale di destra, e
dovunque c'è m si legge m-^n, si avrà:
x'^y^dx = — — P7T- ^ , / ,, ^ oy^+^i/Pcto. (4)
J a (w -f 1) a (w -|- 1) J ^ '
Paragonando fra loro le formule (1) e (4) si ha una relazione fra
gli integrali
r^if»+» yp-i ^ e j x'^'^y^dx.
Se si risolve l'equazione rispetto al secondo integrale, e invece di
m si legge m — n, si ha la formula
x'^y^dx^ 7-^ -f- — a?" y^"^ dx. (5)
j"
— 277 —
Se infine si risolve quest'equazione rispetto al secondo integrale ,
e a p si sostituisce p + 1 , si avrà
J n(jj + l)a ' n(p + l)a J ^ ^ ^
Le formule (3) e (4) permettono di aumentare o diminuire l'espo-
nente 7n di n unità ; e quindi, applicate più volte, trasformano l'in-
tegrale dato in un altro in cui invece di m si trova m-^^^Kn^ h
essendo un intero qualunque. Le formule (5) e (6) permettono di
aumentare o diminuire l'esponente p di A' unità alla volta, e quindi,
più volte applicate riducono l'integrale dato ad un altro in cui in-
vece di 'p leggesi p + ft', V essendo un intero qualunque.
Le formule (1) . . . (6) diventano illusorie quando il rispettivo de-
nominatore è nullo; il che avviene quando
?n + l = 0, ovvero j? + l=0, ovvero w4-l+np = 0;
ma allora si ha rispettivamente
— i— = 0, 1? = — 1, — ì— -f;? = 0,
e quindi siamo nei casi d'integrabilità già riconosciuti.
^ In questo caso particolare
i^r
la formula (3) diventa
Se quindi m è intero e positivo, togliendovi due unità alla volta,
rx dx
, , cui applicando la
- V 1 — a?*
— 278 —
stessa formula di riduzione^ si ha
X dx
Vi
e Tintegrale nel membro di destra sparisce. Se m è pari, saremo
infine ridotti a 1 ^ = are sen x.
Abbiasi
dx
L.^
(a -f- bxy
Applicando la formula (4), ovvero la (6) si ha immediatamente:
dx X
k
Un diflTerenziale della forma
si può ridurre al tipo dei differenziali binomii trattati scrivendolo cosi
a;^^'^ (a + ^oc-^) p dx.
Integrali di funzioni trascendenti.
182. — Alcune funzioni trascendenti si integrano immediatamente
ricorrendo alle formule (N. 40 e 42):
a'dx = z — , I cosa?etó? = sena?, |sena?da?= — cosa?,
r dx .
— 279 —
Altri differenziali trascendenti si riducono a differenziali razionali
con acconci cambiamenti di variabili. Gosi^ se l'integrale dato si può
mettere sotto la forma
j f{u)ii'doc,
ove f è una funzione razionale, u una funzione trascendente, u' la
sua derivata, esso si ridurrà, prendendo per variabile u, a
\ f{u) du ,
che è l'integrale d'una funzione razionale.
183. — L'integrale
j V(e«^) dx ,
ove la funzione ^è razionale, si può trasformare nell'integrale d'una
funzione razionale ponendo
da cui
x=- ìogZy da) =
a ^ ' ai *
\jf{e»)da:=jlf(z)
dz
az
Sia p. e. r I ^ ; posto e* = -s: , esso diventa
ossia
= 0? — log(l+e*).
184. — L'integrale
( /"(sen X, cos x) dx ,
— 280 —
ove f è funzione razionale, si può ridurre al caso precedente, ricor-
rendo alle espressioni di sen^ e coso? mediante esponenziali im-
maginarii; ed il differenziale dato diventa funzione razionale di é^.
Ma esso si può pure rendere razionale, senza ricorrere ad imma-
ginarli, ponendo
tangia7 = ^,
da cui si ricava
sena;==2sen Ja?cosia?=2tangJa?cos'Ja?= ® —
cos a? = cos' \x — sen* i a? =
1 — ;5«
(te? =
1 + ^"
onde
Jr(sen(^,cosa;)^==J /(f^,, ^-^,) j-^,,
ed il differenziale del membro di destra è razionale.
In casi speciali si può ricorrere a trasformazioni più semplici.
Se rintegrale dato si può mettere sotto la forma
Cf{\Angoo)dx,
dz
basta porre tanga? = ^, onde a; = arctang2:, 6to? = -j-— j, e
^ - i'-m.
jV(tang X) dx = j "1^ d'i
Questo avverrà sempre quando nel differenziale compaiono sole po-
tenze pari di sena; e coso; > perchè
tang'a? , 1
sen'a?=.— P~— =-, e cos*izr = 7--T — r-.
— 281 —
Se rintegrale dato si può mettere sotto la forma
( /"(sen a?, cos* x) cos x dx ,
f essendo finzione razionale, basterà porre sen a? = ^, e l'integrale
diventa
se si può mettere sotto la forma
j /*(sen*a?, cos x) sen x dx ,
posto cosa? = ^, esso diventa
— ^f{i — ^', z) dz.
185. — Abbiasi
j sen" X cos" dx.
Se m ed n sono interi, il difTerenziale è funzione razionale del seno
e del coseno, e quindi si sa calcolare sotto forma finita coi metodi
del numero precedente. Se si pone sena? = z, si ha
n-l
fsen"» X cos* xdx=z i z'^{i — z*) dz,
e nel membro di destra si ha un differenziale binomio, che si potrà
integrare se uno dei numeri
n — 1 m + 1 m H-n
~2~' 2 ' 2
è intero, il che avviene certamente quando m ed n sono interi.
Però, in tutti i casi è utile l'abbassare il valore assoluto degli
esponenti m ed n, il che si ottiene mediante formule di riduzione.
Decompongasi il differenziale a integrarsi in
sen"» xcosxdxy, cos*»-* x ,
— 282 —
e si integri per parti prendendo il primo fattore come fattore a
integrarsi. Si avrà:
(1) sen*" o) cos"a? dx = z—. — A t-i I sen"+* cos*»-* x dx.
^ ^ J m + l 'm + lj
Oppure, integrando per parti, dopo aver decomposto il differenziale
nel prodotto
sen"»-* X X cos" x sen x dx ,
si ha
(2) I sen^o; cos"a?cto? =• 7-3 r^ sen"*-* a; cos"+* irete.
Se nella formula (1) si tien conto deiridentità
I sen^^^* X cos"-* xdx= i sen* x{i — cos* x) cos"-* x dx
= jsen"» X cos"-' a? da? — jsen"» x cos* a? cte? ,
e si risolve l'equazione rispetto all'integrale proposto che compa-
risce in ambo i membri, si ha:
(3) \sexv^xcos''xdx= ; r-r \s&nrxcos*-*xda),
ed in modo analogo dalla formula (2) si ricava
(4) (sen'"a?cos'»a?da7= ; r— sen'^'-*xcos*^*xdx.
Se si risolve l'equazione (3) rispetto all'integrale di destra, e si
aumenta n di due unità si ha:
(5) .sen"*a?cos'»a?diz?= — - ^ — ^. T sen"»a?cos*+'a?da?,
— 283 —
ed in modo analogo, dalla (4) si ricava
//»\ r , 8en»+ia7COS»+ia? , m-f-n+2 (* ^.^
(6) sen"»a7Cos"a?cto7= —-. . ! sen*+* a? cos" 07^0?.
Le formule precedenti si potrebbero pure ricavare in varii altri
modi. P. e. scambiando a? in -^ x sì scambiano fì^a loro le for-
mule (1) e (2), (3) e (4), (5) e (6). Le ultime quattro permettono di
aumentare, o diminuire uno dei due esponenti m ed n di due unità,
senza alterare Taltro. Le formule (3) e (4) sono illusorie quando
m4-^=0 ; in questo caso si applicheranno le (1) e (2) ; e cosi ridu-
cendo di due unità alla volta gli esponenti m ed n, essi finiranno
se sono interi, per assumere i valori 1, o 0, o — 1 ; e saremo cosi
ridotti ai seguenti nove integrali, che calcoleremo direttamente :
cosxdx = senXy
jsen xdx = — cos a? ,
r 1
I sen 0? cos a? Gfa7= -g sen' x ,
(" cos X dx ,
= log sen 07,
sena? °
(''^n.sodx ,
z=z — log cos X ,
cos OS
(* dx
('* dx I cos' X r d tang x , .
= I - — = - — ^— = log tang 0?,
. sena? cosa? J tang a? j tang a?
r dx C dx f ^-2 ^ , , 1
\l^x=\l 1 1-= ~~i i- = iogtang2^,
./sena? J 2 sen ^ a? cos -^ a; J sen -g a? cos — a?
J sen -57- + a? ^
— 284 -
186. — Alcuni altri differenziali, che si possono rendere razionali
€olle sostituzioni del N. 184, si possono pure integrare direttamente
con opportuni artifizii.
1® — Abbiasi
dai
/.-
C08 X '\-h sen x
Determinate due quantità rea tali che
a = rcosa, 6 = r sen a
si avrà
a cos a? + & sen a? =: r (cos ^r cos a + sen x sen a) = r cos (a? — a),
e quindi
r dx _1 r d{x^a) 1_, . / ir . a? — a \ . ^
J acosa7 + &8ena? r J cos(a? — o) r ™ ^v4' 2/'*
2^ — Abbiasi
dx
r
Dividendo numeratore e denominatore per cos* a?, esso diventa
I eoe' a? /"• dÌBJXgX
e quest'ultimo differenziale è razionale se si prende tang x per va-
riabile indipendente.
3** — Si consideri
L-
dx .
+ 6 cos a? '
— 285 —
osservando che
cosw = co8*^x — sen'^a?, e 1 =cos*^a?4- sen' g^o?,
si ha
j.
dof
a(cos*-^i2? + 8en*-jfl?) +ft(cos' g-ip — sen'^O?) —
dja
= ^f 1 1 '
J (a + b) cos' 2" a? + (« — &) sen* Y a?
e siamo cosi ridotti all'integrale precedente.
4' — Sia
doG
L-
+ 6 C08 a? + c sen x
Posto ancora & = rcosa, c=rsena, l'integrale proposto diventa
Jdx /• d(x — a)
a + rcos (a? — o) J a + r cos (a? — a) '
e quindi è ridotto all'integrale che precede.
187. — L'integrale
si può semplificare mediante l'integrazione per parti. Prendendo
per fattore ad integrarsi e*" dx si deduce
e'^cd^dx = — a?" e"* ^-* dx,
a a J
e l'integrale proposto risulta ridotto ad un altro in cui l'esponente
— 286 —
n è diminuito di 1. Se n è intero e positivo, applicando più volte
questo procedimento, ci ridurremo infine a
e così risulta determinato l'integrale proposto.
Fatto, per semplicità, a = — 1, si trova
Se invece n è negativo, si potrà risolvere la formula di riduzione
rispetto all'integrale di destra ; ovvero, integrando per parti, e de-
componendo il differenziale dato nel prodotto
e^^ , a?" dx ,
si ha
n-l-l n + lj
e quindi si potranno aggiungere tante unità quante si vogliano ad
n. Se n è intero e negativo, aggiungendovi più unità, si ridurrà a
valere — 1 ; e siamo ridotti all'integrale
J-V^^^^'
cui non è più applicabile la formula precedente. Questo integrale
non si sa esprimere sotto forma finita.
188. — Se in ie^'^x'^doo si fa
dz
e* = ^ , a? = log -3r, rfo? = — ,
si ottiene
1" e*' 07*» c/a? = 1 5*-^ (log zY dz ,
— 287 —
6 questo secondo integrale si saprà calcolare quando si sappia cal-
colare il primo, ossia quando n è intero e positivo.
— (iXy ponendo ax=^z si trasforma in
_ oc
J"
dz
\o^z '
ed a questa funzione si dà il nome di logaritmo integrale, od iper-
logaritrao. Essa si può scrivere
r^ dz r dz
I r dz I r dz
JJ~T JJfdh
Se nello stesso integrale si suppone a complesso = g + ih j sarà
e^=:e^{coshx-\-tsenhx), e
I e^^'od^dx = i e^' ay" cos hxdx-{'Z i e^ a?" sen hx dx ;
quindi se n è intero è positivo, si saprà calcolare il membro di
sinistra, e si avranno calcolati i due integrali
i eP"" x^co&hxdx , e i e^^ or* sen hxdx.
Come caso particolare, fatto n^=l, si avrà
ef^dx = —
e posto a=^g-\'ih^
C ,^ 1. , I . r^, ». j ^* (eoa Ao? + i sen Aa?)
\ e^QOshxdx-\-t\ eP"" sen hxdx = — ^ r-^r
09* \jf eoa hx + h sen hx + i(igi sen hx — h cos Ao?)]
— 288 —
onde
0* cos hxdx=^ ^Mh^ ^^ cos hx-j-h sen ?ix)
e<^*sen hxdx= , . ., (^ sen T^o? — ^ cos hx) ,
cui basta aggiungere le costanti arbitrarie per avere gli integrali
generali.
Del resto questi integrali si possono ottenere direttamente me-
diante l'integrazione per parti. Invero, messi i differenziali sotto le
forme
e^' dx ,coshx e e^'dx . sen h x ,
si ha
( e^* coshxdx= — e^'coshx-] i e^ sen hx dx ,
J 9 ^ -'
e
e**sen7^da?= — e^^'^nlix \ e^'coshxdx y
9 9 ^
e si hanno due equazioni lineari fra gli integrali cercati.
Altro caso particolare degli integrali precedenti sono
[oc^Qtì^xdx, e \ x^'^^nxdx,
che si ottengono facendo ^ = 0, yi = l. Le formule di riduzione
si possono però ottenere direttamente mediante l'integrazione per
parti. Si ha invero
I 07" cos a? cto? = 4- 0?" sen x — nl a?**-* sen x dx
I a?*» sen xdx:= — a?" cos a? + ^ Car^^ cos a? cte? ,
e così la coppia di integrali proposti si riduce ad un' altra dello
— 289 —
stesso tipo, in cui invece di n si legge n — 1. Quindi, se n è intero
e positivo, applicando più volte lo stesso procedimento, si arriverà
agli integrali noti
j cosxdx , jsen x dx.
Se si fa senx=:Zy si ha
far* cos X cUv= i (are sen zy dz ,
e se si fo 008 07 = ^, si ha
fa?" sen a? tfa? = — Marc cos zY dz ,
e quindi anche questi integrali si sapranno eseguire se n è intero
e positivo.
189. — Si possono calcolare gli integrali della forma
^ f{x, e^, e^, . . . e^)dx ,
essendo f una funzione intera. Invero, la funzione f si decompone
nella somma di più termini, ciascheduno dei quali è il prodotto d*una
costante numerica per una potenza di Xy e per alcune potenze di
c*=, e**, . . . ; raggruppando insieme gli esponenziali, saremo ridotti ad
es^uire alcuni integrali del tipo
J/jjm ^x (jlx ,
ove m è intero e positivo, e questi integrali si sanno fare (N. 187).
L'integrazione d'una funzione intera di a?, di esponenziali e^, e^,...
e di seni e coseni di funzioni lineari di a? si può ridurre al caso
precedente, sostituendo ai seni e coseni le loro espressioni mediante
esponenziali.
Gkxocchx, Cakoìa diffiermuialt. 19
— 290 —
L'integrale
^ f{x)e^dx,
ove f{x) è ftinzione razionale di a?, decomponendo f{x) in un po-
linomio intero e nelle sue frazioni semplici, si esprime mediante
alcuni integrali della forma
oc^ef^dXj e 1-; r-^.
ove m ed n sono interi e positivi. In virtù delle formule del N. 187
il primo si può calcolare; il secondo, posto x — a=zZj diventa
e^isr^ef^dz, che si può esprimere mediante funzioni note, e il
logaritmo int^p:*ale.
Gli integrali
\ f{x) sen axdXf j f(x) cos axdx
si possono ridurre al precedente esprimendo le ftmzioni trigonome-
triche mediante esponenziali.
— 291 —
CAPITOLO vm.
190. — Sia f{x) una funzione avente un integrale indefinito
Fico), e quindi infiniti della forma F(a?)4-C, in un intervallo con-
tenente i valori a e &. L*incremento d*uno di questi integrali inde-
finiti, quando si attribuiscano alla variabile i valori a e & è
F{p) — F{a),
ed è indipendente dall'integrale indefinito particolare che si consi-
dera. A questa differenza si dà il nome di integrale definito di f{x)
preso fra i limiti a e &, e si rappresenta con i f{x)dx che si
legge inlegrcUe da d^ a h di f(x)dx- Quindi, per definizione, se
F{x) ha per derivata f{x)
j' f (a?) da) = F{p) — F (a).
I numeri a e & diconsi rispettivamente limite inferiore e limite
superiore dell'integrale.
Esempi. — r Vogliasi 1 a?"»rfa?, con m>0. La funzione
Jo
F (a?) = — -p-r è un integrale definito di af^dx in tutto Tintervallo
— 292 —
(0, 1), ed in generale per tutti i valori positivi di a?; quindi
J »^ + i
2^ Si ha L ^ = are tango?, intendendo, secondo il solito, con
are tang x quell'arco compreso fta 5- e + -f- la cui tangente
è X. Onde si deduce
.1 die
y Cerchisi Y I — . Se a e & sono amendue positivi, si puiy
1
:p
porre F (a?) = log a?, perchè la funzione log x ha per derivata
in tutto rintOTvallo (a, &); quindi
Se a e & sono amendue negativi, posto F(a?) = log( — x)y si avrà
J^-^ = log(— &) — log(— a) = log~
come prima. Se infine dei limiti a e b l'uno è positivo, e l'altro
negativo, la funzione — non è determinata e finita nell'intervallo
(a, &), quindi non si può parlare d'integrale né indefinito né definito,
e l'espressione j — non ha in questo caso alcun significato, se-
condo le definizioni date.
19 i. — Dalla definizione degli integrali definiti si deducono im-
mediatamente i seguenti teoremi :
— 293 —
I. Se in un ifntegrale defln&o si scawJbia/no i limtU, VtntegnjUe
definito cambia di segno ma non di valore assoluto.
Infetti, per definizione, se i^(a?) è un integrale di f{x)dx, si ha
Cf{x)dx = F{V)^F{a),
J a
• Jj{x)dx = F(a)-F{b),
onde
] f(jx)dx=^— r f{x)dx, e. V. d.
Con questo scambio si può sempre fare in modo che il limite in-
feriore sia più piccolo del limite superiore ; cosa che supporremo
in diverse circostanze.
n. Se f (x)dx ha un integrale F(x) pei valori di x compresi
in un intervallo cui appartengono i valori a, b, e, di x, si ha
r f{x) dx = r f{x) dx+( fix) dx.
Infetti questa formula equivale all'identità
F (&) — F(a) = [F (e) — F {a)] + [F (b) — F (e)].
In modo analogo, se f{x) è integrabile in un intervallo contenente
i valori a?o , /», , a?g , . . . a?^, si ha
r'V(a?) dx = frCo?) dx + C'^fix) c^a; + . . . + r f{x) dx.
m. Se f(x) è integrabile neWintervaUo (a, b) si ha:
JV (^) dx — {b — a) f{x,) ,
ove X4 è una quantità compresa fra a e b.
— 294 —
Infatti, questa formula è equivalente a quella del calcolo diffe-
renziale
F{ì)) — F{a) = {ì) — a)F'{x;).
Corollario. — Se, nelfirUervaUo (a, b), f (x) > , e se a < b, si
avrà pure
Invero, per Tultima formula, quell'integrale vale (p — a)f{x^y e
per le ipotesi fatte, b — a > 0, e f {x^ > 0.
Corollario. — Se, nell'intervallo (a, b), si ?ia ^{a))>\^ (a?), e
se di<hy si avrà pure
J fp(x)dx> C \|i (ir) cUv.
Infatti
J (p{w)dx—j \|i(a?)cto=r [V {^) — ^> (oo)] dx y
e quest'ultimo integrale è positivo, pel corollario precedente.
IV. Se le funzioni qp (a?) iji (a?) e i|/ (a?) sono integroMi neWin-
tervallo (a, b), e se \^ (x) non si annulla nello stesso intervaUOy
si ha:
r q> (a?) Mi (a?) do? = <P (a^i) f iji(a?)da?,
J a J a
X, essendo un valore di x compreso fra a e b.
Invero, posto
F{x)= r (p (a?) iji (a?) ^ , Y(a?)= rHi(a;)cte,
si avrà, se y'(a?) = ^(a?) non si annulla nell'intervallo (a, ft):
— 2^ —
ovvero
i fp(x)ì^ (x) da
j^^iso)
= ... /^ X = 9 C^i)>
cto ^<^^
onde 8i ricava la formula a dimostrarsi.
192. Teorema. — Se la funzione f (x) è integrabile nell'intera
vallo (a, b), detta
Xq = a y X| , X{ , • . . x^_j , x^ = D
una successione arbitraria di valori di x ordinati secondo la loro
grandezza, e detti 1 (a, P) e X (a, p) / limiti superiore ed infe-
riore dei valori di f(x) nell'intervallo (a, p), l'integrale j f(x)dx
è sempre compreso fra le due somme
Si = (X, — Xo)l(Xo, xO+(x,— x01(x„ x,)+...+{x,— x^,)l(x^„ xj
S2=(Xl — Xo)^(Xo,x,) + (x,— xJX(Xi,x,)+...-|-(x,— x,_OX(x^„x,),
qtuilimque siano i valori x^ x,
f(x)dx è l'unica quantità
sempre compresa fra tutti i valori di s^ ed s^ qucUunque siano
i valori interpolati fra a e b.
Invero si ha (formula n)
T f{x) dx = Cf{x) dx + ^"^fipS) cto? + . . . + Pr(^) ^ ,
e quindi, per la formula m,
— 296 —
ove £j 5, 5^ sono valori di x appartenenti rispettivamente agli
intervalli
Quindi si hanno le diseguaglianze
/ {X, , a?,) > /"(Hj) > X (a?i , a;^)
^(a?n-i. i27,) > r(5j > X (a?^„ a?J.
Moltiplicando ora queste diseguàglianze per a?i — a?o, x^ — a?^,....
che son tutte dello stesso segno e sommando, si ha, se esse sono
tutte positive, ossia se a < &,
5i > \f{x)dx> ^2,
e se a> &,
^1 < 1 f(x)dx<Si,
il che dimostra la prima parte del teorema.
La diflTerenza s^ — 5, si può scrivere
Si—s^ = {x, — x^) ò (a?o> ^i) + (^2 — ^i) ò(x,,x^ +
ponendo b (a, p) = / (a, p) — X (a, p) =^ airoscillazione della funzione
f nell'intervallo (a, p).
Ora se la funzione fife) è continua nell'intervallo (a, &), si può
dividere questo intervallo in parti in modo che in ciascheduna di
esse Foscillaziofìe di f{x) sia minore d*una quantità € fissata ad
arbitrio (N. 21). Quindi la differenza s^ — s^ si può rendere minore
di € (& — a) , ossia minore di ogni quantità determinata.
Perciò non può esistere che una sola quantità compresa fì:*a i valori
di ^1 ed ^2; e siccome questa proprietà appartiene all' I f(x)dXy
— 297 —
si conchiude che questo è la sola quantità compresa fra tutti ì
valori di ^4 ed ^g.
Corollario. — Se f(x) è funzione conttmutjV j f (x) dx è il
limite verso cui tende la somma
S=(X,— Xo)f(z,)-[-(x, — X,)f(z,) +-... + (Xa — Xa-i)f(z„) ,
ove Xo=a, X,, x,,...Xn=b sono valori di x ordinati secondo la
grandezza, e z^, Zj,...z^ valori arbitrar ii di x appartenenti agU
intervoMi (Xo,x,), (x^, x,),...(xn-i, x.); essendo U limite preso
col far tendere a zero tutti questi intervalli,
In&tti, fissata una quantità arbitrariamente piccola, che indiche-
remo con € (& — a), si determini una quantità h in modo che attri-
buendo ad o) due valori qualunque la cui differenza sia minore di
h, sia anche la differenza dei valori corrispondenti della funzione
minore di €. Si divida Tintervallo (a, &) in intervalli arbitrarli di
cui ciascuno sia minore di h; si avrà
j^ f{x) dX=2^ {Xr^l — X,) rCEr-hl) ,
essendo Er-hi nn valore determinato di x nell'intervallo (o?^, a?r+i).
Quindi la differenza fra la somma s e l'integrale sarà
r=:n-l
J^* f{x)dX — S=Y^ {Xr^X — Xr) [filr^i) — f{Zr^i) | \
e siccome Sr+i e Zr^i appartengono allo stesso intervallo {x^ , :E?r+i)
la cui ampiezza è minore di hj anche la loro differenza sarà minore
di h, e f{'Er^\) — f{Zr^i)<e; onde C f{x)dx—s<e{b'—à), ossia,
•' a
fissata una quantità arbitrariamente piccola e{b — a), riusci possi-
bile determinare una quantità h in modo che comunque diviso Tin-
— 298 —
tervallo {a, b) in intervalli parziali, di cui ognuno sia minore di
hy la differenza tra la somma s e l'integrale è sempre minore di
€(& — a), ossia s ha per limite l'integrale col tendere a zero di
tutti gli intervalli.
193. — 1 teoremi precedenti suggeriscono una nuova definizione dell*int^;rale
definito, la quale, benché non equivalente in tutto a quella già data, con questa
coincide nei casi più comuni.
Sia f(x) una funzione di x data nell'intervallo (a, b). Sia p. e. a<^b. Sup-
porremo resistenza dei limiti superiore ed inferiore dei valori di f(x) nell^in-
tervallo (a, h) e quindi in ogni suo intervallo parziale.
Detti ancora 0^0 = a, a?|, x^^...x^^b valori arbitrarii crescenti dio?, e detti
Z (ot, p) e X (a, P) i limiti superiore ed inferiore dei valori di f{x) nelFintervallo
(a, p), si considerino le somme
Si
= /. (a?r+l — «?r) ^ (a?r» i»r+l) C S^ = /- (^»H-1— ^r) X (O?,., a?r+l) ,
dove r varia da ad « — 1.
È facile il vedere che ogni somma s^ è maggiore di ogni somma 5^; quindi
esiste un lìmite inferiore S^^ dei valori di 5| , ed un limite superiore ^S^ dei valori
di 53, e S^^S^.
Se 5^=:aSs, il loro valore comune sarà Tunica quantità minore di tutte le
f(x)dx il loro va-
lore comune, e diremo, in questo numero, che la funzione f(x) è integrabile
nell'intervallo (a, &).
Se f{x) ammette un integrale indefinito, ossia esiste una funzione F(x) avente
per derivata f(x), pel teorema del N. precedente, F(b) — F(a) è pure minore
di tutte le somme Si e maggiore delle s^; quindi, se 8^ = 8^, si deduce
F(&)-F(a)== rf(af)dx,
J a
e le due definizioni di integrale definito, quella cioè data al N. 190, e quella
data in questo numero coincidono quando sono amendue applicabili. Ma potrebbe
avvenire che esista una funzione F{x) la cui derivata è f{x)y senza che esistano
i limiti superiore ed inferiore dei valori di f{x) | nell'intervallo (a, 6), ovvero,
esistendo, senza che sia 8^ = 8^, ed allora sarà applicabile la prima definizione.
— 299 —
e non la seconda. Oppure potrebbe essere iS^ = S^ senza che esista alcuna fun-
zione avente per derivata f(x), ed allora sarà applicabile la seconda definizione^
e non la prima.
Si scorge che la differenza S^^-S^ è eguale al limite inferiore dei valori di
^ = 2(^H-i^^r)&(^r»^r+i)» indicando con 5 (a, P) Toscillazione della fun-
zione nell'intervallo (ot, p), ossia la differenza /(a, P) — X(a, p). Quindi:
La condizione necessaria e sufficiente affinchè f (x) sia integràbile nell'in'
tervallo (a, b), (ossia affinchè S^sS^, secondo il nuovo significato) y è che il
limite inferiore dei valori di A sia zero.
Se la funzione f (x) è sempre crescente, o sempre decrescente nell'intervallo
(a, b), ovvero se Vintervallo (a, b) si può decomporre in intervalli in ciasche-
duno dei quali f (x) varia sempre in uno stesso senso, essa è integrabile nel-
l'intervallo (a, b).
Invero, supposta f(x) crescente, si decomponga (a, 6) in n parti eguali, e sia ^
il loro valore comune. Sarà ò(a?r» a?r+i)=A^>'+i) — f(^r)f ® ^=^[/*(^) — /*(^)]>
e questa quantità si può rendere tanto piccola quanto si vuole col prendere h
su£Scientemente piccolo. Analoga dimostrazione per gli altri casi.
Se f (x) è continua, essa è integrabile.
Questa proposizione risulta dal teorema N. 192.
Se f (x) è discontinua per alcuni valori di x in numero finito nell'intervallo
(a, b), più generalmente, se tolti dall'intervallo (a, b) alcuni intervalli la cui
somma si possa rendere piccola ad arbitrio^ per tutti i rimanenti valori di
X la funzione è continua, essa è integràbile.
Infatti, si decomponga l'intervallo (a, b) negli intervalli nei quali essa ò
discontinua, e la cui somma sia <€, e gli intervalli rimanenti si dividano ad
arbitrio. La somma A si decompone in due parti ; Tuna corrispondente ai primi
intervalli, e questa somma è minore di €[{(a, ò) — X(a, &)], quantità che si
può rendere piccola ad arbitrio, col prendere sufficientemente piccolo € ; Taltra
parte di A, che corrisponde agli intervalli per cui la funzione è continua, si
può rendere piccola ad arbitrio ; quindi anche A si può rendere minore di ogni
quantità assegnabile, e la funzione ò integrabile.
In questo numero si suppose finora che il limite inferiore dell'integrale defi-
nito fosse più piccolo del limite superiore. Ove questo non avvenga, si può
assumere per definizione
/•a /'b
( f{x) rfa? = — j f{x) dx.
— 300 —
Sono pure assai facili a dimostrarsi le formale
I f{x) dx = fVw dx + C f(x) dx,
e, ae a<.b
(&- a)l(a, b) >^J(x)dx>{b'r-a) X (a, b) ,
i segni di dìseguaglianza dovendo essere scambiati, se a>-ò.
Si consideri ora Tintegrale definito, come fonzione del suo limite superiore,
e pongasi
F(X)=.^^nx)dx.
J a
Sarà F(X + h)^ F(X)=3 ì f(x)dx; e questa quantità è compresa fìra
hl(X, X-^-h) e AX(X, X-f-A), e, siccome 2 e X sono finiti, col tendere di
h a zero, esse tendono verso zero, ossia F(X) è funzione continua.
Inoltre, dalla diseguaglianza
A / (X, X + /i) > F ( X + A) — F (X) > ;ì X (X, X + /i ) ,
se A >0, e da quella che si ottiene da questa rovesciando i segni di disegua-
glianza, se A < 0, si ricava in ogni caso
Facciasi qui tendere A a zero. Se f(x) è continua per x = X,
lim i (X, X + A) = lim X (X, X+ A) =/-(X) ,
e quindi
-. F(XH-A)— F(X) ^,-^
ossia F(X) ha per derivata f(X) per tutti i valori della variabile, per cui f(X)
è continua.
— 301 —
Applicaziom degli integrali definiti alla geometrìa.
194. — Molte grandezze geometriche, come aree, volmni, archi di curva, ecc.
sono misurate da integrali definiti.
Ma è utile di ben fissare con quali assiomi, postulati e definizioni noi pos-
siamo arrivare a conchiudere Teguaglianza o diseguaglianza di due grandezze non
sovrapponibili, e a trovare che un certo numero misura una data grandezza.
Per stabilire Teguaglianza o diseguaglianza di due grandezze geometriche ci
serviremo delle proposizioni seguenti:
!• Dite grandezze sovrapponibili sono eguali*
20 A grandezze eguali aggiungendo o sottraendo grandezze eguali si
hanno risultati eguali.
3® La parte è minore del tutto.
40 Se due grandezze sono diseguali, la loro differenza ripetuta un numero
sufficiente di volte può superare ogni data grandezza.
Definiremo la misura d'una grandezza in modo analogo alla ragione di due
grandezze :
Dicesi che il numero a m,isura una grandezza A, essendo U Vunità di
misura, se ripetendo U m volte ed A n volte, la grandezza m U é maggiore
tn
eguale minore di nA secondochè il numero — è maggiore eguale o
minore di a.
Con questa definizione non occorre supporre la divisibilità in parti eguali
di U. Ma ae U è divisibile in parti eguali, e quindi ha un significato il pro-
dotto hU, ove A è un numero razionale, la definizione precedente si può trasfor-
mare nella seguente:
Dicesi che il numero a misura la grandezza A, essendo U Vunità di misura,
se kU è maggiore, eguale, minore di A secondochè il numero razionale
k è maggiore eguale minore di a.
Ci sarà utile il seguente
Teorema. — Se una grandezza A è minore delle grandezze Bj , B ^ , . . .
misurate dai numeri b^, b2 . . . , e se A è maggiore delle grandezze G^, G2 , . . -
— 302 —
misurato dai numeri Ci, c^..., e se esiste un sol numero a minore di tutti i
numeri b e maggiore dei numeri e, il numero a misura A.
Infatti, essendo m eàn due numeri interi, si formino le grandezze mU ed nA.
Sia dapprima — > a. Siccome a è Tunico numero minore dei numeri b e mag-
giore dei numeri e, — che è diverso da a non sarà ad un tempo minore dei
tn
numeri b e maggiore dei e; ma — è maggiore di a, e quindi maggiore dei
numeri e; dunque esso non sarà minore di tutti i numeri b.
Sia b^ un numero della categoria b tale che — ^ &r« ^ sia B,. la grandezza
misurata da b^ Sarà per la definizione di misura
m,U^nBf;
ma B^>-A, quindi nB^^nA (Euclide, Libro V, assioma III), e
m. U^nA.
Sia — <a. Si dimostra in modo analogo che
n
m U<CnA.
Sia infine — = a. Dicoche mU=nA, Infatti lo si neghi ; sarà mCT" minore
n
o maggiore di nA. Sia mU minore di nA, e sia A la loro differenza, sicché
mU+ ^==nA. Esisterà (proposizione 4') un numero k, tale che A A > ?7.
Si moltiplichi l'ultima equazione per k; si avrà AmU'-f AA:=AnA, e quindi
(hm-\-ì)U<ChnA. Ma questa diseguaglianza è assurda, perchè essendo
km + lm.l ... m -vi.»! j-xi.
— 1-= — = f- -r— maggiore di — = a , per ciò che si è sopra dimostrato
rin n ftn n
deve essere (km + i) U^knA, Quindi mU non può essere minore di n A. In
modo analogo si dimostra che mU non può essere maggiore di nA. Quindi si
conchiude
ni U=nA.
Pertanto, ripetendo U m volte, ed A n volte, la grandezza mU è maggiore
m
o eguale o minore di nA, secondochè — è maggiore o eguale o minore di a,
n
ossia a è il numero che misura A.
— 303 —
195. Area piana. — Sia y = f(x) Tequazìone d'una curva riferita ad assi
cartesiani ortogonali. Si suppone f(x) continua e positiva nell'intervallo da a a 6
(a<; b). Dico che Tarea piana limitata dalla
curva AB, dalle ordinate AA^ BB' corri-
spondenti ai valori a e 6 di a;, e dall'asse
delle 0? è misurata dall' j f(x) das.
Infatti: diviso il segmento A'B^ in parti;
e pei punti di divisione segnate le ordinate
in modo da decomporre l'area data in parti,
di cui una qualunque sia PQP'Q, e co-
strutti i due rettangoli di base P'Q^ e di
altezza la massima e minima ordinata dei
punti dell'arco PO, e fatta la stessa operazione per tutte le parti in cui si è
divisa l'area data, questa è minore della somma dei primi rettangoli e mag-
giore della somma dei secondi, qualunque sia la legge con cui si divide A'B'.
Ma dette a?o=:a, a?^, o^s)*-*^»-!* Xn=b le ascisse dei punti di divisione di
A'B\ e detti l (a, P) e X (a, f) il massimo e il mi nimo valore di f{a) nell'in-
tervallo (a, P), la somma dei primi rettangoli è misurata dal numero
e la somma dei secondi da
ed esiste il sol numero i f{x)dx minore di tutti i valori che può assumere
J a
Si e maggiore dei valori di s^.
Quindi I f{x) dx Q\\ numero che misura l'area data.
196. Volume. — Sia dato un solido qualunque, di cui si cerca il volume V.
Segnato un asse Ox, si immagini un sistema di piani perpendicolari ad Ox^
che incontrano Ox in punti di ascisse
XQ^=a ^ a?j , Xi
a?- = 6.
e che dividono il solido in porzioni. Si suppone il solido dato compreso fra i
piani di ascisse x = a eà x = h.
Sia f{x) l'area della sezione fatta nel solido da un piano perpendicolare al-
l'asse Ox nel punto di ascissa x.
— 304 —
Supporremo f{x) funzione continua.
Si 8i^)ponga riconoficiuto che il volume limitato fra due piani paralleli è
compreso fra i volumi di due cilindri aventi per altezza la distanza fra i due
piani, e per base rispettivamente la massima e la minima area della sezione
fatta nel solido da un piano parallelo ai due, e compreso fra essi, cosa facile
a riconoscersi nei casi più comuni (e che potrebbe assumersi come postulato in
tutti i casi).
Allora il volume dato sarà minore della somma di certi cilindri, misurata da
«1 = 2 (^f+i — ^r) ^ (^r> ^r+')» c maggiore della somma di altri cilindri misurata
Ma esisto il sol numero | f{x) dx minore di tutti i valori di «^ e maggiore
dei valori di ^2; dunque V \ f(x)dx misura il volume dato.
197. — Lunghezza d'un argo di curva piana. Sia y^f(x) Tequazione d'una
curva AB in coordinate cartesiane ortogonali. Si suppone che la funzione f(xy
abbia derivata f*(x) continua nell'intorvallo (a, &), e che in quest'intervallo la
f(x) vada sempre crescendo, ovvero sempre decrescendo, ovvero che Tintervallo
(a, b) si possa decomporre in intervalli parziali in ciascheduno dei quali f*ix}
vada sempre crescendo decrescendo.
Ricorreremo ai due postulati (Archimede, trcpi crcpdTpa^ Kal KuXivòpou, A^
XajLip. a' e p') :
1° Di tutte le linee contermini la minima è la retta.
2o Di due linee piane contermini, convesse dalla stessa parte, l'avvilup-
pante è m^giore dell'avviluppata.
Pongasi F{x) = /l + [/"'(a?)]', ossia eguale
al reciproco del coseno dell'angolo che la tan-
gente alla curva nel punto di ascissa x fa
coll'asse Ox, Sia (a, P) un intervallo parte
di {a, b)\ PQ l'arco corrispondento di curva.
Dico che l'arco PQ è compreso fra due gran-
dezze misurate dai numeri
(3-a)?(a,p) e (p-o)X(a,p),
"^ indicando con l (a, P) e X (a, f) i limiti supe-
riore ed inferiore dei valori di F{x) nell'inter-
vallo (a, 3). Invero l'arco PQ k maggiore della sua corda (postulato !•), la quale
-A' F" M Q
— 305 —
è misurata da v'(P-a)«+[AP)- Ao)]'=(P-a) V^l + (^^J^^-^
= (P — a) >^1 + [r(^L)]*= (P " ^) -^(^i)» ove a?i è una quantità compresa fra
a e p ; e questo numero è maggiore di $ — a) X (à, P).
Inoltre, se nelFintervallo (a, P) f (x) è sempre crescente, ovvero sempre de-
crescente, e quindi Tarco PQ è convesso da una stessa parte del piano, segnate
le tangenti in P e in Q alla curva, queste si incontreranno in un punto Jbf, la
cui ascissa y è compresa fra a e P, e, pel postulato 2», sarà arco PQ<^PM'{'MQ.
Ma questa linea PMQ è misurata da (f — a)F(a) + (P — t)^(P); ^ siccome
F(a) ed F(p) sono minori di ^(a, P), si deduce che Tarco PQ è minore della
lunghezza misurata da (p — a)l (a, p).
Se nell'intervallo (a, p) f (a) non varia sempre nello stesso senso, per la ipotesi
fatta, li potrà decomporre quest'intervallo in altri, p. e. (a, t)» (T) &)* (^t P) ùi
ciascheduno dei quali f*((c) varia nello stesso senso, e quindi Tarco PQ sarà mi-
nore deUa lunghezza (t— a)«(a,T) + (6-T) ^(Y,6) + (P-6)K&»W<(P-o)^(a,P),
come prima.
Ciò premesso, si divida Tintervallo dato (a, b) in parti, coi valori arbitrarii
a?o=a, x^, a7j,... ojn-i, a?„ = 6. Si avrà pure decomposto Tarco A]B in parti,
ed applicando a ciascheduna di queste le diseguaglianze precedenti, si avrà
che Tarco AB è minore del sistema di lunghezze misurate dai numeri
«1 = 2 (^M-i — ^f) ^ (^r » ^H-i) , ed è maggiore delle lunghezze misurate dai
numeri S2 = 2(^*"+i""^r)X0»r, a?f4-i). Ma esiste il sol numero
f F(x) dx =: fVl + [f'(x)ydx
J a J a
minore di tutti i valori di 5|, e maggiore dei valori di s^\ dunque questo inte-
grale misura Tareo AB.
Così si vede come, partendo dai concetti intuitivi di grandezze geometriche,
completati da postulati semplicissimi, ammessi fin dagli antichi geometri, si
possa arrivare a trovare che un certo numero misura una data grandezza,
senza ricorrere a nuove definizioni che sono, o paiono arbitrarie.
Questo modo di ragionare, che è quello stesso di Archimede, si può pure
applicare ad altre grandezze geometriche; ma è facile lo scorgere che, almeno
senza introdurre nuovi postulati non comunemente ammessi, non si può applicare
a tutte le grandezze geometriche.
GnoccHi, Calcolo differmtiaie. 20
Calcolo degli mtegralì d«flmtL
198. — In virtù della definizione data, un integrale definito si
ottiene con tutta &cilità conoscendone l'integrale indefinito, n calcolo
però si può aentpUflcare applicando direttamente all'integrale dafl-
aito i procedimenti di integrazione visti per ^ int^crali indefiniti
Si è trorato, poeAo ir = <p(0
jf[x)da:=jf[vit)] 9'(0d^
' floUa qiiale e^^uagUanza si intende che calccdato un integrale ind^
finito di f(x)da;, e aia
e posto fr = q)(Q, la funzione F[q>(0] è un integrale del membro
di deatra. Se sì prende ora nel membro <ti destra l'integrale definito
ita ^ e ^, si ha
f m.)] - ^ [» («1 =S^nv mi fw* .
e ae si fa <f{Q=Xa, if{t,)—x,, il membro di sioistra vale
f (a;,)— Ji-(n7,)=J''/'(ar)<to.
— 307 —
jr
'2
Esempio. Se in r aQm^Oddx si fa x±z^ — z, si ricava
sena? = cos-3r, dx = — dz,
■e X assumerà i valori e ^ ove si feccia ^= ^ e 0; onde
ir
r2 rO
I sen*a?<fec = — | cos*;2rrf^,
2
e se nel membro di destra si scambiano fra loro i limiti, e la: let-
tera z in X,
w ir
'2 r7
sen^xdx=z I cos'ex dx.
Jo
Sia ancora a calcolare f rr-— r-^> del quale differenziale
non si conosce l'integrale indefinito. Si avrà
J'ir a? sena? , r^ a? sena? ^ , r^ a? sena? ^
1 + cos' a? J'o 1 + cos*a? ' J u 1 + cos'a?
2
Nel secondo integrale del membro di destra fecciasi la sostituzione
-a?=iT — z, onde sena? = sen^, cosa7 = — cos;?:, dx = — dz;
e per ^0=-^» ^ = "|» e per a?=%, ^ = 0; Si avrà:
ir
r^ a? sena? ro (ir — a:)8en3r r2 (ir— gj senzdg
Jirl + cos»a? J^r l + co8'« Jo 1 +"cos*i '
2.
2 2
«che si scinde nella somma
J'2 serijcfe /*2 ^senzdi-
T+co?5""Jof l + oòft'ir
— 308 —
^ J TT^^. = -} rq:^^,=-arctaiigcosz, e quindi
'2 sen z dz
-— — -- = — are tang cos -5- + are tang eos = -r .
Sostituendo questi valori nell'integrale eereato, ed osservando eh&
JL JL
'2 zeenz , r^ a; sen a;
rz zBenz _ r»z «sena? _
Jo 1 + cos'j Jo 1 + cos a?
si rieava infine
./ 1 + coe'a? 4
199. — La regola d'integrazione per parti, e alcune formule di
riduzioni trovate danno lu(^ a formule del tipo
Cf(x) rfa? = <p (a?) + fili (jr) dx ,
e posto F(x)^= \f(x)dtx, ^{x)■=^^^{x)dx ,
F(x) = ^{x)±^{x)\
fatto in questa formula x=^x^ ed a; = 0/2, e sottraendo si ha
F (0?,) - F {X,) = (p {X,) - cp {X,) ± [V ix,) - V (a?,)] ,
ossia
I f{x) do? = <p (ojg) — <p (a?,) +1 ip (a;) da;,
ossia per integrare per parti un integrale definito basta fare la
differenza dei valori che assume ai limiti la parte integrata, e pren-
dere fra gli stessi limiti il nuovo integrale.
_ - ^ -—
— 309 —
'2
J'2
sen*a?flto per m intero e positivo; si
è trovata la formula (N. 185, (4))
/C08 a? 8en"»-i a? , w— 1 f • ^
sen"»a?fito? = | sen*-*a?^;
quindi, applicando la regola precedente si avrà, se m>l,
IL jr
'2 . m— 1/'2
sen^ajctojrzi sen*-* a? da? ,-
Jo m Jo
in modo analogo
ir JL
2 , , m— 3 /'2
( sen»-* xdct) = ^ j sen*-*a? da? ,
^ cosi applicando più volte la stessa formula, ci ridurremo, se m è
pari =2n, a
'2 ^ . 1 r2
( sen* xdx=jr C dx,
Jo 2 j
jt.
2
^ndi
JL
2 . , 2n— 1 2n — 3 1 ir
r sen''*a;da? =
2n • 2«-2 2 • 2'
Se invece w è impari, m = 2n + l, ci ridurremo infine agli in-
tegrali
JL IL
2 . . 2 r 2
r sen'a? tìfet? = ó- r sena? do?
Jo 3J
r2
i sen 0? do? = 1
— 340 —
onde
2 « . , . 2n 2n — 2 2
J Sen2»»+ia?(fó7 =
2n + l * 2n — 1 3 *
200. — Dalle formule precedenti possiamo dedurre un'espressione
di IT sotto forma di prodotto infinito. Invero, essendo, per x compresa
fra e y ,
^ sen a? ^ 1 ,
sarà
■» ■» i>
r sen'"+^a7da?< j sen'"a?<;to;<J sen*»-* a? cto? ,
e sostituendo agli integrali i loro valori, e permutando Tordine dei
fettori
2^ £ £ ?n—2 2n £ 1 i £ ^^—3 2>i— j 2 _4 2»— 2
3 ' 5 '7 •••2n— l*2n + l'^2 2 '4 '6 "*2n— 2* 2n "^^ 3 *5'"2n— 1'
ossia
2 2 4 4 6 6 2n— 2 2« ^'^ ^ ^ ^ ^ 1 ^**""^ ^'^
• — • — •
13 3 5 5 7 2n— 1 2n— 1 2n + l 2^1 3 3*"2n-l 2n-l'^
da cui si deduce
ir 2 2 4 2n— 2 2n 2n + e
• a^^ .
2 13 3 •••2n— 1 2n— 1 2n + l'
ove 9 è una quantità compresa fra ed 1.
Facciasi in questa formula crescere indefinitamente n; Tultimo
fattore ^ ^ tende verso l'unità ; onde ^ è eguale al limite d€(^
altri fattori, ossia
JL— 1 Ili
2 "" 1 ' 3 * 3 ' 5
. a . • •
Questa formula è dovuta a Wallis.
— 311 -
Integrali definiti con limiti infiniti,
o in cni la funzione a integrarsi è infinita
entro i limiti d'integrazione.
201. — Nella definizione data di j f{x)dx si è supposto che i
limiti a e & siano numeri finiti, e che sia pure determinata e finita
la funzione f{(xi) nell'intervallo d'integrazione. Però, con opportune
convenzioni, possiamo attribuire un significato allo stesso simbolo,
ove queste condizioni non siano verificate.
Intenderemo, colle scritture
f f{x)dx, r f{x)dx, r lt{pc)dx
i limiti, ove esistano, verso cui tende 1' j f{co)dx ove si faccia
rispettivamente tendere ì> verso +oo, o a verso — co, ovvero ì>
verso + 00 e a verso — oo.
J> co
er^dx. Si ha
^*«Cfóp = jp, J e-**éto? = ^ ,
e facendo tendere & verso l'infinito positivo, se ^ > 0, lim e-** :s= 0,
onde
J'OO ^5 1
^**(to==limj e-**cto? = -r (h>0).
er^dx col crescere indefinitamente di x
e-** t^ non ha valore finito.
— 312 —
Si ha
onde
r senxdx=. — cos& + cosa,
e se qui si fa tendere b verso l'infinito , — cos & oscilla fra — le
-f- 1 senza tendere ad un limite determinato ; quindi non ha senso
Tespressione
J*oo
senxcUc.
Lo stesso è a dirsi se si fa tendere il limite inferiore, od amendue
i limiti all'infinito.
Si consideri ancora
J' dee i X
jjj^P^.=-^arctaiig^+C.
Potremo supporre ^>0, perchè nel differenziale non comparisce
che il suo quadrato; e supporremo, secondo le convenzioni fatte,
are tang -r- compreso fra — "2 ^ "^ Y' ^^ ^^^^ "
r^ dx i . b
e fiicendo tendere & verso +00 si ha
"^ dx tr
/
Si ha pure
/'à dx ^ ^ à i . a
e se si & tendere b a +c», ed a a — 00 si deduce
+ » dx
r + ® dx n_
— 313 —
Si è trovato (N. 188)
e-«* cos &a? flfet? = — yT^{fl(^osbx — &sen bx)
e-^sen boocUv = — ^^-tì (a senbx-^-b cos bx) ;
quindi, se a < 0, si deduce
r^ a r ^ b
I e-^ cos &a? da? = -rrii > 1 e-«»sen&a?rfa? = -z-r-
&«
202. — Se del diflTerenziale dato si conosce l'integrale indefinito,
dalla formula
Cf{^) dx = F{b)'- F{a)
è spesso assai facile riconoscere se col crescere indefinitamente di
2^, di a, di amendue, Tintegrale proposto tenda ad un limite
finito, e quindi se la funzione data sia integrabile entro limiti infiniti.
Ma sono utili i seguenti criterii che permettono, dallo studio del
solo diJBferenziale, di riconoscere l'esistenza dell'integrale entro limiti
infiniti.
Teorema. — Se la funzione f (x) da un certo valore di x in poi
conserva uno stesso segno, V f (x) dx è infinito se il prodotto
xf (x) é ^ valor assoluto, da un certo valore di tì in poi, mag-
giore d*una quantità finita non nulla.
Lo stesso I f(x)dx è finito se il prodotto xi+«^f(x), ove n è
un numero positivo, è da un certo valore di x in poi minore d'una
quantità finita.
Infatti, se X è un valore di x dal quale in poi sono soddisfatte
le ipotesi del teorema, si avrà :
Cf{po) dx = Cfipo) dx +^lf{pi:) dx.
— 314 -
Il primo integrale del membro di destra è finito, ed indipendente
da &; e basta considerare il secondo.
Se p. e. f{x) è positiva, e xf{x)> A, A essendo una quantità
non nulla, sarà f{po)> — , e I f(pG)dx > I —dx. Questo inte-
grale vale ^ log -^ , e col crescere indefinitamente di & tende al-
rinfinito; dunque anche I f{x)dx col crescere indefinitamente di
b cresce indefinitamente.
Suppongasi ora che, per tutti i valori di x>X sia x^-^f{x)<A^
'\ n>0. sarà aa»<^,, e />)da;<4 (^-^) <^^
Quindi col crescere indefinitamente di b l'integrale j f(x)dx
cresce continuamente, perchè la sua derivata è positiva, ma man-
tenendosi sempre minore d*una quantità finita, e perciò tende ad
un limite finito, e lo stesso avviene per l'integrale proposto.
Corollario. — Se f (x) conserva da un certo valore dt tl in
poi lo stesso segno, V f (x) dx è infinHo se col crescere inde fini-
tamente di x Z/wxf(x) è finito e non nudo, eleverò infiiMo. Lo
stesso ifdegrale è determinato e finito, se xi+'»f(x), ove n< 0,
col crescere di x tende ad un limite finito, o allo zero.
Se la flmzione f{x) cambia sempre di segno da c^i valore di x
in poi, si può applicare il criterio:
J'OO
f (x) dx è determinato, se, detto f,(x) il valore assoluto di
f(x), r J*f4(x)dx è finito.
Infatti, se J f^{x)dx col crescere indefinitamente di b tende ad
un limite finito, fissato ad arbitrio €, esisterà un valore di 2^, e
sia B, tale che attribuendo a b due valori b ^ V maggiori di £ è
(N. 15)
fj,{x)dx—^y,{x)dx—f^U(x)da) < €.
— 315 —
Ma, essendo fi{x)^f{(c)^ — f^{x), sarà
f^ r, (a?) da) > J^ f{x) dx > — J/V, (a?)cte? ,
ossia, fissata ad arbitrio €, si può determinare un valore B di & in
f{po)dXy attri-
buendo a ì) due valori & e &' qualunque, maggiori di B sia in valor
f{x)dco col crescere indefinita-
mente di ì) tende ad un limite.
203. — Se la finzione f{x) diventa infinita per a? = &, si intende
per J f{x) dx il limite, se esiste, verso cui tende V \ f{x) dx ,
dove ì) — € ò nna quantità compresa fi:*a a e &, ove si faccia tendere
€ verso zero. Se f{x) diventa infinita per a; = a, si assume per
definizione
6
C f(po)dx = \\m C fix)dx
Ja 6=0 J<H-€
ove a-f-€ è compreso fira ^ e &. Se f{àG) diventa infinita per un
valore a? = c medio fra a e &, si pone
,c— € /*6
iì f{x)dx = ^m C f{x)dx + Mm\ f{(xi)dx,
e si fanno analoghe definizioni, se f(x) diventa infinito per più
valori di X appartenenti all'intervallo (a, &).
J*i dee
, , ove la funzione ad inte^
yl — 0?*
grarsi diventa infinita al limite superiore. Si ha
I ., = are sen a? ,
— 316 -
e facendo tendere x verso 1, il membro di destra tende a ^ ; quindi
j
'* da? ir
i/nri?""^-
2o. Siha {-^=2]/x\ (''^ = 2 — 2>/€, e facendo ten-
dere e a zero,
J va?
— = loga7; quindi 1 — = — log€, e facendo
tendere e a zero si ha ( — = oo.
4^. Si voglia — . Per definizione esso è eguale al limite
J — l X
di I 1- j — , ove € ed €' tendano a zero ; ossia
r+i dx 6
1 — = lim log -p, e facendo tendere € ed e' verso zero indi-
pendentemente Tun dairaltro, questa quantità non tende ad alcun
limite. Quindi F — non è determinato.
s) — i a?
204. — Se del differenziale dato si conosce Tintegrale indefinito
F{po\ ricorrendo alla formula
r*"V(a?) rfo? = F (& — €) — F (a)
sarà spesso fàcile, come si è fatto negli esempi precedenti, ricono-
scere l'esistenza, ovvero non del limite dell'integrale, ove si faccia
tendere € a zero.
Alcune volte, con un conveniente cambiamento di variabile si può
trasformare il difierenziale dato in un altro che si conserva finito
ai limiti dell'integrazione. Cosi per es. volendosi riconoscere l'esi-
stenza di
dx
I.
|/(1 — a;>)(l— A«a:«)'
— 317 —
ove ft* < 1, in cui il differenziale diventa infinito al limite superiore,
pongasi X = sen q) ; si avrà
J« dx pqp dqp
>/(! — a7«)(l — A«a;*) "~Jo |/l — A*8en«<p '
e facendo tendere q) verso -g-, e quindi x venso 1, la funzione
da integrarsi rimane finita, e quindi anche Tintegrale di sinistra
tende ad un limite.
Ma in un gran numero di casi si può riconoscere dal solo esame
del differenziale l'esistenza dell'integrale ricorrendo alle seguenti
proposizioni.
Teorema. — Se f (x) diventa fn finita per x= b, e nelle vicinanze
di x = b conserva un segno costante y se in qiteste vicinanze il
prodotto (b — x)f(a7) è nuiggiore in valor assoluto d* un numero
determinato non nullo, V \ f (x) dx è infinito. Se invece in queste
vicinanze il prodotto (b — x)° f (x) , ove né un numero minore del-
f (x) dx.
Invero, supposto che le condizioni enunciate siano soddisfatte in
tutto l'intervallo (a, &), perchè ove questo non avvenisse, basta
decomporre l'integrale in due, e supposto per semplicità a<b, e
f{x)>0, se (b'~x)f{x)>A, ssirk ' f{x) > -r^ , e
O ^^ OS
f^ " V(^) dx> A [log (& — a) — log e]
e fetto tendere € a zero, il membro di destra cresce indefinitamente,
e lo stesso avviene dell'integrale di sinistra.
Se invece (& — a?)*» f{x) < A , con n<ì, sarà f{x) <
(b-^w)
ny
jrn»,^<4.-«iF^=4<i=^-i^]<^fc?irr
— 318 —
f{x)dx cresce contìnaamente,
perchè la sua derivata è positiva, ma non indefinitamente, e perciò
f{x) dx.
Corollario. — i5e f(x) diventa infinita per x=b, e, col tendere
Oi xahy (b — x) f (x) tende ad un limite finito e non nullo, ovvero
airiltfinito ("determinato di segno), V \ f(x)dx è infinito. Se invece
il prodotto (b — x)*f(x), ove n<l tende ad un limite finito o
nullo, /'J f(x)dx è determinalo e finito.
Corollario. — V I f(x)dx è determinato e finito, se altret-
*' *
tanto avviene di ) f4(x)dx, ove t^{±) è il voUore assoluto di f(x).
Calcolo d'alcuni integrali definiti.
205. — Si consideri Tintegrale
(1) B(l?,g)=r*a?P-Hi— a?)«-*cto, {p>0, q>Qi)
che vien detto integrale Euleriano di prima specie. Esso ha un valore
finito se p eq sono positivi. Invero la funzione da integrarsi è finita
per tutti i valori di co interni all'intervallo (0, 1), e non può diven-
tare infinita che ai limiti di quest'intervallo, se p e q sono minori
di 1; ma siccome x^-p.a^p-^ii-^xyi"^ e (1— fl7)i-^.a?p-*^(l— a?)»-*
tendono all'unità col tendere rispettivamente di a? a zero, e ad 1,
sì deduce che Tintegrale ò sempre finito.
L'equazione (1) definisce pertanto la funziono B ( p, q) di due va
- 319-
riabilì, per utti i valori positivi di esse. Questa funzione gode di
notevoli proprietà.
Pongasi in (1) (v=zi — z; si ricava
BCp, g) = — r (i—zy'-^z9-^dz= r (i — ^)p-i z«-i <fó ,
J i •/
ossia
(2) bcp,«)=b(«.p),
il che dice che B {p, q) è funzione simmetrica delle due variabili.
L'integrazione per parti dà
Cxp-^{i — a))9-^ da = — {ì — x)9-^ + — /^' (^ — a?)»-2 dee ,
e, mettendo i limiti, se g > 1 ,
r cGP-i (i—xyt-^ dee = ^^^ C a)P(i — a))i-^dx,
J P *'
e neirintegrale di destra ricorrendo aUldentìtà
si ha, fatte alcune riduzioni (V. anche N. 180, (5)
Cxp-^ (1 — a?)i^i dof = f^\ r*iBP-i (1 — a?)^-2 efa? ,
ossia
(3) &(p, ff) =^^^7^1 B (D, (Z - 1).
Applicando più volto questo procedimento, se (7>i, sottraendo
un'unità alla volta, saremmo ridotti ad un integrale in cui g < 1.
Ci ridurremo a 9 = 1 se q era intero; e siccome
B {p, i) =j xp-^ dx=z—.
— 320 —
si deduce, se g è intero:
(4) B(l>,^)=-^ 7- -^i 5 —Ti • —
Si avrebbe una formula analoga se jp è intero; se p e g sono
amendue interi, l'ultima formula si può scrivere
• »
206. — La funzione B{P>q) si può sviluppare in prodotto infi-
nito, qualunque siano 2? e q. Invero, risolvendo la formula (3) rispetto
airintegrale di destra, e aumentando q di un'unità, si ha
ed applicando più volte questa stessa formula, si ha
(5) B(p.ff)=^^-^ ^±|+i^B(p,« + ft + l).
Sia n l'intero tale che n^q^n-\-i. Siccome aumentando q
Bip^q) diminuisce, si deduce
B(p,n + /i + l)>B(i>,(? + ft + l)>B(p,n+ft + 2),
ovvero
B(p,n + ft+l)>B(p,^+ft+l)>-J±^J^B(p,n+ft-fl).
n + A + l
P
esiste una quantità 9 compresa fra zero ed uno, per cui
n fattore '' ^ '' Z f . =1 ; — ^ , . . ; quindi si deduce che
B(^,2 + ft + i)=(i_-^_i^^)Bten+ft+l):.
— 321 —
Sostituendo al B del membro di destra della (5) il valore qui otte-
nuto, ed in questa a B{p,n+h+i) il suo valore dato dalla (4)
si ha:
(p + q)(p + q + i)..^(p + q + h) 1.2...(n.fA)
ìiKP,Q)— q{q + i)...{q + ^) ' pip + i^-'ip + à + n)
V i) + n+A + l)'
che si può pure scrivere
tiKP.QÌ- p(j, + i)...(p + k)q(q + i)...(q^k) ^
(A.fl)...(A + n) / e \
(p + A + l)...(p4-A+n) r P + n-^k + i)-
*
Facciasi qui tendere k airinflnito. Il secondo fkttore ha per limite
l'unità ; quindi il primo fattore ha per limite B (p, q)j ossia
(6) B (p, q) _ hm _ -^_^^- _-_ ^_^^^^ ,
ovvero anche
B(p,q) =
P
pq
pq \ (i>+i)(?-hi)M (p+2)(^+2)j\^ a>+3)(g+3);
Questa formula serve per tutti i valori positivi di p e di g. Però'
il prodotto infinito del membro di destra ò ancora convergente qua-
lunque siano p e g, purché non interi e negativi, o nulli, nel qual
caso qualche fattore è infinito.
La funzione B si può mettere sotto altre forme, facendo un con-
veniente cambiamento di variabile nella (1). Se si fa a? = -. , ed
invece di z si rimette x, si ha
00 aoP—^
(7) B(p,«)=/^ (TRFfì*»'
Gkxocobi, Calcolo difirstuiaU* 21
— 322 —
e se nella stessa formula si scambia a? in pen*^ à ha
ir
(8) B (l>, ^) = 2 j sen^-* x cos^-^ x dx.
Se in questa si fa l> = -2 » ^— F* ^ *^^^
(9) B(i.i)=ir.
E se [si & p = (2^z=Y nella formula (6) sui ritrova la formula di
Wallis (N. 200).
207. — L^mtegrale
(1) r{n)=J'^e-'x^*dx
dicesi integrale Euleriano di seconda specie. Esso ha un valore
finito se n>0. Invero, la ftmzione ad int^^^arsi e-^x'^^ molti-
plicata per una potenza qualunque di a? ha per limite zero col cre-
scere indefinitamente di ^ ; inoltre essa può diventare infinita per
a?=:0, se n<l, ma siccome a?^-* . e-* a;»-^ col tendere di a? a
zero tende all'unità, si conchiude che l'integrale è finito.
La funzione r (n) gode di notevoli proprietà. Si ha dairintegra-
zione per parti
jV-*a^-icto? = — e-*cc'^^ + (n — 1) Ce-'or^^dx,
e mettendo i limiti, se n > 1 ,
'•0
ossia
e-»a^'-^dx = (n—i) \ e-^x^'^dx,
J (%
(2) r(n)=(n— l)r(n— 1).
Questa formula permette di ridurre il valore di n, se era d
dell'unità, ad essere eguale o minore dì 1. Se n è intero, applicando
più volte la stessa formula si arriverà all'int^^e
r(l)= f*'e-'da;=i,
e Toindi, per n intero:
(3) r(n) = (» — !)(«— 2)...2.l = (n— 1)1.
208. — La funzione T (n) si può sviluppare in prodotto infinito.
Pongasi perciò nella (i) ce=.kz, ov» ft è un uumero posttìvo arbi-
trario. Si avrà
(a) F(»)t=w r^e-^-j^iitìr.
Ora si ha che e > 1 + « , quindi e-** < ., ■ .^ , e
L'int^frale di destra si riduce alle funzioni B ponendo' x ^^-r^.
(N. 206, formula 7) ; onde
e gidodi
(6) r(n)<ft-B(n,ft — n).
D'altra parte si ha
e, poiché e-* > 1 — ^ , si avrà a fortiori
— 324 —
e quindi
(e) r(n)>/i»B(n, h + i).
Se nella (p) invece di h si legge /t-f-^i+i si ha
r(n)<(ft+n+l)-B(n,ft + l)=ft«B(n,ft + l)(l + ^)*.
e paragonando questa formula colla precedente, si deduce
(d) r(n) = A«B(n,ft + l)(i + e'^*)",
oye <e < 1. Facciasi in questa formula crescere indefinitamente
k; Fultimo (attore del membro di destra ha per limite l'unità , e
quindi
r(n) = limft»B(n,A + l).
fcsOO
Se si suppone h intero, e si sostituisce a B la sua espressione nota
si deduce
r(n) = lim A" — ^^-^ *
"fc = oo n(n + l) (n + A) '
Paragonando questa formula colla (6) del N. 205, che dà lo svi-
luppo in prodotto infinito di B (p, o), si deduce subito che la fun-
zione B si esprime mediante la f. Invero si ha
r(p) = ]imhP-z — rrr--/ — rr^» r(g^) = lim A» , , ^v \ , . v >
rCP + g)=lÌmftlH^ , . .. — j ■' , — ; TT^,
e quindi
r(p)r(q) _ h!(p + q)(p + q + ì).,.(p+q^k)
r(p + q)~ ' p(p + i)...(p+h)q(q+i)...(q + k)'
— 325 —
ossia
1
Se in questa si fa p^iq-zz-, si deduce
onde
'■(j)'=b(j.Ì)=''.
r (i)=»/;r
209. — Si consideri ancora Fìntegrale
J
Post» x = l/z, si ha
ossia
^ = 2/.*'~'^*^ = -^'"(t)'
® ]/lt
r e-«'tfa?=
2 *
Si ha
J — oo ./—a) Jo
£to.
Se nel primo si fa et? = — ;2r , esso diventa identico al secondo, onde
•' — 00
L'integrale
/•QO
J —00
oye a una costante positiva, si può ridurre al precedente ponendo
a?|/a = z, e quindi
J-oo ^ a
— 325 —
Sviluppo in serie degli integrali
210. — Se la funzione f{x\ che si deve integrare, si può mei*
tere sotto la forma
ove Uq, t^i,... sono funzioni continue di Xj si avrà
R^dx
ha per limite zero, si conchiude lo sviluppo in serie dell'intere
f{x) dx=:\ u^dx-^ \ u^dx-^
211. — Si ha per esempio:
1
-j — :=i— X-\-X^ — OC^ + ..,'{' Ccr-^ + T-. — ;
quindi, moltiplicando per dx, ed integrando fra ed rr
log(i+^) = rr— ^ + -3— ...±-+J^ ÌT^^'
Ora
ayn+l
(n + l)(t + e«)'
076 e è una quantità compresa fhi ed i. Di qui si riconosce che
se —1 < a;£l, C - ^" -—dx col crescere indeflnitameDte di n ha
per limite zero, e quindi (N. 79)
log(l+a:)=aì-4 + x+X + (-1<<I>£+1|.
Se X non è compreso fra questi limiti, la serie di destra è di-
si*. — Si ba
j^=l-^+a,'-^-+...±«;.(.-.) + j-^;
moltiplicaDdo per c&r ed int^rando fra ed ii; si ha
L'ultimo termine vale
(2n + i)(l+9*')'
ove 6 à compreso fra ed 1. Quindi si vede che se — l^aj^+1,
questo termine ha per limite zero, e (N. 83)
arctangaT = i» — 3" + "5 — "T"'" (— 1 £a;^ +
213. — Se ^(ip) si può sviluppar© in serie
/■(a:)=«, + «, + w. +
convergente per tatti i valori di x appartenenti all'intervallo fin
(a, &), e se questa serie è di convwgenza equabile, ossia, se fissi
ad arbitrio e esiste un numero N tale che il resto della serie de
— 328 —
un numero di termini qualunque maggiore di N, qualunque sia il
valore di w nell'intervallo (a, b) è sempre minore di e, e le funzioni
u^u^... sono continue, e quindi è anche continua f{x), sarà
r f{x)dx:=. \ u^dx-^ f u^dX'\' \ u^dx-}-
Infatti, detto R^ il resto della serie dopo n termini, se n > ^,
sarà i^M < e; quindi I R^dx < e{b — a), e questa quantità si può
rendere tanto piccola quanto si vuole col prendere € sufficiente-
mente piccolo.
Es. 1'. Si ha
a? ""a? "'"^"^ 2! "^ 3! "^
e la serie di destra è di convergenza equabile per ogni intervallo
finito, perchè se a è il massimo valore assoluto che può assumere
X, il resto della serie considerata dopo n termini è minore del resto
corrispondente dello sviluppo in serie di — , la quale ò convergente.
Quindi
L V^ = ^^^ + ^+2:2!+33l +
a» a»
— Ioga — a — 5r-5^— 5-^ +
2^. In modo analogo dalla serie
Ben 00 ^_^ . 00^ y^ x^ afi ,
~^ ^ 3T+"5T ~ Ti "•"
che è di convergenza equabile in ogni intervallo finito, si deduce
J'« Ben a? , a?* , «* *' i
— 329 —
3^. Con identico procedimento si ha
-log a + 2^2! -4741 +
4» Vogliasi r C e* af*-* dx.
J
Si ha
^ = 1+^ + + 1-373 +
■ •
e (piesta serie è di convergenza e^abile in ogni intervallo finito;
.^^^^^=ir+Mn+r2^r+^+ i.2.3(n+3) +
Se si fa a; = oo il membro di sinistra si riduce a r(n); ma nel
membro di destra tutti i termini diventano infiniti.
5^ Vogliasi r Ca^^dx, Si ha
J
, j 1 » 1 n*ap* lofl:*a? , n*a?^ log* a? ,
a^=€^^'=i-\-na)loex-^ j-^ — | — ^2^ +
e la serie di destra di convergenza equabile per tutti i valori (po-
sitivi) di X.
Quindi per calcolare Tintegrale proposto basta eseguire parecchi
integrali del tipo f oc^ log* xdoo. Ma si ha , dall'integrazione per
parti,
a^ìogp X dx ::= -—j-rìogp X ^ J a?*logp-ia?da?,
e quindi
J x'^ìogpxdx^z XiJ fl?* logp-* a? (to.
/,
— 330^
Applicando più volte questa formula, ci ridurremo infine a
* 1
cci^dx^=> — r^ > e quindi
Jy^^'^^=(-*)^;M^
Sostituendo si ha
*/
214. — Se si ha
(1) Aa?) = «o + «i+t4+
ove la serie di destra è convergente e di convergenza equabile nelFintervaUo
finito (a, &), e i termini di questa serie sono funzioni di a?, continue o discon*
tinue, ma integrabili nell'intervallo (a, h) secondo la definizione del N. 193, allora
la funzione firn) è pure integrabile, ed il suo integrale è la somma degli inte*
grali dei termini della serie.
Invero, fissata ad arbitrio «na quantità e, si determini m vaAoiid di n dai
quale in poi il resto della serie (1) dopo n termini R^<it. Diviso Tintervallo
(a, b) in parti, supposto per semplicità a<d, e detto 5j^q)(d7) e 5i<p(a?) la
somma dei prodotti di questi intervalli parziali rispettivamente pel limite supe-
riore ed inferiore dei valori di <^{x) in quell'intervallo, dalla egoaglianza
SI ncava
ed inoltre, siccome i^<€, saranno 5ii2„ ed s^R^ minori in valor assoluto di
Detti Si(p(x) e S2ip(x) i limiti inferiore e superiore di $i(p(^) e 5|<p(a;),
si deduce
SJ(x)^SiUo-¥ + -S', 1^-1 + €(6- a)
5j/"(a?) > iS',Wo+ + /S^tt— i — € (6 — a).
— 331 —
Ma, eesando le funzioni u integrabili, si ha SiU=:S^u= i udof; quindi
Sif(x) ed S^f{x) che dìfferìscono fra loro meno di 2 €(6 — a), quantità che
si può rendere piccola ad arbitrio, sono eguali, e la funzione f(x) è inte-
ra
grabile; e T | f(w)dx diffensce dalla somma degli integrali dai primi n ter-
mini della serie meno di c(d — a), quantità che si può rendere piccola ad
arbitrio; quindi
J'6 nh rb nh
f{x)da =1 t«o(to + I ^idx + I Mgdo? +
a ^41 J tL J a
2lS. r— L'integrazione per parti, più volte ripetuta, permette di
sviluppare in serie alcuni integrali.
x'^f(pD)dx. Integrando per parti, e prendendo
come (attore ad integrarsi x'^dx, si ha
x'^f(x)dx=—r-Tf(x) T^\ x^^f{x)dx,
J Q ' \ / m + 1 m + lJo 'v/
Applicando all'integrale di destra lo stesso procedimento, e cosi
via, si ha :
— (m+i)(m+2)...(w+»)' ^ ' ' (w+l)...(w+n)Jo ^ '^
Facciasi qui crescere indefinitamente n. Se Tultimo termine ha per
limite zero, si ha lo sviluppo in serie dell'integrale proposto. Se in
questa serie sì fa m = 0, si trova, sotto le condizioni enunciate,
Questa formula è dovuta a Gio. BernouUì, e si potrebbe pure otte-
nere da quella di Taylor.
— 332 —
Applicando la forinola precedente all' \* e-*x^-^dx si trova
n ' n(n + l) ' n(n+l)(n + 2)
+ n(n4-.i)...(n + m-l)^ *+n(n+l)...(n+w-l)Jo ^*^''^"* ^*^-
L ultimo termine vale / . ., — 7-- jr , che col crescere in-
definitamente di m ha per limite zero ; quindi Tint^rale proposto
è eguale alla somma della serie infinita, i cui primi termini sono
scrìtti nel membro di destra.
216. — Ma anche la formula di Taylor si può ottenere diret-
tamente mediante Tintegrazione per parti. Si ha
Applicando la stessa formula airintegrale di destra, e ripetendo
questa operazione n volte, si ha
Se in questa si fa fn=:0, si ricava
raa^)aa>=^ax,)-^^^nco,)+...^^^=^ftn-Hx,)-^
-^ ir f'i'^—^y ^^"' C"') ^-
r*. ^f Xù
— 333 —
Se qui si suppone che f{x) sia la derivata di F{x)y si ottiene
J'(a)-F(a;o)=^i^(a;,)+^^=^V''(«.,)+...+^^i^-)K) +
Questa è appunto la formula di Taylor, completato con un resto
che è dato sotto la forma di integrale definito (Y. pag. li, nota).
Questa espressione del resto è assai conveniente^ perchè non
contiene alcuna indeterminata e. Se in esso si da azzico^-^-h, ed
a? = a?o+^fc si ha
R=^ r^\i - ty n^') K + ^0 (it.
Se si ricorre alla formula ) q)(a?)da?=2:(a — ^o)9(^i) ^^^ ^i ^
compreso fra a?o ed a', si ha
R= ^{a — X,) (a — x,y m^^) (w,)
che è la forma data da GauchyJ Ricorrendo invece alla formula
^(ar-^y pKM-i) (x) dx = F(-^-l) (a? J r{a — x)rdx =
firi^ha
sotto la forma data da Lagrange.
PINE DEL VOLUME
INDICE
Privazione Po^. y
Annotazioni » vn
Qapitolo I. — Dalla Fìuploili. * Dai Numeri e dalle Quantità » 1
Delle Funzioni e dei Limiti » 3
Teoremi sui Limiti » 5
Teoremi sulle Funzioni continue » 10
Esempi di Funzioni continue > 15
Esercizii » 23
Capitolo II. — Dalla Derivala , . . > 31
Regole di Derivazione » 33
Teoremi sulle derivate » 42
Derivate successive » 45
Esercizii > 46
Capitolo III. ->- Dalla Seria . » 54
Teoremi sulle serie > 55
Serie a termini positivi > 58
Serie con termini di segno qualunque » 67
Serie di Taylor » 69
Serie di Maclaurin » 72
Sviluppo in serie di e« . . * » 73
Sviluppo in serie di sen^ e coso? » 75
Formula del binomio » 77
Sviluppo in serie di log(l + cp). — Formule pel calcolo dei logaritmi » 83
Sviluppo' in serie di are tang a » 87
Funzioni' interpolari » 90
Applicazione delle formule d*interpolazione . ...» 95
Prodotti infiniti > 99
Serie a termini variabili > 104
Esercizii » 110
— 336 —
Càmouy IV. — fmàotà di più vwia^iS. ^fmàom inpOoito. — Fan-
zionì dì più varìalnlì Po^. 126
Derivate e differenziali parziali »
Diflérenziali totali »
Formula di Taylor per le fonzioiii dì più variabili . »
Funzioni implicite. ^ Equazione fira due Tarìabilì »
Equazione fra più variabili »
Sistema di due equazioni fra tre variabili .... »
Sistema dì n equazioni fra in-{-n variabili .... »
Formazione delle equazioni differenziali ...,-»
Funzioni omogenee »
Determinanti funzionali »
Esercizii »
Capitolo V. ^ Applioazioiil malKiolie. ^ Espressioni che si presentano
sotto forma indeterminata »
Funzioni di più variabili che si presentano sotto la forma -S- »
Massimi e mìnimi delle funzioni d*una variabile ...»
Massimi e minimi delle funzioni di più variabili ...»
Esempi »
Cambiamento delle variabili indipendenti .... »
Capitolo VI. ^ Variabili oomplMsa. — Limiti
Serie a termini complessi ....
Funzioni esponenziali e circolari a variabile complessa
Funzioni di variabile complessa
Serie ordinate secondo le potenze d'una variabile
Capitolo VII. — Integrali Indefiniti .
Regole d*integrazione
Integrazione delle funzioni razionali
Integrazione di funzioni irrazionali
Differenziali binomii ...
Integrali di funzioni trascendenti
Capitolo Vili. ^ Integrali definiti ....
Applicazioni degli integrali definiti alla geometria
Calcolo degli integrali definiti ....
Integrali definiti con limiti infiniti, o in cui la funzione a
grarsi è infinita entro i limiti d'integrazione . •
Calcolo d'alcuni integrali definiti
Sviluppo in serie degli integrali definiti . . . .^
»
»
»
inte-
134
138
145
149
152
155
159
164
168
170
173
175
184
191
195
199
203
» 208
» 209
» 214
» 223
» 229
»
»
»
242
247
252
267
273
278
291
301
306
311
318
326
CORREZIONI
Pag. 4
7
13
»
16
18
19
25
28
32
43
44
45
48
50
61
71
73
77
fl7
linea 16
2
13
20
21
22
12
10
Invece di
da d? a
Ai— A
avendo
che difTerìranno
f<p)
23 ^
14 all^esponente n
6
9
1
13
18
13
25
nota
linea 15
> 12
2m + l
2m + l
y
f ip) assume
cp(ft)-(a)
= m
29 07»
sono
maggiore ovvero minore
doo
//<*
4
8-9
ultimo
31
e ò negativo ed in valor as-
soluto
leggasi
di « a
a?^ — A, »i + A
essendo
tali che ì valori corrispondenti di
f(m) differiranno
9(»)
\_
m
nt
2m+l
2n + l
f(m) assume
9(ò) — <p(a)
6d = m/
2^0?»
due
minore ovvero maggiore
CF*{aj)doo
4!
€ =
fi oanceUi
Invece di
%^o«
Pag. no linea 13
lo
97. lo —
> 117
5
7H
1+*
m
> Ì2A
> 148
7
10
■
1 1 ^ 1 *''*''
*^1— r ' (1— r)(l— r«)
> 150
11
«o+e^i
a?o+6^
» 153
17
r.<A,
r^<A,
> 172
14
Dx
» 173
2
D(x^aff, . .4
D(X^X2.'.X^
» 178
7
<p(a;)
(p(a?)
\\f(x)
» 188
11
ossia
ossia il limite di
» 190
3 dal fondo 0(0)
0^*)(O)
> 207
1
dt ^ dt
dz dz
dt ^ du
> 224
> 1
ultima
uc
u
> 245
11
<p(«t)
<P(Xi)
> 275
11
— 9
— y
» 277
8
di A' anità
di un'unità
> 282 formala (3;
n — 1
m -f- n
> » formala (4)
— '^— sen"»-»» oos»+* » d»
m4-n
— 7— jsen'»*-^ 003*0? do?.
m4-nj
1
.<
3 2044 050 756 360