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Full text of "Canti e versioni;"

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ANTI  E 


DI  GIACOMO  LEOPARDI 


PUBllCATI  CON  NUMEROSE  VARIANTI 


DI  SU  GLI  AUTOGEAFI  EECANATESI 


CAMILLO  ANTONA-TRAVERSI 


CITTA  DI  CASTELLO 

S.    LA  PI   TIPOGRAFO,    EDITORE 

1887 


PROPRIETÀ   LETTERARIA 


a^ 


ALLA    NOBILE    SIGNOEINA 

BICE  ANTONA- TRAVERSI 


Mia  dilettissima  Bice^ 


"  Negli  animi  che  amore  si  elegge  ad  abitare,  suscita 
e  rinverdisce,  per  tutto  il  tempo  che  egli  vi  siede, 
l'infinita  speranza  e  le  belle  e  care  immaginazioni  de- 
gli anni  teneri.  „ 

Queste  parole  che  Giacomo  Leopardi  lasciò  scritte 
nella  Storia  del  genere  umano,  mi  tornano  a  mente  ora 
che,  comjnuta  P opera  mia^  sto  per  intitolarla  al  tuo  dol- 
cissimo nome. 

A  nessuno  in  vero  meglio  che  a  te.  che  mi  fosti  compa- 
gna fedele  e  amorosa  per  ventidue  anni  vissuti  in  intima  e 
soare  comunione  s\  di  gioje  e  sì  di  dolori,  io  — che  son  nato 
ari  amare,  ho  amato,  e  forse  con  tanto  affetto  quanto 
può  mai  cadere  in  anima  vira  —  potrei  volger  la  mente, 
dando  alla  luca  alcuni  tra  gli  autografi  di  quel  sublime, 
quasi  divino  ingegno,  che  fu  Giacomo  Leoptardi,  onde 
tante  volte,  nella  giovinezza  nostra,  ptasseggiando  per  gli 
omhrosi  e  odorati  viali  del  nostro  "Desio,,,  abbiamo  letto  e 
commentato  insicìne  i  canti  immortali. 

Rivivere,  non  fo ss 3  che  un'' ora  di  quelle  care  memorie; 
ritornare,  fosse  pure  un  istante  solo,  a  quegli  anni  beati, 
quando  tutto,  a  cominciare  dal  volto  della.  Mamma  adorata, 


VI 


ini  sorrideva  cV  intorno  come  la  fiorente  primavera,  e  per 
me  la  suprema  —  sto  per  dire  —  la  sola,  la  forte  mia 
fjioja. 

Nessuna  amicizia,  ìnia  dolcissima  sorella,  sarà  mai  e 
poi  mai  uguale  alla  nostra,  eh*  e  fondata  in  tante  rimem- 
branze, che  è  antica  quanto  la  nostra  nascita;  e  se  e 
vero  —  e  io  certo  non  ne  dubito  —  che  niuna  forza, 
nittn  capriccio  umano,  puh  separare  due  cuori  che  si  sen- 
tono stretti  indissohd)ilmente  Viino  all^ altro,  io  vivrò  eterno 
nel  tuo  pensiero  e  nel  tuo  cuore,  come  tu  nel  mio. 

Dalla  lettura  e  dallo  studio  di  questi  canti  del  Poeta 
prediletto  della  nostra  giovinezza,  così  come  furono  fer- 
mati in  carta  le  prime  volte,  anche  tu,  mia  sorella, 
trarrai  grande  e  proficuo  ammaestramento.  Intjnderai 
meglio  ciò  che  io  ehhi  pia  volte  occasione  di  dirti  e  far- 
ti toccar  con  mano;  che,  cioì',  la  poesia  non  consiste  già 
nel  variare  il  materiale  del  verso  e  nelV  inventare  strava- 
ganti accopinamenti  nelle  strofe,  s)  bene  nel  variarne  il  so- 
stanziale, o,  meglio,  i  pensieri  e  i  sentimenti,  e  nel  dir  cose 
belle,  cose  grandi,  cose  molte,  con  semplicità,  con  forza,  con 
entusiasmo. 

Gradevolissima  e  assai   proficua  così  a   Teresita  (che 


VII 


le  Muse  lattar  jnii  cWaltra  mai)  come  a  te,  riuscirà  dun- 
que questa  mia  novella  e  laboriosa  fatica  ;  e  la  vostra  lode, 
che  so  di  meritare,  sarà  certo  il  jjremlo  più  hello  e  più 
ambito  alle  mie  amorose  lunghissime  cure. 

La  poesia  —  lasciamelo  dire  —  quando  e  grande  e  divi- 
na, ed  e  questo  il  caso,  tende  a  farci  fortemente  e  pienamente 
sentire  la  nostra  esistenza  sollevandola  di  là  dalle  noje  che 
V accompagnano:  dimentica  dunque  per  un  istante,  quando 
sorgono,  le  rare  nuvolette  che  abbuiar  possono  il  tuo  puris- 
simo cielo  di  fanciulla,  e  lascia  che,  dal  canto  mio,  ponga 
in  oblio  i  ìnolti  inali  che  mi  amareggiano  il  vivere. 

Sidjlime  effetto  della  poesia  immortale,  quello  di  ra- 
pire Vanimi  nostra  e  trasportarla  in  un  mondo  assai  mi- 
gliore, ove  tutto  e  purezza,  beatitudine,  serenità! 

Vivi  felice,  com.e  ne  sei  degna,  a  canto  a  nostra  madre, 
es^.mplare  di  ogni  bella  e  difficile  virtù  ;  e  rileggendo,  con  Te- 
rzsita,  gVimmortaU  canti  del  poeta  delle  Ricordanze  così 
come  sono  usciti  dalla  sua  penna,  lascia  che  le  tue  lab- 
bra pronunzino  spesse  volte  il  nome  dsi  tuo  affezionatis- 
simo  e  immutabile  fratello 

Camillo. 

Boma,  1'^  marzo  '87. 


PREFAZIONE 


PREFAZIONE 


Il  volume  che  ora  pnblico  e  che  mi  è  lecito 
sperare  dover  essere  grandemente  utile  e  prezioso 
agli  studj  letterarj  e  filologici,  contiene  la  ri- 
produzione fedelissima  de'  manosci'itti  di  alcuni 
componimenti  poetici  di  Giacomo  Leopardi.  Que- 
sti manoscritti  sono  conservati  gelosamente  dalla 
nobile  famiglia  Leopardi,  a  Recanati,  nella  ricca 
biblioteca  avita. 

Condottomi,  tre  amii  or  sono,  in  Recanati, 
ebbi  il  gentile  permesso  di  studiare  e  trascrivere 
quei  preziosi  manoscritti  dal  presente  conte  Gia- 
como Leopardi,  primogenito  di  Pier  Francesco. 
Sebbene  ora  possa  vantarmi  di  possedere  intiera 
Tamicizia  del  nobil  Uomo,  tre  anni  fa^  allor- 
ché andai  la  prima  volta  in  Recanati,  io  era  a  lui 
sconosciuto  di  persona  :  onde  tanto  maggiormente 
devo  essergli  grato  della  squisita  cortesia  che  gli 
piacque  di  usarmi. 


XII  PREFAZIONE 

Ora,  dunque,  per  me  si  publicano  in  questo 
volume,  a  vantaggio  sommo  degli  studj  e  delle 
lettere,  tutti  i  manoscritti  che  si  conservano  nella 
biblioteca  Leopardi.  Sono  pochi,  ed  è  doloroso. 
Eccone  l'elenco  : 

I Traduzione  del  primo  libro  della  Odissea. 

II Traduzione  del  secondo  libro  della   E- 

neide,  con  preambolo  al  Lettore. 

Ili Inno  a  Nettuno,  con  le  note. 

lY Sul  monumento  di  Dante  che  si  prepara 

IN  Firenze  {Canzone), 

Y Ad  Angelo  Mai  (Canzone). 

YI La  sera  del  giorno  festivo  (Idilìio). 

YII Alla  luna  (Idillio). 

YIII...  La  luna  o  la  ricordanza  (Idillio). 

IX Il  sogno. 

X Il  sogno  (Idillio). 

XI Imitazione. 

XII Canzone  per  una  donna  malata  di  ma- 
lattia  LUNGA   E   mortale. 

XIII...  Le  Rimembranze  (Idillio). 

Cinque  di  questi  manoscritti,  e,  per  fortuna, 
i  più  importanti,  sono  di  pugno  di  Giacomo,  vo- 
glio dire  la  canzone  Ad  Angelo  Mai;  la  canzone 
Bui  monumento  di  Dante;  Vlnno  a  Nettuno  con  le 
note;  il  primo  libro  della  Odissea;  il  secondo  li- 
bro della  Eneide.  Questi  sono  interamente  auto- 
grafi: gli  altri,  di  mano  della  sorella  Paolina  la 
quale,  insieme  con  Carlo,  era  il  fedele  e  amoroso 
copista  di  Giacomo.  *  Ma  anche  questi  manoscritti 


PREFAZIONE  XIII 

cU  mano  della  contessa  Paolina  hanno  grande  im- 
portanza a  cagione  dello  molte  varianti,  assolu- 
tamente INEDITE,  che  essi  contengono  [vedi  spe- 
cialmente r  Idillio  intitolato  :  La  sera  del  gioeno 
festivo]. 

Ho  detto  esser  cosa  dolorosa  che  questi  mano- 
scritti (e  specialmente  gli  autografi)  sieno  cosi 
pochi.  Certo,  nella  biblioteca  Leopardi  non  ce 
ne  sono  altri,  salvo  questi  da  me  trascritti  e  stu- 
diati. Parecchi  devono  essere  posseduti  da  An- 
tonio Ranieri  ;  e  sarebbe  una  vera  e  grande  fortuna 
che  qualche  valentuomo  autorevole,  amico  del  Ra- 
nieri, tentasse  e  venisse  a  capo  d' indurlo  alla 
preziosi-Bsima  publicazione  degli  aurei  autografi. 
Altri  manoscritti,  come,  ad  esempio,  la  canzone  fa- 
mosa AW Italia  {Qd  è  grave  jattura)  devono  essere 
stati  involati  da  una  tale  che  ingannò  sempre 
la  buona  fede  della  contessa  Paolina;  la  quale, 
come  ognun  sa,  rimase,  alla  morte  di  Pier  Fran- 
cesco, usufruttuaria  di  tutto  il  patrimonio  Leo- 
pardi. Il  furto  commesso  da  questa  femmina  sarà 
da  me  provato  in  un  mio  libro  di  imminente 
publicazione.^  Quanto  a  Carlo,  non  credo  recasse 
con  sé  manoscritti  di  Giacomo.  Egli,  come  tutti 
sanno,  si  divise  dalla  famiglia,  a  cagione  del  suo 
matrimonio  con  la  cugina  Paolina  Mazzagalli  — 
matrimonio  a  cui  il  conte  Monaldo  negò  il  suo 
assenso  —  e  più  non  ritornò  in  famiglia:  abitò 
sempre  il    palazzo  dei  Mazzagalli. 

Ma  la  maggior  parte  de'  manoscritti  dovettero 
essere  distrutti,  com'  è  naturale  supporre^,  dallo 
stesso  Giacomo.     Le  prime  bozze  dei  varj  Canti 


XIV  PREFAZIONE 

dovevano  certamente  rigurgitare  di  correzioni  e 
varianti  immensamente  preziose.  Ma  questi  aurei 
autografi,  questi  primi  abbozzi  sovraccarichi  di 
varianti,  lian  dovuto,  C(jm'  è  naturai  cosa,  essere  di- 
stratti dallo  stesso  Poeta  (almeno  per  la  maggior 
parte)  a  mano  a  mano  che  i  varj  Canti  erano  rico- 
piati in  netto  per  la  stampa.  Laonde  gli  auto- 
grafi, consegnati  dal  Poeta  in  diversi  tempi  ai  varj 
editori  delle  sue  cose  poetiche  —  e,  specialmente, 
de'  suoi  Canti  —  non  è  credibile  contenessero 
un  gran  tesoro  di  varianti.  Perocché  Giacomo 
era  scrupolosissimo  nello  scrivere  nettamente  l'ul- 
tima copia  definitiva  delle  sue  cose,  specie  quando 
la  copia  in  netto  doveva  essere  consegnata  alla 
stampa.  In  tali  copie  definitive,  il  Leopardi  abor- 
riva le  cancellature,  gli  sgorbj  e  tutto  ciò  che 
potesse  render  malagevole  al  tipografo  la  let- 
tura del  manoscritto.  Per  queste  ragioni,  non 
credo  che  gli  autografi,  consegnati  dal  Poeta  ai 
diversi  editori  de'  suoi  Canti,  contengano,  come 
ho  detto,  gran  tesoro  di  correzioni  e  varianti: 
e  quanto  ai  primi  abbozzi  e  alle  prime  copie  ma- 
noscritte, dovettero,  si  com'  è  naturale,  esser  di- 
strutte dallo  stesso  Poeta.  Tuttavia  potrebbe  es- 
sere opera  utilissima  il  fare  diligenti  indagini 
presso  gli  eredi  dei  varj  editori  leopardiani  per 
veder  modo  di  ritrovare  gli  autografi  che  il  Leo- 
pardi consegnò  a  quegli  editori.  Bisognerebbe  far 
ricerche  presso  gli  eredi  dello  Stella,  presso  quelli 
del  Brighenti,  del  Nobili  (Bologna),  della  Stam- 
peria delle  Muse  (Bologna),  di  Guglielmo  Piatti  (Fi- 
renze) e  di  Saverio  Starita  (Napoli).  Qualche  cosa. 


PREFAZIONE  XV 

forse,  si  verrebbe  a  capo  di  trovare,  e  potrebbe  an- 
clie  darsi  che  si  rinvenissero  autografi  importantis- 
simi. Bisognerebbe  anche  far  indagini  presso  gli 
eredi  di  quegli  uomini  illustri  i  quali  furono  le- 
gati di  calda  amicizia  al  nostro  Poeta,  e,  specia- 
lissimamente, presso  gli  eredi  delle  varie  nobil- 
donne ,  amate  o  vagheggiate  dal  Leopardi  in 
Bologna,  Firenze  e  altrove.  È  assai  facil  cosa 
credere  che  il  Leopardi,  nel  far  la  corte  a  quelle 
belle  e  sospirate  dame,  leggesse  loro  di  quando 
in  quando,  negli  eleganti  e  profumati  salotti, 
qualche  sua  nuova  poesia  :  tanto  più  quando  que- 
sta nuova  poesia  trattava  di  amore  ed  era  stata 
ispirata  al  Poeta  da  quelle  stesse  nobildonne.  Come 
è  possibile  che  l'innamorato  Giacomo  non  legges- 
se, in  tali  occasioni,  alle  donne  amate  i  versi  da 
loro  ispiratigli?  E  come  è  possibile  credere  che 
quelle  gentildonne  non  chiedessero,  e  ottenessero, 
dal  Poeta  l'autografo  prezioso? 

Ciò  non  ostante^  io  dubito  molto,  e  per  varie 
ragioni,  dell'esito  fortunato  di  co  teste  possibili  in- 
dagini. A  ogni  modo,  si  potrà  tentare.  Intanto 
è  mio  dovere  assicurare  il  lettore  di  una  cosa 
certa,  cioè  che  nella  biblioteca  Leopardi  non  sono 
altri  manoscritti  oltre  a  quelli  da  me  publicati  in 
questo  volume  a  utilità  somma  della  filologia 
e  dell'arte. 


XVI  TKEF  AZIONE 


IL 


Per  molte  ragioni,  che  qui  sarebbe  troppo 
lungo  enumerare,  ho  preferito  dar  fuori  questi 
manoscritti  secondo  l'ordine  con  cui  furono  pri- 
mieramente stampati,  e  non  secondo  quello  con 
cui  li  compose  l'Autore;  quantunque  le  date  dei 
varj  manoscritti,  contenuti  in  questo  volume, 
sieno  tutte  ben  certe  e  indubitate.  In  fatti,  ora 
si  conoscono,  in  modo  sicuro,  non  solo  le  da- 
te delle  traduzioni,  degl'  Idillj  e  delle  Canzoni 
((he  si  trovano  in  questo  volume) ,  ma  anche 
della  Imitazione,  il  cui  manoscritto  io  publico 
a  pagina  203.  Il  Pieretti,  tanto  benemerito 
della  cronologia  dei  Canti  leopai-diani,  mostrò 
acutamente,  in  un  suo  dotto  articolo,  la  vera 
data  di  questo  componimento.  Benché,  dunque, 
le  date  di  tutti  i  manoscritti  da  me  publicati 
sieno  ornai  conosciute  in  modo  certo  e  indubi- 
tato, pur  tuttavia  ho  preferito  dare  ad  essi  quello 
stesso  ordine  con  cui  vennero  la  prima  volta  alla 
luce:  perocché,  in  questo  volume,  non  è  mio 
intento  offrire  un  commentario  critico  (cosa  che 
farò  presto),  si  bene  solo  i  manoscritti  e  le  va- 
rianti di  cose  leopardiane  già  edite.  ^ 

I  varj  manoscritti  sono  da  me  riprodotti  tali 
e  quali,  con  scrupolosissima  esattezza  e  precisione. 
Tutto  ciò  che  é  scritto  in  carattere  corsivo  rap- 
presenta e  riproduce  i  pentimenti,  le  correzioni 
e  le  cancellature  del  Poeta:  il  carattere  tondo,  al 


PREFAZIONE  XVII 

contrario,  r.tppreseiita  il  tc^sto  publicato,  cioè  la 
lezione  definibivamente  prescelta  dall'Autore  nella 
prima  stampa  o  edizione  delle  varie  suo  cose.  In 
nota,  poi,  ho  messo  tutte  le  varianti  clie  s'in- 
contrano —  de'  varj  Canti  da  me  riportati  in  que- 
sto volume  —  nelle  edizioni  procurate  e  curate 
dallo  stesso  Poeta:  cioè  nella  edizione  di  Roma 
(1818),  in  quelle  di  Bologna  (1820,  1824  e  1826), 
nel  Nuovo  Ricogìitore  (1825-26),  nella  edizione  di 
Firenze  (1831),  in  quella  di  Palermo  (1834  —  seb- 
bene sia  ristampa  di  quella  di  Firenze  1831),  in 
quella  di  Napoli  (l'ultima,  la  definitiva  —  1835), 
e  in  quella  di  Firenze  (1836  —  sebbene  sia  ristampa 
della  edizione  di  Napoli  1835).  Oltre  di  die  ho  an- 
cora riportate  diligentemente  tutte  le  varianti  che 
incontransi  nella  prima  edizione  Le  Mounier  (1845, 
quella  curata  da  Antonio  Ranieri  —  l'ultima  an- 
che autorevole).  E  ciò  per  i  Canti ^  Idillj  e  Can- 
zoni che  si  trovano  in  dette  edizioni  e  sono  tra 
le  poesie  approvate  dalV autore  non  molto  tempo 
prima  di  morire.  Quanto,  poi,  alle  non  approvate 
cioè  Eneide,  Odissea,  Inno  a  Nettuno  ecc.),  mi 
sono  servito  delle  Riviste  e  dei  giornali  letterarj, 
in  cui  quelle  furono  la  prima  volta  date  fuori  a 
cura  del  Poeta  stesso;  e,  quindi,  della  riproduzione 
fattane  dal  Pellegrini  e  dal  Viani  nel  terzo  vo- 
lume della  edizione  Le  Mounier.  Nelle  note,  il 
modo  da  me  seguito  è  l'infrascritto:  per  le  varianti 
propriamente  dette  uso  il  carattere  tondo;  per  le  va- 
rianti non  propriamente  dette,  il  carattere  corsivo. 
E  intendo  varianti  non  propriamente  dette  quelle 
citazioni   che    stanno    solamente    a   indicare   una 


XVIII  PREFAZIONE 

differenza  d'inberpmizione  o  d'ortografìa,  ovvero 
l'aggiunta  o  la  sottrazione  di  qualche  particella 
grammaticale. 


III. 


Non  è  difficil  cosa  accertare  a  quali  edizioni 
dovettero  servire  i  nostri  manoscritti.  A  ca- 
gion  d'esempio,  quello  della  canzone  Sul  monu- 
ììiento  di  Dante  che  si  prepara  in  Firenze  dovet- 
te servire  (come  il  confronto  evidentissimamente 
mostra)  alla  edizione  romana  del  1818:  quello 
della  canzone  Ad  Angelo  Mai,  alla  edizione  bo- 
lognese del  1820:  quello  del  primo  libro  della 
Odissea  alla  stampa  fattane  nello  Spettatore  di 
Milano  (tomo  VI,  parte  italiana,  quaderni  65  e 
56,  30  giugno  e  15  luglio  1816):  quello  àeW  Inno 
a  Nettuno^  alla  stampa  fattane  nello  stesso  Spet- 
tatore (tomo  Vili,  quaderno  75-IIP  della  nuova 
serie  —  1*^  maggio  1817):  quello  del  secondo  libro 
della  Eneide,  alla  edizione  di  Milano  1817  co'  tipi 
di  Giovanni  Pirotta.  E,  sul  proposito  di  questo 
autografo,  è  mio  dovere  avvertire  che  di  esso  fu 
già  publicato  alcun  che  dal  signor  Domenico  Ci- 
cinelli  nel  1882  in  Frascati.  ^  Ma  la  publica- 
zione  fattane  dal  Cicinelli  è  tanto  incompiuta, 
mancante  e  inesatta,  che  era  assolutamente  ne- 
cessario rifarla  da  capo,  come  ho  fatto  io,  in  modo 
compiutissimo  ed  esattissimo.  D'altra  parte,  il  Ci- 
cinelli si  lasciò  guidare  da  criterj  e  intendi- 
menti   al    tutto    erronei    e    falsi.     Egli    credette 


PREFAZIONE  XIX 

eli  publicare  (o.  non  so  proprio  come  diamine  abbia 
potuto  credere  questa  evidente  assurdità  !)  non  già 
l'autografo,  tale  e  quale  usci  dalle  mani  del  Leo- 
pardi prima  ch'egli  si  accingesse  a  rilevarne  una 
nitida  copia  definitiva  per  la  stampa,  ossia  un  au- 
tografo totalmente  anteriore  alla  stampa;  ma  cre- 
dette, in  quella  vece,  di  publicare  un  autografo 
con  correzioni  e  rifacimenti  pò deriori  alla  stampa. 
Causa  di  questo  errore  del  Cicinelli  fu  un  passo 
di  una  lettera  al  Giordani,  in  cui  il  nostro  Poeta 
così  parla  della  sua  t  aduziolie  deìV Eneide:  "Nien- 
te m'  è  tanto  caro  quanto  l'intendere  i  difetti  di 
una  cosa  mia,  perchè  ne  conosco  l'immensa  uti- 
lità; e  mi  pare  che  visto  una  volta  e  notato  un 
vizio,  abbia  poi  sempre  in  mente  di  schivarlo. 
Ma  a  ninno  ardisco  chiedere  che  me  li  mostri,  per- 
chè so  essere  cosa  molestissima  il  ripescare  i  difetti 
di  un'o^^era,  singolarmente  quando  il  cattivo  è 
più  del  buono.  Intanto  ella  sappia  che  una  co- 
pia DEL  MIO  LIBRO  È  GIÀ  TUTTA  CARICA  DI  CORRE- 
ZIONI E  CANGI A.MENTI.  Vorrei  qualche  volta  essermi 
apposto  e  aver  levato  via  quello  che  a  lei  e  al 
Monti  dispiace,  mi  non  lo  spero  „.^  Questo  passo 
iìeìV Epistolario  leopardiano  fu  la  prima  cagione 
dell'errore  de4  Cicinelli.  Vero  è  che  il  Leopardi 
parla  di  correzioni  fatte  in  uua  copia  del  suo  libro ^ 
ossia  in  un  esemplare  sta  npato,  e  ciò  ammette 
lo  stesso  Cicinelli  ;  ma  il  bravo  Signore,  fondandosi 
sulla  nota  meticolosità  del  nostro  Poeta,  volle  sup- 
porre che  il  Leopardi  ripetesse,  per  maggior  sicu- 
rezza, le  sue  correzioni  anche  su  Vautografo  pri- 
mitivo. Con  un    po'  di  buona    volontà,  che   cosa 


XX  PKEFAZIONE 

non  si  può  supporre  e  credere?  Ma  se  il  desiderio 
di  maggior  sicurezza  indusse  il  Leopardi  a  ripe- 
tere in  più  copie  le  correzioni  e  i  cangiamenti^ 
perchè  non  le  ripetè  in  copie  stampate^  anziché 
nell'autografo,  quasi  indecifrabile,  irto  già  di  pre- 
cedenti cancellature  e  correzioni?  Vero  è  che  il 
Cicinelli  fu  ajutato,  in  questa  sua  ingegnosa  fan- 
tasticheria, da  un  fatto  che,  sebbene  spiegabilis- 
simo, è  pur  curioso  e  straordinario.  Il  fatto  è  que- 
sto: in  un  luogo,  una  intera  correzione  (consistente 
in  tre  o  quattro  versi  senza  alcuna  cancellatura) 
è  sovrapposta  a  tr«  o  quattro  versi,  che  si  leggono 
nella  edizione  milanese  del  Pirotta  e  in  quella  del 
Le  Mounier,  e  che  nell'autografo  primitivo  sono 
cancellati.  Questo  fatto  è  veramente  un  po'  cu- 
rioso ;  ma  non  doveva  trarre  in  inganno  un  inge- 
gno acuto  e  perspicace  come  quello  del  Cicinelli. 
In  fatti,  se  egli  avesse  osservato  che  di  parecchie 
correzioni,  non  apparse  nelle  edizioni  Pirotta  e 
Le  Mounier,  alcune  parole  sono  sovrapposte,  senza 
cancellatura,  a  parole  cancellate,  e  altre  sono  in- 
frapposte e  intercalate,  senza  disagio  e  senza  an- 
gustia di  spazio,  ad  altre  parole  cancellate^  egli 
avrebbe  avuto  in  mano  la  chiave  dell'enigma,  e 
non  sarebbe  caduto  nel  suo  ingenuo  errore.  Mi 
spiego  meglio  :  di  correzioni,  senza  cancellatura^ 
sovrapposte  a  versi  cancellati^  e  pur  riprodotti 
nelle  edizioni  Pirotta  e  Le  Mounier,  se  ne  in- 
contrano diverse  nell'autografo  primitivo  ;  ma  di 
tali  correzioni  cjxa  sola  è  interamente  sovrap- 
posta: tutte  le  altre  sono,  in  parte  sovrapposte, 
ili    j)arte    intercalate    e    infrapposte    alle    parole 


PREFAZIONE  XXI 

cancellate,  senza  disagio  e  senza  angustia  alcuna 
eli  spazio  Ora,  quando  di  una  stessa  e  sola  cor- 
rezione una  parte  è  sovrapposta  e  un'altra  parte 
intercalata  senza  disagio  alle  '  parole  cancellate, 
non  si  può  mai  credere,  panni,  che  la  correzione 
sia  posteriore  alla  stampa.  Piuttosto  bisogna  in- 
ferire che  il  Poeta,  nel  rilevare  dall'autografo 
primitivo  la  copia  da  spedirsi  definitivamente  alla 
stampa,  abbia  talora  ripudiato  le  correzioni  fatte 
e  creduto  preferibile  la  lezione  cancellata.  E  ciò 
a  me  sembra  matematicamente  certo  e  incon- 
trastabile. Ora,  se  questo  deve  credersi  delle  cor- 
rezioni metà  sovrapposte  e  metà  intercalate,  panni 
che  il  medesimo  deva  credersi  di  quell'unica  tn- 
teramente  sovrapposta.  Il  Poeta,  nel  ricopiare  l'ul- 
tima volta  per  la  stampa,  il  suo  manoscritto, 
s'accorse  esser  preferibile  la  lezione  cancellata, 
e  la  scelse  definitivamente.  In  fatti  (per  parlare  so- 
lamente della  correzione  più  importante,  ossia  di 
quella  interamente  sovrapposta),  il  Poeta  s'accorse, 
ricopiando  il  manoscritto  per  la  stampa,  di  pa- 
recchie mende  visibilissim3  che  trovavansi  in  essa 
correzione.  Per  citarne  una  sola  (che  voglio 
esser  breve),  egli  si  avvide  di  una  fastidiosissima 
ripetizione  di  uno  stesso  vocabolo,  alla  brevissima 
distanza  di  quattro  versi.  E  causa  del  suo  accor- 
gersi fu  l'aver  ricopiato  allora  allora  i  versi  pre- 
cedenti alla  correzione:  laonde,  giunto  a  questa 
correzione,  e  trovandovi  (oltre  alcune  altre  mende) 
fastidiosamente  ripetuto  un  vocabolo  che  egli  aveva 
ricopiato  un  minuto  iananzi,  abbandonò  la  corre- 
zione   fatta  e  accettò    definitivamente    la    lezione 


XXII  ITtEFAZIONE 

cancellata.  Ma,  volando  anche  concedere  al  big. 
Cicinelli,  con  infiiiLti  iiidiil^enzi,  che  questa  cor- 
rezione sia  ver.imente  posteriore  alla  stampa,  o, 
almeno,  che  possa  esser  tale,  carne  fa  egli  a  spie- 
gare che  le  correzioni,  in  veci  di  essere  i.ntfinite 
(secondo  ci  fa  sapere  lo  stesso  Leopardi),  sieno 
uxA  sola'?  Abbiamo  visto,  in  fatti,  che  le  altre  cor- 
rezioni, metà  sovrapposte,  e  metà  intercalate  senza 
disagio,  non  possono  credersi  in  vernn  modo  po- 
steriori alla  stampa. 

Resterebbe,  dunqne,  questa  sola  correzione, 
che  è  interamente  sovrapposta.  Ma  una  sola  corre- 
zione è  troppo  poca  cosa  e  troppo  discorda  tal 
miseria  dalla  abbondanza  accennata  chiaramente 
dal  Leopardi  in  una  sua  lettera  allo  stesso  Gior- 
dani: "Se  questa  avesse  potuto  trovarvi  prima 
che  partiste  per  Milano^  v'avrei  pregato  che  vi 
faceste  dare  dallo  Stella  qualche  copia  del  secondo 
dell'Eneide  da  donare  a  qualcuno  degli  amici 
vostri,  avvertendoli  eh'  ella  è  opera  non  limata, 
dove  l'autore  ha  corretti,  doj^o  la  stampa,  e  mu- 
titi iN"Fi>r[Ti  LuoaHr,  e  in  ispecie  cancellata  tutta 

QUANTA    LA    STENTATISSIMA    PKEFAZTOXE  „  .''       Infiniti 

litighi  dice  il  Leopardi;  e  qui,  in  vece,  sarebbe 
un  luogo  solo!  Oltre  a  ciò,  il  Leopardi  afferma  di 
aver  cancellata  tutta  quanta  la  prefazione:  e  nel 
nostro  autografo  non  trovasi  traccia  alcuna  di 
questa  universale  e  generale  cancellatura.  Dunque, 
queste  infinite  correzioni  e  queste  generali  can- 
cellature non  furono  ripetute  nel  povero  auto- 
grafo primitivo  (come  fantastica  il  Cicinelli)  ;  ma 


PREFAZIONE  XXIII 

faite  solamonte  su  nitide  copie  stampate,  e,  pro- 
babilmente, sopra  una  sola  copia. 

Del  resto,  le  differenze  tra  questo  autografo 
e  le  note  edizioni  non  si  ristringono  mica  alle  cor- 
rezioni e  agli  emendamenti.  In  alcuni  luoghi  tro- 
viamo notevoli  differenze,  anche  quando  Vanto- 
grafo  non  porta  correzione  alcuna.  Non  fo  citazioni 
perchè  lo  stesso  Cicinelli  ha  già  osservato  e  rile- 
vato questo  fatto.  E  che  significa  ciò?  significa 
che  non  sempre  la  lezione  prescelta,  e  rimasta 
senza  cancellatura  in  questo  autografo  primitivo, 
fu  poi  seguita  dal  Poeta  nella  copia  definitiva  per 
la  stampa.  Son  poche  differenze  e  di  picciola  im- 
portanza, lo  concedo  (e  perciò  io  potei  affermare 
più  sopra  che  questo  autografo  servi  per  l'edizione 
del  Pirotta),  ma  bastano  per  aggiungere  un  va- 
lido rinforzo  alla  confutazione  della  ingegnosa 
fantasticheria  del  Cicinelli. 

Dunque,  riepilogando,  nessuna  delle  correzioni 
che  s'incontrano  nell'autografo  della  Eneide^  da  me 
publicato  esattissimamente  in  questo  volume,  è,  o 
può  essere,  posteriore  alla  stampa.  Certo,  deve  de- 
j)lorarsi  grandemente  che  non  si  trovi,  o  non  si  sia 
trovata  finora,  quella  copia  stampata  in  margine  al- 
la quale  il  Leopardi  aveva  segnate  infinite  correzio- 
ni; ma  è  anche  certo  che  queste  correzioni  preziose, 
fatte  dopo  la  stampa  (come  assevera  lo  stesso  Leo- 
pardi), non  hanno  a  far  nulla  con  le  correzioni  del 
nostro  autografo.  Probabilmente,  quella  tal  copia 
stampata,  con  postille  e  correzioni  manoscritte  del 
Poeta  stesso,  deve  trovarsi  o  a  Bologna,  o  presso  il 


XXIV  PREFAZIONE 

Eanieri;  ma  più  ve risimil niente  trovasi  a  Bologna 
e,  forse,  presso  gli  eredi  del  Briglionti.  In  fatti,  nel 
1825^  quando  il  Leopardi  si  condusse  in  Bologna, 
gli  fu  disegnata  una  edizione  delle  sue  Opere  com- 
plete. E  avendo  egli,  naturalmente,  lasciato  a  Re- 
canati  tutte  le  cose  sue  —  precedentemente  publi- 
cate  in  giornali  od  opuscoli,  o  tuttora  manoscritte 
—  scrisse  in  gran  fretta  al  fratello  Carlo  (9  novem- 
bre, 1825)  indicandogli  i  luoghi  dove  quelle  sue 
cose  si  trovavano  e  pregandolo  a  spedirgliele  sol- 
lecitamente. E  avendo  Carlo  dimenticato  nella 
spedizione  il  secondo  della  Eneide  e  Vlnno  a  Net- 
tuno, Giacomo  gli  riscrive  (23  novembre,  1825) 
dicendo  :  "  Occorrerà  il  Virgilio  e  l' Inno  postil- 
lati, e  ti  dirò  poi  come  bisogni  spedirli  ^^P  Carlo 
gli  mandò  subito,  col  mezzo  sicuro  del  Setacci, 
il  Virgilio  e  Vlnno  postillati,  e  Giacomo  gliene 
accusò  ricevuta  con  la  sua  del  9  decembre  1825. 
L'edizione  pomposa  delle  Opere  complete  andò  poi 
in  fumo;  ma  il  Virgilio  e  Vlnno  postillati  non 
ritornarono  più  a  casa.  Se  quelle  stampe  postil- 
late non  furono  distrutte,  devono  trovarsi,  dun- 
que, a  Bologna  presso  gli  eredi  del  Brighenti  o 
quelli  del  Nobili,  o  presso  quelli  della  Stamperia 
delle  Muse.  Ma  può  anche  darsi  che  il  Leopardi  le 
ritirasse  e  le  recasse  finalmente  a  Napoli  con  se, 
lasciandole,  preziosa  eredità,  al  Ranieri.  Ma  che 
che  sia  di  ciò,  è  ben  certo  e  indubitato  che  le  cor- 
rezioni, fatte  dopo  la  stampa,  non  hanno,  ripeto, 
a  far  nulla  con  quelle  che  si  leggono  nell'auto- 
grafo da  me  publicato  in  questo  volume. 

Prima  di  cessar  di  parlare  di  questo  autografo 


PREFAZIONE  XXV 

della  Eneide,  sento  la  necessità  di  avvertire  clic 
in  quei  pochi  luoghi,  ne'  quali  le  correzioni  fu- 
rono abbandonate  dalla  stampa  e  ne'  quali  le  pa- 
role cancellate  rappresentano  la  lezione  definitiva, 
io  ho  creduto  bene  discostarmi,  eccezionalmente, 
dal  metodo  accennato  più  sopra.  In  fatti,  sebbene 
il  Leopardi  nella  copia  definitiva  per  la  stampa 
cangiasse  di  avviso,  pur  tuttavia  non  si  può  negare 
che  in  questo  autografo  la  lezione  cancellata  rap- 
presenta la  ripudiata,  e  quella  senza  cancellature 
rappresenta  la  prescelta.  Sia  pure  scelta  momen- 
taneamente e  provvisoriamente,  ma  non  si  può  ne- 
gare che  non  apparisca  chiaramente  accettata.  Per- 
ciò, in  questi  pochi  luoghi,  il  carattere  tondo  rap- 
presenta la  lezione  finalmente  ripudiata  nella 
stampa;  e  il  carattere  corsivo,  la  lezione  finalment?. 
ripresa  e  accettata  nella  stampa.  Ho  creduto  ne- 
cessario avvertire  il  lettore  su  questa  lievissima  e 
ragionata  eccezione  al  costante  metodo  da  me  sem- 
pre seguito. 

E/itornando  ora  al  proposito  mio,  concludo 
con  l'osservare  che  i  cinque  manoscritti  sopra 
menzionati,  interamente  autografi,  servirono  evi- 
dentemente alla  prima  edizione  di  qaei  componi- 
menti. Certo,  Giacomo  dovette  rilevar  da  questi 
la  copia  definitiva  per  la  stampa,  copia  nitida- 
mente scritta  con  minuziosa  accuratezza  da  bene- 
dettino. Co&l  s'intende  di  leggieri  come  i  cinque 
preziosi  manoscritti  sieno  rimasti  in  casa  Leopardi. 

Quanto  ai  manoscritti,  particolare  fatica  di  Pao- 
lina, sono  di  piccolissimo  momento  quei  tre  che  io 
ho  riprodotiio  da  una  raccolta  manoscritta  di  poesie, 


XXVI  PREFAZIONE 

dedicata  dalla  buona  sorella  di  Giacomo  alla  ne- 
potina  Virginia,  figlia  di  Pier  Francesco.  Dico  che 
quei  tre  brevi  manoscritti  sono  di  piccolissima 
importanza,  perchè,  evidentissimamente,  una  co- 
pia fatta  su  l'edizione  Le  Mounier  del  1845.  A^i 
s'incontra,  è  vero,  qualche  lievissima  differenza  di 
interpunzione,  di  accenti  e  simiglianti;  ma  ciò  è 
da  attribuirsi  chiaramente  a  una  omissione  fem- 
minile e  a  inesattezza  di  trascrizione.  Tuttavia, 
per  iscrupolo  di  coscienza,  ho  voluto  ugualmente 
riprodurli  con  fedeltà:  essi  sono  il  settimo,  il 
nono  e  Vundecimo  di  questa  raccolta.  Ma  se  l' im- 
portanza de'  medesimi  è  ben  picciola,  hanno,  in 
quella  vece,  importanza  somma  tutti  gli  altri  ma- 
noscritti, fattura  della  stessa  Paolina,  da  me  ri- 
prodotti esattamente  di  su  le  Miscellanee  mano- 
scritte della  colta  e  buona  Contessa.  Essi,  in 
fatti,  ci  offrono  la  sconosciuta  lezione  primitiva 
dQgVIdillj,  quale  dovette  essere  al  primo  getto. 
Contengono  varianti  totalmente  inedite  e  scono- 
sciute, preziosissime.  La  buona  e  ingegnosa  Pao- 
lina, vero  angelo  di  casa  Leopardi,  era  smaniosa 
di  letture  e  di  operosità  intellettuale  :  tanto  sma- 
niosa di  operosità,  che  fa  sempre  un  ajuto  prezioso 
a  tutti  quanti  della  famiglia.  Monaldo  e  Giacomo 
si  valsero  sommamente  delle  amorose  collabora- 
zioni della  buona  Paolina.  Giacomo  se  ne  giovava 
anzi  in  più  modi;  ma,  specialmente,  si  valeva 
di  lei  come  copista  diligente  e  infaticata.  Jn 
compenso,  le  confidava  e  donava  le  primizie  delle 
sue  composizioni.  E  l'ottima  sorella,  tutta  al- 
tera   e    superba   del   genio    del    fratello,    correva 


PKEFAZIUNE  XXVII 

a  copiarle  subito  nelle  sue  Miscellanee  manoscritte, 
a  canto  a  brani  di  poeti  sommi.  Cosi  accadde 
che  fossero  conservati  questi  preziosi  manoscritti 
che  rappresentano  la  primissima  lezione  di  parec- 
chi Idillj. 

Alquanto  minore  importanza  ha  il  manoscritto 
della  Canzone  per  iena  donna  malata  di  malattia 
lunga  e  mortale:  tuttavia,  essendo  l'unico  mano- 
scritto veramente  autorevole  che  si  abbia  di  que- 
sta Canzone  giovenile,  ho  creduto  cosa  utilissima  il 
riprodurlo  esattissimente.  Esso  varrà  a  correggere 
parecchi  erroruzzi,  scorsi  nelle  stampe  precedenti 
di  questa  Canzone,  e,  specialmente,  l'arbitraria  in- 
terpunzione del  D'Ancona  e  del  Viani.  Varrà,  poi, 
a  ripristinare,  nell'ultimo  verso  della  strofe  quinta, 
la  genuina  lezione  di  conterem,  bandita  arbitria- 
mente,  nella  edizione  del  Viani,  e  sostituita  da 
un  falso  canterem.  ^  Il  Viani,  a  pagina  229  della 
sua  Appendice  all'Epistolario,  volendo  render  ra- 
ragione  di  questo  curioso  cambiamento,  dice: 
"Accetto  canterem,  come  più  cònsono  a  ^jo^ò^/a  „ . 
Numi  del  cielo!  Che  ha  da  fare  qui  la  poesia'^ 
Il  Lsopardi  dice:  "  confortati,  che  risanerai  cer- 
tamente :  la  tua  malattia  non  è  (non  posso  in- 
durmi a  crederlo)  di  quelle  che  non  si  raccontano-, 
anzi  presto  ti  riavrai  dal  morbo  crudele,  e  tu  po- 
trai, insieme  con  me  e  co'  tuoi  cari,  raccontare 
agli  amici  e  ai  conoscenti  le  peripezie  e  le  pene 
sofferte  „.  Nelle  Marche  (e  credo  anche  altrove)  è 
comunissimo  questo  modo  di  dire.  Volendo,  per 
esempio,  significare  che  una  malattia  è  gravissima 
e  mortale,  il  Marchigiano  dice  :  "  bada,  che  tu  ìion 


XXVIII  PREFAZIONE 

la  potrai  raccontare!  „  E  volendo,  in  vece,  signi- 
ficare che  si  spera  di  non  soccombere  a  un  peri- 
colo o  a  un  infortunio,  i  Marchigiani  dicono: 
"  Hperiani)  di  poterla  raccoìitare  „.  Dunque,  \d^  poe- 
sia non  ha  proprio  che  vedere  con  questo  conte- 
rem  della  canzone  leopardiana.  Il  Poeta  dice  sem- 
plicemente: "  voglio  sperare  che  la  tua  malattia 
sia  di  quelle  che  si  possono  poi  raccontare.  „ 

Quanto  alla  prosa^  che  il  Bernardi  prima,  e 
il  Viani  dopo^  preposero  a  questa  Canzone  col  ti- 
tolo di  Proemio^  io  opinai  tempo  addietro  ^  che 
non  avesse  a  far  nulla  con  la  Canzone  e  fosse  un 
pensiero  a  sé  e  indipendente  da  essa.  Fermo  in 
questa  credenza,  non  so  in  fatti  capire  come 
quegli  egregj  signori/'^  per  il  semplice  gusto  di 
appiccicar  alla  Canzone  (scritta  nel  1818)  un  Proe- 
mio qualsiasi,  sieno  proprio  andati  a  pescar  un 
brano  di  prosa,  la  cui  origine,  o  m'inganno,  va 
cercata  altrove.  Ecco  il  giudicio  uman  come  spesso 
erra! 


IV. 


Quel  celebre  detto  di  Buffon,  che  il  genio  non 
è  altro  che  una  lunga  pazienza,  viene  confermato 
dall'esame  dei  manoscritti  de'  grandi  scrittori.  Da 
questo  esame  rileviamo,  con  nostro  stupore  grande, 
quanto  infinito  lavoro  di  pazientissime  elimina- 
zioni, di  rifacimenti,  di  sostituzioni;  quanta  len- 
tezzi  di  formazione  organica;  quanta  minuzia  e 
incontentabilità  scrupolosa  di  emendamenti  sieno 


i'REFAZIONE  XX  iX 

cosiate  composizioni  e  scritture,  che,  o  per  la 
veemenza  concitata  degli  affetti,  o  per  la  schiet- 
tezza organica,  morbida,  spontanea  dello  stile,  sem- 
brano qua^i  improvvise  e  nate  di  nn  solo  getto  ! 
I  manoscritti  del  Petrarca  sono  rigurgitanti 
di  emend.imenti,  di  non  placet^  di  rifacimenti: 
l'Ariisto  rifece  ben  trenta  volte,  assicurasi,  l'ot- 
tava famosa: 

La  verginella  è  simile  alla  rosa. 

Una  sola  ottava  del  Tasso  costò  dieci  o  dodici 
grandi  fogli  di  correzioni,  cancellature,  rifacimenti . 
Il  Foscolo,  e  chi  noi  sa?,  correggeva,  mutava,  li- 
mava, rifaceva,  migliorava  incessantemente  :  i  ma- 
noscritti del  Giusti  sono  un  arsenale  di  cancella- 
ture, di  sgorbj,  di  sovrapposizioni.  Le  famose  e 
bellissime  ariette  del  Metastasio,  che  sembrano  im- 
provvisate, son  venute  fuori  da  una  moltitudine 
infinita  di  correzioni  e  ricomposizioni. 

Come  la  natura,  nella  formazione  degli  orga- 
nismi più  nobili,  procede  con  una  lentezza  e  pa- 
zienza infinita  e  con  un  lavorio  incessante,  infa- 
ticato, di  eliminazioni,  assimilazioni  e  modificazioni 
sottilissime  e  lentissime;  così  gli  scrittori  grandi 
pervengono,  a  traverso  un  lunghissimo  lavorio  di 
correzioni  e  rifacimenti,  alla  formazione  organica 
e  perfetta  dei  loro  capilavori.  Quanto  più  lenta, 
laboriosa,  solenne  fu  la  formazione  di  un'  opera 
d'arte,  tanto  più  lunga,  solenne  e  trionfale  sarà 
la  sua  vitalità  e  la  sua  gloria.  Da  ciò  può  in- 
ferirsi quanto  effimera  e  ignobile  vita  debbano  a- 
vere  le  opere  d'arte  che  escono  e  sono  uscite  a' 


XXX  PREFAZIONE 

giorni  nostri,  le  quali  tutte  furono  improvvisate 
in  due  o  tre  mesi  e,  fors'  anche,  in  due  o  tre  set- 
timane soltanto  ! 

Ma,  per  ritornare  al  proposito  mio,  chi  non 
vede  l'immensa  utilità  che  può  e  deve  derivare  agli 
studj  dal  sorprendere  quel  lento  lavorio  occulto, 
di  correzioni  o  rifacimenti,,  nelle  opere  de'  grandi 
scrittori?  E  appunto  la  speranza  di  apportare  agli 
studj  questa  immensa  utilità  mi  fu  sprone  a  stu- 
diar pazientemente  e  riprodurre  con  grande  fe- 
deltà i  manoscritti  leopardiani  che  veggono  la 
luce  in  questo  volume. 

Della  eterna  incontentahilità  del  Leopardi  nel 
comporre  le  cose  sue  è  buon  testimonio  YEpisto- 
ìario.  Chi  esaminerà,  poi,  con  diligente  attenzione 
i  manoscritti  che  io  do  fuori,  troverà  in  essi  una 
conferma  di  quella  eterna  incontentabilità.  E  qui 
stimo  opportuno  riportare  alcune  parole  del  Cici- 
nelli  sul  proposito  del  manoscritto  autografo  del 
secondo  della  Eneide^  che  fanno  assai  bene  al  caso 
mio:  "  Io  credo  che  quest'autografo  sia  il  primo 
manoscritto  e  non  già  una  copia  trascritta  dallo 
stesso  autore  ;  imperocché  sono  tanti  i  ricordi,  le 
cancellature,  le  variazioni,  i  riscontri  che  si  scorgo- 
no in  esso,  che  fanno  vedere  chiaramente  la  mano 
che  tentenna  nell'accettare  l'una  parola  più  che 
l'altra;  una  frase,  una  espressione  a  preferenza  di 
un'altra;  tornando  più  d'una  volta  a  cancellare  e  a 
riscrivere  quel  che  già  aveva  rifiutato;  e  poi  di 
nuovo  a  cancellare  la  medesima  cosa  in  sulla  stessa 
linea.  Cosi  pare  si  può  notare  che,  cominciato  il 
verso  in  un  moda,  lo  canc?lla  per  cominciarlo  di- 


PREFAZIONE  XXXI 

versamente  e  posticipare  quel    che    prima  aveva 

cancellato Cosi,  a  mo'  d'esempio,  nel  verso  29 

prima  aveva  cominciato  a  scrivere:  empion  d'ar- 
mati, e,  poi,  dopo  aver  fatto  un  tratto  di  penna  su 
quell'espressione,  scrive  :  E  le  spaziose  grotte  em- 
pion  d'armati.  E  nel  verso  545  è  oltremodo  incerto 
se  debba  porre  indarno  o  invano;  e  dopo  aver  can- 
cellato e  riscritto  or  l'uno  or  Taltro  vocabolo,  final- 
mente f;crive  indarno^. ^^  E  quanto  alla  diligenza 
minutissima  e  scrupolosa  con  cui  il  Leopardi  era 
solito  curare  la  composizione  tecnica  e  stilistica 
de'-  suoi  scritti,  non  esclusi  certo  le  virgole  e 
i  punti  e  virgola,  basti  riportare  questo  passo  di 
una  lettera  al  Briglienti  (5  dicembre,  1823J  :  ^  La 
punteggiatura  (nella  quale  io  soglio  essere  sofi- 
stichissimo)  è  regolata  nel  manoscritto  così  dili- 
gentemente, che  non  v'è  pure  una  virgola  che  io 
non  abbia  pesata  e  ripesata  più  volte  e  però  anche 
questa  parte,  che  è  molto  facile  a  esser  trasan- 
data da  chi  corregge,  ve  la  raccomando  caldissima- 
mente„.^'  Cosi  il  Leopardi  stesso;  e  il  Cicinelli, 
applicando  queste  parole  al  manoscritto  della  F- 
neide,  soggiunge  :  "  Della  quale  esattezza  a  iosa 
se  ne  ha  nell'autografo,  in  cui  (il  Poeta)  è  atten- 
tissimo nel  cancellar  bene  una  virgola  fuor  di 
luogo;  nel  torre  un  accento  che  gli  usci  inav ver- 
tentemente, o  che  fu  solo  uno  scorso  di  penna,,. ^'^ 
E  questo  che  il  Cicinelli  dice  del  manoscritto  au- 
tografo della  Eneide,  può  dirsi  di  tutti  gli  altri 
autografi,  contenuti  in  questo  volume.  E  quanta 
fosse  la  lentezza  e  la  pazienza  con  cui  il  Leopardi 
veniva  elaborando  le  sue  sudate  composizioni,  e, 


XXXII  PREFAZIONE 

specialmente,  la  parte  tecnica  delle  medesime,  può 
rilevarsi  da  quest'altro  brano  di  una  lettera  al 
Melchiorri  (5  marzo,  1824)  :  "  Io  non  ho  scritto 
in  mia  vita  se  non  pochissime  e  brevi  poesie. 
Nello  scrivere,  non  ho  mai  seguito  altro  che  un'i- 
spirazione o  frenesia,  soppraggiungendo  la  quale 
in  due  minuti  io  formava  il  disegno  e  la  distri- 
buzione di  tutto  il  componimento.  Fatto  questo, 
soglio  sempre  aspettare  che  mi  torni  un  altro 
momento  di  vena:  e  tornandomi  fche  ordinaria- 
mente non  succede  se  non  di  là  a  qualche  mese), 
mi  pongo  allora  a  comporre;  ma  con  tanta  leìi- 
tezza,  che  non  mi  è  possibile  terminare  una  poe- 
sia, benché  brevissima,  in  meno  di  due  o  tre  setti- 
mane^^}^  Questo  aureo  luogo,  e,  specialmente,  le 
ultime  parole  da  me  sottolineate,  rivelano  chia- 
ramente quanto  lenta  e  sudata  elaborazione, 
quanto  scrupolosa  incontentabilità  ponesse  il  Leo- 
pardi nel  fermare  in  carta  le  sue  mirabili  compo- 
sizioni. 

Preziosissima,  quindi,  agli  studj,  alle  lettere  e 
all'arte  sembrami  dover  riuscire  la  publicazione 
di  varj  manoscritti  primitivi  del  sommo  Recana- 
tese. 


E  ora  stimo  utile  additare  al  cortese  lettore 
alcune  principali  varianti,  contenute  in  questi 
manoscritti,  perchè  possa  rilevarne  fin  d'ora  l'im- 


PREFAZIONE  XXXIII 

portanza  somma.     Non  le  accompagnerò  di  com- 
mento :  parlano  a  bastanza  chiaramente  da  se. 

Prendiamo  il  manoscritto  autografo  della  can- 
zone Sul  monumento  di  Dante. 


Da  prima  il  Poeta  avea  scritto: 

O  Italia,  0  Italia^  i  tuoi  passati  onora 

Poi  che  di  tali  spirti 

Oggi  vedove  son  le  tue  contrade  ; 

poi  corresse  nel  modo  infrascritto: 

0  Italia,  a  cor  ti  stia 

Far  a  i  passati  onor,  che  tValtrettali 

Oggi  vedove  son  le  tue  contrade. 

Da  prima  avea  scritto  : 

Come  a  la  mente  accesa 

Rinforzerei  la  vampa  e  lo  splendore? ; 

poi  corresse  cosi: 

Come  a  la  mente  accesa 

Crescerà  novi  r.xggi  e  novo  ardore  ì^ 

e,  da  ultimo,  ricorresse  nel  modo  seguente  : 

*SÌ  che  nell'alma  accesa 

Nova  favilla  indurre  ahhian  valore  f 

Eccovi  poi  due  versi  curiosi^  corretti  e  rifatti  dal- 
l'incontentabile  Poeta  ben  cinque  volte: 


XXXIV  PREFAZIONE 

Or  tale  e  fatta  cJi'appo  quel  che  vedi, 
Allor,  dirai,  fu  nobile  e  reina, 

che  furon  corretti  la  prima  volta  cosi  : 

Ora  e  tal  che  rispetto  a  quel  che  vedi, 
Allor  fu  nobilissima  e  reina  ; 

e  la  seconda  volta  : 

Ora  è  tal  che  rispetto  a  quel  che  vedi 
Allor  fu  beatissima  e  regina; 

e  la  terza: 

Allor  beata  pur  {qualunque  intende 
yl'  novi  affanni  suoi)  donna  e  reina; 

e  la  quarta: 

Oggi  ridotta  sì  che  a  quel  che  vedi, 
Fu  fortunata  allor  donna  e  reina. 

Andiamo  innanzi.    Primieramente  il  Poeta  aveva 
scritto  : 

Taccio  ogni  altro  nemico,  ogni  altra  sorte 
Ma  non  la  Francia  scellerata  e  cruda 
Per  cui  fin  presso  a  morte 
Giunse  l'Italia  mia  distesa  e  nuda; 

e  poi  corresse  in  cotal  guisa  : 

Taccio  gli  altri  nemici  e  Pali  re  doglie 
Ma  non  la  Francia  scellerata  e  nera 


PREFAZIONE  XXXV 

Per  cui  presso  a  le  sojlie 
Vide  l'Italia  mia  Valtima  sera. 

E    veramente   fece   assai   bene    a   correggere    in 

quest'ultimo  modo,  perchè   quel  giungere   distesa 

e  nuda  fin  presso  a  morte  era  a  bastanza  goffo  e 

stentato. 

Ma  procediamo  innanzi.  In  prima  aveva  scritto: 

Perchè  vedemmo  noi  sì  feri  tempi  ?, 
e  poi  corresse  in  simil  guisa: 

Perchè  venimmo  a  sì  perversi  tempi  ? 
Anche  aveva  scritto  in  principio: 

Scemar  potemmo  il  duol  che  la  stracciava, 

e  poi  corresse  jiel  modo  seguente  : 

Lo  spietato  dolor  che  la  stracciava 
Ammollir  ne  fu  dato. 

Più  sopra,  nella  terza  strofe,  aveva  scritto  in 
sulle  prime  : 

Ma  come  a  voi  convertir  assi  il  canto  ?, 

dove  quel  latinismo  aspro  e  forzato  del  verbo 
convertirassi  spiacque  al  gusto  squisito  del  Leo- 
pardi, che  corresse  subito: 

Ma  come  a  voi  dirizzerassi  il  canto? 


XXXVI  PRKFAZIONE 

Così,  nella  quarta  strofe,  aveva  scritto  da  prima: 
E  spro:il  anttl  pramoi-avvi  ul  seno, 

dove  quel  vocabolo  sproni  sembrò,  forse,  troppo 
cavallino  al  delicato  Poeta,  che  corresse: 

Ed  acri  punte  premeravvi  al  seno. 

Ritornando  alla  strofe  ottava,  troviamo  un  verso 
corretto  e  rifatto  ben  quattro  volte  : 

Qui  si  ch'io  grido  e  gli  occhi  il  pianto  inonda. 

X 
Qui  si  eh  io  grido  e  gli  occhi  il  duol  //t'inonda. 

X 
Qui  sì  ch'il  pianto  in/ino  al  sitol  ini  gronda. 

X 
Qui  Vira  al  cor,  qui  la  pietada  abbonda. 

Più  sotto,  incontriamo  un  passo  importante, 
per  ben  tre  volte  corretto  e  rimutato  dall'incon- 
tentabilissimo Poeta.  Aveva  scritto  da  prima  : 

Ma  ne  spegnesse  il  ferro,  e  pel  tuo  bene, 
0  patria  o  patria  nostra!  Ecco  in  remoti 
Paesi,  oh  quanto  e  'l  ciel  che  ne  divide!, 
A  tutto  il  mondo  ignoti 
Moriam  per  quella  gente  che   t'uccide; 

poi  corresse  così  : 

Ma  ne  spegnesse  il  ferro,  e  pel  tuo  bene, 
0  Italia,  o  Italia  nostra  !  Ecco  in  remoti 
Campi,  quando  Veta  mefjlio  ci  ride 
A  tutto  il  mondo  ignoti,  ecc. 


PREFAZIONE  XXXVII 

e,  poi,  di  nuovo  corresse: 

Ma  ne  spegnesse  il  ferro,  e  pel  tuo  bene, 
0  patria  nostra  !  Kcco  da  te  rimoti,, 
Quando  jnU  bella  gioventù  ci  ride, 
A  tutto  il  mondo  ignoti,  ecc. 

e,  da  ultimo,  non  contento  neppure  di  questo 
terzo  rifacimento,  corresse  il  verso  : 

Quando  più  bella  gioventù  ci  ride, 

nel  modo  che  tutti  conoscono  : 

Quando  più  bella  a  noi  Veth  sorride. 

Ecco,  poi,  un  altro  luogo  importante,  corretto 
pure  tre  volte.  Il  Leopardi  aveva  scritto  in  sulle 
prime  : 

E  i  negletti  cadaveri  a  l'aperto 

Sbranar  frementi  su  jyer  l'arduo  mare 

Di  neve  orride  belve, 

Ed  un  fla  'l  nome  a  citi  verrà  de''  forti 

K  de  gli  egregi,  ed  uno 

De'  vili  e  de'  ribaldi, 

dove  lo  stento  della  locuzione  contorta,  l'oscurità 
del  senso,  il  suono  aspro  e  strascinato  del  verso, 
l'improprietà  o  inopportunità  di  quell'epiteto  di 
ribaldi  e  altre  mende  dettero  subito  nell'occhio 
dell'accorto  Poeta,  che  corresse  tutto  il  passo  nel 
modo  seguente  : 

E  i  negletti  cadaveri  a  l'aperto 

Su  per  quello  di  neve  orrendo  mare 

Si  smozzicar  le  belile, 


XXXVIII  PREFAZIONE 

E  fia  Vonor  de'  generosi  e  forti 
Pari  mai  sempre  ed  uno 
Con  quel  de'  tardi  e  vili. 

Ma,  in  progresso  di  tempo,  neppur  questa  lezione 
appagò  interamente  il  gusto  squisito  e  inconten- 
tabile di  lui,  urtato  specialmente  da  quell'idioti- 
smo marchigiano  e  recanatese  di  smozzicar:  onde 
corresse  finalmente,  come  tutti  sanno: 

Su  per  quello  di  neve  orrido  mare 
Dilacerar  le  belve; 
E  sarà  7  nome  de  gli  egregi  e  forti 
Pari  mai  sempre,  ecc. 

Poco  innanzi,  incontriamo  due  versi  rifatti  ben 
quattro  volte.  Ecco,  senz'altro,  i  quattro  rifaci- 
menti : 

Vide  lor  fato  il  pallido  deserto 
Ecl  Aquilone  e  le  fischianti  selve. 

X 

Lor  tristo  fato  il  pallido  deserto 
E  borea  vide  e  le  fischianti  selve. 

X 

Ma  di  lor  fato  il  boreal  deserto 
E  conscie  fur  le  sibilanti  selve. 

X 

Di  lor  querela  il  boreal  deserto 
E  conscie  fur  le  sibilanti  selve. 

Più  sotto  troviamo  un  altro  luogo  importante. 
Il  Poeta  aveva  scritto  da  prima: 

Al  cui  martire  e  al  danno 

Forch'il   vostro  non  e  che  rassomigli: 


PREFAZIONE  XXXIX 

dove  la  locuzione  intralciata  e  il  suono  aspro  del 
verso  spiacquero  al  gusto  delicato  di  lui,  che  cor- 
resse subito  in  simil  guisa: 

Al  cui  supremo  danno 

Il  vostro  solo  è  tal  che  rassomigli. 

Anche  più  importanti  di  queste  varianti  della  can- 
zone Sul  monumento  di  Dante  sono  quelle  che  s'in- 
contrano nella  canzone  Ad  Angelo  Mai  e  in  altri 
manoscritti,  che  in  questo  volume  offro  all'atten- 
zione dello  studioso.  Ma,  per  non  dilungar  j^o- 
verchiamente,  mi  basti  l'aver  rilevato  fin  d'ora  le 
principali  varianti  della  canzone  Sul  monumento 
di  Dante.  Queste  saranno  più  che  sufficienti  a  in- 
vogliare il  lettore  all'esame  e  allo  studio  delle 
preziose  varianti  degli  altri  manoscritti.  Si  esa- 
mini specialmente  l'autografo  della  canzone  Ad 
Angelo  Mai  e  quello  della  Sera  del  giorno  festivo. 


VI. 


Avverto  anche  il  lettore  che  questa  publicazione 
de'  Manoscritti  recanatesi  è,  come  a  dire,  una  pre- 
fazione alla  mia  compiutissima  edizione  critica  (già 
in  corso  di  stampa)  di  tutte  le  poesie  del  Leo- 
pardi; edizione  condotta  su  tutte  le  stampe  e  su 
tutti  i  manoscritti  che  si  conoscono.  Questa  mia 
edizione  compiutissima  —  per  la  quale  non  ho  ri-  • 
sparmiato  e  non  risparmio  spese  e  fatiche,  e  che 
mi  auguro  poter  chiamare  definitiva  —  sarà  cor- 


XL  PREFAZIONE 

redata  di  una  compiutissima  storia,  bibliografia, 
e  cronologia  di  tutti  i  Canti,  nonché  di  molti  do- 
cumenti sconosciuti. 


VII 


Ho  creduto,  inoltre,  di  far  cosa  assai  utile  (sniche 
per  agevolare  agli  studiosi  resame  delle  varianti 
contenute  in  questi  manoscritti^  riproducendo  tali 
e  quali,  in  Appendice  a  questo  volume,  le  prime 
due  edizioni  delle  prime  tre  canzoni,  cioè  l'edi^ 
zione  romana  (1818)  delle  due  prime  canzoni,  sì 
come  ancora  l'edizione  bolognese  (1820)  della 
terza  canzone.  La  riproduzione,  da  me  fattane,  è 
cosi  minutamente  esatta  e  precisa,  che  può  dirsi 
stereotipica. 

Quanto,  poi,  alla  edizione  romana  delle  prime 
due  canzoni,  m'è  grato  aggiungere  qui  una  noti- 
zia nuova  e  curiosa,  favoritami  dalla  notissima 
cortesia  dell'egregio  marchese  Gaetano  Ferrajoli. 
Il  curatore  della  edizione  romana  delle  prime  due 
canzoni  fu  Francesco  Cancellieri,  come  rilevasi 
dalla  sua  "  Lettera  a  Mons,  Tommaso  Guido  Caì- 
cagnini,  in  lode  del  suo  Commentario  della  vita 
di  Celio  Calcagnini  ^.  In  fatti,  a  pagina  35  di  que- 
sto opuscolo,  ragionando  di  Vincenzo  Monti,  ap- 
pone al  nome  di  lui  la  nota  che  segue  : 

"  Il  Principe  de'  nostri  Poeti  merita  gli  omaggi 
ed  il  culto  di  tutti  gli  altri.  Ora  ho  avuto  la 
compiacenza  di  essere    incaricato   dal  Chmo  Sig. 


PHEFAZIUNE  XLI 

Conte  (Tiacomo  Leopardi  di  Recanati,  Fenice  del- 
l'età nostra,  da  me  celebrato  negli  Uomini  di 
Gran  Memoria^  p.  88,  di  accudire  alla  stampa  di 
due  nobilissime  sue  Canzoni  sulV  Italia^  e  sul  mo- 
numento di  Dante  che  si  prepara  a  Firenze^  de- 
dicate al  suo  (del  Monti)  gloriosissimo  nome„. 

Se  non  m'inganno,  la  cosa  è  ignorata  da'  più^ 
e  giova  sia  conosciuta. 


Vili. 

Sento,  da  ultimo,  il  dovere  di  porgere  innanzi 
al  publico  vivi  e  caldi  ringraziamenti  al  nobile 
conte  Giacomo  Leopardi,  della  cui  amicizia  alta- 
mente mi  onoro,  per  avermi  generosamente  con- 
cesso lo  studio  e  la  trascrizione  de'  preziosi  ma- 
noscritti da  lui  posseduti.  Ne  voglio  dimenti- 
care di  render  vive  grazie  all'eruditissimo  Licurgo 
Pieretti  e  ai  valenti  professori  Cocchia  e  Cer- 
quetti,  che  mi  furon  larghi  di  consiglio  e  d'ajuto. 
Debbo,  poi,  in  ispecialissimo  modO;,  professarmi 
grato  e  riconoscente  al  chiaro  prof.  Giuseppe 
Piergili^  mio  amicissimo,  per  aver  rinunciato,  con 
non  comune  tratto  di  amicizia,  alla  publicazione 
di  due  manoscritti  contenuti  in  questo  volume,  a 
fine  di  non  diminuire,  con  la  precedenza^  l' impor- 
tanza del  mio  lavoro. 

E,  prima  di  dar  termine  alle  mie  parole,  mi  corre 
lo  stretto  obbligo  di  pregare  tutti  i  futuri  editori 
di  edizioni    più    o    meno  critiche,    o  più  o  meno 


XLII  PREFAZIONE 

compiute,  delle  Poesie  di  Giacomo  Leopardi,  di  non 
approfittare  in  modo  veruno  della  stampa  da  me 
fatta  di  questi  manoscritti  recanatesi.  La  pro- 
prietà de'  medesimi  essendomi  stata  generosa- 
mente ceduta  per  la  stampa  dalF  egregio  capo 
della  famiglia  Leopardi  è,  o  m'inganno,  tutta 
mia.  In  questi  tempi  di  facile  pirateria  e  sover- 
chieria letteraria,  non  approfitti  dunque  altri  a 
caor  leggiero  dello  mie  non  lievi  e,  spesso,  ingrate 
fatiche. 

Camillo  Antona-Tra versi. 

lioììia,  1.°  maggio  1887. 


NOTB. 


*  Vedi  le  Lettere  scritte  a  Giacomo  Leopardi  dai  suoi  pa' 
renti  con  giunta  di  cose  inedite  o  rare,  adizione  curata  sugli 
autografi  da  Giuseppe  Piergili  e  corredata  dei  ritratti  di  Gia- 
como e  de'  genitori.    Firenze,  Successori  Le  Monnier,  1878. 

^  Studj  su  Giacomo  Leopardi,  con  notizie  e  documenti  scono- 
sciuti e  inediti.  Napoli,  Enrico  Datken,  editore,  1887.  [Vedi 
a  pag.  163   (nota  98),  e  a  pag.  156.] 

^  Ecco,  del  rimanente,  e  per  tutta  comodità  dello  studioso, 
la  trascrizione  de'  varj  componimenti  contenuti  in  questo 
volume,  secondo  l'ordine  con  che  furono  composti: 

I.  Traduzione  del  primo  libro  della  Odissea. 

II.  Inno  a  Nettuno. 

III.  Traduzione  del  secondo  libro  della  Eneide. 

IV.  Sul  monumento  di  Dante  che  si  prepara  in  Firenze. 

V.  Imitazione. 

VI.  Canzone   per    una    donna    malata  di  malattia  lunqa  e 
mortale. 

VII.  Le  rimembranze. 

Vili.  La  sera  del  giorno  festivo. 

IX.  La  luna  o  la  ricordanza. 

X.  Alla  luna.  Idillio. 

XI.  Il  sogno. 

XII.  Il  sogno.  Idillio.  (Lo  spavento  notturno). 

XIII.  Ad  Angelo  Mai. 


XLIV  NOTE 

*  Cfr.  D.  CiciNELLi.  Versione  ed  autografo  di  Giacomo  Leo- 
pardi sul  libro  secondo  della  Eneide.  Eoma,  presso  la  libreria 
Manzoni,  1882. 

^  Cfr.  Epiitolario  di  Giacomo  Leoiìardi  raccolto  e  ordinato 
da  Prospero  Viani.  Firenze,  Felice  Le  Monnier,  1849.  —  Voi.  i, 
lett.*  9,  pag.  15. 

«  Cfr.  EpizL,  voi.  I,  lett."  31,  pag.  72. 

'  Cfr.  Epist.,  voi.  I,  lett."  233,  pag.  377. 

^  Anche  nella  recente  edizione  delle  Poesie  di  Giacomo  Leo- 
pardi, curata  da  Giuseppe  Chiarini  (In  Firenze,  G.  C.  Sansoni 
editore,  ISS-j),  si  legge  questo  falsi ssimo  canterem  (pag.  412). 

*  Vedi  il  mio  articoletto:  Pensieri  di  Giacomo  Leopardi  sulle 
donne  noiVOrdine  di  Ancona  (ann.  xxvi,  num.  207). 

*°  Il  Chiarini,  e  mi  spiace,  è  tra  questi.  (Vedi  a  pagg.  408- 
410  della  edizione  mentovata.) 

*'  Cfr.  op.  cit.,  pagg.  55-56. 

*2  Cfr,  Epist.,  voi.  I,  lett.»  186,  pagg.  311-312. 

"  Cfr.  op.  cit.,  pag.  60. 

"  Cfr.  Exnst.,  voi.  i,  lett."  189,  pagg.  315-316. 

"  Per  chi  noi  sapesse,  o  potesse  dimenticarlo,  l'editore  e 
io  siamo  pienamente  d'accordo  con  la  legge  sulla  proprietà 
letteraria. 


ODISSEA 


TTn  qnadorno  di  quindici  fogli  interamente  scritti  (co- 
pertina ])ianca).  La  sci ittuì-a  è  della  contessa  Paolina,  con 
alcune  correzioni  qua  e  là  di  mano  stessa  del  Leopardi. 


ODISSEA 


LIBRO     PRIMO. 


L'uom  dal  saggio  avvisar  cantami,  o  Diva, 
Che  con  diverso  error,  poi  che  la  sacra 
Ilio  distrusse,  le  città  di  molti 
Popoli  vide,  ^  ed  i  costumi  apprese  :  * 
In  suo  core  egli  pure  di  molti  affanni 
Nel  pelago  soffri,  mentre  cercava 
A  se  ^*  la  vita,  ed  ai  compagni  suoi 
Comperare  il  ritorno.  Eppur  ^  nessuno. 
Benché  ~  il  bramasse,  ne  salvò.  '^  Perirò 
Tutti  per  lor  follia,  •'  stolti  !  che  i  buoi 
Mangiar  ^^  del  sole  eccelso  :  ei  del  ritorno 
Lor  tolse  il  di.  Figlia  di  Giove,  alquanto 


'  Canto  lihdV Odissea.  [SpetL  IHK)].  --  Canto  Primo.  [Fir.  1845]. 
''  Diva;  [Flr.  1845]. 
='  vide  [Spett.  1810]. 
'  aiìprese.  [Spett.  18l();   Flr.  1845]. 
•■^  8è  [Spett.  181()]. 
«  E  pur    [Spett.  I8l(j;  Flr.  1845]. 
■  Ben  eh'  [Spett.  18lf);  Flr.  1845]. 
"*  salvo!  [Spett.   181(5;   Flr.  1845]. 
«  follìa,  [Flr.  1845]. 
*"  Mangiar  [Flr.  1845], 


ODISSEA 

Dinne  di  questi  casi  ancora  a  noi. 

Gli  altri,  ^  che  il  fato  acerbo  avean  fuggito, 
Nelle  lor  case  erano  già,  campati 
Dalla  guerra,  ^  e  dal  mar.     Lui  solo  ancora 
E  del  ritorno,  *  e  della  moglie  privo,  * 
In  cavi  spechi  ritenea  Calisso,  "• 
Inclita  ninfa,  "  e  Diva,  "  che  di  farlo 
Suo  sposo  avea  desio.  ^     Ma  quando  il  tempo 
Venuto  fu  col  volgere  degli  anni. 
In  che  piacque  agli  Dei,  ^  che  al  patrio  tetto 
In  Itaca  ei  tornasse,  ^"  allor  finiti 
Non  furo  i  suoi  travagli,  ancor  che  in  mezzo 
A'  suoi  cari  egli  fosse.     Ognun  de'  numi 
N'ebbe  pietà,  tranne  ^^  Nettun,  ^■^  che  fermo 
Neil'  ira  sua  contro  il  divino  Ulisse 
Restò  i'*  fin  ch'ei  non  giunse  al  suol  natio. 

Agli  Etiopi  lontani  ito  era  il  Nume  ^* 
(Agli  Etiopi  ^•"'  del  Mondo  '^'  ultima  schiatta 
In  due  partita:  gli  uni  al  sol,  ^"  che  cade. 
Gli  altri  sono  all'aurora)  ^^  onde  presente 
Il  sacrificio  accor  d'un  '■'  ecatombe 

'  altri   [Sjìett.  1810;    Fir.  1845]. 
•''  guerra  [Siiett.  181G;  Fir.  18451. 
»  ritorno  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 

*  2^rivo  [Spett.  1816;  Fir.    1845]. 
•'*  Calisto  ;    [Fir.   1845]. 

«  Ninfa  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 
'  Diva  [Siyett.  1816]. 

*  dento.  [Fir.  1845]. 

*  Dei  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 

"^  tornasse;  [Sptett.  1816;  Fir.  1845].  ^ 

"  salvo  [Sptett.  1816;  Fir.  1845]. 

'•^  Nettun;  [Fir.  1845]. 

"  Resto,  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 

'*  nume,  [Spett.  1816].  —  nume  [Fir.  1845]. 

'■■•  Etiopi,  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 

'"  mondo  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 

'^  sol  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 

"*  aurora),  [ /*'*>.  1845]. 

'»  d\tn'  [Fir.  1845]. 


ODISSEA 

D'agnelli  e  tori.     Ivi  al  convito  assiso 
Stavasi  con  piacer.     Ma  gli  altri  Dei 
S'eran  raccolti  dell'Olimpio  Giove 
Nella  vasta  magione.     Ad  essi  il  padre 
Degli  uomini  e  de'  numi  a  parlar  prese,  ^ 
Che  ricordossi  del  preclaro  Egisto, 
Cui  morto  aveva  il  rinomato  figlio 
D'Agamennone,  Oreste.     Or  lui  membrando, 
Favellò  tra  gli  Eterni  in  questi  accenti.  - 


0  stolti!  i  numi  accusano  i  mortali. 


E  dan  la  colpa  a  noi  de'  lor  disastri  :  ^ 
E  sì,  •"'  per  lor  follia  soffrono  affanni 
Non  voluti  dal  fato.     Egisto  appunto 
Del  destino  a  ritroso  or  or  la  moglie 
D'Agamennon  si  tolse  a  sposa,  e  lui 
Tornato  uccise;*'  eppur  "  l'acerbo  fine 
Che  l'attendea,  non  ignorò:  spedito^ 
Gli  avevamo  noi  già  Mercurio,  d'Argo 
Il  veggente  uccisor,  che  gli  disdisse 
Spegner  l' Atride,  e  tor  la  moglie  a  sposa  :  ^ 
Ed  avvisato  il  fé'  ^'^  come  da  Oreste 
Cresciuto  d'anni  e  in  bramosia  venuto 
Delle  sue  terre,  Agamennon  vendetta 
Avuto  avria.     Cosi  Mercurio  a  lui 
Saggiamente  parlò,  ^^  ma  noi  rimosse 
Dal  suo  pensiero.     Or  quegli  a  un  tempo  solo 

'  ìjrese;  [&petL  1816;  Fir.  1845]. 

••-'  accenti:  [Spett.  1816;  Flr.  1815]. 

'  Ci  accusano  i  mortali,  oh  stolti  !  e  danno  [Spett.  1816]. 

danno  [Fir.  1845]. 
*  Delle  sventure  lor  la  colpa  ai  Numi:  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
•^  sì  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
«  uccise:  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
■  e  pur  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
•*  ifinorò.  Spedito  [Spett.  1816;  /Vr.  1815]. 
"  apoHa,  [Spett.  1816]. 
'"  fé,  [Flr.  1845]. 
"  parlò;  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 


ODISSEA 

Tutto  pagò  del  maloprare  ^  il  fio. 

A  lui  *  Minerva  dalle  azzurre  luci 
Cosi  poscia  rispose  :   0  nostro  padre  - 
Saturnio  d  Dio,  sommo  de'  Re,  "^  tal  sorte 
Quel  meritossi  assai  ;  cosi  *  perisca 
Chi  com'egli  oprerà.     Ma  per  Ulisse 
Il  battaglioso,  •''  mi  si  strugge  il  core,  ^' 
Misero!  che  lontan  da'   cari  suoi 
Di  ~  gran  tempo  sopporta  immensi  affanni  ^ 
In  un'isola  d'arbori  nutrice,^ 
Tutta  cinta  dall'acque,  ''^  ove  del  mare 
È  l'umbilico  ; '^  e  dove  in  sua  magione 
Ha  ricetto  una  Dea  figlia  d'Atlante,  ^- 
Cui  tutto  è  noto,  che  del  mar  gli  abissi 
Tutti  conosce,  e  che  la  terra  e  il  cielo 
Sopra  colonne  altissime  sorregge. 
La  figliuola  di  lui  ritiene  a  forza 
Il  misero  piangente,  ^^  e  ognor  con  dolci 
Molli  detti  il  carezza,  affin  che  il  prenda 
D' Itaca  obblio.  ^^     Ma  di  sua  terra  almeno 
Veder  bramando  Ulisse  alzarsi  il  fumo  ^^ 
Morir  desia.     Né  da  pietade  infine 

'  mal  oprare  [Flr.  1845]. 
■-'  padre,  [SpetL  1816;  Flr.  1845]. 
■■'  re,  [Fir.  1845]. 

*  assaL   Così  [S2iett.  1816].  —  assai:   Così  [Fir.  1845]. 
•'•  battaglioso  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 
«  core:  [Spett.  1816;    Fir.     1845]. 
'  Da  [Fir.  1845]. 
**  ajfanni,  [Fir.  1845]. 
^  nutrice  [Spett.  1816;   Fir.  1815], 
'"  acque;  [Fir.  1845]. 
"  umhilico,  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 
^'  Atlante  [Spett.  1816].  —  Atlante;  [Fir.  1845]. 
'•'  piangente  ;  [Fir.  1845]. 
''  oblio.  [Fir.  184.5]. 
'\fumo,  [Spett.  1816;   Fir.  1845]. 

*  Il  lui  è  di  mano  «lei  Leopardi, 


ODISSEA 

Il  tuo  cor  sarà  tocco,  Olimpio  Nume?^ 
Nell'ampia  Troja  -  non  ti  fece  Ulisse 
Presso  alle  navi  Achee  ^  gradite  offerte? 
E  donde,  o  Giove,  contro  lui  tant'ira? 

Giove  de'  nembi  adunator  "*  a  lei 
Rispose  :   0  figlia  mia,   quai  detti  uscirti 
Dalla  chiostra  de'  denti  ?     Il  Divo  "'  Ulisse 
Come  obbliar  potrei,  ''  ch'ogni  mortale 
Vince  in  prudenza,  e  al  par  di  cui  non  avvi  ' 
Uom  ch'abbia  offerte  agi'  immortali  Numi  '*^ 
Ch'abitan  l'ampio  ciel,  vittime  sacre? 
Ma  Nettuno,  •'  che  il  suol  tutto  circonda. 
Di  terribile  sdegno  è  sempre  acceso  "* 
Per  il  Ciclope,  '^   chf'   ei  dell'occhio  ha  privo, 
Per  Polifemo  a  nume  ugual,  ^-  che  avanza 
Tutti  i  Ciclopi  in  gagliardia.  ^"     La  ninfa 
Toosa  partorillo,  •*  a  cui  fu  padre 
Forcine  ^■"'  un  Dio  dell'  infecondo  mare, 
A  Nettuno  commista  in  cavi  spechi. 
Morto  Ulisse  non  ha  lo  scotitore 
Della  terra  Nettun,  ^'^  ma  da  quel  tempo 
Lungi  lo  tiene  dalla  patria  sede. 
Cerchiam  però  fra   noi  come  sia  duopo  '* 

'  DioV  [Siìctt.  181();   Flr.  1845]. 

■'   Troia  [Fir.  18i5]. 

'  achee  [^pctt.  1810;  Fh\  1815]. 

-•  adunatore  [Siìett.  181(5;    Fir.   1815]. 

■•  divo  [Hpett.  1810;  Fir.  1815]. 

"  potrei;  [Fir.  1845]. 

"  evvi  [Spett.  181()].  —  òvvi  [Fir.  1845]. 

'  numi  [Spett.  1810;  Fir.  1815]. 

"  Nettano  [Spett.  1810;  Fir.    Is45]. 

"  acceso,    [Fir.    1845]. 

'   Ciclopc   [Spett.  1810;  Fir.  1845]. 

-'  a;/uat  [Spett.  1810]. 

•'  <ia;iliar(Via.  [Fir.  1845]. 

'  partorilU)    ]Spett.    1810]. 

••  Forcine,  [Spett.  181(1;  Fir.   Isi:)]. 

"  Nettun;   [Fir.  1845]. 

"  d'uopo  [Fir.  1845]. 


ODISSEA 

onde  al  suo  regno 
Torni  quegli,  e  Neltun  l' ira  deponga  :  ^ 
Poi  che  di  tutti  gli'  immortali^  ad  onta 
Niun  potere  egli  avrà,  né  fia  che   sappia 
Solo  cozzar  con  tutti  i  Numi  avversi.  '* 

Ed  a  lui  poscia  Tocchi-glauca  Diva 
Minerva  replicò  :  Saturnio  Nume,  •' 
Padre  di  noi,  sommo  de'  Re,  ^'  se  fermo 
Hanno  i  beati  Dei,  "  che  al  patrio  tetto 
Ritorni  Ulisse  il  battaglier,  messaggio 
D'Argo  l'ucciditor  tosto  all'Ogigia 
Isola  si  spedisca,  ^  ond'ei  trascorso 
Velocissimamente,  a  quella  ninfa 
Da'  bei  cincinni,  "  faccia  conto  il  nostro 
Infallibil  voler  {^^  torni  il  paziente 
Ulisse  al  suol  nativo)  •'  e  degli  Eterni 
Adempiasi  il  decreto.     Io  recherommi 
In  Itaca  a  destar  nel  figlio  suo 
Ardimento  più  grande,  e  a  porgli  in  core 
Valenteria,  '-  si  che  '^  i  chiomati  Achivi 
Raccolti  a  parlamento,  i  proci  ^^  affronti,  ^'' 
Che  sempre  dense  greggi,  e  neri  buoi 
Uccidendo  gli  van  di  curvi  piedi. 

'  !jlun>ja,  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

'^  dejJOìifja;  [S-jjett.  1816;  Flr.  18i5]. 

'■*  Inimortall    [Spett.   1816;    Flr.    1815]. 

^  Solo  cozzar  con  i  contrarii  Dei  ;  [Spett.  1816  ;  Flr.  1845 

"  n>ime,  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

«  re,  [Flr.  1845].    . 

'  Del  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

"  spedisca;  [Flr.  1845]. 

"  cincinni  [Spett.  1816;  Flr.  1845.] 

"  voler:  —  [Flr.  1845]. 

'  nativo:  —  [Flr.  1845]. 

-    Valenteria,  [Flr.  1845]. 

■'  che,  [Spett.  1816;  Flr.  1845], 

*  Proci  [Sjìett.  1816;  Flr.  lS4r>]. 

'^affronti  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 


ODISSEA 

A  S parta  pure,  ^  e  all'arenosa  Pilo 

Il  manderò,  perchè  novelle  cerchi 

Del  ritorno  del  padre,  ove  pur  sia 

Che  alcuna  udirne  gli  addivenga:-  e  affine 

Che  tra  gli  uomini  s'abbia  inclita  fama. 

Ciò  detto,  a'  pie  legasi  ^  i  bei  talari 
D'oro  '*  immortai,  che  sopra  l'acqua,  ^  e  sopra 
L' immensa  terra  la  portavan  ratta 
Come  il  soffio  dei  '  venti.     In  mano  quindi 
Si  tolse  l'asta  poderosa,  armata 
D'acuto  rame,  ^  grave,  salda,  enorme, 
Con  cui  riversa  degli  Eroi  le  squadre, 
Che  lei  di  forte  genitor  '  figliuola 
Han  mossa  a  corrucciarsi  ;  ^  e  giù  discese 
Precipitante  dall'Olimpie  vette. 
In  Itaca  fermossi  "  e  del  Palagio  "• 
D'Ulisse  si  ristet'e  anzi  alle  porte  '^ 
Dell'atrio  al  limitare,  ^-  in  man  tenendo 
L'asta  di  rame,  '■'*  e  per  sembiante  uguale 
A  Mente  '^  uno  stranier,  de'  Tafj  il  rege. 
Gli  alteri  proci  ^''  ritrovò,  ^*'  che  allora 
Contra  alle  porte  si  prendean  sollazzo  ^' 

'  pare  [Spett.  1816;  Flr.  1845.] 

■■*  adllvemja,  [Spett.  1816],  —  addloenqa  ;  [Flr.  X845]. 
■'  lej?ossi   [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
*  D'oro,  [Flr.  184.5]. 
•^  acqua  [Spett.  1816;    Flr.   1815]. 
«  ferro,  [Spett.    1816;  Flr.  1845]. 
^  Genitor  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

**  corrucciarsi,  [Spett.  1815].  —  corrucciarsi:  [Flr.  1845]. 
"^  fermossi,  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 
'"  paLa<)lo  [Flr.  1845]. 
"  lìorte,  [Spett.  1816;  Flr.    1845]. 
'■'  limitare;  [Flr.  1845]. 
'•'  rame;  [Flr.  1845]. 
''  Mente,  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
'"  Proci  [Spett.  1816;   Flr.  1845]. 
'"  ritrovo  [Spett.  1816;  Flr.  1845], 
»'  sollazzo,    [Flr.  1845]. 


10  ODISSEA 

A'  calcoli  giiiocaiido,  e  sulle  *  pelli 
Sedevansi  di  buoi  da  lor  già  morti. 
D'intorno  araldi,^  e  presti  servi  o  l'acqua 
Mesceano,  ^  e  il  vin  nell'urne,  o  con  ispugne 
Piene  di  fori  detergean  le  mense, 
0  le  coprian  di  cibi,  e  larga  copia 
Partivano  di  carni.     Or  lei  primiero 
Telemaco  mirò  simile  a  Nume,  '^ 
Poi  che  tristo  in  suo  cor  sedea  tra  i  proci  * 
Colla  mente  veggendo  "'  il  padre  illustre  " 
E  il  suo  ritorno  rivolgea  nell'alma, 
Se  pur  giammai  tornato,  ~  ei  per  la  reggia 
Sperger  **  doveva  i  proci, '^  e  onore  aversi,^ 
E  de'  suoi  beni  il  dritto.     E  mentre  quivi 
Tenea  fisso  il  pensier  tra  i  proci  ^*-   assiso, 
Di  Minerva  s'accorse,  e  drittamente 
Ver  la  soglia  inviossi,  ^*  a  sdegno  avendo 
Che  per  gran  pezza  un  ospite  si  stasse  ^"  *** 
Anzi  alle  porte.     Gli  ****  si  fé  ^-^  vicino  '^ 
La  destra  man  gli  =5=*=^=**  prese,  e  l'enea  lancia 

'  araldi  [Siìett.  1816;  Flr.  1815]. 

-   Mesceano  [Spett.  1810;  Flr.  1845]. 

•'  nnnie,  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 

'  Proci  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

''  vedendo  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

"  Illustre,  [Spett.  1816;   Flr.  1845]. 

"  tornato  [Spett.  1816;   Flr.  1845]. 

«  Proci,  [Spett.  1816;  Flr.  18i5]. 

"  aversi  [Sjiett.  1816;  Flr.  1845]. 
'"  Proci  [Spett.  1816;  Flr.  1845], 
"  Invlossl  ;   [Flr.  1845], 
'■'  stesse   [Siìett.  1816;   Flr.  1845]. 
'='/e'  [Sjjett.  1816].  -  fc  [Flr.  m45]. 
'■*  vicino,  [Spett.  1S16  ;   Flr.  1815]. 

*  Di  pugno  del  Leopardi. 

**  Leggevasi  qui  prima  spijner,  di  mano  di  Giacomo  stesso. 
***  Stasse  per  stesse  ha  dovuto  essere,  crediamo,  eirore  di  Paolina. 
***'"  Nell'esemplare  dello  Spòttatore,  che    si  conserva   nella  biblio- 
teca di  famiglia,  leggesi,  corretto  a  penna:  J^e. 
*****=  Nell'e.semplare  di  famiglia;  Le 


ODISSEA  13 

Si  tolse,  e  indirizzogli  *  alati  detti  : 

Ospite,  il  ciel  ti  salvi;  amicamente 
Noi  ti  raccoglierem  :  che  t'abbisogni 
Palese  ne  farai  dopo  la  cena. 

Ciò  detto,  innanzi  andò,  Palla  il  seguia  :  ^ 
Poi  che  fiir  dentro  alla  magione  eccelsa, 
Quegli  a  un  2  alta  colonna  appoggiò  l'asta 
In  un  polito  armadio,  -^  ove  molt' altre 
N'avea  d'Ulisse  il  paziente,  e  Palla 
Ad  un  seggio  condusse,  '*  un  vago  strato 
D' ingegnoso  lavor  sopra  vi  stese, 
E  lei  seder  vi  fé  :  ■'  sotto  de'  piedi 
Uno  sgabel  n'avea.  **     Per  se  ^  li  presso 
Collocò  poscia  un  variato  scanno,  ~ 
Lungi  da'  proci,  ^  aiBn  che  ***  in  mezzo  essendo 
A  que'   superbi,  e  dal  tumulto  offeso,  " 
L'ospite  a  schifo  non  prendesse  il  pasto; 
E  per  chiedere  a  lui  qualche  novella 
Del  Genitor  ^^  lontano.  Acqua  a  lavarsi 
Da  leggiadra  urna  d'or  piovve  una  fante 
Su  d'argento  bacino,  ^^  e  loro  innanzi 
Trasse  polita  mensa.  Il  pane,  ^-  e  molti 
Cibi  recò,  ^'^  che  allora  in  serbo  avea, 

'  sefjnla.  [S2ìetL  181G;  Flr.  1845]. 

''  un'  [Flr.  1845]. 

^  armadio  [Spett.  1810]. 

*  condusse;  [S'pett.  181(5:  Flr.  1845]. 

'/«'•    [Spett.  V&ì.%  ~  fc:  [Flr.  1845]. 

"  sé  [Spett.  1816]. 

"'  scanno  [Spett.  1810]. 

«  Proci,  [Spett.  1816].  —  Frocl:  [Flr.  1845]. 

"  offeso  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
"•  ijenltor   [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
"  bacino;  [Flr.  1845]. 
''pane  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
'='  recò  [Spett.  1HI(\]  Flr.    18^15]. 

*  Nell'esemi)lare  di  famiglijv:  indirizzt.Hc. 
**  Ilnd:  "  sgabell'avea  ^ 
*"*=  Di  mano  <lel  Leopardi. 


12  ODISSEA 

La  vereconda  dispensiera.  Addusse 
Sopra  i  taglieri,  ^  e  collocò  lo  scalco 
Carni  d'ogni  maniera  in  sulla  mensa,  ^ 
Con  auree  tazze.  Ministrando  il  vino 
Un  sollecito  araldo  intorno  giva. 

Entrar  ^  gli  alteri  proci,  *  e  in  ordinanza 
Su  scanni  e  seggi  si  locar.   Gli  ^  araldi 
Dieron  acqua  alle  mani,  e  ne'  canestri 
Le  ancelle  il  pane  accumularo.  Ai  cibi 
Apparecchiati,  *•  e  posti  loro  innanzi 
Steser  quelli  le  destre  :  '  e  di  bevanda 
Incoronar on  l'urne  i  giovinetti. 
Poi  che  di  bere,  *  e  ^  di  mangiare  i  proci  ^^ 
Deposero  il  desio,  d'altro  lor  calse;  ^^ 
Del  canto  e  della  danza:  '^  (gli  ornamenti 
Questi  son  del  convito)  '-^  e  a  Femio  in  mano 
Pose  un  araldo  la  leggiadra  lira. 
Da  forza  astretto  egli  cantava  innanzi 
Ar  proci,  ^*  e  dilungando  il  suo  bel  canto  ^•' 
In  pria  le  corde  percuotendo  giva. 

Ma  Telemaco  a  Palla  occhi-cilestra 
A  parlar  prese:'"  e  avvicinolle  il  capo 

'  taglieri  [Spett.  181G;  Flr.  1845]. 

■'  mensa  [Siìelt.  1816;  Flr.  1845]. 

«  Entrar    [Flr.  1845]. 

*  Proci,  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

"  locar:  gli  [Spett.  1816].  —  locar:  gli  [Flr.  1845]. 

«  Apparecchiati  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

'  destre,    [Spett.  1816;    Flr.    1845]. 

«  here  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

«  o  [Fir.  1845].  * 
'"  Proci  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
"  calse,  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
'■'  danza  [Spett.  1816;    Flr.   1845]. 
>•'  convito),  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 
'*  Proci,  [Spett.  1816;  Flr.  1846]. 
'•''  canto,  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
'^  Ijrese,  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

*  Evidente  errore  di  stampa. 


ODISSEA  13 

Per  ch'altri  non  l'udisse:   Ospite  caro  ' 
Ti  moverà  -  quel  eh'  io  dirotti  a  sdegno  ? 
Questo  preme  a  costor,  la  cetra  e  il  canto  ;  ^ 
E  di  legger,  *  che  ■'  consumando  vanno 
Impunemente  il  vitto  altrui,  d'un  uomo 
Di  cui  le  candid' ossa  in  qualche  parte 
0  sopra  il  suol  corrompono  le  piogge, 

0  voi  ve  l'onda  in  mar.     Che  se  tornato 
In  Itaca  il  vedessero,  più  presti 
Vorrebbon  tutti  esser  di  pie,  che  ricchi 
Di  vestimenta  e  d'or.     Ma  d'aspro  fine 
Egli  è  perito,  e  speme  a  noi  non  resta,  '^ 
Comunque  alcun,  '  che  nella  terra  alberga, 
Dica  ch'ei  tornerà  :  pur  ^  s'è  perduto 

Il  di  del  suo  ritorno.     Orsù  mi  narra 

Chi  sia  tu  mai,  senza  dubbiare,  e  donde  :  ^ 

In  qual  region  co'  genitori  tuoi 

i:ìsi  la  tua  patria:  '"  e  su  qual  nave  or  giunto 

In  Itaca  ne  sia.     Di  ^^  pure,  e  come 

1  marinaj  ^-  quà*'-^  t'hanno  scorto?  ed  essi 
Chi  sono  a  detta  lor?  Certo  che  a  piedi 
Qua  sia  venuto  io  non  estimo.  Il  tutto 
Dimmi  sinceramente  :  ^^  affin  eh'  io  vegga 

'  caro,  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

•''  muoverà  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 

'  canto,  [Spett.  1816;  Fir.  1815]. 

*  lefjgèr,  [Siiett.  1816].  —  lerffjier,  [Flr.  1845]. 

"  che  [Spett.  1816;  Flr.  1815]. 

«  resta;  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

'  alcun  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

"  tornerà.    Par  [Spett.  1816;  Flr.  18-45]. 

«  donde;  [Flr.  1845]. 
'"^  patria,  [Spett.  1816;  Flt.  1845]. 
"  DV  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
'■■'  marinai  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
"  qua  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
'*  sinceramente,  [Spett.  1816].  —  s' noe r amente  ;  [Flr.  1845]. 

*  Evidente  trascorso  della  poniMi  di  Paolina,  come  prova  chia' 
ramente  il  Qua  che  vien  dopo. 


14  ODISSEA 

Se  nuovo  or  giungi,  o  se  del  padre  mio 
Osjjite  ancor  tu  sei:  quando  molt' altri 
Alla  nostra  magion  veniano  un   tempo  ^ 
Che  -  degli  uomini  amico  era  egli  pure. 

A  lui  rispose  l'occhi-glauca  Dea 
Palla  cosi:  Tanto  dirotti  al  certo 
Senza  punto  dubbiar.     Figlio  mi  vanto 
D'Anchialo  il  battaglier.     Mentre  '^  son  io,  '* 
Che  impero  ai  Tafj  in  navigare  esperti. 
Cosi,  •"'  con  un  naviglio  e  con  compagni 
Il  negro  mare  valicando  giunsi. 
Tra  gente  d'altra  lingua  ora  ^  in  Temesa 
Kame  a  torre  men  vo,  meco  recando 
Lucido  ferro.     La  mia  nave  è  al  campo 
Lungi  dalla  città,  ~  nel  Porto  Retro,  ^ 
Sotto  al  Neio  ^  dall'ampie  selve.     Invero 
Mutui  de  ^'^  padri  nostri  ospiti  antichi 
Noi  ci  diciamo;  ^^  e  udir  lo  puoi  dal  vecchio 
Eroe  Laerte,  a  lui  n'andando.     E  fama 
Ch'ei  più  non  venga  alla  città,  ma  soffra 
La  doglia  sua  lungi  dagli  altri,  ^^  in  villa  ^^ 
Con  una  vecchia  fante,  ^^  che  di  cibo 
E  di  bevanda  gli  ministra,  ^■'  allora 
Che  spossatezza  gli  occupa  le  membra, 

'  tempo,  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

■'  Che  [Spett.  181G;  Flr.  1845]. 

''^  hattaijller  ;  mentre  [Sj^ett.  1810;  Fir.  1845]. 

■»  io  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 

•'■c'osi  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

•>  or  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

"  citta  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

«  Retro  [Sijett.  1816;  Flr.  1845]. 

»  Nelo  [Flr.  1815].  ' 
'"  de'  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
"  diciamo,  [Spett.  1816]. 
'■'  altri  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
'■'  mila,  [Spett.  1816;  Flr.  1815]. 
^*  fante  [Sp}eti.  1816;  Flr.  1815], 
»*  ministra  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 


ODISSEA  15 

Poi  che  per  entro  a  una  ferace  vigna 

Strascinando  s'andò.     Qua  dunque  io  venni 

Perchè  dicean,  '   che  s'era  già  tornato 

Alla  sua  reggia  -  il  padre  tuo.     Ma  fanno 

Al  suo  viaggio  impedimento  i'  Numi  :  "^ 

Che  *  non  è  morto  il  Divo  •''  Ulisse  ancora,  ^ 

Ma  vivo  in  mezzo  al  vasto  mare,  in  qualche 

Isola  '  intorno  a  cui  s'aggira  il  flutto, 

E  ritenuto,  ^  e  Aera  gente  e  rozza 

D' Itaca  mal  suo  grado  il  tien  lontano. 

Pur  quello  io  predirò,  ^  che  gli  '  Immortali  ^^ 

Pongonmi  nella  mente,  e  ch'esser  dee, 

Se  mal  non  penso,  poi  che  vate,  ^^  o  sperto 

Interprete  d'augurj  io  già  non  sono.  '- 

Dal  suol  natio  per  molto  tempo  ancora 

Ei  lungi  n^n  sarà:  cinto  ^■*  pur  fosse 

Da  ferrei  lacci,  di  tornar  saprebbe 

Trovar  la  via,  che'  astuto  egli  è.     Ma  dimmi 

Senza  dubbiar  '■*  se  figlio  sei  d'Ulisse  '•'' 

Tale  qual  ti  Yegg'  io  :.  che  certo  al  capo 

Ed  ai  begli  occhi  lo  somigli  assai. 

Prima  ch'ei  gisse  ad  Ilio,  ove  molt' altri 

Su'  concavi  navigli  Argivi  Eroi 

'  dlceaìi  [SpeM.  1816;  Flr.  1H45]. 

-'  terra  [Sitett.  1816;  Fir.  1845]. 

3  numi:  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

^  Che  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

•'  divo  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

"  ancora;  [Flr.  1845]. 

'  Isola,  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

•*  ritenuto;  [Flr.  1845]. 

''prediro  [Spett.  1816;   Flr.  1845]. 
'"  liamortall  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
"  vate  [Spett.  1816;   Flr.  1845]. 
'■-'  sono:  [Flr.  1845]. 

'='  sarà.     Cinto  [Spett.  1816;  Flr.  1815]. 
'*  dubbiar,   [Spett,  1816;  Flr.  1845]. 
^•'   ITase,  ]Spett.  1816:   Flr.  1845]. 


UJ  ODISSEA 

i* 

Del  pari  si  recar,  ^  sovente  fiate 
Ambo  noi  fummo  insiem.     Da  quindi  innanzi 
Veduto  non  F  ho  più,  più  non  m' ha  visto. 
E  nuovamente  a  lei  parlando,  il  saggio 
Telemaco  rispose  :   Ospite,  il  vero 
Senza  punto  dubbiar  dirotti.     Afferma 
La  madre  mia,  -  che  suo  figliuolo  io  sono  : 

conto  ** 

Ma  questo  non  m'è  certo,  e  alcun  non  /?,avvi*** 
Che  il  padre  suo  conosca.     Oh  stato  fossi 
Figlio  d'un  uom  felice,-^  cui  trovato 
In  mezzo  a'  beni  suoi  vecchiezza  avesse! 
Ma  di  chi  tra  i  '  mortali  è  il  più  meschino 
Nato  mi  dice  ognun  :  *  poi  che  "•  mei  chiedi. 

A  lui  la  Diva  dalla  glauche  luci 
Minerva  replicò  :  Stirpe,  "  che  deggia 
Restarsi  ignota  alle  future  etadi,  ~ 
I  numi  non  ti  dier,  ^  poi  che  qual  sei 
Ti  partorì  Penelope.     Ma  dimmi,  ^ 
E  palesami  il  ver:  che  cosa  è  mai 
Questo  banchetto,  ^*^  e  questa  turba?  e  quale 
Mestier  n'hai  tu?  Forse  una  festa,  "  o  forse 
Questa  cena  è  nuzial?  che  certo  a  scotto 
Esser  non  può:  si  bruttamente  panni 

'  recar,  [Fir.  1845] 
''  mia  [Sjyett.  1816;  Fir.  1845]. 
^  felice  [Spett.  1816]. 
■*  ofjnun;  [Fir.  1845]. 
•'  poiché  [Fir.  1845]. 
"  Stirpe  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 
'  etadi  [Spett.  1816;  Fir.   1845]. 
"  dier,  [Fir.  1845]. 
»  dimmi  [Sjìett.  1816;  Fir.  1845]. 
'"  convito  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 
"  festa  [Spett.  1816]. 

*  L' i  è  di  mano  del  Leopardi. 
**  La  parola  conto  ugualmente. 
***  L'  h  fu  cancellata  dal  Leo;  ardi. 


odissp:a  17 

Che  baiicliettin  costoro.     Un  uom  di  senno 
Qua  venuto,  in  mirar  tanta  sconcezza, 
Chi  ch'ei  si  fosse,  monterebbe  in  ira. 

*  E  Telemaco  il  saggio  a  lei  rispose  : 
Ospite  mio,  ^  (poi  che  di  ciò  m' inchiedi) - 
Doviziosa  •*  sempre,  ^  e  senza  colpa 

in  fin  ■'■  ** 

Fu  questa  casa,    i/ijin   ch'ebbe  ricetto 

Queir  uom  nel  patrio  suolo.     Ora  altramente 

Per  voler  degli  Dei  va  la  bisogna," 

Che  volti  a  farci  danno,  il  padre  mio 

Più  ch'uomo  alcuno  han  reso  ignoto.     E  spento 

Noi  piangerei  cosi,  '  se  stato  ei  fosse 

Con  i  compagni  suoi  da'  Teucri  domo  :  ^ 

0,  compiuta  la  guerra,  tra  le  braccia 

Pur  de'  suoi  cari  fosse  morto.     A  lui 

Tutti  avrebbon  gli  Achei  fatta  una  tomba,  ^ 

E  immensa  fama  al  suo  figliuolo  ancora 

Restata  ne  saria.     Ma  se  1'  han  tolto 

Inonorato  le  rapaci  Parche: 

Perito  egli  è  :  ^'^  nullo  il  conosce,  o  n'ode 

Il  nome,"  e  doglia  m'ha  lasciato,^-  e  pianto. 

Né  già  dolente  il  ploro  sol;  che  d'altri 

Acerbi  guai  m'  han  fabbricato  i  numi. 

^  mio  [Spett.  181(j;  Flr.  1845]. 

■'  IncJdedl),  [S])ett.  1816;  Flr.  1845]. 

•'  Doviziosa  [Spett.  1816]. 

*  sempre  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
'  infin  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

"  blso(jna;  [Flr.  1845]. 

'  così  [Sìtett.  1816;  Flr.  1845]. 

**  domo,  [Spett.  1816].   —  domo;   [Flr.  1815]. 

"  tomba;   [Flr.  1845]. 
'"  è;  [Spett.  1816;  Flr.  1^5]. 
"  nome;  [Spett.  1816]. 
'■-  lasciato  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

*  A  questo  verso,  tanto  nello  Spettatore,  quanto  nell'ediz.  fioren- 
tina, non  si  va  da  capo. 

**  La  correzione  è  di  mano  del  Leopardi. 


18  ODISSEA 

Ogni  Prence  ^  che  l' isole  governa 
Di  Dulichio,  di  Z  Samo,  ^  e  di  Z acinto 
Dalle  molte  boscaglie,  e  que'   che  impero 
Hanno  in  Itaca  alpestre,  a  sposa  ognuno 
Vuol  la  mia  madre,  e  la  magion  diserta. 
Né  l'odiate  •*  nozze  ella  ricusa, 

male,  ^  * 

Né  fin  può  porre  al    male    e  quelli  intanto 
Banchettando  ruinano  la  casa  ;  "■' 
E  me  fra  poco  perderanno  ancora. 

A  sdegno  avendo  i  suoi  disastri,  a  lui 
Disse  Palla  Minerva:   0  numi!  in  vero 
Grand' uopo  hai  tu  del  pellegrino  Ulisse  " 
Che  giunto,  '  i  proci  ^  inverecondi  assalga. 
Se  ritornato  adesso  e'   sulla  prima 
KSoglia  ristasse  con  celata,  '^  e  targa 

lance  ** 

E  con  due  lande,  a  quella  foggia  in  cui 

Nella  nostra  magion  la  prima  volta 

Di  bere.  ^'^  e  di  far  festa  il  vidi  in  atto,  ^^ 

Quando  venne  d'Ehra,  ^'  e  della  reggia 

D' Ilo  iigliuol  di  Mermero  (che  ^"^  Ulisse 

Là  s'era  tratto  su  veloce  legno 

Un  veneno  omicida  a  ricercargli,  ^^ 

'  prence  [Spett.  1816;  Flr.  1845], 

■'  Samo  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

'■'  odiate  [Spett.  1816]. 

■'  male:  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

'■'  casa,  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

"    Ulisse,  [Flr.  1B15]. 

'  (jluìito  [Flr.  1845]. 

•  Frocl  [Spett.  1816;  Flr.  1845], 

"  celata  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
'"  bere  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
"  atto;   [Flr.  1845]. 
'-  EJira  [Spett.  1816;   Flr.  1845]. 
'■'  ciiè  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
''  rlcercanjll  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
*  Di  m£vuo  del  Leopardi. 

**  Idm. 


ODISSEA  19 

Di  clie  l'enee  saette  unger  potesse: 

Ma  quel  non  gliene  die,  che  tema  ave  a 

De'  sempiterni  Numi,  ^  il  padre  mio 

Donogliene  -  però,  ch'assai  l'amava)  ■* 

Se  tale  a'  proci,  *  ei  si  mescesse,  ognuno 

Pronto  fato  n'avrebbe,  •"'  e  nozze  amare. 

Ma  se  tornato,  in   sua  magione  ei  debba 

Rivendicarsi  o  no,   questo  de'  numi 

Si  sta  sulle  ginocchia.      Or  come  possi 

Lungi  cacciar  da  questa  reggia  i  proci  ^ 

Esplorar  ti  consiglio.     Attentamente 

Ascolta  il  mio  parlar.      Gli  Achivi  Eroi 

Chiama  domani  a  parlamento,  ~  e  presi 

In  testimoni^  i  Dei,  tutti  gli  aringa:^ 

Di  girne  alle  lor  case  ordina  a'  proci,  ^*^ 

Ed  alla  madre  tua  ^^   se  il  cor  le  invase 

Desio  di  nozze,  di  tornarsi  al  tetto 

Del  Genitor  ^''  possente.     Ei  colla  madre 

Di  sue  nozze  avrà  cura,  ^'^  e  ricca  dote 

Gli  ^^  appresterà,  ^^'  quale  è  mestier  che  segua 

La  figlia  sua.     Ma  per  te  stesso  ancora 

Saggio  consiglio  ti  darò.     Se  vuoi 

Eare  a  mio  senno,  una  tua  nave  (e  sia 

'  numi:  [SpetL  1816;  Fir.  1845]. 

■■'  Donbyllene  [SpetL  1816;  Flr.  1845]. 

•'  amava);   [SpetL  1816;  Fir.  1845]. 

■*  ProcA  [SpetL  1816;  Fir.  1845]. 

"  avrebbe  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 

"  Proci,  [SpetL  1816;  Fir.  1845]. 

'  parlamento  ;  [Fir.  18^15]. 

•*  tentimoni  [Fir.  1845]. 

"  aringa;   [Fir.  1845], 
"•  Proci;  [Fir.  1845]. 
"  taa,  [SpetL  1816;   Fh:  l8l5]. 
'-  genitor  [Siiett.  181(5;   Flr.  1845]. 
'"  cura  [SpetL  1816]. 
''  Le  [Fir.  1845]. 
^^  appresterà;  [Fir,  1845]. 


20  ODISSEA 

Questa  fra  tutte  la  miglior)  di  venti 
Rematori  fornisci,  '  e  di  novelle 
Del  padre  tuo,  ^  che  da  gran  tempo  è  lungi, 
In  traccia  vanne  :  -^  ove  a  mortai  t'avvenga 
Che  alcuna  te  ne  rechi,  o  quella  voce 

Udir  tu  possi,  ^  che  da  Giove  scenda  , 
E  ch'agli  ''  uomini  adduce  il  più  di  fama. 
Va  prima  a  Pilo  a  interrogar  Nestorre 
Simile  a  Nume  :  '   quindi  a  S parta,  al  tetto 
Del  biondo  Menelao,  ^  ch'ultimo  venne 
Fra  gli  Achei  che  di  rame  han  le  corazze.  ^ 
Se  vivo  il  padre  ed  in  ritorno  udrai, 
Benché  d'affanni  oppresso,  un  anno  ancora 
Sosterrai  d'aspettar.     Se  fìa  che  intenda 
Com'ei  s'è  morto,  e  più  non  è,  ^"  tornato 
Alla  tua  patria  terra,  un  monumento 
Allor  gì'  innalza,  e  quali  a  lui  si  denno. 
Grandi  esequie  gli  fa.     Poscia  a  uno  sposo 
Dà  la  tua  madre:  ^^  e  ciò  fornito,  il  modo 
Di  trucidar  nella  tua  reggia  i  proci  ^- 
Con  frode  o  alla  scoperta,  in  cor,  nell'alma 
Va  meditando.     Or  da  fanciul  non  devi 
Più  diportarti,  e  già  non  sei  piccino. 


^  fornisci  ;  [fii^  1845]. 

''  tuo  [Spett.  1816]. 

■'  vanne,  [Spett.  1816].  —  vanne;  [Fir.  1845]. 

->  2Ì0SHÌ  [Spett.  1816;  Fir.  1815]. 

''  scende  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 

•'  tra  gli  [Spett.  1816  ;  Fir.  1845]. 

'  Nume;  [Fir.  1845], 

*"  Menelao  [Spett.  1816]. 

»  corazze,  [Spett.  1816]. 
'•'è;  [Fir.  1845]. 
"  madre  ;   [Spett.  1816]. 
'•'  Proci  [Spett.  1816   Fir.  1845]. 

*  La  corres5ione  è  di  mano  del  Leopardi. 


ODISSEA  21 

E  non  intendi  in  quanta  gloria  venne 
Appo  gli  nomini  tutti  il  divo  Oreste, 
Poi  ch'ebbe  spento  Egisto,  il  frodolento 
Ucciditor  del  padre  suo,  del  padre 
Si  rinomato  già,  ch'egli  ^  avea  morto  V 
Tu  pur  sii  prode,  o  caro  mio,  -  (che  bello 
Ti  veggio,  -^  e  grande  assai)  ^  perchè  ti  lodi 
Qualche  postero  anemia.     Io  torno  al  mio 
Veloce  legno,  •"'  e  ai  *'  miei  compagni.     Intanto  ' 
Forse  che  loro  d'aspettarmi  è  grave.  ^ 
Abbi  te  stesso,  ''  e  i  miei  consigli  a  cura. 

Telemaco  il  prudente  a  lei  di  nuovo 
Rispose  :  Amicamente,  osjnte,  in  vero  ^^ 
Come  padre  a  fìgliuol  ^^  porti  tu  m'hai 
Questi  consigli,  ^-  e  non  sarà  eh'  io  sappia 
Unque  obbliarli.     Ma  rimanti  un  poco. 
Benché  fretta  ti  dia,  si  che  lavarti, 
E  ricrear  ti  possi  il  core  :  andrai 
Lieto  quindi  alla  nave,  un  don  recando 
Prezioso,  ^-^  bellissimo,  che  fia 
Uno  de'  miei  più  ricchi  arnesi,  e  quale 
A  caro  ospite  dar  l'ospite  ha  in  uso. 

E  a  lui  Minerva,  l'occhi -glauca  Dea  ^* 
Poscia  disse  cosi  :  Non  rattenermi 


'  eh"  e^  gli  [Flr.  1845]. 

-'  amico  mio(  [Spett.  1810;  Flr.  1845] 

'■'  veijffio  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

••  assai),  [Spett.  1816;   Fir.  1845]. 

■'  kffno  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

•*  a'  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

"  Intanto,  [Fir.  1845]. 

*"  ;/rave,  [Flr.  1845]. 

"  stesso  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
»"  aero,  [Spett.  18L6;  Flr.  1845]. 
''  finllnol,  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
'2  eonsliill;  [Flr.  1845]. 
'='  Prezioso,  [Spett.  1816]. 
''  Dea,  [Flr.  1845]. 


22  ODISSEA 

Or  che  vaghezza  ho  di  partire  :  il  ^  dono 
Che  a  farmi  il  cor  ti  spinge,  allor  che  giunto 
Qua  di  nuovo  sarò,  mi  porgi,  ond'io 
Alla  mia  casa  il  rechi,  -  e  sia  pur  bello, 
Che  di  compensazion  per  te  fia  degno. 
Parti,  ciò  detto,  l'occhi-glauca  Palla, 
Volando  come  augel.  ^  che  si  dilegua,  ^ 
E  vigore,  ''  e  baldanza  in  core  a  lui 
Pose,  e  del  Genitor  ^'  più  che  non  era 
Ricordevole  il  fé.  '  Seco  pensando 
Quegli  stupì,  che  riputoUa  un  Nume  ;  '^ 
E  tosto  a'  proci  •*  andò  simile  a  Dio. 
Cantava  innanzi  a  lor  l' inclito  vate,  •" 
E  sedendosi  quelli,  chetamente 
.  Stavanlo  udendo.     Egli  cantava  il  tristo 
Ritorno  d' Ilio  degli  Achei,  che  tale 
Fu  per  voler  di  Pallade.     Ne  intese 
Dalle  superne  stanze  il  divin  canto 
L'Icaride  Penelope,  la  casta,  ^^ 
E  giù  di  sua  magion  per  l'alta  scala 
Scese,  ^^  sola  non  già,  che  '-^  la  seguirò 
Due  fanti.     Ella  ristette  in  sulla  soglia 
Del  ben  costrutto  albergo,  il  suo  bel  velo 
Tenendo  anzi  alle  gote;  e  allato  avea 
D'ambe  le  parti  le  due  fide  ancelle. 

'  partire.  U  [Spetf.lHm;  Fir.  1845]. 

-  rechi;  [Flr.  1845]. 

-■'  aufjel  [Spett.  181H;  Fir.  1815]. 

'  diler/aa;  [Fir.  1815]. 

•'■  vigore  [Siìett.  1816;   Fir.  1845]. 

'•  tjenitor  [Spett.  181fi  ;  Fir.  1845]. 

■/e'.  [Spett.  1816].  —fé.  [Fir.  1845]. 

"mime,  [Spett.  1816].  ~  nuvie:  [Fir.  1845]. 

•'  Proci  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 
"•  vate;   [Fir.  1845]. 
"  casta;  [Fir.  1815]. 
'•'  Scese;  [Fir.  1845]. 
'•'  che  [Sjfett.  181();  Fir.  Ift45]. 


I 


ODISSEA  23 

Al  divino  C autor  ^   si  volse,  e  disse 
Lacrimando  cosi:  Femio,  molt' altri 
Canti,  -  di  che  diletto  hanno  i  mortali, 
E  molte''  opre  sai  tu  d'uomini,  "*  e  dei, 

qui 
Cui  celebrano  i  vati.     Or  qui  sedendo,  ^ 

Una  ne  canta,  mentre  quelli  il  vino 

Cheti  beendo  van  :  ma  questa  lascia 

Dolorosa  canzon,  ^  che  il  core  in  petto 

Sempre  m'attrista.     Acerbo  duol  m'assalse. 

Me  sopra  tutti,  ch'uomo  tal  desio,  ~ 

E  che  vo  meco  rimembrando  ognora 

Lui  che  in  Grecia,  ^  ed  in  Argo  ha  immensa  fama. 

Ed  a  lei  poscia  in  questi  accenti  il  saggio 
Telemaco  rispose  :   0   madre  mia, 
Perchè  vuoi  tu,  '^  che  dilettar  non  })ossa 
Quest'amabil  Cantore^"  a  suo  talento? 
Non  da'   Cantori  ^^  ma  da  Giove  il  male 
A  noi  deriva:^-  ei  de'  mortali  industri 
Quello  a  ciascuno  invia,  che  più  gli  aggrada. 
Ma  questi,  se  de'   C^reci  i  casi  acerbi 
Or  cantando  si  sta,  biasmar  non  dessi.  ^'^ 
Che  ^^  gli  uomini  lodar  più  ch'altra  mai 
Soglion  quella  canzon,  ^-^  che  a  chi  l'ascolta 

(•autor  [Flr.  1845]. 
Canti  [S-pett.  ISIO  :   Fìr.   L^lò]. 
moli'  [Fir.  184::)]. 
uomini  [Spett.  181()  ;  Fir.  1845]. 
sedendo  [S'pett.  181()  ;   Fir.  1845]. 
canzon  [Spett.  1816;   Fìr.  1845]. 
desio  [Spett.  1816]. 
Grecia  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 
tu  [Spett.  1816;  Fir.  1^5], 
'  cantore  [Spett.  1816;   Fir.  1845]. 
cantori  [Fir.  1845]. 
derioa;   [Spett.  1816;   Fir.  1845]. 
dessi-^  [Spett.  18l()].    —dessi;   [Fir.   1845]. 
Che  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 
canzon  [Spett.  1816;   /'ir.  1845]. 


24  ODISSEA 

Giunge  più  nuova.     E  tu  fa  core  e  l'odi. 
Ulisse  il  sol  non  fu  che  del  ritorno 
Perdesse  in  Ilio  il  di:  molt'altri  eroi' 
Perirono  del  pari.     Alle  tue  stanze 
Tu  riedi,  ed  abbi  a  cor  le  tue  faccende, 
La  tela,  '^  e  il  fuso  :  '*  ed  alle  ancelle  imponi 
Che  diansi  all'opre  lor.     Gli  uomini  tutti 
Del  sermonare  avran  la  cura,  ^  ed  io 
Avrolla  più,  che  la  magion  governo. 

Meravigliando,  ■'  che  del  figlio  in  core 
Il  favellar  prudente  erasi  posto  " 
Quella  tornossi  alle  superne  stanze 
Colle  fantesche,  *  e  poi  che  fuvvi  ascesa  ^ 
Si  stiè  piangendo  il  suo  consorte  Ulisse,-' 
Infìn  1'*  che  alle  palpebre  un  dolce  sonno 
L'ebbe  spedito  l'occhi-glauca  Palla. 

Per  l'ombrosa  magione  i  proci  ''  intanto 
Givan  tumultuando,  '-  e  ognun  sui  letti 
A  lei  bramava  coricarsi  appresso. 
Ma  Telemaco  il  saggio  in  questi  accenti 
A  dir  si  fece  :   0  della  madre  mia 
Villanissimi  proci  '•'  intollerandi, 
Or  banchettiamo  a  sollazzarci  attesi 
Senza  frastuon,  '^  che  '"•  bello  è  starsi  udendo 

'  Eroi  [Sijett.  1816] . 

-  tela  [S'petL  1816;  Fir.  1815]. 

•'  fiifso;  [Fir.  1815]. 

•*  cura;   [Fir.  18-15]. 

■'  Meravigliando  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 

''posto,  [Sxìctt.  1816;   Fir.  1845]. 

'  fantesclie  ;   [l^pett.  1816].  — fantesche:   [Fir.  1845]. 

**  ascesa,  [Spett.  1816;   Fir.  1815], 

"   Ulisse  [Spett.  1816].  —   Ulisse;  [Fir.  1845]. 
'"  In  fin  [Hpett.  Ì816]. 
"  Proci  [Spett.  1816;   Fir.  1845]. 
'-'  tniìivltiiando  ;    [Fir.   1K45]. 
'■'  Proci  [Spett.  1816;   Fir.  1815]. 
'\frastaon;  [B'ir.  1815]. 
'•^  che  [Sijett.  1816;  Fir.  1815]. 


ODISSEA 

Un  Cantor  '   quale  è  questi,  -  che  alla  voce 
Gli  Dei  somiglia.     A  concion  -^  dimani 
Tutti  sediamci  la  mattina,  ^  ond'  io 
Franco  vi  parli  :  "'  e  di  sgombrar  v'  ingiunga 
Questa  magione.     Ad  altre  mense,  il  vostro  "^ 
Bene  '  a  mangiar  n'andate,  ^  e  l'un  di  voi 
L'altro  a  vicenda  al  proprio  desco  inviti. 
Se  consiglio  miglior  vi  sembra  i  cibi  ^ 
Impunemente  scialacquar  d'un  solo, 
Su  consumate  il  tutto  :  ai  Numi  '"  eterni 
Io  sciamerò,  ^'   perchè  ^^  se  piaccia  a  Giove 
Che  quest'opre  abbian  pena,  in  questa  reggia 
Periate,  e  sia  la  vostra  morte  inulta. 

Si  disse,  e  quelli  si  mordean  le  labbra, 
E  stupefersi,  poi  eh' e'  detto  aveva 
Arditamente.     E  a  lui  '•*  rispose  il  figlio 
D'Eupeite,  Antinòo  :  Davvero  i  numi, 
Telemaco,  il  parlar  sublime,  '"*  e  franco 
Insegnando  ti  van.     D' Itaca  cinta 
Tutta  dal  mar.  deh  '"*  che  il  paterno  impero 
Darti  non  piaccia  di  Saturno  al  figlio. 

E  poscia  a  lui  si  fattamente  il  saggio 
Telemaco  rispose  :  A  sdegno  forse, 

'  (-autor  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

-'  questo,   [S2)etL  1816;  Flr.  1845]. 

•'  concion  [Spett.  1816], 

■•  mattina;  [Flr.  1845]. 

''parli,  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

«  i  vostri  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

■  Beni  [Siìett.  1816;  Flr.  1845]. 

•*  n'andate;  [Flr.  1845]. 

"  sembra,  il  vitto  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

"  tatto.  Al  numi  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

'  sciamerò;  [Flr.  1845]. 

-perche,  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

''  Gli  [Sjìett.  1816;  Flr.  1845]. 

^  suUlme  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

''  deh!  [S2)ett.  1816;  Flr.  1845]. 


26  ODISSEA 

Antinoo,  prenderai  quel  che  dirotti? 
Gradevolmente  questo  ancor,  se  Giove 
Mei  consentisse,  accetterei.     Che?  dunque 
Per  gli  uomini  il  peggior  di  tutti  i  mali 
Questo  ti  sembra?  E  non  è  già  per  nulla 
Dura  cosa  il  regnar.     Del  re  l'albergo 
Ricco  tosto  diviene,  e  a  lui  si  fanno 
Più  grandi  onori.     In  Itaca,  ^  che  cinta 
Tutta  è  dal  mare,  hanno  però  molt' altri 
Regi  ^  d'Achei,  giovani,  e  vecchi.     E  -^  morto 
Il  divo  Ulisse,  questo  regno  aversi 
Può  bene  alcun  di  lor.  Ma  della  nostra 
Magione  io  sarò  prence,  e  degli  schiavi 
Di  che  signor  m'ha  fatto  il  Divo  ^  Ulisse. 

A  lui  rispose  di  Polibo  il  figlio 
Eurimaco  cosi  :   Qual  degli  Achivi  ^ 
In  Itaca  dal  mar  tutta  ricinta 
Abbia  a  regnar,  questo  de'  ^  numi  è  posto 
Sulle  ginocchia.     I  beni  tuoi  possiedi,  " 
E  alla  tua  casa  impera.     Alcun  giammai 
La  tua  sostanza  a  depredar  non  venga 
Contro  tuo  grado,  infin  ^  che  abitatori 
In  Itaca  saran  !  Ma  chieder  voglio, 
Ottimo  Prence,  a  te,  donde  quell'uomo 
Ch'ospite  qua  ne  venne;  e  di  qual  terra 
Egli  si  dica;  in  qual  regione  alberghi 
La  gente  di  sua  schiatta;  e  dove  ei  s'abbia 


'  Itaca  [SpetL  1816;  Fir.  1815]. 

■'  Prenci  [Spett.  1816  ;  Fir.  1845]. 

•'  (jlovanl  e  vecchi;  e  [S'pett.  1816;   Fir.  1845]. 

'  divo  [Spctt.  1816;  Fir.  1815]. 

•^  .Irc/uyi*  [Spett.  1816]. 

"  dei  [Fir.  1845]. 

'  possiedi  [Spett.  1816;   Fir.  1845]. 

^  in  fin  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 


ODISSEA  27 

I  patrii  campi.     Reca  forse  nuova 
Del  genitor  che  torna,  ^  o  pagamento 
Di  debito  ricerca?  Oli  come  sorse 

E  dilegnossi  immantinente,  -  e  ch'altri 

II  conoscesse  non  sostenne!     Al   certo 
Uom  nequitoso  non  sembrava  al  volto. 

Telemaco  il  prudente  a  lui  rispose  : 
Eurimaco,  peri  del  padre  mio 
Il  ritorno  senz'altro,  •*  ed  a  novelle  * 
Se  avvien  che  n'oda  alcuna,  io  più  non  credo; 
Né  •"'  se  la  madre  mia  qualche  indovino 
Chiama  alla  reggia,  "  e  lo  dimanda,  io  curo 
I  vaticinj  suoi.   Quegli  è  di  Tafo" 
Paterno  ospite  mio  :  d'esser  si  pregia 
Mente  ligliuol  del  battaglioso  Anchialo.  ^ 
E  regge  i  Tafj  in  navigare  esperti. 

Egli  disse  cosi,  ma  ch'una  Diva 
Immortale  era  quella  in  cor  sapea. 
*  Givansi  intanto  sollazzando  i  proci  ^ 
Alle  carole  attesi,  ^"  e  al  dolce  canto, 
In  aspettando  ch'Esperò  giungesse: 
E  mentre  a  sollazzarsi  erano  attesi  ^^ 


'  tornai*  [Spett.  181G;  Flr.  iHiò]. 

-  immantinente  ;  [/"'*>'.  1845]. 

•'  altro;  [Spett.  1816].  —  altro:  [Flr.  1815]. 

*  novelle,  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
'  Ne,  [Sp>etL  1816;  Flr.  1845]. 

•^  re<jijla  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

•  Tafo,  [Spett.  1816;   Flr.  1845]. 
"  Anchialo;  [Slr.  1845]. 

""  Proci  [S2)ett.  1816;  Flr.  1845]. 
"•  'ntesi,  **  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 
"  vòlti,***  [Spett.  1816;  Flr.  1845[. 

*  Tanto  nello  Spettatore,   quanto  nell'ediz.    tioroutina,    a    questo 
luogo,  si  va  da  capo. 

**  Nello  Spettatore  conservato  in  famigflia.  alla  parola   'ntcni  è  so- 
stituito, a  penna,  attesi. 

***  Alla  parola  vòlti  è  sostituito,  roiuf  s<>iir,i.  atteai. 


2s  ()dissp:a 

Il  negro  Esperò  ^  giunse.     Ivano  allora 
Quei  tutti  a  riposarsi  alle  lor  case  : 
E  Telemaco  pure  ove  un  eccelso 
Talamo  avea  di  bella  Corte,  ^  in  luogo 
Cospicuo  d'ogni  parte,  al  letto  andossi,  ^ 
Molte  fra  se  volgendo  inquiete  cure. 
Seco  giva  *  recando  accese  faci  '' 
La  pudica  Euriclea  d'Opi  figliuola, 
Che  figlio  fu  di  Pisenor.     L'avea 
Compra  Laerte,  "'  pubescente  ancora,  * 
Co'  beni  suoi,  di  venti  bovi  al  prezzo,  ^ 
E  in  sua  magione  della  moglie  al  pari 
Onorata  Tavea  :  ma  la  consorte 
Per  non  muovere  a  sdegno,  unqua  non  s'era 
Con  lei  mescliiato  in  letto.     Or  ella  insieme 
Con  Telemaco  già  '-^  (cui  più  di  tutte 
L'altre  fantesche  amava,  ^"  e  che  fanciullo 
Nutrito  avea)  ^'  recando  accese  faci. 
Del  ben  ^^  costrutto  talamo  le  porte 
Dischiuse  tosto,  ^-^  e  sopra  il  letto  allora 
Telemaco  s' assise,  ^"^  e  dispogliossi 

'  espero  [Flr.  184:5]. 

-  corte,  [Spett.  181G;  Fir.  1.SÌ5]. 

•'  andossi;  [Fir.  1845]. 

^  <jlva,  [Spett.  1816;  i-'Àr.' 1845]. 

■'faci,  [Spett.  1816;  Flr.  1845]. 

"  Laerte  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 

"  ancora  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 

""  prezzo  ;  [Fir.  1845], 

"  ijia,  [Sptett.  1816]. 

'"  amava  [Spett.  1816;   Fir.  1845]. 

"  avea),  [Fir.  1845]. 

'-  bel*  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 
'=•  tosto;  [Spett.  1816;  Fir.  1845]. 

1+  s' assise  [Si^ett.  1816;  Fir.  1845]. 

*  Ledi/.,  tioreiitina  ha  (niesta  nota:  *  Forse  :  ben».  <he.  '•ome  vedt'si,  trova  qui  la 
i-ua  jiena  iriiistiflcazinnf*.  —  l'^ualniente  le^fresi.  con  correzione  a  penna,  nellesem- 
plarc  dello  Sprtliit'.rr  < servati!  in  t'.imiirlia.     (Vedi  anche  a  jujr.  4^^'j  dell'edlz.    fio- 


ODISSEA  29 

Della  tunica   molle  ;  indi  all'attenta 
Vecchia  la  porse.     L'assettò,  piegolla 
Essa,  ^  e  vicino  al  pertugiato  letto 
L'appese  a  un  cavicchiuol.     Poi  dalla  stanza 
Pronta  levossi,  -  e  per  Tanel  d'argento 
A  se  -^  tratta  la  porta,  il  chiavistello 
Giù  cader  fé'  ^  colla  correggia.     Ascoso 
Sotto  coltre  di  lana,  ivi  pensando 
Quegli  si  stiè  tutta  la  notte,  •'"'  e  seco 
Cercando  già  ''  come  fornir  dovesse. 
Giusta  il  detto  di  Palla,  "  il  suo  viaggio. 

'  Essa  [Spett.  1816]. 

•^  levo  issi  ;  [Flr.  1815]. 

'  so  [Spett.  1816]. 

*  fé  [Flr.  1815]. 

5  notte:  [Fir.  1815]. 

'  <)ia  [Spett.  1816;  Fir.  1815]. 

'  'Falla  [Fir.  18J5.] 


ENEIDE 


Un  quadernetto  di  ventiquattro  facciate,  interamente 
scritte,  tranne  l'ultima  mezza  pagina  (copertina  color  mar- 
rone cliiaroì. 


AL  LETTORE 


E'  mi  par  non  sia  da  inculcar  soverchiamente  quel 
precetto  di  Ora/io  :  - 

Versate  din  quid  ferre  recusent 
Quid  valeant  humeri,  ^ 

essendoché    gli  uomini  grandi   ìwn   sogliono   diffidarsi 

menerebbono  * 

molto  (W  delle  loro  forze,  né  torrebbono  per  avventura 
mai  a  fare  ad  effetto  una  grande  impresa,  se  innanzi 
di  porvi  mano,  "'  la  esaminassero  troppo  per- minuto.  Se 
io  *^  che  pur  mi  sono  tutt' altro  che  uomo  grande,  avessi 

discorso* 

diligentemente  e  partitamente  "  considerato  le  infinite 
altissime  difficoltà,"    cui    ad  un  traduttore  di   Virgilio 

>  Lettore!  [MU.  1817]. 
Lettore  [F'ir.  1^45]. 
-  Orazio,  [MU.  1817J.  —  d'Orazio,  [Fir.  1845]. 
^  Immeri;  [Fir.  1845] 
^  menerebbero  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
■'  mano  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
"  io,  [MU.  1817;  Fir.  1845]. 
■  particolarmente  [Mil.  1817;  Fir.  1845|. 
"  discorse  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
•'  diffiroUh  [Mil.  1817:  Fir.  1845]. 


34  ENEIDE 

fa  mestieri  sormontare,  non  avrei  mai  impresa  la  tra- 
duzione che  ora  ti  presento.  E  come  tu  dirai  che 
avresti  sopjDortata  questa  disgrazia  molto  agevolmente, 
io  cosi  ^  risponderotti  che  anco  il  Caro  -  se  troppo  fosse 
stato  a  considerar  Virgilio  e  gli  omeri  suoi  proprj  ^ 
e  la  età  sua,  ìion  verosimil  ^  cosa  è  che  non  ci  avrebbe 
mai   lasciata    la    prima    traduzion    poetica    che    abbia 

principio 

avuto  Italia  sino  al  cominciare  del  secol  "'  nostro;  e  me- 
desimamente molti  altri  grandi  uomini,  ''  non  avreb- 
bono  ~  forse  dato  pur  cominciamento  a  molte  altre  loro 
grandi  opere ,  se  prima  avesser  voluto  rintracciare 
con  troppa  sollecitudine,^  tutti  i  luoghi  er^/ ed  *  arti^^ 
ai  quali  poteano  avvenirsi  :^'^  oltreché  il  genio  non  sof- 
fre indugio,  ne  disamina.  Ma  perchè  ora  mio  inten- 
dimento è  ora  parlarti  di  me,  e  non  del  Caro  ^^  né  di 

fatto 

alcun  altro,  dirotti  per  quale  occasione  io  mi  sia  indotto 
a  tradurre  il  secondo  Libro  della  Eneide.  Sappi  dun- 
que che  a  ciò  non  altri  avermi  mosso  che  il  tristo  con- 
sigliere di  Virgilio.  Perciocché  letta  la  Eneide,  ^-  (si 
come  semj^re  soglio,  letta  qual  cosa  '•*  é  '^  o  mi  par  me 


'  cosi  io  [MIL  1817  ;  Fir.  1845]. 

-  Caro,  [MU.  1817;  Fir.  1815]. 

•'  lìroiìri  \^Mll.  1817] . 

^  verisimil  \MIL  1817;  Fir.  1845], 

•^  secolo  [Mll.  1817] . 

"  uomini  [iUi7.  1817;  Fir.  1845]. 

*  avrebboTi  [Fir.  1845]. 

"  sollecitudine  [3/i7.  1817;    Fir.  1845;. 

'■'  arti  [Wd.  1817;  Fir.  1845^. 
'"  avvenirsi  ;  [Mll.  1817  ;  Fir.  1845], 
"   Caro,  [Mll  1817;  Fir.  1845]. 
'-'  Eneide  [Mll.  1817;  Fir.  1845]. 
'•'  qualcosa  [Fir.  1883]. 
'^  è,  [Mll.  1817;  Fir.  1845]. 


*  li'eiì,  tanto  nell'ediz.  di  Milano,  qnanto  in  quella  di  Firenze, 
in  condivo. 


i 


ENEIDE  .-30 

veramente  ^  bella)  -  io  andava  del  continuo  spassimando, 
e  cercando  maniera  di  far  mie  ^  ove  in  qìtalche  gìùsa  si 
potesse  in  alcuna   guisa  "^    quelle   divine   bellezze,  ~'  né 

infinechè ' 

mai  ebbi  pace,''  sinché  non  ebbi  patteggiato  con  me  me- 
desimo, e  non  mi  fui  avventato  al  secondo  libro  ^  del 
sommo  poema,  il  quale  più  degli  altri  mi  ave  a  tocco,  ^ 
si  che  in  leggerlo,  senza  avvedermene,  lo  recitava, 
cangiando  tuono  quando  il  si  convenia  fare,  ^^  e  in- 
f?/ocandomi,  ^^  e  forse  talvolta  mandando  fuori  alcuna 
lagrima.  Messomi  all'  '-  impresa  '^  so  ben  dirti  aver 
io  conosciuto  per  prova  che  senza  esser  poeta  non  si 

vero 

può  tradurre  un  fjran  poeta,  e  meno  Virgilio,  e  meno 
il  secondo  libro  '"*  della  Eneide,  caldo  tutto  dal  pr  quasi 
ad  un  modo  dal  principio  al  fine,^"'  talché  jìev  come  qual- 
volta io  cominciava  a  mancare  di  ardore  e  di  lena,  tosto 

avvisavami 
mi  avvedea  che  il  pennello  di  Virgilio  divenia ^^  stilo ^' 

in  mia  mano.  E  si  ho  tenuto  sempre  dietro  al  testo 
a  motto  a  motto  (perché,  quanto  alla  fedeltà,  ^^  di  che 

'   veramente,  [Fir.  184.5]. 
-  bella),  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'  '„lie,[^UL  1817;  Fir.  1845]. 
■*  ijuisa,  [Mil.  1817  ;  Fir.  1845]. 
•'  bellezze;  [J/t7.  1817].  —  bellezze:  [Fir.  1845]. 
"  iìace  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
■  infinchè  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
^  Libro  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
"  tiWA'o  ;  [Fir.  1845]. 

'"  convenia,  [Mil.  1817].  —convenia,  [Fir.  181;V. 
"  infocandomi  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'-  alla  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
''  impresa,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'*  Libro  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
''fine;  [Mil.  1817;  Fir.  1845J. 
'"  divenia  [Fir.  1845]. 
"  stile*  [Fir.  1845]. 
"*  fedeltà  [Mil.  1817  ;  Fir.  1845] . 

*  K  ocrfo,  stimiamo.  .'rr..r«-  ili  strinici, 


3(>  ENEIDE 

posso  giudicare  co'  miei  due  occhi,  non  temo  paragone)  ^ 

dei  sinonimi 

ma  la  scelta  delle  parole ,  il  loro  collocamento  delle 
jjarole,  la  forza  del  dire,  l'armonia  espressiva  del  verso, 
tutto  mancava,  o  era  cattivo,  come,-  dileguatosi  il  poeta, 
restava  solo  il  traduttore.  Le  immense  difficoltà  che 
io  lio  scontrate  per  via-^  né  puoi  tu  di  per  te  stesso  cosi 
ben  penetrare  come  io  che  holle  sperimentate,  né  posso 
io  darti  al  tutto  ad  intendere  con  parole.  Ma  che  la  dif- 
ficilissima cosa  siami  stata  non  intoppar  nel  gonfio,  ^ 
e  non  cascar  nel  basso,  ma  tenermi  sempremmai  in 
quel  divino  mezzo,  "•  che  é  il  luogo  di  verità  e  di  na- 
tura, e  da  che  mai  s'''  é  dilungata  <7'un  punto  la  celeste 
anima  di  Virgilio,  "  questo,  io  penso,  comijrenderai  age- 
volmente. Sporti  a  parte  a  parte,  come  abbia  io  ado- 
perato per  venire  all'intendimento  mio,  e  le  leggi  che 
mi  son*   parute  da  osservare,   disutil  cosa    sarebbe  e 

avvenga  che, 

nocevole  anzi    che  no.  '-^  polche  se  e'  parratti   che  non 

indarno 

a  voto  io  siami  faticato,  la  traduzione  istessa  tutto  ti 
mostrerà,  troppo  meglio  che  non  potrei  qui  far  io,'^  e 
se  il  l'opposito  addiverrà,  nuocerebbemi  che  tu  sapessi 
come  "  io  conoscendo  il  modo  di  ban  tradurre  Virgilio, 
lo  '-  ho    })0Ì  tradotto   male.     Pregoti  che  tenga  questo 

'  lìarcKjone)  ;  \Mil.  1<S17  :  Fir.  1815). 

-  come  [Flr.  1845^. 

•'  ola,  [Mil.  1817;  Flr.  1815J. 

*  ijonfio  \\rd.  1817:  Flr.  1845]. 
•^'  mezzo  [MIL  1S17  :  Flr.  1845J. 
''  si  [MIL  1S17:  Flr.  1815J. 

'    Virginio;  [MIL  1817;  Flr.  1845]. 

«  sono  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 

"  ed  anzi  iiocovolo  olio  no,  [Mll.  1817; 

Flr.  1845].  * 
'"  lo;  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 
'»  com'  [Flr.  1845]. 
'-  V  [MIL  1817;  Flr.  1845]. 

*  Ni'H'ciliz,  fion'iitina  dopo  «  «o  >  pf  un  jniiit'i-.  ma.  t'vicli'iitfini'iitf.  p>T  i 
f^tanipa, 


di 

I 


ENEIDE  ót 

adoperato. 

per  certo,  aver  io  tutto  ^  che  per  me  si  poteva,  fatto, 
onde  fpies  V opera  fon  la  breve  ma  non  picciola-  ope- 
ra, •''  fosse,  quanto  a  cosa  mia  è  dato,  perfetta. 

Mal  però  avviseresti  se  credessi  che  ove  a  questa 
traduzione  non  incontrassi^  mala  ventura,  io  avessi  in 
animo  di  voltar  del  pari  in  italiano  tutta  l'Eneide. 
L'opera  mia  comincia  dal  verso  : 

Conticuere  omnes  '•  intentique  ora  tonebant, 

ed  ha  fine  nell'altro: 

Cessi"  et  sublato  montem  genitore  petivi: 

e  questo  non  perchè    sarebbe    da   gareggiare,  non  già 

per  avventura 
con  Annibal  Caro.  '  (che  forse  pensi  che  m'impaurisca, 

posciachè 

e  male,''  da  si  come  non  ha  forse  Italiano  che  più  di  me 
sìa  ammiri  quel  grande  scrittore,  cosi    non  ne  ha  per 

potere  Italia 

sorte  alcuno  che  più  fermamente  creda  mancare  aU  Ita- 
lia potersi  anco  desiderare  in  Italia  una  traduzione 
della  Eneide)^  ma  con  Virgilio.     Saggio  di  traduzione 

Libro 

da  farsi  per  me  ho  già  dato  io  nel  primo  Canto  del- 
l'Odissea venuto  in  luce  il  Giugno^"  e  il  Luglio^'  di  que- 

mal  grado 

st'anno  nello  Spettatore  '^  e  malgrado  il  mio  del  mio  in- 
ginocchiarmi innanzi  ai  letterati,  e  dell'usare  2^<^^ole  a 

'  tutto,  [MIL  1816]. 

''  piccola  [MIL  1817;  Flr.  1845]. 

^^  oliera  [MIL  1817;  Flr.  1845]. 

*  incontrasse  \MiL  1817;  Flr.  1845]. 

•^  omnes,  [Flr.  1815]. 

«  Cessi,  [MIL  1817;  Flr.  1845]. 

"  Caro  [MIL  1817;  Flr.  18 15^. 

«  viale;  [Fir.  1845]. 

«  Eneide),  [MIL  1817:   Flr.  1815J. 
'"  f]la;ino  [MIL  1817  ;  Fir.  1845]. 
"  luglio  [MIL  1817;  /-'ir.  1845]. 
'*  Spettatore;  [MIL  1817;  Flr.  18451. 


38  ENEIDE 

bello  studio  maniere  un  po'  stravaganti,  a  pregarli  che 

man- 

lor  piacesse  dirmi  se    utile    o    inutil   cosa  farei    conti- 
d'Ando 
nuando  l'opera  innanzi,    non  altro  ho  potuto   saperne  ^ 

se  non  che  quello  inginocchiarmi  è  paruto  un  j)ó'  strano,  - 

taluno 

(ed  io  avea  voluto  che  il  fosse)  '-^  e  che  ha  qualcuno 
il  quale  ^  non  vorrebbe  sentir  parlare  di  chiostra  de' 
denti,  di  che  agevolmente  mi  consolo  colle  parole  di 
Omero  'épxoQ  ooóvxwv,  ''  e  coll'esempio  del  Monti  e  con 
mille  altre  cose ,  :  *^'  e  converrà  ~  se  pur  dilibererò  ^  di 
tradur  l'Odissea'^  che  ne  giudichi  per  me,  e  che  corra 
il  rischio'"  che  avrei  voluto  causare''  di  gittar  la  fatica. 
Ma  già  ho  scorto  assai  mende  per  entro  alla  tradu- 
zione di  quel  libro,  '-  ne  e  certo  non  ridarella  al  Pub- 
blico senza  molto  avervi  cangiato  :  da  che  sono  io  di  tal 
tempra  che  nulla  mi  va  a  gusto  di  quanto  ho  fatto  due 
o  tre  mesi  innanzi  ;  e  però  molto  più  biasimo  ora  la  cat- 
tiva traduzione    di   Mosco  data  fuora   medesimamente 

anzi  che 

nello  Spettatore^  e  fatta  avantiche  ponessi  mano  alla 
versione  dell'Odissea,  di  qua  ad  un  anno  addietro, 
quando  io  non  ne  avea  che  diciassette.  Volesse  il  cielo 
che  a  queste  riprovate  opere, ''^  tenesse  dietro  alcuna  cosa 
buona,  come  al  Rinaldo  del  Tasso,  al  Giustino  del  Me- 

'  saperne,  ]Mll.  1817;  Fh\  1845]. 
•''  strano  [Mil.  1817;  Fir.  1845J. 
'^  fosse),  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
*  quale  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
5  ò6óvxo)v  [Mil.  1817]. 
"'  cose;  [Fir.  1845]. 

^  converrà,  [Mil.  1817].  — ;  converrà,  [Fir.  1845]. 
«  delibererò  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
"  Odissea,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'"  rischio,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
"  cansare,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'•-'  Libro,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
''  opere  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 


ENEIDE  39 

par 

tastasio,  alla  Cleoj)atra  dell'Alfieri  ;  che  non  e  da  spe- 
rare. ' 

Lettor  mio,  eccoti  In  mia  tradiizìoiie  dà  un'occhiata 
alla  mia  traduzione,  e  se  non  ti  piace,  si  biastemmia 
il  deturpatore  della  Eneide,  che  sei   merita,  e  gettala 

t'appaga 

Via;  se  ti'dìi  nel  genio,  danne  lode  a  Virgilio  -  la  cui 
anima  hammi  ispirato,  anzi  ha  parlato  sola  per  Locca 
mia.  -^     Sta  sano.  * 


[Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
''   Virgilio,  [Mii.  1817;  Fir.  1845]. 
•'  por  mia  bocca.  [Mil.  1817;  Fir.  1&45]. 

*  L'autografo  di  questa  lettera  è    conservato   pur  esso  in  casa 
Leopardi.  È  un  foglio  di  quattro  pagine,  ondo  solo  tre  sono  scritte. 

**  III  un  t'Ffliipl;ii-c  rlic  ili  i|Ufst;i  ciIÌ/Ìmih'  si  <-(.ii 
f he  alcune  parole.  !ua  ii'in  -ià.  'Tcdiniiin  almciH".  di 
'luto  hi.  dono  dallo  stesso  Anton')  ^  tiMvasi  niaiMis- 
«lei  secondo  foglio  della  copertina  -oidi-  venie  scu 
i-orrezione  è  la  seiruente  : 

l'ug.  8,  vers.  in    sin-arnr  ror;-.:  sjx  rare. 


nella  Hil.li 

..(era  ( 

.li  Ma 

eerat  i  (e 

>  «lei  H'islri 

(e  pi-l.pi-iu 

..    «li-'Ml 

n.'lla 

mi  rss 

■ire  stato 
L  iM'-fiata 

la   Krmtn 

r<,rri. 

'!'■■      I 

,a  prima 

LIBRO  //  SECONDO  * 

della  ENEIDE. 


Ammutirono  tutti  ^  e  fissi  in  lui 
Teneano  i  volti;  allor  che  il  padre  Enea 
Si  cominciò  da  l'alto  letto:  Infando, 

0  Regina,  *  è  il  dolor  cui  tu  m' imponi 
Che  rinnovelli.     I'  dovrò  dir  da'  Greci 

1  Teucri  averi  e  il  miserando  regno 
Come  fosser  diserti:  io  dire  i  casi 
Tristissimi  dovrò,  ciii  vidi  io  stesso 

E  di  che  fui  gran  parte.     E  qual  potrebbe 

0  Mirmidòne,  o  Dolope,  o  seguace 

fero 

Del  fovìp,  Ulisse  rattenere  il  pianto 

ragionando 

Tai  cose  in  rammentando  ?  E  ffia  la  omai  dal  cielo 
Precipita  la  notte  umida,  e  gli  astri 
Vanno  in  cader  sollecitando  persuadendo  il  sonno. 
Ma  se  cotanto  hai  di  saper  desio 

1  nostri  casi,  e  l'ultima  sciagura 

Se  ti  diletta  in  brevi  accenti  espressa 

tuta,  [MIL  1817;  Flr.  1815]. 
'  regina,  [Fìr.  1845]. 
*  Dopo  secondo  c'era  un  punto,  che,  poi,  fu  tolto. 


42  ENEIDE 

Di  Troja  ^  udir;-  benché  meinlDrarla,  ^  orrendo 
A  l'alma  sia''  che  addolorata  il  fugge; 
Comincerò.     Da  guerra  affievoliti 

respinti 

Gli  AcMvi  duci,  E  dal  destin  sospìnti  i  duci  Acliivi 

Dopo  tant'anni,  da  Minerva  istrutti 

Divinamente,  di  montagna  in  guisa 

Dansi  un  cavallo  a  fabbricar,  le  sue 

Coste  intessendo  di  segato  abete, 

E  voto  il  fìngon  pel  ritorno.     Errando 

Tal  fama  vassi.    Entro  dal  seno  oscuro 

Occultai!  greci  " 

Chiudon  guerrieri  a  sorte  tratti  eletti,  e  il  ventre 
Enijnon  d'' arinoti,  E  le  spaziose  grotte  empion 

d'armati. 
*Tenedo  è  incontro  ad  Ilio,"  Isola"  ovunque 
Nota  per  fama,  e  ricca,  allor  che  il  regno 
Di  Priamo  stava  ;  ^  or  già  non  più  che  seno 
Ed  a'  navigli  infida  stanza.     I  Greci 
Qua  giunti  ^  s'appiattar  *"  ne  l'ermo  lido, 
E  noi  partiti  li  credemmo  e  volti  '^ 
Con  opportuno  vento  inver  Micene. 
Onde  il  suo  lungo  duol  Dardania  tutta 
8i  disveste:  spalancansi  le  porte:  [il  campo 

È  grato  Uscirne  è  grato  ^-   e  degli  de  gli  Adii  vi 

1   Troia  [Fli\  1845]. 

■'  udir,  [3IIL  1817;  Flr.  1815J. 

=*  memorarla  [Mil.  1817;  Flr.  1845]. 

*  sia,  [Mil.  1817;  Fir.  1815]. 

•'^  Greci  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

"  Ilio;  [Fir.  1815]. 

'  isola  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

«  stava,  [Mil.  1817]. 

«  giunti,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
^'^  s* appiattar  [Mil.  1817;  Fir.  1815]. 
"  vòlti  [Fir.  1845]. 
'■'  grato,  [Mil.  1817;  Fir.  1815]. 

*  A  questo  luogo  nelle  edizioni  di  Milano  e  di  Firenze  non  si  va 
da  capo. 


ENEIDE  43 

Vedere  Mirare  ^  e  i  luoghi  solitarj,-    e  il  lido 
Abbandonato.     I  Dolopi  guerrieri 
Ebbero  qui  lor  tende  ;  -^  il  fero  Achille 
8'accarnpava  colà;  qui  fur  le  flotte,^ 
Là  pugnar  si  solea.     Parte  de'Teucri 
Stupita  guarda  il  fatai  don  sacrato 
Alla  A  la  vergine  Pallade,  e  la  mole 
Ammira  del  cavallo.     Entro  le  mura 
A  trarlo  esorta,  "•  e  ne  la  rocca  a  porlo 
Timete  il  primo  :  o  frode  fosse  ^  o  il  fato  ~ 
Che  d'  Ilio  il  mal  già  fermo  avea.    Ma  Capi  ^ 
E  chi  meglio  avvisava,  il  malsicuro 
Dono  de' Greci  insidioso,'^  in  mare 
Volea^i  che  si  gettasse,  o  con  sopposte 
Fiamme  si  s'ardesse,  o  le  caverne  occulte 

esplorar, 

Onde  '  spiar,  se  gli  forasse  il  fianco. 

Smembrasi  parti  opposte 

Si  parte  in  due  contrarj  il  volgo  ^^  incerto. 
*  Innanzi  a  tutti  allor  con  grande  stuolo 
Laocoonte  da  la  somma  rocca 
Rapido  Fervido  giù  trascorre,  e  di  lontano, 
0  sventurati,  o  cittadini,  esclama, 
E  0  qual  demenza  mai!  partiti  dunque  i  greci  '' 
Credete  dunque  dunque,  e  che  non  rechi  inganno,  '' 

'  Mirare,  [Fir.  1845]. 

''  solitari  [Mll.  1817;  Fir.  1845]. 

='  tende,  [Fir.  1845]. 

^  flotte;  [Mil.  1817;,  Fir.  1845]. 

^  esorta  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

^  fosse,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

'fato,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

«  Capi,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

»  insidioso,  [Mil.  1817]. 
'"  vulgo  [Mil.  1817;  Fir  1845]. 
"  Greci  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'■"'  inganno  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

*  A  questo  luogo  nelle  edizioni  di  Milano  e  di  Firenze  non  si  va 
da  capo. 


44  ENEIDE 

Dono  (l'Achei?     sì  conoscete  Ulisse? 
O  rimpiattato  in  questo  legno  stassi 
Alcun  de'   Greci,  o  a'  nostri  muri  avversa 
Tal  macchina  s'alzò,  le  case  forse 
Ad  esplorare,  o  ad  assalir  di  sopra 

qui  sotto  di  cert  )  - 

La  città  nostra,  ^  o  qualche  frode  al  certo 

Frode  sta  rimpiattata.  O  Teucri,  fede  •"' 

Nascosa  è  qui.  Non  sia  che  fede  abbiate 

Non  abbiate  al  cavallo.  E'  sia  che  vuoisi  •* 

Al  cavallo,  o   Trojani.  I  Greci  io  temo 

Temo  gli  Achei  ^ 

Che  che  sia  ciò  ,  se  recan  doni  ancora. 

Si  disse,  e  al  fianco  del  cavallo,  in  luogo  parte 

Ove  aggiunte  del  de  l' ^  alvo  eran  due  travi  ' 

Con  poderoso  impulso  una  gagliarda 

Asta  avventò.     L'asta  ondeggiando  stette, 

E  rimbombar  *  de  l'utero  a  la  scossa 

Le  grotte  cupe  "  e  un  gemito  mandaro. 

E  se  i  destini  avversi  e  dissennate 

State  non  fosser  nostre  menti,  indotti 

N'avria  col  ferro  a  lacerar  le  occulte 

Argoliche  caverne, ^"^  e  tu  staresti, 

Troja,  ^'  jmr  per  anco,  e  tu  saresti  adesso. 

Alta  reggia  di  Priamo.     Ecco  fra  tanto,  '- 

Stuol  di  Teucri  pastori  al  rege  innanzi 

>  nostra;  [MIL  1817;  Flr.  18451. 

■'  o  qualche  frode  al  certo  [MIL  1817  ;  Flr.  184o]. 

■*    Nascosa    è    qui.    Non   sia  che   fede   abbiate    [Mil.  1817; 

Fir.  18451. 

■*  Al  cavallo,    o    Trojani.      I    Greci   io    temo,    [MIL    1817J. 
Troiani.  [Fir.  1845J. 

"  Che  che  sia  ciò,  [MIL  1817;  Fir.  1845]. 

«  dell'  [MIL  1817;  Fir.  1815]. 

■  travi,  [MIL  1817;  Fir.  1845]. 

**  rimbombar  [Mil.  1817]. 

»  cupe,  [MiL  1817;  Flr.  1815]. 
^"  caverne;  [Fir.  184.5]. 
"    Troia,  \Fir.  1845]. 
'■'  tanto  [MiL  1817:  Fir.  1845]. 


p:neide  45 

Coi]  gran  tumulto  un  giovine  traea  ' 

Le  mani  avvinto  dietro  al  tergo.     Ad  essi 

Ignoto  ei  s'era  al  lor  venire  offerto 

Spontaneamente,  onde  afforzar  l'inganno 

Ed  Ilio  ai  a' Greci  aprir,-  di  se  "^  sicuro.'* 

E  fermo  in  mente  o  di  compir  la  frode, 

0  di  recarsi  a  certa  morte  incontro.      Intorno 

Al  prigionier  la  gioventù  Trojana  ■""' 

D'ogni  banda  precipita,  bramosa 

Di  riguardarlo,  e  lo  schernisce  a  gara. 

Or  de' Greci  le  insidie  ascolta,  e  tutti 

Da  un  sol  misfatto  li  conosci/.     Inerme, 

Turbato,  in  mezzo  de  le  Frigie  schiere,  '"' 

Com'ei  si  fu  fermato,  e  gli  occhi  in  giro 

Volti,  '   a  r  intorno  l'ebbe  rimirate,. 

accorre  '■' 

Ahi  qual  terra  "^  esclamò,  qual  mare  infine,  * 

puote  ornai 

Me  lasso  accor  j)otrh  V  che  più  mi  resta? 
8e  non  ho  luogo  tra  gli  Achivi,  e  il  sangue 

ancora? 

Chiedonmi  avversi  in  pena  i  Teucri  anch^essi? 
Cangiò  gli  spirti,^"  e  ogn/ '  impeto  represse 
Quel  gemer  ne'  Trojani.  '^  A  ragionarne 

prosapia 

Il  confortiamo  '-  e  chi  di  tpial  aangiKi  nato 
Ei  sia,  che  rechi,  e  prigionier  che  speri. 

'  traea,  [MU.  1817;  Flr.  1S45\ 
■^  aprir;  [Fir.  1845]. 
•■•  sé  [Mil.  1817]. 

*  sicuro,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
"   Troiani  [Fir.  1845]. 
"  schiere  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'    Vùlti,  [Mil.  1817]. 
«  terra,  [Mil.  1817;  Fir.  1815], 
"  accorre  [Mil.  1^15]. 
"•  spirti  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
"    Troiani.     [Fir.  184.5]. 
'^  confortiaiìi,  [Fir.  1815]. 
*  Altra  variante  ;  affine 


4()  EX  RIDE 

Cosi,  deposta  allìn  la  tema,  ei  parla: 

*  Il  tutto,  0  rege,  e  il  vero,  e  sia  che  piiote. 
Confesserò.     Non  negherommi  in  prima 

padre  Argolico:  ^ 

Nato  di  Greco  genitor**:  né  sorte 

Perchè  misero  il  fé',  -  bugiardo,  ^  e  vano 

Sinon  l'empia  farà:  se  m  conversando  udito  mai 

Abbi  tra  il  ragionar,  '*  di  Palamede 

Che  dal  sangue  di  Belo  origin  ebbe  •■■' 

Il  nome  a  sorte,''  e  la  gloriosa  fama, 

Che  dal  sangue  di  Belo  origin  ebbe 

Conto  non  m'è.     Di  tradigione  apposta 

Con  accusa  nefanda  il  trucidar© 

Innocente  gli  Achei,  perchè  stornarli 

Volea  da  guerra:  il  piangon  morto  adesso. 

Socio  a  questi  e  parente,  a  l'armi  il  mio 

Povero  genitor  da'  miei  prim'anni 

Qua  m' inviò.'     Finché  nel  campo  illeso 

Visse,  ^  e  fiori  pei  '  suoi  consigli  il  campo, 

Di  fama  alquanto  e  d'onoranza  anch'io 

M'ebbi  :  ma  poi  che  per  livor  del  blando 

Ingannatore  Ulisse  (ignote  cose 

favello 
Io  non  rammento  )  el  '  fu  disceso  a  Pluto, 

Mesto  traea  fra  il  pianto  i  giorni  oscuri,^ 

E  meco  già  ^^  de  l'innocente  amico 

'  Argolico,  [Mil.  1817].  —  Argolico;  [Fir.  1845]. 
•'  fé,  [Fir.  1845]. 
^    ^'bugiardo  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
"*  ragionar  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
■^  ebbe,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'"  sorte  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'  invVo.  [Mil.  1817]. 
**   Visse  [Mil.  1817;  Fir.  1B15J. 
»  oscuri.  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'"  già  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

*  Nelle  edizioni  di  Milano  e  di  Firenze,  anziché  andar  qui  da  capo, 
si  è  fatto  precedere  VII  da  una  lineetta. 
**  Altra  variante  :  da  Greca  gente 


ENEIDE 

La  sciagura  sdegnando.     K  già  non  seppi 
Tacer  ^  folle  che  '  i'  fni  :  ma  se  da  sorte 
Stato  fossi  mai  tratto,  e  vincitore 
Tornato  fossi  a  la  mia  patria  in  Argo, 
Vendicarlo  promisi,  aspri  movendo 
Odj  ^  co'  detti  miei.      Quindi  la  prima 
Origin  di  mio  mal;  di  quindi  innanzi 
Fu  sempre  Ulisse  ad  atterrirmi  inteso 
Con  calunnie  novelle,  e  ambigue  voci 

seminar  nel 

A  fijmrgere  tra  il  *  volgo,  -^  e  in  danno  mio 
Armi  a  cercar  di  suo  misfatto  accorto. 
Né  mai  ristette,  in  fin  che  di  Calcante 

A  ministro  valendosi Ma  queste 

Spiacevoli  novelle  a  che  rimesco? 

A  che  fraj)pongo  ■*  indugj  •'"'?  i  greci''  tutti 

In  un  sol  conto  avete  :  udir  vi  basta 

Che  greco ^  io  son*^;  già  mi  punite:  il  brama 

Ulisse,  e  caro  il  pagheran  gli  Atridi. 

Impazienti  ^  allor,  di  sue  sciagure 

Il  dimandiamo,  il  provochiam  ^*^  di  tanta 

Malvagità  ^^  de  l'arte  Greca  ignari.  S 

Con  finto  cor,  pavido  ei  segue  e  dice;         S 

Spesso  fuggir  nascosamente  e  porre r§ 

^roja  ^~  partendo  ^'^  in  abbandono,  i  Greci  ^^ 

'   Tacer,  [Mll.  1817;  Fir.  1845]. 
-'  Udii  [Flr.  1845]. 
'■"  vulgo  [MU.  1817;  Flr.  1845]. 
•*  trapongo  [MIL  1817;  Flr.  1845]. 
''  indwji?  [Mii.  1817;  Flr.  1845]. 
"  /  Greci  [MIL  1817  ;  Flr.  1845]. 
''  Greco  [MU.  1817;  Flr.  1845]. 
""  son:  [MU  1817;  Flr.  1845]. 
"  Imjmzientl  [MU.  1817]. 
"  2>rovochlaiit,  [MU.  1817;  Flr.  1845]. 
'  Maloafjltà,  [MU.  1817;  Flr.  1845]. 
'   Troia,  [Fir.  1845]. 
^  partendo,  [MU.  1817;  Flr.  18^4.5]. 
*  Greci,  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 
♦  Altra  variante:  A  spargere  ira  al 


48  ENEIDE 

Stanchi  dal  lungo  guerreggiar,  bramare. 

Ed  ho  oh  fatto  l'avessero!  Sovente  Del  ma  Le  '  vie 

Del  mar  so  Lor  chiusero  del  mar  soventi  liate 

Dire  procelle,  - 

Aspre  tempeste,  ed  allor  più  che  questo 

Cavai  di  legno  stava  già,  tuonaro 

Per  l'aria  tutta  i  nembi.     Incerti  allora 

A  interrogar  l'oracolo  di  Febo 

Euripilo  mandiam.     Questi  da'   sacri 

Penetrali  ei  rijiorta  acerbi  detti  : 

Con  sangue,  o  Greci,  i  venti, '^  e  co  "•  la  morte 

D'una  vergin  placaste,  ^  allor  che  in  prima 

Vi  conduceste  a  le  Trojane  "^^  sponde  : 

Sangue  vuoisi  al  ritorno  ~  e  Argiva  un'alma 

In  sacrificio.     E'  fur  del  volgo  appena 

istupidir  "  gli  spirti'" 

Giunti  a  V orecchio,  a  gli"*  orecchi,  j)cJ  midollo^  a  tutti 

Ed  agghiacciato  un  tremito  per  1'  ime 

Corse  gelato  vento  ^^  corse  un  tremito;  dai  fati 

Ossa  a  tutti  discorse,  a  quale  appresti  Morte  il  destiv, 

Qual  cerco  sia,  qua!  chief/f/a  Febo  ignari. 

Morte  il  destin,  qual  chiegga  ***  Febo   ignari. 

Qui  degli  tragge  Ulisse  de  gli  Achivi  in  mezzo 

Con  gran  tumulto  l'indovin  Calcante: 

E  qual  disegni  a  dichiarir  l'esorta 

Il  comando  de'  numi.  ^^     E  a  me  V iniqua  la  fera 

'  le  [Mll.  1S17;  Flr.  1845]. 

''  iirocelle:  [Flr.  1845]. 

='  venti  [Mll.  1817;  Flr.  1815]. 

^  con  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 

■^  placaste  [Mll.  1817;  Flr.  184o]. 

"   Troiane  [Flr.  1845]. 

"  ritorno,  [Mll.  1817;  Flr.  1815]. 

«  afjU  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 

»  Istupidir  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 
">  sirlrtl,  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 
"  Numi.  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 

*  Altra  variante  :  pei  midolli 

**        „  „  gelido  orror 

***       „  „  qual  brami 


ENEroE  -49 

de  l'empio 

Trama  del  fero  *  autor  ^  molti  che   quanto    . 
Era  per  incontrar  vedean  tacendo  - 

Indicavano 

Predicavano  già.     Chiuso  egli  tace 

Per  dieci  giorni  ^  e  con  suo  detto  alcuno 

Di  scoprir  nega,  ^  e  di  dannare  a  morte  : 

Ma  Infin  che  poi  dall'  ^  alte  grida  spinto 

DelV  De  l'Itacese,  in  pattovita  foggia 

Rompe  il  silenzio  ^  e  me  destina  alVara  a  l'ara. 

Fer  "^  plauso  tutti  ^  e  consentir  ^  che  volto  ^^ 

Quel  che  temea  per  se  ^'  ciascuno,  al  fato 

Fosse  d'un  sol  meschino.     E  già  l'infando 

Giorno  era  giunto  presso  :  a  me  le  sacre  cose 

e  il  capo 
E  il  Apparecchiarsi,  ^-  e  il  salso  farro,  e  sì  cinto 

Delle  tempia  Redimirsi  ^^  di  bende.    I  lacci  io  ruppi, 
Noi  niego,  e  a  morte  mi  sottrassi.     Occulto 
Entro  fangoso  stagno  in  mezzo  a  Fulva 
Passai  la  notte  '"*  e  che  le  vele  al  vento 
e 

Dassero  i  Greci,  attesi,  ove  pur  date 


»  autor,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
«  tacendo,  [Mil.  1817;  Fìr.  1845]. 
»  giorni,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

*  'iiega  [Mil  1817;  Fir.  1845]. 
«  da  V  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

«  silenzio,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

''  Fen  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

»  tutti,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

»  consentir  [Mil.  1817;  i^tV.  1845]. 
»»  vòlto  [Mil.  1817;  i''iV.  1845]. 
"  sé  [Mil.  1817]. 

'-  Apparecchiarsi'^'^  [Mil.  1817;  i'Vr.  1845]. 
'■'  Redimirsi  ***  [Mt7.  1817;  Fir.  1845]. 
"  no«e,  [ilfi7.  1817  ;  Fir.  1845]. 

*  Altra  variante:  feral 

■'  Errata  Corì-igf  :  Pag.  Ifl,  v.  fi.  —  Apparcnohiùrfii  cùrr.:  Apparecchiarsi 
"  '        >  >  P.aji-.  Ifi,  V.  7.  —  Redimirsi  eorr.:  Redimirsi 

(Bibì.  di  Macerata) 


50  ENEIDE 

Le  avesser  mai.     Né  già  la  patria  antica,  ^ 

Speranza  lio  più  di  riveder,  né  i  dolci 

Figliuoli  miei,  né  il  desiato  "  padre  :  '-^ 

In  chi  del  mio  fuggir  forse  vendetta 

Faran  (jli  I  Pelasgi  faran,  ^  volti  -'  col  sangue 

De'  miserelli  ad  espiar  ^  mia  colpa. 

Or  te  per  ^li  Celesti,  or  te  scongiuro 

Pe'  Dei,'  cui  noto  é  che  verace  io  dissi;. 

Per  la  incorrotta  fede,  ove  a'  mortali 

Punto  ancor  ne  rimanga; 

Fior  'p(iT  anche  *  ne  resti  ;  abbi  di  tante 
Mie  sciagure  pietà,  pietà  d'un'alma 
Senza  merto  infelice.  ^     A  questo  pianto 
Doniam  sua  vita,  e  di  per  noi  j?9ietof/e  pietosi 

Veniamo  in 

Ahhiain  di  lui.     Che  le  manette  e  l'arte  ** 

Catene  gli  sian  tolte  il  rege  istesso 

Primiero  impone  ^  e  con  amici  detti,  '^^ 

Si  lui  favella.  ^^     I  tuoi  perduti  Greci  ^^ 

Chi  che  sii  tu,  da  questo  punto  obblia:  ^^ 

Nostro  sarai.     Veracemente  or  narra 

Quel  eh'  io  '  ti  chieggo  ,  .     A  che  tal  mole  han  posta 

Di  smodato  cavallo?     Autor  de  l'opra  '^ 

'  antica  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

2  desiato  [Mil.  1817]. 

='  Xtadre  ;  [Fir.  1815]. 

*  faran  [Mil  1817;  Fir.  1845]. 

''  vòlti  [Mil.  1817;  Fir.  1845.] 

«  espiar  [Mil.  1817]. 

'  Bei  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

«  infelice.  —  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

"  impone,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
^°  detti  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
"  favella:  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'•'  Greci,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'^  oblia:  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
>*  opra,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

*  Altra  variante:  pur  anco 
**  L'ediz.  Le  Monnier  ha  questa  nota:  [Arda  vinclaj. 


ENEIDE  51 

Scopo  qual  fu?  quale 

Chi  fu  f      qual  sacra  cosa,  o  qual  di  guerra 
Di  guerra  arnese  è  questo? 

Macchina  e  questa?     Ei'   detto  avea/  e  quegli 
E  quei  di  d'  greca  istrutto,  ^ 

Di         frodi  e  di  Pelasga  arte     fornito, 

Le  disserrate  ^  mani  al  cielo  alzando  ergendo  * 
Voi,  disse,  0  fwochi  ^  sempiterni  ^  e  il  vostro 
Inviolabile  nume,  e  voi  n'attesto^ 
Are,  e  voi  ^  ch'i'  fuggii  ^^  nefande  spade  scuri  ^^ 
E  voi  ^'  divine  fasce  ^^  ond'ebbi  cinto 
Vittima  il  capo;  odiar  gli  Achei  mi  lice  ^'* 
Frangerne  ^^  i  sacri  giuri,  e  al  cielo  esporre 
Tutto  ch'han  ^^  di  nascoso:  or  patria  legge 
Me  più  non  stringe.     Tua  promessa  attieni, 
narro 

S'io  dico  il  ver,  se  gran  mercè  ti  rendo, 
E  Troja,  ^~  solo,  e  la  fé  ^^  serva,  servata.  ^ 

Del  lieto  fin  della  de  l' intrapresa  guerra— —  '=^ 
Tutta  la  greca  ^^  speme  ognor  fu  posta  rg 

»  aveva:  [Mil.  1817;  Flr.  1&45]. 

^  E  quei,  di  frode  e  d'arte  Greca  istrutto,  [Mil.  1817; 

Flr.  1845]. 
3  disferrate  [MÌl.  1817;  Flr.  1845]. 
*  ergendo,  [MIL  1817;  Flr.  1845]. 
'  fuochi  [MIL  1817;  Flr.  1845]. 
**  sempiterni,  [MIL  1817;  Flr.  184.5]. 
'  Inv'iolabll  [Mil.  1817]. 
«  attesto,  [MIL  1817;  Flr.  1845]. 
»  tjoi',  [MiL  1817;  i^tV.  1845]. 
'"^  fuggii,  [MIL  1817;  i'W.  1845]. 
"  scuri,  [MIL  1817:  i'Vr.  1845]. 
'2  voi,  [Mi7.  1817;  i^ir.  1845]. 
"  fasce,  [MIL  1817  ;  Flr.  1845]. 
'*  Zice,  [MIL  1817;  /'iV.  1845]. 
'•^  Franger*  [MIL  1817;  i^iV.  1845]. 
'«  c7m?i  [3fi7.  1817;  jFVr.  1845]. 
"  Troia,  [Flr.  1845]. 
"  fé*  [Flr.  1845]. 
'»  Greca  [MIL  1817;  i^Vr.  1845]. 

*  Errata   Corrige:  Pag.  17.  v.  H.  —Franger  cor»'..-  Pranpffrne 

(hibl.  di  Macerata) 


52  ENEIDE 

Ne  gli  ^  ajuti  ^  di  Pallade:  ma  poscia 
Che  di  Tideo  l' iniquo  germe  ^  e  Ulisse 
L' inventor  di  nefande  opre  fur  osi 
Il  Palladio  fatai  dal  sacro  tempio 
Strappare,  uccisi  de  la  somma  rocca 
I  custodi,  e  afferrar  *  la  santa  imago, 
E  co  ^  le  mani  insanguinate  ardirò 

e 

Toccar  del  nume  ^  le  vzrginee  bende  ; 

Caduta  e  volta  da  quel  giorno,  indietro 

Scorse 

Sorse  de'  greci  "  la  speranza,  frale 

Venne  il  poter,  la  Dea  nimica.  ^      E  chiari 
Prodigi  ^  in  segno  ella  ne  die.    Che  posto  Nel  campo 

u 
Nel  camjìo  Locossi  appena  il  simolacro,  uscirò 

Da'  torvamente  (Annih.   Caro)  *  spalancati  lumi 
Folgoreggianti  fiamme,  e  per  le  membra 
Salso  sudor  discorse  ;  :  ella  dal  suolo 
Balzò  tre  volte  (meraviglia!)  armata 
De  la  tremola  ^'^  lancia,  ^^  e  de  lo  scudo. 
Tosto  grida  Calcante  *-  esser  la  fuga] 

'  Negli  [Mil.  1817;  Fir.  1845J. 

2  aiuti  [Fir.  1845]. 

=*  germe,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

*  afferrar  [Mil.  1817  ;  Fir  1845]. 
^  con  [Fir.  1845]. 

«  Nume  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

'  Greci  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

«  nemica.  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

»  Prodigj  [Fir.  1845]. 
'"  tremula  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'1  lancia  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
1-  Calcante,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

*  Allude  qui  ai  versi  del  Caro  : 

allor  ch'ai  campo  addotta 

Fu  la  sua  statua,  che  posata  a  pena, 
Torvamente  mirògli,     e  lampi  e  fiamme 

A'^ibrò  per  gli  occhi 

[Firenze,  G.  Barbèra,  187i3,  —  pag.  62.] 


ENEIDE  53 

Da  tentar  sopra  l'onde,  e  non  potersi 

Spezzar  da'  brandi  Achei  l'Iliache  mura, 

S'a  ricercar  novelli  auspicj  in  Argo 

Non  si  rivada,  e  qua  la  diva  imago  ^ 

Cui  su'  concavi  legni  han  seco  addotta  - 

Non  Poi  si  ritorni.     E  tratti  spinti  ora  dal  vento 

Alla  A  la  patria  Micene,  appresta n  armi 

E  Dei  compagni,  e  rivarcato  il  mare  ^ 

espon  Calcante 
Qui  saran  d' improvviso  :  in  questa  foggia 
Cosi 
Spoìi  gli  augurj  Calcante .  Or  questa  imago  han  posta 

Al  nume  ^  offeso  ^  e  del  Palladio  in  vece. 
Per  divino  consiglio,  onde  il  funesto 
Sacrilegio  espiar.  ^     Ma  che  la  mole 
Immensa  fosse  '  e  con  inteste  travi 
S'ergesse  al  ciel  ^  ne  comandò  Calcante  ^ 
Perchè  raccoglier  ne  le  porte,  e  dentro 
Le  mura  trar  la  non  si  possa  ^^  e  sotto  immune 

di  sua  religione  ^^ 
Sotto  del  sacro  patrocinio  antica  ^-  {così  vuole  Annal. 

di  scienze  e  lett.) 

Vostra  gente  a  servar  ^^.     Se  violato  ^^ 

Fosse  da  vostra  man  questo  a  Minerva 

'  imago,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
-  addotta,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
^  mare,  [Mil.  1817;  Fir.  1815]. 
*  Nume  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
"  offeso,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
«  enp-iar.  [Mil.  1817]. 
-'fosse,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
"  ciel,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
»  Calcante,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'»  :possa,  [Mil.  1817  ;  Fir.  1845]. 
"  religione  [Mil.  1817]. 
'■■  antica,  [Mil.  1817;  Fir.  1845.] 
'3  asservar.  *  [Mil  1817]. 
'*  violato  [Mil.  1817]. 

*  Errata  Corrige.  Pag.  19.  v.  2.  —  asservar  corr.:  a  servar 

(Bibl.  di  Macerata) 


54  ENEIDE 

Sacrato  dono  ^  ei  predicea  che  orrendo 

i  numi  * 

Sterminio  allora  (il  quale  augurio  in  lui 
Prima  volgano  i  nnmi  in  lui)  su  i  ^  Trigj  ^  e  il 

[vostro 
Regno  verrà  verria:  (Bandi  verria,   non:  venuto 

saria)  ma  '  se  salito  in  Ilio 
Fosse  per  vostra  man,  con  guerra  immensa 
Di  Pelope  le  a  le  mura  ^  Asia  verrebbe 
Di  per  se'  stessa;  e  che  tal  fato  attenda 
Nostri  nipoti  e'  vuol.     Tai  frodi  e  l'arte 
Di  Sinone  spergiuro  a  dar  ne  mosse 
Fede  al  suo  dir:  presi  da  inganni  e  stretti 
Da  pianti  noi  ^  cui  non  domar  ^  Tidide  ^" 
Non  Achille  o  dieci  anni  o  mille  navi. 

*  In  questa,  a  noi  meschini  al  incontra,  e  turba 
L'alme  improvviso  altro   maggiore  e  molto 
Più  terribile  evento.     A  sorte  eletto 
Sacerdote  a  Nettun  ^^  Laocoonte 
Innanzi  alt  a  l'are  ^^  con  solenne  pompa 
Un  gran  toro  svenava.     Ecco  due  draghi 
(Accapriccio  in  ridirlo)  da  Tenedo  ^^ 
Gettansi  in  mare  ^*  e  immensi  orbi  traendo 

'  doìio,  [Mil.  1817;  Fir.  18i5]. 
/    2  Numi  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
^  su'  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
*  Frigi  [Mil.  1817]. 
^  .Ma  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
«  mure  [3Iil  1817;  Fir.  1845]. 
'  sé  [Mil.  1817]. 
«  noi,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
"  domar  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'"  Tidide,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
"  Nettun,  [Mil.  1887;  Fir.  1845]. 
'■'  ara  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'«  Tònedo  [Fir.  1845]. 
'*  mare,  [Mil.  ISil  ;  Fir.  1845]. 

*  Nelle  edizioni  di  Milano  e  di  Firenze  a  questo  luogo  non  si  va 
da  capo;  ma  Vln  è  fatto  precedere  da  nna  lineetta. 


ENEIDE  DO 

Per  la  queta  marina  ^  inver  la  riva 
S'avventano  del  par.     Cogli  Co  -  gli  erti  petti 
E  le  sanguigne  creste  sovrastanno 
Ai  flutti;  e  l'altra  parte  si  strascina 
Radendo  il  l'acqua,  e  si  contorce,  in  spire 
Gli  smisurati  dossi  ^  ripiegando. 
Strepito  sorge,  e  spuma  il  mare:  e'  sono 
Sul  lido  già,  di  fìioco  foco  e  sangue  infetti 

e  co  * 
Gli  occhi  Le  roventi  pupille,  e  ribrano  le  lingue 

Lami)  Vibrate  lambon  le  fiscliianti  bocche. 
Smorti  fuggiamo  a  quella  vista,     i  I  draghi 
Ambo  van  dritto  a  Laocoonte:  e  i  due 
Teneri  figli  avviticchiati  e  stretti, 
Pascono  ^  in  pria  le  miserande  membra 
Co'  morsi:  e  poscia  assalgon  lui  che  teli 
Recava  "^  accorso  in  lor  difesa,  e  d'ampie 
Spire  il  van  ricingendo,  "  e  già  due  volte 
A  mezzo  il  corpo  hanlo  aggirato,  e  due 
Intorno  al  collo  le  squamose  terga 
Hangli  ravvolto,  e  sovrastangli  al  capo 
Co'  capi  loro  e  gli  erti  colli  :  e'  ^  brutto 
Di  tabe  e  di  veneno  atro  le  bende  ^ 
A  un  tempo  co  ^^  le  mani  sgruppar  tenta 
I  nodi  ^^  e  orrendi  al  cielo  ululi  innalza: 
Quai  dà  muggiti  il  toro  allor  che  fugge 

»  marina,  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 
■'  Con  [Flr.  1845]. 
'  dorsi  [Mll.  1817;  Flr.  1815]. 
*  con  [Flr.  1845]. 
=  Pascon  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 
«  Recava,  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 
'  riclngendo:  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 
«  colli  F'  [Mll.  1817]. 
„      Ei  [Fir.  1845]. 
9  bende,  [Mll.  1817;  Flr.  1&15]. 
">  con  [Flr.  1845]. 
"  nodi,  [Mll.  1817;  Fir.  1845]. 


56  ENEIDE 

Piagato  l'ara,  e  s'ha  dal  collo  scossa 

La  mal  certa  bipenne.     I  draghi  al  sommo 

Tempio  de  la  terribile  Minerva 

Rifuggiti  strisciando,  ed  a  la  Rocca,  ^ 

Sotto  i  pie  de  la  Diva  ~  e  dietro  a  l'orbe 

S'appiattan  de  lo  scudo.     Allor  discorre 

A  tutti  noi  pe'  palpitanti  seni 

Nuovo  terror.     Di  Laocoonte  al  merto 

Esser  la  pena  ugual;  violato  il  sacro 

Legno  aver  lui  ^  quando  avventogli  ^  al  fianco 

La  scellerata  lancia;  ,  esclaman  tutti; 

Aversi  in  Ilio  il  simulacro  a  trarre 

Partiam  le  mura, 
E  a  supplicar  la  Dea.     S'accinge  a  l'opra 

Spalanchiam  la  città.  S'  ^  accinge  a  l'opra 

Il  popol  tutto,  e  ruote  a  ^  piedi  '  e  funi 

d'arraati 

Adatta  Al  collo  adatta.     A  la  città^fe  ascende 

La  fatai  ??ioZe  Pregna  ascendea  la  fatai  mole.  Intorno 

Fanciulli  e  verginette  inni  cantando  ^ 

A  la  fune  la  man  porgono  a  gara. 

Entra  il  cavallo  ^  e  minaccioso  in  mezzo 

A  la  città  trascorre.     0  patria  mia, 

Troja  ^^  di  numi  ^^  albergo,  !  o  de'  Trojani  ^' 

Mura  in  armi  famose  !  quattro  volte 

Sul  limitar  medesimo  risto',  ^^ 

'  rocca,  [MU.  1817;  Fir.  1845]. 

-  Diva,  [MU.  1817;  Fir.  1845]. 

»  lui,  [MU.  1817;  Fir.  1845]. 

*  avventogli  [MU.   1817;  Fir.   1845]. 

"  cUtà:  s'  [MU.   1817;  Fir.   1845]. 

«  a'  [MU.  1817;  Fir.   1845]. 

'  piedi,  [Mil.  1817  ;  Fir.  1845]. 

«  cantando,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

»  cavallo,  [Mil.  1817].  —  'l  cavallo,  [Fir.  1845]. 
'«  Troja,  [Mil.  1817].  —  Troia,  [Fir.  1845]. 
"  Numi  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'''  Troiani  [Fir  1845]. 
"  ristè,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 


ENEIDE  57 


Quattro  dal  ventre  usci  suon  d'armi.     E  folli,  ^ 
Ciechi^  furenti  insani  E  forsennati  e  ciechi  pur 

[seguiamo,  e  il  fero 
Mostro  lochiam  ne  su  la  sacrata  rocca. 

le  labbra  volente  il  Dio,  Cassandra  il  labbro 

Allor  -  la  bocca  de'  futuri  eventi 
Nuncia,  da  Febo  stretta  apre  Cassandra, 

Non  mai  creduta  apre  al  futuro  :  e  noi 
Mai  creduta  da'   Teucri.     E  noi  veliamo 

(Miseri  cui  quel  giorno  ultimo  fora!) 

Veliam  per  la  cittàc?e  con  festiva  festa  fronde 

I  delubri  de'  numi.  ^     Il  ciel  fra  tanto 

Si  cangia  ^  e  notte  a  l'ocean  ^  ruina, 

In  grande  ombra  avvolgendo  e  terra  e  polo 

E  le  Argoliche  insidie  i  frodamenti  ^  Achei.    Tacquero 

Per  le  lor  case  sparti,  "  occupa  il  sonno         [i  Teucri 

Le  stanche  membra.     E  su  gli  armati  legni 

Le  squadre  Achee  da  Tenedo  ^  a  l'amico 

Silenzio  mosse  de  la  cheta  luna, 

Già  poi  che  fiamme  alzò  la  regia  nave  prora  ^ 

Vernano  ai  noti  lidi;  e  da  gli  avversi 

Fati  Sinon  protetto  ai  chiusi  Greci  Achivi 

Apre  d  Del  ventre  ascosamente  i  pinei  chiostri 

Disserrato.     Disserrata  a  l'aria  i  Greci 

Rende  la  Pera.     Da  la  cava  mole 

Discendon  lieti  per  sospesa  fune 

Macaone  il  primier,  Toante,  il  diro 

Ulisse,  Menelao,  d'Achille  il  germe 

'  folli  [Mil.  1817  ;  Fir.  1845]. 
=«  Allor,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
=»  Numi.  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

*  cangia,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
•^  ocean  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

«  fondamenti  *  [Fir.  1845]. 

'  sxmrti:  [Mil.  1817].  —  sparti]  [Fir.  184.5]. 

»  Tenedo  [Fir.  1845]. 

»  prora,  [Mil.  1817  ;  Fir.  1845]. 

*  Ma  non  cos\  neWErrnta  Corrif/e  a  pag.  485,  dove.  cor,ie  dincccnl"  t  il  se» so  ed 
il  latino,  i  fondamenti  diventano  frodamenti. 


58  ENEIDE 

Neottolemo,  e  Stenelo,  ^  e  Tessandro 

I  duci,  ed  Acamante  ,  e  del  doloso 
Cavallo  ei  pur  l'architettore  Epeo. 
Invadon  la  città  nel  vin  sepolta 

E  nel  sopor:  cadon  le  guardo:  -  i  socj  ■* 
Son  per  le  porte  spalancate  accolti 
Tutti  ^  e  le  conscie  lor  caterve  aggiunte. 
Era  il  tempo  che  a'  miseri  mortali 

*  La  prima  quiete  a  serpeggiar  comincia  ^ 
Don  celeste  gi-atissimo  ^  per  l'ossa, 
Quando  nel  sonno  a  gli  occhi  miei  presente 

II  mestissimo  Ettorre  esser  mi  parve 
Sparso  di  largo  pianto,  strascinato  ' 
Qual  già,  dal  cocchio,  di  sanguigna  polve 

'    Lordo  ^  e  passato    i  gonfj  ^  pie  da  funi. 
Qual  era  ahimè,  quanto  da  quel  diverso 
Che  Ettor  che  a  noi  de  le  Peliache  spoglie 
Tornò  vestito,  o  poi  che  Frigie  fiamme 
Scagliò  su  i  Grec/ii  legni!     Era  per  sangue 
Rappreso  il  crine,  squallida  la  barba,  ^^ 
E'  ^^  le  infinite  piaghe   avea  che  intorno 
Al  patrio  muro  riportò.     Sembrommi 

'  Stenelo  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
''  guardie:  [Fir.  1845]. 
3  soci  [Mil.  1817]. 

*  Tutti,  [Mil.  1817;  Fir.  1845J. 

^  comincia,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

«  gratisslmo,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

"  strascinato,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

«  Lordo,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

»  gonfi  [Mil.  1817  ;  Fir.  1845]. 
^»  barba;  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'1  E**  [Mil.  1817;  Fir.  1815]. 

*  Nel  supplemento  generale  a  tutte  le  mie  carte,    che  è  fra  i  Mss.  leo- 
pardiani esistenti  nella  Paladina,  questi  due  versi  leggonsi  in  tal 

guisa: 

<  Comincia  il  primo  sonno  e  per  le  membra 
Don  celeste  gratissimo  serpeggia,  » 

"*    Errata  Cnrriqe  :  Pag.  23,  v.  5.  —  E  cnrr.:  K' 

(Tiibl.  di  Macerato) 


ENEIDE  .  59 

Clie  primier  gli  parlassi  ^  e  lagrimando 

Si  gli  dicessi  in  mesti  accenti:  0  luce 

Di  Teucria,  Ettor  bramato,  o  de'  Trojani  - 

Fidissima  speranza,  e  che  ti  strinse 

A  indugiar  tanto?  e  q  da,  qual  piaggia  riedi? 

Oh  qual,^  fievoli  ahimè  '*  dopo  cotanta 

Strage  de'  tuoi,  dopo  si  varie  pene 

De'  Teucri,  d'Ilio,"*  riveggiamti!  E  quale 

Cagione  indegna  la  serena  faccia 

Ti  difforme  ?  perchè  tai  piaghe  io  scerno  ? 

Ei  nulla  a  ciò,  ma  né  di  mie  vane  inchieste 

Non  Cura,  ma  grave  dal  profondo  petto 

Sospirando,  ^  Ahi,  mi  dicea,  fuggi,  t' invola. 

Figlio  di  Cipri,  a  queste  fiamme.     In  forza 

De'  Greci  è  il  muro  :  da  la  somma  cima 

Ilio  a  terra  precipita.     Pugnato 

S'è  per  la  patria  e  per  lo  rege  assai. 

Se  Pergamo  campar  destra  potesse  ' 

Questa  l'avria  campato.     A  te  le  sacre  sue 

Sue  cose  ed  i  penati^  Ilio  accomanda: 

Questi  in  consorti  adduci,  e  loro  in  traccia 

nuova 
Vanne  Va  di  altra  città,  cui  dopo  lungo 

Errar  pe'  ^  mari,  alfine  ^^  ampia  alta  porrai. 

Disse  ^^  ed  tratte  le  bende  e  il  simulacro 

De  la  possente  Vesta,  e  il  fuoco  eterno 

Da'  penetrali,  e  a  me  li  fida.     Intanto 

'  parlassi,  [Mil.  1817;  Fir.  18451. 
2   Troiani  [Fir.  1845]. 
'  qual  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
*  ahimh,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
"  Ilio  [Mil.  1817  ;  Fir.  1845]. 
«  Cospirando:  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'  potesse,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
«  Penati  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
»  pei  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'"  al  fine  [Mil.  1817  ;  Fir.  1845]. 
"  Bisse,  [Mil  1817;  Fir,  1845], 


60  ENEIDE 

Confuso  lutto  la  città  mescea,  ^ 

E  già  benché  tuttoché  rimoto  luogo,  -  ombrata 

D'arbori  tenga  la  magion  d'Anchise 

Il  genitor,  più  sempre  e  più  distinto 

Viene  il  frastuono  ^  e  inverso  noi  s'avventa 

L'orror  de  l'armi.     Io  desto  balzo.     Ascendo  ^ 

Del  tetto  al  sommo  ^  e  a  tesi  orecchi  sto.  ^ 

in  messe 

Come  se  fiamma  al  furiar  '  de'  venti  Noti 
Piamma  è  sospinta,  o  rapido  torrente 
Trabocca  giù  d'una  montagna,  e  i  campi 

Diserta  e  i  colti  prosperosi  ^  e  l'opre 
traggesi 

De'  buoi  devasta,  e  menasi  le  selve 
Precipitanti;  del  fragor  l'ignaro 
Pastor  s'ammira  d'erto  sasso  in  cima. 
AUor  la  greca  ^  fé,  ^^  gli  orditi  inganni 
Conosco.     Incensa  ruinò  già  l'ampia 
Magion  di  Deifòbo,  arde  il  vicino 

r 

Ucalegone,  rZe'  al  fiammeggian<2   de'  tetti  *   {Uc.ale- 
gone  per  casa  ecc.  Caro  **) 
Riluce  la  Sigea  vasta  marina.  ^^ 

*  mescea;  [Mll.  1817;  Fir.  1845^* 
''  luogo  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
^frastuono,  [Mil.  1817;  Fir.  1845], 

*  balzo:  ascendo  [Mil.  1817;  Fij\  1845]. 
^  sommo,  [Mil.  1817;  Fiì\  1845]. 

«  sto:  [Mil.  1817;  Fir.  1845^. 

'  furiar  [Mil.  1817  ;  Fir.  1845]. 

"  2ìrosperosl,  [Mil.  1817  ;  Fir.  1845]. 

«  Greca  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

'"  fe\  [Fir.  1845]. 

"  marina:  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

*  Il  verso  da  prima  era  il  seguente: 

roaleg-on  de'  fiammeggianti  tetti 

**  Alluiie  qui  a'  seguenti  versi  del  Caro: 

.     .     .     .    ,     .     .    .     E  già  '1  palagio 

Era  di  Deifóbo  arso  e  distrutto; 

Già  "1  suo  vicino  Ucalegon  ardea    .  .  . 

(pp.  cit.,  pag.  71.) 


ENEIDE  61 

S'odoii  genti  ululare^  e  streper  tube. 
L'armi  insensato  afferro ,  ^  e  che  da  l'armi 
Speri,  non  so,  ma  di  pugnar  commisto 
A'  combattenti^  e  di  scagliarmi  insieme 
Co'  soci  socj  su  la  rocca,  ardo  :  la  mente 

Ira 

Cieco  ,  furor  precipita ,  :  Que  sovviemmi 

Che  bel  morir  s'acquista  in  mezzo  a  1'*  armi. 
Che  chi  more  ha  fra  Tarmi  ha  bella  inijTte. 

Ecco  da'  teli  Achei  scampato  io  veggo 
Panto,  l'O triade  Panto,  il  sacerdote 
De  la  Rocca  ^  e  di  Pebo,  in  man  recando 

I  sacri  arredi  e  i  vinti  dei,  trar  seco  ^ 
/  vinti  numì^  e  il  tenero  nipote 

II  tenero  nipote  ^  e  forsennato 
'Traendo,  correr  forsennato  al  lido. 

Correre  al  lido.     A  Che  di  Troja  ^  accade, 

appena  » 
Panto,?  A^"  qual  rocca  andiam?  Taciuto  ho  appena 

Che  sclama  egli  gemendo  :  A^  A  Teucria  è  giunto 

L'estremo  tempo  ^^  inevitabil  tempo. 

Fu  Troja.  ^'  fummo  noi  Trojani  ^^  e  il  grande 

Gnor  del  Troice  nome.     Ad  Argo  il  tutto 


'  idulare,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
''  afferro;  [Fir.  1845]. 
«  combattenti y  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
*  all'  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
•■*  rocca  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

®  I  sacri  arredi  e  i  Dei,  trar  seco  [MIL  1817;  Fir.  1815*]. 
^  nipote,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
«  Troia  [Fir.  1845]. 
"  a  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
"'  appena,  [Mil.  1817;  Fir.  1845] . 
"  tempo,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'2  Troia,  [Fir.  1845]. 
^■'  Troiani  [Fir.  1845]. 

*  N>ir»'dizione  (ioi-entina  (pafr.  183)  loggrpsi  questa  nota  :  <  Cos^  ha  la  prima  edi- 
zione; e  noi  non  abbiamo  manosr^ritto  nhe  ci  dia  il  rimedio.  >  —  Nella  Krmtn  Corriqe. 
più  volte  innanzi  m<  ntovata.  lejrsresi  ;  Pag.  25,  v.  0»;  e  i  Dei  mrr.  :  e  i  vinti  Dei  fOibl. 
di  Macerato). 


62  ENEIDE 

Giove  crudele  ha  trasferito,  ^  in  preda 

E  de   gii  Achivi  (Caro  *)  Ilio  ch'avvampa.     Stassi 

La  Fera  immane  a  la  cittade  in  mezzo  - 

Armati  traboccando:  insulti  e  fiamme 

Mesce  Sinon  vittorioso  :  ^  ed  altri  ^ 

Quanti  mai  n'  inviò  ^  Yalta  ampia  Micene  " 

Entro  le  mura  a  spalancate  porte 

Sboccano  a  mille  a  mille:  altri  gli  angusti 

Aditi  de  le  vie  co'  teli  imp  in  pugno 

Assediare  ;  '  sta  la  ferrea  sta  siepe  di  spade  * 

Ignude,  folgoranti,  a  uccider  preste  :  ^ 

Ed  ajyp  de  le  i  presidj  delle  de  le  porte  appena 

Mescono  i  primi  abbattimenti  e  in  cieca 

Zuffa  resister  tentano.     Da  questi 

Detti  di  Panto  e  dagli  da  //Z'  gli  Dei  son  tratto 

Era  l'armi  e  il  foco  ^  ove  l' infausta  Erinni  '" 

Ove  il  fremer  m'appella  e  l'ululato 

A  gli  astri  spinto.  A  me  Rifeo  compagno 

'  trasferito:  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

2  mezzo,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

3  vittortoso:  [Mil.  1817J. 

*  altri,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
^  invm  [Mil:  1817]. 

«  Micene,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'  Assediano  ;  **  [Mil.  1817  ;  Fir.  1845]. 
»  preste;  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
»  fuoco,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'"  Erinni,  [Mil.  1817;  i^*V.  1845]. 

*  Allude  a'  seguenti  versi  del  Cauo,  da  lui  (speeie  il   Fu   Troja, 
fummo  noi  Trojani)  imitati: 

.    ,     .    .     .    .    È  giunto,  Enea, 

L'  ultimo  iriorno,  e  '1  tempo  inevitabile 
I)e  la  nostra  mina.    Ilio  fu  già; 
E  noi  Troiani  fiimnio  :  or  è  di  Troia 
Ogni  gloria  caduta    ...... 

{O,:.  cit..  pag.  72) 

**  In  calre  allVdiz.  fiorentina  (pag.  184)  leggesi  :  <  Cos\  sta  nella  prima  stampa:  e 
Senta  sof<?orso  di  manoscritti  non  possiamo  correggere.  > 

Nella  sopra  mentovata    Krrntd    Corr/pe  leggesi  :  —  Pag.   25,    V.    23:    Assediano 
VOry.:   Assedtaro   (Hill,  di  M<{<'f'r<{tn) . 


ENEIDE  63 

Ihs  Bassi  ^  ed  Epito  in  armi  sommo.     Incontro 
Fanmisi  Ipan,  Dimante  fanmisi  -  a  la  luna  ^ 
E  nel  al  fianco  mi  s'addensano,  e  Corebo 
Migdonide,  il  garzon  che  di  Troja  Cassandra 
Arso  da  folle  amore  ^  a  Troja  ^  giunto 

Per  sorte 

Era  a  sorte  era  in  quei  giorni,  e  a'  Frigj  ajuto  ^ 

Dando  Dava  e  al  suocero  Re,  ^  miser,  che  vano 

L'ammonir  tenne  de  l'afflata  sposa! 

A  questi,  poi  che  ragunati  e  vaghi   " 

Di  combatter  li  vidi,  incominciai 

A  favellar  cosi  :  Giovani,  invano 

Eortissim'alme,  a  che  ridotta  sia 

Nostra  sorte  il  vedete.  ^     Ed  ed  are  e  tempj  ^ 

Gli  Dei  per  chi  ste'  ^^  questo  imperio,  tutti 

Ahb  Partendo  abbandonare,  se  ^^  fermi  in  core    (Il 
comune  era  fermo  di  non  2)cifJ((ye.     Uahhì.) 

Siete  di  seguir  me  eh' a  far  l'estreme 

Prove  innanzi  mi  caccio,  arsa  cittade 

A  soccorrer  venite:  in  mezzo  a  l'armi 

Ruiniamo  e  moriam,  ^-  sola  che  resti 

Salute  ai  vinti  è  non  sperar  salute.  g^ 

Cosi  furor  crebbe  in  lor  alme:  e  quindi E 

Come  rapaci  lupi  in  atra  nebbia  ^^  r§ 

'  Bassi,  [Fir.  1845]. 

-'  f ammisi  *  [Mil.  1817]. 

=*  luna,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

*  amore,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
^  Troia  [Fir.  1845]. 

^  aiuto  [Fir.  1845]. 
'  re;  [Fir.  1845]. 
«  vedete:  [Mil.  1817;  [Fir.  1845]. 
»  templi  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'»  sth  [Fir.  1845]. 

"  abbandonar.  Se  [Mil.  1817].  —  abbandonar.  Se  [Fir.  184^]. 
**  moriam:  [Fir.  18-45'. 
'^  nebbia,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

*  Errata  Corrige:  l'air.  ^0,  v.  .",.  —  f.-mmiisi  c(.r,  .  :  tamnisi 

(lÀbl.  di  Macera  taj 


64  ENEIDE 

Cui  di  lor  tane  rabidi  sbalzare 

Fé'  ^  cruda  fame,  ed  aspettando  a  secche 

Fauci  si  stan  gli  abbandonati  figli, 

Andiam  fra  l'armi,  -  e  gì'  inimici,  ^  a  morte 

Indubitata,  e  a  la  cittade  in  mezzo 

Teniam  nostro  sentiero.     Intorno  vola 

Col  Co  ^  la  cava  ombra  sua  la  nera  notte. 

E  chi  narrar  la  clade,  o  il  duol,  le  morti 

Di  quella  notte  adeguar  può  col  pianto  ? 

Cade  antica  città  che  per  molt'anni 

Regnò.     Spenti  per  vie,  per  case,  ^  e  templi  * 

Senza  difesa  oppor  ~  son  mille  e  mille 

Corpi:  chè^  scorre  sol  Trojano  de'  Teucri  il  sangue;. 

Virtù  riede  talor  de'  vinti  in  petto  ;  [ed  anco 

Cadon  gli  Achei  vittoriosi.  "     Ovunque 

È  fero  duol,  terror,  morte  atteggiata 

de'  Grreci 
In  mille  forme.    Incontro  a  noi,^^  primiero 

Be'  Greci  Primo  Androgeo  si  fa,  che  congiurata  (le 
schiere   conr/ittrate  insieme.    Caro  poco  sop.  * 
Congiura  per  Collegaz.  Crusca) 
crede '^ 

Schiera  ci  tiene  e  con  amici  detti 

Si  ci  favella.  '-     Or  v'affrettate^  e  quale 

»  Fé  [Flr.  1815]. 
2  armi  [Mil.  1817;  Flr.  1845]. 
•^  inimici  \Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
^  Con  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

*  case  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

«  templi,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

*  oppor,  [Mil.  1817;  Fir.  1&45]. 
«  né  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

»  vittoriosi.  [Mil.  1817]. 
'"  noi  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
"  crede,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'-'favella:  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

*  Allude  a  questi  versi  del  Caro: 

Mi?er  le  schiere  congiurate  insieme; 
K  dier  forma  a  l'assalto    ..... 

('Op.  cit.,  pag,  69.) 


ENEIDE  6q 

Pigrezza  vi  rattien?  già  gli  altri  a  sacco 
Metton  l'arsa  città,  (jia  Troja  ^  ire  in  preda  '^ 
Voi  l'alte  navi  or  dismontaste?  Appena 
Di  dir  finito  avea  '^  che  non  udendo 
Assai  fide  risposte  ^  esser  s'avvide 
Tra'  ^  nemici  caduto.     Il  pie,  la  voce 
Attonito  ritrasse.     K  quella  guisa 
Ch'uom  eh' a  terra  calcò   (Alfieri)  fra  gli  aspri  dumi 
Xon  veduto  serpente  Angue  non  visto,  immantinente 

[il  fugge 
Cha  Trepido,  che  stizzoso  alto  si  leva  ^ 
Gonfio  il  ceruleo  collo  ;  Androgeo  i  passi 
Tal  pavido  volgea  torcea  ~  posciac/ie  s'accorse 
De  l'error  suo.     Piombiam  ristretti  in  loro  ^ 
E  sbigottiti  e  mal  del  luogo  esperti 
Ed  accerchiati  li  ^  uccidiamo.     Arride 
Sorte  a  la  prima  impresa.     Allo  E  qui  Corebo 

ventura 

Da  virtù  fatto  e  da/  successo  ardito, 

Socj,  disse,  la  via  che'  inver  lo  scampo 

Sorte  n'offre,  teniam,  per  cui  benigna 

La  ne  si  mostra  al   primo  incontro.     Targhe 

frode 

Mutiam,  vestiam  le  Greche^"  insegne, ^^  o  dolo 

0  virtù  sia'-  chi  nel  nemico  il  cerca? 

Armi  avrem  da  gli  Achei;  dis .  Disse  ^-^  e  il  chiomato 

'  Troia  [Flr.  1845J. 

-  preda  ;  [Mil.  1817  ;  Flr.  1845]. 

=>  avea,  [Mil.  1817;  Fir.  18i5j. 

*  risposte,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

^  Tra  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

•^  leva,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

'  torcea,  [Mil.  1817].  —  torcea:  [Fir.  1845]. 

"  loro,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

»  gli  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'"  greche  [Mil.  1817;  Fir.  1815]. 
"  insegne;  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'2  sia,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
"  Disse,  [Mil.  1817;  Fir.  1845'. 


6C  ENEIDE 

Elmo  d'Androgeo,  e  la  decora  insegna 
De  lo  scudo  si  veste,  e  al  fianco  adatta 
Ciò  L' Argiva  spada  ,  .     Ciò  Rifeo,  Dimante  ^ 
Ciò  lieta  fa  tutta  la  schiera  ;  e  -  armato 
Essi  -^  ciascun  de  le  recenti  spoglie. 

A(iU  Achlvl  A'  Pelasgi  commisti,  andiam  o 

[deserti 3 

Da'  nostri  numi,  ^  e  per  la  cieca  notte  ^ 

Molte  zuffe  mesciam,  molti  de'   Greci 
Mandiamo  a  Pluto  ,  .     Altri  a  le  navi  in  fuga 
Vanno,  o  a  la  fida  riva.     Altri  da  turpe 
Temenza  presi  •*  de  la  fera  ''  immane 
Son  risaliti  al  noto  ~  ventre  ^  e  stansi 
Quivi  appiattati.     Ahi  che  ^  nemici  i  Dei  ^^ 
Nulla  lice  sperare. ^^  Ecco  Cassandra  ^  V.  l'ult.'^  pag.^ 


(.sei  versi  rìfatii  e  pia  volte  cancellati) 


'  Dlniante,  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 

''  ;  armato  [Mil.  1817;  Fir.  1845J. 

■'  Èssi  [Fir.  1845]. 

*  Numi,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

'  presi,  [Mil.  1817;  Fir.  1845J. 

«  Fera  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

'  vóto**  [Mil.  1817;  Fir.  1815]. 

^  ventre,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

«  che,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

'"  Dei,  [Mil.  1817;  Fir.  1845J. 
^'  sperarci  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

*  Così  nell'autografo.  La  chiamata  rimanda  il  lettore  a  due 
versi  [La  V3rgin  Prij,mide  ecc.  —  Da  l'arcano  ecc.],  che  vennero  riportati 
nell'ultima  pagina,  non  essendo  stato  materialmente  possibile  al- 
l'autore di  metterli  al  loro  posto,  stante  i  moltissimi  pentimenti  e 
le  molte  correzioni  a'  medesimi  apportate.  Noi  li  abbiamo  resti- 
tuiti alla  lor  sede  naturale,  a  non  ingenerar  confusione  in  chi  legge. 

**  Errata  Corrige  :  —  Paff.  28,  v.  24  :  vóto  corr.  :  voto 

(Bibl.  di  Macerata) 


ENEIDE  G7 

La  verghi  Priamide  ^  era  dal  temj^io  -  * 

Da  l'arcano  ricovero  di  Palla  ^ 

Sparte  le  chiome  ^  e  strascinata  ^  indarno  invano 

Gli  ardenti  lumi  al  ciel  levando,  i  lumi,  *' 

Che  ''  non  potea  ^  da  vincoli  distrette  "  ** 

Le  delicate  mani.     A  quella  vista 

Non  si  contenne,  e  infuriato  ^'^  in  mezzo 

A  la  masnada  s'avventò  Corebo 

A  certo  fin.     Tutti  il  seguiamo  ^^  e  stretti 

Xer/U  Xe  gli  Achei  ci  scagliam.     Qui  primauiente 

Da  l'alta  sommità  del  tempio  i  dardi 

Opprimonci  de'  nostri  ;  e  fanno  i  Teucri 

o 

Di  noi  miser«  dacie  scempio  ^^  in  error  tratti 

'  Priamide  [Mll.  1817;  Flr.  1815]. 

-  tempio,  [Mil.  1817;  Flr.  1845]. 

«  Palla,  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 

*  chiome,  [Mll.  1817;  Flr.  1815]. 

'''  strascinata,  [Mll.  1817].  —  straschìata  ;  [Flr.  1845]. 

«  lumi  [Mll.  1817]. 

'  Che  [Flr.  1845]. 

«  2)otea,  [Mll.  1817;  Flr.  1»45]. 

•'  distrette,  [Flr.  1845]. 
'"  Infuriato  [Mll.  ISYÌ]. 
"  seguiamo,  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 
1-'  sèemino,  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 

*  Di  questi,  e  de'  versi  che  seguono,  pieni  zeppi  di  pentimenti 
e  cancellature,  diamo  in  nota  le  sole  varianti  che  ci  è  stato  possi- 
bile raccapezzare  con  certezza  in  tanta  confusione  di  linee  e  di 
parole. 

Ben  poteva  il  Leopardi  far  suoi  i  noti  versi  ovidiani  : 
Jnrifit  et  dì'.'-itct  :  scii'bit  dnmntitqne  tnbclìa  : 
Kt  notnt  rt  tiri  ri  ;  m^ilnt  nilpnique,  'jftrobatiji'.c. 

La  Vergin  Priamide.    Priamea  de^  l'ara  tempio,  delubro 

Fuor  di  Minerva  la  riposta  sede 

Fuori  degl'  imi 

Penetrali  di  Palla  è  strascinata 

Al  ciclo  invano  indarno  invano  indarno 

Sparte  lo  chiome  e  alzati  gli  occhi  al  cielo 

Gli  ardenti  lumi  sollevando  al  cielo 
**  Altre  varianti  : 

1  lumi,  poi  che  strette  eran  da  ferri 

Gli  occhi,  da  poi  ohe  strette  eran  da  ferri 


68  ENEIDE 

Da  l'armi  Achive  Greche  ^  e  da'  cimieri.     E  mossi 
Dal  gemer  de'  compagni  e  d' ira  accesi 
Per  la  ritolta  vergine,  gli  Achivi, 

terribile 

Da  tutte  parti  rag   II  ferissimo  Ajace,  ambo  gli 
E  d'ogni  parte  ragunate  in  noi  [Atridi, 

Dan  tutte  insiem  le  Dolopi  caterve. 
Come  da  Si  come  in  rotto  turbine  talora  (Aljieri) 

contrarj 

Pugnan  nemici  venti,  Affrico  e  Noto  - 

E  pe'  cavalli  del  mattin  superbo 

Euro,  ^  fischian  le  selve,  Nereo  volge 

Spumoso  da  l'estremo  fondo  i  flutti 

Sozzopra  e  infuria  col  tridente.     Allora 

Quei  che  per  l'ombra  de  l'oscura  notte 

Spersi  incalzammo  co  ^  le  fìnte  spoglie 

Per  tutta  la  città,  riedono,  e  primi 

Conoscon  le  mentite  armi  e  gli  scudi 

E  le  non  greche  voci.     A  un  tratto  oi:>pressi 

Dal  numero  siam  noi.     Primier  Coreho  di  Palla 

Armipossente 

Per  man  di  Peneleo  prosterne 

anzi 

Corebo  innanzi  a  Vara  aitar  :  cade  Pifeo  ^ 
De'  Trojani  ^  il  più  giusto  ed  il  più  fermo 

Del  dritto  servatorc. 

De'  dritti  scrutatore.  Ipan  Dim  N'ebbero  i  numi  "^ 
Altra  sentenza.     Ipan  ^  Dimante  a'  strali  ^ 


'  greche  \Mll.  1817;  Fir.  1845]. 

2  Noto;  [Fir.  1845]. 

'  ittro*  \Mil.  1817]. 

*  con  [Fir.  1845]. 

"  Rifeo,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

«  Troiani  [Fir.  1845]. 

'  Numi  [Mll.  1817;  Fir.  1845]. 

«  Ipan,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

«  dardi  [Mil.  1817;  Fir.  1845  ^ 

*  Krroin  Corrige;  —  Pag,  20,  v.  21  ;  Euro  corr.:  Euro, 

(Libi,  di  Macerata) 


ENEIDE  «y 

Teucri  fiir  segno.     E  te  caduto,  o  Panto, 
Non  tua  somma  pietà,  non  la  Febea  di  Apollo 
Benda  coperse.     In  testimonio  or  voi^  (Tasso) 
Ceneri  d' Ilio,  e  voi  ne  '  appello  estreme 
Fiamme  de'  miei,  quando  mia  patria   cadde  ^ 
Non  a  gli  ^  strali  Achei  ^  non  mi  sottrassi  * 
A  verun  rischio,''  e  se  mia  morte  avesse  ^ 

Ferma  il  destin,  la  meritai  co  ^  l'opre.  '  3 

Quindi  ci  divelliam,  Pelia  ed  Ifito r§ 

Con  meco,  e  questi  è  d^  '  ^  anni  grave  ^  e  tardo  ^^ 
Quel  fa  d'Ulisse  un  colpo.     Incontanente 
N'appellan  gli  urli  al  regio  tetto.     Or  quivi  ^^ 
Come  battaglia  altrove  o  morte  alcuna 
Per  la  città  non  fosse,  orrenda  pugna 
Veggiam  di  Marte  indomito.     A  la  cima 
Avventansi  gli  Achivi.     Assedian  altri 
Con  testuggin  le  porte.  *-     A  le  ^^  pareti 
Altri  appoggian  le  scale,  e  su  ne  vanno 
Di  grado  in  grado  anzi  a  le  porte  istesse  ^^ 

'  voi,  [Mil  1817;  Fir.  1845]. 
^  cadde,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
3  agli  [Fir.  1845]. 

*  achei  [AJil.  1817  ;  Fir.  1845]. 

»  rischio;  [Mil.  1817;  Fir.  1845.] 

«  con  [Fir.  1845]. 

'  l'opra.  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

*  Con  meco:  è  questi  d'  [f'ir.  1845J. 

*  grave,  **  [Fir.  1»15]. 
'»  tardo,  [Mil.  1817]. 

"  quivi,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

'-'  porte  ;  [Fir.  1845]. 

"  Alle  [Mil.  1817J.  —  alle  [Fir.  1845]. 

»*  istesse,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

*  Nel  Supplemento   onde    sopra,  questo   passo  leggesi  oome    ap- 
presso: 

Non  a  l'Achivio  asciar,  non  mi  sottrassi 
A  nessun  rischio;    e   s'era  fermo  in  cielo, 
Ch'io  vi  morissi  il  meritai   con  l'opra. 

**  Coi^\  n«lIVtliz.  SiF.i.r.A  =:  Krratn  Corrige:  —  l'afr .    30.     v.  16:    grave    e    tardo 
corr  :  gravr,  e  tardo 

(Ubi.  di  Macerata) 


70  ENEIDE 

Con  la  sinistra  incontro  a'   colpi  schermo 
De  la  targa  facendosi  ^  e  le  vette 

aggrappando. 

Con  la  destra  ahbraccìando.     I  Teucri  e  torri 
Svellere  e  tetti  (ornai  vicin  mirando 
L'ultimo  fato,  in  lor  difesa  estrema 
A  queste  armi  lian  ricorso)  e  travi  aurate 
Giù  traboccar,  de'  genitori  antichi 

Eccelsi  fregi.  Altri  co'  nudi  acciari 
Eccelsa  (/loria.     Alti  ornameiìii 

A  guardia  stan  de  1'  ime  porte  in  densa 

Mano  ristretti.     Da  novello  ardore 

A  soccorrer  la  reggia  e  crescer  forza 

Ai  vinti,  e  lena  a/  '  miei  recar  son  mosso. 

Era  un  andito  oscuro  ed  una  porta, 

Onde  insiem  rispondean  le  regie  case  - 

Abbandonata  e  a  l'alte  porte  opposta: 
Onde  insiem  rispondean  le  reffie  case, 
Per  cui  solca  -^  quando  l' imperio  stava  ^ 
La  sventurata  Andromaca  sovente 

ne 

Andar  soletta  a?  '  suoceri  ^  e  menar.v?' 

Il  pargoletto  Astianatte  ^'  a  l'avo. 

Non  visto  ascendo  al  sommo,  onde  i  meschini 

liovono  molti  inetti  dardi.  Grandinan  va  i  teli. 

Lanciali  vane  saette.  Era  una  torre  ~ 

Slanciata  al  ciel  Dal  dal  sommo  tetto  a  fjli  astri  sjnn- 
Su  la  parete,  onàe  '  Ilio  tutta  e  i  Greci      [ta  ,  a  filo  ^ 

^  facendosi,  [Mll.  1817;  Flr.  18451. 
-  case,  [Mil.  1817  ;  Flr.  1845_;. 
=>  solea,  [Mll.  1817  ;  Flr.  1&15]. 

*  stava,  [Mll.  1817  ;  Flr.  1845'. 

^  suoceri,  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 

«  Astianatte  [Mll.  1817]. 

'  Lanciali  vane  saette.  Era  una  torre  [Mll.  1817;  Flr.  1815]. 

*  Del  sommo  tetto  a  gli   astri   spinta,  a  filo   [Mll.    1817*; 

Flr.  1845]. 

*  Frvtn  rnrrifjr  :    —  Pay.  :M.   v    10;  Del  r<rr.:  Dnl 

(libi,  dì   Mxrnvitd) 


ENEIDE  71 

Legni  vedeansi  e  il  campo.     A  questa  assalto 

Moviam  col  ferro  intorno,  ove  l'estremo 

Tavolato  più  fievoli  non  n'oifria 

Le  congiunture,  e  da  l'eccelsa  parte 

La  dibarbiam,  la  trabocchiamo  .  Fracassa 

Lnprovviso  la  torre  ^  e  con  mina 

a 
'  E  con  frastuono,  -  e  largo  eccidio  strage  piomba 

Sopra  le  greche^  schiere,:  invan  che  *  ad  elle  schiere 

(l'avventar  fra  tanto 

Sottentran  altre,  e  di  scagliare  intanto 
E  sassi  ed  armi  d'ogni  sorta,  alcuno 

Xon  si  rimane.         In 

Già  non  rista.     Ma  su  la  prima  soglia 

Anzi  a  l'entrata  (Caro)  istessa  imbaldanzisce 

Pirro  di  teli  armato,  e  d'enea  luce 

In  simil  gnisa  xva.  angue 

Folgoreggiante.  Dì  cohihro  in  guisa  A   (ju.isa 
Che  Cui  tumido  sotterra  ascoso  tenne 
La  fredda  bruma,  or  di  mal'  ^  erbe  pasto, 
Rinnovato  e  lucente  e  ingiovanito, 
Depos  Svestito  il  vecchio  spoglio  (Caro  *  Crusca)  Can- 
Cangiate  spoglie,  esce  a  la  luce,  e  s'erge       [giaie 

i        hi 
Al  sole  ^  e  va  divincolando  suoi  sdrucciolose  terga 

Divincolando,  alzato  il  petto,  e  vibra 
La  tricuspide  lingua  luccicando. 
Seco  il  gran  Perifante,  e  il  battaglioso 
De'  P eliaci  cavalli  agitatore 


'  torre,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

^frastuono  [Mil.  1817;  Fir.  1815]. 

^  Greche  [Mil.  1817;  Fir.  1815]. 

•*  invan,  [Wil.  1817].  —  invan.  ohe  [Fir.  1815]. 

^  mal  [yrU.  1817;  Fir.  1815]. 

"  sole,  [Fir.  1815]. 

*  Vuole  alludere  al  noto  verso  del  Caro: 

Quando,  deposto  il  suo  ruvido   spoglio, 


(Op.  cit.,  pag.   S2) 


72  ENEIDK 

Automedonte,  e  seco  tutta  al  muro 

La  Sciria  gioventù  sotto  si  caccia  ^ 

Fiamme  ai  tetti  avventando.     Egli  tra'  primi 

Tolta  dura  bipenne  ^  ha  già  la  soglia  (Bondi) 

Spezzata,  e  già  da'  cardini  le  porte 

Enee  divelte  Ferrate  svelle,*  e  già  nel  saldo  legno 

Dispaccato,  ^  e  partito  ampia  finestra 

Ha  spalancata.     Appar  dentro  la  reggia 

E  gli  atrj  lunghi  e  de'  vetusti  regi 

E  di  Priamo  le  rimote  stanze, 

E  gli  armati  custodi  in  sulla  soglia  su  la  prima 

Soglia  starsi  son  visti.     Empie  fra  tanto 

lagrimabil 

Un  miserando  gemere,  un  tumulto 
La  più  interna  magion.     Le  cave  sale  stanze 
Ululan  tutte  al  a  ^  femminil  lamento   (Ariosto) 
Che  l'auree  stelle  fiede.     Per  la  vasta 
Reggia  le  madri  paurose  errando 
S'abbracciano,  s'appigliano  a  le  porte  ^  (Rabbi  v.  ah- 

bracdarsi) 
E  su  vi  '  imprimon  baci.     Insiste  ''  armato 
Del  paterno  valor,  Pirro,  '  ne  vale 
Kiparo  più  ^  che  dei  custodi  istessi 
Ogni  contesa  (Il  contendersi)  è  vana.  Addoppia  i  colpi 


1  caccia,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

-  bipenne,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

^  Disimccato  \Mil.  1817;  Fir.  1815 1. 

•»  al  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

"  jìorte,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

"  Insiste,  [Fir.  1815]. 

'  Pirro;  [Fir.  1845]. 

**  ina,  [Mil.  1817].  —  jn^h  che  [Fir.  1845]. 

*  Sebbene  non  siavi  nessun   richiamo  al  Caro,  la  frase   qui 
usata  è  simile  a  quella  dell'  illustre  traduttor  di  Vergilio  : 


ogni  ritegno 

De  la  ferrata  porta  abbatte  e  frange 
(Op.  cit.,  pag.  82; 


1 


ENEIDE  73 

L'ariete,  ^  già  tentenna,  già  mina 
Sgangherata  la  porta  (snufolaró.  Caro  *).  Aprono-  a 

[forza  i   Greci 
La  strada  i  Greci  e  a  forza  ;  ^  sboccano,    fan  guasto 
De'  primi,  e  di  guerrieri  empron  la  reggia 
In  ogni  lato.     Non  cosi  quand'esce  * 
Fracassati  i  rij^ari  e  co  ^'  la  piena 
Vinte  le  opposte  moli,  imo  spumoso 
Fiume,  corre  pe'  campi  e  via  con  seco 
Stalle  ^  e  armenti  strascina,  infuriando  ' 
Pel  gran  cumulo  d'acque.     Io  Pirro,  io  stesso 
Il  vidi  furibondo  intra  lo  scempio, 
Kd  a  E  su  la  soglia  ambo  gli  Atridi,  e  scersi 
Ecuba  e  cento  nuore,  *  e  Priamo  i  f?mchi  ® 
di'  egli  stesso  sacrò,  tinger  di  sangue 
Vidi  fra  l'are.     Caddero  i  cinquanta 
Talami,  di  prosapia  ahi  quanta  speme! 
E  le  d'oro  Barbarico  ^^  e  di  prede 
Superbamente  ornate  porte:  i  luoghi 
Ove  fiamma  non  giunse,  hanno  gli  Achivi.  S 

Forse  ch'il  fato  di  Priamo'^  ancora — ^ -S 

Vaga  d' intender  sei.     Poscia  che  presa  .§ 


'  ariete;  [M'd.  1817;  Fcr.  l&4o\ 

*  Apronsi  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 
^  forza,  [Mil  1817;  Fir.  1845]. 

*  esce,  \MIL  1817;  Fir.  1845]. 
«  con  [Fir.  1845]. 

«  Stalle  e  \yrd.  1817;  Fir.  1845]. 
'  infuriando  [Mil.  1817]. 
8  nuore;  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
^fuochi  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
>"  barbarico  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
"  Priamo  [Fir.  1845]. 

*  E  il  Caro: 

Già  l'ariete  a  fieri  colpi  o  spessi 
Aperta,  fracassata,  e  d'ambi  i  lati 
Da'  canlini  divelta  avea  la  porta... 
(Op.  cit.,  pag.  88.) 


74  ENEIDE 

Kuinar  Troja  ^  vide  "  e  de  la  reggia 

Svelte  le  porte,  e  l' inimico  in  mezzo 

A  le  sue  stanze,  gli  omeri  tremanti 

Per  lunga  etade,  invan  grava  de  l'armi 

Già  da  gran  tempo  disusate,  e  cinge 

Ij'  inutil  ferro,  ed  a  morir  si    reca 

Fra  il  denso  stuolo  Acheo.     Fu  sotto  il  nudo 

Asse  del  cielo,  a  la  magione  in  mezzo  "^ 

Una  grand' ara  ^  e  soprastante  a  lei 

col      co  •"• 

Antichissimo  lauro  che  con  aW  l'ombra 
I  Penati  abbracciava.     A  questa  insieme 
Con  sue  liglie  affollate  Ecuba  venne  '• 
Come  per  atro  turbine  colombe 
Precipitose     colle  ,  e  co  '  le  braccia  indarno 
Ai  Divi  "  simulacri  avviticchiate 
Sedevan  tutte.     A 11  or  che  Priamo  scorse 

Di  giovenili  armi  coverto,  e  '•  quale, 

Glovetiilmente  armato  e  quale  ti  apinse  lo  spinse 
Ecuba  disse,  a  rivestir  quest'armi, 
Consorte  infelicissimo  ^'^  ti  spinse 

aita 

Crudo  pensier?     Non  questo'  ajiito  al  tempo 
Vuoisi  ne  schermo  tal;  non  s'anco  il  mio 
Ettor  qui  fosse.     Or  t'avvicina.     0  "  tutti 
Dìfeìi  Ne  salverà  quest'ara,  o  insiem  cadremo. 
Disse,  e  il  veglio  a  se  ^-  trasse  e  ne  la  sacra 

»   Troia  [Flr.  18451. 
•'  vide,  [Mll.  1817;  Fir.  1&45J. 
■'  mezzo,  [Mil.  1817;  Fir.  1845J. 
'  ara,  [Mil.  1817;  Fir.  1815]. 
^  con  [Fir.  1845]. 
«  venne,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
■  con  [Fir.  1845J. 
«  divi  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
»  coperto:  E  [Mil.  1817;  Fir.  1815]. 
'"  infelicissimo,  [Mil.  1817  :  Fir.  1815). 
"  ••  0  [Fir.  1845]. 
'■'  sé  [Mil.  1817]. 


ENEIDE 


75 


Sede  locollo.     Ecco  scampato  appena 
Da  la  furia  di  Pirro,  un  de'  suoi  figli. 
Polite,  in  mezzo  a  gì'  inimici  ^  a  l'armi 
Fugge  pe'   lunghi  portici,  e  piagato 
Trascorre  gli  atrj   spaziosi.  -     Ardente 

Con  preme 

Co  Tarma  telo  ostil  Pirro  l'incalza,  e  il  tocca 
Già  già  co  ^  l'asta,  e  co '^   la  man  l'afferra. 
Afjli  A  gli  occhi  alfin  •"'  de'  genitori  innanzi 
ApDcna  giunto  e'  fu,  cadde  ^'  e  la  vita 
Versò  con  molto  sangue.     Allor  ~  comunque 
Cinto  da  morte  già  ^  non  si  contenne 
Priamo'^  né  frenò  la  voce  e  l'ira: 
A  te  da'  numi  "^  se  pietade  è  in  cielo 
Che  di   ciò  curi,  a  te  per  l'empio  fatto, 

la  nefanda  opra'^ 

Sclamò,  per  /'     opra  scellerata  qual  merli  '- 
Premio  sia  reso  e  degne  grazie,  il  fato 
Del  figliuol  mio  poi  eh' a  veder  m'hai  stretto, 
E  con  suo  scempio    la   paterna  faccia 
Hai  funestata,  ma  .  Ma  ben  altro.  Achille 
Pu  col  nemico  Ee,  ^^  quegli  onde  nato 

Falso  ti  vanti. 

E^ser  tu  menti,!  ei  (Caro*)  Ei  me  supplice  ///'accolse^ 

*  inimici,  [MU.  1817;  l'^ir.  1845\ 
'■*  spaziosi.  [Mll.  1817 1. 

3  con  [Flr.  1845]. 

*  con  [Flr.  1845;. 

«  aljin  [Mll.  1817;  Flr.  1845; 

«  cadde,  \Mll.  1817:  Flr.  1845]. 

'  Allor,  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 

«  ijlà,  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 

»  Friànio,  [iMll.  1817].  —  Priamo,  [Flr.  1&15]. 
'»  Numi,  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 
'•  opra,  [Mll.  1S17:  Flr.  1845]. 
'2  inerti,  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 
"  re,  [Flr.  1845]. 
'*  accolse,  [Mll.  1817;  Flr.  1845J. 

*  Scrisse  il  Caro: 

Cotal  meco  non  fu,  benché  nimico, 
Achille,  a  cui  tu  ménti  esser  iigliolo... 
(Oi,.  cit.,  pag.  ^-6.) 


l6  ÉNEIDF. 

E   rispettò  mia  fé,  ^  miei  dritti,  e  il  morto  al  rogo  ^ 

Rendè  l'Ettoreo  corpo,  e  rinviommi  ■' 

Corpo  (TEttorre  a  seppellir  mi  rese 
E  rinviommi  AÌSimì'dYe^gÌQ..  Imbelle  dardo  in  questa  * 
Una  saetta  in  questo  dire  il  veglio 
Senz'  impeto   gettò,  che  risospintno  •' 
Dal  roco  bronzo  immantinente,  appesto  ^ 
Invan  restò  del  sommo  scudo  al   mezzo. 
Cui  Pirro  :   Or  E  questo   al  genitor  Pelide 
Messagger  narrerai,  ~  sporgli    mie    colpe 
Ben   nhhi  poni  Serbati  ^  a  mente   e   il   tralignar  di 

[Pirro.  ^ 
Mvori  fra  tanto.    Or  muori.    E  si  dicendo '"^  a  l'ara 
Lo  trascinò  "  tremante  '^  e  sopra  il  molto     [istessa 
Sangue  del  figlio  sdrucciolante,  avvolse 
Ne'  capegli  ^'^  la  manca,  e  colla  co  ^"^   la  destra 
Erse  '^  e  nel  fianco  insino  al  a  l'elsa  il  brando 
Tutto  gli  ascose.     Il  termine  fu  questo 
De'  fati  di  Priamo.    Avea  tal  fine  sorte 
Al  regnator  de  l'Asia  ^^  un  di  per  tante 

'  fé',  [Flr.  1845]. 

''  il  morto  [Mll.  1817;  Fir.  1815]. 

•*  Corpo  d'Ettorre  a  seppellir  mi  rese,  [Mll.  1817  ;  Fir.  1845]. 

*  E  rinviommi  a  la  mia  reggia.  Imbelle  [3//^  1817]. 

rinviommi  [Flr.  1845]. 

Una  saetta  in  questo  dire  il  veglio  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 

*  getto,  che  risospinta  [Mll.  1817]. 
(jetto;  [Flr.  1845]. 

«  appesa  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 

'  narrerai:  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 

«  ,9èròa<i  [Flr.  1845]. 

«  Pirro:  [Flr.  1815]^ 
»»  dicendo,  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 
"  strascinò  [Mll  1817;  Flr.  1815]. 
'-  tremante  ;  [Flr.  1845]. 
'•'  capelli  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 
'^  con  [Flr.  1845]. 
>^  Erse,  [Mll.  1817:  Flr.  1845]. 
'"  ^«m,  tJfi7.  1817;  /W.  1845]. 


ENEIDE  77 

Terre  e    popoli  alter  ^  fissa  il  destino.  - 

mirar, 

Troja  ^  incensa  veder,  l'Iliache  torri 

Diroccate  in  morendo:  e'  ^  vasto  tronco 

In  su  la  riva  giacesi,  dal  busto 

Partito  Divelto  un  capo  ^  e  senza  nome  un  corpo,    p^ 

Ma  primamente  allora  atro  d'intorno '- 

Orror  mi  si  diffuse  :  istupidii  ^  rg 

E  appresentossi  al  mio  pensier  1' immago 

Ed  a  mio  spirto  la  sembianza  apparvend  a  lo  spirto 

Del  caro  genitor,  poscia  che  '  il  rege 

Ugual  d'anni 

D'anni  uguale  ebbi  visto  in  fera  guisa 

Trapassato  spirar,  vennemi"  a  mente 

La  deserta  Creusa,  e  il  patrio  tetto 

Ai  Gr^ci  in  Preda  ai  '  nemici,  ed  il  periglio  estremo 

Del  pargoletto  Julo.     In  giro  II  guardo  volgo 

Volsi  Ad  esplorar  qual  mi  rimanga  intorno 

Copia  di  socj.  ^     Ognun  lasciommi,  e  stanco 

Al  suol  piombò  di  'un  salto,  o  l'egro  corpo 

Scagl  Lanciò  nel  ùioco.  ^     E  già  sol  io  restava, 

Quan     E  al  fiammeggiar  del  chiaro  incendio,  errante 

Gli  occhi  volgea  per  ogni  dove  altera 

Quando  in  secreta  *  rimota  parte  ascosa  e  cheta 

Star  del  tempio  di, Vesta  Elena  vidi, 

Mentre  al  fiammar  del  chiaro  incendio,  errante 

Già  ^^  tutto  rimirando.     I  Teucri  in  lei 

Da  l'avvampar  di  Troja  >^  a  sdegno  mossi, 

»  alter,  [Mil.  1817;  Fir.  1815]. 
''  destino:  [Fir.  1845^ 
^   Troia  [Fir.  1845]. 

*  ei  [Fir.  1815]. 

'  capo,  [Fir.  1815]. 

•  istupidii,  [Mil.  1817;  Fir.  1&15]. 
'  .  Vennemi  [Mil.  1817;  Fir.  1S45J. 
«  soci.  [Mil.  1817]. 

»  fuoco.  [Mil.  1817;  i-W.  1845]. 
'«  Già  [Mil.  1817  ;  Fir.  1845]. 
»   Troia  [Fir.  1845]. 

*  Altre  varianti;  ripoxtn ,  rcrovO.ita 


7S  ENEIDE 

a  nn  tempo  e  l' ira 

E  le  Greche  vendette  e  del  tradito  e  T  ira  a  un 

[tempo  del  tradito 

Del  tradito  consorte  ella  temendo, 
Consorte  V  ira  ella  del  ir  ad 

Di  sua  patria  e  di  noi  comune  Erinni, 

Acquattata  si  stava  ^  e  presso  a  l'ara 

Sedea  non  vista.  Ardo  di  sdegno  e  II  samfiip  r  Acceso 

Scellerato  a  versar  de  la  cadente 

Jhtria  in  vendetta  irato  duol  mi  sprona 

sprona 

Dolor  mi  spinge  a  vendicar  co  ^  l'empio 
Sangue  la  sfatta  patria.     E  questa  dunque 
Illesa  a  Sparta  e  a  la  natia  Micene 
Regina  andrassi  e  trionfante?     E  in  mezzo 

turbe 

A  Erigj  ^  servi  ed  a  Trojane  ^  torme, 
Marito/'  e  casa,  ~  e  genitori  e  figli 
A  veder  tornerà?  Spento  da  ferro 
Stato  Priamo  sarà,  Troja  ^  consunta 

e  tante  volte 
Da  ferro  fiamme  ^  e  si  sovente  il  Teucro  lido 

Molle  di  sangue?  E'  ^^  non  fia  ver:  CA'  che,  avvegua 
In  femmina  punir  lode  non  abbia  " 
E  senza  onor  sia  la  vittoria,  estinta 
Aver  l'iniqua  pur,  la  rea  punita 
Piegio  mi  fia,:  godrò   che  di  vendetta 


'  stava,  [Mll.  1817;  Fir.  1845]. 

2  :  acceso  [Fir.  1845]. 

•'  con  [Fir.  1845]. 

*  Frigi  [Mil.  1817]. 

'"   Troiane  [Fir.  1845]. 

«  Marito  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

''  casa  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

«  Troia  [Fir.  1845]. 

''fiamme,  [Mil.  1817;  Fir.  1845] 
'«  E  [Mil.  1817  *;  Fir.  L845]. 
"  abbia,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

*  Err.iia  Corrige:  —  Pag.  37,  v.  19:  corr.  :  E" 

[Libi,  di  Macerata) 


ENEIDE  79 

L'ardente  sete  avrò  sbramata,  e  paghe 

Le  ceneri  de'  miei.     Tali  volgendo 

Pensieri  in  mente,  dal  furor  son  tratto: 

Q>fan  AWoY  che  lampeggiò  fra  le  tenebre  * 

E  in  pura  luce  a  gli  occhi  miei  mi  s'offerse  al  guardo 

L'alma  mia  genitrice,  unque  si  chiaro 

(la  me. 

Da  me  non  Pria  non  vista  jjria   Diva  -  al  sembiante  "^ 
E  quale  e  quanta  la   si   vede   in   cielo. 

man 

Per  la  destra  mi  prese,  *  e  mi  rattenne,  e  aprendo 
Labbr   Le  rosee  labbra,  o  ^  figlio,  disse  ^'  e  quale 

avvampa? 
Fero  dolor  di  tanta  ira   faccende?  infiaìnma? 

Euriar  ~  che  ti  giova  ?  E  questa  dunque 

Ti  dai  cura 

Cura         di  noi  ?  ti  jyreiidi  f  Che  non  più  presto  tosto 

Riguardi  ove  lasciato  abbi  l'antico 

Tuo  genitor?     Se  ^  in  vita  anco  ti  resti 

La  consorte  Creusa,  '^  e  il  parvo  Gitdo  Julo? 

A'   quali  intorno  d'ogni  parte  errando 

Van  le  nemiche  turbe,  e  che  già  preda 

de  le      de  gli 

Foran  del  fìtoco  e  defjV  spade  acciari  ostili  ^"^ 
Se  '  avuti  in  guardia  io  non  gli  avessi.     Il  volto 
Non  già  che  abborri  de  l' Argiva  Elena  ^^ 
Ne  l'incolpato  Pari:  odio  de'  numi^- 


'  tenèbre  [Mll.  1817]. 

2  ;  diva  [Mil.  1817;  Fir.  1845J. 

3  sembiante,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
*  2irese  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

"■  :  O  [Mil.  1817;  Fir.  1815]. 
«  disse,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'  Furiar  [MiL  1817]. 
«  se  [Mil.  1817;  Fir.  1815J. 
«  Creus.x  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'"  ostili,  [Mil  1817;  Fir.  1845J. 
"  Fléna,  [MiL  1817;  Fir.  1815]. 
«  Numi  [Mil.  1817  ;  Fir.  1845J. 


80  ENEIDE 

Queste  dovizie  sporge  *  e  dirovìna 

(il  vapor  tutto 

Troja  '  dal  sommo.     Or  mira  {V intrapposta 

Ch'umido  intorno  ti  caliga;  ^ 

Umida  densa  nube  che  ti  cinge     e  il  guardo 

Mortai  ti  appanna  '*  i  '  ^sgombrerò,  :  tu  cedi 

Ai  materni  comandi,  e  senza  tema 

I  miei  detti  seconda)  In  in  quella  parte 

Ove  squarciate  moli,  ^  e  svelti  i  sassi  miri 

Svelti  da  sassi  ed  ondeggiante  un  fumo 

Misto  di  polve,  i  muri  fende  ^  e  squassa  scrolla 

Le  Nettun  le  fondamenta,  e  la  cittade 

Co  ~  l'enorme  tridente  tutta  sterpa 

Da  le  radici.     Qui  di  ferro  cìnta  armata 

Giuno  in  volto  ferissima  si  sta 

Presso  a  le  porte  Scee  primiera,  e  chiama 

Orrendamente  il  socio  stuol  da'  legni. 

Lo^  amico  stuol  da'  legni  in  guisa  orrenda. 
Già  Palla  tien  le  somme  rocche.     Mira 
Qual  folgoreggia  ad  una  nube  in  mezzo 
Con  sua  dira  Gorgon.     Giove  pur  anco 
Valor,  forza  agli  *  Achei  ministra,  i  numi  ^ 
Ne'  Dardani  eccitando.     Ah  fuggi,  o  nato. 
Dà  fine  a  tanti  affanni;  :  ove  che  vada  '" 
Sarotti  al  fianco  ^'  e  in  su  la  patria  soglia 
Porrotti  in  securtà.      Disse  '-  e  fra  l'ombre 


*  sperge,  [Fir.  184r»]. 
^  Troia  [Fir.  1845]. 

'  caliga,  [Mil.  1817;  Fir.  1^15]. 

*  appanna,  [Mil.  1817;  Fir.  V^ih]. 

*  moli  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

«  fende,  [Mil.  1817  ;  Fir.  1845]. 

■  Con  [Fir.  1815]. 

«  a  gli  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

«  Numi  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
^"  vada,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
''  fianco,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'''  Disse,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 


ENEIDE  81 

Dense  di  notte  sparve.     Allor  vedute 

Mi  si  fer  ^  le  sembianze  orride  e  i  sommi 

Numi  a  Troja  ^  nemici:  ed  Ilio  vidi  allor  nel  fuoco  ^ 

La  Nettunia  città  sommersa  io  vidi 

Tutta  vidi  sommersa  Hio  ^  e  divelta 

La  Nettunia  città  da  l' imo  fondo. 

Qual  su  d'alte  montagne  orno  vetusto^ 

Cui  già  con  colpi  spessi  di  bipenne 

Hanno  i  villani  ad  atterrarlao  ^  intenti 

Per  atterrarlo  gareggianti  han  quasi 
Keoiso  a  gara  intorno, 
I  villani  reciso,     minacciando 
Sta  lungamente  e  tremulo  tentenna 
La  barcollante  Chioma,  ~  insin  che  a'  colpi 
Insi  Cedendo  a  poco   a  poco,  omai  divelto 
Mette  l'estremo  gemito,  e  ruina 
Giù  per  lo  monte  ^  e  seco  sbarba  e  tragge 
Parte     del  giogo.     I'  scendo  e  vo  securo, 
Duce  la  madre  ^  intra  le  fiamme  e  l'armi: 
Scostansi  l'armi,  e  mi  fa  strada  il  f^^oco.^'^  (Ac.  di  qua 

di  Ih  facendosi  far  strada, 
cioè  dalle  persone,  e  così  la 
Crus.  in  via.) 

*  Giunto  a  la  patria  soglia  ed  a  l'antico 
Tetto  era  già  •^  quando  colui  che  primo 

'  fèr  [Mil.  1817;  Fir.  1815]. 

2  Troia  [Fir.  1815]. 

«  fuoco  [Mil.  1817;  Fir.  1815]. 

*  Ilio,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

°  vetusto,  [Fir.  1815]. 

«  atterrarla  [Mil.  1817]. 

'  chioma,  [Mil.  1817],  —  chioma]  [Fir.  1845]. 

■*  monte,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

«  madre,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

>«  fuoco.  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

''  già,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

*  A  questo  luogo   sì  l'edizione  nailanese,  sì  la  fiorentina  non 
vanno  aa  capo  . 


32  ENEIDE 

Portar  bramava  a  gli  alti  monti,  oggetto 
Primier  de  le  mie  cure,  il  padre  mio. 
Sovvertita  Ilion,  ^  d"  irsene  in  bando 

il 
0  di  più  viver  nega.     0  voi  che  in  sangue 

Per  fresca  età,  dicea,  vivido  e  salde 
Anco  le  forze  e  intere  avete,  or  voi 

i  numi  - 

Itene  in  fuga.     A  me  servata  il  cielo  (Caro  ^) 

Avrian  ,         fermo  in  cielo 

Avria  questa  magion  s-e  a  lui  piachito 

Posse  ch'ance  i'  vivessi.     Un'altra  volta 

Ilio  strutto  aver  visto,  e  al  cader  suo  a  sua  mina 

Sopravvissuto  aver  cotanto,  assai,  ^ 

E  Troppo  ne  diede.     Qui  co  ^  l'estremo  addio 
Si  composto  il  mio  corpo,  itene.     A  morte 
Chi  mi  conduca  avrò:  pietosi  i  Greci 
Agogneran  mie  spoglie  :  •  è  leve  cosa 
Mtncar  di  tomba.     In  ira  ai  numi  -^  il  tempo 

traggo  " insin 

E  disutile  ^  ^jassato  ho  già  da  l'ora 

E  Che  de  gli  uomini  il  padre  e  il  re  de'  numi  ^  ** 

L'aura  del  fulmin  suo  spirommi  incontra  ^ 

1  Rion,  [Mll.  1817]. 

2  Numi  [MIL  1817;  Fir.  1845]. 

3  assai  [Mil.  1817;  Fir.  1845].  . 
^  con  [Fir.  1845]. 

^  Xumi  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
«  io  [MU.  1817;  Fir.  1845]. 
'  tì^aggo,  [Fir.  1845]. 

8  Numi  [3IiL  1817;  Fir.  1845]. 

9  incontra,  [3/i7.  1817;  Fir.  1845]. 

*  Allude  a'  seguenti  versi  del  Caro: 

A  me,  s' io  pur  dovea 

Restare  in  vita,  avrebbe  il  del  serbato 
Questo  mio  nido  ..... 

{Op.  cit.,  pag.  92.) 

^jf*  Nel  Supplemento  onde    sopra,    il  verso  leggasi   modificato    in 
q[IÌ^a  guisa: 

Che  degli  \iomini  il  Re,  padre  de'  Numi 


ENEIDE  83 

E  con  suo  fwoco  ebbemi  tocco.     Ei  stava 

Cosi  dicendo  immoto./  Inslem  no  i  tìittie  saldo.  E  noi^ 

a  un  tempo  e  il  figlio 
La  consorte  Creusa  e  il  j^cin'o  Jido, 

Molli  Sparsi  di  pianto  ^  e  la  magione  intera 
Il  supplicliiam,  seco  non  voglia  il  tutto 
Distrugger,  padre,  e  al  vicin  fato  offrirsi. 

Ricusa  *  né  pensier  cangia  ne  loco. 

Nega  e  suo  loco  e  suo  j^ensier  non  cangia  : 

bramo 
E  Misero  chieggo  armi  di  nuovo  e  morte 

Morir.    Poi  che  •' 

Bramo.  E  già  da  sorte  o  da  consiglio  o  da  fortuna 

Che  restava  a  sperar?  Dunque  cliHo  che  porti  ^ 

Padre,  i'  potessi  in  abbandon  credesti? 

E  tanto  orror  proiferse  il  patrio  labbro? 

Se  del  volere  è  del  ciel  ~  che  nulla  avanzi 

Di  cotanta  cittade,  e  tu  *  se'  fermo 

A  far  che  ^  Troja^  spenta^"  anco  ^^  tu  pera 

E  teco  i  tuoi,  schiuso  a  tal  fato  è  il  varco. 

E  Pirro  omai  qua  giungerà  ^-  del  molto 

Sangue  di  Priamo  tinto,  ^^  e'  che  del  padre 

Innanzi  a  gli  ^^  occhi  il  figlio,  e  innanzi  a  l'are  '^ 


'  immoto  [Mll.  1817;  Fir.  1845]. 

""  noi,  [Fir.  1845]. 

"^  inanto,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

*  Ricusa,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

"•  Poiché  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

''porti,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

'  Ciel  [Fir.  1845]. 

"  che,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

«  Troia  [Fir.  1845]. 
'»  spenta,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
"  ancor  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'*  rjlunrjera,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'=•  tinto;  [Fir.  1845]. 
'*  Innanzi  gli  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
"  innanzi  l'are  [Mil.  1817;  Fir.  1845].    . 

♦  Nell'ediz.  milanQg©  leggesi:  tu',  ma,  certo,  per  errore. 


84  ENEIDE 

Il  padre  svena.   A'  questo  dunque  immune, 
Alma  mia  genitrice,  infra  le  fiamme 
Infra'  ^  teli  m'  hai  scorto,  affia  a  fin  che  in  mezzo 
A  mie  stanze  il  nemico  •  af  a.  fin  che  Gildo  Julo 

il  genitore  e 

E  il  padre  seco  il  padre  e  sec  presso  lor  Creusa 
Trucidar  mi  vedessi  innanzi  a(/U  a  gli  occhi  (mirassi. 

Biondi  non  miri) 
L'un  sul  sangue  de  l'altro.  ^     Armi  '*  qua  l'armi. 
Vinti  a  morte  ne  chiama  il  giorno  estremo. 
Rendetemi  a  gli  Achei,  lasciate  a  nuova 
Pugna  volarmi.     Ah  non  ha  ver  che  tutti 

E  già  rivesto 

Oggi  inulti  moriamo.  E  già  in  questa  In  questa,  il  ferro 

L'armi,  e  lo  scudo 

Cingo  di  nuovo  e  co  "'  la  manca  imbraccio, 

Lo  scudo  E  parto.  Ecco  Creusa  in  su  la  soglia 

Ferma  si  stava,  Attraversata  i  pie  '^  stringeami  '  e  Julo 

Il  pargoletto   appresentava  al  padre. 

S'a  morir  vai,  teco  noi   traggi  a  tutto. 

Se  speme  ha?  pur  ne  l'armi,  e  il  sai  per  prova. 

Guarda  in.  _ 

Pria  difendi  prima  tua  casa.     Il  piccol  figlio 
Cui  lasci  e  il  padre  e  me  ^  tua  detta  un  tempo  !° 
Cosi  gridando  ^^  la  magione  empiea 
Tutta  di  pianto.     Allor  che  uno  stupendo 
Prodigio  a  un  tratto  appare.     Ecco  tra  i  baci 
Dei  genitor  afflitti  E  tra  gli  amplessi  de'  parenti  afflitti  ' 

'  Infra  [Mil.  1817;  Flr.  1845]. 
'  nemico,  [MIL  1817;  Fir.  1845]. 
3  altro?  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
^  Armi,  [Fir.  1845]. 
^  con  [Fir.  1845]. 
«  pie  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'  stringeami,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
«  me,  [Fir.  1845]. 
»  tempo?  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
i«  gridando,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
"  afflitti,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 


ENEIDE  85 

lieve  sfavillar 

La  somma  cima  sfiorar  del  capo 

Al  fanciullin  si  vede  ^  e  mollemente 

Circa  le  tempie  ei^ando  senza  offesa  errando  ^ 

Lambir  le  chiome  ^  e  pascere  una  fiamma. 

tremar;  *        1' 
Noi  pavidi  tremiam.     i'acceso  crine 
Scuotere  ^ 
Scuotiamo    ed  acqua  ad  ammorzar  la  santa 

versar. 
Fiamma  rersiam.     Ma  il  genitore  Anchise,  ^ 

Allor  Lieto  le  palme  sollevando  e  gli  occhi 
Al  cielo,  "  0,  disse,  onnipotente  Giove, 
Se  da  prego  sei  mosso,  or  noi  rimira,  ^ 
Ciò  sol  ne  basta,  o  padre,  indi  se  il  morta 
Nostra  pietà,  dacci  soccorso,  e   questo 
Segno  conferma.     Di  pregar  non  prima 
Ebbe  finito  il  veglio,  che  da  manca 
Tuonò  Tonò  subitamente,  ^  ed  d  una  stella 

sereno,  '*> 
Dal  ciel  caduta^  corse  giù  '^  fra  V ombre  traendo 

Face  e  splendore  assai,  per  mezzo  a  l'ombre. 

De  la  magion  sopra  le  somme  vette 

Noi  passar  la  vedemmo  '*  e  ne  l'Idea 

Selva  celarsi  luminosa.     Appare 

Di  suo  sentier  la  traccia,  un  lungo  solco 

>  vede,  [Mll.  1817;  Flr.  1815]. 

2  errando,  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 

3  chioma*  [Mil.  1817].  —  la  chioma  [Flr.  1815]. 
*  tremar,  [Mil.  1817;  Flr.  1845]. 

•■'  Scuotere,  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 
«  Anchise  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 
'  cielo:  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 
«  rimira;  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 
*•'  suhitamente  ;  [Flr.  1845]. 
'"  caduta,  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 
"  giù,  [Mll.  1817;  Fir.  1&15]. 
'■^  vedemmo,  [Mll.  1817;  Fir.  1845]. 

*  Errata  Corrige.  —  Pag    42,  V.    12:  le  chioma  corr.  :  le    chiome 

(Bibl.  di  Macerata) 


86  EKEIDE 

Splender  si  vede,  e  tutti  intorno  i  luoghi  intorno 
Mandan  sulfureo  fumo.     Or  vinto  il  padre  ^ 
Al  ciel  si  volge,  e  favellando  ai  mmii  Dei - 
La  santa  stella  adora.     Indugio  alcuno 
Più  non  trapjDongo  '^  ornai  :  vi  seguo  ;  vengo 
Ove  che  mi  meniate.     0  patrii  Dii  numi  ^ 
Salva  per  voi  sia» la  magion,  per  voi 
Salvo  il  nipote  Io  cedo  .  È  •''  vostro  il  segno  :  è  Troja  ^'' 
In  poter  vostro.  Io  ~  cedo,  o  figlio,  e  teco 
Di  venir  non  ricuso.     E'  ^  detto   aveva  ^ 

strepitar 

E  per  le  mura     fjih      più  chiaro    s'ode 

Già  la  rincendio 

La  fiamma  strepitar  s'udia,  già  più  da  presso 
Ne  s'avventava  la  cocente  vampa. 
Su  dunque,  o  padre  amato,  or  mi  ti  reca 
Sul  collo,  io  porterotti  ^^  e  già  tal  peso 
Non  graverammi  ;  e'  ^'  sia  che  puote  :  un  fia 
D'ambo  il  periglio  e  la  salute.  Al  fianco 

i  miei  vestigi 

Mi  Vengami  il  parvo  Julo,  '-  e  piìi  lontano 

più  lontano  :  '^  e  voi, 

Calchi  Creusa     i  miei  vestigj.     Or  voi 
Servi,  al  mio  dir  ponete  mente.     E  fuori 
De  la  cittade  un  collicello  ^^  e  un  tempio 


1  imdre,  [Mil.  1817;  Flr.  1845] .~ 

2  Del,  [Mll.  1817;  Flr.  1815]. 

3  trapowjo  [Mll.  1817;  Flr.  1845], 
^  Numi,  [^rll.  1817;  Flr.  1815]. 

"  ;  è  [Flr.  1845]. 

«  Troia  [Flr.  1845]. 

'  :  io  [Flr.  1845]. 

«  Ei  [Flr.  1845]. 

«  aveva,  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 

^"^  porterotti,  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 

"  e  [Flr.  1845]. 

'2  Jido;  [Mil.  1817;  Flr.  1845]. 

1"  lontano,  [Mll.  1817].  —  lontano;  [Flr.  1845]. 

1*  collicello,  [Flr.  1845]. 


ENEIDE  87 

Deserto^  antico-  a  Cerer  sacro:  ^  a  cui  • 

Un  vetusto  cipresso  alzasi  a  canto 

Venerato  da'  padri  *  e  ^:)er  già  per  già  molt'anni 

Servato.     A  "^  questo  per  diverse  vie 

Tutti  verrem.     Tu,  jiadi-e,  in  man  ti  reca 

La  Le  sauté  cose  e  i  patrj  Dei.  Toccarli  '' 

Non  lice  a  me,  "^  da  tanta  guerra  e  strage 

Pur  ora  uscito,  ove  non  prima  in  viro  asterso 

Abbiami  vivo  fiume.  In  questo  dire  ^ 

Fiume  siami  purgato:  mi  purghi  (anche  il  Caro:  jrria 

che  mi  lave  in  vece  di  mi  abbia  lavato  '^) 
M' ho  de  la  veste  e  de  la  fulva  pelle 
Di  lion  ^  ricoperto  il  collo  e  gli  ampj  ^^ 
Omeri  ^^  e  al  peso  mi  soppongo.     Ascanio 
Imjy  II  pargoletto  impigliami  la  destra  ^-  ** 
E  con  passo  inegual  mi  segue.     Appresso,  ^^ 
Viemmi  Creusa.     Andiam  per  luoghi  oscuri, 
E  me  ^*  cui  già  pria  non  avventati  dardi 
Non  mosser  Greche  dense  opposte  schiere  squadre  ^^ 
Ora  ogni  aura  atterrisce  '^'  ogni  remore 

»  Deserto,  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 
2  antico,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
^  sacro]  [Fir.  1815]. 
*  2)adrl,  [Flr.  1845]. 
5  :  a  [Flr.  1845]. 
«  ;  toccarli  [Flr.  1845]. 
7  me  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 
«  dire,  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 
«  IXon  [Mll.  1817]. 
"'  amin  [Mll.  1817;   Fir.  1815]. 
•'  Omeri,  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 
'''  destra,  [Flr.  1845]. 

*^  Appresso  [Mll.  1817].—  :  appresso  [Fir.  1845]. 
'^  me,  [Mll.  1817;  Flr.  1845]. 
'^  squadre,  [Mll.  1817;  i'^ir.  1845]. 
*«  atterrisce,  [Mll.  1817;  Flr.  1^45]. 

*  Infatti,  il  Caro  scrisse: 

toocar  non  lere 

Pria  che  ili  vivo  fiume  onda  mi  lavp. 

iOp.  cit.,  pAg.  98.) 
**  Forse  voleva  scrivere: 


88  ENEIDE 

Scuote  ed  inforsa  ^  pel  compagno  e  il  peso 
Del  par  tremante.     Ed  alle  a  le  porte  ornai 

e  aver  credea 

Era  mi  vicino  -  e  mi  parca  già  tutta 
Superata  la  via,  quando  mi  parve 
Udir  subito,  spesso  calpestio  ^ 
E  per  mezzo  a  le  tenebre  guardando  ^ 
Esclama  il  padre  :  figlio,  ^  figlio,  fuggi, 
Son  presso,  veggo  il  luccicar  de  l'armi 
E  de  gli  scudi,     Allor  non  so  qual  Dio 

e  o  ^  o 

Nimico  la  fu  che  pavida    confusa 

Mente  A  me  mi  tolse  ;  ^  poi  che  mentre  uscito 
Fuor  del  noto  sentiero,  occulti  calli 
Seguo  correndo,  ahi  ^  la  consorte  mia  ^ 
La  mia  Creusa  i'  persi;  o  che  da  fato 
Miserando  rapita,  o  per  lassezza 
Ristata  fosse,  o  traviata  ^^  errasse  ;  ^^ 
Come  non  so  :  ma  poscia  più  non  parve  ; 

E  per  mirarla  io  non  mi  volsi  '^  e  mai 

Ne  mi  volsi  a  vederla  (a,  ha  forza  anche  di  per)  ne 

m^  accorsi 

Di  ciò  ch'era  m'avvidi  '^  insin  che  giunti 

Del  caso  pria  ch^ allora  quando  giunti 

De  la  vetusta  Cerere  non  fummo 

Fummo  del  tempio  antico  al  santo  poggio^ 


^  inforsa,  [Fir.  1845]. 

2  mcino,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

^  calpestio,  [Mil.  1817].  —  calpestio]   [Fir.  1845]. 

*  guardando,  [MIL-  1817;  Fir.  1845]. 

"  Figlio,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

«  pavido,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

''  tolse:  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

«  ahi!  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

«  mia,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'«  traviata  [Mil.  1817]. 
"  errasse,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
^2  volsi,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
^3  m'avvidi,  [Mil.  1817;  Fir.  1845.] 


ENEIDE  89 

Al  santo  sacro  poggio.  . 

Quivi  iìisiem.      Quivi  tutti  finalmente  accolti,  ^  * 

Sola  manconne,  ed  il  i  compagni  e  il  figlio 

E  il  consorte  deluse.     Allora  insano 

Qual  Dio  2  qual  uom  non  incolpai,  ?  qual  vidi 

Ne  la  strutta  città  caso  più  diro?'^ 

Ascanio  e  il  padre  Anchise,  *  e  i  Teucri  numi  ^ 

Ai  compagni  accomando  ^  e  ne  la  curva 

inver  la  inura  io  torno 

Valle  ripongo  :  e  a  la  città  rivado 

Cinto  de  l'armi  rilucenti;,  e  fermo 

Di  rinnovare  ogni  vicenda  ^  e  tutta 

Troja  ^  correr  di  nuovo,  ed  a  gli  estremi 

Perigli  espormi.     In  pria  mi  volgo  ai  muri 

Ed  a  la  cieca  porta  ond'era  uscito,  ^ 

E  seguo  e  cerco  per  la  buja  ^^  notte 

Co  ^^  gli  occhi  intenti  i  miei  vestigi  istessi 

Già  nel  venir  segnati.     Orror  dovunque  ^^ 

Silenzio  pur  l'alma  spaura.     Io  torno 

Quindi  a  la  casa  a  ricercar  se  fosse 

Ivi  a  sorte  venuta.     Invasa  e  piena 

L'aveano  i  Greci  gli  Achei.  L' ingorda  fiamma  ratto 

Al  vento  s'alza  tortuosa,  e  il  sommo 

'  accolti  [MiL  1817;  Flr.  1845]. 

*  Dio,  [MiL  1817;  Flr.  1845]. 

3  duro?**  [M^.  1817;  Flr.  1845]. 

*  Auchise  [MIL  1817;  Fir.  1845]. 
'  Numi  [MiL  1817;  Flr.  1845]. 

^  accomando,  [Flr.  1845]. 

'  vicenda,  [MiL  1817;  Flr.  1845]. 

«  Troia  [Fir.  1845]. 

»  uscito,-  [Fir.  1845]. 
^»  buia  [Flr.  1845]. 
»  Con  [Flr.  1845]. 
*2  dovunque,  [MiL  1817;  Flr.  1845]. 

*  Il  verso  da  prima  era  il  seguente  : 

Quivi  insiem  tutti  finalmente  aconiti 
**  Errata  corrige:  —  Pag.  45,  v.  9:  duro  corr.:  diro 

(Bibl.  di  Macerata.) 


90  ENEIDE 

Tetto  sormonta,  ^  furiar  -  per  l'aria 
S'ode  l'incendio.     Inoltromi  e  la  rocca 
E  la  reggia  rivedo.     E  già  nel  tempio 

Sfcavan  di  Giuno,  ^ 

A  G'mnoìi  sacro  e  ne  le  vote  logge  ^ 

Custodi  eletti  de  la  preda  ^  il  fero 

Stavan  la  pregia  a  custodire  eletti 

Laerziade  e  Fenice.     Ivi  ammontate 

Son  le  Teucre  dovizie  ;  e  dagli  da  gì'  incensi 

Penetrali  de'  numi  ^  e  d'ogni  banda 

Là  tratte  son  le  sacre  mense  e  i  vasi 

Di  solid'oro  e  le  rapite  vesti. 

Fanciulli  intorno  e  paurose   madri 

Stan  quivi  in  lunga  fila.   (Alfieri)  Ardii  pur  anco 

empiere 

Gridar  fra  le  temp  tenebre,  ~  empiendo  i  calli  empien 

Di  lamentanza,  e  mesto  invan  ^  più  volte 

Creusa  ^  ahimè '^  Creusa  mia  cliiamai!*^ 

Mentre  la  cerco  ^^  e  per  senza  fine   errando 

Vo  per  le  case  forsennato,  apparmi 

Il  simu  miserando  simulacro  e  l'ombra 

Di  Creusa  '^  maggior  che  pria  non  era. 

Istupidii,  rizzossi  il  crine,  ste'  ^^ 

Ne  le  fauci  la  voce.     Allora  a  dirmi 

Prese  Pres'ella  e  a  consolarmi.  ^^     A  che  ti  lasci 

'  sormoìita;  [Mil.  1817;  Flr.  1845]. 
''  furiar  [Mil.  1817J. 
3  Giuno  [Mil.  1817;  Flr.  1845]. 
-*  logge,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
^  preda,  [Mil.  1817;  Fir.  1&45]. 
«  Numi  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
"'  tenèbre,  [Mil.  1817]. 
«  in  van  [Mil.  1817  ;  Fir.  1845]. 
»  Creusa,  [Fir.  1845]. 
»"  ahimè!  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
»  chiamai.   [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
^''  cerco,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
*■''  Creusa,  [Fir.  1845]. 
"  stè  [Mil.  1817;  Flr.  1845]. 
^^  consolarmi:  [Mil.  1817;  Flr.  1845]. 


ENEIDE  91 

Si  trasportar  da  folle  affanno,  o   dolce 

Consorte  mio?     Senza  voler  de'  numi  ^ 

Questo  già  non  t'avvien.     Quinci  (Caro  ^)  Creusa 

Portar  compagna  a  te  non  lice  :  il  vieta 

Del  sommo  D'Olimpo  il  sommo  rege.^  Esiglio  lungo 

Soffrir  tu  ti  converrà,  solcar  gran  mari;   [Caro'^'^) 

In  Esperia  n'andrai  dove  tra  genti 

E  feraci  campagne  il  Lidio  ^  Tebro 

Volve  sue  placid'onde.  Ivi  beata  beati  da'  numi  * 

Placido  corre.  Ivi  fortuna  e  regno 

Lieta  ventura  a  te 

E  regno  sorte  da'  numi  ti  s'appresta,  •'  e  regno 

E  consorte  regal.     Di  pianger  lascia 

La  diletta  Creusa.  Io  le  superbe 

Mirmidoni  o  le  Dolopi  '^  contrade 

Già  non  vedrò.  ~  Schiava  a  lor  donne  i  Greci 

Me  non  trarran,  Dardania  prole  e  nuora 

che  ^  mi  ritiene 

Alla  A.  la  Ciprigna  Dea:  Ma  la  de'  Numi 

La  gran  madre  de'  numi  •' 

Gran  parente   ritienimi   in    queste    piagge,    (tiemmi. 

Caro  ***J 

1  Numi  [Mil.  ISllfFlr.  1845]. 
''  Rege.  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
3  Lido****  [Mil.  1817]. 
*  Numi  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
•^  s'appresta  [Fir.  1845]. 
«  Dòlopi  [Fir.  1845]. 
'  vedrò:  [i^ir..  1845]. 
«  che  [Fir.  1845]. 
»  Numi  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
*  Allude  a  questo  verso  del  Caro: 

A  te  qì'hiri  timi   1pi"p 

Di  trasiioi'tarnii 

{Gp.  cit.,  pag.    101.) 
**  Scrisse,  in  fatti,  il  Cako: 

Che  softVir  lunghi  essigli,  arar  gran  mari 

Ti  converrà  

{Op.  cit.,  pag.  101.) 
***  Allude  a  questi  altri  versi  del  Caro: 

(he  la  fjran  penitrir.'  di>sli  Dei 

Appo  Fé  tiemmi , 

(Op.   cit.,  pag.  102.) 
*»»♦  fjy.f.f,ff,   forrigr:  —  Pai;.   17.   v,   1;  Lido  corr.:  Lidio 

[liibl.  di  Ma  cerata) 


92  ENEIDE 

Or  finalmente  addio.     Serba  ^  l'amore     {Caro*) 
Del  com^nun  figlio  :  e  ^  cosi  detto  ^  in  leve 
Aere  conversa  dileguossi,  ^  e  mentre 
Piangendo  i'  pur  volea  dir  cose  assai  •'' 
Abbandonommi.     Allor  tre  volte  al  collo 

mani  avvincerle,^  tre  volte 

Tentai  le  braccia  stenderle,  (per  ahhracc.  Rabbi)  tre  ^ 

Indarno  cinta  mi  faggi  fuggimmi  V  imago  ^ 

V ombra  di  man  mano  iiscimmi  indarno  cinta; 
Pari  a  fugace  sogno  e  ad  aura  leve. 

Cosi  la  notte  consumata  invano  ^ 
Riveggo  il  poggio.     Ivi  gran  copia  accolta 
Di  novelli  compagni,  e  madri  e  sposi 
Presti  a  l'esiglio  ;  ^  miserabil  volgo  ^^ 
Meravigliando  trovo.     Eransi  addotti 
Là  d'ogni  banda,  a  me  seguir  dovunque 
Irne  pel  mar  volessi,  alme,  ^^  e  ricchezze 
Pronte  recando.     E  già  su  le  somme  vette 
D'Ida  già  l'astro  mattutin  sorgea  ^^ 
E  menavane  il  giorno.     I  greci  ^'^  intanto 
Custodivan  le  porte  ^^  e  speme  alcuna 
D'aita  non  avea.     Cessi  ^•'  e  ritolto  {Cessi.  Biondi) 
Sul  collo  il  padre,  a  la  montagna  ascesi. 

'  :  serba  [Flr.  1845]. 

*  .  E  [Fir.  1845]. 

«  detto,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

*  dileguossi;  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
«  assai,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

«  avvincerle;  [Mil.  18L7;  Fir.  1845]. 

'  imago,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

«  invano,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 

"  esiglio,  [Mil.  1817  ;  Fir.  1845]. 
^«  vulgo  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
"  alme  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'■'  sorgea,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'■'  Greci  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 
'*  porte,  [Mil.  1817  ;  Fir.  1845]. 
»^  Cessi,  [Mil.  1817;  Fir.  1845]. 


ENEIDE  93 


Versi  n.  1068.  cioè  264  più  che  nel  testo,  e  226.  circa 
meno  che  nella  versione  del  Caro.* 

Dei  12.  libri  della  Eneide  4.  sono  men  lunghi  del  2.*^'' 
e  tra  questi  uno  di  un  intero  centinajo,  7.  più  lunghi  e 
tra  questi  3.  di  pochi  versi,  e  4.  di  un  intero  centinajo 
circa,  tra'  quali  uno  di  un  centinajo  e  mezzo. 

>^  Crusca.  Avvinghiare:  Tre  volte  mi  sforzai  d'avvin- 
ghiare le  mani  al  collo.  -  Avvincere.  Le  tue  braccia  il  mio 
collo  avvinsero.  Tre  volie  dietro  a  lei  le  mani  avvinsi.  ** 


♦  Nel  computo  del  Leopardi  ci  ha  non  per  tanto  un  errore  di 
calcolo,  che  i  lettori  potranno  di  leggieri  verificare. 

**  Vedi  la  chiamata  a  pag.  92,  cui  questa  nota  si  riferisce. 


INNO  A  NETTUNO 


Un  quadernetto  di  20  facciate  interamente  scritte  (coper- 
tina verdognola).  —  Di  quest'/wno  conservasi  anche  una  copia 
di  pugno  della  contessa  Paolina  (un  quadernetto  di  sei  fac- 
ciate, di  cui  l'ultimo  mezzo  foglio  e  l'ultima  facciata  sono 
in  bianco),  mancante  però  delle  note;  copia,  che,  certo,  fu 
condotta  sull'autografo  che  qui  fedelmente  riproduciamo. 


INNO  A  NETTUNO 

di  datore    incerto 


Fsoaov  5È  Ihoì-r  y.aÀÀiatov,  àoiSi^ 
Tcocr.   Idill.  22.   rerso'   u?<. 

Lui  clie  la  terra  scuote,  ceruleo  il  crine  a  can- 

[tar  prendo 

Azzurro  il  crine  - 

Cantiam  Nettuno  che  la  terra  scuote  '•'* 
Lui    cW    azzurre    ha    le    chìoìnc      A    cantare    inco- 

[miucio.  *** 

Ed  ha  ceruleo  il  crine.     Alati  preghi 

A  te,  Nettuno  Ke  ^  (1),  forza  è  clic  indrizzi 

'  vers.  [Spett.  1817:   /•'//•.  LSÌ5]. 
•^  crine,  [Spett.  1817;  Flr.  1815]. 
•''  re,  [Flr.  1815]. 

*  Xella  copia  che  (XalV Inno  fece  la  contessa   Paolina,    il  titolo 
è  il  seguente: 

Inno  a  Nettuno  attribuito  ad  Omero,    Tradotto  per  la  prima  volta.    Nello 
Spettatore,  poi,  si  legge  : /n»o  a  Nettuno  d'incerto    autore   nuovamente  sco- 
rto.    Traduzione  dal  tjreco  del    conte  Giacomo  Leopardi  da  liecanati. 
**  Ecco  un'altra  variante  di  questo  verso: 


Questi  due  primi  versi  vanno  letti  cosi: 

Lui  chf  la  terra  SL-uote,  azzurro  il  (-riiie, 

A  '■niit  iri'  iii'-omiii'-in.  Ahti  iin'i;hi 


98  INNO    A   NETTUNO 

Il  noccliier  faticlievole  che  corre 

Il  Su  veloce  naviglio  il  vasto  mare, 

Se  campar  brama  dai  sonanti  flutti 

E  la  morte  schivar  :  che  ^  a  te  l'impero 

Del  pelago  toccò,  da  che  nascesti 

Figlio  a  Saturno  ;  -  e  al  fulminante  Giove 

Fratello  e  al  nero  Fiuto.     E  E-ea  la  Diva 

Dal  vago  crin  ti  partorì,  ma  in  cielo 

Non  già:  che'''  di  Saturno  astuto  nume  ^ 

Gli  sguardi  paventava.     Ella  discese 

Alla  A  la  selvosa  terra,  il  petto  carca 

D'acerba  doglia,  e  scolorite  avea 

Le  rosee  guance.     Mentre  il  sole  eccelso 

Ardea  su  le 

Snìle  montagne  i  verdi  boschi, 

E  sul  caldo  terren  s'abbandonava 

L'agricoltor,  •''' 

Il  legnajnol.  cui  spossatezza  (irea  invaso* 
Avea  le  membra,  ''  (poi  che  di  Semele 
Il  Dal  sen  ricolmo,  '  nato  ancor  non  era 

i  a  gì' 

Il  figlio  alto-sonante,  ed  agV  industri 
Mortali  sconosciuto  era  pur  ^  anche 
Il  vin  giocondo  che  vigore  apporta)  ^ 
Ella  s'assise  a  1'**  ombra,  e  come  uscito 

»  che  [Flr.  1845]. 

''  Saturno,  [Spett.  1817;  Flr.  1815]. 

«  che  [Spett.  1817]. 

-^  Nume  [Spett.  1817;  Flr.  1815]. 

••  afjrkoltor  [^'pett.  1817;  Fir.  1845]. 

«  membra  [Spett.  1817;  Flr.  1845]. 

'  ricolmo  [Spett.  1817;  Flr.  1845]. 

«  per  [Spett.  1817;  Flr.  1845]. 

^  apporta),  [Spett.  Vòil].  —  apporta).  [Flr.  1815]. 

*  Nella  copia  della  contessa  Paolina  leggesi: 

I,";ii,n'ic<iitor  fili  spossatezza  invase 

Avi'a  le  iiicnilira 

**  Ugualmente  uir  in  vece  di  a  V 


IXNO    A    NETTUNO  99 

del  * 

Fosti  dal  suo  grand' alvo,  ti  ripose 

Su  le 

Sulle  ginocchia  assai  piangendo,  e  pi-eghi 
0  renerand  Porse  alla  a  la  T'erra   e  al  a  lo  stellato 

[Cielo  : 

0  Terra  veneranda,  o  Cielo  padre. 
Deh  riguardate  a  me,  se  pure  è  vero 
Che  di  voi  nacqui,  e  questo  figlio  mio 
Da  r  ira  di  Saturno  astuto  nume 

Or  mi  salvate,  si  ch'egli  noi  veda  ^ 
E  questi  ben  ricresca  e  venga  adulto. 
Cosi  pregava  Eea  di  belle  chiome, 

di  fresco  nato,  in  core 

Poi  che  per  te  temeva  e  jì^i'  ?^  nato 

Sentia  ^  gran  tema  (2)  :  e  per  gli  eccelsi  monti 

Ed  il  profondo  mare  errando  giva 

L'eco  romoreggiante.     Udilla  il  Cielo 

E  la  feconda  Terra,  e  nera  notte  ^ 

Venne  sul  bosco,  e  si  sedè  sul  monte. 

Ammutirono  ^  a  un  tratto,  '^  e  sbigottirò 

1  volatori  della  de  la  **  selva,  e  intorno 
Con  Co  ''  l'ali  stese  s'aggirar  vicino 

Al  basso  suol.     Ma  t'accogliea  ben  tosto 
La  Diva  Terra  fra  sue  grandi  braccia.  (3)  ~ 


'  veda,  [Spett.  1817;  Flr.  1815]. 

''  Sentia  [Siyett.  1817;  Flr.  1815]. 

•■'  Notte  [Siìett.  1817;  Flr.  1845]. 

*  Ammutarono^^-**  [Sitett.  1817;  Flr.  1845]. 

•■*  tratto  [Spett.  1817;  Flr.  1845]. 

«  Con  [Flr.  1845]. 

^  braccia  (3),  [Spett.  1817].  —  hran-la;   [Flr.  1845]. 


*  Nella  copia  della  contessa  Paolina  leggesi:  dal 
***  „  n  n  n         !  Amìiiutaroìio 


100  INNO    A    NETTUNO 

Né  Saturno  il  sapea,  che  '  nera  notte  - 
Era  su  la  montagna.     E  tu  crescevi, 
Ile  dal  tridente  d'oro,  ed  in  robusta 
Giovinezza  venivi.     Allor  che  voi 
Di  Rea  leggiadra  figli  e  di  Saturno, 
Tutto  fra  voi  partiste  ;  '•'  ebbesi  Giove  ^ 
Che   i  nembi  aduna,  lo  stellato    Cielo: 
Il  mar  ceruleo  tu;  s'ebbe  Plutone 
I)eW  De  V  *  Averno  le  tenebre.     Ma  tutti 
Tu  della  de  la  terra  scotitor  vincevi. 
Salvo  Giove  e  Minerva.     E  chi  potrebbe 
Coli'  Co  ^  V   Olimpio  cozzare  impunemente  ? 
Il  cielo  **  tu  lasciasti,-  e  teco  scese  il  figlio 
Della  De  la  bianca  Latona  in  terra  scese,  : 
Ed  al  superbo  Laomedonte  alzavi 
Tu  cleW  de  l'ampio  Ilion  le  sacre  mura,  ^'  (4) 
Mentre  ne'  boschi  opachi  e  nelle  ne  le  valli 
JJjW  De  l'Ida  nuvolosa,  ~  i  neri  armenti 
Febo  Apollo  pascea:  ma  Laomedonte, 
Compita  l'opra  tua,  la  pattuita 
Mercede  ti  negò:  stolto,  che*''  l'onde 
Biancheggianti  del  pelago  spingesti 

sormontar  '" 

Contr'  Ilio  tu,  ^  (5)  che  soverchiar  le  mura 
Con  gran  frastuono  mormorando,  e  tutta 


»  clic  [Spctt.  1817;  Flr.  1845]. 
-'  Notte  [Spctt.  1817:  Flr.  181Ò]. 
""  partite,  [Hpett.  1817:  Flr.  181-5]. 
■^  (ilooc,  [Spctt.  1817;  Flr.  I8i5]. 
•^  Con     [Flr.  18151 

"  mura  {4),  [Spe't.  1817].  —  mirra;  [Flr.  1815]. 
'  nuvolosa  [Sjìcti.  1817;  Flr.  1845]. 
«  che  [Fir.  1815]. 
'->  tu  (5),  [Spctt.  1817]. 
''^*  sormontaF  [Flr.  1815]. 


*  Nella  copia    della  contessa  Paolina  si  logge:  Dall' 
*=*  „  „  .  ,        :  Cielo 


INNO    A    NETTUNO  lOl 

Empierò  la  città  di  sabbia  e  limo,  ^ 

Co'  prati,'-*  e  lo 

C(.n  le        campagne  e  l  prati.  E  tal  preiulesti/ta-^'.s/i 
Del  fier  Laomedonte  aspra  vendetta  I> 

Ma  qiial  cagione  a  tenzonar  ti  mosse 
Con  Palla  Diva  occhi-cilestra?  Atene 
La  Cecropia  città:  ^  jìoi  eli'   appellata 
Tu  la  volevi  dal  tuo  nome,  e  Palla 
Il  suo  darle  voleva.     E  la  •'  ti  vinse  : 
Che  colla  co  ^  la   lancia  poderosa  il  suolo 
Percosse'  e  uscir  ne  fé'  '"^  virente  olivo 
Di  rami  sparsi.     Ma  tu  pur  fiedesti 
La  diva  Terra  ^  col  tridente  d'oro  ^^ 
E  tosto  fuor  n'usci  destrier  cli'avea 
Florido  il  crine:  ''   ((>)  onde  a  te  diero  i  fati 
I  cavalli  domar  veloci  al  corso. 

i  pastori  Pan.^-**  gli  arcieri  Febo  ;,  *** 

Ama  Febo  i  canto  vi:  a  Marte  (irati 

Cari  a  Vulcano  sono  i  fabbii  ; , '^"•"="-'  a  Marte 

Gli  eroi  gagliardi  in  guerra  ;  ,'^"-'-'"-''''  i  cacciatori 

A  la  vergine  Cinzia.  A  te  son  grati 

I  domatori  de'   cavalli: '-^  e  primo 


'  limo  [Spett.  1817:    Flr.  IRl-".]. 

-  prati  [S2)etf.  ISIT:    Fir.  ISI.')]. 

•■'  vendetta.  [Spett.  1817;  Flr.  1845^. 

*  città,  [Siìett.  1817:  Flr.  1815]. 

'  Ella  [Flr.  1815]. 

«  con  [Fir.  1815]. 

'  Percosse,  [Fir.  1845]. 

«  fé  [Flr.  1845]. 

«  terra  [Spett.  1817:   Flr.  1845]. 
'«  oro,  [^pett.  1817:   Flr.  JS45]. 
"  crine  (6):  [Spett.  1817]. 

''^  I  pastori  ama  Pan,  [Spett.  1817:  Flr.  181-5]. 
"  cavalli;  [Spett.  1817;  Fir.  1845]. 
*  Nella  copia  della  con."""  Paolina  dopo  prati  non  ci  lia  la  vir^^ola. 

**  „  „        dopo  Pun  ci  ha  un  punto  e   virgola. 

***  ^  ,1        il  punto  e  virgola  dopo  Febo  è  con- 

servato. 
^***  Ugiialmente  dopo  /uhi, ri. 
!<**♦  Ugiialmente  dopo  guerra. 


102  INXO    A   NETTUNO 

Tu  della  de  la  terra  scotitor  possente 

A?'   chiomati  destrieri  il  fren  ponesti.  '  (7) 

Salve  *,  equestre  Nettuno.  -  (8)  I  tuoi  cavalli 

Van  pasturando  negli  ne  gli  Argivi  prati 

Che  a  te  sacri  pur  sono,  ^  e  colla  co  ■*  la   zappa 

Il  faticoso  agricoltor  non  fende 

Quel  fatic  terreno  giammai,  né    coW  co  ''  1'  aratro. 

presti  come 

Ma  ratti  son  ^jì^^  che  gli  alati  augelli 

I  tuoi  destrieri,  ed  erta  han  la  cervice,  ''  ** 

ci  ***  trar  li  ^ 

Né  c'  ha  ~  mortai  che  sotto  il  giogo  possa  innanzi 

Al  cocchio  sotto  il  giogo,  e  co  ■*  le 

Unqne  condurli  e  reggerne  le     briglie 

Reggerli,  ^"  e  col  flagello**** 

E  col  flagello  guidarli      e  co  ^^  la  voce. 

Qua!  però  delle  de  le  *=^=***  ninfe  a  te  dilette, 
0  Signor  del  mare,  io  canterò  ?  la  figlia 
Di  Nereo  forse  e  Doride,  Anfitrite? 
0  Libia  cinomi-bella  ;  ^'  (9)  o  Menalippe 


^  ponesti  (7).  [Spett.  1817]. 

2  Nettano  (8).  [Sjiett.  1817]. 

•''  so7io;  [Flr.  1845]. 

4  con  [Fir.  1845]. 

"  con  [Fir.  1815]. 

^  cervice;  [Flr.  1845]. 

^  ci  ha  [Siìett.  1817;  Flr.  1815]. 

*  ti  [S2)ett.  lHll](evldentc  errore  di  stampa).  —  trarli  [Flr.  1845]. 

»  con  [Flr.  1845]. 

'•'  lìcqfjerll  [Spett.  1817;  Flr.  1845]. 

"  con  [Flr.  1815]. 

'^  chloìiil-hella  (0),  [Spett.  1817].  —  chloml-hella  [Flr.  1845]. 


*  La  virgola  dopo    Salve  manca  nell'autografo  della   contessa 
Paolina. 

*"                   „                         „  dopo  cervice  ci  ha  un  pu.nto  e  virgola. 

***                   ,,                          ,,  si  legge  :  v'ha 

****                   ,,                          ,,  dopo  flagello  c'è  una  virgola* 

*****                   „                          „  si  le-'ge  :  (ielle 


INNO    A    NETTUNO  103 

Alto-succinta,  •  (10)  o  Alòpe;  ^  *  (11)  o  Calliròo 

rosee 

Di  .sette  guance, 'MI 2)  o  la  leggiadra  Alcione, 

e 

0  Ippotoe,  (13)  0  Mecionica,  *  (14)  o  di  Pitteo 
La  figlia,  Etra  occhi-nera, -^  (15)  o  Cliione,  (IG)  od 

[Olbia;  «(17) 

0  l'Eolide  Canace,  '  (18)  o  Toosa 

Dal  vago  piede,  ^'  (19)  o  la  Telchine  Alia,  ^(20) 
Od  Amimone  candida,  ^'^(21)  o  la  figlia 
D'  Epidanno,  Melissa  ?  (22)  E  chi  potrebbe 
Tutte  nomarle?  e  a  noverar  chi  basta 

1  figli  tuoi?  Cercion  feroce,  Eufemo,  ^' (23) 
Il  Tessalo  Triòpe,  ^^(24)  Astaco,  i-  e  Rodo  ^' 
Onde  nome  ha  del  Sol  l'Isola  sacra,  ^^  (25) 

E  Teseo, '•^(2G)  et  ^"  Alirrozio; '•'^  (27)  ed  il  possente 
Triton,!^  (28)  Dirrachio,  ^o  (29)  e  il  battaglioso  Eu- 

[molpo,  ^1  (30) 

1  Alto  -  succinta  (10),  [Spett.  1817J. 

■'  Alope  (11),  [Spett.  1817]. 

""  r)aance.(12),  [Spett.  1817]. 

•*  Ippotoe  (13),  o  Meclonìce  (14),  [Spett.  1817]. 

'='  occhi-nera  (15),  [Spett.  1817]. 

«  CUonc  (16),  od  Olbia  (17),  [Spett.  mil].  — Olbia,  [Fir.  1845]. 

■   Canace  (18),  [Spett.  1817]. 

*•  jAede  (19),  [Spett.  1817]. 

•'  Alia  (20),  [Spett.  1817].  —  Alia,  [Fir.  1815]. 
'•»  candida  (21),  [Spett.  1817]. 
"  Eufemo  (23),  [Spett.  1817]. 
'■'   Triòpe  (24),  [Spett.  1817]. 
'•'  Astaco  [Spett.  1817;  Fir.  1845]. 
'•*  Rodo,  [Spett.  1817:  Fir.  1815]. 
>■'  sacra  (25),  [Spett.  1817]. 

'«   Teseo  (26)  [Sjyett.  1817].  —   Teseo  [Fir.  ■^>^\->\. 
'"  ed  [Spett.  1817;  Fir.  1845]. 

'^  Alirrozio  (27)  [Spett.  l'^ll].  — Alirrozio  [Fir.  1815]. 
'"  Dirrachio  (29)  [Spett.  1817].  —  Dirrachio  [Fir.  1845]. 
^''  Triton  (28),  [Spett.  1817]. 
2'  Eumolpo  (30)  [Spett.  1817].  —  Knninl,,n  'Fir.  1S15;. 

*  Nella  copia  della  ".ontcssa  Paolina  dopo  Alòpc  ci  ha  una  virgola. 


104  INNO    A    NETTUNO 

E  Polifemo  a  nume  ugual.  ^  (31)  Ma  questo 
Cauto  è  meglio  lasciar,  che  spesso  i  tigli 

di      duolo  lutto. 

Cagion  furouo  a  te  d'acerbao  doglia. 

Polifemo  de  l'occhio  il  saggio  Ulisse 

lu  Trinacria  fé'"  cieco:  ^^(32)  Eumolpo  spense 

In  Attica  Eretteo  ;  ^  ma  tu  ben  vendetta 

Tu  ne  prendesti,  o  Scoti -terra,  e  morto 

Lui  con  un  colpo  del  tridente,  a  terra  al  suolo 

La  casa  ne  gettasti.  ^  (33)     E  Marte  istesso 

ImjHinemente  non  t'uccise  il  figlio 

Alirrozio  leggiadro  :  ^  (34)  i  numi  *  tutti 

Lui  concordi  dannar.  '  (35)     Salve,  o  Nettuno 

Ampio-possente  :  a  te  gì'  Istmici  ludi 

E  le  corse  de'  cocchi  e  (lefjìi  de  gli  Atleti 

Son  sacre,  ^  e  l'aspre  lotte:  e  neri  tori  (30) 

Li  Trezene  "  (37)  in  Geresto  ^'-  (38)  e  in  cento 

[grandi 
Città  di  Grecia  ogni  anno  alV   a  l'are  tue 
Cadono  innanzi;  e  nella  ne  la  Doric/i  '  Lstmo 

Vittimo  in  folla  traggono 

Vìttime  In  folla.      Traggono  le  turbe  allegre  turhe 

[al  tuo  tempio  tuo 


^  urinai  (31).  [Sjìctf.  1817]. 
-  fé  [Fir.  1845]. 
^ 'cieco  (32):  [Spett.  1817]. 
"*  Eretteo  :  [Fir.  1845]. 
"•  (iettasti  (33).  [Spett.  1817]. 
«  leggiadro  (34):  [Spett.  1817]. 

'  dannar  (35). .[S])ett.  1817].  —  dannar'.  [Fir.  1815]. 
**  sacre;  [Sj>etl.  1817]. 

«   Trezene  (.77),  [Spett.  1817].  —   Trezene,  [Fir.]  1815]. 
^^  Pereste  (38),  [Sp)ett.  1817]   (eoi'ìenfc  errore  di  stampa).   — 

(Presto,  [Fir.  1845]. 

*  Neil'  autografo    della    contessa   Paolina   numi  è    con    lettera 
maiuscola. 


INNO    A   NETTUNO  105 

Le  allegre  turbe. 

Vittime  in  folla.     0   salve,  ^   azzurro  Dio, - 

la  terra  circondi,  alti-sonante, 

Che  tiitio  cingi  il  i^iiol.  gravi-fremente 

Gravi-fremente. 

Romoreggiante.     I  boschi  su  le  cime 
De  le  montagne  crollansi,  e  le  mura 
De  le  cittadi  popolose,  e  i  tempj  ^ 

Ondeggiano 

Coìnmuovonsi  persino,  "*  allor  che  scuoti 
Tu  col  tridente  flebile  la  terra, 
E  gran  fracasso  s'ode  e  molto  pianto  (39) 
Per  ogni  strada.     Né  mortale  ardisce 
Immoto  starsi,  •"*  ma  per  tema  a  tutti 
Si  sciolgon  le  ginocchia,  e  «//'  a  Tare  tue 
Corre  ciascun,  t' indrizza  preghi,  e  molte 
Allor  S'offrono  a  te  vittime  grate.  ^  (40) 

Il  tuo 

Salve,  o  gran  figlio  di  Saturno.       In  Ega 
Lucente  cocchio  è  in  Ega,  nel  profondo 

romoroso 

Del  fragoroso  pelago:  ~  (41)  Vulcano 
Tel  fabbricò,:  divina  opra  ammiranda. 
Ha  le  ruote  di  bronzo,  ed  il  timone 
D'argento,  e  d'oro  tutto  è  ricoperto 
L' incorruttibil  seggio.     Allor  che  poni 
Tu  sotto  il  giogo  i  tuoi   cavalli,  e  volano 
Essi  pel  mare  indomito  ^  fendendo 


>  salve  [Spett.  1817  ;  Flr.  ISir,]. 
-  Blo  [Spetl  1817:  Flr.  1845]. 

templi  [Spett.  1817;  Flr.  1845]. 
""  perfino,  [Spett.  1817;  Flr.  1815]. 
^  starsi;  [Flr.  1845]. 
«  (jrate  (40).  [Spett.  1817]. 
''  pelago  (41)  :  [Spett.  1817] 
"  Indomito,''  [Spett.  1817;  Flr.  1815]. 

*  Anche  nella  copia  della  contessa  Paolina  cV'  una  virgola  dopo 
indomito. 


ioti  INNO    A    NETTUNO 

I  biancheggianti  flntti,  e  sui  lor  colli 
Disperge  il  vento  gli  aurei  crini;  intorno 
A  te  che  siedi  e  il  gran  tridente  rechi 
Nelle  Ne  le  divine  mani,  uscite  fuori 
De  le  case  d'argento  *  a  galla  '  tutte 
Le  guanci-belle  figlie  di  Nereo,  -  ^'^ 
Vengono  tosto,  e  innanzi  a  te  s'abbassa 
L'onda/'^  e  t'apre  la  via,  ■^  né  l'alza  il  vento;: 
Che  •"*  tu  del  mar  l' impero  in  sorte  avesti. 

chiamarti,***  o  del  tridente 

Ma  qual  mai  potrò  dirti,  o  dei  delfini 

Agitatore?  altri 

Doiiiinatorf  molti  Eliconio, ''(42)  e  molti  ed  altri 
T'appella??.  Suniarato.  "  (4B)     A  Sparta  detto 
Sei  Natalizio,  ^  (44)  ed   Ippodromio  a  Tebe,  ■'  (45) 

Chiamanti  Elateri 

In  Atene  Eretteo.  i"  (40)     jyOnchestio  molti 

Molti'  altri,****  '-(17)  e  molti  di  Trezenio,  '•'  (-18) 

Ti  danno  il  lìonie,  o  di   Trezenio,        o  d' Istmio,  ^' (49) 

Ti  danno  il  nome. 

0  di  Cinade.     I  Tessali  Petreo 


'  gala  [Spett.  1817].  (evidente  errore  di  stanijia) 

-  Nereo  [Sxìctt  1817;  Flr.  1845]. 

■'  onda  [Spett.  1817;  Fir.  1815]. 

^  via;  [Siiett.  1817;  Fiì\  1845]. 

''  Che  [Sjiett.  1817;  Fir.  1845]. 

•'  Eliconio  (42),  [^pett.  1817]. 

■  Suniarato  f4H).  [Speli.  1817]. 

""  Natalizio  (44),  [Spett.  1817]. 

»   Tet^e  (45),  [Sj^ett.  1817]. 
'"  Eretteo  (46).  [Spett.  1817]. 
^'  Elate  [Spett.  1817;  Fir.  1845]. 
^■'  Molti  altri  (47),  [Spctt.  1817:   /•';/•.   IsJO]. 
'■'   Trc-:enio  (48)   [Spett.  1817].  —   Trezenio  [Fir.  1845]. 
"  Jstjitlo  [49)  [Spett.  1817].  —  Minio  [BHr.  1845]. 

*  Nell'autografo  della  contessa    Paolina  c'è   una  virgola    dopo 
avjento. 

**                     „  „                  non  c'è  la  virgola  dopo  Nereo 

***                     „  ,,           non  ci  è  la  virgola  dopo  chiamarti 

****                   „  „                     ugualmente  dopo  altri 


INNO    A   NETTUNO  107 

Diconti,  '  (50)  Oncliestio: -'    (ni;  ed  altri  pure 

Chiamanti,  ed  altri  Elate,  ed  altri  Oiichestio^  Elate, 
Egeo  ti  noma  (52)  e  Cinade  (53)  e  Fitalmio.^  (54) 

10  dirotti  Asfaleo,  iwì  che  *  salute 

Tu  rechi  ai  a'  naviganti.  "'  (55)  ,-  A  te  fa  voti 

11  nocchier  quando  si  s'alzano  del   mare 
L'onde  canute,  e  quando  in  nera  notte 
Percote  i  fianchi  al  ben  composto  legno 

alti-sonante,  " 

Il  flutto    altisonante^  che  s'incurva 
Spumando,  e  stanno  temj^estose  nubi 
Sulle  Su  le     cime  degli  alberi,  *    ed  al  soffio  e  del 

[vento 
Mormora  il  bosco  al  soffio  (orrore    invade   ingom- 

[bra 
/  petti  Le  menti  de'  mortali)  ~  e  quando  cade 
Precipitando  giù  dal  ciel  gran  nembo 
Sopra  l' immenso  mare.     0  Dio  possente,  "'^  j  ** 
Che  Tenaro  (56)  e  la  sacra  Onchestia  selva,  ^(57 
E  M.icale,  ^°  (58)  e  Trezene,  "  ed  il  pinoso 


'  Diconti  C50),  [Sj^ett.  1817]. 

2  Onchestw  (51),  [Spett.  1817].  —  Onchestlo,  [Flr.  1815]. 

3  Fltalnùo  (54).  [Sj^ett.  1817]. 

*  poiché  [S2)ett.  1817;  Flr.  1815]. 

^  navlfjantl  (55).  [S2>ctt.  1817]. 

^  altisonante  [Speli.  1817]. 

'  mortali),  [Flr.  1815]. 

^possente  [Spett.  1817;  Flr.  1845]. 

"  selva  (57)   [Spett.  1817].  —  selva  [Flr.  1845]. 

'"  Mlcale  (58)  [Spett.  1817]  —  Mlcale  [Flr.  1845]. 

"   Trezenc  [Spett.  1817;  Flr.  184.Ò]. 

*  Nella  copia  della  contessa  Paolina  dopo  alberi  ci  ha  un  punto  e 
virgola. 

**  Questo  segno  dell'Autore  è  un  richiamo  al  leggitore  perchè 
vada  all'ultima  pagina,  dove  troverà  i  tre  versi  che  seguono  nella 
loro  ultima  forma,  che  è  quella  da  noi  riprodotta.  Il  Leopardi, 
avendoli  più  volte  rifatti,  e  sempre  cancellati,  fu  costretto  (per 
non  avere  più  carta  disponibilei  a  riscriverli  noli' ultima  imgina 
del  fascicoletto. 


108  INNO    A   NETTUNO 

Istillo,^  ed  Ega,  '  e  Geresto(59)  in  guardia  tieni, 

Soccorri  a'  naviganti  "^  e  fra  le  rotte 

Nubi  fa  che  si  scorga  vegga  il  cielo  azzurro 

Ne  la  tempesta,  e  su  la  nave  splenda 

Del  sole  '^  o  delia  de   la    luna  **    un    qualche  rag- 

0  de  le  stelle,  ed  il  soffiar  de'  venti 
Cessi;  e  tu  l'onde  romorose  appiana, 
Si  che  campin  dal  rischio  i  marinaj.  ■' 
0  nume,  salve,  e  con  benigna  mente 
Proteggi  i  vati  che  de  gì'  inni  han  cura. 


'  Istmo  [Fiiìett.  1817;  Flr.  1845]. 

■-•  Efja  [%e«.  1817;  Flr.  18 i5]. 

^  navlfiantl,  [Sj.ctt.  1817].  — iiavhjautl;   [Flr.  1815]. 

*  ra(/(jlo  [S2ìeft.  1817;  Flr.  1&45]. 

^  marinai.  [Sjìett.  1817;  Flr.  1845]. 

*  Nelhi  coina  della  contessa  Paolina  sole  è  con  lettera  maiuscoli 


INNO    A   NETTINO  109 


NOTE 


(1)  A  te  >  Nettuno  Re. 

A  Nettuno  davasi  il  nome  di  Ile  da  quei  di  Trezene.  Si 
veda  la  nota  37. 

(2)  Poi  che  per  te  di  fresco  nato,  in  core 
Sentia  gran  pena  tema. 

Non  ho  saputo  tradur  meglio  questo  luogo,  -  ove  l'Ori- 

tolta 

ginale  ^  lia  qualche  difficoltà,  ^  che  forse  vedremo  appia- 

via 

nata  nella  Edizione  Greco-latina''  di  quest'Inno,  la   qual 

farassi  di  corto,  y  ** 

(4)  Ed  al  superbo  Laomedonte  alzavi 

Tu  dell'  de  l'ampio  Ilion  le  sacre  mura. 

fabbricò 

È  noto  che,  secondo  i  poeti,  Nettuno  edificò  le  mura 
di  Troja  dopo  aver  essere  stato  discacciato  dal  cielo  con 
Apolline  per  aver  cospirato  contro  Giove:  e  però  l'autore 
parla  delle  fabbri  dell'edifìcamento  di  quelle  mura  dopo  aver 
detto  che  Nettuno  non  potè  vincere  Giove  né  Minerva, 
della  quale  fa  parola  appresso. 

(5)  L' ond  e 
Biancheggianti  del  pelago  spingesti 
Contr'  Ilio  tu,  ec. 

^  te,  [Spctt.  1«17]. 

*  liwijo 

•'  originale 

*  dljjicolta 

^  edizione  (jr eco-latina 

*  Non  diamo  qui  le  varianti  che  si  riscontrano  nell'ediz.  fio- 
rentina, perchè  troppe,  e  troppo  evidente  l'arbitrio  dell'editore. 

**  Nell'autografo  manca  qui  la  nota  3',  e  al  luogo  deHa  modoi 
sima  ci  ha  il  sogno  che  abbiamo  riiirodotto,  il  quale  servo  da  ri. 
chiamo,  come  vodesi  a  pag.  114. 


110  INNO   A   NETTUNO 

Ovidio,  Metamorfosi  Libro  XI.  Favola^  8: 
=rz  Non  impune  feres,  rector  niaris  inquit,  et  omnes 
Inclinavit  aquas  ad  avarae  litora  Trojae, 
Inque  freti  formam  terras  convertit,    opesque 
Abstulit  agricolis,  et  fluvibus  *  obrnit  agros.  =-. 

(6)  E  tosto  fuor  n'uscì  destrier  ch'avea 

Florido  il  ci'ine. 

Questo  passo  è  interessante  per  chi  ama  la  Mitologia.  ^ 
E  assai  celebre  la  contesa,-^  ài  cui  j)  a  ri  a  fa  qui  menzione 
il  poeta''  e  ne  hanno  parlato"' fra  gli  altri,  Varrone  presso 
S.  Agostino,  Della  Città  di  Dio  Libro  XVIII.  Capo  9.  ^' 
Cicerone  nella  Orazione  in  difesa  di  L.  Fiacco  ;  f**  Plutarco 
nella  yf***  Simposiache  Libro  IX.  '  Quistione  VI.  ■**  Aristide 
nella  Panatenaica  ;  Eusebio  nella  Cronica  ;  Nonno  nei  libri 
XXXVI.  e  XLIII.  Twv"  Aiovua'.ay.wv;  Ausonio  nel  Ca- 
talogo delle  Città  famose  ;  Proclo  nel  Comentario  Comento 
al  Timeo  di  Platone  ;  e  Menandro  il  Rettorico  ;  il  Pseudo- 
Didimo  nelle  note  al  Libro  e  il  Comen  l'antico  Comenta- 
tore d'Aristofane  nelle  note^*^  alle  Nubi. •[*****  Ora  arde  con- 
troversia fra  gli  Eruditi,  ^^  de'  quali  altri  vogliono  che  Net- 
tuno facesse  uscir  della  terra,  ^-  acqua,  altri  che  un  cavallo. 

'  Uhro  XI,  favola 

-  mitologia. 

■^  contesa 

**  poeta, 

''  2^(^rlato, 

*"'  Dio,  libro  XVin,  cnjìo  9  ; 

"'  libro  IX, 

«    VI; 

^  "càv  (evidente  errore  di  stampa) 

">  Note 
'*  eruditi, 
'-  terra 

*  Fluvibus  anche   nell'autografo,  anziché,  come  dovrebbe  leg- 
gersi, fluctihus. 

t**  Plinio,  libro  XVI.  Capo  XLIV;  (così  nell'autojrafo) 

tt***  vita  di  Temistocle,  e  nelle  (idem.) 

t****  Questo  segno  fu  posto  dall'autore  quale  richiamo  a  una 
lunga  aggiunta,  che,  riproducendo  noi,  come  già  avvertimmo,  esat- 
tamente l'autografo,  il  lettore  troverà  alla  fine  dell' /»j)?o. 


INNO    A    NETTUNO  111 

Per  l'acqna  è  Apollodoro,  i  Biblioteca  Libro  III.  -  del  quale 
di  cui  ecco  le  parole:  Hv.sv  oOv'^  -pwTO?  IIo'S'.owv  (sìf*) 
è  t:  l  T  yj  V  'a  t  -  '.  y.  'i\  v .  y.  7,  l  -  À  r^  ;  a  ?  t  r  t  p  -,  a  i  v  t^  y.  a  -  à  |i  é  j  r^  v 
xf/V  àx  pó-oÀ'.  V.  aviry//3  l^-à  À  7.  ^  j  y.  v  vj  v  vOv  'Epsy^  v>r^  io  x 
y.  :zÀo'')ai  =:  Primo  dunque  Nettui\o  venne  nell'Attica,  e 
percosso  col  tridente  il  suolo  nel  mezzo  della  rocca,  fó' 
veduto  il  mare,  **  che  ora  chiamano  Erelteo  ^r.  Secondo 
Varrone  citato  da  S.  Agostino,  r=  quum  apparuisset  •'  re- 
pente olivae  arbor,  et  alio  loco  aqua  erupisset,  regera 
prodigia  ista  moverunt  :  et  misit  ad  Apollinem  Delphicum 
sciscitatum  quid  intelligendum  esset,  ^  quidve  faciendum. 
lUe  respondit  quod  olea  Minervam  signitìcaret,  unda  Nep- 
tunum  :=.  Lo  Pseudo-Didimo  nelle  noie  al  Libro"  XVII. 
della  Iliade  ci  dice  ^  come  Apollodoro,  che  II oasiòwv  v.xi 
5V  9-  r<  V  a  71  £  p  i  -%~  \-~.'.y.r^^  3  u  i  À  0  v  3  ■.  y.  e  -j  v  y.  7 1  li  0  3  3  -.  ò  co  7 
È -i  T  ^  ?  à 'A p  0  - ó  À  3 ro  ?  z'Ì^T  Xz-  : v.  r^  -  v.  p  0  'j  r  7  ^  t r  - p  '.  7 i  v  7, 
y.  0  H  7  !>■  7  À  a  "  -  "/,  r  3-0  :  r^  r  3  v  7  v  7  ò  0  !)•  r^  va'.*  X  !>•  r//à  oh  3  À  a  '.'  7  v 
==  Nettuno  e  Minerva  lacean  quistione  per  l'Attica  :  e  Net- 
tuno 2)ercossa  dato  nella  rocca  dell' Attica  un  colpo  di 
tridente,^  fé'  spicciarne  scaturirne  acqua  marina  :  Minerva 
fé'  uscir  fuori  un  olivo  :=.  Nel  Libro  IX.  Capo  L  ^^  della 
Collezione  Geoponica,  l'avvenimento  è  narrato  con  qualche 
differenza,  poiché  vi  si  legge  che  no-3'.$wv,..  À'.;j.éai  y.ai 
v£0)p  io  i  ;  xa'j  tr,v^^  ('V'  -óÀiv)  iy.  ó  r;i3 -.  ^—  Nettuno  ornolla 
(la  città)  di  porti  e  di  arsenali  z=z.  A  dir  d'Igino,  Tavo- 
la i-  CLXIV.  =  inter  Neptunum  et  Minervam  quum  esset 
orta  contentio  certatio,  qui  primus  oppidum  in  terra    At- 

'  Apollodoro; 

•-'  lib.  HI, 

■'  oOv 

■*  mare 

'"'  apjìarulsset , . . . 

"  esset 

''  libro 

*  dice, 

"  tridente 

"*  libro  TX,  capo  I 

"  xz'jxr/j  (evidente  errore  d'i  .sf.nnjhi) 

'•^  favola 
*  L's:?  frt  prima  scritto,  e,  poi,  caueellato. 


112  INNO    A    NETTUNO 

tica  conderet,  Jovem  jndicem  ceperuut.  ^  Minerva  quod 
primum  in  ea  terra  oleam  serit^  quae  adliuc  dicitnr  stare, 
secnndnm  eam  judicatiim  est.  At  Neptunns  iratus,  eam 
in  eam  terram,  mare  coepit  irrigare  velie;  quod  Mercurins, 
Jovis  jussn,  id  ne  facei^et  proliibuit  =:.  Quanta  varietà  di 
sentenze  intorno  a  un  fatto  così  certo  !  Sin  qui  però  tutti 
sono  79er  l'acq  in  qualclie  guisa  per  l'acqua,  e  nessuno 
pel  cavallo.  Erodoto  i^ure  Similmente  Erodoto  nel  Libro '^ 
Vili,  afferma  che  nella  rocca  d'Atene  avea  un  tempio  in 
cui  si  vedeasi  un  olivo,  ^  e  dell'acqua  marina  postevi,  a 
detta  degli  Ateniesi,  da  Nettuno  e  da  Minerva.  Ne  altra- 
mente Pausania  ci  conta  che  nella  voc  in  quella  rocca 
erano 
erano frc s  71  o  :  r, "c a  'f' )'/.-/.''.  7 ò  z  'j t ò  v  ~ r,  ^■'  è  À  a i  a S  'A B  r^  v  à,  ■/. y. ': 

%  0  |i  X  à  V  a  9  a  0  V  w  v  **  II 0  a  3  i  ò  tò  v  :  i  simulacri  di  Minerva 
e  di  Nettuno  che  facean  comparire  ''  ([nella  un  olivo,  e 
questo  acqua  =-.  Battista  Egnazio  dunque  nel  Capo  ~  Vili, 
del  Libro  *^  che  intitolò  =  Uacemationes  =  credè  conchiu- 
dere a  buon  dritto  che  Nettuno  nella  contesa  avuta  con 
Minerva  le'  uscir  della  terra  acqua  e  non  un  cavallo. 
Ma  Virgilio  dice  a  chiare  note  il  contrar  l'opposto  nel 
principio  delle  Georgiche,  invocando  Nettuno: 

=:  Tuque  o  '•'  cui  prima  frementem 
Fudit  equum  magno  tellus  percussa  tridenti, 
Neptune.  '"  = 


'  coeperunt  (evidente  errore  di  stamjìa) 

^  sevit  {lezione  da  jìrefcrirsi  a  quella   dell' auto(jra/o) 

'  libro 

■*  olivo 

^'  xr^S 

"  comparire, 

^  capo 

**  libro 

^"  Xcptnnc: 

*  La  parentesi  indica  anche  qui  che  la  parola  fu  cancellata. 
**  Così  anche   nell'autografo,    anziché,    come   dovrebbe   leggersi, 


INNO    A   NETTUNO  113 

Dove  alcuno  vorrebbe  leggere  :  ^  =  Fudit  aquam  = .  - 
ma  invano,  che  noi  permettono  i  Codici.  Servio-^  spie- 
gando questo  passo,  espone  tutta  la  favola  cosi:  =  Cum 
Neptunus  et  Minerva  de  Atlienarura  nomine  contenderent, 
placLiit  diis  ut  ejus  nomine  civitas  appellaretur,  qui  mu- 
nus  meJius  mortalibus  obtulisset.  Tunc  Neptunus,  per- 
culso  littore,  equum,  animai  bellis  aptum  produxit:  Mi- 
nerva, jacta  basta,  olivam  creavit  :  quae  res  est  melior 
comprobata,  ut  pacis  insigne.  Ut  autem  modo  Neptunum 
invocet,  causa  ejus  muneris  facit,  quia  de  equis  est  dictu- 
rus  in  tertio:  alioqviin  incongruum  est,  si  de  agricultura 
locuturus,  *  numen  invocet  marie.  Equum  autem  a  Nep- 
tuno  progenitum  alii  Scythium,  alii  Syronem,  alii  Ario- 
nem  dicunt  fuisse  nominatum  :  "^  (e  quanto  al  nome  di 
Arione,  veggasi  appresso  la  nota  il  luogo  di  Stazio  nella 
nota  7.)  et  ideo  dicitur  equum  invenisse,  quia  velox  est 
ejus  numen  et  mobile  sicut  mare  =.  L'autorità  d'Ovidio, 
Metamorfosi  Libro  VI.  Favola  III.  ^  è  controversa.  Egli 
dice  descrivendo  una  tela  tessuta  da  Pallade: 

=  Stare  Deum  pelagi,  ~  longoque  ferire  tridente 
A  spera  saxa  facit,  rriedioque  e  vulnere  saxi 
Exsiluisse  ferum,  quo  pignore  vindicet  urbem.  = 

Ma  altri  sostiene  che  per  =  ferum  =:  si  ha  a  leggere  : 
=  fretum  =:.  Stazio,  Tebaide  Libro  ^  XII.  non  parla  di 
cavallo,  ma  di  mare: 

=  Ipse  quoque  in  pugnas   vacuatur   Collis,   ubi  ingens 
Lis  superum,  dubiis   donec   nova   surgeret   arbor 
Rupibus,  et  longa  refugum  mare  frangeret  umbra. 

Ma  Luttazio  Placido  il  suo  Comentatore,  "  Luttazio  Pla- 

'  leggere 

*  aquam  = 
^  Servio, 

*  locaturus,  (evidente  errore  di  stanqm) 

*  nominatum 

"  libro   VI,  favola  3, 
'  pelagi 

*  libro 

®  comentatore 


114  INNO   A   NETTUNO 

ciclo  scrive  cosi  :  ^  :^  Acropolin  dicit  arceni  Tkeharum  : 
leggasi  Atlienarmii  de  qua  Neptuno  et  Minervae  dici- 
tur  fuisse  certamen.  Percnssa  Neptuno  terra  equum 
dadit  indicium  belli  ;  Minerva  vero  olivam,  ^  pacis  in- 
signe. = 

^'  Il  Benedetto  Averani  nelle  sue  Dissertazioni  sta  tiene 
anch'esso  dal  cavallo.  Quest'inno'^  avrebbe  potuto  fornir- 
gli somministrargli  una  prova  di  più,  molto  valevole,  se 
egli  l'avesse  conosciuto. 

tenga 

**  (3)  Pare  che  il  2^0 età  non  faccia  conto  della  favola, 
secondo  la  quale 

(H)  Ma  t'accogliea  ben  tosto 

La  diva  Terra  fra  sue  grandi  braccia,  oc. 

Pare  che  il  poeta  non  tenga  conto  della  favola,  secondo 
la  quale  Nettuno  fu  cresciuto  da  alcuni  pastori. 

^7)  Onde  a  te  diero  i  fati 

I  cavalli  domar  veloci  al  corso 


E  primo 

Tu,  *  della  de  la  terra  scotitor  possente, 
A'  chiomati  destrieri  il  fren  ponesti.'' 


È  noto  che  gli  antichi  teneano  Nettuno  ìion  solo  per 
Dio  non  solo  del  mare,  ma  anche  dei  cavalli,  dei  cava- 
lieri e  dell'arte  del  cavalcare,  dei  giuoclii  equestri  e 
dell'arte  equestre,  della  quale  Sofocle,  Pausania  nel  Li- 
bro ^'  VII.  e,  a  quel  che  sembra,  il  nostro  poeta,  '  \o  fanno 
inventore.  Panfo  Ateniese,  antichissimo  Scrittor  *^  d'inni,^ 
lo  chiama  presso  Pausania,  'i~~  fo  v  òoxripx  :=z  dator  dei  ca- 


*  cosi; 

'^  olivani 
^  Inno 
^   Tn 
•''  2ioncstl , .. 

*  libro 
'  poeta 

^  scrlttor 
"  Inni, 

*  Nello  Spctlaforc,  a  qnesto  laoT;o,  non  si  va  da  capo. 
**  Vedi  a  pag.  Kl9  (contronota  **)  di  questo  volume. 


INNO    A    NETTCNO  115 

valli  =;  e  Pindaro  nell'Ode  Olimpica  XIII.  ^  \'x\xxìov 
71  xzkpx  =--  Padre  domatore  =:r  ;  y  *  Omero  fìnge  che  Net- 
tuno donasse  a  Peleo  i  cavalli  die  poi  furono  di  d'  -  Achille. 
Nestore  nel  Libro  -^  XXIII.  della  Iliade  dice  ad  Antiloco  : 

'A  V  -  ìa  e,  •/'  r^-oi  j_i  i  V  32  V  é  0  V  tì  £  p  è  ó  v  t'  è'^  i  À  v;  a  a  v 
Z  2  ù  S  T  ;  '  II  G  :;  2  '.  ò  a  ;-)  V  t  =  ,   ■/.%':  i  ti  -  o  a  j  v  7.  ?  à  5  i  $  z  ;  a  v 
n  a  V  T  0  t  a  S 

—  Alcerto,  •'' 

Benché  garzon  sii  ta,  Giove  e  Nettuno, 

Antiloco,  t' amaro,  e  l'arti  equestri 

T'  insegnar  tutte.  — 

E  Menelao  nello  stesso  libro,  finito  il  combattimento  eque- 
stre, comanda  impone  ad  Antiloco  che  giuri  per  Nettuno. 
Pindaro  nella  prima  Ode  Olimpica  dice  che  Nettuno  diede 
a  Pelope 

E  5  03  X  £  5  i  ::p  p  0  V  y  ,o  0  -  £  s  v  ,  £  v    -  t  £  p  o  :  - 

—  Un  aurjo  cocchio  d'oro  a  lui 
-  E  cavalli  donò  d'ali  indefesse  —, 
Ed  alati  instancabili  destrieri 

parlando  di  Pelope:  e  nel  fine  dell'Ode  quinta  chiama 
II  0  a  £  '.  5  z  V  i  0  'j  ?  ='=*  r=  Nettunii  =  i  cavalli  di  Psaumide  Cama- 
rineo,  vincitore  Olimpico.  Si  fece  pur  discendere  i  cavalli 
Si  volle  ancora  che  alcuni  cavalli  fossero  della  razza  di 
Nettuno. 

=r  Quamvis  saepe  fuga  versos  ille  egerit  hostes. 
Et  patriam  Epirum  referat  fortesque  Mycenas, 
Neptunique  ipsa  deducat  origine  gent.em  :  = 

dice  Virgilio  di  un  cavallo  nel  libro  III.  delle  Georgiche. 

»  XIII, 

'  (li 
^  libro 

'^, 

^  Alcerto 

t  *  e  nella  quarta  Pitia    I  ~  -  z  >  •/  >  v  ,  ohe  è  quanto  diro,  Principe 
de'   cavalli,   o  de'  cavalieri.  (Ajgianta  dell'Autore) 

*!=  Cosi  ancheugiio  Spettai >rà  ;  ma  paro  a  noi  si  dovrebbe  leggere  : 

II  0  3  £ '.  ò  o>  V '!  0 'J  ?  , 


116  INNO    A    NETTUNO 

Stazio  nel  sesto  della  Tebaide  canta  del  cavallo  di  Adrasto: 

—  Ducitur  ante  omnes  rvitilae  manifestus  Arion 
Igne  jubae.     Nuptunus  equo,  si  certa  priorum 
Fama,  pater:  primus  teneris  laesi  se  lupatis 
Ora  '  et    litfcoroo  domitasse  in  pulvere  fertur 
Verberibus  parcens,  '^tenim  insatiatus  eundi 
Ardor,  et  hiberno  par  incostanti-i  ponto. 
Saepe  per  Jonium  Libyeumque  natantibvis  ire 
Interjunctus  equis,  omnesque  assuetus  in  oras 
Caeruleum  deferre  patrem.     Stupuere  relieta 
Nubila:  certantes  Eurique  Notique  sequuntur.  — 

Veggasi  pili  sopra  nella  nota  6.  il  passo  di  Servio,  -  e 
altresì  il  Libro  ^  XXIII.  della  Iliade,  verso  345.  e  se- 
guente. Farmi  che  non  ben  s'appongano  Servio  e  gli  altri 
interpreti  che  spiegando  il  verso  691.  del  settimo  della 
Eneide: 

—    At  Messapus  rquuni  domitor,  Xeptunia  proles,  — 

dicono  avere  il  poeta  chiamato  Messapo,  prole  di  Nettuno, 
perchè  egli  era  venuto  per  mare  in  Italia  :  spiegazione  assai 
stiracchiata:  e  penso  che  Virgilio  stesso  medesimo  spieghi 
assai  ottimamente  la  seconda  parte  del  verso  colla  prima, 
in  cui  chiama  Messapo,  domator  di  cavalli,  qualità,  per 
cagione  della  quale,  se  non  erro,  egli  lo  IH  poi  figlio  di 
Nettuno.  E  notisi  come  nella  Eneide  non  si  noma  Messapo 
non  è  mai  detto  figlio  di  Nettuno,  che  non  sia  chiamato 
altresì  domatore  di  cavalli  o  in  altra  simil  guisa  :  onde 
nel  Libro  *  IX.  si  ripete  tutto  intero  il  verso  citato  ;  •''  nel 
duodecimo  esso  si  trovasi  pure  quasi  intero,  mutato  solo 
r  =  At  =  in  =  Et  '^  =  e  nel  decimo  si  legge  : 

—  Subit  et  Neptunia  i)roles,  ' 
Insignis  Messapus  equis.  — 

^   Ora, 

^  Servio 

^  libro 

*  libro 

"  citato, 

"  l'At  in  Ft, 

''  proles 


IXXO    A   NETTUNO  117 

/8)  Salve,  equ\stro  Nettuno. 

I  Greci  davano  spesso  a  Nettuno  il  noma  d'  Izrcio; 
=z  equestre  ^  =r,  del  quale,  come  della  sentenza  di  quelli 
che  reputavano  Nettuno  essere  stato  il  primo  domatore 
de*  cavalli  ed  avere  insegnata  l'arte  del  cavalcare,  fa  men- 
zione Diodoro  nel  libro  Y.  Capo  ^  XV.  della  Biblioteca,  y* 
Fuori  di  Atene  in  un  luogo  de'to  Colono  avoa  un  tempio 
di  Nettuno  Equestre,  ricordato  da  Tucidide  nel  Libro 
YIII. '^  da  Arpocrazione,  alla  voce  K  oÀ  wv 'Jt-c?,  e  dall'an- 
tico Comentatore  di  Sofocle  nelle  note  all'Edipo  nell'argo- 
mento dell'  Edipo  Colonese,  ^  e  neWargomen  nelle  note  a 
quella  tragedia.  Pausania  '->  parlando  del  Colono  ^  rammenta 
un  l'altare  di  Nettuno  Equestre. 

(9)  O  Libia  chiomi-bella. 

Mosco,  Idillio  II."  verso  36.  e  seguenti: 

A ù  X yj  5  s  y  p  'j a ì  0  V  t  à À  a  s o v  z  ìoz^/  E 0  p (ó t: s i a 

6  r^  r,  T  ò  V  ,    1 1  s  y  x   !>  y.  0  \i.y. ,  [J-  ^  Y  ^  -  ó  v  o  v   U  z  xiax  o'.o  , 

0  V  A  '.  p  -j  r^   -  0  p  £  •'^  ò  w  p  0  V  0    -'  ì~    Ài  •/  s  ?    H  v  v  o  -  '.  y  y.  i  ou 

11-5  V 

Aveva 
zj=  li  e  cava  Europa  aveva 
Aureo  panier  bellissimo,  ammirando, 
Grand'opra  di  Vulcano  che  il  a  Libia  in  dono 

Dato  l'uvea  di   Nettano 

//  die       II  diede  allor  quand'ella  al  talamo  recossi 
Lo  Scoti-terra,"  al  talamo  era  gita  recossi  =  . 
Di  Ini  che  scuote  il  suolo.  =: 

^  =  Equestre  =, 
^    Y,  capo 
3  libro   Vili, 

*  Colonese 

^  Pausania, 

*  Colono, 
'II, 

"  Scoti-terra 
t*  Questo  sigilo  di  richiamo  manda  il  lettore  alla  fine  dell'  Inno. 


118  INNO   A   NETTUNO 

Veggasi  Apollodoro,  Biblioteca  Libro  ^  II. 

(10)  O  Menalippe 

Alto-succinta. 

Aì'ìiohio  Clemente  Alessandrino,  Esortazione  ai  Gentili: 
K  a  À  3  L  |i  0  '.  X  ò  V  n  0  :;  s  '.  5  (ò  y.  a  l  T  ò  V  •/  ó  p  0  V  -  -  ò  v  x  i  s  :p  !>  x  p  - 
liivov  UTi'  aO-O'j,  xf,  V  '-^11- V '•  ~P  -  ~"V^r  ~  V^  A;i')H(ó  VTj  V,  xrjv 
Xààó  Tir/ V,  3  xyj  V  3l£v  xÀ  t  Tt.Ti  r,  V  .  x  i,  v  AÀv.'jóvr^v,  xyjv  Iti- 
ti o  9-  ó  tj  v,^  X  yj  V  X  i  ó  V  Yj  V,  X  à  S  a  À  À  a  ?  x  à  ?  (i  -j  p  i  a  ?.  :rz  Chia- 
mami qua  Nettuno  e  la  schiera  violata  da  lui  ;  •''  Anfitrite, 
Amimone,  Alope,  Menalippe,  Alcione,  Ippotoe,  Chione  '^  e 
le  altre  infinite  innumerevoli  =r.  Arnobio,  Con  tra  le  Gen- 
tili Nazioni  Libro  ~  IV:  z=  Numquid  enim  a  nobis  arguitur 
rex  maris,  Amphitritas,  Halcyonas,  Hippothoas,  Amymo- 
nas,  Menalippas,  Alcyonas  per  furiosae  cupiditatis  ardorem, 
castimoniae  virginitate  privasse?  =:  Giulio  Firmico,  Dell'Er- 
rore delle  religioni  profane  Capo''  13  :  i=  Quis  Amymonem,  ^ 
quis  Alopen,  quis  Menalippen,  quis  Chionem  Hippothoen- 
que  corrupity  Nempe  Deus  vester  haec  fecisse  memo- 
ratur  =r.  Possono  vedersi  S.  Teofilo,  Ad  Autolieo.  Libro  II. 
Capo^*^  7.  S.  Giustino,  Orazione  ai  Greci  Capo  2.  i'  S.  Cirillo, 
Contra  Giuliano  Libro  ^-  VI.  Alcuno  Taluno  credea  che  il 
vero  nome  della  questa  ninfa  fanciulla  fosse  Melanippe. 
Ma  anche  il  codice  di  quest'Inno  ha  Menalippe. 


'  libro 

2  XOp-.V 

3  'A^sÓTtr^v, 

"*  'l7i7io9-ir^v, 

*  lui, 

*  Chione, 
^  libro 

^  profane,  capo 

"  Amyonem, 
^°  Autolieo  libro  IT,  capo 
"  capo  IL 
'■■^  libro 


INNO   A   NETTUNO  119 

(11)  O  Mrfrii  Alòpc. 

Si  veda  il  iao(jo  Si  veggano  i  passi  di  Clemente  Ales- 
sandrino e  di  Giulio  Finnico  ^  nella  nota  precedente,  e  (jli 
autori  S.  Teolilo,  S:  Giustino,  e  S.  Cirillo  nel  luogo  quivi 
citato. 

(12)  O  Calliròei 
Dì  rosee  guance. 

Calliroe^  una  delle  Xereidi  figlie  dell'Oceano  e  di  Teti  ^ 
è  ricordata  da  molti  scrittori  antichi,  ma  nessuno,  die  io 
sappia,  tranne  il  nro  poeta,  ne  fa  avvisati  clic  amolla 
Nettuno. 

(IH)  O  la  legggiadra  Alcione, 

O  Ippotoe. 


(15)  O  di  Pittco 

La  figlia,  Etra  occhi-nera. 

Madre  di  Tosco.     Veggasi  appresso  la  nota  26. 
(10)  O  Chione. 

Si  veggi  più  sopra  la  nota  10. 
(17)  Od  Olbia. 

Stefano  il  Geografo,  alla  voce  "Latxy.  ò?:  "ij-:/ xò?, 
-ÓÀ'.  ?  I*> '.  ^/')v  ia?  ,  y.KÒ  kaTay.oO/  x  o  •)  Ilo 's  lòto  vo  ?  X7.1 
•/•')lizv^'  '»/.,v.aS  =  Astaco,  città  di  Bitinia,  cosi  detta  da 
Astaco  figlio  di  Nettuno  e  della  ninfa  Olbia,  i::^ 

'  Firmino  {evidente  errore  di  stampa) 

^   Calllroe, 
•■'   Tetl, 
*  'Aaizxo'j 

*t  Qjesto  segno  di  richiamo  manda  il  lettore  alcune  pagino 
appresso,  ove  trovasi,  infatti,  la  corrispondente  nota  1^.  (Vedi  a 
pag.  121.) 


120  INNO    A   NETTUNO 

(18)  O  l'Eolide  Canace. 

Può  vedersi  l'Inno  a  Cerere  di  Callimaco. 

(19)  O  Toosa 
Dal  vago  piede. 

Omero,  Odissea  Libro  I.  ^  verso  68  e  seguenti: 

A  À  X  à  n  0  a  s  1 5  a  (0  V  y  oc  1 1^  o-/  o  »  à  3  x  s  À  s  S  a  ì  s  v  ^ 
KùxXtoTioS  xsxóXwxxi,  6v  &--f0xÀ(xoo  àXàwasv, 
A  V  T  i  D-  s  0  V  n  0  À  u  -^  Tj  [1 0  V  6  0  'j  -/.patos  s  a  x  l  |i  é  y  '.  a  t  o  v 
n  a  a  t.  K  u  X  X  oj  71  £  a  a  '. .  B  ó  o)  a  a  5  s  [i  -.  v  x  i  x  s  vO  jj.  -^  y^  '^ 
$ópxuvoS  O-oydxr^p  àXò?  àxp'jyéxoio  (liSovxoS-* 
£v^  aTiéaai  yXa'^upota'.  IToas'. Sdojv.  [jli ysTaz 

la  terra  intorno  aggira  i-»t07'7io  , 
=  Ma  Nettuno  che  il  suolo  tutto  circonda, 
■  Di  terribile  sdegno  è  sempre  acceso 
Per  il  lo  Ciclope  ch'ei    dell'  de  l'oocliio  ha  privo, 
Per  Polifemo  a  nume  ugual,  che  avanza 
Tutti  i  Ciclopi  in  gagliardia.    La  ninfa 
Toosa  partorillo,  a  cui  fu  padre 
Forcine,  un  Dio  de  1'  infecondo  mare, 
A  Nettuno  commista  in  cavi  spechi.  = 

(20)  '  O  la  Telchine  Alia. 

Diodoro,  Biblioteca  Libro  V.  Capo  ^  13  :  IT  o  a  s  e  S  w  v  a  ok 
(•fxaiv)  àvSptoS-ivxx  £pxa9"^va'-'  x*^S^  xwv  TsÀ^tvwv 
àÒBX'-pfji^  AXtzS,    xai  (itX9-£vxxxxóxr/'^y£vv^axt  du- 


cono che  Nettuno  fatto  adulto,  innamorossi  di  Alia  ^-  so- 


*  libro  I, 

2    àlSV 

4  [léSovxof, 

s'Ev 

^  Ziòro    V,  cajpo 

"'  èpxaOyjxi  (evidente  errore  di  staìupa) 

*  xr^S 

10 


XZ'JXTJ, 

11  póeov 


INNO    A   NETTUNO  121 

rella  dei  Telchini,  e  avuto  affare  a  fare  seco  lei,  generonne 
lina  figlia  ^^e/-  nome  chiamata  Rodo,  dalla  quale  vogliono 
che  r  Isola  abbia  tratto  il  nome  =r.  Telchini  appellavansi. 
come  è  fama,  gli  antichissimi  abitatori  di  Rodi. 

(21j  Od  Amìmonc  candida. 

Si  veda  Una  delle  Danaidi.  Si  vedano  gli   Scrittori  ^ 
di  favole,  e  più  sopra  la  nota  10. 

(22)  O  la  figlia 

D'Epidanno,  Melissa? 

Costantino  Porfirogeneta,  Dei  Temi  Libro  II.  ^  Tema  9  :  ^ 

T  0  0  T  0  'j  ("K  r:  i  S  à  |x  V  0  u)  i)-  \)  'fxxr^  p  M  é  À  '-  a  3  x,*  >^  ?  ■"  y.  a  l  x  o  'j 
n  0  a  £  '.  0  co  V  0  S  ó  A  'j  p  p  a  X  i  0  ? •  à  r     y^  ^  è  3  t  t  x  ó  re  o  S  è  v  'i<;  -  i- 

g  d  |IV  r;)     (  •/.  -/,  À  0  j  ;i  2    V  0  ?  *  )     M  S  À  '.  3  3  tó  V  !,  0  ?,     £  V  i>  Z    II  0  3  £  '.  5  (0  V 

a  0  X  7j  3  u  V  f^  À  ;►-  £  . 

**::iz  Di  questi  (di  Epidauno)^  fu  figlia  Melissa'  della  quale 
e  di  Nettuno  nacque  Dirrachio.  Da  essa  ha  tratto  il  suo 
nome  un  luogo  di  Epidanno,  detto  Melissonio,  ove  Net- 
tuno ebbe  affare  a  fare  ^  con  lei.  := 

t  ***  (U)  O  Mecionìce. 

Esiodo  nello  Scudo  d'Ercole,  e  l'antico  Comentatore 
di  Pindaro  nelle  note  all'Ode  Pitia  I  alla  quarta  Ode  Pi- 
tica, dicono  scrivono  che  Eufemo,  figlio  di  Nettuno    uno 


'  scrittori 

2  libro  li, 

3  9; 

^^ 

*  (Epidanno) 

'  Melissa, 

^  affare 

*  La  parentesi  indica  che  la  parola  fu  cancellata. 
**  A  questo  luogo,  nello  Spettatore,  non  si  va  da  capo. 
***  Qui,  nell'autografo,  che   fedelmente   riproduciamo,  troviamo 
la  nota  14,  onde  abbiamo  detto  a  pag.  119. 


122  INNO   A   NETTUNO 

de^li  Argonauti,  figlio  di  Nettuno,  fu  partorito  da  Mecio- 
liice.  Pindaro  però  nell'Ode  medesima  afferma  dice  die 
Eufemo  fu  era  /ùjlio  di  Netta  messo  al  mondo  da  Europa  i 
figlia  di  Tizio,  sulla  sulle  rive  del  Cefiso.  Notisi  che  Mecio- 
nice  ù  detta  figlia  di  Eurota,  e  die  Pindaro  cliiama  Europa 
la  madre  di  Eufemo. 

(23)  Eufemo. 

Si  vegga  la  nota  14. 

(24)  Il  Tessalo  Triòpe. 

Partorito  da  Caiiac3.   Si  vegga  l'inno-    a  Cerere  di 
Callimaco. 

(25)  Astaco.  •'  e  Eudo 
Onde  nomo  ha  del  Sol  l' Isola  sacra. 

Pah  vedersi  la  nota  Possono  vedersi  le  note  17.  e  20. 

(2G)  E  Teseo.-* 

Questo  Eroe  da  alcuni  fu  fatto  figlio  di  Teseo  Egeo, 
da  altri  di  Nettuno.  Veggaiisi  Plutarco  nella  sua  Vita, 
Euiipide  e  Seneca  negl' Ippoliti,  Isocrate  nell'Elogio  di 
Elena,  Diodoro  nel  Libro  IV.  Capo  5.  •"'  dolla  Biblioteca, 
Apollodoro  nel  Libro  III.  "  Igino  nella  Favola  XXXV.  '^ 
Cicerone  nel  terzo  Libro  ^  Della  Natura  degli  Dei,  Aristide 
nella  Orazione  in  lode  degli  Asclepiadi. 

—  At  procul  ingenti  Neptunius  agmina  Theseus 
Angustat  clypeo,  proi^riaeque  exordia  laudis, 
Centum  urbes  umboue  gerit,  centenaque  Cretao 
Moenia:  ^  — 

dice  Stazio  nell'ultimo  libro  della  Tebaide. 


^  Euroiìa, 

■-'  Inno 

^  Astaco 

■*   Teseo. 

^  libro  IV,  caiìo  5 

"  libro  III, 

^  favola  35, 

^  libro 

"  Moenia  = 


INNO    A    NETTUNO  123 

(27)  Ed  Alirrozio. 

Epoche  d'  O vford ;  raascniut,  Libro  I.  Euripide  nel  fine 
della  Elettra  ;  Demostene,  Centra  Aristocrate;  Eschine, 
Epistola  XI.  ^  Epoche  d'Oxford  ;  ,Pausania,  Libro  I.  '  S. 
Massimo.  Prologo  dei  Comentarj  ^  alle  opere'*  di  S.  Dio- 
nigi Areopagita;  Antico  Comentatore  •»  di  Giovenale,  Note 
alla  Satira  IX. 

(28)  Ed  il  possente 

Triton. 

Esiodo,  Teogonia  verso  929.  e  seguente: 

K  ■/.  ò'  "V  ;i  v'  '  ~  P  -  ~  'ft  ?   "/-  y-'-    i  p  i  */.  T 'j  -  0  'j    'E  V  V  0  a  L  y  xiz-j 

1'  ;:  ■■  -  •')  V  3  0  p  'j  ;,  :  r^  r  ■;  i  v  s  t  o  |i  é  y  z  S '^ 

-    Ma  d'Anfitrite 
E  de    lo  Scoti-terra  alti-sonante 
Xac(iiio  il  gr.indo  Triton  da  l'ampia   possa.  — 

i29)  Dirracliio. 

E  da  vedere  la  nota  22. 

(30)  E  il  battaglioso  Éumolpo. 
Si  legga  appresso  la  nota  33. 

(31)  E  Polifemo  a  nume  ugual.  " 
Può  vedersi  più  so2)ra,  ^  la  nota  19. 

(32)  Polifemo  de  l'occhio  il  saggio  Ulisse 
In  Trinacria  fé'  cieco. 

Omero,  Odissea  Libro '^  IX. 

^  epistola  XI, 
2  libro  I; 
'  Cementi 
*  Opere 
•''  comentatore 

^  egual, 
**  sopra 
^  libro 


124  INNO   A   NETTUNO 

(.  3)  Eumolpo  spense 

In  Attica  Eretteo;  ma  l  en  vendetta 
Tu  ne  prendesti,  o  Scoti-terra,  e  morto 
Lui  con  un  colpo  del  tridente,  al  suolo 
La  casa  ne  gettasti. 

Igino,  Favola  XLYI.  ^  narra  la  cosa  un  poco  altramente. 
Ecco  le  sue  parole:  ^r.  Eumolpus  Neptuni  fìlius,  Atlienas 
venit  oppugnaturus,  quod  patris  sui  terram  Atticam  fuisse 
diceret.  Is  victus  cum  exercitu,  cum  esset  ab  Atlieniensi- 
bus  interfectus,  Neptunus,  ne  filii  sui  morte  Erechtheus  lae- 
tarelur,  expostulavit  ut  ejus  filia  Neptuno  inimolaretur. 
Itaque  Otionia  filia  cum  esset  immolata,  ceterae,  fide  data, 
se  ipsae  interfecerunt  :  ipse  Erechtheus,  Neptuni  rogatu, 
fulmine  est  ictus  r_r.  Euripide  p3rò  nello  Jone  è  d'accordo 
col  nostro  poeta.     Dice  Creusa  di  Eretteo  suo  padre  : 

n  À  yj  Y  X  l  T  2  '.  z  i  V  r^  S  t:  o  v  i  i  o  o  a  :f  '  à  ;:  (ó  À  s  3  x  v 

--=-  Da'  colpi 
Del  marino  tridente  egli  fu  morto.  =r 

*  ApoUodoro  non  disegna  -  il  genere  di  morte  onde  peri 
Eretteo,  ma  dice,  come  l'autore  di  questo  '  inno,  ^  che  Net- 
tuno rovinò  anche  la  sua  casa. 

(34)  E  Marte  istesso 

Impunemente  non  t'uccise  il  figlio 
Alirrozio  leggiadro. 

Pausania,  Libro  ^  I:  ?i  a  1 1  ^  Ss  èv  aO  iw  xpr^vr^,^'  Tixp" 
r^  X  5  Y  0  0  3  i  n  0  3  s  '.  5  w  V  0  S  7C  x  e  5  z  A  À  t  p  p  ó  i  '.  o  v,  (?  u  y  3c  x  s- 
p  X  A  p  £  (0  ?  A  ?v  X  1 7T  71 7j  V  a  1 3  )(  ó  V  a  V  T  a  ,  à  t:  o  9-  z  v  s  i  v  6  ::  ò 
ApstoS  =  Quivi  ha  vina  fonte  presso  cui  dicono  che  Mar- 
te uccidesse  Alirrozio  figlio  di  Nettuno,  il  quale  avea  vio- 
lata la  sua  figlia  Alcippe.  =: 

*  favola  46 , 

^  disdegna  (evidente  errore  di  stampa) 

^  Inno, 

*  libro 

^    ÌG3Xt 
^  Xp7]VVj 

"  71  vp 

*  Ò71Ò 

*  Nello  Spettatore,  a  questo  luogo,  non  si  va  da  capo. 


INNO   A    NETTUNO  125 

(àòi  I  numi  tutti 

Lui  concordi  dannar. 

Aristide,  Orazione  Panatenaica  :  A  7.  y  /  i  v  e  i  II  0  -  s  :  5  ò»  v 
(-  fo  *  i  A  p  2  '.  T  yj  V  òr.ìp  TO')  tz  x  '.  5  ò  S,  ^  v.  :cl  v  '.  x  à  ]  è  v  a  z  a  a  '. 
T  e  i  ;  H  ;  0  :  ?•  Vv  X  l  T  yj  V  è  tc  w  vj  [Ji  i  oc  v  ó  x  ó  ti  0  S  (0  A  p  £  1 0  S  ti  a- 
yo  e  )  Àaiipdvc'.  xrjv  aOxvjv  =z  Intenta  Muove  lite  Net- 
tuno a  Marte  per  cagione  del  proprio  figlio,  -  e  la  vince 
j>j^  co  3  voti  di  tutti  gli  Dei  ;  e  da  questo  avvenimento  il 
luogo  (l'Areopago)  trae  il  suo  nome=:.  Sono  da  vedere  però 
intorno  a  questo  famosissimo  giudizio,-*  *S'.  Agostino  Lat- 
tanzio, Libro  I.  Capo  10.  e  Libro  II.  Cap.  V.  Cap.  3.  ^  S. 
Agostino,  Della  Città  di  Dio  Libro  XVIII.  Capo  10.''  ed 
altri,  ~  fra'  quali  i  citati  nella  nota  27. 

("6)  E  neri  tori. 

S'immolavano  tori  a  Nettuno*^  comesi  rileva  da  rac- 
coglie anclie  da  Omero,  Iliade.  Libro  XI.  verso  727.  ^  da 
Pindaro,  Ode  Olimpica  XIII.  verso  98.  e  seguente,  '*^  Piti- 
ca IV.  verso  365.  e  seguente,  ^^  Nemea  VI.  verso  69.  '-  >ì<**  e 
i  tori  erano  neri,  come  il  clie  apparisce  si  da  questo  luogo 
dell'Inno  come  dal  libro  III.'-^  verso  6.  deW  della  Odissea. 
Parmi  da  notare  clie  in  Efeso  i  giovani  che  facean  da 
coppieri  nella  festa  di  Nettuno  ^^  In  Trezene  eran  detti 
TxOpoi  zzr  Tauri  =  Citta  di  ossia  Tori,  come   vedesi  in 

2  figlio 

•■'  co' 

*  giudizio 

^  libro  I,  capo  IO,  e  libro    V,  capo  3\ 

«  Dio,  libro  XVIII,  capo  10, 

^  altri, 

^  Nettuno, 

^  Iliade  libro  XI,  verso  727] 
'"^  XIII,  verso  98  e  seguente; 
"  ZF,  verso  365  e  seguente; 
^'    VI,  veì^so  60; 
''  III, 
^*  Nettuno, 

*  La  parentesi  indica  che  la  parola  è  stata  cancellata. 
**|*  e  da  Virgilio,  Eneide  Libro  II.  verso  201.  e  seguente.  Libro  III. 
verso   119.  {Aggiunta  dell'Autore) 


12G  INNO    A   NETTUNO 

o 
Ateneo,  Libro  X.  ^  e  in    Eustazio,    Conimentarzo   al   ven- 
tesimo deW  della  Iliade:  ~  e  forse  questa  festa  era'^  quella 
chiamata  Tai.-^six  m  Taurea  =r=  che  Esichio  dice   essersi 
celebrata  in  onore  di  Nettuno, 

(37)  In  Trezene. 

Città  deirArgolide  sacra  a  Nettuno,  e  però  detta  Po- 
sidonia,  cioè,  •*  Nettunia,  al  rapportare  di  Strabene.  Dice 
Plutarco  nella  Vita  di  Teseo  •*  che    n  o  a  s  i  o  w  v  x  *'    T  p  o  g  v 

V  '.  0  '.  a  i  ^  0  'j  a  '.  5  '.  y.  -^  2  0  ó  V  t  (>)  ?.  y.  z  l  %-zbi~  o  0  t  ó  ?  s  a  -  i  v 
a  ò  ~  0  e  S  t:  0  À  :  0  'j  •/ 0  ? ,  o)  '/.  a  l  7.  z  p  ~  w  v  à  -  d  p  X  o  v  ~  z  t. , 
X  a  l  X  p  i  a  '.  V  z  V  è  -  i  :;  r^  a  o  v  è  •/  o  'j  a  '.  t  o  0  v  o  |a  t  a  ji,  a  x  o  S  ■=. 
Che  i  Tre  quei  di  Treze.ie  rendono  un  singolare  onore  a 
Nettu.no,  Dio  tutelare  della  loro  città,  gli  offrono  le  pri- 
mizie dei  de'  ^  frutti,  ed  hanno  il  tridente  per  insegna  della 
loro  moneta  1=.  Pausania,  Libro  II."  nota  lo  stesso  delle 
antiche  monete  de'  **^  Trezenii,  e  dice  inoltre  che  essi 
Iloas'.Sw  V  %  (ji^o'jai)  11  ^  za-.Àsz  è- cy,À  y;  a-.v  =  onorano 
Nettuno  sotto  dandogli  il  sotto  il  titolo  di  Ke.  = 

(38)  la  Goresto. 

Porto  illustre,^-  e  castello,^'^  che  PI  nio  nomina  chiama 
città,  nel  promontorio  dello  stesso  nome,^-*  in  Eubea.  V'avea 


'  libro  X, 

2  Iliade; 

^  questa  era 


loe 


•'  Teseo, 

f'  Il03£'.§à)VX. 

^  dei 

*•  libro  II, 
»«  dei 

'-  illustre 
*^  castello 
*'  nome 


INXo    A    XETTU-Ko  127 

un  teni])io  famosissimo  di  Nettuno  ricordato  da  Strabene  . 
Libro  X. ^  e  da  Stotano  il  G eogmtb.  alla  voce  T zpx'.'xi^.  Il 
comentator  Greco-  di  Pindaro  nelle  note  all''^  Ode^  Olim- 
pica XIII.  ■"'  scrive  che  1  v  E  ì  ;3  o  i  x  F?  0,7.  i  -  t  •.  a  0  n  ò  -  d  v  t  (o  v 
r  z  p  7.  '.  j  -  i  f)  V  a  Y  3  X  a  '■  ~  0  j  II  0  :;  s  '.  ò  o)  vi''  g  '.  à  -  ò  v  cj  [jl  ^  d  v  t  v 
ys'.;it')va'  Trspl  rsp-z-.-TÒv  =  nell'Eubea  tutti  quei  di  Ge- 
resto  celebrano  una  festa  in  onore  di  Nettuno^  a  cagione 
di  una  procella  accaduta  presso  Gere-to.  = 

(B9)  E  gran  fracasso  s'ode  e  molto  pianto. 

Ho  cercato  di  serbare  nella  traduzione,  -^  per  quanto 
era  possilnle,  nella  traduzione  l'armon'a  espressiva  che  è 

nel  testo. 

(40)  E  a  clt  l'aro  tuo 

Corre  ciascun,  ti  t'intirizza  preghi,  '"  e  molte 
Allor  s'offrono  a  te  vittime  grate. 

Senofonte,  Della  Repubblica  de'  Lacedemoni:  Is-, ajioO 
ys  V  0  II  3  V  o'j,  0'.  A  a7.  sSa'-iió  V  i  G  L  'jiivy^aav*  -òv  -spi  Ilo- 
a  £  '.  5  (ò  V  0  ?  7c  a  i  à  V  7,,  x  xl  '  A  y  r^  a  i  -  0  À  t  ?  zf.  'jzxzoxi%  0  u  a  d- 
[1  s  V  0  ?  Il  G  -  2  •-  5  (ò  V  i  =  Sentitosi  un  tremito.  ^^  i  Lacedemoni 
cantarono  il  Peana  di  Nettuno  a  cui  nel  di  vegnente  Age- 
.^ipoli  offri  un  sacrificio.  =:: 

(il)  Il  tuo 

Lucente  cocchio  è  in  Ega,  nel  profondo 
Del  fra  romoroso  pelago. 

Omero,  Iliade  Libro  XIII.  verso  21.  i-  e  seguenti. 

'  libro  X, 

^  Comentator  greco 

*  Ode, 
'  XIII, 

^'  IloastSwv'., 

"  ys'.ixwvsc 

'^  Nettuno, 

"  nella  traduzione  di  serbare, 
'"  2ìrefjhl 
"  tromuoto, 
^-  Iliade,  llhro  XI II,  vcrs^>  21 

*  Cosi  anche  nello  >^i,eltiit.)re  :  invoce  dnvrohbe  leggersi  :    -j  vn-ivi 


128  IXNO    A    NETTUNO 

(42)  Altri  Eliconio. 

la 

Veggasi  >^  *  il  luogo  di  E.  Str abone  netta  nota  58  e 
V Inni  a  Nettano  attribuito  ad  Omero,  verso  3. 

(43)  Ed  altri 
T'appella  Suniarato. 

Nettuno  fu  così  detto  ch'amato  cosi,  percliè  se  gli  ren- 
deva uti  culto  1  particolare  in  Sunio 2  promontorio  dell'At- 
tica. Possono  vedersi  Aristofane  ne'  Cavalieri  e  negli 
Uccelli,  e  il  suo  antico  Comentatore  nelle  note  a  quelle 
Commedie.  '^ 

(44)  A  Sparta  detto 
Sei  Natalizio. 

Pausania,    L  bro  "♦   III:    ToO    O-socxpo-j    Sé   (toO    sv    ifl 

ItKipZYj)    O'J     TlÓppW,     rioaSlSojVÓS     d)    X£    icOÒV    è  ZZI     Ts- 

'/s  d-Xiou,  •'  X  X  l  H  p  d)  a  KXBotxiox)  zob  i'XXou^  y.xi 
0  ò  ^  i  À  0  0  zir  Non  lungi  dal  teatro  (di  Sparta)  e  sono  il  tem- 
pio di  Nettuno  Natalizio,''^  e  i  monumenti  eroici  di  Cleodeo 
figlio  d' Ilio,  ^  e  di  Ebaio.  =:r 

(45)  Ed  Ippodromio  a  Tebe. 
Pindaro,  Ode  Istmical."  verso  78. 

(46)  In  Atene  Eretteo. 

Plutarco,  Vita  di  Licurgo;  Ateiiagora,  Orazione  Am- 
basciata per  li  Cristiani  Capo  I."^  Esicliio,  voce  'Ep£X{>£'jS; 
Apollodoro,  Biblioteca  Libro  III.'^  ove  si  legge:  Erittonio. 


*  rendeva  culto 
^  Sun  io, 

^  commedie. 

*  libro 

s  r£V£Ì>Àiou 

^  Natalizio 

«  Ilio 

®  Ode,  Istmica  I, 
'*  capo  I  ; 
''  libro  III, 

4^*  La  chiamata,   come  altrove,    rimanda  il   lettore  alla  fine 
delV  Inno. 


INNO    A   NETTUNO  129 

(47)  Chiamanti  Elate 

Molt"  altri. 

Esichio,  voce  V]  Xùxyi'^. 

(43)  Di  Trezeni'o. 

Veggasi  più  sopra  la  nota  37. 

(49)  O  d'Istmio. 

Pindaro,  Ode  Olimpica  XIII.  •  verso  4  e  seguente. 
I  ginoclii  Istniici,  ^  e  l'Istmo  medesimo  ove  era  un  tem- 
pio di  Nettuno  mentovato  da  Pausania,  Libro  II.'*  erano 
sacri  a  quella  Divinità  a  quel  Dio.  >^  ^ 

(50)  .  I  Tessali  Petreo 
Diconti. 

Anche  Pindaro,  Ode  Pitica  IV.  verso  246  ^  dà  questo 
nome  a  Nettuno. 

(.51)  Ei  altri  Onchestio. 

In  onore  di  Nettuno  Onchestio  celebravano  i  Tebani 
una  festa  ricordata  da  Pausania,  Libro  ^  IX.  Veggasi  la 
nota  57. 

(52)  Ed  altri  pure 

Egeo  ti  noma. 

Virgilio,  Eneide  Libro  III.  ~  verso  73.  e  seguente: 

r—  Sacra  mari  colitur  medio  gratissima  tellus 
Nereidum  matri  et  Neptuno  Aegeo.  -- 

Licofrone,  verso  135.^  chiama  Nettuno,  AlYX'-wva, 
e  Pindaro,  Ode  NemeaV. ^  verso  68.  e  seguente'*^  dice  che 

'  Molti 

•''  Olimpia  XIII, 

'  Istmicl 

*  libro  II, 

*  Ode,  Pitica  IV,  verso  246, 
^  libro 

''  Eneide,  libro  III , 
«  135, 

^  Ode,  Nemea   V, 
'*  seguente, 

*  La  chiamata,  come  sempre,  rimanda  il  lettore  all'ultima  pa- 
gina. 


9 


130  INNO   A   NETTUNO 

egli  soventi  volte  recavasi  all'  Istmo,  Alyà^-sv  =  da  Ega  =r. 
Veggansi  il  passo  di  Stazio  nella  nota  56.  Omero,  Iliade 
Libro  XIII.  1  verso  20.  e  seguenti,  e  Odissea  Libro  V. 
verso  381.  V  inno  ^  a  Nettuno  ascritto  al  med  Omero  al 
poeta  stesso,  ^  verso  3.  Stefano  il  Geogra  Strabone,  Li- 
bro VIII.  e  IX.  •*  e  Stefano  il  Geografo. 

(53)  E  Cinade. 
Esicbio,  voce  K  u  v  d  5  r^  S  . 

(54)  E  Fitalmio. 

Il  significato  del  nome  «^oiaXiiio»  zzz  Fitalmio  =:= 
non  è  abbastanza  a  bastanza  '•*  certo.  Esichio  dice  esser 
questo  un  epiteto  di  Giove  xofji  ^woyóvou,  cioè.  Gene- 
ratore ^  di  animali,  daZ  che  potrebbe  argomentarsi  che  il 
nome  Fitalunio  questo  nome  non  fosse  diverso  da  quello 
di  rsvéS-Xtos  che  io  poco  sopra  in  quest'Inno  ho  ren- 
duto  :  "  =::=  Natalizio  ^=.  Ma  che  cotesti  siano  due  nomi  dif- 
ferenti apparisce  sì  da  quest'Inno  medesimo,  come  da 
Plutarco  che  nelle  Simposiache,  Libro  V.  Quistione  III.  * 
riferisce  il  nome  Fitalmio  non  agli  animali  a  cui  appar- 
tiene l'altro.  Natalizio,  ma  alle  piante  ;  ed  è  superfluo  l'os- 
servare che  9  u  X  ó  V  in  effetto  vale  ,  :  ^  =  pianta.  =r 

(55)  Io  dirotti  Asfaleo,  poi  che  salute 
Tu  rechi  a'  naviganti. 

Antico,  Comentatore  di  Aristofane,  note  alla  Com- 
media agli  Acarnesi:  'Aa-^àXstoS  IloasiSòjv  ti  api  'Af>y,- 
vxioiS   T'.tiàTxt,   i'vx   àacp    aXwS   tcXìwj'.v  rrz  A   Nettuno 


'  Iliade,  libro  XI li, 

'  Odissea,  libro   V,  verso  381,  l'Inno 

*  stesso  ; 

*  libro   Vili  e  IX, 
'  abbastanza 

*  Penetratore  (evidente  errore  di  stampa) 
'  venduto  = 

*  libro   V,  Quistione  3, 

*  vale  = 


INNO   A   NETTUNO  131 

Asfaleo  rendon  culto  gli  Ateniesi,  a  fine  di  navigare  alla 
sicura  =:: .  Strabene,  Libro  I.  ^  parla  di  un  tempio  11^- 
csiSwvoS  Aa-^aXìou=:di  Nettuno  Asfaleo  =  o  =:  Asfa- 
lio  =:  '  alzato  da  quei  di  in  certa  Isola  ^  da  quei  di  Rodi. 
Veggasi  ^  il  luogo  di  Snida  nella  nota  che  segue,  f  * 

(56)  Che  Tenaro. 

Comentator  Greco  ■''  di  Tucidide,  note  al  Libro  ^'  ì  : 
Tatvapov,  à.Y.pozrfpio^^  (  Iloas '.$  tò  v  o  ?  **)  Axy.cov  i  y.  ^  ?, 
tspòv  TloastSwvoa.  =  Tenaro,  promontorio  di  Laconia, ''' 
e  sacro  a  tempio  di  Nettuno  =.  Aristofane,  Acarnesi: 

0  IloasiSwv,  O'jTil*  Tatvàpoj  O-sò* 
=1:  Nettuno,  il  Dio  che  in  Tenaro  s'onora  =:.f  *** 

Cornelio  Nipote,  Vita  di  Pausania:  =  Fanum  Neptuni  est 
Taenari,  quod  violare  nefas  putant  Graeci  =.  Pomponio 
Mela,  Libro  II.  Capo  III:*  =  In  ipso  Taenaro,  Neptuni 
templum  =:.  Questo  tempio,  a  dir  di  Strabene,  Libro  Vili.  ^ 
era  in  un  bosco,  e  per  testimonianza  di  Pausania,  Libro  III.^'^ 
somigliava  una  spelonca.     Avanti  ad  esso  era  la  una  sta- 


(evidente  errore  di  stampa) 


'  libro  I, 

'  Asfalia 

*  isola 

*  Veggansi 

i 

"  greco 

«  libro 

'  Laconia 

*  IIo^js'.S  ì)v, 

oj-l 

»  libro  II, 

capo 

'"  libro  8, 

"  libro  ni, 

*  Anche  qui  la  chiamata  rimandi  il  lettore  all'ultima  pagina. 
**  La  parentesi  indica  che  la  parola  è  stata  cancellata. 
*•*  t  Stazio,  Tebaide  Libro  II  : 

=  uhi  prona  Ast  dies  lonofos  super  a«quora  ftiies 
Bxigit,  atque  ingen»  medio  natat  umbra  pro.'iiiido. 
Interiore  sinu  frangentia  littora  curvat 
TaenaruR,  expositos  1  non  audax  scandere  fluctus. 
Illii-  Aegeo  Neptunus  gurgite  fessos 
In  portum  dedueit  equos.  = 

(Aggiunta  dell'autore) 

\  exposita  (Spett.)  (ovidmie  errore  di  stampo) 


132  INNO    A    NETTUNO 

tua  di  Nettuno,  clie  onoravasi  in  quel  tempio  sotto  il  ti- 
tolo di  Asfaleo,  si  come  ne  insegnano  queste  parole  di 
Snida  :  T  x  e  v  x  p  o  v  ,  à  x  p  03  x  vj  p  t  o  v  A  x  x  to  v.  x  ■^  S ,  s  v  O-  a  x  a  l 
Iloas'.^òjvoS  ispòv  AacpaXio'j  =  Tenaro,  promontorio 
della  Laconia,  dove  è  pure  un  tempio  di  Nettuno  Asfaleo 
=:.  Si  celebrava  in  Tenaro  una  festa  ad  onore  di  Nettuno,  ^ 
della  quale  è  fatta  menzione  da  Esichio,  alla  voce  T  a  i  v  x- 
p  i  a  S  •  Possono  vedersi  Tucidide  nel  Libro  I.  -  Plutarco 
nella  Vita  di  Pompeo,  e  Stefano  il  Geografo. 

(57)  E  la  sacra  Onchestia  selva. 

Omero,  Iliade  Libro  •'  II,  Beozia  verso  lo  : 

"Oyx'^^'^°'^  0'  ispòv  IIoGiSr^iov^  àyÀaòv  aXaoS 

=r  Ed  Oiichesto  Nettunia  illustre  selva.  =z 

Ed  Onchesto,  ^ 
Sacra  a  Nettuno  luminosa  selva.  =: 

Dione  Crisostomo,^  ne  Orazione  Corintiaca:  Co 5 03' 
[lèv  'HÀiou,  '0fxri<3xò£  lIoaei5à)voS  r=  Rodi  è  sacra  al 
Sole,  Onchesto  a  Nettuno  =.  Onchesto  era  città  di  Beozia. 
Pindaro  nella  quarta  Ode  Istmica,  Lib  verso  33.  ^  chiama 
Nettuno,  'Oyx'*ì^'^°'J  oìxiovtx  =:  abitatore  di  Onchesto 
=:.  E  Sono  da  vedere  anche  l'Ode  I.  •'  verso  46.  e  Pausania 
nel  Libro  IX.  i"  Eustazio  nelle  nel  Cemento  alla  Iliade, 
verso  citato,  e  più  sopra,  la  nota  51. 

(58)  E  Micale 

Micale  era  un  luogo  della  Jonia,  che  Erodoto,  libro  I. 
Capo    148. 1^    chiama   sacro,   situato  incontro   a  Samo,    in 

*  Nettuno 
2  libro  I, 
"  Iliade,  libro 

•■^  Onchesto 
"  Aristodemo, 
"  PóSoS 
»*  38, 

'  I, 

1"  libro  IX; 
^'  I,  capo  148, 


INNO    A   NETTUNO  133 

nel  quale,  al  rapportare  di  Diodoro,  Libro  V.  ^  gli  abitanti 
di  sette  città  della  .Ionia  si  adunavano  per  fare  a  Net- 
tuno grandi  sacrificj  ^  di  antiopa  istituzione  a  Nettuno  xG) 
EÀixtoviw-^  rrr  Eliconio  —,  come  dice  Strabone,  Questa 
festa  chiamavasi  II  a  v. (óve a,  cioè,  Ragunamento  di  tutti 
que'  della  Jonia.  y* 

il  pinoso  Istmo  e  Geresto. 
(59)  E  Trezene  ed  il  pinoso  E  Trezene  ed  il  pinoso 

Istmo,  ed  Ega,  e  Geresto.  Itsmo,''  ed  Ega,  •''  e  Geresto. 

Si  veggano  le  note  37.  49.   52.  «  e  38. 

Avvertimento.  ** 
Quest'  inno  e  stato  scoperto  da  Un  mio  amico  in  Roma 

r" 

nel  rimnginautZo  i  pochissimi  manoscritti  di  una  pic- 
cola biblioteca  il  ***  di  quesV  dell'anno  corrente,  trovò 
in  un  Codice  tutto  lacero  ^  di  cui  non  rimangono  che  po- 
che pagine,  quest'inno  Greco,-'  e  poco  appresso  me  ne 
speditamene  una  copia,  e  lietissimo  per  la  scoperta,  m'in- 
citò ad  imprenderne  la  traduzione  poetica  italiana,  facen- 
domi avvisato  che  egli  era  tutto  atteso  a  lo  ad  emendare 
il  testo  greco,  e  a  lavorarne  due  versioni  latine,  l'una  let- 

'  libro  V, 
"^  sacri  fidi 
»  'EX'.xwviw  =r: 

*  Istmo 
«  Ega 

«  ò'7,  49,  52 
~  rimuginare 

*  lacero, 

"  Inno  greco  ; 

*  La  chiamata,  come  sempre,  manda   il  lettore  alla   fine    del- 
l' Inno. 

**  Nello  Spettatore,  qnesV Avvertimento,  anziché  seguire,  precede 
V Inno,  con  poche  parole  di  dedicatoria  (che  non  trovansi  nel  ma- 
noscritto che  abbiamo  sott'occhio)  all' amico  diletto,  che  gli  fu  occa- 
sione a  tradurre  Vlnno.  (Vedi  a  pagg.  142-143  del  Tomo  Vili  118171 
dello  Spettatore.) 

***  Cosi  nell'autografo.  —  Nello  Spsttatore,  in  vece,  si  legge:  il  G 
gennaio. 


134  INNO    A    NETTUNO 

ferale  e  l'altra  metrica,  e  a  compilare  ampie  note  sopra 
l'antica  poesia.  Condussi  a  fine  in  poco  d'ora  l'opera  mia 
assai  meno  faticosa  della  sua,  ^  ed  egli  ^  malgrado  la  ri- 
jntgnanza  che  io  aveva  ad  aimunz  tutto  che  tuttoché  io  ri- 
pugnassi moltissimo,  non  volendo  annunziare  il  primo  la 
sua  scoperta,  3  e  farmi  bello  di  cosa  non  mia,  volle  im- 
posemi  che  ad  ogni  patto  dessi  incontanente  al  pubblico  ^ 
V  opera  la  mia  traduzione,  dicendo  essersi  già  tardato 
anche  troppo  a  far  tutti  consapevoli  dell'accaduto,  e  tor- 
nar meglio  con  una  traduzione  versione  della  cosa  sco- 
perta far  conto  ai  letterati  lo  scoprimento,  che  darne  loro 

da  clie  d'ordinariu  son 

la  secca  novella  in  una  gazzetta,  gettandoli  ne  nnwven- 
eglino  per  il  lo  più  sono  mossi  ad  impazienza,  e 
doli  ad  impazienza ,  e  stringendoli  stretti  quasi  a  mormo- 
rare d'ogn' indugio  che  trappon  l'Editore,  il  quale  non  può 
spacciarsi  così  tosto.  Fu  forza  cedere;  ed  ecco  che  io  do 
ad  un'ora  al  pubblico  ■'  la  nuova  della  scoperta,  la  tradu- 
zione dell'Inno  in  compagnia  di  alcune  note,  e  la  pro- 
messa di  un'altra  molto  migliore  edizione  dello  stesso 
greco  componimento. 

L'Inno  pare  antichissimo,  avvenga  che  avvengachè  il 
Codice  non  sembri  scritto  avanti  innanzi  al  trecento. 
Comincia  nel  greco,  ^  cosi  : 

'E  vvoa  ly  X  ìov,'''  %!j5c  v  0)(a  cxyjv  àpyo|Ji'  àst'Ssiv. 

Termina  con  questo  verso: 

'A  [1  :p'  àp  àLO\.lol<i  ^5ctv*,  'juvwv    yàp    -colai   {iéfiyjXs. 

Non  può  di  leggeri  indovinarsene  l'autore,  non  es- 
sendone il  nome  in  quello  non  essendone  II  nome  del- 
l'autore non  è  nelle  pagine  che  ci  avanzano  del  Codice,  ^ 

^  sua; 

^  scoperta 

*  Pubblico 
°  Pubblico 
•*  greco 

''  'Evvociyzlov 

*  Codice 


INNO   A   NETTUNO  135 

già  molto  più  ampio,  e  non  si  può  di  leggeri  ind  .vinario. 
L' Inno  porta  per  titolo  :  T  o  ù  a  ù  x  o  0  E  e  ?:  II  o  a  e  -.  S  w  v  a  ^  = 
Dello  stesso  Del  medesimo  :  A  -  Nettuno  ^,  da  che  appa- 
risce che  avea?iO  nel  manoscritto  altri  componimenti  dello 
stesso  poeta,  e  di  questi  si  leggono  a  gran  fatica  nel  Co- 
dice qua  e  là  alcuni    frammenti,  ^    che   non    mi    è  parso 

ma,    né  ancora 

paruto  necessario  tradurre,  ma  ne  manco  e  manco  pos- 
sibile tradurre,  ma  che  il  mio  dotto  e  generoso  amico 
pubblicherà  insieme  coli' Inno  ^  descrivendo  il  Codice  troppo 
più  minutamente  che  io  non  ho  voluto  fare.  Simonide^ 
(Scholiastes  Euripidis,  ad  Med.  vers.  4.  *)  e  Mirone,  ^  o 
Merone  "  poetessa  di  Bisanzio  ^  (Eustathius,  ad  Hom.  Il 
Lib.  II.  Boeot.  vers.  218,  segg.  ^  **)  scrissero  Inni  a  Net- 
tuno. Ma  l'autore  di  questo  mi  par  sì  bene  istrutto  delle 
cose  degli  Ateniesi,  che  io  lo  credo  d'Atene,  o  per  lo  meno 
dell'Attica.  Panfo  Ateniese  scrisse  anch'egli  pure  altresì 
un  Inno  a  Nettuno  ^'^  come  si  raccoglie  da  Pausania,  ^^  (Pau- 
sanias,  in  Achaicis  Lib.  VII.  ***)  ma  quello  ora  scoperto, 
benché  molto  antico,  non  può  essere  di  quel  poeta  che  si 
dice  vissuto  avanti  di  Omero  ;f****  Mi  sono  Ho  adoperato 

^  Iloist 5(5'J3c  =:  (evidente  errore  di  stampa) 

'  a 

'  frammenti 

*  Inno, 

*  Simonide  (1) 

*  Mirone 
'  Merone, 

®  Bisanzio  (2), 

*  seq. 

»"  Nettuno, 

"  Pausania  (3), 

*  Nello  Spettatore  si  legge  in  nota. 
**  Idem 
***  Idem 
****t  oltreché'  quivi  non  ha  ciò  che  Pausania  lesse  neW Inno  del  nel 
compimento  di  Panfo.  Nulla  dirò  dico  dell'  Inno  a  Nettuno'^  non  più 
lungo  di   sette    versi,    che    è  fra   gli   attribuiti    ad   Omero  quest'ultimo 
ad  Omero. 

1  al  trecche  (SpettJ 
»  Nettuno,  (Jd.j 


136  INNO   A   NETTUNO 

molto 

con  ogni  cura  per  tradurre  fedelissimamente;  e  non  ho 
trascurata^  veruna  par  pure  una  parola  del  testo,  di 
che  potrà  agevolmente  venire  in  chiaro  chi  vorrà  porre 
ragguagliare  la  traduzione  al  confronto  dell'  coll'origi- 
nale,  uscito  che  sarà  questo  alla  luce. 


Varianti  * 


[  u{xvoJv  yàp  B' o'C  ys  laéXovxai. 
oiivot,  yàp  xolai  iisXoust. 

oi  yàp  t'oiiytoy  yz  [LsXovx. 

Inno  a  Nettuno 

D'incerto  autore  sconosciuto  , 

nuovamente  scoperto. 

Traduzione  dal  Greco 

del  Conte  Giacomo  Leopardi 

da   Recanati. 

rjjtvoi  òk  Y-xl  àS-zvàtwv  yépoc^  aùxò)/. 
Teocr.  lei  ili.  17.  vers.  8.  ** 

181(1 


*  trascurato 

*  Queste   Varianti  non  sono  nello  Spettatore. 
**  Questo  verso  di  Teocrito,  nello  Spettatore,  trovasi  subito  dopo 
il  titolo  dell' /«no  (v.  a  pag.  142  ,  ma  senza  gli  accenti,  che  F)ur  sono 
nel  manoscritto.    Nello  Spettatore  ^pagg.  16ij-164)  seguono,  poi,  le  due 
Odae  adespotae,  die  non  si  leggono  nel  nostro  manoscritto. 


INNO   A   NETTUNO  137 


,  e  tra'  nostri,  Dante  nel  quintodecimo  del  Purgatorio: 

=  Se  tu  se'  sire  della  villa 
Del  cui  nome  ne'  Dei  fu  tanta  lite.   = 


(Vedi  a  pag.  110  di  questo  libro,  e 
a  pag.  150  dello  Spettatore.) 


Aristofane  nelle  Nubi,  Atto  I.  Scena  I.  fa  giurare  Fi- 
dippide  per  Nettuno  equestre. 

(Vedi  a  pag.  Ili  di  questo  libro,  e 
a  pag.  154  dello  Spettatore.) 

Veggansi  Omero,  Iliade  verso  Libro  xxiii.  verso  404.  e  i 
Comentatori  a  quel  luogo  ;  Pausania,  Libro  vii  ;  Eustazio, 
Comeìitario  Comento  all'  alla  Iliade  Libro  ii  ;  Beozia 
verso  82  ;  l'Inno  a  Nettuno  attribuito  ad  Omero,  verso  3. 
e  la 

(Vedi  a  2)ag.  128  di  questo  libro,  e 
a  pag.  100  dello  Spet  atore.) 

*^  Da  un  passo  dell'  Inno  di  Callimaco  a  Delo  par  si 
debba  raccogliere  che  Ceneri  =  In  eo  (Isthmo)  dice  Pom- 
ponio Mela  Libro  ii.  Capo  3.  oppidum  Cenchreae  fanum 
Neptuni,  ludis  quos  Isthmicos  vocant,  celebre  nomina 
Ceneri  =.*  Callimaco  nell'Inno  a  Delo  nomina  Ceneri  come 
luogo  singolarmente  sacro  a  Nettuno. 

(Vedi  a  pag.  129  di  questo  libro,  e 
a  pag.  161  dello  Spettatore.^ 
*  Nello  Spettatore  mancano  le  due  ultime  parole. 


138  INNO   A   NETTUNO 

*f  ;  Macrobio,  Saturnali  Libro  i.  Capo  17.  ed  Eustazio, 
nel  Covientario  Comento  al  primo  della  Iliade,  verso  36. 
e  al  quinto,  verso  311.  e  seguenti.  ' X'j:f±Xt'.x  vale:  =:  si- 
curtà nr. 

(Vedi  a  pag.  131  di  questo  libro,  e 
a  pag.  lh'2  dello  Spettatore.) 


SUL  MONUiMExNTO  DI  DANTE 


CHE    SI   PREPARA    IN    FIRENZE. 


Un  quadornotto  di  sei  facciate  interamente  scritto  (co^ìer 
fina  cenero(jnola) . 


SUL  MONUMENTO  DI  DANTE 


CHE    SI   PREPARA    IN   FIRENZE. 


Perchè  le  nostre  genti 
S(jtto  Pace  sotto  le  bianche  ali  raccolga, 
Non  fien  da'  lacci  sciolte 
De  *  l'antico  sopor  h  l' itale  menti,  '^ 

S' 

/S'è  a  i  ^  patri"'  esempi''  de  la"  prisca  etade 
Questa  terra  fatai  non  si  rivolga. 

a  cuor    ti  stia 

0  Italia,    o   Italia,    i   tuoi  passati   onora 

Far  ai**  passati  onor,  '•*  che  d'altrettali 

Poi  che  di  tali  spirti 

'  Sopra  il  monumento  di  Dante  che  si  prei)ara  in  Firenze. 

[Boi.  1824]. 

Sopra  il  monumento  di  Dante  che  si  preparava  in  Firenze. 

[Fir.  1S31;  Pater.  1834;  Nap.  1835;  Fir.  183G;  Flr.  1845]. 

-'  DeW  [Nap.  1835;  Fir.  1836;  Flr.  1845]. 

■''  nienti    [Boi.    1824;    Fir.    1831;    Pater.    1834;    Xnp.    1835; 

Fir.  183(3;  Fir.  1845]! 

*  ai  [Nap.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 

"patrj  [Roma  1818].— pa^rii  [Xap.  1835;  FtV.  1836;  Fir.  1845]. 

*  esempi  [Roma  1818]. 

'  della  [Nap.  1835;  Fir,  1836;  Fir.  18^15]. 
«  ai  [Boi.  1821;  /^iV.  1831;  Pater.  1834;  .Y«^).  1835;  /Vr.  1836; 

Fir.  1845]. 
^   o?ìor;  [Nop.  1835;  /Vr.  1836;  i-'ir.  1845]. 


142  SUL  MONUMENTO   DI  DANTE 

Oggi  vedove  son  le  tue  contrade, 
Né  c'è^  chi  d'onorar  ti  si  convegna.  ^ 
Volgiti  indietro  ^  e  guarda,  "*  o  patria  mia^ 
Quella  turba  •'  infinita  d' immortali, 
E  piangi  e  di  te  stessa  ti  disdegna;  ^ 
Che  se  non  piangi,  ogni  speranza  è  stolta  :  ~ 
Volgiti  e  ti  vergogna  e  ti  riscteoti,  ^ 
E  ti  punga  una  volta 
Pensier  de  gli^  avi  nostri  e  de'  nipoti.  *^ 
D'aria  e  d'ingegno  e  di  parlar  diverso 
Per  lo  toscano  suol  cercando  già  '^ 
L'ospite  desioso 

Dove  giaccia  colui  per  lo  cui  verso 
Il  Meonio  ^-  cantor  non  è  più  solo;^'^ 


>  v'è  [Xap.  1835;  Fir.  1830)  ;  Fir.  1845], 
■^  convegna,  [Paler.  1834]. 
conveng-a.*  [Boi.  1821]. 
■'   indietro,    [Boi.   1824;    Fir.   1831;   Paler.  1831;  Nap.  1835; 

Fir.  1836;  Fir.  1845]. 

*  gtiarda  [Boi.  1824]. 

«*  schiera    [Fol.    1824;    Fir.   1831;    Paler.   1834;  Nap.   1835; 

Fir.lSm;  Fir.  1845]. 

*  disdegna:  [Paler.  1834]. 
'  stolta.  [Paler.  1834]. 

Che  senza  sdegno  ornai  la   doglia  è  stolta:    [y<^'p-   1835; 

Fir.  imy]  Fir.  1845]. 
«  riscuoti,    [Roma  1818;  Boi.   1824;  Fir.  1831;    Paler.  1834; 
Na2J.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 
»  degli  [Nap.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 
'"  nepoti.  [Nap.  1835;  Fir.  1836]. 
"  ^ìa  [i?oma  1818]. 

'•-'    meonlo    [Boi.    1824;    Fir.    1831;  /Wer.  1834;  .Ya^j.   1835; 

Fir.  1836;  /Vr.  1845]. 
'■''  solo.  [Boi.  1824;  i'^ir.  1831;  Paler.  1834;  lYa^j.  1835;  Mr.  im\; 

Fir.  1845]. 

*  Cosi  nel  testo;  ma  a  pag.  201  leggesi: 

ERRORI  CORREZIONI 

Pag.         Un. 
*2Q         13   convenga convegna. 


SUL  MONUMENTO   DI  DANTE  143 

Ed  oh  vergogna  !  ^  *  udia  - 

Che  non  ch'iP  cener  freddo  e  l'ossa  nude 

Giaccian  esuli  ancora 

Dopo  il  funereo  di  sott' altro  suolo,  * 

Ma  non  sorgea  dentro  a  tue  mura  un  sasso,  ^ 

Firenze,  a  quello  per  la  cui  virtude 

Tutt^  Tutto  il  mondo  t'onora. 

Oh  voi  pietosi  ^  **  onde  si  tristo  e  basso 

Obbrobrio  laverà  nostro  paese  !  " 

Bell'opra  hai  tolta,  ^  e  di  eh'  ^  amor  ti  rende, 

Schiera  prode  e  cortese, 

Qualunque  petto  amor  d' Italia  accende. 

Amor  d' Italia,  ^^  o  cari. 
Amor  di  questa  misera  vi  sproni. 
Ver  cui  pietade  è  morta 

che 

In  ogni  petto  omai,  perciò  c/f'   amari 
Giorni  dopo  il  seren  dato  n'ha  il  cielo.  '^ 


'  Ed  (oh  vergogna)  [Boi.  1824;  Flr.  1831;  Paler.  1834]. 
Ed,  oh  vergogna!  [Xaxy.  1835;  Flr.  1836;  Fir.  1845]. 
2  udìa  [Roma  1818]. 

»  che  '1  [Boi.  1824;  Fir.  1831;  Paler.  1834]. 
che  il  [Xap.  1835;  Flr.  1836;  Flr.  1845], 
*  suolo;  [Roma  1818]. 
'  sasso  [Boi.  1824]. 

'''pietosi,    [Flr.    1831;    Paler.    imi]  Xap.    1835;    Flr.    1836; 

Flr.   1815]. 
''paese:  [Boi.  1824;  Fir.  1831;  Paler.  1834]. 
»  tolta  [Boi.  1824;  Flr.  1831;  Paler.  1831;  xY«p.  1835;  Flr.  183(5; 

Flr.  184P.]. 
»  che  [Flr.  1845]. 
'"  Italia  [Boi.  18^]. 
"  Cielo.  [Boi.  1824]. 
cielo***  [Paler.  1834]. 

*  Dopo  Ed,  e  dopo  vergogna,  nell'autografo,  la  virgola  fu  cancel- 
lata dall'Autore. 

**  La  virgola  dopo  pietosi,  nell'autografo,  fu  prima  scritta  e,  poi, 
cancellata. 

***  Evidente  errore  di  stampa. 


144  SUL   MONUMENTO   DI   DANTE 

Forza  ^  v'aggiunga^  e  vostra  opra  coroni 
Misericordia,  -^  o  figli, 

affanno,  * 

E  duolo  e  sdegno  di  cotanto  lutto, 
Onde  bagna  costei  le  guance  e  '1  -^  velo. 

dirizzorassi 

Ma  come  a  voi  convertirassi  il  canto  ^ 
Cui  non  pur  de  le  cure  e  de'  consigli,  ^ 
Ma  de  1'  '*  ingegno  e  de  la  ^  man  daranno 
I  secoli  futuri  eccelso  vanto  '° 

e  mostre  » 

Oprate  a  (java  ne  la  ^^   dolce  impresa? 
Come  a  gran  forza  i-  ecciteravvi  il  core?^^ 
Come  a  la  mente  accesa  ^^ 

Crescerà  novi  raggi  e  novo  ardore?  '^ 

Rinforzerà  la  vampa  e  lo  splendoreì 
Voi  spirerà  l'altissimo  subbietto. 


"  Spirti  [Boi.  1824  ;  Flr.  1831  ;  Paler.  1834  ;  Nap.  1835  ;  Flr  1836  ; 

Fir.  1845]. 
^  aggiunga,  [Roma  1818]. 
\  Misericordia   [Boi.  1824]. 

*    affanno    [Boi.    1824;    Fir.  1831;   Valer.  1834;  Nap.    1835; 

F.r.  1836;  Fir.  1845]. 
•^  il  [Naiì.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 

"  Ma  voi  di  quale  ornar  parola  o  canto  [Boi.  1824;  Fir.  1831; 
Faler.  1834;  Nap.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 
^  Si  debbe,    a    cui    non    pur   cure    o    consigli,  [Boi.  1824; 
Fir.  1831;  Pater.  1834;  Nai).  1835;  i^ir.  183(3;  i^*V.  1845]. 
«  ^ZeZ^'  [.Y«7>.  1835;  Fir.  1836;  /'tV.  1845]. 
«  della  [Nap.  1835;  i'^V.  1836;  Fir.  1845]. 
"•  I  sensi  e  le  virtudi  eterno  vanto  [Boi.  1824;   i-'iV.  1831; 
Pater.  1834;  Na2ì.  1835;  /'ir.  1836;  i^ir.  1845]. 
'•  netta  [Nap.  imo,.  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 
'■^  foga  [Roma  1818]. 

'•■'  Quali   a   voi   note    invio,    si    che    nel   core,    [Boi.    1824; 

Fir.  1831;  Pater.  1834;  A^a^?.  1835;  Fir.  1836;  i^ir.  1845]. 

^*  Si  che  ne  l'alma  accesa  [Bot.  1824;  Fir.  1831  ;  Pater.  1834]. 

7ie^^'  [xV«2J.  1835;  Fir.  1836;  i'^ir.  1845]. 

^^  Xova  favilla  indurre  abbian  valore?  [Boi.  1824;  Fir.  1831; 

Pa^er.  1834;  Nap.  1835;  /\>.  1836;  Fir.  1845]. 


SUL   MONUMENTO    DI   DANTE  145 

Bd  acri  punte 

E  sproni  acuti  premeravvi  al  seno. 

Chi  dirà  l'onda  e  '1  ^  turbo 

Del  furor  vostro  e  de  1'  ^  immenso  affetto? 

Chi  pingerà  l'attonito  sembiante? 

Chi  de  ^  gli  occhi  il  baleno? 

Qual  può  voce  mortai  celeste  cosa 

Agguagliar 

Aden  (ar    ligur an d o  ? 

Mano  a  lo  scalpro  scalpro  scalpro. 

A  Vopra  a  Vopra     Oh  quanti  plausi  *  oh  quante  ^ 

Lagrime  a  voi  la  bella  Italia  serba  !  •' 

Come  cadrà?  come  dal  tempo  rosa" 

Fia  vostra  gloria  o  quando? 

Voi  '  di  eh'  il  ^^  nostro  mal  si  disacerba  ^ 

Sempre  vivete,  ^^  o  care  arti  divine, 

nostra    sventurata  gente, 

Conforto  a  nostre  sventurate  sorti 
Su  "  r  itale  ruine 

1  il  [Nap.  1835;  Flr.  1836;  Fir.  1845]. 
-'  deW  [S^ap.  1^35;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 
^^  de<)li  [Nap.  1S35;  Fir.  1836;  P'ir.  1845]. 

*  Lunge  sia,  lunge  alma  profana.  Oh  quante   [Boi.  1824 

i''ir.  1831;  P«Zer.  1834;  Xap.  1835;  i'Vr.  1836;  Fir.  1815] 
^  Lagrime  al  chiaro  avello  Italia  serba.  [Boi.  1824;  Fir.  1831 

Pater.  1834] 
Lacrime  al   nobil   sasso  Italia  serba!  [Nay.lQSò-^  Fir.  1^Q> 

Fir.  1845]. 

•  rósa  [Boi.  1824]. 

ròsa  [Flr.  1831;  Pater.  1834]. 
"    Voi,  [Boi.  1821  ;  Fir.  1831  ;  Pater.  1834 ;  Na^y.  1835  ;  Fir.  1836  ; 

Fir.  1&15  . 

•  che  '1  [Boi.  1824;  P'ir.  1831;  Pater.  1834]. 
eh'  il  [Xajì.  1835;  Fir.  1836]. 

che  il  [P'ir.  1845]. 

*  disarerha,  [Boi.    1824;    Fir.  1831;  Pater.  1834;  Na^^.  1835; 

Fir.  1836;  Fir.  1845]. 
'"  vivete  [Boi.  1824]. 

"  Fra  [Boi.  1824;  Fir.  1831;  Pater.  1834;  Xap.  1835;  T-'ir.  1886; 

P'ir.  1845]. 
*  Dopo  p?attn,  col  microscopio,  parrebbe  vedere  una  virgola. 

10 


146  SUL  MONUMENTO   DI  DANTE 

a     celebrare 

GÌ'  itali  pregi  ^  ad  onorare  intente. 

Ecco  Ecco  voglioso  anch'  io 
Ad  onorar  nostra  dolente  madre 

Por  Porto 

Reco       quel  che   mi  lice, 

E  mesco  a  1'  ^  opra  vostra  il  canto  mio  ^ 

Sedendo  u'  l  vostro  ferro  i  marmi  avviva. 

0  de  l'Ausonio  ^  carme  ^  inclito  padre, 

Se  di  cosa  terrena  ^ 

Se  di  colei  "  che  tanto  alto  locasti 

a  i  ^ 

Qualche  novella  ai    vostri  lidi  arriva, 
Io  so  ben  che  per  te  gioia  "  non  senti,  ^^ 
Che  ^'  saldi  men  che  cera  e*  men  ch'arena  ^- 

Verso  la 

Verso  la  fama  che  di  te  lasciasti  ^^ 


*  prefij  [Roma  1818]. 

•'  alV  \Naiì.  1835;  Flr.  1830;  Flr.  1845]. 
»  mio,  [Nap.  1835;  Flr.  1836;  Fir.  1845]. 

*  aìiaonio  [Boi.  1824]. 

^  O  de  l'etrusco  metro  [Flr.  1831;  Paler.  1834]. 

„    dell'  „  [Xa2i.  1835;  Flr.  1836;   Flr.  1845]. 

«    terrena,  [Boi.   1824;    Flr.    1831;    Palei^   1834;   Naj).   1835; 

Flr.  1836;  jF^/r.  1845]. 
'  costei  [i^ir.  1831;  Paleì\  1834;  .Va^j.  1835;  /^i'r.  1845]. 

*  «t  [A^«2'-  1835;  Flr 
^  gioja  [Eoma  1818]. 

"  senti.*  [Boi.  1824]. 

'»  Che  [Boi.  1824;  i'^ir.  1831;  Paler.  1834]. 
"  «re?i«,  [/^o^.  1824;  Flr.  1831;  Pa^er.  1834;  AV/^j.  1835;  i^'/r.  1836; 

i'^ir.  1815]. 
'3  Lisciasti,   [Boi.   1824;   i^iV.  1831;   PaZ«r.  1834;  .Ya^>.  1835; 

Flr.  1836;  Pt>.  1845]. 

*  Nell'edizione  di  Bologna  [182l],  a  ]  ag.  27,  leggesi: 

file  saldi  men  che  rt>ra.  è  men  ch'arena, 

ma,  a  pag.  201,  trovasi  corretto  l'evidente  errore  di  stampa,  e  1'  "è„ 
diventa:  " a  men  „ 

*Cofì  nel  tofto,  ma  alla  pag.  201  dianzi  citata; 
non  senti uon  senti. 


SUL  MONUMENTO   DI   DANTE  147 

Son  bronzi  e  marmi,  ^  e  se  da  le  ^  nostre  menti 

Se  mai  cadesti  ancor,  shmqiie  s'unqua  cadrai  cadrai. 

Cresca,  se  crescer  può,  nostra  sciagura,  ^ 

E  in  sempiterni  guai 

Pianga  tua  stirpe  a  tutto  il  mondo  oscura. 

Ma  non  per  te,  ^  per  questa  ti  rallegri 
Povera  patria  tua,  shinque  s'unqua  l'esempio 
De  gli  5 

Degli  avi  e  de'  parenti 
Ponga 
Porrà  ne'  figli  sonnacchiosi  ed  egri 

Tanto  valor  eh'  ^  un  tratto  alzino  il  viso. 

0  secol  turpe  e  scempio!    ~ 

Qual  vedi  Italia  ch'era  si  meschina,  ^ 

Leggiadro  spirto,  allora  * 

Che  di  novo  ^*^  salisti  al  paradiso!  ^^ 


'  marmi;  [Boi  1824; Fir.  1831;  Paler.  1834;  X^q).  1835;  i^t'r.  183G 

Fir.  1845] 
«  dalle  [Xap.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 
3  sciagura,  [Roma  1818;  Fir.  1831;  Paler.  1834]. 

*  te  ;  [Boi.  1824;  Fir.  1831;  Paler.  1834;  Xa2).  1835;  Fir.  1830 

Fir.  1845] 
'  Begli  [Xajì.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1815]. 
«  che  [Boi.  1824;  Fir.  1831;  Paler.  1834;  .V«2J.  18a5;  /«'tV.  1836 

Fir.  1845] 
'  Quale    e    da    quanto    scempio  [Boi.  1824;  Fir.  1831;   Pa- 

Zer.  1834] 
Ahi,  da  che  lungo  scempio  [Xa^).  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845] 

•  Vedi  guasta  colei  che  si  meschina  [5o^.  1824;  Fir.  1831 

Paler.  1834;  A^a^?.  1835;  Fir.  1836] 
Vedi  afflitta  costei,  che  si  meschina  [Fir.  1845]. 
»  Te    salutava    allora    [Boi.   1824;    Fir.  1831;  Pa/er.   1834 
Xap.  1835;  i^tV.  1836;  Fir.  184'>] 
>«  nuovo  [Po;.  1824;  Fir.  1831;  Pa^er.  1834]. 
"  Paradiso!  [Eoma  1818]. 

i^ararftso;  [Boi.  1824;  Kr.  1831;  Paier.  1834]. 


148  SUL    MONUMENTO    DI   DANTE 

Ora  è  tal  che  rispetto  a  quel  che  vedi  '  * 

Ora  Or  tale  e  fatta  chiappo  quel  che  vedi, 
AUor  fu  noUlissima  fu  beatissima  e  regina.  '^ 
Aliar,  dirai,  fu  nobile  e  reina. 

Mostrar  chi  si  rincora'^ 

eh' 

Il  mal  che  e'^  fia  gran  che,  s'udendo  il  credi? 

gli  altri  nemici  e  l'altre  doglie  " 

Taccio  ogni  altro  nemico  ogni  altra  sorte 

nera  ^ 

Ma  non  la  Francia  scellerata  "  e  cruda  nera 

lo"  soglie 

Per  cui  fin  presso  a   morte 

Vide  l'ultima  sera. 

Giunse  l' Italia  ^"^  mia  ^'  distesa  e  nuda. 


'  AUor  beata  pur  ((qualunque  intende  [Boi.  1824;  Flr.  1831; 

Pater.  1831] 
Oggi  ridotta  si  clie  a  quel  che  vedi,  [Nap.  1835  ;  Fir.  183G 

Flr.  1845] 
'^  A'  novi  affanni  suoi)  donna  e  reina;  [Boi.  1824;  Flr.  1831 

Pater.  1834] 
Fu  fortunata  allor  donna  e  reina.  [Nap.  1835  ;  Flr.  1836 

Flr.  1845] 
^  Ch'or  nulla,  ove  non  fora  [Boi.  1824]. 

„     fora  [Flr.  1831;  Paler.  1834]. 
Tal  miseria  l'accora  [Nap.  1835;  Flr.  1836;  Flr.  1845]. 

*  è**  [Roma  1818]. 

^  Somma  pietade  assai,  pietade  attende.  [Boi.  1^1^]  Flr.  1831; 

Paler.  1834]. 
Qnal  tu  forse  vedendo  a  te  non  credi.  [Nap.  1835;  Flr.  1836]. 
„  mirando  „  [Flr.  1845]. 

«  do(jlle  ;  [Boi.  1824  ;  Flr.  1831  ;  Nap.  1835  ;  Flr.  183t)  ;  Flr.  1845]. 

doylle.*^*  [Paler.  l':34]. 
'  scelerata  [Boi.  1824]. 
«  nera,  [Boi.  1824]. 
Ma  non  la  più  recente  e  la  più  fera,  [Flr.  1881;  Paler.  1834; 
Na2ì.  1885;  Flr.  1836;  Flr.  1845]. 
"  alle  [Nap.  1835;  Fir.  1836;  Flr.  1845;. 
'"  la  patria  [Boi.  1824;  Flr.  1831;  Paler.  1834]. 
"  tua  [Nap.  1835;  Flr.  1836;  Flr.  1845]. 

*  Dopo  rcrft,  la  virgola,  nell'autogralo,  fu  cancellata  dall'Autore. 
**  Evidente  errore  di  stampa. 

***        Idem 


SUL   MONUMENTO    DI   DANTE  149 

Beato  te  eh'  il  ^  fato 

tant 'orrore,  tanto  orrore,  * 

A  viver  non  dannò  fra  tanti  orrori 

Che  non  vedesti  in  braccio 

L' itala   moglie  a  barbaro  soldato,  ^ 

colti  -^ 
Non  predar  ^  non  guastar  cittadi  e  ville 

Di  Franche  torme  il  bestiai  furore,  ^ 

Non  de  gì'  "  itali  ingegni 

Tratte  l'opre  cattive  *  h  miseranda 

Schiavitude  oltre  l'alpe,  e  non  de'^  folti 

Carri  impedita  la  dolente  via,  ^^ 

Non  gli  aspri  cenni  ed  i  superbi  regni,  '' 

Non  le  minacce  udisti  gli  udisti  cltraggi  e  la  ne- 

Voce  di  libertà  che  ne  schernia  [fanda 

Tra  de  le  '^ 

t  ra  '1  ^-  suon  delle  catene  e  de'  flagelli.  * 

'  che  H  [Boi.  1824;  Fir.  1831;  Paler.  1834]. 
che  il  [Xa2).  18:35;  Flr.  1836;  Fir.  1845]. 
«  orrore;    [Boi.   1824;    Fir.  1831;    Paler.    1834;    Xap.    18:5; 

i^iV.1836;  i^tV.  1845]. 

*  soldato;    [Boi.    1824;    Flr.    1831;  Paler.  1834;  Kaj,.  1835; 

Fir.  1830;  Fir.  1815], 

*  jìredar,  [Xai).  iaS5;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 
'  còlti  [Fir.  LS31;  Paler.  1834]. 

®  L'asta  inimica  e  '1  perogrin  furore;  [Boi.  1824;   Fir.  1831; 

PaYer.  1834]. 
il  „  [Aa2>-1835; /Vr.  183f5; 

i^iV.  1845]. 
■  def^r  [Xaji.  18a5;  Fir.  18 r);  i-Vr.  184-5]. 
«  divine  [Boi.  1824;  /-'*>-.  1331;  Paler.  18:34;  .Vaj^  1835:  /'^r.  iHdCy, 

Fir.  1845]. 
»  da'  [Boi.  1824]. 

'»  uta;  [5oZ.  1824;  Fir.  1831;  Pc^^er.  1831;  Xaj).  1835;  i'V/-.  18:3(>; 

/'ir.  1845]. 
"  reffui;    [Boi.    1824;    Fir.    1831;   7^a/er.    1834;    .Yw;».    1835; 

Fir.lHm;Fir.imh\. 
'■'  il  [Xap.  1«35;  Fir.  1836;  Pir.  1845]. 
'^  ^/ei^e  [.Va^>.  1835;  P*'r.  1886;  Fir.  1^5]. 

*  Dopo^ajiWt,  nell'autrigrafo,  c'è  un  punto  interrogativo,  che  venne 
cancellato  dall'Autore. 


150  SUL   MONUMENTO   DI   DANTE 

soffrimmo  ?  intatto 

Chi  non  si  duol?  che  non  soffrimmo  f*  intatto  "i 

Che  lasciaron  quei  felli? 

Qual  tempio  ^   quale  altare  o  qual  misfatto  ? 

venimmo  a  si  perversi 

Perchè  vedemmo  mA  ù  feri  tempi? 
Perch'iP  nascer  ne  desti  ^  o  perchè  prima 
Non  ne  desti  ^  il  morire, 
Acerbo  fato?  onde  a  stranieri  ed  empi 
Nostra  patria  vedemmo  vedendo  ancella  e  schiava, 

da  mordace 

E  roder  suo  valore  acuta  lima 

la  sua   virtù, 

Roder  lo  suo  valor ^  di  nuli' aita 
E  di  nullo  conforto 

Lo  spietato  dolor  che  la  stracciava 

Scemar  potemmo  il  duol  che  la  stracciava. 

Ammollir  ne  fu  dato  in  parte  alcuna. 

Ahi  non  il  n**  sangue  nostro  e  non  la  vita 

Avesti,  ^  o  cara,  ^  e  morto 

Io  non  sou  per  la  tua  dira  '   fortuna. 

il  pianto  infino    al  suol  mi  gronda.  * 
duol  m  '  inonda. 

Qui  si  eh'   io  grido  e  gli  occhi  il  pianto  inonda. 


'  tempo,  [Boi.  1824]. 
tempio,    [Fir.   1831;    Paler.    1834;    Nap.   1835;    Fir.   1836; 

Fir.  18451. 
»  Perchè  '1  [Boi.  1824;  Fir.  1831;  Paer.lHU]. 
il  [Nap.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 
»  désti  [Boi.  1824;  Fir.  1831;  Faler.  1834]. 

*  désti  [Fir.  1831;  Paler.  1834] . 

*  Avesti  [Boi.  1824]. 
"  cara;  [Fir.  1845]. 

"  cruda  [Boi.  1824;  Fir.  1831;  Paler.  1834;  Nap.  1835;  Fir.  18::6; 

Fir.  1845]. 

*  Qui  l'ira  al  cor,  qui  la  piatale  abbonda:   [Boi.  1824]. 

„  „  pietade  [Fir.   1831;   Paler.  1834; 

Nap.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 

*  L'interrogativo,  dopo  soffrimmo,  vedesi  cancellato,  e  scritto  dopo 
intatto. 

**  Avéva  incominciato,  come  si  vede,  a  scriver  nostro. 


SUL   MONUMENTO   DI   DANTE  151 

Pugnò  ^  *  cadde  gran  parte  anche  di  noi,  ^ 
Ma  per  la  moribonda 
Italia  no,  ^  per  li  tiranni  suoi. 
Padre,  se  non  ti  sdegni,"* 

Cambiato  ^  quel 

Cangiato  se'  ^    da    qual  che  fosti  in  terra. 
Morian  '  fra  le  Rutene  ^ 

Orride^  piagge,  **  ahi  d^  d'altra  morte  degni, 
GÌ'  itali  prodi, ^^  e  lor  fea  Varia  aere  e  '1  ^^  cielo  *** 
E  gli  uomini  e  le  belve  immensa  guerra. 

a  squadre  a  squadre 

C  adeano  e  a  schiere  a  schiere 

maceri 

Semivestiti  ^~  e  squallidi  e  cruenti,  '^ 

Ed  era  letto  strato  letto  a  gli  ^^  egri  corpi  il  gelo. 

Allor  Allor,  quando  traean  l'ultime  pene, 


'  Pugnò,    [Fu:   1831;   Pater.    1834;    Xap.   1835;    Fir.   1838; 

Fir.  1845]. 
2  noi;  [Boi.  1824;  Paler.  1834]. 
noi:  [Fir.  1831;  Nap.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 

•''  no;  [Boi.  1824;  Fir.  1831;  Paler.  1834;  Xap.  1835;  Fir.  1845]. 

*  sdegni  [Roma  1818]. 

^  Mutato    [Boi.   1821;    Fir.    1831;    Paler.  1834;  Nap.  1835; 

Fir.    1836;  Fir.  1845]. 
«  s^i  [Nap.  1835;  i-^/r.  1836;  Fir.  1845]. 
^  .Uorla7i  [/^o»t«  1818]. 

^  per  le  rutene  [Boi.  1824;  Fir.  l>i'òl]  Paler.  1834;  Nap.  1835; 

i'^ir.   1836;  Fir.  1845]. 
»  Squallide    [Z^oZ.  1824;    Fir.  1831;  P«/er.  1831;  .Vai?.  1835; 

Fir.  1836;  Fir.  1845]. 
'"  ptrodi;    [Boi.   1824;    Fir.    1&31;    Paler.    1834;    .Ya^?.    1835; 

Fir.  1836;  Fir.  1845]. 
''il  [Naiì.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 

'^  Semivestiti,  [Boi.  1824;  Fir.  1831;  FaZer.  1834;  X/^j».  1835; 

Fir.  1836;  i-'ir.  1845]. 
"  crMe?i«i  [/ioZ.  1824]. 
'*  agli  [lioma  1818;  .V«2?.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 

*  La  virgola  dopo  pugnò,  nell'  autografo,  fu  cancellata  dall'Autore. 
**  La  virgola  dopo  piagge,  fu  prima  tolta,  e,  poi,  rimessa. 

*♦♦  La  virgola  dopo  cielo,  nell'autografo,  fu  cancellata  dall'Autore. 


152  SUL   MONUMENTO   DI   DANTE 

Membravan  ^  queste  questa  desiata  madre  ' 
Dicendo,  Oh  ^  non  le  nubi  e  non  i  venti  * 
Ma  ne  spegnesse  il  ferro,  e  pel  ^  tuo  bene,  ^ 

O  Italia  o  Italia  O  patria  da  te  rimoti,' 

O  jmtria  o  2)atria      nostra!"  Ecco     in    remoti, 

Quando  più  bella  gioventù  ci  ride,*^ 
Campi,  oh  quanto,  quando  l'età  meglio  ci  ride, 

Paesi,  oh  quanto  è  7  del  che  ne  divide,! 

A  tutto  il  mondo  ignoti  ^ 

Moriam  per  quella  gente  che  t'uccide. 

Lor  tristo 

Vide  lor  fall  fato  il  pallido  deserto  '° 

E  Borea  vide  borea  vide 

Eie  Ed  Aquilone       e  le  fischianti  selve. '^ 

Cosi  vennero  al  passo, 

E  i  negletti  cadev  cadaveri  al''-  aperto 

Su  per  quello  di  neve  orrendo'^  mare 

Sbranar  frementi  su  ^^e?'   V arduo   mare 


>  Membrando  [Nap.  1835;  Flr.  1836;  Fir.  1845]. 
«  mjidre,    [Boi.  1824;    Fir.    1831;    Pater.    1834;    Xaj).    1835; 

Fir.  1Mb]. 
3  Dicendo;  oh  [Boi.  1824]. 

Dicendo:  oh  [Flì\  1831;  Paler.  1834]. 

Diceano:  oh  [Na2).  1S35;  Fir.  183G;  i^'ir.  1845]. 

*  venti,    [Boi.    1824;    Flr.    1831;    Pater.   1834;    Xa2).   1835; 

i^ir.  1836;  i^^r.  1845]. 
'  per  [Xap.  1835;  Flr.  1836;  Flr.  184.5]. 
«  ìjene  [Boi.  1824: 
'  nostra.    [Boi.    Ì824;    Flr.    1831;    PaZer.    1834;    .Y./^?.    1835; 

i-^'r.  1836;  i-Vr.  1845]. 

*  Quando  più  bella  a  noi  l'età  sorride,  [Boi.  1824;  Fir.  1831; 

Paler.  1834;  .Y«i>.  1835;  i-^i'r.  1836;  Fir.  1845]. 
»  i>io<i',    [Boi.    1824;    PtV.    18*1;    7'aZer.    1834;    Nap.    1835; 

i-Vr.  18-6;  i'V'r.  1845]. 
'«  Ma  di  lor  fato  il  boreal  deserto  [Boi.  1824]. 

Di  lor  querela  „  „  [Flr.  1831;  P«Zer.  1834; 

Yajj.  1835;  Flr.  1836;  i-Vr.  1845]. 

''  E  conscie  fnr  le  sibilanti  selve.    [Boi.   1824;    Pir.    1831; 

Pater.  1834;  Ya^?.  1835;  Flr.  1836;  i'/r.  1845]. 

1-'  all'  [.Va^j.  1835;  P^'r.  1836;  Flr.  1845]. 

'^  orrido    (PoZ.    1821;    Flr.    1831;    PaZer.    1834;    Xaji.    1835; 

i'V.  1836;  Pi  r.  1845]. 


SUL   MONUMENTO    DI   DANTE  153 

Si  smozzicar  le 

Di   nere   orride  belve,  ^ 

E  fia  l'onor  de'  generosi  e  forti  - 

Ed  un  fia  7  nome  a  chi  verrei  de^  forti 

Pari  mai  sempre  ed  uno 

E  de  (fU  ec/ref/iy  ed    imo 

Con  quel  de'  tardi  e  vili. 

Z>e'  vili  e  Je'  vibahli.     Anime   care, 
Bendi'  ^  infinita  sia  vostra  sciaiira,  ^ 
Datevi  pace,  •'*  e  questo  vi  confv^rti 
Che  conforto  nessuno 

o 

Avrete  in  questa  e  no  1'  ^  età  futura. 
In  seno  al  vostro  smisurato  affanno 
Posate."  0  di   costei  veraci   figli, 

supremo 

Alain  Al  cui  lììartire  e  al       danno 

Il  vostro  solo  è  tal 

Forch  il  vostro  non  e  che  rassomigli.  ^ 

Di  voi  già  non  si  lagna 
La  patria  vostra,  ma  di  chi  vi  spinse 
A  pugnar  contra  lei  ® 
Si  ch'ella  sempre  amaramente  piagna 


'  Dilaniar  le  belve;      [Boi.  1824]. 
Dilacerar  „  [Flr.    1831;  Pater.  1834;  Xap.    1835: 

Flr.  1845]. 
Dilacerar  „  [Fir.  1836]. 

*  E  sarà  '1  nome  de  gli  egregi  e  forti  [Boi.  1824;  Fir.  1831; 

Pater.  1834]. 
r,       il       „       degli  „  „      [Xaiì.  1835;   Fir.  183G; 

Fir.  1845]. 
»  Ben  che  [Boi.  1824;  Flr.  1831;  Pater.  18-34]. 

*  sciagura,  [Xap.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 

'  2mce;  [Boi.  1824;  Fir.  1831  ;  Xap.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 

pace:  [Pater.  18^]. 
«  neti'  [Xap.  1835;  Fir.  1836;  Flr.  18-15], 
'  Posate  [Boi.  1824]. 
«  s'assomigli.  [.Vo^?.  1835;  Fir.  1836;  i-^'r.  1845]. 

*  tei,  [Xap.  1835;  /^iV.  1836;  Fir.  1845]. 
'»  t7  [xVa^^.  1835;  Flr.  1836;  i'^ù-.  1845]. 

"  lacrimar  [Xap.  18a5;  i'^iV.  1836;  Flr.   1845]. 


154  SUL   MONUMENTO    DI   DANTE 

Oh     di  costei  ^  che  tanta  verga  strinse  ^ 
Pietà  nascesse  in  core 
A  tal  de'  suoi  che  ^  affaticata  e  lenta 
Di  si  buia  ■*  vorago  -'  e  si  profonda 
La  ritraesse  !  ^  0  glorioso  spirto, 
Limmi,  ~  d'Italia  tua  morto  è  l'amore? 

Dimmi,  gran  la  vampa 

Dimmi  la  fiamma  che  t'accese  ^  è  spenta? 

Dimmi,  né  mai  ^  rinverdirà  quel  mirto 

Che  tu  festi  sollazzo  al  nostro  male?^^ 

E  saran  tue  fatiche  a  l'aria  sparte?  ^^ 

Né  sorgerà  mai  tale 

Che  ti  rassembri  in  qualsivoglia  parte? 

In  eterno  peri  la  gloria  nostra?  (  ,2 

E  non  d'Italia  il  pianto  e  non  lo  scorno  l 

Ebbe  n  *  verun  confine  ?  ^^ 

Io  mentre  vivo  viva  andrò ^ sciamando  intorno,*^ 

'  costei,  [Boi.  1824;  Flr.  1831;  Paler.  imi]. 
2  stri7ise,  [Boi.  1824;  Fir.  1831;  Faler.  1834]. 

Oh  di  costei  ch'ogni  altra  gloria  vinse  [Fir.  1845]. 
«  eh'  [Boi.  1824;  Fir.  1831;  Paler.  1834;  Nap.  1835;  Fir.  1836; 

Fir.  1845]. 

*  buja  [Rovi a  1818]. 

»  Di  si  torbida  notte  [Boi.  1824;  Fir.  1831;  Paler.  1334]. 
«  ritraesse.  [Boi.  1824]. 

'  Binimi:  [Fir.  1831;    Paler.   1834;   Nap.    1835;    i'^/r.    1836; 

Fir.  1845]. 

8  ^'accese,  [Roma  1818;  2?oZ.  1824]. 

Di:  quella   fiamma  che  t'accese,  [Fir.  1831;  Paler.  1834; 

iVa2>-  1835;  Fir.  1836;  Kr.  1815]. 

»  Di:   né  più    mai    [Fir.    1831;    Paler.    1834;    .Va^?.     1835; 

i^tV.  1836;  i'W.  1815]. 

'°  Ch'alleggiò  per  gran  tempo  il   nostro  male?   [Fir.  1831; 

Paler.  1834;  .Vce^^.  1835;  Fir.  1836;  i^ir.  1845]. 

*'  Nostre    corone    al    suol    fien    tutte    sparte?    [Nap.  3^35; 

Fir.  1836;  Fir.  1845]. 
''^    In   eterno    perimmo?    e    il    nostro    scorno    [Nap.   1835; 

Fir.  1836;  Fir.  1845]. 
''  Non  ha  verun  confine?  [Nap.  1835;  i'^ir.  1836;  Fir.  1845]. 
'^  tn^orjio;  [Fir.  1845]. 

*  Si  vede  chiaramente  che  voleva  scrivere  nessun. 


SUL   MONUMENTO   DI   DANTE  155 

Volgiti  a  gli'  avi  ^  tuoi,  guasto  legnaggio,  "^ 

Mira  queste  ruine  * 

E  le  carte**  e  le  tele  e 

Le  tele ,  e  i  marmi  ed  l  palagi  e  i  templi,  * 

E  se  le  carte  divine, 

qual  terra  premi,  " 

Pensa   che  terra  e  questa,  e  se  svegliarti  ^ 
Non  può  la  luce  di  cotanti  esempli," 
Che  stai?  levati  ^  e  parti. 

si  corrotta  usanza 

Non  si  conviene  ^  a  vostra  turpe  turpe 
Questa  d'eccelse  menti '^  altrice  e  scola: 
Se  di  codardi  ''  è  stanza,  '"- 
Meglio  r  è  rimaner  vedova  e  sola. 


1  agli  [Nap.  1835;  Fir.  1836;  Plr.  1815;. 

2  a'  padri  [Boi.  1824]. 

"  legnaggio;  [Boi.  1824;    Fir.   1831;  Paler.  1831;  Xajj.    1835; 

*  tèmpi  :  [Boi.  1824]. 
templi;  [Fir.  1831;  Nap.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 
templi:  [Paler.  1834]. 
^  preni]    [Fir.    imi]    Paler.    1834;    Nap.    1835;   Fir.   1836; 

Fir.  1845]. 
«  destarti    [Fir.   1831;    Pa^er.    1831;  JVajj.    1835;   Fir.  1836; 

i'^ir.  1845]. 
L'avite  ossa  rimembra,  e  se  destarti  [Boi.  1824]. 
'  Il  radiar  non  può  di  tanti  esempi,  [Boi.  1824]. 
«  levati  [Boi.  1824;  Fir.  1831;  Paler.  1834]. 
®  convien  [i?o?>ia  1818]. 

»"  (^ues^a  di  prodi  ingegni  [Boi.  1824;  i'^i'r.  1831;  PaZer.  1834]. 
„       d'animi  eccelsi  [Nap.  1835;  Fir.  1836;  PtV.  1845]. 
"  d'infingardi  [Fir.  1831;  Pa;er.  1834]. 
'^  stanza;  [Roma  1818]. 

*  Dopo   ruine,   nell'autografo,   era  una  virgola,  che  fa  cancellata 
dall'Autore. 

**  Anche  dopo  carte  la  virgola  fu  cancellata. 


AD  ANGELO  MAI 


Un  quadernetto  di  otto  facciate,  onde  le  due  ultime 
in  bianco  (copertina  verde). 


AD  ANGELO  MAI' 


Italo  ingegno,  -  a  che  già  ^  mai  non  posi  * 
Di  svegliar  da  le  ^  tombe 
I  nostri  padri?  e  a  favellar^  gli   meni 
A  questo  secol  morto  "  *  al  quale  incombe 

come 

Si  gran  "^  nebbia  di  tedio?  E  per  or  vieni 

*  Canzone  ]  di  |  Giacomo  Leopardi  j  ad  [  Angelo  Mai  [Bolo- 

gna MDCCCXX]. 

Ad  Angelo  Mai*  |  quand'ebbe  trovato  i  libri  |  di  Cicerone 

della  Repubblica  [Boi.  1824] 
Ad  Angelo  Mai,  |  quand'ebbe  trovato  i  libri  [  di  Cicerone 
della   Eepubblica.    [Fir.   1831;    Paler.    18M;    Na2i.    1835 

Fir.  1836;  F.r.  1845] 
2  ardito,    [Boi.    1824;    Fir.   1831;   Paler.   1834;    NajJ.    1835 

Flv.l^G)  Fir.  1815] 
^giammai  [i^'ir.  1831;    Paler.    1834;    Xop.   1835;    Fir.  1836 

Fir.  1845] 

*  pósi  [Boi.  1824]. 

posi  [Fir.  1831  ;  Paler.  I-M]. 
»  dalle  [Xa2i.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845], 
«  ed  a  parlar  [Xap.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 
'  morto,   [Fir.    1831;     Puler.   1834;    .V«^.    1835;    Fir.    183(5; 

i^ir.  1845]. 
»  Tanta  [Z?oZ.  1824;  Fir.  1831;  Pai.  1834;  iVap.  1835;  Fir.  1836]. 

*  Noli' autografo,    dopo    morto,   si  vede  una   virgola,  che  fu  can- 
cellata dall'Autore. 


160  AD    ANGELO    MAI 

Si  forte  a'  nostri  orecchi  e  sì  frequente, 
Voce  antica  de'  nostri  ^  * 
Muta  si  lunga  etade?  e  perchè  tanti 
Risorgimenti?  In  un  balen  feconde 
Venner  le  carte  f]  e  a  la  ^  stagion  presente 

I  polverosi  chiostri  ^ 

Serbaro  intatti  *  i  generosi  e  santi 

Detti  de  gli  ^  avi  f  .  E  che  valor  t' infonde  ^ 

II  cielo  ^  e  '1  fato,  italo  lidXo  illustre?  e  quale 
Tanto  avvivar  fu  degno  altro  mortale  ?  ^ 

Certo  S3nza  divino  ^^  alto  consiglio 
Non  è  ch'ove  più  lento 
E  grave  è  '1  ^^  nostro  disperato  obblio, 

percoter  rieda 

A  jjerciioter  ne  riecìe  ogni  momento 
Novo  grido  de'  padri.     Ancora  è  pio 


'  nostri,    [Fh\    1831;    Pater.   1834;    Naji.    1835;    Fir.    1836; 

Fir.  1815]. 
^  ]  a  la  [Fir.  1831;  Paler.  1834]. 

;  ali 2  [Xaj).  1835;  Fir.  183(5;  Fir.  1845]. 
"  Chiostri  [Boi.   mucccxx]. 

*  occulti    [Fir.    1831;   Faler.    1834;   Xap.    1835;    Fir.   1836; 

Fir.  1845]. 
«  degli  [Nap.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1815]. 
«  f  infonde,  [Boi.  1824;  Fir.  1831;   Paler.  1834;  Fir.  1845]. 
^  Cielo  [Boi.  MDCccxx]. 

«  Italo  egregio,  il  fato?  O  con  rumano  [Boi.  1824;  Fir.  1831: 

P«Zer.  1834;  .Y«^;.  1835;  Fir.  1836;  iPir.  1845] 

^  Valor  contrasta  il  duro  fato  invano?  [Boi.  1824;  i'^'r.  1831 

Paler,  1834] 
Valor    forse     contrasta    il     fato    invano?     [Nap.    1835 

i^ir.  1836;  Fir.  1845] 
1"  de'  numi  [Boi.   1824;    /^ir.    1831;  Paler.  18M;  A^.  1835 

Fir.  1836;  i^ir.  1845]. 
'^  il  [Nap.  1835;  /^ir.  1836;  Fir.  1845]. 

*  Dopo  nostri,  nell'autografo,  si  vede  una  virgola,  che  fu  cancel- 
lata dall'Autore. 


AD    ANGELO   MAI  161 

Dunque  a  1'  '•■  italia  ^  il  cielo,  ^  anco  si  cura 
Di  noi  qualche  immortale  ;  ^ 

nessun' 
Che  poi  eh'  è  questa  *  ^  o   verwi'  altra  poi 

L'ora  da  ripor  mano  a  la  ^  virtude 
Rugginosa  de  l' ^  itala  natura, 
Tanto  e  si  strano  e  tale  ^ 
È  '1  "^  clamor  de'  sepolti  ;  ,  e  de  gli  ^^  eroi 
Dimenticati  il  nome  si  ^'  dischiude, 
0  patria  o  patria,  anco  in  età  si  tarda  '^ 
Chiedendo  se  ti  giovi  esser  codarda.  '^ 
Spirti  sublimi,  ancor  di  noi  serbate  '* 
Qualche  speranza?  ^-^  in  tutto 

'  all'  [Xap.  1835;  Fir.  ISÒC,;  Flr.  1845]. 

''  Italia  [Boi.  1824;  Flr.  1831;  Fai.  1834;  Nap.  1835;  Fir.  183fi; 

Flr.  1845]. 
3  Cielo]  [Boi.  1824]. 
cielo;    [Fir.   1831;    Paler.    1834;    Nap.    1835;    Fir.    1836; 

Fir.  1845]. 
'  immortale:  [Boi.  1824;  i-^r.  1831;  P«Zcr.  18^4;  Nap.   1835; 

i^ir.   1836;  i'^^r.  1845]. 
''  Che  dov'  è  questa  [Boi.  1824]. 
Ch'essendo        „        [Fir.    1831;    P«^er.  1834;    .Ya^?.    1835; 

Fir.  1836  ;  i^'ir.  1845]. 
«  a^Za  [.V«jj.  1835;  Fir.  1836;  Fi'/-.  1845], 
^  delV  [Nap.  1835;  i^'i'r.  1836;  Fir.  1845]. 
**  Ve^giam  che  tanto  e  tale  [Flr.  1831;  Pai.  1834;  .Vrtj>.  18a5; 

i^^'r.  1836;  Fir.  1845]. 

"  i7  [i^i'r.  1831;  Pai.  1834;  .Yc/7>.  1835;  Fir.  1836;  i'^ir.  1845]. 

'"  che  [Fir.  1831;  P«Zer.  1834;  Nap.  1835;  i'VV.  1836;  i-'/r.  1845]. 

"  Dimenticati  il  suol  quasi  [Fir.  1831;  Paler.  1834;  .Ya/:>.  1835; 

Pir.  1836;  i^/r.  1845]. 

'-'  A  ricercar  s'a  questa  età  si  tarda  [Fir.  1831;  Pai.  1834; 

Nap.  1835;  Pir.  1836;  Fir.  1845]. 

'  '  Anco    ti    giovi ,    o    patria,    esser    codarda.    [Fir.     1831  ; 

Paler.  18'34;  Nap.  1835;  Pir.  1836;  Fir.  1845]. 

"  Noi  miseri  la  speme  aurea  non  fugge,   [Boi.  1824]. 

Di  noi  serbate,  o  gloriosi,  ancora  [Fir.  1831;  Paler.  1834; 
Nap.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 
'^  O  gloriosi?  [Boi.  1824]. 

*  Dopo  questa,  nell'autografo,  la  virgola  fu  cancellata  dall'Autore. 

11 


162  AD   ANGELO   MAI 

Non  slam  periti  ?  a  A  voi  certo  *  il  futuro 

io 

Ignoranza  non  copre:  Io  son  distrutto  ^ 

annientato 

Ed  annullato  dal  dolor,  che  scuro  ^ 

M'  è  l'avvenire,  e  tutto  quanto  io  scemo 

È  tal  che  sogno  e  fola 

P'a  parer  la  speranza.  Anime  prodi, 

Voi  non  sapete  a  che  siam  giunti?  È  morta  ^ 

Italia  vostra  ;  a'  vostri  figli  è  scherno  ^ 

E  d'opra  e  di  parola 

;  di  vostre  eterne  ^  lodi 

Ogni  valor .  Non  più  di  vostre  lodi 

Non  è  chi  pensi,  nullo  si  conforta,  ^ 

Si  cura  alcun  c?e'  nostri,  o 

Del  vostro  rimembrar,  che  di  viltade  ** 
Di  vostro  nome,  esemplo, 

Cile  noi  d'ignavia  esemplo  e  di  viltade 


'  forse  [Nap.  1835;  Flr.  1.S3G;  Flr.  1845]. 
^  Non  volano  i  destini:  altro  ohe  lutto  [Boi.  1824]. 
Conoscer  non  si   toglie.    Io    son   distrutto    []Sfa2y.   1835 

Flr.  1836;  Fir.  1845] 

^  Sdegnano    i  sensi  miei,   che  torbo   e   scuro   [Boi.  1824] 

Ed  annullato  dal  dolor,  che  scuro  [Flr.  1831;  Pcd.  1834] 

Né  schermo  alcuno  ho  dal  dolor,  che  scuro  [Xap.  1835: 

Flr.  1836;  Fir.  1845] 
*  A  i  tetti  vostri  inonorata,  immonda  [Boi.  1824;  Flr.  1831 

Pater.  18M] 
Ai  „  „  „         [Xap.  ISm;  Fir.  1^6 

Fir.  1845] 

^  Plebe  successe;  al  vostro  sangue  è  scherno   [Boi.  1824; 

Fir.  1831;  Pater.  1834;  Nap.  1835;  Flr.  1836;  Flr.  1845]. 

«  inclite  [Boi.  1824;  Flr.  1831;  Pater.  1834]. 

'  conforta  [Boi.  mdcccxx]. 

Tace  ritala  riva;  egro   circonda  [Boi.  1824;    Fir.   1831; 

Pater.  1834]. 
Né  rossor  più  né    invidia;    ozio    circonda    [Nap.    1835; 

i^ir.  1836;  Flr.  1845]. 
^  Ozio  le  tombe  vostre,  e  di  viltade  [Boi.  1824]. 

vostre;  „  [Vir.  1831;  Pa^er.  1834]. 

I  monumenti     vostri;  e  di  viltade  [A'a^j.  1835;  Fir.  1836; 

Fir.  1845]. 


AD   ANGELO    MAI  163 

Siam  tutti'  esempio  a  qualsivoglia 

N^of  siamo  a  questa  e  a  la  trascorsa  etade.  • 

Bennato  ingegno,  or  j)^''  quando  aìtrni  non  calo 
Do'  nostri  alti  parenti, 
A  te  ne  caglia,  a  te  cui  '1  fato  ^  aspira 
Benigno  si  *  che  per  tua  man  presenti 
Paion  que'  giorni  allor  che  da  la  •'  dira 
Obblivione  ^  antica  ergean  la  chioma  ' 
Con  gii  studi  ^  sepolti  ^ 
I  vetusti  divini  ^^  a  cui  natura  '^ 
Parlò  senza  svelarsi,  *-  onde  i  riposi 
Magnanimi  allegrar  ^^  d'Atene  e  Roma. 
Oh  tempi  ^*  oh  tempi  avvolti 

Xel  In  not  sonno  eterno!  '^  allora"^ 

III  ombra  eterna!  Aìlora       anco  immatura 


'  fatti  [Boi.  MDCCCxx], 

-  Siam  fatti  esempio  a  la  futura  etade.  [Boi.  1824;  Flr.  1831: 

Pater.  18S4]. 
„  alla  ..  [Xa2)- 1835;  Flr.  1830; 

Flr.  1845]. 
»  ciù  fato    [Boi.    1824:    Flr.    1831:  Faler.  1834;   NajJ.   1835; 

Flr.  1836;  Flr,  18451. 

*  sì,  [Flr.  1845]. 

"  dalla  [Xa2).  1835;  Flr.  183G;  Flr.  1845]. 
**  Obblivione  [Boi.  mdcccxx  ;  Boi.  1824;  Fir.  1831]. 
'chioma,    [Boi.    1824;    Flr.    ISSI  :  Pater.   1834;  iV««-    18B5: 

Flr.  1836  ;  i'^ir.  1845]. 
«  6'^«f?J  [i-'ir.  1815]. 

'  sejyoltl,  [Boi.  1824;  i^^'r.  1831;  Paler.  1834;  iV  ««.  1835;  i^ir.  183(^; 

/'à'.1815]. 
'"  i>;ymi  [5o^.  1824;  Flr.  1831;  PaZer.  1834]. 

dlolìil,  [Xaj).  1835;  /Vr.  1836;  Flr.  1845]. 
"  Natura  [Boi.  1824]. 
'-  Parlò  nò  disvellossi,  [Boi.  1824]. 

•^  allegrar    [Boi.   1824;    i'^ir.  1831;    /^«^('r.  1834;    Nap.  1835: 

i'^ir.  1845]: 
allegrar  [Flr.  1836]. 
"  /c/uj?;,    [i'Vr.    1831;    Pater.    1834;   AVm.    1835;    Flr.   1836; 

i''ir.  1»15]. 
'■'  eterno.  [Boi.  mdcccxx;  Boi.  1824;  Flr.  1831;  P.j^m  1834]. 
'  M/^om  f/?o/.  Mi.(((xx:   l}ol.  1821;    i-'ìr.  1831;    Pater.    18ìM; 
A«2>.  1835;   i-Vr.   1836;  Pir.  1845]. 

*  Forse  voleva  scrivere  ;  or  poi  che  altrui  ecc. 


l(ji  AD    ANGELO    MAI 

La  riiiiia  cV  Italia,  ^  anco   sdegnosi 

turpe, 

Eravam  d'ozio  vile,  e  l'aere-  a  volo 

da     questo 

Una  ^  favilla  ergea  dal  nostro  suolo.  ^ 
Eran  calde  le  tue  ceneri  sante, 

Intrepido  nemico  Indomito  Non  domito  nemico 

Fortissimo  nemico  Impavido  nemico 

masclUo    sdegno  e  dolore 

De  la  ^'  fortuna,  '''  al  cui  sdegno  e  dolore 
Fu  più  l'averno  '  che  la  terra  amico  ;  ,:^ 
L' a  verno  ;;'^  e  qual  non  è  parte  migliore 
Di  questa  nostra?  E  le  tue  dolci  corde 

Tremolavano  '"  Tremolavano  Sussurravano 

Trepidavano  ancora 

]>al  _  sfortunato  sfortunato  ** 

J)el  tocco  di  tua  destra  *^^  o  sventurato 
Amante.     Ahi  dal  dolor  comincia  e  nasce 

grava  pesa 

L'  italo    canto.      E   pur   men  '-  ^;e.9rt  e  morde 

'  [tallo,    [Boi.   1824;    Flr.    1881;    IWer.    1884;    Xap.    1885; 

^W.  1836;  i<^i)'.  1845]. 
-'  laura  [Xap.  1885;  Flr.  188(5;  Fir.  1845]. 
■'  Qualche  [Flr.  1881;  rale7\  1884]. 

^  Più    faville  rapia  da  questo  suolo.  [Xap.  1885  ;  Flr.  188'5  ; 

Flr.  1845]. 
■"•  Bella  [Xap.  1885:  Flr.  188' 5  ;  Flr.  1845]. 
•^  Fortuna,  [Boi.  1824]. 
"  l'Averìio  [Boi.  1824]. 

**  amico.   [Boi.    1824  ;    Fir.    1881  ;    Faler.    1884  ;    Xaj).    1885  ; 

Flr.  188r,;  Flr.  1845]. 
»  L'Aoerno:  [Boi.  1824]. 
L'aoerno:    [Flr.   1881;  2\der.  1884;  Xap.  1835;  Flr.  188G; 

Flr.  1845]. 
'"  Susurravano  [Flr.  1881;  Faler.  1884;  Xap.  1835;  i'^i'r.  1836; 

i'^ir.  1845]. 
''destra,    [Flr.  1881;    7Wer.    1834;    .V«^>.    1835;    Fir.  1836; 

i''ir.  1845]. 
>•-'  '//iè»i  [Z^o^.  1824;  Fir.  1831]. 
7;i6'n  [P«Zer.  1834]. 

*  L' Autore  dopo  destra  pose  da  iirima  una  virgola,  che.  poi,  can- 
celU"). 

"^^  Fu  riscritto,   non  già  per  pentimento,   si  bene  per  maggioro 
chiarezza. 


AD    ANGELO    MAI  105 

Il  mal  che  n'addolora 
sciaura 

La  sventura    che    7   tedio,    e   la      (lìmora 

Del  tedio,  ^  che  n'affoga. 
faticoso 

Pih  che  V arduo  cammino.     Oh  te  beato,- 
A  cui  fu  vita  il  pianto.'^  A  noi  le  fasce 
Cinse  la  noia,  e  siede  accan  accanto  il  nulla  "* 
Immoto  e  ne  la  tomba  e  ne  la  culla.  ■' 

Ma  tua  vita  era  allor  con  o-li  astri  e  '1  ''  mare. 
Ligure  ardita  prole, 

Quando'  oltre  a  le'  colonne^  ed  oltre  a  i^  liti'" 
Cui  strider  l'onde  a  1'  ''  attuifar  del  solo  '- 

Pareva  udir 

Parca  vicino  la  sera,  a  gl'infiniti'' 
.    Flutti  commesso,  ritrovasti  il  raggio 
Del  sol  '^  caduto,  e  '1  '•"*  giorno 

'tedio    [Boi.    MDCccxx:    Jhl.    1824:    /•'//•.    lsp,l  :   Palcr.  l^M 
Xa2i.  1SH5:  J-'ir.   IsHli:   /'/,■.  184;)] 
-'  h'?ato  \lìol.  MDCCCXX  ;  Boi.  1824J. 
■  iHo.nto!  \Naiì.  1^"^]  Flr.  18"36;  Flr.  1845]. 
'  (Jiiiso  il  fastidio  ;  a  noi  presso  la  culla  [/Jo/.  1824;  Flr.  18B1  ; 
Paler.  18M;  Xap.  1835;  Fir.  1836;  Flr.  1^5]. 

•  Immoto  siede,  e  su  la  tomba,  il  nulla.  \BoL  1824:  Flr.  1831; 

Fahr.  1834;  Nap.  1835;   Flr.  lHn\\  Flr.  1815]. 
'••  U  [Xaiì.  18:-55;  Flr.  1830;  Flr.  1845J. 

•  alle  [Xap.  18  55;  Flr.  1836;  Flr.  1845]. 

-  rnhnuir.   f/'Vr.  IsU  :    /V/c/-,    ls34':    Xap.    1835:    Flr.   1836; 

Flr.  1845]. 
'■'  al  [Xap.  18J5;   /''/:/•.   1H;!<;:   Flr.  I845j. 
">  un,  [Flr.  1&45]. 

"  aW  [Xap.  1835:  Flr.  1833;  Flr.  1845]. 

'-'  Cui  strider  parve  in   seno  a   l'onda  il  sole,  *  [Boi.  1824; 

Flr.  1831;  Paler.  1834]. 
'■'■  Xovo  di  prore  iiicarcd  a  i>rinfìniti  [/>o?.  1824;  i*^ir.  1831: 

Paler.  1834]  i 
Parve  ulir  su  la  sora.*^-  ai>'r infiniti  [Xap.  1835;  Flr.  1836; 

Flr.  1845]. 
"  Sol  [Boi.  lH2i]  Flr.  imi;  Xap.  1835;  /^V'r.  IS-VI:  /•';/•.  1815|. 
'•  Il  [Xaji.  1835;  Flr.  1836;  Flr.  1845]. 

•  Nelle  edizioni  di  Firenze  [i^i]  e  di  ì'<ilc,->.i<,  \\^;i].  dn]„>  snir  o\ 
ha  la  chiamata  della  nota:  [sole  (l),] 

**  Nelle  edizioni  di  Xuitoìi  [l&ió]  e  di    Firenze  \\<'A\   e  IST)!.    doi.o 
sera  è  la  chiamata  della  nota:  [sera  {2).\ 


1(J6  AD    ANGELO   MAI 

giunto 

Clie  nasce  allor  eli'  a  i  '  nostri  è  (l'ito     al  fondo  ; 
E  vinto  -  di  natura  ''  ogni  contrasto, 
Ignota  immensa  terra  al  tuo  viaggio 
Far  Fu  gloria,  *  e  del  ritorno 
A  i  ^  rischi.     Ahi  ahi  ^  che  '  conosciuto  il  mondo 
Non  cresce  ^  ma  ^  si  scema,  e  assai  più  vasto 
È  al  fanciullin  che  a  quello  a  cui  del  cielo  "^ 
Gli  arcani  e  de  la  terra  lian  perso  il  velo.  '^ 

Nostri  beati  sogni  ^-  ove  son  giti 
De  r ''Mg-noto  ricetto 

o  diurno 

D' ignoti  abitatori,  e  del    not  * 

De  gli  ^^  astri  albergo,  e  del  rimoto  letto 


'  al  [Paler.  1834;  Xap.  1835;  Flr.  183(3;  Flr.  1845]. 
-'  rotto  [Boi.  1821;  Flr.  1831;  Pai.  1834;  .Ya7).1835;  Flr.  1836; 

Flr.  1845J. 
•  Natura  [Boi.  1824;. 
•»  ;/lorla  [Boi.  1824].' 
■•  U/  [.VrtiJ.  1835;  Flr.  183G;  i-'ir.  18151. 

"  ahi,  [fio^.  1824;  i-'ir.  1831;  P«^.  1834:  AV^;.  1835;  Flr.  1836; 

i»'*)'.  1845^ 
'  lUca  [7ioZ.  1824;  Flr.  1831;  Faler.  1834;  A'ap-  1^^^;  ^'"'-  1^^ 

Flr.  18451 
'^  c/'e6'ce.  [Boi.  1824;  /'ir.  1831;  Pa^er.  1834;  Naj).  1835;  i^ir.  1836 

Flr.  1845] 
•'  anzi  [/j'o^.  1821:  Flr.  1831;  PaZer.  1834;  Xap.  1835;  Pir.  1836 

Pt'r.  1845] 
'"  L'etra  sonante  e  l-alina  terra  e  "1  mare  [Boi.  1824;  Flr.  1831 

Faler.  1834] 

U  [Xap.  1835;  PÌ>\  183(3 

Flr.  1845] 

"  Al  fanciullin.    clic    non    al  sag^io,*--=  appare.  [Boi.  1824 

Flr.  ISòi;  Faler.  1834;  Xap.  1835;  Pir.  1836;  Pir.  1845] 

'-  Nostri  sogni  leggiadri  [Xap.  1835;  Flr.  1836;  Pir.  1845] 

>••  DjW  [.Vrt^>.  1835;  Flr.  1836;  Pir.  1845]. 

'^  Degli  [Xap.  1835;  /'«r.  183(3;  Flr.  1845]. 

*  È  chiaro  olio  volca  scriverò  ììottìirno. 

***  Dopo  siKjdio  nella  sola  o<Iiziono  di    />,iì,'rii)o  non  ci  ha  la  vir- 
gola. 


AD    ANGELO    MAI  167 

De  la  ^  giovane  aurora,  "  e  del  notturno 

Occulto  sonno  del  magfì-ior  pianeta?  * 

Sete  svaniti  a  un  punto.  ^ 

Ecco  tu  **  descritto  il  mondo  in  breve  carta,  ^ 

Ecco  tutto  è  simile,  ^  e  discopi'endo,  ^ 

Solo  il  nulla  s'accresce.     A  noi  ti  vieta 

Il  vero  appena  è  giunto, 

0  caro  immaginar;  da  te  s'apparta 

Nostra  mente  per  sempre;,  a  lo  stupendo" 

Poter  tuo  primo  ne  sottraggon  gli  anni,  '"^ 

E  rifugio  non  resta  a  i  nostri  aiFanni.  ^ 

Nascevi  a'  ^^  dolci  sogni  intanto,  e  '1  "  piimo 
Sole  splendeati  in  vista,  *** 

^  Della  [Nap.  1835;  Flr.  1836;  Fir.  1845]. 
^Aurora,    [Boi.   1824;    Flr.   1831;  Paler.  1834;  Xap.    1835; 

Flv.  1836;  Flr.  18-45]. 
^  Ecco  svanirò  a  un  punto,  [Boi.  ISil:  Flr.  1831;  Fai.  1834; 
Nap.  1835;  Flr.  1836;  Flr.  1845]. 
■*  E  figurato  ò  '1  mondo  in  breve  carta:  [Boi.  1824]. 
„  „  „  carta,  [Fir.  1831; 

Paler.  1834]. 
„  il  „  carta]    [Nap.  1835; 

Fir.  1836;  Fir.  1845]. 
-  simile,  [Fir.  1831;  Pai.  1834]. 
«  ritrovando,   [/^oZ.  1824]. 

'  Nostra  mcute  in  eterno;  a  l'ammirando  [Boi.  1824]. 
„  „  „         a    lo    stupendo    [Firenze   1831 

Paler.  1834] 
„  „  „         allo         „  [Xap.  1835;  i^ir, 

1836;  Flr.  1845] 
"  «ma';  [Nap.  1835;  i''^;-.  1836;  J'i'r.  1845]. 
"  f]  il  co-iforto  peri  de'  nostri  affanni.  [Boi.  1824;  Flr.  1831 
PaZer.  1834;  Nap.  1835;  i-'t'y.  1836;  i'^r.  1^45] 
'"  a  [Boi.  MDCccxx]. 

ai  [Nap.  1835;  Flr.  1836:  Flr.  1845]. 
"  i7  [xYajp.  1835;  Flr.  183fi;  i^ir.  1845]. 

*  Nelle  edizioni  di  i'Yye»re  [1831],  di  Palermo  [1834],  di  A«i?o?«  [Is^So.] 
e  di  Firenze  [1836  e  1845],  dopo  pianeta  ci  è  la  chiamata  della  nota: 
[pianeta  (2)  f]  e  [pianeta  {s)f]. 

**  Volea  scrivere  cortamente:  tatto 

***  Nell'autografo  dopo  vista  si  vede  una  virgola,  die  fu  cancel- 
lata, e,  poi,  rimessa  dall'Autore. 


1G8  AD    ANGELO   MAI 

arme 

Cantor  vago  de  V^  anni  e  de  gii-  amori  ^ 

Ch'oche 

Che      in  età  de  la  *  nostra  assai  men  trista 

Empier"^  la  vita  di  felici  errori:^' 

Nova  speme  d'italia.  "  0  torri  ^  o  celle  ^ 

0  donne  ^^  o  cavalieri  '^ 

0  giardini'"  o  palagi,  ^'^  a  voi  pensando^'* 

In  mille  vane  amenità  si  perde 

L' ingegno  mio.  '^     Di  vanità,  di  belle 

Fole,  '°  e  strani  pensieri 

Si  componea  l'umana  vita: 

L'umana  vita  era  composta;    in  bando 

Gli  ^~  cacciammo:  or  che  resta?  or  poi  che  '1'*^ 

[verde 


'  dell'  [Nap.  1835;  Flr.  1836;  Flr.  1845]. 

2  degli  [Xap.  1835;  Flr.  1836;  Flr.  1815]. 

3  amori,  [Xap.  1885;  Fir.  1836;  Fir.  1845], 

*  delia  [Boi.  mdcccxx;  .V«p.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1815]. 
•^  Empier  [Fir.  1836]. 
«  errori;  [Paler.  1834]. 

'  d'Italia.  [Boi.   1821;    Fir.    1831;  Paler.    1834:  X^p.    1835; 

Flr.  1836;  Fir.  1845]. 
"  torri,  [Fir.  1831;  P«^.  1834;  Xaj).  1835;  i^ìr.  1836;  F^J^  1845], 
»  ce/^e,  [Fir.  1831;  Pai.  1834;  .Yajj.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 
>o  ^?o«ne,    [Flr.    1831;    P<r.er.    1834;    iVaj9.    1835;    Flr.    1836; 

Fir.  1845]. 
'1  cavalieri,    [Fir.  1831;  PaZer.  18 M;    A7r^).    1835;  /^'ir.   1836; 

Flr.  1845]. 
'■-  qlardlnl,  [Flr.  1831;  Paler.  1834;    A'a^).    1835;    Fir.   183(5; 

Fir.  1845]. 
'^  palagi!  [Flr.    1831  ;  P«Zer.    1834;    A7rjj.    1835;    Fir.    1836; 

Flr.  1845J. 
1*  ^9eiz5a7i^?o,  [/?oZ.   1824;    Fir.   1831;  P«Zer.  1834;   .Ya^j.  1835; 

Flr.  1836;  Fir.  1845]. 
'•^  La  mente  mia.  [Flr.  1831;  Pai.  1834;  .Va^j.  1835;  Fir.  1836; 

Flr.  1815]. 
"^  /'o^c  [Boi.  1824;  Fir.  1831;  Pa^er.  1834;  Naj^.  1835;  Fir.  1836; 

Flr.  1845]. 
'"  X^  [.Va^j.  1835;  Flr.  1836;  Fir.  1845]. 
»«  t7  [.V«^j.  1835;  Fir.  1836;  Flr.  1845]. 


AD    ANGELO   MAI  100 

È  rapito  a  le  cose?^  il  ^  certo  e  solo 
Veder  che  tutto  è  vano  altro  che  '1  "  duolo. 

0  Torquato  ^  o  Torquato,  a  noi  promesso  •"' 
Eri  tu  allora,  ^  il  pianto  " 
A  te,  nuir altro  prometteva  il  cielo.  ^ 
0  ^  misero  Torquato,  ^'^  il  dolce  canto 
Non  valse  a  consolarti,  '^  o  a  sciorre  il  gelo 

Onde  l'alma  t'avean'-'  ch'era  si  calda''* 

C7f'  a,  l'alma 

Di  che  il  cor  ti  cingea 

Onde  il  cor  ti  cingea 

Cinta  l'odia  e 

Ch'era  sì  calcio^  i  neri  odi  e    l'immondo 

Rancar  del  volgo      Livor  privato 
Jìagg  ricchi  atri 

Livor  privato  e  de'  ^"^  tiranni.    Amore, 


»  È  spogliato  a  le  cose?  [Boi.  1824;  Flr.  1831  ;P«Zer.  1834]. 
alle        .       [Xaj}.  1835;  Flr.  183G;  Flr.  184oJ.' 
2  II  [Xa2>.  1835;  Flr.  1836;  Flr.  1845]. 
^  il  [Xap.  1835;  Flr.  1836;  Flr.  1845]. 

'   Torquato,   [Flr.  1831;   Faler.  1834;  Xap.    1835;   Flr.  1826; 

Flr.  1845]. 
•  l'eccelsa  [Xap.  1835:  Flr.  1836;  Flr.  1845]. 
«  allora;  [Boi.  1824;  Flr.  1831;  Faler.  1834]. 
'Tua  mente    allora,    il    pianto    [Xap.    1835;    Flr.   18;-36; 

i'^ir.  1845]. 
•*  A  te,  non  altro,  prometteva  il  Cielo.  [Boi.  1824]. 

„  „  cielo.    [i^iV.  1831;  P«Z.  1834]. 

„  ,  preparava  „         [Xap.  1835  ;   Flren. 

1836;  Flr.  1845]. 
»  Oh  [Boi.  1824:  i-Vr.  1831;  Pai.  1834:  A^^j.  1835;  i-^ir.  1336; 

Flr.  1845]. 
'"  Torquato;  [Boi.  1824;  i-^/r.  1831;  P«7e?\  1834]. 

Torquato!  [Xa2ì.  1835;  i''ù\  1836;  Flr.  1845]. 
1'  consolarti  [Boi.  1824:    Ft'r.    1831;  P«Zer.   1834;   Xap.  I.s;i5: 

Fir.  1836;  Flr.  1845]. 
'•-'  ray^««,   f/io/.    1824;    Flr.   1831;  Pa/er.   1834;   Xap.   1835; 

PiV.  1836;  i''ir.  1845]. 
''  calda,  [Boi.  1824:  Flr.  1831:  Pa^cr.  183^i:  A«^>.  1835:  Flr.  18:^6; 

/•'//■.1S15. 
'*  privalo  de'  [Pi;-.  1836]. 


170  AD    ANGELO    MAI 

o 

Amor  ^    di    nostra    vita    ultima  .s-^  *  inganno  - 

T'  abbandonava.     Ombra  reale  e  salda 

Ti  parve  il  nulla,  e  '1  '^  mondo 

'fi  Tutto  un  deserto.     Onor  die  giova  a  un  core  * 

Sj  già  Poi  che  d' inganno  sollievo  uscio  ?  morie  non  sorte  non  danno  " 

Folto  d'error?  Sollievo  a  te  non  danno 

L'estrema  ora 
Estrema  vita 
Jj'ultim'ora 

Ma  ventura    ti  fu.  ^     Morte  domanda 

Chi  '1  nostro  ~  mal  conobbe,  e  non  ghirlanda. 

Torna  torna  fra  noi,  sorgi  dal  muto 
E  sconsolato  avello  ^ 

Se  vuoi  strider  d'angoscia,  "  o  miserando 
Esempio  '®  di  sciaura.  ^^     Assai  da  quella  quello  ^- 
Che  ti  parve  si  mesto  e  si  nefando  ^^ 

'  Amor,  [Boi.  1821;  /'i'r.  1831;  Paler.  1834;  Nap.  1835;  Fir.  1836; 

Fir.  1815]. 
■'  lufjanno,    [Boi.   1824:    Fir.   1831;  Faler.  1834;    Nap.   1835; 

Fir.  183G;  Fir.  1815]. 
'  il  [Nap.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845J. 

■*  Inabitata  piaggia.  Al  tardo  onore  ='*  [Boi.  1824;  Fir.  1831; 
Paler.  1834;  Nap.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 
•"'  Xon  sorsor  gli  occhi  tuoi  ;  mercè,  non  danno,  [Boi.  1824  ; 
Fir.  1831;  P«Zer.  1834;  Nap.  1835;  j^'ir.  1836;  Fir.  1845]. 
«  L'ora  estrema  ti  fu.  [Nap.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 
'  Chi  nostro  [Boi.  1824;  Fir.  1831;  Paler.  1834;  Nap.  1835; 

Fir.  1836;    Fir.  1845]. 
•*  «ocZ^o,    [J5o;.    1824;    Fir.   1831;  PaZer.  1834;    .Y«jj.    1835; 

Fir.  1836  ;  i^^r.  1845]. 

''  Se  d'angoscia  se'  vago,  [Boi.  1824;  i-^ir.  1831;  Paler.  183^1]. 

sci       „      [.Y«2'-  l^^ò;  i-'ir.  1836;  i-Vr.  1845]. 

'"  Esemplo  [Boi.    1824;    i-Vr.  1831;  Paler.  1834;   .Y«^j.    1835; 

Fir.  1836;  i^^i'r.  1845]. 
"  sciagura.  [Nap.  1835;  i'^/r.  1836;  Fir.  1845]. 
'^  (^ueZL,  [^oZ.  1824;  Fir.  1831;  Pa^er.  1834]. 
'^  nefando,    [Boi.    1824;  i^^ir.  1831;   Paler.  1834;  Ya^?.  1835; 

Fir.   1836;  PiV.  1845]. 

*  V'olea  scri\-cre  eertnmente  :  stella 

**  Uopo  onore,  nelle  edizioni  di  Napoli  [1835]  e  nelle  due  edizioni 
fiorentine  [1836  e  1815],  ci  ha  la  chiamata  della  n.ota:  [onore  (4)\ 


AD    ANGELO    MAI  171 

È  peggiorato  il  viver  nostro.     0  caro, 

Chi  ti  compiangeria, 

Se  ^  fuor  che  di  se  stesso  ^  altri  non  cura  V 

Chi  stolto  non  direbbe  il  tuo  mortale 

Affanno  anche  oggidì,  se  '1  ^  grande  e  '1  '  raro 

Ha  nome  di 

Or  si  chiama  follia,  '' 

\è  livor  più  ^  ma  ben  più  grave  e  dura' 

La  noncuranza  avviene  a  i^  sommi?  o  quale, 

s'  ascolta , 

Se  più  de'   carmi,  il  computar  ascoltar 
T'  ^  appresterebbe  il  lauro  un'altra  volta? 

Da  te  fino  a  quest'ora  uom  non  è  sorto,  "^ 
0  sventurato  ingegno,  '^ 
Pari  a  1'  ^'  italo  nome,  altro  ch'un  solo, 
Solo  di  sua  codarda  etate  indegno 
AUobrogo  feroce,  a  cui  dal  polo 
Maschio  valor,  non  già  da  questa  mia  ^  ' 

'  Se,  [Boi.  1821;  Flr.  1831;  Paler.  1834;  X«^7.  1835;  Flr.  1836; 

Fir.  1815]. 
2  stesso,     [Boi.    1824;    Flr.    1831;  Paler.    1834:    Xap.    1835; 

Fir.  183(5:   Fir.  1845]. 
•'  il  [Xap.  1835;  Fir.  mòG-  Fir.  1845]. 
*  il  [Xaj).  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845^. 

\follia]    [Boi.    1824;    Fir.    1851;   Paler.   1834;    Xaj.    1835; 

Fir.  1836;  Fir.  18-15]. 
Or  si  chiama  follia,   [Boi.  mocccxx]. 
"  xnU,  [Boi.  1824;  i^'ir.' 1831;  Paler.  1834:  X«y>.  1835;  Fir.  1836; 

Fir.  1845]. 
'  ma  ben  di  lui  più  dura  [Boi.  1824;  Fir.  l^òi]  Paler.  1834; 
.Vrt2>.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 
«  «i  [.Y«^^.  1835;  Fir.  1836;  F/r.  1845]. 

"   Ti  [Boi.  1824;  /-'in  1831;  Pai.  1834;  .Ya^?.  1835;  Z-'n-.  1836; 

Fir.  1845.] 
"^  «o/-<o  [Boi.  1824:   /-Vr.  1881;  P«Zer.  1834\ 
"  (0  sventurato  iwjer/no),  [Boi.  1824;  Fir.  1831;  /V«Zcr.  1834]. 
•-'  air  [Xap.  1835;  i-'ir.  183(3;  i-Vr.  1845]. 

"  Disusata   virtù,    non  da  la  mia    [Boi.    1824;  Fir.    1831; 

Pa^cr.  18H4]. 
Maschia    virtù,    non    già    da    questa    mia      [Xap.    1835; 

Fir.  1836;  /''ir.  1^45]. 


172  AD    ANGELO   MAI 

Stanca  ed  arida  terra, 

inerme  - 

Scese  nel  petto;  ^   onde  privato,  inerme, 
(Memorando  ardimento)  in  su  la  scena 

almen 

Mosse  guerra  a'  tiranni;  Aìmev  si  dia 
Questa  misera  guerra 

A  le  schiacciate  genti. 

E  questo  vano  campo  a  Tire  inferme-' 
Del  mondo.  Ei  primo  e  sol  dentro  a  V  ^ 
Scese,  e  nullo  il  segui,  che  ^  l'ozio  e  'H'  brutto 
Silenzio  or  preme  ai"  nostri  innanzi  a  tutto. 

Disdegnando  e  fremendo,  immacolata 
Trasse  la  vita  intera, 
E  morte  lo  scampò  dal  veder  peggio. 
Vittorio  mio,  questa  per  te  non  era 

suolo. 

Età  ne  ser/f/io.     Altri  anni  ed  altro  seggio 

E  d'uopo  ^ 
Son  d'uopo 

È  cViiopo  a  gli  ^  alti  ingegni.     Or  di  riposo 
È  vaso  il  mondo.  '*^  e  scorti 


'       „  „    coro,       [Bùi.  miA:]  Fh\  \mi:  Palcr.mM]. 

Tonno  n(-l  inetto;  [Xap.  1835;  Fir.  ISBG;  Flr.  1845/. 
-  inenne,    [Fir.    18B1  ;    Paler.  1834;    Xap.  1835;    Fir.    1830; 

Flr.  1815]. 
^  E  questo  vano  campo  a  l'ire  infermo  [Boi.  1824;  Flr.  1831; 

Falcr.  1834]. 
air  ^         [X«i>.  1835;  T^Vr.  1830; 

Flr.  18451. 
'^  alV  [Xap.  1835:  Flr.  1836:  Flr.  1845]. 
•■  che  [Boi.  1824;  Flr.  1S)M{  Paler.  18'31]. 
•'  il  [Xap.  1835:  Flr.  1830;  Flr.  1845]. 
'  ai  [Xajì.  1835:  Flr.  1836;  Flr.  1845]. 

"^  Conviene  [Boi.    1824:    Flr.    1831;  Paler.  1834;  Xap.    18-^): 

Flr.  1830:  Flr.  1845J. 
»  arjll  [Xap.  1835:  Flr.  1S30:  Flr.  1845]. 

"^  Pao-hi  viviamo.  \B>1.  1821:  /''//•.  1S31:  Paler.  ISÒi;  Xap.  1835: 

/VV.  1830;  i-Vr.  18451 


AD    ANGELO    MAI  173 

Siam  da  mediocrità;  sceso.*  è  '1  sapiente^ 

E  salita  è  la  turba  a  un  sol  confine  - 

Che  '1  ^  mondo  agguaglia.     0  scopritor  famoso, 

Segui,  *  risveglia  i  morti/'  , 

arma 
ergan 

Poi  che  dormono  i  vivi,  ^  apri  le  spente 

Glorie  Lingue  in  fine 

Voci  de''       de'  prischi   eroi,  ~    tanto  che  infi  .  .  .■•'^ 

o  vita  agogni 

Questo  secol  di  fango  o  lode  a  .  .  .*** 

atti  illustri, 
alti  fatti 

E    sorga  ad  cdte  gcste     o  si  vei-gogni. 


'  l)a  mediocrità:    seeso  il    saijiente  [Boi.  1S24:]   Fir.  1881; 

Faler.  1834:    Xap.  1835;  Fir.  183G;  Fir.  1845]'. 

''  confine,    [Boi.    Ib24;    Fir.    1831;    Faler.  1834;  Nap.   1835; 

Fir.  1836;  Fir.  1845J. 
■•  Il  [Nap.  1835;  Fir.  183G;  Fir.  1845]. 

•*  Senili  ;  [Boi.  1824;  Fir.  1831;  Faler,  1834;  Nap.  1-35;  i-^/r.  183G; 

i-^ir.  1845]. 
''  morti,  [Boi.  1824;  Fir.  1831;  Pa^er.  1834;  .Y«^j.  1835;  Fir.  1836; 

Pir.  1845]. 
"  vivi  ;  [i/oZ.  1824  ;  Fir.  1831;  PaZer.  1834  ;  Fir.  1835  ;  Pir.  1836  ; 

Fir.  1845]. 
'  eroi;  [Boi.  1824;  i^'i>-.  1831;  Faler.  1834;  i-Vr.  1835;  Pi'r.  1866; 

Fir.  1845]. 
^^  Nel  testo  della  edizione  di  Bologna  [mdcccxx]    leggesi  :  "  6eco   è'I 
apicnte  n  ;  ma  a  pag.  17  si  trova  questa  : 

Errata  '  Corrige 

pag.  16.  Vers.  8.  seco  sceso 

**  È  chiaro  che  stava  per  iscriverò  :  infine 
*"■'*  Avea  prima  scritto:  o  lode  agogni 


LA  SERA  DEL  GIORNO  FESTIVO 


IDILLIO. 


Dal  tomo    VII- Vili   dello  Mitsccllance   manoscritte    fpag^ 
127-12{)j  della  contessa  Paolina. 


LA  SERA  DEL  GIORNO  FESTIVO. 


Dolce  e  chiara  è  la  notte  e  senza  vento, 
E  queta  in  mezzo  agli  -  orti  e  in  cima  a  i  -^  tetti 
La  luna  si  riposa  ^  e  le  montagne  ^ 
Si  discopron  da  lungi.  ''     0  donna  mia, 
Già  tace  ogni  sentiero,  e  pe'  ~  balconi 


*    LA    SERA    DEL   GIOKXO    FESTIVO 
IDILLIO    II. 


XII. 

LA    SERA 

DEL    GlOnXO    FESTIVO. 

XIII. 
LA    SKIIA 
DEL    DÌ    DI    FESTA. 


[.Y.  Rico(jl.  1825;  Boi.  182G]. 


[Flr.  isHi:    Palcr.  ISai]. 


[Nap.  18;i5;  Flr.  18ì5(3:  Flr.  18  lo]. 
■'  a  1)11  [X.  Rlcogl.  1825;  Boi.  1826;  Flr.  1831;  Paler.  1834]. 
■'  e  sovra  i  [Flr.  1831  ;    Palcr.  1834]. 

E  queta  e  sovra  i  tetti  e  in  mezzo  a^li  orti  [Xaj).  ÌSÌò]. 

„     queta  sovra  „  ^  [Fir.  im^:  Fir.lSXò]. 

*  rljìom,  [N.  Blro;jL  1S27>-,  Boi.  1820;  i^'ir.  1831;  /^7Ìer.  1834]. 

•  Posa   la   lima,   o  di  lontan  rivela  [Xnp.  1835;  Flr.  183<i; 

'  Fir.  18-15]. 

"  Sm-ona  oo,ni  moutaiifiia.  [Xaj).  18:^5;  /-Vr.  183fi;  Flr.   181.5]. 

■  i>rl    |.V.    RlnyjL    1825;   Boi.    1820;   Flr.   1831;   Paler.  18 VI; 

.V«2>.  1835; /-Yr.lSSGj  i'^fr.  1845]. 


178  LA    SERA    DEL   GIORNO    FESTIVO 

Rara  traluce  la  notturna  lampa:  ^ 

Tu  dormi,  che  -  t'accolse  agevol  sonno 

Ne  le  ^  tue  chete  stanze,  ^  e  non  ti  morde 

Cura  nessuna:"*  e  già  non  pensi  o  stimi *^' 

Quanta  piaga  m'apristi  in  mezzo  al  petto. 

E  bene  sta,  che  amor  da  poi  eh'  io  nacqui      \ 

Non  ebbi  né  sperai  né  merto.     Il  cielo  / 

Io  qui  m'affaccio  a  salutare,  il  cielo  i  ' 

Che  mi  fece  al  travaglio.     A  te  la  speme       ) 

Nego,  mi  disse,  anche  la  speme,  ^  e  d'altro 

Non  brillin  gli  occhi  tuoi  fuor  che  "  di  pianto. 

Questo  di  fu  solenne  ;  ^^  or  da'  trastulli 

Prendi  riposo,"  e  forse  ti  rimembra 

In  sogno  a  quanti  oggi  piacesti,  e  quanti 

Piacquero  a  te;^-  non  io  certo  giammai  ^-^ 

'  Lampa.  [Palcr.  1834]. 
■'  che  [X.  Rlco'il.  1825;  Boi.  182G]. 
■'  Nelle  [Xap.  1885;  Fir.  1831 J;  Flr.  1845]. 
'  stan-e;  [X.  likonl.  1825;  Boi.  182() ;  Flr.  1831;  Palcr.  1834; 
Xap.    1835;  Fir.  1830;  Fir.  18451. 
'"  nt'.^iitnt,-  [X.  Rlcogl.  1825;  Boi.  182G;  Fir.  1831;  Paler.  1834; 
Xap.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845J. 
•^  ;  o  già  non  sai  nò  pensi  [Xaxì.  1835;  Fir.  183);  Fir.  1815]. 

[   Tu  dormi:  io  questo  ciel,  che  si  benigno 

\  Appare  in  vista,  a  salutar  m'affaccio, 

»  E  Fantica  Natura  *  onnipossente, 

f  Che  mi  fece  a  1'  **  affanno.    A  te  la  speme 

\X.  Rl'onl.  1825;  Boi.  182G;  Fir.  1831;  Paler.  1834;  Xap.  1835; 
^  Fir.  1836;  Fir.  1815]. 

«  smvie;  \X.  Rico  il.  1825;  Boi.  1826;  Fir.  1831;  Pa^er.  1834; 
.V.^^^.    1835;  Fir.  1836;  Fir.  1815]. 
»  s^  non  [Xap.  1835;  Fir.  ISBG;  Fir.  1845]. 
'"  solenne:  [X.  Riconl.  1825;  Boi.  182(3;  Fir.  1831;  Paler.  1834 
Xajy.    1835;  Fir.  1833;  i^'ir.  1845] 
"  rl]>o^o;   [Boi.   1823;    /'ir.    1831;    Paler.    1831;    AV^^a    18B5 

Fir.  1836;  i''ir.  1845] 

'2  te:   \X.    inco'jl.   1825:   7?oZ.   1826;   Fir.  1831;    7^rt^er.   1834 

A^a^.  1835;  i^iV.  183(i;  i^'ir.  1845] 

'^  ;  mn  io,  non  già,  ch'io  speri,  [Xap.  1835;  Fir.  1836]. 
r/ià  „  [Fi/-.  1^45]. 

*  ììatura  [Fir.  1831:  r<iìor.  1831:  AV^p.  ,1835;    iV;-.    1836;    Fir.    1815], 
**  fd/'  [Xax>.  1S35;   /•'/,•.   Is;ii;     /••//•.  is^ò]. 


45].  i 


LA   SERA   DEL   GIORNO   FESTIVO  179 

Ti  ricorro  al  pensiero.  '     Intanto  io  chieggio  - 
Quanto  al  ^  viver  mi  resti,  e  qui  per  terra 
Mi  getto  e  mi  ravvolgo.  "*     Oli  ''  giorni  orrendi 
In  cosi  verde  etate  !     Ahi  ^  per  la  via 
Sento  ~  non  lunge  il  solitario  canto 
De  1'  ^^  artigian  ^  che  riede  a  tarda  notte  "^ 
Dopo  i  sollazzi  "  al  suo  povero  ostello.  *- 
E  fieramente  mi  si  stringe  il  core  ^-^ 
A  pensar  come  tutto  al  mondo  passa 
E  vestigio  ^^  noQ  lascia.     Ecco  è  fuggito 
Il  di  festivo,  ed  al  festivo  il  giorno 
Volgar  succede,  e  si  travolge  ^''  il  tempo 
Ogni  umano  accidente.     Or  dov'  è  '1  ^*"  suono 
Di  que'  popoli  antichi?  or  dov'è  'P'  grido 

'  Al  pensier  ti  ricorro.  [N'j.p.  1835;  Flr.  1330;  Flr.  1815]. 
-  ohie.o;^!  [S'ap.  1835;  Flr.  1830;  Flr.  1845]. 
3  a  [.V.  Iil,'o;jl.  1S25;  Boi.  1826;  Flr.  1831;  Paler .  1834; 
Xap.  1835;  Flr.  1830;  Flr.  1845]. 
^  Mi  gfìtto,  e  grido,  e  fremo.  [.Y.  Eacogl.  1825;  Boi.  182:'); 
i^Vr.  1831;  Paler.  1834;  .Yaj>.  lSa5;  Flr.  1836;  Flr.  1815]. 
•^  0  [Flr.  1845]. 

^  Ahi,    [Boi.    1826;    Flr.    1831;    Faler .    1834;    Xap.    18.35; 

Flr.  1830;  Flr.  1845]. 
■  Odo  [Ar«27.  1835;  Flr.  1836;  i^^^r.  1845]. 
**  IJcll'  [Xa]).  18a5;  /W.  1836;  Flr.  1845]. 
»  artljlan,  [Boi.  1826;   /'ir.  1831;    /V^Zcr.    1834:    Xap.   1835; 

/•'ir.  183(5;  /''ir.  1845]. 
""  notte,    [Boi.    1820;    /^y.    1831;    Paler.    1834;    .Ya^^.    1835; 

Flr.  1836;  i^Vr.  1845]. 
"  so/ Lizzi,    [Boi.  1820 ;    /-'ir.   18  51:    Pulcr.   1834;    .Y«2>.    1835; 

Fir.  18-,36;  Flr.  1845]. 
'■-  o.*/eZ/o;    [Hol.    1826;    Fir.    1831;    At^er.    1834;    Xaj».    1835; 

/''ir.  1836;  Flr.  1845]. 
"  *;ore,    [/^ir.    1831;    Paler.    1834;    .Yaj>.    1835;    /^ir.    1830; 

Flr.  1845]. 
'*  E    quasi  orma   [.V.    Plrofjl.    1825;    Boi.  1826;   i^'ir.  1831; 
7'a^er.  1834;  xYa^A  1835;  Flr.  183f);  /'ir.  1845]. 
"•  .0  so  no  porta  [.Ya;:».  1835;  /'ir.  ISm;  Flr.  18-15]. 
'"  iZ  \.\ap.  1835;  /'ir.  1830;  /'ir.  1845]. 
'''  U  [Xajj,  1835;  Flr,  IHÒtr^  Flr.  1845). 


180  LA   SERA   DEL   GIORNO    FESTIVO 

De'  nostri  avi  famosi,  e  '1  ^  grande  impero 
Di  quella  E,oma,~  e  l'armi  ^  e  '1  ^  fragorio 
Che  n'andò  per  la  terra  e  l'oceano? 
Tutto  è  silenzio  e  pace  ^  e  tutto  cheto  ^ 
E  '1  mondo  ~  e  più  di  lor  non  si  favella.  ^ 
Ne  la^  mia  prima  età,  quando  s'aspetta 
Bramosamente  il  di  festivo,  or  poscia 
Ch'  egli  era  spento,  io  doloroso  ^^  e  desto  ^^ 
Premea  le  piume, '^  e  per  la  muta^^  notte 
Questo  canto  ch'*^  udia  per  lo  sentiero  ^^ 
E  moria  slontanando  a  poco  a  poco  ^^ 
Al  modo  istesso  ^"  mi  stringeva  il  core. 

(G.  L.  *) 

'  il  [Nap.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 
»  Roma;  [N.  JRicogL  1825]. 

^  l'anni,    [Fir.    1831;    Faler.   1834;    Najì.  1835;    Fir.  1836: 

Fir.  1845J. 

*  il  [Xajì.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 
•'^  pace,  [N.  Ricogl.  1825;  Boi.  1826]. 

'^  Tutto  è  pace  e  silenzio,  e  tutto  pòsa  [Fir.  1831;  Paler.  1834]. 
„  ^  „        ^josa  [Nap.  1835  ;  Fir.  1836  ; 

Fir.  1845]. 
'  mondo j        [N.  Ricogl.  1825;  Boi.  1826]. 
Il  mondo,  [Fir.  1^1;  Paler.   1834;  Nap.  1835;  Fir.  1836; 

Fir.  1845]. 
"  ragiona.  [Nap.  1835;  Fir.  1836;  i'^tr.  1845]. 
»  Nella  [Nap.  1835;  i'^ir.  1836;  Fir.  1845]. 
'«  doloroso,  [Fir.   1831;    P«Zer.    1834;    .^^iA  1835;  Fir.  1836 

i^W.  1845] 
"  in  veglia.  [  Fir.  1881;  Paler.  1834;  .Y«w.  1835;  i^ir.  1836: 

Fir.  1845] 
»•''  «itme;  fPoZ.    1826;    Fir.   1831;    PaZe;-.    1834;    iV««.  1835 

Fir.  1836;  Pir.  1845] 
*3  ed  a  la  tarda  [Fir.  1831;  Paler.  1834]. 

„  a^^a        „       [Nap.  1835;  Pir.  1836;  Fir.  1845]. 
"  che  [.V.  Ricogl.  182.5]. 

*^  Un  canto  che  s'udia  per  li  sentieri  [Fir.  1831;  Paler.  1834; 
.Vrt«.  1835;  Fir.  1836;  Pir.  1845]. 
'«  i>oco,  [Po^.  1826]. 

Lontanando    morire    a   poco    a  poco,    [N.    Ricogl.    1825; 
P*r.  1831;  Paler.  1834;  Nap.  1835;  i^'m  18:06;  Fir.  1845]. 
''  Pur  similmente  [Fir.  mH]  Paltr.    1834]. 

flià  „  [Nap.  1835;  Pù-,  1836;  P/r.  1845]. 

*  Cosi  nell'autografo  die  abbiamo  dinanzi.  Nel  Kuovo  HicogìHore 
(pag.  904)  si  legge  :  (Sarà  continuato.) 


AI.LA  LUNA 


Da  una  raccolta  manoscritta  di  poesie,  dedicata  dalla  con- 
tessa Paolina  alla  nepotina  Virginia,  figlia  di  Pier  Francesco 
(pagg.  43-45). 


ALLA  LUNA.' 


0  graziosa  luna,-  io  mi  rammento 
Che,  or  volge  l'"^  anno,  sopra  ^  questo  colle 

10  venia  pien  ^'  d'angoscia  a  rimirarti  : 
E  tu  pendevi  allor  su  quella  selva 
Siccome  or  fai,  che  tutta  la  rischiari. 
Ma  nebuloso  e  tremulo  dal  pianto 

Che  mi  sorgea  sul  ciglio,  alle  '   mie  luci 

11  tuo  volto  apparia,'"^  che  ''  travagliosa 


'  La  Ki('>i;i>a\/-.v. 
Idillio  UT. 

[.V.  incofjLitori'  ls-2:i;   Boi.  182li]. 
'^  Lana,  [N   lilco;/L  1826;  Boi.  1823J. 
=»  un  [.V.  Hicofjl.  Ì826;  Boi.  1828]. 
'  sovra        [Xap.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 

io  sovra  [Fir,  1831;  Paler.  183(ì]. 
•"'   io  sopra  questo  poggio  [.V.  Ricofil.  1826;  Boi.  1826]. 
«  Venia  carco  [X.  Rironl.  1826;  Boi.  Ì826:  Fir.  1831  :  Poi.  ISM]. 

.,       i)ieno  [Xf',}).  18351. 
■  a  le  [X.  liiro;jl.  182);  Boi.  iHUi:  Fir.   \s.\\  :  J'a/rr.  is:"!]. 
"  apparici  ;  L\.' Birocfl.  1823;  Boi.  1826  :  Fir.  1831  ;  Poler.  1834]. 
«  che  [X.  Ricog'..  182  >;  Boi.  1826;  Fir.  1831;  Paler.  1834]. 


184  ALLA    LUNA 

Era  mia  vita:  ed  è,  né  cangia  stile, 

0   mia  diletta  luna.'  E  pur  mi  giova 

La  ricordanza,  e  il  *  noverar  l'età  * 

Del  mio  dolore.  Oh  ^  come  grato  occorre 

Nel  tempo  gio vanii,  quando  ancor  lungo        / 

La  speme  e  breve  liP-  la  memoria  il  corso,    \  ^"^ 

Il  rimembrar  ^  delle  -^  passate  cose,^' 

Ancor  che  triste,  e  che  l'affanno  duri  !  '  **=^= 


'  Luna.  [X.  Elcofjl.  182G;  Boi.  182G]. 
■'  n  [X  lìicoql.  182G;  Boi.  182G;  Vir.  1831;  Valer.  18B4]. 
^  O  {Fir.  1830]. 

'  sovvenir  [.Y.  Ricofjl.  1821;  Boi.  182G;  Fir.  1831;  Pr//.  1834: 

Xo'p.  1835;  Fir.  183G]. 
''  de  le  [X.Bicofjl.  ÌS23\  Boi.  182G;  Fir.  1831;  Falcr.  ISM]. 
«  rose  [X.  Bicofjl.  182G]. 

^  AncDr  elio  triste,©  ancor  che  il  pianto  duri  ![A".  Bicogl.lS2Cì]. 

„  „  duri.  [Boi.  182G;  Fir. 

1831;  Paler.  18^;  .Ya^?.  1835;  Fir.  1830]. 

*  Cosi  nel  nostro  autografo. 

**  Questi  (lue  versi  mancano  in  tutto  lo  odizioni.  salvo  olio  nella 
fiorentina  del  1845. 

***  Nel  nostro  au!-oo:rafo.  sotto  questo  verso,  leggonsi  «limano 
di  Paolina  lo  secriiPiiti  ])arole:  '•  (//  G'/ncnmn  Leopardi  „. 


LA  LUNA.  O  LA  RICORDANZA 


Dal    tomo  VII-VIII  delle  MUceilaìice  vianoscrlUc  (pagg. 
121-122)  della  contessa  Paolina. 


IDILLIO. 


LA  LUNA,  0  LA  RICORDANZA.' 


0  graziosa  Luna,-  io  mi  rammento 
Ch'  è  presso  a  un  anno,"^  io  sopra  questo  poggio 
Venia  carco  '   d'angoscia  a  rimirarti  : 
E  tu  pendevi  allor  su  quella  selva/' 
Coni'  ora  fai  "^  che  tutta  la  rischiari. 


LA    RICORDANZA. 

Idillio  in. 

XIII.  ^ 
ALLA    LUNA. 


[.Y.  Ricofil.  1826;  Boi.  1826]. 


[Fir.   1831;    Paler 


ir.    18d4;    Nai).   1885; 
Fir.  1836;  l'ir.  1845]. 


-  Una,  [Fir.  1831;  Paler.  1834;  Nap.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 
='  Che,  or  volge  un  anno,  [N.  lilcogl.  1826;  Boi.  1826]. 

r         „      [Fir.lS'òl:  Paler.  1SS4:;  Nap.  lyiìò; 
Fir.   1836;  Fir.  1845]. 

*  ,  io  sovra  questo  colle  [FtV.  1831;  Paler.  183'!]. 

,  sovra  questo  colle        [Xap.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 
•'  pieno  [Xap.  1835]. 

Io  venia  pien  [Fir.  1836;  Fir.  18^15]. 

"  selva  [X.  Ricogl.  1826;  Boi.  1826;    Fir.  1831;  Paler.  1834; 

.V«;>.  18H5;  Fir.  183(5;  i^'ir.  1815]. 

"  Siccome  or  t'^i,  [X.    Ricxjl.  1826;  Boi.    182(>;   /'ir.  1831; 

Paler.  1831;  A'a;*.  1835;  /'ir.  IK-T);  /'ir.  1845]. 

*  Bei\  inteso,  nelle  eflizioni  «li   X'ijxili  e  utllp  duo    di    FirPvze   11 
numero  è  il  XIV. 


188  LA  LUNA,   0   LA  RICORDANZA 


Ma  nebuloso  e  tremulo  dal  pianto^^ 
Che  mi  sorgea  sul  ciglio,  a  le  -  mie  luci 
Il  tuo  volto  apparia,^  che  *  travagliosa 
Era  mia  vita:  ed  è,  né  cangia  stile, 
0  mia  diletta  Luna.  •""'     E  pur  mi  giova 
La  ricordanza,  e  '1  ^  noverar  l'etate 
Del  mio  dolore.     Oh  ~  quanto  ^  grato  occorre 
Il  sovvenir®  de  le  '"  passate  cose  ^' 
Ancor  che  triste,  e  ancor  che  'P-  pianto  duri!^-^ 

(G.  L.  *) 

'  jnanto  [X.  Rkofjl.  182G  :  Boi.  1820;  Flr.  1831;  PaZer.  1834; 
Naj).  1^35;  jPir.  1836;  Flr.  1845]. 
•-'  alle  [yap.  1S35;  Flr.  183G;  Flr.  1845]. 
=>  apparla;  [X.  Rlcogl.  182G;  Boi.  1820;  Pi'r.  1831;  Pater.  18JM] 

*  eM  [N.  Rlcofjl.  1826;  Boi.  1826;  Flr.  1831;  P«Zer.  1834].  ' 
•'  lana.  [Flr.  1831;  Paler.  1834;  Xaj).  1835;  Flr.  1836;  Flr.  1845]. 
«  il  [Xap.  1835;  Flr.  1836;  Flr.  1845]. 

"  O  [Flr.  18-361. 

«  come  [A".  Rlcogl.  1826;  Boi.  1826;  Flr.  1831;  Pa'er.  1834; 
i^^a^'-  l'^'SS;  Pir.  1836;  Flr.  1845]. 
^  rimembrar  \Fir.  1845]. 
'«  </eZ^e  [.Va;?.  1835;  Flr.  1836;  /^ir.  1845]. 
"  rose,  [Boi.  1826;  PiV.  1831;  Paler.  1834;  .V^^j.  1835;  Flr.  1836; 

Flr.  1845]. 
'-  ^7  [X.  Plcogl.lS2Cy,  Boi.  1826;  F/r.  1831;  Paler.  1834  A«ix  1885; 

Flr.  1836] . 
^3  J/,ri.  [/?oZ.1826;  Flr.  1831;  P«Zer.  1834:  Xai).  1835;  Fir.  1836]. 
,e  che  l'affanno  duri]  [Fir.  1845], 

*  Cosi  nell'autografo  che  abbiamo  dinanzi. 


IL  SOGiSO 


Dalla  stossa  raccolta  manoscritta  di  poesie  dedicata  dalla 
contessa  Paolina  alla  nepotina  Virginia  (pagg.  r)!;-(;9). 


IL  SOGNO J 


ALCETA. 

Odi,  Melisso,-  io  vo  ^  contarti  un  sogno 
Di  questa  notte,  che  mi  torna  a  niente 
In  riveder  la  luna.     Io  me  ne  stava 
A  la  ^  finestra  che  risponde  al  prato, ^ 
Guardando  in  alto:   ed  ecco  a  1'^'  improvviso 
Distaccarsi  '  la  luna  ;  e  mi  parca 


'  Lo  Spavento  Xotti'rxo, 
Idillio.  V. 

[X.  nirofilitorc  182<1:  Boi.  1820]. 
Frammenti. 

XXXV.    * 

[Naiì.  1.S35;  Fir.  1830;  Flr.  184')]. 
-  Mclluo:  [X.  UlcogL  182^);  BjL  19,2^,  \  Xap.  1835;   Flr.  183i)  ; 

T^'/r.  1845]. 
'  oo'    [.V.    UhogL    1820;    BoL    ISiO:    Xup.    18i35;    Fir.    183.»; 

Fir.  1845]. 

*  Alla  [Nap.  18a5;  Fir.  18»  5;   Flr.  1.845]. 
'•  lirato  [N.  Ricogl.  1820]. 

•  cdV  [Xap.  1835;  Flr.  1830;  Flr.  1845]. 

"  Distaccasi  [.V.  lilr.oyl.  18-20:  Boi.  1S20:  Xap.  18:i5:  Flr.  1830; 

Fir.  1845]. 

*  Ben  intpso.  nella  e.lizIoae./?rt/v'j/i  rv  dol  ISl"»  il  uumor  >  roimu  o 
lon  è  il  medesimo:  —  [xxxvnj. 


192  IL   SOGNO 

Che  quanto  nel  cader  s'approssimava  ' 

Tanto  crescesse  al  f^uardo  ;  infìn  che  venne 

A  dar  di  colpo  in  mezzo  al  prato  ;  ed  era 

Grande  quanto  una  secchia,  e  di  scintille 

Vomitava  una  nebbia,-  che  stridea 

Sì  forte  come  quando  un  carbon  vivo 

Nell'-^  acqua  immergi  e  spegni.  Anzi  a  quel  modo 

La  luna,  come  ho  detto,  in  mezzo  al  prato 

Si  spegneva  *  annerando  ''  a  poco  a  poco  ^ 

E  ne  fumavan  l'erbe  intorno  intorno. 

Allor  mirando  in  ciel  '  vidi  rimase 

Come  un  barlume,^  o  un'orma,  anzi  una  nicchia^ 

Ond'ella  fosse  svelta:'"  in  cotal  guisa,'* 

Ch'io  n'agghiacciava,  '-  e  ancor  non  m'assicuro. 

MELISSO. 

E  ben  ••'  hai  che  temer,  che  ^*  iigevol  cosa 
Fora  cader  la  luna  in  sul  tuo  campo. 


'  n'  a2>prossìniciv(i ,  [X.   Ricoyl.   1826;    Boi.   1826;    Nap.    1885; 

Fir.  1836;  Fir.  1815]. 
-'  nebbia  [N.  Ricoql.  182JJ. 
3  .Ve  V  [N.  Ricogl.  1826;  Boi.  1826]. 
*  spegìieva,  [Boi.  1826]. 
'"  annerando,  [Boi.  1826]. 
«  poco;  [Boi.  1826]. 

poco,  [N.  Ricogl.  1826;  Xap.  1805;  Fir.  1886;  Fir.  1815]. 
"  ciel,   [X.  Ricogì.    182(>;    Boi.   1826;    Na^).   1835;    Fir.   LS»^; 

Fir.  1815]. 
«  barlume  [X.  Ricogl.  1823;  Boi.  1826]. 
«  nicchia,  [Boi.  1826;  V«i>.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845j. 
'"  svelta:     [Boi.  1826]. 

"  in  guisa  ch'io  [.Y.  Ricogl.  1826;  Boi.  1-826]. 
'■^  n' agghiacciaoa  ;      [Xap.  1835;  Fir.  1836:  Fir.  1815]. 

N'accapricciava;  [X.  Ricogl.  1826;  Boi.  1826]. 
'^  borio  [.V.  Ricogl.  1826:  Boi.  1826J. 
'*  che  [X.  Rirogl.  J826;  Boi.  1826]. 


IL    SOGNO  193 


ALCETA. 


Chi  sa?  non  '  veggiam  noi  spesso  di  state 
Cader  le  stelle? 

MELISSO. 

Egli  ci  ha  tante  stelle  - 
Che  picciol  danno  è  cader  l'ima  o  l'altra 
Di  loro,  e  mille  rimaner.     Ma  sola 
Ha  questa  luna  in  ciel,  che  da  nessuno 
Cader  fu  vista  mai  se  non  in  sogno.  * 


'  Xon       [N.  Rkoijl.  1826;  Boi.  182(i]. 

2  atelie/  [N.   Ricogl.   I82(j;  Boi.  182"^;  Xap.   1835:  Fir.   1836; 

Fir.  1845]. 


*  Nel  nostro  autografo,  sotto  questo  verso,  leggesi  di  mano  di  Pao- 
lina: "  G.  Leopardi  „. 


L  SOriNO 


IDILLIO. 


Dal  tomo  VII-VIII  delle  MlsccUanee   mcinotscrittc   (pagg. 
116-1'2J:)  della  contessa  Paolina. 


IL  SOGNO.  IDILLIO.' 


ALCETA. * 

Senti,-  Melisso,^  io  ve'   contarti  un  sogno 

Di  questa  notte,  che  mi  torna  a  mente 

In  riveder  la  luna.     Io  me  ne  stava 

A  la  ■*    fenestra  •"'  che  risponde  al  prato  • 

Guardando  in  alto.  '     Ed  ^  ecco  a  l' ^  improvviso 

Distaccasi^la  luna,  ^^  e  mi  parca 


'  Lo  Sp.wexto  Xottuuxo. 
Jdillio  V. 

[X.  Rlcogl.  1820;  Boi.  1826]. 
Frammenti. 

XXXV.*  * 

[Nap.  18B5:  Fir.  1830;  Fir.  1845]. 
'  Odi.  r.V.  RlcofiL  182(3;  Boi  1^^):  Noi).  1835;   Fir,  1845]. 

Odi  [FirMmy]. 
3  Melisso:  [X.  liicorjl.  1826;  Boi.  ì>'l)-  Xaj'.l^^^'r.  Fir.  18B6; 

Fir.  1845]. 
"  alla  [Xaji.  1^35;  Fir.  1836;  Fir.  18451. 
''  jìnestrcf  \X.   h'in>,jl.   ls2G  :   Boi.  1826:  V./y/.  lS;-%5;  Fir.  18^6; 

Fir.  1845]. 
''  jyrcUo,  [Boi.  1826;  Xaji.  1835;   Fir.  l6B<3;  /'i/-.  1845]. 
"  alto:  [X.  lìicogl.  1826;   Boi.   1826:   .V^i?.  1835;   i^ir.   1836; 

Fir.  1845]. 
«  e^  f.V.  Ricoql.  1826;  5o^.  1826  ;  Xap.  1835;  i^^'r.  1836;  Fir.  1845]. 
«  aZZ'  [A^a^.  1835;  Fir.  1836;  Fir.  1845]. 
^•^  luna;  [X.  Ricogl.  1826;  i?oZ.  1826;   Xap.   1835;   Fir.   ia36  ; 

Fir.  1845]. 

*  Tanto  nel  nostro  antoojrafo,  quanto  nel  Nuovo  Ricoglitore,  i  nomi, 
anzinhè  nel  mezzo,  sono  scritti  nel  margine  di  sinistra. 

*=^  Ben  inte.so,  nella  edizione  fioreatiwx  del  ISA")  il  numero  ro- 
mano non  è  il  m3dn3Ìmo:  —  [xxxvii]. 


198  IL   SOGNO 

Che  quanto  nel  cader  s'approssimava  ^ 

Tanto  crescesse  al  guardo,-  in  fin  ^  che  venne 

A  dar  di  colpo  in  mezzo  al  prato/  ed  era 

Grande  quant'  •"'  una  secchia,  e  di  scintille 

Vomitava  una  nebbia  *'  che  stridea 

Si  forte  come  quando  un  carbon  vivo 

Ne  l'acqua  è  spento,  e  ne  fumavan  V  erbe.       i 

Allor  mirando  in  ciel  vidi  un  barlume 

RimasbD,  com'3  un'orma,   anzi  una  nicchia        \ 

Ond'ella  fosse  svelta,^  in  guisa  eh' io  ^ 

N' accapricciava,  *^  e  ancor  non  m'assicuro. 


'  s\vpi)vosshìiao:i,   [N.    lileotjL   182G:    Boi.   182(3;    Xa2).    1885; 

Flr.  183();  Flr.  1845]. 
-'  <] nardo;  [N.  Rlco'jl.  182(5;  Boi.  1823;  .Va^>.  1835;  Fir.  1836; 

Flr.  1845]. 
3  hifin  [N.   Rkojl.   1816;   Boi.  182  5;    Nap.   1835;    Flr.  1836; 

Flr.  1845]. 
*  prato;  [X.  Rlcojl.  1826;  Boi.  1823:   Xaj^.  1835;    Flr.  183(3; 

Flr.  1845]. 
^  quanto  [.V.  Rlroijl.  182(3;  Bui.  1826;  Xajy.  1835;  Flr.  1836; 

'  Flr.  1845]. 
«    nebbia,    [Boi.    1826;     Xap.    1835;    i'^iV.   1836;    Flr.    1845J. 

1   ]S[e  Piacqui  immergi  e  spegni.  Anzi  a  quel  modo 
\  Si  spegneva  **  annerando  ***  a  poco  a  poco,  =^*** 
''      E  ne  fumavan  l'erbe  intorno  intorno. 
1  Allor  mirando  in  ciel,  vidi  rimaso 
I  Come  un  barlume***''* o  un'orma,  anzi  una  nicchia****** 

[.V.  Rlcogl.  1S26;  Boi.  1823;  Xap.  1835;  Flr.  1S36;  i^'iV.  1845]. 
«  sye^^a:   [i^o^.  1826]. 

svelta;  [X.  Rlcogl.  1826;  .Va^.  1835;  Flr.  1836;  Kr.  1845]. 
"  ;  in  cotal  guisa.  [Xap.  1835;  Flr.  1836;  i'\*r.   1845]. 
'"  X'accajìrlcciava  ;  [X.  Mlco'jl.  1826;  Boi.  1826]. 

Ch'io  n'agghiacciava  :  [.Vaj).  1885;  Flr.  1836;  i^'«>',  1845]. 

*  ^^el^  [xVap.  183 -i;  /7y.  1836:  Fir.  1845]. 

**  spegneva,  [Boi.  1826]. 

***  annerando,  [Boi.  1826]. 

****  poco;  [Bo?.  1826]. 

*****  barlume,  [Nai).  1885;  /'ó-.  1836;  Fir.  1845]. 

******  nicchia,  [Boi.  1826;  Aai>.  1835;  ^»V.  1836;  Fir.  1845]. 


IL   SOGNO  199 


mp:lisso. 


E  ben  hai  da  temer,  eh'  è  facil  cosa  ' 
Cader  proprio  la  luna  in  sul  tuo  ])rato.  - 


ALCETA. 

Chi  sa?  forse  di  state  hai  poche  notti '^ 
Visto  cader  le  stelle  '?  ^ 

MELISSO. 

Egli  n'  ha  tante  '^ 
Lassù  che  ne  potria  ben  senza  danno  *' 
Precipitar  più  che  non  fa.'  Ma  sola 
Ha  questa  luna  in  ciel,  che  da  nessuno 
Cader  fu  vista  mai  se  non  in  sogno. 

(G.  L.*) 


'  E  b^nc  hai  cho  temer,  che  agevol  cosa  [.V.  Biconi.  1826 

Boi.  1826|, 
„  ben  „  ,  che         „  [Xaiì-    1885;  Fir 

1836;  Flr.   1845] 

-'  Fora  cader  la  luna  in  sul    tuo  campo.    [X.  lilcogl.   1826 

Boi.  1826;  Naj).  1835;  Flr.mòG]  F*r.  1815] 

^  Chi  sa?  Xoii  veggiam  noi  spesso  di  state  [.V.  Ricoijl.  1826 

Boi.  1826], 
„    ? 71071  „  „  [Aa;j>.  1835;   Flr 

1836;  Fir.  1815] 

*  Cader  le  stelle?  [.V.  Ricofjl.   1826;   Boi.   18-26;    Nap.   1835: 

Flr.  1836;  Fir.  1845] 
^  Egli  ci  ha  tante  stelle,  [.Y.  Rlcofjl.  1826;  Boi.  1826;  Nap.  1835 

J^'ir.  1836;  Flr.  1845] 
•*  Che  picciol  danno  è  cader  Tuna  o  l'altra  [N.  lilcocjl.  1826^ 
Boi.  1826;  Xaji.  1835;  i'7r.  1836;  i^ir.  1845] 
"  Di  loro,  e   mille   rimaner.    [X.    lilcogl.   1826;    Boi.    18*^6 

Na2J.  1835;  Flr.  183(3;  Flr.  1845] 

*  Cosi  noi  nostro  autografo. 


niiTAzroNE 


Dalla  stessa  raccolta  manoscritta  di  poesie  dedicata  dalla 
contessa  Paolina  alla  neiiotina  Virginia  (p^lgg-  42-18). 


IMITA  ZIONP:. 


Lungi  dal  proprio  ramo, 

Povera  foglia  frale, 

Dove  vai  tu?  '  Dal  faggio 

Là  dov'io  nacqui,  mi  divise  il  vento. 

Esso,  tornando,  a  volo 

Dal  bosco  alla  campagna, 

Dalla  valle  mi  porla  alla  montagna. 

Seco  perpetuamente 

Vo'  -  pellegrina,  e  tutto  l'altro  ignoro. 

Vo'  ^  dove  ogn'  *  altra  cosa. 

Dove  naturalmente 

Va  la  foglia  di  rosa, 

E  la  foglia  d'  alloro.  * 


'  tu?  —  {Fh\  183GJ. 

-    Vo  \Nai).  1835;  Flr.  1836;  Nai^.  1845]. 

-'   Vo  [Nav.  18a5;  Fh\  1836;  Flr.  1845]. 

*  o,jni  {Nap.  1835;  Flr.  1836;  Flr.  1845]. 

*  Nel  nostro  autografo,  sotto  quest'  ultimo  verso,  leggonsi.  sem- 
pre (li  mano  di  Paolina,  le  solite   parole  :    "  (ìi    Giacomo   Leopardi  _ 


CANZONE 

PER  UNA  DONNA  MALATA  DI  MALATTIA 


LUx\GA    E    MORTALE 


"Dal  t.omr»  VII- Vili  flolle  Miscellanee   manoscrhte     (pagg'. 
12r)-127)  tlella  onntossa  Paolina. 


UNA  DONNA  MALATA  DI  MALATTIA 


LUNGA    E    MORTALE 


Io  SO  ben  che  non  vale 
Beltà  né  giovanezza  ^  incontro  a  morte, 
E  pur  ^  sempre  ch'io  '1  veggio^  m'addoloro: 
Che  ^  s' i'  noi  veggio'^  il  mio  desir  prevale 
Tanto  ~  eh'  io  spero  pur  che  l'enea  ^  sorte 
Altrove  °  ad  altri  casi  '°  ad  altri  tempi 
Riservi  i  tristi  esempi,  ^^ 

*  Per  una  donna,  malata  di  malattia  lunga  e  mortalk 
Canzone  giovanile  inedita 

DI 

Giacomo  Leopardi 

[Pisa  1871;  Barettl  1872] 
Per  una  donna  malata 
DI  malattia  lunga  e  mortale. 
Canzone. 


"^  tfiovinezza  [Pisa  1871  :  Flr.  1878]. 

•''  pur,  [Pisa  1871]. 

^  vcf/fflo,  [Pisa  1871]. 

•'  Chi  [Bar.  1872]. 
Che,  [Pisa  1871;  Flr.  1878]. 

"  vegfiio,  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Flr.  1878]. 

'    Tanto,  [Pisa  1871;  Flr.  1878]. 

•*  rénea    [/**'.*./ 1871  ;  Bar.  1872^;  i-Vr.  1878]. 

*  Altrove,  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Flr.  1878]. 
'"  casi,  [Pisa  ISIV;   Bar.  1872;   Flr.  1878]. 
"  esempi,  [Bar.  1S12J, 


Flren-e.  1878]. 


208.    PER  UNA  DONNA  MALATA  DI  MALATTIA 

Fin  che  dal  mal  presente  è  sbigottita 

La  misera  speranza.^ 

Com'or  cli'a  l'occiLlente  di  sua  vita 

Veggio  precipitar  questa  dogliosa, 

Poi  eh'  altro  non  m'avanza, 

Già  mai  di  lagrimarla  -  io  non  lo  posa. 

Ed  è  pur  tanto  bella  ^ 
E  tanto  schietta'*  e  in  cosi  verde  etate,'' 
E  poco  andrà  eh'  i'  *  potrò  dire,*^  è  morta, 
E'  morta,  e  non  risponde;  ahi  poverella!  ^ '^* 
Che  dolor,'^  che  lamento,"^  che  piotate," 
Chiusi  quest'  '•  occhi,  e  morto  questo  volto  '^ 
E  '1  popolo  raccolto 

Dirle  per  sempre  addio,  ch'esser  doveva 
Tanto  tempo  fra  noi,'* 
Or  non  so  chi  ^"  né  come  ce  la  leva  : 
Solo  a  pensarlo  mi  si  schianta  il  core,^*^ 
Ben  eh'  '*  i  parenti  tuoi 
Son  d'altro  sangue,  e  tu  sei  d'altro  amore. 


'  speranza  :  [Pisa    1871;  Bar.  1872;    Fir.  1878]. 

■■*  lacrimarla  [Pisa  1871]. 

^  bella,  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Flr.  1878^ 

^  schietta,  [Pisa  1871:  Bar.  1872;  Flr.  1878]. 

^  etate!  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Flr.  1878]. 

«  dire:  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Flr.  1878]. 

"  È  [Pisa  1871;  Flr.  1878]. 

^  poveretta  !  [Pisa  1871]. 

■'  dolor!  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Flr.  1878]. 
'"  lamento!  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Fir.  1878]. 

"  jnetate!  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Fli\  1878]. 

''■^  questi  [Pisa  1871]. 

'^^  volto!  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Flr.  1878]. 

'*  noi!  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Fir.  1878]. 

'■'  chi,  [Bar.  1872;  Fir.  1878]. 

'"  core:  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Fir.  1878]. 

''  che  [Pisa  1878]. 

*  Prima  aveva  scritto  ch'io;  poi,  cancellò. 

**  Prima  aveva  scritto:  poveretta;  poi,  cancellò. 


LUNGA    E   MORTALE  209 

Quando  de  l' infelice 
Vietumi  ^  taluri  recando  aspre  novelle, 
Mi  studio  quanto  so  farle  più  levi:  - 
Chi  sa,'^  dunqu' esser  puote/  or  òhi  tei  dice? 
Tal  patteggiando  vo  ^  con  quello  e  quelle,^ 
Ma  d'ogni  patto  il  nunzio  si  disdegna, 
E  quanto   può  s'ingegna 
Ch'io  creda  ch'ei  non  dica  altro  che  vero," 
E  provando  mi  scaccia 
D'ogni  rifugio  in  sin   ch'io  mi  dispero,"^ 
E  veggio  ben  che  tu  ci  lasci  soli, 
E  la  tua  bella  faccia 
Poco  può  ^  che  sempre  a  noi  s'involi.* 

Deh  che  mostra  ^'^  per  Dio  '  ' 
Quel  sospiroso  e  languido  sembiante  '- 
Che  par  che  dica,^^  io  ^*  di  pietà  son  degna  ^^ 
Che  nacqui  sfortunata.'^  Io  ^~  '1  so  ben  io,  ^^ 
Tristo  me,  tristo  me,'^  questa  ^^  di  tante 

'  Vienmi  [Pisa  1871]. 

2  levi.  [Pisa  1871]. 

^  sa?  [Pisa  1871;  B:ir.  J872;  Fir.  1878J. 

*  puote?  [Pisa  1871]. 

•^  vo'  [Bar.  1872]. 

«  quelle;  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Fir.  1878 i. 

'  vero;  [Pisa  1871;  Fir.  1878]. 

"  dispero:  [Pisx  1871;  Bar.  1872;  Fir.  1878]. 

'  Poco  può  andar  [Pisa  1871]. 
Poco  andar  può  [Bar.  1872;  Fir.  1878]. 
'"  mostra,  [Pisa  1871;  Fir.  1878]. 
'>  Dio,  [Pisa  1871;  P^lr.   1878]. 
'-  sembiante,  [Pisa  1871  ;  Bar.  1872  ;  Fir.  1878]. 
''  dica:  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Fir.  1878]. 
"  Io  [Pisa  1871;  Fir.  1878]. 
'••  degna,  [Fir.  1878]. 

""'  sfortunata?  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Fir.  1878]. 
'-  lo  [Bar,  1872]. 
'*^  io:  [P/s«  1871;  Fir.  1878]. 
"  me.'  [Pisi,  1871;  /^«r.  1872;  i^tV.  1878]. 
2"  <^Mes^a  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  i^^ir.  1878]. 


Cosi  nell'autograio  cljc  abbiamo  dinanzi. 


14 


210  PER   UNA   DONNA   MALATA    DI   MALATTIA 

Sventure  ch'i'  sostenni  ^  è  la  più  dura. 

Ahi,  ahi,'-  ma  ^  cosi  pura 

E  così  vaga,  di,^  forse  ti  stai 

Temendo  di  morire? 

Non  temer,  non   temer,  che  non  morrai. 

Non  può  mai  far."'  Non  "  vedi?  io  pur  saria 

(Che  t'  ho   certo  a  seguire) 

Vicino  a  morte,  e  son  quello  di  pria. 

Dico  che  t*  ho  per  cei'to 
A  seguitar.'  che  ''  s'  a  ^  la  tua  non  viene 
Dietro  la  vita  mia,  partir  non  puote  : 
Né  so  perchè,  ma  pur  mi  sembra  apei'to. 
Ben  che   d'amarti  il  vanto  altri  si  tiene. 
Ch'io  dica,'"  è  morta  quell'istessa,  quella 
Ch'io  veggio  e  mi  favella? 
Or  s'ella  è  morta,  ed  io  come  son  vivo? 
Questo  io  so  che  mai  vero 
Non  fìa,  eira  intender  pure  io  non   l'arrivo. 
Fa  cor,  fa  cor,  che  ''   senza  fallo  alcuno  '^ 
Passato  il  tempo  nero, 
Conterem  '•*  questi  affanni  ad  uno  ad  uno. 

Misero  me,  eh'''' invano 
Lusingando  me  stesso  un  tempo  e  lei. 
Rinforza  il  mais,  e '1  gran  dolor  s'accosta.'" 

'  sostenni,  [Bar    1872]. 

'  ahi!  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Flr.  1878]. 

='  Ma  [Pisa  1871;   Bar.  1ST2-  Flr.  1878]. 

*  di',  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Flr.  1878]. 

'•far:  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Flr.  1878]. 

*'  non  [Pisa  1871;  Flr.  1878]. 

'  seguitar;  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Flr.  1878]. 

«  che,  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Flr.  1878]. 

«  se  a  [Pisa  1871;  Bar.  1872:  Flr.  1878]. 
'"  dica:  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Flr.  1878]. 
"  che  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Flr.  1878]. 
''  alcuno,  [Pisa  1871;  Bar.  18T2:Flr.  1878]. 
'3  Cauterem  [Bar.  1872;  Flr.  1878]. 
'*  che  [Pisa  1871;  Fir.  1878]. 
^^  s'accosta!  [Pisa  1871;  Flr.  1878]. 


LUNGA   E    MORTALE  211 

Dell  per  pietà  non  sia  cor  si  villano 

Che  non  si  mova  ^  a  sovvenir  costei/- 

Deli  troviam  qualche  via,  troviam  qualche'  arte, 

Che  -^  questa  se  ne  parte, 

E  s'altri  non  l'aita  ha  poco  andare. 

Oimè  *  nulla  non  giova! 

Io  non  so  far  che  '1  creda:  io  vo'  provare 

Io  stesso,  io  vo  '  vedere.  E  "1  veggio  'ocne -"^ 

Sciaurato  "  per  prova, 

Che  disperarmi  al  tutto  mi  conviene. 

Poveri  noi  mortali  * 
Che  contro  al  fato  non  abhiam  valore.'^ 
Sta  come  sconcio  masso,  e  noi  ghermito 
Meglio  che  può,  con  queste  braccia  frali 
Poniam  di  sbarbicarlo  ogni  sudore,^ 
Ma  quello  è  tal  da  poi  qual  fu  davante: 
Ed  io  pregando  quante 

Possanze  ha  '1  ciclo,  e   tutto  foco  in  faccia, 
E  ambasciato  e  sudato,'*^ 
E  stese  fortemente  ambe  le  braccia, 
Morir  vedrotti,   ch'io  nulla  non  posso 
A  contrastarlo,  e  '1  fiato 
Tardar  che  dtt'  tuoi  labbri  in  fuga  è  mosso. 

Dunque,  o  donna,  morrai  V 
Sì  certo,  si,  né  co.s-a  altra  mi  resra 
Se  non  che  moribonda  io  la  consoli. 

'  muova  [Pis:i  1871]. 

2  costei:  [Pisa  1871;  liar.  Ur2:  Flr.  1878]. 
^  Che  [Pisa  1871:  Bar.  1872:  Flr.  1878]. 
^  Oline!  [Pisa  1871;  Flr.  187s]. 

Ohlmìi!  [Bar.  1872]. 
•  bene,  [Pisa  1871:  Bar.  1872;  Flr.  1878]. 
"  Sclanrato,  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Flr.  1878]. 
"  mortali.  [l'Isa  1871;  Bar.  1872:  Flr.  1878]. 
"  valore!  [Pisa  1871;  Flr.  1878].' 
9  sudore;  [Pisa  1871;  Ba\  1872;  Flr.  1878]. 
^^  sudato  [Pisa  1871]. 


212     PER  UNA  DONNA  MALATA  DI  MALATTIA 

0  cara  mia,  confortati  ;  ^  se  mai 

Tua  gente  -  e  me  con  lei  ^  tutta  funesta 

Vorrà  far  Dio,  ripiglia  cor:  natura 

N'a  ''  *  fatti  a  la  sciaura 

Tutti  quanti  siam  nati.  Anima  mia, 

Non  pianger;^  gli   occhi  gira, 

Qual  puoi  veder  clie  misero  non  sia? 

Ben  che  ti  par,  non  ti  verrà  trovato. 

Or  poi  che  si  sospira 

E  piange  invano,  oifriamci  al  nostro  fato. 

Vero  è  che  la  fortuna 
E  teco  più  spietata  che  non  suole  ^ 
Che  '^  '1  fior  di  giovanezza  *  ti  rapisce. 
Pur  datti  posa;  han  di  piacere  alcuna 
Sembianza  i  mali^  estremi.     Or  vedi"*  il  sole 
Non  andrà  molto  ch'io  sarò  sotterra.  '* 
Che  '-  se  '1  veder  non  erra  ^^^ 
Anche  a  me  breve  corso  il  ciel  misura.'^ 
E  pur  di  mia  giornata 
Son  presso  a  1'  ^^  alba,  né  di  morte  ho  cura.'^ 

'  confortati;  [Pt'sa  1871  ;  Bar.  1872;  Flr.  1878]. 

-  iiente,  [Pisa  1871;  Fir.  1878]. 

''  lei,  [Fisa  1871;  Fir.  1878]. 

*  ha  [Pisa  1%11,  Bar.  1872;  Fir.  1878]. 

^  pianger,  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Fir.  1878]. 

«  suole,  [Pisa  1871;  Bar.  1872;    Flr.  1878]. 

'  Che  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Flr.  1878]. 

''  giovinezza  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Fir.  1878]. 

''  mal  [Bar.  1872]. 

'*•  vedi:  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Fii\  1878], 
"  sotterra,  [Pisa  1871]. 
sotterra;  [Fir.  1878]. 
'^  Chh,  [Pisa  1871  ;  Flr.  1878]. 
"  erra,  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Flr.  1878]. 
"  misura  :  [Pisa  1871  ;  Flr.  1878]. 
'•'  aW  [Fir.  1878]. 
'«  cura,  [Pisa  1871]. 
cura;  [Flr.  1878]. 

*  Così  nell'autografo  che  abbiamo  dinanzi. 


LDNOA   E    MORTALE 

Che  '  qual  mai  visse   più,  quei  visse  poco,- 

E  ^  chi  diritto  guata  ^ 

Nostra  famiglia  a  la  natura  è  gioco. 

Ma  questo  ti  conforti 
Sopra  ogni  cosa,  eh'-' innocente  mori. 
Né  '1  mondo  ti  spirò  suo  puzzo  in  viso. 
Tutti  tuoi  pari  andran  tosto  fra  *^  morti, 
E  avranno  '  il  più  di  lor  '^  fracidi  i  cori  ; 
Che  ^  questo  mondo  è  scellerata  cosa/*' 
E  quel  mal  che  non  osa 
Candida  gioventude,  è  scherzo  al  vile 
Senno  d'età  provetta,'' 
E  nefanda  vecchiezza,'*  e  in  cor  gentile 
Quel  che  natura  fé  '-^  spegne  l'esempio, 
Tanto  che  poco  aspetta 
Quel  giusto  ed  alto   a  farsi  abbietto  ed  empio. 

E  te  jDur  tocca  avria 
L'indegna  mota,'-*  che  sei  tanto  bianca; '■'' 
Tutti,  qualunque  ha  più  robusto  il  petto, 
Io  de'   malvagi,  io  fora,'*'  o  donna  mia, 

'  Che  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Flr.  1878]. 
^  jjoco,  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Flr.  1878]. 
^  E,  [Pisa  1871;  Flr.  1878]. 

*  fjiiati.,  [Pisa  1871;  Flr.  1878]. 
"  che  [Pisa  1871;  Flr.  1878]. 

"  fra'  [Pisa  1871  ;  Flr.  1878]. 
'  avranno^  [Pisa  1871;  Flr.  1878]. 
\  lor,  [Pisa  1871  ;  Flr.  1878]. 
»  Che  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Flr.  1878]. 
'•'  cosa.  [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Flr.  1878]. 
"  provetta  [Pisa  1871  ;  Flr.  1878]. 
'-  vecchiezza:  [Pisa  1871]. 

vecchiezza  ;  [Flr.  1878]. 
'\fe    [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Flr.  1878]. 
'*  iiota,=*   [Pisa  1871]. 

mota  [Bar.  1872]. 
'"•  bianca  :  [Pisa  1871  :  Flr.  1878]. 
>"  forse,  [Bar.  1872]. 

*  Evidente  errore  di  stampa. 


214     PER  DONNA  MALATA  DI  MALATTIA  ECC. 

E  sarò  pnr,^  se   1  tempo  non  mi  manca, 

Che  virtù  prezzo  più  che  gioventude,- 

E  ^  se  virtù  non  chiude, 

Fuggo  beltà  ^  che  pur  m'  •"'  è  tanto  cara  ; 

Me,  s'  io  non  ho  già  presso 

L'estremo  sol,  me  di  sua  pece  amara 

Imbratterà  la  velenosa  etade, 

E  questo  core  istesso 

Eia  di  malizia  speco  e  di  viltade. 

Or  ti  rallegra,  o  sventurata  mia,'"' 
Tutto  ti  teglia  r  iin])lacanda  sorte,' 
Non  r  innocenza  de  la  corsa  vita 
Non  ti  tor'-à,'*^  né  morte  ^ 
Né  '1  cielo  '•"  né  possauza  altra  che  sia. 
Fra  nequitosa"  gente, 
Qual  se'  discesa,  tale  a  la  partita. 
Cara,  o  cara  beltà,  mori  innocente. 


1878]. 


•  pur  [Bar.    1872;   Flv.  1878]. 
-  (jlooentade.  [Bar.  1872]. 

(/lovcntadc  ;  [Fir.  1878]. 
'  F,  [Pisa  1871;  Bar,  1872;  Flr 
■»  balta,  [Flr.   1878]. 
•'•  mi  [Fisa  1871]. 
'=  mia:  [Pisa  1871;  Fir.  1878]. 
■  Sìrie]  [Pisa  1871;  Bar.  1872]. 

sorto.:  [Fir.  1878]. 
"  torra  [Pisa  1871  :   Fir.  1878J. 
"  morte,  [Pisa  1871;  Bar.  1872;   Fir.  1878]. 
>-'  cielo,' [Pisa  1871;  Bar.  1872;  Fir.  1878]. 
"  neghittosa**  [Bar.  1872]. 


(G.  L.*) 


*  Cosi  nel  nostro  autografo,  —  Segue  1'  idillio  La  lina,  e  la  ri- 
cordanza (pagg.  121-122^. 

**  Xel  Baretli  (pag.  27)  si  legge  questa  nota  dell'Editore  :  "  La 
"  mia  copia  fedelissima  legge  neghittosa,  ma  dopo  i  precedenti  sta 
forse  meglio  nequitosa,  come  stampavasi  [Bernardi].  „  —  Ora,  noi 
possiamo  assiciirare  il  lettore  che  nell'autografo  che  abbiamo  di- 
nanzi, il  solo  che  si  abbia  di  questa  Canzone,  leggesi  chiarissima- 
mente nequitosa,  e  non  già  neghittosa. 


LE  RTxMEMBPvANZE 


Un  quaderno   (cojìertma   bianca)   di  quattro  farciate   rrgo- 
dclla  contossa  Paolina. 


LE  RnrE:\rBRANZE 


IDILLIO. 

Era  in  mezzo  del  ciel  la  curva  luna  ' 
E  di  Micon-  la  povera  capanna 
Sol  piccola  da  un  lato  ombra  spandea. 
Chino  sul  destro  braccio,  ed  appoggiando 
Alle  ginocchia  il  cubito,  dell'uscio 
Sul  facile  gradin  sedea  Micone. 
Egli  era  triste,'^  e  muto.     Il  tenerello 
Dameta^  il  figliuolin,  che  ad  ogni  istante 
Temea  la  mamma  udir  chiamarlo  al  sonno, 
Scherzavagli  d'intorno,  e  saltellando 
La  mano  gli  prendeva,  or  d'una  cosa 
Or  d'altra  il  ricercava:  un  panierino 
Mostravagli  talor  da  lui  tessuto, 
Talor  raccolto  un  fresco  fior,  talora 
Nella  socchiusa  man  lucido  insetto 
Sorpreso  in  aria  dal  sagace  colpo: 


'  Inno,  [Ciirjiìnnì,  l'^SO] 

■''  Milon  {evidente  errore  di  stampa) 

^  triste 

*  Davieta, 


218  LE  RIMEMBRANZE 

E  il  rimirava  in  faccia,  e  avidamente 
Plauso  cliiedea  col  guardo,  *   e  col  sorriso. 
Quel  -  serio,  "  e  taciturno  "*  a  stento  ai  detti 
0  a  fuggitivo  riso  apriva  i  labbri  apriva. 
Aliin  prorujjpe  : 

M  ICONE 

0   amabile  Dameta  "• 
Di,"  figlio  mio,  del  tuo  maggior  fratello 
Non  ti  ricordi  tu?  più  non  rammenti 
Il  tuo  Filino?  Ei  t'ha  lasciato,  e  un  anno 
È  che  noi  vedi  più.     Le  prime  rose 
Spuntavano   come  or  su  quella  fratta, 
Quando"  i  suoi   giuochi  abbandonati,  il  vidi 
Seder  pallido,  ^  e  muto.     Io  gli  chiedea  : 
Figlio"  perchè  qui  sei?  perchè  non  giuochi? 
Pe^'chè  non  vai  con  tuo  fratello  al  prato? 
8u '*^  scendi  a  sollazzarti.     Hai  forse  male? 
Nò,*  padre,  ei  mi  dicea,  no,  nulla  io  sento, 
Ma  stanco  io  sono,  e  qui  riposo  ;  or  ora 
Tornerò  con  Dameta  a  trastullarmi. 
Cosi  sempre  ei  dicea,  ma  sempre  il  male 
Più  gli  apj^aria  sul  viso.     Un  di  di  Festa 
Alfine  ei  si  levò  l'ultima  volta" 
Poi  più  non  sorse.     Oh  come  allor,  '-  che  a  casa 

'  fj  nardo 
'  Quel, 
^  serio 

*  tacltanio, 
^  Dameta, 

«  Di', 

^  Quando, 

"  2)aUido 

"  Fhjlio, 
'"  Sa, 
"   volta. 
'«  allor 

*  Cosi  nel  nostro  avitografo. 


LE  rimembraxzp:  219 

La  sera  mi  vedea  tornar  dal  campo. 

Lieto  in  chiamarmi  mi  tendea  le  mani, 

E  la  mia  mi  baciava,  e  mi  chiedea 

Se  stanco  fossi,  e  sempre  a  se  ^  vicino 

M'avria  voluto.     L'n  giorno  alfin  (dimani 

Quel  di  funesto  riconduce  il  sole) 

Mi  levai,  corsi  a  lui,  chino  sul  letto 

Gli  diedi  un  bacio,  e  come   stasse  il  chiesi. 

Ei  più  non  rispondea:  l'occhio  mi  volse '^ 

Cui  luccicante  lacrima  copria: 

]Ma  nulla  dir  potè,  più  non  dischiuse 

Il  moribondo  labbro.     Un  opportuno 

Eimedio  al  male,  il  vecchio  Alcon,  quel  Saggio,  ^ 

Cui  si  spesso  vedesti,  e  cui  si  spesso 

Della  villa  consultano  i  pastori'' 

Lidicato  ci  avea.     Per  procacciarlo 

Impaziente  •""  alla  città  mi  volsi. 

Saliva  il  sole  in   cielo,  e  la  marina 

Di  lontano  splendea:^  Ma  la  campagna 

Era  tacita  ancor.     Passni  non  lungi 

A  quell'alto  palagio,  che  alla  luna 

Or  vedi  biancheggiar  dietro  alle  piante, 

Colà  vicino  alla  maestra  via. 

Della  villa  i  Signori"  eran  sepolti 

Nel  dolce  sonno  del  mattin.     Pur  vidi 

Aperta  una  finestra  ^  intorno  a  cui 

Sporgea  ferrea  ringhiera,  e  dentro  l'ampia 

Camera  Signoril,  ^  sul  pavimento 

'  uè 

■''  volse, 
^  saggio, 

*  jìastorl, 

^  Impaziente 
"  splendea. 
■^  signori 
"  finestra, 

*  signoril, 


220  LE  RIMEMBRANZE 

E  il  lucido  apparato,  che  l'opposta 

Parete  ricopria,  dal  sol  dipinta 

L' immagine  mirai  della  finestra  : 

A  cui  dinnanzi  con  negletta  veste 

Un  dei  servi  passar  vidi,  che  intento 

Sulla  scopa  pendea.     Quanto  lugubri 

Per  me  fur  quei  momenti!  Alla  cittade 

Giunsi,  tolsi  il  rimedio,  e  qua  tornai. 

Fra  speme,  '  e  fra  timor,  tremante,  incerto 

Entrai  sospeso  .  .  ,  Morto  era  Filino. 

Pallido  il  rimirai:  finito  io  vidi 

Il  respirar    sulle  gelate  labbra: 

Serrate  le  palpebre,  e  rilucenti 

Pel  ghiacciato  sudor  l'umide  chiome. 

Ahi  mio  Filino  !  Da  quel  tempo  ancora 

Quel  mesto  orror,  quei  funebri  momenti, 

Quel  tristo  di  dimenticar  non  posso. 

DAMETA 

Ben  men  sovvengo  anch'  io,  che  nel  levarmi 
Quella  mattina,  oltre  l'usato  io  vidi 
Triste  la  mamma.     Al  mio  Filino  io  tosto 
Correr  voleva:  ella  il  vietò,  mi  disse 
Che  ancor  dormiva,  e  uscir  mi  fece  al  prato. 
Ma  nel  tornar  con  festa,  e  saltellando 
Pianger  la  vidi.     Io  m'acchetai,  jDian  piano 
Le  venni  appresso,  e  presale  la  gonna. 
Mesto  le  dimandai  perchè  piangesse. 
Ella  china  abbracciommi,  ed  appoggiando 
Alla  mia  la  sua  fronte,  ah  figlio,  disse, 
Caro  Dameta  mio,  Filino  è  morto. 
AUor  piansi  ancor  io.     La  mamma  invano 
Trattenermi  volea  :  poich'  ella  il  guardo 


^  speme 


LE  RIMEMBRANZE  221 

Rivolse  altrove,  al  letticciuolo  io  corsi 

Del  mio  caro  Filin.     Fiso  dapprima 

Il  rimirai,  poi  sullo  smorto  viso 

Mille  baci  gli  diedi,  e  colla  mano 

Toccai  la  fredda  guancia,  e  gli  occhi  chiusi 

Di  riaprirgli  cercai.     Deh  quanto  io  piansi 

In  veder  come  più  non  si  movea! 

Filin  !  fratello  !  ^  io  gli  diceva,  oh  Dio  ! 

Tu  non  mi  vedi  più  .  .  .   Che  far  giammai 

Potrò  senza  di  te?  Quanto  t'amava! 

Quanto  m'amavi!  alla  selvetta,  al  prato 

Sempre  eravamo  insieme:  oh  quante  volte 

Corremmo  a  gara,  e  a  gara  tra  le  foglie 

Cogliemmo  -  i  più  bei  fior  !  quante  sull'erba 

La  sera  assisi  al  raggio  della  luna 

Cantammo  insiem  !  Tu  m' insegnavi  il  suono 

Sopra  le  canne  a  modular,  che  spesso 

Di  tua  man  mi  apprestavi;    o  a  far  panieri 

Per  empirli  di  fiori;  o  a  lanciar  sassi 

A  un  albero  lontan.     Spesso  nel  bosco 

Tendemmo  insidie  agli  augelletti,  e  insieme 

Ci  partimmo  la  preda.     Entro  un  canneto 

Spesso  nascosto  "^  io  l'amor  tuo   cercai 

Deludere  un  momento  :  ansioso  allora 

Tu  di  me  givi  in  traccia.     Il  riso  mio, 

A  lo  scrosciar  delle  vicine  canne  ^ 

Mi  tradiva  talor:  tu  mi  scoprivi, 

E  lieto  a  me  correvi,  e  in  abbracciarmi 

Del  mio  crudo  piacer  mi  riprendevi. 

Oh  quanto  ci  amavamo!  Ah  tutto  tutto 

È  finito  per  noi.     Caro  fratello 


'   Fratello! 

^  Cogliemo  (evidente  errore  di  stampa) 

'  nascosto, 

*  canne. 


2  LE  RIMEMBRANZE 

Tu  mi  lasciasti ...  ^  Al  giuoco,  -  in  casa  io  sempre 
Solo  restar  dovrò  ?.  .  Nò,  ^  che  la  vita 
Menar  più  non  jjotrei  .  .  .   Caro  Filino 
Ah  tu  moristi,  ali  morir  voglio  anch'  io. 

Egli  piangea:  tra  le  ginocchia  il  prese 
Il  buon  Micone,  e  gli  nsoiugnva  il  pianto, 
E  consolando  il  già.  ^ 

MICOXE 

Diman  condurti 
Alla  citfcade  io  vo',  diman  la  tomba 
Ti  mostrerò  di  tu3  fivitelli,  e   voglio 
Che  venga  insiem  cm  noi  la  mamma  ancora. 
Ah  figlio  !  ah  tu  sei  morto  !  il  padre  tuo  '' 
Che  si  t'amb,  dimenticar  sapresti? 


'  lasciasti. 

-  qiiioco 

=*  So 

'  //''<  .' 

^  tuo, 


APPENDICE 


CANZONI 


DI 


GIACOMO  LEOPARDI 


SULV  ITALIA 

Sul  Monumento  di  Dante  che  si  j)^epara 

in  Firenze 


ROMA  MDCccxviiI. 
Presso  FRA^XEsco  Bovrlie'  . 


227 


AL  CHIAEISSIMO 

SIG.  CAVALIEEE  VINCENZO  MONTI 

GIACOMO  LEOPAEDI 


§. 


^aando  mi  risolsi  di  pubblicai' e  queste  Canzoni, 
come  non  mi  sarei  lasciato  condurre  da  nessuna  cosa 
del  mondo  a  intitolarle  a  verun  polente,  così  mi  parve 
dolce  e  beato  il  consacrarle  a  Voi,  Signor  Car oliere. 
Stante  che  oggidì  chiunque  deplora  o  esorta  la  patria 
nostra,  non  puh  fare  che  non  si  ricordi  con  infinita  con- 
solazione di  Voi  che  insieme  con  quegli  altri  pochissimi,  i 
quali  tacendo  non  vengo  a  dinotare  niente  meno  di  quello 
che  farei  nominando,  sof^tenete  l'idttma  gloria  nostra, 
io  dico  quella  che  deriva  dagli  studj,  e  sìngolarmen'e 
dalle  lettere  e  arti  belle,  tanto  che  per  anche  non  si  può 


2:>S 


dire  che  V Italia  sia  morta.  Di  queste  Canzoni,  se  lujua- 
(jliiio  il  soggetto,  che  quando  lo  uguagliassero,  non 
mancherebbe  loro  ne  grandiosità  ne  veemenza,  sarà 
giudizio  non  tanto  dell'universale  quanto  vostro  ;  giacche 
da  quando  veniste  in  quella  fama  che  dovevate^  si  può 
dire  che  nessuno  scrittore  italiano,  se  non  altro,  di  quanti 
non  ebbero  la  vista  imjìedita  nìi  da,  scarsezza,  d' intelletto, 
ne  da  2>resunzione  e  amore  di  se  medesimi,  stimò  die  va- 
lessero jmnto  a  rifarlo  delle  riprensioni  vostre  le  lodi 
dell'altra  gente,  o  lodato  da  voi  riputò  mal  pagate  le 
sue  fatiche,  o  si  curò  de'  biasimi  o  dello  spregio  del  po- 
polo. Basterei  che  intorno  al  caido  di  Simonide  che  sta 
nella  lìrima  Canzone  io  significhi  non  per  Voi,  ma  per 
li  pili  de'  lettori,  e  domandandovi  perdono  dì  questo, 
ch'io  mi  fo  coraggio  e  non  mi   vergogno  di  scriverlo  a 


229 


5 


Voi,  che  quel  gran  fatto  delle  Termopile  fa  celebrato  real- 
mente da  un  Poeta  greco  di  molta  fama,  e  quel  eh'  e  2^iì<, 
vissuto  in  quei  medesimi  tempi,  cioè  Simonide,  come  si  ve- 
de appresso  Diodoro  neWundecimo  libro,  dove  recita  an- 
che certe  parole  di  esso  Poeta;  lasciando  V epitaffio  ripor- 
tato da  Cicerone  e  da  altri.  Due  o  tre  delle  quali  parole 
recate  da  Diodoro  sono  espresse  nel  quinto  verso  delVul- 
tima  strofe.  Ora  io  giudicava  che  a  nessun  altro  Poeta 
lirico  ne  prima  ne  dopo  toccasse  mai  verun  soggetto  così 
grande  ne  conveniente.  Imperocché  quello  che  raccontato 
o  letto  dopo  ventitre  secoli,  tidtavia  spreme  da  occhi  stra- 
nieri le  lagrime  a  viva  forza,  pare  che  quasi  veduto,  e 
certamente  udito  a  magnificare  da  chicchessia  nello 
stesso  fervore  della  Grecia  vincitrice  di  un'  armata  quale 
non  si  vide  in  Kìiropa   se  noìi  allora,  fra  le  maraviglie 


2:o 


i  tripudj  gli  appìmiiii  le  lagrima  di  tutta  una  eccellen- 
iissiina  nazione  siddimata  oltre  a  quanto  si  ino  dire  o 
/pensare  dalla  coscienza  della  gloria  acquistata,  e  da 
queW  amore  incredibile  della  patria  eh'  e  i^assato  in  com- 
jjagnia  de'  secoli  antichi,  dovesse  ispirare  in  qualsivo- 
glia Greco,  massimamente  Poeta,  affetto  e  furore  onnina- 
mente indicibile  e  sovrumano.  Per  la  qual  cosa  dolendomi 
assai  che  il  sovraddetto  componimento  fosse  perduto^  alla 
fine  presi  cuore  di  mettermi,  come  si  dice,  nei  panni  di 
Simonide,  e  così,  quanto  portava  la  mediocrità  mia,  ri- 
fare il  suo  canto,  del  quale  non  dubito  di  affermare,  che 
se  no  i  fu  maraciglioso,  allora  e  la  fama  di  Simonide  fu 
vano  rumore,  e  gli  scritti  consumati  degnamente  dal  tem- 
po. Di  questo  mio  fatto,  se  sia  stato  coraggio  o  temerità^ 
sentenzierete  Voi,   Signor   Cavaliere,   e   altresì,   quando 


231 


vi  paia  da  tanto,  giudichevete  della  seconda  Canzone,  la 
liliale  io  v'offro  umilmente  e  semplicemente  insieme  col- 
l'altra,  acceso  d'^aniore  verso  la  jjovera  Italia,  e  quindi 
animato  di  vivissimo  affetto  e  gratitudine  e  riverenza 
verso  cotesto  numero  presso  che  impercettibile  d'Italiani 
che  sojyravvive.  Ne  temo  se  non  ch'altri  mi  vituperi  e 
schernisca  della  indegnità  e  miseria  del  donativo;  che 
quanto  a  voi  non  ignoro  che  siccome  l'eccellenza  del  vo- 
stro ingegno  vi  dimostrerà  necessariamente  a  prima  vista 
la  qualità  dell'offerta,  così  la  dolcezza  del  cuor  vostro  vi 
sforzerà  d'accettarla,  j^er  molto  ch'ella  sia  povera  e  vile, 
e  conoscendo  la  vanità  del  dono,  a  ogni  modo  procure- 
rete di  scusare  la  confidenza  del  donatore,  forse  anche 
vi  sarà  grato  quello  che  non  ostante  la  benignità  vostra, 
vi  converrà  tenere  per  dispregevole. 


233 


SULL'ITALIA 


O 


patria  mia,  vedo  le  mura  e  ,^li  archi 
E  le  colonne  e  i  simulacri  e  l'erme 
Torri  de  gli  avi  nostri; 
Ma  la  gloria  non  vedo, 
Non  vedo  il  lauro  e  '1  ferro  ond'  eran  carchi 

I  nostri  padri  antichi.  Or  fatta  inerme, 
Nuda  la  fronte  e  nudo  il  petto  mostri. 
Oimé  quante  ferite, 

Che  lividor  che  sangue  !  oh  qual  ti  veggio, 

Formosissima  donna  !  Io  chiedo  al  cielo 

E  al  mondo,  dite,  dite. 

Chi  la  ridusse  a  tale?  E  questo  é  '1  peggio 

Che  di  catene  ha  carche  ambe  le  braccia, 

Sì  che  sparte  le  chiome  e  senza  velo 

Siede  in  terra  negletta  e  sconsolata 

Nascondendo  la  faccia 

Tra  le  ginocchia,  e  piange. 

Piangi,  che  n'  hai  ben  donde.  Italia  mia, 

II  mondo  a  vincer  nata 

E  ne  la  fausta  sorte  e  ne  la  ria. 


234 

10 


Se  fosse r  gli  occhi  miei  due  fonti  vive 
Non  potrei  pianger  tanto 
Ch'  adeguassi  il  tuo  danno  e  men  lo  scorno, 
Che  fosti  donna,  or  se'  povera  ancella. 
Chi  di  te  parla  o  scrive 
Che  rimembrando  il  tuo  passato  vanto 
Non  dica,  già  fu  grande,  or  non  è  quella? 
Perchè  perchè?  dov'è  la  forza  antica. 
Dove  l'armi,  e  '1  valore  e  la  costanza? 
Chi  ti  discinse  il  brando? 
Chi  ti  tradì?  qual  arte  o  qual  fatica 
O  qual  tanta  possanza 

Valse  a  spogliarti  il  manto  e  l'auree  bende? 
Come  cadesti  o  quando 
Da  tanta  altezza  in  cosi  basso  loco? 
Nessun  pugna  per  te?  non  ti  difende 
Nessun  de'  tuoi?  L'armi,  qua  l'armi:  io  solo 
Combatterò,  procomberò  sol  io. 
Dammi,  o  ciel,  che  sia  foco 
A  gì'  italici  petti  il  sangue  mio. 


235 
11 


Dove  sono  i  tuoi  figli  ?  Odo  suoii  d'  armi 
E  di  carri  e  di  voci  e  di  timballi: 
In  estranie  contrade 
Pugnano  i  tuoi  figliuoli. 
Attendi.  Italia,  attendi.  Io  veggio,  o  parmi 
Un  fluttuar  di  fanti  e  di  cavalli, 
E  polve  e  fumo  e  luccicar  di  spade 
Come  tra  nebbia  lampi. 
Ne  ti  conforti?  ed  oltre  al  tuo  costume 
T'affanni  e  piangi?  or  che  fia  quel  ch'io  sento? 
A  che  pugna  in  quei  campi 
L'itala  gioventude?  O  Nume,  o  Nume! 
Pugnan  per  altra  terra  itali  acciari. 
Oh  misero  colui  che  in  guerra  è  spento, 
Non  per  li  patrii  lidi  e  per  la  pia 
Consorte  e  i  figli  cari, 
Ma  da'  nemici  altrui 

Per  altra  gente,  e  non  può  dir  morendo, 
Dolce  terra  natia, 
La  vita  che  mi  desti  ecco  ti  rerdo. 


236 

12 


Oh  venturose  e  care  e  benedette 
Le  antich'  età  che  a  morte 
Per  la  patria  correan  le  genti  a  squadre, 
E  voi     sempra  onorate  e  gloriose, 
O  Tessaliche  strette 

Dove  la  Persia  e'  1  fato  assai  men  forte 
Fu  di  podi'  alme  franche  e  generose. 
Io  credo  che  le  piante  e  i  sa=;si  e  l'onle 
E  le  montagne  vostre  al  passeggere 
Con  indistinta  voce 
Narrin,  sì  come  tutte  quelle  sponde 
Coprir  le  invitte  schiere 
De'  corpi  eh' a  la  Grecia  eran  devoti. 
Allor  vile  e  feroce 
Serse  per  l'Ellesponto  si  fuggla 
Fatto  ludibrio  a  gli  ultimi  nipoti, 
E  sul  colle  d'Antela  ove  morendo 
Si  sottrasse  da  morte  il  santo  stuolo 
Simonide  salia 
Guardando  1'  etra  e  la  marina  e  '1  suolo. 


237 


13 


E  di  lagrime  sparso  ambe  le  guance 
E  ansante  il  petto  e  vacillante  il  piede, 
Toglieasi  in  man  la  lira  : 
Beatissimi  voi 

Ch'ofiriste  il  petto  a  le  nemiche  lance 
Per  amor  di  costei  eli'  al  sol  vi  diede, 
Voi  che  la  grecia  cole  e  '1  mondo  ammira: 
In  sempiterno  viva, 
Cari,  la  vostra  fama  «ippo  le  genti. 
Qual  tanto,  o  figli,  a  sera  amor  vi  trasse  ? 
Come  cosi  giuliva 

L'ora  estrema  vi  parve,  onde  ridenti 
Correste  al  fato  lagrimoso  e  duro  ? 
Parea  eh'  a  danza  e  non  a  morte  andasse 
Ciascun  de'  vostri  o  a  splendido  convito  : 
Ma  v'  attendea  lo  scuro 
Tartaro  e  l'onda  morta, 
Ne  le  spose  vi  foro  o  i  figli  accanto 
Quando  su  l'aspro  lito 
Senza  baci  moriste  e  senza  pianto. 


2B8 

14 

Ma  non  senza  de'  Persi  orrida  pena 
Ed  immortale  angoscia. 
Come  lion  di  tori  entro  una  mandra 
Or  salta  a  quello  in  tergo  e  si  gli  scava 
Con  le  zanne  la  schiena. 
Or  questo  fianco  addenta  or  quella  coscia; 
Tal  fra  le  Perse  torme  infuriava 
L'ira  de'  greci  petti  e  la  virtute. 
Ye'  cavalli  supini  e  cavalieri. 
Vedi  intralciar  di  tutti 
La  fuga  i  carri  e  le  tende  cadute, 
E  correr  fra'  primieri 
Pallido  e  scapigliato  esso  tiranno; 
Ve  come  intrisi  e  brutti 
Del  barbarico  sangue  i  greci  eroi 
Cagione  a  i  Persi  d' infinito  affanno, 
A  poco  a  poco  vinti  da  le  piaghe, 
L'un  sopra  l'altro  cade.  Evviva  evviva  : 
Beatissimi  voi 
Fin  ch'il  mondo  quassù  favelli  o  scriva. 


239 


15 


Prima  divelte,  in  mar  precipitando, 
Spente  ne  l' imo  strideran  le  stelle, 
Che  la  memoria  e  '1  vostro 
Amor  trascorra  o  scemi. 

La  tomba  vostra  è  un'  ara  ,  e  qua'  mostrando 
Verran  le  madri  a  i  parvoli  le  belle 
Orme  del  vostro  sangue.     Ecco  i^  mi  prostro, 
O  benedetti,  al  suolo, 
E  bacio  questi  sassi  e  queste  zolle 
Che  fien  lodate  e  chiare  eternamente 
Da  l'uno  a  l'altro  polo. 

Oh  foss'io  pure  con  voi  qui  sotto,  e  molle 
Fosse  del  sangue  mio  quest'  alma  terra  ! 
Che  se  ripugna  il  fato,  e  non  consente 
Ch'  io  per  la  grecia  i  moribondi  lumi 
Chiuda  prostrato  in  guerra, 
Cosi  la  vereconda 

Fama  del  vostro  vate  appo  i  futuri 
Possa,  volendo  i  numi, 
Tanto  durar  quanto  la  vostra  duri, 

8 


241 


17 


SUL    MONUMENTO 

DI   DANTE 

che  si  prepara  in  Firenze 

X  erchè  le  nostre  genti 
Pace  sotto  le  bianche  ali  raccolga, 
Non  fien  da'  lacci  sciolte 
De  l'antico  sopor  l' itale  menti, 
S'  a  i  patrj  esempj  de  la  prisca  etade 
Questa  terra  fatai  non  si  rivolga. 
O  Italia,  a  cor  ti  stia 
Far  a  i  passati  onor,  che  d'  altrettali 
Oggi  vedove  son  le  tue  contrade, 
Ne  e'  è  chi  d' onorar  ti  si  convegna. 
Volgiti  indietro  e  guarda,  o  patria  mia. 
Quella  turba  infinita  d' immortali, 
E  piangi  e  di  te  stessa  ti  disdegna; 
Che  se  non  piangi,  ogni  speranza  è  stolta: 
Volgiti  e  ti  vergogna  e  ti  riscuoti, 
E  ti  punga  una  volta 
Pensier  de  gli  avi  nostri  e  de'  nipoti. 


16 


242 


18 


D'  aria  e  d' ingegno  e  di  parlar  diverso 
Per  lo  toscano  suol  cercando  già 
L'  ospite  desioso 

Dove  giaccia  colui  per  lo  cui  verso 
Il  Meonio  cantor  non  è  più  solo; 
Ed  oh  vergogna  !     udia 
Che  non  eh'  il  cener  freddo  e  1'  ossa  nude 
Giaccian  esuli  ancora 
Dopo  il  funereo  di  sott'  altro  suolo  ; 
Ma  non  sorgea  dentro  a  tue  mura  un  sasso, 
Firenze,  a  quello  per  la  cui  virtude 
Tutto  il  mondo  t'  onora. 
Oh  voi  pietosi  onde  si  tristo  e  basso 
Obbrobrio  laverà  nostro  paese! 
Beli'  opra  hai  tolta,  e  di  eh'  amor  ti  rende, 
Schiera  prode  e  cortese, 
Qualunque  petto  amor  d' Italia  accende. 


243 


19 


Amor  d' Italia,  o  cari, 
Amor  di  questa  misera  tì  sproni, 
Ver  cui  pietade  è  morta 
In  ogni  petto  omai,  perciò  che  amari 
Giorni  dopo  il  seren  dato  n'ha  il  cielo. 
Forza  v'  aggiunga,  e  vostra  opra  coroni 
Misericordia,  o  figli, 
E  duolo  e  sdegno  di  cotanto  affanno, 
Onde  bagna  costei  le  guance  e  '1  velo. 
Ma  come  a  voi  dirizzerassi  il  canto 
Cui  non  pur  de  le  cure  e  de'  consigli, 
Ma  de  1'  ingegno  e  de  la  man  daranno 
I  secoli  futuri  eccelso  vanto 
Oprate  e  mostre  ne  la  dolce  impi'esa? 
Come  a  gran  foga  ecciteravvi  il  core? 
Come  a  la  mente  accosa 
Crescerà  novi  raggi  e  novo  ardore  ? 


244 

20 


Voi  spirerà  l'altissimo  subbietto, 
Ed  acri  punte  premeravvi  al  seno. 
Chi  dirà  l'onda  e  '1  turbo 
Del  furor  vostro  e  de  l' immenso  affetto  ? 
Chi  pingerà  l'attonito  sembiante  ? 
Chi  de  gli  occhi  il  baleno  ? 
Qual  può  voce  mortai  celeste  cosa 
Agguagliar  figurando  ? 

Mano  a  lo  scalpro.     Oh  quanti  plausi  oh  quante 
Lagrime  a  voi  la  bella  Italia  serba  ! 
Come  cadrà  ?  come  dal  tempo  rosa 
ria  vostra  gloria  o  quando  ? 
Voi  di  eh'  il  nostro  mal  si  disacerba 
Sempre  vivete,  o  care  arti  divine, 
Conforto  a  nostra  sventurata  gente, 
Su  r  itale  ruine 
Gl'itali  pregj  a  celebrare  intente. 


245 


21 


Ecco  voglioso  anch'  io 
Ad  onorar  nostra  dolente  madre 
Porto  quel  che  mi  lice, 
E  mesco  a  l'opra  vostra  il  canto  mio 
Sedendo  u'  vostro  ferro  i  marmi  avviva. 
O  de  l'Ausonio  carme  inclito  jDadre, 
Se  di  cosa  terrena 
Se  di  colei  che  tanto  alto  locasti 
Qualche  novella  a  i  vostri  lidi  arriva, 
Io  so  ben  che  per  te  gioja  non  senti, 
Che  saldi  men  che  cera  e  men  ch'arena 
Verso  la  fama  che  di  te  lasciasti 
Son  bronzi  e  marmi,  e  da  le  nostre  menti 
Se  mai  cadesti  ancor,  s'unqua  cadrai. 
Cresca,  se  crescer  può,  nostra  sciagura, 
E  in  sempiterni  guai 
Pianga  tua  stirpe  a  tutto  il  mondo  oscura. 


246 

22 


Ma  non  per  te,  per  questa  ti  rallegri 
Povera  patria  tua,  s'  unqua  1'  esempio 
De  gli  avi  e  de'  parenti 
Ponga  ne'  figli  sonnacchiosi  ed  egri 
Tanto  valor  eh' un  tratto  alzino  il  viso. 
O  secol  turpe  e  scempio  ! 
Qual  vedi  Italia  eh'  era  si  meschina, 
Leggiadro  spirto,  allora 
Che  di  novo  salisti  al  Paradiso  ! 
Ora  è  tal  che  rispetto  a  quel  che  vedi 
AUor  fu  beatissima  e  regina. 
Mostrar  chi  si  rincora 

Il  mal  eh'  è  fia  gran  che,  s'  udendo  il  credi  ? 
Taccio  gli  altri  nemici  e  1'  altre  doglie 
Ma  non  la  Francia  scellerata  e  nera 
Per  cui  presso  a  le  soglie 
Vide  r  Italia  mia  l' ultima  sera. 


247 
23 


Beato  te  eli' il  fato 
A  viver  non  dannò  fra  tanto  orrore, 
Che  non  vedesti  in  braccio 
L'itala  moglie  a  barbaro  soldato, 
Non  predar  non  guastar  cittadi  e  colti 
Di  Franche  torme  il  bestiai  furore, 
Non  de  gl'itali  ingegni 
Tratte  l'opre  cattive  a  miseranda 
Schiavitude  oltre  l'alpe,  e  non  de' folti 
Carri  impedita  la  dolente  via, 
Non  gli  aspri  cenni  ed  i  superbi  regni, 
Non  udisti  gli  oltraggi  e  la  nefanda 
Voce  di  libertà  che  ne  schernia 
Tra  '1  suon  de  le  catene  e  de'  flagelli. 
Chi  non  si  duol?  che  non  soffrimmo?  intatto 
Che  lasciaron  quei  felli? 
Qual  tempio  quale  altare  o  qual  misfatto? 


248' 

24 


Perch'  venimmo  a  si  perversi  tempi? 

Perdi'  il  nascer  ne  desti  o  perchè  prima 

Non  ne  desti  il  morire, 

Acerbo  fato?  onde  a  stranieri  ed  empi 

Nostra  patria  vedendo  ancella  e  schiava, 

E  da  mordace  lima 

Roder  la  sua  virtù,  di  nuli' aita 

E  di  nullo  conforto 

Lo  spietato  dolor  che  la  stracciava 

Ammollir  ne  fu  dato  in  parte  alcuna. 

Ahi  non  il  sangue  nostro  e  non  la  vita 

Avesti,  o  cara,  e  morto 

Io  non  son  per  la  tua  dira  fortuna. 

Qui  si  eh'  il  pianto  infino  al  suol  mi  gronda. 

Pugnò  cadde  gran  parte  anche  di  noi, 

Ma  per  la  moribonda 

Italia  no,  per  li  tiranni  suoi. 


249 


25 


Padre,  se  non  ti  sdegni 
Cambiato  se'  da  quel  che  fosti  in  terra. 
Morian  fra  le  Rutene 
Orride  piagge,  ahi  d'altra  morte  degni, 
GÌ'  itali  prodi,  e  lor  fea  l'aere  e  '1  cielo 
E  gli  uomini  e  le  belve  immensa  guerra. 
Cadeano  a  squadre  a  squadre 
Semivestiti  maceri  e  cruenti, 
Ed  era  letto  agli  egri  corpi  il  gelo. 
Allor,  quando  traean  l'ultime  pene, 
Membravan  questa  desiata  madre 
Dicendo,  Oh  non  le  nubi  e  non  i  venti 
Ma  ne  spegnesse  il  ferro,  e  pel  tuo  bene, 
0  patria  nostra!  Ecco  da  te  rimoti, 
Quando  più  bella  gioventù  ci  ride, 
A  tutto  il  mondo  ignoti 
Moriam  per  quella  gente  che  t'uccide. 


250 

26 


Lor  tristo  fato  il  pallido  deserto 
E  borea  vide  e  le  fischianti  selve. 
Cosi  vennero  al  passo, 
E  i  negletti  cadaveri  a  l'aperto 
Su  per  quello  di  neve  orrendo  mare 
Si  smozzicar  le  belve, 
E  fia  l'onor  de'  generosi  e  forti 
Pari  mai  sempre  ed  uno 
Con  quel  de'  tardi  e  vili.  Anime  care, 
Bendi'  infinita  sia  vostra  sciaura, 
Datevi  pace,  e  questo  vi  conforti 
Che  conforto  nessuno 
Avrete  in  questa  o  ne  l'età  futura. 
In  seno  al  vostro  smisurato  affanno 
Posate,  o  di  costei  veraci  figli, 
Al  cui  supremo  danno 
Il  vostro  solo  è  tal  clie  rassomigli. 


251 


27 


Di  voi  già  non  si  lagna 
La  patria  vostra,  ma  di  chi  vi  spinse 
A  pugnar  contra  lei 
Si  ch'ella  sempre  amaramente  piagna 
E  '1  suo  col  vostro  lagrimar  confonda. 
Oh  di  costei  che  tanta  verga  strinse 
Pietà  nascesse  in  core 
A  tal  de'  suoi  che  aJBfaticata  e  lenta 
Di  si  buja  vorago  e  si  profonda 
La  ritraesse!  O  glorioso  spirto, 
Dimmi,  d' Italia  tua  morto  è  l'amore  ? 
Dimmi,  la  vampa  che  t'accese,  è  spenta"? 
Dimmi,  né  mai  rinverdirà  quel  mirto 
Che  tu  festi  sollazzo  al  nostro  male? 
E  saran  tue  fatiche  a  l'aria  sparte  ? 
Né  sorgerà  mai  tale 
Che  ti  rassembri  in  qualsivoglia  parte? 


252 

28 


In  eterno  peri  la  gloria  nostra? 
E  non  d'Italia  il  pianto  e  non  lo  scorno 
Ebbe  verun  confine? 

Io  mentre  viva  andrò  sciamando  intorno, 
Volgiti  a  gli  avi  tuoi,  guasto  legnaggio, 
Mira  queste  mine 

E  le  carte  e  le  tele  e  i  marmi  e  i  templi, 
Pensa  qual  terra  premi,  e  se  svegliarti 
Non  può  la  luce  di  cotanti  esempli, 
Che  stai?  levati  e  parti. 
Non  si  convien  a  si  corretta  usanza 
Questa  d'eccelse  menti  altrice  e  scola: 
Se  di  codardi  è  stanza  ; 
Meglio  l'è  rimaner  vedova  e  sola. 


253 


IMPRIMATUE 

Si  videbitur  Revino  Patri  Sac.  Palatii 
Apostolici  Magistro 

Candidus  Maria  Frattini  Avchiep. 
Philip.   Vicesg. 

IMPEIMATUR 

Fr.  Th.  Dominicus  Piazza  0.  P.  Magister 
et  Soc.  Rmi  P.  M.  S.  P.  A. 


CANZONE 


DI 


GIACOMO  LEOPARDI 


AD 


ANGELO    MAI 


BOLOGNA.  MDCCCXX 

PER   LE    STAMPE   DI  IACOPO   MAESIOLI 

COy  APPUOVAZIÙXL- 


257 


GIACOMO  LEOPARDI 

AL  CONTE 

LEONARDO    TRISSINO 


yoi  per  animarmi  a  scrivere  mi  solete  ricordare  che 
la  storia  cW  nostri  tempi  non  darà  lode  agP italiani,  altro 
che  nelle  lettere  e  nelle  scolture.  Ma  eziandio  nelle  lettere 
siamo  fatti  servi  e  tributari;  e  io  non  vedo  in  che  pre- 
gio ne  dovremo  esser  tenuti  dai  posteri,  considerando  che 
la  facoltà  delV  immaginare  e  del  ritrovare  e  spenta  in  ita- 
lia,  ancorché  gli  stranieri  ce  V attribuiscano  tuttavia  come 
nostra  spedale  e  primaria  qualità,  ed  e  secca  ogni  vena 
di  affetto  e  di  vera  eloquenza.  E  contuttociò  quello  che  gli 


258 


antichi  adoperavano  in  luogo  di  passatempo,  a  noi  resta 
in  luogo  di  affare.  Sicché  diamoci  alle  lettere  quanto 
jy orlano  le  nostre  forze^  e  ap)plichiamo  V  ingegno  a  dilet- 
tare colle  parole,  giacche  la  fortima  ci  toglie  il  giovare 
co^  fatti  compera  usanza  di  qualunque  c/e'  nostri  maggiori 
volse  l'animo  alla  gloria.  E  voi  non  isdegnate  questi  po- 
chi versi  chHo  vi  ìuando.  Ma  ricordatevi  ch'ai  disgraziati 
si  conviene  il  vestire  a  lutto,  ed  è  forza  che  le  nostre 
canzoni  rassomiglino  ai  versi  funebri.  Diceva  il  Petrarca, 
ed  io  son  un  di  quei  che  '1  pianger  giova.  Io  non  j^osso 
dir  questo,  perche  il  piangere  non  e  inclinazione  mia  pro- 
pria, Dia  necessità  de'  tempi  e  volere  della  fortuna. 


259 


5 


Italo  ingegno,  a  che  già  mai  non  posi 
Di  svegliar  da  le  tombe 
I  nostri  padri?  e  a  favellar  gli  meni 
A  questo  secol  morto  al  quale  incombe  . 
SI  gran  nebbia  di  tedio?  E  come  or  vieni 
Si  forte  a'  nostri  orecchi  e  si  frequente, 
Voce  antica  de'  nostri 
Muta  si  lunga  etade?  e  perchè  tanti 
Kisorgimenti?  In  un  balen  feconde 
Yenner  le  carte;  e  a  la  stagion  presente 

I  polverosi  Chiostri 

Serbaro  intatti  i  generosi  e  santi 
Detti  de  gli  avi.  E  che  valor  t' infonde 

II  Cielo  e  '1  fato,  Italo  illustre?  e  quale 
Tanto  avvivar  fu  degno  altro  mortale  ? 


260 


6 


Certo  senza  divino  alto  consiglio 
Non  è  ch'ove  più  lento 
E  grave  è  '1  nostro  disperato  obblio, 
A  percoter  ne  rieda  ogni  momento 
Novo  grido  de'  padri.  Ancora  è  pio 
Dunque  a  l' Italia  il  cielo,  anco  si  cura 
Di  noi  qualche  immortale; 
Che  poi  eh' è  questa  o  nessun'  altra  poi 
L'ora  da  ripor  mano  a  la  virtude 
Rugginosa  de  l'itala  natura, 
Tanto  e  si  strano  e  tale 
E  '1  clamor  de'  sepolti,  e  de  gli  eroi 
Dimenticati  il  nome  si  dischiude, 
O  patria  o  patria,  anco  in  età  si  tarda 
Chiedendo  se  ti  giovi  esser  codarda. 


2G1 


7 


Spirti  sublimi,  ancor  di  noi  serbate 
Qualche  speranza?  in  tutto 
Non  siam  periti?  A  voi  certo  il  futuro 
Ignoranza  non  copre:  io  son  distrutto 
Ed  annientato  dal  dolor,  che  scuro 
M'è  l'avvenire,  e  tutto  quanto  io  scerno 
E  tal  che  sogno  e  fola 
Fa  parer  la  s])eranza.  Anime  prodi. 
Voi  non  sapete  a  che  siam  giunti?  E  morta 
Italia  vostra;  a'  vostri  figli  è  scherno 
E  d'opra  e  di  parola 
Ogni  valor;  di  vostre  eterne  lodi 
Non  è  chi  pensi,  nullo  si  conforta         ^ 
Del  vostro  rimembrar,  che  di  viltade 
Siam  fatti  esempio  a  qualsivoglia  etade. 


262 


y^^^m^^^ 


Bennato  ingegno,  or  quando  altrui  non  cale 
De'  nostri  alti  parenti, 
A  te  ne  caglia,  a  te  cui  '1  fato  aspira 
Benigno  si  che  per  tua  man  presenti 
Paion  que'  giorni  allor  che  da  la  dira 
Obblivione  antica  ergean  la  chioma 
Con  gli  studi  sepolti 
I  vetusti  divini  a  cui  natura 
Parlò  senza  svelarsi,  onde  i  riposi 
Magnanimi  allegrar  d'Atene  e  Roma. 
Oh  tempi  oh  tempi  avvolti 
In  sonno  eterno.  Allora  anco  immatura 
La  mina  d' italia^  anco  sdegnosi 
Eravam  d'ozio  turpe,  e  l'aere  a  volo 
Una  favilla  ergea  da  questo  suolo. 


263 


9 


Eran  calde  le  tue  ceneri  sante, 
Non  domito  nemico 
De  la  fortuna,  al  cui  sdegno  e  dolore 
Fu  più  l'averno  che  la  terra  amico  : 
L'averno;  e  qual  non  è  parte  migliore 
Di  questa  nostra?  E  le  tue  dolci  corde 
Tremolavano  ancora 
Dal  tocco  di  tua  destra  o  sfortunato 
Amante.  Ahi  dal  dolor  comincia  e  nasce 
L'italo  canto.  E  pur  men  grava  e  morde 
Il  mal  che  n'addolora 
Del  tedio  che  n'affoga.  Oh  te  beato 
A.  cui  fu  vita  il  pianto.  A  noi  le  fasce 
Cinse  la  noia,  e  siede  accanto  il  nulla 
Immoto  e  ne  la  tomba  e  ne  la  culla. 


264 


10 


Ma  tua  vita  era  allor  con  gli  astri  e  '1  mare, 
Ligure  ardita  prole, 

Quand' oltre  a  le  colonne  ed  oltre  a  i  liti 
Cui  strider  l'onde  a  l'attuffar  del  sole 
Pareva  udir  la  sera,  a  gl'infiniti 
Flutti  commesso,  ritrovasti  il  raggio 
Del  sol  caduto,  e  '1  giorno 

Che  nasce  allor  ch'a  i  nostri  è  giunto  al  fóndo: 
E  vinto  di  natura  ogni  contrasto. 
Ignota  immensa  terra  al  tuo  viaggio 
Fu  gloria,  e  del  ritorno 

A  i  rischi.  Ahi  ahi  che  conosciuto  il  mondo 
Non  cresce  ma  si  scema,  e  assai  più  vasto 
È  al  fanciullin  che  a  quello  a  cui  del  cielo 
Gli  arcani  e  de  la  terra  han  perso  il  velo. 


265 


11 


Nostri  beati  sogni  ove  son  giti 
De  r  ignoto  ricetto 
D' ignoti  abitatori,  o  del  diurno 
De  gli  astri  albergo,  e  del  rimoto  letto 
De  la  giovane  aurora,  e  del  notturno 
Occulto  sonno  del  maggior  pianeta? 
Sete  svaniti  a  un  punto. 
Ecco  descritto  il  mondo  in  breve  carta, 
Ecco  tutto  è  simile,  e  discoprendo, 
Solo  il  nulla  s'accresce.     A  noi  ti  vieta 
Il  vero  appena  è  giunto. 
0  caro  immaginar;  da  te  s'apparta 
Nostra  mente  per  sempre,  a  lo  stupendo 
Poter  tuo  primo  ne  sottraggon  gli  anni, 
E  rifugio  non  resta  a  i  nostri  affanni. 


266 


12 


Nascevi  a  dolci  sogni  intanto,  e  '1  primo 
Sole  splendeati  in  vista, 
Cantor  vago  de  l'arme  e  de  gli  amori 
die  in  età  della  nostra  assai  men  trista 
Empier  la  vita  di  felici  errori: 
Nova  speme  d'italia.  0  torri  o  celle 
0  donne  o  cavalieri 
0  giardini  o  palagi,  a  voi  pensando 
In  mille  vane  amenità  si  perde 
L'ingegno  mio.  Di  vanità,  di  belle 
Fole,  e  strani  pensieri 
Si  componea  l'umana  vita:  in  bando 
Gli  cacciammo:   or  che  resta?  or  poi  che  '1  verde 
È  rapito  a  le  cose?  il  certo  e  solo 
Veder  che  tutto  è  vano  altro  che  '1  duolo. 


267 


13 


0  Torquato  o  Torquato,  a  noi  promesso 
Eri  tu  allora,  il  pianto 
A  te,  null'altro  prometteva  il  cielo. 
0  misero  Torquato,  il  dolce  canto 
Non  valse  a  consolarti,  o  a  sciorre  il  gelo 
Onde  l'alma  t'avean  ch'era  si  calda 
Cinta  l'odio  e  l'immondo 
Livor  privato  e  de'  tiranni.  Amore, 
Amor  di  nostra  vita  ultimo  inganno 
T'abbandonava.     Ombra  reale  e  salda 
Ti  parve  il  nulla,  e  '1  mondo 
Tutto  un  deserto.  Onor  che  giova  a  un  core 
Poi  che  d'inganno  uscio?  sorte  non  danno 
L'estrema  ora  ti  fu.    Morte  domanda 
Chi  '1  nostro  mal  conobbe,  e  non  ghirlanda. 


208 

14 


Torna  torna  fra  noi,  sorgi  dal  muto 
E  sconsolato  avello 

Se  vuoi  strider  d'angoscia,  o  miserando 
Esempio  di  sciaura.  Assai  da  quello 
Che  ti  parve  si  mesto  e  si  nefando 
E  peggiorato  il  viver  nostro.  0  caro, 
Chi  ti  compiangerla. 
Se  fuor  che  di  se  stesso  altri  non  cura? 
Chi  stolto  non  direbbe  il  tuo  mortale 
Affanno  anche  oggidì,  se  '1  grande  e  '1  raro 
Or  si  chiama  follia. 

Ne  livor  più  ma  ben  più  grave  e  dura 
La  noncuranza  avviene  a  i  sommi?  o  quale, 
Se  più  de'  carmi,  il  computar  s'ascolta, 
T'appresterebbe  il  lauro  un'  altra  volta? 


269 


15 


Da  te  fino  a  quest'ora  uom  non  è  sorto, 
0  sventurato  ingegno, 
Pari  a  l'italo  nome,  altro  eh' un  solo, 
Solo  di  sua  codarda  etate  indegno 
Allobrogo  feroce,  a  cui  dal  polo 
Maschio  valor,  non  già  da  questa  mia 
Stanca  ed  arida  terra. 
Scese  nel  petto;  onde  privato,  inerme 
(Memorando  ardimento)  in  su  la  scena 
Mosse  guerra  a'  tiranni:  almen  si  dia 
Questa  misera  guerra 
A  le  schiacciate  genti,  a  l' ire  inferme 
Del  mondo.  Ei  primo  e  sol  dentro  a  l'arena 
Scese,  e  nullo  il  segui,  che  l'ozio  e  '1  brutto 
Silenzio  or  preme  ai  nostri  innanzi  a  tutto. 


270 


16 


Disdegnando  e  fremendo,  immacolata 
Trasse  la  vita  intera, 
E  morte  lo  scampò  dal  veder  peggio. 
Vittorio  mio,  questa  per  te  non  era 
Età  né  suolo.  Altri  anni  ed  altro  seggio 
È  d'uopo  a  gli  alti  ingegni.  Or  di  riposo 
E  vago  il  mondo,  e  scorti 
Siam  da  mediocrità;  seco  è  '1  sapiente 
E  salita  è  la  turba  a  un  sol  confine 
Che  '1  mondo  agguaglia.  0  scopritor  famoso. 
Segui,  risveglia  i  morti 
Poi  elle  dormono  i  vivi,  arma  le  spente 
Lingue  de'  prischi  eroi,  tanto  che  in  fine 
Questo  secol  di  fango  o  vita  agogni 
E  sorga  ad  atti  illustri,  o  si  vergogni. 


271 


ERRATA    .  CORRIGE 


pag.  IG.  Vers.  8.  sec^o  sceso 


INDICE 


Alla  Signorina  Bice  Antona-Tr aversi Pag.    ni 

Prefazione „  ix 

Odissea „  1 

Eneide „  31 

Al  lettore „  33 

Libro  secondo ^  41 

Inno  a  Nettuno „  95 

Sul  monumento  di  Dante „  139 

Ad  Angelo  Mai „  157 

La  sera  del  giorno  festivo „  175 

Alla  luna „  181 

La  luna  o  la  ricordanza •    .  „  185 

Il  sogno „  189 

Il  sogno.  Idillio „  195 

Imitazione „  201 

Canzone  per  una  donna  malata  di  una  malattia  lunga 

e  mortale „  205 

Lo  rimembranze , „  215 

Appendice ^  223 

Canzoni  di  Giacomo  Leopardi „  225 

Al  Chiarissimo  Sig.  Cavaliere  Vincenzo  Monti  .  „  227 

Sull'Italia ^  233 

Sul  Monumento  di  Dante „  241 

Canzone  di  Giacomo  Leopardi  ad  Angelo  Mai  .  „  255 

Giacomo  Leopardi  al  conte  Leonardo  Trissino  .  „  257 


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15    GIUGNO    1887 


CATALOGO 


S.  LAPI  Editore 

IN    CITTA'    DI    CASTELLO 


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iVIorandi   Luigi.  —  Origine    della    Lingua  Italiana. 

Terza  edizione,  emendata  e  accresciuta  .  .  .  .  „  1,  00. 
"  Il  libro  è  breve;  ma  è  difficile  trovarne  uno  più  succoso, 
più  proporzionato  al  modo  in  cui  l'autore  ha  inteso  trattare  il 
soggetto  suo,  più  chiaro,  e  in  cui  meno  manchi  e  meno  abbondi.  „ 
E,.  Bonghi,   nel  Fanfulla  del  1-1  genn.  1884. 

"  Libro  piccolo,  ma  istruttivo.  „  A.  Gaspauy,    Geschichfe  der 
Italìenischen  Literaiar  ;  Berlin,  1885;  pag.  483. 
Belli.  6.  G.  —  I  Sonetti  Romaneschi.  Unica  edizione 
fatta  sugli  autografi,  a  cura  di  Luigi  Moran- 

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LA  GIURÌA,  Traduzione  dall'Inglese „     1,00 

A.  Gabrielli.  —  Le  Rovine  dei  Nibelunghi „     3,00 

P.  Goodwill  —  Le  XII  Tavole  dell'antica  Roma..  „  1,00 
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Mariani    Cesare    —    Grammatica    Italiana    per    le 

Scuole,  parte  I.  dell'etimologia ,,     1^50 

Zanella  Giacomo  —  L'evoluzione,  fCarme)  tradotto 

dallo  stesso  in  versi  latini „     0.50 

Morandi  Luigi.  —  Antologia  della  nostra  Critica 
letteraria  moderna,  per  uso  delle  persone  còl- 
te e   delle  &cuole.     Terza  impressione „     4,00 

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retti  contro  Voltaire;  con  un'Appendice  alla 
Frusta  Letteraria  e  XLIV  Lettere  del  Ba- 
retti  inedite  o  sparse.  Nuova  edizione,  miglio- 
rata e  molto  accresciuta „      4,00 

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con  Appendice    inedita „ „     0,50 

Bonazzi  Luigi.  —  Gustavo  Modena  e  l'Arte  sua,  con 

Prefazione  di  Luigi  Morandi.  Seconda  edizione  „     2,00 

0.  Bruni  —  La  nostra  redenzione  morale,  libro  of- 
ferto al  Popolo  Italiano „     1,00 

Teocrito.  —  Idilli  tradotti   da  Giacomo  Zanella. 

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A.  Ademollo  —  Le  Annotazioni  di  Mastro  Titta....    „    1,50 
Aristofane.  —  Le  Rane.    Traduzione  di   A.  Fran- 
CHETTi  con  prefazione  di  D.  Comparetti.  Ri- 
legato   „     3,00 

F.  d'Ovidio  e  L.  Sailer.  —  Discussioni  Manzoniane  „     3,00 
Mamiani  T.  —  Poesie    e  prose   scelte,  con  un  di- 
scorso su  la  vita  e  le  opere  dell'autore  a  cura 

di  Giovanni  Mestica „    4,00 

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darnesi „     4,00 

Pinzi  G.  —  Della  presente  letteratura  in  Italia..  „     1,00 
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zione di  Giuseppe  Cimbali „    2,00 

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duzione di  Sofia  Fortini-Santarelli „    3,00 

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nità. Traduzione  di  Sofia  Fortini-Santarel- 


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zione di  Sofia  Fortini-Santarelli  con  prefa- 
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di  Dante ,,     1,00 

Zanella  Giacomo.  —  Della  letteratura  italiana  nel- 
l'ultimo secolo,    2."^  impressione.   Rilegato  e 

Dorato „    3,00 

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estratti  dalla  Divina  Commedia. „     2,50 

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