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ANTI E
DI GIACOMO LEOPARDI
PUBllCATI CON NUMEROSE VARIANTI
DI SU GLI AUTOGEAFI EECANATESI
CAMILLO ANTONA-TRAVERSI
CITTA DI CASTELLO
S. LA PI TIPOGRAFO, EDITORE
1887
PROPRIETÀ LETTERARIA
a^
ALLA NOBILE SIGNOEINA
BICE ANTONA- TRAVERSI
Mia dilettissima Bice^
" Negli animi che amore si elegge ad abitare, suscita
e rinverdisce, per tutto il tempo che egli vi siede,
l'infinita speranza e le belle e care immaginazioni de-
gli anni teneri. „
Queste parole che Giacomo Leopardi lasciò scritte
nella Storia del genere umano, mi tornano a mente ora
che, comjnuta P opera mia^ sto per intitolarla al tuo dol-
cissimo nome.
A nessuno in vero meglio che a te. che mi fosti compa-
gna fedele e amorosa per ventidue anni vissuti in intima e
soare comunione s\ di gioje e sì di dolori, io — che son nato
ari amare, ho amato, e forse con tanto affetto quanto
può mai cadere in anima vira — potrei volger la mente,
dando alla luca alcuni tra gli autografi di quel sublime,
quasi divino ingegno, che fu Giacomo Leoptardi, onde
tante volte, nella giovinezza nostra, ptasseggiando per gli
omhrosi e odorati viali del nostro "Desio,,, abbiamo letto e
commentato insicìne i canti immortali.
Rivivere, non fo ss 3 che un'' ora di quelle care memorie;
ritornare, fosse pure un istante solo, a quegli anni beati,
quando tutto, a cominciare dal volto della. Mamma adorata,
VI
ini sorrideva cV intorno come la fiorente primavera, e per
me la suprema — sto per dire — la sola, la forte mia
fjioja.
Nessuna amicizia, ìnia dolcissima sorella, sarà mai e
poi mai uguale alla nostra, eh* e fondata in tante rimem-
branze, che è antica quanto la nostra nascita; e se e
vero — e io certo non ne dubito — che niuna forza,
nittn capriccio umano, puh separare due cuori che si sen-
tono stretti indissohd)ilmente Viino all^ altro, io vivrò eterno
nel tuo pensiero e nel tuo cuore, come tu nel mio.
Dalla lettura e dallo studio di questi canti del Poeta
prediletto della nostra giovinezza, così come furono fer-
mati in carta le prime volte, anche tu, mia sorella,
trarrai grande e proficuo ammaestramento. Intjnderai
meglio ciò che io ehhi pia volte occasione di dirti e far-
ti toccar con mano; che, cioì', la poesia non consiste già
nel variare il materiale del verso e nelV inventare strava-
ganti accopinamenti nelle strofe, s) bene nel variarne il so-
stanziale, o, meglio, i pensieri e i sentimenti, e nel dir cose
belle, cose grandi, cose molte, con semplicità, con forza, con
entusiasmo.
Gradevolissima e assai proficua così a Teresita (che
VII
le Muse lattar jnii cWaltra mai) come a te, riuscirà dun-
que questa mia novella e laboriosa fatica ; e la vostra lode,
che so di meritare, sarà certo il jjremlo più hello e più
ambito alle mie amorose lunghissime cure.
La poesia — lasciamelo dire — quando e grande e divi-
na, ed e questo il caso, tende a farci fortemente e pienamente
sentire la nostra esistenza sollevandola di là dalle noje che
V accompagnano: dimentica dunque per un istante, quando
sorgono, le rare nuvolette che abbuiar possono il tuo puris-
simo cielo di fanciulla, e lascia che, dal canto mio, ponga
in oblio i ìnolti inali che mi amareggiano il vivere.
Sidjlime effetto della poesia immortale, quello di ra-
pire Vanimi nostra e trasportarla in un mondo assai mi-
gliore, ove tutto e purezza, beatitudine, serenità!
Vivi felice, com.e ne sei degna, a canto a nostra madre,
es^.mplare di ogni bella e difficile virtù ; e rileggendo, con Te-
rzsita, gVimmortaU canti del poeta delle Ricordanze così
come sono usciti dalla sua penna, lascia che le tue lab-
bra pronunzino spesse volte il nome dsi tuo affezionatis-
simo e immutabile fratello
Camillo.
Boma, 1'^ marzo '87.
PREFAZIONE
PREFAZIONE
Il volume che ora pnblico e che mi è lecito
sperare dover essere grandemente utile e prezioso
agli studj letterarj e filologici, contiene la ri-
produzione fedelissima de' manosci'itti di alcuni
componimenti poetici di Giacomo Leopardi. Que-
sti manoscritti sono conservati gelosamente dalla
nobile famiglia Leopardi, a Recanati, nella ricca
biblioteca avita.
Condottomi, tre amii or sono, in Recanati,
ebbi il gentile permesso di studiare e trascrivere
quei preziosi manoscritti dal presente conte Gia-
como Leopardi, primogenito di Pier Francesco.
Sebbene ora possa vantarmi di possedere intiera
Tamicizia del nobil Uomo, tre anni fa^ allor-
ché andai la prima volta in Recanati, io era a lui
sconosciuto di persona : onde tanto maggiormente
devo essergli grato della squisita cortesia che gli
piacque di usarmi.
XII PREFAZIONE
Ora, dunque, per me si publicano in questo
volume, a vantaggio sommo degli studj e delle
lettere, tutti i manoscritti che si conservano nella
biblioteca Leopardi. Sono pochi, ed è doloroso.
Eccone l'elenco :
I Traduzione del primo libro della Odissea.
II Traduzione del secondo libro della E-
neide, con preambolo al Lettore.
Ili Inno a Nettuno, con le note.
lY Sul monumento di Dante che si prepara
IN Firenze {Canzone),
Y Ad Angelo Mai (Canzone).
YI La sera del giorno festivo (Idilìio).
YII Alla luna (Idillio).
YIII... La luna o la ricordanza (Idillio).
IX Il sogno.
X Il sogno (Idillio).
XI Imitazione.
XII Canzone per una donna malata di ma-
lattia LUNGA E mortale.
XIII... Le Rimembranze (Idillio).
Cinque di questi manoscritti, e, per fortuna,
i più importanti, sono di pugno di Giacomo, vo-
glio dire la canzone Ad Angelo Mai; la canzone
Bui monumento di Dante; Vlnno a Nettuno con le
note; il primo libro della Odissea; il secondo li-
bro della Eneide. Questi sono interamente auto-
grafi: gli altri, di mano della sorella Paolina la
quale, insieme con Carlo, era il fedele e amoroso
copista di Giacomo. * Ma anche questi manoscritti
PREFAZIONE XIII
cU mano della contessa Paolina hanno grande im-
portanza a cagione dello molte varianti, assolu-
tamente INEDITE, che essi contengono [vedi spe-
cialmente r Idillio intitolato : La sera del gioeno
festivo].
Ho detto esser cosa dolorosa che questi mano-
scritti (e specialmente gli autografi) sieno cosi
pochi. Certo, nella biblioteca Leopardi non ce
ne sono altri, salvo questi da me trascritti e stu-
diati. Parecchi devono essere posseduti da An-
tonio Ranieri ; e sarebbe una vera e grande fortuna
che qualche valentuomo autorevole, amico del Ra-
nieri, tentasse e venisse a capo d' indurlo alla
preziosi-Bsima publicazione degli aurei autografi.
Altri manoscritti, come, ad esempio, la canzone fa-
mosa AW Italia {Qd è grave jattura) devono essere
stati involati da una tale che ingannò sempre
la buona fede della contessa Paolina; la quale,
come ognun sa, rimase, alla morte di Pier Fran-
cesco, usufruttuaria di tutto il patrimonio Leo-
pardi. Il furto commesso da questa femmina sarà
da me provato in un mio libro di imminente
publicazione.^ Quanto a Carlo, non credo recasse
con sé manoscritti di Giacomo. Egli, come tutti
sanno, si divise dalla famiglia, a cagione del suo
matrimonio con la cugina Paolina Mazzagalli —
matrimonio a cui il conte Monaldo negò il suo
assenso — e più non ritornò in famiglia: abitò
sempre il palazzo dei Mazzagalli.
Ma la maggior parte de' manoscritti dovettero
essere distrutti, com' è naturale supporre^, dallo
stesso Giacomo. Le prime bozze dei varj Canti
XIV PREFAZIONE
dovevano certamente rigurgitare di correzioni e
varianti immensamente preziose. Ma questi aurei
autografi, questi primi abbozzi sovraccarichi di
varianti, lian dovuto, C(jm' è naturai cosa, essere di-
stratti dallo stesso Poeta (almeno per la maggior
parte) a mano a mano che i varj Canti erano rico-
piati in netto per la stampa. Laonde gli auto-
grafi, consegnati dal Poeta in diversi tempi ai varj
editori delle sue cose poetiche — e, specialmente,
de' suoi Canti — non è credibile contenessero
un gran tesoro di varianti. Perocché Giacomo
era scrupolosissimo nello scrivere nettamente l'ul-
tima copia definitiva delle sue cose, specie quando
la copia in netto doveva essere consegnata alla
stampa. In tali copie definitive, il Leopardi abor-
riva le cancellature, gli sgorbj e tutto ciò che
potesse render malagevole al tipografo la let-
tura del manoscritto. Per queste ragioni, non
credo che gli autografi, consegnati dal Poeta ai
diversi editori de' suoi Canti, contengano, come
ho detto, gran tesoro di correzioni e varianti:
e quanto ai primi abbozzi e alle prime copie ma-
noscritte, dovettero, si com' è naturale, esser di-
strutte dallo stesso Poeta. Tuttavia potrebbe es-
sere opera utilissima il fare diligenti indagini
presso gli eredi dei varj editori leopardiani per
veder modo di ritrovare gli autografi che il Leo-
pardi consegnò a quegli editori. Bisognerebbe far
ricerche presso gli eredi dello Stella, presso quelli
del Brighenti, del Nobili (Bologna), della Stam-
peria delle Muse (Bologna), di Guglielmo Piatti (Fi-
renze) e di Saverio Starita (Napoli). Qualche cosa.
PREFAZIONE XV
forse, si verrebbe a capo di trovare, e potrebbe an-
clie darsi che si rinvenissero autografi importantis-
simi. Bisognerebbe anche far indagini presso gli
eredi di quegli uomini illustri i quali furono le-
gati di calda amicizia al nostro Poeta, e, specia-
lissimamente, presso gli eredi delle varie nobil-
donne , amate o vagheggiate dal Leopardi in
Bologna, Firenze e altrove. È assai facil cosa
credere che il Leopardi, nel far la corte a quelle
belle e sospirate dame, leggesse loro di quando
in quando, negli eleganti e profumati salotti,
qualche sua nuova poesia : tanto più quando que-
sta nuova poesia trattava di amore ed era stata
ispirata al Poeta da quelle stesse nobildonne. Come
è possibile che l'innamorato Giacomo non legges-
se, in tali occasioni, alle donne amate i versi da
loro ispiratigli? E come è possibile credere che
quelle gentildonne non chiedessero, e ottenessero,
dal Poeta l'autografo prezioso?
Ciò non ostante^ io dubito molto, e per varie
ragioni, dell'esito fortunato di co teste possibili in-
dagini. A ogni modo, si potrà tentare. Intanto
è mio dovere assicurare il lettore di una cosa
certa, cioè che nella biblioteca Leopardi non sono
altri manoscritti oltre a quelli da me publicati in
questo volume a utilità somma della filologia
e dell'arte.
XVI TKEF AZIONE
IL
Per molte ragioni, che qui sarebbe troppo
lungo enumerare, ho preferito dar fuori questi
manoscritti secondo l'ordine con cui furono pri-
mieramente stampati, e non secondo quello con
cui li compose l'Autore; quantunque le date dei
varj manoscritti, contenuti in questo volume,
sieno tutte ben certe e indubitate. In fatti, ora
si conoscono, in modo sicuro, non solo le da-
te delle traduzioni, degl' Idillj e delle Canzoni
((he si trovano in questo volume) , ma anche
della Imitazione, il cui manoscritto io publico
a pagina 203. Il Pieretti, tanto benemerito
della cronologia dei Canti leopai-diani, mostrò
acutamente, in un suo dotto articolo, la vera
data di questo componimento. Benché, dunque,
le date di tutti i manoscritti da me publicati
sieno ornai conosciute in modo certo e indubi-
tato, pur tuttavia ho preferito dare ad essi quello
stesso ordine con cui vennero la prima volta alla
luce: perocché, in questo volume, non è mio
intento offrire un commentario critico (cosa che
farò presto), si bene solo i manoscritti e le va-
rianti di cose leopardiane già edite. ^
I varj manoscritti sono da me riprodotti tali
e quali, con scrupolosissima esattezza e precisione.
Tutto ciò che é scritto in carattere corsivo rap-
presenta e riproduce i pentimenti, le correzioni
e le cancellature del Poeta: il carattere tondo, al
PREFAZIONE XVII
contrario, r.tppreseiita il tc^sto publicato, cioè la
lezione definibivamente prescelta dall'Autore nella
prima stampa o edizione delle varie suo cose. In
nota, poi, ho messo tutte le varianti clie s'in-
contrano — de' varj Canti da me riportati in que-
sto volume — nelle edizioni procurate e curate
dallo stesso Poeta: cioè nella edizione di Roma
(1818), in quelle di Bologna (1820, 1824 e 1826),
nel Nuovo Ricogìitore (1825-26), nella edizione di
Firenze (1831), in quella di Palermo (1834 — seb-
bene sia ristampa di quella di Firenze 1831), in
quella di Napoli (l'ultima, la definitiva — 1835),
e in quella di Firenze (1836 — sebbene sia ristampa
della edizione di Napoli 1835). Oltre di die ho an-
cora riportate diligentemente tutte le varianti che
incontransi nella prima edizione Le Mounier (1845,
quella curata da Antonio Ranieri — l'ultima an-
che autorevole). E ciò per i Canti ^ Idillj e Can-
zoni che si trovano in dette edizioni e sono tra
le poesie approvate dalV autore non molto tempo
prima di morire. Quanto, poi, alle non approvate
cioè Eneide, Odissea, Inno a Nettuno ecc.), mi
sono servito delle Riviste e dei giornali letterarj,
in cui quelle furono la prima volta date fuori a
cura del Poeta stesso; e, quindi, della riproduzione
fattane dal Pellegrini e dal Viani nel terzo vo-
lume della edizione Le Mounier. Nelle note, il
modo da me seguito è l'infrascritto: per le varianti
propriamente dette uso il carattere tondo; per le va-
rianti non propriamente dette, il carattere corsivo.
E intendo varianti non propriamente dette quelle
citazioni che stanno solamente a indicare una
XVIII PREFAZIONE
differenza d'inberpmizione o d'ortografìa, ovvero
l'aggiunta o la sottrazione di qualche particella
grammaticale.
III.
Non è difficil cosa accertare a quali edizioni
dovettero servire i nostri manoscritti. A ca-
gion d'esempio, quello della canzone Sul monu-
ììiento di Dante che si prepara in Firenze dovet-
te servire (come il confronto evidentissimamente
mostra) alla edizione romana del 1818: quello
della canzone Ad Angelo Mai, alla edizione bo-
lognese del 1820: quello del primo libro della
Odissea alla stampa fattane nello Spettatore di
Milano (tomo VI, parte italiana, quaderni 65 e
56, 30 giugno e 15 luglio 1816): quello àeW Inno
a Nettuno^ alla stampa fattane nello stesso Spet-
tatore (tomo Vili, quaderno 75-IIP della nuova
serie — 1*^ maggio 1817): quello del secondo libro
della Eneide, alla edizione di Milano 1817 co' tipi
di Giovanni Pirotta. E, sul proposito di questo
autografo, è mio dovere avvertire che di esso fu
già publicato alcun che dal signor Domenico Ci-
cinelli nel 1882 in Frascati. ^ Ma la publica-
zione fattane dal Cicinelli è tanto incompiuta,
mancante e inesatta, che era assolutamente ne-
cessario rifarla da capo, come ho fatto io, in modo
compiutissimo ed esattissimo. D'altra parte, il Ci-
cinelli si lasciò guidare da criterj e intendi-
menti al tutto erronei e falsi. Egli credette
PREFAZIONE XIX
eli publicare (o. non so proprio come diamine abbia
potuto credere questa evidente assurdità !) non già
l'autografo, tale e quale usci dalle mani del Leo-
pardi prima ch'egli si accingesse a rilevarne una
nitida copia definitiva per la stampa, ossia un au-
tografo totalmente anteriore alla stampa; ma cre-
dette, in quella vece, di publicare un autografo
con correzioni e rifacimenti pò deriori alla stampa.
Causa di questo errore del Cicinelli fu un passo
di una lettera al Giordani, in cui il nostro Poeta
così parla della sua t aduziolie deìV Eneide: "Nien-
te m' è tanto caro quanto l'intendere i difetti di
una cosa mia, perchè ne conosco l'immensa uti-
lità; e mi pare che visto una volta e notato un
vizio, abbia poi sempre in mente di schivarlo.
Ma a ninno ardisco chiedere che me li mostri, per-
chè so essere cosa molestissima il ripescare i difetti
di un'o^^era, singolarmente quando il cattivo è
più del buono. Intanto ella sappia che una co-
pia DEL MIO LIBRO È GIÀ TUTTA CARICA DI CORRE-
ZIONI E CANGI A.MENTI. Vorrei qualche volta essermi
apposto e aver levato via quello che a lei e al
Monti dispiace, mi non lo spero „.^ Questo passo
iìeìV Epistolario leopardiano fu la prima cagione
dell'errore de4 Cicinelli. Vero è che il Leopardi
parla di correzioni fatte in uua copia del suo libro ^
ossia in un esemplare sta npato, e ciò ammette
lo stesso Cicinelli ; ma il bravo Signore, fondandosi
sulla nota meticolosità del nostro Poeta, volle sup-
porre che il Leopardi ripetesse, per maggior sicu-
rezza, le sue correzioni anche su Vautografo pri-
mitivo. Con un po' di buona volontà, che cosa
XX PKEFAZIONE
non si può supporre e credere? Ma se il desiderio
di maggior sicurezza indusse il Leopardi a ripe-
tere in più copie le correzioni e i cangiamenti^
perchè non le ripetè in copie stampate^ anziché
nell'autografo, quasi indecifrabile, irto già di pre-
cedenti cancellature e correzioni? Vero è che il
Cicinelli fu ajutato, in questa sua ingegnosa fan-
tasticheria, da un fatto che, sebbene spiegabilis-
simo, è pur curioso e straordinario. Il fatto è que-
sto: in un luogo, una intera correzione (consistente
in tre o quattro versi senza alcuna cancellatura)
è sovrapposta a tr« o quattro versi, che si leggono
nella edizione milanese del Pirotta e in quella del
Le Mounier, e che nell'autografo primitivo sono
cancellati. Questo fatto è veramente un po' cu-
rioso ; ma non doveva trarre in inganno un inge-
gno acuto e perspicace come quello del Cicinelli.
In fatti, se egli avesse osservato che di parecchie
correzioni, non apparse nelle edizioni Pirotta e
Le Mounier, alcune parole sono sovrapposte, senza
cancellatura, a parole cancellate, e altre sono in-
frapposte e intercalate, senza disagio e senza an-
gustia di spazio, ad altre parole cancellate^ egli
avrebbe avuto in mano la chiave dell'enigma, e
non sarebbe caduto nel suo ingenuo errore. Mi
spiego meglio : di correzioni, senza cancellatura^
sovrapposte a versi cancellati^ e pur riprodotti
nelle edizioni Pirotta e Le Mounier, se ne in-
contrano diverse nell'autografo primitivo ; ma di
tali correzioni cjxa sola è interamente sovrap-
posta: tutte le altre sono, in parte sovrapposte,
ili j)arte intercalate e infrapposte alle parole
PREFAZIONE XXI
cancellate, senza disagio e senza angustia alcuna
eli spazio Ora, quando di una stessa e sola cor-
rezione una parte è sovrapposta e un'altra parte
intercalata senza disagio alle ' parole cancellate,
non si può mai credere, panni, che la correzione
sia posteriore alla stampa. Piuttosto bisogna in-
ferire che il Poeta, nel rilevare dall'autografo
primitivo la copia da spedirsi definitivamente alla
stampa, abbia talora ripudiato le correzioni fatte
e creduto preferibile la lezione cancellata. E ciò
a me sembra matematicamente certo e incon-
trastabile. Ora, se questo deve credersi delle cor-
rezioni metà sovrapposte e metà intercalate, panni
che il medesimo deva credersi di quell'unica tn-
teramente sovrapposta. Il Poeta, nel ricopiare l'ul-
tima volta per la stampa, il suo manoscritto,
s'accorse esser preferibile la lezione cancellata,
e la scelse definitivamente. In fatti (per parlare so-
lamente della correzione più importante, ossia di
quella interamente sovrapposta), il Poeta s'accorse,
ricopiando il manoscritto per la stampa, di pa-
recchie mende visibilissim3 che trovavansi in essa
correzione. Per citarne una sola (che voglio
esser breve), egli si avvide di una fastidiosissima
ripetizione di uno stesso vocabolo, alla brevissima
distanza di quattro versi. E causa del suo accor-
gersi fu l'aver ricopiato allora allora i versi pre-
cedenti alla correzione: laonde, giunto a questa
correzione, e trovandovi (oltre alcune altre mende)
fastidiosamente ripetuto un vocabolo che egli aveva
ricopiato un minuto iananzi, abbandonò la corre-
zione fatta e accettò definitivamente la lezione
XXII ITtEFAZIONE
cancellata. Ma, volando anche concedere al big.
Cicinelli, con infiiiLti iiidiil^enzi, che questa cor-
rezione sia ver.imente posteriore alla stampa, o,
almeno, che possa esser tale, carne fa egli a spie-
gare che le correzioni, in veci di essere i.ntfinite
(secondo ci fa sapere lo stesso Leopardi), sieno
uxA sola'? Abbiamo visto, in fatti, che le altre cor-
rezioni, metà sovrapposte, e metà intercalate senza
disagio, non possono credersi in vernn modo po-
steriori alla stampa.
Resterebbe, dunqne, questa sola correzione,
che è interamente sovrapposta. Ma una sola corre-
zione è troppo poca cosa e troppo discorda tal
miseria dalla abbondanza accennata chiaramente
dal Leopardi in una sua lettera allo stesso Gior-
dani: "Se questa avesse potuto trovarvi prima
che partiste per Milano^ v'avrei pregato che vi
faceste dare dallo Stella qualche copia del secondo
dell'Eneide da donare a qualcuno degli amici
vostri, avvertendoli eh' ella è opera non limata,
dove l'autore ha corretti, doj^o la stampa, e mu-
titi iN"Fi>r[Ti LuoaHr, e in ispecie cancellata tutta
QUANTA LA STENTATISSIMA PKEFAZTOXE „ .'' Infiniti
litighi dice il Leopardi; e qui, in vece, sarebbe
un luogo solo! Oltre a ciò, il Leopardi afferma di
aver cancellata tutta quanta la prefazione: e nel
nostro autografo non trovasi traccia alcuna di
questa universale e generale cancellatura. Dunque,
queste infinite correzioni e queste generali can-
cellature non furono ripetute nel povero auto-
grafo primitivo (come fantastica il Cicinelli) ; ma
PREFAZIONE XXIII
faite solamonte su nitide copie stampate, e, pro-
babilmente, sopra una sola copia.
Del resto, le differenze tra questo autografo
e le note edizioni non si ristringono mica alle cor-
rezioni e agli emendamenti. In alcuni luoghi tro-
viamo notevoli differenze, anche quando Vanto-
grafo non porta correzione alcuna. Non fo citazioni
perchè lo stesso Cicinelli ha già osservato e rile-
vato questo fatto. E che significa ciò? significa
che non sempre la lezione prescelta, e rimasta
senza cancellatura in questo autografo primitivo,
fu poi seguita dal Poeta nella copia definitiva per
la stampa. Son poche differenze e di picciola im-
portanza, lo concedo (e perciò io potei affermare
più sopra che questo autografo servi per l'edizione
del Pirotta), ma bastano per aggiungere un va-
lido rinforzo alla confutazione della ingegnosa
fantasticheria del Cicinelli.
Dunque, riepilogando, nessuna delle correzioni
che s'incontrano nell'autografo della Eneide^ da me
publicato esattissimamente in questo volume, è, o
può essere, posteriore alla stampa. Certo, deve de-
j)lorarsi grandemente che non si trovi, o non si sia
trovata finora, quella copia stampata in margine al-
la quale il Leopardi aveva segnate infinite correzio-
ni; ma è anche certo che queste correzioni preziose,
fatte dopo la stampa (come assevera lo stesso Leo-
pardi), non hanno a far nulla con le correzioni del
nostro autografo. Probabilmente, quella tal copia
stampata, con postille e correzioni manoscritte del
Poeta stesso, deve trovarsi o a Bologna, o presso il
XXIV PREFAZIONE
Eanieri; ma più ve risimil niente trovasi a Bologna
e, forse, presso gli eredi del Briglionti. In fatti, nel
1825^ quando il Leopardi si condusse in Bologna,
gli fu disegnata una edizione delle sue Opere com-
plete. E avendo egli, naturalmente, lasciato a Re-
canati tutte le cose sue — precedentemente publi-
cate in giornali od opuscoli, o tuttora manoscritte
— scrisse in gran fretta al fratello Carlo (9 novem-
bre, 1825) indicandogli i luoghi dove quelle sue
cose si trovavano e pregandolo a spedirgliele sol-
lecitamente. E avendo Carlo dimenticato nella
spedizione il secondo della Eneide e Vlnno a Net-
tuno, Giacomo gli riscrive (23 novembre, 1825)
dicendo : " Occorrerà il Virgilio e l' Inno postil-
lati, e ti dirò poi come bisogni spedirli ^^P Carlo
gli mandò subito, col mezzo sicuro del Setacci,
il Virgilio e Vlnno postillati, e Giacomo gliene
accusò ricevuta con la sua del 9 decembre 1825.
L'edizione pomposa delle Opere complete andò poi
in fumo; ma il Virgilio e Vlnno postillati non
ritornarono più a casa. Se quelle stampe postil-
late non furono distrutte, devono trovarsi, dun-
que, a Bologna presso gli eredi del Brighenti o
quelli del Nobili, o presso quelli della Stamperia
delle Muse. Ma può anche darsi che il Leopardi le
ritirasse e le recasse finalmente a Napoli con se,
lasciandole, preziosa eredità, al Ranieri. Ma che
che sia di ciò, è ben certo e indubitato che le cor-
rezioni, fatte dopo la stampa, non hanno, ripeto,
a far nulla con quelle che si leggono nell'auto-
grafo da me publicato in questo volume.
Prima di cessar di parlare di questo autografo
PREFAZIONE XXV
della Eneide, sento la necessità di avvertire clic
in quei pochi luoghi, ne' quali le correzioni fu-
rono abbandonate dalla stampa e ne' quali le pa-
role cancellate rappresentano la lezione definitiva,
io ho creduto bene discostarmi, eccezionalmente,
dal metodo accennato più sopra. In fatti, sebbene
il Leopardi nella copia definitiva per la stampa
cangiasse di avviso, pur tuttavia non si può negare
che in questo autografo la lezione cancellata rap-
presenta la ripudiata, e quella senza cancellature
rappresenta la prescelta. Sia pure scelta momen-
taneamente e provvisoriamente, ma non si può ne-
gare che non apparisca chiaramente accettata. Per-
ciò, in questi pochi luoghi, il carattere tondo rap-
presenta la lezione finalmente ripudiata nella
stampa; e il carattere corsivo, la lezione finalment?.
ripresa e accettata nella stampa. Ho creduto ne-
cessario avvertire il lettore su questa lievissima e
ragionata eccezione al costante metodo da me sem-
pre seguito.
E/itornando ora al proposito mio, concludo
con l'osservare che i cinque manoscritti sopra
menzionati, interamente autografi, servirono evi-
dentemente alla prima edizione di qaei componi-
menti. Certo, Giacomo dovette rilevar da questi
la copia definitiva per la stampa, copia nitida-
mente scritta con minuziosa accuratezza da bene-
dettino. Co&l s'intende di leggieri come i cinque
preziosi manoscritti sieno rimasti in casa Leopardi.
Quanto ai manoscritti, particolare fatica di Pao-
lina, sono di piccolissimo momento quei tre che io
ho riprodotiio da una raccolta manoscritta di poesie,
XXVI PREFAZIONE
dedicata dalla buona sorella di Giacomo alla ne-
potina Virginia, figlia di Pier Francesco. Dico che
quei tre brevi manoscritti sono di piccolissima
importanza, perchè, evidentissimamente, una co-
pia fatta su l'edizione Le Mounier del 1845. A^i
s'incontra, è vero, qualche lievissima differenza di
interpunzione, di accenti e simiglianti; ma ciò è
da attribuirsi chiaramente a una omissione fem-
minile e a inesattezza di trascrizione. Tuttavia,
per iscrupolo di coscienza, ho voluto ugualmente
riprodurli con fedeltà: essi sono il settimo, il
nono e Vundecimo di questa raccolta. Ma se l' im-
portanza de' medesimi è ben picciola, hanno, in
quella vece, importanza somma tutti gli altri ma-
noscritti, fattura della stessa Paolina, da me ri-
prodotti esattamente di su le Miscellanee mano-
scritte della colta e buona Contessa. Essi, in
fatti, ci offrono la sconosciuta lezione primitiva
dQgVIdillj, quale dovette essere al primo getto.
Contengono varianti totalmente inedite e scono-
sciute, preziosissime. La buona e ingegnosa Pao-
lina, vero angelo di casa Leopardi, era smaniosa
di letture e di operosità intellettuale : tanto sma-
niosa di operosità, che fa sempre un ajuto prezioso
a tutti quanti della famiglia. Monaldo e Giacomo
si valsero sommamente delle amorose collabora-
zioni della buona Paolina. Giacomo se ne giovava
anzi in più modi; ma, specialmente, si valeva
di lei come copista diligente e infaticata. Jn
compenso, le confidava e donava le primizie delle
sue composizioni. E l'ottima sorella, tutta al-
tera e superba del genio del fratello, correva
PKEFAZIUNE XXVII
a copiarle subito nelle sue Miscellanee manoscritte,
a canto a brani di poeti sommi. Cosi accadde
che fossero conservati questi preziosi manoscritti
che rappresentano la primissima lezione di parec-
chi Idillj.
Alquanto minore importanza ha il manoscritto
della Canzone per iena donna malata di malattia
lunga e mortale: tuttavia, essendo l'unico mano-
scritto veramente autorevole che si abbia di que-
sta Canzone giovenile, ho creduto cosa utilissima il
riprodurlo esattissimente. Esso varrà a correggere
parecchi erroruzzi, scorsi nelle stampe precedenti
di questa Canzone, e, specialmente, l'arbitraria in-
terpunzione del D'Ancona e del Viani. Varrà, poi,
a ripristinare, nell'ultimo verso della strofe quinta,
la genuina lezione di conterem, bandita arbitria-
mente, nella edizione del Viani, e sostituita da
un falso canterem. ^ Il Viani, a pagina 229 della
sua Appendice all'Epistolario, volendo render ra-
ragione di questo curioso cambiamento, dice:
"Accetto canterem, come più cònsono a ^jo^ò^/a „ .
Numi del cielo! Che ha da fare qui la poesia'^
Il Lsopardi dice: " confortati, che risanerai cer-
tamente : la tua malattia non è (non posso in-
durmi a crederlo) di quelle che non si raccontano-,
anzi presto ti riavrai dal morbo crudele, e tu po-
trai, insieme con me e co' tuoi cari, raccontare
agli amici e ai conoscenti le peripezie e le pene
sofferte „. Nelle Marche (e credo anche altrove) è
comunissimo questo modo di dire. Volendo, per
esempio, significare che una malattia è gravissima
e mortale, il Marchigiano dice : " bada, che tu ìion
XXVIII PREFAZIONE
la potrai raccontare! „ E volendo, in vece, signi-
ficare che si spera di non soccombere a un peri-
colo o a un infortunio, i Marchigiani dicono:
" Hperiani) di poterla raccoìitare „. Dunque, \d^ poe-
sia non ha proprio che vedere con questo conte-
rem della canzone leopardiana. Il Poeta dice sem-
plicemente: " voglio sperare che la tua malattia
sia di quelle che si possono poi raccontare. „
Quanto alla prosa^ che il Bernardi prima, e
il Viani dopo^ preposero a questa Canzone col ti-
tolo di Proemio^ io opinai tempo addietro ^ che
non avesse a far nulla con la Canzone e fosse un
pensiero a sé e indipendente da essa. Fermo in
questa credenza, non so in fatti capire come
quegli egregj signori/'^ per il semplice gusto di
appiccicar alla Canzone (scritta nel 1818) un Proe-
mio qualsiasi, sieno proprio andati a pescar un
brano di prosa, la cui origine, o m'inganno, va
cercata altrove. Ecco il giudicio uman come spesso
erra!
IV.
Quel celebre detto di Buffon, che il genio non
è altro che una lunga pazienza, viene confermato
dall'esame dei manoscritti de' grandi scrittori. Da
questo esame rileviamo, con nostro stupore grande,
quanto infinito lavoro di pazientissime elimina-
zioni, di rifacimenti, di sostituzioni; quanta len-
tezzi di formazione organica; quanta minuzia e
incontentabilità scrupolosa di emendamenti sieno
i'REFAZIONE XX iX
cosiate composizioni e scritture, che, o per la
veemenza concitata degli affetti, o per la schiet-
tezza organica, morbida, spontanea dello stile, sem-
brano qua^i improvvise e nate di nn solo getto !
I manoscritti del Petrarca sono rigurgitanti
di emend.imenti, di non placet^ di rifacimenti:
l'Ariisto rifece ben trenta volte, assicurasi, l'ot-
tava famosa:
La verginella è simile alla rosa.
Una sola ottava del Tasso costò dieci o dodici
grandi fogli di correzioni, cancellature, rifacimenti .
Il Foscolo, e chi noi sa?, correggeva, mutava, li-
mava, rifaceva, migliorava incessantemente : i ma-
noscritti del Giusti sono un arsenale di cancella-
ture, di sgorbj, di sovrapposizioni. Le famose e
bellissime ariette del Metastasio, che sembrano im-
provvisate, son venute fuori da una moltitudine
infinita di correzioni e ricomposizioni.
Come la natura, nella formazione degli orga-
nismi più nobili, procede con una lentezza e pa-
zienza infinita e con un lavorio incessante, infa-
ticato, di eliminazioni, assimilazioni e modificazioni
sottilissime e lentissime; così gli scrittori grandi
pervengono, a traverso un lunghissimo lavorio di
correzioni e rifacimenti, alla formazione organica
e perfetta dei loro capilavori. Quanto più lenta,
laboriosa, solenne fu la formazione di un' opera
d'arte, tanto più lunga, solenne e trionfale sarà
la sua vitalità e la sua gloria. Da ciò può in-
ferirsi quanto effimera e ignobile vita debbano a-
vere le opere d'arte che escono e sono uscite a'
XXX PREFAZIONE
giorni nostri, le quali tutte furono improvvisate
in due o tre mesi e, fors' anche, in due o tre set-
timane soltanto !
Ma, per ritornare al proposito mio, chi non
vede l'immensa utilità che può e deve derivare agli
studj dal sorprendere quel lento lavorio occulto,
di correzioni o rifacimenti,, nelle opere de' grandi
scrittori? E appunto la speranza di apportare agli
studj questa immensa utilità mi fu sprone a stu-
diar pazientemente e riprodurre con grande fe-
deltà i manoscritti leopardiani che veggono la
luce in questo volume.
Della eterna incontentahilità del Leopardi nel
comporre le cose sue è buon testimonio YEpisto-
ìario. Chi esaminerà, poi, con diligente attenzione
i manoscritti che io do fuori, troverà in essi una
conferma di quella eterna incontentabilità. E qui
stimo opportuno riportare alcune parole del Cici-
nelli sul proposito del manoscritto autografo del
secondo della Eneide^ che fanno assai bene al caso
mio: " Io credo che quest'autografo sia il primo
manoscritto e non già una copia trascritta dallo
stesso autore ; imperocché sono tanti i ricordi, le
cancellature, le variazioni, i riscontri che si scorgo-
no in esso, che fanno vedere chiaramente la mano
che tentenna nell'accettare l'una parola più che
l'altra; una frase, una espressione a preferenza di
un'altra; tornando più d'una volta a cancellare e a
riscrivere quel che già aveva rifiutato; e poi di
nuovo a cancellare la medesima cosa in sulla stessa
linea. Cosi pare si può notare che, cominciato il
verso in un moda, lo canc?lla per cominciarlo di-
PREFAZIONE XXXI
versamente e posticipare quel che prima aveva
cancellato Cosi, a mo' d'esempio, nel verso 29
prima aveva cominciato a scrivere: empion d'ar-
mati, e, poi, dopo aver fatto un tratto di penna su
quell'espressione, scrive : E le spaziose grotte em-
pion d'armati. E nel verso 545 è oltremodo incerto
se debba porre indarno o invano; e dopo aver can-
cellato e riscritto or l'uno or Taltro vocabolo, final-
mente f;crive indarno^. ^^ E quanto alla diligenza
minutissima e scrupolosa con cui il Leopardi era
solito curare la composizione tecnica e stilistica
de'- suoi scritti, non esclusi certo le virgole e
i punti e virgola, basti riportare questo passo di
una lettera al Briglienti (5 dicembre, 1823J : ^ La
punteggiatura (nella quale io soglio essere sofi-
stichissimo) è regolata nel manoscritto così dili-
gentemente, che non v'è pure una virgola che io
non abbia pesata e ripesata più volte e però anche
questa parte, che è molto facile a esser trasan-
data da chi corregge, ve la raccomando caldissima-
mente„.^' Cosi il Leopardi stesso; e il Cicinelli,
applicando queste parole al manoscritto della F-
neide, soggiunge : " Della quale esattezza a iosa
se ne ha nell'autografo, in cui (il Poeta) è atten-
tissimo nel cancellar bene una virgola fuor di
luogo; nel torre un accento che gli usci inav ver-
tentemente, o che fu solo uno scorso di penna,,. ^'^
E questo che il Cicinelli dice del manoscritto au-
tografo della Eneide, può dirsi di tutti gli altri
autografi, contenuti in questo volume. E quanta
fosse la lentezza e la pazienza con cui il Leopardi
veniva elaborando le sue sudate composizioni, e,
XXXII PREFAZIONE
specialmente, la parte tecnica delle medesime, può
rilevarsi da quest'altro brano di una lettera al
Melchiorri (5 marzo, 1824) : " Io non ho scritto
in mia vita se non pochissime e brevi poesie.
Nello scrivere, non ho mai seguito altro che un'i-
spirazione o frenesia, soppraggiungendo la quale
in due minuti io formava il disegno e la distri-
buzione di tutto il componimento. Fatto questo,
soglio sempre aspettare che mi torni un altro
momento di vena: e tornandomi fche ordinaria-
mente non succede se non di là a qualche mese),
mi pongo allora a comporre; ma con tanta leìi-
tezza, che non mi è possibile terminare una poe-
sia, benché brevissima, in meno di due o tre setti-
mane^^}^ Questo aureo luogo, e, specialmente, le
ultime parole da me sottolineate, rivelano chia-
ramente quanto lenta e sudata elaborazione,
quanto scrupolosa incontentabilità ponesse il Leo-
pardi nel fermare in carta le sue mirabili compo-
sizioni.
Preziosissima, quindi, agli studj, alle lettere e
all'arte sembrami dover riuscire la publicazione
di varj manoscritti primitivi del sommo Recana-
tese.
E ora stimo utile additare al cortese lettore
alcune principali varianti, contenute in questi
manoscritti, perchè possa rilevarne fin d'ora l'im-
PREFAZIONE XXXIII
portanza somma. Non le accompagnerò di com-
mento : parlano a bastanza chiaramente da se.
Prendiamo il manoscritto autografo della can-
zone Sul monumento di Dante.
Da prima il Poeta avea scritto:
O Italia, 0 Italia^ i tuoi passati onora
Poi che di tali spirti
Oggi vedove son le tue contrade ;
poi corresse nel modo infrascritto:
0 Italia, a cor ti stia
Far a i passati onor, che tValtrettali
Oggi vedove son le tue contrade.
Da prima avea scritto :
Come a la mente accesa
Rinforzerei la vampa e lo splendore? ;
poi corresse cosi:
Come a la mente accesa
Crescerà novi r.xggi e novo ardore ì^
e, da ultimo, ricorresse nel modo seguente :
*SÌ che nell'alma accesa
Nova favilla indurre ahhian valore f
Eccovi poi due versi curiosi^ corretti e rifatti dal-
l'incontentabile Poeta ben cinque volte:
XXXIV PREFAZIONE
Or tale e fatta cJi'appo quel che vedi,
Allor, dirai, fu nobile e reina,
che furon corretti la prima volta cosi :
Ora e tal che rispetto a quel che vedi,
Allor fu nobilissima e reina ;
e la seconda volta :
Ora è tal che rispetto a quel che vedi
Allor fu beatissima e regina;
e la terza:
Allor beata pur {qualunque intende
yl' novi affanni suoi) donna e reina;
e la quarta:
Oggi ridotta sì che a quel che vedi,
Fu fortunata allor donna e reina.
Andiamo innanzi. Primieramente il Poeta aveva
scritto :
Taccio ogni altro nemico, ogni altra sorte
Ma non la Francia scellerata e cruda
Per cui fin presso a morte
Giunse l'Italia mia distesa e nuda;
e poi corresse in cotal guisa :
Taccio gli altri nemici e Pali re doglie
Ma non la Francia scellerata e nera
PREFAZIONE XXXV
Per cui presso a le sojlie
Vide l'Italia mia Valtima sera.
E veramente fece assai bene a correggere in
quest'ultimo modo, perchè quel giungere distesa
e nuda fin presso a morte era a bastanza goffo e
stentato.
Ma procediamo innanzi. In prima aveva scritto:
Perchè vedemmo noi sì feri tempi ?,
e poi corresse in simil guisa:
Perchè venimmo a sì perversi tempi ?
Anche aveva scritto in principio:
Scemar potemmo il duol che la stracciava,
e poi corresse jiel modo seguente :
Lo spietato dolor che la stracciava
Ammollir ne fu dato.
Più sopra, nella terza strofe, aveva scritto in
sulle prime :
Ma come a voi convertir assi il canto ?,
dove quel latinismo aspro e forzato del verbo
convertirassi spiacque al gusto squisito del Leo-
pardi, che corresse subito:
Ma come a voi dirizzerassi il canto?
XXXVI PRKFAZIONE
Così, nella quarta strofe, aveva scritto da prima:
E spro:il anttl pramoi-avvi ul seno,
dove quel vocabolo sproni sembrò, forse, troppo
cavallino al delicato Poeta, che corresse:
Ed acri punte premeravvi al seno.
Ritornando alla strofe ottava, troviamo un verso
corretto e rifatto ben quattro volte :
Qui si ch'io grido e gli occhi il pianto inonda.
X
Qui si eh io grido e gli occhi il duol //t'inonda.
X
Qui sì ch'il pianto in/ino al sitol ini gronda.
X
Qui Vira al cor, qui la pietada abbonda.
Più sotto, incontriamo un passo importante,
per ben tre volte corretto e rimutato dall'incon-
tentabilissimo Poeta. Aveva scritto da prima :
Ma ne spegnesse il ferro, e pel tuo bene,
0 patria o patria nostra! Ecco in remoti
Paesi, oh quanto e 'l ciel che ne divide!,
A tutto il mondo ignoti
Moriam per quella gente che t'uccide;
poi corresse così :
Ma ne spegnesse il ferro, e pel tuo bene,
0 Italia, o Italia nostra ! Ecco in remoti
Campi, quando Veta mefjlio ci ride
A tutto il mondo ignoti, ecc.
PREFAZIONE XXXVII
e, poi, di nuovo corresse:
Ma ne spegnesse il ferro, e pel tuo bene,
0 patria nostra ! Kcco da te rimoti,,
Quando jnU bella gioventù ci ride,
A tutto il mondo ignoti, ecc.
e, da ultimo, non contento neppure di questo
terzo rifacimento, corresse il verso :
Quando più bella gioventù ci ride,
nel modo che tutti conoscono :
Quando più bella a noi Veth sorride.
Ecco, poi, un altro luogo importante, corretto
pure tre volte. Il Leopardi aveva scritto in sulle
prime :
E i negletti cadaveri a l'aperto
Sbranar frementi su jyer l'arduo mare
Di neve orride belve,
Ed un fla 'l nome a citi verrà de'' forti
K de gli egregi, ed uno
De' vili e de' ribaldi,
dove lo stento della locuzione contorta, l'oscurità
del senso, il suono aspro e strascinato del verso,
l'improprietà o inopportunità di quell'epiteto di
ribaldi e altre mende dettero subito nell'occhio
dell'accorto Poeta, che corresse tutto il passo nel
modo seguente :
E i negletti cadaveri a l'aperto
Su per quello di neve orrendo mare
Si smozzicar le belile,
XXXVIII PREFAZIONE
E fia Vonor de' generosi e forti
Pari mai sempre ed uno
Con quel de' tardi e vili.
Ma, in progresso di tempo, neppur questa lezione
appagò interamente il gusto squisito e inconten-
tabile di lui, urtato specialmente da quell'idioti-
smo marchigiano e recanatese di smozzicar: onde
corresse finalmente, come tutti sanno:
Su per quello di neve orrido mare
Dilacerar le belve;
E sarà 7 nome de gli egregi e forti
Pari mai sempre, ecc.
Poco innanzi, incontriamo due versi rifatti ben
quattro volte. Ecco, senz'altro, i quattro rifaci-
menti :
Vide lor fato il pallido deserto
Ecl Aquilone e le fischianti selve.
X
Lor tristo fato il pallido deserto
E borea vide e le fischianti selve.
X
Ma di lor fato il boreal deserto
E conscie fur le sibilanti selve.
X
Di lor querela il boreal deserto
E conscie fur le sibilanti selve.
Più sotto troviamo un altro luogo importante.
Il Poeta aveva scritto da prima:
Al cui martire e al danno
Forch'il vostro non e che rassomigli:
PREFAZIONE XXXIX
dove la locuzione intralciata e il suono aspro del
verso spiacquero al gusto delicato di lui, che cor-
resse subito in simil guisa:
Al cui supremo danno
Il vostro solo è tal che rassomigli.
Anche più importanti di queste varianti della can-
zone Sul monumento di Dante sono quelle che s'in-
contrano nella canzone Ad Angelo Mai e in altri
manoscritti, che in questo volume offro all'atten-
zione dello studioso. Ma, per non dilungar j^o-
verchiamente, mi basti l'aver rilevato fin d'ora le
principali varianti della canzone Sul monumento
di Dante. Queste saranno più che sufficienti a in-
vogliare il lettore all'esame e allo studio delle
preziose varianti degli altri manoscritti. Si esa-
mini specialmente l'autografo della canzone Ad
Angelo Mai e quello della Sera del giorno festivo.
VI.
Avverto anche il lettore che questa publicazione
de' Manoscritti recanatesi è, come a dire, una pre-
fazione alla mia compiutissima edizione critica (già
in corso di stampa) di tutte le poesie del Leo-
pardi; edizione condotta su tutte le stampe e su
tutti i manoscritti che si conoscono. Questa mia
edizione compiutissima — per la quale non ho ri- •
sparmiato e non risparmio spese e fatiche, e che
mi auguro poter chiamare definitiva — sarà cor-
XL PREFAZIONE
redata di una compiutissima storia, bibliografia,
e cronologia di tutti i Canti, nonché di molti do-
cumenti sconosciuti.
VII
Ho creduto, inoltre, di far cosa assai utile (sniche
per agevolare agli studiosi resame delle varianti
contenute in questi manoscritti^ riproducendo tali
e quali, in Appendice a questo volume, le prime
due edizioni delle prime tre canzoni, cioè l'edi^
zione romana (1818) delle due prime canzoni, sì
come ancora l'edizione bolognese (1820) della
terza canzone. La riproduzione, da me fattane, è
cosi minutamente esatta e precisa, che può dirsi
stereotipica.
Quanto, poi, alla edizione romana delle prime
due canzoni, m'è grato aggiungere qui una noti-
zia nuova e curiosa, favoritami dalla notissima
cortesia dell'egregio marchese Gaetano Ferrajoli.
Il curatore della edizione romana delle prime due
canzoni fu Francesco Cancellieri, come rilevasi
dalla sua " Lettera a Mons, Tommaso Guido Caì-
cagnini, in lode del suo Commentario della vita
di Celio Calcagnini ^. In fatti, a pagina 35 di que-
sto opuscolo, ragionando di Vincenzo Monti, ap-
pone al nome di lui la nota che segue :
" Il Principe de' nostri Poeti merita gli omaggi
ed il culto di tutti gli altri. Ora ho avuto la
compiacenza di essere incaricato dal Chmo Sig.
PHEFAZIUNE XLI
Conte (Tiacomo Leopardi di Recanati, Fenice del-
l'età nostra, da me celebrato negli Uomini di
Gran Memoria^ p. 88, di accudire alla stampa di
due nobilissime sue Canzoni sulV Italia^ e sul mo-
numento di Dante che si prepara a Firenze^ de-
dicate al suo (del Monti) gloriosissimo nome„.
Se non m'inganno, la cosa è ignorata da' più^
e giova sia conosciuta.
Vili.
Sento, da ultimo, il dovere di porgere innanzi
al publico vivi e caldi ringraziamenti al nobile
conte Giacomo Leopardi, della cui amicizia alta-
mente mi onoro, per avermi generosamente con-
cesso lo studio e la trascrizione de' preziosi ma-
noscritti da lui posseduti. Ne voglio dimenti-
care di render vive grazie all'eruditissimo Licurgo
Pieretti e ai valenti professori Cocchia e Cer-
quetti, che mi furon larghi di consiglio e d'ajuto.
Debbo, poi, in ispecialissimo modO;, professarmi
grato e riconoscente al chiaro prof. Giuseppe
Piergili^ mio amicissimo, per aver rinunciato, con
non comune tratto di amicizia, alla publicazione
di due manoscritti contenuti in questo volume, a
fine di non diminuire, con la precedenza^ l' impor-
tanza del mio lavoro.
E, prima di dar termine alle mie parole, mi corre
lo stretto obbligo di pregare tutti i futuri editori
di edizioni più o meno critiche, o più o meno
XLII PREFAZIONE
compiute, delle Poesie di Giacomo Leopardi, di non
approfittare in modo veruno della stampa da me
fatta di questi manoscritti recanatesi. La pro-
prietà de' medesimi essendomi stata generosa-
mente ceduta per la stampa dalF egregio capo
della famiglia Leopardi è, o m'inganno, tutta
mia. In questi tempi di facile pirateria e sover-
chieria letteraria, non approfitti dunque altri a
caor leggiero dello mie non lievi e, spesso, ingrate
fatiche.
Camillo Antona-Tra versi.
lioììia, 1.° maggio 1887.
NOTB.
* Vedi le Lettere scritte a Giacomo Leopardi dai suoi pa'
renti con giunta di cose inedite o rare, adizione curata sugli
autografi da Giuseppe Piergili e corredata dei ritratti di Gia-
como e de' genitori. Firenze, Successori Le Monnier, 1878.
^ Studj su Giacomo Leopardi, con notizie e documenti scono-
sciuti e inediti. Napoli, Enrico Datken, editore, 1887. [Vedi
a pag. 163 (nota 98), e a pag. 156.]
^ Ecco, del rimanente, e per tutta comodità dello studioso,
la trascrizione de' varj componimenti contenuti in questo
volume, secondo l'ordine con che furono composti:
I. Traduzione del primo libro della Odissea.
II. Inno a Nettuno.
III. Traduzione del secondo libro della Eneide.
IV. Sul monumento di Dante che si prepara in Firenze.
V. Imitazione.
VI. Canzone per una donna malata di malattia lunqa e
mortale.
VII. Le rimembranze.
Vili. La sera del giorno festivo.
IX. La luna o la ricordanza.
X. Alla luna. Idillio.
XI. Il sogno.
XII. Il sogno. Idillio. (Lo spavento notturno).
XIII. Ad Angelo Mai.
XLIV NOTE
* Cfr. D. CiciNELLi. Versione ed autografo di Giacomo Leo-
pardi sul libro secondo della Eneide. Eoma, presso la libreria
Manzoni, 1882.
^ Cfr. Epiitolario di Giacomo Leoiìardi raccolto e ordinato
da Prospero Viani. Firenze, Felice Le Monnier, 1849. — Voi. i,
lett.* 9, pag. 15.
« Cfr. EpizL, voi. I, lett." 31, pag. 72.
' Cfr. Epist., voi. I, lett." 233, pag. 377.
^ Anche nella recente edizione delle Poesie di Giacomo Leo-
pardi, curata da Giuseppe Chiarini (In Firenze, G. C. Sansoni
editore, ISS-j), si legge questo falsi ssimo canterem (pag. 412).
* Vedi il mio articoletto: Pensieri di Giacomo Leopardi sulle
donne noiVOrdine di Ancona (ann. xxvi, num. 207).
*° Il Chiarini, e mi spiace, è tra questi. (Vedi a pagg. 408-
410 della edizione mentovata.)
*' Cfr. op. cit., pagg. 55-56.
*2 Cfr, Epist., voi. I, lett.» 186, pagg. 311-312.
" Cfr. op. cit., pag. 60.
" Cfr. Exnst., voi. i, lett." 189, pagg. 315-316.
" Per chi noi sapesse, o potesse dimenticarlo, l'editore e
io siamo pienamente d'accordo con la legge sulla proprietà
letteraria.
ODISSEA
TTn qnadorno di quindici fogli interamente scritti (co-
pertina ])ianca). La sci ittuì-a è della contessa Paolina, con
alcune correzioni qua e là di mano stessa del Leopardi.
ODISSEA
LIBRO PRIMO.
L'uom dal saggio avvisar cantami, o Diva,
Che con diverso error, poi che la sacra
Ilio distrusse, le città di molti
Popoli vide, ^ ed i costumi apprese : *
In suo core egli pure di molti affanni
Nel pelago soffri, mentre cercava
A se ^* la vita, ed ai compagni suoi
Comperare il ritorno. Eppur ^ nessuno.
Benché ~ il bramasse, ne salvò. '^ Perirò
Tutti per lor follia, •' stolti ! che i buoi
Mangiar ^^ del sole eccelso : ei del ritorno
Lor tolse il di. Figlia di Giove, alquanto
' Canto lihdV Odissea. [SpetL IHK)]. -- Canto Primo. [Fir. 1845].
'' Diva; [Flr. 1845].
=' vide [Spett. 1810].
' aiìprese. [Spett. 18l(); Flr. 1845].
•■^ 8è [Spett. 181()].
« E pur [Spett. I8l(j; Flr. 1845].
■ Ben eh' [Spett. 18lf); Flr. 1845].
"* salvo! [Spett. 181(5; Flr. 1845].
« follìa, [Flr. 1845].
*" Mangiar [Flr. 1845],
ODISSEA
Dinne di questi casi ancora a noi.
Gli altri, ^ che il fato acerbo avean fuggito,
Nelle lor case erano già, campati
Dalla guerra, ^ e dal mar. Lui solo ancora
E del ritorno, * e della moglie privo, *
In cavi spechi ritenea Calisso, "•
Inclita ninfa, " e Diva, " che di farlo
Suo sposo avea desio. ^ Ma quando il tempo
Venuto fu col volgere degli anni.
In che piacque agli Dei, ^ che al patrio tetto
In Itaca ei tornasse, ^" allor finiti
Non furo i suoi travagli, ancor che in mezzo
A' suoi cari egli fosse. Ognun de' numi
N'ebbe pietà, tranne ^^ Nettun, ^■^ che fermo
Neil' ira sua contro il divino Ulisse
Restò i'* fin ch'ei non giunse al suol natio.
Agli Etiopi lontani ito era il Nume ^*
(Agli Etiopi ^•"' del Mondo '^' ultima schiatta
In due partita: gli uni al sol, ^" che cade.
Gli altri sono all'aurora) ^^ onde presente
Il sacrificio accor d'un '■' ecatombe
' altri [Sjìett. 1810; Fir. 1845].
•'' guerra [Siiett. 181G; Fir. 18451.
» ritorno [Spett. 1816; Fir. 1845].
* 2^rivo [Spett. 1816; Fir. 1845].
•'* Calisto ; [Fir. 1845].
« Ninfa [Spett. 1816; Fir. 1845].
' Diva [Siyett. 1816].
* dento. [Fir. 1845].
* Dei [Spett. 1816; Fir. 1845].
"^ tornasse; [Sptett. 1816; Fir. 1845]. ^
" salvo [Sptett. 1816; Fir. 1845].
'•^ Nettun; [Fir. 1845].
" Resto, [Spett. 1816; Fir. 1845].
'* nume, [Spett. 1816]. — nume [Fir. 1845].
'■■• Etiopi, [Spett. 1816; Fir. 1845].
'" mondo [Spett. 1816; Fir. 1845].
'^ sol [Spett. 1816; Fir. 1845].
"* aurora), [ /*'*>. 1845].
'» d\tn' [Fir. 1845].
ODISSEA
D'agnelli e tori. Ivi al convito assiso
Stavasi con piacer. Ma gli altri Dei
S'eran raccolti dell'Olimpio Giove
Nella vasta magione. Ad essi il padre
Degli uomini e de' numi a parlar prese, ^
Che ricordossi del preclaro Egisto,
Cui morto aveva il rinomato figlio
D'Agamennone, Oreste. Or lui membrando,
Favellò tra gli Eterni in questi accenti. -
0 stolti! i numi accusano i mortali.
E dan la colpa a noi de' lor disastri : ^
E sì, •"' per lor follia soffrono affanni
Non voluti dal fato. Egisto appunto
Del destino a ritroso or or la moglie
D'Agamennon si tolse a sposa, e lui
Tornato uccise;*' eppur " l'acerbo fine
Che l'attendea, non ignorò: spedito^
Gli avevamo noi già Mercurio, d'Argo
Il veggente uccisor, che gli disdisse
Spegner l' Atride, e tor la moglie a sposa : ^
Ed avvisato il fé' ^'^ come da Oreste
Cresciuto d'anni e in bramosia venuto
Delle sue terre, Agamennon vendetta
Avuto avria. Cosi Mercurio a lui
Saggiamente parlò, ^^ ma noi rimosse
Dal suo pensiero. Or quegli a un tempo solo
' ìjrese; [&petL 1816; Fir. 1845].
••-' accenti: [Spett. 1816; Flr. 1815].
' Ci accusano i mortali, oh stolti ! e danno [Spett. 1816].
danno [Fir. 1845].
* Delle sventure lor la colpa ai Numi: [Spett. 1816; Flr. 1845].
•^ sì [Spett. 1816; Flr. 1845].
« uccise: [Spett. 1816; Flr. 1845].
■ e pur [Spett. 1816; Flr. 1845].
•* ifinorò. Spedito [Spett. 1816; /Vr. 1815].
" apoHa, [Spett. 1816].
'" fé, [Flr. 1845].
" parlò; [Spett. 1816; Flr. 1845].
ODISSEA
Tutto pagò del maloprare ^ il fio.
A lui * Minerva dalle azzurre luci
Cosi poscia rispose : 0 nostro padre -
Saturnio d Dio, sommo de' Re, "^ tal sorte
Quel meritossi assai ; cosi * perisca
Chi com'egli oprerà. Ma per Ulisse
Il battaglioso, •'' mi si strugge il core, ^'
Misero! che lontan da' cari suoi
Di ~ gran tempo sopporta immensi affanni ^
In un'isola d'arbori nutrice,^
Tutta cinta dall'acque, ''^ ove del mare
È l'umbilico ; '^ e dove in sua magione
Ha ricetto una Dea figlia d'Atlante, ^-
Cui tutto è noto, che del mar gli abissi
Tutti conosce, e che la terra e il cielo
Sopra colonne altissime sorregge.
La figliuola di lui ritiene a forza
Il misero piangente, ^^ e ognor con dolci
Molli detti il carezza, affin che il prenda
D' Itaca obblio. ^^ Ma di sua terra almeno
Veder bramando Ulisse alzarsi il fumo ^^
Morir desia. Né da pietade infine
' mal oprare [Flr. 1845].
■-' padre, [SpetL 1816; Flr. 1845].
■■' re, [Fir. 1845].
* assaL Così [S2iett. 1816]. — assai: Così [Fir. 1845].
•'• battaglioso [Spett. 1816; Fir. 1845].
« core: [Spett. 1816; Fir. 1845].
' Da [Fir. 1845].
** ajfanni, [Fir. 1845].
^ nutrice [Spett. 1816; Fir. 1815],
'" acque; [Fir. 1845].
" umhilico, [Spett. 1816; Fir. 1845].
^' Atlante [Spett. 1816]. — Atlante; [Fir. 1845].
'•' piangente ; [Fir. 1845].
'' oblio. [Fir. 184.5].
'\fumo, [Spett. 1816; Fir. 1845].
* Il lui è di mano «lei Leopardi,
ODISSEA
Il tuo cor sarà tocco, Olimpio Nume?^
Nell'ampia Troja - non ti fece Ulisse
Presso alle navi Achee ^ gradite offerte?
E donde, o Giove, contro lui tant'ira?
Giove de' nembi adunator "* a lei
Rispose : 0 figlia mia, quai detti uscirti
Dalla chiostra de' denti ? Il Divo "' Ulisse
Come obbliar potrei, '' ch'ogni mortale
Vince in prudenza, e al par di cui non avvi '
Uom ch'abbia offerte agi' immortali Numi '*^
Ch'abitan l'ampio ciel, vittime sacre?
Ma Nettuno, •' che il suol tutto circonda.
Di terribile sdegno è sempre acceso "*
Per il Ciclope, '^ chf' ei dell'occhio ha privo,
Per Polifemo a nume ugual, ^- che avanza
Tutti i Ciclopi in gagliardia. ^" La ninfa
Toosa partorillo, •* a cui fu padre
Forcine ^■"' un Dio dell' infecondo mare,
A Nettuno commista in cavi spechi.
Morto Ulisse non ha lo scotitore
Della terra Nettun, ^'^ ma da quel tempo
Lungi lo tiene dalla patria sede.
Cerchiam però fra noi come sia duopo '*
' DioV [Siìctt. 181(); Flr. 1845].
■' Troia [Fir. 18i5].
' achee [^pctt. 1810; Fh\ 1815].
-• adunatore [Siìett. 181(5; Fir. 1815].
■• divo [Hpett. 1810; Fir. 1815].
" potrei; [Fir. 1845].
" evvi [Spett. 181()]. — òvvi [Fir. 1845].
' numi [Spett. 1810; Fir. 1815].
" Nettano [Spett. 1810; Fir. Is45].
" acceso, [Fir. 1845].
' Ciclopc [Spett. 1810; Fir. 1845].
-' a;/uat [Spett. 1810].
•' <ia;iliar(Via. [Fir. 1845].
' partorilU) ]Spett. 1810].
•• Forcine, [Spett. 181(1; Fir. Isi:)].
" Nettun; [Fir. 1845].
" d'uopo [Fir. 1845].
ODISSEA
onde al suo regno
Torni quegli, e Neltun l' ira deponga : ^
Poi che di tutti gli' immortali^ ad onta
Niun potere egli avrà, né fia che sappia
Solo cozzar con tutti i Numi avversi. '*
Ed a lui poscia Tocchi-glauca Diva
Minerva replicò : Saturnio Nume, •'
Padre di noi, sommo de' Re, ^' se fermo
Hanno i beati Dei, " che al patrio tetto
Ritorni Ulisse il battaglier, messaggio
D'Argo l'ucciditor tosto all'Ogigia
Isola si spedisca, ^ ond'ei trascorso
Velocissimamente, a quella ninfa
Da' bei cincinni, " faccia conto il nostro
Infallibil voler {^^ torni il paziente
Ulisse al suol nativo) •' e degli Eterni
Adempiasi il decreto. Io recherommi
In Itaca a destar nel figlio suo
Ardimento più grande, e a porgli in core
Valenteria, '- si che '^ i chiomati Achivi
Raccolti a parlamento, i proci ^^ affronti, ^''
Che sempre dense greggi, e neri buoi
Uccidendo gli van di curvi piedi.
' !jlun>ja, [Spett. 1816; Flr. 1845].
'^ dejJOìifja; [S-jjett. 1816; Flr. 18i5].
'■* Inimortall [Spett. 1816; Flr. 1815].
^ Solo cozzar con i contrarii Dei ; [Spett. 1816 ; Flr. 1845
" n>ime, [Spett. 1816; Flr. 1845].
« re, [Flr. 1845]. .
' Del [Spett. 1816; Flr. 1845].
" spedisca; [Flr. 1845].
" cincinni [Spett. 1816; Flr. 1845.]
" voler: — [Flr. 1845].
' nativo: — [Flr. 1845].
- Valenteria, [Flr. 1845].
■' che, [Spett. 1816; Flr. 1845],
* Proci [Sjìett. 1816; Flr. lS4r>].
'^affronti [Spett. 1816; Flr. 1845].
ODISSEA
A S parta pure, ^ e all'arenosa Pilo
Il manderò, perchè novelle cerchi
Del ritorno del padre, ove pur sia
Che alcuna udirne gli addivenga:- e affine
Che tra gli uomini s'abbia inclita fama.
Ciò detto, a' pie legasi ^ i bei talari
D'oro '* immortai, che sopra l'acqua, ^ e sopra
L' immensa terra la portavan ratta
Come il soffio dei ' venti. In mano quindi
Si tolse l'asta poderosa, armata
D'acuto rame, ^ grave, salda, enorme,
Con cui riversa degli Eroi le squadre,
Che lei di forte genitor ' figliuola
Han mossa a corrucciarsi ; ^ e giù discese
Precipitante dall'Olimpie vette.
In Itaca fermossi " e del Palagio "•
D'Ulisse si ristet'e anzi alle porte '^
Dell'atrio al limitare, ^- in man tenendo
L'asta di rame, '■'* e per sembiante uguale
A Mente '^ uno stranier, de' Tafj il rege.
Gli alteri proci ^'' ritrovò, ^*' che allora
Contra alle porte si prendean sollazzo ^'
' pare [Spett. 1816; Flr. 1845.]
■■* adllvemja, [Spett. 1816], — addloenqa ; [Flr. X845].
■' lej?ossi [Spett. 1816; Flr. 1845].
* D'oro, [Flr. 184.5].
•^ acqua [Spett. 1816; Flr. 1815].
« ferro, [Spett. 1816; Flr. 1845].
^ Genitor [Spett. 1816; Flr. 1845].
** corrucciarsi, [Spett. 1815]. — corrucciarsi: [Flr. 1845].
"^ fermossi, [Spett. 1816; Fir. 1845].
'" paLa<)lo [Flr. 1845].
" lìorte, [Spett. 1816; Flr. 1845].
'■' limitare; [Flr. 1845].
'•' rame; [Flr. 1845].
'' Mente, [Spett. 1816; Flr. 1845].
'" Proci [Spett. 1816; Flr. 1845].
'" ritrovo [Spett. 1816; Flr. 1845],
»' sollazzo, [Flr. 1845].
10 ODISSEA
A' calcoli giiiocaiido, e sulle * pelli
Sedevansi di buoi da lor già morti.
D'intorno araldi,^ e presti servi o l'acqua
Mesceano, ^ e il vin nell'urne, o con ispugne
Piene di fori detergean le mense,
0 le coprian di cibi, e larga copia
Partivano di carni. Or lei primiero
Telemaco mirò simile a Nume, '^
Poi che tristo in suo cor sedea tra i proci *
Colla mente veggendo "' il padre illustre "
E il suo ritorno rivolgea nell'alma,
Se pur giammai tornato, ~ ei per la reggia
Sperger ** doveva i proci, '^ e onore aversi,^
E de' suoi beni il dritto. E mentre quivi
Tenea fisso il pensier tra i proci ^*- assiso,
Di Minerva s'accorse, e drittamente
Ver la soglia inviossi, ^* a sdegno avendo
Che per gran pezza un ospite si stasse ^" ***
Anzi alle porte. Gli **** si fé ^-^ vicino '^
La destra man gli =5=*=^=** prese, e l'enea lancia
' araldi [Siìett. 1816; Flr. 1815].
- Mesceano [Spett. 1810; Flr. 1845].
•' nnnie, [Spett. 1816; Fir. 1845].
' Proci [Spett. 1816; Flr. 1845].
'' vedendo [Spett. 1816; Flr. 1845].
" Illustre, [Spett. 1816; Flr. 1845].
" tornato [Spett. 1816; Flr. 1845].
« Proci, [Spett. 1816; Flr. 18i5].
" aversi [Sjiett. 1816; Flr. 1845].
'" Proci [Spett. 1816; Flr. 1845],
" Invlossl ; [Flr. 1845],
'■' stesse [Siìett. 1816; Flr. 1845].
'='/e' [Sjjett. 1816]. - fc [Flr. m45].
'■* vicino, [Spett. 1S16 ; Flr. 1815].
* Di pugno del Leopardi.
** Leggevasi qui prima spijner, di mano di Giacomo stesso.
*** Stasse per stesse ha dovuto essere, crediamo, eirore di Paolina.
***'" Nell'esemplare dello Spòttatore, che si conserva nella biblio-
teca di famiglia, leggesi, corretto a penna: J^e.
*****= Nell'e.semplare di famiglia; Le
ODISSEA 13
Si tolse, e indirizzogli * alati detti :
Ospite, il ciel ti salvi; amicamente
Noi ti raccoglierem : che t'abbisogni
Palese ne farai dopo la cena.
Ciò detto, innanzi andò, Palla il seguia : ^
Poi che fiir dentro alla magione eccelsa,
Quegli a un 2 alta colonna appoggiò l'asta
In un polito armadio, -^ ove molt' altre
N'avea d'Ulisse il paziente, e Palla
Ad un seggio condusse, '* un vago strato
D' ingegnoso lavor sopra vi stese,
E lei seder vi fé : ■' sotto de' piedi
Uno sgabel n'avea. ** Per se ^ li presso
Collocò poscia un variato scanno, ~
Lungi da' proci, ^ aiBn che *** in mezzo essendo
A que' superbi, e dal tumulto offeso, "
L'ospite a schifo non prendesse il pasto;
E per chiedere a lui qualche novella
Del Genitor ^^ lontano. Acqua a lavarsi
Da leggiadra urna d'or piovve una fante
Su d'argento bacino, ^^ e loro innanzi
Trasse polita mensa. Il pane, ^- e molti
Cibi recò, ^'^ che allora in serbo avea,
' sefjnla. [S2ìetL 181G; Flr. 1845].
'' un' [Flr. 1845].
^ armadio [Spett. 1810].
* condusse; [S'pett. 181(5: Flr. 1845].
'/«'• [Spett. V&ì.% ~ fc: [Flr. 1845].
" sé [Spett. 1816].
"' scanno [Spett. 1810].
« Proci, [Spett. 1816]. — Frocl: [Flr. 1845].
" offeso [Spett. 1816; Flr. 1845].
"• ijenltor [Spett. 1816; Flr. 1845].
" bacino; [Flr. 1845].
''pane [Spett. 1816; Flr. 1845].
'=' recò [Spett. 1HI(\] Flr. 18^15].
* Nell'esemi)lare di famiglijv: indirizzt.Hc.
** Ilnd: " sgabell'avea ^
*"*= Di mano <lel Leopardi.
12 ODISSEA
La vereconda dispensiera. Addusse
Sopra i taglieri, ^ e collocò lo scalco
Carni d'ogni maniera in sulla mensa, ^
Con auree tazze. Ministrando il vino
Un sollecito araldo intorno giva.
Entrar ^ gli alteri proci, * e in ordinanza
Su scanni e seggi si locar. Gli ^ araldi
Dieron acqua alle mani, e ne' canestri
Le ancelle il pane accumularo. Ai cibi
Apparecchiati, *• e posti loro innanzi
Steser quelli le destre : ' e di bevanda
Incoronar on l'urne i giovinetti.
Poi che di bere, * e ^ di mangiare i proci ^^
Deposero il desio, d'altro lor calse; ^^
Del canto e della danza: '^ (gli ornamenti
Questi son del convito) '-^ e a Femio in mano
Pose un araldo la leggiadra lira.
Da forza astretto egli cantava innanzi
Ar proci, ^* e dilungando il suo bel canto ^•'
In pria le corde percuotendo giva.
Ma Telemaco a Palla occhi-cilestra
A parlar prese:'" e avvicinolle il capo
' taglieri [Spett. 181G; Flr. 1845].
■' mensa [Siìelt. 1816; Flr. 1845].
« Entrar [Flr. 1845].
* Proci, [Spett. 1816; Flr. 1845].
" locar: gli [Spett. 1816]. — locar: gli [Flr. 1845].
« Apparecchiati [Spett. 1816; Flr. 1845].
' destre, [Spett. 1816; Flr. 1845].
« here [Spett. 1816; Flr. 1845].
« o [Fir. 1845]. *
'" Proci [Spett. 1816; Flr. 1845].
" calse, [Spett. 1816; Flr. 1845].
'■' danza [Spett. 1816; Flr. 1845].
>•' convito), [Spett. 1816; Fir. 1845].
'* Proci, [Spett. 1816; Flr. 1846].
'•'' canto, [Spett. 1816; Flr. 1845].
'^ Ijrese, [Spett. 1816; Flr. 1845].
* Evidente errore di stampa.
ODISSEA 13
Per ch'altri non l'udisse: Ospite caro '
Ti moverà - quel eh' io dirotti a sdegno ?
Questo preme a costor, la cetra e il canto ; ^
E di legger, * che ■' consumando vanno
Impunemente il vitto altrui, d'un uomo
Di cui le candid' ossa in qualche parte
0 sopra il suol corrompono le piogge,
0 voi ve l'onda in mar. Che se tornato
In Itaca il vedessero, più presti
Vorrebbon tutti esser di pie, che ricchi
Di vestimenta e d'or. Ma d'aspro fine
Egli è perito, e speme a noi non resta, '^
Comunque alcun, ' che nella terra alberga,
Dica ch'ei tornerà : pur ^ s'è perduto
Il di del suo ritorno. Orsù mi narra
Chi sia tu mai, senza dubbiare, e donde : ^
In qual region co' genitori tuoi
i:ìsi la tua patria: '" e su qual nave or giunto
In Itaca ne sia. Di ^^ pure, e come
1 marinaj ^- quà*'-^ t'hanno scorto? ed essi
Chi sono a detta lor? Certo che a piedi
Qua sia venuto io non estimo. Il tutto
Dimmi sinceramente : ^^ affin eh' io vegga
' caro, [Spett. 1816; Flr. 1845].
•'' muoverà [Spett. 1816; Fir. 1845].
' canto, [Spett. 1816; Fir. 1815].
* lefjgèr, [Siiett. 1816]. — lerffjier, [Flr. 1845].
" che [Spett. 1816; Flr. 1815].
« resta; [Spett. 1816; Flr. 1845].
' alcun [Spett. 1816; Flr. 1845].
" tornerà. Par [Spett. 1816; Flr. 18-45].
« donde; [Flr. 1845].
'"^ patria, [Spett. 1816; Flt. 1845].
" DV [Spett. 1816; Flr. 1845].
'■■' marinai [Spett. 1816; Flr. 1845].
" qua [Spett. 1816; Flr. 1845].
'* sinceramente, [Spett. 1816]. — s' noe r amente ; [Flr. 1845].
* Evidente trascorso della poniMi di Paolina, come prova chia'
ramente il Qua che vien dopo.
14 ODISSEA
Se nuovo or giungi, o se del padre mio
Osjjite ancor tu sei: quando molt' altri
Alla nostra magion veniano un tempo ^
Che - degli uomini amico era egli pure.
A lui rispose l'occhi-glauca Dea
Palla cosi: Tanto dirotti al certo
Senza punto dubbiar. Figlio mi vanto
D'Anchialo il battaglier. Mentre '^ son io, '*
Che impero ai Tafj in navigare esperti.
Cosi, •"' con un naviglio e con compagni
Il negro mare valicando giunsi.
Tra gente d'altra lingua ora ^ in Temesa
Kame a torre men vo, meco recando
Lucido ferro. La mia nave è al campo
Lungi dalla città, ~ nel Porto Retro, ^
Sotto al Neio ^ dall'ampie selve. Invero
Mutui de ^'^ padri nostri ospiti antichi
Noi ci diciamo; ^^ e udir lo puoi dal vecchio
Eroe Laerte, a lui n'andando. E fama
Ch'ei più non venga alla città, ma soffra
La doglia sua lungi dagli altri, ^^ in villa ^^
Con una vecchia fante, ^^ che di cibo
E di bevanda gli ministra, ^■' allora
Che spossatezza gli occupa le membra,
' tempo, [Spett. 1816; Flr. 1845].
■' Che [Spett. 181G; Flr. 1845].
''^ hattaijller ; mentre [Sj^ett. 1810; Fir. 1845].
■» io [Spett. 1816; Fir. 1845].
•'■c'osi [Spett. 1816; Flr. 1845].
•> or [Spett. 1816; Flr. 1845].
" citta [Spett. 1816; Flr. 1845].
« Retro [Sijett. 1816; Flr. 1845].
» Nelo [Flr. 1815]. '
'" de' [Spett. 1816; Flr. 1845].
" diciamo, [Spett. 1816].
'■' altri [Spett. 1816; Flr. 1845].
'■' mila, [Spett. 1816; Flr. 1815].
^* fante [Sp}eti. 1816; Flr. 1815],
»* ministra [Spett. 1816; Flr. 1845].
ODISSEA 15
Poi che per entro a una ferace vigna
Strascinando s'andò. Qua dunque io venni
Perchè dicean, ' che s'era già tornato
Alla sua reggia - il padre tuo. Ma fanno
Al suo viaggio impedimento i' Numi : "^
Che * non è morto il Divo •'' Ulisse ancora, ^
Ma vivo in mezzo al vasto mare, in qualche
Isola ' intorno a cui s'aggira il flutto,
E ritenuto, ^ e Aera gente e rozza
D' Itaca mal suo grado il tien lontano.
Pur quello io predirò, ^ che gli ' Immortali ^^
Pongonmi nella mente, e ch'esser dee,
Se mal non penso, poi che vate, ^^ o sperto
Interprete d'augurj io già non sono. '-
Dal suol natio per molto tempo ancora
Ei lungi n^n sarà: cinto ^■* pur fosse
Da ferrei lacci, di tornar saprebbe
Trovar la via, che' astuto egli è. Ma dimmi
Senza dubbiar '■* se figlio sei d'Ulisse '•''
Tale qual ti Yegg' io :. che certo al capo
Ed ai begli occhi lo somigli assai.
Prima ch'ei gisse ad Ilio, ove molt' altri
Su' concavi navigli Argivi Eroi
' dlceaìi [SpeM. 1816; Flr. 1H45].
-' terra [Sitett. 1816; Fir. 1845].
3 numi: [Spett. 1816; Flr. 1845].
^ Che [Spett. 1816; Flr. 1845].
•' divo [Spett. 1816; Flr. 1845].
" ancora; [Flr. 1845].
' Isola, [Spett. 1816; Flr. 1845].
•* ritenuto; [Flr. 1845].
''prediro [Spett. 1816; Flr. 1845].
'" liamortall [Spett. 1816; Flr. 1845].
" vate [Spett. 1816; Flr. 1845].
'■-' sono: [Flr. 1845].
'=' sarà. Cinto [Spett. 1816; Flr. 1815].
'* dubbiar, [Spett, 1816; Flr. 1845].
^•' ITase, ]Spett. 1816: Flr. 1845].
UJ ODISSEA
i*
Del pari si recar, ^ sovente fiate
Ambo noi fummo insiem. Da quindi innanzi
Veduto non F ho più, più non m' ha visto.
E nuovamente a lei parlando, il saggio
Telemaco rispose : Ospite, il vero
Senza punto dubbiar dirotti. Afferma
La madre mia, - che suo figliuolo io sono :
conto **
Ma questo non m'è certo, e alcun non /?,avvi***
Che il padre suo conosca. Oh stato fossi
Figlio d'un uom felice,-^ cui trovato
In mezzo a' beni suoi vecchiezza avesse!
Ma di chi tra i ' mortali è il più meschino
Nato mi dice ognun : * poi che "• mei chiedi.
A lui la Diva dalla glauche luci
Minerva replicò : Stirpe, " che deggia
Restarsi ignota alle future etadi, ~
I numi non ti dier, ^ poi che qual sei
Ti partorì Penelope. Ma dimmi, ^
E palesami il ver: che cosa è mai
Questo banchetto, ^*^ e questa turba? e quale
Mestier n'hai tu? Forse una festa, " o forse
Questa cena è nuzial? che certo a scotto
Esser non può: si bruttamente panni
' recar, [Fir. 1845]
'' mia [Sjyett. 1816; Fir. 1845].
^ felice [Spett. 1816].
■* ofjnun; [Fir. 1845].
•' poiché [Fir. 1845].
" Stirpe [Spett. 1816; Fir. 1845].
' etadi [Spett. 1816; Fir. 1845].
" dier, [Fir. 1845].
» dimmi [Sjìett. 1816; Fir. 1845].
'" convito [Spett. 1816; Fir. 1845].
" festa [Spett. 1816].
* L' i è di mano del Leopardi.
** La parola conto ugualmente.
*** L' h fu cancellata dal Leo; ardi.
odissp:a 17
Che baiicliettin costoro. Un uom di senno
Qua venuto, in mirar tanta sconcezza,
Chi ch'ei si fosse, monterebbe in ira.
* E Telemaco il saggio a lei rispose :
Ospite mio, ^ (poi che di ciò m' inchiedi) -
Doviziosa •* sempre, ^ e senza colpa
in fin ■'■ **
Fu questa casa, i/ijin ch'ebbe ricetto
Queir uom nel patrio suolo. Ora altramente
Per voler degli Dei va la bisogna,"
Che volti a farci danno, il padre mio
Più ch'uomo alcuno han reso ignoto. E spento
Noi piangerei cosi, ' se stato ei fosse
Con i compagni suoi da' Teucri domo : ^
0, compiuta la guerra, tra le braccia
Pur de' suoi cari fosse morto. A lui
Tutti avrebbon gli Achei fatta una tomba, ^
E immensa fama al suo figliuolo ancora
Restata ne saria. Ma se 1' han tolto
Inonorato le rapaci Parche:
Perito egli è : ^'^ nullo il conosce, o n'ode
Il nome," e doglia m'ha lasciato,^- e pianto.
Né già dolente il ploro sol; che d'altri
Acerbi guai m' han fabbricato i numi.
^ mio [Spett. 181(j; Flr. 1845].
■' IncJdedl), [S])ett. 1816; Flr. 1845].
•' Doviziosa [Spett. 1816].
* sempre [Spett. 1816; Flr. 1845].
' infin [Spett. 1816; Flr. 1845].
" blso(jna; [Flr. 1845].
' così [Sìtett. 1816; Flr. 1845].
** domo, [Spett. 1816]. — domo; [Flr. 1815].
" tomba; [Flr. 1845].
'" è; [Spett. 1816; Flr. 1^5].
" nome; [Spett. 1816].
'■- lasciato [Spett. 1816; Flr. 1845].
* A questo verso, tanto nello Spettatore, quanto nell'ediz. fioren-
tina, non si va da capo.
** La correzione è di mano del Leopardi.
18 ODISSEA
Ogni Prence ^ che l' isole governa
Di Dulichio, di Z Samo, ^ e di Z acinto
Dalle molte boscaglie, e que' che impero
Hanno in Itaca alpestre, a sposa ognuno
Vuol la mia madre, e la magion diserta.
Né l'odiate •* nozze ella ricusa,
male, ^ *
Né fin può porre al male e quelli intanto
Banchettando ruinano la casa ; "■'
E me fra poco perderanno ancora.
A sdegno avendo i suoi disastri, a lui
Disse Palla Minerva: 0 numi! in vero
Grand' uopo hai tu del pellegrino Ulisse "
Che giunto, ' i proci ^ inverecondi assalga.
Se ritornato adesso e' sulla prima
KSoglia ristasse con celata, '^ e targa
lance **
E con due lande, a quella foggia in cui
Nella nostra magion la prima volta
Di bere. ^'^ e di far festa il vidi in atto, ^^
Quando venne d'Ehra, ^' e della reggia
D' Ilo iigliuol di Mermero (che ^"^ Ulisse
Là s'era tratto su veloce legno
Un veneno omicida a ricercargli, ^^
' prence [Spett. 1816; Flr. 1845],
■' Samo [Spett. 1816; Flr. 1845].
'■' odiate [Spett. 1816].
■' male: [Spett. 1816; Flr. 1845].
'■' casa, [Spett. 1816; Flr. 1845].
" Ulisse, [Flr. 1B15].
' (jluìito [Flr. 1845].
• Frocl [Spett. 1816; Flr. 1845],
" celata [Spett. 1816; Flr. 1845].
'" bere [Spett. 1816; Flr. 1845].
" atto; [Flr. 1845].
'- EJira [Spett. 1816; Flr. 1845].
'■' ciiè [Spett. 1816; Flr. 1845].
'' rlcercanjll [Spett. 1816; Flr. 1845].
* Di m£vuo del Leopardi.
** Idm.
ODISSEA 19
Di clie l'enee saette unger potesse:
Ma quel non gliene die, che tema ave a
De' sempiterni Numi, ^ il padre mio
Donogliene - però, ch'assai l'amava) ■*
Se tale a' proci, * ei si mescesse, ognuno
Pronto fato n'avrebbe, •"' e nozze amare.
Ma se tornato, in sua magione ei debba
Rivendicarsi o no, questo de' numi
Si sta sulle ginocchia. Or come possi
Lungi cacciar da questa reggia i proci ^
Esplorar ti consiglio. Attentamente
Ascolta il mio parlar. Gli Achivi Eroi
Chiama domani a parlamento, ~ e presi
In testimoni^ i Dei, tutti gli aringa:^
Di girne alle lor case ordina a' proci, ^*^
Ed alla madre tua ^^ se il cor le invase
Desio di nozze, di tornarsi al tetto
Del Genitor ^'' possente. Ei colla madre
Di sue nozze avrà cura, ^'^ e ricca dote
Gli ^^ appresterà, ^^' quale è mestier che segua
La figlia sua. Ma per te stesso ancora
Saggio consiglio ti darò. Se vuoi
Eare a mio senno, una tua nave (e sia
' numi: [SpetL 1816; Fir. 1845].
■■' Donbyllene [SpetL 1816; Flr. 1845].
•' amava); [SpetL 1816; Fir. 1845].
■* ProcA [SpetL 1816; Fir. 1845].
" avrebbe [Spett. 1816; Fir. 1845].
" Proci, [SpetL 1816; Fir. 1845].
' parlamento ; [Fir. 18^15].
•* tentimoni [Fir. 1845].
" aringa; [Fir. 1845],
"• Proci; [Fir. 1845].
" taa, [SpetL 1816; Fh: l8l5].
'- genitor [Siiett. 181(5; Flr. 1845].
'" cura [SpetL 1816].
'' Le [Fir. 1845].
^^ appresterà; [Fir, 1845].
20 ODISSEA
Questa fra tutte la miglior) di venti
Rematori fornisci, ' e di novelle
Del padre tuo, ^ che da gran tempo è lungi,
In traccia vanne : -^ ove a mortai t'avvenga
Che alcuna te ne rechi, o quella voce
Udir tu possi, ^ che da Giove scenda ,
E ch'agli '' uomini adduce il più di fama.
Va prima a Pilo a interrogar Nestorre
Simile a Nume : ' quindi a S parta, al tetto
Del biondo Menelao, ^ ch'ultimo venne
Fra gli Achei che di rame han le corazze. ^
Se vivo il padre ed in ritorno udrai,
Benché d'affanni oppresso, un anno ancora
Sosterrai d'aspettar. Se fìa che intenda
Com'ei s'è morto, e più non è, ^" tornato
Alla tua patria terra, un monumento
Allor gì' innalza, e quali a lui si denno.
Grandi esequie gli fa. Poscia a uno sposo
Dà la tua madre: ^^ e ciò fornito, il modo
Di trucidar nella tua reggia i proci ^-
Con frode o alla scoperta, in cor, nell'alma
Va meditando. Or da fanciul non devi
Più diportarti, e già non sei piccino.
^ fornisci ; [fii^ 1845].
'' tuo [Spett. 1816].
■' vanne, [Spett. 1816]. — vanne; [Fir. 1845].
-> 2Ì0SHÌ [Spett. 1816; Fir. 1815].
'' scende [Spett. 1816; Fir. 1845].
•' tra gli [Spett. 1816 ; Fir. 1845].
' Nume; [Fir. 1845],
*" Menelao [Spett. 1816].
» corazze, [Spett. 1816].
'•'è; [Fir. 1845].
" madre ; [Spett. 1816].
'•' Proci [Spett. 1816 Fir. 1845].
* La corres5ione è di mano del Leopardi.
ODISSEA 21
E non intendi in quanta gloria venne
Appo gli nomini tutti il divo Oreste,
Poi ch'ebbe spento Egisto, il frodolento
Ucciditor del padre suo, del padre
Si rinomato già, ch'egli ^ avea morto V
Tu pur sii prode, o caro mio, - (che bello
Ti veggio, -^ e grande assai) ^ perchè ti lodi
Qualche postero anemia. Io torno al mio
Veloce legno, •"' e ai *' miei compagni. Intanto '
Forse che loro d'aspettarmi è grave. ^
Abbi te stesso, '' e i miei consigli a cura.
Telemaco il prudente a lei di nuovo
Rispose : Amicamente, osjnte, in vero ^^
Come padre a fìgliuol ^^ porti tu m'hai
Questi consigli, ^- e non sarà eh' io sappia
Unque obbliarli. Ma rimanti un poco.
Benché fretta ti dia, si che lavarti,
E ricrear ti possi il core : andrai
Lieto quindi alla nave, un don recando
Prezioso, ^-^ bellissimo, che fia
Uno de' miei più ricchi arnesi, e quale
A caro ospite dar l'ospite ha in uso.
E a lui Minerva, l'occhi -glauca Dea ^*
Poscia disse cosi : Non rattenermi
' eh" e^ gli [Flr. 1845].
-' amico mio( [Spett. 1810; Flr. 1845]
'■' veijffio [Spett. 1816; Flr. 1845].
•• assai), [Spett. 1816; Fir. 1845].
■' kffno [Spett. 1816; Flr. 1845].
•* a' [Spett. 1816; Flr. 1845].
" Intanto, [Fir. 1845].
*" ;/rave, [Flr. 1845].
" stesso [Spett. 1816; Flr. 1845].
»" aero, [Spett. 18L6; Flr. 1845].
'' finllnol, [Spett. 1816; Flr. 1845].
'2 eonsliill; [Flr. 1845].
'=' Prezioso, [Spett. 1816].
'' Dea, [Flr. 1845].
22 ODISSEA
Or che vaghezza ho di partire : il ^ dono
Che a farmi il cor ti spinge, allor che giunto
Qua di nuovo sarò, mi porgi, ond'io
Alla mia casa il rechi, - e sia pur bello,
Che di compensazion per te fia degno.
Parti, ciò detto, l'occhi-glauca Palla,
Volando come augel. ^ che si dilegua, ^
E vigore, '' e baldanza in core a lui
Pose, e del Genitor ^' più che non era
Ricordevole il fé. ' Seco pensando
Quegli stupì, che riputoUa un Nume ; '^
E tosto a' proci •* andò simile a Dio.
Cantava innanzi a lor l' inclito vate, •"
E sedendosi quelli, chetamente
. Stavanlo udendo. Egli cantava il tristo
Ritorno d' Ilio degli Achei, che tale
Fu per voler di Pallade. Ne intese
Dalle superne stanze il divin canto
L'Icaride Penelope, la casta, ^^
E giù di sua magion per l'alta scala
Scese, ^^ sola non già, che '-^ la seguirò
Due fanti. Ella ristette in sulla soglia
Del ben costrutto albergo, il suo bel velo
Tenendo anzi alle gote; e allato avea
D'ambe le parti le due fide ancelle.
' partire. U [Spetf.lHm; Fir. 1845].
- rechi; [Flr. 1845].
-■' aufjel [Spett. 181H; Fir. 1815].
' diler/aa; [Fir. 1815].
•'■ vigore [Siìett. 1816; Fir. 1845].
'• tjenitor [Spett. 181fi ; Fir. 1845].
■/e'. [Spett. 1816]. —fé. [Fir. 1845].
"mime, [Spett. 1816]. ~ nuvie: [Fir. 1845].
•' Proci [Spett. 1816; Fir. 1845].
"• vate; [Fir. 1845].
" casta; [Fir. 1815].
'•' Scese; [Fir. 1845].
'•' che [Sjfett. 181(); Fir. Ift45].
I
ODISSEA 23
Al divino C autor ^ si volse, e disse
Lacrimando cosi: Femio, molt' altri
Canti, - di che diletto hanno i mortali,
E molte'' opre sai tu d'uomini, "* e dei,
qui
Cui celebrano i vati. Or qui sedendo, ^
Una ne canta, mentre quelli il vino
Cheti beendo van : ma questa lascia
Dolorosa canzon, ^ che il core in petto
Sempre m'attrista. Acerbo duol m'assalse.
Me sopra tutti, ch'uomo tal desio, ~
E che vo meco rimembrando ognora
Lui che in Grecia, ^ ed in Argo ha immensa fama.
Ed a lei poscia in questi accenti il saggio
Telemaco rispose : 0 madre mia,
Perchè vuoi tu, '^ che dilettar non })ossa
Quest'amabil Cantore^" a suo talento?
Non da' Cantori ^^ ma da Giove il male
A noi deriva:^- ei de' mortali industri
Quello a ciascuno invia, che più gli aggrada.
Ma questi, se de' C^reci i casi acerbi
Or cantando si sta, biasmar non dessi. ^'^
Che ^^ gli uomini lodar più ch'altra mai
Soglion quella canzon, ^-^ che a chi l'ascolta
(•autor [Flr. 1845].
Canti [S-pett. ISIO : Fìr. L^lò].
moli' [Fir. 184::)].
uomini [Spett. 181() ; Fir. 1845].
sedendo [S'pett. 181() ; Fir. 1845].
canzon [Spett. 1816; Fìr. 1845].
desio [Spett. 1816].
Grecia [Spett. 1816; Fir. 1845].
tu [Spett. 1816; Fir. 1^5],
' cantore [Spett. 1816; Fir. 1845].
cantori [Fir. 1845].
derioa; [Spett. 1816; Fir. 1845].
dessi-^ [Spett. 18l()]. —dessi; [Fir. 1845].
Che [Spett. 1816; Fir. 1845].
canzon [Spett. 1816; /'ir. 1845].
24 ODISSEA
Giunge più nuova. E tu fa core e l'odi.
Ulisse il sol non fu che del ritorno
Perdesse in Ilio il di: molt'altri eroi'
Perirono del pari. Alle tue stanze
Tu riedi, ed abbi a cor le tue faccende,
La tela, '^ e il fuso : '* ed alle ancelle imponi
Che diansi all'opre lor. Gli uomini tutti
Del sermonare avran la cura, ^ ed io
Avrolla più, che la magion governo.
Meravigliando, ■' che del figlio in core
Il favellar prudente erasi posto "
Quella tornossi alle superne stanze
Colle fantesche, * e poi che fuvvi ascesa ^
Si stiè piangendo il suo consorte Ulisse,-'
Infìn 1'* che alle palpebre un dolce sonno
L'ebbe spedito l'occhi-glauca Palla.
Per l'ombrosa magione i proci '' intanto
Givan tumultuando, '- e ognun sui letti
A lei bramava coricarsi appresso.
Ma Telemaco il saggio in questi accenti
A dir si fece : 0 della madre mia
Villanissimi proci '•' intollerandi,
Or banchettiamo a sollazzarci attesi
Senza frastuon, '^ che '"• bello è starsi udendo
' Eroi [Sijett. 1816] .
- tela [S'petL 1816; Fir. 1815].
•' fiifso; [Fir. 1815].
•* cura; [Fir. 18-15].
■' Meravigliando [Spett. 1816; Fir. 1845].
''posto, [Sxìctt. 1816; Fir. 1845].
' fantesclie ; [l^pett. 1816]. — fantesche: [Fir. 1845].
** ascesa, [Spett. 1816; Fir. 1815],
" Ulisse [Spett. 1816]. — Ulisse; [Fir. 1845].
'" In fin [Hpett. Ì816].
" Proci [Spett. 1816; Fir. 1845].
'-' tniìivltiiando ; [Fir. 1K45].
'■' Proci [Spett. 1816; Fir. 1815].
'\frastaon; [B'ir. 1815].
'•^ che [Sijett. 1816; Fir. 1815].
ODISSEA
Un Cantor ' quale è questi, - che alla voce
Gli Dei somiglia. A concion -^ dimani
Tutti sediamci la mattina, ^ ond' io
Franco vi parli : "' e di sgombrar v' ingiunga
Questa magione. Ad altre mense, il vostro "^
Bene ' a mangiar n'andate, ^ e l'un di voi
L'altro a vicenda al proprio desco inviti.
Se consiglio miglior vi sembra i cibi ^
Impunemente scialacquar d'un solo,
Su consumate il tutto : ai Numi '" eterni
Io sciamerò, ^' perchè ^^ se piaccia a Giove
Che quest'opre abbian pena, in questa reggia
Periate, e sia la vostra morte inulta.
Si disse, e quelli si mordean le labbra,
E stupefersi, poi eh' e' detto aveva
Arditamente. E a lui '•* rispose il figlio
D'Eupeite, Antinòo : Davvero i numi,
Telemaco, il parlar sublime, '"* e franco
Insegnando ti van. D' Itaca cinta
Tutta dal mar. deh '"* che il paterno impero
Darti non piaccia di Saturno al figlio.
E poscia a lui si fattamente il saggio
Telemaco rispose : A sdegno forse,
' (-autor [Spett. 1816; Flr. 1845].
-' questo, [S2)etL 1816; Flr. 1845].
•' concion [Spett. 1816],
■• mattina; [Flr. 1845].
''parli, [Spett. 1816; Flr. 1845].
« i vostri [Spett. 1816; Flr. 1845].
■ Beni [Siìett. 1816; Flr. 1845].
•* n'andate; [Flr. 1845].
" sembra, il vitto [Spett. 1816; Flr. 1845].
" tatto. Al numi [Spett. 1816; Flr. 1845].
' sciamerò; [Flr. 1845].
-perche, [Spett. 1816; Flr. 1845].
'' Gli [Sjìett. 1816; Flr. 1845].
^ suUlme [Spett. 1816; Flr. 1845].
'' deh! [S2)ett. 1816; Flr. 1845].
26 ODISSEA
Antinoo, prenderai quel che dirotti?
Gradevolmente questo ancor, se Giove
Mei consentisse, accetterei. Che? dunque
Per gli uomini il peggior di tutti i mali
Questo ti sembra? E non è già per nulla
Dura cosa il regnar. Del re l'albergo
Ricco tosto diviene, e a lui si fanno
Più grandi onori. In Itaca, ^ che cinta
Tutta è dal mare, hanno però molt' altri
Regi ^ d'Achei, giovani, e vecchi. E -^ morto
Il divo Ulisse, questo regno aversi
Può bene alcun di lor. Ma della nostra
Magione io sarò prence, e degli schiavi
Di che signor m'ha fatto il Divo ^ Ulisse.
A lui rispose di Polibo il figlio
Eurimaco cosi : Qual degli Achivi ^
In Itaca dal mar tutta ricinta
Abbia a regnar, questo de' ^ numi è posto
Sulle ginocchia. I beni tuoi possiedi, "
E alla tua casa impera. Alcun giammai
La tua sostanza a depredar non venga
Contro tuo grado, infin ^ che abitatori
In Itaca saran ! Ma chieder voglio,
Ottimo Prence, a te, donde quell'uomo
Ch'ospite qua ne venne; e di qual terra
Egli si dica; in qual regione alberghi
La gente di sua schiatta; e dove ei s'abbia
' Itaca [SpetL 1816; Fir. 1815].
■' Prenci [Spett. 1816 ; Fir. 1845].
•' (jlovanl e vecchi; e [S'pett. 1816; Fir. 1845].
' divo [Spctt. 1816; Fir. 1815].
•^ .Irc/uyi* [Spett. 1816].
" dei [Fir. 1845].
' possiedi [Spett. 1816; Fir. 1845].
^ in fin [Spett. 1816; Fir. 1845].
ODISSEA 27
I patrii campi. Reca forse nuova
Del genitor che torna, ^ o pagamento
Di debito ricerca? Oli come sorse
E dilegnossi immantinente, - e ch'altri
II conoscesse non sostenne! Al certo
Uom nequitoso non sembrava al volto.
Telemaco il prudente a lui rispose :
Eurimaco, peri del padre mio
Il ritorno senz'altro, •* ed a novelle *
Se avvien che n'oda alcuna, io più non credo;
Né •"' se la madre mia qualche indovino
Chiama alla reggia, " e lo dimanda, io curo
I vaticinj suoi. Quegli è di Tafo"
Paterno ospite mio : d'esser si pregia
Mente ligliuol del battaglioso Anchialo. ^
E regge i Tafj in navigare esperti.
Egli disse cosi, ma ch'una Diva
Immortale era quella in cor sapea.
* Givansi intanto sollazzando i proci ^
Alle carole attesi, ^" e al dolce canto,
In aspettando ch'Esperò giungesse:
E mentre a sollazzarsi erano attesi ^^
' tornai* [Spett. 181G; Flr. iHiò].
- immantinente ; [/"'*>'. 1845].
•' altro; [Spett. 1816]. — altro: [Flr. 1815].
* novelle, [Spett. 1816; Flr. 1845].
' Ne, [Sp>etL 1816; Flr. 1845].
•^ re<jijla [Spett. 1816; Flr. 1845].
• Tafo, [Spett. 1816; Flr. 1845].
" Anchialo; [Slr. 1845].
"" Proci [S2)ett. 1816; Flr. 1845].
"• 'ntesi, ** [Spett. 1816; Flr. 1845].
" vòlti,*** [Spett. 1816; Flr. 1845[.
* Tanto nello Spettatore, quanto nell'ediz. tioroutina, a questo
luogo, si va da capo.
** Nello Spettatore conservato in famigflia. alla parola 'ntcni è so-
stituito, a penna, attesi.
*** Alla parola vòlti è sostituito, roiuf s<>iir,i. atteai.
2s ()dissp:a
Il negro Esperò ^ giunse. Ivano allora
Quei tutti a riposarsi alle lor case :
E Telemaco pure ove un eccelso
Talamo avea di bella Corte, ^ in luogo
Cospicuo d'ogni parte, al letto andossi, ^
Molte fra se volgendo inquiete cure.
Seco giva * recando accese faci ''
La pudica Euriclea d'Opi figliuola,
Che figlio fu di Pisenor. L'avea
Compra Laerte, "' pubescente ancora, *
Co' beni suoi, di venti bovi al prezzo, ^
E in sua magione della moglie al pari
Onorata Tavea : ma la consorte
Per non muovere a sdegno, unqua non s'era
Con lei mescliiato in letto. Or ella insieme
Con Telemaco già '-^ (cui più di tutte
L'altre fantesche amava, ^" e che fanciullo
Nutrito avea) ^' recando accese faci.
Del ben ^^ costrutto talamo le porte
Dischiuse tosto, ^-^ e sopra il letto allora
Telemaco s' assise, ^"^ e dispogliossi
' espero [Flr. 184:5].
- corte, [Spett. 181G; Fir. 1.SÌ5].
•' andossi; [Fir. 1845].
^ <jlva, [Spett. 1816; i-'Àr.' 1845].
■'faci, [Spett. 1816; Flr. 1845].
" Laerte [Spett. 1816; Fir. 1845].
" ancora [Spett. 1816; Fir. 1845].
"" prezzo ; [Fir. 1845],
" ijia, [Sptett. 1816].
'" amava [Spett. 1816; Fir. 1845].
" avea), [Fir. 1845].
'- bel* [Spett. 1816; Fir. 1845].
'=• tosto; [Spett. 1816; Fir. 1845].
1+ s' assise [Si^ett. 1816; Fir. 1845].
* Ledi/., tioreiitina ha (niesta nota: * Forse : ben». <he. '•ome vedt'si, trova qui la
i-ua jiena iriiistiflcazinnf*. — l'^ualniente le^fresi. con correzione a penna, nellesem-
plarc dello Sprtliit'.rr < servati! in t'.imiirlia. (Vedi anche a jujr. 4^^'j dell'edlz. fio-
ODISSEA 29
Della tunica molle ; indi all'attenta
Vecchia la porse. L'assettò, piegolla
Essa, ^ e vicino al pertugiato letto
L'appese a un cavicchiuol. Poi dalla stanza
Pronta levossi, - e per Tanel d'argento
A se -^ tratta la porta, il chiavistello
Giù cader fé' ^ colla correggia. Ascoso
Sotto coltre di lana, ivi pensando
Quegli si stiè tutta la notte, •'"' e seco
Cercando già '' come fornir dovesse.
Giusta il detto di Palla, " il suo viaggio.
' Essa [Spett. 1816].
•^ levo issi ; [Flr. 1815].
' so [Spett. 1816].
* fé [Flr. 1815].
5 notte: [Fir. 1815].
' <)ia [Spett. 1816; Fir. 1815].
' 'Falla [Fir. 18J5.]
ENEIDE
Un quadernetto di ventiquattro facciate, interamente
scritte, tranne l'ultima mezza pagina (copertina color mar-
rone cliiaroì.
AL LETTORE
E' mi par non sia da inculcar soverchiamente quel
precetto di Ora/io : -
Versate din quid ferre recusent
Quid valeant humeri, ^
essendoché gli uomini grandi ìwn sogliono diffidarsi
menerebbono *
molto (W delle loro forze, né torrebbono per avventura
mai a fare ad effetto una grande impresa, se innanzi
di porvi mano, "' la esaminassero troppo per- minuto. Se
io *^ che pur mi sono tutt' altro che uomo grande, avessi
discorso*
diligentemente e partitamente " considerato le infinite
altissime difficoltà," cui ad un traduttore di Virgilio
> Lettore! [MU. 1817].
Lettore [F'ir. 1^45].
- Orazio, [MU. 1817J. — d'Orazio, [Fir. 1845].
^ Immeri; [Fir. 1845]
^ menerebbero [Mil. 1817; Fir. 1845].
■' mano [Mil. 1817; Fir. 1845].
" io, [MU. 1817; Fir. 1845].
■ particolarmente [Mil. 1817; Fir. 1845|.
" discorse [Mil. 1817; Fir. 1845].
•' diffiroUh [Mil. 1817: Fir. 1845].
34 ENEIDE
fa mestieri sormontare, non avrei mai impresa la tra-
duzione che ora ti presento. E come tu dirai che
avresti sopjDortata questa disgrazia molto agevolmente,
io cosi ^ risponderotti che anco il Caro - se troppo fosse
stato a considerar Virgilio e gli omeri suoi proprj ^
e la età sua, ìion verosimil ^ cosa è che non ci avrebbe
mai lasciata la prima traduzion poetica che abbia
principio
avuto Italia sino al cominciare del secol "' nostro; e me-
desimamente molti altri grandi uomini, '' non avreb-
bono ~ forse dato pur cominciamento a molte altre loro
grandi opere , se prima avesser voluto rintracciare
con troppa sollecitudine,^ tutti i luoghi er^/ ed * arti^^
ai quali poteano avvenirsi :^'^ oltreché il genio non sof-
fre indugio, ne disamina. Ma perchè ora mio inten-
dimento è ora parlarti di me, e non del Caro ^^ né di
fatto
alcun altro, dirotti per quale occasione io mi sia indotto
a tradurre il secondo Libro della Eneide. Sappi dun-
que che a ciò non altri avermi mosso che il tristo con-
sigliere di Virgilio. Perciocché letta la Eneide, ^- (si
come semj^re soglio, letta qual cosa '•* é '^ o mi par me
' cosi io [MIL 1817 ; Fir. 1845].
- Caro, [MU. 1817; Fir. 1815].
•' lìroiìri \^Mll. 1817] .
^ verisimil \MIL 1817; Fir. 1845],
•^ secolo [Mll. 1817] .
" uomini [iUi7. 1817; Fir. 1845].
* avrebboTi [Fir. 1845].
" sollecitudine [3/i7. 1817; Fir. 1845;.
'■' arti [Wd. 1817; Fir. 1845^.
'" avvenirsi ; [Mll. 1817 ; Fir. 1845],
" Caro, [Mll 1817; Fir. 1845].
'-' Eneide [Mll. 1817; Fir. 1845].
'•' qualcosa [Fir. 1883].
'^ è, [Mll. 1817; Fir. 1845].
* li'eiì, tanto nell'ediz. di Milano, qnanto in quella di Firenze,
in condivo.
i
ENEIDE .-30
veramente ^ bella) - io andava del continuo spassimando,
e cercando maniera di far mie ^ ove in qìtalche gìùsa si
potesse in alcuna guisa "^ quelle divine bellezze, ~' né
infinechè '
mai ebbi pace,'' sinché non ebbi patteggiato con me me-
desimo, e non mi fui avventato al secondo libro ^ del
sommo poema, il quale più degli altri mi ave a tocco, ^
si che in leggerlo, senza avvedermene, lo recitava,
cangiando tuono quando il si convenia fare, ^^ e in-
f?/ocandomi, ^^ e forse talvolta mandando fuori alcuna
lagrima. Messomi all' '- impresa '^ so ben dirti aver
io conosciuto per prova che senza esser poeta non si
vero
può tradurre un fjran poeta, e meno Virgilio, e meno
il secondo libro '"* della Eneide, caldo tutto dal pr quasi
ad un modo dal principio al fine,^"' talché jìev come qual-
volta io cominciava a mancare di ardore e di lena, tosto
avvisavami
mi avvedea che il pennello di Virgilio divenia ^^ stilo ^'
in mia mano. E si ho tenuto sempre dietro al testo
a motto a motto (perché, quanto alla fedeltà, ^^ di che
' veramente, [Fir. 184.5].
- bella), [Mil. 1817; Fir. 1845].
' '„lie,[^UL 1817; Fir. 1845].
■* ijuisa, [Mil. 1817 ; Fir. 1845].
•' bellezze; [J/t7. 1817]. — bellezze: [Fir. 1845].
" iìace [Mil. 1817; Fir. 1845].
■ infinchè [Mil. 1817; Fir. 1845].
^ Libro [Mil. 1817; Fir. 1845].
" tiWA'o ; [Fir. 1845].
'" convenia, [Mil. 1817]. —convenia, [Fir. 181;V.
" infocandomi [Mil. 1817; Fir. 1845].
'- alla [Mil. 1817; Fir. 1845].
'' impresa, [Mil. 1817; Fir. 1845].
'* Libro [Mil. 1817; Fir. 1845].
''fine; [Mil. 1817; Fir. 1845J.
'" divenia [Fir. 1845].
" stile* [Fir. 1845].
"* fedeltà [Mil. 1817 ; Fir. 1845] .
* K ocrfo, stimiamo. .'rr..r«- ili strinici,
3(> ENEIDE
posso giudicare co' miei due occhi, non temo paragone) ^
dei sinonimi
ma la scelta delle parole , il loro collocamento delle
jjarole, la forza del dire, l'armonia espressiva del verso,
tutto mancava, o era cattivo, come,- dileguatosi il poeta,
restava solo il traduttore. Le immense difficoltà che
io lio scontrate per via-^ né puoi tu di per te stesso cosi
ben penetrare come io che holle sperimentate, né posso
io darti al tutto ad intendere con parole. Ma che la dif-
ficilissima cosa siami stata non intoppar nel gonfio, ^
e non cascar nel basso, ma tenermi sempremmai in
quel divino mezzo, "• che é il luogo di verità e di na-
tura, e da che mai s''' é dilungata <7'un punto la celeste
anima di Virgilio, " questo, io penso, comijrenderai age-
volmente. Sporti a parte a parte, come abbia io ado-
perato per venire all'intendimento mio, e le leggi che
mi son* parute da osservare, disutil cosa sarebbe e
avvenga che,
nocevole anzi che no. '-^ polche se e' parratti che non
indarno
a voto io siami faticato, la traduzione istessa tutto ti
mostrerà, troppo meglio che non potrei qui far io,'^ e
se il l'opposito addiverrà, nuocerebbemi che tu sapessi
come " io conoscendo il modo di ban tradurre Virgilio,
lo '- ho })0Ì tradotto male. Pregoti che tenga questo
' lìarcKjone) ; \Mil. 1<S17 : Fir. 1815).
- come [Flr. 1845^.
•' ola, [Mil. 1817; Flr. 1815J.
* ijonfio \\rd. 1817: Flr. 1845].
•^' mezzo [MIL 1S17 : Flr. 1845J.
'' si [MIL 1S17: Flr. 1815J.
' Virginio; [MIL 1817; Flr. 1845].
« sono [Mll. 1817; Flr. 1845].
" ed anzi iiocovolo olio no, [Mll. 1817;
Flr. 1845]. *
'" lo; [Mll. 1817; Flr. 1845].
'» com' [Flr. 1845].
'- V [MIL 1817; Flr. 1845].
* Ni'H'ciliz, fion'iitina dopo « «o > pf un jniiit'i-. ma. t'vicli'iitfini'iitf. p>T i
f^tanipa,
di
I
ENEIDE ót
adoperato.
per certo, aver io tutto ^ che per me si poteva, fatto,
onde fpies V opera fon la breve ma non picciola- ope-
ra, •'' fosse, quanto a cosa mia è dato, perfetta.
Mal però avviseresti se credessi che ove a questa
traduzione non incontrassi^ mala ventura, io avessi in
animo di voltar del pari in italiano tutta l'Eneide.
L'opera mia comincia dal verso :
Conticuere omnes '• intentique ora tonebant,
ed ha fine nell'altro:
Cessi" et sublato montem genitore petivi:
e questo non perchè sarebbe da gareggiare, non già
per avventura
con Annibal Caro. ' (che forse pensi che m'impaurisca,
posciachè
e male,'' da si come non ha forse Italiano che più di me
sìa ammiri quel grande scrittore, cosi non ne ha per
potere Italia
sorte alcuno che più fermamente creda mancare aU Ita-
lia potersi anco desiderare in Italia una traduzione
della Eneide)^ ma con Virgilio. Saggio di traduzione
Libro
da farsi per me ho già dato io nel primo Canto del-
l'Odissea venuto in luce il Giugno^" e il Luglio^' di que-
mal grado
st'anno nello Spettatore '^ e malgrado il mio del mio in-
ginocchiarmi innanzi ai letterati, e dell'usare 2^<^^ole a
' tutto, [MIL 1816].
'' piccola [MIL 1817; Flr. 1845].
^^ oliera [MIL 1817; Flr. 1845].
* incontrasse \MiL 1817; Flr. 1845].
•^ omnes, [Flr. 1815].
« Cessi, [MIL 1817; Flr. 1845].
" Caro [MIL 1817; Flr. 18 15^.
« viale; [Fir. 1845].
« Eneide), [MIL 1817: Flr. 1815J.
'" f]la;ino [MIL 1817 ; Fir. 1845].
" luglio [MIL 1817; /-'ir. 1845].
'* Spettatore; [MIL 1817; Flr. 18451.
38 ENEIDE
bello studio maniere un po' stravaganti, a pregarli che
man-
lor piacesse dirmi se utile o inutil cosa farei conti-
d'Ando
nuando l'opera innanzi, non altro ho potuto saperne ^
se non che quello inginocchiarmi è paruto un j)ó' strano, -
taluno
(ed io avea voluto che il fosse) '-^ e che ha qualcuno
il quale ^ non vorrebbe sentir parlare di chiostra de'
denti, di che agevolmente mi consolo colle parole di
Omero 'épxoQ ooóvxwv, '' e coll'esempio del Monti e con
mille altre cose , : *^' e converrà ~ se pur dilibererò ^ di
tradur l'Odissea'^ che ne giudichi per me, e che corra
il rischio'" che avrei voluto causare'' di gittar la fatica.
Ma già ho scorto assai mende per entro alla tradu-
zione di quel libro, '- ne e certo non ridarella al Pub-
blico senza molto avervi cangiato : da che sono io di tal
tempra che nulla mi va a gusto di quanto ho fatto due
o tre mesi innanzi ; e però molto più biasimo ora la cat-
tiva traduzione di Mosco data fuora medesimamente
anzi che
nello Spettatore^ e fatta avantiche ponessi mano alla
versione dell'Odissea, di qua ad un anno addietro,
quando io non ne avea che diciassette. Volesse il cielo
che a queste riprovate opere, ''^ tenesse dietro alcuna cosa
buona, come al Rinaldo del Tasso, al Giustino del Me-
' saperne, ]Mll. 1817; Fh\ 1845].
•'' strano [Mil. 1817; Fir. 1845J.
'^ fosse), [Mil. 1817; Fir. 1845].
* quale [Mil. 1817; Fir. 1845].
5 ò6óvxo)v [Mil. 1817].
"' cose; [Fir. 1845].
^ converrà, [Mil. 1817]. — ; converrà, [Fir. 1845].
« delibererò [Mil. 1817; Fir. 1845].
" Odissea, [Mil. 1817; Fir. 1845].
'" rischio, [Mil. 1817; Fir. 1845].
" cansare, [Mil. 1817; Fir. 1845].
'•-' Libro, [Mil. 1817; Fir. 1845].
'' opere [Mil. 1817; Fir. 1845].
ENEIDE 39
par
tastasio, alla Cleoj)atra dell'Alfieri ; che non e da spe-
rare. '
Lettor mio, eccoti In mia tradiizìoiie dà un'occhiata
alla mia traduzione, e se non ti piace, si biastemmia
il deturpatore della Eneide, che sei merita, e gettala
t'appaga
Via; se ti'dìi nel genio, danne lode a Virgilio - la cui
anima hammi ispirato, anzi ha parlato sola per Locca
mia. -^ Sta sano. *
[Mil. 1817; Fir. 1845].
'' Virgilio, [Mii. 1817; Fir. 1845].
•' por mia bocca. [Mil. 1817; Fir. 1&45].
* L'autografo di questa lettera è conservato pur esso in casa
Leopardi. È un foglio di quattro pagine, ondo solo tre sono scritte.
** III un t'Ffliipl;ii-c rlic ili i|Ufst;i ciIÌ/Ìmih' si <-(.ii
f he alcune parole. !ua ii'in -ià. 'Tcdiniiin almciH". di
'luto hi. dono dallo stesso Anton') ^ tiMvasi niaiMis-
«lei secondo foglio della copertina -oidi- venie scu
i-orrezione è la seiruente :
l'ug. 8, vers. in sin-arnr ror;-.: sjx rare.
nella Hil.li
..(era (
.li Ma
eerat i (e
> «lei H'islri
(e pi-l.pi-iu
.. «li-'Ml
n.'lla
mi rss
■ire stato
L iM'-fiata
la Krmtn
r<,rri.
'!'■■ I
,a prima
LIBRO // SECONDO *
della ENEIDE.
Ammutirono tutti ^ e fissi in lui
Teneano i volti; allor che il padre Enea
Si cominciò da l'alto letto: Infando,
0 Regina, * è il dolor cui tu m' imponi
Che rinnovelli. I' dovrò dir da' Greci
1 Teucri averi e il miserando regno
Come fosser diserti: io dire i casi
Tristissimi dovrò, ciii vidi io stesso
E di che fui gran parte. E qual potrebbe
0 Mirmidòne, o Dolope, o seguace
fero
Del fovìp, Ulisse rattenere il pianto
ragionando
Tai cose in rammentando ? E ffia la omai dal cielo
Precipita la notte umida, e gli astri
Vanno in cader sollecitando persuadendo il sonno.
Ma se cotanto hai di saper desio
1 nostri casi, e l'ultima sciagura
Se ti diletta in brevi accenti espressa
tuta, [MIL 1817; Flr. 1815].
' regina, [Fìr. 1845].
* Dopo secondo c'era un punto, che, poi, fu tolto.
42 ENEIDE
Di Troja ^ udir;- benché meinlDrarla, ^ orrendo
A l'alma sia'' che addolorata il fugge;
Comincerò. Da guerra affievoliti
respinti
Gli AcMvi duci, E dal destin sospìnti i duci Acliivi
Dopo tant'anni, da Minerva istrutti
Divinamente, di montagna in guisa
Dansi un cavallo a fabbricar, le sue
Coste intessendo di segato abete,
E voto il fìngon pel ritorno. Errando
Tal fama vassi. Entro dal seno oscuro
Occultai! greci "
Chiudon guerrieri a sorte tratti eletti, e il ventre
Enijnon d'' arinoti, E le spaziose grotte empion
d'armati.
*Tenedo è incontro ad Ilio," Isola" ovunque
Nota per fama, e ricca, allor che il regno
Di Priamo stava ; ^ or già non più che seno
Ed a' navigli infida stanza. I Greci
Qua giunti ^ s'appiattar *" ne l'ermo lido,
E noi partiti li credemmo e volti '^
Con opportuno vento inver Micene.
Onde il suo lungo duol Dardania tutta
8i disveste: spalancansi le porte: [il campo
È grato Uscirne è grato ^- e degli de gli Adii vi
1 Troia [Fli\ 1845].
■' udir, [3IIL 1817; Flr. 1815J.
=* memorarla [Mil. 1817; Flr. 1845].
* sia, [Mil. 1817; Fir. 1815].
•'^ Greci [Mil. 1817; Fir. 1845].
" Ilio; [Fir. 1815].
' isola [Mil. 1817; Fir. 1845].
« stava, [Mil. 1817].
« giunti, [Mil. 1817; Fir. 1845].
^'^ s* appiattar [Mil. 1817; Fir. 1815].
" vòlti [Fir. 1845].
'■' grato, [Mil. 1817; Fir. 1815].
* A questo luogo nelle edizioni di Milano e di Firenze non si va
da capo.
ENEIDE 43
Vedere Mirare ^ e i luoghi solitarj,- e il lido
Abbandonato. I Dolopi guerrieri
Ebbero qui lor tende ; -^ il fero Achille
8'accarnpava colà; qui fur le flotte,^
Là pugnar si solea. Parte de'Teucri
Stupita guarda il fatai don sacrato
Alla A la vergine Pallade, e la mole
Ammira del cavallo. Entro le mura
A trarlo esorta, "• e ne la rocca a porlo
Timete il primo : o frode fosse ^ o il fato ~
Che d' Ilio il mal già fermo avea. Ma Capi ^
E chi meglio avvisava, il malsicuro
Dono de' Greci insidioso,'^ in mare
Volea^i che si gettasse, o con sopposte
Fiamme si s'ardesse, o le caverne occulte
esplorar,
Onde ' spiar, se gli forasse il fianco.
Smembrasi parti opposte
Si parte in due contrarj il volgo ^^ incerto.
* Innanzi a tutti allor con grande stuolo
Laocoonte da la somma rocca
Rapido Fervido giù trascorre, e di lontano,
0 sventurati, o cittadini, esclama,
E 0 qual demenza mai! partiti dunque i greci ''
Credete dunque dunque, e che non rechi inganno, ''
' Mirare, [Fir. 1845].
'' solitari [Mll. 1817; Fir. 1845].
=' tende, [Fir. 1845].
^ flotte; [Mil. 1817;, Fir. 1845].
^ esorta [Mil. 1817; Fir. 1845].
^ fosse, [Mil. 1817; Fir. 1845].
'fato, [Mil. 1817; Fir. 1845].
« Capi, [Mil. 1817; Fir. 1845].
» insidioso, [Mil. 1817].
'" vulgo [Mil. 1817; Fir 1845].
" Greci [Mil. 1817; Fir. 1845].
'■"' inganno [Mil. 1817; Fir. 1845].
* A questo luogo nelle edizioni di Milano e di Firenze non si va
da capo.
44 ENEIDE
Dono (l'Achei? sì conoscete Ulisse?
O rimpiattato in questo legno stassi
Alcun de' Greci, o a' nostri muri avversa
Tal macchina s'alzò, le case forse
Ad esplorare, o ad assalir di sopra
qui sotto di cert ) -
La città nostra, ^ o qualche frode al certo
Frode sta rimpiattata. O Teucri, fede •"'
Nascosa è qui. Non sia che fede abbiate
Non abbiate al cavallo. E' sia che vuoisi •*
Al cavallo, o Trojani. I Greci io temo
Temo gli Achei ^
Che che sia ciò , se recan doni ancora.
Si disse, e al fianco del cavallo, in luogo parte
Ove aggiunte del de l' ^ alvo eran due travi '
Con poderoso impulso una gagliarda
Asta avventò. L'asta ondeggiando stette,
E rimbombar * de l'utero a la scossa
Le grotte cupe " e un gemito mandaro.
E se i destini avversi e dissennate
State non fosser nostre menti, indotti
N'avria col ferro a lacerar le occulte
Argoliche caverne, ^"^ e tu staresti,
Troja, ^' jmr per anco, e tu saresti adesso.
Alta reggia di Priamo. Ecco fra tanto, '-
Stuol di Teucri pastori al rege innanzi
> nostra; [MIL 1817; Flr. 18451.
■' o qualche frode al certo [MIL 1817 ; Flr. 184o].
■* Nascosa è qui. Non sia che fede abbiate [Mil. 1817;
Fir. 18451.
■* Al cavallo, o Trojani. I Greci io temo, [MIL 1817J.
Troiani. [Fir. 1845J.
" Che che sia ciò, [MIL 1817; Fir. 1845].
« dell' [MIL 1817; Fir. 1815].
■ travi, [MIL 1817; Fir. 1845].
** rimbombar [Mil. 1817].
» cupe, [MiL 1817; Flr. 1815].
^" caverne; [Fir. 184.5].
" Troia, \Fir. 1845].
'■' tanto [MiL 1817: Fir. 1845].
p:neide 45
Coi] gran tumulto un giovine traea '
Le mani avvinto dietro al tergo. Ad essi
Ignoto ei s'era al lor venire offerto
Spontaneamente, onde afforzar l'inganno
Ed Ilio ai a' Greci aprir,- di se "^ sicuro.'*
E fermo in mente o di compir la frode,
0 di recarsi a certa morte incontro. Intorno
Al prigionier la gioventù Trojana ■""'
D'ogni banda precipita, bramosa
Di riguardarlo, e lo schernisce a gara.
Or de' Greci le insidie ascolta, e tutti
Da un sol misfatto li conosci/. Inerme,
Turbato, in mezzo de le Frigie schiere, '"'
Com'ei si fu fermato, e gli occhi in giro
Volti, ' a r intorno l'ebbe rimirate,.
accorre '■'
Ahi qual terra "^ esclamò, qual mare infine, *
puote ornai
Me lasso accor j)otrh V che più mi resta?
8e non ho luogo tra gli Achivi, e il sangue
ancora?
Chiedonmi avversi in pena i Teucri anch^essi?
Cangiò gli spirti,^" e ogn/ ' impeto represse
Quel gemer ne' Trojani. '^ A ragionarne
prosapia
Il confortiamo '- e chi di tpial aangiKi nato
Ei sia, che rechi, e prigionier che speri.
' traea, [MU. 1817; Flr. 1S45\
■^ aprir; [Fir. 1845].
•■• sé [Mil. 1817].
* sicuro, [Mil. 1817; Fir. 1845].
" Troiani [Fir. 1845].
" schiere [Mil. 1817; Fir. 1845].
' Vùlti, [Mil. 1817].
« terra, [Mil. 1817; Fir. 1815],
" accorre [Mil. 1^15].
"• spirti [Mil. 1817; Fir. 1845].
" Troiani. [Fir. 184.5].
'^ confortiaiìi, [Fir. 1815].
* Altra variante ; affine
4() EX RIDE
Cosi, deposta allìn la tema, ei parla:
* Il tutto, 0 rege, e il vero, e sia che piiote.
Confesserò. Non negherommi in prima
padre Argolico: ^
Nato di Greco genitor**: né sorte
Perchè misero il fé', - bugiardo, ^ e vano
Sinon l'empia farà: se m conversando udito mai
Abbi tra il ragionar, '* di Palamede
Che dal sangue di Belo origin ebbe •■■'
Il nome a sorte,'' e la gloriosa fama,
Che dal sangue di Belo origin ebbe
Conto non m'è. Di tradigione apposta
Con accusa nefanda il trucidar©
Innocente gli Achei, perchè stornarli
Volea da guerra: il piangon morto adesso.
Socio a questi e parente, a l'armi il mio
Povero genitor da' miei prim'anni
Qua m' inviò.' Finché nel campo illeso
Visse, ^ e fiori pei ' suoi consigli il campo,
Di fama alquanto e d'onoranza anch'io
M'ebbi : ma poi che per livor del blando
Ingannatore Ulisse (ignote cose
favello
Io non rammento ) el ' fu disceso a Pluto,
Mesto traea fra il pianto i giorni oscuri,^
E meco già ^^ de l'innocente amico
' Argolico, [Mil. 1817]. — Argolico; [Fir. 1845].
•' fé, [Fir. 1845].
^ ^'bugiardo [Mil. 1817; Fir. 1845].
"* ragionar [Mil. 1817; Fir. 1845].
■^ ebbe, [Mil. 1817; Fir. 1845].
'" sorte [Mil. 1817; Fir. 1845].
' invVo. [Mil. 1817].
** Visse [Mil. 1817; Fir. 1B15J.
» oscuri. [Mil. 1817; Fir. 1845].
'" già [Mil. 1817; Fir. 1845].
* Nelle edizioni di Milano e di Firenze, anziché andar qui da capo,
si è fatto precedere VII da una lineetta.
** Altra variante : da Greca gente
ENEIDE
La sciagura sdegnando. K già non seppi
Tacer ^ folle che ' i' fni : ma se da sorte
Stato fossi mai tratto, e vincitore
Tornato fossi a la mia patria in Argo,
Vendicarlo promisi, aspri movendo
Odj ^ co' detti miei. Quindi la prima
Origin di mio mal; di quindi innanzi
Fu sempre Ulisse ad atterrirmi inteso
Con calunnie novelle, e ambigue voci
seminar nel
A fijmrgere tra il * volgo, -^ e in danno mio
Armi a cercar di suo misfatto accorto.
Né mai ristette, in fin che di Calcante
A ministro valendosi Ma queste
Spiacevoli novelle a che rimesco?
A che fraj)pongo ■* indugj •'"'? i greci'' tutti
In un sol conto avete : udir vi basta
Che greco ^ io son*^; già mi punite: il brama
Ulisse, e caro il pagheran gli Atridi.
Impazienti ^ allor, di sue sciagure
Il dimandiamo, il provochiam ^*^ di tanta
Malvagità ^^ de l'arte Greca ignari. S
Con finto cor, pavido ei segue e dice; S
Spesso fuggir nascosamente e porre r§
^roja ^~ partendo ^'^ in abbandono, i Greci ^^
' Tacer, [Mll. 1817; Fir. 1845].
-' Udii [Flr. 1845].
'■" vulgo [MU. 1817; Flr. 1845].
•* trapongo [MIL 1817; Flr. 1845].
'' indwji? [Mii. 1817; Flr. 1845].
" / Greci [MIL 1817 ; Flr. 1845].
'' Greco [MU. 1817; Flr. 1845].
"" son: [MU 1817; Flr. 1845].
" Imjmzientl [MU. 1817].
" 2>rovochlaiit, [MU. 1817; Flr. 1845].
' Maloafjltà, [MU. 1817; Flr. 1845].
' Troia, [Fir. 1845].
^ partendo, [MU. 1817; Flr. 18^4.5].
* Greci, [Mll. 1817; Flr. 1845].
♦ Altra variante: A spargere ira al
48 ENEIDE
Stanchi dal lungo guerreggiar, bramare.
Ed ho oh fatto l'avessero! Sovente Del ma Le ' vie
Del mar so Lor chiusero del mar soventi liate
Dire procelle, -
Aspre tempeste, ed allor più che questo
Cavai di legno stava già, tuonaro
Per l'aria tutta i nembi. Incerti allora
A interrogar l'oracolo di Febo
Euripilo mandiam. Questi da' sacri
Penetrali ei rijiorta acerbi detti :
Con sangue, o Greci, i venti, '^ e co "• la morte
D'una vergin placaste, ^ allor che in prima
Vi conduceste a le Trojane "^^ sponde :
Sangue vuoisi al ritorno ~ e Argiva un'alma
In sacrificio. E' fur del volgo appena
istupidir " gli spirti'"
Giunti a V orecchio, a gli"* orecchi, j)cJ midollo^ a tutti
Ed agghiacciato un tremito per 1' ime
Corse gelato vento ^^ corse un tremito; dai fati
Ossa a tutti discorse, a quale appresti Morte il destiv,
Qual cerco sia, qua! chief/f/a Febo ignari.
Morte il destin, qual chiegga *** Febo ignari.
Qui degli tragge Ulisse de gli Achivi in mezzo
Con gran tumulto l'indovin Calcante:
E qual disegni a dichiarir l'esorta
Il comando de' numi. ^^ E a me V iniqua la fera
' le [Mll. 1S17; Flr. 1845].
'' iirocelle: [Flr. 1845].
=' venti [Mll. 1817; Flr. 1815].
^ con [Mll. 1817; Flr. 1845].
■^ placaste [Mll. 1817; Flr. 184o].
" Troiane [Flr. 1845].
" ritorno, [Mll. 1817; Flr. 1815].
« afjU [Mll. 1817; Flr. 1845].
» Istupidir [Mll. 1817; Flr. 1845].
"> sirlrtl, [Mll. 1817; Flr. 1845].
" Numi. [Mll. 1817; Flr. 1845].
* Altra variante : pei midolli
** „ „ gelido orror
*** „ „ qual brami
ENEroE -49
de l'empio
Trama del fero * autor ^ molti che quanto .
Era per incontrar vedean tacendo -
Indicavano
Predicavano già. Chiuso egli tace
Per dieci giorni ^ e con suo detto alcuno
Di scoprir nega, ^ e di dannare a morte :
Ma Infin che poi dall' ^ alte grida spinto
DelV De l'Itacese, in pattovita foggia
Rompe il silenzio ^ e me destina alVara a l'ara.
Fer "^ plauso tutti ^ e consentir ^ che volto ^^
Quel che temea per se ^' ciascuno, al fato
Fosse d'un sol meschino. E già l'infando
Giorno era giunto presso : a me le sacre cose
e il capo
E il Apparecchiarsi, ^- e il salso farro, e sì cinto
Delle tempia Redimirsi ^^ di bende. I lacci io ruppi,
Noi niego, e a morte mi sottrassi. Occulto
Entro fangoso stagno in mezzo a Fulva
Passai la notte '"* e che le vele al vento
e
Dassero i Greci, attesi, ove pur date
» autor, [Mil. 1817; Fir. 1845].
« tacendo, [Mil. 1817; Fìr. 1845].
» giorni, [Mil. 1817; Fir. 1845].
* 'iiega [Mil 1817; Fir. 1845].
« da V [Mil. 1817; Fir. 1845].
« silenzio, [Mil. 1817; Fir. 1845].
'' Fen [Mil. 1817; Fir. 1845].
» tutti, [Mil. 1817; Fir. 1845].
» consentir [Mil. 1817; i^tV. 1845].
»» vòlto [Mil. 1817; i''iV. 1845].
" sé [Mil. 1817].
'- Apparecchiarsi'^'^ [Mil. 1817; i'Vr. 1845].
'■' Redimirsi *** [Mt7. 1817; Fir. 1845].
" no«e, [ilfi7. 1817 ; Fir. 1845].
* Altra variante: feral
■' Errata Corì-igf : Pag. Ifl, v. fi. — Apparcnohiùrfii cùrr.: Apparecchiarsi
" ' > > P.aji-. Ifi, V. 7. — Redimirsi eorr.: Redimirsi
(Bibì. di Macerata)
50 ENEIDE
Le avesser mai. Né già la patria antica, ^
Speranza lio più di riveder, né i dolci
Figliuoli miei, né il desiato " padre : '-^
In chi del mio fuggir forse vendetta
Faran (jli I Pelasgi faran, ^ volti -' col sangue
De' miserelli ad espiar ^ mia colpa.
Or te per ^li Celesti, or te scongiuro
Pe' Dei,' cui noto é che verace io dissi;.
Per la incorrotta fede, ove a' mortali
Punto ancor ne rimanga;
Fior 'p(iT anche * ne resti ; abbi di tante
Mie sciagure pietà, pietà d'un'alma
Senza merto infelice. ^ A questo pianto
Doniam sua vita, e di per noi j?9ietof/e pietosi
Veniamo in
Ahhiain di lui. Che le manette e l'arte **
Catene gli sian tolte il rege istesso
Primiero impone ^ e con amici detti, '^^
Si lui favella. ^^ I tuoi perduti Greci ^^
Chi che sii tu, da questo punto obblia: ^^
Nostro sarai. Veracemente or narra
Quel eh' io ' ti chieggo , . A che tal mole han posta
Di smodato cavallo? Autor de l'opra '^
' antica [Mil. 1817; Fir. 1845].
2 desiato [Mil. 1817].
=' Xtadre ; [Fir. 1815].
* faran [Mil 1817; Fir. 1845].
'' vòlti [Mil. 1817; Fir. 1845.]
« espiar [Mil. 1817].
' Bei [Mil. 1817; Fir. 1845].
« infelice. — [Mil. 1817; Fir. 1845].
" impone, [Mil. 1817; Fir. 1845].
^° detti [Mil. 1817; Fir. 1845].
" favella: [Mil. 1817; Fir. 1845].
'•' Greci, [Mil. 1817; Fir. 1845].
'^ oblia: [Mil. 1817; Fir. 1845].
>* opra, [Mil. 1817; Fir. 1845].
* Altra variante: pur anco
** L'ediz. Le Monnier ha questa nota: [Arda vinclaj.
ENEIDE 51
Scopo qual fu? quale
Chi fu f qual sacra cosa, o qual di guerra
Di guerra arnese è questo?
Macchina e questa? Ei' detto avea/ e quegli
E quei di d' greca istrutto, ^
Di frodi e di Pelasga arte fornito,
Le disserrate ^ mani al cielo alzando ergendo *
Voi, disse, 0 fwochi ^ sempiterni ^ e il vostro
Inviolabile nume, e voi n'attesto^
Are, e voi ^ ch'i' fuggii ^^ nefande spade scuri ^^
E voi ^' divine fasce ^^ ond'ebbi cinto
Vittima il capo; odiar gli Achei mi lice ^'*
Frangerne ^^ i sacri giuri, e al cielo esporre
Tutto ch'han ^^ di nascoso: or patria legge
Me più non stringe. Tua promessa attieni,
narro
S'io dico il ver, se gran mercè ti rendo,
E Troja, ^~ solo, e la fé ^^ serva, servata. ^
Del lieto fin della de l' intrapresa guerra— — '=^
Tutta la greca ^^ speme ognor fu posta rg
» aveva: [Mil. 1817; Flr. 1&45].
^ E quei, di frode e d'arte Greca istrutto, [Mil. 1817;
Flr. 1845].
3 disferrate [MÌl. 1817; Flr. 1845].
* ergendo, [MIL 1817; Flr. 1845].
' fuochi [MIL 1817; Flr. 1845].
** sempiterni, [MIL 1817; Flr. 184.5].
' Inv'iolabll [Mil. 1817].
« attesto, [MIL 1817; Flr. 1845].
» tjoi', [MiL 1817; i^tV. 1845].
'"^ fuggii, [MIL 1817; i'W. 1845].
" scuri, [MIL 1817: i'Vr. 1845].
'2 voi, [Mi7. 1817; i^ir. 1845].
" fasce, [MIL 1817 ; Flr. 1845].
'* Zice, [MIL 1817; /'iV. 1845].
'•^ Franger* [MIL 1817; i^iV. 1845].
'« c7m?i [3fi7. 1817; jFVr. 1845].
" Troia, [Flr. 1845].
" fé* [Flr. 1845].
'» Greca [MIL 1817; i^Vr. 1845].
* Errata Corrige: Pag. 17. v. H. —Franger cor»'..- Pranpffrne
(hibl. di Macerata)
52 ENEIDE
Ne gli ^ ajuti ^ di Pallade: ma poscia
Che di Tideo l' iniquo germe ^ e Ulisse
L' inventor di nefande opre fur osi
Il Palladio fatai dal sacro tempio
Strappare, uccisi de la somma rocca
I custodi, e afferrar * la santa imago,
E co ^ le mani insanguinate ardirò
e
Toccar del nume ^ le vzrginee bende ;
Caduta e volta da quel giorno, indietro
Scorse
Sorse de' greci " la speranza, frale
Venne il poter, la Dea nimica. ^ E chiari
Prodigi ^ in segno ella ne die. Che posto Nel campo
u
Nel camjìo Locossi appena il simolacro, uscirò
Da' torvamente (Annih. Caro) * spalancati lumi
Folgoreggianti fiamme, e per le membra
Salso sudor discorse ; : ella dal suolo
Balzò tre volte (meraviglia!) armata
De la tremola ^'^ lancia, ^^ e de lo scudo.
Tosto grida Calcante *- esser la fuga]
' Negli [Mil. 1817; Fir. 1845J.
2 aiuti [Fir. 1845].
=* germe, [Mil. 1817; Fir. 1845].
* afferrar [Mil. 1817 ; Fir 1845].
^ con [Fir. 1845].
« Nume [Mil. 1817; Fir. 1845].
' Greci [Mil. 1817; Fir. 1845].
« nemica. [Mil. 1817; Fir. 1845].
» Prodigj [Fir. 1845].
'" tremula [Mil. 1817; Fir. 1845].
'1 lancia [Mil. 1817; Fir. 1845].
1- Calcante, [Mil. 1817; Fir. 1845].
* Allude qui ai versi del Caro :
allor ch'ai campo addotta
Fu la sua statua, che posata a pena,
Torvamente mirògli, e lampi e fiamme
A'^ibrò per gli occhi
[Firenze, G. Barbèra, 187i3, — pag. 62.]
ENEIDE 53
Da tentar sopra l'onde, e non potersi
Spezzar da' brandi Achei l'Iliache mura,
S'a ricercar novelli auspicj in Argo
Non si rivada, e qua la diva imago ^
Cui su' concavi legni han seco addotta -
Non Poi si ritorni. E tratti spinti ora dal vento
Alla A la patria Micene, appresta n armi
E Dei compagni, e rivarcato il mare ^
espon Calcante
Qui saran d' improvviso : in questa foggia
Cosi
Spoìi gli augurj Calcante . Or questa imago han posta
Al nume ^ offeso ^ e del Palladio in vece.
Per divino consiglio, onde il funesto
Sacrilegio espiar. ^ Ma che la mole
Immensa fosse ' e con inteste travi
S'ergesse al ciel ^ ne comandò Calcante ^
Perchè raccoglier ne le porte, e dentro
Le mura trar la non si possa ^^ e sotto immune
di sua religione ^^
Sotto del sacro patrocinio antica ^- {così vuole Annal.
di scienze e lett.)
Vostra gente a servar ^^. Se violato ^^
Fosse da vostra man questo a Minerva
' imago, [Mil. 1817; Fir. 1845].
- addotta, [Mil. 1817; Fir. 1845].
^ mare, [Mil. 1817; Fir. 1815].
* Nume [Mil. 1817; Fir. 1845].
" offeso, [Mil. 1817; Fir. 1845].
« enp-iar. [Mil. 1817].
-'fosse, [Mil. 1817; Fir. 1845].
" ciel, [Mil. 1817; Fir. 1845].
» Calcante, [Mil. 1817; Fir. 1845].
'» :possa, [Mil. 1817 ; Fir. 1845].
" religione [Mil. 1817].
'■■ antica, [Mil. 1817; Fir. 1845.]
'3 asservar. * [Mil 1817].
'* violato [Mil. 1817].
* Errata Corrige. Pag. 19. v. 2. — asservar corr.: a servar
(Bibl. di Macerata)
54 ENEIDE
Sacrato dono ^ ei predicea che orrendo
i numi *
Sterminio allora (il quale augurio in lui
Prima volgano i nnmi in lui) su i ^ Trigj ^ e il
[vostro
Regno verrà verria: (Bandi verria, non: venuto
saria) ma ' se salito in Ilio
Fosse per vostra man, con guerra immensa
Di Pelope le a le mura ^ Asia verrebbe
Di per se' stessa; e che tal fato attenda
Nostri nipoti e' vuol. Tai frodi e l'arte
Di Sinone spergiuro a dar ne mosse
Fede al suo dir: presi da inganni e stretti
Da pianti noi ^ cui non domar ^ Tidide ^"
Non Achille o dieci anni o mille navi.
* In questa, a noi meschini al incontra, e turba
L'alme improvviso altro maggiore e molto
Più terribile evento. A sorte eletto
Sacerdote a Nettun ^^ Laocoonte
Innanzi alt a l'are ^^ con solenne pompa
Un gran toro svenava. Ecco due draghi
(Accapriccio in ridirlo) da Tenedo ^^
Gettansi in mare ^* e immensi orbi traendo
' doìio, [Mil. 1817; Fir. 18i5].
/ 2 Numi [Mil. 1817; Fir. 1845].
^ su' [Mil. 1817; Fir. 1845].
* Frigi [Mil. 1817].
^ .Ma [Mil. 1817; Fir. 1845].
« mure [3Iil 1817; Fir. 1845].
' sé [Mil. 1817].
« noi, [Mil. 1817; Fir. 1845].
" domar [Mil. 1817; Fir. 1845].
'" Tidide, [Mil. 1817; Fir. 1845].
" Nettun, [Mil. 1887; Fir. 1845].
'■' ara [Mil. 1817; Fir. 1845].
'« Tònedo [Fir. 1845].
'* mare, [Mil. ISil ; Fir. 1845].
* Nelle edizioni di Milano e di Firenze a questo luogo non si va
da capo; ma Vln è fatto precedere da nna lineetta.
ENEIDE DO
Per la queta marina ^ inver la riva
S'avventano del par. Cogli Co - gli erti petti
E le sanguigne creste sovrastanno
Ai flutti; e l'altra parte si strascina
Radendo il l'acqua, e si contorce, in spire
Gli smisurati dossi ^ ripiegando.
Strepito sorge, e spuma il mare: e' sono
Sul lido già, di fìioco foco e sangue infetti
e co *
Gli occhi Le roventi pupille, e ribrano le lingue
Lami) Vibrate lambon le fiscliianti bocche.
Smorti fuggiamo a quella vista, i I draghi
Ambo van dritto a Laocoonte: e i due
Teneri figli avviticchiati e stretti,
Pascono ^ in pria le miserande membra
Co' morsi: e poscia assalgon lui che teli
Recava "^ accorso in lor difesa, e d'ampie
Spire il van ricingendo, " e già due volte
A mezzo il corpo hanlo aggirato, e due
Intorno al collo le squamose terga
Hangli ravvolto, e sovrastangli al capo
Co' capi loro e gli erti colli : e' ^ brutto
Di tabe e di veneno atro le bende ^
A un tempo co ^^ le mani sgruppar tenta
I nodi ^^ e orrendi al cielo ululi innalza:
Quai dà muggiti il toro allor che fugge
» marina, [Mll. 1817; Flr. 1845].
■' Con [Flr. 1845].
' dorsi [Mll. 1817; Flr. 1815].
* con [Flr. 1845].
= Pascon [Mll. 1817; Flr. 1845].
« Recava, [Mll. 1817; Flr. 1845].
' riclngendo: [Mll. 1817; Flr. 1845].
« colli F' [Mll. 1817].
„ Ei [Fir. 1845].
9 bende, [Mll. 1817; Flr. 1&15].
"> con [Flr. 1845].
" nodi, [Mll. 1817; Fir. 1845].
56 ENEIDE
Piagato l'ara, e s'ha dal collo scossa
La mal certa bipenne. I draghi al sommo
Tempio de la terribile Minerva
Rifuggiti strisciando, ed a la Rocca, ^
Sotto i pie de la Diva ~ e dietro a l'orbe
S'appiattan de lo scudo. Allor discorre
A tutti noi pe' palpitanti seni
Nuovo terror. Di Laocoonte al merto
Esser la pena ugual; violato il sacro
Legno aver lui ^ quando avventogli ^ al fianco
La scellerata lancia; , esclaman tutti;
Aversi in Ilio il simulacro a trarre
Partiam le mura,
E a supplicar la Dea. S'accinge a l'opra
Spalanchiam la città. S' ^ accinge a l'opra
Il popol tutto, e ruote a ^ piedi ' e funi
d'arraati
Adatta Al collo adatta. A la città^fe ascende
La fatai ??ioZe Pregna ascendea la fatai mole. Intorno
Fanciulli e verginette inni cantando ^
A la fune la man porgono a gara.
Entra il cavallo ^ e minaccioso in mezzo
A la città trascorre. 0 patria mia,
Troja ^^ di numi ^^ albergo, ! o de' Trojani ^'
Mura in armi famose ! quattro volte
Sul limitar medesimo risto', ^^
' rocca, [MU. 1817; Fir. 1845].
- Diva, [MU. 1817; Fir. 1845].
» lui, [MU. 1817; Fir. 1845].
* avventogli [MU. 1817; Fir. 1845].
" cUtà: s' [MU. 1817; Fir. 1845].
« a' [MU. 1817; Fir. 1845].
' piedi, [Mil. 1817 ; Fir. 1845].
« cantando, [Mil. 1817; Fir. 1845].
» cavallo, [Mil. 1817]. — 'l cavallo, [Fir. 1845].
'« Troja, [Mil. 1817]. — Troia, [Fir. 1845].
" Numi [Mil. 1817; Fir. 1845].
''' Troiani [Fir 1845].
" ristè, [Mil. 1817; Fir. 1845].
ENEIDE 57
Quattro dal ventre usci suon d'armi. E folli, ^
Ciechi^ furenti insani E forsennati e ciechi pur
[seguiamo, e il fero
Mostro lochiam ne su la sacrata rocca.
le labbra volente il Dio, Cassandra il labbro
Allor - la bocca de' futuri eventi
Nuncia, da Febo stretta apre Cassandra,
Non mai creduta apre al futuro : e noi
Mai creduta da' Teucri. E noi veliamo
(Miseri cui quel giorno ultimo fora!)
Veliam per la cittàc?e con festiva festa fronde
I delubri de' numi. ^ Il ciel fra tanto
Si cangia ^ e notte a l'ocean ^ ruina,
In grande ombra avvolgendo e terra e polo
E le Argoliche insidie i frodamenti ^ Achei. Tacquero
Per le lor case sparti, " occupa il sonno [i Teucri
Le stanche membra. E su gli armati legni
Le squadre Achee da Tenedo ^ a l'amico
Silenzio mosse de la cheta luna,
Già poi che fiamme alzò la regia nave prora ^
Vernano ai noti lidi; e da gli avversi
Fati Sinon protetto ai chiusi Greci Achivi
Apre d Del ventre ascosamente i pinei chiostri
Disserrato. Disserrata a l'aria i Greci
Rende la Pera. Da la cava mole
Discendon lieti per sospesa fune
Macaone il primier, Toante, il diro
Ulisse, Menelao, d'Achille il germe
' folli [Mil. 1817 ; Fir. 1845].
=« Allor, [Mil. 1817; Fir. 1845].
=» Numi. [Mil. 1817; Fir. 1845].
* cangia, [Mil. 1817; Fir. 1845].
•^ ocean [Mil. 1817; Fir. 1845].
« fondamenti * [Fir. 1845].
' sxmrti: [Mil. 1817]. — sparti] [Fir. 184.5].
» Tenedo [Fir. 1845].
» prora, [Mil. 1817 ; Fir. 1845].
* Ma non cos\ neWErrnta Corrif/e a pag. 485, dove. cor,ie dincccnl" t il se» so ed
il latino, i fondamenti diventano frodamenti.
58 ENEIDE
Neottolemo, e Stenelo, ^ e Tessandro
I duci, ed Acamante , e del doloso
Cavallo ei pur l'architettore Epeo.
Invadon la città nel vin sepolta
E nel sopor: cadon le guardo: - i socj ■*
Son per le porte spalancate accolti
Tutti ^ e le conscie lor caterve aggiunte.
Era il tempo che a' miseri mortali
* La prima quiete a serpeggiar comincia ^
Don celeste gi-atissimo ^ per l'ossa,
Quando nel sonno a gli occhi miei presente
II mestissimo Ettorre esser mi parve
Sparso di largo pianto, strascinato '
Qual già, dal cocchio, di sanguigna polve
' Lordo ^ e passato i gonfj ^ pie da funi.
Qual era ahimè, quanto da quel diverso
Che Ettor che a noi de le Peliache spoglie
Tornò vestito, o poi che Frigie fiamme
Scagliò su i Grec/ii legni! Era per sangue
Rappreso il crine, squallida la barba, ^^
E' ^^ le infinite piaghe avea che intorno
Al patrio muro riportò. Sembrommi
' Stenelo [Mil. 1817; Fir. 1845].
'' guardie: [Fir. 1845].
3 soci [Mil. 1817].
* Tutti, [Mil. 1817; Fir. 1845J.
^ comincia, [Mil. 1817; Fir. 1845].
« gratisslmo, [Mil. 1817; Fir. 1845].
" strascinato, [Mil. 1817; Fir. 1845].
« Lordo, [Mil. 1817; Fir. 1845].
» gonfi [Mil. 1817 ; Fir. 1845].
^» barba; [Mil. 1817; Fir. 1845].
'1 E** [Mil. 1817; Fir. 1815].
* Nel supplemento generale a tutte le mie carte, che è fra i Mss. leo-
pardiani esistenti nella Paladina, questi due versi leggonsi in tal
guisa:
< Comincia il primo sonno e per le membra
Don celeste gratissimo serpeggia, »
"* Errata Cnrriqe : Pag. 23, v. 5. — E cnrr.: K'
(Tiibl. di Macerato)
ENEIDE . 59
Clie primier gli parlassi ^ e lagrimando
Si gli dicessi in mesti accenti: 0 luce
Di Teucria, Ettor bramato, o de' Trojani -
Fidissima speranza, e che ti strinse
A indugiar tanto? e q da, qual piaggia riedi?
Oh qual,^ fievoli ahimè '* dopo cotanta
Strage de' tuoi, dopo si varie pene
De' Teucri, d'Ilio,"* riveggiamti! E quale
Cagione indegna la serena faccia
Ti difforme ? perchè tai piaghe io scerno ?
Ei nulla a ciò, ma né di mie vane inchieste
Non Cura, ma grave dal profondo petto
Sospirando, ^ Ahi, mi dicea, fuggi, t' invola.
Figlio di Cipri, a queste fiamme. In forza
De' Greci è il muro : da la somma cima
Ilio a terra precipita. Pugnato
S'è per la patria e per lo rege assai.
Se Pergamo campar destra potesse '
Questa l'avria campato. A te le sacre sue
Sue cose ed i penati^ Ilio accomanda:
Questi in consorti adduci, e loro in traccia
nuova
Vanne Va di altra città, cui dopo lungo
Errar pe' ^ mari, alfine ^^ ampia alta porrai.
Disse ^^ ed tratte le bende e il simulacro
De la possente Vesta, e il fuoco eterno
Da' penetrali, e a me li fida. Intanto
' parlassi, [Mil. 1817; Fir. 18451.
2 Troiani [Fir. 1845].
' qual [Mil. 1817; Fir. 1845].
* ahimh, [Mil. 1817; Fir. 1845].
" Ilio [Mil. 1817 ; Fir. 1845].
« Cospirando: [Mil. 1817; Fir. 1845].
' potesse, [Mil. 1817; Fir. 1845].
« Penati [Mil. 1817; Fir. 1845].
» pei [Mil. 1817; Fir. 1845].
'" al fine [Mil. 1817 ; Fir. 1845].
" Bisse, [Mil 1817; Fir, 1845],
60 ENEIDE
Confuso lutto la città mescea, ^
E già benché tuttoché rimoto luogo, - ombrata
D'arbori tenga la magion d'Anchise
Il genitor, più sempre e più distinto
Viene il frastuono ^ e inverso noi s'avventa
L'orror de l'armi. Io desto balzo. Ascendo ^
Del tetto al sommo ^ e a tesi orecchi sto. ^
in messe
Come se fiamma al furiar ' de' venti Noti
Piamma è sospinta, o rapido torrente
Trabocca giù d'una montagna, e i campi
Diserta e i colti prosperosi ^ e l'opre
traggesi
De' buoi devasta, e menasi le selve
Precipitanti; del fragor l'ignaro
Pastor s'ammira d'erto sasso in cima.
AUor la greca ^ fé, ^^ gli orditi inganni
Conosco. Incensa ruinò già l'ampia
Magion di Deifòbo, arde il vicino
r
Ucalegone, rZe' al fiammeggian<2 de' tetti * {Uc.ale-
gone per casa ecc. Caro **)
Riluce la Sigea vasta marina. ^^
* mescea; [Mll. 1817; Fir. 1845^*
'' luogo [Mil. 1817; Fir. 1845].
^frastuono, [Mil. 1817; Fir. 1845],
* balzo: ascendo [Mil. 1817; Fij\ 1845].
^ sommo, [Mil. 1817; Fiì\ 1845].
« sto: [Mil. 1817; Fir. 1845^.
' furiar [Mil. 1817 ; Fir. 1845].
" 2ìrosperosl, [Mil. 1817 ; Fir. 1845].
« Greca [Mil. 1817; Fir. 1845].
'" fe\ [Fir. 1845].
" marina: [Mil. 1817; Fir. 1845].
* Il verso da prima era il seguente:
roaleg-on de' fiammeggianti tetti
** Alluiie qui a' seguenti versi del Caro:
. . . . , . . . E già '1 palagio
Era di Deifóbo arso e distrutto;
Già "1 suo vicino Ucalegon ardea . . .
(pp. cit., pag. 71.)
ENEIDE 61
S'odoii genti ululare^ e streper tube.
L'armi insensato afferro , ^ e che da l'armi
Speri, non so, ma di pugnar commisto
A' combattenti^ e di scagliarmi insieme
Co' soci socj su la rocca, ardo : la mente
Ira
Cieco , furor precipita , : Que sovviemmi
Che bel morir s'acquista in mezzo a 1'* armi.
Che chi more ha fra Tarmi ha bella inijTte.
Ecco da' teli Achei scampato io veggo
Panto, l'O triade Panto, il sacerdote
De la Rocca ^ e di Pebo, in man recando
I sacri arredi e i vinti dei, trar seco ^
/ vinti numì^ e il tenero nipote
II tenero nipote ^ e forsennato
'Traendo, correr forsennato al lido.
Correre al lido. A Che di Troja ^ accade,
appena »
Panto,? A^" qual rocca andiam? Taciuto ho appena
Che sclama egli gemendo : A^ A Teucria è giunto
L'estremo tempo ^^ inevitabil tempo.
Fu Troja. ^' fummo noi Trojani ^^ e il grande
Gnor del Troice nome. Ad Argo il tutto
' idulare, [Mil. 1817; Fir. 1845].
'' afferro; [Fir. 1845].
« combattenti y [Mil. 1817; Fir. 1845].
* all' [Mil. 1817; Fir. 1845].
•■* rocca [Mil. 1817; Fir. 1845].
® I sacri arredi e i Dei, trar seco [MIL 1817; Fir. 1815*].
^ nipote, [Mil. 1817; Fir. 1845].
« Troia [Fir. 1845].
" a [Mil. 1817; Fir. 1845].
"' appena, [Mil. 1817; Fir. 1845] .
" tempo, [Mil. 1817; Fir. 1845].
'2 Troia, [Fir. 1845].
^■' Troiani [Fir. 1845].
* N>ir»'dizione (ioi-entina (pafr. 183) loggrpsi questa nota : < Cos^ ha la prima edi-
zione; e noi non abbiamo manosr^ritto nhe ci dia il rimedio. > — Nella Krmtn Corriqe.
più volte innanzi m< ntovata. lejrsresi ; Pag. 25, v. 0»; e i Dei mrr. : e i vinti Dei fOibl.
di Macerato).
62 ENEIDE
Giove crudele ha trasferito, ^ in preda
E de gii Achivi (Caro *) Ilio ch'avvampa. Stassi
La Fera immane a la cittade in mezzo -
Armati traboccando: insulti e fiamme
Mesce Sinon vittorioso : ^ ed altri ^
Quanti mai n' inviò ^ Yalta ampia Micene "
Entro le mura a spalancate porte
Sboccano a mille a mille: altri gli angusti
Aditi de le vie co' teli imp in pugno
Assediare ; ' sta la ferrea sta siepe di spade *
Ignude, folgoranti, a uccider preste : ^
Ed ajyp de le i presidj delle de le porte appena
Mescono i primi abbattimenti e in cieca
Zuffa resister tentano. Da questi
Detti di Panto e dagli da //Z' gli Dei son tratto
Era l'armi e il foco ^ ove l' infausta Erinni '"
Ove il fremer m'appella e l'ululato
A gli astri spinto. A me Rifeo compagno
' trasferito: [Mil. 1817; Fir. 1845].
2 mezzo, [Mil. 1817; Fir. 1845].
3 vittortoso: [Mil. 1817J.
* altri, [Mil. 1817; Fir. 1845].
^ invm [Mil: 1817].
« Micene, [Mil. 1817; Fir. 1845].
' Assediano ; ** [Mil. 1817 ; Fir. 1845].
» preste; [Mil. 1817; Fir. 1845].
» fuoco, [Mil. 1817; Fir. 1845].
'" Erinni, [Mil. 1817; i^*V. 1845].
* Allude a' seguenti versi del Cauo, da lui (speeie il Fu Troja,
fummo noi Trojani) imitati:
. , . . . . È giunto, Enea,
L' ultimo iriorno, e '1 tempo inevitabile
I)e la nostra mina. Ilio fu già;
E noi Troiani fiimnio : or è di Troia
Ogni gloria caduta ......
{O,:. cit.. pag. 72)
** In calre allVdiz. fiorentina (pag. 184) leggesi : < Cos\ sta nella prima stampa: e
Senta sof<?orso di manoscritti non possiamo correggere. >
Nella sopra mentovata Krrntd Corr/pe leggesi : — Pag. 25, V. 23: Assediano
VOry.: Assedtaro (Hill, di M<{<'f'r<{tn) .
ENEIDE 63
Ihs Bassi ^ ed Epito in armi sommo. Incontro
Fanmisi Ipan, Dimante fanmisi - a la luna ^
E nel al fianco mi s'addensano, e Corebo
Migdonide, il garzon che di Troja Cassandra
Arso da folle amore ^ a Troja ^ giunto
Per sorte
Era a sorte era in quei giorni, e a' Frigj ajuto ^
Dando Dava e al suocero Re, ^ miser, che vano
L'ammonir tenne de l'afflata sposa!
A questi, poi che ragunati e vaghi "
Di combatter li vidi, incominciai
A favellar cosi : Giovani, invano
Eortissim'alme, a che ridotta sia
Nostra sorte il vedete. ^ Ed ed are e tempj ^
Gli Dei per chi ste' ^^ questo imperio, tutti
Ahb Partendo abbandonare, se ^^ fermi in core (Il
comune era fermo di non 2)cifJ((ye. Uahhì.)
Siete di seguir me eh' a far l'estreme
Prove innanzi mi caccio, arsa cittade
A soccorrer venite: in mezzo a l'armi
Ruiniamo e moriam, ^- sola che resti
Salute ai vinti è non sperar salute. g^
Cosi furor crebbe in lor alme: e quindi E
Come rapaci lupi in atra nebbia ^^ r§
' Bassi, [Fir. 1845].
-' f ammisi * [Mil. 1817].
=* luna, [Mil. 1817; Fir. 1845].
* amore, [Mil. 1817; Fir. 1845].
^ Troia [Fir. 1845].
^ aiuto [Fir. 1845].
' re; [Fir. 1845].
« vedete: [Mil. 1817; [Fir. 1845].
» templi [Mil. 1817; Fir. 1845].
'» sth [Fir. 1845].
" abbandonar. Se [Mil. 1817]. — abbandonar. Se [Fir. 184^].
** moriam: [Fir. 18-45'.
'^ nebbia, [Mil. 1817; Fir. 1845].
* Errata Corrige: l'air. ^0, v. .",. — f.-mmiisi c(.r, . : tamnisi
(lÀbl. di Macera taj
64 ENEIDE
Cui di lor tane rabidi sbalzare
Fé' ^ cruda fame, ed aspettando a secche
Fauci si stan gli abbandonati figli,
Andiam fra l'armi, - e gì' inimici, ^ a morte
Indubitata, e a la cittade in mezzo
Teniam nostro sentiero. Intorno vola
Col Co ^ la cava ombra sua la nera notte.
E chi narrar la clade, o il duol, le morti
Di quella notte adeguar può col pianto ?
Cade antica città che per molt'anni
Regnò. Spenti per vie, per case, ^ e templi *
Senza difesa oppor ~ son mille e mille
Corpi: chè^ scorre sol Trojano de' Teucri il sangue;.
Virtù riede talor de' vinti in petto ; [ed anco
Cadon gli Achei vittoriosi. " Ovunque
È fero duol, terror, morte atteggiata
de' Grreci
In mille forme. Incontro a noi,^^ primiero
Be' Greci Primo Androgeo si fa, che congiurata (le
schiere conr/ittrate insieme. Caro poco sop. *
Congiura per Collegaz. Crusca)
crede '^
Schiera ci tiene e con amici detti
Si ci favella. '- Or v'affrettate^ e quale
» Fé [Flr. 1815].
2 armi [Mil. 1817; Flr. 1845].
•^ inimici \Mil. 1817; Fir. 1845].
^ Con [Mil. 1817; Fir. 1845].
* case [Mil. 1817; Fir. 1845].
« templi, [Mil. 1817; Fir. 1845].
* oppor, [Mil. 1817; Fir. 1&45].
« né [Mil. 1817; Fir. 1845].
» vittoriosi. [Mil. 1817].
'" noi [Mil. 1817; Fir. 1845].
" crede, [Mil. 1817; Fir. 1845].
'-'favella: [Mil. 1817; Fir. 1845].
* Allude a questi versi del Caro:
Mi?er le schiere congiurate insieme;
K dier forma a l'assalto .....
('Op. cit., pag, 69.)
ENEIDE 6q
Pigrezza vi rattien? già gli altri a sacco
Metton l'arsa città, (jia Troja ^ ire in preda '^
Voi l'alte navi or dismontaste? Appena
Di dir finito avea '^ che non udendo
Assai fide risposte ^ esser s'avvide
Tra' ^ nemici caduto. Il pie, la voce
Attonito ritrasse. K quella guisa
Ch'uom eh' a terra calcò (Alfieri) fra gli aspri dumi
Xon veduto serpente Angue non visto, immantinente
[il fugge
Cha Trepido, che stizzoso alto si leva ^
Gonfio il ceruleo collo ; Androgeo i passi
Tal pavido volgea torcea ~ posciac/ie s'accorse
De l'error suo. Piombiam ristretti in loro ^
E sbigottiti e mal del luogo esperti
Ed accerchiati li ^ uccidiamo. Arride
Sorte a la prima impresa. Allo E qui Corebo
ventura
Da virtù fatto e da/ successo ardito,
Socj, disse, la via che' inver lo scampo
Sorte n'offre, teniam, per cui benigna
La ne si mostra al primo incontro. Targhe
frode
Mutiam, vestiam le Greche^" insegne, ^^ o dolo
0 virtù sia'- chi nel nemico il cerca?
Armi avrem da gli Achei; dis . Disse ^-^ e il chiomato
' Troia [Flr. 1845J.
- preda ; [Mil. 1817 ; Flr. 1845].
=> avea, [Mil. 1817; Fir. 18i5j.
* risposte, [Mil. 1817; Fir. 1845].
^ Tra [Mil. 1817; Fir. 1845].
•^ leva, [Mil. 1817; Fir. 1845].
' torcea, [Mil. 1817]. — torcea: [Fir. 1845].
" loro, [Mil. 1817; Fir. 1845].
» gli [Mil. 1817; Fir. 1845].
'" greche [Mil. 1817; Fir. 1815].
" insegne; [Mil. 1817; Fir. 1845].
'2 sia, [Mil. 1817; Fir. 1845].
" Disse, [Mil. 1817; Fir. 1845'.
6C ENEIDE
Elmo d'Androgeo, e la decora insegna
De lo scudo si veste, e al fianco adatta
Ciò L' Argiva spada , . Ciò Rifeo, Dimante ^
Ciò lieta fa tutta la schiera ; e - armato
Essi -^ ciascun de le recenti spoglie.
A(iU Achlvl A' Pelasgi commisti, andiam o
[deserti 3
Da' nostri numi, ^ e per la cieca notte ^
Molte zuffe mesciam, molti de' Greci
Mandiamo a Pluto , . Altri a le navi in fuga
Vanno, o a la fida riva. Altri da turpe
Temenza presi •* de la fera '' immane
Son risaliti al noto ~ ventre ^ e stansi
Quivi appiattati. Ahi che ^ nemici i Dei ^^
Nulla lice sperare. ^^ Ecco Cassandra ^ V. l'ult.'^ pag.^
(.sei versi rìfatii e pia volte cancellati)
' Dlniante, [Mll. 1817; Flr. 1845].
'' ; armato [Mil. 1817; Fir. 1845J.
■' Èssi [Fir. 1845].
* Numi, [Mil. 1817; Fir. 1845].
' presi, [Mil. 1817; Fir. 1845J.
« Fera [Mil. 1817; Fir. 1845].
' vóto** [Mil. 1817; Fir. 1815].
^ ventre, [Mil. 1817; Fir. 1845].
« che, [Mil. 1817; Fir. 1845].
'" Dei, [Mil. 1817; Fir. 1845J.
^' sperarci [Mil. 1817; Fir. 1845].
* Così nell'autografo. La chiamata rimanda il lettore a due
versi [La V3rgin Prij,mide ecc. — Da l'arcano ecc.], che vennero riportati
nell'ultima pagina, non essendo stato materialmente possibile al-
l'autore di metterli al loro posto, stante i moltissimi pentimenti e
le molte correzioni a' medesimi apportate. Noi li abbiamo resti-
tuiti alla lor sede naturale, a non ingenerar confusione in chi legge.
** Errata Corrige : — Paff. 28, v. 24 : vóto corr. : voto
(Bibl. di Macerata)
ENEIDE G7
La verghi Priamide ^ era dal temj^io - *
Da l'arcano ricovero di Palla ^
Sparte le chiome ^ e strascinata ^ indarno invano
Gli ardenti lumi al ciel levando, i lumi, *'
Che '' non potea ^ da vincoli distrette " **
Le delicate mani. A quella vista
Non si contenne, e infuriato ^'^ in mezzo
A la masnada s'avventò Corebo
A certo fin. Tutti il seguiamo ^^ e stretti
Xer/U Xe gli Achei ci scagliam. Qui primauiente
Da l'alta sommità del tempio i dardi
Opprimonci de' nostri ; e fanno i Teucri
o
Di noi miser« dacie scempio ^^ in error tratti
' Priamide [Mll. 1817; Flr. 1815].
- tempio, [Mil. 1817; Flr. 1845].
« Palla, [Mll. 1817; Flr. 1845].
* chiome, [Mll. 1817; Flr. 1815].
''' strascinata, [Mll. 1817]. — straschìata ; [Flr. 1845].
« lumi [Mll. 1817].
' Che [Flr. 1845].
« 2)otea, [Mll. 1817; Flr. 1»45].
•' distrette, [Flr. 1845].
'" Infuriato [Mll. ISYÌ].
" seguiamo, [Mll. 1817; Flr. 1845].
1-' sèemino, [Mll. 1817; Flr. 1845].
* Di questi, e de' versi che seguono, pieni zeppi di pentimenti
e cancellature, diamo in nota le sole varianti che ci è stato possi-
bile raccapezzare con certezza in tanta confusione di linee e di
parole.
Ben poteva il Leopardi far suoi i noti versi ovidiani :
Jnrifit et dì'.'-itct : scii'bit dnmntitqne tnbclìa :
Kt notnt rt tiri ri ; m^ilnt nilpnique, 'jftrobatiji'.c.
La Vergin Priamide. Priamea de^ l'ara tempio, delubro
Fuor di Minerva la riposta sede
Fuori degl' imi
Penetrali di Palla è strascinata
Al ciclo invano indarno invano indarno
Sparte lo chiome e alzati gli occhi al cielo
Gli ardenti lumi sollevando al cielo
** Altre varianti :
1 lumi, poi che strette eran da ferri
Gli occhi, da poi ohe strette eran da ferri
68 ENEIDE
Da l'armi Achive Greche ^ e da' cimieri. E mossi
Dal gemer de' compagni e d' ira accesi
Per la ritolta vergine, gli Achivi,
terribile
Da tutte parti rag II ferissimo Ajace, ambo gli
E d'ogni parte ragunate in noi [Atridi,
Dan tutte insiem le Dolopi caterve.
Come da Si come in rotto turbine talora (Aljieri)
contrarj
Pugnan nemici venti, Affrico e Noto -
E pe' cavalli del mattin superbo
Euro, ^ fischian le selve, Nereo volge
Spumoso da l'estremo fondo i flutti
Sozzopra e infuria col tridente. Allora
Quei che per l'ombra de l'oscura notte
Spersi incalzammo co ^ le fìnte spoglie
Per tutta la città, riedono, e primi
Conoscon le mentite armi e gli scudi
E le non greche voci. A un tratto oi:>pressi
Dal numero siam noi. Primier Coreho di Palla
Armipossente
Per man di Peneleo prosterne
anzi
Corebo innanzi a Vara aitar : cade Pifeo ^
De' Trojani ^ il più giusto ed il più fermo
Del dritto servatorc.
De' dritti scrutatore. Ipan Dim N'ebbero i numi "^
Altra sentenza. Ipan ^ Dimante a' strali ^
' greche \Mll. 1817; Fir. 1845].
2 Noto; [Fir. 1845].
' ittro* \Mil. 1817].
* con [Fir. 1845].
" Rifeo, [Mil. 1817; Fir. 1845].
« Troiani [Fir. 1845].
' Numi [Mll. 1817; Fir. 1845].
« Ipan, [Mil. 1817; Fir. 1845].
« dardi [Mil. 1817; Fir. 1845 ^
* Krroin Corrige; — Pag, 20, v. 21 ; Euro corr.: Euro,
(Libi, di Macerata)
ENEIDE «y
Teucri fiir segno. E te caduto, o Panto,
Non tua somma pietà, non la Febea di Apollo
Benda coperse. In testimonio or voi^ (Tasso)
Ceneri d' Ilio, e voi ne ' appello estreme
Fiamme de' miei, quando mia patria cadde ^
Non a gli ^ strali Achei ^ non mi sottrassi *
A verun rischio,'' e se mia morte avesse ^
Ferma il destin, la meritai co ^ l'opre. ' 3
Quindi ci divelliam, Pelia ed Ifito r§
Con meco, e questi è d^ ' ^ anni grave ^ e tardo ^^
Quel fa d'Ulisse un colpo. Incontanente
N'appellan gli urli al regio tetto. Or quivi ^^
Come battaglia altrove o morte alcuna
Per la città non fosse, orrenda pugna
Veggiam di Marte indomito. A la cima
Avventansi gli Achivi. Assedian altri
Con testuggin le porte. *- A le ^^ pareti
Altri appoggian le scale, e su ne vanno
Di grado in grado anzi a le porte istesse ^^
' voi, [Mil 1817; Fir. 1845].
^ cadde, [Mil. 1817; Fir. 1845].
3 agli [Fir. 1845].
* achei [AJil. 1817 ; Fir. 1845].
» rischio; [Mil. 1817; Fir. 1845.]
« con [Fir. 1845].
' l'opra. [Mil. 1817; Fir. 1845].
* Con meco: è questi d' [f'ir. 1845J.
* grave, ** [Fir. 1»15].
'» tardo, [Mil. 1817].
" quivi, [Mil. 1817; Fir. 1845].
'-' porte ; [Fir. 1845].
" Alle [Mil. 1817J. — alle [Fir. 1845].
»* istesse, [Mil. 1817; Fir. 1845].
* Nel Supplemento onde sopra, questo passo leggesi oome ap-
presso:
Non a l'Achivio asciar, non mi sottrassi
A nessun rischio; e s'era fermo in cielo,
Ch'io vi morissi il meritai con l'opra.
** Coi^\ n«lIVtliz. SiF.i.r.A =: Krratn Corrige: — l'afr . 30. v. 16: grave e tardo
corr : gravr, e tardo
(Ubi. di Macerata)
70 ENEIDE
Con la sinistra incontro a' colpi schermo
De la targa facendosi ^ e le vette
aggrappando.
Con la destra ahbraccìando. I Teucri e torri
Svellere e tetti (ornai vicin mirando
L'ultimo fato, in lor difesa estrema
A queste armi lian ricorso) e travi aurate
Giù traboccar, de' genitori antichi
Eccelsi fregi. Altri co' nudi acciari
Eccelsa (/loria. Alti ornameiìii
A guardia stan de 1' ime porte in densa
Mano ristretti. Da novello ardore
A soccorrer la reggia e crescer forza
Ai vinti, e lena a/ ' miei recar son mosso.
Era un andito oscuro ed una porta,
Onde insiem rispondean le regie case -
Abbandonata e a l'alte porte opposta:
Onde insiem rispondean le reffie case,
Per cui solca -^ quando l' imperio stava ^
La sventurata Andromaca sovente
ne
Andar soletta a? ' suoceri ^ e menar.v?'
Il pargoletto Astianatte ^' a l'avo.
Non visto ascendo al sommo, onde i meschini
liovono molti inetti dardi. Grandinan va i teli.
Lanciali vane saette. Era una torre ~
Slanciata al ciel Dal dal sommo tetto a fjli astri sjnn-
Su la parete, onàe ' Ilio tutta e i Greci [ta , a filo ^
^ facendosi, [Mll. 1817; Flr. 18451.
- case, [Mil. 1817 ; Flr. 1845_;.
=> solea, [Mll. 1817 ; Flr. 1&15].
* stava, [Mll. 1817 ; Flr. 1845'.
^ suoceri, [Mll. 1817; Flr. 1845].
« Astianatte [Mll. 1817].
' Lanciali vane saette. Era una torre [Mll. 1817; Flr. 1815].
* Del sommo tetto a gli astri spinta, a filo [Mll. 1817*;
Flr. 1845].
* Frvtn rnrrifjr : — Pay. :M. v 10; Del r<rr.: Dnl
(libi, dì Mxrnvitd)
ENEIDE 71
Legni vedeansi e il campo. A questa assalto
Moviam col ferro intorno, ove l'estremo
Tavolato più fievoli non n'oifria
Le congiunture, e da l'eccelsa parte
La dibarbiam, la trabocchiamo . Fracassa
Lnprovviso la torre ^ e con mina
a
' E con frastuono, - e largo eccidio strage piomba
Sopra le greche^ schiere,: invan che * ad elle schiere
(l'avventar fra tanto
Sottentran altre, e di scagliare intanto
E sassi ed armi d'ogni sorta, alcuno
Xon si rimane. In
Già non rista. Ma su la prima soglia
Anzi a l'entrata (Caro) istessa imbaldanzisce
Pirro di teli armato, e d'enea luce
In simil gnisa xva. angue
Folgoreggiante. Dì cohihro in guisa A (ju.isa
Che Cui tumido sotterra ascoso tenne
La fredda bruma, or di mal' ^ erbe pasto,
Rinnovato e lucente e ingiovanito,
Depos Svestito il vecchio spoglio (Caro * Crusca) Can-
Cangiate spoglie, esce a la luce, e s'erge [giaie
i hi
Al sole ^ e va divincolando suoi sdrucciolose terga
Divincolando, alzato il petto, e vibra
La tricuspide lingua luccicando.
Seco il gran Perifante, e il battaglioso
De' P eliaci cavalli agitatore
' torre, [Mil. 1817; Fir. 1845].
^frastuono [Mil. 1817; Fir. 1815].
^ Greche [Mil. 1817; Fir. 1815].
•* invan, [Wil. 1817]. — invan. ohe [Fir. 1815].
^ mal [yrU. 1817; Fir. 1815].
" sole, [Fir. 1815].
* Vuole alludere al noto verso del Caro:
Quando, deposto il suo ruvido spoglio,
(Op. cit., pag. S2)
72 ENEIDK
Automedonte, e seco tutta al muro
La Sciria gioventù sotto si caccia ^
Fiamme ai tetti avventando. Egli tra' primi
Tolta dura bipenne ^ ha già la soglia (Bondi)
Spezzata, e già da' cardini le porte
Enee divelte Ferrate svelle,* e già nel saldo legno
Dispaccato, ^ e partito ampia finestra
Ha spalancata. Appar dentro la reggia
E gli atrj lunghi e de' vetusti regi
E di Priamo le rimote stanze,
E gli armati custodi in sulla soglia su la prima
Soglia starsi son visti. Empie fra tanto
lagrimabil
Un miserando gemere, un tumulto
La più interna magion. Le cave sale stanze
Ululan tutte al a ^ femminil lamento (Ariosto)
Che l'auree stelle fiede. Per la vasta
Reggia le madri paurose errando
S'abbracciano, s'appigliano a le porte ^ (Rabbi v. ah-
bracdarsi)
E su vi ' imprimon baci. Insiste '' armato
Del paterno valor, Pirro, ' ne vale
Kiparo più ^ che dei custodi istessi
Ogni contesa (Il contendersi) è vana. Addoppia i colpi
1 caccia, [Mil. 1817; Fir. 1845].
- bipenne, [Mil. 1817; Fir. 1845].
^ Disimccato \Mil. 1817; Fir. 1815 1.
•» al [Mil. 1817; Fir. 1845].
" jìorte, [Mil. 1817; Fir. 1845].
" Insiste, [Fir. 1815].
' Pirro; [Fir. 1845].
** ina, [Mil. 1817]. — jn^h che [Fir. 1845].
* Sebbene non siavi nessun richiamo al Caro, la frase qui
usata è simile a quella dell' illustre traduttor di Vergilio :
ogni ritegno
De la ferrata porta abbatte e frange
(Op. cit., pag. 82;
1
ENEIDE 73
L'ariete, ^ già tentenna, già mina
Sgangherata la porta (snufolaró. Caro *). Aprono- a
[forza i Greci
La strada i Greci e a forza ; ^ sboccano, fan guasto
De' primi, e di guerrieri empron la reggia
In ogni lato. Non cosi quand'esce *
Fracassati i rij^ari e co ^' la piena
Vinte le opposte moli, imo spumoso
Fiume, corre pe' campi e via con seco
Stalle ^ e armenti strascina, infuriando '
Pel gran cumulo d'acque. Io Pirro, io stesso
Il vidi furibondo intra lo scempio,
Kd a E su la soglia ambo gli Atridi, e scersi
Ecuba e cento nuore, * e Priamo i f?mchi ®
di' egli stesso sacrò, tinger di sangue
Vidi fra l'are. Caddero i cinquanta
Talami, di prosapia ahi quanta speme!
E le d'oro Barbarico ^^ e di prede
Superbamente ornate porte: i luoghi
Ove fiamma non giunse, hanno gli Achivi. S
Forse ch'il fato di Priamo'^ ancora — ^ -S
Vaga d' intender sei. Poscia che presa .§
' ariete; [M'd. 1817; Fcr. l&4o\
* Apronsi [Mll. 1817; Flr. 1845].
^ forza, [Mil 1817; Fir. 1845].
* esce, \MIL 1817; Fir. 1845].
« con [Fir. 1845].
« Stalle e \yrd. 1817; Fir. 1845].
' infuriando [Mil. 1817].
8 nuore; [Mil. 1817; Fir. 1845].
^fuochi [Mil. 1817; Fir. 1845].
>" barbarico [Mil. 1817; Fir. 1845].
" Priamo [Fir. 1845].
* E il Caro:
Già l'ariete a fieri colpi o spessi
Aperta, fracassata, e d'ambi i lati
Da' canlini divelta avea la porta...
(Op. cit., pag. 88.)
74 ENEIDE
Kuinar Troja ^ vide " e de la reggia
Svelte le porte, e l' inimico in mezzo
A le sue stanze, gli omeri tremanti
Per lunga etade, invan grava de l'armi
Già da gran tempo disusate, e cinge
Ij' inutil ferro, ed a morir si reca
Fra il denso stuolo Acheo. Fu sotto il nudo
Asse del cielo, a la magione in mezzo "^
Una grand' ara ^ e soprastante a lei
col co •"•
Antichissimo lauro che con aW l'ombra
I Penati abbracciava. A questa insieme
Con sue liglie affollate Ecuba venne '•
Come per atro turbine colombe
Precipitose colle , e co ' le braccia indarno
Ai Divi " simulacri avviticchiate
Sedevan tutte. A 11 or che Priamo scorse
Di giovenili armi coverto, e '• quale,
Glovetiilmente armato e quale ti apinse lo spinse
Ecuba disse, a rivestir quest'armi,
Consorte infelicissimo ^'^ ti spinse
aita
Crudo pensier? Non questo' ajiito al tempo
Vuoisi ne schermo tal; non s'anco il mio
Ettor qui fosse. Or t'avvicina. 0 " tutti
Dìfeìi Ne salverà quest'ara, o insiem cadremo.
Disse, e il veglio a se ^- trasse e ne la sacra
» Troia [Flr. 18451.
•' vide, [Mll. 1817; Fir. 1&45J.
■' mezzo, [Mil. 1817; Fir. 1845J.
' ara, [Mil. 1817; Fir. 1815].
^ con [Fir. 1845].
« venne, [Mil. 1817; Fir. 1845].
■ con [Fir. 1845J.
« divi [Mil. 1817; Fir. 1845].
» coperto: E [Mil. 1817; Fir. 1815].
'" infelicissimo, [Mil. 1817 : Fir. 1815).
" •• 0 [Fir. 1845].
'■' sé [Mil. 1817].
ENEIDE
75
Sede locollo. Ecco scampato appena
Da la furia di Pirro, un de' suoi figli.
Polite, in mezzo a gì' inimici ^ a l'armi
Fugge pe' lunghi portici, e piagato
Trascorre gli atrj spaziosi. - Ardente
Con preme
Co Tarma telo ostil Pirro l'incalza, e il tocca
Già già co ^ l'asta, e co '^ la man l'afferra.
Afjli A gli occhi alfin •"' de' genitori innanzi
ApDcna giunto e' fu, cadde ^' e la vita
Versò con molto sangue. Allor ~ comunque
Cinto da morte già ^ non si contenne
Priamo'^ né frenò la voce e l'ira:
A te da' numi "^ se pietade è in cielo
Che di ciò curi, a te per l'empio fatto,
la nefanda opra'^
Sclamò, per /' opra scellerata qual merli '-
Premio sia reso e degne grazie, il fato
Del figliuol mio poi eh' a veder m'hai stretto,
E con suo scempio la paterna faccia
Hai funestata, ma . Ma ben altro. Achille
Pu col nemico Ee, ^^ quegli onde nato
Falso ti vanti.
E^ser tu menti,! ei (Caro*) Ei me supplice ///'accolse^
* inimici, [MU. 1817; l'^ir. 1845\
'■* spaziosi. [Mll. 1817 1.
3 con [Flr. 1845].
* con [Flr. 1845;.
« aljin [Mll. 1817; Flr. 1845;
« cadde, \Mll. 1817: Flr. 1845].
' Allor, [Mll. 1817; Flr. 1845].
« ijlà, [Mll. 1817; Flr. 1845].
» Friànio, [iMll. 1817]. — Priamo, [Flr. 1&15].
'» Numi, [Mll. 1817; Flr. 1845].
'• opra, [Mll. 1S17: Flr. 1845].
'2 inerti, [Mll. 1817; Flr. 1845].
" re, [Flr. 1845].
'* accolse, [Mll. 1817; Flr. 1845J.
* Scrisse il Caro:
Cotal meco non fu, benché nimico,
Achille, a cui tu ménti esser iigliolo...
(Oi,. cit., pag. ^-6.)
l6 ÉNEIDF.
E rispettò mia fé, ^ miei dritti, e il morto al rogo ^
Rendè l'Ettoreo corpo, e rinviommi ■'
Corpo (TEttorre a seppellir mi rese
E rinviommi AÌSimì'dYe^gÌQ.. Imbelle dardo in questa *
Una saetta in questo dire il veglio
Senz' impeto gettò, che risospintno •'
Dal roco bronzo immantinente, appesto ^
Invan restò del sommo scudo al mezzo.
Cui Pirro : Or E questo al genitor Pelide
Messagger narrerai, ~ sporgli mie colpe
Ben nhhi poni Serbati ^ a mente e il tralignar di
[Pirro. ^
Mvori fra tanto. Or muori. E si dicendo '"^ a l'ara
Lo trascinò " tremante '^ e sopra il molto [istessa
Sangue del figlio sdrucciolante, avvolse
Ne' capegli ^'^ la manca, e colla co ^"^ la destra
Erse '^ e nel fianco insino al a l'elsa il brando
Tutto gli ascose. Il termine fu questo
De' fati di Priamo. Avea tal fine sorte
Al regnator de l'Asia ^^ un di per tante
' fé', [Flr. 1845].
'' il morto [Mll. 1817; Fir. 1815].
•* Corpo d'Ettorre a seppellir mi rese, [Mll. 1817 ; Fir. 1845].
* E rinviommi a la mia reggia. Imbelle [3//^ 1817].
rinviommi [Flr. 1845].
Una saetta in questo dire il veglio [Mll. 1817; Flr. 1845].
* getto, che risospinta [Mll. 1817].
(jetto; [Flr. 1845].
« appesa [Mll. 1817; Flr. 1845].
' narrerai: [Mll. 1817; Flr. 1845].
« ,9èròa<i [Flr. 1845].
« Pirro: [Flr. 1815]^
»» dicendo, [Mll. 1817; Flr. 1845].
" strascinò [Mll 1817; Flr. 1815].
'- tremante ; [Flr. 1845].
'•' capelli [Mll. 1817; Flr. 1845].
'^ con [Flr. 1845].
>^ Erse, [Mll. 1817: Flr. 1845].
'" ^«m, tJfi7. 1817; /W. 1845].
ENEIDE 77
Terre e popoli alter ^ fissa il destino. -
mirar,
Troja ^ incensa veder, l'Iliache torri
Diroccate in morendo: e' ^ vasto tronco
In su la riva giacesi, dal busto
Partito Divelto un capo ^ e senza nome un corpo, p^
Ma primamente allora atro d'intorno '-
Orror mi si diffuse : istupidii ^ rg
E appresentossi al mio pensier 1' immago
Ed a mio spirto la sembianza apparvend a lo spirto
Del caro genitor, poscia che ' il rege
Ugual d'anni
D'anni uguale ebbi visto in fera guisa
Trapassato spirar, vennemi" a mente
La deserta Creusa, e il patrio tetto
Ai Gr^ci in Preda ai ' nemici, ed il periglio estremo
Del pargoletto Julo. In giro II guardo volgo
Volsi Ad esplorar qual mi rimanga intorno
Copia di socj. ^ Ognun lasciommi, e stanco
Al suol piombò di 'un salto, o l'egro corpo
Scagl Lanciò nel ùioco. ^ E già sol io restava,
Quan E al fiammeggiar del chiaro incendio, errante
Gli occhi volgea per ogni dove altera
Quando in secreta * rimota parte ascosa e cheta
Star del tempio di, Vesta Elena vidi,
Mentre al fiammar del chiaro incendio, errante
Già ^^ tutto rimirando. I Teucri in lei
Da l'avvampar di Troja >^ a sdegno mossi,
» alter, [Mil. 1817; Fir. 1815].
'' destino: [Fir. 1845^
^ Troia [Fir. 1845].
* ei [Fir. 1815].
' capo, [Fir. 1815].
• istupidii, [Mil. 1817; Fir. 1&15].
' . Vennemi [Mil. 1817; Fir. 1S45J.
« soci. [Mil. 1817].
» fuoco. [Mil. 1817; i-W. 1845].
'« Già [Mil. 1817 ; Fir. 1845].
» Troia [Fir. 1845].
* Altre varianti; ripoxtn , rcrovO.ita
7S ENEIDE
a nn tempo e l' ira
E le Greche vendette e del tradito e T ira a un
[tempo del tradito
Del tradito consorte ella temendo,
Consorte V ira ella del ir ad
Di sua patria e di noi comune Erinni,
Acquattata si stava ^ e presso a l'ara
Sedea non vista. Ardo di sdegno e II samfiip r Acceso
Scellerato a versar de la cadente
Jhtria in vendetta irato duol mi sprona
sprona
Dolor mi spinge a vendicar co ^ l'empio
Sangue la sfatta patria. E questa dunque
Illesa a Sparta e a la natia Micene
Regina andrassi e trionfante? E in mezzo
turbe
A Erigj ^ servi ed a Trojane ^ torme,
Marito/' e casa, ~ e genitori e figli
A veder tornerà? Spento da ferro
Stato Priamo sarà, Troja ^ consunta
e tante volte
Da ferro fiamme ^ e si sovente il Teucro lido
Molle di sangue? E' ^^ non fia ver: CA' che, avvegua
In femmina punir lode non abbia "
E senza onor sia la vittoria, estinta
Aver l'iniqua pur, la rea punita
Piegio mi fia,: godrò che di vendetta
' stava, [Mll. 1817; Fir. 1845].
2 : acceso [Fir. 1845].
•' con [Fir. 1845].
* Frigi [Mil. 1817].
'" Troiane [Fir. 1845].
« Marito [Mil. 1817; Fir. 1845].
'' casa [Mil. 1817; Fir. 1845].
« Troia [Fir. 1845].
''fiamme, [Mil. 1817; Fir. 1845]
'« E [Mil. 1817 *; Fir. L845].
" abbia, [Mil. 1817; Fir. 1845].
* Err.iia Corrige: — Pag. 37, v. 19: corr. : E"
[Libi, di Macerata)
ENEIDE 79
L'ardente sete avrò sbramata, e paghe
Le ceneri de' miei. Tali volgendo
Pensieri in mente, dal furor son tratto:
Q>fan AWoY che lampeggiò fra le tenebre *
E in pura luce a gli occhi miei mi s'offerse al guardo
L'alma mia genitrice, unque si chiaro
(la me.
Da me non Pria non vista jjria Diva - al sembiante "^
E quale e quanta la si vede in cielo.
man
Per la destra mi prese, * e mi rattenne, e aprendo
Labbr Le rosee labbra, o ^ figlio, disse ^' e quale
avvampa?
Fero dolor di tanta ira faccende? infiaìnma?
Euriar ~ che ti giova ? E questa dunque
Ti dai cura
Cura di noi ? ti jyreiidi f Che non più presto tosto
Riguardi ove lasciato abbi l'antico
Tuo genitor? Se ^ in vita anco ti resti
La consorte Creusa, '^ e il parvo Gitdo Julo?
A' quali intorno d'ogni parte errando
Van le nemiche turbe, e che già preda
de le de gli
Foran del fìtoco e defjV spade acciari ostili ^"^
Se ' avuti in guardia io non gli avessi. Il volto
Non già che abborri de l' Argiva Elena ^^
Ne l'incolpato Pari: odio de' numi^-
' tenèbre [Mll. 1817].
2 ; diva [Mil. 1817; Fir. 1845J.
3 sembiante, [Mil. 1817; Fir. 1845].
* 2irese [Mil. 1817; Fir. 1845].
"■ : O [Mil. 1817; Fir. 1815].
« disse, [Mil. 1817; Fir. 1845].
' Furiar [MiL 1817].
« se [Mil. 1817; Fir. 1815J.
« Creus.x [Mil. 1817; Fir. 1845].
'" ostili, [Mil 1817; Fir. 1845J.
" Fléna, [MiL 1817; Fir. 1815].
« Numi [Mil. 1817 ; Fir. 1845J.
80 ENEIDE
Queste dovizie sporge * e dirovìna
(il vapor tutto
Troja ' dal sommo. Or mira {V intrapposta
Ch'umido intorno ti caliga; ^
Umida densa nube che ti cinge e il guardo
Mortai ti appanna '* i ' ^sgombrerò, : tu cedi
Ai materni comandi, e senza tema
I miei detti seconda) In in quella parte
Ove squarciate moli, ^ e svelti i sassi miri
Svelti da sassi ed ondeggiante un fumo
Misto di polve, i muri fende ^ e squassa scrolla
Le Nettun le fondamenta, e la cittade
Co ~ l'enorme tridente tutta sterpa
Da le radici. Qui di ferro cìnta armata
Giuno in volto ferissima si sta
Presso a le porte Scee primiera, e chiama
Orrendamente il socio stuol da' legni.
Lo^ amico stuol da' legni in guisa orrenda.
Già Palla tien le somme rocche. Mira
Qual folgoreggia ad una nube in mezzo
Con sua dira Gorgon. Giove pur anco
Valor, forza agli * Achei ministra, i numi ^
Ne' Dardani eccitando. Ah fuggi, o nato.
Dà fine a tanti affanni; : ove che vada '"
Sarotti al fianco ^' e in su la patria soglia
Porrotti in securtà. Disse '- e fra l'ombre
* sperge, [Fir. 184r»].
^ Troia [Fir. 1845].
' caliga, [Mil. 1817; Fir. 1^15].
* appanna, [Mil. 1817; Fir. V^ih].
* moli [Mil. 1817; Fir. 1845].
« fende, [Mil. 1817 ; Fir. 1845].
■ Con [Fir. 1815].
« a gli [Mil. 1817; Fir. 1845].
« Numi [Mil. 1817; Fir. 1845].
^" vada, [Mil. 1817; Fir. 1845].
'' fianco, [Mil. 1817; Fir. 1845].
''' Disse, [Mil. 1817; Fir. 1845].
ENEIDE 81
Dense di notte sparve. Allor vedute
Mi si fer ^ le sembianze orride e i sommi
Numi a Troja ^ nemici: ed Ilio vidi allor nel fuoco ^
La Nettunia città sommersa io vidi
Tutta vidi sommersa Hio ^ e divelta
La Nettunia città da l' imo fondo.
Qual su d'alte montagne orno vetusto^
Cui già con colpi spessi di bipenne
Hanno i villani ad atterrarlao ^ intenti
Per atterrarlo gareggianti han quasi
Keoiso a gara intorno,
I villani reciso, minacciando
Sta lungamente e tremulo tentenna
La barcollante Chioma, ~ insin che a' colpi
Insi Cedendo a poco a poco, omai divelto
Mette l'estremo gemito, e ruina
Giù per lo monte ^ e seco sbarba e tragge
Parte del giogo. I' scendo e vo securo,
Duce la madre ^ intra le fiamme e l'armi:
Scostansi l'armi, e mi fa strada il f^^oco.^'^ (Ac. di qua
di Ih facendosi far strada,
cioè dalle persone, e così la
Crus. in via.)
* Giunto a la patria soglia ed a l'antico
Tetto era già •^ quando colui che primo
' fèr [Mil. 1817; Fir. 1815].
2 Troia [Fir. 1815].
« fuoco [Mil. 1817; Fir. 1815].
* Ilio, [Mil. 1817; Fir. 1845].
° vetusto, [Fir. 1815].
« atterrarla [Mil. 1817].
' chioma, [Mil. 1817], — chioma] [Fir. 1845].
■* monte, [Mil. 1817; Fir. 1845].
« madre, [Mil. 1817; Fir. 1845].
>« fuoco. [Mil. 1817; Fir. 1845].
'' già, [Mil. 1817; Fir. 1845].
* A questo luogo sì l'edizione nailanese, sì la fiorentina non
vanno aa capo .
32 ENEIDE
Portar bramava a gli alti monti, oggetto
Primier de le mie cure, il padre mio.
Sovvertita Ilion, ^ d" irsene in bando
il
0 di più viver nega. 0 voi che in sangue
Per fresca età, dicea, vivido e salde
Anco le forze e intere avete, or voi
i numi -
Itene in fuga. A me servata il cielo (Caro ^)
Avrian , fermo in cielo
Avria questa magion s-e a lui piachito
Posse ch'ance i' vivessi. Un'altra volta
Ilio strutto aver visto, e al cader suo a sua mina
Sopravvissuto aver cotanto, assai, ^
E Troppo ne diede. Qui co ^ l'estremo addio
Si composto il mio corpo, itene. A morte
Chi mi conduca avrò: pietosi i Greci
Agogneran mie spoglie : • è leve cosa
Mtncar di tomba. In ira ai numi -^ il tempo
traggo " insin
E disutile ^ ^jassato ho già da l'ora
E Che de gli uomini il padre e il re de' numi ^ **
L'aura del fulmin suo spirommi incontra ^
1 Rion, [Mll. 1817].
2 Numi [MIL 1817; Fir. 1845].
3 assai [Mil. 1817; Fir. 1845]. .
^ con [Fir. 1845].
^ Xumi [Mil. 1817; Fir. 1845].
« io [MU. 1817; Fir. 1845].
' tì^aggo, [Fir. 1845].
8 Numi [3IiL 1817; Fir. 1845].
9 incontra, [3/i7. 1817; Fir. 1845].
* Allude a' seguenti versi del Caro:
A me, s' io pur dovea
Restare in vita, avrebbe il del serbato
Questo mio nido .....
{Op. cit., pag. 92.)
^jf* Nel Supplemento onde sopra, il verso leggasi modificato in
q[IÌ^a guisa:
Che degli \iomini il Re, padre de' Numi
ENEIDE 83
E con suo fwoco ebbemi tocco. Ei stava
Cosi dicendo immoto./ Inslem no i tìittie saldo. E noi^
a un tempo e il figlio
La consorte Creusa e il j^cin'o Jido,
Molli Sparsi di pianto ^ e la magione intera
Il supplicliiam, seco non voglia il tutto
Distrugger, padre, e al vicin fato offrirsi.
Ricusa * né pensier cangia ne loco.
Nega e suo loco e suo j^ensier non cangia :
bramo
E Misero chieggo armi di nuovo e morte
Morir. Poi che •'
Bramo. E già da sorte o da consiglio o da fortuna
Che restava a sperar? Dunque cliHo che porti ^
Padre, i' potessi in abbandon credesti?
E tanto orror proiferse il patrio labbro?
Se del volere è del ciel ~ che nulla avanzi
Di cotanta cittade, e tu * se' fermo
A far che ^ Troja^ spenta^" anco ^^ tu pera
E teco i tuoi, schiuso a tal fato è il varco.
E Pirro omai qua giungerà ^- del molto
Sangue di Priamo tinto, ^^ e' che del padre
Innanzi a gli ^^ occhi il figlio, e innanzi a l'are '^
' immoto [Mll. 1817; Fir. 1845].
"" noi, [Fir. 1845].
"^ inanto, [Mil. 1817; Fir. 1845].
* Ricusa, [Mil. 1817; Fir. 1845].
"• Poiché [Mil. 1817; Fir. 1845].
''porti, [Mil. 1817; Fir. 1845].
' Ciel [Fir. 1845].
" che, [Mil. 1817; Fir. 1845].
« Troia [Fir. 1845].
'» spenta, [Mil. 1817; Fir. 1845].
" ancor [Mil. 1817; Fir. 1845].
'* rjlunrjera, [Mil. 1817; Fir. 1845].
'=• tinto; [Fir. 1845].
'* Innanzi gli [Mil. 1817; Fir. 1845].
" innanzi l'are [Mil. 1817; Fir. 1845]. .
♦ Nell'ediz. milanQg© leggesi: tu', ma, certo, per errore.
84 ENEIDE
Il padre svena. A' questo dunque immune,
Alma mia genitrice, infra le fiamme
Infra' ^ teli m' hai scorto, affia a fin che in mezzo
A mie stanze il nemico • af a. fin che Gildo Julo
il genitore e
E il padre seco il padre e sec presso lor Creusa
Trucidar mi vedessi innanzi a(/U a gli occhi (mirassi.
Biondi non miri)
L'un sul sangue de l'altro. ^ Armi '* qua l'armi.
Vinti a morte ne chiama il giorno estremo.
Rendetemi a gli Achei, lasciate a nuova
Pugna volarmi. Ah non ha ver che tutti
E già rivesto
Oggi inulti moriamo. E già in questa In questa, il ferro
L'armi, e lo scudo
Cingo di nuovo e co "' la manca imbraccio,
Lo scudo E parto. Ecco Creusa in su la soglia
Ferma si stava, Attraversata i pie '^ stringeami ' e Julo
Il pargoletto appresentava al padre.
S'a morir vai, teco noi traggi a tutto.
Se speme ha? pur ne l'armi, e il sai per prova.
Guarda in. _
Pria difendi prima tua casa. Il piccol figlio
Cui lasci e il padre e me ^ tua detta un tempo !°
Cosi gridando ^^ la magione empiea
Tutta di pianto. Allor che uno stupendo
Prodigio a un tratto appare. Ecco tra i baci
Dei genitor afflitti E tra gli amplessi de' parenti afflitti '
' Infra [Mil. 1817; Flr. 1845].
' nemico, [MIL 1817; Fir. 1845].
3 altro? [Mil. 1817; Fir. 1845].
^ Armi, [Fir. 1845].
^ con [Fir. 1845].
« pie [Mil. 1817; Fir. 1845].
' stringeami, [Mil. 1817; Fir. 1845].
« me, [Fir. 1845].
» tempo? [Mil. 1817; Fir. 1845].
i« gridando, [Mil. 1817; Fir. 1845].
" afflitti, [Mil. 1817; Fir. 1845].
ENEIDE 85
lieve sfavillar
La somma cima sfiorar del capo
Al fanciullin si vede ^ e mollemente
Circa le tempie ei^ando senza offesa errando ^
Lambir le chiome ^ e pascere una fiamma.
tremar; * 1'
Noi pavidi tremiam. i'acceso crine
Scuotere ^
Scuotiamo ed acqua ad ammorzar la santa
versar.
Fiamma rersiam. Ma il genitore Anchise, ^
Allor Lieto le palme sollevando e gli occhi
Al cielo, " 0, disse, onnipotente Giove,
Se da prego sei mosso, or noi rimira, ^
Ciò sol ne basta, o padre, indi se il morta
Nostra pietà, dacci soccorso, e questo
Segno conferma. Di pregar non prima
Ebbe finito il veglio, che da manca
Tuonò Tonò subitamente, ^ ed d una stella
sereno, '*>
Dal ciel caduta^ corse giù '^ fra V ombre traendo
Face e splendore assai, per mezzo a l'ombre.
De la magion sopra le somme vette
Noi passar la vedemmo '* e ne l'Idea
Selva celarsi luminosa. Appare
Di suo sentier la traccia, un lungo solco
> vede, [Mll. 1817; Flr. 1815].
2 errando, [Mll. 1817; Flr. 1845].
3 chioma* [Mil. 1817]. — la chioma [Flr. 1815].
* tremar, [Mil. 1817; Flr. 1845].
•■' Scuotere, [Mll. 1817; Flr. 1845].
« Anchise [Mll. 1817; Flr. 1845].
' cielo: [Mll. 1817; Flr. 1845].
« rimira; [Mll. 1817; Flr. 1845].
*•' suhitamente ; [Flr. 1845].
'" caduta, [Mll. 1817; Flr. 1845].
" giù, [Mll. 1817; Fir. 1&15].
'■^ vedemmo, [Mll. 1817; Fir. 1845].
* Errata Corrige. — Pag 42, V. 12: le chioma corr. : le chiome
(Bibl. di Macerata)
86 EKEIDE
Splender si vede, e tutti intorno i luoghi intorno
Mandan sulfureo fumo. Or vinto il padre ^
Al ciel si volge, e favellando ai mmii Dei -
La santa stella adora. Indugio alcuno
Più non trapjDongo '^ ornai : vi seguo ; vengo
Ove che mi meniate. 0 patrii Dii numi ^
Salva per voi sia» la magion, per voi
Salvo il nipote Io cedo . È •'' vostro il segno : è Troja ^''
In poter vostro. Io ~ cedo, o figlio, e teco
Di venir non ricuso. E' ^ detto aveva ^
strepitar
E per le mura fjih più chiaro s'ode
Già la rincendio
La fiamma strepitar s'udia, già più da presso
Ne s'avventava la cocente vampa.
Su dunque, o padre amato, or mi ti reca
Sul collo, io porterotti ^^ e già tal peso
Non graverammi ; e' ^' sia che puote : un fia
D'ambo il periglio e la salute. Al fianco
i miei vestigi
Mi Vengami il parvo Julo, '- e piìi lontano
più lontano : '^ e voi,
Calchi Creusa i miei vestigj. Or voi
Servi, al mio dir ponete mente. E fuori
De la cittade un collicello ^^ e un tempio
1 imdre, [Mil. 1817; Flr. 1845] .~
2 Del, [Mll. 1817; Flr. 1815].
3 trapowjo [Mll. 1817; Flr. 1845],
^ Numi, [^rll. 1817; Flr. 1815].
" ; è [Flr. 1845].
« Troia [Flr. 1845].
' : io [Flr. 1845].
« Ei [Flr. 1845].
« aveva, [Mll. 1817; Flr. 1845].
^"^ porterotti, [Mll. 1817; Flr. 1845].
" e [Flr. 1845].
'2 Jido; [Mil. 1817; Flr. 1845].
1" lontano, [Mll. 1817]. — lontano; [Flr. 1845].
1* collicello, [Flr. 1845].
ENEIDE 87
Deserto^ antico- a Cerer sacro: ^ a cui •
Un vetusto cipresso alzasi a canto
Venerato da' padri * e ^:)er già per già molt'anni
Servato. A "^ questo per diverse vie
Tutti verrem. Tu, jiadi-e, in man ti reca
La Le sauté cose e i patrj Dei. Toccarli ''
Non lice a me, "^ da tanta guerra e strage
Pur ora uscito, ove non prima in viro asterso
Abbiami vivo fiume. In questo dire ^
Fiume siami purgato: mi purghi (anche il Caro: jrria
che mi lave in vece di mi abbia lavato '^)
M' ho de la veste e de la fulva pelle
Di lion ^ ricoperto il collo e gli ampj ^^
Omeri ^^ e al peso mi soppongo. Ascanio
Imjy II pargoletto impigliami la destra ^- **
E con passo inegual mi segue. Appresso, ^^
Viemmi Creusa. Andiam per luoghi oscuri,
E me ^* cui già pria non avventati dardi
Non mosser Greche dense opposte schiere squadre ^^
Ora ogni aura atterrisce '^' ogni remore
» Deserto, [Mll. 1817; Flr. 1845].
2 antico, [Mil. 1817; Fir. 1845].
^ sacro] [Fir. 1815].
* 2)adrl, [Flr. 1845].
5 : a [Flr. 1845].
« ; toccarli [Flr. 1845].
7 me [Mll. 1817; Flr. 1845].
« dire, [Mll. 1817; Flr. 1845].
« IXon [Mll. 1817].
"' amin [Mll. 1817; Fir. 1815].
•' Omeri, [Mll. 1817; Flr. 1845].
''' destra, [Flr. 1845].
*^ Appresso [Mll. 1817].— : appresso [Fir. 1845].
'^ me, [Mll. 1817; Flr. 1845].
'^ squadre, [Mll. 1817; i'^ir. 1845].
*« atterrisce, [Mll. 1817; Flr. 1^45].
* Infatti, il Caro scrisse:
toocar non lere
Pria che ili vivo fiume onda mi lavp.
iOp. cit., pAg. 98.)
** Forse voleva scrivere:
88 ENEIDE
Scuote ed inforsa ^ pel compagno e il peso
Del par tremante. Ed alle a le porte ornai
e aver credea
Era mi vicino - e mi parca già tutta
Superata la via, quando mi parve
Udir subito, spesso calpestio ^
E per mezzo a le tenebre guardando ^
Esclama il padre : figlio, ^ figlio, fuggi,
Son presso, veggo il luccicar de l'armi
E de gli scudi, Allor non so qual Dio
e o ^ o
Nimico la fu che pavida confusa
Mente A me mi tolse ; ^ poi che mentre uscito
Fuor del noto sentiero, occulti calli
Seguo correndo, ahi ^ la consorte mia ^
La mia Creusa i' persi; o che da fato
Miserando rapita, o per lassezza
Ristata fosse, o traviata ^^ errasse ; ^^
Come non so : ma poscia più non parve ;
E per mirarla io non mi volsi '^ e mai
Ne mi volsi a vederla (a, ha forza anche di per) ne
m^ accorsi
Di ciò ch'era m'avvidi '^ insin che giunti
Del caso pria ch^ allora quando giunti
De la vetusta Cerere non fummo
Fummo del tempio antico al santo poggio^
^ inforsa, [Fir. 1845].
2 mcino, [Mil. 1817; Fir. 1845].
^ calpestio, [Mil. 1817]. — calpestio] [Fir. 1845].
* guardando, [MIL- 1817; Fir. 1845].
" Figlio, [Mil. 1817; Fir. 1845].
« pavido, [Mil. 1817; Fir. 1845].
'' tolse: [Mil. 1817; Fir. 1845].
« ahi! [Mil. 1817; Fir. 1845].
« mia, [Mil. 1817; Fir. 1845].
'« traviata [Mil. 1817].
" errasse, [Mil. 1817; Fir. 1845].
^2 volsi, [Mil. 1817; Fir. 1845].
^3 m'avvidi, [Mil. 1817; Fir. 1845.]
ENEIDE 89
Al santo sacro poggio. .
Quivi iìisiem. Quivi tutti finalmente accolti, ^ *
Sola manconne, ed il i compagni e il figlio
E il consorte deluse. Allora insano
Qual Dio 2 qual uom non incolpai, ? qual vidi
Ne la strutta città caso più diro?'^
Ascanio e il padre Anchise, * e i Teucri numi ^
Ai compagni accomando ^ e ne la curva
inver la inura io torno
Valle ripongo : e a la città rivado
Cinto de l'armi rilucenti;, e fermo
Di rinnovare ogni vicenda ^ e tutta
Troja ^ correr di nuovo, ed a gli estremi
Perigli espormi. In pria mi volgo ai muri
Ed a la cieca porta ond'era uscito, ^
E seguo e cerco per la buja ^^ notte
Co ^^ gli occhi intenti i miei vestigi istessi
Già nel venir segnati. Orror dovunque ^^
Silenzio pur l'alma spaura. Io torno
Quindi a la casa a ricercar se fosse
Ivi a sorte venuta. Invasa e piena
L'aveano i Greci gli Achei. L' ingorda fiamma ratto
Al vento s'alza tortuosa, e il sommo
' accolti [MiL 1817; Flr. 1845].
* Dio, [MiL 1817; Flr. 1845].
3 duro?** [M^. 1817; Flr. 1845].
* Auchise [MIL 1817; Fir. 1845].
' Numi [MiL 1817; Flr. 1845].
^ accomando, [Flr. 1845].
' vicenda, [MiL 1817; Flr. 1845].
« Troia [Fir. 1845].
» uscito,- [Fir. 1845].
^» buia [Flr. 1845].
» Con [Flr. 1845].
*2 dovunque, [MiL 1817; Flr. 1845].
* Il verso da prima era il seguente :
Quivi insiem tutti finalmente aconiti
** Errata corrige: — Pag. 45, v. 9: duro corr.: diro
(Bibl. di Macerata.)
90 ENEIDE
Tetto sormonta, ^ furiar - per l'aria
S'ode l'incendio. Inoltromi e la rocca
E la reggia rivedo. E già nel tempio
Sfcavan di Giuno, ^
A G'mnoìi sacro e ne le vote logge ^
Custodi eletti de la preda ^ il fero
Stavan la pregia a custodire eletti
Laerziade e Fenice. Ivi ammontate
Son le Teucre dovizie ; e dagli da gì' incensi
Penetrali de' numi ^ e d'ogni banda
Là tratte son le sacre mense e i vasi
Di solid'oro e le rapite vesti.
Fanciulli intorno e paurose madri
Stan quivi in lunga fila. (Alfieri) Ardii pur anco
empiere
Gridar fra le temp tenebre, ~ empiendo i calli empien
Di lamentanza, e mesto invan ^ più volte
Creusa ^ ahimè '^ Creusa mia cliiamai!*^
Mentre la cerco ^^ e per senza fine errando
Vo per le case forsennato, apparmi
Il simu miserando simulacro e l'ombra
Di Creusa '^ maggior che pria non era.
Istupidii, rizzossi il crine, ste' ^^
Ne le fauci la voce. Allora a dirmi
Prese Pres'ella e a consolarmi. ^^ A che ti lasci
' sormoìita; [Mil. 1817; Flr. 1845].
'' furiar [Mil. 1817J.
3 Giuno [Mil. 1817; Flr. 1845].
-* logge, [Mil. 1817; Fir. 1845].
^ preda, [Mil. 1817; Fir. 1&45].
« Numi [Mil. 1817; Fir. 1845].
"' tenèbre, [Mil. 1817].
« in van [Mil. 1817 ; Fir. 1845].
» Creusa, [Fir. 1845].
»" ahimè! [Mil. 1817; Fir. 1845].
» chiamai. [Mil. 1817; Fir. 1845].
^'' cerco, [Mil. 1817; Fir. 1845].
*■'' Creusa, [Fir. 1845].
" stè [Mil. 1817; Flr. 1845].
^^ consolarmi: [Mil. 1817; Flr. 1845].
ENEIDE 91
Si trasportar da folle affanno, o dolce
Consorte mio? Senza voler de' numi ^
Questo già non t'avvien. Quinci (Caro ^) Creusa
Portar compagna a te non lice : il vieta
Del sommo D'Olimpo il sommo rege.^ Esiglio lungo
Soffrir tu ti converrà, solcar gran mari; [Caro'^'^)
In Esperia n'andrai dove tra genti
E feraci campagne il Lidio ^ Tebro
Volve sue placid'onde. Ivi beata beati da' numi *
Placido corre. Ivi fortuna e regno
Lieta ventura a te
E regno sorte da' numi ti s'appresta, •' e regno
E consorte regal. Di pianger lascia
La diletta Creusa. Io le superbe
Mirmidoni o le Dolopi '^ contrade
Già non vedrò. ~ Schiava a lor donne i Greci
Me non trarran, Dardania prole e nuora
che ^ mi ritiene
Alla A. la Ciprigna Dea: Ma la de' Numi
La gran madre de' numi •'
Gran parente ritienimi in queste piagge, (tiemmi.
Caro ***J
1 Numi [Mil. ISllfFlr. 1845].
'' Rege. [Mil. 1817; Fir. 1845].
3 Lido**** [Mil. 1817].
* Numi [Mil. 1817; Fir. 1845].
•^ s'appresta [Fir. 1845].
« Dòlopi [Fir. 1845].
' vedrò: [i^ir.. 1845].
« che [Fir. 1845].
» Numi [Mil. 1817; Fir. 1845].
* Allude a questo verso del Caro:
A te qì'hiri timi 1pi"p
Di trasiioi'tarnii
{Gp. cit., pag. 101.)
** Scrisse, in fatti, il Cako:
Che softVir lunghi essigli, arar gran mari
Ti converrà
{Op. cit., pag. 101.)
*** Allude a questi altri versi del Caro:
(he la fjran penitrir.' di>sli Dei
Appo Fé tiemmi ,
(Op. cit., pag. 102.)
*»»♦ fjy.f.f,ff, forrigr: — Pai;. 17. v, 1; Lido corr.: Lidio
[liibl. di Ma cerata)
92 ENEIDE
Or finalmente addio. Serba ^ l'amore {Caro*)
Del com^nun figlio : e ^ cosi detto ^ in leve
Aere conversa dileguossi, ^ e mentre
Piangendo i' pur volea dir cose assai •''
Abbandonommi. Allor tre volte al collo
mani avvincerle,^ tre volte
Tentai le braccia stenderle, (per ahhracc. Rabbi) tre ^
Indarno cinta mi faggi fuggimmi V imago ^
V ombra di man mano iiscimmi indarno cinta;
Pari a fugace sogno e ad aura leve.
Cosi la notte consumata invano ^
Riveggo il poggio. Ivi gran copia accolta
Di novelli compagni, e madri e sposi
Presti a l'esiglio ; ^ miserabil volgo ^^
Meravigliando trovo. Eransi addotti
Là d'ogni banda, a me seguir dovunque
Irne pel mar volessi, alme, ^^ e ricchezze
Pronte recando. E già su le somme vette
D'Ida già l'astro mattutin sorgea ^^
E menavane il giorno. I greci ^'^ intanto
Custodivan le porte ^^ e speme alcuna
D'aita non avea. Cessi ^•' e ritolto {Cessi. Biondi)
Sul collo il padre, a la montagna ascesi.
' : serba [Flr. 1845].
* . E [Fir. 1845].
« detto, [Mil. 1817; Fir. 1845].
* dileguossi; [Mil. 1817; Fir. 1845].
« assai, [Mil. 1817; Fir. 1845].
« avvincerle; [Mil. 18L7; Fir. 1845].
' imago, [Mil. 1817; Fir. 1845].
« invano, [Mil. 1817; Fir. 1845].
" esiglio, [Mil. 1817 ; Fir. 1845].
^« vulgo [Mil. 1817; Fir. 1845].
" alme [Mil. 1817; Fir. 1845].
'■' sorgea, [Mil. 1817; Fir. 1845].
'■' Greci [Mil. 1817; Fir. 1845].
'* porte, [Mil. 1817 ; Fir. 1845].
»^ Cessi, [Mil. 1817; Fir. 1845].
ENEIDE 93
Versi n. 1068. cioè 264 più che nel testo, e 226. circa
meno che nella versione del Caro.*
Dei 12. libri della Eneide 4. sono men lunghi del 2.*^''
e tra questi uno di un intero centinajo, 7. più lunghi e
tra questi 3. di pochi versi, e 4. di un intero centinajo
circa, tra' quali uno di un centinajo e mezzo.
>^ Crusca. Avvinghiare: Tre volte mi sforzai d'avvin-
ghiare le mani al collo. - Avvincere. Le tue braccia il mio
collo avvinsero. Tre volie dietro a lei le mani avvinsi. **
♦ Nel computo del Leopardi ci ha non per tanto un errore di
calcolo, che i lettori potranno di leggieri verificare.
** Vedi la chiamata a pag. 92, cui questa nota si riferisce.
INNO A NETTUNO
Un quadernetto di 20 facciate interamente scritte (coper-
tina verdognola). — Di quest'/wno conservasi anche una copia
di pugno della contessa Paolina (un quadernetto di sei fac-
ciate, di cui l'ultimo mezzo foglio e l'ultima facciata sono
in bianco), mancante però delle note; copia, che, certo, fu
condotta sull'autografo che qui fedelmente riproduciamo.
INNO A NETTUNO
di datore incerto
Fsoaov 5È Ihoì-r y.aÀÀiatov, àoiSi^
Tcocr. Idill. 22. rerso' u?<.
Lui clie la terra scuote, ceruleo il crine a can-
[tar prendo
Azzurro il crine -
Cantiam Nettuno che la terra scuote '•'*
Lui cW azzurre ha le chìoìnc A cantare inco-
[miucio. ***
Ed ha ceruleo il crine. Alati preghi
A te, Nettuno Ke ^ (1), forza è clic indrizzi
' vers. [Spett. 1817: /•'//•. LSÌ5].
•^ crine, [Spett. 1817; Flr. 1815].
•'' re, [Flr. 1815].
* Xella copia che (XalV Inno fece la contessa Paolina, il titolo
è il seguente:
Inno a Nettuno attribuito ad Omero, Tradotto per la prima volta. Nello
Spettatore, poi, si legge : /n»o a Nettuno d'incerto autore nuovamente sco-
rto. Traduzione dal tjreco del conte Giacomo Leopardi da liecanati.
** Ecco un'altra variante di questo verso:
Questi due primi versi vanno letti cosi:
Lui chf la terra SL-uote, azzurro il (-riiie,
A '■niit iri' iii'-omiii'-in. Ahti iin'i;hi
98 INNO A NETTUNO
Il noccliier faticlievole che corre
Il Su veloce naviglio il vasto mare,
Se campar brama dai sonanti flutti
E la morte schivar : che ^ a te l'impero
Del pelago toccò, da che nascesti
Figlio a Saturno ; - e al fulminante Giove
Fratello e al nero Fiuto. E E-ea la Diva
Dal vago crin ti partorì, ma in cielo
Non già: che''' di Saturno astuto nume ^
Gli sguardi paventava. Ella discese
Alla A la selvosa terra, il petto carca
D'acerba doglia, e scolorite avea
Le rosee guance. Mentre il sole eccelso
Ardea su le
Snìle montagne i verdi boschi,
E sul caldo terren s'abbandonava
L'agricoltor, •'''
Il legnajnol. cui spossatezza (irea invaso*
Avea le membra, '' (poi che di Semele
Il Dal sen ricolmo, ' nato ancor non era
i a gì'
Il figlio alto-sonante, ed agV industri
Mortali sconosciuto era pur ^ anche
Il vin giocondo che vigore apporta) ^
Ella s'assise a 1'** ombra, e come uscito
» che [Flr. 1845].
'' Saturno, [Spett. 1817; Flr. 1815].
« che [Spett. 1817].
-^ Nume [Spett. 1817; Flr. 1815].
•• afjrkoltor [^'pett. 1817; Fir. 1845].
« membra [Spett. 1817; Flr. 1845].
' ricolmo [Spett. 1817; Flr. 1845].
« per [Spett. 1817; Flr. 1845].
^ apporta), [Spett. Vòil]. — apporta). [Flr. 1815].
* Nella copia della contessa Paolina leggesi:
I,";ii,n'ic<iitor fili spossatezza invase
Avi'a le iiicnilira
** Ugualmente uir in vece di a V
IXNO A NETTUNO 99
del *
Fosti dal suo grand' alvo, ti ripose
Su le
Sulle ginocchia assai piangendo, e pi-eghi
0 renerand Porse alla a la T'erra e al a lo stellato
[Cielo :
0 Terra veneranda, o Cielo padre.
Deh riguardate a me, se pure è vero
Che di voi nacqui, e questo figlio mio
Da r ira di Saturno astuto nume
Or mi salvate, si ch'egli noi veda ^
E questi ben ricresca e venga adulto.
Cosi pregava Eea di belle chiome,
di fresco nato, in core
Poi che per te temeva e jì^i' ?^ nato
Sentia ^ gran tema (2) : e per gli eccelsi monti
Ed il profondo mare errando giva
L'eco romoreggiante. Udilla il Cielo
E la feconda Terra, e nera notte ^
Venne sul bosco, e si sedè sul monte.
Ammutirono ^ a un tratto, '^ e sbigottirò
1 volatori della de la ** selva, e intorno
Con Co '' l'ali stese s'aggirar vicino
Al basso suol. Ma t'accogliea ben tosto
La Diva Terra fra sue grandi braccia. (3) ~
' veda, [Spett. 1817; Flr. 1815].
'' Sentia [Siyett. 1817; Flr. 1815].
•■' Notte [Siìett. 1817; Flr. 1845].
* Ammutarono^^-** [Sitett. 1817; Flr. 1845].
•■* tratto [Spett. 1817; Flr. 1845].
« Con [Flr. 1845].
^ braccia (3), [Spett. 1817]. — hran-la; [Flr. 1845].
* Nella copia della contessa Paolina leggesi: dal
*** „ n n n ! Amìiiutaroìio
100 INNO A NETTUNO
Né Saturno il sapea, che ' nera notte -
Era su la montagna. E tu crescevi,
Ile dal tridente d'oro, ed in robusta
Giovinezza venivi. Allor che voi
Di Rea leggiadra figli e di Saturno,
Tutto fra voi partiste ; '•' ebbesi Giove ^
Che i nembi aduna, lo stellato Cielo:
Il mar ceruleo tu; s'ebbe Plutone
I)eW De V * Averno le tenebre. Ma tutti
Tu della de la terra scotitor vincevi.
Salvo Giove e Minerva. E chi potrebbe
Coli' Co ^ V Olimpio cozzare impunemente ?
Il cielo ** tu lasciasti,- e teco scese il figlio
Della De la bianca Latona in terra scese, :
Ed al superbo Laomedonte alzavi
Tu cleW de l'ampio Ilion le sacre mura, ^' (4)
Mentre ne' boschi opachi e nelle ne le valli
JJjW De l'Ida nuvolosa, ~ i neri armenti
Febo Apollo pascea: ma Laomedonte,
Compita l'opra tua, la pattuita
Mercede ti negò: stolto, che*'' l'onde
Biancheggianti del pelago spingesti
sormontar '"
Contr' Ilio tu, ^ (5) che soverchiar le mura
Con gran frastuono mormorando, e tutta
» clic [Spctt. 1817; Flr. 1845].
-' Notte [Spctt. 1817: Flr. 181Ò].
"" partite, [Hpett. 1817: Flr. 181-5].
■^ (ilooc, [Spctt. 1817; Flr. I8i5].
•^ Con [Flr. 18151
" mura {4), [Spe't. 1817]. — mirra; [Flr. 1815].
' nuvolosa [Sjìcti. 1817; Flr. 1845].
« che [Fir. 1815].
'-> tu (5), [Spctt. 1817].
''^* sormontaF [Flr. 1815].
* Nella copia della contessa Paolina si logge: Dall'
*=* „ „ . , : Cielo
INNO A NETTUNO lOl
Empierò la città di sabbia e limo, ^
Co' prati,'-* e lo
C(.n le campagne e l prati. E tal preiulesti/ta-^'.s/i
Del fier Laomedonte aspra vendetta I>
Ma qiial cagione a tenzonar ti mosse
Con Palla Diva occhi-cilestra? Atene
La Cecropia città: ^ jìoi eli' appellata
Tu la volevi dal tuo nome, e Palla
Il suo darle voleva. E la •' ti vinse :
Che colla co ^ la lancia poderosa il suolo
Percosse' e uscir ne fé' '"^ virente olivo
Di rami sparsi. Ma tu pur fiedesti
La diva Terra ^ col tridente d'oro ^^
E tosto fuor n'usci destrier cli'avea
Florido il crine: '' ((>) onde a te diero i fati
I cavalli domar veloci al corso.
i pastori Pan.^-** gli arcieri Febo ;, ***
Ama Febo i canto vi: a Marte (irati
Cari a Vulcano sono i fabbii ; , '^"•"="-' a Marte
Gli eroi gagliardi in guerra ; ,'^"-'-'"-'''' i cacciatori
A la vergine Cinzia. A te son grati
I domatori de' cavalli: '-^ e primo
' limo [Spett. 1817: Flr. IRl-".].
- prati [S2)etf. ISIT: Fir. ISI.')].
•■' vendetta. [Spett. 1817; Flr. 1845^.
* città, [Siìett. 1817: Flr. 1815].
' Ella [Flr. 1815].
« con [Fir. 1815].
' Percosse, [Fir. 1845].
« fé [Flr. 1845].
« terra [Spett. 1817: Flr. 1845].
'« oro, [^pett. 1817: Flr. JS45].
" crine (6): [Spett. 1817].
''^ I pastori ama Pan, [Spett. 1817: Flr. 181-5].
" cavalli; [Spett. 1817; Fir. 1845].
* Nella copia della con.""" Paolina dopo prati non ci lia la vir^^ola.
** „ „ dopo Pun ci ha un punto e virgola.
*** ^ ,1 il punto e virgola dopo Febo è con-
servato.
^*** Ugiialmente dopo /uhi, ri.
!<**♦ Ugiialmente dopo guerra.
102 INXO A NETTUNO
Tu della de la terra scotitor possente
A?' chiomati destrieri il fren ponesti. ' (7)
Salve *, equestre Nettuno. - (8) I tuoi cavalli
Van pasturando negli ne gli Argivi prati
Che a te sacri pur sono, ^ e colla co ■* la zappa
Il faticoso agricoltor non fende
Quel fatic terreno giammai, né coW co '' 1' aratro.
presti come
Ma ratti son ^jì^^ che gli alati augelli
I tuoi destrieri, ed erta han la cervice, '' **
ci *** trar li ^
Né c' ha ~ mortai che sotto il giogo possa innanzi
Al cocchio sotto il giogo, e co ■* le
Unqne condurli e reggerne le briglie
Reggerli, ^" e col flagello****
E col flagello guidarli e co ^^ la voce.
Qua! però delle de le *=^=*** ninfe a te dilette,
0 Signor del mare, io canterò ? la figlia
Di Nereo forse e Doride, Anfitrite?
0 Libia cinomi-bella ; ^' (9) o Menalippe
^ ponesti (7). [Spett. 1817].
2 Nettano (8). [Sjiett. 1817].
•'' so7io; [Flr. 1845].
4 con [Fir. 1845].
" con [Fir. 1815].
^ cervice; [Flr. 1845].
^ ci ha [Siìett. 1817; Flr. 1815].
* ti [S2)ett. lHll](evldentc errore di stampa). — trarli [Flr. 1845].
» con [Flr. 1845].
'•' lìcqfjerll [Spett. 1817; Flr. 1845].
" con [Flr. 1815].
'^ chloìiil-hella (0), [Spett. 1817]. — chloml-hella [Flr. 1845].
* La virgola dopo Salve manca nell'autografo della contessa
Paolina.
*" „ „ dopo cervice ci ha un pu.nto e virgola.
*** ,, ,, si legge : v'ha
**** ,, ,, dopo flagello c'è una virgola*
***** „ „ si le-'ge : (ielle
INNO A NETTUNO 103
Alto-succinta, • (10) o Alòpe; ^ * (11) o Calliròo
rosee
Di .sette guance, 'MI 2) o la leggiadra Alcione,
e
0 Ippotoe, (13) 0 Mecionica, * (14) o di Pitteo
La figlia, Etra occhi-nera, -^ (15) o Cliione, (IG) od
[Olbia; «(17)
0 l'Eolide Canace, ' (18) o Toosa
Dal vago piede, ^' (19) o la Telchine Alia, ^(20)
Od Amimone candida, ^'^(21) o la figlia
D' Epidanno, Melissa ? (22) E chi potrebbe
Tutte nomarle? e a noverar chi basta
1 figli tuoi? Cercion feroce, Eufemo, ^' (23)
Il Tessalo Triòpe, ^^(24) Astaco, i- e Rodo ^'
Onde nome ha del Sol l'Isola sacra, ^^ (25)
E Teseo, '•^(2G) et ^" Alirrozio; '•'^ (27) ed il possente
Triton,!^ (28) Dirrachio, ^o (29) e il battaglioso Eu-
[molpo, ^1 (30)
1 Alto - succinta (10), [Spett. 1817J.
■' Alope (11), [Spett. 1817].
"" r)aance.(12), [Spett. 1817].
•* Ippotoe (13), o Meclonìce (14), [Spett. 1817].
'=' occhi-nera (15), [Spett. 1817].
« CUonc (16), od Olbia (17), [Spett. mil]. — Olbia, [Fir. 1845].
■ Canace (18), [Spett. 1817].
*• jAede (19), [Spett. 1817].
•' Alia (20), [Spett. 1817]. — Alia, [Fir. 1815].
'•» candida (21), [Spett. 1817].
" Eufemo (23), [Spett. 1817].
'■' Triòpe (24), [Spett. 1817].
'•' Astaco [Spett. 1817; Fir. 1845].
'•* Rodo, [Spett. 1817: Fir. 1815].
>■' sacra (25), [Spett. 1817].
'« Teseo (26) [Sjyett. 1817]. — Teseo [Fir. ■^>^\->\.
'" ed [Spett. 1817; Fir. 1845].
'^ Alirrozio (27) [Spett. l'^ll]. — Alirrozio [Fir. 1815].
'" Dirrachio (29) [Spett. 1817]. — Dirrachio [Fir. 1845].
^'' Triton (28), [Spett. 1817].
2' Eumolpo (30) [Spett. 1817]. — Knninl,,n 'Fir. 1S15;.
* Nella copia della ".ontcssa Paolina dopo Alòpc ci ha una virgola.
104 INNO A NETTUNO
E Polifemo a nume ugual. ^ (31) Ma questo
Cauto è meglio lasciar, che spesso i tigli
di duolo lutto.
Cagion furouo a te d'acerbao doglia.
Polifemo de l'occhio il saggio Ulisse
lu Trinacria fé'" cieco: ^^(32) Eumolpo spense
In Attica Eretteo ; ^ ma tu ben vendetta
Tu ne prendesti, o Scoti -terra, e morto
Lui con un colpo del tridente, a terra al suolo
La casa ne gettasti. ^ (33) E Marte istesso
ImjHinemente non t'uccise il figlio
Alirrozio leggiadro : ^ (34) i numi * tutti
Lui concordi dannar. ' (35) Salve, o Nettuno
Ampio-possente : a te gì' Istmici ludi
E le corse de' cocchi e (lefjìi de gli Atleti
Son sacre, ^ e l'aspre lotte: e neri tori (30)
Li Trezene " (37) in Geresto ^'- (38) e in cento
[grandi
Città di Grecia ogni anno alV a l'are tue
Cadono innanzi; e nella ne la Doric/i ' Lstmo
Vittimo in folla traggono
Vìttime In folla. Traggono le turbe allegre turhe
[al tuo tempio tuo
^ urinai (31). [Sjìctf. 1817].
- fé [Fir. 1845].
^ 'cieco (32): [Spett. 1817].
"* Eretteo : [Fir. 1845].
"• (iettasti (33). [Spett. 1817].
« leggiadro (34): [Spett. 1817].
' dannar (35). .[S])ett. 1817]. — dannar'. [Fir. 1815].
** sacre; [Sj>etl. 1817].
« Trezene (.77), [Spett. 1817]. — Trezene, [Fir.] 1815].
^^ Pereste (38), [Sp)ett. 1817] (eoi'ìenfc errore di stampa). —
(Presto, [Fir. 1845].
* Neil' autografo della contessa Paolina numi è con lettera
maiuscola.
INNO A NETTUNO 105
Le allegre turbe.
Vittime in folla. 0 salve, ^ azzurro Dio, -
la terra circondi, alti-sonante,
Che tiitio cingi il i^iiol. gravi-fremente
Gravi-fremente.
Romoreggiante. I boschi su le cime
De le montagne crollansi, e le mura
De le cittadi popolose, e i tempj ^
Ondeggiano
Coìnmuovonsi persino, "* allor che scuoti
Tu col tridente flebile la terra,
E gran fracasso s'ode e molto pianto (39)
Per ogni strada. Né mortale ardisce
Immoto starsi, •"* ma per tema a tutti
Si sciolgon le ginocchia, e «//' a Tare tue
Corre ciascun, t' indrizza preghi, e molte
Allor S'offrono a te vittime grate. ^ (40)
Il tuo
Salve, o gran figlio di Saturno. In Ega
Lucente cocchio è in Ega, nel profondo
romoroso
Del fragoroso pelago: ~ (41) Vulcano
Tel fabbricò,: divina opra ammiranda.
Ha le ruote di bronzo, ed il timone
D'argento, e d'oro tutto è ricoperto
L' incorruttibil seggio. Allor che poni
Tu sotto il giogo i tuoi cavalli, e volano
Essi pel mare indomito ^ fendendo
> salve [Spett. 1817 ; Flr. ISir,].
- Blo [Spetl 1817: Flr. 1845].
templi [Spett. 1817; Flr. 1845].
"" perfino, [Spett. 1817; Flr. 1815].
^ starsi; [Flr. 1845].
« (jrate (40). [Spett. 1817].
'' pelago (41) : [Spett. 1817]
" Indomito,'' [Spett. 1817; Flr. 1815].
* Anche nella copia della contessa Paolina cV' una virgola dopo
indomito.
ioti INNO A NETTUNO
I biancheggianti flntti, e sui lor colli
Disperge il vento gli aurei crini; intorno
A te che siedi e il gran tridente rechi
Nelle Ne le divine mani, uscite fuori
De le case d'argento * a galla ' tutte
Le guanci-belle figlie di Nereo, - ^'^
Vengono tosto, e innanzi a te s'abbassa
L'onda/'^ e t'apre la via, ■^ né l'alza il vento;:
Che •"* tu del mar l' impero in sorte avesti.
chiamarti,*** o del tridente
Ma qual mai potrò dirti, o dei delfini
Agitatore? altri
Doiiiinatorf molti Eliconio, ''(42) e molti ed altri
T'appella??. Suniarato. " (4B) A Sparta detto
Sei Natalizio, ^ (44) ed Ippodromio a Tebe, ■' (45)
Chiamanti Elateri
In Atene Eretteo. i" (40) jyOnchestio molti
Molti' altri,**** '-(17) e molti di Trezenio, '•' (-18)
Ti danno il lìonie, o di Trezenio, o d' Istmio, ^' (49)
Ti danno il nome.
0 di Cinade. I Tessali Petreo
' gala [Spett. 1817]. (evidente errore di stanijia)
- Nereo [Sxìctt 1817; Flr. 1845].
■' onda [Spett. 1817; Fir. 1815].
^ via; [Siiett. 1817; Fiì\ 1845].
'' Che [Sjiett. 1817; Fir. 1845].
•' Eliconio (42), [^pett. 1817].
■ Suniarato f4H). [Speli. 1817].
"" Natalizio (44), [Spett. 1817].
» Tet^e (45), [Sj^ett. 1817].
'" Eretteo (46). [Spett. 1817].
^' Elate [Spett. 1817; Fir. 1845].
^■' Molti altri (47), [Spctt. 1817: /•';/•. IsJO].
'■' Trc-:enio (48) [Spett. 1817]. — Trezenio [Fir. 1845].
" Jstjitlo [49) [Spett. 1817]. — Minio [BHr. 1845].
* Nell'autografo della contessa Paolina c'è una virgola dopo
avjento.
** „ „ non c'è la virgola dopo Nereo
*** „ ,, non ci è la virgola dopo chiamarti
**** „ „ ugualmente dopo altri
INNO A NETTUNO 107
Diconti, ' (50) Oncliestio: -' (ni; ed altri pure
Chiamanti, ed altri Elate, ed altri Oiichestio^ Elate,
Egeo ti noma (52) e Cinade (53) e Fitalmio.^ (54)
10 dirotti Asfaleo, iwì che * salute
Tu rechi ai a' naviganti. "' (55) ,- A te fa voti
11 nocchier quando si s'alzano del mare
L'onde canute, e quando in nera notte
Percote i fianchi al ben composto legno
alti-sonante, "
Il flutto altisonante^ che s'incurva
Spumando, e stanno temj^estose nubi
Sulle Su le cime degli alberi, * ed al soffio e del
[vento
Mormora il bosco al soffio (orrore invade ingom-
[bra
/ petti Le menti de' mortali) ~ e quando cade
Precipitando giù dal ciel gran nembo
Sopra l' immenso mare. 0 Dio possente, "'^ j **
Che Tenaro (56) e la sacra Onchestia selva, ^(57
E M.icale, ^° (58) e Trezene, " ed il pinoso
' Diconti C50), [Sj^ett. 1817].
2 Onchestw (51), [Spett. 1817]. — Onchestlo, [Flr. 1815].
3 Fltalnùo (54). [Sj^ett. 1817].
* poiché [S2)ett. 1817; Flr. 1815].
^ navlfjantl (55). [S2>ctt. 1817].
^ altisonante [Speli. 1817].
' mortali), [Flr. 1815].
^possente [Spett. 1817; Flr. 1845].
" selva (57) [Spett. 1817]. — selva [Flr. 1845].
'" Mlcale (58) [Spett. 1817] — Mlcale [Flr. 1845].
" Trezenc [Spett. 1817; Flr. 184.Ò].
* Nella copia della contessa Paolina dopo alberi ci ha un punto e
virgola.
** Questo segno dell'Autore è un richiamo al leggitore perchè
vada all'ultima pagina, dove troverà i tre versi che seguono nella
loro ultima forma, che è quella da noi riprodotta. Il Leopardi,
avendoli più volte rifatti, e sempre cancellati, fu costretto (per
non avere più carta disponibilei a riscriverli noli' ultima imgina
del fascicoletto.
108 INNO A NETTUNO
Istillo,^ ed Ega, ' e Geresto(59) in guardia tieni,
Soccorri a' naviganti "^ e fra le rotte
Nubi fa che si scorga vegga il cielo azzurro
Ne la tempesta, e su la nave splenda
Del sole '^ o delia de la luna ** un qualche rag-
0 de le stelle, ed il soffiar de' venti
Cessi; e tu l'onde romorose appiana,
Si che campin dal rischio i marinaj. ■'
0 nume, salve, e con benigna mente
Proteggi i vati che de gì' inni han cura.
' Istmo [Fiiìett. 1817; Flr. 1845].
■-• Efja [%e«. 1817; Flr. 18 i5].
^ navlfiantl, [Sj.ctt. 1817]. — iiavhjautl; [Flr. 1815].
* ra(/(jlo [S2ìeft. 1817; Flr. 1&45].
^ marinai. [Sjìett. 1817; Flr. 1845].
* Nelhi coina della contessa Paolina sole è con lettera maiuscoli
INNO A NETTINO 109
NOTE
(1) A te > Nettuno Re.
A Nettuno davasi il nome di Ile da quei di Trezene. Si
veda la nota 37.
(2) Poi che per te di fresco nato, in core
Sentia gran pena tema.
Non ho saputo tradur meglio questo luogo, - ove l'Ori-
tolta
ginale ^ lia qualche difficoltà, ^ che forse vedremo appia-
via
nata nella Edizione Greco-latina'' di quest'Inno, la qual
farassi di corto, y **
(4) Ed al superbo Laomedonte alzavi
Tu dell' de l'ampio Ilion le sacre mura.
fabbricò
È noto che, secondo i poeti, Nettuno edificò le mura
di Troja dopo aver essere stato discacciato dal cielo con
Apolline per aver cospirato contro Giove: e però l'autore
parla delle fabbri dell'edifìcamento di quelle mura dopo aver
detto che Nettuno non potè vincere Giove né Minerva,
della quale fa parola appresso.
(5) L' ond e
Biancheggianti del pelago spingesti
Contr' Ilio tu, ec.
^ te, [Spctt. 1«17].
* liwijo
•' originale
* dljjicolta
^ edizione (jr eco-latina
* Non diamo qui le varianti che si riscontrano nell'ediz. fio-
rentina, perchè troppe, e troppo evidente l'arbitrio dell'editore.
** Nell'autografo manca qui la nota 3', e al luogo deHa modoi
sima ci ha il sogno che abbiamo riiirodotto, il quale servo da ri.
chiamo, come vodesi a pag. 114.
110 INNO A NETTUNO
Ovidio, Metamorfosi Libro XI. Favola^ 8:
=rz Non impune feres, rector niaris inquit, et omnes
Inclinavit aquas ad avarae litora Trojae,
Inque freti formam terras convertit, opesque
Abstulit agricolis, et fluvibus * obrnit agros. =-.
(6) E tosto fuor n'uscì destrier ch'avea
Florido il ci'ine.
Questo passo è interessante per chi ama la Mitologia. ^
E assai celebre la contesa,-^ ài cui j) a ri a fa qui menzione
il poeta'' e ne hanno parlato"' fra gli altri, Varrone presso
S. Agostino, Della Città di Dio Libro XVIII. Capo 9. ^'
Cicerone nella Orazione in difesa di L. Fiacco ; f** Plutarco
nella yf*** Simposiache Libro IX. ' Quistione VI. ■** Aristide
nella Panatenaica ; Eusebio nella Cronica ; Nonno nei libri
XXXVI. e XLIII. Twv" Aiovua'.ay.wv; Ausonio nel Ca-
talogo delle Città famose ; Proclo nel Comentario Comento
al Timeo di Platone ; e Menandro il Rettorico ; il Pseudo-
Didimo nelle note al Libro e il Comen l'antico Comenta-
tore d'Aristofane nelle note^*^ alle Nubi. •[***** Ora arde con-
troversia fra gli Eruditi, ^^ de' quali altri vogliono che Net-
tuno facesse uscir della terra, ^- acqua, altri che un cavallo.
' Uhro XI, favola
- mitologia.
■^ contesa
** poeta,
'' 2^(^rlato,
*"' Dio, libro XVin, cnjìo 9 ;
"' libro IX,
« VI;
^ "càv (evidente errore di stampa)
"> Note
'* eruditi,
'- terra
* Fluvibus anche nell'autografo, anziché, come dovrebbe leg-
gersi, fluctihus.
t** Plinio, libro XVI. Capo XLIV; (così nell'autojrafo)
tt*** vita di Temistocle, e nelle (idem.)
t**** Questo segno fu posto dall'autore quale richiamo a una
lunga aggiunta, che, riproducendo noi, come già avvertimmo, esat-
tamente l'autografo, il lettore troverà alla fine dell' /»j)?o.
INNO A NETTUNO 111
Per l'acqna è Apollodoro, i Biblioteca Libro III. - del quale
di cui ecco le parole: Hv.sv oOv'^ -pwTO? IIo'S'.owv (sìf*)
è t: l T yj V 'a t - '. y. 'i\ v . y. 7, l - À r^ ; a ? t r t p -, a i v t^ y. a - à |i é j r^ v
xf/V àx pó-oÀ'. V. aviry//3 l^-à À 7. ^ j y. v vj v vOv 'Epsy^ v>r^ io x
y. :zÀo'')ai =: Primo dunque Nettui\o venne nell'Attica, e
percosso col tridente il suolo nel mezzo della rocca, fó'
veduto il mare, ** che ora chiamano Erelteo ^r. Secondo
Varrone citato da S. Agostino, r= quum apparuisset •' re-
pente olivae arbor, et alio loco aqua erupisset, regera
prodigia ista moverunt : et misit ad Apollinem Delphicum
sciscitatum quid intelligendum esset, ^ quidve faciendum.
lUe respondit quod olea Minervam signitìcaret, unda Nep-
tunum :=. Lo Pseudo-Didimo nelle noie al Libro" XVII.
della Iliade ci dice ^ come Apollodoro, che II oasiòwv v.xi
5V 9- r< V a 71 £ p i -%~ \-~.'.y.r^^ 3 u i À 0 v 3 ■. y. e -j v y. 7 1 li 0 3 3 -. ò co 7
È -i T ^ ? à 'A p 0 - ó À 3 ro ? z'Ì^T Xz- : v. r^ - v. p 0 'j r 7 ^ t r - p '. 7 i v 7,
y. 0 H 7 !>■ 7 À a " - "/, r 3-0 : r^ r 3 v 7 v 7 ò 0 !)• r^ va'.* X !>• r//à oh 3 À a '.' 7 v
== Nettuno e Minerva lacean quistione per l'Attica : e Net-
tuno 2)ercossa dato nella rocca dell' Attica un colpo di
tridente,^ fé' spicciarne scaturirne acqua marina : Minerva
fé' uscir fuori un olivo :=. Nel Libro IX. Capo L ^^ della
Collezione Geoponica, l'avvenimento è narrato con qualche
differenza, poiché vi si legge che no-3'.$wv,.. À'.;j.éai y.ai
v£0)p io i ; xa'j tr,v^^ ('V' -óÀiv) iy. ó r;i3 -. ^— Nettuno ornolla
(la città) di porti e di arsenali z=z. A dir d'Igino, Tavo-
la i- CLXIV. = inter Neptunum et Minervam quum esset
orta contentio certatio, qui primus oppidum in terra At-
' Apollodoro;
•-' lib. HI,
■' oOv
■* mare
'"' apjìarulsset , . . .
" esset
'' libro
* dice,
" tridente
"* libro TX, capo I
" xz'jxr/j (evidente errore d'i .sf.nnjhi)
'•^ favola
* L's:? frt prima scritto, e, poi, caueellato.
112 INNO A NETTUNO
tica conderet, Jovem jndicem ceperuut. ^ Minerva quod
primum in ea terra oleam serit^ quae adliuc dicitnr stare,
secnndnm eam judicatiim est. At Neptunns iratus, eam
in eam terram, mare coepit irrigare velie; quod Mercurins,
Jovis jussn, id ne facei^et proliibuit =:. Quanta varietà di
sentenze intorno a un fatto così certo ! Sin qui però tutti
sono 79er l'acq in qualclie guisa per l'acqua, e nessuno
pel cavallo. Erodoto i^ure Similmente Erodoto nel Libro '^
Vili, afferma che nella rocca d'Atene avea un tempio in
cui si vedeasi un olivo, ^ e dell'acqua marina postevi, a
detta degli Ateniesi, da Nettuno e da Minerva. Ne altra-
mente Pausania ci conta che nella voc in quella rocca
erano
erano frc s 71 o : r, "c a 'f' )'/.-/.''. 7 ò z 'j t ò v ~ r, ^■' è À a i a S 'A B r^ v à, ■/. y. ':
% 0 |i X à V a 9 a 0 V w v ** II 0 a 3 i ò tò v : i simulacri di Minerva
e di Nettuno che facean comparire '' ([nella un olivo, e
questo acqua =-. Battista Egnazio dunque nel Capo ~ Vili,
del Libro *^ che intitolò = Uacemationes = credè conchiu-
dere a buon dritto che Nettuno nella contesa avuta con
Minerva le' uscir della terra acqua e non un cavallo.
Ma Virgilio dice a chiare note il contrar l'opposto nel
principio delle Georgiche, invocando Nettuno:
=: Tuque o '•' cui prima frementem
Fudit equum magno tellus percussa tridenti,
Neptune. '" =
' coeperunt (evidente errore di stamjìa)
^ sevit {lezione da jìrefcrirsi a quella dell' auto(jra/o)
' libro
■* olivo
^' xr^S
" comparire,
^ capo
** libro
^" Xcptnnc:
* La parentesi indica anche qui che la parola fu cancellata.
** Così anche nell'autografo, anziché, come dovrebbe leggersi,
INNO A NETTUNO 113
Dove alcuno vorrebbe leggere : ^ = Fudit aquam = . -
ma invano, che noi permettono i Codici. Servio-^ spie-
gando questo passo, espone tutta la favola cosi: = Cum
Neptunus et Minerva de Atlienarura nomine contenderent,
placLiit diis ut ejus nomine civitas appellaretur, qui mu-
nus meJius mortalibus obtulisset. Tunc Neptunus, per-
culso littore, equum, animai bellis aptum produxit: Mi-
nerva, jacta basta, olivam creavit : quae res est melior
comprobata, ut pacis insigne. Ut autem modo Neptunum
invocet, causa ejus muneris facit, quia de equis est dictu-
rus in tertio: alioqviin incongruum est, si de agricultura
locuturus, * numen invocet marie. Equum autem a Nep-
tuno progenitum alii Scythium, alii Syronem, alii Ario-
nem dicunt fuisse nominatum : "^ (e quanto al nome di
Arione, veggasi appresso la nota il luogo di Stazio nella
nota 7.) et ideo dicitur equum invenisse, quia velox est
ejus numen et mobile sicut mare =. L'autorità d'Ovidio,
Metamorfosi Libro VI. Favola III. ^ è controversa. Egli
dice descrivendo una tela tessuta da Pallade:
= Stare Deum pelagi, ~ longoque ferire tridente
A spera saxa facit, rriedioque e vulnere saxi
Exsiluisse ferum, quo pignore vindicet urbem. =
Ma altri sostiene che per = ferum =: si ha a leggere :
= fretum =:. Stazio, Tebaide Libro ^ XII. non parla di
cavallo, ma di mare:
= Ipse quoque in pugnas vacuatur Collis, ubi ingens
Lis superum, dubiis donec nova surgeret arbor
Rupibus, et longa refugum mare frangeret umbra.
Ma Luttazio Placido il suo Comentatore, " Luttazio Pla-
' leggere
* aquam =
^ Servio,
* locaturus, (evidente errore di stanqm)
* nominatum
" libro VI, favola 3,
' pelagi
* libro
® comentatore
114 INNO A NETTUNO
ciclo scrive cosi : ^ :^ Acropolin dicit arceni Tkeharum :
leggasi Atlienarmii de qua Neptuno et Minervae dici-
tur fuisse certamen. Percnssa Neptuno terra equum
dadit indicium belli ; Minerva vero olivam, ^ pacis in-
signe. =
^' Il Benedetto Averani nelle sue Dissertazioni sta tiene
anch'esso dal cavallo. Quest'inno'^ avrebbe potuto fornir-
gli somministrargli una prova di più, molto valevole, se
egli l'avesse conosciuto.
tenga
** (3) Pare che il 2^0 età non faccia conto della favola,
secondo la quale
(H) Ma t'accogliea ben tosto
La diva Terra fra sue grandi braccia, oc.
Pare che il poeta non tenga conto della favola, secondo
la quale Nettuno fu cresciuto da alcuni pastori.
^7) Onde a te diero i fati
I cavalli domar veloci al corso
E primo
Tu, * della de la terra scotitor possente,
A' chiomati destrieri il fren ponesti.''
È noto che gli antichi teneano Nettuno ìion solo per
Dio non solo del mare, ma anche dei cavalli, dei cava-
lieri e dell'arte del cavalcare, dei giuoclii equestri e
dell'arte equestre, della quale Sofocle, Pausania nel Li-
bro ^' VII. e, a quel che sembra, il nostro poeta, ' \o fanno
inventore. Panfo Ateniese, antichissimo Scrittor *^ d'inni,^
lo chiama presso Pausania, 'i~~ fo v òoxripx :=z dator dei ca-
* cosi;
'^ olivani
^ Inno
^ Tn
•'' 2ioncstl , ..
* libro
' poeta
^ scrlttor
" Inni,
* Nello Spctlaforc, a qnesto laoT;o, non si va da capo.
** Vedi a pag. Kl9 (contronota **) di questo volume.
INNO A NETTCNO 115
valli =; e Pindaro nell'Ode Olimpica XIII. ^ \'x\xxìov
71 xzkpx =-- Padre domatore =:r ; y * Omero fìnge che Net-
tuno donasse a Peleo i cavalli die poi furono di d' - Achille.
Nestore nel Libro -^ XXIII. della Iliade dice ad Antiloco :
'A V - ìa e, •/' r^-oi j_i i V 32 V é 0 V tì £ p è ó v t' è'^ i À v; a a v
Z 2 ù S T ; ' II G :; 2 '. ò a ;-) V t = , ■/.%': i ti - o a j v 7. ? à 5 i $ z ; a v
n a V T 0 t a S
— Alcerto, •''
Benché garzon sii ta, Giove e Nettuno,
Antiloco, t' amaro, e l'arti equestri
T' insegnar tutte. —
E Menelao nello stesso libro, finito il combattimento eque-
stre, comanda impone ad Antiloco che giuri per Nettuno.
Pindaro nella prima Ode Olimpica dice che Nettuno diede
a Pelope
E 5 03 X £ 5 i ::p p 0 V y ,o 0 - £ s v , £ v - t £ p o : -
— Un aurjo cocchio d'oro a lui
- E cavalli donò d'ali indefesse —,
Ed alati instancabili destrieri
parlando di Pelope: e nel fine dell'Ode quinta chiama
II 0 a £ '. 5 z V i 0 'j ? ='=* r= Nettunii = i cavalli di Psaumide Cama-
rineo, vincitore Olimpico. Si fece pur discendere i cavalli
Si volle ancora che alcuni cavalli fossero della razza di
Nettuno.
=r Quamvis saepe fuga versos ille egerit hostes.
Et patriam Epirum referat fortesque Mycenas,
Neptunique ipsa deducat origine gent.em : =
dice Virgilio di un cavallo nel libro III. delle Georgiche.
» XIII,
' (li
^ libro
'^,
^ Alcerto
t * e nella quarta Pitia I ~ - z > •/ > v , ohe è quanto diro, Principe
de' cavalli, o de' cavalieri. (Ajgianta dell'Autore)
*!= Cosi ancheugiio Spettai >rà ; ma paro a noi si dovrebbe leggere :
II 0 3 £ '. ò o> V '! 0 'J ? ,
116 INNO A NETTUNO
Stazio nel sesto della Tebaide canta del cavallo di Adrasto:
— Ducitur ante omnes rvitilae manifestus Arion
Igne jubae. Nuptunus equo, si certa priorum
Fama, pater: primus teneris laesi se lupatis
Ora ' et litfcoroo domitasse in pulvere fertur
Verberibus parcens, '^tenim insatiatus eundi
Ardor, et hiberno par incostanti-i ponto.
Saepe per Jonium Libyeumque natantibvis ire
Interjunctus equis, omnesque assuetus in oras
Caeruleum deferre patrem. Stupuere relieta
Nubila: certantes Eurique Notique sequuntur. —
Veggasi pili sopra nella nota 6. il passo di Servio, - e
altresì il Libro ^ XXIII. della Iliade, verso 345. e se-
guente. Farmi che non ben s'appongano Servio e gli altri
interpreti che spiegando il verso 691. del settimo della
Eneide:
— At Messapus rquuni domitor, Xeptunia proles, —
dicono avere il poeta chiamato Messapo, prole di Nettuno,
perchè egli era venuto per mare in Italia : spiegazione assai
stiracchiata: e penso che Virgilio stesso medesimo spieghi
assai ottimamente la seconda parte del verso colla prima,
in cui chiama Messapo, domator di cavalli, qualità, per
cagione della quale, se non erro, egli lo IH poi figlio di
Nettuno. E notisi come nella Eneide non si noma Messapo
non è mai detto figlio di Nettuno, che non sia chiamato
altresì domatore di cavalli o in altra simil guisa : onde
nel Libro * IX. si ripete tutto intero il verso citato ; •'' nel
duodecimo esso si trovasi pure quasi intero, mutato solo
r = At = in = Et '^ = e nel decimo si legge :
— Subit et Neptunia i)roles, '
Insignis Messapus equis. —
^ Ora,
^ Servio
^ libro
* libro
" citato,
" l'At in Ft,
'' proles
IXXO A NETTUNO 117
/8) Salve, equ\stro Nettuno.
I Greci davano spesso a Nettuno il noma d' Izrcio;
=z equestre ^ =r, del quale, come della sentenza di quelli
che reputavano Nettuno essere stato il primo domatore
de* cavalli ed avere insegnata l'arte del cavalcare, fa men-
zione Diodoro nel libro Y. Capo ^ XV. della Biblioteca, y*
Fuori di Atene in un luogo de'to Colono avoa un tempio
di Nettuno Equestre, ricordato da Tucidide nel Libro
YIII. '^ da Arpocrazione, alla voce K oÀ wv 'Jt-c?, e dall'an-
tico Comentatore di Sofocle nelle note all'Edipo nell'argo-
mento dell' Edipo Colonese, ^ e neWargomen nelle note a
quella tragedia. Pausania '-> parlando del Colono ^ rammenta
un l'altare di Nettuno Equestre.
(9) O Libia chiomi-bella.
Mosco, Idillio II." verso 36. e seguenti:
A ù X yj 5 s y p 'j a ì 0 V t à À a s o v z ìoz^/ E 0 p (ó t: s i a
6 r^ r, T ò V , 1 1 s y x !> y. 0 \i.y. , [J- ^ Y ^ - ó v o v U z xiax o'.o ,
0 V A '. p -j r^ - 0 p £ •'^ ò w p 0 V 0 -' ì~ Ài •/ s ? H v v o - '. y y. i ou
11-5 V
Aveva
zj= li e cava Europa aveva
Aureo panier bellissimo, ammirando,
Grand'opra di Vulcano che il a Libia in dono
Dato l'uvea di Nettano
// die II diede allor quand'ella al talamo recossi
Lo Scoti-terra," al talamo era gita recossi = .
Di Ini che scuote il suolo. =:
^ = Equestre =,
^ Y, capo
3 libro Vili,
* Colonese
^ Pausania,
* Colono,
'II,
" Scoti-terra
t* Questo sigilo di richiamo manda il lettore alla fine dell' Inno.
118 INNO A NETTUNO
Veggasi Apollodoro, Biblioteca Libro ^ II.
(10) O Menalippe
Alto-succinta.
Aì'ìiohio Clemente Alessandrino, Esortazione ai Gentili:
K a À 3 L |i 0 '. X ò V n 0 :; s '. 5 (ò y. a l T ò V •/ ó p 0 V - - ò v x i s :p !> x p -
liivov UTi' aO-O'j, xf, V '-^11- V '• ~P - ~"V^r ~ V^ A;i')H(ó VTj V, xrjv
Xààó Tir/ V, 3 xyj V 3l£v xÀ t Tt.Ti r, V . x i, v AÀv.'jóvr^v, xyjv Iti-
ti o 9- ó tj v,^ X yj V X i ó V Yj V, X à S a À À a ? x à ? (i -j p i a ?. :rz Chia-
mami qua Nettuno e la schiera violata da lui ; •'' Anfitrite,
Amimone, Alope, Menalippe, Alcione, Ippotoe, Chione '^ e
le altre infinite innumerevoli =r. Arnobio, Con tra le Gen-
tili Nazioni Libro ~ IV: z= Numquid enim a nobis arguitur
rex maris, Amphitritas, Halcyonas, Hippothoas, Amymo-
nas, Menalippas, Alcyonas per furiosae cupiditatis ardorem,
castimoniae virginitate privasse? =: Giulio Firmico, Dell'Er-
rore delle religioni profane Capo'' 13 : i= Quis Amymonem, ^
quis Alopen, quis Menalippen, quis Chionem Hippothoen-
que corrupity Nempe Deus vester haec fecisse memo-
ratur =r. Possono vedersi S. Teofilo, Ad Autolieo. Libro II.
Capo^*^ 7. S. Giustino, Orazione ai Greci Capo 2. i' S. Cirillo,
Contra Giuliano Libro ^- VI. Alcuno Taluno credea che il
vero nome della questa ninfa fanciulla fosse Melanippe.
Ma anche il codice di quest'Inno ha Menalippe.
' libro
2 XOp-.V
3 'A^sÓTtr^v,
"* 'l7i7io9-ir^v,
* lui,
* Chione,
^ libro
^ profane, capo
" Amyonem,
^° Autolieo libro IT, capo
" capo IL
'■■^ libro
INNO A NETTUNO 119
(11) O Mrfrii Alòpc.
Si veda il iao(jo Si veggano i passi di Clemente Ales-
sandrino e di Giulio Finnico ^ nella nota precedente, e (jli
autori S. Teolilo, S: Giustino, e S. Cirillo nel luogo quivi
citato.
(12) O Calliròei
Dì rosee guance.
Calliroe^ una delle Xereidi figlie dell'Oceano e di Teti ^
è ricordata da molti scrittori antichi, ma nessuno, die io
sappia, tranne il nro poeta, ne fa avvisati clic amolla
Nettuno.
(IH) O la legggiadra Alcione,
O Ippotoe.
(15) O di Pittco
La figlia, Etra occhi-nera.
Madre di Tosco. Veggasi appresso la nota 26.
(10) O Chione.
Si veggi più sopra la nota 10.
(17) Od Olbia.
Stefano il Geografo, alla voce "Latxy. ò?: "ij-:/ xò?,
-ÓÀ'. ? I*> '. ^/')v ia? , y.KÒ kaTay.oO/ x o •) Ilo 's lòto vo ? X7.1
•/•')lizv^' '»/.,v.aS = Astaco, città di Bitinia, cosi detta da
Astaco figlio di Nettuno e della ninfa Olbia, i::^
' Firmino {evidente errore di stampa)
^ Calllroe,
•■' Tetl,
* 'Aaizxo'j
*t Qjesto segno di richiamo manda il lettore alcune pagino
appresso, ove trovasi, infatti, la corrispondente nota 1^. (Vedi a
pag. 121.)
120 INNO A NETTUNO
(18) O l'Eolide Canace.
Può vedersi l'Inno a Cerere di Callimaco.
(19) O Toosa
Dal vago piede.
Omero, Odissea Libro I. ^ verso 68 e seguenti:
A À X à n 0 a s 1 5 a (0 V y oc 1 1^ o-/ o » à 3 x s À s S a ì s v ^
KùxXtoTioS xsxóXwxxi, 6v &--f0xÀ(xoo àXàwasv,
A V T i D- s 0 V n 0 À u -^ Tj [1 0 V 6 0 'j -/.patos s a x l |i é y '. a t o v
n a a t. K u X X oj 71 £ a a '. . B ó o) a a 5 s [i -. v x i x s vO jj. -^ y^ '^
$ópxuvoS O-oydxr^p àXò? àxp'jyéxoio (liSovxoS-*
£v^ aTiéaai yXa'^upota'. IToas'. Sdojv. [jli ysTaz
la terra intorno aggira i-»t07'7io ,
= Ma Nettuno che il suolo tutto circonda,
■ Di terribile sdegno è sempre acceso
Per il lo Ciclope ch'ei dell' de l'oocliio ha privo,
Per Polifemo a nume ugual, che avanza
Tutti i Ciclopi in gagliardia. La ninfa
Toosa partorillo, a cui fu padre
Forcine, un Dio de 1' infecondo mare,
A Nettuno commista in cavi spechi. =
(20) ' O la Telchine Alia.
Diodoro, Biblioteca Libro V. Capo ^ 13 : IT o a s e S w v a ok
(•fxaiv) àvSptoS-ivxx £pxa9"^va'-' x*^S^ xwv TsÀ^tvwv
àÒBX'-pfji^ AXtzS, xai (itX9-£vxxxxóxr/'^y£vv^axt du-
cono che Nettuno fatto adulto, innamorossi di Alia ^- so-
* libro I,
2 àlSV
4 [léSovxof,
s'Ev
^ Ziòro V, cajpo
"' èpxaOyjxi (evidente errore di staìupa)
* xr^S
10
XZ'JXTJ,
11 póeov
INNO A NETTUNO 121
rella dei Telchini, e avuto affare a fare seco lei, generonne
lina figlia ^^e/- nome chiamata Rodo, dalla quale vogliono
che r Isola abbia tratto il nome =r. Telchini appellavansi.
come è fama, gli antichissimi abitatori di Rodi.
(21j Od Amìmonc candida.
Si veda Una delle Danaidi. Si vedano gli Scrittori ^
di favole, e più sopra la nota 10.
(22) O la figlia
D'Epidanno, Melissa?
Costantino Porfirogeneta, Dei Temi Libro II. ^ Tema 9 : ^
T 0 0 T 0 'j ("K r: i S à |x V 0 u) i)- \) 'fxxr^ p M é À '- a 3 x,* >^ ? ■" y. a l x o 'j
n 0 a £ '. 0 co V 0 S ó A 'j p p a X i 0 ? • à r y^ ^ è 3 t t x ó re o S è v 'i<; - i-
g d |IV r;) ( •/. -/, À 0 j ;i 2 V 0 ? * ) M S À '. 3 3 tó V !, 0 ?, £ V i> Z II 0 3 £ '. 5 (0 V
a 0 X 7j 3 u V f^ À ;►- £ .
**::iz Di questi (di Epidauno)^ fu figlia Melissa' della quale
e di Nettuno nacque Dirrachio. Da essa ha tratto il suo
nome un luogo di Epidanno, detto Melissonio, ove Net-
tuno ebbe affare a fare ^ con lei. :=
t *** (U) O Mecionìce.
Esiodo nello Scudo d'Ercole, e l'antico Comentatore
di Pindaro nelle note all'Ode Pitia I alla quarta Ode Pi-
tica, dicono scrivono che Eufemo, figlio di Nettuno uno
' scrittori
2 libro li,
3 9;
^^
* (Epidanno)
' Melissa,
^ affare
* La parentesi indica che la parola fu cancellata.
** A questo luogo, nello Spettatore, non si va da capo.
*** Qui, nell'autografo, che fedelmente riproduciamo, troviamo
la nota 14, onde abbiamo detto a pag. 119.
122 INNO A NETTUNO
de^li Argonauti, figlio di Nettuno, fu partorito da Mecio-
liice. Pindaro però nell'Ode medesima afferma dice die
Eufemo fu era /ùjlio di Netta messo al mondo da Europa i
figlia di Tizio, sulla sulle rive del Cefiso. Notisi che Mecio-
nice ù detta figlia di Eurota, e die Pindaro cliiama Europa
la madre di Eufemo.
(23) Eufemo.
Si vegga la nota 14.
(24) Il Tessalo Triòpe.
Partorito da Caiiac3. Si vegga l'inno- a Cerere di
Callimaco.
(25) Astaco. •' e Eudo
Onde nomo ha del Sol l' Isola sacra.
Pah vedersi la nota Possono vedersi le note 17. e 20.
(2G) E Teseo.-*
Questo Eroe da alcuni fu fatto figlio di Teseo Egeo,
da altri di Nettuno. Veggaiisi Plutarco nella sua Vita,
Euiipide e Seneca negl' Ippoliti, Isocrate nell'Elogio di
Elena, Diodoro nel Libro IV. Capo 5. •"' dolla Biblioteca,
Apollodoro nel Libro III. " Igino nella Favola XXXV. '^
Cicerone nel terzo Libro ^ Della Natura degli Dei, Aristide
nella Orazione in lode degli Asclepiadi.
— At procul ingenti Neptunius agmina Theseus
Angustat clypeo, proi^riaeque exordia laudis,
Centum urbes umboue gerit, centenaque Cretao
Moenia: ^ —
dice Stazio nell'ultimo libro della Tebaide.
^ Euroiìa,
■-' Inno
^ Astaco
■* Teseo.
^ libro IV, caiìo 5
" libro III,
^ favola 35,
^ libro
" Moenia =
INNO A NETTUNO 123
(27) Ed Alirrozio.
Epoche d' O vford ; raascniut, Libro I. Euripide nel fine
della Elettra ; Demostene, Centra Aristocrate; Eschine,
Epistola XI. ^ Epoche d'Oxford ; ,Pausania, Libro I. ' S.
Massimo. Prologo dei Comentarj ^ alle opere'* di S. Dio-
nigi Areopagita; Antico Comentatore •» di Giovenale, Note
alla Satira IX.
(28) Ed il possente
Triton.
Esiodo, Teogonia verso 929. e seguente:
K ■/. ò' "V ;i v' ' ~ P - ~ 'ft ? "/- y-'- i p i */. T 'j - 0 'j 'E V V 0 a L y xiz-j
1' ;: ■■ - •') V 3 0 p 'j ;, : r^ r ■; i v s t o |i é y z S '^
- Ma d'Anfitrite
E de lo Scoti-terra alti-sonante
Xac(iiio il gr.indo Triton da l'ampia possa. —
i29) Dirracliio.
E da vedere la nota 22.
(30) E il battaglioso Éumolpo.
Si legga appresso la nota 33.
(31) E Polifemo a nume ugual. "
Può vedersi più so2)ra, ^ la nota 19.
(32) Polifemo de l'occhio il saggio Ulisse
In Trinacria fé' cieco.
Omero, Odissea Libro '^ IX.
^ epistola XI,
2 libro I;
' Cementi
* Opere
•'' comentatore
^ egual,
** sopra
^ libro
124 INNO A NETTUNO
(. 3) Eumolpo spense
In Attica Eretteo; ma l en vendetta
Tu ne prendesti, o Scoti-terra, e morto
Lui con un colpo del tridente, al suolo
La casa ne gettasti.
Igino, Favola XLYI. ^ narra la cosa un poco altramente.
Ecco le sue parole: ^r. Eumolpus Neptuni fìlius, Atlienas
venit oppugnaturus, quod patris sui terram Atticam fuisse
diceret. Is victus cum exercitu, cum esset ab Atlieniensi-
bus interfectus, Neptunus, ne filii sui morte Erechtheus lae-
tarelur, expostulavit ut ejus filia Neptuno inimolaretur.
Itaque Otionia filia cum esset immolata, ceterae, fide data,
se ipsae interfecerunt : ipse Erechtheus, Neptuni rogatu,
fulmine est ictus r_r. Euripide p3rò nello Jone è d'accordo
col nostro poeta. Dice Creusa di Eretteo suo padre :
n À yj Y X l T 2 '. z i V r^ S t: o v i i o o a :f ' à ;: (ó À s 3 x v
--=- Da' colpi
Del marino tridente egli fu morto. =r
* ApoUodoro non disegna - il genere di morte onde peri
Eretteo, ma dice, come l'autore di questo ' inno, ^ che Net-
tuno rovinò anche la sua casa.
(34) E Marte istesso
Impunemente non t'uccise il figlio
Alirrozio leggiadro.
Pausania, Libro ^ I: ?i a 1 1 ^ Ss èv aO iw xpr^vr^,^' Tixp"
r^ X 5 Y 0 0 3 i n 0 3 s '. 5 w V 0 S 7C x e 5 z A À t p p ó i '. o v, (? u y 3c x s-
p X A p £ (0 ? A ?v X 1 7T 71 7j V a 1 3 )( ó V a V T a , à t: o 9- z v s i v 6 :: ò
ApstoS = Quivi ha vina fonte presso cui dicono che Mar-
te uccidesse Alirrozio figlio di Nettuno, il quale avea vio-
lata la sua figlia Alcippe. =:
* favola 46 ,
^ disdegna (evidente errore di stampa)
^ Inno,
* libro
^ ÌG3Xt
^ Xp7]VVj
" 71 vp
* Ò71Ò
* Nello Spettatore, a questo luogo, non si va da capo.
INNO A NETTUNO 125
(àòi I numi tutti
Lui concordi dannar.
Aristide, Orazione Panatenaica : A 7. y / i v e i II 0 - s : 5 ò» v
(- fo * i A p 2 '. T yj V òr.ìp TO') tz x '. 5 ò S, ^ v. :cl v '. x à ] è v a z a a '.
T e i ; H ; 0 : ?• Vv X l T yj V è tc w vj [Ji i oc v ó x ó ti 0 S (0 A p £ 1 0 S ti a-
yo e ) Àaiipdvc'. xrjv aOxvjv =z Intenta Muove lite Net-
tuno a Marte per cagione del proprio figlio, - e la vince
j>j^ co 3 voti di tutti gli Dei ; e da questo avvenimento il
luogo (l'Areopago) trae il suo nome=:. Sono da vedere però
intorno a questo famosissimo giudizio,-* *S'. Agostino Lat-
tanzio, Libro I. Capo 10. e Libro II. Cap. V. Cap. 3. ^ S.
Agostino, Della Città di Dio Libro XVIII. Capo 10.'' ed
altri, ~ fra' quali i citati nella nota 27.
("6) E neri tori.
S'immolavano tori a Nettuno*^ comesi rileva da rac-
coglie anclie da Omero, Iliade. Libro XI. verso 727. ^ da
Pindaro, Ode Olimpica XIII. verso 98. e seguente, '*^ Piti-
ca IV. verso 365. e seguente, ^^ Nemea VI. verso 69. '- >ì<** e
i tori erano neri, come il clie apparisce si da questo luogo
dell'Inno come dal libro III.'-^ verso 6. deW della Odissea.
Parmi da notare clie in Efeso i giovani che facean da
coppieri nella festa di Nettuno ^^ In Trezene eran detti
TxOpoi zzr Tauri = Citta di ossia Tori, come vedesi in
2 figlio
•■' co'
* giudizio
^ libro I, capo IO, e libro V, capo 3\
« Dio, libro XVIII, capo 10,
^ altri,
^ Nettuno,
^ Iliade libro XI, verso 727]
'"^ XIII, verso 98 e seguente;
" ZF, verso 365 e seguente;
^' VI, veì^so 60;
'' III,
^* Nettuno,
* La parentesi indica che la parola è stata cancellata.
**|* e da Virgilio, Eneide Libro II. verso 201. e seguente. Libro III.
verso 119. {Aggiunta dell'Autore)
12G INNO A NETTUNO
o
Ateneo, Libro X. ^ e in Eustazio, Conimentarzo al ven-
tesimo deW della Iliade: ~ e forse questa festa era'^ quella
chiamata Tai.-^six m Taurea =r= che Esichio dice essersi
celebrata in onore di Nettuno,
(37) In Trezene.
Città deirArgolide sacra a Nettuno, e però detta Po-
sidonia, cioè, •* Nettunia, al rapportare di Strabene. Dice
Plutarco nella Vita di Teseo •* che n o a s i o w v x *' T p o g v
V '. 0 '. a i ^ 0 'j a '. 5 '. y. -^ 2 0 ó V t (>) ?. y. z l %-zbi~ o 0 t ó ? s a - i v
a ò ~ 0 e S t: 0 À : 0 'j •/ 0 ? , o) '/. a l 7. z p ~ w v à - d p X o v ~ z t. ,
X a l X p i a '. V z V è - i :; r^ a o v è •/ o 'j a '. t o 0 v o |a t a ji, a x o S ■=.
Che i Tre quei di Treze.ie rendono un singolare onore a
Nettu.no, Dio tutelare della loro città, gli offrono le pri-
mizie dei de' ^ frutti, ed hanno il tridente per insegna della
loro moneta 1=. Pausania, Libro II." nota lo stesso delle
antiche monete de' **^ Trezenii, e dice inoltre che essi
Iloas'.Sw V % (ji^o'jai) 11 ^ za-.Àsz è- cy,À y; a-.v = onorano
Nettuno sotto dandogli il sotto il titolo di Ke. =
(38) la Goresto.
Porto illustre,^- e castello,^'^ che PI nio nomina chiama
città, nel promontorio dello stesso nome,^-* in Eubea. V'avea
' libro X,
2 Iliade;
^ questa era
loe
•' Teseo,
f' Il03£'.§à)VX.
^ dei
*• libro II,
»« dei
'- illustre
*^ castello
*' nome
INXo A XETTU-Ko 127
un teni])io famosissimo di Nettuno ricordato da Strabene .
Libro X. ^ e da Stotano il G eogmtb. alla voce T zpx'.'xi^. Il
comentator Greco- di Pindaro nelle note all''^ Ode^ Olim-
pica XIII. ■"' scrive che 1 v E ì ;3 o i x F? 0,7. i - t •. a 0 n ò - d v t (o v
r z p 7. '. j - i f) V a Y 3 X a '■ ~ 0 j II 0 :; s '. ò o) vi'' g '. à - ò v cj [jl ^ d v t v
ys'.;it')va' Trspl rsp-z-.-TÒv = nell'Eubea tutti quei di Ge-
resto celebrano una festa in onore di Nettuno^ a cagione
di una procella accaduta presso Gere-to. =
(B9) E gran fracasso s'ode e molto pianto.
Ho cercato di serbare nella traduzione, -^ per quanto
era possilnle, nella traduzione l'armon'a espressiva che è
nel testo.
(40) E a clt l'aro tuo
Corre ciascun, ti t'intirizza preghi, '" e molte
Allor s'offrono a te vittime grate.
Senofonte, Della Repubblica de' Lacedemoni: Is-, ajioO
ys V 0 II 3 V o'j, 0'. A a7. sSa'-iió V i G L 'jiivy^aav* -òv -spi Ilo-
a £ '. 5 (ò V 0 ? 7c a i à V 7,, x xl ' A y r^ a i - 0 À t ? zf. 'jzxzoxi% 0 u a d-
[1 s V 0 ? Il G - 2 •- 5 (ò V i = Sentitosi un tremito. ^^ i Lacedemoni
cantarono il Peana di Nettuno a cui nel di vegnente Age-
.^ipoli offri un sacrificio. =::
(il) Il tuo
Lucente cocchio è in Ega, nel profondo
Del fra romoroso pelago.
Omero, Iliade Libro XIII. verso 21. i- e seguenti.
' libro X,
^ Comentator greco
* Ode,
' XIII,
^' IloastSwv'.,
" ys'.ixwvsc
'^ Nettuno,
" nella traduzione di serbare,
'" 2ìrefjhl
" tromuoto,
^- Iliade, llhro XI II, vcrs^> 21
* Cosi anche nello >^i,eltiit.)re : invoce dnvrohbe leggersi : -j vn-ivi
128 IXNO A NETTUNO
(42) Altri Eliconio.
la
Veggasi >^ * il luogo di E. Str abone netta nota 58 e
V Inni a Nettano attribuito ad Omero, verso 3.
(43) Ed altri
T'appella Suniarato.
Nettuno fu così detto ch'amato cosi, percliè se gli ren-
deva uti culto 1 particolare in Sunio 2 promontorio dell'At-
tica. Possono vedersi Aristofane ne' Cavalieri e negli
Uccelli, e il suo antico Comentatore nelle note a quelle
Commedie. '^
(44) A Sparta detto
Sei Natalizio.
Pausania, L bro "♦ III: ToO O-socxpo-j Sé (toO sv ifl
ItKipZYj) O'J TlÓppW, rioaSlSojVÓS d) X£ icOÒV è ZZI Ts-
'/s d-Xiou, •' X X l H p d) a KXBotxiox) zob i'XXou^ y.xi
0 ò ^ i À 0 0 zir Non lungi dal teatro (di Sparta) e sono il tem-
pio di Nettuno Natalizio,''^ e i monumenti eroici di Cleodeo
figlio d' Ilio, ^ e di Ebaio. =:r
(45) Ed Ippodromio a Tebe.
Pindaro, Ode Istmical." verso 78.
(46) In Atene Eretteo.
Plutarco, Vita di Licurgo; Ateiiagora, Orazione Am-
basciata per li Cristiani Capo I."^ Esicliio, voce 'Ep£X{>£'jS;
Apollodoro, Biblioteca Libro III.'^ ove si legge: Erittonio.
* rendeva culto
^ Sun io,
^ commedie.
* libro
s r£V£Ì>Àiou
^ Natalizio
« Ilio
® Ode, Istmica I,
'* capo I ;
'' libro III,
4^* La chiamata, come altrove, rimanda il lettore alla fine
delV Inno.
INNO A NETTUNO 129
(47) Chiamanti Elate
Molt" altri.
Esichio, voce V] Xùxyi'^.
(43) Di Trezeni'o.
Veggasi più sopra la nota 37.
(49) O d'Istmio.
Pindaro, Ode Olimpica XIII. • verso 4 e seguente.
I ginoclii Istniici, ^ e l'Istmo medesimo ove era un tem-
pio di Nettuno mentovato da Pausania, Libro II.'* erano
sacri a quella Divinità a quel Dio. >^ ^
(50) . I Tessali Petreo
Diconti.
Anche Pindaro, Ode Pitica IV. verso 246 ^ dà questo
nome a Nettuno.
(.51) Ei altri Onchestio.
In onore di Nettuno Onchestio celebravano i Tebani
una festa ricordata da Pausania, Libro ^ IX. Veggasi la
nota 57.
(52) Ed altri pure
Egeo ti noma.
Virgilio, Eneide Libro III. ~ verso 73. e seguente:
r— Sacra mari colitur medio gratissima tellus
Nereidum matri et Neptuno Aegeo. --
Licofrone, verso 135.^ chiama Nettuno, AlYX'-wva,
e Pindaro, Ode NemeaV. ^ verso 68. e seguente'*^ dice che
' Molti
•'' Olimpia XIII,
' Istmicl
* libro II,
* Ode, Pitica IV, verso 246,
^ libro
'' Eneide, libro III ,
« 135,
^ Ode, Nemea V,
'* seguente,
* La chiamata, come sempre, rimanda il lettore all'ultima pa-
gina.
9
130 INNO A NETTUNO
egli soventi volte recavasi all' Istmo, Alyà^-sv = da Ega =r.
Veggansi il passo di Stazio nella nota 56. Omero, Iliade
Libro XIII. 1 verso 20. e seguenti, e Odissea Libro V.
verso 381. V inno ^ a Nettuno ascritto al med Omero al
poeta stesso, ^ verso 3. Stefano il Geogra Strabone, Li-
bro VIII. e IX. •* e Stefano il Geografo.
(53) E Cinade.
Esicbio, voce K u v d 5 r^ S .
(54) E Fitalmio.
Il significato del nome «^oiaXiiio» zzz Fitalmio =:=
non è abbastanza a bastanza '•* certo. Esichio dice esser
questo un epiteto di Giove xofji ^woyóvou, cioè. Gene-
ratore ^ di animali, daZ che potrebbe argomentarsi che il
nome Fitalunio questo nome non fosse diverso da quello
di rsvéS-Xtos che io poco sopra in quest'Inno ho ren-
duto : " =::= Natalizio ^=. Ma che cotesti siano due nomi dif-
ferenti apparisce sì da quest'Inno medesimo, come da
Plutarco che nelle Simposiache, Libro V. Quistione III. *
riferisce il nome Fitalmio non agli animali a cui appar-
tiene l'altro. Natalizio, ma alle piante ; ed è superfluo l'os-
servare che 9 u X ó V in effetto vale , : ^ = pianta. =r
(55) Io dirotti Asfaleo, poi che salute
Tu rechi a' naviganti.
Antico, Comentatore di Aristofane, note alla Com-
media agli Acarnesi: 'Aa-^àXstoS IloasiSòjv ti api 'Af>y,-
vxioiS T'.tiàTxt, i'vx àacp aXwS tcXìwj'.v rrz A Nettuno
' Iliade, libro XI li,
' Odissea, libro V, verso 381, l'Inno
* stesso ;
* libro Vili e IX,
' abbastanza
* Penetratore (evidente errore di stampa)
' venduto =
* libro V, Quistione 3,
* vale =
INNO A NETTUNO 131
Asfaleo rendon culto gli Ateniesi, a fine di navigare alla
sicura =:: . Strabene, Libro I. ^ parla di un tempio 11^-
csiSwvoS Aa-^aXìou=:di Nettuno Asfaleo = o =: Asfa-
lio =: ' alzato da quei di in certa Isola ^ da quei di Rodi.
Veggasi ^ il luogo di Snida nella nota che segue, f *
(56) Che Tenaro.
Comentator Greco ■'' di Tucidide, note al Libro ^' ì :
Tatvapov, à.Y.pozrfpio^^ ( Iloas '.$ tò v o ? **) Axy.cov i y. ^ ?,
tspòv TloastSwvoa. = Tenaro, promontorio di Laconia, '''
e sacro a tempio di Nettuno =. Aristofane, Acarnesi:
0 IloasiSwv, O'jTil* Tatvàpoj O-sò*
=1: Nettuno, il Dio che in Tenaro s'onora =:.f ***
Cornelio Nipote, Vita di Pausania: = Fanum Neptuni est
Taenari, quod violare nefas putant Graeci =. Pomponio
Mela, Libro II. Capo III:* = In ipso Taenaro, Neptuni
templum =:. Questo tempio, a dir di Strabene, Libro Vili. ^
era in un bosco, e per testimonianza di Pausania, Libro III.^'^
somigliava una spelonca. Avanti ad esso era la una sta-
(evidente errore di stampa)
' libro I,
' Asfalia
* isola
* Veggansi
i
" greco
« libro
' Laconia
* IIo^js'.S ì)v,
oj-l
» libro II,
capo
'" libro 8,
" libro ni,
* Anche qui la chiamata rimandi il lettore all'ultima pagina.
** La parentesi indica che la parola è stata cancellata.
*•* t Stazio, Tebaide Libro II :
= uhi prona Ast dies lonofos super a«quora ftiies
Bxigit, atque ingen» medio natat umbra pro.'iiiido.
Interiore sinu frangentia littora curvat
TaenaruR, expositos 1 non audax scandere fluctus.
Illii- Aegeo Neptunus gurgite fessos
In portum dedueit equos. =
(Aggiunta dell'autore)
\ exposita (Spett.) (ovidmie errore di stampo)
132 INNO A NETTUNO
tua di Nettuno, clie onoravasi in quel tempio sotto il ti-
tolo di Asfaleo, si come ne insegnano queste parole di
Snida : T x e v x p o v , à x p 03 x vj p t o v A x x to v. x ■^ S , s v O- a x a l
Iloas'.^òjvoS ispòv AacpaXio'j = Tenaro, promontorio
della Laconia, dove è pure un tempio di Nettuno Asfaleo
=:. Si celebrava in Tenaro una festa ad onore di Nettuno, ^
della quale è fatta menzione da Esichio, alla voce T a i v x-
p i a S • Possono vedersi Tucidide nel Libro I. - Plutarco
nella Vita di Pompeo, e Stefano il Geografo.
(57) E la sacra Onchestia selva.
Omero, Iliade Libro •' II, Beozia verso lo :
"Oyx'^^'^°'^ 0' ispòv IIoGiSr^iov^ àyÀaòv aXaoS
=r Ed Oiichesto Nettunia illustre selva. =z
Ed Onchesto, ^
Sacra a Nettuno luminosa selva. =:
Dione Crisostomo,^ ne Orazione Corintiaca: Co 5 03'
[lèv 'HÀiou, '0fxri<3xò£ lIoaei5à)voS r= Rodi è sacra al
Sole, Onchesto a Nettuno =. Onchesto era città di Beozia.
Pindaro nella quarta Ode Istmica, Lib verso 33. ^ chiama
Nettuno, 'Oyx'*ì^'^°'J oìxiovtx =: abitatore di Onchesto
=:. E Sono da vedere anche l'Ode I. •' verso 46. e Pausania
nel Libro IX. i" Eustazio nelle nel Cemento alla Iliade,
verso citato, e più sopra, la nota 51.
(58) E Micale
Micale era un luogo della Jonia, che Erodoto, libro I.
Capo 148. 1^ chiama sacro, situato incontro a Samo, in
* Nettuno
2 libro I,
" Iliade, libro
•■^ Onchesto
" Aristodemo,
" PóSoS
»* 38,
' I,
1" libro IX;
^' I, capo 148,
INNO A NETTUNO 133
nel quale, al rapportare di Diodoro, Libro V. ^ gli abitanti
di sette città della .Ionia si adunavano per fare a Net-
tuno grandi sacrificj ^ di antiopa istituzione a Nettuno xG)
EÀixtoviw-^ rrr Eliconio —, come dice Strabone, Questa
festa chiamavasi II a v. (óve a, cioè, Ragunamento di tutti
que' della Jonia. y*
il pinoso Istmo e Geresto.
(59) E Trezene ed il pinoso E Trezene ed il pinoso
Istmo, ed Ega, e Geresto. Itsmo,'' ed Ega, •'' e Geresto.
Si veggano le note 37. 49. 52. « e 38.
Avvertimento. **
Quest' inno e stato scoperto da Un mio amico in Roma
r"
nel rimnginautZo i pochissimi manoscritti di una pic-
cola biblioteca il *** di quesV dell'anno corrente, trovò
in un Codice tutto lacero ^ di cui non rimangono che po-
che pagine, quest'inno Greco,-' e poco appresso me ne
speditamene una copia, e lietissimo per la scoperta, m'in-
citò ad imprenderne la traduzione poetica italiana, facen-
domi avvisato che egli era tutto atteso a lo ad emendare
il testo greco, e a lavorarne due versioni latine, l'una let-
' libro V,
"^ sacri fidi
» 'EX'.xwviw =r:
* Istmo
« Ega
« ò'7, 49, 52
~ rimuginare
* lacero,
" Inno greco ;
* La chiamata, come sempre, manda il lettore alla fine del-
l' Inno.
** Nello Spettatore, qnesV Avvertimento, anziché seguire, precede
V Inno, con poche parole di dedicatoria (che non trovansi nel ma-
noscritto che abbiamo sott'occhio) all' amico diletto, che gli fu occa-
sione a tradurre Vlnno. (Vedi a pagg. 142-143 del Tomo Vili 118171
dello Spettatore.)
*** Cosi nell'autografo. — Nello Spsttatore, in vece, si legge: il G
gennaio.
134 INNO A NETTUNO
ferale e l'altra metrica, e a compilare ampie note sopra
l'antica poesia. Condussi a fine in poco d'ora l'opera mia
assai meno faticosa della sua, ^ ed egli ^ malgrado la ri-
jntgnanza che io aveva ad aimunz tutto che tuttoché io ri-
pugnassi moltissimo, non volendo annunziare il primo la
sua scoperta, 3 e farmi bello di cosa non mia, volle im-
posemi che ad ogni patto dessi incontanente al pubblico ^
V opera la mia traduzione, dicendo essersi già tardato
anche troppo a far tutti consapevoli dell'accaduto, e tor-
nar meglio con una traduzione versione della cosa sco-
perta far conto ai letterati lo scoprimento, che darne loro
da clie d'ordinariu son
la secca novella in una gazzetta, gettandoli ne nnwven-
eglino per il lo più sono mossi ad impazienza, e
doli ad impazienza , e stringendoli stretti quasi a mormo-
rare d'ogn' indugio che trappon l'Editore, il quale non può
spacciarsi così tosto. Fu forza cedere; ed ecco che io do
ad un'ora al pubblico ■' la nuova della scoperta, la tradu-
zione dell'Inno in compagnia di alcune note, e la pro-
messa di un'altra molto migliore edizione dello stesso
greco componimento.
L'Inno pare antichissimo, avvenga che avvengachè il
Codice non sembri scritto avanti innanzi al trecento.
Comincia nel greco, ^ cosi :
'E vvoa ly X ìov,''' %!j5c v 0)(a cxyjv àpyo|Ji' àst'Ssiv.
Termina con questo verso:
'A [1 :p' àp àLO\.lol<i ^5ctv*, 'juvwv yàp -colai {iéfiyjXs.
Non può di leggeri indovinarsene l'autore, non es-
sendone il nome in quello non essendone II nome del-
l'autore non è nelle pagine che ci avanzano del Codice, ^
^ sua;
^ scoperta
* Pubblico
° Pubblico
•* greco
'' 'Evvociyzlov
* Codice
INNO A NETTUNO 135
già molto più ampio, e non si può di leggeri ind .vinario.
L' Inno porta per titolo : T o ù a ù x o 0 E e ?: II o a e -. S w v a ^ =
Dello stesso Del medesimo : A - Nettuno ^, da che appa-
risce che avea?iO nel manoscritto altri componimenti dello
stesso poeta, e di questi si leggono a gran fatica nel Co-
dice qua e là alcuni frammenti, ^ che non mi è parso
ma, né ancora
paruto necessario tradurre, ma ne manco e manco pos-
sibile tradurre, ma che il mio dotto e generoso amico
pubblicherà insieme coli' Inno ^ descrivendo il Codice troppo
più minutamente che io non ho voluto fare. Simonide^
(Scholiastes Euripidis, ad Med. vers. 4. *) e Mirone, ^ o
Merone " poetessa di Bisanzio ^ (Eustathius, ad Hom. Il
Lib. II. Boeot. vers. 218, segg. ^ **) scrissero Inni a Net-
tuno. Ma l'autore di questo mi par sì bene istrutto delle
cose degli Ateniesi, che io lo credo d'Atene, o per lo meno
dell'Attica. Panfo Ateniese scrisse anch'egli pure altresì
un Inno a Nettuno ^'^ come si raccoglie da Pausania, ^^ (Pau-
sanias, in Achaicis Lib. VII. ***) ma quello ora scoperto,
benché molto antico, non può essere di quel poeta che si
dice vissuto avanti di Omero ;f**** Mi sono Ho adoperato
^ Iloist 5(5'J3c =: (evidente errore di stampa)
' a
' frammenti
* Inno,
* Simonide (1)
* Mirone
' Merone,
® Bisanzio (2),
* seq.
»" Nettuno,
" Pausania (3),
* Nello Spettatore si legge in nota.
** Idem
*** Idem
****t oltreché' quivi non ha ciò che Pausania lesse neW Inno del nel
compimento di Panfo. Nulla dirò dico dell' Inno a Nettuno'^ non più
lungo di sette versi, che è fra gli attribuiti ad Omero quest'ultimo
ad Omero.
1 al trecche (SpettJ
» Nettuno, (Jd.j
136 INNO A NETTUNO
molto
con ogni cura per tradurre fedelissimamente; e non ho
trascurata^ veruna par pure una parola del testo, di
che potrà agevolmente venire in chiaro chi vorrà porre
ragguagliare la traduzione al confronto dell' coll'origi-
nale, uscito che sarà questo alla luce.
Varianti *
[ u{xvoJv yàp B' o'C ys laéXovxai.
oiivot, yàp xolai iisXoust.
oi yàp t'oiiytoy yz [LsXovx.
Inno a Nettuno
D'incerto autore sconosciuto ,
nuovamente scoperto.
Traduzione dal Greco
del Conte Giacomo Leopardi
da Recanati.
rjjtvoi òk Y-xl àS-zvàtwv yépoc^ aùxò)/.
Teocr. lei ili. 17. vers. 8. **
181(1
* trascurato
* Queste Varianti non sono nello Spettatore.
** Questo verso di Teocrito, nello Spettatore, trovasi subito dopo
il titolo dell' /«no (v. a pag. 142 , ma senza gli accenti, che F)ur sono
nel manoscritto. Nello Spettatore ^pagg. 16ij-164) seguono, poi, le due
Odae adespotae, die non si leggono nel nostro manoscritto.
INNO A NETTUNO 137
, e tra' nostri, Dante nel quintodecimo del Purgatorio:
= Se tu se' sire della villa
Del cui nome ne' Dei fu tanta lite. =
(Vedi a pag. 110 di questo libro, e
a pag. 150 dello Spettatore.)
Aristofane nelle Nubi, Atto I. Scena I. fa giurare Fi-
dippide per Nettuno equestre.
(Vedi a pag. Ili di questo libro, e
a pag. 154 dello Spettatore.)
Veggansi Omero, Iliade verso Libro xxiii. verso 404. e i
Comentatori a quel luogo ; Pausania, Libro vii ; Eustazio,
Comeìitario Comento all' alla Iliade Libro ii ; Beozia
verso 82 ; l'Inno a Nettuno attribuito ad Omero, verso 3.
e la
(Vedi a 2)ag. 128 di questo libro, e
a pag. 100 dello Spet atore.)
*^ Da un passo dell' Inno di Callimaco a Delo par si
debba raccogliere che Ceneri = In eo (Isthmo) dice Pom-
ponio Mela Libro ii. Capo 3. oppidum Cenchreae fanum
Neptuni, ludis quos Isthmicos vocant, celebre nomina
Ceneri =.* Callimaco nell'Inno a Delo nomina Ceneri come
luogo singolarmente sacro a Nettuno.
(Vedi a pag. 129 di questo libro, e
a pag. 161 dello Spettatore.^
* Nello Spettatore mancano le due ultime parole.
138 INNO A NETTUNO
*f ; Macrobio, Saturnali Libro i. Capo 17. ed Eustazio,
nel Covientario Comento al primo della Iliade, verso 36.
e al quinto, verso 311. e seguenti. ' X'j:f±Xt'.x vale: =: si-
curtà nr.
(Vedi a pag. 131 di questo libro, e
a pag. lh'2 dello Spettatore.)
SUL MONUiMExNTO DI DANTE
CHE SI PREPARA IN FIRENZE.
Un quadornotto di sei facciate interamente scritto (co^ìer
fina cenero(jnola) .
SUL MONUMENTO DI DANTE
CHE SI PREPARA IN FIRENZE.
Perchè le nostre genti
S(jtto Pace sotto le bianche ali raccolga,
Non fien da' lacci sciolte
De * l'antico sopor h l' itale menti, '^
S'
/S'è a i ^ patri"' esempi'' de la" prisca etade
Questa terra fatai non si rivolga.
a cuor ti stia
0 Italia, o Italia, i tuoi passati onora
Far ai** passati onor, '•* che d'altrettali
Poi che di tali spirti
' Sopra il monumento di Dante che si prei)ara in Firenze.
[Boi. 1824].
Sopra il monumento di Dante che si preparava in Firenze.
[Fir. 1S31; Pater. 1834; Nap. 1835; Fir. 183G; Flr. 1845].
-' DeW [Nap. 1835; Fir. 1836; Flr. 1845].
■'' nienti [Boi. 1824; Fir. 1831; Pater. 1834; Xnp. 1835;
Fir. 183(3; Fir. 1845]!
* ai [Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].
"patrj [Roma 1818].— pa^rii [Xap. 1835; FtV. 1836; Fir. 1845].
* esempi [Roma 1818].
' della [Nap. 1835; Fir, 1836; Fir. 18^15].
« ai [Boi. 1821; /^iV. 1831; Pater. 1834; .Y«^). 1835; /Vr. 1836;
Fir. 1845].
^ o?ìor; [Nop. 1835; /Vr. 1836; i-'ir. 1845].
142 SUL MONUMENTO DI DANTE
Oggi vedove son le tue contrade,
Né c'è^ chi d'onorar ti si convegna. ^
Volgiti indietro ^ e guarda, "* o patria mia^
Quella turba •' infinita d' immortali,
E piangi e di te stessa ti disdegna; ^
Che se non piangi, ogni speranza è stolta : ~
Volgiti e ti vergogna e ti riscteoti, ^
E ti punga una volta
Pensier de gli^ avi nostri e de' nipoti. *^
D'aria e d'ingegno e di parlar diverso
Per lo toscano suol cercando già '^
L'ospite desioso
Dove giaccia colui per lo cui verso
Il Meonio ^- cantor non è più solo;^'^
> v'è [Xap. 1835; Fir. 1830) ; Fir. 1845],
■^ convegna, [Paler. 1834].
conveng-a.* [Boi. 1821].
■' indietro, [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1831; Nap. 1835;
Fir. 1836; Fir. 1845].
* gtiarda [Boi. 1824].
«* schiera [Fol. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834; Nap. 1835;
Fir.lSm; Fir. 1845].
* disdegna: [Paler. 1834].
' stolta. [Paler. 1834].
Che senza sdegno ornai la doglia è stolta: [y<^'p- 1835;
Fir. imy] Fir. 1845].
« riscuoti, [Roma 1818; Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834;
Na2J. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].
» degli [Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].
'" nepoti. [Nap. 1835; Fir. 1836].
" ^ìa [i?oma 1818].
'•-' meonlo [Boi. 1824; Fir. 1831; /Wer. 1834; .Ya^j. 1835;
Fir. 1836; /Vr. 1845].
'■'' solo. [Boi. 1824; i'^ir. 1831; Paler. 1834; lYa^j. 1835; Mr. im\;
Fir. 1845].
* Cosi nel testo; ma a pag. 201 leggesi:
ERRORI CORREZIONI
Pag. Un.
*2Q 13 convenga convegna.
SUL MONUMENTO DI DANTE 143
Ed oh vergogna ! ^ * udia -
Che non ch'iP cener freddo e l'ossa nude
Giaccian esuli ancora
Dopo il funereo di sott' altro suolo, *
Ma non sorgea dentro a tue mura un sasso, ^
Firenze, a quello per la cui virtude
Tutt^ Tutto il mondo t'onora.
Oh voi pietosi ^ ** onde si tristo e basso
Obbrobrio laverà nostro paese ! "
Bell'opra hai tolta, ^ e di eh' ^ amor ti rende,
Schiera prode e cortese,
Qualunque petto amor d' Italia accende.
Amor d' Italia, ^^ o cari.
Amor di questa misera vi sproni.
Ver cui pietade è morta
che
In ogni petto omai, perciò c/f' amari
Giorni dopo il seren dato n'ha il cielo. '^
' Ed (oh vergogna) [Boi. 1824; Flr. 1831; Paler. 1834].
Ed, oh vergogna! [Xaxy. 1835; Flr. 1836; Fir. 1845].
2 udìa [Roma 1818].
» che '1 [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834].
che il [Xap. 1835; Flr. 1836; Flr. 1845],
* suolo; [Roma 1818].
' sasso [Boi. 1824].
'''pietosi, [Flr. 1831; Paler. imi] Xap. 1835; Flr. 1836;
Flr. 1815].
''paese: [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834].
» tolta [Boi. 1824; Flr. 1831; Paler. 1831; xY«p. 1835; Flr. 183(5;
Flr. 184P.].
» che [Flr. 1845].
'" Italia [Boi. 18^].
" Cielo. [Boi. 1824].
cielo*** [Paler. 1834].
* Dopo Ed, e dopo vergogna, nell'autografo, la virgola fu cancel-
lata dall'Autore.
** La virgola dopo pietosi, nell'autografo, fu prima scritta e, poi,
cancellata.
*** Evidente errore di stampa.
144 SUL MONUMENTO DI DANTE
Forza ^ v'aggiunga^ e vostra opra coroni
Misericordia, -^ o figli,
affanno, *
E duolo e sdegno di cotanto lutto,
Onde bagna costei le guance e '1 -^ velo.
dirizzorassi
Ma come a voi convertirassi il canto ^
Cui non pur de le cure e de' consigli, ^
Ma de 1' '* ingegno e de la ^ man daranno
I secoli futuri eccelso vanto '°
e mostre »
Oprate a (java ne la ^^ dolce impresa?
Come a gran forza i- ecciteravvi il core?^^
Come a la mente accesa ^^
Crescerà novi raggi e novo ardore? '^
Rinforzerà la vampa e lo splendoreì
Voi spirerà l'altissimo subbietto.
" Spirti [Boi. 1824 ; Flr. 1831 ; Paler. 1834 ; Nap. 1835 ; Flr 1836 ;
Fir. 1845].
^ aggiunga, [Roma 1818].
\ Misericordia [Boi. 1824].
* affanno [Boi. 1824; Fir. 1831; Valer. 1834; Nap. 1835;
F.r. 1836; Fir. 1845].
•^ il [Naiì. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].
" Ma voi di quale ornar parola o canto [Boi. 1824; Fir. 1831;
Faler. 1834; Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].
^ Si debbe, a cui non pur cure o consigli, [Boi. 1824;
Fir. 1831; Pater. 1834; Nai). 1835; i^ir. 183(3; i^*V. 1845].
« ^ZeZ^' [.Y«7>. 1835; Fir. 1836; /'tV. 1845].
« della [Nap. 1835; i'^V. 1836; Fir. 1845].
"• I sensi e le virtudi eterno vanto [Boi. 1824; i-'iV. 1831;
Pater. 1834; Na2ì. 1835; /'ir. 1836; i^ir. 1845].
'• netta [Nap. imo,. Fir. 1836; Fir. 1845].
'■^ foga [Roma 1818].
'•■' Quali a voi note invio, si che nel core, [Boi. 1824;
Fir. 1831; Pater. 1834; A^a^?. 1835; Fir. 1836; i^ir. 1845].
^* Si che ne l'alma accesa [Bot. 1824; Fir. 1831 ; Pater. 1834].
7ie^^' [xV«2J. 1835; Fir. 1836; i'^ir. 1845].
^^ Xova favilla indurre abbian valore? [Boi. 1824; Fir. 1831;
Pa^er. 1834; Nap. 1835; /\>. 1836; Fir. 1845].
SUL MONUMENTO DI DANTE 145
Bd acri punte
E sproni acuti premeravvi al seno.
Chi dirà l'onda e '1 ^ turbo
Del furor vostro e de 1' ^ immenso affetto?
Chi pingerà l'attonito sembiante?
Chi de ^ gli occhi il baleno?
Qual può voce mortai celeste cosa
Agguagliar
Aden (ar ligur an d o ?
Mano a lo scalpro scalpro scalpro.
A Vopra a Vopra Oh quanti plausi * oh quante ^
Lagrime a voi la bella Italia serba ! •'
Come cadrà? come dal tempo rosa"
Fia vostra gloria o quando?
Voi ' di eh' il ^^ nostro mal si disacerba ^
Sempre vivete, ^^ o care arti divine,
nostra sventurata gente,
Conforto a nostre sventurate sorti
Su " r itale ruine
1 il [Nap. 1835; Flr. 1836; Fir. 1845].
-' deW [S^ap. 1^35; Fir. 1836; Fir. 1845].
^^ de<)li [Nap. 1S35; Fir. 1836; P'ir. 1845].
* Lunge sia, lunge alma profana. Oh quante [Boi. 1824
i''ir. 1831; P«Zer. 1834; Xap. 1835; i'Vr. 1836; Fir. 1815]
^ Lagrime al chiaro avello Italia serba. [Boi. 1824; Fir. 1831
Pater. 1834]
Lacrime al nobil sasso Italia serba! [Nay.lQSò-^ Fir. 1^Q>
Fir. 1845].
• rósa [Boi. 1824].
ròsa [Flr. 1831; Pater. 1834].
" Voi, [Boi. 1821 ; Fir. 1831 ; Pater. 1834 ; Na^y. 1835 ; Fir. 1836 ;
Fir. 1&15 .
• che '1 [Boi. 1824; P'ir. 1831; Pater. 1834].
eh' il [Xajì. 1835; Fir. 1836].
che il [P'ir. 1845].
* disarerha, [Boi. 1824; Fir. 1831; Pater. 1834; Na^^. 1835;
Fir. 1836; Fir. 1845].
'" vivete [Boi. 1824].
" Fra [Boi. 1824; Fir. 1831; Pater. 1834; Xap. 1835; T-'ir. 1886;
P'ir. 1845].
* Dopo p?attn, col microscopio, parrebbe vedere una virgola.
10
146 SUL MONUMENTO DI DANTE
a celebrare
GÌ' itali pregi ^ ad onorare intente.
Ecco Ecco voglioso anch' io
Ad onorar nostra dolente madre
Por Porto
Reco quel che mi lice,
E mesco a 1' ^ opra vostra il canto mio ^
Sedendo u' l vostro ferro i marmi avviva.
0 de l'Ausonio ^ carme ^ inclito padre,
Se di cosa terrena ^
Se di colei " che tanto alto locasti
a i ^
Qualche novella ai vostri lidi arriva,
Io so ben che per te gioia " non senti, ^^
Che ^' saldi men che cera e* men ch'arena ^-
Verso la
Verso la fama che di te lasciasti ^^
* prefij [Roma 1818].
•' alV \Naiì. 1835; Flr. 1830; Flr. 1845].
» mio, [Nap. 1835; Flr. 1836; Fir. 1845].
* aìiaonio [Boi. 1824].
^ O de l'etrusco metro [Flr. 1831; Paler. 1834].
„ dell' „ [Xa2i. 1835; Flr. 1836; Flr. 1845].
« terrena, [Boi. 1824; Flr. 1831; Palei^ 1834; Naj). 1835;
Flr. 1836; jF^/r. 1845].
' costei [i^ir. 1831; Paleì\ 1834; .Va^j. 1835; /^i'r. 1845].
* «t [A^«2'- 1835; Flr
^ gioja [Eoma 1818].
" senti.* [Boi. 1824].
'» Che [Boi. 1824; i'^ir. 1831; Paler. 1834].
" «re?i«, [/^o^. 1824; Flr. 1831; Pa^er. 1834; AV/^j. 1835; i^'/r. 1836;
i'^ir. 1815].
'3 Lisciasti, [Boi. 1824; i^iV. 1831; PaZ«r. 1834; .Ya^>. 1835;
Flr. 1836; Pt>. 1845].
* Nell'edizione di Bologna [182l], a ] ag. 27, leggesi:
file saldi men che rt>ra. è men ch'arena,
ma, a pag. 201, trovasi corretto l'evidente errore di stampa, e 1' "è„
diventa: " a men „
*Cofì nel tofto, ma alla pag. 201 dianzi citata;
non senti uon senti.
SUL MONUMENTO DI DANTE 147
Son bronzi e marmi, ^ e se da le ^ nostre menti
Se mai cadesti ancor, shmqiie s'unqua cadrai cadrai.
Cresca, se crescer può, nostra sciagura, ^
E in sempiterni guai
Pianga tua stirpe a tutto il mondo oscura.
Ma non per te, ^ per questa ti rallegri
Povera patria tua, shinque s'unqua l'esempio
De gli 5
Degli avi e de' parenti
Ponga
Porrà ne' figli sonnacchiosi ed egri
Tanto valor eh' ^ un tratto alzino il viso.
0 secol turpe e scempio! ~
Qual vedi Italia ch'era si meschina, ^
Leggiadro spirto, allora *
Che di novo ^*^ salisti al paradiso! ^^
' marmi; [Boi 1824; Fir. 1831; Paler. 1834; X^q). 1835; i^t'r. 183G
Fir. 1845]
« dalle [Xap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].
3 sciagura, [Roma 1818; Fir. 1831; Paler. 1834].
* te ; [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834; Xa2). 1835; Fir. 1830
Fir. 1845]
' Begli [Xajì. 1835; Fir. 1836; Fir. 1815].
« che [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834; .V«2J. 18a5; /«'tV. 1836
Fir. 1845]
' Quale e da quanto scempio [Boi. 1824; Fir. 1831; Pa-
Zer. 1834]
Ahi, da che lungo scempio [Xa^). 1835; Fir. 1836; Fir. 1845]
• Vedi guasta colei che si meschina [5o^. 1824; Fir. 1831
Paler. 1834; A^a^?. 1835; Fir. 1836]
Vedi afflitta costei, che si meschina [Fir. 1845].
» Te salutava allora [Boi. 1824; Fir. 1831; Pa/er. 1834
Xap. 1835; i^tV. 1836; Fir. 184'>]
>« nuovo [Po;. 1824; Fir. 1831; Pa^er. 1834].
" Paradiso! [Eoma 1818].
i^ararftso; [Boi. 1824; Kr. 1831; Paier. 1834].
148 SUL MONUMENTO DI DANTE
Ora è tal che rispetto a quel che vedi ' *
Ora Or tale e fatta chiappo quel che vedi,
AUor fu noUlissima fu beatissima e regina. '^
Aliar, dirai, fu nobile e reina.
Mostrar chi si rincora'^
eh'
Il mal che e'^ fia gran che, s'udendo il credi?
gli altri nemici e l'altre doglie "
Taccio ogni altro nemico ogni altra sorte
nera ^
Ma non la Francia scellerata " e cruda nera
lo" soglie
Per cui fin presso a morte
Vide l'ultima sera.
Giunse l' Italia ^"^ mia ^' distesa e nuda.
' AUor beata pur ((qualunque intende [Boi. 1824; Flr. 1831;
Pater. 1831]
Oggi ridotta si clie a quel che vedi, [Nap. 1835 ; Fir. 183G
Flr. 1845]
'^ A' novi affanni suoi) donna e reina; [Boi. 1824; Flr. 1831
Pater. 1834]
Fu fortunata allor donna e reina. [Nap. 1835 ; Flr. 1836
Flr. 1845]
^ Ch'or nulla, ove non fora [Boi. 1824].
„ fora [Flr. 1831; Paler. 1834].
Tal miseria l'accora [Nap. 1835; Flr. 1836; Flr. 1845].
* è** [Roma 1818].
^ Somma pietade assai, pietade attende. [Boi. 1^1^] Flr. 1831;
Paler. 1834].
Qnal tu forse vedendo a te non credi. [Nap. 1835; Flr. 1836].
„ mirando „ [Flr. 1845].
« do(jlle ; [Boi. 1824 ; Flr. 1831 ; Nap. 1835 ; Flr. 183t) ; Flr. 1845].
doylle.*^* [Paler. l':34].
' scelerata [Boi. 1824].
« nera, [Boi. 1824].
Ma non la più recente e la più fera, [Flr. 1881; Paler. 1834;
Na2ì. 1885; Flr. 1836; Flr. 1845].
" alle [Nap. 1835; Fir. 1836; Flr. 1845;.
'" la patria [Boi. 1824; Flr. 1831; Paler. 1834].
" tua [Nap. 1835; Flr. 1836; Flr. 1845].
* Dopo rcrft, la virgola, nell'autogralo, fu cancellata dall'Autore.
** Evidente errore di stampa.
*** Idem
SUL MONUMENTO DI DANTE 149
Beato te eh' il ^ fato
tant 'orrore, tanto orrore, *
A viver non dannò fra tanti orrori
Che non vedesti in braccio
L' itala moglie a barbaro soldato, ^
colti -^
Non predar ^ non guastar cittadi e ville
Di Franche torme il bestiai furore, ^
Non de gì' " itali ingegni
Tratte l'opre cattive * h miseranda
Schiavitude oltre l'alpe, e non de'^ folti
Carri impedita la dolente via, ^^
Non gli aspri cenni ed i superbi regni, ''
Non le minacce udisti gli udisti cltraggi e la ne-
Voce di libertà che ne schernia [fanda
Tra de le '^
t ra '1 ^- suon delle catene e de' flagelli. *
' che H [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834].
che il [Xa2). 18:35; Flr. 1836; Fir. 1845].
« orrore; [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834; Xap. 18:5;
i^iV.1836; i^tV. 1845].
* soldato; [Boi. 1824; Flr. 1831; Paler. 1834; Kaj,. 1835;
Fir. 1830; Fir. 1815],
* jìredar, [Xai). iaS5; Fir. 1836; Fir. 1845].
' còlti [Fir. LS31; Paler. 1834].
® L'asta inimica e '1 perogrin furore; [Boi. 1824; Fir. 1831;
PaYer. 1834].
il „ [Aa2>-1835; /Vr. 183f5;
i^iV. 1845].
■ def^r [Xaji. 18a5; Fir. 18 r); i-Vr. 184-5].
« divine [Boi. 1824; /-'*>-. 1331; Paler. 18:34; .Vaj^ 1835: /'^r. iHdCy,
Fir. 1845].
» da' [Boi. 1824].
'» uta; [5oZ. 1824; Fir. 1831; Pc^^er. 1831; Xaj). 1835; i'V/-. 18:3(>;
/'ir. 1845].
" reffui; [Boi. 1824; Fir. 1831; 7^a/er. 1834; .Yw;». 1835;
Fir.lHm;Fir.imh\.
'■' il [Xap. 1«35; Fir. 1836; Pir. 1845].
'^ ^/ei^e [.Va^>. 1835; P*'r. 1886; Fir. 1^5].
* Dopo^ajiWt, nell'autrigrafo, c'è un punto interrogativo, che venne
cancellato dall'Autore.
150 SUL MONUMENTO DI DANTE
soffrimmo ? intatto
Chi non si duol? che non soffrimmo f* intatto "i
Che lasciaron quei felli?
Qual tempio ^ quale altare o qual misfatto ?
venimmo a si perversi
Perchè vedemmo mA ù feri tempi?
Perch'iP nascer ne desti ^ o perchè prima
Non ne desti ^ il morire,
Acerbo fato? onde a stranieri ed empi
Nostra patria vedemmo vedendo ancella e schiava,
da mordace
E roder suo valore acuta lima
la sua virtù,
Roder lo suo valor ^ di nuli' aita
E di nullo conforto
Lo spietato dolor che la stracciava
Scemar potemmo il duol che la stracciava.
Ammollir ne fu dato in parte alcuna.
Ahi non il n** sangue nostro e non la vita
Avesti, ^ o cara, ^ e morto
Io non sou per la tua dira ' fortuna.
il pianto infino al suol mi gronda. *
duol m ' inonda.
Qui si eh' io grido e gli occhi il pianto inonda.
' tempo, [Boi. 1824].
tempio, [Fir. 1831; Paler. 1834; Nap. 1835; Fir. 1836;
Fir. 18451.
» Perchè '1 [Boi. 1824; Fir. 1831; Paer.lHU].
il [Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].
» désti [Boi. 1824; Fir. 1831; Faler. 1834].
* désti [Fir. 1831; Paler. 1834] .
* Avesti [Boi. 1824].
" cara; [Fir. 1845].
" cruda [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834; Nap. 1835; Fir. 18::6;
Fir. 1845].
* Qui l'ira al cor, qui la piatale abbonda: [Boi. 1824].
„ „ pietade [Fir. 1831; Paler. 1834;
Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].
* L'interrogativo, dopo soffrimmo, vedesi cancellato, e scritto dopo
intatto.
** Avéva incominciato, come si vede, a scriver nostro.
SUL MONUMENTO DI DANTE 151
Pugnò ^ * cadde gran parte anche di noi, ^
Ma per la moribonda
Italia no, ^ per li tiranni suoi.
Padre, se non ti sdegni,"*
Cambiato ^ quel
Cangiato se' ^ da qual che fosti in terra.
Morian ' fra le Rutene ^
Orride^ piagge, ** ahi d^ d'altra morte degni,
GÌ' itali prodi, ^^ e lor fea Varia aere e '1 ^^ cielo ***
E gli uomini e le belve immensa guerra.
a squadre a squadre
C adeano e a schiere a schiere
maceri
Semivestiti ^~ e squallidi e cruenti, '^
Ed era letto strato letto a gli ^^ egri corpi il gelo.
Allor Allor, quando traean l'ultime pene,
' Pugnò, [Fu: 1831; Pater. 1834; Xap. 1835; Fir. 1838;
Fir. 1845].
2 noi; [Boi. 1824; Paler. 1834].
noi: [Fir. 1831; Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].
•'' no; [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834; Xap. 1835; Fir. 1845].
* sdegni [Roma 1818].
^ Mutato [Boi. 1821; Fir. 1831; Paler. 1834; Nap. 1835;
Fir. 1836; Fir. 1845].
« s^i [Nap. 1835; i-^/r. 1836; Fir. 1845].
^ .Uorla7i [/^o»t« 1818].
^ per le rutene [Boi. 1824; Fir. l>i'òl] Paler. 1834; Nap. 1835;
i'^ir. 1836; Fir. 1845].
» Squallide [Z^oZ. 1824; Fir. 1831; P«/er. 1831; .Vai?. 1835;
Fir. 1836; Fir. 1845].
'" ptrodi; [Boi. 1824; Fir. 1&31; Paler. 1834; .Ya^?. 1835;
Fir. 1836; Fir. 1845].
''il [Naiì. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].
'^ Semivestiti, [Boi. 1824; Fir. 1831; FaZer. 1834; X/^j». 1835;
Fir. 1836; i-'ir. 1845].
" crMe?i«i [/ioZ. 1824].
'* agli [lioma 1818; .V«2?. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].
* La virgola dopo pugnò, nell' autografo, fu cancellata dall'Autore.
** La virgola dopo piagge, fu prima tolta, e, poi, rimessa.
*♦♦ La virgola dopo cielo, nell'autografo, fu cancellata dall'Autore.
152 SUL MONUMENTO DI DANTE
Membravan ^ queste questa desiata madre '
Dicendo, Oh ^ non le nubi e non i venti *
Ma ne spegnesse il ferro, e pel ^ tuo bene, ^
O Italia o Italia O patria da te rimoti,'
O jmtria o 2)atria nostra!" Ecco in remoti,
Quando più bella gioventù ci ride,*^
Campi, oh quanto, quando l'età meglio ci ride,
Paesi, oh quanto è 7 del che ne divide,!
A tutto il mondo ignoti ^
Moriam per quella gente che t'uccide.
Lor tristo
Vide lor fall fato il pallido deserto '°
E Borea vide borea vide
Eie Ed Aquilone e le fischianti selve. '^
Cosi vennero al passo,
E i negletti cadev cadaveri al''- aperto
Su per quello di neve orrendo'^ mare
Sbranar frementi su ^^e?' V arduo mare
> Membrando [Nap. 1835; Flr. 1836; Fir. 1845].
« mjidre, [Boi. 1824; Fir. 1831; Pater. 1834; Xaj). 1835;
Fir. 1Mb].
3 Dicendo; oh [Boi. 1824].
Dicendo: oh [Flì\ 1831; Paler. 1834].
Diceano: oh [Na2). 1S35; Fir. 183G; i^'ir. 1845].
* venti, [Boi. 1824; Flr. 1831; Pater. 1834; Xa2). 1835;
i^ir. 1836; i^^r. 1845].
' per [Xap. 1835; Flr. 1836; Flr. 184.5].
« ìjene [Boi. 1824:
' nostra. [Boi. Ì824; Flr. 1831; PaZer. 1834; .Y./^?. 1835;
i-^'r. 1836; i-Vr. 1845].
* Quando più bella a noi l'età sorride, [Boi. 1824; Fir. 1831;
Paler. 1834; .Y«i>. 1835; i-^i'r. 1836; Fir. 1845].
» i>io<i', [Boi. 1824; PtV. 18*1; 7'aZer. 1834; Nap. 1835;
i-Vr. 18-6; i'V'r. 1845].
'« Ma di lor fato il boreal deserto [Boi. 1824].
Di lor querela „ „ [Flr. 1831; P«Zer. 1834;
Yajj. 1835; Flr. 1836; i-Vr. 1845].
'' E conscie fnr le sibilanti selve. [Boi. 1824; Pir. 1831;
Pater. 1834; Ya^?. 1835; Flr. 1836; i'/r. 1845].
1-' all' [.Va^j. 1835; P^'r. 1836; Flr. 1845].
'^ orrido (PoZ. 1821; Flr. 1831; PaZer. 1834; Xaji. 1835;
i'V. 1836; Pi r. 1845].
SUL MONUMENTO DI DANTE 153
Si smozzicar le
Di nere orride belve, ^
E fia l'onor de' generosi e forti -
Ed un fia 7 nome a chi verrei de^ forti
Pari mai sempre ed uno
E de (fU ec/ref/iy ed imo
Con quel de' tardi e vili.
Z>e' vili e Je' vibahli. Anime care,
Bendi' ^ infinita sia vostra sciaiira, ^
Datevi pace, •'* e questo vi confv^rti
Che conforto nessuno
o
Avrete in questa e no 1' ^ età futura.
In seno al vostro smisurato affanno
Posate." 0 di costei veraci figli,
supremo
Alain Al cui lììartire e al danno
Il vostro solo è tal
Forch il vostro non e che rassomigli. ^
Di voi già non si lagna
La patria vostra, ma di chi vi spinse
A pugnar contra lei ®
Si ch'ella sempre amaramente piagna
' Dilaniar le belve; [Boi. 1824].
Dilacerar „ [Flr. 1831; Pater. 1834; Xap. 1835:
Flr. 1845].
Dilacerar „ [Fir. 1836].
* E sarà '1 nome de gli egregi e forti [Boi. 1824; Fir. 1831;
Pater. 1834].
r, il „ degli „ „ [Xaiì. 1835; Fir. 183G;
Fir. 1845].
» Ben che [Boi. 1824; Flr. 1831; Pater. 18-34].
* sciagura, [Xap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].
' 2mce; [Boi. 1824; Fir. 1831 ; Xap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].
pace: [Pater. 18^].
« neti' [Xap. 1835; Fir. 1836; Flr. 18-15],
' Posate [Boi. 1824].
« s'assomigli. [.Vo^?. 1835; Fir. 1836; i-^'r. 1845].
* tei, [Xap. 1835; /^iV. 1836; Fir. 1845].
'» t7 [xVa^^. 1835; Flr. 1836; i'^ù-. 1845].
" lacrimar [Xap. 18a5; i'^iV. 1836; Flr. 1845].
154 SUL MONUMENTO DI DANTE
Oh di costei ^ che tanta verga strinse ^
Pietà nascesse in core
A tal de' suoi che ^ affaticata e lenta
Di si buia ■* vorago -' e si profonda
La ritraesse ! ^ 0 glorioso spirto,
Limmi, ~ d'Italia tua morto è l'amore?
Dimmi, gran la vampa
Dimmi la fiamma che t'accese ^ è spenta?
Dimmi, né mai ^ rinverdirà quel mirto
Che tu festi sollazzo al nostro male?^^
E saran tue fatiche a l'aria sparte? ^^
Né sorgerà mai tale
Che ti rassembri in qualsivoglia parte?
In eterno peri la gloria nostra? ( ,2
E non d'Italia il pianto e non lo scorno l
Ebbe n * verun confine ? ^^
Io mentre vivo viva andrò ^ sciamando intorno,*^
' costei, [Boi. 1824; Flr. 1831; Paler. imi].
2 stri7ise, [Boi. 1824; Fir. 1831; Faler. 1834].
Oh di costei ch'ogni altra gloria vinse [Fir. 1845].
« eh' [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834; Nap. 1835; Fir. 1836;
Fir. 1845].
* buja [Rovi a 1818].
» Di si torbida notte [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1334].
« ritraesse. [Boi. 1824].
' Binimi: [Fir. 1831; Paler. 1834; Nap. 1835; i'^/r. 1836;
Fir. 1845].
8 ^'accese, [Roma 1818; 2?oZ. 1824].
Di: quella fiamma che t'accese, [Fir. 1831; Paler. 1834;
iVa2>- 1835; Fir. 1836; Kr. 1815].
» Di: né più mai [Fir. 1831; Paler. 1834; .Va^?. 1835;
i^tV. 1836; i'W. 1815].
'° Ch'alleggiò per gran tempo il nostro male? [Fir. 1831;
Paler. 1834; .Vce^^. 1835; Fir. 1836; i^ir. 1845].
*' Nostre corone al suol fien tutte sparte? [Nap. 3^35;
Fir. 1836; Fir. 1845].
''^ In eterno perimmo? e il nostro scorno [Nap. 1835;
Fir. 1836; Fir. 1845].
'' Non ha verun confine? [Nap. 1835; i'^ir. 1836; Fir. 1845].
'^ tn^orjio; [Fir. 1845].
* Si vede chiaramente che voleva scrivere nessun.
SUL MONUMENTO DI DANTE 155
Volgiti a gli' avi ^ tuoi, guasto legnaggio, "^
Mira queste ruine *
E le carte** e le tele e
Le tele , e i marmi ed l palagi e i templi, *
E se le carte divine,
qual terra premi, "
Pensa che terra e questa, e se svegliarti ^
Non può la luce di cotanti esempli,"
Che stai? levati ^ e parti.
si corrotta usanza
Non si conviene ^ a vostra turpe turpe
Questa d'eccelse menti '^ altrice e scola:
Se di codardi '' è stanza, '"-
Meglio r è rimaner vedova e sola.
1 agli [Nap. 1835; Fir. 1836; Plr. 1815;.
2 a' padri [Boi. 1824].
" legnaggio; [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1831; Xajj. 1835;
* tèmpi : [Boi. 1824].
templi; [Fir. 1831; Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].
templi: [Paler. 1834].
^ preni] [Fir. imi] Paler. 1834; Nap. 1835; Fir. 1836;
Fir. 1845].
« destarti [Fir. 1831; Pa^er. 1831; JVajj. 1835; Fir. 1836;
i'^ir. 1845].
L'avite ossa rimembra, e se destarti [Boi. 1824].
' Il radiar non può di tanti esempi, [Boi. 1824].
« levati [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834].
® convien [i?o?>ia 1818].
»" (^ues^a di prodi ingegni [Boi. 1824; i'^i'r. 1831; PaZer. 1834].
„ d'animi eccelsi [Nap. 1835; Fir. 1836; PtV. 1845].
" d'infingardi [Fir. 1831; Pa;er. 1834].
'^ stanza; [Roma 1818].
* Dopo ruine, nell'autografo, era una virgola, che fa cancellata
dall'Autore.
** Anche dopo carte la virgola fu cancellata.
AD ANGELO MAI
Un quadernetto di otto facciate, onde le due ultime
in bianco (copertina verde).
AD ANGELO MAI'
Italo ingegno, - a che già ^ mai non posi *
Di svegliar da le ^ tombe
I nostri padri? e a favellar^ gli meni
A questo secol morto " * al quale incombe
come
Si gran "^ nebbia di tedio? E per or vieni
* Canzone ] di | Giacomo Leopardi j ad [ Angelo Mai [Bolo-
gna MDCCCXX].
Ad Angelo Mai* | quand'ebbe trovato i libri | di Cicerone
della Repubblica [Boi. 1824]
Ad Angelo Mai, | quand'ebbe trovato i libri [ di Cicerone
della Eepubblica. [Fir. 1831; Paler. 18M; Na2i. 1835
Fir. 1836; F.r. 1845]
2 ardito, [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834; NajJ. 1835
Flv.l^G) Fir. 1815]
^giammai [i^'ir. 1831; Paler. 1834; Xop. 1835; Fir. 1836
Fir. 1845]
* pósi [Boi. 1824].
posi [Fir. 1831 ; Paler. I-M].
» dalle [Xa2i. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845],
« ed a parlar [Xap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].
' morto, [Fir. 1831; Puler. 1834; .V«^. 1835; Fir. 183(5;
i^ir. 1845].
» Tanta [Z?oZ. 1824; Fir. 1831; Pai. 1834; iVap. 1835; Fir. 1836].
* Noli' autografo, dopo morto, si vede una virgola, che fu can-
cellata dall'Autore.
160 AD ANGELO MAI
Si forte a' nostri orecchi e sì frequente,
Voce antica de' nostri ^ *
Muta si lunga etade? e perchè tanti
Risorgimenti? In un balen feconde
Venner le carte f] e a la ^ stagion presente
I polverosi chiostri ^
Serbaro intatti * i generosi e santi
Detti de gli ^ avi f . E che valor t' infonde ^
II cielo ^ e '1 fato, italo lidXo illustre? e quale
Tanto avvivar fu degno altro mortale ? ^
Certo S3nza divino ^^ alto consiglio
Non è ch'ove più lento
E grave è '1 ^^ nostro disperato obblio,
percoter rieda
A jjerciioter ne riecìe ogni momento
Novo grido de' padri. Ancora è pio
' nostri, [Fh\ 1831; Pater. 1834; Naji. 1835; Fir. 1836;
Fir. 1815].
^ ] a la [Fir. 1831; Paler. 1834].
; ali 2 [Xaj). 1835; Fir. 183(5; Fir. 1845].
" Chiostri [Boi. mucccxx].
* occulti [Fir. 1831; Faler. 1834; Xap. 1835; Fir. 1836;
Fir. 1845].
« degli [Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1815].
« f infonde, [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834; Fir. 1845].
^ Cielo [Boi. MDCccxx].
« Italo egregio, il fato? O con rumano [Boi. 1824; Fir. 1831:
P«Zer. 1834; .Y«^;. 1835; Fir. 1836; iPir. 1845]
^ Valor contrasta il duro fato invano? [Boi. 1824; i'^'r. 1831
Paler, 1834]
Valor forse contrasta il fato invano? [Nap. 1835
i^ir. 1836; Fir. 1845]
1" de' numi [Boi. 1824; /^ir. 1831; Paler. 18M; A^. 1835
Fir. 1836; i^ir. 1845].
'^ il [Nap. 1835; /^ir. 1836; Fir. 1845].
* Dopo nostri, nell'autografo, si vede una virgola, che fu cancel-
lata dall'Autore.
AD ANGELO MAI 161
Dunque a 1' '•■ italia ^ il cielo, ^ anco si cura
Di noi qualche immortale ; ^
nessun'
Che poi eh' è questa * ^ o verwi' altra poi
L'ora da ripor mano a la ^ virtude
Rugginosa de l' ^ itala natura,
Tanto e si strano e tale ^
È '1 "^ clamor de' sepolti ; , e de gli ^^ eroi
Dimenticati il nome si ^' dischiude,
0 patria o patria, anco in età si tarda '^
Chiedendo se ti giovi esser codarda. '^
Spirti sublimi, ancor di noi serbate '*
Qualche speranza? ^-^ in tutto
' all' [Xap. 1835; Fir. ISÒC,; Flr. 1845].
'' Italia [Boi. 1824; Flr. 1831; Fai. 1834; Nap. 1835; Fir. 183fi;
Flr. 1845].
3 Cielo] [Boi. 1824].
cielo; [Fir. 1831; Paler. 1834; Nap. 1835; Fir. 1836;
Fir. 1845].
' immortale: [Boi. 1824; i-^r. 1831; P«Zcr. 18^4; Nap. 1835;
i^ir. 1836; i'^^r. 1845].
'' Che dov' è questa [Boi. 1824].
Ch'essendo „ [Fir. 1831; P«^er. 1834; .Ya^?. 1835;
Fir. 1836 ; i^'ir. 1845].
« a^Za [.V«jj. 1835; Fir. 1836; Fi'/-. 1845],
^ delV [Nap. 1835; i^'i'r. 1836; Fir. 1845].
** Ve^giam che tanto e tale [Flr. 1831; Pai. 1834; .Vrtj>. 18a5;
i^^'r. 1836; Fir. 1845].
" i7 [i^i'r. 1831; Pai. 1834; .Yc/7>. 1835; Fir. 1836; i'^ir. 1845].
'" che [Fir. 1831; P«Zer. 1834; Nap. 1835; i'VV. 1836; i-'/r. 1845].
" Dimenticati il suol quasi [Fir. 1831; Paler. 1834; .Ya/:>. 1835;
Pir. 1836; i^/r. 1845].
'-' A ricercar s'a questa età si tarda [Fir. 1831; Pai. 1834;
Nap. 1835; Pir. 1836; Fir. 1845].
' ' Anco ti giovi , o patria, esser codarda. [Fir. 1831 ;
Paler. 18'34; Nap. 1835; Pir. 1836; Fir. 1845].
" Noi miseri la speme aurea non fugge, [Boi. 1824].
Di noi serbate, o gloriosi, ancora [Fir. 1831; Paler. 1834;
Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].
'^ O gloriosi? [Boi. 1824].
* Dopo questa, nell'autografo, la virgola fu cancellata dall'Autore.
11
162 AD ANGELO MAI
Non slam periti ? a A voi certo * il futuro
io
Ignoranza non copre: Io son distrutto ^
annientato
Ed annullato dal dolor, che scuro ^
M' è l'avvenire, e tutto quanto io scemo
È tal che sogno e fola
P'a parer la speranza. Anime prodi,
Voi non sapete a che siam giunti? È morta ^
Italia vostra ; a' vostri figli è scherno ^
E d'opra e di parola
; di vostre eterne ^ lodi
Ogni valor . Non più di vostre lodi
Non è chi pensi, nullo si conforta, ^
Si cura alcun c?e' nostri, o
Del vostro rimembrar, che di viltade **
Di vostro nome, esemplo,
Cile noi d'ignavia esemplo e di viltade
' forse [Nap. 1835; Flr. 1.S3G; Flr. 1845].
^ Non volano i destini: altro ohe lutto [Boi. 1824].
Conoscer non si toglie. Io son distrutto []Sfa2y. 1835
Flr. 1836; Fir. 1845]
^ Sdegnano i sensi miei, che torbo e scuro [Boi. 1824]
Ed annullato dal dolor, che scuro [Flr. 1831; Pcd. 1834]
Né schermo alcuno ho dal dolor, che scuro [Xap. 1835:
Flr. 1836; Fir. 1845]
* A i tetti vostri inonorata, immonda [Boi. 1824; Flr. 1831
Pater. 18M]
Ai „ „ „ [Xap. ISm; Fir. 1^6
Fir. 1845]
^ Plebe successe; al vostro sangue è scherno [Boi. 1824;
Fir. 1831; Pater. 1834; Nap. 1835; Flr. 1836; Flr. 1845].
« inclite [Boi. 1824; Flr. 1831; Pater. 1834].
' conforta [Boi. mdcccxx].
Tace ritala riva; egro circonda [Boi. 1824; Fir. 1831;
Pater. 1834].
Né rossor più né invidia; ozio circonda [Nap. 1835;
i^ir. 1836; Flr. 1845].
^ Ozio le tombe vostre, e di viltade [Boi. 1824].
vostre; „ [Vir. 1831; Pa^er. 1834].
I monumenti vostri; e di viltade [A'a^j. 1835; Fir. 1836;
Fir. 1845].
AD ANGELO MAI 163
Siam tutti' esempio a qualsivoglia
N^of siamo a questa e a la trascorsa etade. •
Bennato ingegno, or j)^'' quando aìtrni non calo
Do' nostri alti parenti,
A te ne caglia, a te cui '1 fato ^ aspira
Benigno si * che per tua man presenti
Paion que' giorni allor che da la •' dira
Obblivione ^ antica ergean la chioma '
Con gii studi ^ sepolti ^
I vetusti divini ^^ a cui natura '^
Parlò senza svelarsi, *- onde i riposi
Magnanimi allegrar ^^ d'Atene e Roma.
Oh tempi ^* oh tempi avvolti
Xel In not sonno eterno! '^ allora"^
III ombra eterna! Aìlora anco immatura
' fatti [Boi. MDCCCxx],
- Siam fatti esempio a la futura etade. [Boi. 1824; Flr. 1831:
Pater. 18S4].
„ alla .. [Xa2)- 1835; Flr. 1830;
Flr. 1845].
» ciù fato [Boi. 1824: Flr. 1831: Faler. 1834; NajJ. 1835;
Flr. 1836; Flr, 18451.
* sì, [Flr. 1845].
" dalla [Xa2). 1835; Flr. 183G; Flr. 1845].
** Obblivione [Boi. mdcccxx ; Boi. 1824; Fir. 1831].
'chioma, [Boi. 1824; Flr. ISSI : Pater. 1834; iV««- 18B5:
Flr. 1836 ; i'^ir. 1845].
« 6'^«f?J [i-'ir. 1815].
' sejyoltl, [Boi. 1824; i^^'r. 1831; Paler. 1834; iV ««. 1835; i^ir. 183(^;
/'à'.1815].
'" i>;ymi [5o^. 1824; Flr. 1831; PaZer. 1834].
dlolìil, [Xaj). 1835; /Vr. 1836; Flr. 1845].
" Natura [Boi. 1824].
'- Parlò nò disvellossi, [Boi. 1824].
•^ allegrar [Boi. 1824; i'^ir. 1831; /^«^('r. 1834; Nap. 1835:
i'^ir. 1845]:
allegrar [Flr. 1836].
" /c/uj?;, [i'Vr. 1831; Pater. 1834; AVm. 1835; Flr. 1836;
i''ir. 1»15].
'■' eterno. [Boi. mdcccxx; Boi. 1824; Flr. 1831; P.j^m 1834].
' M/^om f/?o/. Mi.(((xx: l}ol. 1821; i-'ìr. 1831; Pater. 18ìM;
A«2>. 1835; i-Vr. 1836; Pir. 1845].
* Forse voleva scrivere ; or poi che altrui ecc.
l(ji AD ANGELO MAI
La riiiiia cV Italia, ^ anco sdegnosi
turpe,
Eravam d'ozio vile, e l'aere- a volo
da questo
Una ^ favilla ergea dal nostro suolo. ^
Eran calde le tue ceneri sante,
Intrepido nemico Indomito Non domito nemico
Fortissimo nemico Impavido nemico
masclUo sdegno e dolore
De la ^' fortuna, ''' al cui sdegno e dolore
Fu più l'averno ' che la terra amico ; ,:^
L' a verno ;;'^ e qual non è parte migliore
Di questa nostra? E le tue dolci corde
Tremolavano '" Tremolavano Sussurravano
Trepidavano ancora
]>al _ sfortunato sfortunato **
J)el tocco di tua destra *^^ o sventurato
Amante. Ahi dal dolor comincia e nasce
grava pesa
L' italo canto. E pur men '- ^;e.9rt e morde
' [tallo, [Boi. 1824; Flr. 1881; IWer. 1884; Xap. 1885;
^W. 1836; i<^i)'. 1845].
-' laura [Xap. 1885; Flr. 188(5; Fir. 1845].
■' Qualche [Flr. 1881; rale7\ 1884].
^ Più faville rapia da questo suolo. [Xap. 1885 ; Flr. 188'5 ;
Flr. 1845].
■"• Bella [Xap. 1885: Flr. 188' 5 ; Flr. 1845].
•^ Fortuna, [Boi. 1824].
" l'Averìio [Boi. 1824].
** amico. [Boi. 1824 ; Fir. 1881 ; Faler. 1884 ; Xaj). 1885 ;
Flr. 188r,; Flr. 1845].
» L'Aoerno: [Boi. 1824].
L'aoerno: [Flr. 1881; 2\der. 1884; Xap. 1835; Flr. 188G;
Flr. 1845].
'" Susurravano [Flr. 1881; Faler. 1884; Xap. 1835; i'^i'r. 1836;
i'^ir. 1845].
''destra, [Flr. 1881; 7Wer. 1834; .V«^>. 1835; Fir. 1836;
i''ir. 1845].
>•-' '//iè»i [Z^o^. 1824; Fir. 1831].
7;i6'n [P«Zer. 1834].
* L' Autore dopo destra pose da iirima una virgola, che. poi, can-
celU").
"^^ Fu riscritto, non già per pentimento, si bene per maggioro
chiarezza.
AD ANGELO MAI 105
Il mal che n'addolora
sciaura
La sventura che 7 tedio, e la (lìmora
Del tedio, ^ che n'affoga.
faticoso
Pih che V arduo cammino. Oh te beato,-
A cui fu vita il pianto.'^ A noi le fasce
Cinse la noia, e siede accan accanto il nulla "*
Immoto e ne la tomba e ne la culla. ■'
Ma tua vita era allor con o-li astri e '1 '' mare.
Ligure ardita prole,
Quando' oltre a le' colonne^ ed oltre a i^ liti'"
Cui strider l'onde a 1' '' attuifar del solo '-
Pareva udir
Parca vicino la sera, a gl'infiniti''
. Flutti commesso, ritrovasti il raggio
Del sol '^ caduto, e '1 '•"* giorno
'tedio [Boi. MDCccxx: Jhl. 1824: /•'//•. lsp,l : Palcr. l^M
Xa2i. 1SH5: J-'ir. IsHli: /'/,■. 184;)]
-' h'?ato \lìol. MDCCCXX ; Boi. 1824J.
■ iHo.nto! \Naiì. 1^"^] Flr. 18"36; Flr. 1845].
' (Jiiiso il fastidio ; a noi presso la culla [/Jo/. 1824; Flr. 18B1 ;
Paler. 18M; Xap. 1835; Fir. 1836; Flr. 1^5].
• Immoto siede, e su la tomba, il nulla. \BoL 1824: Flr. 1831;
Fahr. 1834; Nap. 1835; Flr. lHn\\ Flr. 1815].
'•• U [Xaiì. 18:-55; Flr. 1830; Flr. 1845J.
• alle [Xap. 18 55; Flr. 1836; Flr. 1845].
- rnhnuir. f/'Vr. IsU : /V/c/-, ls34': Xap. 1835: Flr. 1836;
Flr. 1845].
'■' al [Xap. 18J5; /''/:/•. 1H;!<;: Flr. I845j.
"> un, [Flr. 1&45].
" aW [Xap. 1835: Flr. 1833; Flr. 1845].
'-' Cui strider parve in seno a l'onda il sole, * [Boi. 1824;
Flr. 1831; Paler. 1834].
'■'■ Xovo di prore iiicarcd a i>rinfìniti [/>o?. 1824; i*^ir. 1831:
Paler. 1834] i
Parve ulir su la sora.*^- ai>'r infiniti [Xap. 1835; Flr. 1836;
Flr. 1845].
" Sol [Boi. lH2i] Flr. imi; Xap. 1835; /^V'r. IS-VI: /•';/•. 1815|.
'• Il [Xaji. 1835; Flr. 1836; Flr. 1845].
• Nelle edizioni di Firenze [i^i] e di ì'<ilc,->.i<, \\^;i]. dn]„> snir o\
ha la chiamata della nota: [sole (l),]
** Nelle edizioni di Xuitoìi [l&ió] e di Firenze \\<'A\ e IST)!. doi.o
sera è la chiamata della nota: [sera {2).\
1(J6 AD ANGELO MAI
giunto
Clie nasce allor eli' a i ' nostri è (l'ito al fondo ;
E vinto - di natura '' ogni contrasto,
Ignota immensa terra al tuo viaggio
Far Fu gloria, * e del ritorno
A i ^ rischi. Ahi ahi ^ che ' conosciuto il mondo
Non cresce ^ ma ^ si scema, e assai più vasto
È al fanciullin che a quello a cui del cielo "^
Gli arcani e de la terra lian perso il velo. '^
Nostri beati sogni ^- ove son giti
De r ''Mg-noto ricetto
o diurno
D' ignoti abitatori, e del not *
De gli ^^ astri albergo, e del rimoto letto
' al [Paler. 1834; Xap. 1835; Flr. 183(3; Flr. 1845].
-' rotto [Boi. 1821; Flr. 1831; Pai. 1834; .Ya7).1835; Flr. 1836;
Flr. 1845J.
• Natura [Boi. 1824;.
•» ;/lorla [Boi. 1824].'
■• U/ [.VrtiJ. 1835; Flr. 183G; i-'ir. 18151.
" ahi, [fio^. 1824; i-'ir. 1831; P«^. 1834: AV^;. 1835; Flr. 1836;
i»'*)'. 1845^
' lUca [7ioZ. 1824; Flr. 1831; Faler. 1834; A'ap- 1^^^; ^'"'- 1^^
Flr. 18451
'^ c/'e6'ce. [Boi. 1824; /'ir. 1831; Pa^er. 1834; Naj). 1835; i^ir. 1836
Flr. 1845]
•' anzi [/j'o^. 1821: Flr. 1831; PaZer. 1834; Xap. 1835; Pir. 1836
Pt'r. 1845]
'" L'etra sonante e l-alina terra e "1 mare [Boi. 1824; Flr. 1831
Faler. 1834]
U [Xap. 1835; PÌ>\ 183(3
Flr. 1845]
" Al fanciullin. clic non al sag^io,*--= appare. [Boi. 1824
Flr. ISòi; Faler. 1834; Xap. 1835; Pir. 1836; Pir. 1845]
'- Nostri sogni leggiadri [Xap. 1835; Flr. 1836; Pir. 1845]
>•• DjW [.Vrt^>. 1835; Flr. 1836; Pir. 1845].
'^ Degli [Xap. 1835; /'«r. 183(3; Flr. 1845].
* È chiaro olio volca scriverò ììottìirno.
*** Dopo siKjdio nella sola o<Iiziono di />,iì,'rii)o non ci ha la vir-
gola.
AD ANGELO MAI 167
De la ^ giovane aurora, " e del notturno
Occulto sonno del magfì-ior pianeta? *
Sete svaniti a un punto. ^
Ecco tu ** descritto il mondo in breve carta, ^
Ecco tutto è simile, ^ e discopi'endo, ^
Solo il nulla s'accresce. A noi ti vieta
Il vero appena è giunto,
0 caro immaginar; da te s'apparta
Nostra mente per sempre;, a lo stupendo"
Poter tuo primo ne sottraggon gli anni, '"^
E rifugio non resta a i nostri aiFanni. ^
Nascevi a' ^^ dolci sogni intanto, e '1 " piimo
Sole splendeati in vista, ***
^ Della [Nap. 1835; Flr. 1836; Fir. 1845].
^Aurora, [Boi. 1824; Flr. 1831; Paler. 1834; Xap. 1835;
Flv. 1836; Flr. 18-45].
^ Ecco svanirò a un punto, [Boi. ISil: Flr. 1831; Fai. 1834;
Nap. 1835; Flr. 1836; Flr. 1845].
■* E figurato ò '1 mondo in breve carta: [Boi. 1824].
„ „ „ carta, [Fir. 1831;
Paler. 1834].
„ il „ carta] [Nap. 1835;
Fir. 1836; Fir. 1845].
- simile, [Fir. 1831; Pai. 1834].
« ritrovando, [/^oZ. 1824].
' Nostra mcute in eterno; a l'ammirando [Boi. 1824].
„ „ „ a lo stupendo [Firenze 1831
Paler. 1834]
„ „ „ allo „ [Xap. 1835; i^ir,
1836; Flr. 1845]
" «ma'; [Nap. 1835; i''^;-. 1836; J'i'r. 1845].
" f] il co-iforto peri de' nostri affanni. [Boi. 1824; Flr. 1831
PaZer. 1834; Nap. 1835; i-'t'y. 1836; i'^r. 1^45]
'" a [Boi. MDCccxx].
ai [Nap. 1835; Flr. 1836: Flr. 1845].
" i7 [xYajp. 1835; Flr. 183fi; i^ir. 1845].
* Nelle edizioni di i'Yye»re [1831], di Palermo [1834], di A«i?o?« [Is^So.]
e di Firenze [1836 e 1845], dopo pianeta ci è la chiamata della nota:
[pianeta (2) f] e [pianeta {s)f].
** Volea scrivere cortamente: tatto
*** Nell'autografo dopo vista si vede una virgola, die fu cancel-
lata, e, poi, rimessa dall'Autore.
1G8 AD ANGELO MAI
arme
Cantor vago de V^ anni e de gii- amori ^
Ch'oche
Che in età de la * nostra assai men trista
Empier"^ la vita di felici errori:^'
Nova speme d'italia. " 0 torri ^ o celle ^
0 donne ^^ o cavalieri '^
0 giardini'" o palagi, ^'^ a voi pensando^'*
In mille vane amenità si perde
L' ingegno mio. '^ Di vanità, di belle
Fole, '° e strani pensieri
Si componea l'umana vita:
L'umana vita era composta; in bando
Gli ^~ cacciammo: or che resta? or poi che '1'*^
[verde
' dell' [Nap. 1835; Flr. 1836; Flr. 1845].
2 degli [Xap. 1835; Flr. 1836; Flr. 1815].
3 amori, [Xap. 1885; Fir. 1836; Fir. 1845],
* delia [Boi. mdcccxx; .V«p. 1835; Fir. 1836; Fir. 1815].
•^ Empier [Fir. 1836].
« errori; [Paler. 1834].
' d'Italia. [Boi. 1821; Fir. 1831; Paler. 1834: X^p. 1835;
Flr. 1836; Fir. 1845].
" torri, [Fir. 1831; P«^. 1834; Xaj). 1835; i^ìr. 1836; F^J^ 1845],
» ce/^e, [Fir. 1831; Pai. 1834; .Yajj. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].
>o ^?o«ne, [Flr. 1831; P<r.er. 1834; iVaj9. 1835; Flr. 1836;
Fir. 1845].
'1 cavalieri, [Fir. 1831; PaZer. 18 M; A7r^). 1835; /^'ir. 1836;
Flr. 1845].
'■- qlardlnl, [Flr. 1831; Paler. 1834; A'a^). 1835; Fir. 183(5;
Fir. 1845].
'^ palagi! [Flr. 1831 ; P«Zer. 1834; A7rjj. 1835; Fir. 1836;
Flr. 1845J.
1* ^9eiz5a7i^?o, [/?oZ. 1824; Fir. 1831; P«Zer. 1834; .Ya^j. 1835;
Flr. 1836; Fir. 1845].
'•^ La mente mia. [Flr. 1831; Pai. 1834; .Va^j. 1835; Fir. 1836;
Flr. 1815].
"^ /'o^c [Boi. 1824; Fir. 1831; Pa^er. 1834; Naj^. 1835; Fir. 1836;
Flr. 1845].
'" X^ [.Va^j. 1835; Flr. 1836; Fir. 1845].
»« t7 [.V«^j. 1835; Fir. 1836; Flr. 1845].
AD ANGELO MAI 100
È rapito a le cose?^ il ^ certo e solo
Veder che tutto è vano altro che '1 " duolo.
0 Torquato ^ o Torquato, a noi promesso •"'
Eri tu allora, ^ il pianto "
A te, nuir altro prometteva il cielo. ^
0 ^ misero Torquato, ^'^ il dolce canto
Non valse a consolarti, '^ o a sciorre il gelo
Onde l'alma t'avean'-' ch'era si calda''*
C7f' a, l'alma
Di che il cor ti cingea
Onde il cor ti cingea
Cinta l'odia e
Ch'era sì calcio^ i neri odi e l'immondo
Rancar del volgo Livor privato
Jìagg ricchi atri
Livor privato e de' ^"^ tiranni. Amore,
» È spogliato a le cose? [Boi. 1824; Flr. 1831 ;P«Zer. 1834].
alle . [Xaj}. 1835; Flr. 183G; Flr. 184oJ.'
2 II [Xa2>. 1835; Flr. 1836; Flr. 1845].
^ il [Xap. 1835; Flr. 1836; Flr. 1845].
' Torquato, [Flr. 1831; Faler. 1834; Xap. 1835; Flr. 1826;
Flr. 1845].
• l'eccelsa [Xap. 1835: Flr. 1836; Flr. 1845].
« allora; [Boi. 1824; Flr. 1831; Faler. 1834].
'Tua mente allora, il pianto [Xap. 1835; Flr. 18;-36;
i'^ir. 1845].
•* A te, non altro, prometteva il Cielo. [Boi. 1824].
„ „ cielo. [i^iV. 1831; P«Z. 1834].
„ , preparava „ [Xap. 1835 ; Flren.
1836; Flr. 1845].
» Oh [Boi. 1824: i-Vr. 1831; Pai. 1834: A^^j. 1835; i-^ir. 1336;
Flr. 1845].
'" Torquato; [Boi. 1824; i-^/r. 1831; P«7e?\ 1834].
Torquato! [Xa2ì. 1835; i''ù\ 1836; Flr. 1845].
1' consolarti [Boi. 1824: Ft'r. 1831; P«Zer. 1834; Xap. I.s;i5:
Fir. 1836; Flr. 1845].
'•-' ray^««, f/io/. 1824; Flr. 1831; Pa/er. 1834; Xap. 1835;
PiV. 1836; i''ir. 1845].
'' calda, [Boi. 1824: Flr. 1831: Pa^cr. 183^i: A«^>. 1835: Flr. 18:^6;
/•'//■.1S15.
'* privalo de' [Pi;-. 1836].
170 AD ANGELO MAI
o
Amor ^ di nostra vita ultima .s-^ * inganno -
T' abbandonava. Ombra reale e salda
Ti parve il nulla, e '1 '^ mondo
'fi Tutto un deserto. Onor die giova a un core *
Sj già Poi che d' inganno sollievo uscio ? morie non sorte non danno "
Folto d'error? Sollievo a te non danno
L'estrema ora
Estrema vita
Jj'ultim'ora
Ma ventura ti fu. ^ Morte domanda
Chi '1 nostro ~ mal conobbe, e non ghirlanda.
Torna torna fra noi, sorgi dal muto
E sconsolato avello ^
Se vuoi strider d'angoscia, " o miserando
Esempio '® di sciaura. ^^ Assai da quella quello ^-
Che ti parve si mesto e si nefando ^^
' Amor, [Boi. 1821; /'i'r. 1831; Paler. 1834; Nap. 1835; Fir. 1836;
Fir. 1815].
■' lufjanno, [Boi. 1824: Fir. 1831; Faler. 1834; Nap. 1835;
Fir. 183G; Fir. 1815].
' il [Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845J.
■* Inabitata piaggia. Al tardo onore ='* [Boi. 1824; Fir. 1831;
Paler. 1834; Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].
•"' Xon sorsor gli occhi tuoi ; mercè, non danno, [Boi. 1824 ;
Fir. 1831; P«Zer. 1834; Nap. 1835; j^'ir. 1836; Fir. 1845].
« L'ora estrema ti fu. [Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].
' Chi nostro [Boi. 1824; Fir. 1831; Paler. 1834; Nap. 1835;
Fir. 1836; Fir. 1845].
•* «ocZ^o, [J5o;. 1824; Fir. 1831; PaZer. 1834; .Y«jj. 1835;
Fir. 1836 ; i^^r. 1845].
'' Se d'angoscia se' vago, [Boi. 1824; i-^ir. 1831; Paler. 183^1].
sci „ [.Y«2'- l^^ò; i-'ir. 1836; i-Vr. 1845].
'" Esemplo [Boi. 1824; i-Vr. 1831; Paler. 1834; .Y«^j. 1835;
Fir. 1836; i^^i'r. 1845].
" sciagura. [Nap. 1835; i'^/r. 1836; Fir. 1845].
'^ (^ueZL, [^oZ. 1824; Fir. 1831; Pa^er. 1834].
'^ nefando, [Boi. 1824; i^^ir. 1831; Paler. 1834; Ya^?. 1835;
Fir. 1836; PiV. 1845].
* V'olea scri\-cre eertnmente : stella
** Uopo onore, nelle edizioni di Napoli [1835] e nelle due edizioni
fiorentine [1836 e 1815], ci ha la chiamata della n.ota: [onore (4)\
AD ANGELO MAI 171
È peggiorato il viver nostro. 0 caro,
Chi ti compiangeria,
Se ^ fuor che di se stesso ^ altri non cura V
Chi stolto non direbbe il tuo mortale
Affanno anche oggidì, se '1 ^ grande e '1 ' raro
Ha nome di
Or si chiama follia, ''
\è livor più ^ ma ben più grave e dura'
La noncuranza avviene a i^ sommi? o quale,
s' ascolta ,
Se più de' carmi, il computar ascoltar
T' ^ appresterebbe il lauro un'altra volta?
Da te fino a quest'ora uom non è sorto, "^
0 sventurato ingegno, '^
Pari a 1' ^' italo nome, altro ch'un solo,
Solo di sua codarda etate indegno
AUobrogo feroce, a cui dal polo
Maschio valor, non già da questa mia ^ '
' Se, [Boi. 1821; Flr. 1831; Paler. 1834; X«^7. 1835; Flr. 1836;
Fir. 1815].
2 stesso, [Boi. 1824; Flr. 1831; Paler. 1834: Xap. 1835;
Fir. 183(5: Fir. 1845].
•' il [Xap. 1835; Fir. mòG- Fir. 1845].
* il [Xaj). 1835; Fir. 1836; Fir. 1845^.
\follia] [Boi. 1824; Fir. 1851; Paler. 1834; Xaj. 1835;
Fir. 1836; Fir. 18-15].
Or si chiama follia, [Boi. mocccxx].
" xnU, [Boi. 1824; i^'ir.' 1831; Paler. 1834: X«y>. 1835; Fir. 1836;
Fir. 1845].
' ma ben di lui più dura [Boi. 1824; Fir. l^òi] Paler. 1834;
.Vrt2>. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].
« «i [.Y«^^. 1835; Fir. 1836; F/r. 1845].
" Ti [Boi. 1824; /-'in 1831; Pai. 1834; .Ya^?. 1835; Z-'n-. 1836;
Fir. 1845.]
"^ «o/-<o [Boi. 1824: /-Vr. 1881; P«Zer. 1834\
" (0 sventurato iwjer/no), [Boi. 1824; Fir. 1831; /V«Zcr. 1834].
•-' air [Xap. 1835; i-'ir. 183(3; i-Vr. 1845].
" Disusata virtù, non da la mia [Boi. 1824; Fir. 1831;
Pa^cr. 18H4].
Maschia virtù, non già da questa mia [Xap. 1835;
Fir. 1836; /''ir. 1^45].
172 AD ANGELO MAI
Stanca ed arida terra,
inerme -
Scese nel petto; ^ onde privato, inerme,
(Memorando ardimento) in su la scena
almen
Mosse guerra a' tiranni; Aìmev si dia
Questa misera guerra
A le schiacciate genti.
E questo vano campo a Tire inferme-'
Del mondo. Ei primo e sol dentro a V ^
Scese, e nullo il segui, che ^ l'ozio e 'H' brutto
Silenzio or preme ai" nostri innanzi a tutto.
Disdegnando e fremendo, immacolata
Trasse la vita intera,
E morte lo scampò dal veder peggio.
Vittorio mio, questa per te non era
suolo.
Età ne ser/f/io. Altri anni ed altro seggio
E d'uopo ^
Son d'uopo
È cViiopo a gli ^ alti ingegni. Or di riposo
È vaso il mondo. '*^ e scorti
' „ „ coro, [Bùi. miA:] Fh\ \mi: Palcr.mM].
Tonno n(-l inetto; [Xap. 1835; Fir. ISBG; Flr. 1845/.
- inenne, [Fir. 18B1 ; Paler. 1834; Xap. 1835; Fir. 1830;
Flr. 1815].
^ E questo vano campo a l'ire infermo [Boi. 1824; Flr. 1831;
Falcr. 1834].
air ^ [X«i>. 1835; T^Vr. 1830;
Flr. 18451.
'^ alV [Xap. 1835: Flr. 1836: Flr. 1845].
•■ che [Boi. 1824; Flr. 1S)M{ Paler. 18'31].
•' il [Xap. 1835: Flr. 1830; Flr. 1845].
' ai [Xajì. 1835: Flr. 1836; Flr. 1845].
"^ Conviene [Boi. 1824: Flr. 1831; Paler. 1834; Xap. 18-^):
Flr. 1830: Flr. 1845J.
» arjll [Xap. 1835: Flr. 1S30: Flr. 1845].
"^ Pao-hi viviamo. \B>1. 1821: /''//•. 1S31: Paler. ISÒi; Xap. 1835:
/VV. 1830; i-Vr. 18451
AD ANGELO MAI 173
Siam da mediocrità; sceso.* è '1 sapiente^
E salita è la turba a un sol confine -
Che '1 ^ mondo agguaglia. 0 scopritor famoso,
Segui, * risveglia i morti/' ,
arma
ergan
Poi che dormono i vivi, ^ apri le spente
Glorie Lingue in fine
Voci de'' de' prischi eroi, ~ tanto che infi . . .■•'^
o vita agogni
Questo secol di fango o lode a . . .***
atti illustri,
alti fatti
E sorga ad cdte gcste o si vei-gogni.
' l)a mediocrità: seeso il saijiente [Boi. 1S24:] Fir. 1881;
Faler. 1834: Xap. 1835; Fir. 183G; Fir. 1845]'.
'' confine, [Boi. Ib24; Fir. 1831; Faler. 1834; Nap. 1835;
Fir. 1836; Fir. 1845J.
■• Il [Nap. 1835; Fir. 183G; Fir. 1845].
•* Senili ; [Boi. 1824; Fir. 1831; Faler, 1834; Nap. 1-35; i-^/r. 183G;
i-^ir. 1845].
'' morti, [Boi. 1824; Fir. 1831; Pa^er. 1834; .Y«^j. 1835; Fir. 1836;
Pir. 1845].
" vivi ; [i/oZ. 1824 ; Fir. 1831; PaZer. 1834 ; Fir. 1835 ; Pir. 1836 ;
Fir. 1845].
' eroi; [Boi. 1824; i^'i>-. 1831; Faler. 1834; i-Vr. 1835; Pi'r. 1866;
Fir. 1845].
^^ Nel testo della edizione di Bologna [mdcccxx] leggesi : " 6eco è'I
apicnte n ; ma a pag. 17 si trova questa :
Errata ' Corrige
pag. 16. Vers. 8. seco sceso
** È chiaro che stava per iscriverò : infine
*"■'* Avea prima scritto: o lode agogni
LA SERA DEL GIORNO FESTIVO
IDILLIO.
Dal tomo VII- Vili dello Mitsccllance manoscritte fpag^
127-12{)j della contessa Paolina.
LA SERA DEL GIORNO FESTIVO.
Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta in mezzo agli - orti e in cima a i -^ tetti
La luna si riposa ^ e le montagne ^
Si discopron da lungi. '' 0 donna mia,
Già tace ogni sentiero, e pe' ~ balconi
* LA SERA DEL GIOKXO FESTIVO
IDILLIO II.
XII.
LA SERA
DEL GlOnXO FESTIVO.
XIII.
LA SKIIA
DEL DÌ DI FESTA.
[.Y. Rico(jl. 1825; Boi. 182G].
[Flr. isHi: Palcr. ISai].
[Nap. 18;i5; Flr. 18ì5(3: Flr. 18 lo].
■' a 1)11 [X. Rlcogl. 1825; Boi. 1826; Flr. 1831; Paler. 1834].
■' e sovra i [Flr. 1831 ; Palcr. 1834].
E queta e sovra i tetti e in mezzo a^li orti [Xaj). ÌSÌò].
„ queta sovra „ ^ [Fir. im^: Fir.lSXò].
* rljìom, [N. Blro;jL 1S27>-, Boi. 1820; i^'ir. 1831; /^7Ìer. 1834].
• Posa la lima, o di lontan rivela [Xnp. 1835; Flr. 183<i;
' Fir. 18-15].
" Sm-ona oo,ni moutaiifiia. [Xaj). 18:^5; /-Vr. 183fi; Flr. 181.5].
■ i>rl |.V. RlnyjL 1825; Boi. 1820; Flr. 1831; Paler. 18 VI;
.V«2>. 1835; /-Yr.lSSGj i'^fr. 1845].
178 LA SERA DEL GIORNO FESTIVO
Rara traluce la notturna lampa: ^
Tu dormi, che - t'accolse agevol sonno
Ne le ^ tue chete stanze, ^ e non ti morde
Cura nessuna:"* e già non pensi o stimi *^'
Quanta piaga m'apristi in mezzo al petto.
E bene sta, che amor da poi eh' io nacqui \
Non ebbi né sperai né merto. Il cielo /
Io qui m'affaccio a salutare, il cielo i '
Che mi fece al travaglio. A te la speme )
Nego, mi disse, anche la speme, ^ e d'altro
Non brillin gli occhi tuoi fuor che " di pianto.
Questo di fu solenne ; ^^ or da' trastulli
Prendi riposo," e forse ti rimembra
In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
Piacquero a te;^- non io certo giammai ^-^
' Lampa. [Palcr. 1834].
■' che [X. Rlco'il. 1825; Boi. 182G].
■' Nelle [Xap. 1885; Fir. 1831 J; Flr. 1845].
' stan-e; [X. likonl. 1825; Boi. 182() ; Flr. 1831; Palcr. 1834;
Xap. 1835; Fir. 1830; Fir. 18451.
'" nt'.^iitnt,- [X. Rlcogl. 1825; Boi. 182G; Fir. 1831; Paler. 1834;
Xap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845J.
•^ ; o già non sai nò pensi [Xaxì. 1835; Fir. 183); Fir. 1815].
[ Tu dormi: io questo ciel, che si benigno
\ Appare in vista, a salutar m'affaccio,
» E Fantica Natura * onnipossente,
f Che mi fece a 1' ** affanno. A te la speme
\X. Rl'onl. 1825; Boi. 182G; Fir. 1831; Paler. 1834; Xap. 1835;
^ Fir. 1836; Fir. 1815].
« smvie; \X. Rico il. 1825; Boi. 1826; Fir. 1831; Pa^er. 1834;
.V.^^^. 1835; Fir. 1836; Fir. 1815].
» s^ non [Xap. 1835; Fir. ISBG; Fir. 1845].
'" solenne: [X. Riconl. 1825; Boi. 182(3; Fir. 1831; Paler. 1834
Xajy. 1835; Fir. 1833; i^'ir. 1845]
" rl]>o^o; [Boi. 1823; /'ir. 1831; Paler. 1831; AV^^a 18B5
Fir. 1836; i''ir. 1845]
'2 te: \X. inco'jl. 1825: 7?oZ. 1826; Fir. 1831; 7^rt^er. 1834
A^a^. 1835; i^iV. 183(i; i^'ir. 1845]
'^ ; mn io, non già, ch'io speri, [Xap. 1835; Fir. 1836].
r/ià „ [Fi/-. 1^45].
* ììatura [Fir. 1831: r<iìor. 1831: AV^p. ,1835; iV;-. 1836; Fir. 1815],
** fd/' [Xax>. 1S35; /•'/,•. Is;ii; /••//•. is^ò].
45]. i
LA SERA DEL GIORNO FESTIVO 179
Ti ricorro al pensiero. ' Intanto io chieggio -
Quanto al ^ viver mi resti, e qui per terra
Mi getto e mi ravvolgo. "* Oli '' giorni orrendi
In cosi verde etate ! Ahi ^ per la via
Sento ~ non lunge il solitario canto
De 1' ^^ artigian ^ che riede a tarda notte "^
Dopo i sollazzi " al suo povero ostello. *-
E fieramente mi si stringe il core ^-^
A pensar come tutto al mondo passa
E vestigio ^^ noQ lascia. Ecco è fuggito
Il di festivo, ed al festivo il giorno
Volgar succede, e si travolge ^'' il tempo
Ogni umano accidente. Or dov' è '1 ^*" suono
Di que' popoli antichi? or dov'è 'P' grido
' Al pensier ti ricorro. [N'j.p. 1835; Flr. 1330; Flr. 1815].
- ohie.o;^! [S'ap. 1835; Flr. 1830; Flr. 1845].
3 a [.V. Iil,'o;jl. 1S25; Boi. 1826; Flr. 1831; Paler . 1834;
Xap. 1835; Flr. 1830; Flr. 1845].
^ Mi gfìtto, e grido, e fremo. [.Y. Eacogl. 1825; Boi. 182:');
i^Vr. 1831; Paler. 1834; .Yaj>. lSa5; Flr. 1836; Flr. 1815].
•^ 0 [Flr. 1845].
^ Ahi, [Boi. 1826; Flr. 1831; Faler . 1834; Xap. 18.35;
Flr. 1830; Flr. 1845].
■ Odo [Ar«27. 1835; Flr. 1836; i^^^r. 1845].
** IJcll' [Xa]). 18a5; /W. 1836; Flr. 1845].
» artljlan, [Boi. 1826; /'ir. 1831; /V^Zcr. 1834: Xap. 1835;
/•'ir. 183(5; /''ir. 1845].
"" notte, [Boi. 1820; /^y. 1831; Paler. 1834; .Ya^^. 1835;
Flr. 1836; i^Vr. 1845].
" so/ Lizzi, [Boi. 1820 ; /-'ir. 18 51: Pulcr. 1834; .Y«2>. 1835;
Fir. 18-,36; Flr. 1845].
'■- o.*/eZ/o; [Hol. 1826; Fir. 1831; At^er. 1834; Xaj». 1835;
/''ir. 1836; Flr. 1845].
" *;ore, [/^ir. 1831; Paler. 1834; .Yaj>. 1835; /^ir. 1830;
Flr. 1845].
'* E quasi orma [.V. Plrofjl. 1825; Boi. 1826; i^'ir. 1831;
7'a^er. 1834; xYa^A 1835; Flr. 183f); /'ir. 1845].
"• .0 so no porta [.Ya;:». 1835; /'ir. ISm; Flr. 18-15].
'" iZ \.\ap. 1835; /'ir. 1830; /'ir. 1845].
''' U [Xajj, 1835; Flr, IHÒtr^ Flr. 1845).
180 LA SERA DEL GIORNO FESTIVO
De' nostri avi famosi, e '1 ^ grande impero
Di quella E,oma,~ e l'armi ^ e '1 ^ fragorio
Che n'andò per la terra e l'oceano?
Tutto è silenzio e pace ^ e tutto cheto ^
E '1 mondo ~ e più di lor non si favella. ^
Ne la^ mia prima età, quando s'aspetta
Bramosamente il di festivo, or poscia
Ch' egli era spento, io doloroso ^^ e desto ^^
Premea le piume, '^ e per la muta^^ notte
Questo canto ch'*^ udia per lo sentiero ^^
E moria slontanando a poco a poco ^^
Al modo istesso ^" mi stringeva il core.
(G. L. *)
' il [Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].
» Roma; [N. JRicogL 1825].
^ l'anni, [Fir. 1831; Faler. 1834; Najì. 1835; Fir. 1836:
Fir. 1845J.
* il [Xajì. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].
•'^ pace, [N. Ricogl. 1825; Boi. 1826].
'^ Tutto è pace e silenzio, e tutto pòsa [Fir. 1831; Paler. 1834].
„ ^ „ ^josa [Nap. 1835 ; Fir. 1836 ;
Fir. 1845].
' mondo j [N. Ricogl. 1825; Boi. 1826].
Il mondo, [Fir. 1^1; Paler. 1834; Nap. 1835; Fir. 1836;
Fir. 1845].
" ragiona. [Nap. 1835; Fir. 1836; i'^tr. 1845].
» Nella [Nap. 1835; i'^ir. 1836; Fir. 1845].
'« doloroso, [Fir. 1831; P«Zer. 1834; .^^iA 1835; Fir. 1836
i^W. 1845]
" in veglia. [ Fir. 1881; Paler. 1834; .Y«w. 1835; i^ir. 1836:
Fir. 1845]
»•'' «itme; fPoZ. 1826; Fir. 1831; PaZe;-. 1834; iV««. 1835
Fir. 1836; Pir. 1845]
*3 ed a la tarda [Fir. 1831; Paler. 1834].
„ a^^a „ [Nap. 1835; Pir. 1836; Fir. 1845].
" che [.V. Ricogl. 182.5].
*^ Un canto che s'udia per li sentieri [Fir. 1831; Paler. 1834;
.Vrt«. 1835; Fir. 1836; Pir. 1845].
'« i>oco, [Po^. 1826].
Lontanando morire a poco a poco, [N. Ricogl. 1825;
P*r. 1831; Paler. 1834; Nap. 1835; i^'m 18:06; Fir. 1845].
'' Pur similmente [Fir. mH] Paltr. 1834].
flià „ [Nap. 1835; Pù-, 1836; P/r. 1845].
* Cosi nell'autografo die abbiamo dinanzi. Nel Kuovo HicogìHore
(pag. 904) si legge : (Sarà continuato.)
AI.LA LUNA
Da una raccolta manoscritta di poesie, dedicata dalla con-
tessa Paolina alla nepotina Virginia, figlia di Pier Francesco
(pagg. 43-45).
ALLA LUNA.'
0 graziosa luna,- io mi rammento
Che, or volge l'"^ anno, sopra ^ questo colle
10 venia pien ^' d'angoscia a rimirarti :
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle ' mie luci
11 tuo volto apparia,'"^ che '' travagliosa
' La Ki('>i;i>a\/-.v.
Idillio UT.
[.V. incofjLitori' ls-2:i; Boi. 182li].
'^ Lana, [N lilco;/L 1826; Boi. 1823J.
=» un [.V. Hicofjl. Ì826; Boi. 1828].
' sovra [Xap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].
io sovra [Fir, 1831; Paler. 183(ì].
•"' io sopra questo poggio [.V. Ricofil. 1826; Boi. 1826].
« Venia carco [X. Rironl. 1826; Boi. Ì826: Fir. 1831 : Poi. ISM].
., i)ieno [Xf',}). 18351.
■ a le [X. liiro;jl. 182); Boi. iHUi: Fir. \s.\\ : J'a/rr. is:"!].
" apparici ; L\.' Birocfl. 1823; Boi. 1826 : Fir. 1831 ; Poler. 1834].
« che [X. Ricog'.. 182 >; Boi. 1826; Fir. 1831; Paler. 1834].
184 ALLA LUNA
Era mia vita: ed è, né cangia stile,
0 mia diletta luna.' E pur mi giova
La ricordanza, e il * noverar l'età *
Del mio dolore. Oh ^ come grato occorre
Nel tempo gio vanii, quando ancor lungo /
La speme e breve liP- la memoria il corso, \ ^"^
Il rimembrar ^ delle -^ passate cose,^'
Ancor che triste, e che l'affanno duri ! ' **=^=
' Luna. [X. Elcofjl. 182G; Boi. 182G].
■' n [X lìicoql. 182G; Boi. 182G; Vir. 1831; Valer. 18B4].
^ O {Fir. 1830].
' sovvenir [.Y. Ricofjl. 1821; Boi. 182G; Fir. 1831; Pr//. 1834:
Xo'p. 1835; Fir. 183G].
'' de le [X.Bicofjl. ÌS23\ Boi. 182G; Fir. 1831; Falcr. ISM].
« rose [X. Bicofjl. 182G].
^ AncDr elio triste,© ancor che il pianto duri ![A". Bicogl.lS2Cì].
„ „ duri. [Boi. 182G; Fir.
1831; Paler. 18^; .Ya^?. 1835; Fir. 1830].
* Cosi nel nostro autografo.
** Questi (lue versi mancano in tutto lo odizioni. salvo olio nella
fiorentina del 1845.
*** Nel nostro au!-oo:rafo. sotto questo verso, leggonsi «limano
di Paolina lo secriiPiiti ])arole: '• (// G'/ncnmn Leopardi „.
LA LUNA. O LA RICORDANZA
Dal tomo VII-VIII delle MUceilaìice vianoscrlUc (pagg.
121-122) della contessa Paolina.
IDILLIO.
LA LUNA, 0 LA RICORDANZA.'
0 graziosa Luna,- io mi rammento
Ch' è presso a un anno,"^ io sopra questo poggio
Venia carco ' d'angoscia a rimirarti :
E tu pendevi allor su quella selva/'
Coni' ora fai "^ che tutta la rischiari.
LA RICORDANZA.
Idillio in.
XIII. ^
ALLA LUNA.
[.Y. Ricofil. 1826; Boi. 1826].
[Fir. 1831; Paler
ir. 18d4; Nai). 1885;
Fir. 1836; l'ir. 1845].
- Una, [Fir. 1831; Paler. 1834; Nap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].
=' Che, or volge un anno, [N. lilcogl. 1826; Boi. 1826].
r „ [Fir.lS'òl: Paler. 1SS4:; Nap. lyiìò;
Fir. 1836; Fir. 1845].
* , io sovra questo colle [FtV. 1831; Paler. 183'!].
, sovra questo colle [Xap. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].
•' pieno [Xap. 1835].
Io venia pien [Fir. 1836; Fir. 18^15].
" selva [X. Ricogl. 1826; Boi. 1826; Fir. 1831; Paler. 1834;
.V«;>. 18H5; Fir. 183(5; i^'ir. 1815].
" Siccome or t'^i, [X. Ricxjl. 1826; Boi. 182(>; /'ir. 1831;
Paler. 1831; A'a;*. 1835; /'ir. IK-T); /'ir. 1845].
* Bei\ inteso, nelle eflizioni «li X'ijxili e utllp duo di FirPvze 11
numero è il XIV.
188 LA LUNA, 0 LA RICORDANZA
Ma nebuloso e tremulo dal pianto^^
Che mi sorgea sul ciglio, a le - mie luci
Il tuo volto apparia,^ che * travagliosa
Era mia vita: ed è, né cangia stile,
0 mia diletta Luna. •""' E pur mi giova
La ricordanza, e '1 ^ noverar l'etate
Del mio dolore. Oh ~ quanto ^ grato occorre
Il sovvenir® de le '" passate cose ^'
Ancor che triste, e ancor che 'P- pianto duri!^-^
(G. L. *)
' jnanto [X. Rkofjl. 182G : Boi. 1820; Flr. 1831; PaZer. 1834;
Naj). 1^35; jPir. 1836; Flr. 1845].
•-' alle [yap. 1S35; Flr. 183G; Flr. 1845].
=> apparla; [X. Rlcogl. 182G; Boi. 1820; Pi'r. 1831; Pater. 18JM]
* eM [N. Rlcofjl. 1826; Boi. 1826; Flr. 1831; P«Zer. 1834]. '
•' lana. [Flr. 1831; Paler. 1834; Xaj). 1835; Flr. 1836; Flr. 1845].
« il [Xap. 1835; Flr. 1836; Flr. 1845].
" O [Flr. 18-361.
« come [A". Rlcogl. 1826; Boi. 1826; Flr. 1831; Pa'er. 1834;
i^^a^'- l'^'SS; Pir. 1836; Flr. 1845].
^ rimembrar \Fir. 1845].
'« </eZ^e [.Va;?. 1835; Flr. 1836; /^ir. 1845].
" rose, [Boi. 1826; PiV. 1831; Paler. 1834; .V^^j. 1835; Flr. 1836;
Flr. 1845].
'- ^7 [X. Plcogl.lS2Cy, Boi. 1826; F/r. 1831; Paler. 1834 A«ix 1885;
Flr. 1836] .
^3 J/,ri. [/?oZ.1826; Flr. 1831; P«Zer. 1834: Xai). 1835; Fir. 1836].
,e che l'affanno duri] [Fir. 1845],
* Cosi nell'autografo che abbiamo dinanzi.
IL SOGiSO
Dalla stossa raccolta manoscritta di poesie dedicata dalla
contessa Paolina alla nepotina Virginia (pagg. r)!;-(;9).
IL SOGNO J
ALCETA.
Odi, Melisso,- io vo ^ contarti un sogno
Di questa notte, che mi torna a niente
In riveder la luna. Io me ne stava
A la ^ finestra che risponde al prato, ^
Guardando in alto: ed ecco a 1'^' improvviso
Distaccarsi ' la luna ; e mi parca
' Lo Spavento Xotti'rxo,
Idillio. V.
[X. nirofilitorc 182<1: Boi. 1820].
Frammenti.
XXXV. *
[Naiì. 1.S35; Fir. 1830; Flr. 184')].
- Mclluo: [X. UlcogL 182^); BjL 19,2^, \ Xap. 1835; Flr. 183i) ;
T^'/r. 1845].
' oo' [.V. UhogL 1820; BoL ISiO: Xup. 18i35; Fir. 183.»;
Fir. 1845].
* Alla [Nap. 18a5; Fir. 18» 5; Flr. 1.845].
'• lirato [N. Ricogl. 1820].
• cdV [Xap. 1835; Flr. 1830; Flr. 1845].
" Distaccasi [.V. lilr.oyl. 18-20: Boi. 1S20: Xap. 18:i5: Flr. 1830;
Fir. 1845].
* Ben intpso. nella e.lizIoae./?rt/v'j/i rv dol ISl"» il uumor > roimu o
lon è il medesimo: — [xxxvnj.
192 IL SOGNO
Che quanto nel cader s'approssimava '
Tanto crescesse al f^uardo ; infìn che venne
A dar di colpo in mezzo al prato ; ed era
Grande quanto una secchia, e di scintille
Vomitava una nebbia,- che stridea
Sì forte come quando un carbon vivo
Nell'-^ acqua immergi e spegni. Anzi a quel modo
La luna, come ho detto, in mezzo al prato
Si spegneva * annerando '' a poco a poco ^
E ne fumavan l'erbe intorno intorno.
Allor mirando in ciel ' vidi rimase
Come un barlume,^ o un'orma, anzi una nicchia^
Ond'ella fosse svelta:'" in cotal guisa,'*
Ch'io n'agghiacciava, '- e ancor non m'assicuro.
MELISSO.
E ben ••' hai che temer, che ^* iigevol cosa
Fora cader la luna in sul tuo campo.
' n' a2>prossìniciv(i , [X. Ricoyl. 1826; Boi. 1826; Nap. 1885;
Fir. 1836; Fir. 1815].
-' nebbia [N. Ricoql. 182JJ.
3 .Ve V [N. Ricogl. 1826; Boi. 1826].
* spegìieva, [Boi. 1826].
'" annerando, [Boi. 1826].
« poco; [Boi. 1826].
poco, [N. Ricogl. 1826; Xap. 1805; Fir. 1886; Fir. 1815].
" ciel, [X. Ricogì. 182(>; Boi. 1826; Na^). 1835; Fir. LS»^;
Fir. 1815].
« barlume [X. Ricogl. 1823; Boi. 1826].
« nicchia, [Boi. 1826; V«i>. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845j.
'" svelta: [Boi. 1826].
" in guisa ch'io [.Y. Ricogl. 1826; Boi. 1-826].
'■^ n' agghiacciaoa ; [Xap. 1835; Fir. 1836: Fir. 1815].
N'accapricciava; [X. Ricogl. 1826; Boi. 1826].
'^ borio [.V. Ricogl. 1826: Boi. 1826J.
'* che [X. Rirogl. J826; Boi. 1826].
IL SOGNO 193
ALCETA.
Chi sa? non ' veggiam noi spesso di state
Cader le stelle?
MELISSO.
Egli ci ha tante stelle -
Che picciol danno è cader l'ima o l'altra
Di loro, e mille rimaner. Ma sola
Ha questa luna in ciel, che da nessuno
Cader fu vista mai se non in sogno. *
' Xon [N. Rkoijl. 1826; Boi. 182(i].
2 atelie/ [N. Ricogl. I82(j; Boi. 182"^; Xap. 1835: Fir. 1836;
Fir. 1845].
* Nel nostro autografo, sotto questo verso, leggesi di mano di Pao-
lina: " G. Leopardi „.
L SOriNO
IDILLIO.
Dal tomo VII-VIII delle MlsccUanee mcinotscrittc (pagg.
116-1'2J:) della contessa Paolina.
IL SOGNO. IDILLIO.'
ALCETA. *
Senti,- Melisso,^ io ve' contarti un sogno
Di questa notte, che mi torna a mente
In riveder la luna. Io me ne stava
A la ■* fenestra •"' che risponde al prato •
Guardando in alto. ' Ed ^ ecco a l' ^ improvviso
Distaccasi^la luna, ^^ e mi parca
' Lo Sp.wexto Xottuuxo.
Jdillio V.
[X. Rlcogl. 1820; Boi. 1826].
Frammenti.
XXXV.* *
[Nap. 18B5: Fir. 1830; Fir. 1845].
' Odi. r.V. RlcofiL 182(3; Boi 1^^): Noi). 1835; Fir, 1845].
Odi [FirMmy].
3 Melisso: [X. liicorjl. 1826; Boi. ì>'l)- Xaj'.l^^^'r. Fir. 18B6;
Fir. 1845].
" alla [Xaji. 1^35; Fir. 1836; Fir. 18451.
'' jìnestrcf \X. h'in>,jl. ls2G : Boi. 1826: V./y/. lS;-%5; Fir. 18^6;
Fir. 1845].
'' jyrcUo, [Boi. 1826; Xaji. 1835; Fir. l6B<3; /'i/-. 1845].
" alto: [X. lìicogl. 1826; Boi. 1826: .V^i?. 1835; i^ir. 1836;
Fir. 1845].
« e^ f.V. Ricoql. 1826; 5o^. 1826 ; Xap. 1835; i^^'r. 1836; Fir. 1845].
« aZZ' [A^a^. 1835; Fir. 1836; Fir. 1845].
^•^ luna; [X. Ricogl. 1826; i?oZ. 1826; Xap. 1835; Fir. ia36 ;
Fir. 1845].
* Tanto nel nostro antoojrafo, quanto nel Nuovo Ricoglitore, i nomi,
anzinhè nel mezzo, sono scritti nel margine di sinistra.
*=^ Ben inte.so, nella edizione fioreatiwx del ISA") il numero ro-
mano non è il m3dn3Ìmo: — [xxxvii].
198 IL SOGNO
Che quanto nel cader s'approssimava ^
Tanto crescesse al guardo,- in fin ^ che venne
A dar di colpo in mezzo al prato/ ed era
Grande quant' •"' una secchia, e di scintille
Vomitava una nebbia *' che stridea
Si forte come quando un carbon vivo
Ne l'acqua è spento, e ne fumavan V erbe. i
Allor mirando in ciel vidi un barlume
RimasbD, com'3 un'orma, anzi una nicchia \
Ond'ella fosse svelta,^ in guisa eh' io ^
N' accapricciava, *^ e ancor non m'assicuro.
' s\vpi)vosshìiao:i, [N. lileotjL 182G: Boi. 182(3; Xa2). 1885;
Flr. 183(); Flr. 1845].
-' <] nardo; [N. Rlco'jl. 182(5; Boi. 1823; .Va^>. 1835; Fir. 1836;
Flr. 1845].
3 hifin [N. Rkojl. 1816; Boi. 182 5; Nap. 1835; Flr. 1836;
Flr. 1845].
* prato; [X. Rlcojl. 1826; Boi. 1823: Xaj^. 1835; Flr. 183(3;
Flr. 1845].
^ quanto [.V. Rlroijl. 182(3; Bui. 1826; Xajy. 1835; Flr. 1836;
' Flr. 1845].
« nebbia, [Boi. 1826; Xap. 1835; i'^iV. 1836; Flr. 1845J.
1 ]S[e Piacqui immergi e spegni. Anzi a quel modo
\ Si spegneva ** annerando *** a poco a poco, =^***
'' E ne fumavan l'erbe intorno intorno.
1 Allor mirando in ciel, vidi rimaso
I Come un barlume***''* o un'orma, anzi una nicchia******
[.V. Rlcogl. 1S26; Boi. 1823; Xap. 1835; Flr. 1S36; i^'iV. 1845].
« sye^^a: [i^o^. 1826].
svelta; [X. Rlcogl. 1826; .Va^. 1835; Flr. 1836; Kr. 1845].
" ; in cotal guisa. [Xap. 1835; Flr. 1836; i'\*r. 1845].
'" X'accajìrlcciava ; [X. Mlco'jl. 1826; Boi. 1826].
Ch'io n'agghiacciava : [.Vaj). 1885; Flr. 1836; i^'«>', 1845].
* ^^el^ [xVap. 183 -i; /7y. 1836: Fir. 1845].
** spegneva, [Boi. 1826].
*** annerando, [Boi. 1826].
**** poco; [Bo?. 1826].
***** barlume, [Nai). 1885; /'ó-. 1836; Fir. 1845].
****** nicchia, [Boi. 1826; Aai>. 1835; ^»V. 1836; Fir. 1845].
IL SOGNO 199
mp:lisso.
E ben hai da temer, eh' è facil cosa '
Cader proprio la luna in sul tuo ])rato. -
ALCETA.
Chi sa? forse di state hai poche notti '^
Visto cader le stelle '? ^
MELISSO.
Egli n' ha tante '^
Lassù che ne potria ben senza danno *'
Precipitar più che non fa.' Ma sola
Ha questa luna in ciel, che da nessuno
Cader fu vista mai se non in sogno.
(G. L.*)
' E b^nc hai cho temer, che agevol cosa [.V. Biconi. 1826
Boi. 1826|,
„ ben „ , che „ [Xaiì- 1885; Fir
1836; Flr. 1845]
-' Fora cader la luna in sul tuo campo. [X. lilcogl. 1826
Boi. 1826; Naj). 1835; Flr.mòG] F*r. 1815]
^ Chi sa? Xoii veggiam noi spesso di state [.V. Ricoijl. 1826
Boi. 1826],
„ ? 71071 „ „ [Aa;j>. 1835; Flr
1836; Fir. 1815]
* Cader le stelle? [.V. Ricofjl. 1826; Boi. 18-26; Nap. 1835:
Flr. 1836; Fir. 1845]
^ Egli ci ha tante stelle, [.Y. Rlcofjl. 1826; Boi. 1826; Nap. 1835
J^'ir. 1836; Flr. 1845]
•* Che picciol danno è cader Tuna o l'altra [N. lilcocjl. 1826^
Boi. 1826; Xaji. 1835; i'7r. 1836; i^ir. 1845]
" Di loro, e mille rimaner. [X. lilcogl. 1826; Boi. 18*^6
Na2J. 1835; Flr. 183(3; Flr. 1845]
* Cosi noi nostro autografo.
niiTAzroNE
Dalla stessa raccolta manoscritta di poesie dedicata dalla
contessa Paolina alla neiiotina Virginia (p^lgg- 42-18).
IMITA ZIONP:.
Lungi dal proprio ramo,
Povera foglia frale,
Dove vai tu? ' Dal faggio
Là dov'io nacqui, mi divise il vento.
Esso, tornando, a volo
Dal bosco alla campagna,
Dalla valle mi porla alla montagna.
Seco perpetuamente
Vo' - pellegrina, e tutto l'altro ignoro.
Vo' ^ dove ogn' * altra cosa.
Dove naturalmente
Va la foglia di rosa,
E la foglia d' alloro. *
' tu? — {Fh\ 183GJ.
- Vo \Nai). 1835; Flr. 1836; Nai^. 1845].
-' Vo [Nav. 18a5; Fh\ 1836; Flr. 1845].
* o,jni {Nap. 1835; Flr. 1836; Flr. 1845].
* Nel nostro autografo, sotto quest' ultimo verso, leggonsi. sem-
pre (li mano di Paolina, le solite parole : " (ìi Giacomo Leopardi _
CANZONE
PER UNA DONNA MALATA DI MALATTIA
LUx\GA E MORTALE
"Dal t.omr» VII- Vili flolle Miscellanee manoscrhte (pagg'.
12r)-127) tlella onntossa Paolina.
UNA DONNA MALATA DI MALATTIA
LUNGA E MORTALE
Io SO ben che non vale
Beltà né giovanezza ^ incontro a morte,
E pur ^ sempre ch'io '1 veggio^ m'addoloro:
Che ^ s' i' noi veggio'^ il mio desir prevale
Tanto ~ eh' io spero pur che l'enea ^ sorte
Altrove ° ad altri casi '° ad altri tempi
Riservi i tristi esempi, ^^
* Per una donna, malata di malattia lunga e mortalk
Canzone giovanile inedita
DI
Giacomo Leopardi
[Pisa 1871; Barettl 1872]
Per una donna malata
DI malattia lunga e mortale.
Canzone.
"^ tfiovinezza [Pisa 1871 : Flr. 1878].
•'' pur, [Pisa 1871].
^ vcf/fflo, [Pisa 1871].
•' Chi [Bar. 1872].
Che, [Pisa 1871; Flr. 1878].
" vegfiio, [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].
' Tanto, [Pisa 1871; Flr. 1878].
•* rénea [/**'.*./ 1871 ; Bar. 1872^; i-Vr. 1878].
* Altrove, [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].
'" casi, [Pisa ISIV; Bar. 1872; Flr. 1878].
" esempi, [Bar. 1S12J,
Flren-e. 1878].
208. PER UNA DONNA MALATA DI MALATTIA
Fin che dal mal presente è sbigottita
La misera speranza.^
Com'or cli'a l'occiLlente di sua vita
Veggio precipitar questa dogliosa,
Poi eh' altro non m'avanza,
Già mai di lagrimarla - io non lo posa.
Ed è pur tanto bella ^
E tanto schietta'* e in cosi verde etate,''
E poco andrà eh' i' * potrò dire,*^ è morta,
E' morta, e non risponde; ahi poverella! ^ '^*
Che dolor,'^ che lamento,"^ che piotate,"
Chiusi quest' '• occhi, e morto questo volto '^
E '1 popolo raccolto
Dirle per sempre addio, ch'esser doveva
Tanto tempo fra noi,'*
Or non so chi ^" né come ce la leva :
Solo a pensarlo mi si schianta il core,^*^
Ben eh' '* i parenti tuoi
Son d'altro sangue, e tu sei d'altro amore.
' speranza : [Pisa 1871; Bar. 1872; Fir. 1878].
■■* lacrimarla [Pisa 1871].
^ bella, [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878^
^ schietta, [Pisa 1871: Bar. 1872; Flr. 1878].
^ etate! [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].
« dire: [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].
" È [Pisa 1871; Flr. 1878].
^ poveretta ! [Pisa 1871].
■' dolor! [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].
'" lamento! [Pisa 1871; Bar. 1872; Fir. 1878].
" jnetate! [Pisa 1871; Bar. 1872; Fli\ 1878].
''■^ questi [Pisa 1871].
'^^ volto! [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].
'* noi! [Pisa 1871; Bar. 1872; Fir. 1878].
'■' chi, [Bar. 1872; Fir. 1878].
'" core: [Pisa 1871; Bar. 1872; Fir. 1878].
'' che [Pisa 1878].
* Prima aveva scritto ch'io; poi, cancellò.
** Prima aveva scritto: poveretta; poi, cancellò.
LUNGA E MORTALE 209
Quando de l' infelice
Vietumi ^ taluri recando aspre novelle,
Mi studio quanto so farle più levi: -
Chi sa,'^ dunqu' esser puote/ or òhi tei dice?
Tal patteggiando vo ^ con quello e quelle,^
Ma d'ogni patto il nunzio si disdegna,
E quanto può s'ingegna
Ch'io creda ch'ei non dica altro che vero,"
E provando mi scaccia
D'ogni rifugio in sin ch'io mi dispero,"^
E veggio ben che tu ci lasci soli,
E la tua bella faccia
Poco può ^ che sempre a noi s'involi.*
Deh che mostra ^'^ per Dio ' '
Quel sospiroso e languido sembiante '-
Che par che dica,^^ io ^* di pietà son degna ^^
Che nacqui sfortunata.'^ Io ^~ '1 so ben io, ^^
Tristo me, tristo me,'^ questa ^^ di tante
' Vienmi [Pisa 1871].
2 levi. [Pisa 1871].
^ sa? [Pisa 1871; B:ir. J872; Fir. 1878J.
* puote? [Pisa 1871].
•^ vo' [Bar. 1872].
« quelle; [Pisa 1871; Bar. 1872; Fir. 1878 i.
' vero; [Pisa 1871; Fir. 1878].
" dispero: [Pisx 1871; Bar. 1872; Fir. 1878].
' Poco può andar [Pisa 1871].
Poco andar può [Bar. 1872; Fir. 1878].
'" mostra, [Pisa 1871; Fir. 1878].
'> Dio, [Pisa 1871; P^lr. 1878].
'- sembiante, [Pisa 1871 ; Bar. 1872 ; Fir. 1878].
'' dica: [Pisa 1871; Bar. 1872; Fir. 1878].
" Io [Pisa 1871; Fir. 1878].
'•• degna, [Fir. 1878].
""' sfortunata? [Pisa 1871; Bar. 1872; Fir. 1878].
'- lo [Bar, 1872].
'*^ io: [P/s« 1871; Fir. 1878].
" me.' [Pisi, 1871; /^«r. 1872; i^tV. 1878].
2" <^Mes^a [Pisa 1871; Bar. 1872; i^^ir. 1878].
Cosi nell'autograio cljc abbiamo dinanzi.
14
210 PER UNA DONNA MALATA DI MALATTIA
Sventure ch'i' sostenni ^ è la più dura.
Ahi, ahi,'- ma ^ cosi pura
E così vaga, di,^ forse ti stai
Temendo di morire?
Non temer, non temer, che non morrai.
Non può mai far."' Non " vedi? io pur saria
(Che t' ho certo a seguire)
Vicino a morte, e son quello di pria.
Dico che t* ho per cei'to
A seguitar.' che '' s' a ^ la tua non viene
Dietro la vita mia, partir non puote :
Né so perchè, ma pur mi sembra apei'to.
Ben che d'amarti il vanto altri si tiene.
Ch'io dica,'" è morta quell'istessa, quella
Ch'io veggio e mi favella?
Or s'ella è morta, ed io come son vivo?
Questo io so che mai vero
Non fìa, eira intender pure io non l'arrivo.
Fa cor, fa cor, che '' senza fallo alcuno '^
Passato il tempo nero,
Conterem '•* questi affanni ad uno ad uno.
Misero me, eh'''' invano
Lusingando me stesso un tempo e lei.
Rinforza il mais, e '1 gran dolor s'accosta.'"
' sostenni, [Bar 1872].
' ahi! [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].
=' Ma [Pisa 1871; Bar. 1ST2- Flr. 1878].
* di', [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].
'•far: [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].
*' non [Pisa 1871; Flr. 1878].
' seguitar; [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].
« che, [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].
« se a [Pisa 1871; Bar. 1872: Flr. 1878].
'" dica: [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].
" che [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].
'' alcuno, [Pisa 1871; Bar. 18T2:Flr. 1878].
'3 Cauterem [Bar. 1872; Flr. 1878].
'* che [Pisa 1871; Fir. 1878].
^^ s'accosta! [Pisa 1871; Flr. 1878].
LUNGA E MORTALE 211
Dell per pietà non sia cor si villano
Che non si mova ^ a sovvenir costei/-
Deli troviam qualche via, troviam qualche' arte,
Che -^ questa se ne parte,
E s'altri non l'aita ha poco andare.
Oimè * nulla non giova!
Io non so far che '1 creda: io vo' provare
Io stesso, io vo ' vedere. E "1 veggio 'ocne -"^
Sciaurato " per prova,
Che disperarmi al tutto mi conviene.
Poveri noi mortali *
Che contro al fato non abhiam valore.'^
Sta come sconcio masso, e noi ghermito
Meglio che può, con queste braccia frali
Poniam di sbarbicarlo ogni sudore,^
Ma quello è tal da poi qual fu davante:
Ed io pregando quante
Possanze ha '1 ciclo, e tutto foco in faccia,
E ambasciato e sudato,'*^
E stese fortemente ambe le braccia,
Morir vedrotti, ch'io nulla non posso
A contrastarlo, e '1 fiato
Tardar che dtt' tuoi labbri in fuga è mosso.
Dunque, o donna, morrai V
Sì certo, si, né co.s-a altra mi resra
Se non che moribonda io la consoli.
' muova [Pis:i 1871].
2 costei: [Pisa 1871; liar. Ur2: Flr. 1878].
^ Che [Pisa 1871: Bar. 1872: Flr. 1878].
^ Oline! [Pisa 1871; Flr. 187s].
Ohlmìi! [Bar. 1872].
• bene, [Pisa 1871: Bar. 1872; Flr. 1878].
" Sclanrato, [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].
" mortali. [l'Isa 1871; Bar. 1872: Flr. 1878].
" valore! [Pisa 1871; Flr. 1878].'
9 sudore; [Pisa 1871; Ba\ 1872; Flr. 1878].
^^ sudato [Pisa 1871].
212 PER UNA DONNA MALATA DI MALATTIA
0 cara mia, confortati ; ^ se mai
Tua gente - e me con lei ^ tutta funesta
Vorrà far Dio, ripiglia cor: natura
N'a '' * fatti a la sciaura
Tutti quanti siam nati. Anima mia,
Non pianger;^ gli occhi gira,
Qual puoi veder clie misero non sia?
Ben che ti par, non ti verrà trovato.
Or poi che si sospira
E piange invano, oifriamci al nostro fato.
Vero è che la fortuna
E teco più spietata che non suole ^
Che '^ '1 fior di giovanezza * ti rapisce.
Pur datti posa; han di piacere alcuna
Sembianza i mali^ estremi. Or vedi"* il sole
Non andrà molto ch'io sarò sotterra. '*
Che '- se '1 veder non erra ^^^
Anche a me breve corso il ciel misura.'^
E pur di mia giornata
Son presso a 1' ^^ alba, né di morte ho cura.'^
' confortati; [Pt'sa 1871 ; Bar. 1872; Flr. 1878].
- iiente, [Pisa 1871; Fir. 1878].
'' lei, [Fisa 1871; Fir. 1878].
* ha [Pisa 1%11, Bar. 1872; Fir. 1878].
^ pianger, [Pisa 1871; Bar. 1872; Fir. 1878].
« suole, [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].
' Che [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].
'' giovinezza [Pisa 1871; Bar. 1872; Fir. 1878].
'' mal [Bar. 1872].
'*• vedi: [Pisa 1871; Bar. 1872; Fii\ 1878],
" sotterra, [Pisa 1871].
sotterra; [Fir. 1878].
'^ Chh, [Pisa 1871 ; Flr. 1878].
" erra, [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].
" misura : [Pisa 1871 ; Flr. 1878].
'•' aW [Fir. 1878].
'« cura, [Pisa 1871].
cura; [Flr. 1878].
* Così nell'autografo che abbiamo dinanzi.
LDNOA E MORTALE
Che ' qual mai visse più, quei visse poco,-
E ^ chi diritto guata ^
Nostra famiglia a la natura è gioco.
Ma questo ti conforti
Sopra ogni cosa, eh'-' innocente mori.
Né '1 mondo ti spirò suo puzzo in viso.
Tutti tuoi pari andran tosto fra *^ morti,
E avranno ' il più di lor '^ fracidi i cori ;
Che ^ questo mondo è scellerata cosa/*'
E quel mal che non osa
Candida gioventude, è scherzo al vile
Senno d'età provetta,''
E nefanda vecchiezza,'* e in cor gentile
Quel che natura fé '-^ spegne l'esempio,
Tanto che poco aspetta
Quel giusto ed alto a farsi abbietto ed empio.
E te jDur tocca avria
L'indegna mota,'-* che sei tanto bianca; '■''
Tutti, qualunque ha più robusto il petto,
Io de' malvagi, io fora,'*' o donna mia,
' Che [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].
^ jjoco, [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].
^ E, [Pisa 1871; Flr. 1878].
* fjiiati., [Pisa 1871; Flr. 1878].
" che [Pisa 1871; Flr. 1878].
" fra' [Pisa 1871 ; Flr. 1878].
' avranno^ [Pisa 1871; Flr. 1878].
\ lor, [Pisa 1871 ; Flr. 1878].
» Che [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].
'•' cosa. [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].
" provetta [Pisa 1871 ; Flr. 1878].
'- vecchiezza: [Pisa 1871].
vecchiezza ; [Flr. 1878].
'\fe [Pisa 1871; Bar. 1872; Flr. 1878].
'* iiota,=* [Pisa 1871].
mota [Bar. 1872].
'"• bianca : [Pisa 1871 : Flr. 1878].
>" forse, [Bar. 1872].
* Evidente errore di stampa.
214 PER DONNA MALATA DI MALATTIA ECC.
E sarò pnr,^ se 1 tempo non mi manca,
Che virtù prezzo più che gioventude,-
E ^ se virtù non chiude,
Fuggo beltà ^ che pur m' •"' è tanto cara ;
Me, s' io non ho già presso
L'estremo sol, me di sua pece amara
Imbratterà la velenosa etade,
E questo core istesso
Eia di malizia speco e di viltade.
Or ti rallegra, o sventurata mia,'"'
Tutto ti teglia r iin])lacanda sorte,'
Non r innocenza de la corsa vita
Non ti tor'-à,'*^ né morte ^
Né '1 cielo '•" né possauza altra che sia.
Fra nequitosa" gente,
Qual se' discesa, tale a la partita.
Cara, o cara beltà, mori innocente.
1878].
• pur [Bar. 1872; Flv. 1878].
- (jlooentade. [Bar. 1872].
(/lovcntadc ; [Fir. 1878].
' F, [Pisa 1871; Bar, 1872; Flr
■» balta, [Flr. 1878].
•'• mi [Fisa 1871].
'= mia: [Pisa 1871; Fir. 1878].
■ Sìrie] [Pisa 1871; Bar. 1872].
sorto.: [Fir. 1878].
" torra [Pisa 1871 : Fir. 1878J.
" morte, [Pisa 1871; Bar. 1872; Fir. 1878].
>-' cielo,' [Pisa 1871; Bar. 1872; Fir. 1878].
" neghittosa** [Bar. 1872].
(G. L.*)
* Cosi nel nostro autografo, — Segue 1' idillio La lina, e la ri-
cordanza (pagg. 121-122^.
** Xel Baretli (pag. 27) si legge questa nota dell'Editore : " La
" mia copia fedelissima legge neghittosa, ma dopo i precedenti sta
forse meglio nequitosa, come stampavasi [Bernardi]. „ — Ora, noi
possiamo assiciirare il lettore che nell'autografo che abbiamo di-
nanzi, il solo che si abbia di questa Canzone, leggesi chiarissima-
mente nequitosa, e non già neghittosa.
LE RTxMEMBPvANZE
Un quaderno (cojìertma bianca) di quattro farciate rrgo-
dclla contossa Paolina.
LE RnrE:\rBRANZE
IDILLIO.
Era in mezzo del ciel la curva luna '
E di Micon- la povera capanna
Sol piccola da un lato ombra spandea.
Chino sul destro braccio, ed appoggiando
Alle ginocchia il cubito, dell'uscio
Sul facile gradin sedea Micone.
Egli era triste,'^ e muto. Il tenerello
Dameta^ il figliuolin, che ad ogni istante
Temea la mamma udir chiamarlo al sonno,
Scherzavagli d'intorno, e saltellando
La mano gli prendeva, or d'una cosa
Or d'altra il ricercava: un panierino
Mostravagli talor da lui tessuto,
Talor raccolto un fresco fior, talora
Nella socchiusa man lucido insetto
Sorpreso in aria dal sagace colpo:
' Inno, [Ciirjiìnnì, l'^SO]
■'' Milon {evidente errore di stampa)
^ triste
* Davieta,
218 LE RIMEMBRANZE
E il rimirava in faccia, e avidamente
Plauso cliiedea col guardo, * e col sorriso.
Quel - serio, " e taciturno "* a stento ai detti
0 a fuggitivo riso apriva i labbri apriva.
Aliin prorujjpe :
M ICONE
0 amabile Dameta "•
Di," figlio mio, del tuo maggior fratello
Non ti ricordi tu? più non rammenti
Il tuo Filino? Ei t'ha lasciato, e un anno
È che noi vedi più. Le prime rose
Spuntavano come or su quella fratta,
Quando" i suoi giuochi abbandonati, il vidi
Seder pallido, ^ e muto. Io gli chiedea :
Figlio" perchè qui sei? perchè non giuochi?
Pe^'chè non vai con tuo fratello al prato?
8u '*^ scendi a sollazzarti. Hai forse male?
Nò,* padre, ei mi dicea, no, nulla io sento,
Ma stanco io sono, e qui riposo ; or ora
Tornerò con Dameta a trastullarmi.
Cosi sempre ei dicea, ma sempre il male
Più gli apj^aria sul viso. Un di di Festa
Alfine ei si levò l'ultima volta"
Poi più non sorse. Oh come allor, '- che a casa
' fj nardo
' Quel,
^ serio
* tacltanio,
^ Dameta,
« Di',
^ Quando,
" 2)aUido
" Fhjlio,
'" Sa,
" volta.
'« allor
* Cosi nel nostro avitografo.
LE rimembraxzp: 219
La sera mi vedea tornar dal campo.
Lieto in chiamarmi mi tendea le mani,
E la mia mi baciava, e mi chiedea
Se stanco fossi, e sempre a se ^ vicino
M'avria voluto. L'n giorno alfin (dimani
Quel di funesto riconduce il sole)
Mi levai, corsi a lui, chino sul letto
Gli diedi un bacio, e come stasse il chiesi.
Ei più non rispondea: l'occhio mi volse '^
Cui luccicante lacrima copria:
]Ma nulla dir potè, più non dischiuse
Il moribondo labbro. Un opportuno
Eimedio al male, il vecchio Alcon, quel Saggio, ^
Cui si spesso vedesti, e cui si spesso
Della villa consultano i pastori''
Lidicato ci avea. Per procacciarlo
Impaziente •"" alla città mi volsi.
Saliva il sole in cielo, e la marina
Di lontano splendea:^ Ma la campagna
Era tacita ancor. Passni non lungi
A quell'alto palagio, che alla luna
Or vedi biancheggiar dietro alle piante,
Colà vicino alla maestra via.
Della villa i Signori" eran sepolti
Nel dolce sonno del mattin. Pur vidi
Aperta una finestra ^ intorno a cui
Sporgea ferrea ringhiera, e dentro l'ampia
Camera Signoril, ^ sul pavimento
' uè
■'' volse,
^ saggio,
* jìastorl,
^ Impaziente
" splendea.
■^ signori
" finestra,
* signoril,
220 LE RIMEMBRANZE
E il lucido apparato, che l'opposta
Parete ricopria, dal sol dipinta
L' immagine mirai della finestra :
A cui dinnanzi con negletta veste
Un dei servi passar vidi, che intento
Sulla scopa pendea. Quanto lugubri
Per me fur quei momenti! Alla cittade
Giunsi, tolsi il rimedio, e qua tornai.
Fra speme, ' e fra timor, tremante, incerto
Entrai sospeso . . , Morto era Filino.
Pallido il rimirai: finito io vidi
Il respirar sulle gelate labbra:
Serrate le palpebre, e rilucenti
Pel ghiacciato sudor l'umide chiome.
Ahi mio Filino ! Da quel tempo ancora
Quel mesto orror, quei funebri momenti,
Quel tristo di dimenticar non posso.
DAMETA
Ben men sovvengo anch' io, che nel levarmi
Quella mattina, oltre l'usato io vidi
Triste la mamma. Al mio Filino io tosto
Correr voleva: ella il vietò, mi disse
Che ancor dormiva, e uscir mi fece al prato.
Ma nel tornar con festa, e saltellando
Pianger la vidi. Io m'acchetai, jDian piano
Le venni appresso, e presale la gonna.
Mesto le dimandai perchè piangesse.
Ella china abbracciommi, ed appoggiando
Alla mia la sua fronte, ah figlio, disse,
Caro Dameta mio, Filino è morto.
AUor piansi ancor io. La mamma invano
Trattenermi volea : poich' ella il guardo
^ speme
LE RIMEMBRANZE 221
Rivolse altrove, al letticciuolo io corsi
Del mio caro Filin. Fiso dapprima
Il rimirai, poi sullo smorto viso
Mille baci gli diedi, e colla mano
Toccai la fredda guancia, e gli occhi chiusi
Di riaprirgli cercai. Deh quanto io piansi
In veder come più non si movea!
Filin ! fratello ! ^ io gli diceva, oh Dio !
Tu non mi vedi più . . . Che far giammai
Potrò senza di te? Quanto t'amava!
Quanto m'amavi! alla selvetta, al prato
Sempre eravamo insieme: oh quante volte
Corremmo a gara, e a gara tra le foglie
Cogliemmo - i più bei fior ! quante sull'erba
La sera assisi al raggio della luna
Cantammo insiem ! Tu m' insegnavi il suono
Sopra le canne a modular, che spesso
Di tua man mi apprestavi; o a far panieri
Per empirli di fiori; o a lanciar sassi
A un albero lontan. Spesso nel bosco
Tendemmo insidie agli augelletti, e insieme
Ci partimmo la preda. Entro un canneto
Spesso nascosto "^ io l'amor tuo cercai
Deludere un momento : ansioso allora
Tu di me givi in traccia. Il riso mio,
A lo scrosciar delle vicine canne ^
Mi tradiva talor: tu mi scoprivi,
E lieto a me correvi, e in abbracciarmi
Del mio crudo piacer mi riprendevi.
Oh quanto ci amavamo! Ah tutto tutto
È finito per noi. Caro fratello
' Fratello!
^ Cogliemo (evidente errore di stampa)
' nascosto,
* canne.
2 LE RIMEMBRANZE
Tu mi lasciasti ... ^ Al giuoco, - in casa io sempre
Solo restar dovrò ?. . Nò, ^ che la vita
Menar più non jjotrei . . . Caro Filino
Ah tu moristi, ali morir voglio anch' io.
Egli piangea: tra le ginocchia il prese
Il buon Micone, e gli nsoiugnva il pianto,
E consolando il già. ^
MICOXE
Diman condurti
Alla citfcade io vo', diman la tomba
Ti mostrerò di tu3 fivitelli, e voglio
Che venga insiem cm noi la mamma ancora.
Ah figlio ! ah tu sei morto ! il padre tuo ''
Che si t'amb, dimenticar sapresti?
' lasciasti.
- qiiioco
=* So
' //''< .'
^ tuo,
APPENDICE
CANZONI
DI
GIACOMO LEOPARDI
SULV ITALIA
Sul Monumento di Dante che si j)^epara
in Firenze
ROMA MDCccxviiI.
Presso FRA^XEsco Bovrlie' .
227
AL CHIAEISSIMO
SIG. CAVALIEEE VINCENZO MONTI
GIACOMO LEOPAEDI
§.
^aando mi risolsi di pubblicai' e queste Canzoni,
come non mi sarei lasciato condurre da nessuna cosa
del mondo a intitolarle a verun polente, così mi parve
dolce e beato il consacrarle a Voi, Signor Car oliere.
Stante che oggidì chiunque deplora o esorta la patria
nostra, non puh fare che non si ricordi con infinita con-
solazione di Voi che insieme con quegli altri pochissimi, i
quali tacendo non vengo a dinotare niente meno di quello
che farei nominando, sof^tenete l'idttma gloria nostra,
io dico quella che deriva dagli studj, e sìngolarmen'e
dalle lettere e arti belle, tanto che per anche non si può
2:>S
dire che V Italia sia morta. Di queste Canzoni, se lujua-
(jliiio il soggetto, che quando lo uguagliassero, non
mancherebbe loro ne grandiosità ne veemenza, sarà
giudizio non tanto dell'universale quanto vostro ; giacche
da quando veniste in quella fama che dovevate^ si può
dire che nessuno scrittore italiano, se non altro, di quanti
non ebbero la vista imjìedita nìi da, scarsezza, d' intelletto,
ne da 2>resunzione e amore di se medesimi, stimò die va-
lessero jmnto a rifarlo delle riprensioni vostre le lodi
dell'altra gente, o lodato da voi riputò mal pagate le
sue fatiche, o si curò de' biasimi o dello spregio del po-
polo. Basterei che intorno al caido di Simonide che sta
nella lìrima Canzone io significhi non per Voi, ma per
li pili de' lettori, e domandandovi perdono dì questo,
ch'io mi fo coraggio e non mi vergogno di scriverlo a
229
5
Voi, che quel gran fatto delle Termopile fa celebrato real-
mente da un Poeta greco di molta fama, e quel eh' e 2^iì<,
vissuto in quei medesimi tempi, cioè Simonide, come si ve-
de appresso Diodoro neWundecimo libro, dove recita an-
che certe parole di esso Poeta; lasciando V epitaffio ripor-
tato da Cicerone e da altri. Due o tre delle quali parole
recate da Diodoro sono espresse nel quinto verso delVul-
tima strofe. Ora io giudicava che a nessun altro Poeta
lirico ne prima ne dopo toccasse mai verun soggetto così
grande ne conveniente. Imperocché quello che raccontato
o letto dopo ventitre secoli, tidtavia spreme da occhi stra-
nieri le lagrime a viva forza, pare che quasi veduto, e
certamente udito a magnificare da chicchessia nello
stesso fervore della Grecia vincitrice di un' armata quale
non si vide in Kìiropa se noìi allora, fra le maraviglie
2:o
i tripudj gli appìmiiii le lagrima di tutta una eccellen-
iissiina nazione siddimata oltre a quanto si ino dire o
/pensare dalla coscienza della gloria acquistata, e da
queW amore incredibile della patria eh' e i^assato in com-
jjagnia de' secoli antichi, dovesse ispirare in qualsivo-
glia Greco, massimamente Poeta, affetto e furore onnina-
mente indicibile e sovrumano. Per la qual cosa dolendomi
assai che il sovraddetto componimento fosse perduto^ alla
fine presi cuore di mettermi, come si dice, nei panni di
Simonide, e così, quanto portava la mediocrità mia, ri-
fare il suo canto, del quale non dubito di affermare, che
se no i fu maraciglioso, allora e la fama di Simonide fu
vano rumore, e gli scritti consumati degnamente dal tem-
po. Di questo mio fatto, se sia stato coraggio o temerità^
sentenzierete Voi, Signor Cavaliere, e altresì, quando
231
vi paia da tanto, giudichevete della seconda Canzone, la
liliale io v'offro umilmente e semplicemente insieme col-
l'altra, acceso d'^aniore verso la jjovera Italia, e quindi
animato di vivissimo affetto e gratitudine e riverenza
verso cotesto numero presso che impercettibile d'Italiani
che sojyravvive. Ne temo se non ch'altri mi vituperi e
schernisca della indegnità e miseria del donativo; che
quanto a voi non ignoro che siccome l'eccellenza del vo-
stro ingegno vi dimostrerà necessariamente a prima vista
la qualità dell'offerta, così la dolcezza del cuor vostro vi
sforzerà d'accettarla, j^er molto ch'ella sia povera e vile,
e conoscendo la vanità del dono, a ogni modo procure-
rete di scusare la confidenza del donatore, forse anche
vi sarà grato quello che non ostante la benignità vostra,
vi converrà tenere per dispregevole.
233
SULL'ITALIA
O
patria mia, vedo le mura e ,^li archi
E le colonne e i simulacri e l'erme
Torri de gli avi nostri;
Ma la gloria non vedo,
Non vedo il lauro e '1 ferro ond' eran carchi
I nostri padri antichi. Or fatta inerme,
Nuda la fronte e nudo il petto mostri.
Oimé quante ferite,
Che lividor che sangue ! oh qual ti veggio,
Formosissima donna ! Io chiedo al cielo
E al mondo, dite, dite.
Chi la ridusse a tale? E questo é '1 peggio
Che di catene ha carche ambe le braccia,
Sì che sparte le chiome e senza velo
Siede in terra negletta e sconsolata
Nascondendo la faccia
Tra le ginocchia, e piange.
Piangi, che n' hai ben donde. Italia mia,
II mondo a vincer nata
E ne la fausta sorte e ne la ria.
234
10
Se fosse r gli occhi miei due fonti vive
Non potrei pianger tanto
Ch' adeguassi il tuo danno e men lo scorno,
Che fosti donna, or se' povera ancella.
Chi di te parla o scrive
Che rimembrando il tuo passato vanto
Non dica, già fu grande, or non è quella?
Perchè perchè? dov'è la forza antica.
Dove l'armi, e '1 valore e la costanza?
Chi ti discinse il brando?
Chi ti tradì? qual arte o qual fatica
O qual tanta possanza
Valse a spogliarti il manto e l'auree bende?
Come cadesti o quando
Da tanta altezza in cosi basso loco?
Nessun pugna per te? non ti difende
Nessun de' tuoi? L'armi, qua l'armi: io solo
Combatterò, procomberò sol io.
Dammi, o ciel, che sia foco
A gì' italici petti il sangue mio.
235
11
Dove sono i tuoi figli ? Odo suoii d' armi
E di carri e di voci e di timballi:
In estranie contrade
Pugnano i tuoi figliuoli.
Attendi. Italia, attendi. Io veggio, o parmi
Un fluttuar di fanti e di cavalli,
E polve e fumo e luccicar di spade
Come tra nebbia lampi.
Ne ti conforti? ed oltre al tuo costume
T'affanni e piangi? or che fia quel ch'io sento?
A che pugna in quei campi
L'itala gioventude? O Nume, o Nume!
Pugnan per altra terra itali acciari.
Oh misero colui che in guerra è spento,
Non per li patrii lidi e per la pia
Consorte e i figli cari,
Ma da' nemici altrui
Per altra gente, e non può dir morendo,
Dolce terra natia,
La vita che mi desti ecco ti rerdo.
236
12
Oh venturose e care e benedette
Le antich' età che a morte
Per la patria correan le genti a squadre,
E voi sempra onorate e gloriose,
O Tessaliche strette
Dove la Persia e' 1 fato assai men forte
Fu di podi' alme franche e generose.
Io credo che le piante e i sa=;si e l'onle
E le montagne vostre al passeggere
Con indistinta voce
Narrin, sì come tutte quelle sponde
Coprir le invitte schiere
De' corpi eh' a la Grecia eran devoti.
Allor vile e feroce
Serse per l'Ellesponto si fuggla
Fatto ludibrio a gli ultimi nipoti,
E sul colle d'Antela ove morendo
Si sottrasse da morte il santo stuolo
Simonide salia
Guardando 1' etra e la marina e '1 suolo.
237
13
E di lagrime sparso ambe le guance
E ansante il petto e vacillante il piede,
Toglieasi in man la lira :
Beatissimi voi
Ch'ofiriste il petto a le nemiche lance
Per amor di costei eli' al sol vi diede,
Voi che la grecia cole e '1 mondo ammira:
In sempiterno viva,
Cari, la vostra fama «ippo le genti.
Qual tanto, o figli, a sera amor vi trasse ?
Come cosi giuliva
L'ora estrema vi parve, onde ridenti
Correste al fato lagrimoso e duro ?
Parea eh' a danza e non a morte andasse
Ciascun de' vostri o a splendido convito :
Ma v' attendea lo scuro
Tartaro e l'onda morta,
Ne le spose vi foro o i figli accanto
Quando su l'aspro lito
Senza baci moriste e senza pianto.
2B8
14
Ma non senza de' Persi orrida pena
Ed immortale angoscia.
Come lion di tori entro una mandra
Or salta a quello in tergo e si gli scava
Con le zanne la schiena.
Or questo fianco addenta or quella coscia;
Tal fra le Perse torme infuriava
L'ira de' greci petti e la virtute.
Ye' cavalli supini e cavalieri.
Vedi intralciar di tutti
La fuga i carri e le tende cadute,
E correr fra' primieri
Pallido e scapigliato esso tiranno;
Ve come intrisi e brutti
Del barbarico sangue i greci eroi
Cagione a i Persi d' infinito affanno,
A poco a poco vinti da le piaghe,
L'un sopra l'altro cade. Evviva evviva :
Beatissimi voi
Fin ch'il mondo quassù favelli o scriva.
239
15
Prima divelte, in mar precipitando,
Spente ne l' imo strideran le stelle,
Che la memoria e '1 vostro
Amor trascorra o scemi.
La tomba vostra è un' ara , e qua' mostrando
Verran le madri a i parvoli le belle
Orme del vostro sangue. Ecco i^ mi prostro,
O benedetti, al suolo,
E bacio questi sassi e queste zolle
Che fien lodate e chiare eternamente
Da l'uno a l'altro polo.
Oh foss'io pure con voi qui sotto, e molle
Fosse del sangue mio quest' alma terra !
Che se ripugna il fato, e non consente
Ch' io per la grecia i moribondi lumi
Chiuda prostrato in guerra,
Cosi la vereconda
Fama del vostro vate appo i futuri
Possa, volendo i numi,
Tanto durar quanto la vostra duri,
8
241
17
SUL MONUMENTO
DI DANTE
che si prepara in Firenze
X erchè le nostre genti
Pace sotto le bianche ali raccolga,
Non fien da' lacci sciolte
De l'antico sopor l' itale menti,
S' a i patrj esempj de la prisca etade
Questa terra fatai non si rivolga.
O Italia, a cor ti stia
Far a i passati onor, che d' altrettali
Oggi vedove son le tue contrade,
Ne e' è chi d' onorar ti si convegna.
Volgiti indietro e guarda, o patria mia.
Quella turba infinita d' immortali,
E piangi e di te stessa ti disdegna;
Che se non piangi, ogni speranza è stolta:
Volgiti e ti vergogna e ti riscuoti,
E ti punga una volta
Pensier de gli avi nostri e de' nipoti.
16
242
18
D' aria e d' ingegno e di parlar diverso
Per lo toscano suol cercando già
L' ospite desioso
Dove giaccia colui per lo cui verso
Il Meonio cantor non è più solo;
Ed oh vergogna ! udia
Che non eh' il cener freddo e 1' ossa nude
Giaccian esuli ancora
Dopo il funereo di sott' altro suolo ;
Ma non sorgea dentro a tue mura un sasso,
Firenze, a quello per la cui virtude
Tutto il mondo t' onora.
Oh voi pietosi onde si tristo e basso
Obbrobrio laverà nostro paese!
Beli' opra hai tolta, e di eh' amor ti rende,
Schiera prode e cortese,
Qualunque petto amor d' Italia accende.
243
19
Amor d' Italia, o cari,
Amor di questa misera tì sproni,
Ver cui pietade è morta
In ogni petto omai, perciò che amari
Giorni dopo il seren dato n'ha il cielo.
Forza v' aggiunga, e vostra opra coroni
Misericordia, o figli,
E duolo e sdegno di cotanto affanno,
Onde bagna costei le guance e '1 velo.
Ma come a voi dirizzerassi il canto
Cui non pur de le cure e de' consigli,
Ma de 1' ingegno e de la man daranno
I secoli futuri eccelso vanto
Oprate e mostre ne la dolce impi'esa?
Come a gran foga ecciteravvi il core?
Come a la mente accosa
Crescerà novi raggi e novo ardore ?
244
20
Voi spirerà l'altissimo subbietto,
Ed acri punte premeravvi al seno.
Chi dirà l'onda e '1 turbo
Del furor vostro e de l' immenso affetto ?
Chi pingerà l'attonito sembiante ?
Chi de gli occhi il baleno ?
Qual può voce mortai celeste cosa
Agguagliar figurando ?
Mano a lo scalpro. Oh quanti plausi oh quante
Lagrime a voi la bella Italia serba !
Come cadrà ? come dal tempo rosa
ria vostra gloria o quando ?
Voi di eh' il nostro mal si disacerba
Sempre vivete, o care arti divine,
Conforto a nostra sventurata gente,
Su r itale ruine
Gl'itali pregj a celebrare intente.
245
21
Ecco voglioso anch' io
Ad onorar nostra dolente madre
Porto quel che mi lice,
E mesco a l'opra vostra il canto mio
Sedendo u' vostro ferro i marmi avviva.
O de l'Ausonio carme inclito jDadre,
Se di cosa terrena
Se di colei che tanto alto locasti
Qualche novella a i vostri lidi arriva,
Io so ben che per te gioja non senti,
Che saldi men che cera e men ch'arena
Verso la fama che di te lasciasti
Son bronzi e marmi, e da le nostre menti
Se mai cadesti ancor, s'unqua cadrai.
Cresca, se crescer può, nostra sciagura,
E in sempiterni guai
Pianga tua stirpe a tutto il mondo oscura.
246
22
Ma non per te, per questa ti rallegri
Povera patria tua, s' unqua 1' esempio
De gli avi e de' parenti
Ponga ne' figli sonnacchiosi ed egri
Tanto valor eh' un tratto alzino il viso.
O secol turpe e scempio !
Qual vedi Italia eh' era si meschina,
Leggiadro spirto, allora
Che di novo salisti al Paradiso !
Ora è tal che rispetto a quel che vedi
AUor fu beatissima e regina.
Mostrar chi si rincora
Il mal eh' è fia gran che, s' udendo il credi ?
Taccio gli altri nemici e 1' altre doglie
Ma non la Francia scellerata e nera
Per cui presso a le soglie
Vide r Italia mia l' ultima sera.
247
23
Beato te eli' il fato
A viver non dannò fra tanto orrore,
Che non vedesti in braccio
L'itala moglie a barbaro soldato,
Non predar non guastar cittadi e colti
Di Franche torme il bestiai furore,
Non de gl'itali ingegni
Tratte l'opre cattive a miseranda
Schiavitude oltre l'alpe, e non de' folti
Carri impedita la dolente via,
Non gli aspri cenni ed i superbi regni,
Non udisti gli oltraggi e la nefanda
Voce di libertà che ne schernia
Tra '1 suon de le catene e de' flagelli.
Chi non si duol? che non soffrimmo? intatto
Che lasciaron quei felli?
Qual tempio quale altare o qual misfatto?
248'
24
Perch' venimmo a si perversi tempi?
Perdi' il nascer ne desti o perchè prima
Non ne desti il morire,
Acerbo fato? onde a stranieri ed empi
Nostra patria vedendo ancella e schiava,
E da mordace lima
Roder la sua virtù, di nuli' aita
E di nullo conforto
Lo spietato dolor che la stracciava
Ammollir ne fu dato in parte alcuna.
Ahi non il sangue nostro e non la vita
Avesti, o cara, e morto
Io non son per la tua dira fortuna.
Qui si eh' il pianto infino al suol mi gronda.
Pugnò cadde gran parte anche di noi,
Ma per la moribonda
Italia no, per li tiranni suoi.
249
25
Padre, se non ti sdegni
Cambiato se' da quel che fosti in terra.
Morian fra le Rutene
Orride piagge, ahi d'altra morte degni,
GÌ' itali prodi, e lor fea l'aere e '1 cielo
E gli uomini e le belve immensa guerra.
Cadeano a squadre a squadre
Semivestiti maceri e cruenti,
Ed era letto agli egri corpi il gelo.
Allor, quando traean l'ultime pene,
Membravan questa desiata madre
Dicendo, Oh non le nubi e non i venti
Ma ne spegnesse il ferro, e pel tuo bene,
0 patria nostra! Ecco da te rimoti,
Quando più bella gioventù ci ride,
A tutto il mondo ignoti
Moriam per quella gente che t'uccide.
250
26
Lor tristo fato il pallido deserto
E borea vide e le fischianti selve.
Cosi vennero al passo,
E i negletti cadaveri a l'aperto
Su per quello di neve orrendo mare
Si smozzicar le belve,
E fia l'onor de' generosi e forti
Pari mai sempre ed uno
Con quel de' tardi e vili. Anime care,
Bendi' infinita sia vostra sciaura,
Datevi pace, e questo vi conforti
Che conforto nessuno
Avrete in questa o ne l'età futura.
In seno al vostro smisurato affanno
Posate, o di costei veraci figli,
Al cui supremo danno
Il vostro solo è tal clie rassomigli.
251
27
Di voi già non si lagna
La patria vostra, ma di chi vi spinse
A pugnar contra lei
Si ch'ella sempre amaramente piagna
E '1 suo col vostro lagrimar confonda.
Oh di costei che tanta verga strinse
Pietà nascesse in core
A tal de' suoi che aJBfaticata e lenta
Di si buja vorago e si profonda
La ritraesse! O glorioso spirto,
Dimmi, d' Italia tua morto è l'amore ?
Dimmi, la vampa che t'accese, è spenta"?
Dimmi, né mai rinverdirà quel mirto
Che tu festi sollazzo al nostro male?
E saran tue fatiche a l'aria sparte ?
Né sorgerà mai tale
Che ti rassembri in qualsivoglia parte?
252
28
In eterno peri la gloria nostra?
E non d'Italia il pianto e non lo scorno
Ebbe verun confine?
Io mentre viva andrò sciamando intorno,
Volgiti a gli avi tuoi, guasto legnaggio,
Mira queste mine
E le carte e le tele e i marmi e i templi,
Pensa qual terra premi, e se svegliarti
Non può la luce di cotanti esempli,
Che stai? levati e parti.
Non si convien a si corretta usanza
Questa d'eccelse menti altrice e scola:
Se di codardi è stanza ;
Meglio l'è rimaner vedova e sola.
253
IMPRIMATUE
Si videbitur Revino Patri Sac. Palatii
Apostolici Magistro
Candidus Maria Frattini Avchiep.
Philip. Vicesg.
IMPEIMATUR
Fr. Th. Dominicus Piazza 0. P. Magister
et Soc. Rmi P. M. S. P. A.
CANZONE
DI
GIACOMO LEOPARDI
AD
ANGELO MAI
BOLOGNA. MDCCCXX
PER LE STAMPE DI IACOPO MAESIOLI
COy APPUOVAZIÙXL-
257
GIACOMO LEOPARDI
AL CONTE
LEONARDO TRISSINO
yoi per animarmi a scrivere mi solete ricordare che
la storia cW nostri tempi non darà lode agP italiani, altro
che nelle lettere e nelle scolture. Ma eziandio nelle lettere
siamo fatti servi e tributari; e io non vedo in che pre-
gio ne dovremo esser tenuti dai posteri, considerando che
la facoltà delV immaginare e del ritrovare e spenta in ita-
lia, ancorché gli stranieri ce V attribuiscano tuttavia come
nostra spedale e primaria qualità, ed e secca ogni vena
di affetto e di vera eloquenza. E contuttociò quello che gli
258
antichi adoperavano in luogo di passatempo, a noi resta
in luogo di affare. Sicché diamoci alle lettere quanto
jy orlano le nostre forze^ e ap)plichiamo V ingegno a dilet-
tare colle parole, giacche la fortima ci toglie il giovare
co^ fatti compera usanza di qualunque c/e' nostri maggiori
volse l'animo alla gloria. E voi non isdegnate questi po-
chi versi chHo vi ìuando. Ma ricordatevi ch'ai disgraziati
si conviene il vestire a lutto, ed è forza che le nostre
canzoni rassomiglino ai versi funebri. Diceva il Petrarca,
ed io son un di quei che '1 pianger giova. Io non j^osso
dir questo, perche il piangere non e inclinazione mia pro-
pria, Dia necessità de' tempi e volere della fortuna.
259
5
Italo ingegno, a che già mai non posi
Di svegliar da le tombe
I nostri padri? e a favellar gli meni
A questo secol morto al quale incombe .
SI gran nebbia di tedio? E come or vieni
Si forte a' nostri orecchi e si frequente,
Voce antica de' nostri
Muta si lunga etade? e perchè tanti
Kisorgimenti? In un balen feconde
Yenner le carte; e a la stagion presente
I polverosi Chiostri
Serbaro intatti i generosi e santi
Detti de gli avi. E che valor t' infonde
II Cielo e '1 fato, Italo illustre? e quale
Tanto avvivar fu degno altro mortale ?
260
6
Certo senza divino alto consiglio
Non è ch'ove più lento
E grave è '1 nostro disperato obblio,
A percoter ne rieda ogni momento
Novo grido de' padri. Ancora è pio
Dunque a l' Italia il cielo, anco si cura
Di noi qualche immortale;
Che poi eh' è questa o nessun' altra poi
L'ora da ripor mano a la virtude
Rugginosa de l'itala natura,
Tanto e si strano e tale
E '1 clamor de' sepolti, e de gli eroi
Dimenticati il nome si dischiude,
O patria o patria, anco in età si tarda
Chiedendo se ti giovi esser codarda.
2G1
7
Spirti sublimi, ancor di noi serbate
Qualche speranza? in tutto
Non siam periti? A voi certo il futuro
Ignoranza non copre: io son distrutto
Ed annientato dal dolor, che scuro
M'è l'avvenire, e tutto quanto io scerno
E tal che sogno e fola
Fa parer la s])eranza. Anime prodi.
Voi non sapete a che siam giunti? E morta
Italia vostra; a' vostri figli è scherno
E d'opra e di parola
Ogni valor; di vostre eterne lodi
Non è chi pensi, nullo si conforta ^
Del vostro rimembrar, che di viltade
Siam fatti esempio a qualsivoglia etade.
262
y^^^m^^^
Bennato ingegno, or quando altrui non cale
De' nostri alti parenti,
A te ne caglia, a te cui '1 fato aspira
Benigno si che per tua man presenti
Paion que' giorni allor che da la dira
Obblivione antica ergean la chioma
Con gli studi sepolti
I vetusti divini a cui natura
Parlò senza svelarsi, onde i riposi
Magnanimi allegrar d'Atene e Roma.
Oh tempi oh tempi avvolti
In sonno eterno. Allora anco immatura
La mina d' italia^ anco sdegnosi
Eravam d'ozio turpe, e l'aere a volo
Una favilla ergea da questo suolo.
263
9
Eran calde le tue ceneri sante,
Non domito nemico
De la fortuna, al cui sdegno e dolore
Fu più l'averno che la terra amico :
L'averno; e qual non è parte migliore
Di questa nostra? E le tue dolci corde
Tremolavano ancora
Dal tocco di tua destra o sfortunato
Amante. Ahi dal dolor comincia e nasce
L'italo canto. E pur men grava e morde
Il mal che n'addolora
Del tedio che n'affoga. Oh te beato
A. cui fu vita il pianto. A noi le fasce
Cinse la noia, e siede accanto il nulla
Immoto e ne la tomba e ne la culla.
264
10
Ma tua vita era allor con gli astri e '1 mare,
Ligure ardita prole,
Quand' oltre a le colonne ed oltre a i liti
Cui strider l'onde a l'attuffar del sole
Pareva udir la sera, a gl'infiniti
Flutti commesso, ritrovasti il raggio
Del sol caduto, e '1 giorno
Che nasce allor ch'a i nostri è giunto al fóndo:
E vinto di natura ogni contrasto.
Ignota immensa terra al tuo viaggio
Fu gloria, e del ritorno
A i rischi. Ahi ahi che conosciuto il mondo
Non cresce ma si scema, e assai più vasto
È al fanciullin che a quello a cui del cielo
Gli arcani e de la terra han perso il velo.
265
11
Nostri beati sogni ove son giti
De r ignoto ricetto
D' ignoti abitatori, o del diurno
De gli astri albergo, e del rimoto letto
De la giovane aurora, e del notturno
Occulto sonno del maggior pianeta?
Sete svaniti a un punto.
Ecco descritto il mondo in breve carta,
Ecco tutto è simile, e discoprendo,
Solo il nulla s'accresce. A noi ti vieta
Il vero appena è giunto.
0 caro immaginar; da te s'apparta
Nostra mente per sempre, a lo stupendo
Poter tuo primo ne sottraggon gli anni,
E rifugio non resta a i nostri affanni.
266
12
Nascevi a dolci sogni intanto, e '1 primo
Sole splendeati in vista,
Cantor vago de l'arme e de gli amori
die in età della nostra assai men trista
Empier la vita di felici errori:
Nova speme d'italia. 0 torri o celle
0 donne o cavalieri
0 giardini o palagi, a voi pensando
In mille vane amenità si perde
L'ingegno mio. Di vanità, di belle
Fole, e strani pensieri
Si componea l'umana vita: in bando
Gli cacciammo: or che resta? or poi che '1 verde
È rapito a le cose? il certo e solo
Veder che tutto è vano altro che '1 duolo.
267
13
0 Torquato o Torquato, a noi promesso
Eri tu allora, il pianto
A te, null'altro prometteva il cielo.
0 misero Torquato, il dolce canto
Non valse a consolarti, o a sciorre il gelo
Onde l'alma t'avean ch'era si calda
Cinta l'odio e l'immondo
Livor privato e de' tiranni. Amore,
Amor di nostra vita ultimo inganno
T'abbandonava. Ombra reale e salda
Ti parve il nulla, e '1 mondo
Tutto un deserto. Onor che giova a un core
Poi che d'inganno uscio? sorte non danno
L'estrema ora ti fu. Morte domanda
Chi '1 nostro mal conobbe, e non ghirlanda.
208
14
Torna torna fra noi, sorgi dal muto
E sconsolato avello
Se vuoi strider d'angoscia, o miserando
Esempio di sciaura. Assai da quello
Che ti parve si mesto e si nefando
E peggiorato il viver nostro. 0 caro,
Chi ti compiangerla.
Se fuor che di se stesso altri non cura?
Chi stolto non direbbe il tuo mortale
Affanno anche oggidì, se '1 grande e '1 raro
Or si chiama follia.
Ne livor più ma ben più grave e dura
La noncuranza avviene a i sommi? o quale,
Se più de' carmi, il computar s'ascolta,
T'appresterebbe il lauro un' altra volta?
269
15
Da te fino a quest'ora uom non è sorto,
0 sventurato ingegno,
Pari a l'italo nome, altro eh' un solo,
Solo di sua codarda etate indegno
Allobrogo feroce, a cui dal polo
Maschio valor, non già da questa mia
Stanca ed arida terra.
Scese nel petto; onde privato, inerme
(Memorando ardimento) in su la scena
Mosse guerra a' tiranni: almen si dia
Questa misera guerra
A le schiacciate genti, a l' ire inferme
Del mondo. Ei primo e sol dentro a l'arena
Scese, e nullo il segui, che l'ozio e '1 brutto
Silenzio or preme ai nostri innanzi a tutto.
270
16
Disdegnando e fremendo, immacolata
Trasse la vita intera,
E morte lo scampò dal veder peggio.
Vittorio mio, questa per te non era
Età né suolo. Altri anni ed altro seggio
È d'uopo a gli alti ingegni. Or di riposo
E vago il mondo, e scorti
Siam da mediocrità; seco è '1 sapiente
E salita è la turba a un sol confine
Che '1 mondo agguaglia. 0 scopritor famoso.
Segui, risveglia i morti
Poi elle dormono i vivi, arma le spente
Lingue de' prischi eroi, tanto che in fine
Questo secol di fango o vita agogni
E sorga ad atti illustri, o si vergogni.
271
ERRATA . CORRIGE
pag. IG. Vers. 8. sec^o sceso
INDICE
Alla Signorina Bice Antona-Tr aversi Pag. ni
Prefazione „ ix
Odissea „ 1
Eneide „ 31
Al lettore „ 33
Libro secondo ^ 41
Inno a Nettuno „ 95
Sul monumento di Dante „ 139
Ad Angelo Mai „ 157
La sera del giorno festivo „ 175
Alla luna „ 181
La luna o la ricordanza • . „ 185
Il sogno „ 189
Il sogno. Idillio „ 195
Imitazione „ 201
Canzone per una donna malata di una malattia lunga
e mortale „ 205
Lo rimembranze , „ 215
Appendice ^ 223
Canzoni di Giacomo Leopardi „ 225
Al Chiarissimo Sig. Cavaliere Vincenzo Monti . „ 227
Sull'Italia ^ 233
Sul Monumento di Dante „ 241
Canzone di Giacomo Leopardi ad Angelo Mai . „ 255
Giacomo Leopardi al conte Leonardo Trissino . „ 257
T
15 GIUGNO 1887
CATALOGO
S. LAPI Editore
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Terza edizione, emendata e accresciuta . . . . „ 1, 00.
" Il libro è breve; ma è difficile trovarne uno più succoso,
più proporzionato al modo in cui l'autore ha inteso trattare il
soggetto suo, più chiaro, e in cui meno manchi e meno abbondi. „
E,. Bonghi, nel Fanfulla del 1-1 genn. 1884.
" Libro piccolo, ma istruttivo. „ A. Gaspauy, Geschichfe der
Italìenischen Literaiar ; Berlin, 1885; pag. 483.
Belli. 6. G. — I Sonetti Romaneschi. Unica edizione
fatta sugli autografi, a cura di Luigi Moran-
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P. Goodwill — Le XII Tavole dell'antica Roma.. „ 1,00
G. L. Piccardi (Lelio). — La moglie di Collatino. „ 2,00
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Scuole, parte I. dell'etimologia ,, 1^50
Zanella Giacomo — L'evoluzione, fCarme) tradotto
dallo stesso in versi latini „ 0.50
Morandi Luigi. — Antologia della nostra Critica
letteraria moderna, per uso delle persone còl-
te e delle &cuole. Terza impressione „ 4,00
Morandi Luigi. — Voltaire contro Shakespeare, Ba-
retti contro Voltaire; con un'Appendice alla
Frusta Letteraria e XLIV Lettere del Ba-
retti inedite o sparse. Nuova edizione, miglio-
rata e molto accresciuta „ 4,00
Morandi Luigi. — La Francesca di Dante. Studio
con Appendice inedita „ „ 0,50
Bonazzi Luigi. — Gustavo Modena e l'Arte sua, con
Prefazione di Luigi Morandi. Seconda edizione „ 2,00
0. Bruni — La nostra redenzione morale, libro of-
ferto al Popolo Italiano „ 1,00
Teocrito. — Idilli tradotti da Giacomo Zanella.
RILEGATO y, 3,00
A. Ademollo — Le Annotazioni di Mastro Titta.... „ 1,50
Aristofane. — Le Rane. Traduzione di A. Fran-
CHETTi con prefazione di D. Comparetti. Ri-
legato „ 3,00
F. d'Ovidio e L. Sailer. — Discussioni Manzoniane „ 3,00
Mamiani T. — Poesie e prose scelte, con un di-
scorso su la vita e le opere dell'autore a cura
di Giovanni Mestica „ 4,00
G. Magherlni-Graziani — Il Diavolo, Novelle Val-
darnesi „ 4,00
Pinzi G. — Della presente letteratura in Italia.. „ 1,00
Spedalieri N. — L'Arte di governare, con prefa-
zione di Giuseppe Cimbali „ 2,00
Mastri gli L. — Beethoven, la sua vita e le sue opere „ 3,50
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duzione di Sofia Fortini-Santarelli „ 3,00
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zione di Sofia Fortini-Santarelli con prefa-
zione del prof. Giacomo Barzellotti 2* Ediz. „ 2,50
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Bonghi Ruggero. — Francesco d'Assisi. Studio ,. 1,50
Angeletti N. — Cronologia delle Opere Minori
di Dante ,, 1,00
Zanella Giacomo. — Della letteratura italiana nel-
l'ultimo secolo, 2."^ impressione. Rilegato e
Dorato „ 3,00
Barbìera R. — Chi l'ascolta? „ 1,00
Lombroso C. — Pazzi e Anomali „ 1,50
Badia R. — Lezioni di Geometria complementare. „ 2,50
Mestica G. — Discorso su la vita e le opere di
Terenzio Mamiani „ 1,00
Borgognoni A. — La Questione Maianesca „ 1,60
De Viti De Marco A. — Moneta e Prezzi „ 4.00
Thayer W. M. — Tatto, Energia, Princìpi]' „ 1,00
Mengotti F. — Idraulica fisica e sperimentale „ 2,00
Bartolucci Lorenzo. — Pensieri, massime e giudizi
estratti dalla Divina Commedia. „ 2,50
Magherini e Gatteschi. — Casentino, con disegni
del Fabbi „ 2,00
Marasca Alessandro. — La Henriade del Voltaire „ 2,00
Martinozzi G. — Del Pantagruele di F. Rabelais „ 1,50
Carducci Giosuè. — Sei odi Barbare, traduzione la-
tina di Amedeo Crivellucci „ 2,00
Bonghi Ruggero. — Arnaldo da Brescia ,.... „ 1,00
Marchetti Alessandro. — I Tarli dell'Arte dramma-
tica „ 1,50
Bonghi Ruggero. — Leone XIII. Seconda edizione „ 1,50
Rara (Biblioteca dei Bibliofili). — Del Governo
della Corte di un Signore in Roma „ 4,00
Gigliarelli Dott. Raniero. — Bacco, bozzetti pato-
logici .... „ 300
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